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di Tem_93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~Prologo~

-Bene, a quanto pare mi prenderò una settimana di vacanza per andare ad Atlantide- decise la ragazza, per poi voltarsi verso il desktop del suo computer, tornando a leggere la lunga mail che aveva davanti.

-Potrebbe esserci un problema – sospirò la sua assistente, ancora in piedi davanti a lei.

-Di che tipo?- domandò, senza girarsi.

-Purtroppo i proprietari sono fieri di affermare che l'hotel è solo per coppie, non accettano clienti single – mormorò Indra, abbassando lo sguardo, aspettando la prossima scontata riposta del suo capo.

-Pagheremo di più – assentì Lexa, senza sbattere ciglio – offrigli il doppio. Non è un vero problema, c'è altro? - chiese la giovane.

-Sfortunatamente gli ho già fatto questa offerta, ma hanno anche già rifiutato dicendo che “non c'è motivo per cui un single debba andare a disturbare le altre coppie o a deprimersi della sua solitudine”. Non accetteranno nessuno che non si presenti accompagnato da un partner- sospirò l'assistente, aspettandosi ora uno sguardo assassino da Lexa, cosa che ottenne effettivamente, quando la giovane si voltò verso di lei.

-Non esiste..Indra digli che offriamo il quadruplo- disse decisa, fissando ora l'altra donna.

-Lexa, io avrei avuto un'idea per evitare di aggiungere troppi zeri al costo finale, per non dare troppo nell'occhio e magari essere malvisti dagli altri ospiti della struttura. Però credo anche che questa soluzione non ti piacerà affatto.- si fermò, aspettando un invito a continuare.

-Prova a dire-. Lexa aveva molta fiducia e stima nella sua assistente, sapeva che se glielo stava proponendo sicuramente ci aveva già ripesato almeno tre volte, valutando pro e contro.

-Suggerirei di chiedere ad una escort di farti da finta partner per quella settimana – riferì Indra. Lexa appoggiò il gomito sulla scrivania, posando poi il mento sulla mano chiusa e non diede nessun segno di approvazione o negazione per almeno mezzo minuto. La sua assistente sapeva bene che stava facendo quello che lei aveva fatto prima di riferirle l'idea. Stava vagliando quanto fosse o non fosse conveniente in termini di costi, utilità, apparenze, gossip e impegno personale.

-Può andare. Ma ho delle richieste che devono per forza essere soddisfatte. Altrimenti non se ne fa nulla - asserì, tornando a rivolgersi ad Indra.

-Sono pronta – sorrise, estraendo un tablet su cui prendere nota.

-Voglio una professionista, dopo le due settimane non ci dovranno essere più rapporti di alcun tipo. Di bella presenza, sana, giovane ed educata. Niente di pacchiano, o troppo starnazzante. Preferirei bionda, più bassa di me ed acqua e sapone, ma non deve neanche sembrare una quindicenne. Non un'oca, deve almeno aver finito il liceo e avere qualche hobby di cui si possa parlare e tavola. La cosa più importante è però che non si possa risalire facilmente al suo mestiere. Non deve mai essere apparsa su un canale di gossip, ma tanto meno su un giornale o sul web. Niente, nulla, zero. Siamo intese ? - concluse Lexa, abbastanza soddisfatta del suo elenco.

-Certo, vedrò cosa si può fare – rispose Indra, finendo di scrivere le ultime caratteristiche.

-Ottimo, aggiornami se trovi una candidata. Dovrò incontrarla personalmente per la decisione finale- terminò la ragazza, tornando alla sua lettura.

-Sarà fatto – disse l'assistente prima di lasciare l'ufficio e iniziare la sua ricerca.


 



 

Clarke si guardò allo specchio, notando che sì, forse la scollatura era eccessiva, ma quella sera ne avrebbe avuto davvero bisogno se voleva riottenere il suo lavoro.

Era stata davvero un'idiota a tirare un pugno in faccia a quel tipo.

Appena aveva sentito una mano infilarsi sotto la sua gonna si era girata e lo aveva colpito, senza rendersi conto che l'uomo era uno dei clienti abituali dell'hotel, se non uno dei più ricchi.

Però se lo meritava tutto. Lei era lì per fare cocktail e intrattenere i clienti logorroici che non avevano nessuno con cui parlare; non certo per altro. Se aveva certi bisogni non era sicuramente lei a cui doveva rivolgersi.

La realtà però è che aveva disperatamente bisogno di quello stipendio ed ora si odiava davvero per essere stata così impulsiva. Per convincere il suo ex datore di lavoro a riassumerla ora come ora aveva bisogno di ogni aiuto possibile, e le scollature aiutano sempre se hai una terza abbondante e magari anche un bel reggiseno imbottito.

Si riguardò per l'ultima volta, prima di applicarsi il mascara, afferrare la borsa e la giacca in pelle, per poi uscire di casa e fermare il primo taxi.


 

Quando scese dalla vettura si fiondò all'ingresso dell'hotel, salutando con un sorriso il portiere per poi avviarsi al bar come era solita fare ogni sera di lavoro. Oggi però sedette dalla parte opposta del bancone, stampandosi un sorriso di scuse in faccia mentre aspettava che Dough si accorgesse di lei. L'uomo stava servendo silenziosamente due clienti, col suo solito fare gentile e non invadente. A Clarke era piaciuto dalla prima volta che l'aveva visto e da allora gli aveva sempre voluto bene. Lui le aveva insegnato tutto con estrema pazienza e bontà, per lei aveva sempre un sorriso e una mano pronta ad aiutarla. Clarke lo vedeva come il nonno che non aveva mai avuto.

Appena la vide le sorrise, avvicinandosi a lei .

-Ciao bambina- iniziò, guardandola dispiaciuto.

-Ciao Dough – squillò lei -io avrei bisogno..-

-Di un favore immagino – la precedette l'uomo passandole un bicchiere di Coca-Cola. Lei annuì con fare colpevole, sospirando. Non le piaceva l'idea di coinvolgerlo, ma lui era il dipendente prediletto del Signor Banks e se qualcuno poteva far cambiare idea a quell'uomo, di certo era Dough.

-Io vorrei poter parlare con Signor Banks . Convincerlo che non si ripeterà mai più un comportamento come quello dell'ultima volta, che d'ora in poi sarò impeccabile, farò anche straordinari, mi impegnerò a fare tutto il necessario per riparare al mio errore – supplicò la ragazza, guardando Dough dritto negli occhi. L'uomo le posò una mano sulla sua.

-Bambina, sai che ho già cercato di convincerlo più volte- le rispose avvilito – quello che posso dirti è che stasera mi ha detto che sarebbe passato per incontrare un cliente. Per cui io non ne so niente eh, ma tra qualche ora potrebbe sedersi a quel tavolo – mormorò Dough, indicando con un gesto del capo un tavolino sul soppalco del locale. Clarke gli afferrò entrambe le mani sorridendo gioiosa -

Grazie Dough, sei come sempre il migliore, aspetterò qui senza disturbare nessuno – esclamò, ottenendo in risposta un sorriso complice.


 

Dough tornò al suo lavoro, e Clarke iniziò a sorseggiare la sua bibita, particolarmente contenta di dover aspettare due ore l'arrivo del suo ex datore di lavoro. Dopo poco però iniziò ad annoiarsi e, in modo molto discreto, si mise ad osservare i clienti che si aggiravano per l'hotel. Erano tutte persone molto ricche, pompose e veramente noiose; ma dopotutto quello era il miglior hotel di lusso della città e quelli erano i clienti tipo che la ragazza aveva iniziato a conoscere e sopportare, ma non certo ad invidiare. Sì, i loro soldi le avrebbero fatto comodo, ma se per averli bisognava vendere la propria anima e diventare persone vuote come quelle che aveva visto lì, bè preferiva di gran lunga la sua condizione.

Un'oretta dopo notò entrare una donna di colore, molto elegante, con un'espressione decisa e severa. Scrutò attentamente intorno a se, finché non posò gli occhi proprio su Clarke, la quale distolse immediatamente lo sguardo, tornando al suo terzo analcolico.

-Posso disturbarla? - chiese gentilmente la donna, cogliendo Clarke di sorpresa.

-Certo- rispose la bionda, abbozzando un sorriso.

-Gradirei usufruire dei suoi servizi per due settimane, ma ci sono alcune condizioni da soddisfare – esordì la donna. Clarke alzò un sopracciglio confusa.

Usufruire dei suoi servizi per due settimane? Che cosa intendeva esattamente? E che servizi poi?

La bionda annuì sorridendo – mi dica pure – la invitò a continuare, sperando che le chiarisse i suoi quesiti.

-La prima settimana le servirà per conoscere il mio capo, la seconda dovrà accompagnarlo in un hotel. Ma quello che veramente interessa è un lavoro professionale, niente discorsi sciocchi, rozzi o imbarazzanti e.. ha qualche hobby? - domandò piegando leggermente il volto.

Ok, forse ora aveva capito lo strano approccio.

Era chiaro, credeva fosse una escort. Effettivamente si trovava sola, al bancone dell'hotel più prestigioso della città, con un vestito particolarmente succinto e due tacchi vertiginosi.

-Mi piace dipingere nel tempo libero – rispose prontamente, stando al gioco. Forse era una situazione che poteva sfruttare. Aveva conosciuto bene una ragazza del mestiere che frequentava abbastanza spesso l'hotel e quando le aveva detto quanto veniva pagata anche solo per accompagnare qualcuno ad una cena era sbiancata.

-Mhh, bene- annuì la donna, soddisfatta, per poi squadrarla velocemente – anche l'aspetto fisico fa a caso nostro. La cosa più importante è però questa : non si deve assolutamente, in nessun modo, risalire al suo lavoro Signorina..-

-Clarke Griffin- si presentò la ragazza, allungandole la mano.

-Indra – rispose la donna, con un lieve sorriso.

-Di questo non si deve preoccupare, lavoro in proprio e nessuno risalirà al mio lavoro. Almeno non a questo – asserì Clarke, sorridendo in modo mellifluo.

-Bene, di questo mi accerterò personalmente. – Indra si sedette al suo fianco – Il lavoro come le ho già anticipato le occuperà due intere settimane a partire dalla prossima. Le faremo delle analisi per controllare che sia in salute; le forniremo tutti gli abiti e quello che è necessario. Questo solo se il mio capo prima la approverà. Le fisserò un colloquio per domani pomeriggio– riferì pacatamente Indra, lasciando il tempo alla ragazza di memorizzare ogni istruzione.

-Perfetto. La avverto però che anche io deciderò se accettare solo dopo aver incontrato il suo capo. Non voglio avere a che fare con gente troppo pericolosa. - affermò Clarke, cercando di essere il più possibile sicura di sé.

-Capisco. La avviso sa subito che per il compenso il mio capo non ha intenzione di spendere più di ottocentomila dollari, dato che provvederà a coprire tutte le sue spese di queste settimane. Quindi tenga conto anche di questo -.

Clarke per poco non si affogò col drink.

Ottocentomila dollari.

Ottocentomila dollari.

Ottocentomila dollari erano tipo trent'anni e passa del suo vecchio lavoro.
-Benissimo. Le lascio il mio numero - si offrì Clarke, prendendo dalla borsetta un post-it e una penna, per poi scrivere frettolosamente il suo nome e il suo numero. Lo passò poi con un sorriso ad Indra che lo afferrò, lo studiò per due secondi e poi lo infilò in un piccolo taccuino.
-A presto Signorina Griffin - le disse allentandosi. Clarke ricambiò il saluto per poi sospirare incredula di quello che era appena successo. Troppo confusa per poter stare ancora lì lascio i soldi sul bancone per non disturbare Dough e uscì dalla struttura, fermando il promo taxi per tornar a casa.

Il giorno seguente si svegliò presto e con un gran mal di testa. Aveva passato la notte in dormiveglia a pensare e ripensare cosa aveva fatto. Da una parte stava per vendere il suo tempo e forse il suo corpo ad uno sconosciuto su cui non sapeva assolutamente nulla e che avrebbe potuto studiare solo nel colloquio che forse sarebbe avvenuto nel pomeriggio. Dall'altra parte c'erano ottocentomila dollari che avrebbero potuto comprarle forse la felicità. In quel momento ne aveva davvero bisogno e non sapeva se le sarebbe potuto capitare mai più un'occasione simile.
Sospirò per l'ennesima volta. Poi si vestì velocemente e afferrò le chiavi della macchina con una destinazione ben precisa.

Un'oretta più tardi si trovava nel parcheggio ghiaioso di un maneggio che era ancora chiuso, ma dove sapeva benissimo di trovare una delle poche persone di cui si fidava.
Maledicendosi per aver messo delle scarpe da tennis arrivò fino alla stalla, dove sentì una vocetta contenta chiacchierare con qualcuno che non rispondeva. O almeno, rispondeva ma non con parole.

-Hey O! - esclamò Clarke, entrando e salutando l'amica con un cenno della mano.

Octavia girò di scatto la testa, smettendo di parlottare con cavallo bianco che stava strigliando.

-Clarke Griffin sveglia prima delle dieci di mattina è qualcosa di preoccupante – le rispose la ragazza, alzando un sopracciglio sorpresa.

-Sì, lo so – mormorò la bionda, avvicinandosi – ho bisogno di parlarti -.

Octavia spalancò gli occhi ancora più stupita – Sei incinta?- domandò a bruciapelo.

-Ma di chi? L'ultima relazione l'ho avuta con una ragazza ed era tipo sei mesi fa – brontolò Clarke aprendo le mani quasi in difensiva. Octavia alzò le spalle, tornando a guardare l'animale per riprendere il suo meticoloso lavoro – E allora potevamo parlarne stasera a cena -.

-Stasera sarebbe stato troppo tardi. Ho fatto una cosa.. cioè ancora in realtà la devo fare, ma.. mi sono imbarcata in una cosa che .. boh. Non penso di poter gestire – iniziò Clarke agitata. Da una parte voleva assolutamente un consiglio, dall'altra aveva paura di essere giudicata.

-Ovvero? - la invitò la mora, ora più interessata.

-Mi hanno offerto ottocentomila dollari per fare la escort per due settimane- sputò Clarke, mordendosi puoi un labbro.

-Che cosa hai fatto scusa? - strillò Octavia interrompendo quello che stava facendo per rendere anche più drammatica la sua reazione.

-O, lo so che da pazzi e che non è la scelta migliore della mia vita. Ma sai quanto mi servano quei soldi- spiegò tristemente la giovane, abbassando lo sguardo. Octavia strinse le labbra e sospirò dubbiosa. Per un po' tra loro regnò il silenzio, interrotto solamente dallo sbuffare dei cavalli e dal rumore delle setole strofinate contro il manto dell'animale. L'amica poi si interruppe, rivoltandosi verso Clarke.

-Hai ragione, di sicuro è una buona occasione e la vita e il corpo sono tuoi dopotutto. Di certo non è quello che vorrei per te, ma so quanto tu ne abbia bisogno – le disse poi con un sorriso.

Clarke sorrise di rimando, apprezzando il fatto che no, Octavia non l'aveva giudicata e ci aveva pensato in modo oggettivo giungendo alla sua stessa conclusione.

-Solo non durerai mai – commentò poi – Miss pugno facile – ridacchiò, parandosi poi dietro al cavallo che brontolò richiamando la sua attenzione.

-Ah.Ah.Ah. Molto divertente O – gracchiò Clarke, incrociando le braccia .

-No, sai cos'è divertente? Vederti strigliare i cavalli! - esclamò l'amica, tirandole una spazzola che la bionda afferrò al volo.

-Lo sai che i cavalli mi odiano – sbuffò roteando gli occhi.

-Proprio per quello è divertente- sorrise Octavia, facendole l'occhiolino – ricorda solo di mantenere sempre una mano sul cavallo, così sa sempre dove sei e non ti calcia come l'altra volta!-.

 

 


 

Clarke passò metà mattina con l'amica, per poi lasciarla al suo lavoro quando iniziarono i corsi di equitazione. Torno a casa un po' più sollevata ma non propriamente serena, ma in realtà non le era ancora arrivata nessuna conferma.

Le giunse solo poco prima di pranzo. Un semplice messaggio che le indicava dove e quando farsi trovare e di vestirsi in modo formale. Alle ore 14.30 Indra l'avrebbe attesa all'ingresso della Woods Corp.


Dopo aver scaraventato il suo armadio sul suo letto ed averlo rigirato diverse volte Clarke optò per una semplice camicia color pesca, il paio di jeans più nuovi che aveva e delle scarpe basse. Afferrò la sua fedele giacca di pelle e uscì, non troppo contenta del risultato, ma ormai non c'era più tempo per insultare tutte quelle cianfrusaglie che erano i suoi abiti soliti.

Alle 14.20 si trovò di fronte ad un grattacielo molto più elegante di lei. Si guardò intorno, ancora non del tutto sicura di quello che stava facendo. Davanti all'imponente edificio vi era un giardino particolarmente curato, al centro c'era una tavola in pietra che raffigurava il centro di New York, dove però apparivano solo le costruzioni della compagnia. Clarke sorrise dell'idea carina. Poi frugò nella sua borsa trovando due orecchini che credeva perduti, li infilò e infine si ritoccò il mascara in fretta, pensando che avrebbe anche potuto truccarsi con più cura per l'occasione. Sbuffò per l'ultima volta e decise di entrare.

Quando le porte a vetro le si spalancarono davanti notò immediatamente la ragazza di colore della sera precedente. Le si avvicinò compostamente, sentendo un buon odore di vaniglia avvolgerla.

-Buongiorno Signorina Griffin – la salutò Indra, scrutandola. Clarke capì che probabilmente lei avrebbe scelto un outfit diverso al posto suo, ma decise di non pensarci più. Ormai non l'avrebbero cacciata solo per quello. O forse sì, la verità è che non lo sapeva.

-Salve – rispose cordialmente la bionda, stampandosi un sorriso forzato.

-Il mio capo la sta aspettando, sono contenta che sia in leggero anticipo. Odia il ritardo, mi segua – disse la donna, dandole le spalle e procedendo a passo deciso verso l'ascensore. Si fermarono ad uno dei primi piani e Indra la condusse per un lungo corridoio di cui una delle pareti era solo vetrata mentre l'altra era di un color giallo pastello, nel complesso molto luminoso. La donna poi si fermò per bussare ad un ufficio. Clarke non sentì la risposta, ma Indra le aprì la porta e le fece cenno di entrare da sola.

-Grazie- le sorrise Clarke, sentendo il cuore scoppiarle nel petto dall'ansia.

Poi entrò.



 

Heylà.

Avevo detto che non avrei probabilmente più scritto.

E poi è arrivato il Clexa che mi ha preso proprio male, ma tanto. Quindi niente, mi è tornata la voglia (e il coraggio) di iniziare una long. Mi scuso per ogni errore di distrazione o ignoranza, per ogni ripetizione o per periodi troppo complessi e mal pensati, purtroppo non scrivo da tanto e si vede eccome.

Per il titolo non mi veniva niente di meglio, ma vi assicuro che sarà in qualche modo collegato con la storia.

Niente, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :)

Grazie ad ogni lettore!

Tem_93


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


~Capitolo 1~

-Il mio capo la sta aspettando, sono contenta che sia in leggero anticipo. Odia il ritardo, mi segua – disse la donna, dandole le spalle e procedendo a passo deciso verso l'ascensore. Si fermarono ad uno dei primi piani e Indra la condusse per un lungo corridoio di cui una delle pareti era solo vetrata mentre l'altra era di un color giallo pastello, nel complesso molto luminoso. La donna poi si fermò per bussare ad un ufficio. Clarke non sentì la risposta, ma Indra le aprì la porta e le fece cenno di entrare da sola.

-Grazie- le sorrise Clarke, sentendo il cuore scoppiarle nel petto dall'ansia.

Poi entrò.

 


 

Di fronte a lei c'era una ragazza, e già questo la stupì.

Doveva avere più o meno la sua età ed era leggermente appoggiata alla sua scrivania. Diversamente da Clarke lei sì che era molto formale, con una camicetta bianca semitrasparente, un blazer, dei pantaloni neri e delle decolté dello stesso colore. Clarke sentì lo sguardo della donna percorrerla da cima a fondo, come a valutare se era conforme o meno alle sue aspettative; poi si alzò e le girò intorno, giusto per confermare quel sospetto. Le si fermò davanti, offrendole la mano che Clarke strinse gentilmente.

-Piacere, Lexa Woods– affermò, senza mostrare sorrisi o emozioni di alcun genere.

-Clarke Griffin- rispose lei, cercando di fare lo stesso e non sembrare impacciata e assolutamente fuori luogo come invece si sentiva.

-Indra dovrebbe già averti informato del lavoro. Io vorrei farti qualche domanda, e vorrei che tu fossi sincera – affermò Lexa, guardandola ora negli occhi.

-Non c'è problema- annuì la bionda, interiormente spaventata da quello che le potesse chiedere. Ma a mentire se la cavava discretamente e alla classe di recitazione era una delle migliori, quindi doveva puntare su questo.

-Hai avuto molti clienti? - iniziò

-No-

-Donne? -

-Sì-

-Hai qualche malattia? -

-No-

-Assumi qualche tipo di droga?

-No-

-Hai mai avuto coinvolgimenti con i tuoi clienti? -

-No, sono la prima a volere che il lavoro e la vita privata non si intreccino mai -

-Hai mai recitato una parte? -

-Sì-

-Perchè lo fai?-

-Per soldi, ovviamente-

Lexa la osservò attentamente. Clarke era ancora ferma nel centro della stanza e a sua volta guardava decisa la donna. Mai abbassare lo sguardo se vuoi sembrare sicura, le ripeteva sempre suo padre da piccola, e non lo avrebbe abbassato certo ora. La mora rimuginò per un minuto buono per poi fare un cenno di approvazione con la testa.

-Va bene – decretò, sempre con la stessa espressione seria. Clarke sorrise leggermente, come qualcuno che ha appena vinto una sfida. -Ora devi essere tu a decidere, Indra ha preparato un contratto, voglio che tu legga bene ogni temine perché sarò intransigente su ognuno di quei punti. Quando e se lo firmerai Indra ti spiegherà i dettagli. Per me puoi andare, se non hai domande – sentenziò Lexa, sedendosi poi sulla poltrona dietro la scrivania.

-Per ora non ho domande- rispose Clarke aspettando un cenno di saluto che però non arrivo. Uscì allora silenziosamente dalla stanza, ritrovandosi Indra davanti.

-Venga – mormorò lei, per poi ripercorrere all'indietro lo stesso corridoio e giungere in una saletta vuota. Indra accese la luce e fece accomodare la ragazza, passandole una serie di fogli.

-Qui ci sono i termini del contratto. Ovviamente è un contratto ufficioso solo tra lei ed il mio capo, ma vogliamo che siano chiari i motivi per cui la pagheremo e le ragioni per cui non lo faremo se lei non li rispetterà. Se ha domande o quando ha finito mi trova nell'ufficio accanto- le comunicò uscendo poi dalla stanza senza che Clarke potesse dire la sua.

Quando fu sola tirò un sospiro di sollievo. Stare a contatto con Indra o Lexa non era stato affatto facile. Non era abituata a persone così discrete, silenziose e fredde. Inoltre era come se ogni sua mossa venisse valutata in ogni momento. Clarke si riavviò i capelli, prendendo poi in mano il contratto fittizio e iniziò a leggerlo. Era un tipico documento pieno di parole ma vuoto di sostanza. In pratica tutto sarebbe andato bene fin quando lei non avesse iniziato a vendere la notizia ai giornali, non avesse imbarazzato pubblicamente Lexa o non avesse iniziato a stalkerarla dopo il periodo di lavoro concordato. Nulla di difficile insomma. Se non avesse rispettato tali vincoli avrebbe ricevuto solo la metà di quanto concordato; se avesse fatto qualcosa di dannoso per l'immagine di Lexa sarebbe poi stata perseguita penalmente eccetera eccetera.

Clarke finì di leggere l'ultimo foglio e poi applicò la sua firma.

Uscì a quel punto dalla stanza, trovando subito l'ufficio di Indra. Bussò e subito fu invitata ad entrare.

-Fatto – esclamò, passando alla donna il plico di fogli ormai firmato.

-Bene, si sieda. Le spiegherò come passerà le prossime due settimane.- disse cordialmente Indra, sorridendole debolmente per la prima volta. Clarke si sedette, curiosa e un po ' impaurita, ma oramai aveva preso una decisione e non sarebbe tornata indietro.

-E' stata assunta per motivi di lavoro ovviamente. La Woods Corporation vuole acquisire un'impresa edile piccola ma con una gran fama, che da tantissimi anni opera a New York. Purtroppo Lexa ha già provato a convincere il proprietario a venderle la compagnia, ma egli ha rifiutato. Quindi abbiamo pensato che sarebbe stato utile approfondire la conoscenza con quest'uomo, affinché egli si convinca a venderci la sua impresa. Abbiamo saputo che passerà una settimana in un lussuoso hotel al confini dello stato di New York. Questo particolare hotel ospita solo coppie, per cui qui entra in gioco lei. Dovrà fingersi la fidanzata di Lexa per le prossime due settimane. Per la settimana che viene Lexa ha deciso che pranzerete e cenerete tutti i giorni assieme; la passerà a prendere un autista ogni giorno. La settimana successiva invece partirete appunto per l'Hotel Atlantis dove trascorrerete la settimana come una coppia effettiva. Le saranno forniti cambi e tutto ciò di cui avrà bisogno – spiegò senza pause Indra. - Qualche dubbio? - chiese poi, inclinando leggermente il capo.

-N-no- mormorò Clarke.

A quel punto non aveva più altro da fare lì. Indra l'accompagnò all'ingresso e dopo una mezz'oretta si trovava a casa. Il giorno dopo sarebbe dovuta tornare per fare analisi mediche e non sapeva che altro.

Il pomeriggio passò noiosamente e Clarke fece di tutto per occuparsi, mentre aspettava che la coinquilina tornasse a casa. Octavia però rientrò solo per l'ora di cena, stanca ed affamata.

-Clarke? Ci sei? - la chiamò. Senza ottenere risposta la cercò nella sua stanza, dove la trovò distesa sul letto. Non capiva se era disperata, delusa o se semplicemente era impazzita.

-Che c'è?- domandò, avvicinandosi per pizzicarle la guancia, senza però ottenere nessuna reazione.

-Octavia sono stata assunta da persone strane, per quel che ho capito di loro potrebbe essere benissimo serial killer – borbottò, lasciandosi torturare dall'amica.

-Non capisco se vaneggi o dici sul serio, Clarke puoi comportarti da persona normale e..-

-Sono a casaaaaa- trillò una voce nell'altra stanza – dove siete? - continuò. Raven sbucò dalla porta della camera, trovando le altre due amiche in condizioni anomale.

-Tutto ok?- domandò la nuova arrivata, corrucciando le sopracciglia stranita.

-Raven!- esclamò Clarke, alzandosi dal suo stato catatonico e dirigendosi verso l'amica.

-Ho bisogno del tuo aiuto – disse, aggrappandosi saldamente alle braccia della ragazza.

-Octavia, che succede?- domandò la ragazza impaurita.

-Fattelo spiegare dalla furbona che hai davanti – ridacchiò Octavia, per poi buttarsi sul letto di Clarke.

-Raven ho fatto una grossa cazzata, ma non è questo il punto. Ho bisogno che cerchi informazioni su delle persone e ho bi..- l'assillò la bionda gesticolando.

-Prima dimmi la cazzata – disse Raven, incrociando le braccia.

-Sono stata assunta come escort per due settimane- sussurrò Clarke, evitando di guardarla negli occhi.

-Cosa scusa?- strillò Raven – ma che cosa ti frulla qui dentro Clarke? - continuò poi, picchiettandole la testa.

-Hey hey hey – la fermò la bionda, alzando un indice come ad ammonirla – mi pagano ottocentomila dollari – si giustificò.

-E quindi? Lo so che ne hai bisogno ma ti sembra il caso di..-

-Raven non sono come te ok. Non ho mille lauree in discipline di cui solo il nome è difficile. Il genio sei tu qui no? - sospirò Clarke – Octavia è quella dei cavalli e io sono quella dei casini, è sempre stato così- continuò alzando le spalle, un po' amareggiata.

-Clarke io non volevo offenderti. E' che non mi piace come cosa, non è tanto difficile da capire- mugugnò la ragazza, grattandosi distrattamente la testa.

-Lo so .. lo so- sospirò nuovamente Clarke, sedendosi poi sul letto seguita subito dopo da Raven. Questa le strinse una mano sorridendole.

-Hey, sai che io e O ci saremo per qualsiasi problema, basterà una chiamata o un messaggio e gli faremo il culo a quel tipo!- esclamò, cercando di rallegrare la situazione, riuscendoci. Clarke rise debolmente, ma era comunque più tranquilla.

-Parla per te, io non smuovo per Miss Griffin – borbottò Octavia rigirandosi sul letto. Raven annuì a Clarke, alzando le spalle come per dirle che l'avrebbe smossa lei intanto.

-Comunque si tratta di una donna, non di un uomo- rivelò la bionda alle coinquiline, suscitando sorrisini maliziosi.

-Uhh, allora sì che sarai contenta- sorrise Octavia.

-Non lo so O, sai che Clarke ha la fissa delle modelle.. E' una modella? - domandò Raven curiosa.

-Ancora con questa storia, è una coincidenza che le ultime due ragazze che ho frequentato fossero modelle- borbottò infastidita Clarke.

-Molto simpatiche, in particolare la francese che ti chiamava Claire – scoppiò a ridere Raven sarcastica.

-Ah siete simpatiche voi invece – mugugnò acida Clarke.

Le amiche continuarono a scherzare finché non ottennero tutte le informazioni desiderate su quella Lexa Woods, che Clarke continuava a descrivere come fredda e dal cuore di ghiaccio. Per cui ben presto divenne la Regina Elsa Woods.

Clarke quella notte dormì molto più serena, ora che aveva l'appoggio di Octavia e Raven. Non erano solo le sue coinquiline, anche perché spesso in realtà una delle altre due si assentava per lavoro, ma erano le sue migliori amiche. Si erano conosciute al liceo e dopo essersi odiate per qualche anno per le ragioni più inutili, ma molto sensate per un adolescente, erano diventate inseparabili. Raven e Clarke avevano continuato gli studi, ma mentre la prima aveva studiato ingegneria biomeccanica ed ora lavorava nel settore, Clarke aveva scelto la carriera dell'artista. Purtroppo dopo aver frequentato la scuola d'arte non aveva però mai trovato il lavoro che desiderava ed aveva iniziato a lavorare nell'hotel in cui era appena stata licenziata. Octavia era invece uno spirito libero e non ne aveva voluto sapere di altre scuole o college che fossero. Aveva deciso di voler lavorare a contatto con la natura e aveva iniziato a lavorare in un maneggio a qualche chilometro da New York, dove ancora oggi era felice di stare.

La cosa bella è che dopo anni passati lontane, si erano ritrovate a New York e avevano deciso di condividere l'appartamento in cui tuttora vivevano.


Il giorno seguente Clarke si era presentata alla Woods Corp. come accordato. Aveva fatto tutte le analisi necessarie per permettere a Lexa di passare del tempo con lei in sicurezza, e questo l'aveva fatta sorridere. Le avevano fatto conoscere il suo autista e le avevano caricato la limousine che l'avrebbe accompagnata a casa di scatole di vestiti, scarpe, profumi ed accessori vari. Clarke ne rimase decisamente stupita. Non aveva mai potuto permettersi di fare shopping in negozi di firme importanti ed ora tutto ad un tratto ne avrebbe avuto l'armadio pieno. Le riferirono altre informazioni importanti e prima dell'ora di pranzo fu di ritorno a casa col suo nuovo amico Will, l'autista.

Quel giorno non vide Lexa, ma il giorno seguente avrebbero pranzato assieme in un ristorante giapponese a pochi passi dalla sede di lavoro.

Clarke si addormentò abbastanza serena. In fin dei conti le settimane che l'aspettavano sarebbero state una sfida e di certo il coraggio non le era mai mancato.


 


 

 

Eccomi qui :)

Sono stata davvero contenta di aver ricevuto feedback positivi, spero ora di non deludervi. Anche questo capito è ancora abbastanza introduttivo, ma dal prossimo sarà incentrato su Clarke e Lexa. In particolare penso ci sarà un capitolo per ogni giorno che passano insieme (quindi di base ci saranno almeno altri 12 capitoli se tutto va bene).

E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto .

Spero di riuscire sempre ad aggiornare così in fretta, ma non prometto nulla.

Grazie a chi leggerà e in particolare a chi recensirà :)

Tem_93

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


~Capitolo 2~


 

All'ora di colazione in casa ci fu una lunga discussione su quale abito dovesse indossare Clarke, perché, sì, erano tutti vestiti decisamente eleganti per lei, abituata a tute e jeans. Alla fine Octavia e Raven optarono per un Versace azzurro intenso che le arrivava al ginocchio e le abbinarono il resto, escludendola completamente dalla scelta, cosa di cui Clarke fu abbastanza felice.

Will arrivò puntualmente alle 12.15 e Clarke si fece trovare pronta e sorridente. Era sufficientemente agitata, non aveva idea di come sarebbe stato passare tutto il pranzo con Lexa, ma cercò di distrarsi chiacchierando con l'autista.

Quando arrivarono vide Lexa attenderla all'ingresso. Salutò Will e le si avvicinò, non sapendo come comportarsi.

-Stai molto bene – la sorprese Lexa, tendendole poi la mano – Entriamo? -

Clarke strinse la mano morbida ma gelida della donna, ricordandosi solo ora che dovevano dare l'idea di essere una coppia. Era per entrambe un test, e ogni pasto di quella settimana sarebbe stato altrettanto.

I camerieri le accompagnarono in un tavolino un po' isolato e le fecero accomodare, lasciando i menu sul tavolo.

-Ti piace la cucina giapponese? - domandò Lexa, iniziando a leggere le pietanze.

-Sì, molto. A te? - disse di rimando Clarke, sorridendo debolmente e afferrando a sua volta un menu.

-Decisamente.- concluse la mora, mettendosi poi in silenzio per decidere di cosa aveva voglia. Clarke la imitò, cercando però allo stesso tempo di studiare la donna che aveva davanti. Non l'aveva ancora vista sorridere e si domandò se ne fosse in grado, o se indossava abitualmente una maschera con quella sua espressione seria e distaccata. In compenso aveva notato che dovevano piacerle molto i suoi capelli che avevano boccoli perfetti e sembravano davvero soffici.

Le due ordinarono, dopodiché Lexa interruppe il loro silenzio.

-Non sono una che parla moltissimo, quindi preferirei parlassi tu di solito. Raccontami di te, di cosa ti piace fare e cosa hai fatto nella vita – la invitò la giovane, intrecciando le dita affusolate.

Clarke si grattò il naso, cercando da dove partire. Il miglior modo per convincere una persona che stai dicendo la verità è dirla, in gran parte, raccontando solo un'unica grossa bugia; così avrebbe fatto.

-Sono originaria del New Jersey. Mio padre è un professore universitario, mia madre era un medico. E' morta quando avevo sei anni. Sono figlia unica, ma ho due amiche con cui sono così legata che sono quasi da considerare sorelle. - iniziò Clarke, interrompendosi solo quando le veniva servito un piatto – Ho frequentato una scuola d'arte, mi sarebbe piaciuto dipingere per vivere..- sospirò pensando a quanto le costava ammettere il suo fallimento – ma come vedi non è stato così -.

-E come hai iniziato il tuo attuale lavoro? - domandò l'altra, fissandola dritto negli occhi.

-Bè.. avevo diversi debiti.. anzi molti e .. non ho trovato un'alternativa più remunerativa- azzardò Clarke, guardandola decisa. Lexa le credette probabilmente, annuì e si concentrò sul suo sushi.

-Che tipi di clienti hai avuto? - chiese poi a bruciapelo. Clarke si morse il labbro, forse a questo avrebbe dovuto pensare prima.

-Come ho detto, non sono stati molti.. Quattro per la precisione. Il primo era un uomo d'affari che appena conosciuto dava l'idea di essere dolce, calmo e comprensivo. Si rivelò invece egoista, falso e insensibile- sibilò la ragazza, pensando al suo primo amore del liceo, Finn. Era stato tutto così bello i primi tempi, sembravano anime gemelle; finché non aveva scoperto che lui era anche l'anima gemella di Raven.

-Il secondo era un avvocato super preciso, meticoloso in tutto ciò che faceva. Mi faceva notare ogni piccolo errore e mi faceva pesare ogni mia caratteristica come un difetto. Fortunatamente dopo un mese non ci siamo visti più- raccontò Clarke, pensando ora al suo secondo ragazzo, un artista che aveva conosciuto al primo anno nella scuola d'arte. Se ne era innamorata perché era un pittore eccezionale, curava ogni dettaglio come se fosse l'opera stessa, ma aveva capito che per quanto questo fosse un suo pregio nella pittura, era un difetto nei rapporti umani.

-La terza era una modella francese. Davvero sciocca e con la testa tra le nuvole, le importava solo essere desiderata, ammirata e al centro dell'attenzione. Non ha mai nemmeno imparato il mio nome- rise Clarke, ripensando alla chiacchierata recente con le amiche.

-L'ultima era invece una modella di Los Angeles. Scoprii che più di me le interessavano le feste a cui mi portava, e, ancora più delle feste, le piaceva la cocaina che girava nei bagni. Per lei il vero divertimento era quello e spesso mi ritrovavo sola su un divanetto ad aspettarla- concluse Clarke tornando a portare lo sguardo su Lexa. Non capiva cosa stava pensando, non capiva se quello che aveva raccontato poteva essere preso come vero, l'espressione dell'altra non le trasmetteva altro che insicurezza.

-Qual è il tuo colore preferito? - domandò poi Lexa, spostando la conversazione su tutt'altro argomento.

-Il verde, infatti mi piacciono molto i tuoi occhi – rispose Clarke, sorridendole genuinamente forse per la prima volta. Solo in quel momento notò una piccola scintilla negli occhi della donna che aveva di fronte, fu un attimo, ma le bastò per capire che quell'espressione sempre inflessibile doveva solo essere una facciata che ormai Lexa era abituata a mostrare.

Continuarono a parlare del più e del meno, senza più soffermarsi su cose più personali di “hai mai avuto un animale domestico? ”. Dopo un'oretta si trovavano fuori dal locale e si salutarono frettolosamente. Clarke istintivamente le lasciò un bacio sulla guancia, cosa che colse l'altra di sorpresa, ma non disse nulla. La salutò semplicemente con un gesto della mano.

Clarke non aveva capito assolutamente nulla di Lexa a parte che probabilmente quello mostrava e quello che era dovevano essere due mondi separati che non voleva assolutamente far incontrare.


 

Come d'accordo si sarebbero riviste la sera stessa.

Clarke tornò a casa, pensando a come occuparsi il pomeriggio. Ovviamente Indra l'aveva avvisata che doveva essere disponibile ad ogni ora della giornata, ma probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno. Quindi fino ad ora di cena aveva tanto tempo libero per distrarsi.


 



 

-Riguardo a oggi.. vorrei che fosse chiaro una cosa – iniziò Lexa, sistemandosi il tovagliolo sulle gambe. Erano arrivate al ristorante da poco tempo e non si erano dette molto, entrambe erano ancora restie a prendere confidenza. Ma dopotutto Lexa aveva ben pensato a tutto ciò e per questo aveva pianificato quella settimana.

-Dimmi pure- la sollecitò Clarke, osservandola sistemarsi accuratamente.

-Non sono una che ama i contatti fisici con estranei, ma se vogliamo sembrare credibili cercherò di non darci perso.- iniziò la mora, facendo ricordare all'altra del bacio sulla guancia del pomeriggio.

-Non volevo essere invadente, ma....- mormorò Clarke.

-Lo so, volevo solo dirti che questo sarà compito tuo. Fai quello che credi sia meglio, ma non voglio assolutamente baci sulla bocca. E' una cosa troppo intima da condividere.. bè, con te- affermò la ragazza guardandola come era solita fare negli occhi.

-Non c'è problema- assentì Clarke, pensando che dopotutto anche lei approvava la scelta.

-E volevo anche sottolineare- continuò Lexa, abbassando ora lo sguardo – che in camera ci limiteremo a dormire. Nulla di più – mormorò. Clarke sorrise notando come l'altra era leggermente arrossita.

-Sei vergine? - domandò istintivamente, dimenticandosi per un attimo con chi stava parlando. Ancora Clarke non si era azzardata a farle domande personali. La reazione dell'altra la stupì non poco. Sgranò gli occhi e arrossì visibilmente, mettendosi poi sulla difensiva.

-No! E' che non voglio dormire con una escort!- affermò , riprendendo poi il normale colorito e tornando alla sua solita espressione.

-Guarda che non ho malattie di alcun tipo, mi hai fatto analizzare- continuò Clarke, divertita di aver trovato qualcosa su cui stuzzicare Lexa e farla uscire dal suo solito blocco di ghiaccio.

-Lo so. Non voglio, fine. Pago io e decido io cosa voglio o meno- ribatté l'altra, rimanendo però stavolta impassibile.

-Sei tipo ipocondriaca? - domandò la bionda, accettando di cambiare discorso.

-Una sorta. Detesto i luoghi affollati o i bagni pubblici. Potrei morire piuttosto che entrarvici- rivelò Lexa con una smorfia disgustata, sfogliando distrattamente il menù.

Clarke scoppiò a ridere divertita e questo fece sollevare il capo alla mora che la guardò storto.

-Ti s'addice – commentò poi la bionda.

-Non c'è niente di male, non hai idea di quanti germi ci siano e di quante persone si ammalino perchè poco attente a queste cose ?!– si giustificò Lexa.

-Non volevo offenderti, dicevo solo che è in linea con la tua personalità. O almeno con quella che si vede dall'esterno- spiegò Clarke – mmh proverò delle tagliatelle al ragù e funghi - .

-Cosa significa? - chiese l'altra, un po' corrucciata.

-E' tipo pasta penso condita con..- iniziò a spiegare Clarke, non cogliendo il vero significato della domanda.

-No – la interruppe però l'altra – cosa significa che è in linea con la personalità che mostro? - domandò seria, ma allo stesso tempo sembrava anche curiosa.

-Anh, già. Tu sei tutta composta, sempre impeccabile e tendi a tenere le persone ad una certa distanza, come se ti desse fastidio anche solo che entrino nella tua “sfera di movimento”. Eviti di toccare le maniglie e solo oggi a pranzo ti sei lavata le mani almeno tre volte, quindi ho dedotto avessi qualche fissa con l'igiene o le malattie – spiegò Clarke, sorridendole. Lexa la osservò intensamente senza dire o esprimere nulla.

-Sei una buona osservatrice- affermò, distogliendo lo sguardo. Le ragazze ordinarono e i piatti furono serviti loro in modo abbastanza celere. Lexa rimase in silenzio, consumando il suo pasto senza nemmeno guardare la donna che aveva di fronte. Clarke ipotizzò che stesso rimuginando su qualcosa che probabilmente non voleva condividere. Ad un tratto le squillò il telefono. Fece sole in tempo a vedere il nome “Aden” sullo schermo dello smartphone, prima che Lexa rispondesse.

La mora si alzò, allontanandosi per avere della privacy. Clarke continuò a mangiare, pensando però a chi fosse Aden. Aveva sentito i nomi di alcuni colleghi, ma quello le era nuovo. Forse era il ragazzo di Lexa, forse aveva assunto lei solo perché non voleva sbandierare la loro relazione e forse era anche il motivo per cui non voleva avere nessun tipo di intimità con la ragazza.

Dopo una decina di minuti Lexa tornò a sedersi al posto.

-Scusami- mormorò solo.

-Nessun problema- fece spallucce Clarke – ho una curiosità – disse poi, attirando gli occhi di Lexa su di se.

-Perchè hai assunto me? Nel senso, perchè un escort? Non potevi semplicemente chiedere ad un collega o ad un amico di fare quello che dovrei fare io – domandò Clarke, versando da bere ad entrambe.

-Perchè era il modo più semplice per me – rispose solamente Lexa. Clarke la fissò come in attesa di una spiegazione migliore, sollevando poi le sopracciglia per invitarla a proseguire.

-Bè un collega non sarebbe andato bene perchè devo essere credibile agli occhi di un uomo che conosce chi lavora per me. Inoltre non voglio dare così tanta confidenza ai miei dipendenti, dopo aver finto di essere una coppia sarebbe strano doverci lavorare insieme. Non ho molti amici fidati e non mi sembra la cosa da chiedere ad un amico, primo perché non voglio che ci siano fraintendimenti, secondo perchè non voglio dover aver un debito del genere nei confronti di nessuno.

Inoltre mi serviva qualcuno che non facesse scenate di alcun tipo durante queste due settimane e sai, non si può mai sapere. Con te questi problemi non ci sono : non ci conosciamo e non ci frequenteremo dopo, per cui non ci sarebbe alcun imbarazzo; sei pagata per fare quello che voglio, quindi a meno che un litigio non mi sia di valore non avverrà; inoltre non ti dovrò null'altro che quello pattuito. E i soldi non sono un gran problema per me. Capisci ora? – concluse Lexa, finendo poi quello che le rimaneva nel piatto.

Clarke annuì, abbassando poi lo sguardo. Effettivamente il discorso filava, la donna doveva aver pensato a tutti i pro e contro delle situazioni possibili per poi scegliere quella con più vantaggi. Era positivamente impressionata, lei al contrario avrebbe sicuramente fatto la scelta sbagliata, impulsiva com'era. Lexa no, era molto più razionale ed oggettiva. Forse fin troppo, pensò. In realtà aveva fatto ipotesi su Clarke che non erano vere al cento per cento. Credeva di aver assunto un'escort esperta nel non coinvolgersi in relazioni di lavoro, ma lei non lo era veramente. Quindi c'era una falla anche nel piano ben studiato della giovane imprenditrice, cosa che però Clarke non voleva assolutamente si sapesse.

Al termine della cena le due si alzarono e Clarke sorridendo afferrò la mano della mora, che al toccò sussultò, non aspettandosi il contatto. Un secondo dopo però le lanciò uno sguardo complice, stringendo debolmente la presa a sua volta. Uscite dal locale si fermarono sul marciapiede, davanti alle auto che le attendevano per portarle nelle rispettive dimore.

Lexa fece per allontanarsi, ma Clarke la fermò.

-Dovresti imparare a salutare – la rimproverò, avvicinandolesi poi per lasciarle un delicato bacio sulla guancia. Lexa notò che alcune persone che passavano per strada si era girate a guardarle.

-Buonanotte Clarke – mormorò poi, distaccandosi.

-A domani Lexa – sussurrò l'altra.

 



 

Eccomi di nuovo, con quello che è il vero primo capitolo con Lexa e Clarke. Se ve lo state chiedendo, non è un errore, è vivo il padre e morta la madre di Clarke. Non so, è una scelta diversa, ma più in là mi piacerebbe mostrare il legame tra padre e figlia.

Per il resto, se vi aspettavate un colpo di fulmine tra le due, vi aspettavate male. Non voglio che succeda tutto in fretta, per cui dovrete sopportare un po', spero non vi dispiaccia!

Ringrazio davvero tanto chi ha recensito e chi mi sta seguendo!

A presto, Tem_93

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


~Capitolo 3~


 

-Ma che strano menu, non c'è tipo nemmeno del pollo – borbottò Clarke, aggrottando le sopracciglia confusa. Lei e Lexa erano sedute da cinque minuti in un locale molto carino, con un arredo moderno e simpatico. C'erano solo tavolini tondi, bianchi o di tonalità verde; i bicchieri erano diversi da tavolo a tavolo ed erano tutti particolari. Quelli assegnati loro avevano una fantasia a galassia che a Clarke piaceva particolarmente.

-Per forza, è un ristorante vegano – commentò Lexa, senza rivolgerle lo sguardo. Clarke aprì la bocca quasi sconvolta.

-Eh? - chiese poi, in un modo forse fin troppo seccato.

-Non cucinano nulla che contenga carne animale o derivati, se ti chiedi cosa voglia dire vegano – spiegò l'altra, composta, senza prestarle troppe attenzioni, mentre sfogliava interessata le pagine.

-Sì, so cosa vuol dire..E' che.. Perché siamo qui? Nel senso, tu non sei vegana – continuò Clarke, davvero insoddisfatta della scelta del locale, per quanto le piacesse l'arredamento.

-Perchè è salutare, mi piace e mi costringe a introdurre nella mia alimentazione molti prodotti che altrimenti escluderei – disse Lexa, alzando ora lo sguardo e notando quanto l'altra fosse disgustata dal menù. Le scappò un sorriso, ma Clarke non lo vide perché troppo impegnata a guardare disperata le pietanze proposte.

-Sì, ma vuoi mettere un Big Mac? - sbuffò poi, appoggiandosi al pugno chiuso. Rimase un momento in silenzio, pensando poi di non essere stata troppo educata. Lexa pagava per i pranzi, per cui Lexa decideva dove andare, effettivamente non aveva voce in capitolo.

-Scusa, mi sto lamentando per niente, è chiaro che la scelta spetta a te. E' solo che ho un'avversione naturale per le verdure e le cose sane. – sorrise poi Clarke.

-E' importante un'alimentazione equilibrata. E i fast food dovrebbero essere assolutamente eliminati.- sentenziò la mora. A Clarke sfuggì un “Ah ah” fin troppo sarcastico. Lexa le guardò decisamente male e la bionda le lanciò poi uno sguardo si scuse, imbarazzata.

