La avventure sul Nilo della Dea Coccinella e Sacro Gatto Nero

di Ilune Willowleaf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** bacio sulla mano ***
Capitolo 2: *** Bacio sulla guancia ***
Capitolo 3: *** bacio sul palmo ***
Capitolo 4: *** bacio sulla veste ***
Capitolo 5: *** niente bacio, solo ansia e un abbraccio ***
Capitolo 6: *** A un passo dall'apocalisse ***
Capitolo 7: *** epilogo - bacio sulla bocca ***



Capitolo 1
*** bacio sulla mano ***


La avventure sul Nilo della Dea Coccinella e Sacro Gatto Nero


Capitolo 1 – bacio sulla mano


Si dice che la Storia si ripeta. Che l'animo umano, in fondo, non cambi mai.
Forse è vero, disastri e trionfi, ascese e cadute di imperi si ripetono.
E, così come le Grandi Storie, anche le piccole storie si ripetono, perché, da che mondo è mondo, i sentimenti che animano gli umani sono gli stessi: amore, odio, avidità, rabbia, desiderio...

La nostra storia stavolta inizia sulle rive di un largo fiume, che scorre placido tra verdi rive, oltre le quali si stende un deserto dorato.
Il sole scintilla sulle acque del Nilo, che ogni anno lascia il suo letto per donare il nero limo nutriente alle terre attorno.
L'Egitto, terra di Dei dalle teste animali, di misteri e magie, di Faraoni, intrighi e di amori eterni.
La corona dell'Alto e Basso Egitto è indossata da Tutankamon. Non il malaticcio faraone bambino che diventerà un po' il simbolo di questo Paese cinque millenni dopo. Un altro Tutankamon, che regna con la sorella-sposa Nefertari, altro nome da sempre molto gettonato nell'alta nobiltà egizia.
Scendiamo sulla corte regale, tra i cortili ombreggiati da alberi e laghetti artificiali adorni di ninfee.
Quattro giovani uomini, poco più che ragazzi, si addestrano in un cortile con i corti archi che gli egizi usano per la guerra. I corpi dorati dal sole scintilando di sudore, i capelli neri sono imbiancati dalla polvere, ma gli sguardi attenti e concentrati sono fissi sui bersagli, una concentrazione da veri guerrieri.
Sono figli dei generali che comandano l'esercito, uomini fidati del Faraone. Sanno già qual'è il loro destino, e cioè guidare gli eserciti come ufficali prima, e forse come generali poi.
Ma l'Egitto per ora è in pace, quindi c'è tempo, oltre che per allenarsi, per pensare alla loro adolescenza.
Alziamo lo sguardo. Facciamolo correre lungo il muro, fino in cima, dove una terrazza ombreggiata da grandi piante in vaso è allietata dal canto di piccoli uccelli in gabbie dorate.
Due fanciulle sbirciano i ragazzi, e ridacchiano, come tutte le ragazze della loro età. Ma andiamo a guardarle da vicino.
La prima è chiaramente una nobile: i capelli sono impeccabilmente acconciati, cosparsi di pregiate essenze, e la pelle delicata non conosce il lavoro del telaio. La veste di lino pieghettata, ornata di gioielli d'oro e preziose pietre dure, lascia intuire un fisico snello e slanciato.
Accanto a lei, una ragazza dalla tunica pieghettata più corta e meno carica di gioielli, dalla pelle scura e dai capelli acconciati in lunghe treccine alla maniera nubiana. La figlia dell'architetto di palazzo, nonché la più cara amica della sorella e futura sposa del faraone, che accanto a lei si divora con gli occhi uno in particolare dei giovani arcieri.

Ora vi vedo sussultare, spettatori. Sorella e sposa? No, non siamo finiti sul set di Game of Throne. Tra gli antichi sovrani egizi, era normale prendere come moglie le sorelle e sorellastre, le zie giovani o anche, in casi estremi, le figlie, per non diluire il sangue divino dei Faraoni. Questo comportava lo spuntare fuori di malatte genetiche dopo una dozzina o più di generazioni, l'estinzione di una dinastia e il sorgere di un'altra. Fine approfondimento culturale.

-Aaaahh, com'è carino Asenmut!- esclamò, forse per la milionesima volta, la ragazzina dalle vesti più ricche -Non trovi, Sepsuth?-
-Non ci crederai, Mefrure, ma credo che questa sia la ventiseiesima o ventisettesima volta che lo ripeti, da quando siamo arrivate qui. Un dattero?-
La ragazza nubiana porse alla amica e padrona un vassoio colmo di turgidi datteri, che Mefrure prese spiluccò distrattamente, troppo assorta nella contemplazione del più giovane dei quattro arcieri.
Era l'unico figlio del generale che comandava la prima Divisione dell'esercito, e fin da piccolissimo era stato allenato e adestrato ad ogni arte militare consona al suo rango. Ma Mefrure sapeva anche che era anche molto colto, e già aveva il permesso di accompagnare suo padre alle periodiche riunioni militari, perché osservasse e imparasse.
-Oh, no, hanno finito... - sospirò. I ragazzi stavano deponendo gli archi, mentre i servi si affrettavano a portare loro vasi d'acqua per rinfrescarsi e teli di lino per detergersi polvere e sudore, mentre altri correvano a recuperare le frecce dai paglioni.
Uno dei giovani arcieri alzò lo sguardo, e trasecolò nel riconoscere chi era affacciato al terrazzo. Sgomitando e sussurrando agli altri, tutti e quattro si inchinarono, coi servi dietro prostrati a terra in adorazione della divina fanciulla.
Il rossore salì alle guance di Mefrure, ma il rigidissimo addestramento all'etichetta e l'abitudine a essere considerata la figlia in terra di un dio la fecero controllare. Salutò con grazia e con un cenno del capo, e si allontanò dal balcone, permettendo ai servi di rialzarsi dalla polvere e ai ragazzi di ritirarsi.
-Oh, se solo...- mormorò. Non finì la frase.
Era figlia di un faraone, e pertanto nel suo corpo albergava lo spirito divino, come in quello di sua sorella. Non poteva sposare un uomo comune, fin dalla nascita era destinata al fratellastro, figlio del suo stesso padre e di una zia, affinché lo Spirito Divino non si disperdesse. Presto sarebbe giunto il giorno del matrimonio divino. Una, forse due Piene del Nilo, e poi...
Ma, per ora, poteva sognare di perdersi negli occhi del giovane figlio del generale.
-Sepsuth, il sole mi ha fatto venire il mal di testa. Credo che mi ritirerò nelle mie stanze. - disse, di colpo. L'amica la lasciò da sola: conosceva perfettamente i pensieri che intorbidivano e rattristavano gli occhi della nobile, quasi divina amica, e ne rispettava il desiderio di solitudine.
Lei, dal canto suo, non aveva tali angosce. Si affacciò e strizzò l'occhio a uno dei quattro ragazzi, facendo un cenno con la mano, che quello contraccambiò.

Il breve, rosso tramonto baciò le rive del Nilo, arrossò come sangue le candide pietre delle mura e dei templi, e il sole sparì a occidente, preparandosi ad affrontare il lungo viaggio nell'oltretomba che l'avrebbe ricondotto all'alba a sorgere a oriente.
Non era un giorno festivo, e la sala dei banchetti era vuota: il Faraone e la sua amatissima moglie cenavano nei loro appartamenti, servidi da una trentina di schiavi: quasi una cenetta intima. La sorella della coppia reale aveva cenato nei suoi appartamenti, mandando via dopo poco i musici e le serve, e dicendo di volersi coricare presto.
Alla luce del primo raggio della luna piena che scintillava come un disco dorato si levò a sedere sul letto, il corpo seminudo che pareva ambra nella luce lunare. Una piccola creatura rossa lasciò il vassoio di datteri, che aveva metodicamente mangiato uno a uno, e raggiunse la ragazza.
-E' proprio una bella serata, l'ideale per uscire!- commentò, finendo l'ultimo morso di dattero.
-Hai proprio ragione, Tikki! Andiamo, è ora di uscire! C'è la luna piena, e sono sicura che apparirà un demone, stanotte. Appaiono sempre con la luna piena. -
L'aria ieratica, calma e dolce era scomparsa, la postura era aggressiva e dinamica.
-Tikki, trasformami!-
Una tunica di uno sgargiante, incredibile rosso avvolse il suo corpo, cosparsa di tondi neri come il giaietto. Una maschera simile le coprì il volto, enfatizzando meglio del trucco i profondi occhi di un esotico blu zaffiro, eredità di qualche antenata di oltre il mare. La fusciacca dorata le sottolineva la vita sottile, le cavigliere d'oro aderivano slanciando i piedi nudi.
Come un'ombra, si arrampicò sui fregi e sulle colonne periformi, raggiungendo il tetto del palazzo reale, e sedendosi sulla terrrazza più alta.
Il silenzio della notte era riposante: le voci della città arrivavano attutite, suoni di stoviglie, profumo di cibo: il popolo mangiava la sua parca cena, prima di cedere al dolce sonno.

In una stanza in un'altra ala, una stanza più piccola ma comunque ben arredata, il giovane Asenmut chiuse la porta alle sue spalle, sospirando. Sentiva la testa scoppiargli. Suo padre era molto esigente con lui, pretendeva che eccellesse in tutte le discipline sportive e militari, che leggesse e scrivesse in modo impeccabile, che fosse già colto ed esperto in geografia, storia e strategia militare. Lo portava alle riunioni e in seguito lo interrogava.
Si rendeva conto che, essendo l'unico erede maschio, suo padre riponeva in lui tutte le sue aspettative. Ma talvolta era davvero stressante.
Era anche stressante trovare scuse continue per portarsi cibo in camera. Specie cibo come olive marinate e altre delizie puzzolenti.
-Finalmente, sto morendo di fame! Cosa hai da mangiare? - la piccola creatura nera schizzò fuori dal cesto dove Asenmut teneva le tuniche di ricambio, fiondandosi sul vassoio di olive marinate ripiene di finocchiello e pesce.
-Qualcosa che puzza come un coccodrillo morto da una settimana. - commentò il ragazzo, storcendo il naso -Non potresti mangiare qualcosa di meno puzzolente? Che ne so, del melone? O del pane di miglio?-
-Ehy, questi sono i patti, tu mi foraggi di queste delizie, e io ti dò i poteri! Che razza di energia vuoi che abbia, se mi porti cose come pane o frutta?- l'esserino simile alla caricatura di un gatto trangugiò le olive con una velocità sconcertante.
-Si, ma è la MIA stanza che puzza, dopo!-
-Dettagli. Allora, novità, nella giornata?-
-Mah, niente di che. Stamattina, mentre ci esercitavamo con l'arco, si è affacciata la sorella del faraone e la sua dama di compagnia. Se n'è accorto Nyuya e momenti ci resta secco per la sorpresa. Però mi ha detto che la ragazza gli ha fatto un qualche segno. Per me, quei due se la intendono. -
-Ci hai fatto caso che ti capita spesso che la principessa Mefrure ti venga a guardare?-
-Non dire sciocchezze. La incrocio spesso perché questo è il palazzo reale. E' praticamente casa sua!-
-Secondo me le piaci. -
-Non dire assurdità. Tra un paio di anni sposerà il Faraone. Probabilmente non sa neanche il mio nome. E poi, ho cose più importanti che pensare alle ragazze, a parte la mia adorata dea Coccinella. Tipo distruggere i demoni!-
-Allora, pronto per andare? C'è luna piena...-
-Si capisce! Plagg, trasformami!-
L'altletico corpo pareva ancora più scolpito nel lino nero e oro del costume. Lo scintillio degli occhi verdi si ripeteva nell'oro del collare, mentre il liscio caschetto di capelli si arruffava un po' attorno alle lunghe orecchie appuntite. La lunga catena d'oro e giaietto non pendeva inerte, ma pareva quasi viva, sotto al cilindro dorato che conteneva il magico bastone.
-Molto bene!- esclamò allegro il Gatto Nero, Sacro Messo della Eterna Bastet -Chissà se la mia adorabile Coccinella è già arrivata!-

La prima stella della sera, gialla come un topazio, palpitava sull'orizzonte, in procinto di spegnersi ormai, mentre altre migliaia di luci si accendevano una dopo l'altra nel cielo nero, il vivo corpo della dea Nut arcuato sul mondo.
Piccoli fiori di gelsomino caddero sulle spalle della Coccinella.
-Gatto Nero? Ti aspettavo da un po'. - disse lei, per nulla sorpresa da quel gesto. Gatto Nero sfruttava il suo passo silenzioso per farle quei piccoli, profumati scherzi.
-Desolato, mia divina - si inchinò il ragazzo -Qualche segno di demoni?-
-No, non ancora. Sai, oggi pensavo a una cosa. Ho una teoria. Vuoi sentirla?-
-Dimmi tutto! Sono tutto orecchie!- Gatto nero agitò le orecchie, sedendosi agilmente vicino alla Coccinella. Un po' troppo vicino. Lei si scostò un poco.
-I demoni appaiono con la luna piena o con la luna nuova, che sono le fasi lunari più indicate per gli incantesimi. Dopo tutti quelli che abbiamo affrontato, sono abbastanza sicura che-
-Dodici. -
-Uh?-
-Ne abbiamo affrontati dodici. -
-Oh. Va bene. Dopo dodici che ne abbiamo affrontati, mi viene da pensare che non saltino fuori da soli, ma siano evocati da uno stregone. -
-Beh, non mi sembra un'idea sbagliata. -
-Questo stregone prende un feticcio, passa quattordici giorni a riempirlo di odio, frustrazione, raconore e quanto di peggio ci sia nel cuore degli uomini, e poi ce lo lancia contro. Quello che non capisco ancora è il perché. -
-Umh...-
Scese il silenzio tra i due.
-Hai provato a chiedere al tuo spirito guida?- chiese il Gatto Nero, dopo alcuni minuti di silenzio.
-Si. Lei crede che il nostro nemico sappia dell'enorme potere dei nostri Miracoli, e voglia impossessarsene. Potrebbe voler rovesciare il faraone, col loro potere, o addirittura diventare un Dio!-
-Che Osiride ce ne scampi! Ehy, guarda!- Gatto Nero si alzò, aguzzando lo sguardo sulla città rischiarata dalla luna -Laggiù! Ecco il nostro demone quindicinale! Chissà che razza di feticcio avrà usato!-
Coccinella sorrise: aveva aspettato il momento dell'azione con impazienza. -Io scommetto su l'oggetto di un contadino!-
-E io sull'oggetto di un mercante!-
Coccinella si lanciò da un tetto a un albero, seguita a ruota dal Gatto Nero.
-Ehy, mia dea! Cosa scommettiamo?-
-Non è il momento, Gatto!-
-Eddai!- la affiancò -Se vinco io, mi concedi un bacio?-
-Ma non ci pensare neanche!-
-Mi accontento di baciarti la mano!-
Coccinella roteò gli occhi, agganciandosi a un palo per stendere i panni e lanciandosi verso il porto fluviale. Gatto Nero era appiccicoso, ma in fondo amava il fatto che, in quelle vesti, ci fosse qualcuno che non la trattasse come un'intoccabile dea vivente.
-D'accordo. Ma se vinco io-
-Ah, ho vinto io, mi spiace!-
Il demone, che stava spargendo distruzione tra le casette dei barcaioli lungo il fiume, aveva al termine di ogni braccio della enorme forma umanoide lunghe funi annodate, chiaramente del tipo usato dai mercanti e dagli artigiani per tenere il conto.
La battaglia infurò concitata per alcuni minuti, finché gli artigli d'oro intarsiato di Gatto Nero non aprirono un varco nel corpo di funi della creatura, e Coccinella non purificò l'oggetto dal male, rivelando proprio un fascio di cordicelle annodate intercciate tra loro, che si consumò in cenere prima di toccare terra.
Il suo divino Miracolo riportò i feriti i salute, e le case in piedi, annullando l'incendio che si era sviluppato in alcune baracche.
Seguiti dalle grida di giubilo e dalle orazioni degli abitanti, i due emissari degli Dei scomparvero nella notte.
-E' proprio ora di andare- commentò la Coccinella, sul tetto del palazzo reale. I suoi orecchini tintinnavano come sistri d'argento per indicarle che mancava pochissimo alla sua detrasformazione.
Gatto Nero afferrò la mano ambrata della Coccinella, portandone il dorso al volto. -Una promessa è una promessa, mia dea – le disse, sorridendo in un modo che, per un istante, fece tremare le ginocchia della ragazza.
Le labbra del ragazzo erano fresche sul dorso della mano, la sua stretta gentile, e dopo un istante, solo la notte riempiva il luogo dove fino a un attimo prima c'era il Figlio di Bastet.
Rapida, la dea Coccinella si reinfilò nella finestra della sua camera, un attimo prima che la tasformazione regredisse.
Tikki si accomodò tra le sottili coltri del letto.
-E' stata una serata movimentata, eh?-
-Si. E domani sarà una giornata pesante. C'è la benedizione dei germogli di grano da tutte le province, e debbo benedirle anche io. Dormiamo, Tikki: all'alba, ormai, non manca molto. -

Poche decine di metri in linea d'aria più in là, Asenmut si sedette sospirando sul suo letto.
-Le ho baciato la mano. Fantasitco...- sospirò sognante -ha una pelle così liscia e morbida. E' davvero una dea, Plagg. Solo una dea potrebbe essere così bella e delicata, e al contempo così coraggiosa e forte!-
Lo spiritello scosse la testa, concentrandosi sul suo spuntino di ben-oltre-mezzanotte. "E solo un innamorato può essere così fesso da non accogliere con gioia la possibilità di un delizioso spuntino prima di andare a dormire", pensò, ma non disse, perché aveva la bocca piena di olive.


 



Ecco qua. Tutta colpa di questa fanart. La vedo, e *BANG*, l'idea.
Non garantisco regolarità, ho una vita dannatamente piena e l'ispirazione va e viene. però garantisco amore e passione per ciò che scrivo. =) Lasciate un commentino se vi è piaciuta, possibilmente scritto in buon italiano, che sennò la nazi-grammar che è in me espplode =)
Ecco la fanart "colpevole": http://40.media.tumblr.com/94939861f1a4b9110b4644e45346aace/tumblr_o4ebr2fWyS1v86z91o1_1280.jpg



 

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Capitolo 2
*** Bacio sulla guancia ***


capitolo 2 – bacio sulla guancia


A Mefrure non interessavano gran che le riunioni militari del suo divino fratello coi suoi generali.
 Ma un uccellino le aveva detto (leggasi Sepsuth, che se la intendeva con Nyunya, il figlio di uno dei generali) che Asenmut e gli altri figli dei tre generali partecipavano a tali riunioni, in ginocchio e in un angolo della sala, come uditori, come parte della loro preparazione a fedeli ufficiali dei divini regnanti d'Egitto.
Per cui, anche lei assisteva, graziosamente seduta su un seggio intarsiato, circondata da schiave che le facevano vento coi ventagli di struzzo. Accanto a lei, Sepsuth, su un basso sgabello parimenti intarsiato. Le due ragazze sussurravano a bassissima voce, oppure si perdevano in lunghi silenzi di contemplazione, ciascuna dell'oggetto del suo amore. Ma, mentre Sepsuth poteva gioire in cuor suo nella beata consapevolezza che, con un po' di abilità, poteva giungere a sposare l'amato, nel cuore di Mefrure la gioia di contemplare Asenmut si mescolava alla consapevolezza dell'abisso che li divideva.

