TonTon knocks always twice

di Fantachan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tonton knocks always twice


Prologo
Parigi, Luglio 1975
Madame Rousseau era una persona realista e, come tale, non credeva nel caso.
A ottant’anni suonati, ormai, sapeva che dietro ogni avvenimento e ogni azione umana c’era sempre una ragione e non il “caso” come molti affermavano per non accettare la realtà dei fatti.
Quindi, non credendo nella maniera più assoluta nel caso, Madame Rousseau poté affermare con certezza che dietro i sette omicidi che avevano sconvolto la vita parigina si nascondeva qualcosa di diverso da un serial killer, come invece riportavano i giornali.
E proprio leggendo l’articolo di cronaca nera che descriveva accuratamente l’albero di Montmartre in cui erano stati trovati i sette corpi impiccati, Madame Rousseau vide quel sottile filo che collegava quella tragica vicenda a ciò che era accaduto settant’anni prima nella tranquilla cittadina della Louisiana francese in cui viveva da bambina.
Non era certo un caso se i due avvenimenti avevano la stessa dinamica.
E chi, se non la stessa persona, avrebbe potuto eseguire quei quattordici delitti in modo così identico?
Non poteva essere un emulatore! 
Tra l’altro Madame Rousseau era sicura che la notizia degli insoliti omicidi di settant’anni prima non avesse superato i confini della cittadina di Maurice.
Ah no, dietro i due casi si celava sicuramente Tonton Macoute. E lei ne era fermamente convinta!
Come mai?
Semplice: era stata proprio lei, a soli dieci anni, a trovare i corpi impiccati mentre cercava un luogo in cui gli amici con cui stava giocando a nascondino non potessero trovarla.
Non avrebbe mai dimenticato il panico e il groppo in gola che le impedivano di urlare.
E non avrebbe mai dimenticato il ghigno soddisfatto dell’uomo che guardava per l’ultima volta i cadaveri penzolare dall’albero mentre si allontanava con il suo sacco sulle spalle ed il grande cappello calato sul viso.
Solo dopo aveva ricollegato la figura di quell’uomo ai racconti della nonna che cercava di spaventarla con il leggendario Tonton Macoute, l’uomo nero.
Rise fra se rileggendo il vecchio ritaglio di giornale ingiallito.
Se avesse raccontato il tutto a qualcuno sicuramente l’avrebbe presa per una vecchia squinternata e le avrebbe riso in faccia.
Sospirò e guardò l’orologio; era veramente tardi!
Si alzò dalla poltrona su cui aveva passato la maggior parte della serata decisa a dirigersi nella sua camera da letto, ma si fermò in mezzo al salottino quando sentì bussare per due volte alla porta.
Sbuffò scocciata: chi era il maleducato che la disturbava a quell’ora? 
Si avviò all’ingresso sbuffando e aprì.
Sgranò gli occhi davanti alla figura che le stava davanti e impallidì.
Solo allora si ricordò le parole della sua anziana nonna, ma ormai era troppo tardi..

“…E ricordati Marine: se sentirai bussare per ben due volte 
rintanati sotto le coperte e non alzarti fino a che non vedrai il sole sorgere. 
O alla porta troverai Tonton Macoute che viene a prendere i bambini disobbedienti 
e a nasconderli nel sacco di iuta che porta in spalla..”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Maurice, Luglio 1895

