Alla ricerca del vero me

di Kopa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo incontro (parte 1) -Duncan- ***
Capitolo 2: *** Primo incontro (parte 2)- Heather- ***



Capitolo 1
*** Primo incontro (parte 1) -Duncan- ***


Heather ci aveva provato, lo aveva fatto davvero.

Aveva eclissato tutto ciò che potesse infastidirlo o ferirlo, anche quelle sue piccole manie che ai suoi occhi potevano risultare sconvenienti. I  suoi comportamenti freddi e calcolatori erano stati sostituiti da una dolcezza che spesso non le si addiceva; quante volte guardandosi allo specchio non si era riconosciuta e, addirittura, aveva provato ribrezzo per se stessa.
In quegli ultimi tre anni Heather era cambiata, non era più la stessa ragazza che aveva smantellato amori e amicizie col solo scopo di arricchirsi, no. Ora era una giovane donna di quasi ventidue anni che lavorava come stilista e modella in una famosa agenzia di moda a Toronto ed era innamorata alla follia del suo ragazzo, la sua ancora e il suo sostegno, l’unico che c’era stato quando il mondo le era caduto addosso.

La vecchia Heather non era capace di provare gratitudine, la nuova Heather pareva essere capace di provare solo quello.
Non che fosse la gratitudine ciò che la spinse a vivere con lui e instaurare una relazione, Heather amava davvero Alejandro per innumerevoli ragioni, ma forse era proprio quella gratitudine ad averle permesso di mettere da parte il suo smisurato orgoglio, causa dei suoi continui rifiuti a ricambiare i sentimenti dell’ispanico. E a ignorare i grandi difetti del suo uomo, quasi costringendola ad adattarsi a lui.
Heather, per la prima volta in tutta la sua vita, si era spodestata: non era più lei stessa la persona più importante della sua vita, ora c’era Alejandro al suo posto. Debole o meno, il suo mondo girava intorno a lui e a nessun altro, era il suo fascio di luce nella coltre di tenebre in cui era caduta dopo la morte della madre e tutto ciò che tale avvenimento aveva comportato.

Ma pareva che quel cambiamento non era bastato, o forse non era ciò che lui voleva.

Era tornata da lavoro, lui la stava aspettando per iniziare a cenare. Tutto come al solito, a parte un piccolo dettaglio. Alejandro era freddo come il ghiaccio. Anche il leggero bacio che si scambiarono come saluto era quasi sbagliato per i gusti di Heather, ma non disse niente.

E poi, quando il loro maggiordomo si presentò in soggiorno con le sue valigie e varie borsette capì cosa stesse accadendo; guardò Alejandro basita, ma lui non incrociò i suoi occhi mentre parlava. Ogni parola era una stilettata dritta al cuore sanguinante della ragazza.

Voleva i suoi spazi.

Doveva pensare a quella relazione che aveva preso una brutta piega.

Lei non era più la donna di cui si era innamorato, ne era il fantasma.

E Heather pianse gettandosi ai suoi piedi ed abbracciandogli le ginocchia, gridando disperata preghiere e suppliche mentre lui cercava di scostarla gentilmente guardandola con leggero disprezzo; perchè Heather era una donna orgogliosa fino allo sfinimento, iraconda e vendicativa. Quella piccola creaturina debole e disperata  ai suoi piedi non poteva essere lei, la SUA Heather; se la caricò sulle spalle e la portò fuori, un taxi li aspettava sotto la lugubre luce della luna.

-Farà bene a entrambi, devi farlo- disse con durezza cercando di liberarsi dalla stretta ferrea della giovane donna.

-No! Non puoi lasciarmi Ale, ho bisogno di te! Che senso ha vivere se te ne vai anche tu?!- era disperata, gli occhi rossi e gonfi, pieni di lacrime e il trucco sbavato ai lati del viso sconvolto dal dolore. Sembrava così piccola e indifesa che Alejandro dovette usare tutta la sua forza di volontà per chiudere la portiera del taxi.

“Lo faccio anche per lei. Anche per lei” si ripeteva nella mente come un mantra, perchè era l’unico modo che aveva per riuscire a lasciarla andare.

