Incoming Call

di Padme Undomiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Breathe ***
Capitolo 2: *** Keep Moving ***
Capitolo 3: *** Let It Out ***
Capitolo 4: *** Cooperate ***



Capitolo 1
*** Breathe ***


I - Breathe


In questa storia sono presenti importanti riferimenti ad avvenimenti che si differenziano molto, tra prima serie e Brotherhood. Vi prego di tenere a mente che la mia unica fonte di ispirazione è stata la serie del 2003, e il film ad esso conseguente. Gli avvenimenti saranno trattati sotto quest'ottica, senza eccezioni.
D'altronde, senza considerare Roy come il giustiziere dei Rockbell, questa storia non avrebbe alcun senso di esistere.














A TheCorpseBride,
Che mi ha seguita in questo breve, lungo viaggio
E ha sostenuto me
Mentre Winry e Roy imparavano a sostenersi a vicenda.























Il telefono squilla che non sono ancora le quattro di pomeriggio.
Winry Rockbell si ferma, una chiave inglese in mano e i capelli appiccicati sulla fronte per via del sudore, sollevando lo sguardo dall’automail incompleto che dev’essere ultimato per il giorno dopo, per posarlo sulla cornetta che vibra periodicamente ad ogni segnale acustico.
C’è qualcosa di curioso in quel suono. Non è lo squillo pieno di aspettativa dei clienti dell’officina, o quello allegro e un po’ nostalgico di un vecchio amico desideroso di condividere qualche ricordo insieme. Non ha il tono impersonale di un messaggio preregistrato, né quello lugubre che porta cattive notizie. Lo sa che non si tratta di nessuno di questi casi, così come sa che razionalmente parlando non ha alcun senso aspettarsi che il suono cambi in base al contesto, all'interlocutore. Ma non le resta alcun briciolo di razionalità a cui aggrapparsi, ormai.
Sente una sgradevole sensazione di inquietudine serrarle le viscere, mentre quel suono insistente sembra chiedere di lei, e non lasciarle tregua. Non aspetta telefonate, e quello squillo non le piace. Sembra lo squillo pretenzioso e imbarazzante di qualcuno che ha sbagliato numero.
Winry opta per la resistenza passiva e decide testardamente di farlo squillare a vuoto. Sta quasi per rimettersi al lavoro, quando la voce della nonna, irritata e piena di urgenza, arriva dall’altra stanza: “Winry! Vuoi rispondere a quel telefono o no?”. Sussultando, colta con le mani nel sacco, si accorge di non avere scelta.
Sospira, si deterge il lubrificante dalle mani con una salvietta e solleva la cornetta del telefono, senza darsi il tempo di pensarci ancora su.
“Sì, pronto? Qui è l’officina Rockbell, automail e affini!” Annuncia, con la sua più brillante voce professionale.
C’è silenzio dall’altro capo del telefono, un silenzio pressoché tombale. Non si sente il respiro del suo interlocutore, ma in qualche modo se ne avverte la presenza. Non le piace.
“Pronto?” Tenta ancora.
“Sei Winry, vero?”
Winry trattiene il fiato bruscamente, e la sua mano si serra attorno alla cornetta.
“Mi immagino che sia strano, ricevere una telefonata da me”, riprende intanto quella voce bassa, un po’ vibrante, incredibilmente priva di ornamenti espressivi e preamboli. Una voce del genere non viene soffocata neanche dalla bufera più impetuosa. “Strano e inquietante, forse. Mi sono arrogato un diritto che in realtà non mi spetta.”
“Colonnello Mustang”, lo riconosce Winry con un filo di voce.
Lo sente ridere, e quella breve risata non mette allegria. “Non sono più un Colonnello oramai”, risponde. “Non c’è bisogno di tanta formalità.”
Lo dice in tono casuale, ma quell’informazione la coglie del tutto impreparata.
“Non … non è più Colonnello?”
“No. E neppure Generale di Brigata, se è per questo.” Winry pensa confusamente che non sapeva neppure lo fosse diventato, un Generale di Brigata. “Sono stato degradato.”
Come?
“Degradato?”
“Non ha importanza.”
“Ne ha eccome!” Esclama lei, la bocca improvvisamente arida. “Perché io non … non saprei proprio in che altro modo rivolgermi a lei.”
E’ solo quando quelle parole hanno finito di lasciare le sue labbra che Winry si rende conto di quanto suonino stupide. Che significa che non sa come rivolgersi a lui? Potrebbe domandargli il suo nuovo rango, ed ecco qui. Sarebbe molto semplice, in realtà.
Solo che semplice non lo è per nulla.
Mustang, per lei, non riesce ad essere altro che Colonnello. Lo è sempre stato, in fondo. Colonnello, che per lei è sinonimo di sicurezza, autorità, perseveranza nel porsi degli obiettivi fermi, determinazione nell’affidarsi solo alle proprie risorse per andare a conquistarli, con la forza se necessario. Colonnello, che per lei vuol dire vincente, a qualsiasi costo, a qualsiasi prezzo – a discapito di qualsiasi vita.
E invece qualcosa ha fatto precipitare quel vincente nel baratro scuro e gelido di una sconfitta, e il solo pensiero riempie Winry di sconcerto. Cosa è successo? Non ha forse sconfitto quel malvagio homunculus? Non dovrebbe star facendo carriera nell’esercito? Lei non capisce nulla di politica e militari, ma c’è qualcosa di profondamente sbagliato in questa situazione. Che ne è stato di Mustang?
Il suo sguardo si posa sulla finestra di fronte alla quale si è fermata, sul riflesso che vi appare – i capelli disordinati, gli abiti sporchi di lubrificante per automail, le guance pallide, gli occhi smarriti, le labbra incurvate all’ingiù da chissà quanto tempo.
Che ne è stato di lei?
“Mi perdoni, io …” Inizia, mortificata, senza sapere come continuare.
“Non hai davvero nulla di cui farti perdonare.” E’ difficile stabilirlo,  ma non sembra arrabbiato. Winry si chiede che razza di idea si sia fatto di lei. “Anzi, che tu non lo sapessi è rassicurante, in qualche modo. Dimostra solo che la campagna è tanto diversa dalla città da non aver affatto bisogno di pettegolezzi. Ultimamente non si fa che parlare di me – ah, più del solito, intendo. Mi sento come un attore famoso colto in flagrante in una storia di gossip piccante.”
“Qualche volta vorrei che la campagna assomigliasse di più alla città.” Sussurra Winry. “Qui a Resembool nessuno sa mai niente.”
Io sono sempre l’ultima a sapere.
“Le serviva qualcosa?” Taglia corto, decidendo che preferisce cambiare argomento piuttosto che sentire il commento dell’uomo al suo sfogo a mezza voce: lo sa che la farebbe star male, qualunque cosa dicesse. Così come la fa star male parlare con lui, in primo luogo.
Qualunque cosa voglia da lei, la parvenza di normalità che Winry si è impegnata a difendere a qualsiasi costo in queste ultime settimane andrà in pezzi non appena Mustang aprirà bocca. E lei non può tapparsi le orecchie e coprirsi gli occhi, non può riattaccare. Non può impedirlo.
Una breve pausa. “Sì”, risponde Mustang. Winry stringe i denti, la mano attorno alla cornetta trema. Si prepara. “Ho saputo che Alphonse è lì da voi.”
La normalità si strappa come carta velina, e resta solo il dolore. Quel dolore senza nome che la rosicchia dall’interno, insidioso, e che la riempie di vuoto.
Winry sospira, e si arrende. Afferra la sedia più vicina e ci si accomoda, si aggiusta la bandana sui capelli. Piccoli gesti senza valore che la aiutano a non andare in pezzi.
“Sì, vive da noi ora. Da quando Rose lo ha … beh, trovato.”
Più piccolo, senza ricordi, confuso. Disperatamente alla ricerca di sua madre, e di un fratellone che non vede più accanto a sé.
“Come sta?”
Si può definire lo stato di Al come uno stare bene? Winry non lo sa, così non risponde direttamente. “Ancora non riesce a ricordare.” Esita. “Lei  lo sa che ha perso la memoria, vero?”
“Me lo hanno riferito.”
“Oh, per quanto riguarda me mi riconosce, certo. Si sorprende sempre al vedermi così grande, ma mi riconosce.” Le scappa una risata, e ha il sospetto che anche la sua suoni vuota come quella di Mustang. “Beh, siamo pari: io mi sorprendo al vederlo in carne ed ossa. Dopo tutti questi anni, dopo essermi abituata ad avere un’armatura sotto agli occhi tutto il tempo … Lo vedo ridere. Lo vedo piangere. Lo vedo arrabbiarsi, fare smorfie di dolore. Come se questi anni non fossero mai passati, mentre io quasi mi dimenticavo come fosse il viso di Al – il vero viso di Al.”
“Fossi al tuo posto sarei ancora più spiazzato di te. Vedi, io il viso di Alphonse non l’ho mai visto”, commenta Mustang. “L’ho conosciuto che era già un’armatura.”
Rendersi conto che quello che l’uomo dice è vero, che è già passato tanto tempo da quando quell’assurda storia è iniziata, sconvolge Winry. Tutti questi anni … e ancora non abbiamo trovato la pace che volevamo.
“Allora non può immaginare com’è fatto neanche volendo. A parte qualche tratto del viso, non somiglia poi tanto a-”
La voce le si strozza in gola: non può impedirselo, non riesce ad avere volontà propria sul dolore che la investe. Non sa dire quel nome, non più. Non ricorda neanche più quando sia stata l’ultima volta che lo ha pronunciato a voce alta. Forse quando ha scoperto che Al era tornato a casa, e che lui … no.
E ora si sente una bimba sciocca e fragile, e vorrebbe tanto continuare a parlare, ma annaspa inutilmente. Perché non ci riesce? Perché non può pronunciare quella sillaba? Sono solo due lettere …
Solo due lettere.
 “Capisco.”
Mustang pone fine al suo patetico affannarsi, e lascia cadere il discorso. E’ praticamente impossibile stabilirlo, visto che il suo tono si mantiene impenetrabile e pacato come sempre, ma potrebbe averlo fatto apposta per venirle in aiuto, per offrirle una scappatoia.
Dovrebbe sentirsene sollevata, e invece tutto ciò che sente è la gola che brucia, e gli occhi che si riempiono di lacrime. Perché è una sconfitta.
Perché, finché quel nome resterà impronunciabile, lei non riuscirà ad andare avanti.
Odia le sue lacrime, così si passa rabbiosamente il dorso della mano sugli occhi, e se li asciuga con forza.
“Mi chiede di lui”, finisce per dire, e stranamente sono proprio quelle parole tirate a forza dalla sua gola a darle una sensazione di sollievo inimmaginabile. E’ come rendere concreto un fantasma, si accorge: un fantasma che assume sembianze visibili non fa paura a nessuno. “Al non fa che chiedermi di lui. Vuole sapere dove sia finito, perché nessuno lo stia cercando. Vuole sapere che cosa ha dimenticato, per cercare suo fratello anche all’interno dei suoi ricordi perduti. E anche quando sta zitto, sono i suoi occhi e i suoi silenzi a fare domande.”
Mustang tace. Winry non riesce a smettere di sfogarsi, non ora che ha iniziato. Le parole che sente incastrate nel petto bruciano, deve per forza buttarle fuori.
“Ma cosa posso dirgli io? Dovrebbe essere lui a spiegare a me come stanno le cose! Era lui che era lì in quel momento, no? Io ero a Resembool. Io sono sempre stata a Resembool, non ho mai saputo niente, dei loro viaggi forsennati. Non sapevo niente neanche prima che tentassero di far rivivere la loro mamma, mi sono ritrovata con tutto già fatto, col danno già compiuto-”
Si arresta bruscamente, rendendosi conto che l’uomo al telefono non può sapere cosa significhi. Non sa cosa sia essere bambini e vedere l’alchimia prendersi i suoi migliori amici, i suoi fratelli, i suoi compagni di vita, e riportarglieli indietro mutilati, e ridotti a oggetti senza carne né umanità. Non sa cosa sia crescere nell’attesa che quel telefono suoni, che una qualche lettera arrivi, che una notizia qualsiasi sul giornale parli anche solo di sfuggita di un giovane Alchimista di Stato e di suo fratello –che un qualche estraneo le racconti quello che la sua famiglia non le dice. Non sa cosa sia morire di gioia ogni volta che una treccia bionda e un’armatura fanno capolino davanti a casa Rockbell, e morire di dolore ogni volta che quella stessa treccia bionda e quella stessa armatura le voltano le spalle e vanno via, troppo presto, senza spiegarle che fretta ci sia.
Non sa cosa sia stato rivedere quel viso da bambino, quegli occhi grigio-verdi dopo tanti anni, e sentirsi felici, e voltarsi a cercare un paio di occhi dorati che non ci sono, non ci sono. E sentirsi desolati, incompleti, persi.
E lei non sa perché la cosa dovrebbe importare a un uomo del genere, in effetti. Mustang ha chiamato solo per sapere come stesse Al, non certo per sentire le sue confessioni deliranti.
“La verità è che ne ho abbastanza. Sono stanca: vorrei delle risposte.” Conclude, gli occhi fissi su quell’automail ancora smembrato sul quale la sua mente non riesce a focalizzarsi.
“Domanda.”
Il tono perentorio di quella richiesta fa sussultare Winry, come risvegliandola da un sogno. “Cosa-”
“Domanda.” Ripete Mustang. “Se vuoi risposte non devi far altro che porre domande. Quale risposta potrebbe farti stare meglio?”
“Io … non …” Presa in contropiede, ammutolisce.
“Vuoi forse sapere perché Alphonse sia tornato al suo corpo da decenne? Si può supporre che non sia mai cresciuto, dall’altra parte. Che sia rimasto congelato, in attesa di ricongiungersi con la sua mente e la sua anima. Non conosciamo la natura del luogo dove il suo corpo è rimasto, ma le leggi vigenti lì devono essere terribilmente diverse da questo mondo, così il corpo non è deperito e non è scomparso.
“Oppure è la natura dello scambio effettuato a interessarti?”
Winry sta soffocando. Tutte quelle nozioni sicure la confondono e basta, e non è soltanto perché si parla di alchimia – qualcosa che lei non capirà, non apprezzerà mai. Le sembra che Mustang le stia parlando in un’altra lingua. “Si faceva per dire. Non volevo davvero …”
“Ti chiedi perché Alphonse abbia perso anche la memoria?” Incalza l’altro, incurante delle sue proteste senza convinzione. “In tutta sincerità non so risponderti con certezza, dal momento che non è rimasta traccia del cerchio alchemico attivato in quel teatro. Non so come sia stato impostato lo scambio, ma a rigor di logica avrebbe dovuto essere un corpo per un corpo. Per cui si può ipotizzare.” Un momento di silenzio, il tempo di un respiro. “Si può ipotizzare che qualcosa sia andato storto.”
Il suo petto si riempie di aria gelida. “Quando lei dice storto …” Non continua. Non può.
“Intendo dire che se cerchi risposte certe a riguardo, lascia perdere: non c’è, attualmente, modo di stabilirlo. Non sappiamo se sia rimasto qualcosa di lui dall’altra parte che possa eventualmente essere recuperato. Ti conviene considerarlo morto.”
E’ troppo.
Winry scatta in piedi, la sedia cade con un gran clangore, e non è nemmeno lontanamente un clangore forte quanto il suono crudele della parola che Mustang ha appena pronunciato. Non può sopportarlo. Non vuole.
“Ed non è morto!” Grida, tanto forte che la sua voce le graffia la gola. E’ una parola così orribile che non può che ferire qualsiasi superficie con la quale venga a contatto.
Anche l’orecchio che l’ha ascoltata brucia, e la ripete ossessivamente, e ogni volta fa più male. Morto, morto, morto.
Il suo sorriso birichino e sfrontato, il suo corpo sempre in movimento, le sue premure accuratamente celate da modi bruschi e occhi sfuggenti.
Morto.
Winry odia Mustang con un’intensità inimmaginabile, ed è a un tratto come se lui avesse scoperchiato un calderone di astio ribollente, uno che lei credeva di aver ormai spento da un po’. Lo odia, perché morto non si associa a Edward Elric, ed è mostruoso che lui abbia anche solo potuto pensare a una cosa simile.
“Ed non è morto. Non mi importa niente delle sue congetture, non mi importa niente delle sue incognite. Io lo so che è vivo – deve esserlo, non ha scelta. Non ho alcun dubbio a riguardo. E lei può pensare quello che vuole, non mi riguarda.”
“Davvero? Nonostante tutto quello che ti ho detto, è questo quello che credi?”
“Certo!”
“E allora che bisogno hai di risposte?”
Sta per rispondergli a tono, in modo automatico, ma poi registra il senso di quello che ha appena sentito, e la voce le muore sul nascere. Winry sbatte le palpebre, colta di sorpresa.
“Sai già quello che devi sapere. E se anche io avessi la benché minima intenzione di convincerti che non ci sia la minima speranza alla quale appigliarsi, non mi crederesti. Dico bene?”
Mi ha manipolata?, si rende conto la ragazza all’improvviso, più sbalordita che arrabbiata – si sente così esausta che non le è rimasta forza sufficiente per arrabbiarsi. Voleva forse farmi arrivare a quest’ammissione? Voleva mettermi alla prova?
Ma c’è altro che la colpisce, e registrare quel dettaglio la riempie di una strana emozione confusa.
Se?” Domanda, titubante.
Se.” Conferma Mustang.
Non si dicono altro a riguardo, non ce n’è bisogno. Winry capisce che non è l’unica a sperare.
E’ così strano condividere qualcosa di così intimo con un uomo del genere.
Si china, raccoglie la sedia, la risolleva, ci si risiede. Le mani in grembo tremano.
“Eppure … mi basterebbe avere almeno una risposta in più, una definitiva. Una che potrebbe mettermi l’anima in pace.” Mormora, più rivolta a se stessa che al suo interlocutore. “Perché a Ed e a Al non è concesso di essere felici? Perché non ci è concesso di stare di nuovo insieme, dopo tutta questa sofferenza, dopo tutti questi anni …?”
La voce le si spezza.
“Perché questo mondo non conosce giustizia.” Risponde Mustang, la voce bassa. “Non si può cambiare una cosa tanto al di là della nostra portata.”
Certo che non si può. Il mondo non è un automail che si può correggere, alleggerire, migliorare a piacimento, o rendere più efficiente e sicuro.
“Eppure si può ancora scegliere”, continua lui a sorpresa. “Scegliere come andare avanti, e come lottare, con tutte le forze che abbiamo. Tu ti sei trovata tanto spesso di fronte a scelte non tue – e questa situazione che vivi è il frutto di una scelta compiuta dai fratelli Elric, e da loro solamente. Non ti resta che trovare il tuo modo di combattere.”
“Come posso combattere? Non c’è nulla che io possa fare”, sussurra Winry, disperata.
“Sei ancora viva, non è così?”
E’ il concetto più semplice del mondo, eppure colpisce Winry come nessun’altra frase pronunciata fino a quel momento.
Respira, in modo un po’ accelerato, e il suo cuore batte, lo sente perfino nelle orecchie: sa che è viva, è naturale. Ma da quanto non lo percepisce più?
Proprio lui mi ricorda che sono viva, quando è stato lui a togliere la vita ai miei genitori?
E’ un pensiero istintivo, ma è disgustoso, e Winry avverte una forte sensazione di nausea all’altezza dello stomaco, provando orrore per se stessa. Mustang sta cercando di aiutarla. Che bisogno ha lei di reagire così?
Perché dev’essere tutto così difficile?
“Non ti trattengo oltre”, fa a un tratto Mustang, rompendo il silenzio pesante calato tra loro. “Volevo solo informarmi sulle condizioni di Alphonse. Sei stata molto gentile.”
Il senso di colpa di Winry si accentua in modo insopportabile nel sentire il ringraziamento che è solo implicito nelle parole dell’uomo. “Ho saputo che è stato ferito”, dice in fretta, cercando di rimediare ai suoi pensieri cattivi, cercando di essere educata. E’ questa la cosa giusta da fare. “Si è rimesso in sesto?”
Forse lo sorprende un po’, perché passa un istante appena di silenzio.
“Sì, sto meglio. Ancora qualche tempo di convalescenza e potrò essere trasferito.”
“Trasferito?” Ripete Winry.
“Al Nord.”
C’è un certo tono enigmatico nella sua voce, un tono che lei non riesce a decifrare. Apre la bocca, fa per parlare, ma la richiude senza emettere un suono. Non sono affari suoi, in fondo.
E con quell’esitazione, il momento passa.
“Ti auguro una buona serata, Winry.” Dice Mustang, e non aspetta risposta: riaggancia, lasciando la ragazza con nient’altro che il suono acustico di fine chiamata che le rimbomba nell’orecchio.
Winry lo ascolta per qualche secondo, come pietrificata, prima di allontanare la cornetta dall’orecchio, e lentamente riporla al suo posto.
Come se nulla fosse successo.
Si guarda intorno, registrando la familiarità della sua stanza dopo quella che sembra una vita. Il letto ordinato, la scrivania piena di viti e bulloni, l’automail ancora incompleto. Fuori dalla finestra la nonna raccoglie legna per il camino, e se aguzza la vista può scorgere i contadini rientrare in casa con le ceste di vimini piene del lavoro di una giornata tra i campi, come tante altre.
Niente sembra cambiato. Eppure lo è, in modo incontrovertibile.
Solo allora sussulta, e si porta una mano sulla bocca, scossa da un tremito improvviso.
Ho fatto il nome di Ed.
Tante volte. Come se fosse di nuovo naturale per lei.
E mentre il cuore prende a batterle dolorosamente nel petto e le lacrime le appannano nuovamente la vista, distrattamente Winry pensa che Mustang, invece, il nome di Ed non lo ha fatto mai neanche una volta.

