La vita a bordo della Argo II

di Amantide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due galli in un pollaio ***
Capitolo 2: *** L'incastro del ripostiglio ***
Capitolo 3: *** Steso da un gorilla ***
Capitolo 4: *** Una partita particolarmente accesa ***
Capitolo 5: *** Si dice che la notte porta consiglio ***
Capitolo 6: *** Un amaro spuntino ***
Capitolo 7: *** Sotto attacco ***
Capitolo 8: *** Una doccia fredda ***
Capitolo 9: *** Lottando con il mal di mare ***
Capitolo 10: *** Un messaggio dal campo ***
Capitolo 11: *** Incontri ravvicinati ***
Capitolo 12: *** Dubito ***
Capitolo 13: *** Acqua e fuoco ***
Capitolo 14: *** Postumi ***
Capitolo 15: *** Un satiro molto arrabbiato ***
Capitolo 16: *** Mensole divelte e tanfi sospetti ***
Capitolo 17: *** Il via vai dei bagni ***
Capitolo 18: *** Verso le Colonne D'Ercole ***
Capitolo 19: *** Voci di corridoio ***
Capitolo 20: *** Basket e test ***
Capitolo 21: *** Promesse e menzogne ***
Capitolo 22: *** Dialoghi notturni ***
Capitolo 23: *** Vacanze romane ***
Capitolo 24: *** Alti e bassi ***
Capitolo 25: *** Oltre il limite ***
Capitolo 26: *** Il peso del comando ***
Capitolo 27: *** Azione e reazione ***
Capitolo 28: *** Destinazione Venezia ***
Capitolo 29: *** Il risveglio del drago ***



Capitolo 1
*** Due galli in un pollaio ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Torno con una nuova FF sempre su Percy Jackson. Questa volta mi sono messa nei panni dei 7 della profezia che si sono trovati catapultati in una nuova avventura... la convivenza forzata a bordo della Argo II. La storia si svolge durante il viaggio verso verso Roma, quindi per quanto riguarda i libri siamo in corrispondenza de: "Il marchio di Atena", non ho ancora finito di leggere la saga (sto leggendo "La casa di Ade") quindi come sempre niente spoiler please! :-) 
La storia avrà più capitoli (come mi ha richiesto qualcuno), ma per non lasciarvi mai troppo sulle spiene ho deciso di portarmi avanti... ho sempre due o tre capitoli già scritti oltre quello che pubblico. In questo modo voi aspetterete di meno e io riuscirò più facilmente a seguire il filo della storia. Spero che gradirete questa novità ma soprattutto che apprezzerete la mia nuova storia!!! Non vedo l'ora di leggere i vostri commenti, quindi non esitate ad esprimervi. Grazie a tutti voi per aver scelto di seguire questa storia! :-)





Due galli in un pollaio
 
 
Percy odiava lavare i piatti. Eppure, nonostante l’avesse fatto presente più di una volta, quel compito finiva sempre per tornargli indietro come un boomerang. Erano in viaggio verso le antiche terre solo da qualche giorno, eppure Percy era convinto di aver maledetto Leo per non aver inserito una lavastoviglie nella cucina della sua attrezzatissima trireme greca, almeno un centinaio di volte.
L’unica cosa che apprezzava di quel compito era il contatto con l’acqua, anche se doveva stare attento a non lasciarsi prendere troppo la mano. La prima volta che si era trovato a dover pulire una pigna di piatti, aveva pensato bene di ricorrere ai suoi poteri e aveva finito per fare un casino. Per fare più in fretta aveva aumentato la pressione dell’acqua causando l’esplosione di un paio di tubi e il povero Leo aveva passato un pomeriggio a riparare i danni mentre lui cercava di convincere l’acqua che allagava il pavimento ad abbandonare la cucina, il tutto accompagnato dalle occhiatacce di Annabeth e dagli insulti di Hedge. Da quel giorno a Percy era stato tassativamente vietato di utilizzare i suoi poteri per lavare i piatti.
“Percy, come va con i piatti? Non è che ti andrebbe di darmi il cambio di guardia sul ponte?” La testa bionda di Jason faceva capolino dalla porta della cucina.
“Sì, ho finito.” Rispose Percy asciugando l’ultimo bicchiere. Che poi ancora non aveva ben capito perché a Jason non toccasse mai lavare i piatti.
Percy uscì dalla cucina e raggiunse il figlio di Giove in corridoio.
“Dov’è Hedge?” Chiese Percy non sentendo il vecchio satiro canticchiare nulla di assurdo.
“Si è addormentato sul ponte dieci minuti fa” spiegò Jason indicando il ponte superiore “ha mangiato e bevuto talmente tanto che è crollato senza nemmeno accorgersene!”
Percy e Jason risero insieme. Un turno di guardia sul ponte senza Hedge che storpiava sigle dei cartoni animati e impartiva ordini a casaccio era proprio quello che ci voleva.
“Beh, io vado di sopra allora.” Disse Percy che non sapeva bene come congedare il figlio di Giove. Entrambi avevano difficoltà a rapportarsi l’un l’altro e in più erano sempre stati abituati a svolgere il ruolo di leader. Ma sulla Argo II era tutto diverso, erano una squadra, e come aveva detto saggiamente Annabeth un paio di giorni prima, dovevano finirla di comportarsi come due galli in un pollaio. Ovviamente era più facile a dirsi che a farsi.
Dopo quello che era successo in Kansas, cercare di andare d’accordo con uno che ti aveva fulminato non era la cosa più semplice del mondo.
I due raggiunsero il ponte e Percy fu ben contento di respirare l’odore del mare mentre una dolce brezza gli scompigliava i capelli.
“Senti Percy…” Disse Jason un po’ incerto. Percy alzò un sopracciglio e rimase in attesa. Sembrava che il suo interlocutore fosse impegnato a mettere le parole nell’ordine corretto prima di pronunciarle. “Se il coach dovesse svegliarsi… non è che potresti fare in modo che resti sul ponte?” Domandò Jason arrossendo lievemente in zona orecchie.
“Come scusa?” Percy era confuso.
“Si beh, insomma, volevo stare un po’ con Piper ma… beh, conosci Hedge…”
“Oh!” Fece Percy cominciando a cogliere il senso della richiesta dell’amico.
“Beh, ecco…”
Era difficile dire chi dei due fosse più imbarazzato. Se Jason che si vedeva costretto a chiedere l’aiuto di Percy per stare un po’ solo con la sua ragazza o Percy che doveva reggergli il gioco finendo per fare la guardia ad un vecchio satiro scontroso.
“Ok, credo di aver afferrato.” Mugolò Percy domandandosi quand’è che lui e Annabeth avrebbero potuto passare del tempo soli costringendo Jason a ricambiare il favore.
“Bene!” Esclamò Jason passandosi una mano tra i capelli. “Allora siamo intesi…”
“Si.” Rispose il figlio di Poseidone con poco entusiasmo.
“Sarà meglio che vada allora.”
“Già!”
“Beh, grazie.” E così dicendo Jason si avviò verso le scale che portavano di sotto dove si scontrò con Hazel che saliva.
“Avete finito di parlarvi a monosillabi voi due?” Domandò divertita la ragazza.
“Sì, direi di sì.” Esclamò lui che non vedeva l’ora di raggiungere Piper. E così dicendo riprese le scale scoccando un occhiolino d’intesa a Percy.
“Però!” Esclamò Hazel appena Jason fu sparito sottocoperta. “Voi due state facendo dei progressi!” Scherzò la ragazza fingendosi stupita.
Percy alzò le spalle come a dire che per ora doveva ritenersi soddisfatta di quel risultato.
“Dove sono gli altri?” Chiese Percy per cambiare argomento.
“Annabeth e Leo sono in sala macchine, non chiedermi a fare cosa perché non ci ho capito nulla. Parlavano di pistoni e candele e mi hanno fatto venire un gran mal di testa. Frank ha quasi finito di sistemare la dispensa e Piper…”
“Sta aspettando Jason.” Concluse Percy.
“Sì, suppongo di sì.” Commentò Hazel arrossendo un pochino.
“E tu?” Chiese Percy avvicinandosi al timone per controllare la rotta.
“Io stavo aspettando che Annabeth finisse di aiutare Leo con le sue diavolerie meccaniche per parlarle, ma di questo passo mi sa che faccio in tempo a morire un’altra volta!” Si lasciò scappare un sorriso triste e puntò gli occhi sull’orizzonte. A Percy sembrò di cogliere un po’ di malinconia nella sua voce e nel suo sguardo.
“Puoi parlare con me intanto che aspetti Annabeth… se ti va.” Buttò lì Percy nella speranza di risollevare il morale all’amica.
A quelle parole Hazel arrossì.
“Oh, beh… grazie di esserti offerto, ma… sai, sono cose da ragazze…”
Percy si lasciò scappare una risata nervosa e si sentì un’idiota. Era già la seconda volta nel giro di un quarto d’ora che si sentiva in imbarazzo, prima con Jason e adesso anche con Hazel.
Per fortuna a rompere il ghiaccio ci penso il vecchio coach che russò talmente forte da far sobbalzare i ragazzi e da svegliare se stesso. I due semidei videro Hedge svegliarsi di soprassalto e sfoderare la mazza da baseball gridando “a morte!” ad un paio di poveri gabbiani che sorvolavano ignari la nave. Poi come se tutto fosse normale il satiro si voltò verso Percy gridando: “Ti tengo d’occhio Jackson!” e si riaddormentò abbracciato alla sua fedele mazza da baseball.
I due amici si scambiarono un’occhiata e poi scoppiarono a ridere.
“Che mondo sarebbe senza di lui?!” Disse Hazel divertita.
“Un mondo in cui io non dovrei fargli la guardia per coprire le spalle a Jason, direi!” Rispose Percy sarcastico.
“Percy!” Disse Hazel in tono di rimprovero. “Se ti dà così tanto fastidio coprirlo potevi dirgli di no.”
 “Siete voi ad insistere che dobbiamo andare d’accordo,” brontolo Percy “e avete ragione perché essere una squadra è l’unico modo per portare a termine l’impresa con successo.”
“E allora qual è il problema?” Chiese la ragazza in tono quasi materno.
“Nessun problema… è solo che anch’io vorrei stare un po’ con Annabeth.” Percy si appoggiò al parapetto della nave e abbassò la testa sconsolato. “Hazel, non hai idea di quanto mi sia mancata.”
“Si che ce l’ho invece.” Disse la ragazza comprensiva facendo un immancabile tuffo nei suoi ricordi più remoti.
“Scusami.” La voce di Percy suonava sinceramente dispiaciuta. “Non volevo fare affiorare vecchi ricordi.”
Hazel si sforzò di trattenere le lacrime e diede un bacio a Percy sulla guancia. Lui sorrise.
“Mi offro volontaria per coprire le spalle a te e ad Annabeth, quando ne avrete bisogno. A costo di stare sveglia tutta la notte a fare la guardia al vecchio Hedge!” Il viso di Hazel si aprì in un gran sorriso. Adorava Percy e Annabeth come coppia. Adorava il modo in cui si scoccavano occhiate d’intesa durante i pasti o come lui la prendesse per mano nei momenti più improbabili. Ma più di tutto adorava il luccichio che Annabeth aveva negli occhi quando parlava di lui. La loro complicità le ricordava quella che lei aveva con Sammy, e dopo tutto quello che avevano passato era convinta che meritassero un po’ di tempo insieme tranquilli, cosa che per due semidei era una rarità.
Un rumore sordo accompagnato da esclamazioni di gioia e applausi li colse di sorpresa.
“Valdez ce l’ha fatta anche questa volta!” La voce di Leo giunse vittoriosa dalle scale.
“Io vado a vedere cosa succede di sotto!” Disse Hazel accennando alle scale. “A più tardi.” E così Percy rimase solo sul ponte a scrutare l’orizzonte. Nonostante fossero partiti già da qualche giorno, non avevano ancora subito nessun attacco e Percy non era del tutto sicuro che fosse una buona cosa.
 
Hazel scese in sala macchine dove fu accolta da un sonoro boato. Gli amici erano tutti intenti a festeggiare Leo che aveva riparato con successo i motori della nave per l’ennesima volta. Di questo passo non arriveremo nel Mediterraneo tutti interi, si disse Hazel ripensando a tutte le volte che Leo aveva già dovuto metter mano al loro mezzo di trasporto.
“Hazel!” Esclamò il figlio di Efesto notando l’amica che osservava la scena sulla porta. “Sei venuta anche tu a festeggiare superLeo?”
“Ovvio!” Rispose la ragazza con un gran sorriso. Il figlio di Efesto s’illuminò e Hazel dovette controllarsi più del solito per evitare di far comparire gemme preziose sul pavimento della sala macchine. Il sorriso di Leo era ammaliante.
“Ragazzi” disse Frank raggiungendoli dalla dispensa “mi spiace dirvelo ma siamo a corto di cheeseburger!”
Nell’udire la voce del suo fidanzato Hazel fu percorsa da un brivido, quasi come se si sentisse in colpa per quello scambio di sguardi con Leo.
“Come sarebbe?” Domandò Annabeth strabuzzando gli occhi. “Siamo partiti solo da tre giorni!”
“Vallo a dire a Hedge! Nella dispensa ci sono le sue impronte dappertutto, e non mi risulta che nessun’altro a bordo sia dotato di zoccoli!”
“Ok, stasera riunione!” Sentenziò Annabeth sospirando amareggiata. Quel satiro li avrebbe fatti impazzire tutti.
Gli altri annuirono e poi si sparpagliarono per la nave.
Annabeth aspettò che Leo e Frank fossero usciti dalla sala macchine, poi prese Hazel per un braccio costringendola a voltarsi. “Devi dirmi qualcosa per caso?” Domandò con l’aria di chi aveva già capito tutto. Alla figlia di Atena non sfuggiva proprio nulla.
Hazel tentennò, ma questa volta non riuscì a fare a meno di arrossire mentre un piccolo smeraldo compariva ai suoi piedi.
“Io… beh, in effetti volevo scambiare due chiacchiere con te.” Disse la figlia di Plutone. “Ma non qui.”
“Problemi di cuore?” Domandò Annabeth anche se era evidente che conosceva già la risposta a quella domanda.
Hazel abbassò lo sguardo e per Annabeth fu tutto chiaro. Nonostante si conoscessero da pochi giorni quella ragazza sembrava in grado di leggerla come un libro aperto ed essendo figlia della Dea della saggezza, Hazel la considerava dispensatrice di ottimi consigli. In un certo senso sapeva di potersi fidare ciecamente di lei. E poi era la ragazza di Percy, e questo era una garanzia. Tutte le persone di cui Percy si fidava meritavano piena fiducia anche da parte sua, o per lo meno così la pensava Hazel.
“Cosa ne dici di una riunione a tre stasera? Piper è molto più esperta di me in materia… dopotutto è figlia di Afrodite!”
“Ma abbiamo già la riunione con gli altri!” Le ricordò l’amica.
“Beh ma quella la faremo durante la cena… dopo abbiamo tutto il tempo.”
“Serata solo donne?” Disse Hazel rinvigorita da quell’idea.
“Esattamente! Tutte nella mia cabina!”
“Ci sto!”
“Bene, stasera ci racconti tutto allora, adesso non ci resta che avvisare Piper, a proposito, dov’è?”
“Penso che sia impegnata con Jason.” Rispose la figlia di Plutone soffocando una risata maliziosa.
Annabeth storse la bocca e si torturò una ciocca di capelli. “Certo che quei due si danno un gran da fare!” Commentò quasi come se lo stesse dicendo più a se stessa che a Hazel.
Alla figlia di Plutone sembrò di cogliere una nota d’invidia nella sua voce.
“Hazel, io raggiungo Percy sul ponte. A più tardi.” E così dicendo congedò l’amica.
 
Sul ponte superiore Percy sedeva annoiato a fianco al timone scrutando gli appunti e le rotte che Leo aveva tracciato su delle vecchie mappe nautiche.
“Ehilà!” Annabeth comparve sulle scale sfoggiando il suo sorriso più bello.
“Ehi!” Esclamò Percy felice di avere qualcosa di più interessante delle mappe nautiche da guardare. Annabeth indossava un paio di jeans stretti e una camicetta a quadri sopra una canotta nera. Tutti i suoi capi erano sporchi di grasso e olio, persino i suoi capelli biondi non erano usciti indenni della sala macchine. Percy notò più di una ciocca striata di nero.
“Siamo sicuri che Leo non stia cercando di tramutarti nella meccanica più sexy del pianeta?” Domandò scrutando avidamente ogni centimetro del corpo della fidanzata. “Potrei cominciare seriamente ad essere geloso!”
Annabeth si rassettò i vestiti e si guardò imbarazzata le mani ancora sporche di grasso.
“Ma finiscila!” Protestò in tono scherzoso nascondendo le mani dietro alla schiena. “In questo momento mi sento tutto tranne che sexy!”
“Questo lo dici tu!” E così dicendo tirò Annabeth verso di sé baciandola appassionatamente.
“Ora sarà meglio che tu vada a cambiarti, o potrei non rispondere delle mie azioni.” Le suggerì Percy alternando un bacio ad ogni parola.
“Jackson! Chase!” La voce di Hedge li fece trasalire improvvisamente. “Siete due disgraziati!” Il coach si ergeva in tutta la sua misera altezza brandendo la mazza da baseball.
“Ok, io esco di scena!” Disse Annabeth che amava dileguarsi obbligando il suo ragazzo a subire le ire del satiro.
“Così non vale!” Protestò Percy sfoderando i suoi occhioni verde mare, ma Annabeth stava già tornando sottocoperta.
“Jackson!” Il coach continuava a strillare come un pazzo.
“Presente!” Rispose Percy alzando la mano come se fosse a scuola.
“Non fare lo spiritoso con me, ragazzino!”
Percy fece spallucce.
“Se ti rivedo un’altra volta in atteggiamenti poco consoni con lei, assaggerai la mia ira!”
“Fantastico.” Commentò Percy con scarso entusiasmo.
Andando avanti con quella conversazione trattenere Hedge sul ponte come aveva promesso a Jason sarebbe stato più facile del previsto.
Quasi come se si fosse sentito chiamato in causa, il figlio di Giove comparve dalla scala di poppa con il suo solito sorriso smagliante.
“Come va Percy?” Domandò avvicinandosi al timone. “Il vecchio burbero è ancora in coma!?” Chiese ridacchiando.
“Veramente…”
“Grace!” Ringhiò Hedge dalla base dell’albero maestro.
“Ops!” Fece Jason mentre Percy si metteva una mano sulla fronte e si sforzava di non ridere.
“Ti sei appena guadagnato una bella punizione!” Strillo il satiro dal basso. “Stasera lavi i piatti!”
“Si!” Esultò Percy alzando i pugni in segno di trionfo.
Jason sbuffò avvilito.
“Comunque non ho capito perché se lo faccio io è un compito quotidiano e se lo fa lui è una punizione!” Protestò Percy.
“Tu stai zitto Jackson che sei nei guai fino al collo!”
Jason lanciò uno sguardo interrogativo all’amico domandandosi cosa avesse combinato questa volta per finire nei guai, poi notò una strisciata di grasso sulla sua guancia e fece due più due. Aveva appena incrociato Annabeth nel corridoio di sotto ed era ricoperta di grasso fino ai capelli, non ci voleva un genio per capire cosa avevano combinato quei due sul ponte.
“Grande Percy!” Strillò Jason dandogli di gomito e assestandogli un paio di pacche parecchio forti sulla spalla. Percy si domandò quando mai gli avesse dato tutta quella confidenza. Jason era un tipo un po’ manesco ma Percy sapeva che con quel gesto era intenzionato a dimostrargli una sorta di solidarietà maschile, quindi evitò di lamentarsi.
“Gliel’avete proprio fatta sotto al naso!” Aggiunse soffocando una risata. “Oh, comunque grazie per… beh lo sai! Ti devo un favore!”
“A buon rendere!” Disse Percy affidando il timone a Jason. “Ci vediamo a cena.”

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Capitolo 2
*** L'incastro del ripostiglio ***


Angolo dell'autrice: Come promesso ecco il secondo capitolo in tempo record! :-) Grazie a tutti voi che avete già aggiunto la storia alle seguite/preferite ma soprattutto grazie alle prime due coraggiose che hanno addirittura recensito la storia! Dedico questo capitolo a voi due nella speranza che lo apprezzerete come il primo! Buona lettura e buon divertimento... si,avete capito bene, ci sarà da ridere! ;-)




 
L’incastro del ripostiglio
 


Piper si offriva spesso di cucinare. Le piaceva, e, a quanto pareva, a livello culinario era anche la più dotata. Il primo giorno era stato Frank a mettersi volontariamente ai fornelli, voleva fare assaggiare a tutti un’antica ricetta di famiglia che sua nonna gli cucinava sempre. Il risultato fu un disastro totale. Il piatto risultò praticamente immangiabile e Piper e Annabeth ci misero due ore a pulire la cucina, più che cucinare sembrava che Frank avesse lanciato ogni genere d’ingrediente a casaccio sui muri. Da quel giorno Frank era stato esiliato all’unanimità dalla cucina. Poi fu il turno Annabeth. Un giorno fu lei a preparare il pranzo, il risultato non fu per niente malvagio ma, meticolosa com’era, ci metteva due ore solo per tagliare le verdure e il risultato fu che pranzarono alle tre del pomeriggio e il coach minacciò più di una volta di sgranocchiare una gamba a Leo se non gli fosse stato servito subito il pranzo.
Per ovvi motivi Leo preferiva stare alla larga dai fornelli, non era sicuro che il gas e il suo talento naturale nel prendere fuoco spontaneamente fossero un’accoppiata vincente. Quando fu il turno di Jason, lui dichiarò che avrebbe potuto seriamente avvelenare qualcuno se solo si fosse avvicinato ad un fornello e nessuno volle scoprire se mentiva.
Anche Percy fece un tentativo. Se non altro tutti gli altri erano riusciti a mettere qualcosa che somigliava a del cibo nel piatto, mentre lui era stato capace di bruciare la pentola ancor prima di metterci dentro qualcosa, per non parlare del fatto che aveva avviato il frullatore senza mettere il coperchio finendo per imbrattare tutta la cucina di carne trita. Annabeth lo prendeva in giro ogni qualvolta se ne ricordava.
Hazel aiutava come poteva, non conosceva nessuna ricetta ma era brava con i coltelli e spesso aiutava Piper nelle preparazioni.
“Stasera pensavamo di fare quattro chiacchiere da Annabeth, ci stai?”
Chiese Hazel all’amica mentre sbucciavano le patate.
“Volentieri.”
“Essendo solo ragazze non dovremmo nemmeno avere il problema Hedge!” Aggiunse la figlia di Plutone accendendo il forno.
“Un motivo in più per vederci!”
 
La cena fu servita alle otto e mezzo. Leo arrivò a tavola per ultimo, voleva essere sicuro di aver inserito il pilota automatico correttamente e di aver attivato il sonar, onde evitare spiacevoli sorprese.
“Siamo in una botte di ferro!” Annunciò il figlio di Efesto sedendo al suo posto.
“Con voi tre a bordo non ne sarei così sicuro!” Borbottò Hedge ammiccando in direzione di Percy, Leo e Jason che sedevano uno accanto all’altro.  “Tra tutti non so chi sia il peggiore.”
“Forse quello che si è mangiato tutti i Cheeseburger della dispensa?” Disse Leo divertito.
“Valdez! Cosa stai insinuando?” Ringhiò il satiro salendo in piedi sulla sedia.
“Nulla, nulla!” Disse Annabeth che colse al volo l’occasione per dare il via alla riunione. “Ma è vero, le nostre scorte si sono già dimezzate… a breve dovremo fare una sosta per rifornirci!”
“Una sosta? E dove pensi di fermarti ragazzina? Siamo in mezzo all’Atlantico!”
“Coach a dire il vero siamo ancora abbastanza vicini alla costa Americana…” Spiegò Annabeth.
“Non vorrai certo tornare indietro?” Domandò Jason.
“No, ma…”
“Fermi!” Intervenne Hazel. “Ho un’idea, potrei chiamare Arion!”
“Chi?” Chiese Leo.
“Arion è un cavallo in grado di correre su qualunque superficie ad una velocità incredibile.” Spiegò la figlia di Plutone.
“Pensi che con lui riusciresti a fare scorta di cibo in America per poi tornare a bordo senza farci modificare la rotta?” Chiese Annabeth felice di aver trovato una possibile soluzione.
“Assolutamente sì!”
“Perfetto allora! Siamo tutti d’accordo?”
La tavolata annuì con convinzione. Persino Hedge sembrò entusiasta della soluzione a patto che potesse avere una scorta di bottiglie di chinotto solo per lui.
“Affare fatto!” Sentenziò Hazel. “Partirò alle prime luci del mattino.”
“Annabeth…” La voce di Percy suonava quasi come un sussurro ma lei la colse senza problemi. “Cosa ne dici se dopo riprendessimo da dove abbiamo lasciato quello che stavamo facendo sul ponte?” Domandò il figlio di Poseidone a bassa voce cercando la sua mano appoggiata sul tavolo. Annabeth cercò di non arrossire ma improvvisamente si ritrovò costretta a schivare una forchetta volante che arrivava dall’altra parte del tavolo e mirava proprio alle loro mani.
“Jackson tieni quei tuoi tentacoli a posto!” Disse Hedge puntandogli contro un cucchiaio che risultava molto meno minaccioso della sua solita mazza da baseball.
“Lei mi tiri un’altra forchetta o qualsiasi altra posata e giuro che la butto a mare!” Ringhiò Percy trattenendosi dal mettere le mani al collo del satiro.
“Sono qui per mantenere l’ordine sulla nave!” Gracchiò Hedge salendo in piedi sulla sedia e additando Percy e Annabeth come se loro fossero una minaccia alla sicurezza.
“O per finire tutti i Cheeseburger della dispensa!” Brontolò Leo a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutta la tavolata.
“Adesso basta!” Ruggì il satiro mentre tutti ridacchiavano. “Tutti fuori tranne voi due.” Aggiunse indicando Leo e Jason. “Valdez datti una mossa a sparecchiare che il tuo amico Jason non vede l’ora di mettersi a lavare i piatti!”
Percy non se lo fece ripetere due volte, imboccò il corridoio e non appena furono lontano dalla portata del satiro trascinò Annabeth dietro la prima porta disponibile. Per loro sfortuna la porta in questione era quella del ripostiglio delle scope.
Piper, che camminava subito dietro, li vide sparire dietro la porta facendo un gran baccano e quando Frank, che procedeva poco più avanti, si girò incuriosito dal rumore lei fece spallucce fingendo di non aver visto niente.
“Vado su al timone finché non arriva Leo.” Annunciò il figlio di Marte. Piper annuì e in quel momento la raggiunse Hazel. “Dov’è finita Annabeth?” Domandò guardandosi intorno alla ricerca dell’amica.
Piper indicò la porticina invitandola a fare silenzio. “Andiamocene, non è carino origliare! Aspetteremo Annabeth davanti alla sua cabina.” Hazel annuì e insieme proseguirono lungo il corridoio.
 
Dentro quel ripostiglio si stava veramente stretti, ma questo non faceva altro che alimentare le fantasie di Percy. Lui era finito con un piede dentro il secchio del mocho e ad Annabeth era caduta in testa un’intera pigna di asciugamani. La scena di per sé era comica ma entrambi sapevano di non potersi mettere a ridere sonoramente. Hedge doveva essere nei paraggi perché sentivano il rumore dei suoi zoccoli rimbombare nel corridoio. Percy aveva una scarpa completamente fradicia ma non osava tirare fuori il piede dal secchio per paura di scivolare. Si fece largo tra le scope per arrivare ad Annabeth, sollevò due o tre asciugamani per arrivare alla sua bocca e poi la baciò mozzandole il respiro. Si staccò un momento per ascoltare i rumori che provenivano dal corridoio e Annabeth non riuscì a trattenere una risata.
“Shhhhh!” Fece lui premendole una mano sulla bocca mentre dal ripiano più alto cadevano altri stracci. “O ci farai scoprire.” A quanto pareva Hedge stava facendo la ronda nel corridoio perché il suono dei suoi zoccoli continuava ad andare e venire.
“A quanto pare siamo bloccati qui!” Disse Percy facendo una smorfia. “Solo tu e io, baby!”
“E gli asciugamani!” Aggiunse Annabeth lanciandogliene uno in faccia.
“Sarà meglio decidere come impiegare questo tempo, perché potremmo rimanere qui a lungo sai…” E così dicendo la baciò di nuovo schiacciandola contro il muro. La baciò con così tanta foga che finì per scivolare ribaltando il secchio, rovesciando l’acqua lurida che conteneva sul pavimento.
I due franarono per terra sperando di non aver fatto troppo rumore e continuarono a baciarsi finché Annabeth non vide l’acqua rovesciata che stava per fuoriuscire da sotto la porta.
“Percy!” Disse staccandosi il figlio di Poseidone dalle labbra e mostrandogli cosa stava per accadere. “Fai qualcosa!”
Percy fece un gesto con la mano che prosciugò l’acqua e gli impedì di rivelare la loro posizione.
“Dov’ero rimasto?” Domandò un secondo prima di baciarla di nuovo.
“Ahi!” Disse Annabeth sforzandosi di mantenere la voce bassa. “Percy, il gomito, ahia, mi fai male!”
Quello stanzino era talmente piccolo che era impossibile anche solo stare seduti per terra senza doversi contorcere. Percy imprecò contro Leo per averlo progettato così piccolo.
“Scusa!” Mormorò Percy col fiato corto. Entrambi si tirarono su e un attimo dopo le loro labbra s’incontrarono di nuovo. Ad Annabeth girava la testa e tremavano le gambe, per non parlare dello stomaco che stava letteralmente facendo le capriole. Percy prese ad armeggiare con la camicetta di Annabeth, e, con la delicatezza che lo contraddistingueva, nel giro di un paio di minuti le aveva slacciato un solo bottone e ne aveva fatti saltare altri tre.
“Percy, non è il momento né il posto per fare queste cose!” Lo rimproverò lei, ma la sua voce non suonava del tutto credibile. In un certo senso era come se lo stesse spronando a continuare.
“Sul posto posso anche darti ragione.” Mormorò Percy baciandola sul collo. “Ma sul momento non puoi dirmi proprio nulla! Sono sette mesi che non stiamo un po’ soli!”
Annabeth sospirò. Poi scostò Percy di malavoglia.
“Non adesso Percy.” E così dicendo abbottonò l’unico bottone che il suo ragazzo non aveva fatto saltare.
Percy rimase immobile nella penombra dello sgabuzzino a riflettere su quelle parole. Era perplesso. Stava insieme ad Annabeth da quasi un anno anche se, grazie ad Era, in realtà i mesi che avevano passato insieme erano molti meno. Il primo era stato senza dubbio il più bello di tutti. Erano ancora al campo mezzosangue e di conseguenza si vedevano tutti i giorni, la maggior parte del tempo sdraiati in mezzo ai campi di fragole. Il mese successivo erano dovuti tornare a New York dove, anche non essendo vicini di casa come al campo, riuscivano a frequentarsi spesso e a fare cose normali come andare al cinema o passeggiare al parco mano nella mano, senza nessun mostro che gli rovinasse la giornata. Poi Era aveva pensato bene d’intervenire usando Percy come pedina per il suo piano e Annabeth si era ritrovata improvvisamente sola, senza avere la minima idea di cosa stesse accadendo al suo ragazzo. Era aveva letteralmente rubato sette mesi della loro vita di coppia e, nonostante lui ricordasse praticamente solo le settimane che l’avevano visto impegnato in Alaska, sapeva che per Annabeth era stato diverso. Lei ricordava ogni singolo giorno di quei sette mesi. Le aveva raccontato che faceva spesso visita a sua madre e di come piangessero insieme temendo il peggio. Poi, Jason e il suo racconto le avevano fatto tornare la speranza e da lì era cominciato il loro viaggio verso il campo di Giove.
Si erano ritrovati solo da tre giorni e lui la desiderava terribilmente dal primo istante in cui l’aveva rivista. Ora, nella penombra di quel minuscolo sgabuzzino, si domandava se non stesse correndo troppo.
Stavano insieme da nove mesi, oppure da due? Era indubbiamente un bel dilemma, e Percy non sapeva come venirne a capo. Di certo non poteva chiedere consiglio a nessuno, Percy dubitava che ci fossero altre coppie, normali o semidivine, ad aver vissuto una storia simile.
“Ehi” la voce di Annabeth lo riscosse dai suoi pensieri “le ragazze mi stanno aspettando.”
“Oh” fece Percy quasi colto di sorpresa “si, certo, buona serata.”
“Testa d’alghe, che succede?” Domandò lei notando l’espressione abbacchiata del suo ragazzo. Lui fece spallucce e lei abbassò la testa dispiaciuta. Il suo sguardo si posò sui bottoni mancanti della camicetta. Non ci voleva una figlia di Atena per capire cosa c’era che non andava in Percy. Le sue intenzioni erano chiare, o per lo meno in quello sgabuzzino era stato particolarmente esplicito. Annabeth risollevò lo sguardo, era arrossita ma sperava che la penombra mascherasse il suo imbarazzo. Percy la guardava intensamente senza dire nulla, come se si stesse trattenendo dal saltarle addosso.
Annabeth non sapeva come affrontare l’argomento, non aveva mai pensato a loro due in quel modo, o meglio, si certo, ci aveva pensato eccome, ma non si era mai domandata in quale momento della loro storia sarebbe accaduto. I primi due mesi che stavano insieme Percy non aveva mai forzato la mano, non aveva mai neanche lontanamente accennato a un desiderio di quel tipo e, visto il poco tempo da cui stavano insieme, ad Annabeth andava bene così. Ma adesso, adesso era diverso. Percy sembrava più grande e consapevole, e Annabeth si domandò se non fosse quel tatuaggio ad avergli infuso tali caratteristiche. Forse aveva semplicemente preso coscienza del fatto che i semidei avevano vita breve, e visti i costanti attacchi che subivano, non voleva più rimandare a domani nulla che li riguardasse. Come figlia di Atena, forse quel pensiero avrebbe dovuto formularlo lei.
“Credo che Hedge se ne sia andato.” Disse Percy che sembrava aver completamente rinunciato a qualsiasi attività non approvata dal coach.
“Bene!” Sussurrò Annabeth. “Nel dubbio sarà meglio prendere due direzioni opposte.”
“Va bene, io vado a destra che raggiungo gli altri sul ponte.”
“Io a sinistra.”
Percy mise una mano sulla maniglia della porta e controllò il corridoio dalle fenditure tra le assi di legno. La strada era sgombra.
Fece per aprirla ma Annabeth lo fermò per dargli un altro bacio. Rispetto a quelli precedenti fu decisamente casto e innocente. Percy sorrise, sembrava aver definitivamente calmato i bollenti spiriti.
In silenzio i due si riversarono nel corridoio e, come d’accordo, presero due strade differenti.
 
Annabeth arrivò davanti alla sua cabina tutta trafelata. Le amiche dovevano aspettarla da parecchio perché ormai si erano sedute per terra.
“Scusate!” Disse Annabeth aprendo la sua stanza e facendo strada alle amiche.
“Figurati!” Disse Hazel. Piper invece rimase zitta, un po’ troppo zitta per i gusti di Annabeth. La figlia di Atena si sentiva gli occhi dell’amica puntati addosso, la stava studiando da cima a fondo.
“Beh, quindi?” Cominciò Annabeth richiudendo la porta e facendo segno alle amiche di accomodarsi. “Hazel dicci tutto.”
“Io non ti dico un bel niente finché non ci racconti per filo e per segno cosa è successo in quello stanzino con Percy!” Spiegò la figlia di Plutone dando di gomito a Piper nella speranza che le facesse da spalla.
Annabeth diventò viola. Le due amiche sedevano fianco a fianco sul suo letto in attesa di un resoconto dettagliato mentre lei era in piedi agitata come se dovesse sostenere chissà quale esame.
“Dai, su!” La spronò Hazel.
“Ma ragazze non è come pensate voi.” Mentì Annabeth sperando che la sua voce non la tradisse. “Non è successo niente!”
“Aha” fece Piper con la faccia di una che la sapeva lunga. “Un niente durato ben…” la figlia di Afrodite si guardò l’orologio da polso e sorrise “venti minuti!” Annunciò piuttosto soddisfatta.
“Cavolo!” Continuò Piper! “Jason se arriva a quindici minuti è tanto!”
“Beh ma tu sei figlia di Afrodite! Come puoi pensare che un ragazzo resista più di un quarto d’ora?” Hazel e Piper non sembravano minimamente a disagio a trattare certi argomenti e Annabeth ne rimase esterrefatta.
“Forse hai ragione… detesto essere figlia di Afrodite!” Mugolò Piper affranta. “Guarda te se mia madre deve influenzare anche la mia vita sessuale!”
Annabeth avrebbe voluto sotterrarsi.
“Ragazze, veramente, siete fuori strada!” Disse sempre più imbarazzata.
“Si certo! Dillo alla tua camicetta!” Scherzò Piper a cui non erano sfuggiti i bottoni mancanti.
“Così a occhio nei venti minuti non c’è stato tempo per i preliminari!” Aggiunse Hazel incapace di trattenere una risata.
“Ragazze!” Annabeth stava cominciando a superare la fase d’imbarazzo e adesso le veniva quasi da ridere.
Hazel invece stava ridendo di gusto. Al campo di Giove era abituata ad essere emarginata, invece, a bordo della Argo II, aveva trovato due amiche fantastiche ed essere lì a scherzare con loro le fece quasi dimenticare il dubbio che la attanagliava. Poi Piper la riportò alla realtà.
“Beh tu che ci dici del figlio di Marte?” Chiese curiosa.
“Piper! Hazel ha solo tredici anni! Come puoi pensare che loro due…”
“Ehi bella” intervenne Hazel con un sorriso malizioso. “Se fossimo negli anni ’40 sarei in età da marito… non so se mi spiego!”
“Vuoi dire che tu e Frank…” Annabeth era allibita.
“No.” Ammise Hazel. “Io e Frank no, ma in passato…”
“Sammy?” Chiese Piper. A Hazel brillarono gli occhi.
“Già!”
Annabeth era sconcertata. Quello che diceva Hazel era vero, in passato ci si sposava giovanissime quindi non c’era da stupirsi che Hazel avesse avuto esperienze di quel tipo. Quello che la stupiva era il fatto che, senza volerlo, aveva appena scoperto di essere l’unica a non aver mai avuto rapporti col suo ragazzo e la cosa la mise a disagio. Ma la cosa peggiore in assoluto era che le sue amiche erano convinte del contrario. Annabeth sperò con tutta se stessa che non le chiedessero nessun particolare perché non avrebbe saputo cosa inventarsi. S’insultò per non aver ammesso la verità quando era ancora in tempo.
Quella serata doveva essere una semplice chiacchierata tra amiche e invece per Annabeth si stava rivelando più difficile del previsto. Le erano sorti un sacco di dubbi sulla sua relazione con Percy e continuava a domandarsi cosa voleva dirle Hazel anche se non aveva il coraggio di chiederglielo. Per fortuna fu Piper a dar voce ai suoi pensieri.
“Hazel, sbaglio o c’era qualcosa in particolare di cui volevi parlarci?”
Hazel sgranò gli occhi come se si fosse ricordata solo in quel momento che era stata lei a richiedere quell’incontro alle amiche.
“Io, beh, la verità è che sono confusa…” Ammise Hazel abbassando gli occhi. “Molto confusa.”
“Tiro ad indovinare?” Domandò Piper.
Hazel alzò lo sguardo e cercò quello delle amiche.
“Leo” dissero all’unisono Annabeth e Piper.
Al solo udire quel nome la figlia di Plutone si sentì avvampare.
“È così evidente?” La voce di Hazel era quella di chi si sentiva in colpa.
“Abbastanza” disse Annabeth lieta che lei e Percy non fossero più oggetto di discussione.
Hazel nascose la testa tra le mani e sospirò.
“La mia vita è un gran casino!” Sentenziò scuotendo la testa. “Sto insieme a Frank da meno di un mese e già mi sono invaghita di un altro!”
“Smettila di rimproverarti” intervenne Piper. “Al cuor non si comanda!”
“Questa frase è proprio da figlia di Afrodite!” La prese in giro Annabeth stupita da quella perla di saggezza.
“Guarda Annabeth!” Continuò Piper. “Appena lei e Percy si ritrovano in uno stanzino per le scope non sono più in grado di controllarsi!” Accompagnò l’ultima frase con una risata.
Quello stanzino sarà la mia rovina, pensò Annabeth tra sé e sé.
“Dico sul serio ragazze!” L’atteggiamento scherzoso di Hazel era stato rimpiazzato da un’ondata di panico. “Non so cosa fare, io voglio bene a Frank, non voglio fargli del male, ma allo stesso tempo mi sento incredibilmente attratta da Leo, e non solo perché mi ricorda Sammy. Voglio dire, è brillante, spiritoso, sa fare un sacco di cose e lo trovo molto carino.” Parlava con aria sognante e le s’illuminavano gli occhi, cosa che non sfuggì alle altre due semidee.
“Povero Frank!” Commentò Piper mentre Hazel era ancora intenta ad elencare tutte le qualità di Leo.
“Per non parlare del suo dono! È in grado di evocare il fuoco! Ma vi rendete conto? Non lo trovate estremamente sexy?!”
“Sexy?” Domandò Piper accigliata.
“Il fuoco?” Chiese Annabeth che al massimo amava il potere opposto: l’acqua. E in quel momento non poté fare a meno di figurarsi Percy che usciva dal laghetto delle canoe con la maglietta bagnata che gli s’incollava al petto.
“Sì!” Esclamò Hazel. “Io lo trovo fantastico!”
“Ad essere sincera, a me fa un po’ paura la capacità di evocare il fuoco.” Disse Piper intimorita.
“Non male, detto da una che rischia di finire fulminata ogni volta che va a letto col suo ragazzo!” Commentò Hazel.
Annabeth guardò l’amica come a dire: ‘cos’è questa storia?’
“Ogni tanto si surriscalda un po’ e diventa elettrico a tutti gli effetti!” Piper arrossì.
Annabeth non sapeva più cosa dire, si sentiva come se fosse stata colpita da un fulmine, giusto per restare in tema.
“Pensa che la prima volta che l’abbiamo fatto, ha involontariamente evocato un piccolo monsone!”
“Un monsone?!” Ripeté Annabeth incredula, immaginandosi cosa avrebbe potuto fare Percy la loro prima volta. Come minimo avrebbe provocato un’onda anomala.
“Sì!” Confermò la figlia di Afrodite. “È stato veramente molto romantico farlo sotto la pioggia!” Piper era in balia dei ricordi e aveva un sorrisetto soddisfatto dipinto in volto.
“Scusate, ma voi dovreste trovare il modo di sollevarmi il morale e magari darmi anche qualche buon consiglio, non statevene lì a parlare dei superpoteri dei vostri fidanzati.” Disse Hazel incrociando le braccia al petto.
“Hai ragione!” Convenne Annabeth che iniziava a sentirsi a disagio per i troppi particolari che Piper le stava raccontando.
“Hazel, io credo che tu abbia bisogno di chiarirti le idee, e per farlo penso che tu debba isolarti da entrambi e riflettere sui tuoi sentimenti.”
“La fai facile tu!” Intervenne Piper. “Nel caso non te ne fossi accorta, siamo tutti sulla stessa barca!”
“Già, ma domani mattina Hazel partirà con Arion…” le ricordò la figlia di Atena. “Potrebbe essere il momento giusto per staccare da tutti e riflettere.”
Hazel sembrò ragionare a lungo sul suggerimento di Annabeth, poi guardò l’amica e annuì. “Mi sembra un ottimo consiglio! Stare lontano da entrambi mi aiuterà di sicuro a fare mente locale.”
Piper e Annabeth annuirono con convinzione. Sarebbe stato tutto perfetto se solo Leo non avesse bussato alla loro porta in quel preciso momento.
“Permesso…” Disse aprendo piano la porta e facendo capolino. Aveva i capelli più scompigliati del solito e Annabeth intuì che sul ponte doveva essersi alzato il vento.
“Piper, Annabeth, credo ci sia bisogno di voi di sopra!” Annunciò il figlio di Efesto.
“Che succede?” Chiese Piper allarmata.
“I vostri fidanzati stanno litigando e Frank sta cercando di evitare che si uccidano a vicenda, ma ho come l’impressione che voi due possiate farli ragionare più di lui!”
Annabeth e Piper si scambiarono un’occhiata.
“Uomini!” Mormorò Piper alzando gli occhi al cielo.
“Magari!” Esclamò Annabeth. “Questi sono semidei, ed è molto peggio!”
Risero insieme, poi uscirono dalla cabina, pronte a prendere i rispettivi fidanzati per i capelli.
Hazel rimase seduta sul letto impietrita, cercando di ristabilire un battito cardiaco normale.
Leo si fece largo nella cabina e cominciò a ravanare nella sua cintura degli attrezzi. Hazel rischiò di sciogliersi, adorava i suoi modi impacciati.
Un minuto più tardi riuscì ad estrarre quello che stava cercando, un piccolo oggetto in legno. Leo tese la mano e fece segno ad Hazel di fare lo stesso. Lei aprì il palmo un po’ titubante e li figlio di Efesto depose nella sua mano l’oggetto misterioso.
“È un fermacapelli intagliato nel legno.” Spiegò il ragazzo. “L’ho fatto io.” Hazel lo ascoltava rapita. Il fermacapelli riportava un disegno geometrico estremamente complesso che il ragazzo doveva aver intagliato completamente a mano. Leo era veramente un fenomeno.
“Grazie!” Fu l’unica cosa che Hazel riuscì a dire. “È veramente molto bello!”
“Oh, si, beh…” Leo arrossì vistosamente e si grattò la testa imbarazzato. “Non è un semplice fermacapelli… in realtà è un dispositivo di sicurezza.”
Hazel sgranò gli occhi. Quel ragazzo non avrebbe mai finito di stupirla.
“Vedi, se lo ruoti c’è un piccolo pulsante che ti permette di comunicare a distanza, un po’ come se fosse una ricetrasmittente.” Spiegò lui con enfasi. “Dato che domani partirai da sola, ho pensato che fosse un ottimo modo per restare in contatto con la nave.”
O con te, pensò Hazel il cui cuore aveva ripreso a martellare nel petto come un pazzo.
“È un pensiero molto carino, ti ringrazio.”

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Capitolo 3
*** Steso da un gorilla ***


 
 
Angolo dell'autrice: Ciao lettori :-), un immenso grazie a tutti voi che state leggendo e apprezzando la storia! Come sempre resto in attesa dei vostri commenti! Spero che il ritmo con cui sto pubblicando i capitoli vi consenta di seguire la storia al meglio, senza dimenticarvi cosa accade tra un capitolo e l'altro! Spero di conoscere il vostro parere nella sezione commenti! Al prossimo capitolo.






Steso da un gorilla

 
 
Quando Annabeth e Piper raggiunsero il ponte superiore, la situazione era drammatica.
Percy era sul parapetto di tribordo, alle spalle aveva un muro d’acqua alto almeno tre metri, mentre Jason era in mezzo al ponte con le mani che emettevano scintille. Tra loro c’erano Frank e Hedge schiena contro schiena.
“Ragazzi, non sapete cosa state facendo!” Gridava Frank disperato.
“Vedete di finirla subito o vi tiro giù i denti con la mazza da baseball!” Ringhiava il coach brandendo la sua arma preferita.
“Deve morire!” Ruggì Jason facendo partire la prima scarica di elettricità in direzione di Percy.
“Jason, noooo!” Urlò Piper terrorizzata.
Successe tutto in un attimo. Percy accentuò il moto ondoso e fece rollare la nave di lato quanto gli bastava per schivare il fulmine di Jason. Tutti tranne il figlio di Poseidone persero l’equilibrio e rotolarono sul ponte in attesa che la nave si ristabilisse.
“Percy, scendi di lì!” Lo rimproverò Annabeth mentre tentava di rialzarsi. Ma Percy non sembrava in grado di sentirla.
“Sono di nuovo posseduti dagli Eidelon?” Domandò Piper che era ancora alla ricerca dell’equilibrio.
“No, i loro occhi sono normali… non riesco a capire! Che cosa facciamo?”
“Non ne ho idea! Sei tu quella dei piani geniali!”
Annabeth sbuffò, Piper aveva ragione, doveva assolutamente farsi venire un’idea!
Davanti a loro Hedge e Frank si stavano rialzando a fatica.
“Frank, adesso basta, mettiamoli KO!” Strillò il coach recuperando la sua fedele arma.
Annabeth ritrovò l’equilibrio appena in tempo per vedere Hedge colpire Jason violentemente sulla nuca mentre Piper correva verso di lui nel tentativo di fermarlo.
Dalla parte opposta, Frank aveva assunto la forma di un gorilla e aveva appena placcato Percy che, picchiando la testa contro il pavimento, era finito KO.
“Percy!” Strillò Annabeth in preda al panico mentre Frank tornava ad avere le sembianze umane. “Frank, ma sei impazzito?”
“Mi dispiace, ma dovevamo fare qualcosa o sarebbe finita peggio di così!” Si giustificò il figlio di Marte.
“Un gorilla? Ma sei serio? Non ti è venuto in mente nulla di più aggressivo? Fammi un favore, la prossima volta trasformati direttamente in elefante e siediti sopra di lui se ci tieni tanto ad ucciderlo!”
“Annabeth io non volevo certo fargli del male!” Si difese Frank che cominciava a domandarsi se non avesse esagerato.
“Beh, allora sarà meglio che impari a controllare gli animali in cui ti trasformi, guarda cosa hai fatto!”
La maglietta di Percy aveva tre squarci perfettamente paralleli all’altezza del petto e Frank notò con orrore che, in corrispondenza di quei tagli, il suo amico stava sanguinando copiosamente.
Il figlio di Marte si guardò le mani inorridito. Quelle erano senza alcun dubbio delle unghiate. Unghiate di gorilla. Frank rabbrividì, Annabeth aveva ragione, doveva assolutamente imparare a controllare le bestie in cui riusciva a trasformarsi, o sarebbe stato più un pericolo che un aiuto.
Al suo fianco, Annabeth continuava a rimproverarlo ma lui era troppo scosso per afferrare tutte le sue parole.
“Ha già preso una botta in testa tre giorni fa… non possiamo risolvere sempre i problemi in questo modo.” Stava dicendo la figlia di Atena. Frank vide Annabeth prendere il viso di Percy tra le mani e tentare di svegliarlo, ma il figlio di Poseidone aveva perso completamente i sensi. La ragazza gli controllò il polso, e solo dopo aver sentito il suo cuore battere regolarmente si tranquillizzò.
Frank era rimasto al suo fianco fermo immobile. Sembrava un cane con la coda tra le gambe dopo essere stato rimproverato dal padrone.
“Aiutami a portarlo di sotto!”
“Certo.”
Insieme, Frank e Annabeth riuscirono a sollevare il corpo inerme di Percy, la cui testa ciondolava lateralmente. Dalla parte opposta anche Piper e Hedge erano riusciti rimettere in piedi Jason.
“Portiamoli in infermeria.” Riuscì a dire Piper mentre trascinava il suo ragazzo a fatica.
“No!” Esclamò Annabeth. “Meglio tenerli separati finché non sapremo cosa gli è preso. Mettiamoli nelle loro cabine.”
Frank spalancò la porta della cabina di Percy con la grazia di un bisonte e insieme lo adagiarono sul letto.
“Vattene!” Ordinò Annabeth.
“Annabeth io…”
“Ho detto vattene, vedi di renderti utile, dì a Leo di rimettersi ai comandi della nave.”
Il figlio di Marte non osò replicare un’altra volta. Uscì dalla stanza a testa bassa, il morale completamente a terra. Per la prima volta si sentiva spaventato dai suoi stessi poteri.
Annabeth aspettò che Frank avesse lasciato la stanza, poi nascose il viso tra le mani e dovette resistere al desiderio di piangere. Quella missione era un disastro. Percy e Jason sembravano intenzionati ad ammazzarsi ogni tre giorni, Frank era più un peso che un aiuto, Hazel era nel mondo dei sogni anche da sveglia, visto che non faceva altro che pensare ai suoi problemi di cuore, e Hedge invece che guidarli nell’impresa, non faceva altro che svuotare la dispensa di nascosto.
Tutto questo senza contare la missione che le aveva affidato sua madre.
Annabeth posò lo sguardo su di lui, come se si aspettasse una frase d’incoraggiamento, ma Percy era ancora privo di sensi. La ragazza si riscosse e decise di darsi da fare nell’attesa che lui si riprendesse. Corse in infermeria a prendere delle forbici, del cotone, del disinfettante e del nettare, poi tornò da Percy e cominciò a tagliargli la maglietta. Man mano che il tessuto cedeva Annabeth vedeva sempre meglio il lavoretto di Frank, probabilmente le sue unghie in versione gorilla erano affilate come rasoi perché i tagli erano sottili e profondi.
Con del cotone umido, Annabeth cominciò a pulire le ferite di Percy riflettendo su quanto era appena accaduto.
Il solo contatto con l’acqua migliorò lo stato delle ferite, cosa che rincuorò parecchio Annabeth. Poi decise di disinfettarle e mentre le tamponava, Percy aprì gli occhi all’improvviso scacciandole la mano come se si sentisse attaccato.
“Ehi, ehi…” Lo rassicurò lei. “Va tutto bene, hai solo sbattuto la testa, adesso calmati.”
“Se ho solo sbattuto la testa come mai sono mezzo nudo e ho dei graffi sul petto?” Chiese Percy confuso. “Dì la verità… non sei riuscita a resistermi!” Aggiunse con un ghigno.
A quella dichiarazione Annabeth sorrise, un’affermazione così idiota poteva significare una sola cosa: Percy stava bene.
“Veramente quei graffi sono opera del tuo amico Frank!”
“Frank?” Domandò Percy accigliato.
“Gorilla-Frank, se preferisci.”
“Ma cosa diavolo è successo?”
“Tu e Jason avete cercato di ammazzarvi un’altra volta.” Spiegò Annabeth come se fosse una cosa di poco conto.
“Io e Jason… no aspetta, non è possibile, pensa che oggi stavamo andando d’accordo, gli ho addirittura retto il gioco!”
“Come scusa? Quale gioco?”
Percy alzò gli occhi al cielo, forse era meglio se si fosse tenuto per se quest’ultimo particolare.
“Te lo spiego un’altra volta…” Tagliò corto lui.
“Oh no, mio caro… Non pensare di cavartela così!”
“Ehi!” Protestò lui. “Sono appena stato messo al tappeto da un gorilla, non pensi che io abbia bisogno almeno di un bacio prima di cominciare a farmi il terzo grado?”
Annabeth si sentì avvampare ma non se lo fece ripetere un’altra volta, gettò via cotone e disinfettate e si lanciò letteralmente sulle sue labbra. Lui le afferrò la testa affondando una mano tra i suoi capelli biondi e si mise a sedere stringendola a sé.
Percy era avido di baci, esattamente come due ore prima nello stanzino delle scope. Più Annabeth cercava di ritrarsi più lui insisteva nel baciarla.
Dopo un paio di minuti lei riuscì a parlare di nuovo: “Non pensare che basti un bacio a farmi dimenticare che devi rispondere alla mia domanda.”
“Uff, è solo che mi ha chiesto di coprirlo mentre si vedeva con Piper, tutto qui!” Borbottò lui che avrebbe decisamente preferito continuare a baciarla.
Annabeth aveva un’espressione imperscrutabile, Percy non riusciva a capire se stava per prenderlo a pugni o se si sarebbe complimentata con lui per aver fatto un gesto di quel tipo nei confronti di Jason.
“Tralasciamo questa faccenda” disse dopo una lunga riflessione. “Cos’è successo sul ponte?”
“Gli stavo facendo notare che le correnti stavano cambiando, gli ho suggerito di proseguire il viaggio in modalità aerea per sicurezza e lui era d’accordo. Non ricordo altro.”
“Ti posso assicurare che quando io e Piper abbiamo raggiunto il ponte eravate in atteggiamenti tutt’altro che amichevoli, Hedge e Frank hanno dovuto fermarvi.”
Percy fece una smorfia e si passò una mano tra i capelli come se fosse alla ricerca di qualche ricordo utile. In quel momento Annabeth sentì il cuore accelerare il battito bruscamente.  Seduto sul letto a torso nudo con quei graffi sul petto e i capelli arruffati Percy era tremendamente sexy, per un attimo Annabeth fu quasi sul punto di ringraziare Frank per averlo ferito perché gli aveva conferito l’aspetto di un guerriero. Poi c’era quel tatuaggio, Annabeth non aveva ancora deciso se le piaceva o meno, però in quel momento era la ciliegina sulla torta. Mentre lo guardava sentì l’impulso irrefrenabile di gettarsi tra le sue braccia e per la prima volta agì senza riflettere. Balzò sul letto facendolo sobbalzare e gli saltò letteralmente addosso. Adesso capiva cosa intendeva Piper quando parlava del ‘non riuscire a controllarsi’, perché era esattamente quello che le stava succedendo in quel momento. Dal canto suo, Percy non sembrava intenzionato a lamentarsi. Lasciò che Annabeth esplorasse il suo petto con le mani augurandosi che il suo cuore non si facesse sentire troppo.
Mentre la baciava sul collo si azzardò a sollevarle la maglietta per accarezzarle i fianchi. Nonostante le mille battaglie, la sua pelle riusciva ad essere morbida e perfetta. Annabeth lo lasciò fare, o forse era troppo presa a baciargli il collo e a scompigliargli i capelli per protestare. Poi, tutto finì sul più bello.
“E questo cos’è?” Domandò Annabeth ruotandogli la testa verso sinistra come se stesse eseguendo una mossa di karate.
“Ahi!” Mugolò Percy. “Ma che ti prende?”
“Hai un segno sul collo!”
“Si chiamano succhiotti! Sono quelli che ti vengono fuori quando fai quella cosa che hai fatto prima sul mio collo!”
“Non fare il cretino!” Lo rimproverò lei seria, la sua voce suonava preoccupata. “Primo, non ti ho fatto nessun succhiotto, e secondo, questa è una puntura!”
“Che?” Fece Percy, l’aspetto ancora sconvolto dalla passione che li aveva travolti poco prima.
“Hai-una-puntura-sul-collo!” Scandì Annabeth a voce così alta che Percy temette che tutto l’equipaggio si sarebbe riversato nella loro cabina.
“Shhhh!” Fece lui tappandole la bocca. “Ho capito, intendevo dire: perché ho una puntura sul collo?” Disse il figlio di Poseidone tastandosi la pelle.
“Non lo so… ma forse potrebbe avere a che fare con quello che vi è successo!” Ad Annabeth si era appena accesa una lampadina. “Vado a vedere se ce l’ha anche Jason!” E così dicendo scattò in piedi ma Percy l’afferrò per i fianchi e la tirò verso di sé. “No, no, no, tu non vai da nessuna parte, e di sicuro non vai da Jason!” Disse lui baciandola di nuovo per convincerla a restare.
“Non fare lo scemo, Testa d’alghe! Voglio capire cosa è successo pr…” Ma Percy continuava a metterla a tacere con dei baci mozzafiato cercando di farla sdraiare nuovamente sul letto.
“Percy, dannazione, non è il momento!” Protestò lei a voce un po’ troppo alta, liberandosi bruscamente dalla sua presa. Percy era ammutolito e la guardava con i suoi occhioni verdi da cucciolo. Annabeth capì di aver esagerato, nel giro di due ore era la seconda volta che lo rispingeva brutalmente.
“Vado a farmi una doccia.” Fu il suo unico commento. E così dicendo uscì dalla cabina.
“Percy, scusami!” Gli gridò dietro Annabeth, ma lui non si voltò.
 
