Fare una scelta

di DeniseCecilia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aspettative ***
Capitolo 2: *** Ammissioni ***
Capitolo 3: *** Futuro ***
Capitolo 4: *** Penombra ***
Capitolo 5: *** Insieme ***
Capitolo 6: *** Scomparsa ***
Capitolo 7: *** Di più ***
Capitolo 8: *** Sì ***
Capitolo 9: *** Correndo ***
Capitolo 10: *** Torta ***
Capitolo 11: *** Alieni ***
Capitolo 12: *** Spazzolino ***
Capitolo 13: *** Confronti ***
Capitolo 14: *** Vita ***
Capitolo 15: *** Fantasmi ***
Capitolo 16: *** Famiglia ***
Capitolo 17: *** Fenici ***
Capitolo 18: *** Ferite ***
Capitolo 19: *** Deriva ***
Capitolo 20: *** Connessioni ***
Capitolo 21: *** Stella ***
Capitolo 22: *** Tracce ***



Capitolo 1
*** Aspettative ***


Buongiorno a tutti!
Da quando ho visto (e poi rivisto una seconda volta) Zootropolis al cinema, mi sono innamorata, e il desiderio di scrivere una (due, tre, dieci...) fanfic per questo fandom mi è esploso dentro come i botti del capodanno cinese.
Tra immaginare e scrivere, però, c'è un abisso; così ho deciso di pubblicare una prima storia, molto semplice, di quattro-cinque capitoli per vedere se effettivamente sono ancora in grado di produrre qualcosa di sensato.
Lo faccio per puro divertimento, per piacere, e nient'altro: sarò ovviamente felice, e molto, se chi leggerà vorrà lasciare un commento, anche critico. Ma so che talvolta recensire non è facile come sembrerebbe, e ringrazio in ogni caso chi passerà per queste pagine e apprezzerà in silenzio.

Zootropolis appartiene alla Disney, ecc. ecc.
Lunga vita alla Disney :)


I. Aspettative

Per Judy era stata una lunga giornata, a conclusione di un ancor più lungo fine settimana. Tornava in visita a Bunnyburrow solo in un paio di occasioni ogni mese, perché una volta adempiuti i suoi compiti di polizia ed esaurite le commissioni quotidiane – cose prosaiche come la spesa, le pulizie di casa, oltreché nutrirsi e lavarsi e dormire – le avanzava giusto un poco di tempo libero, e quello sentiva il bisogno di spenderlo quasi interamente con Nick, per lo più gironzolando per la città e dandosi il cambio al “comando”: lei scovava sempre qualche evento che le sembrava imperdibile, lui tendeva invece a vagare senza una meta precisa. Zootropolis aveva molto da offrire, non solo per chi cercava opportunità lavorative e di crescita, ma anche per chi amava semplicemente godere delle sue bellezze naturali e non.
Anche adesso, attraversando in treno la zona di Tundratown, non poté fare a meno di rimanere affascinata osservando quella che apparentemente non era altro che una vasta distesa di ghiaccio tutta uguale a se stessa. Oltrepassati i pochi negozi del centro, due terzi dei quali erano pescherie, si veniva letteralmente inghiottiti dal bianco, dall'azzurro e dal silenzio. Era terribile e a molti ispirava solitudine, ma Judy, dopo un momento di panico durante il quale si chiese cosa sarebbe successo se il treno avesse avuto un guasto proprio lì in mezzo a quel nulla, si lasciò andare alla malìa e immaginò come sarebbe stato magnifico poter pattinare immersi in quello sfavillante scintillìo che le numerose piste artificiali, anche se comode e moderne, non avevano.
Ecco. Ecco cosa avrebbe potuto proporre a Nick... beh, la settimana successiva presumeva, certo non questa sera, perché la visita a casa dei genitori e poi il viaggio l'avevano davvero sfinita. Era stata una lunga, e pesante, visita. Solitamente la famiglia, numerosi fratelli e sorelle compresi, ascoltava volentieri e solo con un pizzico di apprensione i suoi resoconti – le sue storie bisognerebbe dire, perché le adattava e le addolciva un po' secondo il caso – di inseguimenti, arresti, indagini e, naturalmente, vicoli ciechi incontrati durante il lavoro. Ma a questo giro, inaspettate, le erano piovute addosso le richieste non troppo velate, talvolta erano quasi suppliche, di Stu e Bonnie Hopps che la volevano... insomma, la rivolevano indietro. Una cosa mai sentita. Dopo qualcosa come un anno e mezzo nella ZPD, e senza che si ripresentassero casi pericolosi e più grandi di lei come quello degli Ululatori Notturni, ora scopriva che i suoi genitori – e non soltanto loro – credevano ancora possibile che lei tornasse sui suoi passi.

 

“Tesoro, Judy, dimmi un po': hai mai pensato di accasarti?”.
Era cominciata così, con questa bizzarra domanda, che a tutta prima la coniglietta non aveva neppure ben inteso: stavano pranzando con alcuni amici di famiglia e persino un paio di fornitori della fattoria, parlavano dell'ultimo raccolto di carote – una noia mortale, per inciso – e...
… “Judy? Tesoro? Mi hai sentito? Mi chiedevo se tornando qui ogni tanto, sai, avessi notato un coniglio che ti interessa. Che ti piace, insomma. Uno con cui potresti pensare di sistemarti, sai”. Stu Hopps non aveva il dono dell'eloquenza, e men che meno quello del tempismo.
“Ci pensavo perché, ecco... Howie, qui, mi raccontava prima di metterci a tavola che il suo maggiore, Harry, è, beh, maturo al punto giusto e stava...” il padre venne opportunamente interrotto da Bonnie la quale, con un sospiro, terminò per lui così la frase: “Papà vuole dire che Harry si sta guardando intorno, cara. Entrambi pensiamo che potresti rifletterci su, anche se devo ammettere che forse non era questo il momento ideale per introdurre l'argomento”, concluse con un'occhiata al marito, un'occhiata di lieve e condiscendente rimprovero, quella che riservava ai suoi figli più piccoli e inconsapevoli.
Le si mozzò il fiato in gola e stava quasi per fare una tragica e ingloriosa fine, strozzandosi con l'insalata, ma si riprese giusto in tempo. Deglutì, inspirò profondamente e disse soltanto: “Mamma. Papà”. Non era nemmeno un'esclamazione scandalizzata: non ne aveva la forza.
“Te l'ho detto, cara. Riflettici su, e ne parliamo in un altro momento. Più tardi, va bene?”, aggiunse con un sorrisetto diretto ad Howie, il commerciante di sementi che conoscevano da una vita, che lei considerava quasi uno zio... e che da ora non avrebbe più avuto il coraggio di guardare in faccia.
Per la prima volta in quei due giorni a Bunnyburrow si era trovata a pensare a Nick. L'aveva pensato già diverse volte, in realtà, ma questa era la prima davvero seria. Aveva chiuso i grandi occhi nascondendo le iridi viola, e la sua irritazione e lo sgomento, e visualizzato la volpe sua collega così intensamente da farsi quasi venire un'emicrania: proprio come aveva fatto quando, guidando come una forsennata verso la città nel furgoncino blu di famiglia, era andata a cercarlo dopo settimane sconsolate trascorse vendendo verdure al banco, disperando che lui avrebbe accettato di parlarle ancora, e aiutarla a risolvere quel gran casino che aveva combinato.
Cosa avrebbe fatto Nick in una situazione come quella? O meglio cosa avrebbe detto? Le occorreva disperatamente la sua lingua affilata, una delle sue battute sagaci, ma non arrivò nulla. Alla fine, non seppe cosa replicare, i secondi passarono e si sa: una replica degna di tale nome deve giungere immediata. Coniglietta ottusa, si disse tra sé.
Il pranzo era proseguito e terminato nella completa indifferenza, o per lo meno inconsapevolezza di tutti per la tempesta interiore che la attraversava.
 

Judy era rimasta pressoché muta per l'intero pomeriggio, ma la madre no.
Mentre la aiutava a raccogliere le lenzuola lavate, a piegarle e stirarle, Bonnie non mancò di riprendere l'ameno discorso, e senza curarsi di verificare se almeno alla figlia interessasse sommerse Judy di consigli non richiesti, impressioni personali sui single papabili – aveva usato quel termine solo dopo aver visto la figlia inorridire per averle sentito pronunciare scapoli –, di racconti dettagliati dei recenti matrimoni di certi loro conoscenti e via dicendo.
La cosa non aveva colto Judy di sorpresa, ma di certo l'aveva abbattuta ancora di più: nonostante la sua vocazione fosse un'altra, amava tornare dalla madre, aiutarla nelle faccende di casa e approfittare di quel tempo passato insieme per scambiarsi confidenze. Bonnie non era una madre con cui non si potesse discutere: ansiosa, come quasi tutte le madri, eppure al tempo stesso comprensiva. Ma questo desiderio improvviso di vederla sistemata, che termine terribile, da parte di entrambi stava sciupando quel bel momento di intimità che a ogni visita condividevano.
“No”. Judy non aveva nemmeno pensato quel monosillabo, o non se ne era resa conto, le era uscito di bocca e basta. “No, mamma. Non sono interessata”, aggiunse poi, stavolta ponderando le poche parole che in qualche modo doveva pur piazzare, per tentare di chiudere presto e senza troppi danni quella faccenda. Aveva evitato di guardare la madre in volto, sapeva che quello che vi avrebbe trovato l'avrebbe inevitabilmente o addolorata o irritata ancor di più. “Scusami, ti spiace proseguire da sola? Ho bisogno di bere qualcosa”. Detto questo, posò il ferro da stiro gemello di quello che la madre teneva sollevato, immobile, e uscì dalla stanza.
 

Mentre sorbiva, lenta, il suo solito succo di carote all'ombra di un ippocastano piantato decine di anni prima dietro casa – prima che lei nascesse: l'idea le dava sempre una bella sensazione –, il pensiero le tornò di nuovo a Nick.
Di nuovo, trovò che lui non sarebbe scappato da un confronto difficile. Magari non l'avrebbe vinto, ma avrebbe sicuramente anche fatto in modo di non mostrare la sua debolezza, non in modo così plateale... fece per alzarsi e tornare da sua madre, ma il suo cellulare mandò un bip ripetuto. Controllò la schermata: era Nick... un messaggio.
Carotina, mi manchi. Come sai sono anch'io fuori servizio, e non ho nessuno da prendere in giro e stuzzicare. Abbi pietà di una povera volpe: divertiti a casa ma... torna presto.
Il cuore di Judy mancò un battito. Nick era un amico, ma non uno tra i tanti – e lei ne poteva vantare parecchi, dopotutto: era la norma per la sua specie. A dirla tutta, anzi, gli si era affezionata così profondamente in così breve tempo da rimanerne stupita: era una coniglia socievole, certo, disponibile (le sembrava di sentire la voce melliflua di lui: troppo socievole, Carotina. Troppo.), ma in questo caso era andata così oltre che l'amicizia era diventata una specie di... bisogno. Parola impegnativa, ma quanto mai esatta.
Bip bip bip. La suoneria le segnalò l'arrivo di un altro messaggio, così non fece in tempo a portare a termine il suo ragionamento. Cliccò sul tasto Leggi e... ancora Nick.
Con un bastimento carico di mirtilli. Ho bisogno di mirtilli. Muoio, senza.
Judy sorrise. Così era lui. Provocava, si avvicinava pericolosamente a farla sciogliere di soddisfazione, e poi metteva tutto sul piano dello scherzo. A volte giocava per davvero, altre schermava il suo attaccamento verso di lei con l'ironia. Sapeva che era il suo modo per difendersi. Ed era perfetto, a ben pensarci: lei gli andava incontro, anche fisicamente, col suo entusiasmo; lui raramente si sbilanciava in pubblico, ma era sempre pronto ad accoglierla.
Decise di chiarire prima le cose con sua madre, poi forse anziché rispondere con un messaggio avrebbe potuto anche chiamarlo. Si alzò e tornò verso il basso e largo edificio rustico, ben disposta e più serena ora che qualcuno le aveva ricordato dove, e qual era la sua vita.
Ma a quel punto Bonnie aveva finito i suoi lavori domestici ed era sparita.

 

Judy zittì il suo mPod con un leggero tocco della zampa, riaprì gli occhi e guardò oltre il vetro della cabina di testa del treno. La stessa in cui aveva viaggiato, fuori di sé dalla gioia, quando aveva ricevuto notizia della sua ammissione in Accademia.
Le cose, il pomeriggio precedente cioè sabato, non erano andate come sperava. Non solo non aveva trovato la madre – avrebbe scoperto più tardi che era andata a consultarsi con Harry, suggerendogli di parlare a quattr'occhi con lei: e a quello davvero non era preparata! –, il peggio era che tutto era avvenuto a sua insaputa, e la situazione era rapidamente degenerata senza che lei potesse intervenire.
Si era ritrovata con un appuntamento al buio (poiché questo benedetto Harry lo ricordava a malapena dai tempi della scuola: non era nemmeno nella sua stessa classe), fissato senza il suo consenso per la sera stessa.
La sorpresa e l'irritazione l'avevano impegnata in una discussione accesa con i suoi genitori, ma era troppo onesta per farne pagare lo scotto ad un estraneo, che magari proprio come lei era infastidito da queste attenzioni; così aveva dovuto suo malgrado acconsentire a incontrarlo (ma mentre pronunciava uno stringato Ci vado. Voi però non prendete altre iniziative le sembrò di sentire nella testa la voce canzonatoria di Nick: troppo onesta, Carotina. Troppo, persino per una poliziotta integerrima come te.)
Fu soltanto allora che si rese conto di non avergli più risposto, né telefonato come era stata sua intenzione.

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Capitolo 2
*** Ammissioni ***


II. Ammissioni

Non aveva risposto. Erano passate ore, e la sua Carotina non si era fatta sentire. Era davvero annoiato: non che gli mancassero le idee per passare il tempo – era stato in diversi bar, aveva incontrato Finnick ed era stato così bravo da evitare qualsiasi conflitto di interessi tra il suo vecchio compare ed il suo nuovo lavoro, aveva persino terminato di scrivere al portatile il rapporto sull'ultimo caso che lui e Judy avevano avuto in carico, e che avrebbe consegnato il successivo lunedì – ma da mesi ormai era abituato ad avere quest'ultima sempre attorno.
Alla guida dell'auto di pattuglia. Di fianco a lui sulla sedia della sala riunioni, che occupavano in due considerata la loro taglia, piccola in confronto alla stazza della gran parte dei mammiferi che militavano nelle forze dell'ordine. Di fronte a lui al tavolo delle decine di tavole calde e pub e locali di vario genere in cui si fermavano per la colazione, il pranzo, qualche volta uno spuntino di mezzanotte all'uscita dal cinema, specie ora che la bella stagione era iniziata...
… insomma, gli mancava. Era solo, a casa sua – quella in cui aveva vissuto con sua madre fino ai sedici anni, cioè vent'anni prima, cioè una vita fa; e che era tornato ad occupare una volta ricevuto il distintivo –, era solo e poteva anche ammetterlo a se stesso.
Ciò che non avrebbe dovuto, o comunque voluto fare era ammetterlo a lei, con un messaggio che gli era sconsideratamente sfuggito dalle zampe prima che potesse impedirsi di digitarlo.
Carotina, mi manchi. Come sai sono anch'io fuori servizio, e non ho nessuno da prendere in giro e stuzzicare. Abbi pietà di una povera volpe: divertiti a casa ma... torna presto.
Ma come gli era venuta fuori tutta quella mielosità? Da dove arrivava l'urgenza di farle sapere che non vedeva l'ora che tornasse? Comunque fosse, ormai era successo, l'aveva inviato. Aveva parzialmente rimediato reclamando una scorta di quei mirtilli favolosi che la sua famiglia produceva, volendo lasciar intendere che fosse soltanto per quelli che smaniava. Ma rileggendosi, aveva capito di essersi esposto e sbilanciato quanto bastava per non darla a bere a nessuno, figuriamoci alla sua partner.
Pazienza.
Se solo Judy gli avesse risposto.

 

Ormai era troppo tardi. In tutta la frenesia che l'aveva assalita da quando aveva accettato a malincuore di cenare con “Harry, figlio di Howie” (continuava a ripeterselo come se questo glielo rendesse più familiare), non aveva avuto un solo minuto per fermarsi a raccogliere le idee. E non voleva rispondere a Nick una cosa qualsiasi, in fretta e furia.
Se solo l'avessero lasciata respirare!
Invece sua madre e un'amica di lei, reclutata per l'occasione, l'avevano subito circondata e, nell'ordine: guidata nella scelta di un vestito adatto, truccata (un filo di matita sul contorno occhi: non avevano potuto far di più, a rischio di farsi aggredire), le avevano acconciato il pelo e riversato addosso un diluvio di raccomandazioni.
Sospirando rassegnata, intorno alle otto di quel sabato sera aveva infilato la porta per raggiungere a piedi un ristorantino poco distante – si era fermamente rifiutata di farsi venire a prendere in auto. Non prima, però, di aver riempito e nascosto dietro l'albero sotto il quale si era fermata quel pomeriggio una borsa con dentro dei vestiti, carini ma semplici, di ricambio. Una volta levato l'abito, una specie di tubino nero nel quale si vergognava di mostrarsi anche solo in casa, e indossati dei jeans scuri e una camicetta di seta viola si sentì meglio. Ci pensò su un attimo, poi scelse di tenere la matita sugli occhi: in fondo, anche se non lo considerava un appuntamento romantico, nulla le vietava di curare il suo aspetto, ogni tanto.

 

Nick aveva consumato una rapida cena a base di pollo e patatine fritte, ordinate a domicilio. Infognato nel divano davanti alla televisione, aveva continuato a rigirarsi ed agitarsi cercando di seguire una partita di baseball, ma ad ogni inizio di ripresa scopriva di non sapere affatto cosa stava succedendo, né di conoscere il punteggio: seguiva i movimenti dei giocatori, sì, ma con la mente vagava altrove, non sapendo bene dove.
Dopo un paio d'ore si era assopito e non aveva sentito, di conseguenza, il suo telefono squillare.

 

Judy approfittò di una pausa alla toilette, tra la portata principale ed il dolce, per recuperare il testo del primo messaggio ricevuto da Nick alcune ore addietro e fargli sapere quanto anche lui le mancava. In particolare in quel frangente, con un coniglio semi-sconosciuto fin troppo contento di poterle offrire una cena a lume di candela (una grossa candela bianca ritorta e coperta di pailettes argentate al centro del tavolo loro riservato, un tantino kitsch a ben vedere, già accesa al loro arrivo: un'altra cortesia fuori luogo e non richiesta, l'ennesima quel giorno).
Estrasse il suo mPhone dai jeans e meditò un lungo secondo, poi tamburellò veloce sui tasti: Perdona il ritardo. Sono stata presa in ostaggio da un soggetto noiosissimo, e non so come liberarmene. Se ne esco viva, appena ci vediamo ti prometto mirtilli come se piovessero. Anche tu mi manchi. Un abbraccio e una lisciata alla coda, J. Soddisfatta, tornò al tavolo dove un coniglio ariete, dal pelo bianco e nero, la stava aspettando.
“Eccomi”, proferì con un'ombra di sorriso, ma non seppe cos'altro aggiungere. Non aveva proprio niente da dire: aveva dovuto spiegargli ogni cosa, tutto ciò che per lei contava e ormai dava per scontato: perché Zootropolis, perché la polizia, perché non aveva tempo per una relazione. Era stato come una corsa a ostacoli: a ogni passo temeva che Harry le contestasse le sue scelte – d'altra parte, non era forse lì per attirarla in una vita diversa, di nuovo a Bunnyburrow, a lavorare nel commercio o, peggio, non lavorare affatto? Lui era stato corretto, doveva ammetterlo: non aveva mai mostrato incredulità o disprezzo. Era però altrettanto chiaro che non attribuiva a quel che lei aveva costruito lo stesso valore: come l'aveva fatto, poteva anche disfarlo, credeva. E sì, era interessato a lei abbastanza da mettersi a ridere del fatto che le loro madri avevano organizzato quell'incontro scavalcandoli.
“Andiamo, l'importante è il risultato, no? Io, ti dirò, sono molto contento di trovarmi qui con te. Molto. Mi capisci?” disse mentre le prendeva la zampa destra, che aveva incautamente posato sul tavolo, fra le sue. “Il momento di trovare un compagno e riprodursi arriva per tutti”. Si riferiva naturalmente alle abitudini della loro specie, delle quali parlando fra loro i conigli provavano ben poco imbarazzo. “Ovviamente, se io non ti piaccio non farò nulla per insistere. I nostri genitori dovranno rassegnarsi”, continuò. “Però lo sai anche tu, che devi fare una scelta”.
Judy si agitò a quelle parole, e si contorse fino a lasciare la stretta attorno alla zampa. Era consapevole che quel pensiero occupava la mente della quasi totalità dei suoi coetanei: a una certa età, ci si sposa. L'assunto era quello, e lei non l'aveva mai trovato troppo strano fino a che la cosa non l'aveva coinvolta in prima persona. La “certa età”, purtroppo, l'aveva raggiunta abbondantemente. Ventisette anni: se fosse stata astuta come una volpe di sua conoscenza, avrebbe certamente visto arrivare in anticipo tutto questo impegno per sistemarla, e avrebbe almeno potuto escogitare un piano per... beh, farsi gli affari suoi.
“La mia scelta, Harry, per ora è di continuare la mia vita così com'è”, rispose allora, per non lasciare impunita quell'affermazione che le suonava troppo drastica. Poi si addolcì. “Credimi, mi lusinga il tuo interessamento. E voglio molto bene ai miei, so che fanno tutto questo con le migliori intenzioni. Ma temo di doverli deludere, ancora per un po'. E di dover declinare un altro invito da parte tua... anche se volessi, non saprei proprio come potremmo frequentarci, dal momento che io vivo in città e tu qui”. Pensò bene di ribadirlo. Capitava spesso che essere comprensiva le attirasse ancora maggiori attenzioni, anziché chiarire il punto.
“In più”, proseguì d'istinto, “sono così presa dal lavoro che forse soltanto una relazione con un collega reggerebbe”. Cosa! Non l'aveva realmente pensato... o sì? Si trattenne a malapena dal portarsi una zampa alla bocca. Era un'idea sensata, non fosse stato per il fatto che nel suo Distretto era, al momento, l'unico coniglio in servizio.
“Ah. Capisco”, fece Harry. “Non ti preoccupare. Ma... scusa... avevo capito che tu fossi l'unico coniglio in forza a Zootropolis”. Pareva perplesso, le folte sopracciglia aggrottate. Appunto, pensò lei.
Poteva Judy fingere? No, non poteva: era una coniglietta onesta, dopotutto. E tanto, tanto ottusa. Accidenti.
“Ecco, sì – effettivamente è così. Ma che ti posso dire? Il nostro è un lavoro che ti assorbe totalmente: non posso escludere che, quando farò la mia scelta come hai ricordato prima, questa cadrà su un collega. Non importa se non sarà un coniglio”. Fece una pausa, non era ancora paga della sua riposta. Lo guardò decisa negli occhi neri, prima di concludere, la frase e con essa la loro cena. “A me, non importa. E tanto basta”.

 

Era l'una di notte passata quando Nick si svegliò davanti alla televisione ancora accesa che trasmetteva un vecchio film in bianco e nero.
Si stirò, rilasciò uno sbadiglio e sussurrò una leggera imprecazione.
Poi sentì un cinguettìo musicale. Si guardò attorno un po' intontito finché non si accorse che FurrsApp gli stava annunciando, ininterrottamente da tre ore, la ricezione di un nuovo messaggio. Toccò col dito lo schermo e lesse curioso e improvvisamente molto, molto sveglio: Perdona il ritardo. Sono stata presa in ostaggio da un soggetto noiosissimo, e non so come liberarmene. Se ne esco viva, appena ci vediamo ti prometto mirtilli come se piovessero. Anche tu mi manchi. Un abbraccio e una lisciata alla coda, J. Judy. Aveva risposto. Nick sentì le fauci secche, si alzò per versarsi un bicchiere d'acqua e decise che le avrebbe nuovamente scritto l'indomani; ora avrebbe rischiato di disturbarla, se già dormiva. Probabile: era un animale prevalentemente diurno.
Rilesse il messaggio, sorrise e spense il cellulare.
Si annotò di pretendere, al ritorno della sua partner, una lisciata di coda vera, non virtuale.
Ora poteva finalmente andare a dormire, tranquillo.

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Capitolo 3
*** Futuro ***


Eccomi di nuovo qui: questo terzo capitolo è ancora di transizione, ma necessario perché quando i nostri due adorati si incontreranno i giochi siano fatti, e debbano soltanto riconoscere quello che hanno dentro. Così ho pensato la storia, e spero che troverete questo sviluppo di vostro gradimento.
Dal prossimo giro le cose si fanno interessanti, perciò se è il fluff che desiderate, please stay tuned XD

Due noticine sul secondo capitolo:
- ho scritto che Judy ha ventisette anni, anche se leggo altrove che molti gliene attribuiscono ventriquattro. Vedendo il film avevo fatto un rapido calcolo in base alle affermazioni dei pg, ma potrei benissimo essermi sbagliata. In entrambi i casi, Judy vive e lotta con noi e se ne frega di un'eventuale piccola differenza;
- nel film volatili, pesci e gli animali da cortile o da compagnia che noi siamo usi mangiare / avere in casa non sono rappresentati. Mi sono permessa perciò di far mangiare a Nick del pollo, perché accidenti, anche se io aspiro a diventare vegetariana e tutti i mammiferi di Zootropolis di fatto hanno caratteristiche tanto umane quanto animali, io una volpe che mangia insalata non riesco a figurarmela. Mirtilli sì, insalata e carote no. So, take it as it is.

 



III. Futuro

“Come sarebbe a dire che non importa se non sarà un coniglio?!”.
La domanda – l'urlo – di Stu e Bonnie Hopps, all'unisono, era riecheggiato per l'arcata della piccola casa ai confini di Bunnyburrow e, ai sensi di Judy, era sembrato espandersi per tutto l'entroterra rurale che si estendeva per chilometri e chilometri attorno.
Era evidente che i suoi genitori... dovevano elaborare l'idea. Lasciò che si sfogassero, prima di cercare di spiegare – poi, avrebbe anche provveduto a farsi sentire con Harry. In una circostanza come quella, ogni parola era una bomba, specialmente in una comunità come la loro, in cui era difficile tener nascosto al pubblico persino il colore della propria biancheria intima. Era risentita, ma sapeva che non poteva prendersela troppo: ancora una volta, lui aveva fatto quello che qualunque altro coniglio avrebbe fatto; si era confidato con la famiglia. E sicuramente non aveva riportato le sue parole per malizia.
“Stamattina ho chiamato la moglie di Howie per informarmi sulla serata”, spiegò sua madre, confermando i sospetti di Judy. “Non ho chiesto dettagli, tesoro, ma visto che tu a colazione ti sei limitata a dei e no, volevo vederci chiaro”, proseguì, causando un sospiro esasperato della coniglietta, che alzò anche le braccia e gli occhi al cielo.
“Non fa nulla, mamma. Immaginavo che l'avresti fatto. Tanto non è questo il punto”.
“E allora qual è, il punto, Judy?”, interloquì per la prima volta Stu Hopps.
Dal corridoio che dava sul salotto dove si trovavano giunse un sottile squittìo, un trillo acuto che poteva appartenere soltanto a uno dei suoi numerosi fratelli e sorelle più piccoli. Judy si voltò e ne vide almeno una decina arrampicati uno sull'altra, così intenti ad ascoltare da non emettere, insolitamente, nemmeno un suono – ad eccezione di quello che aveva attirato la sua attenzione. Sorrise e fece un veloce cenno con la testa, come a dire E' tutto a posto. Non stiamo litigando.
“Il punto è”, riprese quindi “che non ho parlato di questo ad Harry per un motivo preciso. Voglio dire, non ho una relazione con un collega, se è questo che vi preoccupa”. Bonnie fece per intervenire, ma Judy fu più svelta. “Aspetta, mamma, lasciami finire. Altrimenti non riusciremo a capirci... e io ci tengo, che ci si intenda bene su questo. Posso fare scelte differenti dalle vostre, a volte, come quella di entrare in polizia, ma non c'è bisogno di dirvi quanto tengo alla vostra approvazione”. Fece una pausa per essere certa che la seguissero. La seguivano: sembravano essersi calmati un po', si erano infine seduti e la guardavano con le zampe in grembo. Allora proseguì: “Come ho detto, non ho una relazione con un collega. Ma, voglio che sia chiaro, questa possibilità esiste. Ci ho riflettuto proprio stanotte: dopo aver cenato con Harry e avergli, diciamo, esposto questa ipotesi, mi sono resa conto che il pensiero non mi era nato dal nulla. Credo di... averci... lavorato su, inconsciamente, negli ultimi tempi. Lo so, ad alcuni, abituati ad altri ritmi” – disse questo con una punta di sarcasmo nella voce – “io posso sembrare del tutto disinteressata ad avere una famiglia. Ma non è così, mamma. E' solo che... tutto questo, ciò che voi desiderate per me, una relazione stabile e una famiglia... non sono cose facili da ottenere. Non per me, almeno, perché, lo sapete, la mia vita è fatta più di eccezioni che di regole”.
Si rese conto solo in quel momento di quanto efficacemente quello che aveva detto riassumeva le cose. Era vero: lei era una persona che viveva più di particolarità, di casi speciali, di eccezioni appunto, che di normalità. Certo, era ed era sempre stata una brava ragazza, una che amava seguire le regole... ma era anche la prima a contestarle, quando trovava che non rendessero giustizia a qualcuno, o a qualcosa.
Si aspettava la replica di sua madre. “Capisco cosa vuoi dire, Judy. So che non possiamo strapparti alla tua vita, quella che hai voluto sin da piccola e che hai faticato tanto per costruirti. Anche se, non smetterò mai di dirtelo, se le cose dovessero andare male sai che noi siamo qui, e saremmo più tranquilli a saperti al sicuro a Bunnyburrow che in una grande città... scusami, non voglio tornare su questo discorso. So tutto, Judy, io capisco anche se devi perdonarmi, non riesco proprio a rinunciare definitivamente alla speranza che tu torni ad abitare qui, vicino a noi”, disse guardandosi attorno. La sua voce si era abbassata di un tono, ed era piena di tenerezza. “Non posso nemmeno dirti che l'idea di una relazione interspecie mi piaccia particolarmente, non ti mentirò su questo. Ma forse non è il caso di approfondire oltre questo discorso adesso. Siamo tutti molto coinvolti. C'è una cosa, però, che devo assolutamente farti notare, come madre”, aggiunse, fermandosi per scambiare uno sguardo col marito.
Stu Hopps si alzò dalla poltrona, si avvicinò con calma al corridoio e chinandosi cominciò a raccogliere alcuni dei suoi figli più piccoli, accompagnandoli verso le loro camere. Erano circa le cinque di una ventosa domenica pomeriggio, faceva ancora discretamente freddo in quel maggio appena iniziato, e i bambini non erano stati lasciati uscire.
“Venite, vi racconto un paio di storie prima di cena, d'accordo?”, suggerì il capofamiglia.
Subito si udì un coro di vocine entusiaste che ruppero il lungo silenzio.
“Sì! Papà, ti prego!”, diceva una. E l'altra: “Perché un paio, perché due e non tre?”; e via su questa linea.
Judy non potè trattenere una risata squillante a quella vista. Ma durò poco, perché una volta che Stu si fu allontanato con i piccoli Bonnie riprese a parlare, e fu breve, dolce nel tono, ma quel che aveva da dire colpì duramente la figlia.
“Judy. Ci sarebbe molto da dire, ma non adesso. Vorrei ricordassi, e ricordassi molto bene, solo due cose”, disse la coniglia più matura alzandosi e andandole incontro, mentre anche Judy si alzava e la guardava occhi negli occhi. “La prima, è che noi ci saremo sempre. Molte cose possono non piacerci o preoccuparci, ma non c'è nulla che non possiamo affrontare insieme, se ne avrai bisogno. La seconda, è importante anche se forse ora ti sembra di non desiderarlo, è che... come sicuramente saprai... una coppia interspecie, molto spesso, non può avere cuccioli. Più spesso che no, tesoro mio. Io vorrei, lo vorrei tanto, che quando farai una scelta, qualsiasi essa sia, tu non abbia a rimpiangere nulla”.
Sì, Judy questo lo sapeva. E sperava di non sbagliare la sua scelta, qualunque essa fosse, quando fosse stato il momento. Ma ora, era davvero presto per definire il futuro. Il futuro era, appunto, futuro: importante sì, tuttavia non urgente. Così credeva...
Abbracciando sua madre, sentì un peso in meno sul cuore.

 

Tornare con la mente a quell'abbraccio era difficile, doloroso e consolante al tempo stesso.
Era stato meno di quattro ore prima, ed ora stava attraversando, col treno, il Distretto della Foresta Pluviale: dopo lo stress del sabato, la domenica era corsa via persino troppo rapida, le sembrava di aver lasciato conti aperti, discorsi in sospeso; le domande le si affollavano dentro.
Altro che pensare al futuro quando fosse venuto: se si fosse trattato solo di rifiutare un fidanzamento “pilotato”, fosse con Harry o qualunque altro coniglio, a quest'ora si sarebbe lasciata tutto alle spalle ed avrebbe fantasticato su quale nuovo caso lei e Nick avrebbero trovato ad aspettarli l'indomani. Invece, a causa della lunga discussione avuta quello stesso giorno – della quale la parte a proposito delle relazioni interspecie era stata giusto la conclusione –, le era rimasto addosso uno strascico di malinconia.
Non le andava di tornarci su, e anche questo era strano per lei.
Però sentiva forte la necessità di avere vicino qualcuno, quella sera, qualcuno che, se lei avesse avuto voglia di riempirsi come una botte di carote guardando un film strappalacrime, o al contrario di sbuffare tutto il tempo senza spiegare perché, la potesse sopportare. Che potesse sopportare il suo silenzio.
Sapeva dove andare, da chi.

 

Per Nick Wilde la massima espressione di eleganza era sempre stata una semplice cravatta, e per non sembrare troppo serioso gli piaceva attutire l'effetto-impiegato con tutta una serie di camicie in stile hawaiano.
Domenica sera, però, era rientrato prima dal suo consueto giro solitario per i quartieri limitrofi al suo: era stato assalito da un brulicare di coppiette, di cuccioli sguinzagliati, era il caso di dire, ovunque grazie al blocco del traffico, così aveva fatto presto dietro-front; ed aveva avuto giusto il tempo di buttare i vestiti in lavatrice, docciarsi e infilarsi pantaloni della tuta e maglietta, che gli parve di sentire suonare il campanello di casa.

 

Per un secondo credette di aver sbagliato numero civico.
Troppi pensieri per la testa, forse.
Poi fece scorrere lo sguardo verso l'alto, e il grigio ed il nero di un completo sportivo che non gli aveva mai visto indosso lasciarono posto al familiare pelo fulvo e bianco, folto, di Nick; e poi al suo muso solo leggermente stupito di vedere la sua partner sulla soglia.
D'altronde, a ben pensarci lei era anche l'unico mammifero a Zootropolis, ad eccezione di Bogo e Clawhauser, ad avere quell'indirizzo.
Le rivolse uno dei suoi sorrisetti ironici, si fece da parte e indicando con la zampa l'atrio la invitò ad entrare.
Judy si sentì subito a casa.

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Capitolo 4
*** Penombra ***


Per primissima cosa, voglio ringraziare sinceramente tutti i lettori che mi hanno seguita fin qui. Sapere che siete lì, da qualche parte oltre lo schermo è un piccolo miracolo che mi fa irrazionalmente felice. Grazie anche a tutti i commentatori, nulla è più prezioso per chi scrive - fosse anche solo una piccola, sciocca storia - di un riscontro.

Se questo capitolo vi piacerà anche solo la metà di quanto è piaciuto a me metterlo su Word, potrò dire di aver fatto centro. A breve - giovedì o forse sabato - il successivo, cui è strettamente legato.
Nel frattempo, ho sotto le dita il VI. A presto!

 



IV. Penombra

Judy si lasciò la porta alle spalle e si fermò nell'atrio, esplorando con lo sguardo il salotto immerso nella penombra, arredato in modo tanto essenziale da apparire ancor più vasto di quanto già non fosse.
Era stata spesso nell'appartamento di Nick, ma ogni volta ne restava stupita. Si intuiva che era stato originariamente pensato, e poi vissuto, da una famiglia solida, unita. Che poi questa famiglia fosse stata composta di due soli mammiferi, madre e figlio, non diminuiva di una virgola il sentore di un antico benessere che aleggiava per le stanze.
Poteva quasi percepirlo come una morbidezza concreta che le sfiorava la schiena, proprio al centro, lungo la spina dorsale. No, un momento. Non era una sensazione data dall'atmosfera della casa, quella: qualcosa la stava davvero sfiorando... prima che potesse voltarsi e rendersi conto, in una frazione di secondo la causa della sua sorpresa si materializzò al suo fianco: dalle orecchie pigramente accostate alla sommità della testa, alla coda la cui punta nera come la notte sostava ora appoggiata con intenzione sul suo avambraccio sinistro. La coda di Nick, già.
“Ieri sera mi hai fatto una promessa, Carotina”, sentenziò questi, con un sorriso appena accennato, così sfumato che Judy dubitò persino ci fosse stato.
"Oh, certo!”, esclamò dunque lei, frugando nella borsa che portava a tracolla ed estraendone un grosso sacchetto marrone, che gli porse a due zampe; un angolo della bocca sollevato in un ghigno. “I tuoi mirtilli”, aggiunse, con tono di ovvietà.
Al che Nick lo prese, ringraziò educatamente e... nemmeno lo aprì; sporgendo invece il braccio poco più in là, lo lasciò cadere sopra una piccola consolle a mezzaluna addossata alla parete, di fianco ad un mazzo di chiavi.
“Sapevo che potevo contare su di te, Carotina. Ma non era a questo che mi riferivo”, disse, spostando lo sguardo poco più su, fino a guardarla negli occhi confusi. Poi prese a muovere lentamente la coda, destra sinistra destra sinistra, frapponendola fra loro. “Mi hai promesso che mi avresti lisciato la coda, ricordi?”. Non era del tutto vero, naturalmente. La promessa se l'era fatta da solo. Ad ogni modo, rigirare la frittata era per lui una seconda natura, perciò non coglieva alcuna differenza.
Judy non fece in tempo a impedirsi di calare la piccola, delicata mandibola in una “oh” di stupore. Fu però pronta e rapida nel recuperare dalla tasca della giacca il proprio mPhone, scorrere le opzioni del menu e visualizzare il messaggio che gli aveva inviato la sera prima. Lo rilesse ad alta voce alla volpe – così vicina a lei –, avendo cura di schermare la forte luce emanata dal dispositivo per evitare che ne urtasse la sensibile visione notturna.
Seguì un momento denso di silenzio: Judy stava leggendo alcuni commenti inviati da suoi amici e conoscenti di Bunnyburrow, che vedeva soltanto ora e si erano accumulati, a catasta, nella timeline di FurrsApp. Cose tipo: E' vero che ti sei fidanzata con Harry Tackle?, o, all'opposto: Interspecie? Sapevo che avresti abbattuto anche questa barriera. E ancora: Non ti capisco: non ci sono conigli in città, forse?! Da parte sua, Nick non aveva replicato nulla ed aspettava che la partner terminasse la sua consultazione.
“Scusami”, disse lei infine, “ho ricevuto dei messaggi che, ehm... non avevo ancora letto”. Sospirò platealmente. “Oh, e ho visto ora anche una tua chiamata persa”.
“E' lecito sapere di che si tratta?”, domandò lui.
Judy riflettè un momento. “Sì, certo”, replicò intascando il cellulare e facendo un gesto che, in assenza di mosche da scacciare, poteva essere interpretato solo come un Mamma mia, non farmici pensare. “Ora ti racconto, se vuoi, ma ti avverto: ti annoierò a morte”, precisò, per poi – quanto consapevolmente, non lo sapeva – calare nuovamente la zampa con decisione sulla coda che, all'altezza del suo petto, ancora si comportava come un pendolo; inarrestabile, inesorabile.

 

“In una parola: preoccupante” – così Judy sigillò il proprio resoconto degli ultimi due giorni.
“Aspetta, fammi capire bene: sul serio hai detto a quel coniglio che prenderesti in considerazione l'idea di uscire con un collega?”, fece di rimando Nick, sgranando gli occhi. Non riusciva a credere che la sua Carotina fosse arrivata a tanto, e che per giunta gliel'avesse appena riferito. Gli stava fornendo materiale compromettente, utile per infinite frecciatine, di sua spontanea volontà. Stabilì però di non farglielo notare subito: avrebbe avuto tutto il tempo di sfruttare la cosa più avanti.
“Uhm. Beh, sì. Perché? Non mi dirai che anche tu lo trovi strano...” rispose lei, mentre già la punta delle orecchie le si abbassava lentamente e allentava la presa sulla coda della volpe, che nel frattempo non aveva smesso un attimo di accarezzare.
“Come sei emotiva, Carotina. Te lo dico sempre”, sogghignò lui.
Judy lo guardò in tralice, indecisa tra il sentirsi delusa e sferrargli un pugno. Forse poteva sferrargli un pugno perché si sentiva delusa. “Sarà. Ma questa non è una risposta, Nick”.
“Hai ragione”, concesse. “Vuoi una risposta vera?”.
“Certo che la voglio!”.
“Bene, allora ecco: non lo trovo strano. Lo trovo divertente, però”.
“Divertente”, ripeté piattamente lei. Dove la stava portando?
“Sì. Molto. Perché riflettendoci, quale tuo collega potresti frequentare se non me? A parte un occasionale drink collettivo, o una spedizione con Clawhauser per recuperare ciambelle, con chi mai hai avuto contatti che ti possono aver ispirato un'idea del genere?”.
Judy lo fissò per un lungo momento negli occhi che sapeva verdi, ma le apparivano di un grigio perlaceo nella penombra diffusa, proprio come un cervo incauto nell'attraversare un incrocio può fissare i fanali di un'auto con un solo pensiero in mente: Oh, no.
“Ma... io... ho detto, intendevo, come ho detto, che... potrei, non che voglio. Non c'è nessuno in particolare, nemmeno tu, presuntuoso” – Judy dardeggiò nella sua direzione la piccola lingua rosata – “e se ci fosse, comunque, non potrebbe prendere il tuo posto. Tu sei tu, scemo”.
Come se si fossero spinti troppo oltre su una cresta montana e fossero scivolati, improvvisamente, e cercassero ora un appiglio con la circospezione di chi sa che ogni mossa potrebbe essere irrimediabile; entrambi restarono in un silenzio vagamente teso.
Ora, avevano una scelta: ridere di se stessi e di quanto era appena uscito dalle loro bocche, per poi cambiare discorso; oppure, in qualche modo, rimarcarlo.
A Judy fu chiaro, d'un lampo, un fatto. Un fatto importante: se uscire la sera prima con Harry era stato, tutto sommato, un dovere, per quanto non spiacevole; venire da Nick di ritorno in città – quando in fondo avrebbe gradito sopra ogni cosa tuffarsi nel suo letto e sprofondare in un sonno beato – era stata una sua scelta precisa.
Tutte le altre puntualizzazioni le scivolarono via da dentro.
E lo dichiarò.
“Sono piuttosto stanca, onestamente, Nick. Avevo, ho bisogno di riposare; ma ci tenevo a vederti. Ci tenevo, e basta, ecco. E' questo che voglio: essere qui, stare un po' con te. Se questo significa incassare le tue insinuazioni, beh accidenti ben venga”. Sorrise, di un sorriso lievemente imbarazzato.
Pose ancora una volta la zampa sulla coda vaporosa del partner, vezzeggiandola con dolcezza. In fondo, lo meritava, e per lei stessa quel contatto era come un balsamo. Continuò per diversi minuti, senza parlare, finché non vide quella fiamma rosseggiante alzarsi impudente a sfiorarle la guancia, facendola ridere di gusto.
“Hai detto che sei stanca, Carotina, giusto?”.
“Sì, in effetti sì. Stavo quasi pensando di approfittare di casa tua stanotte, se per te non è un problema. Anzi, prima di tutto perché non ci mettiamo comodi? Sarà ormai mezz'ora che ce la raccontiamo qui in piedi”.
“Benissimo”, replicò lui “ma a una condizione”.
Judy si immobilizzò. Le “condizioni” di Nick erano sempre, immancabilmente, una restituzione a rate dei ricatti coi quali la coniglietta era stata in grado di costringerlo a collaborare con lei, quand'era cominciato tutto.
“Sentiamo, e vedremo se sono d'accordo”, sospirò dunque.
“E' semplice: ora spegniamo i nostri mammalPhone. Ci mettiamo comodi, ci rilassiamo, e dormiamo – domani ci aspetta una nuova giornata di lavoro”.
“Beh, è quello che stavo suggerendo io”, fece notare lei.
“Aspetta. Ci mettiamo comodi, ci rilassiamo, e dormiamo” ripeté Nick “ma insieme” terminò. La sua voce aveva assunto un timbro languido, e a Judy parve che le iridi grigie, immerse in quella quasi oscurità, gli scintillassero. “Niente divano stavolta”.
Non ricevendo risposta, proseguì. “Hai detto che volevi stare con me. Vedermi. Perché arrivare fin qui” – e qui poteva al tempo stesso indicare un luogo, casa sua, quanto la situazione – “e poi passare la notte separati?”. Una pausa. C'era un ticchettìo altrove, da qualche parte. O forse ce l'avevano dentro. “Hai detto che volevi stare con me. Io dico che dovresti stare più attenta a quel che desideri, Carotina, perché come recita il proverbio potrebbe anche avverarsi”.
L'aveva sparata un tantino grossa, ma valeva la pena provarci e approfittare del discorso scivoloso intavolato prima, per godere più da vicino della compagnia della sua piccola, tenera collega. E amica. E.
E' incredibile come dei gesti minuscoli, innocenti possano condurre tanto lontano; Judy pensò.
E poi annuì col muso, semplicemente.
Che voleva dire? Nick non credette di aver avuto fortuna nel suo tentativo finché non si sentì rispondere, parola per parola: “Allora forza, andiamo, perché comincio a crollare dal sonno. Se hai un altro paio di pantaloni come questi da prestarmi, posso tenere addosso la mia maglia, che è comoda. E prometto che non mi agiterò, non ti tirerò calci né niente di simile, ma voglio dormire abbracciata” – sbadigliò – “alla tua coda, se non ti spiace”.
Non se lo fece ripetere due volte.
Con un sorriso più incredulo che malizioso si avviò verso la sua stanza, facendole cenno di seguirlo.

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Capitolo 5
*** Insieme ***


V. Insieme

In piedi davanti allo specchio a figura intera del bagno, con in mano un paio di pantaloni grigi del tutto identici a quelli che Nick indossava, Judy si chiese cosa diavolo stava facendo.
Non che volesse ritrattare e raggiungere il divano, o peggio andarsene da lì. Voleva dormire con Nick. Provare l'esperienza di averlo accanto anche in un momento che, in quanto amici, era fuori dalla loro normale sfera di condivisione. Ciò che non la lasciava in pace era però un pensiero, o per meglio dire una sequenza di pensieri, che con la sua logica stringente la conduceva ad una imprevista, e ardita conclusione.
Desiderava avere una relazione, una che non la distogliesse dalla vita che si era costruita. Desiderava, anche, continuare a trascorrere buona parte del suo tempo con Nick, che era rapidamente e stabilmente diventato una piccola stella polare nella cartografia della sua esistenza. Come le due cose potessero coniugarsi non era poi un gran mistero, sempre ammesso che per lei uscire con un individuo di un'altra specie non costituisse un problema – e così non era: l'aveva pur dichiarato. Sembrava che ancora una volta la volpe che la attendeva nella stanza accanto avesse, forse involontariamente o forse no, centrato il bersaglio con un tiro potente e preciso: che per lui fosse soltanto una provocazione, uno scherzo o al contrario un approccio cauto, un tentativo di tastare il terreno e la reazione di lei; a questo punto le era chiaro che l'unico collega con cui avrebbe effettivamente potuto allacciare una relazione di coppia era proprio Nick.
Ogni altra ipotesi al riguardo era sì plausibile, tuttavia vaga e nell'ordine della fantasia a briglia sciolta, più che della possibilità concreta.
Non fu tanto questa improvvisa e inevitabile realizzazione a pietrificarla, quanto il fatto che l'idea non la preoccupava. Nè la impauriva, o stupiva quanto si sarebbe ragionevolmente aspettata. La trovava, anzi, lineare, naturale, giusta; persino magnifica. Come non fosse un sentimento complesso e confuso da dipanare, ma un semplice outfit che le calzava a pennello. Come una ciliegina su una crostata di mirtilli, o una fettina di carota infilata sul bordo di un bicchiere da cocktail.

 

"Judy? Ci sei? Ti serve qualcosa?". La voce della volpe le giunse attutita attraverso lo spessore della porta. Si riscosse, si accostò al pannello di legno e sorridendo tra sé rispose: "Hey! Sì, e no".
"Scusami?".
"Sì, sono qui, ho quasi fatto. No, non mi serve nulla. O forse..."
"Cosa?".
"Oh. Te lo dico tra un attimo, ora esco".
Si cambiò, si sciacquò il muso e respirò a fondo.
Si diede una regola: se ora avesse visto Nick con altri occhi, se non avesse più potuto considerarlo "solo" un amico – che terribile espressione: come se l'amicizia fosse una merce di seconda qualità! –, se, ancora, il corso delle cose li avesse portati in una direzione nuova, non avrebbe usato mere parole per farglielo sapere.
Poi si voltò, aprì la porta e trovandolo già sdraiato sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto, decise che per sciogliere un po' la leggera tensione che si era creata nell'ultima decina di minuti c'era solo una cosa che potesse funzionare. Funzionava sempre.
Prese la rincorsa e spiccò un balzo verso il materasso, raccogliendosi le gambe tra le braccia, per formare una palla vivente, grigia e pelosa, che atterrò con precisione scientifica nel centro esatto del lato vuoto del letto.

