Sniper: Il Tiratore dei Cieli

di Silvio Shine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Bersaglio Abbattuto ***
Capitolo 3: *** 2 - Il Terrorista Chiacchierone ***



Capitolo 1
*** 0 - Prologo ***


L’IRA DIVINA

GLI ANGELI CHE COMBATTONO I DEMONI

UN UNICO SOLDATO RICHIAMATO DALLA MORTE PER COMBATTERE UNA GUERRA SENZA PRECEDENTI

 

Aprì gli occhi alla luce del sole: rimase abbagliato quasi subito, allora si fece ombra con la mano. Il vento gli scompigliò i capelli, tirò i suoi vestiti, lo rinvigorì leggermente. Avevano assegnatogli un bersaglio: colui a cui dava la caccia era un boss malavitoso russo. Secondo la sua fonte – una che non sbagliava mai, in nessun caso -, il crimine di cui si era macchiato era uno dei peggiori: traffico, vendita e scambio di esseri umani. Represse una smorfia di disgusto ed osservò il luogo nel quale si trovava; la Francia, d’inverno, era davvero incantevole, specialmente la capitale di Parigi. Questo, almeno, avrebbe pensato se non fosse stato in missione. Aggrottò le sopracciglia; il Sonno che seguiva il Lancio lo aveva un po’ stordito, ma non era nulla che gli avrebbe impedito di eliminare il nemico.

Con un grugnito, si tirò su a sedere.

La neve copriva l’intero paesaggio, rallegrandolo almeno un po’. Si stropicciò gli occhi e, nel frattempo, qualcosa si mosse, alla sua destra; scattò subito in piedi, la pistola snudata, pronto ad uccidere chiunque lo avesse scoperto. Tuttavia, il suo allarme fu inutile, una volta che si fu reso conto di chi stesse guardando: era una bellissima ragazza di ventitré anni. Aveva lunghi capelli biondi ondulati, sopracciglia sottili e ben curate, ed occhi, come sapeva, nonostante fossero chiusi, di un blu profondo. Egli stesso li paragonava al più bello degli oceani. Indossava una divisa militare bianca – giubbotto antiproiettile, giacca da incursione, pantaloni dello stesso materiale e stivali di cuoio nero -, mentre, alla cintura, portava appeso un binocolo potenziato.

Si mosse, gemendo. Pochi istanti dopo, le sue palpebre si sollevarono. Lo vide, subito dopo aver sbadigliato con forza. « Siamo arrivati…? » mugugnò, condensa che già si formava dalla sua bocca. Il suo viso, che ricordava quello di una bambina, era dolcissimo, ma non bisognava farsi ingannare dall’apparenza: se la si provocava, o la si trovava di pessimo umore, poteva far rimpiangere a un veterano di guerra il giorno in cui era nato.

Lui, però, non l’ascoltava. Le aveva volto le spalle ed ora stava esaminando l’ora che stava allungandosi. « Dormito bene? » gracchiò in risposta; la soldatessa annuì, poi si alzò in piedi e lo raggiunse. « Siamo arrivati? » ripeté. Il suo compagno rispose di sì. « Il bersaglio dovrebbe passare per la strada a cinquecento metri dalla nostra posizione… in quella direzione… » - puntò il dito verso sud-est, dove poteva essere vista la famosa Tour Eiffél - « …si sposterà su una Cadillac, modello “CTS-V SEDAN”, nera, targata “K825MH” numero settantotto, da una delle strade a est del monumento »; colei che lo accompagnava agguantò il proprio binocolo, sondando poi tutte le possibili vie dalle quali l’uomo che stavano cercando sarebbe dovuto o potuto arrivare con occhio esperto. « Se il vento è favorevole, potresti sfruttare la stabilità del fucile per piazzare un colpo in mezzo alla torre, oltrepassarla ed abbattere il bersaglio » propose, sbirciando attraverso le inferriate della Eiffèl. Si trovavano sull’attico di un edificio alto venti piani. « Vero » ammise lui, « ma su al Santuario dicono che ci sarà una tormenta, tra circa un quarto d’ora: il vento soffierà a cinquanta chilometri orari da est e la visuale sarà molto ridotta. »

Ella sibilò un’imprecazione, non appena notò che il soldato aveva ragione. Dunque chiese: « chi è lo sfortunato? »

« Aalin Smirnov » lo presentò l’altro. « Trentaquattro anni, corporatura media, nato a San Pietroburgo e – udite, udite – laureato alla New York University in Legge »; il suo tono si aggravò. « E’ l’attuale boss di un gruppo mafioso russo. La sua fedina penale è totalmente pulita, ma i suoi crimini vanno dal rapimento, all’omicidio di primo grado, al traffico di umani, attività alla quale si è dedicato ultimamente. »

« Un trafficante di schiavi? » lo interruppe. « Sai quanti ce ne sono, sulla Terra? Perché dobbiamo tirar giù proprio questo? »; « è riservato » rispose lui, acido.

Passarono dieci minuti e la tormenta prevista arrivò in tutta la sua furia. Entrambi i soldati indossarono i passamontagna – lei con qualche difficoltà, a causa dei capelli -, per poi tornare a sorvegliare le strade. Lui si inginocchiò, incominciando a recitare una preghiera al Padre Eterno, in modo da mandare un messaggio al Santuario: mio Signore, siamo giunti a destinazione ed attendiamo il bersaglio della tua ira. Il tempo stimato di arrivo è di tre minuti e quarantasette secondi. Richiediamo sgancio d’equipaggiamento primario W.I.N.G. [ Warfare, Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear ] alle coordinate del Lancio numero “zero-nove-otto-uno” delle nove-zero-due di stamattina. Il codice di rilascio è “HALORING”.

Si rialzò in piedi. Scrollò le mani e le spalle, già infreddolite. Non stava ancora accadendo nulla, dopo la sua richiesta alla base. La sua compagna non mostrava segni di soffrire il freddo: continuava a squadrare il punto d’arrivo attraverso le lenti del binocolo, imperturbabile. Certe volte si chiedeva sul serio se quella donna non fosse fatta di pietra, nonostante quell’aspetto fragile tipico di una giovane. Lui, al contrario, non sopportava temperature così rigide; quello che sapeva fare meglio era uccidere da distanze inimmaginabili. Mentre l’altra aveva una vista talmente acuta che, un giorno, riuscì a dirgli: « hai esattamente due milioni e settecento peli della barba che sono cresciuti di un micrometro di troppo. Ti consiglio di raderti con più cura! »

Forse era per queste loro abilità fuori dal comune, che erano stati scelti per prender parte al Progetto. Sospirò e si coprì il volto con una mano, per schermarla dalla neve.

Il secondo dopo, qualcosa prese a materializzarsi dinanzi a loro: come se venisse disegnata da un pittore fuori dal mondo con una matita dalla mina d’oro, una cassa per armamenti apparve ai loro piedi. Era lunga più di un metro e larga almeno quaranta centimetri. In altezza vantava altri venti centimetri. Sul fronte, portava uno strano lucchetto, con un minuscolo ago nel foro dove sarebbe dovuta essere inserita la chiave, anch’esso con una forma bizzarra: era ovoidale ed aveva le dimensioni di un polpastrello. Il materiale del contenitore era oro, ma placche di carbonio erano state montate in diversi punti come il coperchio e le maniglie, al fine di alleggerirne la già considerevole mole. Il soldato sogghignò: era arrivato. Si avvicinò all’equipaggiamento; si calò su un ginocchio, concentrando l’attenzione sul lucchetto. Infilò l’indice nel foro e si inflisse una microscopica ferita, dunque lasciò cadere tre gocce di sangue sul metallo, per poi ritrarsi e attendere. Proprio davanti ai suoi occhi, il prezioso che teneva chiuso il contenitore, si sciolse in una pozza di materiale fuso, che subito prese a colare sul cemento del tetto.

Una volta che agire fu sicuro, si avvicinò nuovamente ed afferrò saldamente il coperchio; in un deciso strattone, spalancò. Sorrise: poggiato su un cuscino rosso imbottito, vi era un DAN .338 ad azione bolt; un fucile di precisione così, a quanto ne sapeva, era assegnato esclusivamente ai tiratori scelti di alcuni eserciti e agli agenti di polizia. Sulla Terra, però. Sul Santuario la situazione era ben diversa: lui era il tiratore più abile, tra tutti i soldati presenti lì, di conseguenza aveva bisogno di un’arma degna di questa fama. Il calcio era composito e presentava un grip di stabilizzazione verticale; il corpo era sottile ma robusto, dove vi era anche una lunga maniglietta contrassegnante il sistema di eiezione del bossolo; la parte inferiore della canna era dentellata ed alleggerita, in modo da limitarne l’inerzia e il rinculo; la parte superiore, invece, era molto sottile, con un dispersore piatto sulla punta. Il caricatore trasportava esattamente otto colpi “LAPUA” .338. Il mirino, infine, aveva un semplice zoom da otto livelli, su sua rigorosa richiesta. La colorazione dell’intera arma era bianca, in corrispondenza del corpo e del calcio, poi, avvicinandosi via via alla canna, sfumava in un bel rosso sangue. Annuì, soddisfatto: gli piaceva molto. Guardando da più vicino, si notava incisa la parola “Goldfeather”, sulla canna.

« Quella che vedi è la fase uno del fucile che hai richiesto » squillò la sua radio, « è il “Goldfeather”… uno-punto-zero…? »

Il tiratore rise di gusto. « Ti ringrazio, Oracle! E’ perfetto! » imbracciò l’arma, controllandone subito le munizioni.

Tornò serio di colpo. Strattonò la testa, in modo da far scricchiolare il collo; dunque si mise in ginocchio, poggiò la canna del fucile al parapetto e si preparò a far fuoco. Per un po’ regnò il silenzio, con i due soldati che si concentravano e osservavano, studiavano, pianificavano nelle loro menti. Passarono due minuti. Fece guizzare il mirino tra le strade, stranamente insicuro: aveva un brutto presentimento. Nessuno si mosse, salvo per tutte le persone che si ritrovavano indaffarate nelle vie di Parigi… finché: « contatto! »

Appena sentì la compagna strillare, migliorò la presa sul grilletto e lo stabilizzatore. « A ore undici! Stanno correndo! »; aggrottò le sopracciglia. Alle coordinate indicategli, individuò subito un’auto che corrispondeva perfettamente alla descrizione: andavano velocissimi, come se fossero in fuga da qualcuno. Aguzzò la vista, identificando due persone, conducente e bersaglio. Prese fiato un paio di volte, poi non respirò più; si concentrò. Il vento lo preoccupava, mentre la neve non migliorava di certo la visuale. A lui, però, non importava. Non faceva alcuna differenza. Qualcuno sarebbe morto, quel giorno, e sapeva perfettamente chi. Attese l’ordine della soldatessa. L’auto, ora, li fronteggiava, e lui perse la visuale col bersaglio, nascosto dal conducente.

Questo lo fece arrabbiare non poco. Scoccò un’occhiataccia alla ragazza, digrignando i denti, dunque tornò a guardare nel mirino.

« Non puoi sparare. Non possiamo permetterci altre vittime! » sibilò lei.

Ma lui non l’ascoltava più: allineò il bersaglio al punto ottimale, tirò la maniglietta del fucile per espellere il primo proiettile… e tirò il grilletto…

 

 

Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine di fiducia!

 

Ebbene, ecco il capitolo 0 della mia nuova serie originale, Sniper: Il Tiratore dei Cieli!

Come avete visto, alcune parole sono evidenziate; questo perché ho voluto mettere in risalto alcuni termini dell’universo di Sniper che sono parecchio importanti a livello di trama. Vi assicuro che sono molto emozionato di iniziare una nuova serie di punto in bianco, senza ispirazioni prese da qualsiasi fonte oppure crossover confusionari!

Spero vi piaccia il contesto che ho desiderato proporre: soldati ultraterreni che combattono per riportare la pace, sia contro comuni mortali con in mano un potere incredibile, oppure creature divine o demoniache che minacciano la vita come è conosciuta.

Chi sono i soldati che hanno ricevuto l’ordine di eliminare un boss russo, colpevole di traffico di esseri umani? Qual è la loro storia? Chi saranno i prossimi bersagli? Cos’è il misterioso Progetto sul quale rifletteva il nostro protagonista?

La trama si farà ancor più complessa, nel prossimo capitolo: “Bersaglio abbattuto”!

Ricordate di recensire!

 

KEEP IT UP!

- Silvio Shine

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Capitolo 2
*** 1 - Bersaglio Abbattuto ***


Paul corse alla finestra del suo appartamento: aveva sentito un violento scoppio, ne era sicuro. Se le sue supposizioni erano corrette, colui che stava cercando era proprio lì, a Parigi. Proprio per questo aveva giocato carte false, pur di farsi trasferire al Distretto di Polizia francese. Il suo sguardo si perse oltre il vetro, vagando per i cieli nuvolosi. C’era una tormenta, fuori, pessimo tempo per uscire di casa. Sospirò. Stava addosso a quell’uomo da cinque anni, fin da quando era diventato un poliziotto.

Si voltò, passandosi la mano sul volto. Paul aveva venticinque anni; non era molto alto, ma aveva un fisico robusto e muscoloso, che copriva sempre con vestiti caldi come maglioni e jeans invernali e cappotti di pelle. La sua pelle era scura come la pece, ma, fortunatamente, ai suoi colleghi giù in centrale e ai suoi amici non importava granché: era un bravo ragazzo e un agente di tutto rispetto. Detective, si corresse. Aveva ricevuto la promozione due giorni prima. Doveva ancora abituarcisi. Sbirciò un’ultima volta fuori, poi tornò dal suo compagno, Terence, che, in quel momento, stava giocando alla sua PlayStation, tirando qualche imprecazione quando la squadra avversaria riusciva a rifilargli un goal.

Terence, al contrario di Paul, era di carnagione pallida. O meglio, perfettamente bianca: era un albino, con tanto di occhi azzurri e lentiggini da adolescente. Strano, pensava, eppure era più vecchio di lui di due anni. Il ragazzo di colore si sedette sul divano, con un gemito annoiato. « Prendi un controller e gioca con me! » lo invitò, subito prima di alzarsi in piedi, braccia alzate, furibondo. Paul sapeva perché: sullo schermo del loro grosso televisore al plasma era apparsa la scritta “Hai perso la partita”, subito seguita dai risultati. Il detective fischiò. « Ti ha battuto sette a uno? » lo canzonò e il suo amico lo mandò a cagare. Poi, quando Terence si fu seduto e calmato, Paul si alzò a sua volta; si avvicinò alla console, dove si trovavano tutte le loro custodie con i giochi, per prenderne una tra le dita. Il suo gioco preferito. Sniper Elite III… era sempre causa di discussione tra i due poliziotti, fin da quando il ragazzo di colore raccontò all’altro del caso che si ostinava a seguire, nonostante fosse stato archiviato parecchio tempo prima. Mostrò la copertina del titolo a Terence, che subito alzò occhi e mani al cielo con un gran sospiro seccato. « Non mi rompere! » lo rimbeccò lui, « hai giocato a tutto quello che volevi, fin da stamattina! Ora voglio ammazzare anch’io un po’ di noia! »; « come ti pare! » bofonchiò l’albino, la dita intrecciate dietro la nuca. « Per una volta che non siamo in servizio, parte la peggior tormenta della storia dell’Umanità! »

Paul ridacchiò, mentre cambiava il disco nel cassettino automatico del congegno. Raggiunse il detective Fernandez sulla loro volante imbottita e gli requisì il controller. L’amico lo guardò, torvo. « E’ per questo che sei corso alla finestra in quel modo, prima? » gli fece, lo sguardo accusatorio. « Ancora con questo Tiratore? Quand’è che ti stancherai? »

Paul si grattò il collo. Il caso del Tiratore dei Cieli è stato l’unico ad averlo realmente coinvolto. Era davvero un mistero: riusciva ad apprendere le coordinate di un criminale estremamente pericoloso con precisione impensabile, compariva poco prima che una squadra della polizia raggiungesse la posizione del sospetto, e infine l’unica cosa che rimaneva era il cadavere di quest’ultimo, ucciso da un proiettile dal calibro inimmaginabile. Ovviamente, nessuno è mai riuscito a vederlo in faccia. La prima uccisione del Tiratore era uno spacciatore, un re della droga, che lavorava nell’area di Detroit, dove Paul era di pattuglia. Lo sparo era arrivato dal tetto di un edificio di quaranta piani, a una distanza di ottocento metri. Era accorso, per verificare il numero di vittime, trovando così lo spacciatore, la testa sfracellata dal proiettile. A tentare di individuare l’assassino, con la coda dell’occhio vide una specie di raggio di luce toccare uno dei grattacieli, per poi scomparire di colpo.

