L'amore che non ti aspetti

di _Emanuela_3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Epilogo ***
Capitolo 2: *** 1. Una serie di (s)fortunati eventi ***
Capitolo 3: *** 2. Una lunga giornata ***
Capitolo 4: *** 3. Una serata particolare ***
Capitolo 5: *** 4. Una lunga settimana ***
Capitolo 6: *** 5. Una discussione necessaria ***
Capitolo 7: *** 6- Una svolta inaspettata ***
Capitolo 8: *** 7 - Amore e magia ***



Capitolo 1
*** Epilogo ***


Coraggio,
lasciare tutto indietro e andare,
partire per ricominciare


Cesare Cremonini, Buon Viaggio



Il  traghetto comincia a riempirsi, dopo aver sistemato le mie cose in cabina vado sul ponte. Il porto di Charlotte è piccolo e raccolto. Da quassù riesco ad abbracciarlo tutto con lo sguardo.
Charlotte* è la mia città. Qui sono nata, sono  cresciuta e qui mi sono innamorata. Pensavo che non me ne sarei mai andata, almeno non così presto. A settembre partirò per il college ma non potevo restare un minuto di più in questo posto. Il solo pensiero di rivederlo è come un cazzotto nello stomaco.
Tremo all’idea di come tutto sia precipitato nell’arco di così poco tempo, fino a qualche mese fa ero una ragazza come tante, interessata allo studio, ai ragazzi, alle amiche. Avevo avuto le mie cotte, il primo bacio umido e quella che pensavo essere la storia più importante della mia vita.
Arrivata a questo punto penso che ogni cosa sia accaduta per volere del destino. Non ho ma creduto alle coincidenze, ai segni del destino, alle superstizioni. Eppure tutta la  mia storia è frutto di una serie di sfortunati eventi.
Se non ci fosse stato il maremoto non sarei mai andata a vivere in quel condominio in attesa che finissero i lavori alla casa, se lui non si fosse separato non sarebbe mai venuto ad abitare davanti a me. Se l’ascensore non si fosse bloccato, il pullman rotto, le chiavi perse, e Dio sa cos’altro. Se non ci fosse stato niente di tutto questo forse vivrei ancora in riva al mare, starei ancora con Paul, sarei … “felice”.
Sospiro. Crogiolarsi con i se e i ma non mi ha mai portato da nessuna parte. Infondo ora sono qui, pronta a partire a ricominciare. Pronta a dimenticarmi di Lui. Di quell’amore che ci ha travolto, quell’amore sbagliato forse.
Guardo il mio polso, indosso ancora il suo bracciale, credo che lo terrò con me per sempre. Per ricordarmi che da qualche parte del tempo e del mondo noi siamo ancora così. Intrecciati come i fili di questo bracciale, uniti, insieme. 
« Rebecca … »
Chiudo gli occhi e deglutisco a vuoto. Vorrei talmente tanto che lui fosse qui che sento perfino la sua voce.
 Ma non può essere così, perché ce lo siamo giurati: ci saremmo amati da lontano, di nascosto, mentre il tempo riprendeva possesso della nostra vita guarendo le nostre ferite.
L’altoparlante annuncia che il traghetto sta per mettersi in moto. I motori si accendono e nel giro di pochi secondi comincia muoversi allontanandosi dal porto di Charlotte. Faccio scorrere un’ultima volta lo sguardo, cerco il suo volto tra le persone ma ciò che trovo sono solo ricordi ancora troppo nitidi. Un brivido mi corre lungo tutta la schiena, mentre permetto a una lacrima solitaria di solcare il mio viso. Stringo le braccia intorno al corpo e serro i denti. È tempo di andare. 




Note: Ci tengo innanzitutto a ringraziere tutti voi che siete arrivati fino alla fine di questo mio delirante lavoro! 
Il mio rapporto con Efp è sempre stato altalenante, in questi ultimi giorni sono stata, dopo anni, catturata di nuovo dalla voglia di scrivere. Questo racconto è un modo per esorcizzare la mia vera cotta per il mio professore del liceo, un modo per lasciarlo vivere su carta sperando di non balbettare più ogni qual volta mi capita di incontrarlo per strada! :) La storia prende solo spunto da questa mia cotta, mai ricambiata, con il mio insegnante. I fatti e i personaggi sono frutto della mia invenzione.

Spero che vi piaccia e se vi va lasciatemi un commento :) 

*Charlotte è una cittadina di mia invenzione, situata in California. 

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Capitolo 2
*** 1. Una serie di (s)fortunati eventi ***


   
I. Una serie di (s)fortunati eventi

  Il trasloco sta andando per le lunghe, anche se di nostro è rimasto poco o niente. Ogni giorno passo un paio d'ore alla villetta, cercando tra i resti di recuperare qualcosa, che sia una foto o un libro mal ridotto. L'ultimo maremoto è stato tremendo, fortunatamente la città è stata risparmiata ma chi, come noi, abitava lungo la costa est ha perso tutto. Della nostra casa è rimastomolto poco, la ricostruzione questa volta sarà dura. Tuttavia la mamma non vuole mollare, anche se questo significa aumentare le ore di lavoro per pagare la ditta . Vive in quella casa da quando è nata e prima di lei tre generazioni di McCleod ci hanno vissuto. Tre generazioni che non hanno fatto altro che ricostruire questa casa dopo ogni maremoto, come una fenice che rinasce dalle sue ceneri.
Anche io amo quella casa, con il patio che affaccia sul tramonto e le finestre alte. Ma vedere mia madre spaccarsi di lavoro per metterla in piedi un’altra volta mi fa rabbia. Le assicurazioni ci hanno tutte chiuso la porta in faccia, nessuno vuole farsi carico di una casa così problematica, così le spese sono tutte sulle nostre spalle.  Io per arrotondare un po’ lavoro cinque ore alla settimana alla tavola calda, di più non posso fare: frequento l’ultimo anno e devo prepararmi per le domande d’ammissione al college. College che potrò frequentare solo previa vincita di una borsa di studio.
    Tra un pensiero e l’altro arrivo davanti alla nostra nuova \ momentanea abitazione: un piccolo condominio non troppo lontano dalla scuola. Fermo l’auto  e scarico il porta bagli. Con lo scatolone da una parte e le borse della spesa dall’altra mi incammino verso il portone.
«Aspetti che l’aiuto..»
Una voce familiare mi sorprende di spalle facendomi voltare. Davanti a me l’oggetto della mia più stupida cotta adolescenziale: Marcus Brown, di origini italiane, professore di storia e filosofia  e moderatore del corso di poesia. Mi schiarisco la voce, consapevole di essere diventata un tutt’uno con il mio vestito rosso.
« Professor Brown ..? »
«Rebecca? »
Parliamo nello stesso momento, entrambi sorpresi. Lui non dovrebbe essere qui, vive dall’altra parte del mare sul continente -come chiamiamo la città dall’altra parte del ponte- con la sua splendida e biondissima moglie. Mi sento stupida come la prima volta che l’ho visto, al primo anno. Da quel giorno ho sempre avuto una sorta di cotta / venerazione per lui e in modo particolare per la sua voce. Ci studiamo per quella che sembra un eternità mentre il suo sguardo corre velocemente lungo il mio corpo. Facendomi sentire d’improvviso nuda. Indosso un abito lungo e comodo, di un rosso che fa risaltare l’abbronzatura, dei sandali bassi in stile schiava e i miei indomabili capelli ricci sono raccolti in un disordinato chignon di fortuna. Fino  a cinque secondi fa mi sentivo carina, ma ora sotto il suo sguardo indecifrabile mi sento un piccolo anatroccolo nero.
«Anche tu vivi qui?» chiede interrompendo il silenzio, mentre si avvicina allungando una mano per prendermi le buste.
Mi riscuoto e sperando di non sembrare troppo agitata gli rispondo.
«Mi sono trasferita da poco, per via del maremoto. » dico velocemente «ma … lei non dovrebbe vivere  nel continente»
«Sì, ci vivevo fino a pochi giorni fa.  » così dicendo mi toglie le borse delle mani e si sposta per aprire il portone lasciandomi imbambolata. Intenda a ripetere nella mia testa la conversazione appena avvenuta.
«Che fai non vieni?» domanda divertito. Chiudo gli occhi e sospiro, mi giro e gli passo accanto per entrare nel portone. Lo seguo fino all’ascensore mentre lo scruto con la coda negli occhi. Non mi era mai capitato di incontrarlo in un contesto non scolastico e non so proprio come comportarmi. Solitamente è sempre vestito in jeans e camicia, ne ha un intero arsenale: da quelle celesti a quelle bianche, passando per quelle blu e nere. Sempre sobrio e professionale. Oggi invece sembra un ragazzo come tanti. Indossa una camicia di jeans arrotolata sulle maniche da cui spunta una canotta nera che mette in risalto il suo petto. I capelli sono disordinati e il suo viso è più rilassato.  «A che piano abiti?» domanda interrompendo i miei pensieri. «All’ultimo, se deve scendere prima non si preoccupi. Sono abituata..» dico sforzandomi di sembrare normale, l’idea di essere chiusa qui dentro con lui per cinque piani mi manda in pappa il cervello.
 «Si da il caso che questo sia il tuo giorno fortunato» ammicca «a quanto pare sono il tuo dirimpettaio »mi spiega sorridendo. E in un attimo torno ad essere l’insicura ragazzina di 14 anni con una cotta secolare per il suo tremendamente sexy insegnante. Mi sforzo di ricambiare il suo sorriso. L’ascensore sale fino al nostro piano, non appena si aprono le porte mi fiondo fuori e poggio lo scatolone vicino alla mia porta.
«La ringrazio per l’aiuto» dico allungando la mano per prendere le buste.
« È  stato un piacere, ci vediamo Becca» mi saluta prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
     Resto a fissare la sua porta chiusa per qualche secondo, cercando di convincermi che tutto questo non sia frutto della mia immaginazione. Sbuffo esasperata  e finalmente mi decido ad aprire la porta di casa. Tiro fuori il mazzo di chiavi dalla borsa per aprire la porta. Provo a infilarle nella toppa ma niente. Per evitare di spezzarle rinuncio e chiamo mia madre, che stranamente risponde al primo squillo.
«Scommetto che sei fuori la porta e non riesci ad aprirla » esordisce divertita.
«Esatto…» le risponde esasperata.
«Questa mattina ho dimenticato di dirti che sarebbero venuti a cambiare la serratura, sono uscita di corsa e non ti ho lasciato la copia nella cassetta della posta. Mi dispiace cucciola»
«E adesso come faccio ad’entrare? Papà non può portarmele?»  chiedo a metà tra lo scoraggiata e l’esasperata.
«No anche lui oggi è fuori, ha una causa a Kennedy City. Dovrai aspettare il mio ritorno dal continente. » continua dispiaciuta.
Le mie amiche sono ancora in vacanza e mia nonna è andata a trovare lo zio a New York così non mi resta che aspettare sul pianerottolo.
«Perfetto! Aspetterò qui, sola , abbandonata e affamata. Genitori immondi. » dico con finta disperazione, in realtà sto sorridendo. Avvolte penso che mia madre potrebbe dimenticarsi la testa se non fosse ben salda sulle sue spalle.
«Mi dispiace cucciola, mi farò perdonare! Al ritorno mi fermo da Mary a prenderti la torta al cioccolato che ti piace tanto.» promette prima di salutarmi.
Questa giornata si prospetta decisamente lunga. Fortunatamente ho il cellulare carico e per un po’ posso intrattenermi con lui. Frugo nelle borse della spesa per prendermi una mela. Così imparo a non fare colazione la mattina. Il rumore della porta aprirsi mi fa girare di scatto.
«I muri sono leggeri » dice come se quella fosse una spiegazione. Ha tolto la camicia ed’è rimasto in canottiera. Il mio cervello ha troppi input e non riesce a elaborare una risposta così mi limito a  guardarlo confusa.
« I muri sono leggeri, così non ho potuto fare a meno di ascoltare la tua conversazione». Apro e richiudo la bocca.  Promemoria per il futuro: non parlare per le scale.  «Se vuoi la mia casa è aperta, stavo giusto preparando qualcosa per pranzo»  continua non ricevendo da me nessuna risposta.
«Oh…oh! No non si preoccupi, non è un problema per me aspettare qui»
«Non essere sciocca Rebecca, prometto di non interrogarti, parola di scout! » così dicendo fa con le mani il segno di giuramento strappandomi una risata.
«Va bene, la ringrazio» dico stupendo in primis me stessa. Il suo volto si apre in un sorriso mentre si sposta di lato per farmi passare. Mi dice di mettermi comoda mentre si occupa del pranzo: carne alla piastra e insalata. Dato che ha prontamente rifiutato il mio aiuto mi siedo sul divano in pelle e faccio vagare lo sguardo per la stanza.
 
    Il suo appartamento è proprio come me lo sarei immaginato. Su una parete ha una libreria in legno chiaro che arriva fino al soffitto, di lato c’è una scala con ruote per raggiungere i ripiani più alti. Nonostante l’uso del legno è una casa molto moderna. 
La sala e la cucina formano insieme un grande open space, rendendo la casa ancora più luminosa per l’assenza di pareti di mezzo. Cerco di evitare di guardare nella sua direzione ma non mi riesce molto bene.
Se mi vedesse Paul, il mio ex ragazzo, avrebbe la conferma a ogni sua insicurezza. Ci siamo lasciati all’inizio delle vacanze, dopo due anni. Ho pensato veramente che fosse il mio grande amore, ma la sua gelosia e il suo carattere possessivo hanno finito con il soffocare ogni briciola del mio amore. Il professor Bronw è stato causa di molte liti, ogni volta che lo nominavo finivamo con il discutere. Nonostante Paul non abbia mai frequentato un suo corso sapeva benissimo che effetto faceva alle studentesse. Nonostante io abbia cercato di negarlo fino alla nausea, dalla prima volta che l’ho visto  ne sono rimasta affascinata, come nel più classico dei cliché. I primi anni gli rivolgevo parola solo se fosse strettamente necessario, con il tempo ho imparato ad’essere più aperta e serena in sua presenza. Per lo meno lo ero fino a questa mattina.
«Con tutto quel pensare non ti viene mai mal di testa?» mi chiede divertito. Alzo gli occhi nella sua direzione e lo trovo intento a guardarmi con i piatti in mano.
«Come…?» domando sorpresa, alzandomi per raggiungerlo a tavola.
«Come so che stavi pensando? In questi anni ho notato che ogni volta che ti perdi nei meandri della tua mente arricci il naso, proprio come stavi facendo poco fa» risponde semplicemente. Mi limito a sorridergli timidamente sedendomi sulla sedia da lui indicatami. Abbassando lo sguardo noto che il suo anulare sinistro è privo della sua immancabile fede e che al suo posto c’è una striscia di pelle leggermente più chiara del resto. Seguendo la direzione del mio sguardo si tocca il dito con l’altra mano sorridendo mestamente.
«Abbiamo divorziato» risponde alla domanda che non avrei mai avuto il coraggio di porgli. Punto il mio sguardo nel suo alla ricerca di un sentimento di tristezza o qualcosa del genere. Ma niente, sembra sereno.
«Mi dispiace…» gli dico
«Non devi, è stato meglio per entrambi. E mi ha permesso di trasferirmi in questo splendido appartamento, avrei sempre voluto vivere qui a Charlotte»  mi sorride «spero che la carne ti piaccia cotta così». Fortunatamente cambia argomento e non devo replicare. La mia testa sta ancora elaborando la sua separazione.
«Sì va benissimo grazie».
Il resto del pranzo passa tranquillamente e riesco per fino a rilassarmi. Il professore sa come mettere a proprio agio i propri ospiti. Alla fine lo convinco a lasciarsi aiutare a lavare i piatti. Ma quella che inizialmente mi sembrava un’ottima idea mi si rivolta contro quando mi rendo conto di quanta intimità ci sia nel lavare i piatti di fianco a qualcuno. Oppure è tutto nella mia testa come al solito.
«Un penny per i tuoi pensieri » commenta divertito passandomi l’ultimo piatto. Lo guardo per un attimo confusa. «Stavi di nuovo arricciando il naso». Mi spiega guardandomi a sua volta. Credo che sia la prima volta che lo guardo veramente negli suoi occhi grigi a tratti quasi trasparenti. Non credo di aver visto mai occhi più belli dei suoi. «Beccata » gli rispondo voltando lo sguardo.
Lancio uno sguardo all’orologio, sono solo le tre.
«Non vorrei abusare oltre della sua ospitalità» dicco tutto d’un fiato. «Mia madre non sarà a casa prima delle cinque e io posso andare ad aspettarla al parco o da qualche altra parte» farfuglio imbarazzata. L’idea di dover stare altre e due ore sola con lui mi manda in tilt.
«Capisco che passare del tempo con il tuo vecchio e noioso professore di storia non sia il massimo, ma è una giornata molto calda, vuoi davvero passare le prossime due ore a scioglierti dal caldo? » mi dice bonario.
«Lei non è vecchio» gli rispondo sorridendo. «Ah quindi sarei noioso?» inarca le sue folte sopracciglia nere.
«Beh…»
«Beh? Non vorrai mica cominciare l’anno con un bel due »
«E va bene, devo ammettere che per essere un professore non è poi così noioso» replico calcando sulla parola professore.
«Ecco adesso ragioniamo. Visto che siamo arrivati alla conclusione che non sono né vecchio né noioso che ne dici se ci guardiamo un film? E prima che torni a pensierolandia non mi disturbi e non ho di meglio da fare. Detto questo su quello scaffale c’è la mia collezione di Dvd scegline uno, intanto metto i pop-corn nel microonde». Così dicendo mi volta le spalle e torna verso il piano cottura. Resto per un attimo imbambolata per poi dedicarmi alla scelta del film. Chi mi conosce sa bene che non c’è errore più grande che lasciarmi scegliere il film,  indecisa come sono ci metto sempre un eternità.
Noto compiaciuta e dispiaciuta allo stesso tempo che la sua collezione è molto variegata e ricca. Questo renderà più difficile prendere una decisione. Posso scegliere tra i grandi classici alle ultime uscite, tra cartoni e commedie, thriller e film horror. Alla fine vengo catturata da l’attimo fuggente, ricordo che durante il nostro secondo anno il professor Brown lo aveva inserito nell’elenco dei film da vedere almeno una volta nella vita. Film che ovviamente avevo visto e rivisto in quegli anni. L’attimo fuggente era stato uno di quelli che mi aveva colpita di più, così decido per quello. Lo metto nel dvd e mi siedo sul divano. Avendo solo due posti o il professore si siede sulla poltrona oppure saremo costretti a sederci vicini.
«Uhm l’attimo fuggente, questo è un film»
«Da vedere almeno una volta nella vita» continuo al posto suo.
Mi guarda sorpreso «Allora le mie parole non cadono tutte nel vuoto» sorride posando la ciotola con le pop-corn davanti  a me. Tira le tende in modo tale che il sole non rifletti sulla tv e spinge play. Si accomoda vicino a me e il mio cuore perde un battito.
Guardiamo il film silenziosamente, sto attenta a prende le pop-corn quando lui ne ha già in mano in modo tale da non rischiare l’imbarazzante situazione di prenderle insieme.
Se al posto mio ci fosse stata Emily, una delle mie migliori amiche, si sarebbe sicuramente goduta di più quest’opportunità. Lei ha un carattere molto più espansivo del mio, se vuole qualcosa o qualcuno se le prende senza pensare troppo alle conseguenze. Al posto mio forse ci avrebbe anche provato, o comunque avrebbe reso la situazione più…calda. Qui invece di caldo ci sono solo io, penso mordendomi il labbro inferiore. Con Paul non ho mai provato tutta questa tensione, né ho mai sentito i brividi per un suo sguardo. Emily direbbe che il professore mi ha risvegliato l’ormone dormiente, come lo chiama lei.
Marcus Brown si sistema meglio sul divano e spostando le gambe il suo ginocchio sfiora il mio, non dando peso alla cosa lo lascia li a contatto con il mio per tutto il resto del film. Film di cui non ho seguito neanche una battuta.
Poco prima dell’arrivo di mia madre lo saluto ringraziandolo per l’ospitalità.
« È  stato un piacere, Rebecca» 

