Brookwood

di oO prongs Oo
(/viewuser.php?uid=41321)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo: piccolo, grande problema ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo: sopportazione ***
Capitolo 3: *** 3 capitolo: decisioni ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo: piccolo, grande problema ***


Brookwood

di

Mary Chilton

©MARY CHILTON

IMPORTANTE: E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE

DI QUESTO MANOSCRITTO, ANCHE PARZIALE,

SENZA L’ESPRESSA AUTORIZZAZIONE DELL’AUTRICE

Prima edizione

(prima stesura)

1 Capitolo: piccolo, grande problema

«Chi sei tu, che difeso dall’ombra

della notte, entri nel mio chiuso

pensiero?»

Romeo and Juliet – William Shakespeare

(1594-1595)

I signori Hill godevano di un certo prestigio a Londra. Henry Hill era il direttore della banca centrale della città,e Agnes Evans in Hill era la regina dei salotti londinesi nonché la migliore wedding planner di tutta Londra, famosa per il suo stile sfarzoso e ricercato. Il signor Hill era piuttosto basso per essere un uomo, portava lunghi baffi rossi con una spruzzatina di grigio sulle punte e aveva i denti sempre un po’ gialli per i troppi sigari che quotidianamente fumava. Il grosso naso a patata che diventava per ogni singolo pretesto rosso come una ciliegia matura. Aveva completi sempre pronti che sfruttava o per il lavoro o per le serate più occasionali a cui era invitato, contornati da una cravatta sempre e rigorosamente grigia.

Agnes Hill era una donna di classe e di una bellezza come poche; più alta del marito di cinque centimetri abbondanti portava i capelli biondi e boccolosi in un caschetto giovanile che le valorizzava quel piccolo naso all’insù che accentuava l’altezzosità che si portava dietro dalla culla. Era elegante e sofisticata riconosciuta da tutte le novelle spose come la miglior organizzatrice di matrimoni di tutta l’Inghilterra. Quando si muoveva nell’aria sembrava disegnasse linee sinuose con le mani, con quell’aria catatonica di mentre rifletteva.

Coloro che avevano l’occasione di vederli insieme restavano sempre leggermente sbigottiti da una coppia così singolare e tutti si ponevano sempre la stessa domanda: come mai lei lo ha sposato? Ovviamente nessuno aveva mai osato pronunciare una domanda tanto sfacciata e così tutti arrivavano alla stessa conclusione: per soldi.

Mrs Hill era famosa anche per la sua lingua lunga e biforcuta e Mr Hill per il suo tallone d’Achille: il poker che tanto amava e che già una volta stava per ridurlo sul lastrico.

I signori Hill si sposarono a ben trentacinque anni ed ebbero la loro unica figlia a trentotto.

MacKenzie Annabel Hill. Una bambina assolutamente deliziosa che aveva preso la bellezza del viso della madre e la bassezza del padre. Così gracile e piccola era il giocattolo preferito delle amiche pettegole di Mrs Hill che fin da quando era in fasce se la rigiravano tra le mani facendole le smorfie più buffe per farla ridere. A cinque anni la chiamavano già “signorina” , sembrava Mrs Hill in miniatura, solo, ripeteva sempre Mrs Hill, lei aveva i capelli biondi che la facevano sembrare un angelo, mentre MacKenzie aveva ereditato il rosso tiziano del padre. A sei anni la mandarono in una scuola privata femminile nella quale si distinse per il suo amore per la letteratura, inutile dirlo Mr Hill la vedeva già come la J.K. Rowling della nuova generazione; cominciò a comprarle i libri più rari e antichi ed ogni mattina, dopo averlo letto attentamente lui, le passava la sua copia del “Financial Times” gongolando appena gli occhietti verdi della figlia si posavano sulle pagine economiche. Mrs Hill non ne era altrettanto contenta, che aveva sempre visto un figlio come il continuatore della sua attività; ecco perché aveva sperato tanto nell’avere una femmina, un maschio non sarebbe mai stato adatto per essere un wedding planner. Quando era nata MacKenzie era la donna più felice del mondo, e già si figurava nella sua mente le riviste delle spose con titoli come “Le Hill, madre e figlia accanto nei matrimoni”. Quindi non si può certo biasimare la fitta di indignazione che le prendeva quando vedeva il proprio marito cercare di frantumare il suo sogno. Tra i due coniugi cominciò una lotta silenziosa. Il padre non perdeva occasione di regalare alla figlia poesie di Emily Dickinson, i manoscritti di Jane Austen e delle sorelle Bronte. Sempre e soli personaggi femminili per farla immedesimare quel tanto che bastava. La madre, al contrario, la portava al lavoro con tutte le scuse immaginabili e le mostrava quel mondo sfarzoso ed elegante che un giorno sarebbe potuto diventare suo. MacKenzie riuscì in qualche modo ad unire i desideri dei genitori. Leggendo le storie d’amore della Austen pensava a come sarebbe stata la sua una volta grande e quale vestito da sposa della madre avrebbe scelto per il matrimonio. Accontentando il padre continuò la sua assidua passione per la lettura e, accontentando la madre, chiedeva ogni volta che poteva di accompagnarla a lavoro. I genitori comunque non risultavano troppo soddisfatti di quella situazione di parità. Volevano che la figlia avesse già le idee ben chiare sin da piccola, che avesse già il suo futuro scritto

-Io alla tua età- le raccontava sempre il padre –sognavo già le banconote delle sterline. Cominciai ad accumularle con i lavori più umili e a nasconderle sotto il cuscino per non farle trovare a tuo zio John, che, ah sì, quella canaglia cercava sempre di rubare. Che malandrino lo zio John! Ma mi ha dato lui l’ispirazione di un posto veramente sicuro per i soldi: la banca! Non troverai mai luogo più sicuro di una banca Mac! E se tu sogni le favole e nascondi i libri sotto il cuscino perché non potresti diventare scrittrice?-

Ma MacKenzie non aveva mai veramente ascoltato i genitori, non pensava assolutamente alle responsabilità, al lavoro, al futuro. Era una bambina dopotutto, che viveva nello sfarzo e nella ricchezza. Perché avrebbe dovuto maturare prima del dovuto? MacKenzie invece di provare gli abiti da damigella che le mostrava la madre preferiva di gran lunga uscire nell’immenso giardino e cavalcare un po’ la sua puledra. Dopotutto si è bambini una volta sola.

Ma quando compì otto anni il padre abbandonò la consorte e la figlia in seguito ad un infarto. Era sempre stato debole di cuore, ma nessuno né Mrs Hill né tantomeno MacKenzie erano pronte per una perdita tanto sconvolgente. La madre non andò al lavoro per mesi, mentre MacKenzie, nella sua innocenza, cercava di continuare a vivere come aveva sempre fatto, quasi credendo che il padre sarebbe tornato un giorno a bussare al portone. A badare a lei c’era la cara tata, segnata dalle rughe della vecchiaia e del dolore; mentre Mrs Hill ogni giorno stava in camera sua a piangere tutto il giorno raccomandando sempre la tata di non far entrare MacKenzie perché la vedesse in quello stato. Ma MacKenzie era pur sempre una bambina, e come tale era curiosa di sapere perché la madre se ne stesse tutto il giorno chiusa in camera. Così una sera mentre si apprestava ad andare a fare il bagno, scorse la luce della stanza della madre accesa. Era una delle poche volte in cui la badante l’aveva lasciata da sola così, in punta di piedi, si avvicinò alla porta socchiusa. Mai MacKenzie fu schiacciata dalla realtà come in quel momento: vide la madre inginocchiata sul pavimento scossa da tremori incontrollabili, i capelli sempre tenuti con grazia in qualche elegante chignon erano ora disordinati e arruffati. Il colorito della madre, già pallido per natura, era del tutto bianco. MacKenzie balzò indietro da quella visione. Era come se avesse scorto un fantasma che aveva tutte le fattezze della madre, e fu così che soffocò quel ricordo nella sua mente: come un fantasma che era entrato in casa sua per beffeggiarla con una visione così orribile, dopotutto si sa, i fantasmi sono dei veri burloni. Perché agli occhi di MacKenzie la madre appariva ancora come la donna perfetta e bellissima che era sempre stata. Ogni volta che scendeva a cena era sempre impeccabile e non vi era alcun cenno della sofferenza che Mac aveva visto in quel fantasma.

Così la bambina cominciò a pensare che il padre era stato rapito da degli spiritelli, i quali ne avevano fatto il loro re, poi avevano mandato il fantasma a MacKenzie per confonderla. Mac si affacciava alle finestre e osservava il cielo, pensando al padre, sperduto in chissà quale pianeta lontano, a combattere armato di spade e fucili per proteggere il popolo degli spiritelli. Lui avrebbe vegliato sempre su di lei e la mamma, ma ormai apparteneva ad un altro mondo, non poteva tornare indietro! Con questi pensieri MacKenzie si addormentava felice di avere un padre tanto coraggioso. Quando provò a parlare alla tata della sua scoperta fu però bruscamente interrotta dalla vecchia:

-MacKenzie, insomma, ormai sei una signorina, smettila di sognare ad occhi aperti! Degli spiritelli, questa poi! Non devi danneggiare il ricordo di tuo padre con queste sciocchezze!-

-Ma cara tata, è vero! Mi hanno mandato anche un fantasma per confondermi!-

-Ora basta ragazzina insolente, non tollero più questi discorsi. Va a letto, questa sera non avrai neanche una briciola per il tuo comportamento!-

Tata Maggie non era cattiva, anzi era una delle persone più buone e dolci al mondo, ma era molto affezionata al padrone che ora non c’era più e non tollerava che la figlia dovesse pensare cose simili di un uomo che ora riposava in pace.

Dopo un anno dalla morte del padre Mrs Hill cominciò a portare a casa un uomo che MacKenzie non aveva mai visto, al quale fu presentata ufficialmente dopo all’incirca un mese.

-Wilbur, questa è mia figlia MacKenzie. Tesoro questo è il signor Wilbur Patterson, è un mio nuovo amico.-

Era un uomo alto e magro, con degli occhiali tondi sul naso e il naso adunco. Aveva sempre le labbra serrate come se temesse di aprire la bocca e stava rigido come un palo sia in piedi sia a sedere. MacKenzie tutto sommato lo trovò un uomo buffo nella sua stranezza, ma degno di rispetto e simpatia. Le strinse la mano teso il primo giorno che si presentarono e tentò un mezzo sorriso che sapeva tanto di smorfia, che fece ridere Mac, subito fulminata dalla madre.

Le visite di Mr Patterson divennero quotidiane a casa Hill e piano piano MacKenzie si abituò alla sua compagnia e lui alla sua. La madre gongolava segretamente nel vedere MacKenzie così tranquilla nel parlare con Wilbur. Dopo un anno ancora la ormai ancora per poco Mrs Hill diede alla figlia la notizia.

-Io e Mr Patterson ci sposiamo tesoro, andremo tutti e tre nella sua villa di campagna nel Surrey a Brookwood-

MacKenzie non fu troppo felice della notizia, ma non per il matrimonio tra la madre e Mr Patterson, ma per il fatto di dover lasciare Londra, la sua casa. Non riusciva ad immaginarsi di vivere in campagna, senza che passasse qualche bus rosso di tanto in tanto, senza sentire i rintocchi del Big Bang. Come sarebbe sopravvissuta alla quiete e al silenzio della campagna?