-Nemmeno Octavia è mai riuscita a farmi mangiare questa roba.. Ma c'è sempre una prima volta- mormorò Clarke, quasi tra sé e sé.

-Chi è Octavia?- domandò Lexa, curiosa.

-La mia coinquilina. E' vegetariana tipo da una vita, ma non mi ha mai convinto a mangiare niente di quello che si prepara. Infatti un po' mi odia..- rispose Clarke, sorridendo al pensiero dell'amica. Lexa la continuò a fissare ancora per poco, forse aspettandosi qualche altra informazione dalla bionda. Ma Clarke non la stava guardando e lei non chiese altro, distogliendo lo sguardo a sua volta.

-Preferisci vino bianco o nero? - domandò poi la bionda afferrando la carta dei vini.

-Sono astemia – affermò Lexa, scuotendo leggermente il capo. Clarke sollevò le sopracciglia stupita.

-Non è possibile, ricca e astemia non possono esistere assieme. Ti credevo un'esperta in vini francesi; una di quelli che sanno distinguere un buon vino agitandolo in un bicchiere senza nemmeno assaggiarlo – scherzò poi la giovane, allegramente.

-E invece ti sbagliavi. Non assumo nessun tipo di sostanza che possa condizionare qualsiasi mia scelta- le rispose Lexa, con un'espressione tranquilla.

Lexa Woods, non ti godi affatto la vita! Un giorno ti farò assaggiare il mio speciale hamburger accompagnato da un buon vino rosso” fu la risposta spontanea di Clarke , che però risuonò solo nella sua mente. Non ci sarebbe stato un giorno nel futuro in cui sarebbe potuto succedere. Non era nell'accordo e lei non era lì con un'amica.

-E di cosa sei golosa allora? E non dirmi di un'insalata ti prego.. – disse solo la bionda, curiosa.

-Dolci- ammise Lexa, quasi sottovoce, abbassando lo sguardo come colpevole.

-Del tipo macedonia di frutta biologica o gelato? - domandò Clarke continuando a tenere un tono scherzoso.

-Tipo biscotti con gocce di cioccolato o dessert da ristorante. Quello che preferisco è il tiramisù – rivelò Lexa, guardando l'altra negli occhi.

-Allora ti posso perdonare la cucina vegana – ridacchiò Clarke – comunque anche io ne vado matta. In particolare del gelato. Se mi chiedessero “Cosa porteresti su un'isola deserta? ” un vagone di gelati sarebbe la mia unica risposta possibile – esclamò Clarke.

La ragazza decise di far scegliere a Lexa cosa prendere, tanto non avrebbe voluto nulla di quello che c'era tra le possibili scelte. Dopo una ventina di minuti si trovò davanti una specie di insalata di riso, dove il riso però non c'era. Erano tipo tanti piccoli pallini gialli, conditi con verdure di cui nemmeno ricordava il nome. L'altra le spiegò che era miglio, condito con peperoni, zucchine e carote. Lì studiò per un buon minuto, spostandoli di poco con la forchetta e scrutandoli quasi fossero la cosa peggiore che le potesse capitare.

Poi sentì uno sbuffo, come di risata. Sollevò il capo, stupita, cogliendo la fine di un veloce sorriso di Lexa, che abbassò gli occhi appena quelli di Clarke trovarono i suoi.

Allora sapeva ridere, dopotutto.

-Sei buffa. Non è cattivo, provalo – la invitò poi, facendole un cenno del capo. Clarke tornò a fissare il suo piatto. Con la forchetta prese qualche granello, veramente pochi in realtà, come farebbe una bambina, e li portò alla bocca. Alzò lo sguardo, notando che Lexa la stava osservando attenta alla sua reazione, era così assorta che a Clarke scoppiò inconsciamente a ridere.

-Che c'è? - chiese Lexa, alzando le sopracciglia.

-Nulla, anche tu sei buffa, mi fissavi come ad attendere il risultato di un esperimento, come se ti aspettassi che io virassi dal rosa al giallo !- esclamò Clarke. Lexa sbatté ripetutamente le ciglia e le sue guance diventarono più rosee, ma non disse nulla. Non era abituata a persone che le si rivolgevano in modo così spontaneo, di solito chi si relazionava con lei lo faceva con distacco, un po' con timore, pesando ogni parola e cercando di non dire nulla che fosse sconveniente. In pratica nessuno esprimeva mai i suoi veri pensieri, prima li rimodellava in modo da soddisfarla; cosa che invece il più delle volte la infastidiva perché non tutti riuscivano a nasconderle quello che pensavano.

-Comunque non è male, credevo peggio – commentò l'altra, risvegliando Lexa dai suoi pensieri. Notò che Clarke ora mangiava normalmente il suo pranzo, quasi con gusto e si complimentò mentalmente per la scelta corretta.

-Allora verremo qui tutti i giorni – disse, iniziando a mangiare a sua volta. Clarke alzò il capo di scatto.

-Era una battuta vero?- chiese, senza ottenere risposta. Lexa sollevò solo le spalle.

-Sì dai, era sarcasmo – sì auto convinse Clarke, senza però ricevere conferma dall'altra.


 

Alle 14.15 Clarke aveva salutato Will ed era entrata in casa con un sorriso. Il giorno prima aveva pensato che sarebbe stato difficilissimo rapportarsi con Lexa e invece oggi aveva avuto la conferma del contrario. Sì, Lexa non si impegnava particolarmente per rendere piacevole il tempo trascorso insieme, ma dopotutto era stata chiara fin dal principio: era lei quella che doveva intrattenere. Forse aveva anche capito come provare a scogliere il ghiaccio che Lexa alzava attorno a se. Doveva essere lei la prima a buttare giù le barriere e far lasciare entrare l'altra; con un po' di fortuna Lexa avrebbe fatto lo stesso. Intanto aveva giù guadagnato un semi sorriso e diverse espressioni di curiosità e stupore. Quindi almeno dieci punti li aveva già ottenuti, pensò orgogliosa.


 



 

Per la sera aveva scelto un abito bianco, che le arrivava al ginocchio e le lasciava scoperta la schiena. Aveva raccolto i capelli in uno chignon scomposto e si era fatta trovare già pronta all'arrivo di Will.

Quando vide Lexa, come ormai di tacito accordo, le si avvicinò per un delicato bacio sulla guancia e poi le strinse la mano prima di entrare. Tutte le volte che si trovavano così vicine Clarke non poteva che essere investita del profumo caramellato di Lexa. Non le piacevano particolarmente gli odori così dolci, ma il suo non le dispiaceva.

-Ti dona il bianco – commento Lexa, mentre prendevano posto una accanto all'altra.

-Grazie, anche tu non sei niente male in divisa – commentò Clarke, con un sorriso quasi di scherno.

-Divisa?- chiese Lexa, aggrottando le sopracciglia, confusa.

-Quando andavo al liceo mi vestivo sempre con jeans e magliette bianche e mio padre iniziò a dirmi di cambiare il mio armadio, che sembrava avessi la divisa. Capito? – disse Clarke, sottintendendo il resto.

-Cosa vorresti insinuare? - mormorò l'altra, un po' offesa forse.

-Dalla prima volta che ti ho visto hai sempre indossato un completo formale di colore nero, con una camicetta chiara e delle scarpe col tacco. E' come se fosse la tua divisa!- spiegò poi Clarke, sorridendole. Lexa si corrucciò, distogliendo lo sguardo senza dirle nulla .

-Hey, non volevo essere scortese. Stai molto molto bene, ma penso che un vestito starebbe meglio a te che a me – disse poi la bionda, mantenendo un sorriso mentre cercava gli occhi verdi dell'altra, ancora impegnata nel suo broncio.

-No- borbottò solo, seccata.

-Ok, scusami – mormorò Clarke. Si pentì di aver fatto quel commento. Forse aveva esagerato con la confidenza. Lexa era sempre il suo capo, ora come ora, e quello che aveva detto effettivamente poteva anche averla seriamente offesa. Non lo sapeva, non aveva capito la reazione della ragazza, non aveva abbastanza elementi per farlo.

-Scusami davvero- ripeté non ricevendo risposta da Lexa. Ora era seriamente intimorita di aver fatto più passi indietro di quanti ne avesse fatti finora in avanti.

-No fa nulla- affermò poi la mora, più pacatamente, riprendendo la sua solita espressione distaccata. Clarke si morse un labbro, dispiaciuta. Passarono diversi minuti in silenzio, finché non arrivò la cena e iniziarono a mangiare senza però rivolgersi parola.

Ad un tratto Lexa però vide qualcosa alle spalle di Clarke che la turbò.

-Che c'è?- chiese Clarke.

-Ci sono alcuni miei colleghi – rispose, fissando ancora per qualche istante il tavolo nell'angolo del locale. Clarke non si girò per guardare, ma si avvicinò leggermente alla ragazza.

Senza preavviso le afferrò la mano, stringendola tra le sue e l'avvicino alla bocca, lasciandole un bacio delicato. Alzò poi gli occhi azzurri alla ricerca di quelli di Lexa, trovandoli un po' sorpresi. Clarke le sorrise, trattenendo debolmente la mano fredda di Lexa con la sua.

-Devo impegnarmi un po' di più – sussurrò, come a giustificarsi.

Lexa non ritrasse la mano, con la coda dell'occhio vide che qualcuno tra i dipendenti l'aveva riconosciuta e probabilmente ora si domandava chi fosse la bionda che le stava accarezzando dolcemente l'avambraccio.

Clarke notò comparire tanti piccoli puntini sul braccio chiaro di Lexa, sorridendo dei brividi che le stava procurando. Le si fece ancora più vicina, accostandosi al suo orecchio.

-Come andiamo ? - le sussurrò, tenendo le labbra a poca distanza dalla pelle dell'altra.

-Bene direi, penso che ormai tutto il tavolo ci stia fissando – commento soddisfatta la donna, sistemando poi un ciuffo ribelle di Clarke. Questa le sorrise, arrossendo un poco del tocco inaspettato.

La serata passo più serenamente, il disagio creato inizialmente era svanito, anche se non si tornò più sulla questione abbigliamento. Clarke cercò il contatto con l'altra più volte, ma non si spinse oltre a carezze, strinte di mano o bisbiglii più vicino del solito.

Lexa invece non toccò più intenzionalmente l'altra e Clarke non riuscì a strapparle nemmeno un quarto di sorriso, d'altro canto non la fece nemmeno più rabbuiare.

-Signorina Woods – esclamò una voce, interrompendo le ragazze da una conversazione sulla qualità del dolce. Clarke si voltò per vedere l'uomo in giacca e cravatta che probabilmente era il portavoce del tavolo dei dipendenti di Lexa.

-E lei è.. - disse l'uomo guardando ora direttamente la ragazza.

-Clarke – rispose prontamente, porgendo la mano all'uomo che la strinse energicamente.

-Piacere, Steve- si presentò a sua volta l'uomo, dirigendo poi tutte le attenzioni a Lexa.

-Volevamo solo augurarle una buona serata, Signorina Woods – disse poi, sorridendo.

-Grazie, altrettanto- rispose semplicemente lei. Lui ora sembrava abbastanza imbarazzato e si allontanò con un cenno della mano.

-Davvero inopportuno – commentò Lexa, scuotendo leggermente il capo, infastidita da quello che era appena successo.

-Erano solo curiosi, dopotutto abbiamo fatto di tutto per istigargli interesse – fece notare la bionda.

-Domani chiunque saprà di te- affermò seria Lexa.

-Ed è un problema? -chiese Clarke, confusa.

-No, va bene così. Va tutto secondo i piani – disse poi, alzandosi, imitata dall'altra.

Le donne uscirono, per trovare le due limousine pronte ad attenderle e i dipendenti di Lexa stavano chiacchierando per coincidenza a qualche metro da loro.

-Buonanotte Clarke – sussurrò Lexa, stringendo un poco la mano della ragazza.

Stavolta era stata lei a salutarla per prima. Clarke sorrise.

-Stai imparando eh- mormorò, facendosi più vicina. Lexa si voltò leggermente e il bacio che Clarke le diede fu molto più vicino alle labbra di quanto avesse voluto. Anzi, probabilmente i colleghi della donna dovevano aver visto proprio un bacio sulle labbra, anche se così non era stato.

Si tirò indietro velocemente, evitando gli occhi verdi della mora.

-A domani Lexa- sussurrò solo, non voltandosi, timorosa di aver fatto qualcosa di fastidioso per l'altra. Così facendo si perse il rosso delle gote di Lexa, appena accennato, come se qualcuno le avesse spennellate di un colore pastello.

La donna la guardò salire, notando il leggero impaccio con quel vestito elegante. Quando la limousine partì, salì a sua volta sulla sua, chiudendo le palpebre.



 

Hey hey, sono stata abbastanza veloce dai :)

Allora prima di tutto voglio sottolineare che non ho nessun problema con i vegani, anzi, anche a me ogni tanto piace provare la cucina e sostengo che sia una scelta molto positiva.

Secondo, spero che il capitolo non sia stato troppo noioso perchè simile al precedente. Diciamo che questi primi capitoli saranno molto simili (nella dinamica pranzo-cena), ma cercherò di inserire cose un po' diverse per non pesare.

Grazie ai lettori e ai recensori, grazie davvero.

Fatemi sapere cosa ne pensate sul rapporto che si sta sviluppando, se volete :)

A presto,

Tem_93

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


~Capitolo 4~

Clarke si svegliò controvoglia a causa della luce che inondò improvvisamente la sua stanza.

-Buongiorno principessa – cinguettò Raven, con un bel sorriso stampato in volto. Clarke mugugnò qualcosa, cercando poi si nascondersi tra le coperte.

-Ti ho mai detto quanto non mi piacciano i letti tondi? - continuò l'altra, sedendosi vicina all'amica e iniziando a tirarle via le coperte.

-Raveeeen- borbottò la bionda rannicchiandosi su se stessa per cercare di compensare la mancanza delle lenzuola rubate.

-Non puoi stare a ronfare tutte le mattine, se no non ci vediamo mai. Io ed O siamo via tutto il mattino e il pomeriggio e tu sei occupata solo a pranzo e a cena, almeno colazione la devi passare con noi – decretò la donna, con tono deciso. Clarke la guardò storto chiedendosi come facesse ad essere così energica alle sette del mattino.

-No- bofonchiò facendo un musetto da gatto seccato.

-Dai, non ci hai ancora detto nulla della regina di ghiaccio! - sbuffò la ragazza, puntellando il fianco della bionda fastidiosamente.

Clarke roteò gli occhi, poi, tra tanti sbuffi e lamentele decise di andare a far colazione con le due coinquiline, il che rese Raven anche più pimpante.

-Ma guarda chi si aggira per questi posti strani al sorgere del sole – mormorò sarcastica Octavia quando vide entrare le due amiche con espressioni completamente opposte.

-Scusate ragazze, ieri sera avrei voluto passare un po' di tempo con voi, ma quando sono tornata dormivate già- disse Clarke, sedendosi al tavolo in attesa dei pancakes che stavano cuocendo in padella.

-Sai com'è, noi lavoriamo – le rispose Octavia, passandole lo sciroppo d'acero.

-Lo so- sorrise solo Clarke, alzando le spalle.

-Allora, come vanno le cose?- chiese Raven, servendo alle amiche la colazione fumante.

-Mhh, meglio del previsto. Lexa non è così male – disse Clarke, abbondando con lo sciroppo sui pancake di Octavia che si era alzata per prendendo dal frigo un cartone di succo di frutta.

-Ti uccido- ringhiò quella quando vide l'operato della coinquilina che stava ridacchiando soddisfatta.

-Lexa è un nome strano comunque, è il suo nome completo?- domandò Raven curiosa.

-Non lo so- ammise Clarke, grattandosi il capo.

-E quanti anni ha?- continuò Octavia.

-Non so nemmeno questo- rispose nuovamente la bionda. Effettivamente non sapeva alcune cose di base su Lexa. Non sapeva se aveva fratelli o sorelle, se preferiva il mare o la montagna, se era una da pancake o da uova e bacon.

-Ma parlate anche quando vi vedete, o ...- accennò Octavia, con un sorriso malizioso. Clarke le tirò una gomitata, aprendo la bocca indispettita.

-Parliamo solo O- disse, un po' acida – ti dirò di più, non ci spingeremo mai oltre ad un bacio sulla guancia – rivelò Clarke, elevandosi tronfia, attorcigliandosi i capelli con fare da smorfiosa.

-Se, va bè, ti paga perché sei simpatica- ridacchiò Octavia, scostando lo sciroppo in eccesso.

-Sì- confermò Clarke, ancora con fare altezzoso.

-Impossibile che non voglia toccarti le tette almeno. Impossibile, l'abbiamo voluto fare anche io e O che siamo etero – constatò Raven, scuotendo la testa.

-Ma perchè voi siete due maniache, Lexa non lo è – protestò Clarke, alzando l'indice con fare accusatorio.

-Guarda come la difende- bisbigliò Octavia all'amica, nascondendosi dietro ad una mano, come se Clarke non sentisse.

-Non siamo maniache, è che è davvero difficile credere che non siano finte!- esclamò Raven sulla difensiva. Le tre amiche scoppiarono a ridere; finirono poi di fare colazione e si prepararono per uscire.

-Spero di rivederti presto- salutò Raven, lasciando un bacio sulla fonte a Clarke.

-Lo spero anche io- rispose la bionda, sorridendo felice.

-Io no- squillò Octavia, tirando invece un leggero cricco a Clarke, la quale le presentò un ben meritata linguaccia.

La ragazza, rimasta sola in casa, iniziò a sistemare la cucina e decise che magari era il caso anche di riordinare la casa, tanto non aveva altro da fare che attendere il pranzo.


 

Poco dopo mezzogiorno si trovava già in compagnia di Lexa e le ragazze avevano optato, senza pensarci troppo, per il menu del giorno.

-Stamattina pensavo che di te so veramente poco..- cominciò Clarke, osservando l'altra risedersi dopo una telefonata che l'aveva tenuta occupata da quando si erano incontrate. La mora la guardò, senza dire nulla, in attesa di qualche domanda. Clarke aveva notato che Lexa non era certo una che sprecava parole, se poteva ne faceva volentieri a meno.

-Tipo, Lexa è il tuo nome intero o è il diminutivo di Alexa, Lexie o che altro? - domandò subito. Effettivamente dopo la chiacchierata con le amiche aveva notato che non sapeva cose di Lexa che una “fidanzata” non poteva assolutamente ignorare.

-E' il mio nome completo. Mio padre avrebbe preferito Alexandria, ma mia madre fu irremovibile- svelò la giovane.

-Capisco. Bé è un bel nome; particolare. E quanti anni hai?- continuò, sorridente.

-Ventisette, tu? - chiese di rimando Lexa, appoggiando poi i gomiti sul tavolo e in seguito il mento sulle mani intrecciate.

-Venticinque!- esclamò l'altra – e hai fratelli o sorelle? - proseguì, curiosa.

-Sì, due fratelli. Uno più grande e uno più piccolo- disse la donna, aspettandosi subito un nuovo quesito che però non arrivò. Clarke si mise in silenzio, la guardava attentamente ma non diceva nulla.

-Hai una bellissima treccia- si riprese poi. La treccia partiva sopra l'orecchio destro di Lexa, continuando dietro la nuca per poi concludersi dal lato opposto del capo, scendendo a sinistra.

-Grazie, mi piace molto intrecciare i capelli. Sin da quando ero piccola- ammise spontaneamente Lexa, accennando un leggero sorriso che Clarke accolse con piacere. Era abbozzato, ma Clarke era sicura che presto sarebbe riuscita a ottenerne uno serio.

-Io sono proprio negata per qualsiasi acconciatura. E sono monotona.. – ridacchiò, alludendo alla sua abitudine di tenere i capelli sciolti e legare solo due ciocche in un mini codino sopra il suo capo.

-Non è un vero problema, dopotutto così stai bene – alzò le spalle Lexa.

-Grazie! E cosa altro ti piace, oltre intrecciare capelli?- chiese Clarke, riprendendo la serie di domande che aveva interrotto. Lexa non rispose subito, alzò gli occhi, rimuginando tra se e se prima di dire qualcosa.

-Mi piacciono le persone che si impegnano in qualcosa, che non si arrendono, leali ai propri ideali e ai propri cari.

Mi piace il silenzio, ma apprezzo anche molto la musica.

Mi piace la neve, essere bloccati in casa , chiacchierare davanti ad un camino con la cioccolata fumante in mano.. - iniziò la ragazza, senza però guardare Clarke negli occhi come faceva di solito.

-Anche io adoro la neve- mormorò Clarke, quasi inconsciamente.

-Ti facevo più una da estate- commentò la mora, interrompendo il suo discorso.

-In realtà preferisco la primavera. Ma la neve è così rilassante, poetica e emozionante che non si può che amare – spiegò la ragazza, sorridendole. Lexa annuì, concorde.

-E poi mi piacciono le arti marziali, pattinare, andare a teatro e leggere. E i gatti. – concluse frettolosamente Lexa.

-Arti marziali, davvero? - domandò stupita Clarke.

-Sì, ne ho praticate diverse fin da quando ero piccola. Da qualche anno però mi dedico solo al Ju-Jitsu – disse la ragazza, fissando due occhi azzurri ed interessati.

-Wow, non ho idea di cosa sia, ma già il nome è figo. Io invece sono una frana totale negli sport- ammise la ragazza, abbassando lo sguardo imbarazzata -Però sono una maratoneta di serie tv, se si può contare!- esclamò poi, alzando l'indice .

E sì, ce l'aveva fatta, aveva guadagnato il primo sorriso sincero di Lexa.

Un bellissimo sorriso, pensò.

-Non credo conti- mormorò la mora, riprendendo poi la solita espressione. - E a te, cosa piace?-

-Il tuo sorriso- rispose impulsivamente Clarke, notando gli occhi di Lexa sfuggirle imbarazzati. Sbatte le ciglia, e arrossì, pensando che forse era stata troppo diretta -Emh, nel senso, mi piacciono molto le persone sorridenti, e tu hai un bel sorriso..- cercò di rimediare, bevendo poi tutto il bicchiere d'acqua in un sorso. Lexa non disse nulla, concentrandosi sul pranzo.

-E poi qualsiasi forma d'arte, in particolare dipingere. Mi piace cantare sotto la doccia, come a tutti penso. Mi piace il vento, il senso di libertà e forza che trasmette. Mi piace New York, così dinamica, ricca di culture e persone. - continuò Clarke, fermandosi poi eccitata, come se si fosse ricordata la cosa più importante – e adoro i compleanni!- esclamò con un sorrisone. Lexa sollevò le sopracciglia, in evidente disaccordo.

-Sono sopravvalutati – disse con distacco. Clarke s'imbronciò, come una bambina.

-Non è affatto vero, il giorno del tuo compleanno è uno dei più belli dell'anno – affermò sicura quella, incrociando la braccia convinta.

Il giorno del suo sesto compleanno era il ricordo più vivido che aveva di sua madre. I suoi genitori avevano preso una giornata libera per portarla allo zoo e passare più tempo possibile con lei; era uno dei suoi ricordi più belli. Dall'anno dopo suo padre si era sempre impegnato tantissimo per organizzarle feste eccezionali, per non farle sentire l'assenza di Abby e fare in modo che, anche se non c'era più, Clarke non doveva sentirsi triste, ma far vedere a sua madre che ogni anno diventava più grande, forte e felice. Per cui sì, Clarke adorava decisamente i compleanni.

-E perché? - chiese l'altra, con un tono poco convinto.

-Perché sì! E' un giorno in cui tutti devono essere carini con te, ti chiamano per farti gli auguri e le persone più care ti circondano di gioia e felicità – spiegò la bionda, con un sorriso contento sul volto – e poi ci sono i regali e la torta con tante candeline – annuì la ragazza soddisfatta.

-E se qualcuno non ti fa un regalo? - domandò Lexa, alzando leggermente il mento.

-E' morto per me- disse Clarke, seria, serrando le palpebre. Ne aprì poi leggermente una, a spiare la reazione di Lexa. Quando vide che la ragazza ci era rimasta malissimo scoppiò a ridere fragorosamente.

-Scherzo Lexa, però penso che esista un girone dell'inferno per chi non li fa davvero; quando il regalo più semplice, meno costoso e più bello è condividere la giornata col festeggiato – mormorò, abbassando gli occhi.


 



 

Le due ragazze erano sedute ad un tavolino di una tavola calda, una di fronte all'altra. Clarke si era stupita quando erano entrate, di solito Lexa sceglieva sempre posti molto sofisticati, mentre questo era più nello stile della bionda. Tavolini di legno, lungo bancone con sgabelli, postazioni da biliardo e tovagliette di plastica. Inoltre la ragazza si sentiva abbastanza fuori luogo con un abito di firma e un paio di tacchi alti, ma cercò di non darlo a vedere.

-Come mai siamo qui? Cioè, non è nel tuo stile – chiese la ragazza appena la cameriera si fu allontanata.

-Questo è la cosa più vicina ad un fast food che ti posso concedere – mormorò Lexa, senza però guardarla negli occhi. Clarke aveva ipotizzato che Lexa non la guardasse direttamente solo quando l'argomento la imbarazzava ma non voleva darlo a notare, e forse non era un'ipotesi così sbagliata.

-Grazie- sussurrò, afferrando la mano che Lexa aveva posato sul tavolino. La ragazza alzò il volto, mostrando un timido sorriso a Clarke al posto di un “prego”. La bionda si morse debolmente il labbro inferiore, fiera delle sue due vittorie: prima di tutto aveva ottenuto un altro sorriso da Lexa, secondo aveva scelto il posto solo per lei.

La bionda ordinò felicemente un hamburger con patatine, mentre Lexa optò per un'insalata che Clarke non degnò nemmeno di uno sguardo. Le due rimasero in silenzio per un po', ma non era più come il primo giorno. Non era perché nessuna delle due doveva scrutare l'altra e pesare cosa dire; era più che altro perché volevano cenare in tranquillità, scambiandosi sguardi quasi di intesa.

-Lexa sai cosa non ti ho chiesto oggi a pranzo? - domandò improvvisamente Clarke, facendo alzare gli occhi verdi alla donna che aveva di fronte – Qualcuno ha parlato di me al lavoro? - continuò la bionda. Lexa annuì, finendo però il boccone prima di saziare l'interesse dell'altra.

-Sì, nei corridoi si bisbigliava solo della “focosa bionda del capo” - affermò Lexa, indicando con un gesto della mano la ragazza che aveva di fronte. Clarke sorrise divertita.

-Oh oh oh, focosa bionda del capo – ripeté con una vocetta stupida, ravvivando i capelli teatralmente. -E poi? Tutto qui?- chiese, non pienamente compiaciuta.

Lexa probabilmente si ricordo qualcosa di divertente, perché sbarrò gli occhi e l'acqua che stava bevendo le andò di traverso. Iniziò a tossire, ricomponendosi però in fretta. Clarke fu ancora più incuriosita da questa strana reazione.

-Bé, diciamo che c'è qualcos'altro – mormorò, abbassando poi lo sguardo.

Eccola lì, pensò Clarke, se non aveva dedotto male Lexa stava per dire qualcosa che la imbarazzava.

-La gente si chiedeva una cosa.. e ho pensato alla risposta, ma non ne ero sicura- continuò discreta la mora. Clarke ancora non aveva capito dove volesse andare a parare, ma era divertita in ogni caso perché l'espressione di Lexa era stranamente anomala.

-Chiedimi pure quello che vuoi – la invitò poi a continuare.

-Bè, si chiedevano..- sottolineò Lexa, girando la sua insalata un po' nervosamente – se sono vere o finte – bofonchiò, spostando poi velocemente lo sguardo dagli occhi di Clarke, al petto della ragazza, nuovamente agli occhi di Clarke e poi alla sua inespressiva insalata.

Clarke spalancò la bocca, scoppiando a ridere di gusto. Notò che la mora stava arrossendo visibilmente, probabilmente pentendosi di averle posto il quesito. Poi la bionda si calmò, avvicinandosi più all'altra e guardandola con fare serio.

-Sono vere – asserì, annuendo con un sorriso sornione stampato sul volto. Lexa non volle sapere altro, assentì velocemente, evitando però gli occhi azzurri che la cercavano inutilmente, e riuscì in fretta a ricomporsi e a mantenere un'espressione tranquilla tutta la sera.

Clarke cercò di stuzzicarla ancora, invano, ma passò comunque una bella serata. Lexa stava più agli scherzi, non si distaccava come le prime volte, non cercava di concludere il discorso prima ancora che iniziasse. Ascoltava per lo più, ma lo faceva con interesse, a volte commentando. Sì, non era molto visto dall'esterno, ma per come erano partite Clarke si riteneva ad un buon punto. Forse sì, sarebbero riuscite a passare per una coppia, una coppia un po' strana, ma comunque era già qualcosa.

Quando uscirono dal locale Lexa non si separò subito da lei come faceva di solito.

-Clarke, volevo dirti che per domani sei libera. Non ci vedremo perché avrò una giornata molto piena e la sera ho già un altro impegno. Ok?- le comunicò, trattenendole la mano. Clarke annuì sorridendole.

-Non c'è problema, ci vedremo venerdì- le rispose, avvicinandosi per il solito saluto.

-A presto Clarke- le sussurrò, mentre si allontanava da lei.

-Buonanotte Lexa- disse a sua volta la ragazza, rivolgendole un ultimo sorriso prima di separarsi e salire sulla limousine. Prima di chiudere la portiera fu bloccata però ancora dalla mora.

-Sali davanti?- chiese Lexa, alzando un sopracciglio, stranita.

-Sì, riesco a chiacchierare meglio con Will!- esclamò l'altra, facendole poi un cenno con la mano prima di entrare effettivamente nella limousine.

Lexa sbatté le palpebre e forse le sue labbra si inclinarono in un sorriso.

Quella ragazza era positivamente diversa dagli altri, questo era certo.


 



 

Ciao! Rieccomi :)

Mi sono accorta che forse i personaggi sono un po' OOC, mi spiace. Sto cercando di starci attenta, spero non sia troppo accentuato.

Spoiler: il prossimo capitolo sarà diviso nella giornata di Clarke e quella di Lexa, così cambiamo un po'! Spiegherò anche dei fratelli di Lexa, anzi su di lei ci saranno un sacco di info :)

Grazie a tutti i lettori e ai recensori che sono sempre super carini!

A presto,

Tem_93

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


~Capitolo 5~


 

Clarke si svegliò a metà mattina, stiracchiandosi con calma. Non c'era fretta, era una di quelle giornate da letto, TV e gelato, ma per quel giorno aveva deciso di fare qualcosa di più costruttivo.

Avrebbe dipinto.

Aveva la casa libera fino a sera e sarebbe stata nella più totale tranquillità : solo lei, una tela e dei colori. Le piaceva stare con le persone, ma non disprezzava nemmeno la solitudine. I primi anni dopo la morte di sua madre la pensava diversamente; aspettare che suo padre tornasse dal lavoro e passasse del tempo con lui era il suo pensiero fisso. Col tempo aveva invece capito che era importante anche essere capaci di stare soli con se stessi, per conoscersi meglio, per imparare le proprie passioni e coltivarle.

Così l'arte era diventata la sua più fedele compagna. Aveva scoperto che le piaceva raffigurare le cose che vedeva, che la impressionavano, ma anche quelle che non conosceva, che fantasticava. E c'erano così tanti strumenti per farlo che era una scoperta nuova ogni giorno : tempere, vernici, gessetti, matite, pennelli, dita, fogli, tele, stoffe, muri e chissà quante altre combinazioni possibili. Era tutto quello che serviva per far fluire la sua prorompente creatività. E le piaceva così tanto che davvero aveva creduto che sarebbe stato anche il suo lavoro.

Purtroppo la realtà era stata uno squarcio nella bella tela che era il suo sogno.
Prima i commenti crudeli di alcuni critici.
Poi i concorsi non vinti e i curriculum ignorati da gallerie e musei.
Infine la malattia di suo padre che aveva reso impossibile spostarsi da New York e necessario trovare un lavoro.

Ma Clarke era una che non si arrendeva, assolutamente no.
Non avrebbe abbandonato la sua passione per niente al mondo.

Passò quindi la giornata come aveva immaginato; dopodiché decise di preparare una sorpresa per Octavia e si mosse di casa per comprare l'occorrente.


Octavia e Raven rientrarono praticamente assieme, trovando un' insolita Clarke indaffarata in cucina.
-Vi chiamo quando è pronto- le avvertì la bionda, mandandole a lavarsi.
Dopo una buona mezz'ora le due ragazze erano entrambe sedute comodamente a tavola, più che curiose di quello che aspettava loro.
-Perché sei a casa Clarke?- chiese Raven, che non riusciva più ad aspettare.
-Lexa oggi aveva una giornata molto impegnativa, per cui ci vedremo domani.- rispose solo la ragazza, continuando a dare loro la schiena.

Durante il pranzo, fatto con un panino che alternava al pennello, aveva pensato a Lexa. Chissà con chi pranzava di solito, se effettivamente era abituata ad andare nei locali dove l'aveva portata o se preferiva mangiare nel suo ufficio. E la sera? Cenava con i suoi fratelli? Preparava loro da mangiare o avevano un cuoco? O anche la sera cenava sempre fuori?

-Puoi comunicarci con cosa hai deciso di avvelenarci stasera?- chiese Octavia cercando di spiare oltre il corpo dell'amica, interrompendone i pensieri.
-Taaadaaaan- esclamò Clarke con un sorrisone, mettendo in tavola un vassoio ordinato con diverse polpette, leggermente immerse in un sugo di pomodoro e piselli. Octavia sollevo un sopracciglio contrariata, ma prima che potesse lamentarsi Clarke la precedette.
-Sono polpette di soia, e ho anche preso dell'insalata se volete!- disse allegramente, mettendo tutto in tavola.

-Grazie Clarke!- sorrise Raven, tirandosi a se il vassoio.

-Com'è che hai preparato qualcosa del genere? Di solito sei contro a tutti i cibi vegetariani- chiese Octavia, stranita.

-Bè, l'altro giorno Lexa mi ha portato in un ristorante vegano e ho pensato che se ho mangiato vegano con lei, era giusto farlo anche con te. Mi sono sempre rifiutata testardamente, quindi volevo porgerti in qualche modo le mie scuse. Non è così male- spiegò Clarke, sedendosi con le altre.

Octavia la guardò amichevolmente – Grazie- le sorrise, iniziando a servirsi.

-Raven, come stanno andando le istallazioni? - chiese Clarke, cominciando a sua volta a mangiare.

-Benissimo! Molti clienti rispondono davvero bene all'impianto. Sono così felici e allo stesso tempo meravigliati e increduli di quello che vedono quando installiamo l'arto. Le loro espressioni sono la cosa più bella e gratificante - esclamò la donna entusiasta.

Clarke sorrise, davvero orgogliosa dell'amica. Raven aveva sempre saputo su cosa voleva lavorare: arti biomeccanici. Aveva iniziato a produrre qualcosa per conto suo già al tempo degli studi e i suoi lavori erano stati tenuti d'occhio da un'azienda di New York molto valida. Appena si era laureata l'avevano assunta e per diversi mesi avevano investito su una sua ulteriore formazione approfondita. Come tutti immaginavano si erano da subito innamorati di Raven, del suo acume, della sua costanza, del suo impegno e anche del suo pensare fuori dagli schemi che spesso la faceva arrivare dove non molti riuscivano.

-Clarke, cambiando argomento, alla fine ho fatto delle ricerche su Lexa come mi avevi accennato tempo fa.. – disse la ragazza, cambiando tono. Clarke poggiò la posata, guardando l'amica, interessata.

-Figlia primogenita di una famiglia molto prestigiosa, che appunto fondò la Woods Corp, fu brillante fin da bambina – iniziò Raven.

-Come primogenita? Mi ha detto che ha un fratello maggiore – la interruppe Clarke, sollevando un sopracciglio.

-Sì, penso sia corretto. I fratelli sono adottivi, non di sangue, quindi è possibile- spiegò l'altra. La bionda annuì, invitandola a continuare – Ottimi voti al liceo, ha praticato fin da piccola diverse arti marziali. Laureata ad Harward con lode, specializzata in Managment.-disse, fermandosi poi per mangiare qualcosa.

-Bè, c'era da aspettarselo. Sembra una persona non solo molto intelligente, ma anche decisa ad andare fino in fondo a quello che fa nel modo migliore- commentò Clarke, facendo ruotare distrattamente una polpetta.

-E' figo che faccia anche arti marziali. Ha del comandante: forte nel corpo e nella mente – osservò Octavia, stappando una birra fresca. Clarke annuì, sorridendo.

-Comunque durante gli anni dell'università, da quel che ho capito, aveva incontrato una ragazza di cui però non ho trovato il nome. Iniziarono una relazione e in seguito un fidanzamento – mormorò Raven, prendendosi poi una pausa. Clarke aggrottò le sopracciglia, concentrata,in attesa del seguito.

-Purtroppo una notte di due anni fa ci fu un bruttissimo incidente stradale. Furono coinvolte diverse macchine e ci furono più di otto morti e molti feriti. A bordo di una delle vetture viaggiavano i signori Woods e la fidanzata di Lexa. Nessuno dei tre sopravvisse. - rivelò Raven, abbassando tristemente lo sguardo.

Clarke sbarrò gli occhi, portandosi istintivamente una mano davanti alla bocca.

In una sola notte doveva essere crollato il mondo addosso. Aveva perso sia i genitori che la donna che amava. E come se non bastasse, anche il peso dell'azienda e dei fratelli erano ricaduti su di lei.

Clarke pensò che Lexa doveva essere una persona molto diversa prima di questo fatto; perché sì, una cosa del genere cambierebbe chiunque. Avrebbe cambiato pure lei, che si sentiva così coraggiosa e ottimista. Sì, anche lei aveva perso la madre, ma era successo quando era piccola e sicuramente non capendo bene quello che le accadeva intorno aveva elaborato il lutto in modo molto diverso da quello di un adulto.

Non aveva idea di cosa avesse dovuto passare Lexa, ma ora capiva meglio il suo attuale comportamento, il distacco da tutto e da tutti, il non volersi legare alle persone, il trattare tutti con gelo, assumere qualcuno che non doveva comportare coinvolgimenti.

Le ragazze cambiarono presto discorso e continuarono serenamente la loro serata.

Ma quando Clarke si ritrovò sola al centro del letto, non riuscì a togliersi dalla mente quello che le aveva raccontato Raven, chiedendosi come lei sarebbe mutata al suo posto.


 



 

Lexa uscì dal lavoro stanca, ma moderatamente soddisfatta. Era stata una giornata lunga, piena di riunioni, spostamenti, scartoffie e persone con cui non era facile trattare. Ma ora era fuori, e almeno per le prossime tre ore non aveva voglia di pensare a nulla collegato all'azienda.

Salì sulla limousine, trovandovi all'interno Aden.

-Hey, tutto ok?- gli domandò con un sorriso, sedendoglisi a fianco.

Aden e Lincoln erano la sua famiglia, erano la sua casa e il ricordo pulsante e vivo dei genitori, anche se non ne condividevano nemmeno un cromosoma. Con loro non aveva vincoli, non aveva bisogno di indossare maschere, non voleva nemmeno farlo; erano quasi le uniche due persone per cui non aveva mura, per cui era veramente Lexa, o meglio Leska.

-Sì, e tu Leska ?- domandò il sedicenne, sorridendogli contento. Quando era piccolo Aden non riusciva a pronunciare correttamente il suo nome, per cui aveva iniziato a chiamarla Leska. A Lincoln era piaciuto e aveva preso ad usarlo anche lui, per cui, senza volere, il piccolo fratellino le aveva affibbiato un nomignolo che ancora oggi si portava dietro.

-Giornata stancante, ma non vedo l'ora di iniziare l'allenamento – gli rispose la donna, sistemandogli i capelli arruffati.

-Lincoln ha detto che ci raggiungeva un po' più tardi perché doveva finire delle cose- riferì il ragazzo. Lexa annuì e i due continuarono a chiacchierare della giornata finché la vettura non si fermò davanti alla palestra che erano soliti frequentare.

I due si divisero negli spogliatoi, accedendo poi al salone sono una volta indossato il kimono, nero per entrambi.

-Ragazzini – li salutò una donna dai tratti asiatici e i capelli castani raccolti in una coda alta. Spettinò velocemente i capelli di Aden e rivolse un sorriso a Lexa.

-Ciao Anya, vado da Gustus – disse frettolosamente il ragazzo, correndo poi verso il maestro accerchiato dai ragazzi della sua età.

-Sei pronta per essere stesa?- chiese Anya a Lexa, con un sorriso di sfida.

-E tu?- disse di rimando questa, riservandogli la stessa espressione. Le due ragazze iniziarono a sciogliere i muscoli, prima di cominciare seriamente l'allenamento.

Anya era la sua unica vera amica.

Si erano conosciute proprio in quella palestra, quando Lexa aveva lasciato il Karate e aveva deciso di iniziare il Jiu Jitsu. Anya era stata la sua insegnante, ma da qualche tempo erano praticamente allo stesso livello. Teoricamente Anya era qualche dan più avanti della giovane, ma era solo una questione di esami e titoli.

Lexa aveva iniziato a praticare lo sport intensamente dopo la scomparsa dei suoi genitori, le serviva per svuotare la mente, per liberarsi per qualche ora da tutte le responsabilità, per sentirsi viva.

E Anya lo sapeva, aveva imparato a conoscere ogni pensiero della ragazza e aveva cercato a suo modo di condividere con lei i suoi dolori. Era stata l'unica con cui Lexa aveva pianto ed era stata anche quella che l'aveva spronata a non arrendersi, ad andare avanti a testa alta come i suoi avrebbero voluto.

Anya le afferrò il polso, la fece rapidamente ruotare, le prese anche il gomito e poi, facendo forza sulle gambe, se la issò sulla schiena e la scaraventò a terra.

-Bè, siamo distratte?- la schernì, allungandole poi il braccio per alzarsi. Lexa le strinse l'avambraccio come era solita fare, imitata dall'altra, e si fece forza per rialzarsi. La mora si stirò il collo, con un'espressione scocciata: non le piaceva essere messa al tappeto.

-Ti volevo parlare di una cosa – le disse, mettendosi davanti ad Anya, in guardia.

-Spara- disse quella, sorridendole combattiva.

-Hai presente che ho assunto un'escort ? - disse mantenendo l'espressione concentrata, per poi allungare la gamba in un calcio verso Anya, che la ragazza parò; Lexa fece un girò su se stessa provando con l'altra gamba che però la rivale afferrò e sfruttò per metterla a terra, ma sua volta Lexa la strinse in una morsa.

-Ho presente- disse Anya, riprendendo fiato, immobilizzata.

-Non credo sia veramente un'escort – disse la ragazza, spingendo poi con le gambe il corpo dell'altra per farla capovolgere, ma Anya resistette, rimanendo nella posizione in cui era.

-E perché? Ne avevi mai conosciute altre prima?- continuò, cercando ora di liberarsi .

-No, ma lei mi sembra così spontanea e genuina che non credo appartenga a quel mondo. E poi non fa sport, non cura l'alimentazione, si mangia le unghie, praticamente non si trucca e ha i capelli sempre al naturale. Insomma non cura il corpo come se fosse il suo buisness – osservò. Aspettò che Anya riflettesse un attimo sulle informazioni per riuscire stavolta a scaraventarla a terra e fermarla con una presa.

-Distratta?- la scimmiottò, divertita. Anya sorrise e fu il suo turno di essere aiutata a rialzarsi.

-Non lo so Lex, devi pensare che fingere è il suo lavoro. Lei cercherà sempre di essere gradita ai tuoi occhi perché è quello che le fa guadagnare soldi. Più brava è, meglio sa fingere in teoria- disse la donna, sistemandosi i guanti prima di rimettersi in posizione.

-Lo so, è che mi ha dato un'impressione così diversa dalle altre persone – mormorò Lexa, abbassando lo sguardo.

Anya le afferrò il mento con uno strattone, guardandola dritta negli occhi.

-Sai che sono la prima che vorrei che tu trovassi una persona giusta per te- iniziò, notando il viso della ragazza farsi più rosso e non a causa dell'affaticamento – ma per favore, non fare cose stupide. Non dico che sia sbagliato innamorarsi di un'escort, ma se lei non si innamora di te, la tratterresti solo con i soldi in un rapporto finto – concluse, schietta come Anya sapeva solo essere.

-Sì, so anche questo. Non ti preoccupare – affermò Lexa.

Poi si rimise di guardia.


 

Finito l'allenamento fece una doccia veloce, trovando ad aspettarla fuori la solita limousine, nella quale la attendevano i fratelli. Da piccoli lei e Lincoln avevano iniziato ad appassionarsi alle arti marziali e appena Aden era diventato grandino aveva voluto assolutamente seguire la strada dei fratelli. Era una cosa di famiglia e a Lexa piaceva anche per quello.

Prima che li raggiungesse i due avevano ordinato della pizza, per cui una volta tornati a casa arrivò loro quasi subito. Cenarono insieme, dopodiché si separarono nelle rispettive camere, stanchi sia fisicamente che mentalmente.

Prima di addormentarsi Lexa si rigirò nel letto più volte, ripensando a quello che le aveva detto Anya e le impressioni che invece lei aveva avuto.


 

Chissà cosa avrebbe pensato di lei Costia in quel momento.


 



 


 

Ciao :D

Questo capitolo mi piace particolarmente, devo ammetterlo. Spero che alcuni tratti delle due ragazze siano più chiari, anche se non tutto deve esserlo, dato che ci sono ancora molte cose non dette. Ebbene sì, Lincoln e Aden sono i fratelli di Lexa.

Lincoln era il mio altro personaggio preferito, assieme a Lexa, per cui non potevo non metterglielo accanto.

Anya (<3) è l'altro mio amore. Voglio che risulti essere sia una maestra per Lexa sia un'amica, una persona di cui si fidi ciecamente, perché è così che immagino il loro rapporto anche in The 100.

E infine Costia. Ho intenzione di svilupparla come un personaggio davvero positivo, come penso sia stato per Lexa nella serie.


 

Fine, queste erano le cose che ritenevo importanti sottolineare, per il resto aspetto vostri commenti!

Grazie ai lettori e ai recensori.

A presto,

Tem_93

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


~Capitolo 6~


 

-Salve Signorina Woods- disse la ragazza, con un tono ed un'espressione seria. Lexa si voltò, allargando un poco gli occhi, non aspettandosi che arrivasse da dietro. Clarke le rivolse un sorriso, per poi avvicinarsi e baciarle delicatamente la guancia. Corrucciò poi le sopracciglia, fermandosi sul collo della giovane per annusarla meglio.

-Hai un profumo da uomo – notò, per poi allontanarsi.

-Ciao Clarke. Stamattina ero di fretta e ho sbagliato boccetta – disse solo la ragazza,stringendo le labbra.

-Ogni tanto commetti errori anche tu allora- scherzò Clarke, impedendo all'altra di controbattere prendendole la mano per poi trascinarla nel ristorante – sto morendo di fame!- squillo, tirandosela dietro.

Erano già state lì, forse il primo giorno; Clarke era particolarmente contenta della scelta, perché all'italiano non avrebbe mai detto di no. Le due scelsero il tavolo, dopodiché Lexa non perse l'occasione per andare in bagno a lavarsi le mani.

Quando tornò trovò ad aspettarla al suo posto una scatolina blu. Guardò stranita la bionda, per poi sedersi con uno sguardo confuso.

-Ti ho preso una cosa- disse Clarke, osservandola scrutare l'oggetto come se emettesse radiazioni.

-Perché?- borbottò l'altra, prendendo in mano la scatola, senza però ancora aprirla.

-Perché sono la tua ragazza ed è giusto che tu abbia qualcosa scelto da me. Tutto quello che indosso l'hai scelto tu. Le relazioni non sono monodirezionali di solito!- spiegò Clarke, appoggiando il peso sui gomiti posti sul tavolo, in attesa. Lexa le rivolse uno sguardo veloce, tornando a fissare il piccolo regalo.

-Non si apre da solo – la incoraggiò Clarke, facendole anche un cenno col capo.

Lexa afferrò meglio la scatola, aprendone poi il coperchio. Dentro c'erano dei semplici orecchini, due piccole sfere rosse.

-Penso che il rosso ti doni e non volevo nulla di eccentrico. Spero ti piacciano – disse la bionda, spostando poi l'attenzione sul menu. Lexa non disse nulla. Accarezzò leggermente una delle due sfere, li estrasse e lì infilò con attenzione alle orecchie, interessandosi poi a sua volta sulla scelta del pranzo.

Clarke alzò gli occhi, notando come gli orecchini risaltassero tra i capelli scuri della ragazza.

-Ti stanno proprio bene- affermò, aspettando che gli occhi dell'altra la raggiungessero.

-Grazie Clarke, non ce n'era bisogno – sussurrò Lexa, rivolgendole un piccolo sorriso grato.

-Sì invece, prendilo come regalo per il primo mese insieme. Mica possiamo dire che ci conosciamo da.. quattro giorni no? - disse la bionda, cercando gli occhi verdi della donna.

-Allora, come hai passato la giornata senza la tua focosa fidanzata? - chiese poi, sorridendole.

-Bene grazie. E' stata una giornata lunga e stancante, ma non si possono rimandare per sempre le riunioni. La tua?- rispose Lexa, osservando come Clarke la stava analizzando, cercando di capire il segreto della treccia che aveva quel giorno. In quel momento alla bionda tornarono in mente le informazioni scoperte la sera prima sul conto di Lexa, ma le cacciò via prepotentemente per non sembrare turbata.