Maurice era una piccola cittadina della Louisiana francese fondata nel 1889 da un signorotto proveniente dalla Francia, Maurice Villien, che nel 1855 era giunto in America in cerca di fortuna.
Alla sua nascita, la cittadina sorgeva su 10 acre di terreno che ospitavano una piccola chiesa con l‘adiacente canonica, più qualche casetta in legno costruita dai quei pochi abitanti che col tempo si erano insediati in cerca di fortuna.
Fortuna che non aveva tardato ad arrivare.
Infatti Maurice, nonostante fosse solo un villaggio di modeste dimensioni, aveva da subito dimostrato di possedere un terreno fertilissimo adatto all’agricoltura e all’allevamento.
E la ricchezza del villaggio si basava proprio sull’agricoltura o, per meglio dire, sulla coltivazione del tabacco che dava lavoro a molte persone.
Nel 1895 Maurice era diventato il centro di un fruttuoso commercio di foglie di tabacco che venivano importate in tutta la Louisiana e anche oltre oceano.
Insomma, a soli sei anni dalla sua fondazione, la piccola cittadina era abitata da circa 200 anime, per lo più afroamericani in cerca di lavoro, che godevano di un certo agio.
Tuttavia, la vita del tranquillo villaggio di Maurice venne sconvolta nel Luglio del 1895.
In quelle calde giornate una serie di misteriosi omicidi aveva lasciato i cittadini sconvolti e impauriti.
L’avvenimento venne però dimenticato nel giro di poco tempo, il caso fu archiviato per mancanza di prove e quelle tragiche morti finirono per essere ricordate solo nei racconti dei nonni.
Racconti che tentavano di dissuadere i più piccoli dall’avvicinarsi al misterioso albero degli impiccati in cui sette uomini erano stati trovati morti, uccisi probabilmente da un fantomatico mostro che avrebbe assassinato chiunque si fosse avvicinato a quel grande salice che sormontava l’ingresso della piantagione di tabacco in cui si nascondeva il terribile uomo nero.
I bambini, ovviamente, non temevano i racconti dei nonni e si avvicinavano spesso all’albero per giocare.
Alcuni si attardavano fino al tramonto per poi scappare via impauriti affermando di aver visto l’uomo nero che altri non era se non un lavoratore della piantagione che, sporco e sudato, si apprestava a tornare a casa.
Ciò che però i cittadini non sapevano era che il mostro si nascondeva veramente lì, fra le piante di tabacco, e si in attesa del calar del sole.
Quello era il momento in cui sistemava il suo impermeabile e con il suo sacco in spalla e l’accetta in mano si spostava in un battito di ciglia di Paese in Paese per compiere il suo dovere: punire chi era stato cattivo durante il giorno.
Poi, veloce come una folata di vento, si calcava il grande cappello sul viso e tornava fra le piante di tabacco, in attesa dell’arrivo di un’altra notte. />

Angolo autrice.
Dunque, per prima cosa ringrazio chi ha letto questi primi due capitoli.
Sono dei semplici capitoli di passaggio e ho preferito pubblicarli assieme. 
Per quanto riguarda la storia in sé, è stata scritta di getto l'estate scorsa e mi sono lasciata convincere da alcuni amici a pubblicarla. È una storia estremamente semplice e direi anche un po' ripetitiva, ma spero che a qualcuno piaccia. 
Detto questo, ringrazio chiunque decida di lasciarmi una piccola recensione (o magari qualche critica, ché anche quelle servono) e chiedo scusa per eventuali errori di battitura.
Fantachan