Già essere in presenza del faraone metteva in soggezione Asenmut, che si ripeteva che doveva farci l'abitudine, dato il suo futuro ruolo. Ma la presenza della principessa, nell'angolo della sala, lo innervosiva.
Si sentiva gli occhi di lei addosso, come se stesse scrutando e giudicando tutto e tutti. Gli occhi truccati di nero della fancilla erano impassibili, mentre sedeva rigidamente sul trono. Talvolta si chinava a sussurrare qualcosa alla dama di compagnia, e allora un tenue sorriso compariva sulle labbra sottili.
Asenmut si sentiva a disagio con le donne: non le capiva. Tornò a tentare di concentrarsi su quanto stavano decidendo i generali e il Faraone. A sera, suo padre l'avrebbe sicuramente interrogato.


-Ho una notizia che non ti piacerà, temo. - esordì Sepsuth, assicurandosi che Mefrure fosse seduta -Nyunya mi ha detto che Asenmut gli ha detto che suo padre sta cercando di combinargli un matrimonio. - disse tutto d'un fiato.
Vide la sua amica impallidire, fino a diventare terrea.
-C-cosa?-
-E non è tutto: la vera tragedia è CHI sarebbe la prescelta: Tuat-e-nab, quella smorfiosa figlia del Visir. -
Il sangue tornò a fluire sulle gote di Mefrure, ma per la rabbia. -Q... quella maledetta smorfiosa! Quella arrogante serpe del deserto!-
-Già. -
-Quella vanesia che si fa arrivare le parrucche dal nord, e si illude pure che il biondo le doni! Oh, oh, oh!- iniziò a camminare su e giù per la stanza. La rabbia le montava. E sopratutto, le montava la rabbia perché sapeva che non poteva farci nulla: la sua rivale era figlia di uno degli uomini più importanti di corte, il più importante dopo suo fratello. Non poteva intromettersi, dato che non avrebbe dovuto avere nessun legame con Asenmut.
Era in un vicolo cieco.
Afferrò un cuscino, scagliandolo a terra, e pestandolo sotto ai piedi, desiderando che fosse la faccia dell'odiata rivale.
-Che gli scorpioni del deserto le facciano il nido nella sua stupida parrucca bionda!- esclamò, veemente.
-Cosa piuttosto probabile, dato che la sua nuova acconciatura sembra un cespuglio essiccato. - aggiunse l'altra ragazza, doverosamente solidale con l'amica.
-Oh, sono così furente, che potrei scoppiare!- si voltò, di corsa -Vai a farmi preparare il carro da caccia. -
-Vuoi sfogarti infilzano anatre?- chiese stupita Sepsuth. Mefrure aveva il suo personale carro da caccia e i cavalli, ma non aveva mai cacciato, sebbene si esercitasse con entusiasmo su fasci di papiro e sacchi di paglia.
-No, ma voglio sfogarmi in qualche modo, o andrò a caccia di teste con parrucche bionde!-


L'ancella si prostrò ai piedi di Mefrure. Altre ragazze si affaccendavano attorno a lei per pettinarla e ornarla, dopo il bagno necessario a lavare via la polvere e il sudore del pomeriggio passato sul carro da caccia. Aveva chiaramente un messaggio da riferire, e Mefrure le fece un cenno di assenso con la mano.
-Divina Mefrure, la vostra divina sorella Nefertari richiede la Vostra persona in Sua presenza. -
Un impercettibile cenno col capo fece capire all'ancella che la Principessa aveva accolto il messaggio, quindi si alzò e, sempre china e camminando all'indietro, lasciò la stanza.
Dentro di sé, Mefrure sospirò: aveva sempre indossato la maschera della divinità in terra, come era suo dovere, fin dall'infanzia, ma le pesava ogni giorno di più. Gli unici momenti in cui poteva deporre parzialmente quella facciata erano con Sepsuth e, totalmente, quando era la Dea Coccinella.
Per un attimo, desiderò che la luna nuova giungesse in fretta: due volte per ogni arco lunare, poteva essere una persona totalmente diversa, e si sentiva assolutamente, completamente viva solo quando lanciava il disco scarlatto tra i tetti e gli alberi, e combatteva i demoni per proteggere i suoi sudditi.
Si trovò a desiderare la compagnia di Gatto Nero: l'affascinante compagno che gli dei le avevano posto accanto per quell'incarico era l'unica persona al mondo che la trattasse come una ragazza, e non come una dea incarnata.
Reprimendo i suoi pensieri, lo sguardo ceruleo fermo dietro il pesante trucco nero, si levò dallo sgabello su cui sedeva, congedando le truccatrici con un cenno, e lasciando le sue stanze, si diresse agli appartamenti della sorella.
Sepsuth la seguiva alla rispettosa distanza di due passi. La mora fanciulla sapeva che l'amica era angustiata, ma non poteva confortarla come di solito faceva, non in presenza delle ancelle e delle schiave.
Le stanze di Nefertari erano simili a quelle di Mefrure, ma persino più lussuose. Le leggere tende di lino svolazzavano nella dolce brezza del crepuscolo, e in una nicchia una musicista suonava dolcemente un'arpa.
Nefertari sedeva sotto il pergolato, e la luce delle lampade posate a terra e nelle nicchie creava ipnotici giochi di luce sulla sua pelle.
Mefrure pensò che lei era seconda a suo sorella in tutto: non solo per età, ma anche per bellezza e saggezza.
-Vieni, sorella cara. Ho delle notizie molto importanti da riferirti, e spero che tu vorrai condividere con me la gioia che esse ti arrecheranno. -
Ubbidiente, Mefrure si sedette accanto alla sorella.
Erano figlie della stessa madre, che era stata sorella della madre Faraone, ed entrambe erano sorellastre del precedente Faraone. Quasi dieci anni la separavano da Nefertari, e oltre diciotto dal Faraone loro fratello.
-Abbiamo parlato, ieri, il divino Tutankamon e io. Ormai hai quasi sedici anni, e pensiamo sia tempo che anche tu ti unisca nel divino matrimonio. -
Il sorriso aleggiava sul volto di Nefertari. Lei era stata lieta di unirsi in matrimonio al fratellastro, era una cosa che aveva sempre saputo di dover fare, e lo amava profondamente. Aveva sempre creduto che anche la sorella minore amasse il divino sposo, quindi rimase interdetta nel vedere il volto della ragazza contorcersi nel disappunto.
-Cosa? ma... ma... è ancora presto! Pensavo che, ecco, sarebbe stato tra un anno, o anche due!-
-Mia amata sorella, hai quasi l'età che avevo io quando sono diventata Regina. - le mani di Nefertari presero quelle di Mefrure -Dimmi, perché vuoi attendere ancora? C'è qualcosa che ti turba?-
Mefrure distolse lo sguardo. Come poteva dire alla sorella che lei amava si Tutankamon, ma non come una donna amava il futuro sposo? Come poteva confessarle di essere innamorata di un comune ragazzo? Innamorata, e probabilmente non ricambiata, lo sapeva bene, di un ragazzo che aveva già un'altra promessa sposa, o una sfilza di candidate.
-Io... io... non me la sento, per ora. E' qualcosa di troppo grande per me. -
-Sorella cara. Noi siamo stirpe degli Dei Celesti, e questo ci conferisce un potere immenso, lo sai bene. Ma questo potere comporta anche dei doveri, e il nostro dovere principale è quello di mantenere intatta la linea di sangue, e lo spirito divino con essa. Mefrure, sono sposata con Tutankamon da dieci anni, e non riesco a portare avanti una gravidanza. Abbiamo bisogno di un bambino, o più di uno, del nostro sangue. Mefrure, se io non posso dare frutti alla nostra famiglia, dovrai essere tu a farlo. -
-Ma... ma...-
-E' il nostro dovere principale. E io mi aspetto che tu lo compia, così come tento io di compierlo ogni volta. -
Le lacrime salirono agli occhi della ragazza.
-Mi stai dicendo che i miei desideri non contano nulla? Che non ho scelta, come l'ultima delle schiave?-
Nefertari si rese conto di essere stata un po' troppo brutale.
-Noi non siamo libere nei nostri desideri e nei nostri sogni, sorella cara. Il peso della corona è anche questo. - allunmgò la mano per asciugare le lacrime dal volto della sorella, che però allontanò la testa.
-Non è giusto. Perché non posso avere anche io la mia felicità?-
-Non dire così. Sarai felice. Cosa può rendere più felice un mortale di obbedire al volere degli dei, ed essere fondamentale per mantenere l'equilibrio e l'ordine, così in terra come in cielo?-
Mefrure non trovò parole per rispondere.
-Dammi un altro po' di tempo. Per favore. Lasciatemi sognare ancora un po'...- disse, alzandosi, e facendo per allontanarsi.
In un attimo Nefertari le fu vicino.
-Sorella, dimmi: c'è forse qualcuno, che riempie il tuo cuore?-
Sotto lo sguardo della sorella maggiore, che era stata come una madre per lei, Mefrure non poté non annuire.
-Ed è solo quello, o anche le tue notti?-
-No! No, te lo giuro. Lui... neanche sa che mi piace. Probabilmente pensa che io a malapena lo guardi. So come mi devo comportare. -
Nefertari si rilassò impercettibilmente.
-Va bene. Se non saprà mai ciò che provi, se terrai sempre a mente quale è il tuo dovere, nei confronti dell'Egitto e della stirpe, allora parlerò con Tutankamon, e vedremo di aspettare ancora. -
Mefrure chinò il capo, sollevata.
-Grazie. Grazie, sorella. -
-Prega gli dei che l'ultimo frutto che il mio grembo custodisce riesca a maturare: se sarà forte e sano, potrei riuscire a convincere Tutankamon a prendere una moglie tra le figlie dei generali, per dare uno sposo o una sposa all'erede che ho generato. -
-Oh, Nefertari! Pregherò gli dei notte e giorno, se ciò potrà giovarti!-



-Plagg, sono nei guai. Sono nella cacca di coccodrillo fino al collo. - Ansemut chiuse la porta della sua stanza alle sue spalle, guardandosi disperato attorno. Trascinò la cassapanca davanti alla porta.
-Che ti succede?-
-Mio padre mi sta cercando moglie, e vuole appiopparmi la figlia prediletta del Visir. Di tutte le donne d'Egitto, proprio quella?!- esclamò disperato.
-Cos'ha che non va? Una ragazza vale l'altra, no? -
-Ma anche no! - il ragazzo si lasciò cadere sul letto -E poi, nel mio cuore c'è solo lei – il suo sguardo si fece sognante -la mia dea Coccinella...-
-Temete che compaiano demoni anche se stanotte c'è la luna a metà?- chiese Plagg, di colpo.
-No, perché?-
-Perché mi pare di vedere la tua amata Coccinella appollaiata sul tetto del grande tempio di Bastet. -
Ansemut si sprecipitò alla finestra. Se non era trasformato, la sua vista notturna non era di molto migliore di quella di tutti gli altri, ma gli parve di vedere una figuretta seduta sulla sommità del tempio.
-Oh-oh! Che abbia voglia di chiacchierare con me? - esclamò imbaldanzito -Plagg, trasformami!-
Dopo la tasformazione, scrutò di nuovo le tenebre, rischiarate dalla mezza luna, con la sua vista più acuta. Si, era proprio la Coccinella.
Si controllò rapidamente nel riflesso della lastra di metallo lucidato, prima di lanciarsi nella notte verso l'oggetto del suo amore.
-Notte incantevole. Speriamo non ci siano demoni a rovinarla!-
-Mmm...- muggnò Coccinella. Gatto Nero le si sedette accanto.
-Ehy, cosa c'è? Hai avuto delle soffiate? Indizi su chi possa essre lo stregone che evoca i demoni? Dai, magari riusciamo a beccarlo con le mani nel sacco, anzi, con un feticcio in mano!-
-No. -
-O magari avevi solo voglia di vedermi- sorrise Gatto Nero, mettendo in mostra la chiostra di candidi denti in un sorriso irresistibile.
Coccinella non poté fare a meno di sorridere, leggermente, a quel buonumore contagioso.
In effetti, aveva avuto voglia di vederlo. Di vedere qualcuno che la trattasse da amica, e non da dea.
-Avevo solo bisogno di... essere qui. -
-Qui dove?-
-Fuori da casa mia. Non dovrei invocare il Sacro Potere del Miracolo per svignarmela e venire qui a pensare ai fatti miei senza gente tra i piedi, ma l'ho fatto. -
-Oh, beh. Ti confesso che l'ho fatto anche io, qualche volta. -
-Sul serio, gattino? Tu che problemi hai?-
-Da dove comincio?- Gatto nero buttò la testa all'inditro, guardando il cielo e perdendosi nell'ammirare la Via Lattea -Un padre che ripone tutte le sue aspettative su di me, e solo su di me, e che mi spreme come un grappolo d'uva. Una vita tracciata in ogni sua tappa da quando sono stato svezzato... ah, già, e ora, anche una tizia che mi vogliono dare in sposa, che conosco a malapena, ma abbastanza per capire che è una piaga di prima categoria, che mi renderà la vita un inferno, se non riesco a schiodarmela. E tu, mia dea? Cosa offusca i tuoi begli occhi del colore del mare?-
Coccinella tacque per un attimo. Cosa dirgli? Quanto dirgli?
-Io... io non so chi tu sia, quando togli la maschera. Quindi non so che responsabilità tu abbia. Io ne ho... di grandi. Grandissime, anche quando non distruggo i demoni. La mia famiglia si aspetta molto da me. Dovrò sposare una persona a cui voglio bene, ma non quel tipo di bene. E mi piace un'altra persona, che però non credo neanche che sappia che lo guardo. Mi sento carica di catene come una schiava, e non posso decidere nulla. - sospirò, toccandosi la maschera metallica scarlatta che aderiva al suo viso -Quando indosso questa maschera, sono davvero me stessa. Quando la depongo, chi sono? Forse sarebbe stato meglio se non avessi ricevuto anche questo potere, anche questa resposanbilità. una volta assaggiata la libertà, è difficile tornare nella gabbia. -
La mano di Gatto Nero strinse quella di Coccinella, che non si ritrasse. -Hai ragione. Queste maschere sono i nostri veri volti. Non ti piacerebbe... portarle per sempre?-
-Che intendi dire?-
-Non tornare mai più ad essere ciò che siamo quando il sacro potere ci lascia. Restare per sempre la Dea Coccinella e il Sacro Gatto Nero. Solo tu e io. -
Coccinella sorrise. -Sei un caro amico, Gatto. Lo vorrei davvero, ma io non posso. Ma grazie per avermelo chiesto. -
-Se... se ti mostrassi cosa c'è sotto questa maschera, tu faresti lo stesso?-
-Rivelarti la mia identità? Non so se sarebbe una buona idea. -
-Perché no? Magari ci conosciamo. -
Coccinella scosse la testa -Ne dubito. Non conosco molte persone, e sono parecchio sicura che tu non sia uno di loro. -
-Beh, magari si. O magari possiamo continuare a vederci anche di giorno. Se non hai molti amici, uno in più non ti farà male, no? -
Coccinella scosse il capo -La vedo dura. - appoggiò la testa contro la spalla di Gatto Nero -Ma ti ringrazio per la tua amicizia. Per me è davvero importante, sai. -
Gatto Nero quasi non riusciva a respirare per la gioia che quel semplice contatto gli dava. Lei lo aveva appena definito "un amico", cosa che notoriamente seppellisce sotto una piramide di cocci spirituali ogni innamorato, ma quel gesto, e le altre sue parole, gli avevano dato un po' di speranza.
Le luci della città si spegnevano una a una, finché solo le lampade votive nei templi rimasero accese a spandere la loro dorata luce attraverso le finestre.
-Ehy, Coccinella. Sai cosa c'è?-
-Cosa?-
-Ripensavo a quello che avevi detto qualche notte fa. Riguardo al fatto che a mandare i demone potrebbe essere uno stregone. -
-Si?-
-Ecco... tu sai usare il pendolo?- Gatto Nero si riferiva alla magia usata da alcuni sacerdoti, che chiamavano gli spiriti minori, li legavano ad amuleti a forma di goccia o di anello, e li usavano su tavolette con incisi segni mistici, per effettuare divinazioni.
-Si. Non benissimo, ma si. -
I Faraoni e le figlie dei Faraoni erano capi civili, ma anche massimi sacerdoti del numeroso pantheon egizio. Come futura regina consorte, Mefrure aveva imparato le divinazioni classiche, compresa quella col pendolo.
-Potresti usare il tuo disco sacro come un pendolo. Chiedigli di indicarci il luogo dove si trova chi evoca quei demoni. -
-Accidenti! Bella idea!-
-Puoi farlo qui? Cioè, non che io non trovi piacevole stare anche tutta la notte seduto su un tetto accanto a te, però se riuscissimo a prevenire gli attacchi e ad acciuffare il nostro cattivone...-
-Ho bisogno però di alcune cose. Qualcosa per raffigurare la città. Tipo una tavoletta cerata su cui disegnare ua mappa. -
-So dove prenderne una. Aspettami qui. - garantì Gatto Nero, prima di sparire, ombra nelle ombre, fiondandosi in camera sua a prendere la tavoletta che usava per gli appunti.

Gatto Nero aveva tracciato una mappa della città, raffigurando piuttosto accuratamente il grande complesso di templi e palazzi che costituiva la sacra cittadella, e Coccinella faceva lentamente passare lo yo-yo metallico sui tre pezzi di legno cerato aperti dinnanzi a lei.
Non era mai riuscita a combinare un bel nulla con i pendoli normali, ma confidava nel sacro potere che pervadeva il suo strumento.
-Che strano, dà reazione solo nella zona della Cittadella Sacra. Che il nostro stregone si stia nascondendo tra i sacerdoti?- mormorò.
-Beh, avrebbe senso. Pensi che un mago tanto potente da evocare quei demoni se ne starebbe a vendere erbe e pozioni contro il malocchio nei vicoli accanto al porto?-
-Questo significa che il nostro nemico potrebbe essere qualcuno di importante, anche sul piano sociale. Dovremo fare molta attenzione. Se ci inimichiamo i sacerdoti, è finita. Già non sono molto contenti di avere due emissari divini in giro che non vanno a fare le belle statuine alle cerimonie... -
-Sembri conoscere molto bene tutto quello che c'è dietro ai templi – notò Gatto Nero, con una punta di soddisfazione. Desiderava ardentemente sapere chi si nascondesse dietro quella maschera scarlatta, e raccoglieva ogni indizio come un assetato nel deserto raccoglie gocce d'acqua.
-Si, abbastanza. Senti, Gatto, la notte è agli sgoccioli; non so quanto sonno in più potrò strappare, se fingo di stare poco bene, ma qualcosa mi dice che tu, invece, dovrai levarti all'alba fingendoti fresco e riposato. -
-Ci hai preso in pieno. - sorrise smagliante Gatto Nero.
-Proseguiamo domani?-
-Volentieri!- il ragazzo raccolse la tavoletta cerata.
Prima che Gatto Nero potesse saltare via, Coccinella lo prese per un braccio, attirandolo a sé e baciandolo sulla guancia.
-Grazie. -
Per un attimo, Gatto Nero fu senza parole, col cuore che gli scoppiava per la sorpresa e l'emozione.
-P-per cosa?-
-Per avermi fatto dimenticare per qualche ora le mie catene d'oro. -
Seppure a fatica, si riprese. -Sarò qui per te, ogni volta che vorrai scordarti il resto del mondo, mia dea. - si inchinò, come davanti a un altare, ma con un sorriso malizioso e dolce allo stesso tempo, e un'occhiata carica di un sentimento che Coccinella finse di ignorare.




