Back to me

di YoungAvengersLover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi dell'ultimo inverno ***
Capitolo 2: *** Ricordi che cominciano a raffiorare ***
Capitolo 3: *** Era meglio non ricordare ***
Capitolo 4: *** Le conseguenze della guerra ***
Capitolo 5: *** Riappacificazione ***
Capitolo 6: *** Ti ricordi di me? ***
Capitolo 7: *** Vecchie lettere ***
Capitolo 8: *** Il destino del soldato ***
Capitolo 9: *** Il Sergente Barnes ***
Capitolo 10: *** Amicizia...? ***
Capitolo 11: *** Moya Lyubov ***
Capitolo 12: *** Il processo ***
Capitolo 13: *** Sarò con te... fino alla fine ***
Capitolo 14: *** La Verità ***
Capitolo 15: *** Capitano Barnes ***



Capitolo 1
*** Ricordi dell'ultimo inverno ***


Le avevano ordinato di combattere contro di lui, contro il Soldato d'Inverno. Era solo una ragazzina in addestramento nella Stanza Rossa durante gli anni 60. Era già da una decina d'anni che si stava addestrando lì e i suoi superiori avevano deciso che era pronta per combattere contro l'assassino più famoso e mortale dell'Unione Sovietica. Era brava, questo lo sapeva anche lei, ma era davvero pronta per combatterlo e uscirne viva?

Inizialmente doveva combatterlo la migliore del suo corso, Yelena Belova, ma il giorno prima della prova era stata richiamata duramente dagli addestratori per "mancanza di subordinazione", così si decise che sarebbe stata Natalia a combatterlo in duello. Non era per niente tranquilla. Di solito gli addestramenti nella Stanza Rossa erano duri senza chiamare in causa assassini esperti esterni, figuriamoci con il famoso Soldato d'Inverno, conosciuto per la sua velocità, precisione e potenza.

Mancavano pochi minuti all'appuntamento che i suoi superiori e l'organizzazione segreta KGB avevano fissato, e ancora del Soldato nemmeno l'ombra. Natasha stava tenendo i pugni serrati, gli occhi fissi sulla porta d'ingresso e dentro di sé voleva fargli del male. Molto male. Non faceva del male a qualcuno da giorni e questo la faceva stare male. Sarà perché qui le è stato insegnato così, ma non le piaceva quella sensazione. Ne sentiva il bisogno. Era davvero arrivata a dover far del male per stare bene? Oh sì, era cambiata da quando era una bambina, sei anni prima. Tanto. Allora era la cocca di papà, adesso lui era morto grazie a lei. Non si è sentita male mentre compiva la missione affidatole dai suoi superiori.

Si irrigidì quando sentì la porta cigolare, segno che qualcuno stava entrando. Le avevano abituate a restare in riga, a comportarsi come soldati quando arrivava qualcuno, altrimenti le avrebbero punite. Le loro punizioni non erano leggere. Per primo entrò il loro addestratore, colui che le aveva fatte ciò che erano quel giorno, una donna bionda e alta, con la faccia senza sentimenti apparenti. Poi entrò l'ospite.

Adesso era di fronte a lui, all'assassino a cui dovevano aspirare, che dovevano diventare. Era esattamente come se lo immaginava: alto, con un'evidente composizione fisica possente, la sua espressione era quasi inespressiva e il suo braccio di metallo era come se fosse risultato da strati e strati di metallo messi insieme. Aveva i capelli marroni e lunghi fino ai lobi delle orecchie, gli occhi chiari ed era vestito di nero, con una tuta protetta sulle ginocchia, sul petto, sul gomito della spalla sinistra e lasciava libero il braccio di metallo.

Le avevano detto che era rinomato per i suoi assassini, e sapeva che le sue compagne di stanza avevano una cotta per lui, e adesso capiva perché. In foto l'aveva visto con la maschera, durante le missioni, ma era davvero un bell'uomo. Non era tanto più vecchio di loro, avrà avuto cinque anni in più come massimo.

Dopo aver concluso i preparativi, si procedette all'inizio della sfida. Natalia non esitò ad attaccarlo, aveva voglia di combattere, e lo sapeva fare bene e pesantemente. Il soldato era sicuramente all'altezza della sua fama: era difficile combattere con lui, colpirlo o prenderlo di sorpresa, lasciamo perdere fargli male. Nonostante tutto, Natalia riuscì a sorprenderlo. O perlomeno, questo fu quello che scrisse nel suo rapporto il suo avversario.

Ma questo era solo quello che conoscevano loro. In realtà successe molto di più. Natalia e il Soldato si innamorarono dopo la breve lotta e riuscirono a tenerlo nascosto per un po'. In quel periodo di tempo, lei riuscì a diventare una rinomata spia russa chiamata da tutti Vedova Nera, e lui la raccomandò ai suoi superiori. Gli venne anche ordinato di assistere alla sua cerimonia di iniziazione nella Stanza Rossa, quando divenne sterile. Fu un inferno assistere, ma ci riuscì. Lei non si arrabbiò nemmeno con lui, sapeva che non aveva scelta.

Ma le cose non durarono per molto in questa maniera. Vennero scoperti dopo che la Vedova Nera fu promessa a un alto aristocratico russo, il quale li vide insieme nella camera da letto della donna e riportò all'HYDRA, che prese provvedimenti è cancellò il ricordo di Natalia dalla mente del soldato, facendo assistere la donna. Venne poi criogenato e gli dettero una nuova missione: uccidere Howard e Maria Stark.

Natalia, cambiato il suo nome in Natasha Romanoff, visse trent'anni con quel ricordo in mente, cercando di non pensare più a lui, ma un giorno si ritrovò ad affrontarlo nuovamente, quando gli era stata affidata la protezione di un importante figura di allora. Il soldato le sparò attraverso lo stomaco senza pensarci due volte. Faceva male la ferita, ma forse faceva più male il fatto che non l'avesse riconosciuta. Sì, il dolore fisico non era niente in confronto al suo stato emotivo in quell'istante.

E adesso eccola qui, di nuovo di fronte a quel soldato, che non era invecchiato di un singolo giorno dall'ultima volta, di nuovo suo nemico. Sperava di poterlo riportare indietro, di recuperare quei giorni perduti, di tornare a sentirsi bene con lui. In Bruce aveva visto qualcosa di simile, ma il desiderio di tornare con il soldato era forte, molto forte.

Sapeva chi era, ma non si azzardò a dirlo a Steve. Si chiamava James Barnes, lo stesso migliore amico di Steve degli anni 40. Lei lo conosceva per come lo avevano fatto diventare e per quello che è adesso, poteva provare a parlarci. No, questa volta lo avrebbero punito più severamente. Gli è stato riservato troppo dolore per questa vita, non poteva fargli male di nuovo. Non più. Doveva combatterlo.

La battaglia era finita, ma James era scomparso di nuovo, tra le ombre. È sempre stato bravo a farlo. Nascondersi e risaltare fuori. Nascondino. Parlavano spesso di quel gioco, era uno dei preferiti di Natasha e, con il tempo, cominciò a piacere anche a James. Si aspettava che tornasse, che la polizia lo cercasse, che Tony venisse a conoscenza dell'assassino dei suoi genitori, che Steve mettesse il mondo sottosopra per trovarlo. Infatti accaddero tutte queste cose. Lei, però, era ancora sua nemica. La guerra civile era cominciata e James non si sarebbe ricordato di lei.

AN: Okay, allora, io adoro questi due insieme, quindi ho provato a scrivere una ff. Spero piaccia! Devono fare qualcosa su di loro in Civil War! Non so quando andrò avanti perché sto lavorando sulla fine di un racconto è l'inizio di un altro, quindi quando riesco ad aggiornare aggiorno! Buona giornata a tutti!

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Capitolo 2
*** Ricordi che cominciano a raffiorare ***


Era lei. Era la Vedova Nera. Natalia Romanova. Ricordava qualcosa che le riguardava, ma era poco. Doveva cercare più a fondo, capire perché aveva avuto a che fare con lei. Ricorda una battaglia tra di loro. Che fossero stati nemici? No, a guardarli c'era uno degli scienziati che lo avevano trasformato nel Soldato d'Inverno. Doveva essere una prova.

Ricorda che era forte, agile. Ricorda che era giovane, al massimo avrà avuto 13 anni. Ricorda che... Sanguinava. La stavano sterilizzando. Lui la stava guardando da un luogo sopraelevato, in mezzo c'era un vetro. Non ricorda molto altro di lei, oltre alla battaglia sul ponte. Quella dov'è c'era anche Steve.

Steve. Di lui si ricorda. Era un piccolo ragazzino asmatico, aveva difficoltà nella vita di tutti i giorni, i bulli lo prendevano spesso in giro e lui combatteva anche se sapeva di perdere. Quella cosa lo fa sempre sorridere. Un ragazzino di 30 kg che cercava di sconfiggerne uno di 70? Gli portava speranza. Proprio come si sentiva quando lo conosceva nel passato, prima di diventare un assassino. Si ricorda anche le sue abitudini. Quando ride, è solito appoggiare la mano sul pettorale sinistro. Quando si alza, la prima cosa che fa è prendere un caffè. Quando torna a casa sua, fa subito la doccia. Sa come si comporta a memoria, ma ha paura di dimenticarselo. Per questo scrive tutto sui quaderni che si porta sempre dietro. Scrive anche di Natalia a volte.

Steve e Natalia sono gli unici che ricorda. Non sono gli unici amici che si è fatto, però. Anche Sam gli sta simpatico. Inoltre, ha aiutato Steve varie volte. Doveva comunque fare in modo di farselo piacere, in un modo o in un altro. Spesso lo aiuta con i ricordi quando Steve non c'è o sta parlando con qualcun altro. È calmo e non brontola perché è troppo silenzioso o strano. Rispetta i suoi tempi e i suoi spazi e lo aiuta con le tecnologie moderne. È davvero gentile da questo punto di vista. A volte duellano e deve ammettere che non è niente male, se la cava.

"Sembri pensieroso." Disse una voce femminile appena entrata nella stanza. Era Wanda. Con lei si sentiva bene. Avevano condiviso alcune esperienze e questo lo faceva sentire meglio. Avere qualcuno che sapeva cosa fa l'HYDRA alla gente era quasi rassicurante. Sai che non ce l'hanno con te, oppure che Dio ti ha abbandonato. Bucky non credeva in Dio, ma Wanda sì. Era ebrea. Spesso gli parlava delle storie appartenenti alla Torah, la Bibbia ebrea. Erano curiose. Alcune le scriveva sui suoi quaderni, di tanto in tanto.

"Sto cercando di ricordare." Rispose lui, sorridendole. Aveva imparato da poco a farlo con le altre persone a parte Steve. Gli piaceva sorridere, era più calmo e rilassato dopo averlo fatto.

"Di Steve?" Chiese lei, evidentemente volendolo aiutare anche se non conosceva benissimo il Capitano. Lo apprezzò molto questo suo gesto. Poi le spiegò chi stava cercando di ricordare.

"Natalia." Rispose lui, causando un piccolo sorriso entusiasta sulle labbra della ragazza. Evidentemente sapeva qualcosa che lui non si ricordava, così lui diventò insistente e lei gli disse quello di cui era venuto a conoscenza.

"Da quello che ho capito da alcuni dei file sull'HYDRA inerenti al tuo programma, voi due avevate una relazione sentimentale e gli scienziati addetti alla tua manutenzione ti hanno cancellato ogni ricordo inerente alla Vedova Nera dalla mente." Rispose Wanda, causando uno scoppio di ricordi nella testa di Bucky. In fretta, si mise a scrivere nervosamente, come se avesse paura che non si potesse ricordare più nulla di quello che gli era apparso nella testa.

Si ricordò che era spaventata. Si ricordò che doveva sposarsi con un’alta autorità dell’Unione Sovietica e che lui la era andata a trovare il giorno prima del matrimonio. Era da quelle parti e aveva appena finito una missione. Non c’era nessuno a controllarlo. Si ricordò un bacio e una Natalia felice. Si ricordò il calore del suo corpo. Si ricordò la faccia del futuro marito di Natalia che li aveva visti. Si ricordò che aveva una pistola in mano e la stava puntando contro di lei. Si ricordò di averla protetta con il suo corpo. Si ricordò un dolore immenso nel petto e poi degli urli. Natalia. Poi più nulla. Solo nero.

Scrisse tutto quello che si era ricordato e poi chiese a Wanda di chiamargli Steve e la Vedova, dovevano parlare di questa storia. Non poteva stare così per l'eternità, doveva sapere se quello che aveva visto era vero oppure no e se, soprattutto, provava ancora quei sentimenti per lei.

AN: Questo è più corto dell'altro capitolo, ma volevo che ci fosse solo una riflessione di Bucky e che Natasha non comparisse qua. Nel prossimo capitolo li farò interagire, promesso!

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Capitolo 3
*** Era meglio non ricordare ***


"Nat! Barnes ha chiesto di vederti con il Capitano Rogers in palestra!" Urlò Wanda a Natasha dalla porta di camera sua. Lei stava tentando di scordarselo quell'uomo, uffa. Anche Wanda doveva schierarsi dalla sua parte? Ovvio, dovevano capitare tutte a lei. Tra un po' anche Sharon si sarebbe sentita in dovere verso quell'uomo e lo avrebbe aiutato, lei lo sapeva. Quelle due tenevano troppo agli altri. Lei non doveva. Non era stata abituata a questo tipo di vita. Lei doveva sedurre e uccidere, pensare solo a sé stessa. Eppure, eccola lì che cercava di dimenticarsi di un uomo. A volte si odiava da sola.

"Sì, Wanda! Vado a dirlo a Steve!" Rispose lei, alzandosi dal letto e infilandosi le scarpe. Voleva andare in palestra anche prima, ma non voleva cominciare una discussione sul suo passato con il Soldato. Era come se in quei giorni il pensiero della presenza dell'assassino non avesse fatto altro che assillarla. Non le piaceva quella situazione, per niente. Andò comunque a chiamare Steve.

L'uomo sembrò sorpreso dal fatto che volesse parlare con entrambi, di solito chiedeva solo di lui, nessun altro. Al massimo Sam o Wanda, ma mai Natasha. Lui la seguì anche se questa questione gli puzzava. Arrivati in palestra, trovarono Bucky e Sam che parlavano serenamente. A tratti ridevano. Non c'era niente da dire, Sam era veramente bravo con le persone. Il Soldato non si faceva avvicinare facilmente, eppure con lui si apriva senza problemi.

Quando li notò, strinse la mano a Sam e lo fece andare per la sua strada. Forse stavano facendo una di quelle sessioni di Sam per aiutarlo a venire fuori dallo stress post-traumatico.

Bucky si avvicinò ai due, ma si fermò due o tre metri prima. Non andava mai troppo vicino alla gente, occasionalmente lo faceva con Steve e Sam, ma del resto niente. Non era... Aperto alle persone. Nonostante ciò, la prima persona che guardò fu Natasha e le sorrise. Non l'aveva mai fatto. Non che ne avesse avuto tempo prima, durante la Guerra Civile. Lei continuò a guardarlo torva, ma Steve poteva vedere che le sue labbra volevano sorridere. Non sapeva perché non lo faceva, ma quelli non erano affari suoi.

"Buck, che c'è?" Chiese Steve, ancora confuso dal comportamento dell'amico. Lui lo guardò diversamente dal solito, come se, sì, fosse felice, ma anche scocciato dalla sua presenza lì. Non capiva il motivo di questo atteggiamento verso la Romanoff. Non sembrava che si conoscessero. O sì? Certo, a Odessa gli aveva sparato deliberatamente nell'addome, ma se si sentiva così in pace con lei (come pensava che fosse), doveva esserci stato altro.

"Mi dispiace." Disse il moro, abbassando lo sguardo e rialzandolo subito dopo. Guardava Natasha. Steve non sapeva a chi si stesse riferendo, se a lui o alla spia, ma gli sembrava più probabile la seconda opzione.

Natasha lo guardò senza battere ciglio, senza azzardare a rivolgergli la parola. Probabilmente non aveva nemmeno idea che stesse parlando con lei. Poteva capirla. Se davvero era come pensava, e se davvero lui le aveva sparato senza esitare, era un po' difficile capire che voleva scusarsi con lei.

Dopo un minuto in silenzio, Natasha sentiva che c'era qualcosa che non quadrava. Di solito Steve rispondeva subito a Bucky, questa volta invece no. Questa volta era diversa. Che stesse parlando con lei? Impossibile. Non si ricorda niente che la riguardi, gli avevano cancellato tutto dalla mente. Non era rimasto nulla.

