15 modi per (non) farsi lasciare.

di Sveck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


 
Erano passati ventidue minuti da quando avevo posteggiato l'auto nel minuscolo parcheggio del Tony's Playland, lamentandomi del caldo e dei numerosi genitori che non avevano niente di meglio da fare che portare i propri figli in un luogo come quello; ne erano passati invece diciotto da quando ero entrata controvoglia nell'edificio, riconoscendo immediatamente il forte odore della quantità industriale di dolci e fritture proveniente dalla cucina del Tony's e cercando di ignorare la presenza di circa un centinaio di bambini urlanti ed iperattivi per via di tutti gli zuccheri ingeriti. Come faceva Olivia a lavorare in un posto del genere?
Quindici minuti prima che venissi obbligata ad “accomodarmi” sul divano verde bottiglia della sala giochi, che durante il giorno diventava il posto in cui gli impiegati si ritrovavano per bere caffè e mangiare qualche dolcetto del buffet di nascosto, Olivia mi era corsa incontro a braccia aperte con uno sguardo fin troppo entusiasta per essere una donna di ventiquattro anni con addosso una brillante maglia verde prato e dei pantaloni scozzesi dello stesso colore. Man mano che si avvicinava, avevo notato alcuni residui di glitter sulla guancia destra e sulle labbra, delle macchie di quello che sembrava cioccolato sul fianco della maglietta e tracce di sudore; ciononostante, non le dissi niente. Aspettai invece che lei cominciasse a parlare, non prima di avermi stritolato in un abbraccio come se non mi vedesse da anni.
«Kris! So che questo è il momento in cui di solito io stacco per un'ora e andiamo ad ingozzarci al Taco Bell più vicino, ma questa volta devo chiederti di aspettare una decina di minuti. Oggi si festeggia il compleanno di Colin.» Olivia indicò con un sorriso smagliante stampato in viso un bambino tarchiato di bassa statura che osservava eccitato un’enorme ciotola di insalata postagli davanti. Mi trattenni dal dirle quanto insignificante fosse la sua scusa.
«Compleanno?» le domandai invece sarcastica, rivolgendo nuovamente lo sguardo nella direzione del festeggiato, che in quel momento stava avendo un po' di fatica ad aprire una bottiglia di tè verde.
«Sì... Il suo colore preferito è il verde e non mangia nessun tipo di dolce. È interessante come cosa, non credi? Nonostante questo, ha deciso di festeggiare ugualmente qui, alle sue condizioni; ovviamente i genitori hanno dovuto pagare un extra perché il Tony's-»
«Tutto molto interessante Liv e ti garantisco che in un'altra vita avrei voluto sapere tutti i dettagli sulla crescita tormentata di quel bambino che ingrassa mangiando aria, ma ora sto morendo di fame, quindi che ne dici se ci vediamo un altro giorno? Magari martedì?»
«No, no, no, no, no! Ti prometto che non dovrai aspettare più di dieci minuti, te lo giuro!»
Senza nemmeno darmi il tempo di risponderle, mi prese per un braccio e mi indicò la sala giochi, lasciandomi sola esattamente un secondo dopo.


