Past, Present, Future di Juliet88 (/viewuser.php?uid=232926)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Surprise ***
Capitolo 2: *** Fly to USA ***
Capitolo 3: *** First time ***
Capitolo 4: *** Memories and futures ***
Capitolo 5: *** You chose me ***
Capitolo 6: *** Bet ***
Capitolo 7: *** I won, you lost ***
Capitolo 8: *** Any colour you like ***
Capitolo 9: *** Who are you? ***
Capitolo 10: *** Forgiveness ***
Capitolo 1 *** Surprise ***
abcdefgh
Past, Present, Future.
"Mademoiselle Blair?"
"Mademoiselle Blair?"
"Mademoiselle Blair!"
Un urlo di esasperazione tuonò nella mia mente.
E' impensabile che una domestica ordinaria, che prende fior di
quattrini, poi, si sogni anche solo lontanamente di interrmpere il mio
sonno ricostituente.
Non c'è più religione.
Sollevai la mascherina, e la guardai con un solo occhio, ancora non
abituato alla luce solare, la scrutai con uno sguardo che lasciava
molto poco all'immaginazione.
"Margot, ti sembra adeguato svegliarmi quando non l'ho richiesto?"
"Scu-scus..."
"Niente scuse. Smetti di fare questi stupidi errori, se non vuoi
ritrovare te e il tuo naso all'insù a vendere souvenirs alla
tourre effeil"
La sua risposta fu una semplice testa leggermente china, e uno sguardo sommesso.
Forse ero stata troppo dura, ma decisi di non curarmene.
Guardai fuori dalla finestra, un bel sole primaverile illuminava le mie
pareti color pastello, creando un gioco di luminosità e
sfumature cromatiche uniche e speciali.
Parigi è sempre Parigi.
La tourre effeil capeggiava lo skyline della città che vedevo
dall'alto del mio attico, e nonostante fossero solo le otto del
mattino, la città era in fermento, in continuo movimento.
Andai verso il mio bagno personale, dove fui vittima della tentazione
della mia vasca rosa cipria, e abbandonai l'idea di una doccia veloce,
con un infinito, interminabile bagno.
Non mi interessava l'ora quella mattina, non mi interessava il tempo.
Scesi le scale, indossando uno dei miei abiti valentino, trovando
Ròman e mio padre fare colazione e condividere un biscotto come
due innamorati il 14 febbraio.
"Buongiorno"
Subito si ricomposero.
"Tesoro mio, buongiorno a te" disse dolcemente Harold.
"Blair, stamattina sei come una nevicata ad agosto"
Ròman e le sue solite frasi da aspirante filosofo, mi lusingavano e facevano venire i nervi al tempo stesso.
"Vorrei rispondere in modo altrettanto aulico, ma mi limiterò a dire grazie"
"Basta, seppure sia detto con il cuore".
Alzai gli occhi al cielo.
"Tesoro ho fatto preparare i croissant al mirtillo e vaniglia, come piace a te"
"Grazie, credo che mi riservi un po' troppe attenzioni, potrei
comportarmi da viziata, se continui così..." esclamai con
umorismo.
Otteni una risata generale.
"Programmi per oggi?" chiese, sorridendo.
"Programmi?! In realtà, questa mattina mi ha colta un desiderio di non far nulla quasi illegale..."
"Ma è ovvio che tu non debba fare nulla, tesoro hai dimenticato che giorno è oggi?"
Aggrottai le sopracciglia, confusa, cercando di trovare un qualche avvenimento importante.
"Blair, oggi compi 26 anni!"
...Ah già!
"Oh, è vero papà, me ne ero completamente dimenticata" risposi, sinceramente.
"A volte mi manca la Blair diciassettenne, non ti saresti mai dimenticata una cosa del genere!"
"Probabilmente! Ma se qui ci fosse la Waldorf diciassettenne, sarebbe
già pronta una banda qui sotto, la tourre effeil sarebbe a forma
di B, tu non saresti così tranquillo, e sarebbe indetta
addirittura festa cittadina"
Ridemmo insieme, ricordando la mia gioia nello stare al centro dell'attenzione.
Ci fu in attimo di silenzio, rotto solo poco dopo dalla voce di mio padre.
"Tesoro, posso dirti una cosa? Credo che l'atelier, il lavoro, la
lontananza da New York, da Serena, abbiano avuto l'effetto di farti
maturare troppo presto"
"Che vuoi dire?" domandai, presa alla sprovvista.
"La sera torni a casa sfinita, non esci quasi più...sei "troppo
adulta", e lo noto nel come parli, o come ti vesti. Sono un po'
preoccupato".
"Papà non dire sciocchezze, ormai ho 26 anni, è normale che io cresca"
"Qui a Parigi ti sei fatta pochi amici, perchè sei sempre a fare
il tuo dovere, e ciò che è peggio...sarà una
settimana che non ti vedo entrare da Chanel"
"Papà, sta quasi per cominciare la settimana della moda...hai
idea del lavoro che ci deve essere dietro? Non posso permettere che
qualcosa vada male"
"...Sarà" fu tutto quello che si lasciò sfuggire, lasciando l'argomento in sospeso.
Finimmo di fare colazione, e dissi a mio padre che sarei uscita.
Non volevo firgli che sarei andata all'atelier, altrimenti avrebbe cominciato a lamentarsi e sproloquiare.
Chiamai un taxi, e partii.
Durante la corsa osservai ancora l'architettura francese, e Parigi era
molto diversa da New York. A Parigi c'è sempre odore di
croissants nell'aria, fisarmoniche dolci. Parigi era tutto un fare
shopping e macarons.
Insomma, la vita che sognavo a diciott'anni. Ma dopo un po' la capitale francese diventa quasi monotona.
Mi sorpresi per quello che avevo appena pensato...Io avevo sempre amato Parigi.
New York mi mancava, e non poco, per di più.
Nella mente arrivò subito il volto di Serena, mi mancava come
nessun altro. La mia migliore amica con cui avevo condiviso tutto,
anche l'ossigeno, non la vedevo da quasi quattro anni.
Ovviamente ci sentivamo spesso, con qualsiasi tipo di strumento, dalle
videochiamate, a un semplice sms, ma non era mai la stessa cosa.
Cominciai a sfogliare, quasi senza accorgermene la galleria delle foto
del mio cellulare, e vidi foto con Nate, con Serena, perfino Dan.
Sorrisi.
Il tassista mi informò che eravamo arrivati a destinazione,
così gli diedi i soldi, e scesi, bloccando ogni tipo di pensiero
sulla mia New York.
Non appena arrivai all'atelier, in ascensore, trovai alcuni miei collaboratori, un po' su di giri.
"C'è qualcosa che non va?" chiesi, sospetta
"No, miss. Nulla di cui preoccuparsi"
Le porte dell'ascensore si aprirono, e trovai tutti i miei impiegati sorridenti, urlare "Buon Compleanno".
Non mi aspettavo quella sorpresa, erano stati davvero carini, considerando la scortesia con cui li trattavo.
"Sapevo che saresti venuta qui" disse colui che poi riconobbi come mio padre.
"Papà!" gridai, abbracciandolo.
"So che non ti piace avere confusione in ufficio, ma oggi fai il compleanno, ho pensato che si potesse fare un'accezione."
Lo abbracciai più forte.
Bevemmo un bicchiere di champagne, poi ordinai a tutti di tornare al lavoro.
"Va bene, adesso vorrai rinchiuderti nel tuo ufficio, come tuo solito..." disse mio padre, ridendo.
"Devo organizzare un milione di cose, scusami!"
"Oh, no...il dovere è dovere" rispose, ridendo ancora.
Aggrottai le sopracciglia, e mi allontanai verso l'ufficio.
Aprii la porta di legno color ciliegio, e quasi mi caddero i dossier.
Delle lunghe gambe ondeggiavano sulla mia scrivania, dei capelli biondi
unici brillavano e illuminavano il viso della mia migliore amica.
Serena era lì, non volevo crederci.
"Serena!" urlai, quasi in preda a spasmi.
"Blair, non posso crederci!" urlò anche lei, dopo di me.
Ci abbracciammo quasi volendoci soffocare, mentre ci ripetevamo quanto ci eravamo mancate.
"Ti è piaciuta la sorpresa?"
Mi girai, sapendo già a chi appartenesse quella voce.
"Papà, sei un attore mancato" risposi felice e incredula di essere stata ingannata al medesimo tempo.
Abbracciai anche lui, e cominciammo a parlare del più e del meno.
"Tuttavia le sorprese non sono finite" annunciò Serena, osservando mio padre.
Li guardai con un'espressione interrogativa.
Vidi Serena uscire dalla sua pochette Prada due biglietti aerei, classe buisiness, destinazione la Grande Mela.
Fu difficile trattenere le lacrime agli occhi.
"Sono rimasta a bocca aperta, la mia isola mi manca così
tanto...ma non posso lasciare tutto qui, tra poco ci sarà la
settimana della moda" dissi, sincera.
"Non è un problema, ho già chiesto a Suzi di sostituirti" proferì, mio padre.
"La partenza è prevista per domani pomeriggio" cantò, Serena.
Ma...ma...
"Non esistono ma." minacciò Serena.
"Non vedo l'ora" aggiunsi, felice.
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Capitolo 2 *** Fly to USA ***
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"Tin tin"
"Tin tin"
La mia mano si gettò, senza coscienza, su quella sveglia
isterica, cercando il pulsante per spegnerla, nonostante io abbia
dovuto armeggiare per cinque minuti, prima di trovare il bottone
giusto.
"Blair, dobbiamo alzarci" disse una voce assonnata, tra uno sbadiglio e l'altro.
Mossi istantaneamente la testa per capire da dove provenisse quella voce.
E mi ci vollero pochi millesimi di secondo per riconoscere quella
chioma lucente che avevo sempre invidiato alla mia migliore amica.
Le sorrisi appena, ancora ad occhi chiusi, felice ed ansiosa al tempo stesso.
"A che ora è l'aereo?" domandai, con la stessa voce di Miley Cyrus dopo una sbronza.
"A mezzogiorno" rispose.
Spalancai gli occhi.
"Quindi hai giusto il tempo di mettere nel bagaglio poche cose...il
resto lo comprerai sicuramente a New York. Da Bendel sono arrivati
articoli meravigliosi!" Continuò, con un sorriso a 32 denti.
Ordinai alla gouvernante di sistemare gli abiti in valigia, mentre io
mi occupavo di organizzare le ultime cose alla Waldorf design. Volevo
lasciare tutto in ordine.
"Suzi, ti prego, fa che questo posto resti in piedi, mentre sarò a New York." dissi, con una punta di amarezza.
"Signorina Blair, farò in modo che tutto venga svolto come se fosse lei presente" rispose, sicura.
Suzi riusciva a ispirarmi una certa fiducia. Certamente pochissime persone hanno avuto quest'effetto su di me.
"Bene. Per qualsiasi problema, chiama pure a questo numero" dissi, consegnandole un piccolo notes bianco.
Ci salutammo, e corsi verso a casa, per controllare (ovviamente) come andassero i preparativi.
Appena entrata, trovai Serena mangiare comodamente macarons, seduta (o
meglio, sdraiata) sul divano, seguendo una puntata di sex&the city.
"Serena!" esclamai.
Lei si girò, incurvando le labbra.
"Come fai a non fare nulla tutto il giorno, tra poche ore abbiamo il volo, e sembra che tu non abbia impegni!"
"Blair, dovresti rilassarti, ti prego. Non sei cambiata di una virgola." affermò, recitando rassegnazione.
Incurvai le sopracciglia, e risposi con un "Nemmeno tu, se è per questo"
Ridemmo insieme.
Non vedevo l'ora di ripestare di nuovo il suolo americano, mi mancava
il mio Empire State Building, la Fifth Avenue, L'Upper East Side, il
mio loft.
Non vedevo l'ora di riabbracciare mia madre, Dorota, i miei amici, persino Humphrey.
A proposito di Humphrey...
"Serena, non abbiamo avuto modo di parlare di cose molto importanti...ad esempio, quale povero boy si stia struggendo d'amore per te." pronunciai, sarcastica.
"Blair, non è cambiato dall'ultima volta che ti ho
raccontato...Sai che amo Dan, più di qualsiasi altra cosa"
rispose, mentre gli occhi assumevano la forma di cuori.
"Bleah" mimai, con un espressione facciale che non lasciava dubbi.
"Invidiosa, puoi pure dirmelo che sei innamorata di Dan, lo sanno tutti" esclamò, ironica.
"Nemmeno se fosse l'ultimo sulla terra" risposi, secca.
"Piuttosto, hai sempre sviato bene il discorso da quando sei a Parigi,
nonostante ti abbia fatto questa domanda migliaia di volte. Non mi hai
detto mai il nome di qualche fracesino che ha attirato la tua
attenzione, nè raccontato di qualche tua love story al profumo
di lavanda francese".
"Mi dispiace, non aver saziato la tua sete di gossip" ribattei, senza indugiare troppo.
Mi guardò di sottecchi, mentre mi esortava a dire di più.
"Ma parlando di gossip...gossip girl è ancora stressante come quando me ne sono andata?"
"Blair..."
"Serena, non ho nulla da raccontarti, perchè non ho vissuto
nessuna love story al profumo di lavanda francese, mi sono dedicata
anima e corpo al lavoro, non ho avuto tempo per queste sciocchezze".
Ci fu qualche minuto di silenzio, finchè disse:
"Beh, sai...reduce dall'esperienza con Louis, come darti torto"
Mi complimentai silenziosamente per il salvataggio in extremis.
"Signorina Blair, le valigie sono completate, e il taxi vi sta aspettando." sussurrò la giovane domestica.
"Grazie, dì pure che arriviamo subito"
Ed ecco che mio padre arriva nel salon, seguito da Ròman, con
una precisione in termini di tempo che mi fece sospettare che stesse
sentendo la mia conversazione con Serena.
"...Blair" fu tutto quello che osò dire, con gli occhi già lucidi.
"Papà..." fu la prima risposta che mi venne in mente, se così si possa definire.
"Promettimi che verrai presto" dissi, guardandolo dritto negli occhi.
"Promesso. Ti voglio bene" disse, stringendomi in uno degli abbracci più belli di tutta la mia vita.
"Anche io, papà!"
"Ci vediamo presto, prestissimo!"
Salutai Ròman, e le collaboratrici domestiche, e partii con Serena, nel luogo che per troppo tempo mi aveva atteso.
"Mi passi Vanity Fair?" chiese Serena, appena salite in aereo.
"Certo, ecco a te" risposi, cercando di toccare il meno possibile il porta giornali del sedile di fronte a me.
Sentii una risata provenire da Serena Van Der Woodsen.
"S, non ridere. Chissà quante persone si sono sedute dove sono seduta io adesso. E' inquietante."
"Dai, ci sarà sicuramente di peggio" fu la sua risposta.
Mentre un pronto ghigno di disapprovazione si liberò dalla sottoscritta.
"Avremmo potuto prendere l'aereo privato dell'azienda, ma invece no! A
te piace mischiarti con la gente comune, lady D dei miei stivali"
Vidi Serena alzare gli occhi al cielo, mentre si lamentava di quanto fossi bacchettona.
Ci addormentammo entrambe ben presto, e i sedili della prima classe si fecero improvvisamente più comodi.
Tuttavia, il sonno non durò molto, purtroppo, e osservando che
mancava poco meno di un'ora per arrivare a New York, cominciai a
sentire un'immotivata fitta allo stomaco.
Picchiettavo le dita sul bracciolo, nervosamente, un gesto che, ovviamente, Serena non si fece sfuggire.
"Nervosa?" chiese, apprensiva.
"C-cosa? Io? Per niente."
"Guarda che sei un essere umano anche tu, non c'è nulla di male."
"Sta zitta, S. Stavo guardando il modo di acconciarsi di quell'hostess, è qualcosa di pernicioso" mentii.
Per tutta risposta la biondina si girò dall'altra parte, con il chiaro intento di addormentarsi.
Ero nervosa, lo ero eccome. Chissà cosa avrebbero detto tutti di
me non appena mi avrebbero vista...sarebbero stati arrabbiati?
sorpresi? felici? annoiati?
E io? Come sarei stata a rivedere tutti quanti?
Chissà se era rimasto tutto uguale a quando ero partita, o se fosse cambiato qualcosa...
Odiavo quella sensazione di inconsapevolezza. Non potevo sapere, e
dovevo arrendermi a non poter sapere, almeno fino al mio arrivo
lì.
Dire che avevo i nervi a fior di pelle sarebbe stato un eufemismo.
Preferii imitare Serena, chiedendo una camomilla all'hostess, e cercando di pensare il meno possibile.
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Capitolo 3 *** First time ***
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"I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza, è iniziata la fase di atterraggio".
Furono queste le parole di una voce meccanica, distorta, che mi fecero
sobbalzare dalla poltrona, quasi avessi visto nuovamente i capelli di
quell'hostess.
La fase di atterraggio era iniziata? Ciò vuol dire che mancava davvero poco.
Cominciai a sentire una stranza sensazione...erano farfalle?
Non sentivo le farfalle allo stomaco da quando...
"Blair!" quasi urlò, Serena.
Subito mi voltai, con un espressione forse troppo eloquente.
"Tutto bene? Siamo quasi arrivati a New York...non sei emozionata?"
"Si, certo che lo sono, S...non sai quanto mi mancaste tutti quanti" dissi, sincera.
Mi abbracciò così forte che potevo quasi sentire la mancanza di ossigeno al cervello, ma non m'importava.
Sono sicura che lesse nei miei occhi anche un po' di nervosismo,
poichè non volle lasciarmi la mano, per tutto l'atterraggio.
"Dopo che si fa?" chiesi, avida di risposte.
"Beh, a New York saranno circa le sette del pomeriggio, Gossip girl ha
scritto di un evento filantropico, per raccogliere fondi insieme
all'ONU".
"Sembra interessante", fu tutto quello che dissi, quasi quasi avevo
perso l'abitudine alla mia vita mondana newyorchese. Mi vennero i brividi per quello che avevo appena pensato.
"Ci andiamo?"
"Quale momento migliore per fare vedere a tutti che Blair Waldorf è tornata?" domandai, retorica.
Serena sorrise, sospirando per l'enfasi che avevo messo nel pronunciare
il mio nominativo, sfogliando le pagine del giornale visto almeno un
milione di volte.
"Taxi?"
"Taxi?"
I taxi gialli, i miei taxi gialli...quanto mi erano mancati. Sentivo nostalgia perfino dei
tassisti antipatici e sempre di corsa. Wow, New York mi doveva mancare davvero tanto.
Prendemmo il primo che si fermò, dirigendoci dritte al mio loft.
Per ingannare il tempo decisi di fare un po' di ricerche su quello che
fosse successo nel periodo in cui sono stata via su gossip girl, anche
se trovai non molto.
"S, Gossip girl è forse in ferie?" domandai, curiosa.
"Mmm, no...ma poco tempo dopo che te ne sei andata ha un po' mollato la
presa, credo che non trovasse più il senso di un puzzle, se
mancava un tassello principale"
"Sicura sia per questo?" dissi, un po' lusingata, un po' sconfortata.
"B, non sa nessuno perchè adesso scriva poco o nulla...ma
sicuramente è un aspetto con cui conviveremo" rispose,
sarcastica.
Serena non aveva mai sopportato Gossip girl, io...probabilmente il mio
era più un rapporto di amore/odio, di stima reciproca,
nonostante fosse nota per la cruentezza, e fermezza.
E se Gossip girl non poteva più saziare la mia sete di gossip,
non mi rimaneva che chiedere direttamente notizie degli altri.
"Siamo arrivati, signorine, sono 40 dollari"
Mi opposi per pagare io il taxi, e salimmo fino a casa mia, dove
un'Eleanor raggiante stava attendendo che arrivassi dall'ascensore.
"Mamma, non ci credo!" dissi, abbracciandola quasi per stritolarla.
"O tesoro mio, mio piccola Blair" esclamò, in una presa da far invidia a un'anaconda.
"Mi sei mancata così tanto" dicemmo all'unisono.
"No! No! I centrotavola devono essere messi esattamente al centro, non
un millimetro di differenza, chiaro?" sentii una voce dal marcato
accento polacco, avvicinarsi, e riconobbi subito di chi fosse.
"Dorota!" urlai, ormai in preda all'eccitazione.
"Signorina Blair?!" disse, con un tono sorpreso.
E ripetemmo la stessa scena vissuta poco tempo prima con mia madre.
"Dorota, non sai che bello vederti. A Parigi non ci sono domestiche come te!" dissi, sincera.
"E qui non ci sono altre Signorine Blair da servire, si è tanto
sentita la sua assenza in questa casa" affermò, con la voce
rotta.
