Perfetti sconosciuti

di Ilenia_Pedrali
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo scontro ***
Capitolo 2: *** Il passato fa capolino ***
Capitolo 3: *** Un passo avanti ***
Capitolo 4: *** La festa di Octavia ***
Capitolo 5: *** Tradimenti ***
Capitolo 6: *** Complicazioni ***
Capitolo 7: *** La ricerca ***
Capitolo 8: *** Il tornado ***
Capitolo 9: *** Bellamy e Clarke ***
Capitolo 10: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 11: *** Promesse ***
Capitolo 12: *** Maldive ***
Capitolo 13: *** Sesso ***



Capitolo 1
*** Il primo scontro ***


1.
 
La cioccolata che Clarke stava sorseggiando si era ormai raffreddata da un pezzo, ma lei non ci fece caso. Era seduta vicino alla finestra, la fronte corrucciata e gli occhi attenti, immersi nel libro che stava leggendo.
Capitava sempre così, con la lettura. Bastava che gli occhi di Clarke si posassero su delle pagine, specie di medicina, e la ragazza si rinchiudeva in un mondo dove era impossibile raggiungerla.
Era sempre stato così, fin da quando era piccola.  
Improvvisamente la sveglia suonò e Clarke sussultò. Come al solito si era alzata molto prima del solito e non aveva più ripreso sonno. La notte era diventata la sua miglior confidente da quando… beh, da molto tempo prima.
Si infilò distrattamente una maglietta blu e un paio di jeans. Quando scese in cucina sua madre non c’era già più.
Ci vediamo stasera per cena” diceva il post-it arancione attaccato al frigo e Clarke non gli badò: non aveva nessuna voglia di parlare con qualcuno, non in quel periodo.
 
Il tragitto per raggiungere l’università sembrò durare più del solito quella mattina, ma Clarke fu felice di raggiungere l’aula dove si teneva la sua lezione di Neurofisiologia.
Sarebbe diventata un grande medico, così le avevano sempre detto, e lei ne era certa. Avrebbe fatto di tutto per ottenere grandi risultati e avrebbe sputato sangue per la borsa di studio che avrebbe potuto vincere a fine anno.
«Buongiorno a tutti» cominciò il professore una volta che tutti gli studenti ebbero preso posto, «Come ben sapete oggi si apriranno le iscrizioni per il corso di Medicina Legale, un corso effettuato in collaborazione con il Dipartimento di Polizia della città. Se siete interessati, vi consiglio di leggere il programma qui nel foglietto illustrativo e vi ricordo che vi potete iscrivere solo fino alle 18 di oggi. Ora, tornando a noi…»
 
La lezione trascorse piacevolmente e Clarke venne fermata dal professore mentre si avviava all’uscita: «Ehi Clarke» la chiamò, «Hai pensato di iscriverti al corso di medicina legale? Credo che saresti molto brava»
«Davvero?» chiese la ragazza. Non era dal professore regalare elogi.
«Hai molto intuito e sei incredibilmente intelligente. Se applichi queste qualità in campo poliziesco con le tue qualità di medico, in pratica il lavoro è già fatto. Inoltre, ti darebbe la possibilità di ottenere crediti utili per la borsa di studio di fine anno. Pensaci» le disse, porgendole uno di quei foglietti illustrativi. La ragazza sorrise e ne prese uno: crediti formativi per la borsa di studio? Affare fatto.
 
Quando tornò a casa, si sentiva sfinita. Aveva avuto 8 ore di lezione e si sarebbe dovuta rintanare subito in camera a studiare. Che seccatura.
Sbirciò in cucina e come al solito la trovò deserta. Dopo essersi preparata un toast, si trascinò stancamente al piano di sopra e si sedette alla scrivania, estraendo un librone di Anatomia dallo zaino.
Fu in quel momento che la musica partì a tutto volume.
Clarke quasi fece un balzo sulla sedia. Da dove diavolo veniva quella roba? Alle undici di sera poi?
Cercò di sopportare l’irritazione per quanto le fu possibile ma poi, quando alla musica si associarono rombi di motore e risate sguaiate, fu troppo.
Si alzò dalla scrivania e sbirciò fuori dalla finestra.
I nuovi vicini.
Ma certo.
E lei avrebbe cominciato la relazione col vicinato urlando contro chiunque si trovasse a capo di quella stupida festa. Perché era una festa: al centro del giardino c’era un’enorme botte di birra; c’erano moto parcheggiate ovunque e ragazze e ragazzi ovunque.
La ragazza si precipitò fuori e raggiunse velocemente la porta d’ingresso, bussando furiosamente.
Un ragazzo grande e grosso le si parò davanti:
«Ehi ragazzi! Sono arrivate le spogliarelliste!» urlò appena la vide, rivolto verso l’interno della casa.
Clarke si trattenne dalla voglia di prenderlo a pugni:
«Sei tu il padrone di casa?!» urlò.
«No, sono io. Qualche problema?» le rispose una voce all’orecchio.
Clarke si girò, trovandosi di fronte un ragazzo alto e moro, dall’espressione arrogante segnata su due occhi scuri. Ebbe la strana sensazione di averlo già visto da qualche parte.
«Si, è tardi e stai facendo un casino assurdo» sbottò lei, incrociando le braccia al petto.
«E allora?»
«Allora se non la smettete con questo chiasso chiamo la polizia»
«Ah davvero? E perché mai? Ti abbiamo disturbata forse, Principessa?» sghignazzò il ragazzo, avvicinandosi.
«Si, molto. Ora abbassa questa dannata musica» rispose la ragazza, guardandolo dritto negli occhi con aria di sfida, non muovendosi di un millimetro.
«Altrimenti? Cos’è, corri a chiamare tuo padre?» rise lui, bevendo un sorso di birra.
Quella frecciatina infantile sconvolse Clarke, che indietreggiò di qualche passo. Sentir nominare suo padre era… troppo, semplicemente. E la ferita era ancora troppo grande. E quel nomignolo… chi la chiamava sempre così quando era piccola, punzecchiandola continuamente? Non le veniva affatto in mente. Ma ora non era più importante.
Gettò un’occhiata di profondo disprezzo al ragazzo e se ne andò a casa, mentre calde lacrime le bagnavano le guance e lei si odiava per esser stata così debole.
 
Il giorno successivo, Clarke si avviò alla prima lezione del corso di medicina legale. Si sentiva a pezzi per la sera precedente e questo la faceva sentire ancora più stupida. Quello stronzo arrogante aveva toccato corde sopite dentro di lei solo con una stupida frecciatina da poppante.
Lo odiava. E ancor di più odiava sé stessa per non averlo insultato e picchiato in quello stesso momento.
Stava ancora pensando a pratiche torture da infliggere al vicino, quando la voce del capo del dipartimento di polizia la distrasse:
«Benvenuti, sono Marcus Kane, capo del Dipartimento di Polizia. Questo progetto ha il compito di creare un team di medici e poliziotti che sia il più creativo e utile possibile alla società. I medici qui presenti sono stati assegnati ad un nostro poliziotto in modo del tutto casuale. Ora vi nomineremo le coppie: Arthur Wayne con Gemma Horris…» e la prima diade si alzò per incontrarsi, «… Clarke Griffin e Bellamy Blake»
Clarke sentì il cuore perdere qualche battito. Conosceva quel nome, conosceva quegli occhi scuri improvvisamente agganciati ai suoi.
Bellamy Blake.
Ora ricordava di quel bambino che odiava e con cui litigava sempre quando era piccola.
Bellamy Blake.
E quel bastardo era il suo nuovo vicino.












Ciao a tutti! :)
Intanto, se siete arrivati fin qui, grazie per la lettura! :)
Questa è la mia prima fanfiction a tema Bellarke! :) Adddddooooro questa coppia *.*
Ho molte idee riguardo questa storia e spero di non aver creato troppa confusione con questo primo capitolo ma ammetto di non aver ancora deciso dove andare a parare, vedremo!
Se volete commentare, le recensioni sono ben accette :)
Grazie ancora e (speriamo) a presto!
Ile

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Capitolo 2
*** Il passato fa capolino ***


2
 
«Stai scherzando vero?»
La voce di Clarke era più tagliente di una lama.
«Non ho fatto io le squadre, Principessa»
Lui la guardava come se fosse una zanzara fastidiosa da schiacciare. I suoi occhi neri non si erano staccati un attimo dal suo viso, come se scrutarlo gli servisse a qualcosa.
Clarke invece aveva solo voglia di spaccargli la faccia.
«Beh io non la minima intenzione di lavorare con te» gli sibilò la ragazza, togliendosi dalla fronte un ciuffo biondo.
Si recò da Marcus Kane in tutta fretta, lo sguardo truce.
«Signor Kane mi scusi ma non posso lavorare con Bellamy Blake»
Lui la guardò sorridendo: «E perché mai? È il migliore del suo corso, come tu del tuo. Siete una coppia perfetta»
“Questa è bella” pensò la ragazza, nascondendo l’irritazione. Conosceva Marcus Kane da molti anni, era stato un collega di suo padre, e conosceva la sua definizione di “coppia perfetta”. In quel caso, il caro Kane si stava accecando con il suo stesso abbaglio.
«Mi dispiace ma non possiamo lavorare insieme» sbottò.
«Dispiace a me Clarke, ma non è possibile cambiare le squadre, saranno le stesse fino alla fine del corso. A meno che non insorgano gravi problemi e non è questo il caso. Su vedrai che troverete una soluzione. Ora scusami» e si allontanò lasciandola lì.
Clarke si voltò a guardare Bellamy, già seduto al banco con i piedi appoggiati sulla sedia di lei, e un sorriso beffardo stampato in faccia.
«Lavoreremo insieme eh, principessa?» rise, osservandola a braccia incrociate.
«Non ricordarmelo» gli rispose, facendogli collezionare un altro sguardo truce.
 
La prima lezione del corso era teorica, per cui Clarke e Bellamy la passarono a prendere appunti senza rivolgersi la parola, cosa che per Clarke fu una benedizione. Lui sembrava totalmente disinteressato alla sua presenza, come se lei non esistesse. E lei ne fu ben felice.
Quando la campanella suonò, si mugugnarono un “ciao” veloce e scapparono in fretta ma non prima che Marcus Kane richiamò all’ordine entrambi.
«Ragazzi, cercate di collaborare. Anche se ora non andate d’accordo da piccoli eravate molto amici. Cercate di essere civili in onore dei vecchi tempi e ah, Bellamy. Volevo avvisarti che tua sorella ha chiamato in dipartimento proprio mezz’ora fa, così mi hanno riferito. Credo sia importante. Clarke, ha chiamato anche tua madre» e se ne andò.
I due ragazzi si guardarono.
«Perché tua madre chiama il dipartimento per trovarti?» chiese Bellamy.
«Non sono affari tuoi Blake» rimbeccò la ragazza.
«Bene, Principessa, chiedo umilmente scusa per averti fatto una domanda»
 
*
 
Bellamy si allontanò infastidito da Clarke. Che antipatica saputella.
Bella, ma antipatica.
E saputella.
Con quell’aria da “so tutto io” che lo infastidiva come non so cosa.
Si sentì un idiota per aver cercato di farle una domanda personale. Effettivamente nemmeno lui avrebbe rivelato niente ad una persona che detestava se gli fosse stato chiesto di Octavia.
Octavia… sperò che stesse bene. Ogni volta che lo chiamava in ufficio aveva sempre paura che fosse successo qualcosa.
Entrò in ufficio e subito compose il numero della sorella.
«O? Stai bene?» chiese.
«Ehi Bell! Sto bene, non ti preoccupare! Ti ho chiamato solo per dirti che tra una settimana tornerò a casa e starò da te per un po’, ti spiace?»
Sua sorella era partita per il college e vederla era sempre un’occasione da non perdere.
«Certo che no! Ma non potevi chiamare a casa invece che qui? Mi hai fatto preoccupare…»
«Bell sei sempre al lavoro! Dove altro potrei trovarti? Ti trovassi una ragazza almeno saprei che ti stai divertendo!»
Lui rise alla cornetta: «A proposito di ragazze, indovina chi è la mia vicina di casa?»
Octavia sparò un po’ di nomi.
«No… Clarke, Clarke Griffin!»
«Quella Clarke?!»
«Proprio lei…»
«Ma è fantastico! Secondo te si ricorderà di me? Giocavamo sempre assieme quando eravamo piccole, anche se il suo preferito eri tu…»
Bellamy alzò gli occhi al cielo.
«Non penso proprio si ricordi di me O»
«Non ci credo! Beh, ora devo lasciarti ma ci sentiamo presto Bell! Ciao!»
E riappese. Bellamy sorrise. Si sedette sulla poltrona del suo ufficio e si ritrovò a pensare alla sua nuova vicina di casa.
Clarke Griffin.
Gli seccava ammetterlo ma lui l’aveva riconosciuta non appena si era presentata alla sua festa, incazzata nera. Si ricordava di lei e di quando giocavano insieme da piccoli. Ricordava che andava molto spesso a casa Griffin con O e insieme giocavano ai videogiochi o a nascondino. Si respirava sempre un’aria felice in casa Griffin, c’era come un delicato profumo di famiglia, come anche in casa Blake ai quei tempi, fino al momento in cui era successo... beh, tutto, e le loro vite erano cambiate per sempre.
Ma preferì scacciare dalla mente quel pensiero.
 
Quando arrivò a casa, qualche ora dopo, si sentiva esausto. Si passò una mano tra i capelli nerissimi e sospirò. Erano ormai le dieci di sera e la strada era buia. Casa sua altrettanto. L’unica luce accesa proveniva da Casa Griffin, precisamente dalla finestra al primo piano che dava su casa Blake… e Bellamy sapeva di chi fosse quella luce.
“La Principessa ha paura del buio?” rise tra sé.
Salì in camera sua e si fece una doccia. Adorava farsi la doccia al buio, era un’abitudine che gli consentiva di rilassarsi completamente. Ancora lo sguardo gli cadde su casa Griffin e notò Clarke appollaiata alla finestra, che osservava fuori persa nel suo mondo.
Aveva uno sguardo che, anche da lì, trasudava dolore.
Bellamy conosceva quello sguardo, ci era già passato.
«Ehi, Principessa» la chiamò dalla finestra di casa sua, dopo essersi infilato un paio di calzoni e una maglietta.
Clarke sobbalzò e voltò la testa nella sua direzione, l’espressione improvvisamente cambiata.
«Che vuoi Blake? Ti sei messo a spiarmi?»
Bellamy sorrise, almeno non stava più pensando a qualsiasi cosa l’avesse resa triste un minuto fa.
«Mi chiedevo solo cosa stessi guardando con tanta attenzione e poi ho pensato che si trattasse dei miei pettorali» urlò.
Clarke arrossì: «Sei un vero cretino Bellamy! Buonanotte!» e si ritirò.
Ma sorrise.
 
Bellamy aveva notato il sorriso della ragazza poco prima di sparire dalla finestra ma soprattutto, aveva notato un’altra cosa: lo aveva chiamato per nome.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Alloooooora :)
Eccomi qui con il nuovo capitolo!
Intanto a chiunque abbia letto e commentato questa storia, grazie mille! :)
Spero sia all’altezza del precedente e che vi appassioni a tal punto da tornare per il capitolo successivo!
Fatemi sapere che ne pensate! :D
Ile

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Capitolo 3
*** Un passo avanti ***


3.
 
La luna splendeva, quella notte. Sembrava facesse capolino dalle nuvole con un sorriso, cercando di scaldare chiunque la guardasse.
Peccato che Clarke non avesse nessuna voglia di sorridere.
Il suo sguardo era come ancorato al cielo, come se scrutasse in cerca di qualcosa, o di qualcuno.
“Papà…” pensava la ragazza, cercando di ingoiare lacrime dolorose.
Sapeva che quella notte non avrebbe dormito.
Si infilò una vestaglia e uscì nel giardino sul retro, silenziosa. Sua madre non si sarebbe accorta di lei e per Clarke era una benedizione. Era difficile spiegare perché per lei la morte di suo padre fosse così difficile da superare, mentre per sua madre no. Da quello che aveva capito, dalla morte di suo padre Abby era uscita con un paio di uomini ma senza successo. Ora però le voci su di lei e Marcus Kane sembravano sempre più reali.
Scacciò il pensiero anche con la mano, come se fosse una mosca fastidiosa in una calda giornata d’estate. Si preparò un tè caldo e si sedette sul dondolo in giardino che cigolò sotto il suo peso.
Il pensiero di suo padre era sempre con lei, giorno e notte. Sospirò.
«Bella serata eh, Principessa?» disse una voce.
Clarke sobbalzò, rovesciandosi addosso un bel po’ di bevanda calda.
«Che cazzo, Blake! Mi hai fatto venire un infarto!» sbraitò la ragazza, alzandosi in piedi.
«Che esagerata» rispose Bellamy, soffiando fuori fumo dalla bocca.
«Da dove diavolo spunti poi?» rispose Clarke, cercando di asciugarsi alla meglio con dei fazzoletti e osservando la sagoma scura del ragazzo.
«Ero qui da prima che tu arrivassi»
«Beh potevi anche fare a meno di farmi prendere un colpo»
«Sei proprio una Principessina delicata, eh?» rise lui.
Clarke si costrinse a non saltare il cancello per prenderlo a pugni.
«Come vuoi» gli rispose, risedendosi sul dondolo.
Improvvisamente calò il silenzio.
Gli unici rumori erano il soffio delicato di Bellamy che fumava e il lieve cigolio del dondolo di Clarke.
«Devo rientrare ora. Se non sbaglio domani abbiamo una lezione pratica» disse poi il ragazzo, avvicinandosi al cancello e guardandola dritta in faccia.
Clarke si sentì soppesata da quello sguardo e provò una fitta di disagio. Bellamy Blake aveva la capacità di farla sentire in imbarazzo.
«Buonanotte Blake» gli disse dopo un po’.
«Asciugati quella lacrime, non ti si addicono» le rispose lui invece, prima di sparire nel buio.
 