Guardai disgustata i numerosi vassoi di brioches alla crema d’albicocca posizionati sul tavolo da biliardo: non mi venne in mente nessun odore che più odiavo di quello presente in quella stanza stretta e sciatta. Pensai invece a tutti i nuovi tipi di Taco che avrei voluto provare, e alle quesadillas di mia madre, cucinate nello stile super piccante dei Kipling.
Il pensiero della donna che mi aveva messo al mondo mi ricordò di una questione di estrema importanza che necessitava di essere conclusa nel minor tempo possibile, ovvero i cinque minuti rimanenti prima della fine del turno di Liv. Tirai fuori dalla borsa il cellulare e cercai tra le chiamate recenti il numero di mia madre; dovetti ascoltare annoiata i primi due squilli affinché si udisse la voce entusiasta di una donna che non era solita ricevere chiamate dalla sua unica figlia. Sfortunatamente, non le diedi nemmeno il tempo di chiedermi come andava che partii in quarta e le annunciai a denti stretti:«Mà, riferisci a quella grandissima testa di ca-»
«Attenta a quello che dici, signorina». Il suo tono di voce era radicalmente cambiato, diventando come un dobermann che protegge i propri cuccioli.
«Voglio che Kendall percepisca forte e chiaro quello che ho intenzione di dirgli»
Riuscii a sentire mia madre esitare per qualche secondo dall'altro capo della linea e poi sospirare. La sua capacità di evidenziare in qualsiasi situazione il suo debole per i figli maschi mi coglieva sempre di sorpresa; non c’era alcuna cosa che Koraline Kipling non avrebbe fatto per Kendall, Kian e Killian, anche se certe volte era costretta ad ignorare il suo ruolo di madre. Era scontato che ormai avrei dovuto farci l’abitudine, com’era successo con la brillante idea di chiamarci tutti con la K, a suo parere un modo originale per sottolineare l’unione della famiglia, arrivando perfino a cambiare legalmente il suo nome, che in origine era semplicemente “Caroline”.
«Ma tesoro, lo sai benissimo che Kendall non è qui. È allo stadio con Kian»
«Non prendermi in giro madre, posso sentirlo masticare come una capra a digiuno da qui. Passamelo»
«Masticare come cosa?!» Lo strillo alquanto effeminato di Kendall mi forzò ad allontanare il cellulare dall'orecchio e nonostante ciò, continuai a sentire lo stesso i mormorii e le lamentele di mio fratello. Aspettai che terminasse con i suoi vani tentativi di controbattere all'offesa ricevuta, prima di dire: «Ascoltami coglio-»
«Sei in vivavoce, Krissy, non ti conviene»
«Non m'interessa! E non chiamarmi Krissy»
«Ne sei proprio sicura? Mamma sta facendo “quello” sguardo, ora» sussurrò l'ultima frase come fosse una vera minaccia. In realtà, in un certo senso lo era; ero una delle poche persone che la passava più o meno liscia quando maltrattavo uno dei miei fratelli, e ciò capitava ogni volta che mettevo piede in casa. Decisi di lasciar perdere i migliaia di nomignoli che nel corso degli anni gli avevo affibbiato, tutti più che meritati.
«So che delle volte sei tardo e stupido - anzi, togli il delle volte - ma quale parte della frase “stai fuori dalla mia stanza” non ti è ben chiara?»
Kendall titubò qualche secondo prima di rispondere con tono nervoso: «Non so di cosa tu stia parlando, Krissy. Forse ti stai confondendo con Killian, lo sai come sono i ragazzini a sette anni, tutti ribelli e delinquenti»
«Ti conviene non saperne niente, testa quadra, perché se scopro che hai fatto della mia piccola stanza il tuo murales personale, ti stacco le dita a morsi». Al sentire quelle parole, Kendall e mia madre cominciarono a borbottare all’unisono ed a conversare come se non ci fossi; continuarono anche quando vidi arrivare correndo Olivia, finalmente senza quella divisa inguardabile, e le dissi a gesti che ero teoricamente al telefono con mio fratello e di aspettare qualche secondo. Liv approfittò di questo momento per estrarre dalla mia borsa la trousse e darsi una ritoccata prima di uscire. Nel momento in cui stavo osservando con attenzione l’ambigua tecnica del mettersi il mascara della mia amica, Kendall diede qualche segno di vita: «Vivi da più di un anno con quel Konrad, non hai più alcun diritto su quella stanza. Posso farci tutto ciò che mi pare, per quanto mi riguarda»
«Prima di tutto, il suo nome è Theodor. T-H-E-O-D-O-R, chiaro? Secondo, non m’importa se non vivo più con voi, camera mia deve rimanere nello stesso stato in cui l’ho lasciata un anno fa, ovvero con l’armadio rosa, i muri neri ed il collage delle foto più belle di Leonardo DiCaprio appeso. Aspetta, mi stanno chiamando… È Theo. La questione non è finita, ne riparliamo la prossima volta che sono a cena. Salutami Killian».
Quando riagganciai, l’altra linea smise di suonare. Aspettai qualche minuto che mi richiamasse, ma questo non avvenne e come sempre, ciò mi buttò un po’ giù di morale. Scossi la testa e rivolsi uno sguardo complice alla mia amica: oggi la dieta poteva anche saltare.


Col traffico e qualche clacson suonato a caso, raggiungemmo Taco Bell in una decina di minuti, con un sorriso a trentadue denti ed una fame da far invidia ai lupi. La giornata non doveva essere una delle migliori, perché dovemmo aspettare un bel po’ prima di trovare un parcheggio decente, senza dover ricorrere ad una doppia fila disperata. Entrati nel fast food, Olivia non poté fare a meno di gridare come al solito:«Ah, il potere del cibo! Cosa non farei per una razione doppia di Nachos…».
Il suo elogio fu interrotto dal suono di un messaggio ricevuto, più precisamente il mio; presi in mano il cellulare ed effettivamente trovai un sms da Theo:

Scusami cara, ma credo che oggi salterò la cena. Jodi Buckster è appena tornato da Rio e dobbiamo festeggiare. A domani x

Non ebbi nemmeno il tempo di riflettere sul messaggio, che Olivia sgranò gli occhi e fece cadere dalle mani la bottiglietta d’acqua che stava portando; nel giro di pochi istanti, Liv mi prese la mia mano libera e cominciò a strillare con tutto il fiato in gola: «Theo ti vuole lasciare, ti vuole lasciare!».

