I tuoi occhi come i suoi

di Iaiasdream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La storia non è finita lì ***
Capitolo 2: *** Irritante come lui ***
Capitolo 3: *** Occhi grigio-neri ***
Capitolo 4: *** Castiel non si arrende ***
Capitolo 5: *** Parole sussurrate ***
Capitolo 6: *** Un bambino sveglio ***
Capitolo 7: *** Quando meno te l'aspetti ***
Capitolo 8: *** Menomale che c'è lui ***
Capitolo 9: *** Inviti minacciosi ***
Capitolo 10: *** Rinunce ***
Capitolo 11: *** Non mi lasciare ***
Capitolo 12: *** Impazziti ***
Capitolo 13: *** L'arrivo dei segreti ***
Capitolo 14: *** Verità nascoste ***
Capitolo 15: *** Parole interrotte ***
Capitolo 16: *** Pensieri e azioni ***
Capitolo 17: *** Castiel e Etienne ***
Capitolo 18: *** Discussioni ***
Capitolo 19: *** Qual è il suo vero volto? ***
Capitolo 20: *** Insistenze ***
Capitolo 21: *** I battiti del suo cuore ***
Capitolo 22: *** Pazzie ***
Capitolo 23: *** Cambiamento ***
Capitolo 24: *** Paure risvegliate ***
Capitolo 25: *** Le lacrime di un'amica ***
Capitolo 26: *** Il matrimonio: prima parte ***
Capitolo 27: *** Il matrimonio: seconda parte ***
Capitolo 28: *** I dubbi di Castiel ***
Capitolo 29: *** Paure ***
Capitolo 30: *** Notte tempestosa ***
Capitolo 31: *** Di nuovo sua ***
Capitolo 32: *** Regalo di Natale ***
Capitolo 33: *** Déjà-vu ***
Capitolo 34: *** L'aula di chimica ***
Capitolo 35: *** Era solo uno sbaglio ***
Capitolo 36: *** Il prezzo della verità ***
Capitolo 37: *** Dolorose scoperte ***
Capitolo 38: *** Ciò che di te non so ***
Capitolo 39: *** Non ci sarà un lieto fine ***
Capitolo 40: *** La tempesta non ha fine ***
Capitolo 41: *** Turbinio di sorprese ***
Capitolo 42: *** Lo sconosciuto piacere ***
Capitolo 43: *** Fuoco ***
Capitolo 44: *** Fa male... fa davvero male ***
Capitolo 45: *** Io credo in lui ***
Capitolo 46: *** La scomparsa ***
Capitolo 47: *** Ritrovato amore ***



Capitolo 1
*** La storia non è finita lì ***


ATTENZIONE!!

Per i nuovi lettori intraprendenti che si azzarderanno a leggere questo mio "Sfogo di mezzanotte!".
I tuoi occhi come i suoi, non è altro che il secondo "sfogo", il primo si intitola "A quel punto... mi sarei fermato". Quindi se volete compiacermi della vostra curiosità, vi consiglierei di leggere la prima parte, altrimenti, credetemi, vi perderete tutto il divertimento.
Per chi invece ha già letto la prima storia, auguro una buona lettura.
Mi raccomando: LASCIATEVI TRAVOLGERE DAI SOGNI!


Iaiasdream
1° capitolo: LA STORIA NON E’ FINITA LI’
 
4 ANNI DOPO
 
I lampi illuminano a intermittenza quel cielo grigio e minaccioso, donando a quella stanza una luce grigio-bianca. L’aria è umida e quell’umidità è riuscita ad entrare finanche all’interno di queste quattro mura.  “Pioverà. Di sicuro… pioverà” mi dico guardando la vetrata, mentre, seduta sulla sedia non faccio altro che pensare all’incresciosa situazione che si è venuta a creare repentina.
<< Come siamo arrivati a questo punto? >> chiedo alla persona che si trova alle mie spalle.
<< Non lo so >> risponde questo quasi dispiaciuto.
<< Ma come non lo so? >> esclamo girando la sedia, incontrando quegli occhi ambrati che si illuminano ogni volta che un lampo fa la sua entrata in scena << Nathaniel, ma ti rendi conto che a metà mese il fondo-cassa è quasi vuoto? Che cosa abbiamo fatto con i soldi? Un bel niente! >> sbuffo la prima vocale rumorosamente, massaggiandomi la fronte esaurita.
Inizio a pensare di aver fatto un grande sbaglio ad accettare di diventare preside delegata di questo liceo di pazzi. << Ma chi me l’ha fatto fare? >> sibilo chiudendo gli occhi stringendo con le dita la piramide nasale. Con il passare degli anni, ormai è salutare per me arrivare a un certo punto, e maledire la vecchiaccia. Se non fosse stato per le sue idee diabolicamente insensate, a quest’ora, chissà, avrei potuto firmare un contratto con la Disney, e invece… è lei che ha firmato un contratto e l’ha fatto con un mucchio di centri benessere per anziani. Si è ripresa a meraviglia, la gangster, un’altra al posto suo avrebbe già fatto la muffa sottoterra (sempre se un cadavere, sottoterra ammuffisca). Ma che pensieri dementi sto avendo! Mi dico tirandomi un colpetto sulla tempia.
Riapro gli occhi accorgendomi che di fronte a me, Nathaniel è rimasto come uno stoccafisso, aspettando una mia reazione o più appropriatamente un mio ordine.
È spettacolare come, con il passare degli anni, questo cherubino sia diventato ancora di più un galoppino, sempre pronto ad essere sottomesso agli ordini degli altri.
Dall’inizio, da quando mi sono seduta su questa poltrona, gli ho sempre detto che con me è diverso, io non sono la precedente preside, che la dittatura che regnava all’inizio, con me si è dileguata, e invece… certa gente ti istiga proprio a smascherare il lato oscuro che avresti fatto a meno di saperne l’esistenza. In poche parole, questo ragazzo mi irrita, e non poco.
Lo guardo sottecchi: ha detto che non sa per quale motivo il fondo cassa sia già vuoto. Non lo sai, eh? Lo so io! Tutto questo succede da quando mi hai implorato di far lavorare qui anche quell’arpia di tua sorella. Ma questo di sicuro non posso dirglielo. No che avrei timore nel farlo, ma so che alla fine me ne pentirò amaramente, per avermela presa con lui.
La “cara”, vecchia Ambra. In quattro anni ha lavorato in molte aziende, ma tutte, senza neanche far passare un po’ di tempo, l’hanno licenziata. Alla fine è entrata quasi in depressione, non trovando più neanche un botteguccia da quattro soldi che avrebbe potuto assumerla. Naturalmente, il mio cuore grande come l’universo, ha cancellato tutte le crudeltà che ho dovuto subire, da parte sua, e ho accettato di assumerla come segretaria, anche se, come l’universo possiede i suoi oscuri e paurosi buchi neri, anche il mio cuore conserva nei suoi meandri qualche posto diabolico, infatti, ammetto che all’inizio avrei voluto farla diventare una bidella, ma sfortunatamente, il personale era già al completo, e non ho potuto gustarmi quella che poteva essere la GRANDE VENDETTA.
Ma a chi dare la colpa? Con chi potermela prendere. Guardare suo fratello mi fa passare tutte le voglie del mondo.
<< Va bene, puoi andare Nathaniel >> lo congedo esausta. Non appena ha chiuso la porta, ho poggiato i piedi sulla scrivania, e ho acceso il computer. Qualche giorno fa ho scoperto un nuovo anime, e lo sto seguendo, anche se con i sottotitoli. Mi fa morire dalle risate, e in più rilassa i miei provati nervi. Forse starete pensando: questo non si fa. Sei la preside, dovresti pensare a mantenere in piedi l’istituto che tua zia ti ha donato.
Ma chi se ne frega dell’istituto! Ho venticinque anni, cazzo! Non posso mummificarmi su questa scrivania per sempre ad amministrare il tutto con la fottutissima matematica! Per non parlare poi di quando i professori mi mandano quei quattro bulletti da strapazzo. Ma chi se ne frega se hanno fatto i loro bisogni fuori dal water! O che hanno molestato le loro compagne con palpeggiatine perverse! Sono ragazzi, tutti abbiamo avuto momenti di schizofrenia durante la nostra adolescenza.
Perché devono assillarmi con cose inutili? Vogliono veramente vedermi invecchiare prima del tempo? Se lo possono letteralmente sognare!
Ora non voglio fare altro che gustarmi questa flebo di disegni in movimento e rilassarmi. Naturalmente, e come c’era d’aspettarselo, mi squilla il cellulare, interrompendo questo momento di tranquillità. Abbasso il volume e rispondo senza guardare chi è.
<< Pronto? >>
<< Ehi, preside! >>
<< Kim, serve qualcosa? >>
<< Sì. Rosalya, mi ha chiesto di accompagnarla a scegliere il suo abito da sposa, ma purtroppo non posso. Vuoi andarci tu al posto mio? >>
<< Dipende >> rispondo secca, senza distogliere lo sguardo dal monitor.
<< Da cosa? >>
<< Oggi c’è una riunione a scuola, e poi di lì devo andare dal mio Etienne >>
<< Ho capito, serata romantica? >>
<< Che scema che sei >>
<< Allora cosa le rispondo? >>
<< Non ti preoccupare, la chiamerò io, adesso ho da fare >> rispondo in fretta, vedendo che tra poco si avvicinerà una di quelle scene da scoppiare dalle risate.
<< E sentiamo cos’hai di tanto urgente?... vergognati Rea! Hai venticinque anni, e sei anche la preside di un liceo >>
<< Non per mia scelta >> chiudo la chiamata, irritata. Ho perso la scena, fortunatamente posso rimandare indietro il video, ma non appena mi accingo a farlo, bussano alla porta.
<< Avanti! >> esclamo con voce rude.
<< Amore mio salvami tu! >> urla Rosalya, entrando come una furia e precipitandosi verso di me con le mani giunte in preghiera.
<< Cosa succede? >> chiedo scettica.
<< fra due settimane devo sposarmi e non ho ancora il vestito. Devo fare le prove, e se sono ingrassata e non mi starà bene? >>
<< Rosa calmati >> dico alzandomi e facendo il giro della scrivania, la afferrò docilmente dalle spalle e la tranquillizzo. << Hai un corpo stupendo, sei bellissima e stasera verrò con te all’atelier >> continuo non accorgendomi di ciò che sto per dire.
<< Grazie, grazie mille amica mia >> risponde lei respirando profondamente per riprendere la calma.
In quel momento mi rendo conto di aver promesso una cosa alquanto impossibile da mantenere. Spero solo di finire in tempo gli altri imprevisti, altrimenti chi se la sente.
<< Adesso va, io avrei un lavoro da svolgere >> dico sorridente.
<< A sì? Ti serve una mano? >>
<< No, no, no, no! >> esclamo afferrandola per un braccio e dirigendola verso la porta << posso farcela anche da sola >>
Rosalya fa spallucce, e se ne va. Chiudo la porta, e questa volta a chiave. Sospiro e guardando la scrivania ritorno a sorridere << Ritorniamo a noi >>
 
 
ALL’OSCURO DI TUTTO...
Rosalya, percorre il corridoio, contenta, e nella mente, un solo pensiero: finalmente mi sposo.
Lysandro dopo lunghi anni di attesa, si era deciso di chiedere alla giovane se voleva sposarlo. Naturalmente, la ragazza aveva accettato senza esitazione, aspettando e sognando quel momento da indefinito tempo.
Ma non è solo questo che le alberga nella mente, c’è un’altra cosa, ma non riesce a capire o a ricordarsi.
Uscita fuori dall’edificio, vede in lontananza giungere Kim, con la sua solita aria da spaccona e la pelle ancora più scura, vittima dell’abbronzatura dell’estate scorsa.
<< Ciao Kim >>
<< Rosalya, che ci fai qui? >>
<< Mi sono assicurata di avere Rea questa sera, tutta per me… non so davvero che abito scegliere >>
<< Scusami ancora se ti ho detto di no >>
<< Non preoccuparti >>
<< Allora >> continua dopo un po’ Kim << come vanno i preparativi per la festa? >>
<< A quelli ci sta pensando Lysandro >> risponde Rosalya volgendo lo sguardo da un’altra parte.
<< E per gli inviti? >>
<< Fatto tutto >> esclama tutto d’un fiato. Le ragazze rimangono in silenzio per qualche ora, poi, come un fulmine a ciel sereno, la bambolina dalla chioma argentata, ricorda cosa le stava passando per la mente minuti fa. Getta fuori un “Ah!” esclamato quasi con foga, e guardando la sua amica dalla pelle cioccolata sbatte le mani, com’è solita fare.
<< Cos’hai? >> chiede allibita Kim.
<< Ora, ricordo! Gli invitati! >>
<< Ti sei dimenticata di mandare gli inviti? >>
<< Macché! Mi sono dimenticata la cosa più importante! >>
<< E cosa? >>
Rosalya, si guarda intorno assicurandosi che nessuno stia ascoltando o spiando, poi avvicinatasi a passo furtivo verso la sua amica, le sussurra in un orecchio.
<< Mi sono dimenticata di avvisare Rea, che Lysandro ha invitato anche Castiel >>. Si distacca dall’orecchio di Kim. Quest’ultima, la guarda, stringendo le labbra in una smorfia pensierosa.
<< Pensi che potrà comportare qualche problema? >> chiede dopo un po’ socchiudendo gli occhi.
<< Non lo so. Anche se sono passati tutti questi anni… >> risponde Rosalya, afferrandosi una ciocca e lisciandola fra le dita.
<< Nah-ha! >> la interrompe Kim, incrociando le braccia al petto << Non penso che cambi qualcosa, anche perché quattro anni fa quei due hanno fatto la loro scelta. E poi Castiel ormai è sposato, e anche Rea ha… >>
<< Sì, ma non lo capisci? >> interviene Rosalya << Non si vedono da ben quattro anni, e poi si sono lasciati che si amavano ancora >>
<< Che cosa vuoi dire? >> chiede la bruna fissandola pensierosa.
<< Io, penso che ne vedremo delle belle >>
<< Mhm, non lo so. In questi anni sono cambiate molte cose Rosa, e alcune di queste sono inevitabili >>
Il discorso finisce lì. Istintivamente, le due ragazze volgono lo sguardo verso la finestra dell’ufficio di Rea, e non possono fare a meno di pensare che la storia non è finita lì.

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Capitolo 2
*** Irritante come lui ***


2° capitolo: IRRITANTE COME LUI
 



Non mi ero mai resa conto di quanto fosse lungo. “Eh già, è davvero lunghissimo. Ha una forma così semplice che non mi ero assolutamente accorta della sua misura”.
<< Allora Rea, va bene? >> chiede ad un tratto Melody, distraendomi dal mio assurdo pensiero. La guardo distratta, lei mi sorride con quell’aria da suora casta. Alle volte guardare Melody, mi fa venire in mente Gertrude, la monaca de I promessi sposi, la quale nascondeva i suoi più infimi peccati dietro la veste sacra; ed è così per Melody, chissà cosa nasconderà dietro le sue vesti, oltre alle curve. Sicuramente ne avrà fatte tante in tutti i suoi venticinque anni che neanche la più importante Maître di una casa di appuntamento di lusso avrebbe mai potuto immaginare.
Sbuffo un sorriso scuotendo la testa “che idiota che sono”.
<< Non va bene? >> chiede ancora Melody dispiaciuta.
<< No, stavo pensando ad altro… ma dobbiamo chiedere anche a Nathaniel, in fin dei conti è lui l’artefice di questa cosa >> dico rivolgendo lo sguardo sul biondo che arrossisce non appena incrocia i nostri occhi. << Allora Nath? >> chiedo con un sorriso malizioso. Mi diverto a prenderlo in giro, quando lo vedo fare quella faccia. Non risponde subito, prima deve riprendersi dalle espressioni che ha visto sui nostri volti. Manco gli avessimo chiesto chissà che.
<< S-ei tu che comandi >> balbetta rivolgendosi verso di me << io non posso fare altro che obbedire >>.
Cavoli, mi sembra di stare in una camera delle torture, dove io sono la carnefice e questo biondino è la vittima delle mie malvagità. Andiamo Nathaniel, sii più uomo! Scommetto che se qui ci fosse stato Alexie, a quest’ora avrebbe urlato al mondo intero di aver ritrovato la sponda esatta del suo sesso, questo ragazzo fa ricredere tutti i gay e le ragazze etero, del mondo!
Distratta guardo l’orologio a muro, e mi accorgo che sono già le quattro, devo assolutamente scappare. Ok, non mi resta che dirigere personalmente la cosa, o la porteremo ancora per le lunghe.
<< Va bene! >> esordisco alzandomi dalla sedia << vada per la montagna… chissà che quei quattro bulletti non si perdano >>. Sento Melody sbuffare un sorriso. Mi dirigo verso la porta e prima di uscire, mi volgo ancora una volta verso i due << Ah >> attiro la loro attenzione. Nathaniel si stava per alzare dalla sedia, e Melody lo stava guardando con occhi desiderosi di qualcosa. “Sporcacciona!” le dico nella mente.
<< Cosa? >> chiede Nathaniel.
<< Alla prossima riunione, non voglio vedere più questo tavolo >>
Nathaniel mi guarda scettico << P-perché? >>, chiede volgendo lo sguardo a Melody.
<< Non mi piace >> rispondo con una smorfia contrariata << è troppo lungo >>. Detto questo esco dalla sala riunioni e, chiusa la porta alle mie spalle, sbuffo scocciata.
Sto per dirigermi velocemente verso il mio studio, quando una cosa attira la mia attenzione. Mi fermo, faccio due passi indietro, e mi giro a destra, fissando il muro. Aggrotto le sopracciglia avvicinandomi lentamente. “Hanno scritto sul muro?... va bene che non sono arpia quanto la gangster, ma scrivere sul muro! E per di più…”. Leggo quella specie di geroglifico “La preside è troppo bona!!”.
Sento il sangue pulsare nelle vene che attraversano le tempie. Stringo i pugni digrignando i denti. << Alain! Piccolo pervertito! >> esclamo tirando un pugno dritto, dritto sulla scritta.
Alain, diciotto anni, ragazzo scontroso, violento, menefreghista e soprattutto pervertito. Si è trasferito in questa scuola un anno fa, e da quando è venuto lui, non ho avuto più un momento di pace. Visita il mio studio quattro volte al giorno. Una volta lo manda il professore perché è entrato tardi, un’altra volta perché ha risposto male al suo docente, la terza volta, perché prende a botte qualche suo compagno interrompendo la lezione, e la quarta volta perché ha sfilato inspiegabilmente i reggiseni alle sue compagne porgendoli sulla cattedra del professor Faraize.
Quando sentii quest’ultima, l’unica cosa che mi venne in mente di chiedergli fu << Ma come diavolo hai fatto? >>. Le spiegazioni erano due: o Alain era figlio di Arsenio Lupin, quindi riuscire a sfilare i reggiseni alle ragazze era il segreto del suo mestiere, oppure (e ho sempre optato per questa opzione) costringeva le ragazze a toglierli da sole, attuando quella che io chiamo: minaccia perversa.
Eppure, essendo odioso e irritante, quel ragazzo fa cadere ai suoi piedi l’intera mandria femminea. È un ragazzo molto affascinante, con i suoi capelli color del cioccolato che modella sempre in modo easy, gli occhi di un blu oceano e quella pelle color dell’avorio.
D’altro canto, resta il fatto che è davvero irritante almeno per me… Perché? Vi basterebbe sapere che un giorno, si presentò nel mio studio senza alcun motivo, senza essere stato punito, e quando gli chiesi scherzosamente se gli piaceva il mio studio, lui mi rispose << A dir la verità mi piaci tu Rea >> …?
Bene, togliendo il fatto che non mi diede del lei (ché questo va in secondo piano), confesso che quel giorno mi fece rimanere proprio di… in tutta la mia vita, me ne sono successe di cose, ma mai avrei pensato di far perdere la testa a un ragazzo più piccolo di me e per di più un alunno. All’inizio pensavo stesse scherzando, e invece… queste scritte sul muro, sono la prova della lealtà delle sue parole.
Tiro i pugni con foga, cercando di sfogarmi, essendo irritata fino al midollo.
<< A vederti non sembri affatto una preside >> sento una voce alle mie spalle.
<< Dov’è quel moccioso amante delle perversioni? >> esclamo girandomi incrociando lo sguardo eterocromatico di Lysandro.
<< Dovrebbe essere in palestra, oggi ci sono i club >> risponde il nobiluomo sempre in modo composto.
<< Questa volta non la passa liscia >> sibilo a denti stretti.
Sento Lysandro ridere << Permettimi di dirti che la colpa è soltanto tua… non l’hai mai voluto punire, e quel bulletto se ne approfitta >>
<< Ti informo che per lui è finita qui >> rispondo accendendo di fiamma i miei occhi. Mi giro e inizio a incamminarmi verso la palestra, quando sento il nobiluomo sussurrare qualcosa: << Alain somiglia molto a una persona >>.
Mi fermo, impietrita. Inghiottisco lentamente e mi giro verso Lysandro, che sta fissando quasi con malinconia quei geroglifici, poi mi guarda e sorridendomi dice << Forse è per questo che non lo hai mai voluto punire >>
Il cuore manca un battito. Che cosa sta dicendo? Di che parla? E poi, perché sta dicendo queste cose?
<< Vado al club di musica, le ragazze mi stanno aspettando >> conclude cambiando discorso, girandosi e salutandomi con una mano.
Lo vedo allontanarsi fino a quando scompare totalmente dalla mia vista. Tiro un profondo respiro, e scuotendo la testa per scacciare i pensieri, mi giro verso l’androne, decisa a raggiungere la palestra con un solo pensiero nella mente: uccidere Alain.
Si sta svolgendo una partita, e Alain sta giocando. Ha lui la palla e si sta dirigendo verso il canestro per segnare.
Lo vedo eccitato, sicuro di vincere, ma non sa che quell’eccitazione, si fermerà ancor prima di avere un finale. Mi fiondo su di lui bloccandogli il passaggio, lui mi guarda scettico e anche un po’ smarrito. Dajan, l’allenatore, vedendomi, ferma la partita con un fischio. Tutti i giocatori bloccano la loro corsa, guardando me e Alain, incuriositi. Infatti inizio a sentire mormorii.
Alain mi guarda con quel suo sorriso beffardo << Preside, qual buon vento la porta qui? >>
<< Lo vuoi davvero sapere? >> chiedo fulminandolo con gli occhi.
<< Posso anche indovinare >> ribatte lui, come se stesse accettando una sfida << mhm, vediamo… >> mormora atteggiandosi a pensieroso, poggiando la palla sul fianco << devo seguirti nel tuo studio? >> chiede malizioso.
Che pestifero! Lo afferro per un orecchio trascinandomelo dietro, lo lascio solo quando abbiamo raggiunto il corridoio con il muro scritto.
<< Ah! L’hai letto? >> chiede indifferente guardando la scritta.
<< Che diamine ti è saltato in mente? >> esclamo, portando le braccia al petto e cercando di calmare la voce che, inspiegabilmente vuole uscire a via di strilli.
<< Avresti preferito una lettera d’amore? >>
<< Smettila Alain! Sto parlando sul serio! >> urlo adirata. Lui si avvicina lentamente a me; è più alto, e per guardarlo negli occhi alzo la testa facendo, istintivamente due passi indietro.
<< Anche io sto parlando sul serio >> sussurra con voce sensuale, afferrandomi una ciocca di capelli, e portandosela alle nari.
Quel gesto. Perché fa quel gesto? Soltanto una persona lo faceva. Di scatto, gli porto via la ciocca dalla sua mano e lo guardo irritata, sentendomi però avvampare.
<< Pianatala Alain, io sono la tua preside e tu un alunno! Portami rispetto >>
<< Tzé. Mi dispiace, ma io non ti vedo come preside. Anche perché dove si è mai visto che una preside conserva il manga di Sailor Moon nel cassetto della sua scrivania? >>
<< Non sono affari… hai messo mani nel mio cassetto?! >>
<< Solo gli occhi >>
<< Alain, tu…! >>
<< Io… cosa? >>
<< Sei davvero irritante! Domani voglio parlare con i tuoi genitori >>
<< Vivo solo, ma se vuoi tra qualche giorno farà ritorno mio cugino, fa lo stesso? >>
“Non fa una grinza! Che cosa l’ho detto a fare? Tanto so che non cambierà un bel niente!”
<< Allora >> continua lui spazientito << se non vuoi punirmi o passare un’oretta con la mia parte migliore, posso andare? >>
<< Sparisci! >> esclamo allontanandomi da lui, sentendolo ridere alle spalle. Veramente! Perché mi ritrovo sempre in queste situazioni? Non voglio proprio immaginarmi all’età della decrepitazione!
Mi squilla il cellulare, senza fermarmi, mi accingo a prenderlo e guardo prima di rispondere: Rosalya. Di sicuro mi sta chiamando per sapere se sono pronta. Spero solo di fare presto altrimenti chi lo sente Etienne?
<< Rosa? >>
<< Rea, allora? >>
<< Sì, la riunione è finita. Ho avuto solo un piccolo contrattempo. Ti raggiungo subito >>
<< Ok, allora ti aspetto >>.
Chiudo la chiamata e alzo il passo verso il portone di uscita, ma non appena porto il telefono alla tasca per conservarlo, questo mi scivola cadendo per terra. Mi fermo, lo raccolgo imprecando, in quella frazione di tempo, però, succede qualcosa. Il portone si apre di scatto, vengo spinta all’indietro, ma non raggiungo mai il pavimento.

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Capitolo 3
*** Occhi grigio-neri ***


3° capitolo: OCCHI GRIGIO-NERI
 
Il pavimento è davanti ai miei occhi, ma mi rendo conto di stare ancora in piedi. Sento qualcosa stringermi l’addome, abbasso lo sguardo e noto due braccia intrecciate intente a sostenermi.
<< Ti ho presa in tempo, menomale >> mormora la voce dietro di me. Sorrido, lo riconosco, mi giro con la testa e incrocio i suoi sorridenti occhi ametisti. << Ciao, Rea >>
<< Ciao Alexie >> rispondo con un sussurro. Molla la presa lentamente. << Che ci fai qui? >> chiedo.
<< Sto cercando Lysandro, sai per caso dov’è? >>
<< Dovrebbe essere al club di musica. Devi dirgli qualcosa? >>
<< Dovrei avvisarlo che stasera arriva… >> si blocca di scatto non terminando la frase. Lo guardo incuriosita.
<< Arriva? >> chiedo spronandolo a parlare. Lui istintivamente porta la mano alla nuca, massaggiandosela, balbetta e poi con un sorriso dice: << A-arriva sua madre >>
Ha detto quella frase così esitante che non ho creduto neanche a una sola lettera. Sfortunatamente per me, l’ora non mi da il tempo di indagare, lo saluto velocemente e mi precipito fuori. Entro nell’auto, metto in moto, e sfreccio per raggiungere Rosalya.
Per fortuna non ho fatto ritardo. Ho passato ben tre ore con la bambola argentata, e non c’è bisogno di dirlo, alla fine ha scelto un abito che andrebbe bene per uno spettacolo burlesque.
All’uscita ho dovuto congedarmi in fretta guardando l’ora. “è tardissimo!”
<< Grazie ancora Rea, se non fosse stato per i tuoi consigli… >>
“Consigli? Ma quali consigli? Non mi hai dato neanche il tempo di parlare…” << Di nulla Rosa, ci vediamo domani, ok? >> la saluto in fretta e furia e finalmente entrata in macchina, posso sospirare di sollievo. E anche questa è fatta.
Trono a casa più stanca del solito. Non abito più con zia Michelle. Due anni fa conobbe un produttore che collabora insieme a mio padre nel produrre Drama e senza fregarsene di niente e di nessuno, se ne andò lasciando il negozio nelle mani di Leigh, e casa sua nelle mie.
Fortunatamente non vivo sola, con me c’è la persona che mi ha cambiato letteralmente la vita.
<< Etienne, amore, sono tornata! >> esclamo entrando nel soggiorno e poggiando la borsa sulla sedia e salendo velocemente le scale per raggiungere la camera, sapendo che lo troverò sul letto ad aspettarmi.
 
 
ALL' OSCURO DI TUTTO…
Rosalya esce dalla doccia, aggiustandosi il piccolo asciugamano sul corpo, entra in stanza, dove Lysandro si sta svestendo, guardandolo con occhi sgranati.
<< Stai dicendo sul serio? >> chiede, ad un tratto, allibita. Il ragazzo si gira lentamente sbottonandosi le maniche della camicia,
<< Sì >> risponde secco << Me l’ha detto Alexie >>
<< Ma è ancora presto! Il matrimonio è fra due settimane! A che pro venire adesso? >>
<< Non ne ho la minima idea Rosa. Quando l’ho sentito stamattina, per la prima volta, in quattro anni, mi è sembrato alquanto strano >> continua Lysandro, sfilandosi la camicia di dosso, appoggiandola sulla poltrona.
<< In che senso, strano? >> chiede la bambola argentata sedendosi sul letto.
<< Non so… la sua voce, il suo modo di rispondere. Ho sempre creduto di conoscerlo, ma oggi, quando mi ha parlato, mi è sembrato… diverso, non so spiegarti come. Questo lo dovremo vedere non appena si farà vivo >>
Rosalya sbuffa infastidita, sdraiandosi sul letto. Lysandro le si stende accanto e tutt’e due guardano inespressivi il soffitto, avendo lo stesso pensiero.
<< Cosa ha detto in particolare? >> chiede dopo un po’ la ragazza, con voce titubante, immaginandosi già la risposta.
Lysandro chiude gli occhi, sentendo che le parole che sta per dire, lo renderanno davvero molto preoccupato proprio come quando gli sono state riferite.
<< Ha detto che vuole vederla >> dice tutto d’un fiato. Rosalya, ha un sussulto, si mette a sedere sul letto e guarda il suo ragazzo con occhi sgranati.
<< Q-questo, significa che… >> balbetta smarrita. Lysandro apre gli occhi, volgendole lo sguardo, e alzatosi anche lui, annuisce preoccupato. << Non l’ha dimenticata >>. “In fondo, come avrebbe potuto farlo?” pensa Lysandro, volgendo lo sguardo verso il vuoto. In quattro anni, l’unica cosa che il suo migliore amico gli ha sempre chiesto ogni volta che lo chiamava è stata: Rea.
No, non l’aveva dimenticata. Anche il giorno del suo matrimonio aveva chiamato Lysandro per sapere se la ragazza stava bene, dopo aver sentito la notizia, e Lysandro gli aveva per la prima volta mentito, dicendo che Rea era andata a trovare suo padre in Corea, e che sicuramente si era dimenticata del matrimonio. E invece, la giovane, se ne stette chiusa in camera sua per ben dieci giorni senza voler vedere nessuno. Quando uscì da quella gabbia di dolore, la prima cosa che fece fu sorridere, per cancellare quelle mostruose occhiaie che le stavano distruggendo il viso. Cosa voleva significare quell’espressione? Che si era rassegnata? E infatti, anche se impossibile da credere, fu così. Dopo un mese e dieci giorni di sofferenza, Rea si era ripresa, aveva ricominciato a lavorare; mentre Castiel, telefonava, per sapere le novità. Non parlava mai di se, e Lysandro non provava neanche a chiedergli come stava, perché sapeva che l’amico non avrebbe risposto: l’unica cosa che esisteva per lui era la sua Rea.
Purtroppo Lysandro, dovette continuare a mentire, non raccontando al suo migliore amico che Rea, non lo pensava più come una volta, e che alla fine si era rifatta una nuova vita. Non gli parlò mai di Etienne. Non poteva e non doveva farlo. Non voleva assolutamente sentire il suo migliore amico soffrire. Ma quando quella mattina, Castiel lo aveva chiamato per dirgli che sarebbe giunto la sera stessa. Come aveva detto a Rosalya, Lysandro, aveva sentito nel tono di voce di Castiel qualcosa di diverso, qualcosa che avrebbe portato cambiamenti. “Che intenzioni hai Castiel?” si chiede. Coprendo con un lenzuolo, il corpo della sua addormentata ragazza.
Si stende anche lui, incrociando le braccia dietro la nuca, e guardando il soffitto, sospira silenziosamente sibilando << Speriamo in bene >>.
 
RITORNANDO A REA…
È la terza volta che sbadiglio nel giro di dieci minuti. Stanotte Etienne non mi ha fatto dormire per niente. Dovrà pur togliersi questo vizio, o mi farà veramente impazzire. Posso lamentarmi quanto voglio, ma alla fine, so che le notti passate in bianco con lui, appagano tutta la mia stanchezza accumulata durante il giorno. Etienne mi fa sentire davvero bene. Ha riempito tutto il vuoto che regnava in me.
Ad un tratto blocco le mie faccende. Perché sto girando in torno a questi pensieri? Mi chiedo titubante. Ci sono cose che in questi giorni mi hanno davvero dato a pensare. I comportamenti dei miei amici, e non solo, anche la mia mente, mi ha giocato brutti scherzi e so che quando fa così, al 100% dovrà succedere qualcosa.
Mentre sto pensando a queste cose, mi sono accorta che con la penna rossa ho scritto inconsapevolmente, un nome su un foglio. Lo guardo non facendoci troppo caso, ma quando rileggo le prime tre lettere, ho come uno scatto di nervi, accartoccio il foglio e lo butto nel cestino. "No, Rea" mi dico alzandomi dalla sedia e allontanandomi dalla scrivania. Cammino avanti e indietro nervosa "Non permettere ai ricordi di sopraffatti. Fa lunghi respiri profondi e pensa a qualcos'altro, pensa ad Etienne". Mi avvicino lentamente alla finestra e vedo nel cortile che qualcosa non va. Due ragazzi si stanno picchiando e fra quei due scorgo Alain.
<< Maledetto moccioso, sempre lui! >> apro la finestra affacciandomi e urlando il suo nome per farli smettere ma quelli non sentono. Velocemente mi dirigo verso l'uscita dello studio, per raggiungere il cortile.
<< Alain, smettila, lascialo! >> urlo avvicinandomi ai due per dividerli. Nel farlo ho una strana sensazione di déjà-vu.
<< Ma guarda che cosa diavolo devono sopportare i miei nervi. ALAIN, SMETTILA!!! >> strillo. Finalmente si sono decisi a fermarsi. Mi guardano tutti e due incuriositi. Li fulmino con gli occhi.
<< Tu va subito in infermeria >> ordino alla vittima, poi volgendomi al moccioso pervertito << E tu nel mio studio, adesso! >>
Alain sbuffa un sorriso malizioso io continuo a fulminarlo con gli occhi, poi cammino avanti seguita da lui che ha infilato le mani nelle tasche dei pantaloni come fosse niente.
"Veramente se non lo faccio fuori adesso, sono convinta che in futuro me ne pentirò amaramente!" Entriamo nel mio ufficio e gli ordino di chiudere la porta.
<< A chiave? >> chiede lui tanto strafottente quanto malizioso.
<< Alain, ti avviso che mi stai facendo saltare i nervi! >> esclamo scocciata e irritata sedendomi sul bordo della scrivania.
<< Per quale ragione malata, stavi pestando a sangue un tuo compagno? >>
<< Perché non vai a chiederlo a lui? >>
<< Rispondimi! >>
<< Quando una persona offende i tuoi genitori, secondo te, quale reazione si dovrebbe avere? >>
Trasalisco, sentendo ancora quella sensazione impossessarsi del mio corpo. Mi riprendo subito cercando di essere impassibile a quelle parole.
<< Questo non giustifica il fatto che per l’ennesima volta sei in ritardo >> esclamo mantenendo vivida la mia irritazione.
<< Se non fosse stato per la tua voglia di portarmi in questo ufficio, sarei arrivato in tempo >> ribatte strafottente.
“Perché diavolo esiste una legge che vieta a un docente di picchiare l’alunno?”
<< Se non ti avrei richiamato, avresti mandato all’ospedale quel ragazzo! O forse ci saresti andato tu >> urlo tenendogli testa.
Lui non parla, il suo sorriso è scomparso dalle sue labbra, mi guarda, serio; poi si avvicina lentamente, sciolgo la mia posizione, pronta per allontanarmi, ma la scrivania me lo impedisce. Me lo ritrovo a pochi centimetri da me. Riesco a sentire il suo respiro. Avvicina il suo viso al mio.
<< Allontanati Alain! >> dico duramente. Lui mi sorride, ma non si accenna a volersi togliere, anzi, con le dita della sua mano, mi sta sollevando in mento all’altezza del suo viso.
<< Ti saresti preoccupata, se sarei finito all’ospedale? >> mi chiede con un sibilo malizioso.
Scanso la sua presa bruscamente, spingendolo all’indietro. << Non dire scemenze >>
Lo vedo digrignare i denti e afferrarsi la mano, capisco che ha dolore. Osservo la sua mano, è gonfia e livida. Sospiro rumorosamente avvicinandomi a lui e afferrandogli la mano.
<< Ah! Alain, tu mi farai andare davvero al manicomio!... fa vedere >>
La sua mano è calda, e mi accorgo che dopo averlo toccato ha iniziato a tremare, di poco. Lo faccio sedere sulla sedia difronte alla scrivania, e vado a prendere da un mobile la cassetta del pronto-soccorso. Prendo ovatta, disinfettante, pomata e fasciature, poi mi siedo di fronte a lui, e inizio a curargli la mano.
Appoggio l’ovatta imbevuta sulle ferite, ed è in questo preciso istante che vengo folgorata da un ricordo lontano, liberatosi dall’oscurità della mia mente. Mi fermo, osservo la mano. Il pavimento scuro, si schiarisce, la sedia dov’è seduto Alain diventa lettino, e man mano che alzo gli occhi su di lui, Alain stesso diventa Ca…
<< Cos’hai? >> chiede ad un tratto il ritornato Alain, facendomi allontanare repentinamente dal passato. Lo guardo negli occhi, smarrita. Lui sorride, e da quell'espressione deduco che presto sputerà una delle sue perversioni, e infatti...
<< Perché stai fremendo?... Sei davvero una preside pervertita. Lo sai che non puoi sedurre un allievo? >>  dice beffardo.
In quel momento inizio ad immaginare come si sentiva Sweeney Todd, ogni volta che tagliava la gola a una sua vittima. Dovrebbe essere davvero una sensazione bellissima. Sfortunatamente non ho il coraggio e la pazzia di quel barbiere,  quindi mi limito solo a prendere lo spirito e versarglielo sulle ferite, rivolgendogli un ghigno.
Alain ritrae la mano di scatto guardandomi con le sopracciglia aggrottate e con le labbra distorte dal dolore.
<< Ma tu sei una sadica! >> esclama a fatica.
<< E tu un pervertito! >> rispondo a tono fasciandogli velocemente la mano non curante dei suoi gemiti di dolore. Quando ho finito, lo spingo fuori dallo studio chiudendomi la porta alle spalle. Sospiro. Raggiungo la scrivania e appoggio le mani sul piano dando peso sulle braccia. << No, non posso ricominciare >> sibilo chiudendo gli occhi e sentendo qualcosa al cuore intento a prendere vita. Tiro un profondo respiro, e riapro gli occhi guardando la scrivania, è piena di scartoffie, le ammucchio, velocemente, guardandone prima il contenuto.
Sento bussare alla porta, invito ad entrare con un flebile "avanti". Non mi giro, rimango davanti alla scrivania.
<< Rea >> è Melody.
<< Cosa c'è? >> chiedo, senza voltarmi, dando un'occhiata al foglio appena preso.
<< Alain mi ha riferito che hai fatto chiamare suo cugino >>
<< E con ciò >> chiedo senza dare importanza.
<< È, è arrivato >> risponde lei insicura.
<< Bene, fallo entrare >> dico raccogliendo la pila di fogli. Mi sposto dalla scrivania, volgendo lo sguardo verso Melody che è rimasta imbambolata a fissarmi davanti alla porta. Mi fermo guardandola sottocchio.
<< Melody, che cosa aspetti? >>
Lei trasalisce fissandomi smarrita. << S-sì, subito >> esce dallo studio.
Faccio spallucce, e mi avvicino a un mobiletto con le ante scorrevoli aperte. Mi accingo a mettere le carte in uno spazio vuoto, facendo attenzione a non farle cadere.  Bussano ancora alla porta << Avanti! >> esclamo. Sento aprire e poi richiudere. << Prego, si accomodi >> dico gentilmente senza voltarmi. Alle volte so essere davvero maleducata, purtroppo ho ancora le carte in mano e le sto poggiando in alto << Mi scusi le spalle >> rimedio.
<< Non preoccuparti >> dice la voce alle mie spalle, facendomi fermare << quel lato di te mi è sempre piaciuto >>.
Trasalisco. Tremo. Respiro a fatica, sentendo i battiti del cuore volersi contrapporre ad esso, quella voce invade inesorabile le mie orecchie ritornando famigliare nella mia mente, che si apre ai ricordi lontani. Lascio la presa dei fogli in alto, e dallo scaffale scivolano cadendo su di me. Nel mentre mi sono girata, e tra quei rettangoli bianchi che scendono come grossi e squadrati chicchi di neve, davanti i miei occhi ho incrociato lo sguardo grigio-nero di lui. Castiel.

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Capitolo 4
*** Castiel non si arrende ***


4° capitolo: CASTIEL NON SI ARRENDE



 
Mi sono sempre chiesta: quando si dice, vorrei che il pavimento mi inghiottisse all’istante, cosa si proverebbe se succedesse per davvero? Ora, non lo faccio più, perché lo sto letteralmente provando.
La tempesta nei suoi occhi mi sta colpendo il cuore, lo stesso suo viso è la prova schiacciante che mai, l’avrei potuto cancellare dalla mia mente, nonché dai miei ricordi.
Sotto di me, sento il pavimento muoversi, ma mi accorgo subito che non è questo, sono le mie gambe che tremano. Tremano perché è bastata solamente la sua voce a ritornare a invadere il mio udito, per distruggere lo scudo che mi ha protetta con tutto se stesso in questi lunghi quattro anni.
Mi ero costruita uno scudo contro i ricordi, le evidenze, ma non ho mai avuto il coraggio di innalzarlo su di lui. Perché?
Illusa, mi ero convinta che non sarebbe più tornato, che mai più Rea, avrebbe potuto rivedere Castiel, e invece… lui è davanti a me, e non mi toglie lo sguardo di dosso, e mi sorride, con un sorriso che non ricordo aver mai visto prima d’ora. Le parole mi sono morte in gola, anzi no, le ho dimenticate; e a poco a poco, sto dimenticando anche il motivo per il quale mi ritrovo in questo studio e perché siamo arrivati a questo punto.
Perché, perché il destino non è dalla mia parte? Ma soprattutto, per quale motivo il cuore sembra scoppiarmi in petto?
Nella mente ho ancora un flebile pensiero: Quanto vorrei che questo fosse uno dei soliti scherzi di Alain. Ma come diavolo può essere uno scherzo, se Castiel è qui in carne ed ossa proprio davanti a me?
<< Ciao, Rea >>
Repentinamente ritorno alla realtà. Lo guardo, non smetto di tremare, non ce la faccio a non piangere.
Devo farlo, devo resistere. Sorrido amaramente, abbassando la testa per ritrarre la triste espressione che si è disegnata sul volto.
Devo parlare, devo far qualcosa, perché è ovvio che il pavimento non si aprirà mai, per risucchiarmi al suo interno.
Decido di tacere, e non so per quale motivo sento il bisogno di vedere Alain, forse per istinto omicida, per scaricare la mia frustrazione su di lui. Per quale dannato motivo è suo cugino? Alzo la testa senza guardarlo. Lui rimane fermo, immobile, impassibile, e mi guarda, guarda tutte le mie mosse, anche se non so con quale sguardo.
Mi avvicino a lui, lentamente, insicura, e lo sorpasso per raggiungere la porta, portandomi dietro il suo forte, travolgente, indimenticabile profumo. Afferro smarrita la maniglia e la tiro verso il basso, mi affaccio nel corridoio, per fortuna sta passando Melody.
<< Serve qualcosa Rea? >> chiede quasi preoccupata.
Maledizione Melody, non ti ci mettere anche tu! Non fare quella faccia! È già abbastanza frustrante immaginare la mia!
<< S-sì, Melody. Puoi chiamarmi Alain? >>
Sento Castiel sbuffare un sorriso. Lei annuisce e si reca velocemente nella classe del moccioso.
Richiudo la porta senza voltarmi. Poi mi faccio coraggio e lentamente mi giro accorgendomi che si è accomodato sulla mia sedia dietro la scrivania. Che intenzioni ha? Mi chiedo. Castiel non mi sta guardando, i suoi occhi vagano per la stanza come per controllare che sia tutto a posto.
<< Non è cambiato nulla >> sussurra.
“Come fai a dirlo?”
<< Non è vero? >> chiede facendomi trasalire. "Che vuoi dire?". Lo guardo, mi guarda.
"È tutto cambiato Castiel", è questa la frase che brama di uscire dalla mia bocca, ma che impedisco abilmente. Lo vedo sbuffare, alzarsi, fare il giro della scrivania e avvicinarsi felino a me.
È cambiato, non riesco a riconoscerlo. Ha sempre i capelli rubino, ma la sua espressione, i suoi occhi, non sono più quelli di quattro anni fa. Possibile che non lo riesca a rimembrare più? Eppure ormai tutti i ricordi legati a lui, si sono fatti vividi. Allora cos’è? Chi è questo ragazzo che si trova a pochi centimetri dal mio viso.
Un momento! Ho detto pochi centimetri? Trasalisco, non riuscendo a capire che intenzioni abbia.
I suoi occhi sono incatenati ai miei, il suo respiro si diffonde sul mio volto mescolandosi con il mio.
<< C-che fai? >> chiedo balbettando con voce flebile. Lui sorride, si allontana e senza distogliermi lo sguardo di dosso esclama:
<< Allora non ti sei ingoiata la lingua! >>
Lo guardo smarrita, lui continua a sorridermi, ad un tratto sento bussare alla porta, l’apro, e incrocio gli occhi beffardi di Alain, che entra salutando con la sua solita maniera.
<< Ha voglia di me, signora preside? >>
Lo fulmino con uno sguardo. “Maledetto!”. Si accorge che nello studio non sono sola, e non appena vede Castiel, il suo sorriso scompare dalle sue labbra, mi accorgo che anche Castiel lo sta guardando serio.
“Mio Dio, non vorranno mica picchiarsi qui?”
<< è da tempo che non ci si vede, cuginetto! >> mormora Castiel.
<< Sai che odio essere chiamato così, non pensavo avessi accettato per davvero di venire a questa perdita di tempo! >>
<< Quando mi hai detto che la preside voleva parlarmi, non ho potuto fare a meno di accettare >> risponde Castiel volgendomi lo sguardo, io non perdo tempo a distogliere subito il mio.
<< Mi dispiace per te >> sorride Alain << ma la mia preside non è una ragazza facile >>
I due si guardano. Io rimango allibita dalle parole del moccioso, e da quel mia, abbastanza sottolineato; mi allibisco ancor di più, perché continuo a tacere; poi li vedo sorridere, fino a quando non scoppiano in una fragorosa risata.
<< Ah, sei sempre il solito Alain! >> esclama Castiel reggendosi lo stomaco.
<< Merito dei tuoi insegnamenti! >>
Mi è bastato il loro modo di farmi irritare, ch’è completamente identico, per cancellare dalla mia mente tutti quei pensieri.
Loro continuano a ridere, io, stringo i pugni dirigendomi verso la scrivania e afferrato un libro, lo arrotolo, mi giro, avvicinandomi ad Alain e piantandoglielo violentemente sulla testa.
<< Smettila di ridere, moccioso pervertito! >> esclamo digrignando i denti.
<< Ahia! Ma veramente, sei una sadica, altro che preside >>
<< Taci Alain! E tu… >> dico indicando Castiel con il libro ancora arrotolato << insegna a questo piccolo pervertito un po’ di educazione! Tuo cugino è un grandissimo menefreghista, irrispettoso, ineducato, maniaco! >> continuo come una furia avvicinandomi alla porta e uscendo, facendogli segno di seguirmi. Mi dirigo verso un tabellone affisso sul muro del corridoio, punto il dito su una riga.
<< In una settimana, ha raccolto ben dieci note! >> esclamo con fare deciso. Non ne capisco il motivo, ma questo mio sbottare in un niente, mi sta sollevando il morale. È come se mi stessi sfogando.
Castiel continua a guardarmi e adesso mi accorgo che mi sta sorridendo.
<< Ti avviso Alain >> riprendo rivolgendomi seria verso quest’ultimo << un’altra nota e vieni sospeso! >>
Lui sbuffa un sorriso strafottente, e capisco che quella è la sua risposta, che non parlerà, non sputerà le sue solite perverse battutine, ché non vuole farlo davanti a suo cugino.
<< è tutto >> dico volgendo lo sguardo verso l’orologio. Guardo l’orario, è quasi mezzogiorno.
In quel preciso istante, ricordo che avevo permesso ad Etienne di venirmi a trovare al liceo. E un sussulto al cuore, non capendone il motivo, subito mi fa pensare che Castiel, non deve vederlo; che Etienne non deve vedere lui.  
<< Con permesso >> mi incammino verso il portone principale, inspiegabilmente alzo il passo, e come sto per spingere la porta a verto, mi sento catturare il gomito. Ingoio a fatica. Chiudo gli occhi raccogliendo tutta l’aria possibile per non sentirmi morire. Mi giro lentamente. Castiel mi guarda, e quell’espressione sconosciuta ritorna di nuovo in scena.
<< Cosa c’è? >> chiedo con voce tremante.
<< La riunione non è ancora finita >> risponde secco.
Sgrano gli occhi non capendo cosa vuole dire.
<< Non ho più niente da dire >> provo a divagare.
<< Ma ho da dire io >>
<< Castiel, lasciami, ho da fare >>
<< Ti accompagno >>
<< No, Castiel! >> esclamo, liberando il braccio dalla sua presa << Lasciami stare >> sibilo con voce di pianto. Mi giro un’altra volta verso il portone ed esco, lasciandomelo alle spalle. Raggiungo a passo svelto il cancello, mi accorgo di avere il cuore in gola e inizio a pregare come non ho mai pregato prima.
Non appena svolto a destra, sento dei passi velocissimi e decisi, raggiungermi. Il mio gomito viene catturato una seconda volta e vengo bruscamente girata. È ancora lui, e questa volta inizio ad avere paura, sentendo una macchina da lontano avvicinarsi sempre di più.
<< Pensi davvero che io sia venuto qui per Alain? >> chiede minaccioso. Non rispondo, lo guardo solo supplichevole, convinta che mi avrebbe lasciata andare, e invece…
<< Tu pensi davvero che per me è finita quattro anni fa? >> chiede afferrandomi dalle spalle e sollevandomi << credi che ti abbia lasciata andare perché mi sarei arreso?... Tzé, mia cara piccola illusa… >>
“Cos’è quel ghigno? Questo non è il mio Castiel… un momento, perché ho detto mio? Lui non è più mio”
<< Castiel, smettila. È tutto finito, tutto cambiato >>
<< No! Mi hai già detto troppe volte cosa fare… adesso sono io che conduco il gioco, e non è finita un bel niente >>
Detto questo, si avvicina al mio viso pronto per poggiare le sue labbra sulle mie, ma non lo fa. Qualcosa lo blocca, lo guardo ancora tremante, e vedo che i suoi occhi si sono spostati dai miei, e fissano lo sfondo alle mie spalle. Che gli prende? Mi chiedo. Quando poi mi sento chiamare, sgrano gli occhi trasalendo. “Dio, no! Non farmi questo!” non riesco a girarmi. Sento che le forze mi stanno abbandonando.
La salda e brusca presa di Castiel, si sta allentando. Lo vedo smarrito, incredulo, e fisso a guardare in quel punto dove la voce si sta facendo più vicina, e mi chiama, e lo fa con tutto il fiato che ha in gola.
Castiel barcolla, lasciandomi del tutto. I suoi occhi sono diventati lucidi, sembrano sconvolti ma allo stesso tempo pieni di rabbia, mi guarda scuotendo la testa << N-non è possibile >> sibila aspettando una mi reazione, che non riesco ad avere, perché sono bloccata ancora, dalla paura.

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Capitolo 5
*** Parole sussurrate ***


BAKA MOMENT: ciao a tutti! Rieccomi qui con la nuova serie!... anche se questa nota doveva essere piazzata al primo capitolo, ma come al solito penso solo a riempirmi il cervello di stupidaggini. Come avete ben notato, da quando scrissi che ero una ragazza di poche parole e timida, adesso ho preso il sopravvento, grazie anche a questa storia e a voi lettrici che mi sostenete e mi fate anche divertire con i vostri commenti.
Comunque, mi sono degnata di scrivere questa nota, per avvisarvi che, la mia mente diabolica, sta macchinando qualcosa che porterà sicuramente (ma non voglio mettere la mano sul fuoco), a cambiare Rating da arancione a rosso Castiel… vi spiego anche perché… anzi no, voglio farvi rosicare dalla curiosità (Buhahaha!)… e poi, e poi niente, volevo solo avvisarvi. XD spero che gradiate questo capitolo (anche se ho qualche dubbio al riguardo). Ringrazio tutte le lettrici che leggono, che commentano che se ne fregano altamente di questa ff… alla prossima!!! :*
 
 

 


5° capitolo: PAROLE SUSSURRATE
 




Non ho mai chiesto niente che possa sembrare, alla mente umana, qualcosa di impossibile. E non penso che sia impossibile anche desiderare che l’incontro con Castiel sia meno complicato, che la mia stessa vita sia meno complicata. Cosa c’è di sbagliato in questo? Non ho mai fatto del male a nessuno. Anzi, è stato proprio per far del bene che ho sofferto, non vorrei dire come un cane, perché diavolo! Ci sono cani che stanno meglio di me. Quindi ho sofferto molto e basta, senza fare paragoni. Ci lasciammo quattro anni fa senza alcun rancore, anche se adesso so che lui non l’ha pensata affatto come me.  
C’è voluto tempo perché mi dimenticassi di lui. Quando il giorno del suo matrimonio arrivò, Dio solo sa il dolore che investì il mio cuore, consumandomi la vita inesorabilmente; mi sentii morire, e intanto rimordevo il fatto di non aver lottato contro l’ipocrisia di quella gente; ma così avrei fatto soffrire altre persone, avrei fatto soffrire il povero Erich; e quella era l’ultima cosa che avrei voluto dopo l’amore di Castiel.
Ora, dopo quattro anni, è tutto cambiato. Non voglio più niente, non desidero altro che, malgrado il liceo e qualche rottura, vivere la mia vita in pace, come l’ho vissuta in tutto questo tempo.
Ho già, ciò che voglio, e si trova a pochi passi dietro di me.
La persona che mi ha dato tutto è qui, quella persona dai capelli ebano, e quegli occhi dolci e penetranti, e Castiel, lo sta guardando incredulo e scioccato.
Sorrido, sentendo l’ennesima chiamata e vedendo Castiel trasalire.
<< Mamma! >>
Mi giro lentamente, facendo fuoriuscire qualche lacrima che inizia a rigarmi la guancia. Eccolo lì, il mio piccolo pestifero ma dolce Etienne. Non appena ha incrociato il mio sguardo, ha lasciato la mano di Kim ed è precipitato ad abbracciarmi.
Faccio due passi in avanti, allontanandomi da Castiel, e mi abbasso all’altezza del piccolo per accoglierlo tra le mie braccia. Lui sorride, corre, con quel suo passo incerto  e non appena si è avvicinato di più a me, si ferma, invece di abbracciarmi, mi fa la linguaccia, sapendo che a quella reazione mi sarei alzata rincorrendolo per tutto il quartiere, ma non lo faccio. Non ne ho la forza. Accenno un sorriso malinconico e il bambino ritira la lingua, avvicinandosi di più e toccandomi con la sua piccola e paffutella mano, la guancia sinistra.
<< Mamma, perché piangi? >> chiede sottovoce.
<< è il sole, Etienne… non abbracci la tua mammina? >>
<< Solo se mi prometti di comprarmi le figurine di Dragon ball >>
Sbuffo un sorriso, avvolgendo il suo corpicino con le mie braccia e sollevandolo da terra. Mi giro verso Castiel che è ancora frastornato dalla scena, lo guardo, seria, impassibile. Mi accorgo che anche Etienne lo sta guardando.
<< Mamma, chi è questo signore? >>
Trasalisco << U-un vecchio compagno di liceo >> rispondo malvolentieri.
L’espressione del rosso è ritornata seria, e adesso mi fissa intensamente.
<< Ciao Castiel >> interviene Kim. Castiel risponde senza guardarla.
<< Mamma, lo sai che ha telefonato papà? Ha detto che torna stasera >>
<< Davvero? >> “Perché, perché sta succedendo tutto così in fretta?”. Vedo le labbra di Castiel tremare, e le sue mascelle muoversi, forse sta digrignando. << Etienne, vuoi andare con zia Kim? >> chiedo sentendomi venir meno, capendo che non riuscirò a tenerlo in braccio a lungo. Il bambino accetta allungando le mani verso Kim, che non esita ad afferrarlo, forse ha inteso il mio stato d’animo. Preso il bambino si allontana raggiungendo la macchina.
<< Ora, capisci perché ho detto che è tutto cambiato? >> chiedo tremante a Castiel.
<< Chi è il padre? >> ribatte lui, quasi autoritario.
<< Che importanza ha Castiel? >>
<< Rispondimi! >> esclama facendomi sobbalzare.
<< A-Armin >> rispondo balbettando.
Lui sbuffa un sorriso, poi ride rumorosamente, e quella sua risata sembra un ghigno, mi fa quasi paura. Smette, mi guarda. I suoi occhi sono ancora più lucidi, sembrano quasi di marmo. Si avvicina lentamente, mettendosi le mani nelle tasche, e appena è a pochi centimetri da me, si china al lato verso il mio orecchio e mi sibila qualcosa.
Sgrano gli occhi incredula, faccio due passi indietro per guardarlo. Ride beffardo, afferra una ciocca di capelli e la porta alle sue nari, chiude gli occhi come per inebriarsi dall’odore, e sussurra << Hai capito? >>. Si allontana, facendo scorrere fra la sua mano la lunga ciocca.
Non mi giro a guardarlo, il mio cuore, il mio respiro, sono ancora occupati a smaltire, il significato di quelle parole che mi ha sussurrato nell’orecchio.
Sento un formicolio allo stomaco prendere il sopravvento. No, non è così che doveva andare. Sicuramente l’autrice del mio destino ha sbagliato storia, ma con il passare del tempo mi sono convinta che non è altro che un’idiota diabolica, e forse anche sadica, a cui piace vedere i personaggi del suo libro intitolato Fato, soffrire amaramente.
Come adesso. La sensuale voce di Castiel è ancora dentro di me, e non riesco a scacciarla via, e soffro. Soffro da aver voglia di strapparmi il cuore dal petto, gettarlo sull’asfalto e pestarlo fino a quando non mi supplichi di finirla. Che stupida che sono, penso a tutte queste idiozie, per non rivelare il mio vero stato d’animo. Ma cos’è che può ancora ferirmi oltre tutto questo?
Chiudo gli occhi inghiottendo faticosamente le grida che vogliono uscire dalla mia bocca.
<< Mamma, non vieni? >>
Mi riprendo, ritorno alla realtà, mi giro verso la macchina e attraverso la strada per raggiungerla. Chiedo a Kim di guidare. Raggiungiamo casa mia in silenzio. Entrati in salotto, Etienne, subito mi assilla chiedendomi di farlo giocare all’x-box.
Rispondo distratta non rendendomi conto della risposta, che a vederlo esultare di gioia dev’essere stata di sicuro sì.
Volgo lo sguardo a Kim, che mi ricambia preoccupata.
<< Rea, cos’hai? >> chiede avvicinandosi e poggiando una mano sulla mia spalla.
<< N-niente Kim >> rispondo smarrita << Vuoi un caffè? Te lo preparo subito >>. Senza aspettare la risposta, mi reco in cucina e prendo tutto l’occorrente per la bevanda. Mi tremano le mani, e prendendo il primo cucchiaino di polvere marrone, involontariamente lo getto nel lavandino << Maledizione! >> esclamo, gettandoci bruscamente anche il cucchiaino. Faccio dei profondi respiri appoggiandomi al bordo del mobile, e chiudendo gli occhi.
<< Rea… >>
Alzo una mano indicandole di fermarsi, riapro gli occhi << Non è niente >> rispondo riprendendo il cucchiaino e preparando la caffettiera, che successivamente appoggio sul piano cottura.
Prendo le due tazzine, e le preparo con lo zucchero. Afferro la scatola senza guardarla.
<< Rea… >> mi riprende Kim avvicinandosi Mi fermo. << quello è sale >>
Guardo la scatola tremante. Sospiro sbattendo le palpebre velocemente, per scacciare le lacrime, ma non appena mi sento toccare le spalle, non resisto e inizio a singhiozzare.
<< Scusa… m-mi, mi dispiace, io… >>
<< Non preoccuparti >> dice gentilmente Kim, girandomi e abbracciandomi. Affondo il viso sul suo petto e la stringo forte.
<< Io… io non ce la faccio Kim. Non… non ero preparata, non sono pronta… perché? Perché è venuto adesso? >>
<< Rea. Non pensarci, lui è sposato, e tu stai con Armin, e hai anche Etienne >>
Non la rispondo, non so cosa dirle. Non so più cosa pensare, e intanto l’immagine e le parole di Castiel non si allontanano dalla mia mente.
<< Non succederà niente >>
<< Come fai a dire questo? >> chiedo. Kim mi distacca da lei guardandomi negli occhi seria e preoccupata.
<< Tu l’hai dimenticato, vero? >> chiede quasi affermando. Esito nel rispondere poi chino la testa, vergognandomi di essere guardata.
<< Rispondimi, Rea! >>. Ho un sussulto.
<< Kim ma non lo capisci?! Anche se io l’ho dimenticato, lui non l’ha fatto! È cambiato Kim, non è il Castiel di quattro anni fa! È più deciso  e le sue parole sono l’evidenza! >>
<< Cosa ti ha detto? >>
<< Lui… >>
<< Mamma? >>
Kim e io ci voltiamo contemporaneamente verso la porta della cucina, guardando Etienne che si regge la parte sotto la pancia e accavalla le ginocchia.
<< Cos’hai Etienne? >> chiedo incuriosita asciugandomi velocemente le lacrime.
<< Ho fatto la pipì nei pantaloni! >>
Kim scoppia a ridere, io mi avvicino al bambino e mi abbasso alla sua altezza.
<< Etienne, sporcaccione! Ma non ti vergogni? Non ti sembra di essere cresciuto per queste cose? >>
<< Non è colpa mia, è stato il demone del videogioco! Mi ha fatto un incantesimo >>
Sorrido scuotendo la testa e sfilandogli i pantaloni.
<< Ma smettila, va su in bagno, ti raggiungo presto >>
 
 
<< Mamma? >>
<< Mhm >>
<< Se papà mi chiede cosa abbiamo fatto in questi giorni, posso rispondere che hai incontrato quel tuo compagno di scuola? >> chiede tutto d’un fiato Etienne, giocando con la schiuma nella vasca da bagno.
Io, seduta ai piedi lo guardo dopo essere trasalita. << C-come vuoi Etienne >> rispondo esitante con un sorriso.
<< Mamma? >>
<< Cosa c’è? >>
<< Posso dirgli anche che hai pianto? >>
<< C-cosa? >>
<< Papà mi ha detto che qualunque cosa ti succeda vuole che quando non c’è lui sono io a proteggerti, ma oggi non l’ho fatto… perché hai pianto? >>
“Questo bambino è più sveglio di quanto potessi immaginare!” << Etienne, ma cosa dici? Ho pianto solo perché ne avevo bisogno. Anche tu durante la notte, alle volte piangi, è normale >>
<< No, non è normale sognare che una vecchia strega vuole staccarmi il cosino >>
<< Pff!... ma che sogni fai? >>
Etienne mi guarda, e sfoggia il sorriso più bello che ha, lo guardo con dolcezza e malinconia, poi sorrido anche io scompigliandogli i capelli. << Dai, esci. Non puoi raffreddarti o mancherai all’asilo >>
<< Meglio, così, posso aiutarti al liceo >>
“Non ti conviene figlio mio!”
Mi alzo, afferro il suo piccolo candido accappatoio e glielo infilo.
Etienne indossa il pigiamino e dopo aver cenato ha iniziato a fare storie, dicendo di voler aspettare suo padre. Alla fine però si è concesso a Morfeo senza obbiettare.
L’ho preso in braccio e l’ho portato in camera sua; poi mi sono recata nella mia, la stessa che una volta ospitava un solo letto e adesso ne contiene due uniti. Lo guardo, e chiudo gli occhi sentendomi a disagio.
Ho bisogno di aria fresca e pulita, prima di uscire, indosso la camicia da notte, poi mi reco fuori alla veranda.
Il lago e tranquillo ed emana il suo profumo, anche se l’aria è umida, e il lieve venticello mi raffredda la pelle. Guardo il cielo in cerca della luna, non la vedo, sicuramente è nascosta dietro quei minacciosi nuvoloni tinti di notte.
Quel colore mi fa ripensare a Castiel e risento le sue parole sensuali sussurrate in un orecchio.
Dovrei essere irritata per ciò che mi ha detto, e invece sento di essere tutta un fremito. Senza accorgermene mi ritrovo a sibilare le sue parole, guardando l’orizzonte del lago.
<< Che tu lo voglia o no, sarai di nuovo mia >>

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Capitolo 6
*** Un bambino sveglio ***


6° capitolo: UN BAMBINO SVEGLIO
 
 
 



Allungo le mani nel buio, non vado a tentoni, so benissimo dove poggiarle, su quel torace scolpito, e liscio, sotto i miei palmi diventa caldo quasi bollente. Ansimo, non riuscendo a trattenere quei gemiti aspettando la parte inevitabile, la parte in cui la voglia si mescola al piacere. Sento le lenzuola umide, fremo tirando a me quel corpo tentatore. Sento il petto invaso da respiri che sembrano fiamme. Un profumo invade le mie nari, con presunzione. La testa mi gira, le immagini in quel falso buio diventano incomprensibili.
Ed ecco che il movimento inizia, e il piacere lo segue. Il fiato caldo percorre tutto il mio viso arrivando all’orecchio e una voce famigliare sussurra: << Che tu lo voglia o no, sarai di nuovo mia >>
Spalanco gli occhi trattenendo il respiro. Il finto buio è diventato penombra, le mie iridi si riempiono delle immagini della mia stanza tinte di notte. Sento il cuore spingere violento le pareti del mio petto. Mi accorgo di sudare e non solo esternamente. Sto ansimando, mi tocco il petto alzandomi dal letto, è stato solo un sogno, mi dico.
Guardo intorno smarrita, e mi accorgo che alla parte destra del letto, Armin sta dormendo beato.
“Ma quand’è tornato? Mi sono addormentata senza accorgermene”, mi reco alla finestra e l’apro per uscire, ma subito mi ricredo guardando che il cielo si illumina di lampi. Sbuffo infastidita.
Non voglio riaddormentarmi. Esco dalla camera e vado a controllare Etienne, quando inizia a tuonare si sveglia, ma non dalla paura, mi assilla chiedendomi di leggergli un manga, lui dice che in compagnia dei tuoni, fa più effetto. Che strano bambino.
Sta dormendo, e il modo con cui lo fa mi riempie il cuore di dolcezza e felicità . Gli sfioro i capelli con le dita liberandogli la fronte. Sembra un angioletto. In quel momento mi ritorna in mente il giorno in cui nacque. Lo ricordo come se fosse ieri: era la vigilia dell'Epifania. Scalciava più del solito appesantendomi il pancione. Nelle ultime settimane, ogni volta che lo guardavo mi sembrava di aver ingoiato un'intera anguria. Per me, dato che era la prima volta, era una cosa del tutto nuova. Quando lo sentivo muoversi dentro di me, non potevo fare altro che toccare l'epidermide cercando di fargli capire che io c'ero, e aspettavo impaziente la sua venuta. Non avevo mai visto un bambino appena nato. E subito, com'è sempre stato salutare per me, iniziai ad immaginarlo. Chiudevo gli occhi e lo disegnavo nella mia mente, alle volte gli parlavo, altre leggevo ad alta voce qualche mio manga preferito. Postavo un orario per questo.
Kim, Rosalya, e gli altri, mi prendevano in giro, scambiandomi per pazza.
<< Invidiosi! >> dicevo io facendo delle smorfie << Parlate così, perché non sapete cosa si provi ad avere una vita all'interno della tua >>. Già. Cosa ne potevano sapere loro? Etienne fu l'unico, dopo Armin, a ridarmi la felicità tanto desiderata.
Dopo che mi fui lasciata con Castiel; Armin, mi fu vicino, comportandosi da vero amico, anche se poi all'amicizia si oppose quel sentimento che di sicuro sarebbe cresciuto da tempo, se non ci fosse stato Castiel. E chissà, forse adesso non avrei nella mente tutti i ricordi che hanno segnato la mia vita da quando avevo diciassette anni; e forse anche, stanotte non avrei sognato di fare l'amore con il rosso. L’amore… sesso, è questa la parola esatta. Altro che amore!
Chiudo gli occhi scuotendo la testa. "Vergognati Rea! Questo si chiama tradimento mentale!... Il tuo uomo è nell'altra stanza e si chiama Armin, e anche se non siete sposati, formate una famiglia. Quindi togliti tutte queste perversioni dalla mente, non farti infettare un'altra volta!... Ma, ma lui ha detto quella frase... Cazzarola, che cosa vorrà fare?... Se tradisco Armin nei sogni, non voglio immaginarmi la realtà! Ma, un momento, se è deciso a fare questo, significa che si è divorziato" scuoto la testa, disapprovando il mio pensiero "stupida! La perversione di quel ragazzo, supera ogni pensiero casto. E tu pensi che non sia capace di tradire sua moglie?... Si, ma non con me, cazzo!".
Ho uno scatto d'ira ma mi controllo, non voglio svegliare il mio piccolo Etienne, così esco dalla stanza e scendo giù in cucina. Mi sento la gola secca, apro il frigorifero e guardo all'interno. C'è un succo, non è ciò che cerco, ma meglio di niente. Ne riempio un tazzone, e mi reco alla finestra. Ha iniziato a piovere e i vetri sono colmi di rivoli distorti. Sono senza lenti, e quelle gocce mi sembrano cristalli. Do un sorso al succo, e mi appoggio di un lato allo spigolo della finestra.
"Cosa succederà?" mi chiedo ripensando a ciò che è successo questa mattina. "Avanti Rea, non devi arrenderti! Ne hai passate tante e le hai affrontate tutte, con o senza paura. Devi solo saper domare i tuoi sentimenti, per far rimanere in equilibrio la tua vita. Sii fredda e scostante, e se capita, sii anche diabolica. Nessuno ti deve trovare impreparata!"
Non avessi mai pensato quest'ultima frase!
Un tuono mi prende alla sprovvista, facendomi trasalire, e fare due passi indietro, dopo di che, dietro di me ho sentito una presenza, che mi ha fatto lanciare un urlo secco.
Alla faccia dell'essere fredda e scostante.
<< Ti ho spaventata? >>
<< Armin >> esclamo sottovoce girandomi << che ci fai qui? >>
<< Mi sono svegliato e non ti ho vista sul letto, pensavo fossi dal bambino >>
<< Non avevo sonno >> rispondo, ritornando a guardare fuori dalla finestra. Ad un tratto sento avvolgermi i fianchi, e il mento di Armin appoggiarsi sulla spalla.
<< è strano >> sussurra.
<< Cosa? >> chiedo quasi ansiosa.
<< Etienne non si è ancora svegliato, eppure i tuoni sono rumorosi >>
Sorrido sollevata << Ti credo… ha giocato per due ore all’x-box >> sento Armin sorridere, mi giro verso di lui senza far sciogliere il suo abbraccio << lo stai viziando molto Armin >>
<< Ah, sì? E tu acconsenti… >>
Ridiamo, guardandoci negli occhi, poi lui diventa serio, e anche il mio sorriso scompare. In quella luce blu-nera, mi accorgo che le sue perle di ghiaccio sono fisse sulle mie labbra, io non riesco a togliere gli occhi dai suoi, e lui lentamente si avvicina schiudendo le labbra, per poggiarle dolcemente sulle mie. Glielo permetto, ma ad un tratto, vedo le sue iridi, mutare colore, come se la loro saturazione venga a mancare repentina, diventano grigi, penetranti, sensuali e presuntuosi, mi fissano e sorridono. Non riesco a non guardarli, non riesco neanche e respingerli.
<< è questo che vuoi? >> sibilo senza rendermene conto.
<< Cosa? >> chiede Armin, allontanando il suo viso dal mio, riportandomi alla realtà. Subito i suoi occhi hanno ripreso il loro normale colore.
<< Come, cosa? >> ribatto smarrita.
<< Hai detto qualcosa ma non ho sentito >>
<< T-ti sbagli, non ho parlato >>
<< Bah, sarà stata la mia immaginazione >>
<< Mamma, prendi il manga di Beelzebub! >> sento la voce di Etienne provenire dal piano superiore. Armin e io ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere.
<< Vado da lui >> mi allontano da Armin, accingendomi a raggiungere le scale.
<< Rea… devi dirmi qualcosa? >> chiede lui ad un tratto.
<< No, perché? >> chiedo senza girarmi.
<< è tornato Castiel >> risponde tutto d’un fiato. Mi blocco sentendo il cuore sussultare, mi giro lentamente verso di lui e lo guardo con occhi sgranati da quella sensazione che ho percepito da ieri mattina: preoccupazione.
Armin mi guarda tranquillo, e mi sorride anche. Non so cosa fare, ma guardando quella sua espressione sospiro sollevata e rivelando anche io un sorriso rispondo << Buon per lui >>, detto questo salgo velocemente le scale, non riuscendo a reggere più quel sorriso. “Ma che diavolo ho detto, che significa buon per lui? questo vuol dire mal per me!... e poi, Armin, c’era bisogno di ricordarmelo?”
<< Mamma ma che fai? >> chiede Etienne facendomi trasalire. Lo guardo, ansimando, accorgendomi che sto appiccicata di spalle alla porta della sua camera, che inconsciamente ho chiuso. Mi sento smarrita, poi sorrido.
<< E che faccio?... Niente >> rispondo avvicinandomi al lettino. Etienne mi guarda storto.
<< Dov'è il manga? >> chiede incuriosito.
<< L'ho dimenticato >> rispondo imbronciando l'espressione. Lui incrocia le braccia al petto e sbuffa scocciato << la solita sbadata >> dice scuotendo la testa. Quando fa così sembra proprio un bambino cresciuto troppo in fretta.
<< Non preoccuparti, ti racconto io una storia >>
<< Sì ma decido io, quale >>
<< Ai tuoi ordini >> dico infilandomi nel letto accanto a lui, che non perde tempo a mettersi steso su di me, poggiando il lato del suo viso sul mio petto. Fa sempre così, dice che adora sentire i battiti del mio cuore, lo fanno dormire meglio e sognare cose belle, e io da brava mamma gli accarezzo i capelli e inizio a raccontare.
<< Allora, cosa vuoi sentire? >> chiedo abbracciandolo.
<< Raccontami la storia di quando andavi a scuola >>
Blocco di scatto le mie carezze su di lui. "E adesso da dove se ne esce?... No figlio mio, non coalizzarti anche tu contro di me!"
<< Mamma? >>
<< Cosa c'è? >>
<< Calma il cuore, non riesco a rilassarmi >>
<< Scusa >> "è davvero incredibile!"
<< Allora, me la racconti, sì o no? >>
<< Non hai sonno? >>
<< Ok, ho capito! Raccontami la storia dell'angelo dai capelli rossi >>
"Di male in peggio! Ma perché gli racconto certe storie che hanno sempre doppi sensi?"
Sospiro esausta e anche un po' assonnata, poi lo sento muoversi, lo guardo, ha alzato la testa volgendomi i suoi innocenti occhioni.
<< Cosa c'è? >> chiedo.
<< Allora, il signore di oggi è l'angelo della tua storia? >>
<< C-cosa?! >> esclamo sobbalzando dal letto << ma che dici? >>
<< Beh, sì… da come me l’hai sempre descritto, gli somiglia molto >>
Fisso mio figlio, con la bocca spalancata “Sono davvero un’idiota”.
 
 
Devo ricordarmi di togliere il vizio a mio figlio di svegliarsi la notte con certi pallini per la testa. Non ho dormito per niente stanotte, e adesso ho un sonno che pesa più di un macigno.
Attraverso il cortile, accorgendomi che gli allievi devono ancora entrare, e con mia più grande sorpresa in mezzo a loro scorgo il viso arrogante di Alain. “Ecco perché, stanotte ha tuonato! Questa giornata rimarrà nella storia della mia carriera da preside”.
Faccio finta di  non guardarlo, e cammino avanti, dopo un po’ sento che qualcuno mi sta seguendo, fin dentro l’androne. Quando arrivo davanti la porta del mio ufficio, ce l’ho ancora dietro, prima di aprire, sbuffo infastidita “Questo ragazzo è davvero insistente! Ma quando diavolo la smetterà?”. Mi giro irritata.
<< Alain, questa non è la tua classe, che diavolo vuoi…? >> mi blocco all’istante guardando che davanti a me, non si trova affatto il moccioso pervertito, bensì, l’unica persona che non avrei mai immaginato di rivedere nel resto della mia vita.

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Capitolo 7
*** Quando meno te l'aspetti ***


7° capitolo: QUANDO MENO TE L’ASPETTI
 



<< E tu che cazzo ci fai qui?! >>, è questa la frase che avrei dovuto dire da quando ho incrociato quei suoi occhi freddi e severi; e invece mi sono stata zitta e continuo a farlo, guardandola come un ebete.
Ci mancava soltanto lei. Che diavolo è venuta a fare? Sono anni che non ci vediamo, l’ultima volta che è venuta a trovarmi, l’ho anche cancellata dalla mente. Adesso è di nuovo qui, e farò bene a ricordarmi che cosa disse e fece quell’ultima volta, se non voglio ritrovarmi a dover litigare per stronzate.
E io che mi sono sempre lamentata della vecchiaccia gangster! La donna che si trova davanti a me supera ogni crudele mafioso.
Quando mi fidanzai con Armin, dopo un po’ prendemmo la decisione di andare a convivere insieme, dato che aspettavo Etienne; purtroppo, quando feci questi conti, mancava la cosa più importante: l’oste (come si suol dire: fare i conti senza l’oste), e cioè la suocera.
Vedendo Armin e suo fratello, avevo sempre immaginato che la loro mamma doveva essere una donna estroversa e fuori dal comune, e invece… è peggio della signorina Rottermeier! Fredda, autoritaria, perfettina, la solita scassa palle.
Naturalmente quando venne a sapere che aspettavo un figlio, successe quello che doveva succedere il duemiladodici (forse i maya avevano ragione, solo che avevano sbagliato qualche calcolo di tempo e di luogo). Arrivò quasi a disconoscere suo figlio, per non parlare di quando seppe che dovevamo convivere. Altro che Freezer!
Nessuno l’ha mai messa al suo posto con qualche ben educata “mandata a quel paese”. Armin l’ha sempre lasciata fare, e lei alla fine si arrese. Venne solo una volta a trovarci, il giorno della nascita di mio figlio. Quando entrò lei nella stanza di ospedale, le mura si ghiacciarono “ecco arriva Jack Frost!” bisbigliai. Cavolo! Come si fa ad avere lo stesso colore d’occhi del figlio, ma sguardi diversi. Guardare negli occhi Armin ti fa gelare il cuore di piacere, invece guardare lei, è come osservare la montagna di Iceberg dal ponte del Titanic. E lì mi sono sempre chiesta: non è che per caso è stata proprio una sua antenata a farlo affondare?... come al solito penso sempre a cose idiote!
Comunque, stavo dicendo, che quando venne in ospedale a trovare il bambino (non dico a trovare me, perché sarebbe stata una cosa impossibile), nessuna parola uscì dal suo congelatore, guardò storto Etienne e se ne andò. Da quel giorno non si fece più vedere.
Ma, adesso… che cazzarola è venuta a fare?
<< Signora Charlotte >> dico scettica << che cosa la porta qui? È da molto che non ci vediamo >>
<< Devo parlarti, potrei entrare per qualche secondo? >> chiede con quella sua voce metal, ghiacciandomi all’istante, e indicandomi la porta del mio ufficio.
Non rispondo, accenno un sorriso forzato, apro la porta e la faccio accomodare. Prima di entrare pure io, qualcosa in fondo al corridoio attrae la mia attenzione. Alzo la testa di scatto incrociando gli occhi di Alain, che se ne sta indisturbatamente appoggiato ad un armadietto e mi fissa malizioso. Lo fulmino con gli occhi e poi entro nell’ufficio chiudendomi la porta alle spalle.
Tiro un profondo respiro, preparandomi alla lotta.
<< Allora… cosa voleva dirmi? >> chiedo con fare indifferente, raggiungendo la poltrona dietro la mia scrivania. Prima di rispondermi, lei guarda tutte le mie mosse, poi si siede davanti a me, appoggiando le mani sul piano e accendendo il ghiaccio dei suoi occhi pronta per congelarmi.
<< Sai bene cosa voglio! >> esclama infastidita. La guardo non comprendendo. << Non fare l’ingenua Rea! >>
<< Non sto affatto facendo l’ingenua. Sono quasi quattro anni che non la vedo, e sinceramente non saprei il motivo della sua venuta, visto che in tanto tempo non si è fatta assolutamente vedere! >>
<< Lo sai benissimo perché non l’ho fatto! Questa situazione che hai gettato sulle spalle di mio figlio non l’ho mai accettata! >>
<< Io non ho gettato un bel niente! >> esclamo iniziando a spazientirmi << Suo figlio e io abbiamo preso una decisione, e insieme! >>
<< Sì, ma non mi avete interpellata! >> ribatte tutto d’un fiato. Rimango di bocca aperta. “questa donna fa pentire a un assassino di essersi pentito!”
<< Io non ho da dare spiegazioni a nessuno e penso tantomeno Armin. Non siamo più bambini, abbiamo venticinque anni…! >>
<< Sì, ma Armin ha una madre che ci tiene! >> mi interrompe alzando la voce.
Questa frase, mi ha scioccata. Come diavolo si è potuta permettere di dire una cosa del genere? Senza rendermene conto, sbatto un pugno sulla scrivania, facendola sussultare, mi alzo di scatto dalla sedia e le rivolgo uno sguardo fulminante.
<< Che cosa sta cercando di insinuare?! >> urlo con voce stridula.
Prima che la vipera possa rispondere, bussano alla porta. Allento i tendini sciogliendo i pugni. Guardo la porta << Avanti! >> esclamo con voce tremante di rabbia. La porta si apre, e ad entrare è Alain. Non so perché, per la prima volta in un anno, la sua entrata non mi è affatto di disturbo, anzi, mi sento sollevata di vederlo. Mi sorride.
<< Cosa c’è Alain? >> chiedo non curandomi della stronza.
<< Mi manda il professor Faraize >> risponde con quella sua eterna malizia sul volto. Annuisco, poi mi volto verso la regina delle nevi e con un solo sguardo severo, le faccio intendere che deve togliersi dalle palle.
Lei non se lo fa dire, si alza e senza salutare se ne va. L’accompagno, e quando finalmente ha sorpassato l’uscio, sbatto la porta bruscamente sospirando rumorosamente.
<< Maledetta Jack Frost del cazzo! >>
<< Uhu! Come siamo irritanti quest’oggi… >> esclama Alain divertito << che ne dici di riscaldare un po’ l’ambiente? >> sussurra avvicinandosi e solleticandomi l’orecchio con la sua voce sensuale.
<< Smettila Alain, non è il momento adatto per sopportare anche le tue perversioni! >> dico allontanandomi da lui e raggiungendo la mia poltrona, dove vi sprofondo reggendomi la testa, stanca e irritata allo stesso tempo.
<< Che cosa hanno fatto alla mia bambolina, per farla arrabbiare in questa maniera? >> chiede dopo un po’ lui avvicinandosi. Alzo lo sguardo, e me lo trovo in ginocchio di fronte a me che mi osserva con quei suoi due immensi oceani.
<< … Per quale motivo ti ha mandato il professor Faraize? Che altro hai combinato? >>
<< Niente >> risponde lui al seguito di una smorfia << Non mi ha mandato Faraize… >>
Lo guardo scettica << e allora? >> chiedo.
<< E allora, ti ho sentito urlare come una schizzata e mi sono preoccupato >>
<< Hai saltato la prima ora? >>
<< Ha importanza? >>
<< Alain… >>
<< Sssh! >> mi interrompe lui poggiandomi l’indice della sua mano sulle labbra. Trasalisco a quel tocco. Non si era mai spinto fin qui, nel senso di contatto fisico.
Mi guarda, per la prima volta, serio, senza alcun spiraglio di malizia, sento il suo dito passare dolcemente da una parte all’altra delle labbra, lui le guarda, e lo fa con desiderio; poi, pian piano scorre la sua mano sulla guancia accarezzando con il pollice lo zigomo, come per raccogliere qualcosa.
<< Hai tutti gli occhi lucidi. Detesto vederti così >> sussurra scendendo la mano sul lato del collo << perché accetti tutto questo da queste fottute persone? >>
<< Alain, questi non sono affari che ti riguardano >> rispondo gentilmente allontanandogli la mano dal mio collo. Lui mi afferra la mano  e porta le dita alla sua bocca, baciandomi lievemente i polpastrelli.
<< Perché non lasci quell’imbecille di Armin? Se ci teneva per davvero a te avrebbe mandato a fanculo sua madre >>
Quella frase, inconsciamente, mi riporta a quattro anni fa. Alain ha detto se ci tiene veramente. Questo significa che quel giorno Castiel non si mise contro il padre perché non ci teneva davvero al mio amore? Ma se fosse stato così? Allora perché adesso è tornato con la pretesa di riavermi? Ritorno al presente guardando Alain e sorridendo rispondo: << Non posso lasciare Armin… abbiamo un bambino >>
Alain lascia la mia mano che cade di peso sulla mia coscia. Mi guarda prima smarrito, poi si riprende con uno dei suoi sorrisi beffardi e alzandosi sia allontana verso la porta dicendo: << Beh, potresti sempre dire che una notte, hai passato una notte di fuoco con me e ti ho messa incinta >>
La vena alla tempia inizia a pulsare di nuovo, prendo la prima cosa che mi capita a tiro e gliela lancio addosso << Come puoi dire queste cose così spudoratamente! >>
Lui afferra abilmente l’oggetto, che mi sono accorta, essere una penna e continua a sorridermi. << Non piangere più >> mormora gentile << certa gente non merita di vedere questo lato di te >>. Detto questo esce dall’ufficio, lasciandomi con il cuore pieno di non so cosa. Non è rabbia, non è irritazione. Queste sue ultime parole, mi hanno consolata. Per la prima volta in questi pochi giorni mi sento consolata da uno che non è affatto Armin.
 
