Luna d'argento: Cammino di luce

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alba silenziosa ***
Capitolo 2: *** Le ali dell'amicizia ***
Capitolo 3: *** La caverna ***
Capitolo 4: *** Simili ***
Capitolo 5: *** Occhi profondi ***
Capitolo 6: *** Vivere e lasciar vivere ***
Capitolo 7: *** Rischi da correre ***
Capitolo 8: *** I consigli del buio ***
Capitolo 9: *** Volontà di proseguire ***
Capitolo 10: *** Fiducia umana e segni di vita ***
Capitolo 11: *** Fiera Notturna ***
Capitolo 12: *** A caccia di prove ***
Capitolo 13: *** Il richiamo della foresta ***
Capitolo 14: *** Tracce di verità ***
Capitolo 15: *** Trionfo d'amore ***
Capitolo 16: *** Muta letizia ***
Capitolo 17: *** Collera di lupo ***
Capitolo 18: *** Graffiti nella roccia ***
Capitolo 19: *** Vendetta ***
Capitolo 20: *** Reduci di un conflitto ***



Capitolo 1
*** Alba silenziosa ***


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Luna d’argento: Cammino di luce

Capitolo I

Alba silenziosa

Il tempo scorre senza alcuna sosta, e con lo stesso, i miei giorni scompaiono. Un intero anno è ormai volto al termine, e i miei cuccioli non possono più definirsi tali. Difatti sono ormai adulti, e non fanno altro che rendermi orgogliosa. Normalmente, non farei favoritismi, ma stando a quanto è recentemente accaduto, mi sento decisamente in dovere di farlo. Amo i miei figli in maniera equa, ma Cora è davvero speciale. Il suo pelo grigio è incredibilmente simile al mio, e i suoi occhi di un azzurro incredibilmente intenso mi portano a credere che qualcosa in lei cambierà presto. Parlandomi, dice di ricordare ancora perfettamente l’attacco di Scar, rimembrando anche il modo in cui io, eroicamente, ho difeso l’intero branco. “Non ho avuto paura.” Ammette, gonfiando il petto e sollevando le spalle. “Ti credo.” Rispondo, posando la mia zampa sulla sua e guardandola con fare amorevole. “Dove sono King e gli altri?” chiedo poi, rivolgendomi sia a lei che al padre. In completo e perfetto silenzio, Scott si volta, e posando il suo sguardo su un mucchio di foglie da noi distante, nota la presenza di entrambi i nostri figli, nascosti per gioco in mezzo all’ormai secco fogliame. Gemelli completamente diversi, possiedono caratteri altrettanto differenti. Murdoch è sempre stato un lupo molto calmo, somigliando in questo campo alla giovane sorella, ma King non manca mai di dimostrarsi irrequieto e incline all’ira. I giorni si susseguono, e mentre gli stessi svaniscono dalla mia giovane e fragile vita, mi convinco che abbia ereditato tale caratteristica dallo zio Chronos. Ricordo ancora il giorno della loro nascita, e il periodo in cui non voleva assolutamente vederli, ma a quanto sembrava, tutto era cambiato. Difatti, e con mia grande sorpresa, si era perfino offerto di insegnare ai miei figli l’arte della lotta, che alla pari con quella della sopravvivenza, non deve mai assolutamente mancare nelle abilità di qualunque lupo che si rispetti. Ad ogni modo, e per pura fortuna, Scott ed io possiamo finalmente dirci felici e tranquilli. Sappiamo bene che il pericolo è sempre dietro l’angolo, ma respirando a pieni polmoni, parliamo spesso con noi stessi, accettando la nuova realtà a noi dinanzi. Ben presto molte cose cambieranno, e quella che viviamo in questo preciso istante, non è che un alba silenziosa.

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Capitolo 2
*** Le ali dell'amicizia ***


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Capitolo II

Le ali dell’amicizia

L’inverno era ormai arrivato, soppiantando l’autunno e dando spazio alla bianca e candida neve, che cadendo, andava a posarsi sul terreno. In breve, il verde veniva sostituito dal bianco. Attorno a me non c’era che il perfetto e religioso silenzio della natura, e camminando, lasciavo le mie impronte in quella chiara coltre. Ad ogni modo, non era da sola. I miei figli Murdoch e Cora mi seguono tacitamente, e attendendo nuovi ordini da parte mia, tacciono come addormentati. I minuti scorrono, e il fruscio di alcuni rami risveglia i nostri sensi. Di fronte a noi una piccola volpe, che guardandoci con i suoi occhi color nocciola, prega perché la sua vita venga risparmiata. Ringhiando leggermente, Cora cerca di allontanarla, ma irrigidendomi, le impongo di smetterla. Obbedendo a quella sorta di ordine, mia figlia tace nuovamente, e riprendendo il suo cammino, continua a seguirmi. “Cosa credevi di fare?” le chiedo, spostando il mio sguardo su di lei e parlando in tono serio, quasi volendo redarguirla. Per mia sfortuna, quell’interrogativo non trova una risposta, e attendendo in silenzio, non accenno a fermarmi. “Non devi mai ferire un debole.” Le dissi, disturbando la quiete della foresta e fornendole un consiglio che sperai riuscisse a ricordare. Seppur lentamente, lasciai poi che il mio sguardo si posasse sul terreno, e abbassando il capo, fiutai un odore. Alcune tracce lasciate nella neve fresca, orme che ricordavo di aver già visto. “Venite.” Dissi, invitando i miei figli ad unirsi a me nel viaggio che ci avrebbe condotto in un luogo da me conosciuto. Correndo, visualizzai mentalmente la mia meta, e non appena la raggiunsi, arrestai la mia corsa. Fatti pochi passi in avanti, ululai, e in risposta udii il bubolare di un gufo. Owen. Notandomi, volò fino a entrare nel mio campo visivo, e subito dopo, scese in picchiata, raggiungendo il suolo e iniziando a zampettare nella neve. “Chi sono? Amici?” chiese, guardando i miei figli con aria spaesata e confusa. Sorridendo leggermente, presi un respiro profondo, e parlando, dissi tutta la verità. “Avevi ragione, e loro sono i miei figli.” Ammisi, incontrando il suo sguardo e le sue auree iridi per un singolo e sporadico attimo. “Ora si spiega tutto.” Continuò lui, esprimendosi in maniera alquanto enigmatica. Mantenendo il silenzio, lo guardai senza capire. “Nei mesi autunnali il tuo ululato ho sentito, e grazie alla gioia il tuo dolore è svanito.” Aggiunse, adoperando rime che avevo imparato a conoscere e amare. Ad ogni modo, tale stratagemma di comunicazione divertì mia figlia, e spostando il mio sguardo e la mia attenzione su di lei, non potei fare a meno di ridere a mia volta. Silenzioso come era solito essere, Owen non faceva che fissarci, e scuotendo leggermente il capo, notai la presenza di un particolare nella neve. Oggetti piccoli e vagamente somiglianti a sassi, rilucevano a contatto con il timido e tiepido sole, e sembravano essere appena stati fatti a pezzi. Chinando il capo, mio figlio Murdoch si fermò per annusarli, e ritraendosi, mi invitò a fare lo stesso. Sfortuna volle che quell’odore non riportasse alla mia mente nessun ricordo, e stanca di provare a risolvere tale mistero, guardai di nuovo il mio alato amico. “Come sta India?” gli chiesi, per poi tacere nell’attesa di una sua risposta. “Mi avete scoperto.” Rispose, tentando forse con quelle parole di depistarci. “Quelle sono, o meglio erano, le sue uova.” Continuò, rivelando con quella semplice e triste frase una forse scomoda verità. “Cos’è successo?” indagò Cora, spinta da una comprensibile e genuina curiosità. “Sono diventato padre, ma solo uno è sopravvissuto.” Disse poi, riprendendo la parola e parlando in tono mesto.” Avvicinandomi, sfiorai la sua ala con una zampa, mio modo di dirgli che mi dispiaceva. “Volete vederlo?” si informò, sperando nella positività di una nostra risposta. Mantenendo il silenzio, ci limitammo ad annuire, e seguendo il suo volo, giungemmo al suo nido. Volgendo il mio sguardo verso una forte quercia, notai il suo caldo nido, nel quale la moglie India giaceva intenta a nutrire il proprio piccolo. Spettacolo disgustoso agli occhi di Murdoch e Cora, ma completamente naturale ai miei. Fu quindi questione di un attimo, e abbandonando il piccolo, India ci raggiunse volando elegantemente verso di noi. Non appena la vidi, ne rimasi colpita. Il suo piumaggio scuro risaltava con il sole, e gli occhi sembravano brillare di felicità. “Tu devi essere Runa.” Esordì, avvicinandosi lentamente e scambiandosi con il marito una veloce occhiata d’intesa. “Esatto.” Risposi, indietreggiando di qualche passo al solo scopo di inchinarmi per gioco di fronte a lei. “Il gufetto lassù è il nostro Casper. Disse, sollevando leggermente un’ala al fine di indicarcelo. Spostando lo sguardo in quella direzione, lo vidi. Il loro unico figlio, una creatura dolce e indifesa, che solo con la crescita avrebbe potuto imparare a difendersi dai pericoli e dai predatori che dominavano il bosco. Avevo appreso da Owen che non aveva dei fratelli, ma a quanto sembrava, quello era forse il minore dei mali. Ad ogni modo, il pomeriggio sfumò nell’ imbrunire, e con il suo arrivo, tutti noi ci congedammo dai nostri cari amici. La mia vita continuava, e la calma instaurava il suo regno. Giunta alla mia tana, mi acquattai in un angolo per dormire, e scivolando nel sonno, mi convinsi di poter volare sulle ali della fantasia e dell’amicizia, un legame che mai avrei spezzato.

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Capitolo 3
*** La caverna ***


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Capitolo III

La caverna

Ancora una volta, mattina. La lunga lista di azioni compiute il giorno prima mi aveva onestamente stremata, e non avendo la forza di alzarmi e abbandonare il mio letto di foglie ed erba, dormivo profondamente. I miei figli al mio fianco, così come il mio amato Scott e il resto dei miei congiunti. Ognuno di loro ha uno specifico posto in cui dormire, e nessuno di noi si sognerebbe mai di occuparlo, poiché ogni animale della foresta vedrebbe tale gesto come un’invasione di spazio personale. Ad ogni modo, qualcuno mi scosse leggermente, e aprendo gli occhi, riconobbi subito la figura di mia nonna. Il marrone dei suoi occhi si fuse istantaneamente con il placido azzurro dei miei, e mettendomi in piedi, barcollai per alcuni secondi. Non ebbi tempo di proferire parola, che subito venni preceduta. “Devi vedere una cosa.” Mi disse lei, guardandomi negli occhi e infondendomi sicurezza con il solo uso dello sguardo. Esitai per un semplice attimo, e limitandomi poi ad annuire, scelsi di seguirla. Assieme al nonno, aveva cresciuto me e i miei fratelli fino all’età adulta, e fidandomi ciecamente, sapevo bene che non mi avrebbe mai ferito o deluso. Seppur lentamente, camminavo al suo fianco, muovendomi con una lentezza tale da non riuscire a sentire il suono dei miei passi. Evitando di arrestare il mio cammino, spostai il mio sguardo su mia nonna. Eravamo sole, ed ero preoccupata. “Dov’erano gli altri? Dove voleva portarmi?” mi chiedevo, parlando con me stessa e sperando di trovare autonomamente una risposta. Per pura sfortuna non la trovai e continuando a camminare, giunsi in un luogo conosciuto. Mi ero fermata, e l’odore che giungeva al mio naso appariva penetrante. Confusa, mi guardai intorno, e facendolo, scoprii la nuda e cruda verità. La mia saggia nonna mi aveva riportata nella grotta mostratami da Silver anni prima. Nella stessa, due semplici differenze. Il fuoco che soleva spaventarmi era ormai spento, e la parete sembrava incredibilmente diversa. Spinta dalla curiosità, mossi qualche incerto passo in quella direzione, e non appena fui abbastanza vicina, posai una zampa sulla parete di roccia. Mantenni quindi il silenzio, e concentrandomi intensamente, notai dei particolari. Quelli che vedevo non erano che disegni, pitture stilizzate e create con grande talento, che per qualche arcana ragione, parevano avere ognuna un significato ben preciso. Senza proferire parola, le esaminavo con attenzione, e con mia grande sorpresa, notai molte figure simili a lupi. Indietreggiando lentamente, chiesi spiegazioni a mia nonna, che posando gli occhi su quegli strani disegni, mostrò la mia stessa e confusa espressione. “Chi credi sia stato?” chiesi, non accorgendomi di aver iniziato a tremare inconsciamente. “Non lo so, ma ora nasconditi.” Mi disse, facendosi improvvisamente seria e intimandomi di accucciarmi in un angolo di quella così buia e fredda grotta. “Perché?” sussurrai, con la mente sconvolta dalla confusione e il corpo attraversato da brividi di freddo. “Umani.” Rispose soltanto, per poi tacere e mantenere quella seppur scomoda posizione. Ad ogni modo, i minuti passavano, ed io non sentivo altro che un distinto rumore di passi. Qualcuno sembrava cercarci, e nasconderci era la nostra unica salvezza. Ascoltando il consiglio di mia nonna, rimasi ferma dov’ero, e allo scadere di cinque interminabili minuti, decisi di venir fuori dal mio nascondiglio. Lei stessa cercò di fermarmi, ma senza successo. Avevo visto fin troppo in quella caverna, e ora sapevo di dover assolutamente far luce sul mistero rappresentato dagli umani. Ero certa che fossero infidi e sospettosi, ma qualcosa dentro di me mi spingeva a credere il contrario. Secondo il mio pensiero, esisteva infatti una seppur remota possibilità che alcuni di loro fossero buoni, e in seguito alla mia decisione unita alla mia ferrea e incrollabile volontà, avrei sicuramente scoperto ogni cosa.