La cabina di Jason era l’ultima in fondo al corridoio, Annabeth la raggiunse di corsa sperando di far luce su quella faccenda in fretta e di poter tornare da Percy a scusarsi il prima possibile.
“Jason si è appena ripreso.” Spiegò Piper facendo accomodare Annabeth all’interno della piccola stanza.
“Credo di aver capito cos’è successo…”
“Veramente?”
“Sì, ma per esserne certa devo prima controllare una cosa… Jason ti dispiace mostrarmi il collo?” Come Annabeth aveva immaginato, anche sul collo di Jason era visibile una grossa puntura. “Ce l’ha anche Percy.” Spiegò la figlia di Atena.
“E questo cosa significa?” Chiese Piper spaventata.
“Spiriti del vento!” Dissero Annabeth e Jason all’unisono.
“Cosa?”
“Sono creature invisibili che abitano le nubi, non troppo amichevoli, talvolta pericolose, possono assumere varie forme per mostrarsi a noi semidei, per ovvi motivi scelgono sempre creature alate, ma quando vogliono essere una vera minaccia si trasformano in calabroni. Pungendo le loro vittime iniettano un veleno potentissimo in grado di confondere qualsiasi mente, spingendo il malcapitato ad agire secondo la loro volontà.” Spiegò Jason tastandosi il collo.
“Mi stai dicendo che gli spiriti del vento volevano uccidervi senza doversi sporcare le mani?” Domandò Piper allibita.
“Probabile.”
“E perché mai vi avrebbero voluti morti?”
“Perché sono al servizio di Gea, ed è evidente che lei li considera una minaccia!” S’intromise Annabeth. “Sa che senza di loro la nostra impresa è destinata a fallire, dobbiamo tenere gli occhi aperti ragazzi!”
I tre si scambiarono uno sguardo senza aggiungere altro.
“Vi lascio riposare, buona notte.” E così dicendo Annabeth abbandonò la stanza domandandosi se Piper e Jason avrebbero passato la notte insieme.
“Chase!” Strillò Hedge nel corridoio. “Cosa ci fai ancora in piedi? A letto! Subito!” In quel momento Percy uscì dal bagno, un asciugamano legato in vita e i capelli ancora bagnati. Il cuore di Annabeth fece una capriola.
“Sì, sì…” Blaterò lui alzando gli occhi al cielo. “Jackson porta le tue chiappe semidivine nella tua cabina e vedi di non uscirne fino a domani mattina!” Continuò il figlio di Poseidone che sembrava aver imparato a memoria le frasi del coach.
“Vedo che hai imparato la lezione” commentò il satiro ammirato “Adesso però fila a letto, svergognato!”
Percy rientrò in cabina scuotendo il capo senza degnare Annabeth di un solo sguardo.

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Capitolo 4
*** Una partita particolarmente accesa ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti, ecco pronto il capitolo numero 4! Vi avviso che sarà un capitolo particolarmente divertente e pertanto non vedo l'ora di leggere i vostri commenti a riguardo :-D. Giuro che non so dirvi come mi sia venuta in mente l'idea ma vi assicuro che scriverlo è stato veramente uno spasso. Ma non vi dico altro, non voglio anticiparvi troppo... spero di poterne parlare ampiamente rispondendo ai vostri commenti! Un abbraccio a tutti voi che state leggendo la storia, non abbiate paura di far sentire la vostra voce, leggo sempre con piacere le vostre recensioni. A presto.






 

Una partita particolarmente accesa
 



Quella notte Annabeth sognò Era. Avvolta nelle sue vesti più sfarzose, la dea era inconfondibile e avanzava verso Annabeth con sguardo serio e altero.
“Ci incontriamo di nuovo, giovane semidea.” La donna parlava con voce velata ma forte e chiara. Annabeth decise di non rispondere, avrebbe volentieri fatto a meno di parlare con la moglie di Zeus, ma se proprio doveva farlo, era decisa a far durare quell’incontro il meno possibile. Era si muoveva sinuosa con un sorriso enigmatico e Annabeth ricordò di malavoglia tutto quello che aveva dovuto passare dopo la sua ultima apparizione. Tutto questo senza contare il fatto che aveva letteralmente rapito il suo ragazzo e li aveva cacciati in una missione suicida.
“Non dici nulla?” Domandò la dea stizzita. “Saggia decisione! Forse è meglio che approfitti di questa mia visita per ascoltare quello che ti aspetta invece di perdere tempo a ribattere.”
Il tono di Era era tremendamente saccente e Annabeth dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non insultarla.
“Annabeth Chase, come ben sai, sei coinvolta in una missione che deciderà la sorte dell’Olimpo e di tutta l’umanità, questo è l’unico motivo per cui non ho ancora portato a termine la mia vendetta nei tuoi confronti.”
Quelle parole la mandarono in bestia. Avrebbe dovuto essere lei a vendicarsi della dea per tutto quello che le aveva fatto, e non il contrario. L’odio nei suoi confronti risaliva ad anni prima e Annabeth aveva smesso di farsi domande a riguardo, è inutile cercare di comprendere la natura degli Dei e i loro comportamenti, pertanto Annabeth si era rassegnata a conviverci senza porsi ulteriori domande.
“Convivo da anni con il tuo rancore” spiegò Annabeth seria. “Ma come hai detto tu, io e i miei amici abbiamo un’importante missione da compiere quindi non ho tempo per ascoltare i tuoi piagnistei!”
“Come osi?!” Ringhiò la Dea. “Presto, quando la vostra missione sarà compiuta, pagherai anche per questo insulto, e io avrò finalmente la mia vendetta!”
“Sono pronta ad affrontare ogni nemico, sono una figlia di Atena e non mi spaventano le tue minacce.”
Era scoppiò in una risata che fece rabbrividire Annabeth quasi come se il sogno fosse reale.
“È proprio questo il tuo problema! Sai difenderti solo dai nemici. Ricorda le mie parole Annabeth Chase, la mia vendetta è più vicina di quanto credi.”
In quel momento Annabeth si risvegliò all’improvviso, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto come dopo una corsa. Le parole di Era che rimbombavano fastidiosamente nella testa come un’eco infinita. La ragazza guardò fuori dall’oblò della cabina cercando di scacciare i pensieri, era ancora buio. Se fosse stata una ragazza normale avrebbe pensato che si trattasse solo di un brutto sogno, ma per sua sfortuna era una semidea e questo significava solo una cosa: non c’erano sogni belli o brutti, esistevano solo sogni premonitori.
Qualunque cosa avesse voluto dire Era, presto o tardi avrebbe dovuto farci i conti. Con questo pensiero Annabeth si sforzò di riaddormentarsi senza sapere che nella cabina di fianco anche il sonno di Hazel tardava ad arrivare.
 
Nonostante la figlia di Plutone non avesse sognato nessuna divinità in particolare, anche lei aveva passato la notte insonne, c’erano troppi pensieri a disturbarla. Era sempre più convinta che Leo fosse la scelta migliore, ma aveva paura che scegliendo definitivamente il figlio di Efesto, Frank avrebbe abbandonato per sempre la missione, cosa che non poteva assolutamente permettergli di fare. Si sentiva un po’ egoista a pensarla così, ma era la pura e semplice verità.
Nonostante i brutti pensieri, si decise ad alzarsi dal letto e a prepararsi. Gli altri contavano su di lei per le provviste, e non aveva nessuna intenzione di deluderli.
Quando Hazel fece il suo ingresso in cucina notò subito qualcosa di strano. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Annabeth era silenziosa, mangiava le sue uova strapazzate a testa bassa, e, cosa piuttosto strana, sedeva lontano da Percy. Come Hazel ebbe modo di notare, il figlio di Poseidone aveva cambiato posto, sedeva dal lato opposto del tavolo e sembrava aver già svuotato tre ciotole di cereali. Al contrario, Frank non sembrava aver mangiato nulla, cosa che la fece preoccupare parecchio, dato che di solito lui e Percy insieme finivano una scatola di cereali al giorno. Leo aveva finito la colazione e se ne stava con le mani in mano, cosa inverosimile per un figlio di Efesto.
Gli unici in atteggiamenti normali erano Piper e Jason, che approfittavano dell’assenza del coach per scambiarsi effusioni in pubblico.
“Sono pronta a partire!” Disse Hazel facendo voltare tutti i semidei presenti nella stanza.
“Hazel” la salutò Frank scostando una sedia per farla accomodare “sicura di voler affrontare questo viaggio da sola?” Domandò rubandole un piccolo bacio che non passò inosservato agli occhi di Leo.
“Non sarò sola” spiegò Hazel servendosi la colazione “ci sarà Arion! Puoi stare tranquillo.” La ragazza accompagnò l’ultima frase con un ampio sorriso che mandò letteralmente in ebollizione Leo. Il figlio di Efesto dovette controllarsi parecchio per non prendere fuoco.
 
Un’ora più tardi erano tutti sul ponte superiore pronti a salutare Hazel e ad augurarle buon viaggio.
“Non preoccupatevi, sarò di ritorno prima che tramonti il sole.” Lì rassicurò la ragazza salendo in groppa al cavallo.
“Andrà tutto bene.” Aggiunse sperando che i suoi amici tramutassero le loro facce da funerale in dei sorrisi. In quel momento tutta via non riuscì a fare a meno di incrociare lo sguardo di Leo, il suo dono giaceva nella tasca della felpa, ma quello era un segreto che sarebbe dovuto rimanere fra loro. Con un po’ di fortuna non avrebbe avuto bisogno di utilizzarlo e nessuno ne avrebbe scoperto l’esistenza.
Arion si librò in aria e fiutò le correnti, un attimo dopo l’Argo II era solo un lontano puntino in mezzo al mare.
 
“Cosa sono quei musi lunghi?” Esclamò Leo notando le espressioni abbacchiate degli amici. “Ho una sorpresa per voi, venite con me!” E così dicendo spinse gli amici verso le scale di poppa.
“Il timone è nelle sue mani coach!” Gridò Leo ad Hedge che era l’unico ad essere rimasto sul ponte.
Il figlio di Efesto guidò gli amici nelle stalle dove rimasero tutti a bocca aperta. Leo aveva completamente stravolto quell’ambiente e Percy non poté fare a meno di ricordare la notte che aveva trascorso lì con Annabeth. Le scoccò un’occhiata furtiva e notò che anche lei si guardava intorno spaesata, come se cercasse un richiamo al luogo che era stato il loro rifugio d’amore per una notte.
“Leo, ma cosa…” Disse Piper guardandosi intorno.
“Ho fatto un piccolo re-style di questa parte della nave.” Spiegò Leo modesto. “Ho pensato che, visto il lungo viaggio, ci servisse uno spazio per divertirci…”
“In che senso divertirci?” Chiese Frank confuso.
“Leo!” Intervenne Jason in tono grave. “Questa è una missione… non abbiamo tempo per distrazioni!”
“Disse quello che passava più tempo nella cabina di Piper che nella sua.” Commentò Percy con una punta d’ironia.
“Ehi!” Jason s’irrigidì lanciando un’occhiataccia a Percy.
“Ho solo detto la verità!” Si difese il figlio di Poseidone.
“Beh, probabilmente se anche tu passassi più tempo nella cabina di Annabeth saresti meno insopportabile!”
Annabeth drizzò le orecchie e si sentì avvampare. Sapeva benissimo che Percy avrebbe voluto passare molto del suo tempo con lei, ma era proprio lei ad impedirglielo e la cosa la fece sentire a disagio.
“Insopportabile!” Ripeté Percy avvicinandosi al figlio di Giove gonfiando il petto. Ormai i due erano faccia a faccia e sembravano pronti a sbranarsi a vicenda.
“Basta voi due!” Intervenne Annabeth obbligando Percy ad allontanarsi, mentre Piper faceva lo stesso con Jason.
“Ragazzi!” Disse Leo sperando di riuscire a calmare i bollenti spiriti.
“Basta con queste tensioni, giochiamo a Twister!”
“Twister?” Domandò Frank.
“Stai scherzando?” Disse Annabeth.
Leo abbassò una leva che fino a quel momento nessuno sembrava aver notato, e dal pavimento fuoriuscì una superficie in legno con il tabellone di gioco dipinto a mano.
“Non ci credo.” Commentò Piper.
“Il grande Leo non smetterà mai di stupirvi!” Si lodò lui estraendo dalla sua cintura la roulette che avrebbe indicato ai giocatori le mosse da eseguire.
“Frank, senza offesa, ma se cadi addosso a qualcuno finisce schiacciato, quindi forse è meglio che questa la tenga tu!” E così dicendo affidò la roulette alle mani del figlio di Marte. “Comincio io!”
Leo si tolse le scarpe e si portò davanti al tabellone di gioco, desideroso di cominciare. Gli altri semidei lo guardavano come se fosse matto. “Cosa c’è?” Chiese lui allargando le braccia.
“Ma noi non vogliamo giocare!” Disse Jason.
“Parla per te!” Piper si era già tolta le scarpe e aveva raggiunto Leo sul tabellone di gioco. “Annabeth! Vedi di muoverti!”
“Bene, bene, due concorrenti sono già pronti a cominciare” disse Leo come se facesse la telecronaca, “ chi altro si unirà a loro? Il figlio di Giove? Il figlio di Poseidone? O forse la figlia… ehi aspettate un attimo… Annabeth raggiunge inaspettatamente gli altri concorrenti sul tabellone!” Leo alzò una mano in cerca del cinque di Annabeth, che non tardò ad arrivare.
Ora tutti e tre fissavano Percy e Jason che se ne stavano in piedi a braccia incrociate ben attenti a non guardarsi in faccia.
“Dai ragazzi!” L’incoraggiò Piper. “Dimenticate i rancori e venite a divertirvi!”
“Per quanto mi riguarda, potete starvene lì, l’idea di giocare con due ragazze non mi dispiace per niente!” Spiegò Leo mettendo le braccia sulle spalle delle due ragazze e stringendole a sé. Quel gesto ebbe l’effetto desiderato perché sia Jason che Percy scattarono verso il centro della stanza sfilandosi le scarpe.
“Frank…” Leo si rivolse al figlio di Marte che si era messo a sedere. Il ragazzo fece ruotare la roulette e dichiarò: “Leo, mano destra rosso.”
“E fin qui tutto bene” commentò il ragazzo eseguendo gli ordini.
“Piper, piede sinistro giallo.” La figlia di Afrodite tirò un sospiro di sollievo, nulla di più facile.
“Annabeth, mano destra blu.” La ragazza eseguì gli ordini pensando che guarda caso le era capitato il colore preferito di Percy.
“Percy, mano sinistra blu.” Il ragazzo si accovacciò accanto ad Annabeth e mise la mano sinistra sul bollino a fianco a quello già occupato da lei. In quella posizione era molto difficile non incrociare gli sguardi. La figlia di Atena sorrise imbarazzata. “Sono contenta che tu abbia deciso di giocare.” Sussurrò in modo che solo lui potesse sentirla.
“Non sono riuscito a resistere a tutto questo blu.” Scherzò lui mentre Jason obbediva agli ordini di Frank mettendo il piede destro sul rosso.
Dopo un paio di giri la situazione si era complicata parecchio, ma erano ancora tutti in gioco.
“Ragazzi, il primo che cede lava i piatti al mio posto sia a pranzo che a cena!”
“Non puoi dirlo adesso che tu sei messo bene, mentre io e Leo stiamo per crollare!” Protestò Piper.
“Parla per te!” Rispose il figlio di Efesto che stava scavalcando Jason per raggiungere il bollino verde più vicino.
“Piper, devi mettere la mano sinistra sul blu!”
“E come diavolo faccio?” Sì lamentò lei mentre Jason rideva osservandola contorcersi. “Jason smettila di ridere!”
“Annabeth, piede destro rosso!”
“Cosa? Ma è impossibile.” La figlia di Atena sembrava essere in difficoltà.
“No che non è impossibile!” S’intromise Leo osservando la posizione di Annabeth in mezzo alle sue stesse gambe. “Devi scavalcare Percy con una gamba.” Percy s’immaginò il movimento che Annabeth avrebbe dovuto fare e per poco non perse l’equilibrio. Lui aveva mani e piedi occupati, e si trovava a pancia in su, in una posizione tipo granchio. Tutto sommato era abbastanza comodo, ma se Annabeth avesse seguito il consiglio di Leo se la sarebbe praticamente trovata a cavalcioni sopra di lui. La sua fantasia iniziò a galoppare in direzioni poco caste.
Annabeth studiò attentamente la situazione mentre tutti gli altri la pregavano di muoversi, effettivamente la mossa suggerita da Leo sembrava l’unica possibile. La figlia di Atena fece un profondo respiro e scavalcò il suo ragazzo rendendosi conto solo in quel momento della posizione in cui si trovavano.
“ooohoooh” fece Jason osservando la loro posizione che ricordava tanto un’immagine del Kamasutra. Percy lo fulminò con lo sguardo.
“Per l’amore degli Dei, Frank girà quell’affare!” Protestò Piper che sentiva la schiena spezzarsi in due.
“Percy, mano sinistra blu!”
“Ce l’ho già!” Rispose lui cercando di concentrarsi sul gioco e non sulla scollatura di Annabeth.
“Allora resta lì come sei!” Gli gridò Leo.
Perfetto, pensò Percy cercando di distogliere lo sguardo da Annabeth, devo solo stare attento a non avere un’erezione adesso perché potrebbe essere seriamente imbarazzante.
“Jason, mano destra blu!” Trillò Frank che continuava a ridere vedendo gli amici intrecciarsi come delle anguille.
Jason fece la sua mossa e si ritrovò quasi a contatto con il sedere di Annabeth che però non poteva vedere cosa accadeva alle sue spalle.
“Ehi!” Sbraitò Percy. “Guarda che ti vedo!”
Il figlio di Giove lo guardò come a dire ‘non è mica colpa mia’ mentre Annabeth cercava di guardarsi alle spalle. “Ma che succede?” Chiese.
“Nulla!” Dissero Percy e Jason in coro.
“Succede che io mi sto per spaccare la schiena!” Gracchio Leo cercando di resistere.
“Leo, piede sinistro verde!”
“Grazie agli Dei!” Gioì lui tornando in una posizione semi decente.
“Piper, mano destra giallo!”
Piper raggiunse il bollino giallo facendo strisciare una mano tra il groviglio di braccia e gambe mentre Frank diceva ad Annabeth di mettere la mano sinistra sul giallo. Così facendo dovette allungare il braccio in avanti finendo per sdraiarsi quasi completamente su Percy.
“Così no però!” Bisbigliò lui sempre più turbato da quella posizione, mentre cercava di richiamare più sangue possibile al cervello e non alle sue parti basse.
“Percy, mano sinistra giallo.” Il figlio di Poseidone obbedì ma così facendo la sua posizione sostanzialmente non cambiava e lui cominciava a non essere più tanto sicuro di riuscire a controllarsi.
“Annabeth, ti prego solleva un po’ il bacino.” Sussurrò alla sua ragazza prima che fosse troppo tardi, mentre Frank continuava a dire agli altri cosa fare.
“Non ci riesco!” Disse lei mentre le veniva da ridere. “Percy!” Aggiunse un attimo dopo sentendo qualcosa che prima non c’era nella zona pelvica. “Percy smettila!” Lo rimproverò lei a bassa voce arrossendo inevitabilmente.
“Non posso farci niente! È un quarto d’ora che siamo in questa posizione.” Si giustificò lui cercando di mascherare l’imbarazzo.
“Certo che se continui a guardarmi dentro la scollatura…”
“Scusami se in questa posizione non riesco a fare praticamente nient’altro!”
“Annabeth, ho detto mano sinistra sul giallo!”
“Frank non vedi che ho già la mano sinistra sul giallo!?”
“Ah si ok, allora… Percy, tocca a te…”
In quel momento la porta si spalancò e comparve Hedge. Era ricoperto da uno strato di roba biancastra che faceva un po’ schifo e aveva un’espressione furibonda.
“Che succede coach?” Domandò Leo guardando Hedge in mezzo alle gambe.
“Succede che mentre voi ve ne state qui sotto a fare le orge, io sono stato attaccato da uno stormo di aquile romane!” Sbraitò lui facendosi largo nella stanza.
“Quello che ha addosso è quello che penso?” Domandò Percy cercando una qualsiasi cosa che lo distraesse dalla posizione in cui si trovava.
“Si, Jackson!” Abbaiò il coach. “E ti lascio immaginare com’è conciato il ponte… ma sono sicuro che tu e i tuoi amici farete un ottimo lavoro di pulizia!”
“Ok, ragazzi, forse è il caso di finire qui la partita e andare sul ponte ad assicurarci che le aquile non siano di ritorno.” Piper si alzò in piedi decretando la fine della partita e seguì il coach fuori dalla stanza insieme a Frank. Leo sentì i cigolii di Festus e si convinse ad andare di sopra con Jason alle spalle. Rimasti soli, Percy si lasciò finalmente andare crollando sul pavimento con Annabeth al seguito. La figlia di Atena si ricompose mentre Percy si metteva seduto stringendo le ginocchia al petto, in attesa che tutto tornasse normale.
“Ehm… Tutto a posto?” Domandò lei imbarazzata.
“Quasi…” Fece lui. “Sarà meglio che tu vada di sopra prima che Hedge si accorga che manchiamo solo noi. Io arrivo tra un secondo.”
Annabeth annuì e abbandonò la stanza solo dopo avergli dato un bacio.
 
Il ponte faceva schifo, non c’erano altre parole per descriverlo.
Hedge spedì le due ragazze in cucina a preparare il pranzo e obbligò gli uomini ad occuparsi di quel disastro mentre lui si svaccò su un’amaca legata tra gli alberi della nave.
“Da quando ha un’amaca?” Chiese Percy osservandolo dondolarsi beatamente.
“Non ne ho idea” rispose Frank allibito.
“Frank, dammi una mano a ripulire il pannello di controllo e il timone!” Gridò Leo dal ponte di comando. “Per gli Dei che schifo!”
Frank ubbidì lasciando soli Jason e Percy che si scambiarono una serie di occhiatacce senza dire una parola.
“Non mi piace il modo in cui ti sei avvicinato ad Annabeth prima… è chiaro?” Ringhiò Percy a denti stretti dopo cinque minuti buoni.
“Ehi, stavamo solo giocando e comunque tu evita di fare battute cretine la prossima volta.”
“Battute cretine o meno, io non faccio lo scemo con la tua ragazza, quindi vedi di fare lo stesso.”
“Senti” sbuffò Jason. “Mi spiace se hai visto della malizia da parte mia perché ti assicuro che non c’era, e comunque vedi di seguire il mio consiglio…” Condì l’ultima parte della frase con un occhiolino.
“Non so di che consiglio parli” brontolò Percy.
“È evidente che tu e Annabeth non lo fate abbastanza spesso!” Percy sgranò gli occhi e fu sul punto di mollare un destro a Jason. Non solo gli sbatteva bellamente in faccia la sua vita sessuale obbligandolo a fargli da palo, adesso si permetteva anche di giudicare la sua dispensando consigli che nessuno gli aveva chiesto.
“Non sono affari tuoi” ringhiò Percy squadrando il figlio di Giove da capo a piedi.
“Oh, si che lo sono, dal momento che sfoghi la tua frustrazione su di me.” Percy non riusciva a credere alle sue orecchie. Jason era estremamente irritante e presuntuoso, di quel passo sarebbero finiti entrambi in infermeria.
“Allontanati” sibilò Percy evocando un’onda che ripulì il grosso del ponte e obbligò Jason ad arretrare.
“Bene, mentre tu giochi con l’acqua io mi preoccupo delle cose importanti, traccerò una rotta aerea insieme a Leo, sono stufo di starmene nel tuo territorio Jackson!” Abbaiò Jason allontanandosi a grandi passi.
Percy lo scrutò con odio, al diavolo quello che diceva Annabeth, lui e Jason non sarebbero mai e poi mai andati d’accordo. Non dopo quell’affronto.

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Capitolo 5
*** Si dice che la notte porta consiglio ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Dopo l'ultimo capitolo che ho pubblicato devo dire che il numero di persone che segue questa storia è aumentato un sacco e ovviamente ne sono molto felice, ho battuto il record personale :-), quindi non posso che ringraziarvi. Sono contenta che apprezziate questa storia perchè io mi sto divertendo parecchio a scriverla. Il capitolo di oggi è un po' piccante e penso che un po' tutti voi lo stavate aspettando. Eheheh. Sotto con i commenti che voglio proprio vedere cosa ne pensate! :-) Un grazie in anticipo a tutti coloro che avranno il coraggio di farmi sapere la loro opinione. Al prossimo capitolo! 




Si dice che la notte porta consiglio

 
 
All’ora di pranzo i ragazzi raggiunsero Piper e Annabeth in cucina. Per tutta la durata del pranzo Percy evitò lo sguardo di Jason perché sapeva che al primo ghigno sarebbe stato capace di salire sul tavolo e stenderlo con un pugno. Leo non stava zitto un secondo, continuava a dire che avrebbero dovuto fare altre partite di Twister dal momento che l’unica che avevano fatto non aveva decretato nessun vincitore.
“Tu sei pazzo!” Esclamò Piper. “Io sono a pezzi!”
In quel momento Festus cominciò ad emettere dei cigolii acuti. Leo quasi cadde dalla sedia rovesciando il piatto.
“Leo, dannazione, stai attento!” Gridò Frank. “Oggi tocca a me pulire la cucina.” Ma il figlio di Efesto aveva già abbandonato la stanza ed era corso sul ponte.
“Ma cosa diavolo…” fece Jason strabuzzando gli occhi.
“Così ad occhio direi che Festus sta segnalando un pericolo, tu che dici, genio?” Ringhiò Percy scattando in piedi e correndo dietro al figlio di Efesto.
In men che non si dica tutto l’equipaggio si riversò sul ponte superiore.
“Leo, che sta succedendo?” Gridò Percy alla ricerca dell’amico che sembrava essere svanito nel nulla.
“Brutte notizie, ragazzi!” Leo era a prua e si sporgeva dal parapetto per dialogare al meglio con il drago posto come una polena.
“Leo, per amore degli Dei, scendi di lì!” Gli urlò dietro Piper preoccupata.
“Quali sarebbero le brutte notizie?” Domandò Frank.
“Aquile romane in avvicinamento.” Spiegò Leo saltando giù dal parapetto.
“E Festus come fa a saperlo?” Chiese Jason sospettoso. “Io percepisco le variazioni delle correnti e sono in grado di capire quando è in arrivo il nemico.”
“Forse il tuo radar è fuori uso” lo canzonò Percy.
“Percy!” Lo riprese Annabeth. Lui evitò di incrociare lo sguardo della fidanzata ma conosceva perfettamente lo sguardo con cui lo stava apostrofando.
“Non importa come fa a saperlo… vi sto dicendo che stiamo per essere attaccati! Dobbiamo escogitare un piano!” Leo rivolse un’occhiata ad Annabeth sperando che lei avesse un piano.
“Bene” disse Jason. “Leo solleva questa nave, se dobbiamo combattere le aquile, voglio essere nel mio elemento!” Il figlio di Efesto ubbidì e corse verso il ponte di comando dove cominciò a smanettare con leve e pulsanti.
“Oh sì, che idea geniale! Così invece che essere costrette ad attaccarci dall’alto saranno libere di farlo da qualunque direzione!” Commentò Percy sarcastico.
“Ha ragione” convenne Piper mentre la nave cominciava a prendere quota. Percy non poté fare a meno di sorridere, lieto che anche Piper ritenesse un’idiozia il piano del figlio di Giove.
“Leo, rimetti questa nave in mare, per favore.”
“Agli ordini!” Gridò lui riportando la nave sulla superficie dell’acqua.
Percy vide Jason serrare i pugni e stringere i denti, era evidente che il figlio di Giove non amava veder ridiscussi i suoi ordini.
“Leo!” Gracchio lui “ho detto che voglio proseguire il viaggio volando, quindi riporta subito su questa nave!”
Leo mise di nuovo mano ai comandi ma Percy gli proibì di sollevare l’imbarcazione un’altra volta. I due continuavano a battibeccare e il povero Leo non sapeva più cosa doveva fare.
“Adesso finitela!” Strillò Piper. “Mi state facendo venire mal di testa con questo sali e scendi!” I due si azzittirono immediatamente e Annabeth si domandò se Piper non stesse utilizzando la lingua ammaliatrice. In quel caso non le avrebbe dato torto, Percy e Jason stavano esagerando.
“Ha paura di volare” lo derise Jason.
“Non ho paura di volare!” Protestò Percy. “Ho semplicemente sottolineato che il tuoi piano è un suicidio, e tu sei troppo pieno di te per ammetterlo!”
Jason era pronto a rispondere ma decise di rimandare a dopo la discussione nel momento in cui vide le aquile arrivare in picchiata come delle furie.
“Giù!” Urlò Leo agli amici.
Istintivamente Percy si lanciò su Annabeth per proteggerla e Jason fece lo stesso con Piper. Hedge aveva raggiunto le baliste e faceva fuoco senza sosta mentre Leo gridava ordini a Festus nella speranza che riuscisse ad abbattere un po’ di nemici.
Frank agì d’istinto, si trasformò nella creatura volante più grande che riuscisse ad immaginare. Il risultato fu un drago alato lungo tre metri che si librò dal ponte tra le urla sorprese degli altri semidei. Annabeth rimase a bocca aperta e si augurò che il figlio di Marte fosse in grado di controllare quella creatura, in caso contrario sarebbe stato un disastro.
Frank volava con agilità e riuscì ad emettere anche un paio di fiammate che annientarono una dozzina di aquile. Frank sembrava in grado di abbattere i nemici con estrema facilità, sarebbe stato tutto perfetto se solo Hedge non avesse fatto fuoco per errore verso di lui. Il drago fu colpito gravemente ad un’ala e cadde a picco sul ponte della nave frantumando parte del parapetto di tribordo.
“Frank!” Strillò Piper mentre lui riprendeva le sue solite sembianze.
Un’aquila mise KO Hedge che picchiò la testa contro la balista e svenne.
“Qui si mette male!” Gridò Leo che tentava di governare la nave nonostante i continui attacchi.
“Ci penso io!” Disse Percy togliendo il cappuccio a vortice e portandosi al centro della nave. “Annabeth coprimi le spalle!” Ma Annabeth era dall’altra parte della nave alle prese con un aquila grossa quanto lei.
“Te le copro io le spalle!” Disse la voce di Jason che era già pronto impugnando la sua spada d’oro imperiale.
“Non stare a disturbarti, faccio da solo!” E così dicendo Percy evocò un’onda gigantesca che sollevò la nave portandola all’altezza delle aquile. Percy cominciò a menare fendenti a destra e a manca mentre Jason sollevandosi in volo le coglieva alle spalle. Mezz’ora più tardi, l’intero stormo era stato abbattuto. Percy richiuse Vortice e riportò la nave a livello del mare, poi crollò a terra esausto.
“Percy!” Annabeth corse verso di lui. “Va tutto bene?”
“Si” la tranquillizzò lui “Sono solo un po’ stanco… evocare quell’onda non è stato facile!” Annabeth gli stampò un bacio e lui si sentì subito meglio. “Come sta Frank?”
“Ha una brutta ferita alla spalla ma se la caverà, però abbiamo bisogno del vostro aiuto per portarlo in infermeria.” Percy si guardò alle spalle, per vostro Annabeth si riferiva a lui e a Jason, che a quanto pareva era uscito indenne dal combattimento.
I due sollevarono Frank e lo portarono in infermeria, dove Piper gli diede dell’ambrosia e si assicurò che riposasse.
 
Dieci minuti più tardi, Percy tornò sul ponte superiore e raggiunse Leo al timone.
“Come faceva Festus a sapere che le aquile erano in arrivo?” Chiese il figlio di Poseidone cogliendo l’amico alla sprovvista.
“Beh… io… non lo so, chiedilo a lui!”
“Leo… cosa ci stai nascondendo? Ti ricordo che se abbiamo i romani alle calcagna è solo colpa tua.”
Leo abbassò lo sguardo, le parole di Percy lo ferirono ma capì che l’unico modo per ottenere la sua fiducia era dirgli la verità.
“Percy, se ti dico la verità, mi prometti che non lo dirai a nessuno?”
“Beh, veramente…”
“Promettilo e basta!” Abbaiò Leo.
“E va bene, lo prometto!”
“Prima che Hazel partisse, le ho regalato un oggetto con cui avrebbe potuto comunicare con la nave, con Festus per la precisione, è stata lei a riferire che le aquile erano in arrivo, ma non potevo dire a tutti la verità perché Frank si sarebbe insospettito…”
“Insospettito?” Domandò Percy accigliato.
“Dannazione Percy, ho una cotta per Hazel!”
“Oh cavolo!”
“Esatto! Hai capito adesso perché ti ho fatto promettere di non dire niente a nessuno?”
“Leo, Frank è mio amico!” Ruggì Percy sforzandosi di non strangolare il figlio di Efesto.
“Lo so, ma io non ho fatto nulla di male… sono solo stato previdente nel fornire ad Hazel un mezzo di comunicazione e a quanto pare ho fatto bene visto che ci ha avvisati di un pericolo!” Leo tamburellava le dita sul timone a una velocità tale che Percy fu sul punto di avere un esaurimento nervoso.
“Smettila!” Sbraitò Percy bloccandogli le mani. “Frank e Hazel hanno già abbastanza problemi senza che tu ti metta in mezzo, è chiaro?” Ovviamente alludeva al fatto che Hazel custodisse, in tutti i sensi, la vita di Frank, ma tutto questo Leo non poteva neanche lontanamente immaginarlo.
“Percy, guarda!” Esclamò il figlio di Efesto. “Penso che sia lei!”
Percy puntò gli occhi sull’orizzonte e notò una figura dorata in avvicinamento. Un attimo dopo Arion posò gli zoccoli sul ponte facendo un gran baccano.
“Ragazzi” esclamò Hazel scendendo da cavallo. “State tutti bene?” Chiese con una nota di preoccupazione nella voce. Era evidente che si riferiva all’attacco da cui li aveva messi in guardia, ma non lo disse esplicitamente per non tradirsi.
“Frank è ferito, ma adesso sta meglio, vieni ti accompagno da lui.” E così dicendo Percy accompagnò l’amica in infermeria dove le lasciò la possibilità di rimanere un po’ sola con il suo ragazzo.
 
In cucina Annabeth e Piper si davano un gran da fare nel preparare la cena, mentre Hedge aveva già bevuto due lattine di chinotto e si apprestava ad attaccare la terza. Percy entrò in cucina di soppiatto e appena Piper uscì diretta in dispensa, abbracciò Annabeth sorprendendola alle spalle.
“Percy!” Sussurrò lei ricambiando la sua stretta. “Che ci fai qui?”
“Mi è proibito entrare in cucina forse?”
“No, ma c’è…”
“Jackson! Razza di pervertito!” Le urla di Hedge rimbombarono nella cucina proprio mentre Piper rientrava dalla porta.
“Certo che non vi si può lasciare soli un attimo!” Disse lei sorridendo.
“Ehi, ma cosa cavolo….” Percy si voltò massaggiandosi la testa, il coach aveva cominciato a lanciargli le lattine di chinotto in testa.
“Va bene, va bene, me ne vado!” E con quelle parole Percy uscì dalla cucina amareggiato.
Piper cercò lo sguardò di Annabeth e poi disse: “È peggio di un cane da guardia!” Ammiccando in direzione di Hedge che aveva appena ruttato sonoramente.
 
Quella sera Percy si obbligò a rientrare in cabina nonostante non avesse minimamente sonno. Si buttò sul letto e cominciò a giocherellare con Vortice in versione penna. Nonostante l’ora tarda la sua mente sembrava essere ancora molto sveglia e non faceva altro che ricordargli quanto era accaduto quel pomeriggio mentre giocavano a Twister. Non riusciva a togliersi l’immagine della scollatura di Annabeth dalla testa, per non parlare del suo profumo che gli sembrava di sentire ancora nell’aria. Percy sentì un brivido attraversarlo da capo a piedi e si costrinse ad alzarsi tentando di calmare i bollenti spiriti. Come se tutto questo non fosse abbastanza, a turbarlo c’erano anche le fastidiose insinuazioni di Jason che si era permesso più di una volta di criticare il suo rapporto con Annabeth. Camminò su e giù per la stanza ma l’immagine della figlia di Atena sembrava decisa a non dargli tregua. Raggiunse l’oblò della cabina e cominciò a prenderlo a testate osservando il mare. La luna era perfettamente piena e si rifletteva sulla superficie increspata dell’acqua emettendo dei bagliori scintillanti. Sapeva di essere troppo turbato per rimettersi a letto, così fece l’unica cosa che gli venne in mente: aprì l’oblò e, facendo surf su un’onda, raggiunse la cabina di Annabeth. Si arrampicò sul suo oblò e un attimo prima di bussare sul vetro rimase come paralizzato, completamente rapito dall’immagine che si trovò ad osservare. Annabeth gli dava le spalle, indossava i pantaloncini corti che usava come pigiama e Percy si rese conto solo in quel momento di non aver mai notato quanto fossero belle le sue gambe, i capelli biondi le ricadevano sciolti sulla schiena nuda, sottolineando la vita stretta. Lei infilò una canottierina grigia e spostò i capelli di lato per pettinarli, in quel momento Percy cominciò a sentirsi un pervertito e si decise a bussare.
Annabeth sobbalzò, afferrò il pugnale dal comodino e si voltò di scatto pronta ad attaccare l’intruso. Quando incrociò lo sguardo di Percy accovacciato nel cerchio dell’oblò rilassò le spalle e gettò via il pugnale scuotendo la testa.
“Che ci fai qui?” Bisbigliò lei aprendo la finestra e facendo entrare il suo ragazzo nella cabina. Per un attimo si sentì come Wendy che lasciava entrare Peter Pan dalla finestra della camera dei bambini, con la differenza che il suo Peter Pan non sapeva volare e non vestiva di verde.
“Passo la notte con la mia ragazza” rispose lui spavaldo rubandole un bacio mentre saltava giù dal davanzale.
A quelle parole Annabeth sentì il cuore andarle in gola.
“Sempre se non mi pugnali nel sonno” aggiunse lui cercando di stemperare un po’ la tensione.
Il cervello di Annabeth sembrava essere andato completamente in corto circuito. Sapeva benissimo cosa intendeva Percy per ‘passare la notte’ e lo desiderava anche lei, ma allo stesso tempo sentiva l’irrefrenabile impulso di scacciarlo. Il suo cervello continuava ad elaborare mille motivi per cui non avrebbe dovuto permettere a Percy di trascorrere la notte con lei. Hedge avrebbe potuto sorprenderli, la nave poteva subire un attacco, forse Percy si stava comportando così solo perché Jason l’aveva provocato dicendo che non passava abbastanza tempo nella sua cabina.
“Annabeth” la voce di Percy bloccò quel fastidioso flusso di pensieri.
“Sì?” La ragazza si riscosse e prese a torturarsi una ciocca di capelli com’era solita fare quando era nervosa.
“Non essere troppo contenta di avermi qui” disse lui senza nascondere la sua delusione.
“Io… no, ma cosa dici, certo che sono contenta di averti qui!”
“Sì, infatti mi stai a tre metri di distanza solo perché la cabina è lunga così, se fosse di cinque te ne staresti a cinque metri di distanza.” Commentò lui abbacchiato. Cominciava a perdere le speranze, raggiungere Annabeth così di sorpresa era stata una pessima idea. Le cose non stavano andando esattamente come se le era immaginate e cominciava a non sapere più cosa fare. Perfino i suoi istinti si stavano assopendo, quasi come se anche loro si fossero arresi.
“Hai ragione Testa d’alghe, scusami.” Borbottò lei abbracciandolo e respirando il suo inconfondibile odore di mare. Quell’abbraccio ebbe l’effetto desiderato perché il cuore di Annabeth partì all’impazzata come un cavallo al galoppo.
“Ah ma allora sono ancora capace di farti battere il cuore!” Scherzò Percy sollevandole il mento per guardarla negli occhi. Lei arrossì, era fisicamente impossibile che in quella stretta Percy non notasse l’accelerazione del suo battito. Rimasero stretti l’uno all’altra per un po’ nel centro della stanza, poi Annabeth alzò la testa e si lasciò andare ad un bacio lungo e appassionato. Nel silenzio della stanza risuonava solo il suono delle loro labbra che s’incontravano ripetutamente regalandogli un fremito ogni volta. Annabeth ripensò ai mesi che aveva trascorso pensando di non provare più quelle emozioni e ringraziò gli Dei per averle permesso di ritrovare l’unico ragazzo che aveva mai amato. Poco importava se erano alle prese con una missione ai limiti dell’impossibile o se sua madre si aspettava che lei portasse a termine l’unica impresa che tutti i suoi fratelli avevano fallito. In quel momento contava solo Percy e le emozioni che le regalava. Un attimo dopo Annabeth picchiò la testa contro la parete e si rese conto solo in quel momento che Percy l’aveva bloccata contro il muro. Doveva essere un vizio perché aveva fatto la stessa identica cosa nello stanzino delle scope.
“Lo sai che non mi piace stare con le spalle al muro.” Scherzò Annabeth facendo riferimento ai combattimenti. Finire con le spalle al muro significava essere spacciati e lei non era abituata a perdere.
“Hai ragione” disse lui sorridendo e spostando lo sguardo in basso a destra. “Forse sul letto saresti più comoda” le sussurrò all’orecchio.
La verità era che Percy avrebbe voluto raggiungere il letto molto prima del momento in cui glielo propose, ma non osava provare ad avvicinarcisi per paura che lei gli si sottraesse anche questa volta.
Annabeth non capì se era stata quella frase, il respiro di lui così vicino all’orecchio o chissà cos’altro, sta di fatto che si accorse di avere la pelle d’oca e il respiro corto. Incrociò lo sguardo di lui, e si rese conto che, viste le sue condizioni, respingerlo adesso equivaleva a mandarlo in bagno a procurarsi piacere da solo.
“E allora cosa aspetti a portarmici?” Gli sussurrò lei a fior di labbra. Percy sgranò gli occhi come se non credesse a quelle parole. Annabeth lo vide sforzarsi di controllare il respiro un attimo prima di togliersi la maglietta e prenderla in braccio. Annabeth non capiva più nulla, aveva già visto Percy a torso nudo, solo la sera prima gli aveva disinfettato le ferite sul petto, ma in quella situazione non era eccitata come adesso. Lasciò che il figlio di Poseidone l’adagiasse sul letto dove più di una volta era stato protagonista dei suoi sogni, sentiva il cuore battere forte ma non aveva più paura che lui lo notasse.
Sul letto i loro baci si fecero più intensi e le loro mani più audaci. Annabeth decise di sfilarsi la canotta, dal momento che intuì che Percy sarebbe stato in grado di farla a brandelli se solo lei l’avesse tenuta su un istante di più. La gettò il più lontano possibile e lasciò che lui le rimirasse il seno nudo per la prima volta. Tutte le volte che si era immaginata quella scena, aveva sempre pensato che si sarebbe sentita in imbarazzo, invece si sentì bella e sicura di sé, e non provò minimamente vergogna. Non si vergognò nemmeno nel momento in cui lui riprese a baciarla accarezzandole i seni con le mani.
“Sei bellissima” sussurrò lui tra un bacio e l’altro incapace di staccare le mani dal suo corpo.
“Percy” bisbigliò lei dopo qualche minuto.
“Dimmi.”
“Ho freddo!”
Percy rise e la invitò ad infilarsi sotto alle coperte dove la strinse nuovamente a sé.
In quell’abbracciò Annabeth si accorse che Percy era nelle stesse condizioni in cui si era ritrovato giocando a Twister quella mattina. Percy ricominciò ad esplorare il suo corpo con le mani e ben presto finì di spogliarla. Probabilmente desiderava che lei facesse lo stesso con lui perché prese le sue mani e le accompagnò con delicatezza sui suoi fianchi. Lei tentò di accontentarlo lasciandosi andare, chiuse gli occhi e si concentrò sull’odore di salsedine che emanava, ma fu tutto inutile. Il suo battito cardiaco aumentò terribilmente e sentì che cominciava a tremare nel momento esatto in cui Percy si sdraiava sopra di lei. Il figlio di Poseidone rimase in attesa ancora un po’ ma poi finì per spogliarsi da solo, era stato fin troppo paziente. Si chinò su Annabeth senza pesarle e fece aderire i loro corpi nudi per la prima volta. Il corpo di Percy era caldo e tonico, non particolarmente muscoloso ma ben proporzionato in tutte le sue parti.
“Ehi” le sussurrò lui a un palmo dal naso. “Va tutto bene?”
“Sì, perché pensi che qualcosa non vada?” Annabeth cercò di controllare la sua voce in modo che non suonasse spaventata.
“Perché sei tesa come una corda di violino” rispose lui con quel sorriso che Annabeth aveva imparato ad amare.
“Non è vero!” Protestò lei cercando di nascondere la verità.
“Shhhh, vuoi che il vecchio Hedge faccia irruzione qui dentro e ci trovi così?” Domandò Percy ridacchiando.
“Per tutti gli Dei, no, ti prego!” Annabeth si domandò come facesse lui ad essere così tranquillo.
“Allora rilassati e lasciami fare” concluse lui mettendola a tacere con l’ennesimo bacio.
Un attimo dopo Annabeth lo sentì spingere ed istintivamente si aggrappò alle sue spalle. Lui le passò una mano sotto la schiena abbracciandola mentre faceva un secondo tentativo.
Percy accompagnava ogni movimento con parola volta a rassicurarla e lei pensò che non avrebbe potuto trovare un ragazzo migliore di lui, proprio mentre si rilassava però, Hedge bussò violentemente alla porta con la mazza da baseball sbraitando: “Tutti a letto!”
Percy e Annabeth sobbalzarono simultaneamente per lo spavento.
“Più a letto di così!” Commentò il figlio di Poseidone aggiungendo qualche imprecazione in greco antico. Annabeth lo vide voltarsi verso la porta e lo riportò a sé pregandolo di non distrarsi. Probabilmente fu abbastanza convincente perché Percy riprese esattamente da dove aveva lasciato, con la differenza che a questo giro riuscì a fare centro.
Sgraziato e maldestro com’era, Annabeth si aspettava che a letto Percy fosse tutto meno che delicato. Per sua fortuna lui la smentì bellamente dimostrandosi attento e premuroso. Ad un certo punto fu lei a chiedergli di aumentare il ritmo, cosa che lui non si fece ripetere due volte. Ogni movimento di Percy le provocava un tuffo al cuore e, in preda all’eccitazione, finì per morderlo sul collo e graffiarlo sulla schiena un paio di volte. Annabeth ricordò le parole di Piper e si domandò se il suo ragazzo non stesse per evocare uno tsunami, ma ogni pensiero fu spazzato via dall’ennesima ondata di piacere e Annabeth si rese conto che in quel momento Percy avrebbe anche potuto ribaltare la nave che a lei non sarebbe importato.
“Percy” biascicò tentando di incrociare lo sguardo del suo ragazzo.
Lui mugolò qualcosa d’indefinito in risposta, ma Annabeth capì di non avere la sua completa attenzione.
“Percy” tentò di nuovo, la voce un po’ più ferma. “Non voglio farlo senza niente, non è prudente…”
In quel momento Percy si bloccò all’improvviso e guardò Annabeth negli occhi.
“Che c’è?” Mormorò lei che non riusciva a decifrare il suo sguardo.
“Li ho lasciati di là” brontolo lui, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto.
“Di là dove?”
“Nella mia cabina” ammise lui dandosi dell’imbecille per non esserseli portati dietro. “Ascolta, non è un grosso problema…”
“Non ci pensare nemmeno!” Lo rimproverò lei tentando di frenarlo, ma lui aveva ripreso a spingere obbligando Annabeth ad accasciarsi in preda al piacere. “Percy no!” Furono le uniche parole che lui riuscì a distinguere tra i suoi gemiti.
“Ti prometto che sto attento” la rassicurò lui mentre ansimavano all’unisono.
“Non è questione di stare attento” protestò lei “Percy non voglio.”
“Il tuo corpo mi sta dicendo il contrario…” le sussurrò lui scostandole i capelli dal viso. “Percy, non possiamo farlo così senza niente…” Ma la sua voce non suonava credibile nemmeno a se stessa e ben presto smise di lamentarsi.

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Capitolo 6
*** Un amaro spuntino ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Un Grazie con la G maiuscola a tutti voi che avete messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate... ad ogni capitolo vi moltiplicate. Siete veramente fantastici e io non potrei essere più contenta. Per quanto riguarda i commenti vedo che ad ogni capitolo si aggiunge sempre qualcuno di nuovo e colgo l'occasione per ringraziarli. Ora vi lascio alla lettura del nuovo capitolo che è leggermente più breve rispetto ai precedenti ma abbastanza divertente. Beh, in realtà come sempre sarete voi a giudicare, quindi vi lascio la parola e vi aspetto numerosi nella sezione commenti. 






Un amaro spuntino


 
 
Erano più o meno le due di notte quando Percy si svegliò rendendosi conto di non essere nel suo letto. Annabeth dormiva al suo fianco aggrovigliata nelle lenzuola e la prima reazione di Percy fu quella di controllare di non aver sbavato, cosa che era solito fare mentre dormiva, come Annabeth aveva precisato più di una volta. Percy la osservò a lungo, come se ancora facesse fatica a credere a quanto era accaduto poche ore prima. Un sorriso compiaciuto comparve sul suo viso mentre osservava il soffitto in preda a dolci ricordi. Percy intuì che dovevano essersi addormentati nudi perché i vestiti di entrambi erano ancora disseminati sul pavimento in ordine casuale. In quel momento Annabeth si rigirò nel letto assestandogli un pugno sullo zigomo.
“Ahi!” Mormorò lui massaggiandosi la faccia mentre Annabeth si risvegliava. Lei aprì gli occhi e si rese conto di essere appoggiata al petto nudo di lui. Sollevò lo sguardo alla ricerca degli occhi verdi di Percy e per un lungo istante i due si guardarono intensamente, incapaci di dire qualunque cosa. Percy si era immaginato tante volte la loro prima volta ma, come tutti i ragazzi, non aveva mai pensato al dopo. Forse lei si aspettava qualcosa in particolare, una frase dolce o un semplice gesto, sta di fatto che nel dubbio Percy la baciò stringendola a sé.
“Pensavo che al risveglio non ti avrei trovato qui” mormorò lei accoccolandosi al suo fianco.
“In realtà penso che dovrei andarmene, non credo che uscire insieme dalla tua stanza sia la cosa migliore da fare.”
“Forse hai ragione” disse lei mentre cercava l’orologio sul comodino. “Sono solo le due e venti, potresti fermarti qui ancora un po’” aggiunse sfoderando i suoi occhioni grigi nel tentativo di convincerlo.
Percy la strinse forte a sé baciandola sulla fronte. “È poco romantico se ti dico che ho fame?”
Annabeth non riuscì a trattenere una risata. “Sì, in effetti lo è…”
Percy abbassò lo sguardo corrugando la fronte. “Non sarà il top del romanticismo ma è la verità” mormorò mentre il suo stomaco iniziava a brontolare sonoramente.
“Ok, di sicuro con il tuo stomaco che fa questi versi non posso certo pensare di riaddormentarmi…”
“Allora vado a fare uno spuntino” disse Percy che non vedeva l’ora di raggiungere la cucina. Recuperò parte dei vestiti del pavimento e si rivestì a casaccio, lo stomaco sempre più rumoroso. Raggiunse la porta della cabina e fece per uscire, un attimo prima però si voltò a guardare Annabeth. Seduta sul letto avvolta nelle lenzuola, illuminata solo da qualche tenue raggio di luna, riusciva ad essere ancora più bella. “Ti porto qualcosa?” Domandò in tono gentile.
“Non sapevo che su questa nave ci fosse anche il servizio in camera!” Commentò lei divertita.
“Infatti non c’è, è un servizio esclusivo, riservato solo alle semidee che si svegliano prendendo a pugni il fidanzato.”
Annabeth nascose il viso tra le mani e soffocò una risata. “Ti ringrazio ma sono a posto, ho solo bisogno di dormire.”
Mentre Annabeth tornava a stendersi sul letto, Percy uscì dalla cabina di soppiatto sperando di non fare brutti incontri in corridoio. Sgattaiolò verso la cucina cercando di non fare rumore, aprì la porta in punta di piedi ed entrò nella stanza richiudendosi la porta alle spalle il più velocemente possibile. Nella fretta non fece nemmeno caso al fatto che la luce della cucina era accesa e che lui non era l’unico ad aver avuto un attacco di fame nel cuore della notte. Jason ravanava negli armadietti della cucina in cerca di qualcosa di commestibile come se non mangiasse da due mesi. Mentre Percy lo osservava in silenzio sentì una fastidiosa stretta allo stomaco. Possibile che fra tutto l’equipaggio della nave dovesse ritrovarsi in cucina proprio con Jason?
“Ciao Percy, anche tu affamato?” Domandò il figlio di Giove lanciando una ciambella a Percy che l’afferrò al volo senza dire una parola.
Percy rimase in piedi a ridosso della porta scrutando Jason incerto. Se non fosse stato per il suo stomaco capriccioso, a quell’ora sarebbe stato ancora sdraiato al fianco di Annabeth a respirare il profumo dei suoi capelli. Invece se ne stava lì, in piedi nella cucina della Argo II, con indosso solo un paio di pantaloncini da basket e le infradito, in mano una ciambella ricoperta di zucchero offertagli dall’ultima persona che avrebbe voluto incontrare.
Jason indossava un paio di pantaloncini corti e una maglia larga e stinta che aveva imbrattato di zucchero a velo. Non era certo il look più adatto per un figlio di Giove, si disse Percy.
“Latte?” Domandò lui tirando fuori il cartone dal frigorifero.
“Perché no” disse Percy mettendosi a sedere.
“Vedi…” spiegò Jason versando due bicchieri di latte e spingendone uno verso Percy. “Avendo seguito il mio consiglio, sei già più simpatico.”
Percy allargò le braccia e strabuzzò gli occhi. “La vuoi finire con questa storia?”
“Vuoi forse dirmi che non ho ragione?” Domandò il figlio di Giove alzando un sopracciglio.
Percy tentennò: “Io, ehm… in verità, ecco… ma poi perché devo dare spiegazioni a te!”
“Sì ok, tanto ce l’hai scritto in faccia che hai scopato!” Commentò Jason ridendo mentre attaccava un’altra ciambella. Percy si rese conto solo in quel momento di non aver ancora addentato la sua. Seduto al tavolo della cucina con in mano una ciambella e un bicchiere di latte, completamente in balia delle prese in giro di Jason, cominciava a sentirsi un idiota. E, come se tutto questo non bastasse, si sentì anche arrossire.
“Comunque anch’io ho sempre fame dopo!” Continuò il figlio di Giove che ormai sembrava intenzionato a fare un monologo.
Per fortuna, quanto era accaduto con Annabeth, aveva contribuito a distendere i nervi di Percy che, con grande stupore, si rese conto di non aver nemmeno voglia di prendere a pugni il suo interlocutore.
“Ah si?” Disse con scarso entusiasmo sorseggiando il latte.
Percy sbranò la ciambella in tre morsi e un attimo dopo si rese conto di avere ancora fame, così prese la ciotola più grossa della cucina e ci versò dentro mezza scatola di cereali. Osservando quella scena, Jason per poco non si strozzò con il latte.
“Se non ti conoscessi bene, direi che ti sei appena fumato una canna.” Commentò il figlio di Giove sorridendo, la cicatrice sul labbro che si faceva più evidente. Percy scosse la testa. “Infatti tu non mi conosci bene.” Gli fece notare.
“Vorresti dirmi che se ci fosse l’occasione, un paio di tiri li faresti?” Domandò Jason, un sorriso furbo dipinto in volto. Percy trasalì domandandosi se Jason facesse sul serio.
“Senti, voglio solo mangiare qualcosa in pace. Ho… come dire, ho consumato un po’ di energie prima, quindi sono semplicemente affamato!”
“Allora lo vedi che hai scopato!”
A Percy andarono di traverso i cereali. “Vuoi abbassare la voce?”
“Stanno dormendo tutti, che te ne importa? Allora ho ragione o torto?”
“Per tutti gli dei, sì, hai ragione, adesso mi vuoi lasciare in pace?”
Jason si azzittì e per i dieci minuti successivi i due semidei mangiarono in silenzio senza dirsi una parola. Percy non aveva mai apprezzato il silenzio così tanto. In genere, essendo iperattivo, era anche un chiacchierone, ma se fare conversazione significava sorbirsi i monologhi di Jason e i suoi consigli sul sesso tanto valeva restare in silenzio. Percy finì i cereali e si alzò dal tavolo un attimo prima che Jason potesse porgli una nuova domanda.
“Ma tu in quei momenti riesci a controllare i tuoi poteri?” Domandò Jason come se fosse un normale argomento di conversazione.
Percy strabuzzò gli occhi colto alla sprovvista dall’assurdità della domanda. “Come scusa?” Domandò sicuro di non aver capito bene.
“Sì, beh hai capito a cosa mi riferisco, oggi è andata bene ma ieri ho fatto un mezzo disastro. Mi è partita una scarica elettrica all’improvviso e ho bruciato parte della parete della cabina di Piper.” Ammise Jason che sembrava indeciso tra l’esserne fiero o preoccupato.
Percy ci mise un po’ a digerire quell’affermazione, a lui non era successo nulla del genere, ma confessarlo significava ammettere la superiorità di Jason e lui non aveva nessuna intenzione di dargli una soddisfazione del genere.
“Beh, sono contento che tu non soffra il mal di mare, altrimenti le onde di prima ti avrebbero mandato lo stomaco sottosopra.” Improvvisò Percy che se l’era cavata sempre molto bene con le bugie.
“Vedi” osservò Jason. “Allora non sono l’unico semidio ad avere problemi da questo punto di vista. Piper dice che sono io che non mi so controllare. Lei non capisce quanto sia difficile.”
“Che vuoi farci…” Disse Percy con un’alzata di spalle. Ormai si era calato perfettamente nella parte.
Percy sapeva di averla data perfettamente a bere a Jason, ma in quel momento Hazel entrò in cucina, la faccia verde e le mani premute sullo stomaco. Percy sapeva che Hazel soffriva di mal di mare, e, nonostante gli dispiacesse vedere l’amica star male, si rese conto che il suo arrivo era la ciliegina sulla torta.
“Tutto bene Hazel?” Domandò Jason scrutando la figlia di Plutone.
“Ho forse l’aspetto di una che sta bene?” Domandò lei lanciandogli un’occhiataccia.
Lei soffre di mal di mare…” Spiegò Percy sperando che il figlio di Giove leggesse tra le righe.
“È con lui che devi prendertela!” Disse Jason ridendo. A quanto pareva aveva colto l’antifona.
“Ma voi che cavolo state facendo qui?” Domandò lei guardando il caos che regnava sul tavolo.
“Uno spuntino” spiegò Percy come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Ma sono le tre del mattino!” Esclamò Hazel sconvolta.
“Si beh, ma sai com’è, avevamo fame… una ciambella tira l’altra e…”
“Mi sa che sto per vomitare!” Fu l’unico commento della figlia di Plutone, e così dicendo corse fuori diretta al bagno.
Percy decise che ne aveva abbastanza di Jason, così mise in ordine la tavola e si avviò verso l’uscita.
“Io me ne torno a letto” annunciò poco prima di raggiungere la porta.
“Secondo round?” Domandò Jason con aria maliziosa.
“Te lo dò io il secondo round!” Ringhiò una voce familiare alle spalle di Percy. Hedge aveva raggiunto la cucina in pigiama ma munito di mazza da baseball. Percy girò sui tacchi cercando di svignarsela ma il satiro gli sbarrò il passaggio.
“Quanto a te…” Gracchiò lui rivolgendogli un’occhiataccia. “Dove credi di essere? Alle Hawaii? Vuoi anche una collana di fiori e gli occhiali da sole già che ci sei?” Percy fece una smorfia come se ci stesse realmente riflettendo e in quel momento Hedge lo colse alla sprovvista tentando di colpirlo con la mazza da baseball. Percy schivò il colpo e sentì la mazza sfiorarlo di un soffio. “Coach!” Strillò Percy mentre Jason rideva di gusto. “Mi vuole ammazzare?”
“Non ti nascondo che ce l’ho sulla lista delle cose da fare, ma poi chi laverebbe i piatti?” Percy sbuffò.
“Cos’è questo porcile?” Domandò Hedge notando il tavolo sommerso dalle confezioni di ciambelle che Jason aveva divorato.
“Tu!” Gridò il satiro puntando la mazza da baseball contro il figlio di Giove. “Ti dò cinque minuti per ripulire questo scempio!”
“Ma io…” fece Jason cercando di giustificarsi.
“Taci!”
Percy non poté fare a meno di sorridere, vedere Jason sottomesso dal vecchio Hedge era qualcosa di sublime.
“Tu vedi di toglierti quel sorrisino dalla faccia Signor me-ne-vado-in-giro-mezzo-nudo-per-la-nave!”
Percy lanciò un’ultima occhiata a Jason e decise che era il momento di uscire di scena. C’era solo un piccolo problema, con Hedge in giro non poteva azzardarsi a rientrare nella cabina di Annabeth. Percy indugiò per qualche minuto nel corridoio poi sentì gli zoccoli di Hedge che si avvicinavano e si affrettò a prendere una decisione. Raggiunse la sua cabina e ci rientrò di malavoglia. Una volta all’interno si lasciò cadere nel letto sfatto e si abbandonò ad un sonno profondo e fortunatamente senza sogni.