"Su, Blair, devi prepararti per la festa di stasera! Serena mi ha detto
che andrete all'evento benefico che ha organizzato Lily" irruppe mia
madre, anch'essa con gli occhi leggermente arrossati.
"Si, hai ragione. Dorota..."
"...preparo la vasca da bagno?" interruppe, continuando ciò che io stessa volevo dire.
Le feci cenno di si con la testa, consapevole di essere a casa.
Camminando per casa valutai che tutto era rimasto uguale, esattamente
uguale a quando me ne ero andata; le tende del soggiorno, il legno
intarsiato del tavolo nel soggiorno, l'arredamento, la mia stanza.
Era scontato, ma quando aprii la porta della stanza una miriade di
ricordi diversi e distinti colpirono la mia mente, che dovetti
addirittura appoggiarmi alla parete più prossima, per evitare di
rimanere sopraffatta.
Quante risate, quanti pianti, quanti dispiaceri, quante gioie.
Lo sguardo mi andò senza volere alle migliaia di diari custoditi
nel mio piccolo forziere, e le gambe presero a muoversi senza che fossi
io davvero a governarle.
Pagine e pagine di parole, talvolta stracolme di odio, talvolta
stracolme di amore. In alcune pagine riconobbi la Blair adolescente,
per poi andare a maturare paragrafo dopo paragrafo. Rilessi la
pagina in cui scoprii di non essere stata accettata a Yale, e la pagina
in cui Serena ritornò, quando venni a sapere che era andata via
per aver tradito la mia amicizia andando a letto con Nate.
Probabilmente sarei andata avanti così tutta la notte, se non
fosse per Dorota che bussò alla porta, porgendomi il necessario
per il mio bagno.
Trascorsi in bagno tre quarti dìra circa, prima di decidermi ad
abbandonare quell'acqua così rilassante profumata all'odore di
mirtilli e fragola.
Indossai un abito rosso, Dior, e andai nella stanza di Serena, dove attesi che fosse pronta per andare.
"S, quanto ancora dovrò aspettare che ti metta un vestito?" chiesi, tra lo spazientimento e il sarcasmo.
"B, quale mi consigli...verde Vivienne Westwood, o blu Fendi?" domandò, indecisa.
"S, sarai bella comunque, anche con un Prada di quattro stagioni fa" risposi, francamente.
Lei sorrise, scegliendo l'abito blu.
"Non venivo qui, nella mia stanza di casa tua, da quando te ne sei andata" pronunciò, a bruciapelo.
"Fa uno strano effetto anche a me" dissi, sedendomi.
"Stasera rivedrai tutti, e tutti rivedranno te...farai loro una bella sorpresa" sussurrò, sedendosi accanto a me.
"Già, devi assolutamente aggiornarmi su quello che è
successo durante questi anni." esclamai, tradendo un po' d'impazienza.
"Non è che sia successo granchè, lo vedrai da te stasera" disse, fiduciosa.
"Signorine, l'autista è qui, e vi sta aspettando." annunciò, Dorota, facendo capolino dalla porta avorio.
Durante l'itinerario sentii un po' di nervosismo impadronirsi di me,
chissà a quante domande avrei dovuto rispondere, quanti occhi mi
avrebbero analizzata, non che la cosa mia dia fastidio...mi ha sempre
fatto piacere stare al centro dell'attenzione, ma non potevo evitare di
sentire una certa intolleranza per tutti quei pettegoli che non
aspettavano altro che notizia nuove da raccontare.
E a proposito Gossip Girl non aveva ancora postato nulla sul mio ritorno, forse Serena aveva ragione...forse si era stufata.
Arrivammo a destinazione prima di quanto pensassi, il luogo era
incantevole, come volevasi dimostrare se l'organizzatrice è Lily
Van Der Woodsen. Vi era una schiera di limousine scintillanti, in fila
l'una dietro l'altra, aspettando di poter entrare in questa festa, che,
a dirla tutta, aveva buone premesse.
Scendemmo dall'auto, e sistemandoci gli abiti ci avviammo verso
l'entrata. Serena mi prese per un secondo la mano, come per darmi
coraggio.
Ma io ero impaziente, impaziente di rivedere tutti, quasi elettrizzata.
La sala era arredata in stile classico, e si vedevano scintillare
candelabri fantastici, insieme allo scintillio dei flute con lo
champagne. Dappertutto vi era gente che rideva, che faceva
conversazione, che bisbigliava, che spettegolava.
Per un secondo vidi la maggior parte degli invitati girarsi verso di me, e guardarmi come se avessero visto ET. Idioti.
"Blair, tesoro" disse ad alta voce Lily, abbracciandomi.
"Lily, che bello vederti!"
"Ci sei mancata così tanto...com'è Parigi?"
"Bella, ovviamente, ma New York è sempre la mia città!"
"Lo so bene, cara. Ròman sta bene?"
"Benissimo, grazie. Gli dirò che lo saluti"
"Digli anche che saremmo felici se venisse presto a farci visita!"
"Lo farò"
"Adesso, mamma se vuoi scusarci, facciamo un giro. Complimenti per
l'organizzazione" interruppe Serena, prendendo la mano della madre.
"Andate pure, siete dei raggi di sole stasera" e così dicendo se
ne andò, fermandosi pochi metri lontano, parlando con altre
donne di mezz'età.
"Che ne dici di prendere un po' di champagne?" chiese Serena.
"Si, ne ho proprio l'esigenza" replicai, ridendo.
"Per fortuna che ci ho già pensato io!" sentii dire da una voce conosciuta.
Ed ecco che un biondo ciuffo stava proprio alle nostre spalle, porgendo due bicchieri di ottimo champagne.
"Nate!" dicemmo all'unisono.
"Serena, perchè cavolo non mi hai detto che Miss B sarebbe
tornata?! Avrei messo il papillon di seta!" disse Nate, sempre
sardonico.
Non era cambiato di una virgola.
Abbracciai anche lui. Forse non avevo mai abbracciato tante persone nello stesso giorno.
"Che bello che sei tornata qui. Ci mancavi tanto!" quasi gridò, sincero.
"Anche voi mi mancavate, ed è proprio per questo che sono qui, Archibald."
"Sei sempre la stessa Blair" concluse, tenendomi le mani.
"Devi assolutamente raccontarmi di questi anni lontano da noi..."
"Ci sarà tempo, ne sono sicura" risposi, serena.
Ed ecco che vidi anche Jenny Humphrey,
Dan Humphrey, Rufus Humphrey, le sgualdrinelle che avevo come tirapiedi
al liceo, nella missione di sedurre l'ennesimo milionario, e poi vidi
lui, in lontananza, mentre mi stava osservando.
Chuck Bass.
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Capitolo 4 *** Memories and futures ***
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E poi vidi lui, in lontananza, mentre mi stava osservando.
Chuck Bass.
Era circondato da due spilungone, con delle scollature che mettevano
bene in mostra le grazie che la Natura aveva offerto loro (o forse il chirurgo), le lunghe
gambe incrociate, mentre con il tacco a spillo giocavano con il
pantalone di Chuck.
Fisicamente era rimasto uguale, ma qualcosa mi diceva che all'interno era cambiato.
Continuava a osservarmi, fisso, ma senza un'espressione stranita, o scioccata...solo stoica.
Io, ovviamente, sostenevo lo sguardo, cercando di capire cosa stesse pensando.
Ad un certo punto, decise di alzarsi da quel divanetto blu, spostando
senza cura o cortesia le gambe delle due giovani "fanciulle", la
direzione verso cui si muoveva era abbastanza scontata.
Notai la sua andatura, sempre un po' ancheggiante, ed il color nocciola
dei suoi occhi farsi sempre più intenso, in collegamento con i
passi che faceva verso di me.
Cercai di assumere una posizione che apparisse sicura, quindi misi una mano su un fianco, e distesi leggermente una gamba.
Quegli istanti sembravano eterni.
Ma eccolo più vicino, e più vicino.
"Waldorf, ci stavamo giusto annoiando ultimamente...ma che piacere rivederti" disse, con il solito tono suadente.
Lo sguardo fu interrotto da squilli del cellulare, originatisi da quasi tutta la sala.
"Salve, Upper East Side. E' da un po'
che non ci sentiamo, giusto? Mi mancate così tanto...in questo
ultimo periodo ho un po' raffreddato il rapporto con tutti voi, ma
state tranquilli, sono tornata, e più carica di prima. Ma guarda
un po' chi si rivede?! Blair Waldorf avvistata da Lily Van Der Woodsen,
di nuovo tra noi newyorchesi.
Che c'è Blair? Stanca di baguette e macarons? O forse sentivi la mancanza di qualcuno? La mia, di sicuro.
Sapete di amarmi, xoxo, Gossip Girl."
Scelsi di ignorare l'aggiornamento di Gossip Girl, e alzai lo sguardo verso Chuck, decisa a continuare la conversazione.
"Vorrei poter dire la stessa cosa, Bass." risposi, acida.
Lui fece un ghigno di disapprovazione.
"Su, sappiamo entrambi quanto ti sia mancato, non cercare di nasconderlo"
Io feci una finta risata.
"Vedo che non hai perso la tua ironia, sono piacevolmente sorpresa"
Lui sorrise.
"Mi dispiace dover interrompere quest'interessante conversazione, ma
Lara e Bessy (credo siano questi i loro nomi) stanno attendendo, e
sarebbe scortese potrarre la loro attesa" sussurrò.
"L'attesa accresce il desiderio" dissi, istintivamente.
"Vero. D'altronde hai imparato dal migliore. Au revoir." E così dicendo se ne andò verso quelle due ochette.
Mi girai, e tirai un sospiro, non so se di sollievo. Decisi di cercare
Serena, e la trovai poco dopo, avvinghiata al collo di Humphrey.
"S, puoi venire un secondo? Scusa Humphrey" dissi, con un falso sorriso.
"Certo, B."
"Hai letto Gossip Girl? chiese, come se pensasse che il motivo per cui volevo parlare con lei fosse il post di Gossip Girl.
"Si, ma...non volevo chiederti questo."
Ci fu una pausa di silenzio.
"Ho incontrato Bass, e mi è sembrato di rivedere il Bass della St. Jude, cinico e sciupafemmine. E' una mia impressione?"
"Blair..." sospirò, quasi come se fosse una lamentela.
"Si, beh...lui è un po' tornato indietro da quando te ne sei
andata. Più volte abbiamo tentato di riportarlo in carreggiata,
ma non ne ha voluto sapere, in questi anni si è dedicato senza
risparmarsi al lavoro, e alle donne"
"Immaginavo. Ma mai nulla di serio, giusto?"
"Blair!"
"Che c'è? Si tratta di semplice informazione" dissi con ovvietà.
"No. Ma non è questo il punto. E' tornato come a quei tempi, è di nuovo
indifferente, freddo, sprezzante, scettico. Tranne con Lily, con lei ha
sempre conservato una sorta di riverenza, gratitudine. "
"Grazie per le informazioni, S" dissi, schiacciandole l'occhio.
Ci furono altri attimi di silenzio.
"Blair, devo forse ricordarti il motivo per cui te ne sei andata?"
Subito mi immobilizzai.
"S..." fu tutto quello che riuscii a dire.
"Scusa, Blair, ma non posso perderti di nuovo. Non voglio che tu vada di nuovo lontano"
"Lo s-so. Sta tranquilla, non succederà. Ero solo curiosa, tutto qui" dissi, con un sorriso lieve.
Lei mi prese le mani, e poi tornò a scambiarsi effusioni con Humphrey.
Li guardai con ammirazione, e anche un po' di invidia, mentre decisi di andare fuori a prendere un po' di ossigeno.
Il vento leggero mi scompigliava i capelli, ed era così
rilassante...mi sedetti accanto alla fontana al centro del sentiero,
sfiorando la cresta dell'acqua. Presi il cellulare e rilessi quello che
Gossip Girl aveva scritto, finchè non fui interrotta da piccole
urla e risatine, provenienti dalle zone buie, ai lati del locale.
Subito drizzai le orecchie, un po' timorosa.
"Shh! dobbiamo fare piano, altrimenti ci sentono" disse una voce femminile.
"Meglio, se ci vedono. Mi eccita di più" replicò una voce maschile.
"Ti piacciono le sveltine?" disse, ansimando la ragazza, le cui parole mi provocarono una smorfia di nausea.
"...non proprio. L'attesa accresce il desiderio." rispose, l'uomo.
Sul mio volto un sorriso malinconico.
Seguirono rumori di baci, e rumori di foglie che si spostavano. C'erano
centinaia di invitati a quella festa, ma io non nutrivo alcun dubbio su
chi fosse nascosto lì vicino agli alberi.
Mi venne voglia di mettere la testa sott'acqua.
Mi imposi di ignorare la situazione, e tornai dentro, alla festa, tra
me e quell'individuo non c'era più nulla da lungo tempore, e
niente ci sarà.
"Buongiorno, B!" mi svegliò una voce armoniosa, insieme a fastidiosi raggi solari che entravano dalla finestra.
"Serena, ma che ore sono? chiesi, assonnata.
"Le nove del mattino, su, sveglia! "
"Buongiorno signorina Blair!" si aggiunse anche Dorota, accompagnata da odore di caffè e croissants.
Mi misi a sedere nel letto.
"Possibile che non possa dormire nemmeno nel mio letto?" chiesi, retorica.
"Non lamentarti. Ho avuto un'idea. " disse, Serena, con gli occhi che scintillavano.
La guardai incuriosita e impaurita al medesimo tempo.
"Perchè non organizzi una festa, per rendere ufficiale il tuo ritorno a New York?"
Ci pensai un attimo.
"E' una bella idea..." dissi, infine.
"Bene, allora non c'è tempo da perdere, abbiamo una festa da pianificare."
Passammo tutta la mattinata a curare la lista degli invitati, a ordinare catering e cibo da servire, non ci fermammo un attimo.
"Dom Perignon del 96" dissi, a un certo punto.
"No, dell'88" replicò Serena.
"96"
"88"
"96"
"88!"
"S! Non insistere, il 96 è una della annate migliori" risposi, un po' adirata.
"B, ma cosa dici! L'88, quella sì che è stata un'annata con i fiocchi!"
"La festa è della sottoscritta, per cui sarà la
sottoscritta a decidere" dissi, e mi immaginai di avere un martelletto
di legno come nei tribunali.
Serena alzò gli occhi al cielo.
"Prenderò entrambe, d'accordo? Sei una viziatella!" dissi, con
ironia, e suonò come il bue che dice cornuto all'asino.
Cominciammo a ridere insieme.
Una miriade di inviti e feste in sole 48 ore. Era evidente che ci trovassimo a Manhattan.
Non mi ero accorta di quanto la mondanità, i complotti, le feste, l'upper east side mi mancassero...
"Signorina, che colori vuole che utilizzi per le decorazioni?" esordì, Dorota.
"I colori della mia nuova stagione, un po' di pubblicità fa
sempre bene. Lavanda e acquamarina andranno bene. Utilizza un po' di
dorato.
"Sarà fatto."
La giornata volò tra le varie attività che organizzare
una festa comporta. Inviammo mail agli invitati, e fatto sistemare la
casa, mentre l'ora d'inizio si faceva sempre più vicina.
Mi feci un bagno veloce, indossando poi un vestito coordinato ai colori scelti per i dettagli.
I primi ospiti cominciarono ad arrivare, e stava procedendo tutto nel
migliore dei modi. La musica, l'atmosfera, era tutto perfetto.
Come Blair Waldorf esige che tutto sia.
"Blair, sei incantevole questa sera. E' così bello che tu sia tornata...." disse, Cyrus.
"Grazie Cyrus. E permettimi anche di ringraziarti...ringraziarti per esserti preso cura di mia madre, ,mentre io ero lontana"
"Non ringraziarmi, lei merita tutto il bene del mondo, è una donna meravigliosa." esclamò, con franchezza.
Guardammo entrambi verso di lei, mentre parlava con Lily, e lei si
girò, con aria interrogativa, probabilmente si stava chiedendo
perchè la stessimo guardando entrambi.
Io e Cyrus sorridemmo.
Andai a prendere un bicchiere di champagne, e vidi Serena, parlare animatamente con Nate.
"Dai, Nate...non abbiamo più diciotto anni! Devi prenderti le tue responsabilità!"
"Serena, lo so...lo so! Ma non voglio ferire i suoi sentimenti, capisci?"
"Ma così ferirai i tuoi!" rispose, S.
"Ehilà, che succede?" chiesi, avida di curiosità.
"Nulla. Nate è rimasto uguale a quasi dieci anni fa!"
esclamò Serena, evidentemente con una frase che aveva tutta
l'aria di essere una frecciatina.
"Serena, non è proprio così...io, io..."
"Ma quanto la fate lunga! Qual è il dilemma?" domandai, andando dritta al sodo.
"Sto con una ragazza, Chelsey...credo tu l'abbia vista ieri alla festa di Lily"
"Oh, si...la ragazza con le Yves Saint Laurent dell'anno scorso, giusto?" interruppi.
Serena fece cenno di si con il capo, sorridendo.
"Lei. Però, io...io non sono più innamorato di lei, o
forse non lo sono mai stato, non lo so. Ma il fatto è che..."
Alzai le sopracciglia per esortarlo.
"Nate, sta tranquillo. Dovresti sapere che puoi parlare di tutto qui.
Se non lo fai con i tuoi migliori amici...con chi altro?" dissi,
toccandogli il braccio.
"L'ho tradita, con Jenny Humphrey, non una sola volta. Io mi sono
innamorato di lei" pronunciò, come se si fosse liberato da un
cruccio.
"Bene, non che condivida la storia d'amore con Humphrey XX, ma se
Serena sta con Humphrey XY, non ci vedo nulla di male. Lascia questa
ochetta, e avrai risolto il problema" risposi, con chiarezza.
"Blair, credi non ci abbia già pensato? Ma c'è una questione...lei non è molto "tranquilla" come ragazza"
"Mi spiego meglio, è molto possessiva e leggermente strana, e
l'ho capito quando ho tentato di lasciarla pochi giorni fa"
continuò, preoccupato.
"Mmm, di bene in meglio" esclamai.
"Adesso che ci penso...nessuno sa mortificare la gente come ci riesci
tu! Se solo mi dessi una mano..." sospirò, con gli occhi
angelici.
"Nate, davvero vuoi il mio aiuto per lasciare una ragazza?"
"Non è una ragazza qualsiasi, lei è un po'...schizofrenica" disse, sussurando l'ultima parola.
"D'accordo, d'accordo."
"Grazie Blair! Ti va bene domani all'Empire Hotel?" domandò, schioccando un bacio sulla guancia.
"Andrà benissimo."
E così dicendo gli scompigliai i capelli, e andai a fare un giro per il mio salone, controllando che tutto andasse bene.
Mi fermai a parlare un po' ovunque, con diverse decine di persone. Non
c'era angolo in cui andassi senza che qualcuno mi cominciasse a parlare
di qualche stupido argomento. A un certo punto ne ebbi abbastanza, e
decisi di uscire sopra, nel tetto del mio palazzo.
La vista da lassù era qualcosa di incredibile, di fantastico. Le
persone apparivano così piccole, in confronto a tutto ciò
che le circondava.
I cartelloni pubblicitari risplendevano, illuminando la via e le
strade, mentre riuscivo a vedere Times Square, e la Fifth Avenue.
C'era una leggera brezza, che sfiorava appena la pelle, rinfrescando un po'.
Ero in pace con il mondo, anche solo per quei pochi istanti, ma la
calma che quel posto mi aveva suscitato sembrava mi appartenesse da
sempre.
"Solo io ho l'esclusiva con i tetti, dovresti saperlo" una voce fin
troppo nota a me stessa, provenì dalla parte più ombrosa.
Subito mi girai verso quella direzione.
"Pensavo non fossi venuto, stasera." risposi, sorpresa.
"Allora mi hai pensato...interessante."
"Non farti strane idee, Bass. Non ti ho visto accanto a Nate e pensavo avessi rifiutato l'invito"
"Dovresti conoscermi, non mi comporterei mai così ingratamente"
"...E sei venuto qui per passare la serata sul mio tetto?" chiesi, ironica.
"Sarei sceso tra uno o due minuti" affermò.
"Oh...è già andata via?" chiesi, inarcando le
sopracciglia, finalmente a conoscenza del perchè si trovasse
lì, e la ragione non era solo da cercare nella sua passione per
i piani alti e le viste mozzafiato.
Lui rise.
"Si, ma sta tranquilla, non ho sconsacrato l'onore del tuo palazzo" disse, sarcasticamente.
"Oh, ti aspetti dei ringraziamenti a questo punto?" chiesi, poggiandomi al cornicione.
"Come mai, se posso chiedere, non hai continuato la missione del giorno? Non è da te" continuai.