Il giorno successivo Clarke si sedette al suo banco e cominciò a ripassare gli appunti della prima lezione teorica. Riguardava le aree cerebrali e le loro diverse attivazioni in risposta a stimoli precisi.
In quel momento, Bellamy la raggiunse, porgendole un caffè da asporto.
Clarke alzò lo sguardo stupefatta.
«È avvelenato?» domandò, inarcando un sopracciglio.
«Vorrei Principessa, ma purtroppo qui mi controllano» rispose prontamente il ragazzo, sedendosi in parte a lei, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Perché questo gesto gentile?» domandò la ragazza, sospettosa.
«Sai che un grazie sarebbe sufficiente vero?»
«Non mi sembri il tipo che porta caffè senza motivo»
«Questo perché non mi conosci affatto» rispose Bellamy spostando lo sguardo su di lei, «Tu non mi conosci Principessa»
«E tu non conosci me! E piantala con questo stupido soprannome» ribatté Clarke infastidita.
«Stavi piangendo vero? Ieri sera» le domandò Bellamy.
«Non sono affari tuoi» rispose Clarke, guardando da un’altra parte.
«Si, è vero, non sono affari miei. Ma ho pensato che un caffè potesse servirti. Mi ricordo che da piccola ti piaceva»
Clarke lo guardò sbigottita.
«Tu ti ricordi di me?»
«Andiamo Principessa! Eravamo sempre assieme» rise lui.
«Si, chissà come mai…» borbottò la ragazza.
«Ci sono varie teorie a proposito di questo, Principessa»
«E sono sicuramente tutte fesserie»
La voce di Marcus Kane interruppe il loro battibecco: «Buongiorno ragazzi. Come prima lezione applicheremo ciò che abbiamo cominciato a impostare durante la scorsa lezione: come riconoscere i tratti di estroversione e introversione nei criminali e nei sospettati. La prova è costituita da due parti: nella prima dovrete recarvi a casa del vostro partner e tener conto degli indicatori di estroversione e introversione. Nella seconda vi faremo osservare questi elementi in un contesto investigativo, ma di quello ci occuperemo la prossima settimana. Riporterete tutto ciò che incontrerete sulla pagina qui sulla cattedra, di cui vi raccomando di prendere una copia. Come avrete già capito, servirà un po’ di affinità tra voi e il vostro partner…» Bellamy rise e Clarke lo fulminò, «…per cui vi raccomando di compilare l’intervista affine alla tavola da compilare. Se avete domande mi potete trovare al dipartimento di polizia. Buon lavoro, ci vediamo la prossima settimana»
Clarke e Bellamy si affaccendarono a prendere tutti i documenti per la prova. Lo sguardo di entrambi cercò l’intervista.
«Dobbiamo farci queste domande a vicenda» sentenziò Clarke.
«Non vedevo l’ora…» borbottò il ragazzo, alzando gli occhi al cielo.
«Senti Bellamy, non interessa neanche a me. Ma dobbiamo, perciò… che ne dici di un caffè? Vero intendo, in un bar»
«Se vuoi puoi venire a casa mia, così poi cominciamo con la seconda parte della prova» propose invece il ragazzo, gettandole uno sguardo di traverso.
Clarke si sentì arrossire.
«Principessa, non ho la minima intenzione di toccarti» la punzecchiò lui, guadagnandosi una gomitata tra le costole.
«Non ti sopporto, Blake»
 
 
***
 
Bellamy buttò l’occhio su Clarke, seduta silenziosamente al suo fianco mentre guidava per raggiungere casa sua. Gli seccava ammetterlo, ma era veramente bella. Peccato che fosse simpatica quanto una spina in quel posto.
Eppure, per qualche strano motivo, sentiva una specie di connessione. C’era ben altro in Clarke Griffin e Bellamy lo sapeva. E lo incuriosiva.
Quando scesero dall’auto la osservò guardarsi intorno nervosamente.
«Muovi il culo Principessa» la esortò lui aprendo la porta.
«Carino» rispose lei gettandogli un’occhiata truce.
La osservò mentre ispezionava la casa con lo sguardo e si soffermò su una fotografia.
«Ma questa è Octavia!» esclamò la ragazza sorridendo al ragazzo, «Mamma mia quanto è cresciuta! Non vedo l’ora di rivederla… abita qui?» domandò.
Bellamy ci mise un po’ a rispondere.
«No, studia vicino alla nostra vecchia casa»
«Con tua madre immagino. Mi ricordo di Aurora, era sempre gentile con…»
«Beh, ora è morta. Hai finito l’interrogatorio? Se non sbaglio tra i due il poliziotto sono io»
La risposta di Bellamy fece spegnere il sorriso di Clarke.
«Bellamy… mi dispiace. Non lo sapevo» gli disse la ragazza, mortificata.
«Lo so. Ora vieni in cucina e cominciamo questo lavoro»
Clarke lo seguì silenziosamente.
«Comincio io a farti le domande Principessa, va bene?»
Clarke annuì prendendo posto.
«Beh, le parti anagrafiche possiamo saltarle tra età eccetera… Beh per esempio, dove lavora tua madre?»
«Arkadia’s Hospital»
«La vedi spesso?»
«No» una smorfia sul viso di Clarke.
«Ti dispiace?»
Clarke lo fissò negli occhi, due zaffiri incredibilmente lucenti.
«No»
«Tuo padre? Lavora al distretto no?»
«Non più. È morto»
Le labbra di Clarke si serrarono.
Bellamy spalancò gli occhi.
«Mi dispiace… come è successo?»
Clarke si sforzò di non far trapelare i suoi sentimenti.
«È morto per salvare me»
Poi si alzò e sussurrò: «Scusami Bellamy, io… devo andare, ora. Si, si è fatto tardi» e si voltò per andarsene.
«Clarke aspetta» la chiamò, afferrandole la mano.
Clarke lo guardò sorpresa. Niente Principessa stavolta.
«Non sei obbligata a parlarne. Non ora, non se non te la senti» disse, gli occhi neri agganciati in quelli azzurri di lei.
«Grazie» sussurrò. E si risedette.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Grazie ancora una volta per aver letto la mia storia! :)
Se avete dei commenti da fare, fateli pure che sono sempre ben accetti!
Spero che questa parte vi sia piaciuta :)
Al prossimo aggiornamento!
Ile

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Capitolo 4
*** La festa di Octavia ***


4.
 
Bellamy fissava la ragazza di fronte a sé da sotto le sue ciglia folte con insolita attenzione. Non era una persona facile da decifrare, di questo se ne era reso conto subito.
«Stai bene?» le chiese.
Clarke annuì, accennando un sorriso di scusa.
«Scusami, non è facile per me»
«So cosa si prova. Non ti devi preoccupare per questo»
Clarke lo fissò: «Tutti dicono sempre di capire la situazione ma nessuno ci riesce mai veramente»
Bellamy sorrise: «È un modo carino per dirmi che non sono un’eccezione Principessa? Magari potrei riuscire a sorprenderti»
Clarke rise, «O magari sarò sorpresa io quando non mi verrà più voglia di tirarti un pugno in faccia Blake»
Bellamy la fissò sorpreso.
«Dovresti ridere di più. Ti dona» sentenziò il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
Clarke arrossì.
«Guarda, guarda, la Principessa si emoziona» sghignazzò Bellamy.
«Vorresti»
«Sbaglio o sei arrossita?» la punzecchiò lui.
«Si può arrossire per una marea di ragioni, Blake. Una tra queste è la rabbia. Emozione che grazie a te conosco perfettamente»
«Sei preparata Principessa» notò lui alzando un sopracciglio, colpito dalla risposta.
«Sempre» annuì Clarke compiaciuta.
«Beh se è così direi di lasciar perdere l’intervista. Mi ha rotto le palle. Ti faccio vedere la casa, che ne dici? Così cerchiamo i segni di estroversione/introversione» propose il ragazzo, cambiando discorso.
«D’accordo» acconsentì Clarke, alzandosi e cominciando a sbirciare dentro gli scaffali della cucina.
«Uh-uh!» esultò, tirando fuori un barattolone di caffè, «Caffeina. Primo segnale di estroversione. Gli estroversi hanno il cervello mediamente meno attivo degli introversi, ecco perché necessitano di stimoli attivanti come… il caffè»
«E la nicotina. Anche quello è un punto a favore dell’estroversione» puntualizzò il ragazzo, «Tra l’altro non serve che mi rispieghi la lezione dell’altro giorno, c’ero anche io sai, Principessa»
Clarke alzò gli occhi al cielo.
Si spostarono in salotto e Clarke esultò alla vista del minimalismo presente in quello spazio, un segno evidente di introversione.
«La camera da letto è da quella parte Principessa» le sussurrò Bellamy all’orecchio, facendola trasalire.
La spinse delicatamente verso la camera e lasciò che la studiasse, mentre lui studiava lei, appoggiandosi allo stipite della porta.
Clarke si sentiva in imbarazzo e questo Bellamy lo percepiva chiaramente.
«Non hai foto personali, né ricordi di alcun tipo» disse poi la ragazza, osservandolo.
«Credo che questo mi faccia finire nella categoria degli introversi»
Lei annuì e continuò a guardarlo, facendogli provare un brivido lungo la schiena.
«Sei difficile da decifrare Blake»
Bellamy sorrise, «Anche tu Principessa»
 
Il giorno seguente, Bellamy venne accolto da un urlo proveniente dalla cucina. Si precipitò giù dalle scale in tutta fretta: aveva riconosciuto la voce.
«Bell!» esclamò la ragazza sorridendo, «finalmente ti sei svegliato! Sono tre ore che ti chiamo a gran voce!»
Octavia lo guardava felice come una bambina di 9 anni, gli occhiali da sole inforcati e i capelli scuri al vento.
«O! Che diavolo ci fai qui? Non dovevi venire tra una settimana?» rise Bellamy, correndo ad abbracciarla.
«Ho deciso di venire prima, avevo voglia di vederti! Allora come stai fratellone? Come te la passi?» domandò sorridendo.
«Io sto bene direi! Tu piuttosto?»
«Sono felice di essere qui! Carina questa casetta devo dire!» disse, facendo un giro di ispezione, «Sarà perfetta per la festa!»
«Quale festa?!» domandò Bellamy, le sopracciglia corrucciate.
«Quella per il mio ritorno ovviamente!» esclamò la sorella come se stesse parlando con un perfetto idiota.
«Octavia, niente feste»
«Come se tu non ne avessi fatta nessuna da quando sei qui» controbatté Octavia incrociando le braccia e guardandolo fisso. La mente di Bellamy corse alla festa di qualche giorno prima e al suo primo incontro con Clarke.
«È diverso O, lo sai…» cominciò lui, «Ma va bene d’accordo» ritrattò, alzando le braccia in segno di resa e osservando l’espressione della ragazza, «D’accordo, vada per la festa. E quando sarebbe?»
«Stasera ovviamente. Tu non ti preoccupare, mi occupo io di tutto!» e filò al piano superiore.
 
 
***
 
 
Qualcuno bussò alla porta talmente forte che Clarke pensò si stesse per rompere.
«Arrivo!» gridò precipitandosi fuori.
Quando aprì la porta, si trovò di fronte un ragazzo all’incirca della sua età, con lunghi capelli scuri.
«Ciao, scusami se ti disturbo. Mi chiamo Finn Collins. Sono nuovo, abito qui da qualche settimana, ad un isolato da qui. Stavo cercando il supermercato ma credo di essermi perso! Ho visto la luce accesa in casa tua e ho pensato di chiedere aiuto» disse sorridendo, indicando la cartina che aveva in mano.
Clarke lo fissò piacevolmente colpita.
Carino.
Molto.
«Oh, non ti preoccupare, capita di continuo» mentì, «Io sono Clarke Griffin»
«Clarke» scandì lui, sorridendo, «Bel nome»
Lei sorrise: «Il supermercato non è lontano da qui. Devi andare dritto fino alla fine della strada e poi girare a destra. Il supermercato è subito alla tua sinistra»
«Grazie Clarke, gentilissima»
I suoi occhi non si erano staccati un attimo dal suo viso.
«Figurati» rispose Clarke.
«Beh, ci vediamo in giro» le disse, prima di risalire in macchina con un gran sorriso stampato in faccia, per poi partire.
Clarke stava ancora fissando il punto in cui la macchina era sparita quando una figura la raggiunse.
«Clarke, sei proprio tu?»
Una ragazza dai capelli scuri la stava osservando sorridendo.
«Octavia!» esclamò Clarke sorridendo e correndo ad abbracciare la vecchia amica, «Che bello vederti! Come stai? Dov’eri finita?» le chiese, stringendola a sé.
«È bellissimo anche per me rivederti!» rispose Octavia sorridendo.
«Vieni, entra, accomodati» propose Clarke.
«Purtroppo sono di corsa! Volevo solo chiederti… sei libera stasera?»
«Si, si, certo»
«Allora devi assolutamente venire a casa mia e di Bell, stasera daremo una grande festa!» propose la ragazza, segnandosi il nome di Clarke sulla lista che brandiva in mano come se fosse un’arma.
«O-ok» accettò Clarke ridendo, «Non mancherò!»
«Perfetto! Clarke sarà fantastico, ci divertiremo un mondo! Stasera ti racconterò tutto, promesso! A dopo!» e si allontanò velocemente.
 
Clarke guardò l’armadio con un misto di noia e di stizza.
Odiava le feste. Non era il tipo di persona in grado di lasciarsi andare senza problemi. Amava il controllo, questa era la verità, e tutto ciò che fuoriusciva dal suo controllo la metteva in una posizione scomoda, che si trattasse di feste o di persone, o di emozioni.
Alla fine optò per un paio di pantaloni neri e una maglietta bianca, scelse delle scarpe nere col tacco e si truccò leggermente. Sbirciò dalla finestra della sua camera e vide Octavia andare incontro a degli ospiti, mentre la musica si alzava. Non vide Bellamy da nessuna parte.
Decise che era ora di andare.
Afferrò il piccolo regalo per la piccola Blake e si avviò fuori di casa.
La musica era veramente assordante; accanto all’enorme stereo vi erano barili di alcool e una quantità industriale di salatini e bibite. La gente entrava e usciva di continuo dalla porta di ingresso sempre aperta.
«Ciao» le disse una voce alle sue spalle.
Clarke si girò e incontrò lo sguardo di Finn.
«Ciao a te» sorrise, «Che ci fai qui?»
Lui alzò le spalle, «Sono amico di un’amica di Octavia»
«Beh, bene allora. Hai trovato il supermercato alla fine?»
«Clarke! Sei arrivata finalmente!» li interruppe Octavia, ridendo e abbracciando l’amica.
«Ti ho portato un regalo» disse Clarke porgendole un pacchetto.
«Che tesoro, non dovevi!» la piccola Blake si avventò sul pacchetto e nello scartarlo rimase senza parole, «Clarke, wow, io…»
«Lo so che è vecchio ma ce lo siamo scambiate quando eravamo piccole e ho pensato che fosse l’occasione giusta per fartelo riavere» spiegò Clarke.
Il pacchetto conteneva un piccolo braccialetto d’argento con le iniziali “O”, “B” e “C” intrecciate tra loro.
«Mi ricordo questo braccialetto… ce lo siamo scambiati prima che ci trasferissimo a Polis…» disse Octavia, commossa, abbracciando Clarke.
«Sono felice che tu sia tornata, O» le sussurrò all’orecchio.
«Anche io Clarke, anche io!»
La piccola O le era mancata più di quanto pensasse, si rese conto la ragazza mentre stringeva Octavia tra le braccia. E ora finalmente potevano ricostruire la loro amicizia.
 
