Cosa sono io per te? di Lady Anderson (/viewuser.php?uid=21172)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 - Renesmee Cullen ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 - Jacob Black ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 - Sul precario filo dell'equilibrio ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 - Non voglio perderti ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 - Paura di amare ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 - Ti rivoglio con me ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 - Incanto spezzato ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 - Nell'oscurità ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 - Lontano da tutto ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 - Incubi e rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 - Sorprese Inaspettate ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 - Epilogo ***
Capitolo 1 *** Cap. 0 - Prologo ***
Nuova pagina 1
Cosa
sono io per te?
PROLOGO
Il
suo sangue aveva un sapore estasiante.
Lo
sentivo scorrere nella mia gola riarsa, caldo e umido, come se fosse - e forse
lo era davvero – l’unico modo per placare la mia sete.
Non
riuscivo a pensare ad altro.
Ad
ogni minuto che passava mi rendevo conto che il suo corpo, scosso da alcuni
piccoli spasmi, era sempre più vuoto.
Sarei
riuscita con il mio egoismo a distruggere la mia ragione di vita?
La
risposta era sì.
La
mia natura mi aveva condannata in eterno.
Si, ok...Il prologo dopo aver già
postato 9 capitoli è una pazzia, ma mi è venuto in mente stanotte mentre
cercavo di addormentarmi!! Spero di riuscire a finire prima dell'Apocalisse
anche il decimo capitolo...A presto!
Lady anderson
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cap. 1 - Renesmee Cullen ***
Nuova pagina 1
Cap. 1 – RENESMEE
CULLEN
Chi sono io?
Un’emerita
idiota. Ecco chi sono.
Forks, Stato di
Washington.
Alcuni raggi del
pallido sole mattutino di gennaio filtravano dalle nuvole cupe e cariche di
pioggia, attraversando la persiana chiusa della finestra della mia camera,
arrivandomi dritto sul viso. Un odore forte ed intenso attraversava l’aria,
seguito da un leggero rumore metallico.
“Oh, no…un altro lunedì…”
pensai. Con tutte le forze che una
mezza-vampira potesse avere alle 7 di mattina mi misi a sedere, rimanendo a
fissare, senza vederlo realmente, l’immenso armadio a muro che mia zia Alice
aveva riempito – di nuovo – di vestiti appena comprati. Per un secondo l’idea di
rimettermi a dormire mi schizzò nella mente, veloce come un fulmine…Idea che fu
prontamente scacciata via da mia madre.
“Buon giorno, dormigliona. Posso entrare?”.
Appena riuscii a metterla a fuoco annuii, scostandomi per farla sedere vicino a
me. “’Giorno, mamma…”,
le dissi sbadigliando. Lei mi sorrise, prima di avvicinare le sue labbra
ghiacciate alla mia fronte.
“Ti ho preparato un bel caffè caldo. Dai, vieni, tuo padre ti sta
aspettando…”. Ancora
troppo assonnata per mettere insieme più di due parole in modo da formare una
frase, le appoggiai una mano sulla guancia, mostrandole la mia gratitudine.
L’abitudine umana di fare colazione prima di andare a scuola mi era sempre
piaciuta…Senz’altro una cosa che avevo ereditato dalla mamma.
“Ti aspettiamo in cucina.”,
mi ripeté, prima di darmi un altro bacio sui capelli e andare nell’altra stanza.
Dopo ancora qualche minuto mi alzai e mi vestii: infilai i jeans, la maglietta e
presi il maglione. Non che ne avessi avuto bisogno, ma faceva parte dei miei
“attrezzi di scena”. Nessuno se ne andava in giro in T-shirt a gennaio…Appena mi
resi un po’ più presentabile andai in cucina, dove una bella tazza di caffè
fumante mi attendeva sul tavolo. Mio padre si illuminò appena mi vide entrare,
ancora un po’ intontita, e si fiondò a darmi un bacio. Non c’era volta – mattina
o sera che fosse – che non approfittasse di dimostrarmi il suo affetto.
“Buon giorno papà.”.
Lui sorrise, dopo aver letto i miei pensieri, e mi lasciò andare.
“Mattinata frenetica, tesoro?” “No
mamma…almeno, non per me. Oggi abbiamo il compito di Spagnolo. Credo che la
professoressa Muñoz abbia già scritto 10 vicino al mio nome nel suo registro…”.
Immersa nella mia tazza, vidi con la coda dell’occhio che entrambi i miei
genitori avevano assunto un’aria di orgoglio. All’improvviso, mio padre si alzò
e si avvicinò alla porta. Gettandomi un’occhiata divertita alzò la mano,
imitando con le dita un conto alla rovescia. Appena la sua mano si chiuse a
pugno, indicando lo 0, si udirono dei tonfi pesanti sulla porta di casa. Papà
allora mi sorrise, aprendo la porta. L’imponente figura di una delle persone più
importanti della mia vita apparve sulla soglia di casa e accennò un saluto:
“Edward…” “Ciao Jake.
Vieni, entra.”. Sentendo
la sua voce, un sorriso si aprì sul mio viso. Jacob entrò, coprendo con tre
grandi passi la distanza tra la porta e la cucina. Subito mi cercò con lo
sguardo, per poi sorridere a sua volta quando lo incrociò con il mio. Jacob era
una persona fantastica: era sempre accanto a me, e faceva di tutto per rendermi
felice..Tutto dovuto all’imprinting, una strana magia da lupi. Ma in fondo, cosa
nel mio mondo non era magico e strano? Mi alzai per salutarlo, e quando lui mi
strinse forte a sé sentii un sibilo venire dal divano.
“E dai mamma..Ormai dovresti esserci
abituata, no?. Senza né
muoversi né ribattere la mamma iniziò a ridere:
“Lo sono, piccola..Però è una cosa che
mi diverte un sacco!”.
Lei fu subito appoggiata da papà, che si unì alla sua risata cristallina prima
di zittirla con un bacio. Con il passare del tempo quei due non erano cambiati
affatto..Ma se prima le loro effusioni non mi toccavano minimamente, adesso mi
mettevano sempre un po’ in imbarazzo. Di nuovo papà lesse nella mia mente ciò
che stavo pensando, così lasciò perdere quello che stava facendo e venne a
portarmi lo zaino. “Ecco
qui, Nessie. Mi raccomando Jacob, non fare cose azzardate..E guai a te se la
porti in moto!” “Non cambierai mai, eh, succhiasangue?”,
rispose scherzosamente il mio licantropo preferito. Detti un’occhiata
all’orologio, notando che erano già le 8 meno un quarto..Se non mi fossi
sbrigata sarei arrivata in ritardo. Salutai i miei con un sonoro bacio, per poi
prendere Jake per un braccio e trascinarlo fuori. Senza nemmeno metterci
d’accordo iniziammo a correre tra gli alberi, con il vento che mi passava veloce
tra i capelli e mi sferzava le guance accalorate. Il correre mi provocava sempre
una bellissima sensazione, rafforzata ancora di più dalla presenza di Jake. Ad
un certo punto lo sentii rallentare, così feci lo stesso anche io.
“Nessie, fermiamoci. Non puoi
arrivare a scuola correndo..Vieni!” “Jake…..Lo sai che papà ti ucciderà se mi
succederà qualcosa…” “Sinceramente sono più preoccupato di tua madre…”,
mi rispose lui dopo aver acceso la moto, porgendomi il casco. Era una protezione
inutile, se fossi caduta era molto probabile che sarebbe stato l’asfalto a farsi
del male..Ma serviva a tranquillizzare i miei, quindi misi il casco senza
protestare e mi aggrappai alla maglia di Jacob, che sgassò lasciando una nuvola
di foglie secche dietro di sé. Arrivammo davanti al liceo di Forks alle 8 in
punto: l’entrata fu scandita dal suono irritante della campanella. Jacob si
fermò, mi fece scendere e mi porse lo zaino.
“Nessie, oggi all’uscita viene Bella a
prenderti. Io devo andare in perlustrazione con Seth e Quil…” “Ok! Anche se
avrei preferito tornare con te…”,
gli dissi, facendolo arrossire. Gli sorrisi e mi incamminai verso alcune mie
compagne di classe, poi mi voltai e gli mandai un bacio con la mano. Anche se
ero abbastanza distante, lo vidi sorridere prima di impennare con la moto e
sparire in fondo alla strada.
“Caspita Nessie, sei davvero fortunata..Anche io vorrei un
ragazzo che mi portasse a scuola in moto! E poi Jacob è così figo…”.
E te pareva. Tutte le mattine
era la stessa storia…La mia migliore amica, Amy, non faceva altro che ripetermi
che il mio ragazzo era figo, era affascinante, era misterioso…“Amy,
ti ho già detto un milione di volte che Jake NON è il mio ragazzo. Te lo vuoi
mettere in testa o no?” “Sarà..Ma lui ti guarda in un modo così dolce…”.
Piccola, ostinata
di una Amy. Se non le avessi voluto bene come ad una sorella e non fossi stata
abituata a bere sangue animale, probabilmente le sarei saltata alla gola molto
tempo fa. All’improvviso mi strattonò, strabuzzando gli occhi mentre mi indicava
qualcuno che si stava avvicinando:
“Oddio, eccolo che arriva!! Non sai cosa darei per avere il tuo
armadietto, Nessie…Tutte le fortune capitano a te. La bellissima e
ineguagliabile Renesmee Cullen! Via, sarà meglio che vada a prendere i miei
libri..Ci vediamo in classe, ti tengo il posto vicino a me!”.
Mi mollò un bacio sulla guancia e si diresse al suo armadietto. Scossi la testa
sospirando, senza negarmi un sorriso. Aprii il mio e presi i libri che avrei
dovuto usare alle prime due ore: “Anatomia per principianti” e “Il corpo umano –
studio dei sistemi principali”. Che bello..Un’altra lezione da passare a fare
disegni sul quaderno. La roba che quei libri tentavano di spiegare l’avevo già
imparata quando avevo appena 5 anni. O meglio..Quando dimostravo, 5 anni.
Tecnicamente adesso ne avevo 17, è vero, ma la mia nascita era avvenuta appena 7
anni prima. Un’altra cosa strana e magica che mi caratterizzava..Comunque, lo
studio di nonno Carlisle era pieno di libri molto interessanti, ma fu lui
stesso ad insegnarmi tutti i segreti del corpo umano. Rimasi per un secondo a
fissare i libri che tenevo in mano prima di chiudere l’armadietto, ritrovandomi
così faccia a faccia con colui che aveva mandato in fibrillazione Amy.
“Oh. Ciao Nathan.”
“Renesmee..” “Passato una
bella giornata ieri?”,
gli chiesi cortesemente.
“Mmmhhh..Se stare tutto il giorno a casa con una bambina di 5 anni che urla e
schiamazza senza lasciarmi in pace un attimo vuol dire passare un bel
pomeriggio..Beh, penso proprio di si.”.
Come al solito. Ci fosse un giorno che rispondesse in modo gentile. Nathan era
un bravo studente e un
ottimo sportivo, ma quando si trattava di essere cortese si trovava all’ultimo
livello della scala della cavalleria.
“Ah, ok. Ho capito. Ci vediamo in classe.”,
gli dissi prima di perdere la pazienza, avviandomi a lezione. Fino a quando non
entrai in classe, sentii il suo sguardo sulla schiena. Come se fosse una cosa
nuova…Nathan non era l’unico a fissarmi come un idiota; da quando avevo messo
piede al liceo, non c’era stata persona che non fosse rimasta a guardarmi
insistentemente, come se fossi un fenomeno da baraccone. Dopo aver stretto le
prime amicizie, ma soprattutto dopo aver conosciuto Amy, le chiesi il perché:
“Mi chiedi il perché,
Renesmee? Tu provochi complessi di inferiorità alle altre ragazze, me compresa.
I maschi non guardano nemmeno dove camminano se ci sei tu nelle vicinanze -
giuro di aver visto Jordan andare a sbattere contro la porta del bagno dopo
essere rimasto a fissarti mentre camminava..- e ti domandi il perché?”.
Sorrisi a quel ricordo così buffo, soprattutto quando nella mia mente si formò
la faccia stravolta di Amy quando le dissi che non avevo la minima idea di
quello che stava dicendo.
“Oh, Nessie..Forse non ti sei accorta che sei di una bellezza
devastante…Guardati, sei perfetta!
– mi fece girare su me stessa –
Hai un corpo mozzafiato, i tuoi capelli
sono bellissimi, i tuoi occhi sembrano due cioccolatini..E ti chiedi perché le
persone ti fissano come se fossero un branco di ebeti?”.
Mi ci vollero circa due secondi per collegare la mia perfezione (merito di papà
vampiro e di mamma ancora umana al tempo della gravidanza) agli sguardi bavosi,
prima di scoppiare a ridere insieme alla mia migliore amica..Comunque,
ritornando al presente, sentivo che lo sguardo di Nathan era diverso…Non era
desideroso o invidioso, come quello degli altri. Non sapevo come definirlo.
Arrivai in classe soprappensiero e nervosa, notando appena Amy che si sbracciava
dal banco alla penultima fila. La raggiunsi, sbattendo pesantemente i libri.
“Maledetto Whellens.”,
sibilai tra i denti. Amy scosse la testa, parlandomi con tono rassegnato:
“Forza..Cosa ti ha detto adesso Nathe?” “Niente. Le
solite risposte silurate e scortesi. Un giorno di questi mi farà saltare i
nervi.” “Dai Nessie, non sei contenta che il ragazzo più ambito della scuola ti
rivolga spesso la parola? Credo che tu sia una delle poche..Se non l’unica.
Certo, se fosse un po’ più cortese..Ma è comunque bellissimo..” “Amy, c’è
qualcuno che tu non ritenga sia figo o bellissimo?” “Si, certo che c’è. Credo
che Jordan sia uno di quelli che io reputo ‘sfigati’.” “Mah..Da quante volte lo
nomini potrei farmi anche un’idea diversa, sai?”.
Amy mi squadrò con occhi omicidi, ma appena stava per urlarmi contro piena di
imbarazzo arrivò il professore in classe, così si limitò a passarsi un dito
lungo la gola, facendomi capire che mi avrebbe strangolato se solo mi fossi
permessa di ridire una cosa simile. Io le sorrisi divertita, ma appena vidi
Nathan sedersi a due banchi di distanza dal mio sentii salire nuovamente il
nervosismo.
Io e Nathan ci
conoscemmo il primo giorno di scuola dell’anno attualmente in corso, il quarto.
Era nella mia stessa classe, e gli avevano assegnato l’armadietto vicino al mio,
cosicché ci trovavamo sempre a prendere i libri insieme. Già dall’inizio mi era
sembrato un tipo scorbutico, asociale, che non aveva nessunissima voglia di
relazionarsi con qualcuno, a meno che non fosse la sua mazza da baseball. Aveva
qualche amico, ma nessuno sembrava andargli particolarmente a genio. Si era
appena trasferito da Detroit, e adesso stava dai suoi zii a Port Angeles. Veniva
a scuola qui perché a loro non piaceva per niente il liceo che c’era in città.
Avendo trascorso “cinque magnifici anni” nel liceo di Forks, Angela e Ben
Cheney, gli zii di Nathan appunto, niente meno che amici di mia madre e mio
padre, avevano deciso di mandare il loro nipote qui. Tutto questo ovviamente lo
seppi dalle voci di corridoio, perché le nostre conversazioni si limitavano solo
ai saluti. Tuttavia, c’era qualcosa in lui che mi aveva colpito fin dal primo
incontro: mi pareva che la sua sfacciataggine nascondesse in realtà una persona
più fragile di quello che voleva dimostrare agli altri. Comunque non approfondii
la mia ipotesi, limitandomi, come faceva lui, a rivolgergli la parola solo per
salutarlo.
“Nessie? Mi stai
ascoltando?”, Amy diede
un colpo al mio gomito, facendomi ridestare dai miei pensieri.
“Non hai capito una parola di quello
che ho detto, vero?”, mi sussurrò, guardandomi con
aria scocciata. “Scusa, Amy, stavo pensando..Dicevi?”
“Ecco, devo iniziare tutto da capo..Dicevo, hai presente Matthew, quello della
sezione B? Bene..Mentre tu eri fuori a prendere i libri è venuto qui in classe e
mi ha chiesto se volevo vederlo, uno di questi giorni!”.
La guardai, inarcando le sopracciglia. Cercai di inquadrare il ragazzo, e appena
la sua faccia prese corpo nella mia testa le risposi:
“Ah, Matthew..Si, mi sembra un tipo a posto. Quand’è
che dovreste uscire?” “Domani. Beh, in realtà non è una vera e propria
uscita..Mi ha detto che il professore di Chimica ha chiesto una specie di
collaborazione tra classi, per il progetto di Scienze che dobbiamo consegnare
venerdì. Ed è venuto a dirmi che io dovevo farlo insieme a lui..Ho accettato,
ovviamente!”. Amy,
Amy..Sempre stata così lei..Perennemente a caccia del ragazzo giusto!
Alla fine della
lezione, il professore di Chimica venne in classe, per comunicarci della
collaborazione tra gli studenti di sezioni diverse di cui mi aveva parlato Amy.
Ci spiegò che non tutti potevano collaborare con uno studente dell’altra classe,
poiché noi eravamo più numerosi. Quindi, mise una lista sulla cattedra, con i
nomi delle coppie di studenti. A differenza degli altri, io aspettai che la fila
si smaltisse, prima di andare a vedere a chi ero stata abbinata. Scorsi la lista
con il dito e appena trovai il mio nome sbiancai, più di quanto la mia pelle
quasi diafana consentisse.
“Signorina Cullen! Sono sicuro che lei e il Signor Whellens
farete un gran bel lavoro!”,
disse il professore, sorridendomi. Io rimasi a guardarlo con gli occhi
spalancati. “Certo,
signore.”, gli risposi, prima di tornare incredula
al mio posto. Appena mi sedetti affondai il viso nelle mani, scuotendo la testa
rassegnata. “Oddio,
con tutti quelli del nostro anno dovevo capitare proprio con lui…”,
dissi a me stessa, più che alla mia compagna di banco. Ad un certo punto mi
sentii chiamare: “Ehi, Cullen.”.
Ecco, ci mancava solo questo. Nathan si avvicinò al mio banco, facendo quasi
svenire Amy. “Pare che io e te dobbiamo fare il
progetto insieme. Neanche io sono molto felice, credimi. Troviamoci alle tre e
mezzo qui davanti, andiamo a casa dei miei zii. Sii puntuale.”.
Lo guardai, prima confusa e poi indignata, prima di ribattere:
“Cosa ti fa pensare che io esegua i tuoi ordini senza
fiatare? Non hai pensato che forse posso avere degli impegni?” “Senti bellezza,
prima faccio questo progetto prima mi libero di te. Non ho nessuna voglia di
passare più di due pomeriggi con te, chiaro? E poi, se lavoriamo insieme, a
questo giro ci scappa anche la lode. Ci vediamo.”,
disse a mò di spaccone, prima di tornare al suo posto. Quella era stata la
conversazione più lunga che avessimo avuto. Sentii la rabbia invadermi, ma mi
imposi di rimanere calma. O perlopiù, di non andare a staccargli la testa a
morsi. Amy, ancora allibita, mi disse: “L’ho
detto io che tu sei la ragazza più fortunata di Forks…”.
Il resto della
mattinata trascorse abbastanza bene; nonostante il pessimo umore riuscii a fare
un compito di Spagnolo eccellente. All’uscita da scuola trovai la mamma
appoggiata alla Volvo nel parcheggio, libera di esporsi in pieno giorno grazie
alle nuvole che sembravano non voler abbandonare la piccola Forks. Notai che era
l’oggetto di osservazione di gran parte delle persone presenti nel parcheggio;
appena mi avvicinai a lei sentii che adesso gli oggetti da osservare erano due.
Sembravamo sorelle, più che madre e figlia..Entrambe imprigionate per l’eternità
nel corpo di due adolescenti, lei per un motivo, io per un altro.
“Ciao mia bellissima principessa! Ci
sei mancata tanto sai? Dovevi vedere Jake, era disperato..Adesso deve aspettare
la cena per vederti!”. Mi abbracciò forte e mi
dette un bacio sui capelli. “Ciao mamma..Mi dispiace
per Jake.”, le risposi io, in tono monocorde.
Avevo appena visto Nathan salire in macchina e andare via, cosa che mi guastò
nuovamente l’umore. La mamma se ne accorse, ma non disse niente. Solo quando
arrivammo vicino casa parlò: “C’è qualcosa che non va, Nessie?” “No, mamma..Sono solo un po’ nervosa.”
“Sicura?”, mi chiese, con fare indagante. Era
impossibile nascondere qualcosa alla mia brillantissima mamma vampira. Sospirai,
prima di parlare di nuovo: “Tranquilla, mamma.
Ah, senti, alle tre e mezzo devo essere di nuovo a scuola. Devo fare un progetto
di Scienze con un compagno di classe. Il nipote dei Cheney, hai presente?”.
Mamma sorrise al ricordo dei suoi amici, mentre girava nel viottolo che ci
avrebbe portato a casa dei nonni. “Ok, tesoro.
Ti darà uno strappo la zia Rose. Io, tuo padre, la zia Alice e lo zio Jasper
siamo a caccia fino a dopodomani..La nonna ha già avvertito Jacob di venire qui,
non ti preoccupare.”, mi disse, prima di
parcheggiare. Mio padre, apparso dal nulla, mi aprì la portiera aiutandomi a
scendere, prima di fare la stessa cosa con la mamma. Solo che, come sempre, la
loro permanenza in giardino durò molto più della mia. Il nonno mi aprì la porta
sorridente, accompagnandomi direttamente in sala da pranzo, dove la tavola
(apparecchiata solo per me) era imbandita di piatti, ognuno con dentro qualcosa
di diverso. “Nonno, hai cucinato per un
esercito!” “Non ti preoccupare, Nessie…Seth, Quil e Jacob più tardi vengono a
farci visita, dopo la perlustrazione.”,
mi rispose allegro, prima di tornare alla sua poltrona. Non c’era che
dire..Nonno Carlisle, come anche mamma e papà , era davvero un cuoco provetto.
Mangiai di tutto, godendomi il primo giorno della mia nuova settimana di “dieta
umana”. Il nonno aveva infatti proposto di alternare la caccia ai pasti umani,
cosicché il mio organismo fosse abituato a entrambi. Dopo aver finito, aiutai la
nonna a lavare i piatti, prima di salire a cambiarmi per andare a casa di
Nathan. La zia Alice non mi avrebbe mai permesso di uscire di casa due volte con
gli stessi abiti..Per fortuna anche a casa dei nonni c’era un armadio
gigantesco. Appena dieci minuti dopo andai a lavarmi i denti e a risistemarmi i
capelli; con l’umido dell’aria i miei boccoli bronzei erano ancora più
attorcigliati (cosa che piaceva particolarmente alla zia Rose). Come se avesse
intercettato le mie parole, la mia bellissima zia comparì sulla soglia della
porta del bagno, offrendosi silenziosa di pettinarmi i capelli. Passammo quasi
venti minuti chiuse li dentro: spazzolarmi era uno dei suoi passatempi
preferiti, fin da quando ero piccola. Ad un certo punto, la risata fragorosa
dello zio Emmett risuonò in tutta la casa, seguita da una specie di canto della
vittoria. La zia sospirò sorridendo, e dopo aver posato la spazzola e avermi
accompagnata fuori dal bagno si precipitò in salotto, dove lo zio stava
rinfacciando a zio Jasper di aver perso un’altra delle loro scommesse. Anche io
mi unii a loro; mentre ero al piano di sopra tutta la mia famiglia si era
riunita in salotto. Quel momento mi fece dimenticare tutto ciò che era successo
quella mattina: il mio malumore se ne andò guardando gli zii che si rincorrevano
per tutta la casa, accompagnati dalle nostre risate..La mia stupenda famiglia di
vampiri.
È risaputo,
comunque, che il tempo passa più in fretta quando ci si diverte. La mamma, dando
di sfuggita uno sguardo al grande camino che occupava gran parte di una parete
del salotto, si girò verso di me:
“Piccola..Sono le tre e venti. Non dovresti già essere vicino la
scuola?”. Porca paletta.
Sentii il sangue gelarmi nelle vene. I miei rapporti con Nathan erano già
abbastanza tesi per conto proprio, se fossi arrivata in ritardo sarebbe stata la
fine. Mi alzai di scatto, volando al piano di sopra a prendere il giubbotto.
Salutai tutti velocemente e mi precipitai fuori, dove trovai la zia Rose già al
volante della sua M3 rosso fiammante. Appena la portiera si chiuse la macchina
sgommò, e la lancetta del contachilometri arrivò a sfiorare i 150 Km/h. Per
fortuna i vampiri erano elettrizzati dalla velocità..La zia era davvero una
pilota eccellente: sembrava persino che si stesse divertendo! Non so come, ma
alle tre e ventisette minuti raggiungemmo il parcheggio della scuola. Nathan era
già li, seduto sul cofano della sua Alfa 147 nera metallizzata. Aveva buon gusto
il ragazzo…Italiana, sicuramente d’importazione, aggressiva e sportiva..Insomma,
una gran bella macchina. Appena la zia parcheggiò lo sentii emettere un lungo
fischio di ammirazione. Si, aveva decisamente buon gusto. Salutai e scesi dalla
macchina, ringraziandola per il passaggio-record. Sospirando pesantemente mi
voltai verso Nathan, che nel frattempo aveva acceso la sua auto.
“Ciao Nathan. Sono stata puntuale,
visto?”. Mi salutò con
un cenno, invitandomi a salire. Uscì dal parcheggio e iniziò ad accelerare; per
un secondo pensai che fosse un vampiro anche lui, tanto era ipnotizzato dalla
velocità. Il viaggio fu abbastanza breve ma molto, molto silenzioso.
“Bella macchina, quella di
prima. Era tua zia?” “Si, mia zia Rosalie..Amiamo le macchine di grossa
cilindrata.”, le uniche
parole che ci scambiammo. Distratta dal paesaggio che scorreva fuori dal
finestrino, mi ridestai solo quando sentii l’auto rallentare: eravamo arrivati.
“Ma non stavi a Port
Angeles?”, gli chiesi
mentre scendevamo di macchina.
“Preferivi sorbirti mia cugina fino a stasera?”,
mi rispose scontroso, ma con un leggero sorriso sul viso..Forse il primo che gli
avevo visto fare da quando lo avevo conosciuto.
“I miei zii stavano qui prima di
trasferirsi a Port Angeles. La casa è di loro proprietà, ci vengo ogni tanto a
studiare..Per starmene da solo, sai.”.
Ehi..Che stava succedendo al ragazzo più burbero della scuola? Sbaglio o il tono
della sua voce era cambiato? Mi sembrava di aver percepito un velo di tristezza
nelle sue parole…“Ho
capito…beh, anche io perderei la pazienza se ci fosse qualcuno che urla mentre
studio..”. Mentre
scrivevo un messaggio a mia madre, per avvertirla che ero sana e salva (eh si,
non voleva proprio abbandonare la paura che mi facessi male..), sentii di nuovo
lo sguardo di Nathan addosso: con un’occhiata rapidissima, invisibile all’occhio
umano, vidi che mi stava osservando da capo a piedi; tuttavia non era uno
sguardo avido e bramoso, come quello di tutti i maschi che incrociavo. Era
timido, quasi si stesse vergognando di quello che stava facendo. Questo suo
gesto mi mise in imbarazzo, tanto che sentii le guance avvampare. Lo guardai,
facendolo tornare in sé:
“Hai intenzione di stare qui fuori? Non è che faccia così caldo, sai?” “Oh. Si,
si..Scusami.”, rispose
lui con un velo di imbarazzo. Prese le chiavi di casa e aprì la porta,
dirigendosi verso la sala da pranzo.
“Permesso…”,
sussurrai, mentre lo seguivo dentro quella piccola ma carinissima abitazione.
Posai le mie cose sul divano, come aveva fatto Nathan e lo guardai sistemare un
sacco di fogli e materiali sul tavolo.
“Bene, prima iniziamo, prima finiamo. Dai, siediti…”.
Si. Gli stava decisamente succedendo qualcosa. Non riuscivo a spiegarmi il
perché, ma quel cambiamento mi aveva fatto vedere Nathan con occhi diversi; per
la prima volta mi soffermai veramente sui suoi tratti: i suoi capelli
scompigliati erano castano chiaro, il suo viso non era molto spigoloso (le sue
guance erano coperte da una finissima barba, quasi invisibile) e i suoi occhi
avevano un colore davvero affascinante: un verde tenue, quasi confondibile con
l’azzurro. Il suo fisico poi era ben scolpito. Rimasi meravigliata da me
stessa..Non mi era mai capitato di analizzare così attentamente un ragazzo che
non fosse Jake. Di solito era lui il mio oggetto di osservazione preferito.
Prima che si accorgesse che lo avevo guardato con molto interesse mi sedei di
fronte a lui, fingendo noncuranza.
“Ok. Da dove partiamo?”,
gli chiesi con un sorriso, ancora scombussolata dalla via che i miei pensieri
avevano preso. Pensavo che tutto sarebbe stato molto forzato ed imbarazzante,
invece scoprii che il Nathan che avevo davanti era una persona completamente
diversa da quello che incontravo tutti i giorni a scuola. Tutti i miei gesti, le
mie parole, adesso erano molto naturali e spesso venivano accompagnate da
sorrisi e battute da parte di Nathan..Amy sicuramente non mi avrebbe creduto.
Dopo un’oretta che lavoravamo al progetto – la diffusione della corrente
all’interno di un circuito – e dopo una ciotola di patatine svuotata, mi tornò
in mente una conversazione che ebbi con mio padre qualche tempo prima: ero
tornata da scuola furiosa, sempre per colpa delle risposte scortesi di Nathan.
“Nessie, non prendertela
così con quel ragazzo…” “E perché non dovrei? È odioso, sbruffone, acido come un
limone acerbo e…”. Mio
padre mi fermò con una mano, chiedendomi quanto effettivamente sapevo di Nathan.
“Beh..So che stava a
Detroit, che è figlio unico e che adesso abita a Port Angeles dai vostri amici,
i Cheney. Perché mi fai questa domanda?”
Papà sospirò, proseguendo la sua
spiegazione: “È buona
educazione, Nessie, non giudicare le persone dalle apparenze. Molto spesso
possiamo farci un’idea sbagliata, rimanendo impigliati nei pregiudizi, quando
dietro la maschera si potrebbe celare qualcuno di gran lunga differente. Impara
a conoscere Nathan, forse potrai trovare in lui un ottimo amico.”.
Inarcai le sopracciglia, pensando che sarebbe stato un vero miracolo se fossimo
riusciti a diventare qualcosa che fosse anche lontanamente simile all’essere
amici. Papà sorrise alla lettura dei miei pensieri:
“Se proprio vedi che non vuole essere
tuo amico, lascialo perdere. Non preoccuparti, piccola…”.
Mi diede un bacio ghiacciato sulla fronte e mi lasciò sola, persa nei miei
pensieri.
“Ehi, Renesmee? Ti
stai addormentando? Di questo passo non arriveremo neanche a metà del lavoro!”,
mi disse Nathan, richiamandomi alla realtà.
“Che hai? Ho detto qualcosa che non dovevo?”.
Io lo guardai disorientata per un attimo, cercando di arrivare ad una
conclusione logica su cosa facesse di lui un ragazzo così strafottente ma al
tempo stesso tenero… “Oh,
no Nathan, non ti preoccupare. Stavo solo pensando ad una conversazione con mio
padre…Dai, continuiamo.” “Ok..Ma per favore, non chiamarmi ancora Nathan…Nathe
va bene, è più corto!”,
mi disse con un sorriso.
“Nessie. Renesmee è più complicato..Ma non lo dire a mia madre,
potrebbe arrabbiarsi un bel po’..”,
risposi, sorridendo a mia volta. Continuammo a scrivere ogni minima cosa che
succedeva a quel circuito, fino a che Nathan mi fece una domanda che mi spiazzò:
“Nessie..Sei felice di
stare qui? A Forks?” “Si, certo! È un posto tranquillo, e poi ho tutte le
persone a cui voglio bene vicino…”.
Vidi un’ombra attraversargli gli occhi. Cavolo..Avevo detto qualcosa che non
avrei dovuto dire. Dopo una breve pausa Nathe continuò:
“Capisco. Ma dimmi, hai mai pensato a
come sarebbe stata la tua vita se non avessi avuto nessuno?”.
Lo guardai, senza sapere che dire. La risposta ai miei pensieri stava arrivando
con la forza d’impatto di un meteorite.
“Io..Beh, veramente no..Ti senti molto solo, vero?”.
Non mi rispose e abbassò lo sguardo. Poi disse:
“Nessie…Io ho perso i genitori. Ad
agosto. È per questo che sono così..Non so perché ma tu sei l’unica con cui
riesco a parlare, in un modo o nell’altro…Ti chiedo scusa, per tutte le volte
che ti ho fatto arrabbiare. Provocarti era l’unica maniera che mi impedisse di
scoppiare…”. Ecco, la
forza devastante della realtà era arrivata. Sentivo un peso immenso schiacciarmi
il petto, come se stessi soffocando.
“Mi dispiace tantissimo Nathe…Non sapevo che…”.
Le parole mi si bloccarono in gola. Lui si immobilizzò, gli occhi persi nel
vuoto. Dopo un po’ alzò lo sguardo fino ad incontrare il mio; rimanemmo senza
dire niente per qualche secondo, fino a che non vidi delle piccole perle
trasparenti formarsi agli angoli dei suoi occhi, per poi precipitare sul suo
viso come piccoli ruscelli.
“Scusa, io non volevo tirarti in mezzo ai miei
problemi..Scusami, Nessie.”
“Nathe..Io..”.
Non riuscii a continuare: vederlo così distrutto mi fece male. La maschera di
sbruffonaggine era crollata definitivamente. Lui si alzò, poggiandosi al muro,
cercando di ricacciare indietro le lacrime. Così, senza pensarci due volte mi
alzai dal mio posto, avvicinandomi. Con un movimento quasi automatico, mentre
sentivo gli occhi bruciare, gli portai lentamente le braccia intorno al
collo,stringendolo. Quello che mi lasciò ancora di più senza parole, fu sentire
le sue lunghe braccia salirmi lungo la schiena, prima di chiudersi dolcemente
intorno a me. Anche se il momento era tutt’altro che appropriato, non potei fare
a meno di rimanere stordita dal profumo di Nathe..Sapeva di menta fresca e
limone…Grazie al cielo erano anni che non bevevo sangue umano. Scacciai
disgustata da me stessa quel pensiero, sentendo che i singhiozzi del ragazzo si
stavano riducendo ad un respiro profondo. Molto delicatamente lo scostai, per
riuscire guardarlo negli occhi. Lui intercettò il mio sguardo, rimanendo
sorpreso dalle scie umide che segnavano le mie guance:
“Ehi, Cullen..Non credevo che fossi
così sentimentale..Dai, di piagnucoloni ne basta uno solo…”,
mi disse sorridendo, prima di passarmi le dita sul viso per portare via le
lacrime. Non appena le sue mani mi sfiorarono mi sentii andare a fuoco…Cosa
diavolo mi stava succedendo? Io non avevo occhi che per Jacob, il mio licantropo
preferito fin da quando ero nata..Perché adesso sentivo il cuore impazzirmi,
mentre quando ero con Jake provavo solo un senso di profonda tranquillità? Come
se questa ondata di emozioni non bastasse, rimasi sconvolta dalla forza con cui
i miei occhi rimanevano incatenati a quelli di Nathe…Silenzioso, lui iniziò ad
avvicinarsi al mio viso. Molto pericolosamente. Nessie non puoi…Nessie, tu vuoi
bene a Jacob…Renesmee Cullen non fare ca…Buio assoluto. La mia mente aveva
esposto il cartello “Chiuso per ferie”. Le morbide labbra di Nathan Whellens si
erano posate dolcemente sulle mie. Dentro di me sentii un’esplosione di emozioni
farsi strada, senza riuscire a decifrarne nessuna. Fu un bacio casto, senza
pretese di andare oltre a quello che stava già succedendo, nel quale riuscii a
percepire una profonda gratitudine. Quando Nathe si allontanò dal mio viso lo
vidi sorridere, per poi sussurrarmi:
“Grazie Renesmee…”.
Il tono rotto della sua voce mi fece sussultare; non riuscivo a credere a quello
che era appena successo. Come se volessi ripagarlo con la sua stessa moneta,
sentii il bisogno di annullare di nuovo la distanza fra noi, avvicinando così le
mie labbra alle sue. Non c’era niente che gli facesse intendere che volessi
andare oltre, quindi mi staccai dopo poco.
“Non c’è di che.”,
gli dissi imbarazzata ma sorridente, prima di sciogliere la stretta che ci
teneva ancora legati, per poi tornare a sedermi al tavolo inondato di fogli
pieni di appunti. Trascorremmo l’ora successiva a mettere in ordine tutto quello
che avevamo annotato, senza riferimenti a quello che era successo prima.
All’improvviso sentii vibrare il cellulare nel giubbotto: era mia madre che
voleva sapere quando avrebbe dovuto venire a prendermi.
“Nessie, se vuoi ti accompagno io a
casa..Tanto rimango qui stanotte.”,
mi disse Nathe gentile. La mamma si dimostrò d’accordo, avvertendomi di
stare attenta e di dire a Nathe di andare piano. Risi alle sue parole, pensando
tra me che lei e tutta la mia famiglia vampiresca non avevano la benché minima
idea di cosa volesse dire andare piano in macchina. Beh, se per questo nemmeno i
mezzi-vampiri…“Non ti preoccupare mamma, starà attentissimo. Ci vediamo fra poco…Si,
anche io ti voglio bene…Ciao.”. Nathe scoppiò a
ridere quando vide la mia espressione rassegnata mentre si infilava il
giubbotto, già con le chiavi dell’Alfa in mano, avviandosi verso la macchina.
Presi le mie cose, passando in rassegna tutto per vedere se avevo dimenticato
qualcosa e lo seguii. Rispetto al viaggio di andata, quello di ritorno fu
davvero piacevole: Nathe era davvero un’altra persona..Si mise perfino a cantare
una canzone del cd che stavamo ascoltando. Quando arrivammo nei pressi del
vialetto che conduceva a casa dei nonni gli dissi di accostare, inventando la
scusa che mio padre sarebbe venuto a prendermi.
“Sei sicura di voler scendere qui? È quasi buio, non mi fido degli elementi che
possono essere in giro a quest’ora…” “Tranquillo Nathe, fra poco arriva papà..Tti
ringrazio comunque.” “Ok, come vuoi..Ah, senti Nessie..Riguardo a oggi
pomeriggio..” “Non dirò niente né ad Amy, né alle altre mie amiche…” “No, non è
per questo..Anzi, forse e meglio che rimanga tra me e te…Comunque, volevo
ringraziarti per essermi stata vicino…”. Che
tenero Nathe…Adesso si che lo vedevo davvero.
“Ma figurati, non dirlo nemmeno per scherzo! Quando vuoi io ci sono, Nathe…”.
Mi sorrise, prima di dirmi che per me valeva la stessa cosa. Prima di scendere
dall’auto mi avvicinai a lui, dandogli un leggero e veloce bacio sulla guancia.
Lui rimase immobile per mezzo secondo, poi mi salutò con un cenno della testa e
partì. Dopo neanche aver fatto 20 metri tornò indietro fermandosi di nuovo
vicino a me, con il finestrino abbassato: “Ehi,
Cullen..Te l’ha mai detto nessuno che hai delle labbra morbidissime?” “NATHAN
WHELLENS!!!”, sbraitai indignata e rossa quasi
quanto i miei capelli. Nathe scoppiò a ridere, facendomi l’occhiolino prima di
ripartire a tutta velocità verso casa. Rimasi a fissare l’auto che si
allontanava con i denti digrignati, facendo scorrere nella mente il fiume di
imprecazioni che rivolsi a quello sbruffone, prima di iniziare a correre lungo
il viale di casa Cullen. Appena entrai in casa dei nonni, papà mi venne incontro
con aria preoccupata, chiedendomi perché mai avessi iniziato ad elencare un
sacco di parole molto poco adatte ad una ragazza.
“Niente papà…Anzi, scusami per averlo fatto.”.
Sapendo che se avessi pensato al pomeriggio sarebbe venuto a conoscenza di
quello che era successo (con conseguenze non proprio felici per Nathe), iniziai
a figurarmi nella mente tutti gli appunti di Scienze. Andai in camera mia a
posare lo zaino, prima di essere raggiunta dalla mamma.
“Ciao piccola…Allora, come è andata oggi?”
“Molto bene..Abbiamo già svolto più della metà
del lavoro. Dobbiamo solo riordinare tutto e consegnare il progetto.” “Certo,
non poteva essere altrimenti…Però devi darmi un buon motivo per non andare a
sbrindellare il tuo compagno.”. La guardai,
confusa. Lei proseguì sussurrandomi all’orecchio:
“Perché hai pianto, Nessie?”.
Mi inchiodò con il suo sguardo dorato, cercando di trovare sul mio viso la
risposta alla sua domanda. Subito sentii invadermi dall’imbarazzo…Non avevo
segreti con la mamma. Era sempre stata un’ottima osservatrice. Mi voltai,
dandole le spalle, cercando di trovare le parole per spiegarle nel modo migliore
ciò che era accaduto senza farla arrabbiare. Fraintendendo il mio silenzio, mi
disse: “Ho capito, non ne vuoi parlare…Ti va di
mostrarmelo?”. Tornai a guardarla negli occhi,
prima di avvicinarmi a lei e posarle una mano sulla guancia. Dopo un attimo vide
attraverso la mia mente ogni momento di quel pomeriggio…Appena i miei ricordi
arrivarono alla parte più imbarazzante mi sentii avvampare. Sentii la mamma
trattenere il respiro, seguito subito da un sibilo che le uscì dai denti
digrignati. Quando i ricordi finirono le chiesi mentalmente di non dire una
parola a nessuno su quello che aveva visto, nemmeno a papà. Sarebbe stato il
primo a correre verso la casa di Nathe per staccargli la testa. Mamma era
immobile come una statua, e mi fissava passandomi da parte a parte. Lei sarebbe
corsa sicuramente per seconda. Le assicurai che non c’era niente tra noi, e che
non aveva importanza. Vedendo la mia implorazione mentale, accompagnata dallo
sguardo supplichevole che le riservavo sempre quando si trattava di mantenere un
segreto, si rilassò, stringendomi una mano.
“Nessie, spero ti renda conto della situazione in cui ti sei cacciata…Come la
metti con Jacob?”. Giusto..Come la mettevo con
Jacob? Lui era sempre stato il mio punto di riferimento principale, era
fondamentale per me. Quello che era successo tra me e Nathe non aveva
importanza, era stata una cosa imprevista e soprattutto dettata dalla situazione
che si era creata. Alzai le spalle, mostrandole che avrei presto chiarito tutto.
“Jake fra poco sarà qui. Spiegagli come stanno
le cose, sono certa che capirà…” “Va bene mamma…Grazie.”.
Lei mi sorrise, prima di scendere giù ad aprire la porta al suo amico
licantropo. L’odore di Jacob, mischiato a quello di Seth e Quil, si fece strada
in casa; una paura improvvisa si impadronì di me, ma decisi che non potevo stare
confinata in camera fino a che fossero andati via. Così mi feci coraggio e scesi
le scale, facendo finta di niente. Jacob mi aspettava in fondo, con un grande
sorriso stampato in volto. Oltre alla paura adesso c’era anche il senso di
colpa. Appena arrivai all’ultimo gradino Jake mi abbracciò, sollevandomi da
terra e stampandomi un bacio rovente sulla guancia. Gli sorrisi imbarazzata,
prima di prenderlo per mano e dirigermi verso la sala da pranzo. Come al solito,
il nonno aveva cucinato per uno squadrone: una quantità industriale di
antipasti, tre tipi di primo, quattro secondi e come se non bastasse, anche una
crostata al cioccolato immensa. Alla fine però i suoi conti si rivelarono
esatti…Non rimase nemmeno una briciola di quello che aveva preparato: i tre
licantropi avevano mangiato come se fossero 5 persone a testa! Dopo la cena,
Jake disse agli altri due di andare senza di lui, chiedendo a mio padre il
permesso di portarmi giù a LaPush. “Te la
riporto prima dell’alba, promesso!” “Prima dell’alba? Ma sei impazzito? Massimo
le 3…Domani Nessie deve andare a scuola, te ne sei dimenticato?” “Come vuoi,
Edward…Bella, non ti preoccupare, sarò puntualissimo!”,
disse a mia madre che lo stava guardando severa.
“Lo spero per te, Jake…”,
rispose lei quasi divertita. Poi, senza farsi vedere da mio padre, mi fece
l’occhiolino per ricordarmi la promessa che le avevo fatto prima. Io annuii in
risposta, prima di uscire di casa ed iniziare a correre affiancata dall’enorme
lupo rossiccio. Come sempre, quando correvo i pensieri sembravano svanire dalla
mia mente: era un gran bel metodo per sfogarsi.
Arrivati alla
spiaggia della riserva, Jake si ritrasformò, lanciandomi una sfida:
“Il primo che prende l’altro
vince. Ci stai, mostriciattolo?” “Preparati alla sconfitta, Black. Ti catturerò
ancora prima che tu te ne accorga!”,
gli dissi guardandolo con aria trionfante.
“Al mio tre allora. Uno..Due..TRE!”,
annunciò Jake. Non fece in tempo a finire di parlare che io ero già scomparsa in
mezzo agli alberi scuri. Grazie alle mie percezioni sensoriali ampliate riuscii
ad individuare subito Jake, evitando tutti i suoi tentativi di cattura. Anche
lui però era molto bravo a sfuggirmi..Quel gioco era uno di quelli che facevamo
da quando ero nata, l’allenamento ormai era molto avanzato. All’improvviso lo
vidi sbucare da un cespuglio e ritrovarsi in spiaggia. Io ero sottovento,
acquattata su un ramo di abete norvegese alto almeno 30 metri. Silenziosa come
un felino durante la caccia mi spostai in modo da prenderlo alle spalle: con uno
scatto mi lanciai verso di lui e gli saltai addosso, imprigionandolo con braccia
e gambe. “Brutta
mezza-vampira imbrogliona! Non si attacca alle spalle!”,
disse cercando inutilmente di liberarsi dalla mia stretta.
“Ma dai Jake, lo sai che l’ho fatto con
le intenzioni più buone..e comunque..HO VINTO IO!!!”,
replicai prendendolo in giro, alzando al cielo un pugno in segno di vittoria.
Pessima mossa. Jacob riuscì a liberare una mano, iniziando così la più malefica
delle torture: il solletico. Devastata dalle risate allentai la presa, così lui
mi afferrò con un movimento agile bloccandomi, senza smettere un attimo di farmi
il solletico. Per tenermi ancora più ferma mi intrappolò sulla sabbia: adesso
non avrei avuto nessuna via d’uscita, tranne usare i denti. Ipotesi che scartai
subito, dato che avrei corso il rischio di strappargli la carne dalle ossa..
“Ok, ok, basta..Mi sono
vendicato abbastanza!”,
disse Jake soffocando le risate. Il loro suono era profondo ma chiaro: una delle
cose che mi piacevano più di tutte di lui. In fondo, volevo davvero bene a Jake.
Imprinting o meno, mi era sempre stato vicino..Prima come fratello maggiore, poi
come amico…E adesso? I pensieri iniziarono ad occuparmi di nuovo la testa, come
una massa ingombrante di scatoloni pieni di roba.
“Ti sarai anche vendicato Jacob, però
non puoi negarmi la vittoria…”,
gli dissi, sistemandomi meglio sulla sabbia fresca della spiaggia. Lui fece lo
stesso, stendendosi accanto a me. Con noncuranza iniziò ad accarezzarmi i
capelli, spostandomi alcune ciocche boccolose dal viso. Era bello stare li, in
silenzio. Silenzio che fu rotto dalla voce improvvisamente bassa e roca del
ragazzo: “Sai, prima
quando ho detto che eri brutta…Beh, stavo scherzando. Sei bellissima, Nessie…”.
Sentii il cuore mancare un battito. Aveva espresso molte volte apprezzamento per
me, ma mai con quel tono..Mai in quel tipo di situazione. Continuava ad
accarezzarmi, passando dai capelli agli zigomi, dagli zigomi alle labbra, dalle
labbra al mento. Il suo respiro iniziò a farsi più veloce, mentre il suo sguardo
stava diventando sempre più profondo ed intenso.
“Nessie..Penso che tu lo sappia
già..Sento comunque il bisogno di dirtelo, impazzirò se mi trattengo ancora.” “Jake..Senti,
non devi..”. Mi zittì
posandomi un dito rovente sulle labbra. Poi prese un respiro e mi passò la mano
enorme sulla guancia e poi sulla nuca. La tachicardia si ripresentò,
accompagnata dal respiro veloce. Vidi il volto di Jacob farsi sempre più vicino
al mio…Come un lampo che squarcia il cielo, un paio di occhi verde tenue,
arrossati dalle lacrime passò nella mia testa. Poi, una serie di immagini si
susseguì in rapida successione, come se qualcuno stesse mandando una serie di
diapositive avanti a velocità innaturale. Alla fine l’odore di menta fresca e
limone si impadronì di me, ricordandomi il sapore di un paio di morbidissime
labbra. Jacob aveva quasi annullato la distanza fra noi, quando mi ritrassi
bruscamente. Lui mi guardò con uno sguardo confuso:
“Nessie, che succede?” “Non posso farlo
Jake. Mi dispiace..Io..Non so cosa mi sia preso. Scusa.”.
Mi alzai, con ancora l’immagine di quegli occhi verdi impressa nella memoria,
confusa e disorientata.
“Nessie cos’hai? Pensavo fosse quello che volevi anche tu…” “Jacob, lo vorrei,
davvero, ma adesso sono un po’ confusa…” “Confusa? E da cosa?”.
Era arrivato il momento che sapesse cosa era successo…
“Jake, non arrabbiarti…Oggi ero a casa
di un amico e…”.
Imbarazzata sentii le parole troncarsi in gola. Lui sembrò capire, perché lessi
sul suo viso un ondata di dolore.
“No, Nessie..Dimmi che non è vero..” “Jake, mi dispiace..Io ti
voglio bene, sei…” “Mi vuoi bene? Mi vuoi bene e basta, Renesmee? Non ci posso
credere..Tutto questo tempo buttato all’aria…” “No Jacob, non fraintendermi..Tu
sei molto importante per me, solo che adesso quello che vuoi tu non è quello che
voglio io.”. Vidi con
terrore che le sue mani stavano iniziando a tremare.
“Renesmee, tu lo sai che io ho avuto
l’imprinting con te…Io ti amo, dannazione! Credevo che anche tu mi amassi…Sono
solo uno stupido!” “Jake, calmati per favore..Tu per me sei..” “COSA SONO IO PER
TE? DIMMELO, RENESMEE..SONO SOLO UN COMPAGNO DI GIOCHI? IL TASSISTA CHE TI PORTA
A SCUOLA? DIMMELO, DANNAZIONE!”.
Le lacrime iniziarono a rigarmi il viso..Avevo paura, non sapevo che fare..Non
lo avevo mai visto così.
“Jake mi dispiace..Non voglio che succeda questo tra noi…” “È già successo
Nessie..È troppo tardi ormai!”.
Il dolore mi schiacciò la testa, non sapevo che fare.
“Ti sto chiedendo solo un po’ di
tempo..Nient’altro. Per favore Jacob, ascoltami..” “Devi dirmelo adesso, Nessie..COSA
DIAVOLO SONO IO PER TE?”.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Non lo so, Jacob.”,
gli dissi scoppiando definitivamente a piangere, prima di voltarmi e sparire tra
le ombre scure degli alberi di LaPush. Dopo nemmeno un minuto, il silenzio della
notte fu squarciato da un ululato straziante, che attraversò inesorabile la
foresta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Cap. 2 - Jacob Black ***
Nuova pagina 1
Cap. 2 – JACOB BLACK
[..] ..Sarà l'abitudine,
sarà che
ogni giorno eri con me.
Indimenticabile..
ancora mi
vieni in mente
così
incessantemente,
come una
goccia che
cade
leggera ma scava dentro me.. […]
(Lasciala
andare – Irene Grandi)
LaPush, Riserva
degli indiani Quileute.
“Nessie…Sei
qui? Rispondimi ti prego…Nessie?”.
Era buio pesto e stava diluviando. Camminavo disorientato, senza sapere dove mi
trovavo. L’unica certezza che avevo era la presenza della mia luce…Anche se in
questo momento non riuscivo a vedere dove fosse.