"La tipetta ha deluso le mie aspettative. Mi stavo annoiando..."
"Di sotto ci sono altre ragazze con cui potresti tentare la sorte" lo provocai.
"No, per stasera non si fa nulla. La routine è la morte della
giovinezza. Ogni tanto bisogna infrangerla, non credi?" rispose,
sull'attenti.
"Nessuna persona potrebbe essere più d'accordo di me"
"Allora, quanto ti sono mancato in questi anni?" disse, con arroganza.
"Se si trattasse di te, sarei potuta restare a Parigi altri mille anni" risposi, con ulteriore spavalderia.
"Attenta, così mi ferisci..." sussurrò, prendendosi gioco di me.
Era ovvio che voleva giocare, voleva divertirsi con me. Evidentemente
trovava piacere a torturarmi, a stuzzicarmi, vedendo dove e in che
punto sarei caduta, ma si sbagliava se credeva che sarebbe successo.
"Forse adesso dovrei fingere dispiacere, se non erro"
"Waldorf, mi sembri troppo cinica...cos'è? Hai per caso mancanze di sesso?"
Come osava, stupido idiota.
"Ti assicuro che la mia vita sessuale procede deliziosamente bene,
grazie per l'interessamento." dissi lentamente, dimostrando aria di
sufficienza.
Mi ricordai dell'anello che mio padre mi aveva regalato lo scorso anno,
un meraviglioso solitario di zaffiro. Cominciai a giocarci, proprio
sotto lo sguardo di Bass, che ebbi la soddisfazione di veder posare
proprio nel punto in cui volevo si fermassero i suoi occhi.
Non disse niente, si limitò solo a guardarlo.
"Sarà meglio tornare alla festa, potrei prendere in
considerazione la tua proposta di trovare una valida alternativa per la
mia serata, adesso che mi ci fai riflettere" affermò.
"Potrei avere accesso alla lista degli invitati, così da scegliere la mia prossima conquista?"
"Potresti, ma ho un offerta migliore. Che ne dici di andare nella
stanza degli ospiti, accanto alla stanza di Serena, in modo da..."
"Vuoi raggiungermi tu?" irruppe, con un sorrisetto che faceva saltare i nervi.
"Giammai" risposi, secca.
"Volevo semplicemente dirti di attendere in quella stanza, sceglierò io per te. Che ne dici?"
"Sembra insano, mi piace."
"Ma qui arriva la difficoltà. Le dirò di bendarti, e non potrai vederla fino alla fine del...ehm dell'amplesso."
"Vedo che non hai perso l'amore per i giochi erotici, complimenti Waldorf." sussurrò.
"Ci stai?" chiesi, attendendo una risposta.
"Non potrei mai tirarmi indietro di fronte a una competizione del genere"
Sorrisi maliziosamente. La situazione mi divertiva, perchè avevo
in mente non di scegliere una ragazza qualunque, avevo già
pensato alla ragazza perfetta per quell'incontro con Chuck.
Nelly Yuki.
Andai di sotto, e mentre cercavo con lo sguardo Nelly, Serena si avvicinò a me, chiedendomi dove fossi finita.
Le dissi che ero stata con il catering, controllando che tutto procedesse per il meglio. Sembrò quasi convinta.
Continuai a cercare Nelly, e la trovai, dopo poco tempo, seduta sulle scale, giocando con il cellulare.
Alzai gli occhi al cielo.
"Nelly!" esclamai.
"Blair, ciao. " rispose al saluto, un po' indispettita.
"Come stai? Sei divina!" dissi, io in falsetto.
"Sto...bene. Grazie."
"Ascoltami bene, ho una notizia sconvolgente che ho appena scoperto, e che dorebbe interessarti molto"
Lei mi guardò, curiosa.
"Ero di sopra con Chuck, e parlavamo dei vecchi tempi...di quando eravamo alla Constance, ti ricordi?"
Non rispose.
"Bene. Io gli ho chiesto cosa rimpiangesse di quegli anni, e non puoi
immaginare, mi ha detto che sei tu. Il suo più grande rammarico
sei tu! Perchè è sempre stato attratto da te, ma non ha
mai avuto il coraggio di mostrarsi interessato" dissi, tutto d'un
fiato.
Lei non sembrò molto convinta.
"Chuck? Io? N-non ho mai sospettato che provasse qualcosa per me..."
"Mi ha chiesto di darti questa busta...adesso io devo andare a cercare
Serena. Ci vediamo dopo!" esclamai, dandole una piccola lettera su
carta bianca.
Nel foglio avevo scritto le indicazioni per la stanza, e una sigla, la sua sigla.
La osservai da lontano, sperando che il piano andasse come previsto, ed
ebbi la gioia di vederla guardarsi intorno, e poi procedere verso le
scale.
Nessuna situazione riusciva a divertirmi come queste.
La seguii, senza farmi scoprire, e la vidi entrare nella porta giusta.
Aspettai un quarto d'ora circa, appostata lì di fronte, prima di
vedere finalmente uscire una Nelly Yuki con le guance rosse, e un Chuck
visibilmente scosso.
Sapeva che ero lì nei paraggi, e aspettò che Yuki
scendesse di sotto, prima di appoggiarsi al muro e invocare il mio
nome, con un tono un po' seccato.
Uscii dalla "trincea" che mi ero costruita ridendo a crepapelle, osservando la faccia adirata di Chuck.
"Questo è giocare basso, Waldorf."
"Piaciuto lo scherzo?" chiesi, ancora tra risate.
"Vedo che diverte molto più te che me" ribattè, sulle sue.
"Questo è molto più che evidente!"
"Nonostante questo, ti dirò...sono piacevolmente sorpreso
dall'ex alunna di Yale, non pensavo fosse così brava sotto le
coperte" affermò, malizioso.
"Ovvero, tu mi stai dicendo che ti è piaciuto?"
"Proprio così. Sorpresa?"
"I-io? No! Per niente! Sapevo la fama di Yuki, è per questo che l'ho selezionata."
"In tal caso, Waldorf...ti faccio i miei complimenti. 1 a 0 per te."
pronunciò, lentamente con il suo solito modo di parlare
così fastidioso.
Gli sorrisi appena, e girai i tacchi, disturbata per l'esito che non avevo messo in conto.
La festa continuò normalmente, con un Chuck Bass stranamente calmo, e una Nelly Yuki indubbiamente esagitata.
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Capitolo 5 *** You chose me ***
nbmnbm
"Blair, bambina...svegliati! Il sole è già sorto e tu
vuoi ancora oziare tra le coperte" sussurrò al mio padiglione
auricolare una voce tanto familiare, quanto rassicurante.
Sollevai la mia mascherina, e i miei occhi furono traumatizzati dalla
luce solare che improvvisamente dovettero affrontare, quasi fossimo
alle Fiji.
"Mamma, è davvero necessario rendere la mia camera come il solstizio d'estate a Stonehenge?" domandai, ironica.
Fece una risatina, cercando di illustrarmi quanto l'energia solare faccia bene all'epiderma e al corpo.
Sempre la solita, pensai.
"Adesso metti la vestaglia, e va' a fare colazione, ti aspetta una
giornata difficile" affermò, con sicurezza, ma anche
comprensione.
"Difficile? Perchè difficile?" fu tutto ciò che riuscii a dire, investita da sentimenti di sorpresa.
"Beh..." accennò, portandosi una mano al petto, mentre con fare
distratto giocherellava con la collana. Fece una pausa di qualche
secondo, mentre io non riuscivo più a sapere di non sapere.
"Allora?" chiesi, avida di risposte.
Lei si sedette, con il solito portamento e stile, mentre mi indicava di sedere accanto a lei.
Io le fui vicina, e prese le mie mani. Stavo quasi cominciando a
preoccuparmi, mentre il suo essere teatrale mi stava facendo andare
fuori di testa.
"Amore mio, fin da quando eri piccola ho sempre intrapreso un certo
tipo di educazione con te. Ho cercato di insegnarti i valori della
vita, le gioie, ma anche i dolori, perchè tu fossi in grado di
affrontare ogni aspetto, ogni circostanza. Talvolta bene, talvolta
meno".
"Mamma, a te devo tutti i miei grazie. Ma perchè vuoi dire
così? E' successo qualcosa?" chiesi, bloccando il suo monologo.
"Effettivamente sì.
Blair, ormai non ho più la giovinezza e la
vivacità, non potrò riuscire a continuare con il ritmo, e
l'impegno che richiede il lavoro della designer. Ecco perchè a breve saranno qui i miei
assistenti, perchè...voglio che ciò che ho costruito
sia , continuato, proseguito... reso forte
e sicuro. Dunque Blair, tesoro mio, è da un po' che ci
penso, e vorrei
tanto che fossi tu a prederti cura della compagnia, perchè so
che farai un lavoro meraviglioso". Affermò, con il cuore in
mano, e gli occhi lucidi.
Sentivo il bisogno di qualche secondo di silenzio.
Diventare il capo della Waldorf design...sembrava così naturale,
così ovvio. Ho passato tutta la gioventù osservando il
mio modello di vita, tra sfilate, modelle, abiti, ed eventi, e
adesso...adesso sembrava che tutto fosse finalizzato a questo. Come se
fosse già prestabilito. Il fatto che mia madre, l'iron lady dopo
Margaret Thatcher, mi chiedesse di ereditare tutto ciò che aveva
costruito, mi rendeva felice e realizzata. Conoscevo il fatto che lei
non fosse un tipo da formalità, e lasciarmi l'azienda
significava avere la sua stima, il suo orgoglio. Non si trattava solo
di logicità parentale, era certo.
"Io?!" esclamai, indicando il mio petto.
"Certo, sei il mio più importante successo", rispose, sicura.
"Mamma, io-io non so cosa dire. Sarebbe meraviglioso. " fu tutto
ciò che riuscii a far uscire dalle mie labbra, emozionata.
Vidi la sua espressione diventare ancora più felice, gli occhi
ancora più lucidi, le mani che stritolavano le mie, mentre dalle
sue labbra un "ti voglio bene", uno dei pochi, ma emozionanti detti da
lei, arrivò ai miei padiglioni auricolari come un sussurro. Le
risposi con un immancabile "anche io", mentre incredula la ringraziavo.
Ci abbracciamo, mentre la mia mente era già andata al momento del primo contratto, della prima sfilata.
"Che sognatrice, Blair" mi dissi.
Il resto della mattinata e più della metà del
pomeriggio trascorsero così, come mi aveva anticipato Eleanor,
tra carte, firme, burocrazia, e procedure, terribilmente noiose e
tediose, ma che riuscivo a tollerare pregustando il momento in cui mi
sarei posizionata dietro la scrivania in legno di rosa, con
l'atelier alla mia mercè, e la moda sotto il mio tacco 12.
Finalmente misi l'ultima firma, l'ultima di molte, ed era ufficialmente
mia. La Waldorf era ufficialmente mia.
"Bene, signore Waldorf, credo che così abbiamo ufficialmente
concluso. Spero di essere stato chiaro ed efficiente. Si prenda la
serata per rileggere con prudenza tutti i punti, e mi chiami se trova
qualcosa che non le va bene." disse, con tono calmo, guardando
me.
"Ci vediamo domani alla conferenza con la stampa" rimandai, annuendo.
E così salutò, lasciando il salotto con il tavolino ricco
di carte, un'aria d'eccitazione, due sorrisi e un futuro tutto da
scoprire.
Squillò il cellulare, mentre avevamo deciso di bere del tè con Eleanor. Serena.
"Serena! Devo parlarti, ho delle novità che vorrai di sicuro sapere!"
"Mmm, c'entra il notaio che è uscito pochi minuti fa dall'attico?" chiese, preoccupata.
"Si, ma...aspetta un minuto. Chi te l'ha detto?"
"Indovina. Gossip Girl" fu la sua risposta, talmente banale da chiedermi come mai non ci sia arrivata subito.
Non parlai per qualche secondo.
"Non fa nulla. Non mi tingerà la giornata di nero quella sciocca ficcanaso"
"Blair, sembri...contenta. Sarà una buona notizia. Ci vediamo a
casa tua? Sarò lì in pochi minuti." disse, sinceramente
sbalordita, e felice
"Non c'è bisogno. Vengo io da te. Ci vediamo tra poco!" risposi, chiudendo la chiamata.
Sistemai in pochi minuti trucco e capelli, e salutando mia madre,
bevvi, furtiva, un po' di tè dal bicchiere di Eleanor, che mi
rivolse un lamento di protesta, mentre con un sorriso a metà tra
la rassegnazione e l'approvazione, gettò gli occhi in alto.
Trovare il taxi non fu facile, ma non mi recò nessun disturbo,
mi era mancato persino questo lato negativo della mia Manhattan.
Non appena entrai nella casa dei Van Der Woodsen la prima persona che
vidi fu Lily, che mi abbracciò in segno di saluto, mentre Serena
corse verso di me con quelle lunghe gambe subito dopo.
"Blair! Ce l'hai fatta!" quasi urlò, con voce angelica.
Da dietro il banco una voce maschile, ma dolce
" Blair, che bello vederti! Abbiamo appena sfornato dei biscotti, con il caffè. Li gradisci?"
Era Rufus.
"Certo, sono famose le tue cialde, non sapevo facessi anche i cookies! affermai, ironica.
Lui fece un risolino, mentre mi passava un po' di fumante caffè.
Apprezzavo il fatto che nonostante io avessi dato filo da torcere a
Rufus e alla sua famiglia, lui fosse sempr riuscito a dimenticare
sempre. Era uno degli uomini più maturi e innamorati che io
abbia mai conosciuto. Non importa cosa Lily volesse, Rufus avrebbe
sempre fatto ogni cosa possibile per renderla serena. Desiderai di
vantare anche io un uomo così.
"Allora? Cosa ti ha fatto diventare così elettrica?" esclamò, Serena.
"Tieniti forte, Serena...non potrai mai dirlo. Eleanor mi ha voluta
come nuova direttrice della Waldorf designs!" urlai, euforica.
Vidi la sua espressione cambiare da curiosa e assetata di
notizie, a sorpresa, e forse più felice della mia. Mi
stritolò così forte che pensai di asfissiarmi, con gli
occhi lucidi.
"Si deve festeggiare!" decise, mentre acconsentivo con la mente.
"Hai ragione, domani dopo la conferenza. A casa mia. Che ne dici di
mandare gli inviti? Mi fido della tua conoscenza sui miei gusti".
"Sarà bellissimo, sta' tranquilla! Organizzerò io per la
festa, sono sicura che mi divertirò". disse, portandosi le mani
alle labbra.
Ci abbracciammo, e vidi allontanarsi quella chioma bionda, sparendo tra
le porte dell'ascensore. Aveva voluto occuparsi subito
dell'organizzazione, nemmeno lei era così cambiata. Sorrisi, e
tornando nella stanza principale per dare un saluto ai coniugi Rufus,
per mio stupore non vidi ciò che mi aspettavo, ma solo
ciò che temevo.
Quella figura antropomorfa se ne stava leggermente con la spalla sul
pilastro, mentre mi osservava con una faccia che non si apriva a nessun
tipo di lettura, solo lui sapeva innervosirmi in così poco
tempo, con così pochi gesti.
"...Le mie congratulazioni" cantò, mentre con la mano chiedeva la mia.
Mi posò un bacio sul dorso, che ritirai immediatamente. Il
contatto non era tra le cose che preferivo, quando si parlava di Bass.
"Ti ringrazio" dissi, con aria di sufficienza.
"Dunque, adesso sei ufficialmente una mia rivale"
"Ci occupiamo di aspetti molto divergenti. Non è esattamente
così. Se vuoi considerarmi tua rivale, non serve affatto un
movente, lo sai bene"
Sorrise, sollevando il sopracciglio destro.
"Siamo d'accordo. Non ne abbiamo mai avuto necessità."
affermò, con il solito tono caldo e irritante, mentre si
avvicinava a me.
Io mi allontanai, riprendendo il mio caffè, senza distogliere lo sguardo.
"E' così che festeggi? Con il caffè di Humphrey il
vecchio? Sei stata troppo tempo lontana da questa città"
sussurrò, concentrando il fulcro della frase sull'ultima parte.
"Dimentichi con chi parli, mio caro. Woodsen è già al lavoro, per la festa di domani. "
"E lo dici soltanto adesso? Mi raccomando, invita anche qualche modella di punta. Evitiamo Nelly Yuki domani" rise.
"Ti ho forse detto che ti avrei invitato? Deve essermi passato di mente" recitai, con falsa noncuranza.
"E' già sottointeso. Così come è sottointeso che una festa non è tale senza Chuck Bass".
"Sono sicura che gli invitati se ne faranno una ragione, e forse
riusciremo anche a evitare qualche ordinanza restrittiva da parte di
modelle, ti dirò".
"Non potrei mai mancare ad un evento così importante per ...te". disse, piano, apparendo sincero.
Dovevo andarmene. Stare con lui mi rendeva attaccabile, mi sentivo come
scoperta su tutti i fronti. Odiavo il fatto che fosse capace di farmi
avvertire quelle sensazioni, e ciò che mi dava ancora più fastidio era che lui fosse sempre stato l'unico.
"Meglio che vada. Dorota avrà preparato la vasca alla menta, ginseng, e fragole".
Esibì un verso di approvazione.
Subito la mia mente andò ai nostri bagni insieme, nonostante
avessi dovuto bloccare quella riflessione, lasciai che mi catturasse, e
portasse con sè nel passato. Fui certa che anche lui
pensò alla medesima cosa, poichè vidi il suo sguardo
farsi vuoto, come immerso in un altro mondo. Fu un'istante, che
però riuscii a cogliere.
Lui probabilmente fece la stessa riflessione su di me.
Mi aspettavo una battuta alla Bass, una di quelle fastidiose e volgari,
che, ancora non mi spiego perchè, riescono ad avvicinare quelle
meritrici, e invece, ciò che ottenni fu un semplice augurio di
buona serata. Una buonanotte pronunciata mentre mi porgeva la borsa
Valentino, attraverso il quale mi sfiorò volutamente il braccio,
con le sue pupille dritte verso le mie.
Le augurai anche io una buona serata, allontanandomi velocemente.
"Miei piccoli upper east siders, vi
sono mancata? A me sì, deliziate perpetuamente le mie
giornate. Novità su Blair? Ma certo che sì. La nostra
queen è stata avvistata dal portone dell'abitazione dei Van Der
Woodsen, seguita da una Serena con un sorriso a mezzaluna vista uscire
poco dopo. Il motivo di tanta felicità, Serena? C'è
profumo di Champagne e party in giro. La nostra B, infatti, sta
organizzando una festa a casa sua. Sappiamo che festeggiare non
richiede mai una vera causa, ma ti conosciamo dolcezza, e sappiamo
anche che ben presto lo saprete grazie a me. Aggiornamenti in vista.
XOXO, Gossip Girl".
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Capitolo 6 *** Bet ***
88
"Tutto pronto per la festa?" chiesi, addentando una brioche
"Ovvio, Blair. Con chi credi di discutere? Sono Serena, il mio nome
è sinonimo di festa" rispose, dall'altro lato del telefono.
Strinsi le labbra.
"Bene, allora ci vediamo alla conferenza" dissi, abbreviando le chiacchere.
Quella mattina si presumeva come impegnativa e frenetica. Sentivo come
un piccolo nodo, probabilmente indice del nervosismo e della
preoccupazione che avvertivo. Da quel momento, quella firma ha segnato
anche la fine della superficialità, dell'immaturità, era
un'apertura al futuro, una chiusura al passato.
Sarebbe dovuta formarsi una nuova B. Una B che non ha più
interesse verso i complotti, verso il frivolo. Una Blair più
adulta, seria.
Un salto di pensiero, ecco cosa il presente mi stava chiedendo. Cosa Eleanor mi stava chiedendo.
Mi domandai se fossi in grado di occuparmi di tutto. Di cambiare.
Non bastava più portare un cerchietto, sposare principi che in
realtà erano plebei, fuggire a Parigi, dare scandalo. Crescere,
era questa la parola chiave.
Fosse facile.
Indossai un abito del mio atelier, giustamente, e feci uno chignon con
delle trecce, per dare una visione più seria ed elegante
possibile.
Il vestito era semplice, severo, ma osservava comunque il rispetto
della sensualità. Era avorio, con un collar uguale, scollato
sulla colonna vertebrale, e una gonna cremisi, che accendeva la mise.
Stavo quasi per finire di prepararmi quando sentii una chiamata sul telefono.
Nate.
"Blair!"
"Nate, buongiorno."
"Volevo complimentarmi con te...ho sentito che l'atelier di tua madre
è tuo! Sono così contento, sarai splendida!"