-Tranquilla, ho passato quasi tutta la giornata da sola. Mi sono divertita a dipingere – sorrise Clarke.

Ordinarono il pranzo e non ci volle molto prima di iniziare a mangiare, per la gioia della giovane affamata. Le due continuarono a parlare della giornata precedente di Clarke, di cosa avesse dipinto, del fatto che avesse preparato una cena vegana alle coinquiline, delle coinquiline stesse.

-E tu? Di solito con chi mangi ? - domandò poi Clarke, curiosa di quello che aveva fatto Lexa, di cui ancora non aveva saputo quasi nulla.

-Generalmente il pranzo lo passo in ufficio e non vi dedico più di un quarto d'ora – rivelò, versandosi poi da bere – Mentre praticamente ceno sempre con i miei fratelli. A turno uno cucina o ordina quello che preferisce -. Clarke non disse nulla, ma sorrise al pensiero di Lexa con i fratelli. Probabilmente si comportava in modo molto diverso con loro, anzi ne era sicura. Certo, era anche possibile che fossero tutti freddi come lei, ma le piaceva più immaginare che in famiglia Lexa dovesse essere molto più sciolta e libera di esprimere la propria vera personalità, perché ormai le era ovvio che quella che aveva visto le prime volte era una maschera ben costruita.

-Clarke volevo dirti che stasera faremo qualcosa di diverso – iniziò la mora, attirando tutto l'interesse dell'altra.

-Cosa? - chiese prontamente, sorridendole.

-Stasera si terrà una cena di beneficenza alla Woods Corporation. Si tiene tutti gli anni ed è in programma da mesi, per cui non potevo spostarla. Ci saranno molti dirigenti e diverse persone influenti della città. Pensavo di portarti con me – comunicò velocemente Lexa.

-Carino. Come devo vestirmi? - domandò solo Clarke. Non era propriamente eccitata dall'idea di trovarsi in una sala piena di persone che l'avrebbero fissata e giudicata tutto il tempo, notando che lei non apparteneva affatto alla loro alta classe sociale.

-E' richiesto un abito da sera. Indra dovrebbe avertene dato qualcuno. Se così non fosse te lo farò recapitare il prima possibile – si affrettò a rispondere.

-Sì, dovrei averne alcuni. Spero di scegliere quello giusto – mormorò la bionda.

Il pranzo passò velocemente per Clarke che aveva il pensiero fisso della sera. L'idea non le piaceva. Prima di tutto probabilmente avrebbe rivisto il suo ex datore di lavoro. Secondo avrebbe dovuto sorridere ai commenti poco carini che solo quel tipo di gente riusciva a fare in modo cortese e decisamente irritante. Ma veniva pagata ben ottocentomila dollari da Lexa sostanzialmente solo per stare in sua compagnia per due settimane, per cui avrebbe dovuto impegnarsi al massimo per farle fare bella figura. Sì, perché aveva paura che i commenti su di lei sarebbero ricaduti negativamente su Lexa. Questo non lo voleva, lei quelle persone non le avrebbe più riviste, mentre Lexa sicuramente sì. Si chiese se quella della donna fosse stata una giusta scelta, concludendo che sicuramente lei ci aveva ragionato abbastanza per decretarla tale.

Lexa le aveva detto che doveva farsi trovare pronta per le sette e mezza, per cui due ore prima decise di iniziare a preparasi contando che in casa non c'era nessuno che avrebbe potuto consigliarla sulla scelta dell'abito. Dopo aver provato tutto il possibile e aver optato anche per truccarsi con più cura del solito, senza essere però eccessiva, si disse pronta ad affrontare la serata.

Puntualissimo Will la stava già aspettando quando scese, e appena la vide la riempì di complimenti, per cui Clarke pensò che tanto male non doveva aver scelto.

All'ingresso non l'aspettava Lexa, ma Indra. Anche la donna la lusingò, per poi accompagnarla all'interno, dove si stavano concludendo tutti i preparativi e i camerieri stavano iniziando a riempire i flute di champagne.

Riconobbe la figura di Lexa di schiena, con i boccoli perfetti che gliela coprivano quasi interamente. Sorrise, vedendo che non indossava un vestito nemmeno in quell'occasione. Indra le fece un cenno in direzione del suo capo e Clarke avanzò terrorizzata di inciamparsi tra i tacchi alti e la gonna lunga.

-Ciao- sussurrò, avvicinandosi da dietro all'orecchio della mora, la quale per poco non sobbalzò. La ragazzo si girò, ammirando Clarke in un vestito semplice color blu notte, dettagliato con ricami in pizzo semitrasparenti; i capelli sciolti e due orecchini lunghi e argentati.

-Sei bellissima – sussurrò appena Lexa, impegnandosi veramente tanto per non far passare nulla dalla sua espressione. Probabilmente ci riuscì, perché Clarke fu un po' delusa dal non vederla arrossire o sorridere, ma forse si aspettava troppo.

-Tu sei molto audace, potrei essere gelosa – disse la bionda, afferrandole poi il viso delicatamente per sfiorarle la guancia con le labbra. La mora non disse nulla, abbassando lo sguardo, ma questa volta Clarke vide le sue gote un po' più rosee.

Lexa indossava uno smoking dai pantaloni neri e la giacca bianca, sotto la quale però non portava nulla, il ché rendeva la scollatura del blazer, anche se non troppo eccessiva, decisamente sexy. Portava gli orecchini rossi di Clarke a cui aveva abbinato un rossetto della stessa tonalità. La bionda pensò a quanto ci aveva messo per sembrare presentabile per poi venire spiazzata da Lexa, perfetta in quel momento.

Dopo una decina di minuti iniziarono ad arrivare gli ospiti e il salone dell'atrio si riempì in fretta; i camerieri facevano slalom tra la gente, i bicchieri e i vassoi si vuotavano velocemente e in proporzione aumentavano i toni e le risate.

Clarke per il più del tempo stava al fianco di Lexa, senza dire nulla, mentre lei era impegnata a salutare ogni persona che le si avvicinava. Pochi facevano caso alla bionda, tutti la osservavano, certo, ma nessuno chiedeva chi fosse direttamente a lei.

-Scusa, ti starai seccando da morire – disse Lexa quando fu un momento libera. Clarke scosse la testa sorridendole.

-Non c'è problema. Vado a prendere qualcosa da bere per entrambe, aspettami qui!- si propose poi, vedendo arrivare altre persone interessate alla giovane amministratrice. Lexa annuì, dandole le spalle quando la chiamarono.

Clarke zigzagò tra gli invitati, giungendo finalmente al tavolo dove preparavano cocktail. Avrebbe voluto qualcosa di davvero alcolico per sopportare la situazione e l'abbigliamento, ma non era lì per mettere in imbarazzo Lexa, per cui due analcolici sarebbero stati perfetti. Il ragazzo glieli preparò in un batter d'occhio , non fece nemmeno in tempo a ringraziarlo che ne stava già servendo altri. Nuovamente si infilò tra la folla, cercando l'unica persona familiare a lei lì in mezzo. Quando la trovò notò che stava parlando con una donna.

-Tu devi essere Clarke – affermò quella, quando Clarke le raggiunse. Si stupì del fatto che qualcuno l'avesse non solo notata, ma avesse anche indovinato chi fosse. Allungò il flute a Lexa e annuì.

-In persona – esclamò con un sorriso – con chi ho il piacere di parlare? - domandò poi, allungando cortesemente la mano. La donna gliela afferrò e la strinse saldamente.

-Sono Nia – dichiarò decisa, sorridendole in un modo strano, che Clarke trovò quasi maligno – Così tu sei la nuova compagna di Lexa. Raccontami un po', come hai fatto a sciogliere questa fanciulla di ghiaccio ? - domandò con un tono mellifluo. Clarke notò Lexa muovere la mascella e poi serrarla in modo infastidito. Decisamente quella Nia non le piaceva.

-Bè, non è stato facile, ma tutto l'impegno è stato ben ripagato. Lexa è una persona squisita, ricca di doti – iniziò Clarke, afferrando poi la mano della ragazza per stringerla a se, riservando per Lexa uno sguardo decisamente eloquente.

-Ci siamo conosciute nel bar dove lavoravo. Una sera arrivò tutta sola, abbattuta per la giornata stancante e con mille pensieri in testa. Provai a offrirle un cocktail per farle dimenticare la brutta giornata, ma scoprii che era astemia. Allora le preparai uno specialissimo analcolico, ad hoc per le giornate no. E sa cosa fece? Se lo fece offrire– scherzò la bionda, osservando con quanta curiosità la stava scrutando Nia.

-Dopodiché si presentò anche la sera dopo e quella successiva, e per un'intera settimana chiese lo stesso drink, e per una settimana io glielo offrii- continuò, enfatizzando ogni parola.

-Non ti facevo approfittatrice – commentò Nia, nella direzione di Lexa.

-Infatti non lo è, non ha sentito tutta la storia. – sottolineò Clarke – Una sera arrivò prima del solito e chiese al mio capo quanto valeva una mia intera serata di lavoro. Lui inizialmente brontolò, dicendo che non era importante quanto fosse, perché di certo non poteva permettersi di non farmi lavorare per tutta la sera dato che il locale era pieno. Ma lei insistette e lui fece una proposta assurda. Lexa non sbatté ciglio e tirò fuori la carta di credito, sotto la faccia sconvolta del mio capo.

Fu il nostro primo appuntamento – concluse Clarke, rivolgendo un sorriso amoroso a Lexa, che le sorrise a sua volta, stringendole le mano.

Nia schioccò la lingua e probabilmente avrebbe voluto sapere altro, ma Clarke la interruppe ancora prima che cominciasse.

-Comunque ora le devo proprio rubare la mia magnifica ragazza, è tutta la sera che parla con altri e ora la voglio cinque minuti per me. E' stato un piacere – terminò, salutando con un cenno della mano e tirando Lexa nella direzione opposta alla donna che le stava guardando storto.

Appena riuscirono ad allontanarsi un poco, Clarke si fece molto vicina a Lexa, posando il bicchiere per appoggiarle entrambe le mani sui fianchi e attirarla a se. Lo fece per riuscire a poter parlare solo con lei e fare in modo che non venissero disturbate subito, ma notò che la sua azione inaspettata imbarazzò non poco l'altra donna.

-Stare con quelle persone deve essere impossibile – sbottò Clarke, sottovoce, davvero vicina al viso della mora.

-E' più difficile stare con te- mormorò Lexa, quasi inconsciamente, sentendosi terribilmente accaldata. Clarke inarcò in modo notevole le sopracciglia, mostrandole un'espressione dura, offesa.

-Nel senso, per me è più facile rapportarmi con persone del genere. Sono più prevedibili.. - le spiegò, dispiaciuta dell'incomprensione – ..ma meno piacevoli – aggiunse, evitando però gli occhi azzurri che aveva davanti. Clarke riprese l'espressione serena di prima, anzi sorrise felice.

-Quella tipa è strega- commentò poi, cercando le iridi verdi dell'altra, trovandole poco dopo.

-Sì, è il dirigente della concorrenza. Mi odia, ma il sentimento è reciproco – spiegò, facendo spallucce.

-Non so come tu faccia a dire che è facile rapportarsi con persone come lei- notò, sistemando poi un boccolo di Lexa che le era finito davanti al viso.

-Bè a questi livelli tutti si atteggiano da squali, l'importante è non fargli sentire l'odore del sangue. Devi comportarti a tua volta come loro, soprattutto se sai che quello che dicono spesso non è la realtà ma ingigantiscono numeri e fatti. Nel mio lavoro sono abbastanza precisa e so come stanno veramente le cose, per cui finora non sono ancora riusciti ad intimorirmi – spiegò Lexa, in modo calmo. Clarke annuì, immaginando che effettivamente Lexa sembrava proprio uno squalo le prime volte che l'aveva vista.

-Pensi che la storia che ho raccontato possa reggere? E' la prima cosa che mi è venuta in mente, dato che un tempo lavoravo davvero in un bar - spiegò la bionda, prendendo a carezzare lentamente, senza pensarci, il fianco destro della ragazza. Lexa sbatté le sopracciglia, lanciando uno sguardo veloce al movimento quasi spontaneo dell'altra, cercando però di non farlo notare a Clarke.

-Credo vada benissimo – sussurrò, indecisa se allontanarsi o meno dalla bionda.

-Ah emh- si schiarì la voce qualcuno dietro di loro, come per estrarle dalla bolla che si erano create. Lexa fu la prima a staccarsi, voltandosi verso l'uomo che le aveva interrotte.

-Linc!- esclamò, sbarrando gli occhi.

-Leska- le sorrise lui, facendole l'occhiolino – sei Clarke vero?- disse poi, porgendo la mano alla bionda, che la strinse prontamente annuendo. - Piacere, sono Lincoln, il fratello di Lexa – svelò, guardando con un sorriso accennato la sorella.

-Wow, il piacere è mio – affermò Clarke, studiando l'uomo che aveva davanti. Era decisamente alto, probabilmente uno sportivo dal fisico muscoloso, con i capelli corti e la barba accennata, particolarmente elegante in un completo grigio chiaro con tanto di gilet. Non assomigliava per nulla a Lexa, a parte per il fatto che era sicuramente affascinante.

-Lincoln è co-presidente dell'azienda, stessa cosa varrà per Aden quando sarà grande – aggiunse Lexa, non sapendo come rompere il silenzio. Clarke annuì, senza proferire parola.

-Ti stavo cercando, è il momento del discorso- comunicò il ragazzo alla sorella, facendo un cenno nella direzione del palco sul quale una piccola orchestra suonava musica di sottofondo.

-Sì, arrivo- asserì lei, voltandosi poi nella direzione dell'altra ragazza – scusami, tornerò a breve. Cerca Indra se non vuoi rimanere sola – disse, quasi mortificata al doverla abbandonare in mezzo a quella folla di sconosciuti.

-Non ti preoccupare, sono adulta e vaccinata. Ti aspetterò guardandoti da qui – rispose Clarke, cercando di trasmetterle serenità con un sorriso. Non era proprio felice di rimanere sola, ma di certo non l'avrebbe fatto pesare a Lexa.

I due fratelli si fecero largo tra la folla, chiedendo poi ai musicisti di interrompersi per consentire loro di poter tenere un discorso. Lincoln richiamò i presenti al silenzio aiutandosi con un calice ed un cucchiaino e ben presto tutti gli occhi furono puntati sui presidenti della Woods Corporation.

-Buonasera e benvenuti a tutti, spero vi stiate divertendo. Ringrazio ognuno di voi per la vostra presenza qui, è un gesto davvero apprezzabile – iniziò Lincoln, per poi lasciare posto alla sorella.

-Come tutti gli anni abbiamo organizzato questa serata per beneficenza. Sapete bene che la Woods Corporation si impegna da oltre vent'anni nell'aiutare gli orfanotrofi e gli enti che si occupano di ragazzi problematici. Questa tradizione iniziata da nostro padre è un'eredità che vogliamo portare avanti con orgoglio. L'anno scorso l'azienda si è impegnata nella costruzione di un nuovo stabile nella zona di Brooklyn. Quest'anno abbiamo intenzione di ristrutturare alcuni vecchi edifici nel Queens, se possibile vorremmo riparare tutti quelli presenti.

Come sapete la beneficenza non è rivolta alla nostra azienda ma proprio a chi per primo si prende cura dei bambini e dei ragazza. Stasera sono presenti diversi responsabili, che ora voglio invitare ad intervenire – disse la ragazza con un tono lento e chiaro, scandendo bene ogni parola e ammaestrando con sicurezza il pubblico. Cinque persone furono chiamate sul palco e ognuno spiegò con poche parole concrete le necessità e le urgenze della propria associazione, esprimendo infine gratitudine per i Woods e per tutti i donatori.

Clarke aveva tenuto tutto il tempo lo sguardo fisso su Lexa, notando con quanta professionalità si muoveva e dirigeva il tutto, ma osservando anche come bisbigliava di nascosto col fratello.

Era una brava persona, questo l'aveva già capito da un po', ma stasera lo aveva confermato con i fatti. Certo molto del merito doveva essere dato ai genitori che sicuramente l'avevano educata e sensibilizzata ad occorrere il prossimo adottando i due ragazzi che ora erano i suoi fratelli. Non tutti però si sarebbero forse comportati come lei, molti probabilmente avrebbero reclamato il diritto di essere gli unici eredi e proprietari dell'azienda. Non Lexa, questo era un lato molto bello di lei, sicuramente.

Dopo una mezz'oretta la mora raggiunse Clarke con un'espressione stanca e dispiaciuta. La bionda in risposta scrollò solo le spalle. Ancora molte altre persone si avvicinarono alla donna, intrattenendola e Clarke si accorse che anche lei non ne poteva più, ma per ad ognuno riservava la stessa cortesia e lo stesso interesse, per quanto poco fosse spontaneo.

Ancora due ore dovettero passare prima che la festa fosse effettivamente conclusa. Lexa aveva detto a Clarke che se voleva poteva anche tornare a casa prima, ma lei aveva rifiutato l'offerta anche se era davvero molto allettante.

-E anche quest'anno è finita – sbuffò Lincoln, massaggiandosi le tempie.

-Già. Ti dispiace se accompagno a casa Clarke?- chiese Lexa, tenendo lo sguardo fisso sul fratello.

-Non c'è problema, tanto io sono venuto in macchina – rispose lui, avvicinandosi poi alla ragazza – E' carina!- le sussurrò con un mezzo sorriso, per poi allontanarsi. Lexa trattenne commenti o espressioni imbarazzate, raggiungendo poi Clarke che l'aspettava seduta in uno sgabello che si era liberato solo ora che non c'era più nessuno.

-Hey – mormorò la bionda, alzando il capo vedendola arrivare.

-Hey - sussurrò Lexa, sorridendole spontaneamente – ti porto a casa – le comunicò, offrendole poi la mano per alzarsi. Clarke l'afferrò, troppo stanca per chiederle perché o per cosa.

Le due ragazze lasciarono la struttura, trovando a pochi passi dall'uscita la limousine di Lexa in attesa. Salirono in fretta e Lexa comunicò la via di Clarke all'autista, mentre la ragazza si accomodava al suo fianco.

Clarke avrebbe voluto dirle qualcosa, iniziare una conversazione, fare diverse domande a Lexa, ma era davvero esausta e le si sedette solo a fianco, prendendole la mano.

Non ce n'era bisogno, erano sole, nessuno avrebbe visto quel gesto, ma lo fece inconsciamente, forse perché solo voleva farlo e non perché dovesse dimostrare che erano una coppia a qualcuno. Lexa osservò le due mani e non fece nulla, non la strinse più forte ma nemmeno la scansò, rivolse solo il suo sguardo altrove, spiando dai finestrini le luci notturne.

Dopo poco si trovavano davanti alla palazzina dove abitava la ragazza. Clarke sbuffò, uscendo dalla vettura goffamente. Si voltò poi verso la ragazza, che aveva lo sguardo fisso su di lei.

-Buonanotte Lexa, grazie della serata- disse solo, con uno stanco sorriso e gli occhi che le si chiudevano.

-Buonanotte Clarke, grazie a te- rispose l'altra, molto più sveglia e conscia del momento. Vide Clarke tirarsi su con una mano il lungo vestito che probabilmente le dava molto fastidio, aprire la porta del condominio e togliersi subito i tacchi tenendoli in mano. Poi sparì all'interno.

Si era scordata del bacio sulla guancia, pensò solo, chiudendo la portiera.



 



 

Hey hey :)

Ce l'ho fatta ad aggiornare per oggi anche se il capitolo è più lungo, quindi sono abbastanza soddisfatta, anche se forse il tutto poteva venire meglio, ma va beh.

Giusto per curiosità per Lexa avevo pensato ad una cosa simile come smoking! Sarebbe super iper :D

Il prossimo capitolo dovrebbe essere l'ultimo prima della partenza. Dopo passeranno ogni giorno zempre inzieme :)

Fatemi sapere se vi è piaciuto, ma anche sopratutto cosa non vi è piaciuto, così cerco di far meglio!

Grazie a tutti :)

A presto,

Tem_93

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


~Capitolo 7~

6.30.

La sveglia iniziò a suonare, ma gli occhi di Lexa stavano già fissando l'orario da qualche minuto. Era così abituata ad alzarsi presto che ormai non riusciva a riposarsi nemmeno quando ne aveva davvero bisogno.

La serata precedente era stata decisamente faticosa. Certo, anche molto importante, ma logorante. Fin da quando era piccola suo padre l'aveva sempre portata con se a quelle serate di beneficenza e ricordava come ogni anno arrivasse a fine serata completamente sfinito, ma col sorriso sulle labbra. Era orgogliosa di continuare quella tradizione, lo era davvero.

Diversamente da quanto aveva previsto però Lexa non era riuscita a rimanere concentrata sull'obiettivo.

Anya aveva ragione, era distratta.

Clarke, contrariamente da quello che avrebbe voluto, le era scappata di mano. Non si sarebbe dovuta preoccupare di lasciarla sola, in disparte o del fatto che si annoiasse. Era pagata per farlo, non le doveva nulla di più. Eppure le era importato, le era dispiaciuto averla ignorata e averle fatto fare da statuetta tutta la sera.

Aveva gradito quando l'aveva strappata da Nia per averla un po' per se. O quando in macchina le aveva preso la mano.

Aveva davvero valutato correttamente Clarke? O Anya aveva ancora ragione nel dire che stava fingendo alla grande perché quello era il suo lavoro.

Non era certa di volerlo sapere, ma in ogni caso non le piaceva avere questi dubbi.

Sospirò, alzandosi dal letto e dirigendosi verso il bagno per una doccia fredda. Rimase sotto l'acqua corrente per una ventina di minuti, dopodiché uscì iniziando ad asciugarsi con cura i capelli. Notò allo specchio che aveva ancora gli orecchini rossi ai lobi. Ne sfiorò uno, togliendo da esso la goccia d'acqua posata sopra.

Il rosso le era sempre piaciuto, pensò.


 



 

Will fermò la limousine davanti alla Woods Corporation.

-Niente ristorante oggi? - chiese Clarke, guardando l'autista con aria interrogativa.

-La signorina Woods mi ha solo detto di accompagnarla qui – disse lui, sorridendole.

-Ok- rispose la ragazza, salutando cordialmente l'uomo prima di scendere.

Stranamente non vi era nessuno ad aspettarla. Entrò dalle porte scorrevoli, ritrovandosi nell'atrio così vuoto, visto dopo la serata passata. Effettivamente la struttura era quasi deserta, ma dopotutto era l'orario di pranzo di sabato, era forse più strano che qualcuno fosse a lavorare.

Si ricordò la strada per l'ufficio di Lexa, dopo aver trovato l'ascensore, e seguendo il corridoio giunse alla porta chiusa del suo ufficio. Sentì che dentro la ragazza stava parlando con qualcuno, probabilmente al telefono. Decise per cui di non disturbarla, attendendo il silenzio.

Lexa però neanche un minuto più tardi aprì la porta, ritrovandosi un'espressione stupita sul viso di Clarke. Le fece un cenno col capo, mentre ancora teneva lo smartphone accanto all'orecchio, e con la mano la invitò ad entrare.

Non era la prima volta che vedeva il suo ufficio, ma era la prima volta che lo osservava. Quando c'era stata per il colloquio con Lexa non aveva avuto nemmeno un attimo per distogliere gli occhi da quelli dell'amministratrice. Era una stanza abbastanza grande, arredata con mobili in legno chiaro. C'erano tre mensole di dimensioni e tonalità differenti, in scala. Sulla prima c'erano candele, diverse per colore, forma, misura e odore, notò avvicinandosi. Sulla seconda e sulla terza libri di saggistica. Alle pareti vi erano appesi i titoli della ragazza e nient'altro. Nessun quadro o fotografia . Una delle pareti era a vetrata e si affacciava sulla vista di New York. La scrivania regnava nella stanza, decisamente spaziosa, ad angolo, con un grande monitor candido a lato.

-Ciao Clarke, ti aspettavo più tardi- la sorprese Lexa, interrompendo la sua analisi.

-Ciao- esclamò la bionda a sua volta -mangiamo in ufficio?- chiese poi, curiosa.

-Sì, scusa ma oggi devo finire delle cose qui. Mangeremo qualcosa e poi dovrai stare con me mentre concludo alcune urgenze. Appena avrò finito usciamo – la informò, attendendo sulla porta.

-Sempre sorprese ultimamente- notò quella, cercando di capire perché Lexa non entrasse a sua volta. Nemmeno finì di pensarlo che vide arrivare un ragazzo a portare un sacchetto alla donna, la quale lo ringraziò e poi rientrò chiudendosi la porta alle spalle.

-Cinese- affermò solo, riferendosi alla borsa che teneva tra le mani. Da un mobile prese due tovagliette e delle bacchette, poi invitò Clarke a sedersi nella parte di scrivania dove non stava il pc e le si sedette accanto, porgendole una scatola ancora chiusa. Quando l'aprì trovò dei ravioli che emanavano il solito odore di cibo cinese.

-Scusami per ieri sera, ero davvero stanca e non ti ho praticamente detto nulla a fine serata – mormorò Clarke, tenendo lo sguardo fisso sul pranzo.

-Non fa nulla – affermò l'altra, che a sua volta evitava di guardare la bionda.

-E' una bellissima iniziativa comunque. I tuoi genitori erano delle brave persone, non tutti quelli che ne hanno la possibilità aiutano i più bisognosi- commentò Clarke.

-Già- assentì solo l'altra. Clarke ora la fissò. C'era qualcosa di diverso in lei. Nemmeno gli altri giorni era di tante parole, ma oggi sembrava proprio che la sua presenza le desse fastidio. Aveva fatto qualcosa di male?

-Com'era tuo padre? - chiese di punto in bianco Clarke, dopo qualche minuto di silenzio. Sapeva che era una domanda decisamente personale, probabilmente Lexa non le avrebbe voluto rispondere. Era una specie di test, voleva osservare la sua reazione.

Lexa si bloccò, muovendo distrattamente le bacchette tra gli spaghetti di riso che teneva in mano. Non era una cosa di cui voleva parlare con Clarke. Era un argomento privato, difficile e ora come ora non sapeva se fidarsi della ragazza. La guardò, forse in modo troppo rude, perché scorse il dispiacere appena accennato nell'incrinatura delle sopracciglia e negli occhi di lei.

-Scusa- sussurrò Clarke. Decisamente c'era qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire cosa. Si era sempre comportata in modo rispettoso ed educato. Perché aveva ricostruito un muro tra di loro, così all'improvviso?

Le ragazze finirono il pranzo rimanendo in silenzio, un silenzio che faceva male.

-Mio padre si assentava spesso per lavoro. E' un professore universitario ed è abituato a lavorare da mattina presto a sera tardi. Insegna lettere, è lui che mi ha trasmesso l'amore per l'arte, ma mentre lui la cerca nella parole io la cerco nelle figure. Ho sempre ammirato la sua passione per quello che fa, è completamente immerso nel suo lavoro che ogni tanto il mondo gli è estraneo. Da un certo punto di vista fa ridere, ma se uno vede quanto gli brillano gli occhi quando fa lezione ai ragazzi o quando è assorto in un libro capisce che è tutto il resto ad essere buffo, non lui. Mi ha sempre trattata come l'unica donna al mondo da quando non c'è più la mamma, e siamo diventati inseparabili, gelosissimi l'una dell'altro.

Anche se oggi non viviamo più insieme ci sentiamo ogni sera, prima di cena. Anche solo ascoltare la sua voce da un telefono mi fa sentire vicina a lui.

Da quel che sa, per lui lavoro ancora in un bar, non gli ho detto della mia occupazione attuale. Ho paura che potrebbe spezzargli il cuore – concluse poi la ragazza, chiudendo gli occhi e sospirando. Era un pensiero che le frullava nella testa da quando aveva accettato il lavoro. Ora come ora sapeva che non era così male, ma prima di conoscere Lexa aveva immaginato tutti gli scenari possibili e il motivo di maggior turbamento era appunto suo padre. D'altra parte lui era anche la ragione per cui doveva accettare l'offerta.

Quando li riaprì notò lo sguardo penetrante di Lexa, che aveva addolcito l'espressione, ma ancora rimaneva in silenzio.

Clarke si guardò intorno, non sapendo che altro dire, poi si alzò per buttare nel cestino le scatole vuote di cibo.

-Mio padre era un uomo molto severo, ma altrettanto buono. - iniziò Lexa, mentre la bionda ancora le dava le spalle – Anche lui era sempre immerso nel lavoro, anche a casa, ma questo non vuol dire che non ci fosse per me. Gli piaceva portarmi con se in ufficio quando ero piccola, o a trattare con i clienti quando diventai più grande. Voleva assolutamente insegnarmi tutto quello che sapeva perché un giorno l'azienda sarebbe passata a me, o almeno fu così fino ai miei sette anni di età.

Poi i miei genitori iniziarono a pensare di adottare un figlio, sia per aiutare lui che per aiutare me. Fino a quel momento infatti mi avevano sempre istruita privatamente e avevano notato le mie difficoltà a rapportarmi con bambini della mia età; riuscivo meglio con gli adulti dato che stavo sempre in mezzo a loro. Inoltre da qualche mese si erano interessati alla questione degli orfanotrofi. Così adottarono Lincoln, più grande di me di due anni, ma come me davvero riservato – le scappò un sorriso – Era, ed è ancora, una persona davvero dolce e ben presto divenne a tutti gli effetti membro della famiglia, tanto da non ricordarci com'era quando non c'era lui. Da allora mio padre iniziò a portare anche Lincoln al lavoro, assieme a me, e decise che avremmo iniziato a frequentare scuole pubbliche.

Impegnò tutta la sua vita ad insegnarci il rispetto per le persone, per i rivali, per i dipendenti, per chi non ha niente e anche per le cose materiali.

Non fummo sempre d'accordo su tutto, anzi ci furono mesi in cui nemmeno ci parlammo; ma sento la mancanza anche di quello, perché faceva parte di lui.- terminò Lexa, guardando solo ora gli occhi di Clarke, fissi sui suoi.

Ripensò a quei quattro mesi in cui davvero si erano divisi perché arrabbiati. Lexa sapeva di avere ragione e non voleva assolutamente cedere, lui era orgoglioso e gli costava farlo.

Era stato per Costia.

Lexa era tornata a casa in pausa per le vacanze natalizie e aveva comunicato ai genitori e ai fratelli che aveva iniziato a frequentare una ragazza. Prima non aveva mai avuto altre esperienze sentimentali, perché mai ne aveva avuto l'esigenza e mai aveva trovato qualcuno che la interessasse. Ma Costia non era come le altre persone, oh no.

I fratelli e la madre erano stati positivamente sconvolti e avevano iniziato a riempirla di domande, chiedendole addirittura perché non l'avesse invitata a passare le vacanze con loro e cose simili.

Suo padre invece era rimasto in silenzio, poi aveva lasciato la stanza.

Lexa aveva trattenuto le lacrime perché lui le aveva insegnato ad essere forte, ma lo aveva subito rincorso. Le aveva detto che non si aspettava questo da lei. Così Lexa era scoppiata, lei sempre così calma, educata e mite aveva scagliato tutta la sua rabbia contro al padre, accusandolo di essere un ipocrita. Tutta la vita le aveva insegnato a non giudicare, a riconoscere anche le idee diverse dalle proprie, a provare a mettersi nei panni degli altri e poi non accettava che lei si fosse innamorata di una donna. No, non era ammissibile.

Avevano litigato come mai prima e poi Lexa aveva ripreso la valigia con cui era arrivata e se n'era andata, lasciando un vuoto insostituibile a casa Woods.

Quattro mesi erano passati da quando non aveva contattato il padre. Sua madre e i suoi fratelli li sentiva regolarmente, erano anche passati in università più di una volta per stare un po' di tempo con lei.

Ma lui no, nemmeno un messaggio per sbaglio.

Poi a metà Maggio, finite le lezioni del mattino, si era diretta come di consueto nel chiosco dove si incontravano abitualmente lei e Costia per pranzo. E lì aveva trovato la ragazza che intratteneva, col suo tipico sorriso sulle labbra, suo padre, il quale la ascoltava rapito e altrettanto sorridente. Ci aveva messo qualche minuto per elaborare la scena. Le erano scese poche lacrime di gioia, si era ricomposta e li aveva raggiunti ridendo.

-Grazie di averlo condiviso con me- disse Clarke, risvegliandola dai pensieri del passato. Lexa si riprese, guardando ora la ragazza che aveva davanti. Non sapeva perché alla fine le aveva raccontato del padre, ma l'aveva fatto. Sentiva che con lei era al sicuro, non aveva conferme, firme o risultati di test, lo sentiva e basta. Ora come ora le andava bene così.

-Dovrei finire le cose di cui ti parlavo prima- disse poi Lexa, lanciando uno sguardo al suo schermo ancora acceso.

-Non c'è problema, io me ne starò qui ad aspettare- rispose Clarke, annuendo.

-Vuoi che ti cerchi qualcosa da fare nel mentre? - propose l'altra.

-Non ti preoccupare- mormorò solo la ragazza. Lexa fece un cenno con la testa, girandosi per poi iniziare a scrivere una mail di risposta. Clarke riordinò la parte di scrivania su cui avevano mangiato, risistemando le tovagliette dove Lexa le aveva prese. Iniziò poi a riesaminare lo studio della ragazza, fino a quando non ne aveva analizzato ogni centimetro, cosa che effettivamente l'annoiò un poco, ma non sapeva come altro ingannare il tempo e non voleva disturbare l'altra.

Si risedette dopo una decina di minuti e prese un foglio da una risma e una biro che trovò abbandonata sulla scrivania, iniziando a scarabocchiare. Lexa ogni tanto con la coda dell'occhio la spiava, dispiacendosi un po' del fatto che si stava evidentemente annoiando quanto la sera precedente. Decise allora di impegnarsi a finire il prima possibile.

Dopo meno di due ore, senza nessuna pausa, aveva effettivamente terminato ogni cosa in sospeso.

-Fatto!- esclamò, spegnendo il computer e voltandosi nuovamente verso la bionda. Osservò che stava disegnando qualcosa su un foglio e cercò di capire il soggetto. Clarke però quando notò che la ragazza di era girata dalla sua parte scattò, arrossendo e chiudendo il foglio in due per nasconderlo dagli occhi curiosi di Lexa.

-Cosa hai disegnato?- chiese interessata quella.

-Niente- mentì spudoratamente Clarke, nascondendo dietro di sé il foglio. Lexa si alzò, avvicinandosi alla ragazza, sempre più curiosa.

-Dai, posso vedere?- insistette, facendosi sempre più vicina. Clarke si alzò a sua volta, cercando di scapparle.

-Andiamo?- chiese con un tono più acuto del solito, cercando di cambiare discorso. Lexa con uno scatto felino le fu però presto accanto, posizionandosi tra lei e la porta e le afferrò saldamente il braccio in cui nascondeva il disegno.

-Non è nemmeno finito- si lamentò la bionda, abbassando lo sguardo, ormai sconfitta, mentre Lexa prendeva tra le mani il foglio e lo apriva. Rialzò gli occhi, arrossendo ancora, per sbirciare la reazione della ragazza. Gli occhi di Lexa si fecero inizialmente più grandi, sbatté le ciglia più veloce del solito e rimase a studiare l'immagine che la raffigurava per diversi secondi. Lanciò un rapido sguardo a Clarke, per poi distoglierlo subito, ma non commentò. Richiuse il foglio e afferrò la borsetta.

-Andiamo- disse solo, aspettando che Clarke uscisse per prima dalla porta. La bionda decise che non parlare del disegno era la soluzione migliore.

-Dove?- domandò mentre si avviavano all'uscita dell'azienda.

-Vedrai- le sorrise Lexa, inaspettatamente.

Una ventina di minuti dopo si trovavano in un piccolo, ma elegante negozio di costumi. Clarke aveva lanciato uno sguardo stupido e confuso a Lexa, che però non le aveva dato risposte.

-Cosa ci facciamo qui? - chiese allora.

-Compriamo costumi- affermò l'altra, come fosse la cosa più ovvia, che effettivamente era. Notando che Clarke ancora non sembrava soddisfatta continuò – Indra ti ha fatto avere solo abiti da giorno o sera, ma probabilmente ci saranno piscine o terme nella struttura. Per cui servirà anche quello-.

-Io scelgo il tuo e tu scegli il mio?- propose subito Clarke, sorridendole elettrizzata.

-No - asserì immediatamente l'altra, scuotendo la testa. Clarke prese in mano la parte inferiore di un costume a cui erano vicine, sventolandolo davanti al viso e sollevando scioccamente le sopracciglia, con un sorrisetto.

-No!- quasi urlò Lexa, spalancando gli occhi alla vista del perizoma minimale, al che Clarke scoppiò a ridere. Prese poi a proporle altri capi o molto scostumati o esageratamente pacchiani o solamente imbarazzanti, ottenendo sempre un'espressione tra lo sconvolto e lo schifato da parte di Lexa.

-Non prenderò un bikini – le comunicò poi, decisa.

-Questo lo deciderò io, sono io la tua fidanzata- le rispose Clarke, continuando a sbirciare i costumi, senza nemmeno guardarla.

-No, Clarke, non voglio- insistette quella, con un tono più fermo. Clarke si girò sorridendole amichevolmente.

-Lo so, scherzavo. Questo?- domandò poi sollevando un costume intero nero. Non aveva spalline ed in mezzo aveva una fascia retinata. Aveva qualche dettaglio aggiuntivo, con piccole righe in rilievo qua e là. Lexa lo osservò attentamente.

-Può andare- disse solo, afferrandolo per studiarlo meglio, passando a Clarke invece quello che aveva scelto per lei. Un bikini color verde scuro con una fantasia a ricamo e il reggiseno a triangoli. Clarke sorrise notando il colore, per poi rialzare il viso cercando gli occhi della ragazza.

-Mi piace, ai camerini- squillò, indicando la direzione delle cabine, dietro a Lexa. La ragazza ovviamente si oppose dicendo che non si sarebbe di certo cambiata in quel posto e non ci fu modo per farle mutare idea. Clarke alzò gli occhi e andò da sola. Guardandosi allo specchio si convinse che sì, la scelta di Lexa era stata davvero azzeccata. Le due uscirono quindi dal negozio con i rispettivi acquisti, chiacchierando lungo la strada mentre si dirigevano in un caffè per una cioccolata calda.

Passarono insieme altre due ore, finché Lexa non disse che doveva tornare a casa. Chiamarono le rispettive limousine e le attesero assieme.

-Allora domani si parte..- disse Clarke, guardando l'altra, la quale annuì.

-Sì, infatti direi di vederci direttamente per cena. Mangeremo qualcosa velocemente poi partiremo per l'hotel.- le riferì Lexa, sistemandosi distrattamente i capelli.

-Perfetto- mormorò, salutando poi con la mano Will in arrivo.

-Allora buona serata- disse, avvicinandosi alla mora, afferrandole la mano debolmente. Le lasciò un bacio sulla guancia, sentendola più calda del solito, e si fece nuovamente indietro.

-A domani Clarke- sussurrò Lexa, guardandola poi andare via.

Salì sulla propria limousine, cercando qualcosa nella borsa. Lo trovò e lo riaprì.

Era davvero brava, pensò, osservando il proprio ritratto con un sorriso.


 



 


 

Mah, questo capitolo non mi sconfinfera tantissimo..

La mia Lex ha dei dubbi, non odiatela solo perché fa la fredda con Clarke <3

Per il resto mi piaceva mostrare i rapporti delle ragazze con i rispettivi padri, ma anche sfruttare la cosa per farle entrare un po' più in intimità.

E poi il prossimo capitolo si parte, anche se effettivamente solo da quello dopo sarà full day Clexa :)

Spero di leggere le vostre opinioni :D

Grazie comunque, scusatemi per qualsiasi errore e a presto!

Tem_93

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


~Capitolo 8~

-Principessa questa credi che basti?- domando una evidentemente scocciata Octavia, mostrando l'ennesima valigia alla coinquilina. Clarke arricciò il naso, non del tutto certa . -Mmh- mugugnò, al che Octavia roteò nuovamente gli occhi, sbuffando.

-Bé io non ne ho altre. O ti va bene così o niente. Ne prenderai più di una - sbuffò, osservando il letto della giovane completamente sommerso da vestiti e oggetti che l'altra, testardamente, voleva infilare in un'unica grande valigia.

-Ok- mormorò Clarke, non troppo contenta, afferrando la valigia di Octavia - Mi aiuti? - chiese poi con un sorriso ruffiano. L'amica borbottò qualcosa che teoricamente doveva essere un no, ma si dimostrò un sì.

-Così starete una settimana in questo hotel da sogno, solo tu e lei - commentò Octavia mezz'oretta dopo, quando tutto era stato ordinato nelle due borse da viaggio.

-Già- annuì solo Clarke, facendo finta di non aver letto nulla tra le righe.

-E dici che al massimo arriverete ad abbracci e carezze..- continuò l'altra, insistente.

-Proprio così- asserì Clarke, controllando nell'armadio se aveva dimenticato qualcosa.

-Con una ragazza affascinante ed intelligente - continuò l'amica, osservando come l'altra evitasse il suo sguardo.

-Esatto- rispose ancora la bionda.

-Non sei per niente convincente, sai?- disse la mora, accarezzandosi con una mano i capelli lunghi e lisci.

-Credimi, Lexa non vuole coinvolgimenti e nemmeno io sono interessata ad una donna che non vedrei mai più - affermò decisa Clarke, ora voltandosi verso Octavia.

-Convinta tu..- sussurrò Octavia, sorridendo mentre continuava a guardare quanto impegno Miss Disordine stava impiegando per fare due valigie.

Clarke passò il resto della giornata in tranquillità con lei amiche, chiacchierando e guardando film poiché fuori pioveva. Anche Raven aveva provato a introdurre il discorso Lexa, ma Clarke aveva cercato di mostrarsi il più disinteressata possibile, per cui dopo poco il discorso era sfumato.

Un'ora prima della partenza la ragazza sentì squillare il suo telefono e prontamente rispose, sorridendo al nome comparso sullo schermo.

-Papà- esclamò contenta.

-Principessa- rispose lui a sua volta.

-Come stai?- domandò subito la ragazza, sentendo la voce del padre stanca e roca.

-Bè, sono stato meglio. Ma ora che sento la mia bambina sento già un miglioramento – disse l'uomo. Clarke immaginò il suo sguardo amorevole, che rivolgeva a lei soltanto.

-Mi dispiace, vorrei essere lì con te. Tra due settimane torno a trovarti, promesso – mormorò la ragazza, mordendosi il labbro inferiore.

-Ma il lavoro?- chiese il padre, confuso.

-Ti spiegherò tutto quando ci vedremo, per ora devi fidarti di me. Andrò via per una settimana, appunto per lavoro, dopo avrò qualche ferie. Diciamo.. – abbozzò Clarke, sperando che il padre non indagasse oltre.

-Mmmh, ok- mugugnò solo l'uomo – Allora spero che questi quattordici giorni passino in fretta- continuò, con una voce più affaticata. Clarke strinse le labbra, non gli piaceva sentirlo così, non senza la sua voce energica e il suo costante entusiasmo.

-Anche io papà, anche io. Ora non voglio disturbarti oltre però, mi raccomando riposati, noi ci sentiamo domani sera alla stessa ora- concluse Clarke, decisa. Avrebbe voluto parlare con lui di più, ma non voleva assolutamente farlo sforzare.

-Va bene, un bacio tesoro mio – mormorò l'uomo.

-A te papà.- concluse Clarke, chiudendo la telefonata. Il viso buio della ragazza si rialzò, con un'espressione decisa. Finito il lavoro per Lexa avrebbe avuto i mezzi per aiutare suo padre sul serio, per cui ora l'unica cosa a cui doveva pensare era di fare un buon lavoro e non infrangere nulla di quello che aveva firmato nel contratto.

Alle 19.00, dopo aver salutato le coinquiline , Clarke scese con le sue valigie e trovò Will già pronto ad aiutarla a caricarle. Durante il viaggio, più lungo del solito, i due parlarono molto e Will le confessò che le sarebbe un po' mancata. Dopotutto era l'ultima volta che si sarebbero visti. Clarke decise allora di scambiarsi i numeri, così da non escludere la possibilità di risentirsi in futuro; Will non era certo nel contratto.

La vettura si fermò davanti ad una grande casa, infilata tra altre due altrettanto imponenti, con ampie finestre,mattoni rossastri, porticato in marmo bianco e portone nero. Non poteva che essere la residenza dei Woods, immaginò Clarke, notando che Will stava già scaricando le sue cose.

Scese, ringraziandolo e abbracciandolo in saluto, cosa che colse l'uomo di sorpresa. Lui le indicò poi il campanello e risalì sulla vettura, salutandola con la mano. Sotto il citofono c'era una targhetta visibilmente nuova con incisi solo tre nomi : Lexa Woods, Lincoln Woods e Aden Woods. Clarke premette il bottoncino e attese una risposta, osservando la piccola siepe di rose rosse ben curata.

-Ciao Clarke- la distolse Lexa, aprendole la porta. La ragazza spostò lo sguardo su di lei, sorridendole.

-Ciao, forse mi serve aiuto con queste- mormorò, lanciando un'occhiata alle valigie. Lexa annuì, avvicinandosi a lei, e ne portò in casa una. Clarke fece lo stesso, entrando così per la prima volta nella lussuosa residenza.

Appena fu dentro i suoi occhi non sapevano cosa guardare per primo, troppo curiosa per fissarsi subito su un punto. L'arredamento era tutto in legno chiaro, con uno stile simile a quello dell'ufficio dell'amministratrice, gli spazi erano molto grandi, o forse così sembravano perché non c'erano troppi oggetti, giusto quelli essenziali. Le due ragazze lasciarono le valigie di fianco all'ingesso, dove era già pronta anche quella di Lexa. Clarke pensò che fosse davvero imbarazzante che lei ne avesse addirittura una di più della donna.

La mora era stranamente vestita in abiti casual, con leggins neri e un magione morbido color nocciola,ma Clarke non lo sottolineò.

Lexa nel mentre osservava quando l'altra fosse rapita dallo studio dell'ambiente.

-Vuoi fare un giro?- le propose, catturandone quindi l'attenzione.

-Se non ti dispiace, mi farebbe molto piacere – annuì Clarke, sorridendole. Lexa la guidò fuori dall'ingresso, introducendola nell'ampia sala che dava sulle finestre. Era veramente spaziosa, da una parte vi erano due divani color panna e tre poltrone, sistemati attorno ad una televisione affissa ad una parete; dal lato opposto vi era un lungo tavolo con una decina di sedie; contro la parete c'era un'immensa libreria fitta di volumi o piccoli cimeli.

Dei lampadari eleganti scendevano dall'alto e solo qualche quadro era incastrato con gusto alle pareti. Dalla sala si poteva accedere o alla cucina o ad un bagno, ma scelsero la prima.

Vi era un altro tavolo, più piccolo, una penisola in marmo, una parete completamente coperta dall'arredamento in legno, con alcuni scompartimenti chiusi ed altri aperti, in cui spiccavano vasi colorati e profumati, contenenti spezie. Qualcosa cuoceva ancora nel forno e dall'odore Clarke divenne molto ansiosa della cena.

Dalla cucina tornarono all'ingresso, dove Clarke voltò lo sguardo alle scale, ma Lexa proseguì verso un'altra stanza.

Quando la bionda vi entrò pensò che fosse forse anche più bella delle altre. Lo stile era lo stesso, ma quello doveva essere lo studio. C'era un forte odore di pagine di libro, infatti ve n'era una distesa pazzesca, probabilmente vi erano librerie meno fornite, pensò. C'erano almeno tre scrivanie, con altrettante lampade a fianco; delle bacheche con appesi diversi fogli, post-it o volantini; molti più quadri e anche alcune sculture candide.

Clarke poi notò forse il dettaglio più bello. Sulla parete alla sua sinistra vi erano appese svariate foto, almeno una trentina, sistemate in modo molto ordinato, dello stesso formato e con lo stessa cornice nera. Erano state scattate tutte in quello studio. La prima ritraeva una giovane coppia, presente in quasi tutte le foto. I due soggetti ogni foto cambiavano leggermente, si poteva notare anche un fievole invecchiamento a distanza di tre o quattro fotografie. Ad un certo punto ai due si aggiungeva una bambina in fasce che diventava sempre più grande, fino ad avere circa sei o sette anni. Due fotografie dopo erano in quattro, in più compariva un bambino molto alto per la sua età e di una carnagione diversa dagli altri tre. I quattro crescevano insieme, finché a loro non si unì un quinto elemento, un bimbetto di forse quattro anni dai capelli biondicci. Le foto continuavano mostrando i figli diventare grandi velocemente e i genitori invecchiare lentamente. La serie si concludeva con due foto in cui i soggetti erano diminuiti, solo i tre ragazzi, con sorrisi ben diversi da quelli degli scatti precedenti.

Clarke abbassò gli occhi.

-Mia madre era fissata con queste foto, non potevamo smettere – mormorò Lexa, uscendo poi dalla stanza, lasciandola lì, sola.

Clarke rimase lì ancora qualche minuto, stregata da quel luogo. Una cosa leggermente fuori posto attirò la sua attenzione, su una delle scrivanie era appoggiato un foglietto. Immaginò fosse la scrivania di Lexa perché vi erano posate sopra una decina di candele che emanavano buoni profumi. Clarke curiosa afferrò il foglio, aprendolo.

Era il suo disegno.

Sorrise e arrossì assieme, poi lo richiuse e uscì velocemente dallo studio, decidendo di raggiungere l'altra ragazza in cucina.