Note dell'autrice: ho corretto gli errori di battitura del capitolo 1. Vi beccate il capitolo 2 semigrezzo, cioè senza il controllo finale-finale (ho riletto 2 volte ma qualche errore potrebbe essere rimasto): il definitovo lo farò domani. Capitemi, sono le 2 di notte e ho meno di 6 ore di sonno davanti a me.
Grazie per le recensioni! Ho già pressappoco tutta la storia in testa, dovete ringraziare le mie lunghe, noiose sessioni di cucito se progredisco in fretta (non c'è molto a cui pensare mentre rifili alla macchina taglia-e-cuci una moltitudine di pezzi!), ma continuate a incrociare le dita che l'ispirazione non mi abbandoni!

 

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Capitolo 3
*** bacio sul palmo ***


Capitolo 3 – bacio sul palmo

Dopo poche ore di sonno, Mefrure si alzò, stanca ma con uno strano senso di ansia addosso. Si sentiva la nuca pesante, ma attribuì la cosa allo scarso sonno. Non servì a calmarla né una buona colazione, né un bagno. Era ormai mezzodì, quando decise di fare qualcosa di costruttivo in vista della nottata.
"Non esiste solo il pendolo, per divinare", pensò, mentre si faceva portare diversi scrigni, che Sepsuth le apriva di fronte.
Mandarono via le ancelle, restando da sole nella stanza.
Sepsuth non sapeva fare le divinazioni, cosa in cui invece Mefrure era stata istruita, in quanto, tecnicamente, sacerdotessa e tramite divino. Però l'amica le aveva insegnato cosa fare per esserle d'aiuto.
-Cosa è successo ieri?- chiese la ragazza alla principessa, aprendo lo scrigno in osso con gli astragali di gazzella e quello in madreperla con i dadi di avorio numida.
-Sono riuscita a ottenere una proroga. -
-Cosa?-
-Nefertari e Tutankamon pensano che sia giunto il tempo che io mi unisca in matrimonio, ma non mi sento pronta. Non ancora. Mia sorella ha capito e mi ha promesso che tenterà di convincere Tutankamon ad attendere ancora un anno. Se il bambino che mia sorella porta in grembo sarà sano e forte, forse Tutankamon prenderà delle regine secondarie per avere una discendenza da unire al bambino. Non voglio essere semplicemente la riserva di mia sorella per dare eredi alla dinastia!-
Sepsuth si tirò distrattamente una delle treccine, quella con il grano d'avorio intrecciato, il suo preferito. Nefertari tentava invano da anni di portare a termine una gravidanza, e temeva che la sua amica e principessa si sarebbe dovuta rassegnare all'idea di dover sposare il faraone solo per motivi dinaastici.
-E quindi, ora? Insomma, cosa vuoi divinare?-
-Non lo so. Voglio solo... leggere l'atmosfera. Mi sono svegliata con l'ansia addosso. -
Sepsuth si guardò attorno, accostandosi all'amica e sussurrandole -Magari, se non passassi tutta la notte fuori nelle sembianze della Dea Coccinella, al mattino saresti più reattiva!-
Mefrure ammutolì.
-Tu... cosa?-
-Ti sei scordata che un anno fa mi hai fatto avere le stanze accanto ai tuoi appartamenti, dato che sono la tua dama di compagnia? Un po' di tempo fa ti ho visto parlare con il piccolo spirito divino, e trasformarti nella Dea Coccinella. -
-Non lo hai detto a qualcuno, vero?- la principessa sudava freddo.
-Tranquilla. Labbra cucite. Ti ho coperta in un paio di occasioni. -
-Sepsuth, sei la migliore amica che gli dei potessero mai mandarmi!-
Sepsuth si lucidò le unghie sulla tunica, con falsa modestia -Lo so. Ma, credimi, è un onore anche per me essere amica, oltre che della principessa, anche della Dea Coccinella. Allora, vuoi divinare qualcosa che ha a che fare con i demoni che compaiono ogni quattordici notti?-
-Si. No. Forse. Farò una divinazione generica. - Mefrure si accosò a un piccolo scrigno che teneva sul tavolo accanto al letto.
-Tikki, Sepsuth ha scoperto tutto. Credo che possa farti vedere da lei. Anche perché avrò bisogno del tuo potere, per divinare. -
Lo spirito coccinella emerse dalla scatola, che era arredata come una minuscola, comoda camera. -Non è un bene, che qualcuno sappia del tuo potere. - la rimproverò, ma senza troppa convinzione.
-Lo so, ma l'ha scoperto, e ha tenuto il segreto per mesi. E' la mia migiore amica, e mi fido di lei. Andiamo, ho bisogno del tuo aiuto. Per favore... -
Tikki svolazzò sulla spalla della principessa, sospirando. Non le piaceva quando qualche estraneo scopriva la vera identità della portatrice del poteri della Coccinella. Si chiese se anche lo spirito del gatto, Plagg, avesse simili problemi col suo umano.
-Sepsuth, lei è Tikki, lo Spirito sacro che mi dà i poteri divini. Tikki, Sepsuth, la mia migliore amica. -
-La gioia riempie il mio cuore nel fare la tua conoscenza, oh antico spirito!- Sepsuth si inchinò leggermente. Tikki le svolazzò un attimo attorno, tornando poi ad accomodarsi sulla spalla di Mefrure.
-Immagino che ormai la frittata è fatta. Va bene, vediamo se riusciamo a scoprire qualcosa con le divinazioni. -

Dopo il rapido pasto del mezzogiorno, Asenmut pensò a come poteva permettersi di saltare, con qualche scusa, la battuta di caccia in programma per quel pomeriggio. Lui e i tre figli degli altri due generali venivano educati assieme, e facevano quasi tutto assieme, ma data la nottata in bianco, le un'altra notte da sveglio che si prospettava all'orizzonte, avrebbe gradito un po' di riposo, invece di stare tutto il pomeriggio su una barchetta di papiro a tentare di infilzare anatre e aironi.
Sdraiato nella penombra fresca della sua camera, faceva ruotare attorno al dito medio l'Anello del Gatto, tentando meditando sui fatti dela notte.
-Plagg? Senti, tu conosci lo Spirito della Coccinella?-
-Ma naturalmente!- Plagg era pigramente spaparanzato su un cuscino, posto su uno sgabello accanto al letto. La sua "camera" era in uno scrigno di legno nascosto sotto al letto, ma preferiva starsene sui cuscini. -Anche se non la vedo molto spesso. In effetti, l'ultima volta è stato qualche secolo fa. -
-Non avresti voglia di rivederla?-
-Uh? Non saprei. Perché questa domanda?-
-Ecco, mi chiedevo se... Mi aiuteresti a scoprire chi è davvero la dea Coccinella?-
-Non te ne verrà nulla di buono, se non sarà lei a dirtelo, credi a me. Alle donne non piace che si scoprano i loro segreti. -
Asenmut sospirò -La donna della mia vita è da qualche parte, lì fuori. E io non posso sopportare l'idea di sposare la figlia del visir, e rinunciare agli occhi azzurri come il mare della mia splendida dea. -
-E se dietro quella maschera non fosse bella come credi?-
-Che m'importerebbe? La bellezza di questo mondo è un fiore effimero. Ma è il suo coraggio e la sua audacia che mi hanno rubato il cuore!-
Plagg scosse la testa.
-Se proprio vuoi fare indagini, cerca di pensare al nostro nemico. -
-Giusto, hai ragione! Se stasera arrivo con qualche informazione interessante, Coccinella ne sarà felice, e magari mi darà un'altro bacio!- il ragazzo si levò a sedere, entusiasta.
-Secondo la sua divinazione, il nostro stregone si nasconde nella cittadella sacra. Che però è un'area dannatamente grande, e con un numero enorme di persone che probabilmente sanno usare la magia.-
-Fai un elenco delle persone che conosci che potrebbero usare la magia, divisi per zone. - suggerì Plagg.
-Buona idea!- afferrò la tavoletta cerata e lo stilo, iniziando metodico a incidere i nomi del vari templi e la lista di coloro che, tra i sacerdoti e i maghi, erano rinomati per i grandi poteri.

-I casi sono due: o a divinare faccio più schifo di quel che non ricordassi, o c'è una grave minaccia sopra tutti noi. - decretò Mefrure, seduta in mezzo a un caos di oggetti.
Astragali, dadi, ambre incise dalle terre del gelo, tazze colme d'acqua e cera rappresa, vassoi con braci e ceneri, sacchetti di pietre preziose e di perle abbandonati su vassoi d'oro. Aveva tentato tutte le divinazioni per le quali aveva i materiali: con dadi, ossa, rune dal lontano nord, perle da far rimbalzare, pietre preziose, fuoco, ceneri e cera.
Tutte davano responsi diversi, ma ugualmente cupi.
-Non c'entra il non essere bravi, Mefrure: hai usato il Potere della Creazione e della Fortuna, attraverso di me, quindi le divinazioni sono corrette. - commentò Tikki, seria.
Sepsuth, che aveva metodicamente annotato tutto ciò che la principessa le dettava durante le divinazioni, osservò con aria critica la tavoletta coperta d'argilla, e fittamente incisa nella sua bella grafia. Suo padre l'aveva mandata a lezione dai migliori scribi mica per nulla!
-Ricapitoliamo: gli astragali dicono "pericolo vicino" e formano la sagoma di un serpente; i dadi indicano un tempo breve, mentre le rune delle terre dei ghiacci danno i segni di morte e pericolo. -
-E tutto questo mentre pensavo a mia sorella!- nella voce di Mefrure c'era il panico.
-E anche la cera e le ceneri danno segni di pericolo, ma su tutta la tua stirpe...-
-Sepsuth, devo andare da mia sorella. Tikki, vieni con me: forse dovreò trasformarmi!-
Il piccolo spirito si infilò rapida tra le pieghe dell'abito di Mefrure, che già si stava scaraventando fuori dale sue stanze, con Sepsuth che tentava invano di tenere il passo.
Mefrure abbandonò il passo posato che le era stato inculcato fin da bambina, correndo lungo i corridoi e ignorando le ancelle e i servi stupefatti che si gettavano ai suoi piedi al passaggio.

La sera stava ormai scendendo, e Asenmut contemplò soddisfatto la sua lista. Niente male davvero!Un bussare secco lo fece sobbalzare, che chiuse la tavoletta con aria quasi colpevole. Un attimo dopo, suo padre entrò nella stanza.
-Si?-
-Figlio, devo parlarti. -
Il ragazzo sospirò: quando suo padre aveva quel tono, non c'erano buone notizie in vista.
-Mi spiace doverti dare questa notizia, ma... il fidanzamento è saltato. -
-Cosa?- per poco Asenmut non si mise a saltare di gioia.
-Era tutto quasi pronto, stamattina volevo andare a parlare col Gran Visir per prendeer gli ultimi accordi, ma lui mi ha anticipato, e ha detto che ha altri piani per sua figlia. Mi spiace, era il miglior partito a cui potessi aspirare in tutto l'Egitto...-
-Non ha importanza, padre. Anzi, meglio così. -
-Affatto! Per la tua carriera, devi avere una moglie che ti garantisca dei buoni agganci. Hai quasi diciassette anni, ed è ora che tu pensi seriamente a prendere moglie e a dare una discendenza alla nostra stirpe. -
-Padre, voi amavate mia madre, vero?-
Il generale si ammutolì. Perché tale domanda?
-Certo che l'amavo. Era la luce della mia vita. -
-Ecco, io vorrei sposare una donna che amo. Non una ragazza che ho visto a tre feste di numero e di cui conosco a malapena il nome!-
-L'amore viene anche dopo il matrimonio. - tentò di obiettare l'uomo.
-Ma voi mi avete raccontato che avete fatto delle vere e proprie follie, per convincere il padre di mia madre a darvela in sposa!-
-Punto a tuo favore. Ero giovane e incosciente...-
-E non sono anche io giovane? Beh, magari spero non troppo incosciente, ma vorrei almeno avere la possibilità di trovare il mio grande amore!-
Il generale non poté non sorridere all'entusiasmo giovanile del figlio.
-Va bene, figlio mio. Cerca da solo una fanciulla che ti faccia fare follie. Solo, ti autorizzo a chiederla in moglie come sposa solo se sarà di una estrazione sociale abbastanza alta. Altrimenti, dovrai accontentarti di avere l'amore della tua vita come concubina, e prendere come moglie una fanciulla la cui famiglia possa garantirci le giuste amicizie e appoggi. -
-Certamente, padre! - garantì Asenmut. Da quel poco che aveva scoperto della Coccinella, non doveva certo essere una popolana. Non con quelle mani, con quei piedi delicati e aggraziati, e quella pelle dal lieve profumo di loto e di essenze.
Tutto quello che doveva fare, ora, era conquistarla col suo amore. O con la sua intelligenza. O la sua arguzia. Insomma, conquistarne il cuore, convincerla a rivelargli la sua identità e sposarlo. Una passeggiata, insomma.


Abbandoniamo per un poco i nostri due protagonisti, l'una preoccupata e l'altro innamorato, ma restiamo nella cittadella, circondata da alte mura che tengono fuori le casette popolari, camminiamo per i larghi viali dove sfingi solenni osservano con occhi di pietra il fluire dell'eternità, passiamo all'ombra ormai lunga di obelischi che narrano le gesta di faraoni e dei. Oltre il tempio di Osiride, oltre le vasche per le abluzioni sacre, in quella che pare una piccola depandance della grande residenza del faraone e della sua famiglia, c'è alloggiata un'altra famiglia appena meno importante, quella del Visir. Primo ministro, consigliere del faraone, suo braccio destro. Il secondo uomo più importnte dell'Egitto, civile che può parlare alla pari coi sacerdoti degli dei maggiori.
Superiamo il cortile dove gorgoglia una fontana, le sale e le camere, e inoltriamoci in un corridoio, ove si affacciano le lussuose camere dei padroni. Nello studio, colmo di rotoli di papiro ma deserto, e esaminiamo un fregio in un punto specifico del muro.
Una mano femminile, di adolescente, lo spinge, e una sezione di muro si ritrae, rivelando una scala che scende nelle tenebre.
I gradini sono puliti, piccoli lumi a olio illuminano la discesa.
La mano tocca una leva all'interno, e la porta segreta si chiude alle sue spalle.
Il locale sotterraneo è immerso nella penombra. Un uomo di mezza età siede a terra, su una stuoia, con alcuni oggetti di fronte a sé, illuminati dalla fiamma di lucerne che guizzano attorno a lui.
Nella stanza, in mezzo a tutto il necessario per la magia nera, c'è il Visir. E quella dinnanzi a lui, dritta e altera nella veste coperta di gioielli, è la sua figlia prediletta, e sua allieva.

-Padre, vi ho portato quanto avete chiesto. - disse Tuat-e-nab, posando a terra un cesto di vimini.
-Bene, bene, figlia cara. Vieni. Oggi ti ho mostrato come scagliare un maleficio di mala salute, sulla principessa. Dovrai lanciarlo molto spesso, in futuro: dovrà essere fragile e cagionevole come la regina.
Ma stasera dovremo occuparci della regina: è di nuovo gravida, e noi non vogliamo che dia un erede al faraone, vero, mio fiore del Nilo?-
-Assolutamente no, padre. Altrimenti, come potrebbe il faraone pensare di prendere la principessa in sposa? E quando anche ella si rivelerà sterile, arriverà il mio momento, e allora sarò Regina!-
-No, mia cara bambina. I piani sono cambiati. Faraone, regina... no. Noi diventeremo dei. -
-Cosa? Padre, ma...-
-Col sacrificio di diecimila anime, e con un patto aperto dal sangue divino del Faraone, noi riceveremo poteri maggiori di quelli di qualunque mortale. A quel punto, sarà facile dare la caccia alla Coccinella e al Gatto Nero. E quando avremo i loro Talismani Sacri, ci eleveremo col loro potere, e diventeremo dei!-
Gli occhi del padre e della figlia scintillavano di bramosia di potere.
Il visir prese dal cesto l'uovo, ancora tiepido della cova, che la figlia gli aveva portato. Lo esaminò in controluce, approvando: dentro, si intuiva la sagoma di un minuscolo embrione di pulcino che cresceva.
Lo inserì nel ventre di una bambola di paglia, al cui collo erano legati frammenti di papiro con enigmatici simboli.
-Osserva, figlia, come ho fatto in questi anni a impedire a Nefertari di partorire. L'uovo, inserito nel feticcio, rappresenta il bambino. Stanotte, la regina non perderà solo il bambino. Questa volta morirà: il tramite del maleficio è già sotto al suo letto. Stanotte, inizia la nostra ascesa al potere. -
Poi, prese un lungo spiego di ferro nero, che pareva assorbire la luce delle tremule fiammelle, e, senza esitare, lo affondò nel ventre della bambola, spaccando l'uovo e impalando l'embrione di pulcino.

I corridoi del palazzo non le erano mai sembrati così lunghi. Mefrure si afferrò a un muro per piegare in corsa l'angolo retto, e spalancò da se le porte dell'appartamento della coppia regale, senza attendere che i servi l'annunciassero.
L'orrore le riempì lo sguardo: sua sorella, la sua amatissima sorella Nefertari, giaceva a terra, sorretta da un terrorizzato Tutankamon, con la parte inferiore della veste inzuppata di sangue.
-Mefrure... Nefertari ha... il bambino...-
La ragazza si accasciò sulle ginocchia. -Sono arrivata tardi!- singhiozzò. Le divinazioni l'avevano avvertita per tutto il pomeriggio, ma lei era stata troppo lenta nell'interpretarle.
Sepsuth arrivò qualche istante dopo, ansimando per la corsa, e con una sola occhiata capì il dramma.
-Un maleficio! Qualcuno ha lanciato un maleficio sulla Regina!- Esclamò, tra viavai concitato e le strida di terrore e angoscia delle ancelle -Mefrure, dobbiamo trovare il feticcio!-
-Cosa?-
-Me l'avevi detto tu, no? C'è sempre un feticcio, per una maledizione! Qualcosa che deve essere qui!- prese la principessa per un braccio, obbligandola a rialzarsi. Non avrebbe mai dovuto osare, ma era un caso di emergenza, e l'unica che avrebbe potuto riconoscere un feticcio, cioè Mefrure, era a terra annichilita.
-Avanti, dimmi cosa cercare. Cerchiamolo!-
Mefrure si guardò attorno, spaesata. -Non lo so. Qualcosa. Qualcosa che non dovrebbe essere qui...-
Tutankamon volgeva lo sguardo dalle due ragazze alla amata sposa, che giaceva esanime tra le sue braccia. Le ancesse si stringevano attorno e si allontanavano, timorose.
-Mettetela sul letto, voi! Deve esserci una emorragia, tamponatela! Muovetevi, oche!- urlò Sepsuth alle ancelle che, confortate dal fatto che c'era qualcuno che sapesse cosa fare, obbedirono all'istante.
In realtà Sepsuth era sull'orlo del panico, ma capiva che non doveva cedere, o tutto sarebbe andato perduto.
Il caos non calò quando i medici di palazzo arrivarono, chiamati da una ancella con più buonsenso delle altre. Mefrure iniziò a buttare all'aria la stanza, in cerca di qualcosa. Tikki si era infilata tra i suoi capelli, e le sussurrava indicazioni: sentiva il male, ma riusciva solo vagamente a capirne la direzione. Infine, lo trovò: una lamina di piombo con incisi strani segni, tra cui un serprente, come quello della sua divinazione.
-Eccola!- esclamò, afferrandola. Si sentì quasi male: l'oggetto pareva emanare malvagità, tanto da farle venire la nausea, ed era freddissimo al tocco. Afferrò la lamina con entrambe le mani, e la spaccò sull'orlo della finestra.
Fu come se una cappa di cristallo nero si fosse schiantata in minutissimi pezzi, e, così come era iniziata, l'emorragia cessò.
Ma era troppo tardi.
Terrea, esangue, Nefertari giaceva sul letto, tra lenzuola impregnate di sangue, troppo sangue.
Mefrure scacciò in malo modo le ancelle, stringendo la mano della sorella, stretta tra le braccia di Tutankamon.
Di colpo, il silenzio, pesante come una cappa di piombo, scese nella stanza.
Nefertari ruotò lo sguardo sull'amata sorella minore. Poi, lentamente, lo sguardo sempre più velato, sul volto dell'amato sposo.
-Proteggila...- sussurrò -Ti amo. - in un soffio, prima che le lunghe ciglia fossero percorse da un fremito. Il petto si alzò ancora una volta, spasmodicamente, poi il corpo rimase immobile, tra le braccia di un uomo che aveva visto la sua vita spezzarsi in un istante.
Mefrure quasi non si rese conto del lamento di dolore, straziante, che le si levava dal petto. Le ancelle raccolsero tale lamento, unendosi nel pianto disperato.
Come una marea di dolore, la notizia corse rapida per i corridoi di palazzo, fino a uscire per le strade. La regina morta! La regina uccisa da un maleficio!
Le luci delle torce illuminarono la città, mentre la gente usciva per strada, udiva la notizia, la ripeteva, piangeva e si disperava! La bella e dolce regina, l'amata e compassionevole regina, morta!