"Grazie!" esclamai, Nate era sempre affabile e carino, chissà come sono riusciti a stringere amicizia quei due.
"Ma non chiamavo solo per questo..."
Il suo tono era cambiato...da sereno e felice, era diventato ansioso e indeciso.
"Che succede?"
"Ehm...ti ricordi cosa avevo domandato? Tutta quella storia di Jenny e Taylor?"
"Taylor? Che nome raccapricciante. Sì ricordo bene, continua"
"Beh, avevi detto che mi avresti dato una mano con lei, vista la sua..."
"Infermità mentale?"
"...Sì"
"Nate, certo che ti do una mano...domani?"
"Sta arrivando qui, in questo momento." esordì, lui.
"In questo momento? Nate, hai idea di cosa io abbia in questi istanti
per la testa? E quanto sia lunga la mia lista delle cose da fare?"
quasi gridai.
"Si, lo so. E' che...E' che...credo che abbia scoperto qualcosa. Mi ha telefonato ed era iraconda; ho bisogno di te!"
Non sapevo cosa fare. Al piano di sotto mia madre stava organizzando la
giornata, e aspettava che scendessi, con altri due consulenti, per
decretare insieme l'organizzazione, e il discorso che avrei dovuto
pronunciare. E ancora una volta ero davanti al bivio, che avrebbe
portato una delusione di uno di loro. Ancora una volta la frivolezza
alla serietà, ancora una volta l'adolescenza sull'eta adulta.
"Dammi qualche minuto e arrivo" dissi, in poche parole.
Lui mi ringraziò e concluse la chiamata.
Scesi furtiva dalla scalinata, pregando perchè Eleanor non mi
vedesse. Campo libero, non era lì. A passo veloce andai verso
l'uscita, dirigendomi verso l'hotel.
Non appena arrivai, vidi Nate sorridere, e ringraziare per l'aiuto che
gli stavo dando. Diedi uno sguardo alla stanza, sembrava
così...intatta. Intatta dall'ultima volta che l'avevo vista.
Ci abbracciammo, mentre gli dissi che sarebbe saltato tutto se non mi avesse preparato un caffè all'istante.
Mi guardò e rise, informandomi che sarebbe stato fatto subito.
Mi sedetti mentre controllavo con un atteggiamento compulsivo il
telefono. Pensai di farle ricevere un messaggio dicendole che sarei
arrivata subito, ma una voce distolse il mio sguardo.
"Waldorf, che fai qui? Ti mancavano le pareti della mia suite? Come
biasimarti" disse, sibillino, l'uomo che meno volevo vedere.
"Già, non diciamo blasfemie. Mancava a te vedermi seduta qui?" risposi, a tono.
Si sedette vicino a me, pronunciando un'intenso "terribilmente".
Odiavo quel sorriso sulla sua faccia. Come se sapesse di poter
conoscere tutti i miei pensieri, di farmi abbassare la guardia se solo
avesse voluto.
Quanto si sbagliava.
"Sono qui per Nate. Saprai certamente delle cattive azioni che ha compiuto nell'ultimo periodo"
Ascoltammo un "voi siete le ultime persone che possono pensare di giudicarmi" detto quasi urlando.
Ridemmo.
"Mm, sì, so che Nathaniel non è capace di appianare le
sue questioni da solo" pronunciò, con l'evidente tentativo di
farsi sentire da Nate.
"So anche che fare favori non è una delle tue specialità" asserì, Nate.
Mi diede il caffè, mentre iniziò a litigarsi con Chuck, quasi fossero giovincelli.
"Smettetela" ordinai.
Cessarono subito e io gustai quei secondi di silenzio, infranti poi da Bass.
"Non ho da discutere con le isteriche. Sai che non ho sopportazione.
Credo che se quella Ashley, o come si chiama, sia così repressa
sia anche colpa tua"
"E sono del parere che siamo già adulti per risolvere i problemi da soli". disse, continuando, severo.
Nate stava per rispondere, ma sapevo che avrebbe avuto come conclusione
ciò che era successo qualche secondo prima. Così lo
bloccai.
"Non importa. Amici sostengono altri amici. Punto"
Nate mi guardò con ammirazione e tornò nella sua stanza, lasciandomi sola con Chuck.
"Tra pochi minuti qui avverrà un putiferio." decretò, disturbato.
"Non credo. Saprà mantenere il controllo. Sono sicura che non sia folle come la descrivete." risposi, sinceramente.
"Vuoi scommettere?" soffiò, avvicinandosi al mio viso, facendomi sentire l'odore dello scotch.
Allontanai il mio viso.
"Che intendi?" domandai, curiosa.
"Se Rony, Ashley, darà di matto, avrò vinto io, se invece
riuscirà a mantenere la calma, avrai vinto tu." dissertò,
con una subdola luce in viso.
"Guarda che non è una gara per puntare sull'equino più veloce" risposi, sorridendo.
"Waldorf, adesso stai anche a preoccuparti dei sentimenti altrui? Delle ragazze di Nate?"
Ci fu qualche secondo di silenzio.
"Quale sarebbe la posta in gioco?" domandai.
"Tu cosa vuoi?" chiese, con il solito fare da cavaliere.
"Se vinco io, ti porterò ad una qualsiasi casa di riposo per
anziani, e sarai costretto ad andare a letto con una signora a mia
discrezione" affermai, quasi con tono malvagio.
Mi guardò per qualche secondo, mi fece i complimenti per il punto, e disse di essere d'accordo.
Cominciavo a sognare Chuck con una vecchia donna arrugginita nel sesso,
e poco attiva. So bene quanto a lui piaccia il gioco di squadra. Il
sgno mi fece ridere e disgustare al medesimo tempo.
"Cerca di non fare flop, altrimenti non varrà"
"Non preoccuparti, ora parliamo di te." e suonò come una
minaccia, mentre, stringendo le labbra, sembrava stesse concentrandosi
per pensare.
"Se trionferò io, dovrai essere mia segretaria per un giorno.
Una segretaria affabile, molto ...disponibile. Vestirai come ti
dirò io, farai ciò che ti dirò io. Un giorno".
Lo guardai stupita.
"E' una tua fantasia sessuale questa?" chiesi, scioccata.
"Waldorf, non hai mai saputo mettere in gioco il tuo potenziale, non hai mai creduto in te. Non l'ho dimenticato".
Avvicinai la mia mano, per fare in modo che lui avvicinasse la sua e
siglare la scommessa. Mi guardò con compiacimento, ma non
strinse la mano, se la portò al viso e gli diede un bacio.
Nauseabondo.
"Bass, non attacca" provai ad informarlo. Ferma e fredda.
"Me lo dicesti anche al Victrola..." sussurrò, arrogante.
Gli tirai i capelli, trascindolo sino a me, e gli dissi di fare
silenzio. La faccia di piccolo dolore iniziale fu sostituita con una di
divertimento e goduria. Era nel suo habitat di natura. Ma io non sono
inferiore, e lo scoprirà tra poco.
Sentimmo bussare alla porta, girandoci tutti verso quella direzione, mentre Nate era l'immagine della preoccupazione.
Nate aprì la porta, lasciando entrare Ashley, che appariva molto lontana dalla tranquillità.
Inizialmente sembrò una di quelle ragazze dal viso gentile, i
capelli color topazio, le labbra rosa e un vestito fendi delle due
stagioni precedenti. Appena vide Nate disse a voce alta "tu!" quasi a
intimorirlo, mirando il dito contro di lui.
"Tra le cose che potevi infliggermi, il tradimento è la cosa che non avresti dovuto oltrepassare!" gridò.
"Taylor, non...non avrei voluto. Non andare a finali abbozzati senza conoscere la storia" enunciò, Nate.
"Mi fai schifo" fu la frase della ragazza, ripetuta successivamente con tono più acuto.
Cominciò un monologo, in cui Ashley cominciò a delirare,
torrenti di parole, che sembravano non finire più. I momenti di
sconforto erano sostituiti dai momenti di risentimento. I momenti di
tristezza erano sostituiti dai momenti di vendetta.
Guardavo disgustata e con disinteresse. Bass stava vincendo.
Dovevo fare qualcosa.
Mi alzai, mentre Chuck mi osservava.
"Ascoltami tesoro, non ha senso arrabbiarsi, voler distruggere Nate.
Promettere odio e morte, perdono e amore. Ormai lui ha fatto la
sua scelta. Quindi raccogliamo un po' della dignità e andiamo a
casa, ok? Lo faccio per te" dissi, con una falsità nauseante.
Ovviamente Chuck fischiò il calcio di punizione.
"E tu...sei?" disse, visibilmente turbata.
"Blair Waldorf" risposi, con un finto sorriso.
"Allora...tu saresti la ragazza con cui mi ha tradito Nate! Non c'è altra via d'uscita!" gridò.
"Cosa?! No! Io sono...io sono..."
"E' fidanzata con me" esordì Chuck.
Cercai di assassinarlo con lo sguardo.
Ashley parve tranquillizzarsi.
"...Sì, noi...siamo fidanzati" risposi da bugiarda.
Lei però non parve persuasa, e ci disse di darci un bacio, per provarlo.
Mi sembrava stupido, ed infantile, ma l'avevano detto che non era una
ragazza a posto. Cercai di oppormi, e anche Chuck mi venne in soccorso,
ma quella sciocca insistette, mentre il viso di Nate era preoccupato e
speranzoso.
Ci pregava con gli occhi di farlo liberare da lei.
"...d'accordo" disse Chuck.
Guardai lei, poi Nate, poi Chuck.
Gli diedi un veloce bacio sulle labbra, sperando che fosse abbastanza, ma non fu così.
Nate avrebbe dovuto darmi milioni di dollari.
Lo osservai per qualche secondo, e al contempo lui osservò me.
Mi posò una mano sulla schiena, che mi fece avere come reazione
un piccolo brivido, purtroppo non fu indifferente a Chuck.
"Se provi a mettere la lingua, ti uccido" comunicai piano.
Lui rise.
Chiusi gli occhi, le mani sui fianchi, scocciata per l'azione che stavo per compiere.
Forse non così scocciata.
Sfiorai il suo naso, per temporeggiare nel tastare le sue labbra,
poichè provavo vera paura e imbarazzo. Riprovare il sapore delle
sue labbra, il suo viso vicino al mio, era un ossimoro di emozioni.
Fascino e disgusto, paura e impazienza, repulsione e desiderio, dolore
e piacere.
Chuck baciò le mie labbra, un piccolo bacio, ritornando a
sfiorare il mio naso. Il respiro era irregolare. Ancora fu Chuck a
trovare le mie labbra, con un bacio nella stessa maniera casto, ma con
una sfumatura differente, di sicurezza.
E adesso le mie labbra erano poco aperte, protese verso di lui. Fu la
sottoscritta a baciarlo questa volta. E fu un bacio non uguale ai
primi due, con più passione, con più coinvolgimento.
Cresceva di attimo dopo attimo, mentre le sue mani non erano più
sulla mia schienza, ma sui miei fianchi, e le mie mani sui suoi
capelli. Ci avvicinammo e fu come se fossimo due poli del
magnetismo. Le sensazioni erano così antiche e nuove, mi resi
conto di quanto mi fosse mancato, di quanto avessi sentito la sua
nostalgia. Fu come se non ci fossimo mai lasciati, come se non fossi
mai andata via.
Il bacio stava intensificandosi, ad un livello quasi doloroso, le sue
mani sul mio corpo, e toccare il suo viso, inebriarmi con il suo
profumo, era doloroso.
Sentii Nate tossire, e ci trovammo doverci dividere.
Guadai Chuck per qualche istante, e poi ci girammo, cercando di
riprendere il controllo. Ma quando mi girai Ashley era andata via.
"Nathaniel...dov'è la tua versione femminile di Vlad III? E' andata via?" domandò.
"...da un po'!" fu la sua risposta.
"Cosa? E perchè non ci hai informati? Ho dovuto sentire sofferenze, per farti da amica!" esclamai
"Beh, ho visto come sentiste dofferenze...eravate come due sardine!" disse, ridendo.
"irriconoscente", pronunciai.
"mi devi un miliardo di favori...e te li farò pagare"
"Ma che idiota" pensai.
Chuck tornò ad essere seduto al suo psoto, con il bicchiere di scotch, quasi stoico.
Andai da lui e quasi strappai il suo papillon.
"Non osare mai più infilare la lingua nella mia bocca, perchè ti schiaffeggio". pronunciai.
"Sei stata tu a inaugurare, tesoro" rispose.
Gli feci altre intimidazioni, correndo verso L'atelier, fuggendo da sentimenti che forse non erano mai passati.
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Capitolo 7 *** I won, you lost ***
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Corsi fuori da quell'hotel, quel dannato hotel, con
la stessa velocità di un vampiro mentre cerca riparo
dalla luce del sole. Solo che io dovevo uscirci dalla tana del vampiro,
a pensarci bene.
Salutai distrattamente il receptionist, e quasi in traiettoria di collisione con la porta scorrevole, fui finalmente fuori.
Respirai. Respirai come un sub tornato in superficie, mentre sfioravo con le mie mani le mie labbra.
Sollevai lo sguardo verso il cielo e mi accorsi solo in quel momento
del temporale che stava affliggendo Manhattan. Mi sembrò
quanto mai consono. E scioccamente banale.
Ancora una volta cercai un taxi, e nonostante la solita
difficoltà nel trovarlo, e la pioggia che cadeva, non diedi di matto, ma al contrario, quasi
ringraziai quella frescura sul mio viso bollente fino a pochi secondi
prima, nonostante sarebbe inutile nascondere che il mio pensiero
andò anche alla mia povera chioma, vittima innocente di una
guerra altrettanto inutile.
Che cosa voleva Bass da me?
Che cosa volevo io da Bass?
La confusione tornò a disporre come un tiranno nella mia testa. Così come le parole di Serena.
"Devo ricordarti perchè te ne sei andata?".
No, certo che no, S. Non ne ho bisogno. Non devo averne bisogno. Risposii mentalmente.
Arrivai finalmente nel mio attico, e sembrò come un'oasi nel
Sahara. Il trench Burberry era divenuto un drappo stropicciato e
bagnaticcio, i capelli una massa aggrovigliata di cheratina. Il
trucco...meglio non soffermarsi su quello.
Persino Dorota fece un ghigno di sorpresa e disgusto.
"Non osare dire nulla", ordinai, secca.
Ottenni una risata velata come risposta, a cui seguì un mio sguardo a dir poco tagliente.
"Blair, tesoro...ma che hai combinato? Sembri Kate Moss ai tempi di Pete Doherty" esclamò Eleanor, preda dello shock.
"Spiritosa. Hai visto che temporale?"
"Dorota, prepara un bagno caldo all'acqua di rose e zenzero...e chiama
qualcuno che possa mettere ordine in quel nido di cuculi che le si
è costruito in testa" asserì.
La risposta di Dorota fu immediata quanto efficiente, in pochissimi secondi si trovava già al piano di sopra.
"Tesoro mio...tutto bene?" chiese, improvvisamente comprensiva, come se
avesse scorto che effettivamente ci fosse qualcosa che non andasse.
Io la abbracciai, un po' perchè sarebbe stato tutto ciò
di cui avevo bisogno, un po' per affondare il vsio in quel petto da cui
non mi staccavo nemmeno per un secondo durante la mia infanzia.
Lei mi accarezzò i capelli, se così potevano ancora essere chiamati, dandomi un bacio in fronte.
"E' il tuo momento, ora. E' a te stessa che devi pensare, di te stessa
devi prenderti cura. Prima di ogni altra cosa, prima di ogni altra
persona" sussurrò, dando una particolare intonazione alla parola
"persona".
Accidenti all'intuito femminile. Accidenti all'intuito materno.
"...Qualunque cosa sia accaduta" disse ancora.
"Signorina Blair, di sopra è tutto pronto per lei." ci interruppe la voce di Dorota, e le fui ovviamente grata.
Feci un lungo bagno, caldo, al sapore di ricordi, di vecchi rancori,
nuove speranze, nuovi propositi. Al termine del bagno, un pranzo
leggero solo io ed Eleanor, e mi distesi sul letto, unico protagonista
vero dei miei pensieri dal momento in cui ero tornata a casa.
Niente sa essere di consolazione come un buon materasso ortopedico, e delle lenzuola in seta misto cachemire.
Non ci volle molto perchè passassi senza neanche rendermene conto dal pensare a quel bacio, al sognare quel bacio.
"Non ci credo che si sia addormentata. Non voglio crederci"
esclamò una voce femminile lontana, eppure sempre più
vicina alla mia porta.
Serena.
Affondai la testa nel cuscino e tentai di coprirmi quanto più
fosse stato possibile, come per cercare riparo da ciò che mi
avrebbe disturbata da lì a qualche secondo.
"Blair!" quasi urlò, Serena, sbattendo la porta della mia stanza.
La guardai appena con l'occhio destro, mentre mugolavo qualcosa.
"Blair tra tre ore c'è iniziano i festeggiamenti a casa tua,
Gossip Girl ha già comunicato l'evento, e tu, tu: Blair Waldorf,
sei a letto? Starò sicuramente sognando" disse, tutto d'un
fiato.
"S, hai ragione, ma...ero davvero stanca. Comunque, diamoci da fare"
risposi, spostando le lenzuola, e alzandomi dal letto in pochissimi
secondi.
"Adesso ti riconosco"
Non ci fermammo un solo secondo. Se da una parte c'era da occuparsi dei
fiori, dall'altra la disposizione dei tavoli. Se da una parte bisognava
occuparsi del tovagliato, dall'altra anche la disposizione di candele.
Sembravamo dei piccoli tornado.
Ci prendemmo una pausa solo quando sembrò tutto perfetto,
perfetto come avrebbe dovuto essere e come tutto ciò che
riguardava Blair Waldorf, la nuova direttrice e amministratore delegato
dell'Atelier Waldorf. A dir la verità anche quando vedemmo
Dorota sedersi in cucina con la testa poggiata sul legno del tavolo,
capimmo che avevamo già fatto tutto ciò che doveva essere
fatto.
Mezz'ora prima dell'inizio della festa cominciò ad arrivare il
catering, insieme al gruppo orchestrale che avrebbe dovuto aiutare a
creare l'elegante e seria atmosfera di cui eravamo alla ricerca. Erano
finiti i tempi delle feste alla Constance. Non eravamo più
adatti per sbronze e complotti. Forse.
"Allora? Sei contenta, B? Ho cercato di organizzare tutto seguendo i
tuoi gusti. Ho anche ordinato il Dom del 96" esclamò, con volto
fintamente sconfitto.
"S, è tutto straordinario. Senza te non so cosa sarei riuscita a fare"
"Ma smettila, e va' di sopra, c'è un bella sorpresa che ti aspetta." ordinò, con un sorriso a 32 denti.
La guardai con sospetto, e una punta di impazienza. Che cosa poteva aspettarmi di sopra?
Corsi su per le scale e quando aprii la porta della mia stanza vidi
adagiato sul copriletto color cipria il più bell'abito che io
abbia mai visto.
Aprii gli occhi, corrucciandoli. Era nero. Un lungo spacco disegnava la
linea dell'abito, mentre alla vita vi era una cintura sobria, sopra la
quale un elegante scollatura a forma di cuore avrebbe valorizzato il
mio seno. In tutto l'abito piccolissimi cristalli neri che
contribuivano a farlo splendere come un diamante color pece al chiaro
di luna.
"L'ho disegnato per te, piccola mia. Sarai splendida." affermò mia madre, di sorpresa, sfiorandomi la schiena.
Appena sentii la sua voce, quasi per riflesso, mi voltai, abbraciandola talmente forte che ebbe un sussulto.
"Grazie mamma. Farò tutto quanto in mio potere per non deluderti." decisi, parlando sia a me stessa che a lei.
"Sei cresciuta molto bene, tesoro mio. Sei una donna forte,
determinata, orgogliosa e talentuosa. Sei la mia vittoria."
sussurrò, con gli occhi lucidi.
Tutto ciò che riuscii a risponderle fu un "ti voglio bene". Un "ti voglio bene" detto con tutto il cuore.
"Su, S, so che vuoi unirti all'abbraccio, vieni" esclamai, ridendo.
Lei mi rispose con un sorriso, e asciugando una lacrima dal suo volto, si avvicinò per abbracciare sia me che Eleanor.
Mi cambiai in pochi attimi, e optai per un trucco intenso, ma non
troppo estroso sugli occhi, lasciando al contrario le labbra quasi
struccate. Portai i capelli raccolti, un raccolto morbido, con qualche
ciocca volutamente ribelle.
Scesi le scale e vidi gli occhi di Eleanor diventare ancora una volta
lucidi, mentre Serena, in un meraviglioso abito prugna di Prada,
sorrideva.