 

Stremati dalle risate, dal solletico che si erano fatti a vicenda e da una lunga sessione di cuscinate e salti sul materasso – con Judy che faceva leva sulle proprie zampe muscolose per superare Nick in altezza, e quest'ultimo che si limitava a lasciarsi spingere in aria dal contraccolpo – si stesero supini e ansanti fianco a fianco, infilandosi sotto le coperte.
Dopo un minuto scarso i loro respiri si calmarono, e Judy capì di avere pochi istanti ancora per imprimere al resto della nottata il grado di intimità che la volpe sembrava desiderare – oppure recitare, male, la parte dell'amica disinteressata e distaccata.
"Non sei curioso di sapere per cosa stava quel 'forse' di prima, mentre ero in bagno? Di sapere cosa stavo per aggiungere?", disse piano, senza voltarsi.
"Sì".
"Ma non mi hai chiesto nulla, e questo non è da te".
"No, Judy. Se te lo chiedessi non me lo diresti comunque. Molte cose non sono da me stasera, ma rimango sempre la tua volpe astuta preferita", replicò lui sbirciandola con la coda dell'occhio, il suo sorrisetto di routine stampato sul bordo delle labbra. "Troverò il modo di fartelo confessare più tardi".
"Vero".
"Certo che è vero. Confesserai, piccola poliziotta con un oscuro segreto, e puoi star certa che quando lo farai io registrerò tutto su chip", disse agitando con la zampa più lontana da lei una familiare penna a forma di carota.
"E' vero che sei la mia volpe preferita. Non che ne conosca tante, oltre a te e Gideon".
Nick aggrottò le sopracciglia nell'udire quel nome: sapeva che i due si erano riconciliati, ma il pensiero che a causa di quell'altra volpe di campagna Judy aveva temuto anche lui, quando aveva finto di diventare aggressivo dopo quella dannata conferenza stampa, lo rabbuiava ora come la prima volta che lei gliel'aveva raccontato.
"La preferita, ma soprattutto mia", terminò la coniglietta, e la cognizione di quell'ultima frase gli giunse ritardata: come quando durante l'inseguimento di un rapinatore, il mese scorso, questi gli aveva lasciato sul fianco destro il ricordo di un proiettile, e lui se n'era accorto solo quando un paramedico gli era andato incontro per prestargli soccorso.
Sbatté le palpebre, finalmente girando il prima il capo e poi l'intero corpo nella sua direzione, e incrociando il suo sguardo quieto che lo attendeva.
"Prego?".
"Ho detto: mia. Sei la mia volpe, Nick".
Gli occhi di Judy erano sereni e la sua voce cristallina, come quand'era particolarmente soddisfatta del lavoro fatto o della giornata che le si prospettava davanti; ma Nick non era certo di cosa leggervi dentro, in entrambi.
"Mio" insisté lei, rimarcando l'aggettivo con un'enfasi gioiosa.
Appena prima di rotolarsi su se stessa e avvicinarglisi, andando a toccare il suo torace con la schiena. Appoggiargli la testa poco sotto il mento. E reclamare le sue zampe perché la stringessero in un abbraccio che lui fu lieto di darle.
"A cosa devo tanta affettuosità, coniglietta emotiva che non sei altro?".
Judy non rispose.
"Shhh, ora rilassati e spegni la luce. Vuoi?".
"Okay" mormorò lui, torcendosi e allungando una zampa sopra le loro teste per raggiungere l'interruttore. "Bene così, uhm?".
"E' perfetto", sospirò a bassa voce Judy.
Le braccia di lui tornarono cautamente ad avvolgerla. Poteva sentire la pelle del suo muso sopra la sua testa che si tendeva discretamente: un ghigno silenzioso, forse. E sentiva anche il cuore di Nick che gli pulsava lento nella gola, contro la quale era appoggiata: nuca e orecchie insieme le convogliavano quella pulsazione ritmica e quel suono profondo, che la stavano rilassando, sì – ma anche emozionando.
Coniglietta emotiva, pensò. Appunto.
Si lasciò andare un po' di più all'abbraccio, visualizzando quella stretta come un parapetto che le impediva di mettere il passo in fallo e cadere giù – ovunque fosse quel giù.
Nick le sfiorò la sommità della piccola testa con il naso, facendola sussultare e ridere. Era intimo, ma rassicurante. Avvolta dalle sue braccia, sfiorata dal pelo morbido e caldo che spuntava dal collo e dal fondo della sua maglietta, invasa da un sottile ma persistente odore selvatico che le giungeva come da lontano – nonostante fossero praticamente incollati – Judy desiderò di non addormentarsi, nemmeno se sfinita, nemmeno per un'ora.
Passarono diversi minuti così, in silenzio, adagiati senza un pensiero.
Dalla finestra della stanza, appena accostata, potevano sentire il vento leggero stormire tra le foglie, e anche quello solo a tratti. Allungando le zampe, avrebbero quasi potuto tastare la trama della notte tutt'attorno a loro: sarebbe stata sottile e liscia come seta, una ragnatela densa, forse, o forse più simile a un panno di velluto. Era nella consistenza dell'aria che respiravano.
Poi Judy sentì una zampa di lui, quella corrispondente al fianco libero, sollevarsi lentamente e scorrerle sul braccio, su e giù, e infine posarsi piano sulla sua guancia; in una sorta di improvvisato massaggio che le spedì un brivido incontrollato lungo la schiena.
Nick si accigliò e si fermò subito.
"Carotina".
Non ci fu risposta.
"Hey. Perdonami. Ho avvicinato troppo la zampa alla tua faccia. Non avrei dovuto. Carotina?", ripeté. In pieno giorno erano usi scambiarsi qualche abbraccio e persino qualche carezza senza timore: dopo che si erano ritrovati, quel giorno sotto il ponte, Judy non aveva più avuto problemi a lasciarlo avvicinare a sé, né il tocco degli artigli di lui la agitava. Ma non poter vedere, bene come lui vedeva, quanto stava succedendo cambiava tutto e poteva averla spaventata.
Judy esitò un breve istante, poi staccò le zampe dal braccio destro di lui che seguitava a stringerla, e a tentoni cercò la sua zampa, sospesa nell'aria a poca distanza da dove l'aveva appoggiata poco prima. La prese fra le sue e se la portò non di nuovo alla guancia, ma più oltre, direttamente davanti al muso: e una volta portatala lì posò un bacio leggero sul cuscinetto elastico che ne foderava il palmo. Anche lì un afrore selvatico, ma più intenso: Judy sapeva che ogni famiglia di volpi ne aveva uno caratteristico, che un tempo richiamava i cuccioli verso la tana giusta.
"Non mi hai spaventato", disse come intuendo cosa gli stava passando per la mente. "E' come stare..." – in trappola, formulò Nick tra sé e sé, non potendosi impedire un moto di paura, paura di averla allontanata, nonostante quel suo gesto così delicato – "... è come stare al sicuro in una tana calda e soffice". Riportò la zampa di lui all'altezza del suo stomaco, e vi si aggrappò ancora più forte di prima. "Mi sento al sicuro, Nick. Vorrei restare così... anche tutta notte... se possibile. Se vuoi".
"Carotina ottusa. Ti avrei forse invitata a dormire insieme se... se non avessi voluto questo..." Nick tentò di scherzarci sopra, ma scoprì con orrore che la risposta gli era uscita stentata, aveva il fiato corto. Grazie al Cielo, lei non se ne accorse, o semplicemente non raccolse.
"Purché tu stia comodo", aggiunse invece, permettendogli di tirare un sospiro di sollievo.
"Certo che sì. Mai stato più comodo: vedi?", rispose lui, e come per dimostrarlo mosse piano il bacino infossandosi ancor più nell'impronta lasciata dal suo corpo sul materasso. Poi fece aderire le gambe a quelle di Judy e le raccolse al petto, raggomitolandosi quasi in posizione fetale.
"Uhm, cucchiaio", disse lei.
"Eh?".
"Parlo di quello che hai appena fatto. A Bunnyburrow e dintorni si chiama 'fare il cucchiaio', perché il corpo si curva proprio come un cucchiaio", spiegò. "Mi capita che i miei fratellini mi chiedano di farlo con loro, quando si sentono soli o hanno avuto un incubo".
Nick si soffermò un attimo sull'idea. "In effetti".
Sentì la coda, dietro di sé, oscillare e disegnare piccoli cerchi sul lenzuolo mentre cercava di muoversi più liberamente; era un segnale di benessere. Si ricordò di Judy in piedi nell'ingresso di casa sua che, interrotta da uno sbadiglio, aveva affermato – confessato? – di voler dormire abbracciata alla sua coda. Sollevò leggermente le coperte per portare l'appendice in questione davanti ai loro corpi abbracciati, accarezzando con essa le minuscole zampe dell'essere vivo, caldo e il cui pelo rado sapeva di pulito e di fresco che si andava pian piano assopendo ranicchiato addosso a lui.
Judy emise un piccolo gemito, di inecquivocabile piacere, a quel contatto, e riprese, stavolta con ancora maggiore tenerezza, a cullarla – sprofondandovi persino il musetto.
Emergendo dal coinvolgimento che aveva dominato entrambi nell'ultima mezz'ora, ogni cosa arrivò in faccia a Nick come un treno: Judy alla sua porta, l'atmosfera rarefatta che si era rapidamente creata tra loro e il suo invito a seguirlo dove avrebbero potuto stare vicini, davvero vicini. Parole allusive e parole molto, incredibilmente esplicite, così tanto che non si rendeva conto del tutto del peso che avevano. Sfioramenti, abbracci, un bacio posato nell'incavo della sua zampa... nel tempo di un battito di ciglia, qualcosa era accaduto.
"Cosa mi hai fatto?" – la voce sottile e appena impastata di Judy interruppe il corso dei suoi pensieri. "Cosa mi hai fatto, Nick?".
"Cosa mi hai fatto tu, Carotina", replicò.
"Tocca sempre a me il lavoro sporco, eh? Come con i rapporti. Sono sempre io che li stendo".
"Ora sei ingiusta. Non più tardi di ieri sera ho terminato il rapporto sul caso Hexen, sai".
"Sì, quel caso che abbiamo chiuso trenta ore abbondanti prima, dunque".
Nick ridacchiò.
Dopo attenta riflessione, fu di nuovo il turno di lei.
"Tu mi hai sedotto. Io non aspettavo altro, questo credo di averlo capito. E ti ho seguito fin qui. Ecco cosa ci siamo fatti, Nick".
"E quindi, ciò di cui avevi bisogno quando eri nel bagno e ti ho chiesto se andava tutto bene, era... questo?", le chiese lui appoggiandole un bacio leggerissimo sulla testa, proprio in mezzo all'attaccatura delle lunghe orecchie.
"Tutto questo. Sì".
"Lo sapevo fin dal nostro primo turno insieme, quando fermammo Flash per eccesso di velocità, che mi ami", scherzò lui, ricordando quel giorno pieno di promesse di oltre un anno prima. "Ma non avevo capito quanto".
"Volpe seducente", rise lei.
Non osarono altro. Trascorsero i minuti illanguidendo i loro corpi, quello di lei ravvolto in quello di lui come un gioiello incastonato nella propria teca d'acciaio.
Poi tutto scivolò in un tiepido, confortevole oblio.
 


Che posso dire? Oh yeah! Oooh yeeeaaah!
Spero che abbiate gradito.

Nota a margine: la scena del bacio sul palmo della zampa somiglia a quella nella 20esima shot di "
Racconti di una volpe acuta e di una coniglietta ottusa", di aoimotion, che tutti conoscete (e se non è così, rimediate!: merita molto). Mi piacerebbe poter dire che si tratta di un piccolo tributo, invece è solo un caso: ho scritto questo capitolo prima di leggerla, ricordando un momento molto dolce che fa parte della mia storia. Non sono nemmeno uguali, ma per evitare fraintendimenti, preferisco precisare.
Ho anche corretto un paio di errori di battitura che mi erano sfuggiti nel capitolo precedente, e aggiunto due frasi, brevissime, ma necessarie. Mi scuso per le inesattezze: mi sa che lunedì ero un po' stonata.

Fine delle comunicazioni di servizio.

 

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Capitolo 6
*** Scomparsa ***


Questo capitolo è un po' un esperimento, che mi pare essere riuscito abbastanza decentemente, e un po' una tregua tra un'emozione e l'altra.
Ho voluto inserire un passaggio soft e dare a Nick e Judy qualcosa su cui lavorare; ma non ci sarà in questa fic un vero e proprio caso da risolvere.
Mi auguro che anche per voi funzioni: se trovate che qualcosa sia poco comprensibile, fate un ululato.
Alla prox.

 


VI. Scomparsa

Aveva pensato, per un attimo, di passarsi un filo di matita sugli occhi – l'allegria che provava quella mattina giustificava pienamente quel tocco di colore. Ma davanti allo specchio, lo stesso di fronte al quale si era soffermata la sera prima, con lo stick già pronto, si disse che il dettaglio non sarebbe passato inosservato sul lavoro – e tutto voleva, fuorché ulteriori intromissioni o anche solo curiosità sulla sua vita personale.
Aveva dunque lasciato perdere e si era spostata in cucina ad approntare una colazione veloce per sé e Nick, che non si sarebbe alzato dal letto prima di un'altra mezz'ora, alle 6:00 in punto. Ovviamente, non potevano mancare i mirtilli: al momento giusto, era rientrata con passo felpato nella stanza e gli aveva gliene aveva messo proprio sotto il tartufo una manciata, spolverati appena con dello zucchero a velo, finché non si era svegliato da solo. Molto lentamente, in verità, ma la cosa non le era dispiaciuta: aveva potuto godersi inosservata il suo viso mentre passava dall'abbandono totale ad una faticosa consapevolezza. Fino al riconoscimento: prima l'aveva guardata come un mammifero che ha rischiato di annegare guarda il profilo della costa poco distante, con un accenno di angoscia, poi di colpo l'abito consueto di ironia e disponibilità l'aveva rivestito.
L'aveva salutata con un semplice sorriso degli occhi cisposi più che delle labbra, lappandole via i mirtilli dalla zampa – non fosse stato così rapido, l'avrebbe sentita tremare.

 

La corsia di andata verso il Distretto di Foresta Pluviale era intasata, ma non avevano potuto evitare di prendere la tangenziale per raggiungere il domicilio del loro sospettato: si trattava infatti di un anziano operaio di quella che un tempo era stata l'Azienda di Manutenzione Stradale, che provvedeva a controllare e rinnovare asfaltature, segnaletica e indicazioni di viaggio. Fino a una decina d'anni prima questi servizi erano in gestione centralizzata all'AMS di Zootropolis, finché l'amministrazione precedente a quella di Lionheart aveva stabilito di dare quegli stessi servizi in appalto a diverse aziende, ciascuna per ogni Distretto della città, che assumevano dipendenti a tempo determinato.
Gli operai storici e i custodi dei magazzini dov'erano custoditi materiali e macchinari erano stati progressivamente "consegnati" ad una meritata pensione, o nei casi meno fortunati, licenziati. A Scott Tomlinson le cose erano andate più che bene: a un passo del termine del suo periodo di servizio, aveva ottenuto non solo la pensione anticipata ma anche la possibilità di continuare a risiedere nello stesso appartamento di fianco al vecchio magazzino sulla tangenziale 2. E lì, alla rispettabile età di settantaquattro anni, tutt'ora viveva.
Nick allungò la zampa verso l'autoradio e la accese sulla stazione dedicata al country, lasciando il volume basso per non rischiare di perdere una chiamata dalla radio di servizio posta appena sopra – un mostro di plastica nera gracchiante e ronzante. Non era quello, davvero, il suo genere d'elezione, ma aveva scoperto che almeno in parte Judy rispecchiava perfettamente lo stereotipo del mammifero di campagna: se non implicava una chitarra e non faceva venir voglia di ballare, preferibilmente con uno Stetson in testa, non era vera musica.
"Perché non accendiamo luci e sirene?", gli chiese la coniglietta seduta alla guida, con un piccolo sbuffo. "Così ci impieghieremo una vita".
"Carotina, guardati attorno", giunse la sua risposta nel tono rilassato di chi si sta dondolando su un'amaca al sole. "Anche se lo facessimo, non riusciremmo a forzare un passaggio abbastanza largo in mezzo a ben quattro file di macchine compresse insieme. E, comunque, uno: Tomlinson non sa nemmeno che stiamo andando da lui; due: dobbiamo interrogarlo, non arrestarlo..."
"... fargli alcune domande, Nick" – Judy lo interruppe. "Dobbiamo fargli delle domande, non interrogarlo, ricorda di non usare quel termine davanti a lui o potrebbe decidere di non aiutarci! E' sospettato, ma con lui dobbiamo muoverci come se non lo fosse".
"Uhum. D'accordo, non ti agitare. Vedrai che andrà bene. Tre, dicevo: ha settantaquattro anni. Dubito abbia il fisico e le risorse per sfuggire a due giovani ed atletici agenti di polizia come noi due. Per non parlare di quanto siamo intelligenti, e astuti..." – Nick dovette fermarsi a quel punto del suo elenco di talenti, perché quattro piccoli salsicciotti grigio-bianchi gli premettero sulla punta del muso chiudendogli la bocca.
"Oh, ti prego, Nick!".
Lui squadrò la partner con aria fintamente scandalizzata. Lei gli restituì uno sguardo minaccioso. Lui continuò a fissarla, stavolta senza alcuna espressione particolare – solo, con una cert'aria meditabonda.
"Che c'è?", chiese lei, con la mano ancora sollevata a impedirgli una risposta. Nick alzò un dito per ciascuna zampa e se li portò ai lati del muso, indicandosi e mugugnando, per invitarla a lasciarlo libero. Scosse la testa e scrollò le spalle.
Judy staccò cautamente le dita dalla linea della sua bocca. Detestava ammetterlo, ma le sarebbe piaciuto lasciarcele ancora: all'obbiettivo di far tacere il suo petulante partner era subentrato uno scopo di tutt'altra natura, che coinvolgeva la sensazione tattile di umidità che lui le aveva lasciato sotto i polpastrelli. A malincuore, dopo quel brevissimo tempo sospeso in cui questo desiderio aveva fatto capolino dalla superficie della sua coscienza, tornò a concentrarsi sulla strada e chiese ancora: "Che c'è?".
Avanzavano quattro, cinque metri alla volta.
"Judy", la chiamò lui.
Lei si voltò, incrociando i suoi occhi. Verdi. Grandi. Pensò, assurdamente, che erano grandi quasi quanto i propri, ed era tutto dire. E l'aveva chiamata per nome. Per esperienza, sapeva che lo faceva solo quando erano in pericolo, o quando stava per comunicarle qualcosa di serio.
Non ebbe tempo di chiedersi di che si trattasse, perché lui aggiunse: "Noi due dobbiamo parlare. A proposito di stanotte. Lo sai, vero?".
Judy si irrigidì. Sì, lo sapeva – qualcosa dovevano dirsi, presto o tardi – ma l'idea la spaventava. Parlare significava complicare, almeno in questo caso. E poi, di solito era lei a voler approfondire i discorsi più scomodi. "Dobbiamo?", gli rimandò, quasi implorando che in quella manciata di secondi avesse cambiato idea. Ma lui la fissava, calmo, senza un'ombra di cedimento. Tutto ciò che le riuscì di fare fu annuire, una singola volta. Poi tornò a stringere il volante e a contemplare il lunotto della Renegade che li precedeva.

 

Un'ora di serpeggiamenti in mezzo al traffico, molti sospiri e tre tazze di thé al latte dopo, i due si erano ormai fatti un'idea ben definita di almeno una cosa – meglio, due: anche l'abitazione di un maschio di tasso, celibe, di una certa età, poteva odorare di vaniglia. E, soprattutto, quel tasso in particolare non era più ai loro occhi un sospettato, ma piuttosto un testimone.
La telecamera del traffico d27 l'aveva sì ripreso mentre parlava con i tre cuccioli di zebra scomparsi nell'arco delle dodici ore appena trascorse, ed era vero che era stato l'ultimo ad averli visti da quando i genitori li avevano richiamati in casa per la cena – non ricevendo risposta né trovandoli più. Ma era altrettanto vero che l'inquadratura consentiva di vedere i tre soggetti allontanarsi a piedi, soli, verso il passaggio pedonale adiacente all'abitazione di Tomlinson; che dava su una piccola piazza retrostante. Un luogo pressoché deserto, in cui un anonimo bar serviva i clienti dei pochi autobus che lì si fermavano.
Sulle prime le poche informazioni di cui disponevano li avevano allarmati: l'ora era già tarda per quei piccoli, la zona poco frequentata, almeno dal lato della piazza, ed il tasso aveva dei precedenti per furto. Non esattamente il tipo di reato che si associ ad un ipotetico rapimento, o comunque ad un atto contro animali, ma viste le circostanze non potevano in alcun modo escludere che lui fosse implicato con l'accaduto. Avevano supposto che Tomlinson li avesse raggiunti successivamente, passando dall'ingresso secondario che non compariva nelle immagini filmate; per uno scopo che attualmente non sapevano precisare.
Eppure. I genitori del più piccolo dei cuccioli, Ray Schneider, si erano presentati in centrale solamente alle 7:17 di quella stessa mattina, adducendo come scusa per quel ritardo nella richiesta di aiuto il fatto che per tutta la notte avevano cercato il figlio ed i suoi amichetti autonomamente: da parenti, amici, e conoscenti; persino a casa delle loro maestre di scuola e del loro caposquadriglia negli Scout – sì, tutti e tre ne facevano parte. Era sensato, ma diversi agenti, ascoltando il resoconto di Bogo in sala riunioni, si erano guardati con un pizzico di incertezza, di perplessità negli occhi.
Judy e Nick erano saliti sull'auto di servizio immeditamente dopo un breve briefing, e si erano appena staccati dal marciapiede, diretti dove ora si trovavano, che ricevettero un'ulteriore comunicazione da parte di Bogo.
Li informava che Clawhauser aveva appena ricevuto una chiamata, da parte di quello stesso tasso che il programma di riconoscimento facciale aveva individuato come l'ultimo mammifero ad aver avuto contatti con gli scomparsi – almeno per quanto constava alle telecamere che tappezzavano Zootropolis. Il tasso affermava di averli incontrati la sera prima, di aver risposto alle loro richieste – volevano tornare verso il centro abitato, e volevano andarci soli – e di aver trovato la cosa, chiaramente, strana.
"Mi perdoni se le faccio ancora una volta questa domanda, signor Tomlinson", fece Nick con aria di scusarsi per l'insistenza, "sono sicuro che ha già detto le stesse cose al collega con cui ha parlato al telefono. Ma è importante, per lei oltre che per noi, che non resti alcun dubbio in merito. Può dirci perché ha pensato di avvertirci soltanto stamane, se l'aver visto i tre cuccioli ieri l'aveva tanto turbata?".
"Si figuri, agente", rispose quello. "Non si faccia riguardi. Il fatto è, ma questo lo sapete già" – disse gettando un'occhiata rapidissima alla stampata del suo casellario giudiziario, che Judy reggeva fra le zampe – "il fatto è che sono a tutti gli effetti un pregiudicato. Non importa a quanto tempo fa risale il mio piccolo inciampo, diciamo così, né che nessuno si sia fatto male e non fossi neppure armato. E' successo, e questo mi rende a priori più pericoloso, diverso dalla massa della gente rispettabile".
Era innegabile, Nick stesso poteva confermare in quanti modi la sensazione che un animale fosse pericoloso fosse facile a crearsi, e durissima da mandar via dalla mente.
"Perciò, ho avuto paura di passare dei guai, ecco tutto. Solo che non ci ho dormito l'intera notte. Ho cercato di convincermi che mi stavo preoccupando troppo, che se fossero finiti nei pasticci non sarebbe stata colpa mia, ma la notte è passata e l'alba è arrivata ed io ero ancora sveglio, discutendo con me stesso. Così ho mandato tutto al diavolo e ho chiamato", concluse il tasso, con una nota di stanchezza nella voce fonda.
Judy emise un sospiro quasi impercettibile. Poi posò il foglio sul cuscino di fianco a sé – il basso tavolinetto che li separava dall'interrogato era ingombro – e allungò una zampa verso di lui. La sua reazione si fece attendere, lo trovava un gesto insolito in quella circostanza, ma la coniglietta non cedette e mantenne il braccio teso e il palmo rivolto verso l'alto. Finché il tasso non si riscosse e allungò a sua volta, incerto, la tozza zampa verso l'agente in divisa.
"Ha fatto la cosa giusta, signor Tomlinson. Mi creda, non deve pentirsi di nulla, nemmeno di aver esitato: molti non si sarebbero dati alcuna pena, sarebbero tornati a fissare il loro televisore, e chi s'è visto s'è visto. Il mio collega glielo può confermare: non è il primo caso di scomparsa che ci capita", soggiunse guardando Nick, che fece un cenno d'assenso. "Finora la nostra squadra li ha risolti sempre positivamente... ma rimarrebbe stupito se sapesse quanti dettagli significativi i mammiferi non direttamente interessati omettono, quando interpellati. A posteriori, non si sa mai se essere grati per avere infine ritrovato i dispersi, o scornati per aver dovuto quasi indovinare certi elementi decisivi, che avremmo potuto avere subito, se solo qualcuno si fosse preso il disturbo di distogliere l'attenzione dalla partita, o dalla cena sul fuoco...".
Judy si chiese se non era andata troppo oltre, ma quello che ricevette fu un sorriso grato, per quanto esile, da parte del tasso; che sciolse la stretta di zampa alzandosi in piedi.
"Sono a vostra disposizione per qualsiasi altra domanda, agente, d'altronde da qui non mi muovo se non per rifornire la dispensa. E vi prego, quando riuscirete a ritrovare quei cuccioli, di farmelo gentilmente sapere. Ve ne sarei obbligato". Aveva calcato sul 'quando', non aveva detto 'se', come a voler escludere anche solo la possibilità che ciò non accadesse.
Si accomiatarono, e una volta risaliti in auto Nick prese il microfono, si mise in contatto con Clawhauser alla centrale e gli dettò lo spelling di una targa, chiedendogli di farla controllare prima di subito.
Tomlinson non aveva smesso di essere ufficialmente sospettato, ma per quanto li riguardava aveva ora un'altra posizione; e non soltanto perché aveva telefonato – non era insolito un rapitore o comunque un delinquente che si facesse vivo per primo con la polizia per deviare i sospetti da se stesso.
Le carte in tavola erano cambiate perché il tasso aveva loro riferito d'aver visto un SUV nero allontanarsi nella direzione opposta a quella presa dai cuccioli, soltanto un minuto dopo averci parlato. E la targa sembrava corrispondere a quella di un mezzo dello stesso tipo, con i finestrini oscurati, che lui e la partner avevano già visto. Per la precisione, l'avevano notato sfrecciare sugli schermi meno di due ore prima, controllando i filmati delle telecamere della zona. Solo che due ore prima non sapevano quel che sapevano adesso, e non avevano motivo di tracciare quel mezzo in particolare.
A meno di non voler fare voli pindarici e supporre che Tomlinson stesse per qualche ragione tradendo un complice, oppure che fosse in segreto un hacker in grado di entrare nella rete della ZPD e seguire le loro mosse; quel nuovo dato poteva voler dire un'unica cosa: che stavano dietro al mammifero sbagliato, e sì, Schneider e gli altri erano stati davvero rapiti.

 

"Mi raccomando, agente Harper, quando è pronto ci stampi l'intero elenco di targhe corrispondenti. Purtroppo abbiamo solo una parziale, ma con un po' di fortuna non ci sarà troppo difficile escludere chi ieri sera non si trovava in città; per cominciare".
L'analista del Distretto mandò un fischio di conferma e tornò a digitare lunghe sequenze di codici sullo schermo nero, pieno di finestre aperte.
Nick e Judy si diressero nuovamente verso la sala riunioni, per fare il punto con gli altri colleghi.
"Non potrei mai fare un lavoro del genere", disse la volpe sgranchendosi le braccia mentre camminava. "Relegato in uno stanzino otto ore al giorno". Judy sorrise. No, nemmeno lei riusciva ad immaginare una vita passata così. Non per nulla il Dipartimento selezionava quasi soltanto talpe per quel ruolo: inutile essere i migliori fra gli analisti, se poi non si reggeva più di un anno o due in quella condizione.
"Hopps! Wilde! Muovetevi, qui ci sono novità che vi interesserà sentire" li richiamo Bogo dall'uscio. "O meglio: vedere", terminò.
E in effetti, una novità c'era, anzi ce n'erano tre: entrando in sala Judy fu la prima a vedere, si bloccò sul posto e fu spinta appena più all'interno da Nick che le finì addosso, non avendo il tempo di rallentare.
Ray, Rosie e Robbie se ne stavano altrettanto impalati sulla pedana da cui Bogo ogni mattina distribuiva i compiti per gli agenti, stretti gli uni agli altri con un'aria colpevole. I tre cuccioli di zebra si guardavano l'un l'altro spaesati. Ma Judy Hopps si sentiva ancora più spaesata di loro.
"Oh. Allora non erano stati rapiti, dopotutto. Non ho sentito parlare né di riscatto, né di un arresto. Giusto, Capo?", parlò Nick per lei, in tono allegro. Si diresse verso la sedia che condivideva con la collega, lasciando quest'ultima alla sua trance, e ci si adagiò con un'espressione appagata sul muso, in attesa di scoprire cos'era successo. E' un po' come a teatro, qui, certi giorni; pensò.
Il muggito sordo di Bogo non lo avvertì neppure.

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Capitolo 7
*** Di più ***


Let's go on. In questo capitolo si conclude il piccolo esperimento di inserire un caso nella storia (la sparizione dei cuccioli di zebra), dopodiché tutto vira nuovamente, brutalmente verso il fluff - fluff è bello... questo capitolo ed il successivo, che pubblicherò in tempi più ravvicinati (entro una settimana), sono strettamente legati: entrambi raccontano la serata post-lavoro dei nostri adorati <3
Ancora mille grazie a chi sta seguendo e commentando, siete preziosi. A breve risponderò anche agli mp.
Non mi resta che augurarvi buona lettura :)
 

VII. Di più
 
Era venuto fuori che i tre cuccioli si erano allontanati da casa volontariamente. Da giorni si erano messi d'accordo per trovarsi in un parco che frequentavano, con l'intento di pagare un taxi grazie alle loro mance settimanali. Avevano raccontato al conducente di essere tre fratelli, e che dovevano visitare uno zio – Rosie aveva tentato di aggiungere altro, pensando che qualche dettaglio avrebbe reso più convincente la loro storia, ma era stata zittita: chiunque legge i libri gialli sa che i bugiardi raccontano troppi dettagli. E' così che si tradiscono; le avevano spiegato poi gli altri due.
La loro meta era una macchia di vegetazione nel bel mezzo di Foresta Pluviale, dove la domenica precedente avevano fatto un'esercitazione con gli Scout: e proprio questa era la loro tragedia, per usare le parole di Robbie. L'esercitazione era stata un fiasco – oltre a non essersi guadagnati la spilletta che attestava l'Abilità di Sopravvivenza nei Boschi, quest'ultimo aveva smarrito fra gli alberi un oggetto preziosissimo: l'orologio del padre, che era morto solo un mese prima.
Da lì gli era nata l'idea, che impulsivamente poi aveva comunicato agli altri e subito messo in pratica: incontrarsi, prendere il taxi, poi uno degli autobus serali nella stessa piazza da cui erano partiti con il gruppo Scout, tornare sul posto attrezzati (ciascuno aveva uno zaino con pila, coperta e altre simili cose). E, naturalmente, ritrovare l'orologio.
"Insomma, né Tomlinson, né quel SUV nero c'entravano nulla, alla fine. Sono entrati in questa storia per caso, e se i bambini non fossero stati in grado di ritornare sui propri passi al sorgere del sole, ora penseremmo tutti al peggio", riassunse Judy con un sospiro.
"Al sorgere del sole. Poetico, Carotina" replicò con un piccolo ghigno Nick. In risposta ricevette una gomitata nel fianco.
"Possibile che tu prenda sempre tutto alla leggera?!", sbuffò lei, nascondendo però un sorriso.
"Non tutto", fu pronto a rilanciare la volpe. "Tu, per esempio. Tu sei una cosa che prendo in modo tremendamente serio".
Judy stavolta non aveva nulla da contestare. "Suona troppo banale se dico che vale anche per me?". Si fermò in mezzo al marciapiede che stavano percorrendo, volgendosi verso Nick. Il loro turno era terminato un paio d'ore prima, e al momento stavano camminando senza una direzione – sembrava scontato a entrambi che avrebbero cenato insieme, ma non se l'erano precisato, ancora. "Oggi sei strano. Non in modo negativo. Ma è vero: ti ho visto raramente così serio. E' una bella sensazione, mi sembri... determinato. Sicuro di te. E' solo che, beh, ho paura, un po'. Sono felice e ho paura".
A Nick piaceva molto questa caratteristica di Judy, quest'onestà quasi sfacciata con cui si presentava al mondo – anche quello che non la accoglieva a braccia aperte.
"Ecco" le rispose "se vuoi della paura possiamo occuparci subito. Ce ne liberiamo, e poi andiamo a mettere qualcosa sotto i denti. Avrei dei programmi per la serata, e non prevedono musi lunghi e orecchie basse".
Judy inspirò piano. Le parole le uscirono insieme al fiato, soffiate con dolcezza. "Se credi che possiamo parlare, e sopravvivere abbastanza bene a quel che ne verrà fuori, mi fido di te. Ti seguo. Non so esattamente a che punto siamo, ora, ma non voglio perdere un amico. Non voglio perderti".
Per l'ennesima volta nell'arco dell'ultimo giorno Nick, invece di commentare, non rispose e le porse la zampa.
La coniglietta la strinse e si rimise a camminargli al fianco.
Mentre si inoltravano nei viali più trafficati di Downtown, Judy notò che l'aria di primavera trasportava parecchio polline, facendolo volteggiare poco più in alto del suo muso. Levò lo sguardo, e la visione del sole ancora bianchissimo nel pomeriggio in declino, circondato da una corona di morbida ovatta fluttuante, la rapì.
Sentiva la zampa di Nick, calda, circondare la sua; e confusamente percepì la felicità sovrastare la paura. C'era qualcosa di buono che la attendeva. Ma se voleva averlo per sé doveva trovare il coraggio di afferrarlo, più saldamente ancora di quanto aveva fatto quella notte.
 
Judy non conosceva quel posto – in fondo viveva a Zootropolis da poco.
Aveva seguito Nick dai grattacieli di Downtown fino al limitare di Sahara Square, dove avevano preso una funivia che portava vicino alle montagne innevate di Tundratown. Era impressionante quella varietà di ambienti e di climi tutti accostati l'uno all'altro, per lei che aveva sempre avuto attorno solo campagna. A Bunnyburrow le stagioni dettavano la differenza nel paesaggio, ma in città questa differenza era evidente e onnipresente.
Il belvedere in cui si erano rifugiati era piuttosto isolato, e riparato dai venti più freddi. La vista era mozzafiato: sulla destra si potevano scorgere i picchi più alti e più interni di Tundra, che dal livello della strada erano inarrivabili, e a sinistra lo sguardo attraversava l'intera Zootropolis, dal mare di sabbia sotto di loro all'intrico di vetro, acciaio e asfalto, e più in là ancora la distesa verdissima e rigogliosa di Foresta Pluviale.
Judy si stupì che bastasse un semplice sentiero stretto, quello che avevano percorso appena un attimo prima, ad impedire che quel posto meraviglioso venisse assediato dalla folla. "E' molto bello, qui", disse grata a Nick.
Si trovò, ancora una volta, la sua coda vicino. Entrambi guardavano lontano, verso i mammiferi minuscoli come formiche che brulicavano  centinaia di metri più giù, tenendo le zampe sul muro che proteggeva i rari visitatori dal fare un volo terribile.
Esitava a sollevare il discorso che sentiva lì, sospeso fra loro due, e che minacciava di destabilizzare il loro feeling. Come amici, come colleghi si erano messi alla prova in più di un'occasione. Persino i gesti di affetto che si scambiavano, nelle ultime ore anche più liberamente, erano parte delle regole del loro gioco, un modello di comportamento consolidato avrebbe detto lo psicologo del Dipartimento. Ma quello che le sembrava di desiderare adesso? Cosa avrebbe significato dirlo a voce alta?
"A che stai pensando, Carotina?", la colse sul fatto lui.
Gli aveva promesso che gli avrebbe dato retta, che si sarebbe fidata. Per vincere la propria resistenza gli si avvicinò di più, mettendoglisi sotto braccio e appoggiando la testa alla sua spalla.
"Sto pensando alle stesse cose che ti ho detto prima. Ma solo una è importante: non voglio perderti, non di nuovo. Ora che ci rifletto, quando sono tornata a cercarti al ponte avrei potuto capire che ero già andata oltre, con te". Prese un respiro profondo. "Voglio di più. Credo sia questo il punto. Ho altri amici in città, ma sono venuta da te, ieri sera. Non è un caso. Come non è stato un caso quella mia frase sull'avere una relazione con un collega", proseguì. Lo sentiva rilassato, ma poiché ancora non parlava, l'agitazione la spinse a continuare. "Insomma, avevano ragione i miei a trovarla strana. E avevi ragione tu a cr-" si dovette fermare, alla fine, perché stavolta era stato lui ad appoggiarle delicatamente una zampa sul muso. Se non si fosse già piacevolmente abituata a quell'odore ferino e un po' dolciastro impresso sui suoi cuscinetti plantari se ne sarebbe indispettita.
"Lo so, lo so. Sono una volpe mooolto astuta, è per questo che ho sempre ragione. O quasi, uhm", scherzò lui. "Ora lascia che ti dica una cosa io. Vuoi?".
Judy assentì con un lento cenno del capo. Chiuse gli occhi e si lasciò andare, abbandonandosi nell'incavo tra collo e spalla. Pronta a ricevere. O quasi.
Ma Nick non parlò come pensava avrebbe fatto. Non subito, almeno.
Per prima cosa depositò un bacio leggero tra le sue orecchie, reclinate sulla nuca, una replica di quello della notte precedente. Poi le mise la zampa libera sotto il mento e le sollevò il muso: riaprendo gli occhi, dilatati per la sorpresa, se lo trovò vicino, tanto vicino da poterne sentire il respiro. I loro nasi erano prossimi a toccarsi, c'era tra essi una distanza tanto infinitesima quanto intenzionale. Uno iato, tra il tartufo di lui ed il vibrante nasino rosa chiaro di lei, trascurabile ma pieno di significato. Vuoi che mi avvicini ancora?, pareva urlare.
La coniglietta non resistette: in una frazione di secondo si alzò sulle zampe, colmò la distanza che li separava e, immediatamente, le orecchie le si alzarono senza chiedere permesso e si colorarono di un rosso leggero, ma inecquivocabile.
Nick teneva gli occhi, con le palpebre a mezz'asta, dritti nei suoi. Si mosse impercettibile, quanto bastava per imprimere una maggiore pressione in quel tocco; terribile e bellissimo.
Non era solo lei ad avere una certa paura, adesso.
Si separarono dopo quelli che parvero a entrambi dei minuti lentissimi.
"E' questo il di più che vuoi, Judy?", lui le chiese.
Judy inghiottì saliva. "Sì. Anche. E... anche altro".
Non ebbe il tempo di rimasticare le proprie parole nella mente: un niente, ed il muso di Nick le fu vicino – vicinissimo – addosso. Umido, salato, dolce, insistente e persistente. Stordita, formulò il pensiero quando già tutto era finito:  era un bacio. Mi ha baciata. A occhi spalancati, riusciva a malapena a ricordarsi di respirare.
"E' questo il di più che vuoi?", si sentì domandare nuovamente.
Non sapendo rispondere, e trovandolo per altro inutile, tacque.
"Tu hai paura di perdere la nostra amicizia, se dovessimo... beh, iniziare una relazione. E fallire. Hai paura che non funzioni. Ma io ti dico che funzionerà. Funzionerà perché ciò che abbiamo è già tutto ciò di cui abbiamo bisogno".
Ora Nick si era leggermente scostato da lei, sciogliendo ogni contatto; ma la sua voce suonava così delicata, e dolce – quasi innaturale – che Judy se ne sentì letteralmente avvolta.
"La cosa che abbiamo, che avevamo anche prima di stanotte, ha un nome", riprese lui. "Noi ci proteggiamo a vicenda. Siamo scappati insieme quando  potevamo, e siamo rimasti insieme quando dovevamo. Tu metti il mio bene davanti al tuo, ed io faccio lo stesso con te. Si chiama avere cura dell'altro. Si chiama amore" soggiunse più piano, distogliendo lo sguardo. "Tutto il resto, sai... frequentarsi, baciarsi, dormire insieme, tutte le belle cose che stanno passando nella tua fantasia di coniglietta emotiva... quelle non sono niente, credimi. Sono la parte facile", terminò abbozzando una risata.
Nick tornò a osservarla. Mosse un unico passo in avanti, e tese una zampa verso di lei. Judy gli andò incontro e gliela strinse.
Il tramonto si avvicinava e lentamente sfumava i colori del panorama che si stendeva più oltre, mentre per contrasto il biancore della neve sulle cime acquistava lucentezza.
Ancora un passaggio, un piccolo sforzo e Nick avrebbe potuto fermarsi, prendere fiato e affidarsi alla sua buona stella. O meglio, rimettersi alla decisione della sua compagna. Perché era sua, ormai. Fremeva. Trentasei anni di vita, buona parte dei quali per la strada, gli permettevano ora di gestire la situazione, di indirizzarla – ma non era padrone di sé come poteva sembrare a Judy. Solo, simulava bene.
"So che sei stufa di sentirtelo dire, Judy" – di nuovo il suo nome: la vide tendere le orecchie nell'ascoltarlo – "ma è il momento per noi di fare una scelta. O ci siamo dentro insieme... e portiamo avanti questa cosa, fino alle estreme conseguenze. O ci fermiamo qui, ora".
Judy non era certa di seguire il suo discorso. Anzi, era certa di stare perdendosi qualcosa.
"Che intendi con estreme conseguenze, Nick?".
Non era allarmata, ma impreparata sì. Impreparata a questo mammifero non solo aperto e sincero rispetto ai propri sentimenti – Nick sapeva esserlo, nelle giuste circostanze – ma anche... padrone di se stesso. Virile era forse il termine esatto: ma come lo pensò, Judy si sentì ancora più meravigliata. In ogni senso. Era stata lei a suscitarlo? E come?
"Niente di spaventoso, Carotina", le giunse la sua risposta in tono lieve. "Pazzesco e sicuramente impegnativo, ma non spaventoso. Ascoltami bene, perché per oggi ho parlato davvero, davvero tanto, e non ripeterò mai più quello che sto per dirti, nemmeno se Mr. Big dovesse minacciare di freddarmi per quella vecchia storia del tappeto... sì, insomma". Doveva concentrarsi, concentrarsi. "Non voglio stare con te per vedere come va. Niente esperimenti provvisori, niente marce indietro precipitose davanti alle difficoltà. Se vogliamo provarci, proviamoci sul serio. Non sei un passatempo per me, e non voglio essere un gioco per te. Sono la tua volpe? Allora tu sei la mia coniglietta. Da adesso, per sempre. Oppure niente".
"Sembrerebbe una proposta di matrimonio, Nick, se non ti conoscessi", scherzò Judy. Lassù l'aria era purissima ma decisamente rarefatta. O forse era soltanto una tensione fuori misura, la sua.
"Non lo è, non adesso. Ma è lì che arriveremo, per quanto mi riguarda".
Passarono interminabili secondi durante i quali Nick sentì fisicamente il peso di quelle ultime parole sedimentarsi nella sua bocca, le mascelle serrate fino a far male. Era troppo tardi per qualsiasi cosa: per sceglierne di migliori, per scegliere di non dirne nessuna, per evitare di vomitare fuori tutta la voglia tremenda e impetuosa che aveva di continuare ad esserci, ed essere insieme a lei.
Il cielo scuriva e le luci là sotto, in quel mondo lontano che era la normalità, andavano accendendosi a gruppi come sciami di lucciole.
Era tempo di tornare.
Stringendo più forte la zampa di Judy fece la sua prova del nove, la attirò a sé con garbo, ma senza esitazione. Lei si lasciò portare. Anche lui si sarebbe lasciato portare ora, dalla corrente, nella speranza di non finire contro a uno scoglio.

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Capitolo 8
*** Sì ***


Nuova settimana, nuovo aggiornamento :)
Per la gioia mia e vostra, la "questione" rimasta in sospeso tra Nick e Judy nell'ultimo cap. si definirà (e sì, Piwy, finalmente ci diamo tutti una mossa XD). Ma questo è solo l'inizio <3
Ho inserito due citazioni cinematografiche (esplicite), ed una libresca (non ho fatto nomi, ma è davvero palese). Perché adoro quei film, e quel libro; e perché ci stavano davvero bene.

Dedico questo capitolo a mio papà (per i film visti insieme al cinema, e semplicemente per tutto quanto).
A Lucia (capirai leggendo).

Come sempre, grazie a tutti - se quel che leggerete vi piacerà, battete un colpo ;)
Se avete delle critiche o delle proposte, idem. Don't hesitate.
 

VIII. Sì
 

Avevano fatto come Nick aveva detto. Avevano parlato, anche se quel giorno Judy desiderava fare un sacco di cose, e nessuna prevedeva l'uso delle parole. Delle bocche sì – ormai poteva dirselo senza girarci intorno – ma certo non delle parole. Eppure non era stato tremendo come immaginava, al contrario. Aveva avuto quel che voleva, baciarlo, e anche un'inattesa, piuttosto sconvolgente proposta.
Le aveva lasciato tutto il tempo di cui poteva aver bisogno per metabolizzare quella novità, perché una dichiarazione di quel genere va assimilata con calma, mentre ridiscendevano lungo il percorso della funivia. Intanto, la volpe mostrava un sangue freddo che per lei aveva del soprannaturale. Ma lo conosceva, era semplicemente impossibile che fosse tanto tranquillo. Aveva modi diversi dai suoi per nascondere l'agitazione: infatti approfittò della corsa per fare un colpo di telefono a Scott Tomlinson e riferirgli del modo bizzarro in cui la faccenda dei cuccioli scomparsi si era conclusa.
Tornando verso il centro di Downtown, ad un passo insolitamente lento, ebbero così modo di portare avanti una di quelle conversazioni spicciole che riempiono i minuti senza impegnare. Nonostante tutto, l'atmosfera era rilassata: a parere della coniglietta, Nick stesso preferiva rimandare il momento in cui sarebbe toccata a lei la palla. Magari per stabilire qualcosa di altrettanto definitivo.

 

L'atrio del multisala era poco affollato, notò Nick mentre teneva il battente dell'ingresso aperto per Judy. Era uno dei motivi per i quali sceglieva spesso, quando non erano di turno, il lunedì sera per il cinema.
Soprattutto adorava le rassegne e le retrospettive – alta qualità a minor costo. E quella era per l'appunto una settimana di rassegna: in particolare, i gestori avevano deciso di organizzare uno scontro frontale tra i lungometraggi della Disney e quelli della Dreamworks. Al normale prezzo di un biglietto, si partiva quella sera alle sette con Galline in fuga, una mezz'ora o giù di lì di pausa, e a seguire Toy story. Dei volatili e dei giocattoli che si muovono, parlano e interagiscono come fossero mammiferi, che idea esilarante!
Personalmente preferiva Toy. Nick adorava quella trilogia, ma il primo titolo rimaneva per lui insuperabile. Ogni volta che lo passavano in TV lo rivedeva, e non aveva mancato nemmeno la maratona su FurLife, naturalmente. Non che l'avrebbe mai raccontato a nessuno. A parte Judy. Forse.
A tal proposito, la coniglietta in questione l'aveva superato ed era intenta a studiare il tabellone dei combo. Tacos con acqua tonica – ovvero una scelta minimalista e salutista – oppure pop-corn al burro e caramello con cola, per accorciarsi un po' la vita ma tanto, tanto allegramente?
"Pops al burro e caramello" sentì un bisbiglio nell'orecchio sinistro.
E poi, nel destro: "Coca-cola. La senti che ti chiama?".
Avrebbe giurato che la sua coscienza le stesse parlando ad alta voce, se la sua coscienza avesse sensatamente potuto avere una voce maschile.
Senza voltarsi, rispose a quel timbro ammaliante. "Mi piace l'idea. Penso proprio che cederò", ed entrambi, Nick e Judy, si chiesero a cosa in realtà lei stesse dicendo di sì.

 