***

Al è seduto sul divano, le gambe incrociate e un libro in grembo; le sopracciglia aggrottate donano al suo viso infantile un’espressione tremendamente seria, tremendamente adulta. Lei avrà visto quell’espressione milioni di volte da bambina, ma ora è grande abbastanza per non sentirsi risentita per tutto quello zelo nello studio, che sottrae tempo a lei. Ora ha accettato che l’alchimia avrà sempre un posto importante nella vita del suo amico d’infanzia: è una cosa che non si può cambiare.
Quando la sente avvicinarsi, Al solleva il capo, e il suo viso si apre in un sorriso.
Winry sorride a sua volta. “Ancora il libro che ti ha prestato la maestra Izumi?” Gli chiede.
Al annuisce con solennità. “Sono un po’ lento, perché alcune cose sono troppo difficili da capire. Però è molto interessante, sai? Se riesco a finirlo prima che la maestra ritorni a trovarci, potrò chiederle di aiutarmi sui punti complicati.”
“Oh, qualcosa che nemmeno Alphonse Elric capisce? Dev’essere una tragedia”, scherza Winry, prendendo posto accanto a lui sul divano. Non c’è nulla di strano in questo, in fondo Al ha scordato tutti i progressi fatti durante i suoi viaggi assieme a Ed. Ma non vuole che Al si senta sconfortato, si sta impegnando tanto.
Al ride, passandosi una mano dietro al collo, in imbarazzo. “Che dici? C’è tanto che non capisco, nell’alchimia. E poi senza il fratellone è più difficile. Spesso discutere con lui mi aiuta – aiutava, cioè, a risolvere molti miei dubbi.”
Sta soffrendo tanto, anche.
Winry gli sorride dolcemente. “Guarda che spesso era Ed a chiedere consiglio a te. Te ne sei dimenticato?”
La risata di Al si spegne, e lui la guarda con grandi occhi sorpresi. Lei lo sa a cosa sta pensando.
Winry non parla mai di Ed.
Non può dire di non comprendere lo stupore di Al: lei stessa non riesce a crederci. E’ tutto ancora nuovo e terribilmente fragile: è come stringere tra le braccia un bambino prematuro un po’ brutto che ha tirato fuori a forza dal suo corpo, e che ora sfiora esitando, cercando di vincere il suo senso di rifiuto.
“Winry … hai pianto?” Le chiede il bambino a un tratto, probabilmente notando i suoi occhi lucidi, le sue guance e il suo naso rossi. Piccoli segnali che lei non è riuscita a nascondere, forse non ci ha nemmeno provato.
“Solo un pochino”, ammette, senza smettere di sorridere. Il viso di Al si contrae in un’espressione triste - è così bello vederlo esprimere emozioni. “Guarda che non devi preoccuparti! Non è successo proprio niente. Stavo solo pensando ad alcune cose, e mi sono sfogata. Ma va tutto bene ora.”
“Non è vero che va tutto bene.” Si infervora Al, gli occhi pieni di sconsolato rimprovero. “E’ perché non mi ricordo niente? E’ perché pensavi a Ed? Non mi piace che piangi, Winry. Però ora sei più grande di quello che ricordo, e non so che fare per consolarti, e così-”
“Ma che sciocchino che sei! Smettila di farti venire tutti questi problemi.” La ragazza ride, e gli posa un bacio sul capo, tra i corti capelli chiari. “Se stai zitto un attimo ti faccio una proposta. Ti va di leggere qualcosa insieme? E prima che ti venga questo pensiero no, non è un libro di alchimia.”
“Cosa, allora?” Al abbassa gli occhi, e nota le lettere che Winry ha portato con sé, un po’ piegate e rovinate, ma che sono state conservate per anni dentro una scatola che lei teneva nascosta sotto il letto, come un tesoro.
Il sorriso di Winry si allarga. “Che ne dici, vuoi sapere le sciocchezze che tuo fratello mi ha scritto in questi anni in cui voi due siete stati via? Ti può aiutare a ricordare.”
Ti può aiutare a sentirlo vicino, conclude nella sua mente. Con me ha funzionato, per tanto tempo.
Al sembra un po’ turbato, quando osserva quella grafia un po’ frettolosa vergata sulla carta con tanta forza da incidere lievemente i fogli - l’essenza di Ed sembra voler fuoriuscire da quelle lettere a ogni costo.
“Solo se ti va”, Aggiunge lei, con maggiore delicatezza. “Se non vuoi lo capisco.”
“No, no. Voglio sentire.” Al la guarda, determinato come nessun bambino di dieci anni potrebbe mai essere. “Ti prego.”
E poteva mai aspettarsi qualcosa di diverso, da Alphonse Elric?
“Direi che è deciso, allora.”
Al si appoggia contro la sua spalla, e Winry gli cinge le spalle col braccio, accarezzandogli piano i capelli, perché a questo nuovo Al piace molto il contatto fisico, forse perché inconsciamente ricorda di non aver potuto avvertire il contatto umano per quattro lunghi anni; perché a questa nuova Winry piace molto coccolare Al, forse perché inconsciamente è una vita che desidera essere di qualche aiuto per la sua famiglia. Anche se solo per una cosa così piccola.
La ragazza spiega la prima lettera davanti agli occhi di entrambi, e a bassa voce inizia a leggere.
Ciao Winry. Come sai, siamo a Central City, e ci hanno messi a studiare in casa di un certo Tucker. Ha fatto un sacco di ricerche sulla trasmutazione di esseri viventi, ci crederesti? E ha una libreria strapiena di libri! Se non dovessi concentrarmi su questo maledetto esame da Alchimista di Stato, li leggerei tutti. Ma forse lo farò dopo che avrò superato l’esame. Ora non ho proprio tempo per fare nient’altro che studiare, studiare e studiare. Io e Al non ne possiamo più, ma non abbiamo dubbi che ce la faremo. E’ per questo che abbiamo fatto tutta questa strada!
Tu e la zia non aspettateci, non torneremo a breve! Abbiamo tanto da fare, e sicuramente quando saremo Alchimisti di Stato dovremo lavorare duro per riavere i nostri corpi. Quando ci vedrai non crederai ai tuoi occhi!
E sarò anche più alto, ah-ha. Che cosa credi, che resterò un moscerino microscopico per tutta la vita, eh? Lo so che lo stai pensando, e non è vero!
Tu pensa a non fare la stupida piagnucolona e stai bene. Al ti saluta, e ti dice che ti scriverà anche lui. Io ho finito lo spazio, se no gli lasciavo posto.
La prossima volta che ti scriverò, lo farò come Alchimista di Stato!
Ed
Winry aspetta alcuni istanti, il tempo di sentire il cuore meno gonfio, il tempo di lasciar metabolizzare ad Al quello che ha appena letto. Poi ripone la lettera, e afferra la successiva. Non smette di accarezzare i capelli di Al.
Ehilà, Winry! Indovina chi è un Alchimista di Stato? -
Non piange più mentre legge, come ha fatto poche ore prima. Non si stringe più al petto quei fogli fin troppo esigui, singhiozzando senza rumore. Non si sente più così disperatamente sola.
Può quasi immaginarsi Ed accanto a loro, a sbuffare e a grattarsi il capo, lamentandosi che leggere quelle lettere non serve a nessuno ed è stupido. Può farlo, e se ne sente confortata.
Può farlo perché Ed è vivo, da qualche parte dell’universo.
E’ vivo, così come -
Per un attimo la sua voce ha un’esitazione, e si spegne. Poi, a fatica, riprende la lettura.
Riesce a non far trapelare da essa l’inquietudine confusa che sta provando in questo momento, ora che ha rievocato con la mente il turbamento profondo che la telefonata enigmatica di quel pomeriggio, e la voce salda, troppo salda di un ex Colonnello, le hanno suscitato, scombussolandola completamente.
Eppure Winry la sente ancora, quella voce. Come se la cornetta del telefono fosse ancora contro il suo orecchio.
“Tu sei ancora viva, non è così?”
E a quelle parole lei trova, pur tardivamente, una risposta. Così la pronuncia, nel segreto della sua mente, con quanta forza ha. A Mustang, e a se stessa.
Sono ancora viva.