Decidemmo di dare un ultimo sguardo all'organizzzazione per verificare
che fosse tutto in ordine, con un Cyrus che, alzando gli occhi al
cielo, mormorava riguardo la mia mania della precisione.
Cominciarono ad arrivare i primi invitati, i vari partner di lavoro,
collaboratori, assistenti, qualche modella, e tutta l'elite della dolce
isola.
Ricevetti anche una chiamata da mio padre, da Parigi, che riunendo
tutti i collaboratori della filiale parigina, mi fece urlare un "Buona
Fortuna".
Continuavano ad arrivare ospiti, senza sosta, senza un momento di stop,
mentre io, irrigidita e attenta come sempre, mi assicuravo che andasse
tutto bene.
Erano pochi i momenti in cui mia madre non mi prendeva in
ostaggio per parlare con qualche uomo d'affari, e sebbene non lo
tollerassi sapevo che andasse fatto. Ma ogni pretesto andava ricercato
ed era funzionale per scappare da quella rete di formalità. In
uno di quei momenti i miei occhi caddero su una candela. Una candela
non accesa. Sgranai gli occhi, e corsi a prendere un fiammifero,
sussurrando tra me e me come fosse stato possibile.
Spezzai almeno 20 fiammiferi quella sera, nell'impresa così
banale, e a quanto sembrava anche così complicata di accendere
una stupida candela.
Intestardita portai la scatola di fiammiferi al petto, e finalmente vidi una fiamma su quel legnetto.
Ma spostando il fiammifero misi a fuoco qualcosa di ben diverso. Vidi
un altro uomo d'affari, in un abito nero mozzafiato di Armani, guardare
drito verso di me, con il suo sguardo orgoglioso e sicuro di sè.
Un uomo d'affari un po' diverso dalla categoria, meno noioso, "solo"
Chuck Bass.
Lo guardai mentre gettava uno sguardo in giro, evidentemente cercando
qualcuno di specifico, e sebbene non ne avessi diritto, feci un ghigno
soddisfatto quando lo vidi alzare il sopracciglio posando lo sguardo
sul mio abito, sul mio spacco.
Venne verso di me.
Soffiò sul fiammifero che ero finalmente riuscita ad accendere, gettandolo via dalle mie dita, e sfiorandomi la mano.
"Se hai bisogno d'aiuto con il fuoco, basta chiedere" sussurrò,
sottraendomi i fiammiferi e accendendo quella maledetta candela.
"Aggiungerò la nota di pirotecnico alla lunga lista di ehm, aggettivi, che ti intitolo" risposi, fredda.
Lui rise.
"Consulterò anche quella, puoi farmela avere insieme alla lista
degli invitati? Devo ancora scegliere la compagnia di stasera."
"Sei disgustoso"
Fece un sorrisetto, per poi prendere la mia mano, sfiorandola delicatamente, e portarla alle labbra.
"Waldorf, stasera sei incantevole" affermò, probabilmente sincero.
"Ti ringrazio. Adesso se non ti dispiace devo tornare dai miei ospiti" asserii, distaccata solo apparentemente.
E mi voltai, senza nemmeno fermarmi un secondo, dritta in cucina, dove cercai conforto poggiandomi sul piano di preparazione.
Perchè doveva ancora avere questo potere su di me? Dopo anni. Erano passati anni ma il mio corpo, la mia testa, il mio cuore, sembrava non ci facesserro neanche caso.
Era incredibile come riuscisse a tendere i miei nervi.
Quando uscii lo vidi mentre scambiava qualche frase con qualche altro
uomo d'affari, e non con qualche modella come immaginavo. Strano.
Cercai Serena, e quando la vidi, la raggiunsi immediatamente, vedendo solo una volta arrivata anche Nate e...Jenny?
"Ciao Blair" cantarono i due.
"Ah, quindi state già insieme voi due? Che lieta notizia" dissi, sarcastica.
Serena mi pizzicò il fianco.
Nate mi guardò scuotendo la testa, mentre Jenny si limitava a ridere. Come se si fossero abituati al mio cinismo.
"Ricordati di quello che ho fatto per te, Archibald" sussurrai al suo orecchio, mentre decisi di fare un giro per la sala.
Chiaccherai del più e del meno con persone sconosciute o quasi,e
sotto esortazione di Eleanor tenni anche un discorso ringraziando i
presenti, e dando un'idea dei miei progetti di lavoro futuri.
I partner sembrarono entusiasti, così come Eleanor, Serena, Nate, Jenny, Chuck, persino Dan Humphrey.
Non appena finito di parlare sentii una mano alla vita, cercai di
capire chi fosse e lo scoprii quando sentii una voce inconfondibile
susurrarmi: "Sei stata meravigliosa. Una leader. Peccato che domani
dovrai farmi da assistente per ventiquattro ore" fingendo dispiacere.
Lo allontanai subito.
"Che cosa?" dissi, stupita.
"Waldorf, hai perso stamattina all'Empire. Hai già dimenticato?"
"Non ho dimenticato, ma ho dimenticato la parte in cui hai vinto tu"
"Stava per dare di matto, solo perchè l'hai fermata tu, ehm...noi, non è successo"
"Ma non è successo, quindi a onor del vero, io ho vinto e tu hai perso" decisi, sorridente.
"No, piccolina, non è per niente come dici tu" rispose, poggiando la sua spalla alla parete.
"Non osare affibiarmi nomignoli"
"Ho vinto io, e lo sai anche tu. Ma qui c'è bisogno di un'arbiter" continuai.
Ed entrambi pensammo a Nate.
Ci guardammo per qualche secondo, per poi correre a cercare Nate e capire chi avesse la vittoria.
Mentre correvo mi chiedevo quanti anni avessi, e se la Blair adulta e
responsabile sarebbe mai arrrivata. Ero la nuova dirigente dell'atelier
Waldorf, e correvo per il mio appartamento come una sciocca.
Quando c'è Bass di mezzo, nulla riesce ad avere senso.
Guardammo per tutto il mio salotto, ma non riuscimmo a trovarlo. Solo
Serena, durante un lento con Humphrey disse di averlo guaradto prendere
l'ascensore con Jenny.
I due piccioncini si erano appartati?
Era sicuramente in terrazza.
Ci guardammo per un piccolo istante negli occhi, un'istante in cui
l'uno sembrò capire i pensieri dell'altro. Di scatto corremmo
verso l'ascensore come due adolescenti, cercando di arrivare prima
verso l'ascensore, verso Nate.
"Nate!"
"Nate!" gridai.
Ovviamente Archibald non poteva che essere lì, insieme alla sua
nuova conquista Humphrey, ammiravano il cielo come due stupidi
innamorati. Clichè.
Bleah.
"Nate!" urlai, ancora una volta, ma con una nuova punta di disgusto.
"Devi assolutamente aiutar..." fu tutto quello che potei dire. Una mano
fredda mi coprii la bocca, in modo del tutto inaspettato.
La mano di quel disgustoso essere era sulle mie labbra. Cercai di toglierla in ogni modo, ma fu tutto inutile.
Mentre ancora mi dimenavo, Bass cominciò a spiegare all'amico la
situazione, ponendo l'accento su chi doveva evidentemente aver ragione.
Non potevo permetterlo. Gli morsi la mano.
"Ahi!" asclamò, guardandomi, sorpreso.
"Nate...ma che cosa sta dicendo Chuck? Che cosa è accaduto?" domandò, scioccata, Jenny.
"Io..." fu tutto ciò che Nate disse.
"Nate, ricordi quando oggi...ho fatto quel favore? E' il momento della riscossione" affermai, interrompendo Archibald, certa.
Lui mi guardò con aria combattuta e dubbiosa.
Sicuramente non sapeva cosa fosse più saggio fare.
"Jenny, ricordi la ragazza con cui...con cui uscivo prima?" disse Nate.
"Sì..."
"Beh, quando ti dissi che l'avevo lasciata, non era proprio
corrispondente al vero...Io-io non l'avevo ancora aftto, e ti chiedo
scusa. Ma adesso, grazie a questi due affetti da psicosi, me ne sono
liberato. Io voglio stare con te."
Ma Archibald doveva fare la dichiarazione conn le rose e i cioccolatini
proprio dinanzi a me? Con un problema così importante da
risolvere come chi avesse torto tra me e Chuck?
Idiota.
Il viso di Jenny si compose in un sorriso, mentre gli occhi le
diventavano lucidi. Si abbracciarono, mentre si sussurravano parole
dolci.
Io e Chuck sbadigliammo spazientiti.
Nate tornò a guardare noi, con aria incerta.
Improvvisamente, il suo volto corrucciato si distese, e ci sorrise, come se avesse appena ricevuto l'idea perfetta.
"Nessuno" disse Archibald, senza aggiungere nient'altro.
"Nessuno?" domandammo a coro io e Bass.
"Sì, nessuno. Nessuno di voi ha vinto, nessuno di voi ha perso la scommessa."
"Nathaniel ma che accidenti stai..." cercò di dire Chuck.
"Avete entrambi sfruttato ogni mezzo possibile, non avete giocato
pulito. Adesso vi comporete entrambi come se la scommessa fosse persa"
decretò.
"Archibald, tu mi stai sentenziando la mia condanna a segretaria per un
giorno di Chuck Bass. Hai idea di quello che stai facendo?" sussurrai,
cercando di intimidirlo.
"...E se non sbaglio lui dovrà provare il brivido del sesso con
una donna anziana. Buon divertimento." concluse, in modo simpatico.
Io e Bass ci guardammo per qualche secondo. Cercavamo di capire a cosa stavamo andando in contro, e chi l'avrebbe avuta vinta.
"Hey, upper east siders! Sono Gossip Girl. Guardate che bella la foto
che ho appena ricevuto. Questa sera si festeggia nell'appartamento di
B. Il motivo? Un saluto alla nuova direttrice dell'atelier
Waldorf! Sappiamo tutti quanto le terrazze siano a cuore dei
nostri ragazzi, ma cosa vedo qui? Addirittura un Chuck e una Blair che
litigano, davanti alla nuova coppia Nate/Piccola J, non più
tanto piccola? Chissà di cosa staranno discutendo. Lo scopriremo
presto. XOXO, Gossip Girl".
Ecco l'abito che indossa Blair.
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Capitolo 8 *** Any colour you like ***
uighjkjol
Non era possibile. Sarebbe stato un affronto bello e buono.
Alla mercè di Chuck Bass per ventiquattro ore? Nemmeno se mi avessero prelevato ogni millilitro di sangue.
La morte piuttosto che essere sua, anche solo per un giorno.
La festa era andata bene, tutti erano contenti ed entusiasti. Mi
guardavano tutti con orgoglio, come se stessi diventando la donna che
mia madre si fosse sempre augurata che diventassi.
In realtà sembrava ancora fossi rimasta ai tempi del liceo. Mi vergognavo quasi di me stessa.
I complotti, i gossip, tanti anni a Parigi come rehab da questo...e mi
sono bastati pochi giorni per essere esattamente com'ero quando partii.
Ripensai al momento in cui partii da New York, cinque anni prima. Mi sentii pervadere da brividi.
Non vedevo l'ora di buttarmi sul mio amato materasso finlandese, e lasciare
anche solo per qualche ora tutte le questioni da cui mi sentivo
afflitta.
Indossai il babydoll victoria's secret in seta, la maschera
proteggi-sonno, e cercai di cadere il prima possibile in stato
d'incoscienza.
Se non fosse per il rumore che sentii alla mia porta.
"Dorota, qualsiasi cosa sia, me la dirai domani. Buonanotte" affermai, seccata.
"Non sono Dorota" fu la risposta, una voce suadente, maschile, talmente
conosciuta che avrei potuto farne il riconoscimento tra altre cento.
"Bass? Che cosa vuoi?" domandai, senza aprire la porta.
"Waldorf, non ti hanno insegnato le buone maniere? Bisogna aprire la porta agli ospiti" rispose, con sarcasmo.
"Se c'è qualcuno a cui bisogna insegnare qualcosa è Dorota, che non dovrebbe far salire nessuno"
"Apri, me ne vado subito" informò, serio.
Guardai la porta per qualche secondo, e poi guardai il letto.
Perchè guardavo il letto? Mi dissi mentalmente quanto fossi
stupida.
Finalmente aprii la porta, e mi resi conto d'aver dimenticato di
indossare una vestaglia appena vidi lo sguardo di Chuck fermarsi su di
me.
Istintivamente mi coprii con le mani, cercando in modo disperato la vestaglia, che, per buona sorte, era proprio accanto.
"Non c'è bisogno di mandarmi questi messaggi subliminali,
Waldorf. Se vuoi fare sesso con me basta dirlo." affermò, con il
suo solito portamento, e sorriso da imbecille.
"Preferirei relegare la mia vita alle anime candide come Suor Maria Teresa, piuttosto che fare sesso con te"
Lui sorrise, mentre si avvicinò.
"Non puoi essere Suor Maria Teresa e avere il fuoco dentro di te che
arde" sussurrò, mentre mi spostava una ciocca di capelli.
Respinsi subito quella mano. Non volevo contatto fisico. Nessun
contatto fisico. Eravamo a conoscenza entrambi dell'effetto che mi
facesse il suo contatto.
"Mi ripugna pensare che tu mi abbia visto in intimo" dissi, secca.
"Waldorf, non mi hai lasciato vedere nulla con la celerità dei
movimenti felini di qualche secondo fa..." bisbigliò, corrugando
l'espressione
Sorrisi, fiera di me stessa.
"Questa notte. In passato, invece..." aggiunse, con un broncetto irresistibile.
"La smetti di riportare sempre a galla il passato? Si chiama passato per una ragione."
"Non hai torto. Ma io sono venuto nella tua camera per un motivo..."
"Che c'è ancora?" chiesi, falsamente disturbata.
Lui mi guardò, inarcando il sopracciglio destro, e rendendo visibile una scatola, dapprima nascosta.
La scatola era elegante, di pelle rossa. Sulla confezione scintillava la scritta "Cartier".
Fui sorpresa.
Guardai la scatola con una spasmodica brama di vedere cosa ci fosse
lì dentro, ma sapevo che non fosse la cosa corretta da fare.
"Chuck, non avresti dovuto. Ti prego, apprezzo il gesto, ma apprezzerei
se riportassi dove hai acquistato il contenuto di quella scatola".
"Non sono salito fin qui, aspettato che se ne andassero tutti e che
Dorota non si accorgesse che io fossi rimasto, per nulla, Waldorf.
Adesso il mondo degli affari in cui sono sempre stato a casa mia,
è diventato anche casa tua. Prendilo come un benvenuto."
Aprii la confezione, e vidi un meraviglioso orologio in oro, sottile,
elegante, con una penna anch'essa dorata, raffinata e dal taglio snello.
Chuck Bass aveva buongusto. L'aveva sempre avuto. Forse non proprio sempre.
"Grazie, Bass" furono le sole parole che dissi, guardandolo in quell'oblio che si celava dietro i suoi occhi.
Lui mi baciò il dorso della mano destra.
Ci studiammo per qualche secondo.
"Adesso è meglio che torni a casa" sussurrò.
Gli sorrisi, e lo accompagnai all'uscita.
"Quasi stavo scordando. Ti...ti ho fatto un'altro pensiero, vai di sopra e aprilo. Spero sia di tuo gradimento. Buonanotte, W".
"Buonanotte, Bass." risposi confusa, con un'altro regalo da scartare.
Salii nella mia stanza, e mi chiesi che cosa potesse aver messo all'interno Chuck. Non persi tempo ad aprirlo.
Vidi un biglietto. "Sono sicuro ti starà d'incanto. Ci vediamo
domani alle otto del mattino all'Empire. Il caffè lo prendo
sempre amaro".
Non era possibile.
Mi aveva regalato un abito da cameriera da signori della borghesia. Black and White. Che insolenza.
In faccia l'avrei versato il "caffè amaro". Idiota.
Mi misi a letto, con una sveglia che mi osservava dal comodino, e un impegno imprevisto appena segnato.
Impegno? No. Non avrei tenuto fede a quell'"impegno".
Quella fastidiosa sveglia riuscì a portare a termine il suo dovere in modo perfetto, che fortuna.
Spostai la mascherina in seta, e provai a vedere che ore fossero.
Le sette del mattino.
Gettai i miei capelli sul cuscino, e mi coprii il viso con le lenzuola, determinata ad aspettare ancora qualche attimo.
"Signorina Blair, non faccia finta di riposare, e si alzi. Ho
già preparato il bagno al Ginseng e Mirtillo" quasi urlò,
Dorota, sbattendo la porta della mia stanza e facendo entrare tutta la
luce dell'universo nella mia stanza. Sembrava essere a Honolulu.
Feci qualche verso in segno di protesta, ma finii con l'acconsentire.
L'odore di ginseng e mirtillo fu una sveglia aromaterapeutica perfetta. Mi sentivo pronta e instancabile.
Andai per scegliere l'abito, e optai per un Dolce&Gabbana rosa cipria.
Stavo chiudendo la zip dell'abito quando il mio sguardo cadde su una
scatola nera, la stessa scatola che conteneva l'abito regalato la sera
prima da Bass.
In quel preciso istante, il telefono mi colpì con un suono breve alle orecchie. Un sms.
"Non dimenticarti di pagare ciò che perdi. L'Empire aspetta la nuova impiegata del mese"
Il mittente fu scontato.
Faccia tosta.
Finii di prepararmi in qualche siatnte, presi quella scatola nera, e
uscii di casa, con un passo deciso, felino, che lasciarono una Dorota
stupita, ma saggia per non chiedere cosa mi passasse nel cervello.
Diedi un cenno al receptionist, e andai diretta verso la camera di quello stupido di Bass.
Lo trovai seduto sul divano, la valigetta accanto, un caffè, e
decine di fogli, di documenti che stava attentamente leggendo.
Un espressione concentrata, ma con qualche corruccio si trovava sul suo
volto. Le labbra erano strette, leggermente spostate verso l'angolo
destro, in quello che sembrava essere una specie di bacio.
Il sopracciglio poco alzato.
Ricordai che amavo osservarlo quando decideva di assumere queste piccole smorfiette. Amavo baciare quelle labbra imbronciate.
"Blair" esclamò, una terza voce.
Nate.
Subito lo sguardo di Chuck si distolse, all'unisono con la sua attenzione da quei documenti verso l'ingresso.
Quando mi trovò mi rivolse un sorriso, un sorriso che sembrò sincero.
"Che fai qui?" chiese, incuriosito, Nate. Spostando poi lo sguardo verso Chuck.
"Eh...forse il tuo amico non ha ancora ben capito contro chi si è messo" Risposi, determinata.
Nate mi scrutò, confuso, mentre Chuck recitava una risata indisponente.
"Ok, non voglio entrare nei vostri casini" disse, con i palmi in segno di discolpa.
"Chuck, io prendo un caffè con Jenny, a...dopo" continuò Archibald, con malizia.
Gli pestai il piede con le Jimmy Choo. Il dolore arrivò sul suo viso come neve a Natale.
Chuck salutò Nate, poi spostando lo sguardo su di me.
Mi voltai, cercando di guardare quando fossimo rimasti soli, e non
appena arrivò quel momento mi avvicinai con passi decisi, sicuri.
Lui cercò di studiarmi.
Gettai la scatola nera sul tavolino da caffè, insieme al mio
capospalla, che invece gettai proprio sulle sue ginocchia. Mi sedetti
sul bracciolo della poltrona, accavallando le gambe.
Lui guardò me, la scatola nera, il capospalla sulle ginocchia,
sempre sorridendo. Poggiò la testa, e distese le gambe.
Esprimeva divertimento e relax da qualsiasi terminazione nervosa.
"Davvero hai creduto che indossassi quello stupido costume?" domandai, quasi con compassione.
"No, piccolina. Come ne saresti in grado senza quel fantastico vassoio
d'argento?" domandò, insolente, indicando il tavolo in cucina.
"Ieri ho dimenticato questo piccolo particolare."
"Mi hai appena illuminata su cosa utilizzare per colpirti"
Sorrise.
"In Francia il sadomaso è una pratica così popolare? Non ne avevo idea".
Lo guardai disgustata.
"Resta pure con il tuo vassoio, e la maschera di carnevale, magari
utilizzarlo per giochi erotici con qualche sgualdrina, non con me."
"Ti saluto" semplicemente gli rivolsi, rimettendomi in piedi, verso l'uscita.
Ero già quasi giunta, la sua voce tornò a farsi sentire.
"Non sapevo che Blair Waldorf fosse una fallita, senza l'abilità di tenere fede alle promesse."
Smisi di andare verso l'ascensore.
Guardai il pavimento per qualche secondo, poi mi girai, e lentamente, piano, andai verso Chuck.
Mi poggiai ad una colonna.
"Sai che non è così." affermai.