La schermata del titolo lo accolse nel gioco. « E poi, perché lo perseguiti? » gli chiese ancora Terence; indugiò per un attimo. « So che è un pezzo grosso, nel giro dei killer a pagamento. Voglio sbatterli tutti dentro. » tagliò corto, mentendo ad ogni parola. Fernandez, fortunatamente, non indagò oltre. Piuttosto lo esortò ad avviare la partita, perché si annoiava.

Era quasi una settimana che non venivano richiamati in servizio. Avevano passato quelle giornate e quelle sere ad andare in giro a divertirsi, visto che non avevano tanto altro da fare. Paul mirò bene contro il suo bersaglio, dunque premette il tasto dorsale, facendo fuoco: l’azione venne visualizzata al rallentatore, mentre il proiettile si schiantava contro la scatola cranica del bersaglio, spargendo sangue e cervella dappertutto. Terence sogghignò, assonnato. L’altro invece, continuava a rimuginare: quello di prima era uno sparo, poco ma sicuro. Ma il suo compagno non l’avrebbe ascoltato, dal momento che aveva passato così tanto tempo ad assecondarlo per quanto riguardava il Tiratore dei Cieli che si era semplicemente ma dannatamente stancato. Per questo, spesso e volentieri litigavano. Nulla che, però, una bella birra e qualche ragazza non riuscissero a curare.

Il cellulare di Paul vibrò nella tasca dei pantaloni; pigramente, prese in mano l’apparecchio e rispose: « detective Johnson! »

« Paul Johnson, ti voglio al dipartimento tra cinque minuti o giuro che mi mangio quell’inutile sacco di merda che tu chiami culo! » qualcuno sbraitò nel suo timpano. Sulle prime fece una smorfia sdegnata; solo dopo si rese conto che quello con cui stava parlando era il suo capo, François Venicé. Si paralizzò per qualche secondo. « S-signore? » balbettò; dall’altra parte del filo provenne un grugnito. « Abbiamo due morti. Ti voglio alla centrale, ora! »; « sissignore! »

Il comandante riattaccò. Il detective rimase con il cellulare in mano, silenzioso, gli occhi chiusi. Finalmente, la sua vacanza era terminata. Sbadigliò. « Dobbiamo andare… » disse battendo la mano sulla coscia del compagno; « eh? » fece lui, inebetito dal sonno. « Venicé ha qualcosa per noi. Dobbiamo andare in centrale… » e si alzò. « Ah… » rispose l’altro, gli occhi già celati dalle palpebre; « MUOVITI! » latrò Paul, facendolo cadere dal divano.

 

***

 

Sterzò verso destra, in modo da imboccare l’entrata del parcheggio. Fermatosi, tirò il freno a mano, recuperò le chiavi dal vano motore e si volse ad aprire la portiera. C’era una cosa che aveva notato, durante il tragitto dal suo appartamento al Dipartimento di Parigi: c’era molta agitazione, per le strade. Sembrava che fosse avvenuto un omicidio, nell’area del monumento. Due uomini erano stati uccisi nella loro automobile; non erano stati individuati sospetti, prima o dopo fatto avvenuto. Inoltre, era stato esploso un unico sparo, che aveva colpito la fronte del guidatore, attraversato il sedile e subito dopo la gola del passeggero che trovavasi dietro di lui. Un tiro di incredibile precisione. Paul sapeva già di chi sospettare e chi accusare, ma nessuno gli avrebbe creduto. Chiuse la portiera con un colpo secco; Terence lo imitò, per poi affrettarsi a raggiungerlo, che già camminava verso l’ascensore.

« Johnson! » il puzzo di sigaretta gli arrivò alle narici non appena ebbe aperto la porta. Sventolò una mano, per dissipare il fumo almeno quel poco sufficiente per riuscire a vedere qualcosa. Il suo capo era un uomo robusto, ma non per i muscoli: gli anni passati al dipartimento dopo la promozione a Capitano non erano stati clementi. Era aumentato di almeno tre taglie, i muscoli si erano trasformati in rotoli di grasso, e la barba era costantemente insozzata di sudore. A peggiorare la situazione c’era l’aria condizionata calda che inondava l’ufficio, imperlando di sudore il povero Paul, il quale già detestava dover entrare lì dentro. Al cenno dell’altra sola persona nella stanza, si richiuse la porta alle spalle. « Hai sentito di quel che è successo alla Tour Eiffèl? » poggiò le mani grassocce sulla scrivania, caricandovi tutto il suo peso; la sua arma d’ordinanza, una Glock diciannove, si rivelò alla vista dalla fondina ascellare che indossava. Non era assicurata. « Ho sentito di un duplice omicidio, signore » rispose il sottoposto, cercando di non offrire commenti aperti riguardo lo stato dell’ufficio, la puzza o l’arma del Capitano senza sicura azionata. Annuì con il capo, un’espressione selvaggia sul volto sudato. « Hanno fatto fuori Smirnov! » sbraitò come suo solito; marciò per l’ufficio. « Il trafficante? » fece Paul, confuso. Venicé digrignò i denti. « L’avevamo in pugno, cazzo! Una volante gli stava addosso, quando bam » fece uno strano gesto con le mani che avrebbe dovuto rappresentare un proiettile che colpisce un bersaglio, « un fottuto cecchino lo ammazza assieme al suo autista! » sbuffò e volse lo sguardo fuori dalla finestra. Ma Paul si stava visivamente agitando. « Un cecchino, signore? »

« So già cosa pensi… » sibilò; tornò a guardarlo negli occhi, questa volta con un’aria grave. « Stai pensando al Tiratore dei Cieli. Allora, ti ripeto quel che ti ho sempre detto: è una leggenda metropolitana. Ti sei fatto trasferire in questo distretto perché hai trovato una fantomatica pista, che, secondo te, ti dovrebbe portare a questo assassino. Ma la cosa che mi ha più impressionato è stato che tu hai affermato, assolutamente convinto, che stiamo parlando di un Angelo e non di un essere umano. Ho dovuto dire all’intera squadra che eri sotto shock dopo aver visto un cadavere! E’ un assassino, sì, ma è tutt’altro che al servizio di Dio. »

Paul serrò la mascella, pur di non sbraitare contro quella palla di lardo. Nessuno gli aveva mai creduto, riguardo quel guerriero serafico. Se proprio Venicé non lo voleva aiutare, poteva farlo per conto suo, in segreto. Doveva trovare il Tiratore dei Cieli, a qualunque costo. Doveva assolutamente parlargli.

« Per quale motivo mi ha chiamato qui, signore? » parlò a denti stretti. Si strofinava le mani tremanti. « Il caso è per te » spiegò il grassone, « mi devi trovare il proiettile, l’arma del delitto e magari qualche testimone oculare. » Senza farsi dire altro, Paul uscì dall’ufficio del Capitano.

 

***

 

La musica gli penetrò nelle orecchie. Era piacevole, una volta tanto che tornava sul Santuario. Di solito, Oracle metteva qualche canzone talmente chiassosa da lasciarlo abbastanza innervosito da fargli mancare il centro dei bersagli d’allenamento di due millimetri. Valore medio. Accolse la luce che lo inondava. Angelica era già sveglia e stava conversando con una ragazzina seduta a una scrivania colma di marchingegni tecnologici di ogni tipo: radar, levette, tastiere, schermi di computer, un grosso microfono da tavolo, diversi palmari, e un lettore CD con tanto di pila di album dei suoi artisti preferiti. La giovane aveva sì e no quattordici anni; aveva capelli castani lunghi fino alla base del collo, talmente lisci da sembrare di metallo; il suo viso era piccolo, rotondo, tipico di un’adolescente. Era vestita come un tecnico militare e al collo portava delle grosse cuffie scarlatte. Oracle, finalmente, notò che era sveglio ed esclamò: « buongiorno, ANGEL! »; le sorrise, in risposta. Angelica, la sua spotter, lo guardò anche lei, per poi rivolgergli un piccolo cenno con la mano, con un gran sorriso. « Jason Goldwing è uscito dal Sonno, rilascio dal Bozzolo autorizzato! » annunciò la ragazzina, digitando qualcosa sulla sua tastiera. Lentamente, il vetro che avvolgeva Jason si divise in innumerevoli spicchi; questi, si aprirono dall’alto, fino a lasciarlo libero di respirare aria fresca. Goldwing si stiracchiò le braccia, indolenzite dopo il Sonno. « Angelica Halo, autorizzata ad uscire da qui perché mi sta disturbando più del dovuto! » disse poi Oracle, volgendosi alla spotter. Angelica ridacchiò; poi, facendo cenno a Jason che si sarebbero rivisti più tardi, corse fuori dalla stanza.

Il tiratore si avvicinò alla ragazza. « Il tuo rapporto? » fece lei, senza neanche onorarlo di guardarlo negli occhi, impegnata com’era a leggere qualcosa su uno degli schermi. « Il bersaglio è stato eliminato con successo » rispose lui, leccandosi il dito ancora ferito dal lucchetto di Goldfeather; « sei bravo ad uccidere, Jason… » mugugnò Oracle. Il cecchino non sapeva se prenderlo come complimento, oppure come accusa. « … ma perché non ti importa delle altre vittime, quando sei in missione? Hai ucciso l’autista di quel russo solo perché non volevi perdere una traiettoria ottimale. »

« Traiettoria perfetta, vorresti dire » Jason incrociò le braccia. « Quando sparo, non me ne frega niente di chi altro si fa male: ho un bersaglio, il mio unico interesse è che muoia. Questi sono gli ordini. »; « siamo egoisti, eh? » finalmente, lei lo guardò con i suoi occhi bianchi. Non aveva iridi o pupille. Solo i bulbi oculari. Eppure, riusciva a vedere meglio di tante altre persone, perfino di Angelica, e non solo a livello fisico, ma perfino a livello mentale e spirituale. Una bambina cieca che vedeva più di coloro che credevano di vedere. Era esattamente quello il motivo per cui fu scelta da Dio in persona per il Progetto, e quindi era una ANGEL di diritto. Era stata assegnata a svariati compiti: controllo dei Lanci, del Sonno, autorizzazione al rilascio del Bozzolo – speciali capsule che permettono di raggiungere la superficie terrestre -, sgancio degli equipaggiamenti primari W.I.N.G. per ogni ANGEL operativo. Gestiva anche la stazione radio del Santuario: da qui, il nome “Oracle”. Era il loro Oracolo durante le missioni. Non mentiva praticamente mai, quando le si parlava ed era sempre gentile con tutti; le volevano tutti bene, nessuno escluso.

« Celia Shine » le parlò usando il suo vero nome, « non ti ho chiesto un giudizio diretto sulla mia personalità. »; « beh, Jason Goldwing, questo è mio dovere in quanto ho il compito di supervisionare i sodati del Santuario » lo rimbeccò a tono, un pennino da touch screen stretto tra le dita sottili e piccole. Jason lasciò correre l’insulto – anche se non era un insulto, ma il suo orgoglio gli suggeriva tutt’altro – e chiese, cambiando argomento: « porti il nome di una grande casata di Angeli. Perché non sei laggiù, a combattere per Dio? »

Oracle lo studiò per un lungo istante, prima di rispondere ad una domanda così personale, gli occhi vuoti che lo scrutavano nell’anima. « Ho saputo di essere un Angelo quando ho sentito delle gesta di mio nonno, il più potente della mia famiglia. Molti lo dicono, ma è tutto vero: i serafici hanno il privilegio della vita e gioventù eterna. Lo stesso vale per la nostra anima gemella, la persona che scegliamo con cui passare i nostri giorni. Certo, possiamo ancora morire a causa delle ferite o del veleno. Mio nonno ha fatto proprio questa fine: avvelenato. Davanti a sua figlia, mia madre. » sospirò, leggermente intristita. « Gli Shine, fino a mia madre, Islanzadi Shine – o Isla, come la chiamavo io -, sono stati potenti guerrieri che hanno servito il Signore » - si indicò con la punta del pennino - « poi sono nata io: debole, fragile, mingherlina nonostante abbia diciannove anni… »; « diciannove? » sbottò il tiratore, di punto in bianco. Era assolutamente convinto che fosse molto più giovane! Oracle lo guardò di sbieco, già abbastanza imbarazzata d’avergli rivelato la sua età. « Sì, diciannove! » sottolineò aspra; « a causa del mio fisico non sono stata addestrata nelle arti marziali, o a sparare. La mia passione si è da sempre rivelata essere la strategia. Ed è per questo… » si sistemò meglio sulla sedia, « …che hai Angelica, come spotter, e non me. »

« Dai, non è quello che intendevo… »

« Ho capito perfettamente cosa intendevi dire » gli fece notare, corrugando la fronte. « Ora, va’ a pranzare. Il Sonno è durato più a lungo del previsto. Il tuo ultimo pranzo risale a due giorni fa » e gli indicò l’uscita con il pollice. Jason, allora, si congedò.

Quando fu entrato nella mensa, agguantò subito il primo vassoio che ebbe individuato. Aveva fame, sapeva solo questo. Celia aveva tristemente ragione: era rimasto nel Bozzolo più del dovuto e il suo organismo aveva continuato a lavorare. Il tutto era sfociato in una conseguente fame da lupi. Si mise in fila e, quando ne ebbe la possibilità, si riempì almeno quattro piatti: uno con una generosa forchettata di spaghetti al sugo, un altro di costolette impanate, un altro ancora di alette di pollo, e l’ultimo di pancake alla panna montata – attirandosi addosso non pochi sguardi curiosi -. Si fece largo tra qualche ANGEL ritardatario a gomitate e corse a sedersi a un tavolo isolato. La mensa era molto spaziosa e mai vuota. Infatti, dopo essersi risvegliati, tutti i soldati del Santuario finivano per sedersi a quei tavoli e fare il pieno di energie. Per questo le cucine erano costantemente all’opera. Jason addentò avido un’aletta di pollo, dopo averla intinta nella panna montata dei pancake – non pensava fosse molto salutare, ma aveva un buon sapore e gli andava benissimo così -. Masticò, beato di tutti quei sapori che collidevano contro le sue papille gustative. Non si stancava mai di dirlo: Drake, il capocuoco, era il migliore. I suoi piatti erano tutti squisiti – tranne la zuppa di cipolle – ed ogni giorno era sempre curioso di scoprire cos’altro si era inventato. L’unica che non osava mostrarsi lì era Oracle: la prima e ultima volta che aveva deciso di mangiare lì, alcuni ANGEL l’avevano presa in giro, perché, dal momento che discendeva da una famiglia di potenti Angeli, era molto meno di quanto si aspettassero, cieca per giunta. La poverina era scoppiata a piangere e Angelica, infuriata, aveva malmenato due di loro, mentre tutti gli altri li aveva costretti a fare cinquecento giri di corsa per tutto il Santuario, altrimenti, li aveva minacciati, avrebbe fatto rapporto a Dio. Si erano pentiti all’istante di quello che avevano detto, ma la piccola Celia non aveva più osato mostrare il suo musetto, lì. Prese un sorso di cola, dunque tornò ad attaccare il cibo.

Qualcuno occupò il posto di fronte a lui; non capì chi fosse, poiché aveva il capo abbassato per prendere un altro boccone. Quando si tirò su, tuttavia, si ritrovò a guardare un’immagine singolare: un uomo lo stava fissando, le guance gonfie, le labbra sozze di pomodoro. Aveva capelli corti e castani, risultato di due mesi di crescita dopo il taglio militare che doveva fare, secondo il regolamento. I suoi occhi erano piccoli, dall’iride nera ed erano sormontati da due sopracciglia oblique e sottili. Il naso era leggermente più grosso della media. Le labbra erano sottili. Il suo mento era squadrato e la mascella pronunciata. La barba gli stava già ricrescendo. Riprese a masticare: stava guardando il suo riflesso, riprodotto dallo schermo di uno di quegli apparecchi che tutti chiamavano “smartphone”. Deglutì.