Alle undici e mezza, mezz’oretta dopo l’arrivo di Clarke, la festa stava cominciando ad animarsi notevolmente. Clarke se ne stava in disparte, sorridendo imbarazzata, finché con lo sguardo non notò due dei suoi migliori amici.
«Jasper! Monty! Siete qui finalmente!» disse, andando loro incontro.
«Ehi Clarke! Che diavolo ci facevi lì in un angolo tutta sola?» disse Jasper sorridendo.
«Mi annoiavo, odio le feste!» sospirò Clarke.
«Questo perché non c’eravamo noi!» esclamò Monty alzando le sopracciglia e facendo ridere Clarke.
«Allora, c’è carne fresca?» chiese Jasper lanciando in bocca a Monty un salatino.
«Ho conosciuto una certa Maya poco fa» disse Clarke, sorridendo.
«Maya. Ricevuto. Dimmi dov’è e io vado. Monty, con me, ho bisogno del tuo supporto»
«Lì in un angolino» disse Clarke, indicando una ragazza in fondo alla sala che, come Clarke, sembrava non apprezzare moltissimo quello scenario di ubriachi.
I due ragazzi si allontanarono borbottando un “a dopo!” e lasciandola là.
Clarke decise allora di uscire in giardino, dove stranamente non c’era nessuno. Si sedette sorseggiando il suo drink. La porta si aprì.
«Brutta serata?» domandò Finn, prendendo posto accanto a lei.
Clarke sorrise, «No, semplicemente non sono una fan delle feste scatenate» disse.
«Siamo in due» sorrise lui.
«Studi? Lavori?» si informò Clarke.
«Studio architettura e tu?»
«Medicina»
«Sei molto carina stasera» si complimentò il ragazzo.
«Grazie Finn»
«Ti sto ammirando da quando sei arrivata»
Clarke arrossì, «Inquietante» disse sorridendo.
«Naaa, sei semplicemente la più bella qui stasera» disse lui, sorseggiando la bibita.
«Ehi Collins. Devi spostare la macchina, sta bloccando la strada»
Bellamy uscì in giardino, bloccandosi alla vista di Clarke e Finn insieme.
Finn mugugnò e si alzò, «A dopo Clarke» la salutò.
Clarke rispose con un cenno della mano.
«Principessa» esordì Bellamy.
«Blake»
Si fissarono.
Clarke sentì un brivido lungo la schiena.
«Vedo che hai conosciuto Collins»
«Si, oggi pomeriggio in realtà»
«Perché non sei dentro?»
«Non sono un’amante delle feste»
«E allora che ci fai qui?»
Clarke cominciava a scocciarsi, «Sono venuta qui per fare un favore ad Octavia. È stata lei ad invitarmi» gli rispose.
Bellamy sbuffò.
«Come hai conosciuto Collins?» le chiese, fissandola.
«Mi ha bussato per chiedermi delle indicazioni stradali» rispose Clarke.
«Pff, patetico»
Bellamy si sedette accanto a lei. Clarke ora era scocciata.
«Perché diavolo ti importa tanto poi?» gli domandò con aria interrogativa, incrociando le braccia.
«È un vero idiota»
«Questo lo devo decidere io se non spiace»
«Sei una Principessa troppo delicata per insultare qualcuno di diverso da me»
«Questo perché tu mi provochi un odio viscerale, Blake» ribatté Clarke.
«Scommetto che ti ha detto che sei la più bella qui dentro»
Il tono di Bellamy era freddo e tagliente, come se stesse sputando le parole.
«Si, me l’ha detto»
«Tipico anche questo. Rimorchia tutte con queste frasi del cazzo, pensavo ci volesse un po’ di più di così per conquistare una come te»
«Una come me?! Ma che diavolo stai dicendo?» Clarke era paonazza dalla rabbia.
«Non devi giustificarti con me Principessa, sei libera di fare quello che vuoi»
Proprio in quel momento, Finn rientrò con un sorriso stampato in faccia.
Clarke gli si avvicinò e, sotto lo sguardo furioso di Bellamy, afferrò il viso di Finn e lo baciò. Fu un bacio breve ma intenso.
Appena si staccò gli occhi di Clarke volarono a Bellamy.
«Sei soddisfatto ora?» e se ne andò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti :D
Piaciuto questo capitolo?
Grazie per aver letto la mia storia <3 Se avete commenti, consigli o curiosità scrivetemi pure o lasciatemi una recensione che mi fa sempre piacere :)
Un bacione!
A presto!
Ile

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Capitolo 5
*** Tradimenti ***


5.
 
Bellamy avrebbe volentieri spaccato il muro con un pugno. Aveva visto tutto, fin dall’inizio.
Si stava cambiando quando era arrivata Clarke, l’aveva vista da camera sua.
L’aveva trovata bella da mozzare il fiato: aveva i capelli biondi sciolti sulle spalle ed era truccata leggermente. Indossava una maglietta che sottolineava la sua vita stretta e il suo seno, cosa che fece deglutire Bellamy.
Si ritrovò a sorridere nel vederla imbarazzata mentre dava il suo regalo a Octavia. Si chiese se avesse pensato a dove potesse essere lui in quel momento. Stava per raggiungerla quando aveva visto Collins approcciarsi alla ragazza e lei sorridere in risposta.
Quella scena gli aveva provocato una stretta allo stomaco incredibile. Clarke non era tipa da lasciarsi conquistare da un damerino come Collins, di questo ne era sicuro. Eppure, il modo in cui lo guardava… non le dispiacevano le sue attenzioni, di questo era certo.
Bellamy non riusciva a capire il perché di tutta quella rabbia. Sapeva solo che Clarke era particolare e che c’era qualcosa in lei che continuava ad intrigarlo. Ma da qui ad incazzarsi perché Collins ci provava… gli sembrava esagerato.
Si ricompose, allacciandosi la cintura dei jeans e scendendo di sotto. Appena arrivò, Octavia lo trascinò a destra e sinistra per illustrargli che qualcuno aveva rotto due/tre bicchieri, o per dirgli di rifornire la casa di alcool, ecc. Fu solo quando vide l’auto di Collins che bloccava il passaggio che decise di cercarlo.
Non si aspettava di trovarlo con Clarke.
Erano seduti l’uno affianco all’altra, anche se ad una certa distanza. Il volto di Clarke era arrossato. Cosa che fece infuriare ancora di più Bellamy. Gli aveva detto di spostare la macchina e quando lui se n’era andato si era gettato su Clarke in un moto di rabbia e stupidità improvvisi.
E poi Clarke l’aveva quasi costretto a prendere a pugni il muro.
Si era avvicinata a Collins e lo aveva baciato.
Così, di getto. E seppur per un breve, veloce momento, Bellamy aveva desiderato di trovarsi al posto del ragazzo.
La verità di quell’affermazione gli aveva tolto il respiro.
Poi Clarke l’aveva guardato con disprezzo, offesa e furibonda, chiedendogli se fosse soddisfatto. Ed era sparita.
Bellamy sentiva la rabbia ribollirgli nelle vene. Tornò dentro casa e si versò un bicchierone di qualsiasi cosa ci fosse in quella caraffa.
Al diavolo Clarke.
«Ehi, vacci piano o finirai per fare qualcosa di cui ti potresti pentire» rise una voce alle sue spalle.
Raven Reyes lo guardava sorridendo, un sopracciglio alzato in attesa di un commento.
«Ciao Raven» le disse da dietro il bicchiere. Non aveva mai parlato molto con quella ragazza ma l’aveva già notata in precedenza. Minuta ma forte, determinata. Sveglia. Un sacco di aggettivi che la rendevano interessante a chiunque le rivolgesse la parola.
«Conosci il mio nome?» gli domandò, sorpresa.
«A quanto pare si»
La ragazza gli sorrise.
«Chi stai dimenticando per bere sorsi così?»
Bellamy non rispose, si limitò a bere un altro sorso.
«Ricevuto, affari tuoi. Se ti interessa, anche io ho bisogno di bere qualcosa» sbuffò la ragazza alzando gli occhi al cielo.
«Perché?» chiese lui, osservandola versarsi una generosa dose di alcol.
«Bah, le cose con il mio ragazzo sembrano non andare benissimo»
Lei e Bellamy si guardarono, poi entrambi bevvero un sorso.
 
 
****
 
 
Clarke sentiva la rabbia incendiarle il viso.
Era uscita in tutta fretta da casa Blake e ora si trovava seduta in cucina di casa sua, una tazza di caffè nero stretta tra le mani. Si sentiva incredibilmente nervosa. E anche confusa.
Non sapeva spiegarsi come mai Bellamy Blake le avesse procurato un fastidio tale da spingerla addirittura a baciare qualcuno per ripicca.
Si sentiva una vera idiota.
Non era da lei.
Sospirò, decidendo sul da farsi. Per prima cosa, avrebbe dovuto trovare Finn e spiegargli le cose, giusto per evitare fraintendimenti. L’aveva baciato per il motivo sbagliato ed era giusto che lui lo sapesse. Si, si decise, era la cosa giusta da fare. E lei, Clarke Griffin, cercava sempre di fare la cosa giusta.
Afferrò la borsa e si incamminò di nuovo verso casa Blake. La musica era sempre più forte e gli invitati sempre più ubriachi. Avvistò Jasper preso dalla conversazione con Maya. Probabilmente Monty se ne era andato via per la noia, constatò Clarke. Sbirciando dentro la porta di ingresso, gli occhi di Clarke si fermarono su Bellamy. Stava parlando con una ragazza molto bella, che Clarke conosceva solo di vista. Raven Reyes, una dei meccanici più promettenti dello Stato. Una specie di Einstein in gonnella.
Lei e Bellamy erano in piedi uno di fronte all’altro, lei appoggiata al muro rideva e sorseggiava il suo drink.
Quella visione le fece attorcigliare le budella. Tornare alla festa era stata un’idea orrenda, si rese conto, ma ormai era lì e doveva trovare Finn.
Ma fu lui a trovare lei.
«Ti ho trovata» le disse, avvicinandosi a lei con un sorriso.
«Si, io…» cominciò Clarke, imbarazzata, «Dobbiamo parlare Finn»
«La situazione è già così grave?» chiese lui.
«No, ma devo chiarire le cose. Il bacio di prima…» cominciò la ragazza.
«È stato un gran bel bacio. È questo che dovevi dirmi?» sorrise lui, avvicinandosi.
«No, no… cioè, si, è stato un bel bacio ma non come pensi tu…» si scusò Clarke, sorridendo imbarazzata. Cercò di trovare le parole adatte per non ferire il ragazzo, ma prima che potesse articolare la frase lui le afferrò il viso e la baciò. Clarke fu talmente sorpresa da quel bacio che non si ritrasse subito.
«Finn, che diav…» mormorò allontanandosi, prima che uno schiaffo la raggiungesse.
Raven Reyes era di fronte a lei, lo sguardo furioso e omicida di una fidanzata tradita.
«Brutta puttana! Sei tu allora che scopi con il mio ragazzo!» urlò, facendo voltare tutti gli ospiti in quella direzione.
Clarke la guardava a bocca spalancata, incapace di credere a ciò che stava succedendo. Chiuse la bocca e assunse un’espressione fredda, cercando di controllare la rabbia a sua volta per lo schiaffo immeritato appena subito.
«Per tua informazione, non avevo la minima idea che fosse fidanzato, deve essersi casualmente dimenticato di dirmelo. Inoltre, io non ci vado a letto» ringhiò, «Prova a chiederlo al tuo caro ragazzo» aggiunse, rivolgendo uno sguardo carico d’odio a Finn che le guardava con due occhi da pesce lesso.
Raven fissò Clarke dritta negli occhi e qualcosa in lei parve convincerla.
«Sapete cosa vi dico? Se volete scopare fate pure, non me ne frega un cazzo» sbottò Raven, alzando le braccia al cielo in segno di resa, il disgusto dipinto in faccia. Poi il suo sguardo cadde su una persona alle sue spalle, «Ci facciamo un altro giro? Ne ho abbastanza di questi stronzi» disse.
Clarke osservò Bellamy annuire e far cenno a Raven di raggiungerlo dentro casa.
Clarke non sapeva che dire. Si sentiva talmente furiosa da non riuscire neanche a pensare.
La folla, prima attratta da pettegolezzi e urla, cominciò piano piano a diradarsi.
«Clarke…» la chiamò Finn.
«Stai scherzando, vero?» sibilò Clarke lanciandogli un’occhiata d’odio, «Mi baci mentre hai una fidanzata, mi fai passare per una zoccola che ruba fidanzati e mi chiami anche? Non voglio rivederti mai più» disse, allontanandosi per sempre da lui.
 
 
****
 
«Non ho parole cazzo, ti giuro» sbottò Raven, riempendosi un altro bicchierone d’alcool.
Bellamy la guardò bere con furia, lo sguardo della ragazza ancora rivolto verso la scena in cui aveva schiaffeggiato Clarke.
Bellamy non sapeva che Raven e Finn stessero assieme. Infatti quando Raven era corsa come una furia verso l’esterno e si era messa a strillare, pensava inizialmente che fosse un qualcosa dovuto all’alcool, non alla gelosia. Ma il bacio l’aveva notato anche lui, eccome. E la voglia di prendere a cazzotti Collins era scemata solo grazie alla rivelazione di Raven.
Aveva visto Clarke stupefatta e furiosa, rossa in faccia per la vergogna e l’umiliazione. E una parte di lui avrebbe voluto intervenire per farla sentire meglio, solo per farle spuntare quel sorriso che solo ogni tanto era stato concesso al mondo. Ma un’altra parte di lui, più grande e decisamente più influenzata dall’alcool, quella che aveva prevalso, aveva pensato che fosse stato giusto, così da porre fine a quella stupida storiella destinata a durare poco comunque. E la gelosia che sentiva dentro, così feroce e spaventosa, aveva sorriso notando lo sguardo rabbioso di Clarke quando Raven era tornata dentro casa con lui.  
Raven si era rivelata una piacevole rivelazione. In quel momento lo stava osservando con malizia.
«Ehi, Bellamy… dove dormi?» gli chiese, mordicchiando il bicchiere.
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, studiandola: «Di sopra, perché?»
Raven sorrise, continuando a fissarlo.
«Pensavo di andare a vedere la casa… mi accompagni?»
 
****
 
Clarke osservò Bellamy annuire e Raven afferrarlo per la mano. Sapeva dove stessero andando, non ci voleva Einstein per notare quegli sguardi languidi ed eccitati. Raven salì le scale e Bellamy la seguì, i muscoli improvvisamente tesi sotto la maglietta.
Clarke diede le spalle a quella scena e si decise a tornare a casa.
«Ehi, Clarke, stai bene?» le domandò Octavia, raggiungendola, «Ho visto la scenata di Raven e…»
«Sto bene Octavia, non ti preoccupare» tagliò corto Clarke, senza incrociare lo sguardo dell’amica.
«Clarke» la fermò la ragazza, costringendola a guardarla, «Solo un robot starebbe bene dopo la scenata di stasera. Non sei obbligata a parlarne ma ascolta la mia proposta. Ti va se domani mattina, insieme, andiamo a fare colazione? Giusto per parlare un po’»
La proposta di Octavia era allettante e la sua preoccupazione sincera.
«Va bene» acconsentì Clarke, sorridendo leggermente.
«Suonami domani alle 9 circa, ok? Ti aspetto»
«Va bene. Ora scusami, ma devo andare. A domani» disse Clarke abbracciandola.
Quella serata doveva assolutamente finire.
 
Quando la chiave entrò nella toppa e la porta si aprì, Clarke si concesse un lungo sospiro. Quella festa l’aveva messa a dura prova. Si sentiva talmente umiliata e arrabbiata da non avere più forze.
Casa sua era vuota, come sempre.
La verità era che Clarke, lì, era sola. Sua madre non viveva lì. Il post-it attaccato al frigo che Clarke leggeva ogni mattina era un vecchio ricordo.
Abby viveva vicino all’ospedale. I rapporti tra lei e la figlia erano tesi e difficili. La conversazione tra le due era deteriorata a tal punto, dopo la morte del padre di Clarke, da costringere le due a vivere separate, ed era stato un bene. Ora si sentivano di più, un passo alla volta. E il loro rapporto, col tempo, forse si sarebbe ricucito.
Clarke sprofondò sul divano, avvolgendo una coperta intorno a sé, e in quel momento si sentì sola più che mai.
 
 
****
 
Raven lo trascinò nella sua stessa camera, spingendolo contro il muro.
«Non è così che ti dimenticherai di Collins» le disse, osservandola.
«Lo so. Voglio solo divertirmi. Io ti piaccio, lo vedo. Non è vero, Blake?»
Lei si allontanò da lui, guardandolo negli occhi. La sua mano scivolò verso la felpa che indossava e se la tolse lentamente, sorridendo. La maglietta che indossava sotto lasciava poco all’immaginazione e Bellamy deglutì alla vista di quel corpo che lo desiderava.
Raven si tolse poi i jeans, la maglietta e l’intimo, rimanendo nuda di fronte a lui e senza mai smettere di guardarlo e di sorridere. Era sicura di sé, ed era bellissima. Lui deglutì.
«Se ti aspetti che ti fermi e che ti dica che non è giusto, non lo farò» le disse.
«Bene, perché non ti sto chiedendo di farlo»
Bellamy si avvicinò a lei e la baciò, le braccia che accarezzavano quella schiena nuda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti! :D
Eccomi qui con il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto! Come avete letto ci sono stati degli avvenimenti che metteranno parecchia carne al fuoco prossimamente, eheh! :D
Fatemi sapere che ne pensate e, se volete, lasciatemi una recensione!
Grazie mille per aver letto la mia storia!
A presto!
Ile

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Capitolo 6
*** Complicazioni ***


6.
 