Ho deciso di pubblicare immediatamente il primo capitolo così da farvi consocere fin da subito i due protagonisti: Rebecca e Marcus Brown. Il comportamento del professore potrà sembrarvi strano o poco professionale, decisamente troppo la mano, ma per lo meno nella mia esperienza ho scoperto che i professori fuori dall'orario scolastico sono molto più "umani" :P senza per questo dover creare confusioni tornati a scuola. Ho notato piacevolmente che c'è già chi ha inserito questa storia tra le ricordate e le preferite e voglio ringraziarvi per la fiducia, spero di non avervi deluso con questo capitolo e di non farlo con i capitoli futuri! So già dove andare a parare con la storia e non dovrebbe essere troppo difficile scrivere i prossimi capitoli. 

Al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 3
*** 2. Una lunga giornata ***


Capitolo 2. Una lunga giornata


 
 
Da quel giorno è già passata una settimana e non abbiamo avuto modo di vederci se non qualche secondo: il tempo di scambiarci il posto nell’ascensore. Come già costato dal professore i muri sono molto leggeri, per cui non mi è stato difficile capire che è un gran appassionato dei Queen, anche se non gli dispiacciono neanche gruppi più moderni. Posso dire che in quanto a gusti musicali è molto eclettico, per quel poco che me ne intendo credo di aver sentito diversi generi in questi giorni: dal rock al pop, passando per la musica classica fino ad’arrivare a qualche accenno di metal. Ho scoperto che va a correre ogni giorno, almeno un’ora e mezza. Ma soprattutto ho scoperto che al ritorno, tutto sudato, è decisamente troppo sexy. Mi sto trasformando in una stolker della peggior specie ma la sua presenza mi incuriosisce come mai prima d’ora. Prima la mia cotta era placata dalla differenza d’età e soprattutto dal suo ruolo di insegnante. Averlo come vicino di casa cambia le carte in tavola. Quanto sarebbe facile se fosse solo Marcus, il sexy vicino di casa?
Lo squillo del telefono mi desta dai miei pensieri.
«Pervertita che non sei altro, stai ancora sbavando fuori dalla porta del sexy prof?»
Non posso fare a meno di scoppiare a ridere sentendo la voce frizzante di Dana, una delle mie migliori amiche, sfottermi per l’ennesima volta questa settimana.
«Ma la smetti! Non sto sbavando fuori dalla sua porta» borbotto fingendomi offesa. La risata argentea dall’altro capo del telefono mi fa capire di non essere stata troppo convincente.
«Scherzi a parte che ne dici se ci facciamo un giro in spiaggia? Lunedì si torna a scuola, non mi va di sprecare i nostri ultimi giorni di vacanza».
Concordo con la mia amica e ci accordiamo per vederci in spiaggia. Indosso un costume bianco a fascia coperto da un copri costume nero.  Ci siamo date appuntamento a una delle spiagge più isolate dell’isola, un insenatura nascosta non troppo lontano dal mio vecchio indirizzo. È uno dei posti più suggestivi dell’isola, fortunatamente poco conosciuto dai turisti che  migrano ogni anno qui a Charlotte .


      Sono la prima ad arrivare e nell’attesa della mia amica sistemo il mio telo e mi avvicino alla riva. Fino a qualche mese sarei entrata disinvolta e mi sarei lasciata cullare dalle onde tutto il giorno; dopo il maremoto e il terrore che ho provato in quei momenti mi riesce difficile entrarvi. Il che è il colmo, perché ho sempre pensato che l’acqua fosse il mio elemento. Che il mio posto nel mondo fosse tra le meraviglie sommerse del mare. Ora è tutto diverso. Guardo la distesa d’acqua davanti a me e i mie sentimenti  sono contrastanti.
L’acqua raggiunge ben presto le mie caviglie procurandomi un brivido e facendomi indietreggiare.
«Da quando il capitano della squadra di nuoto ha paura di nuotare? » non ho bisogno di voltarmi per sapere a chi appartiene questa voce: Marcus Brown
«Lei come conosce questo posto?» continuo a dargli le spalle e rispondo alla sua domanda con un’altra.
«Questo posto è uno dei motivi per cui avrei sempre voluto abitare qui» mi risponde semplicemente affiancandomi. Lo guardo di traverso e lo vedo immerso a osservare il paesaggio circostante «i miei genitori si sono sposati proprio su questa spiaggia » mi spiega subito dopo. È in tenuta da corsa, i capelli scompigliati tenuti indietro da un elastico nero. Sospiro. «Non riesco ad’immaginare un posto migliore in cui sposarsi» . «Nemmeno io. Fortuna che non l’ho sprecato con la mia ex moglie, lei era più tipo da Country club». Il suo tono tradisce un accenno di amarezza mentre si siede a gambe incrociate. Senza pensare mi siedo accanto a lui. Ho sempre pensato che fossero una coppia felice. Entrambi bellissimi , insieme formavano una coppia quasi cinematografica. Le nostre mani, poggiate sulla sabbia, si sfiorano appena. «Ha intenzione di risposarsi?» chiedo riflettendo sulle sue parole. La sabbia sotto di noi è umida e crea un piacevole contrasto con la mia pelle accaldata dal sole.
Sposta il suo sguardo su di me e sorride. «Non ho chiuso con l’amore e non dovresti neanche farlo tu » così dicendo mi fa cenno verso l’acqua. Restiamo in silenzio, entrambi persi nei nostri pensieri. A combattere contro i nostri demoni. Passano minuti o forse ore, non saprei dirlo, poi lui si alza mi scompiglia delicatamente i capelli e se ne va. «Ci vediamo a casa, Rebecca». Lo guardo correre via, finché non sparisce dalla mia vista. Così è qui che viene a correre, penso sorridendo tra me.
«A cosa ho appena assistito?» chiede Dana invadendo il mio campo visivo. La guardo in silenzio, la verità è che non so a cosa abbia appena assistito, perché neanche io so dare un nome o un senso a quello che è appena successo. «Stava correndo e si è fermato a salutare» alzo le spalle, non voglio dare troppa importanza alla cosa. La mia amica mi guarda poco convinta ma decide di non insistere.
«Allora…ti va un bagno?» il suo entusiasmo è contagioso ma per il momento non sono ancora pronta. «Magari più tardi». Ci resta male, è tutta l’estate che cerca di coinvolgermi senza successo. «Quando riprenderemo la scuola sarai arrugginita, non riuscirai a fare neanche una vasca». Le sorrido, quando torneremo a scuola non credo che farò ancora parte della squadra di nuoto, penso amaramente. Questo però non glielo dico, non ancora almeno.
Lei si tuffa subito dopo, mentre io mi stendo sul telo cercando di non pensare. Mi ha scompigliato i capelli, un gesto che di per sé non ha niente di ambiguo o allusivo, eppure non riesco a non pensare a quanto è stato bello quel piccolo misero contatto. Stare li con lui mi ha fatto pensare, almeno per un attimo, che nemmeno io ho chiuso. Che tornerò ad immergermi, tornerò in squadra e tornerò a sentirmi a casa cullata dalle onde. Poi lui se ne è andato e si è portato dietro tutta questa mia sicurezza.


     «Eravate carini, li in riva al mare» sorride Dana sdraiandosi accanto a me.  Sbuffo fingendomi irritata. «Dana è il nostro professore e non sarà mai niente più di questo», ammetto amaramente aggiungendo nella mia testa un forte purtroppo. «La letteratura è piena di amori impossibili» risponde risoluta «Secondo me dovresti approfondire la sua conoscenza, magari solo come vicini di casa». Lega i suoi lunghi capelli neri in una coda aspettando una mia risposta. «Non lo so neanche io cosa voglio. Con Paul ci siamo lasciati da poco» , «Paul era un idiota» mi interrompe con un tono che non ammette repliche. «Sì Paul era un’idiota ma ci sono stata insieme due anni. Mentre il professor Brown è sempre stato solo un’infatuazione, niente di più» «Questo prima che finiste ad abitare uno di fronte all’altro. Non puoi negare che sei sempre stata la sua alunna preferita, a scuola ti tormenta. Fa di tutto per coinvolgerti e per sentire la tua opinione» «Questo perché sono timida e sa che altrimenti me ne resterei zitta al mio banco senza intervenire» sbuffo. Possibile che una volta che non sono io a farmi i filmini mentali ci deve pensare lei. «E la storia del naso?» rimbecca risoluta. «Vuoi scherzare spero! È normale che l’abbia notato, è con noi da anni». «Rebecca, io ti conosco dall’asilo. Ho sempre pensato fosse una specie di tic, non ho mai pensato che fosse associato ai tuoi viaggi a pensierolandia» mi risponde ricalcando l’ultima parola, la stessa utilizzata dal professore durante il nostro pranzo. Non le rispondo e lei non mi forza. Il resto del pomeriggio parliamo poco e per fortuna mai del professore.


     Il giorno dopo sono di turno alla tavola calda, così indossata la mia divisa bianca e gialla mi reco al lavoro. La macchina è servita a mia madre così sono a piedi, la cosa non mi dispiace più di tanto. Il tempo comincia a cambiare e non fa così caldo. Per arrivare Tom’s devo attraversare buona parte della passeggiata su lungo mare. Ho una mezz’oretta buona prima dell’inizio del turno così cammino lentamente, tra le bancarelle ancora aperte e i turisti sorridenti e rilassati. Charlotte si è ripresa dai danni del maremoto, come ogni volta. Anche se l’ultimo, soprannominato Zeus, è stato uno dei più intensi degli ultimi cento anni. La città si leccata le ferite e si  è subito rimessa in piedi, pronta ad accogliere l’orda di turisti estivi. Domani ci sarà il grande falò di fine estate, che come ogni anno celebrerà l’inizio del nuovo anno scolastico.
Il mio turno va dalle sette alle nove, uno degli orari peggiori. Ma anche l’unico che di inverno mi permette di studiare e dedicarmi allo sport. Nonostante tutto, il clima che si respira qua dentro rende tutto più leggero, tanto da farmi dimenticare la stanchezza. Tom e sua moglie Susan, una simpatica coppia di ultrasettantenni, lavorano qui da quando si sono sposati. Hanno messo su questo locale parete su parete, lo hanno dipinto, Tom ha costruito con le sue mani il grande bancone in legno, dipinto di un leggero celeste. Ogni impiegato qui viene considerato un membro della famiglia ed’io con i miei 18 anni sono la mascotte del gruppo. 
«Ecco qui la nostra bambina, Tom non credi che oggi sia ancora più carina del solito?»
«Fatti dare un’occhiata … sì direi proprio di sì, oggi sei decisamente più carina! »
Non posso fare a meno di sorridere davanti a questa scena che si ripete ogni giorno da quando lavoro.
«Dovreste smetterla, o alla fine finirò per crederci» rispondo scuotendo la testa e indossando il mio grembiule pronta per servire i tavoli.
Il tempo passa velocemente, declino l’offerta di Tom di accompagnarmi e mi dirigo a passo spedito verso casa. A quest’ora la città è tranquilla, poche macchine, pochi turisti in giro. La maggior parte di loro la sera va a Kennedy City, nel “continente”, per ballare o per trovare un po’ di movimento. Io, invece, preferisco di gran lunga la tranquillità di Charlotte. Nonostante l’isola non sia poi così grande gli abitanti sono sparsi qua e la, la maggior parte di loro vive nella zona alta dall’altra parte dell’isola, in prossimità del porto e del grande ponte che ci collega con il continente. Questa è ovviamente la zona più turistica e quella dove si concentra il maggior numero di condomini, tra cui il mio. La mia casa, quella vera, si trova sul fianco est dell’isola. Ci sono poche case, anche a causa della scarsità di strade che vi conducono ed’è l’angolo più rurale e selvaggio dell’isola, ma anche la mia parte preferita.


     Non ci metto molto a tornare a casa, l’abituale silenzio del nostro palazzo è rotto da una serie di urli soffocati che, man mano che raggiungo il mio piano, si fanno più forti.
«Sei andata a letto con il tuo collega, nel nostro letto, mentre mio padre era ricoverato in ospedale. Cos’è che ho frainteso in questa situazione Scarlett? »
Mi fermo raggelata sul pianerottolo di casa, con le chiavi a mezz’aria.
« È  possibile che non vuoi capire! Tu eri così preso dai tuoi studenti, tra lezioni, corsi e doposcuola. Se non eri a scuola eri in ospedale da tua padre e a me chi ci pensava? » la voce inclinata dal pianto.
«A quanto pare Luke, a quanto pare mentre davo ripetizioni ai miei studenti tu ti facevi ripassare da Luke»
«Sei squallido e meschino. Non hai fatto niente per salvare il nostro matrimonio, sei corso in questa pidocchiosa città a rincorrere il ricordo dei tuoi genitori. P a t e t i c o. Ecco cosa sei. » 
La voce della donna si fa più acuta e più stridula.
«Complimenti Scarlett, davvero. La tua migliore esibizione. Torna in quel teatro da quattro soldi e sparisci per sempre dalla mia vita».  Il suo tono è acido, quasi irriconoscibile. La sua porta si apre di scatto senza darmi il tempo di reagire. Sono ancora di spalle con le chiavi in mano, e posso sentire il suo sguardo sopra di me.
«Non finisce qui » risponde acida l’ex moglie. Fortunatamente l’ascensore è ancora al piano e lo imbocca impettita trotterellando sui suoi tacchi.
Non appena le porte dell’abitacolo si chiudono tira un sospiro di sollievo. Nessuno dei due dice niente ma sentendomi ancora i suoi occhi a dosso mi volto. Ci guardiamo fin quando il suo viso si contrae in uno spasmo che subito dopo capsico essere una risata malcelata.  «Sembri una meringa » dice ancora divertito. La tensione si scioglie e scoppio a ridere anche io «Non posso darle torto». E ridiamo insieme come se fossimo due amici al bar, che ridono di un aneddoto divertente. Smettiamo di ridere e torniamo a fissarci. «Ti va di entrare? Ho ancora un sacco di film che andrebbero visti almeno una volta nella vita» chiede all’improvviso. Sembra sorpreso quanto me di questa sua proposta. «Volentieri» rispondo tutto d’un fiato, se mi fossi fermata a riflettere come mio solito avrei sicuramente declinato l’invito.  