-Non volevo essere invadente – mormorò la bionda, fermandosi sulla porta.

-Non lo sei stata, ti ho proposto io di fare un giro. Hai fame?- domandò poi, estraendo dal forno una teglia con qualcosa che doveva essere arrosto con patate. Clarke annuì sorridendo e accomodandosi a tavola.

-Wow, perché mi merito una cena preparata proprio da te? - chiese, osservando con quanta destrezza Lexa divideva in fette la cena e la serviva in modo ordinato nei piatti.

-Non è niente di ché. Non mi andava di uscire e avrei dovuto comunque preparare qualcosa anche per me e i miei fratelli. Loro però torneranno più tardi, quando noi saremo già partite- minimizzò la ragazza, sedendosi a sua volta, per poi servirsi da mangiare.

-Sei strana- commentò Clarke sorridendole. Lexa la guardò storto, corrucciando le sopracciglia.

-In senso buono, mai avrei pensato che una donna ricca e potente come te mi avrebbe mai preparato una cena. Era molto probabile che tu avessi un cuoco, o dei maggiordomi tipo – notò la ragazza, gesticolando. Lexa annuì, senza però dire nulla, accennando un sorriso. Anche quella era qualcosa che doveva attribuire a sua madre, pensò.

-Stai molto bene così- scappò a Clarke, la quale poi girò velocemente lo sguardo sul suo piatto, maledicendosi per aver parlato senza pensare.

-Così come? - chiese infatti subito l'altra, sollevando le sopracciglia curiosa. Clarke fece una strana faccia, cercando di inventarsi qualcosa, però non ci riuscì.

Sospirò.

-Vestita in abiti normali e con un sorriso sulle labbra – ammise, senza guardarla, sentendo però lo sguardo dell'altra fisso su di lei. Lexa sbuffò, al ché Clarke si voltò verso di lei, non capendo la reazione.

-A questo punto te lo posso anche dire. Quando mi hai detto della divisa non è che fossi davvero arrabbiata.. E' solo che.. - disse, sciogliendosi la coda alta in cui aveva raccolto i capelli e guardandola con un sorriso forzato – quanti anni mi dai? - domandò, spiazzando Clarke. La ragazza alzò un sopracciglio, non capendo se fosse una domanda trabocchetto.

-22..23 massimo – provò la bionda.

-Esatto- sospirò Lexa, un po' avvilita, legandosi nuovamente i capelli – Se al lavoro avessi sempre maglietta e jeans, e sorridessi qua e là, nessuno mi prenderebbe sul serio. Già è difficile farsi rispettare così, ma almeno in questo modo non passo per una bambina agli occhi dei concorrenti, dei dipendenti e chiunque altro. Allo stesso modo non indosso abiti per non apparire una bambolina, o un trofeo- spiegò la ragazza. Clarke allargò gli occhi, stupita.

Non ci aveva proprio pensato, ma ora tutto filava.

-Scusa io ..- iniziò la bionda, con un'espressione dispiaciuta.

-No Clarke, non devi scusarti. E' chiaro che la tua fosse solo una battuta per farmi sorridere, sono stata io troppo dura. E' che sai la storia degli squali di cui ti parlavo, con vestiti formali e facce glaciali viene meglio – scherzò la donna, alzando le spalle. Clarke rise, abbassando gli occhi.

-Bè, diciamo che non avevo pensato tu avessi problemi di questo genere. Vedendo con quanta facilità fai il tuo lavoro sembra quasi semplice- sussurrò, cercando gli occhi verdi dell'altra. Lexa non disse nulla, ma il sorriso che le rivolse fu certamente più di un grazie.

-E questo arrosto è buonissimo!- aggiunse finendo l'ultimo boccone .

Appena finita la cena la limousine di Lexa parcheggiò davanti alla casa. L'autista entrò per prendere e caricare le valige e le due ragazze salirono a bordo. Pochi minuti dopo arrivarono ad una pista dove era pronto il jet dei Woods. Clarke rimase a bocca aperta, rivolgendo uno sguardo meravigliato a Lexa, lo stesso che una bambina avrebbe rivolto alla madre entrando a Disneyland. Non era mai salita su di un jet e la cosa la elettrizzava non poco.

S'imbarcarono e dopo pochi ultimi accertamenti partirono. Clarke si sentiva come in un film, nel piccolo aereo della donna che aveva accanto, mentre stuzzicava pop-corn per golosità. Si era persa così tanto a fissare i piloti che Lexa l'aveva invitata ad andare a far loro delle domande, se voleva. Neanche aveva finito di proporglielo che la bionda li aveva già raggiunti, iniziando a porre loro quesiti più o meno tecnici.

Lexa apprezzava molto le persone curiose e di sicuro Clarke era una di queste.

Il volo fu molto breve, in meno di quaranta minuti coprirono le quattrocento miglia che separavano New York dall'Hotel Atlantis, arrivando verso le 10.00 .

Clarke scese salutando amichevolmente i piloti, notando che Lexa era già a terra ad aspettare i bagagli, mentre parlava con qualcuno. La raggiunse in fretta, afferrandole la mano da dietro, cosa che la fece interrompere per voltarsi a guardarla.

-Miss Griffin, ben arrivata – disse un uomo dai capelli e baffi bianchi.

-Grazie- mormorò lei, notando la divisa rossa e nera dell'uomo, il quale le accompagnò all'interno dell'edificio. Era buio per cui Clarke non riuscì a studiare il paesaggio, ma vide che l'hotel era immerso in un grande parco.

L'uomo chiese loro se volevano mangiare qualcosa o vedere subito la camera e Lexa decise per la seconda opzione. Le due furono accompagnate alla stanza e fu data loro una chiave elettronica a testa. L'uomo avrebbe continuato ancora a spiegare regole e orari della struttura ma la donna disse che erano stanche e si sarebbero informate di tutto l'indomani. Per cui fu loro aperta la camere, furono portati dentro i bagagli e vennero lasciate sole.

Clarke iniziò dunque ad esplorare l'immensa camera, seguita da una più contenuta Lexa. La bionda non aveva mai visto una camera d'hotel tanto grande e lussuosa. Era forse più spaziosa del suo appartamento. Vi era un'anticamera con divano, tavolino, stereo e frigo-bar, la camera da letto con un letto a baldacchino dalle tende di tulle rosso, un armadio bianco posizionato di fronte con televisione nascosta all'interno. La camera dava poi su un ampio terrazzo e un bagno. In quest'ultimo non solo vi era una doccia di almeno due metri per uno con vetrate trasparenti, ma anche una vasca idromassaggio per due persone.

-Oddio, questo posto è surreale – mormorò Clarke, sbarrando gli occhi mentre immaginava quanto dovesse costare a Lexa tutto ciò.

-Fin troppo appariscente- commentò Lexa, dirigendosi poi nella camera da letto per disfare la valigia. Clarke la seguì, osservando con quanta cura ordinava le sue cose dentro l'armadio candido. Poi Lexa si girò improvvisamente dal suo lato.

-Non metterò a posto anche le tue cose- le fece notare con un sorriso. Clarke arrossì, realizzando che l'aveva fissata per almeno una decina di minuti.

Davvero imbarazzante.

Si sbrigò quindi per fare lo stesso, con molta più confusione e disordine ovviamente, ma l'importante era tenere gli occhi ben impegnati su qualcos'altro.

-Domani dovrebbe arrivare anche il signor Murphy, te lo presenterò appena possibile – affermò Lexa, afferrando un pigiama dalle sue cose.

-Ah già! - esclamò Clarke, ricordando solo ora perché fossero lì. Lexa non le aveva detto molto di questo tipo, solo che era un imprenditore stanco e anziano, che voleva ritirarsi vendendo l'azienda poiché il figlio non ne voleva sapere. Clarke aveva capito che Lexa aveva già provato a convincerlo ma non c'era riuscita, però non sapeva il motivo.

La mora lasciò la camera, entrando nel bagno. Clarke immaginò fosse andata a cambiarsi, per cui lo fece a sua volta. Indra le aveva fatto avere un pigiama color rosa pastello, elegantissimo, ma l'aveva lasciato a casa per scelta. Dopotutto solo in camera avrebbe potuto mettere qualcosa di comodo e suo, per cui ne aveva approfittato. Infilò quindi la lunga maglietta grigia del padre, con “Princeton University” scritto a lettere cubitali nere , contornate di arancione.

Lexa rientrò disinvolta, mentre si spazzolava con cura i capelli da una lato. Si bloccò di colpo quando vide la ragazza, che le stava dando la schiena, indossare solo una maglietta che a malapena le copriva il sedere. Cercò di guardare da un'altra parte, sperando che Clarke non notasse il leggero rossore sulle sue gote.

-Che parte preferisci? - domandò la bionda, quando si accorse che l'altra era tornata. Cercò di tenere i suoi occhi fissi su quelli verdi di Lexa appena si accorse che il pigiama in seta della donna era composto da una canottiera e dei pantaloncini ricamati in pizzo, che lasciavano scoperte due lunghe gambe chiare e toniche.

-Destra- affermò Lexa, riponendo la spazzola nel beauty e scostando la tenda da quel lato per poter accedere al letto. - Tu? - chiese, fermandosi.

-E' uguale, ho un letto tondo, per me almeno stanotte sarà strano dormire in ogni caso! – scherzò la ragazza, alzando le spalle e involontariamente anche il bordo inferiore della maglia. Lexa annuì, spostando poi le coperte per potersi infilare nel letto. Clarke fece lo stesso, dopo aver messo il cellulare sotto carica e averlo spento. Lexa infatti aveva già impostato la sveglia per entrambe.

Quando furono sotto le coperte Lexa esitò a spegnere la luce.

-Spero di non darti fastidio stanotte- bofonchiò Clarke. Era da tanto che non dormiva con qualcuno che non fosse effettivamente un partner. Aveva dannatamente paura di trovarsi al mattino accoccolata o addirittura avvinghiata a Lexa.

Sarebbe stato davvero davvero imbarazzante se fosse successo.

-Tranquilla, magari sarò io a spingerti giù – abbozzò l'altra, con un sorriso stanco. Clarke sorrise a sua volta, guardando dritto nei suoi occhi. Quando li distolse Lexa spense la luce, appoggiandosi poi al cuscino.

-Buonanotte Clarke- sussurrò.

-Buonanotte Lexa- mormorò a sua volta Clarke, cercandola con gli occhi per l'ultima volta. Poi li chiuse e presto si addormentò.


 



 

Rieccomi (con più di 3000 parole, chi vuole intendere intenda)

E' un capitolo un po' di mezzo, nel senso è molto descrittivo e di base ci sono poche iterazioni tra le due, ma penso di aver sottolineato solo quelle degne di nota. Spero non sia troppo noioso.

Mi scuso in anticipo ma penso che il prossimo capitolo non arriverà come al solito mercoledì o giovedì poiché mercoledì ho un esame .Cercherò, ma non credo di farcela. Zorry :(

Scusate per gli errori ma l'ho riletto solo due volte o.o

Grazie ancora a tutti per leggere e soprattutto a chi recensisce <3 Love you

A presto!

Tem_93


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


~Capitolo 9~
 

Lexa aprì gli occhi pian piano, notando una leggera luce filtrare lievemente tra le tende rossastre che abbracciavano il letto. La sveglia non era ancora suonata ma il suo orologio biologico non poteva di certo spegnerlo. Voltò il viso alla sua destra e sorrise.

Tra lei e Clarke sarebbe potuto passare un treno più o meno. La bionda era ancora beatamente addormentata sul bordo del letto. Dormiva sul fianco, dandole le spalle, ma poteva notare il leggero movimento regolare del suo respirare.

Senza fare rumore uscì dal letto, cercando le pantofole bianche prima di dirigersi in bagno.


 

Clarke arricciò il naso e sbadigliò, voltandosi sull'altro lato prima che i suoi neuroni connettessero dove vi trovasse. Spalancò gli occhi terrorizzata dal fatto di essere troppo vicina a Lexa, ma notò il letto vuoto. Fece scorrere la mano sul materasso, sentendo quanto fosse freddo nella parte centrale e diventasse più tiepido lì dove Lexa doveva aver dormito. Si guardò intorno e sentì un rumore di acqua corrente, realizzando che la ragazza doveva essere sotto la doccia.

Constato ciò si rilassò un poco, stiracchiandosi come un gatto per poi mettersi a sedere. Era certa che la sveglia non fosse ancora suonata per cui doveva essere sicuramente molto presto. Ma ormai si era svegliata e non si sarebbe certo riaddormentata, sopratutto sapendo che Lexa era alzata.

Per cui scese dal letto, scalza, avvicinandosi alla porta finestra. Aprì i vetri e subito dopo gli scuretti, cosicché la luce chiara del sole inondò la stanza e accecò momentaneamente la giovane. Clarke si riparò gli occhi col braccio, avanzando sempre a piedi nudi sul terrazzo color sabbia.

Quando arrivò al parapetto ormai si era abituata al bagliore e sorrise ammirando il luogo incantato in cui si trovava. La struttura era situata nei pressi di un grande lago a cui facevano da riparo due basse montagne che ora erano anche riflesse nello specchio azzurro. Tra i due monti si vedeva in lontananza un fiume correre via, mentre un altro scorreva veloce alla sinistra dell'hotel. Più o meno tutto intorno vi era una vasta foresta di conifere di cui Clarke non vedeva i confini. Era uno spettacolo mozzafiato e si maledisse per non aver preso nemmeno un blocco di fogli e alcuni colori.


 

-Buongiorno- sentì Clarke alle sue spalle, rendendosi conto di essere in ammirazione da almeno una decina di minuti. Si volse verso la voce, vedendo Lexa avvolta in un accappatoio bianco latte che pareva sofficissimo, mentre con una salvietta della stessa stoffa si stava asciugando i capelli.

-Hey- le sorrise aspettando che le si avvicinasse. Notò come anche Lexa rimase felicemente stupita della vista che offriva loro quel terrazzo.

-E' stupendo, non trovi?- mormorò. Lexa annuì, con lo sguardo fisso davanti a sé.

-Forse dovresti mettere qualcos'altro se vuoi venire qui.. – disse poi la mora, tenendo il volto rivolto in avanti e un'espressione calma. Clarke subito non capì, ma quando realizzò di essere mezza nuda spalancò gli occhi e scappò dentro, bofonchiando qualcosa che l'altra non comprese.

Lexa tornò in camera poco dopo, recuperando un phon dalle sue cose per lasciare il bagno libero a Clarke, la quale ben presto vi entrò per lavarsi a sua volta. Ogni tanto spegneva l'asciugacapelli per pettinarseli e la seconda volta che lo fece si accorse di una cosa strana. Dalla doccia arrivavano due suoni differenti, anche se quello dell'acqua sovrastava di poco l'altro. Curiosa appoggiò l'orecchio alla porta, sentendo ora meglio la voce dell'altra ragazza che intonava chissà quale canzone. Un sorriso divertito le dipinse il volto; si girò e tornò a finire quello che stava facendo.

Quando la ragazza tornò in camera Lexa era già vestita e pettinata e camminava avanti e indietro parlando al telefono. Clarke colse l'occasione per prepararsi a sua volta, poi si sedette sul divano ad aspettare che la chiamata si concludesse.

-Fame? - domandò Lexa, raggiungendola pochi minuti dopo.

-Sto morendo- annuì Clarke, alzandosi. Lexa fece per aprire la porta ma l'altra la fermò.

-Sarò più invadente del solito d'ora in poi, lo sai? - chiese, con un sorrisetto divertito. Lexa alzò il sopracciglio destro.

-Lo so, non c'è problema- affermò decisa.

-Ah ah- disse l'altra, aprendo a questo punto la porta e facendole gesto di uscire prima di lei. Appena furono fuori Clarke si assicurò di aver chiuso correttamente la serratura magnetica per poi cercare la mano di Lexa e incrociare le dita con le sue, cosa che non aveva mai fatto prima. Lexa cercò di non dare a vedere il piccolo sussulto che aveva avuto, per non darla vinta alla bionda.

Scesero le scale con Clarke che discorreva di quanto fosse spettacolare il posto in cui si trovavano, finché non giunsero a quella che doveva essere la sala da pranzo. I tavolini tondi erano tutti apparecchiati ma nessuno era seduto ad uno di essi. Entrando videro che da un lato vi era una porta che dava su una terrazza davvero ampia dove erano situati altri tavoli apparecchiati in cui diverse persone stavano facendo colazione. Decisero per cui che anche loro avrebbero mangiato all'aperto, comunicandolo al cameriere che si era avvicinato loro per aiutarle in caso di bisogno.

Appena varcarono la porta, sempre mano nella mano, videro occhi correre su di loro. Clarke si voltò verso Lexa, sorridendole, prima che il cameriere le facesse accomodare. Entrambe ordinarono del thé, dopodiché Clarke si diresse al grande buffet di dolce, salato e frutta situato al centro dei tavoli, ma solo dopo aver chiesto a Lexa cosa prendere per lei.

Tornò con una ciotola di frutta fresca e un piatto con due cornetti alla crema ancora caldi. Il thé fu servito poco dopo con biscotti appena sfornati e Clarke pensò che avrebbe voluto far colazione in quel posto per sempre.

Guardandosi intorno notò di essere circondata solo da coppiette più o meno giovani, più o meno affiatate, più o meno realistiche. Se quella signora sommersa da chissà quanti chili di trucco e il giovanotto che aveva a fianco, che doveva avere la metà dei suoi, anni erano una coppia, bé nessuno avrebbe potuto dire nulla su lei e Lexa. Sorridendo a ciò afferrò la mano sinistra della ragazza, risvegliandola dal suo continuo controllo del cellulare.

-Allora, tesoro, qual è il programma di oggi? - le chiese, avvicinandosi a lei per lasciare un bacio sulla guancia. Lexa sentì l'odore di albicocca dello shampo di Clarke, mischiato al profumo del thé e dei biscotti alla vaniglia avvolgerla contemporaneamente.

-Direi di individuare i Signori Murphy e fare quello che fanno loro – disse, bevendo l'ultimo sorso della bevanda calda.

-Passiamo la giornata da stalker insomma- notò Clarke, con un mezzo sorriso. Lexa scosse il capo.

-No! L'intera settimana – la corresse, accennando un sorriso. Clarke ridacchiò addentando una fragola ancora umida.

-Eccoli- sussurrò Lexa, indicandoli con un veloce cenno del capo. I due coniugi, che dovevano essere sulla sessantina, si sedettero ad un tavolo a pochi metri da loro e l'uomo ordinò velocemente la colazione per entrambi. Indossavano vestiti eleganti e lui le parlava arrotolandosi i baffetti grigi in un modo che sembrava abitudinario.

-Ora? - chiese Clarke, notando come Lexa cercava di non fissarli.

-Ora aspettiamo che ci notino e vengano a salutarci – asserì seria.

-E se lo facessimo noi ?- domandò la bionda, mettendo in fila i mirtilli nel piattino.

-No, devono convincersi che è una coincidenza se mi trovo qui. Sono in questo bellissimo posto per passare una settimana con la mia fidanzata, non per spingerlo a vendermi l'azienda. Di questo ne deve essere certo- affermò lei, con due occhi da volpe. Clarke annuì, mangiando le bacche blu una alla volta, in attesa. Aspettarono una decina di minuti ma ancora niente.

-Forse dovremmo..- iniziò Lexa, ma fu interrotta da una fragorosa risata di Clarke. Lexa si accorse che aveva attirato tutti gli sguardi su di loro, anche quello dei Murphy,per cui si sbrigò a sorridere alla donna che aveva di fronte, avvicinandosi a lei per poterle parlare all'orecchio, lasciandole per la prima volta un bacio lei sulla guancia.

Clarke arrossì, cosa che sembrò molto naturale agli occhi degli altri dato che tutti la stavano guardando, ma era stato altro a scaturire un flusso sanguino maggiore sotto le sue gote.

-Ottimo – le soffiò Lexa all'orecchio, tornando composta molto lentamente. Gli altri tornarono alle proprie occupazioni, ma l'obiettivo era raggiunto.

-Signorina Woods, non avrei mai pensato di incontrarla qui – intervenne il Signor Murphy avvicinandosi al loro tavolo con la moglie a fianco. Lexa si alzò e Clarke la vide indossare la sua solita maschera di ghiaccio a cui ormai non era quasi più abituata.

-Signor Murphy, sono io ad essere stupita – rispose la mora, allungando la mano all'uomo.

-Le presento mia moglie, Marie- disse, mentre la donna sorrideva alla ragazza cordialmente.

-E io le presento la mia ragazza, Clarke- ribatté immediatamente Lexa, mentre a sua volta Clarke si alzava in piedi per salutare educatamente i signori.

-Piacere, Alex e Marie Murphy – sorrise l'uomo – così anche lei ogni tanto prende delle ferie! - esclamò poi, rivolgendosi a Lexa.

-Così pare – asserì lei.

-Ma non è stato facile strapparla dal suo ufficio – scherzò Clarke, sorridendo. L'uomo rise divertito.

-Immagino, è una vera stacanovista!- aggiunse, rivolto ora verso Clarke.

-Che progetti avete per la giornata?- chiese la bionda, notando l'espressione gioviale dell'uomo.

-Terme e relax, vero cara? - disse, aspettando come un cenno di conferma da Marie, che arrivò subito.

-Pare che sia la meta più ambita per il primo giorno- commentò Clarke, guardando ora Lexa e afferrandole quasi di nascosto la mano.

-Bene, allora ci vedremo lì! Buon soggiorno! – augurò l'uomo prima di allontanarsi con la consorte.

-Pronta per il tuo nuovo costume mai provato? - ridacchiò Clarke, attirando a sé Lexa in un abbraccio inaspettato. Subito la mora non sapeva che fare, ma poi pose le sue mani sui fianchi di Clarke, stringendola a sé.

-Guarda che io non provo mai gli indumenti nei negozi – le specificò, schioccando la lingua un po' infastidita.

-Lo so bene che sei buffa!- la canzonò la bionda, avvicinando i suoi occhi a quelli verdi dell'altra, vedendo le pupille ingrandirsi.

-No, intendevo che so scegliere la taglia anche senza provarla..- precisò Lexa, con una punta acida nella voce, chiudendo gli occhi a fessura.

-Ah ah- annuì Clarke, con un sorriso divertito sulle labbra.

-E smettila con questi “ah ah” - borbottò, quasi scocciata, la mora. Clarke si morse il labbro, staccandosi e trascinandola via.

-Ah ah- squillò un secondo dopo, mentre rientravano nell'edificio per tornare in camera. Lexa roteò gli occhi e strinse la mandibola, ma non disse nulla, lasciandosi guidare dalla bionda. Dopo essere passate per la camera e aver indossato costumi e accappatoi si misero alla ricerca delle terme. Si accorsero che nella hall dell'hotel vi era una grossa cartina colorata che spiegava in modo molto chiaro com'era organizzata la struttura. Per cui, appena si furono orientate, presero le scale che portavano all'accesso interno alle terme.

Entrando trovarono qualche vasca al coperto, ma c'erano ben due porte vetrate che mostravano le piscine di acqua calda esterne. Di comune accordo decisero di uscire, anche perché all'interno per ora c'era solo una coppia in posizioni ambigue e di certo non volevano trovarsi sole con loro.

Fuori la zona termale era recintata da rocce di diversa grandezza e dai colori che sfumavano dal bianco al marrone. Vi era una grande piscina centrale con fontanelle e spruzzi di vario genere; ma intorno si potevano distinguere almeno sei o sette vasche di dimensioni minori, poste ad altezze differenti in base alla morfologia non proprio pianeggiante della zona. Al di fuori c'era un prato ben curato e un pavimento di piastrelle rosee in cui erano ordinati diversi lettini matrimoniali abbastanza isolati tra loro, con tanto di ombrellone e tavolino personale.

Era primavera e la temperatura era gradevole anche all'esterno, ma Clarke non vedeva l'ora di entrare nella vasca. Lei e Lexa scelsero un lettino e ben presto la mora estrasse dalla borsa che si era portata un tablet mettendosi a controllare cose per il lavoro.

-Non andiamo dentro? - chiese Clarke con un'espressione delusa. Lexa alzò gli occhi.

-Vai pure, ti raggiungo tra poco- le disse, annuendo distrattamente. Clarke strinse le labbra e sospirò leggermente.

-Ok- mormorò, slegandosi l'accappatoio e lasciandolo sul lettino accanto a Lexa, dirigendosi all'ingresso della vasca. La mora la osservò quasi di nascosto, notando solo ora per la prima volta come effettivamente quel costume verde aderisse in modo perfetto alle forme di Clarke, risaltando sulla sua pelle chiara. Arrossì e sperò che la ragazza non si voltasse, cosa che fortunatamente per lei non fece.

Clarke allungò un piede in acqua, sentendola incredibilmente calda e piacevole. Entrò velocemente, sorridendo mentre si immergeva completamente. Ogni suo muscolo si rilassò ed era una sensazione davvero gradevole. Immerse anche il capo, risalendo subito dopo, poi prese a nuotare lentamente, sentendo la differenza dei flussi caldi dell'acqua rispetto alla brezza fresca che le accarezzava il volto.

Dopo qualche minuto di estremo relax notò che intorno a lei c'erano solo coppie che chiacchieravano, ridevano, si abbracciavano o si baciavano. Lei era l'unica ad essere sola.

-Signorina Clarke, la sua ragazza si è già persa nel lavoro?- domandò ad un tratto una voce maschile alle sue spalle. Clarke si girò, notando i Signori Murphy che erano appena entrati a loro volta nella piscina.

-Salve, eh sì.. Ma mi ha promesso che tra poco mi raggiungerà- disse la ragazza alzando le spalle. L'uomo scoppiò a ridere.

-Si vede che non siete ancora sposate, mia moglie mi ha sequestrato ogni contatto col mondo esterno prima di colazione!- esclamò l'uomo.

-O si è in vacanza, o no – affermò la donna, con tono deciso.

-Ha ragione e mi ha dato una buona idea- rise la bionda, portando un indice davanti alle labbra.

-La Signorina Woods è sempre così presa dal lavoro che se non fosse stata in sua compagnia avrei potuto pensare che mi stesse inseguendo per cercare di comprare la mia azienda!- scherzò l'uomo, giocando con i baffi bagnaticci. Clarke scoppiò in una risata forzata, cercando di non fargli capire quanto fosse nel giusto.

-Questo è impossibile, ho scelto io la destinazione. Non sapevo nemmeno che lei lavorasse nello stesso settore di Lexa. Vede ci frequentiamo solo da qualche mese- raccontò Clarke, sistemandosi i capelli e lanciando un'occhiata a Lexa, che era ancora sul lettino, completamente assorbita dal dispositivo che aveva tra le mani.

-Capisco. Ho anche io una compagnia di costruzioni a New York, molto piccola. La vorrei vendere ma alle mie condizioni e la Signorina Woods..- iniziò a raccontare l'uomo prima di essere colpito da un buffetto della moglie.

-Quali erano i patti? - domandò lei, socchiudendo gli occhi a fessure. Lui alzò le mani colpevole, guardando Clarke come per dirle che era desolato ma non poteva continuare. Clarke ridacchiò.

-Vi lascio soli, vado a recuperare la mia compagna prima di arrabbiarmi seriamente – li salutò, allontanandosi e raggiungendo il punto da cui era entrata. Uscendo dall'acqua si strinse nelle braccia sentendo l'aria pungente ora che il suo copro si era abituato ad una temperatura di qualche grado superiore. Raggiunse la mora, che nemmeno si accorse che arrivava.

-Basta, hai giocato fin troppo – la rimproverò, strappandole il tablet di mano. Lexa rimase con la bocca spalancata, cercando di riprenderlo, ma quando si alzò Clarke la strinse in un abbraccio.

-Clarke- bofonchiò lei, inutilmente.

-Non puoi lasciare la tua fidanzata da sola, vedi che tutti sono accoppiati- continuò la bionda, rilasciandola per slegarle l'accappatoio con un gesto veloce, scoprendo in un colpo il corpo esile ma tonico della giovane, fasciato solo dal costume nero. Per qualche secondo Clarke si interruppe mentre i suoi occhi correvano sulla pelle di Lexa, la quale non se ne accorse perché troppo impegnata ad imbronciarsi.

Clarke sbatté le ciglia ripetutamente, scuotendo il capo come a distogliere i pensieri che le erano corsi veloci nella mente.

-Su, in acqua!- squillò, spingendo lievemente la donna verso le vasche.

Sciaf

-Clarke!- strillò quasi Lexa sbarrando gli occhi e spalancando la bocca, rivoltandosi verso la bionda che aveva invece un'espressione davvero soddisfatta.

-Hai detto niente baci sulle labbra, non niente schiaffetti sul sedere- si giustificò, arrivandole vicinissima in uno scatto per lasciare un bacetto ruffiano sulla guancia. Le afferrò poi la mano guidandola in acqua.

Stranamente ci mise un po' ad entrare, ma quando fu dentro Clarke la guardò ambientarsi e rilassarsi a sua volta, riemergendo sulla superficie come una sirenetta dalle perle color corallo alle orecchie e due smeraldi per occhi. Nuotarono un poco assieme, in tacito silenzio, godendosi l'acqua calda e la bella giornata. Cambiarono vasca, accedendo ad una rialzata, forse la più alta, che era anche libera.

Da lì riuscivano bene a vedere gli spostamenti di tutti. Lexa si affacciò al bordo per vedere dove fossero i coniugi Muprhy, ma fu presto interrotta da un corpo caldo e morbido che si adagiò alla sua schiena. Non si voltò, sentendo che la sua temperatura corporea era aumentata tutto di colpo e sentì le braccia dell'altra circondarla debolmente.

-Il Signor Muprhy aveva un'idea assurda – mormorò Clarke, appoggiando il mento sulla spalla di Lexa.

-Tipo?- bisbigliò quella, cercando di controllare l'accelerazione del suo battito con molta fatica. Odiava quello che Clarke riusciva a fare su di lei quando faceva mosse così inaspettate, contando tra l'altro che più o meno tutto quello che faceva Clarke era inaspettato.

Proprio come Costia.

-Tipo che se non ti avesse visto in compagnia avrebbe pensato che fossi qui per affari- riportò la bionda, sorridendo quasi sulla pelle di Lexa. La donna non disse nulla, mantenendo un'espressione seria.

-Sai non penso che..- disse poco dopo.

-Io penso di sì invece – la interruppe Clarke, immaginando dove volesse andare a parare – se fossi qui sola la gente penserebbe che li stai fissando in modo molto inquietante; così invece penseranno solamente che ci stiamo godendo le terme, accoccolate mentre guardiamo il bellissimo panorama da cui siamo circondati. - spiegò, stringendosi un poco di più all'altra.

Lexa pensò che avesse ragione e le lasciò fare, stringendo a sua volta le braccia di Clarke che le circondavano il busto.

Rimasero così, un po' in silenzio un po' chiacchierando, per parecchio tempo, lasciandosi cullare dal calore dell'acqua, da una simpatica arietta, dal canto degli uccellini che volavano di albero in albero, dal leggero contatto dei corpi, dal battito regolare dell'altra e dalle lente carezze fatte forse, o forse no, sovrappensiero.

Trascorsero tutta la giornata lì alle terme, cercando di tanto in tanto di far conversazione con i Murphy, ma i discorsi non vertevano mai sul lavoro. A metà pomeriggio le ragazze tornarono in camera, per cambiarsi per la cena e perchè Lexa aveva diverse chiamate perse che voleva recuperare.


 


 


 

Clarke si chiuse la porta alle spalle e notò due fogli sul tavolino. Si avvicinò e iniziò a studiarli.

-Lexa qui c'è tipo il programma della settimana, ci sono parecchie attività programmate. Forse potrebbero interessare anche ai signori Murphy – constatò, facendo correre gli occhi sui caratteri stampati in un blu vivace.

-Prova a dire- si voltò Lexa, attirata dall'affermazione. La raggiunse e si sedette sul comodo divano; Clarke fece lo stesso mettendosi al suo fianco e condividendo con lei il depliant.

-Mmh..Gita alle cascate del Niagara, corsi di cucina, di yoga , visita al lago, al bosco eccetera eccetera – riassumette velocemente la bionda, voltandosi poi verso l'altra – secondo me ci sta, è possibile che siano interessati a parteciparvi – constatò, aspettando però l'approvazione dell'altra.

-Allora domani si va alle cascate!- asserì Lexa con un mezzo sorriso.

-Ottimo- le sorrise Clarke, dandole una leggera spallata – qui invece dicono che se vogliamo la cena, o qualsiasi altro pasto, può essere servita in camera. Poi c'è il regolamento dell'hotel– aggiunse, sventolandolo l'altro foglietto.

-Bè noi dobbiamo puntare a trovarci in tavolo con i Murphy, quindi ceneremo giù. – mormorò Lexa, sistemandosi i capelli ancora umidicci. Clarke annuì, continuando a fissare la giovane al suo fianco. I suoi occhi, senza volere, corsero sul suo corpo che si intravedeva appena poiché l'accappatoio era un po' allentato.

-Vado a fare una lunga doccia, chissà in quanti germi abbiamo nuotato oggi- sbuffò Lexa, sospirando avvilita. Clarke alzò il capo e rise, capendo solo in quel momento perché era stata così restia ad entrare in acqua.

La cena, come deciso, la passarono nel salone che avevano visto apparecchiato la mattina; invece i coniugi, che si aspettavano di trovare lì, avevano probabilmente optato per mangiare da soli in camera.

Finito di mangiare tornarono per cui nella loro stanza, poiché Lexa non aveva alcun interesse di stare in mezzo a quelle coppiette se il suo obiettivo non era presente. Clarke propose di spostare due sedie sul terrazzo e rimasero lì un'oretta, di lunghi ma piacevoli silenzi. Non c'era il bisogno di parlare per tenersi compagnia, solo ogni tanto una faceva notare all'altra il riflesso della luna sul lago, lo spostamento più o meno rapido delle nuvole scure o indicava alcune stelle più luminose di altre.


 


 

Clarke si infilò nel letto, accucciandosi sotto le coperte contenta del bel tepore che le procuravano. Osservò Lexa pettinarsi i capelli in modo accurato come la sera precedente prima di mettersi a letto con lei.

-E' stata una bella giornata, anche se non abbiamo concluso molto. Non trovi? - sussurrò, cercando gli occhi verdi dell'altra. Lexa la osservò. Era appoggiata sul cuscino, con la coperta tirata fin sul mento, con i capelli sparpagliati ovunque, gli occhi stanchi ma che ancora le brillavano, il sorriso spontaneo solo per lei. Il suo cuore iniziò a correre così forte che dovette interrompere il contatto visivo.

-Sì- sussurrò, sistemando le lenzuola e lisciandole con le mani.

-Grazie – mormorò Clarke, chiudendo gli occhi – non sarei mai stata in questo posto da favola se non fosse stato per te –.

Lexa avrebbe voluto risponderle qualcosa, ma non sapeva cosa. Nulla di quello che le venne in mente poteva andare bene. Ed era strano, non era da lei.

La guardò per l'ultima volta prima di spegnare la luce, senza dire nulla.

-Buonanotte Clarke- bisbigliò, sdraiandosi.

-'Notte Lexa-.


 


 


 



 

Alla fine ce l'ho fatta a pubblicare entro oggi :)

Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo, spero sia divertente anche da leggere.

Se vi aspettavate un risveglio imbarazzante mi dispiace, magari un'altra volta ;)

Per il resto ho voluto sottolineare alcune differenze tra i comportamenti di Lexa e Clarke, spero si colgano, ma sono solo dettagli u.u

Per i signori Murphy sono completamente di mia invenzione anche perchè non so se sono mai stati citati nella serie.

Grazie a tutti i lettori e i sempre più dolci recensori <3

A presto,

Tem_93

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***



~Capitolo 10~


 

Corri.

Corri così forte da avere il fiatone.

Tutto intorno a te scorre velocissimo, le luci e i suoni si fondono ma non t'interessa, la cosa importate è arrivare.

Ad un tratto ti fermi, ansimando, e ti togli i capelli da davanti agli occhi, notando l'anello luccicante al tuo dito.

Poi guardi per terra.

Sei in una pozza di sangue.

Assumi un'espressione terrorizzata e cerchi di toglierti da lì, ma il sangue è ovunque.

Alzi gli occhi e vedi la macchina accartocciata.

Qualcosa cade, ma non sai cosa.

Senti un tintinnio sempre più forte, finché non si ferma davanti a te.

Ti abbassi e lo raccogli.

Lo riconosci, è il tuo anello di fidanzamento.

Ora però è completamente insanguinato.

 



 

Lexa spalancò gli occhi, mettendosi seduta e cercando di ritrovare un respiro regolare. Si portò entrambe le mani alla nuca, rannicchiandosi su sé stessa.

Clarke sbatacchiò le palpebre e, sentendo il respiro affannoso della ragazza, si girò nella sua direzione preoccupata.

-Hey Lexa, che c'è?- mormorò con una voce strana, ancora assonnata, avvicinandosi a lei e posandole una mano sulla gamba.

Lexa velocemente si calmò, ma non si voltò per guardarla.

-Niente- sussurrò, uscendo però dal letto e troncando così il contatto con la bionda.

Aprì la porta finestra e uscì sul terrazzo, respirando l'aria fresca a pieni polmoni.

Sperò che Clarke non uscisse, che non facesse domande, che non la guardasse con compassione. Già era stato abbastanza penoso che l'avesse vista così.

Debole.

Fortunatamente Clarke non la raggiunse. Rimase sola sul balcone finché il freddo non fu un motivo ragionevole per rientrare, anche se di dormire non ne aveva più alcuna voglia.

Ritornò nel letto, dopo aver socchiuso gli scuretti e le finestre, notando che Clarke le dava le spalle e probabilmente si era riaddormentata. Si sdraiò a pancia in su, rimanendo un po' con gli occhi aperti e fissi sulla parte centrale del baldacchino. Si decise a chiuderli solo quando li sentì pesanti.

Qualche secondo dopo averlo fatto sentì un corpo caldo appoggiarsi appena al suo. Avrebbe voluto controllare se Clarke fosse sveglia o meno, ma il suo soffio accennato che le arrivava dritto sul collo e il battito regolare dell'altra ragazza la cullarono velocemente in un sonno tranquillo.


 


 


 

Quando si risvegliò la prima cosa che i suoi occhi notarono furono dei capelli biondi. Clarke non si era mossa di una virgola. Era ancora lì, leggermente appoggiata a lei, che dormiva beatamente.

Avrebbe voluto alzarsi, ma allo stesso tempo non voleva svegliarla.
Sembrava così serena, poteva vedere quasi un sorriso appena disegnato sulle sue labbra sottili.

Chissà cosa stava sognando, chissà chi.

Ad un tratto Clarke mosse il capo e i suoi occhi azzurri si specchiarono in quelli verdi di Lexa.

-Buongiorno- mormorò spostandosi i capelli dal volto. L'altra arrossì vivacemente, non aspettandosi di certo che la bionda si svegliasse trovando lei ad osservarla.

-Buongiorno Clarke- balbettò quasi, scappando dal letto per rifugiarsi in bagno, cosa che fece sorridere Clarke.

-Hai dimenticato le ciabatteeee- cantilenò divertita. Lexa tornò indietro come un fulmine, si infilò le pantofole e rientrò velocemente in bagno, evitando accuratamente di non guardare Clarke che seduta sul letto a gambe incrociate osservava la situazione ridacchiando.

Dopo aver lavato i denti e la faccia ed aver pensato ad una scusa tangibile da dare a Clarke se le avesse chiesto perché la stesse guardando dormire, Lexa tornò nella camera. Trovò la bionda stesa sul letto a pancia in giù che fischiettava una semplice melodia, muovendo le gambe avanti e indietro mentre sfogliava quello che doveva essere uno dei suoi libri.

Lo sguardo di Lexa cadde sulle mutandine nere che spiccavano in contrasto con la pelle chiara di Clarke, dato che col movimento delle gambe la sua maglietta-pigiama le era salita a metà schiena. Lo distolse subito, andando ad aprire del tutto la finestra per far entrare meglio la luce.

-Questo libro non mi è mai piaciuto, ho odiato Catherine dall'inizio alla fine.– commentò la bionda, scorrendo le pagine con un'espressione infastidita.

-Perché?- chiese l'altra avvicinandosi all'armadio per scegliere cosa indossare.

-Perché è una stronza egoista. Sposa l'uomo che non ama solo per soldi poi tormenta lui ed Heathcliff per tutta la loro esistenza, persino da morta e... Ma cosa stai facendo?- domandò vedendo Lexa prendere un completo dall'armadio. Lei si voltò verso Clarke alzando un sopracciglio.

-Mi vesto?- disse banalmente, non capendo quale fosse il problema.

-E pensi di venire alle cascate del Niagara con quei vestiti?- insistette la bionda, con un'espressione decisamente contrariata.

-Ebbene – asserì lei, continuando a non cogliere il punto. Clarke scoppiò a ridere, poi chiuse il libro, lasciandolo sul letto disfatto.

-I tuoi livelli di buffezza aumentano sempre – ridacchiò avvicinandosi a lei, scalza.

-Non esiste quella parola- borbottò Lexa acidamente.

-Lexa non puoi venire alle cascate in divisa. Non è un ufficio e teoricamente sei in vacanza con la tua fidanzata!- osservo la bionda, strappandole di mano i vestiti mentre Lexa instaurava il suo piccolo broncio contrariato.

-Avanti, scegli pure – disse poi a denti stretti, indicando con la mano aperta il contenuto dell'armadio. Clarke la guardò un attimo, sempre con un sorriso divertito sulle labbra, prima di avventurarsi tra i diversi abiti formali ben ordinati.

-Non ci credo che non hai preso altro – disse scuotendo il capo, ma ancora con un'espressione allegra. Lexa roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto sentendosi un poco offesa.

-Per fortuna la tua dolce metà ha portato anche dei vestiti casual! Lo sapevo che le due valige servivano- esclamò aprendo poi la sua anta dell'armadio che al contrario era un vero casino. Ne estrasse un paio di jeans, una camicetta nera a mezze maniche e un paio di All Stars bianche.

-I vestiti dovrebbero andare, al massimo ti saranno un po' larghi. Le scarpe non so- valutò, passando i capi all'altra. La mora li afferrò, squadrò velocemente Clarke e si girò.

-Guarda che ti ho già vista in costume eh-le gridò la bionda, osservandola entrare in bagno per cambiarsi. Non ricevette risposta, ma dopo poco la ragazza tornò, mentre si allacciava gli ultimi due bottoncini superiori della camicia.

Clarke rise, vedendo che i jeans effettivamente le erano corti, mentre il resto le andava bene.

-Aspetta – mormorò, abbassandosi per farle un risvolto disordinato – così sembreranno fatti apposta- disse, alzando gli occhi e trovando quelli dell'altra fissi su di sé.

Lexa fece un cenno con la testa, e solo in quel momento Clarke si accorse che era rimasta così a fissarla per qualche secondo di troppo. Distolse lo sguardo velocemente e si preparò a sua volta.

Con la coda dell'occhio notò, mentre Lexa si acconciava i capelli, un piccolo tatuaggio sotto la nuca. Un semplice simbolo dell'infinito nero.

Chissà cosa rappresentava.


 

Dopo una decina di minuti le ragazze si trovavano nel tavolino scelto il giorno precedente a sorseggiare altro thé tiepido. I signori Murphy facevano a loro volta colazione nello stesso posto e l'uomo si stava preparando il terzo toast con marmellata, da quanto ne sapeva Clarke.

Alcuni membri dello staff dell'hotel vennero ad informarli che, per chi fosse interessato, un pulmino sarebbe partito da lì a mezz'ora per le Cascate del Niagara, che distavano dalla struttura circa una ventina di minuti. Si raccomandarono i portare i passaporti a chi fosse interessato a passare la dogana per vedere anche la parte canadese delle cascate.

Per fortuna Indra aveva fatto a Clarke una lunga lista di cose da portare per sicurezza, la quale includeva anche il passaporto.

Lexa osservò tutto il tempo di signori Murphy per capire di che idea fossero e quello che concluse fu che sì, dovevano essere abbastanza interessati. Le due tornarono quindi in camera, presero i documenti e poco altro e si diressero al punto di incontro che era stato comunicato loro poc'anzi.

-Mai state prima? - domandò il signor Murphy arrivando con la moglie, mentre altre coppie si radunavano.

-No- risposero quasi all'unisono le ragazze.

-Ne valgono davvero la pena, dicono- asserì Marie con un dolce sorriso, prendendo il marito sottobraccio.

-Speriamo- commentò Lexa, alzando le spalle poco convinta.

-Oh io ne sono sicura, sono le prime al mondo come portata d'acqua. Devono essere uniche nel loro genere – osservò invece Clarke, molto più elettrizzata della gita.

Il pulmino fu decisamente puntuale e prima di partire comunicarono agli ospiti che per il ritorno ci sarebbero stati più orari : prima o dopo pranzo, a metà pomeriggio, prima o dopo cena.

All'idea di pullman Clarke aveva sempre associato quello giallo che da piccola prendeva per andare a scuola, con posti stretti, sempre rovinati e per finire in bellezza una costante puzza di sudore. Quello su cui salirono era l'esatto contrario: sedili in pelle chiara, morbidi e confortevoli, pochi posti distanziati e un buon odore di menta.

In venti minuti effettivi giunsero a destinazione e già dai finestrini si potevano scorgere le maestose attrazioni. Scesero e la guida dell'hotel consegnò a ogni coppia una cartina e spiegò le cose fondamentali. Cosa guardare, dove mangiare, che percorsi scegliere, come passare dal lato canadese, a che ora il pulmino sarebbe ripartito da quel punto.

Lexa stava leggendo il depliant e quasi non si accorse che Clarke l'aveva presa per mano e la stava trainando verso una meta a lei sconosciuta.

-Sono bellissime – esclamò la bionda,assorta dallo spettacolo. Lexa alzò finalmente gli occhi e si trovò davanti queste enormi cascate, da cui scendevano litri su litri su litri di acqua che si andava a tuffare circa cinquanta metri più in basso. Il rumore prodotto dallo scroscio dell'acqua era impossibile da ignorare, ma quando ti abituavi a sentirlo come suono continuo di sottofondo era abbastanza gradevole. La cosa impressionante però era il vapore bianco che risaliva alto dal lago e ogni tanto faceva comparire piccoli arcobaleni accennati.

Sia lei che Clarke rimasero un po' in ammirazione, finché stranamente fu Lexa ad interrompere il silenzio.

-“La cascata prende il nome dal fiume Niagara che collega il lago di Erie con il lago canadese di Ontario. Sono, per la loro vastità, tra i più famosi salti d'acqua del mondo . Si distinguono facilmente tre cascate : le Horseshoe Falls, o cascate a ferro di cavallo, situate nel territorio canadese; le American Falls situate nel territorio americano e le Bridal Veil Falls o cascate a velo nuziale,le quali sono presenti in buona parte sia sul territorio americano che canadese” - lesse dal foglietto, alzando poi gli occhi verso Clarke.

La bionda le sorrise, per poi tirarla a sé e abbracciarla forte, cosa che lasciò l'altra di stucco. Poco dopo la ragazza iniziò a sbracciarsi.

-Signori Muprhy! - squillò, ancora legata all'altra. I coniugi si avvicinarono alle ragazze, le quali si separarono rimanendo allacciate solo attraverso alle dita incrociate.

-Che programmi avete Signorine? - domandò l'uomo, sorridendo mentre giocava come al suo solito con i baffetti grigi.

-Non abbiamo ancora deciso, voi cosa farete? - rispose prontamente Clarke, stringendosi appena a Lexa.

-La Signora ha deciso di fare un giro sulla Maid Of The Mist, pare che porti proprio sotto le cascate!- affermò facendo un cenno verso la moglie, che annuiva soddisfatta.

-Wow, sembra proprio una bella idea!- esclamò Clarke, voltandosi poi verso Lexa che scuoteva un po' il capo, non troppo felice della scelta. La bionda corrucciò le sopracciglia, non capendo quale fosse il problema e le strinse più la mano come a spronarla ad accettare.

-Che bello- mormorò quindi la mora, senza nemmeno una punta di vivacità nel tono, alzando le spalle.

-Bene, andiamo a fare i biglietti!- esclamò l'uomo, incamminandosi con la moglie verso il pontile da dove sarebbe partito il battello.

Clarke attese un momento prima di seguirli.

-Non sei contenta che passeremo la giornata con loro?- sussurrò, stranita. Lexa roteò gli occhi e sbuffò appena.

-E' che non mi piace tanto l'acqua- mugugnò, tenendo lo sguardo fisso sulle cascate.

-Stai sotto la doccia almeno mezz'ora e ieri siamo state tutto il giorno alle terme- osservò Clarke, ancora non comprendendo cosa intendesse.

-Lascia stare- sibilò quasi, voltandosi per raggiungere gli altri. Clarke la guardò storto, poi sospirò, alzò gli occhi e si mise quasi a rincorrerla per poterla affiancare. Odiava quando Lexa faceva cadere i discorsi o se ne andava, davvero lo trovava insopportabile; ma dopotutto era lì per assecondarla, non il contrario.

In fila il signor Muprhy, con la sua parlantina infinita, intrattenne le tre donne e parlò sopratutto con Clarke. Quando finalmente ottennero i biglietti fu consegnato loro anche una specie di impermeabile giallo, da indossare per evitare di bagnarsi.

Quando Lexa lo ricevette fece una faccia talmente disgustata che Clarke si piegò in due dal ridere, tanto da dimenticare cos'era successo poco prima. Salirono sull'imbarcazione e Clarke tirò immediatamente Lexa sul bordo, troppo curiosa per rimanere al centro del traghetto. I signori Murphy le seguirono a ruota e poco dopo il battello partì, diretto proprio sotto le cascate.