Bellamy si svegliò improvvisamente e la luce del sole lo accecò. Il suo corpo nudo era attorcigliato tra le lenzuola, in un groviglio bianco indistinto.
Si portò una mano alla testa indolenzita, guardandosi intorno.
Raven Reyes giaceva proprio al suo fianco, la schiena nuda ma il resto del corpo coperto, i capelli scuri sparsi sul cuscino.
Bellamy ricordava bene la notte appena trascorsa. Il sesso con Raven era stato… intenso ed eccitante, ma anche freddo. Gli era piaciuto il corpo di lei, così perfetto e sinuoso, ma entrambi stavano pensando ad altro e si era capito. Probabilmente Raven era stata ferita da Collins più di quanto le piacesse ammettere, pensò Bellamy osservandola. Aveva voluto gettarsi su di lui per vendicarsi o per cercare di colmare un vuoto interiore, questo ancora non si sapeva. Ma lui aveva colto la sua richiesta e ci era finito a letto. Un letto che la notte scorsa era stato ben felice di condividere con quella moretta tutta pepe e sarcasmo.
Ora però, si sentiva diverso. La sua presenza in quel letto lo imbarazzava in qualche modo. Nessuna ragazza aveva mai dormito nel letto di Bellamy Blake, non dopo la scopata di una notte. Ma erano entrambi talmente stanchi dopo la notte appena passata, che entrambi erano crollati appena raggiunto l’orgasmo per cui lui non aveva avuto modo di cacciarla.
Però Raven era diversa, gli piaceva. Non l’avrebbe svegliata per cacciarla come aveva fatto altre volte con altre ragazze. L’avrebbe lasciata dormire, tanto sapeva che se ne sarebbe andata senza chiedergli nulla di più di un’altra scopata. Non era una ragazza che parlasse di sentimenti o che pretendesse coccole dai ragazzi dopo una sola notte. Questo lo aveva intuito fin da subito.
Si infilò una maglietta e un paio di boxer e cercò di uscire dalla stanza senza fare alcun rumore. Octavia doveva essersi già svegliata, pensò il ragazzo, sentendo rumori in cucina.
Ma quando raggiunse il pian terreno, non fu Octavia quella che si trovò di fronte.
«Clarke» esclamò il ragazzo, sorpreso.
La bionda lo guardò.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia.
«Ci vivo» le fece notare lui in risposta, «Tra l’altro, potrei chiederti lo stesso»
«Sono venuta qui per Octavia, la sto aspettando» gli rispose Clarke sulla difensiva.
Bellamy la osservò innervosirsi e sentì la rabbia crescergli dentro. Ricordava la serata precedente: Clarke – Finn, i loro baci, la gelosia, lo sguardo di Clarke compiaciuto per le attenzioni di quel cretino.
Tra loro calò un silenzio carico di tensione.
 
 
****
 
Clarke si svegliò di soprassalto, inquieta. Era una di quelle rare notti in cui era riuscita a dormire. E sapeva perché: la sera precedente l’aveva esaurita talmente tanto da farle dormire ben 7 ore di fila. Un record praticamente inarrivabile per lei.
Peccato che fosse stato un sonno costellato di incubi.
Era sempre così. O non dormiva, o dormiva accompagnata da incubi feroci.
Quella era una di quelle notti. Le immagini si accavallavano nella sua mente in un mix di suoni e immagini indistinte. L’unica figura che Clarke riconosceva era quella di suo padre, grondante sangue, che la implorava di aiutarlo. Ma nel sogno Clarke era incatenata al muro e urlava e piangeva perché sapeva che sarebbe morto e che lei non sarebbe stata in grado di salvarlo.
Era un sogno ricorrente nelle notti di Clarke. Ma quella mattina non aveva voglia di affrontare i suoi incubi. Voleva solo scacciare dalla mente quelle immagini angoscianti.
Sentì la pelle umidiccia per il sudore della tensione e decise di farsi una doccia. Erano solo le 7 e mezza e avrebbe fatto in tempo a lavarsi e sistemarsi con tutta calma.
Mentre sentiva il getto dell’acqua scorrerle lungo il corpo, Clarke pensò alla sera precedente, sentendo un nodo salirle nel petto.
Bellamy e Raven che salivano le scale diretti alla camera da letto. Bellamy che le urlava contro parlandole di Finn. Bellamy che la guardava soddisfatto mentre Raven la insultava di fronte a tutti. Bellamy che la guardava con gelosia e con desiderio.
Fu quest’ultimo pensiero che le fece scorrere un brivido lungo la schiena.
Non sapeva ancora spiegarsi il come quel ragazzo riuscisse ad innervosirla e ad incuriosirla tanto. In sua presenza si sentiva vulnerabile. E anche più brutta o più stupida. Si sentiva insicura. E lei odiava sentirsi così.
Uscì dalla doccia avvolgendosi l’accappatoio sulla pelle.
“Al diavolo Bellamy Blake” si disse, asciugandosi, “è solo un cretino arrogante”.
Evitò di notare come avrebbe voluto aggiungere la parola “sexy” all’appello.
 
Alle 9 in punto, Clarke bussò in casa Blake e Octavia le venne ad aprire dicendole di accomodarsi in cucina mentre lei si sistemava. Clarke si stava giusto per sedere quando Bellamy era apparso di fronte a lei.
Aveva i capelli neri arruffati e lo sguardo di chi ha passato la notte facendo tutt’altro che dormire. La ragazza sentì la rabbia crescerle dentro.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia.
«Ci vivo» le fece notare lui in risposta, «Tra l’altro, potrei chiederti lo stesso»
«Sono venuta qui per Octavia, la sto aspettando» gli rispose Clarke sulla difensiva.
“Di certo non sono venuta per te” si trattenne dal dire.
Notò i muscoli del ragazzo irrigidirsi, il volto contratto in una smorfia di fastidio.
Tra i due calò un silenzio carico di tensione.
 
Clarke guardava qualsiasi altra parte della stanza che non fosse Bellamy. Si sentiva così in collera con lui da trattenere a stento gli insulti e non sapeva spiegarsi il motivo.
O meglio, non voleva spiegarselo.
Lui era appoggiato allo stipite della porta, alla fine Clarke lo guardò, incrociando i suoi occhi.  Ed era così bello in quel momento, che la carica di gelosia si fece più forte, quasi pungendole il petto.
Indossava maglietta e boxer neri, che sottolineavano ancor di più un fisico muscoloso e disegnato.
Infine Bellamy prese la parola.
«Ti va un caffè?» le chiese, avvicinandosi a lei.
Clarke lo guardò avvicinarsi, uno strano groppo in gola. L’immagine di lui e Raven che salivano le scale diretti alla camera da letto le si presentò alla mente come in un loop.
«Si, grazie» si costrinse a rispondere, scacciando con forza tutto dalla mente. Magari non ci era neanche andato a letto, pensò.
«Puoi sederti sai» le disse, indicando il tavolo.
Clarke prese posto, in silenzio, osservando Bellamy preparare il caffè. Poi, con due tazze fumanti, si sedette di fronte a lei.
«Questo è il miglior caffè della città sai» le disse, porgendole la tazza. Clarke infine sorrise, evitando di incrociare i suoi occhi neri, che sembravano emettere scintille. Aveva un’espressione strana sul volto.
«Senti, Clarke…» cominciò, ma poi fu interrotto.
«Allora, bel maschione, pronto per il secondo round?»
Raven si era materializzata in cucina, un ghigno divertito stampato sul bel volto della ragazza. Indossava una maglietta di Bellamy lunga fino alle cosce con una spalla scivolata in basso e, probabilmente, niente sotto di essa.
Clarke sentì il sangue gelarsi nelle vene e il rossore diffondersi su tutto il suo viso.
Ci era andato a letto.
Raven in quel momento spostò lo sguardo sulla ragazza.
«Che diavolo ci fai tu qui?» le domandò, ostile.
«Niente, assolutamente. Stavo giusto andando via» ribatté prontamente Clarke, raccogliendo al volo tutte le sue cose, «Devo andare ora»
«Clarke, aspetta…» la chiamò Bellamy, alzandosi.
«Ci vediamo in classe» dichiarò e, senza guardare nessuno, uscì dalla casa in tutta fretta.
 
****
 
Bellamy agì prima ancora di rendersene conto. Incurante di indossare solo boxer e maglietta, uscì di casa inseguendo la ragazza.
«Clarke» la chiamò.
Lei non si voltò, continuando a camminare imperterrita, costringendolo ad aumentare il passo.
«Clarke!» la chiamò lui infine, raggiungendola e afferrandola per il gomito.
«Lasciami stare Blake!» sibilò la ragazza, dimenandosi dalla sua presa.
«Posso spiegarti» le disse Bellamy, senza lasciarla andare.
«Non hai niente da spiegare, Blake. Non hai nessun motivo di spiegarmi nulla» gli rispose, lo sguardo furioso, riuscendo a fargli mollare la presa e allontanandosi da lui.
«Clarke…» ripeté Bellamy.
«No. Dì ad Octavia di chiamarmi. Buona giornata» e se ne andò in casa sua senza degnarlo più di uno sguardo.
Bellamy la guardò allontanarsi ed entrare in casa sbattendo la porta, sentendo dentro di sé un misto di rabbia e di frustrazione.
Quella ragazza era insopportabile.
Eppure…
Le era corso dietro come un idiota non appena lei se ne era andata. Il solo fatto che Raven fosse comparsa in cucina quando lui stava per scusarsi per il comportamento della sera precedente, gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Allo stesso tempo aveva sentito qualcosa dentro di lui scaldarsi quando aveva notato lo sguardo deluso e sorpreso di Clarke alla vista di Raven accanto a lui. Possibile che fosse gelosa?
Non riusciva a capire il comportamento di Clarke e, francamente, nemmeno il suo.
Si stava facendo una miriade di problemi per una vicina di casa con cui aveva un ottimo rapporto da piccolo, ma con cui ora non riusciva a comunicare senza finire ad insulti e nervosismo.
Eppure…
Non aveva potuto non notare il rossore sulle sue guance e il modo in cui aveva sorriso quando si era vantato del suo caffè.
E il fatto che fosse scappata così di corsa non appena comparsa Raven?
Doveva chiarire quella situazione.
Rientrò in casa, dove trovò Raven in cucina a sorseggiare quello che doveva essere il caffè di Clarke.
«Allora come stanno le cose tra voi?» gli chiese.
«Non c’è nessun “noi”» ribatté Bellamy, incrociando le braccia.
«Ah no?» sorrise Raven, alzando un sopracciglio con aria di scherno.
«Non so di cosa tu stia parlando» le disse.
«Senti Blake, a me non importa. Io sono qui solo perché abbiamo scopato e mi sta bene, credimi. Ma non ci vuole un genio come me per capire che la bionda ti piace»
Bellamy la guardò fisso.
«Modesta. E non ci vuole un genio come te per capire che hai scopato con me solo per vendicarti di Collins» ribatté.
Raven sorrise.
«Tu mi piaci, Blake. Ma credo che funzioneremmo meglio se fossimo solo amici»
Lui sorrise.
 
****
 
Clarke piombò a casa come una furia. In quel momento si detestava con tutta sé stessa.
Quella sfuriata da ragazzine l’aveva fatta sembrare ancora più patetica di quanto non si sentisse già.
Ma la vista di Raven, così perfetta anche se appena alzata, l’aveva mandata fuori di testa.
Immaginare lei e Bellamy a letto insieme, con lui che affondava il volto tra i suoi capelli e sussurrava il suo nome…
Represse un brivido.
Come cazzo faceva, Bellamy Blake, a farle quell’effetto?
Si appoggiò allo stipite della porta, sospirando.
La situazione si stava facendo complicata.
Improvvisamente il cellulare squillò.
«Pronto?»
«Ciao, tesoro. Sono tua madre»
La voce di Abby sembrava lontana, me Clarke fu felice di sentirla.
«Ciao mamma» salutò Clarke.
«Stai bene tesoro?»
«Si, sono… un po’ stanca. Non ho dormito molto bene»
«I soliti incubi?»
«Già…»
«Mi dispiace tesoro»
«Non fa niente. Senti, come mai mi hai chiamata?»
«Volevo solo chiederti di venire a cena da me una sera, se ti va. Vorrei presentarti una persona»
Clarke sospirò, chiudendo gli occhi.
«Il tuo compagno?»
«Vorrei che lo conoscessi Clarke»
La voce di sua madre sembrava improvvisamente triste.
«Va bene mamma» cedette Clarke, «Quando?»
«La prossima settimana, se per te va bene»
«Si, va benissimo» rispose Clarke e, dopo averla salutata, finalmente riagganciò.
In quel momento si ricordò di Octavia.
Fece per uscire dalla porta per tornare dall’amica quando quasi sbatté contro Bellamy Blake.
«Ma che diav…» sbottò.
«Clarke» la chiamò.
Lei alzò lo sguardo su di lui, incontrando due occhi straordinariamente espressivi. La loro profondità la mise a disagio.
«Cosa c’è?» domandò.
«Sono venuto a scusarmi» confessò lui, sorprendendola.
«Scusarti… per cosa?» chiese la ragazza, il cuore improvvisamente a mille.
«Per ieri sera, io… Mi dispiace. Non volevo dirti quelle cose, solo che… la vista di te e Collins mi ha mandato fuori di testa. Non potevo credere che una come te accettasse la corte di uno così» rispose lui, stupendo Clarke con la sua sincerità.
«Finn mi stava solo facendo dei complimenti, Bellamy» gli fece notare Clarke.
«Lo so ma… temevo che potesse andare oltre»
«Com’è successo tra te e Raven?»
Le parole di Clarke uscirono prima che le potesse fermare. Si maledisse per essersi lasciata scappare quella frase. Arrossì furiosamente.
Il volto del ragazzo improvvisamente cambiò. Da serio e imbarazzato quando lei aveva aperto la porta, a rilassato e sorridente.
«È per questo che te ne sei andata?» le chiese.
«Non so perché me ne sono andata» confessò la ragazza.
Gli occhi di Bellamy non si staccavano un attimo da quelli di Clarke, che si sentiva trafitta da quello sguardo indagatore.
«C’è solo un modo per scoprirlo» sussurrò, avvicinandosi lentamente.
Clarke sentì l’eccitazione farsi sempre più forte mentre il ragazzo continuava ad accorciare le distanze tra i loro corpi. Improvvisamente, la mano di Bellamy raggiunse il volto di Clarke, scostandole una ciocca di capelli. Il ragazzo si avvicinò a lei, le labbra sempre più vicine a quelle della ragazza. Lei chiuse gli occhi, aspettando di sentire un contatto che però non avvenne.
«Mi sa che abbiamo un problema qui, Principessa» le sussurrò all’orecchio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Piaciuto il capitolo??
Clarke e Bellamy sentono questo strano legame tra loro e finalmente cominciano a metterlo a fuoco… chissà che succederà? :P
Spero che vi stia piacendo il legame tra questi due personaggi!
Grazie come sempre per aver letto la mia storia e, se vi va, lasciatemi una recensione! :)
Un bacione e al prossimo aggiornamento!
Ile

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Capitolo 7
*** La ricerca ***


7.
 
 
Si sporse verso di lei, distesa al suo fianco, e le baciò la spalla nuda. Sapeva di miele. Lei mugugnò e sorrise, afferrandogli la testa per dargli un bacio sulle labbra. Lui la guardò, gli occhi immersi in quelli azzurri di lei, e pensò che avrebbe volentieri passato tutta la vita con lei in quel letto.
 