 
Ciao a tutti!! ;)Eccoci con un nuovo capito. Abbiamo conosciuto Dana, una delle migliori amiche di Rebecca e uno dei miei personaggi preferiti. Tom e Susan saranno una presenza costante e presto conosceremo anche i genitori di Rebecca. Il personaggio di Scarlett si insinuerà spesso nella trama, come ogni prima donna odia essere messa da parte e non perdonerà mai Marcus per averlo fatto. 

Ringrazio i 13 che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le 8 persone che l'hanno aggiunta alle storie preferite e chi ha aggiunto la storia alle ricordate (1). Grazie infinite a ognuno di voi, per molti questi numeri sembreranno niente ma per me valgono veramente tanto! 

Per rendere la storia ancora più ricca ho deciso di creare una pagina facebook in suo onore: L'Amore che non ti aspetti -EFP dove troverete:
​E dove avremo modo di conoscerci e discutere insieme della storia e dei personaggi! :P Passate a darci un'occhiata mi raccomando!
Al prossimo capitolo,

E m a n u e l a

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Capitolo 4
*** 3. Una serata particolare ***



 
Capitolo 3. Una serata particolare 


     Si sposta di lato per farmi entrare proprio come la prima volta che ero stata a casa sua. Mi fa accomodare sul divano mentre lui sceglie il dvd. Approfitto del fatto che è di spalle per inviare un messaggio alle mie migliori amiche Emily e Dana: “Non indovinerete mai dove sono in questo momento. :S “. Subito dopo scrivo a mia madre che prima di tornare a casa sarei passata a vedere un film da Dana. Non potevo certo dirgli che avrei passato la serata con il mio sexy prof.
«Che ne pensi di Gran Torino?»  annuisco. È un altro dei film della sua lista. Dopo aver messo il film nel lettore spenge la lampada vicino al divano e si siede al mio fianco.
«Mi dispiace della scenata di prima» sospira al mio fianco, le braccia conserte e le gambe distese.
«A me dispiace di non essere entrata subito in casa, non volevo metterla in imbarazzo» non lo guardo, continuo a fissare la televisione.
«Avresti sentito comunque, i muri sono leggeri» si passa una mano fra i capelli, sembra decisamente stanco.  «Senti che ne dici se per questa sera io non sono il tuo professore e tu non sei una mia studentessa? Niente formalismi, siamo solo due ragazzi seduti su un divano a guardare un film. Infondo la scuola non inizierà prima di lunedì» sento il suo sguardo su di me. Non gli rispondo subito, non so bene come comportarmi. L’unica cosa che mi ha fatto mantenere i piedi per terra in queste settimane è la consapevolezza che lui è il mio professore e che mai  avremmo potuto instaurare una relazione diversa da questa. Mi rendo conto di arricciare il naso e dalla sua risata sommersa capisco che anche lui se ne deve essere accorto. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti spengo il cervello e mando avanti il cuore.
«Sembri stanco» gli dico, acconsentendo di fatto alla sua proposta. «Lo sono, è stata una lunga giornata» ammette sospirando. «Pensavo che cambiando aria mi sarei lasciato indietro i problemi, a quanto pare non è stato così; segno evidente che scappare non è mai la soluzione giusta». Mi soffermo a riflettere sulle sue parole, spesso tendiamo a dimenticare che anche i professori hanno un lato umano. Non sono solo un pozzo di nozioni e voti, smessi i panni di insegnanti affrontano la vita proprio come noi, a tentoni. Come bambini che giocano a mosca cieca. «Tu invece? Alla fine ti sei decisa ad entrare in acqua?». Mi guarda di sottecchi. «No…e non credo che lo farò molto presto» serro le labbra, «Non voglio assolutamente paragonare le due cose ma… è come se il mare mi avesse tradita. Fin da piccola è stato l’unico posto in cui mi sentivo veramente me stessa, ero … libera. Ma quel giorno..» chiudo gli occhi, ricordare quelle ore mi fa troppo male. «Ha distrutto tutto, si è portato via tante cose». Per la prima volta distolgo gli occhi dal televisore, è girato verso di me, il braccio, poggiato sullo schienale, sorregge la testa. «So che eri nella squadra di soccorso» la sua  voce calda e profonda mi avvolge, mi rilassa. «Sì…è stato orribile. C’era acqua e fango ovunque. Le macchine erano ribaltate, la maggior parte delle palme erano venute giù. Per non parlare poi delle case, per fortuna nessuno di nessuno della mia famiglia era in casa quando la nostra è stata colpita. Il mare si è portato via tutto. Abbiamo perso molte persone quel giorno, le mani mi hanno fatto male per settimane a furia di smuovere detriti alla ricerca di qualcuno o qualcosa da salvare». Il mio tono è distante, come se stessi rivivendo tutto da capo. Parlo lentamente e le parole escono fuori come sussurri.
Nessuno dei due parla, ci guardiamo negli occhi; entrambi esausti, delusi, feriti. I miei occhi nocciola si perdono nei suoi. Fin’ora non ero riuscita a parlare di quei momenti, mi ero sempre limitata a qualche brevi frase di circostanza. Mi sorprendo a pensare che in questo momento potrei raccontargli qualsiasi cosa, gli basterebbe chiedere.
Stare seduta al suo fianco, a fissarci in silenzio è una delle esperienze più intense che io abbia mai vissuto. Non c’è imbarazzo né tensione, come capita il più delle volte in situazioni come questa. Il primo a rompere il silenzio è lui, allungando la mano libera fino alla mia per stingerla.
«Sei stata coraggiosa» nel suo tono percepii ammirazione e una punta di orgoglio. « È  normale la tua paura, ma non puoi lasciarla vincere. Ti ho vista gareggiare, non sembravi neanche tu. In classe, ma anche fuori, sembri così…fragile. Sei insicura e sembra che tu abbia sempre paura di sbagliare, ma quando sei in acqua è come se ti trasformassi. Diventi determinata, agguerrita. Esistete solo tu e l’acqua in quei momenti» la sua stretta si fa più forte, mentre i miei occhi continuano a perdersi nei suo. Non posso fare a meno di serrare la mia mano alla sua, come per assicurarmi che non la tolga. Così da non doverne sentire il distacco.
«Come fai a credere ancora nell’amore? » chiesi titubante. D'altronde anche lui era stato tradito da qualcuno che amava. «Vorrei potermene uscire con qualcosa di filosofico o che per lo meno abbia senso. » Sorrise chiudendo gli occhi «La verità è che se credo ancora nell’amore lo devo ai miei genitori e ai loro continui battibecchi. Discutono per ogni minima cosa e mio padre è sempre il primo ad arrendersi, anche quando ha la ragione dalla sua. Si ferma nel bel mezzo della discussione, la guarda, le si avvicina e le posa un bacio sulla guancia. Lasciando subito dopo la stanza. Mia madre sospira fingendosi esasperata, ma intanto posa la sua mano dove poco prima si sono posate le labbra di mio padre» sembra che stia rivivendo quest’immagine davanti ai suoi occhi perché il suo viso si apre in uno dei suoi meravigliosi sorrisi,  scompare ogni traccia di stanchezza per lasciare il posto ad’un espressione serena. «Stanno insieme da cinquant’anni, hanno messo al mondo cinque figli e si guardano ancora come se fosse il primo appuntamento. Non posso smettere di credere all’amore, perché mi basta pensare a loro per sperare che nel mondo ci sia qualcuno con cui potrò discutere per i prossimi cinquant’anni ». La bocca mi si fa improvvisamente secca, il cuore sembra volermi uscire dal petto tanto batte forte. Ho quasi paura che lui lo riesca a sentire. Non so proprio cosa rispondergli, piuttosto che dire qualcosa di scontato resto zitta. Questa sera va bene così, le parole sono spesso superflue e i nostri silenzi sembrano dirsi molto di più di quanto io sia in grado di capire. Le nostre mani sono ancora intrecciate, i nostri occhi sono ancora persi gli uni negli altri.
Ad occhi esterni può sembrare una situazione sconveniente, per quanto fingiamo lui è ancora il mio professore ed’io la sua alunna, abbiamo qualcosa come dieci anni di differenza se non di più. Eppure in nessuno dei nostri gesti c’è malizia o un doppio senso. Non siamo niente di più di due cuori feriti che si raccontano, anche nel silenzio.
Il film finisce e il dvd torna alla schermata iniziale, il mio telefono squilla e torniamo alla normalità. Slacciamo le nostre mani, Marcus Brown si alza di scatto dal divano mentre io cerco di recuperare il telefono dalla borsa.
«Mamma!» esclamo, cercando di non tradire nessuna emozione.
«Tesoro papà vuole sapere se deve venirti a prendere, non mi va che torni a piedi a quest’ora».
Le dico di non preoccuparsi che sono già sotto casa, il professore mi lancia un occhiata colpevole. Proprio come mi sento io, odio mentire ai miei genitori. Non ci diciamo nulla, in silenzio mi accompagna alla porta.
«Ci vediamo lunedì» sussurra mentre gli passo vicino, «Buonanotte professo Brown» gli rispondo. Aspetta che entro in casa e chiudiamo insieme le due porte.


     La notte riesco a dormire poco e male e il mattino dopo non sono molto più carina di un morto che cammina.
«Cucciola che bell’aspetto abbiamo oggi» ride mio padre passandomi il latte. Mia madre gli lancia un’occhiataccia e mi posa un bacio sulla fronte.
«Tutto bene amore? Ti vedo un po’ sbattuta»
«Sì mamma stai tranquilla! Ho fatto fatica ad addormentarmi» le spiego, sperando che lasci cadere l’argomento. «Quale prode cavaliere ti ruba il sonno?» chiede mia madre con aria complice, catturando maggiormente l’attenzione di mio padre.
«Nessuno mamma! Semplicemente non avevo sonno » sbuffo esasperata mentre mi avvento sulla confezione di biscotti. Si guardano di sottecchi e lasciano cadere l’argomento. Ho la fortuna di avere dei genitori poco invadenti, rispettano i miei tempi consapevoli che sarò io stessa a confidarmi con loro quando ne avrò bisogno. «Ti va se più tardi ci facciamo un’immersione? » mio padre è tutta l’estate che cerca di portarmi con lui, le immersioni sono una cosa che ci ha sempre accomunato fin da quando ero piccola. Lavorando tutta la settimana con orari impossibili la domenica pomeriggio l’ha sempre dedicata a me e a questo piccolo hobby che ci accomunava. «No papà, mi dispiace ma devo vedermi con Emily e Danda. Questa sera c’è il falò di fine estate» cerca di trattenere la delusione e mi sorride comprensivo. «Non importa, magari ci andiamo la prossima domenica». Mi sforzo di sorridergli annuendo, la mamma gli passa dietro sfiorandogli le spalle delicatamente. Odio ferirlo così, perciò finisco in fretta di fare colazione per tornarmene in cameretta.
La mia stanza è ancora molto spoglia, non abbiamo potuto recuperare molto da casa vecchia e dipingerla o decorarla non avrebbe molto senso dato che non appena l’altra sarà pronta torneremo li. Mi getto sul letto  e torno a fissare il soffitto, attività che mi ha tenuta occupata buona parte della notte. Non riesco a smettere di pensare alla sua mano stretta nella mia. Mi chiedo se per lui la serata di ieri sera ha avuto un qualche significato o se sono solo io che sto immaginando qualcosa che non è successo. Oggi, alla luce del giorno, non mi sembra più una serata del tutto “innocente”. Non ci sarà stata malizia ma vederla come una semplice serata da “amici” mi sembra una grande presa in giro. Quel che è certo è che qualsiasi cosa sia stata devo dimenticarla, domani ricomincerà la scuola e lui dovrà tornare ad essere esclusivamente il mio professore. Passi una cotta ma non posso di certo innamorarmi di lui. Sperando che non sia troppo tardi.
    

     Al falò avrei rivisto Emily, tornata nel pomeriggio dal viaggio insieme ai suoi. In quelle due settimane ci eravamo sentite spesso ma poterla riabbracciare era tutta un’altra cosa. Io, lei e Dana eravamo amiche dall’asilo e con gli anni la nostra amicizia era andata costantemente crescendo. Avevamo avuto anche i nostri momenti buoi ma i nostri litigi non duravano mai più di qualche ora. Il nostro rapporto era stato aiutato anche dal fatto che non avevamo gli stessi gusti in materia di ragazzi. Dana cercava  il suo opposto, non a caso era interessata ai sportivi e aveva una cotta epocale per il capitano della squadra di basket Zac , ma nonostante i nostri incentivi non si era ancora fatta avanti. Emily tra tutte era la più “libertina”, si sentiva stretta nei rapporti duraturi e preferiva breve storielle. Nonostante questo non aveva a carico molti ragazzi, anzi. Perlopiù amava flirtarci senza andare mai oltre. Per quanto mi riguarda ho sempre sognato un amore struggente, di quelli che ti fanno perdere il sonno e mancare il fiato. La storia con Paul, per quanto importante, non lo è stata. Si è ben presto trasformata in abitudine, per quanto sia brutto dirlo. L’amore se mai c’è stato ha lasciato il posto a un affetto quasi fraterno, almeno da parte mia.   Anche per quanto riguarda l’intesa sessuale non posso dire di aver mai provato il piacere intenso di cui tanto parlano, anzi. Spesso finivo quasi per annoiarmi e non ho mai avuto l’impeto di saltargli a dosso. Nonostante questo non riuscivo a lasciarlo, almeno fino al maremoto. Per quanto vorrei dire che trovarmi faccia a faccia con la morte mi ha aperto gli occhi  non è stato la causa scatenante della nostra rottura, almeno non direttamente. Infatti è stato il suo comportamento in quell’occasione a farmi capire chi mi trovavo di fronte. Anziché restare sull’isola per dare una mano, preferì andare sul continente con i suoi amici a ballare e per la “foga del momento” –sue esatte parole- ha baciato un’altra. Tornato a casa ha subito confessato e questo ha portato anche me ad’essere sincera con lui. Dopo mesi sono riuscita a dirgli che le cose non stavano andando bene, almeno per me, e che preferivo chiuderla li.  
Quella sera indossai un semplice vestito bianco, stretto sotto il petto e morbido sui fianchi. Dato che toccava a me guidare passai a prendere Dana e Emily.
«Allora ? Non lasciarmi sulle spine, dove lo avete fatto ieri sera? » Chiese Emily entrando in macchina.
«Ciao anche a te, è bello rivederti. Ti trovo bene anche io!» le risposi ironica facendo ridere Dana seduta al mio fianco.
«La vacanza è stata fantastica, stai benissimo anche tu. Contenta? » rise la mia amica «Ora parliamo di cose serie, ieri sera sei stata molto vaga. Non posso credere che sei stata  a casa sua fino a tarda notte solo a vedere un film!» concluse sistemandosi sul sedile.
 Sospirai esasperata «Avrei fatto meglio a non dirvi nulla, abbiamo solo visto il film e parlato un po’»
«Parlato di cosa? » chiese curiosa Dana.
«Niente di che…» non potevo certo raccontarli di aver assistito alla discussione con la sua ex moglie né che avevamo parlato del disastro dato che fin’ora non mi ero aperta neanche con le mie amiche. «Più che altro del film. Dana ho saputo che Zac è tornato di nuovo sul mercato » aggiungo cambiando argomento.
«Uhm…e tu come lo sai?». Le sorrisi soddisfatta, il mio tentativo è andato a buon fine. Le racconto gli ultimi pettegolezzi sul suo amato, cercando di prolungare il discorso fino alla spiaggia, dove non avremmo avuto modo di riprendere “l’argomento”.
«Siamo arrivate signore» esclamo parcheggiando la macchina non troppo lontano dalla spiaggia.