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
André Dupont era un uomo schifosamente ricco.
Ricco e alquanto opportunista.
Tutto ciò che faceva aveva il fine di accrescere la sua già grande ricchezza.
Ricchezza che proveniva dal lavoro di centinaia di uomini che lavoravano nella sua piantagione di tabacco. 
Anzi, più che lavorare, come alcuni dicevano, quegli uomini erano sfruttati e venivano considerati da Monsieur Dupont come degli schiavi.
Ma il proprietario della piantagione deteneva anche un certo potere nella tranquilla cittadina di Maurice e nessuno dei suoi lavoratori osava ribellarsi; ne’ tantomeno qualche cittadino si preoccupava di denunciare Dupont.
Figurarsi! Mettersi contro un uomo come lui: roba da matti!
Oltre che ricco e opportunista, Dupont aveva anche l’abitudine di comportarsi come un ragazzino viziato.
Quindi, nonostante i suoi cinquant’anni, non c’era da stupirsi se sbraitava contro il suo cuoco perché “la carne non è sufficientemente cotta”.
O ancora se se la prendeva con una domestica perché “la forchetta non è perfettamente lucida!”.
L’unica persona che riusciva a manipolarlo a suo piacimento era la sua Jeanne.
Che poi tanto sua non era.
Infatti Jeanne, o per meglio dire Madame Bourgeois, era la moglie di Guillaume Bourgeois, un uomo grassottello e più vecchio di lei di almeno trent’anni, che altri non era se non il sindaco di Maurice.
Madame Bourgeois era una donna giovane e bella e il fatto che avesse sposato quell’uomo senza midollo che era Monsieur Bourgeois aveva suscitato la sorpresa dei cittadini.
Sorpresa che era poi stata sostituita dalla consapevolezza che Jeanne voleva solo una cosa dal marito: il suo enorme patrimonio. 
Madame Bourgeois aveva però sottovalutato il brutto vizio dell’uomo che ogni settimana giocava d’azzardo, consumando così le ricchezze che tanto erano care a sua moglie.
Non c’era quindi da sorprendersi se Jeanne si era stancata e aveva ripiegato su Dupont che, per intenderci, aveva un vero e proprio debole per lei e quindi non le faceva mancare niente.
Poi il fatto che la relazione fosse ormai nota a tutti non destava la preoccupazione dei due amanti che si incontravano ogni giorno nella sontuosa villa di lui mentre il caro sindaco faceva finta di niente (o forse, sciocco com’era, non si era realmente accorto del tradimento della moglie).
In quel caldo pomeriggio di Luglio, i due amanti si erano incontrarti per poi dirigersi in un locale di Maurice dove cenarono e passarono la serata in attesa di poter recarsi poi alla villa di Dupont, dove avrebbero passato la notte fra le lenzuola.
Il sindaco infatti era lontano da casa.
“Un viaggio di lavoro” aveva detto lui, e la moglie ne aveva subito approfittato per passare del tempo con il suo amante.
Era ormai notte inoltrata quando i due rientrarono nella villa, ridendo ubriachi.
Ebbri com’erano non riuscirono nemmeno ad arrivare nella sontuosa camera con il letto a baldacchino quindi ripiegarono sul salotto.
Qui André, guardando la donna con un ghigno malizioso ed occhi affamati, decise di spingerla, senza neanche troppa delicatezza, sul divano vittoriano posto davanti al cammino spento.
La donna cercò di trattenere un risolino mentre cadeva sul sofà trascinando per la cravatta Dupont che le finì così sopra ed iniziò a denudarla baciandole lentamente il collo.
Intanto lei sbottonò impazientemente, e con non poche difficoltà, la giacca dell’amante che poi lasciò cadere assieme alla cravatta e ai suoi guanti sul tappeto persiano.
Non vedeva l’ora di giungere al dunque, era palese.
Ma i due al dunque non vi arrivarono.
Sentirono infatti bussare per due volte alla porta principale.
Ovviamente nessuno andò ad aprire: i domestici erano andati via già da un pezzo ormai, e i due amanti non erano sicuramente intenzionati ad interrompere ciò che stavano facendo.
Tuttavia la porta si aprì lo stesso ed uno strano individuo entrò indisturbato nell’atrio della villa.
La figura si calco il cappello che portava sul viso e si caricò meglio il grande sacco di iuta sulla spalla mentre si guardava introno: ai suoi piedi stava un grande tappeto mentre ai suoi lati si trovavano due mobili in mogano su cui poggiavano calici di cristallo e mezzi busti in marmo; sul soffitto si ergeva invece un lampadario, anch’esso di cristallo.
Seguendo i sospiri e i gemiti, l’individuo arrivò al salotto e qui ghignò, guardando soddisfatto la scena che gli si presentava davanti.
Iniziò a canticchiare un motivetto sinistro e lasciò che il suo sacco cadesse a terra, attirando l’attenzione dei due amanti.
Monsieur Dupont guardò allibito l’uomo; Madame Bourgeois invece si mise seduta, tentando di nascondere la sua nudità con l’abito mezzo sfilato.
L’uomo non diede tempo ai due di fare niente: alzò il braccio che reggeva un’accetta e squarciò la gola di Dupont mentre la donna urlò alla vista dell’amante che cadeva a terra con gli occhi vitrei rivolti al soffitto.
In preda al panico cercò di scappare, ma riuscì a fare solo pochi passi perché un colpo di accetta la raggiunse alla schiena.
 Si accasciò a terra, respirando affannosamente, mentre l’uomo alzava un’ultima volta  il braccio e la colpiva al petto, uccidendola.
Quando la mattina dopo i domestici si svegliarono trovarono ad attenderli uno spettacolo raccapricciante.
La porta della villa era aperta.
Tutti i pavimenti marmorei erano macchiati di sangue: nell’atrio vi erano solo delle macchie, come se avessero trascinato qualcosa, mentre nel salotto vi erano delle vere e proprie pozze.
Di Monsieur Dupont e Madame Bourgeois non vi era alcuna traccia.
Sul divano trovarono delle foglie di tabacco e un biglietto, anch’esso sporco di sangue.
Quel lunedì  i due furono i primi a sparire in quella afosa settimana di Luglio.
 