Che diamine stava succedendo? Cosa erano quelle grida, tutte quelle luci? Asenmut guardava fuori della finestra, perplesso, quando suo padre spalancò la porta.
-La regina è morta! Qualcuno ha lanciato un maleficio su di lei! Sto andando a dare ordini all'esercito, faremo setacciare la città, tutto il regno, e trascineremo in catene ogni maledetto mago finché non verrà fuori il colpevole!-
L'uomo stringeva nuna spada in mano. Il suo volto era chaizzato d'ira e di dolore. Era stato al servizio del padre del faraone Tutankamon, e aveva visto crescere la bellissima e amatissima regina. Il dolore del faraone, il dolore di perdere la sposa amata, lui lo conosceva bene, e soffriva per il suo re e per quel dolore.
-Padre, lasciami venire con te!-
-Sono venuto apposta. Sekhesh ha mandato i suoi uomini a setacciare la città, i miei setacceranno il palazzo. -
Asenmut afferrò la leggera corazza di cuoio e la spada da soldato, allacciandosele sulla tunica di lino da casa mentre correva dietro al padre.

Le luci delle torce che si inseguivano per i viali della Cittadella Sacra barluginavano fuori della finestra.
Alla fine, lui era stato lasciato, assieme agli altri tre figli dei generali, a un incarico importante, ma di fatto inutile: di guardia d'onore nei quattro angoli della sala su cui, su un tavolo, era stato deposto il corpo della regina.
Le ancelle piangevano e si lamentavano a qualche metro di distanza. Accanto all'amato corpo, solo la principessa Mefrure, prostrata dal dolore, si lamentava piano.
Dalla sua posizione, Asenmut poteva vedere tutta la scena, se solo piegava un po' il capo.
La dama di compagnia della principessa, la ragazza nubiana con cui Nyunya pareva avere un'intesa, si avvicinò alla principessa. Anche lei aveva il volto rigato dalle lacrime, ma sulla sua pelle scura, il trucco colato si notava meno che su quella chiara di Mefrure.
Asenmut la vide inginocchiarsi accando alla principessa, e prenderle le mani, spalmandole con qualcosa e bendandole.

-Lascia che tu curi le mani, amica mia. Non ho mai visto niente del genere. Ti fanno male?-
-Il dolore alle mani è nulla in confronto al dolore del mio cuore. Oh, se solo fossi stata più veloce! Perché, perché sono così stupida? Perché non ho capito subito cosa ogni singola divinazione mi stava urlando?-
Le mani di Mefrure erano ustionate, ma non dal calore. La pelle era rossa e pareva bruciata, ma era stato il contatto con il gelido feticcio di piombo a ferirla.
Sepsuth le spalmò di unguento e le fasciò con cura, restando accando all'amica.
Asenmut non poté non osservare il volto della principessa, e qualcosa in quei lineamenti gli parve familiare.
La sua mente tentò di scacciare l'idea. Era troppo assurda, troppo... dolorosa. Doveva essere una coincidenza. Se non fosse stato così...
Nella stanza accanto, il faraone non poteva abbandonarsi al lusso del pianto, ma nella sfortuna, pensò che era una fortuna avere accanto un Visir che lo sorreggeva e lo confortava in quella che era, sicuramente, l'ora più buia della sua vita.
Un Visir che sussurrò che a tutto c'era rimedio, per il figlio degli dei, dio in terra del popolo d'Egitto.


Nove giorni erano passati da quando la regina era morta.
Le cerimonie funebri erano iniziate, e l'amato corpo era stato consegnato agli imbalsamatori, affinché lo preparassero a raggiungere l'aldilà.
Da quando l'ultima cerimonia dell'inizio dei riti funebri era stata conclusa, Mefrure si era rinchiusa nei suoi appartamenti. Tra poco più di un mese, il corpo di Nefertari sarebbe stato pronto ad affrontare il viaggio verso l'ultima dimora, perfettamente composto per essere preservato per l'eternità.
Nefertari avrebbe atteso, come una dea tra le dee, il suo amato sposo e la sua cara sorella nell'aldià. Ma adesso, c'era solo dolore, per chi restava tra i vivi.
La luna era stata una falce spessa come un'unghia, la notte prima. Luna nuova, stanotte.
Mefrure doveva andare. Voleva andare. Indossare la maschera e la veste scarlatta, sperando che alleviassero per qualche ora il dolore del suo cuore.
-Sepsuth, io... per favore, non far entrare nessuno nelle mie stanze. -
-E' luna nuova, vero?- la mano scura della ragazza sistemò una ciocca del capelli della principessa -Vai. E' una grande responsabilità, ma forse ti farà bene uscire e... beh, non essere te per qualche ora. -
Come sempre, Sepsuth ci aveva preso in pieno. Mefrure osservò per un attimo l'amica, che lasciava le stanze e chiudeva accuratamente le porte dietro di sè.
-Sei sicura di voler andare? Hai un'aria esausta. - le chiese Tikki. Aveva assistito preoccupata a quei giorni di dolore e prostrazione. La principessa appariva smagrita, e pesanti occhiaie le cerchiavano gli occhi.
-Si. Ho bisogno di lasciare la m stessa principessa qui per qualche ora. Tikki, trasformami!-

Gatto Nero attendeva sul tetto.
Aveva atteso quasi ogni notte, ascoltando i lamenti che notte e giorno si levavano dal palazzo, dai templi e dalla città.
-Coccinella? Ti stavo aspettando. - lo sguardo di Gatto Nero corse alle amni della ragazza.
Bende.
Bende di lino.
Ne guardò il volto, e gli occhi, dietro la maschera, apparivano stanchi e cerchiati, spenti.
-Hai avvistato qualcosa?-
-No. Io... ho provato a stilare una lista di persone che potrebbero saper usare la magia a palazzo, ma-
-Dammela. -
-Cos?-
-Il nostro nemico. Colui che evoca i demoni. Sono sicura che è stato lui a lanciare il maleficio sulla regina. -
-Oh. Si. Si, mi sembra possibile. -
Gatto Nero tese la tavoletta cerata alla Coccinella, ma, prima che lei potesse prenderla, le afferrò la mano.
-Cosa hai fatto?- le chiese.
-Non è niente. E' solo la punizione per la mia stupidità. - replicò Coccinella sottovoce.
-Tu non sei stupida. Sei la persona più intelligente e meravigliosa che io conosca. -
-No. Sono solo una stupida sciocca che ha ignorato i segni degli Dei, fino al disastro. Le mie mani sono solo una piccola parte della punizione per la mia stupidità. Se non fossi stata così stupida, la regina ora...-
Gatto Nero impallidì. Ora riconosceva la voce. Ora vedeva davvero i lineamenti sotto la maschera di metallo scarlatto. Svolse la fasciatura, rivelando le ustioni da freddo che ancora segnavano la pelle.
Lasciò la mano, ritraendosi, e prostrandosi ai piedi.
-Mia dea, ti chiedo perdono per ogni mia parola irrispettosa passata. Figlia del Cielo, Sposa divina, perdona la mia insolenza. -
Coccinella si rese conto che ora lui sapeva. Non sapeva come, ma aveva capito chi si nascondeva dietro la maschera.
Aveva perso l'unica persona che non la trattava come una intoccabile dea in terra.
Credeva di aver finito tutte le sue lacrime, ma gli occhi le si riempirono di nuovo.
-Non... non chiamarmi così. Non trattarmi così, Gatto Nero! Alzati!-
-Come la mia signora ordina. -
-No! Gatto, guardami!-
 Ubbidiente, Gatto Nero alzò lo sguardo. Il suo cuore era sprofondato: certo che si era innamorato di una dea, lo aveva sempre saputo, in fondo. Solo che questa dea, nello specifico, era per lui davvero irraggiungibile. La figlia del Faraone, sorella e futura sposa di Tutankamon. Lontana come i confini del mondo.
-Gatto Nero, tu... tu sei l'unico che mi ha mai parlato come a una ragazza normale. A me piaceva quando mi prendevi in giro. -
-Non avrei dovuto. -
-Si, invece! Gatto, ho solo due amici al mondo, solo due persone che non mi trattano come una statua vivente, ma come una ragazza, e uno dei due sei tu! Ti prego, non ti allontanare... Non adesso...-
Il sacro rispetto era ancora troppo fresco, e non era riuscito a coprire il tenero sentimento che era cresciuto nel cuore del ragazzo per tanti mesi. Lentamente, esitante, allungò le braccia, accogliendo in un abbraccio la ragazza singhiozzante.
Quell'abbraccio voleva dire molte cose, un dialogo senza parole che poteva essere riassunto in "sono qui, per te".
Molti minuti dopo, i singhiozzi cessarono. Accasciati sul tetto del tempio più alto, nelle tenebre della notte senza luna, invisibili ai soldati che pattugliavano, inutili, i confini della Cittadella.
Gatto Nero prese la mano di Coccinella.
-Qualunque cosa accada, qualunque pericolo dovremo affrontare, io sarò al tuo fianco, perché il mio cuore ti appartiene. - le sussurrò baciandole il palmo, prima di ricomporre la fasciatura -Di notte, con queste maschere, e di giorno, nei corridoi del palazzo. Se tu me lo permetterai, mia Dea, i miei artigli e la mia spada saranno al tuo servizio. Per vendicare la Regina, e per proteggere l'Egitto. -
Coccinella annuì.
-Chi sei davvero, Gatto? Come potrai starmi accanto? Adesso sai chi sono, e sai quale sarà il mio destino, non appena Nefertari avrà raggiunto la dimora eterna nella Valle delle Regine. -
La consapevolezza che Mefrure, la sua Dea Coccinella, avrebbe ora dovuto sposare Tutankamon, per amore o per forza, quasi schiacciò Gatto Nero.
-Sono sempre stato a un passo da te. Anzi, forse spesso mi hai anche osservato. O quantomeno, avrai guardato la tua amica osservare il mio amico. - sorrise col suo sorriso candido e un po' malandrino, venato però di tristezza.
-Plagg, detrasformami!- comandò. Lo scintilio nero e oro abbandonò il suo corpo, mentre il piccolo spirito Gatto si staccava dal suo corpo. Asenmut sorrise di nuovo, più timidamente, alla dea Coccinella.
-Tu! Sei sempre stato tu!-
-Ehm, si. Ed ero veramente a pochi passi da te. C'è un tiro di freccia dalle stanze di mio padre, dove vivo, e le tue. -
Se il dolore non avesse macerato per giorni il cuore di Mefrure, la ragazza avrebbe riso di gioia.
Nell'oscurità, cercò la mano di Asenmut.
-Ti ho osservato, è vero. Eri il mio sogno impossibile. - sospirò -E temo lo rimarrai, anche se... ti amo. -
-Scusate, voi due. Se a quanto pare avete deciso di rivelarvi le vostre identità e stare quassù rintanati nelle ombre, potrei avere il piacere di rivedere Tikki?-
-Uh? E' il tuo Spirito Sacro?-
-Si. Si chiama Plagg. E quando vuole, sa essere davvero una piaga. -
Il gioco di parole, così simile a quelli di Gatto Nero, ma sulla bocca di Asenmut, fece sorridere Coccinella.
-Tikki, detrasformami!- mormorò, lasciando che il sacro potere defluisse e la tunica rossa a bolli neri si dissolvesse in uno scintillio, lasciandola con la fine veste di lino candido.
Tikki guardò i due, guardò Plagg, e poi disse -Non sei cambiato neanche un po' nei tuoi modi discreti come un rinoceronte, Plagg!- poi si voltò vero Mefrure -Noi siamo qui dietro l'angolo. -
Il resto era sottinteso: quando avete finito di parlare tra voi e avete terminato le sdolcinerie, chiamateci.




note dell'autrice: sto battendo tutti i miei record di produttività! Spero che ciò smuova la mia ispirazione anche per altre storie, e non me la bruci del tutto invece!
Questo capitolo è tanto lungo (otto pagine di word, in times new roman 12, il mio standard di riferimento), e a tratti drammatico. Beh, già conoscendo la famosa puntata del faraone e leggendo un po' di nomi, dovevate capire che ci sarebbe stata una tragedia in famiglia, no?
Non garantisco un lieto lieto lieto fine per tutti, ma posso giurarvi che lo sarà almeno per la nostra coppia OTP =)

 

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Capitolo 4
*** bacio sulla veste ***


Capitolo 4 - bacio sulla veste

-Cosa faremo, adesso, mia dea?-
C'era un che di affettuoso, non solo riverente, in quell'appellativo. Il rispetto di Asenmut, l'amore adorante di Gatto Nero.
-Quello che avevamo pianificato: trovare lo stregone, ed eliminarlo. Prima dei funerali di Nefertari. Glie lo devo, deve andare nelle terre della Vita Eterna sapendo che il suo assassino non esiste più. - Mefrure era decisa e implacabile come la piena del Nilo.
-Giusto. -
-E poi... Mefrure sparirà. -
-Cosa?- Asenmut era perplesso.
-Se resto, dovrò sposare Tutankamon. Gli voglio bene, ma non voglio doverlo sposare. E' stato praticamente un padre per me, e... so che non potrei mai prendere il posto di Nefertari. - Mefrure tacque un istante -E poi, ora ci sei tu. - in poche sillabe, un intero mondo di sottintesi: lo avrei sposato accettando il mio destino, e cercando di amarlo come una moglie, se non fosse che amo te e tu mi ami e insieme potremmo essere davvero felici.
-Giusto. Sicuramente si scateneranno le tue ricerche, e mi sarà facile far credere a tutti che sono sparito in un incidente mentre prendevo parte al frugare tutto l'Egitto per trovarti: che so, i coccodrilli o gli ippopotami lungo la riva del Nilo, o vai a sapere. Poi, ci procuriamo delle cavalcature, e arriviamo nelle terre dei Fenici, via terra o via mare. A quel punto, l'intero Mare Mediterraneo sarà a nostra disposizione! - Asenmut già faceva sogni e castelli in aria -Dove vuoi andare, mia dea?- le sussurrò -Il Peloponneso? Potremmo sistemarci ad Atene. Oppure l'Etruria, nella penisola? Hanno riti bizzarri ma ho sentito dire da un mercante che la vita è dolce e le terre verdi e rigogliose. Oppure Cartagine, dicono che sia meravigliosa, e non è troppo lontana dal deserto, così non ci sentiremo troppo spaesati. Sono stato addestrato come soldato e ufficiale, ma posso diventare un mercante. Non posso offrirti una vita da dea in terra come qui, ma giuro che farò il possibile e l'impossibile per offrirti la felicità. -
Mefrure sorrise di quell'entusiasmo carico d'amore. -Ovunque sia, sarò felice, con te. -
Rimasero in silenzio, abbracciati nelle ombre, per diversi minuti.
-Ma prima... dobbiamo occuparci del nostro nemico. - disse decisa Mefrure, voltandosi per chiamare Tikki e Plagg che, da dietro l'angolo, stavano disperatamente facendo finta di non essere lì, imbarazzati come non mai.

-Sicura che funzionerà?- Gatto Nero era ancora nervoso al pensiero che la Dea Coccinella, con cui spesso aveva scherzato e flirtato, fosse la principessa reale.
Erano di nuovo trasformati, e Coccinella stava facendo passare lo yo-yo, come un pendolino, sulla lista di nomi stilata da Gatto Nero.
-Non ne ho idea, ma con l'aiuto di Tikki, ero riuscita a fare divinazioni abbastanza precise. - sospirò -Se solo fossi stata più veloce a mettere assieme tutti i pezzi...-
-Non ricominciare a tormentarti, adesso. Concentrati. - la incoraggiò lui.
-Niente. Nessuna reazione. - depose lo yo-yo -I casi sono due: o questo sistema non funziona, o la persona che stiamo cercando non è tra questi. -
-Non mi sono venute in mente altre persone che sappiano usare la magia, che vivano all'interno della Cittadella Sacra. -
-Non ci sono persone che si sa che sappiano usare la magia, ma... e se il nostro stregone tenesse la sua abilità nascosta?- fu l'intuizione di Coccinella.
-Siamo fregati, allora. - Gatto si grattò la zazzera.
-No, forse no. Ascolta, voglio che tu faccia una cosa per me, oggi. -
-Ogni tuo desiderio è un ordine, mia dea!- sorrise il ragazzo, lieto di poter essere d'aiuto in quell'indagine mistica di cui, sinceramente, non capiva una fava.
-Ho spezzato il tramite della maledizione, anche se troppo tardi. Era una lamina di piombo incisa con strani segni. Scopri dove è stata portata, o chi ce l'ha. Se potessi esaminarla con calma, potrei risalire a chi l'ha creata. -
-Non sarà facile, ma farò il possibile. - le strinse la mano. Era ancora incredulo, incerto: Coccinella non aveva mai accettato i suoi flirt, in passato, respingendoli con ferma gentilezza, e ovviamente non si era mai neanche sognato di levare lo sguardo sulla Principessa reale. E invece, lei lo aveva sempre contemplato da lontano, lo amava. Era come se i pezzi di uno strano rompicapo, apparentemente estranei tra loro, si fossero improvvisamente incastrati in una sagoma bellissima.
-Ma come giustificherò il fatto che eseguo gli ordini della principessa reale, con cui ufficialmente non ho mai scambiato una parola, e con cui sono stato solo casualmente nello stesso spazio per più di qualche ora?-
Coccinella riflettè.
-Convocherò te e gli altri tre figli dei generali. Avete avuto l'incarico di fare da guardie d'onore nella stanza dove è stato deposto il...- la voce le si ruppe. Finché parlava, finché faceva qualcosa, riusciva a fingere di poter dimenticare che la sua amata sorella era morta. Poi, bastava un dettaglio, una parola di troppo che le usciva, e la voce si incrinava e le lacrime riempivano gli occhi.
-Shhh... si, ho capito. Non piangere, ora. - Gatto Nero le asciugò le lacrime col dorso delle dita -Verrà il tempo di piangere ancora, ma non adesso. Trattieni il dolore e usalo per renderti forte. -
Coccinella annuì. -Vi farò chiamare e darò degli incarichi a te e agli altri. Prima, parlerò con Tutankamon e mi prenderò l'incarico di indagare sulla magia che... hai capito. -
-E' una buona idea. Nyunya, Butha e Hawasu sono intelligenti e fidati.  -
Coccinella annuì, ma in realtà, in quel momento, si fidava solo di sé stessa, di Gatto Nero- Asenmut, e di Sepsuth.
-E' tardi, mia dea, le stelle hanno già percorso oltre metà del loro cammino in cielo, e non abbiamo mai avuto attacchi di demoni così tardi. Tu sei stremata, e domattina i servi non verranno a svegliarmi più tardi, anzi. Credo che per stanotte non accadrà nulla. Cerca di riposare, e di raccogliere le forze per domani. -
Coccinella annuì, indugiando però accovacciata a terra accanto alla tavoletta cerata.
Gatto Nero le porse una mano, per aiutarla a rialzarsi, e qando lei glie la prese, lui la strinse a sé. Mefrure si diede della sciocca per non aver mai notato prima quanto fosse, effettivamente, attraente e magnetico il suo compagno di destino. Lo aveva osservato da lontano, Asenmut, e aveva ammirato il fisico modellato dall'addestramento e il sorriso luminoso come il sole dell'alba. Ma per la prima volta, ora, si permetteva di indugiare nella sua stretta nei panni di Gatto Nero, e non poté frenare le sue mani dal correre lungo il torace e la schiena del ragazzo.
Si rese conto che, da anni, lui era stato l'unico ad averla abbracciata. Da quando era stata tolta alla nutrice, nessuno l'aveva più stretta a sé, neanche sua sorella.
Solo Gatto Nero l'aveva abbracciata, in quelle notti vorticose di combattimenti ai demoni, quando la prendeva al volo dopo un salto vertiginoso o provava ad accorciare le distanze tra loro due, nelle lunghe nottate di veglia e attesa.
Sospirò, poggiandogli la testa sul petto: non voleva sciogliere quell'abbraccio. Aveva la sensazione che, stando con lui, in un modo o nell'altro, tutto si sarebbe sistemato.
Gatto Nero la strinse a sé. Così fragile, così vulnerabile, eppure così forte e coraggiosa! Le baciò i capelli, giurando a sé stesso e a tutti gli dei che avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per darle la felicità.