"E' innaturale, ti dico" insistette per l'ennesima volta lei. "Non s'è mai visto. Ho sempre saputo che non sei un mammifero normale, ma questo è davvero troppo".
Le parve di sentire, proveniente da un divanetto poco lontano dal loro, un grugnito ed un commento soffocato che diceva qualcosa di molto simile a un "Ecco, senti cara. Lo dice anche lei che è innaturale". Si sporse leggermente per capire chi aveva parlato, ma non riuscì ad individuare chi fosse.
Nick, intanto, stava continuando pacificamente a consumare il suo panino al salmone e mirtilli. Era di quello che Judy si stava lamentando.
"Ma perché, Carotina", le disse dunque, "a me piacciono tanto. Specie se sono della tua famiglia, lo sai".
La voce di prima si fece sentire più nitidamente, stavolta. Proveniva da dietro il separé alle spalle di Nick. "Te l'ha detto, no? Dalle retta. E' innaturale che una volpe e un coniglio stiano insieme". Doveva essere un maiale, perché alla frase seguì un altro grugnito. In effetti, il muso piatto di un suino fece capolino un secondo dopo. "Ti consiglio di lasciarla in pace, amico. Non correrò veloce, ma so dove colpire per fare male. E se continui ad importunare questa ragazza, giuro sul mio onore che lo farò", disse ancora.
Nick e Judy si scambiarono uno sguardo stupiti. Ci volle forza d'animo per contenere le risate: dopotutto, anche se ciò che il tipo aveva detto non suonava troppo bene, il tono e l'atteggiamento erano quelli di chi ha visto troppi film con Clint Eastfurr nel ruolo dell'ispettore Callapaw. Una macchietta.
Prima che Nick potesse replicare, fu la moglie dell'aspirante picchiatore a farlo. "Adesso basta, Pete. Stai passando il segno. Prima di tutto, sono sicura che la ragazza non ha bisogno di essere difesa, men che meno da te. E, soprattutto, dovresti imparare a non impicciarti nei fatti altrui. Oggi è il nostro anniversario. Non cercare scuse per cambiare discorso, caro, perché tanto l'ho capito che non te ne ricordavi. Infatti ci ho pensato io a prenotare. E adesso mangia, su".
"Ma cara..." giunse la flebile risposta di lui.
Nick e Judy si sorrisero divertiti. Ad alcuni l'idea che passassero così tanto tempo insieme oltre l'orario lavorativo dava la nausea, e glielo facevano notare. Pensate se dovessimo fare tutti come voi. C'è gente che ha una moglie a casa, per non parlare dei bambini che se non urlano vogliono giocare. Alle dieci di sera, dopo un inseguimento che ti ha rotto le reni, oltre che le palle. E dovremmo portare a spasso anche il nostro partner, con il cane? Certo non tutti ci scherzavano, c'era anche a Zootropolis chi davvero non riusciva a figurarsi che potessero essere amici. Una volpe e una coniglia. Con nove anni di differenza, che per alcuni erano già un'enormità, e scambiavano lei per una cucciola. Un maschio e una femmina: l'industria del cinema ci aveva fatto soldi a palate, sulla convinzione che un'amicizia tra i due sessi non potesse esistere. Amanti, poi? Solo in una battuta di spirito, una barzelletta. Eppure, Judy sapeva che tutti questi esempi, spassosi e meno spassosi, costituivano un'eccezione e non la norma. Le relazioni interspecie erano viste come sbagliate da relativamente pochi animali, la verità era che creavano più difficoltà ai diretti interessati. Incomprensioni, abitudini differenti, background agli antipodi: inconvenienti che valevano per qualunque coppia, ma così specifici e talvolta profondi da giustificare l'apprensione delle famiglie di origine ed il dibattito pubblico.
Nick era tornato ad addentare con trasporto il suo panino, e Judy interruppe la propria riflessione con un gemito. Dovette portarsi le lunghe orecchie davanti agli occhi per impedirsi di assistere ulteriormente a quel supplizio. Salmone e mirtilli, sul serio?
"Oh, avanti, non fare così. Mai sentito parlare di salmone in salsa di mirtilli, Carotina? Oltre oceano è roba che va forte. Sicura di non volerne?".
"Sarà. Ma preferisco passare la zampa: avvertimi quando hai finito di sbranare quel povero salmone. Meritava di meglio, comunque", controbatté lei. "Che so, una panna acida".
"Argh. Idea orribile", fu la risposta.
Judy sollevò un lembo dell'orecchio destro e, ostentatamente, evitò di guardare Nick mentre terminava le sue carote al gratin. Sal, l'orso bruno che mandava avanti quel ristorantino – secondo l'insegna – dal 1976, li accontentava sempre nelle loro richieste, più e meno insolite ed accettabili. O per meglio dire: accontentava Nick. Judy cambiava e sperimentava spesso, ma non aveva l'inventiva del partner.
Un quarto d'ora più tardi una cameriera aveva ritirato i loro piatti, e preso le ordinazioni per il dolce. Non restavano molti mammiferi nel locale, la mezzanotte era abbondantemente passata. Judy controllò il proprio orologio da polso.
"Stanca?", le chiese Nick.
"Oh, no. Davo solo un'occhiata".
"Non ti preoccupare, tesoro". L'appellativo ed il tono erano quelli del loro secondo incontro, quando Judy l'aveva messo davanti all'evidenza della sua truffa, e per tutta risposta lui se n'era compiaciuto. "Domattina siamo liberi, possiamo restare sotto le coperte tutto il tempo che vuoi", ghignò.
Judy si sentì avvampare dalla gola alla punta delle orecchie. Era già impietoso lanciarle una frecciata simile in qualunque altra circostanza, ma lì! Con quel curiosone in ascolto appena oltre il divisorio... non ebbe il tempo di formulare il pensiero, che quello si rifece vivo. In carne – molta carne – ed ossa, stavolta.
"Senti un po', tu", si rivolse a Nick con aria da duro. O almeno, quella che voleva essere un'aria da duro. "Mi pare di averti già detto – " la frase gli morì dentro quando avvertì lo sguardo della moglie posarsi su di lui.
"Aspettate, aspettate", intervenne Judy. L'imperativo era limitare i danni. Certo Nick non la stava aiutando in questo, muto e con l'aria beata di stare godendosi lo spettacolo: sembrava ci tenesse a stuzzicare quel tale Pete e farsi tirare un gancio. "Avete frainteso".
"Lo spero bene", ribatté il maiale. Non troppo astuto, evidentemente.
"Sì, ecco", riprese Judy. "Nick non mi sta importunando". Non sapeva bene come proseguire, e di nuovo vide lui quasi disinteressarsi a tutta la faccenda. Girava il cucchiaino nella tazzina di caffé – in quel posto non esistevano i bicchieroni di carta di Furrbucks, il caffé lungo era il demonio – e sorrideva appena. Ad un certo punto allungò la zampa verso il maiale che ancora lo squadrava malamente, e fece le presentazioni.
"Nick Wilde, molto piacere". Il maiale non raccolse l'invito. "E questa è Judy Hopps, una mia collega". Attese un secondo, ma pareva che la coppia non avesse sentito parlare, o più probabilmente non avesse riconosciuto in Judy, quella che con suo grande fastidio veniva chiamata l'eroina di Zootropolis. Meglio così, si erano fatti già abbastanza pubblicità. "Judy...?" la sollecitò, con un cenno.
La coniglietta si riscosse, scambiò una stretta di zampa con entrambi i suini e riprese la parola. "Sì, ecco", ripetè mezzo balbettando. Un respiro profondo, Judy. "Ci dispiace avervi distolto dalla vostra cena. Però non deve preoccuparsi, signore" aggiunse rivolgendosi direttamente a Pete "perché sto bene. In effetti non sono mai stata meglio" – sentì di nuovo la base del collo accaldata. Sicuro come la morte che stava avvampando. Abbassò gli occhi, ma doveva pur cavarsi dall'impiccio e perciò proseguì. "Nick non mi sta dando fastidio. E' un collega, sì, ma è anche il mio ragazzo" osò finalmente. Adesso che l'aveva detto era più facile. Poteva rialzare lo sguardo: con sua sorpresa, scoprì che la volpe di fronte a lui aveva dismesso la propria maschera canzonatoria. Aveva ora un'espressione intensissima, magnetica. E quell'espressione, che le fece dimenticare ciò che aveva intorno, era posata su di lei con tenacia. La sentiva premere.
Se fossero stati i protagonisti di una storia di fantasia, adesso il loro autore avrebbe scritto qualcosa come il tempo si fermò, oppure trascorsero alcuni secondi che parvero a loro minuti. Più concretamente, era impietrita.
Poi, ad un certo punto, Nick parlò e tutto rifluì. I suoni che giungevano dalla sala e dalla cucina le sembrarono più distinti, come se in precedenza qualcuno avesse abbassato il volume.
"Allora è un sì?" le chiese lui. Una domanda poco fraintendibile.
Judy prese un altro respiro e, rilasciandolo, formulò un "Sì" che non le veniva forse dalla parte raziocinante della sua persona, ma senza dubbio le era stato ispirato dalla parte migliore.
"Sì". Ancora. Era una parola semplice, breve, bella. La si poteva indossare con tutto, come il nero, era chic, ma anche impegnativa. E bella. Bellissima. Adesso era il momento del bacio. Nei film, nei libri e nei matrimoni funziona così.
"Carotina, fermati. Mi piange quel cuore tarocco che mi ritrovo, ma devo chiedertelo. Ne sei sicura?" fece invece lui. Non esattamente ciò che Judy si era aspettata di sentire.
"Come. Come, scusa? Non ti seguo". Una tremenda idea si fece strada nella sua mente. "Aspetta, non avrai cambiato idea. Non è possibile, hai detto certe cose... certe cose che... beh, cose che una volta dette non si possono ignorare. E' per ciò che ha detto lui?" chiese con gravità e con un pizzico di stizza, indicando il maiale la cui presenza per un lungo momento aveva perso di vista. "Pensi che non possiamo? Che dovremmo nascondere la cosa? Che la gente ce lo farà pesare? Ma – " toccò di nuovo a lei trovarsi una zampa piantata sul muso a zittirla.
"Wait wait wait, Carotina, adesso caaalma e dammi un attimo di tregua".
Uno sbuffo teatrale, con gli occhi rivolti al cielo.
"Mi farai morire prematuramente, lo so. Sei più pericolosa della vita di strada, giuro". Giuro solennemente... Nick scosse la testa per scacciare quel pensiero, quel ricordo che il caso dei tre piccoli scout scomparsi aveva riportato a galla. Non era il momento. Sollevò piano la zampa per verificare che la sua tenera coniglietta molestatrice non avesse intenzione di riprendere a mitragliarlo di parole. Non ne aveva intenzione. Anzi, poteva scommettere un pezzo da cento che c'era già una lacrima pronta a fare capolino dal bordo di quegli occhioni.
"Primo, non ti agitare. Va tutto bene, e se me lo permetti te lo dimostrerò. Secondo, non piangere. Ah" bloccò il tentativo della partner di replicare "so che stai per farlo, non dire di no. Semplicemente, non farlo. Non ce n'è motivo".
Pete e signora si erano nel frattempo immobilizzati sul posto, tra il sorpreso, l'interdetto e non sapevano nemmeno loro cos'altro. Non che a Judy e Nick importasse più, a quel punto. E quest'ultimo aveva un lavoro da portare a termine, adesso. Un lavoro sporco.
"Judy, il problema non sono gli altri. Sarà più facile per praticamente chiunque, colleghi, Bogo, la tua famiglia, la società, Cielo che parolone, sarà più facile per chiunque di loro accettarci di quanto lo sarà per noi due accettarci a vicenda".
Judy palesava tutto il suo smarrimento, ma non lo interruppe.
"Prima che tu me lo chieda: no, non sto ritrattando niente. Ci mancherebbe, con la fatica che ho fatto a decidermi a parlare" – si asciugò un'immaginaria striscia di sudore dalla fronte. "E voglio una risposta, naturalmente, ma non voglio metterti fretta. Non va bene", concluse.
"Io so quello che voglio, Nick". Aveva recuperato un po' di freddezza. "Ti ricordo che se sono qui, intendo in città e in polizia, è perché l'ho voluto da sempre. So riconoscere quando voglio o non voglio qualcosa, Nick". Pronunciare il suo nome la faceva sentire più sicura di sé.
"Insomma stai dicendo che mi hai voluto da sempre" ribatté lui con perfida nonchalance, il muso posato mollemente sul palmo della zampa, un mezzo ghigno ad arricciargli le labbra.
"Smettila... scemo". A Judy riuscì inevitabile una risatina chioccia. Si annotò di dovergli un pugno, appena ne avesse avuto l'occasione.
"Dico solo che non devi, okay, che non dobbiamo farci illusioni" proseguì lui tornando a farsi serio. "Verrà il giorno, forse anche presto, in cui io ne avrò fin sopra le orecchie di vedere carote a tavola, anche se le mangi solo tu, e tu troverai insopportabile il mio odore. Non ti sembrerò più il mammifero civilizzato che hai davanti ora e che ti sembra di volere vicino sempre".
A quel punto Nick tacque. Aveva detto quello che doveva dire – perché doveva, era fuori discussione – ma si faceva un po' schifo. E c'era di nuovo quel guizzo involontario di paura che gli faceva ciao ciao da un angolo del cervello. Non riusciva a muovere un muscolo, nemmeno facciale, aveva anzi l'impressione di essere congelato.
Vide Judy scuotere la testa, come in disaccordo, poi al contrario annuire piano, ripetutamente, gli occhi che vagavano sul piano del tavolo. Pareva assorta in qualche sua riflessione, e la cosa cominciava ad avere un effetto nocivo sui nervi di Nick. Poi la vide allungare le zampe a cercare le sue, stringergliele, e chiudere gli occhi.
"Lo so. E tu sai bene che non posso dirlo per esperienza, non ho mai avuto una relazione così lunga, non ho mai vissuto con qualcuno. Però non mi aspetto che tutto sia perfetto. Fin qui ci arrivo, ottusa o no".
Nel loro angolo di mondo regnava un silenzio pressoché totale, fatta eccezione per il tintinnìo delle posate in cucina, e un occasionale sospiro dal lato femminile della coppia che imperterrita e noncurante li osservava. Pete il maiale si ritrovò uno zoccolo della moglie avvinghiato al braccio, e vide che l'altro lei se lo teneva all'altezza del cuore. Oh sì, doveva trovare tutta la faccenda commovente. Donne.
"Se non saranno le carote sarà qualcos'altro che ti scoccerà, e lo stesso vale per me. Potremmo fare mattina elencando tutto quel che può andare storto, anche molto storto" aggiunse Judy. "Ma se due mammiferi dovessero decidere di passare un'intera vita insieme solo avendo la garanzia che non avranno fastidi, non si annoieranno e non si chiederanno mai chi è quell'estraneo che occupa il divano di casa... beh, nessuno muoverebbe più un solo passo. O tutto o niente, l'hai detto tu".
"Una vita intera è lunga, Judy. Sempre che qualche criminale un po' troppo focoso non ce la accorci, un giorno o l'altro". Nick l'aveva pensata come una battuta, ma quando gli uscì dalle labbra suonò ad entrambi come un'amara, ma pura verità.
"Lunga o corta, adesso è la nostra vita. Non la mia e la tua, la nostra".
La coniglietta allungò il busto al centro del tavolo, la spalla destra in avanti, il muso sollevato e puntato verso la volpe. La sua volpe. Una posizione da centometrista.
"Non sono tornata a cercarti al ponte perché hai una bella pelliccia e gli occhi verdi, o perché sei divertente e mi hai abbindolato con la tua parlantina, e nemmeno perché mi sentivo in colpa se è per questo". Sciorinò l'elenco di perché scandendoli lentamente, realizzando solo in quello stesso momento cosa la spingeva. "Esistono altre volpi. Molti mammiferi hanno occhi altrettanto belli, e non manca di sicuro chi può attirare la mia attenzione. Potevo scusarmi, sì, e poi andarmene. Invece ti ho cercato e rivoluto con me. Perché le altre volpi non sono te. Eri un mammifero tra tanti, ma in pochi giorni ho fatto di te un amico e per me ora sei unico al mondo. Anche se non ci fossimo riavvicinati, anche se non mi avessi perdonata, nessuno avrebbe più potuto prendere il tuo posto, e sarei comunque rimasta legata a te per sempre". Gli sorrise: ormai era fatta. "Così, vedi, tu eri già la mia volpe, per sempre, da subito. E sei riuscito a fregarmi di nuovo facendomelo ammettere...".
Nick intensificò la stretta delle proprie zampe su quelle di Judy, e con un movimento dei polsi la attirò ancora più vicina di quanto già non fosse. Per la seconda volta in quella singolare giornata i loro nasi entrarono in contatto, spedendo in entrambi una fitta di eccitazione. Né il gesto né la reazione del proprio corpo stupirono più la coniglietta. Voleva baciarlo, voleva disperatamente baciarlo, lo avvertiva come un bisogno fisico. Ma non lì.
"Usciamo", ordinò perentoria al soggetto del suo desiderio. E si staccò da lui: non avrebbe resistito altrimenti. Sciolse la stretta delle zampe e si alzò, si rassettò, recuperò la borsa.
Mentre Nick raggiungeva la cassa e pagava il conto, lei si fece strada tra i due sconosciuti spettatori, salutandoli educatamente con un cenno, ma appena prima di allontanarsi dal tavolo sentì uno zoccolo posarlesi sul braccio. Era la donna, sicuro, della quale non conosceva il nome.
"Buona fortuna", si sentì dire. Le sorrise, ma pensò che la fortuna c'entrava poco. Ciò che serviva loro era una confezione formato esercito di buona volontà. "Grazie, signora. Arriverderci. Oh, e auguri a voi per il vostro anniversario", rispose ammiccando.

 

L'ultimo pensiero che fece prima di sentirsi dileguare dentro quel mare caldo fu che non sapeva più dove cominciava, e dove finiva, il suo corpo.
Non aveva più orecchie, né tese né rilassate, non aveva occhi dietro le palpebre chiuse, né tantomeno una bocca sua propria. Smise anche di percepire il contrasto dell'aria fredda della notte contro il mantello esposto. Si era lasciata andare al largo in quell'alveo tanto più grande del suo, sfiorando con la piccola linguetta rosa i canini di Nick, insistendo perché la lasciasse penetrare oltre la linea nera delle labbra che gli sigillava il muso. Lui la teneva a bada con una serie di delicate lappate che non facevano altro che metterle addosso altri brividi. Temeva di farle male, o che si sentisse aggredita: una cosa era un bacio superficiale, un'altra aprire le fauci su di lei. Ma Judy non ci stava, voleva approfondire. E strusciandosi come un felino contro di lui, una, due, tre, cinque volte; alla fine ebbe ragione delle sue resistenze.
In qualche occasione era stata alle terme con delle amiche: le vasche erano scavate all'interno di una grotta, e il ricordo di quell'immersione nel tepore, di quell'atmosfera pregna di umidità salina le sovvenne prepotente mentre il fiato e la saliva di Nick la avvolgevano. Il pelo rado che le proteggeva capo ed orecchie fu attraversato da un fremito, simile ad una scarica elettrica, che si propagò in un istante a quello più folto di braccia e zampe – di quella gelatina che erano diventate le sue braccia e le sue zampe. Visualizzò una distesa di frumento sotto il temporale estivo, come ne aveva viste decine a Bunnyburrow, percorsa da una violenta ondata di vento che ne spazzava le spighe.
Si aggrappò a lui con tutte le forze. La sua schiena, le sue spalle, la sua nuca. Fame. Sete. Una grande sete.
Lo squillo che annunciava un nuovo messaggio ricevuto sul suo mPhone, riverberato nello spazio angusto del vicolo nel quale si erano infilati in tutta fretta, passò totalmente inavvertito.

 

Nick sembrava avere, se non altro, recuperato il controllo del proprio corpo e delle sue funzioni. Judy, invece, sentiva che a prescindere da come la vedevano gli altri mammiferi all'esterno, quel controllo non l'aveva affatto.
Sedevano su una panchina di metallo, in attesa dell'arrivo della metro, indossando una compostezza degna di un'antica casa reale nel tentativo di nascondere l'euforia.
Erano fermamente decisi a non scambiarsi nemmeno una sillaba che potesse alterare lo stato di grazia in cui versavano.
Il cellulare di Judy trillò nuovamente, e stavolta lei lo sentì. Aprì la cover, fece scorrere un dito sullo schermo e lesse – un messaggio da sua madre. Buonanotte, cucciola mia. Spero sia stata una buona giornata.
Se avesse saputo quanto. Se avesse saputo.

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Capitolo 9
*** Correndo ***


Lo devo proprio dire: adoro questo capitolo.
Il risultato finale è ancora lontano da quello che mi girava nella testa, dalle sensazioni che volevo raccontare.
Ma ugualmente ne sono soddisfatta.
E' più lungo e ricco dei precedenti, e dopo l'inizio che li vede insieme alterna più volte i POV di Nick e Judy.

In parte rappresenta, ancora, un esperimento: qualcosa di nuovo in questa fic, anche se non del tutto per me, in quanto ho già descritto in passato sia una corsa che una musica (a proposito: ho inserito i link alle due canzoni che J&N ascoltano; se vi va, vi consiglio di metterle in sottofondo). Per questo aspetto in particolare il parere di Redferne (trovi credibile questo Nick?) e quello di Chiara (com'è il ritmo? vedi qualche patata gigante in giro?). Naturalmente, qualunque commento sarà apprezzato.

Dedico questo capitolo a chi mi ha seguito fin qui, a chi è appena arrivato (benvenuti/e) - e a tutti i runner! :)

 

IX. Correndo

Si chiusero la porta alle spalle e si immersero nel buio che cullava la casa.
Subito Judy sentì le zampe di Nick appoggiarsi sulle sue spalle e fare presa per voltarla verso di sé.
L'oscurità era così piena e perfetta che non riusciva a vedere neppure il riflesso dei suoi occhi, stavolta, a differenza della sera prima. Le parve tutto così nitido nella mente, eppure così remoto. Erano accadute molte cose – erano stati loro a farle accadere, e non era certa di quale sarebbe stato il prossimo passo. Forse dormire insieme, di nuovo. Semplicemente. Ventiquattro ore o poco più, e già aveva sviluppato un attaccamento, una dipendenza; doveva averlo vicino.
Le zampe di lui salirono a incorniciarle il volto. Ci fu un piccolo cambiamento in lei, nel battito del suo cuore: non tanto un'accelerazione vera e propria, più che altro una manciata di extrasistole gettate alla rinfusa in mezzo al normale ritmo cardiaco.
Il mix indistinguibile dell'odore dei loro corpi, a distanza quasi nulla, saturava l'aria.
Poi lui parlò.
“Credo che tu sappia già dove si trova tutto ciò che ti può servire. Sentiti a casa tua... temo però che stanotte dovremo dormire separati. Tu letto, io divano”. Oddio, suona un po' come Io Tarzan, tu Jane, pensò assurdamente Nick un attimo dopo aver pronunciato la frase. Frase che gli era costato molto pronunciare: tant'è vero che aveva preferito non essere costretto a guardare Judy negli occhi nel farlo. Ma doveva. Fino ad allora era riuscito a mantenere la compostezza di un perfetto mammifero ragionevole e posato, ma la sua resistenza aveva un limite, e non voleva scoprire dove fosse esattamente questo limite.
“Dopo stasera non riesco a pensarti troppo lontana, a casa tua per esempio. Ma se dovessimo dormire di nuovo insieme, adesso come adesso, non riuscirei a trattenermi. Capisci cosa intendo?”, aggiunse dunque.
Era tentato di assecondarsi, e di assecondare il corso degli eventi. Che li portasse a soltanto a condividere il letto o più... lontano. Ma sapeva che questo avrebbe significato due cose: perdere il controllo della situazione, già precario, e affrettare qualcosa che aveva invece bisogno di tutta la cautela del mondo.
Judy non rispose per alcuni secondi. Infine mugolò un verso dal significato ignoto.
“Credo di capire, sì. Anzi, ne sono certa”. Se non puoi trattenerti tu, non contare su di me, era la didascalia della sua risposta. “Come ho detto, mi fido di te”. Non che ne fosse entusiasta, beninteso. A tentoni cercò il muso della volpe davanti a sé, andando a toccarlo appena sotto gli occhi a lei nascosti. Poteva vedere la sua reazione, lui? Restarono in quella posizione, zampe sulle reciproche gote, per qualche momento ancora prima di staccarsi.
Judy mosse alcuni passi rasente al muro, senza osare dissolvere quel buio benedetto, fino alla porta del corridoio che dava sulla camera di Nick, prima di voltarsi per augurargli la buonanotte.
“Aspetta”, lo sentì dire – più vicino, le sembrò. Si era mosso? “Giusto perché tu non abbia dubbi”.
Sì, era più vicino, constatò appena un secondo prima che la lingua rasposa e bagnata di lui la svuotasse di ogni pensiero, come la risacca cancella le orme sul bagnasciuga. La stava leccando veloce, con gusto. Guance, naso, bocca. Poi più nulla. Lo sentì sospirare leggero. E ancora posare la lingua, solo di punta, sulla sua bocca così piccola, così diversa, così da... coniglio. Fermandosi lì, come in attesa della sua mossa. Adesso davvero il cuore le stava pompando a un ritmo esagerato. Esitò. Inghiottì saliva. E si slanciò verso di lui facendo quel che poteva, quel che umilmente poteva, per accoglierlo dentro di sé. Spazio ne aveva, certo, nel cuore nella testa e nella bocca; ma non si poteva negare che non fosse come baciare un suo simile. Non poteva darsi a metà: poteva solo arrendersi completamente, lasciarsi invadere, prendere un unico profondo respiro e calarsi in un'apnea ipnotica che aveva ben poco da invidiare ad un altro tipo di... ginnastica. Sentendosi annegare lappò la superficie inferiore della lingua di lui, qualcosa di sporgente e teso che doveva essere il nervo, e in quell'attimo cozzò con la nuca contro la parete del corridoio. Nick la stava spingendo all'angolo. Lo prese per i fianchi per annullare lo spazio che li divideva, stringendolo con molta più forza di quanta ne avrebbe messa nel placcaggio di un fuggitivo; e solo quando non ce la fece più, a malincuore, voltò la testa interrompendo il bacio.
Nick tornò a leccarle piano, in piccoli movimenti, il muso, tenendoglielo fermo tra le zampe raccolte a coppa. Poi ne lasciò cadere una sul fianco della coniglietta scendendo a inumidirle il collo. Era decisamente l'ultima tappa, quella, non poteva permettersi altro pena scivolare nella follia. Inalò il suo odore, qualcosa di incredibile che riteneva ancora un indizio di erba e di terra, e si fece chiaramente udire mentre sniffava, e leccava, e ansimava, e... basta. Tutta quella meraviglia gli aveva prosciugato il sangue dal cervello e l'aveva spedito altrove, più a Sud. Basta. Era a un passo dal cedere.
Si staccò da Judy con lentezza – lei potè percepire distintamente ancora due, tre volte il fiato di lui lambirla. Come poteva una cosa essere al tempo stesso tanto paradisiaca, e tanto tormentosa?
Chiusero il loro incontro nella maniera più semplice e difficile insieme; una volpe che accompagna una coniglia lungo i pochi metri che la separano dalla stanza in cui avrebbe dormito. Sola. Le dita che sciolgono il loro intreccio. Una buonanotte sussurrata a mezza voce, con la paura che anche un'unica parola fosse di troppo. E la notte ancora lunga davanti a loro.

 

Nick si ribaltò avanti e indietro sul divano, praticamente insonne, per le successive due ore.
Si sistemava la coperta, la ricacciava via; accomodava con attenzione i cuscini solo per cambiarli di posizione dopo dieci minuti. Si mise disteso, seduto, ranicchiato, raggomitolato, poi ancora disteso.
Sapeva di aver fatto la scelta giusta, tuttavia questa consapevolezza non lo aiutava a superare quell'oceano freddo che lo separava dall'alba, o almeno dall'addormentarsi e dimenticare dov'era, senza chi era.
Desiderava Judy in maniera così intensa. E proprio per questo non voleva bruciare le tappe. Sentiva l'urgenza di sbattere la testa al muro, oh sì. Per smettere di pensarci. Oppure di una doccia gelata, ma per farla avrebbe dovuto passare per la sua stanza. Avvicinarsi a lei. Oh, no. Non ce l'avrebbe mai fatta!
La voleva. E anche se entrambi erano stati con altri, prima, ora le cose erano cambiate. Si appartenevano. Eppure ancora non gli bastava, non intendeva accontentarsi. Voleva tutto di lei. Da lei. Voleva un sì totale, a scatola chiusa. Nessuna possibile ritrattazione.
Perché la verità era che loro due non avevano alcun potere, né certezza. Né la certezza di rinnovare l'attrazione che provavano finché fossero vissuti, né il potere di appianare i contrasti che sarebbero sorti. Potevano soltanto fare una scelta: di rimanere insieme comunque, anche quando, anzi specialmente quando, gli sarebbe sembrato che non ne valesse più la pena. Per averlo deciso prima, arbitrariamente, ed esserselo giurato davanti a Dio – “preda e predatore, due nature unite nel medesimo essere”, così recitava la formula canonica. L'unica variabile che avesse valore era la loro volontà.

 

Judy si sarebbe fatta un mucchio di paranoie alto come il Kilimangiaro, ne era certa, se non fosse stato per quel bacio con cui Nick l'aveva tramortita una mezz'ora prima. Breve ma intenso, promettente. E nel complesso, quell'ultima particolare giornata era stata troppo persino per lei. Insomma, troppo per modo di dire.
La coniglietta rinunciò a prender sonno, almeno per il momento. Nonostante la stanchezza galoppante, era ancora su di giri. Temeva inoltre che se si fosse addormentata sul fianco destro, avrebbe disperso il tocco sapido che la volpe aveva lasciato sul suo collo, cedendolo alle lenzuola come uno di quei trasferelli con cui giocava da bambina.
Si sedette allora a zampe incrociate, e alla luce della piccola lampada che sporgeva dal lato del letto si mise a riorganizzare le proprie playlist sull'mPod. L'indomani, cascasse il mondo, si sarebbe alzata all'ora consueta e sarebbe andata a correre nel parco più vicino. Sarebbe in ogni caso tornata prima che Nick si svegliasse. Considerato che avevano la mattinata libera, e avevano tirato tardi, avrebbe lasciato che recuperasse il sonno finché gli pareva.
Creò una nuova cartella intitolandola Monday, I'm in love e cominciò a spostare i file: da cose più ritmate come l'immancabile Gazelle, a cose più d'atmosfera come Whitney Foxston. Ragionò sui testi che avrebbero saputo sottolineare al meglio la tempesta di impressioni che covava dentro; sulla durata delle tracce. Voleva correre più a lungo del solito; non si trattava di un allenamento normale ma di un lasciarsi coinvolgere, dare voce e sfogo a quell'affanno felice che le impediva di acquietarsi.
Non vedeva l'ora che si facesse giorno.
 

Cinque minuti, cinque minuti soltanto; fu quel che Judy si disse accoccolandosi contro il corpo caldo di Nick. Sottosopra, il pelo discretamente arruffato, la volpe aveva abbandonato la camicia sul bracciolo del divano e nella lotta contro i suoi fantasmi notturni una gamba e mezzo torace erano rimasti all'aria. La coniglietta si godette con tutta calma quel piccolo, peloso regalo mattutino.
Indugiò avvolta in quella deliziosa massa soffice, che per la prima volta vedeva libera dalla costrizione degli indumenti, finché non le sembrò di avergli rubato abbastanza calore.
Rimessasi in piedi, si premurò di allungare il plaid perché coprisse adeguatamente il suo prezioso partner. Fece la sua serie di piegamenti e allungamenti, allacciò l'mPhone al braccio ed infilò gli auricolari. Aprì la porta di casa più piano che poté, uscì, la richiuse, si mise la chiave in tasca.
Un respiro profondo. Via.

 

Cespugli di rose, fasci di iris, papaveri a perdita d'occhio.
Profumi o colori intossicanti, come piacevolmente tossico era l'effetto che la volpe le faceva.
La Morris si stava esibendo in una versione deliberatamente lenta, ad alto tasso erotico di quella stessa Toxic che Britney Spears aveva reso una hit. Irriconoscibile. Aspirò l'aroma dei fiori di cui il parco era pieno, inspirò in profondità e rilasciò la cassa toracica con un sospiro lento e sonoro.
Sotto le sue zampe il manto erboso.
Il sole la inondava di luce tiepida; la stessa luce che faceva rifulgere le pagine inferiori delle foglie degli ulivi tutt'attorno, come cristalli esposti.
Una brezza leggera, un maggio perfetto.
Mammiferi stupiti e riconoscenti, sospettosi o ritrosi, a tutti sorrideva per prima; incurante di venire corrisposta o meno.
Era lì: profondamente partecipe del flusso del sangue nelle sue vene, del saliscendi del suo respiro, dell'alternarsi di flessione ed estensione di ogni muscolo al lavoro. Eppure, contemporaneamente, era altrove, in un universo a parte. Un universo fluido, fatto di quella voce che rasentava il timbro maschile sui toni bassi, e diventava un lancinante grido di passione quando s'involava sul dorso degli acuti.
Le piaceva la sensazione che la corsa le dava, di poter allungare il suo corpo già elastico oltre ogni aspettativa. I fasci muscolari rispondevano ai suoi ordini docilmente, i tendini li agevolavano. Non imponeva loro alcuno sforzo superiore a quello necessario per scivolare tra siepe e siepe, tra i cuccioli che giocavano a pallone, tra un'emozione e l'altra che intenzionalmente esaltava con la musica.
Correre come volare. Faticare per sollevarsi sopra la fatica.
Spalle morbide. Testa alta. Cuore che scalpita dentro ogni colpo di zampa che batte il suolo.
Azzurro del cielo, verde nel fremito dell'erba, bianche nuvole pigre di passaggio che spezzavano l'immensità della volta celeste – la rendevano meno gravosa da sopportare –, ogni informazione visiva si trasfondeva nella successiva mentre Judy non smetteva di bersi tutta la vita che sentiva palpitare attorno a sé. Ogni cosa a sua disposizione. Tra le sue braccia.
La Morris era appunto passata a cantare quella cosa dolcissima e lacerante che era Into my arms.
Così le pareva che il suo mondo fosse diventato d'improvviso: carico di dolcezza e lacerato, le sue emozioni già normalmente traboccanti ancor più visibili ed esplicite. Immaginava che a chi la stava osservando in quel momento dovesse apparire radiosa in una maniera preternaturale, illuminata da dentro, e sì: sconvolta. Per questo aveva la necessità di far correre corpo e mente insieme, per portare tutto alla luce, riequilibrarsi e fermare la sua altalena interiore.
Fonda e ruggente le penetrava nelle orecchie la marea.
La chitarra sottolineava i picchi di massima e minima della voce.
Judy ebbe un ultimo scatto.
Verso casa e verso Nick.

 

Cinque minuti, cinque minuti soltanto; fu quel che Nick si ripromise quando si accorse di essere sveglio. In concreto, ne trascorsero altri cinquanta prima che si decidesse a sedersi e mettere le zampe a terra. Si sentiva addosso qualcosa, un che di indefinito; come l'impronta di altro corpo che si fosse appoggiato al suo di recente. Per esempio, quello di Judy. Era solo un'impressione, purtroppo.
Sbadigliò, si stiracchiò, e notò due cose: dalla cucina proveniva un delizioso odorino di pane tostato; dal bagno, invece, lo scroscio della doccia. Evidentemente Judy si era portata avanti, come suo solito.
Alzandosi si sentì contratto e intorpidito. Aveva bisogno di sciogliere la tensione, sia fisica sia mentale, che aveva accumulato. Decise perciò che sarebbe uscito a correre. Rassettò sbadatamente il divano, recuperò un paio di pantaloncini e una maglietta tecnica da un cassetto e si vestì. Scrisse un biglietto per avvisare Judy e salutarla. Colazione veloce – avrebbe sbranato un lupo quella mattina, ma forse non era politically correct ammetterlo –, stretching veloce, ed era pronto. Via.

 

La città gli sfilava ai fianchi, sotto pelle, dentro gli occhi dilatati dall'esercizio.
La amava, semplicemente.
Nei capillari che erano le sue strade si andava perdendo.
I finestrini delle auto in scorrimento riflettevano un brano del suo corpo distorcendolo in un'onda sinuosa – gli piaceva ciò che vedeva. Era snello. Ogni volpe che non avesse perso il contatto con l'istinto della fuga lo era. Per il mondo questo non valeva forse granché, ma l'opinione del mondo era un'astrazione.
I suoi passi cadenzati sull'asfalto non lo erano.
Le spalle davano il ritmo agli arti superiori per accompagnare i passi, gli avambracci sollevati a lasciar defluire la linfa. Le sue spalle, gli avambracci non erano astrazione; l'aria che fendevano ne era testimone. Ad ogni appoggio i glutei si contraevano, tornavano in posizione di riposo, si ricontraevano.
E quella scoperta continua dei propri gruppi muscolari, come fosse ogni volta un fatto originale, lo emozionava, lo esaltava. Tutto questo non aveva bisogno di alcun commento: l'unica musica che desiderava ascoltare era il battito cardiaco che impazziva per sfuggire alla costrizione della cassa toracica e gli rimbombava nelle orecchie tese, raggiunto il suo livello di guardia; lo sbuffo del respiro che gli gonfiava le narici nell'impegno a non aprire la bocca per guadagnare ossigeno.
Correre significava regalarsi al dolore, morire un po' per ridare colore alla vita.
Era forse l'unica attività fisica che in Accademia aveva perseguito onestamente, senza espedienti di sorta ad aiutarlo nella riuscita. E prima ancora, era stata uno dei pochi diversivi alla sua vita scapestrata sì, eppure monotona. Senza scopo.
Correre era meditazione in movimento.
Liberazione dai vincoli del pensiero in costante agitazione; dal peso del corpo che, fermo, lo inchiodava ai suoi limiti e alle sue perdite.
La perdita, in corsa, era guadagno: i liquidi e i sali eliminati corrispondevano ad altrettanta serenità conquistata, coi denti e con gli artigli, e onorata con la costanza, l'insistenza.
Il sudore lo inzuppava fin nel solco della colonna vertebrale. Lo percepiva freddo per contrasto al calore sviluppato da trapezio e gran dorsale in una sollecitazione positiva, ancora ben lontana dal produrre acido lattico.
Nick si slanciò all'inseguimento di una Dodge Viper che l'aveva appena sfiorato, la coda che oscillava seccamente spazzando l'aria.
Forse era solo nella sua testa, ma aveva letto quel rombo e quel sorpasso come una provocazione.
Poteva aumentare ancora lo sforzo, incrementare la velocità.
Fosse di conigli nei tempi dimenticati in cui la sua specie era selvaggia, di prestazioni, di lussi... di una divisa, di riconoscimenti mancati. Dell'affetto di Judy. Fosse quel che fosse, era un cacciatore, un predatore. Pericoloso no, predatore sì.
Un predatore quasi ex, quando un'altra auto lo raggiunse da dietro ed evitò per un pelo di falciarlo. Ecco, bravo. Fatti mettere sotto. Molto fico. Lo stronzo aveva scartato senza motivo, certo, Nick non s'era spostato dalla sua traiettoria. Ma aver ragione non aveva mai consolato nessun morto. Tornò rapidamente a indirizzarsi verso una zona meno periferica, cercando un percorso che gli consentisse di lasciarsi andare e non preoccuparsi di ciò che lo circondava.
Superò un paio di incroci facendo lo slalom tra i pedoni intenti ad attraversare. Ignorò un crampo al polpaccio e rallentando a sufficienza, lasciò che il tempo facesse il suo lavoro scacciandolo in silenzio, senza chiasso. Giunto infine ad una ciclabile che costeggiava una delle arterie principali del Dowtown di Zootropolis, si permise di chiudere gli occhi congestionati dallo smog e lasciarsi guidare un po' dall'olfatto.
La sfida stava nel cogliere ed amplificare quelle note sottili che per la gran parte degli altri mammiferi neppure esistevano, sommerse dall'inquinamento e dal ventaglio ricchissimo di odori di cui la città era satura.
Ma durò poco.
All'improvviso un altro genere di nota, vibrata sulle corde di un pianoforte, lo distolse.
Una melodia dolce e cristallina, sorretta da suoni rotondi e morbidi, poco marcati, fece irruzione.
Un pianoforte. Musica senza parole. Sentimenti diretti e chiari.
La lenta marcia della composizione, che aveva inizialmente l'incedere incerto di un carillon, crebbe pian piano fino a prendere un ritmo più determinato.
Nick si arrestò e si soffermò ad ascoltare.
Sull'ingresso del negozio da cui la musica scivolava via, nessuno.
Solo una volpe che introduceva cauta il muso, scrutandone l'interno.
C'era una statua di un duro materiale rosato, sulla sinistra, in vetrina. Scaffalature nere, vuote. L'intera stanza era vuota, fatta eccezione per due strumenti tirati a lucido con il marchio dipinto in oro – chi suonava si trovava invece nella stanza adiacente, e non poteva scorgerlo. Nick alzò una zampa e si chiese se avrebbe fatto scricchiolare il pavimento di parquet, piuttosto polveroso, casomai ve l'avesse poggiata. Non accadde.
In compenso, la melodia stava seguendo un crescendo irregolare, ma ormai s'era definita in tutta la sua aerea leggerezza. Le frasi andavano rincorrendosi via via più vicine, quasi ansiose di emergere dal vuoto, dando l'impressione di accavallarsi. Si arrestarono per tre battute di silenzio. Poi la ripresa, uguale. Ancora il fraseggio delicato e struggente, privo di peso, come una vela che si gonfi al vento. Fino all'esplosione incontenibile che gli spezzò le gambe e lo costrinse ad accasciarsi a terra, schiena al muro, sopraffatto; con il cuore che si espandeva e si levava, una nuvola, una piuma – un lungo attimo di commozione straniante, poi fu ritrascinato via. La città lo chiamava a reimmergersi nel suo magma.
Si fiondò fuori dal negozio con tutta la foga che la corsa non gli aveva ancora rapito, gettandosi in direzione della sua abitazione senza quasi avvertire il contatto delle zampe con il suolo.
Avrebbe desiderato mantenere quello slancio cattivo, da crepacuore, per sempre; al contempo però pregustava l'idea della fine, della definitiva resa al suolo.
Il suo quartiere, il suo viale.
Vide Judy sui gradini alzare lo sguardo su di lui all'arrivo. Uno sguardo che parlava di casa.

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Capitolo 10
*** Torta ***


X. Torta

 

Un bacio leggero, in punta di muso, scambiato per la strada.
Così avevano ricominciato, con un gesto romantico ma che aveva tutti i toni dell'ufficialità, la giornata insieme.
Restava loro uno scampolo di mattino, e in quel martedì assolato e narcotico che già sapeva di estate decisero che l'avrebbero trascorso nella più pigra rilassatezza.
Judy si sarebbe occupata di procacciare qualcosa di commestibile – e preferibilmente abbondante – per il pranzo mentre Nick provvedeva a farsi una doccia e rendersi nuovamente presentabile.
Con la luce del giorno a tenere a bada le loro azioni, ed i sensi snebbiati, si erano poi permessi di riguadagnare quel letto dal quale la sera prima la volpe si era autoesiliata.
“Eccomi”, disse quest'ultima andandosi a sdraiare accanto alla coniglietta.
“Hey, ciao”, gli sorrise lei. “Da quanto tempo non ci vedevamo”.
Nick lasciò che la scia di quell'affermazione, dal tono vagamente malizioso, aleggiasse tra di loro, senza nulla aggiungere. Si voltò ad osservare Judy, senza capacitarsi del tutto del fatto che lei fosse lì. Le ultime ore erano state intense, così intense e perfette che a tratti si chiedeva se non fossero, in realtà, un parto della sua immaginazione.
“Sei davvero qui?”, le chiese allora, coerente con se stesso.
Judy si sistemò meglio sul fianco, e guardandolo negli occhi – mai così verdi, così luminosi – annuì decisa. Lasciò scorrere pigramente una zampa sul suo petto, scontenta della presenza della camicia.
“Nick”.
“Cosa?”.
“E' una domanda stupida, lo sai”.
Lui non si scompose. “E' una domanda, Carotina. E' buona norma rispondere, quando qualcuno ti fa una domanda”, la schernì.
“Ah, se la metti su questo piano”, ridacchiò lei. “Allora va bene. Sì, sono davvero qui”, sottolineò con un ulteriore cenno del capo. “E tu?”.
“Io?”.
“Nick”.
“Cosa?”.
“E' buona norma non rispondere ad una domanda con un'altra domanda”, lo rimbeccò lei.
“Ah, allora va bene”, ghignò la volpe facendole il verso. “Puoi ripetere, per favore?”.
Judy sospirò platealmente.
“Io sono qui, Nick. E tu, tu ci sei davvero? Non me lo sto sognando?”, il tono nettamente addolcito, il volume della voce appena percepibile.
Ma che fa, mi ruba le battute?, argomentò lui tra sé e sé.
“Beh, mi vedi, no, Carotina? E' un po' tardi per il dormiveglia, specialmente per te. E poi”, aggiunse sornione avvicinandosi al muso di lei e posandole una zampa sulla spalla “se vuoi ti posso rinfrescare la memoria”.
Al suo solito, non le diede il tempo di formulare una risposta, arguta oppure ottusa che fosse. Si può anzi dire che le tappò la bocca senza mezzi termini. Appena un attimo di sorpresa – quando smetterà di cogliermi così impreparata?, ebbe modo di chiedersi – e poi Judy si abbandonò al calore del suo bacio, lento e via via più profondo, lasciandoglisi cadere fra le braccia.
Se questo era il risultato di quella piccola, dolceamara separazione della sera precedente, pensò la coniglia, se il risultato era ritrovarsi più affamati, più appassionati, ma anche più lucidi e consapevoli; allora ben venga. Avrebbe aspettato.

 

Il turno di lavoro fu abbastanza impegnativo e incasinato da distrarli un po' – e per quanto ad entrambi sarebbe piaciuto spiaggiarsi nel letto di Nick fino alla fine dei tempi, e non far altro che consumarsi a vicenda, in fondo ne avevano bisogno.
Avevano appena messo la zampa fuori dallo spogliatoio che Bogo gli lanciò al volo un fascicolo con una denuncia per rissa e danni. Il fatto era avvenuto durante la notte, ed il proprietario del locale in cui i due rinoceronti responsabili si erano picchiati li stava attendendo alla scrivania di Judy. Preferivano sempre la sua scrivania, quando lavoravano insieme alle scartoffie, per l'ovvia ragione che la coniglietta era la metà ordinata e precisa della coppia.
“Ha detto che nel locale c'erano dei testimoni, dico bene? A quell'ora della notte, o forse dovrei dire dell'alba, non saranno rimasti in giro molti avventori suppongo”, ragionò Nick.
“Suppone male”, giunse l'inattesa risposta, un tantino sarcastica, dalla lontra proprietaria del night club dal suggestivo nome di Hot Honey Moon. “Se butta l'occhio in corridoio, agente, noterà qualcosa come trenta, quaranta dei miei clienti più affezionati”.
Nick sbiancò, per quanto la sua pelliccia di un arancio acceso glielo consentiva.
“Oh, vi sarei enormente grati, agenti, se voleste trattarli con ogni riguardo. Si sono presentati qui su mia personale richiesta, e non vorrei, davvero non vorrei che anche uno solo di loro smettesse di frequentare l'Hot Honey perché, diciamo, la polizia si è mostrata più curiosa del necessario. Mi spiego, agenti?”, proseguì serafico quello.
Nick si sentì riaffluire il sangue alla faccia tutto d'un colpo.
Aveva voglia di spiegare due cosette a quel tizio presuntuoso, magari anche facendo uso di quelle tecniche di comunicazione non verbale che erano state loro insegnate all'ultimo corso di aggiornamento.
Che se non sapeva contenere gli animi nel suo locale da quattro soldi erano affari suoi, e se non gli stava bene come la polizia lavorava, poteva risolvere i suoi guai da solo.
Che quello non era un servizio di vigilanza privata.
E nemmeno un gruppo di dame da compagnia, e che quella non era l'ora del thé coi pasticcini, e che...
… Judy dovette accorgersi di quel che la volpe stava covando, perché intervenne prendendo la parola.
“Non si preoccupi, signor Lontroskkj, nessun testimone verrà trattato alla stregua di un colpevole, non dalla ZPD”, disse, sperando che l'imprenditore cogliesse nella sua frase non solo la disponibilità formale, ma anche il sottotesto implicito: chi disprezza la polizia si becca il mio, di disprezzo.
Conclusero la loro breve conversazione rapidamente e senza fronzoli: di là li aspettavano decine di mammiferi, in gran parte predatori ancora mezzo ubriachi, da ascoltare.

 

Aprendo la porta della sua stanza – chiamarla casa le sembrava giorno dopo giorno sempre più eccessivo, specie alla luce degli ultimi avvenimenti – Judy si stranì.
Ogni oggetto le appariva senz'altro riconoscibile, ma al tempo stesso alterato, come rimpicciolito. Come fosse stata via a lungo, così a lungo da dover nuovamente familiarizzare con l'ambiente.
Appese il giubbino alla sedia posta davanti alla minuscola scrivania, avviò il portatile e si stese sul letto, in attesa che caricasse.
La doccia che aveva fatto in centrale – poiché disgraziatamente quel loculo in cui viveva non l'aveva – era stata appena sufficiente a rilassarla dopo le ore passate inchiodata alla sedia, a trascrivere dati e indicazioni dei testimoni, o alternativamente a tamburellare le zampe impaziente su e giù per l'ufficio.
E non avrebbe neppure rivisto Nick fino all'indomani.
Avevano stabilito, davanti ad un bicchierone di caffè ristoratore e ad una fetta di torta – scontatamente alle carote per lei, ai mirtilli per lui – che almeno per il momento avrebbero passato le notti nelle rispettive abitazioni.
Il ricordo della prima e, per ora, unica che avevano passato abbracciati, quella notte così carica di tenerezza, avrebbe dovuto sostenerli fino a che non avessero deciso di passarle tutte quante insieme, a scambiarsi calore e affetto senza filtri e riserve. Di quell'affetto dovevano avere estrema cura. E quella tenerezza dovevan coltivarla, sì, ma proteggendola dall'impeto dei loro desideri più istintivi.
“Non voglio mangiarti, Carotina”, aveva esordito Nick a bassa voce.
Judy era stata incerta se mostrarsi risentita – ne avrebbe avuto motivo – ma poi aveva stabilito che, dal suo tono, la volpe doveva avere qualcosa di significativo da dirle. Aveva deciso allora di giocare di contraccacco.
“Ma davvero. Perché io, invece, di mangiarti ho proprio voglia. Soprattutto se continui a dedicarti a quella torta in modo tanto sensuale e, lasciatelo dire, sfacciato”, gli aveva dunque risposto.
Nick aveva faticato a nascondere una perfetta esecuzione del suo miglior ghigno, che comunque Judy aveva intuito lo stesso.
Ad occhi chiusi sul proprio, piccolo letto, ricordava quell'istante in cui tutto era tecnicamente possibile, in cui il partner avrebbe potuto fare qualunque cosa: per esempio, approfittarne e baciarla. Invece no.
“Non voglio mangiarti, Judy”, aveva ripetuto invece lui. “Non adesso. Non mi basta comprarti, come ho comprato questa crostata. Non mi basta una fetta, e nemmeno cento fette, io voglio la-fottuta-torta. E distruggere la ricetta, così nessun altro potrà averti”.
E poi basta, quello sfacciato aveva finito la sua consumazione e si era adagiato allo schienale della sedia, osservandola. Ma quanto a lungo... No, seriamente, la voleva morta, altro che baci e baci. Per qualche oscura ragione la odiava e ora la stava uccidendo con deliberata lentezza. Mammifero crudele.
E poi sì, l'aveva baciata finalmente. Si era sporto verso di lei, catturandola per le braccia; e attirandola a sé al di sopra di quel dozzinale tavolo di fòrmica, in quella tavola calda di periferia che pullulava di animali con la stanchezza di vivere dipinta in faccia, l'aveva baciata con trasporto. Mammifero meraviglioso.
Nessuno se n'era curato ad eccezione del cuoco, che da dietro il banco aveva lanciato un fischio acuto di approvazione.
Per assurdo, lo squallore estetico di quel posto – dove tornavano ancora e ancora perché sfornava alcuni tra i più golosi manicheretti di Zootropolis – aveva esaltato il sapore di quel nuovo contatto, ruvido ed esigente.
Anche io ti voglio tutto – Judy gliel'avrebbe urlato sul muso, se la sua bocca non fosse stata così piacevolmente in altre faccende affaccendata. Aggrappata quasi con disperazione alla sua cravatta l'aveva ricambiato con altrettanta intensità, trattenendo un imbarazzante mugolìo nella gola.
Un modo per averlo c'era. Nick non l'aveva espresso, ma era nell'aria.
Perché no, si disse infine Judy, sollevandosi a sedere e raggiungendo d'un balzo la scrivania, accorgendosi soltanto allora che i suoi vicini origlioni e dal battibecco facile stavano appunto discutendo a proposito di una cena bruciata e del televisore dal segnale disturbato.
Aprì una nuova finestra in Firefox, andò su Zoogle Immagini e digitò la chiave di ricerca “abito+sposa+coniglia”.
Proprio mentre l'algoritmo caricava la prima pagina di risultati, udì il caratteristico ping di Messenger: aveva una nuova notifica.

 

L'aveva scorta nell'elenco degli ultimi iscritti al sito, l'aveva addocchiata anzi, e la sua foto l'aveva fulminato.
Santa Carota, che occhi! Le più belle viole del pensiero che coltivava nel suo vivaio non reggevano il confronto, assolutamente no.
E stava persino diventando sdolcinato, il che non era da lui. No, lui era un coniglio con le palle, non aveva bisogno di frasi melense per conquistare le donne: i selfie che si era scattato a torso nudo, la zappa in spalla sotto il sole dei campi, avrebbero colpito nel segno; ne era certo.
Chiuse l'ingrandimento della fotografia e fece scorrere la pagina del profilo, visionando le prime informazioni.
A quanto pareva, questa Judy Hopps aveva avuto in sorte tutte le migliori carte. Proveniva da una solida famiglia di coltivatori – quarantaquattro generazioni, ottocento acri di terreno – e viveva non troppo lontano da lì, a Bunnyburrow. La cosa gli piaceva: quello era il profondo Sud, la campagna dura e pura, dove le ragazze non avevano fronzoli per la testa e andavano in calore così spesso che non c'era nemmeno bisogno di coccolarle, prima, per portarsele a letto. C'era un unico inconveniente: in genere erano anche fissate con il desiderio di avere una prole numerosa. Avrebbe sondato presto il terreno in merito, non voleva perdere tempo.
Circolavano troppe sognatrici per i suoi gusti, su quel sito di incontri: MeetFurr raccoglieva di tutto, compresi parecchi single senza speranza. Non che facesse parte della categoria, lui, ci entrava solo per flirtare.
Ventisette anni.
Solare, spigliata – la descrizione inserita era piuttosto comune per le femmine della sua specie.
Amava il giardinaggio – uhm, perfetto! –, la musica ed il ballo country, e infine le commedie romantiche. Non proprio il massimo quest'ultima cosa, ma poteva sopportarlo. Spesso le ragazze in apparenza più dolci e tranquille si rivelavano dei veri trattori, sotto le lenzuola.
Odiava le zucchine, i mammiferi invadenti e le grandi città. Okay, okay.
Istantaneamente decise che il gioco valeva la candela, alzò la zampa dal folto pelo bruno e copia incollò l'alias di quella bambola coi fianchi da urlo nell'apposita casella “Ricerca Contatti” in Messenger.
Inviò la richiesta di amicizia motivandola così: Ciao Judy, io sono Rick. Ho visto il tuo profilo su MF e sono rimasto così colpito che non ho saputo accontentarmi di scriverti un messaggio. Ti va di scambiare due chiacchiere in chat? Anche adesso, se vuoi. Resterò alzato ancora per un po', apposta per te! R.

 

Le parole di quel tipo lasciarono Judy di sasso.
Chi mai poteva voler parlare con lei, a quell'ora, con tanta urgenza?
Da dove sbucava quel Rick?
E soprattutto, che significava che aveva visto il suo profilo? Lei non aveva mai aperto alcun profilo su MeetFurr! Aveva altro a cui pensare – prima era stato studiare ed allenarsi per entrare in Accademia, poi studiare ed allenarsi per diplomarsi in Accademia, ed ora con sua grande gioia... rendere il mondo un posto migliore. Aveva altro cui pensare, sì, e poi non gradiva quei contesti in cui decine di perfetti sconosciuti ti assediavano con la smania di ottenere qualcosa da te – non importava che fosse sesso o amore: lei credeva negli incontri casuali.
Mentre rileggeva per la terza volta il messaggio, un orribile presentimento la colse. Per sua natura, e per mestiere, era abituata ad accettare l'evidenza, quando era davvero tale. E sembrava evidente che lei avesse, a sua insaputa, un profilo sul più grande sito di incontri di Zootropolis e dintorni, come recitava lo slogan. La prima e più importante cosa da fare, subito, era verificare questa supposizione.
Abbandonò momentaneamente la sua fantasticheria matrimoniale ed aprì una nuova scheda nel browser. Digitò l'indirizzo del sito. E poi, senza nemmeno doversi cercare, vide tra i profili in evidenza in homepage il proprio nome, con a fianco una foto che le ritraeva il viso, sorridente.
Sentì il naso fremerle impazzito: cosa accidenti stava succedendo?

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Capitolo 11
*** Alieni ***


Eccomi di ritorno.
In questo capitolo ci sarà un piccolo colpo di scena, ma... non sarà quello che probabilmente molti di voi si aspettano.
Fatemi sapere come vi ha lasciati, se vi va.
In ogni caso, come sempre, grazie a tutti i lettori. La storia vive grazie a voi :)

 


 

XI. Alieni

 

Il ringhio tutt'altro che sommesso della volpe vibrò nella stanza buia come un rombo di tuono.
L'analista Tom Harper sobbalzò sulla sedia girevole, compiendo un mezzo giro su se stesso.
Che cazzo gli prendeva a Wilde? Più che protettivo nei confronti di Hopps, a lui pareva un tantino aggressivo. Come se quel coniglio del quale stavano tracciando l'indirizzo IP, e che si atteggiava ridicolmente a macho, potesse realmente costituire una minaccia per la collega.
Predatori. Non li avrebbe mai capiti. Preferiva essere una talpa, era tutto più... lineare. Come un codice binario: 0 oppure 1. Nessuna reazione accesa e istintiva, nessun ululato elevato a casaccio. Pura logica, insomma. Controllo totale.
Attese che il ringhio del canide scemasse per decretare: “Ci siamo”.
“Forza, forza!”, esortò Nick. Ma la rabbia che intendeva trasferire alle parole scemò in un doloroso gemito di impazienza.
Proprio quando gli sembrava di non poter sopportare oltre che il computer elaborasse la richiesta, l'attesa finì. Sullo schermo nero comparve una breve stringa di cifre, divise in quattro blocchi, color verde fluo.
“E allora? Dove lo trovo questo bastardo?”, chiese all'analista.
“Calma, Wilde. Sempre che tu conosca il significato di questo termine. L'indirizzo fisico è al 42 di Magnolia Drive, Harvester Place” lesse la talpa. “Una cascina, a giudicare dalle dimensioni, con annesse serre”, aggiunse zoomando sull'immagine fornita da ZoogleMaps per quelle coordinate. "Corrisponde a ciò che il soggetto ha scritto nel suo profilo su MeetFurr. Vediamo a chi è intestata”.
Digitò un'ulteriore richiesta, selezionò un nominativo da una lista e nemmeno un secondo dopo comparvero, a raffica, le riproduzioni di due patenti di guida – per auto e per carri agricoli –, di una serie di multe comminate a Rick Hamilton dalla polizia locale di Harvester Place, e infine di una richiesta per utilizzo di suolo pubblico. Il lotto per una bancarella al mercato del paese.
“Niente sulla fedina penale, vedo”, constatò quasi amareggiato Nick. Così non andava, non aveva scuse per presentarsi da quell'Hamilton e strigliarlo un po'. Peccato. Avrebbe comunque potuto inventarsi una scusa...
“Tu lo sai, Wilde, che questo coniglio non ha fatto nulla di illegale, e che non può essere considerato colpevole di un'eventuale violazione della privacy, vero?”, lo richiamò Harper.
“Nulla di illegale, forse” macinò tra i denti Nick. “Ma ha pubblicato un selfie mezzo nudo, e con quello ha tentato di abbordare Hopps. E questo è male”, concluse.
La talpa tacque un istante, interdetta.
“Dico soltanto che, secondo il mio modesto ma informato parere, sarebbe più utile verificare con i gestori del sito chi ha iscritto Judy senza il suo consenso. Ci vuole più tempo per procurarsi un mandato, ma è più utile”, replicò poi.
“Infatti devi fare anche quello”, gli rispose Nick.
“Ah, ecco. Mi pareva strano che non avessi qualche altro gentile favore da appiopparmi”. Harper cominciava ad irritarsi, adesso.
“Scusa, Tom. Sono solo un po'... preoccupato. Solo un po'. Ne riparliamo, adesso devo comunque andare”, disse Nick.
“Lascia stare. Ma vedi di procurarmi quei biglietti gratuiti per la partita dei NutCrackers di domenica sera, altrimenti sai cosa succederà, Wilde”.
Si guardarono. In quella stanzetta asfittica spirò un singolo, debole alito d'aria calda fra di loro – sembrò alla volpe di trovarsi in un film western, in mezzo al deserto, in procinto di duellare con una talpa cieca e lenta ma pericolosissima.
“Procurami quei biglietti, ti dico, o entro la fine del vostro turno Judy saprà che ti sei allontanato dalla centrale di soppiatto, anziché fare una ricerca nel deposito delle prove. Che ti sei servito della chiave del suo appartamento per entrare e copiare dal suo portatile l'.xml della conversazione con Hamilton su Messenger. E che mi hai chiesto di passarlo ai raggi X, anche se tecnicamente non ha commesso alcun reato”.
“Taci, Harper. Io non ho fatto nulla di tutto questo, e tu domani avrai i tuoi biglietti. Azzardati a dire una sola parola a Judy, e ti garantisco che dal prossimo tunnel che scaverai sotto terra non riemergerai più. Sbarrerò personalmente l'uscita con una lastra di marmo”, sbottò Nick.
Harper indietreggiò lentamente dalla volpe che lo sovrastava.
“Okay, Wilde. Okay. Che cavolo, sei proprio di malumore oggi eh?”, si lamentò quello.
“E tu sei proprio perspicace. Grazie per le informazioni” borbottò Nick uscendo dalla stanza. “E vaffanculo”, aggiunse sottovoce tra sé e sé, percorrendo il corridoio fino all'ufficio.

