Vita di un cacciatore di taglie depresso

di GanzoBello
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Accettazione ***
Capitolo 2: *** Bugie ***
Capitolo 3: *** Rimpianti ***
Capitolo 4: *** Sogni ***
Capitolo 5: *** Ribellione ***
Capitolo 6: *** Verità ***
Capitolo 7: *** Fine ***



Capitolo 1
*** Accettazione ***


Sapete com'è vivere come un cacciatore di taglie?

Le persone me lo domandano sempre.

"Hey ti ho visto alla tv! La tua vita deve essere un sacco eccitante"

Eccitante ecco come le persone vedono la mia vita. E se lo dicono loro deve essere sicuramente vero.

Ogni giorno mi alzo, mi lavo, ingoio le prime cose che trovo ed esco. Vado al mio luogo di lavoro. Una nuova taglia. Trovo l'idiota che non è andato in tribunale. Lo porto in tribunale. Mangiò . Dormo.

Ogni giorno, tutti i giorni. Vent'anni che faccio sempre questa routine.

Sono stanco.

So che è semplice, ma voglio lamentarmi. Una volta ero felice.

Non so quando smisi di esserlo.

Ma ora so che non lo sono più.

Il ticchettio delle mie dita sopra questa tastiera me lo ricorda.

Non capisco se dovrei farla finita.

Sono depresso .... Forse.

Non ne capisco per la verità.

Ieri ho catturato uno che per giustificarsi dalla sua assenza ha iniziato a urlare che era depresso.

Era depresso ? Se ve lo state chiedendo non so rispondervi. L'unica cosa che so è che aveva una taglia da 3000 dollari su quella testolina depressa, i che vuol dire che aveva fatto qualcos'altro oltre al non presentarsi di fronte al giudice.

Perché non sapevo che cosa avesse fatto? Beh io non leggo quasi mai cosa hanno fatto le persone. Non mi prendo carico di loro. Sono lavoro. Non è facile catturare uno che è diventato ladro solo per colpa della crisi, ti lascia un obbiettore di coscienza. E' in questo lavoro non ti puoi permettere un obbiettore di coscienza.

Oggi la mia preda sarebbe un ragazzo. Venti anni. Alto 1, 80. E' riportato il numero civico e le zone da lui abitualmente frequentati. Entro oggi dovrei già averlo preso.

Inizio a pensare che la mia vita faccia schifo. Ogni volta che catturo qualcuno,  mi guarda come se fosse colpa mia. Come se davvero non capissero. Io non sono l'artefice di quei crimini, io sono lo spazzino che riporta le cose nel loro corretto posto. Se loro non volessero provare davvero quella esperienza, perché non commettere crimini o direttamente, perché non affrontare le proprie responsabilità. Hai fatto un crimine?  Vieni processato e vai in galera. Punto.

Non capisco perché dica tutto questo a un computer,come se potesse realmente cambiare qualcosa. Eppure il mio terapista mi ha obbligato, sono costretto ogni volta a scrivere qualche cazzata del genere sopra a questo foglio. andare a riunione e far finta che leggendole possa davvero guarire da quel che sento. Chi davvero ci crede? Me lo domando spesso ... 

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Capitolo 2
*** Bugie ***


Oggi torno dall'incontro. Eravamo in undici. Ho letto il testo che avevo scritto e molti si erano impressionati per ciò che avevo scritto. Il mio terapista si è complimentato per la sincerità con cui ho scritto le cose dicendomi che forse ho un talento, non penso sia vero. Le persone non sono mai vere con gli altri. 

Prima regola che impari facendo questo lavoro: "Le persone sono tutte false"

E' la regola che si applica sempre. In tutti i casi riconosci che le persone sono false. Chi si nasconde fingendosi altri, chi porta documenti falsi, chi implora inventando storie su famiglie e bambini inesistenti.

Le bugie mi danno fastidio, forse perché mia madre da piccolo mi diceva sempre che facevano piangere Dio. Sono irritanti. Chi ne ha davvero bisogno? 

Io non penso. 