Comunque riuscì a soffocare quei timori e a rivolgere un sorriso alla madre e le sue congratulazioni. Si ritirò presto quella sera, dicendo di avere una terribile emicrania. Salita in camera cominciò a piangere, versando lacrime che sapevano di sale e che solcavano quel bel visino come delle rughe sciupandolo. Probabilmente fu da quella sera che MacKenzie cominciò davvero a pensare come un adolescente e non come una bambina di undici anni. Riusciva a distinguere il giusto dallo sbagliato senza bisogno di suggerimenti da parte della tata, si fidava solo ed esclusivamente del suo cervello, rinnegando qualsiasi pensiero fantastico che le veniva alla mente. Quello che ancora non riusciva ad accettare era l’assenza del padre. Aveva pensato che era stato rapito da dei sottospecie di folletti, ora le sembrava solo assurdo considerare l’idea dell’esistenza di spiritelli e fantasmi. Ormai la sua mente era diventata così razionale che non sopportava di restare nel dubbio: suo padre era morto, ma ci sarebbe sempre stato un barlume di speranza in un piccolo angolo del suo cervello di ritrovarselo di fronte. Così chiese a tata Maggie di accompagnarla alla tomba del padre; la tata ne fu più che contenta, dichiarando di trovarsi ormai di fronte ad una vera donna. Raggiunta la tomba bianca e perfettamente esposta alla luce del sole che si rispecchiava su le pietre lucenti incastonate nel marmo creando dei giochi di luce, la tata scoppiò a piangere senza ritegno ignorando la presenza di MacKenzie. Quest’ultima rimase all’inizio leggermente abbagliata da quella visione quasi paradisiaca, finche non osservò le parole incise nel marmo, fissandole bene come un chiodo nella sua testa:

“HENRY ANTONY HILL”

Un mese dopo MacKenzie seguì la madre e Mr Patterson a Brookwood dove si sarebbe tenuto il matrimonio. Era un paese piuttosto pittoresco, le case lungo la strada principale erano dipinte delle più variegate tonalità di rosso e di uno stile antico che a Mac ricordarono molto quelle dei romanzi che leggeva. Di tanto in tanto passava qualche macchina, ma la strada era tutt’altro che affollata e, aprendo il finestrino, si riusciva a respirare un’aria talmente fresca che a MacKenzie riusciva a suscitare un senso di nausea. La madre sembrava entusiasta quasi quanto lei di trovarsi in un luogo così arretrato invece che nella sua sicura e calorosa Londra, ma era troppo intenta ad osservare Mr Patterson con occhi da pesce lesso invece di guardare il paesaggio. Arrivarono a quella che più che una villa, aveva l’aria di essere una fattoria. Entrarono con l’auto tappandosi le orecchie per lo stridio del cancello arrugginito e ad aspettarli davanti alla porta trovarono tre donne. Una gli corse subito incontro goffamente abbracciando di slancio Wilbur che rispose con altrettanto calore. La donna era piuttosto grassa con dei capelli grigi arruffati e il viso rosso come un pomodoro lucido. Quando sorrise, notò MacKenzie, si videro due enormi buchi davanti dove una volta ci dovevano essere gli incisivi della donna. Mentre la donna abbracciava ancora Mr Patterson, MacKenzie vide avanzare due donne con un sorriso bonario e un’aria gioiosa. Una era alta e slanciata proprio come Wilbur, portava i capelli mori legati in una coda di cavallo e gli occhi le luccicavano dalla felicità. L’altra le era molto somigliante sia nel portamento che nel fisico, quando sorrise però si poterono notare i denti più cavallini che la prima non aveva. Si avvicinarono a Mr Patterson e l’abbracciarono quando la donna più grassa si fece da parte.

-Agnes, permettimi di presentarti mia madre Jane e le mie sorelle Mary e Helena-

La faccia di Mrs Hill si illuminò in un sorriso che MacKenzie le aveva già visto fare agli ospiti che suo padre portava a casa: un sorriso di circostanziale gentilezza.

-Molto lieta-

Rispose di rimando Mrs Hill allungando con grazia la mano sinuosa. Mrs Patterson gliela strinse calorosamente priva della stessa finezza. Sulla faccia di Mrs Hill passò una rapida smorfia che però non passò inosservata da Miss Helena a cui spuntò un lampo d’ostilità negli occhi che si andarono a posare sul viso costantemente sorridente di Mrs Hill. MacKenzie fu presentata con ugual cortesia e strapazzata da Mrs Patterson tutto il giorno che continuava a chiamarla “nipotina” ed insisteva che lei di rimando la chiamasse “nonnina”. Quando fu libera di tutte quelle attenzioni e pizzicotti affettuosi alle guance si rifugiò nel giardino di quella sottospecie di fattoria. Si adagiò sul prato fresco formando una perfetta ruota con il vestito verde. Si beò un po’ di quella pace, di quel religioso silenzio che raramente si poteva udire a Londra; quando riaprì gli occhi sentiva qualcosa di umido sul naso, temeva di essere scoppiata a piangere di nuovo finché non ne avvertì un altro sulla piccola mano. Alzò lo sguardo e vide le nuvole grigie e cupe che avvertivano minacciose l’arrivo di un temporale. L’effetto fu immediato ed ad un tratto MacKenzie si ritrovò bagnata da capo a piedi. Era una sensazione strana starsene sotto la pioggia completamente fradice, mai provata prima; le gocce le arrivavano veloci sulle spalle scoperte come piccoli aghi mal appuntiti che la facevano rabbrividire e divertire allo stesso tempo. Si sentiva libera come non era mai stata, come se tutte quelle preoccupazioni troppo precoci per una ragazzina di undici anni le stessero scivolando via. Reclinò il capo all’indietro raccogliendo i capelli zuppi tra le mani. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quella musica incantevole che solo la pioggia riusciva a provocare. Una sinfonia che rilassava ed era in perfetta sintonia in qualsiasi paesaggio si trovasse; la pioggia non stonava mai. Senza neanche rendersene conto si alzò e cominciò a volteggiare in punta di piedi come per catturare al meglio tutta la freschezza. Sentì un suono cristallino che combaciava perfettamente con la silenziosa danza della pioggia, solo poco dopo si accorse che era la sua risata, Dio da quanto non rideva in quel modo! Uno stridere di gomme e delle voci affannate interruppero quel magico incanto; sbatté più volte le palpebre per assicurarsi che il sogno fosse finito e si avvicinò con cautela verso il cancello chiuso. Guardandosi intorno lo aprì lentamente ritrovandosi sul marciapiede della strada principale. Il vociare aumentava di volume e vide una bicicletta svoltare l’angolo a tutta fiamma. Come un fulmine le passò accanto ricoprendola di fango e di altra sporcizia non facilmente identificabile; ignorandola completamente, un ragazzino entrò dentro il cancello sotto gli occhi stupefatti e infervorati di MacKenzie che, a passo di marcia e marrone da capo a piedi, rientrò nel giardino come un piccolo draghetto che sputa fiamme. Vide il ragazzino buttare a terra la bici e correre verso il portone della casa.

-Ehi tu!-

Il bambino si girò sorpreso come se non si aspettasse la sua voce e la guardò con poco interesse e frettoloso.

-Che vuoi?-

chiese brusco battendo freneticamente un piede come se dovesse andare urgentemente al bagno.

-Nessuno ti ha insegnato le buone maniere? Guarda come mi hai ridotta!!-

irruppe MacKenzie indignata indicando il suo vestito un tempo di un candido verdolino.

-Si, ok… scusa ragazzina…-

-mi chiamo MacKenzie!-

-Come vuoi…-

senza più degnarla di uno sguardo spinse il portone di quercia ed entrò nella casa di Mrs Patterson. Scioccata, Mac fece lo stesso, entrando con poco garbo sotto gli occhi disgustati della madre.

-MacKenzie… cosa… il vestito…-

balbettò Mrs Hill soffermandosi più volte sulla parola “vestito”.

-E’ stato un ragazzino!-

Stridette Mac con la voce leggermente tremolante per l’umiliazione. Voltò lo sguardo e vide lo stesso ragazzo parlare freneticamente con Mrs Patterson nel salotto che lo osservava con un sorriso esasperato e scuoteva il capo.

-TU!-

Si diresse come un fulmine verso quello che voltò il capo stupefatto e impaurito.

-Ah sei solo tu, ancora! Ma cosa vuoi?-

-Credevi di cavartela con quelle scuse superficiali?!-

Mrs Patterson lo guardò con un cipiglio severo.

-Jamie sei stato tu?-

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e rispose frettoloso.

-Si, andavo troppo veloce con la bicicletta, ma ora non è importante! Il signor Fletcher sta per arrivare e…-

-Non è importante!!?- urlò Mac completamente inferocita come non si era mai vista.

-James, va in cucina, ci penso io a Mr Fletcher e dopo parleremo anche di MacKenzie-.

-Chi?- chiese ingenuamente James disorientato.

-IO sono MacKenzie!!- strillò ancora Mac con ormai gli occhi lucidi. Si diresse a passi pesanti verso la sua nuova camera per cambiarsi, seguita da tata Maggie addolorata per la figuraccia della sua pupilla. Lanciò uno sguardo duro a quel bambino impertinente che si stava già fiondando in cucina.

Mac si rifugiò in quella sua nuova camera, addobbata come se fosse la stanza di una principessa. Si tolse le scarpe e il vestitino velocemente chiudendosi nel bagno accanto. Cominciò a far scorrere l’acqua calda nella vasca che si pienò in un secondo. Cautamente alzò un piede fino ad immergere tutta la gamba infreddolita, sembrava che tutti i suoi muscoli stessero cantando dalla gioia di quel bagno caldo. Sentì bussare alla porta tata Maggie che le chiedeva se doveva entrare, la rassicurò di andare pure e, appena sentì la porta di camera sbattere, si lasciò andare completamente a quel tepore rassicurante. Sommerse anche la testa osservando i suoi capelli nell’acqua danzare come lingue di fuoco, riemerse mal volentieri per il bisogno impellente d’aria. Ora non era neanche più così arrabbiata. Proprio quando si stava per addormentare sentì la voce gracchiante della badante leggermente irritata.

-Muoviti MacKenzie, è ora di cena! Benedetta figliola sei forse un pesce? Sempre a sguazzare nella vasca fino a che non la si viene a chiamare.-

Uscì contrariata dalla vasca inspirando a pieni polmoni il profumo di pesca che emanava la sua pelle e non quel fetore disgustoso di prima. Si avvolse in un accappatoio e diede una veloce spazzolata ai capelli. Appena uscì dal bagno si ritrovò davanti il brutto grugno impaziente di tata Maggie. Sobbalzò indietro per lo spavento prima di essere agguantata per un braccio e vestita di tutto punto con un nuovo abito bianco.

-Quel ragazzino rimarrà qui a cena, voglio avvertirti-

Mac scattò a quelle parole come una teiera a bollire che fischia, e tanti saluti al bagno rilassante.

-E’ ancora qui?!-

La tata annuì leggermente.

-E’ il figlio degli amici dei Patterson, un vero combina guai. Aveva rotto il vetro del negozio di un certo Mr Fletcher e aveva fretta di rifugiarsi da qualcuno; dovevi vedere come era arrabbiato Mr Fletcher, gridava di rinchiudere quel piantagrane-.

MacKenzie sogghignò maleficamente felice di non essere l’unica a pensarla in quel modo.

-Comunque non lo ha fatto apposta Mac, dovresti perdonarlo. Avete la stessa età, potreste fare amicizia.-

-Ma è un maleducato e mi sta antipatico!- si lamentò MacKenzie.

-Non lo conosci neanche!- ribatté la tata leggermente divertita dal tono piagnucolante di MacKenzie.

Quando la rossina fu pronta si diressero verso la sala da pranzo. La tata le diede un leggero buffetto sulla testa e le sussurrò all’orecchio prima di entrare

-Sii carina-

In risposta MacKenzie grugnì insoddisfatta. Aprendo il portone si trovò davanti una tavola imbandita di un qualsiasi cibo presente sulla faccia della terra. Maiale, insalate, tacchino … Mac era tentata quasi di chiedere se avessero sterminato tutti i loro polli, ma si rese conto che sarebbe parso del tutto inadeguato all’occasione. Vide il sorriso raggiante della madre appena entrò e fu quasi sicura di vederle un avvertimento negli occhi risentendo nell’orecchio come un fastidioso ronzio le parole della tata “Sii carina”. Ci avrebbe provato, si convinse MacKenzie. Non avevano tempo per i suoi capricci, ora l’unica cosa importante era sua madre e la sua felicità. Sarebbe stato poco adeguato comportarsi da viziatella davanti alla sua futura famiglia. Ogni suo buono proposito però si frantumò vedendo il posto che le avevano riservato, ovvero accanto a quel bambino odioso. Il suo sguardo si corrucciò e smise di avanzare, ma una spintarella da parte di tata Maggie le fece tornare alla mente di nuovo quel ronzio “Sii carina”. Poteva farcela, per sua madre avrebbe sopportato anche quel ragazzino. Con un sospiro profondo si avviò altezzosa verso la sua sedia, e con un piccolo balzo si mise accanto a quel ragazzo che,per il fatto di esserle accanto, pareva felice quanto lei. MacKenzie cominciò ad osservare con molto interesse le punte della sua forchetta restando in silenzio. Il ragazzino, d’altro canto, non era garbato come lei, e, al suo arrivo, si era limitato a voltare la testa dall’altra parte con decisione. Mrs Patterson si schiarì la gola con voluta insistenza. Il bambino fece finta di non averla sentita e cominciò a bere dal suo bicchiere con indifferenza.

-James…- lo ammonì severa Mrs Patterson come MacKenzie non l’aveva mai sentita. Il ragazzino sbuffò infastidito e leggermente esasperato.

-E va bene, scusami ragazzina se ti ho sporcato il vestito-.

MacKenzie, da sempre una brava osservatrice, vide un lampo divertito negli occhi di James, no, non divertito, esilarato da quella situazione e un accenno di riso che tentava di sedare sulle sue labbra senza riuscirci troppo bene. Per MacKenzie quella presa in giro fu il colmo.

-Io mi chiamo MacKenzie- sibilò glaciale. James sussultò a quelle parole come se pensasse che le sue “scuse” avrebbero davvero sistemato tutto.

-MacKenzie?- chiese ingenuamente meravigliato.

-Ma è un nome da maschio!- Mac, che si aspettava tutto tranne che quell’affermazione, divenne prima dello stesso colore dei suoi capelli e poi di un viola spaventoso per la rabbia.