-Ti sei persa Heather, e io non posso più aiutarti. Trovati, e potrai tornare- furono le sue ultime parole prima di rivolgersi al tassista e ordinargli di portarla nell’hotel migliore di Toronto. Il taxi partì mentre la donna continuava a singhiozzare e a fissarlo dal vetro posteriore finchè non girarono l’angolo.

Alejandro era sparito e lei si trovava di nuovo sola al mondo.

******

Una volta finito in prigione, Duncan capì davvero cosa significasse essere un carcerato; la sua permanenza nel riformatorio era stata un giretto in un luna park. Viveva insieme a ladri, assassini e pazzi furiosi che avevano tentato in tutti i modi di fargli la pelle negli anni trascorsi in quell’inferno.

Dormire era impossibile, il cibo era talmente orripilante che rimpianse spesso i pasti di Chef e non aveva nemmeno un minuto di tranquillità: lui non era un criminale, non meritava davvero la prigione e gli altri detenuti lo avevano capito subito, per questo lo avevano preso di mira per tirargli scherzi o fare anche di peggio a volte. Ci mise un paio di mesi per capire che DOVEVA uscire di lì il prima possibile o lo avrebbero portato fuori dentro una bara, e così fece di tutto per ridurre la pena di cinque anni a cui era stato condannato:  si comportò bene, lavorò , partecipò a varie attività tra carcerati e, alla fine, potè uscire solo dopo due anni.

Ma il peggio doveva ancora arrivare.

Con la fedina penale sporca e nessun titolo di studio, Duncan non aveva alcuna speranza di trovare qualcuno che potesse assumerlo stabilmente. Sua madre gli diede tutti i soldi che poteva permettersi di cedere, ma non lo fece rientrare in casa; nessuno della sua famiglia lo voleva più intorno dopo quel che era successo, e Duncan li capiva sotto molti aspetti. Nessuno era felice di avere un presunto delinquente in famiglia.

Affittò una piccola camera nella periferia di Toronto e si mise subito in moto per trovarsi un lavoro qualsiasi, perchè i tempi dei furti erano finiti per lui.
Come si era aspettato, nessuno voleva assumerlo per più di due mesi ma non gli interessava, faceva il suo dovere senza lamentarsi mai, anche se si trattava di lavori umilissimi. Durante uno dei suoi soliti giri alla ricerca di un lavoro conobbe un gruppo di musicisti con cui condivideva la passione per la musica metal e che erano alla disperata ricerca di un cantante grunge per mettere su una piccola band; fortuna o meno, Duncan accettò subito l’offerta senza fare complimenti e iniziò a gironzolare per i vari bar e locali della zona. Non guadagnavano molto, erano solo agli inizi ma, per la prima volta negli ultimi tre anni, Duncan si sentì finalmente felice e soddisfatto di se stesso.
Anche se, qualcosa mancava. O meglio, qualcuno.

Courtney.

Pensare a lei gli aveva permesso di non impazzire in carcere, aveva spesso sognato di rincontrarla una volta uscito da lì. Il tempo passato insieme, la sua voce dolce ma spesso autoritaria, le sue risate, i suoi occhi così carichi di amore nei suoi confronti, e i suoi baci; ricordi così dolci che gli avevano riempito il cuore durante le orribili notti che aveva passato vigile nella sua cella. Aveva avuto molto tempo per pensare a cosa volesse davvero e ai grandi errori che aveva commesso ma ora era cambiato, era un uomo nuovo alla scoperta di se stesso. Ora era pronto per Courtney, e la rivoleva.
Problema: non sapeva minimamente dove fosse, e c’era una sola persona a cui chiedere aiuto.

-Allora, che sapore ha la libertà?-chiese Gwen con un sorriso dolce stingendo la mano di Tren. Erano tornati insieme, Duncan era segretamente felice per loro.

-Non ne hai idea, è la cosa più dolce del mondo; grazie per aver trovato del tempo per parlare- disse il ragazzo sedendosi su un tavolino di un bar davanti alla coppietta.

-Figurati, cosa ti serve?-

-Voglio rivedere Courtney, dove si trova?- chiese il ragazzo senza perdere tempo, e Gwen a quelle parole si incupì facendo temere il peggio a Duncan.

-Lei e Courtney non si parlano da un bel pò ormai-parlò Trent al posto suo.