Osservo sempre chi mi parla, molti ne dicono a ripetizione, un esempio lampante è Finn del mio gruppo di sostegno. Ogni volta che lo vedo so già che racconterà bugie su bugie. Come lo so? Beh quando non ero ancora sicuro di frequentare il gruppo decisi di indagare sui suoi componenti. Finn è un megalomane, non trovo altre parole, cerca sempre di stare al centro dell'attenzione. Deve sempre avere la storia più triste o più frenetica o più divertente. Lo odio. Un giorno racconto che gli era morto il gatto ed era diventato così triste da tagliarsi i polsi. Ma io vedevo i suoi polsi e non c'erano tagli su di essi, così come non c'erano mai stati peli sui suoi vestiti o aveva mai accennato a gatti prima d'ora. Non capisco come ci si possa ridurre a certi stati.

 Preferirei prendere una pistola e spararmi piuttosto che finire a certi stati. Devo confessare che ci penso spesso ormai. Una pistola in bocca potrebbe essere la soluzione hai miei problemi. Immediata. Silenziosa. Indolore. Ma ogni volta ripenso che se fallisse sarei punto a capo. Anzi starei peggio. Le persone non lo sanno, ma le pistole non sono mai efficaci al cento per cento. Forse sei lì che stai per premere il grilletto e senti già la fine dei tuoi problemi, quando per una qualsiasi motivazione ti ritrovi con il cranio bucato, ma ancora vivo. Magari dovrai pagare pure tutte le spese mediche perché l'assicurazione si rifiuterà di pagare. Oltre il danno la beffa.

Finn, non è l'unico che mente sopra la sua vita solo per ricevere attenzioni. Infondo lo facciamo tutti. Forse anche il solo parlarne con questo foglio in questo modo è una richiesta di attenzioni. Forse sono già come loro. Questo pensiero mi tormenta nella doccia, nel letto, ormai anche quando cammino mi viene in mente che potrei essere cambiato ed essere diventato come uno dei tanti che odio. Spiegherebbe questa sensazione interna che ho. 

Forse è solo odio verso me stesso, non depressione.

Non so.

Vado avanti a incertezze, ormai sono le uniche certezze che ho. 

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Capitolo 3
*** Rimpianti ***


Il dottore mi ha detto di scrivere cosa sento appena ritorno dall'incontro, per essere il più schietto possibile. Dice che aiuta. Non lo so. Non credo. Di certo non aiuta Finn. Si è messo a piangere. Non gli è piaciuto ciò che avevo scritto su di lui. Mi ha chiamato bastardo. Era da un po che non mi ci chiamavano. 

Sarà passato un anno, forse meno, non saprei. E' da un po che non sento più il passare del tempo. Fu una ragazza, a chiamarmi in quel modo. Alta. Rossa. Non ricordo il nome. Il motivo era stato che l'avevo disarcionata dalla bici. Non era stato volontario, era colpa dell' inseguimento di un cattivo andato a male. Lei era sbucata dal nulla, possibilmente, era colpa sua ,in fondo, ha colpito un pedone. Non ebbi il coraggio di dirglielo. Mi preoccupai di farla rialzare e controllare se stava bene. Non riuscivo a parlarle. Lei, invece, ci riusciva benissimo, iniziò a urlarmi addosso. Per tutta risposta io iniziai a guardarla stupefatto di quella rabbia. Un po' come ho fatto con Finn oggi. Li ho guardati entrambi con attenzione. Non riuscivo a fare altro. La potenza delle loro emozioni mi aveva catturato. Studiavo ogni minimo dettaglio delle loro rughe di espressione. Il fatto che loro possano provare tante emozioni, mi fa sentire vuoto.

Perché loro si ed io no? Una bella domanda.

"Siamo tutti fratelli disegnati dall'ombra" 

L'ho sentita in una canzone. Sembra un pensiero molto poetico. Non ho mai capito la poesia. Mamma diceva perché la poesia è fatta di emozioni e le emozioni non sempre tutti le proviamo uguali.

Chissà se la ragazza prova le stesse emozioni di Finn ... Chissà se le provò anch'io ...

Ogni tanto fisso lo specchio e guardo intensamente il mio riflesso. Da piccolo pensavo che la persona al suo interno non fossi io. Mi sembrava falsa. Un'imitazione della realtà.  Ora sono cresciuto. So che quello dentro sono io, ma la sensazione rimane. Spero ancora non sia io quella figura. 

Il dottore mi ha detto che potrebbe essere legato all'odio che provo per me stesso. Che dovrei accettarmi e capire che sono diverso da quello che penso io. Il dottore è una persona diversa da quelle che di solito ho incontrato. Gli piace come scrivo. Dice che uso i punti come voglio e non come la grammatica prescrive. Dice che è utile per esprimere meglio ciò penso. Rende più reale il fatto che lo scriva io. 