 
Tutto quello scombussolarmi il cervello, mi ha fatto aumentare la stanchezza e il sonno. Ora mi ritrovo con la testa appoggiata sulla scrivania, sotterrata da fogli sparsi. Ho gli occhi chiusi e cerco di liberare la mente da ogni pensiero per addormentarmi, anche se so benissimo che non si fa. “Me ne frego! Sono la preside, e la preside fa tutto ciò che voglio!” non so perché ma questo pensiero mi fa preoccupare.
Non riuscendo più ad addormentarmi, mi alzo di scatto guardandomi in torno sbuffando. Decido di uscire a prendermi una boccata di aria fresca.
Il corridoio è vuoto, ma dei mormorii riecheggiano comunque. Esco fuori in giardino  e mi stiracchio sbadigliando.
<< Battiamo la fiacca, eh? >> sento ad un tratto quella famigliare voce alle mie spalle. Mi giro di scatto. Castiel?
<< Che ci fai qui? >> chiedo allibita.
<< Questa domanda dovrei fartela io! Come mai non sei a lavoro? >>
<< E a te che importa? >> ribatto irritata.
<< Mi importa e come! Quando un mio subordinato non rispetta le regole lavorative… >>
<< Subordinato? >> lo interrompo scettica << che stai dicendo? >>
Lui sorride, e lo fa con malizia, si avvicina lentamente bloccandosi a due centimetri di distanza da me.
<< Ma come? Non ricordi chi è il preside delegato? >>
Sgrano gli occhi incredula << T-tu hai… >>
<< Sì, ho ripreso il mio lavoro. Tua zia me la concesso senza opposizione >>
“Brutta figlia di…”
<< Allora? >> esclama dirigendosi verso l’entrata << Non torni al tuo lavoro? >>
Stringo i pugni “Se non esplodo adesso…” lo seguo, lasciando un po’ di distanza. Quando entriamo nell’ufficio, lui, senza perdere tempo si va a sedere sulla mia poltrona, sospirando rumorosamente. Io chiudo la porta alle spalle, e non capisco perché l’ho fatto. Mi avvicino alla scrivania e lo guardo furiosa mentre si atteggia a padrone.
<< Alzati, quella è la mia poltrona >>
<< Era… >>
<< Castiel non ti ci mettere anche tu per completare questa giornata >>
Mi fissa senza cambiare espressione. Non so più come ribattere, allora sospiro abbassando la testa e mormorando esausta << Va bene, vorrà dire che cambierò ufficio! >>. Detto questo mi giro incamminandomi verso la porta, ma ad un tratto mi sento afferrare violentemente un braccio, vedo la stanza girami intorno, e un forte dolore alla schiena, socchiudo gli occhi, accorgendomi di essere stesa sulla scrivania e sopra di me Castiel, che mi fissa malizioso con quegli occhi senza saturazione.
<< Che… che stai facendo? >> balbetto con un sibilo.
Lui mi ha bloccato i polsi, reggendomi forte. << Perché vuoi cambiare ufficio? >> chiede con voce sensuale, allargandomi le cosce con il suo ginocchio e intrufolandolo al centro, appoggiandolo sul piano e spingendolo verso la parte nascosta.
A proposito, ho la gonna, una di quelle con le pieghe tutte a fiorellini, questo significa che gli sto facilitando il lavoro.
Sussulto, iniziando a sentire qualcosa dentro di me che non deve assolutamente prendere vita.
<< Castiel, non scherzare… >>
<< Chi ti ha detto che sto scherzando? >> chiede, toccando la mia parte femminea con la rotula del ginocchio. Ho un sussulto, e sento di iniziare a perdermi nei suoi occhi.
<< Questo ufficio è tanto grande che in due ci possiamo anche stare. E poi… abbiamo tanto lavoro da fare >> continua avvicinandosi al mio viso diffondendo il suo respiro sul mio collo.
In quel preciso istante, inizio a pregare e sperare che da quella porta non entri nessuno, o meglio bussi qualcuno, almeno per aiutarmi a liberarmi da questa… perversione.

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Capitolo 8
*** Menomale che c'è lui ***


8° capitolo: MENOMALE CHE C’E’ LUI
 



Ora. Mettiamo il caso che da quella porta entri qualcuno (perché in questo liceo, non tutti hanno la compiacenza di essere educati e bussare), e mi veda in questa piccante situazione, cosa dovrei spiegare? Ma soprattutto, cosa dovrei fare?
Queste esatte parole, le ho appena dette a Castiel, sapete lui cos’ha risposto?
<< Non stiamo facendo nulla di male, sto solo riprendendo ciò ch’è mio >>
Bene, questa frase mi ha letteralmente spiazzata. Ma non è solo quella frase, sono anche io che mi spiazzo da sola. Lui mi ha lasciato la mano per permettere alla sua di esplorare, il mondo nascosto sotto la mia gonna (la prima volta che la indosso a scuola), e mi sto ferma. Ho una mano libera, e non accenno a respingerlo. Sto letteralmente permettendo quello che presto o tardi potrà diventare un tradimento!
Lui intanto, indisturbato, sta facendo tutti i cavolacci suoi con quella mano che se non la fermo all’istante di sicuro mi farà impazzire.
La sento calda fra l’entro-gamba, accarezza dolcemente la pelle, e sale, sale fino alla parte più sensibile del mio corpo, sfiora i petali con le dita, risvegliando la natura femminea che inizia a palpitare cercando di più. No, non deve assolutamente succedere. Punto il gomito sul piano della scrivania e cerco di alzarmi. Castiel prontamente scivola la mano dalla gonna e appoggia il suo ardente palmo sul mio petto, bloccando il mio movimento.
Lo fisso negli occhi e lui ricambia lo sguardo, è troppo serio per i miei gusti, allora non sta scherzando!
<< Castiel… >> provo a parlare ma lui mi appoggia l’indice sulle labbra sibilando un “ssh”, il suo dito percorre una linea dritta scendendo verso la scollatura a v della maglia, abbasso lo sguardo seguendo quel movimento, vedo la mano allargarsi a ventaglio e afferrare il mio seno, prepotente; poi scende raccogliendo il lembo della gonna per accarezzare l’intera coscia ritornando alla parte nascosta. Insinua un dito fra l’indumento intimo ormai umido e lo sento sbuffare un sorriso.
Sento che sto per arrendermi, appoggio la testa sulla scrivania e chiudo gli occhi non riuscendo a capire perché sto accettando tutto senza nemmeno ribellarmi.
Lo sento ridere, e quel momento svanisce in un niente. Si alza, lasciandomi come un’ebete sdraiata scomodamente su quella scrivania. Lo guardo ansimando e avvampando di calore, che all’inizio era collegato al forzato piacere, e alla fine all’irritazione.
Mi guarda e non la smette di ridere. Mi alzo dalla scrivania ricomponendomi, e lo fulmino con gli occhi.
<< Che cazzo stai ridendo?! >>
<< Non immaginavo che anche tu sapessi essere infedele… povero Armin >>
“Grandissimo figlio di una donna dai mille costumi!” urlo nella mia mente sentendo la rabbia prendere il sopravvento su tutte le altre emozioni.
<< Chissà che faccia avrebbe fatto se fosse entrato e ti avrebbe vista? >> continua sghignazzando.
Mi avvicino velocemente e gli sferro uno schiaffo in pieno volto facendogli piegare la testa a un lato. Smette subito di ridere.
<< Ti ha reso fiero questa bravata del cazzo?! >> esclamo con le lacrime agli occhi e con voce tremante << Che diavolo credevi di fare? Ti presenti dal nulla dopo quattro anni, con delle strane e peggiori intenzioni, e metti alla prova le tue perversioni su di me? Per chi cazzo mi hai presa?! >>
<< Tzé, non fare tanto la preziosa… >> risponde lui sfiorandosi con un dito il lato colpito << … fino a qualche momento fa lo stavi accettando, e con piacere anche >> sorride accarezzandosi le dita ancora umide.
Quelle parole mi squarciano il cuore inesorabili, non riesco più a trattenere le lacrime, stringo i pugni e tremante digrigno: << Sei patetico! Che cavolo ne hai fatto del Castiel di quattro anni fa? >>
Lui sbuffa un sorriso strafottente << Quel Castiel non esiste più >> mormora esprimendo dagli occhi uno sguardo che non avevo mai visto prima, e che mi incute un po’di paura.
<< E tu dovresti saperlo meglio di me! >> esclama indurendo la voce e facendomi trasalire.
<< Non è colpa mia se non hai saputo far valere i tuoi diritti, firmando quella cazzo di carta! >> rispondo io a tono.
<< E sentiamo… >> continua lui dopo qualche secondo di pausa, incrociando le braccia al petto e sfoggiando un sorriso beffardo << … invece di chi è la colpa, se ti sei fatta sbattere da Armin, dopo neanche tanto tempo dall’avermi lasciato? E ci hai fatto pure un figlio!... Lo so che dopo essertene andata da casa di mio padre, ti sei fatta un bel viaggetto in Corea, ti sei fatta scopare anche lì da qualcun altro? >>
Pianto violentemente un altro schiaffo sul suo viso << Sei un bastardo! >> esclamo tra i singhiozzi << Ti odio Castiel. TI ODIO!! >>. Piango e sto male. Quelle parole così meschine mi fanno male.
Come può parlarmi in questa maniera. Cosa ne sa lui ciò che ho passato in quel periodo? Ma quale viaggio? Uno di sola andata in camera mia a soffrire come un cane, e per chi poi? Per cosa? Per essere trattata come una sgualdrina dal peggiore dei bastardi?
<< Hai davvero toccato il fondo! >> continuo adirata << non voglio avere più niente a che fare con te, e non provare più a toccarmi! >>
Detto questo mi dirigo verso la porta, ma appena la raggiungo, mi sento afferrare da un braccio, girare sbattere di schiena contro il muro adiacente all’uscita.
Il viso del rosso è a due centimetri dal mio, lo sento ansimare, lo sento tremare, mi stringe le spalle con le sue mani e mi tiene ben attaccata alla parete.
<< Non dire mai più che non devo toccarti! Ricorda che tu appartieni a me, tutto di te è mio… >> sussurra duramente << … il tuo corpo… >> addolcisce lentamente la voce << … le tue labbra… >> si avvicina, poggia le labbra sulle mie, mi dimeno cercando di distaccarlo, ma lui dalla dolcezza passa subito alla prepotenza, mi unisce i polsi bloccandomeli con una sola mano, con l’altra mi afferra le guance facendomi socchiudere le labbra, e spingendo le sue, insinuando la sua ardente lingua che esplora con presunzione tutti il lati della mia bocca. Sento le guance libere, mi accorgo che la sua mano sta scendendo percorrendo tutte le curve del mio corpo. Mi afferra la coscia alzandola, e spinge il suo bacino sulla mia intimità. Sento la sua parte virile destata che brama per incontrarsi con il fiore.
Piango, i rivoli cadono velocemente sulla mia guancia e non riesco ad aprire gli occhi, non riesco ad accettare quello che Castiel è diventato. Quando penso che il peggio debba ancora arrivare. Sento i suoi baci farsi più dolci, le sue strette, tramutarsi in carezze, e i suoi violenti ansimi riprendere il normale ritmo respiratorio.
Dischiudo le palpebre, e incrocio i suoi occhi spenti, si distacca, mantenendomi però sempre attaccata al muro.
<< Tu mi vuoi, mi desideri. Lo so perfettamente >> sibila << l’ho capito prima >>
Scuoto la testa per negare, non riuscendo a parlare.
<< Sì, invece… altrimenti avresti gridato e mi avresti respinta. Stammi bene a sentire Rea, questo è un assaggio, per fatti capire che non sto giocando. Da ora in poi farò sul serio >> si lecca le labbra per raccogliere ciò che resta del sapore delle mie e sorride beffardo, poi mi lascia e ritorna a sedersi sulla poltrona girandosi verso la vetrata. Tremo, guardando il vuoto, poi presa da uno scatto di ansia, apro la porta ed esco percorrendo velocemente il corridoio, entrando nel bagno. Mi piazzo di fronte allo specchio e mi fisso intensamente. I miei occhi sono inchiodati su quelli del mio riflesso.
Nessun pensiero mi passa per la mente. Solo una frase, che la getto all’aria sbattendo un pugno sul lavandino.
<< Maledetto figlio di puttana, pervertito! >>
<< Che altro ho combinato? >> chiede una voce dietro di me, facendomi trasalire. Mi giro per vedere di chi si tratta e dalla porta di una cabina esce l’altro diavolo tentatore.
<< Alain! >> esclamo con rabbia << Che diavolo ci fai qui? E per giunta nel bagno delle ragazze?! >>
Lui mi guarda alzando una sopracciglia << Di’ un po’… hai per caso bevuto? >>
<< Cosa vai blaterando? >> chiedo innervosita.
<< Ti informo che questo è il bagno dei maschi, quindi, cosa ci fai tu? >>
Sgrano gli occhi incredula, ringraziando sempre il cielo di avermi fatto incontrare Alain e non qualche altro moccioso “Possibile che debba essere sempre così sbadatamente idiota?!”
<< Allora ho ragione io… >>
<< Di cosa? >>
<< Hai voglia di me, mi segui anche in bagno? >>
<< Non dire stronzate Alain! >>
<< Allora cosa sei venuta a fare qui? Volevi vedere il tridente di nettuno? >>
<< Smettila Alain! Le perversioni di tuo cugino mi bastano e avanzano >>. Troppo tardi, mi accorgo che quelle parole, potevo farne a meno di dirle. Mi metto istintivamente la mano sulla bocca. Il moccioso mi guarda sottocchio, e lentamente inizia ad avvicinarsi.
<< Noto con piacere che la mia preside è desiderata da troppe persone… >> mormora strafottente afferrandomi il mento con le dita << sai che potrei essere anche geloso? Dovrei darmi da fare, a questo punto. Non permetterò che mi ti portino  via, soprattutto se a farlo è mio cugino >>
Innervosita lo spingo, allontanandolo da me e stringendo i pugni, esclamo << Ma che diavolo vi siete messi in mente? Pensate che io sia un pacco postale, o un oggetto da spostare dove vi pare e piace? Ho già qualcuno nella mia vita, e non mi servono altri! >> esclamo avvicinandomi alla porta. Mi fermo << Ah, e un’altra cosa… >>. Lui mi guarda divertito << Per punizione pulirai la tua classe, fino a quando non la vedrò splendente! >>
<< E perché, cosa ho fatto? >>
<< Perché devi smetterla di trattarmi come una tua coetanea! Da oggi sono vietate parole perverse contro di me >>
Lo sento sbuffare un sorriso incredulo. Esco senza voltarmi indietro.
Non voglio ritornare nel mio ufficio, che ormai, non è più mio. “Che rabbia! Perché deve tutto andarmi storto?”. Rimango nel corridoio a imprecare nella mente, a quel punto penso che potrei anche andarmene, dato che, quel pervertito pittato di rosso ha preso il mio posto. “Ma sì” mi dico incamminandomi verso l’uscita “Passerò dall’asilo a prendere Etienne, voglio portarlo al parco giochi, è da tempo che non lo faccio, così mi distraggo anche io”
Mi reco in macchina e parto senza esitare. Arrivo all’asilo dopo cinque minuti. Noto che c’è un lieve via vai di mamme venute a prendere i loro bambini. Alzo il passo entrando. Scorgo il mio Etienne mentre gioca con un suo compagno, sorrido, lo chiamo, lui subito si precipita ad abbracciarmi esclamando un “mamma” emozionato.
Quando guardo il suo sorriso mi si riempie il cuore di gioia. Etienne è tutta la mia vita, non so davvero cosa farei senza di lui. Se all’inizio lui non c’era, me la cavavo, adesso c’è e sento che è una presenza indispensabile. Lo stringo forte fra le mie braccia.
<< Mamma, soffoco >>
<< Oh, scusami, amore >> sussurro allentando la presa. Lui mi guarda sottocchio. << Cosa c’è? >> chiedo.
<< Perché sei venuta a prendermi tu e non zia Kim?... non è che per caso hai marinato la scuola? >>
<< Ma che dici? >> chiedo guardandomi intorno, sperante che nessuno abbia sentito << Non sei contento che sia venuta io a prenderti? >>
<< Sì, ma il problema è che sicuramente hai saltato i tuoi compiti di preside >>
Sento un macigno precipitare sulla mia testa. “è davvero incredibile!” << Ma chi ti ha insegnato a parlare così? >> chiedo pizzicandogli dolcemente la guancia.
<< Nessuno, certe cose si imparano da soli >> risponde lui senza scomporsi.
“Sì, ma non alla sua età!” << allora, vediamo… >> riprendo cambiando discorso << Ti va di andare al parco giochi? >>. Vedo i suoi occhi illuminarsi e le labbra allargarsi in un raggiante sorriso. Annuisce energicamente con la testa. << Allora faremo meglio a sbrigarci >> continuo prendendolo in braccio e recandomi all’uscita dell’asilo. Salutiamo le maestre e gli ultimi compagni rimasti, ci mettiamo in macchina e partiamo.
Il parco giochi è quasi deserto, ma per Etienne va più che bene. Dice che quando non ci sono altri bambini tra i piedi, può scegliere tranquillamente su che giostra andare. Lo lascio fare, e mi vado a sedere su di una panchina. Lo osservo attentamente, senza distrarmi. Finalmente i cattivi pensieri di questa mattinata mi hanno abbandonata. Mio figlio è un toccasana vivente.
Ad un certo punto sento vibrare il cellulare. Apro sbuffando, portando a intermittenza gli occhi sul bambino.
È un messaggio di Rosalya.
“Rea, dovrei parlarti a proposito del matrimonio”.
“Dimmi pure”
“Sarebbe meglio se ci incontrassimo, così abbiamo più tempo per decidere”.
No, non dirmi che ha cambiato idea sul vestito. “Ok, puoi passare da casa se vuoi”. Silenzio. Dopo alcuni minuti vibra di nuovo il telefono.
“Sinceramente, vorrei che passassi tu da casa mia. Ecco non so come dirtelo… ti racconto tutto dopo”
“Ok, allora a dopo”.
Guardo l’orologio, si è fatto un po’ tardi. << Etienne, vieni qui amore, dobbiamo tornare a casa >>
<< Un altro po’, mamma! >>
<< No, Etienne. Ho da fare >>
<< E va bene! >> esclama lui sbuffando scocciato, avvicinandosi a me con le braccia ciondoloni. Ad un tratto sento vibrare di nuovo il telefono. Convinta che si tratti ancora di Rosalya, apro il messaggio leggendo velocemente, ma qualcosa che non va, me lo fa rileggere più lentamente. Sgrano gli occhi per ciò che hanno appena letto. Non riesco davvero a crederci. Adesso sì che devo preoccuparmi.

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Capitolo 9
*** Inviti minacciosi ***


9° capitolo: INVITI MINACCIOSI
 




<< Non ci posso credere! >> esclamo per la quarta volta, rileggendo per la decima il messaggio appena ricevuto.
“Questo è un vero e proprio ricatto! Quel bastardo mi sta ricattando!... è diventato più diabolico di quanto non lo fosse già!”.
Sono adirata, irritata e incazzata fino alla cima dei capelli. Questa è una vera e propria sfida rivolta alla mia pazienza. Da dove cazzo se n’è uscito con una cosa del genere?
Riporto istintivamente il dito sul numero che indica il messaggio arrivato e lo apro per rileggere ancora una volta il contenuto, che appare sfacciato e provocatorio davanti alle mie pupille: “Se tra un quarto d’ora non ritorni a scuola, riferisco al maritino cosa è successo nel nostro ufficio”. Non so per quale motivo ma mentre leggo, sento che quelle parole risuonano nelle mie orecchie sotto-forma di voce, la sua voce, e non c’è bisogno di dire che è alquanto sfacciata e beffarda. Immagino anche il suo viso mentre lo dice, sfoggiando quel sorriso strafottente. Anzi non un sorriso, un ghigno.
“Questo ragazzo ha proprio deciso di fare la guerra? Figuriamoci se Armin dovesse crederci”. Quest’ultimo pensiero mi ha pietrificato il corpo e la mente. Non so darmi una risposta.
<< Mamma? >> mi chiama Etienne tirandomi un lembo della maglia, facendomi ritornare alla realtà. Volgo lo sguardo verso il basso << Cosa c’è? >> chiedo smarrita ancora da quei pensieri.
<< Andiamo? Altrimenti ritorno a giocare. Ti sei imbambolata qui, e mi hai fatto interrompere il gioco >>
<< S-sì, possiamo andare >> rispondo senza dare peso a ciò che ha detto.
<< Ma’, è successo qualcosa? >>
<< Niente di cui tu debba preoccuparti >> rispondo sorridendo, e afferratogli la mano ci dirigiamo all’auto.
A casa, trovo l’auto di Armin, e sento una specie di fastidio solleticarmi il cuore. Subito mi ritorna in mente la minaccia, guardo l’orario, sono solo passati dieci minuti dal suo avvertimento. “Ma che diavolacci sto facendo? Non devo preoccuparmi per niente! Può essere bastardo e pervertito al punto giusto, ma non può arrivare a tanto!” mi dico scuotendo la testa. Ma il pensiero e l’ansia, che forse l’abbia avvisato, continuano a pervadere la mente.
Scendiamo dall’auto: Etienne corre velocemente dentro casa, chiamando il padre e dicendo che vuole assolutamente giocare all’x-box con lui.
<< Papà, però chiedi tu a mamma se posso… dice sempre di no! >> esclama senza rendersi conto che ho sentito tutto; ma so già che l’ha fatto apposta.
Entro titubante, e trovo Armin seduto sul divano, con la sua amante: la famosissima psp. Anche se siamo cresciuti, alcune cose del passato ci hanno seguiti fino ad ora.
<< Ciao >> mormoro cercando di capire se è successo qualcosa.
<< Ciao >> risponde lui senza alzare lo sguardo e continuando a imprecare contro la console. Sospiro sollevata. “Menomale” mi dico.
<< Ah, papà… sei un pappamolla! Non è così che devi sconfiggerlo. Adesso ti faccio vedere io >> esclama Etienne, strappandogli quasi dalle mani l’oggetto e sedendosi sulle gambe del padre che lo guarda allibito.
Mi scappa un sorriso, nel guardare quella scena. Istintivamente porto gli occhi sull’orologio a muro. È passato più di un quarto d’ora, e non è successo niente. Faccio una smorfia sollevata “Ma chi se ne frega!”. Manco l’avessi pensato!
Squilla il cellulare, ed è quello di Armin. Il cuore entra nell’ascensore fermandosi in gola e palpitando violento. È come se quel suono è scattato nel momento più silenzioso che ci potesse essere in quella camera, e mi abbia preso alla sprovvista.
Come un tornado, ne approfitto della posizione di Armin che, avendo in braccio Etienne, non può alzarsi subito, così mi dirigo al mobiletto, sul quale lo smartphone continua a squillare e a muoversi per la vibrazione.
<< Rispondo io! >> esclamo. Prima di accettare la chiamata guardo chi è. Un numero. Rispondo senza pensare alle cifre << Pronto? >> chiedo con voce tremante.
Sento sbuffare un sorriso dall’altra parte del telefono e poi una voce, la sua voce profonda e sensuale, dire: << Ciao Rea >>
Mi sento ghiacciare, immaginandomi di stare sul set ( se non nella realtà ) del film Scream, manca solo il: ti ricordi di me?
Sentendo che Armin e Etienne sono concentrati nel gioco, mi allontano salendo le scale e chiudendomi in bagno.
<< Che cavolo vuoi? >> chiedo sotto voce e irritata.
<< Lo sai bene… è passata mezz’ora e non ti sei fatta viva >>
<< Va al diavolo Castiel! >> rispondo tutto d’un fiato.
Ride, e lo fa di gusto << Per quale motivo hai risposto tu? >>
<< Perché so cosa hai in mente! >> ribatto tremando dall’irritazione.
<< Ah-ah! E allora se lo sai, perché non sei venuta? >>
<< Castiel, smettila… questo gioco è durato fin troppo per i miei gusti… >>
<< Ma io non sto giocando >> m’interrompe con voce seria. Troppo seria << Cosa non ti è chiaro delle mie parole? Non sto giocando. Con te non ho mai giocato >>
Quest’ultima frase mi ha fatto mancare un battito, e riempito gli occhi di brucianti e malinconiche lacrime.
<< Che cosa vuoi? >> chiedo con voce soffocata.
<< Mhm, vediamo… per riparare al ritardo di oggi… non lo so, devo pensarci. Ti manderò un messaggio. E ti consiglio di fare ciò che ti dirò, questa volta >> risponde lui tranquillo.
<< Tzè… Castiel, mi stai minacciando? >> ribatto prima con un sorriso e poi con un mezzo gemito di pianto.
<< Non è una minaccia Rea e non è neanche un avvertimento >>
<< E allora cos’è? >>
<< è un invito >>
Sorrido chiudendo gli occhi per prosciugare le lacrime. << Perché non lo vuoi capire che è tutto finito? Io ho un bam… >>
<< Ah-ah! Mia piccola Rea >> mi interrompe << Guarda che questo è solo l’inizio >>. Chiude la chiamata.
Io rimango allibita, trattenendo ancora il cellulare attaccato all’orecchio. Sbuffo quello che doveva essere un gemito di pianto, ma che si è trasformato in un respiro soffocato dall’angoscia. Scivolo per terra, appoggiando la spalla alla porta. Piango, lo sto facendo un’altra volta. Piango, non solo per il dolore che mi sta riportando il suo atteggiamento ma anche perché non riesco ad essere pienamente addolorata dalle sue parole. Il mio corpo non combacia con il mio stato d’animo. E non riesco a credere e ad ammettere che cerca disperatamente le sue carezze, il suoi baci, il suo stesso corpo.
Raccolgo le ginocchia al petto e affondo la fronte su di esse, stringendo gli occhi.
Sussulto sentendo bussare alla porta.
<< Rea, se lì? >> chiede Armin. Mi alzo di scatto, dirigendomi verso il lavandino e aprendo a il rubinetto, mi lavo il viso.
<< S-sì, ho… ho quasi finito >>
<< Chi era al telefono? >>
<< Oh, solo Rosalya, mi ha detto che non riusciva a contattarmi >>. Mi guardo allo specchio vedere se è tutto a posto, poi mi dirigo alla porta e l’apro preparando il sorriso più falso che possa possedere.
Non mi importa di essere meschina, ma in questo momento è il mio stesso corpo che dirige la situazione, e non posso fare mosse false, non devo rovinare tutto, ché sono convinta che riuscirò ad aggiustare questa maledetta situazione senza far soffrire nessuno.
Ma a chi voglio darla a bere. Una a soffrirne, per il momento, sarò io; e se non seguo i miei istinti, sono sicura che trascinerò in questo assurdo baratro, qualcun altro.
<< Va tutto bene, Rea? >> chiede Armin guardandomi titubante.
<< Sì, perché? >> ribatto, sicura.
<< Sorridi troppo >>
“Sono davvero un’idiota”, ritiro lentamente le labbra << Senti Armin, puoi badare a Etienne per qualche oretta? >>
<< Certo, perché? >>
<< Devo incontrarmi con Rosalya, deve dirmi qualcosa a proposito del matrimonio >>
<< Non dirmi che ha cambiato idea su qualcosa? il matrimonio è ormai alle porte >>
<< No, non so di cosa si tratti. Comunque, ci vediamo dopo >> dico in fretta e in furia, recandomi in camera mia. Mi vesto velocemente, poi scendo, saluto Etienne con un bacio sulla fronte e mi incammino a piedi verso la casa di Rosalya. Dato che è vicina non voglio consumare nafta inutilmente.
Devo essere sincera: durante il tragitto, mi sento ansiosa. La mano destra stringe forte lo smartphone, e gli occhi si poggiano ad intermittenza su di esso come se stessero aspettando quel fatidico messaggio.
“Maledizione!” mi dico, tirandomi un pugnetto sulla tempia “Smettila di fare l’adolescente a contatto con i primi calori primaverili! Castiel ora è il tuo nemico, e devi trattarlo come tale! Qualsiasi messaggio che ti manderà, non sarà altro che una minaccia dalla quale ti vedrai bene dal soccomberci!”
Quei pensieri non mi hanno fatto rendere conto che mi trovo da ormai cinque minuti, di fronte il cancello di casa di Rosa. Tiro un profondo respiro e lo getto via in tal modo.
Suono al campanello, dopo pochi secondi Rosalya viene a rispondermi.
<< Sono io Rosa >>
Il cancello si apre, entro, percorro il piccolo e stretto vialetto e spingo la porta di entrata che è aperta. << Si può? >> chiedo a voce alta.
<< Vieni, entra >> risponde la bambolina argentata uscendo da una camera con in dosso solo una vestaglia trasparente con tanti merletti “Sempre molto easy” penso sbuffando un sorriso.
<< Accomodati Rea >> mi dice indicandomi la poltrona del soggiorno. Mi siedo senza farmelo ripetere.
<< Sei sola? >> chiedo.
<< Sì, Lysandro è andato al negozio di cospaly >> risponde sedendosi di fronte a me << Vuoi qualcosa da bere? >> chiede.
<< No grazie… allora, cosa dovevi dirmi di tanto urgente? >>. Mi accorgo che la sua espressione si sta facendo alquanto imbarazzante << Cosa c’è Rosa? >>
<< Beh… vedi Rea… cavoli, non so come dirtelo… >>
<< Dillo e basta >>
<< Ricordi quando ti chiesi di farmi da testimone alle nozze? >>
<< Allora? >>
<< Ecco… anche Lysandro, ha scelto il suo testimone… >>

<< è Castiel, Rea >> dice dopo qualche secondo di pausa. Sembrerebbe strano se dicessi che me l’aspettavo? “Ma io lo sapevo! Anche un feto in procinto di formarsi nella pancia dell’animale più idiota del mondo l’avrebbe capito!”. Abbasso lo sguardo, prima sorridendo leggermente, poi scoppiando in una risata che non ha aggettivi, perché neanche io so il motivo di questa.
<< Va tutto bene? >> chiede Rosa, preoccupata. Smetto di ridere all’istante, cade qualche lacrima, che la mia amica intende a causa della esilarante risata.
<< Adesso sì che ho bisogno di qualcosa da bere >> rispondo allegra. Se potessi vedermi e sentirmi da un’altra posizione, mi sarei data subito dell’accannata! E il bello è che non ho mai fumato!
<< Per favore Rosa, un bicchiere d’acqua >>
<< Vado subito! >> esclama alzandosi e recandosi nella cucina senza perdere tempo.
Io invece non aspetto. Mi alzò e senza farmi sentire me ne vado. Mi ritrovo in strada agitata e con profondi e spaventosi ansimi. Alzo lo sguardo verso il cielo e guardo il tramonto. Rido, rido, rido… senza alcun motivo. << Rea… sei davvero una stupida illusa! >> mormoro a denti stretti, fra le risate che lentamente si tramutano in pianti.
No, non devo assolutamente piangere. Basta farlo! Sono grande, e devo affrontare la mia vita come viene. E poi, che problemi devo farmi? Lysandro ha scelto Castiel come suo testimone. Non posso impedirglielo, è suo amico, come Rosa è mia amica. Dovremo solo stare per qualche minuto sotto gli occhi di tutti, cos’altro potrebbe andare peggio?
Mentre sto pensando a questo, squilla il cellulare. Un messaggio. Per un momento me ne ero dimenticata. Apro l’SMS tremante, tiro un profondo respiro per poi trattenerlo, il tempo di finire di leggere.
“Passa da casa”, Castiel.
Il peggio è appena giunto. Manca solo agire.

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Capitolo 10
*** Rinunce ***


10° capitolo: RINUNCE
 



La strada che porta dritta a casa di Rosalya, ha un bivio a qualche metro di distanza. Ed è proprio lì che mi trovo. Questo bivio non è stato fatto per caso, almeno non per me, infatti a destra si va  verso l'enorme villa del ricattatore pervertito, pittato di rosso; mentre verso sinistra a due isolati, c'è casa mia.
Ora, se potessi prendermela con qualcuno,  avrei volentieri dato fuoco all'edificio comunale e a tutti i suoi componenti, ma sono convinta che qualche giorno in gattabuia o in una cella di isolamento nel manicomio criminale, non me l'avrebbe tolto nessuno. Quindi, l'unica cosa che mi resta da fare è imprecare contro chi ha avuto la tanto felice, quanto diabolica idea di costruire quel bivio, che rappresenta la metafora della scelta da prendere, per riparare questa maledetta situazione.
Adesso so per certo, quello che è capace di fare Castiel, quindi, se non rispondo al suo messaggio, presentandomi a casa sua, il telefono di Armin squillerà, per annunciare il mio tentato tradimento. Che poi, è stato il rosso a cercare di sottomettermi, ma è anche vero che non ho accennato a respingerlo (colpevoli! Tutti e due... Io più di lui).
Mentre ho in mente questi pensieri, sto guardando la strada a destra del bivio; poi, lentamente porto lo sguardo verso la sinistra e subito la persona che mi viene in mente è Etienne. Quel bambino anche se ha solo quattro anni, è una forza della natura. Che cosa penserebbe semmai venisse a conoscenza della mia forzata tresca, che il pervertito mi induce a compiere? Cerco di immaginarmi la sua faccia, e le sue parole, ma ho subito un senso di fastidio. Stringo gli occhi per scacciare quelle immagini. No, Etienne non deve sapere nulla. Non dovrà mai saperlo. Riapro le palpebre trovandomi a guardare il pericoloso rettilineo. "Ok, Castiel" mi dico "è questo ciò che vuoi?... Ma non pensare di averla vinta!".
Tiro un lungo respiro per poi gettarlo con un secco sbuffo. La mia mente ha preso la sua decisione, e il mio corpo fa altrettanto: inizio ad incamminarmi verso casa di Castiel.
La villa è silenziosa e spenta, guardo intensamente una finestra, è quella della sua camera. La conosco benissimo, e infatti, mille ricordi dolci e bellissimi tornano a invadere la mia mente. Sorrido lievemente cercando di non farmi trascinare da quella dolce malinconia; e intanto, sono passati già dieci minuti da ché sto qui ad aspettare come un ebete davanti al grande cancello. Non riesco a muovermi, non riesco a seguire gli ordini del mio volere che mi dice di suonare il campanello.
<< Hai intenzione di farci l'alba? >>. Quella famigliare voce alle mie spalle, mi fa trasalire. Mi giro, incontrando i suoi occhi grigi che alla luce della luna sembrano più chiari. Mi guarda con il suo immortale sorriso. Accanto a lui c'è il vecchio Demon, che se ne sta zitto a fissarmi, cosa alquanto strana. Sicuramente sarà l'età, oppure si è rotto le palle a vedermi ancora in giro.
<< Mi hai spaventata! >> esclamo indurendo lo sguardo, << pensavo te ne fossi andato a letto >>
<< E hai pensato male >> risponde lui tutto d'un fiato. << Ti stavo aspettando >>
<< E perché non sei in casa? >>
<< Sapevo che avresti messo tempo per deciderti a venire, così ho fatto fare una passeggiata a Demon >>
<< Ma adesso sono qui >> continuo, seria. "Ma che cazzo sto dicendo?... Rea sei proprio un'idiota!".
A quella mia affermazione, lui ha sbuffato un sorriso e ha trasformato il suo sguardo in malizia. Si sta avvicinando a me, indietreggio lentamente ritrovandomi, appoggiata di spalle al cancello. Con le mani stringo le sbarre, e lo guardo. Lui non si ferma, anzi, avanza ancora un po', fino a ritrovarsi a pochi centimetri da me. Allunga la mano afferrandomi una ciocca di capelli, fissa le sue mosse; poi vedo l’altra mano, portata parallelamente al mio viso, afferrare la sbarra, per permettergli di piegarsi su di me.
Repentinamente, il suo caldo respiro, mischiato a quel forte e travolgente profumo, invadono la mia pelle e le mie nari. Chiudo gli occhi sentendomi frastornata.
Castiel fa un gesto secco. Mi ritrovo a indietreggiare e ad aggrapparmi alle sbarre per non cadere, dato che ha spinto il cancello per aprirlo.
Si allontana da me, inoltrandosi nel viale, seguito dal suo segugio. Lo guardo non capendo cosa mi passi per la mente. Lui si ferma, si gira e messosi le mani nelle tasche dei pantaloni, sussurra:
<< Vieni >>. Quella parola non l'ho sentita come un invito, ne tantomeno come una richiesta. Bensì l'ho percepita come un ordine. Mi distacco dal cancello chiudendomelo alle spalle, e lentamente, mi incammino verso di lui.
Entriamo in casa sua. Nell'aria sento aleggiare un lieve odore di chiuso. Sono passati quattro anni, da che quella villa è stata abbandonata. Nessuno si è ricordato di essa almeno fino ad ora. Neanche io sono più passata da queste parti, ché i ricordi sarebbero stati più dolorosi del presente.
Castiel non mi invita a sedere, si dirige verso la cucina, per poi ritornare qui con in mano due bicchieri, colmi di un liquido dal colore caramello. Me lo porge.
<< Bevi >>
<< No grazie. Non ho sete >>
Sorride e appoggia il bicchiere su una consolle. L’altro invece lo porta alle sue labbra inghiottendo tutto d’un fiato il liquore. Mi guarda e non accenna a togliersi quel fastidiosissimo sorriso dalle labbra.
<< Pensi che voglia farti ubriacare per poi approfittarmi di te? >> chiede beffardo.
<< Dovrei pensarlo? >> ribatto sfidandolo. Lui allarga le braccia in segno di resa e dice: << Se per te un bicchiere di tè alla pesca può portare un normale cristiano nel mondo della sbornia… >>
<< Perché mi hai fatto venire qui? >> lo interrompo.
<< Perché sei venuta? >> ribatte serio.
<< Cosa sono questi? Giri di parole?... sai perché sono venuta! Perché un certo maniaco bastardo, ha imparato durante questi quattro anni a mettere in atto minacce. Adesso capisco il motivo di quella scena perversa nel mio ufficio. Volevi ottenere qualcosa per tenermi in pugno, non è così? >>
<< Pensala come vuoi >>
“Che bastardo!” << Adesso sono qui, Castiel. Quindi che cos’hai intenzione di fare? >>
Lui poggia il suo bicchiere accanto a quello pieno e lentamente si avvicina a me. Non indietreggio, non devo fargli capire che voglio scappare da questa situazione: così incrocio le braccia al petto e lo guardo dritta negli occhi.
<< Che domande? Non farò assolutamente nulla che tu non voglia >> risponde con voce sensuale.
Sto per sospirare sollevata, ma quel respiro mi viene interrotto dal gesto repentino che ha Castiel. Mi afferra per un braccio, scaraventandomi sul divano più vicino a noi e si mette a gattoni su di me.
<< Che stai facendo? Non hai appena detto che non… >>
<< Sì, l’ho detto >> mi interrompe sorridendo malizioso << E infatti non sto facendo nulla che tu non voglia >> continua avvicinando la sua bocca alla mia, dischiudendomi le labbra con il pollice. Appoggia le sue e lentamente insinua la sua bollente lingua. Stringo gli occhi, cercando di oppormi a ciò che sto provando. Poggio le mani sui suoi bicipiti e lo spingo per distaccarlo da me.
<< Castiel… smettila… non voglio… >> balbetto tra un bacio e l’altro.
<< Perché menti? >> sibila lui, distaccandosi dalle mie labbra e raggiungendo il mio orecchio << Tu lo vuoi quanto lo voglio io, e stamattina me ne hai dato prova. È per questo che ho inscenato quella “perversione” come la chiami tu >> continua a sibilare facendomi rabbrividire di piacere, mentre porta lentamente la sua mano lungo le linee dei fianchi per fermarsi sulla giuntura dei pantaloni. Li sbottona, e docilmente insinua le sue dita all’interno.
<< M-mi hai… minacciata >> sussurro cercando di non soccombere al piacere che i polpastrelli mi stanno dando non appena hanno toccato il punto più sensibile del corpo femmineo.
<< Non avrei detto niente ad Armin… non sono diventato così bastardo >> risponde leccandomi il lobo dell’orecchio.
Nel sentire quelle parole, l’irritazione prende il sopravvento, con un colpo secco, affondo il mio ginocchio sui suoi attributi. Lo sento gemere di dolore, e piegarsi di più su di me. La sua mano fa fatica ad uscire dai miei pantaloni, e un po’ mi fa male. Lo spingo a un lato per liberarmi, facendolo cadere sul tappeto.
Continua a rannicchiarsi mantenendosi la sua parte virile, che sicuramente si sarà ritirata, dal dolore.
<< Ma che ca… >> cerca di parlare ma non ci riesce. Mi alzo dal divano e rimango in piedi, gradandolo verso il basso.
<< Che diavolo ti è saltato in mente di fare?! >> urlo con le lacrime agli occhi e tremando di rabbia << mi hai preso in giro fin dall’inizio? Mi avevi detto che non stavi giocando! E io ti ho preso in parola. Se non avresti detto niente ad Armin, allora per quale dannato motivo lo hai chiamato?! >>
<< Perché sapevo che avresti risposto tu >> risponde rialzandosi a fatica.
<< E se non fossi stata io a rispondere? >>
<< L’avresti fatto di sicuro >>
<< Castiel, sei peggio di quanto credessi >> digrigno girandomi e recandomi verso la porta.
<< E tu? >> mi ferma lui.
<< Io cosa? >> dico volgendomi minacciosa.
<< Cosa sei? >> chiede avvicinandosi ancora, bloccandomi alla porta << Stai con Armin, ma non perdi tempo a fremere sotto i miei tocchi, e sei anche venuta qui! >>
<< Io sono venuta perché credevo che… >>
<< No! Tu sei venuta perché smani dalla voglia di riavermi >>
Scuoto la testa iniziando ad ansimare.
<< Sì, invece… il tuo corpo non mente, ti sei eccitata prima ancora che io ti toccassi. Quindi non mentire >> sussurra afferrandomi le guance e stampandomi un bacio. Il suo corpo non perde tempo ad attaccarsi voglioso al mio, mi spinge con forza contro la porta, e inizia a denudarmi.
A che serve mentire? Lui ha perfettamente ragione. Anche se la mia mente non lo accetta, il mio corpo agisce al contrario. Mi sta massacrando di piacere, e non riesco a respingerlo.
<< Castiel, smettila, ti scongiuro >> sussurro tra gli ansimi.
<< Tu sei mia, Rea, e di nessun altro >> dice distaccandosi da me, ma mantenendomi bloccata alla porta. << Non sai quanto mi fa incazzare il solo pensiero di saperti fra le braccia di Armin; il solo pensiero che hai donato il tuo corpo a lui; e quel bambino… sarebbe dovuto essere mio >>
Trasalisco nel sentire quelle parole. Mi manca l’aria, e sento il bisogno di urlare.
<< Perché stai dicendo queste cose? >> chiedo tremante. Lui mi guarda titubante, si allontana lentamente. Rimango appoggiata alla porta, e lo guardo con le lacrime che si delineano sulle guance.
<< Cosa ne vuoi fare di noi? Di me? >> chiedo ancora << Castiel, sei venuto qui con il preciso scopo di riprendermi. Ma non hai pensato a cosa succederebbe? Adesso mi dici che se non mi fossi presentata non avresti detto niente ad Armin. E cosa avresti fatto, allora? Mi hai detto che stai facendo sul serio, e che mi riprenderai. Ti conosco Castiel, se non mi fossi presentata avresti trovato un altro modo. Ti stai comportando da egoista… all’inizio pensavo che se non mi fossi presentata, avresti commesso una sciocchezza, e le conseguenze le avrebbe pagate mio figlio. Mi sono chiesta: che cosa penserebbe il mio piccolo Etienne se venisse a sapere una cosa del genere?
Ma adesso mi chiedo: che diavolo sto facendo? A quest’ora dovrei essere accanto a lui nel suo letto a raccontargli uno dei suoi manga preferiti per farlo addormentare, e invece mi ritrovo a casa del mio ex, con l’intenzione di fare la madre poco di buono… Castiel, io ho un figlio. Tu hai una moglie >>
<< Non ricordarmelo, dannazione! >> urla scaraventando a terra i bicchieri che si frantumano in mille pezzi << ogni giorno che passa… >> continua adirato e ansimando << una goccia del mio sangue sale al cervello, facendomi imbestialire. Durante tutti questi anni mi sono maledetto da solo per aver permesso che te ne andassi; e ancora oggi, mi chiedo per quale fottuto motivo, quella sera rimasi imbambolato davanti alla finestra a vedere mentre ti allontanavi con il taxi >>
<< Lo sai benissimo perché l’hai fatto. Perché l’abbiamo fatto! >>
<< No, maledizione!! Io non lo so! Avresti dovuto rimanere al mio fianco e lottare per il nostro amore… >>
<< Vuoi scaricare la colpa su di me? >> chiedo allontanandomi dalla porta e stringendo i pugni tremante di rabbia << cosa cavolo credi che avremmo ottenuto? O ti sei dimenticato il modo con cui quel bastardo di tuo padre mi trattò?... >> prendo fiato, poi non riuscendo più a trattenere la rabbia scoppio in urla sfuriate << come cazzo credi che mi sia sentita, lasciandoti in quella maniera?! Senza poter agire in nostra difesa?... dici che non sai perché l’abbiamo fatto! Ti sei dimenticato che quello stesso giorno, Erich era frustrato! Ho rinunciato a te per non far soffrire quel bambino! Perché non avrei mai voluto immaginare che fine gli avrebbe fatto fare quel vigliacco se tu non avessi accettato di sposare quella sgualdrina! Ho rinunciato a molte cose per vedere un sorriso sull’espressione di quel bambino. Sto rinunciando ad ammettere che ti a… >> mi blocco di scatto iniziando a rendermi conto che la rabbia mi sta facendo dire cose che non dovrei neanche pensare.
Vedo Castiel sgranare gli occhi. Mi guarda incredulo, lo guardo smarrita.
<< Cosa? >> chiede con un sibilo.
<< Dimentica ciò che ho appena detto >> dico sfuggente, correndo verso la porta per uscire da quella casa. Lui mi chiama ma non mi fermo, corro con tutte le forze che ho nelle gambe. Per fortuna lui non riesce a raggiungermi.
Mi ritrovo a camminare lungo la riva del lago. Sfinita, e con le gambe che tremano dallo sforzo, cado sulla sabbia, piango sbattendo i pugni e sibilando tra i singhiozzi: << Castiel io ti amo >>.

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Capitolo 11
*** Non mi lasciare ***


11° capitolo: NON MI LASCIARE
 



Guardo davanti a me confusa, mi accorgo di avere il respiro affannato. Le testa mi scoppia senza pietà, e non riesco a sentire tutto il corpo.
Davanti a me vedo un’ombra bassa, la quale, man mano che le mie pupille iniziano a mettere ben a fuoco la visuale, mi accorgo che si tratta di mio figlio. Ha le braccia conserte e mi fissa con sguardo di rimprovero.
<< Cosa c’è? >> chiedo a fatica rivelando una voce a dir poco cavernosa.
<< Sei una snaturata! >> esclama lui. Sono senza lenti, ma mi accorgo comunque che ha gli occhi lucidi.
<< Chi ti ha insegnato que… >>
<< Ti rendi conto che sono tre giorni che sei a letto con la febbre alta? >> mi interrompe lui con voce tremante << Ci stai facendo preoccupare tutti! >>
<< Etienne… >> mormoro cercando di mettermi a sedere sul letto, ma la debolezza me lo impedisce << non dovresti essere qui, ti contagerò la febbre >> concludo sospirando esausta.
<< Non me ne importa! >> ora piange. Lo guardo con tenerezza, voglio accarezzarlo e stringerlo fra le mie braccia, ma ho sempre timore di attaccargli la febbre.
<< Io… >> continua abbassando la testa per non far vedere il suo volto rigato dalle lacrime << io… ho avuto tanta paura, mamma >>
<< è solo febbre >>
<< No! Non per questo… quando l’altra sera sei ritornata a casa, sei svenuta sull’uscio della porta, e io ho avuto una gran paura >> dice tra i singhiozzi. Ho fatto fatica a capire quello che ha detto ché ha parlato lagnandosi, ma poi ho concepito: sono svenuta? E adesso mi sto ricordando la sera passata a casa di Castiel. “Cavoli… sono già passati tre giorni… che cosa sarà successo?” mi chiedo, ma non sono solamente io a chiedermelo, anche Etienne lo fa. Lo guardo smarrita.
<< Come? >>
<< Ho detto, cos’è successo? Perché ti è venuta la febbre? >>
<< H-ho preso freddo >> rispondo indecisa. Lui si asciuga le lacrime, con le maniche della maglia, e sniffa impedendo alle altre di uscire.
<< Mammina, ma adesso ti senti bene? >> chiede dolcemente ritornando a guardarmi. Annuisco sorridendo.
<< Bugiarda! >> esclama lui spiazzandomi << Hai ancora gli occhi lucidi? Questo significa che hai ancora la febbre >>
“Rea… ma sei sicura di averlo concepito con un umano?”, è il mio avatar mentale a chiedermelo, e io non rispondo, perché, veramente, questo bambino mi fa dubitare della razza umana. Lo vedo avvicinarsi molto di più, allunga la mano verso il mio viso, e l’appoggia sulla mia fronte, stringe le labbra corrugando le sopracciglia, accingendosi a pensare. In confronto alla mia temperatura corporea, la sua pelle è molto più fresca. Socchiudo gli occhi sentendomi al sicuro con quel suo dolce tocco.
<< Mhm… dovresti avere almeno cinquanta gradi >> dice lui convinto, togliendo la mano. Sbuffo un sorriso aprendo gli occhi e tornando a guardarlo divertita.
<< Ma che dici? Al massimo, si arriva a quarantadue >>
Mi fissa titubante prima di rispondermi, poi dice: << Mi sa che dovrò fare quattro chiacchiere con Jean... sapevo che mi stava mentendo. Quel bambino è davvero insopportabile >>
Jean è il suo compagno di asilo, e quando giocano insieme sono come l’acqua e il fuoco. Non vanno per niente d’accordo.
Bussano alla porta. << Avanti! >> dice lui. Ad entrare, è Armin, che guarda prima me, poi volge lo sguardo verso Etienne.
<< Ehi, che ci fai qui? Ti avevo detto di non entrare, non vorrai prenderti anche tu la febbre >>
<< Ma papà, ero preoccupato! >> esclama Etienne, dirigendosi alla porta.
<< Ok, ma adesso, vai >> mormora Armin, sorridendo.
<< Uffa! >>. Etienne esce, lasciandomi da sola con Armin, il quale, non appena nostro figlio chiude la porta, si avvicina a me, sedendosi sul letto e accarezzandomi il viso.
<< Stai meglio? >>
<< Non tanto… >> rispondo << sento ancora di avere la febbre >>
<< Rosalya, ha dormito qui in questi tre giorni. Ha detto che si sente in colpa, ma non sono riuscito a capire di cosa >>
Non rispondo, percepisco solo un lieve sussulto che si fonde ai veloci battiti che il mio cuore a causa della febbre. Armin mi guarda come se stesse aspettando quella risposta, ma io volgo lo sguardo da una altra parte, e fingo di tossire.
<< Ci stai pensando tu ad Etienne? >> chiedo chiudendo gli occhi.
<< è tutto a posto >>
Sbuffo << Spero solo che domani questa maledetta febbre mi passi >>
<< Sei preoccupata per il liceo? >>
<< Anche >>
<< Non preoccuparti, d'altronde, adesso c’è Castiel >>
Sgrano gli occhi sentendomi mancare un battito, guardo di scatto Armin, accorgendomi che ha una strana espressione.
<< Cos’è quella faccia? >> chiede << Non dirmi che non lo sapevi? >>
<< S-sì, c-certo che lo sapevo… ho dimenticato di dirtelo… zia Camille, gli ha ridato il posto di preside delegato >> rispondo cercando di mantenere la calma, e non tradirmi.
<< Quindi, che ti preoccupi a fare? Adesso c’è lui e tu puoi anche prenderti una pausa >>
<< Non dire fesserie >> rispondo quasi sgarbata senza accorgermene << Sai che ho un contratto. Anche io sono la preside delegata >>
Armin si alza, ciondolando le braccia << allora, spero che ti riprenda presto >> dice serio.
Perché adesso si comporta in questa maniera? Non penso che Rosalya gli abbia detto qualcosa. Oppure, che forse sia stato Castiel a raccontargli tutto, dato che uscii da casa sua e non ritornai indietro?... no, non può essere. Allora perché fa così?
D'altronde mi merito questo ed altro, lo stavo per tradire. L’ho tradito, ché ammetto di non provare per lui, ciò che provo ancora per Castiel.
Maledizione! Mi sto autoflagellando la vita in questa maniera.
Chiudo gli occhi cercando di non pensarci, in fondo ho ancora la febbre, e non voglio peggiorare la mia mente con questi pensieri. Si vedrà quando farò ritorno al liceo.
<< Rea? >> chiama Armin prima di uscire.
<< Dimmi? >> chiedo con voce flebile, senza aprire gli occhi.
<< Se ti dicessi… di abbandonare il liceo, lo faresti? >> ribatte incerto.
Non rispondo, non ho alcuna reazione, non apro neanche gli occhi, deglutisco a fatica, ché una richiesta del genere. L’unica cosa che mi accingo a fare, e far riecheggiare il mio respiro nell’aria per fargli capire che sto dormendo anche se per finta. Lui esce chiudendo la porta. Appena percepisco il rumore del tonfo, spalanco gli occhi, che bruciano. Mi giro lentamente su un lato, tirandomi le coperte fino a coprire la testa.
“No Armin, non chiedermi questo!... non posso abbandonarmi a questa dannata situazione. Quattro anni fa, feci una promessa. Quella che non sarei scappata, ma che avrei affrontato tutto ciò che il destino mi scaraventava contro. E anche adesso voglio scoprire cosa mi riserba il fato. Se mi arrendo so che me ne pentirei amaramente”.
Provo a riaddormentarmi, ma qualcosa mi interrompe. È la vibrazione del cellulare. Mi giro verso il comodino, e prendo l’oggetto in movimento. Una chiamata. Un numero. È lui. inizio a tremare sentendomi il cuore in gola. Mi inizia a girare la testa. Che diamine faccio? Rispondo o no?
Mi convince l’insistente vibrazione. Chiudo gli occhi e sfioro sul touch la cornetta verde.
<< P-pronto >>
<< Finalmente ti fai viva! >> risponde lui incazzato.
<< Cosa vuoi? >> chiedo un po’ irritata.
<< A che cavolo stai giocando? >>
<< Che dici? >>
<< Non fare la finta tonta… sono tre giorni che provo a chiamarti e fai rispondere sempre Armin. Che succede? Gli hai detto qualcosa? >>
“Ecco perché Armin si sta comportando in questo modo!” << Ho soltanto la febbre… tu piuttosto, che diavolo ti salta in mente? Cosa hai detto ad Armin! >>
<< Idiota! Non ho detto un bel niente! Ogni volta che rispondeva lui, chiudevo la chiamata! >>
<< Complimenti genio!... ti informo, che Armin ha già capito qualcosa >>
<< Meglio così, no? >>
<< Ma che cazzo dici? >> “ma che cazzo sto dicendo io?! Sembra una chiamata tra amanti!”
<< Non cercare ancora di svignartela con le tue solite scuse demenziali!... ho inteso bene le tue parole dell’altra sera, anche se dette a metà >>
<< Non so di cosa tu stia parlando! >>
<< Non prendermi per il culo, Rea! Sono stanco di questa situazione… e questa volta non sto scherzando >>
<< Quindi ammetti di aver giocato fino ad adesso! >>
<< Tzé… diciamo che è stato un riscaldamento >> risponde beffardo. Inizio ad innervosirmi, e sento che questa conversazione mi sta facendo passare la febbre, perché ho una carica e una voglia matta di da lui e prenderlo a pugni.
<< Smettila Castiel, ti avevo detto di dimenticare… >>
<< Mi dispiace… >> mi interrompe lui << ma sul mio vocabolario, la parola dimenticare non esiste >>
Deglutisco a fatica, dopo aver sentito quelle parole.
<< Guarisci presto amore mio >>
Chiudo la chiamata sbattendo il cellulare sul materasso. Guardo il soffitto, e rimanere stesa, mi è insopportabile. Sto sudando e sento calore ovunque. Con un sol gesto mi libero dalle coperte, e mi alzo. Esco dalla camera, e mi chiudo in bagno. Devo rinfrescarmi le idee. Apro l’acqua nella doccia, e spogliatami, mi ci infilo sotto, permettendo a quella pioggia di picchiettarmi la testa.
Quando finisco, mi dirigo giù in soggiorno, dove vi trovo Rosa che gioca con il mio Etienne. Quest’ultimo è il primo a vedermi e alzatosi dal tappeto si avvicina esclamando << Mamma! Ti senti bene? >>
Sorrido come risposta. Vedo Rosalya alzarsi dal divano e raggiungermi. Mi afferra le mani e mi guarda con occhi sognanti: << Rea! menomale, ti sei ripresa? >>
<< Un po’! >>
<< Ehi, bella! Cerca di riprenderti del tutto! La prossima settimana mi sposo, e se tu non sei presente, mando a monte tutto! >>
<< Andiamo non esagerare. Dovresti preoccuparti di Lysandro, con la speranza che si ricordi del matrimonio >> dico sarcastica.
<< Stai insinuando qualcosa? >> chiede lei guardandomi sott’occhio.
<< Assolutamente… sì >> rido.
<< Ok, stai ancora male, quindi non ti tocco >> ride anche lei << anche se devo ammettere che adesso mi stai facendo preoccupare. Ho dimenticato che il mio Lys si dimentica facilmente le cose… sai che ti dico? Adesso vado a casa e cerco di inculcargli il matrimonio nella mente >>
Dice raggiungendo la porta e andandosene. La guardo sorridente, poi mi guardo in giro in cerca di Armin.
<< Etienne? >>
<< Mhm? >> risponde lui continuando il suo gioco.
<< Dov’è papà? >>
<< Ha detto che aveva da fare. È uscito un momento >>
Faccio spallucce, recandomi in cucina sentendo un leggero languorino.
Ho ancora qualche linea di febbre, ma poco conta, mi metto a preparare qualcosa da mangiare.
Etienne e io abbiamo cenato da soli, poi l’ho messo a dormire. Ora mi ritrovo seduta sul divano del soggiorno chiedendomi perché Armin non arriva ancora. Sono quasi le undici, e mi sto preoccupando. Ad un tratto ho una sensazione di angoscia, e se per caso ha capito davvero tutto? Stringo gli occhi cercando di scacciare quel brutto pensiero che si sta formando nella mia mente. Quando sento aprire la porta di entrata. Balzo dal divano, guardando in quella direzione. Vedo Armin entrare. In penombra non riesco a vedere il suo volto.
<< Armin, sei tornato… dove sei stato? >> chiedo alzandomi e avvicinandomi a lui. Non mi risponde, riesco a vedere la sua espressione, sembra afflitto. << Etienne sta dormendo, vuoi che ti prepari la cena? >>. Nessuna risposta, allora, senza aggiungere altro, mi giro per raggiungere la cucina, ma ad un tratto sento afferrarmi, per poi essere avvolta di spalle dalle sue forti braccia. Sento il suo mento poggiarsi sulla spalla e percepisco il suo respiro affannato.
<< A-Armin cos’hai? >> chiedo con un sussurro.
<< Ti prego Rea, non mi lasciare >> sibila lui con voce rauca.
Sgrano gli occhi, sentendo mille spilli trafiggermi il cuore.

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Capitolo 12
*** Impazziti ***


12° capitolo: IMPAZZITI        
 



“Non mi lasciare… non mi lasciare…”
È da ore che ormai questa frase, mi rimbomba nelle orecchie. Che cos’è successo? Anzi che cosa sta succedendo?
Non riesco a chiudere occhio, sono sul letto, sdraiata su un fianco rivolta verso l’immagine di Armin. Ha gli occhi chiusi e sta dormendo beato. Ripenso a ciò che è successo qualche ora fa. Non l’avevo mai visto così. Mi ha pregato con le lacrime agli occhi di non lasciarlo. Mi sono sentita morire, nel sentire quelle parole. Naturalmente, per tranquillizzarlo ho fatto la gnorri, dicendogli che forse gli avevo attaccato la febbre, lui allora è salito in camera senza dire niente e l’ho trovato addormentato.
Lo guardo con dolcezza, come potrei lasciarlo? È stato lui a salvarmi dal baratro, e anche se non lo amo, provo un grande affetto nei suoi confronti.
Sbuffo infastidita, voltandomi dall’altro lato, e rivolgendo lo sguardo verso l’alba. Mi chiedo se ciò che sto provando e sto facendo sia giusto, se il non amarlo sia giusto. Ma d’altronde cosa ci posso fare? Non sono io che comando i miei sentimenti. Maledetto pervertito! Che diavolo sei tornato a fare? Se non ci fossi, le cose sarebbero andate a gonfie vele.
I primi raggi del sole stanno colpendo i miei occhi, stringo lentamente le palpebre, e un ennesimo pensiero m’invade. Perché devo anche mentire a me stessa? Io aspettavo il suo ritorno, lo aspettavo con tutta l’anima. Lo aspettavo perché… no, no, no, no dannazione! Con questo atteggiamento del cavolo, ferirò molte persone, Armin in primis. Sono stata io a voler questo, adesso non posso tirarmi indietro; l’unica cosa da fare, è andare a scuola e mettere in chiaro le cose come stanno… e come starebbero? Dovrei dirgli la verità e cioè che lo amo e che lo desidero e anche che aveva ragione…? No, non posso! Come cazzo faccio?!
Il suono della sveglia mi desta da quei pensieri. Allungo la mano e la spengo. Mi metto a sedere sul letto, Armin si gira su un fianco dandomi le spalle.
Sbadiglio e mi stiracchio. Scendo giù in cucina e preparo la colazione per tutti e tre, poi risalgo per lavarmi. Sono le sette e mezza tra pochi minuti dovrò lasciare la trincea, ma prima, voglio salutare il mio amato Etienne come si deve. Entro nella sua camera. Il suo modo di dormire mi sorprende sempre: alle volte lo trovo avvinghiato al suo cuscino, altre volte, accovacciato dalla parte opposta del letto coperto fin sopra i capelli, ma questa volta si trova di pancia in giù, con la testa rivolta verso la mia direzione e con le braccia e le gambe spalancate, intento ad abbracciare l’intero materasso. I suoi capelli corvini sono tutti scompigliati.
Sorrido, mi inginocchio verso di lui e gli accarezzo lentamente il viso facendo attenzione a non svegliarlo. Com’è dolce, se fossi stata un cannibale lo avrei mangiato in un sol boccone, ma siccome sono normale (almeno in quello), mi limito a mangiarlo di baci.
Dopo questi anni, vederlo ogni volta, non riesco ancora a credere che questa creatura tanto innocente quanto intelligente, sia mio figlio.
Mi avvicino al suo volto e gli stampo leggermente un bacio sulla fronte << Ti voglio bene Etienne >> sussurro, poi mi rialzo, recandomi alla porta e uscendo. Scendo velocemente le scale, afferro la borsa dalla poltrona e mi accingo a raggiungere la porta.
<< Vai via? >>. Trasalisco nel sentire quella voce alle mie spalle. Mi giro incrociando lo sguardo glaciale di Armin.
<< Ehi, non ti avevo visto… sì vado, è già tardi >>
<< Vuoi che t’accompagni? >>
“Cosa? Questa è la prima volta che lo chiede” << E con Etienne chi rimane? >> ribatto sorridendo. Lui mi fissa serio. << C’è qualcosa che non va? >> chiedo atteggiandomi ad ingenua.
<< Nulla >> risponde secco.
Esito, ma poi mi abbandono all’istinto, lo raggiungo e afferratogli il viso tra le mani, premo le mie labbra sulle sue, con questo gesto voglio fargli capire che, almeno lui può stare tranquillo. Mi accorgo che non ricambia, strano.
<< Ci vediamo dopo >> sussurro sulle sue labbra.
<< Sì >> sibila appena lui.
Esco, raggiungo il liceo dopo pochi minuti. I mocciosi sono ancora tutti in cortile ad aspettare il suono della campanella. Mi inoltro in mezzo a quella mandria di schizzati, intenta a raggiungere il portone. Quando vengo bloccata per un braccio. Mi giro di soprassalto.
<< A-Alain!... che spavento! >>
<< Ciao preside… >> risponde lui sorridendo malizioso.
<< Che vuoi? Lasciami il braccio, non vedi che ci sono gli altri? >>
<< Non sto facendo nulla di male. Volevo solo parlarti >>
<< Cosa vuoi? >> chiedo infastidita.
<< Vieni con me >> sussurra tirandomi la mano, dirigendosi all’entrata dell’istituto. Cerco di liberarmi, ma quella presa è troppo stretta.
<< Alain, lasciami maledizione, ma che diavolo ti prende? >> esclamo a denti stretti.
In un battito di ciglia, mi ritrovo nel mio ufficio. Qui, mi lascia la mano, e chiude la porta.
<< Si può sapere che cavolo… >>. Lui mi interrompe abbracciandomi e stringendomi forte a se. Riesco a sentire i suoi frenetici battiti che sembrano esplodergli in petto. << Alain… >> provo a dire, ma lui mi zittisce stringendo la presa.
<< Alain così mi soffochi >>
<< Ti prego, non parlare >>
<< Ma cos’hai? >> chiedo, iniziando ad incuriosirmi.
<< Mi sei mancata >> sussurra appena. Sgrano gli occhi non riuscendo a credere a ciò che ho sentito. Cerco per l’ennesima volta di respingerlo gentilmente, ma lui non ne vuole sapere.
<< Ma che ti prende, sono mancata solo tre giorni >>
<< Per me è come se fossero un’eternità >>
<< Alain, potrebbe entrare qualcuno… e poi, non ti avevo vietato di comportarti in questa maniera con me? >>. Non risponde. Rimane così, iniziando ad accarezzarmi i capelli. << Dimmi la verità… >> riprendo << è successo qualcosa? >>
<< Tu promettimi che qualunque cosa accada affronterai tutto a testa alta >>
“Ma che diavolo sta dicendo? cosa cavolo dovrebbe succedere?” provo a chiederglielo, lui invece di rispondermi, scioglie la sua presa su di me.
Succede tutto in un millesimo di secondo, non ho neanche il tempo di reagire. Alain, mi afferra il viso e poggia le sue labbra sulle mie, riuscendo a togliermi quasi il fiato. Sgrano gli occhi allibita e frastornata da quella situazione. Non posso credere che abbia avuto il coraggio di arrivare a tanto. Raccolgo tutte le forze e riesco a respingerlo, mollandogli uno schiaffo.
<< Che cazzo hai fatto?! >> esclamo portandomi la mano alla bocca e fulminandolo con gli occhi. Lui china il capo. I ciuffi di cioccolato gli coprono lo sguardo, ma dalle labbra riesco a capire che è serio.
<< Alain, ti rendi conto… >>
<< Ti amo! >> m’interrompe esclamando.
<< Cos… cosa? >> chiedo scioccata.
<< Ti amo >> ripete lui più silenziosamente.
<< Alain… >>
<< Sta attenta a chi ti sta intorno >> conclude dandomi le spalle e uscendo dall’ufficio.
Rimango frema, ghiacciata da ciò ch’è appena successo, non riesco ancora a concepire la realtà dei fatti, e intanto le labbra palpitano ancora dal tocco di quel bacio dato così, a bruciapelo.
Io avevo sempre creduto che Alain con me stesse giocando, perché è sempre stato un moccioso pervertito, perché nelle sue vene scorre a fiume il sangue di suo cugino, ma non mi sarei mai e poi mai aspettata una confessione del genere.
Ha detto che devo stare attenta, ma perché, cos’altro sta succedendo? Dannazione! Non dovrei preoccuparmi, ho già tanti pensieri e problemi che si aggirano indisturbati attorno a me. Alain, maledizione non ti ci mettere anche tu!
Ad un tratto la porta si apre. Trasalisco come un ladro colto con le mani nel sacco. È Castiel, ci mancava anche lui.
Mi guarda sorpreso, poi entra e chiude la porta.
<< Guarda un po’ chi c’è >> esclama con sorpresa << Non pensavo saresti venuta presto, passata la febbre? >>
<< Hai anche il coraggio di chiederlo? È per colpa tua se mi è venuta >> dico facendo il giro della scrivania e sedendomi sulla sedia.
<< Nessuno ti disse di andartene. Sapevi benissimo che c’erano tante stanze al piano di sopra >>
<< Ah-ah >> rido beffarda << Caso mai, avrei accettato la tua >>
<< Era sempre una scelta >>
<< Castiel piantala, non ho voglia di cazzeggiare con queste tue perversioni >>
<< Neanche io >> dice indifferente raggiungendo l’armadietto. Rimango allibita. Che gli prende?
<< E non ho neanche voglia di difendermi dalle tue avance >> continuo facendo finta di niente.
<< Non preoccuparti, non voglio fare assolutamente niente >>
Questa risposta mi spiazza completamente. D’istinto mi alzo, apro la finestra e odoro l’aria. Che qualcuno abbia acceso un falò di tutte le erbe con alti effetti stupefacenti? Che diavolo gli prende a tutti?
<< Che cavolo stai facendo? >> mi chiede. Chiudo la finestra, e sempre istintivamente mi avvicino a lui, il quale mi guarda con le sopracciglia inarcate.
<< Di un po’? >> chiedo guardandolo sottocchio << Non è che ti sei fumato qualcosa? >>
<< Tzè… e tu, sei per caso ubriaca? Ma che stai dicendo? >>
<< Mhm, siete tutti troppo strani, per i miei gusti… prima Armin, poi tuo cugino… >>
<< Mio cugino? >> chiede curioso << Che c’entra mio cugino? >>
“Che sia questo il motivo per cui mi ha detto che devo stare attenta alle persone che ho intorno?” mi chiedo senza fare caso alle parole del rosso.
<< Allora? >>
<< Niente… non c’entra niente >> rispondo secca.
Lui fa spallucce e ignorandomi completamente, va a sedersi al mio posto.
<< Ehi, non ti ci affezionare >> esclamo con aria minacciosa. Lui sorride e inizia a lavorare al computer.
Che strano, e io che pensavo di dover subire qualche altra perversione. Per giunta ho indossato questi jeans talmente difficile da togliere che se ci sto ancora a pensare, sono convinta di farmi un problema, quando ritorno a casa.
Non dovrei ammetterlo, ma ci sono rimasta un po’ male. Ah Rea! stai diventando una poco di buono! Bell’esempio che darai a tuo figlio un domani.
Sento bussare alla porta e quel rumore mi distrae totalmente da questi pensieri. È Castiel a dare il permesso, la porta si apre, ed entra il professor Faraize con Alain.
Oh no. Cos’altro ha combinato?
<< Signora preside! >> esordisce il professore, chiudendo la porta. Essere chiamata così dal mio professore mi fa uno strano effetto, ma al solo pensiero di sapere che è un mio subordinato, mi fa sentire quasi onnipotente.
<< Cosa c’è professore? >> chiedo sospirando, conoscendo la risposta.
<< Ho dovuto portavi Alain, è impossibile fare lezione >>
<< Cos’ha combinato? >> chiede serio Castiel.
<< è imbarazzante per me dirlo, ma durante le lezioni, molesta le ragazze! >>
Istintivamente, guardo Castiel per vedere la sua espressione. Sembra voler bruciare suo cugino soltanto con gli occhi.
<< Può andare professore >> dice ad un tratto << tu rimani qui, Alain >>
Il ragazzo fa una smorfia, sedendosi sulla sedia atteggiandosi a indifferente e incrociando le mani dietro la nuca.
Non mi ha guardato, non ha lanciato i suoi soliti sguardi maliziosi. Il professor Faraize se n’è andato.
Castiel continua a guardare suo cugino con aria minacciosa. Io invece comincio a preoccuparmi, semmai lo volesse picchiare. Dal rosso ci si può aspettare di tutto.
<< Alain che cosa hai fatto? >> chiede spezzando il silenzio.
<< Mhm, il professore esagera sempre… ho solo accontentato la mia compagna di banco >>
<< Che le hai fatto? >> chiedo io, curiosa della risposta.
Senza guardarmi, risponde sbuffando un sorriso << Voleva pomiciare, mi stava assillando da giorni, sembrava una gatta in calore e io l’ho accontentata >>
“Che grandissimo pervertito!... e dire che pochi istanti fa se n’è uscito con quella sceneggiata… ma come diavolo si fa?”.
Ad un tratto vedo Castiel alzarsi dalla scrivania e avvicinarsi al cugino. “Adesso sì che sei nei guai Alain” penso vittoriosa, preparando il mio sorriso di compiacimento.
Il rosso gli si piazza davanti. Alain lo fissa beffardo, standosene spaparanzato sulla sedia. L’espressione di suo cugino non promette nulla di buono, ed è in quel preciso istante che sicura di sentire riecheggiare nell’aria il rumore di un cazzotto, Castiel mi spiazza, scoppiando a ridere e aggiungendo: << L’hai davvero fatto? >>
“No, no ci posso credere!” sento frantumarmi in mille pezzi. Eppure avrei dovuto immaginarmi una scena del genere! Ma che diavolo!
<< Certo che l’ho fatto! >> afferma fiero Alain << Credevi che non ne avrei avuto il coraggio? >> chiede alzandosi e raggiungendo la porta.
<< Sono fiero di te cuginetto >> esclama Castiel alzando il pollice.
Alain si ferma, si gira guardando prima me, poi sorridendo si volge verso suo cugino e mormora << E saresti ancora fiero se ti dicessi che ho assaggiato la preside? >>
Sentendomi il cuore mancare un battito, volgo istintivamente gli occhi verso Castiel, che repentinamente ha cambiato espressione sul suo volto.