-Già, abbiamo litigato per alcune considerazioni che avevo fatto poco dopo la fine dell’ultimo reality, non ci vediamo da allora. Mi spiace-continuò Gwen affranta, e Duncan si afflosciò su una sedia sbuffando sonoramente. Pareva proprio non fosse destino ritrovare Courtney, l’aveva persa davvero? Possibile? Non era giusto! Proprio ora che aveva finalmente aperto gli occhi.

-Però so chi può aiutarti-aggiunse all’improvviso Gwen e Duncan quasi saltò sulla sua sedia concentrandosi nuovamente sulla ragazza-Ma ti assicuro, non ti piacerà la cosa-

-Sono pronto a tutto, dimmi chi è- disse speranzoso il ragazzo e Gwen lo guardò contrariata.

-Heather-sputò con acidità; a quel nome, Duncan spalancò la mascella talmente tanto che per un momento Tren pensò si sarebbe staccata.

-Heather? Come...cosa...-balbettò il punk incredulo mentre Gwen incrociava le braccia con stizza.

-Pare abbiano legato molto dopo il nostro litigio, non chiedermi come sia successo. L’unica cosa che so è che Courtney ha aiutato quell’arpia a risolvere una situazione alquanto spinosa e da allora sono diventate grandi amiche. Lei potrà sicuramente metterti in contatto con Courtney- Duncan non era molto entusiasta di rivedere Heather, non lo avrebbe mai ammesso ma quella donna gli aveva fatto paura in molte occasioni e sicuramente avere a che fare con lei non era nella lista delle cose da fare fuori di prigione. Ma c’era Courtney di mezzo, e non poteva tirarsi indietro. Non adesso.

-Dove posso trovarla?- a quelle parole, sia Tren che Gwen ridacchiarono di gusto lasciandolo intontito a fissarli come se fossero impazziti di colpo.

-Capisco che hai passato due anni in carcere, ma non hai mai provato a mettere piede nella zona più ricca della città nell’ultimo anno? O anche aprire un giornale ogni tanto?- chiese Trent e Duncan ringhiò.

-Non ho tempo per leggere giornali, e non vado in mezzo a riccastri con la puzza sotto il naso-sbottò irritato il punk, non contento di essere schernito. Gwen si fece avanti per spiegargli la situazione

-Beh, Heather lavora in una famosa agenzia di moda qui a Toronto, si è fatta un nome abbastanza importante nell’industria della moda sia come stilista che come modella. Senza contare che è la ragazza del grande e giovane imprenditore Alejandro Burromuerto- a già, mancava il latin lover all’appello. Quindi alla fine si erano fidanzati, e avevano anche fatto fortuna. Bene, ora Duncan si sentiva anche peggio.

-Non volevo sapere questo, solo dove potevo trovarla grazie- ringhiò il ragazzo leggermente frustrato. Vecchi ricordi di un Alejandro che flirtava con Courtney con l’unico scopo di ingannarla e usarla per i suoi scopi gli tornarono prepotentemente nella testa e la scosse violentemente.

-Non ho l’indirizzò di Heather-borbottò innervosita Gwen- ma se pazienterai qualche giorno potrò chiedere a qualcuno come fare per contattarla. Ti ricordo, comunque, che stiamo parlando di Heather. Ti aiuterà? Ne dubito, ma prova lo stesso. La speranza è l’ultima a morire- già, e Duncan constatò che in quel caso ce ne voleva davvero tanta di speranza. 

Si separò dai due ragazzi con la promessa che si sarebbero rivisti insieme ad altri vecchi amici del reality che loro continuavano a frequentare e se ne tornò a casa in fretta, doveva prepararsi per quella sera. Dovevano suonare in un locale aperto da pochi mesi e li pagavano anche abbastanza, doveva essere carico. Tentò di non pensare a Courtney e, soprattutto, a Heather mentre raggiungeva il locale e si preparava all’esibizione.
Visto tutte le informazioni (orribili) ricevute da Gwen quel giorno, Duncan avrebbe preferito rimanersene a casa quella sera piuttosto che stare lì, ma aveva bisogno di soldi per pagare l’affitto di quel mese e, fortunatamente, dovette suonare per solo mezz’ora prima di lasciare il posto a un’altra band e bersi qualcosa coi compari.
Mentre stava seduto sul bancone con una birra in mano tentando di seguire la conversazione dei suoi amici notò qualcosa, o meglio, qualcuno che stonava non poco in quel bar stra pieno di punk e metallari. Una donna  con addosso un vestitino bianco, un pò troppo elegante per gli standard di un posto come quello, che aderiva perfettamente alla sua forma tonica e minuta che il punk potè tranquillamente notare anche se si trovava alle sue spalle. Lunghi capelli neri, lucidi e curatissimi, le ricadevano ondulati sulla schiena e la donna li spostava ogni tanto dietro l’orecchio. Decisamente, quella ragazza era fuori luogo e sembrava anche abbastanza a disagio, forse a causa di tre tipi ubriachi che stavano a prendersi a pugni per lei.