Mentre Clarke era vicinissima al limite della ringhiera, Lexa stava uno o due passi indietro, osservando più forse la ragazza che aveva davanti anziché lo spettacolo naturale che le circondava.

Ad un tratto la bionda si volto, con un sorriso che le illuminava il volto. Era bella anche con quello stupido sacco di plastica addosso e il volto pieno di goccioline, pensò.

-Ti fidi di me? - le domandò allungandole la mano.

-No- borbottò Lexa, con un'espressione seria. Clarke rise, vedendo che però afferrò subito la sua mano. A quel punto la tirò a sé e fece in modo che la ragazza l'abbracciasse da dietro, mentre lei ancora non si staccava dal bordo.

-Ti sta bene il robo giallo, potresti metterlo anche al lavoro- scherzò la bionda, stringendo forte le braccia di Lexa che la circondavano.

-Ah ah- la scimmiottò lei, spingendo ancora un poco il suo corpo contro quello di Clarke.

Dopo una decina di minuti si trovavano effettivamente sotto la grande cascata. Lì sì che il rumore era forte, quasi assordante, e tutti erano fradici ma divertiti. Per fortuna era una bella giornata e si sarebbero asciugati in fretta una volta scesi.

-Clarke? - mormorò poco dopo.

-Dimmi-

-Riusciresti a distrarre Marie più tardi? Purtroppo con lei nei paraggi non riuscirò mai ad introdurre il discorso lavoro- constatò Lexa.

-Non c'è problema- asserì la giovane, muovendo anche il capo in segno d'accordo.

Nonostante fossero sempre stati vicine al loro obiettivo, ovviamente non erano riuscite a concludere niente. Ma Clarke era ottimista, avevano un'intera giornata davanti.

Quando scesero riuscirono a convincere gli altri due a rimanere in loro compagnia. Scelsero di attraversare il Rainbow Bridge a piedi, per raggiungere il lato canadese e vedere il tutto da un'altra prospettiva.

La camminata fu molto piacevole. Alex non smetteva mai di parlare, ma non era noioso; discorreva soprattutto di paesaggi, escursioni e sport, in particolare di football quando scoprì che Clarke era abbastanza preparata in materia.

-Neanche nostro figlio ne sa così tanto sul football- borbottò Marie – vieni cara, lasciamo questi due a parlare tra loro, mi scoppieranno le orecchie a sentire altri risultati di partite già giocate e raccontate altre mille volte – disse la donna, afferrando inaspettatamente Lexa sottobraccio e aumentando il passo come per distanziarsi dal marito e Clarke.

Lexa e Clarke si guardarono tra lo stupito e il disperato, il piano era stato completamente sconvolto dalla mossa imprevista della signora Murphy. La mora però non si sottrasse e seguì Marie, che le iniziò a raccontare della sua passione per le piante.

-Signorina Clarke, ora che siamo soli, posso parlare di lavoro? - domandò il signor Muprhy, qualche minuto dopo, stupendo ancora di più la bionda.

-C-certo, ma dovrebbe farlo con Lexa, io sono una semplice barista- mormorò la ragazza, aprendo la braccia desolata.

-Oh, ma preferisco parlare con lei, ha un carattere molto più simile al mio di quanto lo abbia la Signorina Woods- affermò, riprendendo ad arrotolarsi i baffi, osservando con un'espressione più seria le figure delle donne che camminavano davanti a loro.

-Mi dica allora- rispose Clarke, arricciando il naso.

-Vede, avrei bisogno del suo aiuto. Sono disposto a vendere la mia compagnia alla Woods Corporation, ma alle mie condizioni. - disse, guardando ora Clarke. Lei annuì, aspettando che continuasse.

-Se lei riuscisse a convincere la sua ragazza ad accettarle, sarebbe un double win, non crede?- domandò, sorridendole cordiale.

-Credo di sì- accennò Clarke, stringendo leggermente le labbra e alzando di un poco le sopracciglia.

-Sa, non è una questione di soldi. Il prezzo mi sta bene, vorrei solo che la Signorina accettasse due clausole che mi sembrano abbastanza umane. - continuò l'uomo, aspettando che fosse Clarke a invitarlo a proseguire. - Vorrei che non licenziasse tutti i miei dipendenti e che lasciasse la possibilità a mio figlio di lavorare in azienda, se un giorno cambiasse idea- rivelò l'uomo, sistemandosi il colletto della giacca.

-Bè, non credo che Lexa rifiuterebbe mai quelle condizioni. Sembra di ghiaccio, ma è una persona molto buona in realtà- ribatté subito Clarke, gesticolando con le mani.

-E perché allora l'accordo non è andato in porto la prima volta? - chiese l'uomo retoricamente. Clarke gli mostrò un'espressione corrucciata, per poi scuotere appena la testa, non sapendo come controbattere e si mise in silenzio. Vide le due donne davanti a loro fermarsi e chiamarli perché avevano raggiunto la dogana e ora dovevano essere ispezionati prima di passare. Clarke si allontanò dal signor Murphy un po' frastornata, ma ben presto si trovò a fianco di Lexa e le sorrise, senza accennarle nulla di quanto scoperto.

Passati dall'altra parte arrivarono su di un largo spiazzo da cui si poteva ammirare la cascata da oltre ottocento metri di versante, forse la più impressionante. Andarono a pranzo poco dopo, sempre in compagnia dell'altra coppia, ma né Alex né Clarke ritornarono mai a discutere di lavoro. Parlarono della passione di Clarke per la pittura e scoprirono che anche il figlio della coppia era un'artista, per la precisione un musicista. Era il motivo per cui aveva rifiutato a prendere le redini dell'azienda di famiglia ed era partito per suonare nei posti più disparati e cercare di farsi un nome.

Il pomeriggio visitarono il paesino turistico che era nato appunto per intrattenere visitatori che venivano da tutto il mondo per le cascate. Si trattennero fino a sera poiché avevano scoperto che di notte le cascate sarebbero state illuminate.

Così fu, aspettarono il tramonto appunto sullo spiazzo che dava sulle Horsehoe Falls e quando si fece buio contemplarono i giochi li luce e acqua. I coniugi si sedettero su una delle panchine, mentre loro rimasero ai bordi del terrazzo con gli occhi puntati sullo spettacolo.

Clarke si strinse a Lexa, appoggiando la sua testa sulla spalla della giovane.

-E' magico, non trovi? - domandò, stringendole la mano con entrambe le sue.

Lexa notò di non sentire il suo odore, perché ormai si era fuso col proprio, ma sentì il cuore accelerare anche se non era la prima volta che Clarke l'abbracciava quel giorno.
Perché?
Perché Clarke riusciva a farle fare tutto quello che voleva?
Perché poi lei lo faceva?
I vestiti, il battello, il cuore che s'improvvisava tamburo.

-Sì- annuì solo, abbassando lo sguardo e sorridendole dolcemente; ma Clarke aveva gli occhi fissi davanti a sé e non se ne accorse.

-Volete una foto? - domandò Marie, da lontano.

Clarke ora cercò gli occhi di Lexa, che si erano fatti più grandi e le sue gote erano forse più rosa. Senza che dicesse nulla capì che le stava bene e ringraziò Marie, la quale si avvicinò, afferrò il telefono di Clarke e fece un paio di scatti di due ragazze teneramente abbracciate, con sorrisi accennati e un panorama mozzafiato alle spalle.

Poco dopo partirono quasi di corsa per tornare al punto d'incontro poiché di fatto era tardi e c'erano almeno quaranta minuti di strada da lì a dove l'ultimo pulmino li avrebbe attesi. Fortunatamente non lo persero e tornarono sfiniti all'hotel, dove si salutarono dividendosi nelle camere.

Le due ragazze erano talmente spossate da rimandare la doccia al giorno seguente, di acqua quel giorno ne avevano avuto abbastanza. Si cambiarono velocemente e si sdraiarono a letto, apprezzandone a pieno la comodità.

Clarke ripensò al discorso fatto col Signor Murphy, scacciandolo via subito dopo. Erano entrambe troppo stanche per affrontare un tema simile e la bionda non ne aveva alcuna voglia. Non c'era fretta, il giorno dopo avrebbero avuto molto tempo.

Lexa si sdraiò e spense la luce.

-Buonanotte Clarke- mormorò, tirandosi la coperta fin sotto il mento.

-Notte Lexa- sussurrò, chiudendo gli occhi e muovendo un po' la testa sul cuscino come per crearsi un proprio solco.

Cosa che risultò inutile.

Infatti non passarono forse neanche duecento secondi che il corpo caldo della bionda si appoggiò dolcemente a quello di Lexa.

Addormentarsi dopo fu così semplice.


 



 

Zalve!

Mi devo scusare per due come importanti :

  • Il ritardo : di solito pubblico sia domenica che mercoledì/giovedì ma è stata una settimana intensa tra studio e altri problemi che davvero non ce l'ho fatta.

  • Gli errori: Mi hanno fatto notare che nel capitolo precedente ce n'erano, per cui scusate sia per lo scorso che per questo. Li controllo almeno due/tre volte ma dopo un po' qualcosa scappa sempre.

Per il resto questo capitolo non mi convince del tutto ma mi serviva per introdurre tre o quattro cose che mi serviranno poi :) Spero non sia stato troppo noioso.

Ah (cosa che non c'entra niente) se avete capito di che libro parla Clarke all'inizio, la penso come lei. Non mi è piaciuto.

Grazie a tutti, soprattutto ai recensori super dolci <3

A presto,

Tem_93


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


~Capitolo 11~


 

La sveglia quel giorno si presentò in modo strano, sotto forma di una ciocca di capelli biondi che solleticarono il naso di Lexa, destandola. Quando socchiuse gli occhi si accorse di avere un sorriso stampato sul volto, ma non sapeva a cosa attribuirlo.

Cioè, forse lo sapeva, ma non voleva ammetterlo con sé stessa.

Spostò il ciuffo in modo che non le desse più fastidio e sentì il suono abituale del telefono che le avvertiva che erano già le 8.00. Sbatté le ciglia, stranita dal fatto che il suo orologio biologico avesse fatto cilecca. Clarke mosse il capo, iniziando a muovere piano i muscoli, senza però ancora stropicciare gli occhi.

-Mmhh- mugugnò, girandosi sulla pancia e sotterrandosi sotto il cuscino.

-Buondì anche a te- sorrise Lexa, spostando le coperte per poi far scendere le lunghe gambe nude dal letto e infilare i piedi nelle pantofole. Tirò la tenda del baldacchino, in modo da far ricadere la luce su Clarke, la quale però sotto il cuscino non notò nulla.

Decise allora di lasciarla riposare ancora un po' ed entrò nel bagno per una doccia veloce.

Quando fermò il getto per insaponarsi i capelli sentì chiaramente che Clarke doveva aver acceso lo stereo e ora come ora stava urlando qualcosa come “I'm alive”. Rise e riaprì l'acqua, cercando però di continuare a sentire la voce dell'altra ragazza.

Quando tornò in camera trovò Clarke decisamente sveglia impresa in una buffa danza sul terrazzo; il volume della canzone era parecchio alto. Appena la bionda si accorse di lei, le venne incontro prendendole le mani e coinvolgendola nella sua allegria.

-Your body's poetry, speak to me ,Won't you let me be your rhythm tonight? Move your body, move your body – cantò la ragazza, facendo roteare Lexa che scuoteva leggermente la testa, ma non riusciva a trattenere un sorriso vedendo i capelli di Clarke che volavano ovunque, cercando di non pensare troppo al significato ambiguo delle parole.

-Clarke secondo me il volume è troppo alto!- le gridò, indicando lo stereo.

-Sì ma è una bella canzone, ho trovato la playlist di Sia. Piace a tutti! - provò a giustificare la ragazza, tirando a sé l'altra, ma il gesto fu brusco e afferrò anche il cordone del suo accappatoio, aprendolo. I suoi occhi corsero velocemente sulla biancheria di pizzo di Lexa.

Ok, non era come il costume.

Riportò lo sguardo negli occhi della ragazza e in quel momento non seppe dire chi delle due fosse più paonazza.

-Scusa- balbetto, riallacciandoglielo e dileguandosi verso la sorgente di musica per fermarla.

-Oggi lezioni di cucina eh? - domandò poi, tornando nella camera tenendo lo sguardo fisso sulle cose da prendere per poter andare a lavarsi a sua volta.

-Pare di sì – asserì Lexa, molto interessata al cellulare che aveva tra le mani.

-Bene, a dopo- mormorò Clarke, evitando ancora il suo sguardo e chiudendosi in bagno.

Lexa si preparò e poi fece una lunga chiamata sul balcone, prima ai fratelli e poi a Indra per sapere come procedevano le cose in sua assenza. Non aveva mai preso così tanti giorni di ferie da quando era a capo dell'azienda e in qualche modo si sentiva in colpa per non essere là in quel momento. Ma c'erano Indra e Lincoln e non esistevano altre persone a cui avrebbe affidato la Woods Corp se non loro.

Quando rientrò trovò Clarke già vestita che si acconciava i capelli nella sua classica maniera.

-Andiamo a far colazione? - chiese la bionda, guardandola dallo specchio. Lexa annuì.

Le due seguirono la routine del giorno precedente, dopodiché scoprirono che il corso di cucina si sarebbe svolto nella sala da pranzo verso metà mattina e sarebbe continuato anche nel pomeriggio.

Lexa si assentò per andare in bagno e Clarke l'attese al tavolo.

-Salve. Ha parlato con Lexa a riguardo a quanto le ho detto?- domandò improvvisamente Alex Murphy alle spalle della bionda. Clarke trasalì un momento, notando che l'uomo stava approfittando del fatto che sua moglie stesse parlando con un cameriere.

-Non ancora, ma lo farò presto- mormorò Clarke, sollevata da vedere Marie avvicinarsi. Non aveva voglia di tornare su quel discorso, non in quel momento almeno.

-Cara, dimmi che non ti sta ancora assillando col football!- esclamò la donna, guardando storto il marito che alzò le spalle colpevole. Clarke rise, stando al gioco.

-Oggi voi giovani cosa farete?- continuò la donna. Lexa in quel momento tornò e salutò i signori cordialmente.

-Corso di cucina! La mia Lexa va matta per i dolci- esclamò stringendosi a lei affettuosamente, lasciando che il profumo della ragazza l'avvolgesse completamente.

-E così è in programma per oggi, potremmo seguirlo anche noi caro..- propose la donna, rivolta ora al marito. Quest'ultimo non è che fosse particolarmente contento all'idea, ma fece un segno positivo col capo, procurando un'espressione gioiosa alla moglie.

-A dopo allora!- esclamò questa, salutandole con una mano.

Clarke diede una gomitata in modo sciocco a Lexa.

-Guarda che stratega hai qui! – trillò con un visetto furbo e compiaciuto.

-Ah ah- disse Lexa, afferrandole la mano e incrociando le loro dita.

-Quella è la mia battuta, signorina – disse l'altra, fintamente indignata.


 

Le due ragazze continuarono a chiacchierare prima di arrivare nel salone dove stavano allestendo diversi tavoli per il corso. Lexa afferrò il programma, notando con piacere che vi erano tre deliziosi punti sulla lista: cookies, cheesecake ai mirtilli e ultimo, ma non per importanza, tiramisù alle fragole. Un sorriso le si disegnò sulle labbra e gli occhi le si illuminarono.

-Che golosona..- la schernì Clarke spuntandole dalla spalla per spiare la lista -Guarda cosa ho per te!- esclamò poi, mostrandole solo in quel momento due grembiulini rossi abbinati e due buffi cappelli da chef candidi. Lexa rise, afferrò il suo completo e lo indossò aiutando Clarke ad annodare il proprio dietro la schiena, prendendola in giro perché non era riuscita a farlo da sola.

Dopo poco tempo tutte le postazioni erano apparecchiate, quasi tutte le coppie erano pronte per cominciare e due pasticcieri dello staff si posizionarono uno all'inizio del salone ed uno a metà per mostrare il procedimento mentre spiegavano ad voce alta.

I cookies erano semplici, o almeno così sembravano. Nel loro tavolo erano disposti tutti gli ingredienti doppi, così che ognuna potesse cimentarsi personalmente. Clarke notò che quelli di Lexa erano stranamente già più in ordine dei suoi. In ogni caso la preparazione fu veloce e ad entrambe l'impasto risultò uniforme e accettabile.

Clarke con l'indice prese un po' del composto dalla sua ciotola e lo assaggiò soddisfatta. Subito dopo buttò un occhio sul preparato di Lexa che era perfettamente omogeneo e senza sbavature. Rise sotto i baffi e con lo stesso dito distrusse la piccola opera ordinata della mora. Lexa si girò con la bocca socchiusa e due occhi che esprimevano un misto tra disgusto e sdegno per la sua mossa, cosa che spinse Clarke a ripetere il gesto ridendo.

-Schifosa- borbottò Lexa, spingendola via dalla sua opera. Clarke scoppiò a ridere notando poi la ragazza, la quale sistemava in modo accurato la carta da forno sopra la teglia che avrebbero dovuto condividere. La mora alzò lo sguardo trovando due occhietti azzurri e vispi ad aspettarla.

-La tua parte è quella con l'angolino strappato- sentenziò, facendo un cenno con la testa per indicarla. Clarke annuì iniziando a prendere dell'impasto e modellarlo a pallina, prima di posarlo.

Lexa si voltò, concentrata nell'ottenere mucchietti della stessa grandezza, ma quando ebbe preparato il quarto notò che dalla sua parte ce n'era sicuramente uno di troppo, decisamente non uniforme agli altri, anzi proprio deforme. Guardò storto Clarke, che faceva finta di nulla.

-Perchè c'è una bruttissima pallina dalla mia parte? - borbottò aspettando che Clarke le desse attenzioni. Questa la guardò alzando le mani come se non sapesse proprio come era potuto accadere. Lexa serrò la mandibola, meditando una vendetta.

Appena ebbero finito lo chef indicò loro il forno e, dopo aver aspettato che fosse libero, inserirono la loro teglia in attesa che i biscotti diventassero dorati.

-Non vedo l'ora di mangiarli!- esclamò il Signor Murphy alle loro spalle, tenendo in mano l'operato suo e della moglie.

-Clarke è come se l'avesse già fatto, non ha resistito all'impasto– sottolineò Lexa, tenendo gli occhi fissi sul forno.

-Nemmeno lui- rispose Marie, guardando di sottecchi Alex che scoppiò a ridere dando una pacca d'intesa alla bionda.

-Secondo me ci siamo – constatò la mora, notando che ormai tutti avevano un bell'aspetto e alcuni sui bordi erano forse anche un po' troppo scuri. Clarke controllò a sua volta e poi assentì all'estrazione . Aprendo il forno un forte odore di burro e cioccolato le avvolse e presto tirarono fuori la teglia lasciando posto ai coniugi dietro di loro. Lasciarono i biscotti a raffreddare con gli altri già pronti, scrivendo su un foglietto i loro nomi per distinguerli.

Una volta che tutti ebbero cotto i propri si proseguì con la cheescake. Stavolta non era più un lavoro individuale ma di coppia. Lexa divise perciò i compiti: lei avrebbe preparato la base mentre Clarke la parte centrale della torta; nel pomeriggio avrebbero aggiunto la salsa. Iniziarono per cui a lavorare chiacchierando, con Lexa che frullava biscotti secchi e cioccolato bianco e Clarke che rompeva le uova sporcandosi tutte le mani.

Quando Lexa terminò di disporre il contenuto sul fondo dello stampo Clarke era ancora intenta a rendere il suo preparato cremoso. La mora la osservò girare con forza il contenuto della ciotola, super concentrata, con una faccia adorabilmente arrossata. Quando per lei fu abbastanza omogenea l'appoggiò sul tavolo, sbuffando.

Senza dir nulla Lexa si avvicinò, scrutandola.

-Devo aggiungere la farina – commentò Clarke, afferrando l'ultimo ingrediente al bordo del tavolo. Lexa le fece spazio e la bionda tornò davanti al suo amalgamato bianco, notando un solco non naturale... quasi a forma di dito. Appena collegò fece per voltarsi verso l'altra ragazza, ma ormai quest'ultima le aveva già passato l'indice su tutta la lunghezza del volto, lasciandole una lunga striscia bianca.

Spalancò la bocca, osservando come Lexa divertita si mordeva un labbro e faceva qualche passo indietro. Clarke, cogliendo subito la sfida, infilò quattro dita nella crema candida e si avvicinò a grandi passi alla mora che scuoteva la testa.

-No! Siamo pari, tu prima hai messo un dito nel mio composto dopo averlo messo in bocca e hai disfatto la mia fila perfetta di biscotti – provò a dire, ma Clarke l'aveva già raggiunta e la fissava con un sorriso sornione.

-Non siamo pari per niente- sibilò quasi, ponendosi di fronte a lei.

Appena le fu di fronte Lexa la braccò, fermandole le braccia a mezz'aria. Che fosse più forte di lei non era in dubbio, ma questo non la tranquillizzava; soprattutto perché, dalla sua espressione, Clarke sembrava essere proprio dove voleva.

La bionda avanzò un poco col busto, ma le dita erano ancora ben lontane dal volto di Lexa. Si bloccò, osservando l'altra.

-Sai che hai proprio delle belle mani- osservò, quasi distraendosi. Lexa stava per rispondere che non ci sarebbe cascata, quando, con uno scatto, Clarke sfregò la sua guancia sporca contro quella linda della mora.

-Clarke!- gridò quasi, spalancando gli occhi per poi notare quanto la bionda fosse soddisfatta.

-Non urlare che ci guardano tutti, tesoro – rispose quella, tornando al suo posto per pulirsi le mani e il volto. Con la coda dell'occhio notò Lexa che cercava di pulirsi al meglio, ma stava forse pasticciando ancora più le cose. Le si avvicinò, cosa che la mise subito sull'attenti.

-Vengo in pace- mormorò, mostrandole un tovagliolino umido e un sorriso amichevole. La mora sciolse i muscoli e lasciò che Clarke le afferrasse dolcemente il viso e iniziasse a pulirle la guancia con cura.

-Dicevo sul serio sulle tue mani, anche se volevo distrarti – mormorò, tenendo lo sguardo concentrato sul suo lavoro. Lexa scansò gli occhi da tutt'altra parte e bofonchiò un grazie.

-Ecco fatto!- esclamò una volta terminato. Le sorrise e si allungò velocemente a porre un piccolo bacio sulla gota che era tornata pulita e che presto divenne rossastra.

Lexa si domandò il significato di quel gesto.
L'aveva fatto perché ora come ora erano al centro dell'attenzione di tutti o perché lo voleva?
E come mai lei, che si era sempre reputata un'ottima lettrice, non riusciva a capire cosa c'era dietro a quei due occhi color cielo che ora erano persi nei suoi?

Scansando pensieri e sguardi finirono la torta e la posero nel frigo con le altre, dopodiché uscirono all'esterno dove trovarono i tavoli già pronti per il pranzo imminente. Lexa si allontanò sul prato per rispondere alle chiamate che aveva ignorato la mattina e tornò dopo una mezz'oretta.

Mangiarono e a fine pasto fu portato loro un cestino con i biscotti che avevano preparato la mattina. Clarke ritrovò subito quello che aveva posizionato tra i biscotti perfetti di Lexa perché aveva una forma davvero strana ed era forse il più grande. Lo divise con la mora che, contrariamente a quello che Clarke avrebbe pensato, lo afferrò e addirittura lo mangiò.


 

Nel primo pomeriggio passeggiarono assieme ai signori Murphy, ma per quanto Lexa cercò di rimanere sola con Alex non ci riuscì. L'uomo era sempre accanto alla moglie e quando non era al suo fianco era a quello di Clarke. Sembrava fosse l'unica persona con cui non voleva avere a che fare. Di tanto in tanto Clarke le lanciava uno sguardo di scuse, poiché non era ancora riuscita a lasciarli soli, ma Lexa le sorrideva facendole capire che non era colpa sua.

Quando tornarono all'hotel e le due furono lasciate sole per un poco Lexa sbuffò, infastidita dal fatto che le cose non stavano andando come voleva. Clarke la guardò di sottecchi, ma non disse nulla.

Il corso di cucina riprese pochi minuti dopo e le ragazze iniziarono a preparare la salsa di mirtilli per la cheesecake. Sostanzialmente Clarke li mangiava e Lexa cercava di sottrarglieli per metterli a bollire con zucchero e succo di limone. Ritirarono la torta ormai ben soda dal frigo e la cosparsero col preparato ormai denso e sciropposo. E anche la cheesecake era conclusa, ora rimaneva solo un punto sulla lista. Quest'ultimo sarebbe stato il protagonista di un'allegra merenda per concludere il corso, mentre le cheesecake sarebbero state servite la sera o la colazione successiva a tutti gli ospiti della struttura.

Anche il tiramisù alle fragole era da preparate in coppia, ma vi erano poi a loro disposizione due bicchieri trasparenti, bassi e larghi in cui sarebbero state disposte le porzioni. A differenza della ricetta precedente in questo caso non avrebbero potuto dividersi le parti, quindi Clarke si limitò a passare gli ingredienti a Lexa, che preparava tutto con estrema concentrazione. Con poca fatica ottenne una crema al mascarpone spumosa e omogenea. Clarke la osservò e sorrise, poi le si portò ad un soffio, accanto al suo viso.

-Possiamo assaggiarlo?- domandò con una voce tranquilla, continuando a sorridere. Gli occhi di Lexa rimasero incastrati ai suoi per qualche secondo, finché la mora non acconsentì con un assenso del capo. Prese un cucchiaino e lo riempì, portandoselo poi alle labbra, contenta. Dopo averlo ripulito, per la seconda volta lo infilò nel mascarpone e si girò per passarlo a Clarke, che con un'espressione furba dischiuse appena la bocca. Lexa arrossì.

-Cosa sei, una bambina?- bofonchiò dandole le spalle e lasciando il cucchiaino sospeso. Clarke scoppiò a ridere. Afferrò la posata e mangiò il boccone, dopodiché abbracciò Lexa da dietro.

-E' che mi divertono troppo le tue reazioni- le soffiò, quasi nascosta tra i capelli.

Lexa non disse nulla, non la cacciò e non la strinse, ma abbassò le palpebre e gli angoli delle sue labbra si piegarono all'insù. Poco dopo Clarke si allontanò per portare il preparato a risposare in frigo. Procedettero con le fragole, una le tagliò e l'altra preparò lo sciroppo in cui sarebbero stati inzuppati i savoiardi. Passato il tempo necessario tornarono a prendere la crema e iniziarono a disporre gli strati nei due bicchieri.

Una volta che tutti ebbero finito i pasticcieri si complimentarono con i partecipanti e fu velocemente allestito un piccolo buffet con diversi dolci per una golosa merenda. Lexa non ci pensò nemmeno due volte a scegliere il proprio tiramisù e Clarke la imitò; entrambe lo trovarono delizioso. I coniugi Murphy fecero loro compagnia parlando di com'era andata quell'avventura culinaria tra un'ottima cuoca e uno che i fornelli li vedeva solo da lontano. Fu divertente e Lexa addirittura sorrise anche in presenza dei due, cosa che non avveniva quasi mai.

Clarke questo l'aveva notato, Lexa era fredda e distaccata con tutti come lo era stata con lei i primi giorni. Solo quando erano loro, senza altri intorno, vedeva la vera Lexa: due occhi dolci, le gote rosse, un sorriso accennato e tanta gentilezza nei gesti. Di lei però c'erano così tante cose che non capiva.

Le due coppie dopo un po' di separarono e le giovani si ritirarono nella camera. Clarke era stranamente ansiosa, troppo silenziosa per i suoi standard e Lexa lo notò subito, ma aspetto che fosse lei a esternarsi.

-Pensavo.. forse dovresti essere un po' più aperta col signor Murphy – iniziò ad un tratto. Lexa era andata a prendere uno dei suoi libri e si stava per sedere sul divano di fianco alla bionda, ma si fermò, osservandola dall'altro.

-Perché?- domandò, con un'espressione calma ma impassibile.

-Perché io penso sarebbe più propenso a lasciare la sua azienda ad una persona più umana, che ad uno squalo- tentò la ragazza, gesticolando appena.

-E pensi che lui creda che io non sia umana? Mi ha vista con te tutto il tempo e non penso di essere sembrata uno squalo al tuo fianco- commentò la donna, ora confusa.

-E' che..- mormorò, interrompendosi per prendere un lungo respiro.

Lexa alzò un sopracciglio. Le nascondeva qualcosa e questo non le piaceva.

-Cosa ti ha detto? - chiese, secca.

-Praticamente mi ha fatto capire questo, che devi essere più interessata alle persone!- esclamò la ragazza, alzando di poco il tono.

-Dimmi cosa ti ha detto!- insistette Lexa, scandendo le parole con forza. Clarke corrugò le sopracciglia.

-Mi ha detto che non ti ha venduto la compagnia perché vuoi licenziare tutti i suoi dipendenti e non vuoi che suo figlio possa avere un posto lì dentro se mai vorrà tornarci. Sai, ho provato a pensarci, ma non vedo il perché tu non abbia accettato- specificò Clarke, alzando ora entrambe le sopracciglia e serrando le labbra.

-Oh, certo che non lo vedi- sibilò Lexa, guardandola storto e sottintendendo chissà cosa. Clarke non interpretò al meglio quella frase, chiuse gli occhi a fessura e schioccò la lingua alzandosi.

-Guarda che non ha tutti i torti! Non ha molto senso che tu faccia beneficenza agli orfani e poi licenzi persone che hanno bisogno di uno stipendio per crescere i figli!- affermò, arrabbiata.

Lexa rimase spiazzata per un secondo, sbarrando gli occhi.

-Vai al diavolo Clarke, non ho bisogno che tu mi dica come fare il mio lavoro, non sei certo pagata per questo! – le ringhiò contro.

-Oh certo, mi paghi come escort. Notizia dell'ultimo minuto: non lo sono! Forse non sei così infallibile come credi. E ora, col tuo permesso, me ne vado al diavolo!- urlò Clarke, lanciandole un ultimo sguardo irato per poi allontanarsi a lunghe falcate verso la porta e sbattersela alle spalle.


 

Lexa rimase immobile, serrò la mascella e represse le lacrime alzando le pupille verso il soffitto ed espirando lentamente.

Perché faceva così male?

Perché pensare che Clarke si era fidata di quello che le aveva detto il signor Murphy, senza nemmeno chiedere la sua versione, l'aveva ferita così tanto?

Perché aveva perso le staffe, a lei che non succedeva mai?

E perché quel groppo il gola non andava giù?

Si leccò le labbra secche, spostandosi dalla porta chiusa davanti a sé. Se aveva capito qualcosa di Clarke non sarebbe tornata presto con la coda tra le gambe. Afferrò il cellulare e chiamò Indra.

-Per l'appuntamento di cui parlavamo, non c'è bisogno di spostarlo. Ci sarò-.


 


 


 

Clarke avanzò a passi decisi verso il bar dell'hotel. Era deserto poiché probabilmente stavano servendo la cena in quel momento. Meglio così.

Si sedette sulla panchina imbottita, posta di fronte al bancone.

-Qualcosa di forte, grazie –.


 


 



 

Hey hey hey.

Purtroppo è un periodo di esami abbastanza intenso, quindi mi dispiace ma aggiorno quando riesco.

La canzone che canta Clarke all'inizio è Move Your Body di Sia ed è sempre con me quando faccio la doccia xD

Del resto il capitolo non è dei migliori, ma è questo insomma. Forse troverete veloce e un po' inspiegato il litigio, ma insomma è dovuto a tante cose non dette e ripensandoci potrebbe essere realistico. Poi ditemi voi cosa ne pensate, se vi va :)

Come al solito scusate per gli errori!

Un grazie enorme alle persone super carine che spendono sempre un po' del loro tempo per recensire <3

A presto,

Tem_93

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


~Capitolo 12~


 

Clarke aprì gli occhi, piano piano, sentendo la bocca impastata. Molto fastidiosa come cosa, ma non quanto il mal di testa. Cercò di mettere a fuoco di fronte a lei, ma era tutto buio. Si alzò, appoggiandosi su di un braccio e ricordandosi dove fosse.

Sulla panchina imbottita posta di fronte al bancone del bar, ovviamente.

Non rammentava quanto tempo aveva passato lì, da sola, né quando si fosse addormentata. Si stranì del fatto che nessuno le avesse detto nulla, ma probabilmente i dipendenti non volevano disturbare in alcun modo gli ospiti e di sicuro quella non doveva essere la cosa più strana che fosse successa.

Si grattò il capo, cercando di sistemare i capelli scompigliati, mentre la sua vista si adattava pian piano all'oscurità. Chissà che ore erano.

Appoggiò i piedi a terra e vi fece forza per alzarsi. Sbuffò, sentendo lo stomaco brontolare. Vide quella che doveva essere la porta, dato che uno spiraglio di luce ne attraversava l'apertura, quindi vi si diresse cercando di non inciampare strada facendo.

Spinse l'anta e si ritrovò nel corridoio luminoso da cui era arrivata la sera precedente.

In quel momento le immagini e le parole le ripiombarono addosso violentemente.


 

Vai al diavolo Clarke!

..mi paghi come escort. Notizia dell'ultimo minuto: non lo sono!


 

Era successo di nuovo, ancora una volta aveva tirato un pugno in faccia al suo lavoro. Perché non riusciva a trattenersi? Doveva sempre avere l'ultima parola. Stupida sciocca impulsiva!

Ci ripensò.

No, questa volta era diverso. Quel tizio, il pugno, se l'era guadagnato tutto e Clarke lo avrebbe rifatto anche in quel momento, ma Lexa... No, lei non se l'era meritato. Dopotutto aveva ragione, era stata chiara fin dall'inizio su quali erano i suoi compiti e quali no. Eppure credeva veramente di poter essere di aiuto e di certo non si aspettava una reazione del genere.

Dopo il secondo drink ci aveva riflettuto, chissà come dato che la lucidità la stava abbandonando, ma l'aveva fatto. La conclusione a cui era giunta era che la ragazza probabilmente si era offesa perché lei aveva preso le parti del Signor Murphy e non le sue. Non le aveva nemmeno chiesto il perché del suo rifiuto, o se effettivamente era andata proprio così.

Era stata stupita e avrebbe voluto scusarsi. Un po' l'orgoglio, un po' il fatto che era sbronza e un po' la paura di trovare due occhi cupi che avrebbero scavato in lei facendola sentire ancora più in colpa l'avevano invece trattenuta lì, sulla panchina del bancone, a chiedere il terzo bicchiere.

E ora cosa le avrebbe detto? Come si sarebbe presentata per chiederle di scusarla e pregarla di darle una seconda chance. Perché la realtà era che, volente o nolente, quei soldi le servivano.

La verità, le avrebbe detto la verità. Era l'unica opzione per convincerla. Sospirò due o tre volte prima di aprire la porta della camera.

-Lexa?- chiamò, incerta, avanzando pian piano. La camera era buia, ma era improbabile che Lexa dormisse ancora dato che erano già le nove del mattino, da quel che diceva il suo cellulare. Girò per tutte le stanze, ma nulla. Non c'era nessuno. Le cose dell'altra ragazza erano però ordinate dentro l'armadio e sul comodino c'era il libro che non aveva ancora terminato.

Si accorse che di fianco ad esso c'era qualcos'altro, fuori posto.

-Tornerò stanotte, non mi aspettare alzata-

Nessuna firma, nessun saluto. Freddo, distaccato come solo Lexa riusciva egregiamente a mostrarsi.

Bè, almeno sarebbe tornata. Non tutto era perduto, si disse Clarke, anche se i suoi pensieri non erano dei più ottimisti.

Aprì gli scuri della finestra, lasciando entrare vento, luce e suoni, facendosi colpire da essi come se in quel momento le fossero necessari. Avrebbe davvero voluto un pennello e una tela in quel momento. E suo padre.

Abbassò lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli spettinati e avanzò senza spinta verso la doccia, sentendo ancora la testa esploderle.

Il giorno passò a rilento, ogni minuti era lungo due, passato in camera sola con i suoi pensieri. Non era quella la solitudine che amava, non le piaceva quando era turbata.

Contattò un cameriere dell'hotel, chiedendo che pranzo e cena le venissero consegnati in camera. Omise di dire che era sola.

Non asciugò i capelli, infilò una maglia larga e un paio di jeans, afferrò dei fogli dal tavolino e una penna, si sedette sul terrazzo con l'ipod alle orecchie e iniziò a scarabocchiare quello che vedeva, cercando di liberare la mente. Ogni tanto i tratti sul foglio assumevano un profilo noto che però puntualmente veniva cancellato.

Bussarono per il pranzo. Lasciò che apparecchiassero il tavolino e posassero i piatti. Quando uscirono ne prese uno e andò a mangiarlo sul balcone, col vento che le scompigliava i capelli e raffreddava il pasto. Ma stava bene così.

Quando si rialzò per sistemare il piatto notò il dessert. Una fetta della loro cheesecake probabilmente, o comunque quella di qualcuno che aveva fatto il corso con loro il giorno precedente. No, quella non la voleva.

Tornò nella camera, notò nuovamente il libro e il fogliettino. Prese il primo e si appoggiò al letto. Lo aprì, lo sfogliò vagamente, leggendo parole qua e là.

Se tutto il resto perisse, tranne lui, continuerei ad esistere; e se tutto il resto rimanesse, e lui fosse annientato, l'universo mi sarebbe estraneo.

Era l'unica cosa sottolineata a matita. Non l'aveva notata prima. Quando a suo tempo l'aveva letto non gli aveva dato troppa importanza, forse l'aveva trovato quasi fastidioso. Chi nella realtà ama in modo così estremo? Non lei. Non fino a quel momento almeno. Ma vedendo ora che invece forse quelle parole erano state le più incisive per Lexa si domandò chi delle due fosse effettivamente più umana, più sensibile, meno fredda. Era veramente lei?

Continuò a leggere poche righe, dopodiché sì buttò sul letto, tenendo gli occhi aperti e fissi verso l'altro. Soffiò e poco dopo cadde in un lungo sonno.

Il toc toc alla porta la destò e si affrettò per far entrare i camerieri a portarle la cena. Mangiò ancora una volta sola, sul balcone, osservando la penombra avanzare sul panorama. Una volta finito chiamò Octavia e Raven. Le ragazza fecero diverse battute e Clarke stette al gioco, senza confessare in che casino si era impicciata, come al solito. Non voleva darla vinta ad Octavia. In ogni modo le sue coinquiline le riportarono il sorriso sulle labbra e la salutarono dicendole che si sentiva la sua mancanza.

Clarke appoggiò il telefono e si guardò in torno. Tutto sottolineava la mancanza di Lexa in quel momento: la sua cena ancora intatta, il letto disfatto e il libro ancora aperto su esso, nessuno sguardo che si posava gentilmente su di lei.

Roteò gli occhi, cercando di allontanare quei pensieri troppo sdolcinati e insensati, non da lei. Riafferrò il cellulare e ora chiamò suo padre, come tutte le sere.

Tutto il resto del tempo lo passò ancora sul terrazzo, al buio, anche se ormai il vento si era fatto freddo e le nuvole oscuravano le stelle e la luna.

Ad un tratto sentì la porta aprirsi e notò la luce dell'anticamera accendersi. Sentì qualcosa di pesante essere appoggiato sul tavolino, o almeno così immaginò.

Il cuore cominciò a correre troppo forte, lo stomaco si chiuse e tutto in lei entrò in subbuglio.

Con un semplice clik anche la camera fu illuminata, rivelando la figura di Lexa composta, elegante, distaccata. Il suoi occhi però un poco la tradirono, non si aspettava di trovare Clarke seduta sul balcone, con le gambe incrociate, i capelli sciolti mossi dall'aria e quell'espressione di confusione sul volto.

Lexa abbassò subito il capo.

-E' l'una, dovresti essere a letto – disse, dandole ora le spalle.

Clarke si alzò, sentendo freddo ai piedi scalzi e avanzò entrando nella camera. Il fatto che non la stesse cacciando era già molto.

-Lexa, io volevo..- provò ad iniziare.

-Non ne ho voglia Clarke, sono stanca – la interruppe la mora, iniziando a spazzolarsi i capelli come era solita fare prima di andare a letto. Clarke abbassò gli occhi e si morse il labbro inferiore.

-Mi dispiace, volevo solo che tu sapessi che mi dispiace – sussurrò, guardandola e sperando che lei sentisse i suoi occhi chiamarla. Lexa si girò e ora il suo volto non era più impassibile, non era freddo e inespressivo. Oh no, ora Clarke riusciva a leggere tanta delusione e tristezza nei suoi occhi e questo le fece più male di qualsiasi parola.

-Non era mia intenzione ferirti, io volevo aiutarti.. E' solo che non sono come te, non sempre riesco a trattare tutto il modo logico e razionale. - mormorò, scostando le tende e sedendosi sul letto. Lexa ammorbidì un poco lo sguardo, ma rimase immobile.

-Potevi chiedere qualcosa prima di accusarmi – disse, appoggiando la spazzola sul comodino, pensando però a quanto poco razionale era stata quando le aveva urlato di andare al diavolo.

-Lo so- annuì la bionda, stringendo le labbra. Lexa non disse più niente, afferrò il pigiama e andò in bagno a cambiarsi. Tornò silenziosamente come se n'era andata, ma invece di dirigersi verso il letto svoltò verso l'anticamera.

Rientrò con una valigetta, l'aprì e ne estrasse diversi fascicoli.

-Oggi avevo due appuntamenti importanti, ma tra le altre cose sono riuscita a prendere questi – disse, passandoli a Clarke che la guardava confusa. Aprì il primo, con una cartellina verde : era una scheda su di un certo Tim Moore, un curriculum probabilmente. Dietro a quel foglio ce n'erano tanti altri. Il secondo era simile, ma la cartellina era rossa e così ce n'erano chissà quanti altri.

-Ho esaminato personalmente ogni dipendente del Signor Murphy, valutandone la carriera, il comportamento, le abilità e la situazione familiare. Sì, le cartelline rosse indicano i licenziamenti, se te lo stai chiedendo. Gestisco una grande azienda Clarke e non posso mantenere dirigenti arrivati in quella posizione perché amici del capo, geometri incompetenti assunti per raccomandazioni o capi cantiere con gravi problemi di autocontrollo. Se lo trovi ingiusto mi dispiace, ma non mi sembra di aver preso nessun decisione con leggerezza- spiegò, tenendo un tono calmo e gli occhi puntati su Clarke. La ragazza le restituì i fascicoli, che Lexa riordinò e reinserì nella valigetta.

-Per quanto riguarda il figlio del Signor Murphy la mia risposta era stata sì, ci sarà sempre un posto per lui, ma non in dirigenza. Come ogni altra persona partirà da un tirocinio e se si dimostrerà valido e qualificato non escludo che un giorno possa arrivare ai piani alti. Però no, non metterei mai un musicista che non ha mai lavorato nel settore a dirigere una filiale, responsabile di tanti bravi lavoratori. Per essere certa di non commettere un errore troppo grave mi sono consultata sia con Lincoln che con Indra, trovandoli entrambi d'accordo. Se anche questo non ti sta bene, probabilmente è perché non è il tuo lavoro, anche se, per quanto ne so io, potrebbe anche esserlo – concluse, sedendosi ora sul letto.

-No, non è il mio lavoro. - scosse il capo Clarke, trovando effettivamente molto valide le spiegazioni ottenute.

-E quale sarebbe? - domandò Lexa, diretta. Clarke arrossì, ricordandosi solo in quel momento di averle detto di non essere una escort. Provò a iniziare, ma Lexa la precedette.

-Clarke, sapevo che probabilmente non eri una escort. Non che io ne abbia mai conosciute, ma mi sembravi per certi versi troppo distante da quel mondo. Però io avevo bisogno che tu lo fossi, e probabilmente anche tu. Quello che mi chiedo è perché – ammise la donna, con un'espressione molto tranquilla. Clarke si aspettava decisamente di peggio, dato che le aveva chiesto sincerità il primo giorno che si erano viste.

-Mio padre è malato. Un anno fa ha subito un ictus e da allora soffre di epilessia. Ormai vive di pillole, ne prenderà si o no trenta al giorno. - soffiò Clarke, come se avesse appena rilasciato un grosso peso. Non era un argomento che le piaceva trattare e l'aveva condiviso solo con poche persone. Osservò gli occhi di Lexa, più dolci di prima.

-Abbiamo provato diversi farmaci, ma nessuno sembra davvero efficace. Il dottore ha detto di provare con un altro ancora, ma ormai ci rendiamo conto che l'unica possibilità sembra essere l'intervento chirurgico. Purtroppo tutti questi farmaci e soprattutto l'intervento, anche se in parte coperti dall'assicurazione, costano parecchio. - affermò la ragazza, stringendo le labbra.

-Avremmo un conto con dei risparmi che coprirebbe molte delle spesa, ma il vero problema è che mio padre non vuole assolutamente toccare i soldi che dice di aver messo da parte per me. Sostiene che passerà, starà bene, che l'intervento non è necessario. Questo complica molto le cose – sbuffò, corrucciandosi – come se me ne fregasse di avere quei soldi e non lui – bofonchiò arrabbiata, cercando di trattenere le lacrime. Lexa inaspettatamente le strinse la mano. Clarke alzò il viso, ma non incontrò gli occhi verdi che si aspettava di trovare. Quelli erano concentrati sulle loro mani, mentre la mora stava in silenzio, senza dire cose scontate. Lei per prima aveva perso entrambi i genitori e probabilmente quel gesto significava più di qualsiasi frase di conforto.

-Ora..sembra tanto una giustificazione inventata per ottenere comunque un compenso, ma capisco che non mi spetta più- disse la ragazza, cercando di non pensare più alla situazione del padre. Lexa sbatté le ciglia.

-Non mi sembra che tu abbia violato alcuna clausola del contratto, e ho ancora bisogno di te per i prossimi giorni- mormorò, staccandosi dalla bionda e sistemandosi sotto le coperte. Clarke rimase stupita.

-Ma ti ho mentito- obiettò, notando di averlo fatto contro i suoi interessi.

-In altro? - chiese Lexa, guardandola ora dritto negli occhi azzurri.

-No, cioè.. tutto quello che ti ho raccontato era vero. I miei “clienti” erano i miei ex e se anche ho un po' cambiato forse qualche aspetto di loro, è più o meno andata come ti ho detto.- precisò la bionda.

-Ok allora- assentì solo Lexa, voltandosi per cercare la luce da spegnere. -Ho sonno Clarke, buonanotte- sussurrò, con un tono completamente diverso da quello che aveva quando era arrivata.

-B-buonanotte- mormorò Clarke, sistemandosi al posto, ancora incredula di come era finito il tutto.

Non avrebbe mai pensato che Lexa reagisse in quel modo, che la perdonasse così in fretta, che continuasse quasi come se non fosse successo nulla.

Forse davvero non gliene fregava nulla di lei e l'unica cosa importante era il piano dopotutto. Sì, era più probabile dell'idea assurda che aveva avuto. Perché pensava che Lexa ci tenesse così tanto a lei? In fin dei conti, anche se non lo era, forse la stava solo usando come escort.

O forse.. chissà...


 


 

Lexa si girò da un lato, arricciando le labbra. Perché era stata così carina con lei? Aveva pensato a tutto il giorno a come essere gelidamente distaccata, a come trattarla con indifferenza per farle capire quanto si sentisse delusa.

Ma non ce l'aveva fatta.

Quando quei due occhi desolati avevano incontrato i suoi, tutta la rabbia accumulata nel giorno era svanita immediatamente.

E ora, come se non bastasse, il suo sciocco cuore saltellava, sperando e attendendo un contatto che probabilmente non sarebbe avvenuto.


 


 


 

-Lexa, sei sveglia? - sussurrò ad un tratto Clarke. Lexa si voltò trovandosi la bionda un po' troppo vicina, col viso a pochi centimetri dal suo.

-La frase che hai sottolineato nel libro.. è così che ti sei sentita quando hai perso i tuoi? - domandò ad un tratto. Non seppe perché lo chiese, forse la curiosità la vinse.

Lexa rimase un momento spiazzata. Fece mente locale, ricordando il riferimento. Pensò che fosse una domanda decisamente personale, a cui non era proprio intenzionata a rispondere.

-Loro e Costia – mormorò invece, chiudendo le palpebre. Sospirò, ormai odiando il fatto che testa e cuore non viaggiassero più assieme.

-Sono legati a loro gli incubi? - domandò, quasi con un fil di voce. Lexa sbatté le palpebre. Aveva usato il plurale, quindi forse era successo altre volte. Era possibile che avesse svegliato Clarke durante la notte senza nemmeno accorgersene, poiché lei ne ricordava solo uno in sua compagnia. Deglutì, sentendosi fragile. Poi annuì.

-Mi dispiace- mormorò Clarke, spostandole una ciocca dal volto e carezzandole un poco il viso facendolo -se hai bisogno di qualcosa, sono qui. So che non mi chiederesti mai nulla, ma non ci sarebbe niente di male – sussurrò sorridendole e intrecciando debolmente la mano con la sua.

Lexa non disse nulla, ma il suo viso, infiammandosi, sì. Fortunatamente la stanza era buia per cui Clarke non lo notò.

-Ancora buonanotte – mormorò Clarke, lasciando la mano lì dov'era.

-Buonanotte- rispose Lexa, stringendola appena. Diversamente dalla notte precedente in cui non aveva dormito per nulla, si addormentò quasi subito, sentendosi stranamente tranquilla.