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Capitolo 13
*** L'arrivo dei segreti ***


13° capitolo: L’ARRIVO DEI SEGRETI
 



Ci sono momenti in cui il cuore di qualsiasi persona, arriva a pompare molto sangue. Quest’ultimo che percorre inesorabile tutte le vene, arriva ad affollare quelle del cervello, ed è lì, che non riuscendo a contenere tutta quella quantità di liquido scarlatto, scoppia, facendo reagire l’umano in diverse fasi di nervosismo.
Tutto questo viene racchiuso in tre semplici parole, formate da un verbo, un articolo e un complemento oggetto: PERDERE/ LA/ PAZIENZA.
E a me, è appena successo. Ma dico io: come diavolo si fa, che a ogni loro ragionamento ci debba andare di mezzo la sottoscritta?
“Ho assaggiato la preside”. Spudorato pervertito che non sei altro! Ma non si rende conto di ciò che ha detto? Mi ha assaggiata. Tzé, quindi tutte quelle parole, sono state dette per farmi abbassare la guardia e stamparmi quel bacio? E mi ha anche detto ti amo! Questo significa che è stato solo un gioco. Alain, non si gioca con queste cose. Sicuramente avrà fatto una scommessa con suo cugino.
Guardo quest’ultimo, prima di scoppiare del tutto, e noto che lo sta ancora fulminando con gli occhi. Siccome sento che presto o tardi, succederà qualcosa di irreparabile, decido di esplodere per prima. Faccio un passo in avanti e cerco di prendere la parola, ma mentre la mia bocca sta per esprimere la sua, Castiel mi ferma.
<< Torna in classe Alain >> dice secco.
“Torna in classe Alain?”, ma che ca…? Subito uno dei miei pensieri idioti sovrasta la mia mente: Per caso, durante il periodo di febbre, sono stata catapultata nel mondo parallelo Edolas, dove i nostri alterei sono totalmente diversi? (come al solito, troppe notti passate in bianco a leggere Fairy Tail).
Miseriaccia, Castiel! Ma non vedi che ti ha lanciato una sfida bella e buona?!... un momento, ma questa non sono io, dovrei essere sollevata per come si stanno mettendo le cose, e invece… decido di tacere, e forse è la cosa migliore. Guardo Alain, che sembra non essere soddisfatto della risposta di suo cugino, lo guarda male, e tenendo lo sguardo sempre su di lui, apre la porta dicendo: << Mi deludi Castiel >>
<< Va via Alain >> ripete il rosso andandosi a sedere dietro la scrivania. Alain non aggiunge nient’altro, esce sbuffando un sorriso e sbattendo la porta. Ho un lieve sussulto, ma ciò non mi impedisce di rimanere allibita.
<< Togliti quell’espressione dal volto! >> esclama Castiel. Mi volto verso di lui, inarcando le sopracciglia. << Sembri un’idiota >> aggiunge con un sussurro, mentre volge gli occhi verso il monitor.
<< Si può sapere che diavolo vi prende? >> chiedo spazientita.
<< Che vuoi dire? >>
<< Tzé… Castiel, ma mi state prendendo per un imbecille? >> ribatto mettendomi di fronte a lui << Che cos’era quella reazione? >>
<< Volevi vedere i muri schizzati di sangue? >> chiede sorridendo beffardo.
<< Ma che dici?... sto parlando del fatto che non l’hai ripreso per ciò che ha fatto! >> mento. In realtà sì, voglio sapere per quale motivo non ha dato segni di gelosia.
<< Non ha fatto nulla di male, come ha detto lui, ha solo accontentato la sua compagna di banco >> risponde indifferente.
<< Oddio!... voi mi farete diventare pazza! >> esclamo adirata, incrociando le braccia al petto e dandogli le spalle. << Non so davvero per quale motivo rimango sempre zitta in situazioni come queste?... sarebbe stato meglio se lo avessi ripreso io! >>
<< Sarebbe stato meglio se la prossima volta, mantenessi la guardia >> mormora.
<< Che cosa vuoi di… >> esclamo girandomi verso di lui, e interrompendo la frase, ritrovandomelo a due passi. Come diavolo ho fatto a non sentirlo?
Mi guarda serio, i suoi occhi scendono giù, attuando la solita scansione ottica, e si fermano sul petto.
<< Fin dove è arrivato? >>
<< Cosa? >> chiedo come un’idiota.
<< Fin dove ti sei fatta assaggiare? >> ribatte ritornando a inquadrare i miei occhi.
<< Ehi, che intendi dire con “ti sei fatta”? Mi ha preso alla sprovvista, io non glielo avrei mai permesso! >> rispondo fiera.
Lui sorride, poi velocemente mi afferra per il polso, mi tira a se, avvinghiando il mio corpo con le sue braccia. Mi ritrovo con le mani sui suoi pettorali e il mio viso parallelo al suo. Guardo istintivamente i suoi tempestosi occhi, sembrano un uragano pronto per travolgermi; e intanto il suo respiro che si espande sulla mia pelle, mi fa rabbrividire.
Esito per qualche istante, poi, contro il mio volere, provo a respingerlo.
<< Non iniziare Castiel >> mormoro un po’ dispiaciuta. Lui non fa resistenza, al contrario, scioglie la sua presa, respingendomi dolcemente. Rimango più allibita di quando ha parlato all’inizio.
<< Ti ho detto che non ho intenzione di fare niente >> mormora serio.
<< Ma… >>
<< Volevo una conferma >> conclude ritornando a sedersi.
Stringo i pugni iniziando a tremare, e prima che per davvero i muri vengano sporcati di sangue, mi dirigo alla porta ed esco sbattendola. Percorro il lungo corridoio e mi fermo a metà strada cercando di calmarmi. “Non voglio che mi vedano in questo stato e inizino a fare domande!... che razza di gioco è questo? Veramente vogliono farmi impazzire?... adesso basta, non solo sto prendendo in giro Armin, ma sto cadendo in qualche trappola perversa con tanto di cartello che la indica… va a farti fottere Castiel, tu e tuo cugino!”
<< Rea? >>. Sento chiamarmi.
<< Che c’è?! >> urlo girandomi con occhi infuocati, che subito si spengono non appena incrocio l’immagine di un Nathaniel che sembra essersela fatta sotto dal mio grido. << Scu-scusami Nathaniel >> rimedio, abbassando la voce e accennando un sorriso, << Hai bisogno di qualcosa? >> chiedo.
<< B-beh… le… le carte per la visita guidata sono pronte… vuoi controllare? >>
<< Sì certo >> “Meglio, così potrò distrarmi un po’”.
Insieme ci rechiamo nella sala delegati. Qui vi trovo una Melody, seduta dietro un banco, con il capo chino e le mani giunte in avanti. “Ma che diavolo sta facendo?”. Allungo un po’ la testa, sicura di trovarle un rosario in mano, ciò che scorgo è un cellulare. Non ci ha sentito entrare e me ne accorgo dalla reazione che ha non appena la chiamo. Trasalisce facendo saltare il cellulare dalle sue mani, che prontamente lo riafferrano per rimetterlo furtivamente a posto nella tasca della sua gonna. La fisso incuriosita. Lei ricambia un po’ spaventata. “Che stia facendo le corna a questo cherubino?... che domanda idiota, ma se non stanno neanche insieme?”.
<< Ah, R-Rea… co-come mai sei qui? >> chiede balbettando incerta.
<< Sono venuta a controllare se stavate lavorando, ma vedo il contrario… >> scherzo, senza farmene accorgere. La vedo deglutire con fatica. << Sto scherzando Melody >>
Sospira sollevata. Faccio una smorfia indifferente. Sicuramente ci deve essere nell’aria qualche sostanza stupefacente.
Non ci faccio più caso, controllo le carte e quando ho finito, saluto i due segretari ed esco, ma Melody mi chiede di aspettarla. Ci ritroviamo nel corridoio, e camminiamo una di fianco all’altra.
<< C’è qualcosa che devi dirmi, Melody? >>
<< No, cioè, sì… a dire la verità… mi chiedevo per quale motivo non sei venuta questi giorni? >>
<< Ho avuto la febbre >>
<< Ah >> esclama con uno strano tono, sembra essere dispiaciuta, ma non ne capisco il motivo.
<< Perché? >> chiedo.
<< N-no, niente >> balbetta.
Ma cosa le prende a quest’altra, è davvero troppo strana. Cerco di ribattere per saperne di più, ma dei rumori in fondo al corridoio catturano la mia attenzione. Volgo lo sguardo, vedendo da lontano due corpi che se le danno di santa ragione, uno cade, mi fermo mettendo bene a fuoco l’immagine anche se non mi serve farlo, perché ho già capito al volo di chi si tratta.
<< Alain! >> esclamo, e senza curarmi ulteriormente di Melody, inizio a correre verso di lui per fermarlo. Qualcuno però, anticipa le mie mosse. Rallento, vedendo Castiel afferrarlo per un braccio, scuoterlo, e trascinarlo con se. Stanno andando verso il mio ufficio. Questa volta, non la passa liscia. So che il cugino non gli farà assolutamente niente, e allora decido di provvedere io. M’incammino decisa, e non appena sono a due passi dalla porta, mi accorgo che quest’ultima è di poco socchiusa, sto per aprirla ma le voci all’interno, inspiegabilmente, mi bloccano.
<< Ma si può sapere che diavolo ti prende? >> è la voce di Castiel.
<< Assolutamente niente >> risponde Alain secco.
<< Alain, non puoi andare avanti così >>
<< E allora perché mi dai una punizione? >>
<< Smettila >>
<< Tzé… di che cosa hai paura? Anche se sono tuo cugino, te ne dovresti fregare! E invece che fai? Mi tratti come quei figli di papà, che non si possono contraddire! >> urla Alain.
<< Smettila di urlare >>
<< Me ne fotto!... Castiel smettila di fare il coglione, e trattami come mi hai sempre trattato! Posso accettare il comportamento di Rea che non mi punisce mai, perché non sa nulla, ma non posso accettare anche questo da te. Tu lo fai perché… >>
<< Piantala Alain! >> urla Castiel, interrompendolo.
Sento il moccioso ridere << Ho capito… >> dice << sei come loro. Sei solo un vigliacco bastardo. Solo perché sai la mia situazione fai finta di niente. E ne ho avuto la conferma quando ti ho detto di aver assaggiato Rea. il vero Castiel mi avrebbe preso a pugni! >>
“Ma di che situazione parla?”
<< E se ti dicessi che ho intenzione di portarmi a letto Rea? >> continua.
Trasalisco, possibile che debbano parlare di me in questa maniera, e anche con disinvoltura? Ma lo vogliono capire che ho un bambino con tanto di padre?
<< Non giocare con Rea >> dice Castiel con rabbia << se vuoi sfogare la tua frustrazione fallo con qualche sciacquetta delle tue compagne, ma non toccare Rea >>
<< Chi ti ha detto che sto giocando? >> chiede beffardo Alain << Ti avverto che mi sono innamorato di quella ragazza. Castiel, io so una cosa che tu non sai… e presto, vedrai tu stesso >>
<< Di che stai parlando? >>
<< Ti dirò soltanto, che presto Armin, si toglierà dalle palle, e rimarremo io e te… e non pensare di averla vinta, solo perché io pre… >>
<< Piantala Alain! >> urla Castiel. Sento un colpo secco riecheggiare nell’aria, capisco che Castiel ha colpito suo cugino.
Mi allontano lentamente dalla porta frastornata da quelle parole. Cosa avrà voluto dire con “Presto Armin si toglierà di mezzo”? E cosa nasconde Alain?
Cos’è successo durante questi giorni, in mia assenza?
BAKA TIME: ciao a tutti, spero con tutto il cuore che stiate scoppiando per la curiosità XD... Ma cosa nasconderà mai il bello e dannato Alain? ahahah! Curiose? aspettate e vederete. Ciaoooo! PS. so che cìnon centra una mazza, ma per tutte le appassionate di Fairy Tail, ho pubblicato la mia prima ff, su quel manga, se vorreste leggerlo, sempre se vi va, si intitola ESSENCE

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Capitolo 14
*** Verità nascoste ***


14° capitolo: VERITA’ NASCOSTE
 



Ritorno a casa più frastornata, di quanto non lo fossi già. Queste situazioni non mi stanno affatto rendendo la vita facile. Ripenso alla discussione avuta fra i due cugini. Che cosa intendeva dire Alain con quelle affermazioni? Quanto vorrei che la luce di questo sole autunnale, illumini la strada che dovrò prendere per risolvere al più presto tutti i miei problemi.
Castiel oggi non mi ha toccata per niente, non ha fatto nulla per mettermi contro i miei veri sentimenti. Dovrei fregarmene e/o essere sollevata, ma non ci riesco. Dopo quattro anni sento la sua mancanza, e questo è molto strano, avrei dovuto sentirla durante la sua assenza, invece la sento adesso che lo vedo tutti i giorni. Che strana cosa, i sentimenti.
Sorrido malinconica guardando la serratura della porta di entrata. Sono rimasta lì imbambolata per non so quanti minuti. Infilo la chiave nella toppa, e apro, non appena metto piede all’interno, sento una voce tanto famigliare quanto estranea all’ambiente. Mi fermo, corrugo le sopracciglia e concentro i miei sensi sull’udito. Man mano che quella voce si fa più udibile, percepisco l’irritazione farsi padrona del mio corpo.
No, non riesco a crederci! Mi dico mentre chiudo la porta e mi dirigo verso la parte da dove proviene quella voce. Entro nel soggiorno di soprassalto e la mia vista, mi da la conferma di ciò che avevo preventivato nella mente: seduta su uno dei miei divani, Jack Frost, ha interrotto il suo discorso con suo figlio, non appena mi ha vista.
Ci guardiamo, e i nostri sguardi vengono collegati da due fulmini distorti che si schiantano a metà strada e fanno a gara a chi si sorpassa di potenza.
Rimango zitta, ma la mia espressione dice tutto. Lei mi imita. A spezzare quel silenzio, non è altri che Armin. Il quale si alza dalla sua postazione e si pianta nel mezzo della mia visuale, coprendo interamente l’immagine dell’abominevole uomo delle nevi.
<< Ehi, Rea, come mai sei già di ritorno? >> chiede con voce tremante. Lo guardo sbigottita, si sta massaggiando la nuca, e sembra alquanto ansioso.
“Perché me lo domandi in questa maniera?... non dirmi che quando io non ci sono, fai venire questa bastarda in casa mia?!”
<< Qual buon vento, signora >> esclamo ignorando completamente Armin, il quale si sposta, mostrando sua madre che si è messa in piedi.
<< Me ne stavo andando >> dice lei guardando suo figlio.
<< Oh, no! Ma che peccato! >> esclamo con voce di scherno << perché non rimane un altro po’? Sembrava stesse avendo una discussione alquanto seria. Se volete potete continuare, oppure le da fastidio che sia tornata la “padrona di casa”? >> l’ultima frase la calco volgendo lo sguardo verso Armin, che imbarazzato prova a divagare.
<< Non ce n’è bisogno >> risponde la maledetta, raccogliendo le sue cose e dirigendosi verso l’uscita << ciò che dovevo dire a mio figlio, l’ho detto. Adesso tocca a te Armin >>
Detto questo se ne va. Istintivamente guardo occhi di ghiaccio e mi accorgo che ha abbassato la testa pensieroso.
Non appena ho sentito la porta di entrata chiudersi, lancio la borsa sul divano e tolgo anche la giacca. Poggio le mani sui fianchi senza togliere lo sguardo dal moro.
<< Che significa questo? >> chiedo nervosa.
<< Nulla >> risponde lui scocciato sprofondando sul vicino divano.
<< Come nulla? Armin, che diavolo è venuta a fare qui? Non viene mai e adesso si presenta con queste scuse. A cosa alludeva con quella frase? >>
<< Niente di importante >>
<< Armin non mentire, perché non me la bevo assolutamente! Giorni fa si è presentata a scuola, e invece di chiedere notizie su Etienne, ha iniziato a rompermi le palle sulla nostra situazione… >>
<< E qual è questa situazione? >> mi interrompe lui, volgendomi lo sguardo. Lo fisso allibita, << Che intendi? >> chiedo.
<< Cosa siamo tutt’e due, Rea? >>
Scuoto la testa non riuscendo a capire dove vuole arrivare e rendendomi conto che ha totalmente cambiato il filo del discorso. Si alza e mi viene incontro fermandosi a pochi passi da me.
<< Ormai sono giorni che non ti sento più mia… che cosa ci sta succedendo? Che cosa TI sta succedendo? >>
<< Ma che stai… >>
<< Da quando lui è tornato, non sei più la stessa >>
<< Che centra adesso Castiel? Stiamo parlando di tua madre e dei suoi comportamenti, e adesso cambi inspiegabilmente discorso? >>
<< Una volta mi dicesti che promettesti di affrontare le situazioni di petto, e invece ti stai nascondendo, e da me >>
<< Anche tu stai nascondendo le cose >> affermo, accorgendomi di aver confermato anche le sue parole. Non ci posso fare niente, non riesco neanche a mentire. << Cosa ti ha detto tua madre? >> riformulo la domanda. Lui mi guarda, e mi accorgo che sta trattenendo il respiro. I suoi occhi stanno rendendo il significato del loro colore. Scorgo un barlume di inquietudine. Rilascia l’aria profondamente per poi ricatturarla per dire:
<< Le solite cose… si è lamentata della nostra situazione. Ha detto che devo prendere una decisione >>
<< E tu… cosa hai risposto? >> chiedo, ingoiando a fatica, sentendo di tremare da una miscela di sentimenti che mi stanno travolgendo e che partono dall’ansia all’angoscia che mi darà la sua risposta.
Prima di rispondermi, mi fissa intensamente negli occhi, congelandomi il cuore, poi dice << Cosa avrei dovuto dirle? Che sei tu quella che non vuole sposarsi? >>
Quella frase la sento come una scudisciata ben assestata dietro la mia schiena.
<< Ma che diavolo stai dicendo? >> chiedo incredula.
<< Perché? È forse bugia? >> ribatte lui nervoso.
<< Stai scaricando la colpa su di me? >> chiedo sotto voce, intenta a mantenere la calma << è questo che stai facendo? Ti stai scartando dalla decisione che prendesti tu quattro anni fa?! >> esclamo rude.
<< Sai perché lo feci! Non volevo metterti altri pensieri per la testa >>
<< E allora per quale dannato motivo mi stai incolpando?! >>
<< Perché so che mi avresti detto di no lo stesso! >> esclama tagliando l’aria con un gesto del braccio << E io come uno smidollato che mi sono fatto abbindolare… >> si blocca mordendosi la lingua.
Lo guardo fulminea << Da chi? >> chiedo con voce ferma, seguendo il suo sguardo che vaga smarrito intorno a se. << Da chi?... rispondimi, maledizione! >> urlo, iniziando a far fuoriuscire lacrime amare. << è così che la pensi? Ti ho abbindolato?... ti sei dimenticato che fosti tu a insistere?... in tutto questo tempo, non ho mai cercato l’aiuto di nessuno. Sarei riuscita a cavarmela benissimo da sola! E adesso mi rinfacci queste cose, come fosse niente?... non hai mai dato retta a tua madre, perché, prima di me, hai sempre saputo di cosa patisce. Invece adesso, cosa è successo? >>. Non risponde, e sinceramente non mi aspetto che lo faccia. Sono stufa di questa storia. Mi asciugo le lacrime, portandole via dalle guance con le dita, poi raccolgo la giacca e mi incammino verso la porta, lui mi ferma esclamando: << Solo una cosa… >>
Mi blocco senza voltarmi << cosa? >> chiedo nervosa.
<< Se ti dicessi che voglio sposarti… accetteresti? >>
<< Perché non la poni a te stesso questa domanda? >> chiedo << Sei sempre stato tu ad avere paura di fare quel passo… >>, silenzio. Chiudo gli occhi per qualche istante, poi continuo << Ma se quello che vuoi, è la mia risposta, allora ti dico, che fino a qualche tempo fa, se me l’avessi chiesto, avrei accettato senza esitazione, ma adesso… ho qualche dubbio. E se vuoi sapere perché, inizia a pensare a tua madre >> detto questo esco, raggiungo velocemente l’auto, mi chiudo all’interno, e do sfogo alla mia frustrazione e rabbia tirando pugni sul volante.
 
 
Ho preso mio figlio dall’asilo, e non so quanto tempo è passato, da ché ci siamo avviati. Sto girando in tondo, senza avere una meta precisa.
Etienne è seduto accanto a me con le braccia conserte e lo sento sbuffare.
<< Cos’hai cucciolo? >> chiedo.
<< E lo chiedi pure? Ma dove stiamo andando mamma? Non torniamo a casa? >>
<< Ti va se andiamo al lago a raccogliere le conchiglie? >> chiedo speranzosa che accetti. Lui mi guarda stranito.
<< A quest’ora? >> chiede.
<< Perché che ora è? >>
<< Non lo so… comunque va bene >>
Sorrido, mettendo la freccia a destra e girando il volante. Dopo pochi minuti ci ritroviamo a camminare sulle sponde del lago. Etienne si trova a pochi passi d’avanti a me.
<< Etienne, attento a non bagnarti >>
<< Va bene! >>
Lo guardo e istintivamente sorrido. I raggi del sole pomeridiano, gli accarezzano quei corvini capelli facendoli brillare. È troppo bello, immagino già il suo viso, quando diventerà più grande. Sicuramente molte ragazzine gli correranno dietro.
Ricordo che giorni fa mi parlò della sua classe, dicendomi che c’erano alcune bambine che volevano offrire il loro pranzo in cambio di un bacio. Quando chiesi incuriosita lui cosa fece, mi rispose pietrificandomi: << Mamma, certo che accettai di baciarle, ma lo feci gratis >>
No, dico… non so se rendo l’idea. Come si fa ad avere un cervello così a soli quattro anni?
Mio figlio è un gentiluomo e donnaiolo.
Sua madre, ebbe il suo primo bacio a soli diciassette anni, e il figlio a quattro ne ha baciate dieci?!
Decido di non immaginarlo da adolescente, perché se continuo a farlo, sono sicura che mi ritroverei nonna a soli trentasette anni.
Sbuffo un sorriso scuotendo la testa. Quando ad un tratto qualcosa, o per meglio dire qualcuno, alle mie spalle cattura la mia attenzione.
Mi giro di scatto e non appena vedo di chi si tratta, una strana sensazione di malinconia pervade il mio cuore, aprendolo ai ricordi.

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Capitolo 15
*** Parole interrotte ***


15° capitolo: PAROLE INTERROTTE
 


Ci vuole tempo perché i miei occhi ritornino a ricordare l’immagine di quello che una volta era un piccolo bambino indifeso e incompreso e adesso ha cambiato i suoi lineamenti del viso, e la sua statura. È molto più alto.
<< Erich… >> sussurrò senza muovere le labbra.
<< Ciao Rea >> sorride lui rimanendo qualche metro lontano. Anche la sua voce sembra cambiata. In quel preciso istante, mi rendo conto di come il tempo sia passato, portando con se molti cambiamenti. Non mi sarei mai aspettata di rincontrarlo una seconda volta, anche se a dire il vero mi sento un po’ in colpa. Quattro anni fa gli promisi che sarei andata a trovarlo, e invece… chissà cosa avrà pensato in tutto questo tempo? D’altronde non è stata affatto colpa mia. Anche se avrei voluto, non avrei potuto. Avevo lasciato suo fratello e non in maniera buona. Con quale coraggio e a che pro’ sarei ritornata in quella casa maledetta con il tentativo di fargli visita?
L’unica cosa che mi accingo a fare, e ingoiare faticosamente la saliva che si sta impastando nella mia bocca e accenno un sorriso, ma oltre a quello qualche altra cosa vuole fuoriuscire dalla mia espressione: le lacrime. Sento l’impulso di piangere per la felicità, per malinconia, per tutto quello che questo bambino mi ha fatto provare da quando l’ho visto la prima volta.
<< Uhm… c’è qualcosa che non va? >> mi chiede ad un tratto imbarazzato massaggiandosi la nuca. Scuoto la testa non riuscendo a proferir parola.
<< Allora perché mi guardi così? >> ribatte abbassando lo sguardo.
Non resisto, rivederlo ha riacceso in me il bene che gli voglio, senza rendermene conto, mi ritrovo a camminare verso di lui, e ad abbracciarlo forte stringendolo al mio petto. Lo sento irrigidirsi, forse non si aspettava questa mia reazione.
<< Sono felice di averti rincontrato >> sibilo tra i singhiozzi. A quel punto lui rilassa i muscoli e condivide l’abbraccio.
<< Mi sei mancata Rea >> aggiunge lui stringendo la presa.
<< Ehi tu, lascia stare la mia mamma! >>. Sentiamo quella vocina esclamare dietro di noi. Sbuffo istintivamente un sorriso, Erich è il primo a mollare la presa, e io lo imito dopo qualche secondo, voltandomi verso Etienne, che ha un’espressione imbronciata, e gli occhi pieni di lacrime.
Erich, lo guarda titubante, poi guarda me, e capisco che sta cercando delle spiegazioni. Non mi resta che dargliele.
<< Erich, lui è mio figlio… Etienne >> dico avvicinandomi al bambino e prendendolo in braccio. Volgo lo sguardo verso Erich, e mi accorgo che la mia frase l’ha lasciato a dir poco allibito.
<< T-tuo, figlio? >>
Annuisco.
<< M-ma… >>
So cosa vuole dire, e prima che pronunci la sua frase rispondo dicendo: << Il padre, non è lui >>. Erich e io, ci guardiamo negli occhi per qualche istante, lui malinconico e quasi dispiaciuto, e io, io non so cosa provare esattamente.
<< Mamma, chi è questo bambino? >> chiede Etienne, fissandolo attentamente.
<< Lui è il fratello di un collega di mamma >>
<< Somiglia molto a quel signore con i capelli rossi >>
<< Già >> rispondo accennando un lieve sorriso. Etienne, mi fa cenno che vuole ritornare per terra, lo lascio senza esitare, poi lo vedo avvicinarsi a Erich, girargli intorno come un critico d’arte giudica attentamente un’opera. In fine gli si ferma davanti e sorridendo gli porge la mano esclamando: << Diventiamo amici! >>
Vedo l’espressione di Erich tramutare repentinamente. Ha avuto un sobbalzo mentre guardava mio figlio, poi, titubante, gli ha concesso la mano e ha contraccambiato il sorriso rispondendo di sì.
In lontananza sentiamo abbaiare. Erich è il primo a voltarsi e a chiamare Demon, il quale si avvicina dopo pochi secondi.
<< Sei a casa di Castiel? >> chiedo al bambino senza riflettere.
<< Sì, sono tornato proprio ieri dal collegio >> risponde lui lasciandosi leccare dal cane.
Va ancora al collegio? Mi chiedo allibita. Ma perché? A cosa è servito il mio allontanamento? Per quale motivo Castiel non l’ha preso con se dopo il matrimonio? Ho una voglia matta di chiederlo, anche perché sento che tra poco sbraiterò dall’irritazione.
Cazzarola! Io ho rinunciato a Castiel per rendere felice questo bambino, per dargli una famiglia, e che cosa vengo a sapere adesso? che lo tengono ancora rinchiuso dentro un collegio?
Tiro un lungo respiro, << Erich… >> esordisco con voce ferma, ma il mio corpo è tutto un tremito. Lui mi guarda, mantenendo il cane. << Come mai stai ancora in collegio? >> chiedo tutto d’un fiato.
<< è stata una mia decisione >> risponde lui senza esitare. Lascia Demon, il quale si avvicina a mio figlio e lo inizia ad annusare. Vedo Etienne, rimanere calmo, ma quella agitata sono io. Quel cane non mi ha mai potuta digerire, figuriamoci se può trovare simpatico mio figlio. Infatti, lo sento ringhiare. Mi accingo ad avvicinami per allontanarlo da quella bestiaccia, ma qualcosa blocca i miei passi. Demon, dopo aver per un po’ ringhiato, ha abbassato le orecchie e adesso sta giocando con Etienne. Rimango alquanto allibita nel guardare quella scena.
<< Sai Rea…? >> dice Erich catturando la mia attenzione. << Sono partito dal collegio con la convinzione di trovarti con mio fratello. Prima ti ho detto che è stata una mia decisione, perché io non ho mai accettato la situazione che si è venuta a creare tra mio fratello e mia sorella. Non mi sentivo e non potevo chiamarli mamma e papà, benché tra di loro non c’è nessuna parentela. Quando tu te ne andasti, ci fu un periodo in cui Cass, rimase taciturno, non usciva più dalla sua stanza, le poche volte che lo faceva si ritirava a tarda sera tutto ubriaco. Una volta, entrai nella sua camera, e lo sentii piangere, e nel sonno ti chiamava. Non avevo mai visto mio fratello in quelle condizioni; a quel punto capii che se stava così, la colpa doveva essere solo la mia. Dimmi la verità, Rea… hai lasciato Castiel per me? >>
Non rispondo, non voglio confermare la sua domanda, non voglio farlo sentire in colpa. La colpa non è sua. È soltanto mia.
<< L’ho sempre pensata in questa maniera >> continua lui, senza far caso alla risposta non ricevuta. << Ma Castiel ha sempre negato, non mi ha mai fatto sentire davvero in colpa. E questo lo capii quando il giorno dopo, uscì dalla sua stanza e iniziò a comportarsi in maniera diversa era molto più gentile anche con Ginevra, fino al giorno delle nozze… >> si blocca non continuando la frase.
Mi lascia con quest’amaro in bocca. Cosa è successo dopo le nozze? Perché non continua a parlare? Devo chiederglielo. Non posso sempre lasciar correre questi misteri.
<< Cosa è successo? >> chiedo quasi con un sussurro. Lui sbuffa un sorriso, e si gira per guadarmi.
<< Erich! >>. Quella voce famigliare, riecheggia nell’aria, ci voltiamo contemporaneamente, e ci accorgiamo che si tratta di Castiel. Si sta avvicinando verso di noi.
<< Erich, ti stavo cercando ma dove diavolo eri finito? Non hai neanche disfatto le tue valige >>
<< Scusami, volevo prendere una boccata d’aria così ho portato Demon a fare una passeggiata >>
<< Ci sei anche tu? >> chiede il rosso volgendosi verso di me. Non gli rispondo, giro la testa per inquadrare mio figlio che continua a giocare spensierato con il cane.
<< Etienne! >> lo chiamo << vieni, torniamo a casa! >>
<< Un altro po’ mamma! >>
<< Il bambino ha ragione, adesso che ci sono io non puoi andartene così >> sussurra Castiel malizioso.
<< Piantala! >> esclamo fra i denti. Lui fa una leggera risata. Lo fulmino con un’occhiata, non ci fa caso, e volge lo sguardo verso mio figlio. Ad un tratto mi accorgo che la sua espressione è cambiata. Il suo sorriso è scomparso, lasciando una serietà anche negli occhi. Sembra essersi incantato nel vedere mio figlio.
<< C-che c’è? >> chiedo incuriosita. Castiel risponde facendo spallucce e incrociando le braccia al petto, si volge verso di me, riaccennando quel suo sorrisetto beffardo.
<< Come sta Armin? >> chiede.
Ma che domande fa? Che centra adesso Armin? Mi chiedo; poi come folgorata, mi ricordo  il ragionamento avuto con suo cugino “Presto Armin si toglierà dalle palle” aveva detto Alain, e adesso lui vuole rendersi conto se ciò che aveva previsto l’altro pervertito, si sta avverando?
No, non posso assolutamente dirgli della discussione avuta con lui. non posso dirgli: abbiamo litigato. Perché sono convinta che si farà una delle sue strafottenti risate, e canterà vittoria.
<< Perché me lo chiedi? >> domando guardandolo sottecchi.
<< Volevo sapere se aveva scoperto che una certa ragazza prova ancora qualcosa per il suo ex, tutto qui >> risponde maliziosamente, rendendomi più irritata di quanto già non lo fossi.
<< Non ha scoperto niente! >> esclamo sentendo il sangue ribollire nel cervello. Dopo un po’ mi rendo conto di aver dato un altro senso a quella risposta, e cioè di aver ammesso che provo qualcosa per lui. Ma a che serve negare? Ormai lo sa. Sono stata io la stupida a farglielo capire quella sera. Ed è proprio in quei momenti che mi dimentico di provare qualcosa e inizio a detestarlo.
Per fortuna Erich si è allontanato, avvicinandosi a mio figlio per giocare con lui.
<< Che cosa ti ha detto Erich? >> chiede ad un tratto cambiando discorso. Lo guardo smarrita.
<< Cosa avrebbe dovuto dirmi? >> ribatto, lui non mi risponde e rimane serio a guardare i bambini. Sospiro << Mi ha soltanto detto che continua a stare in collegio per sua decisione >>
<< Tzé… non ha mai accettato la mia situazione con Ginevra >>
<< Fammi il favore di non nominarla >> dico a denti stretti. Lui mi guarda, tace per qualche istante, poi chiede: << Sei gelosa? >>
<< Non scherzare su questo argomento Castiel! >> esclamo sentendo le lacrime agli occhi.
<< … scusa >> dice seriamente, dopo un po’.
<< … E tu? >> chiedo dopo qualche secondo di pausa.
<< E io, cosa? >>
<< Come vanno le cose? >>
<< Sarò sincero… non voglio mentirti, quindi non risponderò >>
<< P-perché? >>
<< Ti dirò soltanto che sto attendendo con impazienza il giorno in cui riprenderò ciò che è mio >>
<< Cosa stai…? >> non mi da neanche il tempo di finire la domanda che lo vedo allontanarsi, raggiungere i bambini che giocano con il cane, e catturare l’attenzione di quest’ultimo.
Sono sicura che in quella risposta, ci sono anche io, e in prima fila per giunta, ma non voglio formulare nella mente altre richieste, così rassegnata li raggiungo.
Mi accorgo che Etienne si è avvicinato al rosso e lo guarda attentamente.
<< Cosa c’è pulce? >> chiede Castiel accennando un sorriso.
<< Non sono pulce, mi chiamo Etienne! >> esclama il bambino scontroso.
<< Sei proprio come tua madre >> afferma il rosso sbuffando un sorriso.
<< Tu come ti chiami? >>
<< Castiel >>
<< Castiel… tu giorni fa hai fatto piangere la mamma, se mi prometti che non lo farai più, e che non mi chiamerai più pulce, ti permetterò di diventare mio amico >> afferma Etienne mettendo le mani i fianchi. Castiel corruga la fronte volgendo lo sguardo verso di me, che rimango più allibita di lui. Possibile che a questo bambino non gli sfuggano neanche i ricordi?
<< Va bene, Etienne >> risponde Castiel sorridendogli.
<< Etienne adesso andiamo >> intervengo io. Il bambino annuisce, ma non appena fa per girarsi, Castiel gli afferra la mano girandolo verso di se e fissandolo attentamente.
<< Cosa c’è? >> chiede il piccolo.
Il rosso scuote la testa << N-no, niente >> risponde lasciandolo.
Prendo Etienne per mano e salutando mi dirigo verso la macchina. Faccio entrare prima il bambino, poi facendo il giro, apro lo sportello del mio posto ma una voce mi blocca, mi giro vedendo che Erich si sta avvicinando.
<< Erich, cosa c’è? >> chiedo. Lui si ferma a qualche metro da me, prende fiato e sorridendo mi dice: << Rea, ho capito… >>
<< Cosa? >> chiedo.
Ad un tratto un fortissimo rombo di motore riecheggia nell’aria, sovrastando il suono della voce del bambino. Non riuscendo a sentire, mi concentro sulle sue labbra provando a leggerne il labiale.
Quando il silenzio ritorna sovrano lo vedo sorridere, alzare la mano per salutarmi e dire: << Non preoccuparti, ci vediamo >>. Se ne va.
Rimango ancora frastornata, da quello che sono riuscita a leggere nei movimenti delle labbra. Per un attimo prego e spero, che quello sia stato solo un sogno.

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Capitolo 16
*** Pensieri e azioni ***


16° capitolo: PENSIERI E AZIONI
 




<< No dico, ma ti rendi conto? Io non riesco ancora a crederci! Questa è la prima volta che faccio una cosa così, e specialmente con te! >> esclama Rosalya continuando ad ondeggiare sopra di me.
<< Rosa, per favore sta un po’ ferma >> la prego esausta << lo capisco che sei troppo euforica, ma se continui a muoverti come una forsennata, non riuscirò mai a infilarlo, si è incastrato! >>
<< Oh, no, Rea! perché mi dici così? Maledizione a me e a tutte le mie voglie! Che vergogna, e pensare che tra pochi giorni dovrò sposarmi >> dice mettendosi le mani sul viso e dando sfogo a un falso pianto. Intanto io, inginocchiata sotto di lei, sento che sto per perdere ogni minima forza che mi è rimasta, mi manca l’aria, sto sudando e impreco come una pazza nella mente mentre cerco disperatamente di infilare quel maledetto ago nella stoffa di raso che compone la sottogonna dell’abito da sposa.
Indovinate un po’?
Dopo essere ritornata a casa, già preoccupata per la rivelazione che mi ha fatto Erich, ricevo una sua chiamata; piange disperatamente, dicendo che si è misurata l’abito per farlo vedere a Kim, e mentre ha infilato la sottogonna, questa si è andata a incastrare tra i ganci del corsetto e si è strappata. Subito è entrata in panico, e ce n’è voluto di tempo perché Kim e io la convincessimo a non chiamare la sala ricevimenti, intenta ad annullare tutto.
Per fortuna, anni fa Violet, mi insegnò ad usare ago e filo, così mi sono messa a disposizione per aggiustargliela. Naturalmente, di dosso, non sono riuscita a sfilargliela, e adesso, dopo due ore, sono ancora aggrovigliata a lei in una strana posizione, ad assorbire le sconce battute di Kim, che spaparacchiata sul divano, consuma una busta di patatine e ride mentre ci guarda.
<< Ah-ah! Sembrate proprio due attrici di film hard tra lesbiche… ah-ah! Wow, ma che posizione è quella? Non sono sicura di averla mai vista sul libro del Kamasutra >> mugugna con la bocca piena.
<< Perché, tu avresti letto il Kamasutra? >> chiedo, continuando il mio lavoro.
<< Mia, cara! È stato un genio del sesso come me a scriverlo, come arei potuto non leggerlo?... a proposito di genio del sesso… >> continua lasciando la busta delle patatine sul tavolo e alzandosi dal divano << ci sono novità Rea? >>. Sento quella domanda fatta a brucia pelo, e fermo in tempo le dita prima che queste infilzino l’ago nella carne della bambola argentata.
<< C-che dici? >> balbetto smarrita senza voltarmi.
<< Avanti Rea, conosciamo bene la tua situazione, con noi puoi sfogarti! >> risponde Rosa al posto di Kim. Accenno un sorriso malinconico e riprendo il mio lavoro.
<< Cosa volete che vi dica? Ci sono momenti in cui mi rende la vita difficile e altri in cui si comporta da indifferente… sono arrivata al punto di non sapere cosa gli passi per la mente, anche se a dire il vero, non l’ho mai saputo >>
<< E Armin? >> chiede Rosa.
Sbuffo un sorriso << Gli voglio bene, ma devo essere sincera, per lui non provo ciò che invece provo per Cass. In più abbiamo litigato proprio questo pomeriggio. >>
<< Perché? >> è Kim.
<< La solita storia, sua madre. Con la differenza che questa volta si intrufola anche in casa mia per fare il lavaggio del cervello al figlio >>
<< Non sarà mica per quel fatto… >> mormora Rosa, forse senza essersene resa conto, perché non riesce a terminare la frase, che Kim la interrompe, lanciandole un’occhiataccia.
<< Che succede? >> chiedo incuriosita, guardando prima una e poi l’altra, le quali cercano disperatamente di non incrociare il mio sguardo. << Ehi, parlate… ormai ci siete dentro e non mi va di sapere che anche voi mi nascondete segreti >>, continuo lasciando penzolare il filo con l’ago sulla stoffa, per alzarmi, incrociare le braccia al petto, e aspettare che parlino. << Allora? >>
<< Oh, al diavolo Kim! >> esclama Rosa sollevando la stoffa con fare nervoso << Rea è nostra amica, e deve sapere! >>
<< Sì ma non siamo sicure di ciò che ha visto e sentito >>
<< Di cosa state parlando? >> intervengo nervosa.
<< Rea… >> riprende La bambola argentata << come ha detto Kim, non c’è certezza, ma questa notizia viene da fonte sicura. Il giorno in cui avesti la febbre, il tuo cellulare squillava instancabilmente. A rispondere fu sempre Armin, ma chi chiamava chiudeva dopo aver sentito il “pronto” del tuo ragazzo. Io sapevo che era Castiel, perché ore prima aveva chiamato me chiedendo di te, e fui convinta che anche Armin lo capì, ma non parlò, lo vidi solo incupirsi.
Il secondo giorno di malattia, ricevetti una chiamata di Lys. Mi disse che a scuola aveva visto e sentito una cosa al quanto strana, Armin si era presentato e… >>
<< E, cosa? >> chiedo tremante sentendomi pervadere dall’ansia.
<< Cercava Castiel, voleva parlargli >> è Kim a continuare e io prontamente le volgo lo sguardo << ma al suo posto trovò una Melody alquanto desiderosa di parlargli in privato >>
Guardo Kim, smarrita. Cosa intendono dire con queste cose? Deglutisco a fatica, e riprendo fiato.
<< Co-cos’ ha sentito Lys? >> chiedo con voce rauca, seguita da un lieve colpo di tosse.
<< Non riuscì a sentire bene, Rea… ma capì che in mezzo a questa storia centrava tua suocera >> risponde Kim poggiando una mano sulla mia spalla, dandomi dei colpetti. << Fa attenzione Rea >> sussurra infine.
Sorrido, facendo capire che non devono preoccuparsi, ma dentro di me rodo, impreco, scalpito dalla voglia di sapere cosa stanno tramando e per quale motivo Armin si trova in mezzo.
Faccio l’indifferente, avvicinandomi un’altra volta a Rosa, per finire il lavoro.
<< Comunque ho una novità sul preside >> riprende dopo un po’ Kim, sprofondando sul divano.
<< Chi? Castiel? >> chiede Rosalya.
<< Sapete cosa ha fatto? Ha vietato alla moglie di mettere piede in questo paese >> risponde Kim tutto d’un fiato. Fermo il mio lavoro, ma non voglio far intendere di essere desiderosa del perché. Infondo ho ancora nella mente le parole precedenti.
<< Il motivo non si sa bene >> dice la bruna rispondendo a una domanda non fatta.
<< E chi te l’ha detto? >> chiede ancora Rosa.
<< Lysandro >>
<< E perché l’avrebbe detto a te? >> chiede Rosa stizzita.
<< Perché in quel momento mi trovavo io >>
“Chissà cosa sarà successo tra quei due?” questo pensiero mi passa per la mente come una folata di vento, e mentre ritorno a rimuginare, il ricordo della frase letta sul movimento delle labbra di Erich ritorna a pervadere i miei pensieri.
“No, non può averlo detto? Ho avuto solo un miraggio, non ha detto assolutamente così” ma subito un brivido mi percorre la schiena facendomi sentire freddo. “E se invece è come ho immaginato? No, non può succedere anche questo adesso”. sbuffo infastidita, fermando l’ultimo punto, staccando il filo e rialzarmi, dicendo << Ho finito >>.
Rosa si guarda allo specchio ringraziandomi gioiosa, io non ci faccio caso. Come un automa, mi dirigo vicino il divano, prendo la borsa e la giacca e salutando me ne vado. Le sento dirmi qualcosa ma non mi fermo, e continuo a incamminarmi verso casa.
Vi trovo Etienne da solo mentre gioca all’x-box.
<< Ciao mamma! >> esclama senza distogliere lo sguardo dalla tv.
<< Etienne, dov’è tuo padre? >> chiedo guardandomi intorno.
<< è uscito >>
<< Cosa?! >> esclamo irritata << Ti ha lasciato qui da solo? >>
Etienne non risponde, sentendo la mia voce alterata, si accinge solo a spegnere la consolle.
<< Mamma… >> dice dopo un po’ avvicinandosi << so che quando non ci siete, non devo aprire a nessuno, quindi non arrabbiarti con papà >>
Accenno un sorriso forzato accarezzandogli i capelli.
<< Non è questo il punto Etienne, lo so che tu sei un bambino intelligente, ma lo sconsiderato è tuo padre >> rispondo prendendo il cellulare dalla borsa, componendo velocemente il suo numero.
Tu… tu… tu… non risponde, e dopo altri due “Tu”, scatta la segreteria. Capisco al volo che mi ha chiuso la chiamata. Ma perché?
Sbuffo scaraventando scocciata il cellulare sul divano.
<< Mamma, ho fame >> dice ad un tratto Etienne dirigendosi in cucina.
<< Arrivo piccolo >>. Decido di non pensarci. Raggiungo mio figlio, e inizio a preparare la cena.
Mangiamo soli, Armin non è ancora arrivato, e quando ho deciso di richiamarlo, questa volta il telefono è risultato spento. Dire che sono irritata è troppo poco. Mille mal pensieri si affollano nella mia mente, per di più dopo aver sentito il ragionamento delle mie amiche.
Dov’è? Con chi è? Che diavolo starà facendo?
Posso dare un significato a queste domande: gelosia. Ma, maledizione! Non posso essere gelosa, non dopo aver ammesso di amare Cass e non lui!
Sono una spudorata egoista. Voglio un mondo di bene ad Armin, e non ammetto il pensiero che forse mi sta tradendo.
Scuoto la testa, come per scacciare via quell’assurdo pensiero. Vedo Etienne sbadigliare e alzandomi, lo prendo in braccio salendo le scale per portarlo in camera sua. Si addormenta in un battibaleno. Gli stampo un bacio sulla fronte ed esco ritornando al piano di sotto.
Mi siedo sul divano in soggiorno e prendo il cellulare. Mi accorgo che c’è un messaggio. Castiel. Lo apro velocemente, ansiosa di sapere cosa dice.
“Ehi, Rosa mi ha detto che hai litigato con Armin”.
Merdaccia! E menomale che potevo sfogarmi!
“Non ha niente a che fare con te!” rispondo.
“Tutto ciò che ti riguarda ha a che fare con me” scrive lui, dopo un po’.
“Va al diavolo” invio, sorridendo, rendendomi conto che è ritornato quello di prima.
“Perché non vieni fuori?”
Scatto dal divano continuando a leggere quelle parole. << Questo ragazzo è davvero pazzo! >> esclamo dirigendomi verso l’uscita.
Lo trovo appoggiato di spalle al cancello.
<< Che diavolo ci fai qui a quest’ora? >> chiedo sottovoce avvicinandomi. Lui si gira sfoggiando quel meraviglioso sorriso che mi ha sempre fatto sciogliere.
<< E tu perché sei uscita? >>
<< Perché devi sempre farmi domande a cui non so rispondere? >> chiedo irritata, pregando che Erich non gli abbia detto niente.
Lui sbuffa un sorriso << Perché non mi fai entrare? >> chiede con voce sensuale.
<< Ma come fai a chiedermi questo con tanta naturalezza? Non te ne frega niente di Armin? >>
<< C’è? >>
“Ah, adesso lo chiedi?”. Scuoto la testa abbassando lo sguardo.
<< Meglio, così abbiamo tempo per parlare >>
“Oh Dio!” << P-parlare di cosa? >> chiedo cercando di non fargli capire il mio stato d’ansia.
<< Apri il cancello e te lo dico >> risponde lui fissandomi negli occhi.
Esito, poi sbuffando mi avvicino al cancello aprendolo << Ah, Castiel sei davvero… >> vengo interrotta dalla sua presa, mi avvicina a se prendendomi il viso tra le mani e baciandomi intensamente. Dapprima, presa alla sprovvista, cerco di respingerlo, preoccupata dall’eventuale arrivo di Armin, ma poi, quel tanto amato e atteso calore, mi rende sua succube, sottomettendomi in un niente.
È lui a distaccarsi da me, e mi guarda con i suoi occhi penetranti.
<< Non ce la facevo più. Oggi non ti ho toccata per niente, e poco fa credevo di impazzire. Che cosa mi hai fatto? >> sibila sulle mie labbra.
<< Non possiamo Castiel >>
Mi interrompe un’altra volta, spingendomi verso le sbarre del cancello e catturando un’altra volta le mie labbra accompagnando però le sue mani che iniziano ad esplorare il mio corpo.
<< Voglio fare l’amore con te >> sussurra poggiando le labbra sull’orecchio, risvegliando così in me, la voglia assopita.
<< Ca-Castiel… >> dico tra gli ansimi, concentrandomi su quelle dita che si intrufolano sotto i miei slip.
Non appena, però, riesco a trovare un barlume di lucidità, lo spingo fuggendo in casa, chiudendomi la porta alle spalle.
Il mio cuore batte all’impazzata, mentre scivolo per terra, sentendomi venir meno. Passo una mano sulla fronte madida, mi copro gli occhi, e cerco disperatamente di calmare il respiro.
Dopo un po’ mi alzo, avvicinandomi alla finestra, notando che non c’è più. Tiro un sospiro di sollievo e mi stendo sul divano.
Cerco di liberare la mente da tutti i pensieri e quando ci riesco, mi dirigo fra le braccia di Morfeo.






Baka Time: salve a tutti, come potrete ben notare, il finale di questo capitolo, manca di Suspence. Premetto che questo non doveva finire così, nel senso che la scena con Castiel non ci doveva essere, ma ho deciso di lasciare l'altra scena per la prossima volta. Una motivazione non c'è, anche perchè non saprei come giustificarmi, dato che le idee non sono già pronte ma mi vengono in mente man mano che scrivo.
Spero il capitolo sia stato di vostro gradimento. Mi raccomando, sempre se volete, fatemelo sapere. un bacio a tutte, alla prossima! ^^

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Capitolo 17
*** Castiel e Etienne ***


17° capitolo: CASTIEL E ETIENNE
 

 
Mi desto di soprassalto dopo aver sentito un rumore. Ho l’affanno, mi guardo intorno per riordinare le idee. Mi trovo nel soggiorno e guardando la luce fioca penetrare dalla finestra mi rendo conto che è già mattina.
Mi alzo, cercando di capire cos’è stato quel rumore che mi ha fatta svegliare, lo sento un’altra volta, proviene dalla cucina. Mi dirigo lì velocemente, sicura di trovarci Armin, ma al suo posto trovo mio figlio, davanti al frigorifero aperto che cerca qualcosa tra le bevande.
<< Etienne, che ci fai sveglio a quest’ora? Oggi non c’è asilo >> mormoro recandomi al mobile per prendere l’occorrente della colazione.
<< Non riuscivo a dormire mamma >> risponde lui continuando a rovistare nel frigo.
<< Pensavo fosse tuo padre >>
<< Non è tornato? >>
<< Credo proprio di no >> rispondo digrignando irritata, avvicinandomi a lui per prendere il latte. << Cosa cerchi? >> chiedo.
<< Uhm… >>
<< Cos’hai? >> chiedo incuriosita. Lui chiude lo sportello, si volta verso di me, e incrociando le braccia al petto mi guarda sottocchio.
<< Ieri sera, quando mi portasti a letto… >> dice appoggiandosi con una spalla al mobile << … dopo un po’ mi svegliai perché avevo sete, venni qui in cucina per prendermi un succo di frutta e mi accorsi che la porta di entrata era aperta… >>
“Ecco, adesso sì che devo iniziare a sudare freddo!”
<< … vidi qualcosa di straordinario in giardino… >>
Sento il cuore iniziare a perdere colpi. Un momento… ha detto: straordinario?
<< C-cosa v-vedesti? >> chiedo tremante.
<< … Ti vidi fra le braccia dell’angelo dai capelli rubino, pensai che ti stava portando via… >>
<< E… e c-cosa facesti? >> “giuro che se dice di aver visto il resto della scena, oggi stesso, ammazzo quel pervertito pittato di rosso!”
<< Niente >> risponde lui facendo spallucce indifferente. Scrollo le spalle sentendo un macigno grosso quanto un elefante schiacciarmi la testa.
<< C-come niente? >> chiedo allibita << vedi che mi portano via e non fai niente? >>
<< Guardai il succo e dissi che forse era meglio non berlo, poi ritornai a letto, pensando che stavo solo sognando >>
Tiro un sospiro di sollievo.
<< Ma… >> continua lui con voce sospettosa. Trasalisco irrigidendo i muscoli << Ma, cosa? >> chiedo ansiosa.
<< Prima di andare a letto, presi delle precauzioni, misi il succo in un altro posto nel frigorifero, sicuro che se fosse stato solo un sogno, da sveglio non l’avrei trovato lì, e invece, è proprio dove l’ho messo! >>
Sento la palpebra dell’occhio destro pulsare freneticamente, la mia mascella rischia di slogarsi a via di spalancare a più non posso la bocca. Sono sicura che Sherlock Holmes si sarebbe fatto uccidere da Watson, proprio per non vergognarsi di essere stato battuto da un bambino di quattro anni… Dio! Come fa ad avere una mente così?! Quand’ero io piccola mi facevo fregare le caramelle da un cagnaccio!
<< Mamma? >> lo sento dire riportandomi alla realtà.
<< C-cosa c’è? >> chiedo titubante.
<< Se non è stato un sogno, significa che qualcuno ti vuole portare via da me? Se è così io cosa farò? >>
Quelle parole mi angosciano il cuore, sento di poter piangere, mi precipito verso di lui stringendolo forte al mio petto affondando le dita nei suoi capelli.
<< N-non dire più una cosa del genere, Etienne… Non permetterò a nessuno di portarmi via da te. Io starò sempre al tuo fianco, perché sei la cosa più importane che ho >>
Dopo aver sentito quelle parole, lui condivide l’abbraccio, cercando di unire le mani dietro la mia schiena. Lo sento sorridere. Gli bacio la testa.
<< Ti voglio un mondo di bene mamma >>
<< Anche io, piccolo mio >>
<< … mamma? >>
<< Mhm? >>
<< Mi porti con te al liceo? Papà non c’è, e io voglio stare con te, non portarmi da zia Kim >>
<< E va bene >> dico sospirando << però promettimi che farai il bravo >>
<< Promesso >>
 
 
Siamo arrivati a scuola con mezzora di ritardo. In questo lasso di tempo, ho cercato di rintracciare per l’ennesima volta Armin, sono andata perfino a casa di suo fratello che non appena mi ha vista e sentita, è rimasto più allibito di me, dicendo che non vede suo fratello da ieri mattina.
Perfetto! Assolutamente perfetto! La prima volta in quattro anni che litighiamo e lui scompare. Ho provato a chiamarlo di nuovo ma ha rifiutato la chiamata ancora una volta.
Ho la preoccupazione che mi sta divorando l’anima, e mi sta facendo sentire anche in colpa per le parole che gli ho detto.
“Dannazione Armin! È tutta colpa di quella bastarda di stalattite di tua madre! Dove diavolo sei? Perché non rispondi?”
Mentre continuo a rimuginare come una forsennata, con mio figlio entriamo nell’edificio, percorriamo il lungo corridoio. Etienne mi lascia la mano correndo.
<< Etienne, non si corre nei corridoi! >> esclamo. Lo vedo fermarsi davanti al mio ufficio e lì, inizio a ricordarmi che non sono sola, che dietro quella porta c’è il secondo preside. Comincio a pensare di aver fatto male a portarmi dietro il bambino. Ma ormai è troppo tardi per tornare indietro, e con l’estrema intelligenza che possiede mio figlio sono sicura che capirebbe qualcosa se gli dicessi di andare con Kim.
Alzo il passo per raggiungerlo più in fretta e impedirgli di aprire la porta. Afferro la maniglia e apro. L’ufficio è vuoto, Castiel non c’è, la scrivania è libera di scartoffie, e il computer è spento. Forse non è ancora arrivato. Meglio così, mi dico poggiando la borsa su una sedia. Vedo Etienne andare a sedersi dietro la scrivania, e mi chiede se può vedere uno dei miei manga.
<< Come fai a sapere che ho dei manga qui? >> chiedo allibita.
<< Me l’ha detto zia Kim. Li hai nel cassetto della scrivania >>
Sospiro, poi vado verso il cassetto per prendergli uno dei libri. << Non chiedermi di leggertelo perché devo lavorare >>
<< Non ti preoccupare, ho promesso di non darti fastidio >>
<< Bravo, bambino >> sorrido scompigliandoli i capelli.
Dopo un po’ sento bussare alla porta. Entra Nathaniel che vedendo Etienne rimane sorpreso, poi volge lo sguardo verso di me e sorridendo mi chiede se posso seguirlo in sala delegati.
<< Etienne, rimani qui buono, ok? >> dico al bambino avvicinandomi alla porta. Lui senza distogliere lo sguardo dal manga annuisce.
Esco seguendo Nathaniel.
 
 
DA ETIENNE…
Dopo essere rimasto solo, il piccolo Etienne, si mette comodo sulla poltrona, appoggiando i piedi sulla scrivania, continuando a sfogliare il manga, datogli dalla madre.
Passati pochi minuti, sente un rumore alla porta. Di scatto mette a terra i piedi e aggiusta la sua postura, guarda davanti a se accorgendosi che qualcuno sta entrando. La persona che compare entra con il capo chino sul orologio da polso, sibilando qualcosa. Non appena si avvicina alla scrivania e appoggia il suo cellulare, viene catturato dalla piccola figura sulla poltrona.
Il loro occhi si incontrano.
<< E tu che ci fai qui? >> chiede Castiel guardando il bambino, sottocchio.
<< Sto con mamma >> risponde lui ritornando a guardare il giornalino.
<< E dov’è adesso tua madre? >>
<< è andata con il signore biondo >>
Castiel rimane a fissare quel bambino incrociando le braccia al petto, accennando una lieve smorfia; poi fa il giro della scrivania, afferra il piccolo da sotto le braccia e lo fa scendere dalla poltrona, per poi prendere il suo posto.
Etienne, lo guarda rimanendoci male << Perché mi hai fatto scendere? >> chiede offeso.
<< Perché è il mio posto >> risponde Castiel senza guardarlo, mentre afferra delle carte dal cassetto.
Il bambino rimane a guardarlo con espressione imbronciata, sbatte il giornaletto sul pavimento, catturando l’attenzione del rosso, e mette le braccia conserte.
Castiel si volge verso di lui corrugando la fronte. << Che c’è? >> chiede scettico.
<< Cattivo! >> esclama Etienne offeso.
<< Ehi pulce, con me non attacca. Questo è il mio posto e mi ci siedo io, ok? >>
<< Quel posto è della mamma, e mi ha dato il permesso di starci >>
<< Ma adesso ci sono io, quindi smamma >>
Etienne non proferisce più parola, rimane solo a fissarlo arrabbiato. Passano alcuni minuti, e Castiel sentendosi infastidito dall’essere osservato, scaraventa i fogli sulla scrivania, sospirando rumorosamente, appoggiandosi alla spalliera e volgendosi verso il piccolo, lo fulmina con gli occhi, ma quest’ultimo non si lascia intimorire.
<< Perché mi guardi così? >> chiede massaggiandosi la tempia con le dita della mano destra.
<< Stavo prima io! >> insiste il bambino.
<< Ah! Sei peggio di tua madre! >> esclama il rosso piegandosi verso di lui, prendendolo in braccio e facendolo sedere sulle sue gambe << Oh! Contento adesso? >>
L’espressione di Etienne, cambia repentinamente, da imbronciato a compiaciuto. Appoggia le mani sulla scrivania e guarda quei fogli, mentre Castiel l’osserva un po’ titubante, sentendo dentro di se qualcosa di indescrivibile. Sbuffa un sorriso e riprende il suo lavoro.
<< Castiel? >>
<< Mhm? >>
<< Cosa sono queste carte? >>
<< Contabilità >> risponde il ragazzo secco.
<< Che cos’è? >>
<< è difficile per te capirla, sei ancora piccolo >>
<< Insegnami >>
<< Ma se non sai neanche leggere! >>
<< Insegnami >> insiste il bimbo.
<< Piantala >>
<< Dai!! >>
<< Ehi, pulce! Se non la smetti ti faccio scendere! >> lo ammonisce Castiel sentendo il corpo del bambino affondare sul suo petto, lo vede incrociare di nuovo le braccia e lo sente sbuffare.
<< Avevi promesso che non mi avresti più chiamato pulce >> dice con voce imbronciata.
Castiel sbuffa un sorriso divertito, scuotendo il capo.
<< Castiel? >> lo chiama dopo un po’ il bambino.
<< Che altro c’è? >>
<< Dimmi la verità… tu sei un angelo? >>
<< Che domande mi fai? >> chiede il rosso sorpreso e incredulo.
<< Ieri sera ti vidi nel giardino di casa mentre abbracciavi la mamma… >>
Castiel trasalisce, sentendo il cuore mancare un battito.
<< …volevi portarla via? >> continua il bambino con voce tremante.
<< Ma che dici? Io ieri stavo a casa mia a… >> il rosso viene interrotto dal rumore alla porta. La persona ad entrare, si immobilizza davanti all’uscio dell’ufficio, guardando il ragazzo con in braccio il bambino, fissandoli allibito.
 
 
DA REA…
<< Che significa che la quinta classe non ha un professore? >> chiedo innervosita. Possibile che debba sapere queste notizie sempre alla fine?
<< Mi dispiace Rea. Ieri avvisai Castiel, ma non mi diede risposta, e oggi, non si è ancora presentato. Il professor Faraize non è potuto venire per via dell’influenza… >>
<< Ok, ok… ho capito. >> lo interrompo sbuffando scocciata. << Hai detto che è la classe quinta? >>. Nathaniel annuisce. << Bene… vorrà dire che farò io lezione a quei quattro teppisti >>. Detto questo esco dalla sala delegati e prima di incamminarmi, mi massaggio le tempie. Neanche la prima ora, e mi hanno scombussolato la giornata.
Se non ricordo male in quella classe ci deve essere Alain, perfetto! La ciliegina sulla torta, proprio quello che ci voleva.
Prima di recarmi lì, però, decido di andare a vedere se Castiel è arrivato, almeno così potrà andare lui al posto mio e lasciare che io badi a mio figlio.
“Ma non potevi scegliere un altro giorno per portarti appresso Etienne?... cosa diavolo ne sapevo che Faraize doveva mancare proprio oggi?!”
Sospiro rumorosamente, guardando i miei passi, non appena arrivo davanti la porta del mio ufficio, alzo lo sguardo, accorgendomi che è aperta. Mi fermo impietrita nel vedere la figura che blocca l’entrata.
Subito una marea di indescrivibili sentimenti invade inesorabilmente il mio corpo.

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Capitolo 18
*** Discussioni ***


18° capitolo: DISCUSSIONI
 



Non so quanto tempo è passato dalla prima volta che ho provato a chiamarlo inutilmente sul cellulare, e adesso me lo ritrovo qui, sulla soglia della porta del mio ufficio, e mi accorgo che sta stringendo i pugni, mentre guarda l’interno.
Non riesco a capire se devo incazzarmi, o lasciar perdere, passare al suo fianco, salutarlo e fare finta di niente. Mi limito solo a sbirciare l’interno per vedere almeno per quale motivo si sta innervosendo. Con sorpresa (alla quale non so dare aggettivo, ma che mi fa rimanere alquanto scioccata), noto che mio figlio si trova seduto sulle gambe di Castiel dietro la scrivania, e tutti e due guardano Armin. Etienne sorridente, Castiel… no! Che significa quel sorriso beffardo? Perché sta ridendo anche lui, e in quella maniera? È come se volesse dirgli: “Ti sto sfidando, non lo vedi?”.
Inizio a pregare Iddio, con la speranza di essere arrivata in tempo, prima che succeda quello che ho temuto per troppo tempo.
Ad aiutarmi è Etienne, che non appena mi ha vista, è sceso dalle gambe del rosso chiamandomi, ed è corso da me, ignorando Armin.
<< Mamma, finalmente! >> esclama abbracciandomi le gambe. Gli accarezzo la testa accorgendomi che Occhi di ghiaccio si è voltato verso di me, e mi guarda con sorpresa, ma sembra anche irritato.
“Perché diavolo mi guardi così?” chiedo nella mia mente “Sono io quella che dovrebbe essere incazzata!”
<< Allora, è così che stanno le cose? >> chiede lui con voce roca.
<< Di che stai parlando? >> ribatto seria, senza scompormi.
Armin sbuffa un sorriso girandosi verso l’entrata dell’ufficio per guardare Castiel. << Io sono stato solo un rimpiazzo dall’inizio, vero Rea? >> continua, guardandomi un’altra volta.
Sento sussultare il mio cuore, ho molte parole che bloccate in gola, bramano di uscire prepotenti, ma non posso, non davanti a Etienne.
Mi guardo intorno, poi abbasso lo sguardo su mio figlio, che ha il capo alzato verso di me e mi guarda con dolcezza. Mi abbasso alla sua altezza << Etienne, in quell’aula… >> dico indicandogliela con un dito << c’è Nathaniel, va da lui, io ti raggiungo presto >>
<< Ma mamma, io voglio stare con te! >>
<< Etienne, per favore… >>
<< Va bene >> dice sbuffando e allontanandosi mogio. Seguo il suo cammino con gli occhi, per rendermi conto che sta davvero andando nella sala delegati, poi mi alzo, volgo lo sguardo più minaccioso che possiedo, verso Armin e afferratolo per una manica, lo tiro dentro l’ufficio.
<< Castiel puoi farmi il piacere di uscire un attimo? >> chiedo con voce tremante di rabbia.
<< Non ci penso proprio >> risponde il rosso che si è alzato e ora è appoggiato alla scrivania con le braccia conserte e una gamba accavallata sull’altra. << Il tuo caro maritino mi ha messo in mezzo, quindi la discussione riguarda anche me >> dice con aria vittoriosa.
<< Castiel per favore, non ti ci mettere anche tu! >> esclamo esasperata, lasciando la manica di Armin e facendo due passi smarriti.
<< Castiel ha ragione >> interviene Armin << Perché mandarlo via quando anche lui è protagonista di questa farsa che hai progettato alla perfezione >>.
Mi volgo di scatto guardandolo con occhi sgranati, mentre all’interno del petto, il mio cuore ha un forte e doloroso sussulto. Perché parla così? Che cosa sta dicendo?
<< Che cazzo stai dicendo? >> chiedo cercando di mantenere la calma.
<< Vuoi anche negare? >> ribatte lui strafottente << lo sai qual è la cosa più assurda? Che per quattro lunghi anni, mi sono fatto prendere in giro da una come te! Mia madre aveva e ha tutt’ora ragione: d’altronde, cosa dovevo aspettarmi da una che non ha mai avuto i genitori al suo fianco, e che si è fa… >>
Quest’ultima frase è la goccia che fa traboccare il vaso, mi avvicino a lui minacciosamente, gli sferro uno sonoro schiaffo sulla guancia destra, facendogli piegare il viso a un lato, e interrompendo l’ultima frase. Di sfuggito, sento Castiel sorridere lievemente, ma non ci faccio caso; sono concentrata a guardare quel ragazzo che non riesco più a riconoscere.
<< Ti avviso… >> mormoro tremante di rabbia, stringendo i pugni << … queste tue offese non mi scalfiscono per niente. So di non essere come tua madre mi reputa, e ti dico anche che provo una gran pena per lei. Lascerò passare pure il fatto che ti sto provando a chiamare da ieri e ti rifiuti di rispondere. Questo fa di te un immaturo… ma… lasciare un bambino di quattro anni solo in casa, per farti fare il lavaggio del cervello da quella stronza di tua madre… questo non lo accetto! >> urlo, trattenendo le lacrime, sentendo il cuore scoppiarmi in gola << Hai almeno la vaga idea di quello che sarebbe potuto accadere se non fossi tornata presto?!... ora dici che ti ho preso in giro per quattro lunghi anni. Ti sei dimenticato che hai deciso tutto tu?... i-io, ti ho mai chiesto niente?... Rispondimi, cazzo!! >> la mia voce è alquanto stridula e la percepisco fastidiosa anche per le mie orecchie.
Lo vedo trasalire, mi guarda, senza alcuna espressione ma non mi risponde.
Castiel alle mie spalle, ci guarda serio, e rimane in silenzio, e solo in questo momento mi pento di aver detto tutte quelle cose. Gli ho fatto capire che le cose tra Armin e me non vanno affatto bene, che non siamo andati a convivere perché lo amavo. Mi mordo la lingua maledicendomi, e sfinita, raggiungo velocemente la porta uscendo dall’ufficio e alzando il passo.
Afferro il cellulare dalla tasca del cardigan e con le lacrime agli occhi che mi appannano la vista, compongo il numero di Kim.
<< Kim, rispondi maledizione >> sussurro tra i singhiozzi.
<< Pronto? >> esclama dall’altro capo.
<< K-Kim? >>
<< Ehi Rea, cosa c’è? >>
<< Per favore, puoi passare dal liceo? >> chiedo ansimando cercando di nascondere i singhiozzi.
<< Sì, ma… ehi, cos’è successo? Sbaglio o stai piangendo? >>
<< Ti spiego tutto dopo, ti prego Kim, fa presto >>
<< Faccio in un battibaleno >>
Chiudo la chiamata, fermandomi e asciugandomi gli occhi. Mi trovo di fronte alla porta della sala delegati. Tossisco, per riprendere il mio naturale tono di voce e scacciare via le ultime lacrime. Apro lentamente la porta, e sbircio all’interno, trovando Etienne seduto intento a maneggiare i colori e Nathaniel al suo fianco mentre controlla delle carte. Entro, attirando la loro attenzione. Il bambino alza lo sguardo e mi sorride illuminando i suoi begli occhioni. Nathaniel mi guarda per un po’, e poi ritorna a controllare il suo lavoro.
<< Scusami per il disturbo Nathaniel >> dico con voce un po’ roca.
<< Oh, non preoccuparti Rea, questo bambino è un piccolo angioletto, non mi ha dato alcun fastidio >>
<< Sono contenta >> sibilo accennando un lieve sorriso, poi rivolgendomi a Etienne, dico: << Verrà a prenderti zia Kim… >>. Lo vedo imbronciarsi e abbassare, afflitto, lo sguardo sul foglio << purtroppo, non posso starti dietro Etienne… devo tenere una lezione in classe, manca un professore >>
<< Ma io, volevo stare con te… fammi stare con Castiel, c’è anche papà >>
Trasalisco nel sentire quelle parole, mi avvicino lentamente, mi siedo accanto, gli accarezzo dolcemente i capelli e sorridendo rispondo: << Facciamo così: tu adesso vai con zia Kim, quando viene, puoi dirle di andare dove preferisci… va bene? >>
Etienne esita nel rispondermi, ci pensa su, poi sorride annuendo.
<< Rea, scusami se te lo dico, ma la classe quinta… >>
<< Vado Nathaniel >> lo interrompo. Mi alzo chiedo al biondo di badare a mio figlio fino all’arrivo di Kim, e poi esco incamminandomi verso la classe quinta. Prima però, cerco di liberare la mente da ogni pensiero altrimenti, so per certo che impazzirò.

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Dopo che Rea ha lasciato l’ufficio, è piombato un fastidioso silenzio fra Armin e Castiel, e a spezzarlo è proprio quest’ultimo.
<< Tzé… hai acconsentito a farmi restare proprio per assistere a questa scena? >> chiede beffardo sciogliendo la sua posizione. Armin alza di scatto lo sguardo fulminandolo con gli occhi.
<< Dov’è finita tutta la tua determinazione di ieri sera? >> chiede ancora il rosso.
<< Sta zitto Castiel! Non pensare di aver vinto >>
<< Io non lo penso affatto… ne sono sicuro >>
Armin stringe i pugni dalla rabbia << Chi ti da tutta questa sicurezza? >>
Castiel sorride, prima di rispondergli, fa il giro della scrivania, si siede e appoggiando gli avambracci sui braccioli della sedia, risponde << Te lo dissi anche ieri sera, Armin. Se Rea, tornerà da me, la colpa non sarà ne mia, ne tanto meno la sua. Sei tu che ti sei messo in mezzo alla nostra storia. Rea è stata, è, e sarà sempre mia, e tu non puoi farci niente >>
<< Sei un bastardo egoista Castiel!... non pensi a quanto la farai soffrire? Se lei ritorna da te, rimane sempre il fatto che sei sposato, vuoi continuare a farla soffrire? >>
<< Perché tu che cosa stai facendo? Tu e io abbiamo due cose in comune Armin: siamo abbastanza codardi da farla soffrire per accontentare il volere di altri, e l’amiamo entrambi; ma solo una cosa ci distingue: Rea ama ancora me >>. Dopo quelle parole, Castiel vede il suo ormai nemico, sussultare, digrignare i denti e corrugare le sopracciglia.
Armin lo guarda e non sa se scaraventarsi su di lui e dare inizio a una sanguinosa lotta, o continuare a ribattere per trovare almeno una frase che lo possa mettere al suo posto; e una di averla ce l’ha eccome. Rilassa i muscoli e lentamente allarga le labbra in un convinto sorriso.
<< Mi dispiace per te Castiel, ma io ho qualcosa di Rea che tu non hai… Etienne >>
Castiel cancella il suo sorriso tramutando espressione, da vittorioso a serio.
Compiaciuto Armin continua << Rea è mia, e non te la cederò mai >>. Detto questo, Occhi di ghiaccio esce dall’ufficio sbattendo la porta, e lasciando Castiel immerso nei suoi pensieri.
La sera precedente, quando era ritornato dalla casa di Rea, Castiel aveva trovato accanto al cancello, Armin, che se ne stava come una statua a guardare le sbarre di ferro. Il rosso era rimasto alquanto titubante nel trovarlo lì, e per un momento, aveva pensato che il moro, era stato testimone della scena con Rea nel giardino. Si preoccupò? Assolutamente no! Per lui, quella era la parte in cui avrebbe detto in chiaro come stavano le cose, e invece Armin non lo compiacque.
Parlarono del passato, delle giornate passate insieme in quella maestosa villa per poi arrivare a discutere di Rea. Fu proprio Armin a iniziare.
<< So per certo che sei tornato per Rea >> disse rimanendo serio e prendendo alla sprovvista il suo amico << Lo sai che non te la lascerò così facilmente? >>
Castiel, rimase allibito, ma ne approfittò di quella frase convinto che da quel momento in poi qualunque situazione avrebbe creato con Rea, quest’ultima non avrebbe più dovuto preoccuparsi di Armin. Sorrise beffardo e incrociando le braccia al petto disse << Quanta sicurezza Armin… ma non hai mai pensato che forse per Rea sei solo d’intralcio? Ti sei messo in mezzo a questa storia nella quale non dovevi esserci… se io mi riprendo Rea, tu non potrai farci niente >>
La discussione era finita lì. Armin non aveva aggiunto niente, e se n’era andato disinvolto.
Ora Castiel, sta ripensando proprio alla sera prima, e sbuffando sibila << Che palle, ci mancava anche questo idiota a complicare le cose >>
Il rosso decide di non pensarci, ha sempre avuto ciò che vuole, e si riprenderà Rea costi quello che costi. Quest’ultimo pensiero lo fa sorridere. Si accinge a continuare il suo lavoro, e guardando quei fogli sulla scrivania, gli viene in mente il piccolo Etienne. Non riesce a capirne il motivo, ma anche se vorrebbe, non riuscirebbe mai a pensare a lui come a un intralcio.
Sbuffa rumorosamente, afferrando un foglio e dandovi un’occhiata di sfuggito, quando ad un tratto, vede spalancare la porta e entrare Rea con l’affanno e le lacrime agli occhi. La guarda allibito e preoccupato, posa lentamente il foglio e mormora fissandola sottocchio: << Che succede, Rea? >>
<< C-Castiel... >> sussurra tra i singhiozzi la ragazza.
Il giovane si alza e le va incontro << Rea, cosa c’è? >>. Quella sua domanda muore nell’aria sovrastata da mille mormorii che riecheggiano nel corridoio.

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Capitolo 19
*** Qual è il suo vero volto? ***


19° capitolo: QUAL E’ IL SUO VERO VOLTO?
 



La paura solca tutti gli altri sensi prendendo il primo posto dentro di me. sto camminando a passo svelto, so dove sto andando ma ho comunque un senso di smarrimento. Ho come la sensazione di avere un mucchio di ovatta che mi riempie le orecchie impedendomi di sentire i suoni che mi circondano.
Finalmente vedo davanti a me la porta del mio ufficio, la spalanco senza esitare. Mi fermo ansimando, incrociando lo sguardo di Castiel, seduto dietro la scrivania.
<< Che succede, Rea? >> mi chiede guardandomi sottocchio.
<< C-Castiel… >> sussurro tra i singhiozzi non riuscendo a mantenere le lacrime. Lo vedo alzarsi e venirmi incontro << Rea, cosa c’è? >> chiede preoccupato.
<< A-Alain… >> provo a parlare, ma i mille mormorii che riecheggiano nel corridoio me lo impediscono. Vedo Castiel guardare oltre di me, curioso, poi trasalisce, mi fissa sgranando gli occhi. Mi afferra per le spalle e mi scuote leggermente.
<< Rea, cosa è successo ad Alain?! >>
<< Io… in classe… lui… >> mi sento confusa, non riesco a riordinare le parole, quella scena la vedo ancora davanti ai miei occhi e non riesco a cancellarla. Ad un tratto lo vedo allontanarsi da me e correre nel corridoio facendosi strada tra la folla di alunni che si sono tutti raccolti davanti alla porta della classe quinta.
Porto una mano al petto e la stringo in pugno. Poi rimettendo la forza nelle gambe raggiungo anche io la classe. Vedo Nathaniel farsi avanti.
<< Che sta succedendo? Cos’è tutto questo caos? >>
<< N-Nathaniel, ti prego… fa sgomberare il corridoio e chiama un’ambulanza >>
Mi guarda curioso, ma non esita, esegue i miei ordini con fare autoritario. In pochi secondi, il corridoio è ormai libero da occhi indiscreti. Anche l’ambulanza arriva in fretta, vedo alcuni uomini entrare velocemente nella classe portando con loro una barella. Li seguo in silenzio, quasi senza farmene accorgere. Mi appoggio alla porta e fisso attentamente i  movimenti. Guardo il pavimento, e vedo l’immagine inanime di Alain, steso su un fianco. Sento un dolore forte al petto.
“Cosa e come è potuta accadere una cosa del genere?” mi chiedo frastornata.
Mi sono recata in classe per fare lezione al posto del professor Faraize che è assente, e già dall’inizio mi sono accorta che qualcosa non andava. Alain si è comportato in modo strano. Io mi aspettavo qualche sua solita battutina perversa, e invece per quasi mezz’ora non mi ha calcolata per niente. Non che avrei voluto essere infastidita, ma Alain… non era il solito. Mi ha anche fatto fare lezione in santa pace, e poi, l’ho visto alzare la mano chiedendomi di poter andare in bagno, io ho acconsentito, ma non appena si è alzato, ha iniziato a barcollare, per poi cadere per terra inanime. Ho provato a chiamarlo, ma non mi ha risposto.
Guardo gli infermieri caricarlo sulla barella e uscire velocemente. Castiel li segue fino all’uscita. Vado con lui.
L’ambulanza parte, a suon di sirena.
<< Devo raggiungerlo! >> dice ad un tratto Castiel incamminandosi verso la sua auto.
<< Vengo con te >>
<< No! >> esclama lui, spaventandomi << Rimani qui Rea. Gli infermieri hanno detto che non è nulla di grave, ha solo avuto un mancamento. La situazione avrà di sicuro scombussolato le altre classi, e Nathaniel non può tenerli a bada da solo >>. Non aggiunge altro, mi lascia basita. Lo vedo allontanarsi, e in meno di un minuto rimango sola nel cortile della scuola a fissare il vuoto con la mente immersa nel nulla.
<< Rea? >>. Ad un tratto mi sento chiamare alle spalle, mi volto e vedo che verso di me si avvicina Armin. Lo guardo inespressiva e per un momento mi dimentico la discussione avuta prima.
<< Rea, cos’era tutto quel trambusto? >> mi chiede ormai a due passi da me.
<< U-un alunno, si è sentito male… abbiamo dovuto chiamare l’ambulanza >> rispondo distratta, guardandomi intorno smarrita. Poi mi sento afferrare per un polso, e lo guardo negli occhi, sembrano diversi da prima.
<< Hai paura? >> mi chiede gentilmente.
Quella frase, detta in quella maniera fa ritornare le mie lacrime. Abbasso la testa cercando di trattenermi. Lui allora mi abbraccia facendomi appoggiare il viso sulla sua spalla, e mi accarezza i capelli.
Istintivamente, ma con un po’ di esitazione, ricambio il suo abbraccio afferrandogli un lembo della maglia e stringendogliela. Piango più rumorosamente, appoggiando la bocca su di lui per non farmi sentire.
<< A-Armin, ho… ho avuto paura… tanta paura… lui non respirava più, non parlava più… >>
<< Ssh!... sta calma amore mio, vedrai che si sistemerà tutto >> sussurra lui dolcemente stringendomi di più a se.
Quella stretta riesce a tranquillizzarmi, facendomi dimenticare definitivamente della lite.
Ad un tratto si distacca, con le dita mi solleva il mento, mi guarda con dolcezza negli occhi e poggia dolcemente le labbra sulle mie. Mi concedo senza oppormi. Sentendo il bisogno di essere trattata in quella maniera da lui.
 
 
 
Armin non ha voluto lasciarmi sola, anche quando gli ho detto che mi ero ripresa, così mi sono arresa alla sua insistenza e gli ho chiesto se poteva prendere lui il mio posto nella classe quinta.
Ora sono sola nel mio ufficio, seduta dietro la scrivania con il cellulare in mano. Ho provato a chiamare Castiel, le prime volte non mi ha risposto, poi ha spento il cellulare, così gli ho inviato un messaggio con sopra scritto “Chiamami, voglio sapere la situazione”.
Sono tentata dal voler andare in ospedale; ma lui mi ha ordinato di non allontanarmi dal liceo. Sono preoccupata, e molto. Che diavolo gli è preso a quel moccioso pervertito?
Sbuffo infastidita, come per scacciare l’ansia che non si decide a lasciarmi in pace. Lascio il cellulare sulla scrivania, guardo attentamente davanti a me e penso. Penso a qualche giorno fa, a quando origliai da dietro la porta sentendo la discussione avuta tra i due cugini.
Alain aveva detto verso Castiel che quest’ultimo non voleva punirlo per qualche arcano motivo  che il rosso si vide bene dal farglielo sputare dalla bocca.
Qual era la continua di quella frase. Cosa voleva dire? Forse… no. Scuoto energicamente il capo, tirando un profondo respiro, e allontanandomi da quei pensieri.
Ecco, adesso sono di nuovo agitata. Maledizione Castiel, perché hai spento il cellulare?
Mi alzo, facendo il giro della scrivania. Appoggio le mani sui fianchi e inizio a camminare avanti e indietro per l’ufficio, quando ad un tratto, la continua vibrazione del cellulare, cattura la mia curiosità. Di scatto, mi precipito sulla scrivania afferrando lo smartphone e senza guardare di chi si tratti rispondo esclamando: << Castiel! >>
La risposta non accontenta le mie aspettative, è solo un tale che ha sbagliato numero. Chiudo la chiamata e senza pensarci ancora, afferro la borsa e esco dal mio ufficio correndo verso l’uscita. Entro in macchina e sfreccio verso l’ospedale.
Quando arrivo, noto con mia fortuna che alla reception non c’è nessun altro tranne che un’infermiera, mi reco velocemente da lei.
<< Buongiorno >> dico cercando di mantenere la calma.
<< Buongiorno >> risponde lei con un sorriso << Mi dica, posso fare qualcosa per lei? >>
<< Senta, qualche ora fa è stato portato un ragazzo con l’ambulanza, vorrei avere sue notizie >> rispondo tutto d’un fiato.
L’infermiera, gentilmente, controlla su una cartelletta, poi nomina il paziente chiedendomi se si trattasse di lui.
<< S-sì, è lui… >>
<< L’hanno ricoverato, si trova nella stanza ventiquattro, secondo piano, reparto cardiologia >>
Faccio due passi per incamminarmi, ma mi blocco. “Cardiologia?... ma che cosa significa, non è stato un semplice mancamento?”.
<< Ha bisogno d’altro? >> mi chiede la ragazza guardandomi curiosa. Scuoto la testa velocemente ringraziandola e incamminandomi verso il posto indicato.
Prendo l’ascensore, e non appena le porte si aprono, mi metto a guardare tutti i cartelli segnati dai numeri per trovare la stanza ventiquattro. La trovo, ma non per via del numero. Sono delle urla, che conosco molto bene a farmela trovare. La voce alterata è di Castiel.
<< Smettila di fare il ragazzino viziato, non hai più cinque anni! >> dice il rosso, e sembra alquanto incazzato.
<< Smettila tu di rompermi le palle! >> controbatte Alain << Non puoi decidere cosa devo fare! Fammi uscire immediatamente da qui! >>
<< Piantala Alain, o ti spacco la faccia >>
<< Sei meglio quando te ne freghi, e ti comporti da cinico!... non azzardarti neanche a chiamare mi madre e mio padre! >>
<< Se non fai come ti dico li chiamo eccome! >>
<< Ti odio, odio tutti voi! >>
Decido di entrare, spinta da non so cosa. Non appena varco la soglia, i miei occhi si piantano su di Alain seduto sul letto, con al braccio una flebo, e mi guarda, quasi sorpreso.
<< R-Rea >> balbetta quasi con un sibilo. Vedo Castiel girarsi e guardarmi con occhi sgranati.
<< Che diavolo ci fai tu qui?! >> esclama quest’ultimo irritato << Non ti avevo ordinato di rimanere a scuola? >>
<< Non mi rispondevi, ed ero estremamente preoccupata! >> rispondo a tono.
<< Ho dovuto spegnere il cellulare >>
Guardo Alain. << Come stai? >> chiedo con voce flebile. Lui non mi guarda, fissa la parete davanti a se e sbuffa un sorriso beffardo.
<< Cos’è, sei venuta anche tu a compatirmi? >> chiede strafottente. Quella domanda mi fa rimanere male. Perché si comporta così?
<< Che stai dicendo? >> chiedo nervosa << Mi hai spaventata in classe, pensavo il peggio… >>
<< Piantala! >> mi ammonisce urlando.
Trasalisco spaventata.
<< Vattene, non voglio vedere la tua faccia! >> ringhia.
<< A-Alain… >> “Che gli prende? Non mi aveva mai parlato in questa maniera, prima d’ora”.
<< Tu sei venuta a trovarmi solo per svolgere il tuo fottuto lavoro. Non ho bisogno di te, quindi sparisci! >>
Quelle parole le sento come violente scudisciate sul mio cuore.
<< Alain smettila! >> interviene Castiel.
Quella discussione finisce lì. Entra il primario, invitandoci ad uscire per un controllo. Io sono impietrita, non riesco a muovermi. Continuo a fissare Alain, offesa dalle sue taglienti parole. È Castiel a prendermi per un braccio e a farmi uscire dalla stanza con lui.
Non appena ci troviamo in corridoio, lui lascia la presa e esce sul balcone accendendosi una sigaretta. Lo seguo a passo lento, mi fermo tra l’uscita e l’entrata e guardo attentamente le mosse del rosso.
<< Lascia perdere ciò che ti ha detto >> mormora, tirando due boccate.
<< N-non si è mai comportato così, prima d’ora >>
<< Non faci caso. I cambiamenti d’umore di Alain sono abitudinali. Ha l’abilità di crearsi un sacco di maschere per nascondere il suo vero volto >>
<< E qual è? >> chiedo tutto d’un fiato. Castiel mi guarda, esita nel rispondermi, forse non vuole farlo. << Cosa nasconde dietro la sua maschera?... Castiel perché mi avevi detto che era solo un mancamento e invece lo hanno ricoverato in questo reparto? >>
<< Smettila Rea >> dice lui calmo.
<< Perché devo smetterla, dimmi perché? Cosa sta succ… >>
<< Rea, Alain è gravemente malato! >> urla interrompendomi bruscamente.
Trasalisco << C-cosa?... è uno scherzo?... c-che stai dicendo? >> chiedo confusa, indietreggiando.
<< Gli rimangono solo pochi anni di vita >> aggiunge tutto d’un fiato, immergendo i suoi occhi in tempesta, nei mei che hanno iniziato da soli a bagnarsi.
 