Il vecchio Duncan avrebbe fatto una battutaccia e se ne sarebbe fregato, ma il nuovo Duncan decise di intervenire per aiutare quella povera ragazza smarrita; si avvicinò a piccoli passi e urlò a quei ragazzi di togliersi dai piedi se non volevano essere pestati. Quelli, conoscendo il passato di Duncan, se la filarono di corsa facendolo ridacchiare; abbassò il viso mostrando un sorriso cordiale per chiedere alla ragazza se stava bene, ma si congelò sul posto quando il suo sguardo si scontrò con due grandi occhi grigi e profondi con un leggero taglio asiatico. Come dimenticarsi quel volto bello da morire e allo stesso tempo capace di incutere puro terrore?

Forse la fortuna aveva finalmente cominciato a girare.

-He..Heath...ther?!- balbettò osservandola come se avesse appena visto un fantasma.

-Duncan...-sussurrò piano la ragazza, stupita quasi quanto lui.

 
XXX
Shalve a tutti! Questa è la mia prima fic su TD, la scrissi all’incirca un anno fa ma per vari impegni e problemi non sono mai riuscita a pubblicarla. L’ho ritrovata per caso oggi e abbandonarla nei meandri del mio portatile non mi sembrava una cosa carina quindi...eccola qua! :D
Spero che questo primo capitolo principalmente introduttivo (tranquilli, ci saranno molti più dialoghi inseguito, e ovviamente si verrà a sapere molto di più su quel che è successo a Heather) vi abbia incuriosito abbastanza da volerne sapere di più, fatemi sapere cosa ne pensate e se volete che continui la storia! Ciao ciao a tutti! ^.^

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Capitolo 2
*** Primo incontro (parte 2)- Heather- ***


Stesa sul grande letto dell’hotel a cinque stelle in cui il tassista l’aveva accompagnata, Heather si era rannicchiata su se stessa e non si muoveva. Negli ultimi cinque giorni quella era stata l’unica cosa che era riuscita a fare, non mangiava niente nè usciva di casa per andare a lavoro; stava lì avvolta tra le coperte con le tapparelle chiuse senza sapere mai se fosse notte o giorno, ma non le interessava. Il telefono abbandonato sul cuscino affianco alla sua testa ogni tanto squillava; lei ci gettava sempre un’occhiata prima di voltarsi dall’altra parte e sospirare.

Non era mai Alejandro.

Ricordi di loro due le affollavano costantemente la testa, non riusciva a liberarsene e non voleva farlo. Come avrebbe potuto eliminarli quando erano i ricordi più belli che aveva? Ale era sempre stato al suo fianco durante tutto l’inferno che aveva vissuto. Sua madre, i suoi fratelli, suo padre, la sua intera vita da adolescente. Era stato lì a stringerla tra le sue braccia e ad offrirle una spalla su cui piangere, sapeva sempre cosa dirle o fare per tirarla su.
E ora, non c’era.

“Ti sei persa” queste parole le rimbombavano nelle orecchie, e lei cercava di capire cosa intendesse. Lei non si era persa, certo magari non era più la vecchia Heather ma era cambiata per lui, no? Aveva fatto questo per renderlo felice, non era migliore ora?

“Ma non scherzare!” tuonò una voce infastidita nella sua testa facendola sobbalzare. Heather la ignorò, come aveva sempre fatto.

Il telefono squillò di nuovo, si voltò a gurdare. Courtney.
La chiamava incessantemente da quasi tre giorni, e Heather la ignorava puntualmente. Sapeva che, se avesse risposto, lei sarebbe tornata di corsa a Toronto per aiutarla e non voleva questo; Courtney viveva in Ohio ora, ed era felice. Perchè infastidirla? Il telefono smise di squillare, e Heather si voltò dall’altra parte tornando nel suo precedente stato catatonico.