Eppure, aveva quell'aspetto da cane bastonato che usa spesso con il suo migliore amico. Non aveva nulla da scusarsi con Steve, l'aveva già fatto durante la Guerra Civile. Con lei, al contrario, doveva ancora parlare. Continuarono a stare in silenzio per un altro minuto.

"Vi lascio soli. Io vado da Tony per vedere come sta." Disse Steve, esalato un respiro profondo e capito che non era lui la persona di cui Bucky aveva bisogno. Natasha voleva seguirlo, ma lui le ordinò di stare lì. Non poteva disobbedire.

Il Capitano lasciò la stanza, ma la situazione non cambiò più di tanto. Natasha non parlò, e nemmeno il Soldato si azzardava ad aprire bocca.

"Perché?" Chiese finalmente lei, rompendo il silenzio. Lui la guardò confuso, come se non avesse capito quello che aveva detto. Nonostante questo, rispose alla spia.

"Ti ho fatto del male. Mi dispiace." Rispose lui, guardandola in viso. Ancora una volta dopo cinquant'anni, Natasha sentì un tuffo al cuore. Sentì quegli occhi che le scrutavano l'anima e che non la valutavano per quello che sapeva fare. La stava solamente osservando, esattamente come la prima volta. Solo che non stavano combattendo.

"Non... Non fa niente." Rispose insicura lei. Da quando in qua era insicura? Non lo era mai stata prima di allora. Che le prendeva? Era come se quell'uomo la facesse tornare una ragazzina, non aveva senso. Tutto quello che provava a fare per resistergli era inutile. Era solo una cotta adolescenziale, cavolo. Doveva fare il suo lavoro, non pensare a lui. Era cresciuta ormai.

"Non credo sia così. So che vuoi fare qualcosa a riguardo. Ti conosco. O meglio, credo ti conoscessi. Non lasciavi passare una cosa del genere senza punire l'artefice. O sei cambiata in tutto questo tempo?" Chiese lui, convinto e pienamente cosciente di quello che stava facendo. Era vero quello che diceva Steve, è cambiato, è più tranquillo.

Lei non sapeva che dire. Sembrava si ricordasse del suo carattere, e sapeva che non era cambiata di una virgola rispetto alle punizioni. Lei voleva fargliela pagare, ma il suo corpo era bloccato. Non riusciva a mettere in atto quello che voleva fare. Non c'era una spiegazione logica, era soltanto bloccata lì che lo guardava dritto negli occhi. L'aveva perso per così tanto tempo e la prima volta che lo rivede - che rivede James - non riesce a fare quello che voleva. Voleva vendicarsi per la ferita all'addome, per averla lasciata in balia del KGB, per non averla aiutata. Ma in fondo sapeva che non era colpa sua. Però voleva farlo. Aveva i sentimenti da una parte, - che dicevano di non fargli nulla - e il buon senso dall'altra - che le diceva di farlo soffrire come aveva sofferto lei.

"Non voglio punirti, James. So che non era tua intenzione. Eri sotto il controllo dell'HYDRA, non sapevi quello che stava succedendo. E non voglio punirti nemmeno perché non mi hai cercato. Non eri in grado di farlo." Rispose alla fine la rossa, sperando che l'altro non insistesse in questa voglia matta di farsi del male da solo.

L'unica cosa che fece fu muovere la testa in cenno di assenso. Nemmeno in quel momento era in grado di capire quello che stava succedendo. Non aveva ancora il pieno controllo del proprio corpo, il Soldato era ancora lì, lo sapevano entrambi. Era solo perché James aveva capacità di controllo, autorità e forza, se gli lasciava piena libertà d'azione.

"Avengers, recatevi tutti in sala riunioni, c'è una questione che attende la vostra presenza. Il signor Fury vuole parlare a tutti i membri indistintamente." Annunciò la voce robotica di FRIDAY, che come al solito interrompeva qualsiasi cosa importante si stesse facendo. Ora l'unica domanda che Natasha si poneva era: che diavolo ci fa Fury qui?!


AN: Eccoli qua! Spero di non essere stata caotica con i sentimenti di Nat! E si vedrà cosa vuole Fury dagli Avengers...

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Capitolo 4
*** Le conseguenze della guerra ***


[Per coloro che ancora non si sono fiondati al cinema per vedere Capitan America 3: Da questo capitolo in avanti ci saranno spoiler e riferimenti a Civil War, leggete a vostro rischio e pericolo]

«Che diavolo vi salta in mente?! Una guerra civile per decidere chi è il supereroe più amato dal pubblico?! Voi siete pazzi!» Natasha arrivò di fronte alla stanza con le urla di Fury rivolte verso i compagni, seguita dal soldato. Sembrava fosse un'altra persona adesso. Era sulla difensiva, i suoi passi non si sentivano e gli occhi guardavano in ogni angolo, pronti a far scattare i muscoli in caso di pericolo. Sapeva che James non avrebbe attaccato Fury, ma sembrava fosse in missione. Inoltre, il Soldato poteva prendere il controllo da un momento all'altro.

«E dov'è la Romanoff, accidenti?!» Gridò ancora il direttore dello SHIELD, facendo scattare per un momento Natasha. James la guardò confuso e assente, come farebbe un compagno durante una battaglia. Senza pensarci ancora, Natasha prese un respiro ed entrò nella stanza, sperando di riuscire a fare qualcosa di utile contro l'uomo.

«Mi ha chiamato, Fury?» Chiese lei rispettosamente, andando verso di lui con passo veloce e quasi frettoloso, tutta sudata per l'incontro di poco prima con Barnes.

«Si può sapere che diavolo è successo?! Una guerra civile scoppia e metà degli Avengers scappa via chissà dove? Vi sembra questo il modo di assumersi le proprie responsabilità? E Dio, Stark, coinvolgere un ragazzino in tutta questa faccenda? Non è addestrato, doveva rimanere a casa!» Gridò contro la spia, rivolgendosi a tutti i membri del gruppo. Aveva omesso il dettaglio di James perché lo sapeva quello che era successo tra i due. Lo aveva letto nei pochi fascicoli virtuali della Stanza Rossa. Quelli di carta vennero bruciati.

«Fury, le posso spiegare.» Disse Natasha, abbassando il capo. Non aveva voglia di discuterne, stava bene prima, quando parlava con James. Dopo tanto tempo si ricordava di lei, diamine. Voleva rientrare in contatto con lui di nuovo. Voleva parlargli e passare del tempo con lui, come ai vecchi tempi.

«È colpa mia.» La interruppe Steve. «Se il conflitto si è scatenato è colpa mia. Sono stato io il primo a dire di no agli accordi.» Fury squadrò il Capitano furibondo, probabilmente per il casino che si era scatenato in seguito alla battaglia all'aeroporto tra le due fazioni e per il fatto che Steve era scomparso nel nulla per 6 mesi con altri sei super esseri.

«No, è mia la colpa.» Disse Wanda, che ancora si sentiva in colpa per quello che era successo in Nigeria. «Se io avessi evitato di uccidere quelle persone a Lagos, nulla di tutto questo sarebbe successo.» Visione la guardò preoccupato, con le mani congiunte.

«Se dobbiamo incolpare qualcuno, quello sono io.» Disse Tony, emettendo finalmente un suono. Era da troppo tempo che non parlava, che nessuno sentiva la sua voce. «Pensavo di tenere uniti gli Avengers, invece li stavo solo allontanando tra loro. Prima con la Maximoff, poi con Steve e infine con Barnes. Anche se non era uno di noi, aveva il diritto di camminare per le nostre strade senza venire inseguito dalla polizia. E di non beccarsi repulsori su tutto il corpo da parte mia.» Si sporse poi leggermente dalla sedia, per vedere il soggetto in questione dietro la porta. «Mi dispiace, Barnes! Se vuoi ti aggiusto il braccio! Potrei anche migliorarlo leggermente, che ne dici?»

James non rispose, entrò solamente nella stanza, guardando gli eroi di fronte a lui. Natasha e Steve gli sorridevano. Sam gli intimava di accettare la proposta del miliardario. Decise di fare come suggeriva l'amico, così annuì con la testa. Tony si alzò estasiato e pimpante, camminando verso l'uomo. Lui distaccò lo sguardo, guardando il pavimento. Natasha sapeva che aveva paura di perdere il controllo e fargli del male, perciò intimò a Tony di stare a un paio di metri di distanza.

«Che dici? Mica mi ammazza!» Rispose il miliardario, senza ascoltare la spia russa. Lei lasciò la presa, senza mai staccare lo sguardo dal soldato, che non guardava altro che il pavimento. Lei se lo ricorda, faceva così quando era James e non voleva farle del male. A poco a poco riuscì a convivere con il Soldato mentre era con lei, ma forse perché questo la rispettava. Forse le voleva persino bene. Guardò di nuovo Tony che, come un bambino a Natale, trascinò via Barnes estasiato del lavoro appena guadagnato per il pomeriggio.

«Stark! Torna qui, dannazione!» Gli ringhiò dietro Fury, che, apparentemente, voleva parlare proprio con lui. Ma era una partita persa, una volta che Tony si mette in testa una cosa, deve farla per forza, non c'è altra via. Natasha sorrise maliziosamente, divertita da quella scena. Era sicura che James non gli avrebbe fatto del male, si sarebbe controllato. Se era vero che stare ibernato per sei mesi chissà dove aveva aiutato tanto quanto diceva Steve, ce l'avrebbe fatta.

«Signor Fury, l'unica cosa di cui voleva parlare era il piccolo incidente degli accordi di Sokovia? C'era bisogno così tanto di tutti di noi solamente per sgridarci e urlare?» Chiese cortesemente Visione, come suo solito. Si vedeva che non era affatto a suo agio in quel momento. Da quando aveva colpito Rhodey si sentiva in colpa e aveva preso le distanze da Wanda. Sapeva che non era colpa sua, ma lo spaventava il fatto di amare una persona. Non l'aveva mai fatto, non doveva farlo.

Fury lo guardò quasi male, ma rispose alla sua domanda. «No. Volevo assicurarmi che nessuno fosse morto, in particolare Stark, da quando avevate finito di giocare a distruggere città. Portare qui il Soldato d'Inverno è un grande rischio, attirerete il governo e la stampa. Dovrete fare di nuovo una bella chiacchierata con il generale Ross, e sono sicuro che non ne avete tanta voglia. L'ultima volta non è finita come speravate, dopotutto.»

«Oh, che bello. Non vedo l'ora di incontrare il simpaticone di cui tutti mi parlano, aspetto questo momento da sei mesi.» Disse Clint sarcasticamente roteando una delle sue frecce nell'aria, roteando gli occhi. Tutti lo guardarono annoiati, causando un urlo da parte dell'arciere. «Che c'è? Ho solo espresso i miei pensieri!»

«Non è un nostro fan, vero?» Chiese Scott, che aveva ascoltato tutto dall'inizio alla fine e, anche se non aveva partecipato sin dall'inizio allo scontro, sapeva che non era un tipo simpatico questo Ross. Steve espirò pesantemente, come se fosse una stufa, segno che non ne poteva più. Natasha lo conosceva bene, sapeva che si stava preoccupando per Barnes, anche se era a conoscenza dell'affidabilità di Tony e del controllo del soldato. Si sedette vicino a lui e gli sorrise, placando le sue preoccupazioni per un po'.

«Per niente. Sembrava mi volesse uccidere con lo sguardo la prima volta che lo incontrai come la Pantera Nera.» Disse T'Challa, che probabilmente era lì solo perché non aveva nulla da fare quel pomeriggio. Poteva anche stare a Wakanda, era il re, diamine. Poteva fare quello che gli pareva. Eppure, era lì, come ogni altro eroe presente nella stanza. Era molto orgoglioso e fedele da quel punto di vista.

«Allora non sono l'unico, meno male. Potrebbe finirci tutti solo con lo sguardo, diamine. E pensare che ha una figlia. Povero essere umano.» Disse Sam, facendo sorridere la maggior parte di loro. Era lui di solito quello che faceva ridere la squadra di Cap, Steve era grato per tutte le cose che aveva fatto per il team.

«Ed era fidanzata con Banner. Lui lo detesta, no? È per quello che ci detesta tutti, me lo sento.» Disse Rhodey, alzando gli occhi al cielo. Natasha si bloccò per un momento. Bruce. Pensava di amarlo. Adesso che aveva rincontrato James, aveva cominciato a chiedersi se il dottore non fosse altro che un rimpiazzo del suo primo amore. Amava davvero Bruce, oppure gli ricordava solo di lui? A quella domanda non poteva rispondere in quel momento, ma a volte le veniva in mente, e non poteva fare a meno di pensarci. Forse si sentiva sola e lui gli ricordava di James. Magari era partita con quell'idea, ma poi si era ricreduta e si era davvero innamorata di lui. Purtroppo, ora come ora, non poteva rispondere a quella domanda.

«Pensateci. Tornerò tra una settimana per vedere che avete deciso. Cercate di restare vivi e uniti fino ad allora.» Concluse Fury, congedandosi. Adesso gli Avengers dovevano decidere se ingaggiare un'altra lotta contro il governo e la stampa, oppure consegnare Barnes. Steve e Natasha di certo non sceglieranno la seconda opzione.

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Capitolo 5
*** Riappacificazione ***


Stark sembrava felice di guardargli il braccio che T'Challa gli aveva costruito. Sembrava quasi un bambino che aveva trovato un nuovo hobby, e si divertiva tantissimo.

«Barnes stai fermo! Stark non può competere con questa tecnologia, eh? Assapora la tua sconfitta, re dei miei stivali! Nessuno può ingannare il mio genio!» Gridava ai quattro venti, mentre analizzava il braccio di Bucky e prendeva chissà cosa dallo scaffale dietro di lui. Ricordava come agiva il padre di quell'uomo, e doveva dire che erano identici. Non solo per il modo di fare, ma anche per il carattere e l'aspetto. Era una cosa incredibile.

«Non traumatizzarlo, Tony.» Disse Steve, entrando nella stanza senza farsi sentire. Si era tolto la divisa e ora aveva una maglia aderente blu, un paio di jeans e delle scarpe marroni. Arrivava sempre quando il migliore amico stava facendo qualcosa di nuovo, si vedeva che a lui ci teneva infinitamente. «Non è abituato a questo genere di cose.»

«Oh, risparmiami la lezioncina Rogers. So quello che faccio!» Disse Tony, senza staccare gli occhi dal braccio metallico in vibranio del soldato di fronte a lui. Nemmeno sembrava che avessero litigato quei due. Dopotutto, il Soldato aveva ucciso Maria e Howard Stark, non era cosa da poco. sei mesi prima si stavano ammazzando a vicenda per quello, e adesso andavano d'amore e d'accordo. Come diavolo era possibile? Che Tony si fosse reso conto che non è stata una diretta colpa di Bucky?

«Steve, è il minimo che possa fare dopo quello che ho fatto.» Intervenne Bucky, a cui non andava di essere trattato come la persona che non può parlare per sé. Voleva uscire da quella fase. «Se lui vuole analizzare così tanto il mio braccio, lascia che faccia, non farà male a nessuno.»

Steve lo guardò dispiaciuto. Non voleva che pensasse ancora che tutto quel casino sia stato causato da lui, non era colpa sua, diamine. Lui era tanto una vittima tanto quanto Maria e Howard. Però se ne diede una ragione, se l'amico ancora si comportava così. Dopotutto, è stato per quello che ha deciso di farsi ibernare.

«Giusto Rogers, lasciami lavorare, sciò!» Disse il miliardario, spingendo il capitano fuori dalla stanza. Bucky sorrise a quella scena. Era carino vedere Steve che sottostava agli ordini di qualcun altro senza contestare, per una volta. Ricorda che doveva sempre dire qualcosa al suo generale rispetto ai suoi ordini. La maggior parte che aveva di Steve involveva lui che prendeva a pugni qualcosa. Una volta pure un povero gatto che gironzolava in un campo nazista. Rise a quel ricordo, e venne squadrato da Stark all'istante.

«Quindi tu e la Vedova, eh?» Chiese curioso Tony, alzando un sopracciglio. Bucky sapeva dove voleva andare a parare, ma non gli diede corda. Non era giusto nei confronti di Natalia. Inoltre, non si ricordava molto di lei. Solo qualcuno, ma erano dei flash momentanei.