 
 


NDA:… … … Non ho parole, per commentare la mia malvagità… vi do il permesso (ma senza esagerare) di dirmi ciò che volete… io risponderò soltanto che non tornerò indietro nei miei passi. Continuerò la storia con questa dolorosissima scoperta, fino alla fine, che sia brutta o bella. Scusatemi se vi ho deluso. TTnTT

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Capitolo 20
*** Insistenze ***


20° capitolo: INSISTENZE
 




<< Fin da quando era piccolo, Alain è sempre stato di salute cagionevole >> inizia a raccontare Castiel dopo aver gettato il mozzicone di sigaretta nel vuoto da quel balcone del secondo piano dell’ospedale. Io lo ascolto ma non riesco a guardarlo negli occhi. Non riesco ancora a credere alle sue parole.
Quel moccioso pervertito, non avrà vita lunga, e questa dolorosa verità mi sta sconvolgendo l'anima. Mi sono affezionata a quel ragazzo, ho anche iniziato a volergli bene.
<< Con il passare degli anni e della sua crescita, il suo cuore si è indebolito. Quando andava a letto doveva dormire attaccato a un macchinario che gli permetteva di regolarizzare i suo battiti nel caso in cui il cuore aveva deciso di fermarsi >> continua Castiel con voce seria.
<< E poi? >> chiedo con voce rauca.
<< Non so per quale motivo, almeno è lui a non volerlo dire. Decise di liberarsi di quella macchina, non andava più alle visite, e se ne andò anche di casa. Mia zia mi avvisò chiedendomi se potevo fare qualcosa, ma quel moccioso è testardo, peggio di me! >>
<< Perché fa questo? >>
<< Ti ho detto che non lo so. Ho provato a convincerlo in tutte le maniere >> afferma passandosi le mani fra i capelli.
<< Di cosa? >> chiedo incuriosita.
<< C'è una possibilità che possa salvarsi >>
A quelle parole i miei occhi si accendono di speranza. Sento finanche il cuore alleggerirsi.
<< C'è? >>
<< Il medico che lo aveva in cura, ha un fratello non lontano da qui, che compie queste complicate e delicate operazioni. Ma quell'idiota di mio cugino non ne vuole sapere >>
<< Ma dove diavolo sono i suoi genitori, che cosa fanno? >>
<< Non sono qui! Viaggiano per lavoro >>
Sbuffo beffarda. La solita storia. Genitori che viaggiano per lavoro e non si curano dei propri figli. Mi ricorda tanto la mia situazione adolescenziale, ma almeno i miei mi lasciarono a zia Michelle. Povero Alain.
Il silenzio piomba tra noi due e sono proprio io a spezzarlo poco dopo.
<< Castiel, Alain si opererà! >> affermo convinta. Il rosso mi guarda sorpreso. << Se questo può salvarlo dalla morte, farò di tutto per convincerlo... Te lo prometto >>. Detto questo rientro nel reparto lasciandomi dietro il rosso che mi chiede << Dove vai? >>
<< A mettere il guinzaglio al cane! >> rispondo accennando un sorriso, per tranquillizzarlo. Senza aggiungere altro, mi dirigo verso la stanza del ragazzo e mi accorgo che la porta è aperta, capisco che il medico è andato via. Tiro un lungo respiro, poi entro con fare deciso.
Alain è ancora seduto sul letto, e guarda la finestra. Noto qualcosa nei suoi profondi occhi blu. Sta piangendo. Mi sento triste nel vederlo in quella maniera, poi mi faccio forza e dico:
<< Sono sicura che presto pioverà >> lo vedo trasalire, ma non si volta a guardarmi, forse non vuole far vedere le sue lacrime. Non parla. << le nuvole sono grigie >>
<< Perché sei ancora qui? Ti avevo detto di andartene >> dice lui seccato.
Non rispondo, mi guardo intorno, vedo una sedia accanto a un tavolo, la prendo e vado a sedermi accanto al suo capezzale. Lui intanto segue i miei movimenti con la coda dell'occhio.
Sedutami, metto le braccia conserte e lo guardo cercando di rendere la mia espressione il più rilassata possibile.
<< Che guardi? >> chiede ad un tratto volgendomi lo sguardo.
Come risposta faccio spallucce. Lui sbuffa scocciato << Va via Rea, voglio stare da solo >>
<< Non ti sembra di essere stato da solo per troppo tempo? >>
Alain ha un sussulto.
<< Non ne hai abbastanza di questa solitudine? >> continuo seria.
<< Che ne sai tu? Cosa ne puoi sapere? >>
<< So più cose di quanto potessi immaginare, Alain >>
Mi guarda allibito, poi chiede << È stato Castiel, vero? >>
<< Ha importanza? >>
<< No, se sei venuta soltanto per compatirmi! >> urla irritato << ne ho abbastanza di avere intorno gente ipocrita alla quale non importa veramente niente di me >> continua, e nei suoi occhi vedo la disperazione e il pianto che vuole uscire. Non gli do neanche il tempo di continuare la frase, che presa da uno scatto di angoscia, mi alzo dalla sedia e lo abbraccio. Lui si zittisce e lo sento tremare sotto la mia presa.
<< Non dirlo più, Alain. Mi fa male, sentirti dire queste falsità. Io ti starò vicino, che tu lo voglia o no >> mormoro poi distaccandomi. Lo guardo negli occhi. Sta di nuovo piangendo, allora passo le dita sulle sue guance e raccolgo quelle lacrime di dolore.
<< Non sei solo, Alain >> interviene Castiel dietro di noi. Mi giro e lo vedo avvicinarsi. Guarda suo cugino con un sorriso << Hai anche me >> aggiunge appoggiandogli una mano sulla spalla.
Alain abbassa lo sguardo sbuffa un sorriso e sibila << idioti >>
Guardo Castiel titubante. Lui non mi ricambia, continua a fissare suo cugino con aria seria.
<< State facendo tutte queste scene per farmi sentire la morte l'ultimo dei miei pensieri? Ma non lo capite, che lei vive già nel mio cuore? >>
<< No! >> esclamo facendo uscire le lacrime << tu non morirai! Ti opererai e ritornerai ad essere l'Alain di sempre! >>
<< Ma piantala Rea! Vuoi capirlo si o no che il cinquanta per cento della mia vita appartiene alla morte? L'operazione non ha una sicurezza di successo! Preferirei morire invece che affidarmi a queste stron... >>. Lo interrompo, piantandogli uno schiaffo sulla guancia. Lui piega la testa a un lato, e permette alle sue ciocche castane di coprirgli gli occhi. Rimane così.
<< Smettila di fare il moccioso! Che tu lo voglia o no ti opererai! Farò qualunque cosa purché questo avvenga! >>. Detto questo mi reco alla porta e prima di uscire, senza girarmi mormoro: << Non arrenderti senza averci provato! Se tu morissi il liceo non sarà più lo stesso senza di te >>. Me ne vado. Percorro il lungo corridoio per raggiungere l'ascensore. Quando arrivo, spingo il pulsante, e mentre lo faccio, mi sento catturare da dietro, vedo due braccia avvolgermi, e sulla parte laterale del mio viso, il calore di labbra.
<< Grazie Rea >> sussurra Castiel dopo avermi stampato un dolce bacio sulla guancia.
Sorrido sentendomi il cuore battere a mille. Sollevo la mano, toccandogli un braccio e stringendo la stoffa della sua giacca. << Di nulla Castiel >> sibilo dolcemente.
Dopo essere passata da scuola, torno a casa, stanca e afflitta. Trovo Kim seduta sul divano accanto a mio figlio che sfoglia le pagine di un fumetto.
Li saluto. Loro rispondono senza guardarmi. Sento dei rumori provenire dalla cucina, allungo il capo per vedere di chi si tratta e noto con sorpresa che è Armin.
<< Ciao, Rea >> dice accennando un sorriso. Rispondo smarrita.
<< Dopo la lezione, mi hanno detto che te n’eri andata e ho deciso di tornare anche io a casa ma non ti ho trovata >>
<< Sono… andata in ospedale, volevo assicurarmi che Alain stesse bene >> dico cercando di non incrociare il suo sguardo. Mi sento a disagio, dopo la discussione avuta a scuola, come può comportarsi in questa maniera? Ok, sì, ci siamo baciati, ma è stato un momento in cui ho avuto bisogno di essere confortata, perché dopo il peggio, riguardarlo negli occhi mi fa ritornare alla mente la lite, e questo mi altera.
<< C’era anche Castiel con te? >> chiede ad un tratto. Ecco, lo sapevo.
<< Armin, ti prego, non ricominciare… >>
<< Non ne ho intenzione >> m’interrompe, abbracciandomi << scusami Rea… per tutto >>
<< Lasciamo perdere >> mormoro sospirando, senza ricambiare il suo abbraccio. Mi distacco delicatamente da lui e mi reco nel salotto sedendomi accanto a Kim.
<< Nath, mi ha detto di Alain. Come sta? >> chiede seria.
<< Il fatto è serio. Ha una malattia mortale >> rispondo tutto d’un fiato. Kim mi volge lo sguardo di scatto. La guardo a mia volta e mi accorgo che ha sgranato gli occhi.
<< Allora… >>
<< Allora se si opera ci sono probabilità di salvezza. Il problema è che non vuole farlo >>
<< Cosa succederà? >>
Mi alzo sbuffando << Lo convincerò costi quello che costi >> dico avviandomi verso le scale << Vado a farmi una doccia >>. Salgo recandomi in bagno. Apro la valvola dell’acqua calda e inizio a spogliarmi. Mi lavo, anche se a dire il vero passo più tempo a rimanere immobile sotto l’irrefrenabile scroscio d’acqua a pensare al nulla più totale. Ho talmente la mente affollata che il cervello si è svuotato.
Esco, mi avvolgo in un telo da bagno verde acqua e mi dirigo in camera. Prendo l’intimo e lo poggio sul letto.
<< Rea, il cellulare ti stava squillando >> sento la voce di Armin. Mi giro e lo vedo davanti alla porta che mi fissa dalla testa ai piedi.
<< Chi era? >> chiedo indifferente.
<< Rosalya, h-ha detto che ti chiamerà più tardi >> risponde lui balbettando. Non aggiungo altro, mi avvicino all’armadio e apro le ante iniziando a scegliere cosa potrei indossare. Quando ad un tratto sento un caldo respiro poggiarsi dolcemente sulla mia spalla umida e nuda. Trasalisco e mi giro di scatto. Incrocio gli occhi glaciali di Armin che brillano di una strana lucentezza.
<< Cosa… c’è? >> chiedo facendo la gnorri.
<< Sei bellissima Rea >> sibila lui, accarezzandomi il viso per poi scendere sul collo e delineare la spalla. Rabbrividisco ma riesco a resistere. Mi divincolo allontanandomi da lui.
<< Ci sono Kim e Etienne di sotto >> mormoro un po’ imbarazzata. Lo sento avvicinarsi un’altra volta, appoggia le sue labbra ardenti sulla mia pelle fresca, stampandomi tutto il collo con quei suoi baci. Le sue mani salgono su per i fianchi fino a posizionarsi sulla giuntura che tiene ben saldo l’asciugamano. Lo fermo, allontanandogli le mani.
<< Armin, per favore >>
<< Ho voglia di te >> dice lui affondando le labbra nei miei capelli e ritornando a maneggiare l’asciugamano. Lo ammetto, quel comportamento mi da letteralmente fastidio. Non può far finta di niente, quando ore prima si è comportato da perfetto bastardo. Mi libero bruscamente dalla sua presa, e lo guardo rude negli occhi. << Ho detto smettila! >> esclamo, sperando che di sotto non mi abbiano sentita.
Armin mi guarda con serietà, poi sbuffa un sorriso e senza proferir parola se ne va.
Sprofondo sul letto, sbuffando scocciata. “perché mi ritrovo sempre in situazioni che non sopporto?” mi chiedo. << Perché? >> ripeto con un sibilo.
Ad un tratto sento la suoneria del mio cellulare farsi sempre più vicina. Mi alzo e mi reco alla porta. Vedo Etienne venirmi incontro con in mano il telefono.
<< Tieni mamma >> dice porgendomelo.
<< Grazie >>. Guardo chi è. Rosalya. << Rosa? >>
<< Rea, scusami se ti disturbo, ma ho voluto avvisarti che dopodomani sera ci sarà una cena a casa mia, siete tutti invitati >>
<< Potrei sapere per cosa? >>
<< Ha chiamato Castiel e ha detto che fra tre giorni partirà con suo cugino per una visita medica. Quindi non sarà presente all’addio al celibato di Lysandro, così abbiamo deciso di fare una cena >>
<< O-ok, ma devo prima trovare a chi potrei lasciare Etienne, zia Michelle verrà fra tre giorni >>
<< Castiel ha pensato anche a questo >>
“Cos’ha fatto, Castiel?!” << C-come? >> chiedo incredula.
<< La cena si farà a casa sua, e Etienne rimarrà con suo fratello >>
<< Ma… Rosalya, s-sua moglie… >>
<< Ah, quella stronza? Beh, non farci caso, Lys mi ha detto che per il momento non si farà vedere >>
<< Ah… >>
<< Be, allora a dopodomani >>
<< Ciao >> chiudo la chiamata facendo ciondolare il braccio. Sono rimasta di sasso. Sbuffo rumorosamente, non riuscendo a capire per quale dannato motivo mi sento in questa maniera, che se potrei esprimerla con un aggettivo, la parola giusta sarebbe: SCHIFO.
L’unica cosa buona, è aver scoperto che Alain ha deciso di operarsi. Esito, poi con fare sicuro mi dirigo all’armadio, mi vesto e scendo velocemente le scale.
<< Dove vai? >> mi chiede Kim non appena mi vede.
<< In ospedale, Alain ha deciso di accettare, e io gli ho promesso di non lasciarlo solo >>
<< Vengo con te >> dice Kim alzandosi dal divano.
<< Anche io >> esclama Etienne. Mi guardo intorno e noto che Armin non c’è.
<< Dov’è Armin? >> chiedo.
<< è dovuto ritornare al suo lavoro >> risponde Etienne.
<< Ok >> sospiro << Andiamo >>.
Arrivati all’ospedale, Kim rimane fuori dal reparto con Etienne, dato che non può entrare. Mi reco nella camera di Alain, non c’è nessuno. Anche se la porta è aperta: busso. Lui è seduto accanto alla finestra, ha una flebo attaccata al braccio, mi guarda prima serio, poi sorride.
<< Sei tu >> dice.
<< Come ti senti? >> chiedo volgendo lo sguardo verso il tavolo, attratta da un mazzo di rose rosse. << Che belle rose >> esclamo senza dargli il tempo di rispondere alla mia prima domanda.
<< Se ti piacciono prendile >> mi dice con fare indifferente ritornando a guardare fuori.
<< Sono per te, perché dovrei prenderle io? >> chiedo avvicinandomi al tavolo. Lui sbuffa un sorriso strafottente e non risponde. << Ho saputo che ti sei convinto >> dico dopo un po’. Mi guarda.
<< L’ho fatto per una semplice ragione >> dice sorridendo malizioso.
<< E sarebbe? >> chiedo curiosa.
<< Le tue frasi, mi hanno convinto. Una in particolare >>
<< Quale? >>
<< Quella in cui dicevi che avresti fatto qualunque cosa >>
Perché sento che quella frase non promette nulla di buono? << C-che intendi? >>
<< Lo dicevi sul serio? >> chiede alzandosi e avvicinandosi a me lentamente.
<< C-certo >>
<< Allora… >> sussurra piegandosi verso il mio orecchio << verresti a letto con me? >>. Quella domanda sembra più una risposta ovvia. Sento il suo fiato solleticarmi le orecchie. Quella voce sensuale le penetra facendomi rabbrividire. Eccolo ritornato il moccioso pervertito.
<< Ti si è storto il cervello?! >> esclamo irritata.
<< Se non accetti non mi opero >> dice lui allontanandosi da me << Ricorda che l’hai promesso >>
<< Io non ho promesso niente del genere! >>
<< Hai detto: qualunque cosa >>
<< Smettila di fare l’idiota! >> esclamo girandomi e afferrando il mazzo dei fiori << vado a trovare un vaso per queste rose! >>. Mi allontano.
Guardando quelle rose, noto che fra loro, spicca un foglietto bianco, lo afferro e leggo cosa c’è scritto. Il contenuto mi fa rimanere alquanto allibita e titubante. Ma la cosa che mi distrae totalmente è quando, uscita dalla stanza vedo davanti a me un ombra svoltare velocemente a destra del corridoio. Non voglio sbagliarmi, ma quel foulard lilla e i capelli corvini ne sono la prova. Armin era qui e il quel preciso istante inizio ad avere paura che abbia sentito le parole di Alain.

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Capitolo 21
*** I battiti del suo cuore ***


21° capitolo: I BATTITI DEL SUO CUORE
 



Prima di far ritorno a casa, Etienne mi ha chiesto di passare dal parco giochi, ho acconsentito senza esitare, e adesso mi ritrovo seduta sulla panchina con le braccia conserte, gli occhi fissi nel vuoto  e la mente immersa in mille pensieri. Non faccio neanche caso a ciò che sta dicendo Kim. Sono concentrata a capire se Armin abbia sentito il discorso fra Alain e me. non dovrei preoccuparmi, dato che quelle di Alain non sono altro che proposte strafottenti, ma, ho qualcosa nello stomaco che mi sta sconvolgendo il morale.
<< Ehi Rea! Ma mi stai ascoltando? >>
Trasalisco nel sentirmi chiamare così ad alta voce. Guardo di scatto Kim e smarrita dico: << Stavi dicendo? >>
<< Sì, buonasera! >> esclama ancora lei, scuotendo la mano. La vedo poggiarsi di schiena alla spalliera della panchina, allargare le braccia, e poggiare i gomiti all’indietro.
<< Scusami Kim, ma stavo pensando… >>
<< Me ne ero accorta >>
Sospiro rumorosamente.
<< Cos’hai? >> chiede volgendo lo sguardo verso mio figlio che gioca spensierato con gli altri bambini.
<< Non lo so >> rispondo facendo una smorfia, << sento che sta per succedere qualcosa, ho un’angoscia in corpo che non mi lascia stare >>
<< Vuoi parlarne? >>
Esito prima di rispondere, poi raccogliendo tutta l’aria che posso, dico: << Oggi ho rifiutato Armin >>
<< In che senso? >> chiede lei guardandomi sottocchio.
<< Nel senso che hai ben capito >>
<< Capisco… e lui? >>
<< E lui… lui non ha fatto niente, ha solo sorriso e se ne è andato >>
<< è quale sarebbe la paura? >>
<< Oggi Alain mi ha fatto una delle sue proposte sconce, e quando sono uscita dalla camera, ho visto Armin svoltare l’angolo >>
<< Pensi che abbia sentito? >> chiede Kim indifferente.
<< Non lo so >> rispondo massaggiandomi le mani nervosamente << non dovrei preoccuparmi, non ci ho mai pensato, non è la prima volta che quel moccioso pervertito dice quelle cose. Però… oggi, sapere che, forse, Armin abbia sentito, mi fa uno strano effetto. Ho paura che abbia frainteso >>
<< Non ti resta che scoprirlo >> sbuffa lei. “già, non mi resta che scoprirlo, ma come?”. << Però è strano >> aggiunge. La guardo alzando una sopracciglia. Lei ricambia il mio sguardo e mi dice: << Non ti sei chiesta per quale motivo ti stai preoccupando? >>
Rizzo la schiena nel sentire quelle parole. Torno a guardare Etienne.
<< Cosa provi veramente per Armin? >> chiede infine Kim.
<< Io… non lo so Kim! >> rispondo affondando le dita nei miei capelli, portandomeli all’indietro e sbuffando scocciata << sono così confusa! Non posso dire di provare amore, perché mentirei spudoratamente. Gli voglio bene, ma… i suoi comportamenti, le sue parole… non lo so. Sento solo che succederà qualcosa, è questa la vera paura >>
<< Senti… >> interviene la ragazza dalla pelle cioccolato << l’unica cosa che puoi fare, è chiarire questo casino! Dopo l’arrivo di Castiel, hai capito che nessuno potrà mai prendere il suo posto, quattro anni fa hai accettato Armin, per ricostruire quello che la storia con Cass ha distrutto. Hai Etienne, quel bambino riempie il vuoto che alberga nel tuo cuore, hai sempre detto così. Ora, se non stai più bene insieme ad Armin, non credi che dovresti parlagliene e trovare una fine a questa situazione?... l’unica cosa che devi chiederti veramente, Rea, è che cosa vuoi? >>
È la prima volta dopo tanto tempo che sento Kim parlarmi in questo modo. Lei ha ragione. Che cosa voglio veramente?
Mentre mi pongo questa domanda, i miei occhi non possono fare a meno di guardare Etienne. E lì la risposta nasce spontanea, da quando c’è lui, il resto non conta, voglio che quel sorriso non si spenga mai da quel viso angelico.
<< Etienne >> sussurro.
<< Cosa? >> chiede Kim avvicinandosi.
<< Devo pensare alla felicità di Etienne >>
<< Bene, e allora inizia a ragionare cosa è davvero giusto per lui >> conclude Kim alzandosi dalla panchina. Guarda l’orologio da polso e tirati giù i lembi della maglia, esclama << Io adesso dovrei andare, ho da fare >>
<< Vuoi un passaggio? >> chiedo alzandomi.
<< No, non preoccuparti è qui vicino >>. Ci salutiamo, lei se ne va, io raggiungo mio figlio e prendendolo per mano gli dico di far ritorno. Lui stranamente non si oppone, saluta i suoi compagni e mi segue.
Ritorniamo a casa. Mentre mi accingo a inserire la chiave nella serratura della porta, questa stranamente si apre, rivelando l’immagine di Armin, che mi guarda. Non riesco a leggere nessuna espressione su quel volto, l’unica cosa che riesco a notare, sono i suoi occhi arrossati. Che abbia pianto?
<< Ciao >> mormoro. Lui accenna un lieve sorriso, poi si sposta e ci fa entrare.
<< Papà, hai comprato quel videogioco che mi dicesti? >> esclama Etienne andando a sedersi sul divano.
<< No… l’ho dimenticato >> risponde lui smarrito.
<< Ma papà! >> si lagna il bimbo.
<< Per farmi perdonare ti faccio giocare alla mia psp >>
<< Bene >> dice compiaciuto Etienne.
Intanto io mi dirigo in cucina per preparare la cena. Dopo un po’ sento dei passai farsi più vicini. Mi giro. Armin è di fronte al frigorifero e prende una bottiglia d’acqua.
<< Cosa prepari? >> chiede indifferente.
<< Parmigiana >> rispondo a tono.
<< Sei stata in ospedale? >> chiede a bruciapelo.
Il coltello che ho preso tra le mani, mi scivola, cadendo sul piano del tagliere. “C’eri anche tu! Perché me lo chiedi?”
<< Sì >> rispondo con voce ferma e decisa.
<< E quel ragazzo, come sta? >>
<< Dovrà operarsi… se lo farà si salverà >> 
<< E dimmi… >> riprende dopo pochi secondi chiudendo il frigo e appoggiando la spalla ad esso << … quando dovrai mantenere la promessa? >>
Se prima il coltello mi era scivolato, adesso sono io a piantarlo sul tagliere. Appoggio la mano sul piano del mobile e mi giro verso di lui guardandolo seria.
<< Cosa vuoi dire? >>
<< Hai anche il coraggio di chiedermelo? >>
<< Sei venuto in ospedale, per spiarmi? >>
<< Credimi, non l’avrei mai fatto se avessi saputo che razza di persona sei… >>
Non gli permetto di continuare la frase, mi avvicino minacciosa e gli pianto un violento schiaffo sulla guancia sinistra.
<< Questa è l’ultima volta Armin! La mia pazienza ha un limite >>
<< Soltanto la tua? >> chiede beffardo.
Quelle parole mi fanno più male di uno schiaffo in pieno volto. Un singhiozzo esce dalla mia bocca e sento gli occhi iniziare a bruciare.
<< Se non ti sta più bene… lasciamoci >> dico con un groppo in gola. Lui mi guarda sgranando gli occhi << sono stanca di questa situazione Armin, io non ce la faccio più. Sei cambiato e ammetto di essere cambiata anche io. Ogni giorno che passa, ho sempre una paura fottuta in cuore, che non mi fa star bene, e non so darne neanche una spiegazione! >>
Lo vedo fare un gesto di scatto. Porto istintivamente le mani in avanti per difendermi, ma la sua reazione è tutt’altro che violenta. Mi avvolge fra le sue braccia e mi stringe forte a se.
<< A-anche questo tuo modo di fare… io, io… non lo sopporto… >> sibilo tra i singhiozzi.
<< Io ho una stramaledetta paura di perderti, Rea >> sussurra lui, affondando il suo volto nell’incavo del mio collo, e continua a stringermi.
 
 
Dopo aver sentito quel forte rumore in cucina, Etienne, attratto da quelle voci, lascia la psp sul divano e in punta di piedi si reca in quella stanza, dove le voci echeggiano più forti.
<< Credimi, non l’avrei mai fatto se avessi saputo che razza di persona sei… >>. Sente dire da suo padre. La scena che vede e le parole che sente dopo gli provocano una stretta al cuore. Con fare mogio si allontana dalla cucina e silenziosamente, esce fuori in giardino. Raggiunge il cancello, lo apre, incamminandosi verso il lago. Anche se arrabbiato e triste, decide di non allontanarsi troppo, per non far preoccupare sua madre. Si siede a cavalcioni su una panchina e inizia a disegnare qualcosa sulla fredda pietra, con il dito. Istanti dopo, sente abbaiare in lontananza. Alza lo sguardo incuriosito e vede due figure avvicinarsi: si tratta di un cane e di un ragazzo. Man mano che questi si avvicinano, la luce del tramonto riflette il colore rubino dei capelli del ragazzo.
<< Castiel >> sussurra lui accennando un sorriso.
Anche il rosso nota la figura del bambino e subito aggrotta le sopracciglia curioso. Demon dal canto suo, riconosciuto Etienne, si allontana dal suo padrone e corre verso il piccino saltandogli addosso e leccandolo tutto.
<< Demon, a cuccia! >> esclama Castiel ormai vicino.
<< Ciao Demon! >> ride il bambino facendosi leccare e perdendo alle volte l’equilibrio a causa degli amorevoli spintoni che il cane da, essendo molto più grosso di lui.
“Sembra una pulce” dice mentalmente Castiel sorridendo. << Ehi pulce, che cosa ci fai qui? >>
Etienne, lo guarda imbronciato barcollando a destra e a sinistra per mantenere l’equilibrio.
<< Mi chiamo Etienne! >> esclama minaccioso.
<< Ok, ok… Etienne… che caratterino. Sei peggio di tua madre. >>
Con una zampata, Demon getta per terra il bambino che rimane seduto, pulendosi le mani.
<< No!.. ora chi la sente a mamma? >>
Castiel sbuffa un sorriso divertito; poi con un gesto, afferra il cane dal collare e lo allontana dal bambino ordinandogli di rimanere a cuccia. Si inginocchia verso Etienne e lo prende in braccio.
<< Non ti sei fatto male, vero? >> gli chiede guardandolo da tutte le parti. Il bambino scuote la testa. << Bene, allora ritorna giù >> aggiunge il rosso facendolo scendere dalle braccia. Il bambino rimane fermo, unisce le mani dietro la schiena e lo guarda con occhi sgranati alzando la testa.
<< Cosa c’è? >> chiede sospettoso Castiel.
<< Mi pulisci? >>
<< Cosa? >>
<< Ho fatto la pipì nei pantaloni >> risponde il bambino gongolando.
“Fa la pipì nei pantaloni ed è pure contento!” << Tzè… mi stai prendendo in giro? >> chiede serio Castiel. Etienne risponde scuotendo la testa. << Torna a casa da tua madre e fatti pulire da lei >> dice sbrigativo dandogli le spalle, e accingendosi ad allontanarsi << Andiamo Dem… >> qualcosa lo interrompe, si sente catturare un lembo del pantalone. Si ferma girandosi e guardando verso il basso, vede la testa corvina del bambino abbassata, lo sente tremare, e sul suolo nota alcune gocce.
<< Ehi, no… non piangere! >>
<< I-io… non… non ci riesco… >> balbetta il bambino tra i singhiozzi.
<< Oh! Chi mancava anche questa! >> esclama il rosso sbuffando scocciato; poi si abbassa verso il piccino e gli afferra affettuosamente le spalle, facendogli sollevare la testa.
<< Che hai? >> chiede.
<< Se mamma lascia papà… io che faccio? >>
Nel sentire quelle parole, Castiel ha un sussulto al cuore. << Ehi, pulce, che stai dicendo? >>
<< Papà ha offeso la mamma, e lei ha detto lasciamoci >>
Il rosso volge istintivamente lo sguardo verso l’orizzonte, inizia a sentirsi smarrito. Non prova contentezza nelle rivelazioni del bambino, non riesce a farlo, ciò che sente veramente, è uno strano bisogno, collegato a un indomabile desiderio: quello di stringere fra le sue braccia quella dolce creatura. Esita nel farlo, ma poi, con un sol gesto, afferra la testa del bimbo e lo avvicina al suo petto avvolgendogli le piccole spalle con l’altro braccio. Così facendo inizia ad accarezzargli i capelli e a sibilare:
<< Sta, tranquillo piccolino… non piangere >>
Etienne, dapprima rimane fermo, poi sentendo i battiti del cuore di quel ragazzo, ricambia l’abbraccio affondando più che può il viso su quel caldo e sicuro petto. Il pianto si placa, solo i singhiozzi continuano a riecheggiare di poco nell’aria.
<< C-Castiel? >> dice dopo un po’.
<< Cosa c’è? >> chiede il rosso immerso nei suoi pensieri.
<< I tuoi battiti del cuore… >>
<< … Cos’hanno? >>
<< Io… li conosco… >>. Dopo quella frase, il bambino sibila un’altra che, sfortunatamente Castiel non riesce a sentire.

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Capitolo 22
*** Pazzie ***


BAKA TIME: ciao ragazze!! Scusatemi per il ritardo ma ho avuto un problema con il pc. Se vedete qualcosa di diverso nel capitolo e cioè la spaziatura, il motivo è perché ho scritto il capitolo con lo smartphone.
Comunque. In questa parte, sono convinta che alcune di voi forse fan di Armin, mi odieranno a morte. Ma non sapevo cos'altro inventare, perché ogni volta che mi chiedevo,  come posso toglierlo di mezzo? La risposta più vicina era ciò che ho riportato in questo capitolo, che successivamente avrei dovuto mettere il rating rosso, ma ho deciso di descriverlo in maniera "Iaia". Buona lettura, e mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate. ^^

 


<< Etienne! >>. È la quarta volta che urlo, ma da lui non ho nessuna risposta. Dopo la scena con Armin, in cui sono stata costretta a perdonarlo per l'ennesima volta, mi sono recata in soggiorno e non ho visto più mio figlio. Sono andata a vedere se era in camera sua, ma neanche lì. Ho iniziato a preoccuparmi. Adesso Armin mi sta aiutando a cercarlo, ma invano.
<< Etieeeenne!! >> grido a squarciagola iniziando a piangere e ansimare dalla paura.
<< Rea, la porta di entrata è aperta >> dice ad un tratto dal piano di sotto Armin << vado a vedere se si trova in giardino >>.
<< Vengo anche io! >> "Dio mio, fa che sia lì". Scendo velocemente le scale, e in tal modo esco in giardino. Mi guardo in torno smarrita per vedere se Armin l'ha trovato.
Mi fermo, accorgendomi che Occhi di ghiaccio se ne sta impalato davanti il cancello aperto con una mano che stringe il ferro, a contemplare in silenzio, il lago.
<< Che fai, Armin? >> chiedo accennando lentamente due passi << perché ti sei fermato? >> continuo allungando il passo. Quando finalmente gli sono vicino, mi ritrovo a guardare il suo profilo, e mi basta quello per capire la sua inquietudine.
<< Che succede? >> chiedo girando lentamente la testa verso la parte in cui lui sta guardando.
Sgrano gli occhi dallo stupore.
A due passi dal lago, inginocchiato e con lo sguardo rivolto all'orizzonte, Castiel tiene stretto affettuosamente fra le sue braccia mio figlio.
Quella scena io non so proprio come descriverla, ché, la parte da cui nascono i sentimenti, ha finito di funzionare. Inconsciamente, mi ritrovo a camminare verso di loro, che se ne stanno immobili come se quell'immagine altro non fosse che un'antica fotografia.
Trasalisco, poi, notando che Castiel si sta alzando, prendendo in braccio il bambino, che subito poggia la testa sulla spalla del rosso, facendomi intendere che sta dormendo. Castiel gli accarezza dolcemente i capelli, poi si gira verso di me iniziando a incamminarsi. Mi vede. Si ferma, mi fermo, e rimaniamo a fissarci per un po'. Io malinconica, lui non riesco a vederlo, perché in contro luce, ma so per certo che mi sta guardando.
Spinta dall'istinto, riprendo i miei passi avvicinandomi di più. << E-era con te? >> chiedo tremante, non sapendo che cosa dire.
<< L'ho trovato seduto su quella panchina >> risponde lui indifferente indicandomi il posto.
Sento il viso rigarmi di lacrime, non riuscendo più a trattenere il senso della scampata paura. Mi avvicino di più, e istintivamente allungo la mano accarezzando la testa di Etienne. Il movimento si fa automa, infatti mi ritrovo con il palmo che carezza i capelli corvini di mio figlio, e con il dorso che sfioro il collo di Castiel. Volgo lo sguardo verso di lui, e non posso fare altro che dirgli << Grazie >>. Lui sbuffa un sorriso, porgendomi il bambino fra le braccia, che lo accolgo tipo culla. Lo guardo in volto, dorme beato. Sorrido travolta da tenerezza.
<< Ti ha lasciato una sorpresa nei pantaloni >> dice ad un tratto Castiel quasi beffardo. Sorrido, volgendogli gli occhi.
Lui non sta sorridendo, ha uno strano luccichio nello sguardo che lo fa sembrare più  chiaro del  normale colore. Cancello anch'io il mio sorriso, aspettando una sua reazione. Dopo un po' lo vedo alzare lo sguardo e sospirare, mi sorpassa, ma mentre è al mio fianco, mi afferra una ciocca di capelli, guardandola con la coda degli occhi.
<< Non farlo più piangere, o mi abituerò a raccogliere le sue lacrime, fino ad affezionarmi >> sussurra serio facendo scorrere fra le sue dita i fili castani.
<< S-stava piangendo? >> chiedo triste, immaginando che forse il piccolo abbia ascoltato la discussione tra me e Armin. Castiel non risponde alla mia domanda, prima di andarsene aggiunge con un sibilo << mi dispiace >>.
Trasalisco nel sentire quelle due parole. Cosa avrà voluto dire? Cosa gli dispiace? Mi giro di scatto per chiederglielo, ma lui ormai si sta allontanando troppo. Voglio e sento il bisogno di raggiungerlo, ma la mano di Armin, che poggia sulla mia spalla mi ferma prima ancora di farmi accennare un movimento.
Lo guardo, sembra serio, ma riesco a scorgere nei suoi occhi un barlume di nervosismo.
<< Va tutto bene? >> mi chiede gentilmente. Annuisco accennando un lieve sorriso.
Rientriamo in casa, porto subito Etienne in camera sua, lo cambio, sperando vivamente che non si svegli, poi dopo averlo messo a letto, mi dirigo in camera mia, mi siedo sul materasso e guardando l'esterno, riflesso sui vetri della finestra, ripenso a Castiel, e inizio ad immaginare molti "se", uno dei quali risalta nella mia mente come una pepita d'oro, illuminata in tutto il suo splendore: se quel giorno, fossi ritornata da lui per... Quel pensiero si infrange nel momento in cui sento afferrarmi dolcemente per un braccio. Sobbalzo, girandomi e incrociando gli occhi glaciali di Armin.
<< Non stai bene? >> mi chiede.
<< Sono stanca... >> rispondo iniziando a singhiozzare.
<< Perché piangi? >> chiede ancora lasciandomi il braccio e raccogliendo una lacrima.
Abbasso lo sguardo scuotendo il capo << non lo so >> aggiungo con voce flebile. Allora lui senza aggiungere altro, si fa più vicino abbracciandomi. Non lo ricambio. Non può credere per davvero che mi sia passata solo perché è successo questo. Anche adesso mi sento irritata, i suoi sbalzi di umore mi irritano.
Ad un tratto sento che sta sciogliendo la sua presa su di me, mi afferra le spalle e mi costringe gentilmente a guardarlo. Si avvicina lentamente, e capisco subito che vuole baciarmi. Mi scanso nel momento in cui vedo che la distanza delle nostre bocche sta scomparendo.
 << Per favore Armin... >> sussurro alzandomi dal letto e raggiungendo la finestra. C'è un silenzio che mi sembra quasi assordante, mi sento ansiosa, come se stessi aspettando una sua reazione. Accade dopo un po', lo sento alzarsi dal letto e venire verso di me. Mi cinge i fianchi con una mano, e con l'altra mi sposta i capelli, denudandomi la nuca. Sento le sue labbra bruciarmi la pelle fresca, e subito una sensazione di fastidio mi pervade << No >> dico cercando di divincolarmi, ma lui stringe la presa tirandomi a se e aumentando i suoi atteggiamenti, prendendomi alla sprovvista. Non si è mai comportato in questo modo.
<< Armin, smettila... Ho detto di no! >> urlo riuscendo a liberarmi ma in maniera brusca. Lo guardo negli occhi con bieco. Lui ha l'affanno, e i suoi occhi luccicano di quella maliziosa luce.
<< Che ti prende? >>  chiedo.
Lui sorride, poi scuote la testa, afferrandosela fra le mani portandosi i capelli all'indietro.
<< Lascia perdere >> dice stendendosi sul letto << è la stanchezza >> aggiunge dandomi le spalle. Rimango immobile e perplessa. Ritorno a guardare fuori dalla finestra il cielo ormai succube della notte. Un cielo spoglio di stelle e coperto di nuvole che lo rendono nero e inquietante. In lontananza, verso l'orizzonte luci a intermittenza e lontani boati fanno la loro comparsa in quella notte dove tutti i miei sentimenti stanno concedendo il trono alla preoccupazione.
E la stessa non mi ha dato tregua neanche nei due giorni che, repentinamente si sono susseguiti, facendo arrivare il momento della cena a casa di Castiel, proposta da Rosalya.
Da quella sera, Armin non ha più tentato un approccio. Ci siamo parlati a malapena, e alle volte mi è sembrato distante anche con Etienne.
Mancano poche ore, sono nel bagno, sotto la doccia, permettendo all'acqua bollente di picchiettarmi dispettosa il viso.
Sento bussare alla porta.
<< Mamma hai finito? >>
<< Sì >> rispondo chiudendo la valvola dell'acqua. Esco, mi avvolgo nell'asciugamano, e vado ad aprire, ritrovandomi Etienne che mi guarda con occhi incantati.
<< Cosa c'è >> chiedo divertita.
<< Volevo sapere se questa camicia va bene con il colletto sbottonato >> dice lui atteggiandosi a gran figo.
<< Sei bellissimo >> rispondo io abbassandomi alla sua altezza e stampandogli un bacio sulle guance.
<< Lo so, me lo dicono già in molte all'asilo >>
Rido divertita << Già dimenticavo che hai molte spasimanti >>
Lui fa una smorfia indifferente. << L'unica a cui voglio bene, però, sei tu mamma >> sussurra abbracciandomi e stampandomi un bacio sulla guancia.
Ricambio l'abbraccio e il bacio.
<< Anch'io ti voglio bene Etienne, e non puoi sapere quanto... Andiamo, devo vestirmi >>
<< Posso scegliere l'abito? >> chiede con preghiera.
<< Ok >> rispondo senza esitazione. Ci dirigiamo insieme nella mia camera, lui subito va ad aprire l'armadio, e accarezzandosi pensieroso il mento, inizia a cercare con lo sguardo. << Trovato! >> esclama dopo un po'. Lo guardo, oltre ad essere intelligente, mio figlio ha anche un gusto davvero incantevole nel vestirsi. Ha preso direttamente l'abito che dovrei indossare al matrimonio di Rosalya.
<< Ma no, Etienne. Quello devo indossarlo al matrimonio >> dico sorridendo. Lui fa una smorfia, poi ritorna alla ricerca, questa volta, è deciso a non farmi rifiutare. Me lo porge. È un abito sobrio, dal colore azzurrino. Maniche a tre quarti, scollatura a v. gonna con pieghe a forma di petali di rose.
<< Che bello >> esclamo accarezzando il suo visino compiaciuto.
Dopo essermi vestita, ha voluto pettinarmi i cappelli e mentre lo faceva mi ha chiesto << Mamma, fai la treccia di Elsa? >>
<< Ma io non sono bionda, non verrei mai come la regina delle nevi di Frozen >> rispondo imbronciata.
<< Fa nulla, sei molto bella quando ti fai la treccia >> ribatte lui poggiando sul mobile la spazzola.
<< Ehi, ma cosa sono tutte queste benevolenze? >> chiedo incuriosita.
Lui non risponde, sorride soltanto. Lo accontento anche in quello. Quando finalmente sono pronta, ci dirigiamo al piano di sotto, dove troviamo Armin ad aspettarci seduto sul divano.
<< Papà! >> esclama Etienne andandogli incontro << Sai, ho scelto io l'abito che indossa la mamma. Non trovi che sia bellissima? >>
Armin mi guarda incantato, poi sussurra << Sì, è bellissima >>.
Sussurrò imbarazzata
 << Allora? >> chiedo dopo un po' << Vogliamo andare? >>
Ci dirigiamo a casa di Castiel a piedi. Dato che è a pochi passi da casa nostra.
Nel momento in cui scorgo la maestosa villa, quella preoccupazione che mi ha assillata durante questi giorni, si sta facendo risentire, e subito una sensazione di dejà-vù invade la mia mente, facendomi ritornare a quella lontana sera dove mi presentai alla festa con Viktor, e a ciò che successe dopo. Solo che adesso ad accompagnarmi c'è Armin. Una vocina mi sta dicendo di trovare una scusa e ritornare a casa, ma come al solito faccio finta di non sentirla.
Ad aprirci è Rosalya. Dopo i benvenuti e dopo aver aspettato gli altri ospiti, siamo andati nel salone per l'aperitivo. Erich, ha preso con se Etienne e sono saliti in camera sua per giocare. Castiel si è presentato poco dopo, con una nera camicia sfiancata, coperta da un Cardigan fumo, e pantaloni neri. Non appena mi ha vista non ha distolto i suoi occhi da me neanche per un minuto, e durante tutto il tempo che l'ho guardato mi ha sempre sorriso. Ma non è andato oltre, non si è avvicinato, non mi ha salutata neanche parlata. Che intenzioni ha? Mi sono detta sentendo a poco a poco, che la sua voce mi manca. Ma non posso abbandonarmi a queste cose, così mi sono diretta da Rosalya e abbiamo iniziato un breve discorso sul loro viaggio di nozze. Lei vuole andare in crociera, ma Lysandro preferisce la terra ferma, e quindi l'Inghilterra.  Subito iniziano a bisticciare, e io li  ascolto divertita.
Dopo un po', Castiel stesso annuncia la cena. Ci dirigiamo tutti nella sala da pranzo dove un lungo tavolo troneggia il centro colmo di ogni bendidio.
Mangiamo in silenzio, poi tra una portata e l'altra iniziano i ragionamenti e quella che li esordisce è Kim, che si alza dal tavolo, mezza brilla, dicendo che vuole fare un brindisi agli sposi.
Biascica qualcosa che facciamo tutti quanti fatica a capire, scoppiando in una fragorosa risata, poi sento tirarmi per un braccio, mi giro, accorgendomi che è Rosalya << cosa c'è? >> chiedo incuriosita.
<< Rea, non sono fatti miei, ma non ti sembra che Armin stia bevendo troppo? >> chiede sottovoce, io giro la testa verso il moro, accorgendomi che dopo aver ingoiato un intero bicchiere di frizzantino, non perde tempo a riempirsene un altro.
<< Ma che gli prende? >> chiede ancora Rosalya.
<< Non lo so, Rosa... Non lo so >> rispondo con rassegnazione distogliendogli lo sguardo e volgendolo istintivamente verso Castiel.
Il rosso mi sta guardando, con serietà. Non riesco a reggere quello sguardo, così abbasso il mio cercando di cancellare i miei pensieri e concentrarmi di nuovo su Kim, che continua il suo monologo senza senso. Rido. Poi ad un tratto un rumore provocato dalla porcellana, cattura la nostra attenzione. Volgiamo tutti lo sguardo verso Armin, il quale, si alza con fatica rimanendo in piedi a stento. << Anche io voglio fare un brindisi >> dice con voce impastata. Afferra il bicchiere, fissa incerto il contenuto, poi volge lo sguardo verso di me, e alza il calice dicendo << Alla mia donna... >> beve tutto d'un fiato, e asciugandosi le labbra con la manica della camicia continua << ... Che poi, tanto mia non è... >> ride da solo, mentre gli altri lo guardano perplessi e incuriositi.
<< Non è vero Castiel? >> dice verso il rosso ma continuando a guardare me. Vedo Castiel guardarlo impassibile ma con aria di sfida, ed ecco che la preoccupazione si tramuta in paura. Il cuore inizia a battermi forte, facendomi quasi male, mentre il respiro si appesantisce.
<< Caro, Lys... >> ricomincia Armin << ... Posso dire cosa penso del tuo matrimonio? >>
<< Certamente >> risponde Lysandro impassibile.
Armin sorride prima di rispondere, poi esclama << io... Penso, che sia una totale presa per il culo! >>
<< Ma Armin! >> esclama Rosalya irritata.
<< Avanti Rosa, non prendertela... Io lo dico anche per te. Metti che quel giorno Lys si dimentichi del matrimonio e ti lasci sola sull'altare... Ah, ma per te non ci sono problemi, hai qualcun altro, nella tua armeria, che possa prendere il suo posto? >>
<< Armin piantala! >> urlo alzandomi, tremante di rabbia, non riuscendo a reggere più la situazione. Poi rivolgendomi a Lysandro e Rosalya dico dispiaciuta << ragazzi, non ascoltatelo, mi scuso io per lui, ha bevuto troppo, mi dispiace avervi rovinato la cena >>
<< Non sei tu che devi scusarti Rea... >> risponde Lysandro apprensivo, subito, però, viene interrotto dalla sguaiata risata di Armin.
<< Sei una brava ragazza Rea! >> esclama guardandomi. << con gli altri!... Perché non ti scusi anche con me? >>
<< E di cosa? >> chiedo non capendo per quale motivo acconsento nel continuare quella discussione assurda.
<< E di cosa?! Ma prima di tutto del fatto che continui a prendermi per il culo! Sono tre ore che ti stai mangiando con gli occhi la faccia di questo pezzo di merda! >> esclama indicando Castiel, che rimane impassibile anche a quell'offesa; poi riprende sorridendo beffardo << e anche del fatto che cerchi in tutti i modi di allontanarmi!... Ahah... Ragazzi, avete mai sentito di una coppia scoppiata? >>
<< Ma che diavolo dici? >> interviene Kim.
<< Ma come Kim? Fai questa domanda proprio tu che sai tutto?... Ah, ma un momento, gli altri non sanno nulla... Vi spiego subito... >> dice poggiando il bicchiere sul tavolo per riempirlo ancora.
Fisso i suoi movimenti impaurita e irritata << Smettila! >> esclamo digrignando i denti e iniziando a piangere.
<< Io e Rea, non abbiamo rapporti sessuali! Per meglio dire: io non sono come mio fratello, che ogni volta che si trova davanti una bella donna, porta direttamente nell'anticamera il suo cannone. Per quale motivo vengo respinto? All'inizio mi sono chiesto se era lei lesbica, dato che aveva più approcci con Rosalya che con me, ma notando anche l'intimità che ha con un suo allievo, e figuratevi che gli ha promesso che se si opera, sarà disposta a concedersi. Non ci ho capito tanto... >>
<< Finiscila! >> sibilo.
<< ... Ma poi mi sono dovuto ricredere... E sì. È bastato l'arrivo di Castiel, per farle riaprire le gambe. Anche se non le ha ancora aperte con me >>
Sto per lanciargli addosso un bicchiere colmo d'acqua ma qualcuno mi precede. Vedo Castiel alzarsi, piombarsi su di lui come una furia e colpirlo violentemente con un pugno dritto sullo zigomo.
<< Piantala figlio di puttana! >> esclama a denti stretti. Vedo Armin barcollare e cadere pulendosi la parte colpita che ormai perde sangue.
Non resisto, chiedo a Rosalya di badare a mio figlio e corro via uscendo da quella casa. Scappo, fino a quando le mie gambe cedono, facendomi cadere sulla sabbia. Piango gettando un urlo strozzato. Non ce la faccio più. Non ce la faccio più. Questa è la frase che brama di uscire dalla mia bocca senza voce.
Dopo un po' di tempo, quando finalmente le mie lacrime si sono asciugate, mi ritrovo a contemplare il lago con occhi spenti. Sento a malapena lo squillo del telefono, è un messaggio di Rosalya.
"Dove sei? Non farci preoccupare. Etienne dorme tranquillo. Castiel voleva venire a cercarti ma non so perché, Lysandro glielo ha impedito. Armin se n'è appena andato"
Rispondo digitando le parole lentamente "sono a casa. Ti prego tieni tu il bambino, non voglio che mi veda così"
Dopo quel messaggio, mi alzo e mi dirigo verso casa mia. Trovo la porta aperta, e capisco che Armin dev'essere tornato. Mi armo di rabbia, pronta per affrontarlo e porre una volta per tutte la parola fine a questa farsa.
Lo trovo seduto sul divano con la testa poggiata all'indietro sullo schienale. Mi ha sentita e inizia a ridere.
<< Sei contento? >>
Chiedo con sfida. Lui non risponde, anzi, la sua risata la tramuta in pianto. << Non mi fai pena Armin, mi disgusti. Io non so che fine abbia fatto il vero Armin, ma se è questo l'originale, non voglio avere più niente a che fare con te... È finita e questa volta per davvero >>. Detto questo mi dirigo verso le scale iniziando a salire per dirigermi verso la mia camera, ma non appena mi accingo ad entrare mi sento afferrare violentemente da un braccio e voltarmi, incrociando quell'inquietante sguardo che è più agghiacciante del ghiaccio stesso.
<< Che fai? Lasciami >> dico divincolandomi. Armin afferra l'altro braccio e mi solleva avvicinandomi a lui.
<< Tu sei mia adesso! E non ti lascio a nessuno! >> sussurra digrignando i denti e avvicinando le sue labbra alle mie. Mi scanso con fatica. Lui violentemente mi gira sbattendomi di faccia al muro e appoggiando la sua intimità dietro la schiena.
<< Lasciami! >> urlo impaurita, stringendo gli occhi, che riapro non appena sento le sue dita sollevare la gonna, e la sua bocca mordermi la spalla.
<< No! >>. Mi agito, riuscendo a liberarmi, ma lui abile, mi riafferra, scaraventandomi sul letto. Si mette a cavalcioni su di me e poggiando una mano sul petto, con un gesto secco, mi strappa il vestito facendo fuoriuscire i seni. Provo a ribellarmi ma lui mi blocca, essendo più forte. Poggia la sua bocca sul mio petto e mi bacia, mi morde e mi fa male. Urlo piangendo disperata, pregandolo di lasciarmi, ma lui mi tappa la bocca con la sua mano e avvicinatosi al mio orecchio sussurra << sta buona, vedrai che ti piacerà >>. Il suo sguardo è cattivo. Non lo riconosco più, non è più il dolce e caro Armin. Lo guardo con supplica ma lui non ci fa caso, mi risolleva la gonna strappandomi l'intimo. Istintivamente stringo le gambe, ma sono senza forze, così lui riesce a divaricarle. Poi si alza, per sbottonarsi il pantalone. Ne approfitto per scappare, ma vengo afferrata per i capelli sbattuta violentemente sul letto. La treccia, si scioglie, i capelli che Etienne aveva dolcemente pettinato si sparpagliano sulle coperte e di quel vestito che lo stesso Etienne aveva scelto con cura, non ne rimane neanche un brandello.
Armin è sopra di me, e violentemente mi sta possedendo. Provo a gridare, ma neanche la voce vuole degnarsi di obbedirmi. Mi sta facendo male e l'unica cosa che riesco a pensare prima di perdere i sensi è: Castiel aiutami.

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Capitolo 23
*** Cambiamento ***


Ho sempre vissuto la mia vita avvolgendola di un sottile velo di fantasia. Non ho mai accettato la realtà, per me quest'ultima non era altro che un mondo parallelo a quello in cui desideravo vivere. Mi sentivo letteralmente un'aliena, catapultata in quel universo dove in pochi condividevano l'essenza che la fantasia dona alle nostre menti. Se dovessi darne un secondo significato appropriato, direi che la fantasia non è altro che la figlia del sogno. E io ho sempre sognato, anche quando la realtà ha iniziato a farsi più vivida davanti ai miei occhi, anche quando pensavo di poter bilanciare questi due mondi per tenerli sullo stesso livello. Ma la bilancia del mio destino, si è a poco a poco guastata, dando peso più sulla realtà e allontanandomi repentinamente e inesorabilmente, dalla fantasia. Quel luogo dove mi rifugiavo concedendo i miei sentimenti a quei disegni in movimento, che all'occhio di un umano adulto potevano sembrare infantili, ma che per me erano più di semplici disegni, erano un mare di sogni, che mi davano la forza di vivere, adesso li sento lontani. Mentre ciò che, adesso, vedo davanti a me, è l'immagine della realtà che se prima non accettavo, adesso disprezzo con tutto il mio cuore.
L'immagine del soffitto che mi si staglia davanti agli occhi è tutta sfocata. Sento freddo, l'aria gelida che entra dalla finestra non ha pietà del mio corpo, nudo, profanato, stremato.
Sono supina, le braccia poste verso l'alto, e le gambe che fuoriescono dal letto che oltre a reggere me, si ritrova con le lenzuola strappate e umide.
Ricordo benissimo cosa è successo, l'intero mio corpo me lo rammenta, ché palpita ancora di quelle violente veemenze, attuate da l'ultima persona che credevo capace di una cosa simile. Come potrebbe la mia mente cancellare una cattiveria simile? Rimembro tutto per filo e per segno, anche se ho provato a perdere i sensi, questo non mi ha aiutato a non sentire i suoi ringhiati ansimi i suoi veloci e violenti movimenti e il suo odore impregnato di cattiveria.
Paura? Disperazione? Sentimenti che alla fine si sono dissolti come nuvole al vento, vento che ha preceduto la tempesta ricolma di rabbia e odio.
No. Non lo perdonerò mai! Lui, che per me non ha più un nome se non quello di Vile, è stato l'artefice della morte di Rea e della nascita di una persona che ho sempre avuto paura a destare io stessa. Una persona che riesce a provare estremo odio per qualcuno. Lui ci è riuscito.
Lentamente chino la testa all'indietro, premendola contro il materasso, alzo gli occhi verso la finestra aperta, e subito li chiudo abbagliata dai primi raggi del sole. Il rumore del lago si concede al vento che continua ad entrare nella stanza, silenziosa.
Non ho la forza di alzarmi, ma devo farlo, se tra un po' dovesse presentarsi Rosalya con mio figlio, io... Non voglio che scoprino ciò ch'é successo. Nessuno lo dovrà mai sapere, nemmeno Castiel.
<< Castiel >> sibilo quasi silenziosamente, sentendomi sulla guancia destra una linea umida che arriva a nascondersi sotto l'orecchio. Chiudo gli occhi trattenendo a stento un singhiozzo, che viene sostituito da uno sbuffo.
Porto istintivamente le mani agli occhi sentendomi le ascelle e le spalle indolenzite dopo essere stata per ore in quella posizione. Con i palmi mi premo le palpebre e con i denti mi mordo il labbro inferiore. "Se solo quel giorno" mi chiedo ancora afflitta dai rimorsi.
Quel giorno, cosa? Cosa sarebbe accaduto se fossi ritornata da lui? Certo non sarebbe successo questo. Ma avrei potuto peggiorare le cose.
Fu una mia scelta, non devo avere dei rimorsi. Ma, io... Sono stanca di pagare conseguenze di cui non ho colpa. Cos'è che ho sbagliato nella mia vita?
Ad un tratto, non poco lontano, sento vibrare il telefono. Con fatica mi metto su un lato e alzo la testa per cercare l'oggetto, lo trovo per terra accanto a un pezzo di stoffa strappato, lo raccolgo con fare lento e guardo lo schermo cercando di mettere ben a fuoco il nome. Un battito violento colpisce il mio cuore. Sgrano gli occhi e inizio a tremare sentendomi accapponare la pelle.
Castiel.
Sono indecisa se rispondere o meno. Il pollice si muove da solo poggiandosi lievemente sulla cornetta verde illuminata. La chiamata è aperta, ma continuo a guardare lo schermo impietrita senza avvicinarlo all'orecchio.
<< Rea, ci sei? >> sento in lontananza.
Ingoio a fatica sperando che la mia voce mi aiuti a non destare alcun sospetto.
<< Pronto? >> esordisco con incerta fermezza.
<< Rea, sono Castiel. Stavi dormendo? >>
<< Sì >> rispondo, chiudendo gli occhi e permettendo alla sua voce di raggiungere il mio cuore.
<< Allora scusami >>
<< Non importa. D-devi dirmi qualcosa? >>
<< Volevo sapere come stavi. Scappasti via, volevo raggiungerti, ma... >>
<< Castiel >> lo interrompo << non devi preoccuparti, io sto bene >>
<< Sicura? >>
<< Sì >>
<< È successo qualcosa poi, con Armin? >>. Ed ecco la domanda fatale.
<< ... N-no >> rispondo esitando << non è ritornato a casa >> mento sentendomi la gola bruciare. << Castiel? >> chiedo dopo un po'.
<< Mhm? >>
<< E-Etienne?... Dov'è? >> aggiungo cercando di tener ferma la voce.
<< A casa di Rosa, penso stia ancora dormendo >>
Sospiro sollevata.
<< Rea? Ti ho chiamata anche per dirti che ciò che è successo ieri, è stato ciò che mi aspettavo >> rivela con la sua voce beffarda << e ha una conseguenza... >>
Deglutisco dolorosamente sentendomi mille spine infilzarmi la gola. Se solo sapesse la verità.
<< Io adesso devo partire con Alain. Ma non appena tornerò, ti riprenderò >>
Sorrido amaramente, non riuscendo più a reggere le lacrime. << Ciao Castiel >> dico in fretta per non  insospettirlo, poi chiudo la chiamata senza aspettare un sua risposta. Affondo il viso sul materasso e do sfogo a un urlo soffocato. Stringo le coperte e le tiro, avendo voglia di strapparle. "Perché Castiel, perché?" esclama la mia voce nella mia mente.
Mi sollevo dopo un po', mettendomi in ginocchio sul materasso. Mi ritrovo a fissare la mia immagine riflessa sullo specchio dell'armadio. Se non fosse per quelle poche pezze che mi coprono di poco le cosce, direi che sono nuda.
Mogia mi alzo, recandomi in bagno, desiderosa di levarmi di dosso le impronte di quel maledetto, il quale dopo aver finito il suo atto depravato, si è sollevato da me, uscendo. Non mi sono chiesta dove sia andato, non mi interessa. Spero solo che non faccia più ritorno. Ma la pagherà, dovrà pagarmela.
Uscita dalla doccia mi posiziono davanti allo specchio e noto sul petto segni di denti e lividi. Mi tocco leggermente, quando un rumore al piano di sotto si fa sentire. Trasalisco guardando la porta. I miei occhi iniziano a bruciare, ma non di lacrime, bensì di rabbia.
Mi avvolgo in un candido accappatoio. Esco dal bagno dipingendomi un'espressione decisa sul volto, e mi dirigo verso le scale. Non appena mi trovo sulla balaustrata, mi fermo. Lui sta salendo, e non appena mi vede, si ferma rimanendo impietrito e inquieto. Lo guardo con odio, mentre con la mano poggiata sulla ringhiera, stringo il passamano in legno.
<< R-Rea... >> dice lui quasi disperato, fissandomi il petto che scopre di poco i suoi infami segni.
<< Vattene! >> rispondo digrignando i denti.
<< I-io... Non vol... >>
<< Non un altra parola!... Non azzardarti a dire che non volevi farlo! >>. Alzo il tono di voce.
Lui abbassa la testa e singhiozza accennando un lieve ma amaro sorriso << È finita, vero? >> chiede dispiaciuto.
<< Non è mai iniziata >> rispondo prontamente << vattene da casa mia, esci fuori dalla mia vita, non farti più vedere. Perché partendo da questo momento, ogni volta che incontrerò la tua immagine, non sarò compiaciuta fino a quando non avrò visto la tua faccia ricolma del dolore che hai arrecato a me! >>
<< Perdonami... >> dice piangendo e tremando.
Con uno scatto mi dirigo verso di lui e gli urlo in faccia: << Vattene!! >>. Tremo, non riuscendo a concepire più la differenza tra rabbia e odio. Lui rassegnato scende, si reca alla porta, e prima di uscire lo fermo << Non avvicinarti mai più a mio figlio! >> lo avviso decisa. Lui non si gira, riprende i suoi passi, ed esce di casa.
Come una furia risalgo in camera. Tolgo le coperte dal letto con fare brusco, apro l'armadio e getto per terra tutta la sua roba. Alla fine, riesco a far uscire la mia rabbia sotto forma di urlo.

***

Il portone dell'istituto dolce Amoris sta per essere chiuso da Melody, che non appena mi vede, ferma il suo gesto, accennando un sorriso.
<< Buongiorno Rea >>
<< Melody >> rispondo con indifferenza, entrando e lasciandola indietro. Senza esitazione, mi dirigo verso il mio ufficio chiudendomi la porta alle spalle. Vado a sedermi dietro la scrivania, e inizio il mio lavoro.
Ad un tratto sento squillare il cellulare. Rosalya.
<< Rosa? >> dico indifferente.
<< Rea... >> risponde lei incerta << ... Ho accompagnato il bambino all'asilo come mi avevi chiesto. Ma dove sei? >> chiede.
<< A scuola, scusami ma adesso devo riattaccare, sto lavorando >>. Chiudo senza permetterle di ribattere. Mi immergo in quelle scartoffie cercando un foglio in particolare che non riesco a trovare. Sbuffando mi alzo ed esco dall'ufficio per recarmi nella sala delegati e avere notizie da Nathaniel. Mi fermo poco dopo attratta da un tabellone che riporta gli eventi scolastici. Faranno un concerto sul lago. Sbuffo un sorriso e inizio a rammentare i vecchi tempi, che subito si collegano al vile. Mi piaceva, stavo bene in sua compagnia. Un brivido lungo la schiena si fa sentire e inizio a provare ribrezzo. "Come può essere cambiato in questa maniera?". In un battito di ciglia i miei occhi rivedono ciò che è successo la sera prima, e un conato di vomito, spinge violentemente la mia gola. Quando ad un tratto mi sento afferrare per un braccio e presa da uno scatto indescrivibile, indietreggio divincolandomi bruscamente.
Mi giro, puntando gli occhi fulminei sulla persona che mi ha toccata, e subito incrocio lo sguardo eterocromatico e esterrefatto di Lysandro. Trasalisco sentendomi smarrita.
<< L-Lys... Eri tu? >>
<< Perché, chi aspettavi che fosse? >> chiede lui ingenuamente.
<< Ero assorta nei miei pensieri >> mi giustifico dispiaciuta.
<< Me ne sono accorto. Ti ho chiamato cinque volte ma non mi hai sentito neanche da breve distanza >>
<< È che... >>
<< Lascia perdere... Stai bene? >> chiede gentilmente.
Annuisco cercando di mandar via quell'aria malinconica che mi attanaglia il volto.
<< Senti Rea. Rosalya mi ha detto che ti ha chiamata e sembravi alquanto fredda nei suoi confronti >>
<< Io? >>
<< Lei pensa che ci sia qualcosa che non va. Mi ha riferito che le hai detto che stavi lavorando >> continua fissandomi insospettito.
<< Sì... Perché? >>
<< Beh, l'è sembrato alquanto strano, dato che perdi il tuo tempo dietro i manga >>
Sapete? Mi piace molto l'essere schietto di questo ragazzo. Dice in faccia le cose in un modo che non permette agli altri di cedere all'irritazione.
<< Lys, c'è molto lavoro, Castiel non c'è e qualcuno deve pur portare avanti questa gabbia di matti >>
<< Strano >> mormora lui scettico, iniziando a incamminarsi e fermandosi a un lato.
<< La Rea che conosco io, avrebbe dato un'altra risposta... Si sarebbe irritata dicendo che non è stata una sua scelta quella di diventare preside di questo liceo e che non gliene importa niente dello stesso >>. Detto questo se ne va accennando un saluto con la mano. Io rimango a fissare il vuoto, e sibilo << La Rea che conosci tu, Lys, non c'è più >>.

***

Dopo essersi allontanato, Lysandro afferra il cellulare per richiamare Rosalya, che risponde dopo pochi secondi.
<< Dimmi amore >>
<< Avevi ragione tu Rosa. A Rea è successo qualcosa. Non appena l'ho toccata, si è divincolata bruscamente >>
<< Oh, Lys, sono davvero preoccupata! Cosa possiamo fare? Lei dice che sta bene, ma il suo comportamento... >>
<< Può essere che è ancora arrabbiata di ciò che ha detto Armin ieri sera a cena >> dice lui con aria composta.
<< Non lo so Lys >>
<< Anche Castiel mi ha detto che quando l'ha chiamata stamattina ha percepito una voce alquanto strana, e poi ha aggiunto di averla sentita piangere prima di riagganciare >>
<< Cercherò di farla parlare, non mi piace vederla in quel modo >>
<< E pensi che parlerà? >>
<< Se non con me, spero almeno con Kim >>. Rosalya riaggancia e dopo aver rimesso il cellulare nella sua borsetta sospira nervosamente. Cosa sta succedendo, continua a chiedersi.
Dalla sera prima, quando Rea era andata via, quella sensazione di paura si era insediata dentro di lei non lasciandola neanche adesso. Si sente afflitta e colpevole di qualcosa. Colpevole perché sapeva dall'inizio che dopo il ritorno di Castiel l'aria aveva cominciato ad appesantirsi, e la situazione della sera prima ne era stata la prova.
"Cosa posso fare?" pensa tra se e se.
<< Rosalya! >>. Una voce a pochi passi da lei cattura la sua attenzione. L'albina alza lo sguardo, sgranando gli occhi dallo stupore.

***

Non ho mai lavorato così tanto in vita mia. Mi sento mentalmente stanca. E finalmente posso ritornarmene a casa, anche se non vorrei farlo. Oggi Etienne esce tardi, ho una voglia matta di vederlo e abbracciarlo, sapendo che il solo contatto mi possa far dimenticare tutto. Sono sicura che la sua dolce risata possa farmi riprendere. Mi ritrovo fuori dal cortile e mi accingo ad attraversare la strada per raggiungere l'auto, quando una voce dietro di me mi ferma. Mi volto incuriosita.
Una ragazza dai capelli biondo chiaro, con due iridi azzurre e la pelle liscia e lievemente abbronzata mi sorride gentilmente.
<< Mi scusi >> esordisce << potrebbe darmi un'informazione? >>
<< Certo >> rispondo a tono.
<< L'ho vista uscire da quel cancello, è questo l'istituto Dolce Amoris? >>
<< S-sì... Serve qualcosa? Io sono la preside, lei è una nuova studentessa? >>
Invece di rispondermi, la ragazza accenna un sorriso, mi ringrazia e si congeda. La guardo stranita mentre si allontana. "Chi cavolo è questa ragazza?" mi chiedo; poi facendo spallucce mi dirigo verso la macchina e di malavoglia ritorno a casa.
Rimango nell'auto per qualche secondo, rimanendo a guardare la porta di entrata e pregando Iddio che quel maledetto non sia tornato. "Dovrei far cambiare la serratura" penso tra me, e me. Esco dall'auto e passo sicuro  mi avvicino al cancello, notando che è aperto. Esito nell'entrare sbirciando a destra e a sinistra, poi entro e non appena lo faccio qualcuno mi salta addosso facendomi urlare.
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Capitolo 24
*** Paure risvegliate ***


Nel momento in cui ho gettato all'aria quell'urlo terrorizzato, il presunto aggressore, mi ha mollata facendo due passi indietro, permettendo di voltarmi con l'intenzione di colpirlo.
Per fortuna mi sono fermata in tempo, constatando che non si tratta ne di Armin, ne di un qualunque malintenzionato.
Dritta davanti a me, con le mani alzate, in segno di resa, e sul volto un'espressione più spaventata della mia, zia Michelle mi guarda, restando in silenzio, forse aspettando una mia mossa.
<< Z-zia? >> sospiro sollevata, e non nego che la voglia di piangere si sta facendo sentire.
<< È questo il modo di darmi il bentornata? >> esclama lei abbassando le braccia e poggiando le mani sui fianchi.
<< È questo il modo di presentarsi? >> ribatto con voce tremante.
<< Ma dove hai il cervello? E menomale che prima di saltarti addosso ti avevo chiamata...  >>
Non le do il tempo di continuare, che presa da una strana sensazione, lascio cadere la borsa sul prato e l'abbraccio, bloccandole il respiro. Lei è troppo esterrefatta per poter ricambiare il mio gesto. Infatti inizia a investirmi di domande.
<< Ehi Rea, ma che fai? Perché mi stringi in questa maniera? Non pensavo di esserti mancata in questo modo. Ma che fai? Piangi? >>
"Oh, zia! Non sai quante cose vorrei dirti, ma l'unica che posso è..."
<< Finalmente sei tornata >> sussurrò tra i singhiozzi.
<< Rea... >> sorride lei, condividendo finalmente l'abbraccio. E non appena le sue braccia mi avvolgono, finalmente riesco a sentire quella tanto attesa sicurezza. Allento la presa, appoggiando la testa sulla sua spalla, proprio quando facevo da bambina, nei momenti in cui ero triste e piangevo, e lei per tranquillizzarmi e farmi smettere di piangere, mi accarezzava sempre i capelli.
<< Ti è successo qualcosa, vero? >> chiede attuando quel famigliare gesto.
<< Mhm >> mormoro senza dare un senso a quel lamento.
<< Lo prendo come un sì? >>
Mi distacco da lei guardandola negli occhi << ...mi sei mancata tanto >> sussurro dopo un po'.
Entriamo in casa, mi accingo a preparare il pranzo, mentre lei rimane sulla soglia della porta a fissarmi.
<< Ho incontrato Rosalya prima di venire da te... Il suo matrimonio è dopodomani >>
<< Già, finalmente si sposa >> aggiungo con una voce quasi malinconica.
<< Etienne? >> chiede.
<< È ancora all'asilo. Esce tra qualche ora >>
<< Non vedo l'ora di vedere com'è cresciuto. Sai che poi dovrai raccontarmi, tutto quello che è successo durante la mia assenza >>
<< Sì >>
<< ...è cambiata molto questa casa >> mormora dopo un po' guardandosi intorno << Non riesco ancora a credere che l'avrei ceduta a te per abitare con Armin e il bambino, io ero sicura che l'avrei ceduta a te e Cas... >> si ferma dopo aver sentito un rumore provocato da me, che nel udire il nome di quel maledetto, ho involontariamente fatto cadere un piatto, rompendolo.
<< Rea... >> esclama venendo verso di me e chinandosi per raccogliere i cocci << la solita sbadata, ma dove hai la testa? >> chiede alzando lo sguardo per fissarmi. Sicuramente sta notando il mio fremito.
<< Rea,  cos'hai? >> chiede alzandosi e afferrandomi dolcemente un braccio.
<< Ti prego zia, non... Non nominarlo più >>
<< Cosa dici? Chi non devo nominare più? >>
<< Armin... >> sussurro, sentendo come se quel nome altro non sia che uno squarcio violento al mio cuore << Armin, non lo voglio più sentir nominare! >> urlo disperata, uscendo dalla cucina, e ritrovandomi inavvertitamente al piano di sopra.
<< Rea?!... Rea... >> continua lei seguendomi.
Ansimo, tossisco, mi asciugo nervosamente le lacrime dal volto, cerco di mantenere inutilmente la calma.
<< Rea, cos'è successo? >>
<< Quel giorno... Avevi ragione, zia. Io... Io avrei dovuto ascoltarti! >>
<< Di che stai parlando? >>
<< Quattro anni fa, quando portai qui Armin, dicendo che sarei stata con lui, tu mi dicesti che alla fine me ne sarei pentita... Avevi ragione zia! >>
<< Cos'ha fatto? >> chiede facendosi seria.
<< Io non ce la facevo più... Questa storia sta diventando troppo complicata per i miei sentimenti, i-io, non posso nasconderlo, all'infinito, non ce la faccio! >>
<< Cosa non puoi nascondere? >>
<< Lui mi ha... >>. No, che diavolo sto facendo? Non posso dirglielo, se anche una sola sillaba uscisse dalla mi bocca, lei lo andrebbe a dire a Castiel. Non deve saperlo, non deve saperlo nessuno. << I-io, ho lasciato Armin, perché... Amo ancora Castiel >>
Mia zia, strabuzza gli occhi, mentre io mi chiedo per quale motivo, anche ora, mi sono incolpata per una ragione sbagliata. Amo Castiel, ma non ho lasciato Armin per questo.
<< Ma... Etienne? >> chiede smarrita.
<< Etienne non lo sa ancora >> rispondo abbassando lo sguardo afflitta.
<< Perché l'hai lasciato? >>
Le racconto per filo e per segno, ciò che è successo da quando ha fatto ritorno il rosso, fino alla cena a casa sua. Lei mi ascolta in silenzio, e non appena metto un punto al mio racconto, la vedo avvicinarsi di più, abbracciarmi, distaccarsi e... Saltare come una bambina davanti un ninnolo, urlare di gioia e ridere.
Spalanco gli occhi e la bocca non sapendo cosa pensare e nemmeno cosa dire.
<< Sì, sì, sì, sì, sì!!! Finalmente!!! Ho fatto bene a ritornare qui! Altro che i Drama di mio marito!... Ora non resta che togliere di mezzo quella sciacquetta di Ginevra, con un bel divorzio e riprendere Castiel. >>
<< Zia, ma che stai dicendo? >>
<< Non preoccuparti nipotina mia! La zia è tornata anche per questo. Non ho mai potuto digerire Armin, e sentire che finalmente te ne sei liberata, non posso fare altro che gioire. Sì! >>
Scoppia in una risata quasi diabolica, e io... Io non posso fare a meno di condividere quella risata e ringraziarla nella mente, dato che mi sta facendo dimenticare il mio dolore.
Ma quel momento di gioia, io so perfettamente che non è altro che una breve folata di vento in quella giornata dove l'autunno preannuncia la sua fine. Infatti, non appena, l'orologio segna l'ora in cui devo accingermi ad andare a prendere Etienne, il mio cuore ha riaperto la porta alla sofferenza. Cosa gli dirò se chiederà di Armin, e come la prenderà? Queste domande mi assillano, mentre sono fuori al cancello dell'asilo ad aspettare che la campanella suoni.
Non me ne accorgo, solo quando lo vedo uscire, riprendo la percezione della realtà.
<< Mamma! Ma che fai lì impalata? >> mi chiede alzando la testa. Mi abbasso alla sua altezza, lo guardo con affetto, e non resistendo, lo abbraccio, stringendolo forte al petto, inebriandomi della sua presenza.
<< Mamma... Mi stai soffocando >>
<< Scusami, scusami >> sibilo senza farmi sentire.
<< Ma'! Non respiro! >>
Allento la presa e lo guardo in quei suoi occhi, che mi rendono sollevata.
<< Ma che hai? Hai combinato qualcosa? >> mi chiede guardandomi sottocchio. Sembra che sia lui il genitore e io la figlia.
<< No, avevo solo una voglia matta di abbracciarti >> rispondo scompigliandogli i capelli. Lui si divincola infastidito.
<< Ok, ma non mi soffocare la prossima volta >>
<< Ciao Etienne! >> esclama una bambina dai biondissimi capelli raccolti in un alto codino, con due occhioni verdi, che guardano mio figlio con affetto.
<< Ciao >> risponde lui indifferente.
<< Chi è? Una tua amichetta? >> chiedo divertita. Lui risponde con una smorfia.
 << Chi è? >> ripeto, ridendo.
<< Una che ho scaricato, ma che continua ad insistere >>
Senza accorgermene, i miei glutei toccano l'asfalto, mentre guardo esterrefatta mio figlio.
Menomale che in una storia esistono le descrizioni, altrimenti tutti i lettori avrebbero frainteso l'identità di Etienne, scambiandolo per una adolescente alle prese con la millesima fidanzata.
<< Sc-scaricata? Ma chi ti ha insegnato questa parola? >> chiedo scioccata.
La domanda esatta è: chi ti ha insegnato a scaricare le donne, per di più delle bambine di quattro anni! E subito inizio ad immaginarmi, come ci si possa sentire ad essere scaricate da un bambino a quella tenera età. Io devo trovarmi in un altro mondo. Questa è l'unica spiegazione.
<< L'ho sentito in televisione... E poi, a me non piacciono le bambine che si credono di essere le più belle solo perché hanno dei vestiti più belli, e trattano male quelle che non li hanno >>
Sorrido accarezzandogli la testa << Ben fatto >> sussurro << torniamo a casa? >>. Lui annuisce.
 Al ritorno, non appena zia Michelle l'ha visto, l'ha abbracciato, baciato e adulato. Etienne, non l'ha riconosciuta dato che quando lei se ne andò, lui era ancora piccolo, ma questo non è bastato per tenerlo a distanza da lei, anzi! L'ha portata in camera sua e hanno iniziato insieme a giocare, mentre io li ho ammirati per tutto il tempo cercando di allontanare la mia mente da quei pensieri, sapendo che non si cancelleranno così facilmente.
A sera dopo averlo portato a letto, mi sono messa accanto a lui, e in quel momento, le tanto ansiose ed attese domande hanno preso il posto di fine giornata.
<< Mamma, perché dormi con me? >>
"Non riuscirei a dormire in quella stanza, con il doloroso ricordo della sera prima"
<< Voglio stare con te >> rispondo con un sorriso.
<< Papà non è tornato? >> chiede ancora accovacciandosi al mio fianco.
<< No... Non penso che tornerà >> dico senza accorgermene. Lui alza la testa guardandomi.
<< Perché? >> chiede. Non rispondo, non so cosa dirgli. Allora lui continua << Non tornerà, perché avete di nuovo litigato? >>
Sfuggo dal suo sguardo, perché ho detto così? Lui è troppo piccolo.
Ad un tratto lo vedo abbracciarmi e poggiare la sua testa sul mio petto.
<< Mamma, il tuo cuore batte forte. Come quello di Castiel >>
Ricambio l'abbraccio, << Ti ha fatto sentire i suoi battiti? >> chiedo accennando un sorriso.
<< Sì, e mi ha anche fatto una promessa >>
<< Cosa ti ha detto? >> chiedo ancora chiudendo gli occhi.
<< Che lui ci sarà sempre, per me e per te >>
Riapro gli occhi di scatto, sentendomi mancare un battito, lui alza lo sguardo e mi guarda negli occhi.
<< Mamma io non so cosa voleva dire, però quando mi sono addormentato fra le sue braccia, mi sono sentito bene. Papà non mi ha mai tenuto come mi ha tenuto Castiel >>
Afferro dolcemente la sua testa, e la ripoggio sul petto, questa volta lo stringo forte, e lui mormora: << Mamma, non è vero quello, che ti ho detto all'asilo. Non mi stavi soffocando. Mi piace quando mi stringi. Promettimi anche tu che non mi lascerai mai >>
<< Io non ti lascerò mai Etienne, sei tutta la mia vita >>


La notte da vita al giorno, e i primi raggi del sole, penetrano le finestre illuminando il volto dormiente di Etienne. Sembra un angioletto,  con quei capelli corvini che gli coprono scompigliati la fronte liscia, e quelle ciglia lunghe che si stringono, infastidite dalla luce mattutina. Lo guardo con dolcezza e sorrido, portando un dito sulla sua guancia, accarezzandogliela. Ha la pelle più liscia di una pesca, e il colore roseo, lo rende bello come un cherubino. Lui è mio figlio, e mi sento appagata solo nel sapere che esiste.
Sento bussare alla porta, è zia Michelle.
<< Sei sveglia? >> mi chiese con un sussurro rimanendo sulla soglia.
<< Buongiorno zia >> rispondo alzandomi lentamente, facendo attenzione a non svegliare il bambino.
<< Devi andare a scuola? >>
<< Sì tra un po' >>
<< Accompagno io Etienne all'asilo >>
<< Ti ringrazio, zia >>
Usciamo dalla camera e ci dirigiamo al piano di sotto. Consumiamo il nostro caffè in silenzio, poi risalgo per prepararmi, ripasso dal bambino stampandogli un bacio sulla fronte e me ne vado.
Mi reco a scuola senza auto. Anche se fredda, ho bisogno di raccogliere tutta l'aria possibile per non sentirmi soffocare. La campanella dev'essere suonata, perché non c'è neanche l'ombra di un alunno in cortile. Beh, proprio nessuno, non direi, dato che davanti al cancello c'è una ragazza. La guardo con circospezione, poi fissando il colore dei suo capelli, ricordo di averla già vista. È la ragazza che ieri mi chiese se questo era il liceo. Ma che cosa ci fa di nuovo qui? Incuriosita, mi avvicino e preparo un gentile sorriso. Tossisco per catturare la sua attenzione. Lei si volta spaventata.
<< Buongiorno >> esclamo.
<< B-buongiorno >> saluta imbarazzata.
<< Serve qualcosa? >> chiedo incuriosita.
<< Assolutamente niente >> risponde gentile abbassando lo sguardo << mi scusi... >> aggiunge per poi andarsene. Rimango lì a fissarla per qualche istante poi chiamata da qualcuno, mi giro vedendo Nathaniel venire verso di me.
<< Ciao Rea >>
<< Ciao Nath, anche tu in ritardo? >> chiedo indifferente.
<< Sì, scusami, ma purtroppo mia sorella non mi da pace da ieri, sai per il matrimonio di Rosa... >>
"Già, mi chiedo per quale dannato motivo Rosa abbia invitato anche quell'arpia maledetta?"
<< ...chiuderai un occhio, vero Rea? >> chiede il biondino supplichevole.
<< Non preoccuparti Nathaniel >> rispondo sorridendo, riprendendo il cammino verso il portone del liceo.
Nell'androne, incontriamo Melody, che, non appena ci vede, inizia ad agitarsi cercando di non farlo notare.
<< Melody, cos'hai? >> chiede Nathaniel.
<< N-niente, c-cosa dovrei avere? >>
<< Sei pallida >> rispondo fissandola sottocchio.
<< È che... Non trovo delle carte, non ricordo dove le ho messe, e sarebbe meglio se le andassi a cercare >> risponde divagando, e allontanandosi. Saluto Nathaniel dirigendomi verso il mio ufficio. Non appena appoggio la mano sulla maniglia, sento un rumore provenire dall'interno, esito aggrottando le sopracciglia, poi apro. In piedi, davanti alla scrivania, l'immagine della persona che sto cercando come una forsennata di dimenticare, ritorna ad invadere la mia visuale.
Sento la saliva pietrificarsi in gola, mentre l'ira cerca di prendere il sopravvento.
<< Che diavolo ci fai qui? >> chiedo con voce soffocata, sentendomi le vene alla gola pulsare brutalmente.
<< Io, devo parlarti, Rea >> risponde lui, quasi disperato.
<< Non abbiamo più niente da dirci! >> esclamo stizzita entrando nell'ufficio e mettendomi al lato della porta. << Vattene! >> gli ordino, fissandolo con bieco.
<< Ti prego Rea, fammi spiegare, io... >>
<< Non nominare più il mio nome! Va via!! >>
<< Devi ascoltarmi! Ti prego, ascoltami, e poi me ne andrò >> dice avvicinandosi e allungando una mano verso di me.
<< Non azzardarti a toccarmi! >> esclamo allontanandomi da lui e dirigendomi verso la mia scrivania << Non voglio sentirti >> lui chiude la porta rimanendo fermo lì.
<< Ascoltami, io ho sbagliato, lo ammetto. Mi ammazzerei per questo, ma non ero in me. Avevo bevuto troppo e poi... >>
<< Forse non hai capito, Armin!... Delle tue fottute giustificazioni, io non me ne faccio niente. Ciò che hai fatto è imperdonabile, mi hai umiliata davanti i miei amici, mi hai fatta passare per una puttana! Come puoi pretendere che io ti perdoni? Mi hai violentata, cazzo!! >> urlo piangendo e portandomi una mano al petto. Lui si mette le mani al viso affondandolo nei palmi.
<< Perdonami, perdonami... >> sussurra singhiozzando.
<< Hai distrutto la mia dignità. E ora l'unica cosa che posso dirti è di sparire da ciò che mi rimane, sparisci dalla mia vita >>
<< No, non dirmi questo, ti prego >> esclama lui liberandosi il viso e mostrando quegli occhi di ghiaccio affondati nel rossore del pianto.
<< Non ti amo, non ti ho mai amato! Non ho mai avuto bisogno di te! >> continuo con disprezzo. Lui ritorna repentinamente serio. Abbassa la testa e sbuffa un sorriso tra le lacrime.
<< Ti sei solo servita di me... >>
Drizzo la schiena, volendo ribattere, ma lui continua il suo discorso << io ho sbagliato, e il solo rimorso di averti fatto del male, mi sta martoriando l'anima. Tu non vuoi perdonarmi giusto? Ti sei anche decisa di sputare la verità e cioè che non mi hai mai amato. Ho sbagliato io dall'inizio a volere da te l'impossibile, ma arrivato a questo punto, mi rendo conto che l'unica ad aver veramente sbagliato sei proprio tu, Rea >> afferma alzando lo sguardo e puntandomi quegli occhi che mi gelano il sangue.
<< Che stai dicendo? >> chiedo preoccupata, sapendo già la sua risposta.
<< Ricordati bene ciò che mi dicesti quattro anni fa... Chi deve preoccuparsi adesso? >>. Sgrano gli occhi spaventata, sentendo il cuore esplodermi in petto.
<< No, non puoi... >> sussurro atterrita. Lui sorride malinconico, non ha nessun aria  minacciosa nel suo sguardo glaciale. Non dice più nulla, esce dallo studio, lasciandomi sola con la più terribile delle paure che in tanti anni credevo di tenere al sicuro.