 
«Est-ce que tu viendras au arbre
où ils pendirent un homme
ils disent il a assassiné trois..»
 
 
Angolo autrice.
Dunque, non c'è molto da dire :')
Questo diciamo che può essere considerato il vero e proprio primo capitolo della storia.
Per quanto riguarda la frase finale tra virgolette, non è assolutamente di mia invenzione. È la versione francese di The hanging tree, cantata da Jennifer Lawrence ne Il canto della rivolta pt.1.
E niente, ringrazio chiunque recensirà o leggerà :)
~Fanta-chan

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Guillaume Bourgeois aveva lo stupidissimo vizio del gioco d’azzardo.
Solo ora, dopo aver sperperato tutti i suoi soldi e metà di quelli delle casse comunali, si rendeva veramente conto di quanto fosse stupido anche lui.
Stupido esattamente quanto il suo malsano vizio.
Era il sindaco di Maurice che, per quanto fosse piccola come cittadina, era anche abbastanza ricca grazie al fiorente commercio.
Aveva una moglie, Jeanne, che era una delle donne più belle che avesse mai incontrato fino ad allora.
E, ironia della sorte, quella bellissima donna lo amava ed era proprio sua moglie.
Quando l’aveva conosciuta non poteva aspettarsi che proprio lei potesse innamorarsi di uno come lui: non era di sicuro un bell’uomo, ed era anche avanti con l’età.
Certo, molti sostenevano che Jeanne lo avesse sposato solo per i soldi e lo tradisse, ma figurarsi se lui ci credeva!
Erano solo pettegolezzi che quelle invidiose oche si divertivano a mettere in giro.
Quel lunedì sera, considerando la sua situazione mentre beveva l’ennesimo bicchiere di brandy, Monsieur Bourgeois non poté fare altro se non definirsi schifosamente fortunato.
Oh, e anche stupido.
Per l’ennesima volta aveva perso tutti i suoi soldi al gioco e, per l’ennesima volta, si era ripetuto che mai più avrebbe preso delle carte in mano.
Mai più.
Tuttavia sapeva che era tutto inutile: la settimana dopo avrebbe ancora una volta usato la scusa del “viaggio di lavoro” con la moglie per poi dirigersi in un club e perdere ancora tutti i suoi soldi.
Guillaume fissò sospirando il camino che aveva davanti e si alzò dalla poltrona su cui era seduto per dirigersi, traballando, verso la finestra.
Era notte fonda e di sua moglie non c’era traccia, ma non si era preoccupato.
Sapeva che quando lui si assentava da casa per giorni, la sua Jeanne preferiva andare a dormire da un’amica.
Aveva paura a stare in quell’enorme villa da sola, e di certo non poteva biasimarla.
La casa era costruita lontana dal villaggio, vicino alle piantagioni di tabacco.
Non era il massimo per una donna sola, però era una casa sontuosa a cui il sindaco non aveva voluto rinunciare.
Con l’immenso giardino che la circondava concedeva un po’ di riservatezza ai suoi abitanti.
Inoltre era perfetta per dare delle feste, cosa che sua moglie adorava fare.
Spesso, infatti, faceva addobbare il vasto salone in cui poi si riuniva praticamente tutta la cittadina per festeggiare il Natale o il Capodanno. 
Sospirando per l’ennesima volta decise di andare a dormire, sperando così di dimenticare la bruttissima giornata che aveva vissuto.