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


Non riuscii a credere a me stessa quando mi misi a rileggere il messaggio, alla ricerca di una qualche relazione con le parole di Olivia: in quale mondo di cui ignoravo del tutto l’esistenza (contrariamente a Liv) era considerata anche solo come ipotesi la possibilità che Theodor mi lasciasse? Proiettai nella mia mente un archivio figurato di vecchi litigi, avvenuti quasi tutti durante i primi sei mesi della nostra relazione, ma riguardavano tutti questioni stupide che in quel momento parevano di estrema importanza; nonostante il mio temperamento difficile da gestire, Theo era più occupato a calmarmi che a discutere, promettendomi di cambiare anche quando nel torto c’ero solamente io. I miei sensi di colpa dei giorni successivi ci portavano a chiarire in brevissimo tempo, e tutto ritornava alla normalità, come se nulla fosse mai successo. Smisi di pensarci all’istante, concentrandomi invece su un Olivia inginocchiata nell’intento di cercare la sua bottiglietta d’acqua sotto un tavolo occupato da un gruppo di ragazzini dall’espressione divertita. Mi avvicinai a lei e la tirai su per il braccio, costringendola a stare in piedi come le persone normali.
«Dovete scusarla, ragazzi: un dodicesimo di questo corpo fuori forma appartiene alla tribù degli Apache. Per loro l’acqua è molto sacra» blaterai indicando Olivia che, come da copione, annuì con la testa diverse volte, dando corda alle mie false scuse. Girai subito i tacchi in direzione del tavolo libero più lontano ed isolato e trascinai Liv con me, che non riuscì a trattenersi dal proferire: «Questa storia degli Indiani d’America mi sta un po’ annoiando; che ne dici se la prossima volta dici che sono mezza russa? Io zo fvare molti bne acgento ruzo»
«Ti sei resa conto che quella era una pessima imitazione di un tedesco che non ha mai vissuto in Germania, vero? E Liv, quante volte ti ho spiegato che ci sono modi e modi di comportarsi in pubblico? Almeno un centinaio di volte. È vero, qua ormai ti conoscono e Rafa non ti riprende nemmeno dal momento in cui gli ho detto che sei una mia amica, ma anche un ragazzo messicano con una cotta ha i suoi limiti di pazienza.» Un’espressione colma di sdegno fece capolino nel volto della ragazza e prima di controbattere con il suo tono di voce normale, ovvero gridando, alzò l’indice verso l’alto: «I bambini del Tony’s adorano il mio acgento ruzo e mi chiedono sempre il bis, e tu lo sai cosa faccio io? Glielo concedo. E secondo, Rafael Il Messicano minacciava di cacciarmi fuori dal locale solo per attirare la mia attenzione; per quale altro motivo se no?»
Aggrottai perplessa la fronte: com’era possibile che una personalità come la mia fosse finita a passare le proprie giornate da disoccupata mantenuta con un individuo del genere? Forse era meglio prendere in considerazione l’idea di richiamare alcuni dei miei vecchi colleghi d’ufficio per organizzare qualche uscita, al fine di ristabilire un equilibrio del mio livello di tolleranza verso il genere umano, il quale scendeva a picco ogni qualvolta Olivia ne diceva o faceva una delle sue. Strinsi gli occhi per studiare meglio la buffa smorfia presente sul suo viso ed incrociai le braccia sul tavolo; l’urgente desiderio di smantellare le sue considerazioni prese possesso del mio corpo e mi venne in mente un’idea.