Dieci minuti dopo, arrivò un messaggio. Era di nuovo Courtney e Heather sbuffò sonoramente; decise, pr la prima volta in quasi una settimana, di afferrare il telefono e leggere un benedetto messaggio, forse la sua amica la stava chiamando ininterrottamente perchè aveva qualche problema.

“Ho parlato con Alejandro, chiamami o vado a prendere il primo aereo” lesse Heather e, alla visione di quel nome, si irriggidì un pò. Chiamò immediatamente la ragazza.

-Heather maledizione!- sbraitò Courtney dall’altra parte del telefono, infuriata-Perchè non hai mai risposto alle mie chiamate? E perchè cavolo non mi hai detto niente?!-

-Ecco...-sussurrò Heather con voce leggermente roca e atona, sembrava quella di un robot.

-Cosa stai facendo? So che non sei andata più a lavoro, ho anche chiamato il tuo capo un paio di volte-

-Ma che...Courtney!- esclamò esasperata la mora, doveva aspettarselo da quella ragazza.

-Cosa dovevo fare? Mi stavo preoccupando! Dimmi cosa è successo, Ale è stato molto vago- il semplice nome le fece rivoltare lo stomaco, ma si trattenne e raccontò tutto senza escludere qualsiasi particolare e tentando in ogni modo di non piangere ancora. Courtney la lasciò parlare tranquillamente prima di rispondere.

-Non può sbatterti fuori di casa! Anche tu hai messo il tuo contributo finanziario per poterla comprare! Stando all’Articolo...-ecco che ricominciava.

-Court, il mio ultimo problema è essere stata sbattuta fuori di casa- disse Heather cercando di mantenere la calma.

-Ah ehm...scusa. Perchè lo ha fatto?-

-Ha detto che mi sono persa e potrò tornare solo quando sarò di nuovo me stessa. Ma non so cosa fare, nè cosa intendesse. Sono cambiata certo, ma sono una persona migliore no? Sono una fidanzata migliore!- sbottò la ragazza con un singhiozzo, sentendo già gli occhi pizzicarle.

-Heath, credo che lui intendesse altro con quelle parole. Ti amava quando eri una stronza e ti ama anche ora così come sei. Ciò che vuole però è vederti di nuovo forte e grintosa, vuole al suo fianco quella Heather che non si abbatteva di fronte a niente e nessuno, che continuava a lottare nonostante le avversità. Hai fatto troppo affidamento su di lui in questi ultimi anni, Ale vuole solo farti capire che potrebbe non rimanere al tuo fianco per sempre e tu devi imparare a cavartela da sola-

-Non sono capace- mormorò.

-Sì invece! Ascolta, la prima cosa che devi fare è uscire da quell’hotel in cui ti sei rintanata e farti un giretto!-

-Come fai a sapere che non sono mai uscita?-

-Ho chiamato la reception poco dopo aver parlato con Alejandro- a già, doveva aspettarselo da miss perfettina-Comunque Heather, esci di lì. Vai a farti un giro e sfogati, ci morirai lì dentro dammi retta. Potresti incontrare qualcuno chi lo sa, coraggio- Courtney aveva ragione, e sebbene la mora non avesse la minima voglia di mettere il naso fuori casa si ricordò bene di quanto utili furono i consigli della sua amica tempo fa. Doveva fare uno sforzo, era questo che Alejandro voleva da lei no?

-D’accordo, vado a prepararmi allora-disse con voce leggermente monotona e Courtney esultò fracassandole un timpano.

-Questo è ciò che volevo sentire! Forza allora, vai a divertirti da qualche parte e vedi di risondere al telefono d’ora in poi-

-Lo farò, grazie Court-

-Di nulla, e fatti sentire ogni tanto- si salutarono e Heather rimase un pò seduta sul suo letto prima di decidere di alzarsi e farsi una doccia. Non sapeva nemmeno che ora fosse ma non le interessava, voleva seguire il consiglio di Courtney e basta. Proprio come aveva fatto tempo fa.