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Note: Questo capitolo sarà l’ultimo per questa settimana, da prossimo capitolo in poi le pubblicazioni saranno meno frequenti. Ho voluto accennarvi in questi capitoli introduttivi i vari personaggi che in un modo o nell’altro interferiranno con la storia, per questo ho preferito pubblicare i capitoli a brvee distanza l'uno dall'altro. Il rapporto tra Marcus e Rebecca  sta nascendo, frequentarsi fuori dalle mura della scuola sta mettendo tutto sotto un’altra luce. Il loro non è di certo un rapporto convenzionale, loro stessi non riescono a dare un nome a questo rapporto. Ma la scuola sta per ricominciare, come affronteranno il ritorno e soprattutto cosa ne sarà del loro rapporto?

Ci tengo ancora a ringraziarvi per l’accoglienza che state dando alla mia storia, ringrazio i 19 che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le 10 persone che l'hanno aggiunta alle storie preferite e chi ha aggiunto la storia alle ricordate (1). Ringrazio anche tutti quelli che si limitano a leggere la mia storia, perché ogni visualizzazione in più è un incentivo a continuare a scriverla! Grazie!

Vi ricordo che se volete trovate su facebook la pagina L'Amore he non ti aspetti -EFP dove troverete
 
Le schede dei personaggi
Spoiler
Riassunto dei capitoli precedenti
 E dove avremo modo di conoscerci e discutere insieme della storia e dei personaggi! :P Passate a darci un'occhiata mi raccomando!
Al prossimo capitolo,
 
E m a n u e l a


 

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Capitolo 5
*** 4. Una lunga settimana ***






Capitolo 4. Una settimana difficile
 
     Il suono stridente e incessante della sveglia mi riporta crudelmente alla realtà. Sbuffando spingo la testa sotto i cuscini, sperando di attutire quel fastidioso rumore. Per puro autolesionismo avevo posizionato la sveglia sulla libreria, al lato opposto della stanza. In quel modo avrei dovuto, volente o nolente, abbandonare il letto.
«Dannazione» sospirai esasperata, spostando il lenzuolo di lato così da potermi alzare. Spensi la sveglia e meditai seriamente di tornarmene a letto.
«Cucciola smettila di poltrire, se non ti sbrighi finirai con il fare tardi a scuola». Mia madre e il suo tempismo quasi fastidioso. «Sono in piedi» le dissi senza aprire la porta mentre frugavo nell'armadio alla ricerca di qualcosa da mettermi per poi fiondarmi in bagno. Sotto la doccia il mio cervello cominciò a vegliarsi e con lui si fecero avanti tutte le implicazioni di quel primo giorno. Avrei rivisto il professor Brown dietro alla cattedra, avrei rivisto Paul dopo settimane passate ad evitarlo, avrei rivisto il coach Smith e avrei dovuto spiegargli come mai il suo capitano, il “fiore all'occhiello della squadra” come mi chiamava lui, voleva abbandonare il nuoto. Sarebbe stato il primo giorno peggiore della mia storia scolastica, perfino peggiore del primo giorno all'asilo che avevo passato a piangere dietro la gonna della maestra.
Afflitta da tutti quei pensieri rimasi in silenzio per tutta la colazione, ignorando gli sguardi curiosi dei miei genitori.
«Cucciola..» cominciò mio padre prima di essere interrotto dalla sottoscritta : «Devo andare, non voglio proprio fare tardi. Ci vediamo dopo!» dissi velocemente baciandoli entrambi sulla guancia e uscendo di corsa. Chiudendomi la porta alle spalle trassi un sospiro di sollievo.
«Rebecca tutto bene?» quella voce, la sua voce. Lanciai uno sguardo verso l’ascensore e lui era li. Con la sua giacca blu e la camicia bianca non completamente allacciata. La sua valigetta di pelle stretta tra le mani e gli occhiali da sole attaccati alla tasca della giacca. Perché doveva essere così dannatamente bello? Pensai esasperata.
«Rebecca» mi chiamò ancora, con tono incerto, preoccupato. «Oh, si certo! Ho solo il cervello ancora addormentato» mi affrettai a rispondere, distogliendo lo sguardo. La mia risposta non sembrò convincerlo ma fortunatamente non indagò oltre. L’ascensore si aprì sul nostro piano permettendoci di entrare. Cominciai a torturarmi il labbro inferiore, concentrandomi sul quel gesto meccanico per non pensare al suo profumo che invadeva tutto l’abitacolo. Era fresco, con un retrogusto di menta. «Smettila di morderti il labbro in quel modo…» il suo non era un ordine ma una richiesta. La stretta sulla valigetta si era fatta più forte, tanto che le sue dita erano diventate bianche. Lo guardai interrogativa, il senso del suo comportamento mi sfuggiva.
Lui ricambiò lo sguardo, posando i suoi occhi sui miei e poi sulle mie labbra, arrossate dai miei morsi. Sembrava volesse dire o fare qualcosa, ma di qualsiasi cosa si trattasse venne fermata sul tempo dall'aprirsi delle porte. «Ci vediamo a scuola» disse con tono scocciato prima di voltarmi le spalle e andarsene. Segui la scia del suo profumo fin fuori dal portone, ancora confusa. 
     
     Arrivata al laboratorio di matematica presi posto vicino a Gonzalo, un ragazzo messicano che si era trasferito lo scorso anno e con il quale avevo legato fin da subito. Era omosessuale, ma erano in pochi a conoscenza di quel segreto. Era molto bravo a fingere di essere qualcuno che non era, ci provava con le ragazze, le portava fuori ma non andava mai oltre il bacio. Si era confidato con me la scorsa primavera, quando il suo ragazzo –presentato inizialmente come un vecchio amico- lo aveva lasciato, non sopportando la loro distanza. Si era presentato a casa mia in lacrime e mi aveva raccontato tutto. Da allora ero diventata sua complice, mantenendo il suo segreto anche con le mie amiche.
«Ecco l’unica ragazza che resiste al mio fascino» mi salutò con il suo caratteristico accento.
«Non scherzare, sai benissimo che pendo dalle tue labbra» gli risposi sorridendo.
«Una volta pendevi dalle mie» disse qualcuno alle mie spalle. Qualcuno che conoscevo benissimo e che speravo di non dover incontrare tanto presto.
«Le cose cambiano» rispose al mio posto il mio Gonzalo, beccandosi un’occhiataccia da parte mia. «Ciao Paul, non sapevo frequentassi questo corso» gli dissi sforzandomi di mantenere un tono neutro.
«Mi servivano crediti in più per la domanda d’ammissione, hai sempre parlato bene di questo corso. Adesso ho capito il motivo» rispose acido, con le braccia conserte. Alzai gli occhi al cielo, stavamo parlando da due secondi e già mi accusava. «Dacci un taglio, sai benissimo che non è così. È ovvio che non possiamo essere amici, ma che ne dici di comportarci almeno da persone civili?»
«Non credo di averne voglia » e così dicendo se ne andò in fondo alla classe.
«Posso avere il tuo permesso di prenderlo a pugni, ti prego» sorrisi in direzione di Gonzalo, scuotendo la testa. «Gli passerà, si comporta così perché è ancora arrabbiato» dopotutto la nostra storia era finita da poco, e non nel migliore dei modi. «No, si comporta così perché è un coglione. La causa scatenante della vostra rottura è stato il bacio che ha dato a quella ragazza, mentre tu eri qui a spaccarti la schiena». Il suo tono non ammetteva repliche così mi limitai a dargli un bacio sulla guancia.

     Le prime ore passarono velocemente e dopo il break di metà mattina fu il momento di affrontare il professor Brown. Mi incamminai verso la classe con le mie amiche che non la smetteva un attimo di parlare del falò della sera prima insieme a Gonzalo. Io mi limitavo ad ascoltarle, impegnata com'ero nella mia diatriba interiore. Io e Gonzalo ci sedemmo nei primi banchi al centro, dietro di noi presero posto Emily e Dana.
Il professore entrò in classe salutando allegramente, prendendo posto in cattedra. «Allora ragazzi, non starò qui a dirvi che questo è l’ultimo anno e le varie raccomandazioni al riguardo. Lo avrete sentito già da tutti i professori che mi hanno preceduto e lo sentirete fino allo stremo per tutto l’anno» sorrise facendo correre lo sguardo su ognuno di noi. «Quello che vi chiedo è serietà. Studiate senza ridurvi all'ultimo, siate sempre pronti perché quest’anno per quanto riguarda la mia classe ci saranno tre test a sorpresa su tutto il programma svolto fino a quel momento» bloccò sul nascere le proteste che si erano alzate e continuò «Calmi, se studiate sempre e con costanza non avrete nulla di cui preoccuparvi. Vi ricordo inoltre che quest’anno continuerò a moderare il corso di poesia e spero di rivedere i ragazzi dello scorso anno e qualche faccia nuova. Da novembre in poi ci troveremo impegnati in un progetto internazionale, al quale parteciperanno i migliori cinque studenti dell’istituto ma di questo parleremo a tempo debito. Adesso se non avete domande da fare prendete il libro e cominciamo pure la nostra lezione». Furono le due ore più lunghe della mia vita, più tentavo di seguire la sua spiegazione più finivo a fissarlo inebetita, beccandomi più di una volta una sua occhiataccia.
«Signorina Clark ha intenzione di tornare tra noi entro la fine della lezione o preferisce continuare a dormire?» lo guardai sorpresa strabuzzando gli occhi. Non si era mai e dico mai rivolto in quel modo a nessuno di noi. «Mi..mi scusi» balbettai arrossendo, confusa e ferita dal suo comportamento.
Nervosetto il ragazzo eh, gira voce che abbia divorziato da barbie. Magari è per quello che è così teso!
Sorrisi leggendo il bigliettino che mi aveva passato Gonzalo, evidentemente le notizie in questa città viaggiavano a velocità della luce.
Non è una giustificazione … non stavo facendo nulla di male.
Tranne mangiartelo con gli occhi ;)
-.-“ non meriti risposta!
Ah ah ah dai non prenderla a male, ti capisco. Dopotutto è un gran pezzo d’uomo, un pensierino ce lo fare anche io!
È il professore…
E allora? Non dirmi che hai mai fantasticato su di lui! Saresti l’unica in tutta la scuola…
Non feci in tempo a rispondergli perché il professore ci riprese. «Marinez e Clark mettete via quel bigliettino, prima che cominci a leggerlo davanti a tutta la classe. Prestate attenzione alla lezione, altrimenti finite dritti in punizione. E oggi è di guardia il professor Hash e non vi conviene.» disse con tono minaccioso. Riposi immediatamente il biglietto in tasca e mi chinai sul libro fino alla fine della lezione. Se ne andò salutando tutti cordialmente e rivolgendo a me un’occhiataccia.
«Ma che gli prende?» chiese avvicinandosi Dana. «Non lo so, ha fatto lo strano anche questa mattina in ascensore» risposi. «Si sarà alzato dalla parte sbagliata del letto, vedrai che gli passerà. Sei pur sempre la sua alunna preferita!» mi sforzai di sorriderle. Avevo dei dubbi riguardo la sua affermazioni, ma preferii evitare.
La giornata andava di bene in meglio, pensai dirigendomi in piscina per parlare con il coach, Smith era l’ultima persona da affrontare oggi e quella che mi preoccupava di più. Parlammo per più di un’ora, mi ascoltò dimostrandosi molto comprensivo. Visto che i corsi pomeridiani non sarebbero cominciati prima di ottobre, mi propose di aspettare prima di dargli una risposta definitiva. Nel frattempo mi avrebbe lasciato la piscina aperta per un’ora dopo le lezioni, non avrei dovuto fare altro che stare li. Lui sarebbe stato nei paraggi nel caso ne avessi bisogno, la decisione se buttarmi o meno sarebbe stata mia. Pensava che la piscina potesse essere un buon compromesso per sconfiggere la paura, accettai titubante. Gli ero riconoscente, l’incontro che mi preoccupava di più si rivelò quello più facile da affrontare.
«Ah Rebecca» mi chiamò prima di andarsene, «Fai il possibile, non voglio perdere il mio capitano un anno prima del previsto». Così dicendo si chiuse la porta della piscina alle sue spalle.
Presi le mie cose e uscii anche io, non so quanto la sua idea possa funzionare ma voglio provarci. Dopotutto glielo devo, è stato anche grazie a lui se in questi anni sono diventata più sicura di me e più aperta. Mi ha sempre incoraggiata a spingermi oltre i miei limiti, in vasca e fuori.

     Finalmente potevo tornarmene a casa, pensai prendendo le mie cose dall'armadietto. Il 333, situato proprio vicino alla porta dell’aula professori.
«Ancora qui Rebecca» il tono glaciale del professor Brown mi destò dai miei pensieri. Mi voltai esasperata nella sua direzione. «Alla fine ci sei finita veramente in punizione» la sua era un’affermazione più che una domanda. «No» risposi secca, ferita. «Avevo un colloquio con il coach Smith per parlare del mio futuro in squadra» gli risposi prima di voltarmi. «A domani professor Brown», così dicendo sbattei l’armadietto e me ne andai. Senza dargli l’opportunità di rispondermi. Ero furiosa e confusa, non capivo proprio perché si stesse comportando con me in quel modo. Non avevo fatto niente di male, neanche in classe. Come me, almeno altre dieci persone erano disattente o occupate a fare altro. Eppure tra tutti aveva ripreso solo me, ben due volte.

     La settimana continuò su questa linea, in classe mi trattava distaccatamente e riprendeva ogni mio respiro, a casa mi salutava a mezza bocca e se poteva evitava di salire con me in ascensore. Non riuscivo proprio a trovare un senso al suo comportamento e non ero la sola a pensarla così: in classe tutti avevano notato i suoi sbalzi d’umore quando si trattava di me.  Era stato un continuo di «Clark stai attenta…Clark ben tornata nel mondo dei vivi, siamo a pagina 15… Clark, ancora una parola e ti butto fuori!». La cosa che mi confondeva di più era che per tutta la settimana ha continuato a chiamarmi per cognome, una cosa che non aveva mai fatto prima. Ero sempre stata Rebecca, fin dal primo giorno di scuola.

«Tu all’ultimo banco, come ti chiami » i miei tentativi di passare inosservata non erano andati a buon fine, pensai prima di rispondere. «Rebecca Clark » dissi con un filo di voce. «Bene Rebecca, dalla prossima volta ti voglio qui al primo banco». Al colloquio con i genitori aveva spiegato ai miei che lo avevo subito colpito, a parole sue sembravo un piccolo pulcino bagnato in una classe di galli e galline.

Aveva sempre cercato di incoraggiarmi, di rendermi partecipe alle lezioni. Tanto che alla fine partecipavo di mia spontanea volontà, senza rimuginare troppo se quello che stavo per dire fosse giusto o sbagliato. In questa settimana mi è sembrato di tornare quel piccolo pulcino bagnato.
       Tanto perché i problemi non vengono mai da soli, non facevo progressi in piscina: per tutta la settimana mi ero limitata a sedermi sul bordo, senza bagnarmi neanche i piedi. Sedevo a gambe conserte, cuffiette nell’orecchio con la musica a tutto volume. Il coach di tanto in tanto passava senza dirmi niente, non voleva forzarmi ma ogni volta che mi trovava li intenta a far nulla ci restava male. Terminata l’ora andavo nello spogliatoio a togliermi il costume e tornavo a casa.
I miei problemi scolastici si erano riversati anche sul lavoro, dove ero spesso distratta e fuori fase. Tanto che Susan, dopo avermi “estorto” una confessione dettagliata sui motivi del mio atteggiamento aveva deciso di darmi qualche giorno di libertà. «Non ringraziarmi bambina, te li sei meritati! Quest’estate non sei stata assente neanche un giorno, mai un ritardo o un’uscita anticipata! Ci vediamo la settimana prossima, quando sarai di nuovo fresca come una rosa». Mi aveva salutato mercoledì sera, con il suo solito tono gentile e amorevole.
Quel venerdì, come tutti gli altri giorni, ero nello spogliatoio a cambiarmi quando sentii delle voci provenire dallo studio del coach, non troppo lontano da dove mi trovavo io. Riconoscendo il suo interlocutore uscii cercando di non fare rumore.
«Allora fa progressi?»
«No Marcus, affatto. Se ne sta seduta per un’ora ad ascoltare la musica. Non si bagna neanche i piedi. »
«Hai provato a parlarle, a sederti li con lei?»
«Non si gira neanche quando entro in piscina e le cuffiette sono un chiaro segno di chiusura. Non so, se vuoi provarci tu, magari a te dà retta. »
«Non credo sia il caso, non ascolterebbe neanche me. Sto cercando di esasperarla in classe, di portarla al limite. Speravo che così facendo sentisse il bisogno di sfogarsi con il nuoto.»
Mi portai una mano alla bocca, così era per questo che si era comportato da stronzo in questi giorni. Voleva spingermi a reagire, evidentemente di me in questi anni non ci aveva capito niente. Con i suoi modi del cavolo era riuscito solo a farmi tornare nel mio guscio.
«Ovvio che non funziona, così facendo le dai solo altri problemi da risolvere. Ma come ti viene in mente!»
Almeno uno dei due mi capiva. «Dovresti parlargli e torna a trattarla come sempre. In questi anni ha fatto tanto per uscire dal suo guscio, non risolviamole un problema creandogliene un altro» continuò il coach strappandomi un sorriso. Era davvero una brava persona. Senza ascoltare la risposta del professor Brown tornai nello spogliatoio, mi cambiai e lasciai la palestra.