« Devi smetterla di farmi questi scherzi, Angelica! » ammonì, portandosi il bicchiere alla bocca una seconda volta. La sua spotter ridacchiò e distolse il telefono dal volto di Jason. « E smettila di rimanere così appiccicata a quell’affare! Ti deconcentra. »; « “cellulare”, prego! » lo raddrizzò lei. Il tiratore sbuffò. « Come ti pare. »

« Sei antiquato » gli fece notare poi, « la Seconda Guerra Mondiale non è stata clemente… » La bocca di Goldwing si schiuse in una smorfia sdegnata. « Non ci posso fare molto, se ho vissuto in quel periodo! » si lamentò; « antiquato e troppo rigido » rise l’altra, « davvero, dovresti imparare a divertirti! Prova a scendere sulla Terra, di tanto in tanto! »

Jason la guardò, dubbioso. « Posso scendere sulla Terra quando non sono in missione? » si meravigliò; « a quale scopo? »

« Non ad ammazzare criminali! » Angelica aprì le mani, come se stesse spiegandogli la cosa più ovvia del mondo. « E cosa dovrei fare, allora? » sospirò lui, già stanco della conversazione. « Cosa ti piace fare? »

« Uccidere…? »

Lei lo guardò, le palpebre socchiuse, in un cipiglio seccato. « Prova ad andare in qualche discoteca, oppure al cinema. O a un concerto! Non ti piace la musica? »; l’altro sollevò le sopracciglia. « Sì, mi è piaciuto quel gruppo che mi hai fatto sentire l’altro giorno… »

« I “Linkin Park”? »

Jason schioccò le dita, quando ebbe sentito il nome. Se c’era una cosa che gli piaceva davvero, quella era la musica; ma, come amava le sinfonie meglio assortite, così detestava il chiasso e la confusione: gli davano sui nervi. Di conseguenza, un concerto era fuori discussione. E quando lo ebbe esplicato ad Angelica, ella sbuffò di esasperazione. « Davvero non gradisci altro, oltre l’uccidere qualche poveraccio? » trillò. « Sì, adoro il silenzio e la pace. Quindi, cerca di non strillare come una scolaretta, per piacere! » ribattè, ottenendo una bionda dal viso scarlatto come gran premio. « Certe volte mi chiedo perché sei stato ucciso da Hitler. Poi mi sveglio e realizzo che sei un gran stronzo! Ecco perché! » incrociò le braccia, mettendo il muso.

« Mio Fuhrer! » salutò, alzando il braccio destro, come sempre gli avevano insegnato. Adolf Hitler, il leader dell’esercito Nazista, in quel momento, gli dava le spalle ed osservava il tramonto di un altro giorno, le mani intrecciate dietro la schiena. Quando il saluto del suo sottoposto gli fu giunto alle orecchie, finalmente si voltò facendo sventolare il candido mantello che il suo gigantesco ego tanto desiderava. Alla sua vista si rivelò il volto di un tedesco di più di quarant’anni, con quel disgustoso baffetto che era abituato a portare. Volto che, appena giratosi, si illuminò. « Jazon! » chiamò, contento; « allora, come è proceduta la mizzione che ti ho affidato? »

« E’ andato tutto liscio » affermò Jason, « ho abbattuto il bersaglio ancor prima che avesse il tempo di salire sul furgone »; l’uomo annuì, veramente compiaciuto della notizia. Di colpo, uno dei soldati dell’SS entrò nella grande sala, salutò il capo e gli consegnò un plico, che venne letto avidamente da quest’ultimo: l’espressione del Fuhrer passò da raggiante ad infuriata in una manciata di secondi, mentre i suoi occhi scorrevano lungo le parole scritte sulla carta. Lento e tremante, posò la lettera sulla superficie della propria scrivania, già rosso in volto per la rabbia. Poggiò anche i palmi sul legno; aveva il fiato pesante. Pessimo segno…

Guardò Jason dritto negli occhi e lui si senti cuore mancare un battito. Quello che aveva appena letto era un rapporto, e non sembrava contenere buone nuove. L’istante dopo la sua voce tuonò in ogni angolo della stanza, in tedesco. Era un ordine: i due soldati che stavano di guardia alla porta accorsero, lo afferrarono in malo modo e lo costrinsero in ginocchio. Uno di loro gli prese i capelli tra le dita, per poi tirare all’indietro, forzandolo a guardare Hitler in volto. Ancora una volta, si rese conto di quanto lo odiasse in realtà: suo padre era un SS, ed era fedele alla causa dei nazisti. Aveva istituito campi di concentramento in tutta Europa, aveva ucciso Ebrei oltre ogni umana comprensione, ma, soprattutto, lo convinse con la paura ad arruolarsi nell’esercito tedesco. Un americano nazista che costringe il suo stesso figlio a prendere parte al più grande genocidio che l’umanità avesse mai avuto la sfortuna di vantare. Jason Goldwing era conosciuto tra le fila di Hitler come il letale “Krähen Moralische”, il “Corvo Mortale”, in quanto qualunque nemico lo vedesse, era già morto e i compagni del caduto che se ne accorgevano, lo prendevano come presagio che non avrebbero respirato ancora a lungo.

L’altro si avvicinò al ragazzo, guardandolo con occhi di fuoco. « Zai coza ho appena letto? » gli chiese in un sibilo; « no » rispose semplicemente. Il Fuhrer inarcò un sopracciglio. « Qvello è un rapporto inviato dalla zqvadra di Vrancia. Gvarda cazo, la tua mizzione era il recupero di un furgone di Ebrei che stavano organizzando una fuga. Tu, a qvanto pare, hai decizo di rivoltarti contro il mio dominio indiscusso e, invece di uccidere il gvidatore Ebreo, hai rizervato quezto deztino alla zqvadra che ho inviato per darti zupporto! » scatenò un potente manrovescio diretto allo zigomo sinistro di Jason. Con la guancia che ancora gli pulsava, tornò a guardare il bastardo con aria di sfida. « Ora » l’uomo frugò dietro la cintura e ne tirò fuori una Mauser Military di colorazione verde oliva; il metallo della pistola dalla canna sottile rifletteva la luce dei lampadari con uno strano riverbero. Il dittatore squadrò l’arma un paio di volte, prima di proferire nuovamente: « zei al zervizio della Germania e dell’ezercito Nazizta da... qvanto? »; « dieci anni, mio Fuhrer! » rispose al suo posto il soldato che aveva portato il rapporto. Hitler sogghignò. « Ja, dieci anni…! » di colpo si voltò ed uccise colui che aveva parlato senza il suo consenso, sparandogli alla testa: un unico spruzzo di sangue e il ragazzo si accasciò a terra, morto. « Dopo cozì tanti anni… » riprese il filo, « …ozi tornare al mio cozpetto, con qvella vaccia tozta, a parlarmi e a mentirmi come ze nulla fozze » lo affiancò. « E’ qvezto il caztigo che meritano qvelli come te! »

L’unica cosa che ricordava dopo era lo sparo…

Una fitta alla testa lo riscosse. Sospirò piano e si portò le mani alle tempie: due cicatrici rotonde gli invasero il senso del tatto, una per ogni lato. « Scusami. Ti ho fatto tornare alla mente quel ricordo? » si preoccupò Angelica; annuì. « Già » affermò, glaciale. Ogni volta che ripensava a quell’episodio, la testa cominciava a dolergli, esattamente nel punto in cui il proiettile lo colpì. « Sei stato riportato in vita cinque anni fa… » rammentò la spotter, « le tue abilità hanno impressionato perfino Nostro Signore. Ti ha richiamato dalla morte e ha fatto di te un Angelo. E’ davvero misericordioso… »; « e tu sei nata Angelo! » sottolineò secco, « anche tu sei stata molto… fortunata! »

Angelica sbuffò. « Come sei noioso! » lo insultò. Goldwing fece per ribattere, ma la sua radio squillò. « Jason, il Grande Capo ti vuole vedere! » comunicò Oracle. Il destinatario spalancò gli occhi: per quale motivo Dio avrebbe voluto parlargli? Sospirò, leggermente innervosito. Poi, alzandosi: « digli che sto arrivando… »; « subito! »

Salutò Angelica.

***

 

All’esterno, nessuno si aspetterebbe come fosse fatto in realtà il Santuario: sembrava una gigantesca portaerei della marina, ma almeno cinquanta volte più grande, in modo da riuscire a contenere tutti gli ANGEL scelti e schierati, con tanto di dormitori, stanze private per combattenti di rango più alto, bagni, mensa e tanto altro. Ma forse un dettaglio fondamentale sfuggiva alla maggior parte: si trovava nel cielo, talmente in alto da non poter essere individuato da nessun radar esistente. Vi era perfino una task force speciale super-addestrata. Era composta da pochissimi, ma l’esiguo numero di componenti veniva totalmente compensato dalle sconfinate potenza e abilità dei singoli. Nessuno conosceva l’identità di questi soldati, tanto meno il loro aspetto, tuttavia, se vedevi qualche container o fascicolo che riportava la sigla R.E.A.P.E.R. significava solo una cosa: roba grossa e molto pericolosa. Girava voce che, addirittura, fossero talmente sensibili alla luce da indossare speciali tute isolanti di protezione; motivo per cui non si facevano mai vedere sulla superficie del Santuario.

Jason ricambiò il saluto di alcuni fucilieri e deviò bruscamente dal percorso, diretto all’Altare, che l’avrebbe portato a cospetto del Signore. Entrò, con il permesso delle due guardie che sorvegliavano il portone. Il luogo nel quale si trovava era un improvviso cambio di stile architettonico: mentre la Corazzata – come chiamavano il Santuario gli ANGEL – era costruita totalmente per fini militari, quello somigliava più ad un’enorme cattedrale, con tanto di campanili e torri. Avanzò in mezzo alle due file di panche a passo spedito, desideroso di non far aspettare Dio più del dovuto. Arrivato dinanzi alla grossa tavola di pietra, si inginocchiò, recitando una piccola preghiera. Quando l’ultima parola ebbe abbandonato le sue labbra, una morbida luce bianca lo avvolse, guidandolo in un’altra dimensione.

« Jason! »

Lo accolse una voce calda, profonda ed affascinante. Il giovane soldato quasi desiderò non riaprire gli occhi, pur di sentire nuovamente costui parlare. Sorrise. Era al Suo cospetto, infine.

« Jason, alzati, ti prego. »

Il tiratore obbedì. Dinanzi a lui si stagliava, fiero ed eterno, il Signore Nostro Dio. Se per canoni umani si poteva intendere, il suo volto dimostrava all’incirca cinquant’anni; portava i candidi capelli legati in una elegante coda di cavallo, mentre la barba era ben curata, dandogli un’aria di importanza e stile ancor più grandi di quanto già non fossero. I suoi occhi, i più saggi che potessero esistere, erano neri, ma il contorno delle pupille era curiosamente giallo, come una coppia di stelle. Il naso era adunco, ma non in maniera volgare: dava, più che altro, al tutto un aspetto più esperto. Il suo fisico poteva far invidia ad un atleta e, vestito di uno smoking bianco, nessuno vi poteva competere. La sala, totalmente bianca, eccezion fatta per la scrivania e la sedia, che erano rossi. L’ospite chinò il capo, in segno di tacito saluto. Dio gli sorrise dolcemente. « Come ti senti? » gli chiese, senza staccargli gli occhi di dosso. Jason esitò per un istante, ma poi rispose: « sto bene, mio Signore. »

Lui annuì, compiaciuto. Piano, si alzò dalla propria scrivania e si avvicinò di qualche passo, intrecciandosi le mani dietro la schiena. « Ragazzo mio, sei sicuro di quel che dici? » domandò; Goldwing titubò. Non sapeva cosa ribattere, ma neanche cosa intendesse. « Ho deciso di intervenire nella pace del mondo – mondo che io ho creato – poiché non volevo che sprofondasse nel caos dell’Apocalisse prima di quando si sarebbe rivelato fondamentale » continuò, non vedendolo rispondere; « il protocollo “THE END è pronto, nel malaugurato caso non vedessi altra soluzione per garantire la salvezza della Terra. Nome interessante, quello che gli avete dato, a proposito! » ridacchiò, per sdrammatizzare. Dunque: « ricordi ancora cos’è il Progetto, vero? »; Jason annuì prontamente. « Il Progetto è una soluzione che Voi avete creato dal niente. Consiste in una base operativa di sorveglianza assoluta che collega la città di Heaven e il pianeta, e in un esercito formato da guerrieri serafici, in modo da garantire la migliore protezione attraverso il dispiegamento di forze ultraterrene. Questo esercito siamo noi, gli ANGEL. A nostra disposizione vi sono gli equipaggiamenti primari W.I.N.G.: armi dalla foggia angelica. Questi sono assegnati solo ad alcuni di noi, in quanto solo coloro che ne possiedono uno sanno come richiamarlo tramite il codice di sgancio, come aprire la cassa che lo contiene ma, soprattutto, come usarlo. L’arma è strettamente legata al suo possessore e i due non si possono scindere, in nessun modo e per nessuna ragione. Inoltre, siamo muniti di una speciale squadra specializzata in inseguimento, recupero o uccisione di fuggitivi: questo vale sia per i traditori che per i latitanti più pericolosi dell’Inferno. »

« E sai come si chiama, questa squadra? »

« So solo che la loro sigla è “R.E.A.P.E.R.” »

Dio sorrise ancora. « Qualcuno ha fatto i compiti. » rise, usando una delle battute più classiche degli stessi umani che Egli ebbe generato. « Sono sorpreso che tu sappia dei R.E.A.P.E.R. » confessò, « doveva rimanere sotto totale segretezza… »; « è difficile tenerlo segreto, quando su tutto il Santuario ne viene sbandierato il nome. » La Sua espressione si fece seria, tutto d’un tratto. « Oracle! » chiamò e, con un tenue bip una finestrella olografica con l’immagine di Celia Shine apparve proprio dinanzi al Padre Eterno; « sì, signore? » fece lei. « Fa insabbiare immediatamente tutti i container che riportano la sigla della task force segreta e sparire ogni documento, fascicolo o qualsiasi cosa che dia solo l’idea che ci sia una squadra speciale sul Santuario. D’ora in poi i carichi di cibo e armi destinati al R.E.A.P.E.R. saranno scortati da due ANGEL sotto totale anonimato. Ai soldati verranno poi cancellati i ricordi legati a questo incarico e sostituiti con memorie false. Il R.E.A.P.E.R. non esiste! Sono stato chiaro? »

La ragazza annuì ed interruppe la chiamata. « Problema risolto » annunciò poi, ritrovata la calma in poco meno di un istante. « Dunque » battè le mani; « ti ho chiamato qui per una ragione, Jason Goldwing! »

« Sono tutto orecchi… » disse il giovane, inchinandosi solenne. « Sono cinque anni che presti servizio, ragazzo mio, e non ti sei mai lamentato della stanchezza o della noia… »; « non mi importa del divertimento » osò interromperlo, « la cosa più importante è la missione. Il divertimento lo trovo nell’uccidere i bersagli della Vostra ira, mio Signore. Vi tradirei, se dovessi distrarmi dall’incarico che avete avuto la fiducia di affidarmi… »

« Non mi tradisci se ti rilassi un po’, Jason! » lo ricambiò Dio, divertito dalla sua reazione. « Sei uno dei migliori ANGEL che abbiano mai combattuto per me, caro Goldwing. Per questo hai continuato a fare le terribili cose che quello sporco… dittatore ti imponeva di fare, mentre la mia intenzione era tutt’altra. So che sei fedele, ma tu ora devi fidarti di me: và sulla Terra e divertiti per qualche giorno. Ho notato che non ci sono stati attacchi dalle Chimere, ultimamente, tanto meno da criminali o terroristi. Hai tutto il tempo che desideri. » Jason spalancò gli occhi, mentre quel discorso gli scorreva nel corpo. Aveva l’opportunità di distrarsi dal dovere per qualche tempo… ma questo che voleva dire? Lo ignorava: fin da quando aveva compiuto dieci anni, era stato costretto ad addestrarsi per diventare un soldato di prim’ordine; sapeva cosa significava essere buoni verso il prossimo, ma non era lo stesso per lo svago. Non aveva idea di cosa significasse, non più.