Rimase molto tempo sotto il getto d’acqua caldo a riflettere su dove andare e cosa fare quella sera prima di uscire e prepararsi, ci aveva messo minimo due ore ne era sicura; chiamò anche il servizio in camera per farsi portare la cena, voleva mettere qualcosa nello stomaco.
Si trovò per le strade di Toronto alle dieci e mezza, era più tardi di quanto si aspettasse; aveva una meta però, sebbene probabilmente Courtney non intendeva dire di fare quello per sfogarsi ma, in quel momento, Heather ne sentiva il bisogno impellente. Chiamò un taxi e si fece portare nella periferia di Toronto; il tassista non fu molto entusiasta di lasciare una donna come quella sola in un posto simile ma Heather non lo ascoltò, pagò la corsa e si diresse verso una zona che non frequentava più da tempo.
Dopo i primi mesi di relazione, Alejandro scoprì ciò di cui Heather diceva di  aver bisogno ogni tanto e le proibì di avvicinarsi ancora a quel luogo; quella litigata fu furiosa ma, alla fine, il ragazzo riuscì a farle promettere di non comprare più quella roba.
Heather aveva fumato marijuana per quasi un anno, non ne era dipendente ma ogni tanto aveva il bisogno impellente di sentirla in circolo; la rilassava e la calmava, le permetteva anche se per poco di estraniarsi da quell’orribile mondo in cui era finita. Sapeva bene che faceva male sia alla mente che al fisico, per questo non ne abusò mai; ci rinunciò più che volentieri all’epoca. Perchè Alejandro era molto più importante ed efficace di una canna. Ma lui in quel momento non c’era.
Heather sperò solo che Spike, l’uomo che gliel’aveva venduta da sempre, frequentasse ancora quella zona o non sapeva a chi altro rivolgersi.
Fortuna volle che l’uomo odiasse cambiare posto e lo trovò con facilità. Quando la vide al povero Spike prese un colpo.

-Heather, sei davvero tu?- chiese con la sua vocetta squillante e la mora gli sorrise debolmente.

-Ciao Spike, come vanno gli affari?- tipiche frasi per rompere il ghiaccio, sembrava stesse leggendo un copione.

-Non c’è male bellezza, e tu invece cosa mi dici? È da molto che non vieni a trovarmi, come mai qui?- Spike cercò di aggiustarsi la maglietta spiegazzata che aveva addosso e sistemarsi i capelli biondo cenere mentre faceva cenno a Heather di seguirlo. La ragazza non esitò, si fidava abbastanza di lui; non che lo considerasse un suo amico, ma sapeva che non era una persona subdola.

-Ho bisogno di “quella”- disse con tranquillità, come se fosse la cosa più naturale del mondo e l’uomo annuì facendola sedere su una panchina nascosta dagli alberi.

-Sei fortunata, ne è rimasta ancora un pò. Ma dimmi, il tuo ragazzo non ti aveva vietato di venire qui?- a quelle parole Heather sussultò leggermente e strinse i pugni, ma celò la sua espressione triste con un gran sorriso prima di rispondere.

-Lui non può dirmi quello che devo fare, parliamo di cose serie ora-

Non ne comprò molta, sapeva che se lo avesse fatto, visto il suo stato attuale, sarebbe caduta in un giro da cui non sarebbe mai più uscita e non era quel che voleva. Nè quel che voleva Ale. Scambiò altre quattro chiacchiere con Spike dopo l’acquisto e si allontanò. Camminava lentamente respirando l’aria dolce di quella serata estiva, quando all’improvviso iniziò a sentire un forte rumore di musica provenire poco più avanti e storse il naso.

“Non sopporto il metal” pensò, riconoscendola. Non sapeva che ci fosse un bar lì, ma del resto da quanto tempo non metteva più piede il quel posto? Tanto. Si incuriosì e accelerò il passo sentendo la musica farsi sempre più forte e notando vari punk fuori dal locale; facevano più casino loro che la musica stessa. Heather si sentì alquanto a disagio quando i loro occhi si puntarono su di lei; abbassò lo sguardo ignorando i vari fischi e commenti rozzi che le arrivavano alle orecchie finchè non si trovò proprio in mezzo a quei piantagrane e osservò il bar davanti a sè.

“Jolly Tonight? Ma chi l’ha scelto il nome?” pensò stizzita cercando di sbirciare all’interno senza successo, non si vedeva nulla. Heather non era solita frequentare bar simili, era più tipo da posti raffinati e discoteche la cui entrata costava un occhio della testa. Ma in quel momento voleva entrare lì dentro, in un bar di periferia con musica che detestava e circondata da idioti arrapati che continuavano a fare commenti sul suo sedere come se lei non potesse sentirli.