“C’è qualcuno? Nessie dove sei?”.
Niente. Sentivo solo il rumore dei miei passi. Ad un certo punto, un lampo
illuminò il mio cammino facendomi apparire davanti una scena che mi gelò il
sangue: una ragazza bellissima, dai lunghi capelli color bronzo, era abbracciata
ad uno sconosciuto. E si stavano baciando.
“Renesmee…RENESMEE!”.
Iniziai a correre verso di loro, devastato dalla
rabbia e dal dolore. Il tremore nel mio corpo iniziò ad aumentare, fino a farmi
trasformare in lupo. Correvo sempre di più, ma non riuscivo a raggiungerli; era
come se si allontanassero da me mentre mi avvicinavo a loro. All’improvviso vidi
Nessie girarsi verso di me, con aria disgustata, prima di prendere per mano lo
sconosciuto e sparire dalla mia vista, mentre un altro lampo attraversava il
cielo.
Mi alzai dal letto con uno scatto,
ansimante. Ero nella mia camera; un improvviso capogiro mi costrinse a
ristendermi. Mi coprii il volto con le mani, cercando di calmarmi. Era un
incubo..Lo stesso incubo che mi impediva di dormire ormai da una settimana.
Appena realizzai di essere completamente sveglio mi alzai, uscendo di casa come
un treno. Aspettai di essere distante almeno un chilometro da casa, poi
consentii al tremore di possedermi completamente. Subito fui raggiunto dai
pensieri di Seth; quella notte era lui di guardia.
“Ehi, fratello..Ancora quell’incubo eh?
Secondo me dovresti parlarle.”
“Fatti gli
affari tuoi, Seth.”
“Ok, ok…Ma se
posso dirtelo, fratello, stai peggio di Embry quando ha l’indigestione.”
“Seth, ti ho
detto di non impicciarti. Vai verso Sud, Charlie stamani mi ha accennato che ci
sono problemi con dei fuggiaschi. Trovali, pestali e riportali alla centrale.”
“Come vuoi. Ci
vediamo più tardi..Stai su, fratello.”
“Fila,
Clearwater.”. Povero
Seth..Lo avevo trattato malissimo. Al suo ritorno mi sarei scusato.
Per non piombare di nuovo nella situazione
di dover dividere i miei pensieri con gli altri fratelli del branco, decisi che
era meglio tornare umano. Correvo senza meta, troppo confuso dal dolore per
essere razionale. Forse ero l’unico licantropo ad essere stato respinto
dall’oggetto del suo imprinting…Che cretino. E dire che ci avevo anche sperato.
Senza rendermene conto mi ritrovai in cima alla scogliera, quella che usavamo
per le gare di tuffi…Quella da cui Bella, la mia migliore amica, si era gettata
molto tempo fa in preda ad un’orribile crisi depressiva causata dalla partenza
del succhiasangue pianista. Scacciai quel ricordo dalla testa, osservando
l’acqua scura turbinare sotto di me, quando l’immagine straziante che appariva
nel mio incubo mi tornò alla mente. I singhiozzi iniziarono a scuotermi, mentre
alcune lacrime decisero di farsi strada sulle mie guance. All’improvviso sentii
il bisogno di vederla…Senza stare li a rimuginare come un idiota scattai con un
balzo, dirigendomi a tutta velocità verso casa Cullen. In men che non si dica
ero li: l’odore dolciastro tipico dei vampiri mi assalì subito. Arrivai vicino
alla piccola casetta di Edward e Bella, ma non riuscendo a cogliere l’odore di
Nessie mi fiondai alla villa del dottore. Superai i gradini del portico con un
salto, per poi bussare alla porta. Dopo nemmeno tre secondi mi ritrovai di
fronte la minuscola Alice Cullen. “Cosa ci fai qui,
Jacob?” “Lei è qui, vero?”, le chiesi
impaziente. Annuì sospirando, spostandosi per farmi entrare. Mi mise una mano
sul braccio, fuoco e ghiaccio a contatto, guardandomi preoccupata:
“Sei sicuro di volerla vedere? Non stai abbastanza male
così?” “Sto da schifo. Ma se non la vedo ho paura di scoppiare…”.
Alice non disse niente, e mi precedette dentro casa. I Cullen erano quasi tutti
li: mancavano solo Esme, Carlisle ed Edward, sicuramente usciti per la caccia.
“Cosa vuoi, cane? Non ti pare di aver fatto
abbastanza danni?”, sibilò Rosalie,
trapassandomi da parte a parte con gli occhi.
“Rose, lascialo stare…Lo sai che non dipende da lui.”,
mi difese Alice guardando sua sorella. “È in
camera di Edward. C’è anche Bella con lei…”. La
ringraziai, iniziando a salire le scale velocemente. Giunto alla porta della
camera del succhiasangue sentii la voce più bella del mondo parlare, interrotta
da singhiozzi regolari. Un pugno invisibile mi arrivò in faccia. Mi odiavo.
Sospirai pesantemente, prima di bussare piano.
“È lui, mamma?” “Si amore. Vuoi che lo faccia entrare?”.
Seguii qualche istante di silenzio, prima che Bella parlasse di nuovo.
Probabilmente Nessie le stava mostrando qualcosa.
“Va bene, piccola. Glielo dico subito.”.
Captai il rumore dei passi della vampira, seguiti dallo scatto della maniglia.
Bella comparve da dietro la porta; nel momento in cui la aprì intravidi
Renesmee. Era seduta sul letto, con gli occhi gonfi di lacrime. Stringeva a sé
un grande pupazzo a forma di lupo...Un mio regalo. Il cuore mi sprofondò nello
stomaco, facendomi perdere il filo dei pensieri. Bella chiuse la porta e si
schiarì la gola, riportandomi a lei. “Ciao Jake.
Anche stasera nottataccia?” “Pessima. Lo sai, Bella..Non ce la faccio a starle
lontano. Posso..?” “Per adesso no. È ancora confusa, sai…Però è molto triste. Si
odia perché ti sta facendo soffrire. Mi dispiace, Jacob…”. L’incudine che
mi opprimeva il petto si fece ancor più pesante.
“Bella, devo scusarmi con lei. L’ho assalita quella notte..Non avrei mai dovuto
urlarle quelle parole. Mi farei ammazzare volentieri per aver creato questa
situazione.”. La voce cristallina di Rosalie
rispose dal piano di sotto: “Se vuoi ti aiuto
io, cane.”. Bella mi disse con gli occhi di ignorarla, prima di
continuare: “Devo ammettere che pensavo reagissi in
maniera diversa. È stata sincera con te, Jake. Avresti dovuto apprezzarlo.”.
Il suo sguardo si fece severo. “Questo lo so. Ma
quando mi ha detto che era stata da quello li mi ha fatto capire che era
successo qualcosa, e allora non ci ho visto più. Dannazione, sono un cretino..”
“Su, non pensarci..Fra un po’ le passerà. Mi ha detto tante volte che le manchi,
sai?”. Rimasi completamente spiazzato. Credevo
che Nessie non volesse più avere a che fare con me, dopo quella sera maledetta…
“Stai tranquillo, Jake. Ti posso assicurare che
la sua è solo una specie di cotta..Quel ragazzo ne ha passate davvero tante, lei
è solo rimasta colpita da lui. Mi ha detto che il loro rapporto non è neanche
lontanamente paragonabile a quello che ha con te. Quello che è successo è stato
provocato dalla situazione che si è venuta a creare quel pomeriggio…Lasciale
ancora qualche giorno, vedrai che appena avrà messo in ordine tutti i suoi
pensieri correrà da te.”
“Non ce la faccio più, Bella…Comunque cercherò di fare
il possibile.”. Lei mi sorrise, abbracciandomi.
Anche io la abbracciai, prima di scendere di nuovo ed avviarmi fuori da casa
Cullen.
I giorni
successivi furono un vero e proprio tormento. La mattina mi nascondevo fra gli
alberi, sottovento, per cercare di vedere Nessie senza farmi scoprire. Ed ogni
volta che la vedevo avrei voluto morire. Riuscivo a vedere che i suoi occhi
erano tristi, quasi sempre arrossati dal pianto… Non riuscivo a darmi pace per
quello che stava succedendo, e i miei fratelli adesso stavano davvero iniziando
a stufarsi. Fino a che una mattina, invaso da una forza di volontà irremovibile,
decisi che le dovevo parlare, fosse stata l’ultima cosa che avessi fatto. Così
decisi di andare a scuola: sicuramente avrei avuto più possibilità di
incontrarla. Parcheggiai la macchina e mi avviai svelto verso l’entrata.
Mancavano circa dieci minuti alla fine della lezione prima della pausa, quindi
decisi di aspettare che Nessie uscisse. Nei corridoi c’erano solo due o tre
studenti..Però uno in particolare attirò la mia attenzione. Era come se i miei
sensi mi stessero dicendo che, in un modo o nell’altro, avessi qualcosa a che
fare con lui. “Dai,
Cullen..Quanto ci metti ad uscire?”,
disse, parlando a sé stesso. Le mie orecchie si drizzarono, sentendo il nome del
mio sole venire pronunciato da quel ragazzo. Nella mia testa i pensieri
iniziarono a vorticare furiosamente, diventando presto immagini nitide: il volto
dello sconosciuto dei miei incubi adesso era sostituito da quello della persona
che mi stava a qualche metro di distanza.
“Calmati Jake. Calmati.”,
pensai, mentre sentivo la schiena pizzicare. Respirai profondamente, pensando a
cosa dovevo fare. Poi la rabbia ebbe la meglio sulle mie intenzioni.
“Ehi, scusa…”,
richiamai la sua attenzione, facendogli segno di avvicinarsi. Lui si guardò
attorno, prima di incamminarsi incerto verso di me.
“Ciao.” “Ciao..Ci conosciamo?” “Oh, no,
non credo proprio…Jacob Black, piacere.”,
mi presentai, stringendogli la mano.
“Nathan Whellens.
Piacere mio. Posso esserti
utile?” “Beh, a dir la verità si..Avrei bisogno che mi dicessi un po’ di cose…”
“Riguardo?”. Sentii un
brivido percorrermi da capo a piedi.
“Riguardo…Renesmee Cullen.”,
dissi con un sibilo, guardandolo minaccioso. Nathan rimase a fissarmi, quasi
impaurito. “Di Nessie?
Ah, ho capito chi sei…Mi parla spesso di te. Cosa vuoi sapere?”.
Feci una smorfia quando sentii pronunciare quel nome perfetto dalla bocca di
quello stolto. Il tono con cui mi parlò fece salire ancora di più la rabbia,
così fregandomene di chi c’era nel corridoio lo afferrai per il colletto della
maglia e lo attaccai contro il muro:
“Ascoltami bene, moccioso. Devi dirmi cosa c’è esattamente fra
voi. Lo so che hai osato insudiciare le sue labbra con le tue. E adesso parla,
prima che ti spacchi questo tuo bel faccino.” “Ma sei fuori? Toglimi subito le
mani di dosso!”. Invece
di allentare la presa, strinsi ancora di più. In quell’istante la campanella
suonò, ma ero troppo furioso per lasciare andare quel pidocchio. Continuavo a
guardarlo come se volessi mangiarmelo, fino a che udii la voce perfetta di
Nessie avvicinarsi sempre di più. Stava ridendo..Parlava con un’amica,
sicuramente. Dopo un secondo però la sentii trattenere il fiato, mentre i libri
le caddero dalle mani. Lasciai subito andare il ragazzo, che finì seduto in
terra. “COSA DIAVOLO STAI
FACENDO, JACOB?”, urlò
Nessie, completamente furiosa. Corse subito a soccorrere il moccioso, seguita da
una ragazza con i capelli lunghi, liscissimi e neri, con degli occhi azzurri
come il ghiaccio. La sua amica del cuore, colei di cui mi parlava in
continuazione. “Amy,
aiutami…Ce la fai a reggerlo?”,
le disse, tirando su il suo amichetto.
“Sei completamente impazzito? Mi spieghi che cavolo ti è preso?” “Nessie, io
volevo parlare con te…Scusami, ti prego…” “SCUSAMI UN CORNO!”,
sbraitò lei, rossa di rabbia. Mi diede uno spintone, facendomi barcollare.
“PERCHÈ NON LO HAI FATTO
DIRETTAMENTE A POLPETTE? ESIGO UNA SPIEGAZIONE BLACK. E LA ESIGO ADESSO.”.
Renesmee era fuori di sé. Non l’avevo mai vista così…Continuava a tirarmi pugni
e schiaffi sulle braccia e sul petto; di li a poco sarei stato coperto di lividi
se non avesse smesso. Con un movimento veloce le bloccai le mani, così lei
digrignò i denti perfetti ringhiando. D’altra parte era pur sempre una
mezza-vampira, quelle reazioni le venivano naturali. “Renesmee
ascoltami…Va bene, ho esagerato, ma ho capito che lui era…” “Lasciami andare,
Jacob, o ti salto alla gola.”,
sibilò minacciosa. Feci come voleva; il tono che aveva usato mi spaventò. Ancora
con i denti in vista mi disse:
“Spiegati, Jacob. Dammi una ragione per non permettermi di farti
a brandelli.” “Ok, mi spiego, basta che me ne lasci il tempo!”.
Ringhiò di nuovo, una luce assassina negli occhi color
cioccolato. “Allora, sono venuto qui per parlare
con te, cercare di chiarire la situazione. Solo che poi sono stato accecato
dalla rabbia quando ho visto quello li. Ti chiedo scusa
.” “Non è a me che devi chiedere scusa. I conti
li facciamo dopo a casa, così sarò sicura che qualcuno mi fermerà.”,
mi disse, prima di voltarsi ed accompagnare la sua amica e il ragazzo verso
l’infermeria. La folla di gente che si era creata intorno a noi rimase
ammutolita per tutta la durata della discussione; evidentemente non avevano mai
visto qualcuno così infuriato. Decisi che il primo passo per riappacificarmi con
Nessie era chiedere scusa al moccioso. Con alcuni grandi passi li raggiunsi,
posando una mano sulla spalla di lui. “Ti chiedo
perdono, Whellens.”.
Nathan mi fece un cenno con la testa, riprendendo a camminare appoggiandosi a
Nessie e alla sua amica. Quello che però mi fece male, fu lo sguardo carico
di…odio? O delusione, forse?, che la luce dei miei occhi mi stava rivolgendo.
Dopo qualche
passo sparirono dietro l’angolo, lasciandomi li con la mia tristezza. Tutti
color che erano stati spettatori della nostra litigata avevano deciso che era
meglio allontanarsi, prima che scattassi di nuovo. Silenzioso, mi trascinai
fuori dalla scuola con passo lento e pesante, con ancora stampati in testa gli
occhi di Nessie. Decisi di tornare alla riserva, avevo bisogno di stare solo.
Niente branco.
Niente Billy.
Salii in macchina e schiacciai fino in fondo l’acceleratore;
prima mi levavo di torno, meglio era. Tornai di nuovo alla scogliera, il posto
che più di tutti mi aiutava a pensare. Il rumore delle onde spazzate dal vento
era rilassante…Forse, stando seduto lassù, sarei riuscito a far sbollire la
rabbia che ancora mi faceva pizzicare la schiena.
Non so definire
quante ore erano passate quando un suono acuto ed insistente interruppe la mia
meditazione. Mi frugai in tasca alla ricerca del mio microscopico cellulare…Un
regalo di Bella, visto che quello che avevo prima era ormai un modello
preistorico. Quando risposi il cuore mi si fermò…Non mi aspettavo che fosse
proprio Nessie a chiamarmi..Pensavo incaricasse sua madre di farlo per lei.
“Pronto…” “Ti voglio a
casa dei miei nonni fra dieci minuti. Guai a te se ritardi di un solo secondo.”.
La sua voce mi suonò fredda; un altro particolare da aggiungere alla piccola
Cullen in versione furia devastante. Senza neanche pensarci su una frazione di
secondo mi precipitai a tutta velocità verso casa Cullen, prima di rischiare di
arrivare davvero in ritardo. Allo scattare del nono minuto bussai, ringraziando
il Cielo di essere riuscito a scongiurare un’ulteriore condanna per tempo
scaduto. Qualcuno mi aprì, senza affacciarsi. Dall’odore doveva essere Rosalie.
Entrai, senza chiedere il permesso, prima di ritrovarmi faccia a faccia con tre
vampiri visibilmente irritati. La bionda senza cervello, il pianista e la mia
migliore amica mi stavano squadrando da capo a piedi. Molto bene. Sarebbe stato
più difficile di quanto pensassi.
“Mamma, papà, zia…Lasciateci soli. Ma non allontanatevi, non so
quanto riuscirò a controllarmi.”.
Rosalie mi passò accanto, storcendo il naso. Edward e Bella non dissero niente,
allontanandosi come era stato chiesto loro dalla figlia. Non riuscii comunque ad
evitare i loro sguardi delusi. Soprattutto quello di Bella, che scosse la testa
prima di sparire in cucina.
“Ti avverto, sono molto irascibile in questo momento. Occhio a
quello che dici.”. Eh
si. Irascibile era la parola giusta. Presi posto di fronte a lei, che si era
seduta sulla poltrona di suo nonno. Aveva messo le gambe sul bracciolo, in modo
da stare più comoda. Non potei fare a meno di ammirare la perfezione del suo
corpo…Era una cosa alla quale non sarei mai riuscito ad abituarmi.
“Sto aspettando, Jacob.”,
mi ricordò, scocciata.
“Ehm..Io..Volevo iniziare chiedendoti di perdonarmi, Nessie. Sono stato un
perfetto idiota, non avrei mai dovuto assalire il mocc…Whellens.”,
mi corressi, quando lei mi rivolse un’occhiataccia.
“Solo che mi devi dire perché hai..Si,
insomma, hai capito..” “Perché l’ho baciato? Vuoi sapere questo?”.
Le sue parole mi trafissero. Cercai di non farci caso, incitandola con un cenno
a continuare. “Non è
stato calcolato. Era distrutto, il suo e il mio sono stati solo baci d’affetto.
Non hai la più pallida idea di che vita abbia fatto in quest’ultimo periodo…Io
sono stata l’unica capace di capirlo.”.
La ascoltai in silenzio, guardandola fisso negli occhi. Il suo orgoglio le
impediva di abbassare lo sguardo, anche se stava parlando di una cosa abbastanza
delicata. “Non ha avuto
nessun significato, Jacob. È solo servito a far nascere la nostra amicizia.” “E
tu baci le persone per far nascere le amicizie? Andiamo, Ness…”.
Nessie mi guardò allibita.
“Non mi credi? Pensavo che avessi fiducia in me…Sono sempre più delusa da te,
sappilo.” “Ma no, Ness, non è che non ti credo…È solo che non riesco a
capacitarmi del fatto che il tuo..Primo bacio..-
arrossii violentemente -
..tu
lo abbia dato a qualcuno
che..Non sono io, ecco. Te l’ho detto.”.
Un ringhio basso e prolungato arrivò dall’altra stanza.
“Mamma…” “E dai, Bells…”,
pronunciammo nello stesso istante. Incrociai gli occhi di Nessie per un secondo,
prima di tornare ad osservare con molto interesse le rigature del parquet. Avrei
giurato su me stesso, avessi potuto morire in quell’istante, di aver visto un
veloce sorriso imbarazzato passare sul volto di Renesmee. Lei poi tornò al suo
tono severo, facendomi capire che ancora non era finita.
“Quello che hai appena detto non ti
giustifica, Jacob. Avresti potuto fargli male sul serio.” “Non mi sarebbe
dispiaciuto, maledetto…”.
Stavolta a ringhiare non
fu Bella. Senza neanche accorgermene mi ritrovai Edward davanti: stava cercando
di tenere ferma Renesmee che si divincolava tra la sua stretta ferrea. Credo che
se non fosse stato per il padre che la prese di peso portandola nella sua
stanza, a quest’ora sarei già senza la testa.
“NON FARTI PIÙ VEDERE, JACOB BLACK!”,
la sentii urlare attraverso la porta chiusa al piano di sopra.
Pensai che quella
discussione aveva segnato il rapporto tra me e Renesmee. Cretino, stupido
licantropo geloso. Me l’ero cercata…Tuttavia non riuscii a fare a meno di andare
davanti alla porta della camera, per sentire cosa stesse dicendo ad Edward.
“Lasciami andare, papà!
Voglio picchiarlo, voglio fargli male!”.
Anche questa volta, la sua voce era interrotta dal pianto. Avevo detto di essere
un cretino? Sbagliavo…Ero un mostro.
“Renesmee, calmati. Si è comportato malissimo, è vero, ma devi
riuscire a tranquillizzarti…” “NON VOGLIO TRANQUILLIZZARMI PAPÀ! STO MALE…LO
CAPISCI? E QUELLO CHE MI FERISCE ANCORA DI PIÙ È IL FATTO CHE NON MI CREDA!”
“Dai, dai…Ci sono qui io…” “Non lo voglio più vedere..Anche se questo vuol dire
rinunciare ad una parte di me…Credo di odiarlo, papà.”.
Quelle ultime parole mi piombarono addosso senza preavviso, trascinandomi in un
abisso di tristezza dal quale sarebbe stato difficile salvarsi. Renesmee Cullen,
la ragazza più magnifica che avessi mai conosciuto e che amavo più della mia
stessa vita aveva appena detto che mi odiava. Adesso per me non restava niente,
se non il ricordo della sua voce spezzata dai singhiozzi e gli occhi, quei
bellissimi occhi color cioccolato, arrossati di lacrime. Per colpa mia. Ancora
una volta.
Come già avevo
fatto in precedenza, abbandonai silenzioso e di fretta quel posto, senza neanche
salutare Bella. Me lo aveva detto di non fare cavolate…Ed io, come al solito,
non l’avevo ascoltata. All’improvviso fui assalito dalla voglia di sparire, di
andare lontano, dove nessuno avrebbe potuto raggiungermi. Mi sbrigai a tornare
alla riserva. Fortuna che Billy era a casa di Charlie a vedere una partita di
baseball…Appena entrai in casa preparai uno zaino con pochi vestiti; cercai di
prendere le cose essenziali (il lettore MP3, qualche panino, lo spazzolino e il
dentifricio), prima di scrivere un biglietto a mio padre.
Ciao papà.
Ti scrivo
queste due righe per avvertirti che me ne sto andando. Non preoccuparti per me,
voglio solo starmene un po’ per i fatti miei. Ho litigato di brutto con Nessie..Fatti
spiegare da Bella, quando torni.
Per favore,
non mandare nessuno del branco a cercarmi, e dì loro che se si azzardano a
partire, al mio ritorno li faccio fuori tutti. Se mai ritornerò…
Stammi bene,
vecchio mio. Ci sentiamo.
Ti voglio
bene.
Jacob.
Lasciai il foglio
sul tavolo, presi un gruzzolo di soldi dalla mia dispensa personale e dopo aver
dato un’ultima occhiata in giro uscii di casa, pronto ad affrontare un lungo
viaggio ancora senza meta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cap. 3 - Sul precario filo dell'equilibrio ***
Nuova pagina 1
Cap. 3 – SUL PRECARIO FILO DELL’EQUILIBRIO
Per essere un giorno di fine febbraio, e soprattutto per essere nella città più
piovosa d’America, faceva piuttosto caldo. Non ero l’unica ad andarsene in giro
per il liceo di Forks con la maglietta a maniche corte..Meno male, così non mi
avrebbero presa per pazza. Stavo camminando tranquilla per il corridoio, quando
sentii alle mie spalle qualcuno che si stava avvicinando di corsa. Amy, a
giudicare dalla pesantezza del passo..Da un po’ di tempo a questa parte si
divertiva a tendermi quelli che lei chiamava “agguati”. Io stavo sempre al
gioco, facendo finta di spaventarmi ogni santissima volta. Se solo avesse saputo
che la sentivo da centinaia di metri di distanza..Eccola, si stava preparando a
saltarmi sulle spalle. Meno tre..Due..Uno..“Ferma
dove sei, Nessie! Ti ho intrappolato anche stavolta, eh?” “Amy! Mi farai morire
d’infarto uno di questi giorni..”.
Sorrisi divertita, prima di togliermela di dosso evitandole di soffocare a causa
delle sue stesse risate. “Ammettilo,
Nessie, sono troppo forte per te..” “Certo che si, Amy, non riuscirei mai a
competere con un genio degli agguati come te..” “Ciao ragazze! Che fate,
disputate un incontro di Sumo in corridoio? Non so se ve l’hanno detto, ma
esiste una palestra qui a scuola..”.
Nathe fece il suo ingresso in scena, con una delle sue solite battutine. Io ed
Amy ci guardammo per un attimo, prima che gli dicessi fingendomi arrabbiata: “Un
incontro di Sumo, Nathe? Ti sembriamo due lottatrici di Sumo?” “Beh..Non vedo
poi questa grande differenza.”.
Amy diventò seria tutto d’un tratto: “Stai
per caso insinuando che io e Renesmee siamo..GRASSE?” “Penso che sia quello che
voglia dire, amica mia..”,
le risposi per lui. Entrambe lo squadrammo malissimo, prima di iniziare a
rincorrerlo fino al giardino. “FERMATI,
DANNATO WHELLENS!” “Neanche se mi paghi, McConnor! Dovrete riuscire a
prendermi!”.
Ok, era una sfida. Una sfida che avrebbe perso sicuramente. Accelerai il passo,
tanto da riuscire a superarlo parandomi davanti a lui a braccia aperte, per
impedirgli di passare oltre. Quello che non avevo previsto però fu il fatto che
appena Nathe mi vide rallentò un po’, per poi prendermi in spalla e iniziare di
nuovo a scappare. “Nathe,
mettimi giù!” “Neanche se mi baci, Cullen.”,
mi sussurrò con la voce affannata ma felice, mentre si dirigeva sotto un grande
abete secolare del giardino, seminando Amy. “Mi
stai minacciando, forse?” “Mmmhhh non lo so. Libera d’interpretare come vuoi..”.
Gli diedi un colpo sulla spalla, cercando di scendere. Niente. Di questo passo
saremmo arrivati all’inizio delle lezioni del pomeriggio ancora in quel modo.
Così decisi di sfoderare una delle mie armi più potenti: la persuasione. “Dai
Nathe..Per favore..Cosa vuoi in cambio?” “Non cercare di raggirarmi Nessie. Non
ho intenzioni di farti scendere nemmeno se mi baci, te l’ho già detto.”.
Era già passato più di un mese da quel pomeriggio a casa di Nathe..Sembrava che
non fosse trascorsa nemmeno una settimana. Come gli avevo promesso, non feci
parola né con Amy né con le altre mie amiche di quello che era successo tra noi,
così lui approfittava del mio silenzio per ricattarmi. Ovviamente quando eravamo
soli. Mi piaceva il rapporto che si era instaurato tra noi, ma soprattutto ero
felicissima del fatto che lui si fosse aperto, abbandonando gran parte della sua
sbruffonaggine. “Ah
si, eh? Ne sei proprio sicuro?”,
gli sussurrai seducente, portandomi all’altezza del suo viso. Mi avvicinai
lentamente, fino a che potei sentire il suo respiro sulle guance. Tra me e lui
c’erano solo pochi millimetri ormai, quando sentii le sue braccia allentare la
presa dalla mia schiena. Sorrisi, soddisfatta della mia opera: “Ti
ho fregato, Whellens..”,
sussurrai, prima di scivolare giù con un movimento fluido e scappare via da
lui. “Questa
me la paghi, Cullen..”,
lo sentii mormorare divertito. Ormai lo conoscevo come le mie tasche..Non poteva
negare di essere rimasto piacevolmente compiaciuto dal mio comportamento. Gli
altri ragazzi avrebbero pagato oro per essere al suo posto, e a detta di Amy
sarei riuscita a mettere da parte un bel gruzzoletto..Che pazza. Comunque,
dovevo ammettere che più passavo del tempo con Nathe, più sentivo il bisogno di
vederlo. Brutto segno, almeno secondo quello che mi aveva fatto capire la mamma
con il suo silenzio quando gliene avevo parlato. Ma non me ne preoccupavo: da
più di un mese ormai, la mia vita procedeva nel migliore dei modi. Ero felice.
Amy cercò più volte di cavarmi dalla bocca il motivo per cui adesso io e Nathe
eravamo inseparabili, senza mai riuscirci. Però per accontentare la sua fama di
pettegolezzi un giorno, mentre eravamo a casa di nonno Charlie, le raccontai che
avevo chiuso con Jacob. “Hai
chiuso con Jacob? No, non ci credo. Mi stai prendendo in giro.” “Te lo giuro
Amy. Dopo quello che ha fatto a Nathe gli ho detto di non farsi più vedere. Ha
esagerato, e per di più ha detto che gli avrebbe spaccato la faccia volentieri.
Lui adesso è uno dei miei amici più cari, nessuno si deve permettere di
mettergli le mani addosso. Nemmeno Jacob.” “Non
ti sembra di aver reagito in modo eccessivo?” “Per niente. Adesso sto benissimo
così. Ho trovato il mio equilibrio, finalmente.”. “Ok,
come dici tu..E in questo equilibrio potrebbe entrarci qualcuno di mia
conoscenza?”.
Accidenti. Amy a volte era peggio della mamma..Mi leggeva come un libro aperto. “Ehm..Può
darsi..”,
ammisi infine, sentendo il viso prendere fuoco. Fortunatamente Amy non era il
tipo che faceva troppe domande: le bastò incrociare il mio sguardo imbarazzato
per capire che, in fondo, qualcosa era successo davvero. Avrei voluto mostrarle
tutto quanto, solo che se lo avessi fatto avrei svelato la mia natura non umana,
insinuando in lei paure e dubbi. Senza escludere poi che qualcuno
si sarebbe scomodato dall’altra parte dell’Atlantico per venire a trovarci. No.
Era decisamente meglio farle intendere le cose con i gesti e le parole. “Amy,
per favore..Non ne fare parola con nessuno, ok?” “Tranquilla, Nessie..Per chi mi
hai preso? Non mi estorceranno niente nemmeno sotto tortura!”.
I suoi occhi azzurri erano sinceri. Lei non mi avrebbe mai tradito. La
abbracciai, rimanendo in silenzio, esprimendole tutto il mio affetto e la mia
gratitudine. Da quel giorno, Amy si divertiva a piantarmi sola con Nathe ogni
volta che incontrava Jordan (eh si, alla fine lo sfigato per nulla sfigato aveva
conquistato una delle belle della scuola..Chi l’avrebbe mai detto!), salutandoci
sempre con un sorrisino accompagnato dall’immancabile occhiata furba, diretta
alla sottoscritta in primo luogo. E le occasioni in cui mi trovavo sola con
Nathe ormai erano all’ordine del giorno..Un pomeriggio, dopo essere stati quasi
tre ore sui libri, decidemmo di uscire per andare a fare un giro per riposarci.
Eravamo a Port Angeles, gli zii di Nathan erano andati con la loro bambina a
fare un giro per il fine settimana, così lui aveva pensato di invitarmi a casa
loro. Mamma e papà non furono molto entusiasti del fatto che andassi a casa di
un ragazzo, ma toccando il tasto giusto (quello del senso di colpa, per la
cronaca) ero riuscita ad avere il permesso. Non mi avrebbero mai impedito di
fare qualcosa che mi rendesse felice. Dopo circa mezz’ora che giravamo a vuoto
per il centro della città Nathe mi disse che gli era venuta sete, così ci
fermammo in un bar. Lui ordinò un bicchiere di Coca-Cola, mentre io uno di tè al
limone. “Aaahh
mi ci voleva proprio..Stavo davvero morendo disidratato!” “Per così poco Nathe?
Non abbiamo mica fatto la maratona di New York!”,
le chiesi divertita, prima di bere un lungo sorso dal mio bicchiere. “A
dir la verità..Era per te..”.
La sua risposta sussurrata per poco non mi fece andare di traverso il tè; meno
male che avevo già inghiottito. Lo vidi guardarmi leggermente imbarazzato, per
poi iniziare ad osservare il suo bicchiere con molto interesse. Feci finta di
non aver sentito niente, anche perché un normale essere umano avrebbe colto solo
un mormorio dimesso. All’improvviso, mentre lui stava portando di nuovo il
bicchiere alla bocca, dei bambini gli passarono vicino correndo, urtando il suo
braccio. Dopo nemmeno un secondo mi accorsi che la mia maglietta era fradicia di
cola. “Oh
no..Mia zia mi uccide..”.
Nathe mi fissò, prima scioccato e poi divertito per poi iniziare a ridere come
un pazzo. “Oddio
Nessie..Ti chiedo scusa, davvero..Oddio devi vedere la tua faccia!” “Grazie
Nathe, quello che mi serve adesso è giusto un po’ di derisione!”,
gli risposi fintamente arrabbiata. Lui, ancora preda delle risate, si alzò ed
andò a pagare. Dopo cinque minuti tornò, levandosi il suo giubbotto per
mettermelo sulle spalle. Fui subito travolta dalla bontà del suo odore..“Nathe,
grazie, ma non importa..Sto bene così, non ti preoccupare!” “Niente repliche,
Cullen. Ti potrebbe prendere qualcosa. Dai,
andiamo a casa, così ti puoi cambiare.”.
Mi poggiò titubante una mano sulla schiena, accompagnandomi all’uscita del bar.
La macchina non era molto distante, così la raggiungemmo dopo una decina di
minuti. Nathe non mi aveva lasciata nemmeno per un secondo; quel contatto era
stato prima imbarazzante, ma poi si era trasformato in qualcosa di estremamente
piacevole. Ne sentii subito la mancanza quando andò ad aprire lo sportello ed
entrò nella sua 147, mettendola subito in moto. Lo imitai, accomodandomi sul
lato del passeggero. Il viaggio fu piacevole, anche se non potevo negare di
percepire una leggera tensione tra noi due. Vedevo Nathe riflesso nel
finestrino; ogni tanto lo beccavo a darmi occhiate sfuggenti per poi ritornare
con gli occhi alla strada. Forse capì che lo avevo beccato, perché un piccolo
sorriso gli comparve sulle labbra. Arrivati a casa dei suoi zii salimmo in
appartamento. Nathe andò in camera sua, cercando di trovare qualcosa che mi
stesse bene, “per non stare con la maglia bagnata ed appiccicosa addosso”, come
lui stesso mi aveva detto. Dopo cinque minuti tornò in salotto con in mano una
maglia blu notte, visibilmente troppo piccola per lui. “Ecco,
questa penso che vada bene..Non ne ho di più piccole, mi dispiace.” “Non fa
niente, credo che mi stia. Vado a cambiarmi..Non ti azzardare a spiarmi dalla
serratura, Whellens. Capito?”,
lo avvertii divertita, prima di andare a chiudermi in bagno. Feci tutto
velocemente; la maglia mi stava un po’ aderente e mi lasciava scoperto qualche
centimetro di pelle sui fianchi, ma era sempre meglio di niente. Visto che
c’ero, mi sciacquai un po’ il viso e mi sistemai meglio i capelli. Appena fui
soddisfatta uscii, notando che Nathe, immobile, sembrava come essere in trance. “Ehi,
che c’è? Tutto a posto?”.
Lo sentii deglutire rumorosamente, prima di parlare con la voce spezzata: “..E
pensare che credevo ti stesse larga..”.
Le sue parole mi fecero annegare nell’imbarazzo. Rimasi a fissarlo senza sapere
che dire, percependo vampate di calore avvolgermi tutto il corpo. Gli sorrisi,
distogliendo lo sguardo avvicinandomi al divano per sedermi. Appena gli passai
accanto la sua mano bloccò prontamente la mia, provocandomi un brivido lungo la
schiena. Non era una cosa normale..In tutto il tempo che avevamo trascorso
insieme quel momento sembrava diverso da ogni altro. Sembrava che fossimo
tornati al pomeriggio di un mese prima. Fu la voce di Nathe, bassa e roca, a
riscuotermi dai ricordi, che ancora una volta avevano preso il sopravvento. “Nessie..Scusa
per il commento inappropriato..Non sono riuscito a trattenermi.” “Fa niente.” “È
solo che..Ti trovo incantevole, Renesmee. Non avrei mai pensato di dirtelo..”
“Fa niente”,
ripetei, con gli occhi incatenati al suo viso, estasiata dal suono della sua
voce. Adesso capivo perché papà mi diceva sempre che i vampiri erano facili alle
distrazioni..E perché la mamma, parlandomi della sua vita umana, mi aveva
sottolineato il fatto che da quando aveva conosciuto mio padre niente le
sembrava più necessario della sua vicinanza. A me stavano succedendo entrambe le
cose contemporaneamente: non volevo assolutamente che quel momento venisse
interrotto, ma i miei pensieri venivano scombussolati da quegli occhi verde
tenue, che non riuscivo a smettere di fissare. “Renesmee,
io..” “Ssshhh. Guai a te se ti scusi un’altra volta.”,
lo zittii posandogli delicatamente un dito sulle labbra morbide. Lui sembrò
rabbrividire a quel contatto; chiuse gli occhi e respirò profondamente. Quando
li riaprì potevo leggervi una luce nuova, segnata dall’imbarazzo ma al tempo
stesso dalla determinazione. Così, mi tirò delicatamente a sé passandomi l’altro
braccio sui fianchi. Non riuscivo a dire niente. Ero in completa balia di lui.
Spostai la mia mano lentamente sul suo viso, accarezzandogli una guancia, fino
ad arrivare ai suoi capelli. Li intrecciai tra le mie dita, prima chiudere gli
occhi e perdermi nella dolcezza delle sue labbra. Lui mi strinse ancora di più,
iniziando a far viaggiare una mano lungo la mia schiena. Quasi nello stesso
momento schiudemmo entrambi la bocca, per permettere ai nostri respiri di
confondersi. Rimanemmo così per non so quanto, in silenzio, accompagnati solo
dal battito frenetico, ma felice, dei nostri cuori.
Come al solito, i momenti perfetti venivano sempre interrotti bruscamente. Il
cellulare di Nathe iniziò a vibrargli in tasca, intenzionato a non smettere. Lui
si allontanò di pochissimo dalle mie labbra, borbottando imprecazioni a chiunque
insistesse così tanto a chiamarlo. Diede un’occhiata al display e sospirò,
appoggiando la sua fronte alla mia, rassegnato. “Dimmi
zia.” “Nathe, tesoro, tutto a posto? Perché non mi hai risposto subito?” “Scusa,
ero occupato.”,
le disse, lanciandomi un’occhiata maliziosa. Io gli sorrisi di rimando, cercando
di ricatturare le sue labbra. “C’è
qualcosa che volevi dirmi?”,
le chiese cercando di evitarmi. Era davvero divertente.. “Oh,
si, si..Ti volevo dire che siamo di ritorno. Penso che arriveremo fra una
ventina di minuti..”.
Il panico ci assalì entrambi. “Ah.
Va bene. Non mi troverete a casa, torno il prima possibile..Ciao.”.
Ci guardammo, ancora legati stretti nel nostro abbraccio, prima di scoppiare a
ridere. “Forza,
spariamo di qui prima che tornino gli zii..” “Aspetta, solo cinque minuti..”
“Nessie, se ci trovano qui, e soprattutto così, credo che dovremmo dare un bel
po’ di..”.
Lo zittii, chiudendogli la bocca con un bacio che non rifiutò. Dopo qualche
minuto mi staccai: “Ecco,
adesso possiamo andare.”.
Gli feci un sorriso e sciolsi l’abbraccio, raccogliendo tutte le mie cose e
infilandole disordinatamente nello zaino. Corremmo giù dalle scale tenendoci per
mano e ridendo come pazzi; arrivati alla macchina, Nathe mi strattonò e mi baciò
di nuovo, dimostrandomi chiaramente l’intenzione di non voler smettere. Lo
allontanai da me con una spinta, divertita, salendo in macchina. Lui fece lo
stesso, accelerando per poi fiondarsi sulla strada. “La
riaccompagno a casa, Signorina Cullen?” “Se per lei non è un problema, Signor
Whellens..”.
Mi gettò un’occhiata divertita ed accelerò ancora di più. Mentre guidava posai
una mano sul cambio, accarezzando la sua. Ormai non potevo più negarlo a me
stessa..Se ero felice lo dovevo al ragazzo dai capelli castano chiaro e gli
occhi verde tenue che mi sedeva accanto. Niente licantropi. Niente vampiri. La
consapevolezza che Nathe per me adesso era indispensabile come l’aria che mi
gonfiava i polmoni si stava facendo strada dentro di me senza pietà, lasciandomi
spiazzata ma al tempo stesso contenta. Finalmente mi stavo rendendo conto che
quello che provavo non era semplice affetto. Finalmente sentivo il cuore
sussultare ad ogni suo sguardo, ogni suo piccolo movimento. Io, Renesmee Cullen,
adesso potevo dire di aver conosciuto quello strano sentimento che ti rafforza
ma può anche logorarti, che ti rende felice ma può farti star male
all’inverosimile. Quello strano sentimento che tutti chiamano amore.
Sembrava che il tempo si fosse fermato..Invasa da una piacevole sensazione di
calore, non mi accorsi neanche che eravamo arrivati vicino l’imbocco del
vialetto di casa Cullen. Nathe fermò la sua 147, accostandosi sul ciglio della
strada. “Eccoci
qua. È arrivato il momento di salutarci..” “Non voglio salutarti.”,
ribattei timida. Lo guardai sorridere teneramente, prima che si avvicinasse a me
annullando la distanza tra noi. “Nemmeno
io voglio salutarti..Ma è tardi, i tuoi saranno in pensiero..” “Oh, so cavarmela
benissimo anche da sola..”,
sussurrai contro le sue labbra. Lo sentii sorridere, prima di perdermi nel
sapore del suo respiro. Dopo non so quanto tempo ci separammo per riprendere
fiato. Però era davvero giunto il momento di tornare a casa..Riuscivo a sentire
l’odore di mia zia Rosalie avvicinarsi; sicuramente papà aveva percepito i miei
pensieri. Mi sarebbe spettata una bella ramanzina, ne ero certa. “Nathe..Devo
andare. Sta arrivando mia zia..” “No, dai..”,
protestò lui dandomi una serie di baci a stampo. “Dispiace
anche a me, e non ti puoi immaginare quanto..Ma non credo sia una buona farci
beccare così avvinghiati, non credi?” “Uffa..Ti voglio qui con me, Nessie.”,
mi disse lui, con la voce bassissima, facendomi tremare il cuore. “Anche
io Nathe.”.
Sembrò rimanere spiazzato dalla mia risposta..Sinceramente, la facilità con cui
pronunciai quelle parole lasciò stupefatta anche me. Rimanemmo a guardarci in
silenzio,fronte contro fronte, fino a quando un paio di fari comparvero dietro
l’ultima curva del vialetto. Ci allontanammo subito, imbarazzati, cercando di
apparire più normali possibile. La zia Rosalie si fermò dall’altra parte della
strada e scese di macchina, aspettandomi. “Ci
vediamo domani Nathe..” “Ok, piccola..A domani.”.
A quelle parole mi sentii avvampare, ma ricambiai il suo sguardo con il mio,
pieno di tenerezza. Potevo sentire il piede della zia Rose battere impaziente
sul terreno, quindi decisi di affrettarmi. Così, mi avvicinai a Nathe e gli
sussurrai piano all’orecchio: “Complimenti
Whellens..Sei riuscito a stregarmi.”.
Mi allontanai piano, sfiorando la sua guancia con il naso. Avrei voluto
baciarlo, ma la zia ci avrebbe visti..Non mi pareva proprio il caso. “Ciao,
Nathe.” “Ciao..”,
mi rispose lui con la voce tremante. Scesi di macchina e lo salutai con la mano,
facendogli l’occhiolino approfittando della distrazione della zia, che intanto
era rientrata in macchina. Salii sulla M3 rossa con un sorriso enorme sulle
labbra, cosa che non sfuggì per niente alla zia. “Bene,
bene..Pare che la piccola Nessie sia caduta nella trappola dell’amore..”,
disse lei sorridente. “Ma
no, zia..che ti salta in mente..”,
dissi, cercando di negare l’evidenza. Poi
sentii la mano ghiacciata della zia accarezzarmi una guancia, prima di darmi un
bacio affettuoso sui capelli. Sembrava contenta..Ma sicuramente, la sua felicità
non era per niente paragonabile alla mia. Appena arrivammo a casa trovai mamma e
papà fuori ad aspettarmi. Analizzai i loro sguardi attentamente, in cerca di
qualche segno di rimprovero. Riuscii a cogliere nell’espressione di mio padre
una certa impazienza..Lo sapevo, lo sapevo..Aveva visto quello che io e Nathe
stavamo pensando, e sicuramente non ne era molto contento. Almeno, non doveva
esserlo dei pensieri di Nathe..Io ero riuscita a mantenermi abbastanza lucida,
senza abbandonarmi a qualcosa di più profondo. Ma lui forse..Quel pensiero mi
fece arrossire ancora di più, e quando scesi di macchina l’aria fresca della
sera fu come un toccasana per me. “Nessie,
finalmente..La prossima volta che ritardi avvertimi, per favore.” “Scusa,
mamma..Non era mia intenzione.”,
le risposi abbracciandola. Anche papà mi si avvicinò, stringendoci entrambe. Le
parole che tanto temevo uscirono delicate dalla sua bocca, ma io le sentii
pesanti: “Dobbiamo
fare due chiacchiere, signorina.” “Edward, dai..Lasciala stare.”,
ribatté la mamma, stringendomi un po’ più forte. “Grazie
mamma..Però papà ha ragione. Vi devo parlare di una cosa.”,
sospirai. Prima mettevo le cose in chiaro anche con loro, meglio era..Non me la
sentivo di lasciare tutto in sospeso. “Piccola,
ascolta..Io e la mamma stiamo andando a caccia. Vuoi unirti a noi, così parliamo
un po’?”.
Annuii silenziosa, ancora stretta alla mamma. Dopo ancora qualche secondo la
lasciai, e tutti e tre ci addentrammo a tutta velocità nel bosco. Percorremmo
più o meno una cinquantina di chilometri verso Nord, quando percepii una scia
particolare interferire con l’odore umido tipico della foresta. Anche i miei la
sentirono, fermandosi di colpo. Restammo ad ascoltare la foresta, immobili come
delle statue. Un branco di bisonti riposava tranquillo in un piccolo prato
vicino ad un ruscello, totalmente ignaro del pericolo. Ci avvicinammo senza il
minimo rumore, fino a che gli sfortunati animali furono abbastanza vicini. Il
primo ad attaccare fu mio padre. Con un balzo silenzioso ed elegante piombò su
un grosso esemplare, finendolo ancora prima che la povera bestia potesse
accorgersi della sua presenza. Mia madre non era da meno: con uno scatto agile
saltò sulla sua preda imprigionandola nella sua stretta ferrea. Adesso toccava a
me..Passai in rassegna ogni esemplare del branco, fino a trovare quello che più
mi allettava. Mi avvicinai, quasi strisciando, stando bene attenta a non fare
rumore. “Brava
Nessie, stai andando benissimo!”,
sussurrò mio padre. Dopo qualche secondo mi avventai contro la gola del bisonte,
ma nel momento in cui stavo per affondare i denti nella sua pelliccia sentii un
sapore fresco sulle labbra. Il sapore di Nathe. Di colpo lasciai andare
l’animale, che tentò di scappare. Sfortunatamente per lui, la mamma lo catturò,
finendolo. All’improvviso sentii la testa iniziare a girare vorticosamente, così
mi sedetti sull’erba bagnata e fresca, prendendomi la testa fra le mani. Subito
sentii i miei vicino a me; potevo avvertire la loro preoccupazione nell’aria. Ma
quello che ancora non mi abbandonava, era la fragranza fresca che sentivo sulle
labbra. “Renesmee,
che è successo? Ti senti male?” “Bella, tesoro, lasciale qualche minuto.”.
Dopo qualche istante alzai lo sguardo, incontrando gli occhi dorati e
scintillanti dei miei genitori. Nonostante le loro espressioni mi
incoraggiassero a parlare, preferii mostrargli perché avevo lasciato andare la
preda. Papà ovviamente non ne aveva bisogno, ma dovevo fargli capire la forza
con cui quella sensazione mi aveva travolto. Restarono entrambi immobili, mentre
il flusso dei miei ricordi riviveva nelle loro menti: ripercorsi tutto quello
che era accaduto quel giorno, senza nascondere niente. Mi sentii morire
d’imbarazzo quando mi soffermai sulle sensazioni che avevo provato baciando
Nathan. Rivivere la potenza devastante con cui avevo sentito i miei sentimenti
diventare limpidi nel mio cuore mi fece sussultare di nuovo, mandando a fuoco il
mio viso. Papà emise un lungo sibilo che gli costò una gomitata da parte della
mamma. Anche lei però non sembrava molto contenta che qualcuno si fosse spinto
così avanti con me. Quando finalmente interruppi il contatto, sentii i miei
occhi bruciare. “Renesmee,
amore..Dai, calmati.”,
mi disse la mamma, accarezzandomi delicatamente. “Scusatemi..Scusatemi
davvero, io non..Non so perché..Stia reagendo così..”,
singhiozzai. “Renesmee..Piccola,
ascolta. So come ti senti in questo momento, non ti devi vergognare..Anche se lo
sai che non mi piace che tocchino la mia bambina..Vedi, anche io stavo così
quando..-
mamma gettò un’occhiata verso papà -..È
una bella sensazione, vero?”.
Mi passò delicata le dita sul viso, portando via quelle due lacrime che erano
sfuggite al mio controllo. “Era
certo che prima o poi sarebbe accaduto..Non ti devi sentire in colpa, Nessie.
Assolutamente.”,
aggiunse poi mio padre, intercettando i miei pensieri. Sbuffò sonoramente,
rassegnato. “Io..Mi
sono..”.
Sentii papà irrigidirsi, mentre mamma aveva lasciato scemare la sua
disapprovazione, guardandomi poi con occhi pieni di dolcezza. Avevano capito..
In quel momento mi resi conto definitivamente di ciò che provavo, così una
piccola risata mi sfuggì dalle labbra, mentre pronunciavo quella fatidica
parola: “..Innamorata.”.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Cap. 4 - Non voglio perderti ***
Nuova pagina 1
Cap. 4 – NON VOGLIO
PERDERTI
“Ramón Gomez De La
Serna. Nato nel 1888 e morto nel 1963, è stato una colonna portante del
movimento Vanguardista spagnolo. Famoso per aver portato una nuova innovazione
stilistica, è importantissimo anche per…”.
Bla, bla, bla…Che bellezza. Sorbirsi alla prima ora del lunedì la professoressa
di Letteratura Spagnola era una vera e propria tortura…Amy era crollata dopo
cinque minuti dall’inizio della lezione. Potevo sentire il suo respiro profondo
e regolare sfiorarmi la mano destra, mentre ero impegnata a fare i soliti
scarabocchi sul foglio. Con la coda dell’occhio ispezionai
la classe, prima di
soffermarmi a due banchi di distanza dal mio. A quanto pare Amy non era la sola
ad essere collassata…I capelli disordinati di Nathe spuntavano da dietro il suo
braccio, mentre teneva la testa appoggiata al banco. Mi sentii travolgere da
un’ondata di tenerezza, prima di tornare in me stessa: la professoressa si era
alzata e aveva iniziato a girare per la classe. Diedi una gomitata ad Amy, che
si svegliò di soprassalto. Sfogliammo le pagine del libro fino ad arrivare a
quella giusta. Notai che Nathe era ancora addormentato, così iniziai a fargli
squillare il cellulare. Dopo qualche secondo si svegliò anche lui, riuscendo a
passare inosservato allo sguardo indagante della professoressa. Diede
un’occhiata al telefono, facendo finta di cercare un fazzoletto nella tasca.
Appena lesse il nome sul display alzò lo sguardo, incrociandolo con il mio. Gli
indicai con gli occhi la donna che passava tra le file di banchi, sorridendogli.
“Grazie!”,
disse sottovoce, prima di farmi l’occhiolino e girarsi verso il suo compagno di
banco, per non attirare l’attenzione.
“Oh-oh…Cosa sono questi sguardi, Nessie?”.
Amy era completamente sveglia adesso…E mi aveva beccato. Tipico. Cercai di
apparire confusa dalla sua domanda:
“Eh? Che stai dicendo, Amy?” “Sì, sì..Ecco la santarellina di
turno. Voglio tutti i dettagli, Renesmee Cullen. Senza fare storie.”,
mi sussurrò lei con tono deciso. Respirai a fondo, provando a mettere in ordine
i pensieri, pronta per l’interrogatorio dello sceriffo Amy McConnor.
“Avanti, Amy…Da
dove devo partire?” “Da dove devo partire…Che domande…Dall’inizio naturalmente!”.