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Capitolo 7
*** Sotto attacco ***


 
Angolo dell'autrice: Ciao lettori, come promesso, ecco il nuovo capitolo. :-) Oggi sono un po' di fretta quindi sarò di poche parole ma, come sempre, non posso mancare di ringraziarvi, in particolar modo ringrazio tutti quei famosi lettori silenziosi che piano piano stanno uscendo allo scoperto. è bello vedere che nonostante i vostri molteplici impegni troviate il tempo di farmi sapere il vostro parere. Confido che piano piano verrete fuori tutti. Ora vi lascio alla lettura del capitolo e vi aspetto nei commenti! 






Sotto attacco

 
 
Leo si risvegliò sul pavimento della sua cabina nel momento stesso in cui Hedge bussò violentemente alla sua porta minacciandolo di morte nel caso in cui non fosse uscito entro un minuto. Il figlio di Efesto si stropicciò gli occhi domandandosi come diavolo avesse fatto a finire a terra senza accorgersene, poi, ancora in pigiama, uscì diretto in cucina. Lungo il corridoio incrociò Frank che usciva dal bagno.
“Ehi!” Esclamò Leo felice di vederlo nuovamente in piedi. “Come stai amico?”
“Meglio!” Rispose lui raggiante. “Vale la pena farsi ferire solo per avere una ragazza che ti coccola e ti vizia!” Aggiunse sorridente.
Leo sentì un groppo all’altezza dello stomaco. Dopotutto avrebbe anche potuto essere d’accordo con il figlio di Marte se solo la ragazza in questione non fosse stata la stessa a cui era interessato lui.
Nonostante tutti quei pensieri, Leo si sforzò di sorridere per non insospettire l’amico.
Giunti in cucina i due semidei si avventarono sugli armadietti in cerca di cibo.
“Chi ha finito tutte le ciambelle?” Domandò Leo grattandosi la testa. “Ieri ce n’erano almeno una dozzina!”
Percy lanciò uno sguardo in direzione di Jason che stava fingendo di leggere delle mappe nautiche di cui, Percy era certo, non stava capendo nulla.
“Come stai Frank?” Domandò educatamente Percy.
“Alla grande” rispose il figlio di Marte. “Ancora un pezzo di ambrosia e sarò come nuovo.”
In quel momento la nave subì un grosso scossone e tutti i semidei finirono a terra insieme alle vettovaglie.
“Ma cosa diavolo succede?” Gridò Jason mentre tentava di rimettersi in piedi.
“Non ne ho idea!” Urlò Piper mentre si scrollava una sedia di dosso.
“Dobbiamo raggiungere gli altri sul ponte” Disse Percy recuperando l’equilibrio e guadagnando l’uscita. “Qualcosa deve averci attaccato!” Annabeth era sul ponte superiore con Hedge e Hazel e Percy voleva assicurarsi che stesse bene.
“Ma da dove diavolo arriva questo affare?” Strillava Hazel che era alle prese con un tentacolo munito di ventose grosse quanto la sua faccia.
Percy si guardò intorno inorridito. L’intera nave era stata assalita dalla creatura marina più grande che Percy avesse mai visto.
“Percy puoi fare qualcosa?” Domandò Annabeth mozzando di netto un tentacolo con il suo fedele coltello.
“Giusto!” Esclamò Jason che aveva appena raggiunto il ponte e parlava alle sue spalle. “Questo coso è amico tu, no? Magari siete pure parenti!” Eccolo che ricominciava, pensò Percy trattenendosi dal rispondergli a tono.
“Ci penso io!” Gridò Leo arrampicandosi sull’albero maestro con in mano qualcosa che il figlio di Poseidone non riuscì ad identificare.
L’ultima cosa che Percy vide fu un’enorme esplosione.
 
Mezz’ora più tardi Annabeth sentì qualcuno che la chiamava. Aveva gli occhi chiusi e la voce che le giungeva suonava ovattata, quasi come se arrivasse da molto lontano. Non era certo la prima volta che sognava voci strane appartenenti ad ogni genere di creatura, pertanto decise di non farci troppo caso e rimase nel suo stato di torpore. Un attimo dopo sentì dell’acqua gelata sulla faccia e istintivamente riaprì gli occhi sferrando un pugno verso l’alto. La sua mano colpì il bersaglio e si udì un sonoro “crac”, solo in quel momento Annabeth si rese conto di cosa aveva fatto.
Percy bestemmiò in greco antico portandosi le mani al naso che sanguinava copiosamente.
“Grazie per avermi rotto il naso!” Biascicò Percy tentando di bloccare l’emorragia.
“Cosa?” Strillò Annabeth che nonostante avesse capito cosa fosse accaduto non aveva sentito una sola parola di quello che aveva detto il suo fidanzato.
“Ho detto grazie di avermi rotto il naso!” Urlò Percy con tutta la voce che aveva.
“Ma perché non ci sento?” Domandò Annabeth toccandosi l’orecchio destro.
“C’è stata un’esplosione!” Strillò Percy sfilandosi la maglietta e usandola per tamponare il sangue che gli usciva a fiotti dal naso.
“Un’esplosione?” Domandò Annabeth a voce così alta che Percy sobbalzò per lo spavento.
“Si!” Urlò in risposta. “Un’esplosione!”
Percy aiutò Annabeth a rialzarsi e insieme attraversarono il ponte della nave facendo il conto dei danni. L’albero maestro era stato abbattuto, metà dei remi di tribordo erano stati completamente divelti e c’erano pezzi di tentacoli sanguinanti sparsi per tutta la superficie del ponte. Decisamente uno spettacolo raccapricciante.
“Dove sono Leo, Frank e Hazel?” Sbraitò Annabeth appena si rese conto che i due semidei mancavano all’appello.
“Ma perché urla?” Jason si rivolse a Percy proteggendosi le orecchie.
“Non ci sente da un orecchio credo… l’esplosione deve averle provocato una lesione.” Rispose il figlio di Poseidone lieto di poter usare un tono di voce normale.
“Beh forse è meglio che andiate tutti e due in infermeria… qui ci penso io!” Disse Jason osservando la maglietta che Percy aveva imbrattato di sangue.
“No, non è niente.” Obiettò Percy.
“Dico sul serio, hai perso talmente tanto sangue che sei più pallido di un cadavere…”
“Sarai bello tu.” Brontolò Percy guadagnandosi un’occhiataccia da Annabeth che a quanto pareva aveva letto il labiale.
La figlia di Atena non fece obiezioni. Percy pensò che forse si era stancata di urlare e le sue orecchie ne furono contente. Un attimo dopo lo prese per mano e insieme scesero in infermeria affidando a Jason la responsabilità di ritrovare gli altri.
Jason aiutò Hedge a rialzarsi. Il vecchio satiro era finito sepolto sotto un mucchio di assi di legno che erano state divelte durante l’esplosione.
“Valdez!” Sbraitò Hedge non appena si fu rimesso in piedi. “Dove diavolo sei? Guarda che casino hai combinato!”
“Coach” intervenne Jason imbarazzato. “Leo non è qui…”
“Come sarebbe?” Domandò lui raddrizzandosi il berretto sulla testa.
“Lui, Frank e Hazel sono finiti in mare insieme a quella creatura.” Ammise Jason incapace di nascondere la sua preoccupazione.
“Che cosa facciamo?” Domandò Piper a Jason sicura che lui avesse un piano. Il figlio di Giove rimase zitto, la verità era che era a corto d’idee.
“Pensiamo a ripulire il ponte e a tamponare i danni.” Disse Jason cercando di sembrare sicuro di sé. “Appena Percy si sarà ripreso… lo manderemo in ricognizione.” Odiava ammetterlo, ma visto che tre dei loro amici erano finiti in mare, l’unico che poteva sperare di ritrovarli era proprio Percy.
Piper non batté ciglio e si mise subito a lavoro. Il fatto che lei non avesse avuto nulla da ridire infastidì Jason, probabilmente anche secondo lei Percy era l’unico a poterli ritrovare. Il figlio di Poseidone era forse meglio di lui? Jason serrò i pugni. Ripensò allo spuntino notturno e si rese conto che adesso avrebbe volentieri rovesciato il cartone del latte in testa a Percy.
“Jason? Tutto bene?” La voce di Piper s’insinuò dolcemente tra i suoi pensieri.
“Certo! Diamoci da fare!” Così dicendo evocò un forte flusso d’aria che spazzò via dal ponte i resti dei tentacoli del mostro, mentre Hedge e Piper recuperavano quello che rimaneva della vela dell’albero maestro.
“Senza la vela non saremo in grado di muovere la nave grazie alle correnti d’aria, e con la maggior parte dei remi fuori uso non potremo proseguire il viaggio via mare!” Piper sentì la sua voce tremare, cominciava ad avere paura che fallissero. Senza Leo che si occupasse delle riparazioni non sarebbero mai riusciti a ripartire.
“Troveremo Leo” la rassicurò Jason come se avesse letto i suoi pensieri. Piper si sentì pervadere da una nuova ondata di speranza. Abbracciò Jason e non riuscì a fare a meno di baciarlo.
“Razza di disgraziati!” Le urla del coach erano così forti che anche Annabeth mezza sorda in infermeria le avrebbe sentite. “Per chi mi avete preso? Non sono mica il vostro sguattero!” Continuò il satiro che, munito di spazzolone, ripuliva il ponte con olio di gomito come se fosse in gara per il premio di miglior mozzo dell’anno.
 
Due ponti più in basso, nell’infermeria, Annabeth e Percy bevevano nettare e mangiavano ambrosia. Dopo la notte trascorsa insieme era il primo momento in cui si trovavano da soli e ancora non avevano avuto modo di parlarsi.
“Scusa per quel pugno.” Urlò Annabeth. Percy sussultò stordito dalla potenza della sua voce. Era evidente che l’ambrosia non aveva ancora fatto effetto.
“Non importa.” Rispose Percy scandendo bene le parole per non dover urlare.
“Anzi, in realtà un po’ te lo meritavi! Perché non sei tornato da me stanotte?” Percy strabuzzò gli occhi e si affrettò a posarle una mano sulla bocca per azzittirla.
“Shhh” l’ammonì lui. “Ho capito che non ci senti ma non puoi urlare queste cose!”
“Sto urlando?” Domandò Annabeth abbassando la voce.
“Giusto un pochino” sorrise il figlio di Poseidone.
“Beh, comunque non mi hai risposto…” Annabeth incrociò le braccia al petto, gli occhi che scintillavano in attesa di una risposta.
“Io sarei tornato volentieri… dico sul serio, ma Hedge è piombato in cucina mentre io e Jason stavamo mangiando e ci ha rispedito a letto… non potevo azzardarmi a rientrare da te.” Ammise Percy con una punta di rammarico.
“Facciamo che per questa volta ti credo.” Annabeth rise sotto i baffi. “Ma questa notte sei mio, oppure farò in modo che Hedge trovi la maglietta che hai dimenticato in camera mia.” Percy notò con piacere che la figlia di Atena aveva ripreso ad utilizzare un tono di voce normale. L’ambrosia doveva aver fatto il suo dovere.
“Mi stai forse ricattando?” Domandò con una punta di malizia.
“Togli il forse.”
Percy rise, ma un attimo dopo Annabeth le labbra di Annabeth sfiorarono le sue alla ricerca di un bacio.
Sulla porta dell’infermeria Piper fu costretta a schiarirsi la voce per far notare la sua presenza.
“Vedo che state meglio” disse nel momento in cui i due si separarono e arrossirono imbarazzati. “Meglio così perché abbiamo bisogno di voi.”
“Che succede ancora?” Chiese Percy sperando che non si trattasse di un nuovo attacco.
“Non c’è traccia di Frank, Leo e Hazel” ammise la figlia di Afrodite. “Sei l’unico che può ritrovarli Percy!”
Percy sentì una stretta al cuore. Loro erano salvi perché Leo e gli altri si erano lanciati all’attacco del mostro senza pensarci due volte. Ora avevano bisogno d’aiuto e sei lui era l’unico in grado di ritrovarli avrebbe fatto qualsiasi cosa per riuscirci.
“Andiamo!” Esclamò Percy carico d’entusiasmo. E così dicendo uscì dall’infermeria con Annabeth e Piper al seguito.
 
Erano passate due ore da quando Percy si era tuffato in mare alla ricerca dei semidei mancanti. Annabeth non riusciva a darsi pace. Correva da una parte all’altra del ponte aspettando notizie da Percy che di tanto in tanto riemergeva dall’acqua limitandosi a scuotere la testa con aria abbattuta.
Jason se ne stava al posto di comando evitando di seguire Annabeth con lo sguardo, l’aveva fatto per i primi dieci minuti e gli era venuto mal di testa.  Piper seduta al suo fianco lo rincuorava accarezzandogli i capelli biondi.
“Non devi sentirti in colpa” disse stringendosi a lui.
“Piper, è il mio migliore amico, non riesco nemmeno a pensare che gli possa essere successo qualcosa!”
“Infatti, non pensarlo neanche.”
“Ti rendi conto che l’unica cosa che posso fare è starmene qui seduto sperando che il mezzo pesce riemerga dando buone notizie!” Ruggì Jason lanciando uno sguardo a Percy che era riemerso per l’ennesima volta a mani vuote.
“La vuoi smettere di sentirti in competizione con lui?”
“E adesso cosa diavolo fa? Si arrende?” Commentò Jason osservando Percy che risaliva a bordo della nave. “E questo sarebbe un eroe?”
Jason scattò in piedi e raggiunse Percy a passo spedito.
“Senti” ringhiò afferrandolo per la maglietta stranamente asciutta. “Adesso tu torni là sotto e trovi il mio amico, è chiaro?”
“Tanto per cominciare toglimi le mani di dosso!” Abbaiò Percy liberandosi dalla presa del figlio di Giove con uno strattone. “Nel caso in cui tu non te ne fossi accorto, ho setacciato tutto il fondale marino per due ore, di loro non c’è traccia!”
Jason sembrò sul punto di ribattere ma in quel momento Hazel, Leo e Frank riemersero dalla superficie del mare avvolti da delle strane bolle.
“Eccoli!” Strillarono Piper e Annabeth all’unisono lanciandogli delle cime.
Percy e Jason decisero di accantonare i loro problemi personali per aiutare gli amici a salire a bordo e assicurarsi che stessero bene.
Hazel spiegò loro cosa era successo e consegnò ad Annabeth la lettera per Tiberino mentre Leo sventolava la ricetta dei brownies cercando di convincere Piper a cucinarli.
“E va bene!” Si arrese la figlia di Afrodite afferrando la ricetta.
 
Con tutto quello che era successo, nessuno aveva avuto tempo di pranzare, quindi, quando Annabeth e Piper sfornarono i brownies, non si stupirono di vedere il resto dei semidei attaccarli come le cavallette. Nel giro di un quarto d’ora non erano rimaste nemmeno le briciole.
“Parliamo di cose serie” Disse Leo appena ebbe ingoiato l’ultimo boccone. “La nave ha bisogno di un bel po’ di riparazioni. Al momento non siamo in grado di proseguire il viaggio via mare.”
“E se lo proseguissimo volando?” Propose Jason sperando che questa volta la sua idea venisse accolta.
“Penso che si possa fare…” Intervenne Frank.
“Sì, mi sembra un’ottima idea, in questo modo io potrei fare le riparazioni necessarie ma non perderemmo giorni di viaggio.”
“Allora è deciso, proseguiremo il viaggio volando.” Sentenziò Jason scoccando un’occhiata soddisfatta a Percy.

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Capitolo 8
*** Una doccia fredda ***


Angolo dell'autrice: Eccomi di nuovo! Vi avviso che sono molto fiera del ritmo che sto mantenendo nell'aggiornare la storia... sono continuamente ispirata quindi i capitoli si scrivono da soli. :-) Quello che state per leggere è divertente e, a differenza di molti altri che avete già letto, penso di sapere da dove viene l'idea che mi ha spinto a scriverlo. Ehhehe. Menomale che ogni tanto capisco come mi vengono certe idee perchè altrimenti finirei per preoccuparmi! :-P Ma ora basta parlare di me! Vi lascio alla lettura del capitolo. Come sempre vi aspetto numerosi nella sezione commenti!
Al prossimo capitolo!






Una doccia fredda

 
 
“Sette semidei risponderanno alla chiamata” recitava Percy ad alta voce mentre risciacquava i bicchieri sotto l’acqua corrente. Al suo fianco una pigna di piatti incombeva minacciosa e traballante. Percy sbuffò. Possibile che quel compito ingrato dovesse toccare proprio a lui?
Certo… se a rispondere alla chiamata fossero stati solo tre semidei come in tutte le imprese, a quest’ora avrei già bello che finito, si disse osservando il suo riflesso in una bolla sul fondo del lavandino. E invece no, i semidei erano proprio sette e facevano casino per dieci. Per non parlare del satiro che li accompagnava, Hedge mangiava e sporcava il doppio degli altri.
A cosa serve essere un semidio se poi finisci a lavare i piatti?
“Hai finito di lamentarti e di sbuffare?” Il tono di Hazel era scherzoso. Percy la vide ferma sulla porta della cucina, un sorriso dipinto in volto.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata e poi si strinse nelle spalle. “Detesto questo compito… mentirei se ti dicessi il contrario.” Ammise il figlio di Poseidone asciugando l’ultimo piatto con un canovaccio.
“Beh, ormai hai finito, no?”
“Sì, per oggi direi proprio che ho finito, vado a farmi una doccia. Un po’ di acqua è quello che mi ci vuole.” E così dicendo lanciò lo straccio nel lavandino e uscì dalla cucina a passo svelto.
Fortunatamente Leo aveva progettato i bagni più grandi che Percy avesse mai visto e questo significava che c’era sempre almeno una doccia libera. In un certo senso gli ricordavano quelli dell’ultimo liceo che aveva frequentato.
Appena entrò in bagno, Percy fu investito da una nube di vapore e capì che qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea. Il figlio di Poseidone afferrò il bordo della t-shirt e se la sfilò dalla testa. Spannò lo specchio sopra al lavandino con il palmo della mano e osservò per qualche secondo la sua immagine riflessa. Sul suo petto le unghiate di Frank-gorilla erano quasi guarite mentre alla base del collo i morsi e i graffi di Annabeth erano più evidenti che mai. Percy li sfiorò con la punta delle dita ripensando alla notte trascorsa insieme a lei.
“Chi c’è?” Strillò la voce di Leo dalla zona docce. Percy si voltò di scatto ma non rispose. In quel momento la porta del bagno si aprì nuovamente ed entrò Jason con passo pesante.
“Chi altro è arrivato adesso?” La voce di Leo rimbombava nel bagno insieme allo scroscio della doccia.
“Siamo io e Jason” gridò Percy sovrastando il rumore dell’acqua.
“Fantastico!” Disse Leo. “Il mingherlino del gruppo fa di tutto per farsi la doccia da solo e invece si ritrova con i due figaccioni fisicati!”
Percy scoppiò a ridere. “Leo ma cosa stai dicendo?” Domandò divertito mentre finiva di spogliarsi.
“Infatti!” Gli fece seguito Jason. “Percy è tutto meno che fisicato! Piper ha i bicipiti più grossi dei suoi.” Aggiunse superando il figlio di Poseidone e assestandogli volutamente una spallata mentre si avviava nudo verso la doccia.
“Attento a quello che dici!” Ringhiò Percy richiamando un po’ dell’acqua che ricopriva il pavimento e facendolo scivolare rovinosamente a terra. Jason si rialzò con nonchalance anche se Percy era sicuro che avesse picchiato l’anca destra parecchio forte e ne fu felice.
Nonostante avesse appena umiliato il figlio di Giove, Percy non poté fare a meno di guardarsi le braccia. In tutti gli anni trascorsi al Campo Mezzosangue l’attività a cui senza dubbio si era dedicato di meno era la palestra. Non c’era proprio nulla che gli piacesse nel mettersi a sollevare pesi a caso senza nessun motivo per farlo. Lui era più un tipo da caccia alla bandiera, da percorso ad ostacoli e da duello. Ma la palestra proprio no. Jason, al contrario, sembrava aver trascorso parecchio del suo tempo a sollevare ogni genere di attrezzo. Le sue braccia erano definite e sicuramente più muscolose delle sue. Anche la circonferenza degli avambracci superava di un paio di centimetri quella dei suoi. Persino l’aquila che aveva tatuata sulla pelle sembrava più minacciosa dal momento che seguiva alla perfezione ogni movimento dei suoi muscoli. Percy osservò il suo tatuaggio. Il tridente che simboleggiava suo padre era più nero che mai, ma sul suo avambraccio faceva decisamente un altro effetto.
“Ah giusto” intervenne Leo costringendo Percy ad alzare lo sguardo. “Pure tatuati siete! Anch’io voglio un tatuaggio! Voglio tatuarmi Festus sulla schiena!”
Mentre Leo continuava a blaterare cose assurde, come il fatto che il suo tatuaggio di Festus sarebbe stato spettacolare, perché lui avrebbe potuto accendere delle fiamme in corrispondenza della bocca del drago, il figlio di Giove raggiunse la doccia alla sua destra mentre Percy occupò quella di sinistra. “Sai che storia con le ragazze? Dove lo trovano un altro con un drago tatuato che sputa fiamme veramente?” Continuò Leo mentre Jason apriva la manopola dell’acqua. Percy fece lo stesso e si abbandonò ai benefici dell’acqua calda chiudendo gli occhi e ascoltando solo il suo rumore.
“Ecco, bravi, lasciatemi in mezzo, così mi sentirò ancora più basso e insignificante.”
“Leo” intervenne Jason. “Tu non sei insignificante, mettitelo in testa.”
Percy annuì. “Se siamo arrivati fin qui è solo perché tu sei stato in grado di costruire questa nave.”
“E ti ringraziamo per aver costruito queste docce fantastiche!” Aggiunse Jason cominciando ad insaponarsi.
“Giusto!” Convenne Percy. “Anche se una cosa te la devo proprio dire… ogni tanto manca l’acqua calda!” E così dicendo Percy ordinò all’acqua che scorreva nelle tubature di cambiare temperatura e un attimo dopo gli altri due cacciarono un urlo e cominciarono a saltellare allontanandosi dall’acqua gelida. Percy scoppiò a ridere mentre continuava a godersi il suo getto che scorreva ancora ad una temperatura accettabile.
“Vai all’oltretomba, Percy!” Sbraitò Jason, la faccia piena di sapone e le braccia strette al petto per il freddo.
“Lo metterò sulla lista delle cose da fare! Anche se tecnicamente ci sono già stato, e non è che sia proprio un gran bel posto!” Sottolineò Percy ricordando la sua prima impresa.
“Fai, fai, fai tornare subito l’acqua calda!” Balbettò Leo che batteva i denti per il freddo. “Non riesco nemmeno ad accendere una fiamma con tutta questa umidità!”
“E va bene.” Si arrese il figlio di Poseidone risciacquando il sapone dai capelli.
Gli altri due si avvicinarono titubanti ai getti delle loro docce e solo dopo aver constatato l’effettiva temperatura dell’acqua ci ritornarono sotto. Per Percy la tentazione fu troppo forte, soffocando una risata alterò nuovamente la temperatura dell’acqua mentre Leo e Jason cominciarono a bestemmiare rispettivamente in greco e latino.
“Dannazione Percy!” Strillò Jason cercando di togliersi il sapone dagli occhi.
“Adesso hai capito perché volevo fare la doccia da solo?” Domandò Leo all’amico mentre saltellava sul posto per scaldarsi.
“Dai ragazzi, adesso la smetto, lo giuro.” Disse Percy ridacchiando. “La tentazione era troppo forte per non farlo.”
“Ah si?” Domandò Jason con un ghigno che non preannunciava nulla di buono. “Beh, anche la tentazione di spaccarti la faccia è troppo forte per non farlo.” E così dicendo Jason evocò una raffica di vento così forte che scagliò Percy dall’altro lato del bagno. Il figlio di Poseidone si sentì sollevare in aria bruscamente per poi franare violentemente sul lavello in marmo. Percy sentì il sopracciglio destro aprirsi mentre un fiotto di sangue gli ricopriva il volto.
Leo osservava la scena avvolto nella schiuma del sapone, era tremendamente infreddolito, ma soprattutto allibito.
“Ecco, ragazzi, penso che adesso stiate un po’ esagerando.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire. Dall’altra parte del bagno Percy si rialzò a fatica sotto lo sguardo carico d’odio di Jason. La botta era stata parecchio forte. Prese un asciugamano e se lo legò in vita. Lo specchio appeso sopra al lavandino gli mostrò la sua immagine, il viso completamente imbrattato di sangue.
“Percy tutto bene?” Domandò Leo che osservava l’amico di spalle ignaro della ferita che aveva riportato.
“Mai stato meglio” rispose ironicamente il figlio di Poseidone.
In quel momento la porta del bagno si spalancò lasciando entrare Frank col fiato corto. Una volta dentro, il figlio di Marte osservò il bagno con aria interrogativa. Leo e Jason erano mezzi insaponati, ma si guadavano bene dall’avvicinarsi alle docce da cui l’acqua continuava a scorrere. Percy era dall’altra parte del bagno, la testa china sul lavandino e un asciugamano in vita, ai suoi piedi una macchia di sangue imbrattava le piastrelle del pavimento.
“Ecco, mancavi solo tu!” Disse Leo sarcastico tentando di coprirsi le parti basse. “Fantastico… c’è qualcun altro che vuole vedermi nudo?”
“Finiscila Leo!” Lo riprese Jason.
“Per tutti gli dei! Cosa diavolo state combinando qui sotto? Di sopra si sentono dei rumori assurdi.” Disse Frank un attimo prima di notare che Percy era ferito. “Percy, ma cosa ti sei fatto?” Chiese esterrefatto mentre lui si sciacquava la faccia nel lavandino.
“Domandalo a Jason… credo che conosca la risposta.”
“Non sarebbe successo nulla di tutto questo se tu non ti fossi comportato da ragazzino!” L’ammonì Jason.
Percy imprecò in greco antico tamponandosi la ferita con della carta igienica. “Era solo uno scherzo innocente, ma forse con quelli come te non si può scherzare!” Ringhiò Percy, il sangue che usciva a fiotti dalla ferita nonostante lui facesse di tutto per fermarla.
“Adesso basta!” Abbaiò Frank. Tutti si azzittirono come un plotone agli ordini del proprio comandante.
“Percy, vai subito in infermeria! E vedi di non sporcare di sangue tutta la nave! Voi due finite di lavarvi e andate sul ponte. Si sta facendo buio e il turno di Annabeth al timone è finito da un pezzo, è ora che andiate a darle il cambio.”
Percy uscì dal bagno a testa bassa, mezzo rotolo di carta igienica premuto sul sopracciglio. Non era diretto in infermeria, ma nella sua cabina, e si augurò di non incontrare nessuno lungo il tragitto.
Per fortuna fu proprio così, perciò appena raggiunse la sua cabina ci si chiuse dentro ed esaminò la ferita allo specchio. Era peggio di quello che pensasse, oltre al taglio adesso stava comparendo anche un fantastico livido violaceo. Forse avrebbe fatto meglio ad ubbidire agli ordini di Frank andando in infermeria. In più la promessa fatta ad Annabeth qualche ora prima cominciava a diventare un problema. In primo luogo adesso stavano viaggiando via aria, quindi Percy non avrebbe potuto raggiungere la cabina di Annabeth come aveva fatto la sera precedente, e comunque, conciato com’era, anche avendo avuto un piano di riserva sarebbe stato difficile da mettere in pratica. Ripensò agli ordini di Frank, l’infermeria adesso come adesso sembrava l’unica soluzione possibile. Se non altro l’ambrosia l’avrebbe aiutato a riprendersi un po’. Tra il pugno di Annabeth e quella ferita al sopracciglio aveva perso più sangue quel giorno che in tutta la sua vita. Si era quasi convinto ad andarci quando improvvisamente qualcuno bussò alla sua porta.
“Percy” la voce di Annabeth era quasi un sussurro ma lui l’avrebbe riconosciuta tra mille. “Percy, veloce, fammi entrare.”
Il figlio di Poseidone si guardò allo specchio e si sistemò i capelli nel tentativo di dargli un senso, poi guardò il sopracciglio da cui sgorgava ancora sangue riprese a tamponarlo. Non era certo quello il modo migliore di aprire la porta alla propria fidanzata, ma quando sei un semidio nulla va mai per il verso giusto. Con quella convinzione Percy aprì la porta e Annabeth s’infilò velocemente nella piccola stanza.
“Cosa ci fai qui?” Domandò Percy a voce bassa. Era un po’ imbarazzato, la visita di Annabeth l’aveva colto alla sprovvista e nella fretta di farla entrare non si era nemmeno vestito.
“Sapevo che senza l’aiuto del mare avresti fatto fatica a raggiungere la mia cabina, così ho pensato di venire io da te, se non altro in questo modo non rischi di dimenticare nulla d’importante.” Spiegò Annabeth voltandosi con un sorriso che alludeva a quanto era accaduto la sera prima. Percy tentennò. “Ma cosa ti è successo?” Percy vide il sorriso della sua ragazza svanire lasciando il posto ad un’espressione preoccupata.
“Tranquilla, non è niente.” Si affrettò a rassicurarla facendo un gesto con la mano per tranquillizzarla. Un istante dopo Annabeth gli si fiondò addosso e osservò attentamente la ferita.
“Hai avuto un altro scontro con Jason?” Domandò, ma a Percy quella suonò più come un’accusa che come una domanda.
“Senti, io…”
“Zitto!” Lo rimproverò lei a riprova del fatto che la sua non era una domanda. “Vado a prenderti dell’ambrosia, tu non muoverti di qui.”
Percy evitò di controbattere, così, non appena lei uscì dalla stanza, si mise a sedere sul letto in attesa del suo ritorno.
Cinque minuti più tardi Annabeth rientrò con delle garze e qualche quadratino d’ambrosia che gli cacciò direttamente in bocca prima che lui potesse dire qualunque cosa.
“Stenditi.” Ordinò lei ripiegando le garze. Percy ubbidì senza farselo ripetere due volte. Annabeth era china su di lui, le ciocche bionde che le incorniciavano il viso.
“Sei un cretino.” Commentò lei applicando la garza sulla ferita.
“Chi è più cretino? Il cretino, o quella che sta con il cretino?” Domandò lui aggrottando la fronte. Annabeth non riuscì a trattenere una risata e finì per dargli un bacio.
“Questa domanda è cretina!” Dichiarò rialzandosi per prendere altre garze.
“Stai cercando una scappatoia!” Protestò lui tirandosi su e appoggiandosi sui gomiti.
Annabeth si voltò e sentì le viscere contorcersi mentre il battito cardiaco accelerava alla vista del suo fidanzato sdraiato sul letto più nudo che vestito.
“Sei insopportabile!” Dichiarò tornando verso di lui e sedendosi al suo fianco cercando di frenare il battito del suo cuore che ormai sembrava incontrollabile.
“E tu sei bellissima.” Sussurrò Percy cercando di rubarle un bacio. Annabeth lasciò che il suo ragazzo accostasse le labbra alle sue e un attimo dopo gli permise di approfondire il bacio. Dopotutto aveva raggiunto la cabina di Percy per un motivo ben preciso e quella ferita non aveva fatto altro che posticipare l’inevitabile.
“Riuscirò mai a fare l’amore con te senza che tu sia, ferito o sanguinante?” Domandò lei accennando un sorriso. Percy rise.
“Dico sul serio… non c’è mai una volta che sei al top.”
“Non mi sembra che ieri sera tu sia rimasta insoddisfatta…” Commentò il figlio di Poseidone, un sorriso malizioso dipinto in volto.
“Questo non significa che tu non possa fare di meglio” lo provocò Annabeth con un ghigno.
A Percy non servì sentire altro. Afferrò Annabeth per i fianchi e la strinse a sé sbottonandole la camicetta.
“Vacci piano!” Lo riproverò lei bloccandogli le mani e sfilandosi la camicetta da sola. “A quella dell’altro giorno hai fatto saltare tre bottoni.”
“Scusa” borbottò lui baciandola insistentemente sul collo. “Come posso farmi perdonare?” Annabeth sentì le mani di Percy insinuarsi prepotentemente sotto quello che rimaneva dei suoi vestiti. Le sue mani erano calde e si muovevano delicate sul suo corpo. Chiuse gli occhi e lo lasciò fare, era decisa a godersi ogni attimo con lui. Sapeva che la missione che sua madre le aveva affidato era dietro l’angolo e, nonostante si sforzasse di non ammetterlo, in cuor suo sapeva di avere paura. Paura di fallire, paura di deludere sua madre, paura di non rivedere più il ragazzo di cui si era innamorata. Si costrinse a scacciare quei pensieri, cosa che non le risultò nemmeno troppo difficile nel momento in cui posò le mani sul petto di Percy e gli tastò i pettorali ripensando a quanto fosse piccolo e minuto il giorno del loro primo incontro. Un morso di Percy poco sopra il seno la riportò bruscamente alla realtà. Annabeth aprì gli occhi di scatto e notò che l’asciugamano che avvolgeva i fianchi del suo ragazzo si era allentato. Lo scostò senza pensarci troppo su, poi gli si sedette in braccio e lasciò che lui la facesse sua per la seconda notte di fila.

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Capitolo 9
*** Lottando con il mal di mare ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti voi che siete arrivati a leggere questo capitolo, grazie per aver dato fiducia alla mia storia :-) Vi avviso che da qui in avanti cominceranno a succedere un po' di cose, ma ovviamente non vi dico nulla di più per non rovinarvi il piacere di leggere. Non mi resta che augurarvi una buona lettura e invitarvi a commentare il più possibile. Grazie in anticipo a tutti voi!





Lottando con il mal di mare
 


Jason aveva passato la nottata sul ponte. Avendo scelto di viaggiare volando non si fidava a lasciare nessun altro al timone, per lo meno non di notte. Il risultato era che alle prime luci dell’alba non aveva minimamente chiuso occhio e cominciava a sentire le palpebre pesanti.
“Buongiorno!” La voce di Piper fu come una dolce musica, in grado di rendere gradevole anche il peggiore dei risvegli. Jason vide la figlia di Afrodite avanzare verso di lui con i lunghi capelli sciolti, tra le mani un vassoio con la colazione.
“Ti ho portato la colazione” disse con un sorriso smagliante mentre le gote le si coloravano di un rosa vivace.
“Se tu non esistessi, bisognerebbe inventarti!” Jason sorrise e la strinse fra le braccia. Insieme fecero colazione godendosi la tranquillità che raramente regnava sulla Argo II.
“Invece di starvene qui a fare romantici pic-nic…” Jason e Piper si voltarono contemporaneamente. Sapevano entrambi a chi apparteneva quella voce e quel tono sgarbato. La testa di Hedge sbucava dal boccaporto e la sua espressione era tutt’altro che amichevole.
“Venite subito di sotto! C’è una cosa che tutti dovete vedere” così dicendo la testa del satiro sparì sottocoperta lasciando i due semidei perplessi.
“E adesso cosa diavolo succede?” Chiese Piper che sarebbe rimasta volentieri ancora un po’ sola con Jason.
“C’è un solo modo per scoprirlo.” Il figlio di Giove scattò in piedi. La sua curiosità era incontenibile e Piper lo sapeva bene. Scesero per mano le scale e incontrarono il resto dell’equipaggio che usciva dalla cucina. Si unirono a loro e insieme seguirono Hedge fino al ponte più basso della nave. Jason osservò i suoi compagni di viaggio e fu lieto di constatare che, nonostante non avesse minimamente dormito, la sua faccia non era fra le peggiori. Percy aveva ancora il segno del cuscino stampato in faccia, Leo sembrava uno che era stato svegliato con l’elettroshock mentre Frank, che era l’unico che pareva abbastanza sveglio, aveva la faccia ricoperta di zucchero a velo. Le ragazze invece sembravano in gara per chi aveva i capelli messi peggio. Jason guardò Piper e sorrise compiaciuto, lei riusciva ad essere sempre perfetta, anche appena sveglia. Merito di sua madre probabilmente.
Hedge guidò i ragazzi fino nella sala macchine e una volta dentro Leo si sentì mancare. I pistoni che regolavano la potenza dei motori erano stati completamente smontati, macchie di olio e grasso ricoprivano il pavimento, dove erano disseminati attrezzi di ogni tipo. Leo vide tre delle sue chiavi inglesi, quattro brugole e due cacciaviti buttati in giro alla rinfusa. Il figlio di Efesto si portò le mani ai capelli, sconvolto da quello scempio.
“Chi ha osato mettere mano ai motori della nave?” Domandò rabbioso scrutando i compagni. Nessuno rispose e Leo si sentì avvampare, avrebbe potuto prendere fuoco da un momento all’altro. Cercò di calmarsi mentre recuperava tutti i suoi attrezzi e li metteva nella cintura. “Allora? Cosa avevate intenzione di fare?” Chiese scrutandoli uno a uno cercando di identificare il colpevole.
“Leo, ragiona” intervenne Annabeth mentre tutti si voltavano a guardarla. “Perché mai qualcuno di noi avrebbe dovuto fare una cosa simile? E anche volendo, nessuno di noi sarebbe stato in grado di smontare questi pistoni.”
“Vuoi forse farmi credere che c’è qualcun altro a bordo?” Ribatté Leo che cominciava a perdere il controllo.
“No, non lo so, ma non capisco.”
“Sentite” intervenne Frank con voce calma e ferma. “Adesso è inutile perdere tempo ad accusarsi l’un l’altro. Dobbiamo pensare a come fare per proseguire il nostro viaggio. Nico è in pericolo! Non possiamo assolutamente perdere altro tempo!”
“Ha ragione” convenne Hazel che sentì una stretta allo stomaco nel momento in cui udì il nome di suo fratello.
“Ora veleggiamo grazie alle correnti che sta controllando Jason ma è stato sveglio tutta la notte, non possiamo certo chiedergli di continuare fin quando Leo avrà risistemato i motori!” Jason abbassò il capo e non disse nulla. Odiava ammetterlo ma Piper aveva ragione. Quella notte al timone aveva prosciugato le sue forze e sentiva un enorme bisogno di dormire. Jason notò che tutti si voltarono a guardare Percy, stavano pensando tutti la stessa cosa.
Il figlio di Poseidone trasalì sotto gli occhi dei suoi amici. Stavano aspettando tutti di sentirgli dire qualcosa. Annabeth lo prese per mano e gli diede una piccola stretta d’incoraggiamento.
“Jason, riesci a riportare la nave a livello del mare? Da lì in poi ci penserò io, evocherò le giuste correnti e le sfrutteremo per proseguire il nostro viaggio, non navigheremo molto veloci ma è sicuramente meglio che rimanere fermi. Confido che Leo riesca a riparare in fretta i motori.” La voce che acquisiva maggior sicurezza parola dopo parola. Annabeth lo guardava con ammirazione, come un leader, e lui non poté fare a meno di esserne fiero.
Due ore più tardi navigavano sulle acque dell’Atlantico grazie alle correnti più veloci che Percy era stato in grado di richiamare. Jason aveva raggiunto la sua cabina e si era addormentato nel giro di un paio di minuti sotto lo sguardo vigile di Piper che lo aveva scortato fino ai suoi alloggi. Leo e Frank avevano cominciato a riparare i motori. Non che Frank ci capisse qualcosa, ma i pistoni erano pesanti e lui era il più grosso della ciurma, quindi Leo aveva pensato di chiedergli una mano.
Hazel e Annabeth cucinavano fianco a fianco.
“Come va con Frank?” Domandò Annabeth tagliuzzando finemente le cipolle. Hazel sentì un groppo in gola. “Non lo so” ammise senza alzare lo sguardo dai fornelli.
“Non lo so, significa che lo sai ma non sai come dirlo a Frank?” Chiese la figlia di Atena gettando il trito di cipolle nella pentola.
“Qualcosa del genere.”
Annabeth sospirò. La sua amica si era cacciata proprio in un bel casino.
“E cosa pensi di fare?”
“Penso di non fare un bel niente, ecco cosa penso.”
“Non credo che sia la soluzione più saggia.”
“E cosa suggerisci allora?”
In quel momento delle onde incominciarono a far oscillare la nave e il colorito di Hazel mutò rapidamente in un verdognolo.
“Ti senti bene?” Chiese Annabeth.
“Per niente… soffro il mal di mare… ti dispiace se ti lascio da sola?” Hazel non aspettò la risposta dell’amica. Corse fuori dalla cucina, una mano premuta sulla fronte e l’altra sullo stomaco.
Annabeth rimase sola per qualche minuto a rigirare lo stufato che cuoceva nella pentola, poi Piper entrò in cucina offrendole il suo aiuto.
“Che fine ha fatto Hazel?” Domandò rimboccandosi le maniche della felpa.
“Mal di mare” disse Annabeth guardando fuori dall’oblò augurandosi che le onde cessassero presto. Tutto quel movimento cominciava a dare fastidio anche a lei.
“Come darle torto… tutto bene Annabeth?” Piper vide l’amica barcollare.
“Si si, tutto a posto, guardare le onde fuori dall’oblò mi ha provocato un giramento di testa… tutto qui.”
“Sei pallida come un lenzuolo! Siediti un attimo.” Le consigliò Piper scostando una sedia e aiutando l’amica a sedersi.
“Piper, sto bene, sul serio… non c’è bisogno che…” Ma in quel momento un’altra onda investì la chiglia della nave e Annabeth sentì lo stomaco ribaltarsi. Un senso di nausea la investì da cima a fondo mentre Piper stringeva forte il bordo del tavolo per non perdere l’equilibrio. La figlia di Atena cercò di non far trapelare il suo disagio, era abituata a combattimenti e addestramenti tosti, non era dignitoso ammettere di sentirsi male per qualche onda.
“Qualcuno deve dire a Percy di fare qualcosa, lui non percepisce le onde come noi, per lui è come se qualcuno lo cullasse dolcemente.”
“Dolcemente?” Domandò Piper che si era messa seduta rinunciando a rimanere in equilibrio.
“Esatto” confermò Annabeth ignorando lo stomaco che continuava a contorcersi al ritmo delle onde. “Vai a vedere come sta Hazel, io raggiungo Percy sul ponte sperando che possa porre fine a questo strazio.”
Piper non disse nulla ma fece cenno di si con la testa. Le due ragazze uscirono dalla cucina camminando rasenti alle pareti per non perdere l’equilibrio. Annabeth vide l’amica dirigersi verso i bagni, se lei che non soffriva di mal di mare stava così male, poteva solo immaginare come si sentisse Hazel. Annabeth raggiunse le scale che portavano al ponte superiore e si aggrappò al corrimano per non cadere. La testa le girava vorticosamente e dovette accasciarsi sui gradini per non vomitare.
Giunta in cima alle scale Annabeth vide la sagoma di Percy a prua. Era appoggiato al parapetto di tribordo e scrutava la schiuma delle onde.
“Percy!” Strillò Annabeth, la testa che girava senza sosta.
Il figlio di Poseidone si voltò e corse in contro alla sua ragazza. “Ti senti male?” Le domandò sorreggendola.
“Tutti ci stiamo sentendo male, Percy!” Riuscì a dire Annabeth aggrappandosi al braccio del suo fidanzato. “C’è mare grosso, Percy! Devi fare qualcosa!”
Percy strabuzzò gli occhi, non riusciva a comprendere come quelle piccole onde potessero risultare fastidiose. Ma Annabeth stava palesemente male quindi non si fece altre domande e ordinò alla superficie del mare di tornare piatta e calma.
Due ponti più in basso, nella sala macchine, Frank e Leo sembravano due ubriachi che cercavano l’equilibrio fingendosi sobri.
“Non è già abbastanza difficile dover riparare i motori, devo riuscirci anche lottando per stare in piedi!” Gridava Leo che cercava di bilanciarsi con le braccia. “Mi sembra giusto!”
Frank osservava Leo giocare all’equilibrista standosene seduto in un angolo, aveva rinunciato da un pezzo a stare in piedi.
“Grazie dell’aiuto, amico!”
“Se mi alzo di nuovo finisco per vomitare!” Si giustificò il figlio di Marte.
“Va beh, va beh, chi fa da sé fa per tre!” Commentò Leo stramazzando a terra per la decima volta nel giro di cinque minuti.
Un attimo dopo la nave smise di oscillare e Leo riuscì finalmente a rimettersi in piedi una volta per tutte.
“Era ora!” Esclamò il figlio di Efesto impugnando una chiave inglese per mano e sollevandole in aria in segno di vittoria. Un attimo dopo si era già rimesso a lavoro. Frank lo vide smontare e rimontare un’infinità di pezzi metallici senza avere la minima idea di cosa stesse facendo. Cominciava a sentirsi un po’ inutile.
“Se non hai più bisogno di me raggiungo gli altri di sopra” disse sperando che Leo non avesse nulla da obiettare.
Leo aveva un martello in bocca perciò quando rispose alla domanda di Frank ne uscì solo un vago mugolio. Il figlio di Marte tentò di decifrare le parole dell’amico invano, un minuto più tardi si sentì libero di andare.
Appena raggiunse la cucina, Piper lo informò delle condizioni di Hazel. Nonostante Percy avesse calmato le onde, la figlia di Plutone stava ancora male e si rifiutava di uscire dal bagno. Frank si decise a raggiungerla nella speranza che la sua compagnia la facesse sentire meglio.
“Speriamo che Frank riesca a fare qualcosa” disse Piper osservando il figlio di Marte allontanarsi nel corridoio.
Percy annuì, aveva lasciato Hedge al timone ed era sceso in cucina con Annabeth che non sembrava essersi ancora ripresa del tutto. Cominciava a sentirsi un po’ in colpa per non essersi accorto di quanto grandi fossero le onde.
In quel momento Jason fece il suo ingresso in cucina, una mano premuta sulla fronte.
“Jason!” Esclamò Piper alla vista del suo fidanzato. “Ma non stavi dormendo?”
“Hai detto bene” disse il figlio di Giove sedendosi a capotavola. “Stavo! Quelle maledette onde mi hanno letteralmente buttato giù dal letto e ho preso una testata sul comodino!”
Percy sentì le orecchie andare a fuoco. Non sapeva se sentirsi in colpa o se essere contento.
“Tieni” disse Piper porgendogli del ghiaccio.
“Sei la migliore” la ringraziò Jason baciandola sulle labbra.
Percy distolse lo sguardo, si sentiva a disagio a guardare quei due che si scambiavano effusioni. Puntò gli occhi su Annabeth, era ancora molto pallida ma faceva di tutto per non dare a vedere il suo malessere.
“Ragazzi, vi dispiace se vado in cabina?” Domandò educatamente qualche minuto più tardi. “Mi sento meglio e volevo studiare un po’ la mappa del marchio di Atena.”
Jason e Piper annuirono e Percy le porse una mano per aiutarla ad alzarsi.
Annabeth afferrò la sua mano e si avviò verso la sua cabina. Alle sue spalle Percy la seguiva come un’ombra.
“Sto meglio, Percy. Non c’è bisogno che mi accompagni.”
“Beh, potremmo stare un po’ insieme.”
“Percy, dicevo sul serio riguardo alla mappa.”
“Potrei aiutarti…”
“Sai bene che la mappa si mostra solo ai figli di Atena… devo studiarla da sola.”
Il tono di Annabeth fece capire a Percy che la conversazione era chiusa. Il figlio di Poseidone chinò il capo e annuì mesto. Questa storia del marchio di Atena cominciava a spaventarlo. Per quanto Annabeth fosse intelligente e abile in combattimento, l’idea che dovesse affrontare quella missione da sola lo terrorizzava.
“Ci vediamo più tardi Testa d’alghe!” E così dicendo gli regalò un ultimo sorriso prima di sparire dietro la porta.

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Capitolo 10
*** Un messaggio dal campo ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori, scusate il leggero ritardo, ero al mare e non avevo modo di aggiornare la storia. Spero che siate curiosi di leggere il capitolo perchè la storia s'infittisce. Spero che il capitolo vi piaccia e che continuerete a seguire la storia con entusiasmo. Come sempre vi ringrazio per l'attenzione che dedicate alla mia storia e, se ancora non l'avete fatto, vi invito a lasciare una recensione. Ormai tra ricordate/preferite/seguite siete un centinaio e per me questo è un enorme traguardo! Al prossimo capitolo e grazie ancora per avermi seguito fino a qui.







Un messaggio dal campo


 
 
Poco prima di cena Percy raggiunse la sua cabina con l’intento di cambiarsi. Si sfilò la maglietta e tirò fuori quella arancione del Campo Mezzosangue dallo zaino. L’osservò per qualche istante e lasciò che i ricordi lo sovrastassero. La prima volta che aveva visto quella maglia si trovava in infermeria e la indossava Annabeth, poche ore più tardi lui aveva ricevuto la sua. Proprio mentre era sommerso dai ricordi del Campo l’aria vibrò e un attimo dopo Percy vide un’immagine farsi largo nel piccolo stanzino: era un messaggio Iride. Percy scrutò l’immagine che andava via via formandosi davanti a lui, riconobbe le mura della casa numero tre e il pontile che si estendeva davanti ad essa. Un attimo dopo una chioma di capelli rossi entrò nell’immagine oscurando il panorama.
“Rachel!” Esclamò Percy riconoscendo l’amica.
“Percy!” Gridò lei in risposta. “Non sapevo se sarei riuscita a contattarti, ma dovevo tentare!”
La voce di Rachel andava e veniva, con i tempi che correvano era già un miracolo che fosse riuscita a generare il messaggio, riferire quanto aveva da dire in modo chiaro sarebbe stato troppo bello.
“Cosa sta succedendo al Campo?” Domandò Percy preoccupato.
“Non preoccuparti per il Campo” rispose lei in tono sbrigativo. “Ho cose più importanti da riferirti!” Il viso di Rachel era teso e lei sembrava preoccupata.
“Ho avuto una visione” annunciò Rachel con un tono che non faceva presagire nulla di buono. “Ma la visione non era chiara come quelle che ho avuto in passato… era come se qualcuno cercasse d’interferire impedendomi di vedere tutto.”
La voce di Rachel andava scemando e Percy cominciava ad avere paura che non riuscisse a riferire tutto in tempo.
“Cosa hai visto?” Domandò sperando che l’immagine non svanisse. “Cosa mi succederà?”
“Non è te che ho visto…” ammise lei. Fece una pausa che fece saltare i nervi a Percy. Nel silenzio della stanza un lampo gli attraversò la mente.
“Dimmi che non c’entra…”
“Annabeth” disse lei abbassando gli occhi. “Io penso che lei…” La voce di Rachel giungeva a scatti e Percy cominciò ad agitarsi. Aveva paura che quell’interferenza non gli permettesse di interpretare correttamente le parole dell’oracolo.
“Cosa?” Strillò Percy.
“Credo che lei avrà un problema…”
Percy ripensò alla missione che Atena le aveva affidato e sentì le viscere contorcersi.
“È in pericolo?”
“Io penso di si…”
“Dimmi cosa hai visto di preciso.” L’implorò Percy.
“È complicato…”
“Dannazione Rachel, devi aiutarmi!”
Percy vide la ragazza aprire la bocca per ribattere ma in quel momento l’immagine svanì di botto e qualcuno bussò alla sua porta.
Un’istante dopo Annabeth si fece largo nella stanza, le braccia conserte e l’espressione seria.
“Era la voce di Rachel quella che ho sentito?” Chiese in tono piatto. Percy intuì che stava per scatenarsi il finimondo. Rachel non era mai stata molto simpatica ad Annabeth.
“Sì” ammise Percy non sapendo da dove cominciare a spiegare quanto gli era appena stato riferito.
“E dimmi…” continuò Annabeth in un tono troppo pacato per essere il suo. “Di recente hai parlato spesso con Rachel mezzo nudo?”
Percy si guardò. Il messaggio lo aveva colto talmente alla sprovvista che non aveva nemmeno fatto in tempo a finire di vestirsi.
“Annabeth” disse lui nel tentativo di placare la rabbia che, era certo, lei stava contenendo.
“Annabeth niente!” Sbottò lei avanzando minacciosa. “Ti ho sentito sai… stavate parlando di me! Che cosa vuole da te quella specie di strega dai capelli rossi?”
“Ecco, stavo giusto per parlartene…” si giustificò Percy.
“Non mentirmi!” Sbraitò Annabeth spintonandolo verso il fondo della cabina. “Se non avessi origliato per caso questa conversazione dubito che me ne avresti parlato!”
“Ti vuoi calmare per favore!” Disse Percy cercando di non urlare, non voleva che tutti gli altri li sentissero litigare.
“Com’è che adesso parli a bassa voce?” domandò lei. “Non mi pareva che ti preoccupassi del tono di voce quando le chiedevi di aiutarti!”
“Ok, ho capito, vuoi litigare” Sentenziò Percy incrociando le braccia al petto.
“Litigare? Io? Non sono io quello che sente la sua ex di nascosto.”
“Questa è una scenata di gelosia!”
“Sì, può darsi!” Ammise Annabeth, la voce che tremava per il nervoso.
“Ma non avrei nulla di cui essere gelosa se tu non avessi fatto lo scemo con lei in passato!”
“Passato, hai detto bene, passato! Mettitelo in testa!”
“Ehm… scusate” la testa di Frank fece capolino dalla porta. “Disturbo?”
“No!” Disse Percy fingendo che tutto fosse normale.
“Sì!” Esclamò Annabeth rivolgendo un’occhiataccia al figlio di Marte.
Frank trasalì, evidentemente in imbarazzo.
“Volevo solo avvisarvi che se avete fame la cena è pronta.” E così dicendo sparì nel corridoio.
“A me la fame è passata, ma sono certa che tu vorrai cenare quindi me ne torno nella mia cabina a preoccuparmi del marchio di Atena.”
Percy non fece in tempo a trovare le parole giuste per fermarla. Avrebbe voluto offrirle per l’ennesima volta il suo aiuto, ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile, dal momento che il marchio di Atena non si mostrava in sua presenza. Avrebbe voluto spiegarle che aveva frainteso la sua conversazione con Rachel, ma non trovò il modo di dirle nemmeno quello. Percy si affacciò nel corridoio appena in tempo per vedere i capelli biondi di Annabeth sparire dietro alla porta della sua cabina.
Percy conosceva Annabeth abbastanza bene da sapere che l’unica cosa che poteva fare in quel momento era lasciarla sbollire per i fatti suoi. Più tardi avrebbe provato a farla ragionare. Con quel pensiero raggiunse il resto dell’equipaggio in cucina dove fu accolto da un ottimo profumo di stufato.
“Dov’è Annabeth?” Chiese Piper mentre gli serviva la cena.
“Lei… ehm, non si sente ancora molto bene…” Mentì Percy sperando che Frank gli reggesse il gioco e non dicesse nulla in merito alla litigata cui aveva assistito. “Preferisce stare in camera.”
“Povera” commentò Piper sedendosi accanto a Jason. “Effettivamente non aveva per niente una bella cera. Tutto bene Jason?” Chiese rivolta al fidanzato che aveva un’aria pensierosa.
“Si, sto solo pensando a quanto è accaduto in sala macchine… non riesco a spiegarmi chi di noi abbia fatto una cosa simile.”
Leo si sentì toccato sul vivo, tutto ciò che riguardava le macchine, compresa la sala macchine, era di sua competenza e non poté fare a meno d’intervenire.
“Oggi ho passato due ore ad assemblare il pistone principale, funziona, ma non ho ancora avuto il tempo di montarlo sulla struttura portante. Penso che mi ci vorranno ancora un paio di giorni prima di ultimare il lavoro.”
“Un paio di giorni?” Domandò Hazel strabuzzando gli occhi. “Leo, mio fratello è in pericolo, devi fare qualcosa!” Strillò alzandosi in piedi per l’agitazione. Leo si sentì ferito da quelle parole. Lui stava mettendo anima e corpo in quella sala macchine, Hazel non aveva idea della quantità di tempo che le riparazioni richiedevano, ma si permetteva di accusarlo di essere troppo lento.
“Hazel” la voce di Percy era calma e pacata. “Sono certo che Leo sta facendo del suo meglio, è il migliore nel suo campo, fidati di lui.” Hazel spostò lo sguardo su Percy. Il figlio di Poseidone si alzò e la convinse a sedersi poggiandole una mano sulla spalla. “Riusciremo a salvare Nico, non temere.” Le sussurrò in modo che solo lei potesse sentirlo.
 