«Pensi veramente che Rafael abbia una cotta per te? E allora chiediamoglielo, no?» le proposi, abbassando il tono della voce cosicché la faccenda sembrasse ancora più seria di quanto in realtà non fosse. Lo sguardo di Olivia si trasformò presto in quello di una ragazzina entusiasta.
«Ma scusa, hai intenzione di chiedergli direttamente per quale delle due abbia una cotta?»
«Non ti preoccupare, lascia fare a me.»
Ci spostammo in uno dei tavolini disponibili più vicini al banco e subito dopo vedemmo Rafa appressarsi con passo svelto nella nostra direzione, un blocchetto di carta in una mano ed una penna nell’altra. Dovevo ammettere che anche con una camicia militare sbottonata ed un paio di jeans beige molto larghi non stava male, continuava a mantenere il suo fascino, accompagnato dalla pelle abbronzata, gli occhi verdi e la corta capigliatura riccia. Sperai che Olivia non avesse notato l’espressione accigliata non appena Il Messicano aveva posato lo sguardo su di lei; sarà pure stata una donna particolare nel suo genere, ma ad ogni modo rimaneva una delle mie amiche più care ed a lei, in fondo, ci tenevo.
«Hola chicas! Cosa posso portare per ragazze hermose?» esclamò lui con il suo forte accento messicano e la dentatura perfetta in bella vista. Non riuscii ad evitare di pensare che l’inflessione della sua voce compensava qualsiasi suo problema alla lingua, rendendolo in grado di pronunciare frasi idiote e sgrammaticate e risultare ugualmente sexy. O forse ero solo io che la pensavo così.
«Hola, Rafa. Portaci il solito con l’aggiunta di una risposta»
«Risposta? Questo no tengo nel menu. Prova da giappo, tengono loro cibo strano» disse serio con un volto che sembrava veramente dispiaciuto per non essere riuscito a soddisfare alla richiesta. Quando l’uomo fece per andarsene, lo presi senza pensarci per un braccio e lo riportai nello stesso punto in cui era un secondo prima.
«Dimentica quello che ti ho detto e limitati a rispondere alla mia domanda. Respuesta, entiendes? Se tu avessi la possibilità di sposare uno dei tuoi clienti per ottenere la Green Card*, chi sceglieresti?»
Non mi sembrò di aver fatto una domanda molto difficile ed allo stesso tempo non aveva svelato alcun indizio riconducibile alla scommessa fatta tra me ed Olivia, ma a quanto pare Rafa la pensava in tutt’altro modo. Nel momento in cui finii di parlare, l’uomo, che non doveva avere più di trent’anni, sbarrò gli occhi e si mise in ginocchio davanti a me. Mi prese la mano e cominciò a borbottare una serie di frasi in spagnolo (“No tengo esta Green Card, ha sido cancelada, cancelada, puta!”), a bassa voce e sul punto di scoppiare in lacrime. Nel bel mezzo del pietoso quadretto, Olivia si era alzata per attaccare bottone con un paio di tipi più in là e potevo benissimo leggere dalle sue labbra alcune delle sue solite frasi che utilizzava per flirtare. Tuttavia, non avevo il tempo di pensare ai modi per far evitare a Liv un ennesimo buco nell’acqua, perciò continuai ad ignorarla e convinsi Rafa, in qualche modo che tutt’ora continua ad essermi sconosciuto, a rialzarsi dal pavimento sporco ed a rimanere calmo. Gli spiegai che non m’interessava sapere se fosse o meno un immigrato clandestino, ma solo conoscere chi avrebbe scelto se avesse avuto la possibilità di ottenere una Green Card. Il suo volto sembrò rilassarsi quasi del tutto, e rimasi sbigottita nel sentirlo dire, mentre scrollava le spalle con noncuranza: «Es muy fácil: tu hermano Kian.»