Mentre si avvicinava alle scale non mancò di darsi ancora dello stupido poi, scioccamente, rise.
“Stupido” era proprio l’aggettivo che gli attribuivano quelle oche pettegole  che non facevano altro che accusarlo di non accorgersi di ciò che gli accadeva proprio sotto al naso.
Di cosa parlassero lui proprio non lo sapeva.
Più che altro si rammaricava del fatto che gli venisse dato dello stupido.
Era un uomo intelligente, lui.
E per giunta era anche il sindaco di quella cittadina che altro non faceva se non spettegolare sulla sua vita privata.
Proprio mentre faceva queste considerazioni, Monsieur Bourgeois venne ridestato da dei rumori.
Rumori che poi capì provenire dall’ingresso.
Qualcuno aveva bussato per due volte.
Arricciate le folte sopraciglia, Guillaume si avvicino alla porta, chiedendosi chi mai potesse essere a quell’ora della notte.
Quando aprì poi, si immobilizzò sull’uscio osservando impaurito la figura che lo sovrastava.
Un omone con il viso coperto da un grande cappello che indossava un impermeabile e portava in spalla un sacco mentre, nella mano destra, si poteva vedere il profilo di un’accetta.
Ancora una volta, Guillaume si diede dello stupido mentre indietreggiava e iniziava a correre.
Doveva raggiungere al più presto il giardino dove sarebbe salito sulla sua macchina per poi scappare a chiedere aiuto.
Si, era sicuramente un bel piano.
Se solo fosse stato più magro sarebbe anche riuscito ad attuarlo.
Aveva infatti mosso solo pochi passi quando era inciampato sul grande tappeto dell’ingresso.
Fortunatamente riuscì a rialzarsi, ma quello che vide non gli piacque nemmeno un po’.
L’uomo infatti si stava avvicinando e sorrideva malignamente e canticchiava.
Bourgeois riprese a correre e sta volta riuscì a raggiungere la porta che dava sul giardino e ad aprirla.
Tuttavia commise l’errore di voltarsi ad osservare il suo inseguitore mentre camminava.
Bourgeois, infatti inciampò su un gradino e cadde.
Sta volta però non riuscì a rialzarsi.
Nel mentre l’uomo si era avvicinato e, sempre canticchiando, aveva sollevato la sua accetta.
A nulla valsero le urla di Guillaume: la casa era isolata e nessuno sarebbe riuscito a sentirlo.
L’urlo gli morì in gola mentre la lama gli squarciava la carotide.
Quando il martedì mattina lo sceriffo Moreau entrò nella villa accompagnato dalla domestica, tutto si aspettava tranne che un altro cadavere.
Era infatti andato ad avvisare il sindaco della scomparsa della moglie.
Non trovandolo il girono prima, aveva pensato di parlare con la domestica che, dopo un iniziale shock, gli aveva riferito che Monsieur Bourgeois era in viaggio e sarebbe tornato solo il giorno dopo.
Quando però avevano aperto la porta si erano trovati davanti solo fiumi di sangue che tracciavano un sentiero dall’ingresso fino alle scale del giardino.
Di Guillaume Bourgeois non c’era traccia.
Rimaneva solo un’enorme pozza di sangue rappreso sui gradini.
Qualche foglia di tabacco e un biglietto macchiato di sangue erano le uniche tracce lasciate dall’assassino.
 