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Capitolo 2
*** Keep Moving ***


II - Keep Moving Vi ringrazio per i vostri feedback, siete molto carini. Spero di non deludervi andando avanti - e di sapere che ne pensate, perché no. Mi piace sempre dialogare su certe cose. :)













La decisione di Al di partire per Dublith non sorprende affatto Winry.
Ha avuto Al sotto agli occhi per settimane, ha percepito in modo quasi tangibile la sua impazienza e tensione, e la sua convinzione di star sprecando tempo utile quando invece avrebbe potuto impiegarlo per trovare un modo di riavere suo fratello. E poi lo conosce da una vita, lo sa benissimo quanto detesti l’inattività.
Era solo una questione di tempo prima che decidesse di riprendere gli studi, di andare con la maestra Izumi.
E’ a questo che pensa, quando è nella solitudine della sua camera, distesa supina sul letto e con un braccio abbandonato pigramente sulla fronte: alla sua reazione così razionale alla notizia.
Al le mancherà, naturalmente. Non si aspettava sarebbe stato facile lasciarlo andare, non dopo averlo avuto con sé per tanto tempo, sempre al suo fianco come se non fosse stato lontano per quattro lunghi anni, ma anche avendo quel groppo in gola non si sente disperata e abbandonata come pensava si sarebbe sentita.
Forse è perché, ad essere lasciata indietro, ci è ormai abituata.
Sua madre e suo padre sono stati i primi ad andarsene, un sorriso sicuro e un bacio su ogni guancia, e lei li ha aspettati, aspettati invano, ogni giorno sulla soglia di casa per almeno qualche minuto, finché non è stato un telegramma ad arrivare, invece, e lei ha smesso di aspettare sulla porta. Poi ci sono stati Ed e Al, lasciandosi alle spalle la puzza di una casa bruciata, e il mai espresso desiderio della loro amica di infanzia di fermarli, di abbracciarli forte, di non lasciarli mai andare. Anni e anni a trattenere quel desiderio chiuso a chiave nel suo cuore. Anni e anni a scrutare all’orizzonte aspettando di rivederli.
E infine, Al è tornato, ma Ed ha deciso di sparire nel nulla.
Si può dire, riflette tra sé Winry un po’ amaramente, che lei sia sempre stata brava ad aspettare. Ha avuto anni di esperienza in quel campo.
Solo che, dopo la scomparsa di Ed, non ce la fa più. E non c’è da stupirsene.
Ed, in fondo, è stata la persona che Winry ha aspettato più di tutte. Per poter amare, per poter sognare, per poter sorridere. Per poter vivere.
Winry aiuta Al a fare le valigie, nonostante Al sia più che in grado di farle da solo, solamente per il gusto di condividere ancora qualcosa con lui prima di vederlo sparire per chissà quanto altro tempo ancora. Resta ad ascoltarlo mentre, fiducioso, le racconta di come troverà Ed, di come lo riporterà a casa. Lo accompagna alla stazione, affidandolo alla signora Izumi e al signor Curtis, e gli tiene la mano sorridendo finché il treno non accelera troppo, portandosi via il suo sorriso, e la sua incrollabile determinazione e forza.
E ne ha la conferma, quando non le resta altro che il calore quasi scomparso della manina di Al nella sua, e due scie di lacrime senza rumore che le rigano le guance.
Questa volta non resterà ad aspettare. Perché non è più brava come un tempo, ad aspettare.
Il mondo corre, non fa che correre e accelerare, pensa Winry facendo le proprie valigie con movimenti rabbiosi e solenni. Il mondo corre e non si ferma mai, non si guarda indietro per vedere chi è affaticato e non sa tenere il passo, non si cura di quanto può essere tremendo essere intrappolati in quel vorticare confuso senza riuscire ad avanzare nemmeno un po’.
L’unico modo di vincere non è forse correre più forte del mondo stesso?
E’ quello che spiega alla nonna, sulla soglia della porta di casa con un biglietto per Rush Valley nelle mani. Glielo spiega e spera che le rughe di preoccupazione sul suo viso anziano si distenderanno in un sorriso sereno, quando la vedrà tornare vincitrice a casa. Anche se lei ancora non sa cosa voglia dire vincere, in quel gioco.
Sa solo che chi si ferma ha perso in partenza.
La nonna le stringe le mani, la guarda con affetto, la lascia andare.
“Queste vecchie giunture non correranno con te. Ti aspetteranno qui”, le dice. “Ma non esiste solo correre e star fermi, Winry. C’è qualcos’altro nel mezzo.”
Winry non capisce, ma il treno parte e lei non può perderlo.
Un bacio sulla guancia e corre via, cercando di stare al passo con un mondo che è già miglia più avanti.

***

Rush Valley è frenetica, e ogni volta che inspira il suo odore si sente riempita dalla sua energia senza fine.
In ogni dove ci sono officine, su ogni corpo c’è una protesi meccanica, finemente lavorata in un modo che lei al momento non può che ammirare da lontano. Negli occhi di ogni cittadino c’è il lampo della vita, l’intraprendenza dell’orgoglio, e talento, a dismisura.
Winry desidera farne parte, con tutte le sue forze.
Dominic è un uomo burbero, non abituato ad interagire con le persone, schivo come un orso nella sua tana confortevole e tanto differente dalle altre. La vede arrivare, una valigia tra le mani e un sorriso pieno di voglia di fare sulle labbra, e le risponde seccamente di non aver bisogno di apprendisti, che deve andare altrove se è alla ricerca disperata di un fabbricante di automail competente. Rush Valley ne è piena, non te ne sei accorta?
Winry in risposta gli propone di parlare al telefono con sua nonna, e di spiegarle esattamente il motivo per cui sua nipote non può essere presa come apprendista da lui.
Basta la menzione della Pantera di Resembool a garantirle un posto letto e la promessa di un apprendistato, e questo fa ridere Paninya per diverse settimane, sbalordita nel vedere il suo patrigno così saldo e duro tremare come una foglia al pensiero di un’anziana signora che non vede da anni.
In Paninya Winry trova un’alleata e un’amica insospettabile, e quella scoperta è un balsamo per il suo animo ferito. E’ lei a mostrarle i fornitori migliori per automail, lei a smascherare i truffatori, lei a portarla in giro per i vicoli segreti di Rush Valley alla ricerca del cuore pulsante e nascosto della città. Ha uno spirito pratico e una voglia di vivere che Winry ammira, e che ora come ora sente di voler condividere con tutta se stessa.
Così si fa trascinare e sperimenta la gioia di trascinare lei, di tanto in tanto.
Qualche volta Paninya le stringe le mani nelle sue, sorridendole grata.
“E’ così bello che tu abbia scelto Dominic come tuo mentore. Così dimostrerai alla gente là fuori quanto siano meravigliosi i suoi automail!” Le dice con entusiasmo.
Quelle volte il contrasto tra le dita di carne e quelle di acciaio le stringe il cuore in una morsa di nostalgia. E’ solo un momento di apnea, una secchiata di acqua gelida, e in quel momento le sembra di stringere le dita di acciaio di Ed.
Ma poi Winry ricaccia indietro quel momento come si inghiottisce la saliva quando si ha la gola quasi completamente riarsa, con un colpo secco e un po’ doloroso. Scuote la testa e sorride a Paninya, e le annuncia che prima o poi smetterà di ringraziarla, perché diventerà persino più brava di Dominic, e allora sarà una rivale negli affari.
Il mercato di automail è cambiato, e se ne accorge mentre aiuta Dominic con le commissioni. Gli automail con cannoni incorporati sono sempre più radi, ci sono spesso ispezioni da parte dei militari e ingiunzioni, a favore di protesi meno belliche e più funzionali. Suppone che faccia parte della nuova politica dell’esercito, successiva alla scomparsa di King Bradley: c’è un tentativo massiccio di promuovere la pace, di rimediare alla diffidenza quasi palpabile che i cittadini provano ogni volta che vedono una divisa azzurra nei paraggi, di allearsi col popolo, proprio loro, che per tanto tempo sono stati chiamati sprezzantemente Cani dell’esercito, quasi fosse un attributo perfettamente consequenziale all’arruolamento. Winry non sa cosa pensare di questa politica, ma dentro di sé prega incessantemente che serva almeno un po’ a preservare altri bambini dal ritrovarsi orfani per colpa di una stupida guerra. E se il prezzo da pagare è combattere un inevitabile mercato nero di automail non a norma, bene, non è un gran sacrificio. Si spera, comunque, che i militari siano preparati a quest’eventualità.
Lei non si avvicina loro abbastanza per scoprire se le cose stanno davvero così.
Quelle divise azzurre le ricordano Mustang, e questo è il pensiero che Winry cerca di evitare più di tutti. E’ strano, ma dal giorno di quella incomprensibile telefonata le sue emozioni nei confronti di quell’uomo si sono di nuovo, dolorosamente, rimescolate. Prova disagio – e perché dovrebbe provarne lei? Lui non ne ha provato, dopotutto, quando ha sollevato la cornetta per comporre il suo numero, per parlare con la figlia dei dottori che gli era stato ordinato di eliminare durante lo sterminio di Ishbar. Eppure lei si sente colta da una sorta di malessere senza voce, un imbarazzo insopportabile, un senso di vergogna, ogni volta che la sua mente sfiora anche solo per un attimo quel ricordo.
Non riesce a smettere di pensare di avergli dato l’impressione di essere una ragazza debole, una piagnucolona. Non può sopportare di avergli donato un assaggio della sua fragilità, e lo sa che non è per via di quella rabbia devastante che l’aveva quasi portata a odiare il signor Hughes tempo fa, disposto a morire pur di aiutare l’assassino dei suoi genitori ad arrivare in alto: ha cercato quell’odio cieco dentro di sé, e non ne ha più trovato traccia. Dev’essere sparito da un pezzo.
E’ solo che i confini sono di nuovo crollati: arrivare ad accettare le colpe di Roy Mustang è totalmente differente dal farsi consolare da lui. Dopotutto, cosa può essere l’assassino dei suoi genitori per lei?
Potrà mai essere qualcosa per lei?
Te l’ho detto che pensare a Mustang fa solo venire il mal di stomaco. La voce di Ed, qualche volta, è così chiara nelle sue orecchie che lei può quasi giurare di non starla solo immaginando. Quello lì è psicopatico, e si diverte a farti aggrovigliare il cervello solo perché sa come si fa e vuole dimostrartelo a tutti i costi. Secondo te perché quando posso lo evito?
E se fosse lì andrebbe avanti all’infinito, incrociando le braccia e corrugando la fronte, lagnandosi e lagnandosi, con l’insistenza tipica di chi non sa sciogliere un enigma e darebbe chissà cosa per farlo. Se fosse lì non ci sarebbe modo di fermare quel teatrino, se non lanciandogli contro una chiave inglese.
Ma Ed non è lì, e nessuna chiave inglese può raggiungerlo ora.
Non ne serve una, in ogni caso: la sua voce tace troppo presto, e nel silenzio che le fischia nelle orecchie Winry si accorge di essersi di nuovo fermata, che il mondo la sta di nuovo lasciando indietro. Così mette un freno ai pensieri e in moto le mani, e quando la sua mente si allinea con il suo lavoro artigianale riesce quasi a sentirsi soddisfatta, a sentirsi libera.