 



 

Ciaa :)

Allora, non so cosa vi aspettavate, ma questo è.

Lexa voleva davvero essere arrabbiata, ma non ce l'ha fatta u_u

Ho finalmente spiegato the reason why Clarke aveva bisogno di soldi, anche se penso che forse si. era già capito.

Per il resto mancano tre giorni direi e poi la vacanza è finita, quindi diciamo che anche la ff non ne avrà molti in più (ma ancora non so bene quanti altri).

Ora che ho finito il mio grande esame dovrei aggiornare più regolarmente (come prima insomma).

Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va :)

Grazie ad ogni lettore e ogni dolcissimo recensore <3

E come al solito scusate qualsiasi errore!

A presto,

Tem_93

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


~Capitolo 13~


 

Lexa fu turbata nel sonno dal canticchiare a labbra chiuse di Clarke. Pian piano aprì gli occhi e li stropicciò un poco col pugno chiuso, ambientandosi gradualmente allo spiraglio di luce che irraggiava la camera. Di fronte a lei Clarke si stava sistemando i capelli scompigliati nel riposo, osservando il proprio riflesso nel grande specchio.

Il fatto che fosse sveglia prima di lei la stupì non poco.

-Buongiorno bella addormentata- squillò Clarke quando si accorse dei suoi movimenti.

-Buongiorno- mugugnò la mora, mettendosi a sedere e rimanendo ad osservare la ragazza – che ore sono? - chiese poi, cercando il suo telefono.

-Quasi le dieci- rispose la bionda, tornando sul letto con lei. Lexa spalancò la bocca incredula.

-La sveglia..- provò a dire, ma Clarke le sorrise dolcemente.

-E' suonata, ma tu non ti sei svegliata. Quindi l'ho spenta e ti ho lasciata riposare ancora un po'- spiegò la giovane scrollando le spalle. Lexa le mostrò un'espressione di scuse, spostandosi poi i capelli da un lato con una mano.

-Hey, eri molto stanca. Siamo in vacanza, non dovresti avere sveglie – disse solo Clarke, mettendosi a gambe incrociate di fronte a lei.

-In realtà avrei da..- cercò ancora di dire, ma nuovamente Clarke la bloccò.

-Ho pensato ad una cosa mentre dormivi. E' solo un consiglio da una persona che sicuramente non sa nulla del tuo lavoro, ma che ha capito un po' il Signor Murphy- sussurrò, mantenendo un timido sorriso. Lexa serrò le labbra, ma il suo viso era molto tranquillo.

-Dimmi pure- assentì, curiosa.

-Ho pensato ad una soluzione che penso sia abbastanza realizzabile – iniziò Clarke, tenendo gli occhi fissi su quelli dell'altra – Io convincerò il Signor Murphy ad accettare le tue condizioni su suo figlio. Mi sembra un uomo ragionevole e credo capirà che non lo vuoi escludere, ma solo trattarlo come faresti con chiunque altro- propose decisa.

-Il Signor Murphy ha già fatto capire più volte quanto gli stai simpatica, quindi penso proprio tu possa riuscirci – annuì Lexa, aspettando ora la parte in cui lei sarebbe dovuta scendere a compromessi.

-D'altra parte tu accetterai di non licenziare nessuno per un periodo di prova di qualche mese – svelò la giovane, alzando un dito per fermare una risposta affrettata dell'altra – Hai ragione, hai fatto tutto con precisione e senza prendere nulla con leggerezza, ma non tutto quello che è sulla carta è effettivamente realtà. Magari uno che è diventato dirigente solo perché conosceva bene Alex Murphy in questi anni ha acquisito molta esperienza proprio per fare gli interessi di un amico; forse geometri incompetenti hanno progetti molto visionari e non vengono capiti, ma affiancati da qualcuno che veda le cose in modo diverso potrebbero dare di più di altri; ed è possibile che i capi cantiere con problemi di autocontrollo siano però i migliori a far funzionare un team. Allo stesso modo un impiegato impeccabile potrebbe rubare all'azienda di nascosto, la segretaria fidata potrebbe sputare nel caffè!- scherzò la bionda, aprendo le braccia – queste cose non le puoi sapere da un curriculum - concluse Clarke, osservando ora Lexa in attesa di una qualche reazione.

La donna ora stava facendo quello che sapeva fare meglio. Valutava la sua proposta, ma Clarke questo non lo sapeva.

-Potresti metterli sotto la supervisione di una persona fidata tipo Indra, o Lincoln ..capisco che tu sia impegnata..- cercò di continuare, non capendo perché Lexa non le dicesse nulla.

-Va bene, può andare- decise Lexa, annuendo un poco col capo.

-Davvero?- domandò Clarke spalancando un po' più gli occhi, quasi incredula di quella risposta. A Lexa scappò un sorriso.

-Sì, è una buona idea!- confermò, continuando a guardarla col sorriso sulle labbra. Clarke le rispose con un'espressione altrettanto gioiosa. Il loro sguardo fu legato ancora per alcuni secondi, che probabilmente apparirono davvero lunghi.

Ad un certo punto Clarke abbassò gli occhi, arrossendo confusa, senza nemmeno sapere perché le punte delle sue orecchie ora erano così rosse e calde.

-Bene, mi...preparo- mormorò indicando il suo pigiama per poi dirigersi verso il bagno. Lexa annuì, accoccolandosi ancora sotto le coperte mentre la vedeva allontanarsi, cercando di nascondere quel sorriso che non si voleva togliere dalle labbra.


 


 

Quando entrambe furono pronte scesero assieme le scale, camminando a fianco ma senza toccarsi, come se fosse più imbarazzante del solito. Era troppo tardi per la colazione, ma troppo presto per il pranzo quindi decisero di fare una passeggiata sulle rive del lago.

Prima di uscire dalla struttura Clarke si bloccò guardando la mano di Lexa, non sapendo che fare. Le riusciva più difficile comportarsi come aveva sempre fatto da quando sapeva di averla ferita. La sua titubanza fece però sorridere leggermente Lexa, la quale, senza nemmeno incrociare il suo sguardo, intrecciò le loro dita e prese a raccontarle del giorno precedente, dirigendosi verso lo specchio d'acqua.

Clarke senza volere arrossì, lasciando che, per una volta, fosse Lexa a guidarla e ad intrattenerla, ascoltando il racconto senza interromperla, spiandone il profilo e stringendo quella mano fredda che avrebbe scaldato con la sua.

Fu una passeggiata piacevole, con la brezza fresca che scompigliava loro i capelli di tanto in tanto, con lo starnazzare delle anatre di sottofondo, e la voce regolare di Lexa che Clarke credeva di non aver mai ascoltato così a lungo.

Ad un tratto la mora si bloccò, ponendosi di fronte a lei. Le afferrò una ciocca, sistemandola dal lato corretto del capo.

-Non ti sei ancora lamentata per la fame – mormorò, mantenendo il piccolo sorriso che dal mattino non l'abbandonava. Clarke sbatté ripetutamente le palpebre.

-No-Non volevo interromperti, però se vuoi andare sono più che d'accordo- rispose, attorcigliandosi i capelli con una leggera agitazione. La realtà era che il pensiero non l'aveva nemmeno sfiorata, stava bene così, sentiva di non aver bisogno di altro.

Lexa la guardò intensamente ancora per poco, poi annuì e le due ripercorsero i propri passi per raggiungere il loro solito tavolo dove avrebbero consumato il pranzo.

Appena giunsero i signori Murphy li accolsero calorosamente, esprimendo il loro dispiacere per non averle viste il giorno precedente all'escursione nel bosco. Le due si scusarono dicendo che avevano preferito una giornata in tranquillità. Come al solito le parole del Signor Murphy non finivano mai e, finché la moglie non lo costrinse a prendere posto al tavolo, continuò ad intrattenere le ragazze, invitandole al corso di musica che si sarebbe svolto al pomeriggio.

Lexa e Clarke mangiarono in tranquillità, ma, appena ebbero finito, i due signori proposero loro un'altra passeggiata nel bosco in cui il giorno precedente non erano state. L'uomo fece loro da guida, narrando tutto ciò che aveva imparato, come se ormai quel posto gli fosse noto quanto le sue tasche.

Dopo poco tempo solo Clarke era rimasta ad ascoltarlo dato che Marie, con una scusa, aveva allontanato Lexa per mostrarle alcune piante particolari.

-Ho parlato con Lexa di quello che mi aveva detto – iniziò ad un tratto Clarke, lasciando di stucco l'uomo, a cui non fu dato il tempo di replicare – lei non è stato del tutto sincero con me- disse fermamente la ragazza, puntandogli l'indice contro, ma il suo viso non era duro.

L'uomo prese a rigirarsi i baffi tra le dita, sbuffando.

-Lo so, mi scusi.. E' che volevo incuriosirla per discuterne con la Signorina Woods, non l'ho fatto con cattive intenzioni – disse, evidentemente mortificato.

-In ogni caso, penso di aver trovato un buon compromesso per entrambi – rivelò la giovane, sorridendo soddisfatta.

-Mi dica!- si affrettò lui, ora molto interessato.

-No! Ne discuterà con Lexa come si deve- negò la bionda, guardandolo però amichevolmente. Rimase un attimo interdetto, dopodiché scoppiò in una risata genuina.

-Ha ragione, è giusto così. Sa è che Lexa con lei è totalmente diversa, che mi sembra molto più facile farle arrivare una notizia o una decisione attraverso le sue parole piuttosto che le mie...- osservò l'uomo, continuando a camminare al fianco di Clarke – si vede proprio quanto è innamorata di lei, non torva?- domandò, voltandosi ora in cerca di un assenso della ragazza.

Clarke sbarrò gli occhi e arrossì tutto d'un colpo, affrettandosi ad annuire.

-Sa, vedere voi mi ricorda un po' me e Marie da giovani. Lei era così riservata, non parlava mai con nessuno.. mentre io, bé non sono cambiato molto d'allora, a parte nell'aspetto!- esclamò portandosi le mani sulla pancia e ridacchiando – ma quando era con me non le mancavano mai le parole. Mi raccontava delle sue passioni, dei suoi sogni e della sua giornata, anche se era stata noiosa. Insomma finiva che io stavo zitto, ci crede?? E si vede che allo stesso modo la Signorina Woods riserva certe attenzioni solo a lei e a nessun altro. La conosco da qualche anno e prima di vederla in sua compagnia mai avevo visto un sorriso su quelle labbra!- esclamò Alex, tenendo gli occhi fissi sulle donne davanti a lui.

Clarke ne fu molto felice, perché in quel momento il suo volto esprimeva molto più emozioni di quanto avrebbe voluto. Cercò di non pensare a quello che le era appena stato detto, ma non era così semplice. Ora la sua mentre si snodava tra tutti i ricordi di Lexa in compagnia sua o di altri, e non rammentava un momento di quella settimana in cui non avrebbe dato ragione al Signor Murphy. D'altro canto non capiva perché tutto ciò la scombussolasse a tal punto: dopotutto Lexa stava solo fingendo.. giusto?

Vide che la ragazza di voltò, cercando i suoi occhi e alzò un sopracciglio come a chiederle se tutto fosse ok. Clarke si affrettò a sorriderle e annuire, distogliendo lo sguardo subito dopo.

Mezz'oretta dopo la loro breve escursione si era già conclusa e i quattro si accingevano ad entrare nella sala dove si sarebbe tenuta la lezione di musica.

Diversamente dagli altri giorni l'affluenza non era altissima, ma sarebbe stato più gestibile per l'insegnante. Quest'ultima aveva portato tre tipi di strumenti : chitarre, violini e flauti. Avrebbe fatto un corso di base sullo strumento favorito dalla maggioranza.

La chitarra prevalse totalmente, ma Clarke notò che Lexa non aveva espresso preferenze. La donna iniziò a spiegare le basi sulla chitarra : il principio di funzionamento, cosa significava e perché era necessario accordarla, un breve ripasso nulle note e come impugnarla correttamente.

Dopodiché iniziò a far vedere come pizzicare le corde e come produrre una scala. Fece una veloce rappresentazione, poi invitò i partecipanti ad iniziare a ripetere quello che avevano appena visto fare.

Clarke ai tempi del liceo aveva preso lezioni di canto, ma non aveva mai imparato a suonare la chitarra. In ogni caso non se la cavava affatto male, la sua scala aveva un suono sensato rispetto a quello di molti altri. Si voltò poi notando con quanta facilità e destrezza Lexa aveva già eseguito il compito almeno due volte.

-La sai già suonare, questo è barare!- sibilò, guardandola storto. Lexa sorrise, scuotendo il capo.

-No, non so suonarla- disse solo, continuando a tenere gli occhi sulle corde. Clarke strinse le labbra e s'impegnò di più per riuscire ad eguagliarla, senza però effettivamente riuscirci. Al suo fianco invece il Signor Murphy rideva divertito perché sbagliava una nota sì e una no, un po' a causa delle dita ingombranti, un po' perché vedeva quanto questo facesse sorridere la moglie.

Continuarono a provare la scala finché più o meno tutti non erano arrivati ad averla svolta correttamente almeno due volte. In seguito, dato che voleva essere una lezione piacevole, l'insegnante fece provare loro alcune brevi canzoncine, fatte di poche semplici note ripetute. Insomma, alla fine della lezione la piccola orchestra di principianti era riuscita a ripetere uno di quei motivetti senza errori troppo gravi.

In generale comunque fu molo divertente e le due ragazze lo seguirono in allegria dall'inizio alla fine, anche se la bionda era “delusa” perché Lexa alla fine riusciva sempre meglio di lei con la chitarra.

Al termine l'insegnante si complimentò per l'impegno e la partecipazione e li invitò ad un piccolo buffet nella sala a fianco.

Ormai tutti erano usciti dalla stanza, anche Clarke e i signori Murphy erano sulla porta quando la bionda si accorse che Lexa non era al suo fianco.

Si girò e la vide ancora seduta sulla sedia, ma ora impugnava, in un modo che sembrava davvero abituale, un violino color mogano. La mora le lanciò uno sguardo veloce, trovando due occhi azzurri sorpresi ad osservarla, dopodiché iniziò a pizzicare le corde.

Clarke tornò verso di lei, iniziando a riconoscere quel ritmo famoso, mentre anche il Signor Murphy canticchiava a bocca chiusa, osservando la ragazza incuriosito.

-When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No I won't be afraid, no I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me iniziò ad intonare l'uomo a bassa voce, invitando la moglie in un ballo lento, mentre Clarke, ora seduta di fronte a Lexa, era incacata dai suoi movimenti fluidi e dal suono limpido dello strumento.

Ad un tratto gli occhi verdi della giovane s'intrecciarono col chiaro cielo delle iridi di Clarke, e lì rimasero, come se fosse impossibile spostarli da altre parti.

Mille pensieri le frullarono in mente. Si chiese perché Lexa lo stesse facendo, se la canzone era stata scelta o era quella che si ricordava meglio, perché fosse così difficile interrompere il loro contatto visivo e perché ora sentiva che la sua temperatura corporea era salita di qualche grado.

Come avrebbe voluto sapere leggere quella ragazza e capire le vere motivazioni che la muovevano. Ma no, Lexa non era mai facile da decifrare. Non lo era stata il giorno prima, quando era convinta che l'avrebbe cacciata per averle mentito, e non lo sarebbe stata oggi.

Rimase ammaliata per tutta la durata della performance, e, anche una volta che terminò, si destò solo quando sentì i coniugi applaudire e congratularsi con Lexa, la quale era visibilmente imbarazzata. Clarke aspettò che i due uscissero e le lasciassero sole, per alzarsi. Osservò l'altra riporre con cura il violino e l'archetto, per poi raggiungerla. Aveva un'espressione stranita, come se volesse indicare che non era successo nulla di strano. Clarke rise, abbassando il capo.

-Sei buffa... ma molto brava- mormorò la bionda, alzando ora gli occhi. Lexa arrossì e provò a ribattere, ma le parole le morirono in gola. Il viso di Clarke era così luminoso e allo stesso tempo lievemente arrossato. Gli occhi della mora corsero dalle sue gote al piccolo neo che le piaceva così tanto, poi e alla sue labbra, spostandosi però velocemente di nuovo nei suoi occhi.

Clarke sentì un'irrefrenabile voglia di eliminare quella distanza che le separava. Dovette usare tutte le sue forze per cacciare quel pensiero e togliere dalla mente certe idee.

Niente baci sulle labbra Clarke, è la regola! Si ammonì mentalmente. Prese un lungo respiro e afferrò la mano di Lexa, tirandola leggermente.

-Buffet?- domandò, cercando di allentare la tensione quasi palpabile. Lexa sbatacchiò le ciglia, poi annuì, come sollevata.

Le due passarono il resto del pomeriggio sul largo cortile davanti all'hotel in compagnia dei coniugi Murphy, i quali per la prima volta si permisero di fare domande a Lexa, chiedendole quali fossero i suoi interessi. Diversamente da quello che avrebbe creduto, la ragazza si sbottonò un poco. Clarke per tutto il tempo strinse la mano della donna tra le sue, osservando le lunghe dita affusolate che frequentemente Lexa legava con le sue, come per farle sapere che no, non si era semplicemente scordata una mano lì, ma che era esattamente dove voleva.

Cena e serata passarono altrettanto veloci e ben presto le due si trovarono sdraiate a fianco, nel letto.

-Oggi ho detto al Signor Murphy che hai pensato ad un nuovo accordo – disse Clarke, con la testa appoggiata al cuscino e lo sguardo su Lexa, la quale era sdraiata su di un fianco, voltata verso di lei.

-Bene, che ha detto?- chiese. A Clarke vennero in mente le considerazioni che l'uomo aveva fatto riguardo il loro rapporto, ma cercò di non esplicitarle sul suo volto.

-Voleva sapere di più, ma gli ho detto che ne dovrà parlare con te, giustamente – rispose la ragazza, sorridendo appena. Lexa le sorrise a sua volta.

-Ottimo, domani o dopodomani ceneremo con loro allora, per accordarci!– decise la donna. Clarke annuì, poi l'altra spense la luce.

-Buonanotte Clarke- sussurrò, con un fil di voce.

-Notte Lexa- rispose prontamente quella, girandosi e dandole la schiena. Si morse il labbro inferiore. Ancora due giorni. Due soli giorni. E poi? Terminati quelli che ne sarebbe stato di quello che era il loro..rapporto?!


 

Anche Lexa si voltò di lato. Due giorni. Sarebbe riuscita a resistere ancora per quarantotto ore? E dopo, cosa avrebbe fatto? Sarebbe davvero riuscita a lasciarla andare?


 


 


 

Hey :)

Allora per questo capitolo devo sottolineare due cose

-Adoro il violino, proprio tantissimo. La canzone è ovviamente "Stand By Me" di Ben E.King, se non l'avete mai sentita o siete davvero giovani, o non vivete sulla terra v.v Purtroppo non ho trovato in rete una performance che mi convincesse fino in fondo con solista violino, quella che mi è piaciuta di più è questa, se vi va di sentirla!

-Sì, lo so che molti si aspettavano il bacio, MA metterlo in questo capitolo non mi sembrava in linea con quello che ho fatto finora. Mi spiego : diversamente da Lexa, Clarke ha capito solo ora di provare qualcosa per lei e, dato che ho sempre voluto prendere tutto con calma, non volevo affrettarmi ora. Spero non mi odierete troppo ç_ç


 

Come al solito grazie ad ogni lettore e doppie grazie ai recensori <3

A presto,

Tem_93

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


~Capitolo 14~

Sabato, giorno 13


 

Ci sono delle mattine in cui non vorresti mai svegliarti, in cui preferiresti stare a letto tutto il giorno, a rigirarti tra le coperte, senza sforzare alcun muscolo; magari non aprire nemmeno gli occhi, estraniarti dal mondo come se non servisse altro che quel materasso e quelle lenzuola.

Ci sono poi altre mattine in cui invece avresti voluto destarti prima, in cui ti maledici per aver perso anche solo un minuto in stupido sonno, quei preziosi sessanta secondi in cui avresti potuto ammirare la persona al tuo fianco e viverla come se dormire e riposarti fossero l'ultimo dei tuoi bisogni.

La seconda opzione era sicuramente quella più adatta a Lexa in quel momento. Non era ancora suonata la sveglia, ma sapeva che non mancava molto.

Ciò significava che avrebbe potuto continuare a tenere Clarke appoggiata a sé ancora per poco, avrebbe potuto osservare il suo viso rilassato così vicino per qualche secondo ancora, avrebbe potuto essere inebriata dal suo profumo non per molto e, di certo, avrebbe dovuto smettere di carezzarle delicatamente il braccio il prima possibile.

Quando mancò un solo minuto richiuse le palpebre e posò la mano sul materasso.

Clarke aprì piano gli occhi quando la sveglia la disturbò. Ci mise un poco, ma appena si accorse di essere accoccolata sul fianco di Lexa si scansò velocemente, ringraziando il fatto che la mora fosse ancora nel mondo dei sogni che lei aveva abbandonato per prima.

-Buondì- mormorò Clarke, mettendosi a sedere, mentre si sistemava i capelli.

-Buongiorno- sussurrò Lexa, non riuscendo a nascondere un dolce sorriso imbarazzato.

-Dormito bene? - chiese la bionda, mostrandosi disinvolta mentre scendeva dal materasso e andava ad aprire la finestra.

-Molto- mormorò, felice che in quel momento gli occhi di Clarke non fossero nei suoi.

-Ottimo, perché oggi ci aspetta una luuunga giornata!- esclamò la ragazza, aprendo con un colpo secco le ante degli scuretti per poi essere inondata dai raggi solari.

Come ogni mattina passata in quella camera iniziarono a prepararsi, dividendosi a turno il bagno e lanciandosi sguardi di sottecchi senza però dire molto.

Clarke, appena fu pronta, si sedette sul letto ad osservare Lexa intrecciarsi i capelli in una delle sue fantasiose trecce . Era molto interessante e rilassante guardare come le sue dita esperte facessero scivolare le ciocche al loro posto, formando curve sempre diverse e ottenendo facilmente intrecci nuovi e particolari. Quando Lexa si girò fu un po' stupita di vedere due occhi azzurri fissi su di lei. Sbatacchiò le ciglia, come per riprendersi, e abbassò un poco lo sguardo.

-Intrecceresti anche i miei? - chiese Clarke, quasi senza accorgersene. Sì, lo aveva pensato altri giorni, ma le sembrava una cosa troppo intima da chiederle. In quel momento, però, non era proprio riuscita a trattenere le parole.

Lexa arrossì, forse indecisa sul da farsi. Ripensò all'ultima volta in cui aveva pettinato capelli non suoi e, senza contare Aden, la sua mente ritornò alla chioma nocciola di Costia. Ricordò che Clarke era ancora in attesa di una risposta, per cui annuì senza rimuginarci troppo, ottenendo in cambio un sorriso solare.

Si avvicinò alla ragazza, la quale le diede leggermente le spalle, per permetterle di lavorare meglio. Dopodiché afferrò i morbidi capelli color miele e iniziò a pettinarli, pensando a come acconciarli. Iniziò a far scorrere le sue dita, delicatamente, tra le ciocche di Clarke, cercando di non tirare mai troppo e di essere il meno fastidiosa possibile. Le era sempre piaciuto modellare i capelli in code, trecce e chignon.

Le tornò in mente quanto andò a prendere Costia all'aeroporto, dopo ben cinque mesi in cui era stata via per studi. La vide subito, in mezzo alla folla, col suo solito sorriso, un vestito a fiori e un cappello di paglia un poco sgualcito. Le corse incontro e notò immediatamente che i suoi capelli erano più lunghi che mai: li aveva appositamente lasciati crescere così che lei si divertisse a giocarci.

Si leccò velocemente le labbra, cercando di pensare ad altro.

A Clarke il tocco di Lexa faceva quasi solletico per quanto era leggero, ma era anche piacevole. La mora optò per qualcosa di semplice, ottenendo come risultato un piccola treccia che stava al centro di un'altra molto più grande ed allentata, la quale raccoglieva tutti i capelli.

Sistemò alcune ciocche ribelli e poi si allontanò un pelo dalla giovane. Clarke curvò il capo, sorridendole, per poi dirigersi allo specchio. Si rigirò un paio di volte, osservando l'opera completata.

-Grazie mille Lexa, è bellissima – mormorò, ammirando il proprio riflesso. Lexa guardò l'orologio, per nascondere il viso imbarazzato.

-Scendiamo? - chiese solo, avvicinandosi alla porta. Clarke le sorrise nuovamente, per poi raggiungerla, intrecciare le loro dita e precederla nello scendere le scale.

Diversamente dagli altri giorni non fecero colazione da sole. Quando arrivarono incontrarono proprio la coppia di signori a loro più familiare, i quali insistettero per stare in loro compagnia e chiesero al cameriere di preparar loro un tavolo da quattro.

Da un lato Lexa trovata davvero invadente i modi di fare del Signor Murphy, dall'altro le piaceva vederlo ridere e scherzare con Clarke quasi come fosse uno zio che non vedeva da tanto e aveva di tutto da raccontarle. Inoltre le evitava molti momenti in cui avrebbe potuto fare cose troppo avventate.

Dopo cornetti alla marmellata, yogurt e succhi di frutta i quattro si alzarono e Marie estrasse dalla borsetta il programma della settimana.

-Interessante, oggi si va in canoa!- squillò la donna, mostrando un sorriso entusiasta e provocando esclamazioni eccitate da parte del marito e di Clarke. L'unica che non espresse alcuna gioia in tutto ciò fu Lexa, ma non ci fecero troppo caso perché non aveva mai mostrato particolare interesse per alcuna attività, eccetto per il corso di cucina.

Clarke iniziò a raccontare di tutte le volte che era stata al lago con suo padre e di quanto fosse abituata a stare su una di quelle piccole imbarcazioni. Mentre narrava ciò, i quattro e altri ospiti si diressero verso le rive del lago dove effettivamente erano state preparate diverse canoe di colori tutti diversi.

Poco dopo alcuni membri dello staff assegnarono ad ogni coppia una barchetta, per cui le due si divisero dai coniugi Murphy. Clarke afferrò il giubbotto di salvataggio e se lo assicurò in modo istantaneo, controllando poi se Lexa avesse bisogno.

-Hey tutto ok? - le domandò, accorgendosi solo in quel momento di quanto Lexa si trovasse a disagio. Quella corrucciò le sopracciglia, chiudendo l'ultimo gancio sotto il suo petto, ma non rispose.

-Hey?- ripeté Clarke, inclinando di lato il capo per spiare il volto dell'altra.

-Tutto ok- bofonchiò, alzando il capo e guardando dritto, per poi incrociare le braccia.

-Hai paura dell'acqua eh? - domandò Clarke, avvicinandosi con un sorriso beffardo.

-No- borbottò Lexa, ancora con gli occhi fissi davanti a sé.

-Sicura eh? Perché hai proprio l'aria di una che sta sudando freddo dalla paura – continuò a stuzzicarla la bionda.

-No Clarke- ripeté secca Lexa, controllando però di non essere sudata, cosa che fece ridacchiare la bionda. Quest'ultima avrebbe voluto continuare a prenderla in giro, ma un ragazzo iniziò a mostrare le parti della canoa e quelle delle pagaie, per poi passare a spiegare come salire, remare e scendere.

Lexa pareva molto presa, per cui Clarke non se la sentì di disturbarla. Dopo una veloce prova pratica, il ragazzo si offrì di aiutare chiunque avesse bisogno per iniziare a mettersi in moto.

Clarke però, come aveva già sottolineato più volte, era un'esperta. Per cui prese la loro canoa gialla e iniziò a posizionarla in modo che fosse perpendicolare rispetto alla riva.

-Su, il posto a prua e tutto tuo!- disse, invitando Lexa a salire a bordo, mentre teneva ferma l'imbarcazione. La mora arricciò il naso, poi con molta attenzione, aggrappandosi ai bordi per non perdere l'equilibrio, si posizionò dove Clarke le aveva indicato. Quando fu stabile al suo posto, Clarke entrò a sua volta e si sistemò sul proprio seggiolino, iniziando poi a spingere con la pagaia per inoltrarsi nell'acqua.

La prima cosa che Clarke notò fu quanto Lexa non avesse capito come remare. Per cui scoppiò a ridere, la sbeffeggiò un po', ammirò i suoi bellissimi bronci e infine le insegnò come fare, mostrandole come e dove tenere la pagaia e in che modo spostare l'acqua. Ovviamente non ci volle molto perché Lexa capisse il tutto, e ben presto si ritrovarono ad essere quelle più avanti del gruppo.

Continuarono a remare, trovandosi ad una buona distanza dalle sponde del lago, sole tra cigni, papere e ninfee.

-Io e mio padre andavamo tutti gli anni in canoa. Una delle prima volte stavamo remando tranquillamente quando papà si accorse di un grosso pesce e me lo indicò. Chiaramente io non lo vidi subito, ma, curiosa com'ero, mi sbilanciai tanto che qualche secondo dopo eravamo in acqua entrambi- raccontò Clarke con un grosso sorriso, accorgendosi però di fare più fatica a spingere. Notò che la pagaia di Lexa era ferma e la ragazza quasi tremava.

-Lexa?- la chiamò, appoggiando l'asta all'interno. L'altra non rispose, ma Clarke notò il suo respiro leggermente accelerato. A quel punto si preoccupò, richiamandola con colpetti di indice sulla spalla per attirare la sua attenzione, ma nulla. Non rispondeva.

-Lexa, dimmi che c'è! Voltati lentamente, è tutto ok..- provò a dire, togliendole la pagaia dalla mano, sistemandola con la sua, e afferrandole un braccio per girarla verso di sé.

-No Clarke, e se ci ribaltiamo!?- mormorò quella, resistendo appena, ma trovando ora contatto visivo con la bionda.

-Hey, non ci ribalteremo. Tranquilla, va tutto bene- disse la bionda, con un sorriso e il tono più calmo che potesse usare. Lexa scosse il capo leggermente.

-Ma perché sono salita... non è l'acqua il problema, è non sapere cosa c'è dentro..non vedere il fondo ...lo so, è una paura irrazionale, lo so, non posso farci nulla ..io – mormorò freneticamente Lexa gesticolando.

-Calmati Lexa, non fa nulla. Adesso con calma torniamo indietro e..- provò a tranquillizzarla Clarke, prendendole le mani.

-Non so perché ho accettato di salire, non avrei dovuto.. è che sono un po' permalosa e tu mi prendevi in giro e io..- continuò Lexa, mentre il battito aumentava e quasi non riusciva più a prendere fiato.

-Io .. Clarke, voglio scendere, non voglio stare..-balbettò, stringendo le mani di Clarke temendo di non riuscire più a controllare il respiro.

Quando ad un tratto, effettivamente, non lo controllò più.

Ma la causa non era stato l'attacco di panico, oh no.

Qualcosa di peggiore, forse.

Era accaduto in un attimo. Clarke le aveva gentilmente posto le mani sul suo volto e poi era successo.

Aveva appoggiato le labbra sulle sue, dolcemente, e, lentamente, le aveva allontanate, ma non di troppo, giusto per controllare il suo respiro. Poteva sentire Clarke soffiarle leggermente sul labbro inferiore, ma nient'altro.

Tutto il resto in quel momento era svanito.

Tutto, tranne quelle labbra, che inaspettatamente si adagiarono nuovamente sulle proprie, ma nel momento in cui iniziò a rispondere a sua volta, si staccarono.

-Tutto ok? - chiese Clarke, cercando di nascondere quanto fosse stato difficile separarsi da lei. Lexa boccheggiò, persa nel cielo limpido delle iridi di Clarke. Annuì solo, confusa, per poi trovarsi in un affettuoso abbraccio.

-Scusa, non saremmo dovute venire in canoa- sussurrò la bionda. Quando sciolse l'abbraccio Lexa si voltò velocemente, riprendendo in mano la pagaia, aspettando che Clarke facesse manovra e le direzionasse verso riva.

Come falene che volteggiano disordinatamente intorno ad una luce, allo stesso modo i pensieri di Lexa vorticavano impazziti nella sua mente. Come faceva Clarke a sapere che si sarebbe calmata con quel bacio? Perché aveva interrotto il bacio proprio in quel momento? Cosa significava che non sarebbero dovute andare in canoa, che quel bacio non sarebbe dovuto accadere?

Nemmeno si accorse di essere ormai giunta sulla sicura riva del lago.

-Eccoci, sane e salve!- esclamò Clarke, già scesa, tendendole la mano. Lexa alzò gli occhi verso i suoi, e strinse la sua mano per aiutarsi ad uscire. Le si strinse un nodo in pancia notando quanto Clarke sembrava tranquilla quanto prima.

-Scusa Lexa- disse poi, subito dopo la bionda, stringendola a sé in modo inatteso – mi dispiace davvero tanto- mormorò, tra i suoi capelli. Lexa ormai non sapeva né cosa pensare, né cosa fare.

Clarke a sua volta era terrorizzata. Aveva costretto Lexa a fare una cosa che decisamente la metteva a disagio; inoltre, come se non bastasse, l'aveva baciata. Quando aveva visto quei due occhioni verdi nel panico aveva pensato a come farla sentire tranquilla, calma, al sicuro. E poi, poi il suo stupido cervello cosa le aveva suggerito? Di baciarla.

La cosa strana era che aveva funzionato.

E ora, cosa ne sarebbe stato di quel bacio rubato?

-Non..non fa nulla.- bofonchiò, accennando un mezzo sorriso mentre Clarke riprendeva le distanze.

-Potevi dirmelo che hai paura dei mostri marini!- scherzò poi la giovane, proponendole una faccia sciocca, nel tentativo di vederla sorridere serenamente.

-Io non ho paura dei mostri marini, è solo..- sussurrò Lexa, sistemandosi i capelli, imbarazzata da tutto quello che era successo.

-Ti chiamerò Nessie d'ora in poi!- decretò pimpante la bionda.

-Clarke!- la richiamò Lexa, sgranando gli occhi e assumendo la sua tipica espressione sconvolta. L'altra scoppiò a ridere, felice di ritrovare la solita Lexa sotto tutto quell'imbarazzo che l'avvolgeva, forse più pesante del giubbotto.

-Oh, Nessie cara, andiamo su- ridacchiò Clarke, afferrandole la mano e tirandola verso una meta a Lexa sconosciuta.

-Nessuno di chiama Nessie qui- borbottò la mora, seguendo l'altra che sorrideva serena. Questa si voltò con un sorriso sornione.

-Ah ah- annuì ridendo.


 

Si fermarono poco dopo, trovando una panchina affacciata sull'acqua. Vi si sedettero e iniziarono a chiacchierare, evitando però tutto quello che era successo dopo essere salite e prima di essere scese dalla canoa. Lexa era completamente tornata in sé, dopo aver soppresso tutte le emozioni che l'avevano sconvolta poco prima. Allo stesso modo Clarke cercava di mostrarsi il più tranquilla possibile, ma in realtà non riusciva a pensare ad altro se non ad un paio di labbra soffici e profumate.


 

Nel pomeriggio era stato programmato un torneo di scacchi. Clarke non si stupì del fatto che a Lexa piacesse giocarci, per cui entrambe si iscrissero e furono smistate nei diversi tavoli quando iniziarono le partite.

Fu un bene per entrambe probabilmente, perché così facendo passarono il pomeriggio lontane. Lexa si concentrò totalmente sul gioco, mentre Clarke, senza dire nulla all'altra, lo abbandonò dopo una sola partita. Si alzò, avvicinandosi all'ingresso della struttura e guardò i tavolini in cui gli ospiti si stavano sfidando. Come un magnete i suoi occhi finirono subito su di una schiena familiare. Istintivamente avvicinò l'indice al labbro inferiore, sfiorandolo. Poi entrò.


 


 


 

-Scacco..- mormorò Lexa spostando la sua pedina – matto.-.

-Accidenti, come ho fatto a non notarlo!- esclamò l'uomo di fronte a lei, dandosi un buffetto sulla fronte. Si congratulò poi con lei, stringendole la mano. Un cameriere le porse una coccarda rossa e azzurra con un grande “1” stampato sopra. Lo ringraziò e iniziò a guardarsi in torno alla ricerca di una testolina bionda.

Dopo aver scrutato tutte le persone che aveva intorno fu certa che Clarke non fosse lì. Corrugò le sopracciglia, tra l'infastidita e la preoccupata, ed entrò nell'hotel per controllare se fosse nell'atrio interno. Nulla nemmeno lì. Si affrettò a risalire le scale per controllare nella camera.

Aprì la porta e trovò le luci accese, ma non sentì alcun movimento.

Poi vide che sul tavolino c'era un foglietto rosso, piegato in due. Lo afferrò e lo aprì immediatamente.
 

Vai in camera, chiudi la porta dell'anticamera (e non toccarla più!!!!) e fatti una bella doccia.
A dopo Nessie ♥
Clarke

 

Lexa roteò gli occhi, ma col sorriso sulle labbra. Entrò nella camera, fissò la porta, indecisa sul da farsi. Poi la chiuse.

Si stava asciugando i capelli quando sentì i primi rumori provenire dall'anticamera. Scattò quasi per andare a vedere, poi ricordò le istruzioni del foglietto.

Attese diversi minuti, mentre la curiosità aumentava, ma la porta rimaneva ancora chiusa. Sentì rumori di posate, piatti e di poche parole scambiate tra voci troppo basse per essere riconosciute.

Infine notò la maniglia muoversi e la figura di Clarke, radiosa, si stagliò davanti ai suoi occhi.

-Nessie!- squillò Clarke sorridendo a trentadue denti, riuscendo subito a provocare una vampata d'ira nell'altra. Ma Lexa non riuscì a controbattere che la bionda le era già arrivata di fianco e le aveva afferrato la mano, trascinandola fuori dalla camera.

-Ta daaan- esclamò Clarke, allargando le braccia per mostrarle il tavolino allestito per una cena per due. Vi erano due piastre di copertura a cupola argentate che nascondevano la portata principale, poi c'era un carrellino coperto sul quale probabilmente stava il resto. Doppi calici esano stati preparati per ciascun posto e al centro della tavola si ergevano una bottiglia di acqua fresca e un'altra, più scura, che sicuramente non conteneva nulla di analcolico. Ciliegina sulla torta erano le due candeline profumate e già accese.

-Ti ho preparato la cena! Tu l'hai preparata a me e ora posso dire di aver ricambiato!- svelò Clarke, osservando curiosa la reazione di Lexa.

-Tu?- chiese, guardandola confusa.

-Sì. Ho dovuto un po' bisticciare con chef e cuochi perché gli ospiti non possono accedere alle cucine e tanto meno cucinare. Maaa, alla fine ce l'ho fatta- ammise, sistemandosi i capelli tutta tronfia. Lexa sorrise, immaginando la scena e pensando che nemmeno uno chef grosso e burbero era riuscito a placare quel tornado biondo.

-E quindi cosa mi ha preparato, di grazia? - domandò la mora, alzando un sopracciglio.

-Eh!- squillò l'altra, avvicinandosi poi ad alzare le due cupole, svelando la cena.

-Hamburger alla Griffin! Un favoloso e sprizzante mix di manzo, cheddar, insalata, cipolle, bacon e ketchup!- rivelò, spostando la sedia ed invitando Lexa ad accomodarsi. La mora sorrise, sedendosi e aspettando che anche Clarke prendesse posto.

-E sei obbligata almeno almeno a bere...tre bicchieri di vino rosso, perché se no non è la stessa cosa- assentì la bionda, apprestandosi a stappare la bottiglia.

-Clarke, ti ho già detto di essere astemia- precisò la ragazza, scuotendo leggermente il capo. Clarke sorrise annuendo.

-Appunto, vedi, sono qui io per rimediare!- affermò, facendo saltare il tappo e versando il liquido scuro nei due calici.

-No!- disse decise l'altra. Clarke le rivolse l'espressione più triste del suo repertorio, facendo anche tremolare il labbro inferiore. Lexa scoppiò a ridere, muovendo però l'indice davanti a sé in segno negativo.

-Facciamo un patto: due bicchieri e non ti chiamo più Nessie!- propose la ragazza, sfoderando la sua miglior faccia da poker. Lexa, portò la mano sotto il mento, osservandola con gli occhi a fessura. Clarke però resse lo sguardo, iniziando a muovere su e giù le sopracciglia per farla ridere. Alla fine Lexa alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

-E sia!- si arrese, sospirando. Clarke esultò alzando le braccia al cielo, per poi afferrare il bicchiere in mano, aspettando che la mora facesse lo stesso.

-Cin cin- trillò, facendo scontrare i due calici prima di portare il proprio alla bocca. Tenne però gli occhi fissi su Lexa. Questa portò il bicchiere sotto al naso, annusò la bevanda mostrando una faccia poco convinta, infine bevve un bel sorso. Appena sentì il gusto frizzante arricciò il naso e le sopracciglia, cosa che divertì assai la giovane che aveva di fronte.

Iniziarono poi la cena, e Lexa dovette subito ammettere che la cuoca era stata davvero brava. Finì il suo primo bicchiere di vino, tra risate e sguardi fin troppo prolungati, con la voce di Clarke che narrava di tutto e di niente. Poi finì il secondo, e anche il terzo che la bionda le aveva riempito in un momento di distrazione.

Il carrellino portavivande celava solo il dessert : ovviamente tiramisù.

-Lo so che è bruttino, ma è molto buono!- si affrettò a precisare Clarke, agitando l'indice davanti a sé.

-Ma che schifo, ci hai pucciato il dito- si lamentò Lexa con una voce stranamente squillante, osservandolo da vicino.

-E' chiaro, altrimenti come sapevo che era buono!- disse quella, scrollando le spalle e infilando nuovamente il dito nella crema chiara. Lo portò poi vicino al volto di Lexa, proprio davanti alla sua bocca. Quella arrossì oltremodo, mentre il vino decorava nella sua mente scene che certo non andavano bene. Clarke rise, spostando il dito sul naso, sporcandoglielo.

Lo mangiarono dalla ciotola, con due cucchiaini, e finì nel giro di poco. Dopodiché le due ragazze si spostarono in camera, dove Clarke accese la tv.

Lexa si gettò sul letto, come ci si butterebbe sulla neve, aprendo gambe e braccia, ma tenendo gli occhi sempre puntati sulla ragazza seduta a gambe incrociate al suo fianco, assorta nello zapping.

-Clarke, sei mai stata l'infinito di qualcuno ? - domandò ad un tratto, ignorando totalmente i suoni provenienti dallo schermo. Clarke puntò lo sguardo sulla giovane.

-Cosa significa? - domandò, alzando un sopracciglio e sorridendo, sdraiandosi poi di fianco a lei.

-Costia mi diceva sempre che ero il suo infinito – disse Lexa, fissandola come se le avesse appena dato la spiegazione più chiara al mondo.

-Potresti gentilmente provare a scendere un po' più nel dettaglio? Magari..- la invitò Clarke, continuando a non capire. L'altra fece una faccia un po' scocciata, come una bambina che deve ripetere ad un adulto concetti da bambini.

-L'infinito è infinito. Non ha limiti. - iniziò, muovendo le mani sulla coperta – e diceva che io ero il suo infinito, perché c'era sempre qualcosa di nuovo da scoprire in me, per lei non avevo limiti, e allo stesso modo non c'era limite nemmeno all'affetto che provava per me. E lei era il mio infinito – rivelò la mora, tenendo sempre lo sguardo fisso su Clarke.

La bionda sgranò gli occhi, assorta, e arrossì. Lexa le aveva appena detto una delle cose forse più preziose per lei,le aveva parlato di Costia, che doveva essere la sua ex fidanzata e le aveva appena motivato quel piccolo tatuaggio che aveva sul collo. Era tutto merito dell'alcool?

-No, non sono mai stata l'infinito di nessuno- ammise la bionda, abbassando gli occhi. E no, nessuno era stato il suo infinito. Sì, aveva avuto delle storie serie, ma sapeva di non aver mai provato il vero amore, quello dei libri e dei film. Anzi, credeva nemmeno esistesse, eppure da qualche giorno aveva iniziato a dubitarne.

Lexa le mostrò un'espressione delusa. Avrebbe voluto dirle che era una cosa triste, perché lei era una persona davvero tutta da scoprire e si meritava qualcuno che l'amasse quanto Costia aveva amato lei. Eppure non disse nulla di ciò, perché i suoi occhi si erano ormai persi, ammaliati dalle labbra rosee della ragazza e da quel piccolo neo che sembrava disegnato. Clarke non era lontana, con una leggera spinta avrebbe potuto ripetere quello che era successo la mattina sulla canoa.

Ma a lei sarebbe andato bene? Non lo sapeva.

La paura di mancarle di rispetto vinse anche la spinta del vino, e si voltò dall'altra parte, avvampando.

Clarke la osservò senza capirla. Poi si alzò, prese il pigiama e s'infilò in bagno per cambiarsi, suggerendo a Lexa di fare altrettanto. Una volta che entrambe ebbero cambiato i vestiti e lavato i denti si misero a letto.

-Non pettini i capelli? - domandò Clarke, notando che per la prima sera Lexa non aveva rispettato la sua routine. Lexa abbassò le spalle.

-Non mi va- borbottò, guardandola come a convincerla che andava bene così. Clarke rise, scuotendo leggermente la testa. Afferrò poi la spazzola e le si sedette dietro, tirandola appena per posizionarla nel modo a lei più comodo. Lexa sbuffò, proprio come una bambina svogliata.

-Stamattina tu hai pettinato i miei. Oggi sono in vena di ricambiare favori – sussurrò solo, iniziando a sciogliere gli intrecci delle ciocche castane, stando ben attenta a non farle male. Lexa la lasciò fare, chiudendo gli occhi nell'attesa che finisse.


 

Appena la mora si sdraiò si addormentò, dando la schiena all'altra. Clarke, a differenza sua, non aveva alcun sonno, ma si coricò ugualmente al suo fianco, osservando la ferma figura di fronte a sé.

Quella era la loro ultima notte insieme.

Ripensò alla prima e non poté fare a meno di pensare che il loro rapporto era decisamente mutato da quel giorno, così come i suoi sentimenti.

Quando l'aveva vista la prima volta aveva pensato che mai le sarebbe potuta piacere una persona tanto fredda e distaccata. Imparando a conoscerla meglio aveva capito che forse come amica non sarebbe stata male, sicuramente sapeva ascoltare molto più di altre persone. Poi aveva capito che doveva anche essere un'amante sincera e dolce, ma comunque non il suo tipo.

Finché non aveva realizzato che probabilmente non avrebbe mai trovato un'altra persona tanto adatta a lei quanto Lexa.

Perché Lexa era tutto ciò che le mancava e tutto ciò di cui non sapeva di aver bisogno.

E lei? Lei cos'era per Lexa?



 


 

 

Hey hey hey :)

  1. Scusate tantissimo per il ritardo. Lo so, ci ho messo davvero più del solito, ma esami, lavoro e pochi giorni di vacanza tolgono tutto il tempo al resto. Mi spiace davvero :(

  2. Se avete notato, all'inizio ho inserito un riferimento al numero di giorni passati insieme e alla giornata. E' stato un suggerimento mooolto carino e apprezzato di blu panda che ringrazio tanto ♥ Concordo con lei nel pensare che rende più chiaro ambientarsi temporalmente. Appena avrò tempo sistemerò anche tutti i precedenti!

  3. Questo è uno dei primi capitoli che ho pensato. Certo, non era proprio simile quando l'avevo immaginato, però comunque ci sono già un po' affezionata.

  4. Questo capitolo è molto strano xD Succedono molte, forse troppe, cose. Probabilmente non condividerete la scelta del bacio che, ahimè, non è certo quello che vi aspettavate. Ma in the 100 una delle cose che ho più amato è stato il primo bacio rubato, per cui volevo che stavolta fosse Clarke a rubarne uno :)

  5. Ultimo punto, ma in realtà il più importante, grazie mille a tutti voi che leggete, preferite e soprattutto recensite questa storia. Davvero, siete troppo gentili ;)

Scusate i commenti prolissi e tutti gli errori che vedete.

Un grazie ancora a tutti!

A presto,

Tem_93


 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


~Capitolo 15~

Domenica, giorno 14


 

Il battito del cuore contro la schiena.
Il respiro lento e regolare sul collo.
Capelli biondi persi nei propri.
Un accogliente tepore contro il corpo.

Furono le prime cose che Lexa notò appena abbandonò il mondo di Morfeo. O forse stava ancora sognando? Qualsiasi cosa fosse, non voleva che avesse fine. Voleva rimanere lì, accoccolata tra le braccia di una Clarke che dormiva beata, con la sua mano che le cingeva il fianco, il suo viso appoggiato tra l'incavo del collo e la spalla, le loro gambe che si sfioravano appena.

Allo stesso tempo si sentiva come una ladra, come se stesse usufruendo di qualcosa che non le apparteneva, che non le spettava.

Quello era l'ultimo giorno all'hotel. Si domandò se fosse anche l'ultimo in cui avesse visto Clarke.

Lei non lo sapeva. Ogni tanto le parole di Anya le tornavano in mente e in quei momenti dubitava di conoscere i sentimenti della ragazza. Ora che aveva chiaro i propri nei suoi confronti, non aveva la minima idea di quello che Clarke provasse. Aspettava qualcosa, un segno, un gesto, una conferma che le sottolineasse che Clarke non si stesse solo comportando d'amica o da “dipendente”. Che anche lei volesse qualcosa di più. Chiederlo sarebbe stato troppo?