Ma non poteva ignorare il desiderio di Colui che lo aveva riportato in vita.

Guardò il suo padrone, grato. « Sissignore » fu la sua unica parola, prima che si congedasse.

 

***

 

« Te l’avevo detto… » lo canzonò Angelica, quando fu tornato alla loro camerata. Erano seduti a un tavolo, una bella tazza di caffè in pugno. Jason sbuffò: anche se era così grato dell’offerta del Signore, non aveva idea di cosa fare, per divertirsi. « Hai già qualche idea? » fece lei, gli occhi che le scintillavano, ma JJ scosse il capo. Fu il turno di Angelica per sbuffare. « Hai passato troppo tempo in guerra… » affermò tristemente; « hai mai avuto una ragazza, almeno? »

Goldwing arrossì. « Come se ne avessi avuto la possibilità! » sibilò, nascondendosi dietro la tazza. « E poi, tu non conti? »

« Oh, che ammaliatore! » rise la ragazza. Prese un sorso. « Forse… ma tu non me lo hai mai chiesto. » Lui la guardò, a bocca aperta, ma, subito dopo, si riconcentrò sul liquido scuro che stava bevendo, fingendo che non gli importava. « Prova a portarmi fuori! » propose l’Angelo biondo, « magari mi piacerai abbastanza da accettare di diventare la tua… »; « non ho idea di come si porti avanti una relazione! » sbottò il tiratore, imbarazzato. « Sono stato in battaglia da quando ero un bambino! E prima ancora di avere il piacere di provare il vero amore, sono stato ucciso da uno schifoso dittatore che ha distrutto mezza popolazione europea! » latrò subito dopo, sforzandosi di non usare termini troppo volgari. Il fiato gli si fece pesante: si sentiva stranamente contento, di quello sfogo. Ma non durò a lungo, che subito riprese il suo solito comportamento pacato e non curante. Angelica, però, lo guardava con inaspettata dolcezza; « usciamo insieme… » gli sussurrò. Dunque, si alzò dalla sedia accarezzandogli la mano con le dita. Jason digrignò i denti. Sapeva che se ne sarebbe pentito.

 

***

 

« Lancio eseguito con successo, uscita dal Sonno confermata alle ore “due-tre-cinque-otto” del “ventuno-cinque-duemiladiciotto” » comunicò Jason a Oracle attraverso l’auricolare. Angelica arrivò, trafelata, dopo aver nascosto la piastra che permetteva il richiamo del Bozzolo. « Ricevuto, ANG… oh, giusto! Non siete in missione, voi due! » rise Oracle; « vedete di non tornare prima dell’alba! » detto questo, spense la radio. Jason rimase imbambolato per un attimo, inconsapevole del da farsi. La ragazza era vestita come una classica vent’enne durante un sabato sera: maglietta, giacca di pelle, jeans e non riuscì a vedere le scarpe. Almeno così credeva si vestissero. Lui, invece, era stato costretto ad indossare un paio di pantaloni bianchi da smoking, una camicia di colore scuro e delle scarpe eleganti, oltre al gel nei capelli. Si sentiva ridicolo, ma allo stesso tempo stranamente a proprio agio, conciato così.

Erano atterrati in una piccola area boschiva, vicino ad una discoteca di Parigi. Lui aveva protestato riguardo quella scelta, ma Angelica lo aveva rassicurato: « è passato un mese da quando abbiamo eliminato quel russo: ormai avranno cessato qualsiasi indagine! E’ stato un bel colpo di fortuna, il fatto che tu abbia dovuto compilare tutte quelle scartoffie per farti autorizzare un Lancio non a fini di missione! » Infatti, il povero Goldwing, era stato messo in attesa per tre settimane, prima di poter scendere sulla Terra. Ora che finalmente era lì, si sentiva come pietrificato. L’Angelo biondo lo prese per mano. « Andiamo, forza! » lo incitò eccitata, e si diresse verso l’entrata del club.

« Nome? » fece il buttafuori. Aveva un forte accento francese, come ci si poteva aspettare dai nativi del paese. Indossava una stretta camicia bianca, pantaloni stirati neri e un paio di occhiali a specchio – per un qualche motivo -. Squadrò Angelica per un lungo istante, disgustosamente interessato, dunque si volse verso Jason, questa volta accigliato. Era muscoloso, al fine di scoraggiare eventuali imbucati. « Jason Goldwing e Angelica Halo! » annunciò la sua compagna; l’altro controllò sulla lista, facendo scorrere la penna sui nomi che vi aveva scritti. Con un sospiro, comunicò: « la signorina può passare… »; nel mentre, alcuni uomini vestiti come quello con cui stavano parlando si avvicinarono al collega, richiamati da quest’ultimo attraverso l’auricolare. « …Ma tu non puoi. » sibilò, rivolto al tiratore, un’espressione feroce sul volto inondato di autoabbronzante. Il giovane cecchino inarcò un sopracciglio. « Quindi, vedi di smammave. Su, levati dai coglioni! » ma lui non si mosse. Angelica aveva fatto richiesta per entrambi, qualche giorno prima. La ragazza lo guardò, preoccupata. Non vedendolo reagire, i buttafuori lo circondarono, mettendosi le mani in grembo, nel tentativo di spaventarlo. Era cinque in tutto. Sbuffò. « Controlla meglio… » gli consigliò, pacato; l’omone finse di guardare meglio la lista, per poi scuotere la testa. « Ma avevo detto che saremmo stati in due! » si intromise la spotter, ma venne totalmente ignorata dalla comitiva. Poi, quando fece per mettersi in mezzo agli uomini, Jason la fermò: « ferma dove sei. Ho capito cosa vogliono: vedendo uno come me in compagnia di una donna così bella, hanno deciso che io sono di troppo. » Sogghignò. « Ma non hanno idea con chi hanno a che fare… »

Senza preavviso, uno di quelli alle sue spalle si mosse per afferrarlo; tuttavia, Jason lo anticipò, scartando a sinistra. Si voltò, per poi assestare una falciata dritta allo zigomo del buttafuori. Si piegò in avanti, evitando un ridicolo gancio; colpì l’addome dell’attaccante con una potente gomitata: il nemico crollò subito in ginocchio, tossendo violentemente tra diversi schizzi di sangue. Si mosse ancora e attaccò il terzo con una pedata proprio al setto nasale, il cui impatto lo costrinse ad eseguire un mezzo salto mortale all’indietro. Il maledetto atterrò sul duro cemento, facendo affondare ulteriormente il proprio naso nel cranio. Rotolò a sinistra, mandando a vuoto il pestone del penultimo rimasto; si tirò su con uno scatto delle reni. Lì, mulinò le braccia per parare un paio di ganci, scagliati da entrambe sinistra e destra; subito dopo sferrò una testata sulla fronte dello sfortunato. Seguì un montante diretto al mento di quest’ultimo, che, appena venutone a contatto, finì sollevato da terra di almeno tre piedi. Jason eseguì una giravolta oraria, per poi assestare una falciata con la gamba sinistra all’addome della vittima, gettandolo all’indietro di diversi metri. Si accasciò, perduti i sensi.

Dunque confrontò colui con cui aveva parlato. Questo lo attaccò, ma Goldwing evitò il suo diretto; si abbassò su un ginocchio, colpendo con un manrovescio lo stomaco dell’avversario. Non gli lasciò il tempo di soffrire, che già gli abbatteva sul collo la mano di taglio; fatto questo, afferrò il suo polso e fece pressione sul gomito, slogando l’avambraccio senza sforzo. Pestò il suo ginocchio destro, spezzando anche quest’ultimo. Infine, ne colpì il petto con l’intero braccio, proiettandolo a terra. Era ancora cosciente. L’ANGEL raccolse la lista da terra e la schiaffò in faccia al buttafuori.

« Controlla meglio… » ripetè con un sibilo. L’altro gemette in risposta, annuendo piano. Jason annuì di rimando; con due bruschi strattoni ed altrettanti schiocchi sinistri, aggiustò gli arti che aveva appena rovinato e si diresse verso l’interno della discoteca, con Angelica che, a malapena, riusciva a trattenere le risate.

 

***

 

Paul si svegliò, avvolto da un soffice lenzuolo. Si alzò a sedere, ancora stordito dopo la scorsa, movimentata notte: era andato in discoteca, a divertirsi assieme a Terence ed aveva – decisamente – alzato il gomito fin sopra i capelli. Era passato un mese dall’omicidio di Asimov e del suo autista; si era impegnato, aveva fatto domande in giro, aveva cercato prove – del proiettile neanche l’ombra, proprio come aveva detto Venicè – e tentato di ricostruire la faccenda. L’unica soluzione che gli veniva in mente ogni volta era quella: il Tiratore dei Cieli aveva colpito ancora. Ed altrettante volte, un unico ricordo gli faceva ruggire l’istinto poliziesco:

Entrò nella sala da ballo. Subito la potente musica gli invase l’udito. La ragazza che aveva portato lì, quella sera, Margot, si liberò dalla sua mano e prese a dimenarsi assieme a tutte le altre persone riunitesi in quel posto. Paul le si avvicinò e le gridò nell’orecchio che l’avrebbe trovato al bar; lei gli aveva risposto con un okay e tornò ad agitare il corpo come una forsennata. Arrivato al bancone del bar, ordinò un cocktail: aveva bisogno di una bella botta alla testa e un super alcolico era quello che faceva per lui. Prima di servirlo, però, il barista fece apparire una birra sul vetro illuminato al neon del bancone, la aprì con un’unica mossa del cavatappi e la diede ad un altro uomo. Questo era vestito come un damerino, ma non si comportava da tale. Sembrava stranamente modesto. Era bianco, aveva capelli castani e il viso perfettamente rasato. Era giovane: vent’anni o poco più. Una curiosa aria di familiarità lo avvolgeva, secondo le percezioni di Paul. Schioccò la lingua, dunque, mezzo annoiato e mezzo incuriosito, si fece avanti. « Ti diverti? » fece, alzando la voce. Quello lo guardò di sottecchi e per un attimo temette che l’avrebbe colpito; invece: « mica tanto… » prese un sorso dalla bottiglia scura. Paul rise. « Io sono Paul. Paul Johnson! » gli offrì la mano. Il fighetto gli scoccò un’altra occhiata dubbiosa. Si passò la lingua sui denti da sotto le labbra, poi gliela strinse, ancora un po’ sull’attenti. « Jason Goldwing! » rispose e spostò nuovamente l’attenzione sulla birra che teneva tra le dita. Finalmente, il drink del detective arrivò e lui poté pagare il ragazzo al lavoro. Bevve un poco dell’intruglio dal sapore acuto e si rivolse ancora a Jason: « sei venuto con la ragazza? O ne stai cercando una? » lo punzecchiò con il gomito. « Sono qui con un’amica! » guardò la pista da ballo, come se stesse cercando la stessa donna che aveva appena nominato; « tu, invece? »

« Io me ne sono trovata una! Vediamo come va a finire! »

Si godettero la musica e le bevande per qualche minuto. Poi, mentre il DJ stava cambiando traccia: « dì un po’! Non mi sembri uno di quei ragazzini viziati! Lavori? » chiese Paul, sempre più sciolto dall’alcol. Jason annuì con il capo, l’apertura della bottiglia nascosta dalle sue labbra. « Sono un soldato! »; sul viso del ragazzo di colore si dipinse un’espressione stupita. « Ecco spiegati i muscoli! » rise, « esercito francese? » l’amico scosse il capo. « Sono stato nell’esercito tedesco, per un po’… » sembrò esitare per un attimo. « Sono stato congedato, ma presto tornerò di stanza nell’esercito americano! »; « io, invece, sono un detective! » si vantò Paul; gli venne un’illuminazione. « Magari potresti aiutarmi, a proposito! » urlò.

« Hai mai sentito parlare del “Tiratore dei Cieli”? » Jason lo adocchiò, un sopracciglio sollevato. « No! » scrollò le spalle e bevve ancora. « Avrai sentito almeno dell’omicidio di Aalin Smirnov, no? » stavolta, l’altro spalancò gli occhi. Paul rimase di stucco, dinanzi a quella reazione, ma poco dopo si riscosse dicendosi: sa qualcosa, decisamente.

« Allora, ti viene in mente niente? » fece, sempre più interessato. Goldwing, invece, sembrò ignorarlo e finì la sua birra con tutta calma. Posò una banconota da venti Euro sul bancone; poi, si volse all’uscita. « Sei un poliziotto, eh? » chiese, senza neanche guardarlo; « un detective » annuì. « Allora accetta un consiglio: quando cerchi un indizio o qualcosa, o qualcuno, a cui tieni tanto, guardati bene attorno » lo guardò per un istante, « la soluzione al dilemma potrebbe essere molto più vicina di quanto credi! » e se ne andò, ignorando il barista che lo richiamava a gran voce per rendergli il resto.

Solo allora si rese conto di quello che intendeva: lui era il Tiratore dei Cieli! Era esattamente quello che gli aveva detto! Doveva trovarlo. Trovarlo e parlargli. Balzò fuori dal letto; secondo la sveglia erano già le nove del mattino. Margot era ancora addormentata. Si vestì in fretta e furia e corse al garage, dove si infilò in auto e partì.

 

***

 

Jason si grattò il capo e continuò a sonnecchiare. Si trovava in cima ad un albero, su uno dei rami più grossi, in un boschetto nella periferia di Parigi. Almeno lì, il silenzio c’era tutto. Aveva lasciato che Angelica si trovasse una stanza nei più lussuosi hotel parigini, ma lui, alle prime luci dell’alba, se l’era svignata, alla ricerca di un luogo come quello che aveva trovato. Il canto degli uccellini gli accarezzò le orecchie; era decisamente meglio, rispetto alla musica che metteva Oracle la maggior parte delle volte che tornava sul Santuario. Avrebbe voluto richiamare un Lancio, ma la Shine aveva bloccato la sua frequenza. Allora, si rilassò per conto suo. Era sempre stato così: un amante della pace e della quiete; tranne quando era in missione per il Signore, periodi in cui era una furia omicida come pochi, non faceva nulla, se non leggere oppure ascoltare la musica – e non quella di Oracle -. Liberò il braccio sinistro da sotto la nuca e lo lasciò penzoloni, per permettere al sangue di affluire alle dita; sbadigliò forte. Non poteva neanche fare a meno di pensare: era stato ucciso da Hitler durante la guerra, era finito all’Inferno, condannato a soffrire per i terribili crimini che aveva commesso, sia per scelta che per obbligo. Poi, la luce. Il Signore aveva inondato quegli abissi ardenti con il suo infinito potere; stava cercando proprio lui, Jason, nessun altro. Dio era sceso nella prigione di coloro che l’avevano tradito e l’aveva setacciata solo per lui. Quando lo ebbe trovato, pronunciò solo due frasi: « sto costruendo un esercito per salvare il mondo che io ho creato. Vuoi farne parte ed espiare i tuoi peccati? »; aveva accettato alla prima occasione. Era disposto a combattere un’altra Guerra Mondiale, pur di purificarsi e riposare in pace. Divenne un Angelo, puro ed invincibile, ma la sua abilità in battaglia non era stata modificata: era perfetta, secondo tutti coloro che lo videro all’opera. Ma perché? Per quale motivo Lui era venuto fin laggiù per incontrarlo e fargli quella proposta? Perché proprio lui, Jason Goldwing?

Non aveva idea di quale fosse la risposta. Tutto quello che poteva fare era rimuginarvi sopra. E questo difficilmente l’avrebbe portato alla verità, e, di certo, non avrebbe fatto perdere tempo al suo padrone solo per soddisfare un proprio dubbio. Inarcò un angolo della bocca, dandosi dello stupido. Non poteva, caso chiuso.