“Ehi” disse Frank quando raggiunse Percy al timone due ore più tardi. Il figlio di Poseidone trasalì e sorrise all’amico.
“Tutto tranquillo?” Chiese il figlio di Marte prendendo posto accanto a Percy.
“Calma piatta” rispose lui scrutando il mare con aria assente. “Come vedi viaggiamo ad una velocità talmente ridicola che è praticamente impossibile che ci succeda qualcosa.”
“Mi riferivo a te e Annabeth…”
“Oh” fece Percy che si era già dimenticato della scena cui Frank si era trovato ad assistere. “Sì, io credo che sia tutto ok, penso che lei sia solo un po’ agitata per questa faccenda del Marchio…”
“Quindi non era una scenata di gelosia…”
“Hai origliato?” Domandò Percy accigliato.
“Non ho origliato, ma Annabeth strillava talmente tanto che era impossibile non sentire…” Si giustificò Frank.
“Beh sì, è gelosa di una ragazza che sta al campo, ma è acqua passata.” Mentre pronunciava quelle parole Percy ripensò a Rachel e al suo messaggio. Lei aveva fatto di tutto per riferirle quello che aveva visto il prima possibile e adesso che lo aveva messo in allerta lui se ne stava lì sul ponte a chiacchierare con Frank come se nulla fosse. Come se Annabeth non fosse in pericolo. Percy sentì un brivido percorrergli la schiena, avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla.
Tutto d’un tratto il figlio di Poseidone si sentì tremendamente egoista. Frank lo aveva raggiunto per assicurarsi che la sua situazione sentimentale fosse stabile e lui non aveva minimamente pensato che quello del figlio di Marte fosse un tentativo di parlare anche dei suoi problemi. Ripensò alla confessione di Leo e si sentì un infame per non aver rivelato a Frank quanto sapeva sui sentimenti del figlio di Efesto. Sapeva di correre un grosso rischio, se Frank avesse reagito male sarebbe stato in grado di schiacciare Leo come un moscerino e l’Argo II si sarebbe ritrovata senza un capitano e soprattutto senza qualcuno in grado di mettere a posto i suoi motori. In pratica sarebbe stata la fine. Percy trasse un lungo respiro poi si decise a parlare. Non aveva idea di quale fosse il miglior modo per affrontare l’argomento, così si vide costretto ad improvvisare.
“E tu?” Chiese appoggiandosi allo schienale e rilassando le gambe.
“Io cosa?”
“Sei geloso?” Chiese sperando con tutto se stesso che Frank rispondesse di no.
“Io, beh, si certo, come si fa a non esserlo? Perché? Tu non sei geloso di Annabeth?”
Percy alzò gli occhi e scrutò il cielo mentre rifletteva. L’immagine di Jason alle spalle di Annabeth durante la partita di Twister gli si parò davanti agli occhi e lui sentì le viscere contorcersi. Certo che era geloso.
“Sì, penso proprio di esserlo” sospirò Percy scacciando a forza quell’immagine dalla mente.
Frank alzò le spalle. “Vedi, è normale!”
Percy non disse altro. Era tutto concentrato a trovare il modo migliore per rivelare a Frank l’interesse che Leo provava nei confronti di Hazel. Forse l’unica cosa da fare era andare dritto al punto senza perdere altro tempo.
In quel momento Hazel sbucò dal boccaporto e gli venne incontro.
“Hazel!” Esclamò Frank con un sorriso. Lei gli corse incontro e lo baciò sulle labbra mentre Percy si malediceva per non aver detto la verità a Frank quando erano ancora soli.
Percy si mordicchiò un labbro a disagio mentre Frank approfondiva il bacio con Hazel.
“Se per voi va bene vado a vedere come si sente Annabeth” disse Percy senza ricevere risposta. Frank e Hazel continuarono a baciarsi ignorando le sue parole. Era evidente che a loro andava bene. Senza perdere altro tempo Percy scese le scale di corsa lasciando Frank e Hazel soli al timone.

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Capitolo 11
*** Incontri ravvicinati ***


Angolo dell'autrice: Eccomi di nuovo con il capitolo 11! In questi giorni ho avuto modo di portarmi avanti con la storia quindi, per la vostra gioia, penso che riuscirò a garantirvi dei rapidi aggiornamenti. :-) Questo capitolo non è dei migliori ma l'idea penso sia carina. A fine capitolo troverete un altro angolo autrice in cui vi rivelo una curiosità. Come sempre vi ringrazio dal primo all'ultimo e rinnovo l'invito a commentare. 






Incontri ravvicinati

 
 
Quella notte Hazel rientrò tardi in cabina. Aveva passato l’intera serata sul ponte con Frank e, presi com’erano a baciarsi, non si erano nemmeno accorti che Percy li aveva abbandonati, anche se Hazel poteva tranquillamente immaginare il perché.
Hazel era stesa nel letto girata su un fianco, gli occhi chiusi in attesa che sopraggiungesse il sonno. Navigavano così piano che non correva nemmeno il rischio di stare male di nuovo. Era convinta che quella notte niente avrebbe potuto impedirle di riposare. Ovviamente si sbagliava.
Erano quasi le due del mattino quando la figlia di Plutone sentì la porta della sua cabina cigolare lievemente lasciando entrare una figura nella stanza. Hazel sentì un brivido salirle lungo la schiena. Sapeva che Frank avrebbe finito il suo turno al timone proprio a quell’ora, ma di certo non si aspettava una sua visita nel cuore della notte. Si mise a sedere sul letto cercando di sistemarsi i capelli arruffati, poi fece un profondo respiro e si decise ad accendere la luce. Quello che vide non avrebbe potuto lasciarla più sorpresa. Leo stava richiudendo la porta della cabina cercando di non fare rumore. Hazel sentì una stretta allo stomaco, di tutte le persone che sarebbero potute entrare di soppiatto nella sua cabina, Leo era senza dubbio quella più inaspettata.
“Leo” Sussurrò Hazel sperando che a quell’ora nessuno l’avesse visto infilarsi nella sua cabina. “Cosa ci fai qui?” Domandò alzandosi dal letto, la salivazione azzerata.
Leo si voltò e la guardò con un’espressione che mise Hazel a disagio. Il cuore palpitava e lei si sentì investire da un’ondata di calore. Dopotutto non era così dispiaciuta che Leo si trovasse nella sua cabina, anzi a dire il vero si era trovata ad immaginare quel momento più di una volta. Non poté fare a meno di sentirsi una stronza solo per aver prodotto quel pensiero, aveva passato l’intera serata sul ponte limonando con Frank e, a distanza di due ore, stava già fantasticando su un altro. Il figlio di Efesto rimase in silenzio ed Hazel notò che c’era qualcosa di strano in lui. Il ragazzo indossava dei pantaloncini corti neri e una maglia bianca. O meglio, Hazel intuì che una volta probabilmente doveva essere stata bianca perché adesso era completamente ricoperta di strisciate nere e color ruggine. Neanche la miglior lavanderia sarebbe stata in grado di farla tornare candida.
Mentre Hazel rifletteva su quale fosse il candeggio più appropriato, Leo si fece largo nello stanzino come se fosse in camera sua, girò intorno ad Hazel quasi come se lei non ci fosse e si sdraiò nel suo letto avvolgendosi nelle coperte.
Hazel rimase a bocca aperta. Tutto si sarebbe aspettato da Leo ma non tanta audacia.
“Scusami” disse Hazel in tono di rimprovero. “Di preciso, cosa credi di fare?”
La ragazza vide Leo riaprire gli occhi e girarsi dall’altra parte mugugnando qualcosa d’incomprensibile.
Hazel allargò le braccia, allibita. Leo che s’infilava nel suo letto di sua spontanea volontà superava sicuramente i suoi sogni più vivaci, ma se proprio aveva deciso di provarci così spudoratamente avrebbe preferito che lui le dedicasse qualche attenzione in più.
“Esci subito dal mio letto!” Gridò con voce soffocata. Non poteva certo lasciare che il resto dell’equipaggio sentisse una frase del genere.
“Adesso!” Aggiunse pestando un piede per terra. Leo non sembrò avere nessuna reazione così Hazel fu costretta ad avvicinarglisi e a scrollarlo per le spalle.
Il ragazzo si mise a sedere e scrutò Hazel che lo guardava torva, poi scostò le coperte e si alzò di scatto diretto verso l’uscita.
“Leo!” Esclamò Hazel portandosi le mani alla bocca un istante dopo aver pronunciato il suo nome così forte. Doveva prestare attenzione al tono di voce o li avrebbero scoperti. “Dove stai andando?” Domandò sempre più confusa. Leo era troppo silenzioso e questo era strano, Leo non era mai silenzioso. C’era indubbiamente qualcosa che non andava in lui. La figlia di Plutone strattonò il ragazzo con tutta la forza che aveva e lo mise al muro, i loro nasi quasi si sfiorarono. “Perché ti stai comportando in questo modo?” Domandò sperando di ricevere una risposta esauriente, ma, anche in questo caso, Leo non ebbe nessuna reazione. Nonostante fosse a un palmo dalla sua faccia, il ragazzo non la guardava. O meglio, la vedeva ma non la guardava, sembrava quasi in trans.
“Leo ma mi senti?” Chiese mentre gli schioccava le dita davanti agli occhi sperando di vederlo reagire. Leo non batteva ciglio e Hazel avvertì il peso della verità travolgerla come un’onda. Leo era semplicemente sonnambulo e lei si sentì un’idiota ad aver pensato, o più che altro sperato, che si fosse presentato in camera sua per manifestarle i suoi sentimenti.
Fortunatamente qualcuno in passato le aveva detto che svegliare un sonnambulo era la cosa più pericolosa che si potesse fare. Cercando di ricordare se sapesse qualcos’altro di utile a riguardo, afferrò Leo per un braccio e aprì silenziosamente la porta. Mise la testa fuori e osservò il corridoio buio. Un attimo dopo strattonò Leo e s’incamminò con lui verso la sua stanza cercando di non fare rumore.
Hazel non aveva mai perso tempo ad immaginarsi la camera di Leo, ma se solo ci avesse provato, difficilmente avrebbe potuto immaginarla più disordinata di com’era in realtà. La ragazza vide ogni genere di attrezzo e marchingegno sparpagliato sul pavimento e le fu praticamente impossibile raggiungere il letto senza calpestarne almeno un paio. Depositò Leo sul letto sperando che per quella notte avesse camminato abbastanza e non sentisse nuovamente il bisogno di andarsene in giro per la nave. Non poté fare a meno di sentirsi ridicola mentre gli rimboccava le coperte come sua madre faceva con lei quando era bambina. Aveva appena finito di rimuovere le pieghe dalle lenzuola quando una rivelazione improvvisa la fece trasalire. Si guardò intorno con circospezione, come se ancora non avesse accettato completamente l’ipotesi che le aveva appena attraversato la mente. Più si guardava intorno, più si convinceva che la sua intuizione fosse sensata. Sul comodino, invece che una sveglia o una lampada, troneggiavano cacciaviti e brugole di ogni misura. Hazel notò che la maggior parte degli attrezzi erano sporchi dello stesso identico grasso che macchiava la maglietta di Leo. Adesso era tutto chiaro. Era stato Leo a manomettere i pistoni del motore della nave, dopotutto lui era l’unico in grado di fare un lavoro del genere, lo aveva detto lui stesso. Hazel osservò Leo che sembrava aver finalmente chiuso gli occhi e non poté fare a meno di pensare che il suo comportamento era uguale in tutto e per tutto a quello di Penelope nell’Odissea, di girono tesseva la tela e di notte la disfava, solo che lui lo faceva inconsapevolmente. Hazel era certa che se fosse scesa in sala macchine avrebbe trovato i pistoni nuovamente smontati. Senza pensarci un momento di più, scoprì Leo e si gettò su di lui. Il ragazzo sobbalzò per la sorpresa ma Hazel capì dal suo sguardo che non era lucido. Hazel si domandò quale sarebbe stata la reazione degli altri quando avrebbero scoperto quanto era accaduto. Doveva assolutamente evitare che incolpassero Leo di voler mandare a monte la missione. Lei sola sapeva del suo sonnambulismo e doveva assolutamente trovare il modo di spiegare agli altri la verità senza che scoppiasse il finimondo. Per il momento, l’unica cosa che poteva fare era nascondere ogni prova di quanto era accaduto e capì di doversi sbarazzare di quella maglietta piena di grasso e ruggine. Hazel si fece coraggio e afferrò il bordo della t-shirt lurida sfilandola dalla testa di Leo. Lui non sembrava capire quanto stava accadendo perché era tranquillo e non sembrava per niente imbarazzato. Al contrario, Hazel era agitata, sentiva il cuore battere a mille e non era del tutto sicura che fosse per la paura di essere beccata. Aveva una cotta per Leo, questo lo sapeva bene, ma il fatto di doverlo spogliare mentre lui non si rendeva nemmeno conto di quanto stava accadendo la metteva a disagio. Se si fosse trovata al suo posto non l’avrebbe certo presa bene. Senza farsi ulteriori problemi aprì l’oblò e getto la maglia di Leo in mare. Quella t-shirt era troppo pericolosa, doveva sparire e ad Hazel non venne in mente un modo migliore di sbarazzarsene. Leo aveva osservato la scena senza capire cosa stava realmente accadendo, seduto sul letto a petto nudo e a gambe incrociate. Hazel l’osservò per un momento, era magro e minuto, l’esatto opposto di Frank, tuttavia provava nei suoi confronti un’enorme attrazione. La figlia di Plutone si morse il labbro inferiore ripensando a come sarebbe stato essere in camera con Leo se solo lui fosse stato in grado d’intendere e di volere. Scacciò ogni pensiero poco casto dalla mente e fece segno a Leo di stendersi. Lui obbedì senza proferire parola e Hazel prese a riordinare il pavimento. Il figlio di Efesto aveva così tanti arnesi che Hazel non sapeva più dove metterli, ci mise più di mezzora a sistemarli tutti nell’armadio, poi, distrutta, lanciò un ultimo sguardo a Leo passandosi una mano sulla fronte sudata ed uscì in corridoio sperando che il ragazzo non si alzasse più dal letto.
Hazel era esausta. Essendo una semidea era abituata a prendere parte ad avventure assurde ma mai si sarebbe aspettata di passare una notte a fare da balia al ragazzo che le piaceva in preda al sonnambulismo.

Angolo dell'autrice: Grazie mille per aver letto fino a qui. Ci tenevo a sottolineare che tutta la faccenda del sonnambulismo è vera. Ho un fratello sonnambulo e vi assicuro che si comporta esattamente così, cioè, non si infila nel letto delle ragazze, ma va in giro per casa con gli occhi aperti e si comporta come se fosse sveglio, in più se gli parli non ti risponde ma si limita a mugugnare qualcosa e la mattina dopo non si ricorda assolutamente nulla. Anche il fatto che non vadano svegliati è assolutamente vera. Loro pensano di essere svegli e si comportano come se lo fossero ma in realtà non è così, quindi  Leo avrebbe potuto tranquillamente manomettere i pistoni nonostante stesse dormendo. Ci tenevo a spiegare questa cosa perchè per chi non ha avuto esperienze di sonnambulismo posso capire che sembri un po' campata per aria. :-)

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Capitolo 12
*** Dubito ***


Angolo dell'autrice: Lettori eccomi! Non ero sparita, ero solo presissima, è stata una settimana molto intensa ma adesso sono tornata di nuovo operativa! Per farmi perdonare della lunga assenza pubblico un capitolo più lungo del solito e anche divertente! Come sempre l'ultima parola spetta a voi quindi mi aspetto una pioggia di commenti da parte vostra. :-) Grazie per la pazienza dimostrata e per il tempo che dedicate alla mia storia. Spero che questo capitolo possa piacervi e che abbiate voglia di commentarlo. Ora vi lascio alla lettura e vi ringrazio per avermi seguito fino a qui. Vi prometto che ora riprendo il solito ritmo di pubblicazione! Al prossimo capitolo :-)









Dubito
 



Il giorno successivo Percy trascorse metà della sua giornata al timone della Argo II e l’altra metà bussando alla porta di Annabeth nella speranza di chiarire la faccenda di Rachel, ma in cambio ricevette solo una serie d’insulti e di “adesso non posso”. L’unica che sembrava autorizzata a parlarle era Hazel. Percy l’aveva vista infilarsi nella cabina di Annabeth dopo pranzo e, dato che si rifiutava di origliare, non aveva la minima idea di cosa si fossero dette. Quello che sapeva è che erano state insieme una buona mezz’ora e che Hazel era uscita dalla cabina della figlia di Atena più serena di come ci era entrata, come se il solo entrare in quella stanza l’avesse liberata da un peso enorme.
Percy aveva un talento innato per cacciarsi nei guai, alla veneranda età di diciassette anni se ne era fatto una ragione. Quella sera si era appena convinto a fare un nuovo tentativo quando Jason uscì dalla sua cabina e lo afferrò improvvisamente per un braccio trascinandoselo dietro lungo il corridoio, il pugno ancora levato nel gesto di bussare.
“Ma che ti prende?” Domandò il figlio di Poseidone, scocciato.
“Ho bisogno del tuo aiuto!” Rispose Jason facendogli l’occhiolino.
“Del mio aiuto per cosa?” Sbuffò Percy mentre ripensava al fatto che Jason era ancora in debito con lui per avergli fatto da palo una volta, quindi al massimo era lui a poter richiedere il suoi aiuto per qualcosa, e non il contrario.
“Dobbiamo mettere Hedge fuori gioco per un po’”
Percy lo guardò accigliato. Possibile che il figlio di Giove avesse sempre bisogno del suo aiuto per sbarazzarsi di un vecchio satiro scorbutico?
“Fuori gioco? Che diamine vuol dire fuori gioco?” Brontolò Percy continuando a seguire Jason nel corridoio. “E poi cosa ti fa pensare che io abbia voglia di aiutarti?”
“È tutto il giorno che bussi alla porta di Annabeth in cambio d’insulti” lo canzonò Jason con un sorriso che metteva in evidenza la sua cicatrice.
Percy fece una smorfia e sbuffò contrariato. “E con questo?”
“Fidati, anche tu trarrai beneficio dal fatto che lui non sia in giro a fare la ronda per un po’…” spiegò Jason con un sorrisetto che era tutto un programma.
“Non sta facendo la ronda, è solo di guardia alla sala macchine… e comunque ti sbagli…” disse Percy incrociando le braccia al petto e fermandosi nel bel mezzo del corridoio. “Annabeth è arrabbiata con me quindi non…”
“Non è di sesso che sto parlando!” Lo interruppe il figlio di Giove fermandosi in prossimità delle scale che portavano al ponte più basso della nave.
“Ci siamo!” Esclamò facendo segno a Percy di avvicinarsi.
“Per tutti gli dei, si può sapere cosa hai intenzione di fare?” Disse Percy avvicinandosi più per curiosità che per dare una mano a Jason.
“Smettila di brontolare!” Lo riprese il biondo. “Frank e Leo ci stanno aspettando!”
“Frank e Leo?”
“Esatto!”
“Ma sono di turno al timone” osservò Percy che stava rinunciando a comprendere i piani del figlio di Giove.
“Infatti è proprio lì che li raggiungeremo” spiegò Jason scendendo i primi gradini delle scale.
“Ehi aspetta” protestò Percy. “Chi ti dice che io voglia venire, magari ho altre cose da fare…”
“Annabeth è incazzata con te, ergo stasera non te la da, quindi, a meno che tu non abbia intenzione di lavare i piatti tutta la sera, non hai niente da fare” disse Jason con un tono che a Percy suonava un po’ come una presa per i fondelli. Percy non disse nulla, era troppo impegnato a domandarsi come facesse Jason a sapere della sua litigata con Annabeth. Forse Frank si era lasciato sfuggire qualcosa.
“Ho indetto una serata uomini, e, a meno che tu non ti senta troppo poco uomo per farne parte, sei obbligato a partecipare!” Il tono di Jason suonava come una sfida e Percy la colse come tale.
“Dimmi cosa diavolo dobbiamo fare!” Disse il figlio di Poseidone raggiungendo l’altro sulle scale e osservando Hedge che, ignaro di tutto, faceva avanti e indietro davanti alla porta della sala macchine canticchiando una versione porno della sigla dei Pokemon.
“Finalmente!” Esclamò Jason allargando le braccia. “Il piano è questo: prendiamo Hedge e lo chiudiamo dentro all’infermeria.”
“Perché proprio dentro all’infermeria?”
“Preferisci chiuderlo nella dispensa insieme alle nostre scorte?” Domandò Jason un sopracciglio inarcato e un ghigno sarcastico dipinto in volto.
“In effetti no” convenne Percy.
“Allora muoviamoci, al mio tre” così dicendo cominciò a contare sollevando le dita della mano destra. Un attimo dopo i due semidei si lanciarono giù per le scale e piombarono su Hedge come se dovessero braccare un cinghiale. Percy gli si lanciò sopra di peso schiacciandolo a terra e bloccandogli le corna con le mani, mentre Jason gli legava insieme gli zoccoli stando bene attento a non prendersi un calcio in faccia.
“Disgraziati!” Ruggiva Hedge cercando di divincolarsi dalla presa di Percy. “Io mi faccio in quattro per proteggervi e voi in cambio mi legate come un salame!”
“Mi rincresce coach” disse Jason alzandosi e facendo segno a Percy di fare lo stesso, “ma è necessario… dopotutto siamo dei ragazzi con un sacco di problemi.” Lo derise Jason mentre insieme a Percy lo spingeva a forza verso l’infermeria.
“Ingrati!” Sbraitò lui.
“La veniamo a riprendere tra qualche ora” lo rassicurò Jason mentre uscivano dall’infermeria asciugandosi il sudore dalla fronte.
Percy richiuse la porta con un colpo secco e Jason fece scattare il chiavistello.
“Grace, Jackson! Questa me la pagherete cara!”
“A più tardi coach” salutò Jason avviandosi verso le scale con Percy che lo seguiva come un’ombra.
“Raggiungi gli altri sul ponte, io arrivo subito.” Disse Jason.
“Non è che mi hai reso complice di questo sequestro solo perché vuoi imboscarti con Piper e adesso mi stai liquidando?” Chiese Percy sospettoso.
Jason sbuffò. “Naaa, Piper ha il ciclo ed è intrattabile e poi ti ho già detto che si tratta di una serata uomini!”
Percy alzò le spalle e sospirò, se non altro non avrebbe dovuto sentire le canzoni indecenti del coach per un po’.
“Ci vediamo su tra un minuto” aggiunse Jason diretto verso la sua cabina.
Percy non si fece altre domande e raggiunse il ponte superiore dove trovò Frank e Leo alle prese con una grossa rete.
Leo si arrampicò sull’albero maestro e cominciò a tendere la rete tra i due alberi formando una sorta di amaca gigante.
“Wow” esclamò Percy non appena comprese la genialità dell’amico.
“La nostra amaca gigante è finalmente pronta!” Annunciò Leo lasciandocisi cadere a peso morto seguito da Frank che si avvicinò alla rete un po’ titubante, evidentemente turbato dal suo peso.
“Avanti Percy, vieni su!” Lo invitò Leo scrutandolo dall’alto.
Il figlio di Poseidone non se lo fece ripetere due volte. In un attimo scalò metà dell’albero maestro raggiungendo gli amici sulla mega amaca. Percy si sdraiò a pancia in su e vide Jason emergere dal boccaporto di prua brandendo una sorta di cofanetto in legno. Il figlio di Giove scalò abilmente l’albero maestro e si unì agli amici prendendo posto al centro dell’amaca.
Percy osservò il piccolo cofanetto domandandosi cosa potesse contenere. Sua madre aveva una cosa simile in cui teneva i suoi gioielli, ma dubitava fortemente che Jason lo usasse per lo stesso scopo.
A un tratto Leo prese ad armeggiare con la sua cintura degli attrezzi e ne tirò fuori un vecchio mazzo di carte.
“Poker?” Chiese con un sorrisetto furbo.
Jason fece una smorfia come se ci stesse pensando, ma Percy intervenne interrompendo le sue riflessioni. “Non ha senso giocare a poker senza soldi!” I tre si voltarono a guardarlo come se fosse mezzo matto. “Giochi d’azzardo?” Domandò Frank, gli occhi fuori dalle orbite. “Ma certo che no” lo rassicuro Percy per poi aggiungere: “Beh a scuola è capitato, e sono anche stato sospeso un paio di volte per questo, ma è una vecchia storia e comunque non sono mai andato a Las Vegas a fare tornei o robe simili se è questo che vi state chiedendo”.
“Sì, in effetti me lo stavo chiedendo” commentò Leo giocherellando con il mazzo di carte.
“Forse è meglio cambiare gioco” intervenne Jason. “Non voglio dover accompagnare Percy in uno di quei centri dove recuperano le persone con problemi legati al gioco d’azzardo.”
“Già” convenne Leo. “Se gli tornasse la febbre del gioco per colpa nostra Annabeth non ce lo perdonerebbe mai.” Tutti risero compreso Percy che ci tenne a precisare che non aveva mai avuto la febbre del gioco, si era trattato solo di qualche partita al liceo che era poi sfociata in rissa e per la quale era stato sospeso. Cose ordinarie insomma.
“Scopa?” Domandò Percy.
“Sempre a scopare pensi!” Lo canzonò Jason, Frank e Leo che ridevano come due idioti. Percy scosse la testa e si mise a ridere domandandosi come sarebbe andata a finire quella serata.
“E poi Leo non ha esperienza” aggiunse Jason che sembrava parecchio su di giri.
“Ehi!” protestò il figlio di Efesto toccato sul vivo.
“Ok, ok, ho un’idea migliore” la voce di Jason interruppe il coro di risate e tutti si misero in ascolto.
“Conoscete il gioco che si chiama ‘dubito’?” chiese prendendo il mazzo dalle mani di Leo e cominciando a mescolare le carte con maestria.
Tutti annuirono con scarso entusiasmo ma fu Frank a dar voce ai pensieri di tutti. “Certo che lo conosciamo, ma dopo un po’ è noioso!”
“Non se mentre giochi fumi un po’ di questa” spiegò Jason aprendo il cofanetto ed estraendone una bustina dal contenuto verdognolo.
“Adesso ho capito perché volevi mettere Hedge fuori gioco” commentò Percy osservando la bustina. “Se ci becca siamo tutti morti.”
“Non ci beccherà!” Esclamò Jason.
“A proposito di Hedge… dove l’avete messo?” Chiese Leo.
“In infermeria.” Spiegò Percy con un’alzata di spalle.
“Già! Ma non ci starà per sempre quindi adesso ditemi… giochiamo o pure no?” Domandò Jason agitando la piccola busta davanti agli occhi degli amici.
Frank, Leo e Percy si scambiarono un’occhiata e finirono per annuire facendo sorridere Jason.
Jason affidò le carte a Frank che le distribuì tutte ai quattro giocatori mentre lui armeggiava con cartine e filtri.
“Tutti scandalizzati per qualche partita poker, poi il figlio di Giove tira fuori l’erba e nessuno dice niente!” commentò Percy mentre disponeva le sue carte a ventaglio per vederle meglio.
“Forse perché sotto sotto siete tutti contenti.” Disse Jason con un ghigno mentre inumidiva il bordo della cartina con la lingua.
“Come fai ad avere dell’erba a bordo di una nave?” Chiese Leo accigliato.
“Ho fatto rifornimento a Nuova Roma” spiegò Jason con un’alzata di spalle.
“Siamo stati a Nuova Roma meno di un’ora e sei riuscito a procurartela?” Frank roteò gli occhi incredulo.
“Vogliamo giocare o preferite farmi il terzo grado? Percy tocca a te” disse Jason incitandolo a cominciare la partita.
Percy aveva giocato a quel gioco abbastanza da sapere che lo scopo era quello di rimanere senza carte prima degli altri giocatori e sapeva anche che non era troppo saggio mentire al primo giro. Osservò con attenzione le proprie carte e giocò l’unico asso che aveva a disposizione mettendolo coperto al centro dell’amaca e dichiarando: “Un asso.”
Jason osservò la carta per un po’, poi sembrò decidere di fidarsi della dichiarazione di Percy e aggiunse due carte al piatto dichiarando a gran voce: “Due due.”
Leo non dubitò nemmeno un momento, afferrò una carta delle sue e la lanciò nel mucchio gridando: “Un tre!”
Frank gli scoccò un’occhiataccia, come se non fosse del tutto convinto che Leo avesse effettivamente giocato un tre. All’ultimo decise di passarci sopra e gridò “tre quattro!” aggiungendo tre carte al mucchio nel centro dell’amaca.
“Raccontalo a qualcun altro!” lo canzonò Percy ruotando le tre carte e rivelando due quattro e una donna.
“Devi dire dubito!” Lo rimproverò Leo.
“Cosa te ne importa? L’importante è che ho sgamato Zang che ha cercato di farci fessi.” Protestò Percy rifilando tutte le carte del piatto a Frank che le riordinò di malavoglia.
“Due cinque!” Dichiarò Percy estraendo due carte dal mazzo.
“Vai a cagare!” Ridacchiò Jason voltando le due carte e rivelando un tre e un sette che prontamente rimise in mano a Percy.
“Devi dire dubito non vai a cagare!” Precisò Leo che sembrava tenerci molto alle regole. Il figlio di Giove accese la canna che fino a quel momento aveva tenuto su una coscia e fece il primo tiro.
“E invece dico tre sei!” Annunciò lanciando tre carte al centro.
“Dubito!” Urlò Leo felice di poter contestare la dichiarazione dell’amico. Il figlio di Efesto svelò le carte che si rivelarono essere esattamente tre sei come aveva dichiarato Jason un istante prima.
“E bravo Leo!” Esclamò il figlio di Giove rifilando una pacca sulla spalla a Leo e consegnandogli le tre carte.
“Due sette!” Disse Leo mentre Jason passava la canna a Percy che aspirò profondamente.
Frank non voleva rischiare di prendersi altre carte quindi non osò dubitare della dichiarazione di Leo e mise due carte sul piatto dicendo: “due otto”.
Percy ci pensò su un po’ poi decise che Frank poteva aver detto la verità quindi proseguì il giro dicendo: “un nove” mentre passava la canna a Frank che fece un tiro breve e la passò subito a Leo.
“Io dico due dieci.” Annunciò Jason mentre Leo cominciava a tossire subito dopo aver fatto il primo tiro.
“Un Jack” riuscì a dire tra un colpo di tosse e l’altro.
“Una donna” disse Frank
“Tre Re!” Annunciò Percy mentre Leo gli ripassava la canna.
“Sì certo” lo prese in giro Jason che ruotò le carte e vide esattamente tre re come annunciato dal figlio di Poseidone. “Dannazione!” Commentò mentre Percy rideva e gli ripassava la canna che era quasi finita.
“Due assi” disse Jason gettando le carte al centro facendo l’ultimo tiro per poi spegnere il mozzicone contro l’albero maestro.
“Tre due!” Urlò Leo su di giri.
“Dubito!” Gridò Frank sicuro che l’amico mentisse.
“E fai male, caro il mio Zang!” Ghignò Leo che gongolava mentre Frank recuperava le carte e le sistemava nel mazzo.
“Frank sei un disastro a questo gioco… lasciatelo dire!” Lo canzonò Percy mentre Jason rollava la seconda canna.
“Tre tre” disse Frank svogliato. “Odio questo gioco.”
Percy decise che Frank aveva così tante carte in mano da poter tranquillamente avere in mano tre tre, perciò non dubitò e passò oltre.
“Due quattro.”
“Non ci credo!” Sbottò Jason ribaltando le carte che non erano neanche lontanamente due quattro. “Perché dubiti sempre di me?” lamentò Percy riprendendosi le sue carte mentre Jason accendeva la seconda canna e la offriva a Frank. “No grazie, sono a posto.” Disse lui rifiutando l’offerta.
“Un cinque.” Disse Jason facendo fumare Leo che prese a tossire di nuovo e disse a fatica: “Un sei.” Jason face un tiro e la passò a Percy che aspirò mentre rifletteva sulla prossima mossa da fare. Intanto Frank dichiarava un sette.
“Si ma così non è diverte state giocando tutti una carta alla volta” lamentò Percy facendo un tiro un po’ più forte che gli raspò la gola. “Per esempio” disse mentre consegnava la canna a Jason, “io dico: un po’ di otto.” E così dicendo riversò cinque carte coperte al centro del piatto e guardò Jason con aria di sfida.
“Avanti” lo provocò, “prova a dubitare…”
“Certo che dubito” esclamò Jason scoppiando a ridere. “Non possono esserci cinque otto nel mazzo!” Disse svelando le cinque carte che Percy aveva gettato nel mucchio. “Sei proprio un coglione.”
In un'altra situazione Percy se la sarebbe presa per quell’insulto ma in quel momento si stavano divertendo e non aveva nessuna intenzione di rovinare l’atmosfera. Si lasciò cadere all’indietro mentre Jason continuava ad offrire da fumare a Leo e Frank che rifiutarono scuotendo la testa.
“Percy, mi sa che tocca a noi finirla.” Annunciò ridendo mentre guardava le carte e pensava a cosa doveva fare. “A che numero siamo arrivati?” Domandò a Leo che aveva gli occhi visibilmente rossi.
“Dovresti saperlo, e se sbagli ti becchi le carte.” Lo mise in guardia.
“Percy a che numero siamo arrivati?” Chiese Jason mettendogli in mano il mozzicone e guardando nuovamente le carte.
“Non lo so” ammise Percy che non riusciva a smettere di ridere.
“Va beh, io mi butto!” Gridò Jason prendendo due carte a caso e spacciandole per due nove che mise nel mucchio, scoperte.
“Sei un imbecille!” Lo canzonò Percy che stava fumando da sdraiato per combattere i giramenti di testa. “Sarebbe stato credibile se solo le avessi messe coperte.” Insieme scoppiarono a ridere mentre Percy faceva fare a Jason l’ultimo tiro.
“La situazione sta degenerando… non penso che questa partita avrà una fine.” Disse Frank guardando Jason e Percy che erano entrambi sdraiati a pancia in su con le carte in bella mostra e un sorriso ebete stampato in faccia.
“Tre dieci” disse Percy gettando carte a caso.
“Non tocca a te!” Lo riprese Leo ridendo.
“Senza offesa, ma non mi sembrate in grado di concludere la partita.” Disse Frank che era indubbiamente il più lucido dei quattro.
“Ok, allora cambiamo gioco…” Disse Jason sforzandosi di rimanere serio.
“Ma è possibile che su questa nave non si riesca a finire mai un gioco?” Brontolò Leo ribaltandosi sulla rete e finendo gambe all’aria.
Frank osservò gli amici e cominciò a stilare mentalmente una classifica delle loro condizioni. “Basta carte per stasera, che ne dite di obbligo, verità o giudizio?” Propose Leo che era riuscito a rimettersi seduto.
“Verità!” Sbiascicò Percy da sdraiato.
“Molto bene” disse Jason cercando di mettersi seduto.
“No, no, molto bene niente.” Intervenne Leo. “Sono io che devo fargli la domanda.”
“Uffa” protestò Jason. “Dai fagli la tua domanda” lo incalzò, “poi gli farò la mia!”
“Ehi, ehi, com’è che volete farmi tutte queste domande?” Scherzò Percy appoggiando la schiena all’albero maestro alla ricerca di un equilibrio.
“Da quante scuole sei stato espulso?” Chiese Leo tentando di alzarsi in piedi sulla rete dell’amaca.
“Ma che domanda è?” disse Frank curioso di conoscere qualche particolare decisamente più piccante.
Percy piegò la testa all’indietro e ci pensò su. “Valgono gli oratori estivi?” domandò ad occhi chiusi.
Leo alzò le spalle e poi si limitò a dire: “Direi di sì!”
“Allora dodici, credo, onestamente non mi ricordo” disse dopo una breve riflessione. Seguì un silenzio imbarazzante, nessuno si aspettava un numero così alto.
“Ok, adesso faccio la mia a Percy.”
“Ma perché sempre io?” Domandò il figlio di Poseidone fissando Jason.
“Zitto e ascolta la mia domanda.”
Percy alzò le spalle e rimase in attesa.
“Nel periodo in cui sei stato al Campo di Giove… ti sei fatto Reyna?”
Percy trasalì. “Che cosa?”
“Dai, non fare l’imbecille, hai capito bene, la conosco abbastanza da sapere che sei il suo tipo. Te la sei fatta o no?”
“No!” Esclamò Percy. Jason non sembrò soddisfatto della risposta, così indagò più a fondo.
“E non ci ha nemmeno provato?”
“Si, io credo che l’abbia fatto” ammise Percy.
“E perché non ci sei stato?”
“Che domanda è? Stavo con Annabeth!” Esclamò stizzito. “A proposito di Annabeth, penso che andrò da lei.”
“Non credo che sia la cosa più intelligente da fare.” Disse Frank mentre Leo rotolava sulla rete come un imbecille.
“Perché?” Chiese Percy ingenuamente.
“Perché lei è arrabbiata con te e tu hai fumato parecchio, questo connubio è pericoloso, non credi?” Disse Jason che sembrava aver ritrovato un barlume di lucidità.
“Mi è quasi passata” mentì Percy mentre cominciava a domandarsi come avrebbe fatto a scendere dall’amaca senza rompersi l’osso del collo.
Dopo dieci minuti, il figlio di Poseidone riuscì a rimettere i piedi a terra e si avviò verso la cabina di Annabeth.
“Prevedo un disastro” fu l’unica cosa che Frank riuscì a dire mentre, insieme a Jason, osservava Percy allontanarsi lungo il ponte.

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Capitolo 13
*** Acqua e fuoco ***


Angolo dell'autrice: A voi il capitolo numero 13, caspita ho già scritto così tanti capitoli? Ovviamente non posso che esserne contenta e spero che lo sarete anche voi a fine lettura, non aggiungo altro! :-) Come sempre non posso che ringraziarvi per il successo che sta ottenendo la storia... è merito vostro non mio! Grazie mille a tutti coloro che hanno lasciato un commento e grazie anche a coloro che stanno seguendo la storia in silenzio :-) Vi lascio alla lettura del capitolo che spero non vi deluda.
Un grande abbraccio :-)






Acqua e fuoco

 
 
Quando Percy raggiunse la cabina di Annabeth notò con piacere che la testa aveva smesso di vorticargli, ciononostante si sentiva ancora parecchio su di giri. Bussò maldestramente alla porta e l’aprì senza aspettare il permesso.
La stanza era illuminata da una luce fioca proveniente dalla piccola lampada che sovrastava le scartoffie che Annabeth stava analizzando sulla scrivania accanto al letto.
“Non mi pareva di aver detto avanti” commentò lei indispettita osservando Percy che sostava sull’uscio, l’aspetto scompigliato e la faccia un po’ stanca.
“Lo so” ammise lui storcendo la bocca mentre si passava una mano tra i capelli. “È che pensavo che ti fosse passata” spiegò richiudendosi la porta alle spalle.
“Beh, pensavi male… adesso puoi anche andartene!” Così dicendo Annabeth si voltò e tornò a lavorare freneticamente sul portatile di Dedalo.
Com’era solito fare fin da bambino, Percy fece l’esatto contrario di ciò che gli si chiedeva. Invece che abbandonare la stanza chiuse a chiave la porta e fece un passo verso Annabeth.
“Ti ho appena chiesto di andartene o sbaglio?” Domandò lei sforzandosi di mantenere un tono scontroso, cosa piuttosto difficile dal momento che sentiva le viscere ribollire e il cuore accelerare i battiti. L’idea di essere chiusa in cabina con Percy non era poi così male, soprattutto dopo quello che era successo l’ultima volta che si erano trovati chiusi soli in quella stanza. Quel pensiero le fece abbassare la guardia, così si trovò del tutto impreparata quando Percy unì le loro labbra cingendole i fianchi. La sua stretta era salda e le sue labbra erano calde e morbide e questo contribuì ad annebbiare i pensieri di Annabeth. La voce di Rachel le ronzava ancora nella testa, ma quando Percy dischiuse le labbra alla ricerca della sua lingua non ci mise molto a scacciarla del tutto. Annabeth lasciò che il suo ragazzo approfondisse il bacio, convinta del fatto che sarebbe potuta tornare ad essere arrabbiata con lui più tardi. Fu un bacio strano, sicuramente diverso da tutti quelli che si erano dati fino a quel momento. Tanto per cominciare Percy sembrava aver dimenticato le buone maniere, aveva più fretta del solito, e poi, mentre le loro lingue s’intrecciavano, notò che aveva un sapore strano. Sebbene Annabeth avesse il fiato corto e fosse completamente presa dalla situazione, spegnere il cervello le risultava comunque difficile, dopotutto era pur sempre una figlia di Atena. Mentre continuava a domandarsi cosa ci fosse d’insolito nel suo ragazzo, lui la spintonò bruscamente fino alla scrivania baciandola ovunque. Annabeth sentì il legno della scrivania che le urtava la parte bassa della schiena e si lasciò sfuggire un gemito di dolore. Un attimo dopo fu costretta a piegarsi sotto il peso di Percy che la sovrastava mentre si toglieva la maglietta. In meno di un minuto si ritrovò sdraiata sulla scrivania in mezzo alle sue stesse scartoffie e notò con orrore che il portatile di Dedalo era in bilico sull’angolo del tavolo.
“Percy” mugugnò allungando una mano in direzione del portatile. “Percy, aspetta un momento” lo pregò prendendogli la testa tra le mani e mostrandogli quanto stava per accadere. Il figlio di Poseidone si scostò di malavoglia permettendo ad Annabeth di riporre nel cassetto il portatile, poi, senza troppe smancerie le saltò nuovamente addosso.
Annabeth sentì Percy sollevarle la maglietta mentre la baciava sul collo provocandole un brivido incontrollabile che la percorse da capo a piedi. Con uno slancio poco aggraziato, Percy salì sul tavolo facendo un gran fracasso e lei fu costretta a pregarlo di fare più piano mentre tutti i suoi appunti sul Marchio di Atena finivano a terra.
“Ho lavorato tutta la notte a quegli appunti!” Esclamò Annabeth lanciandogli quella che avrebbe dovuto essere un’occhiataccia, ma che sotto l’effetto dei baci di lui si trasformò in uno sguardo tutt’altro che intimidatorio.
“Mi dispiace” si scusò lui sfilandole la maglietta e gettandola sopra i fogli che ricoprivano il pavimento.
“Non è vero” protestò Annabeth puntellandosi sui gomiti, “non ti dispiace per niente!” aggiunse in un sussurro mentre i loro nasi si sfioravano.
“Hai ragione” ammise Percy con uno sbuffo poggiando la propria fronte a quella di lei, “anzi, ad essere sincero sono anche un po’ geloso di quegli appunti…”
“Geloso?” domandò Annabeth incapace di trattenere una risata.
“Dopotutto hai passato la notte con loro e non con me!” spiegò il figlio di Poseidone facendo aderire i loro corpi che cozzarono contro la lampada che oscillò pericolosamente sul bordo del tavolo. In quel momento la luce investì per un attimo gli occhi di Percy e Annabeth notò qualcosa di strano. Schivando l’ennesimo bacio afferrò la lampada e la puntò dritta in faccia al ragazzo che imprecò.
“Ma che fai?” Domandò stendendo le braccia e voltando la faccia per evitare il fastidioso raggio di luce. Annabeth scosse la testa, cercando di non farsi distrarre dai sui muscoli che si tendevano per sostenere il peso del corpo.
“Apri gli occhi!” Ordinò Annabeth ancora sdraiata sotto di lui.
“Volentieri, ma prima toglimi quella luce dalla faccia… mi stai accecando.”
Annabeth ruotò leggermente la lampada riducendo il fascio di luce che investiva Percy, e lui riuscì finalmente a riaprire gli occhi. Adesso che lo vedeva alla luce le era tutto chiaro. Gli occhi verde mare di Percy non erano limpidi come al solito, erano lievemente gonfi e le sue iridi erano circondate da un rossore diffuso che non gli conferiva certo un bell’aspetto. Percy fece per baciarla di nuovo ma lei lo bloccò poggiandogli le mani sul petto e domandando: “Hai fumato?”
Percy trasalì infastidito dall’ennesima interruzione.
“Può darsi” mugugno tentando di baciarle l’incavo del collo.
“Può darsi vuol dire sì!” Disse Annabeth allontanandolo nuovamente per guardarlo in faccia, nonostante le mani che premevano sul petto tonico di lui fossero bramose di altro.
“Può darsi vuol dire può darsi!” Precisò Percy annullando la distanza che separava i loro corpi.
“I tuoi occhi parlano chiaro e anche il sapore che ho sentito baciandoti!” Sibilò Annabeth all’orecchio di Percy che più che darle retta sembrava impegnato in una lotta con la chiusura del reggiseno.
“Comunque” esordì lui sollevando la testa e scrutando attentamente gli occhi grigi della figlia di Atena, “anche i tuoi occhi parlano chiaro… e mi dicono che in questo momento desideri di più di una stupida conversazione sulle sostanze che posso o non posso aver assunto.”
Annabeth strabuzzò gli occhi, incredula. La frase che Percy aveva appena pronunciato non faceva altro che confermare i suoi sospetti, ma non ebbe tempo di rifletterci di più perché Percy la sollevò di peso e la mise seduta sul tavolo con le spalle muro. Annabeth si sforzò di trattenere un gemito. Cominciava a sentirsi accaldata e continuare ad essere arrabbiata con Percy le risultava sempre più difficile.
Lui scese dal tavolo barcollando e finì di spogliarsi, poi prese ad armeggiare con i jeans di Annabeth che in breve tempo finirono sul pavimento insieme al resto dei vestiti.
“Questa storia che mi metti sempre con le spalle al muro deve finire!” Sghignazzò Annabeth che aveva definitivamente smesso di opporre resistenza.
“Devo assicurarmi che tu non possa sfuggirmi” si giustificò lui mentre le afferrava i fianchi e la tirava verso di sé facendo combaciare i loro bacini.
“Aspetta” lo implorò Annabeth che aveva capito quanto stava per accadere. “Apri il cassetto”
“Dopo” disse lui riducendo la distanza che li separava.
“No, adesso!” Insistette lei che non aveva più voglia di aspettare.
Percy obbedì e Annabeth ne estrasse una bustina che gli mise in mano. “Ce la fai a metterlo da solo?”
Percy scrutò la bustina nella penombra e fece una smorfia quando capì cosa aveva tra le mani, poi l’aprì sbuffando.
“È inutile che sbuffi” lo rimproverò lei, il cui desiderio era ormai ingestibile. “E vedi di sbrigarti perché comincio ad essere impaziente!”
Percy ubbidì. La testa aveva ripreso a vorticargli, probabilmente a causa della foga del momento e del sangue che si era trasferito ai piani bassi.
Annabeth era ancora seduta sul tavolo, mentre lui in piedi la allietava stringendola a se.
“Ehi” sussurrò Annabeth nel bel mezzo dell’amplesso, “cosa stai guardando?”
“Il mare” rispose Percy con aria trasognata riportando di nuovo gli occhi sulla sua ragazza. Annabeth gettò un’occhiata alle sue spalle dove l’oblò della cabina mostrava un meraviglioso mare che rifletteva la luce delle stelle.
“Anch’io voglio guardare il mare mentre facciamo l’amore.” Sussurrò a un palmo dal suo naso.
“Allora voltati” le suggerì in un bisbiglio. Annabeth seguì il suo consiglio e si rigirò appoggiandosi al tavolo con i gomiti, poi lasciò che Percy le si avvicinasse di nuovo baciandola sul collo mentre, incantata, osservava i giochi di luce che solo un mare sovrastato da un cielo stellato è in grado di regalare.
 
A pochi metri di distanza, Hazel camminava nervosamente avanti e indietro davanti alla cabina di Leo. Emise un profondo respiro e si decise a bussare solo dopo essersi assicurata che nessuno fosse nei paraggi.
Sentì Leo mugugnare qualcosa che assomigliava ad avanti, quindi si fece coraggio ed abbassò la maniglia della porta. La stanza di Leo era disordinata come l’ultima volta in cui Hazel ci aveva messo piede e sentì un tuffo al cuore nel momento in cui incrociò lo sguardo del figlio di Efesto che le sorrideva dall’altra parte della cabina. Hazel cercò di controllare il rossore che improvvisamente le fece avvampare le guance, poi, con voce tremate si decise a salutare l’amico.
“Ciao” balbettò sperando che Leo non percepisse il suo timore.
“Non riesci proprio a starmi lontana eh?” Scherzò Leo facendole cenno di avvicinarsi. Hazel tentennò, non era poi tanto sicura di quello che sarebbe successo se avesse ridotto la distanza che li divideva. “Avanti” la spronò, “non mordo mica!”
Forse non morderai, si disse Hazel, ma non hai idea di quello che combini quando sei sonnambulo.
“Ehi” la voce di Leo la fece trasalire. “Il Capitano della Argo II chiama Hazel!”
La figlia di Plutone rise cercando di riprendersi dal torpore che l’aveva assalita dal momento in cui aveva messo piede in quella stanza.
“Ancora con questa storia del Capitano?” Domandò Hazel cercando di stemperare la tensione.
“Non è una storia!” Protestò il figlio di Efesto. “È la verità! Chi altri potrebbe essere?”
“Va bene, va bene” si arrese Hazel, “non sono qui per mettere in discussione la gerarchia di questa nave.”
“Giusto!” Esclamò Leo. “E dunque, perché sei qui?”
Bella domanda, si disse Hazel. Per quale assurda ragione si trovava nella cabina di Leo? Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei. Il cuore le martellava nel petto e aveva la sensazione che più a lungo sarebbe rimasta in quella cabina, peggio si sarebbero messe le cose. Fortunatamente Leo intervenne ponendo fine a quel silenzio imbarazzante.
“Quello che indossi è il mio fermaglio?” Domandò avvicinandosi e scostandole una ciocca di capelli per vedere meglio il piccolo oggetto.
Hazel sentì la mano di Leo sfiorarle la guancia nel gesto di scostarle i capelli e s’irrigidì bruscamente.
“Si, mi piace molto” ammise la figlia di Plutone cercando di controllare il suo battito.
Leo sorrise e Hazel si sentì sciogliere.
“Sono contento, ti sta proprio bene, mentre lo intagliavo me lo immaginavo su di te, penso sia per questo che mi è riuscito così bene.” Spiegò Leo spostandole un’altra ciocca dietro l’orecchio. Hazel sentì un tuffo al cuore e capì di trovarsi al punto di non ritorno. Perché diavolo si era infilata nella cabina di Leo?
“Ascolta” tagliò corto lei decisa a non abbassare ulteriormente la guardia. Leo si mise in ascolto smettendo di torturare i capelli di Hazel che tirò un sospiro di sollievo. “C’è una cosa di cui devo parlarti… una cosa che non sa nessun altro ma che penso tu debba sapere…” fece una pausa in cui pensò a quale fosse il modo migliore per rivelargli che era stato proprio lui a manomettere i motori della nave ma Leo intervenne cogliendola di sorpresa. “So quello che vuoi dirmi…” e così dicendo Leo posò le sue labbra su quelle di Hazel che chiuse gli occhi e smise di farsi qualunque domanda. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa per quanto stava accadendo, ma sapeva di aver fatto una precisa scelta nel momento in cui aveva bussato a quella porta e adesso non poteva più tornare indietro.
 
Sul ponte superiore erano rimasti solo Frank e Jason, quest’ultimo non aveva ancora smaltito del tutto gli effetti della “serata uomini” e Frank cominciava ad essere stufo di sentirlo blaterare cose senza senso.
“Grande invenzione i pop-corn” biascicò il figlio di Giove osservandone uno come se non lo avesse mai visto prima. Frank alzò gli occhi al cielo. “Dovrebbero farli un po’ più grossi però… sarebbero più soddisfacenti, non credi?” Domandò all’amico che se ne stava al timone scuotendo la testa, sconsolato.
“Come no” commentò con scarso entusiasmo mentre Jason apriva la terza confezione di pop-corn.
“Sei silenzioso stasera” osservò Jason senza staccare gli occhi dal sacchetto.
“Non sono io che sono silenzioso, sei tu che non stai zitto un secondo!” Lamentò Frank maledicendo Percy e Leo per averlo lasciato solo con lui.
“Tu credi?”
“Si!”
“E cos’altro pensi?” chiese Jason mettendosi a sedere incuriosito da quella conversazione.
“Penso che ti verrà un gran mal di pancia se continui a mangiare i pop-corn!” 

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Capitolo 14
*** Postumi ***


Angolo dell'autrice: Ok, il capitolo è pronto... non fate troppo caso alle date, come avrete capito sto allungando il viaggio dei ragazzi per poter prolungare un po' la storia e far succedere più cose, quindi sappiate che da questo punto di vista mi sto distaccando un po' dalla storia originale. Spero non mi odierete per questo! :-) Godetevi il capitolo e se vi va lasciatemi un commento! Nel frattempo vi ringrazio per avermi seguito fino a qui!





Postumi

 
 
Come Frank aveva saggiamente intuito, a distanza di un’ora Jason si ritrovò chiuso in bagno a rimettere pop-corn insultandosi per averne ingeriti così tanti, la fronte imperlata di sudore e lo stomaco completamente sottosopra. Il figlio di Giove si accasciò vicino al water appoggiando la guancia sinistra alle piastrelle del bagno. Erano fresche e il contatto con quella superficie gli donò un po’ di sollievo, almeno fin quando non ripensò ai pop-corn e sentì lo stomaco ribaltarsi di nuovo mentre un sapore acido gli invadeva la bocca.
In quel momento sentì la porta del bagno aprirsi e vide Leo entrare trafelato, i capelli più scompigliati del solito. Il figlio di Efesto raggiunse il lavandino e si guardò allo specchio incredulo, poi aprì il rubinetto e cominciò a gettarsi l’acqua in faccia come per svegliarsi da un brutto sogno.
Jason osservava la scena con la testa reclinata leggermente all’indietro contro il muro, i capelli biondi appiccicati alla fronte sudata, la bocca dischiusa in un’espressione sofferente e le mani strette allo stomaco dolente. Si sentiva talmente debole da non riuscire nemmeno a far percepire la sua presenza all’amico.
“Ehilà” mugugnò sperando che Leo lo sentisse nonostante avesse appena infilato tutta la testa sotto il getto del lavandino.
“Leo!” Tentò di nuovo alzando la voce per farsi sentire.
Il figlio di Efesto sollevò la testa di scatto e si guardò alle spalle mentre i capelli fradici grondavano allagando il pavimento.
“Jason” disse Leo fissando l’amico e il suo aspetto malconcio. “Cosa ci fai seduto per terra in bagno?”
“Una festa” rispose Jason sarcastico alzando gli occhi al cielo per poi aggiungere: “cosa vuoi che faccia?”
“Non hai proprio un bell’aspetto amico, lasciatelo dire” commentò Leo cercando di riordinarsi i capelli bagnati.
“Ma non mi dire” disse Jason roteando gli occhi.
“Senti Jason…” cominciò Leo mettendosi a sedere di fronte all’amico. “So che non siamo nel posto più adatto per fare certi discorsi…” continuò appoggiandosi con un gomito alla tazza del water.
“Ecco appunto” s’intromise Jason che non aveva né la forza né la voglia di stare ad ascoltare Leo e le sue paturnie.
“Il fatto è che…” ricominciò lui per poi fare una pausa in cui si guardò intorno circospetto annusando l’aria, “ma che cos’è questa puzza terribile?”
Jason alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta. “Per tutti gli dei, Leo, nel caso in cui tu non te ne fossi ancora accorto… sto male! Ho vomitato già due volte, adesso capisci cosa ci faccio in bagno?”
Leo rimase interdetto per un momento, poi guardò il water a cui si era appoggiato e poi di nuovo Jason.
“Oh, si, capisco” disse con voce un po’ abbacchiata e Jason si convinse che forse dopo quella confessione Leo si sarebbe deciso a lasciarlo solo, ma ovviamente si sbagliava.
“Come ti stavo dicendo…”
“Leo, ti prego, lasciami in pace, ne parliamo domani, te lo prometto. Adesso però vai via perché credo che vomiterò di nuovo…” Spiegò concentrandosi sui movimenti del suo stomaco.
“Ho baciato Hazel!” Ammise Leo abbandonando la testa contro il muro in preda alla disperazione, mentre Jason si lanciava verso la tazza del water per vomitare.
Leo scattò in piedi per sorreggere la testa di Jason ma non rinunciò alla conversazione che aveva iniziato poco prima. “Non sarà bella come Piper ma non mi sembra un buon motivo per vomitare!” scherzò il figlio di Efesto mentre Jason dava fondo a tutto quello che aveva nello stomaco.
“Sei un idiota!” commentò Jason appena fu nuovamente in grado di parlare.
“Ehi, ma sono pop-corn quelli?”
“Basta!” Gemette il figlio di Giove che non voleva più pensare a quei dannati pop-corn.
“Va meglio?” domandò Leo avviando lo scarico.
“Sì, grazie” rispose Jason abbozzando un sorriso. “È vero quello che hai detto prima?”
“Ho detto tante cose prima…” temporeggiò Leo che aveva un gran bisogno di confidarsi con qualcuno ma allo stesso tempo molta paura di affrontare la situazione.
“Mi riferisco a Hazel” chiarì Jason il cui colorito era ancora tendente al verdognolo.
“Ehm… si lo è, è tutto vero, e ti prego… risparmiami le battute” disse con tono fiacco, lo sguardo puntato sul pavimento.
Jason fissava l’amico senza sapere bene cosa dire, aveva mille domande che gli affollavano la testa ma stava troppo male per riuscire a pronunciarne anche solo una. Di una sola cosa era certo, era un bel casino. Leo sembrò infastidito da quel silenzio così riprese a parlare mentre Jason sentiva montare un forte mal di testa.
“Lei è venuta nella mia cabina dicendo che doveva parlarmi e ho creduto che volesse dirmi che provava qualcosa per me, così l’ho baciata, ma due minuti dopo lei è scappata via dicendo che quello che stavamo facendo era sbagliato e che non poteva fare questo a Frank…” Leo fece una pausa che colmò con un sospiro, poi puntò gli occhi su Jason e ammise: “mi sento uno schifo!”
“Non dirlo a me” mugugnò Jason giurando a se stesso che non avrebbe mangiato mai più neanche un solo pop-corn.
 