     Ero arrabbiata con lui, con me per avergli permesso di trattarmi così, per non essere riuscita a toccare l’acqua della piscina, ero arrabbiata e triste tanto che non appena imboccata la porta della mia stanza mi lasciai andare ad un lungo pianto. Dopo essermi sfogata cominciai a ragionare sulla settimana trascorsa, alla ricerca di un segno, di qualcosa che potesse dare un senso alla mia confusione. Più ci pensavo, più mi rendevo conto che c’era qualcosa che non mi quadrava.  Fin quando non mi tornò in mente la mia conversazione con Dana: «Non lo so, ha fatto lo strano anche questa mattina in ascensore». Il professor Brown era stato strano dalla mattina, ma io con il coach Smith ci avevo parlato solo dopo le lezioni. A meno che non ci avesse già pensato il mio caro vicino di casa. Impossibile, pensai subito dopo. Il coach era sinceramente sorpreso durante la nostra conversazione, per cui si erano parlati sicuramente dopo il nostro incontro. Ma allora perché si era comportato da stronzo in ascensore prima e a lezione dopo?
Guardai l’orologio, mancavano pochi minuti alle cinque.  Sarebbe rientrato entro pochi minuti, così mi alzai avvicinandomi alla porta in attesa del suo ritorno. Un quarto d’ora dopo sentii l’ascensore giungere al nostro piano così abbassai la maniglia per aprire la porta.
«Possiamo parlare? » gli chiesi attirando la sua attenzione. 


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Ci tengo ancora a ringraziarvi per l’accoglienza che state dando alla mia storia, ringrazio i 24 che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le 10 persone che l'hanno aggiunta alle storie preferite e chi ha aggiunto la storia alle ricordate (1). Ringrazio anche tutti quelli che si limitano a leggere la mia storia, perché ogni visualizzazione in più è un incentivo a continuare a scriverla! Grazie!
Per rendere la storia ancora più ricca ho deciso di creare una pagina facebook in suo onore: L'Amore che non ti aspetti -EFP dove troverete: spoiler, schede dei personaggi e riassunti.  
Vi aspetto lunedì con il quinto capitolo: Una discussione necessaria

Spalancai gli occhi sorpresa, non  ci capivo più niente. «Io non flirto con Gonzalo e anche se fosse la cosa non la riguarderebbe » gli risposi piccata.
«Mi riguarda eccome se tutto ciò avviene nella mia classe, davanti ai miei occhi »  i toni cominciavano a scaldarsi e le nostre voci erano più alte del dovuto. «Le ripeto che non flirto con Gonzalo, siamo solo amici». «Vallo a dire a lui, non mi sembra dello stesso avviso». Non potei trattenere una risata nervosa, se solo sapesse quanto si sta sbagliando si sentirebbe così stupido. «Perché la cosa la disturba tanto, sono seduta al fianco di Gonzalo in altre classi eppure lei è l’unico a lamentarsi e a rimproverarmi» gli risposi tornando seria, non avrei tradito il mio amico. 

E M A N U E L A 

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Capitolo 6
*** 5. Una discussione necessaria ***




Capitolo 5. Una discussione necessaria
 

     Guardai l’orologio, mancavano pochi minuti alle cinque.  Sarebbe rientrato entro pochi minuti, così mi alzai avvicinandomi alla porta in attesa del suo ritorno. Un quarto d’ora dopo sentii l’ascensore giungere al nostro piano così abbassai la maniglia per aprire la porta.
«Possiamo parlare? » gli chiesi attirando la sua attenzione.
«Vuoi entrare? » mi rispose aprendo la porta di casa sua. Senza rispondergli entrai insieme a lui.
«Ha mentito al coach Smith» cominciai andando subito al punto. «Lei gli ha detto che mi ha trattato male tutta la settimana per scatenare in me una reazione, ma lei non poteva sapere del patto che avevo contratto con il coach, lunedì mattina. Lei ha cominciato a trattarmi male da quando siamo usciti dall’ascensore e a continuato a lezione, tutto questo prima del mio incontro con il coach». Parlai velocemente, per paura di essere interrotta.
«Cos’è hai preso gusto a origliare le conversazioni altrui? » alzai gli occhi al cielo esasperata. « È questa la sua risposta? Ha da dire solo questo?»
«Cosa vuoi che ti dica? Sono il tuo professore non devo giustificarmi con te per il mio comportamento »
«Oh andiamo, non mi prenda in giro. In classe c’è chi si comporta peggio di me, eppure lei perde tempo a rimproverare me se perdo un attimo la concentrazione».
«Flirtare costantemente con il tuo compagno di banco lo chiami “perdere un attimo la concentrazioni” »
Spalancai gli occhi sorpresa, non  ci capivo più niente. «Io non flirto con Gonzalo e anche se fosse la cosa non la riguarderebbe » gli risposi risoluta.
«Mi riguarda eccome se tutto ciò avviene nella mia classe, davanti ai miei occhi »  i toni cominciavano a scaldarsi e le nostre voci erano più alte del dovuto. «Le ripeto che non flirto con Gonzalo, siamo solo amici». «Vallo a dire a lui, non mi sembra dello stesso avviso». Non potei trattenere una risata nervosa, se solo sapesse quanto sta sbagliando si sentirebbe così stupido. «Perché la cosa la disturba tanto, sono seduta al fianco di Gonzalo in altre classi eppure lei è l’unico a lamentarsi e a rimproverarmi» gli risposi tornando seria, non avrei tradito il mio amico ma volevo andare a fondo della questione.
«Quello che ti permettono di fare gli altri nelle loro classi non mi riguarda »  rispose secco. Mi passai una mano nei capelli, sentivo le lacrime pungermi gli occhi in attesa di uscire ma non gli avrei dato questa soddisfazione. «Io non faccio un bel niente. Ma cosa vuole da me, perché si comporta così. Non l’ha mai fatto prima » quasi gridai. Il suo volto era un misto di rabbia, esasperazione e sorpresa. La testa mi stava scoppiando, non riuscivo a trovare un senso alla nostra discussione e più in generale a tutta quella situazione. Dal nervoso mi stavo torturando il labbro inferiore con i denti, tanto che cominciava a bruciarmi.
«Smettila di morderti il labbro in quel modo » disse esasperato. Per tutta risposta affondai di nuovo i denti sul labbro guardandolo con sguardo di sfida. Il suo sguardo si posò sulle mie labbra, poi sul mio viso e di nuovo sulle labbra. Proprio come lunedì in ascensore.
Tutto accadde in un attimo. La sua mano si impadronì del mio polso, tirandomi verso di lui. La sua bocca si posò sulle mie labbra, prima delicatamente poi sempre con più foga. Rimasi impietrita per qualche secondo, prima di ricambiare il suo bacio. Fu un bacio feroce, frustrato, caldo. La sua lingua esplorava la mia bocca, i suoi denti torturavano le mie labbra, le sue mani mi tenevano stretta.
Quando ci staccammo eravamo entrambi ansanti, sentivo le guancie andarmi a fuoco ed’ero più confusa di quanto non lo fossi prima.
«Oh andiamo, prima si comporta da pazzo per tutta la settimana e poi mi bacia?» esclamai esasperata dopo aver ripreso fiato. «Che significa tutto questo?».
Ma non ebbe il tempo di rispondermi, perché fummo interrotti dal suono del suo campanello.
Socchiuse gli occhi, improvvisamente stanco, poi andò ad aprire la porta. In cuor mio sperai che non fossero i miei genitori.


       «Che ci fai qui?» il suo tono aspro mi fece girare. Il suo corpo copriva l’entrata coprendomi la visuale, ma la voce che rispose poteva appartenere solo ad’una bellissima bionda: la sua ex moglie. 
«Che fai, non mi inviti ad entrare?» chiese civettuola. Trattenni il fiato in attesa di una sua risposta.
«Sono occupato in questo momento, sto dando una mano ad’una mia alunna»
«Non deve essere molto sveglia se ha già bisogno di ripetizioni, in storia poi» rise divertita « Ho bisogno di parlarti mandala via, ha nove mesi per recuperare le sue lacune».
Strinsi i denti per impedirmi di rispondergli a tono, ma chi si credeva di essere?
«Rebecca è tutto tranne che poco sveglia Scarlett, non ti permetto di parlare così dei miei studenti»
«Rebecca? Scherzi vero, di nuovo quella ragazzina insulsa?»
Continuavo a guardare in direzione dell’entrata, senza voltarsi Marcus Brown uscì sul pianerottolo socchiudendo la porta alle sue spalle . Mi sentivo in trappola, in quel momento l’ultima cosa che avrei voluto era ascoltare la loro discussione.   
«Per una volta in vita tua comportati da adulta!»
«A te non piacciono le donne adulte, ne è una conferma la ragazzina che tieni chiusa in casa tua!»
«Ti stai rendendo ridicola, non tirare di nuovo fuori questa storia»
«Invece la tiro fuori, ho passato ore e ore a sentirti parlare di lei. Mai una volta che dalla sua boccuccia non uscisse qualcosa di intelligente, mai una volta che tu non fossi colpito da lei. Se tu non fossi così schifosamente etico potrei perfino…»
«Dacci un taglio Scarlett e vattene da dove sei venuta» così dicendo rientrò in casa chiudendosi la porta alle spalle.
«Marcus Brown questo affronto non dovevi proprio farmelo!» segui un tacchettio fino all’ascensore.


     Se ne era andata pensai con un certo sollievo. Non parlammo per quella che mi sembrò un’eternità. A differenza dello scorso sabato questo silenzio era teso, soffocante. Dal canto mio non sapevo cosa dirgli, o meglio avevo una serie di domande che mi ronzavano per la testa ma non sapevo proprio da dove cominciare. Perché hai fatto lo stronzo? Perché mi hai baciato? Parlavi di me a tua moglie, perché? Ero sicura di essere io il soggetto di quella discussione perché ero l’unica in tutta l’isola a chiamarmi Rebecca e il professore esercitava solo nella nostra scuola.
«Stai arricciando il naso» costatò interrompendo il flusso dei miei pensieri. «Posso immaginare quali quesiti ti stanno arrovellando la testa. Vorrei poterti dire che ho una risposta per ognuno di loro, ma non è così».
Senza rispondergli mi andai a sedere sul divano, si preannunciava una lunga discussione e non avevo nessuna intenzione di affrontarla in piedi. Lui segui il mio esempio, ma a differenza delle altre volte si sedette sulla poltrona. A distanza di sicurezza aggiungerei.
« È stato tremendo questa settimana, perché? È da lunedì in ascensore che si comporta in modo strano, vorrei sapere cosa ho fatto di sbagliato. Credo che a questo potrebbe cominciare a rispondere» ostentai una sicurezza e una tranquillità che non mi appartenevano. Si grattò la testa nervosamente prima di rispondermi.
«La verità? Non lo so! Sono un trentenne che si comporta come un ragazzino. Lo sto facendo dalla prima volta che hai varcato la soia di questa casa. Anzi, forse ho cominciato a farlo quando l’anno scorso hai scritto quella poesia sul mare al corso. Si riferiva a questo Scarlett» si alzò, camminando verso la finestra. «Vedi ho cominciato a parlare di te sempre più spesso, mi avevi stupito. Non eri più un pulcino bagnato, eri diversa. Non solo dai tuoi compagni, eri diversa dalla Rebecca che ho conosciuto anni fa che ha subito acceso in me un sentimento di tenerezza. Ero diverso. Perché per la prima volta quando ti guardavo non provavo più tenerezza, ero incuriosito dalla ragazza che eri diventata e affascinato dalla donna che potevi diventare».
Tornò a guardarmi. «Odio ammetterlo ma Scarlett ha detto un’altra cosa giusta questa sera. Se non fossi il tuo professore, se non fossi così…com’è che ha detto? schifosamente etico ci avrei provato con te. Al diavolo la differenza di età ».
Aprii la bocca per poi richiuderla. Ero incapace di dire qualsiasi cosa, la mia mente era paralizzata, io ero paralizzata. Lui, Marcus Brown, il mio professore, la mia cotta secolare ci avrebbe provato con me?
«Stai arricciando di nuovo il naso» abbozzò un sorriso. Bello, nonostante fosse poco più di una smorfia.
«Non ha ancora risposto alla mia domanda. Perché si è comportato così questa settimana?». Ero determinata a scoprirlo, avrei rimuginato dopo, con più calma, sul senso delle sue parole. Alla luce delle quali mi era ancora più oscuro il motivo del suo comportamento.
«La verità? Cercavo di allontanarti. Prima eri solo Rebecca Clark, la mia alunna. In queste settimana ho potuto osservare Rebecca, la ragazza che mi abita di fronte. Che tre sere a settimana si veste da meringa, che si ricorda della mia lista di film. La mia vicina che resta qui a vedere un film, Gran Torino uno dei miei preferiti. Film di cui non ho sentito neanche una battuta, di cui non ho visto neanche una scesa. La mia vicina che si morde il labbro in ascensore, rendendo un gesto nervoso estremamente sexy. Sexy, dannazione!» sospiro rumorosamente «Sei una mia alunna, non posso pensare che sei sexy quando ti mordi il labbro, né che sei incantevole quando arricci il naso. Non dovremmo proprio fare questo discorso. Paradossalmente siamo qui a causa mia, perché non potendo pensare né dirti niente di tutto questo me la sono presa con te. E ti ho torturata tutta la settimana ingiustamente, abusando del mio ruolo e ferendoti». Confessò amaramente.
Quella che doveva essere una discussione di chiarimento mi stava confondendo ancora di più. Faticavo a realizzare il succo di quelle parole, non potevo credere che stava parlando di me, soprattutto non potevo credere che tutto quello stesse accadendo veramente. Neanche fossimo in una commedia romantica con Jennifer Aniston, dannazione!
«Te la sei presa con me perché ti piaccio?» mi sentii stupida a fargli quella domanda ma necessitavo di una risposta chiara, senza troppi fronzoli. Il cuore mi batteva forte e la gola mi bruciava tanto era secca.
«Si Rebecca, ho fatto lo stronzo perché mi piaci»
«Ho ricambiato il suo bacio» gli risposi, incapace di confessargli quanto sia affascinata da lui. Perché avrei dovuto dirgli che mi piace dal mio primo giorno di scuola, che mi ricordo come era vestito e che trovavo particolarmente eccitante la sua voce, in modo particolare quando recitava una poesia. Che per molto tempo avevo giudicato i ragazzi in base al suo standard, che quando parlavo di lui sentivo una morsa nello stomaco. Ma sarebbe sembrata una cotta da adolescenti. Allora avrei dovuto dirgli che aveva toccato corde in me che non sapevo neanche di avere, che mi aveva stimolato intellettualmente come nessuno aveva mai fatto prima, che era riuscito a farmi mettere in gioco. Ma sarebbe stato troppo dirgli tutto questo, adesso.
«Lo so… non avremmo dovuto, io non avrei dovuto baciarti» ammise tornando a sedersi sulla poltrona. La testa appoggiata pesantemente sullo schienale e gli occhi chiusi.
«Ho ancora molte domande, ma al momento non me ne viene in mente nessuna» ammisi torturando l’orlo della mia maglietta. «Riesco solo a pensare che qui non siamo a scuola e che vorrei che tu fossi solo il mio vicino di casa. Invece sei il mio professore… ma qui non siamo a scuola» quello che volevo dirgli era molto più chiaro nella mia testa, ma le parole mi erano uscite confuse, mescolate.
«Non siamo a scuola, ma io resto il tuo professore» tornò a guardarmi.
fossimo in un film ci staremo già baciando sul divano, ma questa è la realtà. È tutto più complicato, stare insieme significherebbe mettere a rischio la sua carriera e la sua credibilità, significherebbe dover spiegare ai miei che sto con un uomo dodici anni più grande di me e dimostrare a tutti che prendo ottimi voti nella sua materia perché sono brava e non perché ci vado a letto.   
Lui aveva già preso la sua decisione, adesso toccava a me. Eravamo seduti uno di fronte all’altra, fisicamente vicini ma distanti con la mente. Io cercavo di razionalizzare i miei e i suoi sentimenti. Cos’era una cotta, un infatuazione? Valeva la pena rischiare tanto per questo? Ogni volta che mi ponevo questo quesito il mio cuore gridava un forte sì. Ne valeva la pena.