All’improvviso, passi affrettati gli giunsero alle orecchie; alzò gli occhi al cielo: la pacchia era finita. Tuttavia, quelli che aveva udito non erano i suoni prodotti da scarponi da trekking oppure stivali, bensì da mocassini, scarpe fin troppo eleganti per riuscire ad adattarsi al terreno appiccicaticcio. La persona che si annoiava tanto da mettersi a camminare per una foresta con un paio di scarpe da trecento Dollari o Euro falcò per qualche altro minuto, fino a fermarsi di colpo.

« Jason! » chiamò qualcuno. Con un gran sospiro e un gigantesco sforzo di volontà, volse la testa ed abbassò lo sguardo, fino a posarlo su un giovane uomo di colore. Dovette lavorarci un po’, ma alla fine si rese conto di chi stesse guardando: Paul Johnson, il detective che aveva incontrato la sera prima. Imprecò. Solo in quel momento si era reso conto di quel che aveva detto al poliziotto, nonostante la frase enigmatica – a sua detta -.  « Cosa vuoi, detective? » fece, riposizionandosi sul ramo; « sei tu, non è vero? » balbettò l’altro. « Tu sei il Tiratore dei Cieli! »; « stammi a sentire ragazzi… » stava ribattendo, ma accadde qualcosa. Un gigantesco boato riecheggiò per l’intera città; a seguirlo, una forte tempesta di sabbia si abbattè sulla foresta dove si trovavano Jason e Paul. Di riflesso, entrambi si coprirono occhi e bocca. Tuttavia, la folata non durò più di sei secondi.

Goldwing levò il braccio e si guardò cautamente attorno: aveva un brutto presentimento. Anche il detective faceva guizzare lo sguardo dappertutto per gli alberi, frenetico. Si aggrappò al ramo e si lanciò verso terra, atterrando senza danni.

Urla e altri boati si levarono dal centro della città.

Era come se un gigante avesse appena invaso la Francia.

Con un piccolo rumore di statico, la radio di Jason si riattivò; dall’altra parte del filo non vi era Oracle, bensì Dio. « Jason! » sembrava allarmato. « Mio Signore? » il ragazzo rispose alla chiamata, ignorando le domande di Johnson; « Jason, una Chimera di fattura umana sta attaccando Parigi! Hai un nuovo bersaglio! Permesso di ingaggiare ed uccidere accordato! » il tiratore spalancò gli occhi. Una Chimera artificiale poteva significare solo una cosa: un umano aveva stipulato un Contratto con un Demone ed era stato posseduto, in modo da avere potere, conoscenza o qualsiasi cosa la bramosia di un uomo potesse desiderare. Digrignò i denti per la vergogna di essere appartenuto ad una razza così disgustosa, per certi versi.

Poggiò il polpastrello all’auricolare ed aprì il canale di comunicazione con il Santuario – l’avrebbe fatto pregando, ma così era molto più rapido -: « richiedo sgancio immediato di equipaggiamento primario W.I.N.G. alle coordinate del tiratore scelto Jason Goldwing. Codice di rilascio: HALORING! »

« Ricevuto, ANGEL! Sgancio eseguito! Buona fortuna! »

La cassa di Goldfeather si materializzò dinanzi a lui, come l’ultima volta. Si abbassò su un ginocchio e subito si punse il dito con l’ago del lucchetto. Questo si sciolse in un istante, come se avesse intuito l’importanza del momento; aprì il contenitore ed agguantò il fucile angelico, senza neanche degnarlo del suo amorevole sguardo. Si volse per andarsene ma rimase di stucco non appena i suoi occhi si posarono su Paul, ancora scioccato da quello che aveva visto pochi secondi prima; « levati dai coglioni… » gli sibilò, per poi avviarsi a passo spedito.

 

***

 

La gigantesca creatura pestò il suo enorme piede, rovinando edifici ed uccidendo persone. Percepì qualcosa di bagnato sulla pianta, a conferma di quello che aveva fatto. I patetici mucchietti di carne gridarono dal terrore e tentarono di fuggire; qualcuno tentò perfino di attaccarlo, scagliandogli contro dei ridicoli pezzetti di piombo con quelle che loro chiamavano “armi da fuoco”. Tutto quello che riuscirono ad ottenere, tuttavia, fu l’esatto contrario: credevano di ucciderlo, ma furono loro quelli ad essere massacrati, dilaniati, stritolati. Pece qualche passo in avanti; lì, si ritrovò dinanzi a un oggetto singolare: fatto di una miriade di bastoncini di metallo, una sorta di lancia spuntava dal terreno. Era piuttosto alta, ma gli arrivava soltanto al petto. La evitò, poiché gli era stato insegnato che le armi degne di questo nome meritavano rispetto.

Era alto, molto alto. E forte. La sua pelle era stata intessuta con particelle di metallo proveniente direttamente dall’Inferno, per questo resistentissima a qualsiasi tipo di trauma. Tutto quello che indossava era una corazza da gambe, che, però, non gli arrivava ai piedi. Sferrò un pugno a terra, facendo crollare alcuni grattacieli; le urla si levarono nuovamente, ma a lui giungevano come formiche che si lamentavano di una fiammella. Sogghignò: il suo istinto gli dava così tanto piacere, nel distruggere ed uccidere creature a lui inferiori, che sentiva il bisogno assoluto di continuare. E così fece.

Finché non lo vide.

Un altro umano stava rapidamente avvicinandosi dalla periferia della città; riusciva a vederlo perfettamente: era giovane e tra le mani portava un’altra di quelle “armi da fuoco”. Questa era bianca e rossa. Ne osservò il volto. Non era spaventato, né arrabbiato per quel massacro. Anzi: aveva la sua stessa, identica espressione sanguinaria. Ne fu orgoglioso, per quanto la sua limitata mente glielo potesse permettere. Un umano che era agguerrito tanto quanto lui era una bestia rara, un mostro perfino più spaventoso di quanto potesse essere lui stesso. Inaccettabile. Era inaccettabile che un comune mortale riuscisse a sottometterlo, anche se virtualmente. Ringhiò, facendo vibrare il terreno stesso. Il nemico si stava avvicinando, balzando di tetto in tetto; era perfino così agile.

Jason guardò con cosa era costretto a confrontarsi. Quello su cui aveva posato gli occhi era letteralmente un gigante, un mostro talmente grande da superare in altezza perfino la Tour Eiffèl. Non riusciva a credere che un uomo posseduto potesse realizzare qualcosa di simile. Ma aveva degli ordini e non avrebbe disobbedito, per nulla al mondo. Evitò delle macerie, saltando su un altro tetto e continuò a correre a perdifiato.

Balzò in alto. Il bersaglio è rinforzato con una lega speciale di metallo infernale impiantata tra le cellule della carne. Sono così tante e talmente sottili da fornirgli una corazza impenetrabile. Però…

Sollevò il fucile, ancora in aria, ed allineò il centro del mirino con lo sterno della creatura.

… il suo creatore non ha considerato che gli Angeli possono vedere oltre la più spessa delle armature!

La sua visuale tremolò per un istante; dunque, tutto quel che vedeva divenne di un bel rosso acceso, salvo per le ombre. Come sospettava, anche il petto del gigante era totalmente rivestito dal metallo; sbuffò. Non avrebbe fatto differenza. Semplicemente, espulse il primo proiettile del caricatore e fece fuoco. Sparò un unico colpo, che andò a schiantarsi contro lo sterno nemico. Con grande sorpresa del bersaglio, il petto si squarciò e si aprì in mille pezzi: il colpo era talmente potente da distruggere totalmente il busto del gigante. Un’inumana ondata di sangue sommerse le vie di Parigi, mentre la Chimera cadeva a terra, come se l’intera azione fosse vista al rallentatore.

Jason sogghignò, quando fu atterrato su un edificio integro per osservare il risultato del suo lavoro. La missione era compiuta, con un unico proiettile. Si voltò a raccogliere quello che aveva espulso prima di sparare. « Oracle? » chiamò; « sono qui! » rispose la ragazzina.

« Bersaglio abbattuto! Richiedo Lancio di ritorno al Santuario, ASAP! »

« Ricevuto! »

Guardò un’ultima volta il grosso cadavere fatto a pezzi. Poi, si diresse al punto di ritrovo.

 

 

GLOSSARIO DI SNIPER

Tiratore dei Cieli – Il soprannome dato a Jason Goldwing da ogni poliziotto che abbia indagato sugli omicidi da lui commessi. Viene chiamato così perché chiunque abbia avuto la fortuna – o sfortuna – di vederlo, affermava di aver veduto un raggio di luce nel punto in cui si trovava;

Santuario – La base operativa ANGEL  sulla quale è stato collocato il leggendario Progetto. E’ una enorme portaerei – almeno cinquanta volte più grande di una normale portaerei – fatta apposta per accogliere tutti i soldati scelti da Dio. Offre ogni tipo di abitazione o edificio necessario per l’addestramento e la vita e tempo libero dei combattenti;

ANGEL – Soldato serafico accuratamente selezionato per far parte del Progetto. Ogni ANGEL è un Angelo, senza eccezioni;

Sonno – E’ la fase fondamentale per eseguire un Lancio. Consiste nel separare l’anima del soldato internato nel Bozzolo dal corpo a cui appartiene, attraverso uno speciale gas che viene iniettato nella capsula. Poiché il viaggio durante il Lancio attraversa grande spazio e numerose dimensioni, queste parti fondamentali devono essere preservate, poiché, in caso contrario, si corre il rischio di perderne una o entrambe;

Bozzolo – Speciale capsula di vetro impenetrabile, necessaria per il Lancio. E’ a forma di un sottilissimo fiore di loto. Nella parte inferiore sono presenti quattro valvole che permettono l’iniezione del gas che induce il Sonno;

Lancio – Processo utilizzato per raggiungere la superficie terrestre dal Santuario. Consiste nel separare l’anima dal corpo del soldato, onde evitare la perdita di uno dei due, e il lancio all’interno di una capsula speciale chiamata Bozzolo. Lo stesso vale per il ritorno;

W.I.N.G. – Warfare, Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear. E’ l’equipaggiamento fondamentale degli ANGEL in missione speciale sul pianeta Terra. Solo alcuni soldati vengono legati a un W.I.N.G. e non possono assolutamente venirne separati, per quanto ci si possa sforzare. Se un ANGEL perde il proprio W.I.N.G. viene scomunicato, nessuno escluso. I W.I.N.G. sono uno diverso dall’altro, in base alla specializzazione del soldato al quale vengono assegnati; tipicamente sono armi da fuoco;

R.E.A.P.E.R. – Retrieval, Earth, All-terrain, Pre-emptive, Elìte Raiders. E’ la task force segreta di stanza sul Santuario, specializzata in missioni furtive, inseguimento e recupero fuggitivi, blitz e uccisioni di elementi estremamente pericolosi per i regni sia umano che ultraterreno. Ogni soldato facente parte di questa squadra è un guerriero dalla forza e abilità che trascendono perfino gli stessi ANGEL. Il segreto è tenuto perfino dagli stessi soldati di Dio. Nessuno sa chi o cosa siano, ma si vocifera che abbiano a che fare molto spesso con la Morte in persona;

Altare – Un normale altare posto nella cattedrale del Santuario. Permette di avere udienza con Dio, solo su richiesta di quest’ultimo;

THE END – Letteralmente “LA FINE”. E’ il protocollo militare di misura estrema ideato da Dio: se le cose per la Terra e gli umani dovessero peggiorare oltre un certo limite, il protocollo THE END porterà la fine di ogni cosa;

Progetto – E’ la soluzione che Dio ha voluto assumere per proteggere il mondo che ha creato. Consiste in un esercito di Angeli (gli ANGEL), e una base operativa che collega la Terra e la città di Heaven (il Santuario);

Heaven – E’ la città di Paradiso, luogo di pace e riposo eterni, dove le anime dei caduti e assolti possono, finalmente, godersi le gioie che meritano;

Chimera – Creatura generata dal Demonio oppure dai suoi sottoposti. Possono avere qualsiasi forma o dimensione, ma hanno un unico obiettivo: l’obliterazione delle forme di vita terrestri;

Contratto – Patto stipulato tra umano e Demone. Può essere concluso in qualsiasi modo, ma quello più conosciuto è la Vendita dell’Anima oppure il Giuramento di Sangue.

 

 

Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine di fiducia!

Innanzitutto, mi scuso umilmente per questo grande ritardo: questo capitolo mi ha portato via molto più tempo di quanto credessi!

Dunque, spero che questo nuovo “episodio” di Sniper sia stato di vostro gradimento. Abbiamo scoperto già tante, tante cose sui nostri protagonisti – specialmente Jason – ma altrettante rimarranno nascoste fino a tempo debito; un nuovo personaggio è stato introdotto nella storia: Paul Johnson, un detective di Detroit trasferito a Parigi su sua richiesta per continuare ad investigare sul misterioso Tiratore dei Cieli. Ma per quale motivo ne è così ossessionato? Ha un conto in sospeso con lui? Lo sapremo in futuro!

Cosa sono le Chimere? Per quale motivo è stato istituito il Progetto? E’ solo per proteggere gli uomini dalle forze dell’Inferno oppure si mira a qualcosa di più importante? Perché Jason è stato riportato in vita, senza sé e senza ma? Angelica è davvero chi dice di essere? E il R.E.A.P.E.R. è davvero così pericoloso come descritto da Dio stesso?

Sono ottime domande, ma altre si aggiungeranno nel prossimo capitolo: “Il Terrorista Chiacchierone”!

Recensite, mi raccomando!

 

KEEP IT UP!

- Silvio Shine

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Capitolo 3
*** 2 - Il Terrorista Chiacchierone ***


 Le labbra di Jason tremolarono, quando il suo respiro si fece un po’ più pesante. Si sentiva strano: il suo braccio destro era dolorante e parecchio, quello sinistro sembrava essere stato tirato fin sopra la sua testa e legato per il polso, lasciandolo appeso come un sacco di patate, stesso fato per la controparte; ma quello che lo innervosiva di più era la mente, che non gli permetteva di ricordare assolutamente nulla degli avvenimenti legati a diverse ore prima. Era sceso dal Santuario, questo lo ricordava bene. Il suo compito era di indagare su un terrorista Afghano conosciuto come “Il Chiacchierone”, per le sue pessime battute; il motivo dell’attenzione dell’ANGEL era uno solo: la possibilità che il musulmano fosse un Posseduto, e uno facente parte di tale Religione che stipula un Contratto con un Demone, solitamente risultava nell’acquisizione di grandissima conoscenza oppure di enorme potere. Potere che, tuttavia, veniva bruscamente limitato dallo stesso che aveva conceduto il patto, al fine di non farsi individuare dall’esercito di Dio oppure, qualche volta, anche dallo stesso Demonio. Erano innumerevoli i traditori dell’Inferno che cercavano di soffiare il dominio all’attuale loro monarca, formando il proprio esercito personale costringendo o meno gli umani a stipulare Contratti. Difatti, non erano che mera routine le guerre intestine nel Regno Di Sotto, mai finite con una sconfitta per l’esercito del Demonio, che vantava la guida di Lucifer, il più fidato generale dell’imbattuto; brutale, spietato, ma anche incredibilmente scaltro e abile, l’Angelo caduto divorava i suoi nemici delle loro carni e della loro anima. Per questo, il timore che i Demoni che non avevano mai osato mosse eroiche nutrivano nei loro confronti era pressoché infinito, superato esclusivamente dall’unico che lo superava di rango e potere.

Anche l’ANGEL aveva il proprio generale, ma raramente si faceva vedere sul campo di battaglia, o sul Santuario. Quando l’aveva chiesto a Dio, Lui gli aveva risposto: « dobbiamo tenere segreta la sua identità: è estremamente potente, perciò lo manderò in battaglia solo quando non vi sarà altra possibilità di vittoria. Sarà la mia arma segreta. »

Non aveva ottenuto un discorso più chiaro.