Nella cabina di Annabeth, Percy si lasciò cadere sul pavimento portandosi appresso la ragazza che si ritrovò distesa al suo fianco appoggiata al suo petto, il fiato corto e l’espressione soddisfatta.
Percy scrutò i lineamenti delicati di lei nella penombra e le sorrise compiaciuto.
“Cos’è questo sorrisetto?” Domandò lei con sguardo civettuolo.
“Ho una ragazza meravigliosa distesa nuda al mio fianco… non è forse un buon motivo per sorridere?” Disse incapace di staccare gli occhi dalle sue curve.
Annabeth si sentì arrossire e fu felice del fatto che Percy non potesse notarlo. Una settimana prima non si sarebbe mai immaginata di potersi ritrovare nuda sdraiata a terra accanto a Percy dopo aver fatto l’amore sulla scrivania. Quel pensiero la fece sorridere. Guardò di sottecchi il ragazzo e notò che il suo sguardo era stato catturato dalle mille scartoffie che li circondavano. Percy allungò un braccio e afferrò un foglio su cui Annabeth aveva scarabocchiato una serie di riflessioni sul Marchio di Atena e cominciò a studiarlo.
“Da quando ti dedichi allo studio?” Chiese lei con un ghigno strappandogli il foglio dalle mani e gettandolo il più lontano possibile. Il figlio di Poseidone osservò il foglio svolazzare sotto la scrivania, poi spostò lo sguardo su Annabeth sospirando.
“C’è una cosa che devo dirti” ammise in tono triste.
Annabeth si fece più vicina, il cuore che batteva forte.
“Che succede?” Domandò cercando di non lasciare trapelare la sua preoccupazione.
“Non voglio che tu vada a cercare quel marchio” sussurrò Percy con un filo di voce. Annabeth sentì la morsa che le attanagliava lo stomaco allentarsi e si lasciò sfuggire uno sbuffo.
“Percy” disse abbandonando il suo petto e poggiando la testa sul pavimento ritrovandosi ad osservare il soffitto, “ti prego… ne abbiamo già parlato.”
“Tu che dici di aver preso una decisione non è averne parlato!” Protestò Percy mettendosi a sedere per guardarla meglio.
“Credevo che fossimo d’accordo!” sibilò lei mentre cercava i suoi vestiti.
“A mandarti in missione suicida? No, mi dispiace, non sono proprio d’accordo.”
“Lo faccio per mia madre, non fingere di non saperlo!”
“Certo!” Esclamò Percy sarcastico, “chi non sacrificherebbe la propria vita per una madre che ha un’infinità di figli di cui non si preoccupa minimamente.”
“Senti” esordì Annabeth ormai rivestita “stai iniziando a scocciarmi, quindi se hai intenzione di continuare a fare il fidanzato apprensivo puoi anche andartene.”
“Non sono apprensivo!” Protestò Percy rimettendosi la t-shirt, “sono preoccupato perché mi hanno detto che sei in pericolo!”
Annabeth sussultò.
“Cosa vuol dire che ti hanno detto che sono in pericolo?” Chiese titubante.
“Rachel ha avuto una visione e mi ha contattato dal…”
“Rachel, certo! Ora che ci penso… sono ancora furiosa con te per quella faccenda!” Sbraitò Annabeth impedendo a Percy di finire la frase.
“Per tutti gli dei!” Esclamò Percy perdendo la pazienza. “Vuoi farmi finire di parlare?”
“Sentiamo” si limitò a dire Annabeth incrociando le braccia al petto.
“Rachel mi ha contattato dal campo con un messaggio iride per dirmi che ha avuto una visione e che tu sei in pericolo.” Spiegò Percy con il cuore che gli martellava nel petto al solo ricordare le parole dell’oracolo.
Annabeth rimase in silenzio.
“Che tipo di visione?” domandò dopo quella che sembrò una lunga riflessione.
“Non ha fatto in tempo a dirmelo” ammise Percy scuotendo il capo. “Il messaggio si è dissolto prima che potesse spiegarmi i particolari.”
“In tal caso” disse Annabeth cominciando a riordinare le sue scartoffie, “scusa se ti ho fatto una scenata di gelosia.”
Percy strabuzzò gli occhi. “Tutto qui?” Domandò avvilito. “Voglio dire… non sei preoccupata e non hai intenzione di rivedere le tue scelte?”
“Percy, è tardi. Io sono stanca e tu sei ancora sotto l’effetto di…”
“Sono lucido!” Dichiarò Percy seccato.
“Molto bene, allora smettila di farmi la predica. Sai che non cambierò idea!”
E aveva ragione. Percy sapeva perfettamente che Annabeth non avrebbe rinunciato a quella missione per nessuna ragione al mondo, nemmeno per lui. Quel pensiero lo rattristò, ma poi capì che se amava Annabeth era anche per la sua grande forza di volontà, per la sua determinazione e caparbietà. Per il suo immenso coraggio.
Percy sapeva che non mancava molto al loro arrivo a Roma, e se doveva scegliere come passare gli ultimi giorni di viaggio, l’ultima cosa che voleva era litigare con Annabeth. Così decise che avrebbe assecondato la sua scelta pensando ad un modo in cui avrebbe potuto proteggerla.
I due si salutarono con un bacio, poi Annabeth si richiuse la porta della cabina alle spalle e si accasciò contro di essa abbandonandosi ad un pianto silenzioso.
Un’infinità di pensieri le vorticavano nella mente senza che lei riuscisse a fermarli. Ripensò alle parole di Percy e al sogno che aveva fatto all’inizio del loro viaggio, quello in cui le era apparsa Era. Senza volerlo si figurò il suo volto e tirò un pugno alla porta procurandosi un dolore acuto e pungente al polso destro.
“Dannazione” mugugnò stringendosi il polso che pulsava dolorosamente sotto la sua stretta. Si rialzò in piedi a fatica e si avvicinò al letto distrutta, erano quasi le tre di notte e non aveva ancora chiuso occhio, così appena toccò il letto crollò in un sonno profondo.
 
La mattina seguente Piper si sveglio di malumore. Aveva dormito malissimo per via dei dolori provocati dal ciclo ed era anche stata svegliata nel bel mezzo della notte da Jason che si era presentato nella sua cabina in preda bollenti spiriti sotto l’effetto di qualche strana sostanza. Sebbene non fosse da lei, lo aveva respinto in malo modo e, nonostante sapesse di aver fatto la cosa giusta, adesso si sentiva un po’ in colpa.
Raggiunse il bagno con le mani premute sulla pancia maledicendosi per essere nata femmina e, una volta dentro, incontro Hazel e Annabeth.
La figlia di Plutone si stava sciacquando la faccia mentre l’altra si lavava i denti con foga. Piper le osservò in silenzio e si convinse del fatto che entrambe avevano un aspetto strano, erano provate e per di più avevano l’aria di chi nascondeva qualcosa.
“Va tutto bene?” Domandò ignorando l’ennesima fitta che le colpiva la pancia.
“Si!” Risposero Annabeth e Hazel all’unisono con l’aria di chi fingeva di non aver nulla da nascondere.
“Tu piuttosto?” Domandò la figlia di Atena che non vedeva l’ora di togliersi l’attenzione delle amiche di dosso.
“Io avrei preferito nascere maschio!” Dichiarò chiudendosi dentro alla toilette.
“Io per questo mese ho già dato!” Annunciò Hazel uscendo dal bagno felice di non aver dovuto rivelare quanto era accaduto quella notte con Leo.
Annabeth rimase sola davanti al lavandino a fissare la sua immagine riflessa nello specchio, lo spazzolino ancora in mano e i denti avvolti dalla schiuma del dentifricio.
“Che giorno è oggi?” Chiese all’amica mentre si rendeva conto che da quando si era imbarcata sulla Argo II aveva completamente perso la cognizione del tempo.
“Giovedì!” Gridò Piper da dentro il bagno.
“Intendevo il numero”
“Il quattro credo…”
Annabeth rischiò di strozzarsi con il dentifricio. Sputò nel lavandino e si sciacquò la bocca un attimo prima di dire: “ne sei sicura?”
“Se non è il quattro è il cinque, ma sono abbastanza sicura che sia il quattro!”
“Di male in peggio!” sussurrò Annabeth alla sua immagine riflessa nello specchio un attimo prima di abbandonare il bagno di corsa.

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Capitolo 15
*** Un satiro molto arrabbiato ***


Angolo dell'autrice: Tranquilli! Non ho abbandonato la storia, sono solo tremendamente in ritardo. Vista la lunga attesa che vi ho costretto a patire non mi dilungo con l'angolo dell'autrice e vi lascio alla lettura del nuovo capitolo. Grazie a tutti voi perchè dopo lo scorso capitolo il numero di lettori è aumentato un sacco... devo dedurre che avete apprezzato particolarmente Annabeth e i suoi dubbi? Siete fantastici, grazie mille. :-)







Un satiro molto arrabbiato

 
 
Annabeth raggiunse il ponte superiore senza nemmeno passare dalla cucina per la colazione, era in ritardo nel dare il cambio a Frank al timone e i discorsi di Piper nel bagno le avevano fatto passare la fame. Sbucò dalle scale di poppa e raggiunse il figlio di Marte che aveva l’aspetto di chi non dormiva da mesi. Se ne stava tutto gobbo sul timone con le mani che sorreggevano il capo come se fosse in preda ad un attacco di mal di testa.
“Perdona il ritardo” esordì la figlia di Atena sfoggiando un sorriso che sperava avrebbe impedito a Frank di arrabbiarsi.
“Nessun problema, qui è tutto tranquillo” disse in tono pacato.
“Sembri esausto” commentò Annabeth sedendosi al suo fianco.
“Effettivamente vengo da una nottata difficile” ammise Frank ripensando alla serata uomini e a Jason che divorava tre sacchetti di pop-corn blaterando cose prive di senso.
“Hai visto Hazel stamattina?” Chiese deciso a cambiare discorso.
“L’ho incrociata in bagno, penso che ora stia facendo colazione…”
Frank annuì e disse: “Ci vediamo più tardi”, poi si avviò sbadigliando verso le scale che discese con passo pesante.
Annabeth lo seguì con lo sguardo e ripensò a tutti i dubbi che attanagliavano Hazel, non avrebbe mai voluto trovarsi nella sua situazione.
 
Nella sala macchine Percy si stava pentendo amaramente di essersi offerto volontario per aiutare Leo a riparare i motori della nave. Lì per lì gli era sembrato un bel gesto e soprattutto pensava di potersi rendere utile ma, a distanza di mezz’ora, si era già rotto le scatole di sentirlo parlare di cose tecniche, per lui completamente incomprensibili. Come se non bastasse, la sala macchine aveva la temperatura di una fornace dal momento che Leo utilizzava il fuoco vivo per saldare i pezzi di ricambio e questo non migliorava certo le cose.
A distanza di venti minuti Percy stava grondando di sudore e continuava a rivolgere lo sguardo all’oblò sognando di potersi tuffare in mare.
“Passami la chiave del sei” disse il figlio di Efesto allungando una mano in attesa che Percy gli porgesse l’attrezzo richiesto.
Il figlio di Poseidone spostò lo sguardo sulla montagna di arnesi che Leo aveva estratto dalla cintura e ammassato sul tavolo da lavoro, poi, non sapendo cos’altro fare, prese una chiave inglese a caso e la poggiò nella mano dell’amico.
“Percy, per tutti gli dei, vuoi aiutarmi o no? Ti ho chiesto la chiave del sei non quella del dieci!”
Percy roteò gli occhi ma non disse nulla, incominciava a sentirsi un completo idiota. Si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano e con l’altra sollevò una chiave inglese. “È questa?” domandò incerto. La faccia delusa di Leo gli fece capire che no, quella non doveva essere assolutamente la chiave del sei.
“Allora questa?” tentò mostrandogliene un’altra.
“Oh dei!” brontolò Leo scrollando le spalle. “La prima a destra Percy!”
“E non potevi dirlo subito?” protestò il figlio del Dio del mare passandogli la chiave giusta.
“Di questo passo non finirò mai” lamentò Leo che si sentiva più incompreso del solito.
“Senti, mi dispiace… faccio quello che posso ma non sono mai stato bravo con queste cose!” Spiegò Percy facendosi aria con le mani mentre Leo riaccendeva il fuoco facendo aumentare di venti gradi la temperatura della stanza.
“Strano… di solito ai ragazzi piacciono i motori.”
“Sì, infatti le auto mi piacciono e mi piace guidarle, ma dopo l’ultima volta non penso che Paul mi presterà ancora la sua Prius…” ammise Percy ripensando alle ammaccature che Blackjack aveva fatto sul cofano dell’auto del suo patrigno.
“Non so di che parli…”
“Lascia stare” disse Percy scuotendo il capo, “è una vecchia storia.”
In quel momento un rumore sordo li fece sobbalzare.
“Cosa è stato?” domandò Leo spegnendo le fiamme, le orecchie tese in ascolto.
Percy rimase in silenzio in attesa che il rumore si ripresentasse e un attimo dopo un secondo tonfo risuonò nella stanza. Percy capì che proveniva dalla parete dietro di loro e si voltò a guardarla con orrore.
“È tutto sotto controllo, tu vai pure avanti, io vado un attimo di sopra, tanto qui sono completamente inutile.” E così dicendo uscì dalla sala macchine lasciando Leo piuttosto perplesso.
Corse su per le scale e raggiunse il corridoio che portava alle cabine, proseguì fino in fondo e si fermò davanti all’ultima porta, quella di Jason. Bussò con impazienza e chiamò a gran voce il figlio di Giove ma non ottenne nessuna risposta. Un grugnito gli fece capire che Jason stava ancora dormendo profondamente. Posò una mano sulla maniglia e si rese conto che la porta era aperta, così entrò nella piccola stanza senza il permesso.
“Jason!” Gridò osservando il figlio di Giove che dormiva a pancia in giù, la testa schiacciata sul cuscino.
Il ragazzo si destò all’improvviso rigirandosi nel letto. Percy lo vide tentare di mettere a fuoco la sua immagine per poi esclamare: “Percy! Ma cosa diamine ci fai in camera mia?”
“Muoviti!” Disse Percy afferrandolo per le spalle nel tentativo di tirarlo giù dal letto.
“Per tutti gli dei, Percy! Sei sudato da far schifo! Ma che problemi hai con la doccia?”
“Fidati, abbiamo un problema più grande della doccia!” E così dicendo Percy trascinò Jason ancora in pigiama fuori dalla sua cabina.
“Ah, giusto perché tu lo sappia…” esordì Percy, “io sarò sudato da far schifo ma il tuo alito non scherza!”
“Per tua informazione, ho vomitato tutta la notte!”
“Prima tiri fuori l’erba e poi sei il primo a stare male? Ci sarà un motivo se non sei figlio di Atena ma di Giove, no?” Commentò con un ghigno.
Jason decise che era ancora troppo addormentato per rispondere a quell’insulto e si limitò a sospirare, poi, lasciò che Percy lo trascinasse giù per le scale.
“Si può sapere cosa c’è?” Domandò Jason risistemandosi la t-shirt che Percy gli aveva sformato a furia di trascinarlo.
“Cosa ricordi di ieri sera?”
“Senti” brontolò Jason in tono seccato, “è vero, ho un po’ esagerato e sono stato male, ma puoi anche evitare di farmi il terzo grado!”
“Cosa vuoi che me ne freghi se hai passato la notte a vomitare, ti sto chiedendo cosa ti ricordi prima che avessi la brillante idea di farci fumare tutti quanti!”
“Ah, certo perché adesso è tutta colpa mia, non è vero?”
“Vuoi rispondere alla mia domanda?” Sbottò Percy che iniziava a perdere la pazienza.
“Se ti rispondo, poi posso tornarmene a letto?” Chiese Jason che riusciva a stento a tenere aperti gli occhi.
“Per quanto mi riguarda puoi anche buttarti a mare.”
“Beh, faresti bene a farlo anche tu visto quanto puzzi!”
“Lo metto sulla lista delle cose da fare, adesso mi rispondi per favore?”
Jason si passò una mano tra i capelli e si sforzò di ricordare.
“Abbiamo cenato tutti insieme tranne Annabeth che se ne stava chiusa in cabina… tu hai lavato i piatti come al solito e poi ti sei fiondato alla sua porta a farti insultare. Lo sai che sei peggio di uno zerbino vero?”
Percy sentì il fumò uscirgli dalle orecchie ma si sforzò di stare zitto, di questo passo gli avrebbe mollato un pugno nel giro di qualche minuto.
“Vai avanti” ringhiò a denti stretti sforzandosi di ignorare le provocazioni di Jason.
“Visto che non ne potevo più di vederti così ho pensato di indire la serata uomini e sono letteralmente venuto a raccattarti davanti alla sua porta e insieme abbiamo chiuso Hedge in infermeria!” Jason concluse la frase con aria soddisfatta, fiero di aver dimostrato che ricordava tutto per filo e per segno, poi Percy lo vide cambiare improvvisamente espressione.
“Hedge!” Esclamò il figlio di Giove portandosi entrambe le mani alla testa.
“Ci sei arrivato finalmente!”
“È chiuso lì dentro da ieri?” domandò Jason inorridendo al solo pensiero.
“Già, ce ne siamo dimenticati entrambi e così ad occhio direi che nessuno ha sentito così tanto la sua mancanza da domandarsi dove fosse!”
“Qualcosa mi dice che è molto arrabbiato…”
“Beh, non possiamo certo lasciarlo lì dentro, quindi…”
“Cosa state confabulando voi due?” La voce di Piper li colse alla sprovvista, nessuno dei due l’aveva sentita arrivare. “Jason perché sei in giro in pigiama? E, Percy, tutto bene? Sei un po’… sudato!”
“Si lo so, tra un momento mi faccio una doccia” disse Percy che cominciava ad essere stufo di sentirsi ripetere la stessa cosa da tutti quelli che lo incontravano, ma Piper non gli prestava minimamente ascolto. Era saltata al collo di Jason e i due si stavano baciando come se non si vedessero da una vita.
“Adesso vado a vestirmi, tesoro!” Disse Jason un attimo prima di baciarla di nuovo. “E anche a lavarti i denti” aggiunse Piper che doveva aver notato l’alito non proprio fresco del fidanzato.
“E poi sono io lo zerbino!” Sussurrò Percy incrociando le braccia al petto nell’attesa che le labbra dei due si separassero.
“Vado a vedere com’è messo Leo con le riparazioni” disse Piper tornando sui suoi passi, “a proposito… avete visto Hedge?”
“No!” Esclamarono i due all’unisono.
“Cioè si” fece Percy, “è ancora nella sua cabina.”
“E se è ancora nella sua cabina tu come hai fatto a vederlo?” Chiese Piper sospettosa.
“Perché…” Percy vide lo sguardo preoccupato di Jason che lo pregava di inventarsi una scusa plausibile. “L’ho incontrato in bagno e mi ha detto che sarebbe tornato a letto!” Improvvisò cercando di suonare convincente. Piper sembrò credergli perché un attimo dopo esclamò: “Quel satiro non sa fare altro che dormire! Adesso vado a svegliarlo!”
“No!” Gridarono Percy e Jason i coro.
“Siete sicuri di sentirvi bene?”
“Sì, è solo che non ci sembra giusto che debba svegliarlo tu, ci pensiamo noi.” La rassicurò Jason.
“Beh, vedi di non svegliarlo come hai svegliato me stanotte per cortesia!” Suggerì la ragazza apostrofando Jason con un’occhiata che era tutta un programma.
Jason annuì e osservò la fidanzata allontanarsi lungo il corridoio, non appena la vide svoltare l’angolo incrociò lo sguardo di Percy e ammise: “Non so di che parla…”
Percy rise. “Penso che tu abbia qualche vuoto di memoria riguardo a stanotte, ma ci penseremo più tardi… adesso tiriamo Hedge fuori di lì.”
Jason annuì e i due raggiunsero la porta dell’infermeria da cui provenivano dei tonfi. Percy aprì il chiavistello e Jason aprì la porta con cautela, come se Hedge potesse saltargli al collo da un momento all’altro.
“Coach, siamo venuti a liberarla!” Sussurrò mettendo la testa dentro l’infermeria e osservando il satiro che se ne stava legato in un angolo sommerso da cubetti di ambrosia e medicine varie mentre prendeva a calci le mensole dell’infermeria facendo un gran baccano.
“Tu prega che io non debba mai liberare uno di voi” sibilò, “perché non lo farei! E adesso slegatemi, razza di disgraziati!”
 Percy tirò fuori vortice dalla tasca e tagliò di netto le funi che legavano il satiro.
“Bene” disse con voce troppo calma per essere la sua, “adesso parliamo della vostra punizione…”
Percy e Jason si scambiarono uno sguardo e si compatirono a vicenda, solo gli dei sapevano quale punizione Hedge aveva in serbo per loro.
Hedge si strappò via quello che rimaneva delle funi che lo avevano imprigionato e si stiracchiò le zampe pelose mentre i ragazzi lo osservavano come se fosse un alieno.
“Jackson! Perché non incominci a riordinare l’infermeria? E ti avverto… non voglio vedere un solo quadratino di ambrosia fuori posto” disse Hedge minaccioso.
“Poteva pensarci prima di fare tutto questo casino!” Ribatté Percy che non era mai stato bravo ad identificare i momenti in cui era meglio stare zitto.
“Grace!” Ringhiò Hedge scrutando Jason che stava tentando di dileguarsi. “Tu vieni con me!” E così dicendo Percy li vide sparire su per le scale.
“E io che volevo farmi una doccia!” Disse Percy rivolto al corridoio ormai vuoto.
 
Frank raggiunse la cucina quando ormai era quasi deserta e la cosa non lo rattristò per niente dal momento che era rimasta solo Hazel a riordinare i residui della colazione. La osservò dalla soglia della porta per qualche minuto e solo quando lei alzò gli occhi ed incrociò il suo sguardo si decise ad entrare nella stanza.
“Cosa fai, mi spii?” Chiese la figlia di Plutone mascherando un certo imbarazzo. Le labbra di Frank s’incresparono in un sorriso e Hazel sentì le viscere contorcersi. Come aveva potuto baciare Leo quando aveva un ragazzo dolce e sensibile come Frank? Quella domanda si fece largo prepotentemente nella sua mente e in breve tempo raggiunse la bocca dello stomaco dove si stabilì come un mattone, impossibile da digerire.
“Sono distrutto dalla nottata al timone” spiegò stando bene attento a non fare nessun accenno alla serata uomini e alle sue conseguenze, “ma ho pensato che se fossi passato da te prima di addormentarmi avrei fatto dei sogni migliori”.
Hazel ascoltò ogni parola e le sentì conficcarsi nel suo cuore una ad una come frecce roventi. Mentre lei se ne stava imbambolata incapace di dire una parola, lui si avvicinò lentamente e la baciò a fior di labbra.
“Va tutto bene?” Domandò notando il suo atteggiamento freddo e distaccato. “Sei un po’ strana…”
“Sì” si affretto a dire Hazel, “è solo che… sono un po’ preoccupata per Nico, lui è tutto ciò che rimane della mia famiglia e ho paura di perderlo!” Quella menzogna le uscì dalle labbra senza che lei potesse impedirlo. Era vero che era preoccupata per Nico, ma quello che la stava destabilizzando in quel momento era la consapevolezza di aver baciato Leo, tutto il resto erano solo bugie.
“Non temere” la rassicurò Frank stringendola tra le sue forti braccia, “Leo sta riparando i motori della nave e presto saremo da tuo fratello, andrà tutto bene, quel Leo è veramente in gamba, devi fidarti di lui!”
Hazel sentì quello che rimaneva del suo cuore sgretolarsi, Frank che lodava Leo e la incitava ad aver fiducia in lui era un paradosso grande quanto il più grande dei giganti e lei cominciava a sentirsi sempre più piccola e spregevole. La ragazza si sforzò di sorridere il che fece Frank felice dal momento che ricambiò il sorriso. Il figlio di Marte la strinse ancora una volta tra le braccia e poi si allontanò dichiarando che sarebbe andato a dormire.

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Capitolo 16
*** Mensole divelte e tanfi sospetti ***


Angolo dell'autrice: Ciao amici lettori, il capitolo è pronto e lo condivido subito con voi perché so che lo stavate aspettando. Anche oggi non perdo l'occasione di ringraziarvi per esservi appassionati a questa storia e per la costanza con cui la seguite e recensiti. Grazie a tutti voi. Buona lettura. 






Mensole divelte e tanfi sospetti


 
 
Hazel finì di riordinare la cucina con le mani che tremavano, poi, appena tutto fu in ordine, uscì dalla stanza e corse su per le scale che conducevano al ponte superiore. Sapeva che il primo turno al timone spettava ad Annabeth, lei era l’unica a cui aveva rivelato quanto era accaduto con Leo e ora più che mai aveva bisogno del suo conforto.
Quando sbucò dal boccaporto di poppa non ebbe difficoltà ad avvistare l’amica. Annabeth se ne stava in piedi davanti al timone, i capelli biondi che svolazzavano al vento e lo sguardo fiero.
“Annabeth” disse non appena fu abbastanza vicina da farsi udire senza dover urlare, “ok, io ho bisogno di parlare con qualcuno perché altrimenti impazzisco.” Dichiarò tentando in vano di calmarsi notando solo in quel momento che l’amica si teneva il polso destro nella mano sinistra e muoveva le dita come per controllare che funzionassero tutte.
“Hazel, ti prego” esordì Annabeth che aveva la testa già abbastanza stipata di pensieri, senza bisogno che si aggiungessero anche quelli di Hazel.
“No, no, no” balbettò Hazel che sembrava sull’orlo di una crisi di nervi, “tu non capisci…”
“Hazel, ne abbiamo già parlato ieri quando sei venuta nella mia cabina.” Le ricordò Annabeth, le mani premute sulla fronte nel tentativo di evitare il mal di testa imminente.
“Sì, ne avremo anche parlato, ma non abbiamo concluso niente…” borbottò Hazel mettendosi a sedere davanti al timone.
“Hazel, te l’ho già detto, devi prendere una decisione, fattene una ragione.”
“La fai facile tu” sbuffò Hazel nonostante sapesse benissimo che l’amica aveva ragione.
La conversazione andò avanti per dieci minuti buoni, anche se più che una conversazione era un monologo in cui Annabeth interveniva con qualche cenno di assenso e qualche parola di conforto. La figlia di Atena si rese conto di non essere del tutto partecipe e la cosa la mise a disagio, avrebbe dovuto offrire ad Hazel una spalla su cui piangere, invece era così occupata a preoccuparsi di se stessa da riuscire a stento a seguire i discorsi dell’amica.
“Hazel, Hazel” la interruppe facendole segno di calmarsi con le mani, “respira per favore, è dieci minuti che parli ininterrottamente e stai per diventare blu!”
Hazel sbarrò gli occhi ed imitò Annabeth che le mostrava come fare dei respiri profondi.
“Va meglio?” chiese la figlia di Atena dopo che Hazel ebbe fatto un paio di respiri a pieni polmoni.
“Sì, ma sono comunque disperata!” Disse Hazel presa di nuovo alla sprovvista dall’ansia.
“Pure io” sospirò Annabeth sovrappensiero.
“Perché?” domandò la figlia di Plutone allarmata, “che ti succede?”
“Niente, niente!” Si affrettò a rispondere Annabeth che si rimproverò mentalmente per non essere stata zitta. “Io… ho solo un brutto mal di testa…” ed era vero, da quando Hazel l’aveva raggiunta sul ponte sentiva le tempie che pulsavano fastidiosamente.
“Così a occhio direi che hai anche un problema al polso” disse la figlia di Plutone indicando il polso dell’amica che era decisamente più gonfio del normale.
“Può darsi” ammise Annabeth guardandosi il polso destro, “visto che ci sei tu al timone, ti dispiace se faccio un salto di sotto a prendere dell’ambrosia?”
Hazel fece spallucce e Annabeth ne approfittò per dileguarsi imboccando rapidamente le scale.
 
Due ponti più in basso Piper varcò la soglia della sala macchine e si sentì avvampare. La temperatura di quella stanza era quasi insopportabile ma Leo non sembrava avvertire nessun fastidio. Piper lo vide saltellare freneticamente intorno al motore principale munito di cacciaviti e chiavi inglesi. Era talmente preso dal suo lavoro che non aveva minimamente avvertito la presenza di Piper. La ragazzi si schiarì la voce e finalmente il figlio di Efesto si accorse di non essere più solo.
“Percy si è arreso e ha mandato te?” Domandò con un ghigno beffardo mentre estraeva altri attrezzi dalla sua cintura.
“Percy ha da fare, è con Jason, anche se non ho ben capito cosa hanno in mente quei due… un giorno tentano di ammazzarsi e il giorno dopo se ne stanno lì a confabulare come due ragazzini” sospirò, “valli a capire quei due!”
“E pensare che credevo di essere io il migliore amico di Jason!” Protestò Leo accendendo con aria annoiata una fiamma bluastra sul palmo della mano destra.
“Ma certo che lo sei” si affrettò a dire Piper, “Non mi risulta che tu abbia mai cercato di annegarlo o cose simili.”
“In effetti no” ammise Leo spegnendo la fiamma. “Ma adesso basta parlare di Jason! Piper, vedi questo bullone?” Domandò mostrando a Piper un oggetto metallico grande quanto una pallina da golf.
“Dovrei essere orba per non vederlo”
“Bene, sappi che questo è l’ultimo pezzo del puzzle… quando SuperLeo avrà posizionato anche questo bullone i motori della Argo II saranno come nuovi!”
“E potremo riprendere a navigare ad una velocità decente?” Domandò Piper entusiasta.
“Assolutamente” garantì Leo fiero.
“Leo” esclamò Piper cogliendolo alla sprovvista con un abbraccio travolgente, “sei un fenomeno!”
“Si, in effetti l’ho sempre pensato” ammise il figlio di Efesto che cominciava a boccheggiare per la mancanza di ossigeno che l’affettuosa stretta di Piper gli aveva provocato.
Piper sciolse l’abbraccio e sorrise, era così emozionata all’idea di ripartire che quasi saltellava per la gioia.
“Avanti Leo, cosa aspetti? Sistema quel bullone!” Lo spronò Piper.
 
A pochi metri di distanza, nell’infermeria, Percy stava imprecando in greco antico. Grazie alle idee geniali di Jason aveva rimediato una punizione che probabilmente l’avrebbe tenuto impegnato per il resto della giornata, ed essendo iperattivo gli veniva difficile restare per troppo tempo in un ambiente chiuso senza dare di matto.
Come se non bastasse, sembrava che Hedge avesse fatto del suo meglio per mettere sottosopra l’infermeria, c’erano garze e cerotti sparsi per tutto il pavimento e i ripiani che ospitavano i quadratini d’ambrosia erano stati completamente divelti.
Percy raccolse uno dei ripiani dal pavimento e osservò come i calci di Hedge avevano completamente deformato il metallo delle staffe che la fissavano alla parete.
“Bel lavoro coach!” disse Percy ad alta voce. Ancora con la mensola in mano si sporse dalla porta e chiese a Leo di prestargli un cacciavite a stella.
“Cosa hai combinato?” Chiese la voce di Leo dal fondo del corridoio. “Perché ti serve uno dei miei preziosi cacciaviti?”
“Per tutti gli dei, Leo! Ne hai uno anche non prezioso da prestarmi?”
“Sì” borbottò il ragazzo, “vieni a prendertelo!”
“Io in quella fornace non ci torno!”
“Ok, ok, glielo porto io!” Intervenne la voce di Piper, “dammi questo dannato coso a stella!”
Non mi bastava un fidanzato che si presenta malconcio in camera mia di notte, pensò Piper, adesso mi tocca anche fare da babysitter a questi due.
“Eccoti questo dannato affare” disse Piper porgendo a Percy il cacciavite a stella, “ma cosa diavolo è successo qui dentro?”
“Diciamo che Hedge ci ha passato la notte e non ne è stato molto contento!”
“Come sarebbe? Prima hai detto che era ancora in camera sua!”
“Fidati, non credo che tu voglia sapere i dettagli” tagliò corto Percy afferrando il cacciavite. “Ora scusami ma ho delle mensole da riparare.”
“Leo ha praticamente ultimato le riparazioni ai motori, posso dirgli di venire qui a sistemarle” propose Piper sorridente.
“Sono capace di sistemare delle mensole!” Protestò Percy scocciato.
“Oh” fece la ragazza poco convinta, “ok, a dopo allora!”
Piper lasciò la stanza e Percy si sedette sul pavimento a gambe incrociate con la mensola in grembo. Svitò con cura le viti che fissavano le staffe di ferro all’asse di legno e poi tentò di riportarle alla forma originaria piegandole con tutta la sua forza.
“Che stai combinando?” La voce di Annabeth colse Percy di sorpresa. Il ragazzo sollevò lo sguardo e la vide sulla soglia dell’infermeria che guardava quello scempio domandandosi cosa fosse successo.
“Quale cataclisma ha colpito questa stanza?” Domandò fissando il suo ragazzo con aria interrogativa.
“Hedge” rispose Percy, sempre più convinto del fatto che il vecchio satiro potesse essere considerato a tutti gli effetti un cataclisma.
“Adesso mi è tutto chiaro” commentò Annabeth sorridendo.
Percy la osservò dal basso, visto come si erano lasciati la sera prima, vederla sorridere era un sollievo.
“Che ci fai quaggiù? Non sei di turno al timone?”
“Sì, in effetti è così, sono solo venuta a prendere dell’ambrosia” tagliò corto Annabeth che non voleva entrare nei dettagli.
“Ti senti male?” Chiese Percy in tono tranquillo, voleva evitare che Annabeth lo accusasse un’altra volta di essere apprensivo.
“Ho solo un brutto mal di testa”
“Capisco” disse lui alzandosi, “quindi il fatto che il tuo polso destro sia il doppio dell’altro non c’entra nulla, immagino.”
Annabeth si morsicò nervosamente il labbro inferiore. “Certo che non ti si può nascondere proprio nulla.”
Percy non rispose, le prese il polso tra le mani e l’osservò con cura, poi sollevò lo sguardo e disse: “Dato che non sono un ragazzo apprensivo, non ti chiederò come hai fatto, fortunatamente l’ambrosia non ci manca!” E così dicendo lanciò un’occhiata all’ammasso di cubetti dal colore ambrato che riempiva un angolo della stanza. Annabeth gli sorrise, felice di non dover dare spiegazioni, non aveva voglia di mentire a Percy, ma allo stesso tempo non avrebbe mai voluto confessare come aveva fatto a farsi male. Non voleva ammettere di essere preoccupata per la missione.
Annabeth si avvicinò alla pigna di ambrosia e ne prese un quadratino, in quel momento Percy parlò.
“Senti Annabeth” esordì un po’ incerto, “mi spiace per ieri sera…”
“Non importa” disse lei decisa, “è normale che la mia missione ti spaventi, ma andrà tutto bene” aggiunse cercando di suonare convincente.
“Oh” fece Percy colto un po’ alla sprovvista, “si certo, ma in realtà io non mi riferivo a questo…” Annabeth aggrottò le sopracciglia.
“Voglio dire, scusa se ieri quando sono entrato in camera tua sono stato un po’…”
“Brusco?” suggerì Annabeth a cui scappò un sorriso, aveva finalmente capito a cosa si riferiva il ragazzo. “Irruente forse?”
“Sì, beh, direi di sì” ammise Percy imbarazzato, “la verità è che non mi ricordo nemmeno tutto e ho paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.”
“Non hai fatto niente di sbagliato” lo rassicurò lei stringendolo a sé. “Anzi, ad essere sincera mi è piaciuto più del solito” ammise arrossendo.
“Oh, ma che bel quadretto romantico!” Ringhiò Hedge in piedi sulla soglia. Percy e Annabeth arrossirono di botto ed entrambi sperarono che il satiro non avesse udito la loro conversazione.
“Jackson! Mi pareva di averti dato una punizione che non contemplava la presenza della tua ragazza!” Sibilò il coach guardandoli torvo.
“Dove ha messo Jason?” Chiese Percy cercando di distogliere l’attenzione dalla presenza di Annabeth.
“È alle prese con la sua punizione e credimi non vorresti essere al suo posto!”
Percy deglutì domandandosi quale punizione stesse scontando Jason, l’unica cosa che gli importava era che fosse peggio della sua.
“Beh, io torno al timone” disse Annabeth, “comunque se hai bisogno d’aiuto con quelle mensole, puoi sempre chiedere a Leo!” suggerì sfoderando un gran sorriso.
“Ma perché tutti pensate che non sia capace di riparare una mensola?” lamentò Percy che cominciava a sentire messa in discussione la sua virilità.
“No, beh, io dicevo così per dire, ma se vuoi farlo tu ok. “si affrettò a dire Annabeth notando la reazione infastidita del fidanzato.
Annabeth notò che Hedge la stava guardando torvo e capì che era giunto il momento di tornare al timone.
 
Nel bagno dei maschi Jason aveva appena affisso sulla porta un cartello che recitava: “Bagno fuori servizio, per le emergenze implorate le fanciulle di farvi usare il loro” scritto da Hedge in persona. La punizione che il coach gli aveva inflitto superava di gran lunga le sue previsioni più funeste e invidiò Percy il suo castigo che, in confronto, sembrava ridicolo.
Quando Hedge gli aveva annunciato che avrebbe passato il resto della giornata chiuso nel bagno, Jason si era illuso che la sua punizione consistesse nel ripulire da cima a fondo i bagni della Argo II, visto quello che lo aspettava sarebbe stato decisamente meglio.
Si avvicinò alla gigantesca vasca da bagno che Leo aveva progettato e su cui lui aveva fantasticato di un eventuale bagno notturno con Piper, aprì i rubinetti e cominciò a riempire la vasca con acqua calda. Guardò diffidente le boccette che Hedge gli aveva fatto prendere dalla sua cabina e le aprì con riluttanza.
“Ma quanta ne devo mettere di questa roba?” si domandò annusando l’apertura del flacone etichettato come “essenza di tundra” e allontanandolo un attimo dopo disgustato dall’odore che emanava.
“Essenza di tundra? A me più che altro sembra odore di legno marcio mischiato a funghi ammuffiti al sole!” Commentò ad alta voce.
“Proviamo quest’altro” disse afferrando una seconda boccetta dal contenuto sospetto, “tanto peggio di quello non può essere”.
La seconda boccetta era etichettata come “estratto di fronde montane” e Jason si domandò quanto fosse pagato quello che si inventava certi nomi. Aprì il tappo e non ebbe nemmeno il tempo di avvicinare il naso all’apertura che un tanfo insopportabile lo investì in pieno.
“Per tutti gli dei!” Esclamò quasi stordito dall’odore. “Questa roba sembra letame! In confronto stamattina Percy profumava!”
In preda alla disperazione spulciò attentamente tutti i flaconi alla ricerca di uno che avesse un odore accettabile ma i nomi riportati sulle etichette non erano mai molto confortanti. Fece un tentativo con “Acqua salmastra” ma rischiò di vomitare, così nascose il barattolo lontano dalla vasca nella speranza che Hedge non lo obbligasse ad utilizzarlo. Disperato, afferrò un altro flacone che riportava un’etichetta con scritto: “Essenza di corteccia (solo per corteggiatori)” e scoppiò a ridere. Cosa diavolo vorrebbe dire “solo per corteggiatori”? Aprì il tappo e annusò l’essenza. Fu come mettere la faccia dentro la borsa con la roba sporca della ginnastica dopo che era stata chiusa in macchina per tre giorni sotto al sole, ovvero un’esperienza indescrivibile.
“Allora?” Chiese la voce di Hedge che era appena entrato nel bagno con un asciugamano legato in vita. “È tutto pronto per la mia pedicure?” 

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Capitolo 17
*** Il via vai dei bagni ***


Angolo dell'autrice: Sorpresi di trovarmi già qui con il nuovo capitolo? Beh, sono sorpresa anche io. Tra quattro giorni devo discutere la tesi di laurea e invece di prepararmi la presentazione ho scritto una Percabeth, siamo a posto! A parte questo, sono un po' agitata e scrivere mi aiuta a distendere un po' i nervi, o almeno credo, altrimenti giuro che non so dirvi da dove ho tirato fuori questo capitolo. Una cosa però la so... è una Percabeth bella e buona, e l'ho scritta pensando a tutti voi che me l'avete chiesta in tutti i modi (con le recensioni, i messaggi privati, ecc). Spero che l'apprezzerete perchè è molto fresca e divertente. Per quanto riguarda la storia in sé non succede granché, anzi, praticamente non succede nulla. Consideratelo un capitolo divertente. Spero che lo apprezzerete e vi facciate qualche risata. Grazie mille a tutti voi che leggerete il capitolo e grazie in anticipo a chi lascerà una recensione! :-)






Il via vai dei bagni


 
 
Percy ci mise così tanto tempo per riordinare l’infermeria che finì per saltare il pranzo. Nel pomeriggio uscì dalla stanza giurando a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per non doverci mettere più piede. La cosa lo rammaricò un po’, visto che era da qualche giorno si immaginava una Annabeth in versione crocerossina che si occupava di lui facendo cose poco caste, ma visto gli sbalzi d’umore di cui lei soffriva negli ultimi giorni era meglio che non le palesasse questa sua fantasia.
Si richiuse la porta dell’infermeria alle spalle e con essa tutti i suoi pensieri erotici, poi salì i gradini delle scale a quattro a quattro desideroso di farsi quella doccia che agognava dalle prime ore del mattino. Raggiunse il bagno dei maschi e vi entrò senza prestare la minima attenzione al cartello affisso sulla porta. Era così desideroso di farsi la doccia che si spogliò alla svelta e quando udì la voce di Hedge rimbombare nel bagno era ormai completamente nudo.
“Jackson!”
Percy sollevò lo sguardo e notò il coach a mollo nella vasca da bagno, ai suoi piedi, letteralmente, Jason sedeva su uno sgabello con una lima in mano.
“Cosa diavolo ci fai qui dentro?” domandò il figlio di Giove in evidente imbarazzo.
“Secondo te?” chiese sarcastico indicandosi il corpo come a voler sottolineare il fatto che era nudo.
“Non li sai leggere i cartelli?” Ringhiò Hedge afferrando un acino d’uva da un vassoio carico di frutta che Percy notò solo in quel momento.
“In effetti no” ammise un po’ abbacchiato, “sa com’è… sono dislessico!”
“Per tutti gli dei dell’Olimpo!” Tuonò Hedge agitandosi nella vasca. “Che schifo! Ti vuoi rivestire!”
“Che schifo sarà lei e le sue zampe pelose, al massimo” sbottò Percy.
“Ehi!” intervenne Jason intento a rimuovere lo sporco dagli zoccoli del coach, “qui l’unico che può parlare di schifo sono io, è chiaro?”
“Un altro commento poco carino sui miei zoccoli, Grace, e giuro che ti troverò una punizione peggiore di questa!”
Percy rise, esilarato dalla comicità della scena a cui stava assistendo.
“Jackson!” Ringhiò di nuovo Hedge che sembrava incapace di pronunciare quel nome in un tono normale. “Per la miseria, ti vuoi rivestire? Non ti si può guardare!”
“In effetti la cosa comincia a disturbare anche me.” Ammise Jason risciacquando gli zoccoli del satiro.
“Come sarebbe non mi si può guardare?” lamentò Percy rimirandosi le parti basse. “Sono assolutamente proporzionato e se vogliamo dirla tutta, sono anche sopra la media per quanto riguarda le dimensioni.” Spiegò Percy in tono fiero.
“Ok, ok,” s’intromise Hedge, “un altro commento sulle tue parti basse o su quelle di qualcun altro e giuro che ti metto in punizione un’altra volta! Ora vestiti che mi stai bloccando la digestione!”
“Non ha pensato che forse la digestione le si sta bloccando perché sta mangiando in acqua da sdraiato?” domandò Percy con il suo tono più sfacciato. “E comunque no che non mi rivesto, voglio fare una doccia!”
“Vai nel bagno delle ragazze!” Disse Jason che cominciava ad essere parecchio provato dalla punizione e da quella conversazione.
“Vi state scandalizzando voi a vedermi nudo e mi consigliate di andare nel bagno delle ragazze?” domandò Percy confuso.
“Ok, ok, visto che tra le ragazze in questione c’è anche la mia, consentimi di riformulare la frase… vai nel bagno delle ragazze dopo esserti assicurato che non ci siano le ragazze!”
“Sembra uno scioglilingua” commentò Percy mentre rovistava tra gli asciugamani.
“Va beh, ok capito, vi lascio soli.” E così dicendo uscì dal bagno con un asciugamano legato in vita.
Il bagno delle ragazze si trovava esattamente di fronte e prima di bussare Percy si assicurò che non ci fossero cartelli affissi in giro. Fu felice di non trovarne nessuno, dal momento che avrebbe avuto seri problemi a leggerli. Controllò di avere l’asciugamano ben stretto in vita e bussò due volte. Nessuno rispose, così Percy abbassò la maniglia della porta e si apprestò ad entrare. Sebbene Leo avesse costruito i bagni in maniera perfettamente speculare, in modo che risultassero praticamente uguali, il figlio di Poseidone non ci mise molto a trovare qualche differenza. Tanto per cominciare l’ambiente profumava, davanti agli specchi (che erano il doppio rispetto a quelli presenti nel bagno dei maschi) c’erano un’infinità di boccette, flaconi e barattoli contenenti solo gli dei sapevano cosa. Alla sua destra, sopra una piccola cassettiera, erano impilati una decina di asciugamani, due phon e un affare in ferro lungo e stretto collegato ad una presa con un filo. Percy l’osservò per qualche secondo domandandosi cosa potesse essere. Gli ricordava terribilmente un oggetto che aveva visto una volta in un sexy shop di New York insieme a Grover, ma era certo che non poteva trattarsi dello stesso arnese. Se così fosse, significava che una tra Hazel, Piper e Annabeth era particolarmente insoddisfatta del proprio fidanzato.
“E tu cosa diavolo ci fai qui dentro?” La voce di Annabeth lo colse alla sprovvista e Percy rispose senza quasi nemmeno accorgersene. “E quello cosa diavolo è?” domandò indicando l’arnese sospetto.
Annabeth seguì le sue dita con lo sguardo e scoppiò a ridere.
“È un ferro per fare i boccoli, e non voglio sapere tu cosa pensavi che fosse!” Disse ridendo.
“I boccoli?” fece Percy stupefatto. “Abbiamo un’impresa impossibile da compiere, in cui probabilmente finiremo tutti ammazzati, e voi vi preoccupate di farvi i boccoli?”
“Senti, è di Piper, sarà anche figlia di Afrodite ma non penserai che i suoi capelli siano sempre così perfetti senza che lei faccia niente”.
Percy alzò gli occhi al cielo, pensando che mai e poi mai avrebbe capito le ragazze fino in fondo.
“E se l’è anche dimenticato acceso!” Aggiunse Annabeth correndo a staccare il ferro dalla presa. “Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda, cosa ci fai qui?”
“Io… beh, è da stamattina che sto tentando di fare una doccia…” ammise ricordandosi solo in quel momento che aveva solo un asciugamano avvolto intorno alla vita.
“In tal caso direi che hai sbagliato bagno” sorrise Annabeth.
“No, in effetti no, il fatto è che… non ci crederai mai, ma Jason sta facendo la pedicure, e non voglio sapere cos’altro, a Hedge.”
Annabeth inorridì.
“Sì, hai capito bene…” disse Percy in risposta alla sua espressione, “e mi hanno buttato fuori dal bagno… quindi sono qui a chiedere asilo.” Aggiunse con un sorriso.
“Oh beh, se è stato proprio Hedge a mandarti qui, chi sono io per negarti una doccia?” scherzò Annabeth che a stento riusciva a staccare gli occhi dal fidanzato. “A più tardi!” Disse allontanandosi.
“Aspetta un momento” disse il figlio di Poseidone afferrando la ragazza per un braccio e impedendole di andarsene. “Non vedo nessuna buona ragione per cui dovrei fare questa doccia da solo…” un’idea malsana gli stava balenando nella testa, “dopotutto sono in un bagno che non conosco…”
“Percy” intervenne Annabeth che aveva capito al volo le intenzioni del fidanzato.
“Potrei perdermi” aggiunse stringendola a sé e baciandola sul collo.
“Percy” fece di nuovo Annabeth.
“Dico sul serio… non si sa mai cosa può succedere nei bagni…” sussurrò mentre le sue mani accarezzavano avidamente il corpo della fidanzata.
“Percy, non è il caso…” si sforzò di dire lei resistendo all’impulso naturale di lasciarsi andare.
“E invece è il momento perfetto, e sai perché?”
Annabeth sollevò lo sguardo e rimase in attesa.
“Hedge è chiuso nell’altro bagno e ne avrà per un bel po’, e se non ricordo male il turno del pomeriggio al timone ce l’hanno Piper e Hazel, il che significa che non entreranno di certo qui dentro. E io è dal primo giorno che ho messo piede su questa nave che fantastico su quella vasca a idromassaggio!” Spiegò prendendo Annabeth per le spalle e voltandola in modo tale che si trovasse proprio di fronte alla vasca.
Annabeth sentì il battito del cuore accelerare, in un’altra situazione gli si sarebbe concessa senza fare troppe storie, ma quel giorno non era al top. Il mal di testa era passato grazie all’ambrosia, ma polso le faceva ancora male. Ma la cosa peggiore era la preoccupazione che l’attanagliava dal mattino. Dopo pranzo si era chiusa in camera, aveva estratto una piccola agenda dallo zaino e l’aveva sfogliata decine di volte alla ricerca del giorno che era solita segnare con una X. Ovviamente il mese scorso, preoccupata com’era a cercare Percy, si era dimenticata di segnarlo e adesso non aveva la minima idea di cosa pensare.
“Non ti sopporto quando fai così, Testa d’Alghe!” E così dicendo lo baciò sulle labbra pregando che nessuno avrebbe messo piede in quel bagno per la prossima mezz’ora.
Percy schiccò le dita e i rubinetti si aprirono riempiendo la vasca in un attimo.
“Hai mai fatto il bagno con il figlio del Dio del mare?” domandò Percy più che mai deciso a sedurla.
“No, ma qualcosa mi dice che sto per rimediare…” disse lei allentandogli il nodo dell’asciugamano.
Scivolarono insieme nella vasca. Nella fretta Percy non aveva nemmeno finito di spogliarla ma non ci mise molto a rimediare.
“Occhio a come ti muovi… il polso mi fa ancora un po’ male.”
“Scusa” borbottò Percy, mentre maldestramente l’abbracciava travolgendo una serie di boccette che erano appoggiate sul ciglio della vasca.
“Attento! Quello è il riflessante di Piper, ci tiene più della sua stessa vita!” Esclamò Annabeth ripescando le boccette cadute in acqua.
“Beh, un po’ di schiuma ci vuole però!” Disse Percy aprendo un flacone a caso e rovesciandone il contenuto nella vasca.
“No, quello no!” Disse Annabeth strappando la boccetta dalle mani del fidanzato. “È lo shampoo extravolume per ricci di Hazel!”
“Ok, c’è uno di questi flaconi che è tuo e che posso svuotare nella vasca senza ripercussioni?”
“Questo!” Disse Annabeth afferrando un barattolo e mettendolo nelle mani del fidanzato.
“Shampoo alla camomilla” lesse Percy sull’etichetta.
“Beh… per i capelli biondi è l’ideale.” Ammise Annabeth con sguardo civettuolo.
“E camomilla sia!” disse Percy afferrandola per i fianchi e avvicinandola a sé. Lei piegò indietro la testa per baciarlo mentre lui apriva lo shampoo e se lo versava sulle mani.
Un istante dopo lui rispose al bacio mentre le insaponava i seni con le mani.
“Guarda che lo shampoo si mette in testa” lo riprese Annabeth ridendo mentre lui le strizzava i seni senza darle tregua. Sentirli sgusciare sotto i suoi palmi lo mandò in ebollizione e fu costretto a modificare la temperatura dell’acqua perché cominciava a sentirsi accaldato.
“Ehi, ma così fa freddo!” Protestò Annabeth, i cui capezzoli non aveva preso bene la variazione di temperatura. Percy li sentì inturgidirsi sotto le sue mani e non capì più niente. Era più eccitato che mai. Girò Annabeth verso di lui e la baciò spingendola sott’acqua. La schiacciò sul fondo della vasca mentre i suoi capelli lo avvolgevano come una nuvola bionda. Annabeth mantenne gli occhi chiusi e lasciò che Percy facesse ciò che voleva di lei. Sentì il bacino di lui premere contro il suo e un attimo dopo lo sentì spingere mentre le immobilizzava le mani sopra la testa. Annabeth lo accolse con uno spasmo, poi si accorse che cominciava a mancarle l’ossigeno e si divincolò sperando che lui capisse il suo problema. Sfortunatamente Percy sembrava essersi dimenticato che lei non era in grado di respirare sott’acqua, così Annabeth si vide costretta a mollargli un pugno nel costato per poter tornare in superficie. Percy si ritrasse allentando la presa, colto alla sprovvista dal colpo della fidanzata.
Riemersero insieme in mezzo alla schiuma e Annabeth respirò a pieni polmoni mentre Percy tossicchiava tastandosi il fianco.
“Sei forse impazzito?” domandò col fiato corto. “Io non posso respirare sott’acqua!”
“Hai ragione, scusa” bofonchiò lui tenendosi il costato che pulsava dolorosamente, “ma penso che tu mi abbia rotto una costola!”
“Oh, beh” fece lei noncurante, “quindi immagino che tu non abbia le forze per continuare quello che abbiamo cominciato” e così dicendo salì i gradini della vasca. Percy stava per rispondere ma le parole gli si mozzarono in gola nel momento in cui lei emerse completamente dall’acqua. Gli dava le spalle e lui non riuscì a staccare gli occhi dalle sue natiche perfettamente rotonde e semi ricoperte di schiuma. Si vide costretto a deglutire poi trovò la forza di parlare di nuovo: “Non puoi lasciarmi qui così” mugolò rivolto al suo sedere. “Non importa se mi hai rotto una costola, ne ho altre ventitre!”
Annabeth rise e tornò in acqua da lui che la circondò con le braccia e riprese da dove aveva lasciato.
La spinse contro il bordo della vasca e le loro gambe s’intrecciarono nuovamente mentre i piedi di entrambi cercavano di fare attrito sul fondo. Percy scivolò e si aggrappò al bordo della vasca per non cadere, un momento dopo si udì un forte gorgoglio e i motori dell’idromassaggio partirono facendo turbinare acqua e schiuma.
“Percy! Perché hai accesso l’idromassaggio?”
“Non l’ho fatto apposta… stavo cadendo e ho premuto il pulsante per sbaglio!” Spiegò Percy tirandosi indietro i capelli che gli si erano attaccati alla fronte.
“Come si ferma questo affare?” domandò Annabeth premendo il pulsante più volte.
“Credo che si fermerà da solo” disse Percy sputacchiando schiuma.
“Si ma tra quanto? Lo sapevo, hai messo troppo sapone, guarda quanta schiuma c’è!” Sbraitò Annabeth che cominciava a perdere la pazienza.
“Invece di innervosirti e darmi la colpa, perché non vieni fuori dall’acqua e finiamo una buona volta quello che abbiamo cominciato?” suggerì Percy che era già fuori dalla vasca e tendeva una mano alla fidanzata. Lei sollevò lo sguardo e rimirò il corpo tonico di lui. Il tatuaggio più lucido che mai sulla pelle bagnata dell’avambraccio.
Annabeth afferrò la sua mano e si ritrovò sdraiata sul ciglio della vasca mentre lui si chinava per baciarla. I minuti che seguirono furono un susseguirsi di gemiti e sussurri e Annabeth riuscì persino a dimenticarsi della missione che sua madre le aveva affidato e del terribile dubbio che la tormentava.
I due erano talmente presi dalla situazione che non sentirono nemmeno bussare alla porta, così quando Frank entrò nel bagno munito di spazzolino da denti e dentifricio si trovò davanti una scena imbarazzante. Il rumore delle infradito di Frank sul pavimento bagnato però non passò inosservato e i due, ancora uno sopra l’altra, si voltarono inorriditi verso di lui.
“Frank!” Esclamarono all’unisono al culmine dell’imbarazzo.
“Ma che ci fai qui?” Tuonò Percy rotolando insieme ad Annabeth in acqua dove la schiuma li avrebbe nascosti almeno un po’.
“Mi dispiace, io mi sono appena svegliato… il turno di notte mi ha distrutto, ho visto il cartello sul nostro bagno e sono venuto qui a lavarmi i denti!” Spiegò mentre diventava rosso come un peperone.
“Possibile che solo io non leggo i cartelli!” Brontolò Percy dando per sbaglio una manata al pulsante dell’idromassaggio che ripartì gorgogliando.
“Oddio, che figura.” Piagnucolò Annabeth che avrebbe voluto saper respirare sott’acqua per poter sparire dalla vista di Frank.
“Va beh comunque non ho visto niente… e adesso me ne vado” disse il figlio di Marte che s’insultò per non aver dormito di più.
“No, no, stai pure, basta che ti volti e mi dai il tempo di uscire di qui” disse Annabeth cercando con gli occhi un asciugamano.
Frank si voltò e la ragazza sgusciò fuori dall’acqua avvolgendosi nell’asciugamano più vicino. Percy aspettò che fosse uscita, poi prese il flacone più grosso che aveva a portata di mano e lo scagliò contro il figlio di Marte colpendolo in testa.
“Ahi!” Esclamò Frank massaggiandosi la testa.
“Dormire dieci minuti in più no, eh?” brontolò Percy uscendo dall’acqua.
“Ho già detto che mi dispiace” disse Frank, “e comunque anche voi… farlo così nel bagno, chiunque avrebbe potuto entrare!”
“Questa me la paghi” dichiarò Percy uscendo dal bagno avvolto nell’asciugamano con cui era entrato.
Frank alzò le spalle e fissò la sua immagine nello specchio. Ultimamente non gliene andava bene nemmeno una.