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Capitolo 4
*** Simili ***


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Capitolo IV

Simili

Attorno a me c’era il silenzio, e la luce del sole stava lentamente scemando. Immobile nel cielo, splendeva flebilmente, segno che avrebbe presto ceduto il suo posto alla luna. Il caldo pomeriggio aveva ad ogni modo minato la mia condizione fisica, e ben sapendo di essere stanca, lasciai che la lingua mi scivolasse fuori dalla bocca, sperando di riuscire in tal modo a raffreddare il mio corpo e abbassarne la temperatura. Debilitata dalla canicola, mi muovevo lentamente, e la sfortuna sembrava seguirmi come una pallida e alle volte spaventosa ombra. Non avrei certo fatto del male a nessuno, e tentando in ogni modo di non attirare l’attenzione, mi aggiravo conservando una seppur apparente tranquillità. In quel preciso istante, ogni fibra del mio corpo era tesa come una corda di violino, e avevo così paura da continuare a pensare ad una sola cosa. La fuga. Unica speranza alla quale avrei potuto aggrapparmi in caso di sorte avversa, e dalla quale non mi sarei discostata per alcuna ragione a questo vasto mondo. I minuti passavano, e camminando, mi guardavo attorno. Ero nuovamente tornata al villaggio degli umani, e posando il mio sguardo su ciò che mi circondava, scoprivo molte novità. Per la prima volta in un così lungo lasso di tempo, notai le loro abitazioni, consistenti in piccole capanne fatte di paglia, e per pura fortuna, ebbi anche modo conoscere alcuni dei loro costumi, che sinceramente scoprii simili a quelli di noi lupi. Difatti, proprio come in un branco, i più piccoli venivano protetti e messi al sicuro, mentre l’onore era costantemente preservato. Sfortuna volle che in alcuni casi, le offese considerate gravi venissero lavate con il sangue e l’odio, passo che mi ero in una sola occasione ritrovata costretta a compiere per salvare la mia grande famiglia. Ad ogni modo, quella sorta di viaggio continuava senza sosta, e improvvisamente, un debole latrato. Mia nonna Athena mi aveva raggiunta, e seguendomi come una cucciola, si assicurava di non staccare mai lo sguardo da me. Mi conosceva sin dal giorno della mia nascita, e mi voleva bene, ragion per cui il suo comportamento non parve toccarmi minimamente. Voltandomi verso di lei, le regalai un sorriso, e lei non tardò a ricambiare. Di punto in bianco, un nuovo cambiamento. Il cielo divenne nero come la notte, e delle grigie e minacciose nuvole fecero la loro infausta comparsa, rivelandosi pronte a scaricare fredda e malaugurante pioggia. Guardando in alto, capii che un temporale era in arrivo, e guardandomi attorno, andai subito alla ricerca di un riparo. Fallendo nel mio misero intento, rimasi ferma e immobile come una marmorea statua. In quel mentre, la paura si era impossessata del mio giovane animo, e continuando a scrutare ciò che mi circondava, cercavo una nuova tana. Un luogo dove io e mia nonna avremmo potuto ripararci, anche solo fino alla fine del cattivo tempo. Ero spaventata, e i miei tremori erano paragonabili a quelli di una morente foglia sferzata dal gelido vento invernale, incurante dei danni che provoca soffiando con pericolosa insistenza. Scuotendo il capo, tornai alla realtà, e proprio in quel momento, accadde il peggio. Una famiglia umana sembrava trovarsi nella mia stesa situazione, e la loro casa aveva preso fuoco. La loro povera figlia piangeva per lo spavento e il dolore a una gamba, la cui pelle appariva rovinata da una ferita. Del sangue sgorgava, e a quella vista, chiusi gli occhi. Per qualche arcana ragione, e nonostante fossi una bestia incline alla violenza, la odiavo. Non riuscivo a motivare tale realtà, eppure non sopportavo di vedere sangue e dolore affliggere i più deboli. Istintivamente, corsi loro incontro abbaiando, e afferrando con i denti una manica del vestito di quella bambina, la portai con me al sicuro. I genitori sembravano adirati, ma non ebbi tempo né modo di capirlo. La pioggia continuava a cadere, e presto il temporale sarebbe divenuto una vera e propria tempesta. Il mio istinto mi parlava, e avevo ormai capito che se gli umani che avevo soccorso non avessero trovato un riparo, la loro stessa sorte non si sarebbe rivelata d’aiuto. Le stelle non avrebbero sorriso, e in altre parole, non ce l’avrebbero fatta. Allarmata, spostai il mio sguardo su mia nonna, che annuendo lentamente, si limitò a correre e farsi strada verso la spelonca in cui ci eravamo previamente rifugiate. Non appena arrivammo, gli umani provarono a sdraiarsi in terra, ma con un semplice movimento del muso unito ad un debole uggiolio, indicai e cedetti loro il mio posto, una sorta di cuscino fatto con erba, foglie e rami d’albero. Per loro non sarebbe certo stato il massimo della comodità, ma ad ogni modo non si lamentarono, ed io non potei fare a meno di avvicinarmi alla bambina. Aveva smesso di piangere, ma alla vista dei suoi occhi rossi e gonfi, ai quali si aggiungeva un viso mesto e corrotto dal pianto, scelsi di leccarle una mano, così da far spuntare un sorriso sul suo volto. Il mio espediente parve funzionare, e lasciandomi accarezzare, mi sdraiai al suo fianco, fungendo per lei da morbida coperta. Era strano e a dir poco incredibile, ma in quella cucciola d’uomo, rivedevo l’infanzia di mia figlia Cora, una lupa sensibile e solare al tempo stesso. Il mio istinto materno aveva fatto la sua comparsa, e stando ai comportamenti che avevo avuto modo di osservare, il selvaggio mondo dei lupi e quello degli umani, apparivano ai miei occhi incredibilmente simili.  

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Capitolo 5
*** Occhi profondi ***


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Capitolo V

Occhi profondi

Rannicchiata in un angolo della grotta che ci faceva da rifugio, dormivamo. Contrariamente a mia nonna e alla bimba che avevo salvato dalle intemperie, io mi agitavo. Sognavo per l’ennesima volta di correre e salvarmi dal pericolo. Aprendo gli occhi, riuscii a svegliarmi, e alzandomi in piedi, mi allontanai lentamente, muovendomi con passo felpato e furtivo al solo scopo di non disturbare il sonno di quel piccolo angelo. Il viso tondo e paffuto, i capelli neri come l’ebano, e gli occhi chiusi e ora privi d’espressione. Risvegliandosi, si stiracchiò con estrema lentezza, e sbadigliando, provò ad alzarsi da terra. Quasi istintivamente, la guardai senza proferire parola. Il suo vestito appariva leggermente rovinato, e con lo scorrere dei minuti, lei non faceva che avvicinarsi. I suoi genitori erano ancora placidamente addormentati, e avvicinandomi, mi accertai della loro condizione fisica. Per fortuna non erano feriti, solo stanchi e affamati. Rimasi ferma a guardarli per alcuni sporadici secondo, allo scadere dei quali, i due umani si svegliarono. Subito dopo, posarono i loro sguardi colmi di stupore su di me, e guardando negli occhi la loro bambina, parvero non capire cosa stesse accadendo. In quel momento, avrei davvero voluto parlare, dire loro che non ero pericolosa e che non avrei fatto del male alla loro amata figlia, ma non potevo. Dovevo accettarlo. Per loro non ero che un lupo, una bestia selvaggia priva di ragione e intelletto, incline all’ira e alla violenza. In altri termini, sembravano temermi. I loro sguardi saettavano nella grotta, e l’oggetto della loro attenzione cambiava di frequente. Avevano due unici interessi, me e la bambina. Fu quindi questione di un singolo attimo, e uno dei due umani decise di agire. Avvicinandosi lentamente, l’uomo provò a toccarmi, e rimanendo immobile lo lasciai fare. Sapevo bene di non potermi avvalere del dono della parola, così mi concessi del tempo per riflettere, scegliendo di affidarmi alle mie stesse azioni. Mi sforzavo quindi di mantenere un atteggiamento calmo e rilassato, e nell’esatto momento in cui credetti di fallire nel mio intento, qualcosa accadde. La donna accantonò i suoi dubbi nei miei riguardi, e alzandosi in piedi, mi indicò con un gesto della mano un punto preciso della caverna, dove lei stessa aveva lasciato della carne di cervo. Seppur titubante, mi avvicinai, e una volta consumato quel pasto, li guardai intensamente. Mi stavano nutrendo, ma nonostante la nobiltà dei loro gesti nei miei confronti, sapevo di dover tenere alta la guardia. Fissandoli, non mi accorsi che la mia postura aveva subito un cambiamento. La paura si era impossessata di me, e il mio linguaggio corporeo continuava a mutare. In quel preciso istante, tenevo le orecchie basse, il capo chino e la coda fra le zampe. Muovendo qualche incerto passo verso di me, la bambina tentò di risollevarmi il morale, e chiedendo ai genitori di lasciarle spazio, mi accarezzò la testa. Colta alla sprovvista dal suo tocco, indietreggiai, ma raccogliendo le mie forze e il mio coraggio, scelsi di leccarle la mano. Per qualche strana ragione, le volevo bene, e proprio come i suoi genitori, non avrei lasciato che nessuno le facesse del male. Posando il mio sguardo su di lei, ruppi il silenzio mugolando debolmente, e notando la luce del sole penetrare nella spelonca, decisi di uscirne. Mia nonna mi seguì senza parlare né porre domande, e una volta fuori, non feci altro che annusare l’aria. Correndo, lasciavo che il mio naso si riempisse di odori nuovi e mai sentiti prima, e chiudendo gli occhi, assaporai nuovamente la libertà. Mi addentrai quindi nel villaggio assicurandomi di non disturbarne la quiete, e durante il mio cammino, notai una sorta di ombra in lontananza. Un insolito rumore di passi appariva sempre più vicino, e voltandomi, la rividi. Era lei. La bimba che avevo salvato durante il temporale mi aveva seguita, e data la sua giovane età, voleva giocare. Tornando a guardarla, le regalai un sorriso, e ricominciando a correre, lasciai che mi inseguisse. Durante la corsa, ebbi la gioia e la fortuna di sentirla ridere, ma la sua risata si spense appena un attimo dopo, soppiantata dalla voce dei genitori. Preoccupati, si aggiravano nel villaggio, e impegnandosi nella sua ricerca, chiamavano il suo nome. Saskia. Un nome che non avevo mai sentito, ma che mi piaceva come pochi. Voltandosi di scatto verso i genitori, si avvicinò a loro, e prendendo per mano il padre, si allontanò assieme a lui. Poco prima di andarsene, si voltò verso di me, e sollevando una mano, mi salutò amichevolmente. Mia nonna mi aveva ormai raggiunta, e rimanendo al mio fianco, pronunciò una frase in grado di seminare orgoglio e tristezza nel mio giovane cuore. “Se ami qualcuno, lascialo libero.” Mi disse, guardandomi negli occhi e invitandomi a seguirla. A quelle parole, non risposi, e camminando al suo fianco, mi avviai in direzione della foresta. Anche stavolta, tenevo lo sguardo basso e il capo chino. Ero combattuta. Sarei presto tornata a casa a bearmi della compagnia e dell’affetto che il mio branco avrebbe riversato su di me, ma non avrei quasi sicuramente mai più rivisto la piccola Saskia e i suoi occhi profondi.

