La folle ossessione per il piacere.

di herflowers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Frida. ***
Capitolo 2: *** Alistair. ***



Capitolo 1
*** Frida. ***


Frida.
 
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“Si ama solo ciò che non si possiede del tutto.”
La fuggitiva,
Marcel Proust.

 
 
    
Tutti pronti per la pioggia che probabilmente sarebbe arrivata nonostante fosse maggio inoltrato, che si sarebbe poi lasciata dietro quell’afa leggera che ad alcuni piaceva, e l’odore di terra e asfalto bagnato che inebriava i sensi e, al contempo, donavano fastidio all’olfatto. Gente che camminava con passo veloce, tenendo tra le dita i manici della propria borsetta o buste di quella che sembrava una spesa calcolata, insieme agli ombrelli colorati, sgangherati e con stampe infantili, che solo pochi avevano dimenticato uscendo da casa frettolosamente ore prima; erano facilmente individuabili quelli col passo lento che alla pioggia proprio non ci pensavano, occupati a rimuginare ai programmi della serata o del giorno successivo, o sereni, qualunque fosse il motivo.
Il tramonto delle sette era sempre lì al suo posto, luminoso e ancora alto, ma dietro alle nuvole scure e cariche d’acqua. I lampi si scorgevano all’interno della massa scura che pian piano si avvicinava, accompagnati da tuoni l’uno a distanza d’un paio di minuti dall’altro, che Frida contava appoggiata al davanzale della camera da letto indossando una camicia da uomo sgualcita e sbottonata. Tenendo una sigaretta bruciata tra indice e medio, e sentendo il legno solcarle la pelle degli avambracci, guardava assente i passanti, portandosi il filtro alle labbra. Sentiva ancora quella sensazione di gonfiore che si accentuava sfiorando le labbra con l’indice o solamente col filtro della sigaretta, che spense all’interno del posacenere alla sua sinistra, stanca. Congiunse le mani davanti a sé piegando il busto verso il davanzale, arrivando a sfiorarlo col petto, e stendendo una gamba leggermente all’indietro, l’altra comodamente piegata; un soffio d’aria fresca le carezzò il corpo seminudo facendole chiudere gli occhi arrossati, pensando al pomeriggio appena passato tra lenzuola candide, immersa in quel profumo maschile che voleva le rimanesse addosso, fresco come appena spruzzato dalla boccetta riposta sul comò alle sue spalle. E pensava a quelle braccia calde che la trattenevano, l’abbracciavano, e a quegli occhi scuri fissi nei suoi, come mescolando acqua e terra.
Si allontanò dalla finestra facendo piccoli passi all'indietro mentre con le dita, prendendo il tessuto della camicia azzurra, cominciò a coprirsi il seno nudo per incrociare le braccia al petto e voltarsi, osservando le pareti bianche pitturate da poco della stanza, uguali a quelle dei corridoi e del salone. Trovava tutto quello così familiare, come fosse parte del proprio quotidiano; si sentiva a proprio agio come se quel tutto le appartenesse, ma non aveva che un pugno d'aria tra le dita, inesistente, e impossibile da prendere, proprio come una nube di fumo davanti al viso.
Sospirò, percependo qualcosa dentro di sé vacillare, scoprendosi improvvisamente tesa e vulnerabile.
Si voltò ancora, tornando a percorrere i suoi passi verso quella finestra, simile a uno schermo attraverso il quale osservava senza pregiudizi e attese, concentrandosi su qualcosa che probabilmente non avrebbe mai avuto o che sarebbe stata. Ma se ne fregava di quello che l'aspettava in futuro perché "Vivo alla giornata" era quello che diceva a chiunque.
Parole che, dette da lei, potevano sembrare un qualcosa di particolare che lei teneva bene a mente, un'abitudine, oppure potevano essere prese come per un "Non ho ancora deciso di cosa farne, della mia vita". Non si lamentava di nulla, comunque; un lavoro l'aveva, come un appartamento in cui vivere. Non aveva alcun problema per affitto e bollette, la retribuzione non era per niente male nonostante fosse una semplice barista, a volte cameriera, di un pub famoso e molto frequentato. Ma a ventitré anni, si diceva, non poteva pretendere poi tanto. Le andava bene così, si trovava bene in quella che definiva la sua sopravvivenza.
 