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Capitolo 18
*** Verso le Colonne D'Ercole ***


Angolo dell'autrice: Ciao! Ecco pronto il nuovo capitolo. Sappiate che ho come l'impressione che non sia un granché, anzi per certi versi mi sembra un po' una schifezza... fatemi sapere cosa ne pensate. Il prossimo capitolo sarà meglio, giuro! Ora che mi sono laureata non ho più pensieri mi sento molto meno in colpa a scrivere storie, quindi spero di poter aggiornare molto più spesso. Detto questo, ringrazio tutti quelli che sono stati così carini da incoraggiarmi e sostenermi i giorni prima della discussione e anche tutti quelli che mi hanno poi chiesto com'era andata. Siete veramente fantastici. Grazie ancora e buona lettura.









Verso le Colonne D'Ercole

 
 
Quel giorno, tutti i membri dell’equipaggio della Argo II arrivarono all’ora di cena piuttosto provati, così, quando Leo annunciò con orgoglio di aver ultimato le riparazioni ai motori nessuno fece i salti di gioia che lui si aspettava.
Jason, che aveva finito da poco di affrontare la punizione più ardua della sua vita, si limitò a un misero “wow” privo di entusiasmo. Si sentiva ancora l’odore pestilenziale dell’essenza di tundra addosso e di tanto in tanto si annusava le ascelle per assicurarsi dell’odore che emanavano. Al suo fianco Hazel era tutta impegnata a non vomitare e si guardava bene dall’aprir bocca, la nave aveva ripreso una velocità normale e il suo stomaco non sembrava aver gradito la cosa, così si limitò ad un semplice cenno del capo.
Leo guardò dall’altra parte del tavolo alla ricerca di un po’ di entusiasmo, ma tutto quello che vide fu una Annabeth scura in volto che sembrava intenta a digiunare. La ragazza teneva la testa così bassa che Leo non riuscì nemmeno ad incrociare il suo sguardo e per un attimo s’illuse che l’amica stesse dormendo visto che non aveva manifestato nessun tipo di reazione.
“Ehi, quello non lo mangi?” Le domandò Percy che sedeva al suo fianco e aveva già svuotato il suo piatto.
Annabeth sollevò il capo a fatica, come se la testa le pesasse in modo spropositato, poi si voltò verso il suo fidanzato e disse: “No, non mi va, anzi a dire il vero non mi sento troppo bene, penso che andrò a letto.” Fece scivolare il suo piatto verso Percy e si alzò dalla sedia ciondolando.
“Cos’hai?” Le domandò lui, le sopracciglia aggrottate.
“Ho un po’ di mal di testa, ma mi capita spesso quando ho bisogno di riposare… buona notte.”
Percy osservò la ragazza sparire lungo il corridoio, poi afferrò il piatto e lo tirò verso di sé intenzionato a svuotarlo il prima possibile, ripromettendosi di passare da lei prima di andare a dormire.
“No tranquilli, vedete di non esaltarvi troppo per quello che vi ho appena comunicato!” Commentò Leo imbronciato.
“Leo” intervenne Frank che sedeva a capotavola e fino a quel momento non aveva proferito parola, “siamo tutti contenti che i motori siano di nuovo funzionanti, e ti ringraziamo per averli sistemati. Il fatto è che qui siamo tutti esausti, questa impresa si sta rivelando peggio del previsto e questo viaggio sembra non finire mai…”
“Ha ragione” convenne Percy che aveva appena finito di svuotare il piatto di Annabeth, “nessuno di noi ha mai dubitato di te, sapevamo che avresti sistemato le cose.”
“Chi è di turno al timone stasera?” Domandò Hedge per cambiare discorso.
“Io e Jason” disse Leo ancora abbacchiato dal fatto che nessuno avesse dimostrato particolare entusiasmo per la sua notizia.
“Allora farete meglio ad andare di sopra, ci stiamo avvicinando alle Colonne d’Ercole e sarà meglio tenere gli occhi aperti.” Suggerì il coach scolandosi quello che rimaneva del suo chinotto per poi ingoiare tutta la lattina.
I due obbedirono e Hedge li scortò fino al ponte superiore come per assicurarsi che non facessero deviazioni lungo la strada.
Piper e Hazel incominciarono a sparecchiare mentre Percy si avvicinò al lavandino come se stesse andando al patibolo. Frank afferrò uno straccio deciso ad aiutare Percy con i piatti e un attimo dopo si rivolse alle ragazze.
“Hazel, Piper, non vi preoccupate, qui finiamo noi” disse osservando Piper che sbadigliava mentre l’altra si teneva le mani premute sullo stomaco. Percy ascoltò il figlio di Marte in silenzio e si convinse che dietro quelle parole ci fosse qualcosa di più di un semplice gesto di cavalleria.
“Senti, mi dispiace per prima…” disse Frank mortificato non appena rimasero soli.
Percy, che stava impilando i piatti, si limitò ad un’alzata di spalle e disse: “Tranquillo amico, fortunatamente Annabeth non è una che si tira indietro, quindi avremo altre occasioni.” Condì il tutto con un occhiolino, cosa che sembrò risollevare un po’ il morale di Frank.
“Ma quando dici che Annabeth non si tira indietro… di preciso a cosa ti riferisci?” Domandò a bassa voce arrossendo lievemente in zona orecchie, come se non fosse del tutto sicuro che quella domanda fosse appropriata. Percy rimase inizialmente interdetto dalla curiosità del figlio di Marte, fino a quel momento era stato solo Jason a porgli domande di un certo tipo, ma adesso anche Frank sembrava interessarsi alla sua vita sessuale.
“Beh” borbottò un po’ imbarazzato, “intendo che quando ho voglia, di solito ce l’ha anche lei, a volte fa un po’ di storie ma poi riesco sempre a convincerla, capisci cosa intendo?”
Frank arrossì violentemente, non era abituato a fare certi discorsi.
“Si, credo proprio di si” disse trattenendo a stento un sorriso.
 
Appena fuori dalla cucina, Piper ed Hazel camminavano fianco a fianco nel corridoio che conduceva alle cabine.
“Come ti senti?” Domandò Piper all’amica.
“Male” si limitò a rispondere Hazel.
“In effetti stai diventando verde…”
“No, il mal di mare è il meno…”
“So che sei preoccupata per tuo fratello, ma andrà tutto bene, Leo ha sistemato i motori, ce la faremo, vedrai.”
Al solo udire il nome di Leo, Hazel fu percorsa da un brivido. Dopo quello che era accaduto nella cabina di lui non si erano più rivolti la parola, ma la cosa peggiore è che lei non lo aveva informato del fatto che era sonnambulo e temeva che lui avrebbe potuto manomettere nuovamente i motori della nave.
“È quello che ha detto anche Frank”
“Perché Frank è un ragazzo intelligente, non come Jason che si presenta malconcio in camera mia e cerca di saltarmi addosso!” Disse Piper lasciandosi andare ad un piccolo sfogo.
“L’ha fatto sul serio?”
“Sì” ammise la ragazza chinando il capo.
“Beh, sei figlia di Afrodite, non puoi pretendere che il tuo ragazzo non tenti di saltarti addosso ogni volta che ti vede.”
Piper sospirò.
“Croce e delizia di essere figlia della dea della bellezza.”
“Esatto” convenne Hazel.
Quando le due amiche passarono davanti alla cabina di Annabeth sentirono un rumore sordo provenire dalla sua stanza e si fiondarono alla sua porta preoccupate.
“Ha detto che aveva mal di testa, magari si è sentita male ed è svenuta!” Disse Piper allarmata. Le ragazze si scambiarono uno sguardo e poi Hazel prese a bussare alla porta come una pazza gridando il nome dell’amica. Poi si accorse improvvisamente che la porta era aperta e le due semidee si riversarono nella stanza precipitosamente inciampando una sull’altra.
“Ma che vi prende a tutte e due? Siete impazzite?” Domandò Annabeth guardando esterrefatta le amiche che si sorreggevano l’un l’altra.
“Tu sei impazzita! Che razza di rumori fai qui dentro? Pensavamo che fossi svenuta!” Spiegò Piper tutto d’un fiato notando solo in quel momento che la figlia di Atena aveva messo completamente a soqquadro la stanza.
“Oh, scusate, in effetti stavo cercando una cosa…” disse Annabeth per giustificare il disordine che regnava nella sua cabina, “e ho lanciato un vecchio libro, penso che sia stato quello a farvi preoccupare, ma io sto bene. Scusate se vi ho fatto preoccupare.”
Piper sembrò tranquillizzarsi ma Hazel scrutò Annabeth attentamente come se percepisse qualcosa di strano.
“Annabeth” disse con voce calma, “sei sicura di stare bene? Se c’è qualcosa che non va puoi parlarne con noi, lo sai vero?”
Annabeth strabuzzò gli occhi e sfoderò il suo tono più sereno: “Non c’è nulla che non va, ragazze. Va tutto bene, veramente.”
Questa volta anche Hazel sembrò crederle, così lei e Piper si decisero a lasciarla nuovamente sola.
Annabeth le guardò richiudere la porta e non appena sentì i loro passi allontanarsi lungo il corridoio nascose il viso tra le mani e si sforzò di non piangere. Le sembrava di vivere in un incubo. Si costrinse ad essere forte e ad affrontare un solo problema alla volta ma in quel momento qualcuno bussò nuovamente alla sua porta.
Annabeth fece un profondo respiro e disse “avanti” cercando di ricacciare indietro le lacrime che erano lì lì per sgorgare dai suoi occhi. La testa di Percy fece capolino dalla porta e Annabeth sentì il cuore battere più forte, non sapeva se per gioia o per paura.
“Ehi” disse dolcemente lui facendosi largo nella stanza, “sono passato per vedere come stavi…”
“Meglio” si affrettò a rispondere Annabeth, “stavo facendo un po’ di ordine tra le mie cose.”
“Lo vedo” commentò Percy ridendo.
Calò un silenzio imbarazzante e Annabeth prese a tormentarsi nervosamente una ciocca di capelli. Da un lato voleva rimanere sola ma dall’altro aveva un gran bisogno di conforto. Era già stata abbastanza dura respingere le amiche, lasciare che anche Percy se ne andasse sarebbe stato ancora più difficile.
“Senti… stavo pensando… ma se dormissimo insieme stanotte? E con dormire intendo dormire” precisò Percy sperando che Annabeth non fraintendesse le sue parole.
Annabeth non lasciò che aggiungesse altro, si lanciò letteralmente tra le sue braccia e insieme crollarono sul letto.
“Ho paura” ammise dopo quelli che sembrarono dei minuti interminabili. Percy la strinse più forte, avrebbe voluto dirle che sarebbe stato lì per proteggerla, ma sapeva che non sarebbe stato al suo fianco durante la missione, così decise di incoraggiarla, dopo tutto nessuno è più forte di chi crede in sé stesso.
“Sei la ragazza più in gamba che conosca” le sussurrò all’orecchio, “sei più intelligente di chiunque altro e hai coraggio da vendere, sono queste caratteristiche che ti faranno concludere con successo la missione, ne sono certo!”
Annabeth si strinse più forte al suo petto e respirò a fondo il suo odore, quello che una volta era solita confondere con quello del mare ma che adesso le ricordava casa, perché la verità era che si sentiva a casa ovunque lui fosse al suo fianco.
Per un attimo fu sul punto di rivelargli le sue paure ma poi lui ruppe il silenzio. “Hedge dice che siamo vicino alle Colonne d’Ercole e Jason non sta più nella pelle all’idea di conoscere il suo fratello più famoso” disse prendendo a pugni il cuscino per renderlo più comodo.
“E tu?” domandò Annabeth, “sei curioso di conoscere un eroe del passato?”
“A dire il vero no… che ci vada pure Jason, preferisco passare più tempo possibile con te.”
Annabeth sorrise mentre le guance le si coloravano di rosa.
“Sono felice che Leo sia riuscito a sistemare i motori… questa attesa stava diventando interminabile… ormai ci siamo quasi.”
“Sì, Leo è stato grande, devo ammetterlo, con quella cintura non c’è problema che non sappia risolvere.”
Magari avessi anch’io una cintura in grado di risolvere i miei problemi, pensò Annabeth fissando il soffitto della cabina.
“Già… la cintura” sospirò la figlia di Atena.
“Devo dire che come oggetto magico non è niente male… certo, non è come Vortice o come il tuo cappellino, ma avere una cintura da cui puoi attingere ogni volta che hai bisogno qualcosa è un gran bel vantaggio.” Rifletté Percy sdraiato accanto ad Annabeth che aveva ancora gli occhi fissi sul soffitto.
“Ogni volta che hai bisogno qualcosa?” Domandò Annabeth a cui si era improvvisamente accesa una lampadina.
“Così dice lui” fece Percy con un’alzata di spalle.
Un’idea decisamente assurda cominciò a farsi largo nella mente della ragazza, si trattava indubbiamente di un pensiero inconscio e soprattutto disperato ma in quel momento era rappresentava l’unica possibilità di far luce su quell’insopportabile situazione.
Quando la mente di Annabeth finalmente arrestò la sua corsa, Percy stava già russando. Rannicchiato sull’orlo del letto, Annabeth lo vide respirare profondamente, dormiva come un bambino e lei si accoccolò al suo fianco sperando che il sonno sopraggiungesse il prima possibile.
Quella notte Annabeth sognò di nuovo Era. Nonostante la sua immagine non fosse nitida come quella che aveva invaso i suoi sogni passati, Annabeth non dubitò nemmeno per un attimo della sua identità. Nel sogno la voce della dea rimbombava forte e chiara e lei avrebbe riconosciuto il suo tono austero tra mille.
“Davvero hai bisogno della cintura del tuo amico Leo per chiarire ogni dubbio?” Diceva la voce a cui faceva seguito una risata acuta e fastidiosa.
“Sei figlia della dea della sapienza e ancora non hai capito cosa sta accadendo? L’ho sempre detto che i discendenti di Atena sono sopravvalutati” la derise la dea che sembrava provare piacere nel canzonare la ragazza.
“Quanto ti ho annunciato nel sogno precedente si è compiuto e adesso non c’è più niente che tu possa fare, sei una stupida Annabeth Chase!”
Annabeth si svegliò di soprassalto travolgendo Percy che stava ancora dormendo e destandolo nel peggiore dei modi.
“Ehi!” Esclamò il figlio di Poseidone. “Cosa succede?” Aggiunse allarmato quando notò l’aspetto trafelato della ragazza e la sua espressione terrorizzata.
“Ho… ho solo fatto un brutto sogno, credo” spiegò mettendosi di nuovo sdraiata e cercando di controllare il suo ritmo cardiaco.
Percy le si mise accanto circondandola con le braccia sperando che quel gesto l’aiutasse a calmarsi. La sentì sospirare, poi il sonno prese nuovamente il sopravvento. Per Annabeth fu diverso, la ragazza non riuscì più a chiudere occhio, non riusciva a togliersi le parole di Era dalla mente, se era vero che la sua vendetta era compiuta a lei non restava che prenderne atto, ma per essere certa che la dea non bleffasse aveva bisogno a tutti i costi della cintura di Leo.

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Capitolo 19
*** Voci di corridoio ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Anche questa volta sono un po' in ritardo con l'aggiornamento della storia ma questa volta per un buon motivo! Ho iniziato a scrivere anche un'altra FF (una AU per la precisione) che pubblicherò solo quando avrò scritto un bel po' di capitoli. Non temete... non ho alcuna intenzione di abbandonare questa FF che state seguendo veramente in tantissimi e per questo vi ringrazio. Venendo al capitolo che state per leggere che dire... il titolo non mi piace molto ma giuro non sapevo come chiamarlo! So che siete tutti in trepidazione per la vicenda Annabeth ma sentivo il bisogno di scrivere anche un po' delle altre coppie che effettivamente ho un po' trascurato. Spero che apprezzerete comunque il capitolo e che vogliate scrivermi le vostre impressioni. Come sempre conto su di voi!







Voci di corridoio


 
 
Leo si era decisamente stufato di rigirarsi nel letto nel tentativo di prendere sonno, così, verso l’una di notte, decise di fare due passi lungo il ponte. Uscì dalla sua cabina cercando di non fare rumore e cominciò a passeggiare lungo il corridoio con le mani in tasca e l’aria spensierata.
Quando Hazel uscì dal bagno e salì le scale che conducevano alle cabine vide il figlio di Efesto ciondolare nel corridoio e rabbrividì. Si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi corse verso di lui e lo strattonò per un braccio.
“Leo” disse a mezza voce, “devi andare a dormire!”
“Ciao Hazel” disse lui sorpreso di vederla in giro a quell’ora. “Veramente è due ore che provo ad addormentarmi ma non c’è verso… così sono uscito per prendere un po’ d’aria.”
Hazel sbarrò gli occhi e arretrò di un passo. Questa volta Leo sembrava completamente lucido.
“Ma… quindi non stai dormendo…” disse più a se stessa che al ragazzo.
Leo inarcò un sopracciglio e strabuzzò gli occhi. “Ti senti bene?” domandò guardandola meglio, “certo che non sto dormendo.”
“Ehi aspetta” fece lei brusca, “tu sei sonnambulo e io credevo che fossi uscito dalla tua cabina nel sonno!”
“Cosa?” fece lui incredulo.
“Sei sonnambulo!” Insistette lei che non aveva nessuna voglia di passare per una squilibrata.
“No che non lo sono!”
“Shhhh” lo zittì lei prendendolo per mano, “seguimi!”
Un attimo dopo lo stava trascinando verso la cucina dove avrebbe potuto spiegargli tutto senza dover bisbigliare per paura di essere sentiti da orecchie indiscrete.
“Ok” disse mettendolo a sedere davanti al tavolo, “adesso ti spiego tutto…”
“Te ne sarei grato!” Leo incrociò le braccia al petto e si mise in ascolto, ma non fu in grado di mantenere quella posizione per più di cinque secondi. Essendo iperattivo, ed essendo un figlio di Efesto, faticava a stare fermo per troppo tempo, così, complice il nervosismo, prese a tamburellare con le dita sul legno del tavolo.
“L’altra sera hai bussato alla mia porta e ti sei infilato nel mio letto!” Gli disse sforzandosi di non arrossire per non far trapelare i suoi sentimenti.
Hazel vide la faccia di Leo cambiare bruscamente colore, così si decise a dirgli tutto prima che gli venisse un infarto.
“Sì, ti sei infilato nel mio letto… ma non eri cosciente di quello che stavi facendo.”
Leo deglutì e rimase in ascolto, incapace di proferire parola, il ritmo delle dita sul tavolo costantemente in aumento, un po’ come il battito del suo cuore.
“Ci ho messo un po’ a capirlo” raccontò Hazel cercando di non imbarazzarsi troppo, “ti ho fatto delle domande ma tu non mi rispondevi, così ho capito che stavi dormendo e ti ho riaccompagnato nella tua cabina perché sapevo che i sonnambuli non vanno mai svegliati.”
Leo fece per dire qualcosa ma lei lo fermò prima che potesse aprir bocca. “Fammi finire” lo pregò bloccandolo con un gesto della mano. Il peggio doveva ancora venire. “Quando ti ho accompagnato in cabina mi sono accorta che i tuoi attrezzi erano tutti in giro e tu avevi i vestiti ricoperti di grasso.
Leo si sentì svenire, ci mancava solo che adesso lei gli dicesse che lo aveva pure spogliato.
“Ho riordinato tutto perché ho capito che eri stato tu a manomettere i motori e non volevo che qualcuno lo scoprisse e ti accusasse di aver tentato di sabotare la missione.”
Leo aprì la bocca per ribattere ma non ne uscì alcun suono. La verità lo travolse come un treno in corsa e le parole gli morirono in gola.
“Leo, sei stato tu a manomettere i motori della nave” gli disse in tono comprensivo, “ma l’hai fatto da sonnambulo, non te ne si può fare una colpa.”
“Si ma ho rallentato la missione, e per colpa mia tuo fratello rischia la vita…”
“Hai rimediato alla situazione e adesso navighiamo a vele spiegate verso Roma, è questo quello che conta. Sono certa che troveremo il modo di salvare Nico in tempo.” Lo rassicurò poggiandogli una mano sulla spalla.
Leo sospirò come se non fosse del tutto convinto ma apprezzò comunque il suo conforto.
“Scusa se non te l’ho detto prima ma…”
“Ma?”
“Ma quando mi sono decisa a parlartene sono venuta nella tua cabina e tu mi hai baciata.” Ammise lei, questa volta senza riuscire a non arrossire.
“O cavolo!” Si lasciò sfuggire Leo che realizzò solo in quel momento di aver fatto la più grande figuraccia della sua vita.
“Scusami, io credevo che tu… cioè, che io… va beh lascia stare” si arrese resistendo alla tentazione di correre a nascondersi nella sua cabina.
“No, scusami tu” bisbigliò lei che a stento riusciva a guardarlo negli occhi. “Dopo quella sera non sono più riuscita a guardarti in faccia… e non riesco nemmeno più a guardare negli occhi Frank…” ammise abbassando lo sguardo.
“Lui non sa niente, vero?” si assicurò Leo.
“No, non gli ho detto niente perché non so come la prenderebbe… forse la cosa più saggia è parlargliene quando la missione sarà conclusa. Ti prego, non dirgli nulla.”
“Oh, certo, non preoccuparti…” la rassicurò lui. “Quello che indossi è il mio fermaglio?”
Hazel si portò una mano dietro la testa e tastò il piccolo fermaglio in legno, non ricordava nemmeno di averlo indossato, forse perché da quando lui gliel’aveva regalato ormai lo indossava sempre. Ma chi voleva prendere in giro? Quello era un chiaro segnale dei sentimenti che provava per Leo, eppure faceva di tutto per negarlo.
“Si… è proprio quello” disse sentendo le gote arrossarsi lievemente. “Ma ora faremmo meglio ad andare a letto, se non vogliamo che qualcuno ci trovi qui e si faccia strane idee” tagliò corto lei che cominciava a sentire il cuore accelerare i battiti per il prolungato tête a tête con Leo.
 
La mattina seguente Piper fu svegliata da qualcuno che bussava prepotentemente alla sua porta.
“Per tutti gli Dei!” Brontolò rigirandosi nel letto, il cuscino premuto sulla faccia nel tentativo di ignorare il fastidioso rumore.
Il personaggio fuori dalla porta continuò a bussare con insistenza e Piper fu costretta ad alzarsi controvoglia.
“Cosa diavolo succede?” domandò aprendo la porta ancora assonnata. “Jason” disse sorpresa quando vide il suo ragazzo sull’uscio con indosso solo dei pantaloncini da basket.
“Hai mica visto la mia maglia viola del campo?” chiese con un mezzo sorriso che fece increspare la sua cicatrice.
“Non ci voglio credere” commentò Piper portandosi una mano alla fronte. “Mi hai veramente svegliato per questo?”
“Scusa, non pensavo che stessi ancora dormendo” si giustificò lui passandosi una mano tra i capelli. “Quindi l’hai vista o no?”
“Ma cosa vuoi che ne sappia io?” sbraitò Piper che non voleva credere alle sue orecchie.
Jason arretrò un po’ spaventato dal tono della fidanzata poi disse: “sei ancora nervosa perché hai il ciclo?”
Piper roteò gli occhi incredula, di quel passo entro sera sarebbe stata single e probabilmente anche accusata di omicidio.
“Anche tu saresti nervoso se ti avessero svegliato bussando alla porta ininterrottamente per dieci minuti per chiederti una cosa stupida.” Ringhiò trattenendosi dall’istinto di strangolarlo.
“Non è una cosa stupida” disse lui, “ci tengo a quella maglietta!”
Piper lo fulminò con lo sguardo.
“Ok, sto zitto” dichiarò lui abbassando lo sguardo.
“Comunque buongiorno” disse Piper provando a riavviare quella conversazione che era partita decisamente in malo modo.
“Buongiorno splendore” fece lui raggiante.
“Mi state facendo venire il diabete voi due!” Ruggì il coach che presumibilmente tornava dal bagno visto l’asciugamano che aveva legato in vita.
“È essenza di tundra quella che sento forse?” Domandò Jason per sdrammatizzare.
“Sbagliato Grace! Hai forse bisogno di un’altra punizione per riconoscere che questo è estratto di fronde montane?”
“No, no, direi proprio di no, ora che ci faccio caso è proprio estratto di fronde montane.”
“Allora ti consiglio di girare alla larga dalla cabina della tua fidanzata… sempre che tu non voglia finire a pulirmi gli zoccoli un’altra volta.”
“Mi ha convinto!” Dichiarò il figlio di Giove.
“Ci vediamo dopo” sussurrò a Piper che era ancora in piedi in pigiama sulla porta della sua cabina.
“E vedi di metterti qualcosa addosso… tra te e Jackson non ho ancora capito che problemi avete a vestirvi!” Abbaiò Hedge mentre Jason si allontanava.
“Ah, a proposito” fece Jason voltandosi all’improvviso, “ha mica visto la mia maglia viola del campo?”
Hedge lo fulminò con uno sguardo ancora peggiore di quello che gli aveva riservato Piper un attimo prima, poi gli urlò dietro: “Ma per chi mi hai preso? Non sono mica la tua colf!”
Jason capì che la conversazione era finita e corse verso le scale mentre Piper si accingeva a richiudere la porta della sua cabina scuotendo la testa pensando che non avrebbe potuto trovarsi un fidanzato più imbecille.
In quel momento la porta della cabina di Annabeth cigolò e ne uscì Percy con indosso solo pantaloncini e infradito. Aveva i capelli messi peggio del solito e, vista la sua faccia, non doveva essersi svegliato da più di due minuti.
“Jackson!” Ruggì Hedge facendo rimbombare la sua voce per tutto il corridoio. “Cosa diavolo ci facevi nella cabina di Annabeth mezzo nudo?”
“Glielo spiego un’altra volta coach!” Ridacchiò Jason che si era fermato sul primo gradino delle scale per assistere alla scena.
“Oh dei!” Borbottò Percy ancora troppo addormentato per inventarsi una scusa plausibile. “È la cabina di Annabeth? Sul serio?” Disse voltandosi per guardare meglio la porta da cui era appena uscito. “Devo aver sbagliato… meglio che vada nella mia.” Aggiunse allontanandosi come se nulla fosse.
“Jackson!” Gracchiò il coach infuriato. “Lascia solo che mi venga in mente una punizione direttamente proporzionale alla tua sfacciataggine!”
“Io ne avrei in mente una” s’intromise Jason che avrebbe tanto voluto vedere Percy alle prese con il muschio incrostato sotto gli zoccoli del satiro. Solo il pensiero gli procurava una certa soddisfazione.
“Tu fatti gli affari tuoi” abbaiò Percy mentre camminava verso la sua cabina ignorando l’ira del coach.
“Ah, Percy” fece Jason un attimo prima di vederlo rientrare in cabina sbattendo la porta, “hai mica visto la mia maglia viola…”
“Grace! Per tutti gli dei dell’Olimpo vai a metterti qualcosa addosso! E giuro che se ti sento ancora una volta chiedere a qualcuno se ha visto la tua maglia viola mi metterò a cercarla di persona solo per il gusto di fartela ingoiare.”
La minaccia suonava già abbastanza bene senza bisogno che il satiro estraesse la sua fedele mazza da baseball dalla cabina per risultare più convincente.
“Ok, ho colto l’antifona, me ne vado!” E così dicendo Jason finì di scendere le scale scomparendo alla vista di Piper che era ancora appoggiata alla sua porta.
La ragazza osservò il coach brontolare qualcosa di poco chiaro sulle nuove generazioni e sulla disciplina mentre rientrava in cabina, poi si convinse ad andare a farsi una doccia per svegliarsi del tutto.
Giunta in bagno trovò Annabeth in piedi davanti allo specchio, intenta a legarsi i capelli in una treccia.
“Ciao” le sorrise, “il tuo ragazzo si è appena fatto beccare da Hedge mentre usciva dalla tua cabina.”
“Ho provato a svegliarlo mezz’ora fa dicendogli di tornare nella sua stanza ma era come parlare con un cadavere, alla fine mi sono arresa e l’ho lasciato dormire.” Sospirò Annabeth avvolgendo l’elastico intorno alle punte per chiudere la treccia.
“Se pensi di essere l’unica ad avere un fidanzato imbecille sappi che ti faccio compagnia… Jason mi ha svegliato bussando come un indemoniato alla mia porta per chiedermi se sapevo dove fosse la sua maglia viola del campo, l’avrei ucciso!” Spiegò Piper lavandosi la faccia.
“Hai visto se Leo è già sveglio?” Chiese Annabeth che non aveva minimamente archiviato la folle idea che l’aveva illuminata la sera prima.
“Non l’ho visto, magari è già sul ponte a vedere se Frank è sopravvissuto al turno di notte.” Ipotizzò ridendo.
Annabeth non era minimamente dell’umore adatto per scherzare, ciononostante fece un enorme sforzo per sorridere alla battuta dell’amica.
“Vado a cercare Leo, ci vediamo più tardi.” E con quelle parole imboccò l’uscita lasciando Piper alle prese con le occhiaie che lo specchio le aveva appena rivelato.

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Capitolo 20
*** Basket e test ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Grazie per aver pazientato così a lungo. Questo capitolo è stato un po' un parto perchè avevo ben in mente quello che doveva accadere ma nonostante questo ho fatto proprio tanta fatica a metterlo giù. In un modo o nell'altro sono riuscita a sbloccarmi e a superare l'ostacolo, anche se probabilmente non l'ho fatto nel migliore dei modi visto che il capitolo non mi entusiasma particolarmente. Spero che a voi piaccia anche se sul finale sono stata un po' cattiva  e so già che mi beccherò un sacco di insulti per questo! eheheh. ;-) siate comprensivi... un po' di sana souspance ci vuole sempre! Buona lettura e scusatemi ancora per il ritardo!






Basket e test


 
 
Annabeth sbucò dal boccaporto di poppa giusto in tempo per vedere Leo che estraeva dalla sua cintura una ciambella ricoperta di glassa e l’addentava con foga.
“Leo! Mi stai sbriciolando addosso!” Brontolò Frank visibilmente seccato.
“Scusa” disse Leo a bocca piena, sputacchiando. Frank sbuffò.
“No, scusa tu…” mormorò a testa bassa, “è un periodo che sono un po’ suscettibile perché con Hazel non va troppo bene.” Ammise mentre Leo rischiava di strozzarsi con la ciambella.
“Cioè, non è che non va bene…” precisò Frank mentre Leo avrebbe preferito scappare a nascondersi piuttosto che parlare di Hazel, “…solo che a volte mi capita di non sentirmi all’altezza, ho come la sensazione che lei si meriti di meglio.”
Nonostante Annabeth non volesse origliare, non poté fare a meno di udire i discorsi dei due ragazzi e si vide costretta ad intervenire.
“Ciao ragazzi” esordì cogliendoli di spalle, “quanto manca alla nostra destinazione?” Chiese desiderosa di arrivare a Roma il prima possibile.
“Se la rotta che ha tracciato Percy è corretta, dovremmo raggiungere le Colonne d’Ercole in meno di un paio d’ore.” Spiegò Leo indicando le linee che Percy aveva tracciato sulla mappa nautica. “Una volta lì non ci vorrà molto per raggiungere Roma.” Aggiunse indicando la capitale italiana sulla cartina.
Annabeth si soffermò a studiare la mappa per un momento, poi, come se si fosse sentito chiamato in causa, Percy sbucò dal boccaporto di prua con una palla da basket sotto braccio seguito a ruota da Jason e Piper che tentava di trattenere il suo ragazzo.
“Ragazzi, vi sembra un comportamento maturo questo?” Sbottò Piper mentre i due ragazzi raggiungevano il centro del ponte a passo svelto, ignorandola completamente.
“Ok, ce la giochiamo ai tiri liberi” dichiarò Percy fermandosi di colpo per fronteggiare Jason, che dovette frenare all’improvviso per non andargli addosso.
Piper sollevò la testa e incrociò lo sguardo di Annabeth che, accigliata, osservava la scena dal ponte di comando. Si strinse nelle spalle e allargò leggermente le braccia come a dire “io ho provato a fermarli”.
“Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?” disse Annabeth mentre anche Frank e Leo si alzavano per vedere meglio quello che stava accadendo.
“Si stanno litigando l’ultimo muffin!” Spiegò Piper imbarazzata.
Annabeth rimase così interdetta che non riuscì nemmeno a ribattere.
“Non ce lo stiamo litigando” precisò Percy facendo fare un ribalzo di prova alla palla, “ce lo stiamo giocando, cosa di cui dovresti ringraziarmi dal momento che l’ho visto prima io” aggiunse rivolto al suo avversario che, sorretto dalle correnti d’aria, stava assicurano una botte a cui aveva rimosso il fondo, all’albero maestro.
“Non dire idiozie, sai bene che l’avevo visto prima di te!” Ringhiò Jason. “Leo, vieni a darmi una mano!”
Leo non se lo fece ripetere due volte. Ingoiò l’ultimo pezzo di ciambella e saltò giù dalla postazione di comando con le mani ancora impiastricciate di cioccolato, raggiunse l’amico e l’aiutò a fissare il canestro improvvisato.
In quel momento anche Hazel li raggiunse sul ponte e si rivolse a Piper. “Lo stanno facendo sul serio?” domandò come se non credesse ai propri occhi.
“Così pare” mormorò lei che cominciava seriamente ad imbarazzarsi per i comportamenti infantili del fidanzato.
Appena tornato coi piedi per terra, Jason si sfilò la maglietta e gonfiò il petto come se quello stupido gesto servisse ad intimidire il suo avversario. Percy non era certo facile da intimidire, ma era molto facile da tirare in mezzo, fu così che anche lui si sfilò la maglietta e la lanciò vicino a quella di Jason.
“Tre tiri liberi a testa” spiegò Percy alzando tre dita della mano destra.
“Va bene, facciamo a modo tuo” fece Jason allargando le braccia in segno di resa, “ma se hai paura del contatto fisico potevi dirlo subito!”
Percy schiacciò il pallone a terra con violenza e si avvicinò a Jason minaccioso. Non aveva passato la sua adolescenza nei peggiori campetti da basket di New York solo per sentirsi insultare dal primo che passava.
“Non credo di aver capito bene cosa hai detto!” Ringhiò ad un millimetro dalla sua faccia.
“Dico solo che se non fossi certo di perdere in uno scontro diretto, non avresti proposto i tiri liberi!” Disse Jason con aria di sfida, le braccia incrociate al petto.
“Pensi che non sia in grado di batterti?” domandò Percy che cominciava ad alterarsi, complice lo stomaco vuoto.
“Non solo lo penso, ne sono convinto.”
“Ok, cambiamo le regole, niente tiri liberi, vince il primo che fa tre punti, e adesso muoviamoci che voglio fare colazione!”
“Ragazze” esordì Hazel timidamente avvicinandosi a Piper e Annabeth che osservavano i fidanzati dalla postazione di comando, “dite che dovrei dirglielo che il muffin per cui stanno facendo tutto questo casino se l’è mangiato Hedge un secondo dopo che loro sono usciti dalla cucina?”
“Io credo che questa faccenda vada ben oltre un semplice muffin” rifletté Annabeth, “è da quando si sono conosciuti che quei due litigano per stabilire chi è il maschio alfa, e ho come l’impressione che il muffin sia solo l’ennesimo pretesto per scornarsi.”
Hazel e Piper annuirono, entrambe sorprese dal ragionamento di Annabeth, degna figlia della dea della saggezza.
“E pensi che due tiri a basket determineranno il maschio alfa?” le chiese Piper a cui veniva da ridere solo a pensarci.
“Assolutamente no” sghignazzò Annabeth che aveva ormai smesso di stupirsi della stupidità dei ragazzi.
In quel momento Percy colpì il cerchio della botte che fece una gran fracasso e riportò l’attenzione delle ragazze sulla partita.
A poca distanza Leo si sbracciava, visibilmente schierato dalla parte di Jason e fu così che Frank si sentì in dovere di prendere le parti di Percy che, proprio in quel momento, mise a segno il primo punto sotto gli occhi del figlio di Giove che imprecò in latino.
A distanza di dieci minuti il punteggio non era cambiato, in compenso i ragazzi erano entrambi sudati da fare schifo. Leo faceva un tifo sfegatato e continuava a saltellare davanti ad Annabeth che osservava la cintura degli attrezzi del figlio di Efesto domandandosi come avrebbe fatto ad impossessarsene. Per quanto ne sapeva, probabilmente Leo la teneva anche per dormire. Sbuffò contrariata e distolse lo sguardo cercando di pensare ad altro ma si rese conto che era tremendamente difficile.
“Va tutto bene?” le chiese gentilmente Piper.
“Sì, è solo che il rumore di quella dannata palla mi sta facendo venire mal di testa.” Mentì Annabeth guardando il fidanzato che palleggiava spalla spalla con Jason.
Sul due a due Frank avvistò le Colonne d’Ercole e cominciò ad urlare per segnalarlo agli altri. Percy si voltò e guardò l’amico che stava additando qualcosa in mezzo al mare, e in quel momento Jason mise a segno il punto della vittoria.
“Ehi” protestò col fiato corto, “ma così non vale!”
“Impara a perdere, amico!” Gli disse Jason assestandogli la solita pacca sulla spalla che riusciva a scuotere il sistema nervoso di Percy come poche altre cose al mondo.
“È giunto il momento che io sia ricompensato” aggiunse recuperando la sua t-shirt che usò per tamponarsi il sudore della fronte.
 
Quando Jason scese in cucina e scoprì la fine che aveva fatto il muffin per cui aveva penato tanto, fu seriamente tentato di buttare Hedge a mare. L’unica cosa che lo trattenne dal compiere un simile gesto fu il ricordo dell’ultima punizione che il satiro gli aveva inflitto. In più, Piper l’aiutò a placare la rabbia consolandolo con i suoi baci, cosa a cui non era mai stato capace di resistere.
“Ehm… scusate il disturbo” disse un Leo imbarazzato fermo sulla porta intento a grattarsi la testa con un cacciavite, “a quanto pare attraversare le Colonne d’Ercole non è semplice come pensavamo…”
Jason staccò le labbra da quelle di Piper e fissò l’amico, incerto.
“Annabeth dice che la cosa più saggia è inviare a terra qualcuno che tenti di parlargli piuttosto che tentare di combatterlo… dopotutto è sempre un Dio.”
“Beh, ho sempre desiderato conoscere il mio fratello più famoso ed è probabile che lui sia più amichevole con me, visto che abbiamo lo stesso padre” ammise Jason spostando lo sguardo da Leo a Piper.
“Vengo con te!” Esclamò Piper che voleva a tutti i  costi mettersi alla prova e dimostrare sia a sé stessa che agli altri che non era inutile come si era sentita fino a quel momento.
“Sei sicura?” domandò Jason accigliato.
“Anch’io voglio conoscere il mio cognato famoso!” Dichiarò con un sorriso a trentadue denti.
 
A distanza di un’ora Piper e Jason non erano ancora tornati. Fu così che, in preda alla noia, Percy e Frank decisero di sfidarsi ai tiri liberi sfruttando il canestro di fortuna che era ancora fissato all’albero maestro.
“Mi unisco a voi!” Annunciò Leo dopo qualche minuto sfilandosi la cintura degli attrezzi e depositandola accanto ad Annabeth che la guardò a bocca aperta. “Ma sappiate che sono una schiappa!” Aggiunse arrotolandosi le maniche della maglietta.
Annabeth osservò Leo trotterellare verso i ragazzi, poi spostò lo sguardo sulla cintura e infine su Hazel che se ne stava al timone insieme a Hedge intento ad esibirsi in un pezzo dei One direction di cui non ricordava le parole, dal momento che le sostituiva con parolacce di ogni genere.
Annabeth abbassò lo sguardo sulla cintura, finalmente aveva la possibilità di procurarsi quello che le serviva, ciononostante esitò. Gli oggetti magici erano particolari, non sempre era facile utilizzarli e lei non aveva la minima idea di come funzionasse quella cintura. Infilò una mano all’interno fingendo di sistemare un cacciavite che sporgeva e si accorse che la cintura sembrava non avere un fondo. Roteò un po’ la mano alla ricerca di un oggetto da afferrare ma le sue mani parevano tastare il nulla.
Abbattuta, ritirò la mano e tornò a scrutare la partita sorreggendosi la testa con le mani mentre una lieve brezza le scompigliava i capelli. Forse aveva ragione Era, non aveva bisogno della cintura di Leo per capire cosa stava succedendo. Probabilmente il suo destino era segnato e lei non poteva più farci nulla, ma, testarda e razionale com’era, aveva assolutamente bisogno di sbattere la testa contro la realtà prima di poterla accettare. Inserì nuovamente la mano nella tasca principale della cintura e si concentrò su quello che desiderava trovarci. Visualizzò mentalmente il prodotto che fino a quel momento aveva solo visto pubblicizzato in televisione e che mai e poi mai si sarebbe aspettata di desiderare, in quell’esatto momento qualcosa si materializzò nella sua mano. Annabeth sbarrò gli occhi, ce l’aveva fatta. Sfilò rapidamente la mano dalla cintura e con un gesto velocissimo s’infilò la scatola nella tasca della felpa. Nessuno sembrava aver notato nulla. Approfittando del fatto che Piper non era a bordo e che Hazel sembrava intenzionata a rimanere al timone, Annabeth si ritirò sottocoperta dicendo che andava a studiare i suoi appunti, invece, una volta di sotto, imboccò il corridoio che portava ai bagni e si chiuse la porta alle spalle.
Fece un grande sospiro e dopo qualche minuto si decise ad estrarre la scatola dalla tasca. L’immagine di un neonato sorridente sulla confezione le confermò che era quello che cercava e si sentì pervadere da un’ondata di terrore. Sapeva che, per ovvi motivi, nessuna ragazza della sua età avrebbe voluto un esito positivo, ma nel suo caso sarebbe stato ancora più grave, ed era proprio questo a preoccuparla maggiormente.
Aprì la scatola e lesse le istruzioni tre volte. Sembrava tutto semplice, anche troppo semplice per scoprire una verità che avrebbe potuto stravolgerle la vita.
Il test diceva di attendere tre minuti così Annabeth decise di tornare in cabina, avrebbe aspettato l’esito lì.
Dieci minuti più tardi Annabeth era ancora seduta sul suo letto e il test era ancora sulla scrivania girato in modo che il display non fosse visibile. Alla fine si decise e voltò il test. In quell’esatto momento Piper entrò nella cabina con un corno in mano e un sorriso stampato sulla faccia. Sorriso che sparì irrimediabilmente nel momento in cui vide l’amica stringere tra le mani un test di gravidanza, il volto rigato dalle lacrime.

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Capitolo 21
*** Promesse e menzogne ***


Angolo dell'autrice: Eccomi qui con il nuovo capitolo, questa volta in tempi accettabili, spero. Ci tengo a ringraziarvi tutti perchè siete sempre di più e ad ogni capitolo si aggiunge qualcuno. Questa volta ho molto poco da dire, quindi non vi faccio perdere altro tempo e vi lascio leggere la storia. Vi aspetto nella sezione commenti per sapere le vostre impressioni... a questo giro sono anche più curiosa del solito quindi dateci dentro. Grazie in anticipo a tutti voi. :-)







Promesse e menzogne


 
 
Piper rimase ferma immobile sulla porta, incredula. Tra le mani stringeva ancora il corno che avrebbe dovuto consegnare ad Ercole, mentre dall’altra parte della stanza Annabeth la fissava con lo sguardo di un animale selvatico che vede l’uomo per la prima volta. Piper riconobbe il panico nei suoi occhi velati dalle lacrime ed istintivamente si richiuse la porta alle spalle per assicurarsi che nessun’altro assistesse a quella scena.
“Annabeth” mormorò cercando di tranquillizzare l’amica che era visibilmente scossa.
Piper depositò il corno sul letto e si avvicinò all’amica che arretrò spaventata.
“Annabeth stai tranquilla” le disse tentando di risultare convincente pur sapendo che nei suoi panni probabilmente avrebbe fatto di peggio.
La verità era che nemmeno lei sapeva cosa fare per calmarla, né cosa dirle per rassicurarla.
“Piper” riuscì a mormorare Annabeth dopo qualche secondo, “ti prego, non dire niente a nessuno” la implorò cercando di porre un freno alle lacrime che sgorgavano inarrestabili dai suoi occhi.
“No, no, non ti preoccupare” la rassicurò riuscendo finalmente ad abbracciarla, “adesso però calmati, andrà tutto bene.” Le assicurò mentre lei scuoteva il capo abbattuta.
“No, niente andrà bene” sospirò affranta sciogliendo l’abbraccio, “questa faccenda è un disastro e io sono una stupida.”
“Annabeth, se tu in questo momento fossi in te, ti diresti che piangerti addosso è completamente inutile e troveresti la forza di andare avanti.” Disse Piper sperando di risvegliare un barlume di saggezza nell’amica che sembrava essersi completamente smarrita.
“No Piper” rispose lei gelida, “è tutto un casino e io non so come uscirne, o meglio, so perfettamente che non ne uscirò e non riesco a credere di essere stata così ingenua!”
Piper faticava a seguire i discorsi di Annabeth, non capiva se stesse delirando in preda al panico o se stesse semplicemente ingigantendo le cose.
“Annabeth adesso smettila di colpevolizzarti perché fino a prova contraria queste cose si fanno in due e quindi la prima cosa che devi fare è parlarne con Percy, dopotutto anche lui ha le sue colpe.” Disse Piper cercando di moderare le parole sperando che non suonassero troppo dure.
Annabeth sollevò lo sguardo e cercò quello di Piper che la fissò intimorita dalla sua possibile reazione.
“Percy non deve sapere nulla di questa storia” sibilò alzandosi di scatto e riponendo il test e la sua scatola nel primo cassetto della scrivania.
Piper strabuzzò gli occhi scioccata da quella dichiarazione.
“Annabeth, cosa stai dicendo? Come sarebbe Percy non deve sapere niente di questa storia, devi dirglielo!” Le disse nel tentativo di farla ragionare.
“No” si limitò a rispondere lei cominciando ad annodare i capelli in una treccia per sfogare lo stress.
“Ok, adesso sei sconvolta, lo capisco, ma lui ti ama e può aiutarti ad affrontare questa cosa” le suggerì ancora incredula del fatto che lei volesse tenergli tutto nascosto.
“Piper, devi promettermi che non gli dirai niente” le disse gelida scrutandola con i suoi occhi grigi.
“Ma perché non vuoi dirglielo?”
“Perché ho una missione da compiere e sono certa che se sapesse questa cosa farebbe di tutto per impedirmi di portarla a termine, e io non posso permetterglielo.” Annabeth sapeva bene che quella era solo una mezza verità ma per ora era una spiegazione più che sufficiente e lei sperava che Piper l’avrebbe trovata soddisfacente.
“Annabeth… io penso che tu debba dirglielo, lui ha il diritto di saperlo.”
“Promettimi che non glielo dirai” l’incalzò Annabeth più decisa che mai.
“Dannazione!” Sbottò lei, “non puoi chiedermi una cosa del genere.”
“Non te lo sto chiedendo infatti” disse Annabeth. “Adesso giurami che non glielo dirai.”
Per un attimo Piper fu tentata di usare la lingua ammaliatrice sull’amica nel tentativo di convincerla a parlare col fidanzato, ma poi si disse che non aveva il diritto di interferire con la loro relazione e giurò ad Annabeth che non ne avrebbe fatto parola con Percy.
“Sei un’amica” le disse abbracciandola.
“Adesso riposati, io torno di là o gli altri mi crederanno sparita!”
Quando Piper richiuse la porta, Annabeth si lasciò cadere sul letto, l’ultima cosa che avrebbe voluto era che qualcuno scoprisse quanto stava accadendo, e lei era stata così stupida da farsi trovare con il test di gravidanza in mano; ora doveva solo sperare che Piper mantenesse la promessa che le aveva appena fatto. Si fermò un momento a riflettere sulle sue parole. Piper sosteneva che Percy l’amasse, ma era vero? In tutto questo tempo lui non le aveva mai detto palesemente che l’amava e d'altronde non l’aveva mai fatto nemmeno lei.
 
All’ora di cena Annabeth raggiunse la cucina dove erano già tutti seduti a tavola e, come sempre, prese posto accanto a Percy che le sorrise e le scostò i capelli dal viso per baciarla sulla guancia.
“Tutto bene?” le chiese notando la sua freddezza.
“Sì, è solo che ho preso così tanti appunti su quel marchio che dopo un po’ non ci capisco più niente nemmeno io” mentì condendo il tutto con un sorriso di circostanza.
Dall’altra parte del tavolo Annabeth notò che Piper li stava osservando, ma non appena i loro sguardi si incrociarono lei tornò a fissare il suo piatto senza proferire parola.
“Quanta allegria a questa tavola” commentò Leo rompendo il silenzio di tomba che regnava nella cucina. “Vorrei tanto che Festus potesse sedere a tavola con noi, almeno lui farebbe un po’ di conversazione.”
“Puoi sempre raccontare a Jason e Piper come hai malamente perso a basket contro me e Percy” suggerì Frank tra un boccone e l’altro.
Leo sbuffò. “Ve l’avevo detto che ero una schiappa!”
“Schiappa è un complimento” ridacchiò Percy dall’altro lato del tavolo.
“Ehi” protestò il figlio di Efesto toccato sul vivo.
“A proposito di basket, io penso che qualcuno mi debba ancora una rivincita… sempre se è capace di giocare leale.” Disse Percy rivolto a Jason che stava flirtando con Piper incurante delle occhiatacce di Hedge che sembrava non avere più le forze per rimproverarli.
Percy si schiarì la voce come a sottolineare che era in attesa di una risposta mentre Annabeth gli rifilava una gomitata nel costato per la sua mancanza di tatto.
“Io ho giocato leale” precisò Jason staccandosi dalle labbra di Piper, “se tu ti distrai sono problemi tuoi!”
“Sentite” sbottò Hazel che fino a quel momento era rimasta zitta, “avrete modo di preoccuparvi di queste stupidaggini quando avremo portato a termine la missione, la vita di mio fratello è in pericolo!”
Nella cucina piombò il silenzio. Tutti chinarono il capo e sembrarono riflettere su quelle parole, nessuno aveva ancora effettivamente realizzato quanto fosse imminente il loro arrivo a Roma.
“Ok, una volta arrivati come ci organizziamo?” chiese Percy, che teneva alla vita di Nico tanto quanto Hazel.
“Io seguirò il Marchio” dichiarò Annabeth evitando volutamente lo sguardo di Percy che si sforzò di deglutire per evitare di manifestare per la centesima volta la sua disapprovazione. “E io ti accompagnerò fin dove mi sarà concesso” disse cercando il suo sguardo.
“Sì, è tutto molto romantico, adesso però ci mettiamo a tavolino a studiare un piano per favore?” ringhiò Hedge che non vedeva l’ora di dichiarare guerra a qualcuno.
Il resto della serata fu un dibattito a cui tutti presero parte dicendo la loro in proposito. Piper rivelò quello che il suo pugnale le aveva mostrato e ammise di essere seriamente preoccupata per la sorte di lei, Jason e Percy. I due non sembrarono prendere bene la notizia, non tanto perché Piper aveva rivelato loro che secondo il suo pugnale avevano poche ore di vita, ma più che altro perché avrebbero dovuto condividere anche la stessa morte, cosa che non sembrava andare a genio a nessuno dei due.
“Io vado al timone” annunciò Percy dopo una buona mezz’ora, “tanto questi discorsi non ci stanno portando a nulla.”
Nessuno ebbe il coraggio di dargli torto e fu così che Leo si ritrovò a lavare i piatti al posto di Percy che salì sul ponte facendo le scale a due a due.
Annabeth decise di andare a trovarlo prima di ritirarsi in cabina per la notte. Non aveva il minimo dubbio riguardo la decisione che aveva preso poche ore prima. Percy sarebbe rimasto all’oscuro di tutto fino alla fine della missione, sempre che lei sarebbe riuscita a portarla a termine.
Quando sbucò dal boccaporto di poppa lo vide in piedi appoggiato al parapetto di tribordo, le mani che sorreggevano la testa e i capelli scompigliati dal vento.
“Ehi” disse a bassa voce cogliendolo di sorpresa. Percy si voltò e Annabeth vide le sue labbra incresparsi in un sorriso.
“Ciao” le sussurrò cingendole la vita per abbracciarla. Annabeth sussultò nel momento in cui lui le sfiorò la pancia, ignaro di tutto.
“Che succede?” domandò inarcando un sopracciglio.
“Niente, è solo un brivido… sta salendo il vento” improvvisò guardando il cielo stellato mentre Percy la stringeva tra le braccia.
“Per il vento prenditela con Jason… io non c’entro!” disse strappando un sorriso alla fidanzata.
“Ti ho visto un po’ tesa a cena” le confessò baciandola sul collo. Annabeth rabbrividì, a quanto pareva non era così facile celare a Percy la verità.
“Lo ero, e lo sono tutt’ora” ammise godendosi i suoi baci.
“Ok, eviterò di dire per l’ennesima volta quello che penso perché siamo sotto un cielo troppo bello per litigare” scherzò lui guardandola dall’alto.
“Concordo.”
Un attimo dopo Percy cercò le labbra di Annabeth coinvolgendola in uno dei baci più appassionati che si fossero mai scambiati. Dopo qualche minuto lei lo allontanò controvoglia, sentiva la passione crescere e se non fosse stato per quello che aveva scoperto quello stesso giorno, gli sarebbe saltata addosso senza pensarci due volte e avrebbero fatto l’amore sul ponte, correndo il rischio di essere beccati da Hedge. Ma quella verità aveva rimesso tutto in discussione, non poteva più fingere di non sapere che da quel momento tutto sarebbe cambiato.
“Non puoi lasciarmi qui così” piagnucolò lui tentando di abbracciarla nuovamente. Ma Annabeth stava già tornando sui suoi passi.
“Oh si che posso” scherzò continuando a camminare con Percy che la seguiva come un’ombra.
“No, Annabeth dico sul serio, aspetta” la pregò lui afferrando la sua mano. “Questa potrebbe essere l’ultima notte che passiamo insieme e non voglio che finisca così.”
Annabeth si soffermò a guardarlo e lesse il desiderio nei suoi occhi. In quel momento capì che Piper aveva ragione, lui l’amava, mai come in quel momento le fu chiaro. Purtroppo questo complicava le cose.
“Percy, dobbiamo parlare seriamente di una cosa” gli disse tornando sui suoi passi.
“Dimmi” disse lui semplicemente spostando il peso da una gamba all’altra.
“Percy, io lo so che tu domani non mi lascerai andare da sola, ti conosco troppo bene, qualche giorno fa hai acconsentito a lasciarmi andare, ma so che non lo farai…”
Percy sentì il peso di quelle parole colpirlo una dopo l’altro all’altezza dello sterno mentre ogni tentativo di risposta gli moriva in gola. Quello era uno dei momenti in cui odiava essere fidanzato con una figlia di Atena. Come diavolo aveva fatto ad intuire le sue intenzioni.
“Te lo chiedo per l’ultima volta Percy, stanne fuori, lasciami fare questa cosa da sola.”
Questa volta le parole uscirono dalla bocca di Percy ancora prima che lui potesse pensarle. “Sei la mia ragazza Annabeth, non puoi chiedermi una cosa del genere!”
“Ok, rispondi ad una semplice domanda allora…” disse Annabeth con la voce che tremava. “Sarebbe più facile se io non fossi la tua ragazza?” Percy fece una smorfia e aggrottò la fronte. “Cosa vuoi dire?” chiese spaventato.
“Che ti rendo le cose più facili… da questo momento non sono più la tua ragazza” dichiarò prendendo le distanze da Percy che sentì il cuore sprofondargli nel petto come se qualcuno l’avesse foderato di piombo.

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Capitolo 22
*** Dialoghi notturni ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori. Vogliate scusarmi per il titolo pietoso che ho dato a questo capitolo, ma giuro che non me ne veniva in mente uno migliore. Più si va avanti e più è difficile. Per il resto spero che gradirete il capitolo che, come potete immaginare, è incentrato su Percy e sulle sue reazioni in seguito alla rottura con Annabeth. Grazie in anticipo a tutti voi che leggerete il capitolo.