«Non... Non ricordo molto di lei, ma credo ci conoscessimo piuttosto bene.» Rispose Bucky, pensieroso e tentennante. Tony lo squadrò aggrottando le sopracciglia, evidentemente non ancora convinto di quello che avevano quei due. Incrociò le braccia e le mise sul petto, ghignando. Il soldato non capiva cosa volesse fare, ma non chiese nulla. Aspettò che fosse stato l'altro a parlare.

«Quindi tu, per quanto ne sai, potresti anche aver fatto sesso con lei?» Chiese Tony, senza problemi. Sembrava la cosa più normale da fare, chiedergli se avesse fatto sesso con la Vedova. L'altro si spaventò leggermente, e si mise più comodo: la schiena più dritta, chiuse gli occhi per un secondo e tese i muscoli delle braccia. «Non preoccuparti, puoi parlarne con me.» Tony si avvicinò al soldato, sorridente. «Anche se Capitan Ghiacciolo te lo vieterebbe per il mio "linguaggio poco appropriato", ma dettagli.»

Bucky lo guardò divertito. «Linguaggio poco appropriato? Steve ti ha detto questo, ne sei sicuro?» Adesso era Tony quello che non capiva quello che stava succedendo. Aveva detto qualcosa di davvero così divertente? Certo, sapeva che fosse un tipo estremamente simpatico, ma non gli pareva di aver detto chissà quale battuta.

«Sì, perché stai ridendo? C'è qualcosa che non so su Mr. Perfezione?» Chiese malizioso Tony. Andava pazzo per le cavolate che Steve aveva fatto quando era giovane, a volte Carter andava a casa sua quando era piccolo e gliene raccontava di tutti i colori. Parlava sempre di un certo Steve, di come fosse imbranato, ma non aveva collegato con il fatto che fosse effettivamente Capitan America.

«Quando eravamo più giovani, pochi anni prima della guerra, ricordo che mandava a quel paese chiunque gli passasse vicino, e non con parole gentili.» Rispose l'altro, facendo sorridere il miliardario. 

«Questa devo dirla al mondo! Capsicle che dice parole inappropriate, fantastico!» Gridò Tony attirando l'attenzione di T'Challa, che passava di lì per vedere cosa stava facendo al braccio del soldato. Dopo aver sentito quella frase, espirò in segno di disperazione. Davvero quello lì era una delle persone più intelligenti del pianeta?

Il re entrò nella stanza, guadagnandosi un sorriso da parte di Bucky e la risata di Tony, che non si era accorto della sua presenza nella stanza. «Stark, in nome degli déi, che stai facendo?» Il miliardario smise improvvisamente di ridere e si voltò velocemente verso di lui, con gli occhi sgranati. «Credevo stessi esaminando il suo braccio, non che lo stessi interrogando sull'infanzia del Capitano Rogers.»

«Infatti sto facendo entrambe le cose.» Rispose pronto Tony, tirando fuori una piccola scheda blu. Con un piccolo movimento del polso, dalla scheda si liberarono nella stanza alcuni ologrammi, rappresentanti il braccio e le varie statistiche su di esso. «Mentre io chiacchieravo con Barnes, qui,» disse indicando Bucky, «FRIDAY ha portato avanti i test sul braccio di metallo dall'unica analisi che ho fatto a Barnes.»

T'Challa lo guardò non ancora sicuro se andava tutto bene o meno, ma Bucky muovette la testa in segno di assenso, per dire che era tutto a posto. Il re sembrò capire e fece per andarsene, ma si fermò per un momento prima di andarsene. «Quando finisci di giocare con Stark la Romanoff vorrebbe parlarti.» Dopo aver detto questo, uscì dalla stanza senza fretta, né facendosi sentire.

Bucky sorrise debolmente, magari per il fatto che tra lui e il re i rapporti erano migliorati, o forse perché Natalia voleva vederlo, ma la verità era che non lo sapeva nemmeno lui. Tony lo guardò soddisfatto, eliminando dalla stanza tutti gli ologrammi. «Su, vai.» Disse il miliardario, indicando la porta d'uscita. Bucky lo guardò sorpreso, per poi scendere dal tavolino su cui era seduto e sorridergli. Uscì dalla stanza e sentì un ultimo urlo di Stark. «Cura bene il nostro piccolo ragnetto velenoso!»

Rise a quella frase, per poi dirigersi verso la palestra e incontrare Natalia.


NA: Stavolta non c'era Natasha, è vero, ma volevo che questo capitolo fosse un po' più incentrato sulla relazione tra Bucky e Tony e  quella tra Bucky e T'Challa (che non sfocerà nella T'Chucky, ma rimarranno molto amici). Nel prossimo capitolo la Vedova e Bucky si chiariranno, sperando di non essere interrotti!

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Capitolo 6
*** Ti ricordi di me? ***


James entrò nella palestra, vestito con una felpa verde scuro, un paio di pantaloni da tuta e degli stivali da combattimento. Si aspettava una Natalia vestita normalmente. Invece, la trovò prendere a pugni un sacco, con pantaloni comodi e una canottiera. Intorno alle mani aveva delle fasce bianche per diminuire la possibilità di farsi male, anche se sapeva che non se lo sarebbe fatta comunque.

Lui la guardò affascinato e perplesso. I suoi movimenti erano veloci e coincisi, fluidi e incantevoli. Sembrava quasi che seguisse il ritmo di una canzone che lui non riusciva a sentire. Sorrise nel vedere così la donna, erano quasi movimenti familiari, ma non sapeva dove li aveva già visti.

Non disse nulla fino a quando Natasha si girò e lo vide, mentre si toglieva le bende dalle mani. Lui le sorrise debolmente, e lei ripagò il gesto. Camminò verso di lui e si fermò a mezzo metro di distanza. I due si guardarono negli occhi, senza sapere esattamente cosa dire o come cominciare. 

Si fece avanti Natasha. «Ti ricordi di me, James? Va bene qualsiasi cosa.» James la guardò con le labbra serrate. Chiuse gli occhi e aggrottò le sopracciglia prima di risponderle.

«Ricordo che ballavi. Tutti quei movimenti dolci e fluidi mi piacevano.» La guardò negli occhi verdi, sorridendo. «Posso dire che mi piacciono ancora, dopo che ho visto come combatti.» Natasha abbassò lo sguardo e sorrise, e James avrebbe giurato di averla vista arrossire lievemente. Era contento di vederla così.

La russa alzò lo sguardo verso gli occhi blu oltremare dell'uomo. «Non sono allenata nel balletto. Può sembrare che io stia seguendo la musica, ma sarei più fluida se mi tenessi in allenamento.» Disse Natasha, gesticolando con le mani nell'aria, era molto carina quando era imbarazzata, peccato che non capitava quasi mai. Voleva continuare a vederla così.

Parlò ancora dei suoi ricordi, lo faceva sentire bene. «Ricordo che ti piaceva il rosso, ti ricordava il colore del codino che ti regalò la tua migliore amica, una delle Vedove. Oh, ed eri solita alzarti sempre dal lato destro.» Entrambi risero silenziosamente, sorridendo l'uno verso l'altra.

Bucky continuò a raccontare, ricordando una situazione quasi divertente. «Una volta eri dalla parte sbagliate del letto e mi scavalcasti per scendere da quello giusto.» Risero più forte. 

Natasha si sentiva bene, ma sapeva che era sbagliato tutto ciò. Che stava facendo? Era una cotta adolescenziale, diamine, doveva controllarsi. Ma non ne poteva fare a meno, era come se il suo corpo non desse retta alla sua mente. Quel viso le ricordava sempre l'uomo che aveva conosciuto nella Stanza Rossa, quel James Barnes che aveva imparato ad amare. Le volle bene quando tutti gli altri la pensavano come arma. Le ricordò com'era sentirsi umani. Se Yelena non si fosse comportata nel modo che fece, loro due non si sarebbero incontrati. Cosa sarebbe diventata senza di lui? Certamente non avrebbe ucciso i suoi superiori, o le sue compagne. Non avrebbe incontrato Clint e non l'avrebbe risparmiato. Non sarebbe entrata nello SHIELD, e nemmeno negli Avengers. Sarebbe diventata quello che i russi volevano. Quell'uomo le aveva stravolto la vita.

«Grazie, James.» Disse lei, sorridendogli. Lui la guardò confuso, senza capire quello che intendeva. «Per avermi ricordato. Per avermi accettato come un essere umano. Perché stai facendo degli sforzi per farlo. Lo apprezzo molto.»

James le sorrise, togliendosi la felpa verde. Si mise poi in ginocchio per togliersi gli stivali e, mentre si rialzava in piedi, si legò i capelli con uno dei lacci. Natasha lo guardò incuriosita, non sapeva che cosa voleva fare. Quando allontanò gli indumenti che si era appena tolto da loro due, capì. Voleva combattere con lei, come ai vecchi tempi. 

Entrambi si prepararono, con i pugni davanti al viso e in posizione di guardia. La prima mossa la eseguì Natasha. Provò a colpirlo con un pugno nello stomaco. Lui si difese con le braccia. Lei continuò con movimenti veloci e precisi da ogni parte. Lui li bloccò tutti.  Quando la russa vide uno spiraglio nella posizione del soldato la colpì. Gli diede un calcio al ginocchio, facendolo cadere. Fece tesoro di quell'occasione e provò a mandarlo a terra. Peccato che lui era più veloce. Prese il braccio della donna e la fece roteare a mezz'aria, senza mai lasciare la presa. Voleva destabilizzare il suo equilibrio. Lei atterrò con la grazia di un gatto. James tentò lo scontro diretto. Lei si difese bene, ma lui sapeva che Natalia tendeva a tenere scoperta la parte sinistra del corpo. Attaccò lì. La difesa era migliorata negli anni, ma ancora la parte sinistra era più debole. La fece cadere sul pavimento. Lei si aggrappò a lui, trascinandolo con sé. 

Erano uno sopra l'altra, da tanto tempo Natasha non si sentiva così. Sentì il suo odore, tra il fumo di città e il profumo dei vecchi libri, esattamente come se lo ricordava. Si guardarono negli occhi, verde smeraldo e blu mare, e per poco James non si chinò sul viso della donna per baciarla. Non accadde. Aveva troppa paura. 

Paura di farle del male. 

Paura di non essere più lo stesso James di cui lei si innamorò tempo fa.

Paura di diventare il Soldato.

Paura di perderla.

Si alzò, cercando di ignorare lo sguardo dispiaciuto di Natasha, cercando di eliminarlo dalla sua mente. Non riuscì a fare nulla. Quello sguardo gli urlava nella testa. «Perché mi hai lasciato là? Perché te ne sei andato? Perché mi hai dimenticato?» Era tutto quello che riusciva a sentire. Sapeva di aver commesso un errore madornale quel giorno, quando la lasciò nelle mani del suo futuro marito, nelle mani del KGB. Sapeva che era colpa sua. Non del Soldato, o dell'HYDRA. Era colpa sua.

«Non è stata colpa tua.» La voce di Natalia lo riportò alla realtà. Lui si girò lentamente, spaventato di rivedere quel viso, quella delusione, quella tristezza. «Se la colpa è di qualcuno, è mia. Ti dovevo lasciare andare. Tu l'avevi detto di stare attenti, di vedersi per poco. Ma io volevo stare con la prima persona che mi riservava un briciolo di umanità in più degli altri. Volevo essere felice, anche se solo per un momento in più, ma volevo esserlo.» 

James la guardò addolorato. Era questo quello che aveva pensato tutti questi anni? Era questo quello che la sua assenza le aveva causato? Si sentiva in colpa, così tanto da evitare di cercarlo, sapeva cosa si provava. 

«Natalia, io... Mi dispiace per prima. Solo che... Ho paura di farti del male. Ho paura di perderti ancora. Perché, credimi, io ricordo bene chi eri. Il Soldato si ricorda bene di te. È questo il motivo per cui ricordo meglio te di Steve adesso. Lui era di Bucky. Ma Bucky raramente si fa sentire ora. Tu sei sia del Soldato, sia di James. Loro due ci sono ancora.» Si scusò lui, abbassando inizialmente la testa per poi rialzarla e guardarla negli occhi.

Natasha sembrò incuriosita. «E tu chi sei dei tre?» James la guardò senza sapere esattamente cosa rispondere. Lei lo sapeva, non si esce da una cosa del genere facilmente.

«Non lo so.» Fu tutto quello che disse, prima che arrivassero Steve e Sam. A quanto pare venivano in palestra sempre a quell'ora lì. Natalia parlò un po' con loro, senza togliere mai gli occhi da James. Era più confuso di prima adesso. Grandioso, davvero. Non riusciva a farne una giusta.

AN: Eccoli qua! Adesso che ho letto l'arco di Cap!Bucky non mi fermerò mai più...😍 Alla prossima con tutti i problemi di Bucky/James/il Soldato!

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Capitolo 7
*** Vecchie lettere ***


12 Febbraio 1974
Non credo di essermi mai sentita così. Non so nemmeno perché lo stia scrivendo. Era una delle cosa che vietavano con più insistenza nella Stanza Rossa. Non ho mai, e dico mai, visto un libro o un quaderno lì dentro. Erano vietati con insistenza. Dicevano che scostavano dalla visione della realtà. Avevano ragione. Se una giovane legge una storia d'amore, tac! Vuole il suo principe azzurro. Se non glielo permetti, sarà esattamente quello che vuoi tu, nel nostro caso un'arma. Non ci hanno mai lasciato tenere nulla. Diario, penna, matita, gomma, fogli, libri, peluche, bracciali, anelli, vestiti nostri, collane, ricordi di casa. Nulla. Dicevano che non dovevamo distrarci. Stavamo agendo per quello che Madre Russia voleva, dopotutto. 
Ma non ha funzionato per tutte noi. Per le nostre precursore, sì. Dottie Underwood era una leggenda. Colei che aveva quasi ingannato tutta l'America era cresciuta lì. Era una delle migliori. Poi ci sono io. Forse l'unica che riuscì a guadagnarsi una forma di amore da parte di qualcuno dell'altro sesso. Amore vero, non roba tipo Howard Stark e tutte quelle che si fece. 
Ricordo che si chiamava James. Il cognome non me lo ha mai detto, ma sapevo come lo chiamava la maggior parte della gente. Il Soldato d'Inverno. L'originale. Era una leggenda. Ma non fu quello a farmi innamorare di lui. Furono i suoi metodi. I suoi gesti. Come mi trattava. Nessun altro mi ha mai trattato come lui. Né prima, né dopo. Sarò anche stata sfortunata, non mi fiderò delle altre persone e ne avrò uccise non so nemmeno quante, ma lui è stato l'unico ad avermi trattata come un essere umano e non come un'arma. Abbiamo provato a vederci di nascosto, senza che nessuno se ne accorgesse. Per un po' ha funzionato, poi ci hanno beccati. Ci hanno punito entrambi, in modi diversi.
Non so perché lo stia mettendo su carta, forse solo per testimoniare che ho amato davvero qualcuno pur essendo una delle Vedove. Credo che lui sia una delle poche cose reali che io abbia mai incontrato. Tutto il resto è per la missione. Ma la missione non è reale, solo un'invenzione della Stanza Rossa. E io adesso la sto vivendo, quella bugia. Sono qui con un marito che non volevo e che ha dato James al Dipartimento X. Diceva che era dove meritava di essere. Non credo di aver pianto così tanto in vita mia. Non lo facevo quasi mai, ma mi ha fatto bene. E ora sto scrivendo questo, per ricordarmi forse, per non dimenticarlo.
Se mai troverai questo foglio, James, sappi che intendevo tutto quello che ho scritto, dall'inizio alla fine.
La tua Natalia.


Bucky la rilesse un altro paio di volte. Era con quella che aveva cominciato a ricordarsi di lei. Era solo grazie a quella lettera che aveva trovato nel suo appartamento in Romania che era riuscito a parlare con lei. Quella lettera aveva fatto miracoli. È stato gentile da parte di Steve e gli altri non leggerla, anche se dubitava ci sarebbero riusciti. Era in russo, dopotutto. Nessuno di loro lo sapeva parlare o leggere, né tantomeno scrivere.

Con quella lettera si era ricordato del passato da ballerina della donna, di quell'ultima notte insieme a lei, della sua cattura. Non era un ricordo bello, ma si ricordava che il suo viso era terrificato, segno che teneva davvero a lui. Non gli è piaciuto, ma si sentiva onorato, in qualche modo. Non credeva avrebbe mai amato, e quel che si ricorda prima della guerra era tutto sfocato. Per quello che ne sapeva lui, potrebbe anche aver avuto una relazione sentimentale con un cane.