Un giorno come un altro, però, il telefono squilla una seconda volta.


***

“E’ una sorpresa risentirla, signor Mustang. Come sapeva dove rintracciarmi?”
La voce di Mustang è annegata in una sorta di crepitio da trasmissione disturbata, come se il segnale fosse precario quanto la giovialità artificiosa di Winry, eppure questa volta non è affatto difficile percepire dell’esitazione nel suo tono. “Tua nonna, al telefono, è stata così gentile da informarmi che avrei potuto trovarti a questo recapito.”
“Ha parlato con la nonna?” Winry non può fare a meno di sentirsi un po’ tradita da lei. Non avrebbe fatto bene a consultarla, prima di riferire all’ex Colonnello dove poterla contattare?
Poi la sua mente registra che Mustang, per poter avere avuto il suo recapito e parlato con la nonna, deve averla chiamata a casa a Resembool almeno un’altra volta, e lo stomaco le si serra di colpo.
“Certamente non deve averle fatto piacere parlare con un militare, ma visto che ha voluto in ogni caso indirizzarmi a Rush Valley, posso supporre che non … sappia?”
Il non detto sembra colpirla come uno schiaffo, e Winry sbatte le palpebre di istinto.
Non toccano più l’argomento dei suoi genitori da quel lontano giorno in riva al fiume, quando Mustang aveva inseguito Ed e Al fino a Resembool per arrestare la loro fuga, pretendere fiducia da loro e svelarsi loro completamente, forse per la prima volta. Ma quando quel giorno Mustang aveva nominato i Rockbell, pur sapendo che Winry era in ascolto, pur desiderando, forse, che lei potesse comprendere le sue motivazioni, era Ed che guardava. Non lei.
Ed ora non c’è.
Deglutisce a fatica. “Non lo sa. Non … non credo voglia saperlo”, rivela onestamente. “Non farebbe differenza, le basta sapere che sono stati i militari ad ordinare la loro esecuzione. Chi abbia premuto il grilletto è … una questione irrilevante.”
Mustang resta in silenzio, e Winry si morde il labbro inferiore. Nessuno dei due crede che lo sia, irrilevante.
“Ti sto disturbando”, dice l’uomo, insolitamente dolce. “Non avrei dovuto chiamare.”
Se solo potesse risponderle in modo indelicato, si trova a pensare Winry. Se solo potesse comportarsi da assassino, da uomo crudele, nei suoi confronti, le cose sarebbero tanto più semplici.
Sospira.
“Si figuri. Non sta disturbando”, gli risponde, e a sorpresa si rende conto che, malgrado tutto, lei non sta mentendo. Vorrebbe tanto sapere che pensare delle sue reazioni emotive, davvero. “Guarda caso mi ha sorpreso proprio mentre prendevo una pausa e lasciavo riposare un po’ i muscoli delle braccia! Qui c’è sempre tanto da lavorare, sa.”
Ha bisogno di mostrarsi allegra, le dà coraggio. Le fa sentire che i ruoli sono invertiti ora: lei quella sicura di sé, lui quello a disagio.
Ma forse Mustang sa reagire meglio di lei, al disagio –se è poi capace di provarne per davvero.
“Ho saputo che hai iniziato un apprendistato”, commenta, e con sua somma sorpresa –sicuramente si sta sbagliando-, si direbbe che lui sia davvero interessato a una cosa simile.
“Oh – sì, beh, era tanto tempo che desideravo farlo. Non è che la nonna non mi abbia insegnato nulla, anzi, l’officina Rockbell non ha niente da invidiare a nessuno! E’ solo che a Resembool la materia prima non è così tanto raffinata, e persino il lavoro è molto più diradato: non c’è tanta domanda di protesi meccaniche in campagna. E siccome voglio diventare una professionista, non c’è altra scelta se non rimboccarsi le maniche!” Ride, un po’ forzatamente.
“Ho avuto modo di vederli, i tuoi automail”, continua Mustang gentilmente. “Sembravano già l’opera di un professionista.”
Un altro non detto, e non fa meno male dell’altro.
Certo che ha visto i suoi automail. Su Ed. Ancora non lo nomina.
“Avrebbe davvero dovuto spiegarlo a Ed”, replica, volutamente calcando il tono su quel nome. Vuole costringerlo a pronunciarlo, per sapere se si sta sbagliando, se si è trattato solo di un caso per tutto il tempo. Vuole costringerlo a farlo, e non sa nemmeno perché sia così importante per lei.“Continuava a romperli e tornare da me con un sorriso di scusa. Eh, Winry, che posso dirti? E’ andata così. Quanto credi ci metterai ad aggiustarli? Eddai, non fare quella faccia, non è stata colpa mia! Non era mai colpa sua, naturalmente, fatto sta che tornava sempre mezzo rotto. Come se fosse una cosa di poco conto, distruggere automail realizzati con tanta cura! Come se non si fosse trattato di autentici capolavori di tecnica! Come se …”
Si interrompe di colpo, prima ancora che la sua mente realizzi perché.
“Come se quelli non fossero il suo braccio e la sua gamba.” Conclude.
Ripensa a Paninya, all’orgoglio con il quale lei sfoggia le sue protesi. All’affetto con il quale osserva il braccio e le gambe che il suo patrigno ha voluto regalarle come segno d’amore. Si sente invasa da un profondo senso di sconfitta.
“Non si sarebbe mai accontentato. Non avrebbe mai potuto sentire i miei automail come parte di sé.” Sussurra. Non glielo sta chiedendo, non davvero.
“No”, risponde Mustang, e il cuore di Winry sprofonda nel ricevere la conferma che si aspettava. “Ma noi cani dell’esercito tendiamo ad avere spesso molto più di quel che ci meritiamo.”
“Ti capisco, ma … noi rivogliamo i nostri corpi veri. E’ questo che desideriamo prima di tutto.” (*)
“Quegli automail gli hanno salvato la pelle in diverse occasioni, sai.”
Winry sussulta. “Lo pensa davvero?”
“Sono stati la sua arma e il suo scudo. Non saranno stati usati in modo ortodosso, ma di certo sono serviti al loro scopo. E comunque”, soggiunge, “è automail che riaggiustavi, non arti umani.”
Ha una voce curiosa, Mustang. Non dice mai nulla di superfluo, anzi, qualche volta è fin troppo essenziale, perfino succinto nelle risposte. Eppure indovina sempre il tempismo, calibra sempre le parole, modula sempre il tono. Ogni volta che parla lascia il segno.
E stavolta il segno consiste nelle lacrime che si formano tra le palpebre della ragazza, e senza un rumore rotolano veloci lungo le sue guance.
Winry si chiede come sia riuscito a consolarla, pur non dicendole nulla che lei in realtà non potesse dedurre anche da sola. Forse perché ne aveva il deliberato intento?
Chissà perché voleva consolarla, perché lui. Ma non ha il tempo di domandarglielo: perfino la conversazione corre più veloce di lei.
Così ride, e si asciuga le lacrime, tirando su col naso. “Mi creda. Qualche volta ci è mancato tanto così perché gli distruggessi gli arti umani. Lo sa quanto può essere impossibile, no?”
“Oh, lo so. E’ il motivo per cui ero sempre sommerso da scartoffie.”
“Non ho difficoltà a crederlo.”
Cala il silenzio, ed è un silenzio bizzarro. C’è solo il crepitio della linea disturbata a tener loro compagnia.
Poi parlano nello stesso momento.
“Mi chiedevo se-”
“Lei come -”
Tacciono di colpo, e Winry arrossisce, in imbarazzo.
“Prima le signore”, offre Mustang.
“No”, risponde Winry, e pensa che sia giusto ripagare la gentilezza di Mustang mostrandosi gentile anche lei. Scambio Equivalente, afferma sicuro l’Ed che sente ancora nelle orecchie, e lei scuote la testa e lo zittisce bruscamente. “No, tanto non era importante. Continui pure.”
“Mi chiedevo se Alphonse ti avesse seguito a Rush Valley”, dice allora lui. “Tua nonna mi ha solo detto che non era a Resembool.”
Di nuovo Al. Winry sente le viscere contrarsi nell’inquietudine. Non fa che chiederle di Al. Eppure glielo aveva detto la scorsa volta, che non aveva particolari problemi, a parte l’età improvvisamente più giovane e la memoria che non tornava. Perché gli importa così tanto?
Si impone di calmarsi, un po’ sorpresa lei stessa della sua reazione diffidente. E’ una domanda innocente, no? Perché non rispondergli?
“No, Al non è con me. Sinceramente penso sarebbe un disastro con gli automail.” Dice, e sente di nuovo nella sua voce la giovialità artificiosa che non vuol saperne di lasciarla andare, oggi. “E’ andato a Dublith.”
“Dublith?”
“Con la maestra Izumi.”
Una pausa. “A studiare alchimia.” Deduce lui naturalmente.
“Esatto.” Uno sbuffo. “Tanto per cambiare.”
Mustang emette un suono meditabondo, e non aggiunge altro. Winry sente l’inquietudine crescere.
“E’ importante che abbia fatto questa scelta?” Gli chiede, e il suo tono tradisce il suo essere sulla difensiva.
“E chi lo sa”, risponde Mustang enigmatico. “Di fatto, Alphonse è l’unico che possa sapere cosa sia successo nelle profondità di Central City quella notte. Forse ha ricordato qualcosa … o sta percorrendo una strada ben precisa. Ti ha detto qualcosa prima di partire?”
“No, io …” Winry riconosce un tono spiccio di comando nella voce di Mustang, e la gola le si serra. “Non ha detto niente di preciso. Ha solo detto che vuole trovare Ed. Ha detto che lo troverà ad ogni costo.”
“Quindi vuole studiare l’alchimia per conoscere il modo di trovarlo. Come pensavo, lui è la persona più indicata per-”
“La smetta.”
Mustang si zittisce come se quello di Winry fosse stato un urlo invece che un sussurro. Dal canto suo Winry, il cuore che le batte all’impazzata e le dita serrate attorno alla cornetta, trema.
“Per quale motivo mi chiama, signor Mustang?” Scatta, la rabbia che le monta dentro come un’onda. “Vuole avere informazioni su Al per poterlo manovrare, per potersi servire di lui per ritrovare Ed, e riportarlo tra i militari? Lui non ci tornerà mai, per la cronaca.”
Non le importa più che lui abbia cercato di essere gentile con lei, non le importano più le buone maniere, non le importa nemmeno che Dominic sia nella stanza accanto. Qualcosa è scattato in lei, qualcosa che la sta facendo agire come una mamma che protegge i suoi cuccioli appena nati. Ed è forse la consapevolezza che anche Mustang sta correndo loro dietro, e che lei non ha forza nelle gambe sufficiente per raggiungerlo e impedirglielo.“E questa storia non la riguarda. La smetta di ficcarci il naso e si dia pace. E’ una faccenda tra Ed e Al! Li lasci stare, loro … Al sa cose che nessuno, nessuno potrebbe mai …!”
La voce le trema, e Winry sente freddo. Si stringe nelle braccia, e pensa che darebbe chissà cosa per sentire la voce di Ed, ora, o per vedere il sorriso di Al.
“Lui ci crede davvero, che riuscirà a riportare Ed a casa.” Riprende. “Non capisce perché io possa anche solo dubitarne. Non ha la minima idea di come trovare la strada che lo porterà a lui, ma si è messo in viaggio … forse non ha mai smesso di viaggiare. Non è assurdo che, qualsiasi cosa uno faccia, non riuscirà mai a stare al suo passo? Io …”
Oh, come ha potuto non capire per tutto quel tempo? E’ così chiaro ora. Che sciocca.
“Io vorrei essere come lui. Correre come lui, e non fermarmi mai, non vacillare mai. E invece non posso che restare indietro, sempre. Non riesco mai a raggiungerli, nemmeno ad avvicinarmi a loro. Così … visto che non posso seguire Al, penso che sia il caso di lasciare fare a lui, no? Io so che Ed è vivo, so che dovrei sperare che un giorno Al lo riporterà qui, ma non ci riesco. Non come dovrei. L’unica cosa che posso fare è … sperare in Al, sperare che, un giorno, la sua perseveranza riuscirà a farmi cambiare idea. In qualche maniera, è Al la mia speranza, capisce? Per cui lo lasci stare. Glielo chiedo per favore.”
E mentre ammette la sua sconfitta, e si sente stanca, così stanca dopo tanto correre inutile, capisce che forse non può farci nulla, forse il suo destino è avere sempre davanti agli occhi schiene che si allontanano da lei. Ma se non può seguirli, almeno impedirà a chiunque di tagliar loro la strada. Proteggerà quelle schiene voltate con le unghie e con i denti, se necessario. Persino dai militari – soprattutto dai militari.
“Devi aver frainteso le mie intenzioni. Permettimi di spiegarti.”
La voce di Mustang è pacata, e, a dispetto di tutto, lui non sembra minimamente offeso dalle sue parole impudenti. Winry non aveva pensato a nulla durante il suo scoppio di rabbia, ma non sentirsi rimproverata, o accusata, la sorprende.
“Hai la mia parola”, riprende l’uomo, con una nota definitiva nel tono di voce, “che non cercherò mai, mai, di riportare i fratelli Elric sotto il controllo dell’esercito.”
Vorrebbe credergli, con tutta se stessa. E sembra sincero … Ma come può lei saperlo per certo? Come può non sentire Roy Mustang come un nemico?
“Non hai torto quando mi accusi di voler studiare i movimenti di Alphonse: non lo nego. Ma non ho alcuna intenzione di sfruttarlo, o manipolarlo in alcun modo. Voglio solo sapere se la possibilità di ritrovare suo fratello possa essere concreta, tutto qui. Nessuno, a parte lui, può farlo, su questo non credo ci siano dubbi.”
Winry sente all’improvviso un tuffo al cuore che lascia una sensazione sgradevole addosso.
Per un attimo le è parso che Mustang condividesse con lei il desiderio di sperare, l’amarezza di non poter fare, la mancanza di qualcosa che non si riesce a trovare.
Ma non ha senso. Sono così diversi, lui e lei. E Mustang non è impotente …
“Inoltre, non avrei alcun potere di manovrarlo, ora come ora. A stento riesco a uscire di casa quando la neve blocca la porta.” Lui sembra leggerle nella mente, perché le risponde confermandole quello che lei aveva appena classificato come impossibile, con nient’altro se non una nota di amara ironia. “Come puoi capire sono del tutto innocuo.”
“Ma …” Balbetta Winry, senza sapere cosa dire. I crepitii nella cornetta assumono improvvisamente un senso. “Ma il trasferimento al Nord …”
“Ah. Il trasferimento al Nord.” Mustang fa uno sbuffo, come se ne fosse divertito – non è un attore così bravo. “Tutto quello che c’è da fare qui è inviare rapporti in cui comunico che non succede niente di niente, e cercare di non morire assiderato. Gran modo di essere utile al mio popolo.”
La ragazza non dice nulla. Non può. E’ annichilita.
“Forse non ci resta che fare da spettatori per un po’, dopotutto.”
“Lei si è arreso.” Commenta Winry con gli occhi spalancati.
Mustang si zittisce.
“Diceva che sarebbe arrivato in alto, che non avrebbe obbedito più a nessun ordine irragionevole. Accidenti, ha sconfitto King Bradley, e …” Si passa una mano tra i capelli, come colta da vertigine. Il mondo dev’essersi capovolto, e rimescolato, mentre lei non guardava. “E ora si è arreso. Si è completamente fermato.”
Si sente sconcertata, si sente … tradita. Si è fatta consolare da lui, settimane fa, è stato lui che le ha ricordato che doveva andare avanti. E ora scopre che ha spronato lei senza prima spronare se stesso. Quanto incoerente può essere una cosa del genere?
Mustang non sta affatto correndo. Mustang è fermo.
Qualcuno ha forse buttato della neve sulle sue fiamme? E’ stato lui stesso a farlo?
Quel pensiero le fa orrore, le fa male. E all’improvviso comprende.
Quella figura immobile potrei essere io.
“Lo sa? Io penso proprio che lei me lo debba. Ha promesso che sarebbe arrivato in alto, che si sarebbe riscattato. E invece le sta bene così? Non riesco a crederci.” Dice con forza. “Io non farò da spettatrice, perché Ed, Al e i miei cari non hanno affatto bisogno di spettatori. E lei? Cosa sta facendo? Cosa ha intenzione di fare?”
Lui non le risponde, e il silenzio che cala è pesante.
“Ti auguro una buona serata, Winry.” Le dice infine Mustang, e prima che lei possa rispondergli il segnale viene interrotto.
E Winry è di nuovo sola.
Posa di nuovo la cornetta, e la sua mano ha finalmente smesso di tremare.
Sai, Ed, pensa distrattamente, fugge come te quando non sa come rispondere. Eppure è grande e grosso. Non certo piccolo come qualcuno di mia conoscenza.
Tende le orecchie, cerca un suono, uno qualsiasi, ma Ed tace. Forse è fuggito anche lui, ferito da quella sofferenza impotente nella quale i suoi cari si crogiolano.
Che sia correndo in modo scriteriato o immobilizzandosi.