Dialoghi notturni



 
 
Jason salì di corsa le scale che conducevano al ponte. Era in ritardo per dare il cambio a Percy al timone, e l’ultima cosa che voleva era dare al figlio di Poseidone un nuovo pretesto per cui discutere.
Uscì dal boccaporto mentre una raffica di vento gli scompigliava i capelli biondi e vide subito Percy a una decina di metri di distanza. Gli dava le spalle e se ne stava appoggiato di peso al parapetto della nave, con lo stesso entusiasmo con cui Jason era solito accasciarsi sul banco di scuola. Per un attimo pensò che stesse vomitando e fece una smorfia disgustata ripensando ai pop-corn che lo avevano fatto stare male qualche sera prima.
“Ehi, ciao” disse Percy voltandosi. I capelli arruffati e l’espressione provata.
“Ciao” rispose Jason asciutto. “Tutto tranquillo?” aggiunse giusto per dare un senso a quella conversazione.
“Sì, tutto nella norma” rispose Percy senza staccare gli occhi dalla superficie del mare in cui stava creando un mulinello con il semplice movimento della mano.
“Bene” tagliò corto Jason, “allora non abbiamo altro da dirci…”
“In effetti, una cosa ci sarebbe…” disse Percy mettendosi a sedere sul parapetto mentre il mulinello che aveva evocato svaniva lentamente.
“Spara.”
“Se non erro mi devi ancora un favore per quel giorno in cui ti sei intrufolato nella cabina di Piper chiedendomi di tenere d’occhio Hedge…” Percy vide Jason serrare la mascella. Era evidente che sperava che se ne fosse dimenticato. Il figlio di Giove annuì in silenzio e rimase in ascolto.
“Beh, vorrei chiederti di ricambiare il favore adesso, anche perché, onestamente, una volta arrivati a Roma potrebbero anche ucciderti e sono certo che non vorresti avere un debito con me anche nella tomba…”
“O potresti essere ammazzato tu, per esempio” replicò Jason con un sorriso gelido.
“Un motivo in più per pareggiare i conti adesso” sospirò Percy allargando le braccia.
“Che cosa vuoi?” domandò Jason senza troppi giri di parole.
Percy chinò il capo un momento, poi puntò i suoi occhi verdi in quelli azzurri di Jason e disse: “hai ancora un po’ di quella roba che tieni nello scrigno?”
Jason strabuzzò gli occhi, quella era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentirsi chiedere da Percy.
“Allora?” insistette lui.
“Io… si, certo, ne ho ancora.” Balbettò il figlio di Giove che era ancora un po’ sconvolto da quella richiesta.
“Allora, se per te va bene, salderei il debito in questo modo” propose Percy serio.
“Subito?” domandò Jason ancora frastornato.
“Se non hai nulla in contrario…”
Qualche minuto più tardi, Jason fu di ritorno con quello che Percy gli aveva richiesto.
“A te” disse allungando erba e cartine al figlio di Poseidone che lo attendeva nello stesso punto in cui l’aveva lasciato.
“Grazie” esalò Percy estraendo una cartina dalla confezione sotto lo sguardo di Jason che lo studiava cercando di capire cosa nascondesse. C’era qualcosa di strano in lui, Jason lo percepiva chiaramente, e non si trattava solo del fatto che gli aveva espressamente chiesto di fumare. Nell’unico momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva notato un velo di tristezza nei suoi occhi. Non che passasse il suo tempo a studiare gli occhi di Percy, ma di solito erano di un verde intenso e vivace, troppo accesi per passare inosservati, mentre prima gli erano apparsi vuoti e spenti.
“Va tutto bene?” domandò infastidito dal silenzio.
“Solo perché ti ho espressamente chiesto di fumare deve esserci qualcosa che non va?” sbottò Percy visibilmente nervoso.
Jason avrebbe tanto voluto rispondere di sì, ma si rese conto che non era il caso, così si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo.
“Secondo me ne stai mettendo un po’ troppa…” commentò poco dopo osservando Percy farcire la cartina senza troppa parsimonia. Il ragazzo gli rivolse un’occhiataccia e si limitò a dire: “non ho chiesto il tuo parere.”
Jason ammutolì di nuovo e Percy richiuse la cartina senza aggiungere una parola, poi scoccò un’occhiata all’altro che tirò fuori dalla tasca un accendino e glielo passò senza nemmeno voltarsi.
Jason raggiunse il timone e cominciò a fissare le carte nautiche giusto per non dover interagire ancora con Percy che si era sdraiato sul parapetto a pancia in su e si apprestava a fare il primo tiro.
“La tua ragazza lo sa che fumi?” domandò Jason dopo qualche minuto.
Si era messo comodo, seduto al posto di comando con i piedi sul timone e le mani dietro alla nuca.
“Non ce l’ho una ragazza” rispose Percy asciutto.
Jason si accigliò, non era sicuro di aver capito bene. Si voltò lentamente verso il parapetto su cui era sdraiato Percy e lo trovò intento a fissare il cielo stellato, la canna molto più corta di quando l’aveva accesa. Probabilmente l’erba che gli aveva offerto cominciava a fare effetto.
“Io, ci andrei piano con quella” si azzardò a dire notando la velocità con cui Percy la stava consumando.
“La smetti di dirmi cosa devo fare?” sbottò lui mettendosi a sedere di scatto, cosa che gli provocò un certo giramento di testa.
“Va bene la smetto, ma tu scendi di lì che di questo passo finisci in mare di sicuro!”
“La cosa non mi dispiacerebbe” commentò Percy scrutando la superficie del mare che rifletteva la luce della luna.
“Senti, forse adesso è meglio che te ne vai in cabina, non credi?” propose Jason, “qui ci penso io.”
“Non me ne voglio andare, sto bene qui” disse Percy che iniziava a biascicare.
“Ok, cercherò di dirtelo in un altro modo, non ti voglio tra i piedi, non ti sopporto da sano figuriamoci in queste condizioni.” Sbuffò Jason.
“Quali condizioni? Cosa stai insinuando?” brontolò Percy spegnendo il mozzicone.
“Ecco che inizi a diventare insopportabile!”
“Meglio che esserlo sempre come lo sei tu.”
“Per tutti gli dei, vuoi chiudere quella bocca?”
“Altrimenti?”
“Altrimenti ti do un pugno, ed è la cosa più carina che possa fare, visto che sono in grado di incenerirti con un fulmine.” Ringhiò Jason che cominciava a pentirsi di averlo fatto fumare.
“Ci hai già provato una volta eppure sono ancora qui, forse non sei un granché come semidio…” lo provocò Percy.
“Adesso mi hai scocciato” sbraitò Jason alzandosi in piedi di scatto e afferrando Percy per il colletto della t-shirt. Il figlio di Poseidone scoppiò in una sonora risata mentre barcollava sotto la sua stretta, poi disse: “Sai cosa ti dico?”
Jason inarcò un sopracciglio, ormai non sapeva più cosa aspettarsi.
“Dammi quel pugno di cui parlavi prima.” Dichiarò seriamente.
Jason scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo.
“Dico sul serio, dammi un pugno.” Gridò Percy indicandosi la faccia con entrambe le mani.
“Percy, non sai cosa stai dicendo, vattene a dormire per favore.” Lo rimproverò mollando la stretta sulla sua t-shirt.
Il figlio di Poseidone fece un gesto di stizza infastidito dall’atteggiamento di Jason.
“Prima mi minacci dicendo che mi dai un pugno e quando ti chiedo di darmelo per davvero non lo fai… che razza d’imbecille!” Lo derise sbracciandosi.
Jason riuscì a resistere alla tentazione di colpirlo, ma Percy continuava a provocarlo. Fu così che dopo qualche minuto il destro del figlio di Giove si mosse da solo, accontentando Percy che gemette piegandosi a terra per poi scoppiare a ridere.
“Grazie amico” disse tastandosi l’angolo tra il naso e l’occhio sinistro, “era proprio quello che ci voleva.”
Jason imprecò massaggiandosi la mano.
“Senti, adesso che hai avuto il pugno che volevi ti porto in cabina” decise afferrandolo per le spalle e scortandolo fino alla sua stanza. Fortunatamente non incrociarono nessuno lungo il cammino, anche perché Jason non avrebbe saputo da dove cominciare a spiegare quello che era successo.
“Stai fermo qui” ordinò dopo aver malamente scaricato Percy sul letto. “Vado a svegliare Annabeth, così ti da una mano lei con quell’occhio e io posso tornare al timone.”
“No!” Gracchiò Percy mettendosi a sedere con un colpo di reni. “Non è la persona più indicata da chiamare.”
“Come sarebbe non è la persona più indicata da chiamare? È la tua ragazza, non posso certo chiamare tua madre.” Disse Jason esasperato da quella situazione.
“Ti ho già detto che non ho una ragazza” sottolineò Percy mogio. “Non più.”
Jason si lasciò scappare un sorriso nervoso. “Come sarebbe?”
“Sarebbe che mi ha lasciato tre ore fa, quindi chiama chi ti pare ma non lei, anzi, fai una bella cosa, non chiamare nessuno, me la vedo da solo.”
Jason rimase in piedi sulla porta incapace di ribattere.
“Ah, comunque grazie per quel pugno… ne avevo bisogno.”
“Senti Percy, scusa, io non avevo capito che dicevi sul serio… credevo che stessi…”
“Non c’è problema, è tutto ok, adesso cerco di dormire, tu va pure di sopra.” E con quelle parole Jason si vide chiudere la porta in faccia e si domandò cosa sarebbe successo la mattina seguente quando Percy si sarebbe presentato a colazione con un occhio viola.
 
Piper stava sciacquando nel lavandino la tazza in cui aveva appena fatto colazione quando Jason la colse di sorpresa avvicinandosi per rubarle un bacio.
“Buongiorno” le disse abbracciandola alle spalle.
“Buongiorno” gli fece eco Piper civettuola. Amava essere corteggiata da Jason, ma di solito Hedge era sempre nei paraggi e non gli rendeva mai le cose troppo facili.
“Percy non si è ancora fatto vedere stamattina” commentò Piper a bassa voce quando Annabeth lasciò la cucina borbottando qualcosa sul marchio e sulla mappa di Roma.
Jason arricciò le labbra e poi disse: “Qualcosa mi dice che non si farà vedere…”
Piper cambiò espressione e fissò severamente il fidanzato, le braccia incrociate al petto.
“Come sarebbe?” chiese accigliata.
“Lui e Annabeth si sono lasciati” spiegò asciutto.
Piper sentì una stretta alla base dello stomaco. A quanto pareva Annabeth si era decisa a dire a Percy la verità e lui non doveva averla presa bene, ma mai si sarebbe aspettata che la lasciasse.
“Che razza di stronzo!” sbottò Piper richiudendo violentemente l’anta dello scolapiatti.
“Ehi, ma che ho fatto?” domandò Jason contrariato.
“Non ce l’ho con te, è solo che non mi aspettavo che Percy lasciasse Annabeth vista la situazione” esalò Piper ben attenta a non far capire a Jason i dettagli.
Jason afferrò un biscotto dalla biscottiera e a bocca piena mormorò: “Sono abbastanza sicuro che sia stata lei a lasciare lui, ma non chiedermi il perché; quando gli ho dato il cambio ieri al timone sembrava piuttosto scosso…”
Piper cambiò nuovamente espressione, cominciava a non capire più nulla e la cosa la faceva infuriare ancora di più. La situazione si complicò maggiormente quando Percy fece il suo ingresso in cucina con un occhio gonfio e viola. Nella stanza calò il silenzio più totale.
Percy prese una tazza e scostò una sedia senza che nessuno aprisse bocca. “Che c’è?” chiese scocciato nel momento in cui si rese conto di avere gli occhi di tutti puntati addosso.
Frank prese Hazel per mano e insieme raggiunsero Leo e Hedge sul ponte, nessuno dei due osò chiedergli cosa fosse accaduto. Qualcosa gli diceva che Percy non avesse troppa voglia di parlarne.
“Qualcuno mi spiega cosa diavolo sta succedendo?” domandò la figlia di Afrodite fissando prima Percy e il suo occhio malconcio e poi il fidanzato che sembrava essere a disagio.
Jason cercò lo sguardo di Percy come se gli stesse silenziosamente chiedendo il permesso di dire la verità, ma il figlio di Poseidone parlò prima che Jason potesse intervenire.
“Ho chiesto al tuo fidanzato di darmi un pugno” spiegò come se fosse una cosa perfettamente normale.
Piper si voltò verso Jason che in quel momento stava dimostrando un particolare interesse per il pavimento.
“E da quello che vedo tu non ti sei fatto troppi problemi” commentò sarcastica.
“Se la cosa può consolarti ha un destro niente male” scherzò Percy mangiando i suoi pancake.
Piper era esterrefatta, non capiva se la sconvolgeva di più il fatto che Percy avesse chiesto a Jason di picchiarlo, o il fatto che Annabeth l’avesse lasciato e lui fosse lì a fare colazione scherzando sul fatto che aveva un occhio nero. Qualcosa non andava.
“Percy, sei sicuro di sentirti bene?” domandò gentilmente, “se vuoi vado a recuperarti un po’ di ambrosia…”
“No, ti ringrazio, questo viola fa risaltare il verde dei miei occhi, non credi?” scherzò attaccando il secondo pancake.
Piper lo guardò preoccupata, erano quasi arrivati a Roma e Percy sembrava aver perso completamente la testa, la cosa non prometteva nulla di buono.
In quel momento Annabeth rientrò in cucina dicendo di aver dimenticato qualcosa. Piper la vide sussultare nel momento in cui notò Percy seduto a capotavola intento a mangiare i suoi pancake a testa bassa.
“Ciao” mormorò lei recuperando la monetina con inciso il simbolo di sua madre Atena che aveva dimenticato sul tavolo.
Lui sollevò lentamente il capo e si sforzò di accennare un sorriso, cosa che gli riuscì parecchio difficile dal momento che aveva la faccia dolorante per la botta.
Annabeth non aveva nessuna intenzione di rimanere in cucina a fare conversazione con nessuno, ma quando vide la faccia di Percy impallidì e non riuscì a muovere un passo. Piper vide i loro occhi incrociarsi e fu come se avessero una conversazione silenziosa in cui lui la implorava con gli occhi di tornare sui suoi passi e lei si ostinava non volergli dare spiegazioni. Per un attimo le sembrò quasi che Annabeth fosse sul punto di dire qualcosa ma poi girò sui tacchi ed uscì dalla cucina senza dire una parola.
Jason era talmente a disagio che vagò con lo sguardo in cerca di una distrazione e la trovò fuori dall’oblò, dove la costa italiana faceva capolino all’orizzonte.
“Ci siamo quasi” esclamò indicando la lingua di terra sempre più visibile fuori dall’oblò.
Piper e Percy raggiunsero Jason e insieme scrutarono la costa in avvicinamento.
“Non possiamo certo attraccare in un qualsiasi porto come se fossimo una normale nave da crociera!” Osservò Percy.
“Ma possiamo volare fin quando troveremo un posto sufficientemente isolato per atterrare” disse Jason grattandosi la testa, “la foschia farà il resto, vado ad avvisare Leo.”
Jason uscì dalla cucina prima che Piper e Percy potessero aggiungere altro.
“Percy io…” fece Piper senza saper bene cosa dire. Avrebbe voluto utilizzare la sua lingua ammaliatrice per convincerlo che Annabeth avrebbe cambiato idea, ma la verità era che nemmeno lei era troppo sicura di quello che l’amica avrebbe fatto. Annabeth era testarda e determinata e difficilmente cambiava idea su qualcosa.
In quel momento la Argo II si alzò in volo sbilanciandoli.
“Credo che ci stiano aspettando di sopra” disse Percy stroncando sul nascere ogni tentativo di Piper di compatirlo.
 

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Capitolo 23
*** Vacanze romane ***


Angolo dell'autrice: A voi il capitolo 23! Lo so, non è un granchè ma mi sono sforzata di renderlo il meno peggio possibile, giuro che con il prossimo mi rifaccio, so già per filo e per segno cosa succederà quindi conto di scriverlo e pubblicarlo rapidamente. Grazie mille a tutti voi perchè siete sempre di più e mi regalate un sacco di soddisfazioni. Buona lettura. :-)

 
 






Vacanze romane


 
 
L’atterraggio non fu certo dei migliori. Appena vide una radura poco fuori dalla città, Leo virò bruscamente cogliendo impreparato il resto dell’equipaggio che venne sballottato da una parte all’altra della nave.
“Scusate!” Esclamò aggrappandosi al timone per non cadere.
Fortunatamente Jason gli venne in soccorso girando il vento a suo favore in modo da facilitargli la manovra.
“Ci siamo quasi, tenetevi forte!” Disse un attimo prima di toccare terra con un rumore sordo. L’impatto fu tutt’altro che dolce. L’intera nave vibrò incassando l’impatto e solo dopo qualche secondo i ragazzi riuscirono a rialzarsi in piedi.
“Bel lavoro Leo!” Esclamò Jason dando una pacca sulla spalla all’amico che stava gettando l’ancora.
“Non credo che quella serva…” osservò Percy.
“Meglio essere prudenti.” Disse Leo mentre l’ancora toccava terra con un sonoro “clonk”.
Dall’altra parte del ponte, Piper aiutò Annabeth a rialzarsi sostenendola per un braccio.
“Va tutto bene?” Le sussurrò all’orecchio. Annabeth annuì e insieme cominciarono a camminare verso gli altri.
“Valdez!” Sbraitò il coach che era finito zampe all’aria dall’altra parte del ponte. “Ti sembra un atterraggio in sicurezza questo?” Aggiunse mentre recuperava la sua mazza da baseball che era rotolata a poppa.
“Benvenuti a Roma ragazzi!” Disse Leo ignorando completamente gli insulti del coach.
L’intero equipaggio delle Argo II si soffermò a guardare la Città Eterna che si estendeva sui colli davanti a loro. Scegliendo quella radura, Leo aveva regalato a tutti una vista mozzafiato. Persino il coach non appena raggiunse gli altri si azzittì, completamente rapito da quel panorama.
Annabeth approfittò di quel momento per sgattaiolare in cabina e radunare le sue cose. Si chiuse dentro e infilò il portatile di Dedalo e tutti i suoi appunti nello zaino. In quel momento qualcuno bussò alla sua porta.
“Chi è?” domandò Annabeth scocciata.
Fuori dalla porta, Percy disse il suo nome e per un attimo pensò che Annabeth non gli avrebbe aperto. Stava per tornare sui suoi passi, quando sentì la chiave girare nella toppa. Annabeth aprì la porta per metà e rimase ferma ad osservarlo. Non si era ancora abituata a vederlo con quel livido intorno all’occhio.
“Devi dirmi qualcosa?” gli chiese, asciutta.
“Si, beh, io…” Percy si fissò le scarpe, “diciamo che mi ero immaginato il nostro arrivo a Roma un po’ diverso.” Ammise sforzandosi di sostenere il suo sguardo.
“Anch’io.” Si limitò a dire lei.
“È una delle città più belle del mondo e mi sarebbe piaciuto visitarla con te, prima di lasciarti partire per la missione intendo.” Spiegò affranto.
“Percy, anch’io avevo altri progetti per noi” sbottò lei improvvisamente, “avevo addirittura prodotto una carta di credito con il portatile di Dedalo perché speravo di poter pranzare in un bel ristorante come due persone normali!” Aggiunse estraendo una vera carta di credito dalla tasca dei jeans e sbandierandola davanti a Percy.
“Ma…”
“Zitto!” Gli intimò lei levando un dito, “Adesso devo andare.”
“Aspetta” disse Percy infilando un piede tra la porta e lo stipite in modo tale che lei non potesse chiuderlo fuori, “se vuoi siamo ancora in tempo… per farci un giro per Roma e mangiare qualcosa insieme.”
Percy vide gli occhi di Annabeth luccicare, sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
“Non m’importa se non stiamo più insieme, ci tengo a fare questa cosa.” Spiegò sperando che lei acconsentisse.
Se c’era una cosa che Annabeth non era capace di fare, era restare arrabbiata con Percy per più di dieci minuti. Il suo sguardo, anche con un occhio pesto, era magnetico e lei in sua presenza si sentiva sciogliersi.
“Va bene” acconsentì mordicchiandosi il labbro inferiore, “ma non credere che questo cambi qualcosa.”
Percy sentì le gambe molli, non ci sperava più, e vedere l’ombra di un sorriso sul viso di Annabeth gli fece battere forte il cuore.
“Ma prima di andare vieni con me” disse uscendo dalla cabina e tirandosi dietro Percy, “senza discutere.” Precisò notando che lui stava per obiettare qualcosa.
Annabeth lo trascinò fino al bagno delle ragazze e, dopo essersi assicurata che non li vedesse nessuno, s’infilò all’interno insieme a Percy.
“Che ci facciamo qui?” domandò lui, teso.
“Non vado a mangiare fuori con uno che sembra uscito dal Fight Club!” Disse lei ravanando nei cassetti sotto al lavandino.
Percy ne approfittò per guardare la sua immagine riflessa nello specchio e solo in quel momento si rese effettivamente conto del lavoro che aveva fatto Jason.
“Mi servono i trucchi di Piper…” stava dicendo Annabeth che continuava ad aprire ante e cassetti a casaccio.
Percy rizzò le orecchie. Aveva veramente detto trucchi?
“Eccoli!” Esclamò estraendo un beauty rosa shocking carico di ogni genere di prodotto di bellezza.
“È proprio necessario?” chiese Percy, la faccia perplessa.
“Tranquillo… ti metto solo un po’ di correttore per nascondere il livido, non voglio certo metterti il mascara!” Ridacchiò lei.
Percy non aveva idea di cosa fosse il mascara, ma gli si strinse il cuore quando vide Annabeth sorridere.
“Va bene” sospirò, “ma cerchiamo di non fare uscire questa cosa… ho una reputazione da difendere, soprattutto con quello che mi ha fatto questo livido.”
“Si, si” disse lei intingendo la spugnetta nel correttore per poi tamponare il livido di Percy nella speranza di riuscire a coprirlo.
“Ahi, ahi” si lamentò lui ritraendosi.
“Percy, è solo una spugnetta, non può farti male.” Disse mostrandogliela.
“Certo che può se tu me la premi sulla botta!”
“Ma sentilo, uccidi mostri e titani e poi rompi per un po’ di correttore.”
“Ma cosa c’entra?”
“Shhh” fece lei ricominciando a coprire il livido con il trucco mentre lui cercava di non lamentarsi. Per un attimo gli sembrò che nulla fra loro fosse cambiato.
In quel momento Hazel entrò in bagno e trasalì vedendo Annabeth truccare Percy.
“Mi sono persa qualcosa?” domandò sgranando gli occhi.
Percy si voltò verso la figlia di Plutone e arrossì fino alla punta delle orecchie. Annabeth si lasciò sfuggire una risata nervosa, poi disse: “Io e Percy andiamo fuori a mangiare, sto solo nascondendo questo livido perché è imbarazzante, ma adesso abbiamo finito!”
“Già, abbiamo finito!” Tagliò corto Percy che voleva uscire il più in fretta possibile da quel bagno. Annabeth lo seguì a ruota e qualche minuto più tardi stavano sbarcando dalla Argo II in direzione Roma.
Era strano camminare per le vie della città con lei, quando fino a poche ore prima aveva pensato che non sarebbe più successo. In quel momento sembravano due ragazzi normali alle prese con la vita di coppia.
“Cosa ne dici di questo posto?” domandò Annabeth additando una pizzeria poco distante.
Percy si guardò intorno spaesato, aveva camminato per tutto il tempo senza guardarsi intorno, troppo concentrato su Annabeth per accorgersi del resto.
“Mi sembra perfetto.”
Il cameriere li accolse con un inglese molto approssimativo, ma per loro fu comunque meglio che dover interpretare l’italiano.
“Ma si vede che mi hai truccato?” domandò Percy a disagio non appena il cameriere si allontanò.
“Solo se ti si guarda da molto vicino, rilassati.”
Era più facile a dirsi che a farsi, soprattutto dal momento che Percy si sentiva gli occhi di mezzo ristorante puntati addosso. Provò a non pensarci concentrandosi sul menù, ma l’unica parola familiare in tutte quelle pagine era “Pizza”. Ne ordinarono due e appena il cameriere si allontanò portandosi via i menù, i ragazzi si guardarono in silenzio. Per un paio di volte, Percy fu sul punto di dire qualcosa ma si trattenne, troppo preoccupato all’idea che Annabeth potesse piantarlo in asso da un momento all’altro. Ultimamente era particolarmente irritabile, nonché imprevedibile. Fortunatamente fu lei a rompere il silenzio.
“Sono felice che tu mi abbia chiesto di venire qui con te” disse con lo sguardo basso, quasi come se si vergognasse ad ammetterlo.
Percy abbozzò un sorriso. “Si, beh, sono felice che tu abbia accettato.”
Annabeth sollevò lo sguardo e i suoi occhi si piantarono in quelli del ragazzo, che sembravano essere lì in agguato ad aspettarla. Quel breve ma intenso contatto visivo fu sufficiente a mandarla in tilt. Il cuore aumentò i battiti mentre la gola si seccava. Deglutì, implorando il suo cuore di calmarsi, era questione di poco ormai, solo una pizza la separava dalla sua missione. Fu sul punto di scoppiare a piangere, perché una parte di lei voleva confidarsi con Percy e rivelargli la verità, ma l’altra parte, quella più fredda e razionale, le ricordava che aveva un destino, e il suo destino stava per portarla nei sotterranei di Roma, non in un’isola felice dove avrebbe potuto vivere con lui e il loro bambino.
“Va tutto bene?” domandò lui che sembrava aver notato il suo comportamento nervoso.
Annabeth annuì sforzandosi di esibire un sorriso di circostanza, poi il cameriere arrivò con le pizze fumanti e tutta l’attenzione di Percy si concentrò sul piatto.
“C’è una cosa che devo dirti” esordì lei non appena i piatti furono vuoti.
“Ha forse a che fare con il motivo per cui mi hai lasciato così di punto in bianco?” domandò lui con voce piatta.
“Direi di si…” ammise lei cercando di controllare la voce affinché non tremasse.
“Ti ascolto.”
Annabeth deglutì. Non aveva idea di come affrontare l’argomento. Nella sua testa le parole di Era rimbombavano rendendole impossibile riordinare i pensieri. Si passò una mano sulla fronte prendendo tempo. Quella era l’ultima occasione che aveva per dire a Percy la verità. Nell’esatto momento in cui prese fiato per cominciare il discorso, uno scooter parecchio rumoroso svoltò l’angolo attirando l’attenzione di entrambi. In sella, un uomo e una donna dall’aspetto familiare ridacchiavano con una certa complicità. Lo scooter si arrestò proprio davanti al loro tavolo e l’uomo e la donna si avvicinarono sfoggiando abiti all’antica.
Annabeth riconobbe in loro i protagonisti del film vacanze romane, ma quelli rivelarono di essere Tiberino e Rea Silvia e annunciarono chiaramente di essere venuti a prenderla. Non c’era più tempo.
“Aspettate!” Protestò Percy a voce un po’ troppo alta.
“Percy!” Ringhiò lei a denti stretti avvicinandosi alla vespa. “Sapevi che sarebbe arrivato questo momento…”
“Quindi è così che finisce? Con te che te ne vai in moto con questo tizio?” Brontolò Percy visibilmente scocciato e anche un po’ ingelosito.
“Tiberino la guiderà solo fino all’inizio del suo cammino, tu faresti meglio a sbrigarti… il tuo amico prigioniero dei giganti è in pericolo.” Spiegò Rea Silvia.
“Dammi solo un momento.” Disse Percy alla donna, poi si avvicinò allo scooter e baciò Annabeth così intensamente da lasciarla senza fiato. Quando si staccò lei boccheggiò come se le mancasse l’ossigeno, ancora stordita dall’intensità del suo bacio. “Sii prudente” le sussurrò.
Tiberino si schiarì la voce: “È ora di andare.”
Annabeth raccolse lo zaino e montò in sella mentre Percy tornava a sedersi controvoglia. Il rombo della vespa che si apprestava a partire infastidì molti clienti del ristorante. Non appena partirono Percy si limitò a seguirli con lo sguardo. Quando sparirono completamente dalla sua vista lui sospirò affranto, poi alzò una mano e chiese il conto.

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Capitolo 24
*** Alti e bassi ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori. In questo capitolo troverete qualcosa di nuovo e qualcosa che stavate tutti aspettando. Diciamo che sentivo il bisogno di dare spazio un po' a tutte le coppie, quindi era il momento di scrivere una Jasper! Non mi sono mai soffermata molto ad immaginarmi la loro relazione quindi ho buttato giù tutto quello che mi passava per la testa, e voi ormai un po' lo sapete che nella mia testa ci passa veramnete di tutto, quindi... lettori avvisati! Scherzi a parte, spero che lo troviate un momento divertente, in sintonia con il resto della storia. Adesso vi lascio leggere e vi ringrazio tutti perchè siete adorabili. I vostri commenti sono carichi di complimenti e per me non c'è nulla di più gratificante. Ne approfitto per dirvi che ho pubblicato una nuova storia (una AU) intitolata "Cronache di una vacanza di mezza estate" se avete voglia dateci un'occhiata e fatemi sapere le vostre impressioni. Penso che potrebbe piacervi! A presto!






Alti e bassi


 
 
Piper stava cercando di concentrarsi in tutti i modi su Jason e su quello che stavano facendo, ma quando sei ad un passo da una missione suicida, anche fare l’amore con il tuo fidanzato, diventa difficile. Inoltre, era evidente che Leo non aveva pensato al sesso quando aveva progettato i letti delle cabine. Ogni spinta faceva cozzare la testata del letto contro la parete e la cosa, alla lunga, risultava parecchio fastidiosa.
Piper stava fissando il soffitto nel tentativo di ignorare il rumore, o meglio, stava fissando la macchia nera che c’era sul soffitto. Quella che Jason aveva provocato una delle prime volte che l’avevano fatto in quella cabina. Un sorriso le increspò le labbra mentre i capelli biondi del ragazzo le solleticavano il mento. In confronto ad ora, quelli erano decisamente bei tempi.
Chiuse gli occhi e strinse le braccia intorno alla schiena sudata del ragazzo, tentando di scacciare tutte le immagini spaventose che aveva nella mente. Piegò la testa di lato e quando li riaprì la prima cosa che vide fu il pugnale poggiato sul comodino. Quello che gli aveva mostrato nei giorni precedenti la spaventava enormemente e si stupiva di come lui riuscisse a far finta di niente. Le mani di Jason cercarono il suo viso obbligandola a voltarsi. I due si guardarono per un lungo istante negli occhi, poi lui posò delicatamente le sue labbra su quelle di Piper coinvolgendola in un bacio appassionato. Lei gli consentì di approfondire il bacio e si rese conto che quel contatto bastò a farle reprimere ogni preoccupazione. Affondò le mani nei capelli del fidanzato con parecchia enfasi, cosa che lui sembrò gradire notevolmente dal momento che si fece più vicino e la strinse più forte. Piper sentì un’ondata di calore partire dal basso ventre e disperdersi lungo il corpo. Era tremendamente accaldata, il fiato corto e i capelli appiccicati al collo. Spinse il bacino contro quello di Jason e inarcò la schiena lasciando ricadere indietro la testa, i lunghi capelli castani che ricadevano sul cuscino lasciando circolare un po’ di aria. Sentì le labbra di Jason sfiorarle il collo, le stava lasciando una scia di baci scendendo verso il seno. Il suo fiato era caldo e ogni bacio le provocava un brivido che l’attraversava da capo a piedi.
“Ehi” mormorò lei allontanandolo quanto bastava per guardarlo negli occhi.
Lui inarcò un sopracciglio, dubbioso.
“Cosa c’è?”
“Guarda i miei capelli” suggerì lei sorridendo.
Jason spostò lo sguardo sui suoi lunghi capelli castani e poi tornò a guardarla negli occhi.
“Sono elettrici!” Esclamò Piper quando Jason fece una smorfia come a dire che lui non notava nulla di strano.
“Ah” borbottò.
“Sai cosa significa?”
“Che sta per partirmi una scarica” osservò lui guardando la macchia nera che aveva fatto in precedenza sul soffitto.
“Esatto, quindi cerca di controllarti.” Fece Piper che non voleva rimproverarlo ma solo evitare che combinasse un pasticcio.
“Ok, starò attento, promesso.” E con quelle parole passò una mano sui capelli di Piper che tornarono normali, poi afferrò la ragazza per i fianchi e fece combaciare i loro bacini che sembravano essere perfettamente complementari.
“Che succede?” mormorò un paio di minuti più tardi, l’espressione soddisfatta e il lenzuolo che lo copriva dalla vita in su.
Piper si strinse nelle spalle e si raggomitolò al meglio sotto le coperte.
“Sono preoccupata” ammise mettendosi sul fianco per guardarlo meglio.
Jason rivolse un’occhiata a Katoptris, la lama scintillava lievemente a causa della luce.
“È per quello che ti ha mostrato?” sussurrò facendo un cenno con la testa in direzione del pugnale, mentre circondava la ragazza con un braccio e le dava un bacio sulla fronte.
Piper annuì. “Tu come fai a non esserlo?” domandò.
Jason sospirò. “Beh… nella visione siamo in una stanza piena d’acqua con Percy no? Odio ammetterlo ma lui con l’acqua ci sa fare, quindi perché dovrei essere preoccupato?”
“Ma è proprio questo il punto!” sbottò Piper puntellandosi sui gomiti, un seno che sbucava dal lenzuolo. “Perché stiamo annegando se Percy è con noi?”
“Jason!” Sbraitò Piper un attimo dopo. Si era appena accorta che lui non la stava ascoltando, lo sguardo fisso sul seno scoperto. “Sto dicendo sul serio!” Aggiunse schioccando le dita nella speranza di ottenere un minimo di attenzione. Il ragazzo trasalì, serrò la mascella e sembrò riflettere un momento sulla cosa. “Manie di protagonismo, suppongo. Ci farà morire di paura credendo di annegare per poi salvarci all’ultimo momento facendo la figura dell’eroe. È proprio da lui.”
“Jason!” Fece Piper con tono di stizza. “La vuoi finire di metterti in competizione con lui?”
“Non mi metto in competizione con lui!” Brontolò infastidito dall’ennesimo rimprovero.
“Ma se non fate altro che tentare di stabilire chi è il maschio alfa da quando siete saliti a bordo di questa nave?” A Piper veniva quasi da ridere.
“Guarda che non siamo mica un braco di lupi, fidati, te lo dice uno che di lupi ne sa qualcosa!”
“Oh Dei!” Esalò Piper, le mani a coprire il volto. Quella discussione era ridicola.
 
Percy tornò a bordo della Argo II con lo sguardo basso e il morale a terra. Annabeth era già arrivata all’inizio del suo cammino? O forse stava ancora sfrecciando per le vie di Roma in sella ad una vespa con un affascinante sconosciuto? Di quel passo sarebbe diventato pazzo. Aveva bisogno di tenere la testa occupata.
Salì le scale facendo i gradini due alla volta fin quando si scontrò con Leo che usciva dalla sala macchine carico di cianfrusaglie.
“Scusa” mormorò, “hai visto Jason?”
Leo si rialzò massaggiandosi un fianco. Nell’impatto era finito a terra, ecco uno dei tanti motivi per cui odiava essere così smilzo: negli scontri aveva sempre la peggio.
“Credo che sia nella cabina di Piper…” fece lui vago, recuperando le sue diavolerie dal pavimento.
Percy lo ringraziò e si scusò ancora per averlo investito, poi salì l’ultima rampa di scale fino al ponte con le cabine. Una volta raggiunta la porta di Piper, bussò e l’aprì senza aspettare il permesso. Quando Leo aveva detto che Jason era nella cabina di Piper, Percy non si era fatto troppe domande. Ora, vedendoli aggrovigliati sotto le coperte nel tentativo di nascondergli le loro nudità, capì di essersi comportato da imbecille. C’era un motivo ben preciso se Jason era nella cabina di Piper e Percy si sentì un idiota per non averlo capito prima.
Istintivamente richiuse subito la porta, poi ci si appoggiò con la fronte e cominciò ad insultarsi. Si ricordò di quanto si fosse sentito in imbarazzo quando Frank aveva sorpreso lui e Annabeth in bagno. Annabeth. Nonostante si stesse sforzando di non pensare a lei, eccola che saltava fuori di nuovo.
“Percy!” Ruggì Jason facendolo sobbalzare. La sua voce non suonava amichevole, al contrario, il figlio di Giove pareva giustamente infuriato.
“Scusate” guaì lui da fuori, la fronte ancora appoggiata alla porta e gli occhi chiusi.
“Finiscila di fare tante storie” dal tono di voce, Percy capì che Piper ce l’aveva con Jason. Poi si rivolse a lui. “Percy non ti preoccupare, avevamo finito, hai bisogno?”
“Ma chi se frega se ha bisogno!” Protestò la voce di Jason ancora adirata.
“Si… beh, io cercavo Jason perché…”
“Non ho nessuna intenzione di farti fumare e tantomeno di prenderti a pugni, quindi vattene!”
Percy sospirò.
“Dobbiamo salvare Nico” gli ricordò Percy, “non abbiamo più tanto tempo”.
Percy sentì la porta aprirsi e si affrettò a ritrarsi. Jason gli apparve sull’uscio a torso nudo, l’espressione furiosa. Per un attimo Percy pensò che il pugno sarebbe arrivato comunque. Invece lui si limitò a lanciargli un’occhiata torva dicendo: “Non mi pare di essere mai venuto alla tua porta a rompere quando stavi con Annabeth!”
Percy abbassò lo sguardo. Annabeth. Ancora.
“Jason!” Intervenne Piper spostando a forza il fidanzato dalla porta. “Hai ragione Percy, è ora di andare.” Si era rivestita anche lei, ma aveva ancora tutti i capelli in disordine e qualche segno rosso sul collo.
“Il tuo livido è migliorato!” Esclamò sorpresa.
“No” si affrettò a rispondere, “in realtà è mascara.”
“Mascara?” fece Piper accigliata. Percy inarcò le sopracciglia. “Me l’ha messo Annabeth per coprire il livido.” Spiegò.
“Al massimo può averti messo del correttore” Piper si lasciò scappare una risata.
“Si, si, quello. Anzi, non è che me lo toglieresti per favore?” chiese all’apice della vergogna.
“Avete finito di parlare di trucchi? Mi state mettendo in imbarazzo!” Jason li guardava allibito.
Percy avrebbe preferito tornare negli inferi e fare quattro chiacchiere con Ade in persona, piuttosto che starsene lì a farsi canzonare da Jason, ma fortunatamente Piper intervenne mettendolo a tacere.
“Certo, adesso ci penso io” lo rassicurò lei ignorando il fidanzato che continuava a borbottare qualcosa di indefinito.
“Non sappiamo nemmeno da che parte incominciare” brontolò Jason sedendosi sul letto, le mani premute sulle tempie come per contenere un imminente mal di testa.
“Ci servirebbe una mappa di Roma, o meglio, dei sotterranei di Roma…” rifletté Piper.
“Annabeth aveva decine di mappe, non penso che se le sia portate via tutte, vado a vedere nella sua cabina!” Esclamò Percy rinvigorito da quell’ipotesi.
“Dammi solo un secondo e vengo ad aiutarti!” Gli disse Piper mentre Percy si allontanava nel corridoio.
“Non mostrare troppo entusiasmo” aggiunse poi rivolta a Jason che era ancora seduto sul letto, nervoso. Lui si limitò a sbuffare. Ogni tanto questa storia di essere un semidio era proprio una rottura.
Piper uscì dalla cabina e raggiunse il bagno decisa a lasciare Jason nel suo brodo. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che entro qualche minuto gli sarebbe passata. Non le restava che aspettare.
Aprì l’ultimo cassetto del mobiletto sotto al lavandino e prese un paio di salviettine struccanti, poi uscì richiudendo la porta e raggiunse la cabina di Annabeth.
Percy stava studiando le scartoffie che la figlia di Atena aveva lasciato sulla scrivania. C’erano una decina di fogli in totale, ma nessuno sembrava riportare neanche vagamente qualcosa che assomigliasse ad una mappa di Roma.
“Sono sicuro che non le ha prese tutte” sbuffò Percy mentre Piper compariva sulla porta. “Devono essere qui da qualche parte.” Aggiunse cominciando ad aprire tutti cassetti della scrivania.
Piper non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che stava per succedere. Vide Percy aprire il primo cassetto e richiuderlo subito, esattamente come aveva fatto con tutti gli altri. Poi però il ragazzo s’irrigidì, rimase immobile per qualche secondo e poi aprì nuovamente il cassetto. Questa volta più lentamente. A Piper sembrò quasi che gli tremassero le mani. Percy guardò il fondo del cassetto e si rese conto di quello che conteneva. Piper lo vide estrarre la confezione del test di gravidanza e sentì il cuore sprofondargli nel petto. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Era solo questione di tempo. Percy osservò la scatola in silenzio per qualche minuto, poi infilò la mano nel cassetto e tirò fuori anche il test. Piper era ferma immobile alle sue spalle, le parole le erano morte in gola e l’unica cosa che riuscì a fare fu mettergli una mano sulla spalla in segno di conforto.
“Piper” disse lui in un sussurro, voltandosi. “Perché c’è un test di gravidanza in camera di Annabeth? Perché io non ne so niente? E soprattutto perché è andata in cerca del marchio se, se…” Gli tremavano così tanto le mani che richiuse il test nel cassetto e incrociò le braccia al petto tentando di nasconderle.
“Percy” sospirò lei incapace di trattenere le lacrime. “Mi dispiace…”
Il suo viso era contratto in una smorfia. Era già la seconda volta che trovava qualcuno con un test di gravidanza in mano in quella stanza e cominciava ad accusare il peso di quel segreto.
“Tu lo sapevi.” La voce di Percy era rotta e talmente affranta da non sembrare nemmeno la sua. Piper scoppiò a piangere e corse a chiudere la porta prima che arrivasse Jason.
“Annabeth l’ha detto a te e non a me” disse Percy sconvolto da quella verità.
“No, non me l’ha detto” precisò Piper singhiozzando. “L’ho trovata con il test in mano e mi ha fatto giurare di non dirti nulla.” Adesso le lacrime uscivano a fiotti e Percy faticava a cogliere le sue parole.
“Mi dispiace” nonostante i singhiozzi, la sua voce sembrava sincera. “Ho provato a convincerla a dirtelo, te lo giuro.”
Percy ascoltava le sue parole in silenzio, era talmente sconvolto da non riuscire più a distinguere le emozioni. Non sapeva se era arrabbiato, deluso, triste o se fosse tutte e tre le cose insieme. Una cosa era certa: si sentiva tradito. Non c’erano mai stati segreti tra loro e questo era l’aspetto che preferiva della loro relazione. La cosa peggiore era che Piper gli aveva appena confessato che era stata una precisa scelta di Annabeth non dirgli nulla e non gli restava che prenderne atto.
“Ti ha fatto giurare di non dirmi nulla?” domandò Percy che aveva bisogno di sentirselo dire un’ultima volta.
“Sì” ammise Piper asciugandosi le lacrime. “Diceva che le avresti impedito di compiere la sua missione… è per questo che non te l’ha detto, non per altro.”
Percy scosse il capo. “È per questo che mi ha lasciato” ammise, “aveva troppa paura che io la fermassi, e invece l’ho lasciata andare!” Sbottò Percy dando un pugno alla scrivania. Piper sobbalzò, l’ultima cosa di cui avevano bisogno era che Percy perdesse le staffe. Non poteva permettergli di smarrirsi a un passo dalla loro missione. Nico aveva bisogno di loro.
“Percy” Piper gli prese il viso tra le mani, “andrà tutto bene, Annabeth se la caverà!”
“Non usare la lingua ammaliatrice con me!” Sbottò lui che in qualche modo doveva aver percepito il suo tentativo di usare i poteri.
Piper arretrò quasi spaventata.
“Lasciami solo” sussurrò.
Piper uscì dalla stanza senza aggiungere una parola e fuori incrociò Jason che la guardò con aria interrogativa.
“Abbiamo un problema” disse in risposta a quello sguardo. “Un grosso problema.”

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Capitolo 25
*** Oltre il limite ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Comincio questo angolo autrice scusandomi infinitamente per il ritardo! Mi spiace avervi fatto aspettare così a lungo ma purtroppo si sono sovrapposti mille impegni e quando riuscivo a ritagliarmi del tempo per scrivere ero assolutamente senza ispirazione. Come se questo non bastasse ero presissima dalla lettura di un romanzo e di un paio di FF, quindi immagino che possiate capire quanto complicato sia staccarsi dalla lettura di qualcosa che ti prende per fare altro. In pratica mi obbligavo a prendere in mano la mia storia ma non riuscivo a scrivere nulla perchè continuavo a domandarmi come sarebbero proseguite le storie che stavo leggendo... un incubo insomma, sono certa che possiate capirmi! Detto questo, io non posso che ringraziarvi immensamente per aver pazientato così tanto e vi prometto che mi impegnerò al massimo per garantire degli aggiornamenti umani. Per quanto riguarda il capitolo, al di là che come dicevo ho fatto veramente fatica a scriverlo, sappiate che è un passaggio obbligato della storia, nel senso che sono arrivata ad un punto in cui la mia FF si incrocia con i veri avvenimenti del libro e ho dovuto fare delle scelte. La mia storia si intitola "la vita a bordo della Argo II" e quindi volevo evitare di riscrivere cose già ampiamente raccontate nel libro, soprattutto se non succedono a bordo della nave, non so se mi sono spiegata... forse leggendo capirete meglio. Insomma, per farla breve, non volevo riscrivere tutta la parte in cui affrontano i giganti perchè sono parti della storia che non si verificano a bordo della nave e ai fini della mia FF non hanno nessuna utilità quindi ho dovuto cercare un modo per proseguire la storia tenendo conto di questi avvenimenti ma senza riscriverli. Non so se è chiaro, nel caso chiedetemi pure delucidazioni. :-)
Ora giuro che vi lascio leggere. Grazie mille ancora per la pazienza e per la fiducia, ma soprattutto grazie a tutti quelli che si sono appassionati così tanto a questa storia da mandarmi messaggi privati per incoraggiarmi a continuare! Grazie infinite. 
PS: Per quelli che stanno seguendo anche l'altra storia, sappiate che il capitolo è già pronto e lo vedrete pubblicato lunedì!





Oltre il limite

 
 
Percy se ne stava sdraiato a pancia in su sul letto della sua cabina, gli occhi fissi sul soffitto. Una cosa era certa: se qualcuno gli avesse raccontato quello che gli era accaduto nel giro delle ultime ore lo avrebbe preso per pazzo. Invece, avendo vissuto in prima persona ogni singolo avvenimento della giornata, era più che convinto che fosse tutto vero. Dopo aver scoperto che Annabeth era incinta, Piper e Jason l’avevano letteralmente trascinato per i sotterranei di mezza Roma, fino ad un antico ninfeo in cui, tanto per cambiare, avevano rischiato la pelle. Percy ricordava perfettamente le sensazioni che lo avevano sopraffatto in quel momento. Era smarrito, terrorizzato. Mentre i suoi amici si scervellavano cercando di capire casa fosse quel luogo e come uscirne vivi, lui aveva la testa altrove. Aveva mollato il colpo, come se l’atroce destino che Piper aveva visto nel suo pugnale non lo riguardasse. Solo il pensiero lo fece sentire così in colpa che sentì una morsa allo stomaco. Quando erano comparse le ninfe rattrappite e la stanza aveva cominciato a riempirsi d’acqua, lui aveva provato a gestire la situazione servendosi dei suoi poteri, ma era stato tutto inutile. Piper sosteneva che quell’acqua fosse talmente satura del potere negativo delle ninfe che nemmeno il figlio del dio del mare fosse in grado di controllarla. Lì per lì gli era sembrata una motivazione plausibile ma ora, analizzando la cosa a posteriori, un terribile dubbio si stava facendo largo nella sua testa. E se non fosse stato in grado di gestire la situazione perché era sconvolto dalla notizia appresa solo poco prima? Era possibile che un semidio vedesse i suoi poteri scemare in seguito ad uno shock emotivo?
Percy si portò le mani alle tempie, la testa gli stava esplodendo. Si mise a sedere sul letto nella speranza che il cambio di posizione lo aiutasse ad alleviare il mal di testa. Chiuse gli occhi passandosi una mano tra i capelli. L’unica nota positiva delle ultime ore era che Nico era sano e salvo, anche se questo aveva comportato uno scontro con i giganti che li avevano umiliati costringendoli ad esibirsi in una sorta di spettacolo gladiatorio.
In quel momento una timida bussata bloccò il flusso di pensieri che affollava la mente del ragazzo.
“Avanti” esalò Percy che era già pronto a vedere l’espressione affranta sul viso di Piper. Con sua sorpresa ad aprire lentamente la porta fu Hazel. Percy fece del suo meglio per sorriderle. Di sicuro era più contento di vedere lei rispetto a Piper. Se non altro Hazel non sapeva nulla di Annabeth e pertanto non avrebbe fatto domande a riguardo e soprattutto non lo avrebbe compatito.
“Percy!” Esclamò lei sedendosi al suo fianco. “Grazie!” Aggiunse scoppiando a piangere sulla sua spalla. Il ragazzo trasalì, poi la strinse forte e lasciò che si sfogasse. “Hai salvato mio fratello!” Disse sollevando lo sguardò per cercare gli occhi di Percy.
“Sono Piper e Jason che devi ringraziare…” borbotto lui accarezzandole i capelli. “Se non fosse per loro il figlio del dio del mare sarebbe annegato in un bicchier d’acqua!” Spiegò con una nota di rammarico nella voce. Hazel lo guardò attentamente per qualche istante. Aveva smesso di piangere.
“L’ho già fatto, ma anche tu hai fatto la tua parte.”
Percy fece una smorfia. Aveva davvero fatto la sua parte? Probabilmente no. Se Piper non avesse capito come utilizzare la sua cornucopia magica sarebbero morti tutti.
“Hazel” mormorò, lo sguardo basso. “Secondo te è possibile che un semidio perda i suoi poteri?” Chiese cercando di non far trapelare la sua preoccupazione.
Hazel si accigliò.
“Perché questa domanda?”
Percy sbuffò. “Perché mi sento debole, in quel ninfeo sono stato praticamente inutile, e non è stata una bella sensazione.” Ammise a capo chino.
“Percy, c’è un motivo se ci chiamano mezzosangue.” Hazel sorrise. “I nostri poteri vanno al di là di ciò che un mortale può concepire, ma per metà siamo esseri umani, ed esattamente come loro viviamo costantemente in balia delle emozioni.” Percy trovò la forza di sollevare lo sguardo e incrociare quello dell’amica. “Ogni emozione che viviamo va ad influenzare i nostri poteri, ogni certezza ci fa sentire invincibili e ogni paura ci indebolisce.”
Era vero quello che stava dicendo Hazel? La sua paura di perdere Annabeth lo stava influenzando così tanto da rendergli impossibile controllare un pugno d’acqua?
“Percy, da quando siamo a bordo di questa nave siamo costantemente sottoposti a pressioni, siamo solo dei ragazzi, può capitare che i nostri poteri vadano e vengano.”
“Non voglio mettere in pericolo le vostre vite solo perché io sono emotivamente instabile.” Dichiarò Percy che sembrava aver ritrovato la voce.
“Non hai messo in pericolo nessuno, hai salvato Nico!” Lo rassicurò lei.
Abbiamo salvato Nico.” Precisò il figlio di Poseidone. “Se fossi stato laggiù da solo non ce l’avrei mai fatta.”
“Ed è questo il motivo per cui le missioni si affrontano sempre in tre!” Gli ricordò Hazel.
“Hazel io ho bisogno di sapere che voi potete contare su di me…” spiegò scattando in piedi all’improvviso, “e io ho bisogno di Annabeth, devo andare a salvarla.” Dichiarò con un tono che non ammetteva repliche.
“Dioniso mi ha detto dove cercare, ed è esattamente lì che farà rotta la Argo II!”
Hazel vide uno scintillio negli occhi del ragazzo e seppe che era finalmente tornato in sé.
“Leo!” Gridò Percy uscendo dalla cabina. Stava correndo a perdifiato per la nave in cerca del figlio di Efesto. Aveva bisogno di lui.
“Leo!” Gridò ancora, un attimo prima di travolgere Hedge che stava salendo le scale.
“Jackson! Cosa diavolo ti prende?” Gracchiò il satiro rotolando per le scale.
“Mi scusi Coach” borbottò Percy rimettendolo in piedi e sistemandogli il capellino da baseball sulla testa cornuta.
“Dove stai andando?” Chiese il satiro ancora stordito dallo scontro.
“A salvare la ragazza che amo!” Rispose Percy continuando imperterrito la sua folle corsa.
Percy non ne fu certo, ma gli sembrò che il Coach avesse borbottato qualcosa che somigliava ad un ‘ah, l’amore!’. Continuò a correre, il cuore che gli martellava nel petto ad un ritmo disumano.
“E questa è la zona che preferisco… la sala macchine” stava dicendo Leo che stava facendo fare a Nico quello che sembrava essere un tour guidato della nave. Nico sembrava a disagio, quasi imbarazzato, e Percy non si sentì minimamente in colpa ad interrompere il suo tour di benvenuto.
“Sì, sì, lì a fianco ci sono le stalle e l’infermeria, e di sopra cabine e cucina, questo è tutto quello che devi sapere!” Tagliò corto Percy mentre Leo lo guardava storto.
“Ovviamente i bagni sono in fondo a destra!” Aggiunse con il suo sorriso sghembo mentre Leo si sbracciava, infastidito.
Nico approfittò di quel piccolo siparietto per dileguarsi silenziosamente, lasciando gli altri due a discutere.
“Perché l’hai fatto?” domandò Leo incrociando le braccia al petto e mettendo il muso. “Lo sai che ci tengo a mostrare a tutti ogni singolo angolo di questo gioiellino.” Spiegò battendo un paio di colpi sulla parete della nave.
“Lo so ma…”
“Non gli ho ancora presentato Festus!” protestò il figlio di Efesto impedendo a Percy di spiegarsi.
“Leo!” Esclamò lui scuotendolo per le spalle. “Ho bisogno di te!”
Leo si accigliò. Non capitava spesso che qualcuno gli dicesse palesemente di avere bisogno del suo aiuto, a meno che non si trattasse di cose da riparare, era chiaro.
“So dove si trova Annabeth, ho bisogno che mi porti da lei, io devo salvarla!”
“Sai dove trovarla?” Il broncio di Leo era sparito, sostituito da un entusiasmo genuino.
 
Mezz’ora più tardi la Argo II fluttuava nei cieli di Roma. Le vele erano spiegate e Jason stava facendo del suo meglio canalizzando le correnti d’aria nel tentativo di aiutare Leo a manovrare la nave.
 “Ci siamo!” Gracchiò il Coach battendo il pugno sul parapetto di tribordo. “È ora di fare fuoco!” Sentenziò con un luccichio famelico nello sguardo.
“Come?” esalò Percy che non era sicuro di avere capito bene.
“Vuoi salvare la tua ragazza sì o no?”
“Voglio salvarla, non farla saltare in aria!” Precisò Percy mentre una scarica di adrenalina gli provocava un’accelerazione del battito cardiaco.
“Jackson!” Ruggì il Coach in tono autoritario prendendolo per il colletto della maglietta. “La tua ragazza è sotto questo dannato parcheggio,” disse indicando l’asfalto sotto di loro, “ora noi bombardiamo la superficie per aprire un varco, Frank tieniti pronto a trasformarti in qualsiasi bestia alata ti venga in mente. Ci sarà bisogno di te!”
Frank era alle spalle di Leo e Percy lo vide annuire con convinzione.
“Se Leo è in grado di gestire la nave da solo, posso scendere lì sotto anche io!” Disse Jason.
“Ehi Superman, certo che so gestire questa bellezza da solo!” lo canzonò Leo con un sorrisetto furbo.
“Allora siamo d’accordo.” Hedge raggiunse una delle baliste e fece segno ad Hazel di fare lo stesso.
La figlia di Plutone non se lo fece ripetere due volte, corse verso la balista più vicina e si preparò a fare fuoco.
“Al mio segnale” sbraitò Hedge un attimo prima di cominciare il countdown.
Il figlio di Poseidone si affacciò dal parapetto un attimo prima che le baliste fecero fuoco. Ci fu un’esplosione enorme e Percy pregò tutti  gli dei dell’Olimpo che il parcheggio non crollasse del tutto. Si sollevò una fitta nube di fumo e la nave fu sballottata bruscamente a destra dall’energia generata dall’esplosione. Fortunatamente Leo virò con tutta la sua forza nella direzione opposta e riuscì ad evitare che la nave si ribaltasse.
Percy tossicchiò domandandosi cosa stessero vedendo i mortali in quel momento nei cieli della capitale italiana. Era finito a terra senza nemmeno rendersene conto, non c’era una sola parte del corpo che non gli facesse male, ciononostante trovò comunque la forza di rialzarsi. Doveva assicurarsi che Annabeth fosse viva. In quel momento qualcosa di enorme sfrecciò sopra la sua testa. Doveva essere Frank che, come sempre, aveva eseguito gli ordini del Coach alla lettera e si era trasformato in un’enorme creatura alata. Percy non riuscì a distinguerne i contorni, per quanto ne sapeva poteva essere un’aquila oppure un drago.
“Annabeth!” Gridò Percy a pieni polmoni strizzando gli occhi per vedere attraverso la nube di polvere e fumo che stentava a diradarsi.
Piper lo raggiunse insieme ad Hazel ed entrambe gridarono il nome della figlia di Atena.
Finalmente Percy riuscì ad intravedere lo squarcio che il bombardamento aveva provocato. Con sua sorpresa il parcheggio aveva retto, e non sembrava sul punto di collassare su se stesso da un momento all’altro, ma dovevano sbrigarsi.
“Annabeth” gridò di nuovo mentre Leo faceva di tutto per abbassare il più possibile la trireme greca.
“Percy!” La voce di Annabeth arrivava proprio da lì sotto e Percy sentì il nodo che aveva nel petto sciogliersi improvvisamente donandogli una sensazione di leggerezza.
Ora che la polvere si era diradata del tutto, Percy vide chiaramente la scena. Annabeth era sotto di loro, seduta per terra su quella che sembrava essere un’enorme piattaforma sospesa sopra uno strapiombo di cui non riusciva a vedere la fine. Poco distante, l’Athena Parthenos riluceva illuminata dalla sua stessa aurea. Ce l’aveva fatta. Annabeth aveva portato a termine la missione in cui tutti i suoi fratelli avevano fallito. Non che Percy ne avesse mai dubitato, ma vederla sana e salva con i suoi occhi era una sensazione impagabile.
Senza aspettare che la nave si abbassasse ulteriormente gettò la scaletta al di là del parapetto proprio mentre Jason planava all’interno dello squarcio per aiutare Frank a movimentare l’enorme statua.
“Aiutate i ragazzi a caricare la statua, dite a Leo di aprire il portellone posteriore!” Disse alle ragazze mentre scendeva il più rapidamente possibile la scala che penzolava nel vuoto.
Piper e Hazel annuirono all’unisono proprio mentre lui raggiungeva l’ultimo gradino. Si lasciò cadere sulla piattaforma e rotolò su un fianco sbattendo violentemente il costato sul pavimento. La botta gli mozzò il fiato ma la voce di Annabeth gli diede ancora una volta la forza di rialzarsi.
“Percy!” Lo stava chiamando lei, la voce le tremava come se stesse pe scoppiare a piangere. Finalmente la vide. Aveva una gamba steccata in un modo che solo una figlia di Atena avrebbe potuto escogitare, il viso e le braccia erano piene di contusioni e i vestiti erano stracciati, ma per il resto sembrava stare bene. Corse verso di lei proprio mentre i suoi amici sollevavano la statua da terra grazie ad un intricato sistema di funi e carrucole che Leo doveva aver improvvisato. La vide sorridere mentre cercava di alzarsi e per un attimo sembrò dimenticarsi di tutto quello che era successo tra loro. C’erano un milione di domande che gli vorticavano nella testa, ma l’istinto gli disse che potevano aspettare. L’abbracciò così forte che per un attimo pensò che avrebbe potuto farle male. Lei si fece piccola tra le sue braccia e appoggiò la testa nell’incavo della sua spalla respirando l’odore di mare che lo contraddistingueva.
“Ti porto via di qui!” Le sussurrò all’orecchio un istante prima che sfuggisse dalle sue braccia e cominciasse a scivolare verso l’orlo del precipizio.
 

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Capitolo 26
*** Il peso del comando ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti e grazie mille di essere arrivati a leggere anche il capitolo 26! Stavolta pubblico con una tempistica accettabile, almeno spero... Chiedo scusa per non aver pubblicato martedì come avevo promesso a qualcuno, ma avevo bisogno di rivedere alcune parti del capitolo. Non sono soddisfattissima di questo capitolo ma mi piacciono le tematiche che affronta... c'è chi deve fare i conti con i propri errori e chi sente il peso delle responsabilità (cose in cui un po' tutti ci possiamo ritrovare). Ammetto che sono contenta di aver approfondito un po' l'aspetto sentimentale della Jasper, spero lo apprezzerete. Per quanto riguarda la Percabeth non temete, non mi sono dimenticata di loro... ogni cosa a suo tempo. Concludo dicendovi che siete dei lettori meravigliosi, siete veramente tantissimi, quasi in 200 avete aggiunto questa storia alle vostre liste e mi avete lasciato ben 108 commenti, come posso non ringraziarvi. Sappiate che ogni commento, o anche solo una persona in più che segue la storia è per me una grande soddisfazione nonché un immenso stimolo a proseguire le vicende della Argo II. Ora vi lascio leggere, giuro!
 