Ripiegò la lettera e la rimise in tasca, espirando profondamente. Si doveva avviare verso la sala comune, dove era atteso perché il suo destino si potesse compiere. Dovevano decidere se consegnarlo alla polizia e allo Stato oppure tenerlo con loro nei quartieri principali degli Avengers. Non gli piaceva affatto questa situazione. Gli ricordava i tempi in cui lui era solo una macchina in mano a Pierce e ai sovietici. Voleva decidere lui dove andare. In quel caso, però, Steve si sarebbe lasciato uccidere e Natalia lo avrebbe seguito. Non aveva altra scelta se non sperare in quello che decideranno i 
compagni.

***

Steve fu il primo ad arrivare. Nessun altro era lì. Si sedette sul divano, guardando irrequieto la stanza. Non era abituato a tanto silenzio. Fin dall'inizio della guerra civile voleva parlare con Tony, ma non ci riusciva. Lui era sempre distante e lo evitava, e ora che poteva farlo, si sentiva trascurato. Non sa esattamente da cosa, ma se lo sentiva sin dentro le vene. Era felice che Tony e Bucky avessero superato le loro divergenze, ma sentiva che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa che gli sfuggiva di tutto quello, dall'insistenza di Fury di portare Bucky lì al fatto che dovessero dire alla stampa tutto quello che era successo al soldato e perché l'avevano fatto entrare negli Avengers. Tutto quello gli puzzava.

Non si accorse che Sam entrò nella stanza e lo guardò perplesso. «Qualcosa non va, Steve?» Il biondo lo guardò agitato, ulteriore prova che c'era qualcosa che non andava. Sam incrociò le braccia e aspettò una risposta dell'amico, senza però pressarlo più di tanto. «Sai, so che c'è qualcosa che non va, ti conosco bene. Dimmi cosa c'è, voglio aiutarti.» Disse Sam, avvicinandosi ancora di più al biondo. 

Steve sospirò, per poi guardare l'amico negli occhi. Distaccò ancora lo sguardo, verso il pavimento, arrendendosi. «Mi puzza.»

«Cosa?» Sam era perplesso. Non capiva a che si potesse riferire.

 «Tutta questa... cosa. Che senso ha chiamare qui tutti noi, compreso Bucky, per parlare con la stampa? C'era davvero bisogno di svegliare Bucky? Se era così urgente, perché non ci hanno fatto pressione? Perché far integrare tutti, Avengers e non, prima di dirci qualsiasi cosa?» Chiese Steve, esponendo le sue ragioni di stress.

Sam ci pensò su per un momento. «Magari volevano parlarci della Guerra Civile. Sai, era su tutti i telegiornali del pianeta. Eroi che combattono tra di loro... Era davvero uno scoop, dovevano mostrarlo dappertutto.» Sam vide Steve ancora più agitato e quasi arrabbiato. Non l'aveva mai visto così. «Steve, non capisco dove vuoi arrivare.»

«Se volevano solo parlarci della guerra, avrebbero chiamato anche il ragazzo dal Queen, in qualche modo. Inoltre, non avrebbe fatto parte dei doveri di Fury. Ci avrebbero mandato Ross, il governo sa che Fury ci appoggia e non credo che lui si sia lasciato trovare dallo Stato. È da un anno che la Hill lo cerca, senza risultati. Non è possibile che il governo lo abbia trovato prima di lei.»

Sam capì cosa voleva dire l'amico e, effettivamente, aveva ragione. Cominciava a non capire più nulla nemmeno lui. «C'è davvero qualcosa che non quadra... Ma aspetta a fare la prima mossa. Prima sentiamo cosa vuole Fury da Barnes e da tutti noi. So che vorresti proteggerlo da tutto e da tutti, ma è capace di difendersi da solo, che ti piaccia o no. Inoltre, adesso mi sembra che anche la Romanoff si stia legando a lui, ed è un bene.» 

Steve sorrise a quel pensiero. Non era l'unico a essersi affezionato a lui, nel corso degli anni. Con tutte le probabilità, in segreto anche lei lo aveva cercato. Li aveva visti combattere. Sapevano le mosse che l'altro stava per fare. Si sono allenati insieme, hanno lavorato uno al fianco dell'altra. «Sì, hai ragione. Grazie Sam, davvero.»

Sam mise una mano sulla spalla dell'altro, sorridendogli. «Per te, amico, questo e altro. A che servirei, altrimenti?» Steve sorrise, e abbracciò il compagno, felice di aver trovato una persona di cui fidarsi ciecamente. Adesso dovevano riuscire a scoprire cosa non quadrava, e non sarà un'impresa facile.

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Capitolo 8
*** Il destino del soldato ***


Natasha non era per niente tranquilla. Non crede di aver mai sudato così tanto, o provato un'ansia paragonabile a quella che stava provando in quell'istante. Dovevano decidere se tenere il soldato oppure cederlo al governo. Sapeva che la maggior parte avevano superato l'astio nei suoi confronti e lo avrebbero accolto senza problemi, ma, se lo accettavano nella squadra, avrebbe dovuto convivere con l'idea del pericolo che lei avrebbe corso stando vicino a lui. C'era una piccola parte di lei che sperava di rivedere il suo James, ma sapeva che non sarebbe stato possibile.

Tutti stavano aspettando Ross, e, quando varcò la porta, gli eroi si irrigidirono. Sapevano che in quel preciso istante, quell'uomo aveva più potere di tutti loro. Lui fu sorpreso del fatto che ci fossero tutti, Barnes compreso. Si rivolse poi a Tony. «Stark, vi è arrivata la notizia?»

Tony annuì, senza smettere di sorridere. «In questa settimana siamo giunti a una conclusione comune, generale. James Buchanan Barnes rimarrà qui con noi, nella Stark Tower e nell'Avengers Mansion, e diverrà membro pienamente operativo della nostra squadra.»

Il generale squadrò il miliardario con aria perplessa e assolutamente non fiduciosa. «Siete consapevoli dei rischi a cui state andando incontro, spero. Quando la stampa e tutto il mondo lo verrà a sapere...»

«A loro ci penso io.» Lo interruppe Tony, prendendo le difese di quello che sarà un altro dei suoi compagni di squadra. «E lui resterà qui, con noi. Perché, ora come ora, siamo l'unica famiglia che potrebbe mai avere.» Bucky lo guardò confuso. Perché stava prendendo le sue difese in questo modo? Aveva fatto del male a lui e alla sua famiglia, non capiva il motivo di tanta cura nei suoi confronti.

«Ad una condizione.» Il generale abbassò la voce e alzò l'indice verso l'alto, come per sgridare gli eroi. «Non dovrà avere nessun tipo di attacco d'ira o uscire non accompagnato.»

Tony non aspettò nemmeno che qualcuno esprimesse un'opinione. Sapeva che Steve avrebbe detto di no e, se lo avrebbe fatto, tutti i suoi sforzi sarebbero risultati inutili. «Detto fatto. La Romanoff lo terrà d'occhio.» Natasha lo fulminò con lo sguardo, ma lui la ignorò. «Giusto, Nat?»

La donna si arrese e annuì. Forse era quello l'unico modo per tenere James fuori dai guai e lontano dalle mani del governo. «Bene. Allora non mi resta che augurarvi buona giornata.» Disse Ross, congedandosi dalla stanza. La maggior parte degli eroi si rilassò, sapevano che ormai il peggio era passato e che, soprattutto, avevano impedito una altra battaglia. Anche Bucky rilassò i muscoli e chiuse gli occhi per un attimo, felice di non dover andare in qualche altra struttura dove poteva essere studiato.

Tony si abbandonò sul divano. «Una è fatta...» Mormorò lui, con il viso contro i cuscini. Poi si girò verso i compagni e riuscì a parlare facendosi capire. «Ora dobbiamo pensare a un modo per allontanare la stampa da qui, non possiamo lavorare con giornalisti e cameraman che ci assillano dalla mattina alla sera. Se qualcuno ha delle idee è meglio che le esponga ora.»

«Devi fare un processo, Bucky. Se lo fai e riveli i veri motivi dei tuoi assassinii, forse, e dico forse, la stampa starà buona. Se questo non funziona, dovrai anche fare dichiarazioni alla stampa riguardo il tuo passato.» Disse Sharon, che da poco era stata ammessa all'edificio degli Avengers, dopo essersi licenziata dalla CIA. Bucky annuì, ma non sembrava molto convinto della cosa.

«Organizzerò io il tutto.» Disse Tony, sedendosi sul divano. «Non che mi faccia piacere, ma qualcuno dovrà pur farlo! Inoltre, devo farmi perdonare da Steve per sta cazzata della guerra.» Steve lo guardò teso, si sentiva ancora responsabile per quello. Non era giusto che Tony si prendesse tutta la colpa. Non poteva permetterglielo, doveva rimediare.

«Tony, non dire così. Se la colpa è tua, è anche mia. Siamo stati entrambi degli stupidi, non dovevamo trascinare tutti i nostri amici e persone innocenti- civili tra l'altro- in questo casino. Io sono stato consumato anche dalla speranza di rivedere Bucky, tu invece hai seguito quello in cui credevi. Per questo motivo ci hai aiutato con Zemo. Sei una brava persona Tony, più di quanto tu non creda.» Disse Steve, cercando di far riflettere l'amico e, parzialmente, per sfogarsi. Voleva dire queste parole da tempo, ormai. Non ne poteva più di tutto il trambusto che aveva causato, per quello che aveva fatto a Tony. Sentiva il bisogno di stare con lui e perlomeno cercare di aggiustare quello che aveva combinato.

Tony gli sorrise, tendendo la mano all'amico. «Nuovo inizio?» Chiese poi, aspettando la reazione del capitano.

Il biondo gli prese la mano convinto e la scosse con decisione. «Nuovo inizio.» Si guardarono per pochi istanti sorridendo e poi si abbracciarono, pretendendo che nulla di quello successo negli ultimi sei mesi si fosse mai avverato. Una volta che ebbero finito, Steve si rivolse a Sharon. «Puoi convincere una persona a fare da avvocato a Buck?»

Lei scosse la testa. «Ne conosco un paio, ma nessuno accetterebbe questo caso. Sarebbe da pazzi.» Spiegò la bionda, passandosi la mano destra tra i capelli. Odiava ammetterlo, ma aveva ragione. Fare da avvocato a un ex assassino russo di fama mondiale non è cosa da tutti i giorni. Fortunatamente, però, lei non era l'unico aggancio con quel mondo.

«Io ne conosco uno. Lo farà, ha sempre accettato qualsiasi caso, e ha già fatto da avvocato a un assassino. Inoltre, è della nostra parte.» Disse Tony, beccandosi uno sguardo assassino da parte di Natasha. «Oh, non preoccuparti Nat! Mica ti mangia! E poi, non puoi fare quella faccia ogni volta che devo contattare un tuo ex!»

Tutti si voltarono verso di lei, sorpresi. L'unico che non lo fece fu Barnes, era indaffarato a provare a tenere sotto controllo i suoi sentimenti. Non poteva permettersi di esplodere adesso perché forse lei aveva avuto qualcun altro oltre a lui. «Non eravamo fidanzati. Solo partner per una piccola missione.» La sua risposta rasserenò l'anima del soldato, che esalò un respiro profondo e, sereno, poggiò la schiena sullo schienale del divano. Natasha lo guardò tesa. Sapeva che non poteva reprimere il Soldato, doveva essere pronta a qualsiasi costo se questi avrebbe preso il controllo su di lui.

«Che vuol dire che è dalla nostra parte?» Chiese Clint, confuso.

«Ha dei poteri. Una volta ero in giro per Hell's Kitchen e l'ho visto in azione, così l'ho seguito fino a casa sua. Ho piazzato delle micro telecamere grazie ad alcuni nanobot di mia invenzione all'interno della sua abitazione e ho scoperto diverse cose.» Spiegò Tony, aprendo una simulazione da FRIDAY e facendo vedere passo per passo tutto quello che stava dicendo.

«Tipo?» Chiese Steve, preoccupato per la responsabilità di un letto super essere.

«È cieco, ma riesce a combattere bene come te, Cap. Non so cosa gli sia successo, ma in qualche modo riesce a vedere e a combattere. Ogni sabato va in palestra, sempre alla stessa ora. Oh, e lavora soltanto di notte. In una tutina rossa e nera- anche molto resistente e sofisticata, devo ammettere- che lo fa somigliare a un diavolo.» Ridacchiò mentre lo diceva, gli sembrava un po' stupido voler sembrare un diavolo.

«Come si chiama?» Chiese Steve, ignorando completamente la risatina di Tony. Doveva sapere di più su di lui.

«Matt Murdock, ma tutti lo conoscono- a loro insaputa ovviamente- come Daredevil.» Concluse Tony, aspettando una risposta dai compagni. Tutti si guardarono a vicenda e annuirono, segno che erano d'accordo per reclutare questo tizio. Tony esultò internamente, contentissimo di esser riuscito a fare qualcosa di buono.

«Perfetto, vado a prenderlo!» Disse lui, prima di venir fermato da Bucky.

«Vengo con te. Se mi deve fare da avvocato, meglio che venga anch'io.» Insistette lui, sicuro di quello che stava facendo. Natasha voleva dirgli di stare lì, che fuori non era il posto migliore per lui al momento, ma sapeva che sarebbe stato inutile. Quando lui vuole fare una cosa, la fa. E ora voleva andare a tutti i costi da questo Matt Murdock.

Uscirono da dietro, davanti c'era già diversa gente che voleva intervistarli è quello non era il momento più adatto per farlo. Si vestirono normalmente, in modo da non dare nell'occhio, e procedettero fino a Hell's Kitchen. Nessuno dei due aprì bocca fino a quando si trovarono davanti all'ufficio legale Nelson&Murdock. Si guardarono a vicenda ed entrarono, sperando con tutti sé stessi di trovare quello che stavano cercando.

AN: Eccoci qua! So che vi ho fatto aspettare tipo una settimana in più, ma spero vi sia piaciuto il capitolo! Nel prossimo ci sarà sicuramente Matt e forse anche qualcun altro, il destino deciderà...

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Capitolo 9
*** Il Sergente Barnes ***


  Matt non si aspettava clienti. La sua attività aveva chiuso da un bel po' di tempo a causa di litigi interni all'agenzia e al suo "secondo lavoro". Essere un supereroe non è sempre un bene per tutti. Si chiedeva chi poteva essere.  Karen che gli faceva visita? No, erano due uomini. Che uno di loro fosse Foggy? No, il loro battito era più veloce, agitato. Avevano paura di qualcosa. Magari stavano scappando. Di norma, avrebbe indossato il costume e li avrebbe ascoltati attentamente, per poi prenderli a pugni, ma la sua tuta non era lì con lui. Doveva gestirli come Matt Murdock.

  Sentì bussare alla porta. «Posso esservi utile?» Chiese lui, dopo averli fatti entrare. Uno di loro era molto massiccio e il suo braccio sinistro non emanava calore. Aveva una protesi in metallo. L'altro era più magro, un fisico che riconoscerebbe ovunque. Anthony Howard Stark. Memorizzò il suo battito cardiaco. Era molto lento, più lento del normale. Lui era rilassato. Tutti i battiti che aveva sentito prima erano dell'altro soggetto. Non aveva mai sentito un cuore così agitato.

  «A dire il vero sì, Mr. Murdock. Molto piacere, Tony Stark.» Allungò la mano verso il cieco, che la strinse convinto. Doveva fargli credere di non averlo riconosciuto, così fece una faccia impressionata. Ancora non voleva che il mondo sapesse di lui come eroe internazionale. Voleva solo proteggere il suo quartiere, per il momento. «Mi serve che tu difenda in tribunale il sergente James Buchanan Barnes.» Quello doveva essere il secondo uomo. Se doveva essere impressionato, non lo aveva capito. Non gli suggeriva nulla quel nome.

  Questa storia non era credibile. Se avesse voluto un buon avvocato ce ne aveva a migliaia. Perché andare da un povero disoccupato- perché era quello ora che sia Foggy che Karen si erano trovati altri lavori- senza nemmeno uno studio legale? Accettò comunque. «Va bene, Signor Stark, lo farò. Immagino che il sergente sia l'uomo con noi?» Indicò l'altra persona, che in quel momento era in piedi, fissando il pavimento. Stava pensando a qualcosa di brutto, il suo battito cardiaco era ancora più veloce.