     Mia nonna mi ha sempre detto che la vita e l’amore sono cose per coraggiosi, chi non rischia vive e ama a metà. Riteneva che bisognava amare e vivere senza porsi mai dei limiti, senza lasciarsi abbattere; perché la vita è una cosa meravigliosa ma è breve e per viverla a pieno non bisognava porsi troppe domande.
Non riesco a smettere di pensare a lei in questo momento. Io non sono coraggiosa, non come lei almeno. Ma a quanto vedo anche l’uomo che ho davanti non lo è. Ha avuto il coraggio di dire quello che prova ma si è fermato prima di toccare un punto di non ritorno.
Non siamo a scuola, ma io resto il tuo professore”.  Nelle sue parole aveva dichiarato la sua scelta. Era interessato a me, ma non avrebbe rischiato. Se da una parte non riuscivo a biasimarlo, dall’altra ero ferita. Immotivatamente ferita, dopotutto non mi doveva niente. Gli avevo lanciato la palla ma lui non l’aveva colta.
La vita e l’amore sono cose per coraggiosi. Fissai i miei occhi nei suoi.
«Di essere il mio professore te lo saresti dovuto ricordare prima. Prima di trovarmi sexy, di pensarmi solo come una vicina di casa e soprattutto prima di baciarmi. E per la cronaca niente di tutto questo è etico. In ogni caso, visto che tieni tanto a ritornare nel tuo ruolo di insegnante fallo nel modo giusto. Non prendertela con me se scherzo con il mio vicino di banco, non buttarmi a dosso la tua frustrazione, limitati a insegnarmi la tua materia e a valutarmi» presi fiato.  «Sarò anche una ragazzina ma non mi struggerò per il nostro bacio. Dimenticheremo questa conversazione e tornerò ad’essere esclusivamente la sua, anzi una delle sue alunne. Detto questo adesso devo proprio andare, il lavoro mi aspetta». Dissi alzandomi e uscendo dal suo appartamento, rifugiandomi velocemente nel mio. Andarmene così non è stato molto maturo ma non avrei retto ancora quella discussione. Non avrei pianto, non questa volta.  


     A lavoro non mi aspettavano ma di rimanere in casa non se ne parlava proprio. Indossai in fretta l’uniforme e uscii di nuovo da casa, così nel caso lo avessi incontrato non avrei dovuto dargli ulteriori spiegazioni. Fortunatamente i miei non avevano avuto bisogno della macchina così potei raggiungere la spiaggia. La stessa dove lo avevo incontrato qualche giorno prima.
Lasciai la macchina sulla strada e mi incamminai verso il mare. L’acqua era piatta e la marea non si era ancora alzata. Tolsi le converse e mi sedetti a riva. Il sole stava tramontando e non sarei voluta essere da nessuna altra parte se non qui. Nonostante le nostre recenti difficoltà, il mare restava il mio punto fermo. Solo qui riuscivo a liberare la testa da ogni problema. Almeno questo non è cambiato, pensai sollevata.
L’acqua di tanto in tanto mi sfiorava i piedi procurandomi brividi in tutto il corpo. Per la prima volta da tanto tempo sentii il bisogno di buttarmi e annegare nel mare tutte le mie preoccupazioni e  i miei problemi. Ma nonostante avessi altri pensieri  per la testa la paura era sempre li, pronta a farsi avanti ogni qual volta me ne dimenticavo.
Il sole tramontò, presi il cellulare per scrivere ai miei che ero fuori e che sarei rientrata più tardi. Non ero ancora pronta per tornare a casa. L’aria cominciava a rinfrescare e dal mare si stava alzando una leggera brezza.


     «Sono andato da Tom’s e tu non c’eri» per un attimo pensai di essermelo immaginata, ma quando la sua voce chiamò il mio nome non ebbi alcun dubbio.
«Sta diventando uno stalker?  Perché mi cercava?» risposi cercando di mantenere un tono calmo.
«Sei tornata a darmi del lei» constatò amareggiato.
«Dovere..dopotutto lei è il mio professore» calcai molto sul finale della frase. Che ci faceva qui? Perché non poteva semplicemente lasciarmi stare.
«Al locale mi hanno detto che avevi la serata libera, perché mi hai mentito e perché sei venuta qui?»
«Dato che tutto questo è accaduto fuori l’orario scolastico non ha alcun diritto di pormi queste domande»
«Rebecca, dacci un taglio!»
La vita e l’amore sono cose per coraggiosiMi alzai per fronteggiarlo. 



 Mi scuso con chi si aspettava l'aggiornamento lunedì, ma come potete notare ho cambaito nickname da Scimmy3 a _Emanuela_3, avevo inoltrato la richiesta poco dopo aver pubblicato il primo capitolo, tra una cosa e l'altra non ci ho più pensato e mi è passato di mente, così lunedì e martedì ho tentanto di accedere come Scimmy3, ma per ovvi motivi non riuscivo. Pensando fosse un problema del server ci riprovavo a distanza di ore, ma niente. Finché oggi controllando la mail non ho trovato la notifica di sostituzione. 

So che questo capitolo potrebbe generare delle polemiche, ma volevo proprio che fosse così. Veloce. Volevo che il loro amore (?) fosse sveglio, sicuro. Senza allungare il brodo con capitoli di passaggio, dove si guardano da lontano. Magari, se vi può interessare, esplorerò quelle parti in capitoli aggiuntivi, che pubblicherò solo dopo la conclusione della storia

Ci tengo ancora a ringraziarvi per l’accoglienza che state dando alla mia storia, ringrazio i 29 che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le 11 persone che l'hanno aggiunta alle storie preferite e chi ha aggiunto la storia alle ricordate (2). Ringrazio anche tutti quelli che si limitano a leggere la mia storia, perché ogni visualizzazione in più è un incentivo a continuare a scriverla! Grazie!
Per rendere la storia ancora più ricca ho deciso di creare una pagina facebook in suo onore: L'Amore che non ti aspetti -EFP dove troverete: spoiler, schede dei personaggi e riassunti. 

Al prossimo capitolo, Emanuela! :)



 

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Capitolo 7
*** 6- Una svolta inaspettata ***


6. Una svolta inaspettata

«Rebecca, dacci un taglio!»
La vita e l’amore sono cose per coraggiosi. Mi alzai per fronteggiarlo.
«No daccelo tu un taglio! Mi vuoi? Allora dimmelo, sono qui. Ma se vuoi essere solo il mio professore non perseguitarmi, non venirmi a cercare sul luogo di lavoro e non arrabbiarti se non mi ci trovi. Ho avuto una cotta per te per tutti questi anni, sei stato quasi un ossessione per me. È stato anche grazie a questo se sono riuscita a fare progressi con la mia timidezza, perché c’eri tu a spronarmi. Il mio ragazzo era geloso di te e di quello che rappresentavi. Ma io, conscia del mio ruolo, non te l’avrei mai detto. Mai.» alzai una mano per interrompere sul nascere la sua risposta, non avevo finito. « Hai fatto tutto tu. Sei stato tu a rivoluzionare i nostri ruoli, a cominciare da quando mi hai invitato a vedere un film a casa tua quella sera. Questa settimana sei stato infantile e al culmine della tua infantilità mi hai baciata. Per poi rimangiarti tutto.»
Non ero in me, non ho mai avuto una reazione tanto agitata con nessuno. Posso affermare quasi con certezza che non ho mai discusso con nessuno in queato modo. Neanche dopo aver scoperto il “tradimento” di Paul. Mai. Sono sempre stata calma e riflessiva. O meglio, ero.
«Io non sono così, non urlo e non mi rivolgo agli altri in questo modo. Non sono una di quelle che se vuole un uomo va e se lo prende, sono riflessiva e indecisa. E tu questo lo sai. Sai che non avrei mai fatto un passo verso di te. Sei stato tu a decidere quando entrare e quando restare fuori. Certo, io te l’ho lasciato fare. E ne sono felice, perché non avevo mai parlato con nessuno come sono riuscita a parlare con te. Per fino il silenzio con te ha avuto un senso.  Nonostante questo non avrei fatto nulla, saresti rimasto solo il professor Brown» la voce mi tremava, io tremavo. Un po’ per il freddo, un po’ per la rabbia. Visto che continuava a restare in silenzio continuai.
«Hai detto delle cose, hai fatto delle cose e poi hai deciso che dovevi essere solo il mio professore. Bene. L’ho capito e l’ho accettato, dovresti farlo anche tu»
«Sei sincera?» chiese quasi in un sussurro.
«Che…?»
«Io… lascia perdere Rebecca, forse è meglio che torniamo a casa». Un passo avanti e cento indietro. Ma a che gioco sta giocando?
«Se vuole andare è liberissimo di farlo» ero stanca. Quella giornata sembrava non voler finire mai. Tutto quel discutere, quel rimuginare, quell’interrogarmi sui miei sentimenti mi aveva sfinito. Mia nonna diceva, tra le altre cose, che per le donne amare è più facile. Che lo capiscono prima, che lo accettano prima. Gli uomini, il più delle volte, faticano su quest’ultimo punto. Su questo non sono mai stata d’accordo con lei, ritengo che l’amore non possa essere inquadrato in uno schema di generi. Ci sono persone che faticano a rendersi conto di essere innamorate, altre che si buttano a capo fitto in ogni storia, altre ancora che amano, ma a modo loro. Io non so ancora a quale di queste categorie appartengo, ma oggi mi sono resa conto che potrei amarlo. A dispetto dei rischi e dei problemi, potrei amarlo veramente. Sento già un’affinità, un rispetto nei suoi confronti. Potrei, ma non è detto che me lo lasci fare.
Il suo sbuffo cattura la mia attenzione. «Non me ne voglio andare, ma…»
«Ma, se, però, forse…non sa dire altro? Se questo è tutto quello che ha da dire può prendere la sua macchina e tornare a casa. » lo interrompo, non voglio neanche sapere quale altra scusa sta per rifilarmi. Il sole è ormai calato e riesco a mala pena a vederlo. Ma sento il suo respiro e il calore del suo corpo così vicino al mio. Resta in silenzio per quella che sembra un’eternità, i pugni serrati lungo i fianchi e il respiro lento.
«Non sono mai stato bravo con i sentimenti Rebecca. E non sono cose che passano con l’età, anzi forse si peggiora». La sua voce è quasi un sussurro. «Mi piace parlare dell’amore dei miei, mi piace dire che mi sposerei qui, su questa spiaggia come hanno fatto loro. Ma al momento di mettermi in gioco mi tiro indietro. L’ho fatto anche con Scarlett, mi sono trascinato in un matrimonio in cui non credevo veramente perché era la scelta più facile» ammette amaramente. «Con questo non voglio rinnegarlo, dico solo che se fossi stato più coraggioso avrei fatto altre scelte. La scelta più facile sarebbe lasciarti qui, con questo orrendo vestito a meringa, andare a casa e dimenticare come hai detto tu. Per un po’ ci sono riuscito, sono scappato da questa attrazione, ma quando quel giorno ti ho vista con quel vestito rosso, i capelli arruffati e le scatole in mano ho sentito qualcosa. Se fossimo in un romanzo rosa ti direi di aver sentito il cuore perdere un battito, ma ti mentirei. Perché il mio cuore batteva a pieno ritmo. Adesso, qui davanti a te, dopo tutto quello che hai detto io…io sento il mio cuore battere come quel giorno» fa un passo verso di me, annullando la distanza tra i nostri corpi. «Con questo non voglio prometterti nulla, non voglio giurarti niente. Voglio solo dirti che sono dentro anche io, che non voglio dimenticare. Che l’idea di tornare a vederti solo come una mia alunna mi fa impazzire». Conclude avvicinando la sua bocca alla mia e suggellando le sue parole con un bacio. Rispondo al suo bacio, passando le mani tra i suoi capelli morbidi. Le sue mani sui miei fianchi mi stringono a lui, diventiamo una cosa sola. Un groviglio di corpi che si cercano e si bramano. Le sue labbra morbide e calde, la sua stretta sui miei fianchi e il suo odore inebriante mi danno alla testa. Ci sdraiamo sulla spiaggia, poggia la sua giacca sotto di me così da non farmi stare a contatto con la sabbia umida. Con un braccio sorregge il suo corpo così da non pesare su di me, mentre con l’altra mano esplora le mie forme fino a giungere sotto l’orlo della gonna, affondando sulle mie cosce. Le sue carezze si fanno insistenti, impazienti quasi. Con una lentezza esasperante mi lascia baci su tutto il collo e sulle spalle, strappandomi dei sospiri di piacere. Affondo le dita sulla sua schiena, ne voglio di più.
«Rebecca…» la sua voce roca, soffiata sul mio collo, mi spiazza. Tanto da tirarmi leggermente su per fronteggiarlo, cogliendolo di sorpresa colgo l’occasione per tirarlo giù con me. E lo bacio, carezzando il suo corpo proprio come lui aveva fatto con me. Gli sbottono la camicia per sentire la sua pelle sotto le mie dita. Entrambi abbiamo il fiato corto, nel silenzio della spiaggia si sentono solo i nostri respiri. Con foga slaccia la cerniera del mio vestito.
Saremmo andati oltre, molto oltre se non avessimo sentito in lontananza un paio di cani abbaiare non troppo lontano da noi, accompagnati da due voci che chiacchieravano animatamente.
«Dannazione, dobbiamo andarcene» sbuffa, staccandosi delicatamente da me. Afferriamo velocemente le nostre cose e corriamo verso le macchine. Fortunatamente entrambi abbiamo parcheggiato lontano dalla spiaggia, possiamo quindi raggiungerle senza dare nell’occhio. Saliamo ognuno nella propria macchina e ci dirigiamo verso casa. Durante il viaggio prego con tutta me stessa che non cambi idea, che non si metta a razionalizzare su ogni nostro gesto. Come avrei fatto io d'altronde, se non fossi già immersa fino al collo in questa….tresca? relazione? In questo rapporto indefinito, almeno per il momento.
«Dimmi che non te ne sei pentito.. » Chiedo non appena entriamo nell’ascensore. Lui per tutta risposta mi bacia, riprendendo da dove siamo stati interrotti. Ricambio il suo bacio felice, intrecciando le braccia dietro il suo collo. 
«Fai la brava » sospira sulle mie labbra, facendomi impazzire.
«Come vuole lei, professore» sorrido maliziosa.
«Sei un serpente tentatore, ecco cosa sei». Si stacca da me lanciando un occhiata eloquente verso le porte. Siamo quasi arrivati al nostro piano e non sarebbe il caso che i miei mi trovassero avvinghiata al mio insegnante. Cerco di darmi una sistemata.
«A che ora ti aspettano i tuoi?» chiede
«Non prima delle dieci e mezza, il sabato solitamente mi fermo a mangiare qualcosa insieme a Emily e Dana»
«Sono ancora le otto, se non hai già preso impegni che ne dici di mangiare qualcosa da me?»
«Sono entrambe fuori città e non ho altri impegni, accetto volentieri » gli sorrido mentre si aprono le porte.
Fortunatamente il pianerottolo è libero e entriamo in casa senza imbatterci in incontri imbarazzanti.
Questa volta cuciniamo insieme, aiutandoci a vicenda e scherzando come se ci conoscessimo da sempre. Ora che la tensione tra noi è diminuita riesco a rilassarmi molto di più. A tratti sono impacciata e timida ma ci può stare, dopotutto fino a qualche ora f consideravo questo uomo sotto tutta un’altra luce. Non sono ancora riuscita a chiamarlo per nome, mentre lui fa un uso spropositato del mio. Cosa che a pensarci bene ha sempre ha sempre fatto, anche in classe.
«Ti va un film? Abbiamo ancora un po’ di tempo e non ho proprio voglia di mandarti via»
Dopo aver ricevuto il mio assenso mette un dvd e si sdraia sul divano, invitandomi a sdraiarmi vicino a lui, con la mia schiena sul suo petto. Mi stringe un braccio sotto il petto e poggia la sua testa sulla mia. Mi viene spontaneo posare il mio braccio sul suo.
Il suo respiro sul mio collo mi rilassa, stare qui abbracciati e sentire così tanta intimità spazza via ogni mia preoccupazione o dubbio. In questo momento non mi interessa dare un nome a questa cosa, non mi interessa neanche quanto durerà. Adesso sono qui tra le sue braccia, domani non lo so e mi va bene così. Non parliamo per il resto della serata, di parole ne abbiamo già dette tante. Ci siamo detti più cose noi in poche ore che coppie che stanno insieme da una vita.
Anche il nostro saluto è veloce, mi sussurra un dolce a domani prima di lasciarmi andare via e io gli rispondo con un sorriso. Domani è la promessa più bella che potesse farmi. Un giorno in più, un giorno in più per noi.
I miei fortunatamente sono già a letto, così posso chiudermi in camera. La mia mente, finalmente libera, mi dà tregua. Raggiungo presto Morfeo e la mattina dopo sono più energica che mai.

