Aletheia

di SuzuyaChan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia


 
Note dell’autrice: Il titolo “Aletheia” viene dal greco antico e significa “verità” o “rivelazione”, ma letteralmente si traduce come “non-dimenticanza” o “qualcosa di non-nascosto”; dato che la storia parla di una perdita di memoria, dove la “verità” deve essere raggiunta tramite la rievocazione di ricordi, mi sembrava un titolo adeguato. 
Note della traduttrice: Questa storia in inglese è già completa, quindi il postaggio sarà abbastanza regolare - una volta alla settimana o giù di lì. Ho deciso di tradurla perché l'ho trovata veramente molto, molto carina, e l'autrice è stata davvero gentile a darmi il permesso *-* In tutto sono dieci capitoli, ma sono già a metà della traduzione per non rischiare spiacevoli ritardi (stiamo per entrare nella sessione estiva, sigh). Che altro dire, vi consiglio veramente di seguirla perché diventa sempre più bella di capitolo in capitolo! Buona lettura <3


Prologo

Era un giorno come tanti a Ikebukuro: faceva caldissimo, le strade erano affollate, e un distributore automatico si era appena schiantato contro la fiancata di un edificio.

«Mi stai almeno mirando, Shizu-chan?» rise Izaya, balzando abilmente verso un condominio lì vicino da un’altezza di quasi tre metri. L’ex-barista quasi ringhiò mentre l’altro ragazzo gli faceva l’occhiolino e se la svignava, saltando senza sforzo di finestra in finestra e da un edificio all’altro. Ma Shizuo non aveva la minima intenzione di lasciarselo scappare, quella volta: avrebbe catturato la dannata pulce e gli avrebbe spiegato molto chiaramente quanto non era più il benvenuto in quel quartire.

Sentire il vento sul viso gli provocava una gradevole sensazione mentre inseguiva Izaya; quest’ultimo era abbastanza lontano perché il suo caratteristico odore e la risata da maniaco fossero più tollerabili del solito, e il biondo stava perfino cominciando a godersi l’adrenalina che pompava attraverso il suo corpo, spingendosi all’apice del suo potenziale. Poi però riuscì a raggiungere la pulce; c’era meno gente, adesso, cosa per cui Shizuo si sentiva vagamente grato, dato che urtare altre persone mentre le sorpassava lo aveva rallentato un po’, e la parte più assennata del suo cervello si sentiva in colpa per i pedoni leggermente disorientati che si era lasciato dietro per i marciapiedi della città.

Shizuo vide Izaya calarsi da un paio di piani d’altezza e atterrare perfettamente sull’asfalto davanti a lui. “Fottuto esibizionista”, pensò, sfruttando la pausa nei movimenti dell’altro ragazzo per riprendere fiato e compiere l’ultimo sforzo; era così vicino che le mani già gli si stringevano istintivamente a pugno, in attesa dello scontro che stava per ingaggiare.

Izaya si ricompose e lanciò un’occhiata al mostro biondo che sfrecciava verso di lui e un’altra al suo orologio, prima di scappare via di nuovo. Non rimase a lungo con i piedi per terra, ma subito si arrampicò su un alto muro di mattoni che separava la città dalla linea ferroviaria, e scavalcò senza problemi il filo spinato che ne ricopriva la sommità. Shizuo digrignò i denti mentre Izaya scompariva dalla sua vista, avvertendo l’odio per la pulce aumentare a dismisura. Oltrepassò il muro senza prestare troppa attenzione e si accorse distrattamente che i suoi vestiti si erano impigliati sul filo spinato, ma perfino questo non riuscì a turbarlo in quel momento, perché era successo qualcosa di molto peggiore: aveva perso Izaya.

I suoi occhi ambrati scandagliarono lo spazio circostante alla ricerca di qualsiasi traccia della pulce, analizzando ogni centimetro, finché-

«Stai cercando qualcuno, Shizu-chan?»

L’ex-barista perse il controllo. Si scaraventò alla cieca verso quella voce fin troppo familiare, contenendo la sua furia quel poco che gli bastava per muoversi.

Izaya sapeva esattamente quanto doveva mandare in bestia Shizuo per fargli perdere cognizione di tutto ciò che lo circondava; avrebbe anche ammesso di essere un po’ lusingato dall’incredibile concentrazione con cui il biondo lo braccava, una concentrazione così assoluta da impedirgli perfino di accorgersi che il treno si stava avvicinando.

O almeno, non se ne accorse finché non si schiantò dritto contro di lui.

 

Capitolo 1

Shizuo si svegliò al rumore provocato da qualcuno che tentava (fallendo miseramente) di rimanere in silenzio. Sentì la testa pesante mentre provava ad alzarla, e sbatté le ciglia più volte sforzandosi di aprire gli occhi: i contorni sfocati di un gruppetto di persone si fecero mano a mano sempre più delineati, finché non si ritrovò faccia a faccia con una piccola stanza stipata di estranei. Guardò ognuno di loro, completamente sbigottito. L’ambiente era luminoso, con un paio di sedie e di tavoli disposti ad angolo attorno al letto in cui si trovava. Si mise a sedere, con la testa che gli pulsava sgradevolmente, ed estrasse i tubicini collegati a svariate parti del suo corpo; dunque era in ospedale. La stanza piombò subito nel silenzio e Shizuo percepì quegli occhi sconosciuti che puntavano dritti su di lui.

«Che c’è?» domandò, consapevole che il suo tono fosse più aggressivo del necessario, ma senza abbastanza energie per preoccuparsene troppo.

«Volevamo solo vedere come stavi…» disse un uomo in camice bianco, e fece un paio di passi avanti, prima di decidere che preferiva mantenere le distanze e tornare indietro. Shizuo lo studiò per un momento mentre il tizio, a metà tra il nervoso e l’eccitato, si sistemava gli occhiali sul naso.

Si accigliò. «Sei un dottore?»

Non riusciva a capire perché altrimenti quel tipo avrebbe dovuto indossare un camice da laboratorio, ma qualcosa nel suo modo di comportarsi era stranamente sbagliato per un dottore. Questa volta il silenzio fu assoluto e sentì la stanza riempirsi solo di mormorii imbarazzati. Quell’atteggiamento cominciava a farlo incazzare.

«Allora?» incalzò.

L’uomo lanciò un’occhiata disperata alla persona alla sua destra, una donna che indossava una tuta da motociclista nera e aderente e che aveva ancora il casco in testa. Lei alzò le spalle prima di tirare fuori un palmare, digitare qualcosa e poi mostrarglielo.

Shizuo ansimò leggermente: cosa si stavano dicendo che non volevano fargli sapere, a tal punto da scriverlo su un palmare pur di nasconderglielo?

L’uomo con il camice bianco annuì e si voltò di nuovo verso di lui.

«Sono un dottore, anche se non di questo ospedale» cominciò, per poi interrompersi come se non fosse sicuro di come andare avanti. La donna con il casco gli strinse il braccio in un gesto rassicurante e lui continuò «Shi… Heiwajima-san, ti ricordi cosa è successo prima che ti risvegliassi qui?» Shizuo provò a pensarci, ma la testa gli faceva ancora male e i ricordi non riaffioravano con facilità, così scosse il capo «Capisco. Ora potresti dirmi se riconosci qualcuno in questa stanza?»

Shizuo sapeva già che non c’era nessuno che conoscesse, ma comunque guardò tutti più attentamente e rimase colpito da quel miscuglio di persone che gli sembrava fin troppo variegato. A parte il dottore e la sua amica, c’era un uomo di colore alto e di grossa stazza, che indossava qualcosa che presumeva fosse un’uniforme da chef; un uomo più piccolo, con rasta castani; e un ragazzo dai capelli scuri che sembrava completamente privo di qualsiasi emozione. Lo vide inclinare un po’ la testa, lasciando che la luce ricadesse sui suoi lineamenti, e Shizuo cominciò a parlare a bassa voce.

«Lui» disse, indicando il ragazzo.

Il viso del dottore si rilassò in un leggero sorriso, ma il biondo intuì che aveva ancora qualche riserva. «E chi è?» chiese.

«Hanehima Yuuhei-san» replicò Shizuo, che aveva visto le sue pubblicità sui grandi schermi televisivi nel centro di Ikebukuro «È un attore» aggiunse poi per buona misura. Per la seconda volta il disagio nella stanza divenne palpabile, e di rimando Shizuo avvertì la propria rabbia aumentare di secondo in secondo. Cosa stava succedendo, precisamente? Si era svegliato in un ospedale, non aveva idea di come ci era arrivato, né di cosa c’era che non andava in lui, era circondato da un gruppo di stramboidi, inclusi una star del cinema e un dottore con un terribile modo di trattare i pazienti, e si stava davvero incazzando. Si udì un forte scricchiolio metallico e Shizuo si girò per vedere l’asta della flebo deformarsi tra le sue mani. Sospirò e la lasciò cadere, non sentendosi affatto dispiaciuto mentre tutti gli altri trasalivano per il rumore.

La motociclista si fece avanti, digitando qualcosa sul suo palmare prima di mostrarglielo.

[Ciao Heiwajima-san, sono Celty.]

[Dobbiamo parlarti di una cosa, ma non è facile.]

[Nemmeno noi lo capiamo bene, quindi per favore sii paziente.]

Mentre Celty digitava il messaggio successivo, ci fu un leggero tramestio dietro la porta e subito dopo entrò un gruppetto di cui Shizuo, a malincuore, identificò tutti i componenti – nonostante avrebbe preferito non riconoscere due certe persone.

«Kadota? Togusa?» disse, scegliendo di ignorare Karisawa e Yumasaki che gironzolavano lì dietro – ma apprezzando che fossero molto più silenziosi del solito. I due uomini sorrisero nella sua direzione, annuendo leggermente.

«Come ti senti?» domandò Kadota, accostando al letto una delle sedie libere per accomodarsi.

Shizuo fece spallucce.

«Sono stato meglio» rispose; in quel momento notò il frenetico scambio di messaggi e sussurri tra il dottore e Celty, e gettò loro uno sguardo di rimprovero «Che c’è?»

La motociclista si voltò verso di lui e gli porse il palmare.

[Sai chi sono queste persone?]

«Certo che lo so, non siamo amici intimi ma ci vediamo in giro, di tanto in tanto.»

 [Eppure sei sicuro di non conoscere noi.]

Lui si accigliò; pensava di averglielo già spiegato.

«No, a parte l’attore» sospirò, indicando Hanehima con un gesto vago della mano.

«L’attore?» chiese Kadota, ovviamente disorientato da quello scambio di frasi, dato che aveva sentito solo metà della conversazione «Intendi tuo fratello?»

Shizuo raggelò. Cosa intendeva con “fratello”? Il biondo si passò le dita tra i capelli; aveva la sgradevole sensazione di aver dimenticato qualcosa di molto importante, più importante perfino del motivo per cui era finito lì. Quando provò a concentrarsi nel dettaglio sulla sua vita, si sentì… confuso. Come se la sua memoria fosse un vecchio film in stop motion dalle immagini sgranate. Gemette, coprendosi gli occhi con le mani e spingendo finché le luci non esplosero di fronte alle sue palpebre. Poi avvertì un leggero colpetto sulla spalla e abbassò le mani per vedere il palmare di Celty.

[È questo di cui volevamo parlarti.]

[Prima di venire qui hai avuto un incidente.]

[Sei stato colpito da un treno.]

«Sono stato…cosa?» domandò Shizuo, stravolto dallo stupore. Però, rifletté, se qualcuno doveva essere colpito da un treno e sopravvivere, era destino che si trattasse di lui.

«Ah, ci sei arrivato» disse il dottore, venendo avanti per accostarsi a Celty «Sì, sei stato colpito da un treno. I dottori hanno detto di non aver mai visto qualcuno rompersi così tante ossa e sopravvivere!» ridacchiò, prima che la motociclista lo colpisse nelle costole, e si voltò a guardarla con aria di rimprovero – senza sembrare molto dispiaciuto per la propria mancanza di tatto «Comunque» continuò, strofinandosi leggermente il fianco «Nonostante il tuo corpo si stia riprendendo bene, pare esserci qualche problema di memoria. Come ha fatto notare Kadota-san, l’attore che hai riconosciuto in realtà è tuo fratello “Hewajima Kasuka”. Io sono Kishitani Shinra e questa è Celty, la mia adorabile fidanzata – quindi non guardarla troppo, è mia!» Incassò un’altra gomitata nelle costole dalla motociclista, che si girò verso il biondo con aria di scusa.

 [Perdonalo.]                                                                                                    

[Siamo tuoi amici! E anche loro lo sono] digitò, indicando le persone che dovevano ancora presentarsi.

[Lui è Simon, lavora al Russia Sushi. Ti ricordi il Russia Sushi?]

Shizuo annuì; i suoi ricordi su quel posto non erano del tutto chiari, ma gli sembrava di esserci andato almeno un paio di volte.

[Ottimo! L’altro è Tanaka Tom-San, il tuo datore di lavoro. Sei un riscossore di debiti.]

Shizuo annuì ancora e la ringrazio, poi cadde di nuovo il silenzio. Kadota e Togusa se ne andarono, probabilmente capendo che quella era una situazione di cui poteva occuparsi senza il loro gruppo – metà del quale stava ora piagnucolando perché tutta quella storia ricordava molto la fanfiction che stavano leggendo.

«Quindi siamo amici?» la sua voce si sollevò alla fine, trasformando l’affermazione in una domanda «Kishitani-sensei-»

 [Chiamalo Shinra.]

Shizuo annuì «Shinra, perché mi sono scordato solo di voi? Perché riesco a ricordarmi del gruppo di Kadota?»

Il dottore rimase un momento in silenzio, riflettendo sulla domanda.

«Non posso dirlo con sicurezza, ma sembra avere a che fare con l’intensità della relazione. Quelli che consideri amici – cioè a cui sei vicino – non riesci a ricordarli, gli altri invece sì.» Shinra continuò a parlare dello spazio di archiviazione della memoria emotiva e della posizione dei diversi tipi di memoria nei vari lobi cerebrali, ma Shizuo a quel punto aveva già smesso di ascoltare. Tutto ciò che gli interessava era che i suoi ricordi delle persone di cui si fidava erano scomparsi. Non c’era rimasto nessuno sulla terra che potesse considerare amico; tutti loro per lui erano degli estranei.

 [Stai bene?]

Il biondo alzò le spalle; più che altro era scioccato.

[Vuoi stare un po’ da solo?]

Shizuo annuì e Celty costrinse gli altri a sgombrare; beh, almeno lei lo conosceva bene, anche se lui non sapeva niente di lei. Riappoggiò la testa al soffice cuscino dell’ospedale e provò a metabolizzare tutto quello che gli era appena stato riferito.

A un certo punto, perso nei suoi pensieri, il biondo si era addormentato, e più tardi si svegliò scoprendo che la stanza era ancora vuota – se non si contava il ragazzo che stava entrando dalla finestra, ovviamente.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: eccoci con il secondo capitolo; finalmente si comincia a entrare almeno un po’ nell’azione :) se vi va vi invito a lasciare un commento, che poi inoltrerò all’autrice (ovviamente dopo averlo tradotto in inglese) per farle (e farci) sapere cosa ne pensate <3

 

Capitolo 2

Izaya aveva deciso di sfruttare il ricovero di Shizuo per farlo incazzare un altro po’, e a tale scopo aveva perfino comprato dei fiori. Tuttavia, di fronte allo sguardo leggermente confuso e decisamente poco omicida del biondo, quel piano precipitò come aveva rischiato di fare lui mentre scalava il muro dell’ospedale; tentò comunque di ignorare la strana sensazione che quella storia non sarebbe finita bene e si fece avanti.

«Non ti vedo così in forma da anni, Shizu-chan» lo stuzzicò, scendendo dal davanzale, e posizionò i fiori ai piedi del letto «Guarda, ti ho portato un pensierino.»

C’era qualcosa che non andava. Secondo i suoi piani, il biondo avrebbe dovuto lanciargli addosso qualsiasi cosa avesse a tiro, e invece lo stava solo guardando in modo un po’… triste. E questo cominciava a metterlo a disagio, perché Shizuo era un mostro in grado di sopravvivere persino a un frontale con un treno: non avrebbe dovuto provare emozioni umane come la tristezza. E poi, cos’era che lo turbava tanto?

«Ti conosco?» chiese il biondo, esitante, e a quelle parole il cervello di Izaya andò in corto circuito.

«Fin dal liceo» ribatté, notando distrattamente che quella risposta sembrava fin troppo normale, considerando la vera natura del loro rapporto. Però riteneva che “siamo arci nemici pronti a cogliere ogni occasione possibile per uccidersi a vicenda” fosse una replica un po’ troppo brusca, per uno che non sapeva nemmeno chi fosse.  Per un momento si domandò se si trattasse di una messinscena, ma decise che il protozoo non aveva né il cervello né l’autocontrollo necessari per far finta di non conoscerlo. L’afflizione di Shizuo si intensificò ancora di più e il ragazzo gli indicò una delle sedie accanto al suo letto; Izaya tentò di non mostrarsi troppo stupito di fronte a una situazione così assurdamente civile, ma lo assecondò, più per lo shock che per altro. Cosa accidenti avrebbe dovuto fare adesso? Tutte le battute e gli scherzi che aveva escogitato per farlo incazzare ormai erano inutilizzabili.

«Ecco, è difficile da spiegare» cominciò Shizuo, distogliendolo dai suoi pensieri, e l’attenzione dell’informatore si focalizzò sulla bizzarra naturalezza con cui il ragazzo gli si stava rivolgendo: era la prima volta che lo sentiva parlare così «Un po’ perché nemmeno io lo capisco bene» continuò lui con una risatina. Izaya riuscì a malapena a contenere il suo sbigottimento: aveva appena sentito Heiwajima Shizuo ridere, e non era la risata maniacale da “ti picchierò a sangue”, ma solo una normalissima risata  «Comunque, sono stato colpito da un treno, e sebbene fisicamente non sia messo troppo male, la mia memoria è un po’… scombinata. Mi ricordo di alcune persone, però non di quelle a cui ero più legato – c’è una spiegazione scientifica per questo, ma non è che l’abbia capita molto…»

Shizuo stava ancora blaterando, ma Izaya si era fossilizzato sulla frase che aveva appena sentito: “quelli a cui ero più legato”. Che significava? Lui era tutt’altro che una persona alla quale Shizuo era legato, sarebbe dovuto essere il ricordo più nitido che aveva, con tanto di etichetta gigante con su scritto “Persona Che Odio Più Di Chiunque Altro”. E invece… niente. Non sapeva chi fosse. Quindi Izaya cos’era per lui?

«Presumo» continuò Shizuo, attirando l’attenzione dell’informatore con il suo tono esitante «che noi due fossimo amici.»

Izaya più tardi avrebbe imputato le sue azioni al trauma provocatogli dal non avere nessun piano B, o anche al fatto che sarebbe stato divertente giocare un brutto tiro a Shizuo, ora che non poteva difendersi, ma la verità era che gli amici non erano una risorsa di cui disponeva in abbondanza. Aveva passato anni a fare finta che non gli servissero, e sarebbe stato felice di continuare così finché il suo cadavere non fosse marcito nella tomba. All’improvviso sentì chiudersi la gola.

«Sì, qualcosa del genere» disse piano, prima di ricomporsi e lasciarsi andare a una risatina. Tra di loro cadde il silenzio e Izaya finalmente smise di evitare di guardare Shizuo, solo per scoprire che il ragazzo lo stava squadrando attentamente.

«È maleducazione fissare le persone, lo sai?» lo rimbrottò, incapace di abituarsi alla totale mancanza di aggressività nel suo sguardo.