Io penso lo dica solo per farmi felice. Non penso di essere bravo a scrivere ... Non lo sono mai stato. Le parole sono solo inganni. Il ticchettio delle mie dita sulla tastiera me lo ricorda. Sono unioni di simboli che mutano per descrivere le cose. Sono perfette. Non mi piacciono. 

Mi piace disegnare. Lo presi da mia madre. Lei era solita disegnare con una sigaretta in bocca e la matita nella mano sinistra. Non era mancina, ma amava disegnare con la sinistra. Diceva che la mano era più libera. Ho alcuni suoi quadri nella casa. Servono a ricordarmi di lei. Ogni tanto li fisso da lontano solo per avvicinarmici piano piano fino ad accarezzarli e appoggiarci il viso. Mi fa sentire vicino a lei. Mi manca. E' da 10  anni che ormai mi manca. La cosa che più mi manca di lei è la sensazione di quando mi abbracciava. Mi faceva sentire felice. Amato. 

Ho letto che è la pelle l'organo che trasmette questa sensazione.

Invidio chi ha trovato la persona con la pelle che lo fa sentire amato. 

Forse io la troverò andando avanti o forse la mia pelle l'avevo già trovata. 

Non lo so. So solo che le domande ormai riempiono i silenzi e sono loro l'unica pelle che ormai mi avvolge.

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Capitolo 4
*** Sogni ***


Oggi ho saltato la riunione. L'ho fatto appositamente per non leggere in pubblico ciò che avevo scritto. So che era più semplice cancellare e scrivere altro, ma qualcosa dentro di me mi ha fermato. Forse mi sto affezionando a tutto questo. 

Due giorni fa mi ero iscritto in un sito di incontri. Mi ha costretto Fred. Non lo sentivo da mesi. LE sue uniche parole sono state: "Ci credo che sei depresso, non scopi!"

Lo odio. Lui rappresenta un'altra tipologia di persone che odio. Ci conosciamo da anni ormai. Le nostre famiglie erano amiche. Lui più che un amico, fu un imposizione. Negli anni non si è dimostrato diverso. Ogni volta per lui i problemi si risolvono con le soluzioni semplici. 

Sei depresso, scopa. 

Hai bisogno di aiuto, bevi. 

Una persona vuota che possibilmente non ha mai vissuto niente realmente. Ha 30 anni e gioca ancora a fare il diciottenne arrapato. Lo odio.

Sul sito ho mentito riguardo al mio lavoro. Non mi andava di parlare del fatto che faccio il cacciatore .Ho scritto che faccio l'assicuratore.  Molte ragazze mi hanno scritto. Mi hanno chiesto se la foto era falsa. Forse non sono abituati ad un assicuratore muscoloso o con i tatuaggi. 

Una ragazza ci ha creduto però. Alta. Castana. Sul sito si racconta come amante dei libri. Il nome mi ricorda qualcosa, spero non sia legato al mio lavoro. Ho letto le sue informazioni tre volte. Ama i cani. I gatti. I cavalli. Il cielo blu dell'estate. Nello slot dove chiedevano il proprio sogno nel cassetto ha scritto ballerina. Mi ha fatto sorridere. Domani dovrei incontrarla ad un bar. Ho scelto domani perché la riunione è fra due giorni. Se mi rifiuterà saprò dove andare.

Non sono fiducioso. Non capisco perché non dovrebbe scappare via da me. Ho la barba incolta, ispida. La cicatrice sull'occhio è più rossa del solito. Penso di essere nella peggiore forma possibile. Mi sembro un mostro.

Ogni tanto tocco la cicatrice e ricordo chi me l'ha fatta. Potreste pensare che sia stato qualche malvivente. No. Fu un ragazzino. Era tanto giovane. Troppo stupido. Quel giorno rischiai molto, un centimetro in più e sarei rimasto cieco, eppure la mia paura più grande era per  il ragazzo. Non volevo che si rovinasse il futuro, infatti non lo denunciai. Non mi pento di non averlo fatto. Era davvero troppo giovane, aveva un raschietto non un machete. Aveva rubato, non ucciso. Se non mi sbaglio ora è fuori, non l'ho più rivisto. Fu uno dei pochi casi di cui seguii il processo. Niente avvocati strapagati, niente giudici corrotti e testimoni a sorpresa. La madre testimoniò per il ragazzo, cercando di difenderlo, ricordandolo come un ragazzo che aveva un sogno e che se si trovava in una situazione del genere era solo colpa delle sue amicizie e della povertà. 