La mattinata passa lenta, dopo l’energia iniziale cado ben presto in un mare di pensieri, dal quale fatico a riemergere. Potrà mai esserci un noi ? Potremo mai uscire alla luce del giorno? Sarò all’altezza di questa relazione? Queste e tante altre domande si susseguono come pugni nello stomaco. Di notte, con la luce delle stelle tutto sembra magico, possibile.
Lui è un uomo, è appena uscito da un matrimonio, è già “nel mondo dei grandi”. Io, nonostante la mia maturità, sono ancora una ragazzina, con i problemi tipici della mia età. Riusciremo a incontrarci a metà strada o i nostri mondi, così diversi, finiranno per dividerci?
Mi passo le mani tra i capelli, come a voler scacciare i  miei pensieri. Inutile pensarci adesso, inutile interrogarsi su un futuro così lontano e incerto, quando non so nemmeno quale sia il prossimo passo.
«Ei principessa ti va di andarci a fare un immersione?» la voce di mio padre mi desta dai miei pensieri. È domenica, il nostro giorno, le immersioni, i pranzi al molo e tutto il resto. Ha incassato un no dopo l’altro in questi mesi, ma non ha mai smesso di chiedermelo. Ogni domenica, con gli occhi pieni di speranza, incassa un altro no. Senza mai smettere di provarci. Lo guardo intensamente, nei suoi occhi non c’è più speranza, ma rassegnazione. È pronto per incassare un altro no. «Che ne dici se ti aiuto con le attrezzature?» rispondo incerta, so benissimo che non ha bisogno del mio aiuto ma è tutto quello che posso offrirgli. Il suo volto si illumina e le sue labbra si stendono in un bellissimo sorriso. «Dico che in questo momento sono l’uomo più felice del mondo, vestiti dai io ti aspetto giù». Annuisco e gli sorrido. Un piccolo passo.
Mi vesto di fretta e prendo la borsa, mentre mi avvicino alla porta sento delle voci parlottare sul pianerottolo. Apro la porta e resto gelata alla vista di mio padre che chiacchiera amabilmente con il professore.
«Rebecca che fai li impalata» mi esorta mio padre. «Stavo parlando con il tuo professore della valle dei coralli, pensa che non ne conosceva l’esistenza». La valle dei coralli è uno degli insediamenti più belli dell’isola, il mare li è ricco di coralli dalle forme sinuose, la spiaggia è arida e selvaggia. Leggenda vuole che li si andassero a riposare le anime dei marinai perduti in mare. Leggenda che si tramanda di generazione in generazione e che difficilmente esce dalle mura famigliari. Tanto da cambiare a seconda della persona che la narra. «Beh non è molto conosciuta nel continente » gli rispondo tentando di assumere un tono tranquillo. «Devo assolutamente rimediare» anche Marcus si comporta come niente fosse e devo dire che a lui riesce molto meglio. Chiacchieriamo ancora qualche minuto prima di salutarlo.
«Mi è sempre piaciuto quell’uomo, con te poi ha fatto un lavorone. Ne stavamo parlando con la mamma quando abbiamo scoperto che fosse il nostro vicino. Ti ha aiutata ad uscire dal tuo guscio e non lo ringrazieremo mai abbastanza» il suo tono è colmo di gratitudine. Chissà cosa ne penserebbe se sapesse che ho passato la serata tra le sue braccia. «Dove vuoi immergerti? » gli chiedo tentando di cambiare argomento. Mi lancia un’occhiata curiosa prima di rispondermi. La mattinata passa piacevolmente, alla fine non si è immerso neanche lui  e siamo stati in spiaggia a prendere il sole e a chiacchierare piacevolmente. «Che ne dici bimba bella se ci andiamo a mangiare una bella aragosta prima di tornare a casa?» mi chiede verso l’ora di pranzo.  Mangiamo di gusto prima di dividere le nostre strade. Mi accompagnò sotto casa prima di raggiungere la nonna di ritorno da New York.
Uscita dell’ascensore restai tra la mia porta e la sua, indecisa sul da farsi. Poi d’un tratto la sua porta si aprì e me lo ritrovai davanti con un sorriso malizioso stampato sulla faccia.
«Visto che non ti decidevi a suonare ho pensato di aprire » ricambio il suo sorriso e annullo la distanza tra di noi, lui mi prende tra le braccia e mi bacia. Le sue labbra cercano avide le mie, mentre con una mossa repentina mi prende tra le braccia e mi porta dentro, chiudendo la porta con le gambe. Ci ritroviamo sul divano, desiderosi l’uno dell’altra. Le sue mani scorrono sul mio corpo morbide e calorose. Le mie lo stringono ancora più vicino. «Bentornata…»  mi sussurra roco «è tutto il giorno che ti aspetto». Dice prima di lasciarmi dolci baci sul collo e sulle spalle. Vorrei rispondergli  io è una vita che ti aspetto, ma mi limito a gemere sotto il fervore delle sue labbra. Si ferma per guardarmi negli occhi. «Dove sei stata tutto questo tempo?» mi chiede, i suoi occhi sono luminosi, felici. Mi sciolgo sotto il suo sguardo e lo attiro verso di me senza rispondergli, baciandolo e cercando di dirgli tutto con quel bacio. Tutta l’attesa, la confusione, le ore passate a pensare a lui, a cercarlo per la scuola, ad ascoltarlo rapita.
Non cerca di andare oltre, non mi forza. Mi guida in questa danza di labbra che si sfiorano, si catturano, si cercano e si perdono. Ci ritroviamo ansanti con le labbra gonfie e intorpidite. «Che ne dici di uscire a cena?» lo guardo confusa, ha dimenticato che sono una sua alunna ? «Non arricciare il tuo bel nasino, possiamo andare a mangiare qualcosa sul continente. Conosco un ristorantino all’entrata di Kennedy City, è intimo e non dovremmo incontrare nessuno. Se restiamo ancora a casa non rispondo di me» conclude schioccandomi un bacio e alzandosi. Il mio corpo reagisce alla sua assenza e brivido freddo mi passa lungo il corpo. «Va bene, però devo stare a casa per le dieci. Domani c’è scuola e i miei…» lascio cadere il discorso. Lui annuisce. «Ci vogliono due ore tra andata e ritorno, non preoccuparti».
Ci siamo dati appuntamento per le sei, così ho tutto il tempo di cambiarmi e avvertire i miei. Al momento di scegliere i vestiti entro in crisi. Non ho mai fatto caso a queste cose, ma questo è il nostro primo vero appuntamento, lontano da tutti, fuori dai nostri ruoli e soprattutto in pubblico. Non voglio sembrare una bambina la suo fianco, ma non voglio nemmeno rischiare di esagerare e finire nel ridicolo. Alla fine opto per un abitino nero taglio impero, con la gonna larga. Dei sandali in tinta e lascio i capelli sciolti. Mi trucco gli occhi con una sottile linea di eye-liner e sono pronta. Nel complesso sono soddisfatta del mio abbigliamento. Per non destare sospetti mi aspetta nel parcheggio sotterraneo al palazzo, così da non rischiare di farci vedere insieme. Proprio mentre sto per uscire rientra mia madre. «Becca?!» mi guarda con sorpresa dalla testa ai piedi. «Sto male vestita così?» gli chiedo tesa «No, assolutamente sei bellissima tesoro. Se ti vedesse tuo padre gli si prenderebbe un colpo» mi rassicura sorridendo. «Va e divertiti, era ora che ti trovassi un nuovo amore»  «Ma…ma, non c’è nessun ragazzo» balbetto «Rebecca, piccola mia, davvero vuoi farmi credere che ti sei messa tutta in tiro per uscire con le tue amiche? Su vai adesso, prima che rientri tuo padre» mi lascia un bacio sulla guancia prima di lasciare la stanza. La ringrazio mentalmente per non avermi fatto domande e filo via, sperando di non incontrare mio padre lungo il tragitto.
Lui mi aspetta appoggiato alla sua macchina con le braccia conserte e lo sguardo assorto. Non appena lo raggiungo alza gli occhi verso di me. «Wow sei bellissima…quasi mi pento di averti invitata a cena» il suo sguardo scorre lungo tutto il mio corpo facendo arrossire. Mi scorta alla portiera e me la apre, aspettando che mi metta comoda sul sedile prima di chiuderla. Il viaggio trascorre piacevole e chiacchieriamo di tutto, film e libri preferiti, aneddoti e quant’altro ci passa per la testa. Il localino dove mi porta è elegante e intimo, la serata sembra volare tra chiacchiere e sguardi languidi. Il ritorno è più lento, prende tutte le strade più lunghe come a voler ritardare il momento dei saluti. Prima di scendere dalla macchina mi chiede il numero, vuole potermi sentire anche quando siamo lontani e non dover affidare i nostri incontri al caso.
Torno a casa con un sorriso enorme e un senso di euforia senza precedenti, i miei sono già a letto ma in camera trovo un bigliettino di mia madre “Spero sia stata una bella serata, quando sarai pronta per parlarne sono qui. Ti voglio bene, Mamma.” . Non posso fare a meno di sorridere, adoro il nostro rapporto e adoro il fatto cha sappia sempre lasciarmi il mio spazio.
Sto quasi per addormentarmi quando mi arriva un messaggio:

-Con quel vestito ho faticato a non saltarti a dosso. Domani sarà molto dura fare lezione…buona notte Becca, spero proprio di sognarti.-

Un sorriso mi nasce sponaneo sulle labbra. 

-Domani sarà molto dura prestare attenzione alla lezione…Buona notte professore, perché sognarmi quando puoi avermi?-

Scrivo velocemente e affondo la testa sul cuscino. Spero proprio di non aver esagerato, non sono proprio capace a flirtare  e per rispondergli mi sono ispirata a Emily e al suo modo di fare.

­-Così mi uccidi Rebecca…-

Non gli rispondo per lasciarlo “cuocere nel suo brodo”; come direbbe mia nonna. Mi addormento sorridendo serena, come non mi capitava da tempo. 







NOTE:

Ci tengo innanzitutto a scusarmi per questa lunga attesa,  prima di tutto sono anche io una lettrice e so quanto è brutto affezionarsi a una storia e non vederne mai la fine.
Mi è già successo con “Ricordati di me”, più scrivevo e più sentivo che quella storia e quei personaggi non mi appartenevano più.  Marcus e Rebecca tornavano sempre nella mia mente, immaginavo dialoghi, attimi di vita. Più cercavo di allontanarli più tornavano a galla. Così eccomi di nuovo qui, forte di una nuova ispirazione e finalmente ho chiaro davanti ai miei occhi il finale di questa storia. Ho già pronto un altro capitolo e un altro è in stesura. Non voglio promettervi nulla, ma cercherò di non lasciarli più. Spero che apprezziate questo capito e che valga l’attesa.
Rebecca e Marcus fanno passi da giganti in questo capitolo, ed’è proprio così che ho sempre immaginato la loro storia. Come un incendio che divampa veloce. Rebecca si allontana sempre di più da me, dal mio carattere e comincia ad assumere un identità sua. La sua storia non è più la mia storia e quello che ci accumunava all’inizio adesso ci divide. Così riesco finalmente a raccontare la sua storia e quella di Marcus.
La storia si conclude a giugno, ma ogni capitolo non rispetterà la durata di un mese, il tutto sarà conforme alle esigenze della trama. Ci saranno capitoli che prenderanno un giorno, altri una settimana e altri alcuni mesi. Gli altri personaggi cominceranno presto a intromettersi nella trama principale e la influenzeranno, in positivo e in negativo.

Vi lascio e vi ringrazio per essere tornati qui, Emanuela!

 

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Capitolo 8
*** 7 - Amore e magia ***


Capitolo 7                                         

 

È il lunedì più bello della mia vita. Non vedo l’ora di andare a scuola per vederlo e per parlare con le mie amiche degli eventi degli ultimi giorni. Questa mattina mi accompagna mio padre, così esco prima del previsto e arrivo a scuola prima di Marcus. Ci vediamo di sfuggita all’entrata e ci scambiamo uno sguardo veloce. A scuola non possiamo permetterci errori. Anche durante la sua lezione evito di fissarmi troppo su di lui, così mi ritrovo a fissare con aria assorta il libro di storia. Tanto da destare la preoccupazione di Gonzalo.

È successo qualcosa? Ti vedo strana…

Non me la sento di raccontargli di me e di Marcus. Mi dispiace non confidarmi con lui, dopotutto sono stata l'unica a cui ha parlato della sua omosessualità, ma preferisco che la voce non gir più del dovuto. 

Tranquillo, visto che ultimamente il prof sembra avermi preso di mira preferisco non dare troppo nell’occhio ;)

Dai oggi sembra di buon umore, magari ieri sera ci ha dato dentro. Mi dispiace solo che non sia stato io il fortunato. Ahahaha

Mi scappa da ridere e mi mordo una guancia per evitare di farlo.

«Martinez vai a farti un giro, visto che la mia spiegazione non ti interessa» tuona Marcus. Alzo gli occhi su di lui sbalordita, ha il viso contratto in una smorfia severa. In classe si alza un mormorio curioso, non si è mai comportato così, mai. Gonzalo si alza stranito e se ne va dalla classe senza dire una parola. Come niente fosse Marcus riprende la sua lezione, non mi prima di avermi lanciato un occhiata di traverso. La lezione prosegue nel gelo più totale e al suo termine Marcus lascia la classe senza neanche salutare. Io e le mie amiche ci alziamo silenziose e raggiungiamo Gonzalo agli armadietti.

«Comincia a darmi sui nervi con i suo sbalzi d’umore» afferma Gonzalo non appena lo avviciniamo.

«Deve essergli successo qualcosa, non si è mai comportato così» gli risponde Dana con tono conciliante.

«Non mi interessa cosa gli sia successo, ma non è possibile fare lezione con quel clima». Non posso fare a meno di concordare con lui, non capisco proprio cosa gli prenda. La scorsa settimana sembrava avercela con me, adesso il suo capo espiatorio è Gonzalo. Mi blocco nel bel mezzo del corridoio, ricordando la nostra discussione di venerdì. Nella quale mi accusava di flirtare con lui durante la sua lezione. Non so se essere più lusingata o più adirata, si comporta così perché è geloso! Passo le successive ore meditando sul da farsi, non posso raccontargli la verità, sono cose che riguardano solo Gonzalo. D’altro canto non posso nemmeno permettergli di fraintendere il nostro rapporto. Devo riuscire a trovare un modo per rassicurare Marcus senza tradire la fiducia del mo amico.

Alla pausa pranzo decido di parlare con le mie amiche, non abbiamo mai avuto segreti e non voglio cominciare proprio ora. Non è facile aprirmi con loro e mi incaglio più volte durante il racconto. Tralascio molte cose, dettagli che custodisco gelosamente e che voglio che restino solo miei e di Marcus. Ma racconta quanto basta da lasciarle senza parole. 

«Cosa?  » «Non ci posso credere, dimmi che siete andati a letto » Dana e Emily mi guardano con un misto di sorpresa e curiosità.

«No, non ci sono andata a  letto Emily. Non ancora almeno» rispondo arrossendo.

«Quindi intendi andarci?» mi chiede Dana guardandomi maliziosa.

«Non lo so… cioè vorrei, però è tutto così complicato. Non so come dovrei comportarmi.» ammetto con un sospiro.