Mani calde e leggere si poggiarono sul suo ventre facendola sussultare, e il profumo di bagnoschiuma, accompagnato da quello di dopobarba, l'avvolsero completamente arrivando a farle accapponare la pelle, estasiata. Subito, quelle labbra morbide e contornate da barba dello stesso colore dell'alba si posarono sul collo, lasciando piccoli baci sulla pelle chiara e ancora sensibile. Chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro dalle labbra, e abbandonando il capo sulla scapola dell'uomo alle sue spalle che, intanto, riprese a sentirla sua, assaggiandone la pelle, ritrovando ancora il suo odore, e affondandole i polpastrelli callosi sui fianchi coperti dalla camicia che lui stesso indossò quella mattina per il lavoro.
Quando Frida si ritrovò a sussurrare il suo nome, assalito da una voglia improvvisa di prendere la ragazza tra le sue braccia e portarla verso le lenzuola sfatte e arruffate dove si trovarono distesi un'ora prima, quel "Sebastian" riecheggiò nei timpani di lui. Allentando la presa dai suoi fianchi e staccandosi, la fece voltare così da poterla osservare in quelle iridi azzurre.
La camicia, sotto la quale il seno piccolo e nudo la sfiorava, lasciando così a Frida una piacevole sensazione che s’irradiò nel ventre come quando i polpastrelli dell’amante si poggiano sul suo corpo, fu aperta scoprendole la pelle calda. Prendendo l'iniziativa, sfiorò le dita dell’amante con le proprie; vicina al letto, diede le spalle a quest'ultimo per fissare il proprio sguardo nelle iridi scure di Sebastian, che la guardava senza proferire parola, cominciando a far scivolare l'indumento via dal suo corpo, abbandonandolo sul pavimento scuro come fosse solo un involucro inutile usato per gli oggetti fragili in spedizione.
In quel momento si sentiva piccola e fragile, anche se audace, e sul punto di prendere le sue cose e uscire da lì, anche se ancora davanti a chi voleva e desiderava più di qualsiasi altra cosa, che portava al dito la fede del suo matrimonio con un’altra donna. Fede che lei ovviamente non avrebbe mai avuto, se non per uno stupido anellino che Sebastian stesso le regalò qualche mese prima così da "dimostrarti che non è semplicità, quello che c'è tra noi" le aveva detto, porgendoglielo. Non l'aveva preso come un gesto d'amore o simile, piuttosto l'aveva interpretato come una richiesta di perdono nei suoi confronti perché non avevano certezze loro due, nemmeno quella di un domani che si avvicinava e gli permetteva di poter stare insieme senza dover curarsi del fatto che Sebastian fosse già di un'altra donna, e che lei, la graziosa Frida, fosse semplicemente l'amante.
Per il momento, però, l'uomo che la faceva tremare di piacere semplicemente passandole vicino, sfiorandola, che non smetteva di osservare e studiare assorbendo ogni parola pronunciata dalle sue labbra, ogni occhiata o semplicemente  il profumo, era suo. Completamente.
Rimanendo in slip, la pelle fresca e gli occhi lucidi, Frida continuava a osservare l’amante, che sembrava non avere altro che lei, l'unica persona che vedeva con occhi diversi, l'unica che gli faceva stringere lo stomaco e provare piacere con un semplice bacio. Quelle labbra, carnose e molto spesso ricoperte di rosso, le sognava persino di notte tanto n'era diventato dipendente, tant'era l'abitudine di averle sulle proprie anche se di nascosto e per pochi secondi.
Non rimase impalato ad ammirarla ancora per molto, cominciando così ad avanzare verso di lei, poggiandole poi una mano sulla guancia e attirandola a sé, baciandola con quella lentezza straziante carica di sensualità e voglia di tenerla lì con sé per sempre. Frida era sua, il suo cuore gli apparteneva, oramai.
Senza interrompere quel contatto, Sebastian fece un passo in avanti così che Frida arrivasse a toccare il bordo del materasso con le cosce, sdraiandocisi e portandoselo dietro che, gemendo, si sostenne puntando i gomiti sul materasso. Le dita finirono tra i capelli corvini di lei; Frida allargò e piegò le gambe così da poterle stringere attorno ai fianchi di Sebastian.
Alzandosi momentaneamente, Sebastian afferrò i lembi della maglietta grigia e sgualcita che indossava buttandosela alle spalle, per piegarsi nuovamente e sentire le mani di Frida prima sulla schiena, poi sul petto e sulle spalle. La baciò, gli occhi chiusi e la muscolatura contratta, respirando a pieni polmoni il loro odore misto a quello fresco di biancheria pulita.
Schiena inarcata, sospiri caldi sulla pelle, baci umidi su ventre e petto... continuarono fino a sentirsi sfiniti, fino a rimanere in silenzio a guardare il soffitto con il petto ansante e lo stomaco sottosopra.
 