Bellamy si svegliò di soprassalto, agitato. Afferrò la sveglia sul comodino, borbottando su qualche stupido sogno che aveva fatto. Un conto che era provocare la Principessa e vederla sulle spine, un altro era sognare di stare con lei. Come uno stupido quindicenne.
“Maledizione” pensò, alzandosi dal letto e afferrando una maglietta.
“Pensa al lavoro” si disse.
La verità però era che pensava sempre di più a Clarke Griffin.  Pensava a come sarebbe stato baciarla, portarla fuori a cena, stringerla a sé.
E lui non era certo tipo da pensare a ‘ste stronzate.
“Datti un contegno Blake, sei patetico” si rimproverò.
Indossò la divisa e si avviò alla macchina. Sbirciando dall’uscio notò la Principessa e sentì una fitta allo stomaco. Aveva i capelli sciolti sulle spalle come sempre; sembravano brillare alla luce del mattino.
“Coglione” si disse, accelerando il passo e ignorando la ragazza. Salì veloce in macchina come se fosse in ritardo e sgommò via il più velocemente possibile.
Quando arrivò in classe, Clarke sorprendentemente era già lì.
«Ehi» le disse avvicinandosi, «Sei arrivata in fretta»
Clarke lo guardò di sottecchi. Non era proprio il sorriso che si era aspettato.
«Si, ho trovato un passaggio» sibilò.
Bellamy si irrigidì, improvvisamente a disagio e capì il perché di tanta freddezza.
«Ero in ritardo stamattina» si giustificò.
Lei gli sorrise freddamente: «Non ti devi giustificare, Blake. Non dovevi darmi un passaggio, non c’era scritto da nessuna parte che dovessi farlo. Solo pensavo che potessi almeno salutare, specie dopo ieri sera»
«Buongiorno ragazzi» li interruppe Kane, «Purtroppo non ho buone notizie per voi. Le borse di studio associate alla frequenza di questo corso sono state revocate, ergo per cui il corso sarà sospeso.»
Un coro di “Noooo” e “Buuu” si fece velocemente sentire, ma Kane zittì le voci con una mano. Clarke e Bellamy si scambiarono una rapida occhiata.
«Dispiace molto anche a me ragazzi, ma senza fondi è impossibile andare avanti, sia per voi che per me. Tuttavia non voglio che il lavoro fatto fino ad ora vada sprecato. Per cui vi affido un ultimo compito: voglio che vi sigilliate in casa con il vostro partner. Ora vi spiego: può essere facile esaminare una scena del crimine. Ciò che non è facile è capire la psicologia dell’assassino, ciò che si cela dietro la mano che compie il delitto. Voglio che scegliate un assassino negli ultimi casi di cronaca della città e che mi troviate qualsiasi informazione su di lui. Esaminate le scene del crimine, compilate i test psicologici fingendo di essere lui. Aspetto una relazione per la prossima settimana. Buona giornata»
La classe si animò di brusio e lentamente gli studenti, a coppie, uscirono dall’aula.
Clarke e Bellamy furono gli ultimi.
«Senti Clarke scusami per oggi, io…» tentò lui.
«Non ti devi giustificare Blake. È andata così» lo fermò lei, senza guardarlo in faccia.
«Non fare così. Senti…»
«Eccoti» li interruppe una voce.
Finn Collins li guardava appoggiato ad una parete, sorridendo a Clarke come un idiota.
«Ciao Finn» lo salutò Clarke sorridendo.
«Aspetta un attimo» ringhiò Bellamy afferrandola per un braccio, «è lui che ti ha dato un passaggio stamattina?»
«Si» rispose decisa Clarke, puntandogli addosso due occhi azzurri accusatori, «ho avuto fortuna»
«Ciao Bellamy. Com’è andata la vostra lezione?» domandò Finn avvicinandosi.
«Benissimo» ringhiò Bellamy, abbassando il braccio.
«Andiamo a prenderci quel famoso caffè?» domandò Collins a Clarke.
«Perché no? Non ho niente di meglio da fare» rispose la ragazza, osservando Bellamy con aria truce.
Bellamy dovette resistere all’impulso di sfracellare il muro con un pugno.
«Clarke…» disse tra i denti, «Dobbiamo fare quella ricerca» le ricordò.
«Un caffè non ha mai ucciso nessuno. A più tardi Bellamy» lo salutò Clarke e si diresse con Finn verso il bar dell’edificio.
Bellamy non poté fare altro che soffocare la rabbia e la gelosia, osservando Clarke allontanarsi con un tizio che non valeva neanche un quarto di quanto lei meritasse.
 
 
Appena voltarono l’angolo, Clarke si allontanò da Finn.
«Scusa Finn» si scusò sorridendo, «ma mi sono dimenticata di avere un impegno, mi è venuto in mente adesso»
«Ma se hai detto che…»
«Beh si può sempre sbagliare no?» ridacchiò lei imbarazzata.
«Si, ma…»
«Grazie per la comprensione, ciao!» lo salutò, allontanandosi il più velocemente possibile.
“Che seccatura” pensò. Si, era stata fortunata ad aver scroccato un passaggio, ma era pur sempre Finn Collins e lei ce l’aveva ancora a morte con lui. Lui, che in macchina si era comportato come se niente fosse, sorridendo e adulandola con quei complimenti che Clarke aveva trovato ripugnanti. Ma aveva agito d’astuzia. Sapeva che Finn sarebbe rimasto nei dintorni dopo averla accompagnata, per cui aveva finto interesse quando, quasi arrivati all’università, lui le aveva proposto di bere un caffè assieme. Quella mossa si era rivelata geniale quando Bellamy li aveva colti in fragrante.
Sospirò.
Bellamy.
Era tutta colpa sua.
Dopo l’episodio “strano” della sera precedente, Clarke non aveva fatto altro che pensare a lui e ai brividi che aveva provato sentendolo così vicino a lei. E quella mattina aveva visto come lui l’avesse palesemente ignorata e avesse tirato dritto. Lei era solo un gioco per lui, una di quelle prede di difficile conquista che ogni maschio prima o poi vuole accalappiare.
Che idiota ad esserci quasi cascata.
Beh non avrebbe abbassato la guardia un’altra volta, no di certo. Ora aveva altri problemi da risolvere. Come la revoca della borsa di studio per quel corso, che rabbia. Ma lei era Clarke Griffin, e non si sarebbe fatta sopraffare dalla sconfitta, non era da lei. Doveva trovare un rimedio e al più presto.
«Buono il caffè?» la destò una voce.
Bellamy Blake la stava guardando appoggiato con una spalla al muro, le braccia incrociate al petto e l’espressione vagamente divertita.
«Si, delizioso» rispose lei velocemente, guardando ovunque tranne che dalla sua parte.
«Principessa, so che non hai preso quel caffè»
«Continua pure a pensarlo, se ti fa stare meglio. Ora scusami ma ho di meglio da fare» disse la ragazza, scansandosi.
«Ferma un attimo» la bloccò lui, afferrandole il braccio e conducendola a sé, i volti improvvisamente vicini.
Si guardarono negli occhi, come se solo in quel momento si fossero resi conto di quella vicinanza. Clarke sentì il cuore andare a mille, specie quando notò come lui le stesse fissando le labbra, e tutte le paure di poco fa sembrarono dissiparsi.
Quasi si fosse accorto di ciò che stava succedendo, Bellamy si allontanò, una mano improvvisamente tra i capelli.
«Io… la ricerca. Si, la ricerca. Dobbiamo fare quel compito…» balbettò il ragazzo.
«Si, hai ragione… ehm, facciamo a casa mia? Tra un’ora?» buttò lì Clarke.
«Ok»
E per la prima volta dall’inizio della giornata, i due si sorrisero.
 
 
Quarantacinque minuti dopo, Bellamy si stava infilando nervosamente le scarpe e una giacca leggera. Si sentiva nervoso. Uscì di casa che si sentiva già sudato, prima ancora di fare anche solo un passo.
Una raffica di vento lo schiaffeggiò con furia, facendogli alzare la testa per osservare meglio il cielo. Era scuro, quasi nero. Lo mise in allarme. Chiamò sua sorella dalla cucina e le fece promettere di barricarsi in casa fino all’indomani. Era previsto un temporale, lo rassicurò lei, non c’era bisogno di tutto quell’allarmismo. Ma Bellamy aveva una strana sensazione, per cui Octavia sospirò esasperata e acconsentì a chiudersi in casa.
Sentendosi tranquillo, Bellamy si incamminò verso i vicini.
Bussò alla porta con un certo nervosismo.
«Ciao» gli disse Clarke, un sorriso timido faceva capolino tra le sue labbra.
Bellamy sentì una fitta al petto e improvvisamente si maledisse per non averle portato dei fiori o dei cioccolatini… o qualche cazzata del genere.
«Ciao» rispose lui sorridendo.
«Accomodati… vuoi qualcosa da bere?»
«Sei molto formale» le fece notare lui entrando in casa e continuando a sorridere.
«Scusami» arrossì lei.
«Sto scherzando, Principessa»
«Quanto ti diverti a prendermi per il culo?» sbottò la ragazza, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lanciandogli un’occhiataccia.
«Parecchio devo dire»
«Sei insopportabile Blake»
«Lo so che in realtà mi adori»
«Come no, certo. Su, mettiamoci a fare sta ricerca e che sia finita»
 
 
Lavorarono sodo per quasi due ore e mezza, finché il brontolio della pancia di Bellamy li distrasse dalla concentrazione.
«Fame?» domandò Clarke ridendo.
«Si… sarà meglio che torni a casa» si giustificò Bellamy, alzandosi dalla sedia.
«Non serve che tu vada a casa, ho delle pizze nel freezer… oppure potremmo ordinarne una e…»
Ma ciò che disse Clarke fu interrotto da un fulmine così forte da far tremare i muri della casa. Improvvisamente la corrente saltò e Bellamy e Clarke rimasero completamente al buio, le orecchie rivolte all’incredibile frastuono di vento e pioggia a pochi metri dalle loro teste.
«Beh forse non ho così voglia di pizza dopotutto» disse Clarke ed entrambi scoppiarono a ridere.
«Dove sei poi, Griffin? Non riesco proprio a vederti» osservò Bellamy.
«Per forza, Bellamy, siamo al buio» rise la ragazza.
«Hai mangiato pane e simpatia oggi? Che battutaccia! E sì che hai due bei motivi per farti notare…» sghignazzò il ragazzo, avvicinandosi alla voce di Clarke, che sentì trattenere il respiro.
«E questo che diavolo vorrebbe dire?!» chiese.
Bellamy se la immaginò rossa in faccia e con le bracca incrociate al petto e rise.
«Cos’è, pensavi che non le avessi notate?»
«Oh mio Dio!»
«Sono un ragazzo Clarke»
Ormai doveva esserle vicino.
«Che vergogna! E smettila di parlarne poi!»
«Preferiresti che ti dicessi che non avevo mai notato niente di te? Tipo la tua bocca, o i tuoi occhi o…»
Il corpo di Clarke era giusto di fronte a lui, appoggiata al mobile della cucina. Sentiva il respiro accelerato della ragazza, e istintivamente le afferrò una mano, che Clarke strinse.
Poi Bellamy si fece coraggio, complici il buio e la tensione sessuale che sentiva nell’aria, e le accarezzò il volto con l’altra mano. Non smise un secondo di guardarla negli occhi, sentendo qualcosa fremere dentro di lui.
Le sue labbra si avvicinarono e Bellamy poteva già pregustare il sapore che avrebbero avuto.
Ed improvvisamente la luce tornò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti! :)
Eccomi tornata con il nuovo capitolo! Piaciuto? Non piaciuto? Amato? Odiato? Fatemi sapere che ne pensate!
Scusate il ritardo ma ho avuto millemila impegni :) Spero che vi sia piaciuto ciò che avete letto e di ritrovarvi anche alla prossima lettura!
Un bacione,
Ile

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Capitolo 8
*** Il tornado ***


8.
 
“Siamo troppo, troppo vicini” si disse Bellamy.
La luce si era appena riaccesa e un velo di enorme imbarazzo e sorpresa era sceso tra di loro. Erano ancora fermi, ancora vicini.
Bellamy non riusciva a smettere di guardarla, si sentiva come in trance. Aveva un desiderio di baciarla talmente immenso da temere di non riuscire a controllarsi.
Fu Clarke, alla fine, a rompere la tensione.
«Beh… ehm… credo che sia impossibile ordinare le pizze, con questo tempo» disse, sgusciando via da lui, senza guardarlo in faccia.
Bellamy si ricompose.
«Si, hai ragione… io, credo sia meglio andare adesso» disse, maledicendosi non appena vide lo sguardo apparentemente deluso di Clarke.
Stava ancora scappando. Si maledisse mentalmente un’altra volta. Ma era più forte di lui, non riusciva a legarsi con qualcuno, non sentendosi profondamente coinvolto. Si faceva qualche scopata, ma niente di più. Il suo mondo interiore era suo, e solo suo.
Con Clarke sentiva che c’era un rischio… quello di mettersi a nudo.
«Ok…» gli rispose lei, incerta.
«Si, devo controllare come sta Octavia…»
«Si, certo. Hai ragione, ci mancherebbe. Vai pure, continueremo la ricerca la prossima volta»
«Contaci… Clarke»
Il modo in cui pronunciò il suo nome la fece rabbrividire.
Lo accompagnò alla porta e si salutarono con un cenno. Quando lo vide sparire in casa sua, Clarke sentì di poter respirare di nuovo.
Era nei guai. Non capiva perché si sentisse così. Lei odiava Bellamy.
Lo odiava proprio.
Il frastuono del vento la fece trasalire. Si avvicinò alla finestra. Gli alberi erano quasi piegati a metà, il cielo nero come il carbone, con qualche sfumatura giallastra. Il vento batteva talmente forte da metterle il dubbio che le finestre si potessero rompere e la pioggia sembrava riempire l’aria come un fiume in piena.
Saltò anche la luce e Clarke si rannicchiò sul pavimento, spaventata e sola, correndo con i ricordi a qualcosa successo molti anni prima.
 
 
«Clarke! Clarke! Apri questa porta!»
La voce di Bellamy la risvegliò bruscamente dal suo fiume di ricordi. Si alzò velocemente e faticosamente aprì la porta, resa più pesante dal vento. Bellamy era di fronte a lei, bagnato fradicio sotto la pioggia incessante. Entrò velocemente in casa e chiuse subito la pesante porta d’ingresso.
«Bellamy, che ci fai qui? E Octavia?» chiese.
«Lascia perdere! Quando sono arrivato a casa non c’era. L’ho chiamata e mi ha detto di essere a casa di amici con un certo Lincoln. Non so chi sia ma indagherò, non ti preoccupare! Comunque mi ha detto che stavano per andare nel rifugio anti-tornado nel seminterrato, per cui è al sicuro. Ma non sapevo se fossi al sicuro tu, per cui sono venuto qui»
«Grazie, Bellamy» gli disse Clarke, sinceramente.
I tornadi le mettevano una paura folle e non sapeva dove potersi rifugiare.
«Tu non hai un rifugio anti-tornado, vero?» le chiese.
«No… tu si?»
«Una specie, l’ho fatto costruire una volta venuti qui. Senti, ora dobbiamo assolutamente allontanarci da casa tua. Il tornado è vicino e al momento il posto più sicuro è casa mia, in quel rifugio che ho fatto costruire. Quindi prenditi una felpa o qualcosa e poi andiamo a casa mia. Ok?»
Clarke annuì e fece come Bellamy le aveva detto. Prese uno zaino e ci infilò qualche indumento. Si mise le scarpe da tennis e tornò da Bellamy.
Insieme, uscirono quasi annientati dal vento. Bellamy la prese per mano e la strinse a sé per proteggerla da quella scarica tremenda di energia. La pioggia torrenziale li sommerse e in un attimo furono entrambi fradici. In men che non si dica, entrarono in casa Blake e scesero nel sotterraneo-rifugio attraverso una botola sul pavimento.
Era una stanza molto piccola, ma funzionale. C’era cibo in scatola sugli scaffali e boccioni d’acqua, un piccolo lavandino e un altrettanto piccolo divanetto. I muri erano di cemento armato, grigi e tristi. Ma sicuri.
«Non è granché, ma sempre meglio di niente» si scusò Bellamy, afferrando un asciugamano da uno scaffale e asciugandosi i capelli.
«Lo trovo perfetto» disse Clarke, la voce spezzata, «Posso sedermi?» domandò, indicando il divano.
«Certo» rispose Bellamy, stupito, «Stai bene?» le chiese, osservandola sedersi lentamente sul divano, lo sguardo preoccupato.
Clarke aspettò un attimo prima di rispondere, poi scosse la testa.
«No, io… no, non sto bene. Non con questo tornado qua fuori»
Bellamy fu sorpreso da quel tono di voce, così serio e così assorto. Non aveva mai sentito Clarke così. Lentamente si avvicinò a lei, porgendole un asciugamano affinché si asciugasse. Lei lo accolse con un sorriso e cominciò ad asciugarsi i capelli. Lui si sedette accanto a lei, continuando ad osservarla in silenzio.
Poi Clarke rabbrividì.
«Hai freddo? Ho una coperta qui da qualche parte, se vuoi»
«No, sto bene Bellamy, davvero»
«Vuoi bere qualcosa? Ho un bollitore a gas che dovrebbe funzionare»
Lei annuì riconoscente e lui cercò di sollevarle l’umore.
«Ti stupirai: sarà il miglior tè che berrai mai»
Lei rise e Bellamy sospirò di sollievo. Lui si alzò e trafficò fino a trovare un mini bollitore e un pentolino. Riempì il pentolino d’acqua e lo mise sul fuocherello. Poi aprì una bustina di tè e lasciò che si immergesse e prendesse sapore.
Si risedette accanto alla ragazza e osservò due calde lacrime rigarle le guance.
«Clarke…» sussurrò, prendendole spontaneamente la mano, «Mi dici che ti prende? Per favore»
Lei gli strinse la mano e si sedette più vicina a lui.
«È per mio padre, Bellamy… è morto per un tornado. E per causa mia»
La rivelazione lo colse di sorpresa. Ritenne naturale metterle un braccio intorno alle spalle, come per proteggerla, l’altra mano sempre stretta tra le sue dita.
«Clarke… mi dispiace. Com’è successo?»
La ragazza prese un respiro profondo e poi raccontò.
«È successo anni fa, proprio in questo mese dell’anno. Io ero contenta quel giorno, mi aspettava un party la sera che attendevo da settimane, e ci sarei andata a piedi con un paio di amiche, era una camminata lunga ma piacevole, lungo un sentiero che costeggiava un fiumiciattolo e file di alberi. Ma quel giorno arrivò un tornado. Fu uno dei tornado più forti mai registrati. I miei genitori mi dissero di stare a casa, di non andare a quello stupido party, avrei avuto altre occasioni… ma io non li badai. Mi vestii e uscii sotto la pioggia e sotto il vento di nascosto, convinta che nessun tornado mi avrebbe impedito di andarci. Ma poi il vento mi mise paura e mi spaventai alla vista degli alberi che cominciavano a cadere. Per cui chiamai mio padre che, spaventato, si precipitò subito in mio soccorso. Prese la macchina e mi seguì: mi trovò paralizzata dalla paura e in lacrime. Lui mi salvò e facemmo di tutto per tornare a casa prima di piombare nel mirino del tornado. Ma non fu abbastanza. Fummo colpiti solo di lato dalla furia del tornado: l’auto cominciò a sbandare furiosamente e alla fine si ribaltò e cadde nel canale. Non era profondo, ma la botta che presi fu sufficiente a spezzarmi qualche costola e rompermi una gamba. Mio padre non fu così fortunato: la spinta del vento centrò proprio il suo lato, quello più danneggiato. Diede una botta al volante talmente forte da morire sul colpo. Vidi il suo volto perdere lucentezza mentre un rigagnolo di sangue gli bagnava la tempia. È morto così. E la colpa è stata mia»
Il silenzio che cadde dopo il racconto sembrò riempire lo spazio. Clarke si teneva la testa tra le mani, piangendo silenziosamente.
Bellamy non sapeva cosa dire.
«Clarke…» sussurrò, «Guardami»
Lei alzò lentamente la testa, gli occhi gonfi e rossi. Bellamy la vide più bella che mai, più vera che mai.
«Non è stata colpa tua» le disse, «Non potevi immaginare come sarebbero andate a finire le cose. Non è stata colpa tua» ripeté.
«Si invece… se non fosse stato per me, mio padre sarebbe ancora vivo. Sono stata una stupida a voler andare a quel party a tutti i costi»
«Si, lo sei stata. Ma eri piccola e immatura, e sono cose normali queste. Non potevi prevedere delle conseguenze così tragiche»
Lei scosse la testa e si abbandonò ad un pianto disperato.
«Vieni qui» le disse, abbracciandola.
Clarke si appoggiò a lui, aggrappandosi a quella figura che la stava proteggendo, e continuò a piangere in silenzio. Lui la strinse a sé con tutte le sue forze, appoggiandosi allo schienale e portandola con sé.
Rimasero così per un tempo che parve infinito ma poi Bellamy si accorse che Clarke si era addormentata, esausta.
Si sciolse dall’abbraccio cercando di non svegliarla e si affrettò a cercare una coperta. Ne trovò una di pile azzurra e la avvolse intorno alla ragazza, dolcemente. Si sedette per terra, incapace di smettere di fissarla. Osservandola dormire, Bellamy si sentiva in pace, si sentiva sicuro. Lei era lì. E lui era lì per lei. Le accarezzò i capelli. E capì.
Capì che Clarke Griffin aveva qualcosa che lo stava stregando, qualcosa che non lo faceva dormire la notte e che gli impediva di avere pensieri che fossero in qualche modo diversi da lei.
Bellamy Blake si stava innamorando.
 