  Stark annuì e se ne andò. «Vi lascio da soli, così che potrete discutere del processo.» Non se ne voleva andare, il suo battito aveva aumentato frequenza. Però, quando poggiò la mano sopra il legno della porta e il cartongesso del muro, non sentì il suo calore su nessuno dei due. Forse, allora, doveva fare qualcosa che lo agitava o lo emozionava. O ancora, non dovevano parlare del processo. 

  Non riusciva a capire, ma lasciò stare Stark e si concentrò sul suo cliente. «Prego, si sieda.» Era ancora in piedi, a pensare. «Sergente Barnes?» Sollevò lo sguardo, malinconico. Era difficile dialogare con una persona del genere, sicuramente ne ha viste di tutti i colori. Fortunatamente per lui, non era la prima volta che doveva difendere una persona affetta da stress post traumatico dopo una guerra. Sperava che andasse meglio della prima però.

  Riuscì a farlo sedere su una sedia di fronte alla sua. «Mi dica, sergente, in che divisione era? E in che guerra ha combattuto?» Sapeva che non erano bei ricordi per una persona del genere, ma doveva avere quelle informazioni per gettare le basi della sua difesa in tribunale.

  Prese un profondo respiro, si impose di smettere di tremare a scatti. «107° reggimento. Ho combattuto dal 1941 al 1944 nella Seconda Guerra Mondiale.» Disse lentamente, scandendo ogni singola parola. Sentiva dolore in quello che diceva. Ma quello non era quello di cui si preoccupava Matt. Se aveva davvero combattuto allora, non dovrebbe avere quasi 100 anni? Ne dimostrava 35. 

  Come se avesse capito cosa voleva chiedere, il sergente andò avanti. «Sono giovane perché i russi mi hanno tenuto nel ghiaccio per 70 anni, mi hanno cancellato la memoria su chi ero e mi hanno fatto uccidere tante persone innocenti.» Il suo battito stava aumentando. Non riusciva a gestire quello che diceva di aver fatto. Sempre ammesso che gli stia dicendo la verità. In quel momento non riusciva a capire se lo stava facendo o meno, il suo cuore andava troppo veloce ed era eccessivamente agitato. «Non ricordo molto di più.» Ecco, ci mancava solo questa. Perdita di memoria. Con quella, le cose si complicavano.

  «Ricordi delle persone in particolare coinvolte nella tua permanenza in Russia?» Voleva tirargli fuori qualche informazione, magari un nome, un posto. Altrimenti, erano nei guai.

   Lui sorrise serenamente. «Natalia. Mi ricordo bene di lei. Era una ragazza quando l'ho vista per la prima volta. I suoi capelli erano rossi, raccolti in una coda con un elastico nero. Danzava molto bene, era la migliore del suo corso. Combatteva divinamente, a tempo di una musica immaginaria nella sua testa. Velocemente, con precisione e forza. Aveva gli occhi verdi, color smeraldo. Ricordo che erano spaventati quando mi vide per la prima volta, ma il resto del suo corpo no. Il suo corpo mi colpiva con forza e precisione. Fu la migliore battaglia della mia vita.» Lo ascoltò attentamente, quelle informazioni poteva utilizzarle a suo vantaggio. Questa persona si era innamorata di un'altra, e perdutamente. Se lo accusavano di insensibilità e cattiveria, poteva contrattaccare con questo.

   «Altre persone? Di quelle che ti hanno ferito ti ricordi?» Lui tornò immediatamente serio, agitato. Doveva trovare un modo per capire che cosa gli era veramente successo, in un modo o in un altro. Non sembrava una cosa da nulla.

   «Zola. Mi ricordo di uno scienziato chiamato Arnim Zola. Mi ha fabbricato il braccio, mi ha ghiacciato un paio di volte, mi ha detto come mi chiamavo e che dovevo diventare il braccio dell'HYDRA.» Matt si incupì per un secondo. Quell'organizzazione non prometteva nulla di buono. Quello che stava cercando di difendere era completamente diverso da Frank Castle. Era un caso molto più serio. Torture, condizionamenti mentali, armi viventi, criogenazione per mantenerlo giovane, addestramento estremo; era molto peggio di quello fatto a Frank.

   «Va bene, per oggi può bastare.» Interruppe la sessione Matt, che sentiva di star per esplodere. Non poteva prendere tutto quello che gli stava dicendo in un giorno solo. Inoltre, il suo cliente sembrava troppo agitato. «Continuiamo domani, sempre qui, alle 16. Se puoi portati una persona di cui ti fidi e che possa capire come ti senti, ne abbiamo bisogno. Tu per non essere agitato come oggi e io per capire meglio tutto questo casino.»

  Il sergente annuì e si avviò verso la porta, venendo però fermato da Matt poco prima di aprirla. «Ah, e... Mister Barnes?» Si voltò, guardandolo negli occhi. «Le auguro di ritrovare Natalia.» Lui sorrise e annuì, per poi andarsene. Matt si sedette sulla sedia. Sperava davvero che la ritrovasse. Meritava di essere felice almeno una volta nella sua vita.

AN: Ecco il nono capitolo! Amo Matt... :3 Va beh, me ne vado... Alla prossima!

 

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Capitolo 10
*** Amicizia...? ***


Natasha guardò James lasciare la stanza, preoccupata. Sperava che Matt accettasse il caso, altrimenti non sapeva davvero dove sarebbero andati a parare. Doveva fare in modo di vincere quel processo, a tutti i costi. Non saprebbe cos'avrebbe fatto se lo avessero messo in prigione con tutti gli altri criminali. Non era un criminale, era un eroe come tutti loro. Forse anche di più.

«Vado a riferire a Ross la nostra decisione.» Disse Rhodey, alzandosi faticosamente con l'aiuto di Sam e procedendo verso l'entrata principale della Mansion, dove stava aspettando il generale. Steve osservò attentamente Ross, non si fidava di lui. Una volta uscito, il soldato si rasserenò lievemente.

Natasha si alzò dal divano e andò in camera sua, senza sapere che fare per aiutare Barnes. Si sentiva in dovere di farlo, lui l'aveva aiutata diverse volte in passato. Doveva ricambiare il favore, non le piaceva essere in debito con altre persone. Pensò a qualsiasi cosa, ma non le venne in mente nulla di davvero applicabile.

Poi, qualcuno bussò alla porta. «Avanti!» Gridò lei, sicura che fosse Steve. Invece, le si presentò davanti una faccia femminile, dai lunghi capelli biondi e un paio di occhi azzurri come due diamanti. Beh, era quasi Steve. «Carter? Che ci fai tu qui?»

Lei entrò, sorridendole. «Faccio che Fury mi ha ordinato di proteggerti. So della tua relazione con Barnes, così come Fury. Vuole che non ti faccia male da sola.» Ovviamente. Però non capiva perché aveva mandato Sharon, era molto più comodo che glielo dicesse di persona, no? A quanto pare non è così. 

Lei aggrottò la fronte. Non le piaceva essere controllata perché qualcuno la riteneva pericolosa, le ricordava della Stanza Rossa. «So badare a me stessa, 13. Piuttosto, vogliamo parlare di te e Rogers?» Natasha fece un sorrisetto, come per dire che lei e James non erano l'unica coppia interna agli Avengers. Inoltre, non le era stato dato il diritto di parlarle così, quello che combina lei con James sono affari suoi, no?

«Io e Steve non siamo due ex assassini russi che tendono all'omicidio o al suicidio.» Questo era vero, doveva riconoscerlo. L'agente 13 sapeva il fatto suo, non c'è che dire. Rispondeva subito alle provocazioni di Natasha e l'aveva vista sul campo, era davvero addestrata bene. Se cominciassero a combattere, Natasha era sicura che lei le avrebbe dato filo da torcere.

«Quindi tu cosa saresti, la nuova cocca di Fury? Si è stufato con la Hill?» Natasha era arrabbiata, le aveva risposto male, ma ne aveva il diritto, dal suo punto di vista. Stava ficcando il naso nella sua relazione e si aspettava che la seguisse perché aveva detto che Fury la voleva proteggere da sé stessa? Forse sì, forse era la giusta cosa da fare. Adesso, però, era arrabbiata, non poteva fare nulla per James. Poteva benissimo finire in carcere da un giorno all'altro.

Sharon non si arrese, nemmeno dopo la risposta della spia russa. Doveva farla ragionare, e non per l'ordine che le aveva dato Fury. Era sua amica e aveva il dovere di perlomeno provare ad aiutarla«Natasha, ascoltami. Capisco che tutto questo possa essere stressante per te, ma perlomeno lascia che ti aiuti.»

Natasha la guardò male. «Perché te l'ha ordinato Fury?» 

«Perché voglio aiutarti. Siamo amiche, ricordi?» Sharon sperava di riuscire a calmarla in questo modo, anche se sapeva che la spia non credeva nell'amicizia in quei momenti. Nonostante tutto, Natasha sembrò calmarsi.

Si mise la mano destra sulla fronte, chiudendo gli occhi. «Dio Sharon, mi.... Mi dispiace. È solo che questo è un brutto periodo.» Crederle era la cosa giusta da fare sin dall'inizio, la paura di perdere di nuovo James le aveva offuscato il giudizio. Si era dimenticata come ci si sentiva.

Sharon le sorrise. «Ti capisco, Nat. Non preoccuparti.» Le diede una pacca sulla spalla e rimase con lei per l'ora successiva, parlando del più e del meno, fino a quando Tony e Barnes tornarono alla Mansion.

Natasha si precipitò alla stanza comune, dove erano già presenti diversi Avengers. Non lo fece vedere agli altri, ma era piuttosto preoccupata. «Allora?» Chiesero lei e Steve insieme. Si vedeva che erano molto impazienti di saperlo. Dopotutto, erano le due persone che il soldato aveva che si avvicinavano a una famiglia.

Tony prese la parola, notando che Bucky si era incantato mentre guardava Natasha. «Murdock ha accettato, ma non era quella la mia preoccupazione principale.» Tutti lo guardarono, confusi. Lui continuò a parlare. «Ross vuole che si faccia il processo non solo di Barnes, ma anche di tutti i fuggiaschi che erano con lui. E tutto questo è già stato approvato dal Presidente.»

Steve lo guardò teso. «Quando l'ha detto, e a chi, Tony?»

Tony gesticolò con le mani e sospirò. «A nessuno. L'ho saputo da Rhodey quando è andato a comunicargli la nostra decisione, ma era già tutto deciso.» Tutti sembravano molto nervosi, specialmente Steve. Sapeva che sarebbe successo, ma si sentiva in colpa. Se fosse stato solo lui a doverne pagare le conseguenze, non avrebbe avuto il minimo problema, ma aveva trascinato altre quattro persone con lui. Di loro era responsabile. Tony continuò, cercando di calmare gli animi. «Ne ho già parlato con Murdock, ed è disposto a difendere tutti in tribunale, anche se questo lo metterà in una brutta posizione.»

«Che sarebbe?» Chiese Clint, che non ne poteva più di tutta quella faccenda. Si era ritirato diamine, perché era stato coinvolto in tutto quel trambusto? Adesso ne pagherà le conseguenze e Laura lo ucciderà quando tornerà a casa.

«L'agenzia che si occuperà dell'accusa è la stessa dove il suo migliore amico ed ex socio in affari lavora in questo momento. Non si scontrerà con lui, ma potrebbero far leva sulla sua assenza in tribunale durante il processo più importante della sua carriera.» Spiegò Tony che, a quanto pare, aveva avuto tutto il tempo di parlare con il futuro avvocato di Barnes. Vuol dire che Bucky gli aveva già detto tutto quello di cui aveva bisogno.

Scott, che stranamente fino a quel momento non aveva parlato, guardò Tony con le braccia incrociate, pensieroso. «Perché mai l'avrebbe fatto? Insomma, perdersi il processo più importante della sua carriera? Non ha molto senso.»

Natasha cercò di far finta che non le importasse dello sguardo di Bucky su di lei e rispose alla domanda. «Perché stava dando la caccia a un ramo della yakuza che operava a Hell's Kitchen. E stare al passo di ninja zombie non è esattamente la cosa da fare più facile in questo mondo, specialmente per un cieco.» Non era facile da ignorare, lo doveva ammettere. Era insistente, sapeva che c'era qualcosa che li legava e si ricordava di lei, del loro tempo insieme. Voleva stare con lei. Natasha concordava con lui, ma aveva paura di combinare un casino, come aveva fatto l'ultima volta.

La domanda di Scott la distaccò dai suoi pensieri. «E perché tu lo sai?» Aveva omesso la domanda sui ninja, meno male. Non avrebbe saputo come spiegarlo altrimenti. Non aveva capito molto quando Matt glielo aveva detto.

«Come ho già detto, è un vecchio amico. Me l'ha detto lui.» Rispose lei, sicura. I suoi pensieri migrarono di nuovo verso James, ancora lì che la guardava con interesse. Quando "usciva" con lei era diverso da adesso. Aveva i capelli più corti, la barba tagliata quasi completamente e i suoi occhi risplendevano molto di più. Probabilmente anche lui se la ricordava diversamente. Aveva i capelli più lunghi, nessuna traccia di trucco ed era più piccola, inesperta.

Ancora una volta, fu distratta da lui. Questa volta fu Tony a prendere la parola. «Fatto sta che la maggior parte di noi è sotto processo. Oltre a tutto il team che era con Cap, ci siamo anche io, Visione, la Carter e Natasha. Se T'Challa non fosse re di un Paese così avanzato e importante come il Wakanda, ci sarebbe anche lui.» Grandioso. Adesso non solo doveva preoccuparsi di Barnes, Steve e Clint, ma anche di Sharon e della propria incolumità. La prima volta che rivede Ross gli spezza il collo, questo era poco ma sicuro.

«A quanto pare, Ross si sta vendicando.» Disse Wanda, che osservava Visione preoccupata. Non poteva permettere che lo rinchiudessero in una prigione, o peggio, in un laboratorio. Se lo avessero fatto, giurava su Dio, li avrebbe uccisi divorati dalle loro paure più profonde.

Poi Scott fece una domanda retorica, ma che sperava si potesse fare. «Dobbiamo farlo per forza?»

«Se ci tiriamo indietro, Ross l'avrebbe vinta. Lui crede che siamo un pericolo, ma se lo affrontiamo al suo stesso gioco, dimostreremmo al mondo che non è così.» Rispose Steve, che ormai si era reso all'idea che Ross volesse proteggere qualcosa o che stesse eseguendo ordini. Quell'uomo odiava i super umani e basta.

Improvvisamente, a Natasha sorse un dubbio. «Matt si occuperà di tutti i processi?» Tony annuì. Natasha lo guardò stupefatta. 

«Va bene, che c'è che non va?» Le chiese lui, che aveva notato che qualcosa non andava.

«Siamo in dieci, Tony, e alcuni di noi con precedenti discutibili. Persino lui non può difenderci tutti, a un certo punto crollerà. La squadra della Hogarth è difficile da battere.» Spiegò lei, guardandolo negli occhi. «Ci serve almeno un altro avvocato con cui possa dividere il lavoro.»

«Va bene, posso contattarne un altro di fiducia. Ci penso io, non preoccuparti.» La rassicurò Tony, che aveva sulla faccia il solito sorrisetto che non premetteva nulla di buono. Natasha, però, non disse nulla a riguardo e lo lasciò continuare. «Le notizie sconvolgenti sono finite per la giornata?»

Questa volta, parlò Sam. «Non esattamente. Il tuo amico ragnetto sta combinando un casino in giro per la città. Non credi sia arrivato il momento di addestrarlo a dovere? Credo che di problemi ora ce ne siano già abbastanza.» Giusto, il ragazzo. Quasi si era dimenticato di lui, con tutto il disastro che lui e Steve avevano combinato.

«Lo contatterò.» Disse alla fine, calmando anche Sam, che per qualche ragione temeva per il ragazzo. 

Intanto Bucky aveva scostato lo sguardo da Natasha e adesso al centro dei suoi pensieri c'erano, oltre a lei, anche Steve e tutti quelli che lo protessero sei mesi prima. Se erano finiti sotto processo e venivano trattati come criminali- cosa che non erano- era colpa sua. Doveva andarsene, altrimenti sarebbe esploso. «Io vado a sdraiarmi, scusate.» Disse lui, e, senza nemmeno aspettare una risposta, si voltò e se ne andò.

Steve era già pronto per seguirlo, per consolarlo. «Buck-» Venne brutalmente interrotto da Natasha.