 
«Est-ce que tu viendras au arbre
où l’homme mort cria
pour son amour à fuit..»
 
 
Angolo autrice.
Eccomi qua con il terzo capitolo e la terza vittima di Ton Ton Macoute!
Se vi va lasciate una piccola recensione, anche piccina picciò, giusto per farmi sapere che ne pensate :3
Al prossimo capitolo :)
~Fantachan

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Mary Trevelyan era una donna anziana.
Anziana ed avara. 
Così tanto avara che, probabilmente, conoscendola Dickens avrebbe usato lei come protagonista del suo “Canto di Natale” e non il famoso Mr Scrooge. 
Inoltre, come ogni zitella della sua età, era anche pettegola.
Tutti a Maurice lo sapevano, pertanto evitavano accuratamente di raccontarle qualcosa o, la mattina dopo, il suddetto qualcosa sarebbe stato di dominio dell’intera Louisiana.
Lei e il suo gruppo di amiche erano conosciute e temute da tutta la popolazione di Maurice.
Avevano inoltre la malsana abitudine di riunirsi il pomeriggio a casa di Miss Trevelyan che, essendo di origini inglesi, alle cinque in punto offriva loro il the. 
Pertanto non c’era da stupirsi se quel pomeriggio Miss Trevelyan e il suo gruppetto di amiche non avevano fatto altro che spettegolare sulla misteriosa scomparsa di Madame Bourgeois e del suo amante, Monsieur Dupont.
Tra un sorso di the e un morso ad un biscotto ognuna di loro aveva esposto la propria idea.
Poi che tali idee fossero del tutto insensate poco importava.
E non importava se nella villa di Dupont fossero state trovate tracce di sangue, anzi! Questo andava a favore della loro tesi.
“Sicuramente i due amanti avranno ben pensato di scappare assieme! Avranno inscenato un omicidio per coprire la fuga..” diceva una.
“E Madame Bourgeois avrà ucciso suo marito perché l’aveva beccata mentre preparava i bagagli..” ribadiva l’altra.
“E prima di andar via avranno fatto sparire il corpo. Si si, è andata proprio così!” concludeva l’ennesima.
Avevano passato tutto il tempo a farneticare, ingegnandosi per spiegare i fatti avvenuti in quei due giorni.
E Miss Trevelyan non era di certo da meno!
Ne aveva approfittato per poter gettare dell’altro fango sulla povera Madame Bourgeois.
Oh si!
Lei l’aveva sempre detto che quella “era una cattiva ragazza! Voleva solo i soldi del nostro povero sindaco! Sicuramente era implicata in qualcosa di strano, magari traffico di essere umani.. in fin dei conti lo sappiamo tutti che i dipendenti di Dupont lavorano come schiavi.”
Quando poi le sue amiche erano andate vie, lei si era seduta sulla sedia a dondolo davanti al camino.
Aveva preso in mano il giornale e aveva riletto l’articolo in prima pagina che descriveva il ritrovamento di quel martedì mattina.
Nel mentre il suo gatto, grasso e acido come lei, le si era seduto sulle gambe, iniziando a fare le fusa.
Quand’ormai era scoccata la mezzanotte, Miss Trevelyan si era alzata dalla sedia su cui si era appisolata per sistemare i ferri e la lana che aveva usato quella mattina su un cesto ed aveva poi iniziato ad arrotolare i suoi capelli grigi su dei bigodini.
Il gatto invece si era acciambellato sul davanzale e guardava i movimenti della sua padrona.
Poi, quando aveva sentito il cancello del giardino sbattere, si era fermata con un bigodino in mano ed aveva corrugato la fronte: era sicura di aver chiuso il cancello quando le sue amiche erano andate via.
“Una folata di vento, si non potrebbe essere altrimenti” si era detta.
Con un’alzata di spalle si era voltata, dando le spalle alla finestra e al gatto, riprendendo a sistemarsi i capelli. 
Il felino, che invece non la pensava come la sua padrona, si era messo a fissare il giardino in attesa di qualcosa.
Quando poi aveva visto degli occhi gialli e vacui fissare sinistramente all’interno della casa, aveva soffiato contro il vetro della finestra ed era balzato giù spaventato e, con il pelo irto, si era allontanato verso la camera di Miss Trevelyan.
Intanto l’intruso diede due colpi secchi alla porta, infastidendo la donna.
Questa fece una smorfia infastidita e, con grande disappunto, si diresse verso l’ingresso pensando che fosse la vicina che aveva il brutto vizio di infastidirla a degli orari veramente indecenti per chiederle in prestito qualcosa, nonostante sapesse che lei non le avrebbe dato proprio niente, “che si dia una svegliata e inizi a lavorare quella sfaticata!”
Non poteva certo immaginarsi di trovarsi davanti un individuo strano come quello, con un grande cappello a nascondergli il viso e un impermeabile rattoppato addosso che canticchiava una canzoncina in francese.
Stava giusto per dirgli che non avrebbe dato proprio niente ad un maleducato come lui che si azzardava a disturbare una donna anziana come lei a quell’ora della notte, quando l’uomo fece un passo avanti e si chiuse la porta alle spalle.
Miss Trevelyan gli avrebbe volentieri sbraitato contro se non fosse stato per la lama che le squarciò il petto, macchiando di sangue l’uomo che aveva smesso di canticchiare per ghignare malvagio.
La mattina dopo, come tutti i mercoledì, il garzone del lattaio si avviò verso la casa di Miss Trevelyan, pronto a sorbirsi i rimproveri della vecchia perché lui era in ritardo.
Ormai c’era abituato a quella donnina scorbutica.
Tuttavia quando vide il cancello e la porta aperti non poté fare altro se non insospettirsi: Miss Trevelyan non lasciava mai il cancelletto aperto, figurarsi la porta di casa!
Entrò nel giardino chiamandola a gran voce.
Quando poi raggiunse l’uscio, sentendo un odore strano, diede una spinta al legno per poi lasciar cadere le bottiglie che aveva in mano.
Il latte che sgorgava dalle bottiglie rotte andò così a mescolarsi con il sangue che imbrattava il pavimento del piccolo salotto.
Al centro stava il gatto dell’anziana che, stecchito, fissava la porta.
Affianco a lui delle foglie di tabacco e un foglietto immerso nel sangue.
Dell’avara e pettegola Miss Trevelyan non c’era traccia. 
 