Ma durante la discussione, Rea, non può certo sapere, che qualcuno, dietro la porta ha ascoltato tutto.
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Capitolo 25
*** Le lacrime di un'amica ***


Spalanco violentemente la porta facendo trasalire tutti i presenti nella sala delegati. Mi guardano atterriti, io non ci faccio caso, mi dirigo verso il banco dove è seduta Melody e piazzandomi davanti a lei esclamo: << Se ci tieni al tuo lavoro, non far entrare mai più estranei nel mio ufficio, senza ch'io te ne abbia dato il permesso! >>
<< Ma... R-Rea, che stai... >> prova a difendersi lei impaurita.
<< Intesi?! >> esclamo irritata. "Maledetta, non venirmi a dire che non ne sapevi nulla!". È stata lei a far entrare Armin nel mio ufficio, altrimenti non si sarebbe comportata in quella maniera quando ha visto me e Nathaniel, entrare nell'androne.
La guardo con occhi fulminei, aspettando una sua reazione che giunge dopo qualche secondo, con un tentennante movimento della testa.
Non aggiungo altro. Esco dalla sala delegati ritrovandomi a camminare per il corridoio, sentendomi ad un tratto smarrita.
<< Rea? >>, mi chiamano. Mi volto lentamente, e vedo Nathaniel farsi vicino.
<< Cosa c'è? >> chiedo atteggiandomi a infastidita.
<< Rea, scusami se te lo chiedo, ma visto il modo con cui hai trattato Melody... >>
<< Arriva al dunque Nathaniel! >>
<< Cosa è successo? >>
<< Perché non vai a chiederlo alla tua collega? Visto che da un po' di tempo a questa parte, si è data ai sotterfugi >>
<< Ti sei arrabbiata così tanto, è la prima volta che ti comporti così >>
<< Nathaniel! So perfettamente che vi state approfittando del mio dubbioso posto di preside, solo perché avete sempre visto una Rea che prende questo lavoro come un inutile passatempo >>
<< Ma, io non l'ho mai... >>
<< Ti avviso che le cose sono cambiate. Da oggi in poi, chi si azzarda a contraddirmi, o ad agire tenendomi all'oscuro di tutto, li sbatto fuori senza alcun ripensamento >> esclamo tutto d'un fiato fissando negli occhi il segretario.
<< ... Rea, che ti è successo? >> chiede lui dopo un po' con voce dispiaciuta.
Non rispondo, non tralascio nessuna espressione sul volto, mi giro e riprendo il cammino verso il mio ufficio.
Sono una vigliacca! Una stupida vigliacca che sfoga i suoi dolori punendo gli altri! No, Nathaniel, la domanda non è cosa mi è successo. La domanda è: cosa sto diventando?
Sospiro chiudendomi la porta alle spalle e volgendo gli occhi nel vuoto. Io ho sempre creduto di avere un carattere forte, di poter resistere a tutto ciò che trovavo durante il cammino della mia vita, e invece... Continuo a ripetermi tutt'ora cos'è che ho sbagliato. Ormai ciò che provo per Armin, non è neanche più affetto, e volendo, avrei potuto denunciarlo; ma dentro di me, ho un rimorso che mi sta attanagliando il cuore. È la colpa di averlo fatto diventare così.
Sono stata io a indurlo a fare queste cose. È mia la colpa, perché il solo amore che provo per Castiel è un male per tutti. Rinunciai a lui, per proteggere Erich, ma il profondo amore che provo e che non riesco a nascondere, ha fatto del male ad Armin, e adesso, sto concependo che ben presto, se non mi decido a riordinare i cocci della mia vita, a soffrire sarà la persona che supera ogni altra.
Stringo gli occhi scuotendo la testa per cancellare i brutti pensieri che mi si stanno disegnando nella mente. Per fortuna, a distogliermi da essi, è il cellulare, che ha iniziato a suonare.
Mi avvicino alla scrivania prendendolo e rispondendo, cercando di mantenere la voce ferma.
<< Rea? >>
<< Kim, cosa c'è? >>
<< Sei libera? >>
<< Dovrei vedere delle carte >>
<< Ok allora ci vediamo tra un po' >>
<< No, Kim, ti ho detto che... >>. Chiude la chiamata. Quella ragazza è davvero incredibile, non si può contraddire per niente.
Da una parte è meglio se trovo distrazione con lei, in fin dei conti, non sarei riuscita a concludere nulla con questi maledetti documenti.
Mi reco alla finestra aprendola, per far sì che l'aria cancelli quel pesante odore di preoccupazione.
Mi affaccio permettendo al gelido vento di punzecchiarmi il volto. Chiudo gli occhi respirando a fondo, e cercando di concentrare i sensi tutti sull'udito. Sento qualcosa, delle voci provenire da lontano. Dischiudo le palpebre ritrovandomi a guardare giù verso il cancello del cortile.
Chino la testa a un lato corrugando le sopracciglia. Ci sono due ragazzi, sicuramente alunni del liceo che hanno circondato a mo' di barriera qualcuno, che non riesco a vedere.
Guardo l'ora dall'orologio da polso. Non è ancora giunto il momento della ricreazione. Che diavolo ci fanno lì quei due?
Mi sporgo di più per vedere meglio, e ad un tratto vedo una bionda chioma spuntare da quelle due montagne.
Stanno infastidendo una ragazza.
Senza pensarci due volte, scatto dal balcone uscendo come una furia, prima dall'ufficio poi dall'istituto. Corro verso il cancello esclamando un "ehi!" per far attirare su di me la loro attenzione, ma quelli non mi sentono e continuano a infastidire la ragazza. Inizio a perdere la pazienza e allungo il passo sentendo le loro voci più vicine.
<< Dai, perché non andiamo a prenderci qualcosa da bere >> dice uno maliziosamente.
<< Sì ci divertiremo molto. Su, non fare la difficile >> aggiunge l'altro allungando una mano, verso di lei.
<< Se non vi piacciono le cose difficili, vi conviene ritornare in classe e adesso! >> esclamo minacciosa.
Loro si irrigidiscono nel sentire la mia voce, si voltano verso di me impauriti.
<< Oh, cazzo! La preside! >>
<< Per quale dannato motivo non siete in classe con i vostri deretani poggiati sulle sedie? >>
<< Ecco, noi... >>
<< Siete ancora qui?! Ritornare immediatamente in classe! >>
Loro trasaliscono e iniziano a correre verso l'entrata. Li guardo fino a quando non scompaiono, poi mi volto verso quella misteriosa ragazza che ormai da due giorni, viene sempre qui, e guarda in silenzio l'istituto.
Sta ancora tremando.
<< Tutto bene? >> chiedo tra la gentilezza e l'indifferenza.
Lei annuisce di poco ansimante.
<< Vuoi un po' d'acqua? Stai tremando >>
<< No, non è niente, non si preoccupi, è stato solo  un piccolo spavento, niente di ché >>
La osservo con curiosità << Senti... >> riprendo sbuffando. << Non voglio sapere il motivo per il quale vieni qui, però standotene qui ogni santo giorno, renderà le cose difficili per la quiete scolastica. Quei ragazzi non cercano altro che distrazioni >>
<< Mi dispiace, io non pensavo di arrecare disturbo... >>
" E allora che diavolo stai cercando?" << Ma, potrei sapere per quale motivo vieni sempre qui? Non sei un'alunna su questo istituto, non vai a scuola?  >>
Non mi risponde, sorride soltanto e salutandomi, si allontana.
<< Che strana ragazza >> mormoro facendo spallucce.
<< Non pensavo di averti incuriosita in questa maniera! Mi aspetti da molto? >>. Sento la voce di Kim invadere il silenzio. Mi giro verso di lei accennando un lieve sorriso.
<< Non ti stavo aspettando >> rispondo con una smorfia.
<< Bell'amica che sei! >>
<< Di cosa volevi parlarmi? >>
<< Sarò chiara... Non voglio girarci intorno anche perché sai che non mi piace farlo. Sono qui per parlare di te >>
Drizzo la schiena sentendomi mancare un battito, cerco di sorridere, ma non ci riesco.
<< N-non ho niente da dire... >> rispondo rendendo la voce il più normale possibile, girandomi per incamminarmi verso l'entrata dell'istituto.
<< Eh, no! >> mi ferma lei afferrandomi per un braccio.
<< Kim, ho del lavoro da svolgere, non posso perdere altro tempo >>
<< Non me ne frega una mazza! Noi due dobbiamo parlare >>
<< E di cosa? >>
<< Intanto andiamo nel tuo ufficio, non voglio che ci senta qualcuno >>. Detto questo mi trascina dentro l'istituto, e dopo pochi secondi ci ritroviamo nel mio studio.
<< Kim, te ne prego, non voglio parlare di niente >> esclamo scocciata, inoltrandomi nella stanza, mentre lei pensa a chiudere la porta.
<< Mi dispiace Rea, ma non posso fare finta di niente. Io non penso assolutamente che ciò ch'è successo l'altra sera, sia stato un problema passeggero. Non ti sei fatta viva per un giorno, non hai cercato di sfogarti con nessuno, e questo mi da molto a pensare >>
<< Kim, sto bene. L'ho detto anche a Rosalya e Lysandro. Sto bene, Armin non mi ha fatto assolutamente niente >>. Purtroppo, mi accorgo alla fine della frase, di aver detto qualcosa di troppo. Volgo lo sguardo verso Kim, sperando con tutto il cuore che non abbia fatto caso alle mie parole. Invece lei mi guarda titubante.
"Dannata, la mia boccaccia!"
<< Io non ti ho chiesto nulla del gene... Rea, Armin ha fatto qualcosa? >>
<< H-ho detto di no >>
<< Andiamo! Non sai assolutamente mentire. Cosa è successo? >>
<< Kim ti prego. Non chiedermi più nulla, io... >>
<< Rea. Stai tremando... >>
Mi sento perdere le forze, mi sento sopraffatta da una forza maggiore. Perché non riesco a nascondere i miei pensieri? Perché devo sempre mettere in mezzo le altre persone? Per quale dannato motivo non riesco a cavarmela sola?
Mentre penso a queste cose, sento le lacrime inumidire il mio volto. Ho bisogno di sfogarmi e Kim è la persona più adatta a questo mondo. Non riesco a trattenere i singhiozzi. Lei si avvicina lentamente e accarezzandomi dolcemente il viso, mi accoglie fra le sue braccia.
<< Che ti hanno fatto Rea? >> chiede con malinconia. Condivido quell'abbraccio piangendo come una bambina. << Oh Kim, io ho provato a dimenticare, ma non ci riesco. Ti prego aiutami! >>
<< Sta tranquilla... >>
<< È tutta colpa mia >> la interrompo rendendomi conto che sto parlando senza che sia io a comandare la mia voce.
<< È colpa mia se Armin ha agito in quella maniera >>
<< Era ubriaco Rea, forse non voleva neanche dirle quelle cose >> aggiunge lei ignara di ciò che voglio intendere io.
Mi distacco lentamente da lei, dandole le spalle.
<< Non è così Kim. Armin... >>
<< Cosa è successo? >> chiede circospetta. Mi giro lentamente, ansimando per il pianto. Mi accorgo che sta irrigidendo i suoi muscoli, e inizia a tremare per il nervoso, forse ha inteso qualcosa.
<< L-lui, mi ha... Mi ha... >>. Non ho bisogno di continuare la frase, che lei capisce tutto.
<< Figlio di puttana! >> digrigna adirata, prima di girarsi e correre verso la porta dell'ufficio. Per fortuna ho i riflessi e velocità pronti. Mi piazzo davanti a lei e le sbarrò la strada trattenendola per le spalle.
<< Kim, che vuoi fare? >> chiedo spaventata.
<< Togliti! Voglio spaccargli la faccia! Quel bastardo, come ha potuto?! >>
<< No Kim, lascia stare... >>
<< Lascia stare un cazzo! Togliti Rea, ti ha violentata, non posso far finta di niente! >>
<<  Ti prego Kim. L'ho lasciato, non c'è più bisogno... >>
<< Non c'è più bisogno di cosa?! >> urla.
Sgrano gli occhi guardandola nei suoi e allentando la presa. << K-Kim... Stai piangendo... >>.
Sono otto anni che conosco Kim, la bulletta dal cuore d'oro. Questa è la prima volta che vedo la mia migliore amica piangere, e mai avrei pensato che avrebbe potuto farlo per me. Mi si sta spezzando il cuore mentre la osservo fare uno sforzo quasi sovrumano per trattenere quelle lacrime che dispettose le stanno arrossendo i suoi occhi color verde limone.
<< Come ha potuto farti del male... >> mormora disperata fra i singhiozzi.
<< Kim, non fare così >> sussurro piangendo insieme a lei << non farmi sentire in colpa, non piangere, non farlo per me >>
<< Non lo perdonerò mai. E quando Castiel farà ritorno... >>
<< No! >> esclamo sgranando gli occhi, terrorizzata al solo sentire le prime lettere che formano il suo nome. Lei mi guarda, singhiozzante ma senza far uscire altre lacrime.
<< Perché? >> chiede inarcando le sopracciglia.
<< Ti scongiuro Kim, lui non deve saperlo >>
<< Rea, non penserai di farla passare liscia a quel bastardo?! >>
<< Kim promettimelo. Promettimi che non gli dirai niente. Se Castiel viene a sapere una cosa del genere, per me è finita! >> esclamo disperata.
<< Finita? Ma che diavolo stai dicendo? Rea che significa? >>
Trattengo il respiro, sentendo la mascella tremare. Fisso intensamente e con preghiera, la mia amica, negli occhi. Non riesco a credere che tra qualche istante rivelerò il più grande segreto che ho nascosto in tutti questi anni e che adesso mi fa riaffiorare alcune paure che si erano assopite con il passare del tempo.
Lentamente mi allontano da lei, raggiungendo la scrivania e accorgendomi che sta seguendo le mie mosse.
Sfioro il legno con le dita tremanti, raccolgo più aria che posso e rigettandola con un profondo sospiro, mi giro verso di lei.
<< Kim, pur volendo, avrei potuto denunciare l'atto di Armin. Ma non lo farò, non voglio e non posso farlo >>
<< Perché? >> chiede seria.
<< Non voglio perché ho anche io le mie colpe. L'ho ingannato, gli ho permesso di starmi affianco pur sapendo di non amarlo >>
<< Stronzate! Volere o volare, non doveva azzardarsi a fare ciò che ha fatto! >>
<< Io ho un rimorso, su questo. Avrei dovuto lasciarlo tempo fa, oppure non accettare per niente il suo aiuto. Ma ho sempre avuto paura... >>
<< Di cosa? >>
<< ...Kim, sai perché non posso denunciarlo? >>. Lei mi risponde solo con gli occhi, volenterosi di sapere di più, e io l'accontento << Se lo denunciassi, lui racconterebbe una cosa che ho tenuto nascosta per tanto tempo, e se solo verrebbe scoperta da persone sbagliate, i-io... La mia vita finirebbe all'istante... >>
<< Di che stai parlando? >> chiede ancora Kim irrigidendosi, forse per la paura.
<< Kim, ciò che ti dirò, non dovrà saperlo nessun altro. Me lo prometti? >>
<< Ti prego Rea, parla! >>
<< Kim io... >>.
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Capitolo 26
*** Il matrimonio: prima parte ***


Dal momento in cui le ho confidato il mio segreto, Kim ha deciso di non lasciarmi da sola neanche per un minuto. Non che mi dia fastidio, ma non voglio che si preoccupi così tanto per me.
Ha anche un'espressione alquanto frastornata sul volto. Le ho proprio scombussolato la mattinata.
Sono seduta dietro la mia scrivania a terminare il lavoro. Lei invece si trova di fronte a me, mentre sfoglia uno dei miei manga preferiti, preso dal cassetto per rilassarsi. Non lo sta leggendo e il modo con cui smuove le pagine, mi fa male al cuore. Sembra volerle strappare.
<< Kim, per favore non rovinarmi il manga... >> mormoro con voce flebile.
<< Scusami Rea, ma io non riesco a tranquillizzarmi! Dannazione! Non lo sarò fino a quando non lo vedrò soffrire! >>
<< Kim, non pensarci piú >>. Abbasso lo sguardo ritornando a guardare le carte.
<< E comunque, invitami a stare a casa tua questi giorni. Non mi sento affatto tranquilla! >>
<< Perché dovrei invitarti se l'hai già fatto da sola? >> chiedo accennando un sorriso. << Ma non ce n'è bisogno. C'è mia zia, e poi oggi stesso farò cambiare la serratura >> aggiungo con l'intenzione di tranquillizzarla.
<< Sì, ma tua zia non sa cosa diavolo ti ha fatto quel figlio di... Grr! >>. La vedo sbattere il manga sul piano della scrivania, alzarsi, e iniziare a camminare avanti e indietro con passi rumorosi.
<< Sai Rea? Sono arrabbiata anche con te! >> Esclama fermandosi e incrociando le braccia al petto.
<< P-perché? >>
<< Perché mi hai tenuta nascosta una cosa del genere per tanti anni? Perché quel giorno non venisti direttamente da me? >>
<< Kim, te l'ho spiegato! Ti prego, chiudiamo qui questo fatto. Non farmici pensare >>
<< Ok, ok... Scusami! >> sbuffa rimettendosi a sedere sulla sedia e riafferrando il manga. La vedo sorridere.
<< Cosa c'è? Perché stai ridendo? >> chiedo incuriosita.
<< Stavo pensando, che questa tua vita potrebbe anche essere un romanzo >> risponde lei con sguardo dolce. Troppo dolce per essere la solita Kim.   
<< Beh, cerca di pensare ad altro. Perché se così fosse, avrei già ucciso la scrittrice! >> esclamo irritata.
<< Tra un po' finiranno le lezioni >> riprende guardando l'orario dal suo cellulare. Non rispondo.
<< Senti un po'... >> aggiunge guardandomi << che ne diresti di accompagnarmi a ritirare il mio abito per domani? >>
<< Va bene >> rispondo indifferente, cercando di capire queste cifre stampate sul documento.
<< E voglio vedere anche come ti sta l'abito che indosserai >>
Mi fermo di scatto. Già, l'abito. Me n'ero dimenticata. Inizio a pensare che forse dovrei cambiarlo, perché sono sicurissima che la scollatura non coprirà i segni lasciati da Armin.
Sento l'ansia farsi padrona dei miei sensi. Alzo lo sguardo verso Kim, accorgendomi che mi sta guardando con aria interrogativa.
<< Cos'hai? >> chiede.
<< N-nulla >> rispondo incerta.
<< Qualcosa non va? >> insiste.
<< È che... Forse dovrei cambiare abito >>
<< Perché? >>
<< Ma, no! È stato solo un pensiero sciocco >>. La vedo fare spallucce. Meglio così, non ho proprio voglia di farle vedere quei segni.
Suona la campanella, sospiro sollevata. Rimetto le carte nel cassetto, mi alzo seguendo Kim, che non perde tempo a raggiungere la porta.
Ci ritroviamo nel corridoio, i ragazzi stanno uscendo come dei tornado impazziti. In lontananza vediamo Nathaniel intento a riprenderli con la sua solita aria da educatore perfettino, ma quelli, com'è naturale, non lo contano affatto.  
<< Che idiota! >> esclama Kim, scuotendo la testa.
<< Di chi parli? >> chiedo incuriosita.
<< Di Nath. Non ha ancora imparato che con questi quattro bulletti da strapazzo ci vogliono le maniere forti >>
Accenno un sorriso volgendo lo sguardo verso il biondino, e ad un tratto mi accorgo che a lui si avvicina Melody. La guardo seria. No, non provo nessun dispiacere nell'averla trattata in quel modo. Lei nasconde qualcosa. Certo, dovrò scoprirlo, ma per il momento è meglio non fare il passo più lungo della gamba, anche perché ho altre cose che mi passano per la mente.
Passiamo accanto a loro, saluto, Melody si limita ad abbassare lo sguardo per non incrociare il mio.
Non mi importa. Esco seguita da Kim. Salite in macchina, ci dirigiamo dalla sarta per ritirare il suo vestito, e poi dritte a casa.
Zia Michelle non c'è, ha lasciato un bigliettino con su scritto che passava dal suo amato negozio di cosplay, curiosa di vedere come Leigh lo ha trasformato durante la sua assenza, naturalmente ha aggiunto che il bambino lo avrebbe preso lei.
Salgo su in camera, spronata da Kim a indossare l'abito per il matrimonio di Rosalya. Ho davvero poca voglia di farlo, ma non voglio che continui ad assillarmi, così le dico di aspettare in salotto.
Entrata in camera mia, vado ad aprire l'armadio, prendo l'abito e lo poggio sul letto. Mi blocco osservando quel giaciglio che giorni fa ha accolto quel brutale gesto. Lo vedo rifatto, e subito penso che dev'essere stata zia Michelle.
Io, quella mattina, dopo averlo spogliato di quelle lenzuola lorde di dolore, non mi curai di rifarlo. Non sono più entrata in questa stanza da quel giorno, e mi chiedo quale forza maggiore mi abbia dato il coraggio nel farlo adesso.
<< Dimentica >> sibilo, con gli occhi fissi sul materasso. Devo almeno cercare di farlo.
Sicura di me stessa, mi spoglio, infilandomi velocemente l'abito. Ho un po' paura di guardarmi allo specchio, sicura che quei segni siano visibili; mi avvicino all'armadio, guardando la mia immagine riflessa. I miei occhi sono concentrati sul viso, e lentamente, cerco di farli scendere più giù verso il petto. Ed eccolo lì: il primo segno che mi fece quando mi strappò la parte superiore dell'abito. Tre lunghi e vividi graffi che partono dalla zona centrale del petto, per poi scendere diagonalmente verso il seno.
Lentamente, porto le dita sul bordo della scollatura e abbasso lentamente la stoffa rivelando quel succhiotto illividito, segnato dalla sua dentatura.
<< È per questo che volevi cambiare abito? >>. Trasalisco, mollando il lembo, sentendo la voce di Kim alle mie spalle. Mi giro di scatto, fissandola negli occhi.
<< Ti fa male? >> chiede con tristezza. Scuoto la testa, poi cercando di sorridere dico: << Per fortuna siamo agli inizi di dicembre, quindi potrò indossare un foulard >>. Mi dirigo verso la porta, passandole di fianco. Lei mi ferma afferrandomi per un braccio.
<< Riuscirai a nasconderlo anche a Castiel? >>
<< Ce la farò >> rispondo stringendo gli occhi << devo farcela >> aggiungo con decisione.
<< Sai che non sono d'accordo con la tua scelta? >>
<< Lo so, Kim. Ma è ciò che mi sento di fare in questo momento >>
<< Rea, promettimi solo una cosa... Qualunque  cosa succeda, se avrai bisogno, non esitare a venire da me. Sai che ci sarò sempre >>
<< Grazie Kim >>.

***

La sveglia è suonata da un pezzo, ma non riesco ad alzarmi. Ritornare a dormire in questo letto dopo due giorni, mi ha fatto uno strano effetto. Ho deciso che devo dimenticare e la prima cosa per riuscirci è stata ritornare nella mia stanza per combattere contro quel doloroso ricordo. Mi sono voltata e rivoltata un sacco di volte, non riuscendo a trovare la posizione giusta per cancellare quelle assillanti immagini che si sono disegnate nei miei occhi. Alla fine guardare il paesaggio notturno riflesso sui vetri della finestra, mi ha aiutato molto. Ho chiuso le palpebre e mi sono donata al sonno. Non so che ore erano, ma credo di aver dormito poco, perché dopo un po' ha iniziato a suonare la sveglia. Non ricordo neanche di aver sognato, e da una parte è meglio così.
Sbuffo scocciata, sentendo dei rumori provenire al di fuori della stanza. Sicuramente devono essere zia Michelle e Kim. Si sono già alzate, e se non lo faccio anche io, sono convinta che arriverò in ritardo alla Chiesa. No, no! Poi chi se la sente Rosalya?
Sorrido contenta. N'è davvero passato di tempo, sembra ieri, quando mi trasferii per la prima volta qui, quando conobbi tutte le persone che sono entrate a far parte della mia vita. Socchiudo gli occhi al pensiero più dolce: il primo che vidi fu lui, Castiel. Quella sera io sulla veranda e lui in riva al lago con il suo Demon. Lo ricordo bene, è ancora vivido nei miei pensieri, e anche se sono passati sette anni, per me non sono tanti. Quel giorno lo sento vicino, come se tutti gli anni di lontananza non esistessero per nulla.
Ritorno di botto alla realtà sentendo che il cellulare sta squillando. Mi spavento, dato che la suoneria è alzata a tutto volume. "Maledetta me e la mia smemoratezza!". Rispondo subito senza curarmi di chi mi chiama, ché quel suono assordante è un fastidio per il mio udito.
<< Pronto? >>. La mia voce esce rauca e subito la correggo con due colpi di tosse.
<< Rea, non dirmi che stai ancora dormendo?! >> esclama Rosalia dall'altro capo.
<< N-no. Certo che no Rosalya... >> balbetto alzandomi dal letto cercando di schiarirmi la voce, << stavo appena andando a lavarmi >>
<< No, tu stavi dormendo. Ecco lo sapevo! Il mio matrimonio non importa a nessuno! >>
<< Rosa, ma cosa dici? >> chiedo guardando l'orario sulla sveglia analogica. " Le sette e un quarto?! Ma dico io: va bene che sei nervosa per il tuo matrimonio, ma non puoi rompermi le palle alle sette e un quarto del mattino! Ci vogliono ancora cinque ore per l'inizio della Messa!"
<< ...lo sapevo, lo sapevo! >> continua piangendo.
<< Rosa, ma che ti prende? >>
<< Oh Rea. Sto chiamando Lysandro per ricordargli che oggi ci sposiamo, ma non mi risponde! Sicuramente non si presenterà! >>
<< Rosalya, ti prego sta calma! Non farlo troppo idiota. In fin dei conti è ancora presto >> provo a tranquillizzarla, ma tutto inutile.
<< Non è presto! È tardi. Lui non vuole sposarmi più, e adesso mi sta ignorando per farmelo capire. Sicuramente si è lasciato abbindolare dalle parole di Armin... >>
<< Basta Rosa! >> urlo irritata. Ormai ho perso la pazienza. Se quel nome, speravo tanto di non sentirlo più, mi rendo conto che è una speranza vana. << Lysandro si starà sicuramente preparando, e sarebbe meglio se lo facessi anche tu >>
<< Rea? >> chiama con una voce da cane bastonato.
<< Dimmi >>
<< Io sono già pronta >> aggiunge tutto d'un fiato.
<< C-cosa? >> chiedo incredula, sentendo la palpebra dell'occhio destro pulsare freneticamente.
<< Ho costretto il parrucchiere a venire alle cinque di stamattina, e poi mi sono vestita... >>
<< R-Rosalya, sei una forza della natura >> soggiungo con un sorriso imbarazzante.
Chiudo la chiamata, sospiro rumorosamente, e finalmente mi reco in bagno.
Quando scendo al piano di sotto, trovo Etienne seduto sul divano nel soggiorno intendo a cambiare canale alla TV; Kim è seduta accanto al tavolo in cucina e sorseggia il suo caffè con indosso ancora il pigiama, mentre zia Michelle, vestita allo stesso modo, sta preparando un'altra Moka. Io sono l'unica ad essermi lavata e a indossare l'accappatoio. Rosalya mi ha messo davvero in corpo una stramaledetta ansia.
Sbuffo scrollando le spalle.
<< Ben svegliata Rea! >> esclama Kim senza distogliere lo sguardo dalla tazzina.
<< Buon giorno a tutti >> rispondo mogia, sedendomi sull'altro lato del tavolo.
<< Cos'hai? >> chiede Michelle mettendomi una tazzina davanti.
<< Mi sento stressata >> rivelo con uno sbadiglio.
<< A prima mattina? >> chiede scettica mia zia.
<< Perché? >> aggiunge Kim.
<< Chiedilo alla sposa! >> rispondo afferrando la tazzina, per poi bere lentamente il liquido scuro.

***

Mi fisso allo specchio con aria incerta. Per fortuna il foulard copre la scollatura, ma non è questo il problema, ho un'ansia in corpo dovuta a non so cosa. Mi sento anche un po' strana.
<< Mamma sei pronta? >> sento esclamare ad un tratto. Mi giro vedendo Etienne entrare nella camera, smuovendo il papillon blu.
<< Si sono pronta >> rispondo sorridendo << ma che stai facendo? >> chiedo avvicinandomi a lui e abbassandomi.
<< Zia Kim non l'ha saputo aggiustare >> spiega imbronciato.
<< Da' qua, ci penso io >>
<< Grazie... Mamma? >>
<< Mhm? >>
<< Sei bellissima >>
Lo guardo, accorgendomi che i suoi zigomi sono diventati rossi e i suoi occhi fissano tutt'altra parte.
<< Grazie Etienne, anche tu sei bellissimo >> rispondo accarezzandogli una guancia. Lui ritorna a guardarmi e sollevandosi in punta di piedi, mi stampa un bacio sulla guancia.
<< Andiamo? >>  chiedo afferrandogli la mano e mettendomi in piedi. Annuisce. Scendiamo in soggiorno e noto che anche Kim e zia Michelle sono pronte. Usciamo raggiungendo la macchina.
Arriviamo in Chiesa dopo pochi minuti. Troviamo Lysandro davanti la porta. È più elegante del solito. Naturalmente ha scelto un abito da cerimonia vittoriano, sembra un principe uscito da un libro delle fiabe.
Istintivamente mi guardo intorno, con la speranza di incontrare Castiel, ma non lo vedo. Vado da Lys per fargli gli auguri.
<< Ti ringrazio Rea >> risponde lui con un sorriso << Se stai cercando Castiel ti avviso che ritarderà di qualche minuto >>
<< N-non lo sto cercando >> mento imbarazzata. Lui mostra la sua dentatura perfetta, non posso fare altro che imitarlo.
Ad un tratto mi squilla il cellulare. È Rosalya. Mi allontano dalla porta della Chiesa prima di rispondere.
<< Rosa, dimmi... >>
<< R-Rea? >>. Sembra stia piangendo. << D-dove sei? >>
<< Davanti la Chiesa. Perché? >>
<< Rea, aiutami! >>
<< Rosa che succede? >> chiedo preoccupata stando attenta a non alzare la voce, per non farmi udire da Lysandro.
<< I-io... >> singhiozza disperata.
<< Rosalya, ti prego calmati e dimmi cosa sta succedendo >>
La risposta che da, mi fa cadere le braccia, e sospirare rumorosamente. << Ok, ok, sto arrivando, non preoccuparti >>. Chiudo la chiamata continuando a guardare il cellulare; poi mi volto verso zia Michelle chiedendole di tenere il bambino, e continuandoli a guardare mi accingo a scendere le scale. Come da copione, non mi accorgo che il gradino è terminato. Scivolo dopo aver preso una storta. L'ultima cosa che vedo è mio figlio mettersi le mani davanti agli occhi.
Non c'è stato né un rumore, né tantomeno un dolore da qualche parte. Sento soltanto qualcosa avvinghiarmi il cinto.
<< La solita sbadata >>. Sento sussurrarmi. Alzo di scatto lo sguardo riconoscendo quella voce, e subito incontro quel sorriso affascinante e quegli occhi tempestosi.
<< C-Castiel... >> sibilo sentendomi sciogliere il cuore. Sono tre giorni che non lo vedo, e mi sembrano un'eternità. Averlo rivisto mi mette nel cuore una malinconia. Sento che se continua a tenermi stretta a se, potrei piangere. Per fortuna, mi aiuta a rimettermi dritta.
<< Dove vai così di fretta? >> chiede.
<< Sto andando da Rosalya, ha bisogno di aiuto >> rispondo imbarazzata.
<< Vuoi che venga con te? >> continua.
<< No, no! Non ce n'è bisogno! >> esclamo allontanandomi da lui per raggiungere la macchina.
Castiel prova a fermarmi chiamandomi, ma lo ignoro, mettendo in moto e partendo per raggiungere casa di Rosa.
Non riesco a capire per quale motivo ho reagito così. Io desideravo vederlo, volevo il suo calore su di me, avevo bisogno di quegli occhi e di quella voce; ma allora perché mi sono comportata in questa maniera?
Arrivo a destinazione, e decido di lasciar perdere quei pensieri, adesso devo solo concentrarmi sul problema di Rosalya. Suono al campanello e viene lei ad aprirmi con le lacrime che le rigano il volto e la matita nera tutta sbavata. Si è tolta anche l'abito.
Entro chiudendomi la porta alle spalle.
<< Oh, Rea! È finita per me! >> esclama abbracciandomi e scoppiando in un pianto lagnoso.
<< Avanti Rosa, non dire così. Sistemeremo tutto! >>
<< E come? La messa inizierà tra mezz'ora >>
<< Fammi vedere l'abito >>
La seguo, entriamo nella sua camera e mi indica il letto dove giace il suo abito da sposa. Mi avvicino lentamente, osservandolo. Dopo un po' inizio a tremare dal nervoso. "Dio, ferma il mio atto, altrimenti invece di un matrimonio assisterò a un funerale!"
<< Rosa? >>
<< Che c'è? >> chiede imbronciata.
<< Ma ti sei accorta che hai macchiato solo la sottogonna? >>
<< Ah... Ah-ah... Era la sottogonna? >> chiede con una faccia da ebete.
Non ci posso credere?! Mi ha chiamata dicendomi che non si era accorta di aver avuto il ciclo e di aver macchiato la gonna del vestito, e invece è solo una macchiolina per di più, sulla sottogonna. Naturalmente per lei era più che sicuro pensare che quel velo trasparente sia l'abito. Veste sempre così! E menomale che sono venuta a vederla, altrimenti non voglio immaginarmi in che stato sarebbe entrata in Chiesa!
Io non so davvero chi continua a darmi la forza!
Spronata dalle mie urla, si riveste in fretta, le rifaccio il trucco e finalmente possiamo recarci a questa benedetta Messa...


BAKA TIME : ciao friends! Scusate per il ritardo, ma sono ancora senza pc.
Tornando al capitolo, questa è solo la prima parte del matrimonio di Rosalya, e come avrete notato manca di colpi di scena, ma non preoccupatevi, li inserirò nella seconda parte.
Per chi si aspettava che in questo capitolo Rea avrebbe rivelato il segreto, beh, avete sperato inutilmente. Credevate veramente che avrei sputato il rospo? (Buhahaha!) è ancora presto belle mie.
Alla prossima^^
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Capitolo 27
*** Il matrimonio: seconda parte ***


I suoi occhi brillano, sembrano diamanti sospesi tra le nuvole. Non riesco a non guardarlo. Siamo a pochi metri di distanza l'una dall'altro: io dalla parte di Rosalya e lui da quella di Lysandro. Ci siamo alzati solo noi due, testimoni delle nozze, per assistere al fatidico giuramento.
<< Rosalya, vuoi tu prendere come sposo il qui presente Lysandro, amarlo e onorarlo, in ricchezza e in povertà, nella salute e in malattia, finché morte non vi separi? >>
Sento quelle parole rivolte a me, mentre continuo a guardare Castiel che fissa l'altare con un'aria quasi malinconica, e in sottofondo al "sì" di Rosalya, riecheggia flebile il mio.
Vedo Castiel drizzare la schiena e voltarsi smarrito verso di me. Non so perché, ma imbarazzata, mi giro verso l'altare facendo finta di nulla.
Purtroppo i miei occhi sono peggio di una calamita, e non resistono un minuto lontano da quelli del rosso, e così involontariamente mi ritrovo a guardarlo, accorgendomi che lo sta facendo anche lui con me. Mi sorride, e ritorna a guardare davanti a se.
Ho male in petto. Perché dobbiamo trovarci a un matrimonio che non è il nostro? Mi chiedo triste. Perché non posso stare con te? Potrò mai dirti anche io, sì?

Usciamo dalla Chiesa e tutti gli invitati si preparano per lanciare il riso agli sposi. Mi inoltro nella folla per raggiungere zia Michelle e il bambino, e non so se notare con piacere o dispiacere che a loro si è avvicinato Castiel. Mi avvicino lentamente, vedo Etienne tiragli un lembo della giacca verso il basso; lui abbassa lo sguardo, << Cosa c'è? >> gli chiede accarezzandogli la testa. Etienne solleva le braccia verso di lui, per essere preso in braccio. Castiel, dal canto suo, non se lo fa dire, lo prende e rimane a fissarlo.
<< Castiel? >> chiede Etienne.
<< Mhm? >>
<< Perché buttano il riso agli sposi? >>
<< Lanciare il riso agli sposi è un augurio di prosperità, benessere e abbondanza >> risponde Castiel tutto d'un fiato. Etienne fa una smorfia contrariata << Il riso si mangia, non si lancia >> borbotta giocando con il colletto del rosso, il quale si lascia scappare un sorriso.
<< Mamma! >> esclama il bambino dopo avermi visto. Castiel si volta di scatto e mi guarda.
<< Hai visto, papà non è venuto >>. Trasalisco a quelle parole e subito guardo Castiel senza capirne il motivo. Lui ricambia lo sguardo e aggrotta le sopracciglia incuriosito dalla mia espressione.
<< V-verrà più tardi Etienne >> rispondo, per non lasciare dubbi.
<< Ma se hai detto che non... >>
<< Etienne! >> lo interrompo cercando di mantenere la calma, << perché non vai a lanciare anche tu il riso agli sposi? >> chiedo sorridendo a stento. Lui annuisce, scende da Castiel e accompagnato da mia zia, si inoltra tra la folla.
<< Mi sono perso qualcosa? >> chiede ad un tratto Castiel mettendosi le mani nelle tasche del pantalone.
Dio com'è bellissimo in giacca e cravatta.
<< N-nulla... Cosa dovevi perderti? >> chiedo incerta.
<< Pensi che non ti conosca? >> ribatte lui guardandomi sottocchio.
<< ...come sta Alain? >> chiedo cercando di cambiare discorso, dopo aver esitato un istante.
Prima di rispondermi, mi fissa attentamente. Volgo lo sguardo da un'altra parte perché non riesco a reggere il suo.
<< Lo opereranno alla Vigilia di Natale >>, lo sento mormorare dopo un po'.
<< Fra una settimana? Perché non prima? >> chiedo scettica.
<< Non lo so >>
<< Andrà tutto bene? >>, abbasso lo sguardo.
<< Deve andare tutto bene. Alain vivrà, e questo anche grazie a te >>
<< A me? Perché? >>
<< Sei stata tu a convincerlo >> risponde sorridendomi << Anche se devo dire che è un po' troppo sfacciato >>
<< Che intendi? >> chiedo.
<< Ha detto che non appena tutto finirà, farà di tutto per conquistarti >>
Sorrido imbarazzata, mentre lui mi lincia con gli occhi.
<< Perché mi guardi così? >>
Non mi risponde, sfila una mano dalla tasca e la porta al mio braccio, accarezzandolo << Lui non ha ancora capito a chi appartieni >> sussurra avvicinandosi. Sobbalzo, sentendomi rabbrividire sia a quel tocco che a quelle parole. Mi scosto da lui, e imbarazzata soggiungo: << Sarà meglio andare, gli sposi sono già partiti >> detto questo mi allontano per raggiungere la macchina dove Kim, Michelle e Etienne mi stanno aspettando.
Non devo lasciarmi travolgere dalle sue parole, dopo tutto quello che mi è successo, anche se Armin non fa più parte della mia vita, è inevitabile che Castiel e io non possiamo stare insieme. Anche se quel non, mi ferisce il cuore, devo trovare la forza di rimanere con i piedi per terra. La vera Rea si dissolse quella notte in cui i suoi sogni l'abbandonarono.

La neve ha annunciato la sua presenza, regalandosi a quel giorno molto importante per Rosalya e Lysandro. La mia amica però non la pensa allo stesso modo, infatti si sta lamentando per l'acconciatura che l'umidità le sta rovinando. Kim la mette subito a tacere dicendole che in fondo i festeggiamenti sono all'interno della sala e che quindi i capelli non rischiano nulla.
Alle volte vorrei avere anche io lo stesso carattere schietto della bruna. Mi risparmierei molti problemi, e invece cosa faccio? Me ne sto seduta al mio tavolo a guardare gli altri come ballano.
La musica è rumorosa, e stranamente mi da fastidio. Per fortuna termina, dando il posto a un lento.
<< Mi concedi questo ballo? >> sento chiedere ad un tratto. Mi giro sorridendo.
<< Erich? Anche tu qui? Non ti avevo visto >>
<< Preferivo rimanere a casa, ma mio fratello mi ha trascinato >> risponde lui sorridendo << allora, vuoi ballare >>
Ci penso su per qualche istante, poi gli porgo la mano accettando. Ci mettiamo in pista con gli altri. Erich mi arriva all'altezza del petto. Ripenso a quando mi afferrava il lembo della camicia, allora aveva solo sei anni. È cresciuto ormai, e sta diventando un ragazzino molto carino. Lo guardo negli occhi.
<< Cosa c'è? >> mi chiede ad un tratto.
<< Nulla. Stavo solo guardando i tuoi occhi >> rispondo accennando un sorriso.
<< E cos'hanno i miei occhi? >>
<< I tuoi occhi sono come i suoi >> rispondo tutto d'un fiato indicando con la testa Castiel, seduto a parlare con lo sposo. Erich fa lo stesso e sorride.
<< Ti piacciono? >> chiede
<< Tanto >> rispondo malinconica.
<< Rea, ricordi la prima volta che ci incontrammo? Ti dissi quella frase, perché capii >>
Fermo i miei passi, rimanendo impietrita.
<< E-Erich... >>
<< Tranquilla, non l'ho detto a nessuno... >> mi interrompe.
Non so se sospirare di sollievo o continuare a preoccuparmi.
<< Io so che forse hai le tue ragioni per tenerlo nascosto >> riprende abbassando lo sguardo << ma come me ne sono accorto io, non pensi che prima o poi se ne accorgerà anche lui? >>
Non so cosa rispondere, quelle parole le ha uscite fuori a bruciapelo, so solo che non riesco più a muovermi, e non lo fa neanche lui.
<< Ehi Erich! >> sentiamo Castiel esclamare dietro di noi. Il bambino mi lascia girandosi verso il fratello, << va a giocare con la pulce >> aggiunge il rosso.
<< Ok >> risponde Erich contento, poi volgendosi verso di me mi sorride facendo un occhiolino.
Rimango in pista, rendendomi conto che io e Castiel siamo gli unici fermi.
<< Che vi stavate dicendo? >> chiede.
<< Nulla di importante. Scusami >> rispondo iniziando a incamminarmi per ritornare al mio tavolo.
Lui però mi ferma, afferrandomi per un polso.
<< Cosa c'è? >> chiedo senza girarmi, sentendo il cuore iniziare a palpitare più forte.
<< Balla con me >> dice salendo la mano verso la piegatura del gomito, facendomi indietreggiare per ritrovarmi di fronte a lui. Non riesco a guardarlo negli occhi, non ce la faccio. Sono troppo occupata a cercare di calmare i battiti che freneticamente stanno risvegliando alcuni miei sentimenti. Lui afferra le mie mani, portandole al suo collo. Gli permetto quel gesto senza oppormi; poi sento cingermi i fianchi dalle sue braccia, e in men che non si dica il mio corpo tocca il suo. Abbasso lo sguardo sentendo il viso avvampare.
<< Castiel, non è il caso... >> mormoro imbarazzata.
<< Ssh... Non ho intenzione di lasciarti andare >> sibila lui sensualmente, dando inizio ai lenti passi coordinandoli con la musica.
<< Sai che mi stai facendo impazzire? >> aggiunge dopo un po' avvicinando la sua bocca al mio orecchio.
<< P- perché? >>
<< Vederti con quest'abito. Anche i tuoi soli movimenti... Non so come diavolo sto facendo a trattenermi >>
Sorrido, appoggiando inconsciamente la fronte sul suo petto, chiudendo gli occhi.
<< Michelle mi ha detto che hai lasciato Armin >>
Schiudo le palpebre di scatto e alzo la testa incrociando i suoi occhi.
<< È stato per come si comportò quella sera, non è vero? >> chiede serio.
<< I-io... >> provo a parlare, ma sento la saliva pietrificarsi on gola.
<< Meglio così... >> interviene sicuro di se << non avrei resistito un minuto di più, sapendo che lui poteva toccarti al mio posto >> sussurra portando una mano sul mio foulard e facendolo scivolare dal mio collo.
Ecco che ritorna il ricordo di quella sera, e insieme ad esso l'evidenza di quei segni che Castiel sta per scoprire e che non deve assolutamente vedere.
Porto istintivamente le mani al petto, fermando bruscamente il suo gesto.
<< No! >> esclamo, indietreggiando. Lui mi guarda allibito. << C-Castiel, s-sei sposato, non possiamo... >> non so come diavolo ho fatto a formulare quella frase, fatto sta, che lui mi guarda alquanto irritato, e io non posso fare altro che allontanarmi; ma in mezzo alla penombra e a quelle persone, la mia fuga termina presto. Mi sento afferrare per un braccio. Mi volto di scatto è ancora lui, e mi guarda con severità.
<< Lasciami Castiel >> esclamo, ma la mia voce viene sopraffatta dal ritmo rumoroso della nuova canzone.
<< Vieni con me >> mi ordina il rosso, trascinandomi.
Usciamo dalla sala ritrovandoci nella hall. Continuiamo a camminare.
<< Castiel fermati, dove mi stai portando? >> chiedo inutilmente. Lui non mi risponde e né accenna a fermarsi. I suoi passi sono sicuri, come se sapesse già dove andare. Dopo qualche minuto entriamo in un piccolo salotto di intrattenimento, a quel punto lui mi lascia il polso, si gira verso di me e mi guarda.
<< Che vuoi fare? >> chiedo fremendo.
<< Togliti il foulard >> ordina serio.
Trasalisco strabuzzando gli occhi << C-Cos... Perché dovrei toglierlo? >> chiedo tremante. "Mio Dio ti prego, fa che non l'abbia visto".
<< Togliti il foulard, Rea! >> esclama facendomi trasalire.
Maledizione, mi viene da piangere << Castiel, sono un po' raffreddata, non farmelo t... >> mi interrompo. Il suo gesto è stato più veloce delle parole, mi ha letteralmente strappato il foulard di dosso. Mi guarda il petto con titubanza.
<< Che hai fatto? >> chiedo con voce di pianto, cercando di coprirmi il petto con le mani.
<< Non avevo visto male >>, lo sento mormorare.
<< Ma che dici? >> chiedo facendo la gnorri.
<< Cosa sono quei raschi? >>
<< S-sono... Caduta... >> spiego smarrita, stringendo la mano al petto
<< Pensi davvero che sia così idiota da crederci? >> ribatte afferrandomi la mano, allontanandola dalla scollatura. << Queste sono unghie >>
<< Castiel... Mi sono fatta male da sola... >> rispondo cercando di rendere la mia voce il più credibile possibile, ma non riesco a nascondere quell'angosciante tremore dovuto anche alla paura. Non può scoprirlo, non dovrà mai scoprirlo.
Ci fissiamo negli occhi per qualche istante, poi lui mi afferra dolcemente per le spalle e mi abbraccia, stringendomi forte a se.
<< Per un momento, ho pensato che Armin ti avesse fatto del male >> sussurra tra il collo e la spalla. Trasalisco sgranando gli occhi e sentendo mancare un battito al cuore.
<< C-che dici? >> chiedo chiudendo le palpebre brucianti di lacrime che riesco a trattenere. Lo sento strusciare la sua guancia ben sbarbata sul collo, le sue labbra sfiorano la mia pelle colma di brividi, e le sue mani: una fra i capelli e l'altra dietro la schiena, si muovono in dolci e travolgenti carezze.
<< Se solo ti avesse fatto qualcosa, io lo avrei ucciso con le mie stesse mani >> digrigna, tra gli ansimi.
Riapro gli occhi strabuzzandoli. Lui smette di parlare e si lascia trasportare dalle sue stesse vemenze. Mi bacia con più passione la pelle, mentre mi spinge lentamente verso il muro. Le mani iniziano a vagare sul mio corpo, quasi disegnandolo.
<< Cas... >> provo a respingerlo, ma lui si oppone.
<< Facciamolo Rea... Non resisto più >> ansima afferrandomi per le guance preparandosi a baciarmi sulle labbra, mentre il suo busto poggia sul mio, riesco a sentire la sua virilità piena di vita.
Mi sento venir meno. La mente è affollata di pensieri e sento che tra un po' scoppierò. Per fortuna a salvarmi è il suo cellulare che squilla frenetico.
<< Castiel rispondi >> mormoro, cercando di divincolarmi.
<< Lascialo squillare >> sussurra lui continuando la sua opera.
<< No, ti prego! >> esclamo riuscendo a respingerlo.
Lui si distacca sbuffando. Afferra il cellulare senza distogliermi gli occhi di dosso.
<< Pronto... Ah Michelle, cosa c'è?... Sì è qui con me... Ok... >>. Chiude la chiamata.
<< Cosa c'è? >> chiedo con voce flebile.
<< Tuo figlio se l'è fatta sotto >> risponde sorridendo. Mi distacco dal muro, riprendendo il foulard e rimettendomelo al petto nel migliore dei modi. Cerco di ricompormi in fretta e poi mi reco alla porta.
<< Rea? >>
<< Dimmi? >> mi giro, e non appena lo faccio, me lo vedo piombare sulle mie labbra. Rimango scioccata per pochi secondi, poi non resistendo, decido di concedermi, lui si distacca, leccandosi le labbra.
<< Sappi che non mi fermerò la prossima volta >> mormora, poi avvicinando la bocca al mio orecchio.
Non so per quale motivo, ma pensando che ci potrebbe essere una prossima volta, sento la paura invadermi il cuore.


BAKA TIME: ... Dannato telefono! Starete sicuramente pensando... Ah-ah... Pur volendo, avrei potuto continuare la scena in tutta la sua completezza, ma mi son detta: No, lascia passare, per il momento. Deve pur soffrire qualcun altro oltre a Rea, no? ⌒.⌒ Aspetta Castiellino, aspetta e vedrai.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Fatemelo sapere, alla prossima friends! Un bacione.
Iaia. :-*
 

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Capitolo 28
*** I dubbi di Castiel ***


Riflesso su quella sfera di un rosso lucido, ornato di linee dorate, il volto di Etienne si adatta a quella palla, che lui stesso regge tra le mani, scherzando con delle smorfie rumorose.
<< Etienne, finiscila >> mormoro sorridendo << appendila all'albero >>
<< Mamma, prendimi in braccio, voglio metterla in alto! >> esclama lui allungando le mani verso di me.
<< Ti prendo io! >>, Kim arriva da dietro afferrandolo sotto le ascelle e sollevandolo dal pavimento; poi lo avvicina all'albero, e lui, ridendo con dolcezza, porge la sfera di plastica a un ramo.
<< Il presepe quando lo facciamo? >> chiede poi ritornando giù.
<< Dopo aver finito l'albero >> rispondo, infilando tra i rami delle rose dorate.
<< Quest'anno abbiamo messo gli addobbi in ritardo >> aggiunge il bambino, sbirciando in uno dei cartoni.
<< Lo so... >> rispondo.
<< È perché questa volta non c'è papà ad aiutarci >> dice fissando intensamente un addobbo.
Nel sentire quelle parole, ho un tremito, e una sfera mi sfugge di mano rompendosi in mille pezzi. È ormai passata una settimana e mi ero quasi convinta che Armin sarebbe uscito dalla mente di tutti, e invece.
Che stupida che sono. Non voglio ammetterlo ma cerco disperatamente di aggrapparmi nella vana speranza di dimenticare. Ma come si può dimenticare?
<< Mamma, sta attenta! >> esclama il bambino. Non riesco a muovermi. Questi pensieri non mi fanno percepire la realtà, mi accorgo solo che Kim, accanto a me, si sta abbassando per raccogliere i cocci.
<< Ho un'idea! >> esclama Etienne dopo un po' << Perché non chiediamo a  Castiel di aiutarci? >>
Trasalisco guardando di scatto la mia amica. Lei è allibita, io frastornata. Il nome Castiel è stato come un colpo di batacchio all'interno di un'enorme campana.
<< Mamma? Hai capito? >> insiste Etienne afferrandomi un lembo del maglione, dando dei veloci tiri verso il basso.
Non so cosa rispondere, ché quella richiesta mi ha subito fatto tornare alla mente il giorno del matrimonio di Rosa e Lysandro: dopo che uscii da quel salotto, Castiel mi seguì, ma non appena arrivati in sala, ritornò al suo posto e non mi pensò per tutto il resto della serata. Fu come se in quei minuti passati non fosse successo niente. In quel momento iniziai ad avere dei rimorsi, chissà per quale strano motivo non riuscivo a non pensare che in fin di conti avevo fatto bene a fermarlo.
Mi chiesi un sacco di volte per quale motivo non mi rivolgeva né lo sguardo, né tantomeno la parola. Arrivai anche a maledire mia zia che chiamò interrompendo quell'attimo desiderato da tanto tempo. Cavoli, stavo davvero impazzendo. E lo sono tutt'ora. Da quel giorno, non ho avuto più modo di rimanere sola con Castiel, lui ritornò in ospedale da suo cugino.
<< Ehm... Rea? >>, Kim mi riporta alla realtà scuotendo una mano davanti ai miei occhi.
<< C-cosa c'è Kim? >> chiedo aprendo e chiudendo velocemente le palpebre.
<< Etienne, sta telefonando a Castiel >>
<< Cosa? >> chiedo, ancora un po' frastornata.
<< Lo sta invitando a venire qui per aiutarci con gli addobbi >> soggiunge Kim.
<< C-cosa?! >> esclamo dopo aver compreso le sue parole, e l'azione di mio figlio.
Senza aggiungere altro, lascio cadere gli ultimi addobbi, e mi precipito come una furia verso le scale, gridando il nome del bambino, intenta a fermarlo prima che sia troppo tardi. Purtroppo, lo è.
Vedo Etienne scendere dal piano superiore con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra. Lo guardo con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
<< Che hai fatto? >> chiedo con un filo di voce.
<< Ho chiamato Castiel >> dice lui, come se avesse fatto una cosa così semplice.
<< Come hai fatto a chiamarlo se non sai leggere? >> ribatto scettica.
<< È stata zia Kim >> risponde lui semplicemente.
"Devo ricordarmi di aggiungere Kim nella lista delle persone da maledire"
<< E... E lui c-cos'ha detto? >> chiedo poi.
<< Mamma, perché balbetti? >>
<< No-non sto balbettando >>
<< Invece sì >> insiste fissandomi dubbioso.
<< Cos'ha detto Castiel? >> chiedo ancora.
<< Ha detto che verrà >>
Sento il cuore gioire a quella risposta, ma il mio corpo non risponde. Rimango pietrificata a  guardare il viso del bambino, il quale, mi ricambia con un'espressione interrogativa.
<< Mamma, non dovevo? >> chiede.
<< N-no, perché non avresti dovuto? >>
<< Io voglio Castiel, lui è diverso da papà... >> mormora riprendendo a scendere le scale << ...lui non mi ha chiamato per niente. Si è dimenticato che esisto >>
Sobbalzo nel sentire queste parole. So che forse ho sbagliato a vietare ad Armin di avvicinarsi al bambino, e che quest'ultimo pensi che sia il padre a volerlo; ma non posso permettere che chi ha fatto del male a me, tratti il mio Etienne come se nulla fosse.
Detesto con tutte le mie forze questa situazione, ma ho pagato e sofferto abbastanza, ed è anche arrivato il momento di mettervi la parola fine.
Seguo mio figlio in soggiorno, Kim mi guarda e ferma le sue faccende avvicinandosi a me e chiedendomi: << Allora? >>
<< L'ha chiamato... >> Rispondo con un sussurro.
<< Beh? >> insiste spalancando i suoi occhi verde limone.
<< Verrà >> mi limito a rispondere.
<< Cos'è quella faccia? Non sei contenta? >>
Sorrido lievemente, sorpassandola e avvicinandomi all'albero per continuare le mie faccende.
<< Io proprio non ti capisco >> riprende imitando il mio lavoro << eppure dovresti essere al settimo cielo! Ti sei liberata di quell'idiota di Armin, e sai che Castiel ti ama ancora... >>
<< Kim, parla piano! >> sussurro a denti stretti, volgendo lo sguardo verso Etienne per essere sicura che non l'abbia sentita. Fortunatamente sta giocando con i pupazzi del presepe, tolti dal cartone.
<< Cosa pensi Kim? Che io non sia entusiasta delle situazioni che si vengono a creare ogni volta che sto con lui? >> chiedo parlando sottovoce << Anche se mi sono liberata di Armin, io non posso farmi illusioni con Castiel, lui è sposato, e come sapevo dall'inizio che per me non ci sarebbe mai stato un posto accanto a lui, anche adesso sono sicura che Rea e Castiel non potranno mai stare insieme >>
<< Ti accontenti allora dei piccoli attimi? >>
<< I-io... >>
<< Ti accontenti di questa situazione? >>
<< Cosa dovrei fare? Dimmelo tu, Kim. Ho forse qualche scelta? >>
<< Certo che ce l'hai! Lotta per ciò che provi, maledizione! >>
<< Non posso Kim. Non posso rovinare la vita di Erich, non me lo perdonerei mai >>
<< Queste cose mi fanno davvero incazzare! >> esclama, gettando bruscamente una ghirlanda nel cartone.
Dopo qualche minuto passato immerse in un assordante silenzio, il suono del campanello riecheggia nell'aria invitando la nostra attenzione a spostarsi su di esso.
Sono l'unica a rimanere ferma a guardare la porta. Kim, sta continuando ad addobbare l'albero, mentre Etienne si sta dirigendo verso l'entrata per far accomodare il nuovo arrivato.
<< Ciao Castiel! >> lo sento esclamare tutto eccitato.
<< Ciao pulce >> risponde Castiel sorridendo, e subito il suono della sua voce penetra vemente le mie orecchie donandomi brividi inspiegabili, che colpiscono inesorabili il mio cuore facendogli perdere un battito.
Allungo la testa per vedere meglio, e noto che il rosso sta accarezzando la testa di mio figlio, scompigliandogli i capelli.
<< Castiel, basta chiamarmi pulce! Il mio nome è Etienne! >> esclama il bambino portandosi le mani in testa e divincolandosi allegramente dal gesto del rosso.
<< Si può? >> chiede quest'ultimo entrando.
<< Vieni pure Castiel! >>, è Kim a rispondere; io non riesco a capire il motivo per il quale rimango immobile come una statua a guardarlo, mentre si fa avanti e ricambia il mio sguardo.
<< Ciao >> dice sorridendo in maniera maliziosa. Un altro brivido mi scuote permettendo di muovermi.
<< C-ciao >> rispondo lievemente distogliendo subito lo sguardo da lui. "Ah! Maledizione, per quale dannato motivo mi sto comportando in questa stramaledettissima maniera? Sembro una adolescente idiota innamorata del suo vicino di banco da tutta una vita!".
<< C'è qualcosa che non va? >> Mi chiede dopo un po' chinando il capo a un lato.
"Dannazione, perché fai così? Lo stai facendo apposta! Sai benissimo ciò che sto provando in questo momento, e cerchi in tutti i modi di fare lo stronzo!", << Nulla >> rispondo seria, cancellando velocemente quella nube di pensieri che avrei fatto meglio ad esprimere vocalmente.
Mi giro dandogli le spalle e continuando, in modo smarrito, ad addobbare l'albero.
<< Castiel, mi aiuti a fare il presepe? >> chiede ad un tratto Etienne, tirandolo per una manica.
<< Va bene >>
Iniziano il loro lavoro, Castiel in silenzio, mentre mio figlio, da' vita al suo monologo, che il più delle volte mi fa immaginare il suo futuro da scrittore.
Racconta delle storie ad ogni pupazzo che passa nelle mani del rosso. Sbircio senza farmene accorgere e mi rendo conto che quest'ultimo ascolta quelle infantili storielle, guardando l'autore con dolcezza. Il suo volto non riflette più quell'aria strafottente.
È passato tanto tempo, e siamo cambiati entrambi. Sento che quegli anni, stanno svuotando la mia mente. Ho come il bisogno di riviverli, ma questa volta senza ostacoli a sbarrare il mio volere, e dopo Etienne, l'unico che sento ancora far parte della mia vita non è altri che Castiel.
<< Sai Castiel? >>, sento dopo un po' mio figlio. << L'angelo si mette vicino la capanna, perché proteggerà il bambinello >>
<< Ma davvero? >> chiede il rosso facendo finta di essere allibito.
<< Sì, sì. Mamma mi ha detto che anche io ho un angioletto, ma non riesco a vederlo... Mamma ce l'ha, e sono sicuro che lei, invece, lo vede... >>
Aggrotto le sopracciglia non riuscendo a concepire le parole del bambino. Mi giro verso di loro, incrociando le braccia al petto, stando attenta alle sue parole.
<< Tua madre, vede gli angeli? >> chiede Castiel, e questa volta sembra davvero scettico.
<< Sì. Lei mi parla di un angelo dai capelli rossi, e una sera la vidi abbracciata a lui... Ti ricordi? Ti dissi che gli somigliavi >>
È strabiliante la sincronia con la quale Castiel e io abbiamo avuto nel trasalire e fissarci negli occhi.
Mi sento tremare le gambe, e non riesco a rimanere in piedi. Castiel mi fissa, e non riesco a vedere che espressione alberga sul suo volto, ché subito distolgo lo sguardo imbarazzata più di prima.
<< Ma che storia è questa? >> chiede Kim tra una risata e l'altra.
<< Etienne, tua madre ti parla di un angelo con i capelli rossi? >> domanda invece Castiel.
"Perché stai chiedendo questo?" penso ansiosa.
<< Sì, l'ha sempre fatto, dice che anche quando stavo nella sua pancia, mi parlava di quell'angelo >> risponde tranquillamente il bambino.
Non resisto più, e non so davvero per quale motivo sento il cuore in subbuglio. Fatto sta che le mie gambe iniziano a muoversi da sole, e in men che non si dica mi ritrovo al piano superiore, con l'affanno e indescrivibili lacrime agli occhi. Mi reggo al passamano sentendomi venir meno. M'inginocchio stringendo il pugno sul petto, come per afferrare il cuore in subbuglio.
<< Sono io, vero? >>, sento dopo un po' alle spalle. Mi giro di scatto incrociando i suoi occhi tempestosi.
<< Che stai... >> provo a divagare, ma lui mi ferma insistendo: << Gli parlavi di me, in questa maniera? >>
Mi alzo facendo cadere le mani lungo i fianchi.
<< Era una storia Castiel... >> rispondo facendo la gnorri. Lo vedo scattare e avvicinarsi velocemente a me. Mi afferra per le spalle sollevandomi di poco dal pavimento.
<< Non era una storia e tu lo sai benissimo! >> esclama digrignando i denti.
<< E anche se fosse? >>, provo lentamente a farmi mollare << perché ci stai dando tanto peso? >>
Lui mi lascia, ma rimane a due passi da me.
<< Questo cambierà molte cose >> risponde accennando un sorriso amaro.
<< Di che parli? >> chiedo titubante << quali cose? >>
<< Beh... >> esordisce lui dandomi le spalle, per poi appoggiarsi di schiena al passamano. << Innanzitutto, mi fa capire che non è come ha detto Armin, e cioè: non è bastato il mio ritorno per farti innamorare un'altra volta di me. Tu non mi hai mai dimenticato >> rivela sicuro di se.
Abbasso lo sguardo senza replicare. Anche volendo non avrei potuto farlo: dice il vero.
<< Seconda cosa: mi stai facendo dubitare... >>, si ferma e mi fissa sottocchio.
<< Di cosa? >> lo sprono per continuare.
<< Per quale motivo, raccontavi di me a tuo figlio, da quando lo avevi in grembo? >>
Quella frase detta tutta d'un fiato, passa sul mio cuore come una violenta scudisciata, tant'è che istintivamente porto una mano sul petto, iniziando a tremare.
Guardo Castiel con occhi strabuzzati; il respiro si è letteralmente fermato e non riesco più a muovermi.


BAKA IN STRAMALEDETTISSIMO RITARDO: Perdonatemiiiiii!!!!!! Sto lavorando e il tempo è diventato davvero pochissimo, ma neanche questo fatto mi farà fermare.
Per risposta alle lettrici che mi hanno spronato a prendere questa strada (da scrittrice) rispondo che ho deciso di provarci. Quindi non sarà questo lavoro che sto svolgendo a fermarmi.
So che non c'entra nulla con il mio ritardo, ma volevo anche ringraziarvi di cuore per aspettare i miei aggiornamenti. Vi voglio bene tutte quanteeeee!!!
PS: spero che con questo capitolo mi abbiate perdonata. Un bacione a tutte:
Claudia.
 

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Capitolo 29
*** Paure ***


Un tempo ci sono stati geni che hanno fatto la storia delle fiabe raccontate in tutto il mondo, per poi tramandarle di madre in figlio.
Ora mi chiedo: per quale dannatissimo motivo, ho avuto la brillante idea di mettermi a confronto con questi geni della fantasia? Perché non ho raccontato a mio figlio una semplice storia come quella di Alice nel paese delle meraviglie, Rosaspina, o perché no, Cappuccetto Rosso?
No. Dovevo per forza accontentare la mia mente che brama ormai da tutta una vita di sfogare ciò che tiene svogliatamente assopito, e cioè: la fantasia; raccontando a quel genietto di mio figlio la storia dell'Angelo dai capelli rossi.
È un peccato aver cancellato dalla mia mente quella scorbutica del mio avatar, ché sicuramente mi avrebbe mandata a quel paese con aggettivi a dir poco dispregiativi.
In verità non ho bisogno di lei per capirlo benissimo, quindi lo dico da me: sono un'idiota!
È normale aver pensato, quattro anni fa, che la storiella di Cappuccetto Rosso aveva rotto le scatole persino a Charles Perrault, facendo rivoltare innumerevoli volte le sue ossa nella tomba. E va bene che la fantasia dei bambini è così espansiva che credono a tutto ciò che sentono; però, caspita! Solo io da bambina mi chiedevo se Cappuccetto Rosso era una grandissima idiota miope? In fin dei conti una coperta e una cuffietta non servono granché come travestimenti!
Va bene credere all'evidente cazzata dell'evoluzione e cioè che discendiamo dalle scimmie ( anche se cazzata non lo è. A dire la verità ero molto titubante su questo fatto, ma mi sono ricreduta quando un giorno, a scuola, entrai in bagno e scoprii, involontariamente, e vi giuro che ne avrei fatto a meno, la grande Ambra con un pantalone di pelliccia, per poi scoprire che erano le sue gambe non depilate da non so quanto tempo ), ma cara Cappuccetto Rosso: porca miseria, non vedi che è un lupo? E mi sono sempre chiesta: non è che per caso quelle domande idiote di "che bocca grande che hai...", non erano altro che prese per il culo nei confronti dell'animale? E Lupo, se avevi fame, invece di fare tutta quella manfrina: ingannare la bambina per arrivare primo alla casa della nonna, non potevi mangiartela in quel momento stesso? Così avresti potuto risparmiarti di essere squartato e riempito come un insaccato per poi essere buttato nel fiume. Se fossi stata in te, mi sarei accontentata della focaccia.
È per questo che non ho voluto dire questa emerita cazzata al bambino, perché ogni volta che il gangster la raccontava, non a me ma a Kiki, finiva con la solita morale, e cioè che le bambine devono sempre ascoltare ciò che dicono i propri genitori ( anche se adesso che ho venticinque anni non sono ancora riuscita a concepire: a chi cavolo doveva stare attento il cagnaccio? ). Quello che invece ho capito io: la morale non è rivolta ai bambini, ma al lupo. È il lupo che deve stare attento a ciò che fa, perché non bisogna esagerare, ma accontentarsi di ciò che si ha.
E dopo aver pensato a questa lunga stronzata, nel mentre che guardo Castiel, mi sto chiedendo: perché non mi sono accontentata anche io di raccontare una semplice storia invece di inventarne un'altra? Ed ecco il risultato.
Ora sono veramente messa all'angolo. Lui mi fissa con attenzione, i suoi occhi sembrano penetrare inesorabilmente i miei come per leggermi direttamente nel pensiero e scoprire cosa nascondo.
Sono immobile, impietrita e allo stesso tempo smarrita.
<< Perché non rispondi? >> chiede dopo un po' spezzando il silenzio e facendomi trasalire.
<< N-non capisco di cosa... >>
<< Non azzardarti a continuare la frase! Sai benissimo di cosa parlo. Perché raccontavi di me a tuo figlio? Armin lo sapeva? >>
<< Castiel... >> sospiro << ...hai ragione. Io non ti ho mai dimenticato... Ma non so dirti il motivo per il quale raccontavo quella storia a Etienne, non lo so >> rispondo incerta fissandolo negli occhi, e sperando che non ricominci con le sue domande.
Dal canto suo, mi guarda sospettoso, alzando un sopracciglio.
<< Sarà meglio tornare di sotto... >> soggiungo dopo un po' passandogli di fianco. Prontamente lui mi afferra per un gomito trattenendomi.
<< Non so perché >> sussurra sbuffando un sorriso << ma... Per un momento ho creduto che... >>
Non continua, ma i miei muscoli si irrigidiscono lo stesso, forse percependo quella frase interrotta, quelle parole non dette.
Mi lascia il braccio sbuffando. Abbasso il capo accennando un sorriso malinconico e senza aggiungere altro, scendo le scale lentamente per ritornare in soggiorno, dove Kim e Etienne stanno finendo il presepe. La prima mi guarda inarcando le sopracciglia, si alza avvicinandosi.
<< Che succede? >> chiede.
<< Nulla >> rispondo alzando le spalle.
<< Dov'è Castiel? >>
<< Di sopra >>
<< Perché sei così breve di parola? >>
<< Cosa vuoi che ti dica? >> 
Non risponde, la vedo alzare lo sguardo verso le scale.
<< Castiel, che succede? >> chiede. Mi giro vedendo il rosso scendere velocemente con in mano il cellulare.
<< Scusatemi, ma io devo andare >> risponde preoccupato.
<< Perché? >> chiedo, e quella domanda mi esce d'istinto.
<< A-Alain... >>
<< Cos'ha? >> scatto iniziando a preoccuparmi.
<< Mi hanno chiamato dall'ospedale... Devono operarlo di urgenza >>
<< Ma non era prevista per domani l'operazione? >>
<< Ha avuto un'altro attacco >> risponde tutto d'un fiato << E questa volta più forte >>
Strabuzzo gli occhi incredula. Castiel mi fissa, forse cercando di comprendere la mia preoccupazione; poi lo vedo recarsi alla porta aggiungendo un semplice e frettoloso saluto.
<< Castiel! >> esclamo senza accorgermene. Lui si gira << Cosa c'è? >> chiede.
<< I-io... Voglio venire con te! >> esclamo decisa dopo un momento di esitazione.
Lui mi guarda scettico, poi accenna un sorriso annuendo con il capo << ti aspetto fuori, fa presto >> aggiunge con voce flebile.
Mi volto verso Kim e non ho bisogno di parlare, che lei subito afferra Etienne per mano. Quest'ultimo mi guarda e mi dice di tornare presto. Annuisco stampandogli un forte bacio sulla fronte. Poi velocemente salgo le scale per prepararmi.


Viaggiare in silenzio è sempre stato uno dei modi migliori per permettere alla mente di rilassarsi, almeno questo vale per me; purtroppo, in questo preciso istante sto avendo un ripensamento.
Il silenzio che regna nell'auto, mi rende nervosa e alquanto imbarazzata, non riesco a girare la testa per vedere il volto di Castiel. Vorrei tanto sapere che espressione ci alberga; ma d'altronde non mi serve, dato che è la quinta volta che lo sento sbuffare.
<< Cos'hai? >> chiedo prendendo il coraggio a due mani per spezzare questo assordante silenzio.
<< Secondo te? >> mormora.
<< Vedrai che andrà tutto bene >> aggiungo con l'intento di tranquillizzarlo.
<< Perché invece sento che è troppo tardi? >> chiede quasi sibilando.
Questa frase detta con tanta sicurezza, mi fa sobbalzare dal sedile e voltarmi per guardarlo.
<< Che stai dicendo? >> chiedo tremante.
<< Ho detto che è troppo tardi! >> risponde spazientito.
<< Non dire cazzate, Castiel... >>
<< Ma lo vuoi capire che quell'idiota ha fatto passare troppo tempo?! >> urla accelerando.
<< Si salverà! Non puoi pensare al peggio proprio adesso! >> ribatto a tono.
<< Maledizione >> sussurra a denti stretti, girando il volante verso destra, rallentando per poi fermarsi.
<< Che fai? >> chiedo curiosa, mentre lui scende dalla macchina, sbatte lo sportello e si appoggia ad esso. Rimango allibita dal suo gesto, così scendo anche io, piazzandomi di fronte a lui che nel frattempo si è acceso una sigaretta.
<< Che diavolo fai? Tuo cugino dovrà operarsi e tu ti fermi per fumare una fottuta sigaretta?! >>
<< Sta zitta... >> sussurra strofinandosi gli occhi.
<< Tu sta zitta a me non lo dici! >> esclamo stizzita non solo da quelle parole, ma anche dal suo comportamento. Scatto in avanti strappandogli la sigaretta dalle mani e gettandola con un gesto violento a terra.
Lui termina il gesto con le dita allontanandole dagli occhi, ed è li che vedo, oltre a un barlume di tristezza, due specchi d'acqua.
<< Stai piangendo? >>
<< Non dire stronzate! >> risponde dandomi le spalle, mettendo le braccia incrociate sulla cappotta dell'auto e poggiandovi sopra il mento.
Mi avvicino lentamente allungando una mano per sfiorargli la spalla destra, ma esito, e non ne capisco il motivo. Scendo la mano lungo il fianco e la stringo a pugno.
<< Perché deve andare così? >> chiedo triste.
<< Che dici? >> ribatte lui senza voltarsi.
<< Perché non può essere come prima? >>, stringo gli occhi per resistere al bruciore delle lacrime << Castiel... I-io... >> balbetto accennando due passi verso di lui. Riallungo le mani, e questa volta mi spingo oltre senza alcuna esitazione: gli accarezzo le spalle, per poi affondare il mio corpo sul suo, sentendolo trasalire sotto il mio tocco.
<< I-io non ce la faccio... >> sibilo sicura che lui non mi abbia sentita.
<< Ho paura >> lo sento dire, in contrapposizione alle mie parole.
Distacco subito il viso da lui, fissando sbalordita le sue spalle. È la prima volta in tanti anni che lo sento dire una cosa del genere.
<< Castiel... >>
<< È come quando te ne andasti quella sera, lasciandomi per sempre >> aggiunge con voce roca. Indietreggio lentamente.
<< È come quando vidi venirti incontro Etienne dopo averti chiamata mamma... >> continua voltandosi verso di me, e anche se la sua voce lo nasconde bene, i suoi occhi non ci riescono: sta piangendo.
<< È come quando sento si perdere ciò che più amo... Ho paura, Rea >> conclude afferrandomi le spalle, e abbracciandomi.
Poggio l'orecchio sul suo petto, sentendo il cuore battergli all'impazzata.
<< È la prima volta che dici una cosa così >> sussurro permettendo agli occhi di lasciare cadere qualche lacrima.
<< Non lasciarmi Rea... Non farlo anche questa volta >> continua stringendomi forte. Non rispondo e ricambio quella stretta. Chiudo gli occhi inebriandomi del suo travolgente profumo.
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Capitolo 30
*** Notte tempestosa ***


La parete davanti a noi si illumina ad intermittenza ogni qual volta il cielo grigio e inquieto viene squarciato da lampi che si abbattono sulla città preannunciando violenti temporali.
I boati fanno quasi vibrare i muri di questo corridoio d'ospedale, dove, Castiel e io stiamo aspettando impazienti ormai da due ore il ritorno del medico dalla sala operatoria e le notizie sulla salute di Alain.
Volgo la testa a un lato per guardare fuori dalla finestra. Pare che anche il cielo stia soffrendo, ché quei spaventosi echi rimbombanti dietro quell'ovatta impregnata di pece fredda e minacciosa, sembrano lamenti colmi di angoscia e disperazione.
Stringo gli occhi tirando un lungo respiro con l'intento di cancellare il mal pensiero che cerca ristoro nella mia mente. Alain vivrà. Sono le uniche due parole che decido di ripetermi per darmi forza.
Riapro gli occhi volgendoli verso Castiel che, appoggiato con la testa al muro guarda il soffitto sbuffando innervosito. Anche il suo corpo è inquieto, il piede sinistro tamburella frenetico sul pavimento, mentre le mani poggiate sulle ginocchia, si stringono in pugno e si aprono a ventaglio in maniera veloce.
<< Ma quanto ci mettono? maledizione >> mormora a denti stretti. Lo guardo, e non posso fare a meno di provare tenerezza per il suo stato d'animo. Poggio una mano sulla sua, e a quel contatto, lui si tranquillizza incrociando il mio sguardo con interrogazione. Non parlo, sono i miei occhi a farlo, accenno un sorriso, come per dirgli "andrà tutto bene", e a quel punto Castiel rilassa i suoi muscoli allargando lievemente le sue labbra in un dolce sorriso.
<< Grazie >> mormora << Grazie per essermi vicino... >> aggiunge alzando il braccio e allungando la mano verso il mio viso, poggiandovi il palmo e accarezzando dolcemente la guancia con il pollice.
Quel gesto mi fa fremere, scaturendo in me la voglia di affondare il mio viso sul suo petto e lasciarmi coccolare dal suo profumo. So che sono pensieri sbagliati, soprattutto in un momento come questo, ma non posso fare a meno di pensare che Castiel mi è vicino e di avere la piccola illusione che nessuno me lo porterà via.
<< Perché piangi? >> chiede ad un tratto passando il pollice sotto la palpebra inferiore. Drizzo la schiena chiudendo e aprendo velocemente gli occhi e sentendo che ha ragione, quelle lacrime sono davvero presenti.
<< I-io... Non lo so... >> giustifico incredula di me stessa.
<< C'è qualcosa che ti preoccupa? >>
<< Nulla >> rispondo scuotendo il capo, e divincolandomi lentamente dalla sua presa. Lui, invece di abbassare la mano, la insinua tra i miei fianchi e avvolgendomeli in una presa ben decisa, mi tira a se, facendomi ritrovare con la testa appoggiata fra l'omero e il bicipite.
<< Va bene così? >> chiede come se avesse inteso la mia richiesta espressa solo nei pensieri.
<< S-sì >> balbetto per poi accomodare il mio volto fra la sua dolce e affettuosa presa. Sento la sua guancia poggiarsi sulla mia fronte. Sollevo gli occhi vedendo la forma delle sue deliziose labbra, sembra stia tremando, e per un momento lo associo alla luce dei lampi, ma poi mi accorgo che il suo respiro si sta facendo più corto, come se stesse trattenendo le lacrime.
<< Cos'hai, Castiel? >> chiedo con voce rauca correggendola con lievi colpi di tosse.
Non mi risponde, si limita solo a stringere la presa. Alzo di più il viso, ritrovandomi con le labbra a pochi centimetri dalle sue.
Perché ho questa strana sensazione, come se fosse la prima volta? Subito i miei più segreti pensieri si fiondano nella mia mente bramosi di volersi tramutare in parole, e queste ultime solleticano la mia lingua, incitandomi a parlare.
<< C-Castiel... Io, devo dirti una cosa... >> "No, che diavolo mi è saltato in mente? Non posso farlo. Qualcuno mi fermi, sto per raccontare ciò che mi ero ripromessa di custodire con me finanche nella tomba!"
<< Cosa? >> chiede lui lasciandomi dolcemente e guardandomi negli occhi.
<< Io, so che non è il momento... >> "bene, e visto che lo sai tieni il becco chiuso!" << Però... >>
<< Però? >> mi sprona lui alquanto incuriosito.
<< Castiel, io... >>
Lo scorrere di scatto della porta, attira la nostra attenzione fermando le parole vietate che mi muoiono repentinamente in gola.
Vediamo uscire il medico che ha operato Alain. Castiel è il primo ad alzarsi, e con un balzo si piazza davanti il dottore chiedendo della salute del cugino. Il medico, si passa una mano sulla fronte madida di sudore e scuote la testa. A quel punto mi alzo anche io, strabuzzando gli occhi sentendo il cuore martellarmi violentemente il petto, avendo la strana sensazione che quei mal pensieri avuti poco fa siano più che ovvi. Mi avvicino lentamente a Castiel che nel mentre ha avuto uno scatto d'ira, allungando il passo, minaccioso. Impaurita balzo in avanti trattenendolo per un braccio.
<< Castiel calmati >>, la mia voce non è convincente, sto tremando come una foglia e faccio fatica persino a trattenerlo.
<< Che cazzo significa?! Cosa avete fatto a mio cugino! Dov'è?! >> urla come un forsennato.
<< Si calmi per favore! >> esclama il dottore deciso, indietreggiando di qualche passo per distanziarsi dalla minacciosità del rosso.
<< Castiel ti prego >> cerco di convincerlo anche io, lasciandolo per il braccio e avvinghiandolo dalla schiena.
<< Cosa avete fatto ad Alain? >> sussurra a denti stretti con voce tremante.
<< Suo cugino si trova in sala rianimazione! >> esclama tutto d'un fiato il medico.
Il rosso e io trasaliamo contemporaneamente. Lo lascio, mentre lui si gira per guardarmi. Ci fissiamo con occhi sgranati e anche smarriti.
<< Ho fatto di no con il capo perché sono ancora scettico... >> Spiega l'uomo allargando le braccia.
<< Scettico? >> chiede Castiel distogliendo lo sguardo da me e volgendolo verso il dottore.
<< Mi creda >> aggiunge quest'ultimo avvicinandosi a Castiel e poggiandogli una mano sulla spalla << Sono un medico e detto da me potrebbe sembrare alquanto strano, ma... Accanto a suo cugino c'era un angelo; ed è stato proprio questo a salvarlo >>. Senza aggiungere altro, se ne va.
Castiel rimane immobile, dandomi le spalle, io guardo il dottore allontanarsi fin quando non scompare dietro l'angolo del corridoio.
<< Questo significa che è salvo? >> chiedo piuttosto frastornata, volgendomi ancora verso Castiel, il quale rimane fermo e rigido come un palo di ferro.
<< C-Castiel? >> lo chiamo titubante. Lui sorride lentamente per poi scoppiare in una fragorosa risata, facendomi rimanere alquanto scioccata.
<< Che cavolo... Ti sembra questo il momento di ride... >> mi blocco dopo aver esclamato stizzita, afferrandolo per un braccio e volgendolo bruscamente verso di me, ma nel mentre che lo faccio noto sui suoi occhi, lucenti lacrime che si mescolano alla sua risata. Sembra felice, e non posso fare a meno di accarezzargli il viso con tenerezza. Lui mi guarda smettendo di ridere.
Ci fissiamo per qualche secondo poi ci abbracciamo stringendoci forte a vicenda.
<< Ce l'ha fatta Rea, capisci? Quell'idiota ce l'ha fatta! >> mormora tra i miei capelli.
<< Sì Castiel, finalmente il peggio è passato >> sussurro, sfregando lentamente la guancia sul suo petto.