***

E’ curioso che tu mi chieda di lui, visto che persino a Central City non si sa che pensare. E dire che è successo tutto qui.
Il Colonnello Gener Caporale Mustang è stato ritenuto l’unico responsabile dell’attacco nella residenza del Comandante Supremo, e anche se il suo corpo non è mai stato rinvenuto, sul Caporale pende anche l’accusa della morte di King Bradley. Con lo smantellamento del vecchio ordine militare molti scandali sono venute a galla … ma un omicidio del genere è stato considerato fin troppo premeditato per passare inosservato, brutale se si considera anche la morte del piccolo Selim. Per farla breve, Mustang non aveva nessun motivo per introdursi in casa del Comandante Supremo e assassinarlo, se non ambizione, o vendetta personale. Così è stato degradato, gli è stato tolto il titolo di Alchimista di Stato, e hanno preferito spedirlo al Nord – una punizione provvisoria, in mancanza di una ricostruzione dettagliata degli eventi di quella sera. Se avessero trovato evidenze sufficienti per incriminarlo della morte di King Bradley, non credo sarebbe ancora libero … o nel corpo militare. Non voglio dire vivo perché francamente è un pensiero spaventoso!
Il punto è che i suoi uomini –e anche io lo penso- sono convinti che avrebbe potuto usare questa mancanza di evidenze a suo favore. Lottare per restare, insomma, e farsi valere nel processo. Ti stupirebbe sapere quante persone lo appoggiano, e lo avrebbero appoggiato in questa strada. Ma lui ha accettato la decisione, ha fatto i bagagli e se n’è andato. Dal suo atteggiamento sembra quasi che abbia appoggiato il Parlamento, nel farsi esiliare così lontano dalla capitale.
Che tipo strano, eh? Non si capisce mai cosa pensi. Il signor Hughes era totalmente diverso da lui.
Certo, io al suo posto avrei preferito mesi e mesi di tribunale con i miei uomini e il mio obiettivo, invece di una specie di ammasso di ghiaccio desolato in mezzo al nulla. Ma cosa vuoi che ne sappia io? Sono solo un topo di biblioteca finito chissà come a fare lavori d’ufficio nell’esercito …

La lettera che ha ricevuto da Sheska è rimasta aperta sul tavolo da lavoro, appena vicino alla lampada accesa, e Winry le dà l’ennesimo sguardo di sfuggita mentre traffica con cacciavite, bulloni e chiavi inglesi, l’espressione concentrata e le sopracciglia aggrottate.
E’ tutto il giorno che lavora a quell’automail, durante ogni pausa che le commissioni le hanno concesso, mentre Dominic, con un sospiro burbero, distoglieva volutamente lo sguardo e fingeva di non essersene accorto. E’ tutto il giorno che ripercorre con la memoria le misure che ha preso tante volte, che ormai riesce ad evocare con una facilità impressionante, e cerca di riadattarle tenendo a mente la possibilità di doverle aumentare un po’.
Nessun cliente dell’officina le ha commissionato quel braccio, nessuno le commissionerà la gamba che farà una volta finitolo. Nessuno verrà a reclamarli, nessuno spenderà soldi per averli.
Quando quel testone di Ed si deciderà a ricomparire -e dovrà farlo, perché lei si sta impegnando tanto a concretizzare quella speranza tramite quelle protesi-, sarà lei a portarglieli, magari rimproverandolo per lo stato dei suoi, magari prendendolo in giro sulle dimensioni degli automail, che starebbero bene a un bambino piccolo piccolo che non beve il latte e non cresce. Ma glieli porterà, e sorriderà mentre glieli consegnerà, e quegli automail saranno il suo modo per dirgli Bentornato.
E se lui dovesse metterci troppo a tornare, Winry li rifarà, e proverà a ripensare alle misure, riadattandole. E ancora, e ancora, e ancora, fino a rivedere quegli occhi dorati e troppo sinceri che sono entrati nei suoi ricordi fin da prima di iniziare a parlare.
Perché hanno commesso un grave errore, lei e Mustang, e non hanno capito.
Scoprire che una battaglia è persa non significa affannarsi per negare l’evidenza e disperatamente tentare di vincerla. Ma non significa nemmeno fermarsi. Sono entrambi, in fondo, due modi per arrendersi.
Winry guarda, piuttosto, le sue gambe affaticate dalla corsa, e nello scoprirle troppo gracili, decide che non le serve velocità, ma resistenza. Sente le sue guance accaldate, e desidera sentirle calde per la soddisfazione di se stessa e del suo personale modo di lottare, non per l’adrenalina. Osserva la strada che le resta da fare per ritrovare la sua famiglia, e non calcola la distanza, ma cerca delle scorciatoie che le permetteranno di aspettare i suoi cari dalla postazione migliore.
Da quella postazione, pensa sorridendo tra sé, scorgerà Ed e Al arrivare, e le loro schiene saranno finalmente lontane dal suo sguardo. Quello che vedrà sarà invece il loro viso, pieno di stupore, di gioia, di orgoglio e di affetto.
Pieno di casa.







(*) La citazione è tratta dall’episodio 26.

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Capitolo 3
*** Let It Out ***


III - Let It Out Penultimo capitolo: ci siamo quasi.
Come sempre, grazie a voi che seguite questa storia mentre si avvicina alla fine.


















“Perciò non verrai.”
Al scuote mestamente la testa. “No.” Poi la guarda, con quegli occhi chiari fin troppo adulti che un po’ la sconvolgono, e un po’ la rassicurano. “Sei sorpresa?”
Winry gli sorride. “Ma no, in realtà me lo aspettavo.” Prende a giocherellare con una ciocca di capelli, cercando di dare a se stessa un’espressione serena per essere credibile. “Anche se non posso fare a meno di essere un po’ triste che non ci sarai.”
“Mi dispiace tanto.” Le labbra di Al si incurvano in una smorfia, e il bambino si agita un po’ sulla sedia. Winry non lo vede da così tanto tempo che per un momento si sorprende di non sentire il cigolio metallico dell’armatura al movimento. “Ma io non mi ricordo proprio della signora Hughes, né della loro figlia. Né tantomeno del signor Hughes. Anche se … dovrei ricordarmi di loro. Dovrei ricordarmi di tutti.”
Si sta rimproverando per il suo vuoto di memoria, di nuovo. Winry non sopporta quando succede: è già abbastanza orrendo che Al non abbia più ricordi dei quattro anni che ha trascorso viaggiando, delle persone care con cui ha stretto dei legami, del signor Hughes che somigliava fin troppo a un padre per lui – per tutti loro, in realtà-, ma sapere che ne soffre ogni giorno è troppo crudele.
Si sporge verso di lui e gli stringe le mani.
“Guarda che non hai niente di cui rimproverarti. Chi mai vorrebbe andare ad una festa di compleanno di una bambina di cui a stento ricorda il nome? Non le faresti certo un favore”, lo rassicura. “Sono certa che la signora Glacier capirà. E anche Elycia.”
“Però loro volevano vedermi!” Ribatte Al sconsolato.
“Al, tutta Amestris vorrebbe rivederti.” Esclama un po’ esasperata Winry. “Però tu sei uno solo, e non puoi moltiplicarti e accontentare tutti, soprattutto se vederli ti mette a disagio. E comunque sei impegnato in ben altro, no?”
Al non sembra del tutto convinto della propria innocenza, ma di fronte alla sua espressione sicura non può che capitolare, e ricambiare il suo sorriso.
“La figlia dei signori Hughes è nata il giorno del compleanno di mio fratello, eh?”, commenta poi, appoggiando la schiena contro la sedia e alzando il capo a fissare il soffitto. Il sorriso non lascia le sue labbra. “Dev’essere stato bello vederla nascere. Sono sicuro che a Ed abbia fatto molto piacere.”
Winry tace, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco.
“Io e il fratellone siamo stati insieme durante ogni compleanno che riesco a ricordare. Ti ricordi, Winry? C’eri sempre anche tu. Giocavamo in riva al fiume, e poi mamma ci faceva trovare la torta sul tavolo quando tornavamo a casa, tutti sporchi di terra.” Torna a guardarla, e cerca in lei la complicità di una parte di vita condivisa. Come se fosse normale ricordare e basta, come se fosse normale non aspettarsi che quest’anno sarà come gli altri anni.
“Lo sai, è anche per questo che voglio restare qui a Dublith a studiare con la maestra, quel giorno”, continua poi. “Per poter raggiungere mio fratello il prima possibile. E’ la promessa che gli ho fatto, ed è giusto che cerchi di rispettarla soprattutto il giorno del suo compleanno.”
C’è di nuovo quella luce battagliera e sicura nei suoi occhi grigio-verdi, così salda e intensa da mettere da parte persino il dolore. Winry capisce che Al non ha bisogno di essere consolato – non per davvero. Ritira le mani.
“E allora mettiti al lavoro, e studia finché puoi.” Gli dice. E poi solleva un pugno, grintosa. “E vedi di diventare l’alchimista più bravo di tutti i tempi. Così gliela farai vedere, a quell’arrogante di Ed!”
Al la guarda spaesato, inclinando il capo su un lato. “Mi stai spronando a studiare?”
“Ma certo!”
La fissa per qualche istante, prima di spalancare la bocca. “Winry … sei cresciuta davvero!”
Winry gli dà uno scappellotto, e resta insensibile al suo “Ahio!” di protesta.
“Ma guarda se devo farmi dire una cosa del genere da un bambino di dieci anni!” Sbuffa rumorosamente.
“Ma tu odiavi l’alchimia. Non volevi mai sentirci parlare dei nostri studi!” Si lamenta Al, con una mano sul punto offeso.
Winry lo guarda per un attimo. “Neanche ora mi piace l’alchimia”, ammette schiettamente. Poi si alza, e posizionandosi dietro lo schienale della sua sedia circonda Al con le braccia, stringendolo a sé. “Ma se può servire a farci stare tutti e tre insieme, solo per stavolta … va bene così.”
Al si rilassa nel suo abbraccio, e le stringe una mano, e ora è lui a rassicurare lei.
Saremo insieme, Winry. Quel giorno arriverà.”
Winry tenta di sorridere, ma non riesce a soffocare la malinconia che si sta diffondendo a macchia d’olio nel suo animo.
Sì, ma quando?
Senza accorgersene, il suo sguardo vola verso la cornetta del telefono, immobile sul tavolo accanto alla torta di mele che Winry ha preparato per Al.
Lo distoglie alla svelta, quasi scottata.