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Capitolo 6
*** Vivere e lasciar vivere ***


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Capitolo VI
Vivere e lasciar vivere
Un mese aveva lentamente lasciato la mia vita, ed ero tornata dalla mia famiglia. I miei figli e il mio amato Scott non avevano fatto altro che aspettarmi, ed ora che finalmente ero di nuovo in loro compagnia, la loro preoccupazione era svanita. Ad ogni modo, Rhydian e Astral mi apparivano diversi. Uno era completamente concentrato sui pericoli che potevano circondarci, mostrandosi sempre incredibilmente nervoso. Parlando con sé stesso, continuava muoversi guardingo, in un costante e confuso andirivieni. Il tempo scorreva, e le impronte delle sue zampe erano ormai rimaste impresse nell’erba e fra le foglie. Avvicinandomi, tentai di ammansirlo, ma alla mia vista, prese a ringhiare con forza inaudita. Per qualche strana ragione, pareva odiarmi. “Stammi lontano, addomesticata.” Mi disse, ponendo incredibile enfasi sull’ultima parola che pronunciò. “Sei tornata dagli umani, vero? Ti hanno preso con loro?” mi chiese, facendo uso di un pungente e affatto divertente sarcasmo. Mantenendo il silenzio, mi limitai a indietreggiare al solo scopo di evitare la sua ira, e ringhiando a mia volta, tentai di mordere e difenderci. “Basta!” gridò poi una voce alle nostre spalle, squarciando il silenzio e bloccando ogni nostro movimento. Quasi istintivamente, mi voltai. Era nostra nonna, e l’espressione dipinta sul suo muso non tradiva che rabbia. “Sono stata io. Io l’ho portata dagli umani.” Disse, muovendo alcuni passi verso Rhydian e prendendo le mie difese. “Perché? Noi li odiamo. Rispose Rhydian, avvicinandosi e sfidandola con la voce. “Voi non capite. Loro non sono tutti uguali.” Proruppi, rompendo il silenzio  che avevo mantenuto fino a quel momento. “Che significa? Sai che hanno tentato di ucciderti!” continuò mio fratello, in tono serio e al contempo colmo d’ira. In quel preciso istante, un ricordo mi balenò in mente. Concentrandomi, rimembrai il giorno in cui le mie zampe avevano per la prima volta calpestato il suolo umano, così come il madornale errore che avevo commesso, e che per pura fortuna, non mi era costato la vita. Scott era venuto a salvarmi, e unendomi a lui, ero riuscita a tornare a casa. Il tempo scorreva, e con il placido e tranquillo andare dello stesso, i miei ricordi si facevano progressivamente più nitidi. Lasciandomi quindi travolgere e bagnare da un fiume di sensazioni completamente diverse fra loro, ricordai ogni cosa. Il mio incontro con i mortali, il dolore e la paura provati in quello stesso istante, e il dolore derivante da quella che avevo creduto essere la fine del mio amore. Seppur inconsciamente, iniziai a tremare, e perdendo l’equilibrio, caddi in terra. Non volevo crederci, eppure esisteva una remota possibilità che il mio branco dicesse il vero. D’improvviso, una voce mi riportò alla realtà. “Hanno ragione.” Disse quella voce, che inizialmente faticai a riconoscere. La sera aveva raggiunto e avvolto la foresta, ed io ero decisamente stanca. Troppe cose mi erano accadute in troppo poco tempo, e dovevo assolutamente riposare. “Hanno ragione.” Ripetè quella stessa voce, che voltandomi scoprii essere quella di Scott. “Ne sei certo?” gli chiesi, sdraiandomi fra l’erba e parlando in tono mesto. “Mi fido di te, ma ora dimmi cos’è successo.” Continuò lui, guardandomi con aria curiosa. Scivolando nel più completo mutismo, tentai in ogni modo di organizzare il discorso che avrei pronunciato, e respirando a fondo, non feci altro che parlare, raccontando la nuda e cruda verità. È accaduto tutto in fretta, pioveva, c’era un temporale, e una bambina…” dissi, fallendo nel tentativo di completare quella frase e lasciandola in sospeso. Avvicinandosi, Scott posò la sua zampa sulla mia al solo scopo di infondermi sicurezza, e fondendo il mio sguardo con il suo, ritrovai il coraggio di parlare. “Ho salvato una bambina dalla pioggia, e da allora la sua famiglia mi nutre. Mi considerano mansueta, e la bimba è mia amica.” Dissi, per poi tacere e abbandonarmi ad un cupo sospiro. “Cosa devo fare?” gli chiesi poi, incerta e dubbiosa. Alle mie parole, Scott non rispose, e deponendo un bacio sul mio muso, mi augurò la buonanotte. Sdraiandosi poi sul fianco, si addormentò profondamente, lasciandomi completamente da sola con i miei dubbi. Andando alla disperata ricerca di conforto, mi rivolsi a mia nonna, che prima di dormire, pronunciò una frase in grado di far sparire ogni mio dubbio. Secondo il suo pensiero, avrei dovuto vivere e lasciar vivere, attendendo fino al calmarsi delle acque.

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Capitolo 7
*** Rischi da correre ***


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Capitolo VII

Rischi da correre

Aprendo gli occhi, mi ero appena svegliata, e salutando il sole, mi rimettevo in piedi. Guardandomi intorno, respirai a pieni polmoni la docile aria mattutina, lasciando che assieme alla luce mi accarezzasse il bianco e candido pelo. Era ancora presto, e a quanto sembrava, ero l’unica sveglia. Allontanandomi dalla tana, andai alla ricerca di un albero poco distante, e una volta arrivata, feci ciò che non avrei mai voluto fare. Marcai il territorio. Di norma, tale comportamento è adottato da lupi saggi ed esperti conosciuti come alfa, ma qualcosa, nell’ormai scorsa notte, mi aveva spinta a farlo. Il pericolo ci aveva ormai sfiorati troppe volte, ed io sapevo bene di non poter permettere che accadesse di nuovo. Scivolando con facilità sulla corteccia di quell’albero, i miei artigli lasciarono un segno profondo e distinto, che per qualche strana ragione, riportava alla mia mente il ricordo delle ferite di Scott. Lunghi mesi erano ormai passati, e dopo la sua guarigione, non aveva fatto altro che confortarmi. “Non ti accadrà nulla.” Continuava a ripetermi, guardandomi negli occhi e regalandomi i suoi ormai iconici sorrisi. Amandolo con ogni singolo battito del mio stesso cuore, non potevo che fidarmi, e camminando, mi fermai a riflettere. “Se non avesse ragione?” mi chiesi, interrogandomi e fallendo nella ricerca di una risposta a quel purtroppo enigmatico interrogativo. “Cosa accadrebbe?” una seconda domanda che si insinuò nella mia mente come vento fra i rami di una robusta quercia, negandomi la calma e la tranquillità. Liberandomi in fretta da quel pensiero, scossi la testa, e ripercorrendo i miei passi, tornai a casa. I miei congiunti erano ora svegli, e seppur lentamente, avevano dato inizio alla loro giornata. Come al solito, il mio istinto materno parlava, e mia figlia mi appariva diversa. Ogni singolo muscolo del suo corpo in tensione, la coda fra le zampe e uno sguardo luminoso ma apparentemente perso nel vuoto. Si aggirava per la foresta, e sembrava alla costante ricerca di qualcosa o qualcuno. Spostando il mio sguardo colmo d’apprensione su di lei, mi avvicinai senza proferire parola, e non appena fui abbastanza vicina, annusai l’aria attorno a lei. Nulla di sospetto, almeno per allora. Ad ogni modo, non contenta dell’alone di mistero che sembrava avvolgerla, provai a parlarle, ma un attimo prima che riuscissi a farlo, lei fu in grado di spiazzarmi. “Devo parlarti.” Mi disse, per poi scegliere di darmi le spalle e rifugiarsi in un angolo della selva che ci ospitava. Annuendo lentamente, decisi di seguirla, e fermandomi di colpo, la invitai a rivelare la verità che pareva volermi nascondere. “Ho bisogno del tuo aiuto.” Esordì, sollevando in me una polverosa nube di dubbi e incertezze. “Sono giorni che sento un odore, e ho paura.” Continuò, con il corpo scosso da un leggero ma percettibile tremore. Alle sue parole, mantenni il silenzio, e guardandola, decisi di fare ciò che andava fatto. La paura aveva preso il controllo del suo giovane e fragile corpo, e noi avevamo bisogno di aiuto. Indietreggiando lentamente, chiusi gli occhi. Subito dopo, sollevai il capo, e un potente ululato abbandonò le mie labbra, squarciando il silenzio e spaventando uno stormo di uccelli, che volando via si allontanarono alla ricerca di un riparo più sicuro. Ero disperata, spaventata e priva di difese. Una mano amica era ciò che cercavo, e ululare era forse la mia unica scelta. I minuti passarono con una lentezza esasperante, e con lo scorrere degli stessi, ingannavo il tempo mirando il cielo. Seppur forse invano, attendevo conservando la speranza di essere aiutata, e nel preciso istante in cui pensai di essere rimasta da sola, un suono. Un verso ormai troppo conosciuto, e che non avrei mai scambiato per nessun altro. Il mio amico dalle ali bianche mi aveva raggiunta per prestarmi soccorso, ma per qualche strana ragione, non sembrava sé stesso. Le sue piume apparivano ai miei occhi più scure, e i suoi occhi neri come il carbone. Guardando meglio, mi accorsi che il gufo in questione non era il mio amico Owen, ma bensì suo figlio Casper. Avvicinandosi, trovò un posto sul ramo di un albero, e guardandomi con aria interrogativa, azzardò una semplice domanda. “Perché hai chiamato?” chiese, tacendo nell’attesa di una mia risposta. “Devi tornare da tuo padre, e assieme a lui perquisire la foresta. Abbiamo bisogno di voi.” Continuai, ponendo inaudita enfasi su quell’ultima frase. In completo e perfetto silenzio, Casper si limitò ad ascoltarmi, e spiccando il volo obbedì ai miei ordini. “Ricevuto.” Sembrò dire, poco prima di andarsene aprendo le grandi ali. Un attimo svanì quindi dalla mia vita, e tornando al fianco di mia figlia, la guidai di nuovo alla nostra tana. Nonostante l’arrivo della sera, non riuscii a dormire. Concentrata sulla luna e sulle compagne stelle, rimanevo sveglia e vigile. Migliaia di pensieri spaziavano nella mia mente, e concedendomi del tempo per pensare, imparai una preziosa lezione che identificai come verità. Quella di noi lupi era una vita difficile e piena di pericoli, un cammino costellato di rischi da dover correre.

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Capitolo 8
*** I consigli del buio ***


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Capitolo VIII

I consigli del buio

Le stelle. Lucenti astri che miravo al solo scopo di ingannare il tempo. Non riuscivo a dormire, e mantenendo il silenzio, rimanevo in attesa di una risposta. “Abbiamo bisogno di voi.” Queste le parole che avevo rivolto al mio amico Casper poco prima che volasse via andando alla ricerca di suo padre, e che sin da quel momento, producevano un’orribile eco nella mia mente, ora governata dalla confusione. Il tempo scorreva. I secondi diventavano minuti, i minuti si tramutavano in ore, e le ore apparivano infinite. Ad ogni modo, le mie speranze stavano scemando, l’aria venne sferzata dal movimento delle sue bianche ali. Quel suono così caratteristico poteva avere un solo e unico significato. Casper era finalmente tornato, e guardando in alto, scoprii che non era solo. Suo padre Owen era con lui, e raggiungendomi, mi zampettò intorno come un povero passerotto smarrito. “Ho sentito ogni cosa, e dovrete fuggire senza posa.” Disse, riferendosi al problema che sembrava perseguitarmi ormai da giorni. Gli stessi non facevano che susseguirsi, e con il loro placido e tranquillo andare, stavo sempre peggio. Per pura fortuna, l’aiuto in cui speravo aveva illuminato le mie grigie giornate, e ringraziando i miei custodi alati, fuggi subito nella foresta. Guardandoli, sorrisi debolmente, e voltandomi, tornai subito alla mia tana. Non avrei voluto, ma mi ero di nuovo allontanata. In quel momento, avevo semplicemente bisogno di calma e tempo per riflettere, e la fuga non era che l’unica delle mie possibilità. Ad ogni modo, la mia corsa poteva finalmente definirsi conclusa. I miei dubbi erano scomparsi, e per la prima volta in quel così lungo lasso di tempo, sapevo cosa fare. Chinando il capo, puntai il mio sguardo sul terreno, e annusando l’erba, raccolsi da terra l’odore della mia famiglia. Per pura fortuna stavano bene, ma per qualche arcana ragione, all’odore del mio branco si mescolava quello del sangue. Fermandomi di colpo, inspirai profondamente, e accelerando il passo che tenevo, mi assicurai di arrivare alla mia destinazione. Una volta lì arrestai il mio cammino, e solo allora mi resi conto di quanto fossi stanca, e della velocità con cui il mio cuore stesse battendo. Una cosa era certa. Dovevo riposare, ma non potevo. Dovevo agire, e portare la mia famiglia al sicuro. Istintivamente, iniziai a muovere le zampe e smuovere cumuli di foglie e terra. Il mio unico pensiero andava al mio branco. Dovevamo fuggire, e dovevo assolutamente svegliarli. I minuti scorrevano con lentezza esasperante, scivolando dalla mia vita come sabbia nel deserto, e loro dormivano beati, ignari di tutto. “Svegliatevi.” Dicevo, parlando con me stessa e sperando che aprissero gli occhi tornando alla realtà. Gli istanti che sparivano come ombre al mattino risultavano cruciali, e la mia preoccupazione saliva, aumentando e riuscendo a raggiungere livelli storici. Il cuore mi martellava nel petto, con una forza tale da poter essere udito nell’oscurità unita al silenzio. “Mantieni la calma.” Una frase che mi ripetevo infinite volte, e che per la più nera sfortuna, non sortiva su di me alcun effetto. Muovendo alcuni incerti passi in avanti, mi avvicinai ai miei figli, e strofinando il mio muso sui loro, pregai che riuscissero a svegliarsi. Sconsolata, constatai il fallimento di quell’ennesimo tentativo, e voltandomi, credetti di averli persi. Un ennesimo e singolo attimo sparì dal mio arduo vivere, e poco prima di scomparire nel buio, posai il mio sguardo su di loro per un un’ultima volta. L’odore del sangue non era mai stato un buon presagio, e anche stavolta, tale tesi era stata confermata. A quanto sembrava, ero arrivata tardi, e i miei congiunti erano morti. Non volevo crederci, eppure se n’erano andati. Li avevo persi, e sapevo bene di non poterlo accettare. Accasciandomi a terra, mugolai sonoramente, e ululando alla luna, esternai tutto il mio dolore. Con il mio branco era sparita anche la speranza di vivere e condurre una vita serena e priva di antagonisti, ma nonostante i miei mille sforzi, quel mio desiderio non era mai stato realizzato. In quel preciso istante, ero distrutta dalla sofferenza, e seguire i consigli ricevuti nel buio era ciò che avrei ardentemente voluto.