Alain dormiva e Castiel non ha voluto svegliarlo, l'abbiamo contemplato per qualche minuto fuori dalla stanza di rianimazione, dove un vetro permetteva la visuale.
Siamo usciti dall'ospedale ritrovandoci sotto un forte acquazzone accompagnato da violenti temporali. Come da copione, l'auto era stata parcheggiata a qualche metro di distanza, così ci siamo inzuppati.
Castiel si sentiva stanco, allora mi sono offerta di guidare al suo posto.
Adesso ci ritroviamo in silenzio in compagnia solo del velocissimo picchiettare della pioggia sulla carrozzeria e altro non sembra che un fragoroso applauso. Il cielo notturno e quel fitto velo, rendono la visuale poco nitida, per non parlare della mancanza di lampioni, data la strada provinciale che stiamo percorrendo. Guido con cautela, concentrandomi sul rettilineo.
Questo silenzio mi mette un'ansia, così decido di spezzarlo chiedendogli qualcosa, ma nel mentre che mi accingo a farlo, lui sopraggiunge con una domanda inaspettata.
<< Cosa volevi dirmi prima? >> chiede con estrema tranquillità.
Trasalisco, schiacciando lievemente l'acceleratore ma riprendendo subito il controllo del veicolo.
<< D-di che stai parlando? >> chiedo preoccupata. "maledizione, e io pensavo che se ne fosse dimenticato!".
<< Prima che il dottore ci interrompesse, stavi per dirmi qualcosa >> risponde chiudendo gli occhi e appoggiando la testa al poggiatesta del sedile.
Vedendolo così spensierato provo a divagare << V-volevo tranquillizzarti per Alain >>, ma mi accorgo di non essere molto convincente, infatti lui, rimanendo sempre impassibile, mormora: << Non me la bevo >>
Stringo il volante rallentando. Trattengo il respiro non sapendo cos'altro inventare.
<< Rea? >> mi chiama dopo qualche secondo.
<< D-dimmi... >> rispondo con voce roca.
<< Se ti dicessi che ho intenzione di... >>. Le sue parole vengono interrotte da un strano rombo al motore. La macchina inizia a perdere velocità. Provo a schiacciare tutti e tre i pedali ma non succede niente. Prontamente Castiel si distacca dal sedile e afferra il volante girandolo alla mia destra per accostare.
<< Cazzo! >> lo sento esclamare stizzito.
<< Che succede? >> chiedo frastornata, mentre la macchina si spegne da sola.
<< No, no, no! Maledizione! >> urla tirando un pugno sul cruscotto.
<< N-non dirmi che si è guastato qualcosa? >>. Lui non risponde, continua a imprecare a denti stretti, mentre si guarda intorno. Purtroppo la fitta pioggia non gli permette una buona visuale.
<< Non prende neanche il cellulare >> sussurro dispiaciuta, maneggiando con nervosismo l'aggeggio elettronico.
<< Dobbiamo andarcene di qui >> dice lui aprendo il cruscotto e prendendo qualcosa che non vedo, perché occupata a concepire le sue parole.
<< Cosa?! E dove vuoi andare? In mezzo alla natura? Ti ricordo che piove! Ti si è per caso storto il cervello?! >>
<< Smettila di urlare! Se rimaniamo qui, moriremo di freddo. La macchina non funziona e neanche i riscaldamenti! >>
<< Sì, ma siamo nel bel mezzo della campagna >> soggiungo afflitta.
<< Non proprio >> dice sicuro di se stesso, aprendo un stipite sotto il suo sedile e prendendo un ombrello << siamo passati avanti, ma a dieci minuti da qui c'è una trattoria, fa anche da bed and breakfast. Staremo lì, almeno per stanotte. Così potrò chiamare anche il carroattrezzi >>
Non so per quale motivo, ma non riesco a guardarlo senza essere preoccupata. Lui ricambia lo sguardo e blocca i suoi gesti.
<< Che c'è? >> chiede scettico.
<< Sei sicuro sia una buona idea? >> ribatto senza distogliergli lo sguardo.
Sbuffa un sorriso scuotendo leggermente il capo incredulo. << Che cosa ti sta passando per quella testolina perversa che ti ritrovi? >> chiede beffardo.
<< A...assolutamente nulla! >> esclamo deciso dopo un istante di esitazione.
<< Bene allora andiamo, perché non ho assolutamente intenzione di morire assiderato qui dentro >> risponde con un ghigno alquanto perverso per i miei gusti.
È lui il primo a scendere dall'auto, io esito fissando incerta il volante. Sobbalzo non appena lo sento bussare sul vetro << Allora? Ti muovi? >> chiede spazientito.
Sospiro rassegnata, prendo la mia borsa dal sedile posteriore e esco affondando la testa nelle spalle cercando inutilmente di ripararmi dalla fredda pioggia.
Castiel mi porge l'ombrello. Lo vedo togliersi il giubbotto e poggiarmelo sulle spalle.
<< Che fai? Io sto bene! Ti farà freddo... >>
<< Vuoi stare zitta? >> esclama avvolgendomi con il suo braccio.
Ci incamminiamo in silenzio. La strada è allagata, e l'acqua ghiacciata entra nelle mie scarpe congelandomi i piedi. Dopo cinque minuti di cammino, non riesco più a sentire le gambe, e non so come faccio a continuare a camminare.
Tremo come una foglia, e Castiel mi stringe a se, forse accortosi del mio modo di fare.
Quando ormai penso di non farcela più, sento il rosso esclamare: << Siamo arrivati! >>.
Alzo lo sguardo davanti a me, notando a pochi metri di distanza un cancello illuminato da faretti.


Il fuoco nel caminetto rivestito in pietra scoppietta allegramente.
Accoccolata in una coperta in plaid, donatami dalla padrona della trattoria, cerco di riscaldarmi sfregandomi energicamente le mani.
Sto aspettando il ritorno di Castiel, che nel frattempo è andato a chiede le chiavi di due stanze.
Sono tutta zuppa dalla testa ai piedi e non vedo l'ora di immergermi in una vasca colma di acqua bollente.
Al sol pensiero sento che il freddo mi passa. Afferro il cellulare, e trovo una chiamata persa da parte di Kim. La richiamo.
<< Kim? >>
<< Rea, ma dove sei? Sono le dieci... >>
<< Lo so Kim, purtroppo durante il ritorno, l'auto di Castiel ha avuto un guasto... Non tornerò a casa stasera... >>
<< Ma dove sei? Almeno stai bene? >>
<< Sì, non preoccuparti. Etienne? >>
<< Si è appena addormentato. Tra te e tuo figlio, sto imparando ad amare anche io i manga >>
Sbuffo un sorriso a quella divertente battuta. Dopo qualche altra raccomandazione che ci facciamo a vicenda, ci salutiamo.
Chiudo la chiamata rimettendo il cellulare nella borsa, quando ad un tratto la mia attenzione viene attratta da un rumore di chiavi. Alzo lo sguardo incrociando l'immagine di Castiel, che mi guarda sorridente.
<< Allora? >> chiedo.
<< C'è un unica stanza... Matrimoniale >> mormora con voce compiaciuta.
Tossisco cercando di eliminare quel frammento di incredulità che voleva esprimersi con un verso di stupore. Non devo farmi vedere impreparata, così atteggiandomi a impassibile, mi alzo dal divano, mi avvicino a lui, gli tolgo le chiavi dalla mano e mi incammino. Lo sento sorridere, ma decido di non dargli peso.
La stanza è molto spaziosa, tutta rivestita in legno. Il letto si trova attaccato a una parete e al suo fianco, a pochi centimetri di distanza una finestra alla veneziana riflette l'oscurità della notte tempestosa. Un caminetto appena acceso, ospita la seconda parete di quel quadrato, e affianco una porta in legno intagliata finemente indica il bagno.
Rimango immobile davanti la soglia, non capendo per quale motivo non riesco a muovermi.
Castiel mi passa davanti borbottando: << Che fai lì impalata? Va in bagno e cambiati, ti raffredderai se tieni ancora quella roba bagnata addosso >>. Lo ascolto rimanendo in silenzio. Lentamente mi incammino verso il bagno notando che la vasca rettangolare è stata già preparata. Ringrazio mentalmente la padrona della trattoria, perché non ho neanche la forza di stare in piedi.
Mi svesto con fare mogio, poi m'immergo nell'acqua calda e mi distendo rilassata.
Passano molti minuti prima che mi decida a uscire. A dire il vero non voglio farlo. Castiel è nell'altra stanza a pochi passi da me, e io non immaginavo per nulla che potesse accadere una situazione del genere. So per certo che stanotte non chiuderò occhio. Non che questa situazione non mi piaccia ma ho una strana sensazione, come se...
Toc toc. Quel famigliare rumore alla porta mi fa ritornare alla realtà con un sobbalzo. Vedo l'acqua muoversi a onde.
<< Chi è? >> chiedo smarrita.
<< Il lupo... Chi diavolo vuoi che sia? >> ribatte Castiel divertito.
<< Cosa vuoi? >> domando spazientita.
<< Hai deciso di dormire nella vasca? >>
<< Che domande fai? >>
<< E allora quanto ci metti? Devo lavarmi anche io, ma se per te non ci sono problemi, possiamo lavarci insieme >>
Scatto in piedi trascinandomi appresso l'acqua. Esco dalla vasca e afferro il primo accappatoio indossandolo velocemente, poi mi avvicino alla porta, e dopo qualche istante di esitazione, apro, ritrovandomi il rosso di fronte con le braccia appoggiate agli infissi della porta.
<< È libero! >> esclamo con una smorfia. Lui sorride entrando.
<< Cos'è hai paura? In fondo ti ho visto nuda un sacco di volte... >>
<< Va a lavarti! >> scatto, sentendomi fremere a quelle parole.
<< Vuoi lavarmi tu? >> chiede beffardo.
<< Ti detesto! >>, esco sbattendo la porta e ritrovandomi appoggiata di spalle ad essa con il cuore che mi batte a mille per l'emozione.
Perché mi sembra tutto come la prima volta? Dal giorno in cui Castiel ha fatto ritorno, è cambiato qualcosa, non si sta comportando più come prima, non cerca più in maniera forzata il modo per portarmi a letto, sembra quasi che si sia rassegnato, e ammetto che un po' mi dispiace.
Mi avvicino lentamente al letto sdraiandomi al centro e volgendo lo sguardo verso la finestra.
Piove e tuona ancora, e uno di quei rumori atmosferici mi fa tornare alla mente le sue parole interrotte. "Se ti dicessi che ho intenzione di...", cosa voleva dire? Qual era il resto della frase?
Chiudo gli occhi, non volendo immaginare nulla, e lentamente senza accorgermene, mi addormento.
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Capitolo 31
*** Di nuovo sua ***


BAKA TIME (un’altra volta in ritardo) : ciao ragazze! Come va? Rieccomi qui, dopo non so quanti giorni d’attesa con un altro dei capitoli di questa mia follia. Spero che mi perdonerete con ciò che andrete per leggere. C’ho messo tre giorni per scriverlo, e non sapete quante volte l’ho cancellato e riscritto. Spero comunque che vi piaccia… fatemelo sapere, mi raccomando.
Un bacione a tutte e grazie per la vostra presenza :*
 
 
 
 
31° capitolo: DI NUOVO SUA
 
“Le bianche, interrotte luci dell’oscuro cielo, si posizionano su di te, sulla tua morbida epidermide, svegliando in me voglie costrette ad assopirsi da tanto tempo… oh Rea! cos’è che mi hai fatto? Perché non riesco a dimenticarti? Perché tramuti il tuo essere femmineo in morbosa tentazione? I mei occhi hanno bisogno della tua immagine, il tuo odore non è altro che aria da respirare e vivere.
Tanto malinconico, guardo il tuo volto dormiente, desideroso di conoscere i tuoi sogni, geloso di quel dio che tutto sa del tuo inconscio. Lentamente ti scosto quei fili castani per liberare la tua fronte. Le mie dita non accennano a fermarsi, e leggere come piume al vento, scendo giù, verso le linee del tuo collo soffermandomi su quella scollatura che invita il mio sguardo a posarsi su di essa; e come questo cielo minaccioso sovrasta l’intero paesaggio notturno, così il mio cuore viene travolto da quella disperazione dalle sembianze dell’amore.
Non so se chiamarla sfortuna o l’opposto, ma il tuo respiro spezzato dal destarti, ferma il mio azzardato e istintivo atto, facendomi ritornare alla realtà. Tu ti svegli, mentre il Castiel che è in me ritorna ad assopirsi”.
 
 
Come l'effetto di un getto d'acqua in pieno volto, così mi sveglio. Smarrita, mi guardo intorno cercando di percepire la realtà. Sento di ansimare e il mio cuore battere frenetico. Mi reggo sulle braccia, percependo al tatto un caldo e morbido tessuto. Stendo e piego le gambe per poter toccare il pavimento con i miei piedi nudi. Il legno è freddo, subito un brivido si delinea lungo la schiena facendomi drizzare, e finalmente, quando i miei occhi incontrano l'immagine di Castiel, seduto su di una poltrona accanto al caminetto acceso, con le dita intente a massaggiare le tempie, ricordo ciò che è stato prima di addormentarmi.
<< Che ore sono? >> è l'unica cosa che riesco a chiedere per accompagnare il rumore dell'allegro scoppiettio dei ceppi di ciliegio. Istintivamente a quella domanda, volgo lo sguardo verso la finestra, anche se questo barlume mi fa capire che è ancora notte, le luci a intermittenza dei lampi confermano il continuo e irrefrenabile acquazzone che ha invaso inesorabile questa notte.
<< Avevo dimenticato quanto russassi >> mormora Castiel sbuffando un sorriso, mentre rimane con gli occhi fissi sulle fiamme << Hai dormito una mezz'oretta, e ci hai fatto un concerto >>. Non so perché, ma la sua voce l'ho percepita tremante e poco decisa, ciò, però, non mi da modo di frenare la mia lingua, che risponde prontamente alle sue beffe.
<< Io non ho mai russato in vita mia! Sei tu quello che russa! >>
Lo vedo girarsi lentamente verso di me, guardandomi in modo scettico << Io? >> chiede poggiandosi una mano sul petto.
<< Sì tu! >> rispondo a tono alzandomi dal letto. Lui mi imita sollevandosi dalla sedia, incrociando le braccia al petto, che finalmente mi accorgo essere nudo. Scorro gli occhi su di lui, fino al suo bassoventre coperto dal jeans scuro. "Come diavolo ho fatto a non accorgermene prima?" continuo a chiedermi sentendomi avvampare.
<< E sentiamo... >> dice, costringendo il mio sguardo a posarsi sul suo volto in controluce al fuoco, << ...quand'è che mi avresti sentito russare? Da ciò che ricordo non ti sei mai lamentata, anzi... >> aggiunge quell'ultima parola seguendola con un sorrisetto beffardo.
<< A-anzi, cosa? >> chiedo balbettando e indietreggiando, accorgendomi che lui sta accorciando la distanza che ci divide.
Nel mentre attendo quella risposta, un forte tuono investe la stanza facendomi trasalire. Spaventata, indietreggio  ancora di più, non accorgendomi però che un lembo del tappeto piegato all'insù intralcia il mio passaggio, facendomi inciampare. Vedo Castiel allungare la mano per afferrarmi, io gliela porgo, ma è tutto inutile, mi ritrovo a tirarlo verso di me, e a sprofondare sul letto.
Quando tutto ritorna normale, riapro lentamente gli occhi, sentendo un caldo e affannato respiro stendersi sul mio collo. Strabuzzante fisso Castiel sopra di me, la sua bocca a pochi centimetri dalla mia, e il suo nudo e scolpito petto poggiare sicuro il mio, semi-coperto dall'accappatoio.
Rimaniamo in quella posizione per pochi secondi a fissarci negli occhi. Il suo grigio perlato brilla e trema allo stesso tempo, come le fiamme nel caminetto.
Rimango immobile, come se sentissi quella situazione nuova, come se Castiel e io ci trovassimo a quella sera d’estate dove i nostri corpi si unirono per la prima volta.
Ritorno subito al presente accorgendomi che il rosso ha volto il suo sguardo sulle mie labbra e le guarda come un vampiro assetato di sangue. Lentamente si sta avvicinando, sicuro di baciarmi, ed è proprio lì che mi accorgo che ai bassi piani qualcosa gli si sta muovendo. "Mio Dio!", esclamo nella mia mente.
<< Castiel... Tu... >>
Si ferma di colpo come se quelle mie parole lo avessero svegliato da una profonda trance. Gli sento schioccare la lingua dal palato e roteare gli occhi infastidito. Si alza bruscamente, dandomi le spalle. Mi sollevo sui gomiti, maledicendomi per aver parlato.
Lo sento sbuffare e passarsi una mano sul viso per poi fermarla sulla bocca che nel frattempo ha dato sfogo a un rumoroso sbuffo.
<< Forse non è stata una buona idea >> lo sento mormorare mentre poggia le mani sui suoi fianchi.
Guardo attentamente la sua spalla scolpita, tatuata da ombre che la rendono accattivante ai miei occhi. Un formicolio si diffonde repentino verso il mio basso ventre, facendomi desiderare di evolvere quella situazione.
No. Basta. Non voglio più nasconderlo, a che servirebbe, infondo? Io lo desidero e non ne posso più fare a meno, soprattutto perché ho l'evidenza che anche lui mi vuole.
<< Io... Vado a chiedere alla signora se può darmi un'altra stanza >> continua incamminandosi a passo svelto verso la porta.
<< Castiel! >> esclamo rizzandomi in piedi con l'intento di fermarlo in tempo, fortunatamente ci riesco, però lui rimane con la mano poggiata sulla maniglia della porta, continuando a darmi le spalle.
<< No farlo... >> continuo alquanto emozionata << ... Non serve... Io... >>
Lo vedo girarsi lentamente << Io? >> chiede spronandomi a parlare.
<< Io... Voglio che tu rimanga qui con me >> rispondo avvicinandomi a lui lentamente << Io, voglio ritornare a quando avevamo diciassette anni; a quella sera in cui mi facesti tua... >> mormoro abbassando gli occhi e portandomi lentamente le mani alla cinta dell'accappatoio, slaccio lentamente il nodo. Sono a pochi passi da lui, ma riesco comunque a sentire il suo ansimante respiro che, sono convita, sta cercando di controllare.
<< Da quando non hai più cercato di sedurmi, io mi sono sentita persa... Ti desidero Castiel, non ti ho mai dimenticato... >>, sciolti i lacci, lascio scivolare l'accappatoio dal mio corpo rimanendo nuda davanti a lui, che istintivamente inizia a squadrarmi con quelle sue braci di cenere calda.
<< Voglio fare l'amore con te, Castiel >> mormoro ormai all'apice del desiderio.
<< Ripetilo >> sibila sensualmente, facendo un passo prima di annullare la nostra distanza.
<< Voglio fare l'amore con te >> ripeto sorridendo e guardandolo negli occhi. Lui ricambia il mio sorriso abbassa la testa sul mio viso, costringendomi a sollevarlo.
<< Sai questo che significa? >> chiede quasi con un sibilo << Se solo poggiassi la mia mano sulla tua pelle, non ti lascerei più andare, io... Non mi fermerei più >>
<< Neanche io >> rispondo decisa.
<< Ritornerai ad essere mia, qualunque cosa accada >>
<< Non desidero altro >> 
<< Sei sicura? >> chiede sollevando le mani all'altezza dei miei omeri e delineando con una linea invisibile le spalle afferra la mia nuca con una dolcezza travolgente. Sorrido chiudendo gli occhi estasiata << Ricordi? A quel punto... Mi sarei fermata >> mormoro offrendo le mie labbra senza pensare più a nulla.
Repentinamente e in maniera travolgente sento la sua bocca bollente inchiodare la mia, spronandola ad aprirsi per esplorarla con la sua lingua. Mi concedo al suo intero volere.
Le sue mani massaggiano vemente la nuca, sollevando i lunghi capelli sciolti e ancora umidi. Poggio i miei palmi sui suoi palpitanti bicipiti, ed è come toccare il liscio marmo. Castiel di muove facendomi indietreggiare incitandomi ad avvicinarmi al letto. Nel mentre, sue mani, hanno cambiato direzione. Sento i polpastrelli accarezzarmi e premermi la schiena nuda e fremente. Quando finalmente le gambe toccano il freddo legno del letto a baldacchino, ci stacchiamo di poco mescolando i nostri respiri su un unico punto dei rispettivi corpi. Lui mi guarda il seno, e percorrendo in maniera circolare le mani dalla parte posteriore, le dirige sul petto afferrando prima leggermente poi saldamente i due tondi seni. Gemo lievemente portando la testa all'insù, subito lui ne approfitta baciandomi il collo, inumidendolo con la sua lingua fino al incavo della spalla. Ed è in quel momento che non riesco più a reggermi in piedi, sentendo la mia nudità pulsare quasi ipnotizzata da quelle vemenze.
Mi siedo sul letto ritrovandomi di fronte il suo addome, poggio le mie labbra sulla perfetta epidermide. Lui non si accontenta, e allontanandosi di poco, si curva verso di me, stendendomi sulle fredde lenzuola; poi si raddrizza ammirando malizioso e compiaciuto la mia nudità.
<< Non sai quanto ho aspettato questo momento >> mormora sorridendo, prima di piegarsi ancora una volta su di me e catturarmi con il suo passo felino. Quando l'ho davanti, appoggio le mie mani sul suo petto e salendo su, verso la nuca, incrocio le dita, come per avvinghiarlo, poi lo tiro a me dando vita a un bacio travolgente. I nostri tocchi sono autonomi, ogni minimo movimento è una scossa per il nostro tatto. Cerco disperatamente di ritornare alla realtà bramosa di essere lucida nel momento tanto atteso. Lo fermo, lui mi guarda curioso, e con il respiro pesante mi chiede << Che c'è? >>
<< Rifammi tua, Castiel >> rispondo sussurrando quelle parole, che per lui sono come una scossa di piacere, infatti non se lo fa ripetere una seconda volta, mi divarica le gambe e con lenta maestria, penetra la mia nudità riaccendendo tutte quelle emozioni che per quattro lunghi anni avevo sepolto per dimenticare qualcosa di impossibile, e spegnendo ciò ch’è stata sofferenza.
Ed è così che iniziano i movimenti, come una danza orientale mai plagiata da nessuno. Sento i suoi muscoli irrigidirsi, mentre lui ascolta compiaciuto i miei gemiti che si fanno strada nelle sue orecchie ampliando in lui la voglia di aumentare il ritmo. Ed eccolo lì, l'apice del piacere, fonte di estasi cristallizzata dal ghiaccio del tempo che in pochi movimenti si rompe per risvegliare la madre di tutte le emozioni. No, non posso più trattenere. Esclamo i miei gemiti, facendo capire al mio ritrovato amore che quello che stiamo facendo non è un sogno.
Quando il ritmo frenetico ritrova la sua pace, giacciamo ansimanti e sudati l'una accanto all'altro con gli sguardi incrociati come a leggerci nella mente, le uniche parole che troneggiano finanche nei nostri cuori: "Ti amo".
 
 
Apro gli occhi di scatto ritrovandomi a guardare il tetto del baldacchino. Il mio respiro, pesante per il sonno, si sta facendo più lieve. La fioca luce del giorno tinge la stanza del suo originale colore.
Rabbrividisco sentendo un lato del corpo completamente gelato. Mi rannicchio sul letto cercando con i piedi un lembo di coperta, per tirarmelo su. In quel movimento vado a toccare qualcosa di caldo e morbido. Mi giro lentamente, e sorrido dopo aver visto le nude e ben disegnate spalle di Castiel. Quella visione mi fa rendere conto che quell'idillio avvenuto stanotte non me lo sono semplicemente sognata, è successo per davvero. Mi avvicino di più a lui accarezzandogli la schiena. Quel movimento lo fa sussultare leggermente; si gira verso di me e schiudendo di poco gli occhi, mi sorride sussurrando con voce roca: << Dimmi che non sto sognando? >>
Schiocco la lingua sul palato come risposta alla sua domanda. Lo vedo aggiustare la sua posizione, allungare il braccio verso di me, e accarezzarmi la guancia con il palmo della sua mano.
<< Vieni qui >> dice poi, tirandomi a se. I nostri corpi si incontrano un'altra volta in un forte abbraccio. Io affondo il mio viso sul suo collo aspirandone l'odore, impregnato lievemente di colonia; lui poggia le sue labbra sulla mia fronte schioccando un bacio sincero.
<< Non te ne sei pentita, vero? >>
<< Assolutamente >> rispondo decisa.
<< Io invece sì >>. Quella rivelazione mi fa trasalire. Mi distacco di scatto da lui, sollevandomi e poggiandomi su un gomito per poi guardarlo dritto negli occhi, e scorgere in quella marea di nuvole in tempesta qualche spiegazione.
<< Perché? >> chiedo tremante di paura per la risposta.
<< Mi sono pentito di non averlo fatto dall'inizio >> risponde sorridendo malizioso.
<< C-che vuoi dire? >> chiedo ancora titubante.
Prima di rispondere mi guarda sbuffando un sorriso << ricordi quel giorno nel nostro ufficio al liceo? Beh, mi sono maledetto all'infinito per non aver continuato >> aggiunge incrociando le mani dietro la nuca.
<< E perché ti fermasti? >> chiedo alquanto curiosa.
<< Avevo paura... >> risponde lui dopo un attimo di esitazione, chiudendo gli occhi.
<< Di cosa? >>
<< Non so spiegarlo >> risponde sbuffando.
<< E adesso? Hai ancora paura? >>
A quelle parole, Castiel riapre gli occhi, mi fissa attentamente, poi scoglie la posizione delle sue braccia per accarezzarmi il mento. << Se tu mi prometti che questa volta lotterai insieme a me, per il nostro amore, io non avrò più paura di nulla >>.
Queste parole mi fanno sussultare, è davvero la prima volta che sento Castiel pronunciare quella parola che ero assolutamente sicura fosse inesistente per lui. So che non è una bella cosa, ma non posso fare a meno di pensare che sentirlo parlare in questo modo, mi rassicura. Sto per rispondere alla promessa ma la suoneria del suo cellulare mi interrompe. Distolgo istintivamente lo sguardo da lui per volgerlo verso la poltrona. Senza aggiungere altro lo vedo alzarsi; nudo, si avvicina al cellulare e afferratolo, annuncia sottovoce: << Un messaggio >>
<< Chi è? >> chiedo curiosa, mettendomi a sedere sul letto. Non risponde, così mi limito a percepirlo dal suo sguardo che a poco a poco si sta facendo più cupo.
<< Castiel, cos’hai? >> chiedo nervosa.
<< Rea… >> esordisce distogliendo lo sguardo da me, reggendo ancora il cellulare << …quel momento è giunto >>
Quelle parole dette con decisione e con pieno disprezzo mi fanno capire che ciò ch’è successo qualche ora fa tra quelle scomposte lenzuola, porterà una conseguenza.

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Capitolo 32
*** Regalo di Natale ***


BAKA TIME: IN RITARDO… ANCORA!! Scusatemi!!!! Sono quasi quattro mesi di ritardo con questa storia. È imperdonabile lo so. Quindi non voglio farvi ancora aspettare.
Voglio solo ringraziare tutte le lettrici che hanno inserito la mia storia fra le preferite, seguite e ricordate. Vi ringrazio davvero di cuore! Vi lascio alla storia, un bacione!!
 
 
 
32° capitolo: REGALO DI NATALE
 



Mi ha sempre affascinato il paesaggio dipinto dai vari colori della natura che circonda le vaste aree campagnole, lontane dalla città. Intensifica dentro di me quella sensazione di pace che cerco, ormai invano, da tanto tempo.
Gli innumerevoli e deformi alberi di ulivo, scorrono velocemente davanti ai miei occhi, sembrano volermi seguire, e quel movimento difficile da sostenere, rende pesanti le mie palpebre, costringendomi, così, a chiuderle, per permettere alla mia mente di concedersi al sonno. Accompagnato da esso, un ricordo: la pioggia più fitta e inesorabile che potesse lambire il mio cuore; lacrime amare e brucianti che mai il mio viso abbia dovuto sopportare in tutto il suo tempo di vita, e in fine il più grande dolore, sopportato in tutti questi anni.
Trasalisco di scatto, ritrovandomi a guardare il paesaggio in movimento, riflesso sul parabrezza dell'auto.
<< Cos'hai? >> chiede Castiel al mio fianco. Gli volgo lo sguardo cercando di riprendere il mio naturale ritmo respiratorio.
<< N-nulla >> rispondo con un sibilo, ripoggiando la schiena contro il sedile. << Castiel... chi era al telefono? >> chiedo quasi intimorita.
<< Siamo quasi arrivati >> m'interrompe, cambiando volutamente discorso.
<< Andiamo a casa mia? >> chiedo rassegnata.
<< Ti accompagno >>
<< E tu? Dove vai? >>
<< Ho qualcosa da fare >> risponde secco muovendo lo sterzo in senso orario.
<< Cosa? >> ribatto spazientita. Non ricevo alcuna risposta da lui, e a quel punto, cercando di non perdere del tutto le staffe, raccolgo quanta più aria possibile nei polmoni e sospirando aggiungo: << Castiel, non ricominciare con i tuoi silenzi! Ti ho promesso che lotterò al tuo fianco per salvare il nostro amore... >>
<< Ginevra è tornata al paesello >> m'interrompe con voce secca.
Dal canto mio, non riesco più a proferir parola, rimango con le labbra socchiuse e gli occhi sgranati, fissi sula sua immagine impassibile. Tempo qualche secondo e dentro il mio cuore inizio a sentire un miscuglio di emozioni negative. Scuoto la testa stringendo le palpebre con l'intento di cancellare la figura di quella maledetta.
<< È... È tornata? >> riesco solo a sibilare dopo qualche secondo di esitazione.
<< Non devi preoccuparti Rea, questa volta non l'avranno vinta loro >> sorride beffardo.
<< Cosa vuoi dire? >> chiedo speranzosa.
<< È una sorpresa >> risponde voltandosi a guardarmi, regalandomi un sorriso sincero. Sto per ribattere, ma il rumore del freno sugli pneumatici me lo impedisce annunciando l'arrivo a casa mia. Mi volto smarrita, mentre sento il rumore del clacson riecheggiare da fuori.
Vedo la porta d'entrata aprirsi per far uscire Kim con mio figlio in braccio. Quest'ultimo si dimena, incitando la mia amica a lasciarlo andare.
Il mio gesto è istintivo: velocemente apro lo sportello ed esco dall'auto.
<< Mamma! >> urla Etienne correndomi incontro.
<< Etty, sta attento a non cadere! >> esclama Kim correndogli dietro.
Accolgo mio figlio fra le braccia, e non appena il suo corpicino si unisce al mio, mi avvinghia, stringendomi con forza.
<< Mammina, pensavo non tornassi >>
<< Ma che dici Etienne? La mamma non lo farebbe mai >> rispondo stringendolo ancor di più.
<< Ciao Castiel! >> lo sento dire dopo un po'.
<< Ciao Pulce! >>
<< Uffa! >> esclama il distaccandosi da me e incrociando le braccia al petto storcendo le labbra << smettetela! Io non sono Pulce! Né Etty! Il mio nome è Etienne! Mamma di' anche tu qualcosa! >>
<< Smettetela entrambi! >> esclamo linciando con gli occhi Kim e Castiel. Quest'ultimo sorridendo, si allontana dall'auto e avvicinatosi a me, allunga le mani verso Etienne, invitandolo ad andare con lui. Il bambino non se lo fa ripetere e gongolando passa fra le braccia del rosso, che non perde tempo a giocare lanciandolo dolcemente per aria. Vedo il mio bambino ridere e incitarlo a continuare. Non posso fare a meno di sorridere, e riempirmi il cuore di gioia.
<< Castiel, domani verrai con noi a casa di zio Lysandro alla cena e di Natale? >>
<< Non lo so, vedremo >> risponde Castiel con estrema sincerità. Lo guardo attentamente cercando di scorgere nei suoi occhi qualche barlume di speranza, quella che ha promesso di darmi per tornare da me. A un tratto mi rivolge lo sguardo, e così rimaniamo a fissarci complici.
<< Quando avete finito con le vostre frasi sott'intese, volete degnarmi della vostra attenzione? >> chiede dopo un po' Kim incrociando le braccia al petto e lanciandoci delle rudi occhiatacce.
<< Ciao Kim >> la saluto sorridendo.
<< Ciao, un corno! Ma che caz...spita! >> esclama correggendosi velocemente dopo aver visto l'espressione curiosa di Etienne. Sa che non voglio che si dicano volgarità davanti a lui.
<< Ma dico io... fate come se io non ci fossi! Non vi basta avermi fatta preoccupare terribilmente, adesso m'ignorate? E che caz... >>
<< Kim! >> la interrompo indicandole Etienne con gli occhi.
<< E vabbè! Tappagli le orecchie! Sono due giorni che non dico parolacce! Sai che martirio? >>
<< Vorrà dire che te lo lascerò spesso >>
<< Provaci >> ribatte lei fulminandomi con un solo sguardo.
Scherzando e ridendo entriamo in casa, ma appena varcata la soglia, Castiel mi porge il bambino annunciando che deve andare. Tra le insistenze di Etienne, nel tentativo di farlo rimanere e i perché di Kim, molto curiosa, io sono l'unica che rimane in silenzio a fissare malinconicamente il vuoto.
<< Ho da fare Etienne, non appena posso, verrò a giocare con te >> risponde Castiel calmando l'euforia del bambino. Dopo quelle parole, mi accorgo che un imbarazzante silenzio si è impadronito del nostro udito. Alzo lo sguardo verso il rosso, che mi guarda come se aspettasse una mia reazione.
Perché non mi muovo? Perché non dico niente? Caspita! Ieri sera ci siamo amati perdutamente! Normalmente, dovrei abbracciarlo e baciarlo, facendogli mille raccomandazioni, e invece, non riesco a muovermi.
Come al solito, e per mia fortuna, Kim capisce al volo la situazione, e prendendo per mano Etienne, si dirige in cucina offrendogli una fetta di pane e nutella. Il bambino accetta senza opporsi, e così Castiel ed io rimaniamo soli.
<< ... Rea? >>
<< Promettimi solo una cosa! >> lo interrompo sentendomi il viso avvampare.
<< Dimmi >> chiede lui sorridendo.
Mi stringo nelle spalle e volgendo lo sguardo da un'altra parte, mormoro: << torna da me >>
Non ho il tempo di terminare la frase, che mi sento afferrare per un polso e subito, vedo le sue labbra piombarsi con impeto sulle mie.
Castiel mi avvolge la schiena, facendomi aderire al suo petto, mentre, con maestria, rende il bacio più travolgente.
Quando si distacca, riprende fiato, poi dolcemente appoggia la sua fronte alla mia e sussurra: << Te lo prometto, vita mia >>
 
***
 
<< Sai quello che stai facendo? >>
Indifferente a quella domanda posta per l'ennesima volta da Kim, afferro il canovaccio ricamato, e mi accingo ad asciugare le posate.
<< Rea perché non mi rispondi? >>
<< Cosa vuoi sentirti dire Kim? >> chiedo appoggiando il tutto sul piano del mobile << Sono preoccupata! È l'unica cosa che riesco a pensare in questo momento >>
<< Cosa ti rende preoccupata? >> chiede appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando nervosamente le dita << Il ritorno di quella puttana? >>
<< Non è solo quello >> rispondo passandomi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi afflitta.
<< E allora cosa? Cazzo Rea! Ti sei liberata di quell'impiastro di Armin, hai avuto un travolgente ritorno di fiamma con Castiel, adesso qual è il problema? >>
<< Lo sai bene >>
<< No, non lo so! >> esclama sbattendo un pugno sul tavolo, poi alzandosi, si reca alla finestra e incrociando le braccia al petto, sbuffa infastidita. << Perché deve essere così complicato? >> mormora con voce tremante. << Fosse dipeso da me, avrei mandato a fanculo tutto >>
<< Ma tu pensi che io non ci abbia mai pensato? >> sorrido amaramente, avvicinandomi a lei.
<< E allora fallo, porca miseria! >>
<< Alle volte t'invidio sai? >> sibilo ignorando il suo incitamento << sai essere così spontanea e menefreghista senza porti alcun problema >>
<< Forse perché la mia vita in confronto alla tua è così povera di suspense? >>
<< Se vuoi, possiamo cambiarci i ruoli >> propongo dopo un po' sbuffando un sorriso per sdrammatizzare la situazione, che a parer mio è diventata troppo pesante anche per essere sostenuta da una forza della natura come Kim.
<< Già, scherziamoci su’! >> esclama quest'ultima stiracchiandosi e sbadigliando. << Se permetti, vado a farmi un bagno, tra qualche ora dovremo prepararci per andare a casa di Rosalya... ha insistito tanto perché cenassimo da loro >>
<< Mi chiedo per quale motivo non sono partiti per la luna di miele? >> chiedo ritornando ad asciugare le posate.
<< Volevano passare il Natale con noi >> risponde Kim a voce alta, recandosi verso le scale << partiranno dopo le feste! >>
La voce della bruna si dissolve con la sua lontananza. Il silenzio ritorna a invadere la cucina. Ho terminato le mie faccende, e strofinandomi le mani per riscaldare, mi avvicino di nuovo alla finestra: le bianche nuvole che coprono il cielo, sembrano nascondere qualcosa di minaccioso. A un tratto, un brivido di freddo, si delinea lungo la mia schiena, facendomi trasalire. Senza volerlo, le labbra danno inizio a un tremolio frenetico, mentre i miei occhi puntati contro la finestra non accennano nessun movimento, sembrano quasi pietrificati.
<< Castiel, dove sei? >> mi ritrovo a sibilare.
<< Mamma? >>, è Etienne a riportarmi alla realtà. Rizzo la schiena, volgendomi per guardarlo. Regge in mano il telefono di casa, e me lo porge guardandomi con aria curiosa.
<< Cosa c’è Etienne? >> chiedo stringendomi nelle spalle.
<< Zia Rosalya >>
Afferro il telefono, accarezzando la testa di mio figlio, che rimane fisso a guardarmi con il capo chinato verso l’alto.
<< Rosa? >>
<< Rea, Etienne mi ha detto che sei tornata dall’ospedale >>
<< Sì, qualche ora fa >>
<< Com’è andata l’operazione? >>
<< Tutto bene >>
<< E la serata con Castiel? >>
Ed ecco la domanda che mi sarei dovuta aspettare da una come Rosalya. Istintivamente rivolgo lo sguardo ad Etienne, che continua a guardarmi ignaro del ragionamento hot che si verrà a creare repentinamente, se decido di rispondere alla domanda della bambolina argentata.
<< Rosa, non ti sento… >> provo a divagare.
<< Ehi, ti avviso che con me non attacca, quindi cerca di rispondere, almeno tu! Castiel mi ha chiuso il telefono in faccia! >>
<< Lo hai chiesto anche a Castiel?! >> esclamo sbalordita.
<< Perché, ho sbagliato? >>
“Ma secondo te! Eri davvero convinta che Castiel ti avrebbe risposto?”. Scuoto la testa sospirando, stringo gli occhi passando una mano sul viso.
<< Ti prometto che stasera ti racconto tutto >> mormoro rassegnata.
<< Guarda che l’hai promesso >> insiste lei beffarda.
Ci salutiamo senza aggiungere altro.
<< Cosa voleva? >> chiede a un tratto il bambino.
<< N-nulla di ché >> rispondo accennando un sorriso forzato. << è meglio se andiamo a prepararci Etienne >>
<< Mamma, verrà anche Erich? >> chiede il bambino afferrandomi la mano e trascinandomi con gentilezza verso le scale.
<< Penso di sì >>
<< Che bello! Mi piace giocare con lui >>
<< Lo so >>
Saliamo al primo piano, e subito la stonata voce di Kim, intenta a intonare una canzone sconosciuta, che naturalmente, e di sicuro, fa parte del suo repertorio, risuona per il corridoio, indisturbata. Etienne ed io ci guardiamo per qualche istante, per poi scoppiare a ridere divertiti.
<< Vi ho sentito! >> esclama la bruna dal bagno << Siete solo invidiosi della mia splendida voce! >> aggiunge dopo un po’ uscendo, mostrandosi coperta da un cortissimo asciugamano che dovrebbe coprirle l’intero busto, e invece lascia scoperto più del dovuto.
Come un fulmine copro gli occhi di Etienne, portandolo dietro di me.
<< Kim! Vuoi cortesemente coprirti? >>
<< Ché? Sono per caso nuda? >> chiede squadrandosi << No! >> si risponde da sola.
<< C’è il bambino! >>
<< E allora? Ascoltami bene, amica mia… >> mormora avvicinandosi al mio orecchio << tuo figlio… >> ciò che sibila dopo mi fa trasalire.
<< Kim, non azzardarti a dirlo in presenza di altri! >> esclamo linciandola con gli occhi.
<< Non preoccuparti, l’ho detto in confidenza, non sono mica idiota da sput… rivelare tutto >>
<< Cosa state dicendo? >> interviene Etienne dietro di me.
<< Sai, mi sto davvero pentendo di avertene parlato >> sospiro, ignorando completamente la domanda di mio figlio.
 
***
 
Mi ero davvero dimenticata come fosse la casa di Rosalya, l’ultima volta che la vidi, mancavano i muri pittati di glicine, e la tappezzeria completamente rimodernata, naturalmente, a suo piacimento.
Rimango fissa a guardare quella meraviglia che s’imprime nei miei occhi, Rosalya ha davvero superato se stessa. Sembra di stare in una sala dove avvengono le sfilate, e quei mobili con i loro rivestimenti, non sono altro che modelle sulla passerella.
<< E’ meglio serrarla questa >> interviene Kim, chiudendomi la bocca, e distruggendo così l’incanto << non vorrei che si frantumasse a terra e rovinasse tutto questo idillio >>
<< Come fai a rimanere sempre così indifferente? >> le chiedo infastidita.
<< Semplicemente: me ne frego >>
Scuoto la testa sorridendo.
<< Che fate lì impalate? >> chiede Rosalya tutta eccitata, uscendo da una delle tante camere di questa casa meravigliosa. << Avanti, venite nella sala da pranzo >>
La seguiamo senza battere ciglio, e quando varchiamo la soglia della stanza da lei citata, cerco di tenere bene a mente il consiglio di Kim: mi reggo il mento, altrimenti so che lo stupore me lo farebbe staccare completamente dal resto della mascella.
Mi sembra di stare nella casa delle bambole. Come cavolo ha fatto ad arredarla in questa maniera in così poco tempo? E pensare che volevo spendere i soldi nel comprare quelle casette da collezione, quando ne ho una qui in scala reale e con tanto di bambola all’interno.
<< Ciao ragazze! >>
Kim ed io ci voltiamo nello stesso istante ritrovandoci a guardare Lysandro, seduto come un perfetto nobile, sul divano difronte il focolare acceso.
<< Ciao zio Lys! >> esclama Etienne raggiungendolo.
<< Siete sole? Castiel non è con voi? >>
<< Castiel… >> mormoro come un’ebete.
<< Cass aveva da fare >> risponde prontamente Kim.
<< Però ha promesso che viene >> aggiunge Etienne giocherellando con il merletto della camicia di Lysandro. Quest’ultimo ci osserva titubante, sembra voglia chiederci qualcosa, ma non lo fa. E forse è meglio così, non voglio rispondere a nessuna domanda, perché il pensiero verso Castiel e il ritorno di Ginevra, mi stanno attanagliando il cuore.
La sera giunge in fretta, e il lungo tavolo che troneggia la sala da pranzo è stato apparecchiato da un pezzo.
Lysandro legge indisturbato un libro, mentre Kim ed Etienne giocano a tombola bisticciando tra di loro per contendersi la quaterna, con premio: il panettone. Io, appoggiata all’infisso della porta, con le braccia incrociate al petto, li guardo divertita. A un tratto mi sento sfiorare la spalla. Mi giro di scatto. Rosalya mi sorride maliziosa, e con un sibilo m'invita a seguirla. So già cosa vuole, e senza replicare, sapendo già che insisterebbe, m'incammino nella sua scia.
Entriamo in cucina e subito, il forte profumo del pollo invade le mie nari facendo brontolare il mio stomaco che urla dalla fame.
<< Che odore >> mormoro con l’acquolina in bocca.
<< Allora, a noi due Rea >> esordisce la bambolina strofinandosi le mani.
<< Mi fai quasi paura >>
<< Avanti Rea, dimmi subito cosa è successo fra te e Castiel! >>
<< Ok. L’abbiamo fatto >> rispondo tutto d’un fiato.
<< E lo dici così? >> chiede lei scettica.
<< P-perché? Come avrei dovuto interpretarlo? >> chiedo smarrita.
<< Uffa! Non sai per niente essere sentimentale. Sembra quasi che stia parlando con un uomo delle caverne: l’abbiamo fatto! >> l’ultima frase l’ha espressa indurendo la voce.
Rimango a fissarla sbalordita. “Alle volte, davvero, mi chiedo se la mia esistenza non è altro che un miscuglio di anormalità. E poi sarei io quella con problemi!”
<< E ora perché mi guardi così? >> chiede dopo un po’, guardandomi con bieco.
<< Nulla! >> rispondo secca, recandomi al lavandino per riempirmi un bicchiere d’acqua.
La cucina di Rosalya è tipica di quelle americane, infatti, sopra il lavandino regna una finestra alta un metro dalla quale viene riflesso il giardino. Guardo l’esterno con malinconia, e noto che dal cielo, illuminati dai lampioni, i fiocchi di candida neve iniziano a scendere lentamente.
<< Nevica >> sussurro con dolcezza continuando a fissare l’esterno. Il buio contrastato da quelle luci rende l’atmosfera quasi inquietante, ed eccolo qui, quel brivido sentito prima, ritorna a percorrermi la schiena. Chiudo gli occhi dandogli sfogo, tremando, e quando li riapro, il mio cuore perde un battito. Tutti i miei sensi si concentrano sullo sfondo riflesso sui vetri della finestra, impedendomi di ascoltare le parole di Rosalya.
Istintivamente mi allontano dal lavandino recandomi alla porta della cucina. Rosa mi chiama, ma non dico nulla. Voglio raggiungere l’uscita e rendermi conto che non sto sognando.
Quando vi giungo, afferro la maniglia con esitazione, e raccogliendo abbastanza aria nei polmoni, abbasso il saliscendi aprendo la porta.
No. Non è un sogno. Ciò che ho davanti ai miei occhi è la pura, semplice realtà.
Fra quella flebile pioggia ghiacciata, l’immagine di Castiel, succube delle ombre, opera della luce, resta ferma lì, davanti al cancello. Semplicemente, aspetta.
Esco di casa ancora incredula. Non riesco neanche a sentire il freddo che penetra indisturbato nella carne avvolta solo da un maglioncino rosso. Accenno due passi verso di lui.
<< Castiel >> sussurro con voce tremante. << C-Cass! >> lo chiamo ancora e questa volta alzando il tono per farmi sentire, e mentre mi avvicino più a lui, finalmente riesco a distinguere la sua espressione del viso; sta sorridendo.
<< Sono tornato Rea >> lo senti dire, facendo fermare i miei passi << come ti avevo promesso >> aggiunge avvicinandosi per eliminare l’ultimo spazio che ci divide. Quando ci ritroviamo a pochi centimetri di distanza, allunga la mano sul mio viso accarezzandomi lievemente la guancia. I suoi occhi luccicano, e quel suo colore raro, sembra quasi fondersi con il bianco della neve, facendolo diventare cristallino.
Sento il mio cuore spingere le pareti del petto.
<< Sono tornato da te >> ripete con un sussurro avvicinando le sue labbra alle mie, e prima di unirle completamente, aggiunge: << e questa volta per sempre >>.
 
 

BAKA TIME 2: Ed eccoci finalmente al termine della mia storia… Sto scherzando!!! Come vi è sembrato questo capitolo? Fatemelo sapere, mi raccomando!
Alla prossima!! Vado di fretta, purtroppo! :’(

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Capitolo 33
*** Déjà-vu ***


BAKA TIME: Allora… almeno per chi ha avuto la sfortuna di leggerlo, vi ricordate quel capitolo intitolato “LA FOTOGRAFIA?” bene, deframmentatelo totalmente dai ricordi, perché pubblicai qualcosa che ha fatto pena persino alle formiche. Fate finta di non aver letto niente di quella idiozia, ed ecco qui il nuovo e, spero, intrigante capitolo.
Buona lettura!! J
 
 



33° capitolo: DéJà-VU
 




Le fiamme che danzano indisturbate nel caminetto, le sto osservando con intensità, i miei occhi sembrano volerle domare. Sto cercando di non pensare a niente, mentre smarrita ascolto le parole di Castiel, rivolto verso Lysandro e gli altri.
Se la mia anima non fosse nel mio corpo, penserei che non esistessi.
Non riesco ancora a credere a ciò che ho ascoltato: Castiel ha lasciato Ginevra, e per sempre. Rabbrividisco al sol pensiero, mentre l'intensa luce del fuoco mi brucia le pupille facendomi chiudere le palpebre per inumidirle.
<< Allora era questa la sorpresa di cui parlavi, prima di fare ritorno qui? >>, sento Lysandro prendere la parola.
<< Sì, era questa >> risponde Castiel tranquillamente.
Catturata dalla sua voce, riapro gli occhi volgendoli verso di lui. Lo vedo sorseggiare il liquido giallino dal lungo flûte che Rosalya ci ha offerto dopo la sostanziosa cena, che ho consumato a malapena. La bambolina se n'è accorta, e infatti, mi ha linciato con gli occhi per tutto il tempo, ma è stato più forte di me, non sono riuscita a ingoiare neanche un boccone, ché da quando Castiel ha rivelato la sua sorpresa, l'incredulità e un'inspiegabile senso di ansia mi hanno cerchiato la mente. 
<< In poco più di tre anni >> riprende il rosso appoggiando il bicchiere sul tavolino adiacente al divano su cui è seduto << le azioni della grande industria di mio padre, sono calate vertiginosamente, lasciandoci quasi sul lastrico. Fortunatamente, non ho voluto far parte di tutti gli affari del vecchio, così diciamo che almeno io mi sono salvato >>
<< Ma com'è potuta accadere una cosa simile? >> chiede Lysandro accavallando le gambe.
Castiel inizia a spiegare, e le sue parole professionali e tecniche sono molto incomprensibili per me; al contrario, Lysandro sembra capirci qualcosa, mentre, rivolto lo sguardo verso Kim, seduta accanto a me, mi accorgo che ha reso i suoi occhi due fessure, sembra stia facendo una radiografia per scoprire il significato di quelle parole, ma quando noto le sue labbra curvarsi verso il basso, mi accorgo che non ci sta capendo niente neanche lei.
<< Allora Ginevra ti ha lasciato per questo? >> chiede Rosalya sedendosi accanto a suo marito.
<< Sono stato io a lasciarla >> risponde Castiel tutto d'un fiato.
Lo guardo, mi guarda, e nel farlo mi regala un sorriso quasi malinconico. Non capendone il motivo, abbasso lo sguardo richiudendo gli occhi.
<< Non aveva più senso averla ancora come moglie. Mio padre non è più potente come prima, e anche se esce allo scoperto l'esistenza di un figlio illegittimo, questo non scandalizzerà più nessuno, tantomeno non rovinerà più di tanto il vecchio >>
<< E Ginevra? >>, è la voce di Kim a risuonare estranea a quel ragionamento. La bruna rimane con le braccia incrociate al petto e gli occhi socchiusi a osservare attentamente il rosso. Quest'ultimo condivide lo sguardo sorridendo beffardo. << Perché ha accettato, e così facilmente? >> aggiunge Kim circospetta.
<< Non aveva altra scelta >> risponde secco Castiel senza aggiungere altro.
<< Che significa? >> chiede la bruna, seguendo al mio posto, quello che deve essere il mio copione.
<< Lei... >> sospira Castiel guardandomi << ...non è riuscita a darmi un figlio >>
Il mio cuore manca un battito, mentre il respiro mi si spezza facendomi deglutire a fatica.
Che significa che non è riuscita a dargli un figlio? Questo vuol dire che lui e quella maledetta hanno...
Non riesco a terminare quel pensiero, ché un lancinante dolore mi pervade il petto facendomi curvare leggermente in avanti.
Cosa dovevo aspettarmi? Sono stati insieme per quattro anni, era sua moglie, e in fin dei conti non devo avercela con lui perché anch'io ho condiviso il mio letto con Armin.
<< Ma se hai riconosciuto Erich come tuo figlio, come hanno fatto ad accettare l'annullamento? >>, non mi accorgo di chi ha formulato questa domanda, fatto sta che mi ritrovo a guardare Castiel, ansiosa della sua risposta.
<< Io non ho riconosciuto Erich >> risponde quest'ultimo sorridendo << Lo sbaglio di mio padre, è stato quello di sottovalutarmi. Ha ignorato completamente, che come lui, anch'io possiedo le mie amicizie  >>
<< E allora perché non hai usato le tue amicizie anche per impedire il matrimonio?! >> scatta Kim furibonda.
Affianco a lei, trasalisco dallo spavento, non aspettandomi per nulla quella sua reazione.
Castiel guarda la bruna con estrema serietà. I suoi occhi sembrano due carboni incandescenti che la luce del fuoco penetra, donandogli quei riflessi.
<< Cosa vuoi Kim? >> mormora il rosso incrociando le mani e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
<< Per colpa di questa situazione, c'è chi ha sofferto! >> risponde la bruna alzandosi dalla poltrona.
<< Non ha sofferto soltanto lei! >> si difende Castiel con estrema calma.
<< Tu... >> continua lei avvicinandosi minacciosa << ...non hai la minima idea di cosa diavolo è successo in quattro anni... >>
Presa da un'indescrivibile senso di paura, scatto in piedi afferrando il gomito della mia amica cercando di farla tacere.
<< K-Kim... >> balbetto preoccupata per ciò che vuole dire. Questa, però, sembra sottomessa all'ira, e forse senza accorgersene, si divincola bruscamente dalla mia presa continuando a gridare contro Castiel, il quale rimane zitto e impassibile.
<< Tu, sei un maledetto egoista, Castiel! Sei solo bravo a parlare, ma non ti sei mai chiesto come diavolo è stata Rea, in tutto questo tempo?! >>
<< Smettila ti prego >> continuo con voce tremante.
<< Per quale cazzo di motivo non hai detto la verità da quando hai rimesso piede in questo cazzo di posto?! >> urla ancora, gesticolando nervosamente. << A causa delle tue sorprese del cazzo Rea è stata... >>
<< Kim basta! >>, non so quale forza maggiore mi abbia permesso di alzare il tono di voce per fermare le sue parole, fatto sta che sento ancora aleggiare nell'aria il mio grido. Sto tremando e trattengo a stento le lacrime, ma finalmente, sono riuscita a placare quel ragionamento.
<< Non dire più niente, per favore >> aggiungo con voce flebile << Castiel non ha nessuna colpa. Sono stata io a lasciarlo quattro anni fa >>
<< Ma lui poteva impedirlo e non l'ha fatto! >> incalza ancora una volta la bruna.
<< Non l'ha fatto per salvare suo fratello! >> la interrompo alzando la voce.
Nella stanza ritorna il silenzio. Lysandro e Rosalya tengono il capo chino con gli occhi puntati verso il pavimento; Castiel ha donato il suo sguardo alle danzanti fiamme, e Kim mi guarda con rabbia. So benissimo cosa vuole dire, ma non posso permettere che continui ciò che io ho nascosto per tutto questo tempo.
Mi gira la testa, e un'angosciante sensazione mi pervade la mente, così senza aggiungere altro esco dalla sala da pranzo recandomi da qualunque altra parte, smarrita e con una voglia matta di sfogarmi, piangendo.
Senza che me ne accorgessi, mi ritrovo in cucina, con le mani appoggiate sul piano in granito e il corpo ansimante. Piango, anche se lo faccio in silenzio. Mi passo una mano fra i capelli portandoli all'indietro, poi stringo gli occhi asciugandoli con il dorso della stessa mano. Sospiro rumorosamente, riprendendo a fatica l'aria.
<< Hai intenzione di giocare anche tu a chi sa nascondere meglio i segreti? >>, è la voce di Kim che ritorna ad aleggiare nelle mie orecchie. Non le rispondo, e rimango di spalle mordendomi il labbro inferiore.
<< Perché non parli? >>
<< Ho paura >> rivelo con voce roca.
<< Di cosa? >>
<< Di dirgli tutto >>
<< Ma adesso non avete più ostacoli >>
<< Lo so, ed è per questo che ho paura >> rispondo voltandomi verso di lei ma senza guardarla. I miei occhi vagano per la stanza senza meta. Mi sento nervosa e non ne riesco a capire il motivo.
<< Sai benissimo che non potrai nasconderglielo per sempre? >>
Finalmente riesco a posare il mio sguardo su di lei. Mi accorgo che ha le lacrime agli occhi, e nonostante tutto riesce a trattenerle; ed è la seconda volta che mi fa star male, perché so che piange per me, ed io non posso accettarlo.
A quella domanda non rispondo, e permetto al silenzio di dominare l'aria, ma non dura a lungo, mentre Kim ed io continuiamo a guardarci negli occhi, entra Castiel, il quale guarda prima me, poi la bruna, e rivoltosi a questa, le chiede di lasciarci soli.
Kim non ribatte, solo, si gira e se ne va. Castiel ed io rimaniamo finalmente soli, ci guardiamo, e forse stiamo aspettando insieme, uno, la reazione dell’altra.
<< Che significa? >> chiede a un tratto il rosso rivelando una voce sommessa.
<< Cosa? >> ribatto ansiosa.
<< La reazione di Kim, e le sue parole? Cosa ti è successo in quattro anni? >>
<< L’ha già detto lei, no? >> abbasso lo sguardo avvolgendomi il busto con le mie stesse braccia come per proteggermi.
Castiel non parla, e lentamente si avvicina mettendosi davanti a me. << Stai bene? >> chiede con un sibilo. Annuisco trattenendo un singhiozzo. Lui mi accarezza dolcemente il viso, le sue dita percorrono indisturbate la mia umida guancia, per poi porsi sotto il mento e sollevarmelo, alzo lo sguardo incrociando i suoi brillanti occhi che mi guardando con intensità e che pian piano si spostano sulle mie labbra. Sento il suo pollice sfiorarmi la parte inferiore della bocca invitandomi a dischiuderla, e prima che potesse appoggiarvi la sua, gli afferro il polso facendolo fermare. I suoi occhi ritornano a guardarmi con interrogazione.
<< Dimmi che non è un sogno? >> chiedo in un sibilo. Lui scuote la testa sorridendo. << Perché se così fosse, non vorrei svegliarmi più >> aggiungo permettendo a una lacrima di scivolare lungo la guancia.
<< Non è un sogno amore mio >> risponde Castiel per poi baciarmi con passione.
Mille scosse mi sovrastano tutta, abbraccio il mio ritrovato amore stringendolo forte a me, per non lasciarlo andar via. Castiel mi cinge la schiena portandomi più al suo petto. Riesco a sentire il suo frenetico battito del cuore che mischiato al mio, formano un unico inconfondibile suono.
Quando ci distacchiamo, ansimiamo all’unisono. Ci guardiamo negli occhi e ci basta questo per rivelare il nostro immenso amore.
<< Promettimi che non mi nasconderai più nulla >> mormoro poggiando la fronte sul suo petto.
<< Te lo prometto >> risponde prontamente lui, passando una mano fra i miei capelli.
Lo so che è sincero, ed è per questo che non posso e non voglio più mentirgli; così, prendendo il coraggio a due mani, mi distacco dal suo petto, tornando a guardarlo, e con voce tremante dico: << Castiel, i-io devo dirti una cosa… >>
Lo vedo rivolgermi uno sguardo circospetto, lascia cadere la sua mano lungo il suo fianco aspettando che continui.
<< V-vedi, ciò che voleva dire prima Kim, è che in quattro anni… >>
<< Mamma? >> è la voce assonnata di Etienne a fermarmi. Mi volto verso di lui presa alla sprovvista. Il piccolo si stropiccia gli occhi.
<< Etienne >> gli vado incontro prendendolo in braccio.
<< Mamma, non torniamo a casa? >> chiede con uno sbadiglio << ho sonno >>
<< Certo, ci andiamo subito >> rispondo coccolandolo, poi volgendomi verso Castiel, aggiungo: << Scusami Cass >>
<< Niente >> risponde lui scuotendo il capo con un sorriso << ti accompagno >>
<< Grazie >>
Dopo aver salutato tutti e augurato un buon Natale, Etienne ed io ritorniamo a casa accompagnati da Castiel. Kim è andata via prima di noi, dicendo che passava la notte da un suo amico, non ho voluto obbiettare, anche perché so benissimo che è tutto inutile.
Arrivati a casa, Castiel si offre per aiutarmi con Etienne, che dorme beatamente fra le mie braccia. Acconsento senza esitare, gli porgo il bambino osservando con dolcezza tutte le sue mosse, e prese dalla borsa le chiavi del cancello, apro quest'ultimo permettendo al rosso di entrare per primo.
<< Lo porto di sopra? >> chiede non appena entrati in casa.
<< Ti precedo >> sussurro salendo per prima le scale. Varco la soglia della cameretta e disfo il lettino per far appoggiare il bambino. Vedo Castiel lasciarlo con dolcezza e prima di drizzarsi, gli stampa un bacio sulla fronte scompigliandogli poi i capelli con una carezza affettuosa.
<< È davvero bello, tuo figlio >> sibila dopo essersi avvicinato a me.
<< G-già >> balbetto fissando il viso angelico di Etienne.
<< Peccato... >> sento che mormora dopo un po'. Lo guardo incuriosita. Non continua la sua frase, cosa avrà voluto dire? Mi chiedo accorgendomi che i suoi occhi si sono tutti a un tratto intristiti. E come una folata di vento, così ritornano ad aleggiare nell'aria le sue parole dette poche ore fa: "Ginevra non è riuscita a darmi un figlio". D'istinto chiudo le palpebre scuotendo leggermente il capo, intenzionata a cancellare dalla mente quelle dolorose parole, quando a un tratto sento chiamarmi.
<< Co-cosa? >> chiedo con smarrimento ritornando a guardarlo.
<< Ho detto che vado via >>
<< Perché? >>
<< Erich è da solo a casa >> risponde lui raggiungendo il corridoio; lo seguo socchiudendo la porta della cameretta.
<< Potevi farlo stare con noi, perché lo hai accompagnato prima? >> obbietto rammaricata.
<< Mi ha chiesto lui di lasciarlo per primo >> replica serio.
<< E perché? >>
<< Mi ha detto che ha sentito la discussione avuta fra Kim e me, e si è sentito in colpa >>
All'ultimo gradino, mi fermo, reggendomi al passamano di legno. Guardo il vuoto rimembrando ciò che ho detto a Kim, e cioè che Castiel ed io rinunciammo al nostro amore per salvare lui.
<< E... e tu che gli hai detto? >> chiedo con voce fioca.
<< Quello che ormai gli ripeto da quattro anni. Che non è stato a causa sua ma della mia mancanza di coraggio >>
<< Sai che non è così >> affermo tremante << Sai che la codarda sono stata io >>
<< Basta, Rea >> mormora lui con voce sommessa << non facciamoci più male di così >>
<< Kim non doveva dirti quelle parole, perché non sei stato l'unico a nascondermi le cose >> tremo nel formulare quella frase. Vedo Castiel inarcare le sopracciglia concentrato su ciò che sto per dire.
<< Cosa stai dicendo? >> chiede.
<< La verità è che... >>. A interrompermi ancora una volta, è il copioso trillare del suo cellulare. Mi lancia un'ultima occhiata circospetta, prima di decidersi a rispondere.
<< È Erich >> annuncia scocciato << Devo andare, ma... >>
<< Va Castiel >> lo interrompo con un sorriso rassicurante << non far preoccupare tuo fratello >>
<< Ne riparleremo? >> chiede con convinzione.
Annuisco regalandogli un sorriso. << A domani >> aggiungo avvicinandomi a lui pronta per baciarlo.
<< Domani non so se ci potremo vedere >>
<< Perché? >>
<< Ho promesso ad Alain che sarei andato a trovarlo >>
<< Vuoi che venga con te? >>
<< No, non preoccuparti ci vedremo domani sera >>
<< Ok >>. È l'ultimo suono che esce dalla mia bocca prima di poggiarla ancora una volta sulla sua.
Quel bacio è breve e dal tocco freddo, ma non ci facciamo caso. Ci salutiamo così, senza aggiungere altro; e quando la porta d'ingresso mi si chiude davanti, le mie gambe cedono facendomi scivolare sul tappeto. Che strana reazione ho avuto, mi dico sorridendo e allo stesso tempo piangendo. Le lacrime che ne seguono sono di gioia, perché il mio cuore sa che finalmente è finito tutto. Niente più ostacoli. Niente più Ginevra.
 
***
 
<< Ok Rosa, ti ringrazio >> sbuffo chiudendo la chiamata e appoggiando il cellulare sulla scrivania. Indietreggio la testa affondandola sulla spalliera della poltrona posta dietro la scrivania del mio ufficio.
Le feste sono terminate e al loro posto è subentrato il ritorno a scuola. Oggi è il primo giorno e per me è come se fosse il cinquantesimo. No. Non è iniziato come spero ormai da anni. Quei quattro bulletti da strapazzo hanno ricominciato a rompere i soliti attributi che mi mancano, cazzeggiando e dando fastidio ai professori. Fortunatamente manca ancora il loro capo, la convalescenza durerà un mese, quindi per il momento potrò stare tranquilla senza assorbirmi le sue perversioni.
Ma non è questo il motivo per cui mi sento depressa: dal giorno di Natale, Kim non si è fatta più sentire né vedere; l'ho chiamata un miliardo di volte ma senza avere uno spiraglio di speranza nel sentire la sua voce. Dannazione! Rifiuta la mia chiamata così semplicemente che il solo movimento delle braccia nell'avvicinare e allontanare il cellulare dal mio orecchio, ha fatto invidia ai migliori culturisti del mondo tant'è che i muscoli si sono dilatati.
Ho chiamato Rosalya convinta che almeno lei abbia notizie della bruna, ma purtroppo mi ha detto che quest'ultima rifiuta anche la sua chiamata.
<< Che ti prende, Kim? >> sibilo girando la poltrona verso la finestra. Mi ritrovo a fissare il cielo azzurro. Qualche nuvola impicciona lo macchia permettendo al vento di cambiarla in immagini da scoprire. Sorrido malinconica, e lentamente chiudo gli occhi cercando di cancellare dalla mente i mille pensieri che mi assillano senza alcun pudore.
Sentendo dopo un po' bussare alla porta, riapro gli occhi di soprassalto voltandomi velocemente, e prima di rispondere, tossisco sentendomi la saliva pietrificarsi in gola. Nathaniel entra con fare indeciso accompagnato da due alunne.
<< Cosa c’è Nath? >> chiedo incuriosita volgendo lo sguardo verso le ragazze.
<< Ecco, Rea, loro vogliono sapere la risposta per la festa dei club >>
<< Quale festa? >> ribatto volgendo lo sguardo da un’altra parte. Vedo le due guardarsi negli occhi e poi rivolgersi verso Nathaniel speranzose di qualche risposta plausibile.
<< Non te ne ho parlato? >> chiede scettico.
<< E quando avresti dovuto? Oggi è il primo giorno di scuola dopo le feste natalizie >> rispondo spazientita.
<< Sì scusami, ultimamente sono tra le nuvole >>, si passa una mano sulla fronte, massaggiandosi le tempie << Le ragazze si chiedevano se potevano organizzare una festa per i club, per far vedere alle altre scuole i loro lavori >>
Annuisco con il capo sentendo quella proposta. << E’ un’ottima idea, ragazze >> sorrido contenta << Naturalmente, Nathaniel, ti occuperai tu di tutto, vero? >> espongo quella domanda in maniera che la risposta sia ovvia.
Il delegato mi guarda smarrito, sembra trattenere il respiro, forse vuole dire qualcosa, ma non gli do il tempo di farlo. Inventando una scusa, li congedo per rimanere sola.
Le ragazze escono esultanti, mentre Nath le segue mogio.
Quando il silenzio invade un’altra volta la stanza, d’istinto afferro il cellulare ricomponendo il numero di Kim. Niente da fare, mi rifiuta la chiamata, e a quel punto, persa la pazienza, scaravento l’oggetto sulla scrivania, alzandomi dalla poltrona e camminando avanti e indietro nervosa.
Come una folata di vento, un pensiero glaciale mi passa per la mente: “E se ha deciso di troncare la nostra amicizia?”. Mi fermo rabbrividendo a quel pensiero. Scuoto la testa riprendendo a camminare. “No, non può essere, non può assolutamente fare così”. Sbuffo per scacciare l’ansia, e messe le mani sui fianchi, vago con gli occhi alla ricerca di qualcosa che possa distrarmi da quegli assurdi pensieri.
Decido di uscire a prendere una boccata d’aria fresca. Il corridoio e stranamente silenzioso; l’orologio a muro affisso sulla prima colonna, segna le dieci e cinque, mancano ancora venticinque minuti prima della ricreazione. Sorrido ricordandomi alcuni momenti della mia adolescenza. Fu all’incirca a quell’ora che ebbi la prima strana conversazione con Castiel. Lui si trovava nei pressi del club di giardinaggio e riposava disteso sull’erba, quando inciampai su di lui; mesi dopo, scoprii che si trovava lì per fare da palo alla tresca tra Lysandro e Rosalya. Dio, ricordo anche quel giorno in cui li scoprii mentre stavano facendo sesso nell’aula di chimica.
Sorrido sentendomi alquanto imbarazzata. Anche se detesto questo lavoro, e lancio maledizioni giornaliere verso la gangster, mi rendo conto che in questo liceo ho vissuto momenti molto importanti che hanno segnato la mia vita. In questo liceo è nata la vera Rea.
Pensando a tutto questo, non mi accorgo di essere giunta nei pressi del club di giardinaggio. Fisso intensamente e in maniera malinconica il prato, immaginandomi il corpo di Castiel disteso a riposarsi. Alzo lo sguardo verso la finestra che dà nell’aula di chimica e mi avvicino lentamente. Le tende a rullo sono state abbassate per metà e dall’interno si vede ben poco. Mi affaccio verso il vetro per vedere meglio, a quest’ora non c’è lezione e la classe è vuota. Mi drizzo di nuovo, e quando riguardo alla tenda, come un fulmine a ciel sereno, un pensiero mi balena per la mante.
“Un momento!” mi dico titubante “non c’è lezione di chimica, ma allora perché le tende non sono state tirate verso il basso?”.
<< Che pensiero del cavolo >> sussurro scuotendo la testa. Si saranno di certo dimenticati di chiuderla. Ritorno a guardare il giardino, e nel farlo, ricordo che in quell’aula, il professor Faraize lascia allo scoperto dei liquidi chimici che non possono rimanere esposti alla luce del sole.
<< Che palle >> sbuffo scocciata.
Ora, non che non mi va di fare tutto il giro del liceo per entrare nell’aula di chimica, ma è proprio di fare tutto quel percorso che non ne ho voglia; così, guardandomi a destra e a manca per controllare che nessuno mi stia guardando, mi avvicino alla finestra, benedicendo chi l’ha lasciata aperta, e imitando il meglio possibile Catwoman, mi ci arrampico per entrare.
“Spero solo che non mi veda nessuno” penso sorridendo come un’idiota. Scavalcato il muretto, sollevo la tenda a rullo cercando di poggiare il piede sul pavimento di marmo, ma non appena mi accingo a farlo, delle voci bloccano i miei movimenti. Spaventata, cerco di ritornare nel giardino, sfortunatamente la maglia si impiglia nell’infisso e se faccio un’altra mossa, rischio di strapparmela, ma non posso farmi scoprire, sai che figura del cavolo?
Afferro il lembo cercando disperatamente di staccarlo, mentre le voci si fanno più vicine. Sono presa troppo dall’ansia per accorgermi che, chi sta parlando, si trova proprio nell’aula. Alzo lo sguardo e lo riabbasso di nuovo sulla maglia, ma qualcosa, un’immagine che ho percepito confusa, cattura ancora una volta i miei occhi, che riposiziono sullo specchio affisso alla colonna dal quale vengono riflesse due figure.
Fermo le mie gesta incredula e allo stesso tempo incuriosita. A quel punto anche il mio udito si concentra su quelle voci sussurrate.
C’è qualcuno nascosto nell’anticamera della classe, e da ciò che vedo riflesso in quello specchio si riflette contemporaneamente nella mia mente scaturendo in essa una sensazione di déjà-vu.