«Scusa» mormorò il biondo, impacciato, e i capelli gli ricaddero davanti agli occhi mentre abbassava lo sguardo, in evidente … imbarazzo? Izaya sentiva l’esigenza di fare qualcosa per mettere un freno a quello scambio di interazioni umane disgustosamente kawaii: dovevano tornare a essere nemici mortali che passavano il tempo combattendo la loro eterna battaglia. Eppure rimase seduto lì, paralizzato da quella situazione con troppi imprevisti: Heiwajima Shizuo che rideva e scherzava, Heiwajima Shizuo che si scusava con lui, Heiwajima Shizuo che lo chiamava amico. Izaya avvertiva l’impellente bisogno di prenderlo a pugni, perché apparentemente il ragazzo di fronte a lui non aveva la minima intenzione di farlo.

«Continuo a sperare di vedere qualcosa che mi sembri familiare – di riconoscere qualcosa, qualsiasi cosa. Ma immagino di essermi davvero scordato tutto. E mi dispiace un sacco, perché ho visto il dolore dei miei amici mentre se ne andavano, e francamente non mi sono mai sentito peggio» disse, con un sorriso amaro «Non che me lo ricorderei, se anche fosse» abbassò di nuovo gli occhi, come se l’idea di incrociare ancora il suo sguardo lo innervosisse. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma Izaya parlo per primo, nel disperato tentativo di assumere una posizione dominante.

«Non dovresti scusarti» disse, ridendo tra sé e sé per la svolta assurda che aveva preso la conversazione: lui che confortava il suo arci nemico. Però avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riprendere in mano le redini della situazione, e per di più quella che stava dicendo non era proprio una bugia «Non è certo colpa tua. Non sei stato tu a volere questo. Se ti hanno abbandonato per una cosa del genere, allora significa che non sono mai stati veri amici» Izaya rabbrividì interiormente; doveva smetterla di dargli così buoni consigli, nonostante fossero effettivamente un po’ drastici. Avrebbe almeno dovuto usare quella situazione per manipolarlo, finché poteva.

Quel bruto stava addirittura sorridendo.

«Già.»

Finirono per mettersi a parlare. Passarono quasi un’ora chiacchierando e basta, e Izaya avrebbe giurato a qualsiasi divinità esistente che questa era solo la prima fase di un qualche piano – o, se ancora non lo era, lo sarebbe stata – però la risata che gli curvava le labbra era autentica, e le battute che declamò erano prive del solito veleno. Quando la conversazione si interruppe rimasero seduti in un silenzio confortevole, e l’informatore ne approfittò per osservare la visione inedita di uno Shizuo sereno, con la mascella rilassata, gli occhi calorosi, la risata bassa e morbida; gli faceva venire voglia di vomitare. Non era il mostro a cui era abituato, era una persona diversa che di Shizuo aveva solo l’aspetto. Perso nei suoi pensieri, Izaya sobbalzò leggermente quando l’altro ragazzo parlò, con voce tranquilla e profonda.

«Sai, darei qualsiasi cosa per tornare a come eravamo.»

Izaya avrebbe voluto ridere e allo stesso tempo rompere qualcosa. “Se solo sapessi”, pensò, intuendo che forse avrebbe dovuto rispondere qualcosa, ma senza avere assolutamente niente da dire.

Sì alzo, e le gambe lo spinsero quasi inconsciamente verso la finestra: doveva andarsene, uscire di lì e non tornare mai più. Se davvero non ci sarebbe più stato uno stupido bestione pronto a dare di matto ogni volta che visitava quel dannato quartiere, per lui non cambiava nulla, anzi, il suo unico rimpianto era quello di non aver sistemato la faccenda con le sue stesse mani: sebbene la perdita di memoria di Shizuo fosse stata effettivamente colpa sua, era molto meno divertente se entrambi erano ancora vivi e vegeti. Però non gli avrebbe procurato alcun piacere uccidere questo Shizuo, che lo guardava con il suo stupido sorriso imbarazzato e quegli occhi fiduciosi.

«Ci vediamo in giro, Shizu-chan» disse. Non si guardò indietro né aspetto una risposta mentre metteva un piede fuori dalla finestra, ma la sua attenzione fu richiamata da un tonfo e un gemito di dolore.

«Aspetta!» lo chiamò l’altro ragazzo; le coperte gli erano cadute addosso e lui giaceva lungo disteso sul pavimento, strofinandosi leggermente una gamba, come se il motivo per cui si trovava all’ospedale fosse un piccolo livido, invece che un buon numero di ossa rotte.

Izaya sospirò rimettendo il piede a terra, e fece marcia indietro per aiutare Shizuo a tornare a letto.

«Ho appena realizzato» disse il biondo, sfiorando il collo di Izaya con il suo respiro caldo mentre si appoggiava a lui per reggersi in piedi «che non so nemmeno come ti chiami.»

L’informatore esitò; non voleva lasciare prove della sua presenza, ma non era del tutto sicuro di come uscire da quella situazione senza indurre Shizuo a porre ancora più domande a Celty e agli altri durante la loro visita successiva. Anche una semplice descrizione fisica sarebbe stata sufficiente per riconoscerlo, e in quel caso non avrebbe avuto nessuna possibilità di cavarsela.

«Izaya.»

Shizuo sorrise, e un po’ del suo vecchio sguardo di sfida emerse da sotto la superficie.

«Beh, Izaya-kun… la prossima volta niente fiori, se possibile.»

Dopodiché il biondo lo vide sogghignare prima di arrampicarsi fuori dalla finestra e sparire dalla sua vista. Shizuo non riusciva bene a spiegarsi cosa lo avesse spinto a pronunciare quell’ultima frase, ma era quasi certo che, se non avesse detto nulla, non avrebbe più visto quel ragazzo dai capelli scuri.

 

Nel prossimo capitolo: “In qualche modo doveva mettere fine a tutta quella faccenda: ormai si annoiava al lavoro, non si dava pace nei momenti di relax, e si distraeva ogni volta che aveva qualcosa da fare. Se ciò significava che per riottenere un po’ di tranquillità doveva uccidere il suo arci nemico, allora avrebbe fatto un tentativo.”


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: Eccoci qua con il terzo capitolo. A domenica prossima con il quarto :)

Buona lettura!

 

Capitolo 3

Izaya si schiacciò la maglietta contro il fianco, masticando imprecazioni tra i denti quando avvertì una sgradevole sensazione di bagnato sulle dita. Erano passati due giorni da quando si era calato giù dalla stanza di Shizuo, e da allora non era riuscito a eguagliare i suoi soliti standard. Non era per via del bruto, ragionò: quella situazione era servita solo come promemoria di quanto fosse debole la mente umana. Non che Shizuo fosse umano, ovviamente.

Izaya premette più forte la mano sopra l’emorragia, sussultando. Era stato appena accoltellato e non era certo il momento più adatto per pensare a quel bastardo, eppure eccolo lì, ammaccato e insanguinato di fronte all’ospedale di Ikebukuro.

In qualche modo doveva mettere fine a tutta quella faccenda: ormai si annoiava al lavoro, non si dava pace nei momenti di relax, e si distraeva ogni volta che aveva qualcosa da fare. Se ciò significava che per riottenere un po’ di tranquillità doveva uccidere il suo arci nemico, allora era disposto a provarci.

Izaya studiò l’edificio, chiedendosi se sarebbe stato troppo ambizioso pretendere di raggiungere la stanza di Shizuo con quella ferita e avere ancora abbastanza energie per ammazzarlo. Comunque sia, non poteva certo entrare in un ospedale sanguinando e aspettarsi che gli permettessero di farsi gli affari suoi, cosi tolse il cappotto, strappò le maniche della maglietta e se le annodò strette attorno alla cintola; conosceva l’anatomia umana ed era abbastanza sicuro che, a parte per la perdita di sangue, la ferita non era così profonda o ben piazzata da causargli seri danni.

Nessun altro sarebbe riuscito a sopportare tanto stoicamente il dolore provocato dall’emorragia e dalla pelle che lentamente si strappava e si lacerava – beh, nessuno a parte il protozoo, ma Izaya voleva evitare di pensare qualcosa che potesse essere interpretato come un complimento, quando si riferiva a lui.

Si issò senza fiato sul davanzale della finestra di Shizuo, e sussultando per il dolore al fianco – che stava diventando sempre più difficile da ignorare – alzò lo sguardo sulla finestra inequivocabilmente chiusa.

«Fottuto bastardo» esalò, indirizzando la sua rabbia verso Shizuo, colpevole di aver chiuso la dannata finestra, ma senza pensare che forse avrebbe dovuto controllare prima di cominciare ad arrampicarsi. Tirò fuori il coltello a serramanico dalla manica della giacca e lo fece scivolare sotto la guarnizione di gomma sul lato destro della cornice, dopodiché lo spinse in avanti, muovendolo con attenzione verso l’alto; si concesse un sospiro di sollievo solo quando non incontrò la resistenza di un lucchetto. Lasciò la prima lama sulla parte alta della finestra, prima di infilarne un’altra su quella più in basso, poi si aggrappò al davanzale sopra di lui e usò i piedi come leva per spingere in giù la maniglia. La finestra si socchiuse leggermente, quanto bastava perché Izaya potesse finire di aprirla sollevandola con le dita; quando ci fu riuscito si infilò nella stretta apertura senza tante cerimonie e si introdusse nella stanza buia.

«Izaya-kun?»

L’informatore sussultò; il punto di entrare senza rompere il vetro era stato proprio quello di non svegliare il bruto, ma evidentemente aveva il sonno più leggero di quanto avesse immaginato. Almeno in questo modo non aveva aggiunto altre ferite alla lista, comunque.

«Sì?» rispose, immaginando che ormai non avrebbe avuto senso far finta di non essere lì.

«Perché non usi le fottute scale?»

Izaya rise a queste parole, ma smise quasi subito, sibilando per il dolore che quel piccolo movimento aveva provocato: doveva farla finita in fretta, magari prima di morire dissanguato. Notò distrattamente che il biondo si stava mettendo a sedere ed ebbe l’impressione di venire squadrato da capo a piedi.

«Cazzo! Izaya, che diavolo ti è successo?»

L’informatore tentò di ignorare l’apprensione nella voce del ragazzo, e di non pensare a quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che qualcuno si era preoccupato per lui, ma non poté fare a meno di notare che il suo corpo si stava istintivamente rilassando – come se stare nella stessa stanza in cui si trovava un mostro non fosse una situazione pericolosa.

«Niente per cui la tua bella testolina debba preoccuparsi, Shizu-chan» disse, ma la sua solita arroganza suonava orribilmente forzata. Shizuo non rispose alla provocazione come l’informatore aveva sperato, anzi, non rispose affatto. Si alzò, uscendo dal suo campo visivo, e senza dargli neanche il tempo di esaminare la situazione lo tirò su di peso e lo portò nel suo letto.

«Mettimi giù, maledetto!» sbraitò indignato, e Shizuo obbedì, scaricandolo ai piedi del materasso prima di tornare a sedersi sull’altro lato.

«Stai sanguinando.»

La sua voce era calma, ma denotava una certa ansia, e Izaya era sicuro di aver sentito una sfumatura d’urgenza appena sotto la tranquillità di superficie.

«Diciamo che potrei aver fatto incazzare qualcuno» scrollò le spalle, aggrappandosi disperatamente alla sua facciata di indifferenza «Come al solito» aggiunse poi, sapendo benissimo di star dicendo una balla. Di norma non avrebbe mai permesso a qualche idiota in cerca di guai di avvicinarsi più di quanto gli servisse per farlo fuori, e ciò lo riportava direttamente al motivo per cui si trovava lì. Strinse la presa sulla lama del coltello nascosto nella sua manica.

Shizuo gli diede le spalle, allungandosi verso il comodino accanto al letto per rovistare nel cassetto. Ecco la sua occasione: sapeva che non avrebbe mai avuto un’opportunità migliore di questa, eppure non riusciva a muoversi, e il suo corpo era come paralizzato. Lo ascoltò canticchiare a bocca chiusa in modo fastidiosamente innocente, mentre era impegnato a passare in rassegna i suoi effetti personali, e prima che Izaya potesse tornare in sé il biondo si era già voltato verso di lui.

«Non sono un granché con queste cose» ammise Shizuo, posando sulle lenzuola quello che aveva preso dal cassetto «Ma immagino che sia meglio che lasciarti morire dissanguato.»

Izaya ispezionò la piccola scorta di rifornimenti – una collezione un po’ estrema per far parte di un kit di pronto soccorso – che ora era disseminata sul copriletto. Dopodiché cominciò a scuotere violentemente la testa.

«Devi esserti bevuto il cervello» protestò, spostando lo sguardo in modo quasi comico dal ragazzo di fronte a lui al cumulo di oggetti incriminati «Non pensarci nemmeno, Shizu-chan.»

Shizuo roteò gli occhi, pulendosi le mani con una salviettina igienizzante «Non fare il bambino, Izaya», disse, lievemente esasperato. «È un taglio o una ferita d’arma da fuoco?» chiese poi, in tono casuale.

«Si può sapere perché diamine hai questa roba? Sei in un ospedale, per l’amor di Dio!» Shizuo lo guardò, in attesa, e lui sbuffò prima di rispondere «Mi hanno accoltellato». Aveva anche un altro paio di tagli, ma quello sul fianco era l’unico così grave.

Il ragazzo scese dal letto e si voltò verso Izaya, che si dimenò per allontanarsi da lui e finì per ritrovarsi sul posto che Shizuo aveva occupato fino a un momento prima. Si schiacciò contro il muro, realizzando l’errore che aveva commesso solo quando fu troppo tardi per porvi rimedio: il biondo ormai l’aveva messo all’angolo.

«Me l’ha dato Shinra» disse, rispondendo alla domanda di Izaya come se non si fosse appena aggiudicato la vittoria «Mi ha detto di restare a letto a riposare, e poi mi ha dato questa robaccia per quando avrei “inevitabilmente ignorato i suoi buoni consigli”» ridacchiò «Avanti, via la giacca e la maglietta.»

Izaya ignorò la richiesta, preferendo fissare Shizuo con sguardo petulante; l’altro ragazzo però continuò imperterrito a pulire gli strumenti necessari.

«Insomma, te li togli tu o devo farlo io?» i suoi occhi lampeggiarono di sfida e Izaya si spogliò, riluttante; realizzò troppo tardi che ora si trovava mezzo nudo di fronte al ragazzo che aveva cercato di uccidere per buona parte degli ultimi dieci anni. Shizuo però non sembrava condividere tali rimostranze, dato che lo gratificò con un sorriso di autocompiacimento e iniziò a lavorare; a questo punto, tutto quello che Izaya poteva fare era cercare di non ridere per le dita calde del biondo che gli sfioravano lo stomaco – era molto più gentile di quanto si sarebbe aspettato dall’”uomo più forte di Ikebukuro”, a proposito. Il ragazzo pulì accuratamente la ferita, usando una mano per tenere fermo Izaya e l’altra per tamponare il sangue. L’informatore tentò di ridurre al minimo le proprie reazioni, limitandosi a sibilare di tanto in tanto e a serrare la mascella, perché – che Shizuo fosse in sé o meno – quelli erano gli unici segni di debolezza che era disposto a mostrargli.

«Non ho antidolorifici» disse il biondo, in tono di scusa «Beh, li avevo» si corresse «Ma li ho presi tutti la prima volta che mi sono saltati i punti, quindi ho smesso di usarli – non faceva poi così male, dopotutto.»

Izaya lo fissò incredulo, incapace di decidere se lo sorprendesse di più il fatto che Shizuo considerasse normale spararsi tutti quegli antidolorifici, o l’apparente mancanza di ripercussioni sulla sua salute di un overdose di farmaci.  L’informatore non era molto tranquillo all’idea di lasciarsi mettere i punti da qualcuno che aveva la pessima fama di disastro ambulante, però non era sicuro di avere altre opzioni. Cercava di fingersi indifferente, ma era solo una facciata: le mani gli tremavano lungo i fianchi, e sentiva la testa leggera a causa della perdita di sangue. Perfino la sua vista stava cominciando a perdere colpi.

Il primo contatto tra l’ago e la sua pelle gli strappò un gemito che riuscì a soffocare a malapena. Shizuo mormorò qualcosa per scusarsi, ma non alzò lo sguardo, e Izaya gliene fu grato: non sapeva se sarebbe riuscito a mantenere la sua compostezza ancora a lungo. La sua mente cominciò a vagare, cercando qualcosa su cui concentrarsi che non fosse la pressione dell’ago sulla pelle, ma fallì miseramente, almeno finché qualcosa non attirò la sua attenzione.

«Hai bisogno di tirare fuori la lingua per concentrarti?» domandò, anche se il suo tono era più scherzoso che crudele «Quanti anni hai, cinque?»

Shizuo spinse la lingua ancora più in fuori – sì, decisamente cinque – prima di ritrarla, mostrandosi imbarazzato per l’espressione assorta sul suo viso. Izaya sbuffò una risata, mentre la mano del ragazzo si stringeva attorno a lui per tenerlo inchiodato al letto.

«Piantala di muoverti» si lamentò il biondo, con gli occhi ambrati che lo fissavano attraverso le ciocche di capelli. Izaya sentì qualcosa andargli di traverso e tossì, stupito per essersi quasi soffocato senza apparente motivo «Dico davvero, Izaya, se non la smetti rischio di combinare qualche danno.»

L’informatore trasse un sospiro esageratamente profondo – come se fosse lui quello seccato dall’intera situazione – ma l’altro ragazzo si limitò a ignorarlo, sfruttando quella momentanea immobilità per rimettersi al lavoro. Izaya cercò di non pensare troppo a quello che stava succedendo, grato che il suo cervello indebolito dall’emorragia non avesse abbastanza energie per rinfacciargli quella negligenza.

Quei punti di sutura non erano proprio i migliori che avesse mai visto, ma a giudicare dall’espressione orgogliosa del biondo sarebbe potuta andargli molto peggio. “Almeno fanno il loro lavoro” constatò Izaya, notando che la perdita di sangue si era interrotta. Shizuo applicò un batuffolo di cotone sopra i punti e ricoprì tutto di nastro adesivo; la lingua gli spuntava di nuovo da un angolo della bocca, ora che aveva smesso di pensarci.

«Fatto!» il ragazzo si alzò da letto e Izaya non poté fare a meno di indispettirsi: chi diavolo avrebbe potuto rimettersi in salute così in fretta, dopo essere stato investito da un treno? Alzò gli occhi verso il biondo – che stava ancora fissando la medicazione appena applicata  – e realizzò improvvisamente di essere mezzo nudo in una stanza eccessivamente climatizzata. Si mise a cercare la sua maglietta, e sospirò dopo averla trovata sul pavimento, strappata e insanguinata. Shizuo notò la direzione del suo sguardo e si diresse verso l’armadio per tirarne fuori qualcosa che poi gli lanciò; appena Izaya capì di cosa si trattava, iniziò a scuotere il capo.

«Assolutamente no, cazzo» disse, confrontando la t-shirt del biondo con il proprio petto, e accigliandosi quando si accorse che era di una taglia molto più grande della sua.

«Quella o niente» gli fece notare Shizuo, senza riuscire a nascondere un sorrisetto compiaciuto. Si stava divertendo, il bastardo.

«Vuoi farmi mettere i tuoi vestiti? È una specie di feticismo?» lo sbeffeggiò Izaya, nonostante sapesse di starsi scavando la tomba da solo; dopotutto, non aveva davvero nient’altro da indossare. Shizuo smise di trattenersi e scoppiò a ridere.

«Mettitela, imbecille» ribatté, ma quell’insulto aveva uno strano tono affettuoso che Izaya non riuscì a trovare fastidioso come avrebbe voluto.

«Pervertito» sbuffò, infilandosi la maglietta. Sospirò quando vide che gli arrivava a metà coscia, così l’abbottonò, un po’ imbarazzato, e arrotolò le maniche fino a scoprire almeno la punta delle dita «Beh, mi sta molto meglio che a te» sentenziò, fingendo di specchiarsi nel riflesso distorto di un vaso sul comodino. Poi realizzò che i fiori nel recipiente erano quelli che aveva portato lui pochi giorni prima.

Oh.