 

«Continuo a non crederci comunque» ribadì Olivia per l’ennesima volta, ma al momento non eravamo più al Taco Bell’s, ma di nuovo da Tony e le sue divise inguardabili. I turni pomeridiani del giovedì non erano particolarmente pieni e gli unici bambini presenti non facevano altro che rincorrersi sopra lo scivolo gonfiabile, il che richiedeva solamente il minimo della sorveglianza da parte dei dipendenti. Rendermi partecipe di quello scenario tutt’altro che dilettevole non faceva parte dei miei piani, ma su questo punto non avevo più voce in capitolo perché era Olivia, oramai, a deciderli per mio conto.
«A mio avviso puoi continuare a non riporre fiducia nelle mie parole per il resto della tua vita, però sappi che la verità rimarrà che Rafael aveva messo gli occhi su quel disgraziato di mio fratello da parecchio tempo e questo era l’unico motivo per cui si comportava in quel modo con noi. Accettalo, Olivia: Rafa è gay, come lo sono Matt Bomer, Rupert Everett, Jonathan Groff e compagnia bella.»
La ragazza alzò le spalle e quel gesto mi fece pensare a Theo e alle parole di Liv sul conto del suo messaggio. Mi ero ripromessa di non rimuginarci più, ma la voglia di conoscere la ragione per cui aveva fatto una considerazione del genere stava sfociando in un bisogno di prima categoria. La mia era una semplice curiosità.
«Perché pensi che Theo mi voglia lasciare?» le domandai con un tono di voce svogliato.
«Sì, sì! Kris, non hai idea di come sia stato difficile trattenere l’argomento in sospeso così a lungo. Credo che sarei scoppiata comunque, e tu mi conosci bene per questo» prese un grande respiro ed avvicinò la sua sedia alla mia. Dando un’occhiata alla mia espressione annoiata, cambiò idea e si posizionò di fronte a me.
«Ricordi Elijah Cheeks, giusto?»
Associai il nome al volto di un ragazzo di ventidue anni dai capelli rossi, gli occhi bruni e le labbra rosee carnose, incontrato casualmente in un bar fuori zona; Elijah aveva rappresentato il primo e ultimo flirt andato a buon fine di Olivia, la quale, nei tre anni successivi alla rottura con il suo ex storico alla cerimonia dei diplomi, non aveva fatto altro che assistere ai suoi vani tentativi di conquista nel mondo dei single. Elijah Cheeks era la novità che nessuna delle due si sarebbe mai aspettata, una ventata di aria fresca e la prospettiva della fine delle serate nei bar e gli Speed Dates improvvisati; il ragazzo comprendeva il suo strano senso dell’umorismo, riusciva a sentirsi a proprio agio nella sua compagnia e soprattutto, adorava i bambini tanto quanto lei. Non a caso, era stato proprio lui ad aiutarla a trovare lavoro presso il Tony’s. E da un preambolo di questo genere ci si poteva aspettare solo la storia d’amore più bella di sempre: il risultato fu tutt’altro che quello. Avevano cominciato a frequentarsi fin da subito, entrambi abbastanza presi l’uno dall’altro; fui contraria alla decisione di Olivia di andare a vivere con lui dopo nemmeno due settimane dalla sua conoscenza, ma lei, come sempre, non mi diede ascolto e seguì invece quello che pareva il cuore di una dodicenne innamorata. Il mio rifiuto di appoggiarla nella sua decisione provocò una netta separazione, che durò fino al primo di un’infinita serie di tira e molla della coppia: mesi dopo venni a sapere che Elijah, in realtà, aveva occupato l’appartamento di un’anziana donna che aveva approfittato delle vacanze estive per visitare la propria famiglia in Perù, raccontando invece ad Olivia che si trattava di una casa di proprietà della sua famiglia. La cosa che mi sorprese ancora di più si rivelò essere che era stato proprio lui a lasciarla, e non il contrario, subito dopo che lei gli aveva offerto di vivere nella dependance della casa dei suoi genitori. E la stessa cosa continuò a capitare nel corso della loro tumultuosa “relazione”, fin quando Elijah non ebbe la buona idea di andarsene senza nemmeno lasciare un biglietto.
«E come potrei dimenticare l’Innominabile?» domandai in modo retorico, sospirando al ricordo di tutti i peggiori momenti passati a consolare la povera Liv.
«Esattamente. Non è proprio una cosa che amo particolarmente ricordare, ma come tu sai, era sempre lui quello a lasciarmi; dopo la terza o la quarta volta, avevo cominciato a riconoscere i vari sintomi di un’imminente rottura, tant’è che in seguito cercavo di evitare qualsiasi situazione che potesse direzionarmi verso un cattivo presagio. Kris, Elijah sarà pure stato un pazzo che reputava le abitudini come la morte di un rapporto, ma i segnali non possono essere tanto diversi da quelli di qualsiasi altra relazione. E lo sai qual era in assoluto il primo indizio? “Cara, stasera salto la cena. Vado a festeggiare la laurea di Gesù. Baci, baci, baci, baci”» Liv imitò una specie di voce maschile alzando il mento ed irrigidendo le spalle e fece finta di accarezzarsi la barba.
«Quindi pensi che lui non sia fuori a festeggiare il ritorno di Jodi ma che invece cerchi di evitarmi, in qualche modo?» per poco non scoppiai a riderle in faccia ed al solo pensiero di ciò che avevo appena chiesto, non riuscii a trattenermi. Stava veramente comparando la sua insana relazione con la mia?
«Ridi, ridi amore mio, ma tu sai meglio di me che gli uomini, in fondo, sono fatti tutti della stessa materia. Tu sai bene che metterei la mano sul fuoco per il solo gusto di provarci, ma credo che questa sia la volta buona in cui sono sicura di non essermi sbagliata. Ora, mia cara amica, credo sia il momento di una terapia di coppia unilaterale.»

*Green Card: in poche parole, è l'autorizzazione rilasciata dalle autorità americane che permette ad uno straniero, per un periodo illimitato, di risiedere e lavorare su suolo americano.

 


Ecco qua le foto dei personaggi principali citati per ora: Kristina, Olivia e Theodor.
 