-E’ unisex, imbecille!- Disse fremente di rabbia mentre le mani cominciavano a pizzicarle.

-Non cambia che comunque è un nome da maschio- commentò con un ghigno James.

Le mani di Mac si avventarono pericolosamente verso il collo di James, prontamente fermate da quelle della tata, la quale sembrava leggermente intimorita dalla reazione della signorina. Mrs Hill stava osservando James con un’aria infuriata quasi quanto quella della figlia. Mrs Patterson si era avvicinata verso James e gli mormorava rimproveri duri alle orecchie tra cui MacKenzie distinse “questa volta lo dico ai tuoi genitori”, mentre lui si sganasciava senza ritegno dalle risate. Mr Patterson, invece, se ne stava tranquillamente a sorseggiare il brodo di pollo come se niente fosse. MacKenzie, dopo una sgridata della tata si calmò, o almeno cercò di calmarsi. James d’altro canto fu spostato vicino a Mrs Patterson, che mentre parlava lo guardava di sottecchi, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro, ma James sembrava aver già scordato la sua litigata con MacKenzie e si abbuffava indecoroso sulla sua bistecca al sangue, facendo rivoltare lo stomaco a Mac. La serata, dopo la confusione iniziale, passò allegramente. Mrs Hill sembrava piacere a Mrs Patterson che la guardava sempre con un lieve luccichio negli occhi ogni volta che Mrs Hill sfiorava suo figlio. Lo stesso non si poteva dire delle due sorelle di Mr Patterson che consideravano Mrs Hill un avvoltoio in cerca di altri soldi. MacKenzie, al termine della serata, le sentì confabulare contro la madre, finché non si accorsero della sua presenza e si affrettarono a dileguarsi nelle loro camere. Quando ormai era un’ora abbastanza tarda per dei ragazzini di undici anni i genitori di James vennero a prenderlo. Considerato il suo modo di comportarsi, MacKenzie contava di ritrovarsi davanti due persone rozze e maleducate proprio come il figlio. Al contrario dovette ricredersi perché i signori Douglas erano l’esatto opposto del figlio. La donna aveva all’incirca trentacinque anni e portava i capelli lunghi e mori legati con un sottile nastro rosso, aveva gli occhi nocciola allungati e un sorriso talmente contagioso che per un attimo fece scordare a Mac di odiare loro figlio. Il padre era la copia sputata di James,gli stessi capelli castano chiaro, quasi oro, spettinati, gli stessi zigomi alti e lo stesso sorriso impertinente. Erano due persone garbate e molto dolci che a MacKenzie fecero quasi pena per il fatto che avessero un figlio tanto scapestrato. Quando James salutò tutti, con enorme sorpresa di MacKenzie, i suoi occhi castani, l’unica cosa che aveva preso dalla madre, si posarono su di lei.

-Allora ci vediamo in giro Hill-.

Mac assottigliò talmente lo sguardo che quasi non le si poteva più vedere la cornea verde tra le folte ciglia. Rispose abbassando il tono e cercando di suonare minacciosa.

-Spero di no per te-

James sghignazzò sfacciato e salutò ancora Mrs Patterson, per poi dileguarsi nella notte.

MacKenzie sospirò esausta e un largo sbadiglio prese possesso del suo viso, cosa che non passò inosservata da tata Maggie che annunciò l’ora della nanna.

-Maggie, stasera vorrei portare io a letto Mac, tu va pure a dormire-.

MacKenzie fu portata per mano nella sua camera dalla madre e adagiata dolcemente nel letto che la accolse come se fosse sempre stato il suo. Proprio quando si stava per lasciar abbracciare da Morfeo la madre parlò.

-Piccola, vorrei dirti due paroline su quel bambino, James-.

Mac sospirò esausta facendo un lieve mugolio infastidito. Mrs Hill lo ignorò e continuò a parlare.

-Potresti, provare… insomma, a conoscerlo un po’ meglio! Potrebbe diventare tuo amico.-

A quelle parole MacKenzie si puntellò sui gomiti mettendosi a sedere sveglissima.

-Mamma, ma che stai dicendo? Hai visto come è fatto quello lì!-

Disse Mac stupita per la richiesta della madre, che si era mostrata ostile a James, proprio come lei.

-Tesoro, è il figlio del migliore amico di Wilbur, nonché suo figlioccio. E lui ci è così affezionato, credo gli faresti molto piacere se diventaste amici.-

-Mamma è così arrogante! Non credo riuscirei a sopportarlo, hai visto cosa è successo stasera-

Mrs Hill fece una smorfia nel ricordare il tentativo di strozzamento della figlia.

-Cerca solo di farci pace ok? Mi renderesti davvero felice Mac, qui sono tutti così gentili con noi che non mi sembra il massimo litigare subito con qualcuno.-

MacKenzie abbassò gli occhi mentre sentiva il sangue affluire verso le guance. Si era dimostrata una ragazzina viziata e immatura quando si era ripromessa di fare una buona impressione. E tutto solo per un bambino un po’ troppo sicuro di sé; in quel momento le sembrò una cosa talmente stupida che si vergognò ancora di più. Se non riusciva a sopportare uno stupido ragazzino forse era davvero una viziatella. Rialzò il capo con una nuova scintilla negli occhi che alla madre ricordò tantissimo quelli di Mr Hill, come quando aveva una nuova sfida finanziaria davanti. MacKenzie avrebbe messo alla prova se stessa, ce l’avrebbe fatta.

-Lo sopporterò mamma, posso farlo-

Lo disse con quella risolutezza che ogni tanto preoccupava Mrs Hill, la quale aveva l’impressione di parlare già con una donna invece che con una bambina. La madre baciò la testolina rossa della figlia e le augurò la buona notte. MacKenzie si rannicchiò nel letto in posizione fetale lisciandosi distrattamente i capelli.

“Vuoi la sfida Douglas? L’avrai!”

E con questo pensiero si lasciò cullare dall’oscurità rassicurante della notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 Capitolo: sopportazione ***


Note: Eccomi con il nuovo capitolo, scusate un po’ ci ho messo ma con la scuola e tutto è una faticaccia xD. Comunque sono felice che la storia sia entrata in 4 preferiti anche perché ci tengo molto, è un po’ un romanzo in fase sperimentale. Ho deciso di modificare l’età dei nostri protagonisti in dei ragazzi undicenni. Vi auguro buona lettura e mi raccomando recensite**

maRgariNa: sono davvero felice che la mia storia ti abbia colpito, personalmente anch’io adoro il nome MacKenzie^^. Comunque non preoccuparti i ragazzi cresceranno, ma non voglio anticiparti niente, sappi solo che Mac è davvero tosta da convincere xD. A presto e grazie

 

 

Brookwood

 

di

Mary Chilton

 

 

 

©MARY CHILTON

IMPORTANTE: E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE

DI QUESTO MANOSCRITTO, ANCHE PARZIALE,

SENZA L’ESPRESSA AUTORIZZAZIONE DELL’AUTRICE

 

Prima edizione

(prima stesura)

 

 

 

2 Capitolo: sopportazione

 

 

« Nella riservatezza c'è sicurezza,

ma non attrazione. Non si può amare

una persona riservata.»

 Emma – Jane Austen

(1815)

 

 

James adorava dormire, era come una ricompensa per tutte le fatiche che sosteneva di aver compiuto nel giorno. Si alzò scompigliandosi i capelli castani e si affrettò ad andare in cucina per trovare la colazione che la madre gli aveva già preparato. Riusciva a sentirne il profumo dalle scale: uova e pane imburrato. La madre, Alice Linton in Douglas, si aggirava indaffarata dietro ai fornelli da cucina, facendo saltare una frittata giallognola nella padella. Aveva i capelli mori tenuti su in un pratico crocchio e, sotto il grembiule rosso a quadri, si poteva vedere un candido vestito giallo canarino che le fasciava il corpo snello e magro. Mr Douglas si considerava l’uomo più fortunato del mondo. Alice lo accolse con un sorriso gentile, ma James le vide un lampo esilarato negli occhi che gli fece alzare la guardia. Sua madre aveva in mente qualcosa e l’indole scalmanata di James era un tratto che non aveva sicuramente ereditato dal padre.

-Buongiorno tesoro!- trillò la madre un po’ troppo pimpante. James assottigliò lo sguardo osservandola con attenzione borbottando un “buongiorno” con voce ancora leggermente impastata. La madre di rimando al suo sguardo indagatore, sbatté le ciglia con fare innocente.

Porse il piatto con la colazione pronta al figlio osservandolo mentre mangiava con entusiasmo.

-Jane mi ha raccontato cosa è successo ieri- 

James mangiò giù il boccone leggermente intimorito e proruppe con la sua frase preferita.

-Posso spiegare tutto!-

-Uh uh- annuì distrattamente Mrs Douglas che aveva ben altro per la testa che ascoltare le scusanti del figlio.

-Hai fatto conoscenza con MacKenzie ho saputo-

James non si accorse del lampo divertito che passò negli occhi di Alice a quel nome.

-Intendi dire quella pazza isterica?- commentò James con una smorfia. In risposta ricevette uno scappellotto dalla madre.

-Ahi!- protestò indignato James con la bocca piena massaggiandosi dolente il capo.

-Meriti una punizione, sia per il vetro di Mr Fletcher, sia per il vestito di MacKenzie Hill e per questa battutaccia.-

Alice tentava di suonare severa, ma James, che la conosceva da undici anni, poteva scorgere il divertimento nei suoi occhi nocciola; lo stesso divertimento che si poteva scorgere nei suoi occhi identici a quelli della madre. James roteò lo sguardo al cielo avendo già sentito quelle parole un sacco di volte.

-Vado in camera mia- borbottò annoiato. Fece per scendere dalla sedia, ma una mano lo fermò prontamente. James voltò lo sguardo verso la madre che non nascondeva più un ghigno divertito.

-Ti piacerebbe. Ho in mente qualcosa di peggio per te- disse divertita Mrs Douglas con una luce vendicativa negli occhi che fece rabbrividire James. Lo conosceva meglio di tutti, forse anche più dell’ingenuo padre, e sapeva tutti i suoi punti deboli, che in fondo erano anche i suoi. Il più famoso tallone d’Achille di James ed Alice era l’orgoglio; con quello si andava sempre sul sicuro.

-Chiederai scusa a MacKenzie, decentemente- disse sottolineando l’ultima parola per poi continuare –ed inoltre la inviterai, no, la costringerai a giocare con te e Drew, facendole passare la miglior giornata della sua vita-

James strabuzzò gli occhi e la mascella toccò quasi terra in una tipica espressione da baccalà.

-Cosa???!!- chiese infervorato ed incredulo.

-Non sai quanto ti prenderò in giro per questo- commentò di rimando la madre scoppiando a ridere. James sembrò ricomporsi e guardò freddamente la madre.

-James Douglas non chiede mai scusa! E men che meno gioca con una femmina- decretò James accompagnando il tutto con una smorfia disgustata. Mrs Douglas sbatté le ciglia innocentemente.

-Andiamo Jim, non farla tanto lunga! Vedila più come una sfida che una punizione-

Altro tallone d’Achille, James adorava le sfide. Il suo sguardo si fece attento e lasciò il posto al ghigno identico della madre.

-Io cosa ottengo in cambio?- chiese cercando di suonare scettico ed indifferente. Alice in risposta gettò la testa indietro ed iniziò a ridere.

-E’ una punizione, non puoi avere un premio! Comunque l’accrescimento della mia stima verso di te dovrebbe bastarti-

James si afflosciò sulle sue uova ancora calde non trovando una via d’uscita da quel piano malefico.

-Ho forse un’ alternativa?- chiese imbronciato il figlio con occhi supplicanti. Alice osservò divertita quello sguardo da cucciolo indifeso che gli aveva insegnato proprio lei. In risposta gli baciò la fronte affettuosamente.

-Neanche mezza, caro.-

Detto questo si avviò verso la propria camera per svegliare il marito, che ancora una volta era in ritardo per il lavoro, dichiarando concluso il discorso. James tornò a mangiare la sua colazione con meno entusiasmo di prima; Alice Douglas non era una madre normale. Ma sentendo le grida arrabbiate della madre e le imprecazioni del padre al piano di sopra dovette ricredersi. Ogni singolo Douglas non era una persona normale.