Non c’era modo di smuoverla dal suo intento. Se non le avessi raccontato tutto,
probabilmente non mi avrebbe più rivolto la parola.
“Allora…Lo sai che tra noi c’è
stato..Qualcosa, vero?”,
le dissi avvampando all’istante. Lei annuì, così continuai:
“Bene. Ecco…Ieri eravamo a Port Angeles
e…”. Amy sgranò gli
occhi e si portò le mani alla bocca, impedendosi di urlare nel bel mezzo della
lezione. Se prima ero avvampata, adesso avrei potuto sciogliere un iceberg…“Dimmelo,
Nessie. Dimmi che è andata come penso io…”,
mi sussurrò lei, avida di notizie. Mi sembrava tanto una giornalista di gossip
che aveva appena trovato lo scoop della sua vita.
“…Beh…Si, Amy. Ci siamo baciati.”.
Ecco…Stavo per morire a causa dell’autocombustione. Amy aveva gli occhi che
brillavano… “Ma…baciati
sul serio, vero? Non così, tanto per fare…” “Ehi, McConnor…Ti pare che io baci
la gente tanto per fare?” “No, no…Per carità! E dimmi…Com’è stato?”.
Ma non si stancava mai di torturarmi?
“Diciamo che ‘bellissimo’ è molto, molto riduttivo…”.
Se avesse potuto, la mia migliore amica avrebbe iniziato a correre come una
pazza urlando che Renesmee Cullen aveva ceduto al fascino di un ragazzo.
“Amy, per favore…Non ne fare
parola con nessuno, nemmeno con il tuo gatto. Intesi?” “Tranquilla, Nessie…Cavolo,
Nathan Whellens…Sei riuscita ad accalappiarti il ragazzo più misterioso della
contea…Complimenti socia, complimenti davvero!”,
mi disse dandomi una leggera gomitata alle costole. Che scema…Non potevo fare a
meno di lei ormai…Così, in nome della sacra amicizia che ci legava, decisi di
dirle anche l’altra parte della storia. Aver baciato il ragazzo più bello della
scuola non era stato puro e semplice divertimento, non dopo quello che era
successo quel famoso pomeriggio.
“Amy..C’è qualcos’altro che devi sapere.”.
Lei mi guardò con aria interrogativa. Troppo imbarazzata per dirglielo a parole
e non potendo mostrarle quali fossero i miei pensieri, strappai un piccolo pezzo
di carta dal mio quaderno e scrissi, con mano tremante, una frase che mi fece
sussultare:
Credo di essermi innamorata di lui...
Amy mi fissò sbalordita con i suoi occhi
azzurri, prima di aprirsi in un enorme sorriso e schioccarmi un sonoro bacio
sulla guancia.
Mentre ero ancora preda delle mie
imbarazzanti rivelazioni, sentii il cellulare vibrarmi in tasca. Senza farmi
vedere lo presi: “Nuovo messaggio in arrivo”. Appena lo lessi scattai come una
molla, cercando Nathe con lo sguardo. “È lui, Nessie?
Che ti ha detto?”, mi chiese Amy impaziente. “Mi
ha scritto che..Gli manco un casino..” “Ah-ah!! Che dolce…Che aspetti,
rispondigli!” “E che gli devo dire, Amy?” “Oh, santa pazienza…Come puoi essere
così intelligente ma non sapere che dire ad un ragazzo?” “…Me lo chiedo anche
io…”. Pensai qualche secondo a cosa potevo rispondergli, quando ebbi
un’idea: “Ho deciso, esco fuori e lo aspetto. Che ne
dici?” “Ottimo, socia! Mi raccomando eh…”, approvò lei, sorridendo
maliziosa. Le diedi un leggero pugno sulla gamba da sotto il banco, prima di
alzarmi e chiedere alla professoressa il permesso di poter andare in segreteria.
Lei acconsentì senza obiezioni: nessuno si azzardava a contraddire o non
assecondare la studentessa più brava dell’intero liceo…Come sempre, fui
accompagnata dal banco alla porta dagli sguardi sognanti, avidi ed invidiosi dei
miei compagni di classe. Appena prima di uscire intercettai gli occhi di Nathe,
facendogli un veloce sorriso. Speravo con tutta me stessa che si fosse accorto
del mio segnale…Aspettai qualche minuto, nascosta dietro la porta semi aperta
del laboratorio di Scienze, a quell’ora vuoto. Dopo poco sentii un odore fresco
nell’aria, accompagnato dal rumore di passi incerti.
“Nessie? Dove sei?”, sussurrò Nathe a bassa voce, avvicinandosi sempre di
più. Appena passò vicino la porta dietro la quale mi ero nascosta gli presi la
mano con uno scatto fulmineo, tirandolo dentro. “Ehi!
Eri qui…Mi hai fatto spaventare…” “Scusami…”, gli dissi io prima di
dargli un bacio. “Anche tu mi mancavi un casino…”.
Lui sorrise contro le mie labbra, stringendomi forte.
“Beh, credo che te lo dirò molto spesso, se queste sono le conseguenze!” “Dai,
scemo…Non dirmi che preferivi stare a sentire che combinava Ramón!” “Mai pensato
una cosa del genere…Anche se devo ammettere che non mi dispiace…Ahi!”,
protestò, dopo che gli avevo dato un piccolo colpo all’addome.
“Così impari a paragonarmi con un maschio…”. Mi
scostai da lui e gli detti le spalle, fingendomi arrabbiata. Dopo neanche un
minuto sentii le sue braccia circondarmi i fianchi e il suo respiro su l collo.
Avevo il cuore che stava per impazzire…“E dai,
piccola…Stavo scherzando…Non c’è nessuno che sia più affascinante di te.”.
Anche se volevo ancora recitare la parte dell’offesa, al suono di quelle parole
mi sciolsi come neve al sole. Da quando avevo fatto luce nei miei sentimenti mi
sentivo diversa…Normale. Una normalissima ragazza innamorata. Non era come con
Jacob...Con lui non ero mai stata come con Nathe, e non avevo mai provato
nessuna delle sensazioni che stavo provando in quel periodo. A Jacob volevo bene
come ad un fratello, e nonostante tutto quello che mi aveva fatto ne sentivo un
po’ la mancanza; però adesso mi sentivo davvero bene, e non mi importava niente
di tutto il resto. Nathe si accorse del mio silenzio riflessivo, così mi strinse
un po’ di più per farmi ridestare. “Cos’hai, Nessie? Ti
vedo assente…” “Pensavo a me…E a te. A quanto tu mi faccia stare bene.”.
Sentii il suo cuore accelerare i battiti. Lui in risposta mi scostò i capelli
dal collo, per poi poggiare un leggero bacio sulla mia pelle accaldata.
Rabbrividii a quel contatto, così inaspettato e piacevole. Ero sconvolta dalla
forza travolgente dei miei sentimenti…Non credevo ci si potesse sentire così.
Nathe sospirò, iniziando a dondolare sul posto. Intrecciai le sue dita con le
mie, accarezzandogli il dorso di una mano con il pollice.
“Nessie…Ti devo forse ricordare che è solo grazie a te
se ho di nuovo iniziato a vivere? Non credevo fosse possibile dopo che…”.
Non continuò, ma capii perfettamente a cosa si stava riferendo. Lo strinsi
ancora di più, in modo da fargli capire che io ci sarei stata. Sempre. Mi voltai
a guardarlo, accarezzandogli il viso. La sua espressione dolce fece saltare un
battito al mio cuore, ormai del tutto fuori controllo. Nathe si avvicinò a me,
sfiorandomi il naso con il suo prima di poggiare la fronte alla mia:
“Non ti ringrazierò mai abbastanza…” “Sta’ zitto e
baciami, Whellens…”, gli sussurrai sorridendo, prima che le sue labbra
toccassero le mie. Quando ci staccammo per riprendere fiato sentii la voglia di
dirgli quello che provavo per lui, di dirgli che lo amavo…Ma poi sentii nascermi
dentro una strana paura, che mi fermò le parole in gola. Se gli avessi detto
quali erano i miei sentimenti, sicuramente più avanti avrei dovuto svelargli
cosa ero…Come avrebbe reagito? Sicuramente avrebbe avuto paura, sarebbe stato
disgustato da me, e mi avrebbe lasciata sola, insieme al dolore che provoca
l’essere rifiutati. Non sarei riuscita a sopportarlo, non se rimanevo coinvolta
da lui così tanto come adesso. Sentivo i suoi occhi scorrere sul mio viso,
mentre una sua mano mi viaggiava leggera sulla schiena. Quella maledetta paura
che si era impossessata di me adesso mi faceva sentire strana, in colpa. Mi ero
totalmente abbandonata ai miei sentimenti, dimenticandomi del pericolo a cui
avevo esposto Nathan. All’improvviso tre paia di occhi rosso scarlatto mi
balenarono in mente, facendomi sussultare. “Che
succede, piccola?” “No, niente Nathe…Scusa. Dai, forse sarà meglio rientrare in
classe…”, gli dissi dopo avergli dato un leggero bacio a fior di labbra.
Lui ricambiò, poi con grande riluttanza mi lasciò andare e aprì la porta
accertandosi che non ci fosse nessuno in giro; dopo qualche secondo mi fece
cenno di uscire, così ci avviammo entrambi in classe. Lui sembrava felice, io
invece non riuscivo ad abbandonare quella maledetta paura.
Arrivati davanti alla classe Nathe si
avvicinò e mi diede un bacio sui capelli, prima di entrare dentro; dopo circa
due minuti entrai anche io. La professoressa non badò minimamente né a lui né a
me, continuando la lezione come se nessuno si fosse mai mosso da lì. Dovevamo
sicuramente ringraziare la media stratosferica dei voti…Comunque, non appena
ripresi posto al mio banco fui assalita da Amy, che mi aspettava come se fossi
la portatrice della notizia più bella del mondo.
“Allora? Racconta racconta racconta!!” “Ehi, calma! Fammi respirare, Amy…”
“Nessie…Ho visto come è rientrato Nathe…Non aveva mai sorriso così! Dai, sputa
il rospo…” “E va bene, va bene! Ci siamo chiusi nel laboratorio di Scienze…” “ODDIOOOO!”
“Ssshhh! Ma sei impazzita?” “Nel laboratorio, Nessie? E vi siete baciati?” “No,
Amy…Mi ha fatto analizzare il sangue al microscopio.”. Ma che domande mi
faceva? Era stata lei ad istigarmi o me lo ero sognato?.
“Che bello che bello che bello!!” “E dai, basta…Mi
metti in imbarazzo…” “Va bene, la smetto…Ma adesso che farete? Voglio dire…Mi
sembra chiaro che siete tutti e due molto presi…Vi metterete insieme?”.
Oddio che domanda…Come aveva detto Amy eravamo entrambi coinvolti…O almeno, io
ero molto coinvolta. “Non lo so Amy… Non ti nascondo
che io lo vorrei davvero…Non so proprio che dirti. Aspettiamo un po’, vediamo
come vanno le cose…”. La mia migliore amica sembrò dispiaciuta del fatto
che ancora non fossimo diventati una coppia a tutti gli effetti, però si limitò
ad annuire, senza fare altri commenti. Rimasi a rimuginare su quella cosa per
qualche minuto, prima di tornare a scarabocchiare sul quaderno.
“Ah, tieni. È l’autorizzazione per la gita di questo
fine settimana… Andiamo a Vancouver. La profe ce le ha distribuite mentre
eravate fuori…Ci vieni, vero?”, mi chiese Amy.
“Certo che ci vengo! Come potrei lasciarti in balia di te stessa per tre
lunghissimi giorni?” “Che scema che sei…”, mi rispose sorridendomi,
dandomi una piccola spinta. Dopo qualche minuto la campanella suonò indicando la
fine della lezione. Il resto della mattinata trascorse tranquillo, senza
particolari avvenimenti. Tutti adesso stavano parlando della gita: sarebbe
sicuramente stato l’argomento di discussione preferito per i prossimi due
giorni…Persino all’uscita da scuola sentii un sacco di ragazzi del mio anno fare
progetti. Io invece non avevo pianificato proprio niente. Ci avrebbe pensato Amy
anche per me…Cercai con lo sguardo qualche macchina familiare, prima di
individuare una Porsche 911 Turbo giallo canarino parcheggiata non molto
distante da dove mi trovavo io. “Ciao ragazzi…Ci
vediamo domani. Mi raccomando Amy, non esagerare con i piani folli!” “Ma che
piani folli…Faremo scintille a Vancouver, parola mia!”. Sospirai
rassegnata e la salutai con un bacio sulla guancia. Colse al volo l’occasione di
andare a salutare Jordan, che nel frattempo era uscito, lasciandomi sola con
Nathan. “Ciao…” “Odio doverci salutare, sai Nessie?”
“Non lo dire a me…È uno dei momenti più brutti della giornata…C’è mia zia che mi
sta aspettando. Devo scappare…” “Va bene…Ti chiamo dopo, ok?” “Guai a te se non
lo fai…”, gli dissi sorridendo prima di dargli un bacio sulla guancia,
come avevo fatto con la mia migliore amica. Mi diressi alla macchina della zia,
notando subito il suo sorriso abbagliante: “Buon
giorno, nipotina cara! Andata bene a scuola oggi?” “Ciao zia…È andato tutto a
meraviglia! Ti da fastidio non vedere niente, vero?” . La zia annuì,
storcendo un po’ il naso. Non le era mai andato a genio il fatto che non potesse
vedere chiaramente il mio futuro. Poi con un movimento aggraziato salì in auto.
Salii anche io, e non appena chiusi lo sportello la zia partì sgassando
rumorosamente, prima di prendere la strada di casa a tutta velocità. Dopo
neanche dieci minuti arrivammo a destinazione…Sono sicura che la guida
spericolata e velocissima dei miei avrebbe fatto morire d’infarto qualsiasi
persona normale. Io e la zia entrammo dentro la grande villa, trovando papà e
mamma seduti al tavolo intenti a leggere una lettera.
“Ciao a tutti…Chi è che ci manda lettere?”, domandai curiosa
avvicinandomi a loro. La mamma ripiegò la lettera, cercando di sorridermi.
“Ne parliamo dopo. Adesso mangia qualcosa, non voglio
che tuo nonno Charlie mi dica che sei deperita…”. Notai che entrambi
avevano assunto un’espressione strana, una specie di unione tra preoccupazione,
sollievo e scocciatura. Mio padre, in risposta ai miei pensieri curiosi e
confusi, si limitò ad un sorriso stiracchiato, come aveva fatto la mamma. Cercai
di non pensarci più e iniziai a pranzare. Mentre mangiavo la mente iniziò a
vagare per conto proprio, come sempre, ripercorrendo i fatti che erano avvenuti
quella mattina a scuola. Ripensai alla gita e a quella pazza della mia migliore
amica che sicuramente avrebbe organizzato ogni singolo minuto della nostra
permanenza a Vancouver…E poi, come se ormai fosse qualcosa che non potevo
evitare, pensai al tempo trascorso con Nathe. Alla sua voce, ai suoi occhi, alle
sue labbra… “EHM, EHM…Tesoro, potresti portare i
pensieri su qualcosa di meno irritante?”. Mamma mia che figura! Mi ero
totalmente dimenticata che mio padre era vicino a me…Perfetto, adesso potevo
anche andarmi a sotterrare. Diventai rossa come i miei capelli, così nascosi il
viso tra le mani. “Scusa papà…Davvero, non mi sono
accorta che…” “Tranquilla, Nessie. Non c’è bisogno che ti giustifichi…Ormai lo
so che non ti è più indifferente come lo era prima…”, mi disse lui,
togliendo delicatamente la mia barriera protettiva.
“Ehi, che fate, spettegolate senza di me?”. Mamma si era allontanata un
attimo, ma aveva sentito tutto quello che avevamo detto. Comparì dalle scale in
un lampo, sedendosi sulle gambe di mio padre. “Ma no,
non stiamo spettegolando, Bella…” “Sarà…Ma c’è qualcosa che turba la nostra
piccola mezza-vampira. O mi sbaglio?”. Papà la guardò curioso; non ero
ancora arrivata a pensare a quegli occhi inquietanti, visto che mi aveva
interrotto prima. “Beh, in effetti si. C’è qualcosa che
mi turba.”. Era inutile mentire ad un padre capace di leggere nel
pensiero e ad una madre che riusciva a cogliere qualsiasi cosa di me. Glielo
dovevo dire…Però era una cosa di cui avrei preferito parlarne prima con la
mamma. “Ok, ok…Vado in camera ad ascoltare un po’ di
musica. Ci vediamo dopo.”, disse mio padre dopo aver intercettato quello
che mi passava per la testa. Mi diede un bacio sulla guancia, sorridendo alla
mia gratitudine inespressa. Salutò anche mamma, sfiorandole le labbra
velocemente, e poi sparì al piano di sopra; un attimo dopo sentimmo le parole di
una canzone spargersi per tutta la casa. “Cosa mi devi
dire, tesoro?” “Andiamo fuori a fare una passeggiata, così ti spiego.”.
Lei annuì silenziosa, così ci avviammo fuori e iniziammo a camminare. Rimasi per
un po’ in silenzio, ma poi mi decisi a parlare:
“Mamma…Tu lo sai che io mi sono innamorata, vero?” “Certo…In te vedo molto della
mia vita umana, sai? Anche io mi sentivo come ti senti tu adesso. So esattamente
cosa stai provando.”. Meno male…Così mi sarei risparmiata una bella fetta
di particolari. “Bene…Stamani mi sono chiusa nel
laboratorio di Scienze…” “Ok. E quindi?”. Presi un respiro profondo e
continuai. “…Mi ci sono chiusa con Nathe.”. La
mamma si fermò all’istante, rimanendo immobile come la statua di una dea. Mi
affrettai subito a darle una spiegazione che l’avesse riportata in sé, o almeno,
ci speravo: “Lo so, è un comportamento inaccettabile…Ma
non ho potuto farne a meno…Avevo voglia di stare sola con lui. Sarà capitato
anche a te, non lo negare…”. La guardai con occhi supplichevoli, in
attesa che dicesse qualcosa. Dopo alcuni istanti interminabili finalmente parlò:
“Continua.”. Anche se era una sola parola mi
sentii sollevata…Era buon segno, significava che aveva passato la fase critica.
Proseguii come mi aveva detto: “Tranquilla, non è
successo niente di particolare…Ci siamo solo coccolati un po’.”. A quelle
parole parve sciogliersi dalla paralisi che l’aveva colpita. Chiuse gli occhi e
scosse la testa, come a voler scacciare quel pensiero.
“Ma non è questo quello che mi volevi dire, vero?” “No. C’è stato un momento,
dopo che ci siamo baciati, in cui avrei voluto…Avrei voluto dirgli che lo amo.
Ma non l’ho fatto.”. Lei inarcò le sopracciglia, assumendo un’aria
confusa e curiosa al tempo stesso. “Mamma…Quando stavo
per dirgli tutto ho sentito una paura straziante nascermi dentro…E non è stata
solo quella a fermarmi…”. Le poggiai una mano sulla guancia,
concentrandomi su tre paia di occhi di uno scintillante e terribile color rosso
rubino. Lei sussultò, prima di stringermi a sé. Io non riuscii più a dire
niente, ancora sconvolta ed impaurita da quell’immagine.
“I Volturi non si azzarderanno nemmeno a sfiorarti un
capello, piccola.” “Non ho paura che facciano del male a me, mamma. Io credo di
essere abbastanza in grado di difendermi, in caso venissero a farci visita…Sono
preoccupata per Nathan.”. Lei mi allontanò leggermente da sé, in modo da
guardarmi negli occhi. Mi scostò qualche ciocca di capelli dal viso,
accarezzandomi con le sue dita gelide. “Nessie, capisco
che tu sia spaventata…E capisco anche che la forza dei tuoi sentimenti non è una
cosa che puoi ignorare facilmente. Però i tuoi timori sono fondati…Se sveli a
Nathan tutto ciò che riguarda la nostra famiglia ci esporrai al rischio di
essere scoperti. Hai pensato a cosa potrebbe succedere se non ti accettasse per
quello che sei?”, mi chiese preoccupata. Io annuii, cercando di non
pensare all’idea del dolore che avrei sofferto se lui mi avesse rifiutata.
Adesso forse riuscivo a capire come si era dovuto sentire Jacob…
“Lo so, mamma. Ci ho pensato. Però…Ecco…Io lo amo. Non
posso fare niente per impedirlo…Non voglio…”. Di nuovo la mamma mi
strinse a sé, respirando velocemente. Credo che se ne fosse stata in grado
avrebbe pianto…Io stavo lottando contro i singhiozzi che avevano iniziato a
scuotermi, cercando di calmarmi. Poi continuai: “Gli
voglio dire tutto, voglio che sappia ogni cosa di me…E se mi dovesse rifiutare,
sono pronta a sopportare il dolore. Me ne andrò via, così mi potrà dimenticare.”
“Renesmee, non dire scemenze…Comunque, fai come vuoi. Anche se purtroppo mi
trovi in una posizione opposta alla tua volontà, lo sai. Forse è meglio se per
adesso ti distacchi un po’ da lui…”. La guardai allarmata. Forse non
aveva capito che non volevo assolutamente allontanarmi da lui…Che non potevo.
Lei scrutò la mia espressione, prima di parlare di nuovo:
“Lo ami così tanto, Renesmee?”. Io annuii,
posando lo sguardo su un ciuffo d’erba. La mamma sospirò pesantemente. Sembrava
rassegnata… “Mi sembra di rivivere i momenti in cui
avevo capito per la prima volta di amare tuo padre…E ti capisco, Nessie. Anche
io avevo paura, ma come vedi non mi sono arresa. Se neanche tu vuoi arrenderti,
cerca di fare le cose con più calma possibile. Non avere fretta…Prenditi tutto
il tempo che vuoi per chiarire con te stessa questa situazione.” “È già chiara,
mamma. Comunque va bene, farò con calma…”, le risposi io stringendole la
mano, prima di incamminarmi di nuovo verso casa.
Il fine settimana arrivò in un baleno. Era
già venerdì mattina…Il giorno della partenza per la gita scolastica. I giorni
precedenti erano trascorsi abbastanza tranquillamente, anche se non riuscii per
niente ad allontanarmi un po’ da Nathe, come invece avevo promesso alla mamma.
Quella mattina a casa mia regnava il caos più assoluto: le zie erano impegnate a
cercare di infilare una barcata di vestiti nella mia valigia, ancora aperta sul
letto. I nonni si stavano dilettando a prepararmi la colazione al sacco, mentre
mamma e papà mi stavano elencando tutte le cose che non dovevo assolutamente
fare, seguite da una lista infinita di raccomandazioni.
“E dai, Edward…Non sta mica andando in guerra! Pensa solo a divertirti, Nessie,
lascia perdere quello che ti dicono…” “EMMETT!”, dissero all’unisono i
miei. Lo zio scoppiò in una risata fragorosa e mi fece l’occhiolino, come per
dirmi che dovevo davvero pensare solo a passare un bel fine settimana. Lo zio
Jasper disse che la pensava esattamente come lui, prima di sparire su per le
scale quando la zia Alice lo chiamò, disperata. Gettai un’occhiata a quella
banda di vampiri indaffarati, prima di ricordare loro che avrei dovuto essere a
scuola alle sette in punto. Non appena tutto fu pronto mi infilai il giubbotto e
mi avviai alla macchina. Papà sistemò i bagagli e poi salì al posto del
guidatore. Anche la mamma insistette per accompagnarmi, così salii dietro.
Partimmo da casa senza fare le corse, tanto saremmo arrivati perfettamente in
orario. “Renesmee, mi raccomando. Stai attenta, non
fare cose azzardate e..” “Papà…Sto andando a Vancouver, non su un fronte
armato!” “Tuo padre ha ragione…Attenta a non fare niente che ti metta in
pericolo.”, intervenne la mamma, lasciandomi intendere che si era appena
riferita alla nostra conversazione avvenuta qualche giorno prima. Aveva spiegato
tutto anche a mio padre, ma lui, con mia grande sorpresa, si limitò a ricordarmi
di tenere bene i rischi a cui stavo correndo contro. Annuii silenziosamente,
cercando di non pensare troppo a quel casino. Arrivammo a scuola con venti
minuti di anticipo. Alcuni miei compagni di classe erano già arrivati, tutti
accompagnati dai loro genitori. Aguzzai la vista in cerca della 147 di Nathe,
senza risultato. Forse era ancora troppo presto…Aiutai, per modo di dire, mio
padre a caricare la valigia sull’autobus che ci avrebbe portato all’aeroporto di
Port Angeles, dove avremmo preso il volo diretto per Vancouver. La mamma scese
di macchina per starmi vicino: non sopportava l’idea che stessi fuori di casa
per tre giorni. Dopo cinque minuti vidi la macchina dei genitori di Amy entrare
nel parcheggio, posteggiando abbastanza vicino a noi. Richiamai l’attenzione
della mia migliore amica; lei mi raggiunse di corsa, abbracciandomi forte.
“Ciao, Nessie! Pronta a partire?” “Altroché…non vedo
l’ora di essere in viaggio!”, le risposi sorridendo. Salutò anche i miei,
prima di trascinarmi via per farmi il resoconto dettagliato del suo pomeriggio
di shopping avvenuto il giorno prima. Dopo qualche istante arrivarono anche i
genitori di Amy: “Buon giorno, signor McConnor.
Signora…”, salutò cortesemente mio padre, subito imitato dalla mamma:
“Philip, Lillian, che piacere vedervi!” “Sembra che le
nostre ragazze siano al settimo cielo…Eh, si, stanno davvero crescendo…”,
disse la madre di Amy ai miei, guardandoci sorridente. La signora McConnor era
davvero una bravissima persona, così come suo padre. La loro figlia aveva
ereditato molto dal carattere di entrambi, soprattutto la sincerità e
l’allegria. Tra una chiacchiera e l’altra giunse il momento di partire. Feci
schizzare lo sguardo attraverso il parcheggio, in cerca di Nathe…Niente. Decisi
di mandargli un messaggio, per chiedergli dove diavolo si fosse cacciato. Dopo
un minuto mi arrivò la sua risposta: ‘Buon giorno
piccola! Sono in aeroporto, vi aspetto qui…Non vedo l’ora di vederti. Un bacio.’.
Sospirai sollevata, calmando la paura che si era insinuata in me. Credevo se ne
fosse dimenticato. Salutai i miei, abbracciandoli forte e dandogli dei sonori
baci sulle guance fredde, sorridendo alle mille raccomandazioni che la mamma
continuava a farmi anche quando salii sull’autobus insieme ad Amy. Lei era
eccitatissima, non riuscì a smettere di parlare nemmeno per un secondo, durante
il tragitto da Forks a Port Angeles. “Allora, Nessie,
spero che tu abbia messo in valigia un bel vestito. Il professore ci ha detto
che avremo questa sera libera!” “Ah, bene! Comunque credo che qualcosa di adatto
ci sia, hanno fatto tutte le mie zie…”. Il viaggio fu abbastanza
piacevole, anche se ancora nessuno di noi, a parte Amy, era nel pieno delle
energie, dato l’orario di partenza. Arrivammo all’aeroporto dopo un’oretta circa
di viaggio. Appena prima del chek-in, i professori fecero l’appello, per vedere
se eravamo tutti presenti. Quando arrivarono a chiamare l’ultimo cognome chiusi
gli occhi, in attesa di sentire la voce che aspettavo da quella mattina:
“…Whellens?” “Presente, eccomi.”, rispose Nathan
appena dietro di me. Sentii un sorriso aprirsi sul mio volto; Amy se ne accorse
e mi diede una gomitata nel fianco, sorridendo a sua volta. Facendo finta di
niente iniziò a parlare con Elizabeth, un’amica dell’altra sezione.
“Buon giorno…Ti sei fatto attendere, eh?” “Ciao
piccola…Gli zii hanno parlato con i professori e gli hanno detto che mi
avrebbero accompagnato direttamente qui. Mi dispiace…”, si scusò lui,
sfiorandomi la mano con la sua. Ormai il nostro avvicinamento era molto
evidente, ma nessuno si azzardava a fare commenti o ipotesi su noi due. I
professori ci avvertirono che potevamo avviarci verso il tunnel d’imbarco, così
ci dirigemmo tutti all’aereo. Amy mi disse che lei si sarebbe seduta vicino a
Jordan, lasciandomi così libera di stare vicino a Nathe. Passammo tutto il
viaggio a scherzare, a fare commenti sugli altri passeggeri e, ogni tanto, a
farci qualche coccola. Avevo una voglia immensa di baciarlo, ma non potevo farlo
per vari motivi. Uno, avremmo reso pubblica la nostra relazione, se così si
poteva chiamare. Non stavamo ancora insieme ufficialmente…Due, i professori ci
avrebbero punito per “atti osceni in luogo pubblico”, nemmeno fossero dei
poliziotti. Tre…Avevo ancora stampate nella memoria le parole della mamma, che
vorticavano furiose facendomi venire il mal di testa. Dopo circa cinque ore
(partenza, volo e atterraggio compresi) respirammo l’aria canadese di Vancouver.
Era una bella città, ci ero stata da piccola con nonno Carlisle e nonna Esme,
mentre i miei erano chissà dove a festeggiare un’altra delle loro lune di miele.
Il pomeriggio trascorse velocemente, tra visite a musei, monumenti e anche
qualche pausa per mangiare. Arrivammo all’hotel completamente sfiniti verso
l’ora di cena. Mentre eravamo seduti a tavola potei sentire Nathe rivolgere una
serie di infamie al giovane cameriere che era venuto a servirci.
“Nathe? Tutto a posto?” “No, per niente. Adesso vado li e lo faccio
diventare un tutt’uno con il carrello dei dolci, se non la finisce di guardarti
in quel modo.”. Ecco svelato l’arcano…Era geloso. Arrossii un po’ a quel
pensiero, ma dovevo ammettere che ne ero molto compiaciuta.
“È questo il problema? Ma dai…Lo sai che c’è solo una
persona a cui io riservo particolare attenzione…”, gli dissi facendogli
l’occhiolino, tornando a mangiare con gusto la mia cena. Notai che arrossì anche
lui, prima di dedicarsi al piatto che si trovava davanti. Quando finalmente
tutti ebbero finito, il professore ci disse che potevamo salire in camera a
sistemare i bagagli, dandoci il permesso di andare a fare un giro per la città.
Io ed Amy ovviamente avevamo preso la camera insieme, così salutai Nathe sulle
scale prima di andare prepararmi. Sfortunatamente lui aveva la stanza al piano
di sotto…Stupida divisione maschi-femmine!. “Fatti
bello, Whellens…Mi raccomando!” “Ok, ci proverò…Tu invece non esagerare, capito?
Non vorrei avere morti sulla coscienza…” “Cercherò di limitare i danni…”,
gli dissi, dandogli un bacio sulla punta del naso prima di correre divertita su
per le scale. In camera trovai Amy in uno stato di quasi depressione: aveva
ingombrato il letto di vestiti e stava lottando contro l’indecisione su quale
indossare. “Se fossi in te mi metterei i pantaloni
bianchi e la maglia nera con lo scollo…quella smanicata da una parte.”.
Lei mi guardò per qualche secondo, prima di guardare la maglia e annuire
soddisfatta. Mi buttai sotto la doccia, cercando di fare il più velocemente
possibile. Dopo un quarto d’ora uscii, mi asciugai i capelli e mi vestii: avevo
scelto un paio di jeans attillati e una camicia bianca, sopra avrei messo una
giacchetta nera non troppo elegante. Ringraziai infinitamente la zia Rosalie per
avermi messo in valigia qualcosa che non fosse firmato Versace, Armani o cose
simili. Lasciai i capelli sciolti sulle spalle, infilai i tacchi e mi avviai
verso la porta. “Amy, io scendo…Ti manca ancora molto?”
“Dammi dieci minuti. Ci vediamo giù!”, mi rispose lei dal bagno. Presi la
giacca e la borsa e uscii, cercando di calmare i battiti accelerati del mio
cuore, causati dal mio pensiero fisso al piano di sotto. Scesi le scale
titubante, cercandolo con lo sguardo. Nella hall dell’albergo c’erano gran parte
degli studenti del mio anno, ma di Nathe nessuna traccia. All’improvviso sentii
qualcuno dietro di me schiarirsi la gola: “Sta cercando
qualcuno, signorina?”. Mi voltai,
rimanendo immobile a fissare Nathe, qualche gradino più sopra di me. Indossava
un paio di jeans normali e una camicia nera abbottonata fino al terzo bottone.
Non era in tiro, però mi sembrò davvero il ragazzo più bello che avessi mai
visto…Ma forse io ero troppo di parte per dare dei giudizi.
“Meno male che non dovevi esagerare…Così mi uccidi,
Cullen.”, mi disse lui sorridendo, percorrendomi con gli occhi da capo a
piedi. Gli sorrisi imbarazzata, prima di fargli cenno di scendere. Appena
mettemmo piede nella sala sentii una serie di fischi e applausi, provenienti
soprattutto da un gruppo di ragazzi della mia classe. Evidentemente anche loro
apprezzavano il mio abbigliamento…Sentii Nathe borbottare, prima di sedersi su
una poltroncina, abbastanza infastidito. Per fortuna la storia si ripeté quando
anche Amy fece il suo ingresso in scena. Passarono circa una ventina di minuti
prima che tutti quanti fossero pronti, ma alla fine riuscimmo ad uscire tutti
insieme. Fuori dall’albergo ci dirigemmo in direzioni diverse; io, Nathe, Amy,
Jordan e altri ragazzi decidemmo di andare a prendere qualcosa in un pub. Fu una
bella serata: erano rare le volte in cui Nathe si mostrava allegro anche con le
altre persone. Ci divertimmo un sacco, perdendoci tra scherzi, racconti e
battute. Peccato che i professori avessero dato il coprifuoco per l’una di
notte…Così, a passo lento ci dirigemmo di nuovo verso l’albergo.
“Dai, ragazzi, non ci possiamo lamentare…Anzi, è già
tanto se ci hanno lasciato la serata libera!”,
disse Amy contenta. Tutti ci trovammo d’accordo con lei; in effetti i professori
erano stati buoni. Arrivammo a destinazione dopo un po’, distrutti. Nella hall
c’era ancora un po’ di gente; tuttavia io ed Amy ci avviammo in camera nostra.
“Aaahhh…Sono sfinita. Domani col cavolo che mi
sveglio presto!” “Amy…Ti sei forse dimenticata che non siamo in vacanza?
Sicuramente alle sette e mezzo ci faranno svegliare…Vado un secondo a chiamare
la mamma.”, le dissi, uscendo sul balcone. Si godeva una bella vista da
li: l’hotel era vicino ad un parco, che terminava su una piccola spiaggia. Il
cellulare di mia madre squillò per una frazione di secondo, prima che lei
rispondesse: “Ciao tesoro! Come va? Divertita al pub?”
“Un sacco mamma…È stata davvero una bella serata! Voi a casa tutto a posto?”
“Come al solito…Ci manchi tanto sai? Non vediamo l’ora che torni…” “Anche voi mi
mancate… Ci sentiamo domani mattina. Un bacio mamma, ti voglio bene.” “Anche io
piccola…Buona notte!”. Ecco fatto…Così sarebbe stata più tranquilla.
Quando rientrai in camera trovai Amy addormentata sul letto, ancora con i
vestiti addosso. Doveva essere davvero stanca. Facendo attenzione a non
svegliarla le misi il pigiama e la coprii; meno male che dalla mia avevo la
velocità e la forza di un vampiro…Mi stesi sul letto anche io, senza però
riuscire a chiudere occhio. La mia testa era piena di pensieri vorticanti, tutti
scatenati da una sola persona. Presi il cellulare da sopra il comodino e feci
uno squillo a Nathe. Suonava…Era sveglio anche lui. Dopo qualche secondo mi
arrivò un messaggio: ‘Stasera eri davvero
bellissima, più di quanto lo sia di solito…Non so come ho fatto a trattenermi
dal portarti via da quel pub.’. Il cuore mancò di un battito, ma non ci
feci molto caso. Ormai era diventata una piacevole abitudine…
‘Mi sarei fatta rapire volentieri…Mi manchi...Un bacio.’,
gli risposi, sospirando. Rimasi a guardare il soffitto buio della stanza per
qualche minuto, cercando di sgomberare la mente. Mi venne quasi un collasso
quando sentii il cellulare vibrarmi sulla pancia…Un altro messaggio:
‘Sono qui fuori.’. Scattai su come una molla
e mi precipitai ad aprire la porta, cercando di non fare rumore. Quando
finalmente aprii, fui investita dall’odore fresco di Nathe. Era appoggiato
accanto alla porta, illuminato solo dalla debole luce del display del suo
cellulare. “Che ci fai qui?”, gli domandai in un
sussurro. “Mi sembra chiaro…Ti sto rapendo! Prima una
cosa però…”. Mi prese per mano e mi tirò a sé, baciandomi. Era bello
stare li, soli nell’oscurità del corridoio. Quando ci staccammo intrecciò le sue
dita alle mie e, facendo luce con il cellulare, si diresse verso la hall.
Arrivati in fondo guardò se l’uomo della reception fosse ancora sveglio. Lo
sentii rilassarsi un po’, segno che non correvamo il rischio di essere scoperti.
Silenziosi come due ladri ci avviammo verso l’uscita, le mani ancora strette tra
loro. Quando passammo la porta dell’hotel corremmo verso l’altro lato della
strada, entrando nel parco che avevo visto dal balcone della mia stanza. Ci
baciammo di nuovo, riprendendo poi a camminare verso la piccola spiaggia al
limitare della zona verde. La luna splendeva solitaria nel cielo, accompagnata
da qualche stella sparsa qua e là. Mi sedetti sulla sabbia fresca, ascoltando il
rumore delle onde che si frangevano contro il bagnasciuga. Nathe fece lo stesso:
si sistemò vicino a me, cingendomi la schiena con un braccio. Rimanemmo in
silenzio per un po’, dandoci qualche bacio ogni tanto. Mi appoggiai a lui,
chiudendo gli occhi. Quello forse era uno dei momenti più belli della mia vita.
Nonostante fossi una mezza-vampira, immortale e quindi del tutto immune ai
pericoli normali, stare vicina a Nathe mi faceva sentire protetta da qualsiasi
cosa. Sicuramente il mio lato umano aveva preso il sopravvento…Non so perché,
ma all’improvviso sentii una piccola paura farsi strada nel mio cuore. Ma non
era la paura che avevo provato ripensando ai Volturi…“Cosa
ci trovi in me, Nathe? Sii sincero, per favore…”. Ecco qui che si
presentavano i soliti dubbi idioti…Sicuramente non mi sarei fatta problemi se
non fossi stata così coinvolta. Ma adesso sentivo il bisogno di avere delle
conferme. Speravo che per lui contassi almeno la metà di quello che contava lui
per me. “Credo che tu sia la persona più fantastica che
esista al mondo. Sei gentile, altruista, simpatica, intelligente…E soprattutto
mi sai leggere dentro. Me ne sono sempre reso conto. Tu hai colto quello che
c’era sotto la mia maschera prima di chiunque altro.”, mi disse lui,
dandomi un bacio sulla fronte. “Questo vuol dire…Che
per te sono importante?”, gli chiesi in un sussurro. Lui mi alzò il viso
poggiandomi due dita sotto il mento, in modo che potesse guardarmi dritto negli
occhi. “Tu per me sei importante come l’aria che
respiro, Renesmee.”. Avrei voluto mettermi a piangere dalla felicità.
Allora per lui contavo davvero qualcosa… “Invece io?
Cosa sono per te?”. Di nuovo quella domanda…All’improvviso mi tornò in
mente la sera del mio primo litigio con Jacob. Anche lui mi aveva chiesto cosa
era per me…Ma non gli avevo dato una risposta esauriente. Lo avevo lasciato nel
dubbio. Adesso però la risposta a quella domanda ce l’avevo…Perché a farmela era
stato il ragazzo che da un po’ di tempo era divenuto il chiodo fisso dei miei
pensieri. “Nathan…Tu sei il mio sole, la mia luna, le
mie stelle…Sei tutto per me.” “Davvero?”, mi chiese, stupito ma felice.
“Davvero.”, gli soffiai sulle labbra prima di
baciarlo con trasporto. Dopo esserci staccati mi guardò negli occhi,
accarezzandomi il viso. Prese un respiro profondo e poi mi disse quello che
avrebbe annientato ogni mio dubbio, ogni paura: “Io ti
amo, Nessie.”. Sorrise, lo sguardo acceso di gioia, e mi baciò di nuovo,
prima di tirarmi su in piedi. Mi circondò i fianchi con le braccia, e appoggiò
la fronte alla mia, silenzioso. Al diavolo i Volturi, al diavolo la promessa che
avevo fatto alla mamma…Al diavolo tutto. “Ti amo anche
io.”, gli dissi, finalmente libera dal peso di quelle parole.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Cap. 5 - Paura di amare ***
Cap. 5 – PAURA DI
AMARE
Erano le sette e mezzo spaccate della
mattina, quando i telefoni di molte stanze suonarono in sincrono. Io mi accorsi
vagamente di quel fastidioso trillo continuo, fino a che, dopo qualche minuto, i
miei occhi si spalancarono del tutto. Maledetti professori…Potevano lasciarci
dormire fino alle otto…Nel letto accanto al mio Amy era ancora nel profondo
mondo dei sogni. Lei era il classico tipo che non si svegliava nemmeno con le
cannonate. “Amy…Ehi, svegliati. Dai, i profe ci hanno
fatto chiamare…” “Mmmhhh…Ancora cinque minuti mamma…”. Eh certo…Mi pareva
troppo strano che si alzasse subito. Così decisi di fare come faceva sempre mia
madre quando non c’era modo di farmi svegliare. Mi alzai e mi avvicinai alla
porta-finestra che dava sul balcone. Chiusi gli occhi prima di aprire con
velocità la persiana, in modo che la luce si spargesse in un colpo solo in tutta
la camera. Amy scattò a sedere sul letto, prima di coprirsi il viso con le mani.
“Ma che cavolo combini, Renesmee? Non ci vedo più
niente!” “Buon giorno cara…Dormito bene?”, le
chiesi scherzosamente. Lei mi rispose con un grugnito, prima di dirigersi
barcollando verso il bagno. “Ehi…Ma che è
successo qui dentro? Sembra che ci sia stata una tempesta di sabbia…”,
disse assonnata. Io arrossii di colpo; per fortuna non mi aveva visto…
“Ma che stai dicendo? Sabbia? Mi sa che sei ancora nel mondo dei sogni Amy…”.
Mentre era ancora chiusa in bagno recuperai qualcosa per pulire e a velocità
supersonica cancellai tutte le tracce che avevo lasciato quella notte. Quando la
mia migliore amica uscì dal bagno io mi stavo vestendo tranquillamente, facendo
finta di nulla. Lei si guardò intorno, confusa: “Ma…Non
c’era il pavimento pieno di sabbia? Che è successo?” “Te l’ho detto che stavi
ancora sognando…”, le risposi con un sorriso. Rimase immobile e
pensierosa per qualche secondo, prima di alzare le spalle e iniziare a vestirsi
svogliatamente. Mentre mi stavo dando una sistemata sentii il cellulare vibrare
sul comodino. Corsi a prenderlo, già con il cuore che batteva all’impazzata.
Lessi il messaggio di Nathe e gli risposi, fissando il display come un’ebete.
“Bene…Si inizia già di prima mattina…”,
mi disse Amy, notando la mia espressione. Le sorrisi imbarazzata, prima di farle
la linguaccia. Lei mi sorrise in risposta, scuotendo la testa. Decisi di
accennarle qualcosa riguardo alla notte precedente:
“Amy…Credo che io e Nathe adesso siamo un vera e
propria coppia…”. Era difficile decifrare la sua espressione; mi guardò
perplessa, alzando un sopracciglio: “E tutto questo
quando sarebbe successo?” “Ehm…Stanotte.”. Lei mi guardò stralunata,
cercando di collegare quelle parole a qualcosa di concreto.
“Tu…Lui…Insomma…” “MA NOOOOO! Scema! Che cavolo vai a
pensare!”, le risposi io imbarazzatissima. Sembrò riprendersi; sospirò e
mi chiese spiegazioni. “Mi hai fatto prendere un
infarto, Cullen…Cosa è successo?” “Tranquilla, Amy...Ci siamo
solo...Dichiarati...” “Solo dichiarati? Oh, Nessie...Si vede proprio che non hai
mai avuto a che fare con questo genere di cose...O almeno, non in prima persona
come adesso! È un evento da festeggiare!” “No, no...Che festeggiare. Non ti far
venire strane idee, cara mia...”, la avvertii, prima che si facesse
prendere dalla gioia eccessiva. E poi cosa c’era da festeggiare lo sapeva solo
lei...Mah. Era la mia amica pazza...Che ci dovevo fare! Verso le otto scendemmo
nella hall, facendoci vedere dai professori. All’improvviso mi sentii tirare per
un braccio, fino a che mi ritrovai tra le braccia di Nathe, poco distanti dal
centro della sala. Inutile dire che tutti si girarono a guardarci.
“Buon giorno piccola...Dormito bene?” “Benissimo...”,
gli risposi senza smettere di guardarlo negli occhi, già inebriata dal suo
profumo. Lui mi sorrise, prima di darmi un leggero bacio a fior di labbra.
Sentii tantissimi respiri fermarsi, seguiti da qualche risatina qua e là. Lo
guardai sorpresa, senza sapere che dire. Adesso eravamo una coppia, è vero...Ma
farlo sapere a tutti così mi fece rimanere un po’ di sasso. Mi teneva ancora
stretta a sé, quando un grido di approvazione giunse dal gruppo dei compagni di
squadra di Nathe: “Evvai, Whellens! Sei un mito!
Addirittura la Cullen...Sei il nostro eroe!”.
Io nascosi il viso nel suo petto, certa di essere diventata più rossa dei miei
capelli. “Tu sei impazzito, Nathan. E non poco
direi.” “Mah si, cosa vuoi che sia...Tanto sarebbero venuti a saperlo lo stesso
entro le otto e un minuto!” “Esibizionista.”, gli dissi, senza riuscire a
trattenere un sorriso. Mi spostai un po’, giusto per vedere la faccia di qualche
compagno di classe: alcune ragazze avevano già iniziato a spettegolare, altre ci
stavano ancora fissando con gli occhi sgranati, mentre qualche ragazzo mi
guardava come ormai qualcosa di irraggiungibile. Più di quanto lo fossi stata
prima...Gli amici di Nathe invece erano impegnati a fare una standing ovation
per lui, visto che era riuscito dove tutta la scuola aveva fallito. Anche i
professori ci guardavano con un’aria strana...Vai a sapere che gli passava per
la testa. Fra tutti quanti però cercai gli occhi azzurri di Amy. Quando li
incrociai potei leggerci dentro un sacco di cose...Ma soprattutto tanta, tanta
felicità. Era contenta per me. Le sorrisi, facendole un piccolo segno di
vittoria che avrebbe potuto interpretare solo lei. Dopo qualche minuto Nathe mi
allontanò da sé; alla mia espressione, probabilmente riluttante, rispose con una
piccola risata. “Andiamo a fare colazione? O rimaniamo
qui impalati a guardarci in faccia?”, mi chiese, strattonandomi piano. In
effetti sentivo anche io un certo vuoto allo stomaco.
“Vada per la colazione!”, gli risposi allegra. Fummo i primi a servirci e
ad accomodarci; prima che tutti gli altri ci imitassero passarono alcuni minuti.
Amy e Jordan si sedettero con noi, così facemmo colazione tutti e quattro
insieme. Loro due sembravano leggermente a disagio, soprattutto quando Nathe si
voltava all’improvviso per darmi un bacio veloce. Dopo una ventina di minuti
finimmo di mangiare, così chiamai la mamma per darle il buon giorno. Mi aveva
mandato un messaggio quasi un’ora prima, dicendomi che erano appena tornati
dalla caccia. Per fortuna Amy non aveva la mania di farsi gli affari miei
girandomi per tutto il telefono...Dopo qualche secondo rispose mio padre;
parlammo per un po’, fino a che i professori ci richiamarono avvertendoci che
saremmo partiti alla volta di una piccola cittadina vicino Vancouver.
“Ciao tesoro, divertiti...Ci sentiamo più tardi!” “Ciao
papà, ti voglio bene...Dai un bacio alla mamma e agli altri da parte mia!”,
lo salutai, prima di riattaccare. Ci avviammo a passo strascinato verso
l’autobus; io e Nathe ci sedemmo vicini, con la mia migliore amica e quello che
ancora non sapevo se definire il suo ragazzo accanto. Non erano poi così male
come coppia, lei e Jordan....Vabè, non erano affari miei. La giornata fu
complessivamente abbastanza piacevole. Inutile dire che io e Nathe eravamo stati
praticamente appiccicati per tutto il tempo, facendo quasi venire una crisi da
eccesso di zuccheri ad Amy. La sera dopo cena non ci fu permesso di uscire come
il giorno prima, così ci limitammo a stare in camera nostra a chiacchierare e a
fare gli stupidi. Invitammo da noi alcuni amici; nessuno dei professori osò
rifiutare il permesso quando, da brava studentessa modello, ero andata da loro a
chiederlo. “Non si preoccupi, Signorina Cullen, per lei
questo ed altro.”, mi aveva detto quello di Geografia Economica, senza
battere ciglio. Meno male che Nathe era rimasto in camera...E che i miei erano a
casa. Se solo avessero visto come mi guardava quel maniaco avrebbero di sicuro
fatto un’eccezione riguardo la loro dieta. E Nathe probabilmente gli avrebbe
spaccato la mazza da baseball in faccia. Sospirai, cercando di scacciare quella
che sarebbe stata una scena disgustosa dalla testa, provando a concentrarmi sul
discorso che Andrew e Kathleen stavano sostenendo (l’importanza di una maxi-tv a
schermo piatto per vedere le partite contro la necessità di utilizzare lo spazio
per farci una grande libreria). Quei due si sarebbero sposati davvero, a mio
parere...Comunque, mi riuscì molto difficile seguire quello che stavano dicendo:
Nathe, steso di fianco dietro di me, non faceva altro che far viaggiare la sua
mano leggera sul mio braccio scoperto, dandomi dei piccoli baci sulla schiena.
Io ero seduta con le gambe incrociate, dandogli le spalle. Non sembrava affatto
a disagio; io invece ero molto, molto imbarazzata. Ma non ci feci caso, non più
del necessario. Ormai eravamo usciti allo scoperto...Gli altri ci avrebbero
fatto presto l’abitudine. E anche io...Sicuramente. Ogni tanto intercettavo lo
sguardo di Amy, contraccambiando il suo sorrisino furbo. Ad un certo punto Nathe
si alzò e si sistemò dietro di me, circondandomi i fianchi con le braccia e
posando la testa sulla mia spalla. “Sei davvero un
ottimo cuscino...”, mi disse, prima di darmi un bacio sul collo.
“Contento tu Nathe...Contenti tutti!” “Certo che sono
contento, non dovrei? Ehi, ragazzi, voi sareste contenti se ci fosse Renesmee
Cullen a farvi da cuscino?”. I suoi amici espressero la loro
approvazione, come ormai era diventata loro abitudine. Io gli diedi un piccolo
colpo dietro la nuca, prima di intrecciare la mano nei suoi capelli ed
incatenare i suoi occhi ai miei. “Oh-oh...Qui l’aria si
fa calda! Ehi, Jordan...Che ne dici di andare a fare una partita alla Play
Station?” “Certo che vengo! Non rifiuto mai una sfida, Andrew, lo sai...Ragazze,
venite con noi?”. Amy e Kathleen si guardarono per qualche secondo, prima
di gettare un’occhiata a me e Nathe. Vedendo che eravamo ancora incatenati dagli
sguardi annuirono, avviandosi verso la porta della stanza.
“Andateci piano voi due, capito? Occhio a quello che
fate...”, ci minacciò Amy, prima di sparire dietro la porta.