 

“Nick”.
“Sì”, rispose lui atono, gli occhi incollati al bollitore sul fuoco.
“Hey, Nick”, insistette Judy.
“Sì”, di nuovo il tono piatto, ma con una punta di nervosismo.
“L'acqua non evaporerà prima, anche se la fissi”.
“Sì” ripeté monotona la volpe.
“No” ribatté la coniglietta. “Ascolt –”
“Sì” disse di nuovo lui, un assenso che in realtà era un modo per interrompere quella discussione sul nascere.
Ma la partner non era esattamente d'accordo.
“Va bene, non ascoltarmi allora. Ma almeno una cosa te la dico lo stesso”.
“Credo di saperla, Judy, la cosa che vuoi dirmi. Una a scelta fra queste, a naso: che non ritieni quel coniglio borioso un pericolo. Che hai già fatto oscurare il profilo sul sito. O che non devo preoccuparmi”, enumerò Nick. “Come se tu non ti fossi preoccupata, ieri sera”.
Era vero, si era preoccupata. Ma non appena aveva potuto rimettersi in moto, e al lavoro, tutto si era ridimensionato. Doveva esserci una spiegazione sensata per quella stranezza, magari non piacevole, ma doveva esserci. Ne sarebbero venuti a capo. Inoltre aveva la prova che, almeno in parte, chi ne era l'artefice doveva conoscerla.
Si alzò e raggiunse Nick, che ora le dava la schiena, ai fornelli.
“Cucciolo”, lo interpellò andando a posargli le zampe sui fianchi.
Nick tacque, ma le prese le zampe e se le portò sull'addome, stringendole.
“Judy, non ce l'ho con te”. Era tutto ciò che si sentiva di dire – e di sottolineare – perché non poteva certo spifferare che era geloso marcio.
“Lo so”, rispose lei “ma adesso ascolta, sul serio”. Attese di vederlo annuire al bollitore, nel quale intanto l'acqua finalmente stava iniziando a gorgogliare, e proseguì. “Penso tutte le cose che hai detto, ma non sono quella che avevo in mente. Io volevo soltanto dirti che, se ti interessa e se ti può tranquillizzare, puoi leggere la conversazione che ho avuto col... coniglio borioso”, terminò ridendo a quell'espressione. Per altro non errata.
Si slacciò dall'abbraccio per consentire alla volpe di versare il liquido fumante nelle tazze, e nell'indietreggiare tracciò con la zampa una carezza sulla sua coda.
“Sul serio?”, chiese Nick.
“Certo, sul serio”, gli rispose lei.
Nick posò tazze, bustine di thé e zucchero sul tavolo della cucina, poi si sedette, meditabondo.
Judy lasciò che riflettesse, qualunque cosa avesse in mente. Non le importava come, desiderava soltanto diradare quelle nubi che aveva visto accalcarsi sulla sua fronte da quando gli aveva raccontato l'antipatica novità.
Gli prese la zampa, mentre le rispettive bustine di Twinings in infusione disperdevano nell'acqua eleganti riccioli di colore: blu nella tazza di lui, arancio in quella di lei.
“Lo sai, Carotina, a volte, nei momenti di crisi, ho pensato che tu stessi in mia compagnia solo perché ho il pelo arancione, come le carote”, ragionò Nick indicandole il suo thé – alle carote, appunto. “Poi però capitano momenti come questo, e capisco quanto sono stupido”.
Judy gli sorrise dolcemente. “E' solo che tieni a me”, puntualizzò.
“E viceversa”, aggiunse lui. Poteva sembrare una piccola cosa, ma il fatto che la coniglietta gli avesse offerto di fargli leggere quella conversazione era importante. Per una mammifera così orgogliosa della propria indipendenza e libertà era una rinuncia piena di significato.
Si rese conto che, proprio perché ora gli era accessibile, non avvertiva più la bruciante curiosità di scoprire cosa, esattamente, Hamilton e Judy si fossero detti in quella banale chiacchierata che aveva trafugato senza aprire.
“Non serve, Carotina. Non mi importa di leggere cosa ti ha scritto quel coso. Sai, potrei arrabbiarmi seriamente, se lo facessi. Ma sono felice che tu me l'abbia proposto”, le disse perciò. “Davvero”.
Si dedicarono pigramente a sorseggiare il thé, giocando con le dita intrecciate, una pausa di quiete in quel mercoledì iniziato in modo turbolento.
“E comunque”, la pungolò quando ebbero finito, con un ghigno divertito sul muso “sbaglio o mi hai chiamato cucciolo?”.
Judy arrossì. Era la prima volta che usava un appellativo tenero con lui, e per di più l'aveva fatto mentre non poteva vederla in faccia. Mentre ora...
“Ehm, sì. Non oserai prendermi in giro per questo, spero”.
Nick la lasciò a cuocere nel suo brodo per qualche secondo di troppo, secondo il parere della coniglietta, prima di risponderle: “Basta che tu non lo faccia in pubblico. Ma adesso che ci siamo solo noi... puoi chiamarmi cucciolo tutte le volte che vuoi”. Si produsse in quello che sperava essere un sorriso incoraggiante. Senza traccia di ironia.
Judy non si lasciò scappare l'occasione.
“Allora, cucciolo, adesso vieni in camera con me. Prometto che non ti farò alcun male” scherzò “e che non ti tenterò”, aggiunse più seria. Il pensiero le scivolò a ciò che lui le aveva detto la sera prima. “Sei una torta troppo buona perché la sprechi sbocconcellandoti”.
Si voltò rapidamente, prima che Nick potesse vederla avvampare ancora di più, e sparì nel corridoio.

 

Non credeva che sarebbe riuscito a rilassarsi, con una coniglia – per quanto affascinante – che gli camminava sulla schiena calcandogli le zampe sulla colonna vertebrale. Invece Nick dovette ammettere con se stesso che se la stava godendo.
A tratti si era persino lasciato sfuggire dei piccoli gemiti. Se non fosse stato comodamente sdraiato, prono, e così stanco, quelle piccole dita che lo palpavano impudiche un po' ovunque lo avrebbero eccitato.
Per fortuna Judy non gli aveva chiesto di togliersi i vestiti – era stata la prima cosa cui aveva pensato quando gli aveva annunciato tutta allegra che intendeva fargli un massaggio. La tipica immagine che compariva sui depliant di spa e simili includeva regolarmente un mammifero, quasi sempre di sesso femminile, con solo un lenzuolo addosso; un tripudio di candele e fiori tutt'attorno.
Invece non solo gli aveva chiesto – imposto – di tenere la camicia, non solo aveva evitato di mettere della musica in sottofondo, ma era sembrata preoccupata unicamente di verificare che il materasso fosse abbastanza rigido. E poi non aveva più proferito parola, nemmeno per chiedergli conferma che gli piacesse: le bastava ascoltare il suo respiro che si andava via via facendo più lento e profondo, e la tensione dei suoi muscoli che si andava sciogliendo sotto il suo tocco deciso, per saperlo.
Judy appoggiò i palmi delle zampe su una spalla e sull'angolo opposto della schiena di Nick, appena sopra il gluteo; poi, spostando il baricentro del proprio corpo in avanti, lasciò che questo andasse a gravare su quello di lui; esercitando una pressione spontanea senza compiere alcuno sforzo aggiuntivo. Ripeté il gesto cambiando spalla.
Lavorò ancora sulla schiena nella posizione dell'arciere; usando braccia, gomiti e pollici, muovendosi gattoni attorno alla volpe sempre più morbidamente abbandonata alle sue cure, prima di passare al collo... al cranio, al retro delle orecchie appiattite fiduciosamente sulla testa... si occupò degli arti superiori ed inferiori, e infine delle zampe. Delicatamente, con cautela, dal tallone in giù.
Concluse il trattamento come faceva sempre, con un minuto di raccoglimento, inginocchiata a lato.
Nick quasi non si rese conto della zampa di Judy che si posava al centro della sua schiena, lievissima, sollevandosi ed abbassandosi al ritmo del suo respiro – del loro respiro, poiché ormai in questo si erano uniformati.
La sentì però sdraiarsi di fianco a lui, accarezzargli il muso con dolcezza prima che entrambi cedessero al sonno.

 

Era pomeriggio inoltrato quando si svegliarono sbadigliando, due ore dopo.
Nick controllò la sveglia: quasi le cinque.
Lasciò che Judy si desse una rinfrescata mentre verificava se quella sera avrebbero dato qualcosa di interessante in TV. Non era in vena di uscire, e sperava che la partner l'avrebbe assecondato.
Sentì suonare il campanello, e si chiese di quale genere di venditore porta a porta gli sarebbe toccato sbarazzarsi a questo giro, posando la rivista. Andò all'ingresso.
Avvicinò un occhio allo spioncino.
Non era certo di aver visto bene... così prese tempo e ricontrollò.
Ma vide sempre la stessa scena di prima.
Prestando attenzione a non far rumore, tornò sui propri passi.

 

“Carotina, c'è una cosa importante che vorrei chiederti”, esordì Nick non appena mise zampa nello studio. Judy era seduta al computer, sul cui schermo campeggiava la casella di Posta in Arrivo della sua zMail.
“Oh, eccoti. Dimmi pure”, gli rispose, girandosi. Era così abituata a navigare da lì, che aveva smesso di chiedere permesso da un pezzo. A volte si diceva che, di fatto, ci viveva in quella casa: tornava alla Tenuta del Pangolino per dormire, riordinare e recuperare un cambio d'abito, essenzialmente, cambio che poi portava nell'armadietto in centrale.
Lo sguardo della volpe aveva qualcosa di curioso. Ma le sfuggiva cosa.
“Tu credi agli alieni, Carotina?”.
“Ehm, è questa la cosa importante che vorresti chiedermi?”, replicò lei. Non che si aspettasse nulla di clamoroso, ma insomma. Importante vuol dire importante, e l'esistenza di vita mammifera su altri pianeti non corrispondeva alla sua personale definizione di quel concetto.
“Sì. Ci credi? Credi nei grandi misteri inspiegabili che ci circondano?”.
Judy lo guardò con sospetto.
“Vuoi dire, oltre agli alieni, cose come Atlantide, lo yeti di Tundratown, i coccodrilli nelle fogne di Sahara Square?”.
“Tipo quelle, sì. E anche la telecinesi, la lettura del pensiero, l'astrologia, gli spiriti, i poltergeist...”.
Il campanello suonò di nuovo.
Judy raddrizzò le orecchie.
“Ah... scusa, non avevi risposto prima?”, chiese a Nick.
“Non proprio”.
“Che significa, non proprio? O hai risposto o non –”
“Ma è per questo che ti sto chiedendo se credi nei Grandi Misteri” replicò lui. Lo disse proprio così, sottolineando le iniziali.
“D'accordo. Allora. No, non credo nei presunti grandi misteri. Credo in tante cose intangibili, come l'affetto, come la fiducia nelle persone. Ma non nei cosiddetti fenomeni paranormali”, rispose Judy.
“E se ti dicessi che uno di questi fenomeni paranormali si è appena materializzato alla nostra porta?”, la inquisì Nick, registrando appena, sottotraccia, di aver detto nostra.
La coniglietta mise su un cipiglio fintamente severo e, dopo essersi alzata dalla sedia, gli si parò davanti a braccia incrociate.
“Nicholas Piberius Wilde, non so cosa tu abbia visto fuori dalla porta di tanto incredibile” – omise l'aggettivo, fingendo di non averlo notato, ma dentro gongolava – “sappi però che per ognuno dei misteri, o leggende che hai citato esiste una spiegazione plausibile”.
“Ma davvero”.
“Sì, davvero”.
Stava diventando un braccio di ferro, una di quelle sfide che tanto divertivano la volpe. La quale, tuttavia, in quel momento non aveva il suo solito atteggiamento provocatorio.
“E saresti disposta a scommettere un mese di rapporti compilati al posto mio, di saper spiegare anche il mistero-fuori-dalla-porta?”.
“Assolutamente” ribatté Judy, ormai intrappolata nel gioco.
In realtà non aveva la più pallida idea di cosa stesse promettendo.
“Perfetto” dichiarò Nick. “Allora dimmi: perché là fuori ci sono i tuoi genitori, Carotina?”.
La boccuccia di Judy si spalancò in una grande O di stupore.
I suoi genitori. Lì. A quell'ora.
Prese di corsa l'mPhone, verificò se si fosse persa qualche messaggio da sua madre, ma non ce n'erano.
No. Non era un mistero che sapesse risolvere, quello. Ne sapeva quanto Nick, cioè nulla.
“Allora?”, la sollecitò lui. Judy esitò. Sospirò.
“Allora, ti devo dei rapporti, suppongo. Subdola volpe”.
“Subdola, ma tanto fotogenica. Mica come quella palla di pelo marrone abborda-conigliette che ti si è attaccata addosso”, replicò lui, voltandosi e dirigendosi verso l'atrio. “Forza, andiamo”.
Il campanello suonò una terza volta, proprio mentre Nick si affacciava nella cornice della porta.

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Capitolo 12
*** Spazzolino ***


Prima o poi i nostri due ragazzuoli dovevano cominciare a confrontarsi davvero con il mondo intorno, ed io putroppo non potevo lasciarli amoreggiare del tutto indisturbati: perciò ecco qua, in questo e nel prossimo capitolo bisognerà render conto di quel che stiamo facendo...
... grazie di cuore a tutti i lettori, commentanti e silenti, della prima ora e recenti! <3

 



XII. Spazzolino
 

"Buongiorno", disse Nick ai due conigli di mezza età che lo scrutavano dagli scalini di casa sua. "Scusate se ci ho messo un po' ad aprire. Cercavate Judy, suppongo".
"In effetti sì", rispose il padre di lei. Stu, se ben ricordava. "Eravamo in città per un incontro di affari, e abbiamo pensato di fare una sorpresa a nostra figlia. Ma la sorpresa l'ha fatta lei a noi".
Il coniglio aveva espresso quell'osservazione in tono neutro, ma Nick non poté evitare di chiedersi a cosa si riferisse. Dopotutto lui e Judy avevano appena avuto il tempo di guardarsi in faccia e dirsi Okay, facciamolo. I suoi non potevano averne idea, anche se prima o poi l'argomento sarebbe saltato fuori. Non oggi, pregò tra sé e sé tutti i suoi antenati.
"Mio marito vuole dire che siamo stati al vostro Distretto", precisò dopo un attimo Bonnie. "Ma avevate già staccato. E quel simpatico ghepardo alla reception ci ha suggerito di passare di qui. Dice che state sempre insieme, voi due", aggiunse ancora, sorridendo.
Nick cominciò seriamente a preoccuparsi. Il sorriso di una madre, quando parla della propria figlia femmina, spesso nasconde lame affilatissime. Anzi, più sembra dolce e disponibile, più la madre in questione è pronta a ghermirti se solo osi fare un passo falso. E lui, a suoi occhi, era ancora una potenziale insidia.
Si scostò dal riquadro della porta e con un gesto aereo del braccio li invitò ad entrare. "Clawhauser, sì. Forse ha un tantino esagerato" cercò di minimizzare l'affermazione del collega, mentre loro si facevano strada "però come sapete io e Judy... beh, siamo buoni amici".
Aveva avuto modo di conoscere i genitori di Judy un fine settimana che i due avevano trascorso in città, con l'idea di capire meglio che tipo di vita facesse la figlia. Non si era trattenuto a lungo con loro, e aveva preferito evitare di scortarli nell'immenso giro turistico che avevano intrapreso. La sua Carotina, ovvio, aveva subito tentato di incastrarlo nel tour de force familiare; ma per fortuna lui aveva trovato una scusa credibile e se n'era tirato fuori dignitosamente. Non che la cosa l'avesse infastidito, ma si considerava di troppo. Loro erano la sua famiglia. Lui... un'altra cosa.
"Mamma! Papà!". La coniglietta aveva appena raggiunto l'improbabile trio nell'ingresso dell'appartamento. Mentre lei cominciava un fuoco di fila di domande – Che ci fate in città? Che ci fate qua? Perché non mi avete avvisata? – Nick ragionò che si trovava in inferiorità numerica. Era in casa sua, sì, ma quello non era più il suo territorio.
Inoltre lui e Judy stavano ora in una zona grigia. E le zone grigie, per definizione, sono difficili da gestire.
"Venite pure. Per di qua". Li accompagnò nel salotto, che gli parve in uno stato abbastanza decente, interrompendo l'interrogatorio della sua partner a Bonnie e Stu. In fondo, in quel frangente sentiva di compatirli. Sapeva cosa significava dover rendere conto a Judy di averle omesso – nascosto – qualcosa.
Fece un po' di spazio sul tavolino davanti al divano, e gli fece segno di accomodarsi. Poi lasciò loro un momento per ambientarsi, mentre andava a recuperare due sedie dalla cucina per sé e Judy, che posizionò ai lati. Non gli capitava praticamente mai di avere ospiti, e non s'era mai curato di comprare delle sedute in più.
"Ha una bella casa, signor Wilde" gli disse Bonnie quando li raggiunse. "Forse troppo essenziale per i miei gusti, ma curata". La coniglia stava sinceramente ammirando le travi a vista del soffitto. "Dettagli così non si devono vedere molto di frequente in città".
"La ringrazio. Ma la prego, mi chiami Nick. Anche se ci siamo visti una sola volta, ormai ci conosciamo, no?", replicò lui.
"Certo, scusami. Vale anche per te. E' che non ci sono abituata: Judy ti nomina spesso, ma con quattrocento chilometri di mezzo, ormai mi sembra di non conoscere più nemmeno lei".
La coniglietta fece un respiro profondo e tentò di mascherare la sua insofferenza per quell'argomento dando qualche colpo di tosse.
"Mia moglie è sempre stata appassionata di architettura", fece allora Stu annuendo, con uno sfavillìo negli occhi. In trent'anni di matrimonio, era diventato un maestro nel cambiare argomento. "Pensa che da ragazza avrebbe voluto diventare interior designer. Giusto, Bonnie?".
"Giusto, Stu", rispose la coniglia aggiustandosi un po' la gonna. "Ma è stato tanto tempo fa. Oggi quasi non distinguo più una lampada da un attaccapanni", si schernì. "E poi il mio era un solo un sogno, sapevo che i miei non potevano permettersi di mandarmi all'università".
Ci fu un attimo di silenzio. Inevitabile pensare a Judy, al suo sogno che, a differenza della madre, era riuscita a coronare. Inevitabile per Nick pensare che, chissà, se Bonnie avesse seguito un percorso diverso forse per lui non ci sarebbe mai stata nessuna Carotina.
La volpe si schiarì un po' la gola, poi soggiunse: "Sono sicuro che hai avuto molte altre soddisfazioni nella vita". Un po' mentiva, non ne era affatto sicuro. Ma voleva cercare di riportare quella insolita conversazione su un binario più allegro.
"Oh, naturalmente" rispose Bonnie. Poi, guardandolo dritto negli occhi: "Judy è stata la prima delle mie duecentosettantasei soddisfazioni più grandi". Fece una piccola pausa. "So che non dovrei dirlo, e di certo non lo farò mai davanti agli altri miei figli, ma lei e Joshua, il suo fratello di poco minore, hanno un posto speciale nel mio cuore". Si fermò a cercare la zampa di Judy, prendendola nella sua senza tuttavia distogliere lo sguardo da Nick. "Non potrei sopportare che le capiti qualcosa di brutto".
Nick non sapeva cosa rispondere. Era un'affermazione così naturale, ed incontestabile, da non ammettere replica. Avrebbe voluto assicurare alla madre che si sarebbe preso cura di Judy, che l'avrebbe protetta – e intendeva davvero farlo – ma sapeva che non aveva garanzie sufficienti da offrire. Erano mammiferi, con tutti i loro limiti. Ed erano poliziotti. Per quanto il solo pensiero lo facesse rabbrividire, si rendeva conto che un giorno o l'altro avrebbe potuto anche perderla.
"Farò del mio meglio per evitarlo", assicurò infine. "E' tutto quello che posso dire". Sentiva un peso opprimergli il petto.
Bonnie annuì, con un che di minaccioso che le gravitava negli occhi.
"Mamma, adesso basta con questi discorsi tetri, d'accordo? So che mi vuoi bene. Anche io te ne voglio molto. Ma non intendo tornarci su ogni volta che ci vediamo, lo sai. Adesso perché non ci beviamo qualcosa e mi raccontate chi siete venuti ad incontrare?", disse Judy rialzandosi.
"Già, ancora non vi ho offerto nulla da bere" notò Nick dandosi una zampa sulla fronte, alzandosi a sua volta. "Dovete scusarmi".
"Penso che un succo di carote andrà benissimo per entrambi", stabilì Judy guardando i genitori in attesa di conferma.
"Sì, certo. Sarebbe perfetto, grazie", annuì Stu.
"Oh, anche per me. Ti ringrazio", gli fece eco Bonnie; chiedendosi quanto tempo, in realtà, sua figlia trascorreva in quella casa perché fosse necessario tenere del succo di carote in frigorifero.
Judy e Nick si eclissarono in cucina.

 

"E così, Joshua si sta appassionando all'agronomia", rilevò Judy mentre giocherellava col suo bicchiere.
Nick si stava rilassando adesso, ascoltando i discorsi, finalmente più leggeri, della famigliola. Poteva farsi da parte ed assistere, sembrava che la tensione si fosse allentata.
"Infatti" riprese Stu. "A dire la verità, è per lui che abbiamo deciso di fare un salto in città oggi. Stiamo valutando di vendere anche pomodori, quest'anno, e quindi abbiamo bisogno di un fornitore di sementi affidabile".
"Ah, è di questo che si tratta. Vi siete incontrati con un fornitore. E vi ha convinti?", chiese Judy.
"Oh, sì tesoro. Ne parlerò con tuo padre e Josh, ma il signor McAvoy ci piace. Probabilmente torneremo la prossima settimana per definire i dettagli. Pensa che l'abbiamo contattato attraverso un forum di coltivatori, in rete, sai", aggiunse Bonnie, con una punta di orgoglio nella voce.
"In rete, mamma?".
"Sì! Vedi, Josh ha fatto una ricerca, si è iscritto a ben tre forum di piccoli coltivatori, e in questo abbiamo trovato il nostro uomo. Abbiamo anche chattato". Il nostro uomo. Ora Bonnie parlava come una poliziotta. O, semplicemente, come qualcuno che abbia una grande passione. Judy la capiva.
"E' interessante. E mi fa piacere che tu ti diverta", le sorrise Judy. "Fate attenzione con le chat pubbliche, però. Non si sa mai chi ci si incontra". Era insolito che fosse lei a fare una raccomandazione a sua madre, ma dopotutto quello era il suo campo.
"Ci sarebbe anche un'altra cosa", continuò la coniglia più grande un poco in imbarazzo. Strano, pensò Judy notando la sua reazione.
"Un'altra cosa riguardo a... cosa?".
"Possiamo parlare un momento da sole?", ribatté la madre.
All'unisono, come se un vento gelido li avesse sfiorati, i quattro mammiferi si irrigidirono. Nick chiuse gli occhi e si passò una zampa sul muso. Che altro stava per succedere, ora?

 

Passarono meno di tre minuti prima dell'esplosione.
Nick non immaginava che la voce carezzevole di Judy potesse raggiungere acuti tanto alti, e quando il COSA! della sua coniglietta tuonò fra le pareti della cucina, a pochi metri, sobbalzò. Dopodiché si fiondò nella stanza, dove le due mammifere stavano parland... discutend... lottando era il termine più corretto.
"Mamma! Non esiste, non voglio crederci. Come ti sei permessa... mi hai esposto in vetrina come una bambola..." stava urlando Judy, il dito puntato contro la madre. "Tu...!", disse ancora, senz'altro aggiungere, congestionata dal suo stesso sfogo.
Nick le si avvicinò con cautela. Voleva attirare la sua attenzione, provare a a calmarla, non farsi aggredire a sua volta.
"Mi dispiace, tesoro" sentì Bonnie pigolare, mentre lui poggiava una zampa sulla spalla di Judy. "Mi dispiace davvero. Io non credevo di far nulla di male... non intendevo certo danneggiarti".
"Che cosa, Bonnie? Di cosa state parlando, se è lecito?", si permise di chiedere Nick, cominciando ad accarezzare la schiena di Judy, disegnandole lenti cerchi in mezzo alle scapole.
"Nick, è stata mia madre. Cosa accidenti avevi in mente, mamma? Hai capito, non c'era di mezzo uno squilibrato né uno scherzo di pessimo gusto. Sei stata tu", spiattellò la coniglietta, senza saper decidere a chi indirizzare la sua invettiva.
La volpe ancora non aveva afferrato, ma Bonnie era ammutolita.
"Judy", si rivolse allora alla partner. "Guardami. Guarda me".
Si ritrovò addosso uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo, se fosse stato lui l'oggetto della sua rabbia. Le prese il muso tra le zampe.
"Perché non spieghi a me cosa non va, uh? Dal principio".
Judy stava iperventilando.
A quel punto Stu Hopps si affacciò timidamente sulla soglia, e lì stette.
Tutti attesero che la coniglietta riacquisisse il controllo di sé.
"Nick, è stata mia madre ad iscrivermi a quel sito, MeetFurr. Su suggerimento di un'amica, pure. Riesci a crederci?".
"I fatti, Judy", le ricordò.
"Sì. Dice che mi ha iscritta più di una settimana fa, prima ancora di costringermi ad uscire con Harry, sai quel coniglio, prima che parlassimo e le ripetessi che non voglio intrusioni".
Judy rilasciò un sospiro stanco.
"E' così, tesoro mio. Pensavo potesse aiutarti a conoscere qualcuno. Ma poi abbiamo avuto quella discussione, e non me la sono sentita di raccontartelo. Credimi, volevo farlo. Ma mi è sembrato il momento più sbagliato", si scusò di nuovo Bonnie, mortificata.
"Non si tratta solo di me, mamma", Judy parlò, lo sguardo fisso su Nick. "Io sono una poliziotta, adesso. E persino piuttosto conosciuta, anche se non ho chiesto io di diventarlo. Tutto quello che dico e che faccio può avere delle conseguenze sul buon nome della ZPD".
Anche chi scelgo come compagno, pensò di sfuggita, un po' tristemente, lasciandosi cullare dalle zampe della volpe salde sul suo viso.
"Ho il dovere di essere all'altezza. Non per l'apparenza, non perché Lionheart possa evitare domande spinose alle conferenze stampa. Ma perché se noi abbiamo una buona reputazione, le persone si fideranno. Ci chiederanno aiuto, anziché temerci quando ci vedono, come capita a volte. E noi potremo darglielo, potremo aiutarli davvero, non solo a parole".
Bonnie osò muoversi soltanto quando vide la figlia lasciarsi sfuggire le prime lacrime. Ma dovette aspettare il suo turno per abbracciarla, perché Nick fu più svelto di lei, e se la tirò contro. Proprio come sotto quel ponte.
Non era il caso di farsi tanti riguardi per la presenza dei genitori: Judy aveva bisogno di una dose di coccole, ora.
"Tranquilla, Carotina", si limitò a dire. "Va tutto bene".

 

Le sei di sera, e tutto andava bene, per davvero.
Se sfogarsi in quel modo era servito alla coniglietta per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, e poi riappacificarsi con la madre anziché tenersi dentro un cruccio; Nick tutto sommato sentiva di poter accettare quel piccolo attentato alle sue coronarie.
"Te lo devo dire, Carotina" – aveva ormai rinunciato a fingersi distaccato – "mi hai fatto prendere un colpo, prima. Non farlo più, ho una certa età io. Potrei restarci secco". Già, all'età non aveva ancora pensato. Sarebbe stata un problema anche quella, per i suoi genitori, ci avrebbe messo la zampa sul fuoco.
"Ora non esagerare, Mirtillino" lo canzonò lei. "All'ultima visita medica sei risultato perfettamente sano e di robusta costituzione".
Se Bonnie e Stu Hopps erano rimasti stupiti nell'udire per la prima volta quei vezzeggiativi, non lo diedero a vedere.
"Appunto, Carotina, se vuoi mantenermi in forma devi stare attenta".
"Nessun problema, Mirtillino. Se è questo che vuoi, vado subito ad occuparmi della tua scorta di patatine sufficiente per un decennio, in caso scoppiasse una guerra atomica. Il fritto fa male, anche imbustato, sai", rincarò la coniglietta.
"Ma non puoi! E se scoppiasse davvero una guerra, Carotina? Come sopravviveremo? Sto seriamente pensando di chiamare il Telefono Azzurro per i Diritti Mammiferi", replicò Nick, mettendo su il broncio.
"Ehm", fece una terza voce.
Nick e Judy si voltarono simultaneamente.
"Ehm, scusate. Mi chiedevo se fosse possibile usare la toilette, prima di salutarvi e andare", disse Bonnie.
"Oh, sì, certo. Venga, le mostro dov'è", rispose Nick, accompagnandola.
Non l'avesse mai fatto.
Al suo ritorno in salotto, Bonnie brandiva nella zampa, ben visibile, uno spazzolino da denti: la setola piuttosto larga, da incisivo, il manico rosa.
Recuperata la sua sicurezza dopo lo scontro con la figlia, non perse tempo in convenevoli.
"Judy, dimmi che questo non è uno dei tuoi spazzolini", la pregò.
"Beh, mamma, temo di non poterlo fare, perché lo è. E' il mio spazzolino, quello. Ti dispiacerebbe dirmi cosa fai col mio spazzolino nella zampa?".
Bonnie ignorò la domanda, considerandola retorica.
"Ti dispiacerebbe dirmi tu cosa ci fa il tuo spazzolino qui, nel bagno del signor Wilde? Cioè, scusa, di Nick?".
"Mi serve perché ogni tanto dormo qui, mamma", fu la secca risposta.
"Come, dormi qui" ripeté atona la madre. "Judy, rispondimi sinceramente", aggiunse dopo un attimo. "Tu non vivi qui, vero?".
Bonnie ripensò al letto che aveva visto, di passaggio nella camera. Che aveva osservato con cura, in verità, come fosse stato un reperto fossile da cui ricavare informazioni preziose sul passato. Era rifatto bene, ma le sagome che vi erano impresse parlavano chiaro: di recente qualcuno vi si era steso. Se i suoi occhi non la tradivano, quel qualcuno aveva la forma di una volpe, a destra. E di un coniglio, a sinistra.
Ripensò al letto, sì. Alla volpe, che aveva aperto loro la porta ravviandosi il pelo, la camicia stazzonata, niente cravatta. E fece due più due.
"Tu non vivi qui, vero?", chiese di nuovo Bonnie, non avendo ricevuto risposta.
"No, mamma. Non vivo qui. Ho il mio appartamento, come sai, e che vi ho mostrato. Ma ogni tanto, ripeto, dormo qui. Sul divano. Per comodità, quando facciamo tardi".
Ecco una cosa che forse doveva evitare di dire. Fare tardi, che cosa terribile. Ma non aveva voglia di spendersi per contenere le ansie di sua madre, non quel giorno. "E' da quando avevo tre anni che mi fai una testa così ripetendomi di lavarmi i denti ogni sera, giustamente, e adesso che ne ho ventiquattro suonati ti lamenti perché ti do retta?".
La faccenda stava diventando surreale.
"Via, Bonnie", interloquì Nick, puntando sul buonsenso. "E' solo uno spazzolino. Non un cassetto, o un intero armadio". Non intendeva stuzzicare nessuno. C'era una bella differenza tra spazzolino e cassetto.
"Non ho bisogno di un cassetto, Nick, ho il mio armadietto in centrale per i cambi quando non posso rientrare a casa", gli fece notare Judy, subito molto più rilassata. Sembrava un'altra, quando si rivolgeva a lui.
"Lo so, Carotina", le rispose la volpe. "Comunque, se volessi, un cassetto libero per te ce l'ho", soggiunse contraddicendo quanto aveva appena affermato. Volpe idiota, si disse. Così la madre si preoccupa ancora di più.
Judy non rispose immediatamente.
Guardò Nick negli occhi, voleva capire se la sua era una battuta per sdrammatizzare – una delle sue battute maldestre. Ma non lo era, lo capì dalla sua espressione genuinamente impacciata.
"Se ne potrebbe parlare", disse dunque la coniglietta, con studiata lentezza. "Non adesso, però. Adesso mamma e papà sono stanchi, e vogliono tornare all'albergo" dichiarò. "Ciao mamma, ciao papà. Buonanotte", li salutò meccanicamente prendendoli entrambi sotto braccio e trascinandoli verso la porta. Ci fu appena il modo di scambiarsi un paio di "Arrivederci" volanti, e i due conigli sparirono inghiottiti dalla strada.

 

"Credo che, adesso, gradirei uno dei tuoi trecento pacchetti di patatine. Ritiro quel che ho detto: il fritto fa bene alla salute, anzi fa benissimo, specie in giornate come questa", esalò Judy con un filo di voce.
"Come vuoi. Ma forse sarebbe il caso di fare anche un po' di spesa, visto che la dispensa è vuota", rispose Nick. "E subito, prima che ci passi la voglia. A meno che tu non preferisca ordinare qualcosa a domicilio".
Judy rifletté.
"No, ci sto. Prendere una boccata d'aria, è quello che ci vuole. Prima che i miei si rifacciano vivi, perché vedrai, torneranno e vorranno sistemare le cose. Ormai lo sai, noi coniglietti siamo emotivi", disse sorridendo. "Non riusciamo a darci pace finché non ci siamo chiariti".
"Già", rise Nick. "Avevo avuto quest'impressione. Ma a questo proposito, Carotina, non ti pare di essere stata un po' brusca nel cacciarli via così?", le chiese dolcemente grattandole la base delle orecchie.
"Uhm, forse. Ma Nick, sul serio... è bastato uno spazzolino per farle credere che vivessi qui. Cosa farà quando le diremo che stiamo insieme? E' assurdo", commentò lei. "Anzi, quasi quasi potremmo vivere insieme davvero, così almeno avrebbe un valido motivo per farsi i filmini", aggiunse, incrociando le braccia.
"Corri veloce, tu", rispose la volpe. "E mi piace".
Sì, la cosa gli piaceva. Persino troppo. Procedi con ordine, si disse.
"Senti un po', faremo così".
Judy lo ascoltò curiosa.
"Facciamo la spesa. Spieghiamo ai tuoi qualche cosetta. Ci sposiamo. E tu vieni a vivere con me, finalmente. Ti sta bene questo programma?".
Puntava in alto, altissimo. Ma 'fanculo, avevano solo una vita.
La coniglietta non rispose. Raccolse le chiavi di casa, le lanciò a Nick e infilò la porta con un balzo, lasciandoselo dietro.
"Muoviamoci, Mirtillino. Prima cominciamo, prima arriviamo al traguardo", lo sollecitò.
Nick non si fece pregare.

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Capitolo 13
*** Confronti ***


Nuovo capitolo, che oserei definire abbastanza tosto, e che adoro. Spero vi piaccia quanto gli ultimi :)
Ho raccolto il consiglio di SatoSerelover di andare a capo più spesso, e quello di Redferne di mostrare, almeno un po', le difficoltà che una coppia interspecie può incontrare nella società. Solo un assaggio, per ora.
A voi l'ardua sentenza.

Non mi stanco mai di ringraziare tutti i lettori, in particolare coloro che impiegano parte del loro tempo per offrirmi le loro impressioni e preziosi suggerimenti. Sul serio: grazie.
E non dimentichiamo i consigli di lettura (Redferne, sto terminando "Stazione Undici". Great!).

Una precisazione importante: ad un certo punto del capitolo si parla di convivenza.
Ci tengo a sottolineare, ribadire e controribadire che quanto viene espresso NON è un giudizio su chi fa una scelta diversa, ma una prospettiva che mi piace condividere.
Siccome però questa è una fanfic, e non un pomposo saggio né tantomeno un catechismo... i personaggi sono liberi di dire e fare quel che credono.

Buona lettura!

 



XIII. Confronti

 

Nel mezzo d'una corsia di supermercato, la giovane coniglia sembrava indecisa tra una confezione di carote e l'altra: erano più croccanti queste, o quelle? In realtà, con le lunghe orecchie tese all'indietro, stava origliando una conversazione alle sue spalle.
"Ehi, li hai visti quei due?" stava dicendo un caribù ad un altro. "Secondo te, lei gli spazzola il pelo tutte le sere?". E giù una risata sguaiata.
"Carotina, non farci caso" intervenne Nick. "E non pensare nemmeno di andar lì e rispondere a quello scemo, non ne vale la pena. Lattuga o valeriana?" chiese poi, prendendo una confezione a caso dalle zampe di Judy e tuffandola nel carrello.
"Uhm, lattuga. Perdonami, volpacchiotto mio" rispose lei alzando intenzionalmente la voce "ma non credo di poterlo evitare".
Il commento del caribù giunse immediato.
"Ehi, hai sentito, Joe? Chissà cosa le sussurrerà lui in quelle orecchione per farla eccitare, quando sono a letto. Sarei proprio curioso di saperlo, eheh".
"Immagino. Ma non lo scoprirà mai", gli rispose Judy facendoglisi sotto, calma come sapeva essere soltanto quando era furente. "E sa perché?", lo incalzò.
Il caribù tacque, con un sorrisetto idiota sul muso. La coniglietta decise di cancellarglielo.
"E' la coda, vede. E' sempre questione di coda".
L'ungulato aveva ora un'espressione interrogativa.
"Lui ce l'ha più lunga. E questo è tutto", concluse Judy. "Davvero, mi dispiace per la sua donna, sempre che ne abbia una. Con quel mozzicone che si ritrova, la vita dev'essere dura", osservò gettando uno sguardo deluso all'estremità penzolante dell'animale. E con questo, tornò a passeggiare lungo lo scaffale dei freschi.
"Spero di non diventare mai vittima di questo tuo lato sovversivo, Carotina", le disse Nick fingendo di rabbrividire. "E' stato scioccante, ecco. Mele?".
"Granny Smith per me, grazie. E cos'è che ti sciocca tanto, sentiamo: il fatto che mi sono ribellata, al centesimo mormorìo su di noi da quando abbiamo messo piede qui, o quello che ho detto sulla tua coda?", replicò infilandogli una zampa sotto braccio.
Tanto, ormai, ne avevano sentite di cotte e di crude. Non c'era scopo nello stare lontani.
"Oh, se è per questo, quel che hai detto sulla mia coda mi interessa molto".
Judy non poté trattenere la risata che le sgorgò dal profondo del cuore.
Insomma, c'erano state le due anziane gazzelle che per strada le avevano dato della svergognata, quando avevano visto che si teneva per la zampa con una volpe. Un commesso scorbutico che li aveva praticamente accusati di tutti i mali del mondo – dall'inflazione all'effetto serra. Se non riuscite a trovarvi i cereali da soli, fatevi un esame di coscienza. Testuali parole. E infine il caribù – uno stupido, certo, ma ad onor del vero il suo amico non gli aveva retto il gioco.
Erano forse morti, per questo? Erano stati minacciati, o insultati seriamente, come accadeva in un passato nemmeno troppo remoto alle coppie interspecie? No. Nulla del genere.
E poi c'era stata quella famiglia di ippopotami, madre, padre e tre figli adolescenti, che gli avevano espresso assai chiaramente la loro ammirazione sulla metro. Non vergognatevi mai di ciò che siete, e All'amore non si comanda, cose così. Pensieri retorici forse, tuttavia Judy e Nick li avevano accolti con gratitudine.
No, non c'era motivo di preoccuparsi della "gente". La gente non era un mostro, non era né contro di loro, né a favore: era fatta di persone, ognuna diversa dall'altra.
"Una carota per i tuoi pensieri, Judy Hopps". La voce flautata di Nick la richiamò alla realtà.
La coniglietta raccolse le due buste con gli acquisti e si incamminò verso l'uscita, con la volpe al fianco.
"Pensavo a quanto siamo fortunati".
"Anche se avevamo tutti quegli occhi addosso?", domandò Nick ironico.
"E' solo che non hanno mai visto due mammiferi così attraenti come noi", replicò convinta Judy. "Si abitueranno. E comunque non è stato così tremendo. Ora che ci siamo occupati della spesa dovremo vedercela con i miei, ricordi? E' il secondo step del tuo elenco, decisamente più tosto".
Nick annuì con aria grave.
"Sì, è il secondo step. Sei ancora dell'idea di andare avanti?".
"Ne sono certa, Nick. Assolutamente certa", gli confermò fermandosi nello spiazzo antistante il supermercato.
"Avvicinati", le disse lui.
Judy obbedì, e la volpe cominciò, senza chiederle permesso, a carezzarle le orecchie per tutta la loro lunghezza, lisciandole delicatamente.
Era una sensazione incredibile, deliziosa. La coniglietta chiuse gli occhi per godersela meglio.
"Voglio che ricordi una cosa. Parlare di noi con i tuoi potrebbe essere molto difficile. Forse anche doloroso. Ma non permetterò che il vostro rapporto si rovini a causa mia. La tua famiglia è importante, Judy".
C'era un accenno di malinconia nella voce di Nick, e la coniglia sapeva da dove gli veniva.
"Anche tu sei la mia famiglia, ora. Io voglio che ricordi questo. Non mi allontanerò da loro, e se non ci accetteranno subito, lotteremo finché non lo faranno. Ma intanto noi dobbiamo seguire la nostra strada, Nick. Io e te".
Ora ti bacio, sai. Ti bacio qui, davanti a tutti questi mammiferi, pensò la volpe. E così fece; depositò sulle labbra della sua coniglietta un bacio leggero, innocente nella forma, eppure il più coraggioso.
Nessuno dei due si curò delle reazioni di chi sfilava loro accanto. Le reazioni degli altri, riguardavano gli altri.

 

"Allora, torniamo allo spazzolino. Al fatto che Judy dorme qua. E... uhum, al fatto che eravate sul tuo letto insieme, non voglio neppure sapere quando e perché", Bonnie riprese il discorso.
Meno male che aveva detto di voler soltanto salutare sua figlia e scusarsi, pensò Nick.
Erano le otto di sera di quello stesso, lungo mercoledì; e lui, Judy ed i suoi genitori stazionavano da un quarto d'ora nell'atrio di casa. In piedi, perché certi argomenti scomodi vanno affrontati in altrettanto scomode posizioni.
Sì, loro quattro dovevano avere un confronto serio, ed il momento di quel confronto era arrivato, ben prima del previsto.
"Bonnie", cominciò Nick con il tono più composto e determinato che gli riuscì di tirar fuori. "Chiarisco subito una cosa. Io non ho toccato vostra figlia. E' vero, ha spesso dormito qui. Ma ora... non più".
"Lo spero bene, che tu non l'abbia toccata, come dici. Se è vero che sei un suo amico, che tieni a lei...".
Anche la voce della coniglia era posata, per quel che poteva valere. Nick capì che era meglio non aspettare oltre. Era quella la loro occasione, quella l'opportunità da cogliere.
Voleva però che fosse Judy a sbilanciarsi per prima, a dire ciò che provava, perché fosse chiaro a sua madre e suo padre che non la stava spingendo a fare nulla che non volesse. Che non la stava manovrando... o traviando, per essere ancora più duri.
Si voltò verso di lei, e le fece un cenno. Non occorse altro.
"Non è un mio amico, mamma. Non più, o meglio non soltanto", disse dunque la coniglietta, intervenendo per la prima volta. "Nick è il mio compagno, adesso".
Forse non era il modo più elegante per esprimere la cosa, ma almeno era il più efficace per essere sicuri di non poter più tornare indietro.
"E' così, allora", constatò Bonnie. "L'avevo capito, lo sentivo, ma non ci volevo credere. Avevi detto che non uscivi con nessuno, che quella di una relazione interspecie era solo un'ipotesi, Judy", continuò rivolgendosi alla figlia. "Lo sentivo, che c'era dell'altro. Ma non me ne hai voluto parlare, sei stata così irremovibile...".
La coniglietta si schiarì la voce.
"Ed era vero, mamma. Mi spiace che tu te ne sia convinta, ma non ti ho mentito. Solo fino a pochi giorni fa non ero consapevole di volere questo".
"Volere cosa, tesoro, di grazia? Una storia con un predatore? La diffidenza da parte degli altri mammiferi? Nuovi ostacoli sul lavoro e nella vita privata? Ti conosco, Judy. Adesso tutto questo può sembrarti elettrizzante, ma presto ti accorgerai di quanto pesa l'essere di una specie o di un'altra. Oppure è una storia romantica che vuoi, alla Romeo e Giulietta? Mi duole ricordarti che finisce in tragedia...". Il tono della coniglia si era fatto amaro.
"Ho fatto la mia scelta", tagliò corto Judy. "Non ero alla ricerca di nulla di tutto questo", ribadì scuotendo la testa. "Ma Nick ora c'è. Ed io lo voglio con me, come voglio esserci per lui", disse andando a cercare la zampa della volpe, per poi stringersela al petto.
Bonnie sospirò.
"E' tutto molto dolce, cara. E riconosco che Nick sembra essersi affezionato a te. Ma cosa farai quando cambierai, quando cambierete idea? Ti pentirai di aver rischiato un'amicizia per qualcosa di così incerto".
"Bonnie, quello che stiamo facendo non è né facile né del tutto chiaro persino per noi" intervenne Nick. "Ma avremo tutta la vita per farlo funzionare".
Ecco infine le parole chiave che fecero scattare l'allarme rosso.
"Ah! E questo cosa vorrebbe significare, sentiamo. Che vorreste fare, sposarvi?".
"Sì" fu la semplice, piana e nitida risposta di Nick e Judy.
All'unisono – un dettaglio che li sorprese e li fece sorridere.
"Giusto Cielo", commentò Bonnie sommessamente, gli occhi bassi. "A questo punto avrei bisogno di sedermi" disse fra sé e sé, non cercando affatto, però, di dar seguito a quel proposito. "Lo giuro sul prossimo raccolto di carote, Judy, la sola idea mi fa così disperare che preferirei vederti convivere con lui. Arriverei ad augurarti di scoprire da sola che questa cosa non può funzionare, sbattendoci il muso. Sì, ti augurerei di soffrire un po' subito se questo servisse ad evitarti di soffrire molto di più tra qualche anno".
"E' a questo che mi riferivo, in effetti", disse Nick, richiamando l'attenzione della coniglia su di sé.
"So che molti mammiferi lo considerano... poco moderno. Ma – " la volpe si interruppe sforzandosi di ricordare le parole esatte "mia madre mi ha insegnato che convivere, anche con le migliori intenzioni, comporta tenersi una via d'uscita sempre a portata di zampa, in caso le cose non vadano come previsto. E che impegno può mettere un mammifero in un rapporto che sa di poter abbandonare quando vuole?".
Nessuno fiatava, perciò Nick continuò.
"Per anni ho creduto che esagerasse. Ma adesso che... che ho Judy, mi pare di capire dove voleva arrivare".
Ora la coniglietta stava studiandone il profilo, assorta, ma lui era troppo impegnato a non incartarsi nel suo discorso per farci caso.
"Ci saranno sempre, prima o poi, dei buoni motivi per tirarsi indietro. Ci sarà sempre il modo di giustificarsi, dopo aver abbandonato il campo. Ed io non voglio avere né gli uni né l'altro. Voglio essere sicuro di non avere vie d'uscita, di non avere scuse, perché se c'è una cosa che ho imparato di me stesso è che sono soltanto un mammifero qualunque. Vigliacco e pieno di paure, come chiunque altro. Considerami pure un idiota, Bonnie", azzardò una risata ironica "ma penso che sì, hai ragione. Noi falliremo, senza alcun dubbio. Proprio per questo voglio sposare Judy".
Nick strinse più forte la zampa della coniglietta, senza preoccuparsi di spiegare meglio quell'ultima affermazione.
Che le sue parole avessero fatto una buona impressione o meno, non si aspettava certo che Bonnie se ne fosse fatta intenerire.
"D'accordo, ammettiamo pure che nessuno riesca a distogliervi da quest'idea. Ammettiamo che le differenze tra di voi non siano incompatibili, e che nessuno ve le faccia pesare troppo" rispose lei infatti. "Ma a differenza di altre coppie interspecie, la vostra è sterile. Va detto senza mezzi termini. Figli non ne potrete avere, mai. E questo è oggettivamente un problema".
Nick era molto, ma molto lontano dal considerarlo tale.
E sapeva che nemmeno Judy, anche se per ragioni diverse dalle sue, desiderava avere figli. Era aperta a quella possibilità, ma non la perseguiva come obbiettivo. Inoltre la sua vita attuale, concretamente, le precludeva quell'eventualità; a prescindere da lui.
"Mamma".
"Sì, Judy".
La coniglietta fece del suo meglio per ingoiare, una volta tanto, l'orgoglio. Per mettere a tacere il desiderio di rivendicare le proprie scelte – compresa quella di non avere cuccioli, se la condizione per averli era rinunciare alla carriera. O rinunciare a Nick.
Se voglio che mi vedano come un'adulta, si disse, devo comportarmi da adulta. E gli adulti non si lamentano, combattono.
"Mamma", ripeté con voce ferma. "Mi hai sempre raccontato che tu e papà non eravate innamorati quando vi sposaste. La tua famiglia era povera e voleva sistemarti, mentre papà era spinto dai nonni, ai quali non piaceva la coniglia che frequentava. Non riesco ad immaginare una coppia peggio assortita, eppure ha funzionato. Non eravate innamorati allora, ma oggi sì. Non eravate una vera famiglia, allora, ma oggi sì. Avete bisogno l'una dell'altro. Per noi è lo stesso, sai", disse sottolineando il concetto con un gesto che includeva sé e la volpe.
"Nick ha creduto in me quando nessun altro in città ancora lo faceva. Io ho creduto in lui quando nemmeno lui credeva in se stesso. Ce l'abbiamo fatta perché ci siamo fidati. Perché siamo stati un po' avventati, dissennati, sì, un po' inappropriati. Non abbiamo rispettato le regole. Eppure guarda cos'abbiamo ottenuto!".
"Inappropriati, Carotina? Volevi dire sbagliati, impossibili, aha", rincarò Nick. "Così impossibili che siamo qui".
"Appunto. Non capisci, mamma, che io vorrei essere proprio come voi? Dedicarmi a qualcuno senza risparmiarmi. Senza rimpianti", fece Judy.
Ci fu un lungo silenzio.
Il modesto spazio dell'atrio, che inizialmente aveva dato ai quattro mammiferi quasi un senso di soffocamento, pareva loro adesso un intimo guscio protettivo. Forse non sarebbe durato, forse quello era un momento di grazia fragilissimo, ma c'era, lì, dell'amore profondo che li univa.
Toccò a Stu il difficile compito di reintrodurre a forza, in quell'atmosfera, lo sgarbo delle parole.
"Credo di aver diritto anch'io ad una domanda. Una sola, e vorrei mi rispondeste entrambi. Perché volete stare insieme? Nick, se sei cosciente che ci possono essere delle conseguenze negative per Judy, perché non evitargliele, se davvero vuoi il suo bene?".
Non c'era alcuna vena critica nella voce del coniglio. Tutto in lui, dal suo tono alla posizione dimessa delle orecchie brune, indicava la volontà, il fermo desiderio di cedere a quella follia. Vedere la sua prima e più cara figlia sposata in brevissimo tempo, a quanto gli pareva di capire, e con una volpe.
Voleva cedere: vederli mettere in atto quello sproposito, riuscire ed avere una vita felice. Voleva da loro delle risposte che gli facessero capire che erano effettivamente pronti, che mettessero a tacere le sue ansie di genitore.
"Cosa ho sempre ripetuto fin da piccola, papà?", gli disse la figlia, azzerando le distanze ed abbracciandolo.
"Lasciami indovinare: che vuoi rendere il mondo un posto migliore?", canticchiò lui.
"Che voglio rendere il mondo un posto migliore", confermò Judy staccandosi. "Ed ecco qua: forse è questa la parte che tocca a noi. Aiutare i mammiferi a realizzare davvero quell'integrazione di cui si parla. Non solo come poliziotti, non solo come specie diverse che si tollerano, ma dimostrando che possiamo davvero amare chi è diverso da noi".
"Non siamo i primi, Stu. Nemmeno come coppia preda-predatore", volle precisare Nick giocandosi l'assist, con una voce calda e sicura. "Ma è vero, rappresentiamo comunque qualcosa di importante. E penso che non sia un male. Il solo modo per ottenere che gli altri animali ci prendano sul serio, è prenderci sul serio noi per primi. Non vi chiedo di dare la vostra approvazione a qualcosa che vi turba tanto", aggiunse rivolgendosi in particolare a Bonnie. "Non così su due zampe. Ma vi prego, dateci una chance".
Era una situazione pazzesca, ancora in discreto equilibrio ma pronta a degenerare in un vero casino.
Eppure Judy non provava alcun disagio, anzi: si sentiva così felice che temeva di scoppiare.