***


“Ti ricordi, Winry? C’eri sempre anche tu.”
Il treno oscilla e si inclina lievemente nella corsa, e Winry guarda fuori dal finestrino, osservando il paesaggio cambiare e i sentieri rincorrersi, il mento poggiato sulla mano.
Qualche volta le sembra che i ricordi che serba gelosamente appartengano ad una persona diversa da lei. Come se quei tre bambini che si stendevano sull’erba a rintracciare una forma nelle nuvole non fossero che un bel sogno che ha fatto una notte, e che la sua mente si è rifiutata di lasciar andare.
Eppure sono inequivocabilmente suoi, perché riesce ancora a sentire quelle sensazioni sulla pelle.
Il fiatone nel rincorrere i due bambini davanti a lei, e la fatica nel rimproverarli, coi polmoni in fiamme, del fatto che la lasciassero sempre indietro. La risata di Ed, e i suoi irriverenti Lumaca! che la offendevano finché lui non tornava indietro e la prendeva per mano, con le sue dita di carne, per correre insieme a lei. I petali delicati dei fiori che Al coglieva sempre per lei, un sorriso dolce sulle labbra. E ancora le creazioni di fango che le imbrattavano mani e capelli, e gli scoppiettii dei cerchi alchemici che i suoi amici attivavano per creare animaletti di pietra e legno. E la stanchezza nelle gambe quando, con Ed e Al, si cimentava in esplorazioni del bosco o risaliva il letto del fiume, giocando a fare gli avventurieri e sognando un futuro pieno di promesse, pieno di gioia.
Non festeggiavano mai il compleanno di Ed come si deve, lui non amava avere tutti gli occhi addosso quando non faceva niente di speciale a parte nascere–erano le sue esatte parole. Preferiva giocare, spintonare per scherzo Al, fare le linguacce a Winry. Ma rideva sempre, e anche i suoi occhi erano illuminati. Brillavano più delle stelle in cielo.
Sì, Winry c’è stata sempre, il giorno del compleanno di Ed. Anche quando la morte si è portata via i suoi genitori, e poi la mamma di Ed e Al.
Anche quando Ed e Al sono andati via da Resembool. Riusciva sempre a trovare il tempo di chiamarlo, rimproverarlo di non farsi mai vedere, perdonarlo di essere così allergico al telefono solo ascoltando il suo respiro passare attraverso la cornetta, e la sua voce finirle dentro al cuore.
Il treno fischia e Winry sbatte le palpebre, di nuovo sola, le mani strette sulla valigetta per automail che si porta sempre dietro ovunque vada, di fronte al paesaggio che man mano si allontana.
E’ straordinario che gli alberi continuino a crescere, la pioggia continui a cadere, i fiori continuino a sbocciare, nonostante Ed sia sparito da questo mondo.

***

Le suole delle sue scarpe sono appiccicose: deve aver camminato sulla pozza di bibite gassate che qualche invitato distratto ha versato sul pavimento. Non è la sola: bambini agitati e felici ci finiscono sopra continuamente, riuscendo chissà come a portare a termine il duplice compito di correre a perdifiato e restare comunque in equilibrio.
Nel salotto risate e proteste, e rumore, tanto rumore disordinato. Ne è immersa, ma è circondata da una bolla invisibile che la isola e la separa dal mondo.
Sheska si fa largo in mezzo ai bambini, imbarazzata mentre li evita per un pelo con strani movimenti, tra le mani due piattini ricolmi di cibo. Gliene porge uno, lasciandosi cadere sulla sedia accanto con un sospiro stremato. “E’ stata una vera impresa salvare qualcosa da quell’assalto! Non c’è quasi più niente degli stuzzichini della signora Glacier.”
Winry rivolge un sorriso pallido a Sheska, ma guarda il contenuto di quel piattino, e pensa che è ancora troppo pieno. Se ci fosse stato Ed, non ci sarebbe più nulla.
Non ha mangiato quasi niente, ma ha lo stomaco pieno di dolore e mancanza, e non può non guardare ogni viso, ogni sorriso, ogni espressione vitale, con la sensazione straniante di essere l’unica custode di un ricordo che nessuno conserva più.
Nessuno di loro sa che con Ed tra loro la sala sarebbe più colorata, i giochi più divertenti, la giornata più preziosa.
E’ per questo che possono essere felici. Non lo sanno.
“La torta! La torta!”
Grida entusiaste e corse eccitate accolgono l’entrata in scena della signora Glacier con una torta illuminata da candeline tra le mani, accompagnata da un’Elycia dalle guance rosse e il sorriso largo e soddisfatto di chi si diverte con tutto se stesso, il cappellino colorato che sulla testa le ballonzola da una parte e dall’altra mentre prende posto sullo sgabello. Madre e figlia si guardano complici mentre la torta viene posata sul tavolo, e la bambina si sporge verso di essa con aspettativa solenne, dietro le  fiammelle che brillano tra la glassa e il cioccolato.
La vede prendere un bel respiro e soffiare quanto più forte le riesce, e Winry pensa all’improvviso alla torta che la signora Glacier le ha fatto portare a Ed in ospedale appena un anno prima. Come mai non abbiamo pensato alle candeline?, si chiede. Sarebbe bastato andarle a comprare. Sarebbe stato un gesto carino. Ed ne sarebbe stato sicuramente imbarazzato, ma non si sarebbe tirato indietro, e le avrebbe spente per farmi piacere.
E mentre gli invitati battono le mani e acclamano la festeggiata, d’improvviso le sembra che il telefono squilli. Salta su, il cuore che batte furiosamente contro la sua cassa toracica, e in fretta si volta alla ricerca dell’apparecchio.
Ma si è sbagliata: non c’è nulla oltre al Tanti auguri a te che risuona nella sala.
Dovrebbe sentirsene rassicurata, invece si sente inquieta, turbata: il cuore non vuol saperne di calmarsi. Basta, si ripete. Basta. Mustang non la chiama più da molto tempo, a questo punto dubita che la chiamerà ancora: probabilmente si è stancato di cercare informazioni da lei, di cercare di interagire con l’orfana Rockbell. Oppure lei lo ha offeso, l’ultima volta, e lui ha deciso che come lui sceglie di condurre la propria vita non è affar suo – e non avrebbe torto.
Eppure più passa il tempo, più i suoi occhi sono calamitati dal telefono, e non importa nemmeno che non si tratti del suo: ovunque lei si trovi, continuerà a fissare quel maledetto telefono. Continuerà ad aspettarsi che suoni. Contro ogni logica, visto che lei non vuole che suoni.
Non vuole.
Che senso avrebbe volerlo?
“Winry?”
Winry si riscuote, trovandosi improvvisamente di fronte un viso paffuto e un sorriso contento.
I suoi lineamenti si addolciscono. “Ehi, Elycia”, la accoglie, permettendole di salirle in braccio e stringendola a sé. “Di’, ti diverti?”
Elycia annuisce vigorosamente. “Tantissimo!” Poi si gira indietro per guardarla negli occhi, un’espressione furbetta e solenne allo stesso tempo.
“Vuoi sapere il desiderio che ho espresso quando ho soffiato le candeline?”
“Ma non si dice!” La rimprovera per scherzo Winry, scuotendola gentilmente. “Se no il desiderio non si avvera.”
“Non fa niente. Alla mamma lo dico sempre.” Replica lei senza battere ciglio. Poi si sporge verso di lei, decidendo che la protesta non merita di essere accolta, e mettendosi una mano davanti alla bocca le rivela il suo segreto più importante.
“Voglio che Ed e Al tornino qui a giocare con me.”
Il cuore di Winry sembra fermarsi di colpo.
Elycia si allontana, la guarda, aspetta una reazione. Ma lei non riesce a dirle nulla: ha la lingua incollata al palato.
“Mamma mi ha detto che sono partiti per un viaggio”, riprende allora la bambina, “ma a me mancano tanto. Vorrei tanto giocare con loro. Li volevo alla mia festa oggi. Quando tornano?”
Non sa cosa risponderle. Come si può spiegare ad una bambina qualcosa che nemmeno gli adulti conoscono? Come può dire ad una bambina che di risposte non ce ne sono, non ce ne saranno per chissà quanto tempo? Come si può distruggere una speranza tanto candida con la cruda verità?
“Non è venuto nemmeno il signor Roy.”
Quel nome cade come piombo nelle sue viscere.
“Il … signor Roy?” Ripete, e la sua voce è instabile. “Doveva venire qui anche lui?”
“Non lo so. Però prima veniva a trovarmi, qualche volta, e mi portava dei regali. Ora non viene più”, risponde Elycia. “Mamma mi ha detto che è partito anche lui. Che ci sta proteggendo tutti da lontano. Ma io non voglio che mi protegga! C’è già papà che ci protegge. Dal cielo può vedere tutto, molto di più del signor Roy.”
Solleva il dito verso l’alto, fissandola con straziante sicurezza.
“Io voglio che stiano tutti qui con me.” Conclude poi, abbassando la testa e la mano.
Winry non sa cosa dire. Muta, accarezza i capelli della bambina, e la stringe un po’ più forte a sé.
Il suo sguardo vola verso il piccolo altarino dedicato al signor Hughes, alla foto incorniciata dove un paio di occhi neri seri e imperscrutabili la fissano, accanto a quelli del suo migliore amico, sorridenti e calorosi.
Pensa al tono infelice di Elycia nell’annoverare Mustang tra gli amici, tra le presenze importanti per lei al suo compleanno. Proprio lui, che sembra sempre così controllato, così freddo. Proprio lui, che nonostante tutto è fallace, e sbaglia, e prova sentimenti umani, troppo umani.
Probabilmente è stato invitato, e non si è presentato. Winry non crede che sia stato a causa di un’impossibilità di prendersi un paio di giorni di congedo.
Chi ha un vuoto dentro non sa festeggiare.
E, improvvisamente, Winry raggiunge il limite.