"Dimostralo"
Mi guardò per qualche attimo.
Si alzò, mettendosi proprio di fronte a me, i suoi occhi color nocciola fermi su di me.
"Hai paura? Paura di non riuscire a farlo?" chiese, mi stava provocando.
Ed io stavo per cedere.
Io risi, come per rispondere al fatto che avessi paura.
"Avrai come amante una delle donne più anziane e asessuate di
New York, Bass. Ricordi ciò che devi mantenere tu, giusto?"
"Io rispetto le scommesse, stanne certa"
"Dammi quel dannato costume"
Un sorriso a trentadue denti, e un sopracciglio teso furono il responso sul viso di Chuck.
Andai in camera di Chuck per fare quel dannato cambio d'abito, indossare il mio costume della vergogna. Quanto detestavo Chuck.
Entrando in quella stanza fui colpita da miliardi di ricordi. Era tutto
rimasto uguale. Non un quadro, non un soprammobile, un piccolissimo
dettaglio era cambiato dal momento in cui ero partita.
Mi poggiai sul letto per indossare l'autoreggente nero. Quel
letto...accarezzai il copriletto in seta grigio con gli occhi, la mente
e il cuore lontani da quell'istante. Quello era un letto che aveva
visto la mia lingerie per tanto tempo.
Cosa sentivo? Nostalgia?
Bloccai qualsiasi pensiero sull'argomento.
Mi vestii in fretta, e tornai da Bass.
"Vediamo di finire in fretta" esordì, uscendo dalla camera.
Il suo sguardo mi analizzò in tutto il corpo. Vidi i suoi occhi muoversi su e giù, almeno due o tre volte.
"Splendida. Sarai la mia assistente più fedele, devota".
"Smettiamola con i preliminari. Cosa vuoi che faccia?"dissi, dura.
"Di già? Ricordo che ti piacessero tanto i preliminari, un po'
di tempo fa..." sussurrò, avvicinandosi a me e accarezzando la
cintura in pizzo alla vita.
Cercai di sottrarmi subito da quel contatto fisico. Lui se ne accorse e mi guardò maliziosamente.
"Stamattina il caffè era orribile. So che tu riuscirai a fare di meglio..."
Lo guardai con disprezzo, e mi avviai verso il piano cottura.
Lui stette lì ad osservarmi per qualche minuto, tornando poi a leggere quei documenti in salotto.
Mentre preparavo quel caffè, non nascondo d'aver pensato di
mettere del cianuro, cominciavo a gustare il momento in cui avremmo
scelto la donna in pensione che avrebbe dovuto sedurre, e con cui
sarebbe dovuto andare a letto.
Ridevo.
Presi il vassoio, e insieme all'espresso misi anche un biglietto, con
scritto "ne avrai bisogno di almeno tre, visto il compito che ti
aspetta nel pomeriggio. Spero ti piaccia."
Portai quel che aveva chiesto fino al salotto, e lo sistemai sul
tavolino. Lui mi guardò con fierezza, spudoratamente divertito
da questa storia.
"Avrei dovuto far cucire una gonna più corta..." affermò.
Io distolsi lo guardo, con le labbra abbassate verso l'angolo destro.
"Hai letto il biglietto che ho voluto portare con il caffè, Bass?" domandai.
"Fin quando non sarà pomeriggio dovrai chiamarmi Signor Bass, piccola".
Strinsi il grembiuletto talmente forte che mi sorpresi di non averlo strappato.
Rise sfrontatamente, mentre prendeva il biglietto per portarlo sotto i suoi occhi. Lo lesse, e poi mi guardò.
"Delicata" fu tutto ciò che disse.
"Sul tavolo in cucina ho lasciato un foglio per te, leggilo. Ti sarà utile." informò, inarcando le sopracciglia.
Mi chiesi cosa potesse esserci.
Raggiunsi il punto da lui indicato, e su quel foglietto, in caratteri
eleganti, era riportato ciò che "il signor Bass" aveva scelto di
avere a pranzo come pietanze. Filetto di spada caramellato, contorno di
melanzane arrosto, e torta di zucca."
Il dessert. C'era persino il dessert. era fuori di testa.
"Chuck!" quasi gridai.
"Signor Bass" cercò di correggermi.
Feci un profondo respiro.
"Signor Bass. Lei forse dimentica che io non abbia mai toccato un mestolo in tutta la mia esistenza".
"Avrai notato la torta di zucca. Non ho dimenticato quanto tu sia poerfetta nel cucinarla..."
"E, inoltre, non hai mai visto un contratto d'affari, ma dovrai
iniziare, e saprai cavartela. Ti sto solo mettendo alla prova"
continuò, con sicurezza.
Lo tirai per la cravatta Dolce&Gabbana.
"Avrei dovuto mettere cianuro in quella tazzina" susurai con tono minaccioso, a pochi centimetri dal suo viso.
"Mi piace quando sei così combattiva" bisbigliò, socchiudendo gli occhi, per prendermi in giro.
Continuai a guardarlo dritto negli occhi, non volevo essere la prima ad abbassare lo sguardo.
"Waldorf, so che speri, ma non ti bacerò" affermò, malizioso.
"Non vorrei nemmeno se fossi l'ultimo su questo pianeta".
"Melodrammatica. Mi riferivo al fatto che non intrecciò relazioni private con il personale"
Rimasi qualche secondo in silenzio.
"Offriremo una fetta di quella torta anche alla nonnina libidinosa. Sei d'accordo?"
Rise.
"Ho sempre apprezzato le tue strategie di gioco, ma no. Quella torta
rimarrà di mia proprietà." asserì, fermo.
Io sorrisi, mentre mi allontanavo cercando il mio smartphone.
Avevo da imparare come accidenti potesse cucinarsi un filetto di spada caramellato. Non sarebbe stata una passeggiata.
Mandai almeno una decina di messaggi a Dorota. Ringraziai che lei fosse sempre accanto a me.
Metà mattinata era volata via, solo poche ore al termine di quel terrorismo.
Sui fornelli c'era già il menu richiesto da quello stupido, ma a
dir la verità cucinare non era poi così orribile.
Anzi, mi stavo pure divertendo.
Cercai il pepe nero, sebbene non lo trovassi da nessuna parte. Così decisi di chiedere a Bass.
"Ehm, non so dove possa trovarsi esattamente. Arrivo e tento di trovarlo." rispose.
"L'odore è promettente, Waldorf..."
"Sbrigati a trovare il pepe, Bass."
Sorrise.
Cercò quasi ovunque in cucina, e decisi di dargli una mano.
Finalmente aprii un piccolo cassetto in alto e mi sembrò di vederlo, dunque esclamai d'averlo trovato.
Tentai di prenderlo, sebbene fosse posto in alto anche per i miei tacchi Jimmy Choo.
Bass arrivò al mio fianco, e lo prese lui, stirando il suo corpo
e distendendo l'avambraccio sopra la mia testa. Il suo fianco sul mio
gluteo.
Finalmente lo afferrò, e me lo passò, il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Ci guardammo negli occhi per un tempo che sembrò non essere
scandito da secondi, minuti, ore. Il tempo pareva non esistere
più.
Mi sfiorò il fianco con la sua mano, non distolse gli occhi dai miei.
Il mio cellulare squillò, e fu abbastanza per ritornare al
tempo, al mondo. Ci separammo immediatamente, e io andai subito verso
lo smartphone. Era Dorota.
Avrei dovuto darle un abbraccio appena tornata a casa.
Verso l'ora di pranzo tornò anche Nate, e mangiammo tutti
insieme ciò che avevo preparato, increduli che fosse
commestibile, e buono.
Restammo qualche minuto a parlare, ricordare aneddoti del passato,
scherzare. Ci divertimmo un po' negli archivi di Gossip Girl,
comprendendo quanto davvero il tempo, quest'arma a doppio taglio, ci
avesse superato. Quanto fosse passato veloce.
"Miei cari, adesso devo proprio andare. Devo darmi una rinfrescata ed
essere presentabile per la nuova fiamma che Chuck incontrerà
questo pomeriggio" sospirai, con sarcasmo.
"Hai pagato la tua, Waldorf. Adesso tocca a me"
"Blair almeno si è sporcata le mani solo con della crema alla
zucca e mascarpone...ho paura che tu non avrai la stessa "fortuna",
Chuck" disse, ridendo come un bambino, Nate.
Chuck lo guardò disgustato, mentre io assunsi un'espressione tra la nausea e il divertimento.
"Passerò a prenderti io, Waldorf. Ci vediamo alle 18."
"Alle 18." dissi, e me ne andai.
Appena tornata a casa fu inevitabile dedicare un piccolo angolo ad un
buon riposo, seppur breve. Avevo bisogno di distendere un po' i miei
nervi, i miei pensieri, ridurre la mia realtà solo ai sogni.
Feci una doccia veloce, e mi vestii in pochissimi minuti.
Nel frattempo, uno squillo dal mio telefono.
Un sms. Era Bass. "Waldorf, sto arrivando. Porta dell'acqua, ho paura di dover assumere un certo farmaco oggi..."
Risi.
"Niente aiuti, la chimica non potrà soccorrerti" fu la mia risposta, con un fischio immaginario e un cartellino giallo.
A pochi minuti dall'invio di quell'sms, Dorota mi informò dell'arrivo della macchina, scesi subito.
"Oggi ti ho vista parlare e scrivere a Dorota. Quindi, nel caso in cui
ne avessi necessità, ricorrerò ad un piccolo help
esattamente come hai fatto tu stamattina" sussurrò, non appena
entrai nela limousine.
"D'accordo, d'accordo..." risposi semplicemente. Uno sguardo fintamente seccato sul mio viso.
Mi sentii sfiorare la mano, la afferrò. Portandola alle labbra in segno di saluto.
Io gli sorrisi, cercando di non badare al piccolo brivido che sentii sulla schiena.
Arrivammo alla sede della casa geriatrica scelta, sicura che Bass non
sarebbe riuscito a pagare la scommessa, riflettevo già sulla
penalità.
"Salve, sono Chuck Bass. Sono qui perchè..." fu tutto quel che
riuscì a dire Bass, mentre prontamente la segretaria
cominciò a parlare.
"Oh, sì. Il signor Bass. Ho capito. Le chiamo immediatamente la signora".
Quella minuta e magra donna in longuette voltò le spalle,
andando verso una stanza sconosciuta. L'ambiente era elegante, legno
chiaro, con dettagli caffelatte. L'arredamento marrone creava un
contrasto apprezzabile.
Chuck si voltò verso di me, con sguardo perplesso. "Hai già chiamato tu?" domandò.
"No. Ti assicuro, non ho fatto nessuna telefonata" dissi io, forse perplessa quanto Chuck.
Ci guardammo per cercare di capire cosa stesse accadendo, e in
quell'istante la donna minuta di poco prima tornò,
riprese il suo posto a sedere e ci informò sorridendoci che "la
signora sarebbe arrivata immediatamente". Ci invitò a sederci.
La ascoltammo. ma soltanto perchè confusi e pensierosi. Non riuscivamo a venire a capo di questa cosa.
La porta si aprì, lasciandoci conoscere la donna che l'assistente ci aveva professionalmente annunciato.
Una bellissima donna, lunghi capelli d'argento, con dei boccoli leggeri
appena sotto le spalle. Un viso che lasciava intuire quanti anni avesse
già trascorso, ma che la rendevano ancor più bella.
Labbra color ciliegia, e profondi occhi marroni a focalizzare
l'attenzione.
Si avvicinò lentamente verso di noi. Lesse ovviamente quanto poco stessimo comprendendo, e ci sorrise.
"E' incredibile" furono le prime parole che ci rivolse, in un elegante accento british.
"Non credevo che questo momento sarebbe giunto. Non riuscivo a sperarci più" continuò.
Vidi le sopracciglia di Chuck assottigliarsi, era evidentemente stralunato.
"Charles. Oh, Charles. Ti ho cercato talmente tanto, ho sentito la tua mancanza per anni. Come sei riuscito a trovarmi?" chiese.
"Sono così felice che tu sia qui, che tu sia finalmente con me, la tua nonna"
Sentii gli occhi bruciare per lo stupore e la sorpresa, quando udii la
parola "nonna". Quella donna era parente di Chuck. Quella donna era la
nonna di Chuck.
Il mio sguardo si rivolse immediatamente verso Chuck, che appariva come
se avesse appena assistito ad un omicidio. Gli occhi che guardavano
quella donna così bella, e al contempo vuoti, distratti.
Chuck si poggiò con la schiena, passandosi una mano sulla
fronte, senza dire nemmeno una parola, mentre io lo imitai, stizzita e
sconvolta.
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Capitolo 9 *** Who are you? ***
hjvhjvju
"Che significa tutto questo?" domandò, seccato, Chuck dopo qualche secondo di silenzio.
Il viso di quella che si presentò come "nonna di Chuck" parve intristirsi.
"Io non ti ho mai visto durante tutta la mia vita" continuò.
Quei boccoli argentati si mossero verso il basso, insieme allo sguardo della donna.
"Lo so. Ci sono...delle cose... che non sai" disse, tornando a osservarlo negli occhi.
Chuck non parlò prima di rivolgere un'espressione sospettosa alla donna.
"Chi sei?" semplicemente disse.
"Che cosa vuoi?" con una punta di rabbia, mettendosi in piedi.
Io non riuscivo a dire parola. La famiglia di Chuck non era mai stata
una cosa spontanea. Sempre con intrighi, complotti, bugie. Capivo la
sua rabbia, era stanco. La sua famiglia era il suo tallone d'Achille.
Era come se tornasse ad avere tre anni.
"Charles, ti prego, capisco la tua insofferenza verso tutto il male che
ti hanno fatto, che ti abbiamo fatto. Ma lasciami spiegare, lasciami
raccontare, lasciami chiederti scusa"
"Ascolta ciò che devo dirti, e poi deciderai se chiudere anche con me. Ma devi venire a conoscenza della verità"
"Per quel che ne so io, tu potresti anche essere una bugiarda. Non ti
ho mai vista in tutta la mia vita" furono le parole di Chuck.
"Hai ragione. Fai bene a non fidarti di nessuno, in questo hai preso da Bartholomew"
Chuck tremò per una frazione di secondo al suono del nome di suo padre.
La donna cercò qualcosa nella pochette, ne prese ciò che
sembrava un orologio da tasca dorato. Tuttavia quando spostò la parte
di sopra, non furono scoperte delle lancette, ma una fotografia. Lo
consegnò a Chuck, comunicandogli che lo portasse con lei da
anni. Senza scordarsene mai.
Chuck si sedette nuovamente, io fui immediatamente accanto a lui. Gli
presi poco il braccio, guardando la fotografia, subito dopo i suoi
occhi.
Nella fotografia era ritratta una donna stupenda, teneva in braccio un bambino, somigliava molto a Chuck. Era Chuck.
Gli occhi di lui sempre più vuoti.
"Chuck..." riuscii a bisbigliare, con la voce spezzata.
Lui girò il capo verso di me, visibilmente sconvolto. Sembrò domandarmi aiuto con gli occhi.
Io mi alzai.
"Signora, posso sapere qual è il suo nome?" chiesi.
"Adaline. Adaline Bass." rispose, guardando con apprensione Chuck.
"Lei capirà...conosco Chuck da quando eravamo bambini.
Innumerevoli sono state le persone che hanno tentato di usarlo, di
prenderlo in giro, di sfruttarlo. Arrampicatrici sociali e persone
senza coscienza. Comprenderà che adesso non riusciamo più
a fidarci di nessuno".
"Certo. Capisco perfettamente. Ma io non rientro in quella categoria.
Se avessi voluto ricavare qualcosa da mio nipote, l'avrei cercato
già precedentemente." disse, senza far trasparire niente.
"Piuttosto mi chiederei perchè non abbia mai tentato di
trovarlo" risposi, dubbiosa. Ero entrata nello spirito
complotto/stronza.
"Come?"
"Ha capito benissimo"
"Ho una spiegazione per qualsiasi domanda mi farete. Ma con tutto il rispetto, signorina..."
"Waldorf. Blair Waldorf".
"Signorina Waldorf...vorrei che fosse mio nipote a chiedere, a dimostrare interesse nel sapere chi io sia".
Abbassai appena lo sguardo.
Chuck fu al mio fianco.
"Vorrei farti sapere che chiamerò il mio investigatore
personale, vedrò se ci sia qualcosa che mi possa far
pensare che tu menta." disse ad Adaline.
"Non avresti certo il primato per quanto riguarda la famiglia Bass"
"Non pensare che io sia uguale a loro. Bartholomew e tuo nonno,
Charles...loro erano praticamente i medesimi. Hanno mentito tante volte
anche alla sottoscritta..." pronunciò, rammaricata, gli occhi
che fissavano il vuoto.
"E' così bello averti qui di fronte a me" comunicò, all'improvviso, con
gli occhi che annunciavano lacrime. La sua mano sul volto di Chuck.
Lui la guardò, senza dire nulla. Era confuso, come frenato.
"E' meglio che vada, ora. Tornerò." disse, semplicemente Chuck
"Lo spero tanto. Ciao Charles. Arriverderci signorina Blair Waldorf" cantò, rivolgendo un sorriso.
Girammo le spalle, mentre ci avviavamo verso l'uscita. Guardai il viso
di Chuck e notai gli occhi lucidi, sembrava piangessero da un secondo
all'altro.
Lo fermai un secondo, la mano sul suo petto, il mio sguardo su di lui.
Mi guardò con le sopracciglia inclinate, come se in silenzio gridasse di stargli accanto.
Gli sorrisi.
Gli dissi di
stare tranquillo, che io sarei stata con lui qualunque cosa accadesse,
mentre gli sfioravo appena la gota. Ed ero sincera, l'avrei fatto sul
serio.
Lui posò il suo palmo sulla mia mano, sulla sua guancia, e la strinse, chiudendo gli occhi per un istante.
"Ho bisogno di te" bisbigliò così piano che mi sorpresi di sentirlo.
"Sono qui, sono con te"
Gli presi il braccio, e ricominciammo a camminare. Lo tenevo come se
fosse un malato appena uscito dalla clinica, e in un certo senso lo era.
Eravamo finalmente fuori, a Manhattan pioveva. Guardammo un secondo il
cielo, e lui sembrò essere felice di ricevere un po' di frescura
sul viso. Salimmo sulla limousine, e ci avviammo verso casa.
"Hey, Upper East Siders! E' Gossip Girl che parla...guardate cosa ho
appena ricevuto, una vera e propria delizia prima dell'ora di cena.
Venite con me per l'happy hour, e guardate gli ultimi aggiornamenti.
Che ci fanno Blair Wladorf e Chuck Bass a braccetto sotto la pioggia?
Molto "Colazione da Tiffany", Queen B...Peccato che Audrey non aveva il
cattivo gusto di riprendere delle banali minestre riscaldate. Pare
invece che a te avdano molto bene...che si sia riaccesa la fiamma?
Eppure in fisica è scientificamente approvato che per la
combustione vi sia necessità di un combustibile e di un
comburente, amici miei. Un prodotto che viene ossidato, e un prodotto
che lo ossida. Ma cosa succede quando sono entrambi comburenti come C e
B? Lo scopriremo. XOXO, Gossip Girl."
Durante tutto il tragitto verso casa guardò quella fotografia
consegnatagli da Adaline. La sua testa poggiata sulla mia spalla.
"Smetteranno mai?" chiese all'improvviso.
"A che ti riferisci?"
"I miei demoni. Smetteranno mai di seguirmi ovunque io vada?"
I suoi occhi lucidi fissi sui miei.
"Per far in modo che questo avvenga, bisogna sconfiggerli tutti. Io sono accanto a te per aiutarti".
"Grazie" disse semplicemente, ma con occhi sinceri.
Arrivammo in hotel, e la prima cosa che Chuck fece fu giustamente
chiamare un investigatore privato, avevamo bisogno di risposte. L'uomo
si accordò con Bass di vedersi nel pomeriggio del giorno
successivo, indicando il Victrola come luogo d'incontro.
"Victrola".
Non sapevo l'avesse ricomprato...
Trascorremmo il resto della serata in compagnia dell'adorato
scotch, cercando di elaborare piani d'azione, strategie difensive,
complotti, cercare di capire come ciò fosse possibile, come non
fossimo mai venuti a conoscenza della signora Adaline.
Mi chiese di prendere un caffè insieme il pomeriggio successivo, e presenziare all'incontro con l'investigatore.
Non mi aspettavo lo facesse. Mi faceva piacere, chiaramente...ma Chuck
aveva sempre voluto riservare le sue faccende familiare per sè,
occuparsene da solo. Il fatto che mi abbia domandato di partecipare, di
stare al suo fianco in questa faccenda mi stupì.