«Vado io, Steve. Tu resta qui.» Detto questo, seguì il soldato nella sua stanza. Questa volta giurava che se qualcuno li avrebbe disturbati ancora una volta, li avrebbe presi a pugni sullo stomaco fino a quando sputeranno tutto il sangue che hanno in corpo.

AN: Come vi sembra? Sto aggiungendo una trama sensata? Mi sembrava una ff troppo piatta con solo la relazione di Bucky e Nat... Quindi, aggiungerò poi piccoli episodi dove ci sono, oltre a BuckyNat, anche ScarletVision, Staron e forse anche Pepper e Tony spiegheranno davvero perché si sono lasciati (secondo me). E l'avvocato che conosce Tony? Chi può immaginare chi è? Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Moya Lyubov ***


Natasha trovò James appoggiato al muro con un braccio, che si teneva la fronte con l'altra. Le dava la schiena, era appoggiato sul muro opposto alla porta della sua stanza. Lei si avvicinò senza mai abbassare la guardia, il Soldato poteva prendere controllo del corpo di James da un momento all'altro.

Non accadde nulla, parlarono solo. «È colpa mia.» sussurrò lui, con voce tremolante. «Se tutti sono nei guai è colpa mia, Natalia.» pronunciò il suo nome con dolcezza, a differenza dell'intera frase, amarissima. «Ovunque io vada porto guai.» realizzò ad alta voce. 

Natasha provò subito a distoglierlo da quella visione. «No James, non è vero.» disse con tono dispiaciuto. «Ci eravamo schierati gli uni contro gli altri per quei stramaledetti accordi, tu eri solo una persona che abbiamo incontrato dopo averlo fatto.» fece una piccola pausa. «E Steve ha deciso di salvarti da Zemo.» aggiunse, concludendo il suo discorso.

James si sollevò dal muro e la guardò, gli occhi viaggiavano nel vuoto, inespressivi. Per un momento, Natasha temeva che quello non fosse più lui. Si ricompose pochi attimi dopo, guardandola con un sorriso amaro. «Non c'è bisogno che tu mi difenda dalla verità, Natalia.» disse. «So di essere un assassino, e non sarò mai nient'altro che questo.»

«Tu non sei mai stato un assassino, James.» disse, avvicinandosi all'uomo e fermandosi a pochi centimetri da lui, senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso. Poteva sentire il suo fiato sulla fronte. «Assassino era il Soldato d'Inverno, non tu. Tu sei una brava persona. Migliore della maggior parte degli uomini.»

«Immaginavo lo avresti detto.» disse lui, con un sorriso pacato sul viso. «Sei sempre stata buona con me. Sempre e solo con me.» sospirò, guardando per un momento il soffitto. «La prima volta che si avvicinò Yelena, la guardasti come un cane guarda un intruso nel suo territorio.» sorrise di nuovo, stavolta tutto il viso era pacato e pieno di dolcezza. «Credo di aver riso.»

Natasha sembrò spiazzata. «Te lo ricordi?» chiese, piagando leggermente la testa di lato e aggrottando le sopracciglia.

L'uomo le sorrise, guardandola nei suoi occhi color smeraldo. «Come potrei dimenticarlo?» rise di nuovo. Non crede di averlo mai visto ridere così tante volte in così poco tempo. «Non si vede una faccia del genere tutti i giorni.»

Natasha arrossì lievemente, abbassando la testa. «Coglione.» lo sussurrò talmente piano che sembrava un sospiro, temeva che non l'avesse sentita. La prova del contrario fu la sua risata rumorosa, la più rumorosa che abbia mai fatto in tutti questi anni che i due si conoscevano. 

Non riuscì a resistere a quell'attimo di felicità dell'uomo, e sorrise, distaccando lo sguardo da lui al muro bianco. Continuò a sorridere quando i suoi occhi ricaddero sul viso dell'altro, scrutando ogni centimetro di esso e constatando che era lo stesso di cui si era innamorata tempo prima.

Quando lui smise di ridere, lei gli toccò i capelli, dal capo fino alle punte ribelli che ricadevano sulle spalle. Lui la lasciò fare, sorridendole per tutto il tempo. Natasha scostò lo sguardo da capelli di lui e osservò i suoi occhi verdi, sorridendo. «Meglio che te li tagli, questi capelli.» disse infine.

Lui ricambiò il suo sguardo, sorridendole a sua volta. «Lo farò,» sospirò lui in sconfitta, «ma dopo il processo di domani.» fece una piccola pausa, cercando le parole per quello che voleva dire dopo. «Moya lyubov.» sogghignò lui, dopo aver visto il suo sguardo. Era tra il dolce e la furia omicida di ucciderlo solo per aver detto quelle due parole.

Si ricompose quasi subito. «Non ti ho dato il permesso di chiamarmi così.» disse con semplicità lei, senza quasi muovere i denti. Sembrava una cosa forzata, che non voleva dire per forza. Nessuno dei due ci dette una grande importanza. James sapeva come si sentiva dopo anni passati a negare l'amore perché creduto inutile e una forma di debolezza rispetto alle missioni sotto copertura.

Le sorrise di nuovo, stavolta avvicinandosi lui a lei. Poteva sentire il profumo che si era data quella mattina, sembrava fragola: il suo frutto preferito. «Non mi avevi nemmeno dato il permesso di entrare nella tua stanza entrando per la finestra il giorno prima del tuo matrimonio, eppure» fece una piccola pausa, mettendole le mani ai fianchi e guardandole l'addome, «ti è piaciuta la mia visita.» le sorrise ancora, attirandola a sé con delicatezza, quasi come se fosse vetro. La donna non oppose resistenza.

Sorrise anche lei, accarezzando le mani dell'altro, senza mai scostare lo sguardo dal suo viso. «Penso di sì.» disse, mordendosi il labbro inferiore. Lui la guardò compiaciuto. «Sei sempre stato molto trasgressivo, dopotutto.» accentuò un piccolo ghigno, guardandolo più attentamente con i suoi occhi smeraldini.

Lui rispose con un altro ghigno. Ormai non c'era nessun tipo di spazio tra di loro, e l'uomo la guardava dritta negli occhi, senza nemmeno provare a staccarle gli occhi di dosso. «Senti da chi viene la predica.» disse, con dolcezza e sarcasmo contemporaneamente nella sua voce.

Lei sorrise, guardando in basso. Vide la sua mano e la giacca di pelle. Ormai non c'era altro che loro due, il pavimento sembrava scomparso. Non era sicura che le piacesse, quella situazione. Rialzò lo sguardo e lo guardò di nuovo. Sorrideva ancora. «Io mi taglio i capelli, perlomeno.» sospirò lei, sorridendo. 

Lui rise, divertito. «Vero.» ammise, spostando la mano destra per accarezzarle il viso. «Ma eri più bella con i capelli lunghi.» fece una piccola pausa. «E ricci.»

La donna aprì la bocca, come se si fosse offesa dall'affermazione dell'uomo. «Stai mettendo in discussione i miei gusti, Barnes?» chiese, con un sorrisetto stampato sulle labbra.

«In pratica.» disse, senza reagire alla sensazione delle mani della donna avvolte lungo il suo corpo. Agitò la mano destra, ancora appoggiata dolcemente sul collo della compagna, in aria, gesticolando un movimento circolare. «Ma questa è solo l'opinione di un povero novantanovenne che ha i capelli talmente lunghi che sembra una rock star venuta dagli anni novanta.» concluse lui.

Lei rise e abbassò la testa, per poi rialzarla e appoggiarla contro il petto dell'uomo. Sorrise soddisfatta, contenta di potersi fidare di lui, che poteva tenere sotto controllo il Soldato per un tempo abbastanza prolungato. Quei sei mesi a Wakanda hanno dato i loro frutti.

Sentì le sue braccia che salivano lungo la schiena e la abbracciavano. Sospirò. «Te li taglierò io, James.» assicurò lei, facendolo ridere. «Stasera magari. O domani, quando sarà tutto finito.» aggiunse. Sentiva già che voleva controbattere, ma lo anticipò. «E finirà. Matt è un ottimo avvocato.»

James chinò la testa, fino a quando la sua bocca toccò i capelli di lei e li baciò affettuosamente. «Mi fido di te, Natalia.» disse con un sussurro. «Sempre.»

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Capitolo 12
*** Il processo ***


Tony e James arrivarono davanti alla sede del tribunale su una delle macchine del miliardario, ma non scesero subito. Lui aveva un paio dei suoi singolari occhiali da sole e guardava in alto, verso il cielo. «Sai, è una bella giornata, per essere l'apocalisse degli Avengers.» disse sarcastico, sorridendo.  

James lo guardò annoiato. «No Stark,» sospirò, «è la mia apocalisse.» concluse il soldato prima di aprire la portiera. Dette un'ultimo sguardo all'uomo. «Di nessun altro.» borbottò. Scese dalla macchina, coprendosi la fronte con la mano umana per il sole accecante.

Tony sbuffò, prese le chiavi e scese dalla macchina. «Comunque un'apocalisse rimane, che la veda tua o nostra.» disse, per poi guardarlo meglio. «E bel taglio di capelli, complimenti.» gesticolò verso il viso del soldato. «Sei molto più presentabile così.»

James fece passare la mano metallica tra i capelli corti e mossi. «Grazie,» disse infine, cercando di sorridere, «anche se non è merito mio.» sorrise, ripensando a Natalia e quanto si erano divertiti entrambi la notte prima, mentre lei gli stava tagliando i capelli.

Tony lo guardò sospettoso, alzando un sopracciglio. «Dì la verità, ci ha pensato la Romanoff?» chiese lui. Sapeva che erano già entrati in contatto in passato, ma non pensava che fossero così tanto legati l'uno all'altra. 

Bucky sorrise, annuendo. «Sì, Natalia.» disse, guardando poi l'uomo con lui. «La scorsa notte.»

«Natalia?» chiese il miliardario, sgranando gli occhi e spalancando la bocca. Non si chiamava Natasha? pensò lui. Magari è il suo nome russo. Smise di pensare a quello e guardò l'edificio di fronte a loro. «Mi dirai che cos'è successo prima o poi, Barnes.» disse, attirando l'attenzione del soldato. «E come diavolo fate a conoscervi.» aggiunse prima di ridacchiare tra sé e sé.

Bucky si ricompose e guardò nella sua stessa direzione serio. «Non adesso. Ora ho davanti ore di torture indirette per farmi scagionare. E nemmeno so se riuscirò a superarle o se quel tuo amico avvocato riesca a difendermi come si deve.» disse, facendo in modo che Tony lo guardasse sorpreso. Il soldato ricambiò lo sguardo. «Che bella giornata, davvero.» concluse aspro, incamminandosi verso le scale dell'edificio. 

Tony lo seguì, consapevole già di come sarebbe andata a finire: quel pazzo punterà una pistola alla testa del giudice e addio Bucky.

...

«Silenzio in aula!» tuonò il giudice dopo il rumore sollevato da Ross e i suoi sostenitori del fatto che James Barnes doveva andare in prigione senza processo. Matt non se la stava cavando male, e Bucky non aveva parlato se non interpellato. Erano lì dentro da due ore e mezza ormai. Mancava un solo testimone, un'ultima possibilità di scagionare il Soldato d'Inverno.

«Vostro Onore, posso chiamare sul banco dei testimoni il signor Nivokov?» chiese Matt, alzandosi in piedi all'improvviso. Il battito cardiaco di Bucky aumentò, il che significava che era riuscito a prendere un buon testimone, qualcuno che effettivamente c'entrava con lui. 

Due guardie in divisa condussero un uomo dai capelli corti e mori, ammanettato, al banco dei testimoni. Una volta lì, si sedette e si calmò, per poi notare Bucky. «Barnes? Великий и умелого солдата зима сидя за столом для процесса! Теперь, да, я видел это все!» disse stupefatto.

Il giudice lo rimproverò. «Signore, la prego di parlare in inglese!» disse con voce acuta, in modo che tutti quelli presenti potessero sentirla.

Il russo sorrise, senza distogliere lo sguardo dal soldato. «Sa cos'ho detto.» disse con arroganza, riferendosi a James. Aveva un accento russo molto marcato. «Voi non siete tenuti a farlo.» disse, girandosi verso il giudice. Si girò poi verso Matt, serio. «Cosa vuoi che faccia, americano?» chiese all'avvocato, con tono accusatorio. L'ultima parola era piena di odio, e il suo battito aumentò quando la pronunciò. Non aveva buoni ricordi legati ad essa, si vede.

«Lei è stato addestrato dal signor Barnes, non è così?» chiese Matt, alzando lo sguardo. Sapeva che era vero, si era documentato grazie ad alcuni superstiti della mafia russa e un paio di pugni in strada durante quelle notti.

Nivokov sorrise debolmente. «Quando ancora aveva un cervello, sì.» annuì, sfregandosi le mani. Guardò poi alla sua destra, verso il pavimento. «Quando ancora era fedele a Madre Russia...» borbottò, cercando di non farsi sentire. Matt aveva percepito quello che aveva detto, ma non disse nulla.

«E ci può raccontare come si comportava con lei?» chiese ancora, allontanandosi lentamente da lui. Non aveva paura di lui, voleva capire come gli rispondeva se si tirava indietro di un paio di passi.

Lui sbuffò, annoiato. «Eseguiva ordini. Come tutti noi.» rispose l'interpellato. Si sporse leggermente, facendo un sorriso odioso e aspro, mostrando i denti seghettati da chissà quali torture. «Ma voi americani non sapete cosa siano cause del genere.»

«Я американец, компаньон Nivokov.» disse James, guardando in basso. Era rivolto al testimone che Matt stava interrogando quasi per certo.

Il giudice lo sentì. «Signor Barnes, vuole comunicarci qualcosa?» chiese spazientito, con gli occhi insistenti.

Bucky alzò lo sguardo verso Nivokov, serio. «Sono americano.» disse, digrignando i denti. «Non russo.» aggiunse, guardando un punto indefinito della folla davanti a lui.

Matt fece finta di nulla, sospirando e continuando a fare domande. «E come gli venivano riferiti tali ordini? Da superiori?» chiese, sicuro di essere arrivato dove voleva. Se dimostrava che non era stato lui a compiere gli assassinii, magari sarebbe riuscito a vincere il processo.

Nivokov emise un suono di scherno e sorrise maliziosamente. «Oh, no. Da un solo superiore.» disse. «Nessuno sapeva chi fosse o come si chiamasse, ma era il capo, l'ideatore, di tutto quello che stavamo vivendo. Era lui che aveva trovato tutti, che aveva ideato il lavaggio del cervello, che aveva trapiantato il braccio a Barnes e che aveva fatto in modo che nessuno sapesse nulla. Noi eravamo inesistenti, fantasmi. Per le persone che una volta ci conoscevano, morti.»

«Quindi sta dicendo che questo capo imprecisato è il vero responsabile degli omicidi compiuti dal signor Barnes?» chiese ancora l'avvocato, assottigliando lo sguardo. La squadra dell'accusa si era incuriosita, forse perché non si aspettavano un risvolto di quel tipo. Oppure avevano solo paura di perdere.

«No, lui era solo uno scienziato.» rispose lui, scuotendo la testa. «Sarà stato anche un uomo in gamba, ma odiava dover usare altre persone per compiere le sue azioni. Quello che dava gli ordini, era una persona di guerra. Di questo personaggio si sa il nome.» fece una pausa, indicando con il dito Steve. «E forse il signor Rogers, là dietro, se lo ricorda.»

Lui sgranò gli occhi, incredulo. «Non può essere lui...» sospirò, guardandosi le mani.

Nivokov aggrottò le sopracciglia, per poi scoppiare a ridere. «Oh, non è Johann Schmidt.» disse divertito. «Una cosa simile, ma non è lui.» concluse, appoggiandosi violentemente sullo chiamale della sedia e incrociando le braccia. 

Matt era pronto ad andare avanti con il processo, era arrivato al punto, quando una voce bassa e possente rimbombò nella stanza. «Dica il nome.» disse. Si rese conto che era Ross. Alzatosi in piedi, lo stava guardando con sguardo omicida, quasi peggio di Fisk.

Il russo guardò il generale sorridente e con gli occhi spalancati. «Non so il nome completo.» si discolpò, alzando le mani al cielo. «Solo questo belloccio qui lo sa.» disse, indicando con il pollice James. Lo guardò poi con fare arrogante. «Forza, Barnes. So che ti ricordi.» insistette lui. Le parole successive le pronunciò come se fossero un sospiro leggero, come se nessuno dovesse sentirle. «Diglielo, forza.»