“Finalmente soli, Cullen...” “Ehi, hai sentito che ha
detto Amy? È capace di uccidermi...” “Vabè, tanto uccide te...” “Sei uno scemo,
Whellens.”, gli dissi sorridendo a qualche millimetro dalle sue labbra,
prima di sentire il loro sapore sulle mie. Quello non fu esattamente un bacio
molto casto…All’improvviso sentii una miriade di scariche elettriche
attraversarmi il corpo, mentre il respiro si faceva più veloce. Il cuore era già
andato a farsi una passeggiata, quando le labbra del mio ragazzo iniziarono a
farsi strada sul mio collo. Il suo respiro caldo mi faceva tremare, scatenando
dei piccoli brividi lungo la schiena. Cercai nuovamente la sua bocca, presa da
un’avidità che mi fece rimanere spiazzata. Era la prima volta che mi sentivo
così attratta da qualcuno… Adesso potevo capire completamente gli atteggiamenti
esagerati dei miei. Senza rendermene conto mi ritrovai con la testa sul cuscino,
quasi sovrastata completamente da Nathe, che si reggeva sui gomiti per non
schiacciarmi con il suo petto. Una mano scattò ai suoi capelli, mentre l’altra
era poggiata sulla schiena, stringendo la sua maglietta. Stavo perdendo la
lucidità, ma non volevo che quel momento finisse. Sentii le dita leggere di
Nathe sotto la mia maglia e ancora una scarica elettrica attraversarmi tutto il
corpo. Ormai ero preda della mia avidità…E lui non faceva niente che mi
incitasse a smettere. Anzi…Mi avrebbe fatto impazzire di lì a poco.
Tutto ad un tratto mi sentii invadere da un
immenso calore. Un dolore straziante e rovente iniziò a torturarmi la gola.
Sembrava che stessi bruciando viva. No…Non era possibile…Spaventata, cercai di
allontanare Nathe, che non si dimostrò per niente d’accordo:
“Nessie…Che succede?”,
mi sussurrò, soffiandomi sul collo, continuando a darmi dei piccoli baci.
“Nathe, basta…Dai…”.
Lui mi guardò negli occhi, cercando di capire il motivo per cui lo avevo
fermato. Intanto sentivo la gola andarmi a fuoco, e come se non bastasse un
volto incappucciato di nero mi apparve nella mente: gli scintillanti occhi rossi
di Aro mi fissavano, ed un sorriso beffardo mi derideva. Scostai Nathe e mi
alzai in piedi, cercando di calmare il respiro. Lui aveva visto che ero
spaventata, ma non riuscendo a capire il perché mi lasciò fare.
“Renesmee che hai? Non mi far preoccupare...” “No, no,
tranquillo…Sto bene...credo…”. No. Non stavo
bene per niente. “Scusami, non volevo…Mi
dispiace, Nessie…” “Nathe, non è colpa tua…”.
Andai in bagno a bere un po’ di acqua ghiacciata, cercando di placare quel
maledetto incendio che mi aveva preso la gola. Lui mi seguì, preoccupato. Mi
sciacquai un po’ la faccia, ancora con il respiro accelerato. Non riuscivo a
calmarmi…Ma perché…Perché? Erano anni che non sentivo più quella malefica
sensazione…Non potevo avere…Scossi la testa, rifiutandomi di pensare a quella
parola. Io non ero un mostro…Non avrei fatto del male a nessuno. Mi nascosi il
viso tra le mani, accasciandomi lungo la parete.
“Ehi, piccola…Dai…Ti prego, dimmi qualcosa…”,
mi supplicò Nathe, senza sapere che fare. Sentii le lacrime sgorgare come rivoli
bollenti sulle guance, mentre cercavo con tutta la forza che avevo di stare
ferma, di non cedere alla mia parte sovrannaturale. Potevo sentire il respiro
accelerato e spaventato di Nathe vicino a me, mentre il suo profumo faceva
ardere la mia gola. Non dovevo cedere…Io lo amavo…Papà aveva resistito quando la
mamma era umana… Iniziai a respirare più lentamente, ignorando con tutta me
stessa le lame incandescenti che mi stavano trafiggendo, ripetendomi che non
dovevo, che era sbagliato, che non ero un mostro. Passarono alcuni minuti, non
so dire se cinque o dieci, prima che riuscissi completamente a calmarmi. Il
bruciore era sempre lì, ma ormai riuscivo a tenerlo a bada. Guardai Nathe,
ancora spaventato, mentre le lacrime mi appannavano gli occhi.
“Nathan scusa…Non so…Perdonami, ti prego…” “Ma no,
Nessie…Non è successo niente. Dai, Forse è meglio che ti riposi un po’…”,
mi disse lui dolcemente, prendendomi in braccio e portandomi sul letto. Mi posò
delicatamente, dandomi un leggero bacio sui capelli. Io lo abbracciai,
aggrappandomi alla sua maglia, ancora scossa dai singhiozzi. Iniziò a cullarmi
dolcemente, dandomi ogni tanto un piccolo bacio. Piano piano le forze iniziarono
ad abbandonarmi, fino a che crollai definitivamente nel mondo dei sogni. Dopo un
bel po’ sentii qualcuno bussare alla porta, mentre le braccia di Nathe erano
ancora saldamente strette intorno a me. “Ehilà,
voi due… Siete presentabili? Non voglio trovarmi davanti uno spettacolo
indecente…”. Nathe sospirò, prima di invitare
chi aveva bussato ad entrare. “Vieni, Amy…” “Ok,
entro…Vi siete ricomposti in…”. Appena mi vide
si zittì. Potevo sentire il suo sguardo percorrermi, ma feci finta di essere
ancora addormentata. “Non sta molto bene…È
crollata mezz’ora fa.”,
le disse Nathe a bassa voce. Qualche minuto dopo lo sentii muoversi: mi stava
sistemando per bene sul letto, mettendomi una coperta addosso. Poi si alzò,
sussurrò qualcosa ad Amy, e dopo avermi dato un bacio sulla fronte se ne andò.
Quella notte non
dormii per niente. Gli occhi di Aro mi perseguitavano, mentre l’orribile
immagine di me accucciata sul corpo dissanguato di Nathe mi torturava, facendomi
sentire un mostro senza pietà. Più di una volta scattai a sedere con il fiatone,
senza riuscire a togliermi dalla testa quelle maledette immagini. Quando qualche
ora dopo squillò il telefono per svegliarci, io ero già in piedi da un pezzo.
Avevo preferito alzarmi e stare sveglia invece di essere tormentata dagli
incubi…Appena mi accertai che Amy stava per alzarsi andai in bagno a sciacquarmi
la faccia. Mi guardai allo specchio per mezzo secondo, prima di concentrarmi di
nuovo sull’acqua ghiacciata. Delle occhiaie violacee mi erano apparse sotto gli
occhi, simbolo della notte insonne e anche di qualcos’altro di molto più
spaventoso. Vedermi in quelle condizioni mi aveva sconvolta ancora di
più..Appena Amy entrò in bagno mi fece voltare verso di sé; scrutò attentamente
la mia espressione, prima di abbracciarmi.
“Oddio, Nessie…Che diavolo ti è
successo?”. Non riuscii
a parlare, dato che i singhiozzi avevano di nuovo preso possesso del mio corpo.
La mia migliore amica mi strinse un po’ più forte, provando a calmarmi.
“Ssshhh…Dai, tranquilla…Passa
tutto…”, mi disse lei in
tono rassicurante, prima di darmi un bacio sulla guancia. Mi guardò negli occhi
e mi asciugò le lacrime con le dita, per poi accarezzarmi un braccio.
“Me lo fai un sorriso, eh,
Cullen?”. La fissai,
cercando di fare come mi aveva chiesto, ma fu molto più difficile del previsto.
Riuscii a malapena a stirare gli angoli della bocca, ma sembrò bastarle. Poi
finalmente parlai, con la voce ancora spezzata:
“Amy…Sono un mostro…Non ti rendi
conto…” “Tu stai delirando, Renesmee…Dai, vieni a vestirti che fra poco dobbiamo
andare via…”. Mi prese
per mano e mi riaccompagnò in camera, aiutandomi a scegliere cosa mettere. Dopo
che ci fummo preparate, valigie rifatte comprese, scendemmo giù insieme agli
altri. Cercai di apparire il più normale possibile, sempre tenendo stretta la
mano di Amy. Tutti si accorsero che c’era qualcosa che non andava, ma nessuno
disse niente. Io ero come un automa; mi facevo guidare dalla mia migliore amica,
strascinando pesantemente i piedi. Ad un certo punto sentii una mano poggiarsi
sulla mia spalla. Nathe mi fermò, cercando con gli occhi il consenso di Amy. Lei
lasciò la mia mano, ma rimase vicino a noi.
“Ciao stellina…Stai un po’ meglio?”,
mi chiese premuroso, dandomi un bacio sulla fronte per poi abbracciarmi
dolcemente. “Mah…Così…”,
gli risposi a mezza voce, scostandomi dopo poco. Avevo paura che l’inferno
tornasse a possedermi…Forse era meglio se non gli stavo vicino per troppo tempo.
A quel pensiero sentii una spaccatura nel cuore, che si andò ad aggiungere a
tutto il resto. Lui mi guardò preoccupato e mi circondò le spalle con un
braccio, mentre Amy mi aveva ripreso per mano. Di nuovo, come la notte prima,
cercai di mantenere a bada gli istinti della mia parte di vampira.
Se i due giorni
precedenti erano stati un vero spasso, quella mattina sembrava non finire mai.
Ogni tanto qualche fitta incandescente mi esplodeva in gola, ma non ero riuscita
ad oppormi a Nathe, che si era ripromesso di non lasciarmi nemmeno per un
secondo. Non riuscii a toccare cibo, e quando finalmente ci avviammo con
l’autobus verso l’aeroporto era già pomeriggio inoltrato. Avevamo il volo alle
nove e mezzo, così alle otto eravamo già in fila per il check –in. La mamma mi
aveva chiamato un sacco di volte; dopo la prima telefonata era rimasta
completamente spiazzata dalla mia voce piatta, quasi priva di vita. Capì subito
che era accaduto qualcosa, ma non insisté più di tanto, lasciandomi libera dal
peso di dover raccontare tutto. Lo avrei fatto a casa. Mi aveva chiamata anche
all’aeroporto, dicendomi per l’ennesima volta le stesse cose che mi ripeteva da
quella mattina. “Ti
aspettiamo a Port Angeles...Stai tranquilla, tesoro, andrà tutto bene.”
“Si...Ciao mamma.”. Dopo un po’ ci avvisarono che
potevamo imbarcarci, quindi ci dirigemmo verso l’aereo. Sempre con Nathe ed Amy
incollati addosso, mi trascinai al mio posto, lasciandomi cadere pesantemente
sul sedile. Al contrario del viaggio di andata, questa volta fu la mia migliore
amica a sedersi accanto a me. Anche se lei mi stava vicino non sentivo la gola
andare a fuoco...Ancora non riuscivo a darmi pace, era come se la mia parte
umana fosse andata a farsi benedire. Evitai accuratamente di addormentarmi; il
solo pensiero che il mio incubo tornasse a vivere nella mia testa mi dava la
nausea. “Nessie, c’è qualcosa che posso fare per te? Mi
fai stare male così...” “Si, in effetti si...Distraimi, Amy, non permettere che
mi addormenti. Stanotte non ho chiuso occhio a causa di un brutto sogno...Ho
paura che quelle cose mi torturino di nuovo.”, le risposi a mezza voce.
Lei mi guardò confusa, ma annuì; mi strinse la mano e dopo avermi dato un bacio
sulla guancia mi passò una cuffia del suo Ipod. Le ore di volo passarono lente,
però riuscii a stare sveglia. Ogni volta che stavo per cedere Amy mi dava uno
scossone, facendomi ridestare. Nathe venne a vedere come stavo tre o quattro
volte, ed ogni volta che si avvicinava venivo stordita dalla bontà del suo
profumo. Finalmente, dopo quella che mi sembrò un’eternità, arrivammo a Port
Angeles. Era notte fonda, e la Luna era coperta da alcune nuvole leggere.
All’uscita del tunnel che ci portava all’interno della sala degli arrivi trovai
nonno Carlisle e nonna Esme ad aspettarmi. Amy e Nathe mi accompagnarono da
loro, aiutandomi a portare i bagagli. Senza rendermene conto mi trovai tra le
braccia dei miei nonni, che cercavano in tutti i modi di capire cosa mi fosse
successo. “Vi spiego a casa...Ragazzi, non vi
preoccupate per me, adesso sto bene...”, dissi ad Amy e Nathe, sorridendo
debolmente. La mia migliore amica annuì, poi mi abbracciò, dandomi un bacio
sulla guancia. “Non farmi stare in pensiero, capito?
Chiamami quando vuoi, non ti fare problemi...Ciao Nessie.”, mi disse
prima di andare via con i suoi genitori. Il mio ragazzo invece stava fermo
immobile vicino a me, e sembrava non avere intenzione di lasciarmi da sola. Se
solo avesse saputo cosa mi provocava la sua vicinanza...
“Nessie...Sicura di stare bene?” “Si, si...Appena mi
riprendo un po’ ti faccio sapere. Non ti preoccupare, Nathe...Non voglio che
anche tu stia male.” “Va bene, piccola...Ci sentiamo fra qualche ora.”,
mi disse, prima di tirarmi dolcemente a sé e darmi un bacio sui capelli. Sentii
gli occhi pungere e la gola pizzicare, ma ignorai completamente entrambe le cose
e lo strinsi forte a me. Gli detti un leggero bacio a fior di labbra, prima di
ritrarmi subito da lui. Gli feci un piccolo sorriso e poi mi inviai fuori
dall’aeroporto con i nonni. Loro non mi fecero domande; capirono subito che
Nathe era il ragazzo di cui parlavo sempre e che mi aveva rubato il cuore.
Appena uscimmo, sentii le braccia di mio padre e mia madre avvolgermi
completamente: a quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime, così
scoppiai a singhiozzare. “Ehi, piccola, tranquilla...Ci
siamo noi adesso. Dai, andiamo a casa, così ci racconti tutto per bene.”,
mi sussurrò mio padre, facendomi salire in macchina. Dopo pochissimo tempo
arrivammo a casa. La mamma non mi fece nemmeno aprire lo sportello; mi prese in
braccio e si precipitò in camera mia, posandomi dolcemente sul mio letto. Senza
neanche accorgermene tutti i miei familiari arrivarono lì, abbracciandomi e
dandomi dei baci sulle guance. Poi, con un’occhiata abbastanza eloquente, papà
fece capire agli altri di lasciarci soli. “Nonno, per
favore...Rimani.”, chiesi, sospirando pesantemente. Passarono alcuni
minuti prima che mio padre mi incitasse a parlare. Non era riuscito a leggere la
mia mente, visto che mi ero rifiutata fino a quel momento di lasciar fluire i
pensieri. Quindi, facendomi coraggio, iniziai il mio racconto.
“Mamma...Inizio con lo scusarmi con te. Non ho
mantenuto fede alla nostra promessa...”. Appena
sentì quelle parole si irrigidì. Mi fissò negli occhi, silenziosa, prima di
incitarmi a proseguire con un cenno della testa.
“Io e Nathe...Stiamo insieme adesso.”. Anche
papà, come la mamma, rimase immobile come una statua. Sentii un sibilo uscirgli
dai denti, ma appena si accorse delle lacrime che minacciavano di sgorgarmi sul
viso mi accarezzò una guancia, scusandosi con lo sguardo.
“L’altra sera…Beh, ci stavamo baciando e…eravamo molto,
molto coinvolti…e…”. Mi si troncarono le parole
in bocca. Scrutai le espressioni dei miei, e vedendo che stavano cambiando da
preoccupate a furiose mi affrettai a continuare:
“…All’improvviso ho sentito la gola andarmi a fuoco…”.
Un silenzio tombale calò all’interno della stanza. Mamma, papà e il nonno
avevano smesso di respirare, increduli. “Ti è
venuta…Sete?”, mi chiese nonno Carlisle
stupito. A quel punto non ce la feci a continuare a parlare, così mi limitai ad
annuire, mentre le lacrime erano sfuggite al mio controllo. Le braccia di mia
madre mi avvolsero, mentre mostravo a lei e al nonno i miei pensieri. Anche mio
padre stava seguendo attentamente, sospirando preoccupato. Quando vide le
immagini del mio incubo mi strinse una mano, cercando di tranquillizzarmi.
“Carlisle, com’è possibile che le sia venuta
sete?” “Non so dirtelo con precisione, Edward…Ma credo che sia dovuto ad
un’eccessiva scarica di adrenalina. Hai detto che eravate molto presi, vero
Nessie?”, mi chiese con tono esperto, quello
che solo un eccellente dottore può avere. Ancora una volta annuii, tra le
braccia fredde della mamma. Mi strinsi ancora di più a lei, nascondendo il viso
tra i suoi capelli. “Su di noi questo può avere
effetti molto profondi. Devo farti delle analisi, piccola. È davvero molto
strano che dopo così tanti anni abbia provato sete di sangue umano…Ce la fai a
venire nel mio studio?”. Mio padre non mi fece
alzare; mi prese in braccio e mi portò nella stanza del nonno. Lui fece tutto
con molta calma: mi prelevò un po’ di sangue e ne analizzò alcune gocce al
microscopio. Poi mi prese un campione di saliva e analizzò anche quella. Passò
circa mezz’ora prima che ci facesse sapere cosa aveva scoperto.
“Si, è come pensavo. Hai avuto una dose eccessiva di
adrenalina in circolo…E poi c’è anche un’altra cosa…”.
Il nonno guardò mio padre e poi mia madre, prima di continuare.
“Il tuo organismo, in conseguenza all’adrenalina, ha
prodotto…Sei velenosa adesso, Nessie. È per questo che ti è venuta sete.”.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. “Vuoi
dire che adesso è più vampira che umana?”, gli
chiese la mamma. “No, no…Tranquilla Bella. La
potenza del suo veleno equivale ad un quarto del nostro...Ma non ho idea di
quale effetto possa avere su un umano, in caso venisse morso.”.
Sentii la testa girare furiosamente. Questo voleva dire che non potevo lasciarmi
andare ad emozioni troppo forti? “È possibile,
tesoro…Visto quello che è successo l’altra sera con…-
papà deglutì rumorosamente - …Con il tuo
ragazzo.”, disse, dopo avermi letto i pensieri.
“Io non…Non posso stare con lui…È così?”
“Sarebbe meglio evitare altri episodi del
genere…Anche se mi meraviglia la forza con cui sei riuscita a trattenerti.”,
mi disse il nonno, guardandomi con aria professionale. Fu la goccia che fece
traboccare il vaso. Sentii tutto il peso del mondo sulle mie spalle, e il dolore
alla testa fu accompagnato da uno squarcio all’altezza del cuore. Mi alzai di
scatto, poi mi presi la testa fra le mani e mi accasciai a terra, scossa
violentemente dai singhiozzi. “Edward…Riportala
in camera, ha bisogno di riposare.” “No, non voglio…Non voglio che Aro mi
perseguiti ancora!” “Nessie, stai tranquilla…Se non riesci a dormire il nonno ti
darà qualcosa, ok?”, mi
sussurrò la mamma dolcemente, prima di lasciarmi a mio padre. Rimasi sveglia per
gran parte della notte, non riuscivo a chiudere occhio a causa del forte mal di
testa e soprattutto delle immagini che mi tormentavano ancora. Era l’alba quando
finalmente riuscii ad abbandonarmi al sonno, tra le braccia fredde di mia madre
e mio padre. Fu un sonno senza sogni; anche i miei pensieri si erano finalmente
stancati di vorticarmi furiosi in testa, concedendomi un po’ di riposo.
Visto che eravamo
tornati a notte fonda da Vancouver, il giorno ci fu concesso di rimanere a casa
da scuola. Quando mi risvegliai erano circa le cinque di pomeriggio. Non credevo
di riuscire a dormire per così tanto dopo tutto quello che mi era successo…Per
fortuna, il terrore di rivedere gli occhi di Aro fu sconfitto dalla troppa
stanchezza. Appena mi alzai sentii ancora un po’ la testa rimbombare: sembrava
che stessi scontando i postumi di una sbornia. Mi andai a sciacquare il viso e
notai che le occhiaie erano sempre li. Forse avrei dovuto cacciare…Mi vestii e
controllai il cellulare: sei messaggi e una decina di chiamate perse. La maggior
parte erano di Amy, ma trovai anche qualche messaggio di Nathe. Feci un respiro
profondo, sentendo di nuovo quello strappo al cuore. Gli dovevo parlare, dovevo
dirgli che non potevamo stare insieme. Mi avviai in cucina mentre gli scrivevo
un messaggio; li trovai il nonno e mio padre, che mi corsero incontro appena mi
videro. “Ciao,
piccola…Come ti senti?” “Adesso abbastanza bene, grazie nonno.”,
gli risposi io dandogli un bacio sulla guancia.
“Dov’è la mamma?” “È uscita poco fa, è
andata con zia Rosalie e zio Emmett a caccia. Io li raggiungo tra poco…”
“Renesmee, ti consiglio di andare con loro. Almeno così non ti dovrebbe tornare
sete per un po’ di giorni…”,
mi disse il nonno guardandomi seriamente, notando le mie occhiaie. Dopo un po’
io e papà partimmo; rimanemmo fuori per circa tre ore, così quando tornammo era
l’ora di cena. Rimasi in salotto a guardare un film (Vita da strega, per la
precisione…Mi piaceva un sacco Nicole Kidman!), insieme a zia Alice che si stava
smaltando le unghie. Ad un certo punto vidi che si immobilizzò, con gli occhi
sgranati e persi nel vuoto.
“Zia…Che stai vedendo?”.
Dopo alcuni minuti si riscosse e mi guardò, alzando un sopracciglio.
“Il tuo ragazzo verrà qui fra
poco…Appena sarà all’imbocco del vialetto ti telefonerà.” “Ah…Grazie. Mi aveva
accennato qualcosa oggi pomeriggio…”,
le risposi con un sospiro. Poi un dubbio atroce mi assalì:
“Zia, hai per caso visto se succederà
qualcosa di particolare?” “No, niente di pericoloso. Stai tranquilla, Nessie…Se
vuoi ti accompagno, così
se non dovessi farcela…”
“Si, grazie. Meglio che ci sia qualcuno che riesca a trascinarmi via se le cose
si complicano.”, le
dissi triste, cercando di fare un mezzo sorriso.
Come mi aveva
detto la zia, dieci minuti dopo il mio cellulare squillò. Nathe mi disse che era
all’imbocco del vialetto, e che mi stava aspettando. Presi le chiavi della Volvo
(ringraziando infinitamente zio Emmett e zio Jasper per avermi insegnato a
guidare un bel po’ di tempo fa) e mi avviai al garage, pensando ad un modo per
dire a Nathe che non potevamo stare insieme. L’unica idea che mi balenò in testa
era a dir poco inquietante... Mio padre mi fermò quando ero sulla soglia della
porta, visibilmente preoccupato.
“Non fare cose azzardate. Nessie, non ci mettere in pericolo.
Aspetta ancora prima di dirgli tutto…”.
Lo guardai pensierosa. Forse aveva ragione…Era una cosa a cui dovevo pensare per
bene. “Ok, papà. Glielo
dirò domani a scuola…”,
lo rassicurai, prima di andare verso la macchina. Zia Alice decise di seguirmi a
piedi, così avrebbe potuto nascondersi tra gli alberi. Non mi curai del fatto
che potevano succedere cose che mi avrebbero messo in imbarazzo…Tanto le aveva
già viste! Arrossii lievemente mentre viaggiavo tranquilla per il sentiero che
portava alla strada principale, prima di sentire il cuore fare un salto: Nathe
mi stava aspettando appoggiato alla sua macchina, a braccia incrociate. I
battiti iniziarono ad accelerare non appena incrociai il suo sguardo: sembrava…
Sollevato. Ed era contento. Posteggiai la macchina dietro la sua, accostandola
al margine della strada. Feci un respiro profondo prima di scendere, pregando
con tutta me stessa che la caccia di qualche ora prima fosse servita a qualcosa.
Appena aprii lo sportello l’odore fresco di Nathe mi investì come un treno in
corsa, scombussolandomi del tutto. Riuscii a percepire anche la fragranza di zia
Alice, cosa che mi rassicurò molto. Iniziai ad avvicinarmi a lui, mentre sentivo
un sorriso aprirsi sulla mia bocca.
“Ciao..”,
gli dissi guardandolo fisso negli occhi. Non sarei mai riuscita ad abituarmi a
quel colore meraviglioso.
“Ciao stellina…Come stai?”,
mi disse lui teneramente, tirandomi a sé. Lo strinsi forte e inspirai a fondo il
suo odore. Non successe niente…Così decisi di provare a spingermi un po’ più in
là. “Adesso un po’
meglio, grazie…”, gli
sussurrai sulle labbra, prima di baciarlo. Appena annullai la distanza tra noi,
sentii un brivido percorrermi la schiena. La mano di Nathe iniziò ad
accarezzarmi, mentre la mia scattò ai suoi capelli. Ormai era un gesto
automatico…Dopo qualche minuto un leggerissimo pizzicore mi solleticò la gola,
facendomi capire che era il momento di fermarsi. Con mia e sua grande riluttanza
mi allontanai leggermente e gli accarezzai una guancia.
“Scusami…Ma non possiamo andare troppo
in là…”, gli dissi,
facendo una smorfia. Lui mi guardò confuso:
“Non credo di seguirti…”,
replicò baciandomi di nuovo. Oppormi stava diventando davvero un’impresa
titanica. Sentii di nuovo l’avidità impadronirsi di me con una potenza
sconcertante. Non credevo che il mio desiderio di lui fosse così forte…
Tuttavia, il pizzicore alla gola mi fece ridestare completamente. Gli poggiai le
mani sul petto, spingendolo piano. Nathe mi dette un altro piccolo bacio, prima
di portare la mia testa alla sua spalla. Lo sentii sospirare; probabilmente si
stava chiedendo perché mi stessi comportando così. La realtà dei fatti si
presentò davanti a me come se fosse una gigantesca insegna luminosa ed
intermittente: “NON PUOI.”. Era vero…Non potevo stare con Nathan. Lo squarcio
nel petto iniziò a farmi male di nuovo.
“Nathe…Odio dover dire queste cose ma…” “Ma? Cosa c’è?” “..Per
adesso non mi posso permettere un coinvolgimento eccessivo…Il nonno mi ha detto
che è meglio evitare le emozioni forti.”
“Ah.”,
disse lui, l’espressione piuttosto spaesata. Seguì qualche istante di silenzio,
prima che parlasse di nuovo:
“Non è che…C’è qualcun altro?”.
Lo guardai sorpresa; avevo colto una nota di gelosia nella sua voce…Gli sorrisi,
accarezzandogli di nuovo la guancia.
“Ma no, scemo…Nessuno può sostituirti.”.
Sorrise anche lui, riavvicinandosi a me per darmi un bacio. Mi scostai dopo
qualche secondo, provocandogli un grande disappunto.
“Nathe…Dico davvero. Per adesso è
meglio se ci calmiamo un po’. Anche se odio doverlo fare..”.
Lui mi guardò silenzioso, poi sospirò e annuì.
“Va bene… Posso sapere perché almeno?”.
Il cuore mi sprofondò in un abisso.
“Non adesso…È una storia lunga, ho bisogno di calma per
raccontartela. Poi non sono per niente sicura che ti piaccia.” “Renesmee, non ti
fidi di me?”, mi chiese
indignato. Si scostò bruscamente da me, guardandomi con aria accusatrice.
“Nathe, non dire scemenze!
Adesso non posso dirti niente, ma un giorno…” “Un giorno quando, Nessie? Io non
ti ho mai nascosto nulla…Perché non me lo vuoi dire? Sono il tuo ragazzo, che
cavolo.”. La sua
reazione eccessiva mi fece traballare. Non credevo potesse scattare così…
“Ascoltami, Nathan. Ne parliamo
domani a scuola con calma…Ok? Così ti spiego tutto…Dai, non ti arrabbiare…”,
lo implorai con lo sguardo, stringendogli la mano. Lui era un po’ alterato ma
ricambiò, poi mi dette un bacio sulla fronte e mi salutò, andandosene via e
lasciandomi sola in mezzo alla strada. Rimasi a fissare la 147 allontanarsi a
tutta velocità, prima che scomparisse dietro una curva. Mezzo secondo dopo la
zia Alice mi saltò accanto, poggiandomi una mano sulla spalla.
“Lo avevi visto, vero?” “Si…Ma non te
l’ho detto per precauzione. Devi parlare con lui domani, non ci sono altre
soluzioni…Come ha detto Carlisle, per adesso è meglio se ci vai con i piedi di
piombo.”. Mi voltai
verso di lei, sospirando. Dovevo mettermi in testa che io e Nathe eravamo
troppo, troppo diversi. Avrei potuto ucciderlo..Mi passai una mano tra i capelli
e risalii in macchina, tornando a casa con un milione di domande confuse nella
testa, ma una sola, vivida certezza.
Il giorno dopo, a
scuola, era come se stessi camminando con un macigno attaccato ai piedi. Amy
notò subito che c’era qualcosa che non andava, quindi, come al solito, in classe
pensò di farmi il terzo grado.
“Te l’ho detto…Non posso stare con lui. Devo cercare di limitare
le emozioni troppo forti. E credimi, con Nathe non ci riesco proprio.”
“Mah…Secondo me stai facendo una grandissima cavolata. È un ragazzo d’oro…E ti
ama davvero.”, mi
rispose lei, mentre faceva gli esercizi di Matematica. Le sue parole mi fecero
arrossire, ma sapevo che aveva ragione.
“Lo so Amy…Ed io amo lui. Te lo posso giurare su quello che
vuoi…Però non posso. Non ti rendi conto di quanto mi faccia male…” “E allora non
lo lasciare! Mi stai mandando in crisi, sai Nessie? Lo ami ma non vuoi stare con
lui…” “Non è che non voglio…Non posso. Basta, sto impazzendo…Vediamo se più
avanti se ne potrà riparlare.”,
le dissi dopo aver preso il mio quaderno, iniziando a svolgere gli esercizi che
il professore ci aveva assegnato. Dall’inizio della mattinata Nathe non mi aveva
ancora rivolto la parola; soltanto un saluto appena entrati in classe. Era
ancora arrabbiato. Andavamo bene…Come avrei potuto dirgli che dovevamo troncare?
Quando suonò la campanella, tutti i ragazzi si precipitarono di corsa in
palestra. I soliti maschi…Io ed Amy ce la prendemmo abbastanza comoda; tuttavia
fummo le prime ragazze ad uscire dallo spogliatoio. I ragazzi avevano già
iniziato a passarsi il pallone da basket, mentre noi iniziammo a fare qualche
palleggio davanti alla rete di pallavolo. Ogni tanto scorgevo con la coda
dell’occhio lo sguardo di Nathe, che mi seguiva in ogni mio movimento. Senza
considerare che i pantaloncini corti che indossavo non mi aiutavano per niente a
passare inosservata... Anche io mi ritrovai più di una volta a fissarlo: non
riuscivo ad ignorare il suo fisico ben proporzionato, merito degli allenamenti
che aveva fatto da quando abitava a Detroit. Non so perché ma mi tornò in mente
la seconda sera a Vancouver…Il ricordo delle sue dita leggere sulla mia pelle mi
distrasse per un attimo, quel tanto che bastò a farmi quasi prendere una
pallonata in faccia. Con un riflesso automatico fermai il pallone a pochi
centimetri dal mio naso.
“Ehi, Cullen! Che fai, dormi?” “Oddio, scusatemi! Ero soprapensiero…Pallaaaaaaaa!!”,
urlai, restituendo la sfera alle avversarie con una potente schiacciata. Le due
ore di palestra passarono in fretta; la mia squadra aveva battuto l’altra per
tre set a zero, mentre la squadra di Nathe aveva pareggiato. Amy si lasciò
cadere pesantemente su una panca dello spogliatoio e mi invitò a fare lo stesso.
Mi sciacquai velocemente la faccia, mi cambiai la maglietta e mi sedetti vicino
alla mia migliore amica. Dopo qualche minuto vidi passare Nathe; si stava
dirigendo verso lo spogliatoio maschile, già vuoto. Mi alzai velocemente e lo
seguii con gli occhi, rimanendo sulla soglia della porta.
“Vai, Nessie…Ti aspetto in classe.”
“Grazie Amy.”. Mi
avvicinai a passo lento allo spogliatoio accanto al nostro, piuttosto nervosa.
Appena lo vidi il mio cuore impazzì, come sempre. Si stava togliendo la
maglietta…I miei occhi furono attratti come una calamita dai muscoli ben
scolpiti del suo petto, facendomi prendere fuoco. Mi schiarii la voce, in modo
che si accorgesse di me.
“Oh…Ciao.”, mi disse,
mettendosi velocemente la maglia pulita addosso.
“Ciao…Posso? C’è qualcuno?” “No, sono
solo. Vieni.”. Mi
appoggiai vicino al lavandino, mentre lui si stava sciacquando i capelli sotto
il getto dell’acqua fredda.
“Nathe…Ti devo parlare. Vorrei riprendere il discorso che abbiamo
lasciato in sospeso ieri.” “Bene…Forza, dimmi tutto.”,
disse mentre si passava un asciugamano in testa. Il peso delle pietre che mi
portavo dietro da quella mattina si fece ancora più insopportabile. Feci un
respiro profondo e poi lo affrontai, guardandolo dritto negli occhi.
“Ti ricordi di cosa stavamo
parlando, vero?”. Lui
annuì in silenzio. “Bene.
Prima di dirti tutto, voglio che tu sappia che io ti amo…Però…Non possiamo stare
insieme, Nathe.”. I suoi
occhi verdi persero vita tutto ad un tratto. Mi guardò con un’espressione che mi
fece male. “Perché?”,
sussurrò dopo aver abbassato lo sguardo.
“…Potrei farti del male.”.
Si sedette su una panca e si prese la tesa fra le mani.
“Me ne stai già facendo.”.
Un altro colpo al cuore. Ma ormai dovevo finire ciò che avevo iniziato…
“No, Nathan…Non intendo questo.
Io…Non sono come te.”.
Mi guardò confuso, senza dire una parola. Decisi di usare il mio potere per
mostrargli qualcosa di me. Gli poggiai una mano sul braccio e lasciai fluire i
miei pensieri. Decisi di mostrargli i ricordi del secondo giorno di gita, dal
momento in cui Amy e gli altri ci lasciarono soli in camera. Nathe sgranò gli
occhi, incredulo. Stava rivedendo sé stesso attraverso i miei occhi. Dopo
qualche minuto si allontanò, continuando a fissarmi allibito.
“Cosa…Che diavolo…”.
Sospirai nervosa, prima di iniziare a raccontargli tutto.
“Erano i miei ricordi. Non è una cosa
che un umano può fare…” “Un umano? Ma che stai dicendo?” “Nathe…Io…Non sono come
te…”, ripetei, iniziando
a tremare. “Renesmee per
favore…Cosa stai cercando di dirmi?” “Devi sapere…Che…” “Che devo sapere,
Renesmee? Una volta per tutte…” “Nathan, io non sono del tutto umana.”,
gli dissi tutto d’un fiato cogliendo un’ondata improvvisa di coraggio, facendolo
rimanere a bocca aperta.
“Non possiamo stare insieme Nathe…Perché potrei ucciderti. Quella
sera, a Vancouver…La mia parte non umana ha preso il sopravvento. Se non mi
fossi allontanata da te…”
“Quale sarebbe la tua
parte…Non umana?”, mi
chiese lui scettico, come se avesse appena sentito una barzelletta di pessimo
gusto. “Vediamo un po’,
sei una specie di mostro che si trasforma al chiaro di luna? Ma per favore!”
“Nathe, non scherzare. Sto dicendo sul serio. Grazie al Cielo mi sono
trattenuta…”. Il suo
atteggiamento mi stava facendo innervosire. E peggio ancora il sapore aspro del
veleno si stava impadronendo della mia bocca.
“Oh avanti, Nessie…Trattenuta dal fare
cosa? È ora di smetterla con questa buffonata!”.
Con uno scatto lo spinsi al muro e avvicinai la bocca al suo collo.
All’improvviso lo sentii tremare, sorpreso da quel mio gesto e dalla facilità
con cui lo avevo imprigionato alla parete.
“Dal saltarti alla gola, Nathan.”,
gli dissi, allontanandomi da lui in fretta, prima che gli istinti mi facessero
commettere qualcosa di terribile. Gli detti le spalle e cercai di calmare il
respiro, mentre le lacrime iniziarono silenziose a rigarmi il viso. Sentii Nathe
sedersi di nuovo sulla panca, mentre potevo percepire la sua paura crescere di
secondo in secondo. “Hai
capito adesso?” “Tu…Sei…Un…”,
disse con il respiro affannato.
“Sono una mezza-vampira, Nathe. È per questo che non posso stare
con te.” “Mi stai dicendo che…Bevi…” “Non quello umano. Ma non lo faccio
spesso…Il rischio è comunque troppo alto. È per questo che non posso provare
emozioni troppo forti.” “Oh mio Dio…”.
Mi voltai a guardarlo, cercando di rassicurarlo in qualche modo.
“Non ti farei mai del male…Ti amo
troppo….”, gli dissi tra
i singhiozzi. Lui continuava guardarmi spaventato, immobile su quella panca.
“Non ho mai fatto male a
nessuno, e non ne farò a te. Non devi aver paura…Sono sempre io, Nessie…”.
Mi avvicinai un po’ per accarezzargli una mano, ma appena le mie dita sfiorarono
la sua pelle lui si ritrasse. Quel gesto mi fece capire che non mi voleva.
“Nathe…Io ti amo…”,
sussurrai a mezza voce, mentre le lacrime ormai scorrevano sul mio viso come un
fiume in piena. Lui si alzò in piedi, ancora tremante.
“Ho…Ho bisogno di tempo, Renesmee. Io…”.
Non finì la frase. Prese il suo zaino e uscì dallo spogliatoio, in silenzio. Il
mio cuore stava sanguinando dal dolore. Il dolore causato dal rifiuto che la
persona che amavo aveva appena espresso. Sentii il mio corpo svuotarsi
completamente; non mi rimaneva altro da fare che accettare tutto, senza
protestare. Rimasi lì, seduta sulla panca di quello spogliatoio a piangere,
accompagnata dalla consapevolezza che la mia vita adesso non aveva più senso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Cap. 6 - Ti rivoglio con me ***
Nuova pagina 1
Buona seraaaaaaaaaaaaaaa!!!!! Finalmente
ho finito il capitolo...Mi dispiace un casino di avervi fatto aspettare, dannata
università!!
Spero che comunque l'attesa sia valsa a
qualcosa...
Ringrazio come sempre tutti coloro che
hanno letto, recensito e tutto il resto...
Fatemi sapere cosa pensate di questo ammasso di parole!
Un bacione...
Lady Anderson
Cap. 6 – TI RIVOGLIO CON ME
Quella
sera stavo proprio raggiungendo il limite della sopportazione. Erano due
settimane che non vedevo Nathe, dato che non ero più andata a scuola da quando
lo avevo lasciato, e mi sembrava di essere pazza. Mio padre e mia madre mi
avevano impedito di tornare da lui, di implorarlo a perdonarmi, perché non
volevano che mi esponessi ancora. Ma quella sera…Non ce la facevo proprio.
Dovevo vederlo. Ero affacciata alla finestra della mia camera, con lo sguardo
perso a fissare le gocce d’acqua che battevano insistentemente sul vetro. Oltre
al dolore che mi provocava pensare a Nathe, avevo anche litigato con la mamma.
Non voleva assolutamente lasciarmi uscire, perché sapeva quale sarebbe stata la
mia destinazione. Sbuffai nervosa, creando un alone sulla finestra. Mi buttai
pesantemente sul letto e chiusi gli occhi, nella speranza, vana, di
addormentarmi. Ma come ormai mi succedeva spesso, il viso di Nathe mi apparve in
testa; aveva la solita espressione, l’ultima che gli avevo visto fare. Il suo
bellissimo volto era segnato dalla paura…Paura di me. Mi passai una mano sulla
faccia, strofinandomi gli occhi che avevano di nuovo iniziato a pungere. Tutto
ad un tratto mi alzai e mi diressi di nuovo verso la finestra, spalancandola con
un colpo secco. Adesso potevo sentire le gocce di pioggia sul viso, come se
fossero piccole perle di ghiaccio a contatto con la mia pelle calda. Inspirai
profondamente, salii sul davanzale e saltai giù con un piccolo balzo. Mi guardai
intorno, sperando di non aver attirato l’attenzione dei miei familiari vampiri.
“Stai
cercando qualcuno?”.
Accidenti. Accidenti. Accidenti. Maledetti sensi iper-sviluppati.
“Ciao
mamma…Volevo prendere una boccata d’aria.”.
Lei mi squadrò da capo a piedi, tenendo le braccia incrociate sul petto, la sua
espressione resa ancora più scettica dalle sopracciglia aggrottate.
“Fila in
camera tua. E passa dalla porta, per favore.”,
disse severa, rimanendo immobile come una statua. La guardai di sbieco, prima di
tornare silenziosamente in casa. La mamma mi seguì silenziosa, e appena entrai
in camera mia iniziò di nuovo con la solita menata.
“Io non so
più cosa fare con te, Renesmee. Mi stai facendo esasperare.” “Lo voglio vedere,
mamma. Non ce la faccio più.” “Adesso lui sa. Vuoi metterci in pericolo tutti
quanti?” “Mamma, non direbbe mai una parola… Almeno credo…Lui…” “No, Nessie. È
troppo rischioso. Lo sai che i Volturi non tollerano che gli umani conoscano il
nostro segreto.” “Ha paura di me. Pensi che sia andato a raccontarlo in giro a
tutti? Ma dai, non dire cavolate!” “Sarà meglio per te che non ne faccia parola
con nessuno.” “Mamma, basta. Sono due settimane che non lo sento. Mi sembra
abbastanza chiara la cosa…”.
Distolsi lo sguardo, cercando di non farmi prendere dalla rabbia. La mamma
sospirò pesantemente, prima di parlare di nuovo.
“Lo so che
stai male e ti capisco. Ma per adesso è meglio così. Vado in salotto…Ti tengo
d’occhio, non provare a scappare di nuovo.”.
Borbottai una risposta, prima di mettermi le cuffie dell’Ipod alle orecchie.
Alzai il volume al massimo, cercando di non pensare alla fonte dei miei
tormenti. Rimasi a fissare il soffitto con la musica che mi rimbombava frenetica
in testa per qualche minuto, prima di prendere il cellulare in mano. Guardai per
qualche secondo il display, aspettando una sua chiamata, un messaggio…Un
qualsiasi segnale di vita. Andai nella rubrica e scorsi i vari numeri prima di
arrivare al suo. Stavo quasi per schiacciare il tasto di avvio chiamata quando
la voce di mio padre mi raggiunse dall’altra stanza:
“Nessie…”.
E che palle! Mi uscì un ringhio involontario dalle labbra, così lasciai cadere
il cellulare sul letto, abbastanza scocciata. Mi sembrava di essere in un
carcere. Passarono altri cinque minuti, prima che riprendessi il cellulare;
composi velocemente un numero e avviai la chiamata. Dopo tre squilli, la voce
sorpresa di Amy mi rispose:
“Pronto!
Nessie, come stai? Anche oggi non sei venuta a scuola…” “Ciao Amy. Lo so, è un
sacco di tempo che manco…Ma non ce la faccio proprio. Come sta?”.
La mia migliore amica sospirò pesantemente, prima di rispondere alla mia
domanda:
“Uno
schifo. Non parla più con nessuno…Sembra che sia tornato ad essere il Nathe di
qualche mese fa. Però l’altro giorno…”,
disse, lasciando il discorso a metà. In quell’istante mi sentii morire…Da una
parte volevo che continuasse, ma dall’altra avevo paura di quello che mi avrebbe
detto. Tuttavia mi feci coraggio ed incitai Amy a continuare:
“L’altro
giorno cosa?” “È venuto da me…E mi ha chiesto come stavi.”.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Il cuore iniziò a martellarmi nel
petto, come se volesse uscire fuori da un momento all’altro.
“E tu che
gli hai detto?” “Che gli dovevo dire, Nessie? Che eri partita per fare una
vacanza ai Tropici?” “Amy…”,
la rimproverai, senza riuscire a calmare i miei battiti frenetici.
“Gli ho
detto che non stavi molto bene. Ha fatto una faccia strana, come se ci fosse
qualcosa che non tornava. Comunque poi mi ha fatto una sottospecie di smorfia e
se n’è andato.”.
Già…Come poteva una mezza-vampira stare male? Come poteva un ibrido come me
provare dei sentimenti? Il mio cuore, prima impazzito dalla gioia, adesso
batteva più calmo, anche se ogni pulsazione spingeva dentro di me un’ondata di
dolore.
“Ho
capito…Hai detto che se n’è andato vero?” “Nessie…Lo devi vedere. È a pezzi…Ogni
mattina quando entra in classe guarda il tuo banco…Credo che stia male almeno
quanto te, sai?”.
Ecco un’altra coltellata lacerarmi il petto…Ed oltre a questo, anche il senso di
colpa. Bene.
“Amy, ho
deciso. Domani torno a scuola…Gli devo parlare…Chiedergli scusa, almeno. Tu lo
sai che questa cosa mi sta uccidendo.” “Lo so, Nessie.
Io
te l’avevo detto che avresti fatto una grandissima cavolata a lasciarlo…” “Ho
dovuto farlo, Amy…Anche se è stata la decisione più cretina che abbia mai preso.
Domani cercherò di sistemare un po’ le cose…Ci vediamo allora. Grazie di tutto…”
“E di che, scema…Ti aspetto all’entrata. Ti voglio bene, Nessie.”,
mi disse, prima di riattaccare. Rimasi ad ascoltare i piccoli rumori che
provenivano dal piano di sotto per un po’, cercando di non pensare a quello che
avrei fatto il giorno dopo. Decisi di scendere in cucina per mettere sotto i
denti qualcosa, giusto per fare qualcosa di diverso dallo stare barricata in
camera a sentire la musica, come ormai facevo da due settimane. Mi tagliai una
bella fetta di pane e la cosparsi interamente di Nutella, tanto per andare sul
leggero. Appena chiusi lo sportello della dispensa mi trovai faccia a faccia con
mia madre, che come al solito mi stava squadrando severa:
“Dov’è che
vai domani?” “Mamma, per favore. Non iniziare di nuovo.”,
le dissi gelida, prima di addentare la mia fetta di pane e voltarle le spalle.
Odiavo litigare con lei, ma stava davvero diventando troppo pesante.
“Non mi
dare le spalle mentre ti parlo, Renesmee Cullen. Tu domani non ti muovi da casa.
Chiaro?”. Mi
girai di nuovo a guardarla, incredula. La situazione stava degenerando. Un’altra
volta. Da quando avevo lasciato Nathe, discutere con mia madre era diventata
un’abitudine ormai.
“Rientro a
scuola. Forse non hai afferrato bene il concetto…Non me lo impedirai di certo!”,
le risposi a tono, prima di prendere un bicchiere dalla credenza, fingendo
noncuranza.
“Mi hai
stancato, ragazzina. Non pensare di passarla liscia. Ho detto che domani stai a
casa.”. Senza
rendermene conto strinsi la presa sul mal capitato bicchiere, che si frantumò in
mille pezzi. Dopo una frazione di secondo mio padre arrivò in cucina, mettendosi
tra me e mia madre. Continuavo a fissarla in cagnesco, mentre lei faceva lo
stesso con me.
“Bella,
amore…Basta dai, non è il caso di continuare.” “Edward lasciami stare! Possibile
che qui debba farmi sentire solo io? Tu non le dici mai niente!” “Cosa mi
dovrebbe dire? Sentiamo! Ti devo ricordare che tu non eri tanto diversa da me?
Ah, no, mi sbaglio! Tu non hai mai messo in pericolo la famiglia vero?”,
scoppiai tutto ad un tratto, incapace di trattenermi oltre.
“Renesmee piantala. Non voglio più sentire una parola a riguardo, capito? Bella
andiamo fuori. Hai bisogno di calmarti.”,
intervenne mio padre, portando via di peso la mamma che ancora mi guardava
furente. Anche zia Alice e zio Jasper li seguirono, mentre la nonna e zia
Rosalie vennero in cucina.
“Nessie,
piccola, ti sei fatta male?” “No, nonna. Mi dispiace per il bicchiere.”,
le dissi, mentre iniziavo a raccogliere i cocci con le mani.
“Tranquilla, ci penso io qui. Vai con Rosalie, vai a prendere un po’ d’aria.”.
Silenziosa, feci come mi aveva detto la nonna. Appena aprii la porta l’aria
gelida di quella sera mi rinfrescò, calmandomi appena. Mi buttai pesantemente su
una delle sedie sotto il portico, prendendomi la testa fra le mani. Dopo qualche
minuto, la zia parlò:
“Non ti
preoccupare tesoro. Ti copro io domani. Dai, vieni qui…”,
mi disse, abbracciandomi dolcemente. Le sorrisi, ringraziandola. Meno male che
avevo lei dalla mia parte.
La
mattina dopo mi svegliai presto. Avevo pregato mio padre di farmi rimanere a
dormire a casa dei nonni, supportata dalla zia Rose. Anche se lui non voleva che
andassi a scuola non aveva resistito alle mie suppliche mentali, accompagnate
dagli occhi velati di lacrime. Mi dispiaceva un sacco usare il senso di colpa
con lui, però era l’unica cosa a cui non poteva rimanere indifferente. Dopo
essermi vestita e data una rinfrescata in bagno preparai lo zaino, mentre
l’odore del caffè appena fatto iniziò a riempire la casa. Ad un certo punto mi
bloccai. Come cavolo ci andavo a scuola? Non avevo nessuna voglia di farmi
accompagnare…E di correre non se ne parlava proprio. Feci mente locale per due
secondi, prima di ricordarmi una cosa. Iniziai a frugare in tutti i cassetti
della mia scrivania, fino a che non le trovai.
“Eccole!”,
dissi soddisfatta guardando quelle due chiavi brillare nella mia mano. Me le
infilai in tasca e scesi a fare colazione. Dopo aver finito iniziai a sistemare
le mie cose; indossai il giubbotto e mi avviai alla porta per uscire.
“Nessie,
vuoi che ti accompagni io?” “No, zia, vado da sola…Ci vediamo oggi a pranzo!”.
Le detti un sonoro bacio sulla guancia fredda e uscii fuori. Mi diressi a passo
svelto verso il garage, precisamente in fondo. Poggiai una mano su un grosso
telo nero, togliendolo dopo qualche secondo con un unico movimento. Una macchina
grigio metallizzata, nuova, senza neanche un granello di polvere sopra apparve
davanti ai miei occhi. Era arrivata qualche mese prima dall’Italia…Il giorno del
mio diciassettesimo compleanno. Era la MIA macchina. E ancora non l’avevo
guidata. Presi le chiavi dalla tasca dei jeans e fissai il portachiavi; era
ancora quello della concessionaria. “FIAT BRAVO”, c’era scritto... Lo avrei
cambiato al più presto. Premetti il pulsantino del telecomando che serviva ad
aprirla e salii al posto di guida. Fui subito travolta dall’odore di nuovo, una
cosa che mi piaceva tantissimo. Quando vidi la pubblicità su un canale
satellitare italiano non potei fare a meno di notare che era davvero una bella
macchina, anche se le sue prestazioni erano…Come dire… “Limitate”.
“Ma dai,
Nessie…Come fa a piacerti una macchina che arriva a malapena a 215 km all’ora?
Io se fossi in te mi farei regalare una bella Maserati, o una Ferrari…” “Meglio
che sia una macchina che non vada tanto forte, Emmett. Non si sa mai cosa può
succedere!” “Non dire scemenze, Bella! Lo sai che non può succederle niente!”.
Sorrisi al ricordo di quel piccolo battibecco prima di mettere in moto. Diedi
una piccola spinta all’acceleratore e il motore ruggì. Ancora con il sorriso
sulle labbra feci manovra e uscii dal garage, fiondandomi a tutta velocità verso
la scuola. Arrivai una decina di minuti prima che suonasse la campanella; mi ero
fermata a fare un bel pieno di benzina, visto che ero quasi a secco.
Parcheggiai abbastanza vicino all’entrata, visto che stava piovendo ancora.
Prima di scendere mi guardai intorno, cercando la sua 147. Non c’era...Forse
doveva ancora arrivare. Sospirai, scendendo velocemente dalla macchina. Corsi a
velocità umana verso l’entrata, dove Amy mi aspettava sorridente.
“Buongiorno socia! Credevo che avessi cambiato idea…”,
mi disse abbracciandomi.
“Ehi,
guarda che io le promesse le mantengo!” “Vieni, andiamo in classe che qui
rischiamo di farci il bagno!”.
Mi asciugai alcune gocce d’acqua dal viso e la seguii, dopo aver dato un’altra
occhiata al parcheggio. Tornare a scuola mi fece un effetto strano. Era come se
le due settimane passate a casa fossero state solo un sogno, ma appena passai
davanti al corridoio che portava in palestra i ricordi iniziarono a martellarmi
la testa. Cercai in tutti i modi di non pensare a quel giorno, ma ormai la mente
era partita…Amy si accorse del mio cambiamento d’umore, e sembrò capire qual’era
la fonte del problema.