L'alba.
L'alba veniva sempre troppo presto, rifletté Asenmut, nel suo letto, schermandosi gli occhi con una mano.
Avrebbe voluto che quella notte di novilunio avesse potuto durare per sempre.
La sconcertante rivelazione lo aveva lasciato scombussolato, felice, e terrorizzato al tempo stesso. Si guardò il livido sul braccio. La sera prima, aveva detto, prima di lasciare la sua dea Coccinella per tornare ciascuno alla sua camera, "ho timore che questo sia un sogno, bizzarro, bellissimo, ma solo un sogno.", e lei, per confermargli che era tutta realtà, gli aveva dato un pizzico fortissimo al braccio. Un male simile non poteva appartenere al mondo dei sogni!
Sorrise e ridacchiò. Era questo che amava in Coccinella: era capace di essere fragile e forte allo stesso tempo, mortalmente seria, ma ironica per un istante.
-Ehy, Plagg... non è stato un sogno, quello di stanotte, vero?-
-Se ti riferisci al fatto che ti sei innamorato della donna più inaccessibile dell'Egitto, che avete un piano per scovare uno stregone che lancia maledizioni, e che che mi hai lasciato tutta la notte di guardia alla finestra mentre tu russavi come una sega su un tronco, no, non è stato un sogno. - rispose acido lo spirito, rintanadosi offeso nella sua scatola-stanza.
-Oh, avanti, non sapevamo se dei demoni potessero comparire anche stanotte, ed ero stanchissimo. -
in quel momento, un bussare lieve fece nascondere Plagg nel suo nascondiglio. Un servo aveva portato la colazione ad Asenmut, e tale colazione, da diversi mesi a questa parte, includeva anche le disgustose olive ripiene che il kwami prediligeva.
Asenmut mandò giù rapidamente la sua colazione da soldato (abitudine che il padre gli aveva inculcato fin da bambino): pane di grano, datteri, e una scodella della corposa birra dolciastra che preferiva, prima di recarsi alla sua routine mattutina con gli altri suoi tre coetanei.

Nota dell'autrice: birra. Si, gli egizi ne andavano matti, ne producevano molti tipi, ma non avendo il luppolo, le loro birre erano chiarificate e aromatizzate con spezie come il coriandolo, e birre a bassa gradazione, mescolate col miele, erano usate come latte sostitutivo e alimento per lo svezzamento. A diciassette anni si era abbondantemente adulti, quindi no, non meravigliatevi si Asenmut beve la birra dolciastra, energetica, aromatica e a bassa gradazione alcolica che gli egizi bevevano spesso. Figuratevi che era distribuita come parte della paga dei manovali!

Mefrure si alzò appena dopo l'alba. Mal di testa martellante, di nuovo, e senso di spossatezza. Sicuramente la notte in bianco, pensò, mentre le ancelle la lavavano, pettinavano e acconciavano.
Le mandò via tutte, per parlare con Sepsuth mentre facevano colazione.
-Hai un'aria distrutta. Non è soltanto il lutto o la notte in bianco: non ti vedo così da quando a sette anni ti ha colpito la malattia al ventre. -
-Allora devo essere veramente uno straccio. - commentò la principessa. A sette anni era stata malissimo, per giorni aveva vomitato ed era stata attaccata al vaso per i bisogni, e si era sentita in bocca un sapore come se avesse fatto colazione col bitume.
-Non ammalarti ora. Non è il caso. - la ammonì l'amica, offrendole una ciotola di uva.
-Lo terrò a mente. - sorrise appena Mefrure, prendendo un grappolino -Ascolta, avrò bisogno della tua intelligenza ancora una volta. Lo sappiamo tutte e due che tu sei più sveglia di me. Tra poco andrò da Tutankamon a chiedergli di permettermi di indagare, per tentare di capire chi ha lanciato la maledizione che ha ucciso mia sorella. -
Stavolta riuscì a dirlo senza scoppiare a piangere.
Sepsuth annuì. -Non credo che farà storie. Anche se ci sono già gli stregoni di palazzo a lavorarci su. -
-E' questo il punto: non mi fido di nessuno, a parte di te e di Gatto Nero. - sussurrò all'amica.
-L'altro emissario divino che combatte i demoni assieme a te?- replicò la ragazza sempre sussurrando. Mefrure annuì. -E la cosa incredibile è che è vicino. Più vicino di quel che non sperassi. - sorrise appena -La mia piccola oasi di gioia nel deserto di questi giorni. Ascolta, dopo aver avuto il permesso da mio fratello, convocherò i figli dei generali: darò loro da svolgere parte delle indagini. -
Gli occhi di Sepsuth si allargarono -No... è uno di loro?- bisbigliò. Mefrure annuì in maniera impercettibile. -Labbra cucite, amica mia. Farò cose che non dovrei fare in maniera assoluta. -
-Muta come una pietra nel deserto. - giurò la ragazza -Ma dimmi chi è, ti prego!-
Mefrure scosse la testa. -Non voglio rivelare i segreti degli altri. Ma tranquilla, non è il tuo amato Nyunya. -
Sepsuth arrossì. Poi si illuminò. -Nooo... ho capito chi è. Deve essere la volontà degli dei, non c'è altra spiegazione. -
-Ecco, l'ho sempre detto che tu sei più sveglia di me. Forza, finiamo la colazione e andiamo. Anche se mi sento lo stomaco rovesciato, e vorrei solo vomitare. -

Lunghissimi. Quei corridoi le parevano smisurati ogni volta. Mefrure si era preparata il discorso da fare a Tutankamon e se lo ripeteva per tutti quei corridoi interminabili, percorsi col passo solenne e ieratico che si accordava al suo rango.
Attese che il servo annunciasse, prostrato ai piedi di Tutankamon, che la Principessa desiderava conferire con il faraone, e quando fu introdotta nella stanza che fungeva da studio, notò infastidita che era presente il Visir.
Non aveva mai legato con quell'uomo, e forse alla sua antipatia contribuiva il fatto che la figlia prediletta dell'alto funzionario, Tuat-e-nab, le era insopportabile. Un tempo, quando erano bambine, Tuat-e-nab era stata ammessa tra le nobili fanciulle compagne di giochi e di lezioni della principessa,  ma aveva subito assunto un'aria di superiorità nei confronti di tuttte le altre bambine, e il suo rispetto nei confronti della principessa era, Mefrure lo aveva percepito subito, solo una facciata. In realtà la bambina si sentiva, intimamente, superiore persino a lei! Non si erano mai sopportate, ed era stata allontanata poco tempo dopo dalla corte. Quel giorno, Mefrure si era fatta una nemica, ma se n'era resa conto solo anni dopo.
L'antipatia nei confronti della figlia era fluita poi anche nei confronti del padre: né a Mefrure, né a Nefertari era mai piaciuto l'uomo, e Nefertari una volta aveva confidato alla sorella che quell'uomo, le pareva, aveva lo sguardo di un serpente a sonagli.
-Amatissimo e venerato fratello, posso parlarti?- chiese, inchinandosi leggermente.
-Ma sicuro, mia amata sorella. Vieni, accomodati al mio fianco, e aprimi il tuo cuore. -
Mefrure occhieggiò il Visir, che non accennava a levarsi dai piedi.
-In privato, solo noi due. E' una cosa... personale. -
-Il Visir è il nostro più saggio consigliere, sorella amata. -
Mefrure assunse un'aria imbarazzata, riuscendo persino a farsi salire un po' di rossore alle guance. -Si tratta di una cosa riservata alle tue orecchie soltanto. - disse, lasciando intendere un argomento che invece non aveva la minima voglia di trattare.
-Capisco. Beh, immagino che in tal caso...- il faraone rivolse uno sguardo al visir, congedandolo con un cenno, come a dire "le donne, cosa ci vuoi fare?".
Appena il Visir e i servi ebbero abbandonato la stanza, Mefrure si andò a sedere sulla panca su cui era seduto il fratello.
Ne scrutò il volto: sotto il trucco nero si vedevano le occhiaie. Il dolore aveva scavato segni anche su quel volto. Le mani che presero le sue parevano invecchiate di molti anni in pochi giorni. Mefrure notò che le unghie erano rosicchiate e le nocche morsicate. Si chiese come dovessero essere le notti per Tutankamon: solitarie e dolorose, preda di uno strazio infinito, nel letto che aveva condiviso con Nefertari. Aveva amato Nefertari tanto quanto lei, e come lei ora macerava nel dolore.
-Indagherò su chi ha lanciato il maleficio. - disse, senza preamboli.
-Immaginavo che avresti voluto fare qualcosa. Apprezzo il tuo sforzo, ma il visir sta già-
-No. Farò di persona. Ho già in mente cosa fare, e troverò chi ha ucciso Nefertari. Colui che ha scagliato quella maledizione è astuto e furbo, e io non mi fido a lasciare le indagini a qualcun'altro. Lasciamelo fare, fratello amato: l'inattività mi sta distruggendo. -
Tutankamon non aveva il cuore di pietra, e vedeva negli occhi della sorella la stessa disperata rabbia  che covava nel suo cuore.
-Ne hai il diritto, Mefrure cara, e so che ne hai il potere e le capacità. Fai ciò che ritieni giusto. Io ora ho... piani. Altri piani, per il futuro nostro e dell'Egitto. -
Mefrure rabbrividì. Già, il matrimonio. Ci voleva tempo per organizzare un matrimonio regale.
Tutankamon la vide rabbrividire. L'ultima conversazione, quasi discussione, che aveva avuto con Nefertari, era stata proprio a riguardo del loro matrimonio sacro. Onestamente, era giunto alla decisione di sposare anche la sua seconda sorella solo per l'apparente sterilità di Nefertari: amava immensamente la sua regina, e si rendeva conto che avrebbe sempre messo al secondo posto la giovane Mefrure, nel suo amore. Era stata più una figlia che una sorella, e sebbene il matrimonio tra consanguinei fosse la norma per i faraoni, in quel momento non se la sentiva di prepararsi a prendere una nuova moglie quando l'amore della sua vita attendeva di incamminarsi per l'aldilà nelle sale degli imbalsamatori.
-Stai serena, sorella amata: tutto andrà per il meglio. Saremo di nuovo felici, vedrai. Saremo di nuovo felici come un tempo, noi tre. - la baciò sulla fronte, il segno del suo affetto. -Adesso vai, fai pure tutto ciò che può recare sollievo al tuo cuore addolorato, e disponi di quanto desideri. - la congedò.

Camminando lentamente nei corridoi, Mefrure ripensava alle parole del fratello, analizzandone nella mente ogni sillaba e ogni espressione. "Di nuovo felici come un tempo"? "Noi tre"?
Non riusciva a capire. E lo sguardo di suo fratello... una sorta di folle luce pareva animarlo.
Rabbrividì, e d'istinto si tastò la fronte. Ammalarsi ora era l'ultima cosa che poteva permettersi di fare.
Bene, in ogni caso, con le sue parole Tutankamon la autorizzava a ordinare quanto voleva, lasciandole piena autonomia sulle persone da usare per la sua indagine personale.
Accellerò il passo, decisa, lasciando per un attimo sconcertate le ancelle, i flabellieri e tutta la servitù che doveva trascinarsi dietro ogni volta che lasciava le sue stanze.
-Sepsuth, vai a chiamare i figli dei generali. Sai dove trovarli, a quest'ora. Falli venire nel mio salone. - disse. Sepsuth annuì, staccandosi dal gruppo e trotterellando verso un certo cortile. Certo che sapeva dove trovare Nyunya, Asenmut e quegli altri due, a quell'ora del giorno: li andavano a spiare un giorno si e l'altro pure!
Mefrure tornò nelle sue stanze, scrutandosi per un attimo nella grande lastra di metallo lucido, che le restituì l'immagine scurita di sé, con il volto segnato dal poco sonno. Si studiò per qualche istante una espressione seria e decisa. Asenmut sapeva già cosa avrebbe ordinato, ma dovevano recitare bene la parte in favore degli altri tre giovani.
Si andò a sedere sull'alto sedile, arredo principale della sala in cui mangiava, ascoltava musica o si intratteneva. Composta, decisa: doveva dare questa impressione ai tre compagni di studi e camerata di Asenmut. Figlia degli dei, decisa e implacabile come una tempesta di sabbia, saggia e antica come il Nilo. Le lezioni interminabili di etichetta fluirono attraverso lei, e quando i quattro giovani vennero introdotti nel salone, Asenmut quasi non riconobbe nella divina figlia del cielo la ragazza che, solo poche ore prima, si era sciolta in lacrime tra le sue braccia. Ma uno sguardo d'intesa che lei gli lanciò gli fecero ricordare di come lei aveva definito Coccinella il suo vero volto, e questo la maschera.
I servi, i flabellieri, le ancelle, tutti furono allontanati. Solo Sepsuth stava, in piedi, a lato dell'alto seggio della principessa.
- Butha, Hawasu, Asenmut, Nyunya. Vi ho fatti convocare per affidarvi degli incarichi. Saranno incarichi delicati, e che richiederanno la massima discrezione. I vostri padri hanno servito mio padre e servono mio fratello con fedeltà e onore, e la benevolenza e la fiducia nei loro confronti scendono anche su di voi. Confido che mi servirete in quest'incarico con la stessa fedeltà con cui i vostri padri servono mio fratello. -
-La nostra vita è a vostra disposizione, Figlia del Cielo. - disse Butha che, essendo il maggiore, forte dei suoi diciannove anni, si sentiva il capo del quartetto.
-Voglio condurre una indagine di persona. Ma le cose da cercare sono molte, e in luoghi in cui non è mio desiderio recarmi. Vi indicherò cosa cercare e cosa portarmi, e vi vincolo al segreto. Non parlerete con nessuno di ciò che qui udirete o vedrete, né con estranei, né con membri della vostra famiglia, amici o sacerdoti. Risponderete solo a me. Avete capito?-
-Si, oh Prediletta degli Dei. - rispose ancora il maggiore. Mefrure lo studiò per un attimo: Butha e Hawasu si assomigliavano molto, e avevano lineamenti più robusti di Asenmut, che invece aveva i tratti affilati dei clan familiari più antichi. Nyunya era del tutto diverso, essendo discendente di una stirpe che si era guadagnata, generazione dopo generazione, i gradi di comando, partendo dalle lontane province dell'alto Egitto, lì dove il Nilo era rapido e limpido, e la pelle degli uomini è nera come l'ebano.
-Molto bene. Ora, darò a ciascuno di voi un incarico. Non ditelo neppure agli altri: ciò che non si sa, non può essere rivelato, per sbaglio o per magia. Indagherò su persone potenti, e il nostro obiettivo è il più potente di tutti: colui o colei che è stato in grado di scagliare un maleficio su mia sorella, la regina Nefertari. -
L'enormità della rivelazione fece ammutolire i quattro ragazzi: erano appena stati comandati volontari per un affare davvero grosso, e si rendevano conto dell'onore a loro concesso.
A Butha, Mefrure affidò l'incarico di stilare una lista di tutti i prigionieri che erano stati portati nelle carceri dopo le retate dei giorni precedenti: tutti gli stregoni e i praticanti di magia della città.
Hawasu ebbe l'incarico di procurarsi la lista di coloro che arrivavano giornalmente, prelevati dai villaggi e dalle città di tutto l'Egitto, e spediti alla capitale per essere interrogati. Poteva anche essere, avevano pensato i generali, che il colpevole avesse tentato la fuga dalla capitale, dopo aver scagliato la maledizione, o che l'avesse lanciata da più lontano, anche se era improbabile: qualunque praticante di magia nera sapeva che tanto più si era vicini al bersaglio, tanto più forte era l'effetto.
Nyunya ebbe il compito di stilare una lista di tutti coloro, residenti a palazzo, che avrebbero potuto saper usare la magia nera, anche se non dichiaratamente. Era una lista difficile, pericolosa da stilare: ci sarebbero entrati molti sacerdoti e sacerdotesse, svariati funzionari, medici e personalità di corte. Ma il ragazzo, aveva assicurato Sepsuth, era discreto e molto sveglio.
Infine, Asenmut.
Nella stanza, loro tre: la principessa, la dama di compagnia, e il giovane.
Mefrure si rilassò: la maschera da dea in terra era così difficile da portare!
-A te, l'incarico più delicato: scopri dove è finito quel maledetto feticcio, la tavoletta di piombo coi segni della maledizione, e portamelo. Per la tua missione, prendi questo. - Mefrure gli porse un sigillo -E' il mio sigillo. Potrai entrare ed esaminare praticamente tutto, con esso. -
Asenmut annuì, inginocchiato dinnanzi al sedile, come prima di lui gli altri tre ragazzi. Non poté non ammirare la perfezione di quei piedi, imprigionati nelle funicelle di lino dei sandali. Li aveva visti guizzare così tante volte, alla luce della luna, scalzi ed agili come pesci balenanti nelle acque di un laghetto.
Sepsuth alzò lo sguardo al cielo.
-Con permesso, credo di avere dimenticato qualcosa da fare di là. - disse, congedandosi e abbandonando la stanza, chiudendo le porte dietro di sé e rintanandosi nella camera di Mefrure, in attesa.
-Umh, credo che la mia perspicace amica abbia capito. - ammise Mefrure -Ma terrà il segreto. Tiene già da tempo il mio. -
-Temo che i nostri sguardi fossero troppo evidenti, mia dea. - concordò Asenmut, restando comunque in ginocchio ai piedi di Mefrure.
-Dovremo essere cauti. Cauti come gatti. - sorrise appena la ragazza. Il sorriso di risposta di lui era più simile a quello malizioso di Gatto Nero che a quello composto di Asenmut.
-Conosco il mio posto, e lo terrò, fino al giorno in cui tutto sarà terminato. Nel frattempo, posso almeno offrirti la mia adorazione. - mormorò, baciandole un lembo della veste, in un gesto rituale di adorazione e sottomissione.