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Capitolo 2
*** Alistair. ***


Alistair.
 
 
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“La sigaretta è il tipo perfetto di un piacere perfetto. E’ squisita e lascia insoddisfatti.
Che cosa si può volere di più?”
Il ritratto di Dorian Gray
Oscar Wilde.
 
 
Tra le labbra socchiuse, la sigaretta accesa trattenuta da dita lunghe dal colorito chiaro bruciava sospesa, il fumo aromatizzato del tabacco si espandeva nell’ambiente mescolandosi all’aria pura, illuminata dal sole malato che riempiva un misero spazio dietro le nuvole scure.
 
Tenendo la testa sul bordo del letto sfatto, i capelli lunghi e tinti di nero incorniciavano il viso magro, Alistair si ritrovò con quell'espressione che solitamente aveva: lo sguardo perso puntato contro la parete rivestita da quell'odiosa carta da parati a righe indistinguibili color pastello. Aveva provato più di una volta a contarle da quell'angolazione ma, ognuna di esse, mal di testa e occhi che s'incrociano erano il risultato del suo tentativo, o missione suicida - come la chiamava lui.
L'odore di bagnoschiuma alla frutta e lo scrosciare del getto d'acqua provenienti dalla stanza adiacente gli ricordavano che non era solo e che quella non era casa sua, ma bensì di una ragazza intravista al bancone del bar la sera prima.
Di certo non era la prima volta che serviva ragazze con le quali arrivava ad approfondire la conoscenza a casa loro; prima che l'alba sorgesse, Alistair prendeva le sue cose e se ne andava senza dare nell'occhio, e in silenzio. Tornava a casa sua e come sempre abbandonava i vestiti sul pavimento mentre attraversava il corridoio che portava al bagno, dove si metteva nella vasca e aspettava che l'acqua arrivasse a coprirgli il petto sporco di rossetto e sudore. Rimaneva fermo nella stessa posizione per un quarto d'ora buono per poi togliere il tappo allo scarico e alzarsi, sciacquandosi velocemente con un semplice bagnoschiuma comprato di fretta.
Andarsene in quel modo gli avrebbe risparmiato tempo e imbarazzo, anche se di quest'ultimo più di tanto non gliene importava. I "Possiamo rivederci, se ti va." lo infastidivano molto, tanto che quando arrivavano d'un tratto, prendeva il suo pacchetto di Marlboro rosse, la giacca in pelle e usciva da dove era entrato senza fiatare, ignorando completamente chi provava ad allungare la conoscenza. Solo dopo essere salito sulla sua auto sospirava pesantemente irritato, accendendosi una sigaretta per cercare di alleviare il tutto, come se tabacco e fumo potessero cancellare qualsiasi cosa nonostante lasciassero quel nauseante senso di insoddisfazione all'interno di gola e pancia, ma che ad Alistair piaceva comunque.
 
Sbuffò e con uno slancio si alzò in piedi per raccogliere i proprio vestiti sparsi sul pavimento e sulla piccola scrivania di legno chiaro e laccato in un angolo della stanza. Raccolse i boxer scuri dal pavimento, indossandoli, per poi voltarsi e scorgere i pantaloni vicino la porta socchiusa.
Lo scroscio dell’acqua cessò nel momento in cui infilò la scarpa destra; raccattò l’altra e raccolse le chiavi dell’auto dove poco prima trovò i pantaloni, avviandosi alla porta d’ingresso dove trovò il giubbotto in pelle. Il cambiamento di temperatura che Alistair avvertì passando da un ambiente all’altro gli fece ricordare di non aver pensato minimamente alla maglietta, lasciata chissà dove. Non gliene importava nulla, poggiò la mano sulla maniglia uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
L’odore fresco che era solito esserci di mattina gli procurò piacere, chiuse gli occhi e respirò una boccata d’aria fresca. 
La solita espressione imbronciata gli aleggiava sul viso stropicciato dal sonno mancato, i capelli arruffati e il giubbotto che si apriva, mosso dall’aria leggera, ad ogni passo che Alistair faceva verso la propria vettura parcheggiata in fondo alla strada, davanti al pub dove appunto lavorava.
Quella stessa mattina, avevano camminato fino a quel palazzo ognuno con le mani sul corpo dell’altro, alternando baci umidi e aggressivi, appoggiandosi ai muri delle case, e qualche passo instabile. Rischiarono più volte di inciampare nei loro stessi piedi e cadere a terra, ma lei, ubriaca e sensuale, l’aveva afferrato per il giubbotto e trascinato verso casa sua, cosa alla quale lui non aveva minimamente posto resistenza. Ricordava la risata debole della ragazza, l’odore di fumo tra i lunghi capelli e le pupille dilatate che lo scrutavano in cerca di attenzione, chiedendogli in quel suo modo goffo, ma sicura di sé di passare una notte insieme e fare «del gran sesso.»
 