“Ehi…Stai
tranquilla, vedrai che si risolverà tutto. Pazienta ancora un po’…”.
Le sorrisi triste, sedendomi al mio banco. Compilai distrattamente la
giustificazione per l’assenza e la portai al professore, che nel frattempo era
entrato in classe.
“Signorina
Cullen, che piacere riaverla a lezione! Spero che la sua assenza non sia stata
dovuta a problemi di salute…” “La ringrazio professore. Sono stata a casa
per…Motivi personali.”,
gli risposi, tornando in fretta a posto. Qualche minuto dopo l’inizio della
lezione qualcuno bussò alla porta. I miei sensi si accorsero di chi si trattava
ancora prima che la porta si aprisse. Diventai rigida come una statua, mentre
dentro di me sentivo agitarsi tutto.
“Mi scusi
professore, c’era un albero in mezzo alla strada e...” “Non si preoccupi, signor
Whellens.”.
Il suono della sua voce mi fece tremare; Amy si accorse di quello che mi stava
succedendo e mi poggiò una mano sul braccio, silenziosa. Raccogliendo tutto il
coraggio che avevo alzai lo sguardo verso la porta, dove Nathe mi fissava con
gli occhi sgranati. Cercai di sorridergli, prima di tornare a dedicare la mia
attenzione ai quadretti del foglio che avevo davanti. Dopo qualche secondo lo
sentii muoversi, e mano a mano che si avvicinava al suo banco il suo odore
fresco mi inebriava sempre di più. Dio, quanto mi era mancato...Mi accorsi che
mi stava ancora guardando, ma appena alzai la testa per cercare i suoi occhi lui
si girò, dandomi le spalle.
“Nessie...Tutto a posto?”.
Non risposi, limitandomi ad alzare le spalle. Amy mi accarezzò la guancia,
cercando di consolarmi. Forse avevo sbagliato a tornare a scuola...Ma non potevo
fuggire da quella situazione per sempre. Le prime tre ore di lezione passarono
lentamente. Era come se il tempo avesse deciso di prendersi gioco di me. La mia
migliore amica ogni tanto mi dava qualche scossone, dicendomi che aveva visto
Nathe guardarmi per qualche secondo, ma sotto la mia espressione neutra decise
di dedicarsi ai suoi appunti. Cinque minuti prima dell’intervallo si rivolse di
nuovo a me, con uno sguardo piuttosto risoluto:
“Ascoltami
bene, Cullen. Tu adesso vai da lui e gli parli, chiaro?” “Sempre che mi voglia
parlare...” “Ehi, non fare la pappamolle. Non voglio sentire scuse.”,
disse senza lasciarmi replicare. Sospirai e annuii in silenzio, rassegnata.
Quando la campanella suonò mi sentii sprofondare. Amy mi fece l’occhiolino ed
uscì tranquilla al fianco di Jordan. Aspettai ancora un po’ prima di uscire,
notando che Nathe era ancora seduto al suo posto. Dopo qualche minuto rimanemmo
solo io e lui in classe. I battiti accelerarono, mentre l’agitazione ormai si
era impadronita completamente di me. Decisi di alzarmi ed andare alla finestra.
Lo sguardo di Nathe mi seguì, accompagnato da un lungo sospiro. Rimasi in
silenzio appoggiata al davanzale, cercando di captare qualsiasi sua sensazione:
sentivo che era agitato almeno quanto me, ma in fondo a tutto questo riuscii a
cogliere una vena di paura. Ancora una volta lo squarcio nel mio petto iniziò a
farmi male.
“Tranquillo, Nathe. Non ho nessuna intenzione di mangiarti come merenda.”,
dissi con la voce che tremava. Lui trattenne il respiro per qualche secondo,
muovendosi appena sulla sedia.
“Stai
bene, vedo.”.
Il suo tono era incerto, esitante.
“Non
esattamente. Ma tu cosa ne vuoi sapere...Di solito i mostri non provano niente.
Né dolore, né felicità...”.
Trattenne di nuovo il respiro. Io invece trattenevo a stento le lacrime, che
spingevano con forza contro i miei occhi chiusi. Il rumore di una sedia spostata
mi costrinse ad aprirli, ma restai immobile dov’ero. Nathe fece qualche passo
incerto verso di me, fermandosi dopo poco.
“Nessie
io...Non ho mai pensato che...” “Non dire cazzate.”,
risposi acida, voltandomi finalmente a guardarlo. Era in piedi davanti a me, a
quasi un metro e mezzo di distanza. Fissai il mio sguardo nel suo, cercando di
non cedere alla voglia di gettarmi tra le sue braccia. “NON TI VUOLE”, mi
ripetevo. Lui rimase in silenzio per qualche minuto, prima di parlare di nuovo:
“Tu
avresti reagito allo stesso modo.”,
disse quasi accusandomi. Rimasi in silenzio per un attimo, pensando che forse
avrei fatto davvero come lui. Però una cosa era certa: di sicuro avrei messo in
primo piano i sentimenti, e non la sua natura.
“A me non
sarebbe importato.”,
dissi, prima di voltarmi di nuovo verso la finestra. Non riuscivo a sostenere il
suo sguardo, tutto ad un tratto diventato scettico.
“Tu hai
paura di me, Nathe. Lo sento.”.
Ancora una volta non disse niente, quindi fui io a continuare:
“Non hai
idea di come stia. Sono due settimane che vivo come se fossi all’inferno.” “Cosa
credi, che io sia contento di tutta questa storia? Se solo tu non mi avessi
detto niente...” “Ho dovuto farlo, Nathe! Dovevi saperlo! Io mi fidavo di
te...Pensavo che avresti capito...”.
Scoppiai a singhiozzare, incapace di trattenermi oltre.
“Renesmee,
ho provato a mettere davanti a tutto i miei sentimenti, ma non ci riesco...Mi
dispiace...” “Io ti amo, Nathe...Mi ucciderei prima di farti del male, ma questo
non lo vuoi capire...”.
Nei suoi occhi passò un velo di tristezza. Aprì la bocca per ribattere, ma si
bloccò quando la campanella annunciò la fine della ricreazione.
“Mi
dispiace...”,
mi ripeté infine in un sussurro, prima di tornare al suo posto. Dopo un po’
tutti i miei compagni di classe rientrarono, accomodandosi ai loro banchi. Amy
si precipitò a sedere appena vide i miei occhi arrossati dalle lacrime,
abbracciandomi. Come al solito aveva capito tutto senza che le dicessi niente.
Le tre ore successive le passai a fissare il vuoto davanti a me, annuendo ogni
tanto alle parole di Amy, che cercava disperatamente di consolarmi. All’uscita
da scuola cercò di convincermi in tutti i modi di accompagnarmi a casa, ma
riuscii a garantirle che sarei riuscita a guidare lo stesso. Prima di salire in
macchina vidi Nathe uscire dal parcheggio, e di nuovo le lacrime decisero di
farmi compagnia. Tornai a casa a tutta velocità, l’acceleratore schiacciato fino
in fondo per tutta la durata del viaggio. Parcheggiai distrattamente ed entrai
in casa. Un odore familiare, che non sentivo da tempo mi fece sussultare. Mi
avvicinai incerta verso il soggiorno, e appena riuscii ad inquadrare tutto
rimasi immobile per qualche secondo. Lo zaino finì sul pavimento insieme alle
chiavi della macchina subito dopo che un ragazzo alto, muscoloso, dalla pelle
bronzea e i capelli nerissimi si alzò in piedi, rimanendo fermo a guardarmi.
“Ciao Nessie.”.
Senza pensarci due volte mi precipitai verso di lui e lo abbracciai forte,
consapevole per la prima volta da quando se ne era andato che mi era mancato
davvero.
“Jacob...”.
Il mio fratello licantropo era tornato.
“Jake mi
dispiace...Io non ti odio, ero arrabbiata e...” “Ssshhh...Non pensiamoci più.
Sono tornato adesso...”.
Sciolsi l’abbraccio e lo guardai in faccia, asciugandomi le lacrime con la
maglietta. Era sempre lo stesso. Gli sorrisi debolmente e mi sedetti sul divano.
Jacob si sedette sulla poltrona di fronte a me, un ampio sorriso sul volto.
“Non ti sei fatto sentire per niente.”,
gli dissi, guardando il pavimento.
“Oh...Non
vi è arrivata una mia lettera, un mese fa?”.
Scossi la testa per un attimo, prima di ricordarmi che un pomeriggio i miei
stavano leggendo qualcosa, e mia madre non mi aveva detto niente. Sospirai e
tornai a guardare Jacob.
“Dove sei
stato?” “Un po’ di qua, un po’ di là...Mi sono girato il Sud America. Ci sono
dei posti davvero fantastici, sai?”.
Rimasi a fissarlo sbalordita, incapace di parlare.
“E dai,
Nessie...Non fare quella faccia! Alla fine mi sono anche divertito...Tu invece?”
“Io...All’inizio stavo bene. Ma poi tutto ha cominciato ad andare storto...Sto
passando un periodo d’inferno.”.
Il suo sguardo si fece serio e preoccupato.
“È
successo qualcosa con Whellens, vero?”.
Appena pronunciò quelle parole sussultai.
“Lo
sapevo, lo sapevo! Maledetto moccioso...” “Jake, basta.”.
Nonostante tutto non riuscivo a tollerare accuse o offese nei confronti di
Nathe.
“Ok,
ok...Ti chiedo scusa, non volevo...” “Fa niente.”,
risposi atona, facendo spallucce. Lui represse un tremito, facendo un profondo
respiro per calmarsi. Nei suoi occhi potevo leggere la curiosità crescente che
stava provando, quindi decisi di fargli vedere tutto, a partire dal giorno in
cui se ne era andato. Ogni volta che riviveva un mio contatto con Nathe serrava
i pugni e digrignava i denti...Era ancora gelosissimo. Appena arrivai al momento
più brutto della mia vita, la sete ustionante che avevo provato a Vancouver,
ritrasse violentemente il braccio, interrompendo il contatto.
“Nessie...Com’è possibile? Lo hai...Attaccato?” “Mi sono trattenuta. Non
chiedermi come ci sia riuscita. Vuoi vedere il resto o no?”.
Jacob annuì e mi prese la mano, invitandomi a continuare. I miei pensieri
ripresero il loro corso, correndo veloci come una furia. Rivedermi distrutta in
quel maledetto spogliatoio mi mozzò il respiro...Jake se ne accorse, e per
rassicurarmi mi strinse ancora di più la mano. Dopo qualche minuto il flusso si
interruppe, perché i ricordi erano finiti. Jacob mi guardò con aria preoccupata,
scrutando la mia espressione assente.
“Quindi...Tu...Lo ami ancora, vero?”.
Colsi una vena di dolore nelle sue parole, e questo mi fece male. Allora era
vero che l’effetto dell’imprinting era eterno...Imbarazzata,
mi limitai ad annuire, sussurrando un “sì” che solo lui avrebbe potuto sentire.
“Ho capito. Bene, allora...Io vado. Scusa il disturbo. Ci vediamo.”,
disse lui alzandosi di scatto.
“No, Jake. Aspetta. Ti devo dire una cosa.”.
La figura imponente del licantropo si fermò sulla porta.
“Io...Scusami Jake, davvero...Però...” “Ho fretta, Renesmee.” “Tu per me sei
importante. Ti considero come se fossi il mio fratello maggiore...Mi hai
insegnato tanto, e non voglio assolutamente che te ne vada di nuovo. Anche se
forse ti è sembrato il contrario, all’inizio di tutta questa storia...Io ho
bisogno di te.”.
Lui si voltò, un mezzo sorriso sulle labbra a illuminare la sua espressione
triste.
“È forse
la risposta alla domanda che ti ho fatto un po’ di tempo fa?”.
Gli sorrisi timida, distogliendo lo sguardo dai suoi profondi occhi neri.
“Sei parte
di me, Jake...Anche se non come vorresti tu. E mi dispiace un sacco farti
soffrire...Non voglio che tu stia male per colpa mia.”.
Jacob fece un grande passo e mi abbracciò.
“Grazie
Nessie. Mi hai reso la persona più felice del mondo...” “Non sei arrabbiato con
me?”,
gli domandai sorpresa. Il suono della sua risata fragorosa si sparse per tutta
la casa.
“Ma no,
scema...Come potrei essere arrabbiato con la mia sorellina?”.
Quelle parole mi fecero sentire più leggera...Finalmente una delle spine che
avevo nel cuore si era staccata.
“Ci
vediamo Nessie, i tuoi mi hanno detto che sarebbero tornati presto...Ed io devo
ancora passare a salutare tuo nonno Charlie e scendere giù a LaPush. Billy
ancora non sa che sono tornato...Voglio fargli una sorpresa!”.
Già, i miei...Chissà dove se ne erano andati tutti. Comunque mi aspettava una
bella ramanzina, me lo sentivo.
“Ho
capito...Torni presto? Stasera posso dire al nonno di preparare una bella
cena...Ci stai?” “Mmmhhh...Alle otto sarò qui! A stasera, Nessie!”,
disse Jacob allegro, prima di darmi un sonoro bacio sulla guancia e andarsene
via fischiettando.
Quando i miei tornarono, la prima cosa che feci fu affrontare mia
madre. Per fortuna sembrò essere più ragionevole di quanto lo fosse stata
nell’ultimo periodo. Forse il ritorno di Jacob aveva contribuito ad
addolcirla...Infatti si limitò solamente a guardarmi severa per tutta la sera.
La zia Rosalie invece mi chiese il resoconto completo del mio ritorno a scuola.
Dopo che le ebbi raccontato tutto mi abbracciò, rassicurandomi che presto si
sarebbe sistemato tutto.
“Ah,
Nessie, come va la tua macchina?” “Mah...È un’auto tranquilla...Perchè me lo
chiedi?” “Così, per sapere...Spero che non ti dispiaccia il fatto che abbia
ordinato un nuovo motore e dei nuovi componenti...Tuo zio Emmett mi ha fatto una
testa grande quanto una casa!”.
La zia scoppiò in una risata cristallina, simile al suono delle campane in
festa. Anche io la imitai, pensando allo zio che insisteva perché mi comprassi
una macchina più potente.
“Domani
dovrebbe arrivare tutto...Diventerà un vero bolide, parola mia!”,
disse lei sorridente, prima di darmi un bacio e sparire nel garage. Le era
sempre piaciuto armeggiare con le macchine... Comunque, anche la sera passò
tranquilla; appena dissi al nonno che Jacob sarebbe venuto a cena si era messo
subito ai fornelli, preparando un sacco di cose buonissime. Dopo io e lui
andammo alla spiaggia di LaPush. Passammo tutta la notte a parlare e a
rincorrerci, come facevamo sempre. Quei momenti mi fecero dimenticare per una
sera tutti i miei problemi, e per una volta mi sentii di nuovo una bambina.
La mattina successiva, Jacob si presentò a casa mia di buon ora.
Arrivò giusto in tempo per la colazione.
“Buon
giorno a tutti! Sbaglio o sento odore di caffè appena fatto e torta al
cioccolato?” “Ciao Jake…Accomodati, Nessie sta per scendere.”,
disse cortese mio padre, prima di iniziare a girare distrattamente i canali
della televisione. Mentre il licantropo si stava letteralmente ingozzando di
torta io ero in camera mia con mia madre e la zia Rosalie. Iniziava già di prima
mattina a torturarmi…
“Renesmee,
spero almeno questa volta di essere stata chiara. Ho già visto che non mi vuoi
dare ascolto, però almeno abbi l’accortezza di non farti trattare come uno
straccio da quel ragazzo.” “Mamma…Non mi ha trattato come uno straccio. E poi
mettitelo bene in testa, non ho nessuna intenzione di lasciar perdere la cosa,
non adesso che ho trovato la forza di chiarire tutto. Lo rivoglio con me, punto
e basta.”. Mia
madre scosse la testa e sospirò, cercando di passare sopra la mia testardaggine.
Ma in fin dei conti non poteva farcela contro la parte di sé stessa che viveva
dentro di me: anche lei era sempre stata ostinata fino all’inverosimile. Zia
Rosalie ad un certo punto intervenne:
“Bella,
sono sicura che Nessie riuscirà a mettere tutto a posto. Adesso è grande
abbastanza da poter pensare da sola a questo aspetto della sua vita…” “Ecco,
Rose, adesso ti ci metti anche tu. Me lo dovevo aspettare…Voi due siete
coalizzate dal primo momento che vi siete viste. Comunque basta, vi aspetto di
sotto, tanto è inutile combattere contro di voi...”,
disse, prima di volatilizzarsi per le scale. Qualche minuto dopo scendemmo anche
io e la zia; appena mi vide, Jacob schizzò vicino agli ultimi gradini ancora con
un pezzo di torta in mano.
“Buon
giorno sorellina! Pronta per la scuola? Andiamo in moto
oggi, visto che non piove…Come ai vecchi tempi!” “Certo che sono pronta! Ehi, mi
auguro che mi abbia lasciato un po’ di torta, Jacob Black…”.
Lui scoppiò a ridere e mi accompagnò a tavola. Dopo un’abbondante colazione
andai a lavarmi i denti, mi preparai e finalmente uscii di casa al fianco di
Jacob. Il rombo potente della sua moto echeggiò per il bosco, prima che
partissimo a tutta velocità. Mi era mancato un sacco andare a scuola in moto!
Appena arrivammo nel parcheggio, una marea di occhi si puntarono su di noi.
Jacob mi disse che sarebbe passato lui a prendermi, e dopo avermi dato un bacio
sulla fronte partì di nuovo a tutto gas con la moto.
“Ehi, ehi,
Nessie! Esigo subito delle spiegazioni!” “Oh, buon giorno anche a te, Amy..Come
stai?” “Non cambiare discorso, Cullen…”.
Amy mi guardò con occhi indagatori, come faceva sempre quando era a caccia di
notizie. Io la guardai per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere di
gusto. Anche lei mi imitò, prendendomi per un braccio, così ci avviammo
all’entrata della scuola. Avevo appena iniziato a raccontarle tutti i dettagli
del ritorno di Jacob quando arrivammo agli armadietti. La scena che mi si parò
davanti mi fece gelare il sangue nelle vene. Amy seguì il mio sguardo e subito
dopo cercò di tirarmi via dal corridoio, senza riuscirci. Ero immobile, piantata
in terra, con gli occhi fissi su due persone.
“Renesmee
andiamo in classe…Dai…Dannato Whellens questa me la paga…”,
mi supplicò Amy, lanciando imprecazioni sibilanti a mezzo mondo. Ma io non
riuscivo a muovermi nemmeno di mezzo centimetro. Ero troppo sconvolta. Nathe
stava parlando con una ragazza del terzo anno, una certa Melanie. Godeva di una
certa fama, e non perché era una studentessa modello o altro. Era stata con
mezza scuola, tutte avventure di un giorno. E adesso stava parlando con il MIO
Nathe. Anzi, non proprio parlando. Stava facendo la gatta morta. Si, decisamente
meglio come descrizione della scena. E lui…Sembrava starci. Ma che intenzioni
aveva? Dopo qualche minuto Nathe si accorse che li stavo fissando inorridita,
così sorrise a quella sciacquetta e fece per andarsene, non prima di rivolgermi
un’occhiata soddisfatta. Io mi riscossi tutto ad un tratto, strattonando il
braccio dalla presa di Amy. Mi diressi come una furia verso Nathe, e quando lo
raggiunsi lo costrinsi a voltarsi verso di me.
“Cosa
diavolo stavi facendo?”,
gli chiesi io gelida. Lui rispose altrettanto freddamente:
“Niente che ti riguardi, Cullen.” “Come, scusa?” “Hai capito benissimo. Non sono
affari tuoi.” “Tu sei impazzito, Nathan. Voglio sapere cosa ti stava dicendo
quella…”. Mi
morsi la lingua per non proseguire oltre. Nathe mi fissò, un ghigno di disprezzo
a incurvargli la bocca.
“E va bene
Cullen. Mi stavo procurando un’altra ragazza.”.
Non penso che la mia espressione si potesse commentare. Potevo sentire le
infamie di Amy dietro di me mentre meditava vendetta, ma non ci badai affatto.
Le parole di Nathe mi stavano ancora rimbombando in testa.
“Un’altra
ragazza?”,
sussurrai io incredula.
“Esatto.
Ma perché ti stupisci, Cullen…In fondo anche tu hai fatto lo stesso, no?”.
Lo fissai sbalordita, incapace di parlare.
“È inutile
che fai finta di niente. Ti ho visto poco fa nel parcheggio, con il motociclista
palestrato. A questi punti, ieri avresti potuto risparmiare il fiato, invece di
dirmi che mi ami e tutte le altre cazzate che hai sparato!”,
urlò in mezzo al corridoio, attirando l’attenzione di tutti. Dopo aver assorbito
per bene le sue parole, ritrovai l’uso della lingua.
“Tu credi
che io stia con Jacob? È questo quello che pensi, eh, Nathe?”.
Lui mi guardò in silenzio, così continuai. Stavolta ero io quella che urlava.
“Sei uno stupido, Whellens. Uno stupido geloso! Tra me e Jacob non c’è niente…È
come un fratello per me, lo sai!” “Non mi prendere in giro, Cullen.”,
replicò lui scettico. Il mio sguardo si fece serio. Nathe si appoggiò al muro
con aria strafottente. Io mi avvicinai a lui, senza toccarlo, arrivando a
pochissimi centimetri dal suo viso. Era la prima volta che ci ritrovavamo così
vicini da quando lo avevo lasciato, ma l’effetto che aveva su di me non era
cambiato. E a quanto pare, nemmeno quello che io avevo su di lui: riuscii a
percepire una specie di elettricità sprigionarsi dal suo corpo, come se fosse
una calamita. Era ancora attratto da me come io lo ero da lui…Questo piccolo
dettaglio mi fece rasserenare un po’, ma non persi di vista le mie intenzioni.
“Pensa quello che vuoi, Nathe. Io a differenza di te so bene quali siano i miei
sentimenti.”. Mi
allontanai velocemente dal suo viso, prima che la tentazione di assaggiare di
nuovo le sue labbra mi assalisse. Tuttavia lui mi trattenne per i fianchi,
guardandomi dritto negli occhi. Inutile dire che i battiti di entrambi
sfioravano l’infarto.
“Non mi
provocare, Renesmee.”,
sussurrò lui, a pochissima distanza dalle mie labbra. Nel corridoio era piombato
il silenzio. Senza dire niente mi sciolsi dalla sua presa e mi diressi in
classe, seguita da Amy. Nathe rimase a guardarmi per un po’, mollò un bel pugno
all’armadietto e finalmente si avviò in classe.
“Meno male che aveva paura di me ma come si permette di fare
certe cose quello sfrontato! Io non ho parole mi ha quasi fatto venire un
collasso quello stupido impulsivo geloso…” “Ehm…Nessie? Potresti parlare in un
modo un po’ più comprensibile? È già mezz’ora che borbotti senza fermarti un
secondo…”.
Mi voltai verso Amy, che mi stava guardando stranita. Ricambiai il suo sguardo
sorpreso, prima di capire. Vero, il fiume di parole che mi stava uscendo dalla
bocca risultava comprensibile soltanto a chi aveva sensi super sviluppati…
“Scusa Amy, adesso la smetto. È che mi fa così arrabbiare…” “Effettivamente non
è che si sia comportato benissimo…Ma ero sicura che gli saresti saltata addosso
quando ti ha trattenuto in quel modo! Mi è sembrato di capire che anche lui
fosse propenso…” “AMY!”,
dissi io indignata, a voce un po’ troppo alta. Meno male che la professoressa
stava interrogando due compagni alla cattedra, così il resto della classe si
stava facendo gli affari propri.
“Su Nessie,
non lo negare…Anche adesso, cosa pensi che stia facendo il giovane Whellens?”.
Lei mi guardò maliziosa, prima di spostare lo sguardo verso il banco di Nathe
con noncuranza. Dopo aver fatto un sorrisino a Jordan, guarda caso proprio
compagno di banco di Nathe, riposò i suoi occhi azzurri su di me.
“Come
pensavo, ti sta fissando come un idiota.” “È inutile che mi fissi, se non mi
viene a dire che intenzioni ha. Te l’ho detto cosa è successo ieri…” “Ho capito,
Renesmee…Però ti posso assicurare che non gli è passata per niente.”.
Amy mi fece il suo solito sorrisetto furbo, poi continuò:
“Cambiando argomento…Jordan mi ha finalmente chiesto di uscire…Un’uscita
ufficiale!” “Davvero? Beh, sono contenta per te! E tutto questo quando
avverrebbe?” “Oggi pomeriggio. Ha detto che mi vuole portare al cinema…”
“Benissimo allora! Vediamo se adesso le cose tra voi si stabilizzano…” “Lo spero
proprio…”, mi
disse sospirando, abbandonandosi sul banco. Ogni tanto facevo vagare lo sguardo
distrattamente per tutta la classe, e qualche volta gli occhi verdi di Nathe
incrociavano i miei, facendomi sussultare. Cercai di non badare a lui per il
resto della mattinata, anche se Amy insisteva a farmi notare che l’attenzione
del ragazzo era tutta rivolta a me. All’uscita da scuola, come mi aveva detto la
mattina stessa, trovai Jacob ad aspettarmi. Era appoggiato alla moto e si stava
mangiando un gelato enorme.
“Ciao Jake!
Ma stai sempre a mangiare?” “Ciao Nessie…Non è colpa mia se ho sempre fame!
Com’è andata oggi?”.
L’odore sempre più intenso di Nathe mi avvertì che si stava avvicinando.
“Mah,
insomma…Diciamo che poteva andare decisamente meglio. Dai, fratellone,
andiamo a casa!”,
dissi calcando bene la parola “fratellone”, in modo che Nathe la sentisse forte
e chiara. Jake notò gli sguardi che ci scambiammo, ma non disse niente. Finì di
mangiare il suo gelato in un boccone solo e accese la moto. Io salii dietro di
lui, e dopo aver salutato Amy con la mano ci dirigemmo verso casa. Passarono
circa 2 ore e mezzo, prima che il mio cellulare iniziasse a suonare come se
fosse impazzito. La mamma mi guardò con circospezione, prima di tranquillizzarsi
dopo aver sentito la voce che parlava dall’altra parte.
“Renesmee,
ho bisogno di aiuto. Sono disperata, non so come fare…” “Amy, calmati. Cosa è
successo?” “Vieni subito, ti prego…” “Ok, ok…Mi cambio e sono da te!”.
Appena chiusi la chiamata la mamma mi guardò, cercando di capire cosa fosse
successo. Io alzai le spalle, prima di vestirmi velocemente. Corsi giù per le
scale e afferrai Jacob per la maglietta, tirandolo verso la porta.
“Ehi, ma
che succede?” “Non me lo chiedere…Amy è in crisi. Zia, hai fatto con la
macchina?”,
domandai a gran voce. Per tutta risposta un paio di chiavi scintillanti mi
piombarono in mano dal salotto.
“Fammi
sapere come va, tesoro…”.
Salutai tutti e trascinai Jacob dietro di me. Mi fiondai sulla strada e
schiacciai fino in fondo l’acceleratore, facendo schizzare in avanti la
macchina. La lancetta del contachilometri era arrivata in pochissimi secondi sui
160…La zia sarebbe stata sicuramente soddisfatta del suo lavoro. Nemmeno dieci
minuti dopo eravamo davanti alla casa di Amy.
“Wow,
Nessie, non credevo che fossi così brava a guidare…” “Ho avuto i miei buoni
insegnanti! Dai, vediamo che ha combinato Amy…”.
Non feci in tempo a suonare il campanello che la mia migliore amica aveva già
aperto la porta.
“Oh,
Nessie, meno male che sei arrivata. Oh, ciao Jacob..”,
disse lei prima stravolta e poi sorpresa di vedere il ragazzo. Jake la guardò da
capo a piedi, sorridendole.
“Nessie,
guarda in che condizioni sono…Sono orribile!”.
Amy era davvero sull’orlo della disperazione.
“Amy, tu
non sei mai orribile…Nemmeno adesso!” “Non dire scemenze…Non mi si può vedere…”,
disse lei guardandosi. Era vestita con i pantaloni di una tuta blu, le scarpe da
ginnastica e una maglietta bianca con sopra delle scritte; poi aveva i capelli
tirati su, con alcune ciocche che le ricadevano lisce sul viso. Anche se era
vestita per stare in casa nessuno poteva dire che non fosse guardabile. Dopo
qualche secondo parlai di nuovo:
“Insomma,
mi vuoi dire perché mi sono dovuta precipitare a casa tua?”.
Lei piantò i suoi occhi azzurri nei miei, prese un profondo respiro e finalmente
si decise a parlare:
“Renesmee…Non so cosa mettermi per uscire con Jordan.”.
Rimasi a fissarla con la bocca aperta per qualche minuto. Jacob era rimasto in
silenzio come me, gli occhi fissi su Amy. Analizzai per qualche minuto ogni
singola parola che quella pazza della mia migliore amica aveva detto, prima di
risponderle incredula:
“Tu…Mi hai
fatto venire fino a qui come un fulmine…Perché non sai cosa metterti?”.
I suoi occhi implorarono perdono, seguiti da una piccola smorfia che faceva
sempre quando mi chiedeva scusa.
“E va
bene…Andiamo a svuotare l’armadio.” “Grazie, grazie, grazie! Dai, entrate!”.
La seguimmo fino in camera, dove c’era il letto cosparso di vestiti. L’aiutai a
rimettere tutto a posto e dopo iniziammo con la sfilata di moda. Passammo in
rassegna ogni suo capo d’abbigliamento, dalle gonne ai vestiti. Notai che per
tutto il tempo Jacob non staccava gli occhi di dosso dalla mia migliore amica, e
che ogni tanto esprimeva il suo parere…Boh. Forse aveva scoperto di essere un
amante della moda…Comunque, alla fine Amy riuscì a decidersi: le avevo
consigliato una gonna nera, molto carina, che arrivava al ginocchio, gli
immancabili tacchi di vernice e sopra una camicia bianca con un coprispalle
nero.
“Mmmhhh…Mettiti una cintura bianca…Ecco, così sei perfetta! Sicura che non hai
bisogno di altri consigli?” “No, Nessie, va benissimo così. Non so cosa avrei
fatto senza di te…E grazie anche a te, Jacob, mi serviva proprio un parere
maschile!” “Non c’è di che…”,
le rispose lui con aria quasi sognante. Dopo aver salutato tornammo a casa,
questa volta con più calma rispetto all’andata.
“Jacob…”,
lo chiamai. Lui mi rispose con un grugnito assente.
“Overdose
di vestiti?” “Eh?”.
Scossi la testa e sospirai.
“Se ti
stavi annoiando me lo potevi dire...” “Ma no, non mi sono annoiato affatto.
Stavo solo pensando a…Niente, lascia stare.” “No, adesso parli, Black. Sputa il
rospo.”. Lui
sembrò riluttante a darmi una risposta, ma appena incrociò il mio sguardo parlò
senza esitare.
“Chi è
quel Jordan?”.
Rimasi stupita dalla sua domanda; aggrottai le sopracciglia e gli risposi:
“È
un nostro compagno di classe…Ci sta provando con Amy da quasi tre mesi. Ma
perché ti interessa?” “È un tipo a posto?”,
continuò Jake.
“Da quanto
ne so io penso di sì…”,
risposi sospettosa.
“C’è
qualcosa che non va, Jacob?” “Beh, ecco…Non ho potuto fare a meno di notare che
Amy è davvero carina…Quella tuta le stava d’incanto…”.
Inchiodai all’improvviso e mi voltai a guardarlo. Meno male che eravamo vicini
ad un semaforo e che c’era pochissimo traffico…“Come
hai detto scusa?”.
Jacob diventò rosso e si girò verso il finestrino.
“Ho capito
bene, Jake?”.
Lui non rispose e sbuffò. Mi venne da ridere al pensiero di quello che avevo
appena realizzato. Ma era possibile una cosa del genere?
“Hai…Hai
avuto…Un altro imprinting? No, non ci credo…” “Ma no…O almeno, non penso…È solo
che…Boh, mi da fastidio che esca con quello li. Non mi piace…”.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie.
“Ma non lo
conosci nemmeno!” “Dettagli.”,
mi rispose lui, tornando a guardare il finestrino. Lo guardai incredula,
cercando di ricollegare tutti i pezzi. Ad un certo punto mi venne un’idea.
Parcheggiai la macchina sul ciglio della strada e guardai negli occhi il mio
compagno di viaggio, che mi stava osservando stupito.
“Che fai?”
“Jake, c’è un solo modo per vedere…Se è un imprinting o meno.” “E sarebbe?”,
domandò scettico. Io presi un respiro profondo, mi convinsi pienamente di quello
che stavo per dire e alla fine parlai:
“Baciami.”.
La sua espressione rimase pietrificata.
“Nessie ma
che…” “Baciami, Jacob.”,
ribattei risoluta. Aspettai qualche secondo, e dopo aver constatato che lui non
si sarebbe mosso di un millimetro presi in mano la situazione. Iniziai ad
avvicinarmi al suo viso, lentamente, guardandolo fisso negli occhi. Quando
arrivai a qualche centimetro dalle sue labbra, Jacob si allontanò leggermente.
Sorrisi, sollevata dal fatto che la mia decisione azzardata di spingermi così
avanti non avesse prodotto effetti apocalittici.
“Allora,
Black, che ne dici?”,
chiesi con aria saccente. Jacob sembrava più sconvolto di prima.
“Penso che
dovrò chiedere qualche spiegazione…”,
rispose imbarazzato, cercando di sorridere.
“Se posso
dirtelo..È meglio così. Finalmente non soffrirai più per causa mia.”.
Jacob non rispose, ma mi dette un bacio sulla guancia.
“Grazie,
sorellina.”.
Contraccambiai lo sguardo felice del ragazzo,
riprendendo la marcia ad una velocità tranquilla. Alcune gocce di pioggia
iniziarono a cadere dal cielo plumbeo, così decisi di accompagnare Jacob alla
riserva.
“Ci
sentiamo più tardi, Nessie…Appena ho messo un po’ in ordine tutto quanto ti
faccio sapere!”,
mi disse lui, prima di correre verso casa. Quando tornai dai miei spiegai la
situazione anche a loro; nonno Carlisle approfittò subito delle informazioni che
gli avevo dato per iniziare altre ricerche sul mondo dei licantropi. Gli altri
rimasero stupiti quanto me, ma alla fine tutti si sentirono più sollevati dal
fatto che Jacob non dovesse più stare male.
Il
giorno dopo, la pioggerellina della sera prima si era trasformata in un violento
temporale. Jacob mi venne a prendere in macchina dopo la colazione e mi
accompagnò a scuola. All’entrata scorsi la figura di Amy all’ingresso; se ne
accorse anche Jake, che diventò tutto rosso appena la vide. La salutò con la
mano enorme, il sorriso stampato in faccia. Notando la sua espressione gli diedi
una leggera gomitata nelle costole e gli lanciai uno sguardo eloquente, prima di
scendere e precipitarmi dentro l’edificio.
“Ciao
Amy…Accidenti a questa pioggia maledetta!” “Buon giorno.”,
rispose lei atona. Solo dopo averla osservata per bene mi resi conto che aveva
qualcosa che non andava.
“Ehi..Che
è sta faccia?” “Niente, niente..”.
Il suo tono distante non mi convinse affatto. Si voltò e si diresse verso la
classe. L’afferrai per un polso e la costrinsi a girarsi.
“Amy..Che
hai?”,
le chiesi, seria e preoccupata.
“Nessie..Ieri..”,
sussurrò piano, bloccandosi a causa di uno scossone.
“È
successo qualcosa con Jordan.”,
conclusi io al suo posto.
Lei distolse lo sguardo, silenziosa. La portai in bagno e le feci sciacquare il
viso, in modo che si calmasse.
“Amy…Raccontami tutto.”.
Lei si appoggiò al lavandino e sospirò profondamente.
“Stava
andando tutto bene…Però ad un certo punto…”.
Si bloccò di nuovo, preda di un altro scossone. L’abbracciai, cercando di
tranquillizzarla. Dopo qualche minuto continuò:
“Nessie,
tutte le sue attenzioni, tutti i suoi gesti…Lo faceva solo perché voleva
portarmi a letto.”,
disse tutto d’un fiato. Rimasi immobile come una statua, mentre sentivo la
rabbia prendere vita in fondo al petto.
“Quando
siamo usciti dal cinema…Mi ha portata in un vicolo e mi ha sbattuta contro il
muro. Ha iniziato a toccarmi dappertutto e..E..Oddio..”.
Scoppiò a piangere, incapace di continuare. Una cosa era certa: Jordan non
avrebbe più avuto vita facile…Gliel’avrei resa impossibile.
“Ti ha
fatto qualcosa?”,
le chiesi furente.
“No,
no…Gli ho tirato un calcio e me ne sono andata via.” “Brutto bastardo maniaco,
io..” “No, Nessie..Per favore, lascia stare. Non voglio che ci vada di mezzo
tu…”, mi disse
tra le lacrime, cercando di asciugarsele con la manica del giubbotto. Quando si
fu calmata del tutto entrammo in classe, a lezione già abbondantemente iniziata.
“Signorina McConnor! Signorina Cullen! Vi pare questo il momento di…”.
La professoressa si bloccò subito appena intercettò il mio sguardo. Forse in
quel momento sembravo più vampira che umana…Rivolsi lo stesso sguardo anche a
Jordan, che tremò sulla sedia. In tutto quel casino non mi ero neanche accorta
che Nathe mi stava fissando…Non riuscii a decifrare la sua espressione, ma non
me ne curai più di tanto. Ero troppo impegnata a lanciare con gli occhi minacce
d’omicidio al suo compagno di banco. Quella fu una delle mattinate più lunghe
della mia vita. Amy era in una specie di trance, Nathe non smetteva di
guardarmi, Jordan tremava appena mi spostavo di un millimetro…Poco prima della
fine della quarta ora, Amy scoppiò di nuovo a piangere.
“Amy, non
puoi stare così tutto il giorno. Chiamo qualcuno e ti faccio venire a prendere.”
“I miei non ci sono…Tornano domani…”.
Fu allora che mi venne l’illuminazione.
“Preparati.” “Nessie, non hai capito cosa..” “Ti ho detto di prepararti. Vado a
chiamare Jacob.”.
Lei mi guardò stupita, ma fece come le avevo detto senza dire una parola. Andai
in bagno e gli telefonai.
“Jacob, ho
bisogno che tu venga qui a scuola.” “È successo qualcosa? Ti senti male?”,
mi domandò preoccupato.
“No, non riguarda me…Si tratta di Amy. Devi accompagnarla a casa…” “Venti minuti
e sono da voi.”.
Chiuse la chiamata senza neanche salutare. Come mi aveva detto per telefono,
venti minuti dopo era fuori dalla scuola. Accompagnai Amy in segreteria a farsi
fare il permesso di uscita; non l’avrebbero mai fatta andare via da sola se non
ci fossi stata io con lei…Nessuno negava qualcosa ad un membro della famiglia
Cullen. Quando tutta la burocrazia fu sistemata la scortai fino all’ingresso,
dove c’era Jacob ad aspettarci.
“Mi
raccomando, Jake. Assicurati che stia bene.” “Nessie, io non so davvero come
ringraziarti…”,
sussurrò Amy, abbracciandomi. Le accarezzai forte la schiena e la lasciai
uscire, coperta interamente dall’impermeabile di Jake. Tornai in classe un po’
più sollevata, nonostante le occhiate omicide che rivolgevo a quel porco di
Jordan. Notai che Nathe aveva distanziato il suo banco da quello del compagno, e
che gli stava dando le spalle. Questo faceva si che la sua attenzione fosse
diretta tutta verso di me…Mi sentii leggermente a disagio, ma cercai di non
farci caso. Alla fine della mattinata il temporale non era ancora passato, e
c’erano buone premesse che lasciavano capire che sarebbe durato ancora un bel
po’. Appena tornai a casa, la mamma corse preoccupata verso di me.
“Nessie,
cosa è successo? Jacob è corso via senza dire niente…Tutto a posto?” “Si, mamma,
tranquilla…Amy aveva bisogno di un passaggio a casa.”.
Lei sospirò, mi dette un bacio sulla fronte e tornò a sedersi sul divano insieme
a mio padre.
“Tesoro,
fra poco Alice e Jasper vanno a caccia. Vai anche tu, è già un po’ di tempo che
non ti unisci a noi…”,
disse lui, prima di dare un bacio alla mamma.
“Ok, ok,
ho capito…Ci vediamo più tardi allora.”.
Dopo un po’ partimmo alla volta di un bosco a Nord di Forks, dove trovammo un
branco di alci. Tornammo a casa qualche ora dopo, nel tardo pomeriggio. Feci una
bella doccia calda e poi mi andai a buttare sul letto. I pensieri iniziarono ad
occuparmi la testa senza pietà. La mia mente passò in rassegna ogni singolo
giorno di quelle ultime due settimane, soffermandosi poi agli avvenimenti del
giorno prima. Mi addormentai dopo qualche minuto, con l’immagine di me e Nathe
vicinissimi nel corridoio della scuola marchiata a fuoco nella memoria. Non so
dire quanto tempo fosse passato da quando avevo ceduto alla forza del sonno, ma
ad un certo punto mi svegliai di soprassalto. Il mio cellulare vibrava furioso
sul comodino. Mi precipitai a prenderlo, ma la chiamata era già stata
interrotta. Era Jacob…Lo richiamai subito, così mi raccontò come era andata la
giornata con Amy.
“L’ho
rassicurata un po’…Adesso sta dormendo, era davvero a pezzi. Che dici, rimango
qui con lei?” “Assolutamente si, Jacob. Non ti azzardare a lasciarla sola
nemmeno per un secondo.” “Va bene allora…Comunque quel bastardo si ritroverà la
faccia sbriciolata domani, parola mia. Ci sentiamo, Nessie.”.
Chiusi la telefonata sospirando. Non feci in tempo a rimettere il cellulare a
posto che iniziò di nuovo a vibrare…Stavolta però era un messaggio. Appena lo
aprii il cuore mi si fermò e le mani iniziarono a tremare. Rimasi a fissare il
display come una stupida, incapace di muovere un solo muscolo. Era Nathe.
“Senti,
mi dispiace un casino per quello che è successo. Non riuscirei mai ad avere
paura di te…Ci vediamo.”.
Rilessi il messaggio un’infinità di volte, e ad ogni nuova lettura sentivo le
labbra aprirsi sempre di più in un sorriso. Ad un certo punto nella mia testa
passò veloce come un fulmine una decisione che i miei, mia madre prima di tutti,
non avrebbero accettato volentieri. Scesi le scale di corsa e ispezionai per
bene il salone. Mamma e papà non c’erano…Sicuramente erano andati a casa nostra.
Perfetto, segno che erano troppo occupati per badare a me. Mi precipitai alla
porta, ma appena misi la mano sulla maniglia la voce della nonna mi fermò:
“Nessie, dove vai così di corsa?” “Vi spiego tutto più tardi. Ciao nonna!”.
La salutai velocemente e poi mi fiondai come una saetta fuori dalla porta. La
pioggia veniva giù dal cielo più violenta che mai, e la sentivo battere sulla
mia pelle accaldata come se ogni goccia fosse un piccolo sassolino. Dopo nemmeno
un minuto ero già bagnata fradicia, ma non me importava niente. Sfrecciavo tra
gli alberi ad una velocità impressionante, mentre il cuore stava iniziando ad
impazzirmi. Il messaggio di Nathe mi passava in testa a ripetizione come un
nastro luminoso, ed ogni parola brillava come se fosse un fuoco acceso. L’odore
della terra bagnata e il rumore della pioggia che cadeva erano le uniche cose
che mi accompagnavano in quella folle corsa. Non riuscivo a formulare un
pensiero che avesse senso compiuto, ero troppo stravolta. Dopo circa dieci
minuti raggiunsi Port Angeles. Spostarmi tra le case mi costrinse a rallentare
l’andatura, ma nonostante questo riuscivo a muovermi abbastanza velocemente.
Quando finalmente mi trovai davanti alla casa degli zii di Nathe il cuore sembrò
fermarsi. Rimasi impalata davanti al piccolo cancellino. Fissai quell’edificio
per non so quanto tempo, prima di decidermi a suonare il campanello. Una luce al
piano superiore si accese e subito dopo dei passi piccoli e veloci si fecero
strada sulle scale. Dopo un minuto la porta si aprì, e io sussultai.
“Chi è?”,
domandò la voce di una bambina. Doveva essere sicuramente Helen, la cuginetta di
Nathan…Aprì un
po’ di più la porta, in modo da potermi vedere bene.
“Ciao! Chi
sei?” “Ciao…Sono un’amica di Nathe. È in casa?”.
Lei mi guardò sospettosa e poi urlò verso le scale:
“Naaaaathe! È per te!”.
Subito dopo sentii dei passi più pesanti scendere le scale. Questa volta il
cuore tremò sul serio, prima di sprofondare da qualche parte dentro di me.
“Helen, fila in casa, non vedi che sta diluviando?”.
La bambina borbottò qualcosa e poi risalì le scale. Nathe rimase qualche secondo
fermo, prima di aprire completamente la porta. Un lampo illuminò di viola il
cielo, mentre il rumore si diffondeva cupo in lontananza. Fu in quel momento che
il suo sguardo incontrò il mio. Ero immobile sotto la pioggia scrosciante, il
respiro accelerato e i battiti impazziti. Nathe era diventato una statua, la
mano ancora sulla maniglia della porta. Dopo un po’ distolsi lo sguardo da lui,
sorridendo appena. Cercai inutilmente di cacciare via le gocce d’acqua dal mio
viso, provando a non pensare a quella pazzia che avevo appena fatto. Ad un
tratto sentii Nathe muoversi verso di me. Si stava avvicinando…I miei sensi
andarono in fibrillazione quando il suo odore si mischiò a quello umido della
pioggia. Non capivo più niente, ma non me ne preoccupai. Lui fece due passi
incerti e poi si fermò. Sembrava stesse pensando a qualcosa…Ad un tratto lo vidi
scuotere la testa, e poi ebbi solo il tempo di rendermi conto che le mie labbra
avevano iniziato a muoversi insieme alle sue. Le gocce fredde della pioggia sul
mio viso erano accompagnate dalle lacrime bollenti che avevano iniziato
sgorgarmi dagli occhi.
“Scusami…scusami…”,
mi ripeteva lui tra un bacio e l’altro, mentre mi stringeva a sé sempre di più.
Quando ci staccammo per riprendere fiato lui parlò, la voce che gli tremava:
“Ti
prego, scusami…Sono stato un idiota…” “Nathe, piantala…”,
gli dissi io riprendendo a baciarlo. La mia mano salì fino ai suoi capelli, come
sempre. Lui mi strinse ancora prima di staccarsi un’altra volta. Mi fissò con i
suoi magnifici occhi verdi, di nuovo accesi di quel bagliore che mi aveva fatto
impazzire. Gli accarezzai il viso, scostandogli i capelli bagnati dalla fronte.
Lui si appoggiò a me sorridendo.
“Ti amo.
Ti amo. Ti amo.”.
Sorrisi contro le sue labbra, prima di annullare nuovamente la distanza tra noi.
In quel momento, sotto la pioggia incessante, mi resi conto che il mio mondo era
tornato al suo posto. Non mi importava di cosa avrebbe detto mia madre, dei
rimproveri che mi sarebbero spettati al mio ritorno a casa. Nathe era di nuovo
con me, e questo bastava a far scomparire tutto il resto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Cap. 7 - Incanto spezzato ***
Cap. 7 – INCANTO SPEZZATO
Tutto successe molto rapidamente…Il suono
prolungato di un clacson, lo stridio delle gomme sull’asfalto, lo schianto di un
vetro rotto…E poi il buio.
“CHE COSAAA? Tu
sei impazzita, Nessie…”,
sbottò Nathe di colpo sgranando gli occhi. Finii di passarmi l’asciugamano sui
capelli e poi lo guardai, cercando di apparire più seria possibile.
“Nathe, se non vuoi che mia
madre mi impedisca di vederti per i prossimi due secoli devi venire con me…” “No
no, non se ne parla proprio..” “Mmmhhh..Vediamo se riesco a convincerti…”,
gli dissi seducente, avvicinandomi al suo viso. Quando le mie labbra stavano per
sfiorare le sue qualcuno bussò alla porta della camera di Nathe.
“Che diamine…”,
imprecò lui sottovoce, prima di andare ad aprire.
“Zia, cosa c’è?” “Tutto a posto
ragazzi? Renesmee, hai bisogno di altri vestiti?”,
mi domandò premurosa. “No
Angela, ti ringrazio…Sei stata molto gentile a prestarmi qualcosa da mettere!”
“Oh, figurati…Sei sicura di non voler rimanere qui stanotte? Il temporale non è
ancora passato e…” “No, zia, ti ho già detto che la riporto io a casa. Vai a
dormire, è mezzanotte passata…”.
Diedi una leggera gomitata a Nathe, prima di ringraziare nuovamente sua zia. Lui
chiuse velocemente la porta dietro di sé, sospirando. Dopo si avvicinò a me,
prendendomi per i fianchi.
“Allora…Dov’è che eravamo rimasti?”,
mi sussurrò all’orecchio. Mi morsi il labbro, assumendo un’espressione
fintamente spaesata. “Ok,
te lo ricordo io…”,
disse sfiorandomi appena le labbra. Un brivido mi percorse da capo a piedi e il
cuore iniziò a martellarmi impazzito nel petto…Impaziente e desiderosa di quel
contatto, passai una mano dietro la sua testa e lo costrinsi ad annullare la
distanza tra noi. Lui iniziò ad accarezzarmi la schiena lentamente, passando poi
le dita leggere su un mio fianco scoperto. Stavo letteralmente impazzendo. La
gola iniziò a pizzicarmi un po’, ma con quel briciolo di razionalità che mi era
rimasto mandai al diavolo la sensazione di bruciore, la sete e tutto il resto.
All’improvviso sentii Nathe spostarsi in avanti, così automaticamente
indietreggiai. Dopo qualche passo urtai contro il suo letto; lui mi prese per un
fianco e mi fece stendere dolcemente, prima di sovrastarmi completamente. Si
stava ripetendo la stessa scena di Vancouver…Speravo solo di essere abbastanza
forte da ignorare i miei istinti, se avessero dovuto prendere il sopravvento. In
quel momento sembrava che il tempo si fosse fermato…L’unica cosa che riuscivo a
percepire chiaramente era il battito accelerato di entrambi. Nathe lasciò
all’improvviso la mia bocca, per dedicarsi completamente al mio collo. Ogni
volta che le sue labbra sfioravano la mia pelle i miei sensi si offuscavano del
tutto. Senza rendermene conto mi ritrovai ad alzargli lentamente la maglietta.
Lui si alzò per qualche secondo e se la sfilò del tutto, buttandola in terra con
noncuranza prima di tornare a baciarmi. Feci scorrere le dita sul suo petto
scolpito, soffermandomi poi sui suoi fianchi. Nathe stava iniziando a togliere
la mia canottiera quando all’improvviso il suono di un cellulare attraversò la
stanza, crescendo d’intensità ogni secondo che passava.
“È…È il tuo…”,
dissi io senza fiato.
“Chi se ne frega.”,
ribatté lui sulle mie labbra. Quel dannato apparecchio stava continuando a
suonare furioso, trapassandomi la testa da parte a parte con quel suono
continuo. Nathe si stufò e allungò la mano verso il comodino, visibilmente
contrariato. “Nessie…Mi
stai chiamando?”. Lo
guardai stupita, prima di arrivare ad una terribile conclusione.
“Dammi subito il cellulare…”.
Nathe mi fissò silenzioso, confuso. Presi un respiro profondo, cercando di
rendere il tono della mia voce tranquillo:
“Mamma.”.
Le gocce di
pioggia scorrevano sul vetro della macchina di Nathe come se fossero dei piccoli
torrenti in piena, sferzati dalla velocità.
“Ehm…Renesmee non credi che dovremmo
andare un po’ più piano?”
“Nathe, ti devo ricordare
cosa ha detto mia madre?”.
Lui aggrottò le sopracciglia e poi scosse la testa, tornando a guardare la
strada mentre si reggeva allo sportello del passeggero. La mamma al telefono era
stata più che chiara. Cristallina, direi. Aveva pronunciato soltanto due parole,
ma erano state sufficienti a farmi tremare.