   

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Le ci erano voluti una ventina di minuti per convincermi a prenderla sul serio; ogni qualvolta nominava Elijah e cominciava ad elencare alcuni dei sintomi che, tempo fa, le facevano intuire le chiare intenzioni del ragazzo di lasciarla, la mia mente orientava i propri pensieri sulla dispensa di cibo presente nell’appartamento che condividevo da poco più di un anno con Theo ed alla cena che non avevo per nulla voglia di preparare. Inoltre, l’idea di passare l’intera serata da sola m’irritava, e non poco: il divano a tre posti sarebbe stato più scomodo del solito, il telecomando si sarebbe letteralmente fuso nelle mie stesse mani per lo zapping agonistico e nessuno mi avrebbe impedito di vedere un documentario strappalacrime sulla gravidanza per poi giungere alla conclusione che i bambini rappresentavano solo delle disgrazie. L’unico aspetto positivo che mi passò fulmineo per la testa fu il fatto di avere la rara possibilità di strafogarmi di carne fino allo svenimento senza ritrovarmi addosso lo sguardo di totale disapprovazione da parte della mia dolce metà, la quale si vantava in continuazione di seguire assiduamente una sana dieta vegetariana da circa dieci anni. Diverse volte aveva provato a convertirmi all’insalata, ma il solo pensiero della reazione di mia madre nel momento in cui sarebbe venuta a sapere di avere una figlia erbivora mi terrorizzava a tal punto da rendermi del tutto indifferente a qualsiasi espressione amareggiata dipinta sul volto scultoreo di Theo. Ad ogni modo, nemmeno con tutta la buona volontà presente sulla Terra avrei acconsentito a rinunciare alla carne per più di mezza giornata, per il semplice fatto che per quanto ne sapessi, i Kipling erano sinonimo di carnivori accaniti. Come titolare di uno Steakhouse piuttosto frequentato, Koraline Kipling nutriva la sua prole esclusivamente con cibi a base di carne; in questo caso fui indubbiamente più fortunata rispetto ai miei fratelli che non avrebbero mai dimenticato la quantità immensa di omogeneizzati di pollo e le bistecche per merenda. Un cosa era certa: nessuno di noi si sarebbe mai lamentato di ingerire poche proteine. 
«Kris, mi vuoi ascoltare? Ti prego!» pronunciò Liv, risvegliandomi dai miei pensieri. Tutto ciò che avevo colto nel suo discorso si poteva riassumere in un misero “Blah, blah, blah” e glielo avrei senz’altro riferito se non avessi provato pena per il suo tono disperato e l’orribile smorfia che le deformava il viso in modo tutt’altro che aggraziato; per l’ennesima volta mi trattenni dal dirle quello che pensavo. Appoggiai la testa sul palmo di una mano, sbuffando sonoramente per la mia eccessiva bontà d’animo ereditata da qualche parente a me sconosciuto; osservai la mano della ragazza avvicinarsi lentamente al mio polso e prima ancora di rendermi conto delle mie azioni, lo ritrassi. 
«Non toccarmi, Olivia. Non toccarmi» le intimai, assottigliando gli occhi. 
«Kristina, si può sapere che ti prende?» 
L’espressione accigliata di Olivia lasciava trasparire una certa preoccupazione che non seppi spiegarmi. Il mio atteggiamento non mi sembrò così insolito e lei mi conosceva da fin troppo tempo per non sapere che alcuni dei suoi comportamenti continuavano tutt’ora ad arrecarmi un certo fastidio e viceversa, nonostante facessero oramai parte della quotidianità. Eppure ci ostinavamo a passare diversi momenti delle nostre giornate insieme. 
«Non mi prende assolutamente niente. Lo sai che non mi piace essere toccata quando sono scocciata»
«Sì, sì, ma ora ascoltami. E questa volta intendo stressarti fino a quando non riceverò la tua piena attenzione, come quella che indirizzi a Rafael quando si toglie la camicia» disse inarcando le ciglia e gesticolando con tutto il corpo. 
«Non esageriamo» ammisi senza vergogna. Liv non poté fare a meno di convenire con la sottoscritta.
«Hai ragione, che cosa mi è saltato in testa? Comunque, fai questo sforzo, okay? Sto cercando di aiutarti»
«Ma di che parli?» le chiesi, sinceramente confusa. 
«Parlo di te e Theodor, del fatto che vi vedete solo quando gli va e che questo accade solo sul divano.»
Ciò che stava dicendo non era del tutto falso, perciò non provai minimamente a contraddirla. 
«E tu come fai a saperlo?»
«Me l’hai detto tu! Non fai altro che lamentarti in continuazione da quando il tuo uomo ha cominciato a posare per qualche fotografo importante e che da un momento all’altro potrebbe essere contattato da una agenzia in Europa. Conoscendolo non posso fare altro che dirti che hai ragione a preoccuparti, perché in quel caso si trasferirebbe senza pensarci due volte; preferisce di gran lunga farsi fotografare alle ragazze disperate che fingono di aver bisogno di un personal trainer per il solo scopo di potergli parlare senza passare per troie.»