Accettai, e lessi la stanchezza sul suo volto, così decisi di dargli la buonanotte.
"Chuck, adesso è meglio che torni a casa. Sei stremato e sono
sicura che tu abbia bisogno di riposo. Chiamami qualsiasi cosa accada,
se ne senti la necessità, non importa la fascia oraria".
Lui mi guardò con occhi grati.
"Buonanotte, Chuck" bisbigliai, dandogli un piccolo bacio sulla guancia.
"Buonanotte, Blair" fu la sua risposta, stringendo le mie mani.
Quella notte non dormii un solo istante. Non facevo che pensare a
Chuck, a quella signora raffinata dai boccoli di platino, a Bart. Come
aveva potuto nascondere tutto questo al figlio? Come poteva provare
tanto odio verso di lui?
Provai rabbia verso Bart, verso il suo comportamento così
orribile. Provai rabbia per ciò che era riuscito a fare a Chuck,
in ciò che voleva farlo diventare. Un mostro senza sentimenti.
Nel pomeriggio guardai con sospetto ad Adaline, non le credevo,
semplicemente perchè pensavo fosse impossibile, perchè
pensavo fosse la solita bugiarda in cerca di denaro. Ma nella mia
camera, in solitudine, con il buio della notte come unico spettatore,
avevo la possibilità di liberare la mia mente. Ripensare a tutto
ciò che Bart aveva fatto a Chuck. Quante volte l'aveva fatto
sentire come se non fosse all'altezza, le bugie sulla madre, i
complotti per distruggerlo, il tentativo di ucciderlo. In fondo non era
così scioccante se avesse nascosto anche le radici e gli affetti
a Chuck.
Negli occhi color cacao della donna, così intensi, avevo cercato
di guardare più profondamente possibile. Volevo scorgere segni
di inganno, di bugia.
In verità mi sembravano sempre sinceri, trasparenti. Lo sguardo
dolce, ancor più luminoso quando si fermava su Chuck.
Forse non mentiva.
Quella notte, probabilmente per l'ora, probabilmente per lo scotch di
Chuck, ero convinta che stesse dicendo la verità Adaline,
sebbene non potessi dimostrarlo.
"Dorota!" gridai.
"Dorota!"
Qualche parola in russo, forse non proprio d'amore seguì le mie urla.
"Signorina...ma cosa fa già in piedi?" domandò, sorpresa.
"Sei stupita? Sai cosa sorprende me? Non vedere le tue mani cingere una tazza di caffè"
Dorota alzò gli occhi al cielo.
"Chiamo Gerard per accompagnarla a fare shopping..."
"almeno con questo umore non dovrò sopportarla io..." disse dopo, sottovoce.
"Ti ho sentita"
"Nessuno shopping. Devo andare in atelier. Dillo all'autista."
"Va bene, signorina."
"E portami un caffè"
"Va bene, signorina" ribadì, con tono differente rispetto la precedente battuta. Sembrava esasperazione.
Feci una doccia, e scesi al piano sottostante per fare colazione.
Trascorsi la mattina al lavoro, occupandomi di atti di burocrazia, e
revisione di modelli, sebbene la mia mente andasse sempre a lui, a come stesse.
Pranzai con Serena, a cui non raccontai niente delle scoperte svolte da
me e Chuck il giorno precedente. Volevo attendere che l'investigatore
portasse a termine le sue ricerche, e pensai che fosse più
corretto gliene parlasse Chuck.
La vita di Serena sembrava così semplice, così chiara...
Dan amava lei, lei amava Dan. Vivevano insieme, stando l'una al fianco
dell'altra. Serena faceva apparire qualsiasi cosa una passeggiata. Non
nascosi di sentire un po' d'invidia. Un'invidia non malvagia, non avrei
mai augurato l'infelicità alla mia migliore amica, probabilmente
sarebbe più corretto definirla "ammirazione".
Lei mi sorrise, abbracciandomi, e sussurandomi che anche per me sarebbe arrivata la felicità.
Chissà dove si trovava la mia felicità. Chissà se
l'empire che si materializzò nella mia immaginazione un quarto
di secondo dopo fu una casualità. Non volevo pensare.
"Ho visto la foto tua e di Chuck su Gossip Girl...Blair, che stai facendo?"
"Foto?"
Accidenti. che cosa avrei dovuto dirle? Confessare tutto? Mentire per metà?
Scelsi la seconda via.
"Non andare lontano con la mente, S. Dovevo solo pagare una scommessa a Bass."
Lei sembrò poco convinta, ma non domandò ulteriormente.
Era diventata più saggia.
Guardai l'orologio. Le 17.00. Fui sorpresa, e quasi scappai,
salutandola con un bacio sulla gota, per tornare immediatamente a casa
e prepararmi all'appuntamento con Bass e il signor Thorne.
Indossai un abito di Prada, un tubino, con delle trasparenze verticalmente ai lati dell'abito, e la schiena nuda.
Finii di mettere il rossetto rosa antico, il display dello smartphone divenne luminoso. Chuck. Mi chiedeva di scendere.
Presi il capospalla, e andai verso la limousine.
Lo salutai avvicinando leggermente la mia guancia alla sua, la mia mano sulla sua spalla.
Lui mi diede un bacio sulla guancia, socchiudendo gli occhi.
Mi spostai, accavallando le gambe.
"Non hai cambiato profumo, decisamente non l'hai fatto" sorrise, spostando lo sguardo.
"Potrei mai cambiare Chanel, Bass?"
Ero silenziosamente contenta che si ricordasse il mio profumo.
"Ci sono cose che non cambiano mai" disse, criptico.
Lo guardai per più secondi, cercando di capire cosa volesse
tutelare dietro quella frase assolutamente non di circostanza. Sapevo
che non fosse di circostanza.
Ma non esasperai la situazione.
Poggiai le mie spalle sul sedile, mentre riprendevo la conversazione.
"Il Victrola è sicuramente tra questi. Non sapevo te ne fossi
appropriato di nuovo..."
"Amo troppo quel posto perchè non sia mio. Egoistico, forse. Non sono mai stato molto altruista, a dir la verità"
Guardai l'orologio Cartier che portavo, guardando poi lui.
Capì immediatamente, e sorrise, "Sai che non parlo di quelle cose..."
"Come stai?" chiesi improvvisamente, come in un tuffo a testa da un trampolino.
Rimase in silenzio per qualche secondo.
"Non lo so. Lo saprò dopo la discussione con il signor Thorne."
Gli strinsi la mano, in un contatto forse non appropriato, ma volevo sapesse che lo comprendevo.
La limousine arrestò il moto, eravamo giunti a destinazione.
Quando scesi dalla macchina guardai in tutte le direzioni, controllai
che nessuno volesse scattare foto. Non avevo nessuna intenzione di
dover inventare nuove giustificazioni a Serena.
Il signor Thorne era seduto ad un tavolino, l'ultimo, il più
vicino al termine del locale. Ordinammo dei bicchieri di bourbon, e
camminammo verso l'investigatore.
Un saluto formale, e parlò senza perdersi, molto professionale, pensai.
"Signor Bass, ho lavorato tutta la notte, e questo è quello che ho trovato" comunicò, guardando una busta bianca.
Chuck la aprì, e vidi dei documenti, fogli, e poi una foto.
Una foto che immortalava un Bart Bass appena dodicenne, o quattordicenne, un uomo e una donna seduti accanto a lui.
Il padre e la madre di Bart.
Presi l'immagine, guardai la donna. Stessi occhi, stessi boccoli, sguardo dolce, proprio come Adaline.
Era Adaline, non c'erano incertezze.
"Signor Bass, quella donna è davvero sua nonna." disse il signor Thorne.
Gli occhi di Chuck erano tesi, le sopracciglia inarcate.
Stava ostentando un'immagine di orgoglio, ma sapevo che fosse devastato.
"Atto di nascita, di matrimonio con Charles Bass si trovano nella busta che le ho fornito".
"Se abbiamo l'assoluta certezza che quella donna sia chi dice di
essere...allora perchè solo adesso? Perchè non è
mai venuta a cercarmi? Tutto ciò non riesce a non sembrarmi
sospettoso." comunicò, Chuck.
"Nelle mie informazioni e ricerche non posso conoscere anche il tipo di
relazioni che intercorrevano tra chi quella foto immortala, signor
Bass" disse, con delicatezza e tatto l'uomo.
"Tuttavia ho notato qualcosa che certamente potrebbe destare il suo interesse..."
Chuck lo guardò con occhi d'esortazione.
"In quei fogli che le ho consegnato, potrà leggere il testamento
di suo nonno Charles Bass. Mi è apparso abbastanza poco
ordinario che quella donna, Adaline...non sia citata per nessun bene"
Chuck portò i suoi occhi a quel documento, verificando
ciò che stesse dicendo il signor Thorne. Incrociò le mani
al livello del mento, con gli occhi smarriti, mentre stringeva le
labbra. Stava riflettendo.
"Parli con lei. E se le andrà, ci rivedremo. Mi dispiace doverle
dire questo ma possono accadere delle situazioni che nemmeno il primo
investigatore d'America potrebbe scoprire."
Così dicendo, l'uomo diede la mano a Chuck, che dopo avre preso il denaro, se ne andò.
"Chuck"
Lui mi guardò.
Fui subito in piedi, offrendogli la mia mano. "Andiamo a parlare con lei, ti va?"
Annuì appena, prendendo la mia mano.
Era davvero ciò che mi aveva sempre affascinato il lato fragile
di Chuck. Qualcosa che poche persone avevano conosciuto. Non riuscivo a
non sentirmi lusingata per essere una di quelle persone. Lui si fidava
di me, lo sentivo.
Sentivo come cercasse di mantenere il controllo di tutto, come odiasse
la consapevolezza che le cose potessero sfuggirgli. Quell'espressione
così seria e composta, celava una tristezza che riusciva a far
soffrire anche me e
quel lato così privo di difesa di Chuck era il lato che mi aveva fatto provare amore per lui.
Ricordai il momento in cui desiderai che la mostrasse, in cui dissi che l'amavo, dopo il "finto" funerale del padre.
Quanto desiderai che lui si rifugiasse in me, che non avesse paura di dirmi che aveva paura.
Adesso stringeva le mie mani, esposto in tutte le sue debolezze a me.
Quella corazza che si era costruito, che il padre stesso aveva voluto
che costruisse aveva un punto morto. Il punto morto ero io.
Guardai Chuck negli occhi, e ci dirigemmo verso la limousine.
"Salve, siamo qui per la signora Adaline Bass" comunicai alla donna
dietro il computer. Lei annuì, dirigendosi verso una porta,
diligente e compita.
Ci sedemmo aspettando che quei boccoli d'argento fossero dinanzi a noi, e non trascorse molto tempo prima che accadesse.
"Charles..." esclamò, sorridendo Adaline.
Lui le rivolse un sorriso.
"Vorremmo andare a prendere un thè in un posto più tranquillo. Le va?" domandò, Chuck.
"Certo, ma per favore...non darmi del lei"
"D'accordo" disse con un'espressione solo apparentemente tranquilla.
Ci recammo in uno dei posti favoriti di Chuck, "il migliore thè
al frutto della passione della zona" come usava dire sempre lui, non
l'avevo dimenticato.
Guardai Chuck, sperando di aiutarlo a farsi forza, a dire tutto ad
Adaline, a richiedere le scuse e le spiegazioni che per diritto
sarebbero state sue.
Ma fu Adaline a parlare per prima.
"Charles, hai parlato con chi dovevi, visto ciò che mi hai detto ieri?" nel suo volto serenità e comprensione.
"Sì" fu la semplice e riassuntiva risposta di Chuck.
"Ebbene...il fatto che ti riveda qui mi fa ben sperare che quell'uomo abbia saputo svolgere in modo appropriato il suo lavoro".
Sembrava non temere alcuno scheletro, sicura di ciò che era e ciò che diceva.
Le credevo di minuto in minuto, e sembrava che anche Chuck cominciasse a pensarla così.
Le mostrò la foto che l'investigatore solo qualche ora prima gli
aveva consegnato, come se fossero tutte le spiegazioni che reputava di
dover dare ad Adaline.
Lei sorrise con nostalgia al vedere quella foto.
"Come l'hai avuta? Avrei ucciso per avere questa foto..." disse Adaline, quasi sardonica.
La foto che il signor Thorne ci aveva consegnato sembrava essere la
stessa della medaglia che quella signora consegnò il giorno
prima a Chuck, solo senza tagli, e sbiaditure.
"Quell'uomo di cui parlavamo ieri" rispose secco, Chuck.
"Sono qui per ascoltarti, credo tu abbai delle cose da dirmi" continuò, qualche secondo dopo.
Adaline sorrise, annuendo.
"E' difficile per me, parlare di tutto ciò. Non l'ho mai fatto,
ma tu hai il diritto di sapere tutto su di me, sulla mia storia, e
scoprire anche un po' della tua. Non appena l'avrai saputa potrai
decidere, in modo maturo e cosciente, se voler conoscermi davvero o
meno."
Presi la mano di Chuck. Lui la strinse.
"La mia vicenda non è facile da raccontare, figurati l'averla
vissuta. Mi sposai con tuo nonno Charles quando ero solo una ragazzina,
diciannove anni circa. Era un uomo sicuro di sè, fermo,
determinato. Non uno di quei tipi che amano scendere a compromessi. Il
nostro matrimonio non fu voluto da noi, fu semplicemente la conclusione
di una negoziazione, era quasi un clichè per gli anni in cui io
era una ragazza. Inutile dirti che non fossi favorevole. Ero sempre
cresciuta con l'utopia dell'amore, e del matrimonio dettato da
sentimenti reali. Nonostante ciò, con il tempo cominciai a voler
bene a quell'uomo così severo e sempre serio, nonostamnte non
voglio nasconderti io non l'abbia amato mai sul serio".
Prese un sorso di thè al mirtillo.
"Qualche anno dopo, conobbi un uomo, rivale in affari per quel periodo
a tuo nonno. Era un uomo affascinante e lo capii immediatamente, anche
se le uniche occasioni in cui avevamo modo di conversare furono quelle
noiose feste costruite di glitter e apparenza. Non perdeva occasione di
avviare qualche conversazione con me, di fermare i suoi occhi sui miei.
Non trascorse molto tempo prima che cedessi al suo fascino. Ti prego,
non pensare che io non provassi affetto verso tuo nonno. Gli volevo
bene, nonostante lui probabilmente non ne volle mai a me. Charles
voleva bene solo a se stesso, al potere, ai soldi. Io non ero
così. Io non volevo essere così. Mi innamorai di
quell'uomo quasi subito, e lui si innamorò di me. Non perdevamo
momento in cui sapevamo di poter stare insieme, architettavamo la mia
fuga, il nostro futuro. Lui sembrava disposto a fare rinuncia di
qualsiasi suo possedimento pur di stare con me. Comprenderai...che
ciò mi fece innamorare di lui sempre più intensamente. Mi
dispiaceva non amare l'uomo per cui portavo un anello sull'anulare, mi
sentivo una traditrice, e nessuno può negare che non lo fossi.
Eppure volevo seguire il mio istinto, fare un tentativo per la
felicità."
Un altro sorso di thè.
Picchiettò due o tre volte il piano in legno con l'anello di
smeraldo e diamanti che mostrava sull'anulare, come per infondersi
forza. Fu un gesto che mi ricordò Chuck.
"Poi, un declino. Mi accorsi d'essere incinta, ed ero sicura che non
fosse figlio di mio marito. Figlio di tuo nonno. Mi sentivo smarrita,
incredula, ma in fondo mi ripetevo d'essermela meritata. In
realtà lo penso tutt'ora.
Lo dissi all'uomo che amavo, e progettammo la fuga immediata. Avrei
cresciuto mio figlio via da quell'ambiente così ostile
all'amore, via da quel mondo così di ghiaccio e crudele.
Ma...Charles se ne accorse, mi fermò immediatamente,
picchiandomi quando scoprì cosa avrei portato in grembo. Un
figlio non suo. L'avevo disonorato.
Insistette per capire chi fosse l'altro traditore, ma non glielo
rivelai mai. La vita che mi avrebbe aspettata sarebbe stata una vita
grigia e dissociata da qualsiasi rapporto sociale, ma tuo nonno non mi
avrebbe mai uccisa, e purtroppo non avevo la stessa certezza anche per
il padre del bambino. Riuscimmo a rivederci una sola volta, e gli dissi
addio.
Charles volle riconoscere il bambino, togliendo il suo cognome dallo
scandalo che ne sarebbe derivato. Diceva che...non sarebbe stato
positivo per lui, il suo onore e i suoi affari.
Lo chiamammo Bartholomew."
Chuck portò le sue mani sul viso, era scosso, forse mai come
quel momento. I suoi occhi che cercavano di fermare un pianto
impossibile da biasimare.
"Scusa. Scusami Charles, l'ultima scelta che farei sarebbe quella di
farti del male. Non voglio farti del male...se preferisci,
continuerò un'altro giorno" bisbigliò Adaline, con occhi
di commozione e comprensione.
"No. Continua con la tua storia" disse piano, Chuck, i palmi sulla superficie in ciliegio.
Adaline sfiorò le mani di Chuck, e lui osservò quelle
mani chiare toccare le sue. Si irrigidì, ma non volle fermarla
.
"Bartholomew crebbe in un tempo che sembrò essere un'istante, la
sua educazione avvenne prettamente sotto il sigillo di Charles, e con
l'avvicinarsi dell'età adulta questa mia paura fu la
verità del suo essere. Non volevo e cercai sempre di
allontanarlo dal tipo di pensiero che Charles voleva che lui avesse, e
fallì. Come ogni volta, vinse lui. Bart era esattamente come il
"padre", ma sono certa che tu abbia potuto vederlo anche da
te questo..."
"Non posso darti torto" disse Chuck.
"Io e Charles avevamo scelto di non far sapere nulla a Bart, volevamo
che fosse certo della sua famiglia, che non conoscesse il passato dei
suoi genitori, o...come diceva tuo nonno "la vera natura della madre".
Eppure, quel giorno fu lui a tradirmi. Quel giorno, una fresca mattina
di primavera, decise di dire tutto a Bart, aveva diciotto anni.
Rivelò il mio passato a mio figlio senza nemmeno domandare se
fossi d'accordo. Il motivo fu chiaro come questo cielo. Voleva che Bart
odiasse la madre, e ci riuscì eccellentemente. Bart non volle
più saper nulla di me, riuscivo a notare solo odio nel suo
cuore, e io andai via da quell'inferno che solo per lui, solo per
il mio piccolo Bart, avevo scelto di sopportare.
Da quel momento, cercai di persuaderlo a perdonarmi, scrissi lettere su
lettere, il mio cuore in fogli di carta...che forse furono ogni volta
strappati. Ed era così che riusciva a farmi sentire. Sentivo un
taglio nel petto ogni volta che ignorava le mie telefonate, le mie
lettere, le volte in cui in segreto volevo incontrarlo. I mesi furono
presto anni, leggevo di lui su riviste e giornali. Giornali che lo
osannavano per l'abilità di contrattare che possedeva. Sembrava
sempre più Charles e meno Bart.
Seppi di te solo dall'investigatore che in modo costante mi informava
su di loro. Era nato il mio nipotino, e io ne ero stata informata da un
uomo sconosciuto."
Sul mio palmo sentì qualcosa di umido...stavo piangendo, senza che me ne fossi realmente resa conto.
"Solo il cielo sa quanto io abbia cercato di convincere Bart a farci
incontrare, a farti conoscere me. Ero d'accordo anche quando saresti
stato più adulto, ero d'accordo anche se lui avesse detto tutto
di me a te, del mio passato, di ciò che avevo fatto. Non mi
importava che potessi giudicarmi, avrei scelto d'essere considerata una
ridicola, per conoscere mio nipote Charles.
Non credo sia uno shock per te sapere che lui me lo impedì in
qualsiasi maniera. Cominciai a leggere amnche di te sui giornali quando
crescesti. E temevo.
Temevo che anche tu fossi come tuo padre. Che il nome che portassi
fosse anche indicativo della tua personalità, ma adesso...adesso
sei qui, ho desiderato quest'attimo dal momento esatto in cui hai visto
la luce. Se vorrai avermi con te, io sarò la nonna che non hai
mai avuto, la famiglia che non hai mai avuto."
Guardai Chuck, determinata a capire cosa gli passasse in mente. Il suo
volto faceva trasparire incertezza, confusione, rabbia, ma anche
comprensione.
"E...io, io posso sapere chi fu il padre di Bart?" domandò, un
tono che lo faceva avvicinare all'innocenza dei bambini quando chiedono
un abbraccio.
Adaline sembrò riflettere per qualche secondo.