Note dell'autrice parte 2: capitolo più introspettivo che attivo, ma il prossimo sarà una spy-story, promesso =) Questa storia avrà 6-7 capitoli. Mi rendo conto che i personaggi sono solo lontanamente simili a Marinette e Adrien, ma, ehy, non sono loro, sono i precedenti Ladybug e Chat Noir! Non sappiamo neanche se sono reincarnazioni o solo i Miraculous che scelgono persone sempre simili. In ogni caso, spero di essere abbastanza filologica con l'Egitto antico: la sua storia si stende per un periodo immeso, cinquemila anni, una quarantina di dinastie, e spero di non aver fatto un guazzabuglio di dettagli di epoche diverse. In ogni caso, tutti quei bei documentari su La7 su questo o quel faraone e dinastia e complesso di templi finalmente vengono a frutto! Se la storia vi sta piacendo o intrigando lasciatemi un commentino, anche veloce, così saprò di non aver fatto per nulla le 2 di notte quasi ogni notte!

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Capitolo 5
*** niente bacio, solo ansia e un abbraccio ***


Capitolo 5 – niente bacio, solo ansia e un abbraccio

Il sigillo reale di Mefrure apriva molte porte, rifletté Asenmut. Molte, ma non tutte.
Trovare e parlare con le serve che avevano riordinato le stanze reali dopo la tragedia non era stato difficile; un po' più difficile trovare chi aveva trovato e rimosso i frammenti di piombo con la maledizione. La serva in questione aveva avuto il buonsenso di non gettarle via, ma di tenerle da parte e consegnarle alla sua superiore, che riferì al giovane di averle consegnate alla figlia del Gran Visir, su ordine del Visir stesso.
Ora, Asenmut si grattava pensieroso la testa. Quella ragazza lo metteva a disagio. E anche il Gran Visir non gli piaceva.
Ma, per amore di Mefrure, sarebbe andato a cercare l'insopportabile Tuat-e-nab.
La sera stava calando, quindi decise di andare a riferire il tutto a Mefrure, prima di andare a bussare alle porte della residenza del Visir. Andare a trovare una ragazza che avrebbe potuto diventare la sua fidanzata, al calar della sera, poteva essere causa di molti pettegolezzi, ed erano l'ultima cosa che lui voleva, ora.
A Mefrure invece non importava nulla dei pettegolezzi, ma la presenza della sua dama di compagnia nella sala avrebbe comunque salvato le apparenze. E in ogni caso, ora a corte c'era altro a cui pensare.
-Sei il primo a fare ritorno. Hai trovato il feticcio?- chiese, ansiosa, alzandosi.
-No, ma so chi ce l'ha. Il Visir l'ha mandato a prendere tramite sua figlia. -
Mefrure si rabbuiò. -Non mi piace. Non mi piace quell'uomo e non mi piace sua figlia. Non mi piace neanche il fatto che passi un sacco di tempo con mio fratello. Stamattina l'ho visto strano, ha detto cose strane. -
Asenmut scrutava il volto di Mefrure. La ragazza camminava avanti e indietro, pensierosa e concentrata. E Sepsuth guardava Asenmut che guardava Mefrure, e guardava anche l'amica.
-Si, non è una tua impressione: oggi non sta per nulla bene. Ma non mi vuole ascoltare quando le dico che dovrebbe riposare. - disse la ragazza.
-Non posso riposarmi ora, Sepsuth. Ci sono cose troppo grandi in ballo. - replicò stancamente la principessa, lasciandosi cadere sul seggio.
-Mia dea, non credo che tu stia male davvero. Inizio a pensare che sia una maledizione. - disse serio. Mefrure sorrise nel sentire quell'appellativo: quello che ad altri poteva sembrare devozione e rispetto assoluto, per lei era il modo con cui Gatto Nero chiamava la sua Coccinella, carico di amicizia e amore.
-Come mai lo pensi? -
-Tua sorella stava spesso male in questo modo, vero? E tu niente. Poi, dopo la sua morte, inizi a stare male tu. E abbiamo a che fare con qualcuno che lancia potenti maledizioni, e che ha già colpito la tua famiglia. -
Mefrure chiuse gli occhi. -Mi sento una stupida per non averci pensato. - disse, passandosi una mano sulla fronte -Sto facendo la figura della stupida un po' troppo spesso, ultimamente. Per fortuna, la faccio solo con voi, quindi va bene. - si rialzò stancamente. -Mi sento sempre peggio. - confessò. Sepsuth le fu accanto.
-Pensi possa esserci un feticcio anche tra le tue cose? -
-Sarebbe fantastico!- esclamò Asenmut -Potremmo usare quello per risalire al nostro nemico. -
-Giusto. Ma non è detto: certe maledizioni si possono scagliare anche a distanza. Asenmut, io cercherò di spezzare questa maledizione, tu però cerca comunque di procurarti la lamina di piombo che ho rotto. In qualunque modo. -
-Come la mia dea comanda. – Asenmut si inchinò -E dove non arriva il figlio del generale col sigillo della Principessa, può sempre arrivare un certo micio col favore delle tenebre. -

Mentre Sepsuth frugava le stanze della principessa, spanna a spanna, Mefrure andò dritta al cofanetto che costituiva la stanza privata di Tikki.
-Tikki? Ho bisogno del tuo aiuto. - disse. Lo spirito coccinella abbandonò il dattero che stava distrattamente sbocconcellando, volando attorno alla ragazza.
-C'è della magia attorno a te. - notò, socchiudendo gli occhi -Una maledizione?-
-Temo di si. Puoi aiutarmi a spezzarla?-
-Posso fare di meglio: trasformati nella Dea Coccinella. -
-Cosa cambierebbe? Starei male vestita in rosso tanto quanto in bianco. -
Tikki scosse il capo. -Quando ti trasformi, il tuo Oroscopo cambia. E' come se tu fossi un'altra persona, e le maledizioni scagliate su Mefrure non possono colpire la Coccinella. -
-Proviamo. Tanto, cosa può andare storto? Tikki, trasformami!-


nota dell'autrice: secondo le credenze magiche antiche, conoscendo la data di nascita, il tema natale e alter informazioni astrologiche di un individuo, sarebbe stato possibile compiere divinazioni, scrutarne il futuro, ma anche mandare maledizioni e fatture. Il potere del Miraculous si metterebbe in mezzo alterando il tema natale dell'inidividuo che lo porta. Per questo, Marinette, che è così goffa e imbranata nella sua vera identità, come Ladybug è agile e infallibile!
Si, so un sacco di cose bizzarre, e si, i piace inserirle in ciò che scrivo =)



Non si è mai abbastanza grati per l'assenza di dolore, fu il primo pensiero di Coccinella.
Non si era resa conto che, per tutto il giorno, il mal di testa l'aveva stordita, e i muscoli erano stati deboli e fiacchi. Ora, si sentiva come se una vecchia coperta tarlata le fosse stata tolta di dosso, o come se fosse appena uscita dan un buio sotterraneo per riemergere al caldo sole del meriggio.
-Accidenti, Tikki aveva ragione!- esclamò, stirando deliziata le braccia -Se sono trasformata, le maledizioni non mi raggiungono!-
-Umh, vuoi che continuo a cercare, comunque?- chiese Sepsuth.
-Si, certo. Quando arriveranno gli altri tre ragazzi con quanto ho chiesto loro, dì che non sto bene e sto riposando, e prendi tu le loro liste. -
-E ora che farai?-
-Credo che raggiungerò Gatto Nero. - disse decisa, afferrando il disco metallico che aveva in vita e affacciandosi alla finestra. La notte era ormai calata, e la sottilissima falce di luna crescente era tramontata poco dopo il sole. Le tenebre si stendevano come un manto di velluto.

-Ma che...? Stai meglio?-
Asenmut era uscito dalle stanze della principessa, era passato a casa, aveva salutato l'esausto padre, si era chiuso in camera, trasformato in Gatto Nero e uscito dalla finestra. E sul tetto dell'edificio, aveva trovato Coccinella ad attenderlo.
-Tikki ha avuto una certa idea: se è una maledizione, forse se mi trasformo non mi colpisce. E in effetti è vero. Mi sento bene, e sono assolutamente e totalmente decisa a trovare chi sta colpendo me e la mia famiglia. - disse lei, seria.
Gatto Nero le prese la mano, baciandola -Il mio cuore gioisce per te. Vogliamo andare a ispezionare la casa del nostro amato visir?-
-Andiamo. -

Coccinella si rese però conto di non essere rganché utile: trasformata, la sua visione notturna migliorava rispetto al solito, ma le tenebre più fitte erano ancora impenetrabili. Se all'aperto poteva vedere dove andava grazie alla luce delle stelle, al chiuso di un edificio era come cieca. Gatto Nero invece si muoveva perfettamente. Quindi avevano deciso che lei sarebbe rimasta di guardia nel porticato del giardino su cui si affacciavano tutte le stanze dell'abitazione, pronta a dare l'allarme, mentre lui avrebbe frugato con cura in giro.
Era un lavoro lungo e cauto, e dovettero interromperlo quando, preceduti da due servi con delle lucerne, il Visir e sua figlia tornarono dal palazzo. I due rimasero a passeggiare poi da soli nel giardino, sicuri di essere al riparo da orecchie indiscrete.
Coccinella e Gatto Nero li osservarono, nascosti nelle ombre, sul tetto.
-Dannazione, sono tornati. Adesso non riusciremo a frugare ancora. - mormorò Gatto Nero.
-Mi meraviglia piuttosto che tornino ora. Cosa diamine ci facevano a palazzo fino a tardi?-
-Non lo so. Taci: forse riesco a origliare...-
Ma la distanza era troppa, e il lieve frusciare delle foglie delle piante del giardino copriva la conversazione tra padre e figlia.

Noi spettatori però abbiamo il privilegio di poterci avvicinare più di quanto non potesse fare Gatto Nero.
-Stai attenta a non esagerare, figlia cara, con la fattura di mala salute sulla principessa. Ha sempre goduto di buona salute, e non possiamo farla stare male così all'improvviso. -
-Si, padre. Vi chiedo perdono, mi sono fatta prendere un po' la mano. -
-Non temere, succede, all'inizio. Domani mattina starà meglio, se scioglierai la malia, e penserà a un malessere passeggero. Se dovesse stare troppo male, il Faraone potrebbe distrarsi dal suo compito. E noi non vogliamo questo, vero?-
-Certo che no, padre! Ma dobbiamo trovare il modo di tenerla buona. Sta ficcanasando un po' troppo in giro. -
-Sai qualcosa che io non so, mio fiore del deserto?-
-Ho visto la sua tirapiedi andare a chiamare i quattro figli dei generali, e li ha convocati nelle sue stanze, e poi li ha spediti fuori dopo pochi minuti. Li ho seguiti e sono riuscita a farne parlare due, i figli del generale Sekhesh. - Tuat-e-nab fece uno sbuffo divertito -Sono così facili da rigirare, con qualche parolina carina e un pizzico di magia! E non si ricordano neppure di quanto mi hanno detto, mentre me li giravo attorno al dito! -
-E cosa ti hanno detto, mia cara?- il visir si fece interessato.
-Che la principessa Mefrure ha ordinato loro di fare liste dei praticanti di magia che sono stati incarcerati e sono in attesa di essere esaminati e forse condannati. Sta cercando l'assassino della regina. Che sciocca! Ce l'ha quasi sotto il suo stesso tetto e non se ne accorge!- fece una risatina cattiva, l'unica cosa che Coccinella e Gatto Nero udirono -E' stata iniziata ai Misteri e dicono che sia brava con la magia, ma io credo che sia una totale imbranata! Sono giorni che ha la mia fattura addosso e non se n'è accorta!-
-Non sottovalutarla: potrà non essere abile, ma è potente: il sangue divino scorre in lei. - il Visir accarezzò la testa della figlia -Ma non angustiarti, cara: presto noi ci eleveremo al di sopra persino dei faraoni, potenti come dei, e tu potrai fare di quella sciocca ragazzina la tua schiava per i lavori più umili. -
-Oh, padre, si!-
E, facendo piani per il loro futuro da dei, i due rientrarono in casa.

-Hai capito qualcosa?- sussurrò Coccinella a Gatto Nero, concentrato con le mani a coppa sulle orecchie per raccogliere ogni più piccolo suono.
-Solo che ha una risata molto fastidiosa. Se penso che volevano appiopparmela come moglie, l'ho scampata bella!-
-Altro?-
-No, mi spiace: il fruscio degli alberi ha coperto le loro parole. Ma mi ci giocherei la tunica che non era nulla di buono. -
-Aspettiamo che dormano e proseguiamo?-
Gatto Nero annuì. Si accomodarono sul tetto piatto, aspettando pazienti che le ore scorressero via per poter entrare e proseguire, ma dallo studio del visir continuava a provenire una luce bassa ma inequivocabile: era sveglio.
-Quell'uomo non vuole proprio dormire?- commentò seccata Coccinella.
-Chi lo sa? Ma tornerò domani sera. Temo che per stanotte non si riesca a combinare più nulla. -
Coccinella annunì. Stava per dirgli qualcosa, ma poi si interruppe.
Avrebbe voluto invitarlo a restare con lei, su qualche tetto bene in alto, per ancora qualche ora.
C'era un enorme senso di serenità che la riempiva, in quelle ore di veglia notturna accanto a lui. Con quelle maschere addosso, Asenmut chiacchierava e scherzava con lei, come prima di scoprire la sua identità. E lei si sentiva più donna, e meno intoccabile principessa divina.
Ma metà e più della notte era già scivolata via, e si rendeva conto di non poter chiedere all'amato di passare un'altra notte in bianco, prima di un'altra giornata impegnativa.
Erano arrivati sul tetto del palazzo, poco sopra le stanze di Mefrure: Gatto Nero era ancora preoccupato per la sua salute, e voleva accompagnarla e vederla rientrare sana e salva, prima di perdersi nelle ombre e scivolare nella sua camera.
Ma la ragazza indugiò, poggiandosi appena al basso muretto che bordava il tetto.
Gatto Nero le si avvicinò, sfiorandole la spalla. In quelle vesti, istintivamente, era tornato alla spontanea comunicazione che avevano avuto fino a pochi giorni prima, fatta di sfiorarsi per caso, di sguardi amichevoli e complici, di mani afferrate al volo e acrobatici combattimenti contro orribili demoni.
-Dobbiamo sbrigarci, Gatto. Non c'è molto tempo per me, ormai. - disse piano. Gatto Nero annuì. Dovevano trovare lo stregone prima dei funerali di Nefertari, e dell'inevitabile matrimonio che avrebbe per sempre legato Mefrure a Tutankamon.
Lei si volse, guardandolo, e in quello sguardo Gatto Nero lesse la muta richiesta: abbracciami, rassicurami che tutto andrà bene.
Le braccia del ragazzo erano un porto sicuro per Mefrure, che per la seconda volta si trovò a meravigliarsi di come avesse fatto a non notare mai quanto salda e forte fosse quella stretta. Era capitato molte volte che Gatto Nero la prendesse al volo, prima di aiutarla a lanciarsi contro i demoni che ogni quattordici giorni infestavano le notti in riva al Nilo. E ogni volta, quell'abbraccio le aveva trasmesso lo stesso sostegno di ora, lo stesso incondizionato amore.

I giorni passavano, e la frustrazione di Mefrure era sempre maggiore. Aveva tentato divinazioni di ogni tipo per capire chi le avesse lanciato la fattura, ma essa era stata sciolta mentre lei era trasformata, e non era più stata lanciata. Da una parte era grata di non avere quei costanti, martellanti mal di testa e malesseri, ma dall'altra, aveva perso una traccia importante.
Asenmut, nei panni di Gatto Nero, era tornato per diverse notti nella casa del Visir, ma anche se l'aveva rigirata come un calzino (letteralmente: aveva frugato persino tra la biancheria del visir, e aveva detto che mettere le mani tra gli indumenti intimi di un vecchio era una delle cose più disgustose che avesse mai fatto!), ma i resti della lamina di piombo non erano saltati fuori.
Erano arrivati alla conclusione che probabilmente li aveva distrutti, o consegnati a qualcuno perché fossero distrutti.
Si era passati poi alla seconda pista, anche se debole: coloro che avrebbero potuto saper usare la magia, anche se dichiaratamente non lo facevano, che vivevano nel Palazzo.
La lista di Nyunya era appena di poco più completa di quella che aveva stilato Asenmut parecchi giorni prima, ma c'erano dei nomi interessanti, e per quindici notti, la Dea Coccinella e il Gatto Nero furono molto impegnati a frugare le stanze di questo funzionario o quel sacerdote alla ricerca di prove, dettagli, indizi. Inutilmente.