«Bei fiori» commentò con un risolino. Shizuo cercò di nascondere la propria espressione, ma non ci riuscì abbastanza in fretta, e il ghigno di Izaya si allargò ancora di più davanti al palese imbarazzo che cercava di seppellire sotto una maschera di noncuranza.

«Già, peccato per l’idiota che me li ha regalati» replicò il biondo, mentre il suo falso contegno si tramutava in un guanto di sfida. L’informatore sorrise senza cattiveria; non lo superava nessuno, quando si arrivava ai duelli verbali.

«”Anche i doni più ricchi si fanno povera cosa”» cominciò, sfruttando quell’occasione per mettere in mostra la propria cultura letteraria, ma venne interrotto prima di riuscire a finire la frase.

«”Se chi li dona si mostra crudele.”»

Izaya fissò Shizuo, mentre la sua incredulità gli si dipingeva sul viso, e l’altro ragazzo si mostrò vagamente offeso per quello stupore.

«Non sono analfabeta, sai.»

«Sì, ma…» protestò Izaya, che ancora non si era del tutto ripreso «…stiamo parlando di Shakespeare.»

Shizuo alzò le spalle e fece una smorfia. «Spostati» disse, però l’informatore continuò a guardarlo confuso, ancora troppo scioccato dall’inattesa scoperta che Shizuo addirittura sapesse chi era Shakespeare (senza contare che era perfino in grado di completare le sue citazioni).

«Non guardarmi così, questo è il mio letto. Se ne volevi uno saresti dovuto passare per l’entrata principale, invece di giocare a fare Spiederman.»

«Se io sono Spiderman tu chi sei, Mary Jane?»

«Diavolo, no» si lamentò puerilmente Shizuo «Assomiglio più a…»

«Hulk» intervenne Izaya, e il viso del biondo si rabbuiò.

«Già» disse piano, evitando il suo sguardo «Immagino che sia così.»

L’informatore si scontrò improvvisamente con l’irrefrenabile impulso di scusarsi. Lui non si scusava mai; né con gli amici, né con i familiari, né tanto meno con Heiwajima Shizuo. Si morsicò gli angoli delle labbra, tentando di tornare con i piedi per terra; dopotutto, quel commento era stato tanto tagliente quanto vero. Però le scuse minacciavano ancora di scappargli di bocca, così si limitò a scivolare di lato per fare un po’ di spazio al biondo, che si accomodò sul posto accanto a lui.

Rimasero in silenzio, finché la stanza non fu riempita dal respiro pesante di Shizuo; Izaya avvertì il peso del suo corpo schiacciargli il fianco, così lo spostò con prudenza, in modo che giacesse sul cuscino invece che atrofizzargli il braccio. Poi raccolse le sue cose e si diresse verso la finestra, determinato a non guardare il ragazzo addormentato mentre usciva e cominciava la discesa.

La sua testa si riempì di interrogativi: chi era questo Heiwajima Shizuo, disposto a mostrarsi così vulnerabile di fronte a Izaya? E chi era quell’Izaya, che non sfruttava una simile opportunità?

 

Nel prossimo capitolo: Se non poteva gestire la situazione con questo nuovo Shizuo, allora era stato Shizuo a vincere, e senza nemmeno sforzarsi. Attorno a questo erano sempre girati i complotti, gli inseguimenti, le zuffe; in lui Izaya aveva trovato qualcuno che non si sottometteva ai suoi piccoli giochi di poteri, qualcuno contro di cui la vittoria non era sempre garantita. Qualcuno che riusciva a scavare sotto il suo apparente autocontrollo, che gli faceva bruciare la pelle e battere il cuore all’impazzata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Capitolo 4

Izaya si sentiva ancora insoddisfatto – e la sua non era insoddisfazione da “non rovino la vita di qualcuno da più di mezz’ora”. Aveva dato per scontato che lavorando per l’Awakusu-kai, oltre che per altre gang meno importanti, non avrebbe trascorso neanche un minuto senza trascinare qualcuno (più o meno indirettamente) nel baratro della disperazione. Eppure non aveva ancora devastato la vita di una certa persona, nonostante – si rammentò – l’abbondanza di occasioni. Ed era precisamente questo a infastidirlo.

Seduto alla sua scrivania, volteggiava senza sosta sulla sedia girevole e si fermava solo per digitare qualche parola di tanto in tanto. Voleva convincere se stesso, e soprattutto Namie, di essere diligentemente assorto nel lavoro, ma purtroppo stava fallendo su entrambi i fronti.

«Smettila» brontolò la segretaria, in piedi davanti a lui; scaricò una pila di fogli sulla sua scrivania e poi ci posò accanto una tazza di caffè, dimostrando un’insolita gentilezza «Qualunque cosa stia succedendo nella tua stramba testolina, dacci un taglio.»

Dopo aver elargito la sua pillola di saggezza si girò per andarsene, ma Izaya sbuffò una risatina e la spinse a tornare indietro, fulminarlo con un’occhiataccia e riprendersi il caffè, che poi rovesciò dritto nello scarico.

Beh, era comunque un passo avanti.

L’informatore si voltò e il suo sguardo ricadde sulla maglietta di Shizuo, che giaceva tutta stropicciata sul divano. Non voleva pensare all’odore del ragazzo che lo aveva avvolto mentre la indossava, perché il sentore di tabacco e quel suo caldo profumo muschiato erano riusciti a mandargli in tilt il cervello.

Izaya gemette di sconforto. Rimuginava su Shizuo di continuo, ultimamente; lo aveva sempre fatto, ed era disposto ad ammettere di esserne un tantino ossessionato, ma non aveva mai pensato a lui in quel modo. Prima si limitava ad architettare ingegnosi modi per farlo incazzare, e invece adesso quello incazzato era lui. Si sentiva come una mosca che sbatte contro la finestra, impossibilitata ad andare da qualsiasi parte ma incapace di fermarsi, e questo gli stava procurando un terribile mal di testa.

E se Shizuo non avesse mai recuperato la memoria? E se fosse rimasto per sempre bloccato con questo ragazzo che rideva e scherzava e lo chiamava amico, che gli ricuciva le ferite invece di picchiarlo a sangue?

Però che sarebbe successo se, al contrario, avesse riacquistato i suoi ricordi? Beh, supponeva Izaya, almeno in questo modo non ci sarebbe stato niente ad arginare l’odio del biondo per lui. Non avrebbe neanche avuto il tempo di sedersi a rimuginare sul suo arci nemico, dato che avrebbe rischiato di farsi ammazzare se fosse rimasto fermo così a lungo. Shizuo non avrebbe avuto dubbi sul fatto che fosse stato tutto parte di un machiavellico piano per fregarlo alla grande, e Izaya avrebbe davvero voluto che le cose stessero così. Avrebbe voluto escogitare un qualche progetto che non si limitasse a “evitarlo come la peste”, perché questo equivaleva a sventolare bandiera bianca e ammettere di aver perso. Quel bastardo avrebbe riso di gusto, se solo avesse saputo quanto gli stava incasinando la vita senza fare assolutamente nulla

Fu così che i suoi pensieri giunsero a una conclusione: se non poteva gestire la situazione con questo nuovo Shizuo, allora era stato Shizuo a vincere, e senza nemmeno sforzarsi. Attorno a questo erano sempre girati i complotti, gli inseguimenti, le zuffe; in lui Izaya aveva trovato qualcuno che non si sottometteva ai suoi piccoli giochi di potere, qualcuno contro di cui la vittoria non era sempre garantita. Qualcuno che riusciva a scavare sotto il suo apparente autocontrollo, che gli faceva bruciare la pelle e battere il cuore all’impazzata.

Si alzò in piedi così all’improvviso che la sua segretaria sobbalzò, gettandogli un’occhiata a metà tra il curioso e l’irritato. Izaya raccolse la t-shirt dal divano e gliela lanciò in grembo.

«Falla lavare, mi serve» le ordinò, mentre varcava la soglia «E poi sta appestando l’ufficio.»

Quando Izaya scalò di nuovo l’ospedale di Ikebukuro – sforzandosi di non pensare al fatto che la finestra, questa volta, era stata lasciata un po’ aperta – scoprì che la stanza di Shizuo era deserta; tuttavia i fiori (che ormai stavano appassendo) gli assicurarono che non era ancora stata liberata. Si sdraiò con noncuranza sul letto vuoto, giocherellando con il coltello a serramanico mentre aspettava il ritorno del biondo. Aveva deciso di non uccidere Shizuo, per il momento: farlo fuori mentre non era in sé sarebbe stato come ammettere di non essere in grado di combatterlo. No, Izaya lo avrebbe lasciato in vita finché il sentimento non fosse tornato reciproco: avrebbe riportato ordine nel mondo spingendo Shizuo a odiarlo di nuovo.

Si accorse del suo imminente arrivo sentendolo borbottare qualcosa a proposito del “non avere bisogno di un’infermiera” e dell’”essere in grado di farlo da solo” mentre entrava nella stanza e chiudeva la porta con un sospiro di sollievo. Izaya lo guardò attentamente, curioso di sapere come si sarebbe comportato credendo di essere solo: la sua espressione era rilassata, eppure quasi malinconica, e le labbra erano piegate in una smorfia come se fosse infastidito da qualcosa. L’informatore si sorprese a chiedersi di cosa si trattasse, ma realizzò di star pensando decisamente troppo a lui, così tossicchiò, sperando di interrompere le riflessioni di entrambi.

Shizuo sussultò, voltandosi verso di lui, e subito quell’espressione da cucciolo ferito si trasformò in un sorriso sincero.

«Izaya» esalò, e l’informatore colse a pieno la contentezza infusa in quella parola. Era intenzionato a ignorare la felicità che la propria presenza sembrava instillare nel biondo, perché nessuno era mai felice di vedere Izaya: lui significava guai per chiunque gli stesse vicino, e se qualcuno era disposto a incontrarlo spontaneamente, lo faceva solo a causa di una sfortunata necessità.

«Ehi, Shizu-chan» lo salutò, stringendo un po’ gli occhi; le labbra gli si curvarono nel caratteristico ghigno, che si allargò quando vide le sottili rughe d’espressione che si andarono a formare tra le sopracciglia di Shizuo «Come va?»

«Umh, bene?» rispose lui, scrollando le spalle «Sto cercando di convincere l’infermiera a darsi una calmata. Continua a dirmi che ho bisogno di aiuto per fare la doccia» sembrava un po’ confuso, e apparentemente ignaro di aver appena ricevuto delle avances. Ma considerando la sua indole molto vicina a quella di una bestia, Izaya supponeva che romanticismo e relazioni probabilmente non fossero il suo forte.

«Vuoi dirmi che non ti vanno a genio le infermiere?» domandò, alzando il sopracciglio con fare allusivo.

«Beh, ecco» Shizuo arrossì un po’ e l’informatore presuppose che si trattasse di un nervo scoperto, ottimo per sferrare un colpo basso in caso ne avesse avuto bisogno «Non si tratta proprio di questo…» la sua voce si affievolì mentre abbassava lo sguardo.

Izaya si stava incuriosendo ancora di più, chiedendosi cosa diavolo avrebbe potuto fare per convincere quella versione quasi timida del biondo a vuotare il sacco.

«Cosa?» tentò, genuinamente interessato.

«Beh» disse lui, irrigidendosi «È una ragazza

Per una frazione di secondo la mente di Izaya immaginò che il problema fosse l’età della persona in questione, e si chiese come potesse una minorenne lavorare come infermiera. Poi ci arrivò.

Oh.

Questa sì che era una notizia inaspettata. Izaya non sapeva cosa dire, e non era nemmeno sicuro del perché quella scoperta lo avesse sorpreso così tanto; sapeva che non esistevano stereotipi per quel genere di cose, però si trattava comunque di Shizuo, della cui esistenza conosceva ogni dettaglio. Per di più il lavoro di Izaya era letteralmente quello di commerciare segreti, eppure non era a conoscenza di questo in particolare.

I suoi pensieri vennero rapidamente interrotti dal goffo tentativo del biondo di affrontare un altro argomento con il tatto di un elefante.

«In effetti, a proposito di questo» cominciò, per poi bloccarsi subito nella vana speranza che un’ispirazione divina intervenisse a guidare le sue parole. Dopo averci rinunciato continuò, un po’ imbarazzato «Mi chiedevo se noi… beh, se noi… avessimo quel tipo di rapporto…»

Izaya rimase nel silenzio più totale. Shizuo si spostò dalla porta e andò a sedersi sulla parte del letto non occupata dall’informatore; una volta realizzato che probabilmente non avrebbe ottenuto nessuna risposta, diventò insolitamente loquace.

«Parlare con te è strano. Mi sento più rilassato, più spontaneo, più… più a mio agio, credo. Mi sento me stesso. Una parte di me non vede l’ora che tu torni qui e non riesce a darsi pace finché non ti vedo. Quindi ho pensato che magari è per questo motivo che ho perso la memoria, insomma, ho pensato che non riesco a ricordarti perché eri il mio-» Shizuo si interruppe, riflettendo un momento «Ma dato che non sapevi che io sono…» abbassò la voce, grattandosi la testa, e smise di evitare lo sguardo di Izaya per fissarlo dritto negli occhi, con un’onesta tanto orgogliosa da sorprenderlo.

Tutta quella faccenda gli stava decisamente sfuggendo di mano. Lui si trovava lì per spingere Shizuo a odiarlo di nuovo, in modo tale da non dover ammettere la sconfitta, ma a quanto pareva stava perdendo lo stesso. Ogni piano che aveva escogitato per tormentarlo era stato spazzato via, non aveva frasi argute o sorrisi cospiratori da sfoderare, e tutti i suoi soliti trucchetti si erano dissolti nel nulla. Si chiese se fosse successo perché una parte di lui voleva davvero quello che Shizuo gli stava offrendo, e cioè qualcuno che lo trattasse come un amico, che fosse felice di vederlo, che ridesse e scherzasse con lui, che non avesse paura dei suoi secondi fini. Qualcuno che fosse onesto con lui. In teoria lavorare come informatore avrebbe dovuto garantirgli la possibilità di conoscere la verità su chiunque desiderasse, ma l’unica persona ad essere stata veramente onesta con Izaya era seduta proprio in quel momento davanti a lui, e aspettava un qualche tipo di risposta.

«Chi se ne frega?»

Era furioso. Quella situazione era identica a tante altre che avevano vissuto in passato, ma al rovescio: erano state le parole di Shizuo a scatenare una reazione, ed era Izaya a sentirsi più incazzato che mai, senza nemmeno capirne il motivo. Quella rabbia proveniva da una parte di lui che non riusciva a distinguere bene, tanto a fondo era sepolta nel suo inconscio.

«Perché dai tanta importanza a quello che eravamo prima? Il passato cambia in qualche modo quello che provi adesso? È come se stessi cercando di ricostruire una casa che è stata demolita senza neanche sapere come era fatta» Izaya sapeva di aver perso il controllo, ma questa consapevolezza non lo aiutò; sentire le parole che eruttavano dalla sua stessa bocca e non poter fare alcunché per fermarle lo faceva sentire addirittura peggio. E stava perfino usando delle fottute metafore «Non sarà mai come prima, quindi ‘fanculo. Costruisci la casa che vuoi.»

A quel punto Izaya riacquistò la sua consueta padronanza di sé e si fermò, consolandosi con il fatto che probabilmente era riuscito a far incazzare Shizuo proprio come prevedeva il progetto iniziale, nonostante i mezzi non fossero stati quelli che si aspettava.

Shizuo non era mai stato bravo con i suoi sentimenti, figuriamoci con quelli degli altri.

Rimase lì impalato a guardare il ragazzo di fronte a lui, sperando ancora una volta che qualche divinità accorresse in suo aiuto fornendogli le parole giuste. Non riusciva a trovare una risposta adeguato: era come se Izaya gli avesse assorbito ogni goccia di energia, lasciandolo privo di forze e completamente vuoto. Non proferì parola.

Izaya balzò in piedi, cominciando ad allontanarsi, ma il biondo si alzò insieme a lui e lo afferrò per un polso, stringendoselo al petto. L’informatore quasi gli cadde addosso, e il suo guaito di sorpresa venne attutito dalla pelle di Shizuo, mentre le braccia del ragazzo si avvolgevano protettivamente attorno a lui.

«Va tutto bene.»

Izaya non riusciva neanche a calcolare quanto le cose stessero andando male, invece.

Non rispose all’abbraccio – Dio, realizzò con orrore, si stavano abbracciando – ma rimase immobile, cercando di capire come diavolo fosse finito in una situazione simile, confortato dal suo ex-peggior-nemico. No, raggelò, Non ex. Loro erano ancora nemici. Che Shizuo se lo ricordasse o no, Izaya lo odiava. Odiava i suoi stupidi capelli scompigliati, odiava il suo sorriso un po’ idiota, odiava perfino i suoi occhi ambrati, ma più di ogni cosa odiava il calore del suo corpo premuto contro di lui, il modo in cui la sua testa si incastrava perfettamente nell’incavo del collo di Shizuo, il suo respiro che gli solleticava l’orecchio, il battito del suo cuore contro il petto.

Il bisogno di scusarsi era tornato. Serrò le labbra, preoccupato di lasciarsi sfuggire qualcos’altro dopo quella deplorevole scenata, e sobbalzò quando senti sussurrare da Shizuo le parole che lui stesso rischiava di pronunciare.

«Mi dispiace.»

E per cosa?

Serrò le palpebre, chiudendo fuori il mondo intero e i suoi stessi pensieri. Sentì le braccia sollevarsi, esitanti, e chiudersi attorno al corpo dell’altro ragazzo.

«Già» sussurrò.

Anche a me.

Nel prossimo capitolo:

«Sai già quando uscirai da qui?»

«Sarei già tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori vogliono assicurarsi che non causi complicazioni di qualche tipo» alzò le spalle, evidentemente poco interessato alla sua stessa salute «Odio essere rinchiuso qui dentro.»

«Perché non andiamo a farci un giro, allora?»

[Shizuo e Izaya sgattaiolano fuori dall’ospedale per una passeggiata: 80% fluff / 20% “Perché non possono essere felici e basta?”]


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: in ritardo di una settimana (la sessione estiva fa schifo, specialmente se inizia a maggio) ma ecco qua il nuovo capitolo. Le cose cominciano a "riscaldarsi" (in tutti i sensi!) ma forse questo non è il tipo di azione che ci si aspetterebbe... o forse sì, dato che si tratta pur sempre di Shizuo e Izaya. Buona lettura!

Capitolo 5

I loro incontri avevano cominciato ad assumere una certa regolarità: Izaya si assicurava di finire il lavoro per le otto – ignorando la sospettosa curiosità con cui Namie guardava quel suo nuovo zelo – poi prendeva il treno per Ikebukuro, arrivava in ospedale alle otto e mezzo e si arrampicava fino alla stanza di Shizuo, che rimaneva in attesa del suo arrivo. Il ragazzo non gli aveva più chiesto perché insistesse a voler passare dalla finestra, ma fin dal loro secondo incontro si era sempre assicurato di lasciarla leggermente aperta; non abbastanza per lasciar entrare l’aria, notò Izaya, ma abbastanza per lasciare entrare lui. L’informatore cercò di non rimuginarci troppo – effettivamente, non voleva pensare né a Shizuo né alle loro recenti interazioni. Potevano aver trascorso le ultime settimane seguendo quella nuova routine, ma Izaya non aveva ancora capito come si sentiva a riguardo, e procrastinava il momento in cui avrebbe dovuto prendere una decisione. Per il momento era soddisfatto così, seduto sul letto di fronte a Shizuo e con le gambe stese parallele alle sue.

L’informatore tornò a concentrarsi sulla conversazione da cui si era momentaneamente estraniato. Il biondo si stava chiedendo perché diavolo gli unici vestiti che sembrava possedere fossero uniformi da barista: conciato in quel modo, anche se gli avessero permesso di liberarsi delle dannate vestaglie da ospedale, sarebbe comunque sembrato un idiota.