 
 
Quando Clarke riaprì gli occhi, Bellamy non c’era. Si guardò intorno spaventata, prima di sentire la sua voce: «Sono qui Clarke»
Era seduto in parte al divano, una tazza di tè nero tra le mani. Le sorrise.
«Ti sei riposata?» le domandò, avvicinandosi.
Clarke annuì. Si sentiva esausta.
«Quanto ho dormito?»
«Un paio d’ore. Il tornado se n’è andato»
«Davvero?»
«Si, ho sentito il telefono suonare e Octavia ha chiamato»
«Sta bene?»
«Benissimo, si ferma fuori stanotte, pensa te!» esclamò imbronciato Bellamy, «Devo scoprire chi sia ‘sto Lincoln» borbottò.
Clarke rise, «Sarà un bravo ragazzo, vedrai. Non ti preoccupare»
Bellamy scosse le spalle e non poté fare a meno di sorridere. Poi si sedette in parte a lei sul divano e le chiese: «Tu invece? Come ti senti?»
«Strana» rispose, agganciandogli addosso i suoi occhi azzurri, «Grazie Bellamy. Per tutto ciò che hai fatto per me»
Bellamy sorrise, «Non ho fatto niente di speciale, credimi. Grazie a te piuttosto, per avermi confidato la tua storia»
Clarke abbassò lo sguardo: «Non avrei potuto raccontarla a nessun’altro. Sei la prima persona che sente questa storia»
«Davvero?» si stupì lui, «Perché?»
«Non lo so… so solo che quando sono con te, non ho paura di niente. Non ho paura di apparire fragile o vulnerabile. Se ho voglia di sentirmi così, lo sono e basta, sapendo che non mi giudicherai»
«I soli giudizi che potrei farti sono positivi, Clarke. Davvero»
Si sorrisero. Bellamy sentì l’impulso di baciarla e per poco non lo fece davvero.
Lei si alzò.
«È meglio che vada ora» disse.
«No, non andartene. Fermati qui stanotte» la proposta di Bellamy uscì dalle labbra prima ancora che potesse pensare di fermarla.
Clarke lo guardò stupita, «Dici sul serio?»
Lui annuì, imbarazzato. Poi riacquistò il controllo.
«Vorrei che tu rimanessi stanotte, con me»
Il messaggio che alleggiava da questa informazione era carico di significato.
Clarke gli sorrise, arrossendo. Si avvicinò a lui e lo abbracciò timidamente. Bellamy ricambiò con energia, inspirandone il profumo. E capì che sarebbe rimasta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao di nuovo :D
Un capitolo pieno di avvenimenti, che ve ne pare? Fatemi sapere la vostra!
Grazie mille a tutti quelli che leggono la mia storia, sia i nuovi lettori che quelli che mi seguono dall’inizio! Vi adoro tutti :)
Un bacione e alla prossima,
Ile

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Capitolo 9
*** Bellamy e Clarke ***


9.
 
La voce di Bellamy si incrinò leggermente: «Si, ehm…  e qui è dove puoi trovare gli asciugamani, se ti servono. Qua c’è la, ehm, doccia, si. E, ehm, è tutto… credo» borbottò, accompagnandola nel suo bagno privato, in camera sua. Immaginarla in camera sua mentre si faceva una doccia era abbastanza sconcertante per Bellamy. Ed eccitante.
Clarke gli sorrise: «Grazie» lo ringraziò.
Sembrava che la ragazza ora fosse in pace. Pareva più rilassata e a suo agio. Come se sfogarsi le avesse fatto bene; sembrava rigenerata.
E, se possibile, ancora più bella.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» le chiese, cercando di distrarsi da quei pensieri.
«Perché, cucini?» gli chiese Clarke, alzando un sopracciglio con aria divertita.
«Molto bene anche, cara la mia scettica» disse lui facendo l’offeso.
Risero entrambi, poi calò il silenzio.
«Ok, allora… io scendo e cucino qualcosa e, ehm, ti aspetto in cucina. Ciao» borbottò Bellamy e scese velocemente in cucina.
 
 
Appena si ritrovò al sicuro vicino ai fornelli, Bellamy tirò un immenso sospiro di sollievo. Clarke era lì, in casa sua, e lui le aveva chiesto di rimanere per la notte. E, cosa ancora più sorprendente, lei aveva accettato.
Che diavolo stava succedendo? C’era una sorta di eccitazione nell’aria.
Bellamy aveva timore di ciò che sarebbe potuto accadere quella notte. La sola immagine di Clarke che dormiva al suo fianco gli fece irrigidire il membro. Si riscosse velocemente. Sicuramente Clarke non avrebbe dormito con lui, ragionò. Avrebbe dovuto prepararle il letto di Octavia, anche per non metterla in imbarazzo. Un po’ gli dispiacque. Alla fine, l’aveva invitata da lui anche per sentirla più vicina a lui.
Che assurdità.
“Blake, che cazzo stai dicendo. Calmati, per l’amor di Dio, calmati”.
Cercò di concentrarsi in cucina e si affaccendò a preparare qualcosa per cena.
 
 
Dal canto suo Clarke, avvolta in un asciugamano, non riusciva a capacitarsi di essere lì con la prospettiva di rimanere la notte. Cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto?
E se lui avesse provato a…?
Rabbrividì, constatando con una certa apprensione che la prospettiva di un Bellamy a letto con lei non le sarebbe dispiaciuta affatto. In tutti i sensi.
“Clarke, controllati” si rimproverò, asciugandosi.
Dal suo zaino, afferrò la biancheria intima che si era portata dietro, un grazioso e comodo completino in pizzo, e una maglietta con un paio di pantaloni comodi. La maglietta, si rese conto con orrore, era davvero attillata. Come avrebbe fatto a nascondere le sue… doti? Uno dei limiti di un seno prosperoso, purtroppo. Avrebbe aumentato l’imbarazzo.
Forse rimanere non era stata una grande idea. Ma allora perché si sentiva in quel modo? Come se volesse stare lì e vedere ciò che sarebbe successo.
Per una volta, Clarke Griffin lasciò da parte cervello e controllo per concentrarsi sul suo cuore.
 
 
Dalla tavola un profumino invitante avvolgeva l’intero spazio. Bellamy aveva cercato di apparecchiare la tavola nel modo più carino possibile, con risultati non troppo elevati. Ma, Clarke, quando entrò in cucina, non lo notò. Si era cambiato, indossando una maglietta nera attillata che sottolineava ogni bicipite e ogni addominale. I pantaloni che aveva addosso mettevano in risalto un fisico atletico e muscoloso. Sentì qualcosa muoversi dentro di sé mentre lo guardava.
«Ehi» la salutò lui con un sorriso, «Tutto ok?»
«Benissimo» sospirò lei, distogliendo l’attenzione da quel corpo perfetto, «La doccia è decisamente migliore della mia»
«Vorrà dire che te la cederò per quando vorrai farti una doccia come si deve» sorrise Bellamy.
Clarke aveva i capelli biondi sciolti sulle spalle, dei pantaloni stretti e una maglietta deliziosa che non lasciava immaginare quasi nulla di ciò che c’era sotto. Sentì una fitta di eccitazione percorrergli il corpo.
Si affrettò dunque a servire la cena: aveva preparato fajitas messicane e ne andava palesemente fiero. Mangiarono completamente a loro agio, parlando del più e del meno.
«Bellamy, grazie. Per avermi aiutata col tornado, per avermi ascoltata, per tutto. Non sono abituata a qualcuno che si prenda cura di me» sussurrò la ragazza, guardandolo dritto in faccia.
«Clarke, tu non hai bisogno di qualcuno per sopravvivere. Sei talmente intelligente da non avere questi problemi. Ma anche tu sei umana e hai bisogno di essere protetta. E io… sono qui per questo, che tu lo voglia o no» le rispose il ragazzo, afferrandole la mano.
Si sorrisero e qualcosa, nell’atmosfera, sembrò scaldarsi.
«Ti va di guardare un film?» le chiese, cercando di apparire disinvolto, mentre in realtà fremeva per il contatto con quella mano.
«Si… di che genere?»
«Sopravvivenza?»
Lei si entusiasmò, «Fantastico! Hunger Games?»
«Fatta!»
 
 
Dieci minuti più tardi erano seduti vicini sul divano, in silenzio.
Clarke era irrequieta. La sua presenza, così vicina adesso, la tormentava. Sentiva il suo corpo fremere.
Voleva Bellamy.
Se ne rendeva conto solo adesso. Voleva sentirlo vicino, baciarlo, sentire come la stringeva.
Bellamy non fece neanche in tempo a mettere play, che la ragazza lo guardò fisso negli occhi, avvicinandosi a lui.
«Bellamy…» sussurrò, lentamente.
Lui voltò la testa di scatto, notando quanto Clarke gli fosse vicina e sentendo un moto di eccitazione e desiderio scoppiargli dentro.
«Clarke…» sussurrò, una mano corse velocemente ad accarezzare il viso di lei.
Le loro teste erano vicinissime.
Clarke sorrise.
«Che sta succedendo?»  gli chiese.
«In che senso?» rispose Bellamy, incapace di smettere di sorridere.
«Tra di noi, io…»
«Non lo so, Clarke…» disse avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra, la mano sempre sul suo viso «So solo che…»
Ma Bellamy fu interrotto dalla porta di ingresso che si spalancò improvvisamente: Octavia e una serie notevole di amici piombarono in casa facendo un gran baccano. Bellamy e Clarke si allontanarono alla velocità della luce, alzandosi di colpo dal divano, ai poli opposti della stanza.
«Clarke! Che ci fai qui?!» domandò Octavia stupefatta, lanciando un’occhiata al fratello.
«Oh, io… Bellamy mi ha aiutata con il tornado. Io non ho un rifugio per queste emergenze» balbettò Clarke, imbarazzata.
Come aveva fatto a non pensare ad Octavia? Probabilmente non sarebbe stata affatto felice di sapere di loro due.
Loro due.
Clarke arrossì fino alla radice dei capelli per averlo pensato.
Ma cosa c’era tra di loro?
«Beh, hai fatto benissimo! Ehi Bellamy ti devo presentare qualcuno… lui è Lincoln!» annunciò Octavia, spingendo verso il divano un ragazzo alto e palestrato.
«Ehi…» borbottò il ragazzo tatuato, per niente contento di quella presentazione in famiglia.
Bellamy cambiò espressione.
«E chi diavolo saresti?» commentò, aggressivo.
«Lui è il mio ragazzo, Bellamy» sibilò Octavia, rivolgendogli un’occhiataccia.
«Come sarebbe a dire “il tuo ragazzo”?» borbottò Bellamy, entrando in modalità “fratellone iperprotettivo”
«Bellamy, posso parlarti un attimo? Piacere di conoscerti Lincoln» esclamò Clarke mettendo fine a quella quasi discussione.
Trascinò Bellamy vicino alla porta di ingresso e lo osservò divertita mentre sbirciava Lincoln di sottecchi.
«Bellamy, io… vado a casa ora» gli comunicò.
L’espressione rabbiosa di Bellamy si trasformò in delusione.
«Cosa? E perché?»
«È meglio così, credimi» constatò Clarke. Prese lo zaino che aveva lasciato accanto alla porta di ingresso. Si alzò sulle punte e gli diede un tenero bacio sulla guancia, che fece infiammare il ragazzo.
«Ci vediamo» sorrise, e poi tornò a casa sua.
 