I giorni volavano via, e un mattino Mefrure incise l'ultimo segno nella tavoletta cerata che teneva accanto al letto.
-Come se avessi bisogno di contarli. - mormorò tra sé e sé, cupa.
Era preoccupata e agitata: la sua indagine era ferma, e inoltre, Sepsuth le aveva detto che Nyunya aveva notato strani viavai di operai nel lungo spiazzo antistante al tempio di Ra. Preparativi, che non avevano nulla a che vedere né col funerale, né col matrimonio.
Inoltre, da giorni non riusciva ad ottenere udienza con Tutankamon. Nessuno ci riusciva: era rinchiuso nelle sue stanze, e solo il visir poteva andare avanti e indietro. Quell'uomo pareva aver gettato su suo fratello una specie di...
-Ma quanto sono stupida! Stupida imbecille io e stupidi imbecilli tutti noi!- esclamò.
-Che succede?- Tikki emerse sbadigliando dal suo scrigno.
Mefrure si passò una mano sui capelli scompigliati dal sonno. -Succede che abbiamo avuto la verità davanti agli occhi e non l'abbiamo vista! Il visir... lui non era nella lista, ma sono sicura che sa usare la magia! - si morse le nocche, furente con sé stessa. -Ma perché Nyunya non lo ha messo nella lista? E neanche Asenmut? Oh, non importa, quel che importa è che ora dobbiamo sbrigarci. -
-Cosa farai?-
-Otterrò la mia udienza, che il visir lo voglia o no. - andò dritta verso un cordone, tirandolo energicamente e facendo tintinnare delle campanelle in un'altra stanza. Dopo pochi istanti, la mezza dozzina di ancelle che si occupavano di lei comparvero, pronte a prepararla per la giornata.
Giornata che sarebbe stata molto lunga: era il giorno previsto perché gli la salma di Nefertari fosse riportata al palazzo, per essere deposta nei primi sarcofaghi, nei templi, e poi iniziasse il suo viaggio in barca e a spalla, in processione, verso la Valle delle Regine.
A Mefrure parve che le donne ci stessero mettendo una eternità a prepararla. Stava preparandosi mentalmente, caricandosi, per puntare i piedi e ottenere udienza da Tutankamon, quando un servo, prostrandosi ai suoi piedi, annunciò che il faraone desiderava vederla.
Coincidenza? O fatalità?
Fingendo di cercare qualcosa sulla sua toeletta, Mefrure fece nascondere Tikki tra le pieghe della sua veste, grata della presenza della piccola, soprannaturale amica.
Un attimo prima di lasciare il tavolino, cambiò idea, e prese veramente qualcosa: aprì uno scrigno di lapislazuli, e ne trasse quattro piccoli oggetti.
-Non credevo che mi sarebbero mai serviti, e spero non mi servano oggi. - mormorò.
Uscendo dalla sua stanza da letto, incrociò lo sguardo di Sepsuth, disorientata dall'annuncio del servo.
Ad attenderla c'erano anche Nyunya e Asenmut, formalmente in attesa degli ordini degli incarichi per la giornata, in quella che era diventata una routine, in pratica in attesa il primo di restare solo a flirtare con Sepsuth, e il secondo di poter anche solo restare nella sua adorazione diurna della sua "dea".
Con un cenno, Mefrure si fece seguire dai tre, che colsero il suo nervosismo.
-Che succede?- chiese Sepsuth, da sempre abbastanza in confidenza da potersi permettere di rivolgere apertamente domande alla principessa.
-Non lo so. Tutankamon mi ha convocata. Ma perché? Dopo giorni in cui se ne stava chiuso ricevendo solo il visir...- abbassò la voce -Perché non lo hai segnato nella tua lista di sospetti?- chiese a Nyunya.
-N-non lo so. - risposte altrettanto sottovoce il ragazzo, disorientato -Non ci ho pensato. E' come se... ci fosse un vuoto nella mia testa, quando tento di pensare a lui. -
Mefrure guardò Asenmut, nella stessa, muta domanda. E lui rispose, mutamente, scuotendo le spalle e indicando Sepsuth. "Idem come lui", voleva dire.
Mefrure si fermò, prima di lasciare il salone che era l'ultima delle sue stanze private, e fece segno alle ancelle di allontanarsi di alcuni passi. Le donne ormai si erano abituate al fatto che la Principessa volese parlare da sola con i suoi amici.
-Prendete. - porse a ciascuno dei tre uno dei ninnoli. Erano lapislazuli, le pietre più preziose, venati d'oro, rozzamente squadrati in una forma vagamente umana, ruvidi al tatto. A un'esame più attento, si capiva che non erano grezzi, ma coperti da fittissime incisioni. Incisioni antichissime.
-Tenetele con voi: potranno proteggerci da una maledizione mortale, una sola. Ma è sufficiente. -
Asenmut boccheggiò. -Simulacri! Ma sono...-
-Preziosissimi e antichissimi. Li ho presi qualche tempo fa. Se solo avessi saputo due mesi fa della loro esistenza... - sorrise Mefruru, e d'improvviso Asenmut capì perché lei lo aveva trascinato, da trasformati, in un sotterraneo di tempio polveroso e spettrale.
-Non so cosa potrà accadere, ma voi siete coloro di cui mi fido di più. - la principessa guardò Nyunya, con un sorriso di scuse -Ormai sei dentro anche tu. Dai pure la colpa ad Asenmut e a Sepsuth, che giurano entrambi che sei intelligente e fidato. -
-Beh, mi sento onorato della vostra fiducia, vostra altezza – fece imbarazzato il ragazzo, conscio di trovarsi in mezzo a cose molto più grosse di quel che gli era parso, e già gli erano parse enormi!
-Ora, andiamo. - inspirò profondamente -Che la Fortuna ci accompagni, e con essa il favore degli dei. - invocò.

Mefrure fu fatta entrare, da sola. Ancelle, servitori e accompagnatori dovettero attendere fuori, a due stanze di distanza.
Tutankamon non era mai parso così emaciato e malato. Era come se una fiamma lo stesse consumando dall'interno, osservò la ragazza.
La stanza era sporca e disordinata, come se nessuno della servitù avesse pulito da un mese. Probabilmente era così.
Sul tavolo giacevano accatastati papiri, rotoli di asticelle, tavolette cerate, stili e inchiostro. Un caos.
-Sorella, mia amata Mefrure, vieni qui. Ti ho trascurata, in questi giorni, e me ne dolgo. - Tutankamon la abbracciò, e Mefrure rabbrividì rendendosi conto che non era stata solo un'impressione: il corpo del fratello pareva smagrito e svuotato.
-Tutankamon, sei in uno stato terribile. Hai dormito per più di due ore per notte, in questi giorni? Hai l'aspetto di un morto di fame!- non poté fare a meno di rimproverarlo.
-Oh, parli come Nefertari. - il suo sorriso era quasi folle -Lo so, lo so, mi sono trascurato. Ma vedrai che, quando saprai il perché, quando vedrai, non mi rimprovererai più. Vieni, guarda qui. - la prese per il polso e la trascinò vicino al tavolo, spazzando via quasi tutto il materiale con un colpo dell'altra mano.
-Saremo di nuovo felici, tutti e tre. Guarda: è così semplice! Noi siamo figli degli dei, e le nostre anime sono divine. E un dio può fare tutto! Possiamo farlo, prima che l'anima di Nefertari finisca per l'eternità nell'aldilà. -
-Cosa possiamo fare, Tutankamon?- adesso Mefrure era spaventata: riconosceva alcuni simboli velocemente schizzati sulla cera in quel bozzetto, e non erano bei simboli.
Il sorriso folle si allargò sul volto dell'uomo. -Possiamo riportare Nefertari in vita. -




Note dell'autrice parte 2: dum dum duuuuuuum....
Capitolo ansioso, nervoso, come l'ansia che cresce addosso alla nostra principessa egizia.
E un bel cliffhanger (finale di puntata o stagione che vi lascia la scimmia e la curiosità).
Mi son resa conto che ricordavo male: il processo di imbalsamazione può durare fino a 90 giorni, di cui 40 e oltre solo di "salatura" nel natrom (vi invito a guardarvi la pagina di wikipedia sulle mummie, e quella sulle mummie egizie in particolare – anche se pure le mummie di palude sono fighe!), ma ormai avevo fatto i miei conti, e 90 giorni sono tanti, come ben sa chi va a scuola e che calcola che gli mancano ancora 3 mesi all'ultimo giorno! =)

 


 

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Capitolo 6
*** A un passo dall'apocalisse ***


Capitolo 6 – a un passo dall'apocalisse

-Possiamo riportare Nefertari in vita. -
L'enormità dell'affermazione per un attimo lasciò Mefrure senza parole.
-Cosa?- fu l'unica parola che riuscì a boccheggiare.
-Certamente! Non siamo forse noi stirpe degli dei? Non siamo i supremi sacerdoti d'Egitto? Offrendo un sacrificio adeguato, la vita tornerà a scorrere in lei. -
-Fratello, come ti è venuta in mente questa idea?- Mefrure si trattenne all'ultimo dall'aggiungere "folle" all'idea.
-E' stato il visir a propormela. Ha detto che lo strazio del mio cuore avrebbe commosso anche una pietra, e che io, e io solo in tutto l'Egitto, avrei potuto riportarla in vita. Oh, il nostro caro amico! Il nostro più fedele servo! Ha organizzato tutto lui, nella sua infinita saggezza, e ora ci attende. Vieni, mia cara, vieni: dobbiamo affrettarci. E' tutto organizzato, e i servi ci attendono per prepararci alla cerimonia!-
La stretta di Tutankamon era forte, la stretta di un pazzo. Mefrure dovette seguirlo nelle stanze adiacenti, dove le ancelle che erano state di sua sorella la vestirono di altri abiti e le posero sul capo e sul corpo gioielli pesanti. Per fortuna, Tikki riuscì a sgusciare tra i tessuti, nascondendosi alla vista, e infilandosi nel pesante copricapo, tenendo stretto con sé il simulacro per Mefrure.
Una ancella le porse una coppa di liquido ma, sebbene avesse sete, Mefrure finse solo di berne qualche sorso, facendosi poi "casualmente" scivolare la coppa di mano.

-Che diamine starà succedendo lì dentro?- mormorò Asenmut, tentando di nascondere il nervosismo. Lo stesso nervosismo era rispecchiato negli occhi di Nyunya e di Sepsuth. I tre ragazzi attendevano da quasi un'ora fuori dalla prima delle porte degli appartamenti del Faraone, e ancora Mefrure non era tornata, né loro avevano ricevuto istruzioni o chiamate.
-Ho una pessima sensazione. - concordò Nyunya, accostandosi a una finestra. Uno strano spettacolo si aprì ai suoi occhi. Diverse decine di ragazze, tutte vestite di semplici tuniche di lino, stavano venendo scortate da soldati di palazzo verso il tempio di Ra. Le ragazze camminavano barcollando, come se fossero state drogate, mentre i soldati erano rigidi come burattini.
Due soldati vestiti delle identiche divise comparvero nel corridoio.
-Sepsuth, devi venire con noi. - disse uno dei due, in tono inespressivo. La ragazza sentì salirsi addosso, di colpo, un panico apparentemente immotivato.
-Perché? Sto attendendo la mia signora, la principessa. Non sarà contenta di non trovarmi qui. -
-Seguici. - rispose il soldato, come se non avesse udito l'obiezione della ragazza.
Nyunya fece un passo in avanti, a protestare, a proteggere la sua ragazza, ma l'altro soldato snudò la spada, mettendosi tra Sepsuth e Nyunya, mentre il primo afferrava la ragazza per un braccio trascinandola via.
-Nyunya, seguili, ma senza farti notare. - disse deciso Asenmut.
-Va bene. Ma tu cosa farai?- il ragazzo era interdetto, incerto e spaventato, e le parole decise dell'amico erano ciò di cui aveva bisogno: ordini sensati da seguire.
-Io andò a cercare Mefrure. -
-Ma le guardie- tentò di obiettare Nyunya.
-Ho i miei metodi. Vai, ora. Tieni d'occhio la tua ragazza, e ricorda: abbiamo a che fare con i piani di uno stregone. -
Nyunya annuì, secco, prima di voltarsi e correre lungo il corridoio per cui era stata portata via Sepsuth.
Era facile seguirla, le sue proteste eccheggiavano per il corridoio di pietra, e quando Nyunya la raggiunse, e lei lo vide, aumetò il volume delle sue rimostranze, per coprire il rumore dei passi del ragazzo.

Asenmut si guardò attorno, infilandosi in un corridoio vuoto. Nascosto dietro a una sporgenza del muro, scostò la tunica. -Plagg, dobbiamo sbrigarci. -
Lo spirito uscì dalla veste, gli occhi felini socchiusi e attenti. Normalmente appariva pigro e disinteressato, ma ora ogni pelo del suo corpo era fremente e dritto.
-C'è qualcosa di magico di molto grosso, nell'aria. Cerca di non usare il Cataclisma finché possibile, perché potremmo non avere il tempo che io mi riposi, quando le cose si faranno brutte. -
Asenmut annuì. -Plagg, trasformami!- ordinò, lasciandosi avvolgere nello scintillio nero e oro della trasformazione.
Gatto Nero flettè le dita delle mani, per sgranchirsele. Con un solo, agile balzo, percorse metà corridoio, poi si infilò in una stretta finestra, risalendo il muro come un'ombra, nell'abbacinante sole della tarda mattina, e raggiungedo il tetto.
Si guardò attorno, e dopo pochi minuti vide la piccola processione che lasciava i giardini adiacenti agli appartamenti dei Faraone.
Circondati da soldati dal passo rigido, il Faraone camminava come immerso in un sogno, mentre Mefrure appariva tesa e, si, spaventata.
Saltando e arrampicandosi di edificio in edificio, Gatto Nero riuscì a portarsi avanti, assistendo al momento in cui la processione del faraone se ne accodò un'altra, in cui dei servi sempre biancovestiti portavano su una elaborata portantina il sarcofago ligneo più piccolo, ove era stato posato il corpo di Nefertari, pronto per la sepoltura.


Nota dell'autrice: si, abituatevi ai miei intermezzi storici di metà capitolo. Gli Egizi hanno mummificato gente per 5000 anni, e quindi andiamo dalle mummificazioni più rozze di 6-7 millenni fa (in semplici sarcofagi rettangolari di legno, con postura fetale) a quelle più elaborate dell'epoca di massimo splendore, prima della decadenza e la conquista romana. A un certo punto, il corpo di un nobile defunto poteva essere inserito in tre o anche quattro sarcofagi, a matrioska. I più interni erano in legno scolpito e/o dipinto, i più esterni, lavorati in loco nelle tombe, di pietra.
Fatevi un giretto al museo egizio di Torino per una overdose di Egitto, riti funebri, mummie e corredi funebri! (Io ci voglio tornare e piantarci le tende per una giornata finché non mi cacciano fuori a calci perché è orario di chiusura =) )


Le due processioni proseguirono, tra litanie che Gatto Nero non aveva mai sentito, fino al grande cortile del tempio di Ra, dove era stato innalzato un altare in cima a una struttura piramidale.
Finalmente Mefrure vide Gatto Nero, appollaiato sulla cima dell'obelisco che si stagliava dinnanzi al tempio, e per un attimo il sollievo le allargò il petto. Nessun'altro oltre a lei lo aveva notato, parevano tutti immersi in una specie di trance, o forse sotto l'effetto di qualche droga.
Il sarcofago venne deposto in cima alla piramide, e l'aria pesante divenne di colpo silenziosa come l'interno di una tomba, quando il visir (quando diamine era arrivato?) levò il bastone d'oro al cielo.
Tutankamon salì lentamente i gradini della piccola piramide, levando al sole un pugnale nero, che scintillava come vetro. Una lama di ossidiana, lunga palmo, affilata come il dente di una vipera.
Due sacerdoti, camminando rigidi, spingevano avanti una figuretta che sbandava, come stordita.
Mefrure riconobbe con orrore la sua migliore amica, che veniva condotta in cima alla piramide, e costretta a inginocchiarsi, come un agnello al sacrificio.
-No! Fermo, fratello!- tentò di slanciarsi, salire le scale, fermare il sacrificio, ma due paia di salde mani le bloccarono le braccia: due soldati lavevano afferrata, con gli occhi vacui. -Lasciatemi! Lasciatemi, ve lo ordino!- la voce di Mefrure era l'unico ruomre nel piazzare.
-Non preoccuparti, dopo verrà anche il tuo turno. - fece una voce femminile alle sue spalle. Tuat-e-nab, la figlia del visir -Adesso, ammira pure la scena della tua leccapiedi che viene sgozzata come una capra da sacrificare!- le afferrò il volto, voltandolo per costringerla a guardare la scena.
Fu questione di un attimo: Mefrure morsicò con tutta la sua forza le dita della ragazza, che si ritrasse con un urlo di dolore e sorpresa, sollevò una gamba in una mossa poco elegante ma molto efficace, colpendo con precisione tra le gambe di un soldato, che mollò la presa. Con la mano libera, sferrò un pugno sul naso dell'altro soldato, riuscendo a liberarsi. Si slanciò verso la piramide, afferrando il braccio del faraone un attimo prima che questi vibrasse il colpo fatale.
In quei pochi secondi, dall'alto, Mefrure vide la scena, ma solo molto tempo sarebbe riuscita a richiamare ogni particolare nella sua mente: Nyunya che lottava contro i soldati, ragazzino contro uomini grandi e grossi, urlando e scalciando, per tentare di raggiungere Sepsuth; Gatto Nero che schivava i soldati, che si muovevano all'unisono per tentare di infilzarlo; Tuat-e-nab che la fissava con un odio senza precedenti, mentre si reggeva la mano sanguinante; e il visir... il visir che alzava il suo scettro, pronunciando una singola, blasfema parola.
Un fulmine di tenebra, un colpo che prese Mefrure nello stomaco, scagliandola lontano.
-NOOO!- Gatto Nero abbandonò ogni tentativo di raggiungere il Visir, correndo con balzi disperati verso la figuretta accasciata a terra, scagliata nella polvere.
-Il momento è giunto. Versa il sangue della prima vergine pura sull'altare, e che il sangue delle altre novantanove bagni il terreno! - comandò il Visir, levando ancora lo scettro. Magrado le urla disperate di Nyunya, la lama di ossidiana ferì la pelle di Sepsuth. Non una ferita letale: il sangue gocciolò, bagnando il legno del sarcofago e la pietra della struttura. I soldati sguainarono le spade, e tagliarono la pelle delle fanciulle stordite. Rivoli di sangue iniziarono a macchiare il terreno, mentre il Visir innalzava un canto rituale in una lingua che da secoli nessun orecchio umano udiva più.
Accanto al corpo inerte di Mefrure, Gatto Nero era come paralizzato. Mefrure morta! Senza la Dea Coccinella, il visir non poteva essere più fermato! Ma cosa gli importava del mondo, senza la sua amata? Gli occhi verdi del ragazzo erano pieni di lacrime, tanto da non vedere il lungo tremito che percorse il corpo della ragazza. Ma si accorse che era viva, quando riprese a respirare, dopo un lungo colpo di tosse.
-Oddei... cosa... cosa...- rantolò la ragazza, stordita.
-Sei viva! Mia dea, mio amore, sei viva!-
Tikki emerse dalle pieghe della veste, con l'aria parecchio stordita. Tra le manine reggeva frammenti di pietra blu. -Il Simulacro ti ha protetta dalla maledizione di morte. - disse, mentre i frammenti diventavano irrimediabilmente polvere.
-Sei viva!- Gatto Nero abbraciò Mefrure -Grazie agli dei!-
-Non c'è tempo da perdere, Gatto! Dobbiamo fermare il visir!- Mefrure si tirò su in piedi, ancora stordita per il colpo -Tikki, trasformami!-
Rigidamente, come se non fosse sua la volontà che lo animava, il faraone levò ancora il pugnale di ossidiana, piantandoselo senza un tremito nello stomaco.
Stavolta, il sangue scese copioso, mentre l'umo si accasciava sul sarcofago.
E scesero le tenebre.
Il fulgido sole del mezzogiorno parve spegnersi di colpo, mentre il suo posto veniva preso da un buco di pura tenebra, da cui si irragiava una sorta di macabra luminosità rossastra. Le pietre candide del palazzo reale parvero tingersi di sangue, mentre le pozze di sangue che si formavano ai peidi delle ragazze assumevano il colore del vino nero.
Uno dopo l'altro, in cerchi concentrici a partire dall'altare, tutti i presenti si accasciarono, come morti. Coccinella e Gatto Nero sentirono il fiato mancare loro, come se qualcosa stesse tentando di strappare loro il respiro. L'anima.
La mano del ragazzo corse a cercare quella di lei, ma, boccheggiando, riuscirono a reggersi in piedi: il potere del miraculous li aveva protetti.
-Dobbiamo fermarlo. A costo di ucciderlo. - ansimò Coccinella. Gatto Nero annuì.
-Andiamo!-
Si lanciò in corsa verso il Visir, ma questi, con riflessi inumani, levò lo scettro, facendo sorgere un vento infuocato che strinò i capelli del ragazzo, ricacciandolo indietro.
-Non sono ammesse interruzioni alla mia offerta agli Antichi Dei!- gridò irato. Poi si voltò verso la figlia -Mia creatura, difendi tuo padre!- comandò, puntandole contro lo scettro. Con un grido di orrore, la ragazza tentò di ritrarsi, ma inutilmente: l'incantesimo l'aveva colpita, e crollò a terra, scossa da orrendi spasmi.
Le vesti le si tesero sul corpo, stracciandosi, incapaci di tendersi sul gigantesco corpo che si controceva per terra. Le gambe si coprirono di scaglie, fondendosi in una forma allungata, e quella che dopo alcuni interminabili istanti si levò, non era più la graziosa e maliarda figlia del visir, ma una naga, una gigantesca creatura dal torace femminile piantato su una coda di serpente.
Il volto si era appiattito e la bocca allargata, le belle labbra sparite, e negli occhi da rettile si poteva ora solo leggere una cosa: odio.
Sibilò verso il visir, scuotendo la lunga coda sul cui fondo c'era un sonaglio, poi si voltò verso Gatto Nero, che era rimasto paralizzato dalla sorpresa e, si, anche dalla paura.
-Ommerda. - imprecò sottovoce.
Il disco metallico di Coccinella gli passò accanto, scagliato con forza dalla proprietaria. Il cavo infinito si avvolse attorno alla naga, bloccandone i movimenti. Gatto Nero fu lesto a saltarle addosso, schivando i guizzi della coda, evitando per un soffio l'aculeo nascosto nella coda, ma non gli artigli dell'essere, fino ad arrivarle al collo e alla testa, grossa la metà di lui.
-Non è mia abitudine zittire una donna, ma per te farò un'eccezione!- disse, stringendo le braccia attorno al collo mostruoso, da dietro, finché la naga, legata e ora soffocata, non iniziò a barcollare, per poi cadere priva di sensi a terra.
-Sei ferito!- esclamò Coccinella, richiamando lo yo-yo con uno scatto del braccio.
-Non è niente. - la rassicurò Gatto Nero, tentando di ignorare il dolore che i graffi pulsanti gli stavano irradiando lungo il braccio sinistro -Occupiamoci del Visir, ora!-
Nei frenetici minuti in cui avevano lottato contro la naga, lo stregone non era stato con le mani in mano, e aveva proseguito col rito. Il varco al posto del sole era più vasto, e un turbine roteava attorno, un turbine in cui si potevano distinguere volti terrorizzati, grida di paura e di orrore, mentre tutte le persone della città giacevano prive di anima per le strade e nei cortili, nei campi e nei palazzi.
-Sciocchi ragazzini! Siete arrivati tardi, e ora nulla fermerà la mia ascesa a dio!- il visir pareva più alto, più grande. Stava fluttuando! Come sollevato da una forza mistica, l'uomo si librava a diversi metri sopra l'altare, guardandoli come si guarderebbero dei fastidiosi insetti.
-Morite, strisciando da vermi quali siete!- proseguì, scagliando dalla mano delle saette abbacinanti.
Schivata, balzo, corsa. Non c'era tempo per pensare, non c'era tempo per un piano di battaglia: l'unica cosa da fare era schivare e tentare di non essere uccisi, e avvicinarsi, tentando di portare un colpo. Una saetta colpì una delle ragazze, svenuta e sanguinante, trasformandola in una statua di pietra, dopo essere rimbalzata sulla spada di un soldato
Ecco! Forse Coccinella aveva avuto un'idea! Afferrò il suo disco, facendolo roteare -Miracolo della Coccinella!- invocò, e tra le mani le comparve un lucido specchio metallico.
-Grandioso, vuoi mostrargli quanto è folle?- chiese gatto nero, afferrando la ragazza al volo e portandola in salvo un attimo prima che una saetta pietrificante la colpisse.
-Più o meno. - Coccinella si piantò saldamente, riparandosi dietro la lastra, e il colpo non si fece attendere. L'urto quasi la fece cadere, e sentì le dita intorpidirsi e irrigidirsi, ma era fatta: l'incantesimo, respinto dallo specchio magico, tornò al mittente, pietrificando le braccia e parte del corpo dello stregone.
-Sarà una cosa molto brutta, temo. - mormorò Gatto Nero. -Cataclisma!- invocò, alzando gli artigli al cielo, sentendosi come sempre investito del terribile potere della distruzione.
Chiuse gli occhi, tentando di non pensare a quello che stava per fare: uccidere un uomo.
Gli attimi parvero cristallizzarsi, mentre a lunghi balzi chiudeva lo spazio tra lui e il visir. Il potere della distruzione gli crepitava tra le dita, potente come non mai. Un solo colpo, in pieno petto all'uomo, il cui viso inorridito rivelava l'orrore della caduta, dall'apice del potere, al nulla.
Un graffio.
Un solo graffio.
La pelle iniziò a seccarsi, e a sgretolarsi, e le vesti a polverizzarsi. I lembi di carne simili a pergamenta si arricciavano, rivelando organi interni che si essiccavano sotto lo sguardo morbosamente inorridito di Gatto nero. Le braccia e le gambe, pietrificati, semplicemente divennero polvere grigia.
-No! NO!!! NOOOOOOooooo... . . .-
L'urlo dell'uomo si spense in un rantolo, quando la distruzione raggiunse i polmoni e la gola, e dopo pochi istanti lunghi come l'eternità, solo cenere nera e polvere grigia si spargevano attorno, sopra Gatto Nero, caduto sopra l'altare.
Una mano si posò sulla spalla di Gatto Nero. Coccinella-
-Hai fatto quello che dovevi. Ma non è finita. - disse.
Lo sguardo dei due salì al cielo, dove lo squarcio nel cielo non accennava a chiudersi. Cose che in seguito i due non avrebbero saputo descrivere, tanto erano orribili, si allungavano tentando di ghermire le anime che ancora turbinavano attorno.
Coccinella prese tra le mani il suo yoyo e lo specchio da esso generato.
-Questo sarà il Miracolo più grande. Che gli dei guidino la mia mano. - disse. Poi inspirò profondamente.
-Miracolo della Coccinella!- invocò, lanciando lo specchio in aria.
Il disco metallico roteò, salì nell'aria, molto più in alto di quanto ci si sarebbe potuto aspettare.
Poi, s'infranse. Miliardi di scheggie nell'aria, che esplosero in una luce abbagliante, una luce così forte da cacciare le ombre più profonde, come la luce del primo sole del mondo.
E poi, la luce del sole tornò a inondare le strade, mentre le anime scendevano come pioggia e si riunivano ai propri corpi, e le persone si rialzavano, stordite e disorientate, guardandosi attorno come dopo il più orribile degli incubi.
Sull'altare, la Dea Coccinella si inginocchiò accanto al faraone morente. In uno scintillio d'oro e di rosso, la veste scomparve, così come la maschera metallica dal volto.
Nyunya e Sepsuth, scampati al risucchio dell'anima grazie ai Simulacri, avevano tentato di tamponare la ferita, riuscendo solo a prolungare la vita dell'uomo per pochi minuti.
Per la seconda volta in due mesi, Mefrure si trovò a guardare un volto amato morente.
-Ben... fatto... sorella. - rantolò Tutankamon -Mi spiace... ho sbagliato... tutto.-
Mefrure scosse il capo, ammutolita dal groppo alla gola che aveva. Le lacrime scendevano copiose sul suo volto.
-No, non morire. Non lasciarmi anche tu. Non morire, fratello!-
Tutankamon chiuse gli occhi.
-Arrivo... mia... amata... Ne...fer...ta...-
L'ultima parola morì sulle labbra del faraone, l'ultimo respiro per il nome della donna adorata.