«Sai una cosa? Non mi dispiacciono troppo» affermò Izaya, rievocando l’immagine di Shizuo con quel completo addosso; ogni volta che lo aveva incontrato vestito in quel modo avevano finito per radere al suolo mezza Ikebukuro, ma preferì non pensarci.

«Le uniformi o le vestaglie dell’ospedale?» rise Shizuo. Izaya si limitò a roteare gli occhi, per poi spostarli sugli abiti dell’altro ragazzo.

«Sai già quando ti dimettono?»

«Sarei già tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori vogliono assicurarsi che non causi complicazioni o cose del genere» alzò le spalle, evidentemente poco interessato alle sue condizioni di salute «Odio stare rinchiuso qui dentro.»

«Perché non andiamo a farci un giro, allora?»

Non era proprio riuscito a trattenersi. Le parole gli erano scivolate fuori dalla bocca senza dargli l’occasione di riflettere a pieno su quella proposta, ma che sarebbe successo se qualcuno li avesse visti? Stava per rimangiarsi tutto, poi però vide gli occhi di Shizuo accendersi, e il suo intero viso illuminarsi mentre prendeva in considerazione l’idea. Izaya aveva combinato un casino, e non poteva fare niente per rimediare, ma tentò almeno di non dare a vedere l’enorme rimpianto che gli scorreva in corpo.

«Dove?» chiese Shizuo, e l’informatore si costrinse a trattenere un sospiro. Un mostro in mezzo agli uomini come lui non avrebbe dovuto assomigliare così tanto a un cucciolo indifeso, eppure gli occhi grandi, i capelli ribelli, l’innocente esuberanza che sprizzava da tutti i pori, dicevano l’esatto contrario. Non si sarebbe sorpreso se avesse perfino cominciato ad ansimare.

«Non lo so.»

Un posto buio, dove nessuno in grado di riconoscerli avrebbe potuto vederli. Perché non poteva rimangiarselo e basta? Era sicuro che avrebbe adorato vedere l’espressione di delusione sul viso di Shizuo, gli sarebbe fottutamente piaciuta; e allora perché si prendeva la briga di pensare a qualche posto dove portare quel maledetto cucciolo troppo cresciuto?

«Al cinema?» rabbrividì interiormente a quel suggerimento; sembrava un programma fin troppo normale per loro due. Perché non poteva tenere sotto controllo la sua boccaccia? Di solito non era un problema riflettere prima di parlare, ma non riuscì a decidere se offendersi o rallegrarsi quando Shizuo rise di lui.

«Sembri soffrire anche solo a dirlo» lo punzecchiò, sorridendo «Non preoccuparti, non voglio uscire da qui solo per andare a sedermi in un’altra stanza. Mi basterebbe anche solo camminare un po’, sai, sgranchire le gambe e mangiare qualcosa. Cose del genere.»

Izaya annuii, grato per il saggio consiglio. Era abbastanza sicuro che nessuno li avrebbe visti, se fosse stato abbastanza attento.

«Non stasera, però» aggiunse Shizuo, grattandosi il capo «Sono un po’ stanco. E nemmeno domani, mio fratello ha detto che verrà a trovarmi con i nostri genitori. Che ne dici di venerdì?»

Izaya tirò fuori il telefono per controllare l’agenda, determinato a non pensare a quanto fosse ridicola quella situazione. Stava programmando un appuntamento con il suo peggior nemico, il nemico con cui passava ogni notte parlando e ridendo, che gli sorrideva come se fosse la persona che più gli faceva piacere incontrare, che si rifiutava di uscire dalla sua testa. Tossicchiò appena.

«Umh, venerdì va bene» si interruppe quando realizzò che quello non era più l’impulso del momento. Era un incontro pianificato, e stavano effettivamente trovando del tempo l’uno per l’altro; avvertì una stretta al petto, come se tutti i suoi organi si stessero contraendo nello stesso momento, impedendogli di avere abbastanza aria. Si insultò interiormente quando si accorse che perfino il suo corpo stava rigettando l’intera situazione, ma spinse da parte quella sgradevole sensazione.

«Alla solita ora?»

«Magari un po’ prima, se vogliamo fermarci a mangiare qualcosa.»

Decisero quindi di incontrarsi un’ora prima del solito il venerdì successivo; l’informatore sarebbe andato nella camera di Shizuo per aiutare il biondo a sgattaiolare fuori dalla finestra. Quel giorno a Izaya rimaneva solo un’ora prima di dover uscire, e invece di sbrigare il lavoro arretrato era seduto a scrutare i tre diversi outfit stesi sul suo letto. Non aveva niente a che vedere con Shizuo, si disse – sentendosi come la classica scolaretta al primo appuntamento – aveva solo bisogno di non vestirsi nel solito modo, in modo tale da non attirare troppo l’attenzione. Si rammaricava di non poter indossare il suo cappotto, ma fu costretto a optare per una giacca di pelle nera.

Girò sul posto a occhi chiusi, puntando il dito davanti a sé, e scelse un outfit totalmente a caso: maglietta bianca con bottoni neri e jeans rosso scuro. Appese gli altri vestiti nell’armadio, prima di spogliarsi completamente e dirigersi verso la sua stanza.

L’acqua calda dava una piacevole sensazione sulla pelle, sciogliendo i suoi muscoli dolorosamente tesi mentre ripassava il piano per la passeggiata. Aveva già scelto le strade che potevano percorrere senza pericolo, dove le probabilità di incontrare qualcuno che conosceva erano più basse; aveva persino cercato un posto da quelle parti dove avrebbero potuto cenare – decidendo che, se Shizuo non avesse avuto niente in contrario, avrebbero preso cibo da asporto per minimizzare ulteriormente i rischi.

Si prese un po’ di tempo per guardarsi allo specchio, chiedendosi se fare qualcosa ai capelli in modo da rendersi ancora meno riconoscibile: li spinse indietro e tentò di acconciarli un po’, prima di decidere che nessuna di quelle pettinature era particolarmente lusinghiera. Non che stesse mettendo il suo aspetto prima della sua reputazione, era solo che… decise di ignorare questi pensieri, concentrandosi più di quello che era strettamente necessario sull’abbottonarsi la maglietta. Non era in grado di trovare una buona giustificazione per quel voler dare il meglio di sé davanti a Shizuo, quindi preferiva non pensarci.

Izaya arrivò all’ospedale un po’ in anticipo. Cominciò a scalare il muro, sospirando per la sottile polvere di mattone che si stava attaccando ai suoi vestiti, e quando raggiunse la stanza di Shizuo si accorse che la finestra era aperta. Prima che potesse anche solo accennare un saluto, notò la scena che si stava svolgendo davanti a lui: il biondo si guardava allo specchio, emettendo bassi suoni di disappunto. Quella vista era allo stesso tempo familiare e completamente nuova.

Shizuo indossava la vecchia divisa da barista, con l’eccezione degli occhiali da sole, e si era chinato in avanti per tentare di aggiustare il farfallino, fissando meticolosamente il suo riflesso. Alla fine ringhiò di frustrazione e si strappò il papillon dal collo; ci fu un sonoro schiocco di plastica rotta quando il fermaglio si spezzò, e Shizuo lo tirò contro il muro, cantilenando parolacce sottovoce.

A quel punto gli occhi di Izaya si spostarono sul letto, dove una pila di vestiti nascondeva il piumone. Notò che varie maniche e risvolti erano parzialmente rovesciati, e sorrise per ciò che questo implicava; il momento in cui aveva visto Shizuo più arrabbiato era quello in cui stava cercando di decidere cosa indossare per il loro… qualunque cosa fosse. A parte le difficoltà con il farfallino, il biondo sembrava convinto della sua scelta di vestiario e si stava lisciando la camicia mentre la infilava dentro i pantaloni.

Izaya realizzò all’improvviso di aver appena trascorso gli ultimi minuti spiandolo e decise di rendergli nota la sua presenza.

«Ti vedo in difficoltà, Shizu-chan» ridacchiò, ghignando quando il biondo inciampò per girarsi a guardarlo. Shizuo lasciò cadere il farfallino che aveva tentato di sistemare, come se schiacciarne le estremità sarebbe bastato ad aggiustare il fermaglio rotto, e le sue guance andarono in fiamme.

«Questo look mi fa tornare in mente vecchi ricordi, sai?» continuò Izaya, indicando i vestiti di Shizuo. Non specificò che quei ricordi implicavano loro due che cercavano di uccidersi a vicenda: i dettagli in fin dei conti non erano poi così importanti. «Perché hai messo la divisa?»

L’informatore decise che sicuramente non era colpa della luce e che Heiwajima Shizuo stava effettivamente arrossendo mentre tentava di mettere insieme un qualche tipo di risposta – per lo più una cantilena di “Beh, ecco” e “Io, emh, già”. All’improvviso Izaya ricordò le sue stesse parole.

«Sai una cosa? Non mi dispiacciono troppo»

Oh, ‘fanculo” fu tutto quello a cui riuscì a pensare. Si alzò, cercando di non sembrare troppo interessato al significato di quella situazione. Prese il farfallino dalle mani di Shizuo e lo gettò sul letto con gli altri vestiti, chiedendosi da dove fossero arrivati tutti quegli abiti: pochi giorni prima non si era lamentato di avere solo divise da barista? Le loro dita si sfiorarono per un momento, mentre Izaya si alzava in punta di piedi per slacciare i primi due bottoni della camicia di Shizuo.

«Ecco fatto» disse, con una voce molto più bassa di quanto avesse voluto. Il calore del biondo si stava irradiando fino a lui, il suo respiro era un po’ più lento, e Izaya non riuscì a disinteressarsi completamente a questa nuova atmosfera.

Calarsi giù dall’edificio era relativamente semplice e l’informatore andò per primo, mostrando a Shizuo il percorso migliore per scendere. Sperò che nessuno stesse prestando troppa attenzione, perché il biondo non era bravo quanto lui a non farsi notare. Una volta raggiunta la strada, Izaya seguì il piano che aveva messo a punto nella sua testa e rimase in silenzio per un po’, conscio che quella fosse la fase più pericolosa del tragitto. Shizuo sembrò capire che quel silenzio non era casuale, e non lo infranse fino a quando qualcosa non catturò la sua attenzione.

«Sembri diverso» buttò lì; quella frase non era uscita proprio come avrebbe voluto, ma non era certo di come avrebbe potuto aggiustare il tiro. Izaya indossava più o meno sempre gli stessi vestiti quando andava a trovarlo, però oggi aveva giacca e stivali di pelle, e una maglietta bianca piuttosto aderente…

«Diverso?» chiese Izaya, interrompendo i suoi ragionamenti, e adattò il passo a quello di Shizuo.

«Sì» la sua voce era un po’ roca. Si strofinò il retro del collo, cercando le parole giuste «Stai bene vestito così» disse alla fine, senza tanti giri di parole.

Izaya rise, girandosi verso di lui con le sopracciglia inarcate.

«Vorresti dire che di solito non sto bene?»

Shizuo non sapeva davvero come rispondere. Decise per un semplice “non intendevo questo” e fu immensamente grato a Izaya quando lasciò cadere l’argomento.

Continuarono a camminare in un amichevole silenzio, e il biondo si sorprese di quanto si trovasse a suo agio insieme a quel ragazzo, più che con chiunque altro avesse conosciuto prima della perdita di memoria. Si domandò se questo fosse collegato al fatto che con gli altri si sentiva obbligato a essere lo Shizuo di una volta, mentre con Izaya poteva abbassare la guardia e smettere di fingere, essere se stesso. Però c’era anche un’altra sensazione oltre al sollievo, un sentimento più caldo che a volte minacciava di travolgerlo, un sentimento che lo portava a desiderare che quel ragazzo non se ne andasse mai.

«Ehi, Shizu-chan, a cosa è dovuto quel disgustoso sorrisetto?» chiese Izaya con tono giocoso, e un piccolo ghigno gli piegò le labbra. Il biondo roteò gli occhi, voltando le spalle a quello sguardo che gli faceva andare a fuoco le guance.

«Stavo solo pensando.»

«A cosa?»

A te.

Scosse leggermente la testa, impedendosi di pronunciare un’altra frase sdolcinata, e si impose di rispondere qualcosa di normale.

«Ho fame.»

Che diamine aveva in testa? Doveva esserci per forza una via di mezzo tra le battute da commedia romantica e… quello. Izaya ridacchiò sommessamente mentre il suo sorriso si allargava, e Shizuo scoprì quanto poteva rimpiangere di aver detto qualcosa di così stupido, quando ottenne in risposta quello sguardo.

«Più avanti ci sono un paio di posti dove possiamo prendere da mangiare. Fanno anche take-away» suggerì Izaya. Alzò il capo a fissare le stelle, coperte solo in parte dalle nuvole «È una bella serata e c’è un parco qui vicino, quindi pensavo…» si interruppe, incapace di continuare. Quella era una sensazione del tutto nuova per lui: non avere la risposta pronta, sentire il proprio petto stringersi prima di parlare, essere incerto di come sarebbe stato percepito quello che stava per dire. Quasi sussultò sentendo la morbidezza della voce di Shizuo, quando replicò..

«Sembra una buona idea.»

Izaya abbassò il capo, e percepì quella spiacevole stretta al petto aumentare quando i suoi occhi cremisi incontrarono quelli ambrati di Shizuo; c’era un’intensità in quello sguardo da fargli dimenticare perfino quello a cui stava pensando. Quando il suo cervello ricominciò a funzionare, realizzò quanto si fossero avvicinati: ora c’erano meno di venti centimetri tra di loro. Interruppe bruscamente il contatto visivo e strinse i denti mentre si obbligava a sfoderare il suo solito sorrisetto. Shizuo indietreggiò, mentre l’intensità nei suoi occhi si tramutava in confusione, ma continuarono a camminare e la mente di Izaya si allontanò dalla conversazione. Era così distratto che fissò Shizuo con sguardo assente quando lui disse “Ramen”.

«Cosa?»

Il biondo indicò un punto davanti a loro, dove era situata una bancarella di cibo da strada.

«Dici sul serio? Ti pago la cena e tu vuoi il ramen?»

«Paghi tu?»

«Vorresti dire che hai portato dei soldi con te?»

Il ragazzo si tastò le tasche prima di scuotere la testa.

«Ramen» disse ancora, stavolta con voce più sicura. Izaya alzò le spalle – almeno sarebbe stato economico – e i due si diressero verso la luce soffusa emessa dalla piccola bancarella.

«Posso avere tre ramen Tokyo, per favore?» domandò, e l’uomo di mezza età dietro alla cassa annuì.

«Tre?» domandò Shizuo, confuso.

«Tu mangi un sacco.»

Il biondo insisté per portare il cibo finché non arrivarono al parco, che tecnicamente era chiuso, ma per Izaya significava solo che era meno probabile che qualcuno li riconoscesse. Il biondo esitò di fronte all’idea di sgattaiolare dentro il parco di nascosto, ma l’informatore scalò la recinzione e saltò dall’altra parte, atterrando con la grazia di un gatto. Prese il pacchetto dell’asporto da una fessura tra le sbarre della ringhiera e si allontanò: Shizuo perse definitivamente ogni riserva, quando la sua cena divenne la posta in palio.

Camminarono per un po’ tra gli alberi e Izaya iniziò a sproloquiare su quanto fosse breve la vita degli esseri umani e sulla loro relativa insignificanza nell’universo. Shizuo stava ascoltando con un orecchio solo; lo divertiva il modo in cui Izaya parlava di loro due, come se fossero esenti da quel ragionamento, ma era più concentrato su ciò che li circondava; lo stretto sentiero che si intrecciava con la sponda erbosa e una quercia, alta e scura, ridotta a una sagoma sottile dall’assenza di luce. Arrivarono a una radura con pochi alberi, che si allineavano a definirne gli estremi invece di coprirla; poco lontano c’era un fiume che tagliava a metà il parco, con una serie di panchine disposte pochi metri lontano dalla riva. Shizuo si accorse che Izaya si era avvicinato a una di esse e si era seduto, ma la maggior parte della sua attenzione era stata rapita dalla vista delle stelle e della luna, non più coperte dalle fronde degli alberi; era una vista bellissima, e gli astri si allungavano nel cielo perfino fuori dai confini del suo campo visivo, più luminosi di quanto avesse mai potuto pensare.

«Hai intenzioni di rimanere lì impalato, Shizu-chan?» domandò Izaya, strascicando la voce, mentre si girava per guardare il biondo che sembrava folgorato dal panorama. Shizuo abbandonò quel suo umore insolitamente poetico e ricambiò lo sguardo, ma non si mosse.

«Sai, le stelle rimarranno lì, ma il cibo si raffredderà, quindi porta qui il culo e iniziamo a mangiare.»

Shizuo non aveva bisogno di ulteriori sollecitazioni. Raggiunse Izaya sulla panchina e cominciò a mangiare; erano seduti vicini e le loro ginocchia si sfioravano, nonostante lo spazio disponibile. Il biondo era fin troppo consapevole del calore che filtrava da entrambi i loro corpi – dava una bella sensazione, quasi confortevole – e qualche volta incrociava lo sguardo di Izaya, che gli riscaldava il petto quando rispondeva al sorriso che aveva stampato sulle sue labbra. L’informatore lo prese in giro, lagnandosi per la velocità con cui mangiava mentre Shizuo si ficcava in bocca ancora più cibo: il biondo roteò gli occhi quando il ragazzo gli disse “se soffochi e muori non aspettarti che io ti salvi”, e stava per fargli notare che se fosse morto non avrebbe potuto aspettarsi un granché da nessuno, ma all’improvviso notò che qualcosa era cambiato. L’aria era diventata più fredda e la serata non sembrava più tanto piacevole. Shizuo posò il cibo, scandagliando l’oscurità, e afferrò il polso di izaya.

«Che diavolo…» cominciò l’informatore, provando a divincolarsi dalla presa del biondo, ma Shizuo lo zittì, stringendo le dita ancora di più. L’istinto di Izaya sembrò mettersi in funzione mentre si chiedeva come diavolo avesse potuto non accorgersi di quello che stava succedendo. Si alzarono in piedi nello stesso momento, voltandosi schiena contro schiena con la mano di Shizuo ancora stretta attorno al polso di Izaya – e una parte dell’informatore riuscì a ridere di come la situazione si fosse evoluta, con lui e il biondo pronti a proteggersi l’un l’altro.

Realizzando che ormai la loro presenza era stata notata, un gruppo di uomini uscì dalle ombre. Izaya poteva vederne tre e sentirne un quarto; si spostò i capelli di fronte al viso, sperando di non essere notato. Doveva trattarsi di una gang.

«Heiwajima-san» chiamò uno di loro mentre avanzava, alzando una mano per segnalare agli altri di restare indietro. La sua voce era calma e strascicata; Izaya riusciva a percepire, più che a vedere, il sorriso da predatore che gli deformava le  labbra. Avrebbe voluto strapparglielo via con il coltello. Chi cazzo poteva avere il coraggio di andare da Shizuo senza almeno l’ausilio di un esercito e aspettarsi di avere successo? Quello era un suo privilegio.

Il biondo quasi ringhiò a quei convenevoli, seguiti dal click di un accendino e dal forte odore di tabacco che impregnò l’aria.

«Mi dispiace disturbarti mentre sei con il tuo fidanzato, ma vedi, questa è la prima occasione propizia che abbiamo trovato. Non avrebbe avuto senso pestarti mentre eri ancora in ospedale.»

Izaya era sorpreso dal fatto che non fossero già stati lanciati in giro per il parco, ma la mano attorno al suo polso non si muoveva, proprio come la puzza di fumo nelle sue narici.

«Non voglio uccidervi. Dico sul serio» disse Shizuo, riuscendo in qualche modo a suonare sinceramente dispiaciuto e allo stesso tempo minaccioso. L’uomo di fronte a lui si accigliò, ma senza che il suo sorriso vacillasse.