“Io sono completamente e irrimediabilmente fuori di testa” pensò frustrata per poi entrare nel locale. La musica la assordò immediatamente e il forte odore di birra la fece quasi vomitare, odiava quella bevanda. Il locale era meno pieno di quanto si aspettasse e questo la consolò, almeno non avrebbe dovuto raggiungere il bancone a forza di spintoni e rischiare di prendersi una gomitata tra le costole. Si sedette su uno sgabello malandato e fece un cenno al barista che la guardò come se fosse un’aliena. Visto com’era vestita non aveva tutti i torti, non ci voleva un genio per capire che era decisamente fuori luogo lì. Si fece preparare un martini e osservò la band che suonava in quel momento, quattro ragazzi con le facce dipinte molto male che ricordavano i Kiss e che si muovevano sul palco in maniera talmente strana che Heather penso stessero per avere un attacco epilettico. Non capiva proprio quel genere di musicisti ma dovette presto concentrare il suo sguardo su un ragazzo che le aveva appena pagato il martini. Non si era nemmeno accorta che si era seduto su uno sgabello accanto a lei.

-Ciao tesoro, cosa ci fa una dea come te in un postaccio come questo?- chiese con un sorriso malizioso che la fece indietreggiare un pochino, dall’odore che sentiva il ragazzo doveva aver bevuto un bel pò.

-Bevo qualcosa,- rispose atona sorseggiando il martini- e grazie per avermelo offerto- prima regola quando si parla con gli ubriachi: sii gentile, se quell’omone si fosse arrabbiato chissà cosa avrebbe potuto farle.

-Ma figurati, per me è un piacere. Sei davvero splendida sai? E hai un viso familiare, ci siamo già incontrati da qualche parte?- cavolo, non pensava che qualcuno potesse davvero riconoscerla qui dentro. Stava per rispondere con una scusa quando altri due ragazzi le si avvicinarono.

-Ma che bel passerotto abbiamo qui, eh Derek?- chiese uno con voce strascicata mentre l’altro fece uno strano verso simile a un ululato. Perfetto, altri due ubriachi. Heather stava davvero iniziando a temere per la sua sicurezza.
-Ehi stavo parlando io con la signorina, fuori dai piedi!-sbottò il ragazzo che le aveva offerto il martini.

-Perchè non ti togli tu dai piedi? Non sei abbastanza per una così- sbottò uno dei due e Heather si schiacciò ancora di più contro il bancone sperando che quei deficienti non scatenassero una rissa in cui avrebbe rischiato di essere coinvolta.

-Io non sono abbastanza? Ma guardati pezzente!- il ragazzo si alzò dallo sgabello e fulminò gli altri due, alzando i pugni. Ecco, appunto.

-Vuoi fare a botte stronzo?- gridò l’altro mettendosi in guardia mezzo barcollante insieme all’amico che stava peggio di lui, Heather si vergognò per loro.

-Certo che si, avanti-

-Ora basta! Fuori dai piedi tutti e tre-esclamò qualcuno alle spalle di Heather facendola sobbalzare. Non per l’urlo improvviso, ma perchè quella voce le sembrava estremamente e orribilmente familiare.

“No, non è possibile che sia lui” pensò Heather con gli occhi sgranati.
 I ragazzi guardarono con rabbia il nuovo arrivato ringhiando, ma le loro espressioni infuriate si afflosciarono subito sostituite da espressioni impaurite. Corsero via senza dire mezza parola, lasciando Heather sola con quel ragazzo che le posò una mano sulla spalla. Alzò la testa lentamente, giusto per essere certa di aver confuso la sua voce con quella della sua vecchia conoscenza. Ma non fu così.
I suoi occhi azzurro chiaro si sgranarono e il sorriso cordiale che aveva stampato in faccia si trasformò in un’espressione mista tra lo sconvolto e il terrorizzato.

-He...Heath...ther?!- balbettò il ragazzo tremante.

-Duncan...-sussurrò lei completamente irrigidita e, per un attimo, si maledì per essere entrata in quell’orribile locale invece che andarsi a fumare una canna in pace.

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