“Mezz’ora.”,
aveva detto, glaciale come non lo era mai stata. Al pensiero di lei furiosa che
mi aspettava a casa mi vennero di nuovo i brividi. La lancetta del
contachilometri della 147 aveva oltrepassato i 240 km all’ora, ma io continuavo
a tenere l’acceleratore schiacciato fino in fondo. Per fortuna era notte e non
c’era nessuno per strada…Se fossi tornata anche un minuto più tardi non so cosa
sarebbe potuto succedermi. Dopo una ventina di minuti circa arrivammo a Forks.
Il temporale sembrava agli sgoccioli, ma nonostante questo la strada era ancora
piena di pozzanghere. Imboccai il viale che portava a casa dei nonni senza
rallentare, facendo spaventare ancora di più Nathe.
“Scusami, ma non voglio correre il
rischio di arrivare in ritardo.” “No, figurati…Se non siamo morti prima…”,
mi rispose lui con un mezzo sorriso. Appena arrivammo nei pressi della casa
Nathe rimase sbalordito da ciò che stava vedendo.
“Tu…Tu abiti qui?” “Si
e no…È la casa dei miei nonni e zii. Io, mia madre e mio padre abbiamo un’altra
casa, poco distante da qui, ma ci vado poco…” “Ah, bene…”,
disse lui, leggermente nervoso. Non smetteva di guardarsi intorno.
“Nathe, puoi tornare a casa se
non te la senti…Devo ammettere che avrei preferito presentarti in un altro
momento.”. Mi guardò per
un attimo, poi si avvicinò e
mi dette un bacio a fior
di labbra. “Non ti
preoccupare…Anche se l’idea di ritrovarmi faccia a faccia con..Una vampira
infuriata..Non..”. Gli
accarezzai una guancia, cercando di tranquillizzarlo un po’. Sospirai, gli detti
un bacio e poi spensi il motore della macchina.
“Andiamo.”,
mi disse lui, prendendomi per mano. Ci avviammo lentamente verso la porta
d’ingresso. Mi fermai sotto il portico, con le chiavi di casa in mano. Sentii
l’odore di tutti i miei familiari, così cercai mentalmente papà e lo pregai di
venire ad aprire la porta. Almeno avrei potuto arruffianarmelo un po’. Dopo
circa tre secondi dalla formulazione del mio pensiero la porta si aprì,
rivelando l’alta figura di mio padre. Il suo sguardo non era severo…Meglio. Uno
in meno da affrontare. Sfoderai la mia espressione da cucciolo bastonato, per
implorare perdono per la mia azione sconsiderata. Leggendo quello che stavo
pensando mi accarezzò una guancia.
“Ehi, piccola…Non sono io quello che devi affrontare…Basta tua
madre!”, disse
dolcemente. Dopo un po’ lui e il mio ragazzo si fissarono per qualche secondo,
silenziosi. “Si,
Nathe…Sono il papà di Nessie. Edward Cullen, piacere di conoscerti.”,
disse infine lui, porgendogli la mano. Nathe rimase immobile, senza riuscire a
dire una parola. Dopo un po’ alzò la mano e gliela strinse, rimanendo sbalordito
per il contatto ghiacciato.
“Pi…Piacere mio, Signor Cullen…”
“Ah…Non gli hai detto
ancora niente di noi?”,
mi chiese interrogativo. Scossi la testa e gli sorrisi.
“Comunque dammi del tu, Nathe. Mostro
sempre 17 anni!”. Quel
breve momento di ilarità fu interrotto da un rumore proveniente da dentro la
casa. . Qualcuno – la mia furibonda mamma vampira – si era appena schiarito la
gola, impaziente. Cercai disperatamente prima gli occhi di papà e poi quelli di
Nathe; quando fui sicura di avere il loro appoggio presi un profondo respiro ed
entrai. Se non fosse stato per le dita che tamburellavano veloci sul suo
braccio, avrei potuto dire che mi trovavo davanti una statua realizzata alla
perfezione. Nathe rimase nascosto dietro mio padre, mentre lui mi teneva una
mano poggiata sulla spalla. Raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo e
guardai mia madre negli occhi. Stavano scintillando di rabbia…Perfetto. Meglio
di così non poteva andare.
“Ti chiedo scusa, mamma. Non avrei dovuto farlo. Puoi punirmi
come desideri.”, le dissi prima che potesse
iniziare con la sfuriata. Tutti i miei familiari
stavano in assoluto silenzio, respirando appena. La mamma continuò a fissarmi
con i suoi occhi dorati, senza dire una parola.
“Sei consapevole del fatto che non approvo per niente questa azione
irresponsabile, vero?”, disse lei fredda dopo qualche attimo.
“Si, mamma.” “E riconosci che qui una bella punizione
ci sta tutta?” “Si. Te l’ho detto, puoi fare quello che vuoi.”,
sussurrai, abbassando lo sguardo. “Bella, amore, non
essere troppo dura con lei...Tu al posto suo avresti agito allo stesso modo.”
“Edward, non provare ad incantarmi. Renesmee, niente uscite per due settimane.
Ti sorveglierò a vista.”, sentenziò la mamma, con un tono che non
ammetteva repliche. Alla fine mi era andata bene...Pensavo che mi avrebbe
rinchiuso per almeno un decennio. “Ok, mamma, va
benissimo.”, risposi un po’ più sollevata. “Non
hai altro da dirmi, Nessie?”, continuò lei, alzando un sopracciglio. La
guardai spaesata per mezzo secondo, prima che proseguisse:
“Sbaglio o non sei venuta da sola?”. Il sangue
mi si gelò nelle vene. Fissai silenziosa la mamma, mentre sentivo la mano di
Nathe sulla schiena tirarmi la maglietta. “Oh...Si, si
certo...Nathe, vieni.”. Mi girai verso di lui, prendendolo per mano.
Cercai di dirgli con gli occhi che era tutto a posto, e che poteva stare
tranquillo. Mio padre gli dette una pacca sulla spalla, prima di spostarsi per
farlo passare. Come aveva fatto prima, iniziò a guardarsi intorno, analizzando
uno ad uno i volti dei miei familiari, meravigliato dalla loro bellezza.
Tutti loro gli sorridevano: i nonni entusiasti, le zie dolci e gli
zii..Forse un po’ maliziosi. Zio Emmett gli fece persino l’occhiolino... Ma
quando arrivò ad incrociare gli occhi della mamma sussultò. Gli strinsi un po’
più forte la mano, prima di rivolgermi di nuovo a lei.
“Mamma...Nonni, zii...Lui è il mio ragazzo. Nathan Whellens.”. Nathe
trattenne il respiro per un secondo, prima di salutare tutti.
“Bu...Buona sera. Piacere...di conoscervi.” “Oh, che
caro ragazzo!”, disse la zia Alice con un sorriso smagliante. Quello che
successe dopo mi lasciò allibita. Tutti i miei, esclusa la mamma, si
precipitarono su di noi ed iniziarono ad abbracciare e stringere la mano a
Nathe. Lui era ancora più sconvolto di prima...Forse non si aspettava che i
vampiri potessero essere così affettuosi. Quando riuscì a districarsi da quel
groviglio di braccia lasciò anche la mia mano, e si diresse a passo incerto
verso mia madre, che nel frattempo era stata raggiunta da papà.
“Signora Cullen...”, disse cortesemente,
tendendole la mano. Lei continuò a fissarlo per qualche secondo, prima di
contraccambiare la stretta. Nathe sembrava molto più tranquillo, adesso che
aveva conosciuto tutti quanti. Le fece un piccolo sorriso, sperando di non farla
arrabbiare. “Ciao, Nathan. Spero che tutto quello che è
successo fino ad ora con mia figlia non si ripeta più.”. E te
pareva...Mi sembrava strano che non avesse niente da dire. Nathe capì a cosa si
stava riferendo: se mi avesse fatto soffrire ancora avrebbe incontrato i denti
affilati della mamma. Lui deglutì, prese un respiro profondo e poi parlò,
sicuro: “Non si preoccupi, Signora...Non ho intenzione
di ripetere gli stessi errori di prima.”. Il mio cuore mancò di un
battito appena sentii quelle parole. La mamma assunse un’espressione abbastanza
compiaciuta, senza però tralasciare il solito sopracciglio inarcato.
“Bene! – disse zia Alice –
Dobbiamo festeggiare l’arrivo di Nathe!”
“Zia, no...Per favore! Ci pensiamo domani, va bene?
Vorrei riposare...E credo che anche Nathe sia stanco. Vero?”, gli dissi
con uno sguardo piuttosto eloquente. “Ah...Si, si sono
molto stanco in effetti...” “Rimarrà da noi stanotte, non voglio che guidi senza
aver riposato un po’ ”. Tutti ci guardarono con l’espressione di chi la
sapeva lunga, divertiti. Zio Emmett stava trattenendo a stento le risate. Dopo
qualche minuto tutti scoppiarono a ridere, poi la nonna mi disse di far
accomodare Nathe nella stanza degli ospiti. Mentre salivamo le scale la mamma mi
bloccò un braccio, piantandomi gli occhi dorati addosso.
“Occhio, Renesmee.”. Alzai gli occhi al cielo,
prima di darle un bacio sulla guancia fredda. Appena mi chiusi la porta della
camera alle spalle tirai un sospiro di sollievo, appoggiandomi al muro. Nathe mi
abbracciò dolcemente, dandomi un bacio a fior di labbra.
“È andato tutto bene per fortuna...Come ti senti?”,
gli domandai. “Beh...Devo ammettere che sono abbastanza
stranito....Non pensavo che i tuoi fossero così amichevoli!”. Scoppiammo
a ridere di gusto, prima di tornare a baciarci. La situazione stava di nuovo
iniziando a sfuggirci di mano, quando un ringhio prolungato si distinse tra gli
altri rumori della casa. Subito ci staccammo, ridendo silenziosamente.
“Scusa mamma! Non lo facciamo più!”, dissi ad
alta voce, prima di dare un altro bacio a Nathe. Dopo qualche minuto ci
allontanammo definitivamente, in modo da scongiurare un’ispezione improvvisa. Mi
buttai sul letto, sbadigliando. Il sonno stava davvero iniziando a farsi
sentire. Nathe si stese vicino a me, sorreggendosi su un gomito.
“Nessie...Potresti....Hai voglia di raccontarmi
qualcosa su...” “Su di noi?”, gli domandai, divertita. Lui annuì,
sistemandosi meglio. “Dai, fammi tutte le domande che
vuoi.”. Nathe sorrise, così iniziò a chiedermi tutto quello che c’era da
chiedere. Iniziai a raccontargli la storia del nonno, di come aveva incontrato
uno ad uno tutti i componenti della mia famiglia, le loro storie, i loro
poteri... “No, no aspetta un secondo....Tuo padre sa
leggere nel pensiero?”, mi chiese ad un certo punto, quasi impaurito.
“Sì. È per questo che appena vi siete incontrati ha
detto quelle cose...Pensava ti avessi già detto tutto. Ma perché ti preoccupi
tanto?” “Io...Ecco vedi...Penso di dover controllare meglio la fantasia, d’ora
in poi...”, mi disse, diventando tutto rosso. Appena capii quello che
voleva dire gli poggiai una mano sulla guancia, facendogli vedere attraverso la
mia mente che non c’era niente di cui aver paura...
“Stai tranquillo, Nathe...”. Mi sorrise, poi continuò:
“Il tuo potere...Sarebbe qualcosa di contrario al suo, giusto?” “Esatto.
Io posso far vedere ciò che sto pensando.” “Forte! Deve essere uno spasso...”.
Mi guardò esterrefatto, prima di chiedermi di proseguire il racconto. Così gli
dissi dei Volturi, di quello che mia madre e mio padre avevano passato prima di
essere finalmente felici, della mia nascita....Evitai accuratamente di rivelare
tutti gli orribili dettagli, spiegandogli solamente come mai io fossi una mezza
vampira con il sangue nelle vene e il cuore che batte.
“Capito cosa voglio dire, Nathe? Mia madre, essendo ancora umana al momento
della mia nascita, mi ha trasmesso questi particolari. Ti sarai accorto anche
che sono un po’ più calda di te...” “Si, in effetti era una cosa che volevo
chiederti da tempo....Cavolo, non pensavo che la tua storia fosse così strana!
Ma dimmi...Ci sono altri vampiri al mondo che fanno come voi? Che...Non uccidono
le persone?”, mi chiese curioso ed impaziente di sentire la risposta.
Allora gli raccontai del clan di Denali, i nostri amici più vicini. Nathe era
come rapito dalle mie parole. Credevo che la mia storia lo avrebbe fatto
scappare via a gambe levate, e invece...Dopo che ebbi terminato mi guardò, una
luce diversa negli occhi. “Mi sento così fortunato di
averti incontrato...Potrei scrivere un libro, sai? Così passerei per uno
scrittore ubriaco che cerca di fare soldi sparando un sacco di cretinate!” “Ma
dai, scemo...”, gli dissi, dandogli una leggera spinta prima di tirarlo a
me. Adesso che lo avevo ritrovato non potevo fare a meno di baciarlo ogni volta
che ne avevo voglia....Ci staccammo poco dopo, e lui mi guardò raggiante. Poi
all’improvviso, senza che capissi il motivo, abbassò lo sguardo.
“C’è qualcosa che non va?” “Nessie...Potresti spiegarmi
cosa c’entra Jacob in tutto questo? Voglio dire...Lui non è uno di voi...”.
Oddio. Per tutto il tempo della storia avevo accuratamente evitato di parlare di
Jacob e dei lupi. Non volevo che si sentissero minacciati dal fatto che un umano
conoscesse il loro segreto... Ma comunque non ci dovevano essere
problemi...Prima o poi lo sarebbe venuto a sapere lo stesso, così come Amy
avrebbe saputo di noi. “Nathe...Preparati. Adesso ti
faccio vedere....”. Chiusi gli occhi, e attraverso i miei pensieri e i
miei ricordi il mio ragazzo venne a conoscenza del mondo dei licantropi. Quando
gli spiegai mentalmente che Jacob era legato a me dall’imprinting, Nathe
interruppe momentaneamente il contatto, baciandomi e stringendomi a sé con fare
possessivo. “Ehi, ehi...Whellens, cos’è tutta questa
foga?” “Tu sei mia, Renesmee...Mia e basta.” “Non c’è bisogno che me lo
dica....”, risposi a qualche millimetro dalle sue labbra, sorridendo.
“La storia di Jacob e company non è ancora
finita...Vuoi continuare a vederla?”. Nathe annuì, scusandosi con lo
sguardo. Mi affrettai a mostrargli ciò che mancava, compreso il secondo
imprinting di Jacob, così che non avesse più niente di cui preoccuparsi.
“...E così adesso è cotto di Amy.”, conclusi,
interrompendo il contatto prima che vedesse in che modo avevo scoperto
quest’ultima cosa. “Cavolo...Jacob ed Amy? Oddio, è
proprio piccolo il mondo!” “Preferivi che continuasse a sbavare dietro di me?”,
gli chiesi divertita. Lui fece un’espressione piuttosto contrariata.
“No, grazie, mi bastano tutti gli studenti del Liceo di
Forks...”. Ci guardammo per due secondi, prima di iniziare a ridere come
pazzi. Quando le nostre risate si spensero lo salutai, dandogli un ultimo bacio,
prima di avviarmi nella mia stanza. Non riuscivo a realizzare che adesso potevo
essere me stessa con Nathe, senza nascondere tutto ciò che mi riguardava. Mi
addormentai felice, sperando che quello che era successo non fosse stato frutto
della mia fantasia.
Quando mi svegliai, circa quattro ore dopo
essermi addormentata, rimasi per qualche minuto stesa sul letto, con i sensi
all’erta. Potevo percepire distintamente i piccoli rumori prodotti dai miei
familiari al piano di sotto; gli odori mi dicevano che in casa c’erano mia
madre, mio padre e i miei nonni. Ma non furono loro ad attirare la mia
attenzione: un respiro pesante e regolare proveniva dalla stanza degli ospiti
vicino alla mia. L’odore di menta fresca e limone mi fece svegliare del tutto,
assicurandomi che tutto quello che riguardava la sera prima era accaduto
davvero. Mi vestii velocemente, mi sciacquai il viso e mi sistemai i capelli,
come facevo tutte le mattine. Quando uscii dal bagno mi diressi verso la camera
degli ospiti, silenziosa. Appena aprii la porta venni travolta dall’odore di
Nathe, che dormiva beato a pancia in giù, con un braccio sotto il cuscino.
Rimasi a guardarlo per un po’, prima di avvicinarmi e sedermi sul letto. Presi
ad accarezzargli il viso delicatamente, e dopo un po’ gli posai un bacio sui
capelli scompigliati. “Nathe...”, gli sussurrai
piano, scuotendolo un po’. Niente. Riprovai un’altra volta, e un’altra ancora,
ma tutto quello che ottenni fu il cambio di posizione di Nathe. Adesso stava a
pancia in su, con le braccia abbandonate sul letto.
“Nathe, dai svegliati.. Dobbiamo andare a scuola...” “Zia dai lasciami stare...”,
disse lui, prima di girarsi su un fianco. Era peggio di Amy...Tra tutti e due
non avrei saputo chi scegliere. Lo costrinsi a voltarsi di nuovo, così gli posai
un leggero bacio sulle labbra. Restai a fissarlo, in attesa di una reazione;
dopo qualche attimo aprì gli occhi, sbattendo le palpebre più volte.
“...Nessie?”, mi chiese lui a mezza voce,
confuso. Si alzò a sedere e mi guardò con gli occhi ancora mezzi chiusi.
“Era ora, bell’addormentato!” “Ma...Che ci fai tu a
casa mia?”. Trattenni una risata e gli poggiai una mano sul braccio.
Tutto quello che era accaduto la sera prima rivisse nella sua mente attraverso i
miei ricordi. Nathe mi guardò ancora un po’ confuso, prima di sorridere. Mi tirò
a sé e mi baciò; quando ci staccammo i suoi occhi erano completamente svegli.
“Buon giorno, piccola...” “..’Giorno...Dormito bene?”
“Benissimo..”, rispose lui a pochi centimetri dalle mie labbra, prima di
baciarmi di nuovo. Dopo qualche minuto sentii dei passi salire le scale, così ci
staccammo. Pochi istanti dopo mio padre bussò alla porta socchiusa ed entrò.
Aveva un’espressione rilassata, gli occhi dorati che scintillavano.
“Ben svegliata, tesoro! Nathe...”, salutò
educatamente papà, prima di darmi un bacio ghiacciato sui capelli.
“Salve, Edward.”, ricambiò lui con un sorriso.
“La colazione è già pronta in tavola.”. Mio
padre si congedò e uscì dalla stanza. Poco tempo dopo lo seguii, dicendo a Nathe
che lo avrei aspettato di sotto. Accesi il cellulare, e dopo neanche un minuto
mi arrivò una chiamata di Jacob. “Ciao Jake...” “Buon
giorno, Nessie. Tutto bene da voi?” “Si si... Mi sono alzata una ventina di
minuti fa. Come sta Amy?”. Jacob sospirò pesantemente, prima i
rispondermi. “Ha avuto un sonno abbastanza agitato, ma
nel complesso sta bene. Adesso si sta preparando per andare a scuola...La porto
io in moto, i suoi tornano stasera, quindi non posso passare da te...” “Non ti
preoccupare, c’è Nathe qui a casa mia. Poi ti racconto...Ci vediamo direttamente
lì allora!”, gli dissi, prima di chiudere la chiamata. Andai a salutare
mia madre e i miei nonni e mi accomodai al tavolo, dove mi aspettava la mia
solita tazza di caffè con i biscotti. Dopo un po’ scese anche Nathe, che salutò
la mamma prima di chiunque altro. Lei ricambiò, e tornò a dedicarsi al libro che
stava leggendo. Verso le sette e mezzo io e Nathe uscimmo di casa e ci dirigemmo
verso il retro della casa. Rimase senza parole quando entrammo nel garage, dove
la zia Rosalie aveva sistemato la 147. “Renesmee per
favore, dimmi che non sto sognando...”, disse a bocca aperta, gli occhi
che brillavano. Accanto alla sua Alfa si allungava una fila di macchine, tutte
rigorosamente parcheggiate alla perfezione. Io scoppiai a ridere dopo aver
notato la sua espressione incredula, così decisi di fargli fare un piccolo tour
del garage. “Allora...La Volvo di papà, seguita dalla
sua Aston Martin, poi la Ferrari di mamma, la Porsche di zia Alice, la BMW della
zia Rose, l’Hammer di zio Emmett, la Corvette di zio Jasper e la Mercedes dei
nonni! Ah, manca la mia...Fiat Bravo, completamente modificata. Soddisfatto?”.
Avevamo percorso tutto il garage, e Nathe sembrava volare in Paradiso ad ogni
macchina che vedeva. “Non ci posso credere...”,
disse lui, con gli occhi che brillavano. “Forza, pilota
di Formula Uno, dobbiamo andare a scuola!” “Ma sono così belle...” “Dai,
Whellens, o faremo tardi!”, lo tirai per un braccio e lo trascinai verso
la sua macchina, salendo al posto di guida. “Ehi, ci
hai preso gusto a guidare la mia macchina?” “Sali e basta Nathe, siamo in
ritardo...”. Appena arrivammo a scuola notai la grossa moto di Jacob.
Parcheggiai e scesi di macchina come una furia, precipitandomi dalla mia
migliore amica. Era un po’ più pallida di quanto lo fosse di solito....Per poco
non era diafana come me. Sotto i suoi occhi azzurri si presentavano delle
occhiaie appena marcate, segno della dura giornata precedente.
“Amy, mio Dio...Ero preoccupatissima...”, le
dissi abbracciandola. “Va tutto bene Nessie,
grazie...Jacob mi è stato di enorme aiuto.”, mi rispose lei, sorridendo
all’enorme figura di Jake. Lui, imbarazzato, borbottò che lo aveva fatto
volentieri, prima di cambiare espressione: Jordan era appena arrivato, e si
stava dirigendo di gran carriera verso di noi. Jacob si parò come uno scudo
davanti ad Amy, e quando il ragazzo fu abbastanza vicino ringhiò.
“Ehi, Jake, controllati...”, gli sussurrai,
prima di rivolgere un’occhiata omicida al nuovo venuto.
“Controllati anche tu, Nessie...”, disse Nathe, tenendomi per mano.
“Cosa vuoi, lurido verme schifoso?”, sputò fuori
dai denti Jacob, acido. “Cosa? Ce l’hai con me, ammasso
di muscoli? Togliti, voglio parlare con Amy.”, rispose Jordan, con tono
strafottente. Amy per tutta risposta prese per un braccio Jacob e lo fece
spostare, portandosi faccia a faccia con il ragazzo.
“Amy ascoltami, io...”. Non fece in tempo a finire la frase che uno
schiaffo veloce, potente ed inaspettato gli arrivò dritto in pieno viso.
“Non osare mai più rivolgermi la parola, brutto porco
che non sei altro.”, sibilò Amy, prima di dargli le spalle.
“Amy, aspetta...” “Non hai sentito cosa ti ha detto? O
devo fartelo capire in un altro modo?”, disse minaccioso Jacob,
prendendolo per il giubbotto e alzandolo da terra.
“Jake, lascialo perdere...Non vale la pena che tu perda del tempo con
quell’essere. Grazie del passaggio, ci vediamo dopo all’uscita...”, disse
Amy, dando un bacio sulla guancia all’enorme ragazzo dopo che lui lasciò cadere
in terra Jordan. Alla fine di tutto ci avviammo all’entrata, proprio mentre la
campanella annunciava l’inizio delle lezioni. “Direi
che ti sei ripresa quasi del tutto, Amy...Gli hai mollato un ceffone che gli
lascerà il segno per le prossime due ore!”, le dissi, subito dopo aver
preso posto ai nostri banchi. Lei mi guardò con aria soddisfatta.
“Eh, si...Mi dispiace solo di non averglielo tirato più
forte! Tu piuttosto...Credo che mi debba qualche spiegazione, cara Signorina
Cullen....”, replicò, prima di dare un’occhiata in direzione di Nathe.
Diventai rossa quasi quanto i miei capelli, sotto il suo sguardo indagatore.
Cavolo, quanto avrei voluto mostrarle tutto quanto...Presi un respiro profondo e
poi mi decisi a parlare. “Si, abbiamo fatto pace. Ieri
sera. Sono andata fino a casa sua e poi lui mi ha riaccompagnata...Ma siccome
era tardi l’ho fatto dormire da me.”. Amy poggiò la testa su una mano,
l’espressione di chi la sapeva molto lunga stampata in volto. Subito capii dove
voleva andare a parare, così arrossii ancora di più.
“Ma no, maliziosa che non sei altro! Mia madre e mio padre ci avrebbero buttato
fuori a calci...”. Lei sorrise ancora di più, prima di stamparmi un bacio
sulla guancia. “Meno male che avete sistemato
tutto...Stavo davvero iniziando a scocciarmi di tutto questo casino, sai? Si
vedeva lontano un chilometro che non potevate stare separati...”. La
guardai, un po’ imbarazzata, prima di sorriderle. Però adesso era il mio turno
di fare domande... “E tu, Amy...Che ne dici di Jacob?
Lo trovi così figo come un po’ di tempo fa?”. Stavolta fu lei ad
arrossire. Cercò invano di cambiare argomento, ma io non demordevo.
“E va bene, va bene! Si, lo trovo figo...Anzi no, non
solo figo. È disponibile, gentile, tenero...” “No, no, ferma...Non corriamo
troppo!”, la fermai, cercando di sistemare tutto quello che mi aveva
appena detto nell’ordine giusto. “Nessie, non mi
prendere per scema...Ma c’è qualcosa nel suo sguardo che...Non so, mi fa sentire
al sicuro.”, continuò lei, ancora più imbarazzata.
“C’è qualcosa sì!”, pensai, ridendo tra me e
me. “Cos’hai da ridere?” “Niente, Amy...Senti, se ti ci
trovi bene...Perchè non provi ad uscirci? È un ragazzo in gamba, sono sicura che
se vorrai nascerà qualcosa di importante...”. Amy sospirò e annuì, con lo
sguardo che trapelava un senso di speranza. Il resto della giornata trascorse
abbastanza tranquillamente; Jacob, dopo aver riaccompagnato Amy a casa, si fermò
a pranzo da noi. Decise di rimanere anche di pomeriggio, dato che la mamma aveva
sottolineato che ero in punizione e che quindi non potevo uscire di casa. Ci
sistemammo in camera mia, così potei raccontargli tutto quello che era successo
con Nathan il giorno precedente. “Nessie, tu sei
partita di testa. Come diavolo ti è venuto in mente di andare fino a Port
Angeles di corsa?”, disse lui, scuotendo la testa rassegnato.
“Era il modo più veloce, Jake...Non so se sarei riuscita a resistere ancora fino
a stamani mattina. Anche se mi è costato due settimane di reclusione non mi
interessa.”, risposi risoluta, scorrendo le canzoni dello stereo con il
telecomando. “Ah...Ho parlato di te con Amy,
stamattina...”. Jacob si drizzò sulla sedia come un fulmine, mettendosi
per bene e dedicandomi tutta la sua attenzione. “Che ti
ha detto?”, domandò lui impaziente. Lo guardai sorridente, notando quanta
tenerezza potesse fare un ragazzo grande e grosso a sentir parlare della sua
bella. “Che potrebbe funzionare tra voi...”. Lui
sembrava dover svenire da un momento all’altro dalla felicità.
“Che bello...”. Sì, stava sognando ad occhi
aperti.“Ascoltami bene, Jacob Black. Amy è la mia
migliore amica...Se ti azzardi a farla soffrire sarai l’unico lupo a non avere
una coda. Chiaro?”, dissi, con un tono che non ammetteva repliche. Jacob
mi guardò leggermente impaurito, ma poi mi abbracciò forte, sollevandomi da
terra e facendomi volteggiare, completamente fuori di sé dalla gioia.
“Grazie grazie grazie grazie grazie sorellina!”.
Quando mi rimise a terra potei vedere il suo sorriso allargarsi ancora di più.
Strappai un pezzo di carta da uno dei fogli che avevo sulla scrivania e gli
scrissi il numero di cellulare di Amy. “Chiamala appena
puoi.”. Jake era raggiante...Mi dette un grosso e bollente bacio sulla
guancia e si precipitò alla riserva, dove di sicuro avrebbe passato molto tempo
al telefono.
Finalmente, dopo due settimane di punizione
la mamma acconsentì a farmi uscire. Quel pomeriggio decisi di andare da Amy, con
la speranza di non trovarci anche Jacob. Da quando erano usciti la prima volta,
lui mi faceva venire le crisi da quanto parlava della mia migliore amica ogni
volta che ci vedevamo. Qualche giorno prima fui addirittura costretta a chiudere
la telefonata con Nathe, dato che Jake aveva urgenza di dirmi di quanto fosse
stata bella Amy vestita in un certo modo. Anche lei però non era da meno...Mi
stava elencando tutto quello che le piaceva di lui, gli occhi azzurri che
brillavano ad ogni sua parola. “...Oh, Nessie, spero
proprio che vada tutto bene...Jacob è così...” “Si, si, Amy...Me lo hai già
ripetuto stamani a scuola!” “Scusami...È che mi sento così bene...” “Meglio
così! Ti ha già portata alla spiaggia della riserva?”, le chiesi, curiosa
di scoprire se la tattica amorosa di Jake fosse cambiata o meno.
“No, ci andiamo stasera. Passa a prendermi dopo
cena...”, rispose Amy, il sorriso stampato in faccia. Dopo qualche
minuto mi accorsi che erano quasi le cinque, quindi decisi di tornare a casa.
“Mi raccomando Amy, domani voglio sapere tutti i
dettagli. Divertiti...E saluta Jake da parte mia!” “Lo farò! Ci vediamo Nessie!”,
disse, prima di darmi un bacio sulla guancia. Appena salii in macchina il
cellulare squillò. “Ciao stellina! Che fai?” “Nathe!
Sono in macchina, sto tornando a casa...Ero da Amy, mi ha fatto esaurire con
tutto quel parlare di Jacob!”. Nathe, dall’altra parte del telefono
scoppiò a ridere, divertito. Appena si fu ripreso continuò:
“Che fai stasera?” “Credo di stare a casa...Se vuoi
possiamo vederci! Vengo io da te?” “Si, forse è meglio...Helen vieni qua, ti ho
già detto che devi restare nel giardino! Oddio sto impazzendo...”, disse
lui sospirando. A quanto pareva stava facendo da baby-sitter alla cuginetta.
“I tuoi non ci sono?” “No, sono in casa...Però stasera
vanno a cena fuori, quindi mi tocca restare con la peste...” “Va bene, vengo a
darti una mano...Arrivo dopo cena! Un bacione, piccolo...” “Ti amo, Nessie.”.
Sorrisi, mentre il cuore saltava un battito. “Ti amo
anche io.”, risposi, prima di chiudere la chiamata. Cinque minuti dopo
imboccai il vialetto di casa, ancora con il sorriso stampato sulle labbra. Notai
che dentro c’erano solo il nonno e i miei genitori; gli altri dovevano essere
andati a fare shopping, visto che la BMW di zia Rose non era nel garage. Salutai
tutti, raccontai la storia di Jake ed Amy e poi andai in camera mia. Avevo
voglia di rilassarmi, così decisi di stendermi un po’ sul letto ad ascoltare la
musica. Dopo un po’ scesi giù in salotto, dove il nonno e papà stavano parlando
di come produrre un particolare vaccino contro non so quale malattia. Io mi
sedetti sul divano, accanto alla mamma, che stava guardando una telenovela
spagnola in televisione. Era passata circa mezz’ora quando il cellulare del
nonno iniziò a squillare frenetico. Strano...Di solito non lo chiamavano se non
era una cosa urgente. “Pronto?” “Dottor Cullen, sono il
Dottor Anderson, dall’ospedale di Port Angeles.” “Mi dica.” “Abbiamo bisogno di
lei, c’è stato un incidente gravissimo. La vittima ha 17 anni ed è in stato di
incoscienza, non riusciamo a rianimarla.”. L’espressione professionale
del nonno si fece preoccupata. Aveva sempre avuto a cuore la salute dei suoi
pazienti. “Dottore, potrebbe darmi maggiori
informazioni riguardo l’incidente?” “Si, certo. Sembra che il ragazzo sia stato
investito da una macchina che non lo ha visto. A quanto hanno riferito i
testimoni, si è precipitato in strada per spingere via una bambina.”. Il
nonno guardò mio padre, con un’aria strana. “Sa dirmi
altro?” “Uno dei testimoni si chiama...Benjamin Cheney. Il ragazzo è suo
nipote.”. I miei diventarono statue. Papà aveva smesso di respirare,
mentre il nonno aveva chiuso la chiamata e veloce come un fulmine si era
precipitato nel suo studio a prendere la sua valigetta. Mio padre guardò la
mamma con una strana espressione, facendo scorrere i suoi occhi dal suo viso al
mio. “Edward che succede?”. Lui scosse la testa,
l’espressione preoccupata ancora stampata in volto. Continuava a guardarmi,
senza dire niente. Appena il nonno ricomparve si fiondò fuori dalla porta, senza
proferire parola. Un minuto dopo la sua Mercedes era già sparita lungo il
vialetto. “Papà...” “Renesmee, siediti per favore.”.
Mio padre sospirò, prendendomi una mano. Sentivo l’agitazione salire, mentre la
sua espressione si faceva sempre più cupa. “Papà, ti
prego dimmi perché mi stai guardando così...” “Nessie, c’è stato un incidente, a
Port Angeles...”, disse, mentre il mio cuore stava iniziando a battere
sempre più veloce. La paura che fino a quel momento avevo cercato di ignorare
iniziò ad impadronirsi di me, con una forza che mi stava dilaniando l’anima.
“Continua...”, sussurrai, sentendomi mancare
l’aria. Papà deglutì, poi continuò: “Ecco...Hanno
investito un ragazzo...”. La testa iniziò a girarmi furiosamente, mentre
sentivo già le lacrime pungere. “Si tratta di Nathan.”,
disse lui, abbracciandomi forte. Sentii un dolore lancinante al petto, come se
fossi stata appena trafitta da mille lame. Rimasi interdetta per qualche
secondo, prima che la mia vista si oscurasse e i miei sensi si annebbiassero del
tutto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Cap. 8 - Nell'oscurità ***
Nuova pagina 1
Salve
a tutti!!
Finalmente,
dopo un’eternità, sono riuscita a finire il capitolo…Mi scuso per il
ritardo, ma tra vacanze ed esami alle porte non ho proprio avuto tempo di
mettermi a scrivere…Spero che mi perdoniate!!
Un
grazie infinito a chi legge, recensisce ed ha aggiunto la storia tra le
preferite e le seguite…
Fatemi
sapere cosa ne pensate del capitolo…Sono nelle vostre mani!!
Un
bacione, e ancora perdono per il ritardo!
Lady
Anderson
Cap. 8 – Nell’oscurità
“Jake,
accelera...” “C’è traffico, Amy, più di così non posso andare...E
SPOSTATI, DANNATO IMBECILLE!”. Il
paesaggio scorreva fuori dal finestrino, mentre Jacob imprecava come poche altre
volte gli avevo sentito fare. Amy era seduta accanto a me, sui sedili posteriori
della Volvo di mio padre. “Nessie, stai calma...Su...”,
mi ripeteva, mentre mi cullava e mi accarezzava la testa, abbandonata sulla sua
spalla. Ormai gli scossoni avevano lasciato il posto alle lacrime, che
silenziose non volevano smettere di rigarmi il viso. Erano passati circa
venticinque minuti da quando eravamo partiti; ci eravamo messi in viaggio appena
ripresi i sensi. La mia mente, ancora confusa, faceva fatica ad elaborare
qualsiasi cosa, tranne le parole che mio padre mi aveva riferito. Le sentivo
vorticarmi in testa, instancabili, negandomi qualsiasi tipo di sensazione
diversa dal dolore. Tutto quello che avevo intorno, comprese le parole
sussurrate di Amy e le imprecazioni di Jake, mi giungeva come qualcosa di
lontano, ovattato. “Hai avuto notizie da Carlisle?”,
mi chiese Jacob, dando ogni tanto un’occhiata allo specchietto retrovisore. In
tutta risposta, mi limitai a scrollare le spalle, mentre la mia migliore amica
mi stringeva ancora di più. Il resto del viaggio verso l’ospedale di Port
Angeles proseguì, almeno per me, nel silenzio quasi assoluto. Ogni tanto Amy,
seppur stravolta almeno la metà di quanto lo ero io, cercava di tirarmi su di
morale, o almeno di farmi smettere di piangere. Quando arrivammo a destinazione
ci dirigemmo subito al Pronto Soccorso. C’era un sacco di gente seduta nella
sala di attesa…La mia attenzione fu attirata da un bambino. Era seduto in
braccio a sua madre, con un asciugamano avvolto intorno ad un braccio. Quello
che però mi fece spaventare a morte era il colore di quella benda improvvisata.
Rimasi immobile, lo sguardo finalmente sgombro dalle lacrime fisso su quel
bambino, mentre la gola stava iniziando a prendermi fuoco. “Ecco
l’infermiere. Possiamo chiedere a…Nessie?”,
disse Jacob, interrompendosi quando si accorse della mia espressione. Appena capì
quello che mi stava succedendo mi poggiò una mano sulla spalla, cercando di
smuovermi dalla mia posizione. “Renesmee,
andiamo a cercare tuo nonno…”. Vedendo che
non accennavo minimamente a muovermi, mi prese per un braccio e mi tirò forte
verso di sé. Con uno scatto fulmineo gli afferrai il polso con la mano libera,
digrignando involontariamente i denti. Ci fissammo per un istante che sembrò
infinito, sotto lo sguardo confuso di Amy. “Nathe.”,
mi sussurrò, cercando di farmi rinsavire. Appena mi resi conto di quello che
avevo fatto ritirai subito entrambe le braccia, portandole dietro la schiena.
Jacob continuò ad analizzarmi sospettoso, guardando ogni tanto in direzione di
quel bambino. Mi avvicinai di nuovo a lui, sfiorandogli la mano con le dita. “Scusami,
Jake. Non volevo. Ho tutto sotto controllo.” “Stai
bene?”, chiese lui, preoccupato. Sospirai
pesantemente e annuii, avviandomi a passo incerto verso l’accettazione del
Pronto Soccorso. Un infermiere sulla quarantina stava compilando pigramente
alcuni fogli. “Ehm…Mi scusi…”,
iniziò Amy, che nel frattempo era apparsa accanto a me insieme a Jacob.
L’infermiere ci squadrò da capo a piedi, poi parlò: “Di
cosa avete bisogno?” “Vorremmo parlare con il Dottor Cullen…”,
proseguì Jacob. “Mi dispiace, non è
possibile. Al momento è in sala operatoria.”.
Al suono di quelle parole la testa iniziò di nuovo a girarmi. “Posso
sapere chi lo cerca?”. L’uomo ci guardò di nuovo, in attesa di una
risposta. Dopo qualche minuto parlai: “Sua nipote.”,
dissi atona, sorpresa dallo strano rantolio che accompagnò le mie parole. Per
non so quale motivo l’infermiere non sembrava credermi, tuttavia ci disse di
andare al primo piano, dove c’erano i reparti di Rianimazione
e Terapia Intensiva. “Non potete assolutamente
entrare in reparto, né in sala operatoria. State in sala di attesa, il Dottor
Cullen passerà sicuramente di li quando avrà fatto.”.
Amy ringraziò, imitata subito da Jacob. Appena arrivammo dove ci era stato
detto di andare mi sentii sprofondare ancora di più. Il corridoio era lungo e
spoglio; non si riusciva ad intravedere altro che la luce della finestra dal
portone chiuso del reparto. Fissai per un attimo quella parete di vetro, prima
di abbandonarmi su una delle poltroncine della sala. Il forte odore di prodotti
per la pulizia mi stava facendo venire la nausea. Mi presi le ginocchia fra le
mani, nascondendovi il viso. Senza che me accorgessi, le lacrime iniziarono ad
uscirmi di nuovo dagli occhi che bruciavano, mentre i singhiozzi mi scuotevano
senza pietà.
Non
so quanto tempo trascorremmo seduti lì, ma dalle finestre del corridoio potevo
vedere che il sole stava lentamente scomparendo dietro l’orizzonte, infuocando
il cielo. All’interno della sala regnava un silenzio surreale, interrotto solo
dai sospiri pesanti di Jacob ed Amy. Io ormai ero caduta in uno stato di quasi
trance, incapace di pensare a qualcosa che non mi facesse tornare in mente le
parole di mio padre. Ad un certo punto io e Jake ci girammo contemporaneamente
verso la porta d’ingresso della sala: dei passi affrettati e nervosi si
stavano dirigendo verso di noi. Dopo qualche minuto gli zii di Nathe comparvero
nella sala d’aspetto, le facce sconvolte e preoccupate. “Ragazzi...Avete
avuto notizie? Purtroppo non abbiamo potuto fare più presto di così...”,
disse Ben, abbracciando Angela. Alzai lo sguardo verso di loro, scuotendo la
testa. Angela sospirò nuovamente e si abbandonò su una delle poltroncine,
distrutta. Suo marito la imitò, prendendole la mano. Una ventina di minuti dopo
si aprirono le porte della sala operatoria: scattammo tutti in piedi, in attesa
dell’arrivo del nonno. Al suo posto però si presentò un altro medico, il
camice bianco a coprire la divisa macchiata di sangue. “I
parenti del ragazzo?”, domandò, togliendosi la mascherina dal viso. I
Signori Cheney fecero un passo avanti, silenziosi. “Sono
il Dottor Anderson. Abbiamo appena finito l’intervento...”. Il
respiro mi si mozzò in gola mentre sentivo il petto esplodermi. “...È
fuori pericolo, ma ci vorrà un po’ di tempo prima che si svegli. Per fortuna
siamo intervenuti in tempo.” “Si riprenderà del tutto?”, chiese
Ben titubante. Il dottore aspettò qualche attimo prima di rispondere. “Non
lo sappiamo ancora. Dovremo aspettare che inizi a migliorare.”, disse,
in tono dispiaciuto. Io tornai a sedermi, spaesata. Amy mi imitò e mi cinse le
spalle con un braccio, stringendomi a sé. Poco tempo dopo dalla sala uscirono
alcuni infermieri, intenti tirare
un letto facendo attenzione. “Nathan!”,
disse Angela, correndo verso di loro. Un pianto straziante interruppe il
momentaneo silenzio che si era creato, e fu allora che la mia tortura iniziò di
nuovo. “Nathe, tesoro mio...Nathe...”
“Signora, la prego, ci lasci passare.”, disse uno degli infermieri,
spostando delicatamente Angela. Ben le fu subito accanto, chiedendo scusa al
posto suo. Il Dottor Anderson disse ad entrambi di seguirlo nel suo studio, così
si allontanarono lasciandoci in sala d’aspetto. “Nessie...Nessie?”,
mi chiamò Jacob, dandomi una piccola scrollata di spalle. Lo guardai per
qualche secondo, spaesata. Spostai di nuovo lo sguardo verso gli infermieri, che
intanto si stavano avvicinando a noi. Appena ci passarono davanti sentii un
dolore lancinante al petto. Nathe era pieno di tubi, coperto fino alle spalle da
un lenzuolo. Sul viso graffiato aveva una mascherina, collegata ad una piccola
bombola trasportata da uno degli infermieri. L’odore del suo sangue, contenuto
in una specie di drenaggio, mi fece girare vorticosamente la testa. Ma non mi
feci sconvolgere, come era successo prima al Pronto Soccorso con quel bambino:
l’idea di cedere alla mia parte vampira non mi sfiorò neanche lontanamente.
Jacob mi strinse un braccio, analizzando il mio sguardo mentre Amy ci guardava,
di nuovo confusa da quel nostro strano comportamento. Io seguii con gli occhi il
letto sul quale era steso Nathe, incapace di muovere anche un solo muscolo.
Quando gli infermieri scomparvero dietro la porta del reparto, sentii che tutto
nella mia testa si stava offuscando di nuovo. Mi appoggiai contro la parete,
portandomi le mani ai capelli. “Renesmee ti senti
bene?”, mi chiese Amy. La guardai spaesata, prima di accorgermi che
anche un’altra figura dal camice bianco stava uscendo dalla sala operatoria. “Nonno...”.
Lui si avvicinò, il passo più pesante del solito. “Nonno,
com’è andata l’operazione? Il Dottor Anderson ha detto che...” “Nessie,
calmati...Venite, andiamo in camera di Nathe.”. Il nonno mi guardava
con un’aria strana, che non riuscivo a decifrare. Ci fece indossare dei
copriscarpe, e poi ci disse di seguirlo. Il senso di stordimento che mi aveva
assalito poco tempo prima si ripresentò non appena entrammo in quella piccola
stanza. Il silenzio era interrotto solo dal rumore lento e continuo
dell’elettrocardiogramma posto accanto al letto, dove Nathe giaceva immobile. “Ragazzi...
Non preoccupatevi, è davvero fuori pericolo.”. Jacob ed Amy tirarono
un sospiro di sollievo, ma qualcosa mi disse che quello che aveva detto il nonno
non era tutto. “C’è dell’altro, vero?”,
chiesi, con quel filo di voce che ero riuscita a tirare fuori. Il nonno mi guardò,
poi prese un profondo respiro e continuò. “...Sedetevi,
vi prego.” “Nonno, dimmi che altro c’è...”, lo supplicai, ormai
in preda all’agitazione. “...Abbiamo operato senza
anestesia.” “Ma Carlisle, com’è possibile?”, intervenne Jacob,
sorpreso da quell’affermazione. Il nonno aspettò qualche secondo, prima di
proseguire. “Non ce n’è stato bisogno...”,
disse con aria grave. “È in coma.”, sussurrò.
Amy si portò le mani alla bocca, mentre si appoggiava a Jacob. Io rimasi
immobile, senza respirare. Il nonno mi prese per mano e mi strinse
delicatamente. Inerte, mi abbandonai contro il suo corpo marmoreo, lo sguardo
spento che si perse fuori dalla finestra. “Ragazzi,
andate a casa...Resto io con lei fino a che non si riprende.”
“Carlisle...” “No, Jacob, non ti preoccupare. Fra poco dovrebbero arrivare
anche gli altri...”, proseguì il nonno, guardando Jake in un modo
abbastanza eloquente. Non voleva che Amy vedesse più di quanto non avesse già
visto. “Ok, allora ci vediamo domani...Andiamo, Amy,
ti riaccompagno a casa.”, disse, prendendola per mano. Lei esitò
qualche istante, poi si avvicinò a me. “Nessie, per
qualsiasi cosa...”. Io annuii distrattamente, cogliendo il senso di
quello che voleva dirmi. “Grazie Amy.”,
sussurrai con uno sforzo enorme, ancora stretta a mio nonno. Lei sospirò, mi
dette un bacio sui capelli e poi andò via, al fianco di Jacob.
Quando ormai era
buio, dopo che anche i signori
Cheney fecero ritorno a casa, arrivarono i miei. Ancora prima che entrassero
nella stanza in cui si trovava Nathe il nonno uscì, fermandosi a parlare con
loro della situazione. Non lo seguii: da quando avevo trovato la forza di
staccarmi da lui ero rimasta a sedere su una delle poltroncine della camera,
vicina al letto, senza muovermi di un centimetro, con la testa appoggiata sulle
ginocchia. I miei occhi, ormai privi di vita e di lacrime da versare, erano
fissi sulle piccole e regolari onde verdi trasmesse sul monitor di quel dannato
elettrocardiogramma, dal quale partiva uno dei tanti fili che finivano sul corpo
di Nathe. Non mi accorsi neanche che qualcuno mi aveva abbracciato da dietro le
spalle. Zia Rosalie, a giudicare dall’odore. Ad un certo, punto il mio campo
visivo fu invaso dalla figura di mia madre. “Oh,
piccola mia...”, disse, accarezzandomi dolcemente il viso. Senza
rendermene conto mi ritrovai seduta in braccio a lei, mentre mi cullava e mi
sussurrava parole di conforto. Parole che non riuscivo a decifrare, dato che
arrivavano alla mia testa come se provenissero da un altro mondo. “Allora,
Carlisle...Cosa farete adesso?”, disse mio padre, preoccupato. Sentivo
il suo sguardo posarsi su di me ogni tanto, come se fosse preoccupato più per
la mia salute che per quella del mio ragazzo. Il nonno sospirò, attese qualche
attimo e poi parlò: “Dobbiamo aspettare che inizi a
migliorare...Almeno per capire se ci saranno danni permanenti o meno. Tu riesci
a sentirlo?”, domandò a mio padre, pensieroso. I miei occhi guizzarono
su di lui, improvvisamente attenti. “Solo un piccolo
ronzio ovattato. Niente pensieri concreti.”. Rimasero a fissarsi per
qualche secondo, prima che mio padre smettesse di respirare. “No,
Carlisle, non adesso. È già abbastanza sconvolta.”, disse sottovoce,
spostando di nuovo lo sguardo verso di me. “Che c’è?
Cosa non potete dirmi?”, domandai agitata, ritrovando la voce. Mia
madre mi strinse ancora di più, cercando di tranquillizzarmi. “Nessie...”
“No, voglio sapere di cosa state parlando!”. Papà gettò
un’occhiata a mio zio Jasper e poi si inginocchiò davanti a me, scrutando il
mio viso, preoccupato. “Dai, Nessie, calmati. Ne
parliamo quando sarai più riposata.” “TI HO DETTO CHE VOGLIO SAPERE TUTTO
ADESSO!”, urlai, cercando di liberami dalla stretta della mamma. Lui
continuò a guardarmi in silenzio, l’espressione corrucciata da una vena di
dolore. Dopo qualche minuto sentii una calma non mia invadermi completamente,
annebbiandomi tutti i sensi. “Sei disonesto, papà...Così
è fin troppo facile...”, gli dissi in un sussurro velato di
risentimento. “Scusami, tesoro... Affronteremo
l’argomento più avanti. Adesso andiamo a casa, hai bisogno di una bella
dormita.” “No. Io resto qui.”. Tutti mi guardarono, confusi. “Renesmee
non dire sciocchezze...” “Mamma, ti ho detto che resto qui, punto e
basta.”. Sia lei che mio padre sospirarono, rassegnati. “Nessie,
per favore, non fare la bambina...”, disse papà, con tono di
rimprovero. Stavo per replicare ancora, quando zia Alice ci interruppe. “Sta
arrivando qualcuno. Dobbiamo andare.” Con un salto silenzioso e
aggraziato uscì dalla finestra, seguita subito da zio Jasper. “Nonno
per favore fammi rimanere con lui...”, lo implorai, mentre la mamma si
stava apprestando ad uscire. Lui guardò per un attimo papà, poi alla fine
acconsentirono entrambi. “E va bene, resta! Occhio a
quello che fai, e soprattutto attenta a chi incontri. Ti ricordo che sei in un
ospedale. Potresti perdere il controllo.”, mi ammonì papà, serio. “Saprò
dominare i miei istinti.” , gli dissi mentalmente, mentre lo
guardavo con un’espressione neutra. Lui annuì, e dopo avermi dato un bacio
sui capelli scomparì fuori dalla finestra insieme alla mamma. Il nonno
mi passò un braccio intorno alle spalle, poi uscì dalla camera e si
diresse verso il suo studio. Nel silenzio squarciato da quel bip insistente,
tornai a sedermi sulla poltroncina vicino a Nathe, appoggiando la testa sul suo
letto. Facendo attenzione gli presi la mano, stringendola delicatamente. Lasciai
fluire i miei pensieri, sperando che venissero recepiti anche da lui. Dopo non
so quanto tempo mi addormentai, ancora con le dita intrecciate a quelle immobili
del mio ragazzo, sperando con tutta me stessa di uscire al più presto da
quell’incubo.