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Capitolo 9
*** Volontà di proseguire ***


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Capitolo IX

Volontà di proseguire

Un nuovo giorno. Avevo passato la scorsa notte a tentare di dormire, fallendo in quel misero intento e svegliandomi priva di energie. Ancora a terra, non riuscivo a muovere un muscolo, ma nonostante tutto, sapevo di dover continuare. La mia mente mi dava la forza necessaria a farlo, e alzandomi in piedi, mi avvicinai a mia figlia Cora. Acquattandomi al suo fianco, rimasi a guardarla per alcuni preziosi ma sporadici secondi, allo scadere dei quali, sentii la sua voce. “Mamma…” mi chiamava, faticando a parlare e respirare. Delle orribili ferite le solcavano un occhio e parte del muso, e il suo stesso sangue aveva formato disgustosi grumi fra la verde erba. A quel suono, mi voltai di scatto. “Cora! Figlia mia, sei viva! gridai, avvicinandomi e non riuscendo a staccare gli occhi dai suoi. “Non mi rimane molto… portami via, subito.” Mi disse, con voce fievole e quasi inudibile. Guardandola con aria sofferente, soffocai il nodo che mi attanagliava la gola, e raccogliendo il mio coraggio, provai a parlarle. Era viva per miracolo, e sapevo bene che se avesse perso conoscenza, se ne sarebbe andata per sempre. Il dolore mi divorava l’anima come la più feroce e grossa delle bestie, e camminando lentamente, afferrai la sua coda, per poi provare a realizzare il suo desiderio. Nel tentativo di aiutarla a rialzarsi, le permisi di appoggiarsi a me, e rimettendosi faticosamente in piedi, mia figlia scelse di seguirmi. Allontanandomi da lei per un singolo istante, scavai una piccola buca ai piedi di un albero dove ricordavo di aver nascosto le bacche regalatemi da Owen. Stando ai miei ricordi, avevano contribuito a salvare suo padre dalla morte, e imboccandola, feci in modo che le mangiasse. Subito dopo, riprendemmo il nostro viaggio, e seppur lentamente, mi accorsi di un orribile particolare. Per Cora ogni passo era uno sforzo a dir poco immane. Il suo intero corpo era devastato dalla sofferenza, e le ferite le bruciavano come un rogo doloso e opera dei malvagi umani. “Resisti, ci siamo quasi.” Le dissi, incoraggiandola a continuare a camminare e sforzarsi nel nostro viaggio verso la salvezza, unica componente della nostra vita che avevamo perso, e che sin da quel giorno cercavamo con grande impegno. Ad ogni modo, il tempo continuava a scorrere, e con l’arrivo dell’assolato pomeriggio, raggiungemmo l’ormai famosa grotta. Una spelonca che aveva per me funto da rifugio in una notta buia e tempestosa, e dentro alla quale avevo conosciuto degli umani diversi da tutti gli altri. Gentili, calmi e pronti a fidarsi di me nonostante il mio vero essere. Una volta arrivate, lasciai che mia figlia si sdraiasse sul letto d’erba e foglie che le avevo preparato, e lasciandosi andare, si addormentò placidamente. Volendo unicamente proteggerla, mi acquattai al suo fianco, rimanendo sveglia e vigile, pronta a scagliarmi su qualunque nemico si azzardasse a toccare una delle mie ragioni di vita. Il pomeriggio venne quindi sostituito dalla nera notte, e rifiutandomi di dormire, continuai a vegliare sul corpo di mia figlia, avendo la fortuna e il piacere di notare che le sue condizioni stavano progressivamente migliorando. Le ore notturne passarono, e alle prime luci dell’alba lasciai la grotta al solo scopo di portare a termine la mia nuova missione. Trovare Saskia e salvare la mia amata Cora. La mia corsa ebbe inizio nello spazio di un momento, e una volta arrivata davanti alla porta di una piccola capanna di paglia, fango e legno, abbaiai. Fu quindi questione di un singolo attimo, e la mia amica Saskia mi si parò davanti. Sorridendo, provò ad accarezzarmi, ma io mi scansai, e afferrando una manica della sua veste, la convinsi a seguirmi, mugolando e mostrando la mia preoccupazione. Notando lo stato in cui versavo, Saskia andò subito a chiamare i suoi genitori, e appena un attimo dopo, ci ritrovammo tutti a correre verso la grotta che pareva ospitare mia figlia. Una volta arrivata, mi fermai, e camminando lentamente, li guidai verso il sangue del mio sangue. Guardandola, rividi i suoi occhi. Il dolore che provava le impediva di respirare, e trovando tale azione incredibilmente difficile e faticosa, posava lo sguardo su di me e sui suoi soccorritori. Non parlava, ma il suo silenzio appariva eloquente. Proprio come me, odiava gli umani, ma l’estrema sofferenza la limitava nei movimenti. Rimanendo in silenzio, non accennava a muoversi, ed era forse assolutamente certa di morire. Avvicinandomi, la guardai intensamente, e poco prima di indietreggiare e spostare lo sguardo al solo fine di non piangere e disperarmi in presenza di Saskia, qualcosa accadde. Rompendo il silenzio con il suo affannoso respiro unito ad un debole uggiolio, Cora attirò la mia attenzione, e con le esigue forze rimastele, mi leccò il muso. Non riuscivo a crederci, eppure mi stava dicendo addio. “Ti voglio bene. ”Sussurrai, ricambiando quel gesto e andando a sedermi in un angolo della caverna.  Con gli occhi rivolti verso il muro della stessa, prestai per la prima volta attenzione agli strani disegni che presentava. Lupi e umani erano raffigurati gli uni accanto agli altri, e il pelo di una di quelle fiere appariva bianco. Che Saskia e i suoi genitori si riferissero a me? Che mi avessero accettato nella loro famiglia?” non ne ero sicura, ma nonostante tutto, volevo crederci. Dopo la mia fuga e la morte di mia figlia, il loro affetto era l’unica cosa che mi rimaneva. Trascorsi quindi gran parte del mio tempo ad ammirare quelle pitture perfettamente stilizzate, beandomi della compagnia di Saskia. “L’aiuteremo.” Mi disse, vedendomi posare una zampa su quel sudicio muro con fare sconsolato. Alle sue parole, non risposi, e limitandomi a guardarla, scodinzolai debolmente. Forse i miei congiunti avevano ragione, e forse gli umani mi avevano davvero addomesticata, ma la cosa non mi toccava. Non mi sarei certamente arresa, né avrei perso la volontà di proseguire.

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Capitolo 10
*** Fiducia umana e segni di vita ***


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Capitolo X

Fiducia umana e segni di vita

Anche oggi, il sole mi saluta, e con la sua ascesa nell’azzurro e terso cielo, l’inizio di un nuovo giorno. Persa in uno stato di dormiveglia, apro lentamente gli occhi, e alzandomi in piedi, rivedo Saskia. A quanto sembra, mi ha tenuto compagnia per tutta la notte, e alla mia vista, sorride. Quasi istintivamente, mi avvicino, e sedendomi accanto a lei, drizzo le orecchie. Da ormai qualche giorno a questa parte, io e lei abbiamo sviluppato una sorta di rituale segreto e importante, sconosciuto a tutti tranne che a noi. Sedendosi in terra, la mia amica incrocia le gambe, e invitandomi a sdraiarmi presso di lei, inizia a parlarmi. È ancora giovane, nel pieno dell’adolescenza, e in molte occasioni trascorre il suo tempo mettendomi al corrente della sua vita quotidiana, delle speranze che conserva e dei sogni che insegue. I suoi genitori hanno acceso un fuoco, ma le fiamme non mi spaventano. Ora come ora, il tempo scorre, e Saskia mi parla. Nel tono della sua voce c’è un’inaspettata neutralità, che viene presto tradita dalla gioia. Detesta ammetterlo, ma crede di essersi innamorata. Fidandosi ciecamente di me, ha deciso di raccontarmi la verità. È stata colpita da una freccia di Cupido, e l’oggetto del suo interesse è un ragazzo del villaggio vicino, il giovane Truman. A detta della mia amica, è la persona migliore che abbia mai avuto il piacere e la fortuna di incontrare. Occhi color carbone, e capelli neri come il prezioso ebano. Di fronte all’amore che prova e sa di provare, un solo ed unico ostacolo. I suoi genitori. Mi duole dirlo, ma da quanto ho avuto modo di capire, le rispettive famiglie sembrano odiarsi, e non tengono minimamente in considerazione i sentimenti della figlia per il giovane. Quel semplice pensiero, la porta alle lacrime, e vedendola nascondere il volto con le mani nel tentativo di nascondere le lacrime, provvedo a leccarle il viso e farle scomparire. Dischiudendo le labbra in un debole sorriso, mi ringrazia, e rialzandosi da terra, posa lo sguardo sull’esanime corpo di mia figlia Cora. Inginocchiandosi per un singolo attimo, la guarda negli occhi, iridi spente e prive del loro tipico splendore, che non tradiscono altro che assenza di vita. Uscendo dalla grotta, va in cerca dei suoi genitori, e suo padre si appresta a sollevare il corpo di mia figlia da terra, portandola via da me senza dare spiegazioni. Mossa dal mio stesso istinto, seguo quell’uomo con passo felpato, muovendomi con circospezione e sperando che non mi noti. Appena fuori da quella spelonca, un fuoco acceso, un letto di paglia, e un religioso silenzio. Nell’aria un odore che ricordo di aver già sentito, vagamente simile a quello della dolce lavanda. Avendo forse intuito le mie intenzioni, Saskia mi è accanto, ed io seduta al suo fianco, la guardo per un attimo, senza capire. “È così che diamo l’ultimo saluto.” Mi dice, riuscendo a dissipare ogni mio dubbio e riempiendo involontariamente il mio cuore di tristezza. Da quel momento in poi, silenzio tombale. Lentamente, entrambi i genitori di Saskia posano un fiore sul dorso di mia figlia, e subito dopo tocca a lei. Camminando, si allontana da me con discrezione, e tornando indietro, si china per parlarmi. “Mi dispiace tantissimo.” Dice, per poi tornare a guardare dritto davanti a sé e fare del suo meglio per trattenere le lacrime. In quel preciso istante, un mio debole uggiolio rompe il silenzio, e con la coda dell’occhio, noto un particolare. Seppur in maniera quasi impercettibile, mia figlia muove una zampa, e tentando di aprire gli occhi, mi cerca. Allarmata, tento subito di avvicinarmi, ma un uomo a me sconosciuto, con in mano un tizzone ardente mi allontana. Incurante del suo volere, minaccio di mordere, e raggiungendo mia figlia, non faccio che abbaiare. La situazione pare essersi ribaltata, ed io ho visto tutto con i miei occhi. Mia figlia è viva. Le stelle hanno deciso di sorridermi, e lei non se n’è andata. Abbaio quindi senza sosta, e fallendo nel comprendere la natura del mio comportamento, gli umani mi ignorano. Disperata, sposto il mio sguardo su Saskia, che notando la mia agitazione, si avvicina al solo scopo di prendere le mie difese. “Fermatevi! Questa lupa non è morta.” Dichiara, per poi muovere una mano e richiamare gli uomini all’ordine. Negli occhi dei presenti, vero stupore. Non riescono a crederci, ma Saskia non mente. Improvvisamente, due umani pretendono di vedere mia figlia, ed esaminando il suo corpo, scoprono che ha ragione. Guardandomi, sorride. Sapeva che mi ero fidata del mio istinto, e proprio come questo mi aveva comunicato, mia figlia era ancora viva, e durante quella così solenne celebrazione riservato agli uomini e alle fiere ormai orfane della propria forza, fiducia umana e segni di vita.