***

“ … Winry?”
Mustang non ha mai mostrato tanta genuina sorpresa, mai lei lo ha sentito così strabiliato, così autentico. Ma suppone di non doversene stupire: d’altronde lui non le ha mai fornito un recapito dove poterlo rintracciare, e crede che in pochi lo conoscano. Non può sapere che lei ha parlato con la signora Glacier, che glielo ha chiesto come favore personale – niente domande. Non può sapere che la signora Glacier l’ha guardata con stupore e, forse, una punta di tristezza nel vedere in lei tutto quel turbamento incontenibile e inspiegabile a parole, ma che l’ha accontentata senza dire nulla.
Non può sapere nemmeno con quale intento lei abbia deciso di chiamarlo, proprio lei, che per lungo tempo avrebbe voluto non avere nulla a che fare con quell’uomo.
Ma non avrà il tempo per farle domande. Questa volta non è lui a dirigere.
“Io l’ho odiata”, singhiozza Winry, e stringe quanto più forte può l’automail che ha portato con sé, quello che ha fatto per Ed, come se fosse l’unico appiglio in un mare in tempesta. Avere il gelo dell’acciaio contro la pelle la aiuta a continuare a respirare mentre le lacrime le solcano le guance. “L’ho odiata per tanto tempo, con un’intensità spaventosa. Lei deve … deve permettermi di dirlo.”
Mustang per un momento incassa il colpo.
“E’ tuo diritto odiarmi”, replica alla fine. “Lo capisco.”
“No, non capisce. Io …” Winry deglutisce, cercando di recuperare sufficiente controllo di sé per riuscire a parlare. I singhiozzi non fanno che scuoterla. “L’ho odiata molto prima di scoprire che era stato lei a uccidere i miei genitori a Ishbar. E nemmeno … nemmeno me ne sono accorta subito.”
Il silenzio interdetto dall’altro capo del telefono è significativo. Può quasi sentire i suoi ingranaggi lavorare nel tentativo di capire a cosa mai si stia riferendo, anche se il crepitio fastidioso che non fa che accompagnare le loro telefonate da quando Mustang si è trasferito al Nord sembra soffocare tutto il resto. Ma Winry non può esitare, non può lasciarlo fare. Ogni secondo che passa le toglie la determinazione a proseguire.
“Io lo so, lo so che … che è ingiusto. Che non dovrei, che lei non … non poteva prevedere tutto questo. Continuo a dirmi di lasciar perdere, di essere gentile e rispettosa, di non pensarci, ma … ci sono pensieri che non vanno via. Solo stavolta, mi permetta …” Tira su col naso. “Mi permetta di essere infantile. Per favore.”
Lo sa di essere egoista. Può immaginare cosa significhi per quell’uomo sentirla piangere, doversi addossare a forza il suo dolore e ascoltarlo fino alla fine. Sa che lui non chiuderà mai la chiamata, che forse si sentirà in debito con lei e si obbligherà a quello stupido Scambio Equivalente che gli alchimisti sembrano amare tanto e chiamano in causa ogni volta che la situazione sembra loro adeguata, cosicché stringerà i denti e sopporterà come un martire.
Ma fino all’ultimo resta col fiato sospeso ad aspettare da lui il permesso di continuare, come se da esso dipendesse la sua assoluta pace mentale.
“Forza”, Mustang la invita infine. “Fai del tuo peggio.”
E per un momento lei è stroncata dalla libertà che lui le sta concedendo, come se fosse una cosa troppo grande, troppo bella per poter essere elaborata facilmente. Può dirgli qualunque cosa: può sfogarsi quanto vuole, e nessuno la riprenderà. Non deve più trattenersi.
Gli è grata, profondamente.
E’ proprio per questa gratitudine, paradossalmente, che riesce a tirar fuori tutto il veleno che ha chiuso a chiave nel suo animo da una vita.
 “E’ stato lei a dire a Ed dei militari. Lei è venuto a casa nostra, quando Ed era ferito e sul punto di morire dissanguato, e Al era senza il suo corpo e intrappolato in un’armatura cigolante, e ci ha mostrato un orologio d’argento per arrogarsi il diritto di mostrare a quei due una via pericolosa da percorrere. E’ stato lei a … a spingerli ad arruolarsi, a costringere Ed ad affrettare i tempi di guarigione. A portarli via dalla loro famiglia, e dalla loro fanciullezza.”
Mustang non dice nulla. Winry riprende, la voce più alta, il peso nel petto che preme per poter venire fuori tutto insieme, per poter essere espulso da lei come un corpo estraneo tossico.
“E poi Al non ha potuto arruolarsi, e allora lei ha disposto solo della vita di Ed. E lo ha mandato a fare il matto in giro per il mondo, non importa quanti rischi questo comportasse. Lo ha spronato a cercare quella maledetta Pietra Filosofale, e poi c’è stato Scar, e quel laboratorio numero 5, e poi gli homunculus … e poi è sparito, così mi dico, se solo fosse rimasto a Resembool …!”
Eccolo lì. Eccolo, il nodo di dolore più stretto. Singhiozza di nuovo, più forte, più disperata.
“Se solo lei non gli avesse detto dei militari … si sarebbe abituato agli automail, avrebbe potuto … gli avrei fatto degli automail perfetti, non avrebbe più sentito dolore e fastidio. Avrebbe vissuto una vita normale, e oggi starei festeggiando il suo compleanno, e sarebbe qui, e potrei abbracciarlo. Ma lei è venuto a Resembool, e così è cambiato tutto.” Stringe più forte l’automail che dovrebbe appartenere a Ed, ormai caldo per via del tempo che è stato a contatto con la sua pelle. “E’ per questo che l’ho odiata!”
Cosa ha fatto di tutto quel tempo in cui ha avuto Ed accanto? Perché non ha fatto con lui tutto quello che sognava di fare nei lunghi mesi di assenza? Doveva far tesoro di ogni istante, e ora che non può, muore di nostalgia, di rimpianto.
Vorrebbe avergli confessato quello che provava per lui. Vorrebbe avergli detto tutto.
“Lei me lo ha portato via”, sussurra, spezzata. “E’ questo il punto. Lei mi ha portato via Ed.”
E non c’è più nulla da aggiungere.
Persino Mustang tace, a lungo. Winry si chiede come si possa digerire un’accusa così dura, come si possa accettare la rabbia impotente di una ragazzina come se fosse cosa dovuta.
Ma quando Mustang le risponde: “Sì, non posso darti torto”, lei non ci vede più.
“Ma perché non si arrabbia?” Scatta. “Perché non reagisce? Ha forse intenzione di trattarmi per sempre con accondiscendenza, o-”
“Non sono in grado di essere accondiscendente”, la interrompe fermamente l’uomo. E’ la prima volta che la zittisce, così Winry chiude la bocca. “Né avrei motivo di esserlo con te. Non sei nell’esercito, io non cerco più di arrivare in alto … e non voglio mentirti, Winry, in nessun modo. Ti ho sottratto già tanto, tanto che non potrò mai restituirti. Ma almeno la sincerità, da parte mia, l’avrai sempre. Riesci a credermi su questo?”
Winry non risponde. Ripete e ripete quella domanda nella sua testa, cercando un indicatore di malafede, cercando l’ambiguità.
Ma c’è una nota di fervore, sebbene appena percepibile, in quella dichiarazione, e non può negarla. Così, per la prima volta, gli crede. E non glielo dice.
“Hai ragione nel dire che è stata colpa mia. Io ho fatto sì che un dodicenne si arruolasse nell’esercito, io l’ho messo in situazioni pericolose, e mentre avrei dovuto proteggerlo, come un buon superiore dovrebbe fare, non sempre ho potuto farlo.” Riprende Mustang, e non sembra turbato nell’enumerare le sue colpe: è come se fosse un discorso che ha tenuto più volte con se stesso, in quella misteriosa scatola nera che è la sua mente. “Certo, se io non fossi venuto a Resembool non ci sarebbe stato alcun Alchimista d’Acciaio. Lo riconosco, e credimi, hai ogni motivo di accusarmi di questo.
“Ma ti sbagli su Edward.”
Winry trattiene il fiato, l’automail che lentamente scivola via dalla sua presa e cade sul materasso sul quale è seduta. Un nodo in gola le rende impossibile respirare.
Ha pronunciato quel nome. Senza esitare, senza tremare.
Come se avesse sempre saputo farlo – non come lei, che a lungo ha scordato che suono avesse quel nome sulle sue labbra-, ma avesse sempre scelto di non farlo. Come si fa con i tesori più intimi, più segreti, più importanti: quei segreti che, solo a parlarne, ti spaccano il cuore a metà, lasciandoti nudo e vulnerabile di fronte agli occhi freddi e curiosi degli altri, armati di bisturi e lenti di ingrandimento.
Sono solo due sillabe: Ed-ward. Cosa, in quelle due sillabe pronunciate, può averla indotta a capire, infine? Quale tono di voce corrisponde in modo esatto all’espressione di un tale sentimento? Come ha potuto lui usarlo, come ha potuto lei riconoscerlo?
Si porta una mano sulla bocca, trema.
Come ha potuto lei non capire finora?
“Lui non sarebbe rimasto a Resembool neanche se io non ci avessi mai messo piede.” La voce di Mustang si è fatta dolce, e mai a lei è parsa così amara. “Avrebbe trovato un modo, forse più contorto, forse più eticamente pulito e che non lo avrebbe costretto a confrontarsi con la morte e con i morti, per riprendersi quello che lui e Alphonse avevano perduto, ma lo avrebbe trovato. Tu parli di me come se io avessi mai avuto potere su di lui, ma la verità è che Edward è sempre stato l’essere più libero di questo mondo: non apparteneva a nessuno. Non a me, non a te. Penso che a un certo punto abbia smesso persino di appartenere a se stesso.”
Winry piange, senza un rumore, invasa da una compassione dilaniante. Per se stessa, per Mustang, per il loro destino comune.
“Mi manca”, rivela a bassa voce. “Mi manca in modo insopportabile. Questo non crea forse un legame tra me e lui? Questo non lo rende forse un po’ mio?”
“Sì”, risponde Mustang, “e in questo sta l’egoismo dell’amore. Imponi all’altro un legame che l’altro non desidera, o non può instaurare con te. Legami del genere creano solo dolore e struggimento senza fine. Questo lo sai.”
“Non importa. Finché il legame esisterà, non potrò fare altro che aspettarlo.”
“Anche se non potrai mai averlo?”
“Anche se non potrò mai averlo.” Winry sfiora con le dita l’automail che ha accanto, imprimendosi nella memoria la sensazione di ogni vite e bullone incastrati in quella perfezione di metallo. Sorride, e la pelle intorno alle sue labbra si tira quasi dolorosamente, come se il suo viso non fosse più abituato ad un’espressione del genere. “Lui non può decidere anche questo, no? Io posso aspettarlo quanto mi pare. Posso volergli bene quanto mi pare. Ed non può farci nulla.”
“No.” Può giurare di sentire Mustang sorridere, e quasi può immaginare quel sorriso. Sarà affiorato lentamente sulle sue labbra sottili, e avrà reso quel viso così imperscrutabile, così freddo, improvvisamente umano, accessibile. Gentile. “Se noi non abbiamo potere su di lui, lui non ne ha su di noi. E così siamo pari.”
Tacciono, un po’ impacciati. Si sono svelati troppo, e non sanno che fare di questa confidenza.
“Cosa fare nel mentre?” Chiede Winry a un tratto. “Come si aspetta qualcuno che ti manca?”
Mustang non esita. “Ti prepari.”
“A cosa?”
“Al momento in cui lo rivedrai.”
Winry ride, incredula. Una risata dopo il pianto ha un suono stranissimo. “Non riuscirò mai a prepararmi a sufficienza.”
“E’ una cosa che va a tuo vantaggio, dal momento che hai tempo a volontà a disposizione.”
Già, tempo a volontà.
Tempo da passare immaginando l’esatto momento in cui i suoi occhi scorgeranno quelli dorati di Ed, le sue braccia sentiranno il calore del suo corpo quando lo stringerà quanto più forte potrà, le sue narici si riempiranno del suo profumo, le sue orecchie della sua voce quando lui pronuncerà il suo nome.
Potrà prepararsi quante volte vorrà, Winry è sicura che quando arriverà il momento non sarà mai pronta per l'emozione travolgente che la coglierà come un maremoto. Ma forse quel pensiero servirà come un faro nella notte, come una bussola in mezzo ad una tormenta.
Non sa trattenersi: non esistono più barriere tra loro. “Con lei funziona?” Domanda a bruciapelo.
E questo colpo a tradimento sembra andare a segno.
Lo coglie impreparato, come un bambino scoperto a rubare il portafogli dalla giacca di suo padre. La nozione stessa di un Roy Mustang interdetto le è così aliena che in un mondo razionale sarebbe semplicemente impensabile. Ma non esiste più un mondo razionale.
C’è solo la sua breve risata in risposta, a stento udibile, un po’ schiva.
“Sei una ragazza sveglia”, commenta.
E forse spera di cavarsela così, ma Winry non demorde. Aspetta.
Così Mustang sospira, e si rassegna a scoprire le sue ultime carte.
“Sono ancora vivo”, risponde. “Non è così?”
E deliberatamente ripete quelle parole.
E’ come se fossero tornati a mesi prima, quando quella stessa frase era stata rivolta a lei. Ma ora che il soggetto è cambiato, le cose sono totalmente diverse.
La vita stessa può essere una battaglia, riflette Winry. E questo significa che nessuno dei due si è arreso. Non sul serio.
Sorride.
“Sì. Siamo ancora vivi.”
L’automail giace abbandonato sul letto, testimone silenzioso di una promessa senza voce.

***


“Non ci crederesti mai se sapessi una cosa del genere, ne sono sicura. A stento ci credo io.”
La serata è splendida, c’è appena un vento fresco che le scompiglia i capelli, e che la costringe a stringersi più fermamente nella sua giacca nera. Non c’è quasi nessuno in giro, ma non c’è da stupirsene: a quest’ora Central City dorme.
Winry guarda in alto, e cerca le stelle. Ma non è in campagna, e le luci artificiali le nascondono. Ne sente la mancanza, intensamente, in un modo che i cittadini della capitale non potranno mai comprendere: molti di loro non sono mai stati a Resembool.
Ma, dopotutto, va bene sentire la mancanza delle cose piccole, delle cose belle. Dà loro il giusto valore, rende più prezioso il momento in cui le si ritrova.
“Penso che mi guarderesti con tanto d’occhi, e diresti che sono impazzita a voler parlare con Mustang. Ma le cose sfuggono spesso al nostro controllo.” Rivela al vento, un sorriso sulle labbra, e sa che non c’è nessun interlocutore a ricevere quelle parole. “Ne ho sentito il bisogno. Credo che tutti sentano il bisogno di non sentirsi soli, certe volte. E parlare con lui mi ha aiutato, davvero. Visto che tu hai deciso di andartene di punto in bianco senza fornirmi uno straccio di modo di risollevarmi, beh, ci penserò da sola. Anche con mezzi strambi come questi. Anche parlando col tuo ex superiore, già.”
Tace, ascoltando il silenzio. Torna ad appoggiare la schiena contro il muro di casa Hughes, seduta sull’erba del giardino con le ginocchia strette, e posando il capo su di esse.
“Quante cose non sai delle persone che hai lasciato indietro, Ed.” Sussurra.
L’ha sempre divertita questo lato di Ed, anche se a volte avrebbe voluto prenderlo a sberle per lo stesso motivo: a quanto pare, essere un genio nelle scienze e una mente brillante tanto nel creare tanto nel risolvere problemi non ti impedisce di cadere dalle nuvole ogni volta che qualcuno si interessa a te, o ti vuole bene. Sembra paradossale, sembra idiota. Ma anche questo glielo rende caro.
Se Ed avesse sentito la conversazione telefonica di quel pomeriggio, gli sarebbe venuto un colpo, e sarebbe arrossito come un peperone, e avrebbe detto loro che stavano cercando di prenderlo in giro. Forse non avrebbe creduto ad una sola parola, sicuramente avrebbe inveito contro Mustang. Ma neanche per un momento avrebbe immaginato di poter meritare affetto, di averne invece a volontà dai suoi cari rimasti indietro.
“Non è proprio una scelta, quella di aspettarti”, continua ancora. “Così come non lo è stata quella di credere che tu sia ancora vivo, o di voler sperare che tu un giorno possa tornare da noi – da me. Suppongo che sia una cosa inevitabile. Perché ti voglio bene, stupido. Troppo. E perciò … Vedi di sbrigarti a farti vivo, se no te la farò pagare. Non vuoi vedermi arrabbiata, vero?”
Sorride tra sé.
“Sono qui, e ti aspetto. Ti aspettiamo tutti. Dovesse volerci una vita intera.”
E mentre da qualche parte risuona il rumore di ruote di macchine sull’asfalto, e il crepitio della luce di un lampione sul punto di fulminarsi, Winry chiude gli occhi, e tira un gran sospiro, solenne.
“Auguri, auguri, auguri.”
Il vento soffia, e lei apre gli occhi. La visuale della città dal giardino di casa Hughes non è cambiata.
Nessuno le risponde. E’ diverso tempo che lei ha smesso di sentire la voce di Ed ovunque, anche quando non ha senso sentirla.
Ma va bene così.
Il vero Ed vale tanto di più di una voce fantasma. Perché il vero Ed è imprevedibile, a volte irritante, molto più adorabile di quanto lei possa immaginare.
E se lei dovrà aspettare per averlo, bene, è disposta a farlo.
Perché quel giorno arriverà.
E’ una promessa.