Gemette piano: i suoi sensi, specialmente quello che permette la percezione del dolore, si stavano infine risvegliando. Ora l’arto superiore destro doleva tanto da sembrare sul punto di staccarsi dalla spalla alla quale apparteneva, con particolare enfasi sui tiratissimi nervi e le vene che parevano contenere liquido volatile altamente infiammabile. Mosse la testa a caso, denti stretti, nel tentativo di placare quella sensazione almeno quel minimo sufficiente da dargli la facoltà di pensare liberamente. Questo, tuttavia, non accadde.

Fu una secchiata di acqua gelida a colpirlo dritto sul viso e a riportarlo nel mondo dei vivi; il ghiaccio appena sciolto scivolò dolorosamente da viso a collo, fino a raggiungere il petto e l’addome. Rabbrividì non poco, mentre l’improvvisa doccia gelata lavava via il resto dello stordimento che affliggeva la mente del tiratore; dunque, puntò lo sguardo dritto dinanzi a sé. La vista ci mise un po’ per abituarsi alla penombra del luogo in cui era stato portato. Nel mentre un violento clangore riecheggiò per la stanza angusta – probabilmente il secchio che ha appena usato, si disse Jason -, accompagnato subito da frasi pronunciate in maniera talmente rapida che non riuscì a capire assolutamente nulla di quel che era stato appena dettogli. Non notando reazioni, l’altro uomo ripeté una seconda volta, più piano di prima; allora Goldwing capì, ma non il significato del discorso, bensì in quale lingua stavano interloquendo con lui: Arabo. Fece una smorfia e strabuzzò gli occhi. Finalmente riusciva a vedere qualcosa, dannazione! Ma quasi desiderò non averlo fatto: lì, disgustosamente orgoglioso e folle almeno il doppio, stava in piedi un membro di “OVERTAKE”, il gruppo terroristico di base in Afghanistan. Il terrorista, che stranamente aveva il viso ancora coperto, nonostante stesse dinanzi ad un prigioniero, si rigirava un coltello tra le dita, senza mai perdere di vista il giovane soldato. Per tutta risposta al discorso senza parole, JJ sbadigliò sonoramente, lasciando trasparire una certa nota di ironia; l’istante dopo, tuttavia, ringhiò furibondo a causa di una nuova fitta di profondo dolore generatasi dal braccio destro. Lo guardò: era come se all’intero arto era stata strappata via la pelle. Le fibre muscolari, i legamenti, le vene e parte delle ossa erano visibili ad occhio nudo, in quanto totalmente scoperti. I violetti tubicini organici pulsavano di globuli rossi, i muscoli si contraevano di tanto in tanto a causa dello sforzo involontario. A quel punto lo stomaco minacciò di svuotarglisi da un istante all’altro: quello era il risultato di una delle abilità più utili del corpo di un Angelo, la rigenerazione sub-molecolare. Il processo, la maggior parte delle volte, era estremamente breve, richiedendo al massimo una ventina  di minuti per guarire una ferita grave, una lesione interna, oppure, come in questo caso, un arto menomato. Alle sue pupille si presentava, tuttavia, un evento del tutto singolare, qualcosa che non ebbe mai l’opportunità di scorgere in tutta la sua seconda vita: la negazione di un potere serafico così radicale, così fondamentale. Mille e una causa gli si palesarono al pensiero. Potevano essere tutte corrette, ma potevano anche essere tutte errate. Se così era, allora l’ANGEL, ancora una volta, stava brancolando nel buio. Grosso svantaggio quando ci si trova da soli in territorio nemico.

Il terrorista parlò ancora nella sua lingua natìa, convinto che l’altro riuscisse ad interpretare le sue parole. Invece, Jason rise, nonostante il fortissimo dolore alla gola. « Puoi ripetere? » gracchiò, « devo aggiornare Google Traduttore, e qui la connessione fa veramente schifo… »; quello col passamontagna attaccò un accesso di risa a sua volta e Goldwing finì per guardarlo con ancor più disgusto di prima. L’aveva capito, o lo stava deridendo proprio perché non si rendeva conto che non riusciva a capirlo? La risposta giunse ben più rapida di quanto potesse sperare: in un movimento repentino, mosse la mano destra, quella che teneva il coltello, scagliandolo con traiettoria precisa dritto contro l’intestino del prigioniero. Il cecchino ululò un’imprecazione, nel sentire la lama penetrare nelle sue carni. Tossì un paio di volte, sputando diversi fiotti di sangue fresco. Il mascherato si avvicinò; lì, agguantò l’impugnatura dell’arma bianca e, di colpo, la tirò via.

JJ ringhiò il suo dolore. Ma, purtroppo per lui, non era finita lì: infatti il terrorista, coadiuvato da altri due, prese ad incidergli la carne con tagli più o meno profondi, precisi come quelli di un chirurgo, fini solo a causargli la maggior sofferenza possibile. Mentre i tre infierivano sul suo corpo indifeso, la pozza rossa ai suoi piedi si allargava ad ogni nuovo squarcio; dieci interminabili minuti passarono e loro non davano segno alcuno di intendere terminare quella tortura senza scopo. Fu proprio questa la domanda che assillò la mente di Jason, durante la lotta per rimanere sveglio: per quale ragione lo stavano ferendo in quel modo? Avevano un fine, oppure era per il loro perverso divertimento? Lo ignorava. Ormai non riusciva a pensare a nulla se non a resistere il più possibile. Sarebbero venuti a salvarlo, ne era certo. L’ANGEL non lasciava mai indietro nessuno, mai. Gli Angeli guerrieri erano più rari di quanto si potesse credere ed ogni elemento era fondamentale per mantenere la stabilità dell’esercito. Questo pensiero lo rallegrò un poco, prima che sprofondasse nelle tenebre dello svenimento…

 

***

 

« Con oggi, sono venticinque… » mugugnò tra sé e sé, gli stivali sporchi di sabbia che continuavano a macinare i chilometri che lo separavano dal suo obiettivo. Esattamente venticinque giorni prima era sceso dal Santuario con la più recente missione assegnatagli: scovare il Chiacchierone e scoprire il più possibile sul suo conto. La sua uccisione non faceva parte dell’incarico. Storse il naso: quello a cui dava la caccia – anche se non letale – era un terrorista ed era addirittura sospettato di essere un Posseduto. Mi piacerebbe sparargli un bel colpo in testa da due chilometri di distanza… pensò, già immaginandosi sdraiato su una duna isolata, Goldfeather in braccio, a guardare attraverso il mirino il volto di un arabo a caso, convinto che fosse l’uomo che stava cercando.

Si scrollò di dosso a malincuore un pensiero così allettante ed aggiustò il cappuccio in modo da coprirgli gli occhi. Sospirò, sudato. Il deserto dell’Afghanistan non aveva pietà, a prescindere dall’ora del giorno oppure della notte: mentre durante la veglia, il sole comandava i propri spietati raggi sulla sabbia rovente, nel corso del periodo occupato dal sonno il freddo era insopportabile, a tal punto da costringere il soldato ad indossare un vero e proprio mantello da viaggio, pur di non finire per squagliarsi o congelare.

Dopo altre due ore di cammino, si fermò: qualcosa non andava. Se proprio doveva usare una frase tipica degli umani, “i suoi sensi di ragno stavano pizzicando”. Sondò attentamente l’intero circondario, senza osare fare un altro passo in qualsiasi direzione. Un mortale avrebbe di certo rinunciato presto a quella sensazione, ma lui sapeva e sentiva quel che stava per accadere. In fretta e furia, contattò Oracle per farsi inviare il fucile. Non attese neanche di vedersi generare completamente la cassa che già infilava il dito nel lucchetto ed imbracciava l’arma. Tirò all’indietro la maniglietta della sicura: il colpo era carico. Riposizionò l’otturatore con uno schiocco secco. I suoi occhi schizzarono di qua e di là per le sabbie, alla frenetica ricerca di un nemico celato alla vista. Era lì, lo sapeva bene. Per un momento guardò proprio alla sua destra, dove credeva di aver sentito un rumore, una sorta di tonfo. Errore: esattamente dal punto che stava squadrando prima, da sotto terra balzò fuori un gigantesco serpente color crema. Aveva le dimensioni di un aereo passeggeri e le sue scaglie erano talmente grosse da ricordare vagamente un’armatura medievale, forgiata appositamente per una creatura come quella.

La Chimera spalancò le ampie fauci e, sfruttando la forza cinetica impressasi pocanzi, si scagliò contro la preda; Jason si gettò di lato. Mentre era ancora in aria, si avvitò, poggiò il calcio dell’arma alla spalla, allineò il centro del mirino con uno dei minuscoli spazi tra le squame del mostro, dove di congiungevano nell’area della gola, e fece fuoco: il proiettile penetrò facilmente nella corazza. Il conseguente schizzo di sangue impuro fu il segno del suo successo; il colpo era talmente ben mirato che non solo recise la gola del nemico, ma riuscì perfino ad attraversarne il corpo, finendo per fuoriuscire dall’altra parte. La serpe si accasciò di peso, morta, sollevando un gran polverone. Goldwing atterrò a sua volta, scivolando di alcuni piedi, ginocchio e mano libera poggiati a terra. Altre due Chimere come quella che aveva appena ucciso giunsero a dar manforte; saltarono in aria, i denti snudati in ringhi minacciosi. Il soldato si preparò a continuare la battaglia: non appena i mostri su furono avvicinati abbastanza, eseguì alcuni salti mortali all’indietro. Se Angelica fosse stata lì con lui, gli avrebbe gridato di muoversi ad ucciderli. Era pronto a farlo, ma stava aspettando il momento giusto. Momento che stava per arrivare.

Come prima, allineò il mirino con il bersaglio mentre era ancora in aria, ma questa volta non per colpire uno degli spazi vuoti lasciati dalle scaglie. Non appena vide che la croce al centro del vetro incontrava la pupilla di una delle serpi, lasciò che la sua abilità serafica prendesse il controllo dei suoi occhi: come era successo contro il gigante a Parigi, la sua prospettiva si colorò completamente di rosso e i punti deboli del bersaglio vennero evidenziati con un appariscente blu elettrico. Sogghignò, per poi sparare un secondo proiettile, non prima di aver espulso il bossolo vuoto che precedeva quello pieno. Questo andò a colpire proprio il bulbo oculare che aveva intenzione di attaccare; il proiettile attraversò il cervello e il cranio della Chimera, fuoriuscì dal mento e, grazie all’allineamento che Jason era riuscito ad ottenere, uccise anche l’altro serpente. Posò i piedi a terra, seguito a ruota da due rimbombi che segnalarono la caduta delle creature del Demonio.

Finalmente, il giovane poté espirare: aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo. Si posò Goldfeather sulla spalla ed osservò il risultato della battaglia. Sangue, cervella e giganteschi cadaveri decoravano il prima deprimente paesaggio; molti sarebbero rabbrividiti a quella vista, ma a Jason Goldwing questo tipo di spettacolo non dava altro che piacere. Non erano poche le occasioni in cui egli stesso aveva descritto una carneficina da lui compiuta come “un’opera d’arte”. Questo, ovviamente, solo se quelli che ci rimettevano erano i nemici del Signore, altrimenti gli veniva il voltastomaco. Non riusciva a sopportare la vista di innocenti massacrati da uomini o demoni assetati di potere o, più comunemente, di sangue. Sbuffò. Era soddisfatto di quel che aveva fatto ed ora doveva ripartire, si disse, forzandosi a proseguire verso il punto di rendezvous. Non appena si voltò, tuttavia, un dolore lancinante gli invase il braccio, mentre una quarta serpe si catapultava su di lui dalla sua destra. Quando lo ebbe sorpassato, capì per quale motivo l’arto gli faceva così male: il braccio, ancora scosso dagli spasmi, penzolava dalla bocca della Chimera, le dita erano rimaste ben serrate attorno l’impugnatura dell’arma da fuoco, irrigidite dall’improvviso strappo dei nervi. I fluidi corporei di Jason fuoriuscirono con grandissima potenza e quantità; si tenne il moncherino e crollò in ginocchio, già parecchio indebolito dall’emorragia. Non passarono che meri secondi, prima che la sua coscienza cedesse, scaraventandolo nel buio.

La Chimera invece, strisciò verso quel corpo immobile, con l’intento di divorarlo; dopo aver inghiottito quel pezzetto di carne dal quale pendeva quell’altro ammasso di metallo e legno, aprì nuovamente la mandibola e la avvicinò al suo conquistato banchetto. Proprio quando stava per richiudere i denti sul cibo, qualcosa attirò la sua attenzione: sul braccio sano dell’umano era cucito un particolare emblema, uno stemma “militare” come le era stato detto dal suo padrone: due ali di piume dorate spiccavano al centro di un rombo scuro. Proprio in mezzo alla coppia d’oro si potevano notare le lettere “A.N.G.E.L.”, mentre tutt’attorno, in maniera molto ordinata, era scritto “ Advanced anti-Nemesis Guard and Elimination League”, tutto dello stesso colore delle piume. Ricordò il resto del discorso del suo padrone: “semmai incontrerete un umano con questo simbolo sulla spalla sinistra” disse a lei e alle altre Chimere, mostrando loro l’immagine che avrebbero dovuto cercare, “portatemelo, vivo o morto. Tuttavia, se me lo consegnate vivo, sarò lieto di ricompensare il responsabile con duecento dei più succosi dei miei prigionieri”. La prospettiva di affondare i suoi denti in ben duecento esseri umani era fin troppo allettante per la limitata mente del mostro che, senza pensarci due volte, prese il soldato in bocca e ce lo lasciò al sicuro, mentre si apprestava a strisciare a tutta velocità verso la base.

 

***

 

« Sveglia, sveglia! »

Jason si mosse appena, quando quella voce così sgraziata da far venire la pelle d’oca al più coriaceo dei guerrieri lo ebbe raggiunto. Disturbato, il suo sonno sembrava sul punto di interrompersi, ma contro ogni pronostico, scivolò ancor più nel riposo.

« Se non ti svegli ti faccio mangiare delle buonissime noccioline. Le tue, intendiamoci! » e rise per qualhe secondo, divertito dalla sua stessa battuta. Se c’era qualcun altro assieme a lui, probabilmente non aveva lo stesso senso dello humor, poiché non si sentì risa levarsi oltre la sua. « Non ridete? » si interruppe quello che riusciva a parlare un inglese appena accettabile; nessuno ebbe il tempo effettivo di rispondere, che uno sparo e un tonfo ruppero il già sottile silenzio. Subito dopo, l’intera comitiva attaccò un accesso di ilarità sensibilmente forzato. Fortunatamente, però, il “capo” ne apparve soddisfatto, dal momento che continuò con il discorso: « li vuoi aprire quegli occhi o no?! »

Con un enorme sforzo di volontà, finalmente, Goldwing riuscì ad aprire le palpebre e guardare in faccia il responsabile di tutto quel baccano. Vide un arabo dalla pelle mulatta; portava un ridicolo pizzetto sul viso, in quel momento sorridente come solo un ebete può fare. Non aveva capelli. Era vestito con equipaggiamento militare di contrabbando, compresi un giubbotto antiproiettile e un fucile d’assalto a tracolla. Rise nuovamente; Jason imprecò mentalmente. Infine lo aveva trovato: quello era il terrorista Chiacchierone.