Note dell'autrice: e ancora non finiamo qui! C'è l'epilogo dopo!
Capitolo piuttosto impegnativo, anche perché oggi non ho avuto molto tempo per scrivere. Giornataccia no, tra studenti irritabili, io stanca, cena quasi bruciata, l'ispirazione stava per levare le tende.
Poi ho trovato la musica giusta, incalzante e inquietante, e sono riuscita a scrivere 'ste benedette scene di azione che mi rimuginavo da ieri notte!
Solo DOPO aver scritto, mi sono resa conto che c'è una cucchiaiata di capitolo finale di Full Metal Alchemist, una spolveratina di Indiana Jones e l'ultima crociata (con la scena del graal sbagliato e dei suoi effetti nefasti), e alcune cose che forse non saranno chiarissime.
Per la cronaca, il visir ha posto sotto un incantesimo di controllo e/o fatto drogare tutti i partecipanti al rito, in caso non fosse leggibile tra le righe =)



 

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Capitolo 7
*** epilogo - bacio sulla bocca ***


Capitolo 7 – epilogo - bacio sulla bocca

-I funerali di Nefertari verranno ritardati solo il tempo necessario a far fare un nuovo sarcofago interno. Non voglio assolutamente che mia sorella abbia il corpo preservato in un sarcofago profanato da un rito demoniaco!- dichiarò secca Mefrure al gran sacerdote di Ra -I funerali di Tutankamon avverranno coi tempi consueti. -
La corona le pesava sul capo, e lei si sentiva osservata, giudicata... inadeguata. Sedeva con la schiena ben dritta sull'alto scranno su cui suo fratello aveva sempre ricevuto i sacerdoti, negli appartamenti del Faraone.
-Come la Figlia degli Dei comanda. - disse l'uomo, inchinandosi leggermente.
Era ancora scosso da quanto avvenuto dieci giorni prima. Ricordava più o meno tutto, ma come uno strano, bizzarro, orribile sogno da cui non riusciva a svegliarsi.
E quando si era svegliato, era stato anche peggio: il visir che aveva tentato di evocare demoni! Il Faraone morto! Cento delle fanciulle della più alta nobiltà ferite e sanguinanti! E la sensazione di essere stato, insieme a migliaia di altre persone, in una tempesta di dolore e paura e angoscia.
Ma ciò che più lo angosciava, era che il faraone fosse morto. Restava solo la giovanissima Mefrure, ma la dinastia! La dinastia era finita. Lo Spirito Divino poteva essere trasmesso, ma il sangue non sarebbe stato più puro.
-Mia principessa, cosa dobbiamo farne dello scettro del visir?- chiese, poi.
-Avevo dato ordine che fosse distrutto. Non è stato fatto?-
-E' stato tentato, oh somma: dapprima nel crogiuolo dell'orefice, poi in quello del fabbro. Sono stati usati le fornaci del ferro, ma inutilmente. Quell'oggetto è ancora intatto. -
Mefrure resistette alla tentazione di mordicchiarsi le unghie. Cosa farne di quell'oggetto? Chiaramente era potente, non era di semplice oro.
Gettarlo nel Nilo? Farlo buttare in mare aperto? Abbandonarlo nel cuore infuocato del deserto? No.
No, aveva come l'impressione che sarebbe tornato fuori. Quell'affare era carico di potere, e il potere voleva essere usato.
-Tutankamon non avrebbe voluto che un simile oggetto pericoloso rischi di finire in altre mani. Credo... credo che sarà meglio nasconderlo. Nella tomba di mio fratello. Faremo scavare una nicchia sotto al pavimento, e lo deporremo lì sotto. - disse, infine.
Il sacerdote annuì. Era d'accordo. Sebbene giovane, e non addestrata per regnare, la futura regina Mefrure era intelligente e acuta.
-E di Tuat-e-nab?-
Mefrure sospirò. Già, c'era anche lei. Il corpo del visir era rimasto cenere e polvere, ma la ragazza era tornata alle sue vere sembianze. Ma la sua mente era rimasta quella di un mostro selvaggio e assetato di sangue, incapace di intelletto, pervaso dall'odio verso tutto e tutti.
-Ci penserò stanotte. Per ora, lasciamola nella sua fossa. -
Il sacerdote, che ora ricopriva temporaneamente la carica di visir, si ritirò. Non vedeva l'ora che avvenisse l'incoronazione a regina di Mefrure, e che poi lei scegliesse un nuovo visir: la mole di impegni e incarichi che si sovrapponevano era mostruosa.

Asenmut lasciò la nicchia nella parete in cui era rimasto, sull'attenti, per tutto il tempo.
-E' tutto così difficile... così pesante. Come faceva Tutankamon?- chiese, quasi singhiozzando, Mefrure.
Il ragazzo le porse una coppa, versandole dell'acqua.
-E' solo perché non sei abituata. I primi tempi in cui mio padre ha iniziato a farmi addestrare con la spada, mi sentivo anche io così. Al mattino le lezioni, al pomeriggio spada, arco e giavellotto. Poi ci si fa l'abitudine. - tentò di confortarla, sorridendo.
La ragazza lo guardò sottecchi. -Ridi poco, tu: presto saranno compiti tuoi. -
-Ai tuoi ordini, mia dea. - Asenmut si produsse in un elaborato inchino, strappandole un sorriso, e inginocchiandosi ai suoi piedi. -Sai, tutto ciò continua a sembrarmi un sogno. -
-Anche a me: non credo che potrò mai fare incubi orrendi tanto quanto quello che abbiamo vissuto sette giorni fa. -
-No, non intendevo quello. Intendevo che... noi due. -
I due ragazzi si sorrisero, dolcemente.
-Se voi due avete finito di farvi gli occhi dolci, ci sarebbe il generale Tusemon che attende qui fuori da un po'.- fece Sepsuth, spezzando il magico momento. Nessun'altro oltre a lei si sarebbe permesso di interrompere o seccare la principessa.
-Giusto! Dobbiamo pure comunicare un po' di novità al mio caro futuro suocero!- si ricordò Mefrure.
Con un piccolo sospiro di rammarico, Asenmut si alzò, interrompendo la sua adorazione delle ginocchia e di tutto il resto delle bellissime gambe di Mefrure. Ogni volta restava incantato dalla perfezione di quelle forme.

I giorni e le settimane successive alla morte di Nefertari erano stati molto pieni e difficili per Tusemon, che aveva avuto ancor meno tempo del solito da trascorrere con suo figlio. Aveva saputo tardi che Asenmut e gli altri tre figli dei suoi due colleghi e pari rango generali erano stati reclutati dalla principessa Mefrure per un certo incarico, ma era stato felice che il suo ragazzo fosse entrato nelle grazie della futura regina. Avrebbe potuto fare bene carriera anche senza legarsi in matrimonio con famiglie importanti, se si fosse ingraziato un membro della famiglia reale.
Stava riflettendo che Asenmut doveva aver davvero svolto ogni incarico in maniera ineccepibile, dato che era stato nominato guardia d'onore, assieme a Nyunya. I suoi ricordi del giorno dell'eclissi improvvisa erano confusi: solo il gelo, e la sensazione di essere in un posto peggiore del più orrido macello chiamato campo di battaglia in cui gli fosse capitato di combattere da giovane. Aveva comunque sentito che Asenmut era stato sempre accanto alla principessa, e ciò lo rendeva orgoglioso di suo figlio.
La convocazione da parte della principessa lo aveva comunque colto un po' di sorpresa, e sperava fossero sorprese belle, quelle che lo attendevano oltre la porta che la dama di compagnia della principessa gli aprì.
La prima cosa che notò, era l'aria stanca della regale fanciulla. Aveva perso l'amata sorella e, da poco, anche il fratello. Tutte le responsabilità ora gravavano su quelle fragili spalle. Non c'era da meravigliarsi.
La seconda cosa che l'uomo notò, fu che Asenmut era in piedi accando al seggio della principessa, e aveva quel suo sorriso da gatto che ha mangiato il topo, tipico di quando aveva qualche cosa per suo padre che lo avrebbe lasciato del tutto spiazzato.
-Generale Tusemon, mi spiace che abbiate dovuto attendere. Il sommo sacerdote di Ra è tanto caro e buono, ma non è tagliato per fare il primo ministro, e ogni cosa con lui va per le lunghe. -
-Il buon soldato attende quanto c'è da attendere, quando il suo superiore lo convoca. - disse semplicemente l'uomo, che non capiva bene come comportarsi. Tutankamon era stato rigido, quasi distante, mentre la giovane Mefrure era decisamente tutta un'altra pasta. Molto più gentile, innanzitutto.
-Tusemon, hai servito sotto mio padre prima, e sotto mio fratello poi, e ho sempre sentito decantare la tua saggezza e la tua perspicacia. Il mio regno non comincia sotto lieti auspici, e io non sono stata educata per reggere la corona. Ho bisogno di circondarmi di persone fidate e capaci. Così, ho pensato, quale miglior scelta come prossimo Visir, se non il mio futuro suocero?-
Tusemon non capiva. Cosa c'entrava lui, con la nomina a visir di qualcun'altro?
-Congratulazioni per la nuova carica a Visir, padre. - spiegò, col sorriso che si allargava da un orecchio all'altro, Asenmut.
L'uomo sgranò gli occhi. Guardò suo figlio, poi osò guardare apertamente in volto la principessa, ed entrambi gli sorridevano. Non era uno scherzo.
-Io... io... non so che dire. - balbettò.
-Potresti sederti, invece, prima di svenire per la sorpresa. - lo invitò Mefrure, indicandogli un sedile senza schienale che aveva fatto mettere lì apposta.
Il generale si lasciò cadere sullo sgabello.
-Avevi detto che Tuat-e-nab era il miglior partito a cui potessi aspirare in tutto l'Egitto. Ma, come vedi, ti sbagliavi. E dovresti essere felice che l'amore della mia vita, la donna per cui farei e ho fatto e farò ancora follie, è di alta, altissima casta!-
Tusemon non poté non sorridere all'irriverenza del figlio.

-Sei sicura di stare bene, Tikki cara? Non ti muovi dal letto da settimane. -
Lo spirito-coccinella annuì. Riusciva a malapena a parlare, e mangiava a fatica. L'ultimo Miracolo l'aveva prosciugata totalmente, e aveva rischiato di scomparire.
-Ci metteremo qualche anno o decennio a riprenderci, ma siamo Spiriti. Non possiamo morire. - rispose Plagg al posto della compagna. Lui si stava riprendendo più in fretta, e appestava l'aria con i cibi, uno più maleodorantemente speziato dell'altro, che chiedeva.
-Mi spiace che non possiate assistere al giorno più bello della nostra vita. - si rammaricò Asenmut.
-Ma no, ma no. Andate, divertitevi, tanto sappiamo come vanno queste cose. - fece lo spirito felino, agitando la mano -Noi qui festeggeremo per voi a modo nostro!- concluse, ingoiando in un boccone una pallina di miglio e latte di cammella.
Asenmut e Mefrure si allontanarono, lui tenendole il braccio attorno alla vita. Erano preparati per metà, ma prima di andare a farsi finire di preparare per la cerimonia nuziale, indugiarono ancora alcuni istanti.
-Sai che giorno è oggi?- le chiese.
-Il giorno de nostro matrimonio?-
-Non solo. E' un anno esatto che ci siamo conosciuti. Come Coccinella e Gatto Nero, intendo.-
-E' vero. - Mefrure posò il capo sul petto di Asenmut. In quei pochi mesi sembrava essersi fatto ancora più alto, come se il suo corpo si stesse preparando all'aspetto regale che avrebbe dovuto avere da quel giorno in avanti.
-Ancora me lo ricordo, sai. Era così strano che qualcuno mi parlasse liberamente, senza peli sulla lingua, come a una normale ragazza. Mi aveva fatto strano, ma poi mi era piaciuto. -
-Una normale ragazza? Per me, sei sempre stata una dea. Una dea che mi tira le orecchie. - Asenmut le posò un bacio sui capelli, godendo di quella sensazione di seta sulle labbra.
-E allora vieni qui, mio divino gatto. - Mefrure alzò il capo, infilando le mani tra i neri capelli del ragazzo e facendogli chinare la testa, in un lungo, appassionato bacio.





Francia, Parigi, XXI secolo.
Marinette dormiva, ma Tikki non riusciva ancora a dormire.
La visita al museo, il falso faraone creato dall'akuma, la vista di quello scettro, le avevano riportato alla memoria ricordi lontani. Per uno spirito plurimillenario, i ricordi sono tanti, e talvolta sfumano, come i colori di un acquerello.
Aveva donato i suoi poteri a innumerevoli ragazze, in posti e tempi diversi, e da tempo vedeva i corsi e ricorsi della storia. Ragazze diverse, caratteri e storie diverse, ma sempre con qualcosa in comune.
Si chiese se anche Plagg stesse pensando a quella coppia di Ladybug e Chat Noir del dorato, antico Egitto, lontano nel tempo e nella memoria, come una strana storia raccontata in sogno.



Note dell'autrice: E fineeeeee. Ho voluto fare l'epilogo perché il finale di capitolo ci stava, col finale di battaglia, e un epilogo di "quel che succede poi" è una scelta stilistica che mi è sempre piaciuta.
Sono quasi le tre di notte, ma finalmente ho finito questa storia, in sei sere esatte!

 

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