Il peso del comando



 
 
“Come sarebbe si è lasciato andare?” Domandò Jason strabuzzando gli occhi incredulo, il suo tono aveva finito di essere gentile e paziente da un pezzo.
Erano in cucina a discutere della dinamica dell’accaduto da quasi venti minuti, ciononostante Jason non riusciva ancora a credere a quanto fosse appena successo. Nico sedeva di fronte a lui, a divederli c’era solo il tavolo, ed era un bene perché più di una volta Jason fu sul punto di afferrare Nico per la maglietta e metterlo alle strette affinché dicesse di più.
“Te l’ho già spiegato!” Disse Nico estremamente scocciato all’idea di dover rivivere per l’ennesima volta quel momento. “Erano troppo in basso, non c’era niente che potessi fare per aiutarli, così Percy ha deciso di precipitare nel Tartaro insieme ad Annabeth, ma mi ha fatto giurare di aspettarlo dall’altra parte delle Porte della Morte. Ed è esattamente lì che andremo!” Nico si rabbuiò. Ripensare alle ultime parole di Percy gli faceva male, aveva troppa paura di lasciar trapelare i suoi sentimenti per continuare quella conversazione, così decise di fare la cosa che gli riusciva meglio: isolarsi. Fece per alzarsi ma Jason si sporse oltre il tavolo afferrandolo per un braccio, costringendolo a voltarsi. Il figlio di Ade sobbalzò mentre un brivido poco gradito gli percorreva la schiena, non aveva mai gradito il contatto fisico e quella stretta vigorosa lo intimoriva.
“Lasciami!” Protestò gelando Jason con lo sguardo.
“Giurami che ci stai dicendo la verità!” Fece lui serio mentre tutti gli altri assistevano in silenzio.
“È la verità” disse Nico a denti stretti, sforzandosi di sostenere lo sguardo del figlio di Giove.
“Jason” intervenne dolcemente la voce di Piper, “lascialo stare, siamo tutti sconvolti, non dobbiamo litigare tra noi.”
Jason allentò la presa e Nico ne approfittò per defilarsi a testa bassa, più silenzioso che mai.
“Non mi piace quel ragazzo” sussurrò in modo che solo Piper potesse sentirlo.
“È un figlio di Ade” fece lei con un’impercettibile alzata di spalle, “ma questo non fa di lui un bugiardo, quindi dobbiamo avere fiducia in lui.”
“Percy gli ha salvato la vita!” Ribatté Jason.
“Ed è proprio per questa ragione che lui è determinato a fare lo stesso.” Dichiarò Piper. “Dobbiamo fidarci di lui” sentenziò a voce alta, in modo che tutti gli altri potessero sentirla. “Se Percy intende veramente attraversare il Tartaro con Annabeth per raggiungere le Porte della Morte è lì che ci faremo trovare. Siamo la loro unica possibilità, non li deluderemo.”
Tutti fecero un cenno con la testa, compreso il coach che stritolò nel pugno la lattina di chinotto che aveva appena finito di bere.
Jason scrollò le spalle, avvilito, poi girò sui tacchi e si allontanò dalla cucina. Non aveva una meta precisa, voleva solo restare un attimo da solo.
Quell’impresa si stava trasformando in un fallimento, e lui odiava fallire più di ogni altra cosa.
Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che battibeccare con Percy nel tentativo di affermarsi come leader, e adesso che la sua improvvisa assenza gli conferiva automaticamente quel titolo, non era più tanto sicuro di volerlo. Sentiva il peso delle responsabilità posarsi sulle sue spalle con la grazia di un gigante; mai come in quel momento si rese conto di quanto effettivamente fosse dura tirare avanti senza Percy. Doveva prendere delle decisioni, rassicurare gli altri e pensare ad un piano. Quel pensiero gli fece venire una stretta allo stomaco, ai piani di solito ci pensava Annabeth. Si fermò a metà del corridoio e tirò un pugno al muro, infischiandosi del fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirlo.
“Ehi bello! Non prendere a pugni la mia nave!” Lo riproverò Leo che doveva averlo seguito fuori dalla cucina.
Jason si voltò quanto bastava per incrociare lo sguardo dell’amico e mostrargli un accenno di sorriso, poi diede le spalle alla parete e ci si appoggiò di peso levando gli occhi al cielo.
“Che succede amico?” domandò Leo notando l’espressione preoccupata del figlio di Giove.
Jason scosse il capo e sospirò.
“Sono preoccupato” ammise nonostante quelle parole fossero incredibilmente difficili da pronunciare.
“Lo siamo tutti” disse Leo con una semplicità disarmante, “ma ce la faremo, e ce la faranno anche Annabeth e Percy, quei due insieme sono una forza, non ho alcun dubbio a riguardo.”
Jason rimase in silenzio un momento, forse Leo si era perso qualche piccolo dettaglio, ovvero che Annabeth aveva lasciato Percy e che non si erano semplicemente persi andando a fare una scampagnata nel bosco, erano nelle profondità del Tartaro e Jason non riusciva nemmeno ad immaginare quali orrori stessero vedendo i loro occhi in quell’esatto momento.
Ma essere un leader significava soprattutto dare il buon esempio e pertanto non poteva dimostrarsi abbattuto o scoraggiato.
“Capisco come ti senti” disse il figlio di Efesto prima che lui potesse anche solo aprir bocca. “Ti senti smarrito e hai paura di non essere all’altezza della situazione…”
Jason gli rivolse un’occhiata, com’era possibile che comprendesse il suo stato d’animo? Era lui stesso a dire di comprendere più facilmente le macchine che gli esseri umani, eppure, nel silenzio del corridoio Leo lo stava leggendo come fosse un libro aperto.
“Anch’io mi sentivo così quando ho baciato Hazel” ammise chinando il capo.
“Quando hai fatto cosa?” La voce di Frank sopraggiunse forte e chiara.
Il figlio di Marte era appena uscito dalla cucina e stava camminando verso di loro con le mani strette a pugno, il viso rosso di rabbia e l’espressione furiosa. Jason vide Leo irrigidirsi mentre un lampo di paura attraversava i suoi occhi. Tentennò per un momento alla ricerca di qualcosa da dire in difesa dell’amico, ma la sua mente era troppo stipata di pensieri per trovare le parole giuste. Il resto accadde troppo rapidamente perché Jason potesse anche solo rendersene conto, figuriamoci intervenire. Leo fece per voltarsi ma Frank lo aveva già afferrato per il collo della maglietta e lo aveva scaraventato dall’altro lato del corridoio.
Mentre Leo cercava di rialzarsi facendo il conto dei danni che quella caduta gli aveva provocato, Jason si lanciò su Frank nel tentativo di immobilizzarlo. Tutto quel trambusto ovviamente non passò inosservato e in meno di un minuto il resto dell’equipaggio si riversò nel corridoio per cercare di capire cosa stesse succedendo.
“È tutto ok!” Disse Leo sorridendo alle ragazze e al Coach che lo stavano fissando in piedi sulla porta della cucina con aria interrogativa.
“No che non lo è!” Ringhiò Frank che stava ancora lottando con Jason dalla parte opposta del corridoio nel tentativo di liberarsi.
“Calmati Frank!” Gli urlò Jason che cominciava a non avere più la forza per tenerlo. “Quanto tempo deve ancora passare prima che qualcuno di voi si decida ad aiutarmi?” domandò rivolto a Piper, Hazel e Hedge che osservavano la scena fermi immobili con gli occhi sgranati. Fortunatamente il coach colse subito l’antifona e si decise ad intervenire, con il suo aiuto Jason riuscì a bloccare il figlio di Marte contro il muro e a tirare il fiato per qualche secondo; competere con Frank sul piano fisico non era per niente facile. Anche Piper si era avvicinata e, Jason lo capì subito, iniziò ad usare i suoi poteri per placare l’ira di Frank. Fu solo in quel momento che Jason si rese realmente contò di quanti progressi avesse fatto la sua ragazza con la lingua ammaliatrice, i suoi poteri s’intensificavano ogni giorno di più. L’unica che non aveva mosso un passo era Hazel, e Jason capì subito il motivo. La ragazza doveva aver intuito cos’era successo perché il suo volto si rabbuiò di colpo e gli occhi le si fecero lucidi. Jason la vide abbassare il capo e serrare i pugni, rivolse uno sguardo fugace a Leo e poi un altro a Frank, infine si decise a sollevare il capo e fu proprio in quel momento che incrociò lo sguardo di Jason. I suoi occhi erano carichi di rammarico e aveva l’espressione colpevole e afflitta. Il figlio di Giove le fece un cenno col capo e lei corse via per il corridoio.
“Hazel!” Esclamò Piper osservando l’amica correre via senza voltarsi. “Dove vai?” Domandò illudendosi che lei le avrebbe risposto.
“Leo sta bene comunque… non preoccupatevi troppo per me, ho solo fatto un volo di sei metri!” Il figlio di Efesto era di nuovo in piedi, aveva finito di spolverarsi i pantaloni e, cosa più importante, aveva constatato che le sue ossa erano ancora tutte intere. Jason non riuscì a sorridere a quella battuta, al contrario, gli rivolse un’occhiataccia e gli fece cenno di andarsene prima che Frank tentasse di nuovo di ammazzarlo; stanco com’era, non era sicuro che sarebbe riuscito a bloccarlo una seconda volta. Leo ubbidì senza proferire parola e Jason lo seguì con lo sguardo fin quando lo vide sparire su per le scale, probabilmente diretto al ponte di comando.
“Se non vi dispiace, io porterei Frank nella sua cabina… non vorrei che tentasse di ammazzare qualcun altro.” Disse il coach rimettendo in piedi il figlio di Marte e allontanandosi verso le cabine.
“Per tutti gli dei! Si può sapere cosa sta succedendo?” Chiese Piper appena lei e Jason rimasero soli nel corridoio.
“Succede che a bordo di questa dannata nave non c’è una sola cosa che vada per il verso giusto!” Jason si lasciò andare ad un piccolo sfogo.
“A cosa ti riferisci?” domandò Piper accigliata.
Jason strabuzzò gli occhi e allargò le braccia. “A cosa mi riferisco?” ripeté in tono più marcato. “Percy e Annabeth sono nel Tartaro, Frank ha quasi ammazzato l’unica persona in grado di governare questa nave, e sono certo che tenterà di farlo di nuovo, e nel caso tu non ne fossi al corrente ti informo che stiamo facendo rotta verso un posto chiamato Porte della Morte guidati da un figlio di Ade che invece di aiutarci se ne sta chiuso nella sua cabina! Ho dimenticato qualcosa forse?” Jason parlava così rapidamente che sembrava si fosse dimenticato di respirare, aveva i nervi a fior di pelle e lo sforzo per immobilizzare Frank sembrava averlo prosciugato di ogni energia.
Piper lasciò che si sfogasse senza commentare, quando ebbe finito di elencare tutto ciò che non andava gli lasciò un momento per riprendere fiato, poi si decise ad agire. Prese il viso del fidanzato tra le mani e senza che lui avesse il tempo di reagire lo baciò. Si staccò dalle sue labbra solo dopo un paio di minuti, puntò i suoi occhi ammalianti in quelli azzurri di Jason e domandò: “Ti senti meglio?”
“Menomale che ci sei tu!” Fu il suo unico commento.
Piper rise, sì, si sentiva meglio.
“Credo di doverti dire una cosa…” aggiunse poi con voce preoccupata.
Piper si accigliò, quali segreti custodiva il suo ragazzo?
Lui non aggiunse altro, la prese per mano e la guidò fino al sua cabina, prima di chiudere la porta si assicurò che non ci fosse nessuno nel corridoio.
Piper sentiva il cuore martellarle nel petto, era preoccupata e non sapeva bene cosa aspettarsi, poteva solo augurarsi che non si trattasse di brutte notizie. Mentre aspettava che lui si decidesse a parlare, ripensò al segreto che custodiva, quello che riguardava Annabeth e Percy, per un attimo fu tentata di confessare a Jason quanto sapeva nella speranza che condividere quel segreto ne avrebbe ridotto il peso, ma poi Jason parlò e lei scacciò ogni pensiero dalla mente.
“Abbiamo un problema…” dichiarò serio.
“Vuoi dirmi di cosa si tratta o vuoi giocare agli indovinelli?” Sbottò lei che era più tesa di una corda di violino.
“Ok, ok, la farò breve. Leo ha baciato Hazel e Frank l’ha scoperto… ecco spiegato il volo che gli ha fatto fare poco fa.”
Piper lo fissava con gli occhi sgranati e la bocca leggermente dischiusa.
“Stai scherzando?” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
“Ti sembrava che Frank stesse scherzando?”
“E tu da quanto lo sai?”
“Un po’ di giorni” ammise Jason ricordando il pessimo momento in cui Leo aveva deciso di raccontargli le sue vicende amorose. Sentiva ancora il sapore dei pop-corn solo al pensiero.
“E quando pensavi di dirmelo?” fece Piper che sembrava ancora incredula.
“Senti è che non sono propriamente affari miei, e oltretutto Leo me l’ha detto in un momento in cui non ero proprio in condizione di ascoltarlo… me ne ero quasi dimenticato.” spiegò vago.
“Cosa stai blaterando?” domandò lei incrociando le braccia al petto.
“Niente” fece Jason sulla difensiva, ma sapeva benissimo che non sarebbe uscito indenne da quella conversazione.
“Ok, ok, me l’ha detto mentre stavo vomitando… pop-corn.” Ammise disgustato.
“Pop-corn?”
“Già…” fece Jason distogliendo lo sguardo.
“Hai ricominciato a fumare?” domandò lei inquisitoria.
Jason scrollò le spalle, in realtà non aveva mai smesso, ma questo Piper non lo sapeva.
Tentennò indeciso su quale scusa propinarle ma in quel momento ricordò la serata uomini condivisa con Percy e si ricordò che la sua vita e quella di Annabeth erano in pericolo.
“Credevo che stessimo parlando di Hazel, Leo e Frank!”
“Ok, lo prendo per un si!” disse lei fredda.
“Ti prego, possiamo parlarne più tardi?” la supplicò. “Ora dobbiamo assicurarci che Frank non cerchi di uccidere Leo un’altra volta.”
Tu ti assicurerai che Frank non uccida Leo un’altra volta” sottolineò lei puntandogli un dito contro al petto, “io andrò a parlare con Hazel… ho bisogno di capire cosa le passa per la testa.” E così dicendo lasciò la stanza senza aggiungere altro.
Jason sbuffò, doveva aggiungere “Piper arrabbiata” alla lista di tutte le cose che non andavano su quella nave.
 
Ad un’infinità di kilometri di distanza Annabeth e Percy terminarono la loro infinita caduta.

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Capitolo 27
*** Azione e reazione ***


Angolo dell'autrice: Ok, ce l'ho fatta... ecco il capitolo tanto atteso. Sì, è proprio quello che stavate tutti aspettando. Avevo ben chiaro questo aspetto della storia fin dall'inizio, ma ovviamente non poteva essere spiegato prima. Spero che capiate e che apprezziate l'idea. Come sempre avrete la possibilità di farmelo sapere tramite commento/recensione, che ovviamente non vedo l'ora di leggere. Ora vi lascio leggere in santa pace... anche perchè devo andare a lavoro e sono in ritardo ma non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo! A prestissimo. Mi raccomando commentate eh! Un grosso abbraccio a tutti voi e grazie molte a chi ha commentato i capitoli precedenti!
 






Azione e reazione


 
 
Annabeth e Percy stavano camminando nel Tartaro almeno da un’ora; lei procedeva a passo abbastanza spedito nonostante la caviglia malridotta, mentre Percy la seguiva poco distante, le braccia conserte e l’espressione corrucciata.
“Dove stiamo andando?” si decise a dire dopo l’ennesimo minuto di silenzio. Lei si limitò a voltarsi per lanciargli un’occhiataccia ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Continuò a camminare imperterrita e fu solo quando sentì Percy sbuffare che tornò a voltarsi e si decise a parlare.
“Non è standocene fermi che usciremo da questa situazione” si limitò a dire.
“Grazie per questa esauriente spiegazione!” commentò Percy con una risata di scherno.
“Ok, hai un’idea migliore? Tirala fuori allora!”
Percy scrollò le spalle, non voleva litigare, non in quel momento, non nel Tartaro, ma sentiva una rabbia implacabile emergere pian piano. E poi accadde.
“Quando ti deciderai a dirmelo?” sibilò serrando i pugni come se quel gesto potesse aiutarlo a contenere la rabbia.
Quelle parole sembrarono trafiggere Annabeth come frecce incandescenti perché la ragazza s’immobilizzò, sussultò per un momento e poi si decise a voltarsi.
“Non so di che parli” disse con sguardo impenetrabile.
“Per tutti gli dei! Parlo di quello che mi stai nascondendo, parlo del fatto che ho scoperto che sei incinta perché ho trovato un test di gravidanza quando avrei voluto saperlo da te! Speravo me lo dicessi ora che siamo in questo casino e non so nemmeno se ne usciremo, ma tu continui a far finta di niente!”
“Hai frugato tra le mie cose?” Sbraitò lei furiosa.
“Non ho frugato! L’ho trovato per caso! Ma sì, l’ho trovato dove l’avevi nascosto, perché è questo quello che hai fatto, me l’hai tenuto nascosto… e io non ci posso ancora credere.” Disse con una nota di rammarico nella voce.
“Non avevo alternative!”
“Certo” sbraitò Percy sbracciandosi, “mi sono solo gettato nel Tartaro per te… perché mai dovresti essere sincera nei miei confronti?”
“Non ti ho chiesto io di condividere questo destino!” Sibilò Annabeth.
“No, hai ragione, non me l’hai chiesto, è una decisione che ho preso da solo, e che riprenderei altre mille volte perché ti amo. Ti amo e non riesco nemmeno ad immaginare cosa potrebbe voler dire essere in superficie sapendoti nel Tartaro!” Finì quella frase e si fermò di colpo per riprendere fiato, sputare fuori la verità così tutta di colpo lo aveva stremato. Annabeth lo osservava poco distante, ammutolita, si sarebbe aspettata di tutto da Percy, ma non una dichiarazione d’amore nelle profondità del Tartaro. Si sforzò di trattenere le lacrime, non poteva permettersi di cedere, ma lo sguardo triste di Percy la uccise e lei non riuscì più a sostenere il peso della corazza che indossava da troppo tempo. Quella corazza era stata la sua unica arma di difesa, ma adesso la sentiva sgretolarsi pezzo a pezzo, come se le parole di Percy ne avessero annullato il potere. Era nuda, non c’era più nulla a frapporsi tra loro. Annabeth ne prese coscienza e poco a poco si accasciò a terra sotto il peso di quella verità.
“Annabeth” sussurrò Percy preoccupato vedendola piegarsi. “Scusa” le sussurrò all’orecchio mentre si chinava per sostenerla, “ho sbagliato momento, non avrei dovuto arrabbiarmi, non qui.” Annabeth sollevò il capo e i suoi occhi colmi di lacrime si piantarono in quelli di Percy, si strinse a lui e nascose il viso nel suo petto. Percy sentì quello che restava della sua maglietta inumidirsi mentre Annabeth singhiozzava senza sosta.
“Annabeth, lo so che sei spaventata, non c’è nulla che stia andando per il verso giusto ultimamente quindi capisco che tu abbai avuto paura di dirmelo...” costrinse Annabeth a sollevare il capo per guardarla negli occhi, “ma io sono felice di questa cosa… non sarò il migliore tra i padri ma penso di non poter fare peggio del mio…”
“Ti prego stai zitto!” Guaì Annabeth mettendogli una mano sulla bocca. Percy si accigliò, stupito da quella reazione.
“Annabeth, dico sul serio, sono contento di questo bam…”
“No!” Esclamò lei scattando in piedi. “Non dire altro.” E così dicendo riprese a camminare senza riuscire ad interrompere il flusso di lacrime.
“Ma…” gemette Percy, allibito. “Annabeth” la chiamò senza saper più cos’altro dire.
“Stai solo peggiorando le cose!” Gli urlò dietro lei. Era rossa in volto e non riusciva a smettere di singhiozzare.
Percy era confuso. Come poteva aver peggiorato le cose dimostrandole il suo supporto e confessandole di essere felice. Fortunatamente in quel momento Annabeth ritrovò un barlume di lucidità e si decise a fare chiarezza.
“Ok” disse sollevando entrambe le mani mentre prendeva fiato. “Devo spiegarti tutto dall’inizio.”
“Te ne sarei molto grato…”
Annabeth sospirò, sembrava che non sapesse da che parte incominciare. “Quello che è successo… non è colpa tua.”
Percy s’irrigidì, la salivazione completamente azzerata.
Annabeth sembrò cogliere il suo disagio perché si affrettò a precisare: “Cioè, dal punto di vista biologico ovviamente è colpa tua… ma qualcuno ha interferito.”
Percy sgranò gli occhi, era più confuso di prima.
“È da quando siamo partiti con la Argo II che faccio dei sogni strani… anzi, ormai sono sempre più convinta che non fossero sogni.”
“Che tipo di sogni?”
“Era, sempre lei, sai che non le sono mai andata a genio…”
“Continuo a non capire” ammise Percy che cominciava a sentirsi un po’ stupido.
“Percy! Era è la dea…”
“Del matrimonio.” Concluse Percy.
“E della fertilità!” sottolineò Annabeth.
“Mi stai dicendo che Era ha accentuato le tue possibilità di concepire? E perché mai avrebbe dovuto farlo?”
Annabeth si passò entrambe le mani sul viso, perché doveva essere tutto così difficile?
“Percy, ragiona!”
Percy lasciò vagare un attimo lo sguardo grattandosi il capo, poi tornò a fissare Annabeth. Perché davanti a lei doveva sentirsi sempre così stupido?
“Era ti odia, questa è l’unica cosa che so… ma non trovo il nesso con questa faccenda.”
“Percy!” Esclamò lei. “Io sono una figlia di Atena” gli suggerì come se quell’affermazione fosse la soluzione dell’enigma.
“Non ti seguo” ammise in preda allo sconforto.
“Ok, ti ricordi com’è nata Atena?”
“Certo” disse lui come se fosse ovvio, “dalla testa di Zeus.”
“Bene… e ti ricordi quando mi hai chiesto come sono nata io?”
“Sì… devo anche aver detto qualcosa di stupido riguardo al tuo ombelico.” Ricordò Percy lasciandosi sfuggire un sorriso.
“Sì, me lo ricordo.” Tagliò corto Annabeth. “Ma adesso capisci?”
“No” sospirò Percy.
“Percy, i figli di Atena hanno una devozione innata per lo studio e la conoscenza… mettiamo il sapere davanti a tutto, anche davanti ai sentimenti, ed è per questa ragione che non siamo fatti per riprodurci.”
“Mi stai dicendo che…” sussurrò Percy mentre un’idea orribile si faceva strada nella sua mente.
“Io non sono fatta per avere figli… non sono anatomicamente fatta per avere figli… è una cosa che tutti i figli di Atena sanno da sempre, ma di cui parliamo di rado, anche perché per noi non è facile arrivare ad un’età in cui si pensa seriamente di averne. I semidei muoiono giovani, lo sai.”
Percy sentì un brivido percorrergli la schiena, lo sapeva, eccome se lo sapeva, ormai aveva perso il conto dei mezzosangue che aveva conosciuto e a cui aveva dovuto dire addio, Bianca, la sorella di Nico, era solo uno dei nomi su quella lunghissima lista.
“Ma quindi…”
“Era non mi ha fatto un favore a farmi concepire… sta cercando di uccidermi! Speravo di trovare una soluzione prima di dovertelo dire… ma guarda dove siamo! Non ci sono soluzioni, Percy, non nel Tartaro!” La sua voce era spezzata e Percy notò più di una volta che si sforzava di non incrociare il suo sguardo. Annabeth detestava mostrarsi fragile e vulnerabile. In quel momento sentì le gambe molli, come se potessero cedere sotto il suo peso da un momento all’altro. Si sentiva morire, e non era convinto che si trattasse solo dell’influenza negativa che il Tartaro stava esercitando su di loro. Fece per dire qualcosa ma le parole gli morirono in gola, in compenso, una lacrima sgorgò dal suo occhio sinistro e gli scivolò lungo la guancia.
“Percy” sussurrò lei seguendo il percorso della sua lacrima e piangendo a sua volta, “è importante che tu sappia che non porterò a termine questa gravidanza.”
“Che cosa dobbiamo fare adesso?” balbettò lui cercando di mascherare al meglio il tremore della voce.
“Non lo so” ammise lei con un sospiro, “ma so cosa non dobbiamo fare, non dobbiamo affezionarci a questo bambino… quindi ti prego, non fare cose tipo accarezzarmi la pancia o parlargli… sarebbe solo peggio.”
Percy annuì. In quell’esatto momento un suono agghiacciante riecheggiò nella vastità del Tartaro facendoli voltare di scatto.
 
Se nelle profondità del Tartaro la situazione era critica, a bordo della Argo II gli altri semidei non se la passavano di certo meglio. Frank si era risvegliato in infermeria con un bozzo in testa. Per sua sfortuna la botta non gli aveva fatto perdere la memoria, quindi ricordava perfettamente la frase che aveva sentito dire a Leo. Si alzò dalla brandina su cui si era risvegliato ed ebbe uno svarione così forte che per poco non crollò a terra. Mantenendosi la testa con le mani raggiunse la porta e fece per aprirla, constatando con tristezza che era chiusa a chiave. Era chiuso dentro. I suoi amici lo avevano imprigionato.
Tirò un pugno alla porta urlando il nome di Jason a pieni polmoni.
Sul ponte subito sopra il figlio di Giove sobbalzò per lo spavento.
“Credo che Frank si sia appena svegliato” disse Hedge fissando Jason.
Il ragazzo si alzò e scese le scale diretto al ponte più basso pensando a come affrontare la situazione.
“Frank” esordì con voce ferma fissando la porta davanti a lui ancora chiusa a chiave.
“Fammi uscire!” Sbraitò il figlio di Marte con un tono che non suonava per niente amichevole.
“Prima di farti uscire devo essere sicuro che tu non sia una minaccia” spiegò Jason appoggiandosi alla porta con entrambi i gomiti. “Prima, mentre Hedge ti portava in cabina, lo hai scaraventato a terra, eri fuori controllo, per fortuna Piper ti ha messo KO con una padella.”
“Fantastico!” Esclamò Frank sarcastico, “appena la vedo ricordami di ringraziarla.”
“Ti ho dovuto chiudere qui dentro perché è l’unica stanza che si chiude da fuori e non dall’interno.”
“Jason, fammi uscire! Non puoi tenermi chiuso qui per sempre!”
“Ha ragione” intervenne una voce prima che Jason potesse ribattere. Era Hazel. Jason la squadrò per un istante, poi le fece segno di andarsene sperando che Frank non avesse sentito la sua voce.
“No” disse lei con convinzione, “non me ne andrò Jason. Non posso far finta di non sapere che tutto quello che sta succedendo è colpa mia.”
Jason scrollò le spalle, adesso che Hazel si era fatta più vicina era impensabile che Frank non l’avesse sentita.
“Hazel” mormorò da dietro la porta. Il suo tono era diverso: calmo, pacato, quasi comprensivo.
“Lasciami entrare” disse Hazel rivolta a Jason, “sono l’unica che può farlo ragionare.” Era vero, il potere che Hazel esercitava su Frank era unico, forse quello era il solo modo di ristabilire l’ordine; dopotutto Piper non avrebbe potuto continuare a calmarlo usando la lingua ammaliatrice. Per il bene della loro missione era fondamentale che l’ordine a bordo venisse ristabilito il prima possibile.
Annuendo in silenzio, Jason fece scattare il chiavistello e aprì lentamente la porta.

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Capitolo 28
*** Destinazione Venezia ***


 
Angolo dell'autrice: Ragazzi ho aggiornato per davvero, non è un'allucinazione! Non vi farò perdere tempo leggendo le mille motivazioni che mi hanno portato ad aggiornare così tardi perchè capisco che dopo tutto questo tempo non ve ne importi niente e vogliate solo sapere come va avanti la storia. Sappiate che sono immensamente felice di sapere che avete pazientato così a lungo perchè vuol dire che vi siete appassionati alla storia e siete disposti ad aspettare mesi pur di sapere come proseguono le vicende dei nostri amici a bordo della Argo II e questo non può che rallegrarmi. Ovviamente ciò non vuol dire che tarderò sempre ad aggiornare, anzi, mi riprometto di essere più puntuale e spero vivamente di riuscirci. Vi avviso, questo capitolo non mi convince molto... è terribilmente corto e dal punto di vista della trama è un po' di passaggio, boh, non so... ho deciso di pubblicarlo comunque per non farvi aspettare ancora... spero solo che non lo troviate un disastro totale. Se avete voglia fatemelo sapere tramite commento. Grazie mille a tutti davvero. :-)






Destinazione Venezia

 
 
Leo era chiuso in sala macchine da quando era successo il disastro. Dopo essere stato aggredito da Frank era sceso al ponte più basso della nave e aveva cominciato ad oleare i motori e a stringere bulloni a caso pur di non pensare a quanto era accaduto. Tenere le mani impegnate era l’unico modo che conosceva per allontanare i cattivi pensieri e le preoccupazioni. Non sapeva nemmeno con precisione da quanto tempo fosse chiuso lì dentro, poteva ipotizzare che fossero passate delle ore ma non poteva dire con certezza quante, l’unica cosa di cui era sicuro era che si era dato così tanto da fare per evitare di pensare che adesso aveva le braccia a pezzi e le mani ricoperte di vesciche.
“Dannazione!” Sbraitò lanciando con forza una chiave inglese dall’altra parte della sala. Quella roteò a mezz’aria per poi finire la sua corsa andando a conficcarsi in un grosso tubo che s’incrinò lasciando fuoriuscire una colonna di fitto fumo bianco. Leo imprecò rimirando il nuovo guaio che era riuscito a combinare.
Tossicchiando, si avvicinò al tubo danneggiato riparandosi la faccia con le mani, afferrò la chiave inglese con entrambe le mani e tirando con forza riuscì ad estrarre l’arnese solo dopo aver imprecato contro tutti gli dei dell’Olimpo, suo padre compreso. Evocò il fuoco, l’unica cosa che al momento non aveva mai sbagliato a fare, giocherellò per qualche istante con una fiammella bluastra, poi con le mani incandescenti fuse il metallo del tubo saldandolo nuovamente. Adesso che lo aveva riparato, il tubo mostrava una superficie così lucida e levigata da riflettere distintamente la sua immagine e Leo si soffermò un momento a specchiarcisi.
“Ehi” disse una voce calda proveniente dall’altra parte della sala. Leo sollevò il capo e, nel fumo che andava diradandosi, intravide la sagoma di Jason. Stava camminando verso lui e appena gli fu più vicino gli mise un braccio intorno alle spalle e lo strinse a sé. Leo lo lasciò fare ma cercò di non incrociare il suo sguardo, al suo cospetto si sentiva sempre il numero due, e la cosa iniziava a pesargli parecchio. Anche adesso che, in assenza di Percy, Jason avrebbe potuto avere bisogno di aiuto, lui non riusciva a fare altro che combinare guai.
“Come va?” domandò il figlio di Giove senza allentare la presa sulle sue spalle.
Leo sospirò abbacchiato.
“Uno schifo! Come vuoi che vada?” esalò giocherellando con la chiave inglese. “Non sarei mai dovuto partire per quest’impresa, non è alla mia portata, è ora che io me ne faccia una ragione!” Sbottò liberandosi dalla presa dell’amico.
“Leo, smettila di sminuirti!” Lo redarguì Jason con tono fermo. “Sai bene che non è così!”
Leo si strinse nelle spalle ma non disse nulla.
“Hai veramente bisogno che io ti ricordi che hai costruito tu questa nave, e sei tu l’unico in grado di manovrarla? Il tuo aiuto in questa missione è fondamentale, non dubitarne mai.”
Per un attimo le parole di Jason sembrarono rincuorarlo poi però il viso adirato di Frank e quello affranto di Hazel gli comparvero davanti agli occhi e lui sprofondò nuovamente nello sconforto più totale.
“Leo!” Esclamò Jason afferrandolo per le spalle e scuotendolo affinché tornasse in sé. “Guardami.” Gli ordinò stringendolo più forte.
“Tu non vali meno di noi, ognuno fa la sua parte perché è così che le Parche hanno stabilito, che ci piaccia o no, e se in questo momento hai bisogno di fare qualcosa per sentirti utile ai fini di questa missione vai al ponte di comando e fai rotta verso Venezia.”
“Venezia?” fece Leo convinto di aver capito male. “Non starai pensando di portare la tua fidanzata nella città più romantica del mondo nel bel mezzo di un’impresa suicida, vero?”
Jason non riuscì a trattenere un ghigno; ecco il Leo di sempre.
“No” disse cercando di non ridere sonoramente, “ma è lì che dobbiamo andare, Hazel è entrata in contatto con Ecate, o meglio, Ecate è entrata in contatto con lei.” Tentò di spiegare notando il cipiglio perplesso dell’amico, “beh, sta di fatto che secondo lei è lì che dobbiamo andare, quindi ora basta con le domande, abbiamo temporeggiato anche troppo, è ora di rimettersi in viaggio!”
Leo corse di sopra come se stesse aspettando quell’ordine da una vita e Jason si guardò bene dall’aggiungere qualsiasi cosa avrebbe potuto interrompere la sua corsa. Si chinò per raccogliere la chiave inglese che nella foga il suo amico aveva abbandonato per terra e quando si rialzò si trovò faccia a faccia con Piper. Sussultò per lo spavento, alle volte sapeva essere veramente silenziosa.
“E così stiamo veramente facendo rotta verso Venezia?” domandò Piper fintamente sorpresa.
“Già” confermò lui mentre la salivazione gli si azzerava. Aveva appena notato che il primo bottone della camicetta di Piper era saltato concedendogli un’ottima visuale sul suo seno prosperoso. Piper doveva aver notato che il suo sguardo aveva indugiato più del previsto sulla sua scollatura perché si schiarì la voce per attirare la sua attenzione. Jason trasalì distogliendo lo sguardo e dovette concentrarsi parecchio per fissarla negli occhi e non altrove.
“Certo che la vita è proprio crudele!” Esclamò lei incrociando le braccia al petto a scanso di equivoci. “Siamo diretti a Venezia e già so che non avremo nemmeno un momento per noi!”
“Sono inconvenienti che capitano quando sei un mezzosangue” si giustificò Jason sospirando.
“Ma io sono figlia di Afrodite, e Venezia è la città dell’amore per eccellenza!” Protestò Piper picchiando un piede per terra come sono solite fare le bambine capricciose. “Non pensi che potremmo riuscire a ritagliarci un momento per goderci la città come due ragazzi normali?” Domandò lei sgranando i suoi occhioni ammalianti.
“Non posso saperlo…” Jason scosse improvvisamente il capo con forza e aggiunse con voce ferma, “Piper! Smettila di usare la lingua ammaliatrice a tradimento!”
Piper sbuffò, il suo trucco non aveva funzionato, Jason la conosceva talmente bene che incantarlo con i suoi poteri cominciava a diventare veramente difficile. Il figlio di Giove fece per andarsene ma Piper gli guizzò davanti e si piazzò sulla porta giusto in tempo per sbarrargli il passaggio. Stava giocando con una ciocca di capelli che aveva precedentemente intrecciato con maestria e le sue movenze si erano fatte più lente e sinuose.
“E adesso cosa c’è?” domandò lui allargando le braccia, esasperato.
“Niente” sorrise lei innocentemente, “è solo che mi sono appena ricordata di avere altri mezzi a disposizione per convincerti a fare un romantico tour di Venezia oltre alla lingua ammaliatrice.”
Jason deglutì sforzandosi di non darlo a vedere. Se ormai poteva affermare con certezza di essere diventato bravo a difendersi dalla lingua ammaliatrice, lo stesso non si poteva dire di tutto il resto. Il problema infatti, era che Piper aveva più di un mezzo per convincerlo a fare ciò che voleva e lui lo sapeva più che bene, d'altronde, fino a quel momento, c’era sempre riuscita. In preda a quella riflessione la vide chiudere la porta della sala macchine portandosi un dito alla bocca intimandogli di fare silenzio, poi prese a sbottonare il resto della camicetta mentre gli si avvicinava.
“Così però non vale” guaì Jason mentre lei si stringeva al suo petto cominciando a baciarlo delicatamente. Stava per cedere, lo sapeva, il fatto era che Piper aveva deciso di godersi la sua vittoria lentamente e adesso quell’attesa lo stava facendo impazzire. Lo spinse in fondo alla stanza, dove una quantità enorme di tubi si dipartivano dal motore della nave, e gli si gettò addosso di peso.
“Sei cosciente del fatto che la porta non è chiusa a chiave, vero?” domandò Jason un po’ in affanno.
“Pensavo che i figli di Giove fossero più audaci.” Commentò Piper ricomponendosi delusa.
“Infatti lo siamo!” Esclamò Jason circondando la vita della sua ragazza con un braccio.
“Allora dimostramelo” sussurrò lei ad un millimetro dalle sue labbra.
 
Annabeth non sapeva con precisione da quanto tempo lei e Percy stessero vagando nel Tartaro. Vagando, sì, era decisamente la parola più appropriata che le venisse in mente. In quell’inferno avevano perso la cognizione del tempo quasi subito, e, come se non bastasse, Annabeth si sentiva tremendamente confusa. La caduta era stata interminabile, e una volta toccato il fondo (nel vero senso della parola) aveva dovuto confessare a Percy la verità sulle sue condizioni. Come se quella rivelazione non fosse stata già di per sé abbastanza sconvolgente, il Tartaro aveva pensato bene di metterli alla prova presentandogli qualcuno dei suoi abitanti più terrificanti. C’erano state le Empuse, di questo Annabeth era abbastanza sicura perché oltre ad avere un aspetto talmente raccapricciante da non riuscire  a dimenticarle facilmente, Percy aveva anche detto qualcosa di stupido circa il fatto che una di loro fosse nelle cheerleader della sua scuola. Annabeth non aveva avuto il tempo d’indagare perché lui l’aveva presa per mano e insieme avevano cominciato a correre senza sapere bene dove stessero andando. Da allora avevano fatto una serie d’incontri poco piacevoli e Percy era rimasto gravemente ferito. Annabeth sollevò il capo riprendendosi solo in quel momento dallo stato di torpore in cui era piombata senza nemmeno accorgersene. Stava camminando per inerzia dietro un gigante di nome Bob, o meglio quello era il nome che Percy gli aveva appioppato in passato per salvarsi la pelle. Anche in questo caso non aveva potuto approfondire la faccenda perché Percy non era in condizione di fornire spiegazioni. Lo scontro gli aveva procurato delle ferite gravissime al torace e all’addome e aveva perso così tanto sangue da non essere nemmeno in grado di reggersi in piedi da solo. Fortunatamente Bob si era gentilmente offerto di portarlo in braccio fino ad un luogo sicuro e Annabeth non se l’era sentita di contraddirlo. Nonostante dubitasse fortemente che nelle profondità del Tartaro ci fosse un luogo realmente sicuro, si era fidata di Bob e ora gli camminava alle spalle fissando Percy che era ricurvo sulla spalla del gigante con le braccia a penzoloni lungo la sua schiena e la testa che oscillava ad ogni passo. Aveva gli occhi chiusi ed era terribilmente pallido a causa di tutto il sangue che aveva perso e Annabeth dubitava seriamente che fosse ancora cosciente.
“Percy” lo chiamò dolcemente per accertarsi delle sue condizioni. Lui grugnì qualcosa d’incomprensibile e Annabeth si sentì subito meglio; in un modo o nell’altro era ancora cosciente e aveva fatto del suo meglio per farglielo capire.
 
Quando Percy aprì gli occhi si guardò intorno spaesato. Si trovava in un luogo sconosciuto e i suoi ricordi erano offuscati. Era in un luogo che gli ricordava una sorta di capanna, c’era poca luce e chiunque fosse il proprietario non doveva essere un tipo troppo ordinato. Fece per alzarsi dal letto su cui si trovava ma il solo sollevamento del capo gli sembrò uno sforzo disumano così tornò ad appoggiare la testa sul cuscino e fissò intensamente il soffitto in cerca di qualche ricordo utile. Aveva dolori ovunque, come se qualcuno si fosse divertito a rompergli tutte le ossa del corpo una ad una, così, giusto per il gusto di farlo. Una serie d’immagini sconnesse e raccapriccianti gli vorticavano nella mente alimentando il suo mal di testa, già di per sé abbastanza fastidioso. C’erano creature mostruose, suoni inquietanti e Annabeth col volto rigato dalle lacrime. Cos’era successo? Possibile che non riuscisse a ricordare minimamente gli avvenimenti in cui dovevano essere rimasti coinvolti?
Ruotò leggermente il capo alla sua destra con un gemito sommesso e per un attimo pensò di avere le allucinazioni. Annabeth era seduta ad un vecchio tavolo in legno con quello che sembrava a tutti gli effetti essere un gigante. Istintivamente cercò di alzarsi per correrle in soccorso e fu solo allora che si rese conto di essere messo veramente male. Il corpo sembrava intenzionato a non rispondere ai suoi comandi e la cosa lo spaventò a morte. Iperattivo com’era non riusciva nemmeno ad immaginare di rimanere fermo, incapace di muoversi. In quel momento Annabeth si voltò verso di lui e si affrettò a raggiungere il suo capezzale.  Nonostante fosse sempre bellissima, aveva un aspetto orribile. Il suo viso era pallido e sciupato e mostrava ecchimosi e ferite di ogni genere e i suoi splendidi capelli biondi erano spenti e arruffati.
“Percy!” Esclamò con un lieve sorriso. “Fermo, fermo, stai giù.” Aggiunse quando lo vide tentare di alzarsi con una smorfia.
“Non riesco quasi a muovermi” lamentò lui provando a piegare le gambe. “Cosa diavolo è successo?”
“Sei rimasto ferito per difendermi e…” le s’incrinò la voce e le ci volle un attimo per riprendersi.
Il gigante si alzò per raggiungerli e fu solo allora che Percy ricordò tutto. Erano nel Tartaro, ne era sicuro.
“Credo che abbiate bisogno di rimanere un po’ da soli.” Gli disse in tono comprensivo, quasi paterno. Poi prese la porta ed uscì con passo pesante.
“Come stai?” Si domandarono a vicenda non appena furono soli.
Annabeth si sforzò di sorridere. “Grazie a te bene.”
Percy ricambiò il sorriso e abbassò lo sguardo sul suo ventre senza però dire niente. Ricordava perfettamente la loro conversazione a riguardo, Annabeth era stata chiara: non doveva affezionarsi al bambino, ma la tentazione di chiedere era troppo grande.
“È tutto ok?” chiese sollevando lo sguardo sperando che Annabeth capisse a cosa si stava riferendo nonostante non fosse stato esplicito.
Lei abbassò gli occhi e si studiò le mani, era in imbarazzo e forse stava trattenendo le lacrime.
“Io non lo so…” ammise tornando a guardarlo negli occhi.

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Capitolo 29
*** Il risveglio del drago ***


Angolo dell'autrice: Cari lettori, so che alcuni di voi pensavano che non avrebbero mai più visto un aggiornamento di questa storia, ma eccomi qui pronta a smentirvi! :-) So che la mia latitanza si è prorogata per un tempo ingiustificabile ma ammetto di essermi trovata in seria difficoltà con questa FF. Avevo l'ispirazione sotto alle scarpe e gestire la storia non avendo più tutti i personaggi insieme è veramente un casino. In tutto ciò stavo anche scrivendo un'altra storia per la quale al momento avevo molte più idee e quindi ho trascurato questa. Ciononostante ne sono uscita vincitrice... ho avuto qualche idea e grazie a molti di voi che hanno continuato a scrivermi messaggi e recensioni per invitarmi a continuare, oggi pubblico un nuovo capitolo. Forse non è all'altezza di altri che ho scritto, ma dopo tutto questo tempo sono troppo contenta di essermi sbloccata per rammaricarmi di altro. Come sempre il giudizio spetta a voi, so che volevate un po' più di Percabeth ma per ora le cose dovevano andare così. Un'ultima cosa... il titolo del capitolo ha un suo perchè... oltre al drago mi sono risvegliata anche io! Grazie infinite per l'affetto che mi avete dimostrato, se questo capitolo esiste è solo grazie a voi! Fatemi sapere le vostre impressioni! :-)






Il risveglio del drago

 
 
Jason era immerso nella vasca del bagno dei ragazzi con la testa reclinata all’indietro poggiata sulla ceramica gelida e gli occhi chiusi. Stava cercando di rilassarsi, perché l’alternativa era cedere alla rabbia e, visto il suo umore particolarmente nero, temeva che avrebbe potuto inavvertitamente evocare un fulmine in grado di affondare l’intera nave. L’acqua conduce l’elettricità, si disse Jason pensando al guaio che avrebbe potuto combinare se solo avesse cominciato a produrre qualche scintilla mentre era ancora all’interno della vasca. Bastò quel pensiero a convincerlo che l’ora del bagno era finita. Poggiò entrambe le mani sul bordo della vasca e fece forza per alzarsi. Ne uscì con uno slancio sgocciolando, poi afferrò un asciugamano e se lo legò in vita mentre camminava verso lo specchio proprio sopra il lavandino. Sollevò lo sguardo e affrontò la sua immagine riflessa, aveva l’espressione stanca, la bellezza naturale dei suoi occhi azzurri era messa a dura prova da due profonde occhiaie verdastre che li facevano sembrare tristi e spenti. Da quando Leo era stato scagliato chissà dove da Chione, le cose si erano fatte sempre più difficili. La nave era mezza congelata e in ogni caso, anche se fosse stata ancora in grado di navigare, non c’era più nessuno in grado di governarla. Si rivestì controvoglia e salì sul ponte superiore cercando di non farsi sopraffare dai pensieri negativi. Lì trovò Frank che si aggirava sul ponte con l’espressione afflitta e un enorme martello fra le mani. Jason non aveva ancora capito con precisione cosa gli fosse successo a Venezia, ma a quanto pareva suo padre Marte aveva deciso di modellarlo a sua immagine e somiglianza. Adesso era nettamente più alto, aveva spalle large e muscolose e il portamento fiero, degno di un vero comandante, peccato che di quel passo a bordo della Argo II non ci sarebbe stato più nessuno a cui dare ordini.
Quel drastico cambiamento sembrava aver turbato non poco Piper che, di ritorno da Venezia, non aveva fatto altro che ricoprire Frank di complimenti per il suo nuovo aspetto facendo ingelosire Jason. Dal canto suo, il figlio di Zeus non aveva nulla da recriminarsi, aveva accontentato la fidanzata consentendole di visitare la città dell’amore senza fare troppe storie e avevano passato decisamente dei bei momenti negli scorci più suggestivi di Venezia. In più era sempre stato convinto che lei apprezzasse il suo aspetto fisico e non si era mai fatto troppi problemi a riguardo ma, adesso che se lo trovava davanti, anche lui non poteva fare a meno di fissare i bicipiti scolpiti del figlio di Marte e tutte le sue nuove qualità.
All’ora di pranzo Jason entrò in cucina e trovò Piper alle prese con i fornelli, la salutò con un “ciao” piuttosto freddo e cominciò ad apparecchiare la tavola.
“Hai intenzione di fare il sostenuto ancora per molto?” domandò Piper infastidita da quell’atteggiamento che persisteva da qualche giorno.
“Non sto facendo il sostenuto” brontolò Jason imbronciato.
“Ma se è da quando siamo tornati da Venezia che hai il muso!”
“Forse perché è da quando siamo tornati che tu non hai occhi che per Frank?” sbottò Jason posando un bicchiere sul tavolo con tanta forza da romperlo di netto tagliandosi il pollice della mano destra.
“Allora è questo il problema!” Replicò Piper brandendo un cucchiaio di legno mentre alzava gli occhi al cielo, “sei geloso” concluse la figlia di Afrodite.
“Non sono geloso” obiettò Jason più orgoglioso che mai.
“Sai una cosa? Sarebbe tutto più facile se tu lo ammettessi!” Suggerì Piper incrociando le braccia al petto con aria di sfida mentre Jason si tamponava il taglio con un tovagliolo di carta.
“Non fai altro che guardarlo e complimentarti con lui per il suo nuovo aspetto, come mi dovrei sentire?”
Piper sbuffò, perché si era lanciata in quella conversazione con Jason? In quel momento aveva tutto meno che voglia di litigare e, viste le condizioni in cui si trovavano, cedere alla rabbia sembrava la cosa più stupida da fare.
“Già devo convivere con il fatto che la tua bellezza non passa certo inosservata e hai sempre gli occhi di tutto l’universo maschile puntati addosso, ora ti ci metti anche tu dedicando più attenzioni del dovuto a Frank!” continuò Jason che sembrava deciso a continuare a discutere della cosa ancora a lungo.
“Quando hai finito di lamentarti vedi di farmelo sapere” lo freddò Piper cominciando a servire da mangiare.
“Menomale che c’è ancora qualcuno che cucina su questa nave!” Brontolò il Coach entrando nella cucina e sedendosi a tavola con molta poca grazia. “Pensavo che tutte le vostre vicenda amorose vi avessero distratto da quelli che sono i bisogni primari, mangiare per esempio.”
Jason ignorò le provocazioni del satiro e continuò la sua discussione con la fidanzata come se nulla fosse, era sul piede di guerra e non aveva la minima intenzione di dargliela vinta.
“Potresti anche ammettere che il suo corpo ti piace più del mio!” La istigò Jason che era talmente nervoso da non avere nemmeno voglia di mangiare.
“Hai altre scemenze da dire?” domandò lei prendendo posto dall’altra parte del tavolo.
“Ecco brava, evita di rispondere.”
“Stai dicendo una caterva d’idiozie, spero che tu te ne renda conto!” Sbottò lei che cominciava a perdere la pazienza.
“Capirai che novità!” fu il commentò del Coach che non si premurò di avere la bocca vuota prima di parlare.
Jason gli lanciò un’occhiataccia come per intimargli di lasciarli soli ma il satiro sembrava troppo affamato per lasciare la cucina e consentirgli di litigare in sua assenza.
Come se Hedge non fosse già di troppo, anche Hazel e Frank fecero il loro ingresso in cucina e si sedettero a tavola.
“Nico non mangia?” domandò Piper ai nuovi arrivati.
“Mangerà più tardi, in separata sede, sai com’è… non è proprio un tipo di compagnia…” spiegò Frank con semplicità mentre Jason lo guardava male, le braccia conserte e l’espressione seria.
Il resto del pranzo proseguì in silenzio, nessuno sembrava essere particolarmente in vena di fare conversazione, l’unico che sembrava essere completamente a suo agio era Hedge che ruttava sonoramente come al solito e preferiva pulirsi i denti sgranocchiando una lattina di alluminio piuttosto che affidarsi al buon vecchio stuzzicadenti.
Quello stesso pomeriggio, mentre quasi tutti si trovavano sul ponte superiore a tentare di sbrinare la nave, accadde qualcosa che nessuno si aspettava. Nel silenzio più totale cominciarono ad udire dei lievi cigolii. Il primo ad avvertirli fu Jason che li ignorò convinto che la sua testa gli stesse giocando qualche brutto scherzo per via della stanchezza, subito dopo anche Hazel e Piper li sentirono e nel giro di poco tutti si stavano domandando da dove provenisse quel rumore che andava intensificandosi sempre di più.
“Credo che venga da qui!” Gridò Piper andando verso la prua della nave.
“Hai ragione” convenne Hazel raggiungendola, “qui si sente più forte!”
“È Festus!” Esclamò Jason avvicinandosi all’enorme drago-polena ricoperto di ghiaccio.
“Hai ragione!” Esclamò Hazel mentre anche Frank li raggiungeva.
Il drago meccanico continuava ad emettere cigolii sempre più acuti e sembrava anche intenzionato a fare qualche movimento con la testa ma la morsa del ghiaccio lo imprigionava rendendogli impossibile muoversi liberamente.
“Dobbiamo togliere questo strato di ghiaccio!” Gridò Jason mentre Frank si avvicinava con il martello.
“Aspettate” disse Piper che sembrava aver avuto un’idea improvvisa, “ci serve qualcosa che funga da cuneo!”
La figlia di Afrodite corse giù nelle stive della nave e tornò con lungo pezzo di ferro che assomigliava ad un piede di porco.
“Ecco!” gridò posizionandone la punta contro la superficie ghiacciata, “colpisci qui, Frank!” ordinò la ragazza indicando al figlio di Marte l’apice del pezzo di ferro mentre Jason assisteva alla scena infastidito. Frank non se lo fece ripetere due volte, colpì il ferro con tutta la forza che aveva e vide la punta affondare nel ghiaccio spaccandolo brutalmente. Piper gettò via il pezzo di ferro e insieme agli amici cominciò a rimuovere i blocchi di ghiaccio che ricoprivano il drago e l’intera prua della nave. Non appena fu libero Festus emise una serie di stridii e cigolii sempre più frequenti ed acuti, come se volesse ringraziare i ragazzi per il lavoro svolto.
“Ma secondo voi come mai si è attivato?” domandò Frank guardando l’enorme drago con apprensione.
“Io credo di saperlo” disse Hazel tastandosi i capelli con foga, come se cercasse disperatamente qualcosa. “È Leo!”
Tutti si girarono verso Hazel sgranando gli occhi e ripetendo il nome dell’amico ad alta voce, increduli.
“Come può essere Leo?” domandò Jason che sentiva la mancanza del figlio di Efesto più di tutti.
Hazel prese un grosso respiro, sapeva di dover rivelare un paio di cose che a Frank non avrebbero certo fatto piacere.
“Perché aveva ideato un dispositivo in grado di comunicare con la nave tramite Festus.” Spiegò Hazel sapendo che quell’affermazione avrebbe destato non poche domande.
“E tu questo come fai a saperlo?” chiese Frank che non aveva ancora digerito del tutto la faccenda che aveva visto coinvolto Leo e la sua ragazza.
“Perché il giorno che mi sono allontanata con Arion in cerca di provviste, prima che partissi, Leo mi regalò un oggetto che non trovo più…”
“Quale oggetto?” domandò Piper prima che Frank potesse esprimere tutto il suo disappunto per quella faccenda.
“Era un fermaglio per capelli in legno, sono convinta che ce l’abbia lui e che stia comunicando con noi!”
“Questo significa che è vivo!” Esclamò Jason con ritrovato entusiasmo.
“Esatto!”
“Sì, sì, va bene, siamo tutti molto contenti che Leo sia ancora vivo” intervenne Frank che non sembrava aver preso la notizia bene quanto gli altri, “ma questo dispositivo di comunicazione non mi sembra questa gran cosa… voglio dire, nessuno di noi è in grado di capire Festus, quindi, anche se ora sappiamo che Leo è vivo, non abbiamo nessuna indicazione per ritrovarlo.”
“È comunque meglio di niente!” gli fece notare Hazel.
“Sì, forse lo è, ma ora se non ti dispiace vorrei chiarire questa faccenda del regalo…” E così dicendo Frank si allontanò con Hazel dopo aver detto a tutti gli altri: “voi continuate a sbrinare la nave!”
“Da quando è lui che dà gli ordini?” osservò Jason sempre più infastidito senza ottenere nessuna risposta dalla fidanzata.
                                                                                                
Nelle profondità del Tartaro Annabeth e Percy camminavano mano nella mano da ore, o più probabilmente da giorni, facendosi forza a vicenda ricordando i bei momenti trascorsi insieme a New York e al campo mezzosangue. Grazie all’aiuto di Bob, e probabilmente anche degli Dei, Percy si era ripreso. Non era certo in forma e il suo aspetto la diceva comunque lunga sul suo stato di salute, ma se non altro aveva smesso di perdere sangue dalle ferite e aveva la forza sufficiente per alzarsi in piedi e camminare. Sapevano entrambi che per loro l’unica possibilità di salvezza era rappresentata, per assurdo, da un posto chiamato Porte della Morte.
“Un nome, una garanzia, eh?” ironizzò Percy per stemperare un po’ il clima di tensione che sussisteva da troppo tempo.
Annabeth fece un sorriso forzato, sapeva che Percy stava facendo del suo meglio per sdrammatizzare e tirarle su il morale. Anche nel Tartaro era il Percy di sempre, anche nel Tartaro era il Percy di cui si era innamorata e mai come in quel momento apprezzò il suo coraggio nel seguirla in quell’inferno.
Se già era un’impresa disperata riuscire a raggiungere le Porte della Morte vivi e vegeti, farlo nell’esatto momento in cui le avrebbero trovate anche i loro amici sarebbe stato un vero e proprio miracolo.
“Nico guiderà gli altri alle Porte della Morte in tempo!” Dichiarò Percy sforzandosi di controllare il tremolio della sua voce affinché sembrasse realmente convinto di quello che diceva.
“Siamo nelle loro mani” disse Annabeth con un filo di voce, camminavano senza sosta da troppo tempo e lei cominciava a sentire le forze abbandonarla.
“Non ci deluderanno, ne sono convinto.”
Annabeth non rispose e Percy si voltò in cerca del suo sguardo. Proprio mentre si girava la vide accasciarsi a terra e le fu subito accanto.
“Che succede?” domandò preoccupato sorreggendole la testa.
“Sono esausta e ho delle fitte qui” mugugnò lei più sofferente che mai indicandosi il basso ventre con la mano.
Percy cercò di non cedere al panico, l’unica cosa utile che poteva fare era mantenere la calma e cercare di trasmetterle più sicurezza possibile.
“Andrà tutto bene” le disse mentre con la coda dell’occhio vedeva delle strane creature avvicinarsi, “ora appoggiati a me, dobbiamo andarcene da qui.”
“Percy” guaì lei in preda al dolore, “ho paura che qui il tempo possa trascorrere diversamente… e questo potrebbe essere un problema per me.” Disse quelle ultime parole fissandosi la pancia e Percy rabbrividì quando capì a cosa si riferiva.
“Questo non possiamo saperlo, ma dobbiamo muoverci ad andarcene da qui.” E così dicendo si mise il braccio destro di Annabeth intorno alle spalle e l’aiutò ad alzarsi. Dovevano proseguire, se si fermavano erano perduti.
 

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