« Quando ho ordinato alle mie Chimere di cercare agenti dell’ANGEL… » disse quello, un fortissimo accento indiano sottolineava ogni sillaba, « …non mi aspettavo di certo che la mia pesca sarebbe stata tanto fruttuosa: Jason Goldwing, conosciuto tra i mortali come il famigerato Tiratore dei Cieli è qui, al mio cospetto. Lo stesso Goldwing che ha ucciso Smirnov due mesi fa a Parigi e che ha sventato l’attacco del gigante nella stessa città, neanche trenta giorni dopo. Lo stesso Golwing riportato in vita da Dio… » sghignazzò, « …per combattere i miei padroni! »

« Allora è tutto vero! » latrò JJ, « sei un Posseduto, brutto bastardo! »; l’altro annuì. « Il mio vero nome è Nahim Hamela » si presentò, « e, prima di essere quel che hai detto che sono, sono il capo di OVERTAKE. Ma non è sempre stato così. Sono partito dal basso, come tutti quanti… » aprì le braccia, indicando i nove uomini che gli si accompagnavano, « …ero solo una ridicola recluta, uno che non meritava niente se non di farsi esplodere per la causa… »; « quale causa? Diffondere il terrore tra gli umani? » lo interrogò il prigioniero. Hamela lo adocchiò con aria grave. « Il terrore è importante, Tiratore dei Cieli. Se le persone non conoscono il terrore, si dimenticano cosa e quanto importante sia in realtà. Se il terrore viene dimenticato, la sicurezza nasce nella mente e non si è preparati al Giorno del Giudizio o a qualsiasi altra catastrofe questo mondo potrà mai conoscere » scosse il capo, meravigliato da tale ignoranza; « io non avevo alcuna intenzione di farmi esplodere e basta. No. Volevo compiere qualcosa di molto più grande: non volevo solo diffondere il terrore come si è sempre fatto, ma renderlo addirittura eterno. I Cristiani amano così tanto il concetto dell’Infinito, benissimo, allora che questo venga applicato anche alla paura più assoluta. Le mie Chimere non solo mi hanno aiutato a raggiungere questo rango tra le fila di OVERTAKE, ma mi aiuteranno anche a terrorizzare le patetiche vite che popolano questo pianeta, nei secoli dei secoli! »

Gettò il capo all’indietro e scoppiò a ridere, ma non con la sua solita, ridicola risatina da idiota.

Quando ebbe concluso il suo discorso, si rivolse ancora a Jason: « finchè il mio padrone non arriva, direi che possiamo divertirci un po’, che ne dici? » e senza neanche aspettare una ribattuta, uscì dalla stanza. Luci si accesero sui muri, rivelando alla vista gigantesche casse audio incastrate nelle pareti. Volevano torturarlo… a colpi di musica…? Fu il turno di Jason di ridere.

« Lo sapevi che se i bassi vengono riprodotti con un volume particolarmente alto, è possibile causare lesioni agli organi interi? » domandò il Chiacchierone attraverso un altoparlante; « questo sì che sarà divertente! »

L’interno delle casse prese a vibrare insistentemente…

 

***

 

« Ancora niente? » fece Angelica.

Oracle scosse il capo, guardando un po’ lo schermo del computer, un po’ il palmare, un po’ il viso della preoccupatissima spotter. L’Angelo più anziano imprecò a denti stretti. Jason non si faceva sentire sul Santuario da quasi ventisei giorni. « Niente richieste di equipaggiamento W.I.N.G., niente rapporto, niente richiesta di rilascio del Bozzolo, niente di niente » la bionda si massaggiò le tempie; l’altra sospirò. « A dire il vero ha chiesto di farsi sganciare Goldfeather stamattina, verso le undici, poi silenzio » le comunicò controllando la lista di equipaggiamenti presenti sulla portaerei, « non ho ancora ricevuto indietro il fucile. Forse sta ancora combattendo… vediamo… Afghanistan… » digitò qualcosa sulla sua tastiera; Angelica poggiò dolcemente le spalle al muro dietro la ragazzina, le braccia incrociate, le dita che non potevano fare a meno di tamburellare sulla pelle. Il suo umore peggiorò ulteriormente quando Celia scosse il capo. « Non vedo nemici sul radar, tantomeno Jason. Quiete anche dal satellite. Si è volatilizzato » fu proprio la quiete a scendere tra le due, mentre riflettevano a cosa fosse potuto succedere al miglior cecchino dell’esercito ultraterreno. Nessuna delle due disse niente per diversi, strazianti minuti, quasi speranzose che, di punto in bianco, uno egli schermi dell’attrezzatura di Oracle si illuminasse del rapporto di Goldwing. Ma nel profondo, entrambe sapevano che così non sarebbe successo. Dovevano trovarlo e dovevano farlo loro, altrimenti si sarebbero ritrovate tra le mani un Angelo morto, il primo della Storia, nonché il primo ad essere deceduto due volte. Inspirò, trattenne il fiato per qualche secondo ed espirò, in un vano ed improvvisato tentativo di rilassarsi. Come aveva previsto, non aveva funzionato affatto.

Come avrebbe potuto fare per trovarlo? La soluzione più ovvia sarebbe stata chiedere a Dio, senza alcun dubbio, ma poteva avere udienza con Lui solo ed esclusivamente su richiesta di quest’ultimo. Punto e a capo… imprecò un’altra volta. « Non ti tormentare » la consigliò la giovane Shine, « stiamo parlando di Jason Goldwing, il Tiratore dei Cieli, il miglior cecchino che abbia mai messo piede sul Santuario! Oltre a saper sparare così bene, conosce anche le arti marziali. Io mi preoccuperei di più per quei tizi di OVERTAKE! » la bionda non riuscì a non sorridere: nonostante fosse così in ansia per il suo compagno, Oracle riusciva a trovare spazio nella sua minuscola testa per consolare perfino lei, Angelica Halo, la ragazza che aveva aiutato quella bambina così tante volte perché non sopportava vederla piangere, che aveva picchiato  tanti altri soldati suoi pari perché avevano preso in giro quella poverina solo a causa del suo aspetto. Non per nulla era una delle uniche due persone alle quali voleva bene per davvero; l’altra, naturalmente, era Jason. Ancora ricordava quando era giunto sul Santuario per la prima volta, appena resuscitato e fatto Angelo. Era incerto e spaventato, non parlava con nessuno. Spaventato, forse, era il termine meno adatto, infastidito, probabilmente era molto meglio: troncava sul nascere qualsiasi dialogo, talvolta anche in maniera piuttosto rude, e se ne stava per le sue, a sparare oppure a leggere. Lei si era opposta per molto tempo: lui era risorto e diventato un essere serafico. Nessuno, ancora, nessuno aveva il diritto alla resurrezione fino al Giorno del Giudizio. Glielo avevano ripetuto fino alla nausea sin da quando era bambina ed impresso a fuoco nella sua mente. La cosa era ulteriormente peggiorata quando le avevano comunicato che sarebbe diventata la sua spotter e che avrebbero dovuto affrontare le missioni assieme. Non le era simpatico, per niente: silenzioso come il morto che era, scorbutico e non si curava mai delle sue ferite. Un gran bastardo, insomma. Alcune volte, addirittura, aveva sbagliato di proposito a fornirgli le coordinate dei bersagli, al fine di fargli fare brutta figura con l’esercito e lo stesso Dio, ma non aveva mai funzionato: era talmente abile da riuscire a sfruttare le indicazioni errate a suo vantaggio e a piazzare i colpi ancor meglio di quanto sarebbe riuscito a fare con indicazioni corrette. La cosa che la convinse che se la stava prendendo con lui ingiustamente fu il fatto che non si era mai arrabbiato con lei, non l’aveva incolpata di nulla e l’aveva sempre accettata a buon cuore, nel corso delle missioni. Poteva anche essere egoista, ma non era cattivo. Nel corso degli anni era riuscita a scoprire tante cose su di lui e mai da bocca di altri. Jason si era aperto con lei e le aveva svelato praticamente tutto sul suo passato, un sofferente e terribile passato. Finalmente, poteva dire con assoluta convinzione che si era affezionata a qualcuno. E quel qualcuno, ora, era in pericolo. Non sarebbe rimasta a guardare.

Aprì bocca per dire qualcosa a Celia, ma venne subito interrotta dalla chiamata che la ragazzina stava ricevendo. Aprì la finestra olografica corrispondente, aprendo così il canale comunicativo con Dio. L’Onnipotente non attese a parlare: « Oracle, manda Angelica qui da… Oh! Sei già lì » la guardò ed ella annuì. « Vieni all’Altare, ho bisogno di parlarti » e terminò il collegamento. La spotter sospirò paziente. « Vedila come un’opportunità » la riscosse Oracle, sondandola con i suoi occhi bianchi, « potresti chiedergli il permesso di scendere sulla Terra per cercare Jason. »

Sorrise: aveva ragione.

Entrò nella Cattedrale e si inginocchiò dinanzi all’Altare. Una volta che ebbe pronunciato la preghiera, in pochi secondi si ritrovò dinanzi a Nostro Signore. Si alzò di scatto, come un elastico, ma non in maniera irrispettosa.

« Siamo energici, oggi. » affermò Lui, notando il comportamento dell’Angelo. « Sono solo un po’ tesa, Signore » rispose con voce tremante; « immagino quale sia il motivo… » assunse un tono più grave del solito, con grande sorpresa di Angelica, tanto abituata a sentirlo più vivace di così. « Ho una domanda da porti: tu oppure Oracle avete novità su Jason? »

La ANGEL non rispose. Rimase lì in piedi, imbarazzata, preoccupata e infuriata, senza proferire parola alcuna. Tutto quello che riuscì a fare fu guardare Dio in faccia, in silenzio; lo osservò cambiare rapidamente espressione da speranzoso a pensieroso.

« Ma non sarebbe possibile…? » stava dicendo lei.

« …usare il mio potere per trovarlo e riportarlo indietro? » concluse il Creatore. Scosse piano il capo. « Se usassi la mia forza per un unico soldato, avrò tradito il mio dovere. Ho inizializzato il Progetto per aiutare e salvare la vita del mondo e il mio esercito non ha mai subìto perdite. Se ne sorbisse una, dopo quindici anni dall’avvio, la potenza bellica non ne risentirà. Se intervengo direttamente nei fatti dei mortali, sarò costretto a dare il via al protocollo THE END e se questo mi sarà in qualche modo impossibilitato, dovrò ricorrere a questa mia potenza. »

Per la prima volta da tanti anni Angelica barcollò sul bordo del pianto. L’uomo dinanzi a lei aveva a disposizione così tanto potere da essere considerato onnipotente, era il Creatore del mondo e di tutte le cose, e non aveva intenzione di salvare il suo compagno. Quasi lo odiò per questo. Ma sapeva, suo malgrado, che quello che aveva appena udito era vero.

« Allora lasciatemi scendere sulla Terra a cercarlo! » lo supplicò, « se Jason sopravvive, avrai ancora a disposizione uno dei migliori cecchini della Storia e la nostra potenza non diminuirà affatto! »

« No. C’è un grosso rischio che Goldwing abbia a che fare con dei Demoni. Non posso correre rischi. »

La ragazza spalancò gli occhi, incredula. Abbassò lo sguardo, scossa dai singhiozzi. Mai aveva provato tanta rabbia, specialmente contro il Signore. Fu grazie ad uno sforzo inumano che riuscì a sibilare: « capisco, Signore… » per poi congedarsi dalla Cattedrale. Quando fu arrivata davanti alla porta dell’hangar la follia ebbe il sopravvento sulla sua mente. Di colpo, sapeva esattamente cosa fare, nonostante le gravi conseguenze che ne sarebbero scaturite. Ma a lei non importava. Si asciugò le lacrime come meglio poteva ed entrò. « Hai avuto successo? » le chiese subito Oracle; Angelica finse un gran sorriso. Nel vederla così, la ragazzina si rallegrò di molto. Subito prese a martellare la tastiera con le dita. « Ti sto preparando il Bozzolo » informò l’amica, « sbrigati a prepararti. Ti metto in cima alla lista d’attesa! »

 

***

 

Lo gettarono sulla sabbia, dopo averlo trascinato fuori dalla sala delle torture. Si accasciò subito; il corpo gli rimandava fitte dolorosissime, sia all’interno che all’esterno. « Dai, tirati su! ‘Sti ragazzini d’oggi, hanno già bisogno del viagra! » il Chiacchierone era già lì. Con parecchia fatica, Jason riuscì a rimettersi in equilibrio sui propri piedi. Come previsto, non erano soli: altri quindici terroristi si erano disposti ad anello attorno a lui e lo squadravano da testa a piedi. Sembravano pronti a combattere.

« Jason… ehi, Jason! Guardami! » Hamela richiamò la sua attenzione, « guarda che io sono misericordioso, eh! Senti qua: ora ti metteremo alla prova. Se riesci ad affrontare e battere tutti i ragazzi che vedi qui, sei libero! D’accordo? » sguainò un coltello da combattimento ed offrì l’impugnatura al cecchino. Titubante, questi accettò l’arma. Guardò i nemici che avrebbe dovuto combattere: si erano tolti di dosso i fucili d’assalto e stavano saggiando lo stato delle loro lame. Quindici contro uno. Svantaggio non indifferente, ma lui era un Angelo e un combattente nato.

Di colpo lo stomaco gli si compresse e lui si piegò in avanti per vomitare, scatenando l’ilarità di tutto il gruppo. Ancora tossendo, chiese: « posso averne un altro…? » risero di nuovo. « Quello non ti va bene? » fece il Chiacchierone; lui scosse il capo. « Sono abituato ad usare due coltelli, non uno solo… » a sentirlo, uno degli altri si fece portare un’altra lama ed osservò il prigioniero, un’espressione di scherno che gli solcava il viso. Il momento dopo nascose l’oggetto letale dietro la schiena, mostrando il medio. Jason sbuffò. Se lo sarebbe dovuto aspettare: fare richieste non era affatto possibile. Infuriato, decise che gliel’avrebbe fatta pagare cara. Espirò concentrandosi.

« Pronto? » gli chiese il capo. I sottoposti del Chiacchierone si mossero leggermente e JJ sapeva perché: avevano tutta l’intenzione di  attaccarlo molto prima che il capo desse il permesso, da bravi terroristi quali erano. Era preparato ad ogni evenienza, anche con gli organi rovinati dalla tortura alla quale era stato sottoposto fin troppo poco tempo prima. A dimostrare la veridicità dei suoi pensieri il fegato gli rimandò una tremenda botta dolorosa. La rigenerazione aveva fatto il suo dovere, ma non abbastanza in fretta: la pelle del braccio era ricresciuta fino a raggiungere a malapena la base delle dita e le sue interiora dolevano ad ogni battito del cuore, anch’esso in condizioni non perfette.

Neanche fosse stato predetto da un oracolo, la previsione di Jason si realizzò: lo stesso individuo che gli stava consegnando il secondo coltello lo caricó a lama snudata. L’Angelo, però, aveva anticipato le sue mosse: si lanció su di lui e in un impeto di velocità conficcò l’arma nel petto del nemico, in un punto particolarmente sensibile, così da immobilizzarlo e fermarne totalmente l’avanzata. Le dita del maledetto cedettero; il metallo che stringeva in mano cadde. Jason afferrò quest’ultimo al volo e squarciò la gola del malcapitato con due fendenti. Il sangue gli insozzò il petto e buona parte del viso. I compagni del caduto accorsero per tentare di ucciderlo.

Goldwing rigirò uno dei coltelli e subito ne piantò uno nell’orbita destra del primo che lo ebbe raggiunto, uccidendolo sul colpo; recuperò l’arma, eseguì una giravolta per schivare un calcio. Le armi bianche guizzarono per la seconda volta sotto la luce del sole ed una di esse fini per sprofondare nel palato del nuovo malcapitato, così falciando un’altra vita. Il terzo cadde con la gola squarciata, senza neanche rendersi conto cosa fosse effettivamente accaduto, a causa della rapidità dell’azione. I dodici terroristi rimasti si avventarono su di lui.

Nessuno di loro sopravvisse. In pochi minuti, il Tiratore dei Cieli aveva fatto piazza pulita dei cosiddetti combattenti. Un ultimo maledetto si poneva tra lui e il Chiacchierone. Questo stupido lo guardò per qualche istante subito prima di attaccarlo con diversi fendenti; Jason si limitò a piegare il busto in un paio di direzioni per evitare la lama del nemico. Poi, sfruttando lo slancio di una schivata particolarmente brusca, pestò la rotula sinistra dell’avversario: la gamba si spezzò all’istante. Si avvitò e colpì il suo zigomo con una potente falciata, infine, anticipò l’inerzia del futuro cadavere, scagliando il coltello destro dritto contro la sua testa.