Arrivò davanti al locale e guardò verso la vetrata. In quell’istante gli tornarono alla mente labbra carnose - assaporate più e più volte in quelle nottate di cui avrebbe sempre avuto il ricordo – e un paio di occhi azzurri che lo avevano guardato con quel luccichio che a lui parve risentimento, vedendolo uscire con la sconosciuta. Aveva risposto con quella che poteva parere indifferenza, voltandosi ed uscendo nonostante le sue gambe volessero fermarsi e tornare indietro, tornare da lei, ma per una volta si disse che era il momento di ribellarsi a quel desiderio infrenabile di respirare quel profumo singolare che apparteneva alla sua pelle, a Frida.
In quei momenti di intimità tra loro, quando Alistair cominciava a togliersi i vestiti, sentiva di sembrare ridicolo in confronto al corpo di lei, che appariva affascinante e seducente.
Sempre.
Sentivano l’intensità del momento fin sottopelle, nelle gambe tese e in pancia come fosse adrenalina pura che pompava, spingendoli a continuare, convinti fosse giusto così, che non c’era nulla di meglio perché si appartenevano, in un modo o nell’altro. Si erano trovati e uniti come due ombre riportate sull’asfalto caldo, prima vicine e poi divenute una soltanto.
Con un’alzata di sopracciglia, al ricordo, aprì lo sportello e salì in auto. A quel punto la mente aveva preso una strada tutta sua, i pensieri gli annebbiavano la testa e le mani ricaddero sulle cosce snelle. Gli occhi chiari guardavano un punto fisso in lontananza, facendolo sembrare interessato a qualcosa, anche se davanti ad essi scorrevano immagini nitide di quella ragazza a cui aveva dato, inconsapevolmente, forse troppa importanza.
Ricordava di aver pensato a lei qualche volta, di aver ripensato alle loro conversazioni e alle sue piccole dita che graffiavano la sua pelle, sui tatuaggi scuri delle braccia, quando tentava di attrarlo a sé, decidendo per entrambi come fosse stato in suo dovere. Non succedeva spesso che si ritrovasse a pensare a come lasciasse il controllo della situazione a Frida, di come si abbandonasse al suo controllo, disposto a fare qualunque cosa per condividere dei momenti con lei, e quando succedeva si ritrovava ancora più frastornato e confuso di prima.
Sapeva che lei non avrebbe mai provato amore nei suoi confronti, troppo impegnata a focalizzarsi sull’immagine di quell’uomo dai capelli rossi avvolto nel suo doppiopetto, posato e vissuto. Certo, nei confronti di Alistair, Frida aveva quell’interesse che la spingeva a volerlo toccare, a volerlo osservare in ogni suo movimento e a memorizzare la sua immagine così da poterne conservare il ricordo.
Era un interesse strano, quasi insano. Lo vedeva come suo quando lei non era di nessuno, anche se, legandosi disperatamente a quell’amante che le trasmetteva passione, percepita ingenuamente sottoforma di amore, dava l’impressione di voler appartenere, quasi si sentisse inesistente e a voler far percepire che lei era lì, in carne e ossa, pronta a vivere e lasciarsi andare completamente.
 
Prendendo il suo pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e portandosene una alle labbra, Alistair pensò che nonostante le discussioni e l’atteggiamento distaccato che avevano entrambi, anche dopo una nottata di sesso con altre sconosciute, lui aveva sempre pensato a lei, a come si sentiva e a come erano insieme.
Avrebbe dovuto disintossicarsi da quella ragazza, dall’odore della sua pelle e degli occhi stanchi ma sempre bellissimi, e al più presto.
Sospirò e girò la chiave nel quadro dell’auto, che partì cominciando a percorrere la lunga via del centro portandolo verso casa, dove Alistair avrebbe compiuto il solito rituale mattutino prima di mettersi sotto le coperte, completamente al buio, in modo da spegnere la mente per qualche ora e far sì che Frida si allontanasse dai suoi pensieri, lasciandolo respirare come faceva prima di incontrala.

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