Bucky rivolse lo sguardo al soffitto, chiudendo gli occhi. Sbuffò. «Una donna.» disse, guardando il generale che gli aveva causato tanti problemi. «Si chiamava Ophelia Sarkissian, ma Noi la chiamavamo Madame HYDRA. Era l'allieva di Johann Schmidt.» concluse con calma. «Credo sia ancora viva.» aggiunse infine.

«Dove?!» sbottò il generale, sbattendo violentemente le mani sulla panca, alla sua destra.

«Non lo so.» rispose lui, senza mai accennare a un sorriso. Sembrava una macchina. «Ho perso le sue tracce nel 1979. Mai più sentita nominare.» concluse, scacciando i ricordi dei primi tempi all'HYDRA, quando doveva fare rapporto. Era uguale a quel momento.

«Forse è morta.» ipotizzò Tony, in difesa di James. Bucky lo guardò, quasi sorpreso. Il miliardario sperava davvero che non si mettesse nei guai con quell'animata conversazione.

«No, non lo è.» disse il soldato, ritornando serio. «Lo dico per esperienza personale.»

«Collabora, Barnes!» gridò il generale, tutto rosso in faccia dalla rabbia.

A quel punto, James iniziò a gridare e a gesticolare con le braccia. «Secondo lei non è quello che sto facendo?! Sono stato qui per due ore e mezza a rispondere alle vostre domande, a tenere sotto controllo il Soldato e nessuno si è fatto male. Ho avuto quattro attacchi di panico durante i quali potevo perdere il controllo sul mio corpo, ma non ho fatto nulla! Non ho mai parlato se non mi interpellavate. Sono venuto qui con Stark, come avevate scritto sul telegramma che mi avevate mandato. E vi sto dicendo tutto quello che riesco a ricordare su qualsiasi cosa mi chiediate. Sto collaborando con voi da due ore e mezza, Generale. Invece lei ha cominciato un putiferio perché ho detto di aver ucciso dozzine di persone contro la mia volontà.» disse, puntandogli un dito contro. «Credo che quello non collaborativo sia lei.»

«Va bene, basta!» li interruppe il giudice. «Il consiglio si riunisce.»

«Cazzo.» sospirò Tony, mettendosi una mano sul viso. «Andrà in prigione con quello che ha detto a Ross.»

«Se lo meritava.» lo difese Steve, guardando arrabbiato sia Nivokov mentre veniva portato via dalle guardie, sia il generale. 

Matt li raggiunse, sedendosi davanti a loro. «Non credo che allo Stato importi più di tanto se se lo meriti o meno.» disse, senza mai voltarsi. «Loro non vedono Barnes come un eroe di guerra, ma come un assassino.» continuò. «Lo stanno confondendo con quello che ha creato l'HYDRA.»

Tony sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. «Grande, Murdock. Sei stato fantastico.» gli sussurrò vicino all'orecchio. Da quella distanza, Matt poteva sentire il suo battito più chiaramente: ogni battito, che prima sentiva molto distaccato l'uno dall'altro, ora era intervallato da un battito di minore intensità, dovuto forse a quell'operazione a cui si sottopose per togliersi il Reattore Arc dal petto.

«Aspetta prima di ringraziarmi.» rispose l'avvocato, stringendo le mani nel suo bastone bianco. Pochi minuti dopo, il giudice e la giuria tornarono ai loro posti. «Vediamo cos'hanno deciso di fare.» sussurrò prima di alzarsi in piedi.

«La Corte giudica l'imputato James Buchanan Barnes, dopo tutti i suoi crimini contro il mondo...» cominciò il giudice, facendo presagire tutti di una condanna negativa. 

«Siamo fottuti.» sussurrò Tony, sospirando. Guardò Steve, che teneva le mani strette in due pugni, la pelle era sempre più rossa.

«Colpevole.» concluse il giudice, facendo distogliere lo sguardo di tutti dal compagno. Bucky lo sapeva, e si stava già preparando per venir preso e portato dritto in prigione, se l'era meritato.

Tony sospirò ancora. «Ecco, lo sapevo. Addio sanità mentale di Steve.» sussurrò a Natasha, di fianco a lui, che lo ignorò e si alzò in piedi all'improvviso.

«Non è colpa sua!» gridò lei, arrabbiata come non mai. James la guardò negli occhi verdi e vide, per la prima volta dopo tanto tempo, quella rabbia e calma che si celavano dentro di lei. Aveva perso il controllo intenzionalmente.

«Signorina Romanoff, la prego di sedersi, non ho finito di parlare.» richiese il giudice. Natasha si sedette, anche se a malavoglia. «Grazie.» ringraziò, per poi scostare lo sguardo verso il centro della folla. «Nonostante ciò, visto che non era nelle sue facoltà mentali ottimali e ha contribuito a salvare il mondo, non scagionerà la condanna di cinque anni in prigione, bensì in custodia di Anthony Stark all'Avengers Mansion.» affermò. «La corte si scioglie.»

Steve esalò un sospiro di sollievo e Bucky raggiunse gli eroi, abbracciando prima il suo migliore amico, poi Natasha. Tony alzò le mani al cielo, felicissimo. Sam, invece, corse verso Bucky, abbracciandolo e quasi facendolo cadere. Per la prima volta dopo settant'anni, James si sentiva parte di qualcosa, e gli piaceva.

Uscirono dal tribunale discutendo tra di loro, e vennero accolti dal resto della squadra che non era potuta entrare. Raccontarono com'era andata e tutti si rasserenarono. 

Matt era molto più sollevato: un processo era andato, ne mancavano quattro. «Grande Murdock! Ufficialmente!» gridò Tony. Gli cinse un braccio sulle spalle, facendolo sorridere. «Pronto per dopodomani con Lang?» chiese, con un sorriso provocatorio. «Lui dovrebbe essere più facile, c'è già stato in prigione.»

«Zitto Stark.» lo zittì Scott, quasi offeso dalle parole del miliardario.

Lui si mise gli occhiali da sole, guardandolo ancora. «Che c'è? Non è la verità?» chiese incuriosito.

«Sì, ma-» iniziò l'altro, per poi venire interrotto da Tony.

«Ma basta parlare di te?» chiese, senza aspettarsi una risposta. «Sono d'accordo!» gridò. Si girò verso Barnes, sorridendogli. «Complimenti Barnes!» esclamò. «Dovremo stare insieme per i prossimi cinque anni!»

«Non vedo l'ora.» rispose lui distrattamente. Stava guardando Natasha, al telefono con qualcuno che non conosceva. Tony non se ne accorse.

Gli rivolse un sorrisetto malizioso. «Di stare con me?» chiese.

Scostò lo sguardo sul miliardario. «No, che finiscano i cinque anni.» disse, per poi guardare il cielo scocciato.

«Cattivo!» gridò lui dandogli un leggero pugno sul braccio destro del soldato.

«Taci, va', che è meglio.» lo zittì Steve, prendendo le difese dell'amico.

Tony lo guardò offeso. «Ma chi, io? Andiamo è-» venne interrotto dal suono di diversi spari e scostò gli occhi sull'addome di Steve, macchiato di rosso.

Sharon corse verso di lui, cercando di tenerlo in piedi. «Steve! No, no, no, NO!» gridò la donna, cominciando a piangere. Cercò di coprire la ferita con le mani, ma nulla da fare, il sangue non si fermava.

Tutti i presenti si accalcarono intorno al capitano. «Lasciatelo respirare, siamo in troppi!» gridò Sam, facendo gesto di indietreggiare. Gli amici obbedirono. «Wanda, portaci in un ospedale!» chiese alla strega.

«Chi sono, Mago Merlino?» rispose lei, gesticolando in completo panico. «Non so come teleportare le persone!»

«Ci penso io.» disse Tony in armatura. Tutti lo guardarono sorpresi e confusi, ma non ci fece caso. «Lo porto nel mio laboratorio, ci vediamo là.» affermò, prendendo in braccio il capitano dalle braccia di Sharon, che stava piangendo. Sam cercò di portarla via, probabilmente per distrarla.

«Prenditi cura di lui.» disse la bionda al miliardario, tra una lacrima e l'altra.

Tony annuì. «Non preoccuparti, Carter.» la rassicurò lui. Si rivolse poi a Bucky e Natasha. «Barnes, Romanoff, potete prendere la mia macchina.» disse, per poi andarsene.

I due entrarono in macchina, con Natasha alla guida. Resisti, Steve. pensò James, mordendosi un labbro. Ti salveremo a qualsiasi costo, amico mio.

AN: Steve sarà morto? Boh manco io lo so... Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Sarò con te... fino alla fine ***


AN: Nella prima parte della storia sono presenti piccole descrizioni di sangue e alcuni apparati interni, quindi se siete sensibili a queste cose, andate nel paragrafo sotto i tre puntini di sospensione!


Steve non stava bene, e Tony lo sapeva. Sapeva anche che la vita del soldato era appesa a un filo, e toccava a lui toglierlo da quella situazione. Sentiva che il respiro faticava, che la paura stava prendendo il sopravvento, e lui non poteva farci nulla. 

Dannazione, Steve! Resisti, vecchio che non sei altro! Pensò il miliardario, accelerando per arrivare prima alla Torre. Era lì il laboratorio, alla Mansion non aveva pensato di mettercelo. 

Arrivò e in tutta fretta ordinò a FRIDAY di togliergli di dosso l'armatura, mentre lui si preparava a togliere i proiettili dallo stomaco del capitano. Lo guardò per un secondo: la pelle era più bianca che mai, gli occhi azzurri e lucidi risplendevano nella penombra del laboratorio, e il corpo non riusciva a stare fermo.

Messi i guanti, Tony poggiò una mano sul petto dell'amico, guardandolo senza un'espressione precisa per evitare di esplodere. Si ricordava della visione che Wanda gli fece vedere tempo fa con i suoi poteri: Steve era morto di fronte a lui e per colpa sua. Si riprese e scosse la testa, per poi prendere le pinzette e i punti per cercare di salvare il suo compagno di squadra. 

Estrasse il primo proiettile, ma nel mentre ne vide altri quattro, intorno allo stesso punto. Chiunque avesse sparato, lo voleva uccidere per benino, non c'era che dire. Steve sussultò, senza però emettere nessun tipo di suono. «Scusa.» si scusò Tony stringendo i denti, cercando gli altri proiettili tra la carne interna del compagno.

Estrasse il secondo, e stavolta Steve emise un piccolo lamento, muovendo la gamba sinistra. «Credo di averti sfilato un pezzo di intestino...» disse Tony, guardando all'interno del corpo di Steve. L'amico lo guardò male. «Ma solo un filetto.» si giustificò lui, facendo cenno con le dita di una piccola quantità. Steve lasciò perdere e guardò verso il soffitto, chiuse gli occhi e cercò di ignorare il dolore.

Sentì Tony estrarre il terzo proiettile. Sentiva il sangue scorrere sulla sua pelle, fresco e caldo allo stesso tempo. Voleva calciare e urlare, ma tutto quello che poté fare fu stringere i denti e strizzare gli occhi già sbarrati, respirando velocemente e cercando di calmare la sua mente.

Estratto il quarto proiettile, tutta la ferita sembrò bruciare come magma. Steve strinse i denti e urlò più che poté, doveva sfogarsi e urlare, il dolore era troppo forte. Tony prese un pezzo di plastica e glielo mise in messo ai denti, in modo che l'altro potesse urlare e sfogarsi senza romperseli. Non gli piaceva sentire le sue urla, ma aveva quasi finito, gli mancava un solo proiettile.

Estrasse l'ultimo, e il sangue cominciò a sgorgare come un fiume in piena. Steve non aiutava: si muoveva in continuazione e urlava senza fermarsi un secondo. Tony dovette obbligarlo a calmarsi e il biondo lo prese per il braccio, con gli occhi ancora lucidi e la pelle ancora più bianca. «Tony ascoltami... devi promettermi che glielo darai... gli darai la mia eredità... che io viva oppure...» disse Steve tra un gemito e l'altro. Tony scosse violentemente la testa, sentendo le prime lacrime sul volto. Voleva dirgli qualcosa, rassicurarlo che sarebbe andato tutto per il meglio, ma non uscì una parola dalla sua bocca. «Tony, promettimelo... ti prego...» continuò lui, speranzoso.

Tony scosse la testa, ma poi guardò il soldato in viso. Non l'aveva mai visto così impaurito e preoccupato. Alla fine annuì, facendo finalmente rilassare il capitano sul lettino, senza scostare la mano che aveva messo sulla ferita. «Grazie...» sussurrò, prima di chiudere pacificamente gli occhi. 

Il terrore assalì Tony, che in fretta e furia ordinò a FRIDAY di riparare la ferita del capitano più veloce che poteva. Lui andò a preparare una flebo per controllare lo stato dell'amico. Quando tornò, un minuto più tardi, la ferita era quasi completamente rattoppata e ne fu sollevato. Senza aspettare, infilò lo strumento che aveva in mano nella vena più vicina che trovava sul braccio destro, e controllò i parametri vitali: era ancora vivo, anche se con pressione sanguigna molto bassa. Tony cadde sulle ginocchia, giungendo le mani e ponendole sulla fronte, contentissimo. Era riuscito a salvare il suo migliore amico.

...

Tutti gli Avengers stavano aspettando fuori dalla porta che Tony desse notizie sullo stato vitale di Steve. Sharon sembrava messa emozionalmente molto male: aveva la faccia rossa, gli occhi lucidi e sudava in un modo quasi inquietante. Sam era l'unico che le parlava, ma riusciva sempre a calmarla.

Bucky non stava fermo un secondo, camminava avanti e indietro, senza mai scostare lo sguardo dal pavimento. Natasha cercava di non guardarlo. Urlerebbe altrimenti. 

A un certo punto, la porta si spalancò e ne uscì Tony, le mani ricoperte di sangue e il viso chino verso il basso. Tutti lo guardarono, quasi assalendolo con lo sguardo. Il miliardario alzò lo sguardo, sorridendo. «Steve è vivo.» annunciò. Sharon corse ad abbracciarlo e lui ricambiò, felice. 

Una volta che la donna tornò al suo posto, il miliardario rivolse il suo sguardo a Bucky. «Vieni con me.» disse quando fu più vicino a lui. Lui guardò Natasha un'ultima volta e si voltò verso l'uomo. «Ti devo parlare, Barnes, e non puoi rifiutarti.» insistette lui, vedendo che non voleva muoversi da dov'era. Lui sospirò, per poi guardarlo. «Riguarda Steve.» aggiunse, catturando l'attenzione del soldato.

«Andiamo da un'altra parte.» suggerì Barnes, trascinando Stark nella sala dove, anni prima, aveva combattuto un Dio Nordico. Si fermarono di fronte al bancone sul retro della stanza, Tony dietro di esso e Bucky di fronte a lui. «Di cosa si tratta? Che ha fatto Steve stavolta?» chiese preoccupato e scocciato allo stesso tempo.

Tony fece un grosso respiro e rispose alla domanda del moro. «Vuole che tu lo sostituisca. Che tu diventi Capitan America.» disse poggiando le mani sul bancone. L'altro lo guardò stupefatto. «O perlomeno, così ho capito io.» si corresse lui, alzando le sopracciglia e roteando gli occhi.

Bucky fu colto di sorpresa. «Che diavolo significa?» chiese lui, cercando di non urlare. «Lui è Capitan America, non io!» esclamò puntando l'indice della mano sinistra verso il laboratorio dell'altro. «Io sono solo un assassino.»

«Okay, primo, non è vero e lo sai.» lo fermò lui, serio. L'altro voleva parlare, ma Tony lo precedette. «Non contestare, se lo dico io è così.» disse, zittendo l'altro. «E secondo, è Steve. Non sai mai che cosa gli frulla per la testa. Magari vuole andare in pensione o si è stancato di fare il supereroe. Oppure vuole renderti famoso.»

«No, non è da Steve.» disse Bucky, scuotendo la testa. «Combattere è forse l'unica cosa che riesce a fare, non può voler cambiare lavoro.» lo fece ragionare lui. «E sa che non mi interessa la fama.» aggiunse. Cominciò poi a mormorare tra sé e sé. «Cosa stai pianificando, Steve?»

Tony sbuffò, aprendo gli occhi più di prima. «Può volere che ti interessi a qualcosa di più grande?» Chiese tutto d'un fiato. Sembrava scocciato.

«Ma non voglio.» disse Bucky, alzando le sopracciglia. «E non lascerebbe lo scudo così facilmente, è una ragione da poco.» aggiunse, continuando a pensare.