«Non siamo certo al tuo livello» ammise, però l’informatore cominciava ad apprezzare quella situazione sempre di meno. «Ma comunque…» ci fu un forte scatto e Izaya si girò per vedere una pistola armata e puntata dritta alla sua testa; rise tra sé e sé, perché evidentemente non avevano idea della persona con cui avevano a che fare, se pensavano davvero che lui fosse l’anello debole.

«Abbassa la pistola, prima che ti faccia a pezzi» La rabbia di Shizuo stava strabordando e Izaya riusciva ad avvertire quanto vicino fosse a schiacciare la sigaretta tra le dita. Nessuno si mosse. «Beh, allora immagino di non avere scelta.»

E così cominciò.

Il biondo aveva appena gettato la sigaretta a terra quando risuonò il primo sparò; mancò entrambi, ma questo non cambiò l’effetto che ebbe sulla furia di Shizuo. Lasciò andare il polso di Izaya per strappare dal suolo la panchina su cui si erano seduti e agitarla tra le mani; l’informatore notò che, nonostante la sua collera crescente, la stretta non era mai diventata tanto salda da fargli male. Un uomo basso e tarchiato gli corse incontro con un coltello in mano, però Shizuo oscillò la panchina verso di lui come una mazza da cricket, gettandolo malconcio e sanguinante nel fiume. Ci fu un momento di silenzio mentre tutti assimilavano quello che era appena successo, ma sfortunatamente nessuno tranne Izaya sembrò pensare razionalmente: mentre lui manteneva le distanze, gli altri caricarono Shizuo, e le loro grida di battaglia furono presto sovrastate dal ruggito disumano emanato dal biondo.

L’informatore rimase a guardare. Shizuo mise temporaneamente giù la panchina per lanciare gli assalitori in diverse direzioni, prima di sollevarla di nuovo per giocare a una versione più cruenta di acchiappa la talpa con l’uomo che aveva istigato la rissa. Ma anche quando il teppista fu ridotto a una pozzanghera di sangue e ossa rotte, Shizuo non si calmò. Rimase lì in piedi, latrando e brandendo la panchina, con gli occhi che praticamente schizzavano fuori insieme all’adrenalina.

Izaya tentò di avvicinarsi, sapendo che doveva cercare in qualche modo di calmarlo, ma senza la minima idea di come farlo. Riusciva a vedere la schiena del biondo tremare di rabbia: doveva stare attento.

«Shizuo?» chiamò. L’altro ragazzo si voltò, apparentemente senza riconoscerlo.

E questo fu l’unico avvertimento che Izaya ricevette, prima che la panchina si schiantasse contro di lui.

Nel prossimo capitolo: Aveva ferito la persona che più avrebbe voluto proteggere, e con le sue stesse mani. Era stato proprio lui, Shizuo, con la sua forza mostruosa, e la sua forza animale, la sua infantile mancanza di auto controllo. Come aveva potuto anche solo pensare di poter offrire agli altri qualcosa che non fosse dolore?

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


capitolo 6
Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: Capitolo più breve del solito, ma il contenuto rimedia largamente alla lunghezza... meglio che vada a sbrodolare cuoricini da un'altra parte, va' <3 

Capitolo 6

Molte persone credono che l’espressione “vederci rosso” sia solo una metafora, ma per Heiwajima Shizuo non era così. L’intero mondo si deformava sotto l’influsso della sua furia: i suoni aumentavano d’intensità, il tempo rallentava, e l’istinto si affinava fino a diventare più acuminato delle lame puntate contro di lui. Si accorgeva a malapena dei suoi stessi movimenti, basandosi solo su ciò che il suo corpo riteneva fosse la cosa migliore da fare, e non pensava assolutamente a niente. In quei momenti nella sua testa c’era il vuoto totale.

Qualcuno lo aveva chiamato e lui si era girato. Aveva lasciato la presa sulla panchina che stringeva tra le braccia, e poi l’aveva vista sfrecciare a tutta velocità verso uno snello ragazzo dai capelli scuri e gli occhi cremisi…

Shizuo sentì il mondo fermarsi, e la rabbia scivolò fuori da lui a tempo di record. Non poté fare altro che stare a guardare, orripilato, scorgendo i suoi occhi spalancati riflessi in quelli del ragazzo di fronte a lui. Lo shock gli deformò i tratti del viso e si ritrovò a serrare le palpebre di fronte a quella scena, mentre le gambe gli cedevano e un sospiro soffocato gli scivolava fuori dalle labbra.

“No.”

Gli bruciavano gli angoli delle palpebre ed era in preda alle vertigini. Che diamine aveva combinato? Aveva ferito la persona che più avrebbe voluto proteggere, e con le sue stesse mani. Era stato proprio lui, Shizuo, con la sua forza mostruosa e la sua forza animale, con la sua infantile mancanza di auto controllo. Come aveva potuto anche solo pensare di poter offrire agli altri qualcosa che non fosse dolore?

Dopo l’assordante schianto della panchina, passò un po’ di tempo prima che il biondo riuscisse finalmente a sollevare lo sguardo dal punto in cui era caduto in ginocchio. Scostò dal viso le mani con cui si era coperto gli occhi, sbirciando tra le dita prima di lasciar cadere le braccia lungo i fianchi, e poi si alzò in piedi, esitante.

«Izaya?» chiamò, con la voce incerta quanto i suoi passi. Il ragazzo era sdraiato a terra, ma respirava – anche se aveva il fiatone – e giaceva a pochi metri dalla panchina distrutta. Ad un tratto i suoi occhi si aprirono e un riflesso cremisi si irradiò dalle palpebre socchiuse; un piccolo sorriso gli strisciò sulle labbra mentre si metteva a sedere, e Shizuo lasciò andare il respiro che fino a quel momento aveva trattenuto.

«Avrei gradito almeno un avvertimento, Shizu-chan» borbottò l’informatore, cercando senza successo di rimettersi in piedi «Piantala di guardarmi così, sto bene.»

Shizuo si sentì inondare di sollievo. Si inginocchiò davanti a lui e gli strinse forte le spalle, appoggiando la fronte al suo petto.

«Mi dispiace» mormorò, cercando di smettere di tremare «Cazzo, Izaya, mi dispiace così tanto.»

Izaya guardò in basso e appoggiò il mento ai capelli biondi di Shizuo, sollevando le braccia per avvolgerle attorno alla schiena dell’altro ragazzo. Sospirò quando avvertì una fitta acuta sotto il gomito destro; normalmente non avrebbe mai e poi mai mostrato a Shizuo il dolore fisico che gli procuravano i suoi attacchi, perché preferiva nasconderlo sotto uno spesso strato di sfacciata noncuranza e guardare la furia del biondo crescere di fronte alla sua apparente indistruttibilità. Provò a far finta che non ci fosse niente di diverso dal solito, che il suo stoicismo fosse legato solo al non voler mostrare debolezza, ma allora perché stava consolando Shizuo? Perché la sua mano gli accarezzava i capelli? Perché mormorava rassicurazioni al suo orecchio?

Izaya spinse via il ragazzo, si alzò e cercò di allontanarsi da lui. Aveva bisogno di tenere le distanze per riuscire a schiarirsi le idee, ed evitò deliberatamente di guardarlo, dato che non era pronto ad affrontare il suo inevitabile sguardo da cucciolo ferito.

«Dovremmo andare» disse, tentando di concentrarsi su come quella situazione fosse tutta colpa di Shizuo. Si meritava di sentirsi fottutamente in colpa «Non sappiamo quando quei tipi torneranno da queste parti.»

Non che fosse davvero un problema, visto che le probabilità che quegli uomini si facessero vedere prima di qualche ora erano infime, ma quell’eventualità convinse Shizuo ad alzarsi da terra e a seguirlo mentre si avviava rapidamente verso i cancelli del parco.

Camminarono in silenzio e il biondo non chiese nemmeno spiegazioni quando Izaya si arrampicò su un edificio lì vicino e cominciò a spostarsi sui tetti, invece di proseguire sul marciapiede. Shizuo rimase leggermente indietro, seguendo la sua guida fino all’ospedale. Il silenzio continuò finché non arrivarono sul tetto.

«Ti prego, Izaya» cominciò, mentre il cuore gli batteva fastidiosamente forte nel petto, andandosi a sommare a un principio di nausea «Ti prego, guardami.» Afferrò il polso del ragazzo, ma si tirò subito indietro quando sentì un sibilo di dolore. Abbassò lo sguardo e il cuore gli si fermò, non appena vide il brutto livido che spuntava da sotto la manica di Izaya.

«Avevi detto di stare bene» mormorò flebilmente. Non c’era traccia di accusa nella sua voce, ma solo di una disperata incredulità.

«Non è niente» minimizzò Izaya, abbassandosi il polsino della maglietta fino a coprire il segno.

«Ti ho fatto male» ormai il biondo aveva difficoltà perfino a respirare «Cazzo, Izaya, sono stato io. Te l’ho fatto io.»

«Sto bene.»

«Smettila di dire che non è niente, tu non stai bene. Non solo ti ho messo in pericolo con quegli idioti» farneticò, gesticolando verso il punto da cui erano arrivati «Ti ho messo in pericolo anche standoti vicino. Sono io il pericolo.»

«Ti ho detto che sto bene, brutto idiota, vuoi chiudere il becco e ascoltarmi?» scoppiò Izaya, voltandosi a fronteggiare Shizuo, con il viso ormai a pochi centimetri dal suo «Questo non è niente» disse, alzando il braccio «Ne ho avuti di peggiori. Non sono una principessina da proteggere, e se pensi di costituire una qualche minaccia per me ti stai sopravvalutando di grosso. Mi hai colto di sorpresa, lo ammetto. Eri arrabbiato, hai perso il controllo, non me ne frega niente, ma non azzardarti a usarlo come scusa per buttarti ancora più giù. Sto bene, questo livido guarirà e non sono arrabbiato con te per quello che è successo, quindi fammi il favore di-»

Le parole di Izaya vennero interrotte da qualcosa premuto contro la sua bocca. Nella fattispecie, Shizuo.

Non ebbe nemmeno il tempo di pensare: reagì istintivamente al bacio, chiudendo gli occhi e spingendosi contro le labbra del biondo, mentre stringeva tra le dita il retro del suo gilet. I suoi sensi erano interamente travolti dal calore; le mani di Shizuo si persero tra i suoi capelli mentre lo stringeva a sé con un’impetuosità calibrata, e poi scivolarono lungo la schiena fino a posarsi sui suoi fianchi, mandandogli una scarica di brividi lungo la spina dorsale. Si aggrappò a lui con ancora più forza e il biondo gemette nel bacio, un suono basso e gutturale, quasi un ringhio. Izaya sollevò le braccia per avvolgerle attorno al collo di Shizuo, intrecciando le dita ai suoi capelli biondi.

Alla fine si separarono, con il respiro affannoso e tentando di riprendersi dalle vertigini causate dalla mancanza d’aria. Izaya appoggiò la fronte contro il petto di Shizuo e sentì la nuca del ragazzo adagiarsi sulla sua. Stava giusto pensando a quanto fosse piacevole la sensazione del suo respiro caldo sulla pelle quando il cervello gli si rimise in funzione.

Che accidenti era successo? Izaya non era esattamente inesperto in campo sessuale, ma era sempre stato in grado di mantenere il controllo. Non era certo il tipo da lasciarsi andare, qualunque fosse la situazione, e non si era mai permesso di mostrarsi così vulnerabile. Non riusciva a muoversi e i suoi muscoli non obbedivano al suo disperato ordine di allontanarsi dal biondo, di correre via, di prendere il primo volo per chissà dove e non tornare più indietro. Un attimo prima stavano litigando, e appena un momento dopo… questo.

«Grazie» disse Shizuo, interrompendo le invettive che Izaya si stava lanciando «Per stasera, intendo. Mi sa che ho combinato un casino» ridacchiò «Ma è stato bello. Mi piace passare del tempo con te, e mi piacerebbe farlo ancora, se ti va.»

Indietreggiarono entrambi, e gli occhi ambrati di Shizuo cercarono quelli dell’informatore mentre si chinava su di lui, più esitante della prima volta. Una parte di Izaya gli stava gridando di scappare, di estrarre il coltello, di saltare giù dal fottuto edificio, di fare qualsiasi cosa tranne che restare fermo lì, e invece inclinò la nuca, chiuse di nuovo gli occhi e si spinse contro Shizuo. Si baciarono piano, più lentamente, e dopo pochi secondi di separano.

Izaya seppellì il viso nel petto del biondo, strofinando il viso contro la sua giacca. Che diavolo stava facendo? Sentì la mano di Shizuo accarezzargli i capelli e sospirò. Era come se si fosse disconnesso da se stesso, come se la sua coscienza stesse fluttuando un paio di metri sopra di lui, guardandolo dall’alto, incapace di impedire al corpo di fare quello che voleva. Ma perfino i suoi pensieri avevano cominciato a calmarsi, dicendosi che alla fine non era troppo male; Shizuo era caldissimo contro di lui, il battito del suo cuore gli rimbombava nel petto, ed era quasi piacevole

«La prossima volta, però» disse, senza sollevare lo sguardo «Niente gangster.»

Sentì le labbra di Shizuo posargli un bacio leggero sulla nuca.

«Niente gangster» promise.

 

EXTRA:

Shizuo e Izaya sedevano sul tetto dell’ospedale, dondolando le gambe oltre il bordo del cornicione. Le loro mani giacevano vicine, sfiorandosi casualmente tra loro.

«Comunque, cosa avevi fatto a quel tipo del parco?» domandò l’informatore, girandosi per vedere Shizuo fare spallucce prima di rispondere.

«Gli ho sbattuto la porta in faccia per sbaglio» disse con tono sprezzante «Quando ho provato a scusarmi mi ha dato un pugno, così l’ho lanciato in mezzo al traffico.»

Izaya lo fissò, a metà tra il divertito e l’incredulo, e sbuffò una risatina.

«Non puoi dire sul serio.»

 

Nel prossimo capitolo: Passarono un paio d’ore prima che Izaya si svegliasse, e a quel punto il respiro di Shizuo si era fatto pesante, e buona parte del suo peso gravava ormai sulla nuca dell’informatore. Il ragazzo rimase immobile per un po’, prendendosi del tempo per scendere a patti con quella situazione; non si era mai addormentato accanto a qualcuno prima d’ora, non si era mai svegliato trovandosi avvolto dal calore di un’altra persona. Era la vulnerabilità di quello scenario ad irritarlo, addormentarsi vicino a qualcuno significava mostrarsi privi di difese, e soprattutto significava fidarsi di quella persona. 

[98% fluff e ancora più Izaya-gattino-confuso. Godetevi il fluff, ne avrete bisogno quando l'angst tornerà alla ribalta]

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


capitolo 6
Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: Capitolo un po' di transizione, ma cosa c'è di meglio di un po' di sano fluff? E vai (di nuovo) di cliffhanger finale <3

Capitolo 7

Le tende svolazzavano leggermente, mosse dal vento freddo che soffiava attraverso la finestra aperta; Shizuo pensò di alzarsi per andare a chiuderla, ma poi realizzò che per farlo avrebbe dovuto spostare Izaya, che si era addormentato sul suo petto. Sembrava stanco come se non dormisse da giorni, e il biondo non avrebbe rischiato di svegliarlo per niente al mondo, quindi si limitò a coprire entrambi con il lenzuolo, sorridendo per come il ragazzo strofinava il naso contro il suo petto. In lui stava crescendo un calore che nemmeno il freddo della stanza poteva soffocare, ed era il sollievo di sentirsi finalmente accettato; Izaya aveva conosciuto la sua parte più mostruosa, ne era stato addirittura ferito, eppure era ancora lì. Shizuo passò una mano tra i suoi capelli scuri e gli posò un bacio sulla nuca, ripensando a quella sera sul tetto.

Non si erano baciati una seconda volta, si erano solo seduti vicini, con le gambe a penzoloni dal bordo dell’edificio, e avevano chiacchierato a lungo, sfiorandosi appena le dita. Izaya era stato insolitamente silenzioso, ma Shizuo aveva avuto l’impressione che non volesse parlarne, quindi non gli aveva chiesto nulla. Si era limitato a raccontargli quello che riusciva a ricordare della sua infanzia: per la maggior parte aveva parlato della sua forza sovraumana, di tutte le volte che era finito in ospedale, e di quando aveva distrutto un negozio per cercare di salvare la proprietaria dagli uomini che la stavano minacciando

«Ehi, Izaya?»

«Che c’è?»

«Volevo solo proteggerti.»

«Sì» la mano di Izaya si posò sulla sua «Lo so.»

Spostò il braccio, facendolo passare dietro al collo di Izaya e avvolgendo l’altro attorno al suo fianco. Il ragazzo si era addormentato addosso a lui mentre erano sul tetto e Shizuo l’aveva portato nella sua stanza, poi aveva sistemato entrambi sul letto, dopo aver gettato sul pavimento tutti i vestiti che c’erano sopra. All’inizio aveva pensato di accompagnarlo a casa, ma poi si era ricordato di non sapere dove viveva. C’erano un sacco di cose che non sapeva di lui: che lavoro facesse, quale fosse il suo cognome, perché diavolo continuasse a chiamarlo Shizu-chan. Però pensandoci bene c’erano altrettante cose che, invece, sapeva: i suoi cibi preferiti, i film e i libri che amava; la sua infinita conoscenza di battute toc toc, tanto orrende da far sospirare a gran voce chiunque avesse un minimo di buon senso; le ventiquattro ore filate che una volta aveva trascorso guardando soap opera, cercando di capire quella che sembrava essere “una parte fondamentale dell’esistenza umana”. Che importava se non conosceva il suo nome completo? C’erano tante altre cose assai più importanti nella sua vita.

«”Quella che noi chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe il suo soave profumo”» declamò, sorridendo; per un attimo sperò che Izaya fosse sveglio, in modo che potesse assistere a quest’ulteriore prova della sua cultura letteraria, poi realizzò quanto doveva suonare sdolcinato e fu molto, molto felice che il ragazzo stesse dormendo.

Passarono un paio d’ore prima che Izaya si svegliasse, e a quel punto il respiro di Shizuo si era fatto regolare, e buona parte del suo peso gravava ormai sulla nuca dell’informatore. Izaya rimase immobile per un po’, prendendosi del tempo per scendere a patti con quella situazione; non si era mai addormentato accanto a qualcuno prima d’ora, non si era mai svegliato trovandosi avvolto dal calore di un’altra persona. Era la vulnerabilità di quello scenario ad irritarlo: addormentarsi vicino a qualcuno significava mostrarsi privi di difese, e soprattutto significava fidarsi di quella persona, mentre Izaya non si fidava di nessuno. Eppure eccolo lì, raggomitolato accanto al suo peggior nemico, a strofinarsi gli occhi ancora assonnati. Il suo peggior nemico. Quello che lo aveva baciato. Che gli aveva preso le mani tra le sue. Che lo stringeva tanto forte da fargli sembrare che fossero le sue braccia a tenerlo in piedi.

Izaya si raddrizzò, cercando di analizzare meglio la situazione; la luce stava cominciando a filtrare attraverso le tende semi aperte, e il ragazzo si ritrovò ad apprezzare il fatto che Shizuo fosse così caldo, dato che ormai la stanza era diventata quasi fredda. Si mosse istintivamente per tornare più vicino a lui, prima di rendersi conto di quello che stava facendo. Non c’era modo che quella storia potesse funzionare. Non che lo volesse, provò a dirsi, ma quanto quella fosse una bugia appariva ovvio da come le sue mani giocavano distrattamente con il polsino della maglietta di Shizuo, e dagli angoli delle sue labbra che minacciavano di piegarsi in un sorriso. Non aveva mai avuto bisogno di contatto umano: per lui era delizioso, ma anche ridicolo, che la gente credesse di poter migliorare la propria vita grazie all’interazione con specifici membri della loro specie; Izaya rideva di come i sentimenti per qualcun altro riuscissero a prendere il controllo del corpo e della mente, che procurassero dolore fisico, che spingessero a ignorare la logica, che rendessero felici le persone indipendentemente dai beni materiali. Eppure, mentre si districava dal biondo, riusciva a sentire il proprio petto stringersi fastidiosamente, causandogli un vago senso di nausea. All’inizio aveva creduto che queste reazioni fossero il modo in cui il suo corpo esprimeva l’innaturalità della situazione, ma poi aveva cominciato a pensare che forse significavano qualcos’altro.