I due giorni
successivi furono segnati da un grande via vai di medici e infermieri dalla
stanza di Nathe. Io ero rimasta li con lui, senza lasciarlo solo nemmeno un
attimo, nonostante mi fosse stato detto più volte di tornare a casa. A quelle
parole avevo sempre risposto con uno sguardo piuttosto significativo,
sufficiente a far demordere chiunque volesse mandarmi via. Quella sera, fu il
nonno in persona a venire a verificare le condizioni di Nathe. “Allora,
vediamo un po’...Nessie, devo togliergli le bende...Sei sicura di voler
restare?” “Si nonno, non ti preoccupare.”, gli risposi, con un filo
di voce. Aiutato da due infermiere, iniziò a togliere delicatamente le fasce
bianche che gli avvolgevano l’intero torace. “Perché
ha quelle fasce?”, domandai, immaginando già la risposta. “Aveva
tre costole rotte...Una si era inclinata pericolosamente verso il polmone
destro, così abbiamo dovuto operare anche in questo punto.”, disse il
nonno, con aria professionale ma preoccupata. No, non era la risposta che avevo
immaginato. Era molto, molto peggio. Lui mi gettò un’occhiata veloce, prima
di iniziare a medicare la ferita. Alla vista della lunga cicatrice che
attraversava il petto di Nathe, ancora rossa e sporca di sangue, fui assalita da
un senso di vertigine che mi sconvolse ancora di più. Una delle infermiere se
ne accorse. “Stai tranquilla, cara, il tuo ragazzo è
in ottime mani.” “Ti ringrazio, Stephenie.”, rispose cortesemente
il nonno, sorridendo alla donna che lo stava aiutando. Notai un lampo di gioia
passare sul volto di quell’infermiera; evidentemente era una delle tante che
era rimasta colpita dalla bellezza del Dottor Carlisle Cullen. Restai in
silenzio ad osservare tutto quello che stava facendo, ma non riuscii a mantenere
lo sguardo sulla siringa con cui stavano prelevando il sangue di Nathe. “Ho
quasi finito, Nessie...”, mi sussurrò, in modo che solo io potessi
sentirlo. Come aveva detto, passata una decina di minuti finì la visita di
controllo, e dopo avermi dato un bacio sulla fronte uscì insieme alle
infermiere, lasciandomi di nuovo da sola. Di nuovo, come ormai facevo ogni
istante del giorno e della notte, presi la mano di Nathe, e iniziai ad
accarezzargli il viso. Vederlo steso in quel letto, immobile, mi provocava un
dolore immenso al cuore. Era come se mi stesse sanguinando, senza aver
intenzione di smettere. Rimasi una buona mezz’ora seduta accanto a Nathe,
scorsi il nonno appoggiato allo stipite della porta. Gli sorrisi debolmente,
prima di riprendere posto sulla poltroncina. “Come
sta?”, gli chiesi, cercando di sembrare tranquilla. “L’intervento
è andato bene...Le analisi sono quasi regolari...” “Però?” “...Però
devo fare alcuni test per...Oh, Edward, Bella...Che ci fate qui?”.
Assorto com’era non si era accorto che i miei genitori erano entrati in
camera. Il nonno chiuse subito la porta, mentre la mamma aveva già preso posto
accanto a me. “Ci sono novità? È migliorato?”,
chiese papà, scrutando attentamente il mio sguardo, per poi posarlo sul nonno.
Dopo qualche attimo di silenzio parlò di nuovo. “Ho
capito. Se vuoi ti aiuto io.”. Il nonno annuì, uscendo poco dopo dalla
stanza. “Nessie, tesoro, vieni a casa. Hai bisogno di
mangiare e riposarti come si deve. Ti stanno tornando persino le occhiaie...Noi
stasera andiamo a caccia, se vuoi....”. Non feci in tempo a replicare
che il nonno rientrò, con alcuni strumenti in mano. “Dai,
Edward, proviamo a vedere se reagisce.”. In silenzio, iniziarono a
toccare alcune zone specifiche del corpo di Nathe, senza però riscontrare
alcuna risposta. Provarono per una ventina di minuti, ma niente. Nathe non
reagiva. Il nonno decise di non proseguire oltre, sospirando pesantemente. “Questa
non ci voleva. Le lesioni alla colonna vertebrale sono troppo gravi.”.
Il mio cuore mancò un battito. “Come sarebbe a
dire?”, sbottai all’improvviso, livida in volto. “Renesmee...”
“No, papà, non provare ad incantarmi con i tuoi soliti discorsi. Voglio
sapere cos’ha Nathe. Adesso.”. Il nonno mi guardò triste. “Piccola,
l’incidente è stato molto grave, lo sai. Adesso che so che non risponde agli
stimoli nervosi, non posso escludere...”. Si interruppe, a disagio. Lo
esortai a continuare con uno sguardo risoluto. “Non
posso escludere l’ipotesi di una paralisi parziale.”. Diretto.
Freddo. Quasi spietato. Come solo i medici potevano essere. Nella stanza scese
un silenzio tombale, ad eccezione dell’ormai onnipresente bip lento e
costante. Il nonno non riuscì a guardarmi negli occhi, così si dedicò alla
cartella clinica di Nathe, appuntandovi sopra qualcosa a mano. “Nessie...Nessie,
dì qualcosa, per favore...”. La mamma mi stava scuotendo, cercando di
riportarmi alla realtà. Ma io non la sentivo. Non sentivo niente, tranne che
l’eco di quelle parole pronunciate così direttamente. Avrei voluto urlare di
dolore, ma la mia voce non aveva intenzione di uscire fuori. Mi accorsi che papà
mi aveva preso per mano, dirigendosi verso la porta della stanza. Appena
realizzai cosa stava facendo strattonai il braccio, facendogli perdere la presa.
“Renesmee, non fare storie. Devi venire a
casa.” “Te lo puoi scordare.”.
Lui mi guardò con gli occhi sgranati, prima di assumere un cipiglio severo. “Nessie,
non mi far perdere la pazienza.” “Ti
ho detto che non mi muovo da qui.”. Notando la tensione che si
stava creando tra me e mio padre, la mamma decise di intervenire: “Edward,
lasciala stare. Dai tesoro, vieni con noi a caccia, così ti sentirai meglio.
Dopo potrai tornare da Nathe.”. Mi prese per mano, guardandomi
supplichevole. “Me ne frego della fame, della sete o della
stanchezza.”, le dissi mentalmente. “Renesmee,
per favore...” “No, mamma. Se volete
che me ne vada, Nathe deve venire con me.”. Mio padre scosse la
testa ed uscì come una furia dalla stanza. Nonostante il sibilo riuscii a
distinguere le parole “bambina” e “odiosi capricci”. La mamma e il nonno
sospirarono. “Sei sicura di voler restare allora?” “Starò qui fino a che non avrò la certezza che si riprenderà del
tutto.”. Senza dire
niente, mia madre mi dette un bacio sulla guancia e si avviò fuori. Il nonno
continuava a guardarmi in silenzio, come se si sentisse in colpa per quello che
aveva rivelato. Appena cercò di parlare un’infermiera bussò alla porta,
troncandogli le parole sulla bocca. “Dottore, mi
scusi. Il Dottor Anderson vorrebbe parlarle.” “Digli che sto arrivando.”,
rispose atono, senza staccarmi gli occhi di dosso. “Mi
dispiace...”, sussurrò dopo qualche attimo, prima di uscire anche lui.
Rimasi a fissare il corpo immobile di Nathe per un tempo infinito, prima di
accorgermi di avere, ancora una volta, le guance inondate di lacrime.
Quelle che seguirono
furono due settimane di vero e proprio inferno. Ogni sera mia madre veniva
all’ospedale, accompagnata sempre da qualcuno di diverso: quando mia zia
Rosalie, quando la nonna, quando Jacob...Una volta provò a portarsi dietro
persino il nonno Charlie. Tentava sempre di convincermi a tornare a casa, anche
solo per un’ora o due, giusto il tempo di mangiare o riposarmi un po’. Ma la
mia risposta era sempre un silenzioso ma assordante No espresso mentalmente.
Quello che mi fece male fu il fatto che mio padre non si era più fatto vedere
da quando avevamo avuto quella piccola discussione a suon di pensieri. Come se
non bastasse, Nathe non mostrava segni di miglioramento. Era ancora presto per
dare un giudizio sulla sua guarigione, ma i discorsi di mio nonno e del Dottor
Anderson mi facevano sprofondare sempre di più in un baratro senza fine. La
paura di non poter più rivedere gli splendidi occhi di Nathe accendersi di
vita, di non poter più sfiorargli le labbra ogni volta che avevo voglia di
sentire il loro sapore si stava radicando in me, trasformandosi in una terribile
certezza. In quei giorni avevo pregato, supplicato che si svegliasse, pianto
silenziosamente tenendogli la mano ferma e coperta di tubi, implorandolo
attraverso i miei pensieri di tornare da me. Ora che lo stavo perdendo davvero,
non potei fare a meno di constatare che era diventato la mia ragione di vita.
Una notte, durante un temporale, non potei fare a meno di chiedermi cosa avrei
fatto senza di lui. “Non
sono niente senza di te...Ti prego Nathe...Svegliati...”.
All’improvviso la porta della stanza si aprì di colpo, facendomi sobbalzare.
Mio padre e mia madre entrarono silenziosi, seguiti dalla zia Alice e la zia
Rose. “Papà...Che
è successo?”, domandai mentalmente, notando il suo sguardo spento,
identico a quello della mamma. “Renesmee, c’è
qualcuno che desidera incontrarti.”, disse in un sussurro, porgendomi
un foglio ripiegato. Notando il mio smarrimento, mi incitò con gli occhi a
prendere quel foglio, facendosi ancora più cinereo. Lo aprii, esitante.
Caro Edward,
Spero che tu ti
ricordi di me.
Ho saputo che tua
figlia, Renesmee, ha finalmente raggiunto la maturità.
Date le mie ovvie
esigenze, sarei molto felice di rivederla presto.
Sono certo che sia
diventata una splendida ragazza, per questo vorrei cogliere l’occasione del
nostro incontro per chiederti il permesso di portarla con me.
Sarò dalle parti di
Seattle verso la fine del mese. Credo che passerò a farvi visita.
A presto,
Nahuel.
Con le mani che mi
tremavano come foglie e i battiti del cuore impazziti, restai a fissare quella
calligrafia perfetta e ordinata con la quale si era firmato Nahuel. L’unico
mezzo-vampiro esistente al mondo, tranne me. “...Per chiederti il permesso di portarla con
me...”. Papà ringhiò, nervoso. Il peso di quelle parole mi piombò
addosso in un istante. Il mio sguardo saettò verso Nathe, per poi posarsi sui
volti dei miei familiari. La zia Rose era fuori di sé, nonostante cercasse di
mantenere un contegno. Zia Alice non parlava, la mamma era ancora più pallida
del solito. Improvvisamente realizzai che Nahuel sarebbe venuto a prendermi
molto, molto presto. Alla fine del mese mancavano 10 giorni. “No...”,
sussurrai con una voce che non mi apparteneva, mentre dagli occhi sgorgavano
lacrime silenziose. Questo era veramente troppo. “Ho
bisogno...Ho bisogno...di aria...”, rantolai, alzandomi in piedi.
Barcollando, mi avviai fuori dalla stanza e mi diressi verso la finestra in
fondo al corridoio, fortunatamente deserto. La spalancai, e fui subito investita
dall’aria fredda e dalle gocce di pioggia. Dopo qualche secondo salii sul
davanzale e saltai giù. Appena i miei piedi toccarono terra, sentii la voce
della zia Alice, fredda e distaccata. Capendo cosa stava succedendo, iniziai a
correre più velocemente che potevo. Ad un certo punto, la voce spezzata della
mamma mi raggiunse, seguita da quella della zia Rose: “NOOOO!
NESSIEEEE!!!” “Bella, lasciala andare. Tanya saprà prendersi cura di
lei.”.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Cap. 9 - Lontano da tutto ***
Buona
sera!
Ecco
a voi il nono capitolo della storia. Spero vi piaccia!
Lady
Anderson
Cap. 9 – LONTANO DA TUTTO
Era
incredibile quanto fosse bella la riserva di Denali. Una distesa sconfinata di
alberi si apriva davanti a i miei occhi come un grande oceano verde e bianco,
immobile nel silenzio di quella mattina. Di
tanto in tanto qualche piccolo animaletto correva qua e là, saltando
agile in mezzo alla neve illuminata
dalla pallida luce del sole. Iniziò di nuovo a nevicare. I fiocchi soffici
turbinavano nell’aria, trasportati dal vento in ogni direzione per poi posarsi
delicati al suolo. Attirata da quei movimenti così improvvisi allungai una
mano, facendovi posare sopra qualche cristallo di ghiaccio che si sciolse
immediatamente al calore della mia pelle. All’improvviso, sentii dei passi
delicati e leggeri avvicinarsi dietro di me, ovattati dalla neve che ricopriva
interamente il terreno. Una donna alta, bellissima, dai lunghi capelli
biondo-rossicci mi comparì accanto, senza dire una parola. Anche lei imitò il
mio gesto; levò la mano pallida e perfetta davanti a sé, osservando in
silenzio quei piccoli punti bianchi che erano rimasti sul suo palmo. Sospirò,
prima di sedersi. “Nessie...Come stai?”, mi
chiese, passandomi un braccio dietro la schiena. Mi limitai ad alzare le spalle,
ancora con lo sguardo fisso davanti a me. “Tua madre
ha chiamato di nuovo...È molto preoccupata, dovresti parlarle.”.
Annuii, in silenzio. Lei mi studiò per qualche minuto, prima di parlare di
nuovo. Mi costrinse a guardarla, accarezzandomi il viso delicatamente. Con un
dito mi sfiorò leggera gli zigomi, calcando la forma delle occhiaie viola scuro
che ormai da qualche giorno avevano trovato posto sotto i miei occhi. “Da
quanto tempo non mangi?” “Più di due settimane, credo.”, le risposi mentalmente,
approfittando del nostro contatto fisico. Lei sospirò di nuovo, scuotendo la
testa. “Ti vado a preparare qualcosa. O preferisci
cacciare? Ti accompagno, se vuoi...” “No,
Tanya, non importa. Non ho fame.”. Si alzò e incrociò le braccia
al petto, guardandomi con aria di rimprovero. “Non
puoi continuare così, Renesmee. Anche se sei una mezza-vampira non devi
sottovalutare il tuo bisogno di nutrimento. Che intenzioni hai?”. Alzai
gli occhi verso di lei, prima di rivolgere la mia attenzione ad un ciuffo
d’erba che spuntava solitario dalla neve. “Tanya...se
lui non ce la dovesse fare, io...io non...”. Non riuscii a proseguire.
La voce mi si spense in gola appena pensai a quello che mi ero lasciata dietro,
scappando via come una codarda da una realtà che non volevo accettare. Tanya mi
fissò con il suo scintillante sguardo d’ambra, seria. “Adesso
non iniziare a fare la bambina, Nessie. Sai bene quanto me che non gli succederà
niente, non se Carlisle si prende cura di lui.”. Calcò per bene
l’ultima frase, in modo da farmi capire direttamente che, se le cosse fossero
andate male, Nathe sarebbe diventato uno di noi. Un vampiro. Quell’immagine si
formò nella mia testa subito dopo: vidi il suo corpo diventare sempre più
pallido e perfetto, mentre la sua voce diveniva ancora più bella di quanto non
lo fosse già, mentre mi accarezzava una guancia con la sua mano ghiacciata. Ma
quello che mi fece impaurire fu la consapevolezza che non avrei mai più rivisto
i suoi occhi verde tenue. Nella mia mente si erano fatti rosso scarlatto…Gli
stessi che avevano avuto tutti i componenti della mia famiglia. Gli stessi che
aveva Aro. Scossi violentemente la testa, scacciando via quella visione che mi
aveva provocato di nuovo le lacrime. “Non voglio che
diventi così...” “Nessie, non ti preoccupare...Vedrai che si riprenderà.”.
Mi alzai, incapace di sostenere ancora quella conversazione. Tanya capì le mie
intenzioni, così si avviò verso casa. Dopo qualche attimo si fermò. “Kate
e Garrett hanno comprato una bella pizza gigante. Se vuoi, puoi aiutarci a non
buttarla via.”, disse senza voltarsi, per poi sparire dietro la porta.
Era
notte fonda ormai, quando decisi di andare a sdraiarmi un po’ sul letto
preparato apposta per me da Tanya, nella sua stanza. Dovevo ammettere che mi
sentivo leggermente meglio, dopo aver mangiato una pizza che avrebbe sfamato
come minimo cinque persone. Rimasi a fissare il soffitto buio per qualche
minuto, prima di accendere il mio cellulare. Non appena i messaggi di avviso che
qualcuno mi aveva cercato finirono di arrivare, composi velocemente il numero di
mio padre. Dopo neanche mezzo squillo mi rispose: “Renesmee,
tesoro…Stai bene?” “Ciao papà.”.
Sentendo la mia voce strascicata rimase in silenzio per qualche secondo. “Torna
a casa…Per favore…Tua madre sta impazzendo.”,
mi supplicò, prima che la mamma gli strappasse il telefono di mano. “Piccola
mia, ti prego…”, disse singhiozzando, incapace di versare lacrime.
Presi un respiro profondo. “Nathe?”.
Ancora silenzio. “Non ci sono novità.”,
mi rispose la mamma, con la voce spezzata. “Renesmee
ti imploro…Vieni a casa…” “Per adesso no, mamma. Voglio ancora stare
qui…Lontana da tutto. Ci sentiamo presto. Vi voglio bene.” “No, Nessie,
aspetta!”. Chiusi la chiamata e spensi di
nuovo il cellulare. Mi schiacciai il cuscino sulla faccia, in modo da soffocare
il respiro accelerato che mi stava facendo esplodere i polmoni. Poco dopo, il
bussare alla porta della camera mi fece sobbalzare. Mi asciugai in fretta le
lacrime e andai ad aprire. Tanya rimase immobile sulla soglia, silenziosa come
sempre. Mi prese per una mano e mi abbracciò forte, concedendomi la sua spalla
per sfogare tutta la mia frustrazione. Quando Tanya si accorse che mi ero
calmata un po’ sciolse l’abbraccio, guardandomi dolcemente. “Nessie,
ti va di vedere una cosa?”, mi chiese,
avviandosi fuori dalla stanza. Era ovvio che voleva essere seguita. Uscimmo di
casa, sprofondando nel buio ghiacciato di Denali. Ad un certo punto iniziò a
correre, così feci lo stesso. Dopo qualche minuto arrivammo sulla cima di un
crinale. Lo spettacolo che mi si parò davanti agli occhi non poteva essere
paragonato con nient’altro: da quel punto si poteva vedere l’intera riserva.
“Tanya…Perché mi hai portata qui?”.
Lei non rispose, limitandosi a sorridere. Poco dopo alzò gli occhi verso il
cielo, come se fosse estasiata. Delle lingue di fuoco verdi e viola si
estendevano fino all’orizzonte, muovendosi impercettibili sullo sfondo nero
della notte. “È l’Aurora Boreale. La vediamo
spesso da queste parti.”, disse Tanya, dando conferma alla mia ipotesi
inespressa. Non avevo mai visto niente di simile, nonostante fossimo venuti
tante volte alla riserva. “È…È semplicemente
bellissima.” “Io vengo sempre qui quando non voglio pensare.”.
Capii subito a cosa si riferiva. “Grazie, Tanya. Per
tutto quello che state facendo per me.”. Lei mi sorrise di nuovo, prima
di darmi un bacio sui capelli e sparire silenziosa nel buio. Era vero. Non
volevo pensare a niente. Rimanendo incantata da quello che avevo davanti agli
occhi svuotai la mente, riuscendo ad estraniarmi da tutto il resto. Forse quella
notte sarei riuscita a dormire.
La
mattina dopo mi fu particolarmente difficile svegliarmi. Finalmente, dopo circa
due settimane di insonnia, ero riuscita a passare più di tre ore consecutive
nel letto, concedendomi un po’ di sonno. L’odore forte del caffé invase i
miei sensi, così mi costrinsi ad aprire leggermente gli occhi. “Mamma...”,
mormorai a mezza voce. Nessuna comparsa repentina sulla porta. Strano...Dove si
era cacciata? La stanza era completamente buia, e mi ci volle qualche secondo
prima di mettere a fuoco tutto quanto e rendermi conto che non ero in camera
mia. Già...Casa mia era a più di 2000 chilometri di distanza da dove mi
trovavo adesso. Sospirai, passandomi una mano sul viso prima di alzarmi. Dopo
essermi vestita e sistemata andai nella grande e luminosa cucina-soggiorno di
Tanya e la sua famiglia. Tutta scena, ovviamente...“Buon
giorno Nessie! Hai dormito bene?”, mi salutò Kate, sorridente. “Buon
giorno anche a te...Diciamo di si, mi sono riposata un po’.”. Lei mi
passò una mano sui capelli e mezzo millesimo di secondo dopo mi mise sotto il
naso una bella tazza di caffé fumante. “Tieni...Bella
mi ha detto che la mattina fai sempre colazione così...”. Sorseggiai
un bel po’ di quella bontà bollente. “Hai sentito
la mamma?”. Kate si sedette di fronte a me, poggiandosi sui gomiti. “Si...Ha
chiamato un paio di volte mentre dormivi. Mi ha chiesto se ti eri ripresa almeno
un pochino...”. Ci pensai un attimo su. “Credo
di riuscire a sopravvivere...”, dissi in un sussurro, prima di
immergermi di nuovo nella mia tazza. Kate rimase a farmi compagnia finché non
ebbi finito; nel frattempo era arrivato anche Garrett. “Nessie,
noi andiamo in città. Fra poco dovrebbe rientrare anche Tanya, è uscita
stanotte per la caccia...Hai bisogno di qualcosa?”, mi chiese
gentilmente il grosso compagno di Kate. “No, Garrett,
ti ringrazio. Divertitevi!”. Lui mi sorrise ed uscì, sparendo
all’istante seguito dalla sua bella. Mi guardai intorno, cercando invano
qualcosa da fare. Analizzai tutti i titoli dei film riposti ordinatamente sugli
scaffali del soggiorno, senza trovare niente che mi potesse vagamente
interessare. Dopo qualche minuto tornai in camera e presi il cellulare. Rimasi a
fissarlo per un po’, prima di accenderlo e sorbirmi l’arrivo di una trentina
di messaggi che mi dicevano che mi avevano cercato. Come se non lo sapessi...Scorsi
velocemente la lista, tanto per dare conferma ai fatti. Mamma,mamma, mamma,
nonna Esme, zia Alice, Amy, Amy, Jacob, Papà, mamma, zia Rosalie e via
discorrendo. Senza pensarci troppo composi il numero di mia madre. Dopo tre
squilli mi rispose: “Renesmee, piccola mia...”
“Ciao mamma. Scusa se non mi sono fatta sentire.” “Come stai, tesoro?
Siamo tutti molto preoccupati per te, sai?”. E via col senso di colpa.
Si vedeva proprio che questa era una cosa che mi aveva trasmesso...Era brava
quanto me a farmi sentire uno schifo. “Mi dispiace,
mamma.”. Durante una sua piccola pausa sentii altre voci. Riuscii a
distinguere quella di nonno Carlisle e quella di papà, oltre a due voci
maschili che non conoscevo. “Dove sei adesso,
mamma?”. Lei sospirò, rimanendo in silenzio per qualche attimo. “Siamo
in ospedale. Siamo passati a trovare Nathe...” “Ah...”, sussurrai,
improvvisamente incapace di parlare. “Ci sono novità?”,
domandai, con un filo di voce. “No, per adesso è...”.
La mamma si bloccò. Non capendo il motivo di quel suo silenzio mi spaventai. “Mamma...”.
Niente. “Mamma che sta succedendo?”,
riprovai, ma lei ancora non accennava a rispondermi. Dai rumori che sentivo al
cellulare capii che non erano problemi di linea. Ma allora che cosa poteva
essere? Rimasi in ascolto, non sapendo che altro fare. Quando sentii ciò che
chi era con la mamma stava dicendo mi si gelò il sangue nelle vene. “PRESTO,
PORTATE IL DEFIBRILLATORE! EDWARD, GLI ELETTRODI!”. Era il nonno. Un
rumore sinistro si aggiunse alle sue urla, mentre impartiva ordini a tutti i
presenti nella stanza. Il rumore continuo e assordante
dell’elettrocardiogramma mi trapanò i timpani e squarciò il petto da parte a
parte. “Al mio tre...Uno...Due...LIBERA!”, diceva il nonno, mentre
sentivo il mio cuore farsi sempre più pesante. “Dai,
dai, forza con l’ossigeno! Uno, due, LIBERA!”, continuava,
sovrastando con la voce quel maledetto suono. “Nathe...”,
sussurrai, prima di chiudere la chiamata. Il cellulare mi cadde dalle mani,
finendo rumorosamente sul parquet. Dopo qualche minuto di smarrimento ritrovai
la lucidità, così iniziai a raccogliere le poche cose e i pochi vestiti che mi
aveva dato Tanya, ficcandoli disordinatamente nello zaino. Quando finii in
camera mi avviai come un treno verso la porta, scontrandomi con una roccia non
appena provai ad uscire. “Ehi, Renesmee, dove stai
andando?”, mi chiese Tanya preoccupata, notando la mia espressione
sconvolta. “Tanya, io...Nathe....Devo tornare...”,
farfugliai confusa, preda di un panico che soltanto allora si stava impadronendo
completamente di me. Lei capì all’istante. “Passiamo dalla foresta.”, disse, iniziando a correre in mezzo
agli alberi ricoperti di neve. L’aeroporto di Anchorage distava sei ore da
Denali, in macchina. Per fortuna la nostra natura sovrannaturale ci consentì di
arrivare in poco più di due ore. Tanya si diresse subito al check-in,
allungando una banconota da 100 Dollari alla ragazza che sedeva annoiata dietro
il bancone. “Un biglietto di sola andata per Port
Angeles per il volo che sta per partire.”, disse, porgendole i soldi. “Mi
dispiace, signorina, temo che ormai sia troppo tardi. Deve aspettare il volo che
partirà fra tre ore.”. Tanya, impassibile, tirò fuori dalla tasca dei
pantaloni un rotolo di banconote legate con un elastico. “Me
lo da questo biglietto o no? Sa com’è, ho un po’ di fretta...”. La
ragazza strabuzzò gli occhi un paio di volte prima di stampare il biglietto,
rigorosamente in prima classe, e porgerlo alla mia accompagnatrice. “Ecco
a lei, signorina. Faccia buon viaggio.”. Disse la giovane, ancora con
la bocca aperta mentre prendeva i soldi e li nascondeva furtiva nella sua borsa.
“Nessie, vieni!”. Tanya mi prese per mano e
si diresse a passo svelto verso il tunnel d’imbarco. Appena arrivammo
all’ingresso, lo stewart addetto chiese di mostrare i biglietti. “Tieni,
fammi sapere quando arrivi.”. L’abbracciai, sussurrandole la mia
gratitudine, prima di correre attraverso il tunnel e arrivare alla scala già
mezza ritirata dell’aereo. Una volta a bordo cercai il mio posto, troppo
preoccupata per stare a sentire la hostess che mi indicava dove fosse la prima
classe. Dopo averlo trovato mi accasciai sulla poltrona, incapace di togliermi
dalla testa le urla del nonno. Non so quanto tempo passò dal decollo, ma quando
la voce del pilota annunciò che stavamo per atterrare a Port Angeles scattai
sull’attenti. Attesi con impazienza che tutte le manovre venissero concluse, e
appena le hostess aprirono il portellone d’uscita mi fiondai fuori come un
fulmine. Iniziai a correre attraverso le sale d’attesa dell’aeroporto,
mormorando una serie di scuse a tutti i malcapitati che si trovavano sulla mia
strada. Riuscii a raggiungere l’uscita abbastanza in fretta, così cercai un
taxi; essendo pieno giorno non potevo correre in mezzo alle case. “All’ospedale
della città, per favore.”, dissi all’autista mezzo addormentato. Lui
mi guardò dallo specchietto retrovisore e ghignò. “Ehi,
bellezza, non sei troppo piccola per andare in giro da sola? I tuoi genitori non
dovrebbero lasciare incustodito un simile gioiello...”. E ti pareva. Ci
mancava solo il tassista maniaco. Avendo già i nervi a fior di pelle non
riuscii a trattenere un ringhio. “Le ho chiesto di
portarmi all’ospedale.”, ripetei, ignorando il suo sguardo viscido
che ancora mi fissava. “Siamo nervosetti o sbaglio?”, continuò, mellifluo.
Involontariamente scattai in avanti e gli spinsi la testa sul volante. “Mi
porti a quel maledetto ospedale o ti devo spezzare l’osso del collo?”.
Senza dire una parola accese il motore e partì. Dopo circa venticinque minuti
arrivammo a destinazione. Scesi velocemente dal taxi, buttando sul sedile un
paio di banconote da 100 Dollari e chiudendo un po’ troppo forte lo sportello.
Mentre mi dirigevo svelta verso l’ingresso della struttura sentii il tassista
borbottare frasi sconnesse, tra cui “pazza ragazzina viziata” e “ha un bel
posteriore”. Mi costrinsi con tutte le forze a non tornare indietro e
staccargli la testa a morsi, ripetendomi che non ero li per commettere un
omicidio. Mi precipitai in un ascensore che stava per chiudersi, spaventando la
signora che era dentro per il mio arrivo repentino. Arrivai al quinto piano dopo
un tempo che mi parve infinito. Quando le porte si aprirono l’odore acre di
medicinali e prodotti per la pulizia mi invase. Tra questi però riconobbi anche
un’altra fragranza. Un profumo dolciastro e familiare mi indicò che il nonno
era nel reparto. Raggiunsi a passo lento la camera in mezzo al corridoio,
rimanendo immobile come una statua sulla soglia della porta. Nathe era ancora
immobile nel letto, esattamente come lo avevo lasciato tre giorni prima.
L’unica differenza era che era a petto scoperto, con una marea di elettrodi
attaccati su tutto il torace, mentre un defibrillatore era stato sistemato
accanto alla macchina per l’ossigeno. Dopo qualche attimo entrai dentro,
silenziosa. Il bip che poche ore prima era diventato continuo adesso era di
nuovo li, lento e costante. Come se fossi un automa, mi avvicinai al letto con
le gambe che tremavano. Con un dito tracciai leggera il profilo del viso di
Nathe, spostandogli poi i capelli scompigliati dalla fronte. La mascherina
dell’ossigeno gli copriva metà faccia. Rivederlo in quelle condizioni mi fece
sprofondare nella tristezza più assoluta. Gli diedi un piccolo bacio,
allontanandomi poco dopo. Dei passi svelti si stavano avvicinando, accompagnati
da alcune voci concitate. “Mi raccomando, Alison,
controlla la pressione ogni mezz’ora e assicurati che l’ossigeno non
finisca. Mi occuperò io del resto...” “Sarà fatto, Dottor Cullen.”.
Neanche un minuto dopo mio nonno comparve sulla porta. Si fermò di colpo appena
mi vide, e l’infermiera che lo seguiva per poco non gli finiva addosso. “Renesmee...”,
sussurrò, mentre si precipitava verso di me e mi stringeva in un abbraccio che
avrebbe ridotto in polvere un normale essere umano. “Oh,
nonno...Sono stata una stupida ad andarmene...” “Ssshhh, va tutto bene
adesso.”, mi disse, dandomi un bacio sui capelli. “Alison,
grazie ma non ho più bisogno del tuo aiuto. Puoi andare.”.
L’infermiera mi gettò un’occhiataccia, prima di uscire e chiudersi la porta
della camera alle spalle. “Edward e Bella sanno che
sei tornata?” “No, sono partita senza dire niente a nessuno. Ma credo che
Tanya li abbia avvertiti...”. Il nonno annuì, iniziando a visitare
Nathe. Come se fossero stati chiamati, tutti i membri della mia famiglia
comparvero uno ad uno dalla porta. Mia madre e mio padre mi piombarono addosso
come dei siluri, stringendomi tra le loro braccia marmoree. Salutai anche gli
altri, porgendo loro le mie scuse per come mi ero comportata. “Adesso
che siamo tutti...”, sussurrai, cercando la loro attenzione. “Mi...Mi
spiegate perché stamani...”. Le parole mi morirono in bocca, al
ricordo di quello che era successo qualche ora prima. “Nathe
ha avuto una crisi, Nessie. Stava per andarsene.”, disse il nonno,
preoccupato. La mamma mi passò un braccio intorno ai fianchi, stringendomi a sé.
“Ma adesso sta...”, sussurrai, aggrappandomi
alla maglia di papà, cercando il suo sguardo. Sia lui che gli altri
sospirarono. Dopo qualche attimo di silenzio parlò: “Non
possiamo escludere la possibilità che ne abbia altre.”. La gola mi si
chiuse del tutto, mentre i singhiozzi iniziavano a scuotermi. “Il
Dottor Anderson ha avvertito anche Angela e Ben...Le possibilità che si
riprenda si sono abbassate...”. Se non fosse stato per la mamma che mi
sorreggeva sarei crollata in terra. Il nonno sospirò pesantemente e proseguì: “È
per questo che abbiamo iniziato a considerare la possibilità...”. Si
interruppe, cercando con gli occhi mio padre, che gli annuì in risposta. “...Della
trasformazione.”. Tutto intorno a me si fermò. All’improvviso
l’immagine di Nathe vampiro che mi era apparsa in testa mentre ero a Denali si
fece di nuovo strada dentro di me, provocandomi i brividi. Il nonno mi poggiò
le mani sulle spalle. “Nessie, non ti spaventare...Per
adesso è solo un’ipotesi in caso estremo.”. Lo fissai a lungo,
incapace di proferir parola. Tutto ad un tratto papà si voltò verso la porta. “Nessie,
noi dobbiamo andarcene. Sta arrivando Jacob insieme ad Amy...Ci vediamo dopo a
casa.”. Mi dette un bacio ghiacciato su una guancia e si volatilizzò,
quasi invisibile, seguito da tutti gli altri. La mamma si trattenne ancora un
attimo. “Per favore, non te ne andare un’altra
volta...” “Sta tranquilla mamma, non lo farò più.”. Mi accarezzò
dolcemente il viso e poi sparì. Rimasi di nuovo da sola nel silenzio della
stanza per pochi, lunghissimi minuti, prima che la porta si aprisse di colpo. “NESSIE!”.
Amy mi volò letteralmente in braccio, picchiandomi i pugni sulle spalle. Lo
faceva sempre quando era arrabbiata con me...“Perché
sei sparita così, eh? Ho passato tre giorni d’inferno, accidenti a te!”.
Non potei fare a meno di lasciarmi sfuggire un sorriso. “Ci
sei mancata, Nessie.”, disse Jacob, scompigliandomi i capelli con la
sua mano enorme. Analizzai per qualche secondo i loro sguardi. Si, sarebbero
finiti insieme molto presto. Feci l’occhiolino a Jake, che mi sorrise di
rimando, prima di abbracciarmi. “Ho saputo di
stamattina...Mi dispiace.” “Spero solo che non peggiori ancora...”,
sospirai, di nuovo con quel groppo opprimente in gola. Rimasi in loro compagnia
fino a sera, assistendo alle visite ripetute da parte del nonno, fino a quando
non giunse l’ora di tornare a casa. Jacob accompagnò a malincuore
prima Amy e poi me, dato che gli avevo detto mentalmente che avrei dovuto
parlargli. Dopo un’abbondante cena salimmo in camera mia. “Dimmi
tutto, Nessie.” “Jacob...Oggi, quando sono tornata...Il nonno e papà mi
hanno detto una cosa.”. Lui mi guardò silenzioso, invitandomi con gli
occhi a proseguire. “Ecco...Se Nathe avrà altre
crisi...”. Respirai a fondo. “Hanno proposto
di trasformarlo.”. Jacob rimase immobile per qualche secondo. “Beh...Non
è una bella notizia? Voglio dire...In qualunque modo andranno le cose, lui si
riprenderà e tornerà da te. Qual è il problema?”. Mi avvicinai alla
finestra, tracciando con un dito dei disegni sul vetro appannato. “Ho
paura che non sia più lo stesso...”. Jacob si alzò e mi poggiò una
mano sulla schiena. “Andrà tutto bene, vedrai.
Carlisle lo aiuterà.”. Mi asciugai due lacrime solitarie che si erano
fatte strada sulle mie guance con il dorso della mano.
“Grazie, Jake...Ma dimmi un po’, come va con quella pazza di Amy?”.
Jacob spalancò gli occhi e iniziò a balbettare, imbarazzato. “Vieni,
Black, mi devi raccontare un sacco di cose!”, dissi sorridente,
invitandolo a sedersi sul letto. Restammo a parlare fino a notte fonda, fino a
quando lui non iniziò a sbadigliare. “Torno a casa,
Nessie...Sto davvero morendo di sonno. Ci sentiamo fra qualche ora!”,
mi salutò, schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia prima di saltare dalla
finestra. Dopo che se ne fu andato scesi in salotto.
Notai che erano tutti molto preoccupati, e fissavano silenziosi il nonno
che parlava al cellulare. “Ok, ok, aumentate la
morfina. No, cercate di mantenere stabile la pressione. Sto arrivando.”,
disse, prima di correre nel suo studio. “Cos’è
successo?”. Papà mi guardò addolorato, e in quel momento capii. “Ha
avuto un’altra crisi, vero?”. Il silenzio di tutti i presenti mi bastò.
Appena il nonno mi sfrecciò accanto lo bloccai, tenendolo per la giacca. “Portami
con te, per favore.” “Nessie, sarebbe inutile. Il Dottor Anderson è riuscito a fermare la
crisi, sto andando solo a dare un’occhiata.” “Nonno...”, lo
implorai, ma lui si limitò ad accarezzarmi. Sparì in un attimo, mentre la zia
Alice mi teneva una mano. Attendemmo il suo ritorno per quasi tre ore. Quando la
porta d’ingresso si aprì scattammo tutti in piedi, in attesa di notizie. “Carlisle,
allora?”, domandò la nonna con un filo di voce. Lo sguardo del nonno
non prometteva niente di buono. Aspettò un po’ prima di parlare.
“Non ha avuto una crisi, ringraziando il Cielo, ma il sangue sta iniziando a
non circolare più, soprattutto nelle gambe. I vasi sanguigni si sono indeboliti
molto, c’è il rischio che collassino.”. Il
nonno fece un respiro profondo e poi proseguì, la voce ridotta ad un sussurro:
“Non credo che reggerà ad un altro peggioramento.”. Mi sentii
morire. L’aria non mi arrivava più da nessuna parte. “Allora
dovrà essere trasformato?”, chiese mio padre, funereo. Il nonno si
voltò verso il grosso camino e chinò la testa, in segno di sconfitta. “La
Medicina non può fare più niente per salvarlo.”. Calò un silenzio
fatale all’interno del salotto. I miei diventarono delle statue, mentre io non
riuscivo a capacitarmi di quelle parole. Mi portai le mani sul viso, nascondendo
le lacrime che scendevano furiose dai miei occhi. “Chi...Chi
lo farà?”, sussurrò la mamma, con la voce spezzata dalla
preoccupazione. “Credo...Ci penserò io.”,
rispose il nonno, con una nota di dolore. “No.”.
All’improvviso mi alzai, determinata come mai prima di allora. “Lo
trasformerò io.”.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Cap. 10 - Incubi e rivelazioni ***
Nuova pagina 1
Salve!
Ecco il 10° capitolo
della storia..Scusate per il ritardo, spero vi piaccia!
Alla prossima,
Lady Anderson
Cap.
10 – INCUBI E RIVELAZIONI
Tutti
si voltarono verso di me, esterrefatti. Otto paia di occhi ambrati mi
trapassarono da parte a parte. Il silenzio stava diventando quasi assordante. “La
smettete di fissarmi come se fossi pazza?”, scoppiai, incapace di
sopportare oltre la loro immobilità. Mio padre respirò profondamente. “Renesmee,
sei sconvolta, non sai quello che dici...” “Non è vero! Io so benissimo
quello che dico! Credete che non ne sia capace, vero? Lo credete tutti!”,
urlai in preda alla disperazione, mentre la mamma e la zia Rose cercavano invano
di calmarmi. “Nessie,
tesoro...Non possiamo permetterci degli errori...”, intervenne il
nonno, severo. Mi voltai bruscamente avviandomi verso la porta d’ingresso. Papà
si materializzò davanti ad essa un secondo prima che potessi aprire e andarmene
via. “Carlisle ha
ragione, Renesmee. Ne va della sua vita, non puoi compiere un gesto del
genere!”. Per la prima volta mi ritrovai a ringhiare contro mio padre.
Lui rimase impassibile, mentre la zia Rosalie mi tirava per un braccio per
allontanarmi. Mi prese per le spalle e mi fissò con i suoi occhi ambrati, con
aria preoccupata. “Tesoro,
calmati. Vedrai che tuo nonno risolverà tutto.”, mi disse preoccupata.
Allontanai lo sguardo, perdendomi nel vuoto. Zia Rose sospirò profondamente. “Vuoi
farlo davvero, Nessie?”, proseguì. Io rimasi in silenzio, mentre un
brivido mi attraversava la schiena da cima a fondo. “Carlisle...Forse
Renesmee non dice una cosa del tutto sbagliata.”. La guardai
stupefatta, mentre gli altri si immobilizzarono di nuovo. “Spiegati,
Rosalie.”, la incitò il nonno. Lei aspettò qualche minuto,
pensierosa. “Nessie è...In
grado di produrre veleno, giusto?”. Il nonno annuì serio. “Lo
è, ma non in modo spontaneo come noi. Deve essere sotto adrenalina, lo sai
anche tu, Rose.” “Però può farlo. Sappiamo anche che il suo veleno è meno
potente del nostro, e questo può essere un problema. Ma potrebbe provare lo
stesso...Nel caso in cui non ce la facesse, potresti intervenire tu.”.
Il nonno rimase a guardare mia zia come se avesse appena bestemmiato. “Rosalie...È
troppo pericoloso. Lei non...” “Carlisle, per favore...Mi assumo io la
responsabilità di quello che potrebbe succedere.”. Il mio cuore
accelerò. Dovevo molto alla zia Rosalie, in qualunque modo fossero andate le
cose. Il nonno rimase ancora qualche attimo in silenzio, prima di cedere. “E
va bene...Ma non illudetevi. La situazione è molto, molto delicata.”.
Mi venne quasi da piangere. Corsi ad abbracciare la zia, che ricambiò la
stretta con le sue braccia fredde. Dopo un po’ mi avviai in camera,
trascinandomi come uno zombie. Non appena mi sistemai sul letto sentii il peso
di mia madre accanto a me. Iniziò ad accarezzarmi i capelli, poi mi girò
delicatamente il viso verso di lei. “Ce
la farai, Nessie. Mi fido di te.”. La guardai con gratitudine,
sorridendole flebilmente. Mi addormentai appoggiata al suo petto, come facevo
sempre quando ero piccola, sperando che quel gesto avventato non decretasse la
perdita definitiva della parte più importante di me.
La
mattina dopo mi svegliai piuttosto di malumore. Sentivo dentro di me che sarebbe
stata una giornata piuttosto pesante. Scesi in cucina svogliatamente, e mi
meravigliai di trovare Jacob seduto al tavolo con mia madre. Notai una vena di
preoccupazione nello sguardo di entrambi. “Buon
giorno, Nessie.” “Giorno. Come mai non sei da Amy stamattina?”. La
mamma sorrise all’imbarazzo di Jake. “Ehm...Mi
ha detto che doveva andare via con i suoi genitori...” “Ah, già...Me lo
aveva accennato.”, risposi vagamente. Preparai il caffé in silenzio,
assorta nei miei pensieri. Poi mi ricordai delle espressioni della mamma e di
Jacob. “Come mai avete
quelle facce? C’è qualcosa che non va?”. La mamma sospirò
leggermente, passandosi una mano tra i capelli castani. “Un’ora
fa ha chiamato tuo padre...È all’ospedale con Carlisle.”. Mi
immobilizzai all’istante, con la tazza sospesa a mezz’aria. “Nathe
ha avuto delle complicazioni.”. La tazza mi cadde dalle mani, finendo
in pezzi sul pavimento. Mi appoggiai al lavello, gli occhi persi nel vuoto. Dopo
qualche minuto infinito mi girai; la mamma aveva già ripulito tutto. Jacob mi
abbracciò, cercando di consolarmi. “Non
posso più aspettare...Devo andare adesso...”, dissi confusa, scossa
dai brividi. “No,
Renesmee. Dobbiamo aspettare fino a stasera, adesso c’è troppa gente in
ospedale.”, rispose mia madre, accarezzandomi la schiena. Mi scostai da
Jacob, e come un automa mi diressi di nuovo al piano superiore. Mi chiusi in
camera mia a chiave, anche se non sarebbe servito a molto. Ogni tanto la mamma o
Jacob venivano a bussare, chiedendomi se era tutto a posto. Ma era come se non
li sentissi. Nella mia testa vedevo solo il mio ragazzo in un letto
d’ospedale, in fin di vita. Le ore trascorsero lente; mi accorsi che si stava
facendo sera solo quando i raggi del sole che tramontava illuminarono la
finestra. Qualcuno bussò di nuovo. “Nessie...Possiamo
entrare?”. Riconobbi l’odore di zia Alice e zio Jasper. Si, forse un
po’ di finta calma era quello che mi serviva. Aprii la porta, lasciando
entrare gli zii. Al piano di sotto ci dovevano essere anche gli altri. Zia Alice
si sedette sul davanzale della finestra, scrutandomi attentamente. Intanto, lo
zio aveva già messo in azione il suo potere: stavo iniziando a rilassarmi. “Non
riesci a vedere niente, zia?”. Lei storse un po’ il naso. “Qualcosa
di sfocato...Ieri sera ho ti ho visto mentre stavi per farlo, ma del dopo non so
proprio dirti niente. Mi dispiace, tesoro...”. Sospirai. “Va
bene, zia, ti ringrazio.”. Lo zio Jasper intervenne: “Nessie,
che ne dici di scendere a mangiare qualcosa? Non puoi rimanere a stomaco
vuoto...”. Non aveva tutti i torti, in effetti...Sentivo un leggero
languorino. Sorrisi un po’, poi seguii gli zii in cucina. Sulla tavola era
appena comparso un bel cheescake alle fragole. Dopo che ebbi mangiato metà
torta tutta da sola (l’altra metà era finita nelle fauci di Jacob...), la zia
Rosalie mi porse il giubbotto. “Te
la senti, Renesmee?”. Esitai un attimo. Mi stavano guardando tutti,
preoccupati. Poi la determinazione si fece strada dentro di me, forse ancora per
merito dello zio Jazz. Afferrai il giubbotto e lo indossai, dirigendomi verso la
porta di casa. “Andiamo.”.
Appena
venti minuti dopo eravamo tutti, Jacob compreso, nella stanza di Nathe. Sembrava
che dovessero assistere ad uno spettacolo teatrale, e questo mi innervosì un
po’. “Nessie, siamo
qui per aiutarti...”, disse mio padre con una nota di dolore, dopo aver
letto i miei pensieri. Nathe era sempre li, pieno di tubi, con la maschera
dell’ossigeno e l’elettrocardiogramma collegato al petto. Il pensiero di
quello che stavo per fare mi inorridì un po’. “Allora,
dobbiamo stimolare il tuo corpo in modo che produca adrenalina sufficiente...”,
intervenne il nonno, professionale ma terribilmente scettico. La sua sfiducia mi
demoralizzò. Attese un attimo e poi proseguì: “Pensi
di farcela da sola?”. Cercai di pensare ai momenti in cui il veleno mi
aveva invaso la bocca. La notte a Vancouver, lo spogliatoio della palestra, la
sera a casa di Nathe...Improvvisamente sentii
un sapore vagamente aspro invadermi la gola. “Ci
sono.”, dissi con un po’ di timore. Il nonno mi passò un tampone
sulla lingua e andò ad esaminarlo in laboratorio. Quando tornò in stanza, il
suo sguardo non era molto promettente. “Il
veleno c’è, ma non basta. È ancora poco...”. Lo guardai con aria
interrogativa. “Come non
basta? Io lo sento bruciare come le altre volte, non può essere poco!”
“Renesmee, le altre volte non avevi la vita di una persona tra le mani. Nathe
non lo sentirà neanche.” “E tu...Non puoi aiutarmi?”. Il nonno mi
guardò con aria afflitta. “Nessie,
non so se riuscirai a produrre abbastanza veleno...”. Quella frase
parlava chiaro. Non voleva che provassi a trasformare Nathe. Gli detti
un’occhiataccia, poi mi precipitai fuori dalla stanza senza dare ascolto a
quello che mia madre e mio padre mi stavano dicendo. Fermai un’infermiera,
chiedendole dove potevo trovare un deposito di medicinali. “C’è
la farmacia al piano terra, oppure in fondo al corridoio a sinistra. Ma non puoi
entrare, sono aree riservate ai medici.” “Mi manda il Dottor Cullen.”,
risposi, forse un po’ troppo scortesemente. Mi avviai di gran carriera dove mi
aveva indicato, ma ad un tratto mi sentii tirare per un braccio. Era Jacob. “Nessie,
che intenzioni hai?” “Se non mi aiuta lui, farò da sola.”.
Strattonai la presa e ricominciai a camminare. Arrivata davanti alla porta del
deposito ruppi la maniglia ed entrai. La chiave cadde rumorosamente a terra. “Renesmee
per favore, non fare cazzate...”, mi implorò Jake, tenendomi di nuovo
per un braccio. Non mi girai nemmeno a guardarlo, così mi lasciò subito.
Iniziai a cercare dappertutto: sulle mensole, scaffali, armadietti, dentro le
scatole piene di farmaci da sistemare. Alla fine trovai quello che volevo; il
nonno mi aveva insegnato fin da piccola a riconoscere i vari tipi di medicine e
sostanze. Su un ripiano c’erano un sacco di fiale azzurre disposte
ordinatamente. “Jake,
per favore trovami una siringa con un ago grosso.”. Jacob sembrò
sbiancare. “Non mi sei
di aiuto se te ne stai li impalato.”, dissi acida, mentre aprivo la
fiala. Jacob frugò in una cassettiera, e dopo qualche minuto mi porse la
siringa. “Cosa diavolo
stai facendo?”, mi chiese preoccupato. “Mi
inietto una sostanza che stimola l’adrenalina. Vedremo se poi non sarà
sufficiente.” “Tu sei impazzita, Renesmee...Perchè ti ostini così tanto a
fare questa cosa?”. Infilai la siringa nella fiala e la riempii. “Non
lo so, Jacob. Non lo so proprio. Ma per favore, non dire più niente.”.
Jacob sospirò pesantemente e si girò, dandomi le spalle. “Fai
presto. Gli aghi mi fanno venire l’ansia.”. Mi legai un laccio
emostatico sopra al gomito sinistro, cercando di far uscire la vena. Appena la
linea bluastra comparve sotto la mia pelle diafana levai il laccio e infilai
l’ago, facendo un po’ di forza. Si storse leggermente, ma alla fine riuscii
ad iniettarmi la sostanza. “Ho
fatto.”, dissi, facendo sparire le prove del mio passaggio in quella
stanza. Tornammo in camera di Nathe, dove tutti mi fissarono con aria confusa.
All’improvviso mi sentii avvolgere dal calore. La gola iniziò a bruciarmi
come se stesse prendendo fuoco, e il cattivo sapore del veleno si impadronì
della mia bocca. Guardai i miei familiari, prima di rivolgere tutta la mia
attenzione a Nathe. Gli accarezzai i capelli ed il viso. Poi scostai per un
attimo la maschera dell’ossigeno, giusto il tempo di dargli un piccolo bacio. “Passerà
tutto, amore mio.”, sussurrai, spostandogli delicatamente la testa, in
modo che il collo fosse scoperto. Aspettai qualche attimo; gli unici rumori che
si sentivano erano l’elettrocardiogramma e il respiro ansioso di Jacob.
Individuai il flusso di sangue sotto la pelle tiepida di Nathe. Mi avvicinai
lentamente, spinta da una forza che sentivo non essere del tutto mia. Esitai un
po’; poi chiusi gli occhi e portai le mie labbra a un millimetro dalla carne.
Fu un attimo: i miei denti tagliarono senza difficoltà la pelle e i muscoli,
fino a bucare l’arteria. Iniziai a bere il sangue di Nathe. Era come mi ero
sempre aspettata: il suo sapore era fresco ed intenso. L’avidità mi spinse ad
affondare ancora di più i denti, in modo che mi arrivasse più sangue in bocca.
Non capivo più niente...Non riuscivo a fermarmi. Non volevo. Volevo saziare la
mia sete il più possibile. Il corpo di Nathe si scuoteva leggermente, e
percepivo che la quantità di sangue all’interno del suo corpo stava
diminuendo. “Nessie,
basta, ne hai bevuto abbastanza!”, mi sussurrò la voce lontana del
nonno. Non l’ascoltai. “Renesmee,
smettila!”, disse mio padre, in allarme. Non ascoltai nemmeno lui. “TIRATELA
VIA! LO UCCIDERÀ!”, urlò ancora il nonno. Subito mio padre, zio
Emmett e Jacob si avventarono su di me, cercando di allontanarmi da Nathe. Dopo
qualche tentativo ci riuscirono. Io mi dimenavo come una furia, desiderosa di
affondare di nuovo i denti nel collo del mio ragazzo. “RENESMEE,
BASTA!”, gridò la mamma, scrollandomi per le spalle. Dopo qualche
attimo la guardai con occhi stralunati, calmandomi all’istante. Feci scorrere
lo sguardo per tutta la stanza. Il nonno si stava tamponando un po’ di cotone
sulla lingua, per passarlo poi sullo squarcio a forma di mezzaluna aperto sul
collo di Nathe. Il cuscino era macchiato di sangue. Corsi in bagno per
sciacquarmi la faccia. Mi guardai allo specchio...Un rivolo scarlatto scendeva
dall’angolo della mia bocca. Rimasi immobile come una statua a fissare la mia
immagine riflessa, sobbalzando spaventata quando un urlo di dolore riecheggiò
per il corridoio.