 
Quando piombò in casa sua, Clarke corse subito in camera e si buttò sul letto. Si sentiva strana. Possibile che l’odio che aveva sempre provato verso Blake, ora si stesse trasformando in qualcos’altro? Perché lei si rendeva conto di troppe cose… Le piccole rughe che spuntavano sul suo volto quando sorrideva, i capelli scuri che a volte gli coprivano gli occhi… e gli occhi. Clarke avrebbe potuto scrivere una tesi su quegli occhi. Così scuri, così penetranti… così intensi. Occhi che sembravano scrutarla, leggerla dentro. Occhi che Clarke non vedeva l’ora fossero posati su di lei.
E pensare che un attimo prima si stavano per baciare…
Maledetta Octavia e il suo pessimo tempismo…
Chissà cosa provava Bellamy?
La risposta le arrivò in un batter d’occhio.
Un forte bussare alla porta.
Possibile che fosse Bellamy? Si domandò Clarke speranzosa.
Corse ad aprire e lui era lì. Di fronte a lei, un sorriso di scusa stampato in faccia e gli occhi scintillanti.
«Bellamy» balbettò Clarke, stupefatta, sentendosi arrossire, e facendolo entrare e chiudendo la porta, «Cosa…?»
Lui piombò dentro e le si avvicinò pericolosamente.
«Clarke. Non riuscivo più ad aspettare. Non ho finito di dirti ciò che volevo, prima. Io non so cosa stia succedendo. So solo che penso a te costantemente, Principessa. E l’unica cosa che sogno, è baciarti» confessò il ragazzo, gli occhi puntati su di lei.
«Bellamy, io…» balbettò la ragazza, rossa in faccia e imbarazzata.
Ma Bellamy non si aspettava una risposta. Le prese il volto tra le mani e le diede un dolce, dolcissimo bacio sulle labbra. Seguito da un altro e un altro ancora. Baci piccoli, leggeri, delicati. Le loro bocche che improvvisamente danzavano assieme, sempre più aperte e speranzose.
Clarke sentiva che anche lei aveva atteso a lungo quel momento, il sapore di Bellamy era il migliore del mondo. Lui, così vicino, era un sogno.
Si fece coraggio e gli buttò le braccia al collo, baciandolo a sua volta, con più desiderio di quanto lei stessa immaginasse.
Il ragazzo accolse volentieri quell’ardore, lo stava trattenendo lui a stento, appoggiando le mani sulla sua schiena e stringendola a sé il più possibile. La spinse sul muro con foga, continuando a baciarla, le mani che percorrevano quella schiena e quei fianchi, senza osare di più. Clarke gli afferrò la testa, affondando le mani nei suoi capelli. Le loro bocche divennero avide, insaziabili. Si morsero a vicenda, ridendo, desiderosi di esplorare quanto più possibile dei loro corpi. Le loro lingue si incontrarono per la prima volta ed entrambi furono sommersi da una scarica di eccitazione incredibile.
Bellamy si costrinse al controllo, mentre con ogni fibra del suo corpo voleva trascinare Clarke sul letto.
Clarke da parte sua, fece altrettanto, un po’ stupita da tutta quella passione da cui si sentiva travolgere nei confronti del suo vicino di casa.
La passione li travolse, come se entrambi non avessero aspettato altro che quel momento.
E in effetti, era proprio così.
«Clarke… Finalmente» sussurrò Bellamy, appoggiando la fronte a quella di lei, per riprendere fiato.
«Vuoi rimanere stanotte?» chiese Clarke di getto, insieme eccitata e spaventata.
Lui la guardò e la scrutò, come per assicurarsi che non stesse sognando.
Lei rispose a quell’incertezza afferrandogli il volto tra le mani e baciandolo molto lentamente. Bellamy pensò di impazzire dall’eccitazione, le mani che accarezzavano una schiena per lui incredibilmente sexy.
«Si…» sussurrò, guardandola negli occhi, «Si»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti! :D
Eccomi con il nuovo capitolo… che ne pensate?? Finalmente il bacio Bellarke! <3 Vi è piaciuto?
Sono stata super veloce ad aggiornare, come potete vedere, ma ero super ispirata ahaha :)
Fatemi sapere che ne pensate! Attendo con ansia le vostre opinioni! Per me è stato un capitolo molto bello da scrivere, spero altrettanto per voi da leggere!
Un bacio gigante,
Ile

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Capitolo 10
*** Fraintendimenti ***


10.
 
Le labbra di Bellamy raggiunsero quelle di Clarke, impazienti. Dio, non riusciva a staccarsi da quelle labbra perfette.
“Blake, controllati” si ammonì il ragazzo, per l’ennesima volta da quando Clarke era entrata nella sua vita.
Clarke gli sorrise e il cuore di Bellamy sembrò riempirsi improvvisamente, come se fino a quel momento fosse stato vuoto.
«Sai, Bellamy, è strano…» gli sussurrò, guardandolo negli occhi.
«Cosa?»
Lei stava preparando un tè caldo e lui semplicemente la fissava, beato, seduto su uno sgabello della cucina. Clarke arrossì a quello sguardo.
«Noi due… è strano, non trovi?»
«Sinceramente non riesco a pensare a nulla di meno strano in vita mia» sorrise lui.
«Davvero?»
«È da quando sei arrivata alla mia festa ad urlarmi contro che immagino di saltarti addosso, detta tra di noi» le confidò sorridendo, spavaldo.
Ma lei lo sorprese. Gli si avvicinò sorridendo e gli gettò le braccia al collo.
«Ma davvero? E cosa immaginavi di fare, sentiamo?» gli sussurrò all’orecchio maliziosa.
«Sono un signore io, non dico certe cose» scherzò Bellamy, mentre lottava per contenere l’erezione che rischiava di mostrarsi.
«E allora non mi interessa» obiettò Clarke allontanandosi e facendogli una linguaccia.
Ed eccoli lì.
Bellamy sentiva che avrebbe potuto rivivere scene come quella per ogni giorno della sua vita.
 
 
Dopo il tè, i due ragazzi si sedettero sul divano in un silenzio di complicità.
Fosse stato per l’eccitazione del momento, Clarke lo avrebbe trascinato in camera sua in due secondi, ma voleva andarci piano. Aveva avuto qualche esperienza di una sola notte, ma non si sentiva del tutto a suo agio e soprattutto… non con Bellamy.
Non voleva una cosa da una notte, voleva aspettare e far crescere quel sentimento che le squarciava il petto. Voleva lui. Capire cosa gli frugasse in testa, conoscerlo davvero.
E aveva paura che in qualche modo Bellamy non potesse provare le stesse cose. Forse voleva solo sesso, come con Raven… forse non gli importava così tanto, lo diceva solo per portarsela a letto.
Odiava sentirsi così vulnerabile.
Lei era sempre così sicura, così decisa.
Nessun ragazzo le aveva mai messo in testa certi dubbi.
Ma lui sembrava così tranquillo, osservò lei guardandolo ridere ad una scena del film. Le aveva messo un braccio intorno al collo e la stringeva a sé, come se avesse paura di farla scappare.
Clarke stava per dargli un altro bacio quando un rumore la catturò: una portiera di una macchina. Erano le undici e mezza di sera e solo una persona al mondo poteva piombare a casa sua a quell’ora.
«Oddio Bellamy! C’è mia madre! Devi andartene!» biascicò facendolo alzare dal divano.
«E che problema c’è? Mi presento, no?»
«Tu non la conosci! Andrebbe fuori di testa sapendo di un ragazzo in questa casa!» sbuffò Clarke spingendolo dalla porta sul retro.
«D’accordo, d’accordo! Mi arrendo… ti chiamo dopo?» le domandò alzando le braccia in segno di resa.
«Ok, a dopo!»
Clarke fece per voltarsi e tornare in casa, ma lui la afferrò per un gomito e le diede un lungo bacio.
«Si, decisamente a dopo» sussurrò sorridendole.
Clarke arrossì e scappò via.
 
 
Abby entrò in casa come una furia, gli occhi spalancati per l’agitazione.
«Clarke, oddio stai bene? Ero così preoccupata!» esclamò abbracciandola di corsa.
La ragazza strinse la madre sorridendo pacatamente, «Sto bene mamma»
Abby la guardò.
«Ehi, hai tutte le guance arrossate. Che succede?»
Clarke si sentì arrossire ancora di più.
«N-niente, perché?»
Abby la guardò di sottecchi, poi decise di far finta di niente.
«Tesoro, sono venuta qui stasera per accertarmi che stessi bene ma anche per dirti un’altra cosa… io e Markus ci sposiamo!»
Il colore sulle guance di Clarke si dissolse rapidamente.
«Vi sposate?» balbettò.
«Si! Non sei felice?»
 
 
Un’ora più tardi Clarke si chiuse la porta alle spalle con un gran sospiro. Sua madre si sarebbe sposata. O meglio, risposata.
Era una notizia molto dolorosa da digerire, anche se comprendeva che fosse un avvenimento normale per sua madre. Aveva apprezzato la discrezione di Kane che aveva accompagnato sua madre fin lì quella sera ma aveva aspettato in macchina per non mettere in imbarazzo Clarke nel ricevere la notizia.
Aveva bisogno di parlarne con Bellamy. Ma non aveva voglia di chiamarlo, voleva vederlo.
Sbirciando dalla finestra, vi era una piccola luce proprio in camera del ragazzo. Il resto era immerso nell’oscurità.
Uscì in giardino e scavalcò il recinto sul retro per entrare nella proprietà dei Blake. Si chiese dove fosse Octavia, ricordando poi quel fusto tatuato di nome Lincoln e dandosi una veloce risposta.
La porta sul retro era aperta, per cui Clarke entrò senza fare rumore. Si sentiva una ladra ad entrare così di nascosto, ma gli piaceva l’idea di piombare in camera sua senza che lui se l’aspettasse.
Salì silenziosamente le scale e con un sorriso aprì la porta della camera di Bellamy.
Ma non trovò Bellamy.
Trovò Raven.
Nel suo letto.
Nuda.
 
 
*
 
 
Bellamy entrò in casa con un sospiro divertito, lanciando uno sguardo verso casa Griffin e domandandosi se avesse appena lasciato Clarke a subire un feroce interrogatorio.
Non fece neanche in tempo a sedersi sul divano che trillò il campanello e il ragazzo si trascinò ad aprire.
«Kane! Signore!» esclamò, correggendosi in fretta.
Il suo capo gli stava di fronte, in borghese, uno sguardo soddisfatto stampato in faccia.
«Ciao Bellamy. Scusami se piombo a casa tua a quest’ora ma ho trovato propizio il momento e volevo darti una grande notizia»
Il pensiero di Bellamy corse ad Abby Griffin e ad un possibile matrimonio, forse? O un pargolo? Come avrebbe reagito Clarke?
«Non ti preoccupare, niente di personale. Non per me almeno. Ma ti ricordi quella promozione a detective che speravi di ottenere? Beh, è tua. Abbiamo deciso di darti questa chance perché te la meriti Bellamy, sei coraggioso e leale. La decisione è stata presa qualche giorno fa ma con il tornado non c’è stata un’occasione propizia, per cui ne ho approfittato per dirtelo stasera. Inoltre» aggiunse dopo questo fiume di parole, «Abbiamo deciso di premiarti con un viaggio di una settimana alle Maldive. In questa busta ci sono tutte le informazioni che ti servono, più un modulo per la persona che deciderai ti accompagnerà. Congratulazioni, Detective Blake» esclamò sorridendo Kane, «Te lo sei meritato»
Quando Bellamy si chiuse la porta alle spalle, pensava di essere in un sogno assurdo. Sul serio? Kane a quell’ora a casa sua? Per dargli una notizia del genere?
Era senza parole.
Era incredibile! Aveva sempre sognato di diventare detective, aveva fatto il filo a quel posto per un sacco di tempo anche nella città precedente, e adesso finalmente era diventato realtà!
Non riusciva a crederci, doveva assolutamente dirlo a Clarke!
Quanto sarebbe stata contenta di venire alle Maldive insieme a lui? Si sentì entusiasta ed eccitato solo all’idea… una settimana intera da soli! Lui e Clarke.
Le avrebbe fatto una sorpresa, si decise. Afferrò il modulo dalla busta che gli aveva consegnato Kane e compilò tutto con i dati di Clarke.
Oh sì, non vedeva proprio l’ora!
 
Decise di farsi una doccia e di stendersi a leggere un po’ nell’attesa che Clarke lo contattasse. Ma quando aprì la porta della camera, ciò che trovò fu Raven nuda nel suo letto.
«Che cazzo ci fai tu qui?!» domandò imprecando.
Lei sorrise civettuola, «Sono venuta a festeggiare, no? Detective?»
«E tu come fai a saperlo?»
«Dimentichi il mio lavoro di meccanico alla centrale? Io so sempre tutto» sussurrò la ragazza, alzandosi e venendogli incontro.
Bellamy alzò le mani in segno di scusa.
«Mi dispiace Raven ma…»
«Andiamo Bellamy, non fare il guastafeste! Lo so che mi desideri»
Le labbra della ragazza si avvicinarono pericolosamente all’orecchio di lui. Le sue braccia gli circondarono il collo.
«Raven…» mormorò Bellamy sciogliendosi da quel contatto, «Mi dispiace ma c’è una persona adesso e… voglio capire cosa sta succedendo tra di noi. Non posso farlo, mi dispiace»
«Senti, senti… Bellamy Blake diventa ufficialmente una persona affidabile?» obiettò Raven, le braccia incrociate al petto.
«Ascoltami, non voglio rendere la situazione più imbarazzante di quanto non sia già. Ora vado a farmi una doccia e quando esco mi piacerebbe vederti con dei vestiti addosso. Non che non sia un belvedere eh…»
«D’accordo Bell, hai vinto» esclamò Raven con un sorriso di scusa, le mani alzate in segno di resa, «Mi rivesto»
Bellamy la ringraziò e sparì in bagno, lo scroscio dell’acqua sempre più forte.
Raven si stese sul letto, imprecando. Che smacco. Pensava che Bellamy fosse disponibile per una sana scopata e invece si era sbagliata.
“Beh, meglio rivestirsi e sparire. Sarà per la prossima volta!” pensò la ragazza.
Ma proprio mentre si stava alzando dal letto si aprì la porta della camera e Clarke Griffin le si presentò davanti, lo sguardo dapprima confuso e poi feroce.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao ragazzi! :D
Scusate il ritardo, sono stata impegnata con la terribile sessione estiva!
Che ne pensate di questo capitolo?
Grazie mille a tutti quelli che leggono questa storia e soprattutto a chi si prende un momento per commentarla!
Vi abbraccio tutti,
Ile

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Capitolo 11
*** Promesse ***


11.
 
Clarke si paralizzò di fronte al corpo nudo, e perfetto, di Raven. Mentre sentiva una rabbia feroce prendere possesso della sua mente, Bellamy uscì dal bagno, con solo dei boxer addosso, asciugandosi i capelli.
Appena si rese conto della situazione, si voltò verso Clarke.
«Clarke! Ferma, non è come pensi» esclamò, guardandola implorante affinché lei capisse.
La ragazza si limitò a guardarlo, i pugni talmente stretti da aver fatto diventare bianche le nocche. Lo sguardo era feroce ma impassibile.
«Davvero Clarke, non è come pensi» si scusò anche Raven, le mani in segno di resa, consapevole di essere al centro di un bel casino.
«Buona serata» disse semplicemente Clarke, senza mai staccare gli occhi dal ragazzo, «Non voglio vederti mai più» aggiunse, chiudendo la porta dietro di sé con un tonfo.
 
Bellamy rimase immobile a guardare la porta per qualche secondo prima di precipitarsi fuori.
«Clarke!» gridò, «Fermati! Ti prego, aspetta! Lasciami spiegare!»
Ma per quanto avesse fatto in fretta, si ritrovò ad urlare contro una porta chiusa.
«Clarke, stai fraintendendo tutto! Non ho fatto niente, te lo giuro!»  gridò, battendo un pugno sulla porta.
«Ah quindi Raven ci è finita per sbaglio nuda nel tuo letto?» sbraitò Clarke dietro la porta chiusa, sentendo le lacrime riempirle gli occhi.
Un’altra delusione. Da Bellamy, poi. Perché? Si sentiva così ferita, nonostante la loro storia fosse all’inizio di tutto ancora.
«Clarke, fammi entrare, ti prego. Lasciami spiegare»
«Vattene Bellamy»
«Clarke…ti prego»
La ragazza si stava trattenendo a stento dall’aprire la porta. Per quanto fosse infuriata, non riusciva a credere che Bellamy potesse aver fatto una cosa del genere, non dopo le giornate appena trascorse e il modo in cui il ragazzo la guardava.
Ma d’altra parte… come spiegare quella scena appena vista? Lui appena uscito dalla doccia, lei nuda sul letto. Sembravano una coppia, perfetta per giunta.
Non voleva parlargli adesso, non poteva proprio.
«Vattene Bellamy» ripeté, anche se con meno convinzione della volta precedente.
Lui sembrò percepire qualcosa e si arrese.
«Ok Clarke… ma non ti libererai di me così facilmente»
E la ragazza sentì i suoi passi allontanarsi.
 