 

Fermo sull'uscio, incorniciato dagli stipiti, Nick Wilde guardò Judy Hopps allontanarsi su un taxi giallo, seduta tra la madre ed il padre.
Si sentì d'un colpo travolto.
Si era preparato a dare l'assalto alla sua preda, ci si era preparato a lungo, da quando lei ancora era ben lontana dal confessargli il suo interesse.
Aveva còlto l'occasione che lei gli aveva offerto, andando oltre le comuni confidenze che le faceva in amicizia e togliendosi non solo la maschera di volpe vissuta, ma persino la pelle. E aveva funzionato, avevano fatto insieme in tre giorni un sacco di strada.
Non aveva calcolato però di poter diventare, lui stesso, l'oggetto di un'attenta e critica valutazione – non così presto.
Il taxi corse via, e gli parve una perfetta metafora di quel che stavano vivendo: tutto stava accadendo molto velocemente, e l'effetto era inebriante come un vino di fascia alta; confondente come le tessere di un puzzle lanciate sul tavolo alla rinfusa; seducente come la scia colorata di auto che sfreccino a centottanta all'ora, fotografate a diaframma quasi chiuso con un tempo di esposizione di minuti, forse ore.
La volpe rientrò, posizionò il suo mPod sul dock e selezionò dalla raccolta il brano The ecstasy of gold di Ennio Topicone, storica colonna sonora dei momenti critici della sua vita. Alzò il volume di brutto con uno scatto del polso.
Solo altri due giorni, quarantotto ore.
Poi la resa dei conti a Bunnyburrow, a casa di Judy, dove i genitori di lei li avevano invitati a trascorrere il weekend.
Nick ci ripensò, e alzò ulteriormente il volume dell'impianto stereo di un'altra decina di punti. Che la sua fosse almeno una morte con un sottofondo glorioso.

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Capitolo 14
*** Vita ***


Ancora un passo avanti!
Non so se fra voi lettori ci sono dei romani, e magari, chissà, qualcuno che ascolta rap.
In tal caso qualcosa vi suonerà familiare, perché in questo capitolo mi sono divertita a infilare qua e là delle citazioni, rimaneggiate dove necessario, da quel gioiellino che è
"Vita" dei Colle der Fomento.
La sto ascoltando a ripetizione in questo periodo e mi è sembrato che fosse un'idea carina giocare col testo intrecciandolo alla storia ^___^

 



XIV. Vita

 

Il profilo della città, dietro le spalle del capitano Bogo, vibrava come un miraggio nel deserto sotto l'effetto della precoce cappa di calore che l'aveva investita quel giovedì. La vetrata a tutta parete doveva creare un piccolo inferno in quell'ufficio, d'estate, ma un piccolo inferno per tre mesi l'anno era un prezzo più che ragionevole per poter godere di quel panorama mozzafiato.
“Non credo di aver capito cosa mi state chiedendo”, comunicò il bufalo ai due sottoposti seduti di fronte a lui.
“E' semplice, capo”, tentò nuovamente Nick Wilde, prima volpe in forza alla ZPD, e ostentatamente orgoglioso d'essere tale. “Io e la qui presente agente Hopps desidereremmo effettuare un cambio turno con Wolferson e Bale”.
“Per i giorni ventuno e ventidue”, precisò Bogo.
“Esatto, capo. Bei numeri, non trova?”, domandò affabile Nick.
“Numeri che, del tutto casualmente immagino, corrispondono ad un sabato e una domenica”.
“Esatto, capo”, replicò per nulla intimorita la volpe. “Vede capo, è successo che – ”
“Crede che m'importi di cosa le succede fuori di qua, quando non è in servizio, agente Wilde?”, lo interruppe il superiore.
Fece una pausa teatrale, portandosi lo zoccolo sotto il mento come a riflettere profondamente.
“Lasci che la illumini: non m'importa”, concluse poi. “Con la faccia tosta che ha, perché non porge la sua ennesima richiesta direttamente agli interessati?”.
“Perché in questo momento svolgono il servizio di collegamento presso un altro distretto, signore”, gli ricordò Nick.
Bogo sbuffò, rivolto alle vetrate.
“So dove si trovano i miei uomini, Wilde, lo so sempre”, ribadì.
Lo sapeva, infatti, come sapeva che non poteva richiamarli in centrale solo per risolvere una questioncina di quel tipo.
“Non è questo il punto. Crede di essere il più furbo di tutti perché è una volpe?”.
Judy occhieggiò il partner, chiedendosi quanto quel luogo comune potesse averlo infastidito. Sembrava averlo digerito più che bene, pronto anzi a dar battaglia per ottenere quei due giorni liberi nel weekend. Ma quel che nessuno dei due sapeva era che la battaglia era già decisa.
“Vi darò una notizia che potrebbe sconvolgervi”, ironizzò Bogo tornando a guardare Nick, avvicinandosi e sovrastandolo con la sua mole. “Il più furbo, qui, sono io”, tuonò.
“Potete avere anche questo fine settimana libero”, aggiunse infine soave, lasciando volpe e coniglia ugualmente perplessi, mentre riprendeva posto alla propria scrivania e sfogliava un fascicolo con attenzione.
“Signore, mi scusi”, intervenne Judy dopo qualche secondo.
Bogo alzò lo sguardo. “Sì, Hopps?”.
“Ecco... la ringrazio... la ringraziamo entrambi per la sua disponibilità”. Lo pensava davvero, quel bufalo burbero era, in fondo, un capo comprensivo. “Se è tutto, noi andremm – ”
“Potete avere il fine settimana libero, Hopps”, ripeté lui. “Ma ad una condizione”.
Il disappunto sul volto di Nick era palese: riprodusse l'identica smorfia di quando vide Judy scambiarsi un civile, e perfino amichevole saluto con Mr. Big. Una trappola stava per scattare, e in quella trappola c'era la sua zampa... forse Bogo avrebbe risparmiato la partner, qualunque idea gli stesse frullando in quella piccola testa incassata su spalle troppo grandi, ma non avrebbe certo avuto pietà di lui.
Siccome nessuno dei due colleghi s'azzardava a riprendere il discorso, fu di nuovo il capitano a farlo.
“Wilde, Hopps. Voi siete entrambi novellini, ma avete già avuto abbondante modo di constatare che questo mestiere non è fatto soltanto di inseguimenti e sparatorie. E neppure, se è per questo, di stimolanti e agguerriti interrogatori”, cominciò, l'aria pensosa. “Putroppo, soprattutto per chi si trova ad occupare i piani alti, questo mestiere è fatto anche, molto di politica”.
Nick e Judy ascoltavano ora Bogo con sincera curiosità. Capivano che quanto stava dicendo loro aveva una grande importanza ai suoi occhi.
“E la politica”, aggiunse quello con enfasi “la politica dà alle cose il significato che vuole, che trova comodo per i propri scopi. Per questo voglio che, durante il vostro fine settimana libero, cominciate a prepararvi per l'intervista che la ZNN intende farvi fra un paio di settimane”.
I due mammiferi sgranarono gli occhi. Se il silenzio avesse avuto un'apposita scala di misurazione, in quel frangente avrebbe toccato l'apice.
“Signore...” attaccò la coniglietta dopo essersi scambiata un'occhiata terrorizzata con la volpe. Il ricordo della dannosa conferenza stampa del caso Bellwether le affiorò alla mente come uno stronzo di cane alla deriva nell'oceano.
“L'unico modo per non farsi sopraffare dai media è anticiparne le mosse, Hopps”, tagliò corto Bogo. “E questa non è, sottolineo: non è una conferenza stampa. Ci sarà ben poco di improvvisato, la rete ci tiene ad organizzare una trasmissione senza intoppi, e Lionheart ci tiene altrettanto a promuovere con due testimonial d'eccezione il suo Progetto di Integrazione Mammifera. Dunque, si rilassi Hopps”.
Judy sospirò. “Come desidera, capo”. L'idea non le piaceva per niente, ma dire di no avrebbe significato mettere in una posizione difficile tante, troppe persone.
“No, aspetta, Judy” intervenne Nick. “Non sei tenuta a finire in televisione, davanti a milioni di spettatori, se non lo vuoi. E io so che non vuoi”, rimarcò. Per la verità, nemmeno lui ci teneva affatto.
“Temo che, nella vostra situazione, ciò che volete conti relativamente”, disse allora Bogo richiamando l'attenzione su di sé.
Judy non diede segno d'aver colto alcuna stranezza in quella frase, ma a Nick si rizzò subito il pelo sulla nuca.
“A questo punto, temo di dovervi chiedere: c'è qualcosa che vorreste dirmi, prima che diventi di pubblico dominio?”.
La frase calò in mezzo alla stanza esattamente come un grosso sasso avrebbe potuto piombare nel centro di un lago, con un tonfo, sollevando schizzi ovunque.
Seppure il condizionatore fosse guasto, e non riuscisse a scacciare l'afa dall'ufficio, Judy e Nick sentirono un freddo immediato avvolgerli.
Non potevano essere certi che Bogo si riferisse alla loro relazione, per altro freschissima, eppure... non potevano immaginare come, in quel caso, ne fosse venuto a conoscenza, eppure...
“Parlerò io” li trasse d'impaccio il bufalo.
Non vedeva l'ora di sbrigare quella faccenda, terminare di evadere l'ordine del giorno e filarsela a casa. Che grana, i politici. Che grana, i media. E che grana, quei due novellini così entusiasti – soprattutto Hopps – e così scavezzacollo – soprattutto Wilde. Teneva a quei due come ai propri figli tuttavia, per sua disgrazia.
“Il regolamento della ZPD, a differenza di quello d'altri corpi di polizia in altre città, ammette le relazioni tra colleghi” esordì, confermando i sospetti dei due.
“Se proprio volete saperlo, di chi sta con con chi, a me, non importa” – la frase fece spuntare, nonostante tutto, un sorrisetto complice sulle labbra degli agenti – “non mi importa, perché non lo considero sbagliato, purché non incida sul rendimento lavorativo”, disse abbassandosi gli occhialetti sul naso e fissandoli duramente, finché non li vide annuire.
“Tuttavia, voglio evitare a tutti i costi che questa... cosa diventi una valanga in grado di travolgere il Dipartimento. Come mi pare di avervi già detto, la politica, e i media, fanno polpette dei fatti e se li mangiano a colazione. Poi li risputano trasformandoli a modo loro. Non abbiamo potere su tutto”.
Sospirò.
“Ma, mi pare di avervi già detto anche questo, chi gioca d'anticipo vince. Vi ho fissato un incontro la prossima settimana con la signora Carter della ZNN, la vostra intervistatrice, per concordare domande e risposte. Fatevi trovare preparati, e se è vero quel che un uccellino mi ha suggerito, raccontate tutto prima ancora che sia lei a toccare l'argomento. Intesi? Se ci tenete al vostro cambio turno, certo. E al vostro impiego”, terminò.
Improvvisamente, così com'era venuta, l'espressione grave sul muso di Bogo sparì.
Amava quel lavoro, dannazione. Ma le pastoie burocratiche e gli intrighi di corte di quei ciarlatani in municipio lo facevano uscire di testa. Certe volte sognava spiagge bianche, Vodka Martini come se piovesse, e la voce incantevole di Gazelle che al suo arrivo l'accoglieva: Benvenuto ai Caraibi.
Invece, anno dopo anno restava fedele, al suo posto, a far da sentinella. Spesso quella vita era più di parole che di fatti – conferenze stampa, statistiche, riunioni vuote di senso. Alle tante, però, erano più i risultati degli inutili progetti. E quelli gli bastavano come riserva d'aria, fino alla prossima boccata.
“E' lecito chiederle chi è quell'uccellino, signore?”.
La voce melliflua di Wilde lo riportò alla realtà.
“Nick!”, la volpe fu ripresa dalla collega.
“Che c'è? Mostravo il mio interesse. Vorrei fare due parole in simpatia con chiunque si sia fatto gli affari nostri”, spiegò lui.
“Oh, niente di più facile, Wilde”, rispose Bogo come nulla fosse. “E' sufficiente scendere le scale e recarsi alla reception della centrale”.
Ci volle un lungo momento perché l'informazione si depositasse ed i neuroni della volpe la elaborassero.
“Mi sta dicendo che Clawhauser... mi sta dicendo che...”.
“Oh, Ben”, disse Judy, portandosi una zampina alla fronte.
Ma certo. Aveva sempre tifato per loro, se si poteva dir così, li aveva incitati dal loro primo ingresso in centrale come partner. E quando loro insistevano nel dirgli che erano soltanto colleghi, appunto, lui non demordeva. Siete una così bella coppia, era il suo ritornello preferito, subito dopo Ho un calo di zuccheri, ho bisogno di mangiare qualcosa. Alla fine, aveva avuto ragione.
“E' un bravo ragazzo. E nient'affatto sciocco come sembra. Ma, come sapete, dalla sua bocca entrano ciambelle ed escono gossip come dalla catena di montaggio di una fabbrica”, notò il capitano.
“Ed ora, fuori dai piedi, tutti e due. Avete un caso da chiudere prima del vostro benedetto weekend, o sbaglio?”, disse, accompagnando le proprie parole con l'indice puntato alla porta, senza neppure guardarli.
“Sì, signore, certo. Grazie”.
Nick e Judy si alzarono, frastornati, e tornarono al lavoro.

 

Ci vollero loro tre ore per sbarazzarsi dell'incombenza – una lotta intestina in un clan di donnole aveva condotto a svariate uccisioni, e prima che gli riuscisse di mettere all'angolo gli esecutori ottenendo una confessione decente, avevano sudato tanto sangue da poter riempire una piscina.
“Non è ancora finita, Carotina”, disse Nick rientrando in sala interrogatori e trovandola col muso abbandonato sul tavolo d'acciaio. “Sanchez dice che Bogo ci vuole tutti di là tra un minuto, per pianificare l'irruzione negli appartamenti dei due capibanda”.
Le accarezzò la testa, attese che la rialzasse e le porse il bicchierino del caffé.
“Grazie”.
“Di nulla”.
La volpe sollevò il proprio bicchiere invitandola ad un brindisi.
“Abbiamo fatto un buon lavoro, comunque”.
“Sì”, concordò lei. “Siamo una bella coppia, come dice Ben”.
Risero, scaricando la tensione e ricaricando l'umore, prima di avviarsi.

 

Non ebbero occasione di parlare delle novità fino a sera.
Mentre camminavano in direzione della reception, trascinandosi dietro la spossatezza nonostante la lunga doccia appena fatta, decisero che, dopotutto, Benjamin Clawhauser aveva fatto loro un favore.
Pur nella sua incoscienza, non aveva fallito una sola volta nel mostrarsi pronto a sostenere entrambi. E, forse, questa faccenda dell'intervista poteva rivelarsi meno terribile di quanto apparisse a prima vista: avevano parlato di matrimonio, diamine, cosa mai poteva essere un'intervista al confronto?
Il ghepardo li vide arrivare e sventolò in aria una ciambella glassata di rosa a mo' di saluto.
“Hey, ragazzi! Come state?”, chiese allungandogli la scatola di dolci.
“Ciao, Ben”, gli sorrise la coniglietta.
“Benny”, fece Nick, servendosi. “Noi stiamo bene. Io e Judy, sai”, aggiunse cripticamente, appoggiando un braccio attorno alle spalle di lei e fissandolo con il suo miglior sguardo sornione. “Judy ed io, se preferisci”.
“Nick, non fare lo stupido”, lo ammonì lei.
“Ma è così, Carotina. Ci siamo io, e te, qui davanti a Benny. Vero Benny?”, rincarò la dose la volpe.
La qual cosa gli costò una gomitata nel fianco.
“Ben, quel che Nick vuole dire è che... aspetta, avvicinati”.
Il ghepardo eseguì, con l'aspettativa dipinta sul muso.
“Mi raccomando, acqua in bocca. Nessuno deve saperlo, per ora”, si raccomandò la poliziotta, ignara del compagno che alle sue spalle si godeva la scena come fosse al cinema.
Un breve bisbiglio, un nanosecondo in cui il faccione dell'addetto alla ricezione crollò, somigliando paurosamente al famoso dipinto “L'urlo” di Zebrard Munch, e poi uno squittìo acutissimo risuonò per tutto l'atrio.
Ci fu tra i mammiferi più sensibili chi si tappò le orecchie – Judy e Nick non ne ebbero il tempo –, chi sfoderò l'arma di ordinanza guardandosi attorno guardingo e, infine, chi si chiese se i vetri degli uffici avrebbero retto all'evento.
I vetri ressero, dopotutto.
Le gambe di Clawhauser no.
“Oddio, ragazzi. Oddio. Devo sedermi, scusate”, disse, e si lasciò cadere sulla sua girevole come corpo morto cade.
“Ben... è tutto okay” fece Judy saltando sul bancone per verificare lo stato dell'amico. “E' tutto okay?”, riformulò poi la frase notando che quello si stava tenendo una zampa sul cuore. Con tutti i carboidrati che ingollava, chi poteva escludere che stesse avendo un malore?
“Oh, Judy!!”, esclamò invece il ghepardo, tirandosi su all'improvviso.
“Ben!”, fece lei, sobbalzando.
“Judy!”, ripetè Ben.
“Sì, certo”, si interpose la volpe, scuotendo il capo. “E io sono Nick. Non bevo da tre giorni. Ora dite: ciaaaooo, Niiick; con enfasi, prego”.
L'ironia, preziosa alleata. Mascherava le tue emozioni, o al contrario le esponeva in vetrina, secondo la necessità. L'ironia era stata per Nick l'unico spiraglio di luce in mezzo al caos, l'unico supporto in mezzo a cose futili, l'unica cosa che l'avesse salvato nei momenti difficili. Finché non aveva conosciuto Judy: adesso, l'ironia poteva essere anche soltanto un mezzo innocente per giocare con due mammiferi che gli stavano a cuore.
“Nick!”, gli si rivolse il ghepardo. “E' merav... scusa”, abbassò la voce “è meraviglioso. Ah, ma io lo sapevo! Siete una così bella coppia... davvero, sono tanto felice per voi. Prometto che da questa bocca non uscirà una parola”, terminò sussurrando.
“Ci contiamo, Ben”, Judy ritenne utile sottolineare, ma con una dolcezza nel tono e gli occhi tanto luminosi che, vedendoli da fuori, chiunque avrebbe potuto giurare che fossero loro due, il ghepardo e la coniglia, a stare insieme.
Nick stava per aggiungere un'ulteriore battuta a quel proposito, quando vide passare a pochi metri Harper, la talpa con cui aveva un piccolo conto in sospeso. Una questione di biglietti per la partita dei NutCrackers, e qualche altro dettaglio da sistemare, una richiesta di mandato da fermare per esempio.
Giudicò che il momento fosse propizio per allontanarsi.
“Torno tra un minuto” si scusò rapidamente con Judy e Benjamin, lasciandoli alle reciproche congratulazioni.

 

Ogni carota un pensiero, o una sua porzione.
La sera era giovane, il cielo azzurro scuro appena screziato dei colori del tramonto in campagna.
Stu Hopps lavorava ancora – gli piaceva quel momento della giornata per la raccolta, accompagnare le sue riflessioni con quel procedere ritmico. Era una cosa che ristabiliva l'ordine dentro di lui, per movimentate che fossero state le ore precedenti.
Raccoglieva e intanto rifletteva, con l'aroma della terra umida che gli invadeva le narici.
La vita, si disse, devi desiderarla. Non basta prendere quel che viene, con rassegnazione. Molti dicono che bisogna accettare quel che non possiamo cambiare, ma non sanno di cosa parlano. Credono di poter stare seduti e lasciare che sia quel che sia. Ma accettare significa abbracciare gli eventi inattesi e lasciarsi coinvolgere, lasciarsi modellare da essi.
Lui si era lasciato coinvolgere, si era lasciato modellare da Bonnie; una femmina che non aveva cercato o voluto, ma che ora era una parte irrinunciabile della sua esistenza. E c'erano stati commenti, critiche, anche aspre, anche da parte di perfetti sconosciuti che nulla sapevano.
Ma era la loro vita. Non di quell'altra gente. Era la loro scelta.
La loro vita, sì. Della vita la gente cosa ne sa?, si chiese il coniglio avanzando tra i solchi nel suolo. Non ne sa niente. La assaggia soltanto, la guarda passando, distante.
Chi pensa troppo prima di agire. Lui aveva dovuto decidere subito: sì, no. Sposarsi e farlo funzionare, oppure rinunciare e deludere suo padre, ma un po' anche se stesso.
Chi resta nel suo posto. Avrebbe potuto impuntarsi, rifiutarsi. Ma il ribelle lo poteva fare chiunque, chiunque poteva recitare la parte del duro. Gli avevano dato del conformista, del pavido. Come se non avesse osato abbastanza legandosi a vita ad una coniglia che neppure aveva scelto.
Chi sa sempre quello che deve fare. No, cosa dovesse fare ora non lo sapeva: spingere Judy a complicarsi la vita in una relazione con una volpe? Non voleva complicarle la vita. Impedirglielo? Ma stava facendo né più né meno ciò che aveva fatto lui: reinventarsi con ciò che aveva a disposizione. E se il materiale era valido... se Nick era una brava persona...
… pensare troppo, restare fermi al proprio posto, saper sempre cosa fare: niente di tutto questo era vita.
Il cesto appeso al suo braccio adesso era pieno, il rosa in cielo aveva virato verso il viola, ricordandogli un po' gli occhi della figlia.
Della loro adorata figlia, cui augurava la migliore delle vite, piena, felice, e serena come lo erano quelle ultime ore del giorno.
Stirò leggermente la schiena indolenzita, mosse i passi verso casa e sorrise.

 

“Il prossimo passo, cara? E che ne so?”, Stu rispose ad una Bonnie sconcertata.
“No, dico, li hai invitati qui per il fine settimana. E a me sembra un'ottima idea, beninteso. Ma qual è il piano?”, fece lei.
Stu scosse la testa, le orecchie seguirono il movimento come pendoli.
“Non c'è un piano”, rise. “E' roba tua, quella. Il prossimo passo, lo posso soltanto supporre: ci godiamo un paio di giorni insieme, conosciamo meglio Nick, e facciamo tutto quel che ci chiederanno per aiutarli”.
Fece una pausa, ma la moglie non pareva trovare le parole per ribattere.
“Sto parlando seriamente. E credo, cara, che dovremmo sfruttare meglio il nostro venerdì che non discutendo. Non facciamo la figura dei fessi davanti a loro. Non diamo l'impressione di una vecchia coppia inacidita, non lo siamo. Sarebbe un peccato, e saremmo un pessimo esempio”.
Le si avvicinò posandole la zampa su un braccio.
Lo specchio applicato all'anta del guardaroba imitò loro figure pienotte che s'appoggiavano l'una all'altra.
Bonnie era così fiera del suo compagno che evitò di contestargli alcunché. Obiezioni ne aveva, e non avrebbe lasciato che Judy si sposasse senza neppure ascoltarle. Ma non era il caso di insistere proprio adesso.
Adesso era il caso di lasciare che i figli dormissero un sonno profondo, e di chiudere a chiave la porta della loro stanza.

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Capitolo 15
*** Fantasmi ***


In principio non esisteva alcun plot.
Nella descrizione della fic avevo scritto "breve", aggettivo che ho poi cancellato, perché avrebbe dovuto contare quattro-cinque capitoli e terminare con la scena che ho descritto nel 5, solo sviluppandola di più.
Invece siamo ancora qui, voi ed io, e ci sta piacendo, diamine.
Dico sempre che la storia vive grazie ai lettori, il che è vero, ma in questo caso lo è in senso letterale: dopo l'ultimo aggiornamento ho smesso di procedere decidendo cosa sarebbe accaduto volta per volta, navigando a vista, e mi si è creato in testa un intreccio più chiaro: adesso la storia ha un percorso da seguire, e la conclusione comincia a profilarsi all'orizzonte.
Ma l'intreccio non l'ho pensato io: me l'avete consegnato voi.
Io non ho fatto che leggere le vostre recensioni, raccogliere le idee che mi lanciavate e metterle insieme: sono orgogliosa di avere lettori così attenti e partecipi, lasciatemelo dire.
Un ringraziamento particolare va - in rigoroso ordine sparso - a: rehl, Redferne, Freez shad, MadogV; proprio per avermi fornito materiale per i prossimi capitoli ❤
Non posso che dirvi: attenti a ciò che desiderate, perché potrebbe avverarsi.

 

E ora, godiamoci il weekend con Judy e Nick.
Abbiamo ancora un po' di sole sulla testa, di cielo azzurro e fluff.
Ma non durerà, sappiatelo.

 


 

XV. Fantasmi

 

Alcune cose che Judy avrebbe ricordato di quel viaggio:
il mantello rosa-arancio del tramonto che si stende su tutta la terra;
una distesa di gallerie, nel cui grembo affidarsi al futuro è facile;
parole ovattate dalla nostalgia e silenzi dalle mille bocche;
uno scatto rubato che avrebbe contemplato sino a consumarsi gli occhi;
una cuccia sicura ed una coda setosa a delimitarne il confine.
Presto di rammentare quei particolari avrebbe avuto un bisogno estremo, ma in quel momento – mentre l'alta velocità portava il treno luccicante ed avveniristico sul quale viaggiavano verso la loro destinazione – erano soltanto parte dell'ovvia felicità cui sentiva di aver diritto.

 

C'era un piccolo ballatoio alla testa del treno, dal quale era possibile osservare il paesaggio esterno attraverso un largo parabrezza di vetro temperato.
Dopo aver depositato due piccoli bagagli in uno scompartimento a caso appena più indietro, una volpe scarruffata ed una coniglia curiosa cominciarono la loro esplorazione nei territori meravigliosi e perigliosi del convoglio, come li definì Nick.
“Prendi questo passaggio, ad esempio”, argomentò lui sospingendo la compagna nel vano scuro che fungeva da congiunzione tra un vagone e l'altro. “Col favore della notte, è perfetto per sottrarre certi insignificanti oggetti come portafogli e titoli di viaggio ai passeggeri”.
“Hai fatto anche questo?”, gli chiese Judy con voce incredula. “Nick...”.
“Oh no, Carotina. Non era la mia specialità. Ma immagino. Fantastico, ecco”, si giustificò lui, arrestando il passo.
“E perché rubare biglietti, poi?”, ribatté la coniglietta non soddisfatta.
“Per mille ragioni, dolcezza” – Nick le circondò la vita e se la tirò vicino, godendosi la sua espressione di improvvisa sorpresa che la penombra non riusciva a celare alla sua visione notturna – “per esempio: usarli per viaggiare gratis, rivenderli a prezzo maggiorato, magari allo stesso mammifero cui li si è rubati, o soltanto mettere nei guai qualcuno che si è comportato male e si merita una puniz – ouch!”.
“La gomitata è per il furto di identità: tu non sei Robin Hood, ricordalo”, sottolineò Judy.
“Uhm, no in effetti, ma scommetto che se l'avessi incontrato, secoli fa, avresti schiaffato in galera pure lui. La legge è legge”, recitò la volpe facendole il verso.
Lei fece per controbattere, ma come ormai era abituata ad aspettarsi, si ritrovò impegnata in un bocca a bocca degno di una rianimazione cardiopolmonare.

 

Non te la caverai sempre così, Nicholas Piberius Wilde, pensò Judy riemergendo dalla trance ipnotica in cui quella volpe troppo astuta l'aveva spedita.
“Vieni, proseguiamo”, gli disse trascinandolo per un braccio.
“Con te verrei anche in capo al mondo, cheri”, fu la risposta, “e a ben pensarci, è proprio quello che sto facendo”.
“Oh, andiamo, Nick. BunnyBurrow non è in capo al mondo”, replicò lei.
Ora stavano percorrendo un lungo corridoio pieno di finestrini laterali, e null'altro.
“Perdonami, hai ragione. Intendevo dire che è, esattamente all'opposto, in culo ai lupi”, sogghignò Nick.
Stavolta fu più lesto, e si sottrasse a una seconda gomitata con un balzo.
“Coniglia violenta”, si lamentò con un muso lungo così ben riuscito che, Judy, se non l'avesse conosciuto come in realtà lo conosceva, si sarebbe sentita persino in colpa e scusata.
Nick sorrise interiormente. Era davvero in forma, quel venerdì sera.
Poi gli si accese una lampadina.
“Hey, Carotina”, le scosse le spalle entusiasta, come un cucciolo che ha appena dissepolto un tesoro dei pirati in giardino.
“Potremmo creare una galleria del vento. E cotonarci la pelliccia. Che te ne pare?”, chiese, del tutto retoricamente, già intento ad abbassare ogni finestrino della lunga fila.
“Dai, occupati del lato destro! Io penso al sinistro”, aggiunse poi.
Judy rimase interdetta per un lungo secondo, poi decise che sarebbe stato saggio, e più semplice, dargli retta. Si voltò verso il lato destro del treno e imitò la volpe, felice di vederla così su di giri.
“Et voilà”, esclamò lui una volta fatto, le braccia aperte e le gambe divaricate come il Mammifero Vitruviano di Leonardo.
Tutti i peli del corpo esposti al vortice d'aria che si era creato turbinavano ora di qua ora di là, eretti e tesi, facendolo sembrare un barboncino appena uscito dalla toletta.
A Judy le correnti fecero un effetto meno pittoresco, perché aveva il pelo più corto, ma dovette ammettere che era divertente camminarci in mezzo: sembrava di stare decollando.
Finse di essere un'astronauta, poi uno zombie – quest'ultimo le riuscì piuttosto bene: l'aria le deformava la bocca aperta e le si infilava addirittura nelle orbite, scoprendo il tessuto vascolarizzato d'un rosso abbagliante.
“Pietà di me!”. Nick si allontanò di un passo con la zampa sul cuore.
“Sarai mio!”, lo minacciò la coniglietta tendendo le braccia verso la sua preda, non trattenendo però una risata.
“Ora fatale...” mugugnò lui portandosi la zampa alla fronte come stesse per svenire. “Fuggirò evadendo dal finestrino”, decretò infine, sporgendosi al di fuori del più vicino con tutta la testa fulva.
Judy lo sospinse appena più in là per poterglisi mettere di fianco.
Come mise la testolina fuori, le lunghe orecchie grigie presero a ondeggiare e sbattere come lenzuola stese al vento.
L'aria fresca della sera le penetrava nei polmoni prepotente, facendola sentire ancor più viva di quanto già non si sentisse con Nick.
Le ombre si allungavano sulle case, sempre più rade man mano che sfrecciavano verso la provincia, e le lingue di fuoco che dipingevano il cielo si sfilacciarono e morirono rapide davanti ai loro occhi.
Restarono così, assorti e cullati dal vento, finché Judy non intravide arrivare qualcuno dal corridoio adiacente.
“Sta arrivando qualcuno” avvertì infatti, “rientriamo e chiudiamo”.
Un po' a malincuore, la volpe obbedì e la aiutò a riportare ordine.

 

Due ore più tardi, Nick decise che per consolarsi della brusca interruzione una spaghettata di mezzanotte avrebbe fatto al caso.
Superando le resistenze di una Judy sbigottita dal suo metabolismo esuberante, si avviò con lei al seguito verso la zona ristorante.
Avevano preso posto ad un tavolo e la volpe aveva ordinato immediatamente, la pancia che emetteva ruggiti cavernosi.
“Ho ricevuto un messaggio da Fru-Fru”, lo aggiornò la coniglietta. “Sembra che il marito, Mickey, abbia avuto un grosso incarico da parte di Mr. Big”. Rifletté. “Non so se sia normale complimentarmi con lei”, asserì combattuta.
“A ciascuno il proprio lavoro, Carotina”, Nick liquidò la questione avvolgendo un buon numero di spaghetti attorno ai rebbi della forchetta, senza quasi lasciare il tempo al cameriere di posargli davanti il piatto.
“Lascia che Mickey svolga il proprio incarico. Al nostro ritorno, ci troverà pronti ad ammanettarlo, se supererà i limiti”.
“Hey, quest'idea mi piace sai. Anche se ovviamente spero che non sarà necessario”, fece lei.
Lo lasciò mangiare in pace finché non mancò soltanto un boccone – “ne rimarrà soltanto uno”, fu il commento altisonante e guerresco di Nick che impugnò la forchetta a due zampe, a mo' di spada, e recitò un monologo che Judy non conosceva dalla serie Highlander, prima di giustiziare il sopravvissuto.
“Ora il dolce”, disse poi.
“Cosa? Vorrai scherzare, Nick”, fece la coniglietta costernata.
“Dovresti vederti. Con quegli occhioni spalancati. Mamma mia” rise lui.
“No, sul serio, non dirmi che hai ancora fame”.
“Non fame, Carotina. Solo voglia di dolce”, precisò la volpe, avvicinandosi a lei e schioccandole un bacio a stampo sulle labbra.
“Intendevo questo”.
Judy si sentì in effetti un po' stupida, ma sì, anche lei aveva voglia di dolce dopotutto. Si accorse distintamente del silenzio che calò attornò a loro al suo prendere l'iniziativa e incontrare di nuovo la bocca del partner – nulla di esagerato, di provocante o imbarazzante, solo uno sfiorarsi leggero – e seppe che li stavano guardando.
Non tutti, alcuni. Ma il loro breve tacere fece un gran rumore, un ossimoro che non avrebbe mai smesso di stupirla.
In un recente corso di formazione per preparare i poliziotti al contatto col pubblico e coi civili, un serioso docente con tanto di occhiali di corno e giacca di tweed aveva insistito sul primo assioma della comunicazione: E' impossibile non comunicare, così diceva.
Judy ne aveva compreso il senso, credeva allora, ma adesso che lo stava provando sulla propria pelliccia capiva di averne sottovalutato la portata.
I mammiferi presenti al bar-ristorante erano sì relativamente pochi, ma facevano un baccano del diavolo con i commenti che non esprimevano, le occhiate furtive che tentavano di non lanciare loro, le posture rigide che assumevano e le voci che, mentre le conversazioni proseguivano sui loro binari, deflettevano verso toni più gravi.
Erano liberi di baciarsi, puntualizzò a se stessa. Ma, in mezzo ad altri animali, farlo non era e non sarebbe mai stato soltanto un fatto loro personale. Era un fatto pubblico, aveva risonanze, e non ne era mai stata tanto consapevole come in quel momento.
Baciarsi era una cosa seria, insomma. Aveva un peso.
Cosa rappresentavano loro due, come coppia, agli occhi di quegli sconosciuti? Per un attimo pensò di avvalersi del distintivo per stornare quell'attenzione sgradita. Ma poi:
“Judy, Judy. Smetti di tormentarti”, le disse Nick.
La coniglia si stupì di leggere nelle sue iridi verdi un accenno malinconico.
“Scusa”.
“E' una parola che non voglio sentire. Non devi scusarti di niente, con nessuno. Ricordi? Non mostrare la tua debolezza”, sciorinò la volpe. Un mantra che aveva imparato fin troppo bene.
“Ma io voglio poter essere debole, Nick. Voglio potermi permettere di mostrare quello che ho dentro. E voglio permettere ai più deboli di fare lo stesso, senza che debbano subire ritorsioni. E' per questo che ho scelto il nostro lavoro”, rimarcò lei.
“Certo. Lo so. Significa che mi baceresti ancora, qui, se te lo chiedessi?”.
Judy finse di pensarci su.
“Si potrebbe fare. Bisogna vedere cosa mi proponi in cambio”.
“Coniglietta ricattatrice”, sbuffò Nick. Poi cedette. “Se ti lasciassi giocare con la mia coda?”, suggerì piano. “Sai, tirarla, pettinarla, tutte quelle divertentissime cose che si fanno coi pelouche. Non solo accarezzarla”.
Era un pedaggio che prima o poi gli sarebbe toccato pagare, tanto valeva accontentarla subito.
“Dici davvero?” chiese sospettosa lei.
“Davvero. Che io possa cadere fulminato se t'inganno”, confermò lui.
“Allora è fatta”.
Un bacio ancora, ancora superficiale e tranquillo, ma più lungo, stavolta.
Anche il coraggio è questione d'abitudine.

 

Malgrado quella nota stonata, non avevano avuto grane sino ad allora.
Avevano ancora l'intera notte davanti prima dell'arrivo, e per trascorrerla con agio si erano appartati nel loro scompartimento.
Stettero accoccolati sulla cuccetta, tutto sommato comoda ma un tantino stretta, abbracciati l'uno all'altra; finché il discorso non cadde sul tiro mancino che Bogo gli aveva giocato.
“Allora, cosa pensi che dovremmo fare? Spifferare tutto subito, come vuole il vecchio bufalo?”, domandò con una vena di sarcasmo Nick. “Certo, la ZNN ne sarebbe contenta, avrebbe uno scoop assicurato”.
“Non so. Probabilmente la sua strategia è la migliore. E poi non ci siamo detti che dovremmo esporci per primi, per non lasciare agli altri il tempo di incasellarci?” disse Judy.
“Vero, ma quando ne abbiamo discusso non avevo ipotizzato uno scenario che comprendesse la televisione e qualche milioncino di mammiferi all'ascolto, Carotina”, puntualizzò la volpe.
“Vero” ripeté lei. “Ci penseremo a tempo debito. Durante il ritorno, per esempio. Per ora è di ben altro che dobbiamo occuparci, per non dire preoccuparci”, aggiunse, alzando gli occhi al soffitto con un smorfia di sofferenza.
“Perché quello dell'altro giorno coi miei è stato solo il primo round”.
Nick non rispose.
“Sono convinta che anche mamma accetterà la cosa, come d'altronde ha promesso di fare quando sono stata a casa una settimana fa. Solo una settimana che stiamo insieme... anzi, nemmeno!” si rese conto.
“Ne sono convinto anch'io”, disse Nick.
“Sarebbe stato bello se avesse potuto conoscere la mia, di madre”, aggiunse poi in un soffio.
Era quello un pensiero che formulava per la prima volta, e gli parve tanto naturale e necessario da non provare alcun imbarazzo nel dargli voce.
Judy si volse lentamente verso di lui, dando la schiena alla stanzetta per poterlo guardare in volto.
“Ti manca molto, non è vero?”, chiese.
Nick la guardò negli occhi, così profondi e sicuri.
Sapeva che non c'era bisogno di alcuna risposta, così non si sforzò di trovarne una. Anche questo faceva parte dei vantaggi che conoscere quella strana e bellissima creatura gli aveva portato: non doveva sempre, per forza, parlare per essere capito.
“Dev'essere... interessante avere così tanti fratelli e sorelle”, disse invece, cambiando solo apparentemente discorso.
Lui non ne aveva mai avuti, neppure uno, né di un sesso né dell'altro. Niente fratellini con cui organizzare cacce nei parchi o esperimenti scientifici improbabili, né sorelline a cui far dispetti o da consolare e difendere.
Forse anche questo aveva contribuito a fare di lui il solitario inarrivabile che era diventato negli anni.
Si sentì s'un colpo tanto, tanto piccolo.
“Interessante, e anche stressante. Non è male avere un po' di tregua da loro, anche se quando sto in città mi mancano, sempre”.
La coniglietta gli accarezzò la linea del volto dolcemente.
“Devi avere pazienza, sai. Diventeranno anche i tuoi fratelli, e anche se siete di una specie diversa, e non potranno mai compensare quello che non hai avuto, vedrai che ti riempiranno di gioia”, gli assicurò.
Lui chiuse gli occhi.
Era troppo, questo.
Lo desiderava con tutte le sue forze ma, per ora, non aveva l'animo di parlarne più apertamente di così.
“Grazie”, disse soltanto, accarezzandola a sua volta; un viso tondo e minuto, un corpicino palpitante sotto il tocco della sua zampa.

 

Più avanti nella notte, ma non così avanti da cedere al sonno, Nick tratteneva Judy fra le sue braccia, in piedi dinnanzi al finestrino squadrato dello scompartimento.
Le loro sagome scomparivano e riapparivano a intermittenza, rapide, sullo schermo del buio: si dileguavano nei tratti che il treno percorreva all'aperto e si riformavano non appena esso rientrava in ciascuna delle numerose gallerie, stagliandosi sul vetro come bianchi fantasmi, tratteggiati appena dalla debole luce d'emergenza che lampeggiava sulle loro teste.
C'era nell'aria, fra loro, l'odore elettrico che un fulmine lascia dopo essersi scaricato a terra. La percezione di qualcosa di definitivo che stava per accadere.
La volpe sollevò un lembo della canotta che la coniglia indossava, e fece scorrere lentamente, molto lentamente la zampa destra sul suo stomaco.
La sentì trattenere il respiro.
“Preoccupata?”, le chiese.
“No”, rispose. “Dovrei?”.
“No, non devi”.
Spostò la zampa all'altezza del suo viso e lo girò appena, piano, così da permetterle di continuare a vedere i riflessi dei loro corpi uniti nel vetro, liberando al contempo il collo.
“So quando fermarmi”, disse ancora Nick. “E so anche dove”.
La zampa sinistra, fino ad allora muta, salì a contornarle il profilo del viso, e poi ripassò pigramente la curva del collo, della spalla.
“Vorresti?”, le chiese la volpe, sottintendendo di cosa parlava.
Judy prese un respiro profondo, un'onda alta e lenta che dal suo torace andò a sollevare le dita di lui, salde sul posto.
“Vorrei”, ammise.
“Sei una cucciola molto, molto cattiva, Judy”, le giunse la provocatoria, inattesa risposta. “Conosci le regole: prima matrimonio, poi consumonio”, citò Nick, con una voce vagamente roca che non gli conosceva, dall'accento allusivo, insinuante.
Doveva essere, pronunciata alla luce del sole, soltanto la battuta brillante di un film, ma in quel frangente le spedì un brivido incontrollato lungo la schiena.
Le dita di Nick tornarono a muoversi sul lato sinistro del suo collo, su e giù, sfiorandola appena, per andare infine ad abbassare la spallina dell'indumento, che la coniglietta sentiva pesarle addosso come fosse stato una muta da palombaro.
Le sue dita in quel punto, una promessa e un'anticipazione di tutto quel che lui aveva da offrirle.
“Sai perché a sinistra?”, le chiese dunque.
Judy non rispose, in parte confusa dalla domanda, in parte troppo impegnata a tenere a bada le proprie emozioni per preoccuparsene.
“Perché è il lato del corpo mammifero più vulnerabile” le spiegò lui.
“Facci caso”, aggiunse, “quando scambi il tradizionale bacio sulla guancia con qualcuno, non offri mai il tuo lato sinistro ad uno sconosciuto. Lo fai solo con le persone di cui ti fidi”, osservò sorridendo al fantasma riflesso nel vetro.
I suoi occhi baluginarono mentre chinava il capo sulla sua compagna, cominciando a soffiarle fiato caldo sulla spalla.
Un altro brivido gli confermò che il corpo di lei era in ascolto.
La sentì che si lasciava andare, più morbida, alla sua stretta.
“C'è una cosa che mi piacerebbe fare, nell'attesa” tentò “ma potrebbe essere... infastidirti. Impaurirti, forse”.
“Di che parli?”, chiese Judy cauta.
“Di una cosa che usa fra di noi”, rispose Nick. “Noi volpi, intendo”.
Una battuta di silenzio.
“Ed è?”.
Nick esitò.
“Se non voglio farlo, te lo dirò”, gli garantì la coniglia per spronarlo.
“D'accordo”. Impostò la voce perché suonasse il più tranquillizzante possibile. “Judy, io vorrei lasciarti un segno che testimoni che sei mia. Tra predatori non si marca soltanto il territorio, ma anche le... conquiste, diciamo così”.
Fece una pausa.
“E quel che vorrei, è ricordarti che mi appartieni. Con qualcosa di tangibile. Con un morso”, confessò.
Abbassò lo sguardo per non rischiare di vedere sul suo muso un rifiuto.
Era difficile da spiegare persino a se stesso: poteva accettare che lei gli dicesse di no, ma non di trovare quel no espresso a chiare lettere su una faccia magari delusa. O peggio, spaventata.
“Nick, ascoltami”, gli intimò lei.
“Ti ascolto”.
“L'hai già fatto una volta, ricordi? Nel Museo di Storia Naturale ti ho permesso addirittura di azzannarmi al collo”.
“Ma quella era una recita, Judy. Ora è per davvero. Io voglio...”.
Si interruppe, incerto se fosse azzardato dare voce all'idea.
“Tu vuoi?”.
“Voglio andare a fondo. Voglio sentire i tuoi muscoli e i tendini sotto le zanne. Lasciarti un segno che non passi in pochi giorni”.
Ecco, l'aveva detto. Buon Dio. Era impazzito, impazzito.
“Allora fallo”.
Judy inclinò un po' di più la testa.
Vederla così docile, a orecchie basse e col collo completamente esposto, mentre attendeva con gli occhi ben aperti che lui la mordesse gli fece perdere ogni residua parvenza di impassibilità.
Allora fallo.
Non attese nemmeno un secondo oltre per affondare i denti nella carne tenera di quella deliziosa, eccezionale coniglietta. La sua coniglietta, adesso più che mai. Strinse la presa un po' alla volta, delicato ma fermo. Un guaito soffocato a labbra strette. Se ne staccò quando avvertì i primi accenni del sapore metallico del sangue farsi strada sulle sue papille.
A quel punto Judy si era abbandonata contro di lui, le gambe fiacche e una manciata di lacrime cui non sapeva attribuire un'origine che le offuscavano la vista. Sapeva solo che erano lacrime buone.

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Capitolo 16
*** Famiglia ***


Nuovo capitolo, con due sorpresine carine per voi :) XO XO

(Ho visto i vostri messaggi e le nuove recensioni, se non già oggi risponderò appena possibile).

 


 

XVI. Famiglia

 

Le orecchie della volpe scattavano avanti e indietro ritmicamente, danzavano quasi, mentre Il pifferaio magico di Jerry Vole in cuffia ed il dondolio del treno ne cullavano il sonno leggero.
Erano in dirittura d'arrivo per Bunnyburrow, ma Nick Wilde non lo seppe finché uno scrollone da parte della coniglietta sua compagna di viaggio non lo fece risvegliare di soprassalto.
“Hey! – yawn – quale malagrazia...” riuscì a masticare con la bocca impastata, prima di cominciare a stirarsi.
“Scusa”, rise lei “non ho resistito. Eri tenerissimo addormentato, infatti ti ho scattato una foto, ma è il momento di scendere” disse balzando in piedi agilissima e perfettamente sveglia.
“Tu hai cosa?!” spalancò gli occhi lui, mentre già Judy raggiungeva la banchina coi due trolley. “Aspetta, dobbiamo parlar – ”
Nick ebbe appena il modo di metter zampa a terra che fu circondato da conigli di ogni età, colore, taglia e grado di iperattività.
Passare dal raccoglimento di un minuto prima a quell'invasione di palle di pelo in frenetico movimento fu come vedere il trailer di come sarebbe cambiata la sua vita una volta che si fosse...
“Judy! E tu devi essere Nick” si sentì interpellare.
Un coniglio alto più o meno come Judy e in tutto simile a lei se non per il colore dei grandi occhi e del pelo, entrambi castani, gli porse la zampa.
“Esatto” rispose la volpe. “Joshua, immagino”.
Con un sorriso sgargiante questi confermò.
“Venite, andiamo a casa” disse poi invitandoli a seguirlo.

 

A Nick non fu subito del tutto chiaro come era finito a fare quel che stava facendo.
Trasportare decine di pesanti scatole piene di spray al peperoncino anti-volpi non corrispondeva al genere di attività che aveva associato a quel weekend.
Avevano depositato i bagagli e lasciato Judy a casa Hopps – si sarebbe occupata dei fratellini più piccoli finché i genitori non fossero rientrati dai campi – dopodiché Josh aveva coaptato Nick per la sgobbata.
“Se posso chiedere... puff... questa roba a che ti serve?”.
“Sto facendo degli esperimenti. Pare che le piantine di pomodoro gradiscano la capsicina contenuta in queste bombolette, e crescano più forti”, spiegò il coniglio.
Nick trovò la cosa ridicolmente confortante – almeno non stavano andando a sterminare cucciolate di volpi col suo inconsapevole aiuto – ma preferì non indagare il motivo per cui, prima di tutto, la famiglia della sua ragazza era in possesso di quell'ingente quantità di un prodotto nocivo alla sua specie.
Josh tuttavia era di un altro avviso, e trovando giustamente ironica la situazione, volle testare il livello di sopportazione della sua nuova conoscenza.
“I nostri genitori hanno comprato quintalate di questi spray anni fa. E non solo: in cantina devono esserci ancora un sacco di teaser per volpi, se Judy non ne ha fatto piazza pulita nel frattempo”.
“Oh. Splendido. Me ne compiaccio”, sospirò Nick.
“Dovresti”, lo rimbalzò il coniglio, che per altro non sembrava per nulla affaticato. “E' da quando avete risolto il vostro primo caso insieme che non insistono più perché Judy se ne porti dietro uno, quando esce. Un progresso notevole, lasciatelo dire da uno che se ne intende”, ridacchiò.
La volpe tacque, pensierosa.
A disagio, focalizzò un sospetto che già altre volte gli era sorto, senza che trovasse il modo adatto di levarselo.
“Senti”, disse. “Stu e Bonnie sono per caso al corrente di quel che è successo tra me e Judy dopo la conferenza stampa di quel caso? Voglio dire, sanno perché abbiamo litigato?”.
Meglio non girarci intorno.
Josh stoppò la marcia e si voltò a guardarlo.
“Non sanno niente, Nick. Men che meno che hai simulato un'aggressione. Non eravate ripresi dalle telecamere in quel momento, e mia sorella l'ha raccontato soltanto a me” lo rassicurò.
“Idem per l'idea che avete avuto per incastrare quella pecoraccia nel museo: geniale, per carità, ma se loro sapessero... tu saresti morto, non so se mi spiego”. Sottolineò il concetto rovesciando gli occhi all'insù, sporgendo la lingua in fuori ed emettendo un suono strozzato. Tal quale sua sorella, sì, si ritrovò a pensare Nick.
“Per cui, carissimo futuro cognato, keep calm and batti il chiodo finché è caldo. Siete qui apposta, no?”, terminò il coniglio, perfettamente sereno.

 

“Ti sei persa papà per strada?”, chiese Judy mentre abbracciava la madre, stretta stretta come se non si fossero viste per secoli.
“In realtà l'ho mandato alle serre a raggiungere Josh e Nick, cara”, rispose Bonnie. “Perché volevo parlarti”.
“Ovviamente”, fu la replica rassegnata della coniglietta.
“Te l'ho mai detto che noi ci saremo sempre, qualunque scelta farai?”.
“Sì, mamma. Me l'hai detto una settimana fa. E tu ricordi che ti ho detto, soltanto tre giorni fa, che la mia scelta l'ho già fatta?”.
“Non c'è niente di fatto né di definitivo finché non avrai un anello al dito, Jude”, replicò Bonnie.
“Oh, santo cielo”.
“Beh, è così. Puoi ancora cambiare idea”.
“Certo che posso. Ma non voglio”.
“Mi era parso di capirlo”, sottolineò la madre imperturbabile.
“Coniglia astuta”, ironizzò Judy.
“Eh?”.
“Nulla mamma, nulla. Cose tra me e Nick”.
“Sembra che lui sia diventato tutto il tuo mondo, tesoro. Mi sorprende che ancora non vi siate dati la nausea a vicenda”.
“Mamma!”.
Se sua madre aveva intenzione di giocare sporco, che gioco sporco fosse; decise Judy.
“Per ora, mi pare di non nausearlo affatto” disse scostando la maglia dalla spalla sinistra. “Come puoi constatare”.
La reazione della madre sorprese Judy, che si era immediatamente pentita del suo gesto di sfida, temendo una scenata. La vide invece avvicinarsi, e osservare il segno del morso lasciatole da Nick con dolcezza, quasi reverenza, andando poi a sfiorarlo con delicatezza.
“E' una cosa molto bella, questa” disse allora Bonnie, sospirando. “Ma non risolve i vostri problemi, lo sai”.
“I nostri problemi non sono nemmeno cominciati”.
“Allora tiratene fuori prima che comincino”, insisté la madre.
“Non ci penso nemmeno” s'impuntò Judy.
Non voleva scivolare nella provocazione, da quei due giorni dovevano uscire vivi e uniti. Non c'era alternativa. Cercò di abbassare i toni.
“Aiutami tu a risolverli, o a evitarli, invece”, disse.
“Che lui abbia quasi dieci anni più di te è un dato di fatto che non si può risolvere, temo”.
Nick ci aveva visto giusto. Ciò che per lei era un elemento senza importanza, per i suoi genitori rappresentava l'ennesima criticità.
“Vedo che oggi sei propositiva...”.
“C'è da domandarsi come mai alla sua età sia ancora solo, Judy. Non dirmi che questo non ti ha mai dato da pensare”.
“Hai ragione, mamma. Siamo due poveri scarti che si sono trovati e, pur di non passare la vecchiaia in un angolo a guardare la felicità degli altri, hanno deciso di restare aggrappati l'uno all'altra come cozze allo scoglio. Vorrei farti notare che anch'io alla mia età sono... ero sola. E per un coniglio, come tu mi insegni, non è normale. Chissà che strane turbe ho”.
No, era impossibile non diventare almeno un po' feroci.
Non si può perdere tempo a passarsi il belletto quando il nemico sfodera l'artiglieria pesante.
“Prima o poi gli capiterà davanti una bella femmina della sua specie, e smetterà di farti da balia, Jude. E addio promesse. Addio romanticherie”.
“Bel controsenso, mamma. Prima lo dipingi come un antisociale allergico alle relazioni, e un attimo dopo è già pronto per farsi un'amante”.
“E chi ha parlato di relazioni? Stavo parlando di sesso, io, mia cara”.
“Non vorrai davvero che ti risponda. No, perché se ci tieni posso anche elencarti tutte le cose che intendo fargli non appena mi darà il via libera... Santa Carota, l'hai capito o no che fa sul serio? Non ha alcun bisogno di sposarmi per portarmi a letto, tanto per essere chiare: gli sarebbe bastato chiedermelo. Mi vergogno un po' ad ammetterlo, ma lui mi rispetta persino più di quanto io stessa avrei preteso. E se lui rispetta me, mamma, potresti considerare l'idea di rispettarlo anche tu, anziché cercare di demolirlo”.
La coniglietta posò un bacio sulla guancia della madre, poi dichiarò che andava a farsi una doccia.
Non ne era uscita vincitrice, certo, ma neppure sconfitta.