 

 

Mac si svegliò di soprassalto quella mattina dopo aver sognato di nuovo il suo arrivo a Brookwood. Sperò tanto in un incubo, ma, quando aprì gli occhi svogliatamente, si ritrovò in quella stanza zuccherosa e rosa che era camera sua. Rimase a letto rifiutandosi di uscire e di affrontare il mondo reale. Sapeva che la madre era già di sotto accerchiata da Mrs Patterson,da Helena e Mary, sicuramente accigliate ed imbronciate come la sera precedente, intenta a preparare ogni minimo dettaglio delle nozze come una quindicenne eccitata per il ballo scolastico. Agnes, cominciò a riflettere Mac, avrebbe dato il massimo per il suo matrimonio, ma perché aveva acconsentito a venire a Brookwood per celebrarlo? In cuor suo MacKenzie già lo sapeva. Mrs Hill era popolare a Londra, certo, ma troppo perfetta per avere amiche. La sua unica famiglia era la sorella Cherilyn con la quale, a quanto sapeva Mac, non andava propriamente d’accordo. Chi ci sarebbe stata ad aiutarla a Londra di cui gli sarebbe veramente importato di lei? MacKenzie alzò il capo dal cuscino scossa e turbata da quei nuovi pensieri. Sua madre era sola a Londra ecco perché aveva acconsentito a venire a Brookwood senza battere ciglio. Piena di sofferenza per Agnes decise di scendere per aiutarla, dopotutto era il minimo che potesse fare per lei. Stava per poggiare la mano sulla maniglia quando in tutta la sua eccitazione entrò proprio Mrs Hill travolgendo la figlia. Mac rimase prontamente in equilibrio e guardò con aria truce la madre, e lei che voleva aiutarla!

-Mamma cosa fai?- chiese leggermente infastidita dai modi bruschi della donna, ma quella le rivolse un sorriso talmente felice da far scemare ogni proposito di arrabbiarsi con lei.

Era raro vedere l’altezzosa ed elegante Mrs Hill perdere il controllo in quel modo. Mac aveva avuto l’onore di vederla in uno stato del genere solo per il suo decimo compleanno, passò serate a far assaggiare torte su torte a MacKenzie, che ebbe il mal di pancia per una settimana intera.

-Scusa tesoro- trillò quella dall’emozione, inumidendosi leggermente le labbra con la lingua. Nei suoi occhi Mac leggeva sentimenti contrastanti: gioia, entusiasmo e… timore?

 -Mamma che succede?- chiese leggermente in ansia Mac. Quella scosse leggermente i riccioli biondi con non curanza.

-Niente di che, niente per cui arrabbiarsi-

-Arrabbiarsi?- domandò confusa MacKenzie, poi avvertì un timore farsi strada dentro di sé. La madre aveva qualcosa in mente, qualcosa che, sapeva, a lei non avrebbe fatto piacere.

-Ascolta… mmm…. Mrs Douglas si è offerta gentilmente di aiutarmi nei preparativi e, dovremmo raggiungerla a casa sua, ecco- disse Agnes quasi in imbarazzo evitando accuratamente lo sguardo della figlia, anche se si poteva scorgere la felicità traboccare da ogni singolo poro della sua pelle. MacKenzie rilassò le spalle, aveva creduto in qualcosa di molto peggio.

-E tu va, che problema può mai esserci?- chiese la figlia incoraggiandola con un sorriso suo malgrado. Agnes parve ricomporsi, come poteva aveva timore della figlia? Dopotutto lei era la madre.

-Ci andrò e tu verrai con me- disse risoluta puntando gli occhi sul viso incredulo di MacKenzie. La rossina capì subito gli intenti della madre, ma rifiutò di accettarli se non come uno scherzo di cattivo gusto. Ma nell’ostinazione di Mrs Hill c’era ben poca traccia di divertimento.

-Non voglio diventare amica di James Douglas!- sbottò rossa per la rabbia. L’euforia di Mrs Hill era del tutto scomparsa così come l’imbarazzo.

-Ascoltami signorina, Alice Douglas è una donna gentile e premurosa che non mi conosce per niente, ma nonostante ciò ha voluto offrirsi di aiutare nel matrimonio. Ora, la sua unica richiesta è stata di poterti conoscere e tu, volente o no, mi accompagnerai e sarai addirittura carina con lei e il resto della sua famiglia compreso il figlio, per quanto antipatico possa essere!-

Disse severa la madre, ora aveva una scintilla di delusione negli occhi, come se si fosse aspettata comprensione da MacKenzie. Eppure la scorsa sera era sembrata così risoluta nel sopportare quel James, aveva sbagliato qualcosa? A volte faticava a capirla, soprattutto dopo la morte di Henry. MacKenzie non proferì parola e, con uno sguardo vitreo, uscì dalla stanza per andare a far colazione. Agnes sospirò esausta stendendosi sul letto; si domandava insistentemente se la figlia fosse o no d’accordo sul matrimonio tre lei e Mr Patterson e poi, con la nuova proposta che le aveva fatto Wilbur inaspettatamente. Forse andava tutto troppo in fretta.

Mac si preparò senza più protestare e senza guardare in faccia la madre; in realtà dentro di lei si infuriava una lotta interiore. La repulsione che provava verso quel ragazzino la convinceva a rimanere a casa, magari immergendosi in qualche opera di Shakespeare senza tornare più in superficie per tutta la giornata, oppure cominciare quel tema di storia che le avevano assegnato al college come compito per le vacanze. Ma al tempo stesso il desiderio di mettersi alla prova, di dimostrare la propria superiorità l’allettava più di quanto fosse lecito. Moriva dalla voglia di farla pagare a quel mocciosetto arrogante che la irritava solo con quello sguardo caricato eccessivamente di sfacciata malizia. Alla fine il sapore aspro della sfida che le si proponeva ebbe la meglio; così raccolse tutto il suo coraggio e la pazienza che aveva in corpo e si avviò a testa alta verso casa Douglas.

Si ritrovò in una tenuta abbastanza simile a villa Patterson, solo leggermente più grande. Era circondata da un muretto rosso e al centro del giardino c’era un magnifico ed imponente ciliegio in fiore. Proprio sotto quell’albero maestoso c’era James, comodamente disteso sull’erba a sonnecchiare, e accanto a lui un ragazzo appoggiato al tronco che leggeva un libro silenzioso. MacKenzie si sorprese di tutta quella pace, avendo avuto modo di conoscere il ragazzo.

Seguì la madre abbassando lo sguardo sperando non la notasse, d’altro canto non passava certo inosservata con la madre che emetteva striduli urletti dalla gioia. Come temeva lo sguardo di Douglas si posò sul suo capo come un incudine. Non sembrava particolarmente contento, anzi per lo più appariva infastidito dalla sua presenza. Il ragazzo dietro di lui gli diede un colpetto sulla spalla divertito quando James si rizzò in piedi puntellandosi sui gomiti. Uscì dall’ombra del ciliegio andando incontro a Mac, il ragazzo rimase appoggiato al tronco ad osservarli divertito; MacKenzie cercò la madre con lo sguardo cercando di sfuggire a James, ma si accorse che era entrata senza di lei. Mac si appuntò nella mente di fargliela pagare mentre James la raggiunse con uno sguardo seccato.

-Che ci fai a casa mia?- le chiese brusco, non gli andava di perdere le sue preziose vacanze dietro a quella sottospecie di carota isterica. Come già si aspettava la carota si irritò immediatamente.

-Non usare quel tono! A Londra abbiano una cosa chiamata “gentilezza”, non so se hai presente-

James fece per risponderle con le rime, ma si ricordò che in teoria doveva farle passare una bella giornata. Con tutta la sua forza di volontà si costrinse a mostrare un sorriso tirato.

-Seguimi- disse prendendole un braccio delicatamente. MacKenzie guardò la sua mano sul suo braccio quasi disgustata.

-Perché dovrei?- ribatté altezzosa liberandosi con uno strattone, James le si avvicinò ancora con il sorriso stampato in faccia che aveva un che di minaccioso ora.

-Perché te lo dico io- le sussurrò di rimando facendole accapponare la pelle. Lo seguì silenziosa tenendo gli occhi a fessure concentrate sul suo capo. Le era quasi sembrato pericoloso, certamente un ragazzo che non ama esser messo in discussione, talmente pieno di sé da credersi superiore a tutti. A Mac venne voglia di vomitare mentre delineava il carattere di Douglas che le piaceva sempre meno. Arrivati sotto l’albero James si rimise comodamente disteso sull’erba fregandosene altamente della sua presenza.

-E io cosa dovrei fare?- chiese irritata da come venivano trattati gli ospiti. James alzò lo sguardo annoiato e lievemente sorpreso dalla sua reazione.

-E che ne so, quello che fai di solito- Mac non era inferocita perché non veniva considerata (stava più che bene senza parlare con Mr simpatia), ma per il modo in cui trattava le persone; si credeva un dio sceso in terra? Troppo superiore per parlare con le persone comuni? Di nuovo il senso di nausea assalì Mac. Dalla tracolla marrone tirò fuori quel tema per le vacanze che Mrs Reed, la loro severissima insegnante, gli aveva assegnato. Mentre si sistemava accanto al tronco il suo sguardo cadde sul ragazzo di prima che la osservava divertito e imbarazzato.

-Ciao- proferì lui con enfasi, quasi orgoglioso di aver spiccicato parola.

-Ciao- borbottò di rimando Mac ancora su di giri per il comportamento di Douglas. Il ragazzo non aggiunse altro e tornò a leggere il suo libro; mentre faceva finta di prendere appunti dal testo di storia Mac osservò di sottecchi il ragazzo. Aveva dei capelli scurissimi e riccioli, gli occhi di un celeste mai visto, parevano alieni da quanto erano chiari; il naso piccolo e perfettamente lineare, le pelle olivastra era un contrasto netto con il colore chiaro degli occhi e le labbra rosse e sottili.

-Ehi Drew, facciamo qualcosa dai! Sto morendo di noia-

Proferì James all’improvviso spezzando quel candido silenzio che si era creato; Mac si spaventò talmente tanto da lasciar cadere il libro di storia rumorosamente arrossendo per l’imbarazzo. Sentì la risatina soffocata di James alle spalle e un senso omicida si fece strada dentro di lei. Ancora rossa per la vergogna cominciò a scrivere furiosamente sul quaderno tentando di concentrarsi sul testo.

 

Si ritiene che la scoperta dell’America sia avvenuta durante il 1492 da parte del famoso esploratore genovese Cristoforo Colombo con lo sbarco su una delle isole Lucaie in seguito da lui ribattezzata San Salvador.

 

-Potremmo andare a trovare Cecily, è da un po’ che non la vedo- disse il ragazzo con una voce mite e dolce. James ridacchiò in risposta.

-Tu andresti tutti i giorni a trovare Cecily se potessi- Mac, distolse leggermente lo sguardo dal foglio e poté vedere un accentuato rossore sulle guance di Drew.

 

Pochi sanno che furono i Vichinghi i veri scopritori del nuovo mondo. Arrivarono in Groenlandia già nel X secolo ed occuparono i territori a nord-est di Terranova.

 

-Io dico di andare a trovare Sanford e i suoi patetici tira piedi, devo ringraziarli del bel pugno che mi hanno rifilato l’altro giorno sul naso- continuò James

-Te lo sei meritato, perché gli hai dovuto tirare il fango in faccia?- chiese Drew cercando di apparire serio, ma si stava lasciando trasportare da una risatina contagiosa.

-Perché mi irritava la sua faccia da suino!- ribatté James scoppiando a ridere fragorosamente rotolandosi sul prato, Drew si reggeva la pancia dalle risate non provando neanche a contenersi.

 

Come per i loro successori europei, la situazione con i nativi degenerò trasformandosi in violente guerre. Nel caso degli europei ci furono dei veri e propri massacri di nativi che venivano sfruttati per la coltivazione delle loro terre.

 

-AHAHHAH!!! Mi ricorderò per sempre la faccia di Sanford quando gli ho tirato quello schifo in facciAHAH!!- biascicò James tra le risate. SBAM! Mac chiuse il libro con forza, si alzò velocemente e li guardò con un’ espressione furente. Il tema stretto ancora nella mano che tremava dalla rabbia.

-Stavo-cercando-di-studiare!-

Sibilò tra i denti Mac serrando le mascelle; non bisognava mai disturbare MacKenzie Hill mentre studiava, mentre leggeva e mentre mangiava. Erano i suoi momenti magici di relax o di concentrazione e se eri talmente stupido da sfidare la sorte non potevi poi andarlo a raccontare in giro. Drew si zittì all’istante facendosi piccino piccino davanti alla palese ira di quella strana ragazza; James gli aveva detto che era isterica, ma lui non dava mai troppo peso alle parole dell’amico, ora forse avrebbe dovuto ricredersi.  James, d’altro canto, si limitò ad alzare un sopracciglio divertito.

-Che c’è di male a lasciarsi un po’ andare, eh carota?- disse James sghignazzando ancora. Mac spalancò gli occhi spiazzata ed orripilata insieme; avrebbe avuto una faccia davvero comica se Drew non avesse saputo della furia che stava per abbattersi su di loro.

-C-come mi hai chiamata?- chiese sconvolta Mac con ancora quella buffa espressione tra l’inorridito e la sorpresa. Drew tentò invano di avvertire l’amico ignaro dell’errore appena commesso.

-Jim…- cominciò debolmente Drew, inutile dire che James lo ignorò bellamente.