 
«Est-ce que tu viendras au arbre
où je dis à toi à courus
pour que nous fûmes libres..»
 
 
 
Angolo autrice
Dopo quasi un mese TonTon è tornato :')
Come al solito è stato accompagnato da una nuova vittima!
Beh, spero di riuscire ad aggiornare il prima possibile... Grazie ancora a chi lascerà una piccola recensione e chi leggerà :)
~Fantachan

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Antoine Aubert era un lavoratore della piantagione Dupont.
O, per meglio dire, lo era stato.
Circa un anno prima aveva avuto un brutto incidente mentre lavorava: era scivolato sul terreno fangoso proprio mentre il carro del mieti-tabacco stava passando tra i filari delle piante.
Essendo ormai buio, il compagno che guidava il carro non l’aveva visto e l’aveva investito.
Una ferita che era stata provocata sul braccio destro si era infettata e per il suo arto non c’era stato niente da fare.
Ora, ad un anno di distanza da quella disgrazia, Aubert era rimasto senza lavoro e sua moglie, Anne, era costretta a turni sfiancanti per poter mandare avanti la famiglia.
La piccola Charlotte, quando non era a scuola, era invece costretta a stare a casa per accudire suo padre.
Aubert però aveva risentito molto della situazione.
Dopo un iniziale periodo di depressione in cui si era sentito un peso per la sua famiglia, aveva iniziato ad affogare i dispiaceri nell’alcol arrivando a diventare dispotico e violento.
Girava sempre per casa con un bicchiere di wisky in mano, blaterando insulti al suo vecchio datore di lavoro che l’aveva licenziato su due piedi perché ormai era diventato “d’impiccio per la produzione”.
Era solo colpa di Dupont se lui si trovava in quella situazione.
Costretto in casa a non far niente mentre sua moglie si faceva in quattro per portare a casa il pane.
Spesso e volentieri sfogava la sua ira anche con la moglie e la figlia.
Bastava un nonnulla per farlo irritare.
Una sedia fuori posto o una camicia stirata male e subito erano botte.
Proprio come la domenica prima, quando la situazione era decisamente degenerata.
Anne era tornata a casa dopo una dura giornata di lavoro alla piantagione.
Vedendo la figlia stanca e triste le aveva imposto di uscire a giocare un po’ con i suoi amici, al papà ci avrebbe pensato lei, le aveva detto.
Ovviamente Charlotte, anche se un po’ tentennante, aveva preso la palla al balzo ed era uscita, promettendo alla mamma di tornare prima dell’ora di cena.
La povera Anne si era messa subito all’opera, cercando di riordinare la casa e non badando al marito che se ne stava, come sempre, seduto su quella dannata poltrona ad osservarla con occhio critico con l’ennesimo bicchiere vuoto in mano.
Aveva cercato di fare tutto perfettamente per non far andare su di giri Antoine, sperando di poter evitare, almeno per quella sera, una marea di colpi.
Ma le sue erano solo vane speranze.
Tutto era filato liscio fino all’ora di cena quando, appena Charlotte era rientrata, si erano riuniti sul tavolo per poter consumare il pasto.
Fu allora che scoppiò il finimondo.
Antoine aveva sottolineato irato che la carne non aveva abbastanza sale ed aveva iniziato ad inveire contro la moglie dandole della sfatica ed insultandola.
Anne, ormai stanca, aveva cercato di ribattere alle affermazioni del marito a cui però non era piaciuto il suo atteggiamento.
Si era allora avvicinato alla moglie ed aveva iniziato a picchiarla; quando poi la figlia si era messa in mezzo per difendere la madre, Antoine aveva picchiato anche lei.
Ora, a tre giorni di distanza dell’accaduto, Monsieur Aubert si rendeva veramente conto di che razza di uomo era diventato.