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Capitolo 11
*** Fiera Notturna ***


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Capitolo XI

Fiera Notturna

I giorni passano, e con mia grande sorpresa, altri cambiamenti sconvolgono la mia vita. Difatti, l’intera comunità del villaggio di Saskia sta alacremente lavorando con un unico e comune scopo. La guarigione della mia Cora. Il tempo scorre, e sdraiata accanto al fuoco acceso e crepitante nella grotta che ormai conosco meglio delle mie stesse radici, fisso una delle mura. Improvvisamente, un particolare mi scuote il corpo. Incredibilmente, i disegni e le pitture presenti non sono più quelle che solevano che solevano essere, e alle stesse ne erano state aggiunte di nuove. Avvicinandomi, guardai meglio, e concentrandomi, riconobbi le figure di due diversi lupi. Uno bianco come la fredda e magica neve, l’altro nero come la buia notte. Incuriosita, sfiorai quelle immagini con gli artigli, e precipitandomi all’esterno, andai subito alla ricerca della mia famiglia umana. Confusa, mugolavo senza apparente ragione, tentando in ogni modo di convincerli a seguirmi. Inginocchiandosi di fronte a me, Saskia riuscì a riportarmi alla calma, e posando il mio sguardo su di lei, uggiolo come un cucciolo farebbe di fronte alla severa madre. Ad ogni modo, le ore scorrono veloci, e prima che la gente del villaggio riesca ad accorgersene, la notte cala, tingendo di nero il cielo e punteggiandolo di stelle, che ai miei occhi appaiono come preziose gemme capaci di splendere di luce propria. Curiosa riguardo al mondo che mi circonda, cammino tranquilla, approfittando della quiete notturna per guardarmi intorno. Stranamente, l’intero paese appare in fermento, e il padre di Saskia, accompagnato da altri rudi uomini, brandisce una lancia dalla punta acuminata. Con la coda fra le zampe, mugolai impaurita, e tornando al fianco della mia amica, sperai che fosse in grado di darmi spiegazioni. “Partiranno stanotte, e cercano la Fiera Notturna.” Disse sua madre, parlando in tono serio. Camminando lentamente, appariva impegnata in un costante e continuo andirivieni. Quel comportamento non aveva che un chiaro significato. La sua preoccupazione era tangibile, e la stessa aveva finito per contagiarmi. Anch’io ero spaventata, e pur fallendo in tale e misero intento, mi sforzavo di non esserlo e mostrarmi coraggiosa. Ad ogni modo, i miei sforzi si rivelarono vani, e tremando, ricominciai a comportarmi come la cucciola che ero negli anni passati, raggiungendo la porta della casa di Saskia e posandoci una zampa nella speranza di riuscire ad aprirla. Fortuna volle che la stessa Saskia realizzasse il mio desiderio, lasciandomi entrare nella sua umile dimora e offrendomi un rifugio migliore dell’ormai famosa e umida spelonca da me abitata per interi mesi. Una volta entrata, mi accucciai accanto al piccolo caminetto, e chiudendo gli occhi, tentai di dormire. Le ore notturne corsero quindi una lunga maratona, e durante il mio sonno, vidi ciò che non avrei mai neanche lontanamente sperato di vedere. Un sogno che era ormai divenuto ricorrente, e che riportava alla mia mente il ricordo della battaglia con Scar. Il suo orrendo volto impresso nei miei nitidi ricordi, e delle parole che ricorderò finche un’ombra di forza aleggerà in me. “Ti sto cercando, e quando ti troverò, il tuo branco morirà con te.” Questa la frase pronunciate da quella sorta di mostro, con il potere di far tremare e sobbalzare ogni singola cellula del mio corpo. In quella nefasta e spaventosa notte, mi svegliai scossa da evidenti tremiti, e madida di sudore. Rimettendomi in piedi, guardai fuori dalla finestra, e volgendo il mio sguardo all’argentea luna, padrona indiscussa del buio, presi un’importante e vitale decisione. Forse sarei rimasta da sola, e forse nessuno mi avrebbe aiutata, ma io avrei ucciso definitivamente l’orribile e malvagio Scar, conosciuto agli umani con il nome di Fiera Notturna.

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Capitolo 12
*** A caccia di prove ***


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Capitolo XII

A caccia di prove

Il buio raggiungeva il suo culmine, e la luce ritornava a dominare sul villaggio degli umani con l’arrivo del mattino. Sono sveglia e piena di energie, e la paura si annida nel mio animo. Il sogno della scorsa notte continua a tornarmi in mente, e guardando fuori dalla finestra, noto la presenza di un lupo. Chiudendo gli occhi per un singolo attimo, stento a credere a ciò che vedo. Un lupo dal pelo grigio mi fissa dritto negli occhi, e guardandomi, sembra volermi parlare. Incuriosita, esco subito da casa di Saskia, e avvicinandomi a quella bestia, mantengo il silenzio. Nello spazio di un momento, un ricordo. Una sorta di flashback che mi permette di rimembrare una realtà mai dimenticata, e assieme alla stessa, un particolare. Il muso di quella fiera era solcato da una piccola ferita, e il colore del suo pelo, unito all’odore che emanava, la riconobbi quasi subito. “Astral?” la chiamai, dubbiosa e incerta sul da farsi. “Come sai che ero qui? E perché sei venuta?” le chiesi, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una sua risposta. “I tuoi amici gufi mi hanno detto tutto, e questo posto è intriso del tuo odore.” Rispose, con la voce rotta dall’emozione. In perfetto e religioso silenzio la guardai fissamente, e raccogliendo le mie forze e il mio coraggio, le posi una domanda di vitale importanza. “Dove sono gli altri?” indagai, sperando che nulla di infausto fosse accaduto ai nostri congiunti. “Non li vedo da giorni.” Continuò, parlando in tono serio e al contempo preoccupato. Subito dopo, la vidi voltarsi, e muovendo un singolo passo verso di lei, la incoraggiai a restare. “Non andartene.” La pregai, avvicinandomi ulteriormente a lei e conservando la speranza di vederla rimanere immobile. “Ti voglio bene, e vorrei, ma non posso. Questo luogo pullula di umani.” Mi disse, con la voce che tremava come i fragili rami di un albero mossi dal vento. “Te l’ho detto! Non sono tutti uguali, fidati e resta.” Continuai, alterandomi senza volere e sentendo gli occhi e la gola bruciare per lo sforzo. Alle mie parole, mia sorella non rispose, e voltandosi, ritornò sui suoi passi. “Mi dispiace. Addio, Runa.” Quella l’unica frase che mi rivolse poco prima di sparire dalla mia vista, e dolorosa l’unica sensazione che provai dopo il suo allontanamento. Ad ogni modo, l’assolato pomeriggio prese il posto del mattino, e quel giorno, le sorprese per me sembravano non aver fine. Il padre di Saskia era rimasto fuori dal paese per tutta la notte, e al suo ritorno, portava in spalla quella che identificai come la carcassa di uno dei miei simili. La stessa Saskia era felice del ritorno del genitore, e pur avendo imparato ad amare la mia famiglia umana, io non potevo certamente esserlo. Ero infatti attonita, e mantenendo la mia immobilità, mi limitavo a fissarli. Una giovane donna mi si avvicinò, e sopraffatta dal dolore e dalla rabbia, ringhiai sonoramente. Per sua pura sfortuna, non ero in vena di carezze, e sapevo bene che nessuno, inclusa la mia grande amica Saskia, sarebbe riuscito ad ammansirmi. Non volevo crederci. Al mio occhio attento e indagatore, nessun particolare passò inosservato, e avvicinandomi a quel corpo ormai privo d’anima e forza vitale, feci la scoperta peggiore al mondo. Di fronte a me non c’era un lupo normale, ma bensì il mio amato Scott. Ancora una volta, mi rifiutavo di accettare la realtà, ma nulla di ciò che vedevo era falso. L’amore della mia vita mi aveva lasciata, non dandomi scelta dissimile dall’iniziare a provare puro odio verso gli umani, creature violente e capaci di indicibili stragi. Riflettendo, compresi che la famiglia di Saskia non aveva colpa, e non avendo la forza necessaria a condannarla, sparii dalla sua vista come nebbia per il resto di quella giornata. Approfittando della solitudine, organizzai la moltitudine di pensieri che aleggiava nella mia mente. Con la nuova alba, e l’aiuto del mio indomito spirito, avrei scoperto la verità. “Perché i lupi stavano morendo? Chi li uccideva? Morivano per scelta umana? Di chi era la colpa?” domande che disturbavano il mio sonno e la mia lucidità, alle quali avrei saputo rispondere solo affidando al mio istinto e andando a caccia di prove.

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Capitolo 13
*** Il richiamo della foresta ***


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Capitolo XIII

Il richiamo della foresta

Un giorno. Ventiquattro lunghe ore che erano sparite dalla mia vita riuscendo a sfuggire alla mia corsa, proprio come ultimamente riuscivano a fare le mie prede. Un’azione che le stesse compivano con frequenza sempre maggiore, rimanendo in vita e scampando ai miei artigli e ai miei aguzzi canini. Conigli, volpi, serpenti, e perfino viscide rane. Tutte prede che continuavano a ritrovare la libertà, impedendomi di procacciarmi il cibo e gioire di un lauto pasto. Il tempo scorre, e la mia unica consolazione sono i miei figli. Lupi giovani e agili, che sin dall’età adulta, hanno promesso di starmi accanto e aiutarmi in ogni occasione. Murdoch e King sono i miei unici figli maschi, gemelli orgogliosi l’uno dell’altro, ma mai rivali. Felicissimi di avere una sorella come la dolce e candida Cora, mio ritratto nell’aspetto fisico ma copia del padre per ciò che riguarda il carattere. Dopo circa un mese dalla sua disavventura nei boschi, è riuscita a riprendersi grazie all’aiuto dei miei amici umani, che ho abbandonato andando alla ricerca di un nuovo rifugio lontano dalla mia vecchia tana, dimora di fiere ben più grosse e feroci di me, che alla mia sola vista non avrebbero volontà dissimile dal mangiarmi dilaniandomi e straziando le mie povere e tenere carni. Triste e sconsolata, mi abbandono ad un cupo sospiro, per poi ignorare lo sguardo di mia figlia e posare il mio su un sentiero in terra battuta, al cui culmine è situato il villaggio degli umani. Oltre quel punto, la casa di Saskia. Mia grande amica e confidente, unica persona che sia mai riuscita a farmi cambiare idea sul mondo degli umani. Muovendo un singolo e tuttavia incerto passo in quella direzione, vorrei tornare indietro, ma so di non poterlo fare. I miei figli mi sono vicini, e l’amore della mia vita è definitivamente scomparso, morto per mano ignota. Il dolore derivante dalla sua perdita mi distrugge l’anima con una lentezza esasperante, e le ferite, fresche e aperte, bruciano. Per pura fortuna non sono sola, ma mi sembra di esserlo. Il silenzio mi avvolge, e sono completamente assorta nei miei stessi ed esuli pensieri. I minuti scorrono come acqua e volano come uccelli, ed io mantengo il silenzio. Cosa fare? Dove andare? Non ne sono sicura, ma so di dover agire. Le zampe mi fanno male, ma il dolore fisico appare inesistente se paragonato a quello emotivo. Non sono che una bianca lupa, e forse ingenuamente, credevo di aver trovato in Scott la mia metà, unico lupo di cui potessi fidarmi oltre a quelli formanti il resto del mio branco. Era sparito, morto, andato per sempre. La sua unica eredità sono i miei figli, che crescono con l’andar dei giorni riempiendomi il cuore di orgoglio. Un cuore che batte e non cessa di farlo nonostante le ferite, e che lo farà fino all’ora e al giorno della mia triste morte. Ora come ora, sono fortemente indecisa, ma sempre più propensa a lasciarmi tentare dal pressochè irresistibile richiamo della foresta.