Incurvai leggermente le labbra verso il basso, contrariata dalla scelta di parole di Liv; aveva nuovamente ragione, nonostante la verità fosse molto più dura da digerire di quanto invece lei lo avesse fatto sembrare. Mi sarebbe servito parecchio tempo prima di abbandonarmi alla rassegnazione che le cose sarebbero state completamente diverse se Theo non avesse avuto questa fissa del modello; sebbene cercassi di sostenerlo per ogni suo tipo di scelta, questa in particolare rimaneva un chiodo fisso ed un nodo in gola per giorni ed anche settimane ogni qualvolta mi mostrava entusiasta alcuni scatti fatti fuori città o addirittura in uno dei paesi confinanti. Tutto ciò che riuscivo ad esternare era un sorriso affettuoso che faticava a raggiungere anche gli occhi ed un lungo abbraccio. Scossi la testa per scacciare quell’immagine dalla mente e cominciai a giocherellare con gli anelli che quella mattina avevo trovato per puro caso. 
«Ti ricordo che anche noi facevamo parte di quella categoria di ragazze»
«Sì, ma a quei tempi lui non era fidanzato» replicò convinta Olivia, come a sottolineare una sorta di giustificazione per il comportamento che aveva appena giudicato con un certo disprezzo. 
«Eccome se lo era! E con una di quelle stangone e mulatte che se ne vedono poche.» Non credevo fosse possibile dimenticare Josette nemmeno a distanza di un milione di anni: capelli ricci e scuri, pelle perfettamente levigata e due gambe che avrebbero fatto invidia a Naomi Campbell in persona. Spesso mi era capitato di chiedere a Theo se fosse stato sano di mente nel momento in cui aveva preso la decisione di lasciarla perché troppo opprimente e gelosa. Lui si limitava a ridacchiare ed a rifilarmi la stessa risposta di sempre: «Se non l’avessi lasciata, non avrei accettato di bere quella cioccolata calda con te.» 
«Che fine ha fatto?»
«L’ho investita» le dissi con un evidente tono sarcastico, che come sempre non riuscì a cogliere. Il binocolo con cui sorvegliava distrattamente i bambini finì rovinosamente a terra e mi domandai il motivo per cui ogni cosa dovesse scivolarle dalle mani: mi bastava guardare la sua bocca aperta e gli occhi sgranati per capire che non si aspettava una risposta del genere. Si alzò in piedi e tutto ciò che riuscii a sentire inizialmente furono alcuni borbottii che dovevano aver formato la frase “sono amica di un’assassina”. Quando finalmente notò le mie occhiatacce, riprese a parlare normalmente senza evitare un tono sorpreso. 
«Dici sul serio?! Perché? Ha cercato di rubart – oh, è finito il turno! Andiamo via da qui.» Ancor prima di terminare la frase con una spaventosa calma, girò i tacchi e mi fece segno di seguirla nella stanza in cui teneva tutte le sue cose; questa volta non mi zittii e le dissi chiaro e forte che non le avrei camminato accanto se fosse uscita con la divisa del Tony’s, ma non mi diede ascolto, come mi aspettavo, e continuò a spingermi sbuffando verso il parcheggio. Giunte alla mia macchina, un dubbio atroce prese possesso di me: aprii immediatamente la porta anteriore dell’auto, la misi in moto e controllai lo stato del serbatoio, imprecando quando notai la spia della riserva accesa. Il primo benzinaio nei paraggi si trovava ben lontano da dove ci trovavamo, ed inoltre avevo già speso tutti i soldi che avevo nel portafoglio. Di certo non sarei riuscita a tornare a casa mia, figuriamoci ad accompagnare Olivia. Non trovai e altra soluzione se non quella che mi saltò in mente. 
«Liv, la macchina è in riserva e conoscendola non farà nemmeno venti chilometri. Che ne dici se andiamo a cena da mia madre? Intanto faccio riempire il serbatoio da uno dei ragazzi ed evito a passare la serata a deprimermi.»
La ragazza annuì, senza veramente darmi molto ascolto; sembrava essere totalmente affogata nel suo mondo e l’espressione persa nel vuoto non fece altro che alimentare quel lato di me che raramente si preoccupava del suo stato mentale. Non osai interrompere i suoi pensieri fin quando non riconobbi il quartiere in cui ero solita passare intere giornate.
«È da troppo tempo che non parli e sto cominciando a preoccuparmi.» Per un paio di volte, Liv sembrò sul punto di parlare ed indugiare; tuttavia, qualcosa la spinse comunque a sputare il rospo, non senza prima sospirare pesantemente.
«Da quanto tempo non fate sesso?» chiese alla fine con nonchalance, accorgendosi di aver toccato un tasto più che dolente nel momento in cui aggrottai la fronte. 
«Devo rispondere per forza?»