Tutti hanno un sogno, mi chiedo se anche mia madre lo avesse. Non glielo chiesi mai, neanche in gioventù. Ora che ci penso neanche io avevo un sogno. Mi ricordo che quando mi chiedevano rispondevo che era viaggiare per il mondo con la moto. E' strano. Ne comprai una col primo stipendio. Un chopper. Lo uso ogni giorno eppure ancora non l'ho mai usato per farmi un viaggio. Mi ero dedicato troppo al lavoro. Troppo ai problemi. Mi chiedo se davvero partire senza guardarsi indietro potrebbe essere una soluzione. Sospetto che sia un'arma a doppio taglio. Non si sfugge da ciò che ci tormenta. Mia mamma diceva:

"Un mostro che fugge corre verso le case da distruggere."

Lo usava per dirmi che nessuno fugge da ciò che è. Che scappando, il risultato non cambia. 

Un fisico in un film disse:

" Lo spazio temporale è come un fiume, anche se lanci dei sassolini lui continuerà a scorrere imperterrito seguendo il suo corso senza variare mai."

Sperò che sia vero. 

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Capitolo 5
*** Ribellione ***


Ho bevuto. Non l'ho fatto perché fossi realmente triste. L'ho fatto per poter sentire qualcosa in me. Ieri sono stato all'appuntamento. Non mi ero mai sentito così solo. 

La ragazza non era male. Abbiamo trascorso una buona serata. Mi ha raccontato molto della sua vita. Era proprio come l'avevo immaginata, eppure stare lì con lei mi ha fatto solo sentire più solo. 

Non sono solito bere. Odio l'alcol. E' stato lui a portarmi via mio padre. Morì di cirrosi epatica quando io ero troppo piccolo. Non l'ho mai conosciuto. Non lo conosco. Ho un suo ritratto da giovane però. Mamma lo dipingeva spesso quando andavano insieme all'università. Aveva i capelli lunghi e mossi dall'aria, un sorriso molto ampio e intorno a lui le linee si curvavano come se lui fosse davvero l'unica cosa che realmente contava in quell'attimo. Mamma lo amava tanto. Non si risposò più dopo di lui. 

Ho bevuto in un bar vicino a dove abito. Whisky. Il sapore deciso era quello che stavo cercando. Il dottore non mi ha proibito l'alcol, anche se me ne ha sconsigliato l'uso.  Nelle mie condizioni potrebbe solo peggiorare la situazione. Sento il mondo girare. E' una bella sensazione ti fa capire quanto sei realmente piccolo in questo universo. Non bevevo da molti anni ormai e l'unica sensazione che realmente mi mancava era quella. Il sentirmi piccolo. Il sentirmi davvero vivo anche se inutilmente piccolo. 

Il mondo non accetta le persone che vogliono provare sensazioni diverse. Mi sto rendendo conto che ormai siamo obbligati a stare in certi standard omologati ed accettati. Se non voglio essere felice sono depresso. Se voglio provare dolore per sentirmi vivo sono masochista. Se non accetto una regola del bon ton sono un maleducato. Inizio a essere stanco di tutto questo. Non capisco perché devo per forza ritornare a essere felice. Sono triste da anni. Non ho motivi per essere felice, mentre ne ho tanti per essere triste. Ad un certo punto mi piace più essere triste che essere felice. 

La tristezza ormai è il mio porto sicuro. La felicità invece mi offre solo strade tortuose. 

Perché essere felice è così importante per questa società? Perché non posso essere accettato se sono triste? Perché ormai sono un problema per tutti? 

Da quando leggo questi pensieri alla terapia di gruppo le persone mi guardano con un occhio diverso. Molti sono impietositi, alcuni curiosi. Li odio. Tutti. Nessuno si salva più. Odio chi prova pietà per me. Io non la proverei per loro. La pietà si prova per le vittime, io sono il carnefice di ciò che provo. Odio ancor di più chi prova curiosità. Come se non avessero provato mai una volta quello che io racconto. Mi sento alienato da quel gruppo. Mi sento diverso da loro. Prima di raccontare ciò che provavo le persone mi guardavano con occhio vigile avevano paura di me. Ora provano pietà. Li odio e mi faccio schifo. 