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Capitolo 14
*** Tracce di verità ***


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Capitolo XIV

Tracce di verità

Imitando le azioni compiute nel giorno della mia nefasta fuga alla ricerca della salvezza, correvo. Mi muovevo con velocità inaudita, e annusando costantemente l’aria, erravo senza una meta precisa. Improvvisamente, un colpo di fortuna, che unito ad un ricordo, mi spinge a cambiare idea. Ora come ora, non desidero altro che tornare dalla mia amica Saskia, controllare come sta e avere sue notizie. Il mio viaggio alla volta del suo paese natio continua, e ogni passo mi avvicina alla mia meta. Il suo odore permea l’aria umida di nebbia, e seppur lentamente, la mia gioia aumenta. Finalmente la rivedrò, e con me ci sono anche i miei figli. Continuando a correre, lascio che i miei pensieri si muovano liberi all’interno della mia mente, e mentre il tempo non fa che scorrere, i miei ricordi fanno ritorno, più vivi e nitidi che mai. King e Cora mi seguono, ma Murdoch si rifiuta categoricamente. “Io non vengo.” Afferma, sedendosi e non accennando a muovere un singolo passo. “Dovete venire entrambi, lei è diversa.” Rispondo, posando il mio fermo sguardo su di lui. “Quella ragazza è umana, non diversa.” Continua, mostrando i denti e sentendo la rabbia crescergli dentro. Fissandomi, ringhia, e avvicinandomi con fare autoritario, gli impedisco di proferire parola. “È mia amica, e potete fidarvi.” Concludo, concentrandomi nuovamente sul sentiero che percorriamo ed evitando di guardare negli occhi i miei figli. I passi di Murdoch sono lenti ma decisi, e la sua postura tradisce insicurezza. A quanto pare, ha capito di aver sbagliato, e con un debole uggiolio, non cerca e chiede che il mio perdono. “Va tutto bene.” Sussurro, tornando a guardarlo e regalandogli un debole sorriso. I minuti scorrono lenti come il nostro cammino, e alzando lo sguardo, capisco di aver finalmente raggiunto la mia tanto agognata e bramata meta. Di fronte a me il villaggio di Saskia, che appare irrimediabilmente diverso, come svuotato della luce e della vitalità che è solita caratterizzarlo. Confusa e stranita, continuo a camminare guardandomi intorno, ma nulla appare vivo. È come se ogni più piccolo essere vivente avesse appena raggiunto la fine della propria esistenza, ma non ho alcuna voglia di arrendermi. Decisa, mi dirigo verso quella che è la sua casa, ed emettendo un semplice latrato, attendo che la porta venga aperta. A farlo è suo padre, che alla nostra vista, si esibisce in un rispettoso inchino. La situazione è inspiegabile, ma tacendo i miei dubbi, lascio che la mia attesa si protragga per altri preziosi minuti, allo scadere dei quali, Saskia si presenta dinanzi a noi. Spostando il suo sguardo su di me, si avvicina, e inginocchiandosi, prova ad abbracciarmi. Seppur colta alla sprovvista, la lascio pazientemente fare, e la sua felicità mi pervade e contagia fin quando lei stessa non pronuncia una frase semplice e al contempo capace di confondermi. “Per fortuna state bene.” Dice, riferendosi con quelle parole sia a me che ai miei figli. “Entrate, sembra poi voler dire, mentre con un gesto della mano ci invita a introdurci nella sua umile dimora. Mantenendo il silenzio, obbediamo ciecamente, e sdraiandoci sul ligneo pavimento, finiamo per addormentarci, sfiniti. Cora mi dorme accanto assieme a King e Murdoch, ma contrariamente a loro, faccio fatica a sprofondare in una delle mie solite e ormai conosciute dimensioni oniriche, che da qualche tempo a questa parte, non rappresentano che un problema. Incubi orribili mi perseguitano, e svegliandomi numerose volte, mi guardo intorno, impaurita. Le mie speranze di passare una vita tranquilla svaniscono quindi in un soffio, e riuscendo a uscire di casa attraverso una porta socchiusa, decido che una passeggiata è forse l’unico modo di ritrovare la calma ormai persa. Silenziosa, esploro le vie del villaggio, godendomi lo spettacolo offerto dalla notte e dalle lucciole, ballerine aggraziate e perfette. I loro lumi sembrano tuttavia guidarmi verso una meta specifica. Interrogandomi sull’inconsuetudine del loro comportamento, scelgo di seguirlo, e fissando il mio sguardo sul terreno, noto delle impronte mai viste prima. Leggere, e quasi invisibili, conducono alla cascata poco distante. L’acqua è tranquilla e immobile, e fermandomi per bere e ammirare il mio riflesso, scorgo in lontananza la sagoma di un lupo. So bene che la vista non mi inganna, e basandomi sul colore del pelo e degli occhi di quella fiera, la riconosco nello spazio di un momento. Di punto in bianco, la rabbia si impossessa di me, e mentre il terreno sembra tremare, scosso da una forza a me ignota, mi volto nella sua direzione, ringhiando furiosa. “Silver!” Lo chiamo, sputando senza alcun ritegno il suo nome. Rispondendo a quella sorta di richiamo, il mio interlocutore mi guarda negli occhi, e apparendo spaventato, non ha il coraggio necessario a parlare. “Perché lo state facendo? Perché attaccare gli umani? Dicevi di stimarli!” gridai, volendo unicamente redarguirlo per l’orribile gesto che sapevo portasse la sua firma unita a quella del perfido Scar. “Io non l’ho mai voluto, è colpa del mio branco!” risponde, con la voce spezzata e corrotta dal dolore e da un nodo di pianto ancora presente nella sua gola. “Allora vattene, fuggi e fai ciò che credi.” Continuo, conservando la segreta speranza di riuscire a riportarlo alla ragione e spingerlo ad agire secondo il suo stesso volere. “Non posso.” Biascica, per poi abbassare il capo in segno di vergogna e rassegnazione. A quelle parole, mantengo il silenzio, e limitandomi a guardarlo, attendo chiarimenti. “È vero, non posso farlo.” aggiunge, dandomi le spalle e allontanandosi con lentezza. “Perché?” ho la sola forza di chiedere, mentre la collera non fa che accecarmi. “Tu hai quasi ucciso mio padre, e ho giurato sulla luna!” urla, lasciando che la sua frustrazione abbandoni il suo corpo riversandosi su di me. “Cosa? Vuoi dire che Scar è…” balbetto, confusa e stranita da quanto ho appena sentito. “Sì, Runa. Scar è mio padre.” risponde, per poi tacere e scivolare nel più completo mutismo, che cessa non appena ritrova il coraggio di parlarmi. “Ricorda ancora il giorno in cui vi siete battuti, e da allora medita vendetta. Volevo proteggerti, e ci sono anche riuscito, fino a quando non ha iniziato a cercarti. Si è già vendicato sulla tua metà, e non voglio che prenda anche te. Torna indietro, adesso.” Confessa, per poi voltarsi e fuggire nel bosco pregno di vegetazione e nebbia. Decidendo di dargli retta, non pongo ulteriori domande, e ripercorrendo i miei passi, torno subito al villaggio, avendo cura di non disturbare il sonno di nessuno. Fuori è ancora buia, ma l’alba sta per spuntare. Dormo poco, e svegliandomi, riesco finalmente a comprendere ogni cosa. Era letteralmente incredibile, ma le lucciole, la luna e le impronte non erano che gli indizi necessari a seguire le tracce della verità che avevo finalmente scoperto.

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Capitolo 15
*** Trionfo d'amore ***


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Capitolo XV

Trionfo d’amore

Lunga è la notte, e con la sua scomparsa, un nuovo giorno. Svegliandomi, assisto ad un ennesimo cambiamento, ovvero una nuova stagione. La primavera ha raggiunto anche la foresta, e ogni più piccolo animale ne sembra felice. Le foglie degli alberi riacquistano il loro colore verde smeraldo, i fiori spuntano di nuovo vincendo il gelo invernale, ed io respiro a pieni polmoni. La gentile aria me li sfiora, e guardandomi attorno, noto delle impronte. Abbassando il capo, non faccio che annusare il terreno, e seguendo quegli indizi, raggiungo mia nonna, sdraiata sotto un albero e pervasa dalla calma. Imitandola, mi acquatto al suo fianco, e notando la presenza di un fiore proprio sotto la mia zampa, la sposto. Non sono che una lupa, ma amo la natura, e credo che nonostante il mio vero essere, questa vada rispettata. “Sembri pensierosa.” Osserva, avvicinando la sua zampa alla mia e guardandomi negli occhi con fare materno e amorevole. “Lo sono.” Ammisi, sfuggendo dai suoi sguardi e nascondendo il volto con le zampe in segno di vergogna. “Parlami, ti aiuterà.” Mi incoraggia, continuando a guardarmi e sperando che riesca ad aprirmi e dirle la verità riguardo ai miei turbamenti. Ero frustrata, e lo ero da giorni, e credevo fermamente che parlarne non avrebbe fatto altro che giovarmi, aiutandomi quindi a far scomparire un enorme peso dal mio povero e fragile cuore, già incredibilmente tediato dal dolore e dalla sofferenza derivante dai miei trascorsi. “Si tratta di Scott.” Dissi, non accennando ad alzare lo sguardo e continuando a nasconderlo a causa della vergogna che sapevo di provare. “Fa ancora male, vero?” mi chiese mia nonna, tentando di indurmi a parlarne e liberarmi completamente. Mantenendo il silenzio, scelsi di non rispondere, e guardandola negli occhi per un singolo istante, sentii un nodo attanagliarmi la gola e lo stomaco. “Vieni qui.” Disse poi, rimettendosi in piedi e invitandomi ad avvicinarmi. Obbedendo a quella sorta di ordine, mossi qualche indeciso passo nella sua direzione, e strofinando il mio muso contro il suo, riuscii a ritrovare la calma. “Non devi preoccuparti, adesso è in un posto migliore.” Continuò, sorridendo debolmente al solo scopo di vedermi felice. Annuendo lentamente, le diedi le spalle, e avvertendola delle mie intenzioni, mi incamminai nuovamente verso l’ormai conosciuto e rinomato villaggio della mia amica Saskia. Camminavo lentamente, e per qualche strana ragione, i miei congiunti non vollero lasciarmi andare, o almeno non da sola. “Vengo con te.” Disse mia sorella Astral, raggiungendomi e unendosi a me nel viaggio verso la mia destinazione. “Sei sicura?” le chiesi, preoccupata. Alle mie parole, Astral non rispose, e limitandosi ad annuire, iniziò a camminare al mio fianco. Poco prima di andare, guardai negli occhi nostra nonna, e salutandola, mi avviai. Per pura fortuna, il viaggio non durò molto. Le stelle avevano precedentemente voluto che conoscessi una sorta di scorciatoia, che ci avrebbe condotte alla meta in pochissimo tempo. Non appena arrivammo, un particolare mi saltò all’occhio. L’intera comunità appariva felice e gioiosa, e una moltitudine di persone, in maggioranza donne accompagnate dai loro uomini, si stava dirigendo verso la cascata. Seppur incuriosita, scelsi di non indagare, e guardandomi indietro, mi assicurai che Astral mi stesse seguendo e tenesse il passo. “Non allontanarti.” L’ammonii senza parlare. Quasi istintivamente, annusai l’aria e il terreno, e correndo, raggiunsi la casa della mia amica. Abbaiando, sperai segretamente che aprisse la porta, cosa che accade nello spazio di alcuni preziosi momenti. Alla sua vista, agitai la coda, e guardandola, notai in lei alcune sostanziali differenze. I suoi occhi color nocciola brillano come astri, e la sua esile figura è fasciata da un vestito diverso da quello che è solita indossare. Bianco, sobrio ed elegante. Mantenendo il silenzio, mugolo leggermente, e avvicinandomi, lascio che mi saluti. Una veloce carezza è tutto ciò che ottengo, ma la cosa non mi tocca. Alcuni secondi passano, e la sua intera famiglia la raggiunge. Guardandomi intorno, vedo sua madre, che piangendo per la gioia, rivolge alla figlia innumerevoli complimenti. Suo padre è molto più calmo, e nonostante la forza dei suoi stessi sentimenti, evita di scomporsi. Ultime a questa sorta di appello sono sua nonna e una bambina che credo essere sua sorella minore, che con voce dolce e angelica ammette di essere gelosa. “Un giorno succederà anche a te.” Le dice Saskia, inginocchiandosi di fronte a lei e stringendola in un delicato abbraccio. Concentrata, non muovo un singolo muscolo, e cambiando repentinamente idea, scelgo di seguire i miei amici umani fino alla cascata. So bene che una radura si estende per chilometri interi, e a mio avviso quello sarebbe il posto perfetto per un’occasione speciale. Camminando, mi concessi del tempo per riflettere, e all’improvviso, tutto mi fu chiaro. Non riuscivo davvero a crederci, eppure Saskia si stava sposando. Era ancora giovane, appena una donna, e nonostante tutto, era in procinto di convolare a giuste nozze con l’uomo che amava. Sedendoci accanto ad una coppia di umani, mia sorella ed io assistemmo alla cerimonia in completo e religioso silenzio, ma contrariamente a lei, io non tentai minimamente di nascondere le mie emozioni. I minuti continuarono a scorrere, e con la liberazione in cielo di alcune bianche colombe, il momento più importante. Un bacio avrebbe suggellato la loro unione, e da quel momento in poi, Saskia e il suo amato Truman sarebbe diventati marito e moglie. Coniugi innamorati e fedeli che avrebbero dato vita ad un vero trionfo d’amore, proprio come me e il mio amato Scott. Sopprimendo le lacrime e il ricordo a lui legato, mi concentrai sulla mia amica, e seguendola, scoprii che aveva la ferma e precisa intenzione di tornare a casa. Silenziosa come un gufo impegnato a volare nel cielo notturno, mi muovevo furtiva e veloce, ma per qualche arcana e a me ignota ragione, Astral faticava a starmi dietro. “Stai bene?” le chiesi, fermandomi e permettendole di raggiungermi. “Sì.” Si limitò a rispondere, respirando a fatica e sforzandosi di sorridere. Conoscevo mia sorella, e qualcosa nel suo comportamento appariva anomalo. Da ormai alcuni giorni appariva spossata e incapace di compiere sforzi fisici, e nonostante tali limitazioni, si mostrava stoica e pronta a continuare. Con l’arrivo della sera, tornai alla tana assieme a lei, e vedendola sdraiarsi fra la morbida erba, al fianco del suo amato Chronos, la sentii pronunciare una frase non ebbe potere dissimile dallo spiazzarmi, lasciandomi quindi senza parole. “C’è qualcosa che non ti ho detto.” Mi disse, iniziando forse inconsciamente a tremare e guardandosi costantemente intorno, con occhi sgranati e puro terrore nell’anima.