Izaya rimase sul letto per un po’, dopo essersi allontanato dal corpo di Shizuo e da quel bozzolo protettivo che lo aveva avvolto fino a quel momento. Esaminò lo sguardo tranquillo e pacifico sul suo viso, e quell’innocenza, quasi da bambino, che era molto lontana dall’espressione a cui era abituato, tanto che stentava quasi a riconoscerlo. Shizuo aveva sempre costituito un’eccezione, per lui. Era l’unica persona per cui avesse provato qualcosa di diverso, prima come adesso: effettivamente, prima provava istinti omicidi, adesso stava ammirando come il suo naso si contraesse di tanto in tanto durante il sonno, facendolo assomigliare a un coniglio troppo cresciuto. Carino.

No. Non carino.

Izaya sospirò a bassa voce. Stava diventando sempre più difficile ignorare il tipo di parole che il suo cervello gli suggeriva quando pensava al biondo. Supponeva che, se avesse dovuto fare un gioco di associazione di parole a tema Shizuo due settimane prima e uno in quel momento, i risultati sarebbero cambiati drasticamente; si passava da citazioni ai romanzi di Chuck Palahniuk alla posta del cuore dei giornaletti per adolescenti.

Dopo aver riflettuto per un momento sul modo assurdo in cui la frangia di Shizuo si era aggrovigliati, Izaya immaginò che la situazione dei suoi capelli sarebbe solo peggiorata mano a mano che dormiva; serrò le palpebre, sperando di liberarsi delle parole che stava disperatamente cercando di non associare al biondo. Quando il suo tentativo fallì, decise che probabilmente era arrivato il momento di andarsene.

Però…

Se Shizuo fosse rimasto sdraiato in quel modo, probabilmente gli sarebbe venuto il mal di schiena.

Lanciò un’occhiata alla finestra, sapendo che avrebbe dovuto andarsene e basta, poi borbottò un “fanculo” a denti stretti e cominciò a cercare di sistemare il biondo in una posizione potenzialmente meno dolorosa.

Non era un compito facile. Izaya si piazzò a un lato del letto, facendo passare le braccia sotto le ginocchia del biondo e dietro la sua schiena per cercare di spostarlo più in basso, ma ogni volta che ci provava il biondo rotolava verso l’altra parte del materasso, rendendogli impossibile muoverlo. Aveva bisogno di sollevarlo mentre era dritto, in modo da non dover reggere il suo pesò, così guardò il ragazzo addormentato e sperò intensamente che non si svegliasse. Salì in piedi sul materasso, spiegazzando le coperte con i piedi, e si chinò, provando di nuovo da quella nuova posizione, ma scoprì di essere troppo lontano per riuscire ad avere una presa solida. Sospirò e si chiese se fosse il caso di adottare “fanculo” come suo nuovo mantra, prima di realizzare che quella probabilmente non era la cosa migliore da dire mentre si trovava inginocchiato sullo stomaco di un’altra persona. Mise una mano dietro ai reni di Shizuo e l’altra tra le scapole, sussultando per il peso che ora gravava sul suo fianco ferito, ma determinato a non pensare a come si sarebbe evoluta la situazione se Shizuo fosse stato sveglio. Immaginò quegli occhi intensi che lo guardavano, quelle mani rudi di nuovo sui suoi capelli e attorno ai suoi fianchi, che lo attiravano verso di lui…

A quel punto Izaya spinse un po’ troppo forte e la nuca del biondo scivolò contro la testiera del letto, per poi rimbalzare sul materasso. L’informatore raggelò, spostando lo sguardo sullo spiraglio d’ambra che ora si intravedeva tra le ciglia scure.

«Izaya… che stai facendo?»

«Io, beh, dovevo andare al lavoro, quindi mi sono alzato, poi però, beh, tu sembravi scomodo, quindi stavo cercando di spostarti, ma continuavi a scivolare e io… ecco.»

Era sconvolto. Gli sembrava di cadere a pezzi davanti a quegli occhi caldi. E lui non era mai sconvolto.

Dannazione, Shizu-chan.

«Oh» rispose Shizuo «Grazie.»

Izaya si ricordò di essere praticamente accovacciato su di lui, a pochi centimetri dal suo viso, e si raddrizzò. Realizzò troppo tardi di esserglisi seduto in grembo, ma tentò comunque di sembrare disinvolto, combattendo il rossore che gli stava salendo sulle guance. Non c’era un modo non imbarazzante di uscire da quella situazione, però stare seduto in braccio a Shizuo era di certo l’opzione peggiore – e allora perché non si era ancora spostato? Per quanto si sforzasse di pensare, non riusciva a concludere nulla. Chinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, mentre si liberava della tensione scaricando il peso del suo corpo su Shizuo. Si lasciò sfuggire un sospiro di esasperazione e lanciò un’occhiata al ragazzo, decidendo che quella era stata la decisione peggiore della sua intera vita. Gli occhi del biondo erano luminosi, c’era un bagliore da cui l’informatore non riusciva a distogliere lo guardo; aveva ancora i capelli scarmigliati, che gli ricadevano di fronte al viso in un modo che alcuni parrucchieri avrebbero pagato oro per ricreare; aveva la bocca leggermente aperta, e respirava piano.

Prima di sapere cosa stesse facendo, la mano di Izaya si infilò tra i capelli di Shizuo, scendendo fino alla mascella per tracciare il contorno delle sue labbra socchiuse. Il biondo cercò di sedersi, avvolgendo le braccia attorno ai suoi fianchi per avvicinarsi a lui il più possibile. Le loro fronti si sfiorarono e l’informatore avrebbe potuto rievocare ogni singola volta che erano stati così vicini, però pieni di rabbia piuttosto che di lussuria. Si baciarono, e Izaya trattenne un gemito quando sentì la lingua di Shizuo sfiorargli il labbro inferiore, e i suoi denti che lo mordicchiavano leggermente. Le mani del biondo scivolarono sotto la sua maglietta e le sue dita callose gli mandarono brividi per tutto il corpo. Sia la mano che le labbra se ne andarono decisamente troppo presto, e un Izaya un po’ eccitato si ritrovò a sbirciare attraverso le ciglia per scoprire cosa fosse successo. Shizuo si era steso di nuovo, con le braccia incrociate sotto la testa e le guance in fiamme. Tuttavia stava guardando verso di lui e non sembrava imbarazzato, nonostante Izaya si sentisse sempre più indignato.

«Hai detto che devi andare al lavoro» spiegò, alzando le spalle «Non voglio farti arrivare tardi.»

«Ma se sono un libero professionista! Io lavoro per me stesso» piagnucolò lui, mentre il suo corpo protestava a gran voce per l’interruzione del contatto.

«Mi hai raccontato fin troppi aneddoti sulla tua segretaria pazza. Non ho nessuna intenzione di inimicarmela» lo prese in giro Shizuo, roteando gli occhi di fronte all’occhiata di biasimo che gli lanciò l’altro ragazzo. Izaya crollò sul petto di Shizuo, appoggiando il mento sulle sue dita incrociate sul costato, e un’espressione petulante si fece strada sul suo viso.

«Avanti, fuori di qui» aggiunse Shizuo, divertito, facendogli cenno di andarsene prima di prendergli il viso tra le mani e chinarsi per baciarlo sul naso. Izaya piegò la testa all’indietro e catturò la bocca del biondo per spingere le labbra sulle sue. Un paio di braccia si avvolsero attorno alle sue cosce, e il ragazzo all’inizio si rallegrò, prima di sentirsi sollevare dal letto; allora attorcigliò le gambe attorno a Shizuo, rifiutandosi di scendere per continuare a baciarlo. Il biondo lo trasportò fino alla finestra, spingendolo contro il muro, e approfondì il bacio per un momento, prima di interromperlo.

«Se non te ne vai, sarò costretto a buttarti fuori dalla finestra io stesso» lo avvertì. Izaya si sorprese ancora una volta della mancanza di veleno nelle sue parole. Era proprio quella voce roca e scherzosa a fargli venire voglia di….

Il ragazzo sbuffò la sua frustrazione con un ringhio.

«E allora mettimi giù, razza di protozoo.»

Dio pensò Quand’è che è diventato un nomignolo affettuoso?

Shizuo lo assecondò, sorridendo con quel suo stupefacente sorriso non-omicida, e Izaya cominciò ad arrampicarsi fuori dalla finestra. Quando entrambe le sue gambe furono fuori, appoggiate a un cornicione sotto i suoi piedi, sentì una mano che gli sfiorava i capelli, e si girò per salutare. Le sue parole vennero troncate sul nascere dalla bocca di Shizuo sulla sua. Il bacio era casto, ma Izaya ne fu riconoscente, dato che si trovava a svariati metri di altezza.

La mano del biondo scivolò lungo la sua mascella con un sorriso che gli incurvava le labbra, e Izaya si stupì di non averlo mai visto in quel modo. Era… felice.

«Ciao» disse Shizuo, allontanando la mano dal viso di Izaya. Qualcosa si attorcigliò nello stomaco dell’informatore, e il ragazzo sentì l’irrefrenabile impulso di sporgersi in avanti e riprendersi quella mano, stringerla fino impossessarsi di tutto il suo calore. Digrignò i denti e cercò di riacquistare il controllo di sé.

«A dopo, Shizu-chan» e dopodiché si calò giù dall’edifico, sforzandosi di impedire alle sue paranoie di sfondare il muro mentale con cui le aveva finora bloccate. Aveva bisogno di non pensare a quanto la sua già ambigua relazione con Shizuo si fosse trasformata in coccole e baci e altre tipiche dimostrazioni di affetto. Già era stato strano parlargli senza tentare di ucciderlo o farlo arrabbiare, ma adesso cosa provava per il biondo? Simpatia?

Fanculo, pensò, scompigliandosi i capelli Sono troppo giovane per queste stronzate da crisi di mezza età.

Izaya raggiunse il marciapiede e cominciò a camminare verso la stazione, così perso nei suoi pensieri da non notare il dottore occhialuto e la motociclista vestita di nero che lo fissavano dall’altra parte della strada.

 

 

EXTRA:

«Okay, me ne è venuta in mente una davvero buona.»

Shizuo per tutta risposta sospirò, roteando gli occhi di fronte a quell’Izaya sovraeccitato che sedeva sul bordo del suo letto.

«No, Izaya, arrenditi. Non sei capace.»

Il ragazzo gli diede un calcetto e tirò fuori la lingua.

«Per favore, Shizu-chan, questa qui è fantastica, te lo assicuro» insisté, sbattendo le ciglia. I due avevano passato l’ultima mezz’ora seduti l’uno davanti all’altro, mentre Izaya sciorinava una lunga lista di terribili barzellette toc toc, fermandosi solo per ridere istericamente alle sue stesse battute. Beh, qualcuno doveva pur farlo.

«E va bene, basta che la smetti di fare quell’espressione idiota. Avanti, spara.»

Izaya gli elargì un gran sorriso, e un luccichio nei suoi gli occhi lo spinse a chiedersi se arrendersi fosse stata una buona idea.

«Grande! Okay, comincia tu.»

«Toc toc.»

«Chi è?»

Shizuo si immobilizzò, interdetto, restando con la bocca leggermente aperta. Non è così che dovrebbe andare, pensò, perplesso. La sua confusione venne presto interrotta da Izaya, che stava quasi soffocando dal ridere, mentre si reggeva i fianchi con le mani. Poi Shizuo ci arrivò.

Ma tu guarda che idiota.

 

Nel prossimo capitolo: Shizuo riceve una visita da Celty e Shinra e Izaya riceve consigli di cuore da Namie.

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


capitolo 6
Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: Zan zan zaaaaaan - progressi! Personalmente mi piace molto questo capitolo, nonostante il fluff ci saluti da lontano sventolando un fazzoletto bianco (ci mancherai, Fluff-chan) perché Izaya è pure più sfigato del solito. Ricordo che dopo questo resteranno solo due capitoli, quindi siamo in dirittura d'arrivo! <3

 

Capitolo 8

Shizuo ebbe a disposizione meno di dieci minuti per riflettere sulla strana piega che aveva preso la sua vita sentimentale. Non poteva essere sicuro di aver già avuto una relazione, ma aveva il vago sospetto che lui e Izaya non fossero stati solo amici, prima della sua perdita di memoria. Nonostante ciò aveva deciso che, proprio come aveva detto Izaya, non importava: non poteva cercare di ricostruire il passato, poteva solo decidere cosa sarebbero stati in futuro. L’appuntamento della sera precedente era stato un successo, se si escludeva l’intromissione di quei teppisti; sebbene non si fosse ancora perdonato l’incidente con la panchina, involontario ma potenzialmente fatale, almeno non aveva più paura di ferire Izaya. Lo aveva visto scalare muri e saltare giù da un palazzo, e di certo non aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse. Non che Shizuo non ci avrebbe provato, se si fosse presentata l’occasione di farlo: gli piaceva l’idea che la sua forza sovraumana potesse essere usata per proteggere qualcuno che amava, piuttosto che finalizzarla alla distruzione.

In quel momento i suoi pensieri subirono una brusca svolta. Qualcuno che amava. Aveva scelto quelle parole senza esitare, senza nemmeno pensarci, ma era davvero così che si sentiva? Immaginava che fosse difficile etichettare quei sentimenti, dato che non aveva niente con cui confrontarli; certo, gli importava di Izaya, la sua presenza lo rendeva felice, e sentirsi addosso il calore del suo corpo era dannatamente bello, in un modo che non capiva a pieno. Probabilmente però era troppo presto per tirare fuori parole come amore: gli piaceva e basta. Un sacco.

Gli strani percorsi intrapresi dai suoi pensieri vennero interrotti dalla porta che si spalancava all’improvviso, appena prima che Celty entrasse di corsa nella stanza; sembrava irrequieta, ma era difficile esserne sicuri, dato che non aveva una testa. Era venuta a trovarlo un paio di volte, e il suo compagno Shinra (o, come lo chiamava Shizuo, il quattrocchi pazzo) l’aveva accompagnata per la maggior parte delle sue visite, borbottando qualcosa a proposito di come non poteva lasciare la propria fidanzata da sola con un uomo dagli addominali scolpiti. Gli aveva anche fatto un mucchio di domande idiote, come quante ossa pensava di riuscire a rompere usando solo il mignolo. La motociclista però sembrava simpatica, a parte lo shock iniziale dovuto alla spiegazione del perché non poteva parlare; ben presto Shizuo si era reso conto di non poterne farne un problema, dato che lui era sopravvissuto a un incidente ferroviario, ma aveva comunque deciso che non avere una testa era di certo parecchi livelli al di sopra della sua resistenza sovraumana.  Andava abbastanza d’accordo con la Dullahan, che di certo era più tranquilla – e stranamente più umana – del suo partner che umano lo era per davvero.

Celty rimase a fissarlo per un po’, senza fare altro, prima di rilassarsi un po’ e cominciare a digitare qualcosa sul suo palmare. Mentre finiva di comporre il messaggio arrivò Shinra, ansimando e appoggiandosi alle ginocchia con un pathos esagerato.

«Celty? Psico-Shinra? State bene?» chiese Shizuo, guardando la motociclista scrivere una risposta.

[Se stiamo bene noi? E che mi dici di te?]

«Oh, io sto bene. Il mio corpo è completamente guarito, sono ancora qui solo perché ci potrebbe essere il rischio di qualche complicazione o cose del genere.»

[Non intendevo quello! L’ho appena visto mentre se ne andava. Pensavo che fosse venuto qui.]

«Chi, Izaya?» domandò Shizuo, dato che non aveva visto nessun’altro quel giorno, però gli sfuggiva il motivo per cui non sarebbe dovuto stare bene.

 [Sì! Se devo essere sincera, mi aspettavo più sangue. E qualche mobile distrutto.]

Adesso era davvero a disagio. Sentiva che c’era qualcosa che loro due sapevano, e che a lui invece sfuggiva.

«Perché avrebbe dovuto esserci del sangue?» chiese, quasi più a se stesso che a Celty, ma rimase relativamente calmo «Era solo Izaya.»

La Dullahan raggelò, e allungò il braccio verso di lui mentre gli porgeva di nuovo il palmare.

[Non sembrava ferito. Non ero nemmeno sicura che fossi ancora vivo.]

Shizuo si limitò a fissare il messaggio. Che cazzo succede? Davvero non riusciva a capire cosa avrebbe dovuto significare; stavano parlando della stessa persona? Izaya non lo avrebbe mai messo in pericolo, Izaya rideva con lui, lo coccolava, lo baciava, non c’era violenza nella loro relazione. Sentì un peso gelido posizionarsi nel suo stomaco.

«Si può sapere cosa intendi?» domandò, e la sua rabbia iniziò a emergere. Celty e Shinra si scambiarono uno sguardo pieno di significato e Shizuo cominciò a trovare difficile restare calmo; odiava la sensazione che tutti in quella stanza sapessero qualcosa che lui ignorava.

«Che c’è?» chiese ancora. Era arrabbiato, ma dannazione, aveva tutto il diritto di esserlo.

[Shizuo, ma tu ti ricordi di Izaya?]

«No. Eravamo amici, e io ho dimenticato tutti i miei amici, ne avevamo già parlato.»

Shinra sembrò sul punto di ridere e il biondo fu davvero tentato di fare in modo che non fosse più in grado di emettere un suono, ma il dottore era anche impallidito e le sue sopracciglia erano corrugate in un’espressione confusa. Celty continuò a digitare, cancellare e poi riscrivere qualcosa, prima di mostrare finalmente lo schermo. Il biondo quasi desiderò che non lo avesse mai fatto.

[Non eravate amici, Shizuo. Vi siete conosciuti al liceo e avete passato buona parte degli ultimi otto anni a cercare di uccidervi a vicenda.]

[Quando vi incontrate non fate altro che insultarvi prima di cominciare a pestarvi. Ogni volta. Non so che gioco stia giocando con te, ma dovresti sapere che ti odia più di qualsiasi altra cosa.]

[È un informatore della malavita, lavora per l’Awakusu-kai.]

[Ha pagato dei criminali per tormentarti, ti ha incastrato per omicidio, e… non so come dirtelo.]

[È stato Izaya a causare il tuo incidente con il treno]

Shizuo rimase lì seduto per lungo tempo, incapace di dire qualsiasi cosa. Non riusciva a far collidere l’immagine di questo Izaya di cui parlava Celty con quella che conosceva lui. Una voce nella sua testa urlava che non poteva essere vero, che quei momenti vissuti insiemi erano reali, ma un’altra parte di lui sussurrava che “magari è solo bravo a mentire”.

“Ti odia più di qualsiasi altra cosa”

Shizuò sentì il proprio respiro accelerare e poi bloccarsi nella gola; non riusciva a respirare bene, riusciva solo a pensare a Izaya che sorrideva, che lo guardava negli occhi, a quando gli piaceva stringerlo a sé, al modo in cui tremava ogni volta che si baciavano.

«Sei… sicura?» balbettò, sapendo di sembrare disperato, ma senza curarsene. Celty parve preoccupata dalla sua reazione, dato che evidentemente non si era aspettata di ferirlo così tanto. Shinra, invece, ne era del tutto ignaro.

«Ma certo, lo sanno tutti!» disse, un po’ troppo allegro. Se Shizuo non fosse stato nel bel mezzo di una crisi esistenziale, probabilmente gli avrebbe dato un pugno. Il biondo voleva dubitare delle loro parole, voleva davvero che si fossero sbagliati, ma quanti altri Izaya potevano essere passati vicino all’ospedale nel momento esatto in cui erano arrivati lì?