Sono diventato il leone vecchio che presto verrà divorato dalle iene.,, 

 

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Capitolo 6
*** Verità ***


Ho preso una settimana di vacanza da tutto. Ho usato i risparmi per comprare alcol, tabacco e mi sono chiuso in casa. Ho passato un intera settimana senza parlare con nessuno. L'unico rumore era quello del silenzio. Ero completamente solo. Ho chiuso le finestre. Ho messo le lenzuola sui muri. Ho staccato le spine a tutto ciò che avevo di elettrico. Ho spento i telefoni. Non sentivo più neanche i miei pensieri. 

Ho passato un intera settimana nella solitudine senza neanche me stesso. Ho perso i giorni. Ho perso il tempo. Era tutto un grosso secondo. Era una perenne notte.

E' durata solo una settimana perché Fred mi ha sfondato la porta pur di entrare e vedere come stavo. Appena mi ha visto a urlato. Gli sembravo morto. Mi ha infilato sotto la doccia e mi ha lavato con l'acqua fredda proprio come si fa con i drogati. Io però non sono riuscito a fermarlo. Non riuscivo a reagire. Ero ancora in quel grande secondo eterno. Mi sono ripreso dopo che siamo tornati dall'ospedale. Dicono che fosse avvelenamento da alcol. Una sorte di reazione alle grandi quantità di alcol nel corpo. 

Fred mi ha guardato quel giorno con disprezzo. Mi ha visto come un peso. Ormai lo sono per tutti. Ha detto che devo ritornare in terapia, che forse ha sbagliato a farmi avere quell'appuntamento e che non avrebbe dovuto immischiarsi. 

"Fred pensi davvero di avere tutto questo potere sulla mia vita?" ecco la mia risposta fredda. Erano le prime parole dopo una settimana. La voce con cui lo dissi era estremamente rauca, quasi stroncata da tutto l'odio che provavo in quel momento. 

Dopo aver sentito quelle parole Fred mi riaccompagnò subito a casa mia e andò via senza più fiatare. Non lo sento più da almeno dieci giorni. 

Alle riunioni ho letto i vecchi testi che avevo scritto. Le parti che non avevo voluto leggere. Mi hanno salvato dalle domande. A coloro che chiedevano che cosa mi fosse successo rispondevo dicendo "Sono stato molto influenzato". L'unico che non mi ha creduto è stato il dottore. Aveva parlato con Fred. Lui gli aveva raccontato di come mi aveva trovato ed ora molto preoccupato.

"Sono preoccupato per te, Fred lo è pure. Siamo tutti preoccupati per te. E' una decisione difficile ma visto come ti eri ridotto non ho altra scelta che internarti in un centro specializzato"

Sono state le sue ultime parole, l'indomani mi hanno portato qui. E' bastato solo un giorno e già mi ero ambientato. C'è un bel giardino fuori. Non parlo con nessuno, se non quando sono obbligato. Sembrano tutti ridicoli. Tutti si lamentano dei propri problemi che li hanno mandati qui. Tutti dicono che si sentono meglio, che vogliono uscire, che la terapia ha funzionato o che lo psicologo ha sbagliato, che non sono stati loro, che non sono loro i pazzi ma è il mondo là fuori a esserlo!

Tutti ridicoli. Anche qui c'è la terapia di gruppo. Qui però è più divertente. Qui io rido alle storie degli altri. Non provo più rammarico a sentirli piangere. Qui non c'è Finn. Qui c'è solo gente disperata che ha gettato la spugna ed io sono come loro. Io ho perso la speranza di migliorare. Non ci voglio più neanche provare.

Oggi è il compleanno di Meloée. Una ragazza che conobbi al college e che divenne la mia migliore amica. Sono anni che non ci vediamo eppure due anni fa la cercai. Con il mio lavoro diventi bravo a cercare le persone. Le trovi in un attimo. Non so perché la volevo trovare. Già iniziavo a sentirmi depresso. Forse il mio cervello pensava che Meloée potesse essere la soluzione alla mia tristezza. La incontrai dopo due giorni di ricerca, per caso per strada. Lei non mi riconobbe. La chiamai. Lei non mi riconobbe. Si girò. Mi guardo. Mi guardo fisso negli occhi eppure non mi riconobbe. In quel momento, si proprio in quel preciso momento ho sentito che davvero qualcosa nella mia vita era davvero cambiata ero davvero diverso. 