-Non ti piace carota? Che ne dici di pomodoro?- chiese James sorridendo ancora come un ebete. Il suono di un pugno riecheggiò nel giardino e MacKenzie si avviò infuriata verso casa fregandosene della madre con il naso all’insù e stretto al petto il voluminoso libro “Sui passi della Storia”. James si massaggiò dolorante il capo dove andava a formarsi un bernoccolo mentre osservava ancora attonito il punto in cui Mac era sparita. Drew scosse il capo con un sorrisetto.

-Picchiato da una ragazza, mi deludi Jim- proferì Drew lasciandosi andare a delle risate ancora più fragorose di prima.

MacKenzie intanto tornava come una furia verso casa Patterson non tenendo neanche conto della strada da seguire, mentre borbottava fra di sé frasi sconnesse e prive di significato. La gente di Brookwood guardava quell’undicenne mingherlina e bassa avanzare con un passo talmente spedito da sembrare un maratoneta. I capelli sembravano rispondere alla furia della padrona ondeggiando tra il vento come fuoco danzante che le dava un’aria ancora più minacciosa; in una mattina Mac per tutta Brookwood era già una “bambinetta isterica”. Intanto la rossina continuava a vagare sperando di scorgere qualcosa di familiare, ma le case le sembravano tutte così dannatamente uguali! Arrivò davanti ad una strada ancora più deserta del solito e capì di aver sbagliato completamente direzione.

-Stupido Douglas, stupida Brookwood e stupida me che do’ sempre retta a mia madre!- borbottava intanto Mac che si era fermata guardandosi attorno e battendo freneticamente un piede. Alla fine anche quel minuscolo granello di rabbia che rimaneva scemò lasciando il posto all’autocommiserazione. Sentì gli occhi pizzicarle e farsi umidi.

-Come si fa a perdersi a Brookwood?- piagnucolò disperata. Perché non usava mai il cellulare che le aveva regalato Agnes? Ripensò a quel Nokia blu lucente e super tecnologico che riposava indisturbato nel fondo della valigia. Troppo vistoso e appariscente, aveva considerato Mac. Cominciò a camminare indecisa spostando lo sguardo da sinistra a destra quasi disperata. L’unica volta che si era persa era stato a sei anni da Harrods a Londra; aveva pianto talmente tanto da attirare l’attenzione di ben tre commesse che si erano adoperate di ritrovare i familiari,e in cinque minuti era di nuovo tra le braccia di tata Maggie. Ma ora non ci sarebbero state deliziose commesse vestite di verde e con sorrisi sfavillanti a salvarla, e certo non prevedeva di mettersi a piangere, anche se le lacrime che tratteneva cominciavano a farle quasi male. Ripensò alla causa di tutto.

-STUPIDO DOUGLAS!- urlò con quanto fiato aveva in gola facendo saltare in aria un unico gatto solitario che si affrettò  rizzare il pelo e a dileguarsi. Era quasi liberatorio dare la colpa a qualcuno.

-Hai conosciuto James?- chiese una timida e debole voce. Mac balzò all’indietro con un piccolo urletto alla vista di una ragazzina apparsa dal nulla. Era più alta di lei di almeno cinque centimetri, ma talmente magra che Mac si aspettava si afflosciasse al suolo da un momento all’altro. Un caschetto di mori e lisci capelli le incorniciava il viso diafano; le labbra piene e rosa il naso all’insù e degli occhi grigi da gatta meravigliosi. Mac credette di trovarsi davanti ad una piccola Biancaneve. Quella ragazzina fece una risata talmente leggera che sembrava più un piccolo accenno di tosse.

-Scusa non volevo spaventarti- mormorò debolmente venendole incontro. MacKenzie voleva quasi offrirle il proprio braccio per appoggiarsi, sembrava così tremendamente debole che un senso di protezione verso quella ragazzina la invase. Poggiò sul braccio di Mac una mano, che sembrava il tocco di una piuma.

-Ti sei persa?- chiese la mora scrutandole il viso. Mac si immaginò il suo aspetto: i capelli scompigliati dal vento, gli occhi gonfi e umidi e probabilmente le guance rossissime dall’arrabbiatura. Abbassò il capo imbarazzata trovandosi in quelle condizioni.

-Non riesco a trovare la strada di casa- confessò Mac seccata e colpita nell’orgoglio; ecco la tipica ragazza nuova che si perde anche in una città così piccola. Quella ragazza le sorrise con una compassione che la fece sentire ancora più stupida e inesperta. Capì che avrebbe dovuto dire qualcosa.

-Sono MacKenzie Hill- sussurrò mordicchiandosi il labbro.

-Cecily Douglas- Mac strabuzzò gli occhi e divenne color porpora; era sua sorella? Cecily capì i suoi pensieri e con una risatina divertita si affrettò ad aggiungere

-Sua cugina- MacKenzie tornò quasi del tutto a respirare, ma aveva comunque un nodo alla gola, aveva appena dato dello stupido a suo cugino.

-M-mi dispiace per quello che ho detto, n-non… insomma… non intendevo dire proprio stupido, ma…- provò a giustificarsi Mac debolmente, Cecily, però, la fermò con un cenno annoiato con la mano.

-Non preoccuparti, ho sentito almeno una dozzina di persone definirlo così- disse Cecily con una risatina. Mac si unì a lei molto più sollevata; Cecily aveva la capacità di farla sentire a suo agio. Aveva un viso così dolce da tranquillizzare anche il più ansioso degli uomini. Porse una mano a Mac che la prese senza indugiare e cominciarono a camminare in silenzio e dolcemente mentre la rossina si affidava a Cecily che la guidava senza esitazioni.

-Dove abiti?- chiese la mora spezzando il silenzio.

-Dai Patterson, mia madre dovrà sposarsi con Mr Patterson, non so se lo conosci- rispose MacKenzie sorprendendo se stessa. Non aveva mai detto a nessuno così esplicitamente che la madre si risposava, era abbastanza dura ricominciare senza Henry.

-Prima regola di Brookwood: tutti conoscono tutti- rispose di rimando Cecily che le mostrò un sorrisetto sghembo che le ricordò tremendamente quello di Douglas. Ora che ci pensava avevano lo stesso naso e lo stesso sorriso e la forma degli occhi era identica.

-Seconda regola:- continuò Cecily divertita –tutti conoscono gli affari di tutti, si sapeva già da due settimane che Mr Patterson si sposava. Quindi tua madre è Agnes Hill-

-Uh uh- mugugnò Mac annuendo col capo. Il fatto che gli abitanti di Brookwood fossero dei pettegoli la disturbava parecchio. Con Cecily, comunque, non si mostrò irritata.

-Conosci un certo Drew?- chiese ad un tratto MacKenzie, si era ricordata la breve conversazione tra James ed il suo amico che avevano menzionato proprio la mora. Cecily rimase parecchio spiazzata e diventò dello stesso colore dei capelli di Mac.

-S-si, si chiama A-andrew Hamilton- bofonchiò giocando nervosamente con una ciocca di capelli. MacKenzie si ricordò dello stesso rossore sulle guance di Drew e un sorrisetto spontaneo si delineò sulle sue labbra; meglio non dire niente, pensò Mac, dopotutto lei era ancora una sconosciuta.

-E’ amico di James, vero?- chiese MacKenzie insistendo; Cecily annuì ancora rossissima, tanto che Mac credette che tutto quel sangue alle guance gli avrebbe presto dato alla testa.

-Il suo migliore amico- continuò Cecily torturandosi un labbro. Per il bene della Douglas, Mac cambiò velocemente discorso pensando che altrimenti sarebbe presto fuggita dall’imbarazzo.

-Spero di non ricevere una sgridata da tata Maggie per essere scappata dalla casa dei Douglas, ma non resistevo più lì- non aggiunse altro ricordandosi che Cecily era comunque la cugina di James e non sarebbe stato molto carino, per stringere amicizia, dirle che gli aveva tirato un pugno in testa. Cecily sembrò ignorare l’ultimo commento e aggrottò le sopracciglia confusa

-Ma anche tua madre sarà preoccupata- in risposta MacKenzie sbuffò divertita.

-Non si sarà neanche accorta della mia assenza- Cecily osservò la sua espressione e vide nei suoi occhi una tristezza inaudita che la fece avvampare. Era come se avesse violato l’intimità di Mac e ora ne era imbarazzata e dispiaciuta. Serrò le labbra distogliendo lo sguardo dalla rossina facendole capire che non le importava di affrontare il discorso, ma Mac aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e Cecily le infondeva una familiarità che aveva completamente perso a Brookwood.

-E’ talmente presa da questo matrimonio che non posso deluderla- continuò Mac abbassando lo sguardo.

-Sono venuta a Brookwood senza protestare e ho acconsentito ad ogni sua richiesta. Non è egoista- si affrettò ad aggiungere in difesa di Agnes –ma tra noi non c’è mai stato un rapporto speciale, è come se ci fosse qualcosa che ci separa. Senza papà è tutto più difficile- sospirò sentendo tornare le lacrime in superficie. Le scacciò violentemente, basta piangere ora. Cecily rimase in silenzio aspettando che finisse, solo le strinse maggiormente la mano.

-I matrimoni la entusiasmano talmente tanto che non si accorge più di cosa la circonda; ormai sono abituata, intendo a stare nell’ombra, aspetto solo che mi noti-

Mac aumentò il passo non aggiungendo nient’altro. Cecily era rimasta parecchio scossa da quella confessione che sembrava esser stata pronunciata da una donna. Non conosceva nessun ragazzo della sua età che avesse tante angosce addosso. All’improvviso Cecily si sentì immatura e infantile rispetto a MacKenzie Hill. Mac si accorse del suo silenzio e dell’espressione ansiosa sul viso di Cecily.

-Scusa- si affrettò a dire allarmata –non volevo dirti queste cose- Cecily si riscosse e la guardò comprensiva.

-Figurati, se hai bisogno ogni tanto di sfogarti chiamami pure, sto al 14 di Dawneys Road.-

MacKenzie si esibì in un sorriso, suo malgrado, che non arrivò agli occhi.

-Grazie- rimasero in silenzio per tutto il resto del tragitto, ma non un silenzio imbarazzante, uno di quei silenzi d’intesa, in cui non si ha bisogno di dir nient’altro; e MacKenzie e Cecily si erano intese all’istante. Mac riconobbe villa Patterson dal cancello arrugginito e corroso. Suonò al campanello e al citofono si poté sentire la nasale voce di Mary Patterson.

-Ah, sei tu- fu la risposta sfacciata della futura zia. Cecily guardò accigliata il punto da cui era uscita l’antipatica voce di Mary.

-Non è molto gentile- commentò la mora mentre il cancello si apriva con l’odioso fracasso del giorno prima. In risposta Mac fece spallucce.

-Non preoccuparti- le disse con un mezzo sorriso.

MacKenzie si fece indecisa; non le andava di entrare ed affrontare le perfide gemelle da sola.

-Tecnicamente non potrei invitarti non essendo casa mia, ma comunque, vuoi entrare?-

Chiese nervosamente. Cecily dovette notare una nota di disperazione nel tono della sua voce perché le fece un sorriso tra il compassionevole e il divertito.

-Certo, non posso perdere l’occasione di far infuriare le gemelle Patterson- disse facendo una debole risata. MacKenzie non rimase completamente sorpresa da quel ragionamento, era pur sempre la cugina di James.

-Sono sempre così terribili?- domandò divertita Mac avviandosi verso il portone. Cecily soffocò una risata.

-Si solitamente, ma credo che il vostro arrivo le abbia inacidite ancora di più- Mac roteò gli occhi al cielo esasperata. Sul portone c’era Helena che la guardava con le narici dilatate e la mascella contratta.

-Non dovevate rimanere fuori tutto il giorno tu e tua madre?- chiese inviperita sottolineando con una smorfia le parole “tu e tua madre”.

-Cambio di programma- commentò solo Mac che cercò di entrare facendosi spazio tra la porta e Helena. Quella le si parò davanti con decisione.

-Questa gentaglia non entra in casa mia- disse Helena con tono disgustato facendo un lieve cenno con il capo verso Cecily. Quella sostenne lo sguardo impassibile e leggermente annoiata.

-Ma come ti permetti?!- chiese scioccata e inviperita MacKenzie guardando con occhi fiammegganti Helena che non si scompose al tono scioccato di Mac. La rossina si sentì tirare dietro per un braccio con la solita delicatezza.

-Lascia stare MacKenzie- le disse Cecily scuotendola leggermente. MacKenzie ignorò bellamente la debole richiesta di Cecily e continuò a fissare infervorata Helena che la guardava impassibile con occhi di ghiaccio.

-Chiedile scusa!- si impuntò Mac sbattendo leggermente il piede a terra; Helena ruppe quella maschera fredda e distaccata rilevando una furia che intimidì leggermente MacKenzie.

-Come osi stupida ragazzina!!? Sei qui da solo un giorno e già impartite ordini a tutti, tu e la tua cara mammina! FUORI DA CASA MIA!- con questo urlo finale, che spettinò le povere undicenni, Helena gli sbattè il portone in faccia. MacKenzie, troppo scioccata per parlare, rimase a guardare il portone di un bianco sporco e rovinato per un altro minuto. Cecily si tirò indietro una ciocca di capelli con un’aria divertita.