 

Non era un pranzo, quello, non ci andava nemmeno vicino.
Era un delirio, ecco cosa.
In mattinata aveva avuto a che fare solo con Joshua, ma ora Nick si ritrovava arrampicati addosso cinque piccoli coniglietti dell'ultima infornata di Bonnie e Stu. Uno di essi se ne stava beato sulla sua spalla e giocava con il suo orecchio, mentre lui cercava di non rovesciarsi addosso nulla facendo la figura del cretino o, peggio, far cascare il cucciolo a terra.
Nel frattempo, i fratelli più grandi lo stavano mitragliando di domande.
“Cosa facevi per vivere prima di diventare un poliziotto?”, chiese uno, del quale prevedibilmente non ricordava il nome.
La volpe stava per inventare una frottola, ma un altro coniglio nel mucchio lo precedette: “Sei sempre l'ultimo a sapere le cose, Jeff. Era un truffatore, lo sanno tutti”.
“Ed era il tuo sogno fin da bambino, diventare un truffatore?”, si inserì nel discorso una coniglietta dal pelo grigio perla, occhioni azzurri, vestita di rosa... da dove spunta quella?, si chiese Nick. Non l'avevo vista.
“Ehm, no” rispose lievemente imbarazzato. “Prima volevo essere... un esploratore”. Aveva davvero pensato di poterlo diventare, da piccolo. “E tu?”, aggiunse per spostare l'attenzione da sé. “Cosa vorresti fare, da grande?”.
La piccola guardò i genitori, quasi per accertarsi di poter parlare, e quando li vide mettersi le zampe davanti agli occhi decise che ormai la frittata era fatta.
“Voglio fare la piliziotta, come mia sorella Judy!”, esclamò allegra.
“Poliziotta, Jane. Si dice poliziotta, con la o”, la corresse Jules.
Ci fu un parapiglia generale. Jane era assolutamente sicura della sua versione del termine, e lo difese fino alle lacrime, sola contro un assembramento di coniglietti eruditi che le giuravano il contrario – “Te lo giuro sulla mia raccolta di fumetti di X-Mammals”, disse uno con aria grave.
“Josh, diglielo tu che che i piliziotti esistono”, pregò lei.
Il fratello maggiore non ebbe il cuore di spezzare i suoi sogni personalmente, così delegò quell'ingrato compito al vocabolario.
Jane sembrava sinceramente scioccata: “Vuol dire che non posso essere quello che voglio? Ma tu, Judy, dici sempre che a Zootropolis ognuno può essere quello che vuole. E io invece no?” piagnucolò.
Nick posò la forchetta e diede tregua alla sua trota.
“Hey, Jane”, chiamò la coniglietta. “Ci hai mai pensato? Judy è stata la prima coniglia poliziotto in città. E tu, chissà, potresti essere la prima piliziotta. Anche se una cosa non esiste, nessuno ci vieta di inventarla, giusto?”.
Sperava che i presenti adulti cogliessero l'implicito riferimento all'insolita coppia che formava con Judy.
“E' vero, Janey. Nick è bravo a inventarsi le cose”, confermò quest'ultima.
Volpe e coniglia si guardarono, scoppiando in una risata.
La piccola sembrò essersi consolata un poco. “Allora va bene. Farò così” decretò. “Avete visto, adesso anche i piliziotti esistono” rimarcò squadrando i fratelli e cacciando fuori la linguetta rosa.
Una decina di minuti più tardi, quando Nick cominciava ad accusare la fatica d'aver a che fare con tanti mammiferi tutti assieme, assai svegli e con gli occhi puntati su di lui; quando credette di intravedere il traguardo e che soltanto un caffé lo separasse da una meritata doccia, il campanello della porta di casa suonò.
“Vado io!”, si prenotò Jeff.
Nick Wilde non aveva idea di chi potesse essere, ma una volta che vide entrare il visitatore, aveva almeno ben chiaro chi non avrebbe voluto che fosse.
Per essere una famiglia tanto preoccupata dalle volpi, ne frequentano parecchie, pensò Nick mentre Gideon Grey faceva il suo ingresso con le braccia cariche di confezioni di...
“Torte!”, proruppe in un grido di giubilo il solito Jeff.
“Sì, piccolo”, disse Gideon “ho portato qualcosa avanzato dal ricevimento di ieri sera dei Parker, e che il catering ha distribuito a noi dipendenti”.
Judy si alzò da tavola per aiutarlo a posare le scatole.
“Sei sempre molto caro a pensare a noi” fece Bonnie. “Fermati a prendere il caffé in compagnia, vuoi? Non dirmi che hai da fare, è questione di pochi minuti. Non accetterò un no come risposta”.
“In tal caso... ma vedo che non siete soli, oggi”, rispose Gideon salutando con un cenno l'unica altra volpe nella stanza. “Buongiorno”.
“Buongiorno”. Lo era, pensò tra sé Nick, posando gli "arrampicatori" a terra ed alzandosi a sua volta.
Avrebbe tanto desiderato poterlo far scomparire con un tratto di gomma, o schiacciando il tasto Canc, ma anche se fosse stato fattibile non poteva permetterselo.
Per lui era l'altra volpe, quella che aveva aggredito la sua Carotina e le aveva lasciato dentro il timore che potesse riaccadere. Ma per lei, per Judy, adesso era un amico. Dispiacersene era inutile, d'accordo, ma a non provare nulla proprio non riusciva.
Indossò la sua migliore maschera di circostanza e gli andò incontro per stringergli la zampa.
“Nick Wilde” si presentò.
“Gideon Grey, piacere”.
“Nick è un collega di Judy”, spiegò Bonnie.
Ci fu un generale scambio di sguardi. Il primo a parlare fu Stu.
“Più precisamente, è il collega, il suo partner”, disse.
“E il mio ragazzo”, aggiunse Judy.
Trecento paia d'occhi conversero contemporaneamente su Nick, che dovette prendere un profondo respiro per non mettersi ad urlare.
“Tranquillo”, gli fece la coniglietta posandogli una zampa sul braccio “quando mamma si deciderà a mettersi il cuore in pace nessuno ci farà più caso”. E cominciò a radunare una torma di fratellini per accompagnarli di sopra, per il pisolino pomeridiano.
In quel mentre, il campanello di casa squillò, di nuovo.
E, di nuovo, ad aprire fu Jeff.
“E' un sabato affollato, questo” rise Judy, ma non appena Jeff spalancò la porta il sorriso le morì sulle labbra. Sbarrò i grandi occhi esterrefatta, e il nuovo arrivato ne approfittò prontamente per complimentarsene con lei.
“Hai due fanali ancora più sciantosi che in foto, chica”, disse Rick Hamilton ignorando bellamente l'intera comitiva di mammiferi che lo osservava scioccata.
Poi, temporaneamente indisturbato, il coniglio raggiunse quella che credeva essere la sua prossima conquista e le fece un imperfetto baciamano, calcando per bene le labbra sulla sua zampa inerte.
Judy si riscosse e la ritrasse di scatto.
“Tu sei... Rick? Voglio dire, quel Rick?”, chiese ancora sottosopra.
“Per servirti, bellezza”, rispose lui. “Sapevo che non potevi esserti scordata di me, così quando non mi hai più scritto e non ti ho più vista sul sito, ho capito che doveva essere successo qualcosa. Ho raccolto il mio povero cuore ferito e sono venuto a cercarti”.
Le sceneggiate romantiche fanno sempre colpo sulle donne, si disse.
“Frena, frena, ragazzo”, si mise in mezzo Stu allontanandolo da Judy.
“Voglio sapere chi sei, che ci fai in casa mia e cosa vuoi da mia figlia. Ma prima ancora, voglio sapere come accidenti hai trovato l'indirizzo”.
Rick non si scompose, anzi, si calò nella sua migliore interpretazione di se stesso – si sentiva abbastanza figo da non dover copiare nessuno – e gonfiando il petto come un gallo da combattimento marciò su quell'ostacolo deciso ad abbatterlo.
“Amico, io sono Hamilton, Rick Hamilton”, cominciò. “Sono qui perché Judy mi ha rapito il cuore, e ho tutta l'intenzione di rapire lei”.
Chiaro, no?
“Come ho fatto a ritrovarla? Non è stato difficile, no davvero. Conoscevo il cognome, la città e soprattutto so quanti ettari di terreno avete. Niente male, tra parentesi. Sono arrivato qui col mio John Deere nuovo fiammante e ho chiesto indicazioni alla prima coniglia col muso da pettegola che ho visto uscire dalla chiesa”, si degnò di raccontare.
Stu Hopps si voltò con apparente calma verso la moglie, rintanata in un angolo. “Io non ti ho mai imposto né proibito niente, Bonnie. Ma questa volta lo faccio. Tu, su internet, non ci vai più nemmeno per controllare il meteo. Muovi la testa se hai capito...”, le disse.
Bonnie annuì, sentendosi mortificata come non si era più sentita dai tempi dell'asilo e della pipì addosso.
“Bene, amico”, disse ancora Stu tornando a rivolgersi al coniglio.
“E' per questo che sei sparita, bambola?” lo interruppe Rick. “Il tuo signor padre è uno di quei prepotenti che vogliono tenerti chiusa in casa?”.
Tutti quanti restarono ammutoliti e impietriti, impegnati a contemplare la vastità cosmica della sfacciataggine di quel tipo.
“Non ti permette di parlare con me, eh? Crede che io non sia alla tua altezza, non è vero? Ah, ma non sa quanto si sbaglia. Ora ti porto via da qui, bambina, e quelle volpi che ti hanno dato come guardie del corpo non mi fermeranno”, dichiarò.
A quelle parole, qualcosa di sbloccò. L'universo riprese a girare.
Nick Wilde e Gideon Grey si guardarono, un istante appena, e annuirono.
“Jeff, apri la porta, per piacere”, chiese Nick.
Il piccolo eseguì, curioso di scoprire cosa sarebbe successo.
Le due volpi si avvicinarono ad un Rick immobile, con le zampe piantate sui fianchi – forse, chissà, si stava preparando a caricarli come un ariete –, lo sollevarono senza sforzo sulle proprie teste e infilarono la porta di casa.
Pochi passi, poi cominciò la rincorsa.
Nemmeno dieci secondi, e Rick Hamilton si ritrovò lanciato per aria come un frisbee urlante.
Atterrò pesantemente sul cofano del proprio trattore.
Una botta micidiale, dalla quale rinvenne non prima di una mezz'ora.
Al loro rientro, le due volpi trovarono una confusione di conigli saltellanti e vocianti, tutti presi a rotolarsi a terra dalle risate ed assillare Judy perché raccontasse chi era quello lì.
Stu Hopps si fece avanti, scavalcando con attenzione i propri figli.
“Scusatemi tutti, ma avrei due parole da scambiare con Nick. Torniamo subito”, disse facendogli segno di seguirlo. “A presto, Gideon”.
Non attese la risposta e uscì.

 

Nick fece per accomodarsi nella sedia posta davanti alla piccola scrivania, ingombra di fatture e note spese, nello studiolo di Stu, ma dovette fermarsi a mezz'aria.
“Resta pure in piedi” disse il coniglio, guardandolo di sotto in su “sarà una cosa veloce”.
La volpe obbedì, intrecciando le zampe dietro la schiena per simulare rilassatezza e apertura – un'abitudine che gli era servita parecchio a mettere a proprio agio le vittime delle sue truffe.
Non che ora avesse alcuna intenzione di ingannare Stu, era soltanto un'abitudine ben radicata, appunto.
“Punto uno: tu sei innamorato di mia figlia?”, gli chiese dunque quello a bruciapelo.
“Io la amo” rispose Nick. “E' più che essere innamorati”.
Che fatica, dire una cosa del genere a lui e mantenere il contatto visivo.
“Una buona risposta. Punto due: sei consapevole, vero, che se la farai soffrire io ti stanerò ovunque tu ti dovessi nascondere, e farò soffrire te dieci volte tanto?”.
Nick conosceva Stu come un coniglio cordiale e pacifico, ma capì alla perfezione che in quell'istante non stava usando figure retoriche. Se avesse mai fatto qualcosa di davvero sbagliato, anche involontariamente, gli sarebbe stato concesso solo il tempo di scegliere il legno della propria bara. E tutt'al più una camicia meno informale da farsi mettere.
“Oh, sì Stu. Ne sono molto consapevole”.
Stu Hopps annuì, congiunse le dita delle zampe e rifletté brevemente, prima di aprire un cassetto della scrivania.
Poi consegnò un cofanetto quadrato rivestito di velluto, dall'aspetto piuttosto antiquato, a Nick.
“Aprilo”, lo esortò alzandosi in piedi.
La volpe lo aprì. Conteneva un anello, in tutta evidenza di fidanzamento, cui la vecchia custodia non rendeva decisamente giustizia.
Era molto semplice: un diamante tagliato a brillante montato su una fascia di oro rosa; ma rifletteva la luce in un modo straordinario.
“E' il classico anello che si tramanda di generazione in generazione... l'ho ereditato da non so più quale trisavola. So che non si direbbe, a guardar me, ma vengo da una famiglia piuttosto tradizionalista”, spiegò Stu con un sorriso vagamente divertito.
“Non so come – ”
“Non devi ringraziare me. Ringrazia Judy, che per stare con te farebbe carte false. Ed è tutto dire...” ridacchiò il coniglio.
“Piuttosto, ho un favore da chiederti”.
“Dimmi pure” fece Nick, rimettendosi sull'attenti.
“Voglio l'indirizzo di quel coniglio, il bifolco che si è appena presentato a casa nostra. E so che tu puoi procurarmelo”.
“Ah. A dir la verità, Stu, non – ”
“Non ti conviene dirmi di no, Nick. E non giustificarti con il regolamento, quello è un tuo problema”.
La volpe alzò entrambe le zampe in aria, come un mammifero che si arrenda ad un arresto.
“Calma, calma. Stavo per dire che non ho bisogno di cercarlo. Ce l'ho già. Civico 42 di Magnolia Drive, Harvester Place”, recitò a memoria.
Stu Hopps sfoggiò un sorriso compiaciuto.
“Tu mi piaci, figliolo”, disse quindi mentre usciva dalla stanza, sottolineando il concetto con una pesante pacca sulla spalla di Nick.
Coniglio buzzurro 0, Volpe astuta 1, si autocongratulò la volpe.

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Capitolo 17
*** Fenici ***


Ho un paio di perplessità riguardo a questo capitolo, ma non voglio influenzare il vostro giudizio (che spero comunque sia clemente...).
Vi lascio alla lettura, e ci "risentiamo" giù.

 



XVII. Fenici

 

Non riusciva a fare il nodo a quella fottuta cravatta. Nemmeno fosse la prima volta che la indossava... da anni era d'ordinanza, per lui. Non la cambiava mai – blu a righine rosse e azzurre, o al massimo nera sulla divisa – ma quella sera, quella sera in teoria sarebbe cambiato tutto, il suo mondo avrebbe fatto una capriola. Sentiva che anche il suo abbigliamento doveva uniformarsi allo stato di emergenza.
E tutta quella tensione... era perché sotto sotto, in fondo, in un angolino polveroso e negletto del suo cuore in cui cercava di non buttare l'occhio, qualcosa lo tormentava suggerendogli che Judy poteva benissimo aver scherzato, e non aver mai avuto alcuna intenzione di sposarlo per davvero.
Così lui si sarebbe messo questa strana camicia bianca – almeno le maniche corte le aveva conservate –, questi insoliti pantaloni blu notte con cravatta abbinata che un commesso solerte gli aveva venduto un paio di giorni addietro, e si sarebbe se non altro presentato all'appuntamento con la derisione vestito di tutto punto.
No, non è solo questo. Anche se basterebbe.
La vera verità era che l'aver visto Judy in compagnia di Gideon Grey quel pomeriggio, mentre chiacchierava amabilmente con lui in giardino prima che se ne andasse, l'aveva turbato.
Avvicinandosi aveva còlto solo poche frasi, per altro di nessuna rilevanza e men che meno pericolosità. Eppure, gli erano tremati i polsi.
Esattamente come adesso, mentre infilava il cofanetto con il solitario in tasca.
Judy era disponibile, era accogliente, era comprensiva. Era una di quei mammiferi che ti tendono la zampa quando tutti gli altri ti scansano.
Così aveva fatto anche con lui, no? E quanto doveva essergliene grato... ma proprio quella sua caratteristica la apriva a un universo di possibili incontri. E, un giorno, uno di quegli incontri avrebbe potuto essere così attraente, in così tanti modi diversi e più efficaci delle sue pose da teatrante, da trascinarla via da lui.
Portafogli, mentine al mirtillo – una stranezza in termini, che però gli rallegrava l'esistenza.
Un'invocazione silenziosa a sua madre.
Ecco, aveva con sé tutto l'indispensabile.
Poteva andare a recuperare la sua compagna.

 

“E' senz'altro un posticino appartato”, scherzò, in apparente perfetta padronanza di sé, Nick.
Judy non rispose, sorrise soltanto un po' svagata, persa nella contemplazione delle costellazioni, ben visibili appena oltre la piccola veranda nella quale avevano chiesto di essere sistemati. In totale solitudine.
“Sul serio: io, te e la luna. Mancano soltanto Scemo e Più Scemo, ricordi?, a fare la serenata ululando”.
Lei si volse. “E' stato un gran momento, quello. Peccato fossimo troppo occupati in un'importante missione per permetterci di rotolarci a terra dalle risate”, annuì.
“Eh, già. Mi dà i brividi pensarlo, ma se non fosse stato per Dawn Bellwether, forse non ci saremmo mai incontrati una seconda volta”.
“Volpe arguta” lo canzonò Judy. “Non avrai mica intenzione di darti alla filosofia proprio ora”.
“Oh, no no. Intendo darmi ai gamberi, invece”, rispose la volpe adocchiando l'oste in arrivo. Superare la prova che lo attendeva quella sera richiedeva una buona dose di proteine.
“Pfui, che illusa sono. L'unica filosofia che conosci è non rimandare a domani quello che puoi mangiare oggi. Non imparerò mai”.
“Perché sei una coniglietta ottusa”, le rammentò dolcemente lui. “Clawhauser, nel salato, mi fa un baffo”.
Il proprietario, uno smilzo caprone con una lunga barbetta ed occhialini dalla montatura rettangolare, li raggiunse al tavolo e li servì.
“Signorina Judy, si è fatta una donna”, notò, col fare bonario di un nonno. “Ho saputo delle sue imprese in città”.
“Ho solo fatto il mio dovere, Arnie”, rispose la coniglietta. “E non da sola. Senza Nick non sarei andata da nessuna parte”.
“Ho sentito anche questo”, le disse allora lui affabile, lasciando nel vago dove e come l'avesse saputo. Certo non dai quotidiani, che della volpe quella volta non avevano fatto parola.
In ogni caso, non fece alcuna domanda indiscreta e lasciò subito alla loro cena i due.
“Vi auguro una buona serata e buon appetito. Spero che sia tutto di vostro gradimento. E per qualsiasi cosa, non esitate a chiamare me”, li incoraggiò.
Lo ringraziarono e si dedicarono con cura certosina a ripulire i piatti.
“Provali, sono squisiti”, disse Nick porgendo un gambero a Judy.
Ma mentre quella fece per prenderglielo dalla zampa, lui la ritirò.
“Ehm”.
La scena si ripetè uguale per altre due volte, prima che la coniglietta arrivasse a puntare un'immaginaria sparadardi contro il suo aguzzino.
“Dammelo”.
Nick si produsse in uno dei suoi sorrisi beffardi che quasi toccavano le orecchie con gli angoli della bocca.
“Puoi ripetere, prego?”.
“A-ha. Hai capito”.
“Oh, sì. Ma mi piacerebbe sentirtelo dire ancora”, la stuzzicò.
“E poi me lo darai, almeno?”.
Si stava abituando ai doppi sensi e alle battute sul limite dell'indecenza.
Frequentare quella volpe le faceva male. O bene, dipende.
“Lo farò. Giurin giuretto”.
Judy gli credette. Si schiarì la voce, giocando nel renderla il più sensuale possibile, senza tuttavia essere affatto certa del risultato.
“Dammelo”, ripeté dunque.
Nick rimase in sospeso qualche secondo, ammaliato più dal tentativo e dalle intenzioni che dall'effetto in sé. Poi le allungò nuovamente il gambero, ma anziché lasciarglielo prendere tra le dita glielò avvicinò direttamente alle labbra.
Judy le socchiuse e impegnandosi a non chiudere per contro gli occhi, a ignorare l'agitazione, lo lasciò fare. Labbra e dita si sfiorarono.
Sei così libera. Credevo di esserlo io, un mammifero libero, ma recitavo solo un copione. Tu, tu lo sei davvero.
La osservò masticare, consapevole di essere per lei una notevole fonte di turbamento.
Ero una specie di morto che cammina. Destinato a reiterare le stesse azioni, gli stessi errori, a raccontarmi le stesse scuse giorno dopo giorno dopo giorno. E tu mi hai riportato alla vita.
Erano pensieri che, se ben allineati e pronunciati, avrebbero costituito un buon discorso introduttivo alla richiesta di sposarlo. Se fosse stato un altro. Se fossero stati in un film. Ma non avrebbe seguito quella traccia.
“Hai ragione... sono veramente ottimi”, disse lei.
Nick sorrise, di un sorriso rilassato e morbido.
Sì. Ero solo una volpe, per tutti contava solo questo. E quasi mai era una cosa buona, una bella condizione. Ma tu mi hai fatto rinascere, come le fenici dalle loro ceneri. Ora sono una volpe-fenice. Una volpe felice.
Si alzò.
Alla luce della piccola candela galleggiante posta in un vaso al centro del tavolo; alla luce di un tappeto di stelle così brillanti e così numerose; alla luce di una luna piena e tanto vicina alla terra da sembrare in rotta di collisione, poteva cogliere ogni dettaglio con una vividezza da far girar la testa.
Il suo vestito di luminosa seta – un corpetto bianco che una stretta fascia nera separava dalla gonna a palloncino, color bronzo.
L'eyeliner – se così si chiamava: Nick non era un appassionato dell'argomento – che per la prima volta in assoluto vedeva sulle palpebre di Judy. Doveva significare qualcosa.
I suoi occhi, nei quali gli pareva di poter contare ogni fibra dell'iride viola intenso.
Adesso, adesso Nick. Se ti fermi sei perduto.
Le arrivò ad un passo, poi si inginocchiò. Almeno quello era dovuto.
Mise la zampa nella tasca e ne estrasse il cofanetto malandato che, pensò in quell'istante, di certo Judy già conosceva: chissà quante volte la storia della trisavola aveva fatto il giro di casa. E ora toccava a lei.
Avevano fatto le cose al contrario: si erano detti di sì prima ancora di chiedersi esplicitamente, senza sfumature giocose, se lo volevano. Avrebbe confermato quel sì?
Nick non perse di vista un solo istante il volto della sua piccola mentre apriva, infine, la scatola e lasciava che fosse l'anello a parlare per lui.
Anche una sillaba sarebbe stata eccessiva.
Infatti, nessuna parola, né sillaba, né mera vocale fu più pronunciata nemmeno dalla coniglia. Tutto ciò che fece fu mettersi in ginocchio di fronte a lui e sorridere, e prendergli il muso tra le zampe con passione, e baciarlo con tenerezza; per poi accarezzargli il muso con infinita tenerezza e baciarlo con passione.
Non c'era verso di fraintendere il messaggio.
L'anello giacque dimenticato sul pavimento per lunghi, incredibili minuti.

 

E fu notte e fu mattina.
Secondo giorno.
Una domenica tranquilla, sonnacchiosa di fine maggio, che vedeva tre conigli ed una volpe seduti al tavolo di cucina; ciascuno con frutta e fette biscottate davanti.
Entrando, alcuni minuti prima, Nick Wilde aveva fatto un cenno col capo a Stu. Un discreto e appena abbozzato cenno d'assenso.
A cosa assentisse, Bonnie Hopps si era ripromessa di indagarlo più tardi.
“Allora, che programmi avete voi due per oggi?”, chiese dunque la coniglia rivolta a Nick, con uno sguardo fermo che sembrava volergli scandagliare i pensieri.
Lui guardò Judy. “Carotina... per me può andare”, le disse.
“Può andare, cosa?”, fece Bonnie confusa.
“Judy ha avuto un'idea, ieri sera”, spiegò la volpe. “Parlavamo del caso degli Ululatori Notturni, e di quello che le hai raccontato a proposito di tuo fratello, Bonnie”.
Judy annuì. “Sì, mamma. Mi dicesti che lo zio Terry ti prese a morsi e che, beh, picchiava come un matto. Ti ricordi?”.
“Sì, certo”, disse la madre.
“Ecco, so che adesso, grazie all'antidoto, lo zio si è ripreso. Ma sono passati anni da quando ha mangiato quel fiore e, purtroppo, la cosa ha avuto degli strascichi e... insomma, so che sta facendo delle sedute di riabilitazione al Lapin Memorial, così ho pensato di andare a fargli visita”.
“Oh!”. Bonnie appariva sorpresa, e commossa.
“Sarebbe bellissimo, Judy”, le disse abbracciandola. “Salutamelo, vuoi? E digli che tornerò anch'io a trovarlo presto”, la pregò.
“Ma certo, mamma”, le sorrise la coniglietta, asciugandole una lacrima dal muso. “Sarà fatto”.
Coniglie emotive, pensò Nick girando il cucchiaino nella propria tazzina di caffé. Tale madre...
“Zucchero, Carotina?”, le chiese poi, quando la riebbe vicino a sé.

 

Avevano raggiunto un imponente edificio di recente costruzione appena fuori dall'abitato, attraversato una decina di padiglioni e varcato la soglia di quello indicato come Riabilitazione Neurologica Funzionale.
Si fermarono di fronte ad una bacheca, in attesa che l'infermiera di turno terminasse una telefonata per chiederle informazioni.
Dietro il vetro erano affissi alcuni articoli e volantini.
Lapin Memorial insignito del Premio Golgi per i particolari meriti nel campo della ricerca.
Associazione A.L.I.Ce. – Come riconoscere rapidamente un ictus ischemico.
Sesto Convegno sulle Malattie Rare Mitocondriali a Zootropolis.
Di queste ultime, Judy non aveva mai sentito parlare.
“Buongiorno, posso aiutarvi?”, li accolse l'infermiera, una gazzella slanciata e briosa in divisa azzurra.
“Sì, grazie mille” rispose Judy “siamo in visita. Sa dirci dove possiamo trovare Terry Boulder? E' un coniglio sui quarantacinque anni”, precisò.
“Sicuro! E' in palestra. Venite, vi ci accompagno”.
Mentre la seguivano, i due notarono lungo i corridoi diverse porte aperte su altrettante stanze piuttosto ampie, e all'interno di queste ultime molti mammiferi impegnati nelle attività più diverse – nessuna delle quali, però, si sarebbe normalmente accostata all'idea di ospedale: c'era chi leggeva quotidiani a voce alta per un gruppo di ascoltatori... chi giocava a carte... cuccioli di specie differenti che rincorrevano pagliacci coloratissimi e agghindati in modo assurdo con degli enormi martelli di plastica...
… notando le espressioni perplesse di Judy e Nick, l'infermiera rise divertita.
“Un ospedale non dovrebbe mai essere un luogo triste e scialbo. Men che meno per dei cuccioli, che qui abbiamo scelto di non separare dai pazienti adulti”, spiegò continuando a camminare.
“La riabilitazione, soprattutto di chi ha deficit neurologici, non può avvenire in un ambiente sterile e piatto. Semplicemente, non funzionerebbe”. Sottolineò il concetto scuotendo il capo.
“E di fianco alle normali terapie di recupero, i vertici della struttura hanno voluto che fossero portate avanti delle attività ricreative, condivise anche con i parenti in visita, come voi. Aiuta gli animali a non sentirsi tagliati fuori, ma anche a stimolare le abilità mentali compromesse”.
Nick fu grato di essere incluso tra i parenti, punto e basta, senza che gli venisse chiesto conto del perché una volpe stesse facendo visita ad un coniglio.
“Capisco. E' una cosa molto bella, quella che fate qui”, disse invece Judy entusiasta. Per esperienza, poteva dire che non tutte le cliniche adottavano una filosofia così aperta e positiva.
Sorpassarono una elefantessa che parlava a voce molto alta con un elefantino in carrozzina, accompagnando le frasi con dei movimenti di proboscide decisi ed eleganti. Una lingua dei segni?, si chiese Nick, incerto.
“Spingiti-da-solo”, stava dicendo la madre, articolando le parole come in uno spelling. “Impara-a-non-chiedere-aiuto”, insisteva.
“Sembra una cattiveria, vero?”, chiese la gazzella infermiera. “Ma se quel cucciolo non ce la farà a superare i propri limiti adesso, in questo ambiente protetto, pensate a cosa ne sarà di lui una volta fuori”.
Judy trovò quella riflessione ragionevole. Nondimeno, era triste pensare a quanta sofferenza toccava, ogni giorno, a creature tanto acerbe, nuove a tutto.
Anche Nick si sentì a disagio. Aveva accettato subito di accompagnare Judy in quel posto anche se in realtà non gli andava per niente: era evidente che lei ci teneva e non si aspettava un suo no, perciò aveva deciso che non era il caso neppure di discuterne.
Ma dovette dar mostra, in qualche modo, di ciò che gli passava per la mente; perché spalancando con una forte spinta la porta della palestra, l'infermiera mostrò orgogliosa i tre mammiferi che vi si stavano allenando e si congedò con un'affermazione che li lasciò entrambi di stucco, volpe e coniglia.
“Una volta che approdano qui, a tutti i nostri pazienti tocca fare una scelta. E la scelta è tra combattere, andare avanti ad ogni costo, aggrappandosi alla vita con le zanne e gli artigli, oppure mollare”.
Con un cenno dell'esile ed aggraziata testa indicò un coniglio, una tigre siberiana ed un bradipo concentrati sulle proprie occupazioni: il primo camminava con cautela, reggendosi a due barre laterali, la seconda stringeva ripetutamente nella zampa destra una pallina di gomma, ed il terzo sollevava pesi – lentamente, instancabilmente.
“Combattere o mollare”, ripeté la gazzella. “Ma qui vedrete pochissimi animali che hanno scelto la seconda opzione. Niente sfighismi al Memorial, ragazzi. Ricordate quel che vi dico: quelli che incontrerete qui non sono normali mammiferi. Sono supereroi che crollano e risorgono. Sono fenici”.
Nick e Judy restarono per un lungo momento in silenzio, fermi sulla soglia della palestra, ad osservare gli sforzi dei tre.
Fu il coniglio, snello e dal pelo di un grigio scurissimo, a riscuoterli dalla loro immobilità.
“Che ci fate lì? Su, venite avanti... Judy, quanto tempo ragazzina...!”.
“Zio Terry!”, esclamò lei andandogli incontro. “Come stai? Mamma ti saluta, dice che verrà più avanti”.
“Oh, sto bene cara. Come vedi, ora le mie gambe non si muovono più a scatti, e soprattutto non digrigno più i denti durante il sonno, grazie a quell'antidoto. Per fortuna, anche se è affine alla rabbia, l'effetto della Mendicampum Holicifius non è altrettanto letale!”.
“Sono molto contenta di vederti così in forma, zio. Nick, ti presento il famoso zio Terry...”, disse la coniglietta facendosi da parte, “e zio, questo è Nick Wilde. Se abbiamo potuto risolvere il caso, produrre l'antidoto e riportare la pace a Zootropolis è grazie a lui”.
Nick prese a fischiettare e si volse con finta noncuranza verso la parete, ad osservare la sfilza di trofei che alcuni atleti paralimpici, ex pazienti, avevano donato all'ospedale.
Judy Hopps, agente speciale con licenza di mettere in imbarazzo, pensò.
“Nick... sto parlando di te, torna qui”.
“Oh, perdonami Carotina. Non me n'ero proprio accorto, sai”.
“E' fatto così e così me lo tengo, zio... ma ha un gran cuore. E' per questo che lo considero il mio più grande amico”.
A Nick quelle parole diedero un piacere paragonabile solo a quello che gli procurava la prospettiva di una mattinata libera, da passare a letto fino all'ora di un succulento pranzo. Cioè, un piacere enorme.
Tuttavia, per mantenere la sua dignità di facciata ed evitare di sciogliersi come burro al sole davanti ad uno sconosciuto, seppur parente di Judy, ripiegò su una vecchia ma sempre efficace provocazione.
“Anche tu non sei male, sì”, le disse, poi strinse la zampa del coniglio. “Molto piacere. A sentir Judy, poco ci manca ch'io abbia salvato il mondo intero dalla distruzione”, rise, inarcando un sopracciglio.
Terry si unì alla risata. “Piacere mio. Non mi stupisce, la mia nipotina ha sempre amato fare le cose in grande”.
Chiacchierarono del più e del meno per una buona mezz'ora.
Erano quasi le undici quando Nick e Judy si avviarono verso l'uscita, ma prima che ci arrivassero un gruppo di cuccioli, in maggioranza coniglietti, si parò davanti a loro con aria stupefatta ed estasiata.
“Che ti avevo detto, Beau? Ti avevo detto che avevo visto una volpe, hai perso la scommessa”, fece uno di loro con voce chioccia.
“Ma tu hai detto soltanto di aver visto una volpe qui dentro... non hai specificato quando” tentò debolmente di difendersi un piccolo di ippopotamo con una protesi al posto della zampa sinistra.
“Dai, Beau, non mettere il muso”, si scusò il coniglio vedendolo imbronciato, “perché invece non gli chiediamo se può... se...” – non terminò la frase.
Nick, con un forte senso di deja-vu, osservò i coniglietti che gli sbarravano la strada con curiosità.
“Cosa volevate chiedermi?”.
Meglio accelerare il disastro, se voleva uscire da lì.
Un terzo cucciolo, evidentemente più spavaldo, si fece portavoce dei compagni di gioco.
“Volevamo chiederle” iniziò rispettosamente schiarendosi la gola “se può portarci a fare un giro. Con lei. No, volevo dire, su di lei, intendo, sopra”.
La volpe non ci capì nulla. Guardò Judy, che a quanto pareva aveva capito eccome, e stava sorridendo alquanto divertita.
“Nick, credo vogliano che tu li porti a spasso sulla tua schiena. A quattro zampe... vero, piccolo?”.
“Sì! Proprio quello!” esclamò il portavoce, mentre gli altri annuivano coralmente.
Nick si mise una zampa sul muso, incredulo. Nel giro di ventiquattr'ore aveva avuto attorno più cuccioli di quanti ne avesse mai visti nel resto della sua esistenza. E adesso questi volevano cavalcarlo.
“Judy, non so se è il cas – ”
“Solo per una volta, Nick. Sii buono” gli sussurrò lei in un orecchio. “Pensa a quanto li faresti felici”.
Ineccepibile, Carotina.
“E sarebbe anche un'ottima esercitazione. Jeff e Jeremy hanno già pensato di chiederti la stessa cosa, quando torneremo a casa” aggiunse con nonchalance.
Nick stava per replicare, ma era ormai assediato.
“L'abbiamo già fatto con il signor Warwick, la tigre bianca” gli disse una castorina con gli occhi neri lucenti prendendo coraggio. “Mai con una volpe, però”, si sentì di precisare, come a dire che per il resto erano dei veterani.
Nick sospirò. Se non altro, quei cuccioli non avevano alcuna paura di lui. Fu forse questo a convincerlo, o forse il desiderio di compiacere Judy, fatto sta che alla fine si abbassò sui talloni e poi si mise a quattro zampe... sperando che le madri di quei cuccioli non si trovassero negli immediati paraggi.
“Forza, a bordo”, li invitò.
Lasciò che la coniglietta li aiutasse ad issarsi sulla sua schiena, e intimandole di non mettersi a ridere per nessuna ragione al mondo, partì per la sgroppata.

 

“Sei stato davvero gentile ad accontentarli”, disse Judy posandogli una zampina sul braccio.
Stavano facendo due passi su un sentiero che costeggiava i campi, le alte spighe appena abbozzate sulla sinistra ed un ruscello gorgogliante sulla destra.
Era già quasi sera, e a breve, dopo cena, sarebbe stato tempo di tornare.
“Parli dei cuccioli al Memorial, o dei tuoi fratelli, Carotina? Dì la verità, tu sapevi che mi sarebbe toccato qualcosa del genere”, rispose Nick, un sopracciglio levato a fingere disapprovazione.
La coniglietta allargò le braccia.
“Certo che lo sapevo, sciocca adorabile volpe”.
“Soprattutto sciocca...” si autocommiserò lui.
“Soprattutto adorabile”, lo corresse lei.
D'un tratto, senza proferire verbo, Nick si fermò; colto da un'inquietudine.
Si bloccò in mezzo al sentiero e, senza saper bene dove posare lo sguardo – c'erano solo campi e alberi lì, e stormi di uccelli e l'acqua che scorreva via limpida e inesorabile – cominciò a dare tutti i piccoli segni d'impazienza che una povera creatura senza pace poteva dare.
Si torceva le zampe, sbuffava, mugolava, girava in tondo sui propri passi; giunse persino, senza accorgersene, ad imitare Judy nel suo battere colpi a terra con le lunghe zampe inferiori.
Judy lo chiamò ripetutamente, ma non ebbe risposta.
Non appena smise, i grilli ripresero la loro monotona canzone.
Solo un poco, finché Nick parlò, ma a voce così bassa che nemmeno lui fu sicuro di averlo fatto.
“Puoi ripetere, per favore?”, gli chiese Judy imponendogli con un abbraccio di cessare il suo andirivieni. “Non ho capito. Che succede?”.
Nick la fissò.
“Se mai dovesse succedere qualcosa”, disse. E non riuscì a proseguire.
Ormai hai parlato, caro mio. E lei non lascerà perdere, lo sai.
Judy, infatti, lo osservava con aria interrogativa.
“Se mai dovesse succedermi qualcosa”, riprovò. “Che so... un incidente. Sul lavoro, o anche no. Se dovessi subire dei danni importanti. Tu resterai lo stesso con me?”.
Non voleva metterla in difficoltà, o alla prova.
Non voleva spaventarla.
Non voleva nemmeno una vera risposta: a dispetto di tutta la convinzione che la coniglietta poteva avere, lui sapeva che a una domanda simile non si può, semplicemente, rispondere. A meno di non esserci dentro.
Aveva solo bisogno di sentirsi dire che sarebbe stato così, in ogni caso.
“Scusami”, reagì tuttavia, prima che Judy potesse aprir bocca.
“Non dovevo”.
Fece per allontanarsi, ma lei lo trattenne.
“Nick, no”.
Ancora un tentativo di divincolarsi.
“No! Per favore. Non allontanarmi, Nick...”.
“Forse sarebbe meglio, invece. Pensaci. C'è di peggio di qualche mammifero che bisbiglia alle nostre spalle o dei tuoi genitori... di tua madre che ti rema contro. Non ti biasimerò se riterrai di non voler rischiare... se vorrai cambiare idea”, sputò lui, infelice ma determinato a offrirle una via d'uscita.
Ci fu un momento durante il quale Judy valutò almeno una decina di diverse risposte possibili, di alternative alla reazione da tenere.
Ma più i secondi passavano, più il desiderio di tranquillizzare Nick cedeva spazio all'impulso di rivendicare quanto pronta e capace e matura lei fosse, e quanto ingiuste, per contro, fossero quelle parole nei suoi confronti.
Così tutto ciò che aveva avuto in animo di dirgli per confortarlo e assicurargli che ci sarebbe sempre stata le morì in gola, si staccò da lui e finì per dire soltanto:
“Ci vediamo a casa, Nick. Chiarisciti le idee, e poi raggiungimi al vialetto, così entriamo insieme e non facciamo nascere domande scomode. A meno che non sia tu ad aver cambiato idea su ciò che stiamo facendo”.
Non voleva soffermarsi su quell'eventualità, la sola idea le faceva pensare al resto della sua vita come a un meschino foglio bianco, una terra desolata.
Perciò accantonò il pensiero, si strinse al cuore l'irritazione e la seccatura come una coperta calda, e tornò verso casa.
 


Due piccole note:

a) il cognome dello zio Terry me lo sono inventata di sana pianta: in realtà ho cercato in rete ma non ho trovato alcuna info, anche su ZootopiaWiki lo chiamano soltanto “il fratello di Bonnie Hopps”;
b) il nome scientifico degli Ululatori Notturni è ugualmente preso dalla Wiki, ma nel doppiaggio italiano mi pare che Stu li chiami in modo un po' diverso. Non sono ancora riuscita a capire cosa dice esattamente, però, e così ho optato per la versione originale.

Pubblicherò il nuovo capitolo a breve, entro la metà della prossima settimana; prima del solito perché è strettamente legato a questo.
Fatemi sapere che ne pensate, se vi va!
Come sempre, un grazie di cuore a tutti i lettori.
A presto :)

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Capitolo 18
*** Ferite ***


Mi scuso in anticipo coi maschietti per le eventuali castronerie che posso aver scritto – capirete subito a che proposito.
A mia discolpa, il fatto che non sto mettendo giù un manuale, ma una storia, che spero continui a divertirvi.
Mi bastava rendere l'idea.

 

Per tutto il resto, non mi pento di niente (cit.).
 


 

XVIII. Ferite

 

L'aveva osservato per tutto il pomeriggio, mentre sua moglie si divideva tra il thé della domenica con le amiche ed un ennesimo, vano tentativo di convincere la figlia a desistere dall'idea di sposarsi.
Un coniglio che spia, letteralmente, un altro coniglio – il primo attrezzato con binocolo, tuta mimetica e arnesi da meccanico; il secondo, ignaro, che alterna la semina di un appezzamento di terra con frequenti pause.
Era tutto uno scattar selfie, così almeno parve a Stu Hopps: ogni due per tre infatti Rick Hamilton fermava il trattore, si metteva in qualche posa pretenziosa – metteva in mostra i bicipiti, o imitava mosse di kung-fu – e cliccava.
Avanti di questo passo, e faremo notte, pensò Stu ben infrattato nel suo cespuglio sulla collina.
Ma non appena ebbe finito di pensarlo, ecco che Hamilton ripartì per portare il suo amato John Deere sotto la tettoia adiacente al granaio, parcheggiare e smontare.
Alla buon'ora, pensò Stu pregustando con un sorriso ciò che stava per fare.
Hamilton si avviò verso un casale, ma Hopps non si mosse per altri dieci minuti. Se ne restò in quieta e lucida attesa, nel caso l'altro coniglio avesse scordato qualcosa e fosse tornato sui suoi passi, o per qualsiasi altra eventualità.
Solo quando vide le luci temporizzate del patio spegnersi, e il riquadro azzurro della televisione comparire in una stanza che non vi si affacciava direttamente, si sollevò dalla posizione sdraiata che aveva tenuto per ore, si sgranchì e raccolse le due sacche che aveva con sé: quella vuota, e quella con gli attrezzi.
Si calò una calzamaglia color carne, trafugata a Bonnie, sul muso e scese.
Il trattore dormiva sonni tranquilli.
Con la massima cautela, Stu si arrampicò su una delle ruote anteriori, sollevò il cofano facendo leva con un piede di porco, camminò sopra il motore del grosso automezzo e si mise al lavoro.
Staccò connettori metallici e tubi.
Estrasse la batteria, che lasciò scivolare nella sacca vuota sulle sue spalle, così come la ventola e le cinghe di trasmissione.
Poi si occupò di smontare il radiatore. Lo sollevò e gettò da basso, sopra una balla di fieno telata poco distante. L'avrebbe recuperato più tardi.
Si fermò a verificare, binocolo alla zampa, che nella casa Hamilton non si fosse spostato, e si preparò alla seconda parte del lavoro.
Calò il cofano attento a non fare rumore e ridiscese.
Cercò, e trovò, una scaletta che gli consentisse di raggiungere le componenti inferiori del motore.
Le connessioni elettriche le strappò: non avrebbero più connesso nulla, tanto valeva sbrigarsela.
Collettore e raccordi di scarico: via.
Convertitore di coppia: via.
Trasmissione, con tutti i bulloni: via.
Arrivato a quel punto, stanco per il lungo appostamento e con le braccia doloranti per la fatica, fu tuttavia un gioco per Stu caricare il motore vero e proprio, il radiatore ed altri ammenicoli su una carriola – che Hamilton, ne era certo, sarebbe stato lieto di prestargli – per portarseli al furgone.
Tre chilometri di distanza, ma ci teneva a fare le cose per bene ed evitare d'essere beccato.
Un ultimo dettaglio, e poi toccava sbrigarsi per tornare a Bunnyburrow in tempo per salutare Judy e Nick prima che partissero.
Trasse di tasca un biglietto preparato in precedenza, risalì sul predellino e lo posizionò sotto un tergicristallo.
Si era preso del tempo, per scegliere le parole.
La prossima volta, invece del motore smonto te.
Un padre.
Era certo che Hamilton, per idiota che fosse, avrebbe inteso il messaggio.

 

Se Judy era ancora arrabbiata, in quel frangente non ne diede mostra.
D'altra parte era troppo presa a tenere a bada la madre, indecisa tra l'abbandonarsi a una scenata, un estremo tentativo di liberare Judy da un destino catastrofico, o sdilinquirsi di piacere nel vederla con un Cartier al dito. Il Cartier, quello di famiglia.
Stu Hopps fu più veloce, e neutralizzò le ultime resistenze della moglie semplicemente stringendo la zampa di Nick nella sua, ancora sporca di olio e polvere; e così sigillando la questione.
“Suppongo sia comunque meglio una volpe, di un coniglio sconosciuto che fa irruzione e insulta un po' tutti”, concesse infine Bonnie.
Non era un entusiastico benvenuto in famiglia, ma per ora Nick sentiva di potersi accontentare.
Coniglio buzzurro 0, Volpe astuta 2, pensò, seppure con una punta di rammarico per la piccola discussione avuta poco prima con Judy, che inquinava il suo successo.
L'importante era che i futuri suoceri non avessero subodorato e quindi chiesto nulla, sarebbe stato penoso e difficile da gestire.
Un lungo giro di saluti a fratelli e sorelle per Judy – Nick se la cavò con un saluto collettivo – e poi volpe e coniglia raggiunsero il loro treno.
Le ombre della notte cominciavano a calare proprio allora.

 

Avevano tacitamente concordato di rimandare i chiarimenti, e di prendersi una decina di minuti per chiamare Ben e Fru-Fru: gli avrebbero chiesto se desideravano essere loro testimoni di nozze.
Magari, poi, avrebbero affrontato il loro scazzo con più serenità.
Nick si era, anzi, quasi del tutto ripreso e, forte della sua conoscenza di Judy, mentre tornava verso lo scompartimento stava mettendo insieme una linea di difesa che includesse anche delle scuse.
Ma quando, avvicinandosi, con le maledette orecchie ipersensibili che si ritrovava la sentì fare il nome di Gideon – vicino alle parole litigato, paura, fiducia e cosafaccioadesso – agì dando voce all'impulso meno equilibrato e più distruttivo che aveva a portata di zampa.
Aprì la porta senza bussare obbligandola a terminare la telefonata, e lasciò uscire quel che sentiva senza filtri.
“Potresti chiedere a me cosa fare adesso, per esempio. E' a me che hai dato addosso stasera, proprio quando ti stavo chiedendo...” – aiuto era la parola, ma Nick non la pronunciò – “ti stavo chiedendo una cosa importante. E' con me che dovresti chiarirti, non con lui”, rimarcò, freddo.
“E' un amico, e quando si hanno problemi si chiede consiglio agli amici, Nick” si giustificò la coniglietta. “Stavo cercando di – ”
“... farti consolare, Judy. Cercavi di farti consolare, perché oh, non sia mai che qualcuno, e in particolare io, metta in dubbio la tua immagine di mammifera tutta d'un pezzo”.
Mai Nick Wilde riuscì tanto tagliente come in quell'istante, quando di essere tagliente non aveva punto intenzione.
In verità, voleva solo andare al nodo della faccenda, e il nodo era che Judy si era sentita messa in discussione. Una cosa che le faceva dare di matto.
A torto o a ragione, aveva creduto che Nick stesse mettendo in dubbio la sua convinzione, determinazione e volontà; ed ora eccoli lì.
Freschissimi di fidanzamento ufficiale, e alle prese con il loro primo... beh, secondo litigio.
“Ora sei crudele, Nick”, gli disse lei, ma con tono battagliero.
Ecco. Crudele. La volpe non credeva che avrebbe più rischiato di sentirsi così, non con Judy, ma stava succedendo. Tradito. Accusato.
Se poche ore prima si era arrischiato a sbilanciarsi, a parlare delle sue paure, era perché con lei si sentiva al sicuro. Si era mostrato vulnerabile, si era lasciato andare.
Si era lasciato andare così tanto che aveva sentito il bisogno di richiudersi a riccio, rannicchiarsi in se stesso giusto un po', il tempo di prepararsi a riparlarne.
Ma per una volta Judy non l'aveva capito.
O, comunque, non aveva voluto difenderlo.
Perché era occupata a difendere se stessa.
“Sai cosa? Ti sollevo dal peso della mia crudeltà, e vado a farmi un giro”, le disse allora, facendo l'unica cosa che sapeva davvero fare quando si sentiva isolato e sotto attacco: del sarcasmo duro e puro.
Per un attimo, un attimo soltanto, sperò che Judy lo trattenesse e lo pregasse di non andare, di parlare. Ma non lo fece, e lui si eclissò.

 

Avrebbe potuto, dovuto trattenerlo, pregarlo di non andare, di restare e parlarne.
Si era pentita immediatamente di avergli tenuto testa, anziché scusarsi e basta.
Ma aveva sempre avuto questo vizio: poiché le era toccato lottare contro tutti per fare ciò che desiderava e riteneva giusto per sé, aveva sviluppato un'insana sete di riconoscimenti, una sete che non si spegneva mai.
E quando aveva sentito Nick dire le parole sbagliate per il motivo giusto, aveva ignorato il motivo e si era fissata sulle parole.
Aveva lasciato che l'orgoglio prendesse il sopravvento.
E che facesse danni.

 

In corridoio, la luna inondava della sua luce perlacea il profilo rugoso e scavato di un vecchio elefante dalla pelle cadente.
Seduto su una panchetta a ribalta davvero troppo piccola per il suo sedere, sembrava tuttavia non farci caso, e incurante degli scossoni del treno si stava preparando una sigaretta con cartina e tabacco, tenendola sospesa a mezz'aria vicino al finestrino abbassato.
“Guai in paradiso?”, domandò a Nick quando questi gli passò davanti.
Sorpresa d'essere stata interpellata, la volpe non rispose subito.
Si sedette di fianco all'elefante e sbuffò.
“Così pare”, rispose laconico.
Il pachiderma colse il sottinteso e non disse più nulla, si limitò ad offrire a Nick la sigaretta appena confezionata.
“Grazie, no”.
Una fiammella balenò nell'oscurità, poi sparì, lasciando in sua vece soltanto un tondino rosso di braci accese.
“Non si potrebbe fumare, qui dentro”, notò Nick distrattamente.
“Vedi dei controllori, qua attorno?”, chiese l'elefante.
“Domanda pertinente”, osservò la volpe, evitando di precisare che, in effetti, lui era un pubblico ufficiale. E avrebbe dovuto fargliela spegnere.
Molte cose dovrei fare, rimuginò. Non lasciar passare troppo tempo e ricucire con Judy, per esempio. Anche a costo di camminare sui ceci.
“Mai andare a letto senza aver fatto pace con chi ami”, ecco un'altra cosa che sua madre, finché era vissuta, gli aveva ripetuto costante.
Nick sapeva che quella storia, per quanto spiacevole, non era affatto così grave come appariva. Sapeva che erano l'impulsività e l'emotività a parlare – sì, persino in lui – e che quello era soltanto uno stupido fraintendimento, non un vero tradimento. Ma sapeva anche che più tempo trascorreva prima della riconciliazione, più difficile diventava metterla in atto.
Non voleva che quello scontro si trasformasse in una orrenda replica del post conferenza, come usava chiamarlo.
“Arrivederci”, disse dunque di lì a poco dopo una breve, silenziosa valutazione; rialzandosi e lasciando lo sconosciuto viaggiatore al suo personale vizio.