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Capitolo 4
*** Cooperate ***


IV - Cooperate







Il telefono suona che non sono ancora le quattro del pomeriggio.
C’è qualcosa di curioso in quel suono. Non è lo squillo brioso ed eccitato che preannuncia belle notizie, non è quello trillante e fastidioso di un’emergenza in corso. Non è invadente come un ordine imposto dall’alto con gelida voce impersonale, non è doloroso ed esitante come una chiamata di un vecchio amico che soffre per la bandiera bianca che ha visto sventolare sul tetto della tua abitazione. 
E’ insistente, pretenzioso come solo una richiesta di contatto senza confini ed etichette sa essere.
E’ uno squillo che può essere ignorato, che si può fingere di non aver sentito, con ogni scusa razionale a disposizione. Il vento troppo forte, un turno un po’ più lungo che ti impedisce di rincasare per vedere la cornetta agitarsi sul ricevitore, una mezz’ora in più di riposo sulla branda per non pensare, per permanere nell’oblio solo un po’ più a lungo.
Lo sa lei, che ascolta il segnale acustico che annuncia un tentativo di connessione in corso col cuore in gola e la timidezza sulle guance.
Lo sa lui, accanto al focolare con la divisa fradicia per via della neve, che ascolta ogni squillo come si ascolta qualcuno parlare una lingua sconosciuta, ma familiare.
Una chiamata che ti lascia esausto, è sempre meglio evitarla.
Ma la cornetta viene sollevata, la chiamata avviata, e il mondo va sottosopra ancora una volta.


“Al ha fatto una trasmutazione senza cerchio alchemico.”
Una pausa. “Glielo hai visto fare?”
“No, è stata la signora Izumi ad avvertirmi.” Winry attorciglia il filo del telefono intorno al suo dito indice. “Dice che lo ha fatto senza pensarci, che non sa spiegare perché ne sia in grado, e soprattutto che non riesce a rifarlo perché non ricorda come abbia fatto la prima volta: ne è rimasto abbastanza scosso*. Semplicemente ha battuto i palmi l’uno contro l’altro, e … oh, non so come funzioni l’alchimia esattamente. Ha attivato la trasmutazione senza tracciare nessun disegno, lo sto dicendo bene? Come faceva Ed, insomma.”
“Può darsi che sia una conseguenza dell’addestramento con la loro insegnante?” Riflette Mustang. “La signora Izumi era in grado di fare lo stesso, se non ricordo male.”
“Sì, ma mi ha detto che lei non lo ha mai insegnato né a Ed né a Al. Lei stessa non saprebbe come spiegarlo, sa solo trasmutare in questo modo.”
Che scienza assurda, si ritrova a pensare, frustrata. Com’è possibile che più cose capisci, e meno le sai spiegare? I più capaci dovrebbero avere modo di sistematizzare le loro conoscenze, non lasciare tutti a brancolare nell’oblio.
“Ora che ci penso … neanche lei utilizza gessetti e cerchi alchemici per le sue fiamme. Lei come fa, signor Mustang?” Inciampa un po’ sul suo nome: è sempre a disagio quando deve chiedergli qualcosa, crede che continuerà ad esserlo sempre.
“Ah, temo di essere un baro. Non hai mai notato i cerchi alchemici sulla stoffa dei miei guanti?” Nella voce di Mustang c’è un sorriso, ora – è strano che lei sia tanto in grado di identificarlo. “Sono sempre stato affascinato dal modo Elric di fare alchimia, ma come puoi immaginare, non sono mai riuscito a escogitare un metodo per racimolare energia sufficiente per lo scambio senza tracciare un solo simbolo.”
“E … non ha mai provato a domandare a Ed come facesse?”
“Gli alchimisti non rivelano quasi mai il segreto delle loro tecniche, ma anche se fosse, sono praticamente certo che anche lui lo facesse senza sapere come. E comunque”, aggiunge, “la sua risposta a qualunque domanda sull’argomento suonava più o meno come E’ perché sono un genio, chiaro.”
Winry ride, per il puro gusto di farlo: per troppo tempo il nome di Ed è stato pronunciato solo per rattristarsene. “Quello stupido.”
“Alphonse ha ricordato qualcosa?”
La domanda improvvisa zittisce Winry, e la costringe a tornare seria.
“Niente di niente.” Risponde con un sospiro. “Anche se ci speravamo tutti. Ci sperava anche Al.”
Il solo pensiero è sufficiente a farla star male. Lo sa qual è il modo di Al di reagire a delusioni e sofferenze: sorridere, rimboccarsi le maniche e lavorare ancora più duramente. Tagliando fuori tutti gli altri, come solo gli Elric sanno fare.
“Però forse, prima o poi, ricorderà anche altro”, tenta Winry coraggiosamente. “Così come ha ricordato come fare per trasmutare senza cerchio alchemico. Mesi fa non aveva nessuna nozione del genere, no?”
“Sì, può essere.” Mustang non sembra convinto, ma non scarta nemmeno la possibilità. “Così come può essere che si tratti di due cose che non hanno alcuna attinenza tra loro. Tieni presente che ora come ora qualunque ipotesi è azzardata.”
“Lo so. Non l’ho dimenticato.”
Ma non cambia nulla saperlo: Winry ha deciso di sperare, e non può farci nulla. Tanto, se non ci sono prove a sostegno, non ci sono neanche prove contro. E lei si è riscoperta molto più brava a nutrirsi di speranze, piuttosto che a restare coi piedi per terra per paura di restare delusa.
Chissà se il suo interlocutore, invece, è pragmatico come vuol far credere.
“Non eri tenuta a dirmelo.”
Winry si riscuote. “Eh?”
“Parlo di Alphonse.” Spiega Mustang. Il suo tono è insolitamente basso, e cauto. “Non eri tenuta a chiamare per aggiornarmi.”
Non aggiunge altro: attraverso la trasmissione disturbata non passa che un silenzio confuso.
Winry può immaginarne il motivo.
Non ha senso che lei lo chiami, oggi. Che motivo potrebbe avere? E’ stato Mustang a chiamarla le prime due volte, e senza nemmeno chiederle il permesso di prendere i suoi recapiti telefonici. Certo, poi c’è stato il giorno del compleanno di Ed, in cui lei ha cercato lui … ma in tutta onestà, non lo ha forse incolpato ingiustamente per tutta la durata della telefonata, per poi piangere come una bambina?
Tutto sembra affermare a gran voce quanto ogni singola conversazione con Mustang sia stata un supplizio, un supplizio che non avrebbe dovuto avere un seguito. E invece eccoli lì, a parlare, di nuovo dopo mesi.
Magari Mustang pensa che lei sia impazzita.
Winry aspettava quel Perché? non pronunciato a parole da quando ha preso la decisione di sollevare la cornetta e comporre quel numero. La aspettava, e crede di avere una risposta pronta da dargli, per quanto non sia una risposta vera, ma solo una plausibile. E le risposte plausibili sono strane: assumono concretezza solo se le comunichi a qualcuno. Quando sei da solo e ci rifletti su è come cercare di descrivere un profumo mai percepito.
“E invece sì”, risponde lentamente. “Perché è giusto.”
“Giusto?” Ripete Mustang, e l’ironia si insinua nelle sue parole. “Un Generale degradato non può aspettarsi -”
“E’ anche,” lo interrompe Winry, “quello che voglio.”
Mustang non trova replica per una risposta così inaspettata.
Traendo un respiro profondo, lei continua. “Non crede anche lei che sia sciocco ignorarsi e non collaborare in questa situazione? Io e lei stiamo combattendo la stessa battaglia”. Il cuore, senza preavviso, accelera bruscamente per la tensione e l’imbarazzo. Stringe i denti, perché non si è preparata quel discorso per nulla, e riprende a parlare. “Io e lei siamo diversi, forse diversissimi. Ma se c’è una cosa che conosco bene, è la sofferenza di chi viene lasciato indietro. Certe volte avrei dato chissà cosa per avere notizie, e pregavo chiunque, davvero, chiunque di dirmi anche solo quanto erano diventati lunghi i capelli di Ed. E’ per questo che … ho pensato, chi sono io per negare quello che io avevo tanto desiderato a qualcuno che ora soffre come me? Dopotutto c’è qualcosa che ci accomuna, che lo vogliamo o no.”
Non fa il nome di Ed, ma è a lui che pensa, con la stessa facilità con la quale si respira. Winry è sicura che lo stesso nome sia balenato nella mente di Mustang, anche senza bisogno di domandarglielo, anche senza desiderare di metterlo con le spalle al muro come l’ultima volta.
Non c’è più bisogno di dirsi certe cose.
 “Io credo di essere arrivata a capirla, alla fine.” Conclude dolcemente. “Contro la mia volontà, forse. Dopo aver cercato di odiarla, mille volte, e aver fallito, ogni volta. Ma sono arrivata a capirla, e … ne sono felice.”
Lo è davvero.
Inspira profondamente, chiude gli occhi, espira.
Una serie di volti le passano davanti. I suoi genitori, l’espressione mesta ma sorridente di chi ha vissuto una vita piena e ha deciso di morire per ciò in cui crede; la nonna, una pipa tra le labbra e gli occhi comprensivi di chi ha tanto sofferto, e tanto perdonato; Ed e Al, i loro sguardi sconcertati e affranti quando scorgono le lacrime sul suo viso, e i loro goffi tentativi di consolarla; Mustang, la smorfia di dolore sul suo viso mentre senza dirglielo a parole le chiede perdono per aver eseguito un ordine. Li lascia andare, uno per uno, e si sente, finalmente, libera.
E ora che i suoi polmoni sono svuotati, c’è tanto altro che lei è in grado di accogliere al loro posto.
La vita. La speranza. L’accettazione del dolore.
Persino Roy Mustang.
Forse lei non potrà mai smettere di pensare ai suoi genitori, quando parla con Mustang. Forse lui non potrà mai smettere di sentirsi un assassino, quando parla con Winry.
Ma forse, dopotutto, riusciranno comunque ad essere qualcosa, l’uno per l’altra.
“Grazie, Winry.”
E’ la prima volta che Mustang la ringrazia direttamente, e Winry non può fare a meno di sorridere.
 “Deve fare lo stesso anche lei, però”, ribatte. “Qualunque notizia le arrivi, qualunque cosa possa portarci più vicini a trovare Ed, la prego di riferirmela.”
“Sono un alchimista”, risponde Mustang, e sì, è certa che anche lui stia sorridendo. “Lo Scambio Equivalente è la mia specialità.”
E lei gli crede.
Potrebbero dirsi tanto altro, potrebbero parlare di mille altre cose.
Se fossero amici, lei ora si informerebbe sul suo stato di salute, sul suo lavoro al Nord, su quanta neve cade quel giorno davanti a casa sua; e lui le domanderebbe del suo apprendistato a Rush Valley, quanti automail riesce a costruire in un giorno, quanti clienti escono dall’officina soddisfatti.
Se fossero estranei, si scambierebbero qualche frase di circostanza, e rigidamente si augurerebbero ogni bene.
Se fossero intimi, condividerebbero qualche ricordo di Ed, giusto perché possono, giusto perché ognuno di loro possiede un tassello di Ed che l’altro non conosce, che l’altro vorrebbe conoscere.
Ma non sono amici, né estranei, né intimi, e non dicono nulla di tutto questo.
Condividono un silenzio strano, pieno di tutto e inesprimibile a parole, e questo basta.
Si salutano, un po’ a disagio, e riattaccano il telefono.
E sono soli, insieme, ancora una volta.
Gli occhi rivolti verso la finestra, tornano ad aspettare un sogno.











(*) In Shamballa Al ha dei guanti su cui sono disegnati cerchi alchemici, sui palmi. Però la questione non riesce a convincermi del tutto... come mai ha imparato a trasmutare così? In precedenza, anni di addestramento con Izumi non hanno mai spinto né Ed né Al a cercare di trasmutare senza cerchi alchemici, per cui la cosa mi fa pensare... o si tratta di una reminescenza del fratello, o di una del Portale - in questo caso, sebbene non riesca a rievocarlo alla perfezione, la sensazione di essere potenzialmente in grado di farlo può averlo spinto a optare per guanti e il classico 'batti-le-mani-e-trasmuta'. Ho optato per questa via di mezzo, e in ogni caso, siccome non possiamo saperlo, si tratta di un mio headcanon e basta.


Il viaggio è concluso, i nodi sono venuti al pettine, e io vi ringrazio di cuore per essere arrivati fin qui. Mettere la parola fine a qualcosa è sempre intenso, anche se si tratta solo di una breve storia da quattro capitoli.

Padme Undomiel





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