Rimase fermo, ansante. Quando si voltò, però, si ritrovò davanti il Chiacchierone, fucile puntato. No, non un fucile qualsiasi. Quello che aveva visto era Goldfeather. Si arrabbiò e pure tanto: per un tiratore scelto, perdere la propria arma e ritrovarsela puntata contro era un disonore gigantesco, specialmente se quel tiratore era un ANGEL e l’arma era il suo W.I.N.G.. « Con il mio fucile,  eh, stronzo? » Jason rimase fermo dov’era, senza temere la sua fedele compagna. L’altro finse di annusarsi l’ascella, poi fece spallucce. « Non puzzo così tanto! » aggiustò la posizione del calcio e tirò verso di sé la sicura, in modo da verificare che vi fosse il colpo in canna. Con un ghignetto divertito si rivolse al combattente: « conosco questo tipo di armi. Un bel fucile di precisione… »

« Che occhio. Ma dimentichi che quello è… »

« …un Warfare, Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear”, o W.I.N.G. in breve. So perfettamente cosa sto tenendo in mano e cosa stai pensando: “porca troia, sono invulnerabile!” e questo perché, in teoria, queste bellezze possono essere utilizzate esclusivamente da coloro ai quali sono legati. »

Goldwing spalancò gli occhi: gli armamenti serafici erano assolutamente top secret, alcuni degli stessi ANGEL, se ritenuti troppo inesperti oppure erano di rango troppo basso, venivano tenuti all’oscuro della sola esistenza degli equipaggiamenti primari. Almeno finchè non riuscivano ad ovviare ad una di queste lacune. E, di certo, il fatto che un terrorista – che era perfino un Posseduto – non solo ne fosse a conoscenza, ma che anche sapesse quali fossero le loro funzioni nascoste, non prometteva nulla di buono. I Demoni si stanno riadattando…

Il Chiacchierone scoppiò in una fragorosa risata. In lontananza si sentivano altri uomini accorrere al campo d’esecuzione. Jason strinse i denti: poteva anche sapere cosa fosse Goldfeather, ma non era capace di usarlo, dal momento che l’arma stessa l’avrebbe respinto. Era per forza così.

« I miei padroni… » l’altro riprese il discorso, mentre tentava di riprendere fiato, « …mi hanno dotato di parecchie capacità: forza e resistenza superiori a quelle degli uomini normali, incredibile intelligenza, grande conoscenza, controllo totale sulle Chimere, ma, soprattutto, il potere di rubare l’identità di qualcuno. Capisci? » sogghignò, « nelle mie vene scorre un clone del tuo sangue. Certo, non dovrei essere capace di immedesimarmi nei panni di un Angelo, ma vedi… » ammiccò in direzione di Jason, « tu sei ancora in parte umano. Di conseguenza, il tuo bel fucile è convinto che io sia te! »

Goldwing ci mise poco a fare due più due: stava per prendersi un proiettile dalla sua stessa arma. E non dal caricatore, come quando sostituiva le munizioni guaste, ma bensì direttamente dalla canna. Non sarebbe stato piacevole…

« Richiedo sgancio immediato di equipaggiamento primario W.I.N.G.. Codice di rilascio: “SKYFALLEN”! »

Una figura indistinti schizzò a tutta velocità dalla sinistra del soldato, passò in mezzo ai due e si fermò di colpo a diversi metri di distanza alla sua destra. Le braccia del terrorista, in corrispondenza del gomito, vennero via dal resto del corpo assieme alla sputa fuoco bianca e rossa; il sangue prese subito a sgorgare dai moncherini, sotto gli occhi dell’incredulo Hamela, che non riuscì neanche ad urlare a causa del dolore. Anzi: sembrava che non lo sentisse affatto; tuttavia, lo sgomento di aver perso ben due arti in un solo colpo era presente. Anche se era invulnerabile al dolore, non lo era allo shock emotivo.

Solo allora Jason si riscosse: in un movimento repentino, scattò verso Goldfeather. Afferrò l’arma e balzò all’indietro, ignorando le proteste delle sue membra, poi, come aveva fatto nel deserto, lasciò che il suo potere serafico gli invadesse gli occhi. Il mondo divenne completamente scarlatto e il punto debole del nemico venne evidenziato con un bel blu; a conferma dei suoi sospetti, quella che venne messo in bella vista non fu una parte del corpo del suo nemico, bensì qualcosa oltre la sua forma fisica: come fosse stato una specie di ombra che si stagliava alle sue spalle, un demone invisibile fece capolino sul piccolo campo di battaglia. L’ANGEL aveva un bersaglio.

Mirò subito contro l’oscura creatura e fece fuoco, senza pensarci davvero. Il proiettile attraversò la distanza che li separava in un nanosecondo, solo per schiantarsi contro quella che sembrava essere la scatola cranica del mostro. Quando colpito, quest’ultimo si dimenò e ruggì per qualche secondo, prima di scomparire in una fiamma violetta. Nahim Hamela, però, era ancora vivo, svuotato ma in qualche modo assente, come se fosse stato in uno stato comatoso. Si accasciò su un fianco, gli occhi privi di vita che fissavano il vuoto.

La persona che era intervenuta prima – perché di persona si trattava – si avvicinò al corpo incosciente del Chiacchierone e vi sputò addosso. « Anche se sei così intelligente… » disse in tono aggressivo, « …hai dimenticato di includermi nell’equazione, stronzo. » e si voltò verso l’Angelo. Questi sorrise, quando si fu reso conto di chi era il suo salvatore: Angelica. Indossava ancora la bianca divisa standard degli ANGEL. Probabilmente, non aveva trovato il tempo di cambiarsi, dal momento che sembrava alquanto trafelata. Poi notò cosa teneva nella mano destra: una lunga lama scura e sottile si snodava dal suo palmo, in una fiera e letale spada. Era lunga sei piedi, in corrispondenza del filo, che era uno solo; la parte non affilata presentava dei denti per l’intera dimensione dell’arma bianca; non aveva guardia crociata e l’impugnatura era piuttosto minuta, in modo da facilitarne l’utilizzo in battaglia. « “Hokori” » la presentò la spotter, « significa “Polvere”, in giapponese. E’ una katana ninja realizzata con metallo serafico, per questo può tagliare qualsiasi cosa. Ti presento il mio W.I.N.G.. » ripulì la spada dal nero sangue del Posseduto con un fendente a vuoto e la rinfoderò. Proprio il fodero non era affatto usuale: era fatto anch’esso di metallo, ma nella parte superiore, quella che Angelica stava stringendo in mano in quel momento, vantava una curiosa serie di anelli dove infilare le dita, come un tirapugni. Se era vero e quello era un equipaggiamento primario, allora quello che aveva appena adocchiato era il sistema di sblocco dell’arma, come lo era il lucchetto della cassa di Goldfeather.

Imbracciando l’arma da fuoco, leggermente invidioso, Jason espresse un piccolo dubbio: « non mi sembra completa. »

Angelica annuì. « E’ ancora in fase sperimentale. Ho dovuto costringere Oracle per farmelo mandare dal Santuario… » esitò a continuare, « …e credo che ci saranno conseguenze, per questo… »

Jason fece per rispondere, ma un potentissimo ruggito gli fece morire le parole in gola; entrambi si volsero verso la fonte del verso selvaggio, lui con il fucile puntato, lei con la mano poggiata sull’impugnatura della spada. Il cielo si era rabbuiato di nere nubi minacciose, mentre la mente di entrambi i soldati veniva invasa da una terribile sensazione di freddo. Ed apparve: alto come un palazzo di quattro piani, un Demone fece la sua comparsa. Nero come la più pura delle peci, muscoloso come il più forte degli uomini, minaccioso come solo un demone degno di questo nome poteva vantare di essere, il residente dell’Inferno si torreggiava su di loro a braccia conserte e li osservava, li squadrava. « Avete ucciso il mio servitore! » tuonò con voce profonda, « avevo il sospetto che il colpevole, o i colpevoli, in questo caso, sarebbero stati degli ANGEL » rise, un suono che faceva accapponare la pelle, « quel patetico esercito è ancora in piedi, eh?  E io che mi aspettavo che quella portaerei fosse già caduta in qualche oceano! Bah! »

« Chi diavolo sei?! » chiesero all’unisono gli Angeli, pronti ad attaccare al minimo cenno di offesa. « L’avete appena detto! » li derise, « io sono Samael e sono un Diavolo della Morte »; « la Morte è dalla nostra parte! » gridò Jason in risposta, « è impossibile che tu ne sia al servizio! »

« Prima di cambiare bandiera per la vostra… » spiegò Samael in tono pacato, « …sullo stendardo di quella troia sventolava lo stemma degli Inferi! Siamo stati traditi, specialmente io, che ne ero l’allievo prediletto! » si infuriò, « e ora che sto tentando di riprendere il mio rango ed ero riuscito a trovare uno dei migliori Posseduti che abbia avuto la fortuna di fregare, i servitore di quello lì vengono e rovinano tutto! » urlò la sua frustrazione. « Morite, Angeli Caduti! »

I due sorrisero l’un l’altra: per tacito accordo, avevano un piano. La prospettiva di Jason tornò scarlatta e lui prese a correre in direzione del Demone, che subito rispose con diversi pugni al terreno. Angelica, invece, sguainò la propria lama e spiccò un salto tanto potente da sembrare una saetta, diretta contro la fronte del nemico. Aveva capito cosa intendeva fare Jason e come aveva intenzione di farlo; lui vedeva cosa colpire, e non si trovava sulla superficie del corpo di Samael, ma al suo interno: la pelle era pressoché insuperabile dall’esterno, era troppo resistente. Il piano era piuttosto semplice: costringerlo a fare “aaah”.

Angelica mulinò Hokori e la affondò proprio nella in mezzo agli occhi del mostro: l’impatto spinse all’indietro l’intera testa. La mascella si schiuse, nel mentre, sia per il ruggito che cacciò subito dopo che per la poca aspettativa di quell’azione. Jason imitò la compagna e balzò in alto, fin sopra l’Angelo e il Demone forzati assieme. Puntò il fucile contro l’apertura della gola del maledetto; « Routing Eye! » abbaiò, « Apocalypse! » e tirò il grilletto: la fiammata, stavolta rossa come il sangue, fu di dimensioni molto più minacciose, così come il proiettile che venne espulso dalla canna di Goldfeather. Il piombo potenziato entrò nel gargarozzo del nemico e colpì proprio il suo buio cuore. Ma non era finita: la tecnica che aveva appena utilizzato Jason donava all’arma una potenza straordinaria, tanto da fare in mille pezzi il bersaglio. Difatti, come si era aspettato da se stesso, il colpo risultò in un’esplosione di sangue scuro; membra, pezzi di carne e ossa frammentate schizzarono dappertutto, il tutto innaffiato con ingenti quantità di fluido corporeo demoniaco. Mentre stavano atterrando, JJ e la spotter si guardarono con un sorriso trionfante in volto.

« Bersaglio abbattuto! »

 

 

GLOSSARIO DI SNIPER

Tiratore dei Cieli – Il soprannome dato a Jason Goldwing da ogni poliziotto che abbia indagato sugli omicidi da lui commessi. Viene chiamato così perché chiunque abbia avuto la fortuna – o sfortuna – di vederlo, affermava di aver veduto un raggio di luce nel punto in cui si trovava;

Santuario – La base operativa ANGEL  sulla quale è stato collocato il leggendario Progetto. E’ una enorme portaerei – almeno cinquanta volte più grande di una normale portaerei – fatta apposta per accogliere tutti i soldati scelti da Dio. Offre ogni tipo di abitazione o edificio necessario per l’addestramento e la vita e tempo libero dei combattenti;

ANGEL – Soldato serafico accuratamente selezionato per far parte del Progetto. Ogni ANGEL è un Angelo, senza eccezioni;

Sonno – E’ la fase fondamentale per eseguire un Lancio. Consiste nel separare l’anima del soldato internato nel Bozzolo dal corpo a cui appartiene, attraverso uno speciale gas che viene iniettato nella capsula. Poiché il viaggio durante il Lancio attraversa grande spazio e numerose dimensioni, queste parti fondamentali devono essere preservate, poiché, in caso contrario, si corre il rischio di perderne una o entrambe;

Bozzolo – Speciale capsula di vetro impenetrabile, necessaria per il Lancio. E’ a forma di un sottilissimo fiore di loto. Nella parte inferiore sono presenti quattro valvole che permettono l’iniezione del gas che induce il Sonno;

Lancio – Processo utilizzato per raggiungere la superficie terrestre dal Santuario. Consiste nel separare l’anima dal corpo del soldato, onde evitare la perdita di uno dei due, e il lancio all’interno di una capsula speciale chiamata Bozzolo. Lo stesso vale per il ritorno;

W.I.N.G. – Warfare, Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear. E’ l’equipaggiamento fondamentale degli ANGEL in missione speciale sul pianeta Terra. Solo alcuni soldati vengono legati a un W.I.N.G. e non possono assolutamente venirne separati, per quanto ci si possa sforzare. Se un ANGEL perde il proprio W.I.N.G. viene scomunicato, nessuno escluso. I W.I.N.G. sono uno diverso dall’altro, in base alla specializzazione del soldato al quale vengono assegnati; tipicamente sono armi da fuoco;

R.E.A.P.E.R. – Retrieval, Earth, All-terrain, Pre-emptive, Elìte Raiders. E’ la task force segreta di stanza sul Santuario, specializzata in missioni furtive, inseguimento e recupero fuggitivi, blitz e uccisioni di elementi estremamente pericolosi per i regni sia umano che ultraterreno. Ogni soldato facente parte di questa squadra è un guerriero dalla forza e abilità che trascendono perfino gli stessi ANGEL. Il segreto è tenuto perfino dagli stessi soldati di Dio. Nessuno sa chi o cosa siano, ma si vocifera che abbiano a che fare molto spesso con la Morte in persona;

Altare – Un normale altare posto nella cattedrale del Santuario. Permette di avere udienza con Dio, solo su richiesta di quest’ultimo;

THE END – Letteralmente “LA FINE”. E’ il protocollo militare di misura estrema ideato da Dio: se le cose per la Terra e gli umani dovessero peggiorare oltre un certo limite, il protocollo THE END porterà la fine di ogni cosa;

Progetto – E’ la soluzione che Dio ha voluto assumere per proteggere il mondo che ha creato. Consiste in un esercito di Angeli (gli ANGEL), e una base operativa che collega la Terra e la città di Heaven (il Santuario);

Heaven – E’ la città di Paradiso, luogo di pace e riposo eterni, dove le anime dei caduti e assolti possono, finalmente, godersi le gioie che meritano;

Chimera – Creatura generata dal Demonio oppure dai suoi sottoposti. Possono avere qualsiasi forma o dimensione, ma hanno un unico obiettivo: l’obliterazione delle forme di vita terrestri;

Contratto – Patto stipulato tra umano e Demone. Può essere concluso in qualsiasi modo, ma quello più conosciuto è la Vendita dell’Anima oppure il Giuramento di Sangue.

Routing Eye: Apocalypse – E’ una combinazione di due tecniche serafiche detenute da Jason Goldwing. La prima, il Routing Eye (lett. “Occhio del Percorso”) permette di focalizzare la vista in modo da individuare falle nella difesa fisica del bersaglio, mentre la seconda, “Apocalypse” (lett. “Apocalisse”), incrementa brutalmente la potenza dei proiettili esplosi. E’ possibile utilizzare Apocalypse un numero limitato di volte per attivazione e non può essere utilizzata senza aver prima iniziato Routing Eye.

 

 

Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine di fiducia!

 

Finalmente, sono riuscito a mettermi dinanzi un dannatissimo computer per scrivere Sniper e non per compilare programmi! Com’è ovvio che debba fare, domando perdono per quasto mese di assenza, ma la scuola mi sta veramente scuoiando l’esistenza. (T_T)

Jason ha il suo primo contatto con un Posseduto e Angelica, preoccupata per lui, decide di disobbedire all’ordine di Dio per andare a salvarlo. In cosa andrà a scaturire questa gravissima insubordinazione?

I Posseduti sono davvero così potenti? Ognuno di loro è sorvegliato dai Demoni ai quali appartengono? Perché ad Angelica è stato, o meglio sarebbe dovuto essere assegnato un W.I.N.G.? Jason non aveva il permesso di ingaggiare ed uccidere il nemico, come andrà a finire?

Grandi domande come sempre! Vedremo quale sarà la situazione nel prossimo capitolo: “Il potere di un assassino”!

Ricordate di recensire!

 

KEEP IT UP!

- Silvio Shine

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