Probabilmente si rivelò complesso per lei rivelare tutta la sua
storia, denudare la sua anima, raccontare la sua vita. E Chuck le
domandava un particolare che non aveva mai scelto di far sapere a
nessuno per anni.
Non doveva essere una passeggiata. Ma lei sapeva di dover costruire la
fiducia di Chuck, piano piano. Rivelare chi fosse il padre di Bart era
certamente una prova della sua sincerità.
"William Van Der Bilt."
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Capitolo 10 *** Forgiveness ***
jndeù
"William Van Der Bilt?" chiese Chuck, preda dello shock.
Non riuscivo a pensare. William Van Der Bilt era il nonno di Chuck, il papà di Bart. Era quasi surreale.
Tutto questo voleva dire che Chuck e Nate, amici di sempre...erano in
realtà legati anche da un rapporto di parentela. Erano cugini.
Le mie riflessioni furono però interrotte.
"Scusatemi un secondo" bisbigliò, Chuck, con gli occhi stanchi, e la voce spezzata.
Non mi sorprese che scegliesse di prendersi qualche minuto, quella
giornata era stata un'inferno, un turbinio continuo di
sensazioni. Credo fosse normale che
ne avesse abbastanza. Aveva scoperto degli aspetti sulla sua famiglia
che nemmno avrebbe mai sospettato, una nuova nonna sorta
all'improvviso, un padre ancora una volta deludente, e un nuovo vecchio
cugino.
Era comprensibile quanto fosse stanco e stressato.
In realtà un crollo di nervi sarebbe stata la reazione
più umana immaginabile. Non valeva, però, per Chuck Bass.
Lo vidi uscire dal locale, ringraziando e sollevando il viso verso il cielo per quel fresco autunnale.
Guardai la donna osservare lo stesso punto fuori dal locale che qualche
istante prima stavo fissando io, con sguardo preoccupato, pensieroso.
Aveva paura.
Paura che Chuck non la volesse nella sua vita, paura di soffrire
ancora. Avvertivo quasi empatia per quella bella e affascinante donna.
"Supponi che mio nipote saprà mai perdonarmi?" domandò, improvvisamente Adaline.
Riflettei qualche istante, quella domanda fu per me inaspettata.
"Chuck ha ricevuto solo del male dalla sua famiglia. Ha paura. Gli dia
qualche giorno, e lo rivedrà. Ne stia certa. Se non avesse avuto interesse nel
conoscerla non l'avrebbe rivisto neanche oggi, mi dia retta..."
Adaline sorrise delicatamente, tornando a posare gli occhi sul nipote.
"Può scusarmi un momento?" dissi.
"Vada pure, signorina Waldorf" rispose, cosciente di dove volessi andare.
"Blair."
Poggiò elegantemente le mani sul tavolo, sorridendo. "Blair".
"Chuck!" cantai, nel tentativo di avere la sua attenzione.
"Voglio tornare in hotel, Blair. Ti dispiace se vado via? Ho bisogno di
riflettere." immediatamente pronunciò, seguendo il filo logico
del suo pensiero.
Io fui colta quasi di sorpresa.
"Ah...no, sta' tranquillo, va' pure"
Mi sorrise, sfiorandomi la mano, e voltandosi subito verso la limousine.
"Chiamami...se ne avrai bisogno" dissi, dopo...con voce leggermente bassa.
Pensavo non mi avesse sentito, e forse sarebbe stato meglio così, quando vidi la sua nuca annuire.
Osservai la limousine diventare sempre più piccola e sparire nel
traffico di New York. Rimasi ferma, guardandolo mentre si allontanava
da tutto.
Era scosso. Chiaramente e ovviamente scosso. Chissà con quali pensieri si stava tormentando...
Sapevo che io invece avrei tormentato me con il pensiero su di lui. Ero preoccupata.
Prendemmo un taxi con Adaline e durante il tragitto volle sapere qualche curiosità
sul nipote, da quanto tempo ci conoscevamo, chi fosse Nate Archibald.
Il suo volto disegnò un'espressione sorpresa quando gli spiegai,
e capì.
"E' incredibile come i destini continuino ad intrecciarsi, se sono
destinati a farlo. Non importa il tempo, non importa dove. Se due
nastri legano a doppio filo, sono impossibile da sciogliere"
sussurrò, guardandosi le mani, con una maturità e
coscienza evidentemente più saggia della mia.
"Il problema arriva quando quel nodo comincia a diventare una matassa..." continuò, fermando i suoi occhi sui miei.
Le sorrisi, nascondendo dei ricordi, delle esperienze dietro quel sorriso.
Probabilmente lei se ne accorse.
"Ad esempio, Blair...quanto è ingarbugliata la matassa tra te e
mio nipote?" chiese, con l'abilità d'osservazione, e l'acume
della donna sveglia quale era.
"Ah..." tutto ciò che riuscii a dire, incapace di formulare frasi di una qualche logica.
Adaline rise, guardando fuori dalla macchina.
"Grazie, per esserti presa cura di lui durante la sua vita" bisbigliò, senza osservarmi.
"Non l'ho sempre fatto, signora Bass." risposi, sinceramente. Tante
volte gli avevo fatto del male, infliggendolo poi anche a me. Tante
volte avrei voluto stargli vicino, malgrado lui non lo permettesse.
Ecco la nostra matassa.
La accompagnai nella sua casa d'assistenza, e non seppi spiegarmi
perchè non ebbe una casa tutta sua. Sembrava indipendente in
qualsiasi azione. Avrei dovuto domandarglielo, dissi a me stessa,
promettendomelo.
Guardai il telefono, nessuna telefonata, nessun sms. Non che mi
sorprendesse. Riuscivo quasi a immaginarlo, nel suo divano, con gli
occhi ambra in un punto indefinito, e le dita che cingono un bicchiere
di scotch.
Avrei voluto dare l'indirizzo dell'empire all'autista, cercare di farlo
riflettere, di farlo calmare, di capire cosa avesse avesse in testa, ma
sapevo che avesse necessità di stare solo, così
saggiamente, ma con un leggere rammarico, tornai a casa.
Nel mio attico l'odore di lavanda e ribes fu una perfetta accoglienza
aromaterapeutica. Quell'odore mi fece subito immaginare la vasca da
bagno, così corsi al piano di sopra, cominciando a prendere
tutto ciò di cui avevo bisogno.
Asciugamani caldi, candele profumate, leggero sottofondo musicale
sarebbero stati la mia tripletta dedicata al liberare la mente.
Se non fosse per...
"Serena? Che ci fai qui?" domandai, mentre la abbracciavo.
"Ho preso un thè con Eleanor mentre aspettavo che arrivassi. Tutto bene?"
Mi chiedeva se andasse tutto bene...suonò quasi ironico.
Quanta necessità avevo di parlarle, spiegarle tutto, spiegarle
il motivo della mia aria sempre pensierosa, sempre distratta...ma avrei
potuto?
"B?" invocò di nuovo una mia risposta.
"Sì, Serena...tutto bene"
Lei sembrò convinta.
"Perfetto, stasera voglio vederti raggiante. Ci saranno anche alcuni
amici e collaboratori di mia madre, puoi anche avere da fare..." disse,
con fare malizioso.
"Stasera? Di che parli, S" domandai, confusa.
"L'avevi scordato? B, ma si può sapere dove hai il cervello? La raccolta fondi che ha organizzato mia madre, Blair!"
L'avevo totalmente rimossa.
"Oh, certo...perdonami. Allora ci vediamo alle nove" dissi, cercando di
farle gentilmente capire che fosse per me il momento di stare sola.
"B, alle otto..." pronunciò, mentre alzava le lunghe ciglia, e gli occhi al cielo.
"Alle otto" ripetei, sorridendo per chiedere scusa.
"Signorina, la borsa!" esclamò, fuori dalla porta della mia stanza.
"Grazie, Dorota" risposi, semplicemente.
Ci mancava anche che dovessi giustificarmi con Dorota.
"Ci sarà anche il signorino Chuck stasera?" domandò,
improvvisamente inopportuna, mentre sistemava la coda e lo scollo sulla
schiena del vestito rosso di Valentino che avevo scelto.
Mi voltai bruscamente, borbottando qualcosa sul suo licenziamento e biglietti di sola andata verso la Russia.
Lei rise, probabilmente non aspettava altre diverse reazioni.
Ed erano proprio quelle reazioni che riuscivano a dare a Dorota
più risposte di una lettera a cuore aperto. Mi conosceva persino
meglio di mia madre, sapeva quando mentivo e quando no, quando avevo
qualcosa che non andava e quando no.
"Le chiamo l'autista, e può scendere. Stia attenta a lei, e...al
suo cuore, signorina Blair." affermò, non per essere ficcanaso,
ma con l'amore materno che mi aveva sempre riservato.
Le diedi un bacio sulla guancia, e andai verso la macchina, mentre mia madre e Cyrus ancora perdevano minuti in smancerie.
"Blair, cara! Sei un raggio di sole stasera" mi salutò, dolcemente Lily.
"Grazie Lily, sei favolosa anche tu. Come procede la raccolta fondi?"
"Splendidamente, tesoro. Siamo quasi arrrivati all'obiettivo, sai quanto ami la filantropia."
"Lo so bene. Sei una persona splendida. Serena?" domandai.
Lei sorrise.
"Con Dan, chiaramente. Dovrebbe essere lì accanto la scalinata."
La ringraziai e andai verso la mia migliore amica, indefferente al fatto che potessi disturbare i due innamorati.
"S!" quasi urlai, dandole un abbraccio.
"Humphrey..." feci in segno di saluto, con il solito finto astio a cui Serena e Dan erano abituati.
"Waldorf, buonasera anche a lei" rispose, il moro.
"Sei bellissima, B!" si complimentò, Serena.
Io le ricambiai il complimento, mentre afferrai un flute di champagne,
mandandolo giù tutto in un sorso, sotto lo sguardo dei due
increduli.
"Bisogno di bere?" chiese sarcasticamente Serena.
"No, affatto. Perchè dici così?" domandai, prendendo il secondo flute.
"Sarà solo una mia supposizione" disse, mentre rideva.
Guardai la sala, fremeva di uomini in cravatta, e consorti, che avevano
tutta l'aria di poter essere considerati come possibili futuri clienti
della Waldorf designs. Decisi di fare un po' di "conoscenze". Eleanor
sarebbe stata orgogliosa.
Non cercai nemmeno di distinguere degli occhi profondi marroni nei visi
degli altri, sapevo non avesse l'umore adatto per prendere parte ad un
evento così frivolo come una raccolta fondi.
Passai la prima mezz'ora della serata tra scontate battute, frasi di
circostanza, tutte cose che odiavo, in fondo. L'unica sfumatura
positiva la ebbe lo champagne che mi tenne compagnia per tutta la
duarata di quella tortura.
Lavoro, mi dissi tra me e me, cercando di trovare consolazione.
"Champagne? Ho notato che avessi il bicchiere vuoto" inaugurò
una nuova conversazione un uomo alle spalle, dalla voce inconfondibile.
Mi voltai.
"Chuck? Non credevo saresti venuto" lo salutai, afferrando il flute che mi aveva portato.
"Posso permetterti di bere tutti quei bicchieri di champagne senza che io sia nei paraggi?"
Gli sorrisi, inarcando un sopracciglio.
"So badare a me stessa. Come stai?"
"Benissimo, Blair. Balliamo?" chiese, offrendomi il palmo della sua mano.
Poggiai le mia dita sulle sue, accettando.
Mentre ci avvicinavamo verso il salotto dove altri invitati ci avevano
preceduti, non potei fare a meno di pensare quanto fosse strano che lui
fosse venuto, quanto fosse starno che lui asserisse di stare
"benissimo". Non credetti ad una sola lettera.
Mi prese un fianco, mentre cominciavamo a danzare.
"Chuck, non c'è necessità di fingere. Non credo tu abbia
veramente voglia di stare in questo posto" dissi piano, sinceramente.
"Ti sbagli, Waldorf. So che Lily ci tenesse, e non scorgo presupposti
per cui io non avessi dovuto averne voglia" rispose, con il suo solito
accento ironico.
Non capivo perchè volesse fingere che andasse tutto bene. Solo
poche ore prima era visibilmente scosso, gli occhi vitrei, con alle
spalle una storia che sicuramente in parte cambiava la sua vita. Era
incredibile.
Lo osservai, sempre più confusa.
"Ma solo poche ore fa..." cercai di dire, ma luii subito volle interrompermi.
"No, Blair. Non voglio più che se ne parli. Quella donna mente. E' solo la classica arrampicatrice
sociale, mi dispiace solo non averlo capito prima di darle la
possibilità di raccontare tutte quelle bugie"
Lo guardai, senza la possibilità di poter dire parola.
"Però, c'è da dire che abbia una bellissima immaginazione. Ha creato una vera storia strappalacrime."
"Chuck..."
"Che c'è, Blair" disse, alzando il tono di qualche nota, e
interrompendo lo sguardo, spostandolo sui muri della bellissima
location che Lily aveva affittato.
"Smettila, Chuck. Smetti di essere chi non sei. Chi non sei più da anni."
"Che ne sai tu? Che ne sai tu di chi sono stato o diventato in questi
anni? Tu non eri presente" pronunciò, con tono sorprendentemente
risentito.
Mi colse proprio nel tallone d'Achille. Fu come uno schiaffo morale, acqua gelida che scorreva dentro le mie vene.
Non ballavamo più. Non ci sfioravamo più.
"Chuck..." fu quasi un sussurro, con il capo abbassato.
"Cosa?"
"Smettila! Smetti di farti e farmi solo del male! Hai impiegato tanto
per migliorarti, per non essere come tuo padre, e io so che non lo sei."
"Smettila di dire quello che dovrei o non dovrei fare, chi dovrei o non
dovrei essere, Blair" quasi ringhiò, con la voce bassa per non
far sentire alle persone accanto, ma minacciosa.
Ero sempre più stupita.
"Quella donna non mente, Chuck. Lo so" asserii, con tono iracondo.
"Ci vediamo, Blair" disse, voltando il capo, e ritrovandomi sola nel mezzo del salotto in cui le coppie felicemente ballavano.
"Codardo" fu quel che dissi, e fui certa che l'avesse udito.
Corsi fuori. Ogni passo la minaccia delle lacrime più presente.
Mi fermai solo dinanzi il recinto che si affacciava sulle siepi. E
lì non potei fare a meno di non piangere.
Sembrava tornato. Sembrava tornato quel rancore, quella rabbia,
quell'indifferenza che utilizzava nell'adolescenza. I suoi occhi non
più lucenti, solo cupi, smarriti.
E in quel momento la rabbia fu anche ciò che sentii io.
Avevo investito tutta la mia volontà, tutto il mio amore per
farlo mutare nell'uomo migliore che sapeva di essere e che gli era
sempre appartenuto, anche se accuratamente nascosto. Io ero riuscita a
renderlo più sicuro di sè, togliere quell'arroganza,
quella freddezza, e adesso sembrava tutto inutile.
Perchè non credeva ad Adaline? Come riusciva a non vedere la
sincerità e l'amore dei suoi occhi? Preferiva credere all'uomo
che aveva tentato di mettere fine alla sua vita. Volevo conservare
umanità per un uomo che umanità non aveva.
Odiavo Bart. Lo odiavo.
Mentre provavo rabbia verso Chuck.
Il signor Thorne aveva confermato tutto, avevamo tutti i documenti
scritti. Lei diceva la verità. Perchè non voleva
crederle? Aveva paura? Non posso biasimarlo se spaventato al pensiero
di dedicare ancora una volta il suo amore alla sua famiglia. Una
famiglia che sembrava non meritarlo. Ma Adaline sembrava diversa,
sincera, onesta. Avevo visto gioia quando aveva visto Chuck, dolore
quando disse la sua storia, paura quando il nipote andò via. La
sua indifferenza, il suo gelo non sarebbe stato coraggio, solo paura, e
vigliaccheria.
Chiamai l'autista e decisi di andare a casa. Volevo stare in solitudine.
Però...
"George, tieni quest'indirizzo. E' qui che devi andare."
Ci trovammo davanti il palazzo con il quale solo qualche ora prima ero stata con Chuck. Volevo parlare con Adaline.
"Salve, sono qui per Adaline Bass"
"Mi dispiace, è tardi per l'ora di ricevimento. Tenti domani."
"Devo parlare con Adaline Bass, subito." dissi piano, con tono leggermente corruttore.
Mi guardò per qualche secondo, per poi andare verso la porta lignea.
Pochi minuti dopo uscì lei.
"Salve, Blair. Non credevo di dover ricevere qualcuno stasera..."
Vidi il suo sguardo cambiare da sereno a impensierito quando si accorse del mio umore scosso.
"Tutto bene, cara?" chiese.
"No" fu la mia risposta, semplice, ma chiara.
Lei si sedette vicino a me, incoraggiandomi con i suoi occhi a proseguire.
"Io...io..."
Guardai il pavimento.
"Io e Chuck abbiamo litigato" riuscii a comunicarle.
"Chiunque si voglia bene poi deve affrontare anche qualche litigio. Lui
ti vuole bene e sono riuscita a rendermene conto in pochi minuti. E
sta' tranquilla, non sto credendo che ci sia anche qualcosa di
romantico tra di voi, non andare sulla difensiva" disse dopo, con
malizia, sorridendo.
Invece lo pensava, e lo sapevamo entrambe.
Ma non ero lì per quello, e Adaline aveva il diritto di conoscere le decisioni del nipote.
"In realtà, Adaline...volevo parlarti di altro. Abbiamo litigato
perchè sembra arrivato a credere che tu stia mentendo, che tu
non sia chi dici di essere. Sembra rifiutare di voler credere a te, a
me. Non osserva tutte le basi per cui io ti credo...la foto, i
documenti che ci ha fornito l'investigatore, la tua storia. Ho cercato
di fargli capire che i tuoi occhi sono sinceri, ma lui sembra fermo sui
suoi punti. Ed è un codardo."
Adaline sembrò riflettere qualche secondo, chiaramente dispiaciuta delle paole che gli avevo comunicato.
"Blair...mio nipote ha ricevuto solo bugie dalla sua famiglia. Credo,
credo sia quasi umano che lui si rifiuti di credermi. Gli hanno sempre
fatto del male. E' spaventato che anche io abbia le stesse intenzioni"
"Ma io so che tu sei sincera. Non domandarmi in che modo, ma lo so. I
suoi occhi...sembravano spenti, come quelli del padre, come quelli che
aveva quando aveva 17 anni."
"Sono felice che tu mi creda, Blair. Aspettami qui, voglio mostrarti un cimelio"
La osservai, curiosa.
Dopo qualche minuto la donna dai capelli d'argento tornò, e
aveva in mano una collana con un ciondolo color platino, che stringeva
forte tra le sue dita affusolate.
Lo consegnò subito a me, facendomi vedere la foto che nascondeva.
Era la stessa foto che Elizabeth diede a Chuck. Era Chuck, con la madre. Come era riuscita ad entrarne in possesso?
Lo guardai con espressione interrogativa.
Lei capii istantaneamente, e cercò di darmi delle spiegazioni.
"Ci fu un periodo...quando Charles era probabilmente appena nato, in
cui Elizabeth e io cercavamo di incontrarci di nascosto. Le chiedevo di
mio nipote e di mio figlio, volevo avere loro notizie. E...un
pomeriggio, ricordo ancora la frescura autunnale, mi diede questa
fotografia che avrei difeso con la mia stessa esistenza."
Le strinsi le mani, con i suoi occhi divenuti commossi.
"Perfetto" dissi, contenta.
"Di che parli?" domandò Adaline.
"Darò questa collana a Chuck. Non avrà più ragioni per poter pensare che tu dica bugie..."
"No" ottenni da Adaline.
"No, Blair. Non voglio che lui si convinca tramite oggetti o fatti
oggettivi. Se lui vorrà perdonarmi dovrà farlo con il suo
cuore, non con la sua testa." continuò.
Capii il discorso di Adaline.
"Oh...credo, credo sia giusto. Ma se non volesse? Rinunciare a
ricostruire la famiglia che tanto desidera ma che aveva operato
autodistruzione...non è corretto. Io so che nell'angolo
più nascosto del suo cuore lui ti crede, Adaline."
"Lo spero, Blair. Ma non devo essere io a convincerlo per questo. Ho
già tentato. E a te non spetta la mansione di avvocato."
Lo avvertii come un rimprovero. Adaline aveva uno sguardo comprensivo
ma testardo, proprio come Chuck, e riusciva a far provare empatia, ma
anche un senso di rispetto impagabile.
"Adesso va' a casa, tesoro. E' evidente che necessiti un po' di riposo."
Le obbedii, e dandole un bacio sulla guancia, andai verso l'auto con il cuore che invocava i sentimenti più antitetici.
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