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Capitolo 16
*** Muta letizia ***


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Capitolo XVI

Muta letizia

È di nuovo buio. Tutti dormono, eccetto me. Sono difatti persa in uno stato di dormiveglia, sdraiata su un fianco a occhi socchiusi. Le zampe molli, e le orecchie sempre tese alla ricerca di suoni e novità. Il bubolare di un gufo riesce a riportarmi alla realtà, e rimettendomi in piedi, miro lo stellato cielo, ora scuro e quasi tinto di nero. I miei amici alati sono tornati a farmi visita, e scendendo in picchiata, raggiungono il terreno, iniziando quindi a zampettarmi intorno come passeri solitari. “Sei ancora sveglia?” chiede Owen, fissando il suo sguardo su di me e attendendo in silenzio una mia qualsiasi risposta. “E preoccupata.” Dissi, con la voce rotta e spezzata dall’emozione. “Povera cara! Qualcosa non va?” si informò la dolce India, moglie del mio amico poeta. “Mia sorella. Sono giorni si comporta in modo strano. Ansima, è stanca e non riesce a muoversi.” Continuai, soddisfacendo la curiosità dei miei congiunti alati. “Forse so cosa la affligge.” Esordì poi Casper, rompendo il silenzio che era riuscito a mantenere fino a quel momento. In quel preciso istante, mi sedetti, e continuando a guardare il mio amico negli occhi, attendevo di ascoltare la sua opinione a riguardo, che sarebbe con grande probabilità stata accompagnata da qualche perfetta rima. “La gioia e il dolore nel suo animo turbineranno, e al sorgere del sole le cose cambieranno.” Disse, riuscendo a dissipare ogni mio dubbio. A quelle parole, non risposi, avendo unicamente il coraggio necessario a formulare una singola e semplice domanda. “Torna a dormire, e promettimi solo di restare con lei.” proruppe poi una voce alle mie spalle. Voltandomi di scatto, riconobbi la figura di mia nonna, occultata dalle tenebre e difficilmente visibile. Spostando quindi lo sguardo, notai un particolare che non ebbe potere dissimile dallo scioccarmi. Un lampo precedette un fragoroso tuono, e nei secondi di luce che ne risultarono, la verità. Non riuscivo a crederci, ma Astral era sparita. Una sola cosa era certa. Dovevo ritrovarla, e in fretta. “Dovete aiutarmi.” Dissi, riferendomi ai miei quattro interlocutori, ora preoccupati quanto me. Obbedendo a quella sorta di ordine, i miei custodi alati volarono via andando alla sua ricerca, e correndo al mio fianco, mia nonna si offrì di accompagnarmi nel viaggio che ci avrebbe condotto al luogo dove era fuggita. I minuti passavano, e nascosta nella tetra oscurità, gridavo il suo nome. Per pura sfortuna, nessuna risposta giungeva alle mie orecchie, e di mia sorella nessuna traccia. Non lo credevo vero né possibile, ma di lei neanche l’ombra. Intanto, le ore continuavano a passare, ed io sentivo caldo. Il sole stava lentamente spuntando e mostrando il suo tuttavia ancora pallido volto, e la temperatura si stava alzando. Il buio era ormai scomparso, e improvvisamente, avvertii nell’aria la presenza di un odore. Concentrandomi, lo riconobbi. Era lei. Quasi istintivamente, sollevai il capo, e posando il mio sguardo sull’ora azzurro cielo sgombro dalle nuvole, vidi i miei tre custodi alati solcarlo come erano soliti fare, emettendo stridii a tratti incomprensibili. Erano troppo lontani perché potessi sentirli chiaramente, ma malgrado la distanza, compresi il loro messaggio. “Seguici.” Sembravano dire, volando senza apparente sosta ad ali spiegate. In quel momento, la stanchezza era in procinto di immobilizzarmi, ma lottando contro il dolore alle zampe, mi mostrai fiduciosa, contando sull’aiuto dei miei amici. Seguendo il loro muto andare, raggiunsi senza accorgermene l’ormai conosciuto villaggio abitato da Saskia, ed entrando nella grotta che avevo per puro caso scoperto tempo prima, la vidi. Mia sorella, sdraiata su un fianco, intenta ad allattare tre adorabili lupacchiotti. Ero arrabbiata perchè non me ne aveva parlato, A quella vista, mi intenerii sciogliendomi come bianca neve al sole. “Sorpresa.” Biascicò, notandomi e posando il suo sguardo su di me. L’occhio stanco, la voce flebile, e il grigio pelo rovinato. Appariva stremata, e mentre i suoi tre piccoli continuavano a muoversi e scalciare andando alla ricerca del latte con il quale si sarebbero nutriti, lei tentò di alzarsi. Avvicinandomi, decisi di aiutarla, e guardandola, notai che il suo intero corpo tremava. “Ho paura.” Ammise, posando alternativamente il suo sguardo colmo di terrore e preoccupazione su di me e sui suoi cuccioli. “Forse Scar ci sta ancora cercando, io ho appena avuto i piccoli, e se dovessimo fuggire? Che faremo?” chiese, tempestandomi di domande e sperando in una marea di risposte e parole di incoraggiamento. “Non dovremo. Hai fatto bene a rifugiarti qui. Dove sono gli umani?” risposi, per poi terminare quel mio discorso con quella domanda. “Sono andati a caccia, e cercano un lupo. Lo chiamano Fiera Notturna.” Continuò, per poi tacere e scivolare nel più completo mutismo. A quel nome associai un ricordo, e improvvisamente, raggelai. La ricerca di Scar da parte degli umani non era finita, e da ormai lungo tempo non facevano che muovergli guerra. Iniziando forse inconsapevolmente a tremare, tentai di nascondere le mie vere emozioni acquattandomi al fianco di Astral. “Ora dormi, hai bisogno di riposo.” Le dissi, fornendole un utile consiglio e vedendola sdraiarsi in una posizione tale da offrire spazio anche ai suoi cuccioli. Con l’arrivo della notte, faticai ad addormentarmi, e nonostante i mille cupi pensieri che mi vorticavano in mente, spendevo ogni grammo delle mie energie nel tentare di sorridere e concentrarmi sul ritrovamento di mia sorella e della sua seppur muta letizia.

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Capitolo 17
*** Collera di lupo ***


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Capitolo XVII

Collera di lupo

Un ennesimo mese era passato, e dopo migliaia di tentativi e stratagemmi diversi, ero riuscita a convincere mia sorella e il resto dei miei congiunti a dividersi fra la nostra tana e il villaggio della mia amica Saskia, unica umana oltre ai suoi genitori di cui mi fidi. Ora come ora, le lancette del tempo non fanno che muoversi, e i cuccioli di Astral crescono velocemente. Proprio come me, anche lei ha avuto tre figli. Brutus, Nova e Delta. Questi i loro nomi, e in ognuno di loro una schiacciante somiglianza con il padre, il gelido e glaciale Chronos. Per pura sfortuna, pare che il lupo più importante nella vita di questi lupacchiotti non sarà presente. Difatti, ha lasciato Astral non appena ha saputo della nascita dei piccoli. In genere, un lupo tende a mostrare grande considerazione per una compagnia in attesa, ma qualcosa in lui era diverso. Ad essere sincera, mi aspettavo una reazione di questo genere. Guardandomi indietro, ricordo bene il giorno in cui i miei figli hanno fatto il loro ingresso in questo mondo. Non voleva vederli né averli intorno, e anche se il suo odio per loro ha finito per affievolirsi fino a scomparire, lo stesso discorso non è applicabile ai lupi che custodiscono nel loro sangue e nei loro geni parte delle sue caratteristiche. Tre cuccioli dal pelo color pece, ma gli occhi azzurri come quelli della madre, addolorata dopo la scomparsa di colui che amava e sapeva di amare. Rimasta sola, è comunque riuscita a metabolizzare e sopprimere il dolore, prendendo esempio dalla relazione di Truman e Saskia, miei grandi amici sin dal giorno in cui fuggendo, mi sono imbattuta nel villaggio dove vivevano. Una comunità unita e felice, ma ad ogni modo impegnata in una sorta di guerra contro il più cattivo dei lupi, ovvero Scar. Una lotta tristemente impari e sfortunatamente impossibile da vincere, dalla quale sarebbero quasi sicuramente usciti sconfitti. Ad ogni modo, i giorni continuano a passare, e svegliandomi, proprio oggi ho visto qualcosa che non avrei mai voluto vedere. Silver. Trascorreva gran parte del suo tempo accanto a mia sorella, forse volendo unicamente confortarla dopo quanto le era accaduto, prendendosi perfino cura dei suoi cuccioli come se gli appartenessero. Pur non gradendo la sua presenza, provavo a sopportarla, e seguendo i consigli del mio saggio nonno Titan e di mia nonna Athena, non reagivo. “Dalle tempo, e tutto tornerà com’era.” Ripetono, guardandomi negli occhi e mantenendo una calma a dir poco mostruosa. Abbassando il capo, sceglievo sempre di inchinarmi di fronte a loro, e accettando i loro consigli, agivo di conseguenza. I minuti scorrevano, e la mia pazienza non faceva che assottigliarsi. Rimanendo a debita distanza, continuavo a guardarli da lontano, e fu solo allora che lo vidi. Avvicinandosi a mia sorella, Silver scelse di baciarla, e vedendola ritrarsi, ringhiò sonoramente. In quel preciso istante, divenni cieca a causa della mia stessa rabbia. Correndo nella sua direzione, feci quanto era in mio potere per difenderla. “Lasciala stare!” ringhiai, mostrando i denti e ferendogli il muso con gli artigli. “Cosa vuoi, domestica? Lei è la mia metà!” rispose avvicinando il suo ancora sanguinante grugno al mio. Per nulla spaventata da quelle parole, continuai a ringhiargli contro, e con una seconda zampata, riuscii ad atterrarlo. Non ero certo crudele, ma la collera mi accecava, rendendomi incapace di controllare le mie azioni. “Smettetela!” gridò poi Astral, frapponendosi fra me e lo stesso Silver. “Io non sono la sua metà, e tu avevi ragione.” Mi disse, lasciando che il suo sguardo ora colmo d’ira di posasse su di me. Sbuffando, ci diede le spalle, venendo seguita dai suoi cuccioli, che zampettandole accanto, imitavano alla perfezione i suoi movimenti. Continuando a guardarla, la vidi tornare alla grotta e passare lì il resto della giornata, e trovando rifugio in casa di Saskia, mi addormentai accanto ad un fuoco acceso. Sognando, rividi per l’ennesima volta l’odioso Scar, e svegliandomi di soprassalto, ebbi l’impulso di ringhiare. Non lo credevo possibile, eppure un semplice sogno unito ad alcuni eventi all’interno della mia vita, aveva risvegliata la mia ormai sopita collera di lupo.

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Capitolo 18
*** Graffiti nella roccia ***