 

Mi sono messa nei guai. La situazione è grave, e tornarci sopra ora non farebbe che peggiorarla, pensò Judy, raggomitolata sotto l'esile lenzuolo della cuccetta.
Non era quella in cui aveva dormito all'andata insieme a Nick.
Se parlassimo adesso, ci faremmo altro male. Ed io l'ho già ferito abbastanza. Meglio attendere, meglio dormirci su, domattina tutto sarà più facile.
Tese la zampa oltre il cuscino e, con un tocco all'interruttore, cancellò l'odiosa luce che la faceva sentire esposta.
In un amen, tutta la potenza del suo orgoglio era sfumata, scemata come un fiammifero cui venga tolto l'ossigeno.
E l'aveva lasciata con la vergogna d'aver aggredito verbalmente, non una volta ma due, l'animale cui teneva di più al mondo.
Chiuse gli occhi e si voltò verso la parete.

 

Troppo tardi, lei già dormiva.
Una sottile inquietudine, proprio come alcune ore prima, si impossessò di Nick, che la attribuì alla tensione e se la scrollò di dosso.
Dormirono separati, ciascuno convinto che l'altro fosse tutt'ora arrabbiato.
Ciascuno considerandosi il vero responsabile dello screzio avuto, e conscio della sofferenza del compagno o della compagna più del proprio stesso respiro.
Passerà, fu il mantra di Nick quella notte, mentre Judy, più scossa, si dedicava agli aggettivi: stupida, ottusa, meschina ed egoista i suoi preferiti.

 

Nick Wilde aveva sempre avuto una passione per i film che raccontavano inseguimenti e peripezie in auto, da Getaway a Fast and Furryous.
Per questa ragione, mentre McHorn traghettava lui e Judy attraverso Zootropolis a colpi di slalom, su una volante con luci e sirene attivate, i suoi problemi con la coniglia gli parvero ancora più banali e perfettamente risolvibili della sera precedente.
Tuttavia, era deciso a non rimandare oltre il chiarimento: non appena fossero giunti davanti al tribunale, l'avrebbe affiancata e si sarebbe scusato. A quel punto non importava chi avesse ragione, o chi avesse ferito l'altro per primo, contava solo raggiungere l'obbiettivo e piantarla.
“Unità 44, datemi la vostra posizione. Il soggetto ha preso un ostaggio, abbiamo bisogno di rinforzi subito”, gracchiò una voce alla radio. Bogo.
Nick staccò il microfono dalla postazione, premette un tasto e rispose.
“Siamo in arrivo, capo. A meno di due chilometri, sulla F14”.
Veloci!” intimò loro Bogo.
“Hopps, i giubbotti antiproiettile sono sul pianale”, suggerì McHorn.
Judy si allungò per recuperarne due: il rinoceronte era in divisa e armato, loro due erano invece in abiti civili. Il collega era stato mandato a dare loro uno strappo dalla stazione alla centrale, quando, appena saliti in auto, avevano ricevuto la chiamata.
“Ci mancava solo un pazzo che mettesse a soqquadro il tribunale, oggi”, si lamentò quest'ultimo dando strattoni al volante.
“Nessuna idea del perché ha minacciato quel giudice?”, chiese Nick.
“Non che io sappia. Ma scommetto un cinquantino che il tizio ha in piedi una causa di affidamento dei figli. Sono quelli che sclerano più spesso”.
I tre tacquero, preparandosi mentalmente ad intervenire.

 

L'azione calma l'ansia e la paura, si sa.
Il pensiero che là dentro, in quell'edificio grossolano e sgraziato, un alce stava tenendo sotto tiro un ostaggio – se fosse il giudice, un dipendente o un visitatore non era ancora chiaro – riportò l'animo di Judy in uno stato di equilibrio e concentrazione totali.
Tocca a me scusarmi, si disse mentre raggiungeva i colleghi del distretto di Savana, che formavano un cappannello dietro due auto schierate a barriera.
Prima pensiamo a trarre in salvo chiunque sia stato sequestrato, poi, per primissima cosa, mi riappacificherò con Nick. A costo di camminare sui ceci.
“Hopps”, si presentò ai colleghi. “E lui è Wilde”, aggiunse indicandolo.
“Entriamo in servizio ora e non abbiamo avuto modo di recuperare le nostre armi”, spiegò.
“Nessun problema, agenti”, rispose un tasso di mezza età, che dall'atteggiamento doveva essere un veterano, senza neppure guardarla.
“Il capitano Bogo ci ha detto del vostro arrivo, vi abbiamo preparato queste”, aggiunse porgendo a ciascuno una sparadardi.
“Mi corre l'obbligo di avvertirvi che Reuben, il sequestratore, è in possesso di una normale pistola vecchio stile, una Sig Sauer”.
“Una Sig?” si stupì Nick, non tanto per l'oggetto in sé – in città le pistole tradizionali erano ancora tanto diffuse quanto le sparadardi, specie nel sottobosco criminale – quanto per il fatto che potesse essere stato introdotto in un tribunale.
“E... i controlli?”, intervenne Judy, esplicitando la perplessità di entrambi.
“I controlli in ingresso vengono effettuati sui visitatori, ma non su avvocati e giudici. E' assurdo, ma è così. Non lo sapevate?”, chiese il tasso.
Judy e Nick si sentirono un bel paio di deficienti.
“Non prendetevela. Siete in gamba, mi dicono, ma comunque dei novellini”. Li guardò, o sarebbe meglio dire squadrò, per la prima volta.
“Sembra proprio che Reuben abbia pagato, e profumatamente, un avvocato perché trasportasse l'arma all'interno. Sta là dentro a spifferare ogni dettaglio da un quarto d'ora”, spiegò un lupo alle sue spalle. “L'arma era nascosta in un cesso da almeno un mese, allo stronzo è bastato andarla a recuperare prima dell'udienza”.
“Non è uno stronzo”, dichiarò seccamente, a sorpresa, il tasso. “E' il soggetto, il sequestratore, quel che preferisci – ma non un nemico. Modera i termini per moderare il pregiudizio, Wess”.
Il lupo assentì con un grugnito.
Non era la prima volta che il suo capo gli impartiva quella lezione.
Su tutti i presenti calò un silenzio teso.
Si consultarono con i due uomini all'interno che per primi erano intervenuti, stabilirono un piano d'azione per accerchiare Reuben e indurlo a deporre l'arma, senza dover arrivare allo scontro.
Si disposero in due file e, raggiunto l'ampio ingresso, alcuni poliziotti penetrarono nell'edificio sfilando radenti alle pareti mentre altri – fra i quali Nick e Judy – si posizionarono in piedi sulle scale.
Il loro compito ora era quello di attendere, attendere soltanto, per prevenire una fuga.

 

Trascorsero due interminabili minuti.
Le radio agganciate alle spalline degli agenti rimasero mute.
Finché, dopo un ronzìo metallico, arrivò un'indicazione.
“Preparatevi a mettere in salvo l'ostaggio. Sta venendo verso di voi”.
“E il soggetto?”, chiese il tasso. “Informatemi sulla situazione”.
“Capitano Malloy... non c'è una situazione”, rispose la voce, ansante.
“Sarebbe a dire?”.
“Non abbiamo idea di dove si trovi Reuben. Ci ha tirato addosso un fumogeno, ha mollato la donna ed è sparito. Non abbiamo sparato alla cieca per non colpirla”.
“Avete fatto bene” lo rincuorò Malloy “ma ora non cercatelo. Uscite ed unitevi ad una squadra, a meno che non la incrociate strada facendo. Occhi aperti”.
Un fumogeno, cazzo, pensò tra sé il capitano. E poi cos'altro.
“Avanti”, ordinò, e gli agenti alle spalle sue e di Bogo si mossero in perfetta sincronia.
Nick si trovò così nuovamente di fianco a Judy e, avanzando in posizione d'attacco, parlò.
“Fai attenzione, ti prego. Ho bisogno di te” le disse sottovoce.
“Per chiarire la nostra scaramuccia, non per altro, ovvio”, aggiunse un secondo dopo, a titolo di tutela della sua dignità. O di ciò che ne restava: in quegli ultimi giorni si era praticamente strappato il cuore dal petto e gliel'aveva consegnato in un bel pacchetto con tanto di fiocco, perciò...
… altri quattro, cinque passi.
Sempre che ciò fosse possibile, in quella situazione di tensione, Judy si sentì intenerire.
Era una dichiarazione d'amore in piena regola, più bella di quella classica che le coppie si ripetevano in film e libri e che loro due ancora non si erano scambiati.
Avevano usato perifrasi, scherzato, sottinteso; ma non se lo erano ancora detto apertamente.
Forse spettava a lei rompere gli indugi.
Forse, quella circostanza non era migliore né peggiore di altre per farlo.
Così si risolse.
Altri passi avanti, altre scariche dalle radio che, sperava, avrebbero coperto a orecchie estranee le sue parole.
“Nick, io ti – ”
Si bloccò – lei, e tutto il mondo intorno – quando con la coda dell'occhio perse di vista il profilo della volpe che le camminava accanto.
Si volse appena in tempo per vederlo andar giù.
Il senso di quanto stava accadendo la raggiunse una frazione di secondo troppo tardi, accompagnato da uno spiacevole senso di estraneità.
Separata dall'evento fisico che l'aveva prodotta, la percezione degli spari si formò sulla superficie della sua coscienza nello stesso modo in cui la luce delle stelle raggiunge l'occhio animale – quando ormai tutto è compiuto, ed esse sono morte.
Si ascoltò gridare senza riconoscere davvero la propria voce.
“Nick!”.
Si piegò sul suo corpo a terra, ma subito fu spinta via dai paramedici.
Possibile che fossero già sul posto?
Erano stati chiamati mentre loro entravano?
“Nick!!”.
Li vide mentre gli posavano una maschera ad ossigeno sul muso, lo caricavano su una barella e gli tamponavano una ferita – uno squarcio – sulla gamba sinistra.
“Che guaio... gli ha beccato l'arteria femorale” udì uno di loro dire.
Si avvicinò e con la bocca secca, la testa intontita chiese di poter salire in ambulanza.
Le fu permesso e, per non rischiare, vi entrò ancor prima che la barella venisse spinta dentro.
Girandosi ad osservare la scena della quale era stata parte sino a un minuto prima, Judy si accorse infine che c'era sangue ovunque.
Non solo fiottava ancora dalla coscia di Nick nonostante questa fosse compressa dalle bende, ma colorava una larga parte del pavimento nell'atrio del tribunale.
E, immersi nel sangue, erano riversi i corpi di svariati poliziotti fra quelli che aveva visto muoversi e parlare a meno di un metro da lei; immobili.
“Nick...” chiamò di nuovo, inespressiva e improvvisamente tanto, tanto stanca; ma la sua debole voce fu sovrastata dall'urlo perforante della sirena bitonale.

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Capitolo 19
*** Deriva ***


Capitolo intenso e, direi, sofferto.
Il prossimo lo pubblicherò al più tardi lunedì 22 (ma non escludo di riuscirci prima).
Nel frattempo, voglio ringraziare di cuore tutti i lettori, i commentatori e questo splendido fandom, che mi fa sentire in famiglia.
Invito chiunque lo desideri a “entrare nella storia”, regalandomi un minuto del suo tempo per rispondere ad una piccola domanda – a fondo pagina.

 


 

XIX. Deriva

 

Non si tratta di una ferita allo stomaco, e quelle sono le peggiori, le aveva detto il medico mentre Nick era sotto i ferri.
Un medico fra i tanti, che non provava neppure a riconoscere.
E nessuno di loro si preoccupava di comunicarle il proprio nome.
Tuttavia la statistica indica che il due, tre per cento delle ferite mortali da arma da fuoco riguarda gli arti inferiori. Vedremo.
Vedremo: come a dire massì, chissenefotte.

 

L'aveva intuìto molto tardi, quella notte, buttata di traverso su una poltrona, incapace di mollare la presa e lasciarsi andare al sonno.
Non aveva la divisa a identificarla, né l'aveva avuta addosso Nick quando traghettato dalla barella aveva sfondato le porte oscillanti del pronto soccorso.
Nessuno o quasi li riconosceva come poliziotti, li considerava per il loro ruolo. E come si avvertiva quella distinzione, quanto evidente seppure invisibile appariva ora quel muro di silenzio.
Il distacco.
La silenziosa classificazione tra i comuni mortali: e i comuni mortali in quel luogo erano sudditi senza diritti, checché ne dicessero i codici etici.
Con un tocco delle dita Judy Hopps illuminò il quadrante del proprio orologio da polso. Le due e quaranta.
E niente va bene, pensò con un'ironia amara, del tutto priva della leggerezza che la volpe adagiata sul letto al di là del vetro sapeva infondere.
In un istante il concetto di tempo le si era frantumato dentro, tanto poco e già per lei quelle cifre non erano altro che questo: cifre.
Idee indefinite e volatili, sganciate dalla realtà e svuotate di concretezza. Significanti senza significato.

 

Le tre e venti.
Judy ricordava.
C'era stato il medico del vedremo, ma prima ancora, c'era stato quell'altro.
Non ne conosceva il nome.
Non sapeva di che colore avesse gli occhi – lui non l'aveva nemmeno mai guardata in faccia.
Una voce dolce, ma dalle parole brusche e crudeli, questo ricordava e avrebbe sempre ricordato.
Se aveva creduto che il dolore sarebbe loro venuto dal giudizio di estranei che non approvavano una coppia formata da una preda e un predatore, ora sapeva: la peggior cosa era non venire né giudicati, né condannati o assolti.
Solo ignorati, liquidati come una faccenda da sbrigare, da un professionista ammantato di bianco che ti uccide senza degnarti di un contatto – uno sguardo, una stretta di mano, un cenno – e subito ti volta le spalle.
Sì.
Cosa credeva, signorina? Il suo collega è stato colpito ad un'arteria importante, mi stupisce sia vivo. Indurremo il coma farmacologico, se ne varrà la pena. Smettesse di sanguinare, almeno; le aveva detto, e l'aveva piantata lì, in mezzo al corridoio altrettanto bianco e vuoto. Infinito.

 

Le tre e trenta.
Judy cercava un pensiero positivo cui aggrapparsi. Vanamente.
Non era soltanto l'idea che sarebbe andato tutto bene, che tutto si sarebbe risolto, che Nick si sarebbe ripreso; a desiderare.
Desiderava anche poter mettere una pezza, una toppa alla falla che stava al centro di quel nero racconto che s'andava raccontando, il racconto che, come spesso accade, i mammiferi che vivono un evento traumatico immaginano di fare nel futuro agli altri: quelli che non c'erano, che non erano presenti.
E la falla era questa: tutto era accaduto per sfortuna.
Sfortuna, e non imperizia o negligenza, o al contrario eroismo.
Solo sfortuna, e pensare che Nick potesse morire per sfortuna era insopportabile. Non avrebbe retto alla sua morte in ogni caso, eppure c'era apparentemente più senso e dignità in un lutto che aveva una causa riconoscibile da indicare, su cui indirizzare il pensiero e riversare il male e il dolore.
Ma in una perdita che non lasciava nemmeno una direzione da prendere per andare a fondo, stava annidato il massimo degrado del cuore.

 

Nulla accadeva, nulla sembrava muoversi all'infuori dei led intermittenti nella stanza della Rianimazione e del tracciato cardiaco che si componeva, sempre uguale nei suoi picchi e nelle sue cadute, sul monitor che rilevava i parametri di Nick.
Judy avrebbe voluto far qualcosa, qualsiasi cosa – fosse anche pulire i pavimenti dei cessi – per distrarre la propria mente dal suo costante, penoso turbinìo, ma non voleva allontanarsi da lì.
Come se staccargli gli occhi di dosso potesse essere fatale, come se il respiro del suo compagno potesse calare e spegnersi se lei non fosse stata lì a sostenerlo, a suscitarlo.
E in un certo modo si sentiva responsabile della tragedia, come se l'alce che aveva aperto il fuoco su di loro non avesse colpito anche altri, come se l'avesse armato lei stessa.
Ciò che ieri le era parso estremamente solido era ora carta velina.
La loro storia interrotta, senza darle il tempo necessario a scusarsi, a dirgli quanto lo amava. E non riusciva a credere che lui lo sapesse, che lo sentisse, che l'avesse capito nel momento in cui il proiettile era arrivato.
Sapeva muovere montagne per aiutare gli altri ma lì, sola ed obbligata ad occuparsi di se stessa e del fardello della propria fragilità, stentava ad amarsi. A concedersi tregua.
Era troppo tardi.
Pensavano di avere tempo, tutto il tempo del mondo.
Ma era già tardi.
Chiuse infine gli occhi, e quando li riaprì l'alba era prossima, una sottile e rosea promessa di sole all'orizzonte, che tuttavia la coniglia non poteva scorgere chiusa fra quelle pareti.

 

“Allora, posso?”.
La lotta era appena ricominciata. E si preannunciava aspra.
“Mi dispiace, signorina”, dichiarò l'infermiera di turno quel martedì mattina, un ghepardo dalla linea invidiabile.
Il pensiero di Judy andò a Ben: il collega aveva tentato di chiamarla per tutta la giornata, non potendo lasciare incustodito il suo posto alla centrale, ma lei non aveva risposto.
E la sera, quando le avevano annunciato la sua presenza all'ospedale, si era appartata il tempo sufficiente perché facesse visita a Nick e se ne andasse.
Non era in sé, non avrebbe retto. Ma sapeva che lui aveva bisogno di sapere come stava, tanto quanto lei aveva bisogno di piangere sulla sua solida spalla. Avrebbe rimediato.
“Signorina?”, la richiamò alla realtà l'infermiera. “Ha sentito?”.
Judy scosse la testa.
“Mi perdoni. Può ripetere?”.
“Dicevo che sono spiacente, ma ho ricevuto indicazione di far entrare nella stanza solo i parenti”, ripeté quella.
La coniglietta riconobbe le identiche parole utilizzate da un'altra infermiera il giorno prima. E dalla collega che le aveva dato il cambio.
Era la terza volta che le veniva negato l'accesso.
E l'ultima.
Come Nick avrebbe detto, bisogna conoscere bene le regole, così da infrangerle nel modo giusto.
“Capisco”, rispose quindi, poggiando il mento pensosa sulla zampa, mettendo così in mostra l'anello di fidanzamento.
Si prese un attimo prima di proseguire, lo sguardo assorto, a terra, la zampa inferiore che batteva un suo tempo interiore.
“In questo caso mi vedo costretta a restare confinata qui fuori. Credo che mi divertirò a fare alcune telefonate. Potrei organizzare un incontro fra amici: i revisori fiscali per esempio amano frequentare i grandi ospedali pubblici. E credo che anche certi vostri finanziatori in giunta comunale si unirebbero volentieri. Sì, farò così”, proclamò.
“Aspetti, mi faccia parlare un momento con la caposala” fu la pronta risposta.
“Purché questo momento non duri troppo. Altrimenti non attenderò ed entrerò senza di voi” decretò, rimettendosi seduta e tornando a osservare la volpe sdraiata immobile, parzialmente coperta alla vista da una miriade di tubicini.
L'infermiera se ne andò.

 

La caposala – una puzzola cui un elegante ciuffo bianconero ricadeva sulla fronte – fece il suo ingresso con passo deciso, tutta uno svolazzo mentre si avvicinava vagamente minacciosa al letto del suo delicato paziente.
Indossava un camice.
Ogni pezzo grosso lì dentro, medico e non, ne portava uno; rifletté Judy.
“Signorina”, la interpellò.
La coniglia cominciava a scocciarsi d'essere chiamata così: certo, tecnicamente lo era, ma sospettava che non si trattasse soltanto di un approccio cortese.
E subito ne ebbe la conferma.
“Lei non è sposata, corretto?”, le chiese la caposala. “Signorina, dunque”, ribadì senza attendere risposta.
L'infermiera doveva averle accennato all'anello.
“E' esatto, per adesso. Fino ad allora, intendo stare vicina al mio compagno. Senza un vetro di mezzo”, replicò Judy.
“Fino ad allora, temo, se non ha un legame ufficiale con il paziente non ha diritto ad assisterlo, ma solo a fargli visita. Fuori dalla stanza, per evitare di sollecitare il suo sistema immunitario già indebolito. E adesso, andiamo. La accompagno”.
“No”.
“Prego?”.
“Ho detto: no”, ripeté Judy, prolungando leggermente la o e rimarcandola con un accento polemico. Imitando Nick che, a Tundratown, aveva osato rimbeccare Bogo per difenderla.
Ora toccava a lei.
“Il suo paziente è il mio compagno. Non ha parenti, ha solo me. Sono già spaventata a morte, perciò non si illuda di potermi spaventare più di così”.
Non adesso, cazzo, pensò sentendo le lacrime premerle all'angolo degli occhi.
“A patto di utilizzare delle protezioni adeguate, non gli faccio correre alcun rischio”, aggiunse indicando la veste verde, la cuffia ed i sovrascarpe che si era messa prima di entrare.
“E lei lo sa... lo deve sapere, se la sua laurea vale qualcosa. Gli studi più recenti – e sto parlando di cose pubblicate su Nature – confermano che lasciare i pazienti in un ambiente che li priva del tutto di contatti con l'esterno e con i loro cari li danneggia, anziché aiutarli”.
La caposala fece per replicare, ma non vi riuscì.
“Gli ospedali di tutta Zootropolis stanno adeguando le loro linee guida. E mentre lei discute con il primario, e il primario discute con il direttore sanitario, io mi porto avanti e le applico, quelle linee guida”.
“Chiunque può leggere queste tesi cercando dei siti che le sostengono su Zoogle, ma ciò non significa che siano effettivamente valide”.
Per Judy era ora di mettere a frutto le sue navigazioni notturne su smartphone, semi-deliranti eppure utilissime.
“Se lei ritiene che dieci studi sottoposti a peer rieview e pubblicati su una delle più importanti testate del settore non valgano nulla, forse non dovrebbe lavorare qui. E comunque ho fatto le mie ricerche sugli archivi PubMed e Cochrane, non su Zoogle”.
Detto ciò, estrasse dalla tasca posteriore dei jeans un oggetto che aveva l'abitudine di conservare, per ogni evenienza, nella propria borsetta: un paio di manette.
La prima l'assicurò al proprio polso destro e la seconda, che al movimento rispose tintinnando e mandando un bagliore metallico, la fissò alla stecca centrale della spondina del letto.
“Per spostarmi da qui dovrà chiamare la polizia. Ha presente, no? I nostri colleghi”, annunciò Judy, appena prima di infilarsi in bocca una minuscola chiave e deglutire.

 

Erano trascorse oltre due ore da quando, con un trucchetto da baraccone di luna park, Judy aveva imposto la propria volontà sulle due operatrici sanitarie.
Credeva di conoscere abbastanza bene quel mondo, ma si accorse con amarezza, e una punta di fastidio per la propria ingenuità, che visitare mammiferi in ospedale non equivaleva nemmeno lontanamente a sapere come prendersene cura. E saperli difendere, anche dalla durezza di chi per mestiere dovrebbe curare, non ferire.
Adesso, sola in quella stanza con un Nick privo di coscienza e l'unica compagnia dei bip costanti dal monitor, si sentì di nuovo improvvisamente fragile.
Con fatica si soffermò a guardare il corpo inerte della volpe, e ciò che vide le fece male.
Le venne in mente ciò che si sentiva dire a volte delle salme: sembra addormentato, così tranquillo.
Ma non era vero: che il suo non fosse un sonno naturale era palese, il coma, per quanto indotto e non profondo, ne trasformava i lineamenti ed alterava la postura.
O meglio, la annullava quasi: l'impressione che il suo Nick fosse più accasciato sul letto che adagiato, come un bambolotto incapace di reggersi da sé, la indusse a distogliere lo sguardo e la portò vicina ad urlare.
Ora capiva cosa aveva voluto dire domenica sera.
Come si era sentito, di cosa aveva avuto paura.
Era stata ingiusta, sì.
E forse, addirittura, aveva avuto ragione lui: forse lei non era pronta.
Forse non era in grado, forse non era la persona giusta per stargli vicino.
Tuttavia non sapeva essere nessun altro se non se stessa, Judy Hopps, una coniglia testarda e impulsiva.
E da brava impulsiva avrebbe continuato a fare gesti sconsiderati pur di rimanere con Nick.
Da brava testarda avrebbe continuato a provare.

 

Un'altra ora, e Judy cominciava a sentire i morsi della fame.
Ad aver bisogno di pisciare, e a differenza di Nick non aveva un catetere.
Ma non poteva allontanarsi, non poteva lasciarlo... incustodito.
Non finché, come aveva preteso, non le fosse stata consegnata un'autorizzazione scritta a restare al suo fianco per tutto il tempo necessario.
Così, un po' alla volta, la coniglia scivolò in un curioso stato d'animo per il quale tutta l'angoscia accumulata taceva, tutti i piccoli impicci apparivano lontane inezie, e niente in fondo aveva davvero importanza.
Se niente importava, ad eccezione del fatto che il suo posto era lì, non c'era altro da dire o fare se non aspettare.

 

Osservava la folla delle visite di mezzogiorno camminare in su ed in giù per il corridoio, avvertendo il contrasto tra la frenesia al di fuori della stanza e la calma pesante che che vigeva di dentro, come quando si poggia una zampa calda sul vetro freddo.
Poi lo vide avanzare a stento fra gli altri mammiferi, e il suo cuore fece un balzo: non poteva definirlo di felicità, in quella circostanza, ma il sollievo fu enorme.
“Benjamin!”, lo salutò non appena il collega fece il suo ingresso.
Si abbracciarono a lungo.
“Judy, non sai quanto mi dispiace”, disse il ghepardo.
La coniglia non si trattenne più e si lasciò andare al pianto.
C'erano mammiferi con cui ci si sentiva più liberi di mettersi a nudo, e Clawhauser era uno di questi.
“Oh, no no no” reagì lui. “Non volevo – ”
“Non fa niente, non è colpa tua Ben” lo fermò Judy. “Anzi, sono io che devo scusarmi” aggiunse. “So che sei stato qui, ieri, ma non me la sentivo proprio di vedere nessuno e mi sono allontanata. Ora va un po' meglio”.
“Non posso neanche immaginare come ti senti. Perciò niente scuse, d'accordo? Hai il diritto di stare male, Judy”, le disse lui guardandola con decisione negli occhi ancora lacrimanti.
“Sei qui da sola?”, chiese poi.
“Beh, sì. Ma non preoccuparti, i miei genitori sono arrivati in città ieri sera. Stanno a casa di Nick, ho chiesto loro di portarmi alcune cose sue. Più tardi mia madre passerà di qui”, rispose lei.
“Così sono più tranquillo” sorrise tristemente Ben. “Ma non capisco perché sei ammanettata al letto...”, aggiunse, stranito.
“Oh, già. E' una lunga storia, ma per riassumere: il personale non vuole che io resti qui dentro, perché, beh, non sono una parente. Non ufficialmente. E così ho dovuto inventarmi qualcosa”, spiegò.
“Ah!”.
“Pensano che abbia ingoiato la chiave”, disse ancora lei, scuotendo la testa per sottolineare quanto lo trovasse assurdo.
“Mentre l'avevo soltanto nascosta nella guancia”, e da lì la tolse con un gesto veloce per mostrargliela.
“Spero di convincerli a lasciarmi restare qui, e se lo faranno, le aprirò. Nel caso, reggimi il gioco...”.
“Non c'è problema. Ma non strapazzarti troppo, ti prego”.
“Ci proverò. E tu? Mi hai... portato qualcosa?”, gli chiese allora Judy.
“Intendi il fascicolo del caso Reuben?”.
“Ovviamente”.
“Sì e no. Il capitano ti ha escluso dalle indagini, lo sai, e quindi... e poi tu hai bisogno di pensare a Nick, adesso”.
“Ho bisogno anche sapere cos'è successo, Ben” replicò lei. “Perché Reuben ha fatto quel che ha fatto. Se è vivo. E quanti di quelli che erano vicino a noi in tribunale sono ancora vivi, quanti invece no. Hai detto sì e no, cosa intendi?”, concluse.
Non le importava di partecipare alle indagini, non questa volta. Ma voleva, doveva sapere. Essere al corrente, come chiunque altro, più di chiunque altro.
“Ecco, questo intendo” rispose il ghepardo, estraendo da una borsa di carta un mazzo di fogli tenuti insieme da una graffetta, inseriti in una cartellina trasparente.
“Non posso portarti il fascicolo, Judy. Davvero. Ma te l'ho fotocopiato: così non ci sarà alcuna mancanza di cui Bogo si potrebbe accorgere. Ho provato a chiedermi cosa avrebbe fatto Nick al mio posto, sai”.
Judy prese dalle sue zampe la cartellina.
“Oh, Ben”, riuscì soltanto a dire. “Vieni qui”.
Lo abbracciò ancora, così stretto che affondò con la testolina nella sua morbida pancia. Il ghepardo ricambiò, attento e delicato.
Avrebbe voluto fare di più per lei, molto di più, ma non sapeva né cosa né come. Al contrario, gli toccava ora un compito ingrato: darle una notizia che non le sarebbe per niente piaciuta. Accidenti al capitano.
Sciolse lentamente l'abbraccio e sospirò.
“Judy, c'è un'altra cosa”, cominciò.
Esitò un secondo, ma poi trovò che fosse meglio sputare l'osso il più in fretta possibile.
“Sembra che la ZNN abbia insistito per anticipare l'intervista. E per farla a te, da sola”, concluse, gli occhi a terra.
Judy si prese un istante per assorbire il colpo.
“E sia”, disse poi. “Se quegli avvoltoi hanno annusato il sangue fresco e vogliono approfittare di questa tragedia, diamogli ciò che vogliono. Me la caverò”, sostenne, con gran sopresa del collega. “Ci sono delle cose che ho una gran voglia di dire, e non c'è occasione migliore”, precisò.
Altro che “fatevi trovare preparati”, pensò.
“Dì pure a Bogo che va bene. Ma per quando è?”.
Ancora una volta Ben sospirò.
“Domani sera, Judy”, fu la risposta. “E' da pazzi”.
“Da bastardi, vuoi dire. Ma va bene. Dì a Bogo che è okay. Ad una condizione: in qualunque momento, se Nick dovesse aver bisogno di me, mi alzo e pianto tutto. Tienimi aggiornata...”.
“Senz'altro. E tu tieni aggiornato me, tutti quanti in centrale vogliamo sapere sempre come state”.
“Lo farò” disse Judy. “Staremo bene, vedrai”, aggiunse, sperando che affermarlo ad alta voce lo rendesse vero.

 

Senza Ben a distrarla, la coniglietta stava per tornare a chiedersi se ammanettarsi al letto fosse stata, dopotutto, un'idea idiota anziché geniale.
Ma non ne ebbe il tempo, poiché nemmeno due minuti dopo che il collega se ne fu andato la caposala e la sua “gheparda da guardia”, come l'aveva ribattezzata, tornarono.
Scortate dall'ennesimo, sconosciuto dottore, o meglio dottoressa.
Stavolta, con immane sollievo, Judy scoprì che seppure la tensione tra loro aleggiasse ancora c'erano due sorprese positive per lei.
La prima – non ci aveva davvero sperato, ma eccola lì nero su bianco – era proprio l'autorizzazione a fare le veci di un familiare per Nick, redatta dallo staff del direttore sanitario.
Nonostante la volpe non avesse avuto l'occasione di segnalare la compagna come persona di riferimento, cui rivolgersi in caso di necessità, la loro relazione era nota a Bogo, che interpellato telefonicamente aveva subito acconsentito a fare da garante.
Judy non avrebbe potuto prendere decisioni sulle cure, ma adesso era libera almeno di essere presente quanto voleva ed assisterlo per come poteva.
“Le dobbiamo chiedere di uscire, ora, agente Hopps”, le ricordò la dottoressa, un'ippopotamo dall'espressione piuttosto seria.
“Se questa visita confermerà che l'agente Wilde è stabile, entro un'ora potremo dimetterlo dalla Rianimazione e lo potrà rivedere in una stanza di degenza. Così mi auguro”, spiegò.
Senza riuscire a spiccicare parola e di nuovo con le lacrime agli occhi, Judy annuì con un'ombra di sorriso che sperava la dottoressa cogliesse.
Era la prima mammifera lì dentro cui sentiva di poter essere grata.
Tolse dalla bocca la piccola chiave delle manette, la mostrò con un cipiglio appena accennato alle due infermiere e si liberò.

 

“E' tutto a posto, a casa? Ti sei ricordata di chiudere la porta?”.
Se la situazione non fosse stata quella che era, Bonnie Hopps avrebbe riso di gusto: sua figlia le stava facendo le tipiche domande che di norma fa un genitore alla prole quando non ce l'ha sotto controllo.
“Sì, Judy. E' tutto a posto, tranquilla: ho messo un po' in ordine, solo una spolverata e senza toccare nulla di privato naturalmente”, rispose.
“Hai fatto bene”.
“E ho chiuso la porta”.
“Grazie, mamma”.
“Non occorre che mi ringrazi, tesoro. Lo farà Nicholas, quando si sveglierà”, le rispose la coniglia con una determinazione nella voce che non ammetteva dubbi, accarezzandole il muso.
“Oh, mamma... e se... se non succedesse?”.
“Succederà, Jude. Devi solo avere pazienza”.
“La pazienza ce l'ho. Ma se scoprissi che non sono capace di aiutarlo? Di dargli quello di cui ha bisogno? Cosa faccio, mamma?”.
Bonnie le posò le zampe sulle spalle.
“Ascolta, tesoro. Lo so. E' difficile, e sei stanca”, le disse.
“E' normale avere questi pensieri, ma credimi, tu sei più che capace di stargli vicino, sveglio o non sveglio. E quello che ti sembra di non sapere o non saper fare, lo imparerai. Imparerai quel che basta. Io ti aiuterò, io sono qui con te”, la rassicurò.
“E al momento giusto, tornerete più uniti di prima. Hai capito, Jude?”.
Si stavano abbracciando quando la porta della stanza, una stanza di degenza come promesso, si socchiuse.
“Perdonatemi”, sussurrò un puma, alto e slanciato, entrando.
Indossava la divisa bianca col colletto bordato d'azzurro che Judy, a quel punto, sapeva bene appartenere agli infermieri.
“Devo chiedervi di uscire, signore”, continuò. “Solo die – ”
“Lei è mia figlia”, tuonò Bonnie all'improvviso, congelando tanto l'infermiere quanto Judy stessa.
“E quello è il suo compagno”, aggiunse indicando Nick.
“Devono sposarsi, perciò sarà meglio per lei se non ci crea noie, perché non può nemmeno immaginare quante potremmo darne a lei con una denuncia. Abbiamo tutto il diritto di stare dove stiamo” puntualizzò pensando a quanto Judy le aveva raccontato.
La reazione del puma fu un sorriso caldo e caloroso.
Era al corrente della situazione, e sapeva anche che la più famosa coniglietta della città aveva sì dei diritti, ma piuttosto limitati.
A cosa serviva un infermiere però, se non a facilitare la vita di chi aveva a che fare con lui?
“Lo so bene” disse perciò.
“E mi trova d'accordo: non dovete permettere che vi tengano a distanza. La legge è legge, non credo di doverlo spiegare proprio a lei”, precisò rivolgendosi a Judy. “Ma la si può applicare anche senza ferire le persone più dell'inevitabile”.
Le due coniglie si guardarono, sentendosi per la prima volta alleggerite di un grande peso.
“Fa bene sentirlo dire” intervenne allora Bonnie. “So che sono stata inopportuna. Ma non me ne pento, se è per proteggere mia figlia”.
Il puma annuì.
Rifletté un momento, incerto se fosse o meno il caso di proporre quel che giusto allora aveva pensato.
Ma, in fondo, aveva davanti una coppia particolare, e il fatto che lui stesso fosse un predatore, per di più maschio, forse avrebbe imbarazzato quella coniglia meno di molti altri mammiferi.
“Senta, Judy”, disse allora, cercando di creare un minimo di confidenza.
“Io sono venuto per Nick. Ha bisogno di essere lavato. Dieci minuti basteranno, per questo vi stavo chiedendo di uscire, ma... se lei lo desidera, posso mostrarle come si fa. Se le va, e se non la imbarazza, naturalmente”, suggerì.
Judy non se l'aspettava, ma sì, le parve una cosa bella.
“E' un lavoro che spetta a noi, beninteso”, disse l'infermiere. “Ma molti parenti ci tengono, a farlo da sé. Preferiscono essere loro ad occuparsi di un'azione tanto intima”.
“A me sembra una buona idea, tesoro”, confermò Bonnie.
Judy non ebbe bisogno di pensarci su.
“Non sappiamo quanto durerà questo stato di cose. E sì, è vero: non pensavo che si potesse, ma vorrei essere io ad occuparmene”.
Si volse verso Bonnie.
“Vai pure a casa, mamma”, le disse con un abbraccio veloce.
“Va bene. Mandami un messaggio più tardi. E ti prego, se non ci sono novità raggiungici, stasera. Hai bisogno di recuperare sonno. Lo so”, aggiunse prevenendo l'obiezione della figlia “vorresti restare qui sempre. Ma non sarai di nessun aiuto a Nicholas se ti stanchi troppo” la avvertì.
“E ti sei presa un impegno per domani sera: tanto vale fare le cose bene, e non pensarci più. Io e papà ti aspettiamo” concluse dolcemente.
Un ultimo sguardo alla volpe, una preghiera silenziosa, e la coniglia uscì.

 

La seconda notte trascorsa in quel limbo, nell'attesa che qualcosa accadesse mentre Nick se ne andava alla deriva chissà dove, Judy scoprì molti dettagli in merito al giorno precedente.
Innanzitutto, dalla copia clandestina del fascicolo che Ben le aveva portato seppe che i poliziotti morti durante la sparatoria in tribunale erano tre. Gli altri corpi che aveva visti a terra, capì allora, erano di colleghi fortunatamente solo feriti.
Prima che l'alce fuori di senno venisse ucciso a sua volta, era riuscito ad esplodere più della metà dei colpi da una P226 con caricatore bifilare, che ne contava quindici.
Non aveva sparato alla cieca: era stato una guardia giurata, sapeva mirare.
E sì, McHorn ci aveva preso in pieno – un'espressione quanto mai adatta – Reuben aveva sbroccato dopo anni di lotte con l'ex moglie per la custodia del figlio.
Sfogliando oltre, lesse le testimonianze dei presenti.
Ed ebbe un chiarimento su quel che era successo dopo gli spari, quando si era chinata su un Nick già privo di coscienza: se le era sembrato che i paramedici fossero arrivati alla velocità della luce, era perché da quel momento sino al loro arrivo era caduta in stato di shock.
Era rimasta inebetita, bloccata ed inservibile per interi minuti.
Mollò le carte e tornò ad appallottolarsi nel letto di Nick.
Senza di lui.
Pensando che quelle lenzuola erano fredde.
Non morbide come lui.
Non pregne del suo odore intenso, selvatico, diverso; ma capaci solo di un esile sbaffo che bagnò il suo naso e scomparve rapido, lasciandole una sete ancora più forte.
Tutto ciò che aveva attorno apparteneva a Nick, ma non glielo restituiva.
Verso le due si addormentò, spossata; l'mPhone acceso per ogni evenienza.
 


 

Prima di salutarvi e restare in attesa dei vostri commenti, vi chiedo: se toccasse a voi intervistare Judy, c'è una domanda (di qualunque genere) che vorreste assolutamente farle?

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Capitolo 20
*** Connessioni ***


Piovono lettori. Pare che ospedali e litigi abbiano scoraggiato qualcuno, ma per contro la cifra di chi segue la storia continua a salire, e diverse persone mi hanno scritto in privato: a tutti un grosso Grazie.
A questo giro ho inserito nel testo un link, che rimanda ad una storia di MadogV: una sorta di contro-tributo, ma prima di tutto una doverosa citazione delle fonti ;)
Siamo in dirittura d'arrivo: dopo questo, conto di pubblicare altri due capitoli e con essi chiudere la fic. Già ne avverto la mancanza, ma sento che questo piccolo percorso con J&N è arrivato a compimento; e va bene così. Senza forzature.
E adesso... in onda!

 


 

XX. Connessioni

 

La città sfilava lentamente fuori dai finestrini del taxi, brulicante di vita.
Mancavano ore all'intervista, ma Judy aveva dovuto lasciare Nick alle cure di Bonnie e degli infermieri: la aspettavano liberatorie da firmare, chiacchiere di prammatica, trucco e parrucco; in due parole: la noia.
“Si sente pronta, agente Hopps?”, le chiese Bogo, seduto di fianco a lei dietro al conducente.
“Definisca pronta, capitano. Preparata non sono di certo, anche se avrò tempo per parlare con la Carter. Vorranno imbeccarmi, ma se lo possono scordare. Dunque, di fatto, si va allo sbaraglio... ma, per il resto, credo di potercela fare”.
“Se posso permettermi un consiglio, vorrei ricordarle ancora una volta che questa non è una conferenza stampa. E soprattutto non è più quella conferenza stampa. Si senta libera di dire quello che vuole, perché non comprometterà alcun caso... e della serenità di quei burattini che hanno organizzato tutto questo, poco m'importa. Chiaro?”.
“Chiaro, capo”, rispose Judy.
Ne avevano già parlato: la rete aveva fatto pressione sul sindaco per averla ospite subito, quando il fatto del tribunale ancora faceva clamore e la discussione sulla pubblica sicurezza era calda.
Pena un fuoco di fila di commenti di pseudo-esperti che avrebbero affossato la sua reputazione.
Di conseguenza, il sindaco aveva fatto pressione su Bogo per farla partecipare allo show, raccomandando cautela.
Ed eccolì lì.
Mentre attraversavano Sahara Square, Judy vide il proprio volto ingigantito dallo schermo di un televisore in definizione UHD.
Una scritta in sovraimpressione annunciava che quella sera sarebbe stata presente in studio.
“Per quel che vale” aggiunse Bogo guardandola “ho detto a Lionheart che poteva infilarsi la cautela... tra i pidocchi che gli infestano la criniera. Ma in francese, se capisce che intendo”.
Judy rise, per la prima volta da svariati giorni.
“Sì, alle medie ho fatto un breve corso di francese”, rispose.
“E a proposito, prima che me ne scordi... volevo ringraziarla. Per aver messo una buona parola con i vertici dell'ospedale. E' stato molto importante, per me”.
Bogo si voltò verso il finestrino prima di scrollare le spalle e buttar lì un laconico “Nessun problema, Hopps”.
Se lo conosceva anche solo un decimo, Judy pensò, si era voltato per nascondere la commozione.
Era appena stato al Cedar a far visita a Nick, e tutto ciò che era stato in grado di dire, prima di scortarla fuori per accompagnarla agli studi televisivi, suonava così: “Sbrigati a rimetterti in verticale, Wilde. Per te tutte le scuse sono buone per poltrire”.
Arrivati a ridosso del grattacielo scintillante di sole in cui gli studi della ZNN avevano sede, il bufalo allungò una banconota al tassista e poi posò lo zoccolo sulla spalla della sua agente.
“Faccia buon uso di quella informazione riservata, mi raccomando. E buon divertimento”, le disse.
“Farò del mio meglio”, rispose Judy scendendo dalla vettura.
L'ultima cosa che vide prima di entrare, su un pilone di cemento del grattacielo, fu una scritta dipinta in blu con una bomboletta spray: ACAB.
La riconosceva, si trattava di una nota sigla diffusa soprattutto fra i ragazzi dei quartieri più problematici di Zootropolis. Per esteso, all cops are bradipus.
Sospirò, passando oltre.
Non era facendo la guerra alle scritte sui muri che avrebbero potuto cambiare le cose.

 

Ora che finalmente nessuno più la sospingeva da un ufficio all'altro, dal camerino alla sala trucco, dalla sala trucco alle quinte, Judy poté liberare la mente e concentrarsi sull'obbiettivo: sopravvivere.
E siccome gli ostacoli sono quelle cose terribili che si vedono quando si distoglie lo sguardo dall'obbiettivo, come disse un saggio, accantonò ogni pensiero sulle odiose ciglia finte che le avevano applicato, sul vestito bello ma vistoso...
…. per non parlare del fatto che l'avrebbero volutamente fatta intervistare da una pantera, e fatta sedere su una poltrona grande il doppio di lei: tutti trucchi per farla apparire più indifesa di quanto non fosse.
Meno male che non ho dovuto discutere per il cellulare, si disse. I media, a differenza di certi sanitari, hanno il senso dell'opportunità.
Lo ricontrollò per l'ennesima volta: era acceso, carico, e c'era campo.
Se qualcosa – qualunque cosa – fosse successa Malick, il puma gentile che aveva conosciuto la sera prima e che in quel momento era di turno, l'avrebbe avvertita. Con questa sicurezza avrebbe potuto affrontare anche un attacco zombie.
“Si sente pronta, Judy?”, le chiese Jessica Carter, la giornalista, accomodandosi sulla poltrona gemella di fronte alla sua, leggermente inclinata a favore delle telecamere.
“Direi di sì”, rispose lei.
“Allora cominciamo...”.
Un assistente di studio mimò con le dita un conto alla rovescia, al termine del quale un led rosso si accese sulla macchina tre.
La Carter, spalle in dentro e petto in fuori, il sorriso smagliante che risaltava sul nero velluto della pelliccia, accolse il suo pubblico con impeccabile savoir-faire.
“Signore e signori mammiferi, gentili telespettatori, benvenuti a questa nuova puntata di Linea Diretta! Sempre qui per voi su ZNN, la vostra rete di fiducia, Jessica Carter”, esclamò con un entusiasmo che a Judy fece girare la testa.
Vide la macchina due avvicinarsi a lei, il led acceso, e sorrise in direzione dell'operatore. Per fortuna l'avevano almeno istruita su come muoversi.
“E' qui con noi, per una serata davveeero speciale, la poliziotta più famosa di tutta Zootropolis: l'agente Judy Laverne Hopps!”.
La coniglietta sorrise di nuovo ed agitò brevemente una zampa. Inutile salutare: il boato che si alzò nello studio, sapientemente pilotato da un babbuino che dava indicazioni al pubblico, l'avrebbe coperta.
Le formalità erano finite lì, d'ora in avanti sarebbe stata, come avevano concordato, soltanto Judy.
“Allora, Judy, benvenuta. E' un piacere averti tra noi...” riprese la Carter, in tono immediatamente più pacato.
“E' un piacere anche per me”, rispose educatamente lei.
“... ed è un vero peccato che il tuo collega, Nicholas Piberius Wilde, non sia presente. Tutti noi sappiamo che due giorni fa c'è stata una terribile sparatoria nel tribunale della città, grazie alle edizioni straordinarie del nostro Tg. Come sta ora il tuo partner?”, le chiese a bruciapelo.
Judy riconobbe al volo il gioco a cui stavano giocando.
Voleva emotività? Era una maestra in questo, gliel'avrebbe data.
“Non bene, Jessica, purtroppo. E' ancora in coma, e non sappiamo se e quando si riprenderà”, rispose.
“Se solo l'amministrazione stanziasse quei soldi promessi mesi fa ai capitani di distretto per incrementare l'equipaggiamento della polizia, si potrebbero prevenire molti futuri incidenti”, aggiunse.
“Ne sono certa. E ti prometto qui, davanti a milioni di mammiferi, che la ZNN non mancherà di monitorare l'attività degli assessori e del sindaco”.
Beccati questa, Lionheart. Puoi rimbalzare Bogo, ma non questi mastini.
“Ti ringrazio, Jess”, fece Judy fingendo complicità.
“Ma quel che è stato è stato, e mi chiedo... cosa faresti se l'agente Wilde non si svegliasse dal coma... o peggio, non ce la facesse proprio?”.
Fosse fortuna o intelligenza, Judy la coltellata se l'era aspettata.
Chinò il capo alcuni secondi, e poi:
“Non posso negare di essermelo chiesto anch'io. E so che non questo non risolve niente, non è una risposta, ma ecco: in questo momento, come direbbe Nick, vivo la mia vita un quarto di miglio alla volta. E' tutto quello che posso fare per non... impazzire” ammise.
La pantera annuì con aria grave, l'atmosfera in studio si era fatta tesa.
“E' evidente che ti sei molto affezionata a Nick”, rilevò.
“So che già molte volte ti è stata rivolta questa domanda, ma permettimi di fartela di nuovo, a beneficio dei nostri telespettatori: come sei riuscita a vincere la diffidenza e ad avere un rapporto così stretto con un predatore?”, chiese, rigirandosi il filo di perle che indossava tra le dita.
“Per di più proprio mentre tutta la città era in ansia per il rischio che noi predatori ridiventassimo selvaggi... lasciatelo dire, una cosa è avere amici di altre specie, li abbiamo tutti. Un'altra è affidarsi in un momento critico a qualcuno di così... diverso da noi. Non trovi?”, la stuzzicò.
Judy sapeva cosa doveva fare, a questo punto.
Era stato proprio Nick ad insegnarglielo.
“Mi stai chiedendo cosa mi ha dato tanta fiducia in lui, anche quando non sapevo ancora cosa scatenava l'aggressività nei predatori? Vorresti sapere se sono stata semplicemente ingenua, o se invece c'è un motivo particolare?”, incalzò, ribaltando i ruoli.
La Carter, ammirata, si limitò a confermare: “Sì, mi piacerebbe saperlo”.

 

Judy sapeva che la sua risposta avrebbe significato molto per molti mammiferi, che avessero o meno rapporti frequenti con specie diverse dalla propria.
Una gran parte della città era in ascolto: intere famiglie nelle proprie case.
Bogo e Clawhauser, ciascuno sul proprio smartphone, seguivano la trasmissione in streaming.
I suoi colleghi, a capannelli davanti ai vecchi schermi scassati dei vari distretti o con l'orecchio alla radio delle auto di pattuglia, stavano facendo altrettanto.
E, naturalmente, non doveva scordare – non doveva dubitare – che presto anche Nick l'avrebbe vista su YouTube.
Lo sapeva, Judy, tutto questo; ma non aveva intenzione di fornire una risposta facile, consolatoria o preconfezionata al problema.

 

“Allora puoi chiamarmi ingenua: io non sento di esserlo stata, perché lui non mi ha mai messo in evidente pericolo e non avevo motivo di tenerlo a distanza” esordì.
“Ecco, vedi, si tratta di questo. Siamo abituati a chiederci: perché dovrei fidarmi?, e alziamo muri per difenderci senza sapere bene da cosa. Così non lasciamo che le cose buone accadano... io non sapevo, prima di conoscerlo, che tipo di persona fosse Nick. E fra parentesi, detto fra noi e qualche milione di altri mammiferi, è una persona splendida. Ma, ripeto, non lo sapevo: l'ho scoperto dandogli una possibilità”.
Dal pubblico partì un applauso sentito e, stavolta, spontaneo.
Judy notò con piacere che ad esprimere la loro approvazione non erano soltanto i predatori, ma anche le prede.
“Hai dichiarato più volte che senza l'aiuto di Wilde non avresti potuto, da sola, chiudere il caso Bellwether”, riprese la pantera.
“E anche stasera non fai che tesserne le lodi: vuol forse dire che non ti meriti la fama di poliziotta brillante che ti circonda?”.
Ecco il secondo colpo basso, pensò la coniglietta.
“Se sono una poliziotta capace, mi chiedi? Onestamente, penso di poter rispondere di sì. Ma sono anche presuntuosa? Non sta a me rispondere, ma spero che i miei colleghi ed amici direbbero di no. Mi piace dare a Judy quel che è di Judy, e a Nick quel che è di Nick”.
La Carter sfoggiò un ampio sorriso, che poteva ben figurare in uno spot per uno studio dentistico, e ammiccò verso la telecamera.
“L'avete sentita, gente? Non è davvero fantastica?”.
E si vedeva che lo pensava sinceramente, al di là dell'inflessione retorica che aveva dato alle sue parole.
“Dunque, mi pare di capire che lavorare a stretto contatto con una volpe non ti limita”, asserì.
“Al contrario: ciascuno di noi compensa i punti deboli dell'altro”, rispose Judy senza sbilanciarsi.
“E siete una coppia affiatata”, osservò ancora la giornalista.
Ci siamo, pensò la coniglietta.
Sta per arrivarci, ma la precederò, come ci aveva suggerito di fare Bogo.
“Sì, Jess... siamo una coppia affiatata, sul lavoro e anche nella vita privata”, disse, scandendo bene l'ultima parte della frase.

 

Il sommesso chiacchiericcio che aveva intessuto l'aria di Sahara Square fino ad allora si spense, di botto.
Migliaia di mammiferi sostavano sulla superficie dell'intera piazza, gli occhi al cielo, o meglio puntati sul mega-televisore che campeggiava sulle loro teste retto da un'imponente struttura d'acciaio.
Migliaia di mammiferi ebbero una prima, silenziosa reazione a quell'affermazione.
Chi la considerava una rivelazione, in ogni senso, una vera e propria bomba mediatica; chi ci avrebbe scommesso che quei due se la facevano; chi lo trovava romantico, o sconveniente, o non così eccezionale.
Poi il parlottìo riprese, tutti si scambiarono impressioni ed opinioni con tutti, e non passò un minuto che spuntarono i primi mPhone.
Non una sola connessione wi-fi nell'isolato rimase inutilizzata.
Nel sottopancia che riportava il nome di Judy Hopps sullo schermo, erano appena apparsi un numero verde ed un indirizzo mail a cui inviare commenti e domande per l'ospite della serata.