«Cazzo» mormorò, premendosi una mano contro la fronte mentre ancora respirava a malapena «Cazzo, cazzo, cazzo.»

Shizuo sapeva che Izaya gli aveva mentito, sapeva di essere stato manipolato dalla persona a cui teneva di più, e non c’era nessun’altra spiegazione possibile. Izaya aveva capito che era vulnerabile e ne aveva approfittato per trarre vantaggio dalla situazione: era stato solo un ingegnoso piano per umiliarlo. Cosa aveva intenzione di fare? Scoparlo e abbandonarlo? Farsi rivelare tutti i suoi segreti e poi minacciarlo? Indurlo a una falsa sensazione di sicurezza prima di attaccarlo alle spalle? Il suo lavoro era vendere informazioni che servivano a uccidere persone, e Shizuo non pensava che ci fosse qualcosa che non fosse disposto a fare.

Respirava a fatica e a intervalli brevi; provò a calmarsi, ma gli sembrava che il petto gli si stesse contraendo attorno ai polmoni. A occhi spalancati ricambiò lo sguardo degli altri due nella stanza. Sentiva Shinra dirgli di respirare lentamente. Come se fosse facile, idiota. Le luci diventarono più luminose e serrò le palpebre, desiderando di poter chiudere fuori il rumore altrettanto facilmente. Aveva le vertigini e gli tremavano le dita, il suo intero corpo si era disconnesso dalla mente. Tentava di calmarsi, ma senza risultati: i polmoni gridavano per avere altro ossigeno. Stava per morire, lo sapeva. Si accorse a malapena che gli occhi gli si erano inumiditi, e provò a concentrarsi sulle lacrime che scivolavano lungo la sua pelle. Respirare ora era più facile, e il suo petto si rilassò leggermente, mentre arrivava il sollievo per il passato pericolo.

Ci vollero un paio di minuti prima che Shizuo potesse aprire le palpebre. Il respiro ora era regolare, ma si sentiva esausto: tutta la sua energia era stata completamente prosciugata. Lanciò un’occhiata allo schermo che Celty teneva sollevato davanti a lui, tenendosi lontana per lasciargli il suo spazio.

[Stai bene? Non pensavo che quella notizia ti avrebbe sconvolto tanto.]

[Mi dispiace.]

Shizuo rispose con un’alzata di spalle. Non era colpa sua, ma non gli andava di parlarne, quindi spero che quella replica non verbale l’avrebbe convinta a lasciar cadere l’argomento. Vide che Shinra lo stava guardando con un’espressione interessata, senza tracce di empatia o rammarico.

Maledetto quattrocchi pazzo.

«Ti è mai successa una cosa del genere?» domandò, e Shizuo scosse la testa, sperando che non gli sarebbe ricapitato mai più «Interessante. Hai appena avuto un attacco di panico.»

«E perché sarebbe “interessante”?» domandò il biondo, ma il veleno di cui aveva infuso la sua voce passò del tutto inosservato.

«La tua reazione standard, quando non riesci ad affrontare emotivamente una certa situazione, è la rabbia. Eppure» si interruppe, forse caricare le sue parole di un effetto drammatico, e Shizuo pensò che il dottore doveva ringraziare la sua mancanza di energia se gli permetteva di comportarsi in modo così dannatamente egocentrico «Eppure adesso hai mostrato una reazione completamente diversa! E questo significa che-»

Ma il biondo non seppe mai cosa significava, perché Shinra venne prontamente zittito da molteplici gomitate di Celty. La motociclista doveva aver pensato che qualcosa di quella spiegazione avrebbe potuto infastidirlo.

[Sembri stanco, dovresti provare a dormire un po’. Noi adesso ce ne andiamo, ma torneremo a trovarti presto, d’accordo?]

Shizuo sorrise, perché la Dullahan sembrava davvero preoccupata per lui e apprezzava lo sforzo che stava facendo.

«Grazie» rispose, aspettando che se ne andassero prima di seppellire la testa nel cuscino e tentare di dormire. L’attacco di panico era stato orribile e sebbene sperasse di non dover mai più provare una cosa simile, almeno la stanchezza che ne derivava aveva smorzato i suoi pensieri fino a renderli quasi sopportabili. C’erano un sacco di cose che non sapeva e c’erano un sacco di cose di cui avrebbe dovuto decidere come occuparsi, ma in quel momento aveva solo bisogno di dormire.

 

***

 

Izaya era seduto alla sua scrivania, fingendo di leggere uno dei vari fogli di carta che la ricoprivano. Non era riuscito a smettere di pensare a Shizuo da quando se n’era andato dall’ospedale, e quell’ossessione lo stava solo confondendo ancora di più – e lo stava anche un po’ eccitando. Quando era vicino a Shizuo si sentiva diverso; diavolo, anche quando pensava a Shizuo si sentiva diverso. Il biondo lo faceva infuriare, ma non come una volta: adesso era la sua assenza a infastidirlo, non la sua presenza. L’unico termine di paragone che era riuscito a trovare per quella sensazione che provava quando stavano insieme, era la soddisfazione di aver scoperto un’informazione particolarmente interessante.

Dio, aveva bisogno di aiuto.

Il ragazzo si chiese con cui avrebbe potuto parlare. Shinra? Non gli piaceva l’idea di una lezione sul rapporto che il dottore aveva con Celty, e d’altra parte la motociclista non sembrava averlo particolarmente in simpatia. Però avrebbe potuto parlare con…

«Per quanto tempo hai intenzione di continuare a fingere di leggere?» chiese Namie, in piedi di fronte alla scrivania. Sembrava piuttosto arrabbiata, o forse era solo annoiata, Izaya non era in grado di dirlo.

«Finché non avrò risolto i miei problemi di cuore» rispose, sapendo che la segretaria l’avrebbe presa per una battuta. Effettivamente la donna sbuffò e l’informatore intravide un lampo di disgusto nel suo sguardo.

«Immaginarti in una relazione è ridicolo. E ripugnante.»

Izaya si congratulò con se stesso per essersi accorto dell’espressione nauseata che per un attimo aveva solcato il viso della donna. Non si era offeso, dato che la pensava allo stesso modo, ma si mostrò comunque ferito.

«Sai, Namie, anche le parole fanno male.»

Lei roteò gli occhi e Izaya realizzò che quella era la sua occasione: finché Namie pensava che stesse scherzando, avrebbe potuto dirle quello che aveva bisogno di confessare a qualcuno. A voler essere sinceri nessuno sano di mente le avrebbe chiesto consigli di cuore, ma lui non aveva così tante opzioni tra cui scegliere.

«Dovresti essere più comprensiva» cominciò, selezionando attentamente le parole «Sei un’esperta di amori proibiti, in fondo.»

Lei strinse gli occhi e il suo viso si indurì.

«Non paragonare il mio amore per Seiji alle tue… perversioni

«Capisci di essere fottuto quando la donna innamorata di suo fratello ti chiama pervertito» commentò Izaya, guadagnandosi una botta in testa con una pila di fogli arrotolati. Tuttavia la segretaria non se ne andò, quindi l’informatore presuppose di poter continuare «Non sono del tutto senza cuore, sai? C’è una persona che mi fa provare lo stesso brivido che mi provoca il rovinare la vita degli altri. E ci riesce senza fare niente, solo stando vicino a me.»

«Che cosa romantica» rispose lei, asciutta, ma ora era chiaramente interessata. Izaya sperava solo che non fosse troppo interessata; non aveva certo l’intenzione di ritornare sull’argomento, una volta risolta la questione «A quanto pare per gli strambi è iniziata la stagione degli amori» continuò, e l’informatore riuscì a percepire dalla sua voce quanto fosse soddisfatta di quella battuta.

«E questo cosa dovrebbe significare?» domandò. Stava abboccando al suo amo, ma diavolo, aveva fatto di peggio – baciare il suo peggior nemico, per esempio.

«Heiwajima-san» disse semplicemente lei, fermandosi per una pausa drammatica. Izaya percepì le proprie interiora contorcersi a quel nome e dovette ricomporsi per assicurarsi che la sua segretaria non capisse cosa gli stava passando per la testa.

«E lui cosa c’entra?»

«Davvero non lo sai? A quanto pare sei un informatore disinformato» ribatté la donna, sospettosa, ma Izaya la ignorò, troppo curioso di quello che aveva da dire. Capendo che non avrebbe replicato alla sua provocazione, la segretaria continuò «Sembra che il tuo protozoo abbia un fidanzato 

«Un fidanzato?» Izaya sentì uno spasimo di gelosia, prima di realizzare che Namie stava parlando di lui.

«È tutto sul forum dei Dollars. Qualcuno ha scritto di aver visto Heiwajima-san proteggere un ragazzo da una gang che li ha attaccati ieri sera. A quanto pare l’ha quasi ucciso e poi ha addirittura pianto, mentre il fidanzato lo abbracciava. Personalmente credo che sarebbe stata una storia migliore, se l’avesse ucciso sul serio.»

Un luccichio sinistro negli occhi di Namie preoccupò Izaya, dato che da quello sguardo non veniva mai fuori nulla di buono, ma poi la donna si avviò verso la sua scrivania, e il ragazzo presuppose di essersi sbagliato. Però all’improvviso la sua segretaria si girò di nuovo verso di lui, con un piccolo sorriso stampato sulle labbra.

«A proposito… dov’è che eri tu, ieri sera?»

 

Nel prossimo capitolo: L’espressione di Shizuo era molto simile a quelle che gli rivolgeva una volta, piene di furia e di violenza, ma stavolta c’era qualcosa di più, che Izaya pensò potesse essere dolore. Sul suo volto era impressa la sofferenza del tradimento.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


capitolo 6
Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: Ed eccoci al penultimo capitolo! Che emozione <3 Prima di lasciarvi alla lettura mi prendo due righe per avvisare che la traduzione è già finita e sto dando un'occhiata in giro per vedere se trovo qualcosa di carino da tradurre (pensavo a april 23rd ma mi frena molto il fatto che sia ancora in corso ;_;). Ho anche chiesto il permesso per After the story Era ma non ho molte speranze dato che l'autrice sembra sparita (ed è un peccato perché la storia merita verament tanto). Se qualcuno avesse qualche consiglio (su Durarara!!, ma anche Haikyuu!!, Free!! o Shingeki no Kyojin sono bene accetti XD) sono aperta ai suggerimenti <3

Capitolo 9

Izaya si stava recando in ospedale alla solita ora, ancora sotto shock per come la sua segretaria l’aveva fregato. Namie sospettava qualcosa già prima di parlare con lui, e si era assicurata di scoprire se le sue teorie fossero fondate o meno. Il ragazzo sapeva di non correre rischi, perché la donna non era stupida (era lui a essere in vantaggio, se si parlava di informazioni compromettenti), ma lo infastidiva non essersi accorto di quello che Namie aveva cercato di fare. Aveva sviluppato quello che a tutti gli effetti poteva definirsi un punto debole – un punto debole dagli occhi ambrati e alto un metro e ottanta, per essere precisi. Non appena Shizuo arrivò tra i suoi pensieri, tuttavia, Izaya si dimenticò completamente di essere irritato e cominciò a chiedersi se andare a trovarlo di nuovo fosse una buona idea. In fondo c’era già stato quella mattina, e forse una seconda visita era un po’ troppo… però ormai la decisione era stata presa, dato che stava già scalando il muro dell’ospedale.

La prima cosa che notò quando raggiunse il settimo piano fu che la finestra era chiusa. Era la prima volta che non la trovava aperta, da quando era arrivato con un taglio da ricucire sul fianco, e quel particolare gli provocò una strana sensazione allo stomaco, come se fosse stato riempito d’acqua gelida. Anche le tende erano tirate, quindi non poté controllare se il biondo fosse ancora nella stanza. Fece scivolare il coltello lungo la fessura, e quando la lama urtò contro un lucchetto Izaya sentì un’inspiegabile stretta al petto; in quel momento fu tentato di rompere il vetro e passare da lì, ma si calmò abbastanza da arrivare alla conclusione che squarciarsi una mano e farsi arrestare non erano idee poi così geniali. Si guardò intorno, alla ricerca di un’entrata alternativa, e allo stesso tempo cercò di stabilizzare il proprio respiro. Una finestra a pochi metri di distanza era aperta, e quando se ne accorse vi si diresse subito, sperando che la stanza fosse vuota; sentì una fitta al cuore quando sbirciò dal cornicione e vide una bambina, al massimo di dodici anni, stesa sul letto. Dato che non si muoveva, immaginò che fosse addormentata, o in coma, o magari morta, ma sinceramente non gli interessava: finché era incosciente, non si sarebbe accorta di lui.

Izaya si mosse velocemente, senza dare al suo buon senso l’occasione di rimproverarlo, e abbastanza in fratta da evitare che qualcuno entrasse mentre era ancora lì dentro. La porta era leggermente aperta e controllò da uno spiraglio che in giro non ci fosse nessuno, prima di dirigersi verso la stanza di Shizuo. Fu sollevato dallo scoprire che c’era ancora il suo nome stampato sull’etichetta della porta, e l’aprì senza darsi il tempo di chiedersi perché, se il biondo era lì, la finestra era chiusa a chiave con un lucchetto. Quando entrò la risposta giunse da sola.

L’espressione di Shizuo era molto simile a quelle che gli rivolgeva una volta, piene di furia e di violenza, ma stavolta c’era qualcosa di più, che Izaya giudicò essere dolore. Sul suo volto era impressa la sofferenza del tradimento. L’informatore fu tentato di andarsene di nuovo, eppure non riuscì a costringere il suo corpo a muoversi. Sapeva che stava per succedere, era inevitabile, ma era a malapena in grado di pensare. Sapeva solo che avrebbe dovuto dire qualcosa, rompere quel disgustoso silenzio che continuava ad allargarsi attorno a loro.

«Shizu-»

«Il messaggio non era abbastanza chiaro?» lo interruppe il biondo. Sembrava tranquillo e la sua voce era impassibile, ma Izaya intuì che si trattava solo di una messinscena. Avrebbe di gran lunga preferito che gli avesse urlato contro.

«Vattene, Izaya.»

«Aspetta, lascia che-» il ragazzo non aveva idea di come continuare, ma aveva bisogno di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Una voce nella sua testa stava ridendo di lui.

Beh, immagino che tu abbia ottenuto quello che volevi. Adesso sì che ti odia.

Shizuo lo interruppe di nuovo.

«Preferisci spiegarti?» domandò, sprezzante. Ora si era alzato in piedi e avanzava verso di lui in un modo fin troppo familiare, urtandogli la fronte con la sua come una sorta di avvertimento. Lo stomaco di Izaya si contorse dolorosamente; stava diventando impossibile per lui ricomporsi, e quando cercò di nuovo di muovere le labbra non uscì alcun suono. Gli angoli dei suoi occhi cominciarono a bruciare.

«Non puoi?» chiese il biondo, con una nota d’isteria nella voce che Izaya non gli aveva mai sentito «Non sai spiegare perché mi hai mentito?»

Shizuo stava perdendo il controllo: non riusciva a tenersi dentro il dolore che lo stava facendo a pezzi. Da quando aveva dimenticato il suo passato aveva avuto solo una certezza nella vita, solo una persona che riusciva a renderlo felice, a fargli dimenticare quello che aveva perso, e ora scopriva che non aveva fatto altro che mentire. Ringhiò, colpendo il muro vicino a loro con un pugno, e una pioggia di detriti coprì di polvere i loro piedi. Dentro di lui combattevano due istinti, uno che voleva fargli gettare Izaya fuori dalla finestra, e un altro che non sarebbe mai riuscito a ferire la persona che per lui contava di più. Non importava che i sentimenti di Izaya non fossero reali: i suoi lo erano ancora.

«Puoi smetterla con la tua messinscena, perciò dimmi quello che vuoi e vattene. Avanti, gongola pure… non era questo il tuo obiettivo? Mi odi, vuoi farmi soffrire, no? Beh, buon per te, ce l’hai fatta. Congratulazioni. Ora vattene di qui»  sibilò, spingendo Izaya verso la finestra «Sparisci dalla mia vista, maledetto bugiardo.»

L’informatore obbedì, tornando verso la finestra. Le mani gli tremavano mentre tirava le tende, e non riusciva nemmeno a vedere il lucchetto tra le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi e gli rigavano le guance. Lui non piangeva mai, cazzo, perché gli importava così tanto di quello che pensava Shizuo? Si arrampicò, pronto ad andarsene, ma prima si girò di nuovo verso il biondo; lo vide che tremava da capo a piedi, con la mascella così contratta da far risaltare i tendini del collo. Piangeva, asciugandosi rabbiosamente gli occhi arrossati.

«È stupido, vero?» gracchiò, e l’amarezza della sua voce non era niente in confronto al dolore che la permeava, mentre camminava verso di lui «Dopo tutto quello che mi hai fatto…» i suoi occhi ambrati incontrarono quelli di Izaya e all’informatore si bloccò il fiato in gola; era ancora chinato in avanti, già mezzo fuori dalla finestra, e le dita grattavano sull’orlo del cornicione «… mi mancherai lo stesso.»

Il cervello di Izaya si spense del tutto. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere, a parte le persone che aveva manipolato per spingerle ad affezionarsi a lui, nemmeno i suoi familiari. Eppure Shizuo, nonostante sapesse cosa aveva fatto, nonostante pensasse che fossero state solo bugie, provava ancora qualcosa per lui. Qualcosa che non era rabbia. Gli era piaciuto passare del tempo con lui, avrebbe voluto continuare a vederlo, gli importava di lui. E Izaya aveva rovinato tutto. Era stata una relazione fallimentare fin dal principio, non c’era mai stata nemmeno una singola possibilità che sarebbe finita bene, eppure aveva continuato a provarci, aveva sperato… era stato irrazionale. Quello che provava per Shizuo era irrazionale, non seguiva ragione o regole, ma questo non l’aveva fermato.

Le dita con cui stringeva il davanzale scivolarono, e quasi non si accorse di star cadendo dalla finestra finché non sentì qualcuno chiamare il suo nome. Guardò in su e vide di nuovo quegli occhi ambrati.

Shizuo non ebbe il tempo di metabolizzare quello che era successo, agì e basta. Non era abbastanza vicino a Izaya da impedirgli di cadere, ma dannazione, non lo avrebbe lasciato morire; si lanciò fuori dalla finestra, spingendosi verso il basso senza nemmeno darsi il tempo di pensare. Izaya aveva meno di un secondo di vantaggio, e Shizuo lo raggiunse dandosi una spinta con i piedi, aumentando la velocità grazie al calcio che sferrò al davanzale. Una volta che fu abbastanza vicino lo abbracciò e se lo strinse protettivamente al petto. Il vento li circondò, colpendoli con la forza di una frusta, e Izaya strinse le braccia attorno alla sua schiena, mentre Shizuo gli premeva le labbra contro la nuca, cercando di sistemarsi in modo da trovarsi sotto di lui al momento dell’impatto. I pochi secondi precedenti alla collisione con il terreno non rallentarono come nei film, anzi, sembrarono quasi accelerare. Shizuo sentì le ossa rompersi e la sua testa sbatté contro il cordolo della strada. Perse immediatamente conoscenza.

Eppure riusciva ancora a sentire qualcuno: era una voce familiare che lo stava chiamando. All’inizio era scherzosa e aveva un ritmo cantilenante: “Shizu-chan, Shi – zu – cha – an!”. Ben presto però il tono cambiò; era ancora acuto e melodioso, ma con una traccia di insicurezza, magari anche preoccupazione. Una mano si posò sulla sua spalla.

«Shizu-chan?»

Qualcuno lo scosse un po’, prima di spostargli i capelli dal viso. La voce ora sembrava in preda al panico.

«Shizuo? Cazzo. Shizuo? Rispondimi, stupido scimmione! Shizuo, per favore?»

Il ragazzo si sentì sollevare dal pavimento mentre la persona accanto a lui avviava una telefonata.