 

Quando Clarke si svegliò era sola nel letto. Quell'ultimo mattino le era stato negato anche di vedere Lexa svegliarsi e fare quelle facce buffe e assonnate. Sentì l'acqua scorrere e si alzò, dirigendosi verso il terrazzo. Lasciò che l'aria la cullasse e portasse via i suoi pensieri amari.

Sorrise appena, spostando con una mano le ciocche mosse dalla brezza, ripensando alla prima volta che aveva messo piede su quelle mattonelle nocciola, solo con quella maglietta-pigiama addosso, proprio come in quel momento. Poi la prima sera passata a guadare le stelle assieme a Lexa. Infine quel giorno in cui era rimasta lontana da lei, in cui l'unico che le aveva tenuto compagnia era stato proprio quel balcone.

Stava diventando troppo sdolcinata, pensò alzando gli occhi e al cielo, prima di rientrare.

Finita la doccia Lexa rientrò nella camera, salutò la giovane, ma non ci fu nessuna battuta, nessuna parola di troppo. Seguirono la solita routine e ben presto si trovarono sedute al fianco dei coniugi Murphy per la colazione. Ormai erano abituate ai monologhi di Alex, il quale sembrava avesse sempre le tasche piene di argomenti facili da seguire ed utili per distrarsi.

-Allora oggi cosa c'è in programma? - domandò ad un tratto Clarke, ora che la colazione giungeva al termine.

-Un segreto!-.

-Una sorpresa!- esclamarono quasi in coro i due signori, scoppiando poi a ridere. Lexa alzò un sopracciglio mentre Clarke sorrise stranita.

-Vedrete tra poco- concluse il Signor Murphy strizzando l'occhiolino alle giovani.

Appena Clarke vide alcuni membri dello staff iniziare a portare tele e pennelli e a posizionarli nel prato non capì subito. Lexa sì. Sorrise e gli occhi quasi le brillavano quando incontrarono quelli azzurri dell'altra. Questa fece un'espressione confusa, come a chiederle spiegazioni.

-Dopo di lei, insegnante- disse Lexa, alzandosi e facendole gesto di precederla. Clarke si alzò guardandosi intorno, continuando a non cogliere il senso di quello che stava accadendo.

-Ci ha parlato così tanto della sua passione che, dato che oggi non c'era in programma alcun corso, abbiamo pensato che potesse farne uno di pittura!- rivelò finalmente Alex, arricciandosi i baffetti allegro. Clarke scoppiò in una mezza risata agitata.

-Ahaha..anche no- borbottò arrossendo e grattandosi distrattamente il capo.

-Ormai è tutto pronto, cara!- le fece però notare Marie, sollevando le spalle.

Lexa trattenne un risolino, ma Clarke si accorse di quanto fosse divertita. Non si aspettava però che in quel momento le prendesse la mano e la stringesse, guardandola intensamente.

-Andrai benissimo, ne sono sicura- affermò solo, decisa.

-Ma Lexa io..- provò a ribattere, trovando così difficile non perdersi in quei pozzi verdi.

-E' quello che ami- mormorò l'altra, facendole poi un cenno nella direzione delle tele.

A Clarke bastò. Forse perché veramente era quello che amava fare, forse perché gliel'aveva detto una persona che in quel momento le avrebbe fatto fare di tutto, soprattutto se usava quel tono amorevole. Fatto sta che si incamminò, sola, verso la postazione più lontana e centrale. In poco tempo alcuni ospiti presero posto nelle altre e ben presto almeno una ventina di occhi attendevano che quella ragazzina, un po' spaventata ed impacciata, iniziasse a dir loro qualcosa.

Clarke ripensò ai giorni precedenti, cercò di ricordare come avevano introdotto i corsi a cui aveva partecipato. Dal generale al particolare, se non errava. Eppure a lei i dettagli erano sempre piaciuti, ma come partire da quello? . Mentre faceva mente locale cercò qualcosa che fosse stato comune al corso di cucina, a quello di musica e quello di canoa. Rimuginò qualche secondo prima di trovarlo, anche se forse non era proprio la risposta giusta. Guardò la sua risposta negli occhi, che erano lì come ad aspettarla. Sorrise e abbassò lo sguardo, poi iniziò a parlare.

Partì dai pennelli, poi passò ai colori, alla tavolozza, alla tela. Inizialmente era visibilmente agitata, gesticolava e sospirava molto. Poi, pian piano, le parole iniziarono a fluire morbide, senza ostacoli e si trovò a parlare della sua passione con facilità e col sorriso sulle labbra. Quando il suo pennello iniziò a muoversi sulla tela fu forse ancora più facile mostrare come impugnare e come farlo scorrere.

Forse non fu accademica come chi l'aveva preceduta, ma in ogni caso rese molto interattiva la lezione. Diverse persone la chiamarono, chi per chiederle aiuto, chi per spiegazioni, chi per curiosità o per sapere di lei. Le domandarono se fosse un'insegnate, un'artista famosa, se avesse una galleria propria. Arrossendo ad ogni domanda rispondeva solo che era semplicemente una sua passione, ma non era mai stato, sfortunatamente, il suo lavoro.

Quando fu libera si avvicinò a Lexa, cercando di coglierla di sorpresa, invano. La mora stava dipingendo tranquillamente un ambiente simile a quello in cui si trovavano. Vi era un cielo limpido e una serie di conifere stilizzate che componevano un fitto bosco. Non era nulla di eccezionale, ma non le dispiaceva.

-Mi piace- mormorò, aspettando che Lexa raggiungesse i suoi occhi. Ma non accadde, la ragazza tenne lo sguardo fisso sul disegno, continuando a muovere la mano delicatamente.

-Sono due elementi opposti, contrastano tra di loro, non si intrecciano mai.. ma neanche si separano- mormorò, criptica, voltandosi solo in quel momento per cercare il cielo degli occhi di Clarke. Questa ebbe un sussulto.

-Non sono d'accordo. Non si intrecciano se visti dall'esterno, ma... immagina ora di essere la foresta – disse Clarke, senza interrompere il contatto visivo, notando però le gote di Lexa farsi più rosse – saresti sempre immersa nel cielo - le fece notare, sorridendo e pensando che forse, per una volta, aveva avuto la meglio su Lexa Woods.

La mora provò come ad chiederle qualcosa, ma Clarke fu chiamata da Marie. Lexa scrollò il capo, come se non fosse importante e le fece cenno di andare. La bionda assentì malvolentieri, apprestandosi a raggiungere la sorridente signora.

Lexa si voltò verso la propria opera incompiuta. Poi prese un po' di azzurro e lo inserì discretamente tra i suoi alberetti verdi.


 


 

Il pranzo lo passarono ancora una volta in compagnia di Alex e Marie, ma questa volta con uno scopo ben preciso.

-Marie, ora mi dovrà scusare, ma vorrei parlare qualche minuto con suo marito. Di affari- intervenne Lexa appena Clarke e Alex conclusero uno dei loro soliti discorsi sullo sport. La donna si corrucciò un poco e provò a dire qualcosa ma Lexa alzò appena una mano, come per fermarla – sarò breve, lo prometto!- aggiunse, calma, accennando un sorriso. Marie ammorbidì l'espressione, annuendo per accontentare la ragazza.

Il Signor Murphy si sistemò sulla sedia, voltandosi più comodamente verso la giovane amministratrice.

-Mi dica- la invitò a parlare.

-Clarke mi ha riferito che sarebbe ancora interessato alla mia offerta a patto che io accetti le sue condizioni. - iniziò lei, aspettando qualche reazione dall'uomo.

-Sì, esattamente- annuì l'uomo, trovandosi in leggero imbarazzo sotto lo sguardo della moglie che non ne sapeva nulla.

-Non licenziare nessuno dei suoi dipendenti e tenere un posto, potremmo dire riservato, per suo figlio. Mi sbaglio? - procedette Lexa, guardandolo fisso.

-Sì, diciamo che si possono riassumere approssimativamente così- non negò lui.

Clarke osservò come la ragazza fosse entrata nella sua parte di squalo. Posizione composta, testa ritta e volta verso il suo obiettivo, sguardo glaciale, parole ferme e puntuali.

-Ha avuto ragione a passare per Clarke, alla fine mi ha consigliato una soluzione che trovo equa per entrambi – disse inaspettatamente Lexa, senza cercare gli occhi della giovane, anche se avrebbe voluto spiare la sua reazione. Quella infatti avvampò, scostando immediatamente lo sguardo e prendendo da bere. Di certo non si sarebbe aspettata di ricevere tutti i meriti, non dopo il modo in cui si era comportata con Lexa.

-Mi dica, sono proprio curioso! – disse l'uomo, prendendo a giocare con i baffetti, attorcigliandoli.

-Accetterò entrambe le sue richieste, ma in modo limitato. Dei suoi dipendenti nessuno verrà licenziato per un periodo di prova di quattro o cinque mesi. Saranno seguiti e affiancati e alla fine di tale fase verrà licenziato solo chi sarà giudicato inadeguato. Se tutti saranno ritenuti validi allora la sua condizione sarà soddisfatta a pieno – iniziò la donna, prendendo una pausa per lasciare assimilare l'informazione all'imprenditore.

Alex massaggiò il mento con la mano, abbassando lo sguardo in riflessione.

-Penso sia un buon compromesso. - annuì poco dopo, cercando anche il consenso della moglie. Quella gli sorrise appena, tranquillizzandolo. -Capisco le sue preoccupazioni, ma mi fido dei miei dipendenti e in quel periodo di prova so che si meriteranno il posto. – aggiunse, come per ribadire la sua approvazione.

-Ottimo- affermò decisa Lexa, senza però sorridere o esprimere alcun altra forma di allegria – Per la questione di suo figlio io non ho intenzione di trattarlo come un privilegiato. Studierà, farà dei tirocini, lavorerà duro e quando se lo meriterà otterrà qualsiasi posto gli spetti. Ma non metterò a dirigere una filiale un musicista. Credo non lo farebbe nemmeno lei, se non fosse suo figlio. – rivelò Lexa, senza provare nemmeno ad ammorbidire la pillola.

Il Signor Murphy ridacchiò un poco, grattandosi il capo, ma evase momentaneamente una risposta.

-Ha ragione, la sua argomentazione è più che corretta- si intromise Marie, sorridendo alla giovane – E' giusto che raggiunga i suoi traguardi onestamente, con sforzo e merito come ha fatto il padre a suo tempo – concordò la donna, voltandosi poi verso il marito. Alex le rivolse un sorriso amorevole, grato di poter sempre contare su di lei.

-A quanto pare il capo ha deciso, è una donna fortunata Miss Woods!- scherzò l'uomo, ridendo allegramente.

-Allora abbiamo un accordo- affermò, mentre le si dipingeva un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Alex annuì, allungandole una mano.

-Abbiamo un accordo!- sancì, stringendo saldamente la mano della giovane. Solo in quel momento la mora si voltò a cercare i suoi occhi azzurri preferiti, trovandoli sorridenti e brillanti. Clarke le afferrò una mano, portandola alle labbra per lasciarle un bacio sul dorso.

-Complimenti tesoro- sussurrò, senza interrompere il contatto visivo. Lexa sorrise e annuì, aumentando la presa sulla mano di Clarke e guardandola in un modo così colmo d'affetto che anche un cieco avrebbe capito quello che provava nei suoi confronti.

Conclusero il pasto in allegria, continuando a chiacchierare e ricordare i bei giorni di quella vacanza ormai giunta al termine.

Nel pomeriggio Lexa dovette allontanarsi da Clarke per qualche ora, decisa a recuperare chiamate e mail da troppo ignorate. Le aveva sempre rimandate per poter passare più tempo possibile con la bionda, ma ora aveva bisogno di prendersi i propri spazi per cercare di abituarsi a non averla sempre con sé. Dopotutto, a meno che Clarke non le avesse fatto capire qualcosa prima della loro separazione, quella sera si sarebbero salutate probabilmente con un addio.

Certo non era assolutamente quello che voleva, ma non sapeva quanto di quello che avesse fatto Clarke in modo romantico fosse reale, non le aveva mai dato una conferma che si potesse dire non inscenata per qualche spettatore. Tutte le volte in cui le era stata più vicina era successo in pubblico, mentre quando si erano trovate sole in camera non si era comportata diversamente da un'amica. Probabilmente provava affetto per lei, ma non era dello stesso tipo di quello di Lexa.

No, non voleva essere sua amica, non ce l'avrebbe fatta. Già era stato difficile trattenersi in quei pochi giorni; vederla nuovamente in modo occasionale e senza una buona scusa per stringerla a sé l'avrebbe probabilmente fatta impazzire. Inoltre non voleva forzarla, non voleva metterla in condizioni da provare compassione per lei. Se doveva succedere qualcosa l'avrebbe deciso Clarke e nessun altro.


 



 

Clarke era sdraiata su un lettino a prendere il sole. Lexa le aveva consigliato di passare un po' di tempo alle terme mentre lei era occupata e le era sembrata una buona idea. Aveva fatto un bagno veloce, prima che i suoi ricordi corressero al primo giorno passato all'Hotel Atlantis, al lettino su cui era sdraiata Lexa col suo tablet in mano, al suo costume nero che le fasciava il fisico asciutto, alla sua espressione sconvolta quando le aveva dato uno schiaffetto sul sedere, alla sua esitazione ad entrare in acqua e al tempo in cui erano rimaste abbracciate a farsi cullare dall'acqua e dal vento. Si ritrovò a sorridere come un ebete, quando venne interrotta dallo squillo del suo cellulare.

Immaginò fosse suo padre, eventualmente Octavia o Raven, ma il numero che apparì sullo schermo era sconosciuto.

-Pronto- rispose prontamente, curiosa.

-Buongiorno Miss Griffin- rispose una voce fredda e lontana, che la ragazza attribuì subito a Indra.

-Buongiorno- accennò lei velocemente, corrugando le sopracciglia. Cosa voleva?

-La chiamo per comunicarle che stasera, dopo essere atterrate a New York, verrà scortata a casa da Will. Il pagamento lo riceverà domani mattina. La verrò a trovare per pranzo e le consegnerò io stessa l'assegno con la somma pattuita. - affermò decisa la donna. Clarke deglutì. Quelle parole la fecero sentire improvvisamente sporca e falsa.

-Le ricordo che da domani in poi non dovrà più avere alcun contatto con l'azienda, con me e sopratutto con Miss Woods, a meno che non sia richiesto nuovamente il suo servizio. Sottolineo nessuna mail, nessuna chiamata e assolutamente non si presenti alla Woods Corproration. Le ricordo che se non dovesse rispettare questo ci saranno delle conseguenze.- precisò la donna, veloce e affilata con un coltello.

-Ce-certo- assentì Clarke.

-Ottimo, buona giornata- concluse Indra, chiudendo la chiamata.

Clarke allontanò il cellulare da sé, come se fosse esso l'artefice di quel malumore che le aveva portato la chiamata. Era stata Lexa a chiederle di fare quella chiamata? No, era impossibile, non lo voleva credere, sicuramente Indra stava solo cercando di proteggere il proprio capo.

Si rannicchiò su sé stessa, abbracciando le gambe e trattenendo le lacrime. Quei soldi non li voleva, ora come ora la disgustavano. Certo le sarebbero serviti per aiutare suo padre, ma dall'altro canto l'avrebbero allontanata dall'unica persona che in quel momento avrebbe voluto per sé .

Eppure Lexa non era così, in quei giorni avevano costruito qualcosa, qualcosa che non si può chiudere in un cassetto e non riaprire più. E se il problema fosse stata proprio lei? Forse Lexa considerava finzione ogni suo gesto, forse non aveva capito quanto vero fosse tutto quello che aveva fatto in quei giorni. No, non voleva lasciare quei dubbi in sospeso, quella sera era necessario farle capire che lei non avrebbe voluto mettere nulla in quel cassetto, che lei avrebbe voluto tenere tutto sempre con sé e continuare a collezionare ricordi insieme per giorni e giorni a venire.


 


 

Quando tornò in camera Lexa non c'era, al suo posto però stava un biglietto in bella mostra.

Vestiti elegante, stasera c'è un concerto d'orchestra.
Noi ci vediamo direttamente a cena. A dopo Clarke :)
Lexa

Sorrise nel vedere la faccina sorridente, che stonava tra la calligrafia elegante della donna. Piegò il foglietto, mettendolo tra le sue cose, per poi aprire l'armadio per scegliere il vestito da indossare.

Notò sul letto un completo preparato probabilmente per la sera, nero con una camicetta verde. Sorrise pensando a quanto fosse prevedibile in certe cose la donna.

Fece una doccia veloce, si truccò con cura e indossò un vestito verde, per abbinarsi alla compagna, il quale lasciava gran parte della schiena scoperta e scendeva morbido adattandosi alle sue curve. Cercò di sistemare i capelli in qualche acconciatura diversa dal solito, ma alla fine si arrese al fatto che non era assolutamente in grado di fare qualcosa che Lexa potesse apprezzare. Per cui decise per la cosa più semplice, lasciandoli sciolti.

Scese dalla camera e si diresse nella sala dove ci sarebbe stata la cena. Tutti gli ospiti erano elegantissimi, tra vestiti luccicanti e smoking su misura sembrava quasi di essere in un film. I tavoli erano apparecchiati con molta cura, su ognuno c'era un mazzo di fiori e candele accese. Pensò che a Lexa sarebbe piaciuto molto.

Cercò il tavolo col numero della propria camera e vi si sedette in attesa. Dopo una decina di minuti ancora non c'era ombra di Lexa. Si guardò intorno e qualcosa attirò la sua attenzione.


 


 

Dopo essere tornata al tavolo, ed aver aspettato ancora venti minuti, sbuffò e si alzò, uscendo dal salone per andare a cercare Lexa.

Non ce ne fu bisogno.

In quel momento la ragazza stava scendendo le scale con attenzione.

A Clarke mancò quasi il fiato e rimase lì, imbambolata dalla visione. Lexa scendeva, fasciata da un semplicissimo abito rosso, attillato, con gli spallini sottili e uno spacco sul lato destro, stando più attenta a non sbagliare i gradini con quegli alti tacchi a spillo anziché guardare di fronte a sé.

Ad un tratto, però, alzò gli occhi, trovando solo quelli di Clarke a guardarla. Arrossì, abbassando nuovamente lo sguardo, per poi terminare la discesa e arrivare di fronte a lei.

Li rialzò solo in quel momento, pronta a perdersi in quelli della ragazza.

-Wow- sospirò Clarke, non riuscendo a dire altro.

-Sei bellissima- disse Lexa, allungando la mano per cercare quella della ragazza.

-E tu sei perfetta- scappò a Clarke, che nemmeno si era accorta di quel movimento, troppo assorta dalla ragazza che aveva di fronte. Lexa diventò dello stesso colore del vestito e degli orecchini che non aveva mai tolto. Poi finalmente Clarke si accorse della mano della ragazza e intrecciò le loro dita.

La cena fu presto servita e le portate si susseguirono lente, accompagnate dalla musica di sottofondo. Le ragazze brindarono all'obiettivo raggiunto con un flute di champagne, prima di deliziarsi col dessert.

Finito di mangiare presero posto davanti al palchetto, per godersi al meglio il concerto. Si alternarono archi e ottoni, pianoforte e flauti traversi.

Lexa non riusciva a pensare ad altro se non a quanto fosse bella Clarke in quel momento, con i capelli che le cadevano morbidi sulle spalle, il sorriso sempre sulle labbra e gli occhi curiosi che correvano tra lei e i musicisti.

-Clarke..- mormorò, sentendo il cuore scoppiarle nel petto. Lei però fece un'espressione strana, le premette l'indice sul naso in modo scherzoso e si alzò.

-Torno subito- disse, lisciandosi il vestito con le mani e allontanandosi tra la folla. Lexa sbatacchiò gli occhi, con la bocca ancora semichiusa e le parole bloccate sul nascere. La seguì con lo sguardo, accorgendosi poi che si stava avvicinando al palco. Il direttore le fece qualche cenno e poi la invitò a salire. Lexa corrucciò le sopracciglia, confusa, e in quel momento le arrivò un'occhiata eloquente di Clarke, che però non sorrideva, era seria e decisa.

-C'è un piccolo cambio di programma, vogliamo accontentare la richiesta di questa deliziosa fanciulla- annunciò l'uomo, senza dire altro. Allungò poi un microfono a Clarke, che tenne gli occhi puntati sul direttore per avere indicazioni sui tempi. L'orchestra iniziò la melodia e poco dopo la voce di Clarke iniziò a riempire la sala.

I will leave my heart at the door
I won’t say a word…
They’ve all been said before
So why don’t we just play pretend
Like we’re not scared of what’s coming next or scared of having nothing left

Inizialmente la sua voce era timida, ma man mano che le parole prendevano forma e significato il tono si fece più pieno e intenso. Gli occhi, che aveva tenuto bassi fino a quel momento, li alzò, alla ricerca degli unici che le interessavano. Non ci volle molto per trovarli.

Now, don’t get me wrong
I know there is no tomorrow
All I ask is…

If this is my last night with you
Hold me like I’m more than just a friend
Give me a memory I can use
Take me by the hand while we do what lovers do
It matters how this ends

Cause what if I never love again?

Lexa era immobile. La bocca le si era seccata mentre le mani le sudavano e nella sua visuale non c'era nulla se non Clarke.

Era davvero così? Clarke le stava chiedendo di essere più di un'amica, di essere un'amante? Le stava chiedendo se quella era seriamente la loro ultima notte insieme? Ogni parola la toccò nel profondo, come a confermarle che probabilmente i sentimenti di Clarke erano quelli che lei stessa provava e non riuscì a trattenere una veloce lacrima che le scappò prima della conclusione. Era quello il segno che aspettava?

Quando la canzone terminò il pubblicò applaudì generoso e anche i musicisti si complimentarono. La ragazza scese poi dal palco, agitatissima per quella che sarebbe stata la reazione di Lexa. Prese un lungo respiro, cercando le parole da dire appena l'avesse raggiunta, ma la mora era già lì. Stava aspettando in piedi, a pochi passi da lei, e il suo viso era visibilmente scosso da diverse emozioni. Il cuore le tamburellò nel petto e con un grosso sorriso fece per raggiungerla, ma in quel momento fu bloccata da un cameriere.

-Miss Griffin?- domandò con un telefono in mano. Clarke annuì, afferrando il cellulare per poi portarselo all'orecchio.

-Clarke! Sono Raven- le urlò immediatamente - tuo padre ha appena avuto un forte attacco.. ora è ricoverato... Clarke devi assolutamente andare da lui- gridò dalla cornetta la ragazza con un tono spaventato.

-P-parto subito- riuscì solo a dire la bionda, mentre calde lacrime iniziarono a rigarle il volto e il suo corpo s'irrigidì stravolto. Se Raven era così agitata non poteva indicare nulla di buono. Lexa la raggiunse preoccupata, le prese le mani e le asciugò velocemente una lacrima dal viso, cercando di confortarla un minimo.

-Che succede?-

-M-mio padre ha avuto una crisi epilettica.. io...io devo andare da lui- sussurrò, incapace di fermare le goccioline che scendevano senza freni dai suoi occhi. La mora annuì immediatamente, mentre il suo viso si fece cupo, ma determinato.

-Certo, il jet è già qui fuori- rispose, afferrandole la mano e conducendola all'esterno della struttura. Corsero quasi per arrivare alla pista di lancio, e Lexa ordinò di fare tutti gli ultimi controlli per partire il prima possibile, dando le coordinate più prossime all'ospedale dove si trovava il Signor Griffin.

Fece accomodare Clarke e le lasciò tutti gli spazi di cui aveva bisogno. In una ventina di minuti tutto fu pronto per il decollo e le ragazze lasciarono la struttura senza ammirarla per l'ultima volta, senza curarsi dei bagagli, senza salutare i loro compagni d'avventura.

Il volo fu forse più breve dell'andata, ma a Lexa ogni minuto pesò come un'ora. Clarke si era seduta adiacente ad un oblò e continuava a guardare a terra, senza dire una parola e senza nemmeno asciugare le lacrime che di tanto in tanto tornavano a rigarle il volto terrorizzato.

Lexa avrebbe voluto fare di più, ma non voleva essere invadente in un momento così delicato per la ragazza. Le si era seduta accanto, senza però toccarla, dato che la bionda aveva lasciato un grosso spazio tra loro. Le aveva fatto portare fazzoletti, acqua e qualcosa di dolce, ma la ragazza non aveva toccato né detto nulla a parte ripetere uno spento “grazie” per ogni cosa che le era detta o fatta.

Quando atterrarono Clarke non si curò nemmeno di indossare le scarpe, scese e cercò di raggiungere la strada il prima possibile. Lexa riuscì velocemente a fermare un taxi chiedendo di portarle con urgenza all'University Medical Center di Princeton che doveva distare una decina di minuti.

Appena la macchina si fermò Clarke si gettò fuori, Lexa pagò velocemente l'uomo e cercò di seguirla all'interno, correndo su per le scale e negli intricati corridoi finché Clarke non riconobbe Octavia e Raven, sedute per terra. Le ragazze si alzarono ad abbracciarla e un dottore si avvicinò a Clarke per parlare e accompagnarla, da sola, al di là di una grande porta blu.


 

Lexa rimase in fondo al corridoio, senza muoversi, senza raggiungere le due ragazze che parlavano tra loro, senza nemmeno aver salutato Clarke.

Dopotutto lei non era la sua famiglia, lei non era una sua amica, lei non poteva far nulla per suo padre, lei non era riuscita nemmeno a tranquillizzarla un poco.

Sospirò.

Abbassò lo sguardo e lasciò l'ospedale.


 



 

Rieccomi!

Scusatemi tantissimo, sono sparita per un sacco, mi dispiace! Ho avuto una settimana super intensa e poi sono stata via quella dopo, senza riuscire ad aggiornare prima di partire. Chiedo venia!

Questo capitolo lo avevo in testa da tanto tanto tempo, in particolare la parte della serata. Volevo che Lexa indossasse un vestito per Clarke, volevo che Clarke capisse di dover dimostrare a Lexa cosa provava e volevo che la parte finale fosse movimentata e frettolosa. Spero di esserci riuscita almeno un po'.

La canzone cantata da Clarke è All I Ask di Adele, che, come potete immaginare, è l'origine del titolo di questa storia. Con i titoli faccio davvero pietà, per cui dato che la canzone mi aveva ispirato gran parte della storia avevo deciso di usarla come titolo. Spero non sia troppo deludente xD

Ringrazio tutti quelli che hanno aspettato questo seguito e preventivamente ringrazio chi si fermerà a recensire. Come al solito mi scuso per qualsiasi errore!

Un abbraccio,

Tem_93

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


~Capitolo 16~
 

********** Giorno 1 **********


 

-Papà!- mormorò Clarke, asciugando le lacrime che le rigavano il volto.

-Principessa- sussurrò lui, aprendo pian piano gli occhi e sorridendole debolmente. Clarke gli si avvicinò, abbracciandolo senza pesargli troppo addosso.

-Non farmi mai più una cosa del genere!- borbottò, tenendo il capo appoggiato sulla spalla del padre.

-Tranquilla, non succederà più. Ho deciso di fare l'operazione- rivelò l'uomo. Clarke si staccò, sorridendo entusiasta. -Ma non sono sicuro che la mia scelta ti piacerà- aggiunse, preoccupando la figlia.

-Perché?- chiese infatti subito lei, corrugando le sopracciglia.

-Un mio amico mi ha fatto vedere alcune ricerche dell'università di Tel Aviv, e sai cosa? Uno dei loro ultimi studi di intelligenza artificiale è proprio incentrato sull'epilessia – disse l'uomo, con un tono di voce molto più energico di quanto Clarke si aspettasse. La ragazza incrociò le braccia, dubbiosa. -Il loro obiettivo è proprio quello di scoprire le parti del cervello da asportare chirurgicamente affinché non si presentino più casi di epilessia nel paziente!- continuò lui, sorridendole.

-E tu affideresti il tuo cervello ad una macchina? - domandò Clarke, imbronciata.

-No! Non alla macchina, ma ai ricercatori che vi hanno lavorato! Sono miei colleghi Clarke, e ho visto alcuni loro risultati. In certi casi sono stati molto migliori le scelte di quella macchina piuttosto che quelle del chirurgo!- ribadì l'uomo, insistente.

-Non sono d'accordo- dissentì la ragazza.

-Bé, sono abbastanza adulto da prendere questa decisione da solo, tesoro- disse lui, scuotendo il capo.

-E se sbagliasse? Non voglio rischiare. Non ora che ho tutti i soldi che ci servono per provvedere all'operazione comune- s'impuntò Clarke. Jake sollevò un sopracciglio, incuriosito.

-E sentiamo un po', dove avresti preso tutti questi soldi?- chiese lui. Clarke ridacchiò appena, poi si sedette sul letto di fianco all'uomo.

-Ora, promettimi di rimanere tranquillo. Il principio di questa storia non ti piacerà, ma la fine forse sì- disse lei, evitando con cura gli occhi del padre.

Così iniziò a raccontargli della sua geniale idea di accettare un lavoro da escort. A suo padre per poco non venne un altro infarto, ma Clarke cercò di calmarlo continuando con la storia. Gli parlò di Lexa, del loro primo incontro, delle sue maniere glaciali, dei suoi tanti silenzi. Poi del suo primo sorriso, di come abbassava gli occhi quando era in imbarazzo e di come le sue gote si colorassero di rosso. Parlò della sua personalità, del suo carattere forte e autoritario, ma anche del suo lato fragile ed insicuro. Della sua buffa abitudine di mettere sempre lo stesso genere di vestiti, troppo formali per un viso così giovane, e della sua fobia per microbi e germi. Parlò della sua passione per intrecciare i capelli e di quelle per il tiramisù ed il violino.

Quando ebbe terminato il racconto non fu necessario aggiungere il fatto che ormai era chiaramente innamorata di lei, perché per il padre questo era fin troppo evidente.

-Papà, è lei che mi ha portato qui da te il prima possibile. E' stata davvero gentilissima – disse infine, sorridendo gioiosamente. Suo padre rise, rivedendo in Clarke sé stesso ai tempi del liceo , quando parlava di quella ragazza che lo aveva medicato dopo essere stato preso a pugni da uno alto il doppio di lui, quando aveva cercato di difenderla da stupidi insulti.

-Bè falla entrare, voglio proprio conoscere colei che ha sciolto quella grintosa Clarke Griffin che ricordavo di avere come figlia- ridacchiò. Lei gli diede un leggero buffetto sul naso e gli fece una linguaccia, uscendo dalla camera per andare a chiamare la donna.

Ma fuori dalla sala c'erano solo Raven e Octavia ad aspettarla.

-Hey Clarke, come sta tuo padre?- le chiesero subito, preoccupate.

-Bene fortunatamente. Ma, dov'è Lexa? - chiese, guardandosi intorno.

-Lexa? La regina di ghiaccio? Non è mai stata qui- disse Raven, scuotendo la testa.

-E' impossibile, mi ci ha portato lei- ribatté Clarke, allontanandosi lungo il corridoio, sicura di trovarla, magari in disparte. Forse dalle macchinette. Eventualmente nella hall.

Ma niente, Raven aveva ragione. Lexa non era lì.

Clarke prese il cellulare e digitò il suo nome, ma non ci fu alcun riscontro. Solo in quel momento ricordò di non avere il suo numero. Tanto meno la sua mail. O il recapito della sua abitazione.

Dov'era Lexa? Perché non era lì con lei?

Ricordò poi la chiamata di Indra, le parole di ammonimento, il distacco che avrebbe dovuto adottare. Non voleva pensare che fosse stata veramente una decisione di Lexa, no, non lo voleva credere.

Qualche giorno. Tra qualche giorno sicuramente si sarebbe rimessa in contatto e avrebbero ripreso da dove si erano lasciate, l'una negli occhi dell'altra, al termine di quella canzone.


 


 


 


 

Anya scelse il tavolino, appoggiandoci il proprio vassoio prima di sedersi.

-Niente allenamento, serata ragazze e cibo spazzatura. Sei proprio tu Lexa?- le domandò appena si sedette a sua volta.

-No- borbottò la ragazza, addentando il proprio cheesburger, concentrata.

-Ah. Piacere, io sono Anya- scherzò l'altra, con un mezzo sorriso.

-Anya sono un casino- disse Lexa appoggiando il panino e mettendosi le mani tra i capelli.

-Piacere tutto mio, Casino- disse quella, stuzzicando le patatine fritte.

-Avevi ragione, hai avuto ragione dall'inizio – continuò la mora, senza badare alle parole dell'amica.

-Eh, io lo dico sempre – annuì Anya, aggiungendo ketchup e maionese.

-Mi sono innamorata di Clarke- ammise improvvisamente Lexa, guardandola negli occhi. Anya per poco non si affogò con la patatina e le ci volle un bel sorso di birra per riprendersi.

-Cos'hai detto? - chiese sconvolta, cercando una risposta nel suo sguardo.

-Mi sono innamorata di Clarke- ripeté Lexa, con la stessa decisione di prima – l'escort, che un escort non è, come avevo detto – sottolineò.

-E hai seriamente usato la parola innamorata? Sei sicura non sia più una cotta, un'attrazione fisica, un..-iniziò ad ipotizzare l'amica, gesticolando.

-Anya, so quello che dico. Ti sembro una che scherza su queste cose? - chiese lei retoricamente.

-Ah, Lexa Woods non scherzerebbe di sicuro su queste cose, ma Casino, non ti conosco così bene per saperlo!- rispose. Lexa alzò gli occhi al cielo, sorridendo.

-Ok, sdrammatizzavo. E' che wow. Non me lo sarei mai aspettata- disse l'amica, riprendendo a mangiare il proprio panino – lei lo sa? - domandò, alzando un sopracciglio.

-No. Cioè, non gliel'ho detto esplicitamente – mormorò, abbassando lo sguardo e arrossendo.

-Però se hai avuto sempre quel faccino, sicuramente l'ha capito- constatò Anya – E lei? - continuò, curiosa.

-Io non lo so. Penso che provi qualcosa anche lei, anzi ne sono sicura.. ma, non abbiamo avuto il tempo per chiarirci – disse, prendendo a sua volta alcune patatine dalla ciotola comune.

-Perchè?- domandò l'amica – avete passato tipo una miriade di ore insieme-.

-Sì, ma quando era pronta per dirglielo suo padre è stato male e io non me la sono sentita di starle appresso. Volevo lasciarle i suoi spazi- ammise, alzando le spalle.

-Lasciando perdere il fatto che sarebbe palese anche ad un criceto quello che provi, dati i tuoi comportamenti da dodicenne in amore, credo che tu abbia fatto bene. Vedrai che si farà sentire lei appena avrà sistemato i problemi in famiglia – disse la ragazza, rubando un po' di Coca Cola all'amica – se è realmente interessata - .

-Sì, forse è una buona idea- assentì Lexa, abbassando il capo.

Anya scoppiò a ridere all'impositivo.

-Quasi mi ero dimenticata di quanto eri imbarazzante da innamorata, Lex. Carina come un cucciolo di procione!- scherzò l'amica.


 

Una volta tornata a casa Lexa passò dallo studio, prima di salire in camera. Afferrò un foglietto e una tela, poi raggiunse la propria stanza. Appesa alla parete destra vi era un'unica grande foto, in bianco e nero, di due ragazze che sorridevano abbracciate. Lei guardava la telecamera, mentre Costia guardava lei e il suo sorriso splendeva ancora in quel vecchio scatto.

Al suo fianco appese il piccolo dipinto di una foresta immersa in un cielo limpido e alla bacheca appunto un ritratto, fatto velocemente con una penna, una settimana prima nel suo ufficio.

Sorrise pensando all'artista.

Con la mano destra rigirò un orecchino tra le dita, poi andò a coricarsi.


 



 

********** Giorno 64 **********


 

Ed è lì, in quel vestito rosso che la rende ancora più bella di quanto già sia, con quegli occhi che dicono tutto e niente, perché ormai non servono parole. E non c'è esitazione in te nemmeno per un momento, la raggiungi, la stringi a te come per assicurarti che non possa più scappare da voi.

Poi la baci. Non come sulla canoa, non senza aver pensato alle conseguenze stavolta. La baci perché non vuoi fare altro che quello. E lei ti bacia, sorride sulle tua labbra e quando riapri gli occhi trovi la foresta davanti a te, in te. E non c'è nessun altro, siete solo voi in quella sala, che ben presto si trasfigura nella vostra camera e le tende del vostro letto sono già accostate, come un invito. La prendi per mano, intrecciando le vostre dita, mentre fate ciò che due amanti fanno.


 

La sveglia squillò puntuale, ricordando a Clarke che era di nuovo lunedì, che doveva prepararsi per il lavoro e che doveva smettere di sognare. Sbuffò, si sistemò i capelli con una mano e alzò il busto. Per quanto ancora l'avrebbe perseguitata quel sogno? Per quanto ancora Lexa si sarebbe insinuata nelle sue notti, senza però mai esserci realmente?

Due mesi e niente, nulla, meno di zero. Di lei le rimanevano tanti vestiti di firma inscatolati in un angolo della stanza, un assegno di ottocentomila dollari appeso con una puntina alla sua bacheca e una fotografia, una volta sistemata in mezzo a tutte le altre che coprivano un muro della sua camera, oggi nascosta da una tela incompiuta appoggiata alla parete. Ah e tanti ricordi che di giorno cercava di nascondere, ma che di notte riuscivano prepotenti.

Tutto davvero fantastico.

All'improvviso sentì colpi ripetuti alla porta, come di spari. Ruzzolò giù dal letto e quasi si inciampò nel disordine che era la sua camera, prima di riuscire ad aprire la porta con la faccia più assonnata e sconvolta di sempre.

La scena che le si parò davanti la fece scoppiare a ridere e le ricordò solo in quel momento che giorno era. Davanti a lei c'era Raven, con una pistola giocattolo con tanto di bandierina con la scritta “Auguri!!” che usciva dalla canna, mentre Octavia al suo fianco aveva in testa una tiara e in mano un vassoio con un'alta pila di pancakes sulla quale torreggiavano panna, fragole e una candelina accesa.

-Auguri principessa!- squillò Raven, abbracciandola e lasciandole un dolce bacio sulla fronte.

-Auguri Griffin- mormorò invece Octavia, senza muoversi di un passo, con la sua solita espressione beffarda.

-Grazie ragazze- disse la bionda, allegramente. Si avvicinò poi ad Octavia, scoccandole un bacio sulla guancia e rubandole la tiara dal capo.

-Questa è mia- cinguettò con fare altezzoso, facendo ridere l'amica.

-Non pensi manchi qualcosa a questa principessa?- domandò poi Raven, incrociando le braccia divertita, rivolta ad Octavia.

-A questa sicuramente mancano tante cose. Tipo l'intelligenza, la simpatia..- iniziò ad elencare Octavia, prima di essere interrotta da una gomitata dell'amica. Clarke la guardò di sottecchi, agguantando poi la sua torta di pancackes.

-Io pensavo più.. ad un principe azzurro- continuò Raven, calcando il tono sulle ultime due parole. Clarke aggrottò un sopracciglio, non capendo dove le amiche volessero parare. Octavia guardò Raven mandandole segnali strani. La ragazza schiarì la voce.

-Un principe azzurro- ripeté poi, con più enfasi. Octavia portò una mano sulla fronte, quasi disperata, mentre Clarke le guardava col sorriso, senza capire lo scopo di quella scenetta.

Poi, finalmente, il principe azzurro uscì dal bagno mortificato del suo ritardo.

-Scusate, non avevo afferrato quando dovevo uscire – disse solo, sorridendo alle ragazze.

-La mela non cade mai lontano dall'albero- bofonchiò Octavia, ridacchiando.

-Papà!- quasi urlò la ragazza, correndo incontro all'uomo vestito da principe che l'aspettava a braccia aperte.

-Buon compleanno Clarke- sussurrò, stringendola a sé con amore.

-Cosa ci fai qui? - domandò la ragazza sorpresa.

-Tesoro è da quando sei nata che prendo un giorno di ferie per passare insieme il giorno del tuo compleanno – le sorrise lui. Clarke si strinse nuovamente a lui. Lo sapeva, eccome se lo sapeva. Eppure lei quell'anno non si era presa un giorno libero, nemmeno si era ricordata del suo compleanno tanto il suo cervello era preso da altro.

-Io tra poco devo andare in caffetteria però, scusate non..- sussurrò la ragazza guardando gli altri desolata.

-Primo ti abbiamo svegliato un'ora prima- l'avvisò Raven, alzando un dito e puntandolo verso Octavia .

-Idea mia- disse quella, facendo l'occhiolino alla festeggiata.

-Secondo, oggi hai solo il turno di mattina. Quindi abbiamo tutto il pomeriggio e tutta la sera per festeggiare. Non preoccuparti Clarke, sarà un compleanno perfetto e pieno di sorprese come tutti gli altri!- esclamò Raven raggiante. Jake annuì alla figlia, come per confermare le parole dell'amica e rassicurarla.

-Su, c'è una candelina che ti aspetta- la incitò poi, facendo un cenno verso la torta posata sul bancone della cucina.


 



 

Lexa uscì un'ora prima della pausa pranzo. Non era solita prendere permessi, ma quello era un giorno importante e aveva dei giri da fare. Will l'aspettava in strada e già sapeva dove dirigersi, quasi meglio di lei che ancora non aveva le idee chiare.

In quei giorni aveva pensato tanto, troppo forse, ma era giunta ad una specie di conclusione. Quando ci si innamora di una persona si cambia, quasi senza accorgersene, anche senza volerlo, ma si fa. Vengono alterate alcune abitudini, ne vengono inserite altre e magari le piccole cose poco importanti prima, diventano quasi necessarie dopo. E si cambia perché si vuol far spazio all'altra persona, come se si volesse fondere le sfere di due vite in una sola : ci si stringe da una parte, ci si allarga dall'altra e deformando un po' qui e un po' là si ottiene un'unica bolla più grande.

Il vero problema è che quando una delle due parti viene a mancare toglie inevitabilmente qualcosa anche all'altra. Se una delle due dovesse morire, perirebbe anche qualcosa dell'altra metà.

E così era successo a Lexa, quando Costia l'era stata portata via.

Ora però sentiva come se fosse successo di nuovo con Clarke, come se le mancasse una parte della sua sfera già malandata. La sua conclusione era che, se da una parte sapeva di non poter più riottenere la parte che con Costia le era stata tolta, dall'altra aveva ancora possibilità di tornare a tirare Clarke nella sua sfera. E non lasciarla più.

Semplicissimo nella sua testa, non tanto quanto a metterlo in pratica. Erano giorni che rimandava. L'attesa era diventata davvero difficile, ma voleva che fosse una sorpresa, voleva che fosse perfetto, e quale giorno era meglio del suo compleanno?

Aveva scoperto che lavorava da un mesetto in una caffetteria vicino al suo appartamento. Inizialmente aveva pensato di presentarsi lì, poi aveva scartato l'idea. Non voleva un luogo pubblico pieno di persone. Quindi la sua scelta era stata quella della pausa pranzo.

Ora mancava solo un bouquet di fuori e una grande scatola di cioccolatini. Quando però Will si parcheggiò a pochi metri dall'ingresso di casa Griffin, tutto era pronto. Tutto tranne Lexa, che sentiva un nodo allo stomaco e quasi sudava, anche se nella macchina l'aria condizionata manteneva una fresca temperatura.

Aveva pensato di scendere e aspettarla in piedi davanti alla porta, ma tutta la tensione che aveva addosso la legarono al seggiolino. Si disse che sarebbe stato di più effetto sorprenderla dalle spalle. Quindi si mise in attesa del suo ritorno, giocherellando ansiosamente con la carta dei fiori.


 


 

La vide arrivare in lontananza, con il competo da lavoro, i capelli mossi dal vento e le gote appena arrossate dalla camminata. Parlava al telefono e sorrideva radiosa. Ed era così bella.

Avrebbe ancora sorriso vedendo lei? Sarebbe ancora stata felice, o le avrebbe portato malinconia quella loro riunione?

Bloccata da quei pensieri fu preceduta da un'altra persona che doveva aver avuto la sua stessa idea. Infatti, da un taxi parcheggiato quasi di fonte alla casa, uscì un ragazzo, alto e moro, con una divisa militare, una sacca nera nella mano destra e un sorriso accecante.

-Clarke- lo sentì urlare, attirando l'attenzione di lei. Clarke sgranò gli occhi, portò le mani sulla bocca e scoppiò in una risata gioiosa.

-Bell!- gridò a sua volta, correndogli incontro. I due si trovarono a metà strada, sul marciapiede. Lui buttò la sacca a terra e sollevò la ragazza facendola volteggiare e stringendola a sé saldamente.

Lexa si morse il labbro inferiore. Il suo compleanno era già perfetto così, aveva tutte le persone di cui aveva bisogno e sembrava più felice che mai.

-Will, andiamo via- mormorò, voltando il capo dall'altra parte e gettando il mazzo su di un altro seggiolino.

-E' sicura Miss Woods?- chiese l'uomo, voltandosi a guardarla con apprensione.

-Sì, sono sicura- asserì, sentendo amaro in bocca mentre pronunciava quelle parole.

La limousine partì, oltrepassò l'appartamento e i due giovani, prima d'inoltrarsi nuovamente nel traffico di New York.


 


 


 

Clarke si strinse ancora una volta a Bellamy, prima di posare nuovamente i piedi a terra.

-Wow Bell, ma O lo sa? - chiese ancora super eccitata di avere uno dei suoi migliori amici, nonché il fratello di Octavia, con se per il suo compleanno.

-Non ancora, doppia sorpresa!- disse il ragazzo, facendole l'occhiolino.

In quel momento Clarke notò passare davanti a loro una limousine nera e un unico pensiero le attraversò la mente, anche se non riuscì a vedere nessuno all'interno, anche se non scorse la targa.

-Hey principessa, cosa succede?- domando ora serio Bellamy, asciugandole col pollice una lacrima che le era scappata contro il proprio volere. Clarke scosse la testa ed emise una risatina forzata.

-Nulla, è che sono veramente felice. Mi avete fatto tutti una bellissima sorpresa oggi!- disse, riassumendo il sorriso gioioso di qualche secondo prima. Il ragazzo annuì, non troppo convinto, dopodiché propose di salire.

Appena entrarono nell'appartamento si accorsero che tutte le finestre erano state chiuse e il buio regnava sovrano. Con un poco di ritardo, come al mattino, le luci poi si accesero e Clarke trovò tutte le persone a lei più care nella propria cucina, pronte per una grande sorpresa.

Quando Octavia vide il fratello quasi sbiancò, gli corse in braccio e passò con lui tutto il resto del tempo.

Clarke era veramente grata a tutti per la sorprese ricevute, come ogni anno tutti si erano impegnati per farle passare una bellissima giornata.

Eppure, fino a sera, il suo cuore continuò a sperare in un'ultima sorpresa, anche qualcosa di piccolo, magari anche solo un messaggio o una mail.

Ma niente.

Fu un giorno proprio come tutti i precedenti.


 



 

********** Giorno 102 **********


 

-Niente storie, mettiti qualcosa di carino ed esci con noi- decretò Octavia, puntandole contro la piastra bollente con cui si stava lisciando i capelli.

Clarke sollevò gli occhi ed alzò le mani in segno di resa.

-E va bene, ma non ne ho voglia e non mi verrà voglia- borbottò come una bambina, aprendo le ante del suo armadio. Raven le si parò davanti, iniziando a rovistare tra la sua roba, dopodiché le porse un miniabito e un paio di tacchi, guardandola decisa.

-Su, principessa, muoviti- disse, richiudendo le ante e andando a prendere le proprie scarpe. Clarke iniziò a spogliarsi lentamente, e altrettanto lentamente s'infilò gli abiti scelti da Raven. Aveva promesso alle ragazze che quella sera sarebbero andate in un nuovo locale poco distante da casa. Sì, l'aveva promesso, ma ora proprio non ne aveva alcuna voglia, mentre loro sembravano davvero cariche.

Ci volle un'altra sgridata di Octavia prima che la ragazza fosse pronta, ma alla fine le tre lasciarono l'appartamento e poco dopo scesero dal taxi per entrare in questo nuovo lounge bar.

Tavolini alti, sgabelli, musica di sottofondo, luci viola e azzurre, una marea di gente e fiumi di alcool. Niente di nuovo insomma. Ciò nonostante le tre si sedettero in un angolino e iniziarono a chiacchierare allegramente, attirando occhi più o meno indiscreti su di loro.


 


 


 

-Anya sul serio? – chiese Lexa sbuffando.

Anya socchiuse gli occhi, tanto che quando faceva così Lexa dubitava quasi fossero aperti.

-Avevamo detto che se avessi concluso l'affare in fretta saremmo andate a festeggiare. Se poi tu intendevi festeggiare in casa o al ristorante dovevi esprimerti meglio signorina mia. E suvvia, non hai mica cinquant'anni!- la bacchettò l'amica trascinandola nel locale. Lexa alzò gli occhi, poco contenta della serata, ma si fece comunque largo tra la gente.

Il giorno precedente aveva concluso l'affare con Alex Murphy. Si erano incontrati in quella che sarebbe poi diventata la nuova filiale della Woods Corporation e avevano firmato carte su carte tutto il giorno. Alex le aveva voluto presentare ogni singolo dipendente, e Lexa aveva accettato di buon grado, cercando di essere il più cordiale possibile. Le aveva fatto fare il giro della struttura, mostrandole i riconoscimenti e le foto dei primi o dei migliori lavori. Le aveva raccontato la nascita dell'azienda, il sudore, i pianti, le gioie, i traguardi e la difficoltà nel lasciarla andare. E Lexa aveva ascoltato attentamente, facendo domande e sorridendo all'uomo che si era rivelato tanto cordiale con lei.