Tony schioccò le dita. «E se volesse far credere al mondo che non è più lui che protegge i deboli? Se dopo la Guerra avesse scoperto che la gente non si fida più di Steve Rogers?» ipotizzò. L'altro lo guardava interessato. «Trovare un sostituto può essere utile in questi casi.»

Bucky non sembrava per niente convinto. «E sarei io la scelta più adatta?» chiese lui, stupito. Tony annuì. «Sicuro che non si riferisse a Wilson?» chiese ancora, ricevendo la stessa risposta di poco prima.

Scosse la testa. «Non parla a Wilson con un tono del genere, non capisci.» disse, guardandolo negli occhi. «Mi stava supplicando, Barnes. Non l'avevo mai visto così...» si interruppe per cercare la parola giusta, «debole.»

Bucky era molto più interessato di prima. «E cosa avrebbe detto di preciso?» Chiese, incrociando le braccia sull'addome.

«Ha detto,» rispose Tony, «e cito testualmente,» fece cenno di virgolette nell'aria con l'indice e il medio di entrambe le mani, «"dagli l'eredità, che io viva o meno".»

Il soldato sembrava confuso, e non poco. «Non sei nemmeno sicuro che sia io Stark, come fai a dire che voglia me come successore?» Chiese, esausto. Non ne poteva più di tutti questi segreti e indovinelli, voleva una frase fatta, chiara e concisa.

«Ha iniziato una guerra per te, Barnes.» disse il miliardario, accennando a un sorriso. «Ha combattuto il governo per fare in modo che ti dessero un'altra possibilità.» aggiunse, puntandogli un dito contro. «Tu sei il successore di Steve.»


AN: Sto cominciando a shippare Bucky e Tony... è normale? Alla prossima con Bucky che parla a Steve di sta cosa strana!

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Capitolo 14
*** La Verità ***


Steve era migliorato durante la notte, Bucky poteva vederlo bene. Era rimasto con lui da quando tutti se n'erano andati, e lui è stato l'unico a vegliare su di lui, proprio come ai vecchi tempi. Se li ricorda bene, quei momenti. Steve si addormentava e lui rimaneva tutta la notte a casa sua per paura che avesse un attacco d'asma o si ammalasse.

Si trovava sullo sgabello di fianco al letto quando entrò Natasha, senza far rumore. Lui però, la sentì entrare. «Nat.» la salutò, senza scollare lo sguardo dal corpo dell'amico biondo e salutandola con la mano. «Cosa ci fai qui a quest'ora?» le chiese, voltando lentamente lo sguardo verso di lei.

Lei sospirò. «Sono le sette di mattina, James.» rispose lei, sorridendo. «Di solito mi sveglio alle sei, dovresti saperlo.» gli ricordò lei, spostando lo sguardo verso Steve. «Come sta?» chiese, avvicinandosi a James e appoggiandogli le mani sulle spalle.

Lui guardò malinconico l'amico. «Meglio di ieri,» rispose, corrucciando la fronte, «ma ancora non vuole svegliarsi.» aggiunse, alzando il capo per vedere il viso della donna. In quei momenti gli serviva lei vicino, altrimenti dubita ce l'avrebbe fatta.

«Tu come stai?» chiese lei, guardandolo dolcemente con i suoi occhi color pistacchio. I capelli rossi e mossi riflettevano una luce misteriosa, che non sapeva dire da dove potesse venire, e sorrise a quella vista.

Si ricordò poi di quello che gli chiese. «Come?» chiese lui, confuso. Non vedeva perché dovrebbe stare male, non era in coma lui.

Natasha rise divertita. «Credi che non sappia quando soffri e quando no?» chiese lei, guardandolo con fare accusatorio. «Siete migliori amici, dopotutto.» aggiunse, guardando anche Steve.

Bucky rivolse lo sguardo ai capelli biondi dell'amico. «Io...» iniziò lui, tentennante, «non credo di stare meglio di lui.» concluse, guardando Natasha preoccupato.

«Esagerato.» rispose lei, alzando gli occhi al cielo. James si alzò dalla sedia velocemente, turbato da quello che doveva dire a Natasha. La guardò quasi ansimante e tutto sudato in volto, con gli occhi che dal solito grigio si erano tramutati in cristallini.

Si mise una mano sul volto. «Perché non sai cos'ha detto a Stark poco prima di addormentarsi.» disse lui, passando la mano su tutto il viso per asciugarsi il sudore sulla fronte e ai lati della faccia. Quando si guardò la mano, sembrava che l'avesse immersa nell'acqua.

Natasha alzò un sopracciglio. Sapeva che c'era qualcosa di strano dietro quello che voleva dire il soldato. «Ah, sì?» chiese lei, sorridendo. Cercava di fargli coraggio, in modo che le dicesse la verità. Gliel'aveva insegnata lui quella mossa. «Che ha detto?» domandò, poggiando le mani sul tavolino dietro di lei e guardando l'uomo dritto negli occhi.

James scostò lo sguardo verso il pavimento. «Voleva che io fossi il suo successore.» rispose lui, sottovoce e in un mormorio quasi incomprensibile.

Natasha piegò la testa di lato. «Non è una buona cosa?» chiese la donna. «Significa che si fida ciecamente di te, come ai vecchi tempi.»

Bucky scosse la testa. «No, non è da Steve.» rispose, scostando i ciuffi mori ribelli dal viso. Anche se Natasha glieli aveva tagliati, non erano corti come quelli di Steve. Ormai, non poteva più essere il Sergente Barnes. Aveva scelto di essere una via di mezzo tra lui e il Soldato. «Anche se lui è il mio migliore amico, e darei la mia vita per la sua, non avrebbe senso darmi il mantello di Capitan America.» continuò, alzando lo sguardo e guardando gli occhi pistacchio della donna.

«Sarebbe un buon modo per dimostrare a tutto il mondo che sei cambiato.» disse lei dolcemente. Non era mai stata così con nessuno, solo con lui, e solo in quel momento. Era come se Steve voleva che accadesse e si era fatto sparare apposta. Forse era una cosa malvagia, ma Natasha sorrise a quel pensiero.

James non la notò. «Non mi interessa,» disse lui, distogliendo la donna dai suoi pensieri, «e lui lo sa benissimo.» concluse, guardando l'amico disteso sul lettino con tristezza.

Il sorriso della donna sparì. «Magari è per te.» suggerì lei, sollevandosi dal tavolino e incrociando  le braccia sull'addome.

L'uomo la guardò confuso, con un sopracciglio alzato. «Che vuol dire "è per me"?» chiese lui, poggiando le mani sui fianchi.

La rossa gli si avvicinò. «Che vuole farti ricredere sul tuo conto.» disse, continuando a guardarlo negli occhi, anch'essi fissi su di lei. «Tu credi ancora di essere il mostro che ha ucciso dozzine di persone a sangue freddo,» sospirò e fece una pausa, «quando quello era il Soldato.» concluse, continuando ad avvicinarsi. In pochi secondi furono l'uno di fronte all'altra, a pochi centimetri di distanza. «Assumere l'identità di Capitan America e salvare vite potrebbe aiutarti.» aggiunse, alzando lo sguardo verso di lui.

Il moro evitò prontamente lo sguardo di Natasha. «Forse.» sussurrò. «Ma sarò sempre la persona che ha ucciso brave persone.» disse, guardando ancora la donna. «Il lupo cattivo, il mostro sotto il letto, la bestia senza pietà.»

Natasha scosse la testa. «Non è vero.» disse. «James, non è vero.» ripeté, con tono preoccupato e triste. James scostò nuovamente lo sguardo, osservando il pavimento «Guardami.» ordinò lei, facendo in modo che lui la guardasse. «Non è colpa tua. Non sapevi quello che facevi, non eri capace di intendere e di volere.» lo rassicurò. Lui non si mosse. «Io lo so, ci sono passata anch'io.» aggiunse lei, facendo scontrare dolcemente le loro fronti.

Lui la lasciò fare. «Grazie, Nat, ma non lo sono.» ringraziò la donna, sorridendo. «Lo so bene.» aggiunse, accarezzandole una guancia.

Lei assunse un'espressione preoccupata. «Sei un brav'uomo, James.» disse, accarezzandogli la mano che era posizionata sulla sua guancia. Ancora non sapeva se innamorarsi di lui sarebbe stata una cosa positiva, ma voleva provarci.

«Non davvero, no.» rispose lui, cingendo la sua mano in quella della donna e continuando a guardarla. «Ma tu sei l'unica che lo capisce.» le prese l'altra mano e avvicinò il suo viso a quello della russa fino a quando sentì il suo respiro sul viso.

Lei lo guardò seria. «Non ti lascerò andare via adesso.» disse, facendolo sorridere. «Non come quel giorno.» aggiunse, scostando lo sguardo sulle labbra del moro. Decise che doveva agire in quel momento, così si poggiò le sue labbra su quelle del soldato. Poco dopo si staccarono e guardò James.

Lui sorrise. «Non me ne andrò, Natalia.» disse, guardandola negli occhi. Le baciò poi una guancia. «Te lo posso assicurare.» concluse, guadagnandosi un sorriso dalla donna.

«Sapevo che c'era qualcosa tra voi...» disse una voce dal retro della stanza, facendo voltare i due eroi, «buffo che non me ne sia mai accorto...»

Bucky spalancò gli occhi. «Steve!» gridò, correndo verso il lettino dell'uomo. «Steve, come stai?» chiese, inginocchiandosi per guardarlo negli occhi.

Il biondo lo guardò e sospirò. «Sto bene, Buck.» rispose, guardando la donna e il migliore amico. «Meglio adesso che so che cosa stavate nascondendo tu e Natasha.» aggiunse, accennando a una risata.

Natasha si avvicinò ai due uomini. «Steve, lascia perdere noi due.» disse, usando quel tono autoritario che tutti conoscevano molto bene. «Che vuol dire che vuoi James come successore?» chiese, volenterosa, di aiutare l'amico.

Steve sorrise. «Esattamente quello che ho detto.» rispose lui. «L'America non crede più in me, hanno bisogno di un nuovo Capitano che li guidi.» spostò il suo sguardo sul moro. «E tu, Buck, sei la scelta più appropriata.» disse, cercando di muoversi.

Bucky lo immobilizzò nuovamente. «Steve, che stai dicendo?» chiese lui, confuso.

«Buck, sei l'incarnazione di quello che l'America ha bisogno.» riprese lui, guardandolo con i suoi occhi blu. «Sei una brava persona, non hai problemi a fare scelte difficili, sei addestrato, forte d'animo e sono sicuro che saprai come gestire lo scudo.» continuò. «Il Paese è al sicuro nelle tue mani.» concluse lui, sorridendo.

James scosse la testa. «Steve, non credo.» gli rispose, sicuro. «Io-» venne interrotto dall'amico biondo.

«Tu sei perfetto.» disse, autoritario. «Io sono Capitan America e io scelgo il mio successore. Tu sarai quel successore.» ordinò. Non credeva di aver mai sentito Steve dare ordini. «Se vuoi aggiungi un po' di nero alla divisa, so quanto ti piace quel colore.» scherzò per un momento lui. «Ma, per favore, Buck, diventa Capitan America.» lo implorò lui, con gli occhi lucidi.

Il moro guardò il pavimento e sospirò. «Va bene.» disse, per poi alzare il capo. «Lo farò.» si convinse, facendo comparire un sorriso sul volto di Steve. «Ma solo perché hai quegli occhi da cucciolo abbandonato.» scherzò, sorridendo.

«Grazie, Buck.» disse il biondo, mentre i due se ne stavano per andare. «Mentre andate fuori, mi chiamate Tony e Shar?» chiese lui con gentilezza. «Saranno preoccupati a morte.»

«Certo, Soldato Rogers.» rispose James, voltandosi e guardandolo con un sorrisetto.

Steve scoppiò a ridere. «Sei già gasato, eh?» chiese, guardandolo contento. Intanto tentava di mettersi a sedere senza che tutti i fili attaccati al suo corpo si staccassero.

Bucky fece un sorrisetto divertito. «L'hai voluto tu.» gli rispose lui, aprendo la porta e lasciando passare Natasha.

«Non potrei essere più felice di così.» sorrise Steve. «Capitano Barnes.» disse, rispondendo alla provocazione del compagno. Bucky sorrise sotto i baffi e chiuse la porta alle sue spalle.

Fare Capitan America, eh? pensò lui, procedendo verso la stanza di Tony. Guarda un po' dove sei arrivato, James. Forse il siero di Zola ha i suoi lati positivi...

AN: E sono arrivata dove volevo arrivare! BuckyCap! Tra pochi giorni (o ore, dipende) pubblicherò anche l'altro capitolo...

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Capitolo 15
*** Capitano Barnes ***


«Che ne pensi?» chiese James a Natasha una volta uscito con la divisa di Capitan America addosso. Aveva un paio di pantaloni da guerra e di stivali neri, le maniche della divisa in parte nere e in parte blu scuro, e il resto con i colori della bandiera americana.

Natasha lo squadrò da capo a piedi molto attentamente. «Penso che ti stia molto meglio di quella di Steve.» disse infine, sorridendo e incrociando le braccia.

La porta sbatté, ed entrambi si voltarono verso la causa del rumore. «E io che sia un grandissimo sarto.» disse Tony entrando nella stanza. Maneggiava una sottile schedina blu della grandezza di un cellulare che stava esaminando con lo sguardo. 

James lo ignorò e sbuffò. «Era troppo colorata.» rispose alla rossa, guardandosi braccia e gambe con curiosità. «E tu Stark, ti vanti troppo.» aggiunse, senza guardare il miliardario.

Lui sembrò quasi offeso. «Ehi!» gridò, con tono ferito. «Ti vorrei ricordare che ti ho rimesso in sesto braccio, migliore amico e divisa!» disse, mettendo il broncio. A James divertiva prenderlo in giro, gli piaceva vederlo con il muso.

«Guarda, guarda.» disse una voce che ancora non si era sentita. Bucky si girò per vedere Sam Wilson. «Il Capitano Barnes.» disse in tono sarcastico. Lo squadrò anche lui. «Belli i pantaloni neri, li ho sempre consigliati a Steve, ma mi ha sempre detto di no.» si complimentò lui, sorridendo.

James sorrise. «Steve è fatto così, non ci puoi fare nulla.» disse stufo. «Una volta che si fissa con una cosa, è quella.» continuò, con sguardo annoiato.

Sam rise. «Adesso cosa intendi fare, Capitan America?» chiese, cercando di prenderlo in giro, senza successo.

«Non saprei, Wilson.» rispose calmo lui, per poi voltarsi verso Stark. «Mi servono delle pistole, Stark.» ordinò, prendendo le armi sul tavolo di fronte a lui. Le caricò e se le mise nelle tasche ai lati del suo costume.

Tony sembrava confuso. «Capitan America non è icona di santità?» chiese, indicando con l'indice verso le pistole.

James scoppiò a ridere. «Steve Rogers è icona di santità, e neanche più di tanto.» rispose, con ancora il sorriso sul volto. «Anche lui ha ucciso delle persone durante la guerra.»

La voce meccanica di FRIDAY li interruppe. «Signor Stark, è in corso un attacco alla Midtown High School.» informò la voce, causando un paio di facce confuse.

«Perché dovrebbe interessarmi, FRIDAY?» chiese Tony, che ancora non aveva capito il nesso tra la scuola e cosa dovevano fare loro esattamente.

«Il signor Parker frequenta quella scuola.» rispose la voce, con calma.

Tony si alzò velocemente e corse verso il suo laboratorio. «Cazzo!» gridò, mentre usciva dalla stanza. «Barnes, muovi il culo, andiamo a salvare quindicenni nel bel mezzo delle lezioni!» urlò dal corridoio, sopra un rumore metallico.

Bucky sbuffò. «Grandioso.» disse lui, mettendosi sul capo l'elmetto blu scuro. «Sono Capitan America da un'ora e già dei terroristi attaccano dei ragazzini.» si lamentò, salutando Natasha con un bacio sulla fronte. Lei non fece nulla per impedirglielo. «Che fortuna.» borbottò mentre raggiungeva il miliardario.

L'uomo già con l'armatura indosso lo zittì. «Smettila di piagnucolare e muovi quel sederino!» gli disse, mentre lo trascinava via. Bucky ne era sicuro: la decisione di diventare Capitan America non gli avrebbe portato pochi guai.


AN: Fine! Sì, è la fine della fanfiction. Molto probabilmente la continuerò un giorno, ma per ora è tutto qua! Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto e recensito, grazie mille! Alla prossima!

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