«Alla stazione… sì, è stato colpito da un treno… Mi prende per il culo? Non c’è tempo, mandatene una prima – ‘fanculo, ce lo porto io!»

La sua coscienza andava e veniva, ma lui si rilassò quando un paio di braccia si fecero carico del suo peso. Socchiuse gli occhi e ora la scena era diversa: era già in ospedale e qualcuno stava gridando a poca distanza da lui. Riconobbe la stessa voce di prima, piena di preoccupazione. Poi le braccia se ne andarono e sotto di lui apparve una superficie liscia e morbida. Un pizzicore acuto sulla pelle e poi più nulla.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


capitolo 6
Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: Stavolta preferisco lasciarvi subito al capitolo. Ulteriori note dopo l'epilogo <3

Capitolo 10

Un raggio di luce già filtrava attraverso le tende quando Shizuo riprese finalmente conoscenza. Il ragazzo controllò l’orologio e vide che erano le dieci di mattina; si sentiva fastidiosamente intontito, forse un effetto collaterale della tonnellata di antidolorifici che avevano usato per metterlo fuori combattimento. Si sfiorò la testa e sentì sotto le dita le bende che gli fasciavano la nuca, mentre cercava di ricordare gli ultimi avvenimenti. Aveva il presentimento che qualsiasi cosa fosse accaduto la maledetta pulce era coinvolta – niente di sorprendente, dato che si trovava in ospedale. Shizuo non veniva ricoverato molto spesso e dubitava che qualcuno all’infuori di Izaya sarebbe mai stato in grado di spedirlo lì.

Vicino alla porta della stanza era seduto un uomo dai capelli scuri e ben piazzato, che sembrava essere sul punto di addormentarsi da un momento all’altro. Il biondo gemette leggermente mentre si tirava su, attirando l'attenzione dello sconosciuto.

«Chi è lei?» domandò, confuso. L’uomo gli rivolse uno sguardo un po’ impacciato prima di rispondere.

«Il tuo custode. Sarai tenuto sotto sorveglianza per ventiquattr’ore» cominciò, fermandosi subito dopo come se non fosse sicuro di come continuare «Prevenzione suicidi.»

«Cosa?» chiese Shizuo, sforzandosi di ricordare cosa fosse successo prima di svenire.

«Sei saltato giù dalla finestra… c’era un altro ragazzo, ha detto che è stato un incidente, che sei solo caduto» quelle parole richiamarono stralci di ricordi. Izaya era stato lì, era caduto dalla finestra e lui si era gettato dopo di lui, lo aveva stretto contro il suo petto e assorbito l’impatto. Ma perché? «Sfortunatamente potrebbe aver mentito e non vogliamo correre rischi.»

Mentito. Giusto. Izaya gli aveva mentito, gli aveva fatto credere che gli importasse di lui. Perché diavolo gli aveva creduto? Sapeva come era fatto Izaya, dopotutto.

«Era qui fino a mezz’ora fa. È rimasto con te tutta la notte, non ha nemmeno dormito. Però quando il dottore è entrato e ha detto che ti saresti svegliato presto mi sono voltato e lui era sparito.»

Era rimasto? Shizuo non era in grado di immaginarselo accanto al suo letto con intenti che non fossero omicidi, ma all’improvviso una strana scena si fece strada nella sua testa. Vide Izaya seduto di fronte a lui, con il viso acceso da un sorriso, che rideva e lo prendeva in giro, che giocava con l’angolo del suo piumone mentre parlava senza sosta. Non era la sua immaginazione, realizzò, erano ricordi. Izaya davvero si era seduto su quel letto, aveva parlato con lui, l’aveva abbracciato. L’aveva baciato. Lo stomaco di Shizuo si contrasse; non capiva come quel bastardo manipolatore potesse essere la stessa persona dei suoi ricordi, lo stesso ragazzo che era indietreggiato di fronte a lui, che era sembrato sul punto di scoppiare a piangere da un momento all’altro, con gli occhi spalancati per lo shock e il dolore impresso sul viso. Lo stesso ragazzo che aveva imparato ad amare.

Shizuo si ricordò di aver dato per scontato che Izaya l’avesse ingannato, e di essere stato certo che anche quella scena fosse parte di uno schema più grande, come avevano detto i suoi amici, ma adesso che poteva ricordare anche il vecchio Izaya, quello con cui aveva combattuto per quasi dieci anni, non ne era più tanto sicuro. Si ricordava l’espressione dell’informatore quando gli aveva detto che non sapeva chi fosse, si ricordava di come avesse provato ad andarsene, di come lui stesso fosse stato convinto che non l’avrebbe più rivisto, se non avesse fatto la prima mossa. Ricordava quando l’aveva guardato negli occhi e aveva visto le mura attorno a lui cadere poco a poco, ricordava quel sorriso leggero trasformarsi nel suo caratteristico ghigno.

Non poteva essere sicuro che non fosse stata tutta una recita, ed ecco perché doveva scoprire la verità.

Si alzò dal letto con la testa che gli pulsava leggermente, ma il dolore sbiadì di fronte alla sua nuova determinazione. Si vestì in modo un po’ maldestro prima di dirigersi verso la finestra, e si rese vagamente conto che saltando giù dal settimo piano avrebbe probabilmente causato un infarto a quella povera guardia, ma non gli importava. Doveva vedere Izaya. Doveva chiedergli qual era il suo vero volto.

Il treno sarebbe stato l’alternativa più logica per arrivare a Shinjuku, ma il biondo non era certo conosciuto per essere una persona logica, e infatti decise di correre fino all’appartamento di Izaya, approfittandone per scaricare i nervi lungo la strada. Sapeva di non avere la benché minima possibilità. Conosceva la pulce da anni, e nemmeno una volta aveva dimostrato di essere in grado di provare sentimenti che non avrebbero causato dolore – sia fisico che emotivo – ad altre persone. Ma non poteva fare a meno di sperarci. Per tutta la vita Shizuo aveva avuto difficoltà a rapportarsi con gli altri: quelli che non si spaventavano per la sua forza o la sua reputazione dovevano comunque fare i conti con un altro grande ostacolo, la sua incapacità di fidarsi di se stesso. Ma Izaya aveva ragione, non aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse, Shizuo riusciva a ferirlo a malapena anche quando voleva farlo. L’incidente nel parco era stato un eccezione – era difficile crederlo, dopo aver recuperato i suoi ricordi dell’informatore, ma era vero. Shizuo non doveva preoccuparsi di controllarsi accanto a Izaya, poteva rilassarsi ed essere se stesso – specialmente ora che avevano smesso di provare a uccidersi a vicenda ogni volta che si incontravano.

Raggiunse il condominio di Izaya in circa venti minuti, realizzando che i suoi vestiti erano ormai completamente in disordine troppo tardi per potersene preoccupare, ma cercò comunque di darsi una sistemata specchiandosi nella vetrina di un negozio lì vicino. Il nervosismo che aveva soffocato durante la corsa era tornato, e non era una sensazione a cui era abituato. Nella sua quotidianità, prima della perdita di memoria, non c’era mai stato nulla in grado di provocargli le classiche farfalle nello stomaco. Decise che agire era l’unico modo per non rischiare di cambiare idea sul piano originale di affrontare Izaya ed estorcergli la verità. Magari nel contempo sarebbe anche riuscito ad accettare l’idea che passare del tempo con quella nuova versione dell’informatore, non del tutto psicopatica e un po’ meno rompipalle, non sembrava poi così male. Effettivamente gli piaceva più di quanto fosse in grado di spiegare senza sembrare il personaggio di una commedia romantica terribilmente scadente.

Shizuo decise di non usare il campanello, presumendo che Izaya probabilmente avrebbe provato a fuggire se l’avesse avvertito della sua presenza. Invece trovò la scala antincendio e salì fino al piano in cui abitava l’informatore. Dopo aver strattonato la porta in cima alle scale con un po’ troppo entusiasmo, rimuovendola accidentalmente dal telaio, si piantò di fonte all’appartamento di Izaya, con ancora la maniglia in mano e senza la minima idea su cosa fare. Bussò molto più forte di quanto intendesse fare e sentì il proprio pugno sfondare il legno e riempirsi di schegge. Ritirò la mano e rinunciò all’idea di presentarsi in modo discreto.

«I – za – ya – kun» chiamò, sembrando un po’ troppo simile al vecchio Shizuo. Si schiarì la gola, chiedendosi cosa avrebbe potuto aggiungere per suonare meno minaccioso. Prima di poter fare qualsiasi cosa, però, individuò un paio di occhi cremisi che spiavano dal buco a forma di pugno scavato nella porta. Nel silenzio più totale, Shizuo ebbe la netta sensazione che Izaya si stesse preparando per qualcosa, e per un attimo si domandò di cosa si trattasse, prima di ricordarsi che aveva appena preso a pugni la sua porta e lo aveva chiamato in modo alquanto minaccioso, non molto dopo avergli urlato che era un maledetto bugiardo. La sua diffidenza era più che giustificata.

«Ciao» disse il biondo, rabbrividendo internamente per quanto patetico doveva sembrare. Izaya lo fissò, sospettoso.

«Cosa vuoi?»

Shizuo notò che l’informatore non era in vena di scherzi; non l’aveva nemmeno chiamato Shizu-chan. Izaya si spinse una mano contro la fronte per spostarsi i capelli dal viso. Sembrava stanco.

«Parlarti.»

«E allora parla.»

«Non qui. In casa.»

L’informatore alzò un sopracciglio, e una vena di scetticismo per un attimo mascherò la spossatezza della sua voce.

«Ti sembro uno che ha voglia di suicidarsi?»

«Non ti farò del male.»

Izaya rise piano, prima di scuotere la testa e aprire la porta, mormorando “come ti pare” a denti stretti.

Rimasero in piedi per un po’, l’uno di fronte all’altro, senza accennare un passo verso l’interno dell’appartamento, e Shizuo vide gli occhi dell’informatore soffermarsi sulla maniglia ancora stretta tra le sue mani.

«Hai ingaggiato una crociata contro le porte?» chiese, e sulle sue labbra apparse il fantasma di un sorriso prima che il ragazzo si voltasse e tornasse in casa. Il biondo lo seguì, borbottando delle scuse mentre appoggiava la porta divelta sul pavimento e si toglieva le scarpe prima di entrare.

«The?»

«Emh, d’accordo.»

Il ragazzo andò in cucina mentre Shizuo si guardava attorno: il salotto era enorme ed elegante, interamente fatto di legno scuro e pelle. La portafinestra dietro la scrivania di Izaya riempiva la stanza di luce. Il biondo si sedette sul divano, meravigliandosi di quanto normale apparisse la situazione – a parte le svariate porte distrutte.

Dopo pochi minuti Izaya tornò, posando le tazze sul tavolino da caffè e sedendosi quanto più lontano da Shizuo fosse fisicamente possibile condividendo lo stesso divano. Rimasero in silenzio, bevendo lentamente il loro the. Il biondo era così concentrato su come iniziare la conversazione che dovevano avere da non notare lo sguardo di Izaya fisso su di lui, in un mix di sospetto e sorpresa.

«Lo stai bevendo.»

«… e allora?

«E se l’avessi avvelenato?»

«L’hai fatto?»

«No, ma…» il ragazzo tacque di nuovo. Era davvero strano che Shizuo si fidasse di lui, e quel particolare si andava ad aggiungere alla lunga lista di motivi per cui quello era l’incontro più bizzarro della sua intera vita – il che era tutto dire. Era stato molto vicino al biondo durante le ultime settimane, vero, ma quello era successo prima che Shizuo scoprisse che gli aveva mentito.

«E allora sta’ zitto, pulce.»

L’informatore sussultò. Pulce? Quel soprannome risaliva al periodo precedente alla perdita di memoria. Che diavolo significava? Se Shizuo si fosse davvero ricordato di com’era Izaya al liceo, di certo non si sarebbe presentato lì con un atteggiamento tanto civile.

«Non capisco» ammise Izaya, prima di riuscire a frenarsi.

«Oh» esalò Shizuo, e l’informatore riuscì quasi a intravedere il cervello del biondo sforzarsi per formulare una spiegazione, mentre il ragazzo cercava di concentrarsi tirando fuori la lingua. Izaya sorrise, pensando che ormai non aveva più senso fingere che non fosse carino.

«Dunque, ehm, diciamo che mi sono svegliato e… mi sono ricordato tutto. Prima del treno, dopo il treno – non sono un dottore, ho marinato quasi tutte le lezioni di biologia al liceo e non ho idea di come funzioni questa… questa cosa. E non m’importa nemmeno, sai – è solo che…» sospirò per la frustrazione, incapace di esprimere a parole quello che voleva dire «Celty ti ha visto fuori dall’ospedale ed è venuta da me e ha cominciato a chiedermi se stavo bene, e cosa avevi cercato di fare – diavolo, ha detto che era sorpresa che fossi ancora vivo e mi sono incazzato, sai? Perché, dannazione, mi piacevi» Izaya trasalì nel sentirlo usare il passato «Non so spiegartelo, mi sentivo… connesso a te. Più che a chiunque altro. Il pensiero che fosse tutto un inganno, che per te fosse stato solo un gioco…»

Izaya non riusciva ad accettare il fatto che Shizuo si ricordasse di lui: quello era il ragazzo che gli aveva tirato addosso qualsiasi cosa gli fosse passata per le mani, che lo aveva inseguito, che aveva proclamato a gran voce il suo odio per lui, e nonostante questo gli parlava con quel tono gentile, quasi intimo, e il suo linguaggio del corpo era rilassato, malgrado fossero così vicini. Era ancora lo Shizuo che aveva imparato a conoscere durante le ultime settimane.

«Ma quando mi sono svegliato, quando mi sono ricordato di te, di come eri prima… non ne ero più tanto sicuro.»

«Di cosa?»

«Che fosse solo un gioco.»

La gravità di quello che Shizuo stava dicendo si abbatté con violenza su di lui. Izaya non sapeva cosa rispondere. Poteva scegliere se mentire o rendersi vulnerabile, ammettendo di aver ceduto a qualcosa che riteneva ben al di sotto del suo livello, di aver sviluppato quei famosi sentimenti in grado di eclissare la ragione.

Per un momento tentò disperatamente di tornare al suo personaggio.

«Beh, dipende…» cominciò, ma Shizuo lo interruppe subito.

«Basta stronzate, Izaya.»

Izaya prese un profondo respiro. I suoi sentimenti per Shizuo non eclissavano la ragione – effettivamente, dopo l’eclisse il sole ritorna. Invece i suoi sentimenti per Shizuo la distruggevano completamente, la ragione. L’annichilivano, senza alcuna possibilità di tornare indietro. Tirò fuori il coltello dalla manica e lo lanciò attraverso la stanza; il biondo non trasalì nemmeno quando la lama si conficcò nel muro alle sue spalle, ma rimase concentrato sul ragazzo seduto di fronte a lui. Izaya lo guardò con la coda dell’occhio e il cremisi incontrò di nuovo l’ambra.

«Non era un gioco» rispose a bassa voce.

Rimasero in silenzio per un po’, cercando entrambi di capire quello che significava per loro e di stabilire quale sarebbe stato il passo successivo. Alla fine Izaya si alzò e riportò la sua tazza in cucina, sebbene fosse ancora mezza piena, perché aveva bisogno di fare qualcosa per distrarsi da quella che, essenzialmente, era stata una dichiarazione. Shizuo lo seguì, appoggiandosi allo stipite della porta mentre continuava a fissarlo.

«Ne sono felice» disse, attirando l’attenzione di Izaya. L’informatore esitò, ma si avvicinò a lui «Diavolo, non sarà facile – lo sai anche tu – e dovremmo risolvere un sacco di cose, ma…» si interruppe, incerto. Non era un uomo di molte parole – preferiva di gran lunga l’azione – quindi si spinse in avanti, afferrò il polso di Izaya e lo catturò gentilmente in un abbraccio. Quando sentì le braccia dell’informatore avvolgersi attorno alla sua schiena, spostò le mani sul suo viso, sollevandolo verso l’alto per un bacio che disse tutto quello che non riusciva a esprimere a voce.

 

EPILOGO

 

Celty spostò lo sguardo da Shizuo all’ex-arcinemico/nuovo-fidanzato del suo migliore amico, divisa tra la preoccupazione e la confusione. I due ragazzi si erano accomodati sul divano di Shinra, e il fatto che si fossero seduti così vicini l’uno all’altro sembrava una fortuita casualità, ma non lo era. Il braccio di Shizuo era accidentalmente finito sullo schienale dietro le spalle di Izaya, e la mano di Izaya si era accidentalmente posata sulla coscia di Shizuo. Non si lasciavano mai andare a pubbliche dimostrazioni di affetto, ma erano sempre un po’ più vicini del normale – specialmente di quello che era normale per loro. Erano passate due settimane da quando avevano tacitamente deciso di cominciare una relazione, e sebbene non l’avessero comunicato né a lei né a Shinra, la sospettosa carenza di risse in grado di distruggere una città intera e l’improvvisa passione di entrambi per sciarpe e magliette a collo alto aveva spinto la motociclista a invitarli a casa loro. Gli occhi di Shinra erano letteralmente schizzati fuori dalle orbite quando erano arrivati insieme.

Era divertente che tutti sapessero che quei due si odiavano – erano stati loro stessi a gridarlo ai quattro venti – e nessuno sapesse che si amavano. Il loro affetto era più silenzioso, ma anche più potente; non che fosse un segreto, ma non andavano in giro a raccontarlo. Pensavano che la città se ne sarebbe accorta da sola. Celty non poteva dire che l’informatore le piacesse poi tanto, ma quando ci pensò su realizzò che forse non avrebbe potuto immaginare un compagno migliore per Shizuo – e nemmeno per Izaya – ora che avevano finalmente smesso di lottare. Erano entrambi potenzialmente pericoloso, e non solo quando cercavano di esserlo: Shizuo non sapeva controllare la sua forza, ed entrambi avevano un talento innato per farsi dei nemici, che avrebbero potuto utilizzare un loro potenziale partner come merce di scambio. Nessuno però avrebbe potuto affrontare quei pericoli come loro. Certo, era preoccupata per quel lato manipolatore di Izaya ed era assolutamente terrificata al pensiero di cosa sarebbe successo se avessero litigato, ma alla fine c’era solo una cosa che voleva sapere.

[Siete felici?] sollevò lo schermo per permettere a entrambi di leggere il messaggio e li guardò mentre si scambiavano un’occhiata e sorridevano – solo un minimo incresparsi delle labbra, ma l’espressione più sincera che aveva mai visto sui loro visi.

«Non grazie a questo idiota» rispose Izaya, voltandosi verso Shizuo con un ghigno «Ha cercato di preparare la cena l’altra sera. Sono fortunato ad avere ancora un appartamento.»

Il biondo lo zittì con una lieve spallata.

«Oh, piantala. Non è colpa mia se il tuo allarme antincendio è ipersensibile.»

«Il fumo era nero

«Ehi, scusa tanto se per una sera volevo che cenassimo con qualcosa di diverso dal cibo da asporto. Sembra che alla fine tu non sia bravo in tutto, eh?»

Continuarono a bisticciare finché non se ne andarono. Il mignolo di Izaya era fermamente agganciato alla tasca dei pantaloni di Shizuo. Celty li guardò, con un’ondata di calore che si faceva strada dentro di lei.

pensò sono felici.

Note della traduttrice: Ed eccoci al finale. Che dire, spero tanto vi sia piaciuto. Per me questa storia semplicissima e allo stesso tempo così dolce è stata una piccola perla da leggere e un gran divertimento da tradurre <3 Prossimamente posterò un altro paio di traduzioni su questo fandom, entrambe ad opera di threesmallcrows ("After the story era" e "Latchkey"). Sono entrambe molto pesanti e di gran lunga diverse da Aletheia - trattano tematiche molto forti - ma ve le consiglio caldamente, anche in inglese, perché veramente stupende.

Grazie per aver seguito fin qui e alla prossima!

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