Seduto su una sedia con la barba sfatta e i vestiti sporchi e in disordine, fissava inebetito un punto indistinto del pavimento e, per una volta lucido, ragionava sulle azioni commesse nell’ultimo anno.
Era diventato un mostro.
Si era lasciato sottomettere dalla disperazione e dall’alcol, sfogando sulle persone che gli erano state più vicine tutta la sua rabbia.
E qual era stato il risultato?
Anne aveva fatto i bagagli ed era andata via con Charlotte, lasciandolo solo come un cane.
E come poteva darle torto!
Lui che aveva giurato di sostenerla e proteggerla l’aveva denigrata in ogni modo, arrivando anche a metterle le mani addosso.
Si, era un mostro.
Meritava solo di morire per quello che aveva fatto.
Con questi pensieri che lo accompagnavano da giorni, Antoine Aubert era ormai prossimo ad addormentarsi.
Le palpebre stavano già calando sui suoi occhi stanti quando due colpi alla porta lo ridestarono, facendogli correre uno strano brivido lungo la schiena che venne però prontamente ignorato.
Aubert si alzò, animato da una nuova speranza.
Magari era Anne che tornava da lui per offrirgli una seconda possibilità.
Aprì la porta e osservò stralunato l’individuo che gli stava davanti.
Indossava uno strano cappello ed un impermeabile e portava in spalla un sacco.
Qualcosa nello sguardo che gli rivolse, gli mise paura.
O forse era il motivetto sinistro che canticchiava a spaventarlo?
Monsieur Aubert chiuse gli occhi e si diede uno schiaffo.
“Magari sono ubriaco e questa è solo un’allucinazione” si disse.
Ed effettivamente dovette pensare che forse era veramente così perché, quando aprì gli occhi, la misteriosa figura era sparita.
Aubert scosse la testa mentre chiudeva la porta.
Tuttavia, per la prima volta dopo un anno, Aubert era veramente lucido e forse avrebbe fatto meglio a dar retta al brivido che gli aveva fatto rizzare i capelli in testa.
Infatti, quando si girò, non ebbe nemmeno il tempo di spalancare gli occhi per il terrore.
Un fendente gli arrivo dritto in gola, facendo schizzare il suo sangue sull’impermeabile dello strano individuo che no, non era affatto frutto dell’alcol.
Quando quel giovedì mattina Anne bussò alla porta di casa, uno strano presentimento si fece strada in lei, soprattutto quando l’uscio si aprì lentamente sotto il suo tocco leggero.
E il presentimento si trasformò in un urlo agghiacciante davanti alle pozze di sangue che impregnavano il pavimento del modesto salone.
L’unica cosa che vide prima di perdere i sensi furono delle foglie di tabacco accanto ad un braccio martoriato e un foglietto accartocciato.
Probabilmente, se Antoine Aubert avesse dato retta a quel brivido e non avesse aperto la porta, sarebbe stato contento di vedere la sua Anne che tornava da lui.
 
 
«Est-ce que tu viendras au arbre
portes un collier d’espoir
côte à côte avec moi..»  
 
 
 


Angolo autrice.
Dopo tre secoli aggiorno finalmente la storia :')
Dunque, sorvolando sulla mia puntualità...
Sono veramente felice di vedere che qualcuno abbia letto, ma soprattutto che ci siano tre recensioni!
Mi rincuora sapere che a qualche anima pia piace.
Detto questo, non mi dilungo troppo.
Leggendo avrete notato che ancora una volta TonTon ha svolto il suo compito con estrema felicità e avrete potuto osservare quanto la storia sia ripetitiva.
Ma non preoccupatevi!
Il tutto sta per giungere al termine.
Beh, grazie a chi ha letto e se volete lasciate pure una piccola recensione per far felice questa povera autrice pazza.
Al prossimo capitolo :3
~Fantachan

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