Il giorno seguente, calde lacrime continuavano a bagnarle le guance. E lei si odiò perché non riusciva a sopportare la propria debolezza, neanche quando era lei l’unica ad assistervi.
Eppure con Bellamy ti sei mostrata fragile.
La vocina nella sua testa si sentì in dovere di farle notare quel particolare.
Doveva sfogare la sua rabbia e il suo dolore.
Si rifugiò in camera sua, dove afferrò un bloc-notes e dei pastelli. Si sedette alla finestra, come era solita fare nelle sue tante notti d’insonnia, come quella appena trascorsa, e si immerse nell’arte.
Disegnò suo padre, il tramonto che avvolgeva il fiume, una ragazza in lacrime… e Bellamy. Non se ne rese conto fino a quando non vide delinearsi il suo profilo e non vide la matita nera concentrarsi sui suoi occhi scuri.
Bellamy Blake.
Si voltò verso la casa del ragazzo e con sua grande sorpresa lo vide appollaiato alla finestra, lo sguardo rivolto a lei. Era uno sguardo deciso, rifletté, non uno sguardo disperato o colpevole. E Clarke aveva imparato a cogliere le emozioni del ragazzo grazie ai suoi sguardi.
Improvvisamente però Bellamy sparì e dei colpi alla porta le annunciarono la sua presenza.
Si precipitò di sotto.
«Clarke» la voce di Bellamy risuonò forte e decisa, «Aprimi, per favore»
Stavolta la ragazza si decise. Appena aprì la porta però Bellamy l’aveva stretta a sé, le sue labbra già contro le sue. La baciò con tale slancio da farla rientrare in casa.
Clarke si spostò da quelle labbra e fece per parlare ma lui la zittì, anticipandola:
«Clarke, è dal primo momento in cui ti ho vista che desidero stare con te… secondo te rovinerei tutto per Raven? Siamo stati a letto insieme, è vero, ma non è più successo, te lo giuro. Lei si è presentata da me perché ha saputo della mia promozione e voleva festeggiare. Si è presentata nuda nel mio letto, ma non l’ho toccata. Lei non sapeva che io stessi con qualcuno e appena l’ha saputo se ne stava andando. Credimi Clarke, non potrei neanche pensare di stare con un’altra persona, sei nella mia testa 24 ore al giorno. Sei tu quella che voglio, il sesso facile non mi interessa più»
Clarke rimase in silenzio, soppesando le parole del ragazzo con estrema attenzione.
«Come faccio ad essere certa che tu non mi stia mentendo? O che tu non mi stia facendo questo bel discorsetto solo per scopare con me?» domandò, fredda.
«Devi solo fidarti di me, Clarke, per quanto difficile possa essere. A me interessi solamente tu e ti assicuro che non dico mai cose del genere»
La ragazza continuò a fissarlo intensamente, per cui il ragazzo si sentì improvvisamente denudato e senza difese, come se lei gli leggesse dentro.
«Ok… ti credo» sentenziò infine.
Il cuore di Bellamy fece una capriola.
«Ottima scelta, Principessa» disse sorridendo.
Poi le si avvicinò lentamente per baciarla, ma Clarke si scostò.
«Promozione?» domandò accennando un sorriso.
«Sono il detective Blake ora, signorina» esclamò lui ridendo, sollevato.
«Complimenti… Detective Blake» gli sorrise Clarke.
Lui fece per baciarla di nuovo, ma lei si scostò ancora una volta.
«Non così in fretta Detective» lo canzonò.
«Cosa devo fare per convincerti?» le chiese, un sopracciglio alzato e le braccia incrociate al petto.
«Mmmmm, non lo so. Ci vorrebbe qualcosa di speciale» disse Clarke, fingendo di essere profondamente concentrata.
Nel profondo, aveva creduto subito a Bellamy, ma preferiva tenerlo un po’ sulle spine, onde evitare di immergersi completamente in lui dopo così poco tempo.
«Basta una settimana alle Maldive?»
Clarke per poco non si slogò la mascella per quanto la spalancò.
«Come scusa?» domandò, sconvolta.
«È il premio per essere diventato Detective. Mi hanno offerto un viaggio di una settimana e mi hanno chiesto chi avrei voluto al mio fianco e… beh, ho scelto te» mormorò Bellamy, improvvisamente sulle spine.
La mascella di Clarke quasi toccava terra. Poi si rese conto che così non sarebbe sembrata affatto attraente, per cui si affrettò a richiuderla.
«Hai scelto me? Davvero? Non Octavia?» domandò, scossa e lusingata.
Il ragazzo si avvicinò, le mani le accarezzarono il volto arrossato.
«Voglio te, Clarke» le confidò, semplicemente.
La ragazza non sarebbe stata in grado di spiegare l’onda di emozioni che la travolse in quel momento. Aveva paura, tanta. Di cedere il suo cuore a quel ragazzo che sembrava così perfetto per lei. E il fuoco che sentiva dentro? Quello era di tutt’altra origine.
Clarke era una ragazza cerebrale e razionale, tutt’altro che istintiva. Soppesava ogni parola, ogni emozione con la dovuta cautela. Per cui si stupì di sé stessa quando si sentì baciare quel ragazzo stupendo con tale foga da farlo barcollare.
Lui era Bellamy. Non le avrebbe fatto del male, non l’avrebbe ferita. E lei ci credeva.
 
 
Molto più tardi, Bellamy la guardava disegnare con aria pensosa e stanca. Non doveva aver dormito molto, pensò, sentendo una fitta di colpa.
«Stai bene?» le chiese.
Clarke alzò la testa bionda dal foglio e sorrise mestamente:
«Si, tutto ok. Credo» rispose, imbarazzata.
«Com’è andata con tua madre?»
Il sorriso di Clarke svanì.
«Non troppo bene… sai, lei e Markus si sposano» snocciolò.
«Sul serio?»
«Si ma niente di che, davvero» tentò di minimizzare lei con la mano.
«Non penso sia una cosa da niente, Clarke»
Lei scosse la testa e Bellamy capì che l’argomento era chiuso. Lei si era chiusa a riccio, nonostante avesse condiviso quella notizia con lui. Doveva essere molto dura per lei, immaginare la madre con un’altra persona e non con suo padre.
La corazza di Clarke si presentava con una regolarità imbarazzante quando si trattava di suo padre, di questo Bellamy era consapevole. E giurò a sé stesso che l’avrebbe amata al punto da concederle di aprire quella corazza a lui e di consentirgli di sostenerla.
Anche lui aveva i suoi demoni, però. E sentiva che condividendoli lei lo avrebbe fatto sentire meglio e l’avrebbe trasformato in un uomo migliore.
Con quei pensieri le si avvicinò e le sfiorò le labbra con un bacio, inspirandone il profumo.
«Sono qui» le disse, e tutte le promesse sembravano già sancite.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti :D
Scusate il ritardo ma ho avuto davvero pochissimo tempo a disposizione!
Grazie a tutte le persone che hanno scoperto questa storia, a chi la sta leggendo da un po’, a chi mi fa sapere che ne pensa! Grazie di cuore, spero che la mia storia possa continuare a piacervi!
Vi abbraccio,
Ile

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Capitolo 12
*** Maldive ***


12.
 
La sabbia scottava, sembrava di camminare su zucchero caldo tanto era bianca. E bollente. Ma niente sembrava disturbare quella pallida quiete estiva. La spiaggia, seminascosta dagli alberi, era deserta. Il vento ogni tanto faceva ondeggiare qualche palma, per poi tornare fermo e silenzioso.
Davanti a quella visione, Bellamy Blake si paralizzò, estasiato dal fatto che ci fosse tanta bellezza nel mondo.
Erano arrivati alle Maldive quella stessa sera, da poco più di due ore. Il sole già scaldava i loro corpi spossati dal viaggio, in contemplazione di quella meraviglia naturale.
Il loro albergo situava poco distante da lì: una nuvola di terra avvolta dal mare.
«Che dici? Raggiungiamo l’albergo?» domandò Clarke entusiasta, coprendosi dal riflesso con il palmo della mano.
Aveva delle occhiaie scure intorno agli occhi, ma l’umore alle stelle. I capelli biondi svolazzavano sulle spalle.
Bellamy rabbrividì all’idea di passare un’intera settimana con Clarke. Avrebbero dormito nella stessa camera? Non sapeva come l’azienda avesse organizzato tutto, ma se lo augurava di cuore. La desiderava.
Annuì alla richiesta di Clarke e si diressero all’albergo. La reception era una semplice casetta bianca con gli interni in legno. Una giovane donna stava loro sorridendo, in attesa.
«Buongiorno, sono Bellamy Blake. Dovrei avere una prenotazione a mio nome»
«Detective Blake! Ma certo! Benvenuto alle Maldive! La accompagno subito alla sua suite»
Bellamy e Clarke si guardarono. Una suite? Sul serio? Soffocarono una risatina nervosa.
«Spero che il viaggio sia stato piacevole» sorrise la receptionist dando loro la chiave.
«Assolutamente» rispose Bellamy e dentro di sé continuò a sentire quel fremito di eccitazione. Stava implorando la receptionist di dargli la chiave della camera.
Fortunatamente le sue preghiere furono esaudite. Il ragazzo afferrò la chiave e poi lui e Clarke si diressero all’ultimo piano del palazzo. Appena varcarono la soglia della camera spalancarono la bocca in segno di incredibile sorpresa. Lo stile liberty-elegante della suite padronale era abbagliante e di una bellezza tale da mozzare il fiato. Vi era un enorme letto a baldacchino al centro della stanza, un bagno padronale grande quasi quanto un’altra camera, un soggiorno e un terrazzo enorme con piscina a filo e vista sull’acqua trasparente.
«Ma è meraviglioso» biascicò Clarke sorridendo.
Bellamy la guardò con un sorriso divertito, «…è anche interessante. C’è un solo letto Principessa, hai visto?»
Lei alzò un sopracciglio, «Dove vorresti arrivare Blake?» gli chiese.
Lui appoggiò la valigia e si avvicinò lentamente. Le appoggiò le mani sui fianchi e la spinse delicatamente sul letto.
«Mmmm… hai qualche sospetto?» le sussurrò all’orecchio, mordendoglielo dolcemente.
Clarke stava annaspando dall’emozione, e stava cercando di trattenersi dallo spogliarsi seduta stante. Sorrise e gli disse: «Sembra che tu voglia sedurmi»
Bellamy sorrise e la baciò. Le loro lingue avide cominciarono ad intrecciarsi. Le mani del ragazzo si fecero voraci e avide e raggiunsero la camicetta di Clarke. Lei gli lasciò sbottonare due bottoncini prima di fermarlo.
«Non essere ingordo Blake… abbiamo tutta la notte» gli disse sorridendo.
Bellamy ingoiò a fatica, eccitato ed emozionato come mai prima d’ora. Quella sicurezza gli piaceva.
«Non pensare di scapparmi… neanche per un secondo»
 
 
*
 
Ebbero appena il tempo di ricomporsi e disfare le valigie prima di essere contattati dalla receptionist per essere avvisati della cena.
Clarke optò per in vestito azzurro stretto in vita che le risaltava gli occhi chiari. Le metteva in risalto il seno e la vita e i tacchi le slanciavano la figura. Aveva scelto con cura uno dei tanti completini intimi che si era portata via per l’occasione: blu notte, di pizzo.
Bellamy invece aveva scelto una camicia semplice bianca e un cravattino nero. “Semplice ed elegante”, si disse, domandandosi anche perché andare a cena quando avrebbe voluto stare chiuso in quella camera con Clarke per il resto dei suoi giorni.
L’idea di cose sarebbe successo dopo cena lo stava logorando.
 
 
*
 
 
La cena fu deliziosa proprio come da aspettative.
«Mi sembra incredibile essere qui con te Blake» disse Clarke sorseggiando un bicchiere di prosecco. Avendo la suite, avevano diritto a cene a lume di candela in riva al mare. Davanti a loro la distesa d’acqua cristallina oscurata dalla notte e una lieve brezza, accompagnata dalla luce lunare.
«Sembra tutto perfetto» aggiunse poi, guardandolo negli occhi.
«Tu sei perfetta» disse il ragazzo, lo sguardo serio.
Clarke arrossì e smorzò la tensione con una risata, «Che esagerato!»
«Vorrei esserlo. Ma l’unica cosa a cui penso da quando ti ho vista la prima volta sei tu. Continuamente. E sto solo aspettando che questa cena finisca perché voglio portarti di sopra e fare l’amore con te. Diverse volte»
Lo disse con una tale naturalezza e serietà che Clarke arrossì ancora di più.
«Bellamy, io…»
«Io ti voglio Clarke Griffin»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Era da una vita che non scrivevo, invoco perdono! Purtroppo è stato un periodo molto difficile per me e per la mia famiglia!
Ma ora sono tornata e attendo spasmodicamente i vostri commenti!
Grazie mille a tutti coloro che leggeranno ancora questa ff!
Bacioni,
Ile

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Capitolo 13
*** Sesso ***


13.
 
 
Clarke non sapeva cosa dire. Si sentiva paralizzata dallo sguardo magnetico di Bellamy, come se fosse inchiodata alla sedia.
«Ti va di passeggiare?» le chiese il ragazzo, senza aspettare una risposta.
Clarke annuì, ancora troppo imbarazzata per parlare.
Si alzarono dal tavolo e si avvicinarono al mare turchese. L’aria fresca sferzava tra i loro capelli come se li stesse accarezzando. Bellamy si avvicinò a lei e le prese la mano. Quel contatto la fece rabbrividire.
«Non ti volevo spaventare» le sussurrò, guardandola di sottecchi.
«Non sono spaventata. Con te non ho paura» gli disse lei.
Lui le sorrise: «Pensavo di aver detto troppo»
«Non sono abituata ad esprimere i miei sentimenti. Sono fatta così. Mi tengo tutto dentro e cerco di capirci qualcosa, difficilmente faccio fuoriuscire tutto quanto. Mi ha solo sorpresa, tutto qui»
«Spero in positivo»
Clarke si fermò a guardarlo, le guance arrossate.
«Condivido ogni singola parola che hai detto» sussurrò.
«Davvero?»
Il respiro di Bellamy sembrava improvvisamente irregolare. Clarke cercò di calmare l’eccitazione che la stava logorando. Si alzò sulle punte dei piedi e improvvisamente la sua bocca era a contatto con quella del ragazzo.  Bellamy rispose con foga a quel contatto, la sua lingua avida che esplorava la bocca di lei. La strinse a sé percependo quanto fosse già eccitato. Le sue mani trovarono la sua schiena, i suoi capelli e il suo corpo eccitato quanto il suo.
Si staccarono un secondo, gli occhi abbaglianti, le dita intrecciate.
«Ti va di… rientrare?» le sussurrò il ragazzo, appoggiando la fronte contro la sua.
Clarke annuì.
Bellamy la prese per mano.
 
 
*
 
 
Non fecero parola durante il tragitto, ma le loro mani rimasero intrecciate, come se stessero già conversando a sufficienza.
Con qualche sorriso nervoso, furono in camera.
Clarke chiuse la porta dietro di sé e Bellamy le si parò davanti. Le afferrò il volto tra le mani, spingendola contro la porta. La sua bocca era sempre più impaziente ed avida e Clarke vi si tuffò.
«Clarke…» riprese fiato lui.
«Si?»
Si allontanò un attimo per guardarla.
«Sei bellissima»
Lei gli sorrise e fece per rispondergli ma lui la interruppe.
«No, ascoltami. Io ti voglio. Voglio tutto di te. Voglio averti e fare l’amore insieme a te. Ma voglio anche vederti piangere quando ne avrai bisogno e sentirti ridere perché ti faccio stare bene. Con te è diverso e io voglio tutto questo»
«Bellamy, io voglio esattamente le stesse cose. Ma adesso, in questo momento, vorrei solo essere con te su quel letto»
Le parole di Clarke uscirono prima che se ne rendesse conto.
Fecero subito effetto.
Bellamy si tuffò su di lei in un abbraccio e in un attimo si ritrovarono sul letto. I loro respiri erano mozzati dall’eccitazione e dall’emozione. Il ragazzo sentì la sua erezione premere sempre più forte e i muscoli del suo corpo irrigidirsi.
Dolcemente le sfilò il vestito azzurro, facendo rimanere la ragazza con il completino di pizzo che aveva scelto. Fu incantato da quella visione: Clarke, lì, nel suo letto. La ragazza dei suoi sogni che aspettava lui e voleva lui, lo stava guardando con occhi emozionati. Le sue forme piene lo colpirono come un fulmine e si sentì ancora più emozionato.
Clarke spogliò Bellamy con furia, incontrando i suoi muscoli tonici e dei boxer che evidenziavano la gioia che lui stava provando in quel momento.
Fu quando baciò il suo petto scolpito che si rese conto di quanto lei fosse contenta, di quanto si sentisse a suo agio, di quanto volesse quel ragazzo con tutta sé stessa.
Bellamy Blake, l’unico ragazzo al mondo in grado di capire Clarke Griffin.
Piano piano, anche gli indumenti intimi sparirono. Entrambi si guardavano come se non avessero mai visto niente di più bello al mondo. Le mani di Bellamy la sfioravano e la eccitavano. Corsero sui suoi seni e tra le sue gambe e le fecero inarcare la schiena dal piacere. Poi Clarke si avvicinò al membro di Bellamy e lo stuzzicò lentamente, prima con le dita e poi con la lingua, sentendo il ragazzo fremere di eccitazione mentre lei gli dava piacere. Il ragazzo poi la fermò e la fece distendere nuovamente, per assaggiarla. Clarke si trattenne dall’urlare, si trattenne per non raggiungere l’orgasmo prima del dovuto. Lo accolse dentro di sé, accolse il suo membro e si lasciò cullare dalle spinte del ragazzo dentro di lei, sentendolo sempre più dentro sé stessa. Lui ansimava leggermente e la baciava, prima le labbra e poi il collo.
A mano a mano che le spinte si facevano più intense e il respiro si affannava, Bellamy Blake si rendeva conto di non aver mai provato niente del genere per nessuna ragazza prima di allora.
E fu con questo strano pensiero che si fermò e guardò la ragazza sotto di sé, gli occhi chiusi e l’espressione contratta per il piacere.
La baciò lentamente, il più dolcemente possibile, intrecciando le dita alle sue e riprendendo dolcemente le spinte che consentivano ai loro corpi di fondersi in uno solo.
«Ti amo, Clarke»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti ragazzi :D
Eccomi qui con il nuovo capitolo, più piccante del solito direi :P
Vi è piaciuto? Ha soddisfatto le vostre aspettative? Fatemelo sapere in un commento!
Vi abbraccio forte e scusate ancora per il mega ritardo dal capitolo 11 al 12.
Ile :)

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