-Bè, è stata più comprensiva dell’altra volta- disse con un sorrisetto. Mac, a sentire l’amica parlare, si riscosse e avvertì una rabbia crescente farsi strada nel suo corpo invadendola.

-CHE CAFONA!- urlò fuori di sé facendo saltare in aria un’ignara Cecily. Com’ era successo con James, Mac cominciò ad allontanarsi da casa Patterson pestando i piedi pesantemente e borbottando tra sé frasi sconnesse; Cecily, che per mantenere il suo passo frettoloso quasi correva, capì che MacKenzie era uno spasso quando era veramente arrabbiata, probabilmente non dovevi rivolgerle parole se ci tenevi alla pelle, ma vedere quella piccola rossa così infuriata suscitava in lei un senso di tenerezza che sentiva solo per le sorelle. Dopo un quarto d’ora di rigirii vaghi, Cecily decise di intervenire prima che uscissero direttamente dal paese e finissero a Woking.

-MacKenzie, calmati un secondo!- le disse alzando leggermente la voce e prendendola per le spalle fermandola.

-Non capisco perché te la prendi tanto, io sono abituata ai suoi insulti, non m’importa davvero- cercò di sorriderle per tranquillizzarla, ma Mac tremava ancora per la rabbia.

-Essere una zitella acida non le da’ comunque il diritto di farmi fare queste figure! Mr Patterson non può essere fratello di quelle megere, è completamente l’opposto, e così anche Mrs Patterson!-

Concluse leggermente affannata; Cecily si morse un labbro per non ridere della sua espressione sconvolta,ma Mac notò comunque il suo sguardo divertito.

-Come fai a prenderla con tale leggerezza? Quella donna ti ha insultato!- continuò Mac indignata. Lo sguardo di Cecily si fece serio.

-Tra la mia famiglia e Helena Patterson c’è sempre stato dell’astio- disse la mora dispiaciuta. Mac aggrottò le sopracciglia confusa.

-Perché?- chiese semplicemente, Cecily si riaprì in un sorriso.

-Te lo dico dopo, prima devo raggiungere mio cugino. Avevo promesso che sarei passata da lui-

E rise ancora, nuovamente serena, vedendo l’espressione di MacKenzie rabbuiarsi.

  

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 capitolo: decisioni ***


Note: Uff

Note: Uff! Ecco che aggiorno “Brookwood”… scusate se ci ho messo un po’, ma con la fine della scuola ci sono compiti e interrogazioni tutti i giorni^^”. Non posso credere che ho già finito anche il terzo capitolo, di solito mi stanco presto di ciò che scrivo, ma con questa nuova storia ho sempre nuove idee! Grazie a tutti quelli che seguono la storia e che l’hanno aggiunta tra i preferiti, solo una piccola richiesta: recensite, anche solo per dirmi che questa storia è una schifezza, apprezzo molto le critiche costruttive… ma passiamo ai ringraziamenti.

Lely1441: La tua recensione mi è piaciuta moltissimo e mi ha anche aiutata molto! Ora cerco di stare più attenta agli errori e alla punteggiatura (anche se quella è il mio tallone d’Achille xD. Potresti magari suggerirmi qualche beta-readers? E, scusa l’ignoranza, cosa fanno esattamente, revisionano le storie? Non sono molto ferrata sull’argomento. Per quanto riguarda la storia, inizialmente appare piuttosto banale, lo so xD, ti assicuro che più avanti diventerà molto più interessante; sono ancora piccoli e fino al 5° capitolo non cresceranno, quindi, dai, non manca molto xD. Mr Patterson ha ancora un ruolo marginale, mentre su Mrs Hill non aspettarti troppo, magari dimmi che ne pensi in questo capitolo. Personalmente anch’io amo follemente Alice *__* Ti ringrazio tantissimo per la recensione!! Baci

Ringrazio anche checcaaaa_, Mana_chan, maRgariNa, pirilla88 (per aver aggiunto la storia tra i preferiti) e isibiri e Lely1441 (per seguire la storia).

 

 Brookwood

 

di

Mary Chilton

 

 

 

©MARY CHILTON

IMPORTANTE: E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE

DI QUESTO MANOSCRITTO, ANCHE PARZIALE,

SENZA L’ESPRESSA AUTORIZZAZIONE DELL’AUTRICE

 

Prima edizione

(prima stesura)

 

 

3 Capitolo: decisioni

 

 

«Ma le stesse persone cambiano

tanto che c’è sempre qualcosa

di nuovo da osservare»

Pride and Prejudice – Jane Austen

(1813)

 

 

 

[28 luglio 2001]

 

MacKenzie rientrò con Cecily a Villa Douglas completamente rossa in faccia; forse non era stata una buona idea quella di tornare dopo che aveva tirato un pugno a James. Intercettò lo sguardo di Cecily che la osservava di sottecchi divertita.

-Forse… forse è meglio che io torni dai Patterson- borbottò mettendo su un lieve broncio. Cecily ridacchiò divertita.

-Come mai?- le chiese maliziosa immaginando già la risposta. Mac la fulminò con lo sguardo in un chiaro segnale: non farmelo dire. Ma Cecily, tutt’altro che intimorita, le continuava a sorridere innocentemente aspettando una risposta.

-Non sto m-molto simpatica a tuo cugino- confessò osservando truce la Villa che si ergeva in tutta la sua bellezza, nonostante l’antichità. Cecily sghignazzò, ma continuò imperterrita a camminare avanti agguantando per un braccio Mac, assicurandosi che non scappasse. All’inizio la rossina si lamentò opponendo resistenza, ma, arrivate davanti al cancelletto, vide che James e Drew non erano più sotto il ciliegio. Si lasciò andare ad un sospiro di sollievo che non fece che aumentare l’ilarità di Cecily. Spingendo il portone Cecily chiamò la zia a gran voce. Alice Douglas apparse alla porta con la cornetta del telefono in mano.

-Ciao Cecily e ciao anche a te MacKenzie- le salutò con un largo sorriso. Mac notò una strana luce negli occhi quando si rivolse a lei, ma scacciò quel pensiero considerandosi troppo paranoica.

-Sai dov’è James zia?- le chiese Cecily cercando di celare inutilmente l’impazienza con una voce mite. Alice rivolse uno sguardo confuso a Mac.

-Credevo stesse giocando insieme- disse sbattendo leggermente le ciglia. Mac avvampò spiazzata e abbassò lo sguardo borbottando frasi sconnesse. Cecily la salvò intervenendo ancora.

-Lascia stare zia, sai dove sono?- le chiese disinvolta. Mac le strinse il braccio come muto ringraziamento. Alice, ancora contrariata per non aver capito, le rispose leggermente scocciata.

-Sono andati da Tom a prendere i cavalli- Cecily uscì come un fulmine dal portone dopo averle ricolte un veloce ‘grazie’ trascinandosi dietro Mac, con ancora un lieve rossore sulle guance. Sentirono la voce di Mrs Douglas dietro di loro.

-Dopo ditegli di venire qui, devo parlargli- disse con un tono di rimprovero nella voce. Cecily si girò per un secondo continuando a correre.

-Lo faremo- poi si rivoltò velocissima. Mac osservava impietrita quella scena cominciando a sudare freddo: le gambe finissime di Cecily sembrava stessero per cedere e lei correva già con il fiatone. Quando avvertì che la sua mano cominciava a tremare Mac la bloccò.

-Ferma Cecily!- disse un po’ troppo bruscamente. Cecily si arrestò di colpo sorpresa.

-E perché? N-non ce… ce la fai più?- soffiò debolmente come se non si fosse accorta di niente. Le ginocchia le tremavano leggermente. Mac si chiese se lo facesse apposta o se non se ne rendesse conto davvero.

-Io…- cominciò indecisa, cosa poteva dirle? Certamente non che era lei che sembrava esausta.

-Sì, non ce la faccio più- disse accentuando i sospiri affannati. Cecily accettò di buon grado di camminare a passo svelto mentre Mac rifletteva tra sé e sé. Davvero non si era accorta che stava tremando? Avrebbe dovuto sentire la debolezza che l’attanagliava, ma aveva fatto finta di niente come se avesse corso normalmente. Forse era solo lei paranoica, forse era Cecily che ,con quella magrezza, le dava l’impressione di estrema fragilità. No, c’era altro. Le persone non sono così magre per natura, constatò Mac, e di certo Cecily non aveva spiccato una corsa senza il minimo sforzo. Scrutò con la coda dell’occhio il viso della mora. Aveva ancora il fiatone e dalla fronte scendevano delle piccole gocce di sudore.

-Ti senti bene Cecily?- le chiese impulsivamente Mac. Cecily si voltò di scatto a guardarla con una luce indecifrabile negli occhi che nascose subito con un sorriso gentile.

-Mai stata meglio, perché?- le rispose Cecily con fin troppa innocenza; Mac scrollò le spalle sempre più sospettosa, ma dovette lasciar perdere quando Cecily le annunciò che erano arrivate.

Mac arricciò il naso leggermente disgustata: riusciva a capire che erano arrivate alla stalla solo dall’odore.

-Tom noleggia box per i cavalli- spiegò Cecily mentre si avvicinavano –noi ci passiamo quasi tutte le giornate d’estate qui- continuò con un sorriso radioso. Mac la guardò intenerita.

-Ti piace molto cavalcare?- le chiese MacKenzie interessata a sapere qualcos’altro su quella ragazza.

-Uh uh- annuì distrattamente Cecily con lo sguardo fisso sulla stalla. In quel momento spuntò un ometto magrolino e ripiegato su se stesso con una gobba; aveva dei piccoli occhiali tondi sopra un naso ossuto e aquilino. Portava una camicia a quadri blu e degli scarponi ricoperti di letame. Il mento era sporgente e i pochi capelli bianchi rimasti erano ritti che gli davano un’aria ancora più bizzarra. A vederle arrivare Mac notò che gli occhi piccoli da furetto gli si illuminarono.

-Cecily, che bella sorpresa!- esclamò l’ometto andandogli incontri con dei piccoli balzi. Cecily lo raggiunse allegramente.

-Ciao Tom, come sta Clyde?-

Tom ridacchiò in risposta leggermente esasperato.

-Come lo hai lasciato ieri, tappetta: bellissimo e cordiale come pochi-

Mac si fece avanti confusa rivolgendosi a Cecily.

-Chi è Clyde?- disse poi arrossendo quando gli sguardi di tutti e due si posarono su di lei, come se si fossero scordati della sua presenza. Cecily le rivolse un sorriso entusiasta.

-Il mio cavallo, è un Thoroughbred- le disse con sospiro sognante nella voce. Mac strabuzzò gli occhi.

-Un Thoroughbred? Vuoi dire un purosangue inglese?- Chiese Mac leggermente intimidita. Cecily annuì con un lieve cenno del capo.

-Era di mia sorella Blanche, ma a lei non interessa più cavalcare. Così è passato a me- rispose semplicemente. Mac era lievemente frastornata; sapeva ben poco sui cavalli, fino a due anni fa aveva cavalcato la puledra che il padre le aveva regalato a sette anni, ma             sapeva che un purosangue inglese era molto prestigioso. Erano usati principalmente per le corse, essendo i più veloci al mondo, ed erano anche ottimi saltatori. Si ricordò di aver letto tutte le informazioni sul manuale Tu e il tuo cavallo. Spontaneamente chiese a Cecily

-Tu corri?- disse sentendo lo sguardo indagatore di Tom su di se; strofinò i piedi sul prato impacciata. Cecily annuì di nuovo.

-Da quando avevo cinque anni, tu?- chiese inclinando leggermente il capo. Mac sbuffò divertita.

-Bè so trottare se è questo che intendi- disse la rossina. Tom si intromise per la prima volta con la sua vocetta roca.

-Chiunque sappia che cos’è un Thoroughbred è la ben venuta qui!- esclamò animatamente. Mac sobbalzò sorpresa volgendosi a guardarlo. Tom si tolse il cappello portandolo al petto e si esibì in un teatrale inchino.

-Thomas Abbott, al suo servizio Milady- Cecily si lasciò andare ad una fragorosa risata a cui si unì volentieri anche MacKenzie. Gli piaceva quel Tom, era un vecchietto che sapeva il fatto suo. Di rimando fece anche lei un piccolo inchino impacciato.

-MacKenzie Hill- Appena si presentò gli occhietti acquosi di Tom sprizzarono felicità da tutti i pori. Le agguantò la piccola mano e gliela strinse calorosamente.

-Sei la figlia della futura Mrs Patterson allora! Tanto, tanto piacere!- Mac guardò confusa Cecily mentre Tom le agitava ancora la mano. Cecily le rivolse il solito sguardo paziente e dolce.