Ed ora so cosa è cambiato. Non il mondo. Non il parere dei dottori. Non il parere della medicina e della psicologia. Sono cambiato io. Non mi manca la pelle che mi fa sentire amato. Non mi mancano le emozioni. Non mi mancano i sogni.

Mi manca un corpo in cui non sentirmi un mostro.

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Capitolo 7
*** Fine ***


E' passato un mese da quando ho scritto l'ultima volta. Mi avevano privato del computer o di un foglio di carta e di una penna per scrivere. Avevano trovato il mio ultimo scritto e allarmati hanno deciso un approccio più forte. Prendo gli antidepressivi. ho smesso di essere triste. Ho smesso con le idee. Dopo una settimana mi hanno anche rilasciato. Basta che prenda due pillole al giorno. Due pillole, due misere pillole dai colori giallo e rossi ed è tutto apposto. 

Fred non mi ha mai visto così allegro. Si sente fiero di quello che mi ha fatto. Si vanta al bar dicendo che ha agito per il mio bene. Che senza di lui forse sarei finito col suicidarmi.  Forse non sa che anche con tutti gli psicofarmaci, lo odio comunque. Si perché l'odio non è sparito. Solo non riesco più a provarlo come sensazione. E' bloccato in una parte del mio cervello, come dietro a una vetrina. Posso appoggiarci la mano. Posso vederlo. Capisco anche che lo dovrei provare eppure non riesco. Il vetro lo tiene bloccato. 

Sono uscito di nuovo con la ragazza. Ho imparato il suo nome si chiama May. Gli ho raccontato la verità ed l'ha accettata senza neanche farmi troppe domande. Non l'ho fatto perché volevo, l'ho fatto perché c'è qualcosa che mi obbliga a non tenermi più le cose dentro. 

Ora May vive in casa mia. Lavora alla scuola a due isolati da qui, fa la maestra. La mattina non c'è mai, ma prima di andare a lavoro si assicura che io prenda ogni volta le mie pillole. Si preoccupa tanto di questo. Un'altra cosa di cui si preoccupa e che io scriva. Dice che io ho un bel modo di scrivere. Pensa perfino che debba scrivere le mie avventure o un romanzo. Lo dice perché ha letto i miei vecchi "diari", ma io ho smesso di scrivere in quel modo. Questo sarà il mio ultimo capitolo. Non posso scrivere se prendo i farmaci. Mi annebbiano il cervello. Mi distorcono la realtà e le mie sensazioni. Oggi per farlo ho ritardato l'assunzione dei farmi di tre ore. Già sento la grande differenza. Sento che il mondo non è cambiato. Che io non sono cambiato. Io sono ancora quella figura distorta che vedevo allo specchio. Sono ancora il mostro pieno di cicatrici. Sono ancora la stessa persona che disprezzava la propria pelle. 

Ho deciso di voler scrivere proprio quest'ultimo capitolo solo per ricordarmelo. Per fare capire a chiunque che ho preso una decisione. Decido la via più semplice. Scusami May. Non l'ho faccio per te, né per Fred., Né per il dottore o per qualsia altro. Lo faccio per comodità. Per pigrizia.Ho deciso di rinunciare a me stesso. Di vivere strafatto di farmaci, ma felice.

Infondo non è quello che speriamo di fare tutti? 

Tutti cerchiamo la soluzione più semplice. Tutti alla fine accetteremo la pillola blu della felicità. Perché il più grande desiderio dell'umanità non è esseri amati, né essere soddisfatti. 

E' essere felici senza alcuna fatica, anche se questo comporta non essere più noi stessi.

Alla fine tutti ci pieghiamo alla volontà della nostra pigrizia. 

L'unica che non lo fece era mia mamma che continuava a disegnare con la sinistra, anche se non era mancina. Lo faceva per fare in modo che i suoi quadri fossero liberi. 

Mamma dovevi disegnarmi con la sinistra, così potevo essere libero come i tuoi quadri. Potevo essere libero come le tue linee. Invece mi hanno disegnato con la destra. 

Non siate tristi per me. Io sono felice. 

So che tu, che infondo sei solo me, ma dall'altra parte del foglio, pensi che io non lo sia.  Ma la verità è che lo sono. Ormai lo sono. 

Ti lascio con le ultime parole, così posso prendere le pillole. 

In un mondo che si droga di felicità, gli astemi depressi  non vivranno mai a lungo. 

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