Infine le aveva chiesto perché non avesse portato con sé la sua deliziosa fidanzata. Lexa immaginava che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata da lui. Gli aveva risposto che era al lavoro a sua volta e che in ogni caso non sarebbe stato professionale. Infine lui le aveva invitate ad una cena a casa Murphy, appena sarebbero state libere. Ecco, quello non se lo aspettava. Era scoppiata in una risatina isterica, veramente poco da Lexa Woods, e aveva vagamente accettato l'offerta, parlando però di vari impegni che avrebbero ritardato questo incontro.

-Un martini – ordinò Anya, appena arrivarono al bancone. Si girò per sentire quale analcolico volesse Lexa, ma quella la precedette.

-Due- urlò quasi al barista, facendo anche il segno con le dita. Anya sollevò un sopracciglio, stranita dalla scelta dell'amica. Ma la cosa che la lasciò più di stucco fu quando arrivarono i due cocktail e Lexa buttò giù il suo, neanche fosse acqua.

Dopodiché fece una faccia disgustata e Anya scoppiò a ridere divertita.

-Tutto bene Lex? - chiese, dandole leggeri pacche sulla schiena.

-Sì, tutto ok- annuì lei, ricomponendosi, mentre le gote avvampavano per l'alcool.

-Quella ragazza ti farà impazzire- bofonchiò Anya, bevendo il drink a sua volta. Lexa sentì il commento, ma evitò accuratamente di risponderle, anche se i suoi occhi correvano su ogni chioma bionda, aspettandosi di trovarla lì.

-Bene, dato che hai bevuto, per stasera puoi anche ballare!- esclamò l'amica sorridendole, le prese poi la mano e la trascinò tra la folla.


 


 


 

Clarke alzò gli occhi dal suo bicchiere color menta, noncurante dei discorsi delle amiche. Notò distrattamente due ragazze avvicinarsi al bancone e ordinare qualcosa. Stava per spostare lo sguardo quando si accorse dell'acconciatura ricercata della mora. Quella prese il suo drink e lo bevve in un sorso, girandosi appena di lato prima di fare una smorfia di disgusto.

Clarke sbarrò gli occhi, riconoscendo solo in quel momento a chi appartenevano quei capelli intrecciati, quella pelle fin troppo scoperta, quell'espressione imbronciata.

Solo poco dopo si ricordò della ragazza al suo fianco. Biondiccia, alta, dai tratti asiatici e dal fisico tonico. Quella rise e la sfiorò in un modo che Clarke ritenne troppo intimo, dopodiché le afferrò la mano e la portò via dalla sua vista, via da lei.

La bionda bevve un lungo sorso e iniziò a tamburellare le dita sul tavolino in modo frenetico, pensando a cosa fare.

-Qualcuno qui ha fatto conquiste!- la canzonò Raven, dandole una leggera gomitata.

-Eh? - chiese Clarke, strabuzzando gli occhi.

Octavia fece un cenno col capo nel punto del bancone dove poco prima vi erano Lexa e quell'altra. Clarke osservò meglio e notò una ragazza dai capelli color miele che la stava guardando proprio negli occhi. Quella alzò il bicchiere nella direzione di Clarke, sorrise melliflua e bevve.

Clarke abbassò lo sguardo, mentre Raven e Octavia cercarono di non scoppiarle a ridere in faccia.

-Su Griffin, alza quelle chiappe e vai a farti offrire il secondo giro dalla tua nuova amichetta- disse Octavia, sorridendole divertita. Clarke guardò entrambe le sue amiche. Prese un respirò e terminò il proprio cocktail in un colpo.

-Ci si vede – disse poi decisa, alzandosi e dirigendosi verso questa sconosciuta, sentendo Raven che non si risparmiò uno dei suoi soliti fischi da stadio.

Clarke si sedette accanto a quella che poi avrebbe scoperto essere una certa Niylah, la quale effettivamente le offrì un secondo giro, poi anche un terzo e infine un invito a casa sua. Perché rifiutare, aveva qualcosa da perdere? Aveva qualcuno da cui tornare? No. Anzi, sperò che qualcuno la vedesse lasciare il locale con Niylah.

Arrivarono in casa e ci furono ben pochi preamboli. Le labbra di Niylah furono sulle sue prima ancora che la ragazza accendesse la luce, le sue mani vagarono sul suo corpo in modo decisamente poco casto e ben presto si ritrovarono appoggiate su di un letto matrimoniale.

Niylah si tolse velocemente la maglietta, cercando poi la zip del vestito di Clarke, ma in quel momento il suo cellulare squillò. La proprietaria di casa si scusò, ma era per lavoro e doveva rispondere. Clarke annuì, riprendendo fiato, e fu lasciata da sola in camera. Si alzò, sistemandosi il vestito leggermente sgualcito ed osservò la camera, non troppo ornata, ma carina. Notò sulla scrivania diversi giornali di cronaca ed economia. Per curiosità si avvicinò e lesse alcuni titoli.

Il colosso Woods Corporation ingloba azienda storica di New York”

Clarke sbatacchiò le ciglia. Perché ovunque andasse trovava lei? Prima nel locale e ora persino a casa di Niylah, come ad inseguirla.

La ragazza tornò subito dopo, le sorrise e la tirò a sé, coinvolgendola nuovamente in un bacio. Eppure per Clarke non fu come prima. In quel momento notò che il sapore di quel bacio sapeva di alcool e chewingum, quelle labbra erano troppo sottili e quei modi troppo bruschi. Inoltre, quando riaprì gli occhi, davanti a lei non c'erano due pozzi verdi, non c'era una chioma di capelli mori.
Non c'era Lexa.

Clarke si allontanò, togliendosi dalla presa della giovane.

-Scusami Niylah, non posso- mormorò solo. L'altra la guardò stranita, chiedendole una migliore spiegazione.

-Sei davvero carina e saresti una distrazione molto piacevole.. Ma non penso saresti contenta se tra poco iniziassi a chiamarti con un altro nome.. quindi – borbottò, afferrando le proprie cose.

-No, non sarebbe carino- constatò Niylah, sorridendole ugualmente.

-Quindi scusami- concluse, aprendo la porta. Fece un cenno con la mano e uscì imbarazzata.


 

Tornò a casa e cercò di fare il minimo rumore per entrare.

-Hey, leonessa, sei già di ritorno? - chiese Octavia, seduta di fianco a Raven sul divano. Clarke sorrise amaramente, lasciando cadere le scarpe al suo fianco. Le due amiche la guardarono desolate.

-Su, qui c'è la cosa che più ami al mondo. Io! Poi ci sono anche Octavia e il gelato!- esclamò Raven, sventolando il barattolo di gelato al cioccolato che aveva in mano. Il sorriso di Clarke si fece più genuino, prese una cucchiaio e si sedette tra le sue amiche.

-Però non ne mangiare troppo, che poi ti viene il culo grosso – mormorò Octavia ridacchiando. Clarke la guardò storto e la spinse di lato amichevolmente.



 


 

********** Giorno 128 – presente **********



 

Clarke rientrò in casa sbuffando, gettò via le scarpe e la borsa e si diresse al frigo in modo svogliato.

-Bentornata principessa – disse la ragazza seduta al tavolo, tenendo gli occhi fissi sulla televisione.

-Ciao O, Raven è già rientrata? - domandò prima di bere un lungo sorso di succo all'albicocca.

-No, stasera aveva una cena di lavoro. Tornerà tardi- rispose l'altra, scrollando appena le spalle.

-Una di cena di lavoro, o una cena di “lavoro”? - chiese Clarke, assumendo un atteggiamento scherzoso mentre sollevava un sopracciglio divertita. Octavia ridacchiò.

-Lavoro vero. Starà da Wick nel week end- rispose l'amica, facendo posto a Clarke al suo fianco.

-A proposito del week end- continuò Octavia, assumendo un tono diverso e assicurandosi di non guardare Clarke negli occhi.

-Sì?- l'invitò l'altra.

-Hai da fare? - le domandò, vaga. Troppo vaga. Clarke sorrise curiosa, girandosi completamente verso l'amica.

-No, perchè?- chiese interessata.

-Bè.. sai.. Mi sto vedendo con un tipo- ammise la giovane, arrossendo contro il suo volere.

-Lo sapevo!- strillò la bionda, alzando il pugno a vittoria, imbarazzando ancora di più Octavia – E' il tipo del disegno appeso in camera tua, ammettilo!- continuò eccitata, puntandole un dito contro.

-Sì, è lui- sbuffò l'altra, roteando gli occhi.

-E come si chiama? E com'è ? Quanti anni ha? Bellamy lo sa? Raven lo sa? - iniziò a raffica Clarke, prima di essere fermata dall'amica.

-Sapevo che sarebbe stata una pessima idea- borbottò la mora, scuotendo il capo.

-Scusa, nessuna pressione. Ti ascolto- si riprese l'altra, mettendosi comoda sul divano, con gli occhi fissi sull'amica e la stessa espressione di un cagnolino felice che attende il cibo scodinzolando.

-Bè è un tipo ok. L'ho conosciuto al maneggio e ci vediamo da qualche mese- rivelò lei.

-Qualche mese??- strillò Clarke, prima di ricevere un'occhiataccia da Octavia – Ok, ascolto e basta- si riprese subito.

-Non è solo ok, è proprio carino. Sia fisicamente che nei modi. Una persona squisita.- continuò timidamente la giovane, lasciando che un sorriso affiorasse sulle sue labbra. Clarke sorrise a sua volta a vedere stranamente l'amica addolcirsi.

-E mi ha chiesto se sabato andiamo a cena. Che non sarebbe un problema, se non fosse che vuole presentarmi la sorella- disse poi, quasi preoccupata.

-Sbaglio o vedo una Octavia Blake impaurita? - chiese Clarke stranita.

-E' che lui adora la sorella, e ho paura di farle una cattiva impressione. Lui mi ha anche detto che se volevo potevo chiamare mio fratello, ma so già che Bell farebbe un casino, protettivo com'è.- ammise lei, giocherellando con i lunghi capelli.

-Sì, effettivamente Bell potrebbe presentarsi armato con tanto di divisa e medaglie. Io lo avvertirei il giorno del matrimonio per essere sicura- scherzò la bionda. Octavia le sorrise.

-Quindi pensavo.. ti andrebbe di accompagnarmi? - domandò inaspettatamente. Clarke sgranò gli occhi e sbatté le ciglia più volte teatralmente. Poi si lanciò su Octavia per abbracciarla.

-Ooohh, lo chiedi alla tua sorellina Clarke perché è la persona più importante per te! Certo che vengo O!- squillò divertita, stringendo l'amica.

-Solo perché Raven è impegnata- disse l'altra acida.

-Se se, tutte scuse. Ormai sono io la tua sorellina- continuò Clarke, strusciando la guancia contro quella dell'amica che iniziò a spingerla via.

-Che brutta idea- borbottò Octavia, non riuscendo però a non ridere.

-Bé e come si chiama quest'uomo fortunato? - chiese poi, ricordandosi di non sapere un'informazione di base.

-In realtà... non lo so – disse la mora, lasciando l'altra di stucco.

-Cosa? -

-I primi giorni non ci siamo presentati e quando gli ho detto il mio nome lui non ha voluto dirmi il suo, spiegando che non gli ha mai portato fortuna in esperienze passate. Mi ha detto semplicemente di chiamarlo Abraham – spiegò lei, scrollando le spalle. Clarke sollevò un sopracciglio, confusa.

-Abraham? Come Abraham Lincoln? - domandò. Octavia annuì.

-E sia allora. Sabato sera a cena con Abraham e Sarah!- esclamò infine Clarke, sorridendo all'amica.


 


 


 


 

Heilà :)

Non odiatemi pliiis! So che il capitolo non è felice, ma pazienza, ancora per un po'!

Note, più o meno curiose, del capitolo:

  1. Il giorno 1 è il primo che passano separate. Gli altri a seguire. I numeri diciamo che sono stati scelti a caso (dico solo che sono multipli di 32 e 34 :P)

  2. All'inizio parlo di intelligenza artificiale e sì, parlo di quella vera (e non la magia di The 100). Il fatto che a Tel Aviv studino come curare casi di epilessia gravi è più che vero, è venuto un professore toscano che insegna proprio là a farci un seminario pochi mesi fa :) Fanno cose molto fighe lì u.u E l'intervento di Jake è andato alla grande ;)

  3. La frase nel sogno di Clarke “La prendi per mano, intrecciando le vostre dita, mentre fate ciò che due amanti fanno” so che suonava un po' male, ma volevo riprendere la canzone All I Ask (take me by the hand while we do what lovers do).

  4. Sarah è il vero nome della sorella di Abraham Lincoln (e chissà chi sarà questo misterioso Abraham)


 

Grazie a tutti quelli che hanno letto e soprattutto a quelli che recensiranno, vi adoro :D

A presto, con gli ultimi capitoli!

Tem_93

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


~Capitolo 17~


 

********** Giorno 131 **********

 

-Per favore Clarke. Possibile che tu abbia la stessa capacità di abbinare i colori di un daltonico?- domandò Octavia, strappandole i vestiti dalle mani e sbuffando.

-La verità è che tu sei impossibile. Tanto Abraham mica guarderà me – borbottò Clarke, guardando storta l'amica.

-Ovviamente, ma per una sera potresti accontentarmi?- chiese quella, alzando un sopracciglio. Clarke alzò gli occhi irritata, afferrando poi il vestito che le proponeva l'amica. -Magari fai colpo sulla sorella- scherzò la mora, accennando un sorriso.

-Certo. Due volte- soffiò l'amica, indossando l'abito nero.


 


 


 

-Lex, sei pronta? - domandò il ragazzo intrufolando la testa nella camera della sorella. Quella lo guardò sorpresa, mentre finiva di sistemare i capelli. Lincoln scoppiò a ridere, lasciando stranita la ragazza.

-Ti ha mai detto nessuno che hai problemi con i vestiti? - chiese lui, ridacchiando e avvicinandosi. Lexa abbassò gli occhi, pensando che sì, qualcuno glielo aveva detto. - E' una serata totalmente informale, e vorrei che non si facesse un'idea troppo rigida di te – disse lui, aprendo le ante dell'armadio per cercare qualcosa di più tranquillo del suo classico completo da lavoro.

-Ti deve proprio piacere eh- sorrise quella, sfilandosi i pantaloni in attesa di un consiglio del fratello.

Lui si girò sorridendo – Sì, è davvero fantastica- annuì, alzando poi due opzioni. Da una parte vi era un miniabito bianco e attillato, dall'altra una camicetta senza maniche e una gonna nera a ruota. Lexa storse il naso, quasi come se i vestiti non li avesse comprati lei, poi optò per la seconda.

-Posso almeno sapere il nome? - domandò la ragazza, togliendo gli abiti dalle grucce.

-Lo scoprirai stasera. Ah, ha detto che porta una cara amica! Magari ti divertirai – concluse, facendole l'occhiolino. Lexa alzò le sopracciglia e accennò uno sbieco sorriso.


 


 

Quando i fratelli giunsero davanti al ristorante le ragazze ancora non erano arrivate, nonostante il locale fosse davvero vicino alla loro abitazione. I due fermarono il tavolo, dopodiché le attesero davanti all'ingresso.

Quando Lincoln avvertì Lexa che erano arrivate lei aveva il capo chino e si controllava distrattamente le scarpe.

Ma quando alzò lo sguardo il suo cuore mancò un battito.


 


 

-Ti odio, mi hai fatta arrivare in ritardo- mugugnò Octavia scendendo dal taxi.

-Ma saranno dieci minuti, nulla di grave. E puoi dare la colpa a me!- esclamò l'altra, sorridendo prima di imitare l'amica.

-Eccoli!- mormorò Octavia. Clarke guardò nella stessa direzione della coinquilina e il sorriso svanì dalle sue labbra.

-Lexa- sussurrò, sentendo il petto scoppiarle. Come poteva? Dopo quattro mesi? Perché le faceva quell'effetto? Eppure era convinta di averla dimenticata. Non pensava più a lei ultimamente.

Circa.

-Co-cosa?- domandò Octavia, mentre le due si avvicinavano ai fratelli.

-Clarke!- esclamò Lincoln, sbarrando gli occhi, facendoli correre dalla bionda, alla sorella a Octavia che aveva la sua stessa espressione sconvolta.

-Lincoln.. Lexa- sussurrò lei, guardando il ragazzo. Solo dopo aver terminato il nome di lei trovò in qualche modo il coraggio di cercare i suoi occhi. E mai si sarebbe immaginata di vederli così espressivi. In quegli occhi vide tutto e niente, ma non ci capì nulla.

A parte due cose. Primo : Lexa era arrossita. Secondo : portava ancora i suoi orecchini rossi.

-Lincoln Woods, ecco svelata la tua segreta identità- affermò Octavia, cercando di rompere la tensione creata, sorridendo al ragazzo per poi guardarlo con affetto.

-Ebbene sì. Scusa se non te l'ho detto prima- disse lui mortificato, alludendo in un certo senso anche alla situazione in cui ora si trovavano. Lei scrollò le spalle, mantenendo un timido sorriso.

-Non l'ho mai vista così imbarazzata, la mia piccola O – scherzò Clarke, cercando di celare tutte le sue emozioni. Lexa aveva distolto lo sguardo per prima e lei era tornata a respirare normalmente, un piccolo traguardo insomma.

Octavia la guardò male mentre Lincoln rise.

-Lexa, ti presento Octavia Blake.. e Octavia, ti presento mia sorella Lexa – le introdusse poi, lasciando che si stringessero la mano cordialmente. Clarke vide la mano di Lexa passarle davanti e per un momento invidiò davvero tanto Octavia.

Lexa non disse quasi nulla, accennò un mezzo sorriso alla ragazza del fratello e strinse debolmente la sua mano, ma era come se fosse ancora in trance. Non ricordava che Clarke le avesse mai fatto quell'effetto, ed ora non sapeva come uscirne.

I quattro entrarono e Clarke finì ovviamente di fronte a Lexa. Non spiarla era impossibile. Lei invece sembrava far tutto il possibile per tenere lo sguardo altrove, per parlare il meno possibile o assentarsi per il bagno più del dovuto.

E Clarke non poteva che osservarla, guardare la sua pelle candida accarezzata da quei vestiti femminili, snodare l'intreccio dei suoi capelli e pensare che si stava comportando in quel modo solo per lei. Soltanto per lei. Ma quale sentimento la stava turbando tanto? Rimorso, vergogna, delusione o fastidio? A sua volta Clarke fu poco partecipe ai discorsi dei due, sicuramente meno di quanto era solita fare.

Lexa fece qualche domanda ad Octavia, giusto per non risultare troppo scortese, mentre la ragazza non ne ricambiò alcuna. Probabilmente sapeva già tutte le risposte, si disse mentalmente Lexa. Chissà se aveva mai sentito parlare di lei? Chissà in che modo? Chissà se la odiava per come aveva trattato la sua amica. Queste domande torturavano la giovane, ma mai quanto la persona che aveva davanti.

Sentiva i suoi occhi addosso, sentiva che la stava studiando. Eppure non riusciva ad alzare lo sguardo, non aveva la forza per cercare il cielo nelle sue iridi. Aveva paura sì. Paura di leggerci rabbia, di leggerci delusione. Ma forse, la cosa che più temeva, era leggerci indifferenza.

Ad un tratto Lincoln si alzò, sorrise e guardo le due ragazze in silenzio.

-Andiamo a dare un'occhiata ai dolci. Torniamo tra cinque minuti- riferì, mentre Octavia si alzava a sua volta. Clarke guardò l'amica con gli occhi sbarrati, come a chiederle di non farlo, ma lei fece finta di nulla. I due si allontanarono e le ragazze rimasero sole. Clarke abbassò lo sguardo, sistemando il tovagliolo che aveva stropicciato.

-Clarke- sussurrò inaspettatamente l'altra, catturando la sua attenzione. E per la prima volta a tavola, gli occhi di Lexa erano lì ad aspettarla. Fermi, decisi. -Possiamo parlare? - domandò a bassa voce, umidificandosi poi il labbro inferiore.

-Certo- assentì la bionda, con un tono più calmo di quello che avrebbe sperato.

-Ti va se facciamo un giro? - propose Lexa, accennando all'uscita. Clarke sentì le mani sudarle. Prese un grosso sospiro e annuì. Lexa le rivolse un mezzo sorriso. Poi prese una biro dalla borsa e scrisse due righe sulla tovaglietta del fratello, probabilmente per avvertirlo della loro assenza.

Le due si alzarono velocemente, senza guardarsi, e allo stesso modo lasciarono il locale. Iniziarono a camminare, fianco a fianco, senza però toccarsi o parlare. Finché Lexa nuovamente ruppe il silenzio.

-Come stai? - domandò, lanciandole uno sguardo e sorridendo appena. Clarke rispose al sorriso e scrollò le spalle.

-Bene, tu? - rispose, cercando di frenare tutti i pensieri che aveva accumulato in mesi.

-Anche. Tuo padre? - continuò la mora, fingendosi all'oscuro. In realtà sapeva bene come stava. Si era tenuta informata sulle sue condizioni ogni giorno sino all'operazione, gioendo quando aveva saputo che era andata molto bene.

-Sta finalmente bene. Ha fatto l'operazione ed è andata alla grande. Sembra rinato – disse la ragazza, omettendo il fatto di non aver usato nemmeno un centesimo dei suoi soldi per farlo curare. Ma Lexa sapeva anche questo, dato che l'assegno di Clarke non era mai stato incassato.

-Ne sono felice- mormorò, portando lo sguardo dritto davanti a sé. Tra le due tornò a regnare il silenzio, tanto che ormai il suono dei tacchetti sull'asfalto sembrava quasi più assordante del traffico di New York.

-Sai, Lincoln non mi aveva detto il nome della ragazza con cui usciva e... chi avrebbe mai detto che ..- disse la mora, lasciando poi morire la frase, sospirando.

-Lexa- la chiamò Clarke.

-Io, non immaginavo..- continuò l'altra, mordendosi il labbro inferiore, senza guardare la ragazza al suo fianco.

-Lexa? - ripeté la bionda, ottenendo ora la sua attenzione.

-Sì? - disse lei, osservando l'espressione dura di Clarke.

-Ho bisogno di sapere una cosa – affermò, rallentando il passo quasi volesse fermarsi, ma Lexa continuò a camminare. Si voltò verso di lei e annuì, come a darle il permesso di chiedere quello che voleva.

-Tutto quello che chiedo è.. perché non ti sei più fatta sentire? -. Era riuscita a dirlo, ma non era stato affatto facile. Era come alzare un grosso macigno per buttarlo nel lago. Chissà quanto sarebbe stato grande il tonfo.

Lexa si fermò, corrugando le sopracciglia.

-Io..- balbettò quasi – io potrei farti la stessa domanda- disse, un po' fredda. Clarke incrociò le braccia e assunse una strana smorfia.

-Scusa? Chi delle due ha firmato un contratto in cui assicurava che non avrebbe provato a contattare mai più, in alcun modo, la Signorina Woods? - ringhiò quasi Clarke. Lexa sbatté le ciglia più volte.

-Veramente credevi che ti sarebbe successo qualcosa? - le chiese, con un misto di sorpresa e confusione.

-Non lo so, ma perché Indra avrebbe dovuto sottolinearlo tanto l'ultimo giorno in cui ci siamo viste, se era tutto falso!?- continuò la ragazza, scaldandosi. Gli occhi di Lexa si ingrandirono dallo stupore.

-I-Indra cosa?- domandò, grattandosi nervosamente il collo. Clarke gesticolò con le mani, quasi fosse ovvio.

-Mi ha chiamato domenica pomeriggio dicendomi di evitare qualsiasi tipo di contatto nei tuoi confronti in futuro, a meno che non volessi certe conseguenze. - spiegò la giovane, tornado ad un tono un po' più tranquillo, notando che Lexa sembrava visibilmente sorpresa di tutto ciò. La mora abbassò lo sguardo, riflettendo.

-Non lo sapevo- mormorò – probabilmente le avevo dato tale compito all'inizio, per poi dimenticarmi addirittura di averle chiesto di farlo- spiegò a giustificazione. Sollevo poi gli occhi dispiaciuti per cercare quelli della ragazza. Clarke guardò altrove.

-In ogni caso non avevo né il tuo numero, né la tua mail, né il tuo recapito – aggiunse, riprendendo poi a camminare. Lexa annuì, seguendola e sentendosi ancora più colpevole per quello che era successo.

-Ho cercato di farmi sentire più di una volta. Ti ho scritto tanti messaggi, mai inviati, e sono venuta al tuo appartamento più volte. Ti avevo anche comprato dei fiori per il compleanno- ammise Lexa tutto d'un fiato dopo qualche minuto, evitando con cura il viso dell'altra. Clarke rimase si stucco alla rivelazione della ragazza. In un attimo le balenò il ricordo di una limousine che le correva davanti, il giorno del proprio compleanno.

-E perché ti sei fermata? - chiese, con un tono forse troppo disperato. Lexa la guardò dispiaciuta, per poi riportare lo sguardo davanti a sé.

-Inizialmente volevo lasciarti tempo per risolvere le cose con tuo padre. Sai, non volevo essere un peso – disse, sistemandosi i capelli prima di prendere un lungo respiro -Poi ho iniziato a pensare che ormai non ti interessasse più risentirmi. Che eri felice lo stesso – affermò, lanciando una veloce occhiata all'altra. Clarke strinse le labbra, cercando di reprimere un pianto che ormai era difficile da trattenere.

-E non hai mai avuto voglia di rivedermi? - domandò, lasciando che le lacrime le rigassero il volto, sperando che il buio l'aiutasse a coprirle. Lexa però si bloccò , guardandola intensamente.

-Certo. Ogni giorno Clarke- rivelò lei, lasciando cadere ogni singolo muro, rendendo visibile ogni singola emozione sul suo volto. Sentì un groppo in gola quando vide la donna al suo fianco in quello stato.

-E perché allora hai esitato tanto? - chiese quella con rabbia, ormai noncurante del proprio pianto.

-Io non lo so. Volevo solo che tu fossi felice. Credevo lo fossi anche senza di me- disse solo, chinando il capo, dispiaciuta. -Scusami, non volevo ferirti. Era l'ultima cosa che volevo- mormorò con un filo di voce.

Clarke annuì. Alzò gli occhi al cielo e prese un lungo respiro. Poi asciugò le lacrime e cercò di riprendersi, accorgendosi solo in quel momento che erano giunte davanti al suo appartamento.

-Tra una settimana partirò per l'Europa- rivelò la bionda, sistemando i capelli e il vestito. Lexa socchiuse la bocca, non sapendo cosa dire. Era un'informazione troppo inaspettata e amara in quel momento. - Frequenterò un corso d'arte in Italia. - continuò la ragazza prendendo poi le chiavi dalla borsetta. Non sapeva cos'altro dirle e non voleva passare altro tempo con lei. Era troppo doloroso.

-B-Bene. Spero tu possa ritrovare la felicità là- farfugliò l'altra, senza nemmeno avere il coraggio di guardarla. Clarke annuì, serrando la mascella, troppo arrabbiata da quelle parole che sentiva così vuote e ipocrite, non riconoscendo la donna che aveva davanti.

-Addio Lexa. Non te l'avevo ancora detto- sentenziò velocemente, prima di dirigersi alla porta senza aspettare una risposta.

Lexa la vide salire i pochi grandini quasi di corsa. Solo in quel momento ricordò tutti i discorsi mentali che si era fatta, le sue conclusioni sull'amore e tutti i soliloqui spropositati che avevano albergato nel suo cervello più del dovuto.

Clarke non era Costia.

Clarke era ancora lì e perderla sarebbe stata solo colpa sua e di nessun altro. Quel dolore che ora sentiva appesantirle il cuore era colpa sua, ed era lei che doveva cambiare le cose, se voleva.

-E' perché sono innamorata di te – le urlò, poco prima che entrasse dalla porta. Clarke si bloccò, girandosi verso la ragazza. Lexa avanzò, a passi sicuri, fermi.

-E' per quello che non mi sono fatta sentire. Perché avevo paura che tu non lo fossi di me- ammise col cuore in mano, fermandosi prima della gradinata, guardando dal basso la bionda. Clarke arrossì visibilmente, mantenendo però un'espressione dura, non senza difficoltà. Fece come per dire qualcosa più volte, senza riuscirci. Sbuffò.

-Ma chi ti ha dato la laurea ad Harvard!? - borbottò poco dopo, confondendo Lexa. -Sei un'idiota Lexa Woods. Una super mega idiota- affermò con grinta. Lexa non disse nulla, non capendo del tutto cosa volesse dire la ragazza. Quella scosse il capo, scendendo il primo gradino.

-E sai una cosa? - chiese retoricamente, scendendo anche il secondo – io forse lo sono ancora di più. Perché, dico, come si fa ad innamorarsi di una super mega idiota?- concluse, arrivando di fronte alla ragazza.

Sul viso di Lexa si formò lentamente un sorriso, mentre le sue iridi s'ingrandivano. Credette di non riuscire più a smettere di sorridere. Clarke era di fronte a lei e ancora non si erano nemmeno sfiorate quella sera. Il viso della bionda si fece più dolce e anche le sue labbra si piegarono amabilmente all'insù. Rimasero così per qualche secondo, senza dire nulla, solo a guardarsi negli occhi, come se ci fossero tutte le risposte.

-Mi sbaglio o devi sdebitarti di qualcosa? - chiese ad un tratto Clarke, mordendosi il labbro inferiore. Lexa scoppiò a ridere e arrossì.

Poi si allungò e rubò un veloce bacio a stampo a Clarke, un bacio in cui entrambe sorrisero prima di ridere assieme. Poi Lexa tirò a sé la ragazza, stringendola forte, infilando il capo nei suoi capelli mentre il suo profumo l'avvolgeva, caldo e familiare. Si lasciarono poco dopo. Clarke cercò la foresta in Lexa, quest'ultima il cielo in Clarke. Poi Lexa posò delicatamente una mano sulla guancia della ragazza ed eliminò la distanza tra le loro labbra.

Poteva sentire le gote bollenti della giovane sotto le sue dita, ma quando le labbra di Clarke incontrarono le sue non le importò di null'altro. Erano umidi e soffici, e sapevano di Clarke; bastò solo questo per mandarle in tilt il cervello. Clarke si staccò leggermente, aprendo gli occhi, come per accertarsi che fosse tutto vero, che non era uno dei suoi sogni ricorrenti, che Lexa era ancora lì tra le sue braccia. Rise quando lo constatò, tornando a cercare le labbra carnose della giovane, mordendo appena il suo labbro inferiore, prima di approfondire il bacio inizialmente timido, che ben presto divenne irruente, giocoso, accaldato.

Lexa si allontanò un poco, per riprendere fiato. Appoggiò la sua fronte a quella di Clarke con un sorriso costante che probabilmente non se ne sarebbe andato per mesi.

-Potremmo entrare. Sai, non vorrei dare spettacolo- propose Clarke, alludendo ai passanti che affollavano le vie. Lexa rise annuendo. Clarke le prese la mano e la tirò dietro a sé. Lexa amò quel gesto che ritrovò così abitudinario anche dopo tanto tempo. Si sarebbe lasciata trascinare ovunque da quella ragazza.

Entrarono nell'appartamento e la mora cercò di guardarsi attorno, ma Clarke la condusse velocemente nella sua stanza.

-Wow- sussurrò lei appena entrò. Ad ogni muro della camera erano appesi quadri, disegni, tele, fotografie o direttamente le pareti erano state sfruttate come base. Ogni centimetro di quella camera trasudava di Clarke, poiché l'arte non poteva che riflettere l'artista. Lexa non avrebbe cambiato nulla di quel posto, nemmeno il disordine che regnava ovunque, nemmeno quello strambo letto circolare.

Clarke la lasciò vagare curiosa per la camera e Lexa osservava attentamente tutto quello che vedeva, soffermandosi su ogni opera con interesse. Per ultimo la mora si concentrò sulle foto. Clarke sorrise, si avvicinò e spostò una tela ancora incompiuta . Dietro vi era la foto di due ragazze, timidamente abbracciate, davanti ad enormi cascate illuminate.

Lexa alzò gli occhi stupita, cercando quelli di Clarke. Lei sorrise.

-Sai, ero venuta bene. Mi dispiaceva non stamp..-scherzò la giovane, prima di essere interrotta dalle labbra di Lexa.

E dalle sue mani.

E dal suo corpo, schiacciato contro il proprio.

Quando Lexa la fece adagiare sul letto non riuscì fare altro che sorridere come un'ebete. Poi prese il controllo della situazione, invertendo le posizioni per portarsi sopra alla mora. Le sorrise ancora, prima di baciarle l'orecchio, scendere per la mandibola e poi passare per il collo, mentre le sue dita erano impegnate a sbottonarle la leggera camicetta.

Quando gliela tolse e vide il reggiseno in pizzo, decisamente provocante, probabilmente fece una faccia buffissima, perché Lexa scoppiò a ridere, facendole però poi cadere gli spallini del vestito. La bionda si alzò, lasciando scivolare l'abito a terra, ricordandosi solo in quel momento del completo a fantasia di orsetti di gomma che la fece arrossire oltremodo. Lexa la tirò a sé, sopra di sé, reclamando un altro bacio, facendo poi scorrere lentamente le mani sul corpo morbido della ragazza.

Clarke sentì brividi scuoterla da capo a piedi e non riuscì ad impedire che la pelle d'oca risaltasse sotto i polpastrelli della giovane. Lexa si alzò un poco, giusto i necessario per riuscire a baciare il collo di Clarke, poi la clavicola, scendendo infine nel petto prosperoso della giovane. Con calma, prendendosi tutto il tempo necessario, e gentilmente. Quella la lasciò fare, socchiudendo gli occhi e infilando le mani nel capo della ragazza, stringendo più o meno forte all'occorrenza. Sentì il gancetto del reggiseno aprirsi, prima di sfilare l'indumento. Soffocò un gemito, ma aprì gli occhi quando sentì i denti e la lingua di Lexa stuzzicarla in certi punti.

A quel punto la spinse a sdraiarsi sul letto, fermandosi un momento per ammirare il suo volto colmo di desiderio nei proprio confronti. Dopodiché riprese da dove era rimasta. Le torturò il collo, scendendo poi in mezzo al seno, continuando lungo la pancia piatta, mentre indietreggiava col corpo. Arrivò all'elastico della gonna, che con delicatezza sfilò. S'infilò tra le gambe della ragazza, iniziando a baciare dolcemente il ginocchio destro, per poi scendere, poco a poco, bacio dopo bacio, lasciando una scia bollente dietro di sé, fino ad arrivare all'interno coscia, mentre con la mano solleticava l'altra gamba, designando cerchietti con le punta delle dita .

Alzò gli occhi per cercare quelli di Lexa, trovandoli strani, molto meno verdi di quanto ricordasse.

Sorrise ancora.

Probabilmente sorrise tutto il tempo perché davvero riteneva incredibile avere Lexa lì con sé, per sé. Sua come mai era stata prima. Lexa doveva provare lo stesso, perché anche gli estremi delle sue labbra erano sempre rivolti verso l'alto e le sue gote erano arrossate, un po' per l'emozione, un po' per l'affanno. Ed era bellissima, anche di più di quando l'aveva vista in quel vestito rosso, ora che non indossava altro che gli orecchini che lei stessa le aveva regalato. Quella notte si appartennero completamente, dolcemente, senza fretta perché tanto non esisteva altro che loro due.


 



 

Clarke tirò a sé il corpo caldo della mora, incrociando le gambe e facendo sbucare la testolina sopra la spalla, mentre con la mano le accarezzava debolmente il fianco.

-Octavia mi ucciderà- sussurrò ridendo piano.

-Perchè?- chiese Lexa, tenendo gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dall'altra.

-Abbiamo delle regole in casa. Non si possono portare ragazzi o ragazze a dormire – la informò, continuando a fare avanti indietro con le dita sulla sua gamba.

Lexa si voltò per poterla guardare meglio, appoggiando il capo su una mano.

-Bè sono la sorella del suo ragazzo, non può dirmi nulla!- affermò, facendole l'occhiolino. Clarke rise, allungandosi per baciarla.

-Hai ragione- confermò, guardandola ora negli occhi.

-Così partirai la settimana prossima ? -domandò a quel punto la mora, assumendo un'espressione più seria. Clarke si sistemò i capelli e annuì.

-Già..io ormai..- iniziò a dire, ma Lexa scosse il capo.

-Hey, non voglio interferire nella tua scelta. Però mi piacerebbe sapere quando tornerai – disse, dolcemente, sistemandole una ciocca che le era tornata davanti al volto.

-Tra sei mesi, circa – comunicò Clarke, stringendo poi le labbra in attesa di una reazione. Lexa non disse però nulla, annuì solo. -Mi aspetterai? - chiese Clarke, leggermente preoccupata. Lexa soffocò un risolino, cercando ancora una volta le labbra della giovane.

-Certo, idiota – confermò, mordendosi poi il labbro inferiore. Clarke sbarrò gli occhi, dandole una leggera spinta.

-Hey, l'idiota sei tu qui!- disse la giovane falsamente offesa. Lexa la guardò con un'espressione di sfida.

-Ah ah – la scimmiottò, scoppiando poi a ridere. Clarke chiuse gli occhi a fessura prima di avventarsi sulla ragazza e cercare vendetta, mentre la loro risata gioiosa riempiva la camera.


 


 


 


 


 

Salve! Siamo praticamente alla fine mi sa! Non ho nulla di particolare da dirvi su questo capitolo, spero però di avervi dato qualche gioia!

Grazie a chi recensirà e chi leggerà, al solito scusate gli errori!

A presto,

Tem_93

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


~Epilogo~


 

Clarke sorrise prendendo posto di fianco ad un'anziana signora che già si stava lamentando, prima ancora di essere partiti. Ma a Clarke non importava, non quel giorno.

Quel giorno tornava a casa. Tornava alla sua New York, al suo appartamento dove l'aspettavano le amiche di sempre, con suo padre a circa un'ora di macchina.

Ma, soprattutto, quel giorno tornava da Lexa.


 

Erano passati sei lunghi mesi, alcuni più veloci di altri, ma erano passati.

Il suo corso sulla comunicazione e la didattica dell'arte le era piaciuto molto e per sua fortuna era tenuto nella sua lingua madre. Firenze l'aveva amata, come ogni altra città italiana che aveva avuto la possibilità di visitare, così diverse da quelle che conosceva. Con i suoi insegnati era subito andata d'accordo e anche i suoi compagni di corso non erano niente male.


 

Nel complesso era stata un'ottima esperienza.

L'unica pecca erano giusto giusto quei 7000 km tra lei e la Signorina Woods. Quelli sì, erano stati complicati da gestire, ma dopotutto ce l'avevano fatta.


 

Anzi, forse quei sei mesi in qualche modo l'avevano aiutata. Per lo meno a capire quanto fosse irrimediabilmente e perdutamente innamorata di Lexa Woods. Aveva conosciuto ragazze molto carine, ragazzi divertenti e con tutte le carte in regola, ma mai aveva trovato in loro quello che aveva trovato in Lexa. I loro occhi non erano mai abbastanza verdi, le loro labbra mai abbastanza piene, i loro bronci mai abbastanza adorabili, i loro modi mai abbastanza gentili, il loro sorriso mai abbastanza mozzafiato. Aveva capito che Lexa era tutto ciò che le serviva e forse anche di più.


 

Non c'era stato giorno in cui non si erano sentite per una lunga chiamata. Bè, a parte quel giovedì di Novembre, quando Lexa si era rifiutata di sentirla. Perché non solo la sua ragazza - le piaceva molto sottolinearlo- era idiota, ma pure gelosa. Quando aveva visto una foto di Clarke in compagnia di una bella fiorentina le aveva tenuto il muso per giorni.


 

In realtà Clarke non si sarebbe mai aspettata da Lexa una simile reazione, ma più imparava a conoscerla, più si accorgeva che c'era sempre qualcosa di nuovo da scoprire in lei.


 

Come a Natale, quando l'aveva trovata nel suo appartamento, vestita in un modo che Babbo Natale non avrebbe mai approvato, inserendola senza dubbio nella lista dei cattivi. Clarke per poco non aveva avuto un infarto a trovarla in casa in quella mise, che a lei era decisamente piaciuta. Lexa era stata il primo regalo da scartare.


 

Avevano passato tutta la settimana assieme. Avevano fatto diverse passeggiate per le strade illuminate, avevano visitato i mercatini di Natale e avevano provato tanti ristoranti italiani. Ma soprattutto erano rimaste in casa a coccolarsi sul divano e a magiare cioccolata calda con biscotti. Lexa, nonostante non ne fosse troppo felice, non le aveva regalato nulla, come Clarke le aveva chiesto più e più volte. Clarke invece le aveva comprato un largo maglione di lana con sopra la stampa di nientemeno che il mostro di Loch Ness. La faccia che aveva fatto Lexa appena l'aveva vista era stato il miglior regalo di sempre.


 

Da quella settimana non si erano più viste e i 7000 km erano pesati più che mai. Ma quel giorno Clarke quegli odiosi chilometri li salutava col sorriso.


 

Scese dall'aereo febbricitante, non era nemmeno riuscita a dormire tanto era emozionata. In realtà sarebbe dovuta tornare il giorno seguente, ma all'ultimo aveva comprato un biglietto ed era partita. Non vedeva l'ora di vedere la sorpresa negli occhi di Lexa.


 

Appena recuperò i bagagli afferrò il telefono e compose un numero. Bastarono due squilli.

-Hey – mormorò Lexa dall'altro capo.

-Indovina dove sono! – esclamò la bionda, attortigliandosi una ciocca intorno all'indice.

-Persa tra tutta la tua roba mentre cerchi disperatamente di chiudere le valige - tentò l'altra in tono scherzoso.

-No- dissentì lei, ridacchiando poiché era un'opzione davvero valida.

-A far merenda al bar? - azzardò ancora.

-Nemmeno- continuò Clarke, trattenendosi a fatica dal rivelarle la sua vera locazione.

-E io, secondo te, dove sono? - chiese però Lexa, spiazzandola. Clarke sollevò un sopracciglio controllando l'orologio.

-In ufficio- disse fermamente.

-Acqua- rispose però l'altra.

-A casa? Stai poco bene? - chiese preoccupata.

-Ancora moooolta acqua. Diciamo anche... oceano – ridacchiò quella, aspettando che l'altra capisse. Clarke sbarrò gli occhi. Lexa era a Firenze. Era a Firenze mentre lei era appena atterrata a New York.

-Sei a Firenze- sputò velocemente.

-Proprio così- cantilenò con una vocetta felice. Clarke lasciò cadere i bagagli e pure le spalle, desolata.

-Ma come? Dimmi che stai scherzando- borbottò infelice, ma Lexa non le disse proprio nulla perché riattaccò.

Clarke corrugò le sopracciglia e provò a rifare il numero, ma in quel preciso momento qualcuno l'afferrò e la strinse da dietro.

-Sto scherzando – sussurrò Lexa nel suo orecchio, baciandole affettuosamente la guancia. Clarke sbatacchiò le ciglia, non sapendo se essere contenta o irritata. Si girò e Lexa la tirò a sé per baciarla, ma Clarke si oppose.

-Come facevi a sapere che ero qui?- le domandò sconvolta, mentre i suoi occhi però scorrevano sulla ragazza e le ricordavano quanto fosse bella.

-Ho controllato i movimenti sul tuo conto e ho visto che avevi comprato un biglietto. Poi dal tuo account della compagnia ho imparato il resto – spiegò lei, come se fosse la cosa più banale del mondo. Clarke la guardò sconvolta.

-Sei una criminale!- affermò, incrociando le braccia e imbronciandosi poiché la sua sorpresa era stata sabotata. Lexa sorrise melliflua e annuì. Certo, avrebbe potuto dirle che in realtà era stata avvertita da Jake, ma non sarebbe stato altrettanto divertente.

La bionda rimase lì ancora un poco, fingendosi falsamente arrabbiata, dopodiché dovette cedere agli occhietti verdi che continuavano a cercare i suoi. Si buttò infine tra le braccia della ragazza, baciandola più e più volte.

-Mi sei mancata da morire – mormorò, ispirando il suo profumo e giocando con i suoi capelli.

-Anche tu- rispose Lexa, lasciandole un dolce bacio sulla nuca. Clarke si fece un po' indietro per vederla bene negli occhi.

-E ti amo- aggiunse sorridendo.

-Anche se sono una criminale? - chiese Lexa, sorridendole.

-Eh.. che ci posso fare. Ti porterò dolci in carcere - ridacchiò, stringendo poi la donna a sé, prima che entrambe scoppiassero a ridere.

Non era la prima volta che le diceva di amarla e non era la prima volta che Lexa non ricambiava a voce. Anzi, Lexa non lo aveva mai detto. Clarke non sapeva se era un suo blocco, se non le piaceva dirlo o se forse ancora non era convinta di provarlo. Sapeva che non le importava, perché quello che vedeva nei suoi occhi era sicuramente amore e non le servivano due stupide parole in conferma.


 

Poco dopo caricarono le valige nella macchina di Lexa, cosa che lasciò Clarke di stucco tanto era convinta di trovare una limousine ad attenderle. Ma non quel giorno. Quel giorno Lexa voleva Clarke tutta per sé. Infatti non si diresse al piccolo appartamento della giovane, ma la portò invece a casa sua.


 

Clarke entrando nella camera da letto vide ancora la foto di Lexa e Costia nello stesso posto, quasi al centro della parete. La prima volta che l'aveva notata aveva sentito un pizzico di gelosia, avrebbe quasi voluto chiederle il perché dopo tanto fosse ancora lì, anche ora che lei era la sua ragazza. Ma aveva ben presto capito che sarebbe stata una richiesta stupida ed egoistica. Lexa una volta le aveva detto che una parte di lei era morta con Costia, quasi tre anni addietro, e che quel pezzo le sarebbe mancato sempre. Però più sentiva parlare di Costia, più Clarke aveva capito che la verità era che ancora una piccola parte di lei viveva in Lexa, anche se quest'ultima forse non lo sapeva. E Clarke non voleva assolutamente cambiare nulla di tutto ciò, perché quella era una cosa che apparteneva a Lexa soltanto e mai avrebbe voluto portargliela via.

Si accorse però che al muro si era aggiunta una sua foto a Firenze, mentre rideva e aveva il naso sporco di panna montata, un cappellino azzurro in testa e uno spiedino di frutta caramellata in mano. Non sapeva nemmeno di essere stata vittima di quello scatto. Guardò l'altra con fare inquisitorio e lei scrollò le spalle.

-In una sola settimana ho scattato almeno mille tue foto. Non ce n'è una in cui tu sia bellissima, o buffissima - rise - ma in quella vedo proprio la vera Clarke – ammise, arrossendo appena. Clarke avvampò a sua volta. Poi le si avvicinò per baciarla e la invitò a seguirla sul letto.

Quando un'ora dopo erano sdraiate sotto le lenzuola e Lexa l'abbracciava dolcemente Clarke si sentì finalmente a casa e pensò che la sua vita non era mai stata migliore che in quel momento.

-Clarke? - la chiamò Lexa in un sussurro, cercando di capire se fosse sveglia. Clarke si voltò per guardarla negli occhi e le sorrise, allungandosi appena per stampare le labbra su quelle dell'altra.

-Sei il mio infinito – rivelò tesa, senza sorridere, guardandola con tanta intensità che quasi la bionda sentiva il tocco del suo sguardo. Vide una lacrima correre veloce dall'occhio destro di Lexa. L'ammirò per qualche secondo a sua volta, poi si avvicinò a lei, lentamente, prima di far incontrare le loro labbra.

La baciò con passione e amore, mentre sentiva il cuore scoppiarle in petto, chiedendosi se era davvero possibile sentirsi così dannatamente felice. Quello che le aveva appena confessato valeva più di ogni “ti amo” mai detto.

-E tu sei il mio, Lexa Woods-


 


 


 



 

 

Ebbene sì, questa è la fine. Come per ogni fine c'è sempre un po' di amaro (almeno per me), ma devo dire di essere felice di essere riuscita a terminarla. Scriverla è stato divertente e lo è stato anche grazie al supporto di tutti quelli che mi hanno accompagnato con bellissime recensioni, consigli e incitazioni. Grazie a tutti quelli che si sono affezionatati alle mie Clarke e Lexa!

Grazie a tutti quelli che hanno messo questa storia tra i preferiti o ricordati . Un grazie particolare va a :

_Ackerman_, ValexGrey, Sharkie, strapelot, graziuccella, AlessiaCo, mpeace, marcex90, Clexa_forver, yui_, Kikkella, Westminister, octopus3, marina scafuro, HarukaPai, DarkJessy94, Wanheda90, Zara_phoebe, _xhiLauren_, Keira Lestrange, sam foster, Onaila, Itsragusa, Jenns, scrawl_, blu panda, hacky87, SweetNaya, Sally1989, Verdinamangiasassi, Roxy2015, Khaleesi95, Camyglee, JusDreinJusDaun, IlaMills, Manu83Nali, gocciadoceano, SoWanderlust, katia9025, inevitable_vale, Lamp04, lucatortora

per aver lasciato una o parecchie recensioni (spero di aver citato tutti). Grazie davvero, siete il motivo che mi ha spinto a continuare e a cercare di migliorare.

Un abbraccio e a presto!

Tem_93


 

Ps: appena avrò revisionato tutta la storia inserirò un link per scaricarla completa in pdf, come mi aveva chiesto strapelot. Se qualcuno è interessato mi faccia sapere ;)

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