-Tutti vogliono bene a Mr Patterson, ed è stato solo un po’ troppo tempo. Adorerebbero tua madre anche se assomigliasse alle gemelle-

Mac ridacchiò in risposta. Si diressero verso il box di Cecily dove ad aspettarli c’era Clyde. Cecily aprì il cancelletto e corse ad accarezzarlo mentre faceva cenno a Mac di raggiungerla. MacKenzie si avvicinò guardinga ad ammirarlo in tutta la sua bellezza; provò un leggero moto d’invidia per Cecily. La mora si voltò a guardarla.

-Ti piacerebbe cavalcare insieme? Tom può benissimo prestarti un cavallo.-

-Senza alcun dubbio!- si intromise entusiasta Tom, uscì dal box tutto felice. Mac cercò di fermarlo imbarazzata.

-N-no aspetta, non c-credo di esserne ancora capace!- disse disperata; non le andava di fare una figuraccia.

-Sarai sicuramente bravissima! E’ come andare in bicicletta, una volta che hai imparato non lo scordi più- le disse a voce alta Tom mentre lo sentiva maneggiare con un mazzo di chiavi.

-E così possiamo anche raggiungere James e Drew, sai dove sono Tom?- continuò Cecily senza notare la faccia intimorita di MacKenzie. Tom ridacchiò

-Probabilmente sono nei dintorni o hanno raggiunto il bosco- Mac deglutì a vuoto immaginando se stessa in sella ad un cavallo che si fa largo tra pietre e radici su un terreno sconnesso; il tutto con davanti James Douglas che la sbeffeggia: decisamente troppo umiliante.

-Magari t-ti starò solo a guardare- disse debolmente con la bocca secca. Cecily le rivolse uno sguardo impaziente lisciando distrattamente la criniera castana di Clyde.

-Per favore Mac, sarà più divertente in due!- Ma Mac scosse energicamente la testa.

-Ti rallenterei togliendoti tutto il divertimento e, sinceramente, credo che tuo cugino non perderebbe occasione per deridermi- Cecily mise su un adorabile broncio. Tom tornò al box di Clyde tenendo per le briglie un altro cavallo. Mac strabuzzò gli occhi esterrefatta: era il cavallo più bello che avesse mai visto. Era alto e atletico, i soli muscoli tesi davano l’idea di velocità. Il manto era di un morello lucido e gli occhi, grandi e profondi, gli davano un aspetto quasi umano. Quando il suo sguardo incontrò quello del cavallo questo raspò il terreno con un’aria quasi compiaciuta. Cecily le scrutò lo sguardo perso ed affascinato. Tom le strizzò l’occhio e lei sogghignò complice.

-Tom sceglie i cavalli giusti per tutti; non ho idea di come faccia, ma riesce ad assegnare il cavallo perfetto che rispecchia il carattere del cavaliere- disse tutto d’un fiato Cecily, come se avesse ripetuto quel discorso parecchie volte.

-Questa è Lilith- proferì solennemente Tom –una puledra murgese arrivata da poco come te. Ha due anni ed un bel caratterino, una delle bestie più orgogliose che abbia mai conosciuto- Tom ridacchiò accarezzandole il muso. MacKenzie si fece indecisa.

-Posso…posso accarezzarla?- chiese a Tom che le ammiccò.

-Aspetta solo che ti osservi un po’ meglio, non è molto socievole con gli sconosciuti-

Mac alzò una mano leggermente tremante che rimase a mezz’aria. La puledra si voltò a guardarla con occhi indagatori e maturi soffiando pesantemente dalle narici. Mac avvicinò ancora un po’ la mano aspettando una reazione da parte di Lilith, la quale però rimase impassibile a scrutarla; non diede segno né di irritazione né di paura, si avvertiva una certa affinità tra lei e Mac. Entrambe circospette e prudenti non abbassavano lo sguardo fiere. La mano di MacKenzie raggiunse il muso nero di Lilith contro il quale si rilassò cominciando ad accarezzarlo dolcemente. Anche la puledra sembrò rilassarsi, anzi, si allungò leggermente di più per lasciarsi invadere da quel senso di familiarità. Tom osservò compiaciuto la scena: le affinità che riusciva ad intercettare tra cavallo e cavaliere erano ineguagliabili.

-Sembra… sembra… così intelligente!- soffiò debolmente Mac ancora affascinata dalla bestia.

-E’ un bellissimo esemplare- concordò Tom sospirando entusiasta. Cecily si intromise affascinata ancora una volta dalla dote di Tom.

-Allora, verrai a fare un giro? Uno soltanto, per favore!- implorò animatamente          Cecily.

Mac si voltò a guardarla con un sorrisetto esasperato. Alla fine si arrese.

-D’accordo, verrò a fare un giro- Cecily trillò felice e Clyde, avvertendo quasi l’entusiasmo della padrona, nitrì in risposta. Lilith diede un buffetto sulla guancia a Mac con il muso nero, come se volesse dichiararle la sua approvazione. Tom le diede una vecchia salopette di jeans e degli stivali fangosi che le andavano grandi. Mac era convinta che se Agnes l’avesse vista ora le si sarebbero rizzati i capelli biondi. Prese per le briglie Lilith e la condusse fuori dove ad aspettarla c’era già Cecily in sella a Clyde, che nitriva emozionato. Fece per mettere il primo piede nella staffa, quando sentì in lontananza uno scalpiccio affrettato di zoccoli e risate confuse; apparvero, oltre una collinetta, James e Drew, sorridenti e spensierati. James si avvicinò trottando su un cavallo color grigio perla; i capelli, sotto la luce del sole del mattino, emanavano riflessi dorati. Drew al suo seguito su un cavallo pezzato ed imponente. James scese con un agile balzo e un sorriso trionfante. Spaccone! 

-Ciao Jamie, finalmente riusciamo a trovarvi- Cecily scese velocemente da cavallo ed andò ad abbracciare il cugino. Drew la salutò animatamente e si delinearono due pomelli rossi sulle sue guance quando Cecily abbracciò anche lui. Se l’accoglienza di Cece era stata calorosa, lo stesso non si poteva dire di quella di Mac. Appena lo sguardo di James si posò sul suo visetto, si poterono quasi scorgere le scintille sprizzare e scontrarsi dagli occhi di tutti e due. Le labbra di James si delinearono nella sua solita smorfia di irritazione e Mac socchiuse leggermente le palpebre minacciosa.

-Ciao Andrew- salutò gentilmente Mac distogliendo lo sguardo velocemente. Drew le sorrise cordiale.

-Ciao MacKenzie, chiamami pure Drew- Mac allargò il sorriso e annuì appena con la testa; Hamilton sembrava a posto. Appena la rossina si voltò James pestò il piede a Drew.

-Ahi!- protestò Drew guardandolo seccato.

-“Chiamami pure Drew”- gli rifece il verso James sussurrando per non farsi sentire. Drew lo guardò seccato.

-Cercavo solo di essere gentile, non sono una scimmia addestrata come te- sussurrò di rimando Drew irritato e divertito allo stesso tempo.  James sogghignò.

-Ma che bravo ragazzo!- lo schernì, imitando poi dei versi di scimmia. Drew ridacchiò controvoglia. Mac, a sentire delle risatine soffocate, smise di accarezzare Lilith e si rigirò verso i due. James le rivolse un sorriso sornione.

-Allora, come ti trovi qui carotina?- Mac digrignò appena i denti; le sembrava troppo strano che non le avesse ancora rivolto parola.

-Puoi smetterla di affibbiarmi soprannomi?- chiese arricciando il naso in una smorfia. James serrò le labbra cercando di trattenere l’ennesimo ghigno; era troppo facile far arrabbiare quella ragazza.

-Non penso proprio Mac’n’Cheese!-

Gli rivolse un’occhiata gelida, ma evitò di commentare. Cecily interruppe quel delizioso scambio di battute reclamando una passeggiata a cavallo tutti insieme. Drew accettò ben volentieri, guardandola raggiante. Mac aveva l’impressione che se Cece gli avesse chiesto di buttarsi da un burrone avrebbe avuto la stessa reazione. Tutti montarono in sella ed iniziarono ad avviarsi lentamente verso il sentiero, tutti tranne che lei; Mac deglutì a vuoto, paralizzata, stringeva le briglie come unico punto di forza. Le parve che Lilith la stesse scrutando interrogativa. Mac non rimontava su un cavallo da ben due anni e rifarlo le metteva addosso una fifa assurda. Spostò la testa verso Lilith che attendeva raspando il terreno spazientita.

-Possiamo farcela ok? Basta che tu vada piano- sussurrò ancora terrorizzata alla puledra che si scrollò la criniera lunga dal muso.

-Muoviti carota!- la voce beffarda di James le arrivò dal bosco, seguita dai rimproveri di Cecily.

Irritata dal proprio atteggiamento, si ricompose alzando il mento fiera. Pose con decisione un piede sulla staffa e rimase lì. Immobile ed indecisa. Si sentì strattonare per le spalle e messa di peso su Lilith che nitrì compiaciuta. Sconvolta vide Tom che la guardava gentilmente, convinto di averle fatto un favore.

-Se non ci arrivavi bastava che mi chiamassi- la rimproverò scherzando, poi diede un lieve scappellotto a Lilith che partì trottando sul sentiero. Presa alla sprovvista Mac si aggrappò saldamente al collo della puledra, che, incurante, continuava a trottare sempre più veloce, accennando volentieri ad un galoppo.

-Ferma Lilith, un secondo, aspetta!- farfuglio in preda al panico Mac. L’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento e MacKenzie agguantò con mani tremanti le briglie, che in quel momento le parvero un’ancora di salvezza. Tirò con decisione finché Lilith rallentò l’andamento. Sollevata e leggermente compiaciuta, Mac si tirò su con la schiena rigida; la sua partenza impacciata e disastrosa doveva essere sembrata ridicola.

-Eri ridicola!- alzò lo sguardo stupefatta e si accorse che aveva raggiunto gli altri tre ragazzi. Cecily aveva uno sguardo sollevato, Drew gentile e comprensivo, mentre James, che aveva dato voce ai suoi pensieri, la guardava in un misto tra l’ilare e il stupefatto. Divenne rossa come il colore dei suoi capelli e borbotto un ‘andiamo?’ evitando di incontrare lo sguardo strafottente di James. Sfortunatamente Drew e Cecily sembravano completamente persi nei loro discordi, mentre passeggiavano tranquillamente, e lei si ritrovò dietro con James, che sembrava contento quanto lei.

-Sai, sono felice che tu sia arrivata- proruppe James disinvolto. Mac si voltò a guardarlo completamente spiazzata e stupita da quell’affermazione.

-Non avevo nessuno da prendere in giro- completò tranquillamente Douglas con un sorriso sornione; Mac evitò di rispondere e si limitò a grugnire irritata contro quell’atteggiamento da tipico maschio. James prese tranquillamente a fischiettare un motivetto e MacKenzie cominciò ad osservare la natura attorno a lei. Dopo ben cinque minuti le sembrava che le orecchie le facessero male.

-Puoi smetterla di fischiare? E’ irritante- proruppe seccata Mac, non cercò neanche di essere gentile. Aveva rinunciato a farselo piacere da parecchio ormai. James si esibì in un sorriso ironico, ma smise comunque. Mac non abbassò la guardia, probabilmente aveva in mente qualcosa di molto peggio.

-Allora, è vero che tua madre è solo un avvoltoio?- proferì James con noncuranza.

-Cosa?- chiese Mac esterrefatta.

-Dicono tutti così- continuò James disinvolto, alzando appena le spalle.

-Bè, tutti si sbagliano allora. Mia madre ama davvero Wilbur- disse Mac seccata; scosse la testa incredula, gli abitanti di Brookwood erano i classici provincialotti ficcanaso. 

-E perché tu la difendi?- domandò di nuovo James –Tutti dicono anche che non avete un bel rapporto-

Mac sbuffò incredula e tentò di parlare, troppo spiazzata da quel nuovo commento.

-Questo… questo è… d-del tutto… inappropriato, ecco- balbettò Mac. Ma James sorrise vittorioso.

-Allora è vero- concluse gongolante; Mac lo fulminò con lo sguardo.

-Voglio bene a mia madre- disse fermamente. James fece spallucce.

-Questo non è mai stato messo in dubbio- MacKenzie fece schioccare la lingua seccata. Perché diavolo aveva dovuto farle proprio una di quelle domande che la mettevano in crisi?

-Sai che c’è? Io me ne vado- proruppe irritata ed ad alta voce, Cecily e Drew si voltarono confusi. Mac tirò le briglie dalla parte opposta e Lilith obbedì subito.

-James, che cosa le hai fatto?- chiese furibonda Cecily che fulminò il cugino, mentre Mac si allontanava dalla parte opposta.

-Io non ho fatto niente!- disse James fingendosi quasi offeso. Cecily esibì uno sguardo duro che le si poteva scorgere ben poche volte.