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Capitolo XVIII

Graffiti nella roccia

Camminavo lentamente, con aria solo all’apparenza tranquilla. Il sole aveva di nuovo vinto la sua guerra contro la luna, astro per noi lupi importante quanto la vita, e levandosi in cielo, aveva dato i natali ad un nuovo giorno. Nessuno al di fuori dei miei congiunti avrebbe potuto capirlo, ma io non ero tranquilla. Il gesto che avevo compiuto, scagliandomi con rabbia contro Silver e ferendolo al solo scopo di difendere mia sorella, aveva finito per ferire anche me. Come ripeterò fino alla fine dei miei giorni, odio la violenza, e non tentando mai di farvi ricorso, provo ogni volta a controllarmi, dominando ogni volta l’impulso di attaccare. Una sola volta avevo fallito, e proprio ora, durante una diurna passeggiata, rimuginavo sul passato e sul risultato che le mie azioni avevano prodotto. Ero riuscita a difendere mia sorella, ma avevo ad ogni modo perso la calma e il controllo. Il tempo scorre, ed io giungo alla grotta dove mi rifugiavo nei momenti di sconforto o paura. Sedendomi accanto ad Astral, le regalai un debole ma convincente sorriso, notando con piacere che mia nipote, la piccola Nova, è l’unica dei cuccioli a non dormire, essendo difatti impegnata a rosicchiare un seppur fragile ramoscello, suo unico espediente per riuscire a sopportare il dolore e la tensione derivante dal cambio dei denti. L’intera scena mi strappa un sorriso, e guardandola, rimembro i miei tempi da cucciola. Il mio riflesso appare chiaro in una piccola pozzanghera di acqua piovana, e rimanendo immobile, mi sforzo di tornare indietro nel tempo e ricordare. Istintivamente, chiusi gli occhi, e respirando a pieni polmoni, vidi la mia intera vita scorrere nei meandri della mia stessa mente. Una cucciola dal pelo bianco, candida come la fredda neve, e due occhi azzurri come preziosi zaffiri, pietra che ho visto in una sola occasione pendere da uno dei bracciali appartenuti alla mia amica Saskia. Ingenua e indifesa, si diverte a giocare con i suoi fratelli sotto gli occhi attenti dei genitori, lupi grigi dal temperamento forte e deciso, pronti a qualunque cosa pur di difendere il branco. Quella cucciola ero io, la dolce e ad ogni modo forte Runa. Scuotendo leggermente il capo, libero la mente da ogni pensiero, e tornando a guardarla, lascio che il mio sguardo cada su Brutus, cucciolo diverso dagli altri per la sua indipendenza unita alla sua grande curiosità, che lo aveva portato a fissare lo sguardo sui disegni presenti sulle pareti della grotta. I suoi occhi brillavano per la felicità, e posando una zampa sul muro in roccia, mi chiamò abbaiando, quasi a voler attirare la mia attenzione. Obbedendo a quella sorta di richiamo, mi voltai nella sua direzione, e spostando il mio sguardo sulla parete rocciosa, noto un nuovo particolare. Un nuovo disegno ha fatto la sua comparsa, e gli umani sembrano averlo scolpito da poco. Ad avvalorare la mia tesi, la presenza di una sorta di polvere rossastra fra i cuscinetti della mia zampa, e un ciottolo dello stesso colore, che staccandosi dal muro, cade producendo un rumore sordo. Quasi per istinto, arretro, e continuando a fissare quel disegno, tento di interpretarne il significato. Nello stesso, un sentiero illuminato dalla luce lunare. Confusa, scuoto nuovamente il capo, e guardando mia sorella Astral negli occhi, scelgo di chiederle spiegazioni. “Lo avevi visto?” chiesi, indicando con la zampa ognuno dei disegni che avevo avuto la fortuna e il piacere di ammirare. “No, ma qualcosa significa.” Rispose, guardandomi con aria interrogativa. Incerta sul da farsi, mi guardai intorno, e dandole le spalle, andai subito in cerca di nostra nonna. Era il lupo più saggio che conoscessi, ragion per cui uno dei suoi consigli era ciò di cui avevo bisogno. Tornando in fretta alla tana, la trovai intenta ad affilarsi gli artigli strofinandoli contro un tronco d’albero, e pregando perché mi aiutasse, la convinsi a seguirmi. Il nostro viaggio verso quell’ormai conosciuta spelonca non si rivelò lungo, e una volta arrivata, faticai a parlare a causa della stanchezza. “È un disegno degli umani.” Le dissi, strascicando le parole. “Che vuol dire?” chiese Astral, che per tutto quel tempo era rimasta nella grotta assieme ai suoi piccoli. “Te lo dirò quando sarà il momento.” Rispose lei, guardandomi fisso negli occhi e sdraiandosi al solo scopo di abbandonarsi fra le braccia di Morfeo. “Ma nonna…” protestai, sfiorandole il corpo con una zampa. “Quando sarà il momento.” Ripetè, rimettendosi in piedi e spostandosi in un angolo sovrastato dal buio. Mugolando leggermente, mi acquattai vicino ad Astral e ai suoi cuccioli, che protetti da due lupe adulte del nostro calibro, si addormentarono sbadigliando. Quella notte, dormii profondamente, sperando che uno dei miei sogni contenesse la chiave dell’enigma rappresentato dai graffiti nella roccia.

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Capitolo 19
*** Vendetta ***


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Capitolo XIX

Vendetta

Nella nera e buia notte, il silenzio è rotto come vetro solo dal frinire dei grilli, animali notturni e intenti a cantare fino al mattino. Il tempo scorre, ed io sono palesemente e profondamente addormentata. Improvvisamente, vengo colta da un’orribile sensazione di freddo, e voltandomi, avverto l’assenza di qualcosa, o meglio, qualcuno. L’istinto mi porta ad aprire gli occhi, e guardandomi intorno, vedo ciò che non avrei mai voluto vedere. Astral è ancora preda del sonno proprio come mia nonna, ma uno dei cuccioli sembra scomparso nel nulla. Nova. La più grande e matura dei tre, è ormai sparita dalla vista mia e di sua madre. “Astral, svegliati subito.” La esorto, scuotendola al solo scopo di accelerare il processo. “Runa, è notte fonda, cosa vuoi?” chiede, sbadigliando e faticando a rimanere sveglia. “Si tratta dei cuccioli, Nova è sparita!” rispondo, alterandomi di colpo e sentendo la paura annidarsi fra le crepe e le fessure del mio gentile animo. “Che cos’è, uno dei tuoi sogni?” indaga, sarcastica. “Se non mi credi controlla tu stessa!” continuo, visibilmente irosa. Alle mie parole, Astral non risponde, limitandosi a rimettersi in piedi e fissarmi, sbalordita. Non poteva né voleva crederci, ma avevo ragione. Sua figlia era sparita, e come sue uniche tracce, dei ciuffi di pelo uniti ad alcune macchie di sangue. “Dobbiamo trovarla, ora!” gridò, rompendo il silenzio mantenuto fino a quel momento. In completo e perfetto silenzio, non feci che annuire, e svegliandosi, nostra nonna scelse di accompagnarci. La nostra corsa ebbe quindi inizio, e la nostra strenua ricerca andò avanti per quasi tutta la notte. Le ore passavano, e noi non facevamo che andare alla ricerca della piccola Nova gridando il suo nome. Improvvisamente, un odore raggiunse il mio naso, e fermandomi di colpo, lo riconobbi. In quel preciso istante, le tenebre della mia mente parvero scomparire. “Seguitemi.” Dichiarai, per poi ululare alla luna e iniziare una corsa a perdifiato verso il nostro unico obiettivo. La povera Nova era scomparsa, e aveva assolutamente bisogno del nostro aiuto. In fondo non era che una cucciola, e data la sua giovane età, sapevamo che non sarebbe certo riuscita a sopravvivere a lungo nella buia e pericolosa foresta. Disperate, continuavamo a chiamare il suo nome, e in lontananza, un grido d’aiuto. Tendendo le orecchie, Astral sentì la voce della sua amata figlia, e guardandomi, si esibì in un poderoso scatto in avanti. Appena un attimo dopo, una sorta di fruscio unito al fischio del vento, e proprio dinanzi a noi, il nemico. Scar. Il più scaltro e malvagio che abbia mai avuto la sfortuna di conoscere. Una malevola sorte vuole che non sia solo, e che al suo fianco ci sia la povera Nova. Il dolore sembrava pervaderla, e una grave ferita al collo le sporcava di sangue il pelo. Preoccupata, Astral lasciò che il suo istinto materno la governasse, e avvicinandosi, tentò in tutti i modi di difendere l’amata figlia dal nostro ormai conosciuto antagonista. Un ringhio potente e colmo d’ira abbandonò la sua gola, e con un balzo gli fu addosso. Fallì nel misero tentativo di atterrarlo, riuscendo comunque a ferirlo al muso. Una zampa cedette a causa delle ferite riportate, e Scar rimase inchiodato a terra, non avendo scelta dissimile dal lamentarsi per il dolore. Alcuni preziosi secondi svanirono, e guardandolo fisso negli occhi, mia sorella cadde in quella che era la sua trappola. Scar era ferito, certo, ma non mortalmente. Difatti, poteva ancora muoversi, e con una semplice zampata rese Astral impotente. Chiamando il suo nome, mi lanciai all’attacco, e mordendo con quanta forza avessi, vidi il suo sporco sangue uscire a fiotti da due fresche ferite aperte dalla pressione esercitata dai miei aguzzi denti sulla sua tenera carne. Ad ogni modo, qualsiasi sforzo appariva inutile. Ridendo compiaciuto di fronte alla mia stanchezza, riusciva ad alzarsi ogni volta, contrattaccando con forza sempre maggiore. “Siete patetici.” Disse, riferendosi a me e al resto dei miei congiunti. Di fronte alla nostra lotta, la piccola Nova lanciò un urlo agghiacciante e pieno di paura, e il nemico scomparve, sparendo nel buio. Con la sua scomparsa, il sorgere del sole. Faticando a respirare, fissavo il punto verso il quale Scar sembrava essersi diretto, lasciando che il mio sguardo cadesse sulla verde erba ora macchiata di rosso. Tesa come una corda di violino, continuavo a guardarmi intorno, andando con il solo sguardo in cerca di mia nipote Nova, ora sana e salva grazie al nostro intervento. Nel tentativo di confortarla, mi avvicinai, e per pura sfortuna, non riuscii a convincerla a seguirmi. A quanto sembrava, qualcosa la bloccava, e guardandola, non udii che una sola parola. “Mamma…” chiamava, voltandosi verso colei che le aveva offerto il dono della vita. Avvicinandosi, le sfiorò un fianco con la zampa, ma da parte sua nessuna reazione. Quel che vedevo non era che il suo corpo immobile e privo di forza vitale abbandonato fra l’erba, gli occhi spenti e vacui della loro solita lucentezza. Per lei era finita. Era appena stata uccisa di fronte alla sua stessa figlia, che mugolando, sperava invano in un suo risveglio. Per lei nulla da fare. La nuda e cruda realtà prendeva forma davanti agli occhi di una cucciola, e perfino mia nonna rimase interdetta e incerta sul da farsi. Vecchia, saggia e affidabile. Questi i tre aggettivi che userei per descriverla, ed eroica il quarto di cui mi avvalgo vedendola compiere un gesto a dir poco nobile. Avvicinandosi con lentezza e pazienza alla piccola, la afferra delicatamente per il collo, avendo cura di non peggiorare la ferita già presente. Siamo stanche, non riusciamo a camminare, e l’unica cosa da fare è tornare alla tana. Mi muovo lentamente, accompagnata dalla fiducia in me stessa, e silenziosamente, si fa largo in me un giusto e forse folle desiderio di vendetta.

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Capitolo 20
*** Reduci di un conflitto ***


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Capitolo XX
Reduci di un conflitto
Il pomeriggio è in procinto di prendere il posto del mattino, e dopo aver riposato ai piedi di un grosso albero, abbiamo ripreso il viaggio verso casa. La nostra tana ci attende, così come il resto dei nostri congiunti. I nostri cuori appaiono occupati dal dolore, e i nostri occhi pieni di lacrime che non hanno desiderio dissimile dallo sgorgare. Sospirando cupamente, faccio del mio meglio per trattenermi e mostrare il mio stoicismo di fronte a Nova, che incrociando il mio sguardo per un singolo attimo, sembra cambiare idea, fissandolo quindi sul terreno. Camminiamo senza parlare, e un ramo alle nostre spalle si spezza. Quasi per istinto, mi volto. So bene cos’è appena successo, eppure dentro di me alberga ancora una seppur flebile speranza, secondo la quale, Astral è ancora viva. Il mio cuore accelera i suoi battiti, e guardandomi indietro, scopro di sbagliarmi. La colpa di tale rumore è da imputarsi ad un leprotto impaurito, che alla nostra vista, fugge nascondendosi in un tronco cavo. Tornando a guardare dritto di fronte a me, scelgo di mantenere il silenzio. Ora come ora, non ho parole. Il dolore mi ha lasciata senza, e la lotta ha prosciugato ogni mia energia. Riesco ancora a muovermi, ma per mera fortuna unita alla forza d’inerzia. Finalmente, la nostra meta. Il silenzio l’avvolge e domina indiscusso, e improvvisamente, qualcosa entra nel mio campo visivo. È questione di un singolo attimo, e l’azzurro dei miei occhi si fonde con il color dell’oro. Ad essere sincera, conosco un solo lupo che vanta tale caratteristica. Chronos. Alla mia vista, mi corre incontro, e respirando irregolarmente, mi tempesta di domande. “I gufi mi hanno detto tutto, state bene? Dove sono i cuccioli? Dov’è la mia Astral?” I suoi interrogativi piovvero letteralmente su di me, e respirando a pieni polmoni, mi augurai di avere il coraggio necessario a dire la verità. L’ultima frase da lui pronunciata mi colse alla sprovvista. Non riuscivo a crederci, eppure nonostante il suo carattere freddo, distaccato e glaciale, Chronos era ancora perdutamente innamorato della sua metà. L’orgoglio gli aveva precedentemente sbarrato gli occhi, ma ora tutto era tornato alla normalità. La misteriosa forza dell’amore gli aveva colpito e sciolto il cuore, e guardandomi con occhi lucenti e colmi di speranza, attendeva una risposta. Serrando le labbra, respirai nuovamente, e chiudendo gli occhi per un singolo attimo, parlai. “Noi stiamo bene, ma Astral non ce l’ha fatta.” Ammisi, abbassando il capo in segno di tristezza e vergogna. Alle mie parole, Chronos non rispose, ma muovendo un unico passo in avanti, fissò lo sguardo sul cielo terso e azzurro, ululando di dolore. Con l’arrivo della notte, i suoi lamenti dettati dalla sofferenza non cessarono, e ritrovando la calma prima del sonno, mi fermai a pensare, riepilogando gli eventi vissuti. Una nuova battaglia contro Scar sembrava vinta, Nova era salva, e per pura sfortuna Astral era rimasta orfana della vita, morendo tuttavia per una buona causa. In altri termini, io e la mia saggia nonna non eravamo che reduci di un pesante e sanguinoso conflitto.


Salve di nuovo a tutti i miei lettori. Avete seguito con pazienza e passione la vostra amica Runa nella seconda parte del suo viaggio alla ricerca d se stessa e delle sue radici, ma sarete felici di sapere che nonostante il dolore con cui la storia si chiude, la strada che deve percorrere è ancora lunga. Ringrazio chiunque leggerà e vorrà recensire, in special modo "la luna nera" sempre pronta a sostenermi. Ci rivedremo nel seguito di quest'avventura,


Emmastory :)

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