 

Jessica Carter conosceva bene il proprio mestiere, e sapeva che quello era il momento adatto per investire la sua star di quella puntata con una mitragliata di domande.
Per non inimicarsi il pubblico, però, la miglior cosa era scaricare l'onere di quella aggressione verbale... sul pubblico stesso.
Così, dopo essersi portata una zampa alla bocca per accompagnare il suo Oh! di stupore, riprese immediatamente la parola.
“E' per questo che l'agente Wilde, che secondo le nostre fonti prima di entrare in polizia conduceva una vita criminale e... un po' randagia, è tanto cambiato?”, le chiese. “Per amore?”.
“No”, Judy rispose soltanto.
Non era l'assist che la giornalista aveva sperato di ricevere.
“No?”.
“No, Jess, è impossibile. Lavoriamo insieme da oltre un anno, ma stiamo insieme solo da... beh, una settimana”.
“Certo, capisco. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i tuoi genitori, Judy. E parlo proprio dei tuoi, in quanto genitori di una preda. Sono spaventati, arrabbiati?”, chiese la pantera.
“E' quello che si domanda anche Matthew di TundraTown, uno dei tanti nostri telespettatori che ci hanno scritto da casa. Vuoi rispondere, o sfioro un argomento troppo delicato?”.
“Figurati”, rispose pronta Judy.
Ancora una volta, decise che dire la verità avrebbe pagato.
“Ovviamente, Jess. Non voglio raccontare favole a nessuno, non è stato facile. Ma come per tutte le cose che contano, non ho ceduto”.
“E' questa la Judy che tutti conosciamo”, replicò amabilmente la Carter.
“Ce n'è anche una che non conoscete”, suggerì lei.
“E cosa vuole raccontarci, questa Judy segreta?”.
“Segreta... no di certo! Chiunque può dirti quanto amo i miei genitori” disse lei schioccando un bacio e soffiandolo dalla propria zampa alla telecamera che la inquadrava.
Era il modo più semplice che aveva per dichiarare che non era una ribelle sconsiderata. Altrimenti, molti adulti che la stavano ascoltando avrebbero potuto irrigidirsi ancora di più, e non avrebbe aiutato nessuno.
“E dove sono ora i tuoi genitori, Judy? A Bunnyburrow?”.
“Sono qui in città, in ospedale. Ho chiesto loro di far compagnia a Nick finché non fossi tornata”, spiegò la coniglietta un po' timidamente.
“Che ten... che dolce”, si corresse rapida la pantera.
“Eppure ci sono mammiferi che ancora non credono alla possibilità che una coppia interspecie possa funzionare: come risponderesti a questi dubbiosi?”, chiese, mentre indicava un messaggio appena arrivato in redazione che compariva sul vidiwall.
Ci ho provato anch'io, Judy! Ma mi sono illusa, una pecora ed un lupo non sono fatti per stare insieme... era solo attrazione fisica... Baci, Tess.
Non se l'aspettava. Ma la Carter le evitò lo sforzo di rispondere, o almeno lo posticipò, perché subito rimaneggiò le parole di questa Tess.
“Ami davvero Nick... o quello che ti spinge è altro? Sai, il brivido del pericolo, il fatto che sia più grande di te, il gusto della provocazione...?”.
L'efficienza dei media le fece paura, ma Judy tenne duro.
Esitare avrebbe mandato un messaggio molto, molto sbagliato.
“L'hai detto, Jess. Lo amo davvero. E, sai... intendiamo sposarci”.
La frase rimase a galleggiare nell'aria per lunghi istanti.
“Vi faccio i miei migliori auguri, tesoro”, disse poi la giornalista.
“E perdona se mi permetto questa confidenza, ma sei tanto giovane!”.
“Non c'è problema... e grazie. Anche da parte di Nick”.
Sul vidiwall comparve un nuovo intervento.
E' tutta una messinscena, vi siete messi assieme per farvi pubblicità.
Vergognatevi, c'è chi deve vivere una relazione clandestina, e voi che avete il c@@o parato non ne parlate neanche!!! V.
Judy si sentì un po' ferita, ma non poteva farci niente.
Poteva solo fare del suo meglio, come aveva promesso a Bogo.
“Un po' duro, non trovi, questo o questa V.? Comunque, una domanda è lecita: tu e Nick vi sentite un simbolo per le coppie interspecie? Ora che siete usciti allo scoperto, vi batterete contro la discriminazione?”.
Judy trattenne con fatica un sospiro.
“Voglio essere molto chiara su questo, Jess: no, non faremo nulla. Non scenderemo in piazza, non firmeremo manifesti, non sosterremo proposte di legge di nessun tipo... ma spero con tutto il cuore che, se qualcuno che vive una situazione simile ci sta ascoltando, trovi il coraggio di esprimere il suo amore senza paura”.
Il giorno in cui ti vergognerai di ciò che ami, sarai fottuto, le aveva detto Malick citando un romanzo che l'aveva appassionato.
Un secondo applauso si sollevò dal pubblico, interrompendo la giornalista, la quale riprese dopo un momento, cambiando argomento.
“Sappiamo che fin da molto giovane hai dovuto lottare per farti valere e difendere i tuoi sogni. Sei una ragazza forte, e si vede! Puoi dirci da dove la prendi tutta questa forza? Se esiste una ricetta la vogliamo!”.
“Devo deluderti, Jess... nessuna ricetta. Come non ho una ricetta per i dubbiosi a cui accennavi prima... semplicemente, crescendo ho capito che i sogni non si realizzano da soli, e solo perché ci crediamo. Dobbiamo lavorarci. Costruirli”.
“E tu ci sei riuscita, Judy. Ti ammiro tanto”, sottolineò la Carter.
“Ma, i nostri telespettatori più affezionati lo sanno, io non termino mai una puntata senza porre un quesito scomodo...” ricordò melliflua avviandosi alla conclusione.
“... e visto che abbiamo avuto il privilegio di ospitare una rappresentante delle forze dell'ordine, privilegio del quale ti ringrazio, la mia ultima domanda per tutte le tue colleghe è questa: siete mai state sottovalutate, emarginate o disprezzate per la vostra taglia? O in quanto donne?”.
Alle spalle della pantera, che si era alzata in piedi e invitava Judy a fare altrettanto, comparvero nuovamente a grandi caratteri numero e mail della redazione.
"Rispondeteci numerose, e se avete una storia significativa da raccontare, noi faremo sentire la vostra voce... ci indigneremo con voi... e busseremo alle porte delle istituzioni per voi!”, tuonò, ergendosi maestosa al centro dello studio.
Dopo un breve saluto ed i ringraziamenti reciproci di rito con Judy, la Carter chiuse la trasmissione.
“Ed ora la linea al nostro Tg, con gli aggiornamenti sull'arresto dell'avvocato che ha consentito a Paul Reuben di introdurre clandestinamente un'arma nel tribunale cittadino”, annunciò.
“A tutti voi una serena notte!”.

 

Malick spense la televisione nella stanza di degenza di Nick.
Posò il telecomando sul tavolo, accanto alle cuffie ed all'mPod che Judy aveva portato perché la volpe, ovunque la sua mente si trovasse, potesse ascoltare i suoi brani preferiti di Jerry Vole.
Non erano più necessari.
Il suo turno stava per terminare, ma avrebbe comunque atteso che la coniglia facesse ritorno: era sicuro che avrebbe volato.
Aprì WhatsApp e digitò una breve frase.
Corri. Devi tornare, subito. M.

 

Si trovava già nei pressi del Cedar Hospital, quando lesse il messaggio dell'infermiere.
Perse un battito, ma uno solo, poi le pulsazioni le schizzarono alle stelle.
Gettò in fretta e furia una banconota a caso al tassista, e si catapultò fuori, senza aspettare che la portasse davanti all'ingresso.
No, no, no. Non può succedere. Non me lo devi fare. Se muori ti rianimo e t'ammazzo con le mie zampe, non ti permettere!
Il batuffolo che aveva per coda le tremava come il sonaglio di un serpente, mentre rischiava d'inciampare nei propri stessi passi.
E dopo una corsa a perdifiato, non le restò che un reparto da attraversare ed una porta da aprire per scoprire il suo, il loro destino.
 


 

Lo so, sono bastarda dentro. E lo rivendico con orgoglio (cit).
Per chi se lo fosse chiesto, il romanzo da cui Malick ha preso la citazione è Un po' di sole nell'acqua gelida, di Francoise Sagan. Si tratta di un'affermazione di Garnier, giornalista omosessuale.
Preciso tuttavia che non ho voluto stabilire un parallelo tra coppie omosessuali e coppie interspecie: queste ultime corrispondono casomai, nel... nostro mondo, alle coppie interrazziali.
Alla prossima... kumbaya!!!

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Capitolo 21
*** Stella ***


Il capitolo precedente, al momento della pubblicazione, conteneva ancora qualche errore nonostante le svariate riletture. Chiedo scusa ai quaranta lettori arrivati prima che correggessi (lo so, non muore nessuno, ma lo trovo fastidioso).
E vi lascio al penultimo.
Con un consiglio: munitevi di fazzolettini ed insulina, ci ho dato dentro.
Alla prossima settimana, con la conclusione.

 


 

XXI. Stella

 

A quell'ora i pochi visitatori rimasti se ne stavano andando, in direzione contraria alla sua, e gli ultimi metri prima di raggiungere la stanza di Nick li percorse in un silenzio ovattato.
Alcuni operatori la guardarono mentre passava loro accanto in corridoio, lasciando perdere per qualche secondo le proprie mansioni. La fissavano attenti, in un modo insolito che Judy lì per lì non seppe decifrare.
Sapevano dell'intervista, forse, o addirittura si erano fermati per un momento a seguirla con qualche paziente mentre somministravano le terapie. Poteva essere.
Ma immediatamente dopo averlo pensato, la coniglia temette che il motivo per cui la osservavano così fosse ben più grave.
Il suo sospetto crebbe a dismisura quando, aperta la porta, trovò la stanza vuota. O per meglio dire, vuota di Nick: perché lo spazio attorno al letto sfatto era invece occupato da parecchie persone. A cominciare dal già fedele Malick, l'infermiere, da Bonnie e Stu, da Ben, Bogo e persino altri due mammiferi che davvero non si era aspettata di vedere, ossia Fru-Fru e Finnick.
Judy si allontanò di un passo da loro, sollevando un dito per intimargli di non dire una parola e portandosi l'altra zampa alla bocca.
Al primo pianto intercalò un riso isterico.
Non sapeva cosa pensare, cosa aspettarsi, ma soprattutto non voleva sapere; non ancora.
Cos'era successo a Nick?
Perché non c'era?
E perché, qualunque cosa fosse accaduta, non era stata avvertita subito come concordato?
Sentiva un peso sul petto e un nodo in gola – wow, che metafore originali. Potrei abbandonare la ZPD, e rinchiudermi a vita in uno stanzino buio a scrivere romanzi-pattume che parlano di disgrazie, pensò.
Per quanto volesse evitarlo, l'unico pensiero che il suo cervello formulava in quel momento includeva un funerale. E per ironia della sorte lo trovava del tutto sensato e altamente probabile.
“Tesoro, calmati. Nicholas – ”
Judy riservò a sua madre uno sguardo che non doveva essere né disperato, né infuriato, ma in qualche modo peggiore perché la coniglia più grande tacque di botto con un mugolìo impaurito.
Spento, ecco. Sì, devo sembrare spenta, finita.
Non era finita.
All'improvviso, senza neppure capire cosa stava facendo né se era davvero lei, Judy Hopps, a farlo, si voltò verso il letto vuoto, afferrò il materasso da sotto e lo ribaltò a terra.
“Non c'è”, dichiarò, come se si fosse aspettata di trovare Nick nascosto tra materasso e telaio.
Poi buttò all'aria la sedia più vicina, la piantana delle flebo e si soffermò a guardare il comodino con rabbia, indecisa se travolgere anche quello con ogni oggetto che vi era poggiato sopra.
Malick riuscì a scivolarle di lato e fuori dalla stanza, con l'intenzione di prevenire l'intervento della Sicurezza, ma già Judy si era fermata facendo cessare anche il rumore.
Accasciata a terra, i pugni stretti, pregava di riuscire almeno a piangere di nuovo anziché limitarsi ad emettere quei ridicoli singulti strozzati.
“Dio santo, Carotina. C'era proprio bisogno di prendersela col mobilio solo perché mi sono fatto desiderare dieci minuti?”, disse una voce dalla soglia.
La coniglia sentì i muscoli immobilizzarsi e un fulmine ghiacciato percorrerle la spina dorsale, e alzando gli occhi vide tutti quanti sorridere... ad eccezione di Finnick, che aveva piuttosto un ghigno sarcastico.
“Ma come siete adorabili” commentò in un falsetto derisorio. “Fate venire il voltastomaco, diamine”.
La volpe del deserto si avvicinò a Judy e le tese la zampa.
“Forza, signorinella, il tuo cavaliere a due ruote qui sta morendo dalla voglia di farsi raccontare cos'hai mai fatto di bello, in questi tre giorni senza di lui. E io non vedo l'ora di andarmene, invece”.
La coniglia si rialzò, ancora vagamente tremante, e si volse.
A nemmeno due metri di distanza, Nick occupava il riquadro della porta seduto su una carrozzina. Le parve così stupidamente bello – e vivo – che sentì male non solo al cuore, ma un po' ovunque, a caso.
“Sono sceso a fare l'ennesima risonanza. Avevo in programma di tornare prima che lo facessi tu, ma non c'è gara: sei una coniglietta supersonica”, disse lui, un tenero sorriso appena accennato sulle labbra.
Eppure, quel sorriso le si sarebbe impresso nella mente e si sarebbe fatto ricordare molte volte, negli anni a venire.
“Forza, andiamocene”, disse Bogo infiltrando un frammento di realtà nella bolla che si era creata tra i due innamorati.
“E tu ricorda, Wilde: avete due settimane di ferie come indicato dai medici per la convalescenza, ma non un giorno di più”.
Un rapido gesto della zampa, e fu fuori, seguito da Clawhauser.
“Ti aspettiamo a casa... o forse no” aggiunse Stu, avviandosi con la moglie.
“No, Stu, decisamente no”, confermò Bonnie, scuotendo la testa e depositando, mentre usciva, una carezza sulla testa della figlia.
Non si fermò nemmeno il tempo di abbracciarla, non era il suo momento quello.
Pensò che una disgrazia è una disgrazia, e nessuno la può desiderare. Ma spesso, entrando di forza nelle nostre vite, può portare quella chiarezza nella mente e quella pulizia nel cuore che altrimenti faticheremmo ad ottenere.
E la sua mente di madre aveva visto due mammiferi profondamente legati, oltre ogni ragionevole dubbio.
Il suo cuore di madre aveva visto che era una cosa buona.

 

“Non ho fatto che scusarmi con te per come ti ho trattato domenica sera, non sai quante volte, ma tu non potevi sentirmi ed ero così a pezzi...”.
“Sono stata meschina, ancora una volta. Non sai quanto me ne vergogno... ma non posso più riparare, posso solo andare avanti”.
Distolse lo sguardo da quel verde intenso che la scrutava, impaurita di una paura nuova e diversa.
“Possiamo andare avanti, se tu... se lo vuoi ancora”.
Judy gli stava seduta sulle gambe, di traverso – la volpe aveva preferito rimanere in carrozzina, dopo tre giorni di letto gli sembrava quasi il paradiso – e Nick se la strinse al petto con forza.
Così leggera. Così appassionata.
Gli era mancato enormemente, quel fagottino di pelo grigio, anche se non ne aveva avuto coscienza lei gli era orribilmente mancata.
“Ti ho lasciata dire, ho capito che ne avevi bisogno per te stessa. Ma adesso basta, Judy”, la ammonì. “Non mi occorrono delle scuse. Era già tutto passato e tu lo sai, anche se non abbiamo avuto l'occasione di dircelo per bene”.
“Sì”, acconsentì lei.
Ma non era soddisfatta, una tessera del puzzle andava ancora messa al suo legittimo posto.
“Ti amo”, disse dunque, terminando infine la frase che il maledetto sparo aveva interrotto.
“Lo so”, rispose la volpe. “Te l'ho sentito dire, nell'intervista. Audace”.
“Come, scusa?”.
“Ero già sveglio, quando è iniziata” spiegò.
“Non arrabbiarti... sono uscito dal coma nel pomeriggio, ma prima che potessi fare qualunque cosa mi hanno ripassato in una centrifuga di esami che non finiva più. E poi, con quell'infermiere che pare conoscerti bene ho stabilito che la priorità era non interromperti e non farti agitare. Tanto, il peggio era passato... e mi avresti ritrovato qui”.
Judy gli gettò le braccia al collo... per la quarta volta, da quando li avevano lasciati soli e avevano potuto colmare i vuoti, in ogni senso del termine.
Col musetto fece una tale pressione su di lui che avrebbe potuto scavargli un tunnel nel torace, ma la volpe si guardò bene dal lamentarsene.
Non aveva alcun pensiero, si voleva soltanto godere quel tepore condiviso, quelle lunghe orecchie da accarezzare senza sosta.
Ma poi realizzò che nulla impediva loro di farlo comunque, dopo che avesse portato a termine un certo proposito.
E perché no?
“Non voglio aspettare oltre”, le disse perciò.
Senza staccarsi da lui, accoccolata in totale beatitudine contro il suo corpo, Judy disse: “In un'altra vita ti avrei risposto picche. La prima volta con qualcuno in un letto di ospedale non è... il sogno di ogni ragazza. Però, in questa vita, ti rispondo sì: facciamolo”.
Nick si mise a ridere di gusto, inducendola a rimettersi dritta di scatto.
Con quel cipiglio truce che aveva, lo fece ridere ancora di più.
“Ho detto per caso qualcosa di divertente, caro?”, borbottò.
“Non voglio aspettare oltre per sposarti, Judy. Non parlavo del sesso”, precisò lui. “Ma sì, naturalmente, mi interessa anche quello. Una cosa alla volta, con ordine... ma subito, adesso”.
La coniglietta cambiò espressione mentre la comprensione la illuminava.
“Oh. Stai dicendo che vuoi che ci sposiamo ora? Nel pieno della notte? Mentre sei ricoverato in ospedale? E come?”.
“Te l'ho detto, non voglio aspettare oltre. Non c'è momento migliore, per me. E per quanto concerne le altre tue domande... mi risulta che questo luogo, nonostante la desolazione che vi regna, non sia ancora del tutto abbandonato da Dio. Un cappellano, in giro, lo si trova di sicuro”.
Judy rifletté brevemente. Sì, l'aveva visto un sacerdote lì. Andava e veniva, parlava con i pazienti, li confessava, e via dicendo. Sì.
“Nemmeno io”, disse allora. “E non voglio rischiare che mi allontanino di nuovo da te”, aggiunse. Gli aveva raccontato dei suoi diverbi, di come si era sentita impotente e senza diritti.
Balzò giù e corse al tavolo, agguantò il cellulare e col tasto di scelta rapida fece partire la prima chiamata.

 

Sembravano una manica di squinternati: Judy con l'abito da sera in lamè di cui la ZNN le aveva fatto omaggio, Nick nella sua consueta camicia hawaiana verde, Ben insaccato in una delle sue tute grigie da casa e Fru-Fru... beh, quando l'amica le aveva telefonato dicendole che aveva bisogno della sua presenza, che doveva tornare, e perché, si era presa dieci minuti extra per ripescare dall'armadio il vestito di Furrucci, acquistato a caro prezzo per il matrimonio della cugina Clotilde.
“Eh-ehm”.
Un raschiare di gola richiamò la loro attenzione.
“Credo sia qui che hanno richiesto i miei servizi per sposare una coppia... ma... qual è la coppia, esattamente? E chi sono invece i testimoni?”.
Una lepre dal pelo color tabacco e le orecchie di una lunghezza impressionante chiuse la porta dietro di sé e si fece avanti.
Tenendo stretto nelle zampe un volume dall'aspetto di un breviario li scrutò uno alla volta, in attesa.
Il primo a uscire dalla trance fu Ben.
“Io e lei siamo i testimoni”, disse indicando Fru-Fru.
“E noi siamo gli sposi” precisò Nick, un braccio attorno alle spalle di Judy. “Aspiranti...”.
“L'avevo immaginato” fece la lepre sorridendo leggermente.
“Non sono qui per contestare nulla” aggiunse un secondo più tardi “ma lasciate che vi chieda perché sentite tutta questa fretta. Voglio dire, mi è capitato due volte, e sono già tante, di intervenire perché un ricoverato rischiava di morire durante l'operazione, e nell'altro caso perché l'operazione c'era già stata e lui era terminale...”.
Vide dei musi sconvolti e agitò una zampa come per scacciare una mosca.
“Ah, lasciamo stare. Comunque, esisteva una ragione che giustificava l'urgenza. Ma lei, giovanotto” disse rivolgendosi a Nick “mi pare stia bene. E' appena uscito dal coma, no?”.
“Sì” rispose la volpe “ma lei come – ”
“Lo so perché questa sera non c'era una sola stanza nell'ospedale che non avesse la tv accesa sulla ZNN, ecco come lo so”, ribatté la lepre con un sorriso sornione, più adatto ad un gatto... magari uno a strisce viola e rosa, come in quella fiaba.
Nick prese a fissarlo intensamente, aspettandosi che da un momento all'altro cominciasse a scolorire e scomparisse, lasciandosi dietro solo quel sorriso.
“Ma ci ha chiesto chi erano gli sposi e chi i testimoni, solo un attimo fa”, obiettò.
“Era un test, volevo vedere se eravate preparati”, fu la risposta. “E anche se sarebbe bastato così poco per imbarazzarvi. Capita spesso”.
Non gli era chiaro in quel frangente, ma più avanti, ripensandoci, Nick avrebbe capito che ciò che lo lasciava tanto di stucco era l'aver trovato un altro mammifero che ironizzava bene quanto lui.
“Allora, siete convinti di volerlo fare?”, domandò ancora la lepre.
Judy e Nick annuirono.
“Non è una cosa improvvisata” sentì il bisogno di spiegare lei.
“Siamo fidanzati, anche se da poco... e lo sappiamo che oggettivamente non ci sarebbe tutta questa urgenza, ma dopo quello che abbiamo passato, ecco, noi non ci sentiamo molto diversi da quei casi estremi di cui lei ha parlato”.
E di nuovo, il sorriso sornione.
Nick si stava vagamente innervosendo.
“Certo, ma non è a questo che mi stavo riferendo. Mi chiedevo solo se non preferireste aspettare almeno domani mattina, e magari approfittare di una chiesa poco distante da qui”.
In realtà padre Vedder cominciava a capire che tipo di persone aveva davanti, dunque quando volpe e coniglia, insieme, risposero con un secco “No” non se ne stupì affatto.
“Molto bene, allora”, dichiarò soddisfatto. “Sembra un po' un pigiama party, più che un matrimonio, ma come mi hanno insegnato l'unica cosa che conta davvero in questo rito sono gli sposi. E quelli che li abbiamo”.
Judy sorrise piena di allegria: mentre spiegava quello che avevano in mente a Malick, prima che se ne andasse, aveva temuto che fosse infattibile, o peggio che anche il prete avanzasse riserve e creasse problemi. Ma erano stati fortunati, sotto quel profilo.
“Non abbiamo fatto richiesta del certificato al Comune, però” ricordò la coniglietta, “ovviamente non potevamo immaginare”.
“Oh, non si preoccupi di quello. Si può formalizzare tutto con calma dopo”, la tranquillizzò la lepre.
“Piuttosto, vi siete procurati dei... validi sostituti per gli anelli?”.
Avevano affidato quel compito a Ben.
Andrà bene qualsiasi oggetto più o meno rotondo, è solo materiale di scena, gli aveva detto Nick.
Per strada fermati a un Seven Eleven e compra un paio di quei pacchetti di patatine con la sopresa gommosa, ce l'avvolgeremo attorno al dito, gli aveva suggerito.
Oppure, sai cosa, se proprio sei disperato procurati un vassoio di anelli di cipolle: ce ne sarà sicuramente qualcuno della misura giusta. E poi ho fame, mi hanno nutrito per tre giorni con roba liquida!
“Ecco”, rispose il ghepardo avanzando di un passo “questi sono la cosa più simile a degli anelli che sono riuscito a trovare”.
Sul palmo della sua zampa aperta campeggiava una confezione di anellini di plastica colorata, elastici e adattabili alle dita, un giochino in voga tra i ragazzi.
“Shokkybandz? Sul serio?” chiese Nick stralunato.
“Ha parlato quello degli anelli di cipolla”, lo canzonò il ghepardo ridendo.

 

Non era stata di certo una cerimonia tradizionale.
Ma già ora, con il ricordo freschissimo nella mente, entrambi sapevano che proprio quello era uno dei motivi per cui l'avrebbero conservata nel cuore.
Da che erano entrati sotto il dominio della notte ogni minuto, ogni dettaglio di quello strampalato matrimonio pareva loro circonfuso di una tenerezza incredibile.
E' stato un quarto di miglio duro, ma lo ripeterei altre mille volte per stare con te, aveva detto Judy. Perciò sì, lo voglio.
La coniglietta aprì la finestra e fece scorrere la tapparella nella guida, fino in fondo: il clima era mite, il cielo sereno e lei voleva verificare se anche da lì riusciva a scorgere la stella polare.
E ci riuscì.
Come un pesciolino richiamato dall'esca, un ricordo affiorò guizzando alla sua memoria: durante quella che era poi diventata la loro prima notte insieme, aveva definito Nick “una piccola stella polare nella cartografia della sua esistenza”.
Sorrise.
Se la polare era il punto fisso per ogni navigatore, quello che non tradiva e sempre restava al proprio posto, lei sarebbe stata l'equivalente per Nick.
Ci sarebbe stata sempre, qualunque cosa fosse accaduta – e adesso poteva affermarlo a ragione: la vita aveva messo alla prova le sue intenzioni.
La volpe la raggiunse e le pose le zampe sui fianchi.
Poggiò la testa su quella di lei, fra le orecchie serenamente reclinate.
“I lampioni non aiutano, lo so”, le disse. “Ma sono sempre le nostre stelle, quelle che si vedevano dalla veranda del ristorante di Arnie”.
“Sì...”, annuì Judy.
“Mi piace quando dici di sì. E mi piace quando muovi la testa come hai fatto ora, è meglio di un grattino”, disse lui.
“E poi, non c'entra niente” aggiunse sfruttando quella comoda posizione per non mostrare il volto mentre parlava “ma anch'io ti amo. Non pensare neanche per un attimo che non sia così”.
“Sì...” ripeté la coniglia. “Ma...”.
“... cosa?”.
“Me lo ripeteresti guardandomi? Ti prego”.
Nick rise.
“Mi conosci troppo bene, Carotina. Urge rimediare”.
“Aha. Certo, ti ci vedo proprio nel ruolo di bel tenebroso impassibile”.
“Vorresti dire che non lo sono?”.
“Esatto. E bada che so cosa stai cercando di fare: vuoi distrarmi... ma non ci casco. E aspetto la mia risposta”.
La volpe però non rispose.
La fece ruotare come una trottola spingendole i fianchi e se la mise viso a viso. E si sentì smarrito: per la prima volta in quei dieci giorni, gli sembrò che tutto fosse ancora da fare, di essere tornato alla casella di partenza.
Oh, non era una brutta sensazione, anzi. Era la conferma che cominciava una nuova vita; non solo a livello legale ma anche giù dove le loro radici li ancoravano al terreno qualcosa era cambiato.
Provò una piccola vertigine, una cosa da ubriachi, e tuttavia
“Ti amo”
gli riuscì di scandire con quella che sperò fosse la voce profonda, sensuale che l'aveva caratterizzato nei suoi momenti migliori.
Judy chiuse gli occhi espirando forte tutta l'aria che aveva nei polmoni.
“Carotina? Sei stanca? E' stata una lunga giornata...”.
“Sì” rispose lei “ma non abbastanza. Perché non finisci di stancarmi tu?”, lo stuzzicò sollevando in modo studiatamente lento le palpebre.
Nick le regalò il suo sorriso furbo.
“Molto bene... come desideri”.
Riguadagnarono il letto. Se in tutta quella drammatica vicenda – la sparatoria, il coma – si voleva trovare una nota positiva, eccola: l'ospedale aveva fornito a Nick un materasso antidecubito; morbidissimo e, soprattutto, resistente. La notte era giovane, ne avrebbero fatto buon uso.
Secondo le parole del rito: Così che non furono più due, ma una carne sola.

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Capitolo 22
*** Tracce ***


Ringraziamenti...
Siamo giunti a destinazione e, com'è giusto che sia, voglio ringraziare (tanto, tanto, tanto!) ogni singolo lettore di questa storia.
Se è passata dall'essere un breve divertissement senza impegno ad una long densa di dettagli e carica di emozioni il merito è vostro, che mi avete sostenuta, gratificata ed ispirata.
L'ho mai detto che amo questo fandom?

 

… e anticipazioni.
Long e raccolta sono concluse, ma naturalmente non sparirò: conto di rimanere a lungo in questo fandom (l'ho già detto che lo amo? Ah, ooops, è stato due righe fa) e spero che continui a crescere.
Non escludo un sequel di Fare una scelta (e leggendo capirete che mi sono lasciata aperta questa possibilità), ma per il momento è soltanto questo: una possibilità, non un progetto.
Ho in cantiere altro, per ora: una nuova raccolta di shot piuttosto particolare, ed una nuova long che almeno nelle intenzioni sarà molto diversa da questa; entrambe con rating rosso.
Spero continuerete a seguirmi e che mi facciate sapere che ne pensate, sempre con la massima libertà.
A presto e, di nuovo, grazie a tutti!!! ❤

 



XXII. Tracce

 

“Buongiorno, rododattila” sussurrò Nick Wilde, in piedi davanti alla finestra della stanza d'ospedale, guardando assorto di fuori.
“Nick? Che ci fai già alzato?”.
Alle sue spalle la voce della compagna – di sua moglie, realizzò con orgoglio – lo distrasse dai suoi pensieri vagabondi.
Corse a baciarla, poi si sedette sul bordo del letto.
“Lo so, è strano. Immagino che entro il pomeriggio crollerò esausto da qualche parte e dormirò per le successive dodici ore. Ma per adesso, sono ancora sovraeccitato, Carotina. E la colpa è tua”.
Judy Hopps sorrise, stropicciandosi gli occhi.
“Ma ti sei addormentato, almeno?”.
“Ma sì, certo”, rispose la volpe, mentendo spudoratamente.
E come diavolo voleva che si addormentasse, dopo avergli montato il sangue in quel modo pazzesco?
“Senti un po'. Ora che mi sono ripreso e che abbiamo fatto il colpaccio” proseguì ammiccando “non c'è motivo per cui debba restare imprigionato un minuto di più qui dentro”.
“Nick...” lo redarguì la coniglia. “Non vorrai essere dimesso? Sono passate poche ore, vorrei ch – ”
“Accetterò di fare ancora una risonanza, promesso. Tanto li ho inquadrati, questi qui, so che insisteranno. Ma solo quella, Carotina... te l'ho dimostrato che sto bene e sono in forma, no?”, ghignò, allungandosi su di lei a rubarle un altro bacio e parlarle in un orecchio.
“Non hai voglia di cominciare la nostra luna di miele, piccola? Uhm?”.
Come vuoi che ti risponda se mi lasci senza fiato così?, pensò lei.
“Il prima possibile, in effetti”, riuscì a biascicare poi.
“Allora dai, aiutami. Tu che conosci meglio le truppe di stanza in questo posto, perché non ti informi mentre mi faccio una doccia? Se bisogna firmare per uscire, lo farò”, disse Nick.
“E va bene” concesse Judy sgusciandogli da sotto controvoglia e cominciando a vestirsi. “Però devi giurarmi che una volta a casa non ti inventerai qualcuno dei tuoi passatempi rischiosi, e ti riposerai”.
Evitò di ricordargli episodi che, tanto, erano perfettamente stampati nella memoria di entrambi: quella volta che si era appassionato ai droni per esempio, ne aveva costruito uno insieme a Finnick e poi ne aveva perso il controllo, mandandolo a schiantarsi e incendiarsi contro una motocicletta parcheggiata.
La volpe, dal canto suo, pensò che in realtà quella dei passatempi rischiosi era piuttosto lei: ma non gli parve il momento più adatto per farsi venire i brividi ricordando la volta in cui l'aveva trascinato a fare rafting, quella in cui l'aveva “convinto” a provare lo sky-diving, o peggio quella in cui l'aveva costretto a seguirla all'autodromo per una lezione di guida... sicura. Si sarebbe sentito più al sicuro sdraiandosi in mezzo ad una pista di rally, invero.
Con una smorfia scherzosa giurò.
“Prometto, anche se ne va della mia sanità mentale”.
“A quella ci penso io, tranquillo”, lo punzecchiò la coniglia. “Ci sono tanti modi per divertirsi per cui non occorrono aggeggi elettronici. Solo un paio di zampe a testa e tanta fantasia”.
“Come quelli che abbiamo provato stanotte?”, chiese la volpe leccandosi mentalmente le labbra.
“Come quelli”, confermò Judy.
“Allora ho davvero urgente bisogno di una doccia. Fredda”, replicò Nick. “Forza, vai, prima che ti salti addosso di nuovo”.
Judy rise.
“Non sarebbe una cattiva idea”, disse già alla porta. “Ma solo se ritiri quel che hai detto prima”, aggiunse.
“E che ho detto prima?”, chiese Nick perplesso, fiutando il pericolo.
“Uhm... com'era?” ragionò Judy. “Ah, sì, rododattila. Io non sono un roditore, Nick. E' quello che pensano molti, ma in realtà i conigli fanno parte dei leporidi”, si impuntò, i pugni chiusi sui fianchi.
“Non ridere, è importante!”, disse ancora vedendolo trattenere uno dei suoi soliti ghigni sarcastici.
“Carotina... guarda che non parlavo di te”, le rispose lui.
“In che senso, scusa?”.
“Beh, ecco, davo il buongiorno... al giorno. All'aurora. Mai sentito parlare di aurora rododattila? E' greco, significa dalle dita rosa”.
Judy sgranò gli occhi. Se fosse stata il personaggio di un manga, a quel punto una gocciolina di sudore le sarebbe scesa sulla fronte.
Che imbecille. Però, che cosa carina. Aveva appena sposato un poeta.
“Arr... no. Non l'ho mai sentito dire” tossicchiò, voltandosi per uscire.
“Vabbeh, io vado... buona doccia” lo salutò.
“Certo, certo” ridacchiò Nick. “Torna presto, bella leporide”.
Ed armeggiando con una stampella si infilò nel bagno.

 

La mattina era soleggiata e invitante, sembrava già estate.
Si godettero la luce naturale, da giorni dimenticata, camminando verso la fila di taxi in attesa vicino al piazzale dell'eliambulanza.
“Allora, vediamo” esordì la volpe.
“Capitan bufalo muschiato ha la fissa dei Caraibi, ma io ritengo siano una meta sopravvalutata. Comunque, per me qualunque posto tu scelga va bene, Carotina. Pure la montagna, purché tu non mi chieda di fare parapendio...”.
“Oh, Nick. Sei molto caro, ma avremo ben due settimane di tempo per valutare cosa fare. Te lo ricordi, sì, che da oggi sei ufficialmente in convalescenza?”.
Nick grugnì un sì irrequieto.
Aveva ottenuto di uscire subito, prendendosene la responsabilità, e con l'impegno di tornare per un paio di day-hospital di controllo.
“Tu, in ogni caso, pensaci”, insistette.
“Certo” gli promise la coniglietta stringendogli la zampa, appena prima che un trambusto alle loro spalle li travolgesse e una selva di microfoni li inchiodasse dove si trovavano.
“A cosa deve pensare sua moglie, agente Wilde?”, fece una voce, subito seguita da un'altra ugualmente petulante.
“State progettando una fuga d'amore? O avete in cantiere qualcosa di più... serio?”.
In breve, i reporter che per tutta la notte erano rimasti appostati attorno al Cedar Hospital li circondarono.
Inutile chiedersi da chi avessero saputo del matrimonio, la struttura contava centinaia di dipendenti, e d'altronde loro non avevano fatto nulla per nasconderlo.
Era probabilmente bastata una voce passata di bocca in bocca davanti alle macchinette del caffé perché a qualcuno venisse in mente di vendersi una succosa esclusiva.
Tanto Judy quanto Nick evitarono di rispondere se non con un tradizionale no comment, e la volpe pian piano si fece strada tra la calca con la stampella.
Le voci, intanto, si accavallavano.
“Siete felici, ora? Avete programmi per il futuro?”.
“E' vero che era presente anche il noto boss Mr. Big? L'amicizia che vi lega non vi pone in conflitto di interessi con il vostro lavoro?”.
Tutto sommato, gli era andata bene: i corvi della carta stampata erano stati avvertiti, ma non sembravano troppo ben informati, e delle televisioni non c'era traccia.
Raggiunto a fatica un taxi, vi si chiusero dentro e partirono chiedendo al conducente di fare un po' di giri a vuoto per seminare gli intrusi.

 

Il resto della mattina lo impiegarono sbrigando formalità noiose ma necessarie, in parte al distretto, dove salutarono i colleghi, in parte in municipio per l'ufficializzazione delle nozze.
Padre Vedder aveva detto il vero, non avevano avuto complicazioni di sorta. La notizia lasciò invece di stucco i genitori di Judy, che per quanto fossero ormai entrambi ampiamente favorevoli alla cosa coltivavano ancora il sogno pomposo di una cerimonia in grande stile.
“Non farò mai qualcosa solo perché lo fanno tutti e si è sempre fatto così, mamma”, Judy tenne a sottolineare.
“Io, però, non ho mai usato queste espressioni tesoro” ribattè Bonnie.
“La scelta deve essere vostra, lo so. Ma a me dispiace. Insomma, non si tratta di accontentare i parenti, capisci...”.
“Anche perché è impossibile accontentare centinaia di persone diverse, senza contare i figli” si interpose Stu.
“... si tratta di... beh, rivederli. Di un'occasione per stare insieme, che non abbiamo spesso lo sai”.
“Su questo hai ragione, mamma. Anche a me farebbe molto piacere riunire tutti. Solo, vi chiedo di lasciarci del tempo: magari festeggeremo più avanti”.
“E con i vostri colleghi e amici, anche, naturalmente”, aggiunse Bonnie.
Nick si staccò dalla parete cui si era appoggiato – buttò un occhio sulla strada, ma non vide nessun paparazzo in giro: meglio così – e cercò di rassicurare entrambe.
“Si può fare. Anche presto se volete, non appena potrò appoggiare la gamba a terra, e non ci vorrà molto. Ma prima devo poter guarire, altrimenti come faccio a scarrozzare coniglietti sulla schiena?”.
I quattro mammiferi si scambiarono un sorriso a vicenda, al ricordo del weekend precedente a Bunnyburrow.
“Comunque, Bonnie, sappi che non era nostra intenzione scavalcarvi o escludervi” precisò Nick, “volevamo sposarci, ma non avevamo certo in mente di farlo nel cuore della notte, in un ospedale e...”
“... con questi” concluse per lui Judy, mostrando lo Shokkyband rosa che portava all'anulare sinistro.
“Oh, no, non abbiamo pensato nulla del genere, vero Stu?” fece Bonnie.
“Figurati. Siamo solo sorpresi”, rispose lui.
“E felici” aggiunse ancora sua moglie.
“E felici, sì. Ma c'è una cosa che potete fare, se vi può far comodo. Avete detto che i medici hanno prescritto due settimane di convalescenza a Nick, perché non venite a passarle da noi?”.
“Ah...”.
Su due zampe la volpe rimase interdetta, si era immaginato di uscire dall'ospedale per tornare a casa – e adesso c'era, a casa sua – ma per restarci e rilassarsi, non per ripartire subito.
A pensarci meglio, però, folla di coniglietti a parte, la campagna era proprio il posto giusto per godersi un meritato riposo.
E d'altra parte, era ben consapevole d'aver sposato, con Judy, anche tutta la sua famiglia.
Come leggendogli nel pensiero, Stu disse:
“Faremo in modo di tenere buoni i bambini, naturalmente. Altrimenti che periodo di riposo sarebbe? E potrete stare nella dependance vicino alle serre, per conto vostro”.
Ecco, la prospettiva ora si faceva davvero rosea.
Non era ancora la luna di miele che Nick non vedeva l'ora di fare con la sua tenera coniglietta, ma costituiva un buon preludio. Lontano dalla città, avrebbero potuto lasciare che l'interesse morboso nei loro confronti scemasse almeno un po'.
“Suona bene”, si risolse dunque la volpe. “Vi ringrazio... tu che ne pensi, Carotina?”.
Judy si alzò e si sgranchì.
“Penso che sarebbe perfetto” acconsentì, “ma ora smettiamo di parlare di cose serie. Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti e dormire. Decideremo più tardi quando partire, okay?”.
“Vuoi dormire, tesoro? Ma è quasi mezzogiorno!”.
“Lo so, è strano per un coniglio. Ma, accidenti, devo recuperare”.
Evitò di guardare Nick, casomai le loro espressioni avessero rivelato troppo. In fondo, era pur sempre a causa sua se aveva passato le ultime notti quasi in bianco: che fosse in coma o ben sveglio, quel volpone le aveva rubato il sonno.
“E sia. Allora forza, buttiamo la pasta!”, non perse tempo la madre.

 

Verso le due del pomeriggio il breve sonno di Judy fu interrotto da una chiamata di Bogo, che nuovamente reclamò la loro presenza alla centrale.
Avevano comunque in animo di uscire, bere qualcosa e svagarsi, perciò decisero di levarsi il pensiero subito e poi gironzolare per la città, convinti di aver tralasciato una firma sul rapporto relativo alla sparatoria o qualcosa di simile.
Certo non si aspettavano che il capitano dicesse loro:
“Lavorerete sotto copertura”.
Se a Judy avessero proposto una cosa del genere solo un paio di settimane prima, non avrebbe potuto contenere la gioia. Ma in quel momento non sapeva bene come reagire, le sembrava prematuro, dopo l'incidente.
Eppure il vecchio bufalo, dopo tutto quel tempo, qualcosa su come la sua agente ragionava l'aveva pur capito.
“Il modo migliore per riprendersi da un trauma, Hopps, è risalire subito in sella”, le disse quindi recisamente, non senza una punta di dolcezza.
“Sì, signore”, rispose la coniglia. “Con subito immagino intenda tra due settimane, è corretto?”.
“Corretto. Dei dettagli parleremo nel frattempo”.
La conversazione sembrò terminare lì, ma in realtà Nick aveva tutt'altre perplessità per la mente, e le esternò nel momento in cui la compagna fece per alzarsi e congedarsi.
“E come pensa che potremo agire sotto copertura, dato che ormai anche i sassi ci conoscono?”, chiese infatti la volpe.
“Sono sicuro che con una buona passata di rossetto e grazie alle sue doti di attore consumato potrebbe anche spacciarsi per sua sorella, Wilde”, lo rintuzzò Bogo.
“Sempre gentilissimo”, fu la risposta.
“Si figuri. Grazie all'abilità di Hopps nel districarsi in quell'intervista, pare che vi siate guadagnati la stima di Casey, il capitano del Distretto di Sahara” spiegò il capitano.
“Vorrebbe avervi come consulenti per migliorare i rapporti tra i suoi agenti, tra i quali si contano anche molti orsi bruni, che pare siano ai ferri corti con i ghepardi”, continuò.
Adesso la perplessità dei due partner e neosposi era in perfetta, e palpabile, sintonia.
“Molto carino, capo, sì”, disse Nick “ma cosa c'entra tutto questo con un lavoro sotto copertura?”.
“C'entra, Wilde, perché la storia della consulenza è solo una scusa”.
“Oh”.
“Ve lo dico qui, in questa stanza, e da questa stanza non deve uscire”.
“Chiaro, signore”, annuì Judy con aria grave e concentrata.
“Sì”, disse soltanto Nick.
“Pare che giù a Sahara ci sia un poliziotto corrotto. Io e Casey vogliamo che sfruttiate l'occasione per indagare. Il Progetto di Integrazione Mammifera di Lionheart sarà un paravento perfetto”.
Ancora non disponevano dei particolari del caso, ma non si trattava, comunque, di infiltrarsi in una gang di spacciatori o roba simile: un certo grado di rischio c'era, ma non così alto.
Eppure Judy si sentì un po' franare la terra sotto le zampe: quella era la prima volta che aveva a che fare, concretamente, con la corruzione nella ZPD. Non era un romanzo, non era un telefilm.
“Se per caso avevate in programma di fare un viaggio, rimandatelo”, concluse Bogo.
Non c'era scelta, a quanto pareva: la loro luna di miele avrebbe aspettato.

 

“C'è sempre una scelta”, Judy disse scuotendo il capo.
Seduti su una panchina di fronte alla gelateria di Jerry Jambeaux, con un ghiacciolo gigante nella zampa, stavano discutendo dell'eventualità di rifiutare quel caso.
“Forse sì”, ammise Nick “ma significherebbe rinunciare ad un incarico che speri di ottenere da un sacco di tempo, Judy”.
“Lo so... infatti non ho detto che non voglio accettare. Anzi. Sapere che uno dei nostri potrebbe stare tradendo la polizia mi fa star male, ma proprio per questo non intendo permettere che la passi liscia”, replicò la coniglia.
“Ne fai una questione personale. Anche altri agenti sono all'altezza di indagare ma, certo, su una cosa Bogo ha ragione: noi abbiamo... l'alibi ideale per presentarci in quel distretto e non destare meraviglia”.
“Vero”, concordò lei. “Ma sai quanto ci tengo alla mia immagine” scherzò.
“E all'immagine della polizia, soprattutto”, rincarò Nick.
“Appunto. Solo, dopo quel che abbiamo appena passato voglio essere assolutamente sicura che anche tu te la senta. Perché un fatto è certo, non sarà una passeggiata”.
“Ah, no”, concesse Nick. “Non lo sarà. Ma è il nostro lavoro, no?”.
Ci pensò su un attimo, e poi aggiunse:
“In questa storia sei stata tu a soffrire, più di me. Io ho sentito soltanto il dolore prima di svenire, e poi non ho fatto che dormire, in fondo”.
Si beccò un meritato pugno nel fianco, ma non se ne lamentò.
“No, sul serio... puoi fidarti, la mia gamba è già quasi come nuova, e per il resto sono bello carico. L'importante è che lo sia anche tu”.
“Oh, lo sono, Nick”.
Le stampò un bacio sulla guancia.
“Abbiamo fatto la nostra scelta, allora. Prepariamoci come si deve a quest'operazione, e poi... Italia, hai detto?”.
“Sì! E' lì che vorrei andare”, sorrise lei.
“Purché non raccontiamo nulla ai miei, nei prossimi giorni”, si raccomandò ancora una volta la coniglietta.
“Nemmeno se tuo padre mi minacciasse col fucile”, rispose Nick incrociandosi due dita davanti alla bocca.
“Ragni, serpenti, scorpioni e zanzare, se faccio la spia ch'io possa crepare...” cantilenò, ricordando un vecchio cartone animato che sua madre gli faceva sempre vedere quando era piccolo.
Judy tirò un sospiro di sollievo.
Non aveva nessuna voglia di sorbirsi una nuova infornata di preoccupazioni da parte loro.
Passando attraverso il Museo di Storia Naturale, ripresero a camminare in direzione del club naturista di Yax.
“Ricordi com'ero imbarazzata, quando venimmo qui sulle tracce di Otterton?”, disse Judy ridendo.
“E come potrei dimenticare, Carotina? Mi chiedo invece cosa, o chi, abbia avuto il potere di trasformarti nella coniglia selvaggia e disinibita che ho visto ieri notte...”, la provocò.
“Shhh! Almeno non farti sentire, volpe ottusa che non sei altro”, lo zittì lei.
“Altrimenti te la sogni, la coniglia disinibita” bisbigliò.
“Perciò non ho nessuna possibilità di entrare qui, con te, e vederti levare i vestiti in pubblico?”, continuò lui godendosela un mondo.
Judy sospirò.
Per un motivo o per l'altro, quel giovedì non faceva che sospirare.
“Forse è un po' presto per sfruttare il vecchio adagio, ma in fondo abbiamo fatto tutto molto velocemente, quindi... maledetto il giorno che ti ho sposato, Nick”, gli disse fingendo esasperazione.
Non che fosse poi troppo difficile fingere, quando lui ci si metteva.
“Era notte, cheri”, puntualizzò la volpe.

 

L'anatomia di Zootropolis delineava la loro storia comune.
Ogni luogo in cui erano stati durante la loro collaborazione al caso Bellwether conservava una traccia, una memoria del loro rapporto in fieri, ma nel tempo molti altri se ne erano aggiunti alla geografia della loro relazione.
Così, persino il basso e largo edificio della Motorizzazione, con la sua estetica non particolarmente affascinante, strappò ai due un sorriso nostalgico.
Flash si era preso una pausa per offrir loro un caffé, e siccome raggiungere il bar interno, ordinare e salutare l'amico aveva richiesto un'ora di tempo, quando uscirono da lì – proprio come la prima volta – si era ormai fatta sera.
“Sarà bene tornare”, suggerì Nick.
“Te la senti di arrivare alla metro, o sei stanco?”, gli chiese Judy.
La volpe valutò l'opzione taxi, ma la serata era così tersa e tiepida, e invitante, che gli dispiacque l'idea di chiudersi in un'auto e non approfittare anche degli ultimi minuti per stare all'aperto.
“No, ce la posso fare”, rispose dunque, mettendo un braccio attorno alle spalle della moglie e avviandosi verso la stazione più vicina.
“E poi” rise “ci aspettano ore di macchina già domani. Chissà se riuscirò a schiacciare almeno un pisolino...”.
“Con me e Ben che ci dimeniamo e chiacchieriamo senza sosta? Ne dubito, caro”, disse la coniglietta.
Avevano infatti telefonato a Bogo per confermare la partenza, e il capitano aveva messo a loro disposizione un mezzo, oltre alla guida prudente – così l'aveva definita – di Clawhauser.
“Ma ci metteremo secoli, e con la vostra parlantina dopotutto potreste anche ipnotizzarmi”, replicò Nick.
“Sì, può essere... potrei cogliere l'occasione per interrogarti e scoprire tutto quello che voglio su di te”.
“Ma basta chiedere, Carotina. Ormai mi hai addomesticato, no?”, sghignazzò la volpe.
“E, comunque, preferisco correre questo rischio che farmi di nuovo portare in giro da McHorn. La prima e unica volta che l'ho fatto mi sono beccato un proiettile. Dicono che le corna proteggono dalla sfiga, ma mi sa che non è vero...!”.
“E dai... lo sai benissimo che non è colpa sua se è successo”, lo ammonì lei.
“No, hai ragione. E' colpa mia che ci son salito” si impuntò lui.
Judy si batté una zampa sulla fronte.
Anche se ne avesse desiderati, non le sarebbe pesata l'impossibilità di avere dei cuccioli tutti loro: c'era già Nick che recitava anche quella parte...

 

… e poi c'era quella marea di fratelli e sorelle che Bonnie e Stu le avevano donato nel corso degli anni, mentre lei cresceva e, con lei, crescevano i suoi sogni di città.
Li poteva già scorgere in lontananza, piccini ma numerosi, che sollevavano polvere mentre giocavano e cominciavano a correre loro incontro.
Cercò gli occhi di Nick nello specchietto retrovisore della berlina del dipartimento, e lo vide ricambiarla con uno sguardo intenso.
Durante il viaggio di andata, nemmeno una settimana prima, gliel'aveva promesso: quelli sarebbero stati anche i suoi fratelli e sorelle.
Non era che l'inizio.
Passando davanti ai campi, videro Josh intento a misurare l'altezza di certe piantine che Nick non riconobbe. Si sbracciarono dai finestrini per salutarlo.
Su un furgoncino azzurro proveniente dalla direzione opposta incrociarono anche Gideon, che a quel punto Nick non temeva più.
E poco oltre, prima di raggiungere il sentiero privato che conduceva alla cascina degli Hopps, con gran sorpresa di Judy passò loro vicino... Harry, figlio di Howie. Proprio quel coniglio col quale aveva cenato, non troppo entusiasta, in quella che sembrava una vita precedente.
“Ecco uno che ci ha provato...” commentò didascalico Nick.
“... e a cui ha detto male”, completò la frase per lui Judy.
Dalla borsa ripescò un oggetto che, pensò, li avrebbe accompagnati per tutta la vita: una penna a forma di carota, che nascondeva al suo interno un piccolo registratore.
La coniglia l'avvicinò al marito – Dio, che bella parola –, premette un pulsante, e la sua voce si diffuse nell'abitacolo.
E' stato un quarto di miglio duro, ma lo ripeterei altre mille volte per stare con te. Perciò sì, lo voglio”.
“Anch'io, Carotina”, disse Nick Wilde sorridendo soddisfatto, mentre l'auto terminava la sua corsa e si fermava nel piazzale.
Erano arrivati a casa.

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