Olivia annuì impercettibilmente, togliendosi la cintura non appena fummo arrivati davanti alla villetta di mia madre, dove avevo trascorso la maggior parte della mia infanzia ed adolescenza. Scesi dalla macchina e strizzai un occhio per ricordare l’ultima volta in cui io e lui ci eravamo dati da fare sotto le lenzuola; dopodiché, non mi veniva in mente altro che una serie di: «Scusami amore, sono stanco. Non è che mi faresti un tea caldo?». Non potevo biasimarlo, dopotutto il lavoro da personal trainer lo impegnava quasi l’intera giornata in palestra e durante il suo giorno libero si trovava a dover guidare ore per raggiungere il luogo in cui si sarebbe fatto fotografare. I pochi momenti liberi, come la sera, preferiva passarli in mia compagnia sul divano, con le coperte tirate su fino al collo e le gambe incastrate perfettamente tra loro. Ultimamente, però, dovevo ammettere che neanche quella era più un’abitudine...
«Circa un paio di mesi fa, credo, se non di più; perché?»
La mora si appoggiò con entrambe le braccia al tettuccio dell’auto e mi fissò con aria di chi la sapeva lunga su queste cose; si guardò intorno come per assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi per ascoltare ciò che stava per dire e confidò con voce bassa, una novità per le mie orecchie: «Sono giunta ad una conclusione, Kris»
«Parla pure, Liv. Una stronzata in più non mi cambierà di certo la vita»
«Ignorerò il tuo commento e ti rivelerò comunque la mia idea, solo perché ti voglio bene: attualmente sei nella fase della calma prima della tempesta, per cui la prossima volta che vedrai Theo ti sembrerà di parlare con un’altra persona che ha preso possesso del suo corpo. Rappresenterà l’esatta figura dell’uomo dei tuoi sogni più reconditi e tu non potrai fare a meno di pensare che la vostra relazione stia per prendere una svolta in senso positivo, quando in realtà si tratta solamente di raggiungere la cima prima di scivolare e cadere all’indietro, finendo inevitabilmente su un gruppo di rocce appuntite.»
Ci fermammo davanti al portone di casa, entrambe con espressioni completamente diverse: Liv sembrava essere seria, con gli occhi chiari sbarrati e la bocca sottile serrata; d’altra parte, invece, la mia mente ridicolizzava tutto ciò che aveva appena affermato ed il mio volto aveva indossato la solita smorfia scocciata. 
«Come la fai tragica! E tutto questo l’avresti dedotto da un semplice messaggio e del sesso scarso?»
«Con Elijah era così, ogni volta la stessa storia. Dormiva sul sofà piuttosto che stare a letto con me e, come ti ho già detto, di messaggi del genere ne inviava a migliaia, ogni giorno praticamente. Dopo il primo di questi, una specie di senso di colpa cominciava a tormentarlo e per un’unica notte diventava l’uomo perfetto, rinunciando perfino all’impegno per cui mi aveva informato di non poter venire a cena. Il fardello scompariva non appena si svegliava la mattina seguente e dopodiché, niuuuuspam! Dritta sulle rocce.»
Suonai il campanello e questa volta fui seriamente intenta a far tacere la ragazza una volta per tutte, ma le parole mi morirono in bocca non appena vidi un viso fin troppo famigliare fare capolino da dietro la porta. Theodor Diggs non fece minimamente caso alla presenza di Olivia al mio fianco e si affrettò a venirmi incontro, stringendomi per i fianchi con un sorriso spettacolare dipinto sulle labbra. Non potei fare a meno di pensare che non lo vedevo sorridere così da mesi, o forse non l’avevo mai visto e basta. La speditezza con cui si avvicinò mi obbligò ad indietreggiare e per poco non cascai all’indietro; senza dire alcuna parola, cominciò ad accarezzarmi le guance con entrambe le mani, mantenendo lo sguardo fisso nei miei occhi. Tutto ciò che volevo era che mi baciasse con la stessa intensità con cui mi stava guardando in quel preciso momento e non ci volle molto prima che il mio desiderio si avverasse. Non faceva altro che soddisfare ogni mia piccola necessità con le sue labbra, e mi sfiorò il pensiero di non ricordarle così morbide e calde. Fui la prima a staccarsi, perché lui non pareva intenzionato a farlo ancora per un po’. Inspirai profondamente e lo guardai in un primo momento estasiata e poi, leggermente confusa. Che cosa ci faceva a casa di mia madre? Lui sembrò cogliere al volo la domanda che gli avrei rivolto se fossi stata nelle condizioni di respirare normalmente. 
«Jodi Buckster può anche andare a farsi fottere. Se Kristina Kipling dice di volere una serata da sogno, prometto di fare il possibile per accontentarla, anche se si tratta di condividere la tavola con la sua famiglia di carnivori... Ah, non hai idea di quanto tu mi sia mancata, davvero.» 
In tre anni che stavamo insieme, Theodor Diggs non aveva mai accettato di mangiare a casa Kipling.

 

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