« È normale che sia così, lui è il tuo professore e per di più tra di voi ci corrono più di dieci anni. Mettici pure che ha divorziato da poco e vive davanti a casa tua.  Nessuno si orienterebbe al posto tuo. Vivila così come viene» mi rincuora Dana. «E vacci a letto, comunque vada tra voi non poi perderti quest’occasione» mi strizza l’occhio Emily, strappandomi un sorriso. Il resto della pausa lo passiamo chiacchierando del più e del meno, mi conoscono  e sanno quando è  il momento di smetterla con le domande. 

Anche oggi mi aspetta la piscina vuota. Mi restano ancora una quindicina di giorni prima di dover prendere una decisione e non riesco a vedere la luce infondo al tunnel. Indosso il costume e mi siedo su bordo piscina, nelle cuffiette risuona Magic dei Coldplay, mi abbandono alla musica e cerco di allontanare i brutti pensieri.  Per molti questa potrebbe essere una bella canzone d’amore, ma fin dalla prima volta che l’ho ascoltata l’ho sempre associata al mare, al nuoto, alla sensazione di volare tra le onde. Così,  accompagnata dalla musica, allungo lentamente i piedi nell’acqua, un brivido mi percuote tutto il corpo. E resto immobile, le gambe tese e il respiro lento. Chiudo gli occhi e tiro via i piedi, come se mi fossi scottata. Tolgo le cuffiette e sento una lacrima rigarmi il viso. Poi un’altra e un’altra ancora, fino ad avere il  corpo scosso da singhiozzi. Piango, piango per tutto. Per le persone che non sono riuscita a salvare, per quelle che abbiamo tirato fuori morte. Piango per l’estate passata a fuggire, per le delusioni date a mio padre. Piango perché ho paura di non credere più nella magia, paura di non riuscire mai più a lasciarmi andare. Per la prima volta ho paura di non riuscire più a nuotare. Quando riesco a tornare in me mi alzo, do un ultimo sguardo alla piscina e lascio che i ricordi delle gare, degli allenamenti, delle ore passate in acqua vasca dopo vasca si facciano avanti. Resto ancora un po' li da sola,  buttare tutto fuori mi ha fatto bene, mi sento più leggera. Il percorso è ancora lungo ma per quanto il mare mi abbia tolto non posso dimenticare quanto mi ha dato in tutti questi anni. Quando eravamo solo io e il nuoto, quando tra una bracciata e un'altra riuscivo ad affrontare qualsiasi cosa.

«And if you were to ask me / After all that we've been through / Still believe in magic?/ Yes, I do» canticchio prima di tornare negli spogliatoi. Domani andrà meglio. Domani.

Una volta a casa controllo il cellulare, trovo un messaggio di Marcus che mi chiede di passare da lui dopo il lavoro. Anche se tutto ciò che vorrei è dormire accetto la sua proposta. Dopotutto voglio vederci chiaro sul suo comportamento.

Studio un po’, con scarsi risultati, prima di prepararmi per andare a lavoro.  Presto cominceranno i vari corsi e spero proprio di riuscire a fare tutto. Il lavoro non lo posso lasciare ma non posso neanche permettermi di rimanere indietro con lo studio.  Sopratutto se non riuscirò a fare progressi in piscina, senza la borsa di studio per lo sport dovrò contare solo sui miei voti accademici. Sono talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorgo dell'arrivo di mia madre.

«Tesoro, ti vedo stanca. Sicura di voler andare? Posso chiamare Tom e spiegargli che non te la senti» mi chiede mia madre scrutandomi con attenzione.

«Tranquilla, è stata solo una lunga giornata» mi sforzo di sorriderle. «Qualcosa non va con la scuola o con il tuo amico?» scuoto la testa. «No mamma, nessun problema. Dopo pranzo sono stata in piscina…e…» sbuffo «e niente, ho bagnato giusto un po’ i piedi ma…» mi madre si avvicina e mi abbraccia. Mi stringo a lei senza dire niente. «Oh piccolina mia, vedrai che supereremo anche questo. Già che stai cominciando ad aprirti sono passi da gigante.» la stringo ancora di più. «Adesso vado, non mi va di saltare il lavoro e non voglio preoccupare Tom e Susan»  le dico. Lei annuisce comprensiva e dopo avermi lasciato un bacio sulla testa scioglie l’abbraccio lasciandomi andare. «Ah mamma, ti dispiace se dopo il lavoro vado da Dana? » «Fai pure, ti farà bene distrarti un po’ oggi. Ma che non diventi un’abitudine uscire dopo cena durante la settimana». «Tranquilla è solo per oggi». Le dico, ma non ci crediamo nessuna delle due.

«Ecco qui la nostra bambina, Tom non credi che oggi sia ancora più carina del solito?»

«Fatti dare un’occhiata … sì direi proprio di sì, oggi sei decisamente più carina! »

Non posso fare a meno di sorridere entrando nel locale. Non c’è pensiero che non riescano a scacciare via con la loro dolcezza.

«Allora bambolina come è andato il rientro a scuola? Ti vedo un po’ sciupata.» chiede Susan scrutandomi dalla testa ai piedi. «La scuola va bene, sono solo un po’stanca, non ho dormito molto ieri notte» «Oh l’importante è che i brutti pensieri se ne siano andati, prima di andare via ricordami di darti un infuso di cinque fiori. Vedrai che con quello riuscirai ad addormentarti come un sasso» mi rispondere sorridente. 

«Ma lasciala stare, non ascoltare bambina e soprattutto non bere i suoi intrugli» si raccomanda Tom, alzandosi dalla cassa per avvicinarsi a noi.

«Ma che ne vuoi sapere tu, vecchio brontolone. Non starlo a sentire bambolina, che vuoi che ne sappia lui. In tanti ani che lo conosco non ha mai perso un’ora di sonno».

Continuano a battibeccare per tutta la serata, facendo divertire i clienti e personale. Prima di andare via Susan mi infila nella tasca il suo infuso e Tom mi strilla dietro di buttarlo al primo cassonetto. Sto ancora ridendo quando girato l’angolo noto un volto famigliare fissarmi dall’altra parte della strada. Che ci fa qui Marcus?

«Ei, che ci fai qui?» gli chiedo avvicinandomi. «Sono passato a prenderti, ho pensato che fossi stanca e non mi andava di farti prendere l’autobus. E prima che tu lo dica, mi fa piacere farlo e non è di nessun disturbo» «Allora grazie, accetto volentieri». Rispondo salendo in macchina. «Cos’è che ti faceva ridere così tanto?» mi chiede mettendo in moto. «Tom e Susan, i proprietari del locale» gli spiego raccontandogli il simpatico siparietto che hanno messo su durante la serata.

«Devo chiederti una cosa» comincia entrando in casa sua. Mi siedo sul divano e aspetto, so già dove vuole andare a parare. «Ho bisogno di sapere cosa c’è tra te e Gonzalo. Perché se tra di voi c’è qualcosa lo capirei, d’altronde ha la tua stessa età e con lui le cose sarebbero molto più facili e..» mi acciglio e lo interrompo. «Pensi davvero che se ci fosse qualcosa con Gonzalo mi sarei fatta baciare da te e sarei qui in questo momento?» gli chiedo tradendo una certa irritazione. «Tra me e lui non c’è e non ci sarà mai niente, la nostra e solo una gran bella amicizia. Devi credermi, non posso darti garanzie ma sappi che Gonzalo ed’io viaggiamo su pianeti opposti. Quindi puoi smetterla di comportarti da folle in classe e riprendere ad essere il professore di sempre». Non gli parlerò dell’omosessualità di Gonzalo, è una cosa che riguarda solo lui, e fra le altre cose non voglio stare con un altro Paul, non lo sopporterei. «Va bene. Hai ragione, ho fatto lo stronzo oggi in classe e non deve verificarsi mai più. Adesso ti prego vieni qui, è tutto il giorno che ti penso». Sorrido prima di buttarmi tra le sue braccia. 

I giorni trascorrono veloci e in un modo o nell’altro riesco a trovare un equilibrio fra scuola, lavoro, amici e Marcus. Un’altra settimana è volata via, siamo già al 25 settembre. Ho ancora cinque giorni prima di comunicare la mia scelta al coach. La sua “terapia d’urto” comincia a funzionare, nei giorni scorsi sono riuscita a scendere in acqua, restando sempre attaccata alla scaletta. Purtroppo però non riesco a starci più di qualche secondo senza rischiare di andare in iperventilazione. In mare, invece, non ho fatto progressi. A dirla tutta non ci ho neanche provato. 

Con Marcus procede tutto a gonfia vele, non vedo l’ora di frequentare anche quest’anno il suo corso di poesia, così da poterlo vedere qualche ora in più. Nonostante la nostra vicinanza non riusciamo a vederci molto spesso, o almeno non tanto come vorremmo. Non siamo ancora andati oltre qualche bacio e questo non fa altro che aumentare il mio desiderio. Mi ha chiesto di andare con lui nel week-end, i suoi genitori partono per qualche giorno e vorrebbe portarmi a casa sua per stare un po’ per conto nostro. Con Emily e Dana stiamo escogitando un piano per convincere i miei a lasciarmi andare. La scusa ufficiale è un ritiro alle terme. Dopo un tira e molla durato una settimana, finalmente i miei accettano e possono partire con Marcus.  

Venerdì sera ci mettiamo in macchina alla volta di Kennedy City. Sono emozionata all’idea di vedere il posto in cui è cresciuto, a quanto mi ha detto la sua casa si trova nella parte alta della città, una zona residenziale con tante villette a schiera circondate da prati all’inglese. Non appena arrivati mi fa fare un giro di esplorazione della casa, raccontandomi vari aneddoti. La casa è grande  e  luminosa, elegante e vissuta al tempo stesso, famigliare e accogliente. Ma la cosa più sorprendente è il giardino posteriore, circondato da grandi abeti che lo nascondo a occhi esterni, nel bel mezzo di fiori e piante varie si trova la piscina, illuminata da tanti piccoli faretti.

«Hai una casa bellissima» gli sorrido sinceramente ammirata, una volta terminato il giro. «Tu sei bellissima» mi risponde stringendomi a lui e baciandomi. «Senti ti dispiacerebbe arrangiare qualcosa per cena mentre salgo su a sistemare i bagagli?» chiede lasciandomi andare e salendo le scale senza aspettare una mia risposta. Resto interdetta per qualche secondo, per poi spostarmi in cucina. Un post-it sul frigo cattura la mia attenzione.

Marcus grazie per esserti offerto di badare alle nostre piante, in frigo trovi qualche pasto pronto per i prossimi giorni. Ti vogliamo bene, Mamma e Papà.

Senza pensarci due volte apro il frigo e tiro fuori uno dei contenitori colorati ordinatamente riposti sugli scaffali. Sto per  metterlo nel forno a microonde quando la voce di Marcus mi chiama dal piano di sopra. Seguendo la sua voce arrivo davanti alla porta della sua vecchia camera, la apro e resto a bocca aperta. Tante piccole candele sono sparse qua e la nella stanza, creando un romantico gioco di luci e ombre. Marcus è in piedi al centro della stanza con una mano tesa verso di me. Senza il minimo dubbio mi avvicino a lui. «Stavo pensando che non ho poi così tanta fame» ammicca. «Strano, d’improvviso anche a me è passato l’appetito» gli rispondo stando al gioco. «Beh, allora se siamo d’accordo direi di passare subito al dolce» e così dicendo mi bacia. Mi abbandono a lui completamente, lascio che le sue mani scivolino lente su di me, mentre mi spoglia delicatamente. «Sei bellissima » sussurra roco avvicinandomi al letto. Mi spinge delicatamente sul materasso ed’è subito su di me, a baciarmi, a toccarmi come se fossi la cosa più preziosa del mondo. Delicatamente faccio scivolare le mani sui lembi della sua maglietta. Non voglio che ci sia niente tra i nostri corpi. Capendo la mia esigenza si toglie il resto e torna su di me. Ci baciamo, ci tocchiamo. Nel silenzio della casa si sentono solo i nostri sospiri e i nostri gemiti. Nessuno dei due parla, ma ci guardiamo nella penombra e in quegli occhi lasciamo uscire tutto. Ed’è proprio guardandomi negli occhi che entra dentro di me, delicato. Ed’è così che ci amiamo, occhi negli occhi. Attimi che sanno di eterno. È stato tutto così intenso, così nuovo, così bello che una lacrima solitaria scivola via rotolando sul mio viso accaldato. Quando entrambi raggiungiamo il culmine, la petit mort, come dicono i francesi , restiamo occhi negli occhi. Entrambi sorridenti , stanchi ma felici.

Ci coccoliamo, ridiamo come due bambini la notte di Natale. Ci tocchiamo, ci baciamo mai stanchi l’uno dell’altra e danziamo ancora il ballo dell’amore fino a sfinirci. Fino a consumarci, tanto da cadere addormentati. La notte più bella della mia vita, non avrei mai pensato di poter provare certe cose.  È stato tutto così magico che svegliandomi ho temuto fosse stato solo un sogno, ma il suo braccio stretto sotto il mio seno, il suo fiato sul mio collo e le nostre gambe annodate insieme mi rassicurano.  «Buongiorno » sbiascica stanco. «Buongiorno a te» sorrido, ancora intorpidita, un sogno non sarebbe mai potuto essere più perfetto.

Ci siamo svegliati tardi, così dopo esserci lavati andiamo a mangiare fuori, in un localino appena fuori  città. Rientriamo a casa nel tardo pomeriggio. «Che ne dici di un tuffo in piscina?» mi chiede d’un tratto lasciandomi confusa. Mi sono sempre rifiutata di affrontare l’argomento in queste settimane, ma so benissimo che il coach gli racconta tutti i miei mezzi progressi, saprà quindi  che non vado più lontano della scaletta e che non appena sento l’acqua arrivarmi al collo mi sento mancare.  «A me non va, però se vuoi fai pure» rispondo, non senza tradire un certo biasimo. «Peccato, perché avevo una mezza idea per aiutarti a superare la tua paura» sbuffo scocciata, possibile che non capisca? «Non ho bisogno del tuo aiuto, sto già facendo dei progressi da sola » «Calma, non mettere il muso ora. Ho solo pensato che dato che tu associ l’acqua a un evento negativo se avessi la possibilità di sostituirlo con uno positivo magari i progressi sarebbero più rapidi» «Sentiamo, quale sarebbe l’idea geniale?» chiedo scocciata. «Fidati di me, e prima che tu lo dica, non serve il costume. La piscina è completamente al sicuro da occhi estranei e possiamo fare il bagno in intimo. O anche nudi se lo preferisci».  Non so se è stato il suo fidati di me, o il suo sorriso malizioso ma mi ritrovo a bordo piscina con le gambe a penzolone  a guardarlo nuotare, con i muscoli che si contraggono a ogni bracciata. «Allora ti va di entrare, ci sono io qui con te» dice raggiungendomi e allungando le braccia verso di me. Lo guardo ancora titubante, mi perdo nei suo occhi e mi lascio trascinare giù con lui. Allaccio le mie braccia intorno al suo collo e resto tesa. «Rilassati » sussurra, accompagnando le sue parole con un bacio a fior di labbra. Ci appoggiamo alla scaletta e approfondisce il suo bacio mentre con un braccio tiene la scaletta e con l’altra mano sfiora la mia intimità. In un vortice di eccitazione ed’emozione mi ritrovo a far l’amore con lui. I nostri corpi accompagnati dall’acqua si uniscono, si cercano, si stringono. Al culmine del nostro amore mi sussurra roco «Non potrai più entrare in una piscina senza pensare a me».

Non so ancora dire bene come, cosa sia scattato in me in quel momento , fatto sta che mi sono ritrovata a nuotare al suo fianco. Ci siamo schizzati, ci siamo rincorsi, abbiamo giocato. Siamo usciti stanchi e infreddoliti ma ancora sorridenti. «Dottor Freud, a  quanto pare aveva ragione» dico accoccolandomi vicino a lui sul divano. «Quando vuole un’altra seduta non ha che da dirlo». Qui tra le seu braccia tutto mi sembra così lontano, così piccolo. Con lui al mio fianco sento di poter affrontare qualsiasi cosa. So bene che è presto, che non dovrei essere già a questo punto ma non riesco a frenare questo amore che cresce ogni giorno, ogni attimo di più.

Note:  Eccoci giunti a un nuovo capitolo. Voglio ringraziarvi per essere ancora qui con Marcus e Rebecca. Non sono molto convinta di questo capitolo e non eslcudo una futura revisione. Ci tenevo però a farvelo leggere per non far passare troppo tempo dal capitolo precende. Avere una vostra opinione su qeusto capitolo mi farebbe molto piacere e potrebbe aiutarmi per un eventuale revisione- Vi mando un bacio e vi aspetto mercoledì prossimo con un altro capitolo! 

Emanuela

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