Ero
sull’orlo della disperazione. Continuavo a torturarmi l’anima, facendo su e
giù per quella maledetta stanza, ripetendomi che ero un’assassina. “Renesmee,
Santo Cielo, vuoi stare un minuto ferma?”,
sbuffò Jacob, seduto sulla poltroncina vicino alla finestra. “Non
dovevo farlo, non dovevo…” “Senti, tu non hai nessuna colpa. La vuoi
smettere di accusarti?” “Jacob, guardalo! Sono passati quattro giorni e
ancora non è successo niente...È soltanto per causa mia se adesso è
peggiorato ancora!”. Jake scosse la testa, rassegnato. Io non riuscivo
a darmi pace…Avrei dovuto dare retta al nonno. Doveva farlo lui. Che stupida
egoista…A quest’ora forse Nathe si sarebbe già svegliato. “Se
ne andrà…Me lo sento…”.
Jacob si alzò di scatto e mi prese per un braccio, strattonandomi bruscamente e
costringendomi a guardarlo negli occhi. “Ascoltami
bene. TU-NON-HAI-COLPA. Chiaro?” “Non è vero Jake…”.
Lui mi strinse ancora più forte. “Allora
perché non ci hai pensato prima, eh? Sono stanco di sentirti dire che sei
un’assassina!” “Credevo che ne sarei stata capace…” “Non
mi importa quello che ti è passato per la testa! Se solo avresti lasciato fare
Carlisle, adesso non saresti qui a piangere come una cretina per qualcosa di cui
non hai responsabilità!”. Rimasi qualche secondo a fissarlo in
silenzio, prima di tirare via il braccio dalla sua presa ferrea. “Tu
non capisci Jacob…”.
Lui mi guardò, una scintilla di rabbia accesa nei suoi occhi. “Io
non capisco? Ti devo ricordare che sono dentro a questa storia quanto te?”
“Non volevo dire questo.” “E allora cosa? Cosa, Renesmee? Dovevi lasciare
che se ne occupasse Carlisle!”.
A quel punto scoppiai. Non ce la facevo più. “NON
VOLEVO, VA BENE? NON VOLEVO CHE LO FACESSE LUI!”,
urlai, ormai ai limiti della sopportazione. “Fare
cosa?”. Oddio.
No, non poteva essere vero... Incrociai lo sguardo di Jacob, che era diventato
un pezzo di pietra. “Amy…”,
sussurrai, notando solo allora la mia migliore amica sulla soglia della porta. “Allora?”,
insisté, visibilmente contrariata. “Niente
di importante, tranquilla…” “Non mi prendere in giro, Jake. Vi ho
sentito.”. Lui
rimase in silenzio, incapace di dire anche solo una parola. Lo guardai, in modo
abbastanza eloquente e sospirai, prima di rivolgermi a lei. “Amy…È
arrivato il momento che tu sappia un bel po’ di cose.”
Nella
stanza era caduto un silenzio quasi innaturale, se non fosse stato per il
respiro accelerato di Amy. Sia io che Jacob non sapevamo cosa fare. La mia
migliore amica si nascose il viso tra le mani, evitando di posare il suo sguardo
su di noi. “Mi state
dicendo che…No, non ci credo.”,
disse ad un tratto, sempre con il respiro affannato. “Mi
dispiace Amy, avrei dovuto dirtelo molto tempo fa…” “Ho detto che non vi
credo.”, ribatté,
quasi con rabbia. “Amy,
per favore…” “Jake, non ti ci mettere pure tu! Queste sono tutte
cazzate!”, disse
scattando in piedi, gli occhi azzurri velati di lacrime. A quel punto la
afferrai per un braccio, piantando i miei occhi nei suoi. I miei ricordi
iniziarono a fluire
nella mia e nella sua mente ad una velocità impressionante: la mia nascita, le
corse con Jacob lupo, la mia crescita accelerata, la caccia, i miei familiari
che non cambiavano nonostante il passare del tempo…Spaventata, Amy cercò
invano di interrompere il contatto; dopo qualche minuto la lasciai, le avevo
mostrato a sufficienza. “Ci
credi adesso?”, le chiesi con un filo di voce. Amy guardò prima me,
poi Jacob, poi di nuovo me, indietreggiando verso la parete fino ad
accasciarvisi contro. Qualche attimo dopo rialzò lo sguardo su di me, il viso
rigato dalle lacrime. Mi avvicinai a lei, chinandomi per abbracciarla, esitante.
“Mi dispiace, Amy…Non
sarei mai capace di fare del male a qualcuno…E neanche Jacob.”. Non
mi rispose, ma poi sentii le sue braccia stringersi intorno alla mia schiena.
Aveva capito. Mi aveva accettata. “Nessie…”,
sussurrò, ancora stretta a me, dopo qualche minuto di silenzio. Mi spostai
leggermente, in modo di farle capire che stavo ascoltando. “È
per questo che ogni tanto ringhi, vero?”.
Mi allontanai quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Notando la mia
espressione allibita i suoi occhi si riaccesero, ed Amy si lasciò sfuggire un
sorriso, tornando ad essere la stessa di prima. Qualche secondo dopo Jake la
seguì, scoppiando in una fragorosa risata. Feci scorrere il mio sguardo su
entrambi, prima di cedere a mia volta. Tirai su Amy, facendola alzare da terra
senza il minimo sforzo. “Ehi,
Cullen, vacci piano…Così mi fai volare!”.
L’abbracciai di nuovo, felice come non mi capitava di essere da un sacco di
tempo. Anche Jacob si unì a noi. Meno male che avevo loro accanto.
Dopo
che Amy venne a sapere tutto sulla mia natura e quella di Jake, le cose
iniziarono ad andare leggermente meglio. Mi era più facile adesso essere me
stessa, e soprattutto mi liberai di un peso enorme raccontandole quanto era
successo quattro giorni prima. La mia migliore amica rimase un po’ scioccata
alla vista della cicatrice chiara a forma di mezzaluna sul collo di Nathe, ma
nonostante tutto mi restò accanto. Preferivo la sua presenza e quella di Jacob
a quella dei miei familiari, dato che tutti, tranne la mamma e le zie, mi
trattavano come se fossi una piccola bambina viziata e testarda, facendomi
sentire ancora più in colpa per quello che avevo combinato. “Nessie,
vedrai che andrà tutto bene...Comunque stasera ti voglio a cena da me, e rimani
anche a dormire. Non sopporto l’idea che tu passi un’altra notte qui dentro
a logorarti l’anima.” “Ma no, Amy...Non importa, ti ringrazio.”,
risposi stancamente. “Ha
ragione, Nessie...Hai delle occhiaie che farebbero spaventare persino tua
madre!”, disse Jake allegramente. Amy gli diede un’occhiata
compiaciuta e poi mi guardò dritta negli occhi, incrociando le braccia al
petto. “Senti, non
credere di poter fare come vuoi, anche se sei una mostriciattola. Chiaro? Alle
otto e mezzo si cena.”. Appunto. Competere con Amy era pressoché
impossibile, quando si impuntava su una cosa...Se poi aveva anche l’appoggio
di Jake non avevo scampo. “Va
bene, va bene!”, dissi sconfitta. Quando arrivò sulla porta si girò
di nuovo verso di me. “Ah,
Nessie...La bistecca la vuoi al sangue?”, mi domandò, con il suo
solito sorrisetto furbo. La guardai a bocca aperta e poi gli scaraventai dietro
un cuscino che era sulla sedia. Amy e Jacob scoppiarono a ridere ed uscirono.
Risi anche io, ringraziando il Cielo per avermi dato un’amica così. Una
decina di minuti dopo Jacob rientrò in stanza, con l’aria di chi aveva appena
vinto alla lotteria. “Allora,
l’hai baciata?”, gli domandai, speranzosa. Lui diventò viola
dall’imbarazzo. “Ehi,
ma...Ma che domande fai, Renesmee! Non...Non dire assurdità!”. Mi
picchiai una mano sulla fronte. “Jacob...Se
non ti decidi ad agire ti dichiarerai quando dovrà fare la domanda per la
pensione!”. Studiai la sua espressione pensierosa, che divenne un po’
più decisa quando i nostri sguardi si incrociarono. “Nessie,
io lo vorrei davvero ma...Adesso preferisco di no. Quando tutto si sarà risolto
e tu sarai più tranquilla allora le parlerò.”. Andai ad abbracciarlo.
“Grazie, fratellone.”.
Dopo un po’ Jacob dovette tornare alla riserva, quindi rimasi sola nella
stanza. Mi abbandonai sulla poltrona, lasciando che i pensieri mi invadessero la
mente. Sprofondai in un sonno irrequieto, tormentato da immagini macabre. Era
come se stessi camminando in mezzo alla nebbia, mentre sparse qua e la sul
pavimento c’erano delle macchie rosso scarlatto. Ad un certo punto capii di
non essere sola. Sentivo qualcuno che si lamentava dolorosamente, mentre qualcun
altro rideva in maniera quasi sadica. Cercai di avvicinarmi il più possibile,
correndo in mezzo a quella nebbia infinita. Quando finalmente riuscii ad
intravedere le due presenze fui subito sorpresa dalle loro posizioni. Una,
quella dolorante, era stesa a terra; l’altra invece le era chinata accanto,
vicino alla testa. La nebbia si diradò abbastanza da farmi vedere la persona
stesa. Sembrava un ragazzo...Con mio grande orrore vidi una pozza di sangue
allargarsi sotto il suo collo, e allora capii. Era stato attaccato da un
vampiro, per niente capace di agire senza lasciar traccia. Mi avventai con forza
sulla creatura che stava uccidendo il giovane, scaraventandola a qualche metro
di distanza. L’odore del liquido rosso stava iniziando a darmi fastidio. Mi
inginocchiai accanto al ragazzo e cercai di tirarlo su. Quando il suo volto mi
apparve nitido davanti agli occhi non potei fare a meno di urlare. Era Nathe.
Fui subito invasa dal panico: ero arrivata troppo tardi...Il suo corpo era
inerme. Lo appoggiai di nuovo in terra, delicatamente, mentre sentivo le lacrime
bruciarmi gli occhi. Qualche minuto dopo sentii dei passi avvicinarsi. Una
figura esile e snella comparve davanti a me. “TU!
ME LA PAGHERAI CARA!”, urlai, precipitandomi di nuovo contro di lei,
sopraffatta dall’ira. Non appena i suoi lineamenti diventarono chiari mi
bloccai. Dei lunghi capelli boccolosi, color bronzo, incorniciavano il viso
perfetto, e un paio di occhi di cioccolato si sposavano a meraviglia con la
carnagione pallida di colei che mi ritrovavo davanti. La bocca carnosa,
incurvata leggermente in un ghigno, era rigata agli angoli da piccole strisce
rosse. Mi sentii morire. “Assassina.”,
disse. Io indietreggiai, spaventata da quella orribile replica di me stessa. “Assassina.”,
ripeté, mentre cercavo inutilmente di allontanarla da me. Ad un certo punto mi
afferrò per la gola e rise con cattiveria. Poi mi guardò negli occhi e sibilò
ancora una volta quella maledetta parola. “No!
Lasciami!”, dissi, divincolandomi dalla sua stretta ferrea. “ASSASSINA.”,
continuò, stringendo ancora di più la presa. “Lasciami
ti ho detto...”. Lei mi scaraventò contro un muro, facendomi spezzare
il respiro. Mi immobilizzò senza difficoltà, scoprendomi violentemente il
collo avvicinandosi con i denti scoperti. “NOOOO!”.
Scattai in piedi. Mi guardai intorno, terrorizzata. Ero in ospedale, nella
stanza di Nathe. Ripensai con disgusto a quello che la mia mente distorta mi
aveva inflitto, così decisi che era meglio se me ne andavo da quel posto. Mi
avvicinai cauta al mio ragazzo, accarezzandogli la fronte. Gli detti un bacio
veloce, lasciando sulla sua pelle anche qualche lacrima. Guardai il cellulare;
non avevo il tempo di passare da casa. Cercai di ricompormi come meglio potevo e
uscii dalla finestra, dirigendomi correndo verso casa di Amy. Suonai il
campanello, respirando profondamente per calmarmi. “Oh,
Nessie, sei arrivata finalmente!”, disse allegramente Amy aprendo la
porta, prima di bloccarsi sulla soglia. I suoi occhi azzurri si incupirono
quando incrociarono i miei, arrossati dal pianto. Mi trascinò dentro in silenzio,
portandomi dritta in camera sua. “Cos’è
successo?”. Non risposi, voltandomi dall’altra parte per nascondere
le lacrime. Amy mi prese per le spalle. “Nathe...?”.
Scossi la testa. “E
allora cosa, Renesmee?”, insisté preoccupata, costringendomi a
guardarla. Appoggiai una mano sul suo braccio e le feci vedere tutto. Lei
sobbalzò, non ancora abituata a quella mia strana forma di comunicazione. Alla
fine della visione mi strinse a sé, permettendomi di sfogare tutto quello che
avevo dentro. “Non ci
pensare, Nessie. Ci sono qui io...Se vuoi, posso chiamare Jacob. Gli dico di
venire?.”. Un piccolo attimo di ilarità si impossessò di me. “Sicura
di non volerlo chiamare per te?”. Amy avvampò, ma poi mi sorrise e mi
schioccò un sonoro bacio sulla guancia. Sorrisi anche io. Non vedevo l’ora di
poterla chiamare sorella.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Cap. 11 - Sorprese Inaspettate ***
Nuova pagina 1
Salve! Eccovi l'ultimo capitolo della storia, dopo un'eternità
e mezzo sono riuscita a finirla..domani posterò l'epilogo, fatemi sapere che ne
pensate!
Cap. 11 – SORPRESE INASPETTATE
[..]..Ti sento vicino,
il respiro non mente.
In tanto dolore, niente di sbagliato,
niente..NIENTE..[..]
(Luce-Tramonti a Nord-Est – Elisa)
Era una
notte buia e tempestosa...Già, iniziano tutti così i racconti del terrore.
Brutti mostri cattivi che mietono vittime innocenti per passatempo. Forse anche
io appartenevo alla loro schiera. Aver quasi dissanguato il mio ragazzo in coma
potrebbe essere un buon modo per entrare nel club. “Oh,
non è esattamente un delitto, ma può andare.”.
Una voce parlò dal buio fitto dietro di me. Mi voltai di scatto, cercando di
capire da dove provenisse. “Chi
sei?”. Non rispose
nessuno. Rimasi in attesa, sperando che non si trattasse di uno di loro. Potevo
essere punita per quello che avevo fatto. O meglio, per quello che avevo avuto
intenzione di fare. Improvvisamente il silenzio fu rotto da alcuni passi;
qualcuno stava trascinando i piedi, come se fossero pesantissimi. Aguzzai la
vista, provando ad individuare la fonte di provenienza del rumore. Poco a poco
una figura comparve dal niente, ma ancora non riuscivo a capire di chi, o che
cosa, si trattasse. “Tu...mi
hai rovinato la vita.”,
disse un’altra voce, mentre sentivo che stava venendo verso di me. “È
tutta colpa tua. Mi hai rovinato la vita.”,
ripeté freddamente. “Chi
sei? Io non ti conosco, come posso aver fatto questo?”.
Ancora una volta non ottenni risposta. In compenso iniziai a distinguere i
tratti di chi mi si parava davanti, e più si avvicinava, più sentivo il terrore
diventare sempre più intenso. Potevo vedere i capelli castano chiaro
scompigliati, il corpo ben proporzionato ricurvo su sé stesso. “Nathe?”,
sussurrai spaventata, immobilizzata dalla paura. Lui alzò lo sguardo. Aveva
un’espressione dura, sofferente, accusatoria. Quando fu completamente visibile
sentii le forze abbandonarmi. Il suo collo era ricoperto di sangue che sgorgava
senza interruzione, mentre il suo viso era segnato dalle lacrime. “Vedi?
Te lo ha detto anche lui. Lo hai rovinato. Sei contenta?”,
disse l’altra voce, sprezzante e maligna. Io non riuscivo a reagire di fronte a
quello che avevo di fronte; ero come paralizzata. Improvvisamente dietro di
Nathe comparve l’altra persona. Rivedendo ancora una volta l’altra me stessa
trasalii. “Su,
su, piccola Renesmee...Non ti preoccupare, non sei poi tanto diversa da quelli
che tu chiami mostri...Tu sei come me...Sei un’assassina...” “No,
non è vero...NON È VERO!”,
urlai disperata, in preda alla disperazione.“Si
che è vero...Tu hai portato via la mia vita...Mi hai ucciso, Renesmee!”.
Entrambi si avventarono su di me, iniziando a mordermi da tutte le parti. “Nessie..”.
Cercavo con tutte le mie forze di scappare, ma erano troppo forti. “Nessie...”
“Toglietemi le mani di dosso! Andate via!” “Nessie, sta calma...” “ANDATE VIA!”
“RENESMEE, CHE CAVOLO!”.
Mi svegliai di colpo col fiatone, scattando a sedere sul letto. Amy mi teneva
per le spalle, guardandomi impaurita. Rimasi a fissarla per qualche secondo,
prima di scoppiare in un pianto convulso. “Di
nuovo quell’incubo?” “Scusami...Scusa Amy. Davvero. Adesso me ne torno a casa.”.
Feci per alzarmi, ma lei con una spinta mi fece sedere di nuovo. “Non
ti muovere.”, mi
disse, prima di uscire dalla camera. Tornò qualche minuto dopo con un bicchiere
di acqua in mano.“Tieni,
bevi...I miei non si sono svegliati, puoi stare tranquilla.”.
Rimasi in silenzio per un po’, cercando di darmi una calmata. “Cos’hai
sognato?”. Sospirai,
spostandomi per fare posto ad Amy vicino a me. “Più
o meno quello dell’altra volta...”.
Amy mi abbracciò, accarezzandomi i capelli. “Nessie,
era solo un incubo, non dargli peso.” “Devo parlarne con mia madre e mio
padre...” “Domani mattina dopo la colazione gli telefoniamo.”.
Scossi la testa, allungandomi verso il comodino per prendere il cellulare. “Ti
dispiace se li faccio venire qui?”.
Lei mi guardò, sorpresa e confusa. “Ma...Non
sono a letto?”. Mi
sfuggì un piccolo sorriso. “Io
sono l’unica della mia famiglia che dorme...” “Ah, ok...”.
Rimase pensierosa ancora per un po’. “Senti,
Nessie, secondo me è meglio che parliate domani...In fondo è solo un brutto
sogno, non c’è bisogno che ti agiti tanto...”.
Si, aveva decisamente ragione...Conoscendo mia madre, si sarebbe precipitata di
corsa da me e mi avrebbe fatto diventare pazza. “Va
bene, mi hai convinta...”.
Mi distesi di nuovo sul letto, ed Amy si sistemò accanto a me. Respirai
profondamente. “Hai
bisogno di staccare la spina, Renesmee...Questa faccenda ti sta dando alla
testa. Credo che una giornata tra amici sia la soluzione migliore.”.
La guardai, leggendole in faccia quello che intendeva dire. Comunque non ero
molto convinta di quello che mi aveva proposto…Con il mio malumore di sicuro
avrei guastato la giornata a chiunque mi fosse stato vicino, tranne Jacob o Amy
stessa. Senza pensarci iniziai a mordermi una pellicina sul pollice, come facevo
sempre quando ero nervosa. Mi rigirai un po’ di volte nel letto, e arrivai alla
conclusione che in fondo l’idea di Amy non era poi così malvagia. Appena mi
decisi presi di nuovo il cellulare e me lo portai all’orecchio, sotto lo sguardo
sospettoso della mia migliore amica.“Che
fai?”, sibilò. “Ciao
Jake, ti ho svegliato?”,
dissi io facendole la linguaccia. Lei scosse la testa e si girò, dandomi le
spalle. “No
no, sono di ronda insieme a Seth...È successo qualcosa? Stai bene?” “Solo un po’
di insonnia, stai tranquillo...Sono da Amy adesso. Ti saluta!”.
Amy si voltò all’istante, per poi alzarsi ed andare verso la finestra, facendo
finta di chiudere per bene le tende, voltandosi ogni mezzo secondo verso di me.
La sua espressione indescrivibile mi fece rallegrare. Sorrisi pensando che forse
Jacob aveva fatto la stessa faccia. “Senti,
grande capo, non prendere impegni per domani...Veniamo a fare un giro alla
riserva, così forse mi rilasserò un po’...ok?” “Si...si
va bene, vi aspetto allora.”,
mi rispose lui imbarazzato, mentre probabilmente pensava al giorno dopo. “Perfetto,
ti raggiungiamo dopo la colazione! Buona notte Jake!”.
Appena chiusi il telefono mi ritrovai a fare i conti con le manate di Amy. “Ehi,
smettila, ti farai male se continui a picchiarmi!” “Maledetta te, Cullen, ti
ucciderei se solo sapessi come fare!”,
mi disse prima di girarsi di nuovo di spalle. “Io
non ho amici migliori di te e Jake, quindi sto rispettando la tua proposta! E
poi lo so che ti fa piacere, ormai te lo leggo in faccia...” “Fottiti.”,
sussurrò senza tanti complimenti, mentre sentivo il suo cuore battere sempre più
forte. “Si,
anche io ti voglio bene Amy..”,
le dissi, addormentandomi con il sorriso.
Per una volta, la mattina seguente, non fui io a lottare contro la mia migliore
amica per farla alzare dal letto. Amy doveva essere in piedi già da una decina
di minuti, dato che avevo sentito i
suoi passi avviarsi in bagno e poi nella cucina del piano di sotto. Non appena
tornò in camera mi tolse le coperte di dosso, aprendo poi le lunghe tende poste
davanti alla sua finestra. La luce del sole si rifletteva proprio sulla mia
faccia, così mi nascosi sotto il cuscino. Ad un certo punto percepii la presenza
di Amy accanto a me, immobile. Incuriosita, sbirciai verso di lei da sotto il
mio riparo. Era come se fosse incantata da qualcosa..“Amy…Stai
bene?”, le chiesi,
iniziando seriamente a preoccuparmi. Lei in tutta risposta avvicinò la sua mano
al mio braccio, ritraendola poco prima di sfiorare la mia pelle. Mi guardai,
incapace di cogliere il perché di quel suo gesto. Dopo qualche attimo capii. “Strano,
vero? ”, dissi,
muovendo la mano colpita dalla luce. Amy si avvicinò di nuovo e mi studiò con
più attenzione. “Affascinante..E
dire che non me ne sono mai accorta, in tutto questo tempo.. Altro che creme di
bellezza!” “E non hai visto i miei genitori..”.
Amy sorrise e si diresse verso la porta. “Vieni,
mostriciattolo, andiamo a fare colazione!”.
Aspettai qualche minuto seduta sul letto, poi raggiunsi la mia migliore amica. “Allora,
qui ci sono i biscotti, i cereali e il latte..Fra poco è pronto anche il caffè.
Vuoi qualcos’altro?”. Fissai
Amy per qualche secondo, ancora mezza intontita dal sonno. “Così
è perfetto, grazie”,
le dissi sorridendo. La osservai mentre si preparava un toast. Era più
iperattiva del solito..Sorrisi ancora, prima di addentare un biscotto. “Siamo
su di giri per
caso?”, le dissi
inarcando un sopracciglio, con lo sguardo di chi la sapeva lunga. Amy si bloccò
con il toast a mezz’aria e mi fulminò. “Finalmente
è spuntato il sole dopo quasi un mese e mezzo di nuvole…Sono contenta!”.
Dopo un attimo di silenzio scoppiai a ridere. “Si
si, certo..È il bel tempo!”.
Amy diventò quasi viola dall’imbarazzo. “Nessie,
vai a …” “Va bene, la smetto! Pace fatta?”,
dissi, soffocando le ultime risate e porgendole il mignolo. Lei attese qualche
secondo e poi lo strinse con il suo. “Pace
fatta..Ma non ti azzardare più a dire una parola sull’argomento!”.
Mimai il gesto di chiudermi la bocca con una cerniera. “Sarò
muta come un pesce!”.
Dopo aver sparecchiato e ripulito tutto salimmo in camera di Amy. Mentre lei si
stava ancora togliendo la maglia del pigiama, io mi ero già vestita. Amy rimase
stupita per un attimo. “Ma
come..” “La velocità. Un’altra cosa da mostriciattoli!”,
dissi trionfante, alzando un pugno al cielo. “Riuscirò
mai a sapere tutto di te, Nessie?”,
mi chiese con un sorriso, prima di dirigersi in bagno. “Ecco
fatto..Possiamo andare!”,
disse Amy, dopo essersi sistemata un’ultima volta i capelli. Appena uscimmo
fuori dalla porta di casa sua però si fermò, guardandosi intorno. “I
miei hanno preso la macchina..Andiamo con la tua?”.
A quell’affermazione mi venne da ridere. “Ehm..Amy,
non sono venuta in macchina..”,
dissi, scrutando distrattamente la strada. “E
come ci arriviamo adesso alla riserva?”,
chiese lei confusa. Le feci cenno di seguirmi. “Non
avrai intenzioni di andarci a piedi, vero?”. Senza
rendersene conto, Amy si ritrovò sulle mie spalle. “Reggiti..Ci
andiamo di corsa!”, le
dissi, prima di fiondarmi attraverso il bosco che costeggiava la strada
principale.
La mia migliore amica impiegò qualche minuto a riprendersi. Aveva il fiatone,
come se avesse corso assieme a me anziché sulle mie spalle. Mi guardava con
un’aria stravolta ma allegra, come se fosse appena scesa dalle montagne russe,
mentre io trattenevo a stento le risate.
“Tu-sei-un-fenomeno.”,
sentenziò lei solenne, scoppiando a ridere come una bambina.
“Ma no, non è niente di che..Solo una delle tante
meraviglie dell’essere immortale!”, risposi io, alzando le spalle
divertita. “Dai, andiamo. Jake ci starà già
aspettando.”, proseguii, incamminandomi. Amy ebbe un impercettibile
sussulto, e senza dire una parola mi seguì. “Dista
molto?”, mi chiese, fintamente disinteressata.
“No, siamo quasi arrivate.”, le dissi, indicandole la struttura appena
dietro gli alberi. Dopo qualche minuto le pareti rosse di casa Black apparvero
davanti a noi. Superammo il piccolo ruscello che scorreva li accanto e bussammo
alla porta. Amy mi strinse inconsciamente un braccio, mentre sentimmo dei rumori
provenire dall’interno. La serratura scattò, e Billy aprì la porta.
“Renesmee! Che bello vederti qui!” “Buon giorno
Billy..Ti trovo in forma!”, lo salutai, chinandomi per abbracciarlo.
“Non sei sola, vedo..”, disse lui, accennando
con la testa dietro di me. Amy si era tenuta in disparte, silenziosa; mi voltai
e la presi per mano, facendola avvicinare. “Billy, lei
è Amy McConnor, la mia migliore amica.” “E tua futura nuora..”,
dissi a lei mentalmente. Dopo aver sgranato gli occhi per un secondo, Amy
porse la mano a Billy. “Piacere di conoscerti, Amy!”
“Il piacere è mio, Signor Black.”, rispose lei, imbarazzata.
“Oh, ti prego, chiamami Billy!”. Amy gli sorrise
di rimando. “Allora - proseguì lui allegramente
- cosa ci fanno due bellezze della natura in giro così
presto?”. “Siamo venute a trovare Jacob, ci
eravamo messi d’accordo ieri sera..”, risposi io, sorridendo.
“Ah..Mi dispiace, è dovuto correre da Sam per
un’urgenza. Perché non vi accomodate?”, disse Billy, scostandosi per
farci entrare. Facemmo come aveva proposto e ci dirigemmo tutti verso il
salotto. Io mi sdraiai sul divano, accendendo la televisione, mentre Amy si
sedette sulla poltrona. Appena cinque minuti dopo si sentì il suono di un
clacson provenire da fuori. Billy si affacciò alla finestra.
“È arrivato Embry. Ragazze, mi dispiace lasciarvi sole,
ma devo andare in città a sbrigare alcune commissioni. Volete che chiami Jake?”
“Non ti preoccupare Billy, aspetteremo che torni.”,
gli dissi, accompagnandolo poi in giardino. Amy lo salutò, leggermente
imbarazzata. Quando rientrammo in casa, lei si guardò un po’ intorno.
“La sua camera è di sopra!”, le dissi divertita,
evitando la sua mano chiusa a pugno diretta alla mia spalla.
“Nessie, sei proprio impossibile quando ti ci metti!”,
sospirò esasperata, ma con le labbra piegate in un sorriso, prima di gettarsi
sul divano. Rimanemmo sole in casa di Jacob per una ventina di minuti, poi
improvvisamente avvertii un cambiamento nell’odore dell’aria.
“È arrivato!”, dissi, rivolgendo ad Amy
un’occhiata furba. Lei si pietrificò, rimanendo a guardarmi mentre andavo ad
aprire la porta d’ingresso. “’Giorno Jake. Tutto bene
da Sam?”, dissi, gettando le braccia al collo dell’enorme ragazzo.
“Si, alla fine non era niente di che. Tu
piuttosto..Stai bene?”, mi chiese, scrutando attentamente il mio viso.
“Sto bene, tranquillo.”, risposi, scacciando in
un secondo il ricordo del mio incubo. “Ti sta
aspettando.”, gli dissi mentalmente, sfiorandogli un braccio. Jacob
avvampò di colpo e mi fece cenno di rientrare in casa. Non appena entrammo nel
salotto, Amy si alzò di scatto, arrossendo. “Ciao
Jacob..”, disse, torcendo le mani senza accorgersene. Feci correre lo
sguardo dall’uno all’altra, notando le loro espressioni imbarazzate ma felici.
Così, da buona mezza-vampira rompiballe, decisi di interrompere quel momento.
“Allora, Jake, dove ci porti di bello?”. Lui mi
guardò mezzo imbambolato, poi balbettò: “Che..Che ne
dite di andare..A fare un giro per la riserva?” “Fantastico!”, risposi
io, facendo l’occhiolino ad Amy.
Passammo mezza mattinata al bar,
prima che Jacob si fosse saziato con un’abbondante colazione; fortunatamente la
tensione tra lui ed Amy si spense subito dopo aver messo piede fuori di casa.
Trascorremmo una bella giornata, in allegria; proprio quello che mi serviva per
scaricare un po’ i nervi. Inoltre, non potei fare a meno di notare quanto erano
perfetti quei due insieme. A pomeriggio inoltrato tornammo a casa di Jake; io mi
precipitai al frigorifero, cercando qualcosa da mettere sotto i denti, mentre
Amy e Jake rimasero in salotto. Lei notò su uno degli scaffali più alti della
libreria una cornice di legno intarsiato, con dentro una foto che ritraeva un
bambino: si allungò e la prese, mettendosi a ridere poco dopo.
“Questo sei tu, Jake?”. Jacob arrossì. Guardò
l’immagine che lo ritraeva minuscolo, con un cappellino da festa troppo grande
per lui, mentre era in piedi su una sedia dietro una gigantesca torta con un 1
disegnato sopra. “Era il mio primo compleanno..”,
rispose lui, sempre più imbarazzato. “Che tenero! E
guarda che carino con il cappello!”, disse Amy, guardando dalla foto a
Jacob senza smettere di ridere. Dopo un po’ si alzò in punta di piedi, stendendo
il braccio, cercando di rimettere a posto la fotografia. Ad un tratto si trovò
sollevata a mezz’aria, all’altezza dello scaffale su cui voleva posare la
cornice, sorretta dalle forti mani di Jacob.. Amy lo guardò, rossa come il
fuoco, mentre Jake la faceva scendere lentamente. Rimasero a fissarsi immobili e
in silenzio per qualche minuto. Dopo aver osservato divertita tutta la scena
appoggiata allo stipite della porta, mi schiarii la gola, facendoli sussultare
entrambi. “Io vado a casa, mi sono ricordata adesso
dell’interrogazione di Storia di domani..”. Jacob ed Amy si allontanarono
in una frazione di secondo. “Jake, riaccompagni tu Amy
a casa?”, dissi, trattenendo a fatica le risate. Lei mi fulminò con lo
sguardo. “S-si, ci penso io.”, mi rispose lui,
annegando nell’imbarazzo. “Bene, allora ci vediamo
domani!”. Salutai entrambi con un sonoro bacio sulla guancia e me ne
andai, percorrendo di corsa la strada del ritorno colma di felicità. Quando
arrivai davanti alla porta di casa Cullen trovai un biglietto scritto da mio
padre sotto il battente del portone, col quale mi informava che erano tutti
fuori per la caccia insieme ad alcuni vampiri che conoscevano da tempo. Decisi
così di andare a casa mia. Appena prima di aprire la porta mi bloccai; c’era
qualcosa nell’aria che non era come al solito.. Un odore che sentivo lontano nei
miei ricordi fece scattare i miei sensi. Chinai lo sguardo, e mi accorsi solo
allora che vicino alla porta c’era una bellissima e profumata rosa rossa, con un
biglietto attaccato al gambo lungo e senza spine. La presi e aprii la piccola
busta bianca.
N.
Le mani iniziarono a
tremarmi. Mi guardai intorno, spaesata ed impaurita, in cerca di colui che aveva
lasciato quel dono sulla soglia di casa mia. Poco dopo, fra gli alberi comparve
la figura di un ragazzo bellissimo, elegante, gli occhi color tek sicuri di sé.
Iniziò ad avvicinarsi lento, facendo perdere un battito al mio cuore ad ogni suo
passo. Presi velocemente il cellulare dalla tasca dei jeans e scrissi una sola
parola in un messaggio per Jacob. “Buona sera, Renesmee.”.
La sua voce fece fermare il mio respiro. Nahuel. Pochi istanti dopo aver
premuto il pulsante di invio messaggio, mi ritrovai senza cellulare e con gli
occhi del mezzo-vampiro a pochi centimetri dalla mia faccia.
“Avevo ragione, sei diventata proprio bella.”,
disse lui con voce suadente, accarezzandomi il viso con la punta delle dita.
Iniziai a sentire il terrore impadronirsi di me, così cercai di allontanarmi da
lui. “Nahuel, non ora. Mio padre non c’è, so che volevi
parlare con lui.”. Mi afferrò per un braccio e mi spinse contro il muro
di casa. Fece correre la mano lungo il mio collo, soffermandosi poi sul mio
cuore impazzito. Mi guardò con sguardo famelico, prima di avvicinare le labbra
alla mia pelle. Un brivido mi percorse tutta la schiena. Provai a spostarlo, ma
era come provare a spingere una montagna, persino per me. In tutta risposta lui
strinse la mano sulla mia maglietta e la tirò a sé, strappandone metà. Continuò
a fissarmi estasiato, mentre io cercavo disperata di liberarmi.
Chiusi gli occhi. Mi convinsi che
sarebbe stato inutile tentare di opporsi ancora alla sua forza bruta e
centenaria: le sue mani mi tenevano bloccata alla parete con una facilità
sconcertante, nonostante fossi una mezza-vampira come lui. Se solo ci fosse
stato mio padre, o Jacob…O Nathe. Ma non c’era nessuno. Mentre Nahuel si stava
avvicinando lentamente al mio viso, sentii il cuore saltare ancora i battiti,
come se si stesse per fermare. Mi avrebbe presa e portata via, ne ero sicura.
Cercai di scacciare quei pensieri dalla testa quando fui investita da un odore
fresco, leggermente dolciastro.
“Tieni giù le tue luride mani dalla mia ragazza!”,
pronunciò una voce dura ma soave, che mi arrivò in testa come se stesse sorgendo
da una nebbia fittissima. Stavo di sicuro sognando…Non era possibile una cosa
del genere. Assolutamente. IO lo avevo UCCISO…All’improvviso percepii un forte
spostamento d’aria e uno schianto poco lontano. Le mie braccia si staccarono dal
muro e finirono stese lungo i miei fianchi senza che me ne accorgessi.
“Nessie, apri gli occhi…”,
disse quella voce lontana, mentre sentivo una carezza scendere leggera sul mio
viso. Feci come mi aveva ordinato. Una folata di vento mi stordì ancora una
volta con quell’odore meraviglioso e buonissimo, mentre il cuore sembrava
essersi risvegliato. Potevo sentire benissimo con quanta forza mi batteva nel
petto, martellando furioso contro il torace: sembrava che dovesse esplodere da
un momento all’altro. Alzai lo sguardo, quasi spaventata, convinta che tutto
quello che stavo vivendo fosse solo frutto della mia fantasia, del mio desiderio
più grande: riaverlo accanto a me. Stavo pregando con tutta me stessa di
svegliarmi, perché non ero sicura di poter reggere un colpo simile. Non potevo
permettermi di illudermi ancora, distruggendo ciò che restava del mio cuore.
Però, qualcosa mi assicurò che era tutto vero. Un paio di scintillanti occhi
verde smeraldo si accesero non appena incontrarono i miei. Erano ancora più
belli di come li ricordavo. Un piccolo sorriso si aprì su quelle labbra
perfette, mentre si avvicinavano avide alle mie. Mi sentivo talmente stordita da
non rendermi conto della forte stretta delle sue braccia sulla mia schiena,
mentre le mie mani accarezzavano i suoi capelli. All’improvviso si staccò da me
e guardò furioso dietro di lui. Nahuel era di nuovo in piedi, e lo stava
incitando ad avvicinarsi con uno sguardo carico di sfida.
“Torno subito. Aspettami qui.”.
“Nathe..”,
sussurrai, appena si allontanò da me. Lui si girò immediatamente, come se fosse
stato a due centimetri da me. “Ti amo.”.
Nathe mi sorrise, prima di avventarsi sull’avversario. Ogni colpo che vibrava
contro Nahuel assomigliava ad una piccola ma violenta esplosione . Rimasi a
fissare come una stupida il punto in cui si stavano scontrando, preoccupata, ma
sorridendo incredula tra le lacrime. Era tornato da me, e stava rischiando la
sua nuova vita per proteggermi. Crollai a terra, il cuore che non smetteva di
martellarmi le costole. Ripensai agli occhi di Nathe e alla forza con la quale
mi aveva legato a sé…E in quel momento mi resi conto di amarlo più della mia
stupida immortalità.
Poco
dopo, un enorme lupo rossiccio sbucò dal profondo degli alberi, andandosi a
schierare contro Nahuel, seguito dall’intero branco. Il mezzo-vampiro si bloccò
per un secondo, immobilizzato da una momentanea paura, prima di avventarsi di
nuovo contro Nathe. Senza rendermene conto mi ritrovai le braccia di Amy intorno
alle spalle, insieme al tocco ghiacciato e tremante di mia madre. Nei suoi occhi
leggevo la furia, il desiderio di uccidere. Così come in quelli di mio padre,
che si stava scagliando contro Nahuel insieme agli altri. Poco dopo sparirono
fra gli alberi, lasciandomi nel silenzio spaccato dal ringhio cupo della mamma.
Non so dire quanto tempo passò, prima che mio padre, Jacob e Nathe facessero
ritorno. Avevano gli abiti macchiati di sangue, ma per fortuna non erano feriti.
Era tutto finito. Mi alzai di scatto e mi fiondai tra le loro braccia, così come
mia madre ed Amy, grata a tutte le divinità esistenti di avermi restituito la
vita.
Mio padre
gettò un’occhiata all’orologio. “Ragazzi, io devo
andare...”, disse, avviandosi verso la porta di casa di Nathe.
“Non fare tardi, mi raccomando.” “Oh Santo Cielo, non
ti ci mettere pure tu...” “Si, lo so, ci ha già pensato tua madre...”.
Sorrise e mi scompigliò i capelli, prima di sparire nel buio come solo lui
sapeva fare. “Non sarò mai veloce come lui, vero?”,
mi domandò Nathe, leggermente dispiaciuto. “Non credo,
ma non ti preoccupare. Ce la caviamo bene anche noi!”. Era strano pensare
a “noi” in quel senso. Dovevo ancora abituarmi...“Domani
andremo a sgranchirci un po’ le gambe, ok?”. Nathe mi sorrise e mi dette
un piccolo bacio. “Sarà meglio che vada...Non vorrei
che mia madre avesse incaricato qualcuno di venirmi a prendere.”.
Rimanemmo abbracciati sulla soglia della porta per un po’, poi con riluttanza
interruppi il contatto e aprii. Con un movimento fulmineo Nathe la richiuse,
tenendoci una mano sopra in modo da impedirmi di uscire. Rimasi ferma dov’ero,
senza voltarmi. “Che ti è preso, Whellens?”,
dissi sorridendo, cercando di aprire. Lui fece ancora più forza.
“Non te ne andare.”. La sua voce era bassa,
vicinissima al mio orecchio. Iniziò ad accarezzarmi piano il braccio.
“Resta...Per favore.”. Mi voltai lentamente.
Nathe abbassò lo sguardo non appena incrociai i suoi occhi. Lo costrinsi
delicatamente a guardarmi, prima di posargli una carezza sulla guancia. Lui
iniziò ad avvicinarsi lentamente, quasi come se avesse paura di compiere quel
gesto che ormai era diventato un’abitudine. Le nostre labbra si sfiorarono
piano. Ci guardammo imbarazzati per un secondo, prima di annullare di nuovo le
distanze. All’improvviso mi sentii travolgere da qualcosa di così potente che mi
lasciò allibita. Intrecciai le dita nei suoi capelli, mentre Nathe passò a
baciarmi il collo, dandomi anche dei piccoli morsi all’orecchio. Ricercai avida
le sue labbra, rendendomi conto di essere imprigionata - di nuovo - tra un
mezzo-vampiro e il muro, con la sola differenza che questa volta non avrei
lottato per liberarmi. Continuammo a baciarci con foga, consci di ciò che stava
per accadere. Poco dopo sentii di non avere più il pavimento sotto i piedi.
Appena qualche secondo dopo la mia schiena poggiava su un letto grande e comodo.
Le mie mani si mossero automaticamente verso i bottoni della sua camicia, mentre
sentivo la sua mano accarezzarmi un fianco. Si liberò velocemente
dell’indumento, gettandolo per terra, prima di iniziare a fare lo stesso con la
mia maglietta. Con un movimento agile ribaltai le nostre posizioni. Presi a
baciargli il collo lentamente, prima di incrociare il segno dei miei denti sulla
sua pelle. Mi fermai, leggermente turbata da quella vista. Nathe approfittò del
momento e si girò di nuovo, imprigionandomi con il suo corpo. Mi sorrise, prima
di continuare quella piacevole tortura. E fu in quel momento che decisi di
abbandonare completamente la ragione..Paura, rabbia, dolore, felicità, gioia,
amore, si unirono dentro di me in un’unica, potente sensazione: estasi.
*****
La stanza era
inondata di luce. Doveva essere già mattina...Aprii gli occhi svogliatamente.
Impiegai mezzo secondo a rimettere in moto il cervello, ma appena tutto iniziò a
essere chiaro non potei negarmi un piccolo sorriso. Il suo corpo era quasi
immobile, a parte il petto che si alzava e abbassava piano al ritmo del suo
respiro. La sua pelle profumava di buono, e riluceva di un debole scintillio.
Feci scorrere lentamente le dita sulla sua schiena e sul suo braccio nudo,
piegato fuori dal lenzuolo, risalendo poi fino alla spalla. Spostai una ciocca
di quei meravigliosi capelli color bronzo in modo da scoprirla e vi posai un
bacio. Lei rimase ferma in quella posizione; probabilmente non si era accorta di
niente. L’abbracciai di nuovo, cercando di non darle fastidio. Era incredibile
quanto mi sembrasse indifesa in quel momento...Respirai a fondo e richiusi gli
occhi, stringendola un po’ di più. Se mi avessero detto che un giorno sarei
diventato un mezzo-vampiro non ci avrei mai creduto. Ma anche adesso che lo ero
non me ne fregava più di tanto. Accanto a me avevo la persona più importante per
me in assoluto, e questo mi bastava. Mi sarebbe bastato per l’eternità.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Cap. 12 - Epilogo ***
Cap. 12 – EPILOGO
Faceva freddo.
L’erba era imperlata di gocce d’acqua,
testimoni del piccolo scroscio di pioggia appena passato. La luce scura del
crepuscolo stava piano piano cedendo il posto al buio della notte, illuminata
dalla pallida luna piena che stava sorgendo in cielo. Avevo i jeans umidi quasi
fino al ginocchio per colpa del terreno bagnato. “Manca
ancora molto, Jake?”. Non mi rispose, però mi strinse un po’ di più la
mano nella sua, bollente. Dopo qualche altro minuto mi ritrovai a camminare
sulla sabbia della spiaggia di LaPush. Il mare, leggermente agitato da una
brezza quasi ghiacciata rifletteva i colori del cielo.
“È…”, iniziai, cercando nella mia testa un aggettivo che potesse rendere
grazia a ciò che stavo vedendo. “Lo so.”,
disse Jacob orgoglioso, dando un colpo ad un piccolo tronco, sradicandolo senza
alcuna difficoltà. Lo guardai in silenzio, sorridendo tra me e me.
“Vieni, siediti. Non è il massimo della comodità,
però…”. Era incredibile come il suo sorriso
fosse così abbagliante anche in assenza quasi totale di luce. Mi accomodai
accanto a lui, imbarazzata, gli occhi incapaci di incontrare i suoi, che invece
sentivo fissi sul mio viso. Rimanemmo senza dire niente per un po’, ascoltando
il rumore delle onde infrangersi sul bagnasciuga. Ad un certo punto mi schiarii
la voce, che mi uscì comunque bassa. Maledetto imbarazzo.
“E così…È finito tutto, finalmente.”.
Jacob si sistemò meglio, e più vicino a me, su quella panchina improvvisata.
“Già…Sono contento che sia andato tutto bene.”.
La sua tranquillità era disarmante. A me invece stava salendo l’agitazione. La
sua spalla sfiorava un po’ la mia, e già questo mi stava facendo andare in
fibrillazione. Nessie aveva ragione…Ero proprio cotta.
“Avrei voluto portarti qui già da un po’ di tempo, ma
con tutto questo casino ho voluto stare vicino a Renesmee. Spero che non te la
sia presa…”, disse Jacob con voce profonda,
cercando la mia mano. Appena sentii le sue dita intrecciarsi con le mie il mio
cuore accelerò i battiti. “No, no affatto…”,
risposi con la voce roca, inevitabile segno del mio disagio. Disagio per modo di
dire, ovviamente. Sorrise di nuovo, prima di costringermi delicatamente a
voltarmi verso di lui. I suoi occhi scuri erano diventati due pozze
d’inchiostro; potevo notare il cambiamento anche con quel buio.
“Adesso staranno insieme per sempre, vero?”,
dissi, cercando di dissimulare la tensione che mi stava attanagliando lo
stomaco. “Amy, basta parlare di Renesmee e
Nathan.”, sussurrò, spostandomi una ciocca di
capelli dal viso. Quel contatto mi fece rabbrividire.
“Ho un argomento molto più interessante…”,
proseguì, accarezzandomi una guancia. A quel punto non riuscii più a
trattenermi. Mi avvicinai a lui e gli sfiorai le labbra con un piccolo bacio,
prima di ritrarmi velocemente, distogliendo lo sguardo; appena realizzai quello
che avevo fatto mi sentii avvampare. Ecco, adesso si che sarei morta per
l’imbarazzo. Jacob continuava a guardarmi in silenzio, immobile, ma con
un’espressione quasi divertita. “Tutto qui,
McConnor? Pensavo di piacerti un po’ di più…”.
Sentendo quelle parole lo guardai, sorpresa e ancora più imbarazzata di prima.
Feci per alzarmi e voltargli le spalle. Non volevo che mi vedesse così vittima
dei miei stessi sentimenti. Però, non appena fui a un passo di distanza da lui
mi tirò a sé. Giusto, mi ero dimenticata che lo stavo tenendo per mano. Mi
ritrovai alla sua altezza, il viso a pochissimi centimetri dal suo. Il mio cuore
ormai era impazzito del tutto. E anche il suo, da quello che potevo sentire dal
nostro contatto. Mi guardò ancora per qualche secondo che mi parve eterno, prima
di annullare la distanza tra noi. Le sue labbra si muovevano lentamente insieme
alle mie, mentre sentivo le gambe diventare sempre più deboli. Poi tutto ad un
tratto fui percorsa da una scarica elettrica che mi fece sentire più viva che
mai. Portai senza pensarci le mani ai suoi capelli corti, mentre le sue, grandi
e forti, mi stringevano dolcemente per i fianchi. Quando ci staccammo per
riprendere fiato mi guardò di nuovo, prima di abbracciarmi. Ci volle qualche
minuto prima che il respiro mi tornasse regolare, anche se i battiti accelerati
non volevano darsi una calmata. Jacob si portò vicino al mio orecchio,
lentamente. Il suo respiro bollente mi provocò una nuova scarica di brividi
lungo la schiena. Lo strinsi ancora di più, trepidante come non lo ero mai
stata. “Ti amo, Amy.”.
Una piccola lacrima solitaria si fece strada sulla mia guancia, mentre un
fremito mi percorse da capo a piedi. Mi asciugai quella perla con la manica
della maglia, prima di portarmi di nuovo davanti al suo viso, sorridendo. Gli
accarezzai i capelli, cercando di contenere tutta la felicità che mi era esplosa
dentro. Iniziai ad avvicinarmi di nuovo a lui, sentendo un sorriso aprirsi sulla
mia bocca. Appena fui a pochi millimetri dalle sue labbra mi bloccai.
“Che c’è…Ci hai ripensato?”, mi chiese Jacob,
sarcastico, la voce tremante di desiderio. Gli detti un piccolo pugno sulla
spalla, prima di allungare la mano verso la tasca posteriore dei jeans. Mi
portai il cellulare all’orecchio, piuttosto scocciata.
“Pronto…” “Amy, amore, dove sei?”. La voce indagante di mia madre mi
aveva già fatto venire i nervi. “Sono in giro. Che
c’è?” “Sono già le otto passate, non credi di dover rientrare a casa?” “Rimango
da Renesmee.”. L’insistente Lillian McConnor sospirò. Ma proprio adesso
mi doveva chiamare? “Amy, non puoi rimanere tutte le
sante sere da lei…Avrà pure i suoi impegni!” “Mamma, ascolta, devo andare. Ci
sentiamo dopo, ok?” “Ma cosa starai facendo di così importante da saltare la
cena?”. A quel punto guardai Jacob, con un
sorrisetto malizioso. “Devo far vedere al mio
lupo come si bacia veramente.”. Riattaccai, impedendole di replicare. Lui
mi guardò con un’espressione buffissima. “Devo far
vedere al mio lupo come si bacia veramente?”, ripeté, alzando le folte
sopracciglia nere. Io mi morsi il labbro inferiore e annuii, guardandolo
divertita. Dopo qualche attimo lo tirai velocemente a me e ripresi da dove mia
madre mi aveva interrotto. Rendendomi conto che l’attesa di quel contatto lo
stava facendo impazzire, decisi di tenerlo ancora qualche attimo in sospeso. Ero
davvero perfida, quando mi ci mettevo. “Prima di
insegnarti a baciarmi devo fare una cosa…” “Falla dopo.”,
rispose Jacob cercando di catturare le mie labbra.
“Ok, stavo scherzando. Non devo fare niente.”,
risposi divertita, soddisfatta di averlo completamente in mio potere.
“Allora baciami, Amy…” “Oh-oh, quanta fretta Black…”,
dissi sorridente, evitandolo ancora una volta.
“Amy…”, replicò quasi esasperato, stringendomi
di più a sé. Va bene, mi ero divertita abbastanza…Mi riavvicinai al suo viso
lentamente, fermandomi ancora una volta a pochissima distanza dalle sue labbra.
“Ti amo anche io.”,
sussurrai, prima di tuffarmi di nuovo nella bontà del suo respiro.
..Ecco qua,
la conclusione vera e propria della storia. Non potevo non dare un lieto fine
anche a Jacob ed Amy (il mio personaggio preferito in assoluto!)..
Volevo
ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito, amato, odiato e quant’altro
questo ammasso di parole, ma soprattutto chi mi ha sostenuto durante lo
svolgimento di un lavoro che ormai credevo rimanesse incompiuto.
Un grazie
di cuore a tutti voi. Di nuovo.
Lady
Anderson.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=343056
|