-Raggiungila, adesso!  Altrimenti dico tutto a zia Alice!- James deglutì a vuoto immaginando il volto della madre, una volta che avrebbe scoperto di aver fatto infuriare la Hill ben due volte in un solo giorno. Fece voltare Kele, il suo cavallo, e ripercorse il sentiero all’indietro. Non sarebbe stato difficile trovarla, figuriamoci se una perfettina come quella usciva dal sentiero. Infatti la intravide dopo poco che avanzava con Lilith sulla stradicciola. La affiancò con un sorrisetto, ma lei, appena lo vide, girò la testa dall’altra parte e aumentò l’andamento della puledra.

-Cece mi avrebbe mandato qui a chiederti scusa, ma non credo di riuscirci- Mac, malgrado tutto, si trovò a rispondergli.

-Allora dai retta a qualcuno, ogni tanto- disse ironica Mac asciugandosi con rabbia una lacrima solitaria. Che fastidio sentirsi così vulnerabile! Molto probabilmente James l’aveva vista, ma per una volta, miracolosamente, non commentò.

-Muoviti, vieni con me- proruppe esasperato James. Voltando di nuovo il cavallo, stavolta verso il fitto del bosco. Mac alzò un sopracciglio.

-Perché dovrei?- chiese con un tono glaciale. James fece un sorrisetto ironico.

-Non vorrai tornare dalle gemelle perfidia?- chiese già conoscendo la risposta. MacKenzie fece una smorfia e girò Lilith nella stessa posizione di Kele.

James cominciò ad inoltrarsi nel bosco senza alcun timore, al suo seguito, Mac, guardava incerta gli alberi, come se temesse di vedere un orso spuntare da un momento all’altro.

-Non dovremmo tornare sul sentiero?- chiese cercando di mascherare il tremolio nella voce. Era pur sempre una ragazza di città, dopotutto, e i boschi non le piacevano un granché. James sogghignò.

-Paura, londinese?- chiese spavaldo, facendo riaffiorare dentro la rossina di nuovo quel senso di irritazione. Mandò il naso per aria ,assomigliando moltissimo ad Agnes, e digrignò la mascella punta all’orgoglio.

-Per niente!- affermò sicura anche se con la coda dell’occhio si guardava attorno circospetta. James soffocò una risata vedendo il palese bluff. Dopo poco sospirò sollevato, erano arrivati. Mac, dietro di lui, spalancò la bocca esterrefatta: davanti a lei si ergeva una quercia enorme e imponente, riusciva a sentire lo schiamazzo di moltissimi uccelli provenire dalla chioma. Sorrise esterrefatta, doveva avere almeno cento anni! James appariva compiaciuto dalla sua reazione, con un agile balzo scese da cavallo e legò Kele ad un ramo. Mac fece lo stesso con Lilith, poi, quando si voltò, vide James che faceva forza su dei rami bassi e vi saliva sopra.

-Che diavolo fai?!- chiese sconvolta ed impaurita.

-Mi arrampico, no? Forza vieni, mica ti morde!- disse allegro come Mac non lo aveva mai visto.

-Potresti cadere! Scendi subito, pezzo di idiota!- continuò Mac sconvolta senza aver dato segno di averlo sentito. James ridacchiò per la sua reazione esagerata.

-Prova a raggiungermi Hill- continuò il ragazzo incurante salendo sempre più in alto.

-Non ci penso neanche!- disse Mac scuotendo energicamente la testa. James fermò la sua scalata con un’espressione vacua, a Mac sembrò quasi che gli si fosse accesa una lampadina.

-Scommetto che non sei mai salita su un albero- urlò James continuando ad aggrapparsi ai rami che scricchiolavano pericolosamente.

-Perché dovrei? Ho solo undici anni, non voglio morire!-

-Però vorresti salirci!-

continuò James saltellando come uno scoiattolo. MacKenzie boccheggiò e rimase in silenzio, indispettita dalla risata beffarda di James. In effetti l’idea di poter salire in alto come lui la entusiasmava più del lecito. Contro questa folle tentazione c’erano molte cose, per prima la legge di gravità; ma per una volta Mac mise da parte il raziocinio e appoggiò una mano su un ramo facendoci forza. James ridacchiò in alto da qualche parte. Poggiare il piede su un altro ramo fu naturale, quasi spontaneo, e fu come un gesto automatico arrampicarsi; come mangiare, bere, dormire… In un attimo si trovò accanto a James che la guardava con un sorriso; stavolta non c’era niente di ironico o malizioso, era solo il sorriso di un ragazzo. Senza dire niente le indicò un punto un po’ più in alto. MacKenzie sorrise intenerita ad una tale banalità: una casetta sull’albero. Fece per avanzare, ma James le mise un piede davanti facendole lo sgambetto. MacKenzie si appoggiò prontamente ad un ramo fulminandolo poi con lo sguardo.

-Avevi abbassato la guardia- spiegò James di nuovo con quel suo ghigno beffardo. Si fece strada tra i rami, abile come un felino, ed in poco tempo raggiunse la casetta. MacKenzie al suo seguito, leggermente affannata. James si fece da parte con un teatrale inchino.

-Prima le signore- disse con l’aria da cameriere. MacKenzie si fece avanti circospetta, non avrebbe abbassato di nuovo la guardia. James, alla sua occhiata indagatrice, rispose con un sorriso ironico.

-Non ti fidi di me?- le chiese innocentemente. MacKenzie trattene un sorriso a quello sguardo indifeso.

-Per niente Douglas- gli rispose leggermente divertita; a quel pensiero quasi sobbalzò, non aveva insultato James da più di quindici minuti e lui non le aveva ancora fatto saltare i nervi. Si fece ancora più sospettosa. Entrò nella casetta poggiando un solo piede e si sentì strattonare per la caviglia; emise un gridolino ed ecco che in un secondo era a testa in giù, tenuta  per un piede solo da una fune. Sentì il sangue affluirle alla testa per la posizione e per la rabbia.

-James!!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola verso quel ragazzino mingherlino, che ora si stava piegando in due dalle risate. Mac ringraziò il cielo di portare la salopette e non il vestito.

-E’ una mia invenzione, per gli intrusi! E morivo dalla voglia di provarla- spiegò tra una risata e l’altra.

-Fammi-scendere-subito!!!- ordinò glaciale MacKenzie che cominciava a diventare viola. James cercò di riprendersi ansimando ancora; lo vide allungarsi verso un ramo e sciogliere un nodo e così, fu schiantata sul pavimento di legno senza alcuna grazia. Si tirò su sbattendo la polvere dai pantaloni e inchiodò con uno sguardo fiammeggiante James; quello cancellò il sorriso divertito e fece una smorfia leggermente ansioso. Guardò intimorito, con la coda dell’occhio, i piccoli pugni serrati della rossina: la botta di quella mattina gli faceva ancora male.

-Non te la prendere tanto, piccola carota, è solo uno scherzo!- disse cercando di apparire spavaldo come suo solito, ma nella voce si avvertiva una vaga nota di timore.  James si aspettava di tutto: urla, calci, pugni… invece fu travolto da tre gavettoni della sua scorta personale(dei palloncini tenuti ordinatamente in fila sui ripiani della casetta, in bella vista). Mac sorrise malignamente allo sguardo spiazzato e ai vestiti fradici di James: e questa, era ciò che lei chiamava rivincita!

 

 

James e MacKenzie raggiunsero nuovamente Drew e Cece, ancora un po’ bagnati, dopo una vera e propria battaglia di gavettoni. Cecily appariva radiosa quando quei due tornarono, e già immaginava Mac e suo cugino amici del cuore. Drew, non così sognatore, sperava solo che non si fossero azzuffati. Cecily corse a parlare con James per sapere se avessero fatto pace, e James fece semplicemente spallucce non molto sicuro. Una scarica di gavettoni poteva essere un messaggio di pace? Drew invece si accostò con il cavallo a MacKenzie, deciso a conoscere un po’ meglio quella strana ragazzina.

-Allora, come ti trovi a Brookwood?- chiese garbatamente Drew. Mac arricciò le labbra pensierosa.

-Bè… non è che sia il mio luogo,mmm… ideale, ecco- concluse un po’ imbarazzata, dopotutto doveva essere sincera. Drew fece un sorrisetto divertito, ma dolce.

-Perché?-

Mac si mordicchiò il labbro inferiore e giocò distrattamente con la criniera di Lilith.

-Sono una cittadina al cento per cento e… non so, Brookwood è come se fosse un irritante chicco di mais tra i denti.-

Drew scoppiò a ridere a quell’immagine e Mac fece un mezzo sorriso ancora leggermente imbarazzata. Drew si sentì in colpa per aver dato retta a James e di aver pensato alla Hill come ad un’isterica.

-No, sul serio- continuò Mac –non è proprio Brookwood in se, solo la provincia. Sono attaccata alla mia città più di quanto pensi- disse poi travolta dalla verità di quelle parole. Londra era casa, sicurezza, familiarità e calore; le mancava moltissimo.

-Ah, James- sentì dietro di lei Cece intervenire –zia Alice ha detto che doveva parlarti, e non sembrava molto felice-

Mac vide gli occhi nocciola di Douglas saettare verso di lei e lo sentì imprecare sottovoce. Mac aggrottò le sopracciglia confusa, ma non chiese niente; poi sbuffò sonoramente.

-Credo che sia meglio che torni a casa ora, non vorrei che mia madre dovesse preoccuparsi-

Cecily sorrise tristemente al tono ironico di Mac, ma lei non pareva minimamente toccata da quella verità. MacKenzie aveva celato quella sofferenza per undici anni, non si sarebbe fatta trovare in difficoltà di nuovo con qualche battuta di James.

-Domani ti va di venire da me? Vorrei presentarti le mie sorelle, Blanche e Danielle- chiese gentilmente Cecily. Mac annuì decisa.

-Sono nomi francesi?- chiese poi curiosa. Drew rispose prima della mora.

-Sua madre, Juliette, è francese e Ronald, lo zio di Jim, è inglese. Blanche ha tredici anni, mentre Danielle ne ha quattro- concluse compiaciuto Hamilton. James sorrise beffardo.

-Hai imparato a memoria il nostro albero genealogico?- domandò Douglas facendo arrossire come un pomodoro Drew; quello rispose all’attacco quasi subito.

-James ha una cotta per Blanche- commentò ghignante. MacKenzie ringraziò, con uno sguardo entusiasta, Drew. Finalmente qualcosa per cui prenderlo in giro! Le guance di James si imporporarono e boccheggiò come un pesce.

-Non- non è vero! E’… è mia cugina- Mac interruppe i borbottii imbarazzati di James con una risata fragorosa, poi girò il cavallo allegramente e salutò tutti, James chiamandolo scherzosamente “Mr Blanche”. L’ultima cosa che udì furono le risate di Cecily e Drew. Restituì Lilith a Tom e tornò di buon umore a Villa Patterson; certo, non era Londra, ma quei ragazzi la facevano sentire decisamente meglio, qualche volta perfino James!

-Ciao!- si annunciò allegramente nel corridoio vuoto. Dalla salotto spuntò Maggie con una faccia contrariata ed indispettita.

-Tua madre deve parlarti- senza tante cerimonie, le tolse la giacchetta e la condusse in salotto. Mac aggrottò le sopracciglia nel sentire la parola “madre” pronunciata così sgarbatamente, che avessero litigato? Nell’ampio salotto c’era la madre che l’attendeva con le gambe accavallate ed uno sguardo duro. Mac avvertì l’aria farsi improvvisamente pesante.

-Tesoro, vieni a sederti qui- le disse pacatamente, ostentando un sorriso. Mac ubbidì senza proteste e si posizionò accanto a lei sul divano. Sentì Maggie far schioccare la lingua seccamente.

-Come ti è sembrato il paese?- Mac stava per parlare, quando Maggie la interruppe, esplodendo.

-E’ una stupidaggine! MacKenzie non accetterà mai!- disse agitando i capelli scarmigliati.

Agnes dilatò le narici e contrasse la mascella: tipico di quando era furiosa.

-Questa faccenda non ti riguarda, Maggie- le disse fermamente, senza staccare gli occhi dal viso di Mac.

-E’ solo una bambina, non può essere così egoista da chiederglielo!- Continuò Maggie completamente senza controllo. Mac cominciò ad ansimare angosciata, di che diavolo stava parlando Maggie? Agnes prese tra le sue mani quella di MacKenzie e puntò il suo sguardo fermo su di lei.

-Dolcezza, oggi Wilbur mi ha fatto una proposta, una proposta che renderebbe molto felice la mamma. se tu fossi d’accordo- MacKenzie ritirò bruscamente la mano; non si sarebbe lasciata ammaliare da quel comportamento dolce.

-Che succede mamma?!- chiese spazientita e timorosa, Mac. Sentì sullo sfondo Maggie borbottare irritata. Agnes prese un bel respiro.

-Wilbur ci ha chiesto di rimanere a Brookwood, ad entrambe. Ho già accettato e sono sicura che qui ti piacerà moltissimo!-

E fu come se avessero tolto tutto l’ossigeno da quella stanza, per MacKenzie, perché sapeva di essere fregata.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=343716