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Capitolo 34
*** L'aula di chimica ***


34° capitolo: L’AULA DI CHIMICA
 



<< Dannazione >> impreco sotto voce infilandomi la maglia fra il cinto dei pantaloni, per nascondere lo strappo causato dalla mia stupidità. Era la mia maglietta preferita. Ho dovuto strapparla perché rischiavo di essere vista; ma porca miseria! Non sono io quella che deve nascondersi per non essere scoperta, ciò che ho visto in quell'aula va oltre la mia immaginazione.
Aperta la porta del mio ufficio e richiusala alle mie spalle, vi rimango appoggiata per qualche secondo con lo sguardo immerso pienamente nel vuoto; poi sbuffo infastidita << Cacchiarola, questa non ci voleva >> sussurro raggiungendo la scrivania. Non vado a sedermi, non ne ho voglia. Rimango solo con i glutei appoggiati sul piano di legno e ripensando all'accaduto, incrocio le braccia al petto, accavallando una gamba sull'altra. Facendo quel movimento, un fastidioso dolore al ginocchio annuncia la sua presenza. Accenno una smorfia. Non so per quale motivo mi sono comportata come una ladra che scappa alla vista della guardia, ma quando mi sono accorta di ciò che stava per accadere, tutti i sensi si sono alleati ordinando al mio corpo di allontanarsi il più in fretta possibile da quella situazione, e a quel punto non solo ho dovuto, contro la mia volontà, strappare la maglia, ma di conseguenza, sono caduta sul terreno, sbattendo il ginocchio contro una pietra. Per fortuna non sono stata scoperta, così sono ritornata nel mio ufficio come se niente fosse successo.
Ma non posso continuare così. Però, come diavolo faccio a cancellare dalla mente quell'immagine e quelle parole?  E naturalmente, come ci si dovrebbe aspettare dal mio carattere, rimango a rimuginare sul da farsi.
Ora, se fossi ancora la Rea diciassettenne, avrei preso questa situazione come un'ispirazione alla mia fantasia e ne avrei fatto un romanzo; purtroppo non ho più quell'età, e quindi, ripensando alla carica che rivesto come preside di questo liceo, dovrei prendere provvedimenti molto seri, ma fortunatamente, fra questi due tipi di Rea, ho messo da tempo la terza incomoda, e cioè quella che se ne sbatte altamente, cancellando dalla memoria ciò che succede intorno a sé.
La domanda adesso è: se accettassi l'ultima opzione, sarebbe la cosa più giusta?
Sbuffo per l'ennesima volta portando indietro la testa e chiudendo gli occhi << Ah, ma perché devono succedere tutte a me? >> sibilo rassegnata.
A un tratto, la porta del mio ufficio, si apre di scatto facendo entrare Nathaniel, che nel frattempo ha iniziato a chiedermi qualcosa, ma si blocca guardandomi allibito.
Non nego di essermi spaventata. Cavolo! È entrato mentre la mia mente era beatamente concentrata nei suoi affari; così mi ritrovo con le mani che artigliano la scrivania, gli occhi sgranati e il fiato spezzato.
<< R-Rea...? >> balbetta il biondino, abbassando la mano che fino a qualche istante fa, teneva sospesa a mezz'aria stringendo un fascicolo << va... va tutto bene? >> aggiunge fissandomi con circospezione.
<< P-perché me lo chiedi? >> ribatto imitando il suo modo d'esprimersi.
Dal canto suo, il delegato dà un'ultima ispezione alla mia immagine e grattandosi imbarazzato la tempia con l'indice dell'altra mano, risponde: << Scusami se non ho bussato, vado di fretta >>
<< Cosa ti serve? >> chiedo quasi con uno sforzo, distogliendogli lo sguardo di dosso, ripensando a ciò che ho visto in quell'aula e continuando a chiedermi, con incredulità: che diavolo sta succedendo?
<< Mi chiedevo se per la giornata dei club, facessimo a meno di usare l'interno del liceo. Vedi, se si presentassero allievi di altre scuole, ho paura che possano sparire oggetti, com'è successo altre volte... >>.
Silenzio. Non rispondo, e lui non ribatte. Guardandolo in volto, so perfettamente che si sta chiedendo per quale motivo rimango zitta e ferma come una perfetta idiota. "Sai Nath, non so neanche io per quale motivo lo sto facendo. L'unica cosa che so, è che vorrei porti una domanda".
<< Ehm... Rea? >> lo sento chiedere dopo un po', mentre nervosamente si massaggia la nuca.
<< C-cosa? >>
<< Se c'è qualcosa che non va, puoi dirlo tranquillamente >>
<< Va tutto bene, Nathaniel >> rispondo secca.
<< E allora...? >> chiede ancora guardandomi imbarazzato.
<< Fa come ritieni opportuno >>, cerco di congedarlo frettolosamente, non riuscendo più a reggere quella maschera da gnorri, che mi sono costruita alla velocità della luce, non appena è entrato.
Prima di andarsene, Nathaniel mi lancia un'ultima occhiata circospetta, poi salutandomi esce, chiudendo educatamente la porta.
Non appena il rumore della serratura riecheggia nell'aria, lascio libero il mio respiro che si stava quasi solidificando in gola impedendomi di ingoiare. Torno a sedermi, sprofondando esausta sulla poltrona. << Come faccio a non pensarci? >> sibilo fissando intensamente la porta.
Una sensazione d'ansia mi pervade tutt'a un tratto, scatto in avanti alzandomi dalla sedia, e dopo aver camminato avanti e indietro per pochi istanti, decido di prendere la palla al balzo, ma senza esagerare, almeno per saperne di più. Esco dall'ufficio, nuova destinazione: aula delegati. Per il corridoio, vedo alcune ragazze intente a rovistare negli armadietti. Una di loro, sentendo il rumore dei miei passi, si volta verso di me pronta per salutarmi, ma mentre si accinge a farlo, rimane bloccata a fissarmi allibita.
Indifferente alla sua reazione, faccio finta di nulla e proseguo il mio cammino. La porta dell'aula mi si avvicina agli occhi lentamente. Mi ritrovo con la maniglia a pochi centimetri di distanza, ma la mia mano non ne vuole sapere di afferrarla. "Dannazione, Rea, apri questa cazzo di porta. Possibile che a ogni situazione che ti si presenta davanti, devi comportarti come una perfetta idiota?"
Il mio avatar mentale ha perfettamente ragione, ma come posso continuare a far finta di nulla, quando ciò che ho visto non è stato affatto un sogno?
Ok adesso basta! Sei la preside, giusto? Quindi comportati da tale!
Afferro decisa il saliscendi, e mentre lo spingo verso il basso per aprire la porta, vedo due mani sbucarmi da dietro le spalle, afferrare spudoratamente i due seni e premerli come si fa con le arance.
È inutile descrivere lo spavento e lo sdegno, seguiti a ruota dall'incazzatura che mi pervade.
Da reazione a queste sensazioni, getto all’aria un urlo, mi divincolo bruscamente recitando frasi poco consone ai panni che rivesto.
<< Ma che caz... >>, fortunatamente, dopo essermi girata, curiosa di vedere il misterioso pervertito,  blocco le mie volgari parole e, un verso indecifrabile anche per me che ne sono l'artefice, prende il loro posto.
<< K-Kim! >> balbetto quel nome incredula e allo stesso tempo piena di gioia, mentre i miei occhi si colmano di lacrime nel vedere i suoi che mi sorridono con strafottente affetto.
<< Ed io che pensavo di trovarle più sode dell'ultima volta! >> esclama incrociando le braccia al petto.
Non riesco a rimanere ferma, d'istinto mi piombo su di lei abbracciandola e stringendola forte a me. Kim non mi ricambia, inizia solo a imprecare e spingermi per riuscire a liberarsi.
<< Ma che cazzo fai? >> digrigna << guarda che non sono il bel fusto dai capelli infuocati! >>
<< Oh, Kim! >> esclamo tra i singhiozzi << pensavo che non mi volessi più vedere... >>
<< Beh, a dire la verità, l'avevo presa come un'idea... >>
<< Non dire sciocchezze! >> la rimprovero mollando la presa. Rimaniamo a fissarci per qualche istante, durante il quale mi accorgo che il suo sguardo strafottente, si tramuta in sbigottimento. Mi fissa dalla testa ai piedi e con una smorfia, sbotta in una risata di scherno arrivando finanche a reggersi la pancia e a piegarsi in avanti, biascicando qualche frase incomprensibile.
<< Perché ridi? >> chiedo scioccata.
<< Buah-ah-ah! Come diavolo ti sei conciata? >> riesce a dire fra le risate.
<< Di che stai parlando? >> replico toccandomi il viso.
<< Aspetta, aspetta! >> esclama gesticolando con le mani, dopodiché afferra il cellulare e piantandomelo davanti, mi scatta una fotografia, poi si avvicina per farmela vedere.
Frastornata da quell'atteggiamento, acciglio gli occhi guardando quell'immagine impressa male, si vede una parte sfocata e le mie mani in movimento, ma la causa per cui Kim è scoppiata a ridere, si nota molto bene: fra i miei capelli risiedono indisturbate foglie secche di cespugli
Irritata come non mai, mi piego in avanti, sbattendo i capelli per liberarli dagl'intrusi.
"Ecco perché mi guardavano tutti straniti!" penso sentendomi il volto avvampare. Nel mentre, Kim si è appoggiata al muro e continua a ridere, sembra quasi sfinita.
Mi rialzo e la guardo con occhi minacciosi.
<< Hai finito? >> chiedo seria.
Lei come risposta, si serra la bocca, continuando a ridere in silenzio.
<< Piantala Kim, mi stai facendo pentire di essermi preoccupata per te >> sentenzio afferrando la maniglia della porta dell'aula delegati.
<< Non è colpa mia se ti ritrovo conciata in questa maniera! Non cambierai mai Rea... ma cosa ti è successo? >>
<< Se ci tieni alla nostra amicizia, non me lo chiedere, perché è scritto nelle pagine del mio destino che devo sempre trovarmi in situazioni spiacevoli >>
<< Ma di che stai parlando? >> chiede non comprendendo ciò che le sto dicendo.
Non rispondo, scuotendo la testa irritata, apro la porta preparandomi a chiamare Nathaniel, ma per mia sfortuna trovo la sala delegati completamente vuota. Kim si avvicina alle mie spalle chiedendomi cosa sto cercando.
<< Nulla >> rispondo sospirando, poi richiudendo la porta, mi volto verso di lei domandandole se ha voglia di un caffè.
 
***
 
Non saprei dire se è partito tutto dall’inizio o è ultimamente, ma ammetto che le risate mi inculcano un senso di fastidio.
Cercando di non pensarci, giro lentamente il cucchiaino nella tazzina bianca contenente quel cremoso e profumato espressino, mentre la mia amica di fronte a me, cerca disperatamente di riprendere fiato e successivamente il controllo sulla sua serietà, che da quando si è rifatta viva, l'ha sotterrata in non so quale fossa.
Le persone agli altri tavolini ci guardano curiosi, mentre il barista, alza il volume della tv affissa sulla parete per coprire con la musica i versi inopportuni della bruna, che se ne sbatte altamente di fare figure.
<< Kim, ti prego, finiscila >> sussurro senza muovere le labbra e mettendomi una mano come para-ventino sul lato destro del viso. In quanto a discrezione: zero.
<< Scusami, ma è più forte di me! Non riesco a credere a ciò che mi hai appena confessato. Che diamine! Stiamo parlando di Nathaniel! No, dico: quel perfettino rompi palle! Ti rendi conto? >>
<< Sì, però abbassa la voce. Ci stanno fissando tutti >>
<< Ok, ok. Non ti allarmare >>, è strabiliante il modo con il quale ha ripreso il suo controllo sulla serietà. Sorseggia il suo caffè come se fosse nulla, ed io la guardo sbigottita, anche se avrei dovuto aspettarmelo da una come lei.
Tranquillizzata, libero il mio viso dalla mano e finalmente posso gustarmi in santa pace l'espressino.
<< Il preside lo sa? >> chiede ad un tratto la bruna facendomi andare di traverso una goccia della bevanda. Tossisco dandomi dei colpetti sul petto.
<< C-Castiel? >> chiedo balbettando.
<< E chi se no? >>
<< No, non lo so >> rispondo incerta << cavolo Kim, ho visto solo io questa cosa, come fa a saperlo Castiel? E poi anche se lo sapesse, penso che me lo direbbe >>
<< Oh sì certo! Come quando ti disse che suo padre gli fece firmare quella maledetta carta per il matrimonio con quella puttana, oppure come quando ti disse che il padre è caduto nella merda e lui si è finalmente liberato di quella stronza... >>
<< Kim... >> la interrompo con sguardo triste.
<< Ok. Basta. Mi ero ripromessa di fregarmene. È per questo che sono sparita per quasi due settimane. La vostra storia mi sta facendo nascere dei sentimenti. Ma purtroppo anche volendo allontanarmi da voi, è impossibile farlo. Che cazzo! Mi state attaccate come stalcker in calore! >>
Sorrido sentendola parlare in questo modo. Scherza, e so che lo fa per cambiare discorso, ed io non posso fare altro che accontentarla.
<< Allora? Cosa farai, glielo dirai? >> chiede dopo qualche istante di silenzio.
<< Non lo so, prima vorrei arrivare in fondo a questa storia >> rispondo passandomi una mano sul viso.
<< Ma dovrai farlo in fretta, prima che lo scopra qualcun altro >>
Guardo atterrita il volto della mia amica, al solo pensarci mi sta venendo il volta stomaco, e non in senso figurato. Un conato di vomito mi pervade la gola facendomi istintivamente portare una mano sulla bocca.
<< Cos'hai? >> chiede la bruna appoggiando la tazzina sull'apposito piattino. Scuoto la testa ingoiando a fatica la saliva.
<< Nulla >> rispondo poi sorridendo << È che ciò che mi hai detto mi ha un po' scosso >>
<< Non l'ho detto per scherzo. Se quell'idiota si fa scoprire così facilmente, e soprattutto a sua insaputa, di sicuro farà succedere un cataclisma >>
<< Cosa posso fare? >> chiedo scrollando le spalle afflitta.
<< Cerca di trovare una soluzione >> risponde sicura.
<< Sì, ma come? Io non posso, e non voglio prendere provvedimenti, tutto questo è assurdo! >> esclamo volgendo lo sguardo da un'altra parte, poi affondando la fronte sulla mano sbuffo innervosita << Quando penso di stare lontana da queste situazioni, alla fine, mi rendo conto di trovarmi a un passo da loro. Non so per quale motivo continuo a voler lavorare ancora in quel liceo >>
<< Te lo dico io il perché >> m'interrompe incrociando le braccia al petto << Sei troppo legata al passato, che è il liceo a rappresentarlo. Non riesci a guardare al presente o a pensare al futuro, l'unica cosa che non riesco a capire, è perché lo fai? >>
<< Io... >> guardo nel vuoto rendendomi conto che ha perfettamente ragione << non lo so >> riesco a rispondere, con il pensiero di un'unica persona che mi balena nella mente: Armin.
Subito quel miscuglio di dolorosi ricordi ritorna a logorarmi.
Anche se adesso per lui non provo altro che disprezzo, nel mio cuore non ho mai accettato il modo con il quale è andata a finire. Anche se non l'ho mai amato, gli ho voluto veramente bene. Cos'è successo? E perché è accaduto?
Se solo quel giorno non avessi accettato...
<< Rea mi stai ascoltando? >>, quella domanda mi riporta repentinamente al presente, apro e chiudo velocemente le palpebre volgendo gli occhi sul viso di Kim.
<< C-cosa c'è? >> chiedo smarrita.
<< Ti ho chiesto se possiamo andare? >>
<< S-sì, sì, certo >> rispondo alzandomi dalla sedia e guardando l'ora sul televisore a schermo piatto.
Ritorniamo al liceo in silenzio. Kim si congeda dicendo che ha da fare. Non le chiedo nulla, la saluto soltanto ed entro nell'edificio raggiungendo il mio studio.
Percorrendo lentamente il corridoio, vedo a un tratto sbucare la figura alta e snella di Nathaniel. Il mio cuore ha un sussulto, e inizio a sentirmi a disagio. Mi guardo intorno cercando di scorgere una porta di qualsiasi aula, per ficcarmici dentro e risparmiarmi la sua vista, ma sfortunatamente l'unica cosa che vedo, sono file a schiera di armadietti blu.
<< Rea! >>, mi chiama lui in lontananza.
"Dannazione, non voglio parlargli". Mi accingo a voltarmi indietro, ma sento i suoi passi farsi più veloci e in men che non si dica, me lo ritrovo a pochi metri di distanza.
<< Rea, aspetta! >>
Mi fermo, preparando un sorriso forzato, il meglio che possa fare.
<< Dimmi? >> chiedo voltandomi lentamente.
<< Ti stavo cercando, Castiel si trova nel tuo ufficio e ha chiesto di te >>
<< Castiel? >> chiedo sbigottita << Ma oggi non doveva venire... >> mormoro titubante "Mi ha detto che aveva da fare con la vendita della villa". Vedo il biondino fare spallucce e guardarmi con aria innocente.
<< Ci vado subito, Nathaniel >> soggiungo. Lui annuisce, poi salutandomi, si allontana con la sua composta andatura. << Nathaniel! >>, ho però la felice idea di fermarlo. Lui si gira per guardarmi incuriosito.
<< Cosa c'è? >>
Ecco, brava. Adesso cosa t'inventi? E non pensare di rispondere nulla, oggi hai già fatto abbastanza figure del cavolo, non crearne altre!
<< Oggi scherzavo >> rispondo prendendo al volo il primo mezzo pensiero accucciato in un angolo della mia mente.
<< A proposito di che? >> chiedo lui non comprendendo.
<< Per la giornata dei club. Se non riesci a vedertela da solo, chiedi aiuto a qualcuno >>
<< Grazie Rea, ci penserò >>; e detto questo ritorniamo ognuno nei rispettivi uffici.
Arrivata davanti la porta del mio, apro senza curarmi di bussare, sicura di fare un dispetto al rosso, ma con mia sorpresa non lo trovo. Eppure il delegato mi ha detto che mi stava aspettando. Mi dico pensierosa.
Afferro il cellulare dalla tasca dei miei pantaloni, e digitando il suo numero telefonico lo chiamo.
Non si fa attendere molto, dopo uno squillo risponde alla chiamata.
<< Mi cercavi? >> chiedo emozionata come una ragazzina alle prese con il primo amore, dopo aver sentito la sua voce calda e sensuale.
<< Dove sei? >>
<< In ufficio >>
<< Vieni sul retro del club di giardinaggio >>
<< P-perché? >>
<< Vieni e vedrai >>. Con queste due piccole parole, termina la chiamata lasciandomi in balia di fremiti e furiose palpitazioni.
Senza pensarci due volte, esco dall'ufficio recandomi quasi con passo svelto verso il posto indicatomi da Castiel.
Arrivata non vedo nessuno, ho il fiatone, e mi guardo intorno speranzosa di trovarlo, quando a un tratto sento due braccia calde e forti cingermi da dietro i fianchi, due labbra più brucianti del fuoco poggiarsi sulla mia nuca e un profumo a dir poco travolgente penetrare le mie nari facendomi chiudere le palpebre estasiata.
<< C-Cass... >> sibilo chinando il capo all'indietro, dandogli così libero accesso al resto della mia epidermide.
<< Mi sei mancata >> sussurra il rosso continuando a mordicchiarmi. Mi volto verso di lui, afferrandogli il viso, e dopo avergli donato un fugace e languido sguardo, gli offro le mie labbra vogliosa dei suoi ardenti baci.
Lui non perde altro tempo, e poggiatami di spalle al muro, appoggia il suo busto sul mio passando le mani sotto la mia maglia, libero di esplorarmi.
Anche se presa dall'eccitazione, riesco ad accorgermi, che vuole portare i suoi atti a livelli più alti, non appena ha passato le sue mani sulla cinta del mio pantalone. Subito lo fermo, divincolandomi dai suoi insaziabili baci.
<< Castiel, no che fai? Non possiamo, non qui! Se ci vedesse qualcuno... >>
Lui si distacca guardandomi con i suoi occhi tramutati in specchi d'acqua, talmente sono lucidi e ricolmi di lussuria, e con l'affanno che gli impedisce di proferir parola, mi afferra la mano, invitandomi a seguirlo.
Mi blocco << Dove mi porti? >> gli chiedo curiosa.
<< Vieni con me >>
<< Sì, ma dove? >>
Senza rispondermi, mi indica la finestra dell'aula di chimica.
Seguo il suo sguardo e non appena vedo la parte indicata, sgrano gli occhi incredula.
"Oh, no! Non ci pensare nemmeno! Ma per quale cazzo di motivo con tutte le aule di questo istituto, devono scegliere per forza quella di chimica? Che cos'ha di tanto speciale?".
Castiel continua a tirarmi, e senza obbiettare lo sto seguendo, mentre nella mia mente una piccola vocina mi dice di fermarmi. Decido, così, di seguire il suo consiglio.
<< Aspetta Castiel, non possiamo andare lì >>
<< E perché no? >> chiede lui senza lasciarmi la mano.
<< Perché... perché è scomodo. Andiamo in infermeria >> "ma sono un'idiota o cosa?"
<< A quest'ora l'unica stanza vuota è quella di chimica >> risponde riprendendo a camminare e trascinandomi con se.
Non replico, e lo seguo in silenzio, ma è in questo momento che mi viene in mente un pensiero: forse dovrei dirgli ciò che ho visto e chiedergli cosa pensa di fare; ma se non glielo dico ho paura che possa scoprirlo qualcun altro. Dannazione! Perché ho quest'ansia? Non voglio andare in quell'aula, ho come una strana sensazione.
Mentre penso a tutto ciò, la porta dell'aula di chimica si avvicina repentinamente ai miei occhi. Ho uno scatto, fermo ancora una volta Castiel, mettendomi davanti a lui per bloccargli il passaggio.
<< Ma che ti prende? >> chiede inarcando le sopracciglia.
<< Nulla, non voglio entrare qui dentro >> rispondo con voce tremante.
<< Ma perché? >>. Non rispondo. Cazzarola, non so cosa dirgli. Lui sbuffa infastidito, mi afferra per un polso tirandomi a se. << Sono due giorni che non ti vedo, e adesso non puoi comportarti in questa maniera... >>, allunga la mano verso la maniglia, abbassandola. Dal canto mio, non posso fare altro che guardare arresa, le sue mosse. Ma sì. Mi dico. È solo una mia fissazione.
<< Non verrà nessuno >> aggiunge beffardo Castiel, aprendo la porta, e mentre lo fa, ciò che si staglia subito dopo davanti ai suoi occhi, gli fa ingoiare le altre parole che si era accinto ad esprimere.

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Capitolo 35
*** Era solo uno sbaglio ***


BAKA TIME: E’ davvero inutile cercare di chiedervi perdono per l’assurdo e disastroso ritardo. Purtroppo il tempo a mia disposizione scarseggia ogni minuto che passa. Non so davvero come scusarmi.
Spero solo che questo capitolo possa piacervi.
Colgo l’occasione, prima di andare incontro a Morfeo, di ringraziare chi ha inserito questa mia pazzia nelle preferite. Siete davvero in molte e non sapete quanto questo mi renda estremamente felice.
GRAZIE DI CUORE!!!
Buona lettura ^*^
 
36° Capitolo: ERA SOLO UNO SBAGLIO
 
 
 
Stringo forte nella mia mano un lembo della manica di Castiel, quasi da non sentirlo nemmeno, mentre il rosso con uno sguardo inespugnabile, continua a guardare la scena che si staglia davanti ai nostri occhi: Nathaniel è steso su dei cuscini posti a mo' di letto, completamente nudo; davanti a lui, in ginocchio, con una mano immersa fra i suoi capelli, una studentessa del quinto anno. Tutti e due ci guardano con occhi sgranati dalla paura.
Sotto il mio tocco, sento Castiel accennare un lieve movimento, e non riuscendone a capire il motivo, lo tiro a me per fermarlo.
<< Cass... >> sibilo con voce sommessa.
<< Ra-ragazzi! >> esclama Nathaniel catapultato nella realtà e forse, accortosi della sua nudità, afferra un cuscino e se lo preme sul suo membro, che pur volendo, non ho potuto fare a meno di notare.
<< Ra-ragazzi, non-non è come sembra... >> riprende il biondino mettendosi a sedere sui cuscini.
<< Nath, mi avevi detto che a quest'ora non sarebbe venuto nessuno! >> sussurra a denti stretti la ragazza, completamente rossa in volto.
<< Per favore, alzati >> le risponde il delegato volgendo lo sguardo imbarazzato da un'altra parte. La studentessa segue il suo consiglio, e rimessasi in piedi, ci da le spalle affondandovi la testa.
<< Potete darmi il tempo di vestirmi? >> chiede ancora Nathaniel, passandosi afflitto una mano fra i capelli.
Con i nervi e l'ansia a fior di pelle, non posso più trattenermi; lascio la presa del rosso, e di scatto chiudo la porta alle mie spalle, poi tremante di un'inspiegabile sensazione, mi posiziono davanti al biondino abbassando lo sguardo per non incrociare il suo corpo.
<< Nath... con tutti i posti che ci sono... >>
<< Aspetta Rea, fammi spiegare... >> m'interrompe deciso.
<< Non voglio sapere niente! >> incalzo volgendogli lo sguardo << questi sono affari tuoi, però non posso esonerarmi dai miei doveri. Succedono molte cose strane in questo liceo e il fatto che ci sia una... tresca, fra un delegato e una studentessa... >>
<< Aspetta un momento, che cosa stai pensando? Guarda che ti stai... >>
<< No, Nath. Ho capito perfettamente. Ormai, ciò che succede qui dentro, non mi stupisce più di tanto >> lo interrompo alzando la voce.
<< Rea, sta zitta >> interviene Castiel alle mie spalle. Mi giro verso di lui fulminandolo con gli occhi.
<< Non mi sto zitta! >> lo ammonisco, poi rivolgendomi ancora verso il biondo aggiungo: << Siete due irresponsabili! Immaginate se al nostro posto fossero entrati degli estranei! Almeno chiudete la porta a chiave. La storia fra un segretario e una studen... >>. Tappatami la bocca con la sua mano, Castiel mi tira a sé, ripetendomi di tacere.
<< Mhmm >> mugugno cercando di liberarmi, ma lui, autoritario, stringe la presa, e a quel punto decido di arrendermi.
<< Piantala di dire stronzate... >> aggiunge poi, lasciandomi e piazzandosi davanti, coprendomi così l'intera visuale.
"Che intenzioni ha?" mi chiedo fissandolo come un ebete. "Non vorrà mica picchiarlo?!". Quel pensiero mi balena per la mente come un fulmine a ciel sereno. Ma perché devo sempre pensare al peggio?
Mentre i miei pensieri vagano assurdi nel vuoto, mi accorgo che Castiel sta fissando la studentessa, e che quest'ultima, lo ricambia con timore.
<< Come ti chiami? >> le chiede dopo un po'.
<< Jenny >> risponde lei tremante.
<< Chi ti ha permesso di usare quest'aula per il tuo lavoro? >> riprende il rosso sicuro di se, incrociando le braccia al petto.
"Ma che diavolo sta dicendo? Quale lavoro?"
<< Castiel, non darle colpa >> interviene Nathaniel mantenendosi il cuscino davanti le sue parti basse.
Dannazione! Penso imbarazzata. Come caspita può continuare il ragionamento con questa strafottente semplicità, mentre è ancora nudo? Va a coprirti, porca miseria!
<< Sono stato io a dirle di venire qui... >>
<< No Nathaniel! >> lo interrompe la ragazza guardandolo quasi disperata << non mentire... Preside, la verità è che sono stata io a chiedere a Nathaniel di posare per me, nudo. La professoressa di comunicazione visiva ha assegnato un compito, e siccome sono ormai dieci lezioni che salto, mi ha punita dicendomi che non potevo entrare nel laboratorio di artistica e che dovevo portarle entro oggi un dipinto, se voglio passare gli esami di fine trimestre, e conoscendo i gusti della prof, ho pensato che disegnando un nudo, ritraente un volto angelico come quello di Nathaniel, mi sarei potuta salvare... >> fa una pausa per riprendere fiato.
La guardo con la mascella slogata, sento il mento voler precipitare al suolo. Come cavolo facevo a capire che si trattava solo di questo? Andiamo! Il ragionamento che ho sentito ore fa, era tutt'altro che normale! Ricordo perfettamente il loro discorso quando sono entrata dalla finestra. Si trovavano nell'anticamera, lui appoggiato alla colonna e lei davanti che gli teneva strette le mani supplicandolo di farlo.
Ora. Un qualsiasi individuo che assiste involontariamente a questa scena, cosa avrebbe mai dovuto pensare?
Per di più, come fa questo pervertito pittato di rosso a capire al volo tutto?
Sospiro rassegnata abbassando il capo e scuotendolo.
<< Cosa succederà adesso? >> chiede Jenny volgendo lo sguardo verso Nathaniel, il quale, senza proferir parola, accenna spallucce.
<< Innanzitutto, tu va a vestirti >> risponde Castiel rivolgendosi bruscamente al biondino << tu... >> guarda Jenny, << ...porta tutto il tuo occorrente nel laboratorio di disegno; e tu... >> mormora poi verso di me << torna subito nel nostro ufficio... >>
<< Ma per... >> cerco di ribattere contrariata a quel suo ordine, ma lui mi interrompe prontamente, fulminandomi con quel suo sguardo tempestoso, << Va! >> esclama ammonendomi.
Come un cane bastonato, esco dall'aula di chimica e mi dirigo a passo lento nel mio ufficio. Vi rimango per almeno un quarto d'ora, aspettando impaziente il suo arrivo per scoprire che cosa gli sia passato per la mente, da congedarmi in quella maniera.
Dopo un po' vedo la porta aprirsi; Castiel entra, richiude e rimane fermo lì a fissarmi serio.
<< Che c'è? >> mi stringo nelle spalle.
<< Una tresca? >> chiede storcendo le sopracciglia e incrociando le braccia al petto << che razza di manga perverso hai letto questa volta? >> sogghigna beffardo. Non rispondo, mi limito solo a fissarlo con bieco.
<< A volte mi chiedo se ci sia vita nel tuo cervello! >> continua senza cambiare espressione.
<< Mi dispiace non essere all'altezza dell'intelligenza di vostra maestà >> esclamo accennando un inchino.
<< Ma per che diavolo devi pensare sempre a cose perverse? >>
<< Non è mica colpa mia, se quei due idioti non chiudono la porta a chiave. Che cavolo! Non dirmi che fra noi due, sono stata l'unica a pensare al peggio! >> replico scrollando le spalle.
<< Ma non ti sei accorta della grande tela che Jenny aveva messo davanti al delegato? >> chiede  con rimprovero.
"Veramente i miei occhi sono stati catturati da tutt'altra visione", penso, e mi limito a far rimanere nella mia mente questa frase, non vorrei farlo arrabbiare, anche se sono sicura che sia tutto inutile, perché il mio viso deve aver attuato un'espressione strana, dato che Castiel mi sta infuocando con gli occhi.
<< Ti sei goduta lo spettacolo? >> chiede digrignando i denti.
<< Che dici? >> ribatto riuscendo ormai a sentire il viso avvamparsi, mentre riporto i miei pensieri al corpo completamente nudo di Nathaniel.
Come una furia, il rosso si avvicina e mi spinge verso la cattedra impedendomi ogni via di fuga.
<< Che ti prende? >> chiedo trattenendo a stento una risatina divertita.
<< Lo sai che questa situazione potrebbe portare una conseguenza? >>
<< Quale? >> domando facendo la gnorri.
Non risponde, assottiglia gli occhi, e sembra volermi infiammare con gli stessi, mentre mi accorgo che la sua mano, sta lentamente salendo le curve del mio fianco sinistro.
Un brivido di piacere subito mi pervade, e per non farglielo notare, trattengo il respiro che sicuramente avrei lasciato sotto forma di gemito.
Lentamente Castiel si curva sul mio collo, leccandomi il punto più sensibile; poi la sua lingua dà spazio ai denti che iniziano a mordicchiarmi la pelle, e qui non posso fare a meno di lanciare all'aria un lieve mugolio.
<< Non così... >> sussurro tra gli ansimi << ...mi fai male >>
Le sue labbra salgono ancora più su, fino a posizionarsi sull'orecchio << Non guardare più nessun altro uomo >> sussurra con voce suadente. Il suo fiato riscalda il padiglione auricolare, fino a farmelo sentire infuocato.
<< A-altrimenti? >> provo a sfotterlo, ma con estrema difficoltà dato che ormai sono succube del piacere che mi sta provocando.
Non risponde, si distacca da me, mi guarda dritto negli occhi con sguardo serio << Ciò che è mio... >> sibila << ...non è di nessun altro >>.
Quelle ultime parole mi fanno rabbrividire, ma non è paura, si tratta di una sensazione indescrivibile.
Da quando siamo tornati a stare insieme, Castiel, alle volte, ha questi atteggiamenti possessivi nei miei confronti; potrebbe sembrare un comportamento negativo, ma non lo è affatto. So che si comporta in questa maniera perché non sopporterebbe un'altra rottura nella nostra storia, e questo non lo sopporterei neanche io.
Tutto ciò mi riporta alla mente una sera di quattro anni fa, quando si ingelosì degli atteggiamenti che quel maledetto di Viktor aveva nei miei confronti, per non parlare di quello che successe dopo.
Potrei sembrare sadica, ma non posso fare a meno di ammettere che questi suoi comportamenti da geloso e possessivo, mi fanno impazzire.
Istintivamente gli artiglio gli omeri e curvo ancora di più la testa all'indietro incitandolo, così, a continuare. Lui però non mi accontenta; lentamente si distacca da me, lasciandomi frastornata. Lo guardo con estrema incomprensione.
<< Perché? >> chiedo storcendo le sopracciglia.
<< Mi sono ricordato che devo fare una cosa >> risponde sbrigativo, passandosi una mano fra i capelli.
<< Cosa? >> replico curiosa.
<< Si tratta della giornata porte aperte... >>
<< Di' un po'... >> lo interrompo incrociando le braccia al petto << ti si è storto il cervello? >>
<< Perché? >> chiede non capendo.
<< Interrompi le tue perversioni, per pensare a cose serie? Che ne hai fatto del pervertito pittato di rosso? >>
Castiel sorride a quella mia battuta, e il suo sguardo è ritornato a colmarsi di malizia. Si avvicina un'altra volta a me, porta una mano sulla mia guancia carezzandomela con dolcezza, poi mi stampa un lieve bacio sulle labbra e guardandomi negli occhi sussurra: << Ti manca quel lato di me? >>
Sento le guance avvampare, mentre il cuore inizia a martellarmi in petto. Con la testa, accenno un movimento strano e involontario: cerco di divincolarmi imbarazzata da quelle parole, ma lui riesce a trattenermi e continuando a sorridere m'invita a rispondere.
<< Ma che dici?! >> esclamo << Non siamo più diciassettenni, non mi mancano affatto le tue perversioni, anzi... potrei dire che erano una seccatura per me! >>
<< Bugiarda! >> mi ammonisce linciandomi con gli occhi.
<< Cosa?! >> ribatto atteggiandomi a offesa.
<< Ti conosco così bene da sapere che ogni volta dici una cosa, ma ne pensi un'altra >> risponde semplicemente cingendomi i fianchi.
Mi accingo a ribattere ma la mia voce muore in gola lasciandomi con le labbra dischiuse e una sensazione di estremo imbarazzo, nel constatare che ha perfettamente ragione.
"Cavolo! Certo che mi manca quel lato! Perché devo negarlo? In fin dei conti, sono stata anni a pensare al passato e a morire di malinconia ogni volta che mi perdevo nei ricordi".
Un forte senso di tristezza mi pervade, e quasi inconsciamente, mi ritrovo ad abbracciare Castiel poggiando la fronte sul suo petto. Chiudo gli occhi sospirando rumorosamente, tremando nel farlo.
Lui mi accarezza i capelli, condividendo l'abbraccio, poi ripetendomi che deve andare, si allontana, salutandomi con un sorriso.
Rimango un'altra volta sola nel nostro studio. Sbuffo infastidita, rimuginando sul fatto che non mi è andato per nulla giù il suo comportamento.
<< Ridammi indietro il mio Castiel... >> sussurro afflitta guardando la porta d'entrata.
 
***
 
Il cielo d'inverno lascia sempre nell'ambiente quell'aria di tristezza e inquietudine, specialmente se l'azzurro manto viene tinto da quel plumbeo colore che preannuncia l'inizio della tempesta.
Le previsioni del tempo dicono che nei prossimi giorni il sole spaccherà anche le più piccole pietruzze.
Questo è ciò che si ostina ad insinuare il meteo sul mio cellulare.
"Ma possibile che non azzecchino mai?" mi chiedo volgendo lo sguardo verso l'alto, mentre scorgo fra quella gigantesca ovatta macchiata di polvere che le luci dei lampi annunciano la loro presenza accendendosi ad intermittenza.
<< Sarà meglio che mi sbrighi >> sussurro attraversando la strada per raggiungere il cancello dell'asilo.
Entrata nell'istituto incontro la bidella: una donna bassa ma esageratamente grossa con il sorriso stampato eternamente sul volto che ogni giorno mi guarda e con una vociona da fare invidia a quella di un orco, mi chiede come sto; << Tutto a posto >> rispondo da copione.
Solitamente, la conversazione termina lì, ma oggi aggiunge: << Rea aspetti, le devo dire una cosa! >>
<< Mi dica >>
<< È venuto Armin questa mattina >> risponde tutto d'un fiato. La guardo impietrita, mentre il mio cervello cerca inesorabilmente di captare ogni significato delle parole che formano quella frase.
"Armin è venuto qui?" mi chiedo confusa "perché?!". Sento il cuore accelerarmi in petto, mentre come un automa mi avvicino alla bidella, l'afferro per un braccio e le chiedo spiegazioni. La mia voce fuoriesce talmente preoccupata che la donnona esita nel rispondermi.
<< La prego signora, mi dica cosa voleva? >> insisto cercando di placare l'ansia.
<< Mi ha solo chiesto se suo figlio era venuto all'asilo... >> mormora lei stringendosi nelle spalle.
<< E poi? >>
<< E-e poi nulla, ha salutato e se n'è andato >>
Lentamente e sospirando di sollievo, lascio il braccio della signora cercando di sorridere per annullare dal mio volto quell'espressione di preoccupazione.
<< Ok, grazie per l'avvertimento signora >> aggiungo prima di salutarla e raggiungere la classe di mio figlio.
Non appena mi vede, Etienne balza dalla sedia e mi corre incontro preparandosi ad essere accolto con un abbraccio. Lo accontento senza pensarci due volte, poi, salutata la maestra, usciamo dall'asilo.
Usciti, la pioggia ci assale, precipitando al suolo così violentemente da risuonare nell'aria forte e fastidiosa. Prendo mio figlio in braccio e copertogli la testa nel miglior modo possibile, mi inoltro nella pioggia per raggiungere velocemente l'auto.
Sento Etienne ridere, mentre lo adagio sul sedile passeggeri; lo guardo con un sorriso incerto, dato che nella mia mente risuonano ancora presuntuose le parole della bidella.
"Che diavolo sta succedendo? Perché Armin si è presentato all'asilo dopo un mese che non ci siamo né visti né più sentiti? Eppure gli avevo detto di stare lontano da Etienne! Che cosa vuole?"
<< ...mi senti?! >>, la stridula vocina del bambino mi riporta bruscamente alla realtà. Lo guardo stranita, chiedendogli cosa vuole.
<< Ti sei incantata! >> afferma guardandomi sottocchio << Perché non parti? >>
<< Lo faccio subito Etienne >> rispondo girando la chiave per accendere il motore.
<< Che hai? >> mi chiede dopo un po'.
<< Stavo solo pensando >> rispondo accennando spallucce.
<< Sai, mamma? >> riprende dopo qualche istante di silenzio.
<< Dimmi, Etienne >>
<< Tu pensi che papà non mi voglia più bene? >>
Dopo quella domanda inaspettata, il mio corpo viene travolto da un fremito; mi accorgo di aver perso per una frazione di secondo il controllo dell'auto, e stringendo il volante, cerco di riprendermi.
<< E-Etienne... >> balbetto, rendendomi conto che l'ansia non mi ha del tutto abbandonata << ...perché mi fai questa domanda? >>
<< Un mio amico mi ha detto di aver visto papà all'asilo mentre parlava con la bidella... >> si ferma incrociando le braccia al petto per poi affondare la testa nelle spalle e imbronciarsi << ...io pensavo che lui era venuto per vedermi, e invece se n'è andato senza neanche salutarmi. Non lo vedo da tanto tempo, uffa! >> esclama poi con voce offesa.
"Perché?" mi chiedo "Per quale motivo deve essere tutto così difficile?". Gli angoli delle mie labbra iniziano a tremare, mentre sento il bisogno di inumidirmi gli occhi che stanno bruciando.
Ad un tratto avverto una strana sensazione di dolore pervadermi il cuore. "Non doveva andare così" ammetto nei miei pensieri, "Armin non doveva fare ciò che ha fatto, e io non avrei dovuto illuderlo, non avrei dovuto illudermi di amarlo. L'unica ad aver sbagliato sono io, e il dolore più immenso che sto provando, è la consapevolezza di non poter riuscire a tornare indietro".
<< Mamma, posso chiamarlo? >> chiede ad un tratto il bambino, fissandomi con occhi speranzosi.
<< Ti manca così tanto? >> chiedo intristita.
<< È il mio papà >> risponde annuendo.
Sobbalzo ancora una volta, e velocemente fermo la macchina per permettere al mio stato d'animo di avere una parte in questa situazione.
Piango, e lo faccio con una incontrollata disperazione. Non riesco a fermarmi, anche sentendo mio figlio chiedermi il perché e pregarmi di smettere, io non ci riesco.
Sembro una bambina che aspetta invano la coccole della sua mamma per trovare un po' di pace.
Etienne, con un balzo passa sul mio sedile abbracciandomi, stringendomi forte e piangendo insieme a me.
<< Mamma, ti prego, smettila di piangere... >> sussurra tra i singhiozzi.
<< Etienne, perdonami... >> mi ritrovo a dire inconsapevolmente.
<< E di cosa? >>
Non riesco a proseguire, sembra che la mia voce si sia solidificata in gola dandomi un senso di soffocamento.
Forse Etienne comprende il mio stato, perché mi stampa un bacio sulla guancia e mi asciuga le lacrime con le sue morbide manine. Lo guardo negli occhi, e quel colore famigliare mi allevia il cuore da questo ribelle dolore.
<< Torniamo a casa... >> sussurra poi, regalandomi un ultimo abbraccio.
 
***
 
Il liquido marrone, dal sapore di cioccolato, ha smesso di fumare nel tazzone da un bel po'.
Tengo la porcellana incollata alle mie dita, mentre con gli occhi fisso i cerchi sulla superfice che si formano a ogni mio lieve movimento.
Fuori, il cielo continua a piangere. Lo guardo dalla finestra e mi accorgo che anche se i termosifoni sono accesi, ho freddo.
Etienne sta guardando la televisione, accanto a lui c'è Kim che svogliatamente e sbadigliando, sfoglia una rivista di moda.
Se non fosse per le voci del televisore, il silenzio sarebbe stato il padrone della casa.
Dopo essere ritornati, non ho fatto altro che stare zitta e pensare ad Armin.
La domanda che mi sono posta all'asilo, mi sta ancora attanagliando la mente. Più di una volta sono stata tentata di chiamarlo e chiedergli spiegazioni, ma non so per quale motivo, ogni volta che ho afferrato il cellulare, la mia mano si è immobilizzata e non sono più riuscita a continuare la mia intenzione.
Quando è venuta Kim, e naturalmente ha notato la mia stranezza, ho accennato spallucce e mugugnato qualcosa di incomprensibile.
Non so cosa cavolo volevo dirle, fatto sta che dopo quel verso non ho più aperto bocca e neanche lei mi ha fatto domande.
Sospiro chiudendo gli occhi. Mi passo una mano sulla fronte soffermandomi con le dita sulle tempie per massaggiarmele.
<< Che palle! >> sento esclamare ad un tratto. Riapro gli occhi di scatto volgendoli direttamente sulla bruna che si è alzata dal divano e ha scaraventato il giornale sul tavolino difronte.
<< Odio la pioggia >> afferma avvicinandosi alla finestra dove mi trovo. << Avevo un appuntamento oggi ma ho dovuto rifiutare >> continua, forse aspettandosi una risposta che non do.
Lei mi guarda e lo fa storcendo le sopracciglia. Ricambio il suo sguardo stringendomi nelle spalle.
<< Si può sapere che diavolo ti prende? >> chiede poggiando le mani sui fianchi << Sono ore che stai zitta! Cos'è, Castiel ti ha dato un violento bacio che ti ha strappato la lingua? >>
Sorrido lievemente volgendo ancora lo sguardo verso la finestra.
Castiel. Penso. Com'è possibile che questa notizia mi abbia quasi fatto dimenticare di lui? No, non posso continuare così. Devo prendere una decisione e devo farlo il più in fretta possibile.
Ignorando completamente Kim, scatto in avanti, raggiungendo velocemente le scale, lasciando così la bruna, che continua a parlare ma inutilmente, non ho sentito neanche una parola di ciò che ha detto.
Entro in camera mia, guardando il telefono sul comodino. Rimango ferma e pensierosa, poi, volgendo lo sguardo dietro di me, mi assicuro che Kim non mi abbia seguita, e quando mi accorgo di essere completamente sola, chiudo la porta a chiave e lentamente mi avvicino al comodino. Afferro esitante la cornetta, e dopo aver catturato abbastanza aria nei polmoni, digito il numero di cellulare di Armin; appoggio il pollice sul pulsante verde e mi ritrovo a lottare contro la volontà di non schiacciarlo.
Tic.
Quel suono rimbomba nell'aria, assurdo.
Istintivamente ma tremante porto la cornetta all'orecchio e attendo con ansia.
Tu... tu... tu...
<< Pronto? >>.

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Capitolo 36
*** Il prezzo della verità ***


36° Capitolo: IL PREZZO DELLA VERITA’
 
Avere mal di pancia è una cosa naturale se si è in ansia; ma averci passato la notte, e reggerlo ancora per tutta la giornata, non è normale.
Il motivo per cui mi sto contorcendo lo stomaco come una dannata, potrei affibbiarlo alla chiamata effettuata ieri in un momento di confusione mentale. Ma Dio Santo! L'ho fatto perché quel pensiero mi stava distruggendo!
Se la persona con cui hai drasticamente rotto, si ripresenta dopo un mese di lontananza, senza saperne il motivo e per di più all'asilo, chiedendo di suo figlio, cosa dovrebbe significare?
Beh, io c'ho provato: mi sono concessa a quella curiosità che il più delle volte sotterro nei meandri dei miei sentimenti per non ritrovarmi con i rimorsi che iniziano a divorarmi l'anima. Ho chiamato Armin e naturalmente adesso ne sto pagando le conseguenze.
Il dolore di pancia è dovuto alla colpa che mi sto dando per aver fatto di testa mia e non aver chiesto consiglio a Kim, che come ha ben detto, mi sono comportata male anche nei confronti di Castiel, per non averlo avvisato.
<< Pensa come potresti sentirti se lui l'avesse fatto a te! >> mi ha rimproverato la bruna dopo aver ascoltato tutta la mia conversazione con Occhi di Ghiaccio. Purtroppo mi sono resa conto troppo tardi della sua presenza.
<< Cosa ho fatto di sbagliato? >> ho provato a difendermi.
<< Tutto ciò che fai di testa tua è sbagliato! >> mi ha ammonito alzando la voce.
Inutile negare, che mi sono sentita come una bimba messa ingiustamente in punizione; e adesso che ci sto ripensando, mi sto pentendo della mia avventata azione.
Secondo l'idea di Kim, non dovrei per nulla al mondo perdonare l'atto spregevole di Armin. << Non dovevi neanche azzardarti a pensare di chiamarlo >> ha esclamato sfoggiando la sua rabbia, senza alcun contegno.
<< Non l'ho chiamato per perdonarlo! >> ho affermato infastidita dalla colpa che mi sta appropriando.
Kim ha ragione, non posso perdonare così facilmente Armin, ma d'altro canto non posso fare a meno di pensare che in mezzo a questa storia, anche io ho le mie colpe.
Mentre guardo fuori dal finestrino dell'auto della bruna, mi accorgo che quest'ultima ha rallentato per poter scalare di marcia.
<< Ascoltami Rea... >> riprende dopo aver sospirato nervosamente << ...sei una donna matura ormai, e non sono certo io quella che deve ricordartelo >> aggiunge girando il volante verso il lato destro della strada << sta attenta. La vita ti ha messa a dura prova non una, ma tante volte. Neanche io riesco a capire per quale motivo Armin abbia avuto la felice idea di presentarsi all'asilo senza vedere Etienne, ma non riesco a togliermi dalla mente che se tu accettassi di incontrarlo, questo porterebbe solo guai >>
<< Non parlare così, Kim >> sbuffo passandomi nervosamente una mano tra i capelli << Tu credi che io non abbia pensato lo stesso?... i-io non ce la faccio a non chiedermi perché è andato da Etienne. Sono preoccupata. Ha detto che vuole parlarmi, e il tono che ha usato per dirmelo, non fa altro che accrescere in me l'ansia e anche la paura >>
<< Lo dirai a Castiel? >> chiede a un tratto. Le volgo lo sguardo di scatto. Mi accorgo di trattenere il respiro, mentre la mia voce sembra non volermi aiutare nella risposta.
<< Lo dirai, non è vero? >> insiste, e questa non sembra affatto una domanda, bensì un ordine.
Dopo aver esitato per qualche istante, sospiro rumorosamente, e massaggiandomi gli occhi con la mano destra, mormoro: << Devo farlo. Gli ho promesso di non nascondergli più nulla >>
<< Non ti riconosco più, Rea >>
Ho un sussulto al cuore nel sentire quelle parole. La guardo con occhi sgranati, cercando di capire dove vuole arrivare. Lei ferma l'auto, ricambia lo sguardo, e accennando un amaro sorriso, riprende: << Hai imparato a mentire. Tu non gli hai mai detto la verità >>. Non aggiunge altro, e senza permettermi di replicare, scende dall'auto e se ne va, lasciandomi sola e esterrefatta.
Cosa voleva dire con questo? Mi chiedo tremando. E per quale motivo non ho fiatato per niente? Cos'è questo, ciò che in molti casi chiamano l'inizio della fine?
Poggiando la testa sul vetro dell'auto, stringo gli occhi cercando inutilmente di scacciare via quei pensieri.
 
***
 
"Avanti, Rea! Respira profondamente, e diglielo!"
<< Castiel, ho chiamato Armin... >> mormoro tutto d'un fiato guardandomi allo specchio del bagno.
"Dannazione, così non va!" sbuffo scuotendo il capo per poi portarmi le mani sul viso e coprirmi gli occhi prematuramente stanchi, dato che siamo appena all'inizio della giornata e non reggo più.
Eppure credevo di avere in mano la situazione. "È una cosa da nulla!" mi son detta, " adesso vado nel mio ufficio e glielo dico". Ero talmente sicura di me stessa, che siamo alla seconda ora di lezione, e l'ufficio mio e di Castiel non ha ancora visto la mia ombra.
A un tratto sento vibrare il mio cellulare, lo afferro con titubanza. È un messaggio, ed è del rosso.
"Dove diavolo sei? È tardi, se non entri subito in ufficio te la faccio pagare... in natura ovviamente"
All'ultima frase sbotto in una lieve risata, << Che scemo >> sibilo infilando il cellulare in tasca.
Sospiro ancora, e tra un lo faccio, e un non lo faccio, esco dal bagno decisa più che mai a parlare con il rosso di quello che ho combinato ieri.
Neanche a farlo apposta, mi ritrovo a camminare lentamente, come facevano i condannati alle prese con la via che li conduceva al patibolo.
E quest'ultimo, per me, rappresenta la reazione di Castiel. Spero solo che non si arrabbi.
<< Ehi, Rea! >> sento a un tratto qualcuno alle mie spalle chiamarmi a gran voce. Mi volto trasalendo con il fiato sospeso. Solo quando mi accorgo di non correre nessun pericolo e che il mio comportamento sta diventando estremamente assurdo, volgo un sorriso a Nathaniel che si avvicina a passo svelto, forse per non farmi perdere tempo.
Anche se durante tutti questi anni non l'ho mai detto, adoro la perfezione che il cherubino dagli occhi dorati ha nel fare tutto, anche nella minima azione deve metterci il suo autocontrollo.
Pensieri a parte. Dopo l'episodio del giorno prima, Nath sembra sempre più imbarazzato nel parlarmi. Cavolacci! Sono io quella ad aver fatto la figura di merda più grande della storia di questo liceo! Perché adesso si comporta in questa maniera?!
Nascondendo abilmente l'irritazione mentale che brama di impossessarsi della mia espressione, mantengo quest'ultima tranquilla e sorridente.
<< Dimmi tutto Nath >>
<< Ho parlato con Castiel della giornata dei club, e ho trovato giusto avvisare anche te >> risponde arrossendo improvvisamente e volgendo lo sguardo da un'altra parte per non incrociare il mio.
Mi conosco, posso riuscire a trattenere le mie espressioni, ma la lingua no.
<< Nathaniel, so perfettamente che il solo rivolgermi lo sguardo dopo quello che è successo ieri, per te è come aver dovuto raggiungere la luna a piedi... >> "Che paragoni del cavolo" << ...ma non ti sembra di esagerare un po'? >>.
Ok. Se qualcuno si stesse chiedendo se ho bevuto, la risposta è: mi sono bevuta il cervello di tensione mixata all'ansia; e solo adesso mi accorgo di aver prolungato il discorso con una cavolata pazzesca. Mi è bastato vedere la faccia del biondino, che messa a confronto de' l'Urlo di Munch, quest'ultimo sarebbe sembrato solo una squallida copia.
Il silenzio piomba tra di noi talmente strafottente, che riesco finanche a sentire i passi di un insetto che gironzola indisturbato sui muri del corridoio.
<< ...s-stavi dicendo, Nath? >>
Ecco un'altra cosa che adoro di questo ragazzo; la capacità di afferrare al volo le figure di merda altrui per poi acconsentire a insabbiarle con altri ragionamenti, e tutto questo in maniera estremamente discreta.
<< Il giorno in cui si terrà la giornata dei club >> risponde come se non fosse successo nulla.
<< Allora? >> insisto volgendo lo sguardo sulla cartellina che regge sottobraccio.
<< Questo sabato >>
<< Bene >>
<< Ok >>
<< Puoi andare Nathaniel >>
<< Sì >>, e così finisce il mio tentato suicidio per non affrontare Castiel.
Sì, c'ho provato. Ho cercato un appiglio per ritardate la mia entrata in ufficio. Ma adesso sono in trappola, non c'è più nessuno. Nessuno può chiedermi qualcosa, per un istante ho provato nostalgia di Alain. Attraversando il corridoio l'ho immaginato appoggiato all'armadietto che mi guardava con malizia e mormorava qualche sua solita perversione.
Questo non perché voglio essere stuzzicata da lui, assolutamente! Ma perché il solo sapere che avrei avuto la possibilità di svignarmela e martoriare mentalmente quel teppista pervertito, mi sta facendo sollevare l'anima.
Sono solo un'idiota. Non ho altre parole per descrivermi.
A via di pensare a queste assurdità, non mi sono neanche accorta di avere la porta del mio ufficio davanti agli occhi, mi basta solo afferrare il saliscendi, abbassarlo e spingerla.
Incerta mi accingo a farlo, ma un altro squillo dal mio cellulare risuona dalla tasca del pantalone. Scopro che si tratta di Kim, e so già cosa vuole. Sicuramente mi chiederà se ho portato a termine il mio compito nonché dovere.
Decido di non rispondere, e sbuffando, rifiuto la chiamata rimettendo il cellulare nella tasca, poi catturata quanta più aria possibile, apro la porta entrando nello studio con una sicurezza tale da farmi fermare sulla soglia. Ed eccolo lì. Castiel, seduto dietro la sua-mia scrivania con alle spalle la vetrata che permette ai raggi del sole di illuminarlo in controluce.
<< C-ciao... >> esordisco cercando di farmi sembrare il più calma possibile, ma mi accorgo che sta diventando uno sforzo sovrumano per le mie possibilità. Castiel, dal canto suo non risponde, e tantomeno accenna una reazione. Rimane seduto con lo sguardo inchiodato su di me. A quel punto, chiudo la porta, e affondata la testa nelle spalle, mi dirigo al mio posto come un cane bastonato.
"Che succede?" mi chiedo a un tratto nervosa "perché non parla?".
Scossa dall'ansia, decido di cominciare la conversazione, convinta che di seguito potrebbe sbucare quello che ho da dirgli.
Esordisco con due colpi di tosse, poi, senza volgergli lo sguardo, mormoro: << Uhm, Castiel... mi hai mandato quel messaggio, cosa volevi dirmi? >>
Non riesco a finire la domanda che il rosso prontamente, scaraventa una penna sulla scrivania e si alza bruscamente dalla sedia.
<< Io? Io non ho da dirti niente! Sto aspettando te, invece. Cosa devi dirmi? >> chiede fissandomi malamente.
<< Cas... >>
<< No aspetta! >> m'interrompe ancora una volta, piazzandosi davanti la mia scrivania << Io ho qualcosa che devo dirti, anzi no! Ho qualcosa che mi sto chiedendo ormai da minuti: che cazzo ci faccio io con te? >>
Quell'ultima frase lacera il mio petto per arrivare dritto ad infilzare il mio cuore come una lama di coltello ben arrotata.
<< Ca-Castiel, che stai dicendo...? >> balbetto alzandomi lentamente, e guardandolo fissa negli occhi, iniziando a sentirli bruciare.
<< Hai anche la sfacciataggine di chiedermelo?! >> esclama irritato << Ma per chi cazzo mi hai preso? Per un idiota? >> finisce per urlare.
In otto anni che ci conosciamo, questa è la prima volta che vedo Castiel urlarmi contro e con estrema rabbia. Non si era mai comportato così prima d'ora.
<< Che diavolo dovrei pensare, che mi hai preso per il culo fin dall'inizio? >>
<< Dannazione, Castiel... ti vuoi spiegare? >> chiedo con il pianto che mi solca la gola.
<< Sei tu che devi spiegarmi! Per quale fottuto motivo devo venire a sapere le cose dagli altri, e per di più sempre per ultimo, quando abbiamo promesso di non nasconderci più nulla?!... sto parlando di Armin! >>
Istintivamente mi porto una mano sul petto sentendomi strappare il cuore da una forza invisibile.
Quanto sei sciocca Rea, volevi vedere la sua reazione, ed eccola qui, inesorabilmente dolorosa.
<< I-io, te l'avrei detto... >> sussurro con voce rauca.
<< E quando? Quando ti saresti sentita alle strette? Ma fammi il piacere... >>
<< Sei ingiusto Castiel >> esclamo a un tratto iniziando a tremare, accorgendomi che non è paura, bensì rabbia. << Non puoi trattarmi in questa maniera solo perché non ti ho detto della chiamata. Ti ricordo che fino ad ora, tu sei stato l'unico a nascondermi le cose! >>. E sono quelle frasi che mi feriscono ancor di più.
Perché sono così ipocrita? Chi sto rimproverando, lui o me stessa? Mentre mi ferisco da sola, mi accorgo che il rosso ha un'azione brusca, data dal suo istinto: si dirige lentamente verso la scrivania e di scatto scaraventa a terra l'intero contenuto, rompendo degli oggetti di vetro che fino a qualche istante fa, facevano da fermacarte.
Impaurita da quell'atto, mi tappo le orecchie con le mani, stringendo le palpebre.
<< Sei una stupida idiota! >> esclama poi, voltandosi verso di me.
<< Perché adesso ti comporti così? Perché?! >> chiedo disperata trattenendo a stento le lacrime.
<< Io ho lottato per quattro, interi, fottuti anni, per togliermi di mezzo quella maledetta, e adesso che finalmente posso sperare di rimanere per sempre con te, tu acconsenti alla richiesta di quell'idiota?! >> urla un'altra volta gesticolando nervosamente con le mani << Sai cosa c'è? >> chiede poi con più tranquillità << Io mi sono rotto! Chi cazzo me lo fa fare? >> digrigna serrando le mascelle << L'hai chiamato per incontrarvi, no? Bene! Allora sai cosa ti dico? Fanculo! Chi se ne frega! Va da lui e lasciami in pace! >> e sputate queste ultime parole si reca alla porta uscendo come una furia per poi sbatterla violentemente facendo vibrare il vetro al suo interno.
A quel rumore chiudo istintivamente gli occhi, sbuffando un gemito di pianto.
Mi fa male il cuore, sento tutti i miei sensi scombussolati e un improvviso dolore di pancia annunciare violento la sua entrata; conati di vomito salgono su per la gola, e non avendo tempo per raggiungere il bagno, mi chino sul cestino dell'immondizia e dò sfogo al mio dolore.
Le venature della gola si gonfiano impedendomi di poter respirare regolarmente, e tra un rigetto e l'altro, la testa inizia a scoppiarmi di dolore. Quando sembra che anche l'interno del mio corpo si sia asciutto, mi siedo sul pavimento e appoggio la schiena e la testa contro la scrivania, alzo gli occhi al soffitto permettendo alle lacrime di prendere il posto che gli spettava fin dall'inizio della discussione.
Come possono essere vere le sue parole? Non riesco a credere a ciò ch'è successo. Non può essere vero, quello non era Castiel.
<< No, non è vero... >> sibilo tra i singhiozzi, affondando il viso fra le mani per soffocare il rumore dl pianto.
A un tratto la porta dello studio si apre, facendo entrare Kim come una furia. Trasalisco spaventata da quel rumore brusco; è stato solo per un attimo, ma come una stupida ho creduto fosse Castiel.
La bruna mi guarda con occhi strabuzzati, mentre senza curarsene, ansima, forse per la corsa.
<< N-no... >> balbetta, facendo ciondolare le braccia lungo i fianchi << ...non dirmi che è troppo tardi >>
<< Sei contenta adesso? >> chiedo con voce roca.
<< Non dire stronzate, Rea! Ti ho chiamata per avvisarti, ma mi hai rifiutato la tele... >>
<< Dovevo dirglielo io! >> esclamo irritata alzandomi dal pavimento per poi piazzarmi davanti a lei e guardarla duramente.
<< Fammi spiegare! >> m'interrompe tenendomi testa << Io pensavo che glielo avessi detto. Non immaginavo che non ti eri presentata in ufficio dall'inizio delle lezioni! Ti ho cercata per tutto il liceo, dato che non mi rispondevi! >>
<< Sai cosa c'è?... C'è che di questa storia ne ho piene le tasche!... vuoi la verità? Sono una codarda! Ecco, l'ho detto; non ce l'ho fatta! Non ho avuto il minimo coraggio per affrontarlo. E sai perché? Perché ogni giorno che passa, sto iniziando a chiedermi per quale dannato motivo devo tante spiegazioni. Lui ha detto che negli ultimi anni ha lottato per togliersi di mezzo sua moglie. Ma chi diavolo ha sofferto per davvero?! >> urlo gesticolando nervosamente, confondendo la mia voce stridula con gli ansimi.
<< Non urlare... >> cerca di calmarmi Kim, ma non l'ascolto, alzo di più la voce cercando di sfogarmi il più possibile.
<< Perché ogni cosa che faccio, non va bene a nessuno?! Che male faccio nell'agire come voglio? >>
<< Tu, non ti rendi conto che sei tu stessa a farti del male! >> strilla la bruna sbattendo un pugno contro la porta, facendola socchiudere. << Se lo diciamo, è per il tuo bene! Castiel... >>
<< Che cazzo ne sa Castiel di ciò che ho passato?! Era per caso presente, quando ho dovuto subire ciò che ho subito?! >>
<< Sei stata tu a non volerglielo dire! >>
<< Cosa?! >> la interrompo ancora una volta zittendola bruscamente << Cosa, avrei dovuto dirgli? Che Armin mi ha violentata? >>
Ed è in quel momento che la porta si apre, e due occhi di calda cenere sembrano mutarsi in lava incandescente pronta per esplodere da un momento all'altro.
La paura che ha albergato dentro di me per tanto tempo, ormai ha raggiunto il suo scopo: quello di impossessarsi del mio essere. La testa inizia a girarmi, mentre non mi accorgo di barcollare in avanti. L'ultima cosa che riesco a sentire, è il grido di Kim, e la frase di Castiel, rivolta a qualcuno che è entrato dopo di lui, << Allora è vero... >>.
Poi il buio.

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Capitolo 37
*** Dolorose scoperte ***


37^ capitolo: DOLOROSE SCOPERTE
 
 


Se ci fosse stata la possibilità di aprire gli occhi e non riuscire a vedere più nulla, forse, mi sarei sentita meglio.
I miei sensi si stanno ridestando, e lo fanno contro il mio volere. Riesco a sentire dei rumori, e a poco a poco mi accorgo che sono gli allegri cinguettii di uccellini.
Dove mi trovo? Penso confusa. Non apro gli occhi, e fortunatamente è l'unica cosa che riesco a comandare. Non voglio aprirli, perché il solo pensiero di ritrovarmi di fronte, lo scorrere inesorabile della mia vita, mi sta facendo sentire male.
Ricordo perfettamente tutto: la lite con Castiel, la discussione con Kim, e l'ultima, terrificante situazione, Castiel che scopre ciò che mi ha fatto Armin. E la cosa più dolorosa è che a svelarlo sono stata io. Proprio io, quella che diceva di riuscire a mascherare qualsiasi cosa anche se mi fossi trovata davanti a un vicolo cieco.
Complimenti Rea. Ora non ti resta che aspettare invano l'arrivo della tua fine.
<< So che sei sveglia, perciò apri gli occhi >>. A un tratto, la calda voce del rosso risuona ovattata nelle mie orecchie. Ho un sussulto al cuore capendo che si trova lì, forse a due passi da me.
<< Rea, apri gli occhi >> ripete con voce sommessa ma allo stesso tempo autoritaria.
Mi accorgo di scuotere la testa, ma le mie palpebre non eseguono il suo ordine. "Perché?" mi chiedo sentendo il mio cuore gettare un urlo di dolore dalle profondità del mio corpo.
<< Non piangere, apri gli occhi >>. Ora lo sento più vicino, e la sua mano che poggiata sul mio viso riesce a farmi trasalire, mentre brucianti lacrime rigano la mia pelle.
Scuoto di nuovo la testa, e questa volta singhiozzando rumorosamente.
<< Ho... ho paura >> balbetto stringendo un lembo di quello che deve essere un lenzuolo. Mi avranno portato in infermeria, dato che l'odore di disinfettante impregna l'aria.
<< Quando è successo? >> chiede con voce roca.
<< Prima del matrimonio di Rosa e Lys... L-la sera della cena... >> rispondo sentendomi morire al ricordo di quel giorno.
<< Perché non me l'hai detto prima? Il giorno del matrimonio, quando ti vidi quei lividi sul petto... era stato lui?... perché non me lo hai detto? >> chiede a un tratto stringendomi la mano.
<< Gliel'avresti fatta pagare... >> ammetto tremante al solo sentire quell'ultima parola.
<< Ora è peggio! >>
Spalanco le palpebre di scatto, e tra la visuale appannata, riesco a vedere lo sguardo tagliente di Castiel, che mi guarda con un'espressione mai vista prima.
<< No! >> esclamo con voce soffocata << Che vuol dire che è peggio? Ti prego, Castiel, non fare niente! >>
<< Come puoi chiedermi di non fare niente?! >> domanda incredulo << Come puoi solamente pensare che lasci correre una cosa del genere?! >>
<< È un problema mio... >> rispondo tentando di mettermi a sedere sul letto.
<< Ma che cazzo stai dicendo?! >> esclama alzandosi di scatto dalla sedia << Ma ti sei bevuta il cervello? Come può essere un problema tuo, quando adesso stai con me? >>
<< Castiel... >>
<< Tu non andrai da lui! >> m'interrompe volgendomi uno sguardo quasi minaccioso. << Togliti dalla mente l'idea d'incontrarlo >>
<< Non chiedermi questo >> lo supplico sentendomi il pianto solcarmi la gola << Lui è andato da Etienne, e io devo sapere che cosa vuole >> 
<< È assolutamente normale che un padre voglia vedere suo figlio... >>
<< Tu non capisci, Castiel! >>
<< Cosa?! >> urla, zittendomi ancora una volta << Cosa, non riesco a capire? Nonostante ci siamo ripromessi di non nasconderci più nulla, tu hai cercato di non farmi sapere quello che ti ha fatto quel bastardo! Sai, se non l'avessi confermato tu stessa, avrei creduto che Nathaniel si fosse bevuto il cervello >>
<< N-Nathaniel? Che centra? >> chiedo incredula.
<< Mi ha detto che ti ha sentito un giorno, mentre lo stavi raccontando a Kim! >>
Drizzo la schiena nel sentire quelle parole. Mio Dio! Penso ansiosa. "Quel giorno non rivelai solo quello a Kim... che Nathaniel abbia sentito altro?... no, altrimenti Castiel l'avrebbe detto"
<< Non riesco a credere che dopo il nostro ricongiungimento, tu continui a non parlare! >> lo sento esclamare riportandomi alla realtà.
<< Non ricominciare Castiel, anche tu mi hai tenuto nascosto il tuo divorzio! >>
<< Volevo farti una sorpresa! >>
<< Se tu me l'avessi detto prima, forse non sarebbe successo niente! >>
<< Stai cercando di dare la colpa a me?! >>
Lo guardo imperterrita, cercando invano di concepire il motivo per il quale i nostri ragionamenti stanno ormai prendendo una brutta piega, conducendoci per la via del litigio.
<< Perché non lasci da parte questa tua determinazione, e non mi chiedi cosa sento? >> riprendo con voce tremante e allo stesso tempo supplichevole << Perché la prima cosa che mi hai chiesto non è stata: stai bene? Perché invece di impormi di non incontrarlo, non ti offri di accompagnarmi? Castiel, che cosa ci sta succedendo? >>
Lui non parla, non mi risponde; solo, mi guarda, e la sua espressione inquietante non si è ancora cancellata del tutto dal volto; poi si alza, si allontana, e recatosi alla porta, conclude dicendo: << Se hai altri segreti nascosti, ti consiglio di uscirgli adesso, perché la prossima volta... >>, quella frase interrotta, interrompe anche i battiti del mio cuore.
<< Un'altra cosa... >> aggiunge, facendomi trasalire << ...io non torcerò un capello a quel pezzo di merda; ma, se ti azzardi ad andare da lui... fra noi è finita >>
Ed eccolo lì il colpo di grazia. Quel colpo che non mi sarei mai aspettata di sentire da Castiel.
Mi lascia sola, ma inspiegabilmente non riesco a sentirmi tale. A farmi compagnia, ci sono le mille lame affilate che trafiggono il mio cuore arrecandomi dolori strazianti.
Curvandomi in avanti, mi afferro il petto stringendo in pugno la stoffa della maglia. Un mugolio di dolore risuona quasi silenzioso nell'aria, seguito dal pianto che si rende partecipe al mio deprimente stato d'animo.
Non riesco a credere a quelle parole.
Sono convinta che le abbia dette in un momento di rabbia.
È strano, però; quando sono stata io ad allontanarmi da lui, il mio cuore non mi doleva in questa maniera. Adesso, quelle parole e il suo atteggiamento mi hanno ferita molto più di quanto non abbia fatto io; ed è proprio in quel momento che capisco che Castiel ha sofferto tanto quanto me.
Mi ritrovo in un vicolo cieco. Non ho scelta. Se non voglio perdere Castiel, devo ignorare Armin; ma se m'azzardo a fare questo, cosa succederà in futuro? Cosa vuole Armin da Etienne?
Mentre ritorno a ripensare a questo, qualcuno entra nell'infermeria. Alzo di scatto lo sguardo, sperando che si tratti di Castiel, ma il viso colmo di segni di età avanzata, della dottoressa del liceo, compare alla mia vista, rivelando uno sguardo preoccupato.
<< Preside, cosa l'è successo? Sta piangendo! >> esclama avvicinandosi velocemente.
<< No, non si preoccupi, dottoressa Morel... >> intervengo alzandomi dal letto e asciugandomi velocemente il viso. Non appena, però, poggio un piede sul pavimento, le poche forze che ho raccolto da quando mi sono svegliata, mi abbandonano repentinamente, facendomi cascare giù. Fortunatamente, la dottoressa mi afferra prima che il mio sedere possa fare coppia con il freddo marmo.
<< Stia attenta, Preside. È ancora debole >>
<< È stato solo un capogiro >> spiego aggrappandomi alla sua presa e accettando l'invito di ritornare sul letto.
<< Io non direi, Preside >> mormora facendo una smorfia << Anche se non ho alcun esame della sua salute, sono convinta che lei sia anemica >> ammette guardandomi con rimprovero.
Le rivolgo lo sguardo, e sentendomi come una bambina imbarazzata, affondo il collo nelle spalle.
<< Mangia? >> chiede Morel, andandosi a sedere alla sua scrivania.
<< Uhm... poco >> rispondo con voce flebile.
<< Perché? Non ha fame? >>
<< ...mi sento nervosa, e la fame mi passa... >>
<< Preside... >> riprende dopo qualche istante passato a scrivere qualcosa sul suo taccuino << ...le consiglio di mangiare come si deve, e di fare analisi del sangue. Non può continuare così >>
<< Lo so >> rispondo mortificata << ...è che... non ce la faccio più... >> aggiungo scoppiando in lacrime. Affondo il viso nei palmi delle mani, e non faccio più caso alla dottoressa che preoccupata, si avvicina chiedendomi che cosa mi stia succedendo.
<< Rea, cos'ha? Su, si stenda, non è poi tanto grave. Riposi ancora un po', vedrà che presto si riprenderà... >>
Come sarebbe bello, se quelle parole fossero realtà, ma questa è ben diversa da quella che pensa la dottoressa Morel. La verità fa più male di un semplice dolore corporeo.
Dopo quel piccolo sfogo, la donna mi da un calmante, invitandomi gentilmente a riposarmi. Chiudo gli occhi contro le mie vere volontà: sono convinta che non riuscirei ad addormentarmi, ma a mia insaputa, l'inconscio mi cattura all'istante.
Il sogno che mi visita è confuso e incomprensibile, tanto da farmi riaprire gli occhi di scatto lasciandomi con violenti battiti del cuore, che sembrano voler strappare la pelle del petto.
Smarrita e ansimante,  sollevo la testa dal cuscino, guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che grigie e minacciose nuvole, hanno invaso l'azzurro cielo.
Mi alzo un po' barcollante, sembra che mi senta meglio, così mi infilo le scarpe e lentamente mi avvicino alla finestra, bisognosa di respirare l'aria dell'esterno. Quel colore inquietante che tinge l'ambiente non mi arreca nessuna sensazione. Per un istante cerco di sfuggire al mio dolore, ma quando volgo lo sguardo verso il giardino dell'istituto, precisamente, verso il cancello, una scena cattura la mia attenzione: Castiel sta parlando con qualcuno. Si trova di spalle alla mia visuale, e la persona con cui sta discutendo non si nota granché, colpa anche dell'altezza del rosso.
Incuriosita, decido di recarmi da lui per sapere cosa stia succedendo, ma non appena mi accingo ad andare, un'altra scena mi blocca all'istante: vedo lunghi fili dorati, danzare al vento; Castiel si sposta, rivelando la persona con cui sta parlando.
"La misteriosa ragazza!" penso sbalordita. "È venuta di nuovo, e sta parlando con Castiel!"
Vedo i due guardarsi, poi la ragazza abbassa la testa, permettendo al rosso di afferrarle dolcemente il viso e accarezzarle la guancia.
Quella scena s'imprime nei miei occhi come una spina che trafigge il cuore. Inconsapevolmente, mi ritrovo ad artigliate la candida tenda con una mano, mentre con l'altra, cerco do aggrapparmi all'infisso per non rischiare di cadere.
Che diavolo sta succedendo? Mi chiedo volendo urlare quella domanda. Come può Castiel, conoscere quella ragazza? E questa, che diavolo vuole?
Senza pensare ad altro, mi allontano dalla finestra, raggiungo la porta e, uscita dall'infermeria, mi dirigo verso l'androne, percorrendo il corridoio con passo svelto.
Il respiro si fa affannoso, mentre, cattivi pensieri invadono la mia mente.
Il portone di entrata si rivela al mio sguardo, ingigantendosi man mano che mi avvicino ad esso, e non appena me lo trovo a due passi, vedo con mia sorpresa qualcuno entrare. È Castiel.
Mi blocco all'istante, come se i miei piedi si fossero immersi nel cemento e questo si fosse asciugato repentinamente.
Castiel, ignaro, si volta verso di me, e non appena mi vede, si blocca fissandomi scettico.
<< Che ci fai qui? >> chiede con disinvoltura. Non rispondo, non so cosa dire, allora lui accenna due passi verso di me, e infilandosi le mani nelle tasche aggiunge << Ritorna in infermeria e riposati >>, poi si allontana.
<< Chi è? >> esclamo tremante, senza girarmi.
Sento che ferma i suoi passi e forse si gira verso di me.
<< Chi è, chi? >> chiede curioso.
<< La ragazza con cui stavi parlando >> rispondo impassibile.
<< Nessuno >> ribatte dopo qualche secondo di esitazione.
<< Non si può guardare e accarezzare nessuno! Chi è quella ragazza? >>, mi giro e lo fisso dritto negli occhi. Vederlo così tranquillo, mi mette in stato di irritazione. Perché si sta comportando così?
<< Sei gelosa? >> chiede ad un tratto sfoggiando il suo famoso sguardo beffardo.
<< Non si tratta di gelosia! Voglio sapere che cavolo sta succedendo? Perché tutt'a un tratto ti comporti così? Solo perché ho risposto alla chiamata di Armin? Tu non... >>
Castiel non mi da neanche il tempo di finire che, si avvicina velocemente a me e afferratami per un braccio, si pianta sulle mie labbra, premendo quasi con impeto.
Quando si distacca, mi lascia impietrita. Non mi aveva mai baciata in modo così... freddo.
<< Non ti preoccupare, sono ancora tuo >> mormora con voce roca; poi mi lascia e si allontana.
Rimango scioccata, non solo dal gesto, ma anche dalle sue parole. Cosa significavano? Dovrei sentirmi alle stelle e invece sto... male. È come se lui si stia sentendo costretto di qualcosa, ma di cosa?
No. Non può essere cambiato tutto così dal giorno alla notte.
Se non esco immediatamente da questo posto, sento che presto morirò.
Lentamente raggiungo la porta e apertala, il vento minaccioso mi investe. Porto la mano davanti agli occhi per proteggermi, poi quando sembra essersi calmato, esco dirigendomi verso la mia auto.
La meta non è precisa, e forse ha comandato il mio inconscio, perché senza che me ne rendessi conto, mi sono ritrovata davanti l'ex villa di Castiel.
La guardo malinconica e molti ricordi -belli o brutti che siano- ritornano a riempire il mio cuore. Questa, è stata la casa che ha visto crescere l'amore fra Cass e me. Questa, è la casa che ha accolto le mie lacrime in quattro anni di sua assenza, quando in balia della tristezza, mi recavo qui e mi perdevo nel mare dei ricordi, cercando invano, fra questi, di ritrovare il mio Castiel.
Questa, è la casa che non è più.
Scendo dall'auto senza distogliere lo sguardo da quelle mura oscurate dalla luce tempestosa delle nuvole, e lentamente mi avvicino al cancello. Afferro le sbarre di ferro battuto e poggio la fronte su di loro. Sento a un tratto un cigolio, e mi accorgo che il cancello di sta spostando. È aperto? Mi chiedo stranita. Guardo le finestre e noto che tutte le persiane sono chiuse, tranne però, la porta di entrata. Sembra essere socchiusa.
Titubante, sposto in avanti il cancello, aprendolo del tutto. Accenno qualche passo in avanti e spinta dalla curiosità, decido di entrare.
Il giardino si presenta ben curato e libero da erbacce. Non c'è nessuno, ma continuo a chiedermi per quale motivo, sia il cancello che la porta, li abbia trovati aperti.
Quando arrivo alla porta di entrata, sento un rumore riecheggiare dall'interno.
A dir la verità, sono molto spaventata, ma non posso non ammettere che sono anche curiosa.
Entro.
<< C'è nessuno? >>, e nessuno risponde.
Mi inoltro passando per il salone, c'è un'assurda penombra, e la visibilità è discreta, se non fosse che conoscessi questa casa, direi subito che mi tovo in un maniero abbandonato e infestato, dati gli affreschi che riflettono una sensazione terrificante.
Il salone è ordinato, quindi, l'ipotesi che fosse entrato qualche ladro, la deframmento immediatamente dalla mente.
Un altro rumore mi prende di soprassalto.
<< C'è qualcuno? >> ripeto trasalendo, e questa volta alzando la voce. << Chi c'è? Castiel, sei tu? >>
<< In due giorni rinchiusa qui dentro, non mi era passata per la mente l'idea che potessi venire a trovarmi >>, quella voce famigliare risuona dietro di me, prendendomi alla sprovvista. Mi volto di scatto, e l'immagine di quella persona che ha assillato il mio cuore per troppi anni, si delinea repentinamente davanti ai miei occhi.
Anche se in controluce, la riconosco, e non mi è bastato soltanto ascoltare la sua voce, la sua sola presenza ha confermato il mio dubbio.
<< Gi-Ginevra... >> sibilo con voce soffocata.
<< Ciao Rea >> mormora accendendo la luce, per rivelarsi completamente. Sta sorridendo e lo fa con cattiveria << Noto con dispiacere che è tua abitudine intrometterti nelle cose altrui >>
<< La villa è tua? >> chiedo con tono incredulo.
<< Sì. Il mio "ex" marito, me l'ha gentilmente donata, in cambio... >>
<< Di cosa? >>
<< Mi ha chiesto di sparire definitivamente dalla sua vita >> risponde indurendo lo sguardo. Ci guardiamo per qualche istante, e ammetto che il suo malizioso e cattivo sguardo mi sta tentando molto. Vorrei afferrarla per i capelli e sbatterla contro il muro; ma come una sciocca, mi limito solo a stringere i pugni, affondando nervosamente le unghie nella carne.
<< Io ho accettato >> ammette con un sorriso sardonico << d'altra parte, non potevo più continuare a minacciarlo; quell'idiota del padre si è fatto fregare, e prima che potessi rimanere senza nulla, ho accettato l'offerta... ma, ora, non so per quale motivo, mi sto pentendo di averlo fatto >>, si ferma e mi guarda, e lo fa non sguardo duro.
Dal canto mio, non mi faccio intimorire, e anche se non so perché non riesco a parlare, le tengo testa guardandola in modo sprezzante.
<< Ma forse, so per quale motivo >> riprende << ...è la tua presenza! È bastato rincontrarti per farmi venire la voglia di riprendermi Castiel! >>
Deglutisco a fatica sentendo quelle parole, e increspo le labbra preparandomi a gettare fuori la mia rabbia.
<< Per un momento ho pensato che avendoti qui davanti a me, avrei potuto toglierti di mezzo. Ma poi mi son detta che farti soffrire in un altro modo, fosse stato più piacevole >>
<< Sei una pazza! >> digrigno tremando.
Lei scoppia in una risata quasi isterica. << Ah, Rea! Sei una stupida, ed è proprio per questo che continuerò a starmene buona e calma qui dentro, godendomi il mio bottino di guerra >>
<< Non ho mai voluto il male di nessuno, ma spero con tutta me stessa che ti pentirai amaramente per ciò che hai fatto, non solo a me e a Castiel, ma anche a tuo fratello Erich! Quella creatura non centrava assolutamente niente con le tue malefatte! >>
<< Se non ti fossi messa in mezzo, Erich sarebbe stato felice! >> mi ammonisce alzando la voce << La colpevole di tutto, sei tu! >> aggiunge sprezzante. << Ma non preoccuparti. Il presente porterà con sé il futuro, e per come si stanno mettendo le cose, io sono compiaciuta! >>
<< Va' all'inferno, Ginevra! >> sentenzio avvicinandomi a lei per sorpassarla e uscire; ma quando le sono vicino, lei mi afferra per un braccio, fermandomi.
<< Tu pensi di aver vinto? >> mi sibila nell'orecchio.
<< Lasciami! >>
<< Adesso fai la forte perché Castiel è tornato da te... >>
<< Puzzi di invidia a solo un metro di distanza! >> esclamo strattonandola per farle mollare la presa.
Mi lascia, scoppiando un'altra volta a ridere.
<< Che idiota! >> sghignazza << Sei davvero convinta che Castiel in quattro anni ti abbia pensato intensamente? >>
Mi blocco ancora una volta.
<< In tutti questi anni, Castiel ha avuto un'amante! Mi ha tradita, e non con te, ma con una puttanella conosciuta ad una festa di amici! >>
Getto all'aria un mugolio di dolore, sentendo quelle parole trafiggermi il petto.
<< Non pensare che l'abbia liquidata, perché saresti solo un'illusa. Un giorno o l'altro, ti ritroverai davanti quella ragazza e in quel momento capirai quanto il tuo amore per lui, sia stato solo una semplice perdita di tempo! >>
Subito l'immagine della ragazza che si presenta ogni tanto al liceo si disegna davanti ai miei occhi e il dolore al petto si fa più intenso.
Ginevra continua a ridere, mentre la mia mente cede alla confusione.
In quel momento una voce dentro di me mi consiglia di non ascoltarla, perché quelle cattiverie sono frutto della menzogna.
Continuando a stringere i pugni mi incammino verso l'uscita, e per l'ennesima volta Ginevra mi ferma.
<< È molto bello il tuo Etienne. Ha gli stessi occhi del padre >>
Mi volto ancora una volta, sentendomi avvampare e questa volta la rabbia diventa incontrollabile.
<< Non so come tu conosca mio figlio e di certo non voglio saperlo... >> digrigno avvicinandomi a lei, minacciosamente << Ma se t'azzardi a toccarlo, io t'ammazzo! >>
Lei non mi risponde, cancella dalla sua espressione quel cattivo sorriso, e condivide il mio sguardo. Quel inquietante confessione termina lì. Esco da quella casa e raggiungo la macchina. Sfreccio per la strada come una furia, con lo scopo ben preciso di raggiungere il liceo.
Castiel dovrà spiegarmi tutto. Adesso basta, non posso e non riesco a non credere alle parole di quella vigliacca. Gli atteggiamenti del Rosso, e anche quell'incontro con questa misteriosa ragazza, sembrano coincidenze, e io non posso assolutamente non farci caso.
Mentre cerco di tener ferma la concentrazione sulla guida, come un fulmine a ciel sereno, mi ritorna in mente la frase di Ginevra: "È molto bello il tuo Etienne. Ha gli stessi occhi del padre".
No. Mi dico scuotendo il capo. Non può essere vero.
Svolto l'angolo parcheggiando l'auto proprio davanti al cancello. So che lì c'è il divieto di sosta, ma per come mi sento adesso, manderei a quel paese anche le forze dell'ordine.
Velocemente rientro nell'istituto. Vedo Kim venirmi incontro.
<< Ah, sei qui! Ti stavo cercando, sono andata in infermeria e non ti ho trovata >>
<< Dov'è Castiel? >> chiedo ansimante, interrompendola.
<< Grazie per esserti preoccupata per me Kim, ti sono molto riconoscente! >> esclama questa, cercando di imitare la mia voce.
<< Non ho tempo di giocare, Kim! >>
<< Ti ricordo che ore fa, c'è stata una discussione e che il tuo amato Castiel ha scoperto tutto. Non puoi per un istante fermarti e pensare di risolvere la questione? Non hai paura che possa andare da Armin e combinare un casino >>
<< Mi ha promesso che non gli torcerà un capello! >>
<< E tu sei così sicura di questo! >>
<< Kim, per favore. Questa giornata si sta letteralmente rivelando faticosa e disastrosa. Per come si stanno mettendo le cose, ho bisogno di parlare con Castiel! >>
<< È andato via pochi minuti fa >> risponde ritornando seria.
<< Dove? >> chiedo titubante.
<< Sono per caso il tipo di persona a cui Castiel riveli i suoi pensieri?... non so dove sia andato >>
Senza aggiungere altro, saluto Kim e mi dirigo nel mio ufficio.
Non appena sola, vado a sedermi dietro la scrivania, guardo nel vuoto e inizio a sentire la mente invasa da pensieri che sembrano ticchettare come centinaia di bombe ad orologeria pronte per esplodere.
Chiudo gli occhi portando indietro la testa. Sospiro rumorosamente, sentendomi pervasa da un voltastomaco.
Quando riapro le palpebre, mi massaggio la fronte, ed è in quel preciso istante che, dopo aver abbassato lo sguardo, mi accorgo che il primo cassetto della scrivania è aperto.
All'inizio non ci faccio caso, e mi accingo a chiuderlo, ma qualcosa ferma il mio gesto.
Un flebile e coraggioso fascio di luce, fuoriuscito da qualche spiraglio lasciato dalle nuvole, illumina un oggetto nascosto nel rettangolo di legno, illuminandolo. Immergo la mano, toccandolo. È un pezzo di carta, precisamente una fotografia.
Quando la estraggo, i miei occhi sembrano voler fuoriuscire dalle orbite.
L'immagine è stata strappata, e la parte salva, ritrae il sorriso di una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi, che abbraccia qualcuno che non si vede.
L'unica cosa a cui riesco a pensare è: "perché Castiel ha questa fotografia?"
Tremante, l'immagine mi scivola dalle mani, e su di lei una lacrima amara si poggia, illuminata da quel flebile raggio di sole.
 
 
BAKA TIME: Ed eccomi qui, di nuovo in ritardo! Però ci sono! Come vi è sembrato questo capitolo? Fatemelo sapere, mi raccomando.
Non ho altro da aggiungere, solo che fa caldo, e che ringrazio tutte le lettrici che mi seguono!
Spero di non deludervi fino alla fine!
Un bacione a tutte. :-*

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Capitolo 38
*** Ciò che di te non so ***


BAKA TIME: Ultimamente, tra capitoli da aggiornare e nuove storie che bramano di uscire dalla mia mente, ho trascurato quelle molto più importanti, tipo questa. Ciò nonostante, anche se è passato un sacco di tempo dal suo ultimo aggiornamento, ho voluto dedicare quello che ho a disposizione per rendere il capitolo più succoso. Spero di esserci riuscita e di appagare la vostra curiosità.
Mi sono sempre chiesta come sarebbe stato se fosse Castiel a scoprire i segreti di Rea, così ho scritto l'intero capitolo secondo il suo punto di vista.
Godetevi questa parte, e grazie per il vostro sostegno!
 



38' Capitolo: CIÒ CHE DI TE NON SO
 
 
Nonostante quelle frasi che le ho detto e la rabbia che conservo dentro, non riesco a pensare che l'abbia fatta solo soffrire; ma quelle parole le sento rimbombarmi nella mente così dolorose: "Armin mi ha violentata!". All'inizio non sono riuscito a credere a ciò che ho sentito, ma mi è bastato guardare i suoi occhi pieni di terrore per convincermi che tutto quello è pura realtà.
Mi chiedo come possa essere accaduta una cosa del genere proprio a lei, alla mia Rea.
No, non può averlo fatto, non Armin. Sto male pensando a ciò che sta succedendo. Mi chiedo come diavolo siamo potuti arrivare a questo punto.
Nonostante le abbia promesso di non torcere un capello a quel bastardo, so che il mio carattere mi impedirà di mantenere quella promessa.
Mentre sono rinchiuso nel bagno della scuola e guardo nello specchio la mia immagine riflessa, un susseguirsi di immagini si delineano nella mia mente. Vedo Armin prendere Rea con la forza e farle del male. Stringo gli occhi trattenendo il respiro.
Mi accorgo di tremare, e ascolto il cuore battere all'impazzata, affondo le unghie nei palmi delle mani e sento le nocche voler quasi lacerare la pelle.
A un tratto, però, la porta del bagno si apre. L'entrata di Nathaniel mi fa ritornare alla realtà; così riapro gli occhi e mi ritrovo a fissare il mio volto.
<< Ah, sei qui? >> esordisce il delegato rimanendo fermo sulla soglia.
Ignorandolo, sbuffo infastidito aprendo il rubinetto dell'acqua per sciacquarmi le mani.
<< Come sta Rea? >> mi chiede dopo un po' avvicinandosi al lavandino adiacente a quello dove mi trovo.
<< Non lo so >> rispondo secco, poi mi allontano per raggiungere la porta di uscita. Nathaniel, però, mi ferma afferrandomi per un braccio. Lo guardo incuriosito; solitamente il nostro contatto fisico si limita solo a calci e cazzotti. << Che c'è? >> gli domando.
<< Castiel, ho visto Rea uscire dall'istituto. Sembrava sconvolta. Avete litigato? >>
<< Cosa t'importa? >> chiedo fissandolo in malo modo.
<< Castiel, so che tra noi non scorre buon sangue... però sappi che se hai bisogno di qualcosa, puoi... puoi contare su di me... >>
Sorrido divincolandomi gentilmente per fargli mollare la presa sul mio braccio. << So che hai fatto uno sforzo sovrumano per dirmi queste parole, ma ti assicuro che so cavarmela benissimo da solo. Non ho bisogno di niente e di nessuno... anzi no! L'unica cosa di cui ho bisogno, è vedere la faccia di quel pezzo di merda storpiata dalle mie mani! >>
<< Non vi sembra di aver sofferto abbastanza? >> chiede a un tratto spiazzandomi. Lo guardo incapace di ribattere alla mia maniera da cinico e menefreghista.
<< Perché non riuscite a trovare una fine alla vostra storia? >> aggiunge dispiaciuto.
<< Non lo so >> rispondo quasi contro il mio volere << Forse perché non ci siamo detti tutta la verità? >> lo guardo cercando nei suoi occhi quello che non avrei mai immaginato di volere da Nathaniel: conforto.
A sua volta mi guarda, e sembra volermi dire qualcosa, ma tace e penso di sapere il perché. Non vuole farmi stare ancora più male. Nathaniel sa benissimo ciò che provo, anche se ci siamo sempre scontrati fin da quando eravamo bambini, lui mi conosce tanto quanto lo conosco io.
Sospiro afflitto e dopo aver afferrato la maniglia della porta, gli volgo un ultimo sguardo, e accennando un sorriso sincero, gli dico: << Grazie, Nath >>, poi esco chiudendomi la porta alle spalle senza aspettare la sua risposta.
<< Dannazione >> sussurro a un tratto percorrendo il lungo corridoio. Sento che quel breve ragionamento mi ha sollevato un po' il morale, ma il cattivo pensiero che ormai alberga nel mio cuore da questa mattina, non accenna a lasciarmi in pace.
Entro nel mio ufficio, immaginandomi Rea seduta su quella poltrona che ci contendiamo da tempo ormai immemore. Sorrido  pensando a questo, e mentre mi avvicino alla scrivania per poi sedermi, ricordo quella frase che mi disse mesi fa: "Non ti ci affezionare".
La mia ingenua Rea. Forse non ha mai capito che di questo posto non me ne faccio un bel niente. Se andai a chiedere alla gangster di ridarmi il ruolo di Preside delegato, fu solo per starle vicino, perché in questi lunghi quattro anni, non c'è stato neanche un momento in cui non abbia pensato a lei. Ho combattuto con tutto me stesso per togliermi di mezzo quella maledetta di Ginevra, e quando sono ritornato qui in paese con l'intenzione di riprendermi Rea, sapere che si era messa insieme a Armin e che ha un figlio suo, mi ha fatto morire. Tutte le mie speranze sembravano andate in fumo. Ma non ho voluto mollare, non ho voluto rinunciare a questo insaziabile amore che provo per lei.
Chiudo gli occhi affondando la fronte sul palmo della mano.
<< Perché le ho detto quelle cose? >> sibilo sospirando angosciato. Non potrei mai lasciarla. La verità è che ho paura, paura di perderla un'altra volta.
Lei ha ragione, se Armin vuole parlarle, non posso impedirglielo, ma dentro di me c'è quella parte cattiva che mi consiglia quasi con autorità di non permetterglielo.
Cosa posso fare? Se solo Lysandro fosse qui, sarebbe tutto più facile. Lui saprebbe come aiutarmi.
A distogliermi da questi pensieri è il copioso trillare del mio cellulare. Lo afferro con malavoglia capendo, dalla suoneria, che si tratta di una chiamata estranea alla mia rubrica. Rispondo scocciato.
<< Parlo con il signor Castiel? >> chiede una voce rauca dall'altra parte.
<< Sì. Con chi parlo? >>
<< Signor Castiel, sono il notaio. Chiamo per conto di suo padre... >>
<< Cosa vuole? >> chiedo bruscamente.
<< A proposito dei termini per la vendita della villa. Mi servirebbe la firma della signora... Rea? Dico bene? >> 
Chiudo gli occhi per un attimo, dandomi mentalmente dell'imbecille. Mi ero completamente dimenticato della sorpresa che avrei dovuto farle.
<< Sì, sì. Non sbaglia >>
<< Come lei mi aveva chiesto, non ho accennato nulla a suo padre sul nome dell'acquirente, ma il signore è impaziente di avere la somma stabilita >>
<< Dica a mio padre di aspettare ancora un po'. Avrà i soldi, e con questo affare non vedrà più la mia faccia. Mi farò vivo io, signore >>. Chiudo la chiamata senza nemmeno dargli il tempo di rispondere, poi di scatto mi alzo dalla sedia ed esco fuori dall'istituto.
Quando mesi fa feci ritorno al paese, mio padre mi impedì di andare ad abitare nella villa dove ho vissuto durante la mia adolescenza. Naturalmente Io non lo ascoltai. Poi un giorno scoprii che il vecchio voleva venderla per fare soldi, e così per la mente mi balenò un'idea: l'avrei comprata io e poi l'avrei regalarla a Rea. Quelle mura racchiudono tanti ricordi del nostro amore, e non mi andava giù l'idea di vederla abitata da qualche altro estraneo. Convinsi mio padre, dicendogli che c'era un mio amico che desiderava comprarla e che mi sarei occupato io di tutto. Assetato di soldi, il vecchio accettò, anche se all'inizio fece storie sul fatto che avessi lasciato Ginevra, approfittandomi dell'ormai situazione di merda che si era venuta a creare nella mia famiglia.
<< Ti dissi che non sarebbe durato in eterno! >> gli ringhiai contro ammonendolo. Lui non parlò, sapeva che ormai non avrebbe più potuto far niente.
In quanto a Ginevra, fu difficile metterla al suo posto, ma alla fine ce l'ho fatta: si è accontentata di due milioni, per sparire definitivamente dalla mia vita.
La casa dove ho passato i momenti più belli ma anche quelli più brutti, non la cederò mai a mani estranee. Lì è nata la mia storia con Rea, e il mio desiderio di abitarvi con lei devo assolutamente farlo esaudire.
Senza pensarci due volte, e scordandomi della discussione avuta poche ore fa, riafferro il cellulare e compongo il suo numero, aspettando che mi risponda. 
Dopo una lunga, interminabile attesa, mi accorgo che la chiamata viene rifiutata. Al terzo tentativo, inizio a perdere la pazienza, così le mando un messaggio.
"Devo parlarti. Rispondi alla chiamata", guardo con ansia lo schermo, desideroso, come un vampiro assetato di sangue, di veder comparire l'avviso di messaggio.
"Che fine hai fatto? Vuoi rispondermi?!" scrivo ancora ormai impaziente.
La risposta giunge dopo cinque minuti: "Non posso risponderti". Quelle tre parole sembrano più fredde del ghiaccio stesso. Che significa che non può rispondermi?
"Perché?" le chiedo. Non risponde. Sembra distante, e non devo di certo meravigliarmi. Le ho detto parole fredde e taglienti, è normale che debba essere arrabbiata.
Pensieroso, mi porto il cellulare sulle labbra dandomi lievi colpetti. Prima che entrassi in bagno, l'ho incontrata e sembrava sconvolta, mi ha chiesto con chi stavo parlando fuori il cancello, e solo adesso mi rendo conto di quanto sia stato idiota nel darle quella risposta.
<< Che diavolo avrà pensato, adesso? >> sibilo sbuffando afflitto, raggiungo la mia auto, entro, scaravento il cellulare sul sedile e ingranata la marcia , sfreccio per le vie della città. Durante il tragitto, ho continuato a ripetermi nella mente che presto le passerà, e spero che questo valga anche per me.
Forse dovrei assecondarla e accettare la sua proposta di accompagnarla all'incontro con quel verme, ma l'idea di vedere la faccia di quest'ultimo non mi è di grande aiuto nel calmare la rabbia e l'odio che ho nel cuore.
No. Mi dico scuotendo il capo. Io non andrò, e neanche lei lo farà, e se davvero mi ama, mi obbedirà. Ed ecco che le mie idee ossessive ritornano a troneggiare i miei voleri. Fermo la macchina, riafferro il cellulare e la richiamo.
<< Pronto? >>, risponde dopo alcuni secondi di attesa.
<< Dove sei? >> chiedo serio.
<< Sono Kim, Castiel >>
<< Dov'è Rea? >>
<< N- non è qui. Ha lasciato il cellulare... >> risponde con voce spudoratamente incerta.
<< Avanti Kim, non dire stronzate! Si sente perfino da questa parte che stai mentendo! >>
<< Non sto mentendo! Rea è andata dal medico e ha lasciato qui il cellulare >>
<< Dal medico? Cos'è andata a fare? La dottoressa Morel le ha solo detto che ha un semplice calo di zuccheri... >>
<< Non lo so, non mi ha detto niente. Non mi ha neanche lasciato Etienne. L'ha portato con sé >>
Rimango in silenzio, fermo l'auto e scendo appoggiandomi allo sportello. Davanti a me ho il cancello di casa mia, e lo guardo pensieroso intento a riordinare le idee, quando Kim continua a parlare, dicendomi: << Castiel, Rea era strana... cosa è successo in infermeria? >>
<< Nulla >> rispondo secco.
<< Come, nulla? I suoi comportamenti sono strani, io ho un brutto presentimento >>
<< Non ti preoccupare Kim, la conosci bene. Sicuramente sarà arrabbiata per le parole che le ho detto >>
<< Se lo dici tu... >
Chiudo la chiamata senza salutarla. Rimango pensieroso e continuo a fissare il cancello.
A un tratto sento dei passi farsi più vicini, mi volto di scatto, e il mio sguardo si incupisce non appena incrocio l'immagine della persona che tanto disprezzo.
<< Ciao, mio caro marito... >> mormora con sguardo malizioso.
<< Che diavolo ci fai qui? >> chiedo rigirandomi. Nel frattempo afferro una sigaretta dalla tasca e l'accendo con disinvoltura.
<< Sono solo venuta a trovare Erich >>
<< Sai benissimo che Erich non è qui! >>
<< Non ho trovato Erich, ma ho trovato te... >> aggiunge avvicinandosi lentamente << ... come va la vendita della villa? >> chiede poi, poggiandosi alla carrozzeria.
<< Non ti riguarda, va via. Ti dissi di sparire >>
<< Ma come sei scontroso, Cass. Non ti sto facendo nulla di male... >>
<< La tua sola presenza è un male! >> la interrompo volgendole una bieca occhiata.
Lei ride, mostrando la sua bianca dentatura << Vuoi ancora odiarmi? Ma Castiel, eppure dopo tanto tempo e dopo tante fregature che hai avuto andando dietro a quell'idiota di Rea, avresti dovuto capire che stare con lei è solo una perdita di tempo! >>
<< Sta zitta! >>
Sorride, si distacca dalla macchina e si posiziona difronte a me. << Tuo padre sa chi è il nuovo padrone della villa? >>
<< Fatti i cazzi tuoi! >> digrigno sbuffandole il fumo in pieno volto.
<< Dovresti ringraziarmi Castiel >> dice sorridendo beffarda << mi sono fatta i cazzi miei per troppo tempo. Ho taciuto la verità a tuo padre, non ho detto niente sulla villa... e poi... grazie a me, capirai molte cose sulla tua amata! >>
<< Cosa? >> chiedo, non capendo il motivo per il quale assecondo i suoi ragionamenti.
<< Ho incontrato Rea... >> risponde calma.
<< Dove? >> ribatto gettando la sigaretta sull'asfalto. Lei non risponde, si gira solo verso la villa e la indica con gli occhi.
<< Dovevi vedere la sua faccia quando le ho detto che mi avevi regalato la casa dove è sbocciato il vostro amore... >>
<< Che cazzo ti passa per la mente? >>
<< Oh, avanti, non ti arrabbiare. Stavo solo scherzando, ma penso che lei non l'abbia capito >> ride malvagia continuando a guardarmi con sfida.
<< Tu sei pazza! >> esclamo spingendola lontano da me per poi girarmi e ritornare nell'auto, ma non appena mi accingo a farlo, lei mi afferra un braccio, mi gira verso di sé e cerca spudoratamente di baciarmi. Riesco a impedirglielo, scaraventandola bruscamente per terra.
<< Non toccarmi! >> esclamo ormai all'apice dell'ira.
Ginevra continua a ridere, sembra quasi fuori di senno.
<< Che bastardo! Come puoi respingermi? Io sono tua moglie! >>
<< Non più >>
<< Perché?! Solo perché non ti ho dato un figlio? La colpa è tua, sei stato tu a non permettermelo! O ti sei dimenticato di quella sera che mi facesti cadere dalle scale?! >>
<< Eri ubriaca e cadesti da sola! >>
<< Io aspettavo un bambino! >>
<< Non eri incinta, Ginevra! Mettitelo bene in quella mente malata! Il dottore ti disse che non puoi avere bambini! >>
<< Io lo ero! >> urla rimettendosi a malapena in piedi.
<< Sei solo una pazza isterica! >> scuoto la testa stanco di ascoltarla.
<< No, la pazza non sono io... siete tu e tuo padre ad essere solo due pezzi di merda! Ma la ruota gira, mio caro ex marito... >> mormora avvicinandosi lentamente. Osservo i suoi occhi, trasmettono odio puro, e per un attimo sento che mi arrecano brividi lungo la spina dorsale.
<< ... e ti assicuro che a pagarne le conseguenze, sarà quella maledetta di Rea... >> aggiunge con voce tremante.
<< Non nominarla... non te lo permetto! >> le sussurro sprezzante, volgendole uno sguardo cattivo.
<< Oh, sì. Mi permetto eccome. Inizia a chiederti di suo figlio... >>
<< Che diavolo stai dicendo? >>
<< Solo deliri di una pazza. È questo ciò che pensi di quello che ti dico... bene, allora la pazza se ne starà nel suo cantuccio ad attendere la vostra fine! >>
Dopo quelle parole rimaniamo a fissarci a lungo. Cerco di scorgere nei suoi occhi cattivi qualche barlume di lucidità, ma ciò che vedo è solo odio e rancore. La sua cattiveria aumenta giorno dopo giorno, so che lei ce l'ha con me per via di quell'incidente avvenuto tre anni e mezzo fa.
Ritornammo da una cena di famiglia, ricordo che c'era anche Alain insieme a noi. Ginevra iniziò con le sue solite scenate di gelosia. Era ubriaca fino al midollo. Avemmo una discussione al piano superiore della casa di mio padre, ci trovavamo vicino le scale; lei tentò di tirarmi addosso un vaso di ceramica, ma perse l'equilibrio e scivolò giù per le scale. Giorni prima mi aveva detto che era incinta, ma in ospedale il dottore dissentì, dicendo che non poteva avere figli, per via di una malformazione all'utero. Da quel giorno sembrò cedere alla pazzia. Continuava a incolparmi dicendo che ero stato io ad impedirgli di avere bambini; quando poi seppe dell'intenzione che avevo nel divorziare, mi accusò dicendomi che ero un assassino, che avevo ucciso nostro figlio.
Fu allora che mio padre si decise a non immischiarsi più nei miei affari, costatando quanto fosse malata, anche se un po' di rancore gli è ancora rimasto.
<< Va dalla tua Rea... >> riprende la pazza riportandomi al presente << ...ma ricorda, che se io lo voglio, voi non avrete futuro insieme >>
<< Sparisci dalla mia vista Ginevra, o ti farò pentire di non essere morta quella notte stessa! >> sentenzio ritornando nella macchina. Lei rimane a guardarmi, e senza altre intromissioni, metto in moto e mi allontano in fretta e furia.
Sono anni che conosco quella maledetta, e proprio per questo sono preoccupato. Pensavo che pagandola l'avrei accontentata, e invece mi sto repentinamente rendendo conto che ho solo voluto illudere me stesso. Ginevra non sparirà per sempre dalla mia vita, sono io che dovrò sparire dalla sua. La vita che avevo pianificato in quella casa si sta sgretolando nella mia mente come una scultura di sabbia travolta dalle violente onde del mare D'altra parte non posso permettere che quell'incubo assilli per sempre i miei sogni. Devo fare qualcosa. So che non ha mentito, quella minaccia la porterà a termine, e io devo impedirglielo. Rea non merita ancora il male di queste dannate persone, se voglio che stia bene, questa volta non permetterò che scappi via da me, devo proteggerla.
La meta è ben precisa, non appena vedo all'orizzonte la grande veranda di casa sua, accelero  per poi parcheggiare a pochi metri di distanza.
Scendo come una furia, raggiungo il cancello e premo violentemente il dito sul campanello.
<< Apri, Rea... apri >> sibilo tremando in preda all'ansia.
Non mi rendo conto di quanto stia attendendo, a un tratto vedo comparire qualcuno dalle vetrate adiacenti la porta d'ingresso. Allungo la testa per scorgere meglio la figura in ombra.
<< Kim! >> esclamo stringendo le sbarre di ferro. La bruna mi fa segno di attendere poi scompare dietro le tende. Dopo qualche secondo, la serratura del cancello scatta facendolo aprire, entro velocemente senza richiudere.
<< Castiel, che ci fai qui? >> chiede Kim attendendomi sulla soglia.
<< Kim, dov'è Rea? >> ribatto scostandola per entrare in casa.
<< Non c'è, non è ancora tornata >>
La guardo sconcertato e non riesco a comprendere perché il mio cuore abbia avuto un sussulto.
<< Come non c'è? Quanto cazzo dura questa visita?! >> urlo incazzato.
<< Ehi, non urlare con me, ok? Non lo so che cosa sta succedendo! Te l'ho detto al telefono che l'ho vista strana >>
<< Hai provato a cercarla? >>
<< Ma perché ti allarmi così tanto? Sarà andata al parco a far giocare Etienne >>
<< Tu non capisci >>
<< Cosa dovrei capire? Mi hai detto che dovevo stare tranquilla... >>
<< Rea ha incontrato Ginevra! >> esclamo tutto d'un fiato. Vedo gli occhi della bruna sgranarsi, e mi accorgo che per qualche istante ha interrotto il suo respiro.
<< Che significa? >> chiede con voce flebile. Mi allontano raggiungendo la cucina, lei mi segue e la sua voce sembra aver ripreso tono, che inizia ad urlare dicendomi: << Non avevi detto che non avremo mai più avuto a che fare con quella puttana?! >>
<< A quanto pare mi sbagliavo >>
<< Castiel... >>
<< Kim, porca puttana! Cosa cazzo vuoi che ti dica?! Ho sbagliato, ok? Dall'inizio, pensavo di avere tutto sotto controllo comportandomi così, invece ho peggiorato le cose! E adesso... >>
<< E adesso cosa? >>
Non rispondo a quella domanda, la paura che ebbi anni fa si sta facendo risentire. Di scatto salgo le scale dirigendomi verso la camera da letto di Rea, Kim mi segue urlando qualcosa che non riesco a sentire. Senza esitazione apro l'armadio e subito una fila di maglie stirate e profumate, appaiono davanti ai miei occhi. Sospiro quasi sollevato, poi mi volto verso Kim. Guardo attentamente il suo viso, e vedo le sue labbra muoversi. Sta dicendo qualcosa, ma non riesco a sentirla. Sembra che le mie orecchie siano state riempite di solida cera.
<< Castiel mi senti? A cosa stai pensando? >>
<< Ho paura Kim >> la interrompo strofinandomi gli occhi.
<< Di cosa? >>
<< Che possa andarsene un'altra volta... e per sempre >>
Kim scrolla le spalle, si passa una mano sulla fronte e sbuffa << Maledizione! >> esclama, e percepisco nella sua voce un tono di pianto. << Ma per che diavolo dovete complicarvi la vita? Per quale dannato motivo non vi siete detti tutta la verità dall'inizio?! >>
<< Credimi, se avessi saputo che sarebbe andata in questo modo, non mi sarei mai innamorato di lei. Non avrei dovuto innamorarmi di nessuno, perché il solo pensiero che la donna che amo sta patendo per me, mi distrugge >>
<< Quanto vorrei dirti che le passerà. Ma non posso farlo >> soggiunge la bruna sedendosi sul letto << Questa storia sta prendendo una brutta piega, e se non vi decidete a dire tutta la verità... >>
<< Io le ho detto tutto... >>
Kim mi guarda, sembra voler aggiungere qualcosa, ma non lo fa; si limita solo a distogliere lo sguardo dal mio e sospirare afflitta.
<< Mi sta nascondendo qualcosa? >> chiedo ansioso, lei non risponde << Kim! >>
<< Non lo so, ok?! >> esclama innervosita.
<< E allora perché parli così? >>
<< Ma perché mi sto mettendo in mezzo a questa storia? >> si alza sbattendo le mani sui fianchi. Inizia a camminare avanti e indietro per la stanza << Io non lo so se Rea ti sta nascondendo qualcosa. Ma se lo sta facendo posso capirla. Hai detto di avere paura, ma sappi, Castiel, che anche lei ha paura. Fatela finita con questi sotterfugi, perché io per prima ne ho piene le tasche! >> detto questo esce dalla camera lasciandomi solo con i miei pensieri.
 
***
 
Il tramonto ha ormai dato i suoi ultimi riverberi, mentre guardo quel quadro meraviglioso dipinto sui vetri della finestra, il mio pensiero ricolmo di paura è rivolto a Rea. Sono passate ore dacché l'ho chiamata l'ultima volta, e non ha ancora fatto ritorno. Quando ho guardato il quadrante dell'orologio a muro mi sono accorto che le otto di sera erano scoccate da parecchi minuti. Dopo aver avuto quella lunga discussione con Kim, ci siamo dati da fare per cercarla. Abbiamo cercato in tutti i posti che è solita frequentare, ma di lei neanche l'ombra, quando siamo ritornati qui a casa sua, sono stato fermato a fatica da Kim per via della mia reazione quando mi sono trovato davanti il tavolino del soggiorno. L'ira mi ha quasi accecato, e la voglia di spaccare tutto è riuscita per poco a divorarmi la ragione.
Kim continua ad andare avanti e indietro, e se prima quello preoccupato ero solo io, adesso lo è anche lei.
<< Kim finiscila, mi stai innervosendo ancor di più >>
<< Ma dove cazzo è andata a finire? Perché non torna? >> digrigna mordendosi le unghie. << Castiel, ma sei sicuro di non averle detto qualcos'altro che abbia potuto offenderla? >>
<< Ti ripeto che le ho solo detto che se avesse accettato di incontrare Armin, l'avrei lasciata! >>
<< Ma perché le hai detto così? Lo sai che Rea prende sul serio tutto ciò che le viene detto?! >>
<< Dannazione, Kim. Ero incazzato come una bestia! >>
<< Ma perché...? >> a un tratto la bruna interrompe le sue parole, sentiamo un rumore alla porta e dei mormorii provenire dietro di essa, ci voltiamo tutti e due a fissare il pomello; la serratura scatta e la porta si apre. Vediamo Etienne entrare per primo, ha tutti i capelli spettinati, ma il viso spensierato e sorridente. Si guarda dietro, e chiama la mamma, e non appena lo fa, il mio cuore si riempie di sollievo.
<< Etienne! >> lo chiama Kim, il bambino si volta a guardarla e prima di farlo, volge lo sguardo verso di me.
<< Zia Kim... >> risponde il bambino. Intanto dietro di lui vedo comparire l'immagine di Rea.
La guardo bene, ha la pelle un po' pallida, i suoi occhi castani sono lucidi, e mi guardando intensamente tanto da non riuscire a capire cosa stiano trasmettendo.
Mi avvicino lentamente, mentre vedo il bambino dirigersi verso Kim che ha iniziato a fargli la predica per il ritardo.
Quando mi trovo a pochi passi da lei, le chiedo con voce ferma: << Dove sei stata? >>, non riuscendo però a trattenere quel fastidioso tremolio. Lei distoglie il suo sguardo dal mio, e scansandomi si dirige verso la consolle per poggiare il mazzo delle chiavi.
<< Ho fatto una passeggiata... >> risponde quasi infastidita.
<< Perché sei andata dal medico? >>
<< Morel me l'ha consigliato >>
<< Perché non potevi rispondere alla chiamata? >>
<< Me ne stavo andando >>
<< E perché non l'hai portato con... >>
<< Deve durare ancora molto questo interrogatorio?! >> m'interrompe bruscamente sbattendo le chiavi sul legno.
<< Che cosa ti prende? >> sussurro afflitto.
<< Etienne, vieni, andiamo a dormire >> mi ignora completamente avvicinandosi al figlio che inizia a lamentarsi dicendo che vuole vedere la televisione, ma subito obbedisce senza farselo ripetere, così sale per primo le scale.
<< Rea... >> interviene Kim.
<< Vado a letto Kim >> la interrompe accingendosi a salire le scale.
Quel comportamento, io non lo sopporto. Mi dà fastidio e il mio gesto viene istintivo: l'afferro per un polso, la giro verso di me e la stringo forte fra le mie braccia reggendole la testa con la mano, poi affondo le labbra nell'incavo del collo.
<< Mi hai spaventato. Credevo che... >>
La sento divincolarsi gentilmente, mi guarda negli occhi, mi sorride poi mi afferra il volto e mi stampa un bacio sulle labbra.
<< Non preoccuparti Castiel. Sei ancora mio, no? >>
Trasalisco nel sentirle dire quella frase, e un agghiacciante brivido mi riga violentemente la schiena.
<< E io sono ancora tua... >> aggiunge con voce quasi soffocata.
Sorride e lo fa in maniera triste, poi senza aggiungere altro si gira e sale lentamente le scale.
La lascio andare, incapace di accennare un solo passo, quel comportamento, quel bacio, quelle parole mi hanno impietrito. Sento di poter scoppiare da un momento all'altro, ma l'unica cosa che mi riesce di fare è andare via da quella casa.
Raggiungo la mia auto, entro all'interno e non appena il silenzio più assoluto si trova intorno a me, sfogo la mia frustrazione contro il volante e il parabrezza, rischiando di romperlo in frantumi.
<< Quelle stesse parole, gliele ho dette io. >> sibilo ansimante. Solo adesso riesco a capire come si sia potuta sentire.
Mi sono comportato da vero stronzo.
 
***
 
Ritornando a casa, non mi accorgo che le luci dell'appartamento dove soggiorno, è acceso. Non appena entro una voce fastidiosamente famigliare investe il mio udito.
<< Ma dove cavolo sei stato? Ti ho aspettato come una moglie in pensiero! >>
<< A-Alain... che ci fai tu qui? Come hai fatto ad entrare? >>
<< Mi sono fatto dare le chiavi dal portiere... Hai una faccia... >>
<< Perché sei qui? Non saresti dovuto uscire alla fine del mese? >> chiedo cercando di ignorare le sue parole.
<< Mi ero stufato di stare in ospedale. Non c'era neanche una bella infermiera >> risponde facendo una smorfia.
<< Alain, devi finire la riabilitazione. Come hai fatto ad uscire senza il consenso del medico? >>
<< Hai mai sentito parlare dei verdoni? I medici sono facilmente corruttibili >>
Sbuffo una risata, passandomi una mano fra i capelli.
<< Che hai? >> mi chiede dopo un po'.
<< Sono stanco >> rispondo appoggiandomi al muro.
<< Ma Erich, non c'è? >>
<< È ritornato in collegio >>
<< Ma sei sicuro che sia davvero tuo fratello? Tu avresti fatto il diavolo a quattro per startene in casa... >>
<< Va a dormire Alain >> lo ammonisco cercando di cancellare dalla mente tutto ciò che è successo questa mattina.
<< Stavo quasi per farlo, allora, buonanotte >> dice recandosi nell'altra camera.
<< Alain! >> lo fermo osservandolo.
<< Cosa? >> chiede sbadigliando.
<< È tornata... >>. Alain cancella dal suo volto quell'espressione beffarda. Mi accorgo che sta serrando la mascella, i suoi occhi azzurri si incupiscono.
<< Non so di chi tu stia parlando >> risponde scandendo bene tutte le parole che formano l'intera frase, poi dopo aver lanciato un'occhiataccia, scompare nel buio del corridoio.
<< Mi dispiace >> sibilo in maniera che neanche io possa sentire le mie stesse parole.
Mi sono addormentato sul divano del salotto, ed è inutile dire che è stata la nottata più scomoda della mia vita.
Ho pensato per tutta la notte a Rea, e un incubo mi ha torturato fino a quando non mi sono allontanato dall'inconscio.
Alain è ancora a letto. Dopo aver fatto una doccia rinfrescante, metto la caffettiera sul piano cottura, poi afferro il cellulare e guardo l'orario: le sette e un quarto. Rea si sarà sicuramente svegliata, e a quest'ora starà vestendo suo figlio per mandarlo all'asilo.
Decido di mandarle un messaggio, ma non so quali parole usare per incominciare la giornata. Sbuffo lasciando l'oggetto sul tavolo. << La vedrò a scuola >> sussurro, ma mai avrei potuto immaginare che Rea non si sarebbe presentata.
Mentre la campanella suona l'inizio della quarta ora, Nathaniel entra nel mio ufficio avvertendomi che non è ancora venuta.
<< Ho provato a chiamarla, Castiel, ma non mi risponde >>
<< Va bene così, Nathaniel. Ti ringrazio lo stesso >>
Il delegato esce dalla stanza, e non appena mi ritrovo di nuovo solo sbuffo esasperato, allentandomi la cravatta e strofinandomi gli occhi.
<< Maledizione, Rea... perché fai così? >>
A un certo punto, decido di chiamarla, e lo faccio dal telefono della scuola. Compongo il suo numero e attendo.
<< Pronto? >>
<< Rea?! >> esclamò sobbalzando dalla sedia.
<< Cosa c'è? >>
<< Perché non sei venuta a scuola? >> chiedo con estrema calma, dicendomi mentalmente che non devo sbagliare con le parole.
<< Il dottore mi ha detto che devo riposare >> risponde con voce flebile.
<< Che cos'hai? >> domando preoccupato.
<< ...nulla >> risponde dopo qualche istante di esitazione << S-sono solo un po' stanca >> aggiunge incerta.
<< Allora riposati, se vuoi passo per vedere se ti serve qualcosa... >>
<< No, no! Non venire... non mi serve nulla >>.
La sua voce diventa allarmata, non riesco a capire cos'abbia voluto dire, tant'è vero che non so cos'altro aggiungere. Quella chiamata termina lì, e per l'ennesima volta in due giorni, rimango impietrito dalle sue parole.
La giornata passa così lentamente, da sentirmi le ore pesarmi come macigni sulle spalle. C'è stata una riunione, abbiamo discusso del festival del giorno dopo e Nathaniel ha proposto di occuparsi personalmente della gestione, forse capendo che non ho la testa per farlo.
Quando sono tornato a casa, mi è passato per la mente di andare a trovare Rea anche se lei mi ha detto di non farlo. Ho lasciato ad Alain le chiavi dicendogli che avrei fatto subito ritorno, e me ne sono andato a piedi. 
L'aria oggi è più fredda del solito, l'inverno non vuol passare inosservato quest'anno, e il pensiero che debbano ancora trascorrere due mesi, è davvero una rottura, almeno per me.
La casa di Rea è a pochi isolati, da dove mi trovo, si vedono bene le finestre. Mi accorgo che le persiane sono chiuse, senza rendermene conto accelero il passo. Il cancello è ormai vicino, intravedo la sua macchina. Suono al citofono e nessuno viene a rispondermi.
"Forse dorme" penso cercando di rendere quel pensiero una convinzione.
Suono ancora, ma nulla. A un certo punto sento dei passi. Mi giro di scatto.
<< Ciao Castiel >>, è Ginevra.
<< Ancora tu? Perché sei qui? >> chiedo incazzato e anche un po' preoccupato.
<< Ti stavo aspettando >>
<< Che cazzo dici? >>
<< Se cerchi Rea, ti avviso che non è in casa >>
<< Come fai a saperlo? >> chiedo avvicinandomi a lei in modo minaccioso << Che cosa le hai fatto? >>
<< Io nulla >> risponde tranquilla << è venuta a prenderla qualcuno >>
<< Chi? >>
<< Armin >>
<< Tzè! E tu vuoi che ci creda? >> chiedo, ammettendo a me stesso che quelle parole mi stanno preoccupando.
<< Sei libero di fare ciò che vuoi, ma se non ci credi, perché non vai a vedere al lago? >>
<< Ti dò due secondi per sparire >> digrigno linciandola con gli occhi.
Lei dal canto suo, inizia a ridere << Come sei diffidente. Eppure dovresti esserlo anche nei suoi confronti. Alla fine non ha obbedito alle tue parole >>
È proprio quella frase a convincermi che forse non sta mentendo. Senza aggiungere altro corro verso la direzione indicata, pregando Iddio che siano state una delle solite bugie di quella strega, ma non appena arrivo al lago, la scena che mi si staglia davanti è più evidente della realtà stessa:
Armin di spalle tiene stretta Rea, mentre di quest'ultima sgorgo solo le sue braccia che cingono le spalle del bastardo. La posizione in cui si trovano, rende la scena confusa: forse si stanno baciando.
Subito un velo di odio copre la mia visuale, il mio corpo sembra agire d'istinto e ormai capisco che non sono più io a comandarlo.
In un barlume di lucidità vedo il viso di Armin fissarmi sorpreso, mentre il mio pugno colpisce violentemente la sua guancia.
Calci, pugni e imprecazioni risuonano nell'aria, ma quello che sta agendo così non sono io, è l'odio che mi ha sottomesso.
Sento Rea chiamarmi e pregarmi di lasciarlo.
<< Non è come pensi, fermati ti prego! >> urla con voce stridula mischiata al pianto.
Quelle parole anche se ignorate, riescono per un momento a farmi abbassare la guardia, così Armin  a fatica riesce a liberarsi dalla mia presa. Mi ritrovo seduto sulla sabbia, ansimante e tremante.
<< Smettila, ti prego >> continua Rea soffocata dalle lacrime. La guardo con occhi crudeli. Sta piangendo, e sembra afflitta. Mi alzo barcollante.
<< Tu, sei una maledetta bugiarda! >> urlo avvicinandomi a lei minacciosamente.
 << Perché?! >> chiede a tono.
<< Ti avevo detto di non incontrarlo, e invece mi hai preso per il culo! >>
<< Io non ti avevo promesso che non l'avrei fatto! >> si difende gesticolando nervosamente.
<< Da quanto va avanti questa storia? >>
<< Ma che diavolo dici? Non farti fantasie... >>
<< Ecco perché al telefono mi hai detto di non venire a casa tua. Il medico, la stanchezza... era tutta una scusa! >>
<< Non dire cavolate, Castiel! >>
<< È finita! >> la interrompo deciso.
<< Cosa? N-non puoi dirmi questo, solo perché hai visto un abbraccio! >>
<< Perché lo stavi abbracciando? >>
<< P-perché... >>
<< Ti ha violentata, cazzo! Anche il più idiota avrebbe capito il motivo per il quale voleva incontrarti. Ma tu come al solito non riesci a capire neanche la minima puttanata! >> grido iniziando ad allontanarmi.
<< Aspetta, fammi spiegare almeno! >>
<< Non c'è nulla da spiegare, ho capito bene le tue intenzioni. Io ti avevo avvisata: se avessi accettato di incontrarlo, tra noi due sarebbe tutto finito. Adesso basta >>
<< Smettila Castiel, ti dissi il motivo per cui volevo accettare di parlargli. Lui è andato da Etienne, e io dovevo sapere... >>
<< Cosa?! >> la interrompo bruscamente fermandomi e voltandomi verso di lei per guardarla meglio negli occhi << Cosa volevi sapere? Quel figlio di puttana voleva vederti per ottenere ciò che ha ottenuto, ecco perché è andato da Etienne! >>
<< Non è così! >>
<< Avresti dovuto intendere che è normale che un padre voglia vedere suo figlio! >>
 << Non è suo figlio! >> urla con tutte le sue forze tentando di coprire il mio tono di voce.
Sento il cuore dare un violento battito, tanto da far sussultare il petto. Rea mi guarda con occhi malinconici, mentre le sue lacrime continuano a scendere autonome.
 << C-che stai...? >>
<< Armin non è il padre di Etienne! >> m'interrompe scandendo bene le sue parole.
<< Ma... cosa stai... >> balbetto cercando di ordinare le idee che continuano a vagarmi nella mente così confuse << Allora... c-chi è il... >>
<< Non ti sei mai accorto del suo sguardo? >> mi chiede con voce fievole, avvicinandosi lentamente << I tuoi occhi, sono come i suoi >>
Sento crollarmi il mondo addosso, mentre ascolto quelle parole. Le mie gambe tremano fino a perdere l'equilibrio e a farmi cadere sulla sabbia.
Confuso mi ritrovo a guardare quei minuscoli granelli, e li vedo inumidirsi a ogni goccia che si poggia su di essi: sono le mie lacrime. Io, il cinico Castiel, sto piangendo, ripetendomi silenziosamente e ancora incredulo, che Etienne è mio figlio.
 

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Capitolo 39
*** Non ci sarà un lieto fine ***


39' Capitolo: NON CI SARÀ UN LIETO FINE
 
 
 
 
<< Ricordi, Castiel?... ricordi quella notte di quattro anni fa?... io la ricordo perfettamente, fuori pioveva, avevo riacquistato la memoria e ti raggiunsi al lago. Ritornammo a casa tua bagnati fradici. Ci ritrovammo, e ci amammo perdutamente... dopo tre anni di lontananza e di incomprensioni, Rea e Castiel ritornarono a stare insieme >>.
La voce di Rea risuona quasi roca nell'aria, e io, ancora troppo frastornato da questa scoperta, non riesco ad alzare lo sguardo per fissarla negli occhi, ma le sue parole le sento vivide quasi a colpirmi la pelle come una folata di vento caldo.
<< Quella fu l'ultima volta che facemmo l'amore... >> riprende tremando << ...il giorno dopo a casa di tuo padre, tu mi portasti in camera tua, mi gettasti sul letto e mi chiedesti di darti un figlio... >> si ferma, la sento sbuffare un sorriso mescolato a un sospiro ricolmo di dolore e di pianto, << all'epoca come potevamo sapere che nel mio grembo c'era già qualcuno? Io ti lasciai, convincendomi che ti avrei dimenticato, che il tuo ricordo sarebbe stato deposto in un angolo del mio cuore, come si fa con qualcosa da dimenticare al più presto, ma come potevo... non ci riuscii... >>
Finalmente riesco ad alzare la testa, e il volto di Rea che si presenta davanti ai miei occhi esprime tutto il suo dolore.
<< Fu il mese dopo averti lasciato che Etienne diede segnali della sua presenza... >> piange, iniziando a singhiozzare, << ...ero incinta di tuo figlio, e tu non eri accanto a me >> sibila abbassando la testa e affondando il viso fra i palmi.
<< Perché non me lo hai mai detto? >> chiedo con voce roca.
Lei non risponde, libera gli occhi ormai arrossati e mi guarda con supplica.
<< Perché non ritornasti da me? >> ribatto rimettendomi in piedi.
<< Avevo paura... >>
<< Di cosa? Cazzo, Rea. Etienne è mio figlio! Se solo me l'avessi detto prima... >>
<< Non volevo rischiare! Tu pensi davvero che non ci abbia mai pensato? Notti insonni ho passato con il pensiero di fartelo sapere, che mi logorava la mente. "Se glielo dicessi, Castiel non sposerebbe Ginevra" pensavo contenta! Ma quando ritornavo a ragionare, la paura che tuo padre avesse voluto togliermi mio figlio, mi faceva impazzire! >>
<< Non glielo avrei mai permesso! >> urlo sentendomi il sangue ribollire nella testa. Non può aver pensato davvero che io avrei potuto permettere una crudeltà del genere.
<< Chi me lo assicurava?... tu?... mettiti nei miei panni! Eri stato capace di cedere alle minacce di quella maledetta, come potevo essere sicura che avresti mollato tutto? >>
<< Lo avrei fatto, pur di stare con te! >>
<< Non lo avresti fatto per Erich!... è anche per questo che non dissi nulla... Etienne ha sempre me, ma Erich, Erich sarebbe stato di nuovo solo, e lui era così piccolo e indifeso. Non riuscivo ad accettare di rovinargli per sempre la vita... >>
<< Così... hai pensato bene di metterti con quel vigliacco e far credere a tutti che il bambino fosse suo... >> soggiungo.
<< Armin lo sapeva! Era l'unico a saperlo! >> risponde decisa e distaccata.
<< Perché l'hai fatto? Sono io il padre di Etienne, perché il mio posto lo hai dato a un altro? >>
<< Cosa vuoi che ti dica? >> chiede esasperata << Vuoi che ti chieda perdono? Io avevo paura!... Ogni giorno che passava credevo di morire, e Armin... >> si ferma, poi riprende con voce flebile << Armin mi ha salvata >>
<< Da cosa? >> chiedo indispettito << Dal rimanere sola? Poverina... non saresti stata di certo l'unica! >> esclamo sprezzante.
<< Castiel, perché adesso mi tratti così? >>
<< Mi hai ingannato >>
<< I-io ti avrei ingannato? >> chiede incredula << ma che stai dicendo?! >>
<< Dal primo giorno, da quando ho messo piede qui, non mi hai mai detto la verità! >>
<< Perché, tu me l'avresti detta?... avanti, rispondi! >>
<< Di che stai parlando? >>
<< Sei anche bravo a fingere! Se non ti sovviene, perché non pensi a ciò che nascondevi nel cassetto della tua scrivania al liceo? >>
<< Ma che dici? >> chiedo confuso, non riuscendo a capire per quale motivo questo discorso sta prendendo una brutta piega. Dovrei essere felice di questa scoperta, e invece sento una rabbia dentro, che non riesco a controllare.
<< Sai una cosa? Se mi avessi detto la verità sarei stata pronta a perdonarti, ma adesso... >> scuote la testa fissandomi dritta negli occhi, che mi accorgo essere arrossati << Ci conosciamo da una vita, e mai... MAI, dalla tua bocca è uscita la verità!... e ora mi vieni a dire che io ti avrei ingannato? >>
Dopo quella domanda, alla quale non so dare una risposta, non aggiunge altro, stringe i pugni e si allontana velocemente.
Preso da uno scatto istintivo, le corro dietro chiamandola a gran voce per farla fermare, ma lei non mi ascolta.
<< Ho detto fermati! >> urlo afferrandola per un polso e strattonandola di poco.
<< Lasciami! >> urla piangendo.
<< Non puoi andartene, non così! >>
<< Lasciami! Non ti voglio vedere! >>
<< Ricordati di una cosa Rea... >> le stringo le spalle intimandola a guardarmi negli occhi << ...Te lo dissi già una volta, ricordi? Le cose mie non si toccano, sono mie e di nessun altro >>
<< Che cosa vuoi dire? >> chiede intimorita.
<< Non so perché siamo arrivati a questo punto... >> rispondo fissandola intensamente << ...ma t'avverto: qualunque cosa succeda, questa volta non non te ne andrai, non con mio figlio! >>
<< Perché dici questo? >> la sua voce è rauca, e da come l'ha espressa, capisco che ha paura << Perché? Rispondi! >> urla strattonandomi per liberarsi << Tu non mi vuoi più... >> aggiunge poi ansimante << ...è questo, non è vero? >> la guardo e non rispondo.
Perché? Mi chiedo dandomi dell'idiota. Dovrei dirle la verità, e invece tengo la bocca chiusa. Perché lo sto facendo?
Chiudo gli occhi raccogliendo quanta più aria possibile, mi preparo a rispondere, ma non appena lo faccio, uno sbuffo da parte sua mi interrompe di scatto. Riapro le palpebre tornando a guardarla.
<< Tua moglie aveva ragione... >> sorride triste; poi si avvicina a me incattivendo il suo sguardo <<  A questo punto fa' cio che vuoi, ma mio figlio... non lo tocchi, né tu, né tua moglie, né nessun altro! >>
Ed ecco qualcosa di molto affilato trafiggere inesorabilmente il mio cuore. Sento un forte dolore in petto e il glaciale sguardo che Rea mi sta lanciando, mi sta facendo paura.
Per la prima volta nella mia vita mi sento in questa maniera, anzi no. Non è la prima volta, ricordo di aver già sentito questi inquietanti sentimenti, e sono gli stessi di quando mi rendevo conto di perderla. Un agghiacciante brivido mi delinea la spina dorsale come fosse un taglio di coltello.
Quando ritorno alla realtà, mi rendo conto troppo tardi che lei si è allontanata. Cerco di raggiungerla ma qualcuno alle spalle mi chiama fermandomi.
Mi giro di scatto riconoscendo la voce.
<< Aspetta Castiel >>, è Armin. Ha una mano appoggiata sullo stomaco e cammina a fatica asciugandosi con l'altra mano il labbro inferiore che tralascia rivoli di sangue.
<< Che cazzo vuoi? >> chiedo sprezzante.
<< Dobbiamo parlare >>
<< Non abbiamo più niente da dirci tu e io! >>
<< Aspetta! >> mi interrompe alzando la voce << Non hai voluto ascoltarla... Ma adesso ascolterai me >>
 
***
 
Nonostante sto alzando il passo per raggiungere velocemente il primo piano, le scale mi sembrano interminabili.
Sento qualcosa stringermi la gola impedendomi di respirare e provocandomi un forte dolore.
Mi arranco al passamano della ringhiera fissando la porta del secondo piano come qualcosa da voler raggiungere disperatamente.
Un gemito di pianto mi esce presuntuoso dalla bocca. La lite con Castiel, io, non immaginavo che avrebbe potuto prendere questa brutta piega.
Le parole che mi ha detto, che gli ho detto, ascoltate da orecchie estranee possono far veramente male, e solo adesso mi rendo conto di come ci siamo feriti a vicenda.
Nonostante tutto, non riesco a darmi una risposta plausibile, non riesco a rassegnarmi al fatto che a parlare è stata solo la sua gelosia.
La realtà va ben oltre ogni semplice immaginazione, e per come si è presentata davanti ai miei occhi è frustrante e maledettamente ingiusta: Ginevra aveva ragione. Castiel ha un'altra, e il comportamento che ha avuto nei miei confronti istanti fa, conferma tutti i miei dubbi.
Arrivata davanti la porta della mia camera, la spingo bruscamente, ritrovandomi a guardare il letto.
Ansimando e continuando a piangere, spalanco l'anta dell'armadio prendendo alla rinfusa tutti gli indumenti che sono appesi e piegati, gettandoli con noncuranza dietro di me.
Esausta mi volto verso il letto osservando smarrita il caos che ho provocato, poi sentendo le gambe cedermi, mi appoggio di spalle all'anta e scivolo giù piangendo disperatamente.
"Che cosa sto facendo?" mi dico affondando il viso fra le mani. "Non posso andare via, non posso continuare a fuggire per sempre da lui. Anni fa, promisi che avrei affrontato a testa alta ogni situazione... ma io... la verità è che sono una maledetta bugiarda e vigliacca. Non riesco a non pensare che la miglior cosa sarebbe quella di prendere il primo treno e sparire da questo maledetto paese insieme a mio figlio.
Il problema è che ho sbagliato dall'inizio. Quattro anni fa, non avrei dovuto accettare l'aiuto di Armin. Sarei dovuta andare via senza far sapere niente a nessuno. E invece, ho avuto bisogno del conforto di qualcuno, anche se quest'ultimo mi ha rovinato la dignità".
Lentamente tolgo le mani dal viso aprendo gli occhi che bruciano per le lacrime. Guardo la finestra accorgendomi che il cielo si sta tingendo di tramonto.
"Devo andarmene da qui" mi ripeto, e questa volta convincendomi, non solo per le parole di Castiel, ma soprattutto per quello che mi ha detto Armin e per ciò che avverrà.
Dopo qualche istate immersa nei miei pensieri, sento al piano inferiore la porta d'entrata aprirsi. La trillante risata di mio figlio, inonda subito l'abitacolo e un forte calore invade il mio cuore. Mi alzo di scatto raggiungendo velocemente le scale, ma prima di scendere, mi accorgo che Kim e il bambino stanno salendo.
<< Mamma! >> esclama quest'ultimo correndo verso di me. Mi abbasso per accoglierlo fra le mie braccia e stringerlo forte, mentre la bruna rimane ferma a fissarmi. Ricambio lo sguardo, permettendole di leggermi dentro.
<< Ch'è successo? >> chiede con voce roca.
Le mie labbra tremano, e risollevandomi con in braccio Etienne, mi dirigo nella mia stanza senza curarmi di darle una risposta.
<< Che casino! >> esclama mio figlio scendendo << ma è passato un uragano? >> chiede afferrando un pantalone dal pavimento.
<< Che significa? >> soggiunge Kim guardando la stanza allibita. << che stai facendo? >>
<< Me ne vado! >> rispondo prendendo il trolley dall'armadio.
<< Cosa? Dove? >>
<< Etienne, va' a giocare all'x-box >>. Il bambino mi obbedisce senza ribattere e quando siamo sole, Kim ritorna a chiedermi che cosa sto facendo.
<< Non lo vedi? >> rispondo aprendo la valigia.
<< Lo vedo, ma non riesco a capire! >>
<< Me ne vado >>
<< Dove? >>
<< Non lo so >>
<< Come sarebbe a dire: non lo so? >> esclama piazzandosi davanti a me e chiudendo la valigia.
<< Ho rivelato il mio segreto a Castiel! >> rispondo bruscamente << e le cose non sono andate bene >>
<< Come? >>
<< Hai capito perfettamente! Non è andata come speravo! Non mi ha abbracciato e non mi ha detto che vivremo per sempre felici e contenti!... Si è solo limitato a incazzarsi e dirmi che l'ho ingannato... >>
<< Solo questo? Devi capirlo. Chiunque avrebbe reagito in quella maniera! >> m'interrompe incrociando le braccia al petto.
Scuoto la testa incredula e riapro la valigia depositando alcune maglie. << Lascia perdere Kim. Non cercare di difenderlo. Ho trovato una foto di una ragazza nel cassetto della sua scrivania, e sua moglie mi ha confermato che Castiel ha avuto un'amate. Per di più la stessa ragazza della foto, si presenta ormai da giorni a scuola e cerca qualcuno! >> riprendo con un tremolante sospiro.
<< Rea, non puoi scappare per una stronzata come questa! Hai provato a parlargliene? Vedrai che si sistemerà tutto... >>
<< Non si sistemerà un bel niente! >> urlo afferrando il trolley e scaraventandolo lontano da me. << È tutto finito Kim! Il Castiel e la Rea di prima non ci sono più. Non torneremo come una volta. Non più! Lo vuoi capire?! >>
<< No! Io non riesco a capire! Perché?! >>
<< Perché non voglio che mi portino via Etienne! >> rispondo stringendo i pugni dalla rabbia.
<< Cosa vuoi dire? >> balbetta la bruna scuotendo il capo.
 
***
 
<< Qualche mese fa, ho incontrato tua moglie >> riprende Armin fissandomi dritto negli occhi. Al contempo lo guardo cercando di intuire bene le sue parole.
<< Si presentò invitandomi a bere qualcosa,  tra un ragionamento e l'altro, scoprii che Ginevra è amica di mia madre. Iniziò a farmi domande su Rea e su... vostro figlio. Naturalmente io non rivelai nulla. La lasciai dicendo che Rea e io non stavamo più insieme e che non avevo voglia di rivangare il passato. Qualche giorno più tardi la rincontrai a casa di mia madre. Stavano prendendo un caffè e parlavano sottovoce. Quando mi videro entrare, fu mia madre la prima a cambiare discorso. Poi rimasi solo con Ginevra... >> si ferma spostando il suo sguardo verso l'orizzonte.
<< Va' avanti >> lo sprono infastidito da quella pausa.
<< ...quella frase, io... credo che non la dimenticherò mai... >> continua tremando.
<< Quale frase? >> chiedo ansioso.
<< "La tua Rea me la pagherà molto cara, sia lei che suo figlio" >> risponde come un automa, rivolgendomi lentamente il suo sguardo glaciale.
A quelle inquietanti parole, il mio cuore manca un battito e riesco a percepire il significato di quella frase.
<< Che cazzo stai dicendo?! >> esclamo piazzandomi davanti a lui e afferrandolo per il colletto.
<< Non sto mentendo. È questo quello che stavo dicendo a Rea, prima che tu ci interrompessi. Ginevra ha in mente qualcosa contro di lei! >>
<< Brutto figlio di puttana! >> esclamo scaraventandolo per terra << tu eri d'accordo? >>
<< Come puoi pensare una cosa simile? Le ho già fatto del male, e me ne sto pentendo amaramente... >>
<< Io ti assicuro che se solo torcerete un capello sia a lei che a mio figlio, non la passerete liscia! >>
<< Queste parole devi andare a dirle a tua moglie >> m'interrompe rialzandosi e guardandomi con sicurezza. << Invece di incolpare Rea, dovresti andare da lei e rassicurarla. Lei ti ama, e anche se mi fa male al cuore ammetterlo, ti ha sempre amato. Lei è ancora arrabbiata con me per ciò che le ho fatto, e ogni giorno che passa, i rimorsi mi divorano l'anima. E ancora adesso mi chiedo come fai tu a non avere rimorsi? >>
Quelle parole non mi fanno reagire molto bene. Infatti senza trattenermi, gli sferro un pugno in pieno volto buttandolo ancora una volta per terra.
<< Che cazzo ne sai tu, di quello che sento io? >> chiedo digrignando i denti. << So benissimo che questa situazione è causa del mio passato menefreghismo. So che la colpa di tutto questo è soltanto mia. Non sei tu quello che deve venirmi a fare la predica! >>, e detto questo lo lascio lì allontanandomi con passo svelto.
Raggiungo deciso casa di Rea e mi accorgo che tutte le stanze sono spente. L'ansia di prima ritorna a farmi visita, così senza perdere altro tempo, mi reco al cancello e mi accingo a suonare, ma non appena l'indice sfiora il pulsante del campanello, vedo la porta di entrata aprirsi.
<< Kim! >>. Non appena mi vede, la bruna trasalisce, forse presa alla sprovvista. Si volta verso l'entrata e socchiude la porta, poi si avvicina velocemente.
<< Castiel, che ci fai qui? >> chiede sottovoce.
<< Rea è dentro? >> ribatto speranzoso.
<< Sta dormendo >> risponde sospirando.
<< Aprimi il cancello >>. Scateno di poco il ferro, ormai preda all'ansia. Kim mi guarda con occhi strabuzzati, mi afferra i pugni e mi supplica di fare piano.
<< Che vuoi fare Castiel? >> aggiunge disperata.
<< Voglio entrare, aprimi il cancello >> ripeto innervosito.
<< No, lascia perdere. Sta dormendo, era nervosa e agitata. Se avete litigato ancora, l'unica cosa da fare e darvi del tempo. Rea adesso non vuole vederti... >>
<< Lì dentro c'è mio figlio! >> esclamo a denti stretti, lei si interrompe di colpo e mi fissa negli occhi. << Me ne sbatto il cazzo di ciò che vuole lei. Io voglio vedere mio figlio! >> scandisco l'ultima frase con autorità.
Vedo Kim sospirare afflitta. Scrolla le spalle e si accinge ad aprire, ma prima di farlo mi chiede: << Sai di tua moglie? >>
Annuisco, << È per questo che voglio starle vicino. Ignorerò totalmente i suoi capricci. Non m'importa di ciò che pensa. Ne ho piene le tasche di spiegarle ciò che lei fraintende >>
<< So che forse non è giusto nei suoi confronti, ma, ti faccio entrare solo perché ci conosciamo da anni, e so chi sei... >>, detto questo apre il cancello e mi libera il passaggio. << Le ho dato una camomilla, non credo ti sentirà >> aggiunge poi invitandomi con un gesto della mano ad entrare.
<< Grazie Kim >> accetto recandomi velocemente alla porta. Senza più curarmi della bruna, entro. La penombra mi rende incapace di vedere nitidamente, ma un fascio di luce proveniente dalle vetrate del salotto, illumina di un blu-nero le scale. Le guardo per qualche istante con titubanza, poi inizio a salire.
Ogni gradino, su cui poggia il mio piede, mi trasmette delle scosse; il cuore inizia a palpitare con foga e sento le mie mani aggrapparsi al passamano con tremore.
La stanza del bambino è a pochi passi da me, e la voglia matta di vederlo, cresce ancor di più. Sembra come se fosse il nostro primo incontro.
La porta della sua camera è socchiusa, e da lì una calda luce soffusa, illumina di poco il corridoio.
Entro lentamente e subito il mio sguardo viene catturato dalla sua immagine. Sta dormendo tranquillo. Mi avvicino lentamente, e in tale maniera mi siedo al suo fianco osservandolo con dolcezza.
Come ho potuto non accorgermene prima? I suoi capelli corvini, il suo sorriso, ma soprattutto i suoi occhi di quel grigio cenere che è uguale al mio.
Io ho un figlio, ce l'ho davanti ai miei occhi, e la prima cosa a cui riesco a pensare è che sto male, perché per il mio egoismo, non ho potuto vederlo nascere e stargli affianco come un padre.
Stringo i pugni e chiudo gli occhi sentendomeli bruciare; sospiro trattenendo a stento un singhiozzo.
Mi curvo verso di lui, gli sposto i capelli dalla fronte e gli accarezzo le guance con le labbra.
<< Mi dispiace, Etienne >> sussurro con voce rauca. << Perdonami. Adesso che papà ti ha trovato, non ti lascerà più andare >>
Lo sento sospirare, mentre mi accorgo che nel sonno le sue labbra si allungano in un dolce sorriso. Lo ricambio, poi dopo avergli dato un bacio sulla fronte, mi alzo e esco dalla camera.
Giunto nel corridoio, mi blocco volgendo lo sguardo verso la porta della camera di Rea. Sospiro afflitto dispiacendomi per ciò che le ho detto. Esito, poi però mi decido a recarmi da lei.
La porta è chiusa, ma non a chiave, così, silenziosamente abbasso il saliscendi e apro.
Subito un odore di freschezza invade le mie nari, me ne inebrio, guardandomi intorno. La stanza si presenta in disordine, ci sono un sacco di maglie gettate sul divanetto, mentre le ante dall'armadio sono spalancate. Rea giace sul letto coperta da un lenzuolo, mi dà le spalle.
Mi avvicino a essa, facendo il giro del letto per trovarmela di fronte.
Sento il suo respiro calmo, anche la sua espressione sembra tranquilla. Tiene il braccio destro che sporge dal materasso. Le afferro docilmente la mano e gliela poggio sul cuscino, ma non appena lo faccio, qualcosa sotto i miei piedi scricchiola, facendomi fermare. Volgo di scatto lo sguardo verso il pavimento: c'è un pezzo di carta stropicciato. Lo raccolgo e mi avvicino alla finestra per vedere bene di cosa si tratta. È una foto, e non appena mi accorgo chi vi è ritratta, subito formulo nella mente tutte le spiegazioni.
<< Non è possibile >> sussurro volgendo lo sguardo verso Rea, e la fioca luce che la illumina fa brillare un rivolo di lacrima che le si è formato sulla guancia.
 
***
 
I raggi del sole colpiscono in pieno i miei occhi già provati per il pianto. Li riapro a fatica, sospirando scocciata.
Nonostante Kim abbia insistito per darmi la sua camomilla, sento di avere un forte dolore alla testa.
Mi sento confusa, non riesco a ricordare cosa sia successo la sera prima. Ma non appena mi alzo e vedo il pietoso stato della mia camera, rimembro subito tutto: volevo preparare le valige per andarmene. Sì, proprio così; volevo. Kim è stata capace di convincermi a fare il contrario. Le ricordo ancora le sue parole: << Se veramente vuoi proteggere tuo figlio, devi proteggere prima te stessa dalla paura. Non scappare Rea. Combatti >>
Quelle parole sono state alquanto convincenti.
Kim ha ragione, non posso scappare in eterno. Etienne ha bisogno di una mamma forte e coraggiosa, e io so di esserlo.
Con quella convinzione nella mente, mi metto a sedere sul letto, cercando con i piedi le pantofole sparse sul pavimento.
Sbadigliando mi dò una grattatina alla testa, poi volgo lo sguardo sul comodino.
La foto di quella ragazza colpisce subito i miei occhi. La guardo con rabbia, poi la prendo e fissandola attentamente, sussurro: << Non mi rovinerai la vita anche tu >>, la scaravento con noncuranza sul letto. Questa però scivola sul pavimento poggiandosi dalla parte posteriore. Qualcosa di essa cattura la mia attenzione. Non mi ero mai accorta che avesse delle scritte. La riaccolgo e leggo attentamente.
Trasalisco nel riconoscere la scrittura. È di Castiel.
"Noi due dobbiamo parlare. Ci vediamo domani a scuola".
Quella frase mi dà un altro sussulto al cuore e un brivido gelido si delinea sulla mia schiena.
L'ora della verità è giunta. Per scoprirla mi basta solo raggiungere il liceo.
Ma, non posso immaginare che lì, mi sta attendendo una brutta sorpresa.

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Capitolo 40
*** La tempesta non ha fine ***


40° Capitolo: LA TEMPESTA NON HA FINE
 
 
Sono passate due ore dacché ho lasciato casa di Rea e non riesco ancora a capire il motivo per il quale me ne sto appoggiato alla mia auto, con una sigaretta ormai consunta fra le dita e lo sguardo rivolto verso la finestra buia di quella che deve essere la camera di mio figlio.
Non ho fumato. Dopo aver acceso la sigaretta, non le ho più dato importanza; ho soltanto lasciato che la parte arsa la consumasse lentamente.
Dopo che sono uscito dalla villetta, ho trovato Kim seduta sulla panchina del giardino. Aveva le mani infilate nelle tasche del suo giubbotto e la testa affondata nelle spalle; Stava guardando il pavimento e con il piede destro giocava distrattamente con le piccole pietre.
<< Che ci fai ancora qui? >> le ho chiesto. Lei non mi ha guardato, né tantomeno mi ha risposto. Ho solo notato un sorriso malinconico sulle sue labbra e non ho potuto fare a meno di chiederle cosa avesse.
<< Mi stavo chiedendo per quale motivo non riesco a trovare una soluzione per voi due >> ha risposto a bassa voce. Sembrava stesse parlando da sola, ignara che io le fossi davanti.
<< Perché pensi che sia compito tuo? >> le ho chiesto.
<< Anche se siete insieme; avete un figlio e un sacco di amici che vi circondano... >> ha aggiunto rivolgendomi il suo sguardo con quelle lenti dal colore assurdo che si ostina a voler tenere ormai da tempo immemore, << ...voi siete soli >>.
Quelle parole hanno raggiunto il mio cuore colpendolo in pieno. Com'è possibile? Mi son chiesto guardandola fissa negli occhi.
<< Che vuoi dire? >>
<< Anche se non lo ammettereste mai, tu e Rea siete soli e allo stesso tempo avete bisogno che qualcuno sostenga ciò che sentite l'uno per l'altro. Non voglio essere ingiusta nei confronti di Rosalya, ma so per certo che Rea ha bisogno di me, come amica. Ha avuto bisogno di me sempre, tanto quanto ne ha di te, del tuo amore, Castiel... >>. Ha fatto una pausa per qualche istante, forse per trattenere le lacrime che -come ci si può aspettare da una come Kim- hanno fatto fatica a sgorgare.
<< Devo essere sincera con te, Castiel... quando Rea ha sofferto, ho sempre dato la colpa al tuo egoismo e sono arrivata anche al punto di odiarti... ma non mi sono mai resa conto che la colpa è anche mia. Sono sempre stata vicina a Rea, ma non ho saputo comportarmi da amica, non ho saputo cogliere il vero bisogno che lei aveva... quando venne a dirmi che Armin le fece del male, mi maledissi e detestai. Dopo Natale non mi sono fatta più viva. Rea ha sempre pensato che fosse stato a causa sua, ma non ho avuto il coraggio di dirle che volevo allontanarmi da me stessa. Mi sono sempre ripetuta: se quel giorno, dopo la cena a casa di Rosa, l'avessi seguita, forse tutto questo non sarebbe accaduto... >>, ed ecco le sue lacrime uscire copiose.
<< Kim, smettila >> le ho detto dolcemente, angosciato per la sua reazione. << Smettiamola di rivangare il passato. La colpa è stata anche la mia. Anche io mi sono chiesto il motivo per il quale non la raggiunsi... il passato non si può cambiare. Bisogna vivere il presente e guardare al futuro... solo adesso mi rendo conto che Armin non è stato il solo a farle del male. Anche io gliene sto facendo e l'unica soluzione, è cercare di rimediare >>.
Dopo aver parlato con il cuore, ho visto Kim alzarsi dalla panchina, ricomporsi, cancellare dal viso quell'espressione afflitta e fissarmi dritta negli occhi con sguardo rude.
<< Visto che sei tanto bravo con le parole, cerca di essere tale anche con i fatti, ok? >>
<< Che ti prende? >> le ho chiesto sbalordito dal suo repentino cambiamento.
<< Tengo molto a Rea e per proteggerla, questa volta s'è necessario, combatterò anche contro il diavolo in persona. Con questo voglio dire che non m'importa se sei tu... continua a prenderla in giro o a farla soffrire, e me la pagherai amaramente! >>
<< Non la sto prendendo in giro >> ho sibilato sbuffando un sorriso << E te ne darò la prova >>
<< Buon per te! >>
Sbuffo un sorriso ripensando a quell'ultima frase. Kim è davvero sorprendente; ha una forza di spirito che non si trova in altre persone molto facilmente, anche se non l'ho mai detto: le sono molto grato per essere sempre stata al fianco di Rea.
Più ci penso e più mi rendo conto che le sue parole sono state giuste. Kim ha ragione: Rea e io, anche se siamo circondati da un sacco di amici, siamo soli.
Con la mente carica di questi pensieri, guardo inespressivo il mozzicone della sigaretta ormai consunta; sento freddo, così decido di ritornarmene a casa, anche se la voglia di rimanere qui, aspettare il mattino e vedere mio figlio sveglio, sorpassa tutti gli altri voleri. Ma ho qualcos'altro in mente, qualcosa che mi sta facendo ribollire il sangue di rabbia e per poterlo sbollentare, devo assolutamente ritornare a casa.
Getto la cicca a qualche passo lontano da me, ritorno in auto, metto in moto e parto a grande velocità.
Quando giungo al mio appartamento, alzo lo sguardo verso il piano e noto che tutte le camere sono spente. Alain sta sicuramente dormendo. Rivelo un ghigno di soddisfazione.
"Non la passerai liscia" mi dico mentre aspetto l'ascensore.
 
***
 
Sono sempre stato un tipo menefreghista.
Quand'ero più piccolo, molte volte mi piaceva che le altre persone soffrissero a causa mia. Questo, perché ho avuto un'infanzia a dir poco turbolenta, ma con il passare degli anni, con tutte le situazioni che si sono create nella mia vita e dopo aver conosciuto Rea, ho sotterrato il mio carattere facendo emergere un Castiel che per molto -troppo- tempo ignoravo l’esistenza.
Tutto ciò che ho passato con lei: l'amore che ci lega, la lotta per difenderlo e il suo abbandono, quando sono stato chiamato egoista e quando mi hanno detto che adoro vedere le persone a me care soffrire, inspiegabilmente mi sono sentito a dir poco furioso.
Il vecchio Castiel poteva fregarsene, ma il nuovo sta morendo di rabbia e dolore.
Ed è forse per questo che adesso la brocca di acqua fredda che reggo fra le mani, la sto lentamente versando addosso a un Alain beatamente addormentato.
Lo vedo boccheggiare, convinto che stia affogando; si agita esclamando qualche parolaccia interrotta dal respiro mozzato; si mette a sedere sul letto e strofinatosi gli occhi, li volge verso di me trucidandomi con il solo sguardo.
<< Ma che cazzo di scherzo è questo?! >>
Non rispondo, mi allontano senza distogliergli ll sguardo di dosso e appoggio la brocca quasi vuota sul comò.
<< Si può sapere che cazzo fai? >> aggiunge più irritato di prima.
<< Sei stato tu, vero? >>
<< A fare cosa? >> ribatte portandosi i capelli all'indietro.
<< Non fare quella faccia da stronzo idiota! Hai messo tu la foto nel cassetto della scrivania nel mio ufficio al liceo >>
Mi guarda sconcertato, esita, poi alzandosi dal letto, afferra la sua maglia dalla sedia e si asciuga la faccia.
<< Non so di cosa stai parlando... >>
<< Dahlia! >> urlo sopraffacendo la sua voce.
Trasalisce, libera il volto dalla maglia e mi guarda digrignando i denti.
<< Non nominarla... >>
<< Sei stato tu a mettere la sua foto nel cassetto! Si è finanche presentata a scuola e da ciò che ho compreso, non è la prima volta >>
<< Non ha nulla a che vedere con me >>
<< A no? Allora ti avviso che per colpa del tuo egoismo, Rea si è fatta pensieri sbagliati! >>
<< Tzè! Non è mica colpa mia, se non riesci a tenerla a bada >>
<< Ti avverto che mi stai facendo incazzare! >>
<< Ascoltami bene, cugino!... Quella ragazza può gettarsi da un alto precipizio, a me non interessa un bel niente! Non ho messo quella foto nel cassetto di proposito, la misi lì dentro perché vidi Rea entrare alla sprovvista... è questo ciò che volevi sapere, no? Bene allora adesso lasciami in pace e non nominare più quella sgualdrinella in mia presenza! >>
Rimango a fissarlo senza tralasciare alcuna espressione sul volto, poi schioccando la lingua sul palato e scuotendo la testa, esco dalla sua camera recandomi in camera mia.
Lentamente, mi sfilo di dosso la giacca di pelle e con un solo gesto tolgo la maglia scaraventandola con non curanza sulla poltrona.
So per certo che Alain non ha mentito, d’altronde non è il tipo di persona che complotta certe cattiverie.
L’unica cosa che adesso devo cercare di fare è sistemare una volta per tutte la situazione con la mia Rea.
“Non finirà come vogliono loro” mi dico tirando la tenda per liberare la finestra e ammirare serio il paesaggio notturno che si staglia davanti ai miei occhi.
Le illuminazioni stradali creano un perfetto quadro con tecnica puntinismo e mentre guardo l’orizzonte, mi accorgo che la visuale si sta facendo più sfocata: è una bollente goccia di lacrima ad annunciarmene il motivo. Mi accingo a portarla via con una mano, ma la voce bassa e calda di mio cugino mi prende alla sprovvista.
<< In questa storia, non voglio passare per il cattivo e te ne darò prova >>. Non sento più nulla, così mi giro: Alain non c’è più.
 
 
***
 
 
Fin da bambino, ogni qualvolta succedeva qualcosa, la colpa mi veniva affibbiata. Persino i miei genitori mi incolpavano della mia malattia: dicevano che il mio cuore si era ammalato perché lo possedeva la mia dannata anima. Mi sono sempre chiesto che caspita avesse la mia anima per non andare a genio a nessuno? Con il passare del tempo sono arrivato ad odiare me stesso.
“Se lo fanno gli altri, allora devo farlo anche io” mi dicevo fissando la mia immagine da ragazzino di otto anni allo specchio. A quel tempo, però, ero molto piccolo, ed è per questo che forse sono cresciuto con la volontà di lasciare campo libero alla morte per portarmi via. Questo fino a quando non ho conosciuto Dhalia.
Un anno più piccola di me, con un carattere dolce e gentile, Dhalia è la bellezza fatta in carne e ossa. Frequentavamo la stessa scuola. Non posso dire che fu amore a prima vista, perché, ammettendolo, di Dhalia avevo tutt’altri pensieri poco casti, ma con il suo avvicinamento, qualche sfottò di troppo e la sua immagine da angelo custode, finalmente il mio cuore malato ebbe la forza di dare quel colpo che tutti gli esseri umani hanno quando si innamorano di qualcuno. Alla fine ci fidanzammo, ma… non so, ogni volta che rimembro il passato cresce una rabbia dentro di me, che non riesco a controllare. Mi ripeto sempre che dovrei odiarla, ma c’è sempre quella parte della ragione che mi incolpa di averle mentito fin dall’inizio. Solo che, dopo essermi allontanato da lei e aver frequentato il liceo Dolce Amoris, qualcosa è cambiato anche con la conoscenza di Rea.
Quando la mia dolce preside ha scoperto che soffrivo di cuore, non si è affatto comportata come Dhalia. Quella ragazza che io credevo essere unica, si trasformò dal giorno alla notte.
Quel giorno a scuola, io pensavo che Rea avrebbe avuto disgusto nel vedermi disteso sulla barella, proprio come successe con la mia ex e invece… no. Non posso essermi innamorato della preside. Non adesso e non sapendo che lei ama Castiel, nonché mi cugino.
Ciò che provo non è assolutamente amore, e questa frase cerco disperatamente di inculcarla dentro la mia testa come se fosse un perno da inchiodare nel muro.
Fisso la tazza del caffè che ho appoggiato sul piano bar della cucina; sbuffo massaggiandomi le tempie immergendomi completamente nei miei pensieri. Avrei dovuto aspettarmelo quel giorno in ospedale, quando ricevetti quei fiori: Dhalia ha fatto ritorno e adesso mi ritrovo a combattere contro l’assurdo affetto che provo per Rea e l’accanita rabbia che provo per l’altra.
Mi alzo ignorando il liquido che fino a pochi minuti fa avevo intenzione di bere.
Castiel sta ancora dormendo e non so il perché: di solito è lui il primo ad alzarsi e lo fa alle primi luci dell’alba; tuttavia non posso aspettarlo, devo recarmi immediatamente a scuola e sistemare quest’incomprensione; anche se non voglio farlo, devo rivangare il passato per salvare la storia di mio cugino con la sua Rea.
Castiel ha avuto ragione, con il mio egoismo ho procurato del male a troppe persone. L’unica cosa che posso fare adesso, è ripagare il loro aiuto.
Chiudo lentamente la porta d’ingresso e con convinzione scendo le scale per poi prendere la strada che porta al liceo.
Oggi è il mio primo giorno dopo l’operazione che rivedo la scuola e ritornare dopo tante assenze mi mette stranamente a disagio. Non riesco a capirne il motivo; solitamente, me ne sono sempre fregato, ma comunque…
Mi fermo; il cancello è aperto e ci sono pochi alunni; sospiro scrollando le spalle, poi senza curarmi di nessuno entro nell’edificio dirigendomi direttamente in presidenza.
Dopo aver guardato l’orologio a muro nella stanza mi son reso conto di essere giunto a scuola in anticipo. Fatto altamente strano. Sorrido pensando a cosa avrebbe potuto dire o fare Rea, se mi avesse visto. “Chissà, forse, succederà qualcosa” mi dico andandomi a sedere dietro la sua scrivania, iniziando a pensare alle parole adatte per poter aprire il discorso non appena si presenta.
accomodatomi, porto la mano al cassetto e con le dita inizio a giocare con la piccola chiave incastonata nella toppa.
Il silenzio che alberga nell’alula, è a dir poco fastidioso: inspiegabilmente mi sta mettendo in uno stato d’ansia. Torno con gli occhi sul quadrante dell’orologio; i minuti scorrono in fretta e di Rea neanche l’ombra; non è possibile che sia in ritardo; poi però sento dei rumori provenire dall’esterno: mi alzo di scatto, apro la finestra e vedo una folla di alunni accalcata davanti il portone centrale.
<< Ma che succede? >> sibilo ritornando dentro catturato da voci fastidiose. Mi dirigo all’uscita, preso ormai dalla curiosità, ma non appena afferro il pomello, vedo la porta aprirsi da sola e dar spazio a due uomini alti e barbuti che all’inizio mi fissano sorpresi poi però sembrano volermi fulminare.
Indietreggio sentendo in gola formarsi un groppo, che mi blocca le parole.
<< Sei per caso tu, Alain---? >> mi chiede uno di loro distorcendo le sopracciglia.
Annuisco con il capo come un cane bastonato.
<< Vieni con noi! >> esclama l’altro facendosi avanti e afferrandomi per un braccio.
<< Ehi, un momento! Che diavolo state facendo, dove mi portate? >> esclamo cercando di divincolarmi da quella forte presa.
<< Non fare storie e vieni con noi! >>
<< Almeno ditemi che diavolo ho combinato? >> e in quel momento molte idee mi passano per la mente, una di queste è il pensiero che questi due energumeni fanno parte dell’ospedale, dal quale sono sgattaiolato via corrompendo un primario. “Non vorranno mica arrestarmi per corruzione?”. Quel pensiero, però, si cancella repentinamente dopo aver sentito delle grida e una parola che forse non mi sarei mai immaginato di ascoltare: “La preside fa davvero schifo”.
Guardo sbalordito la persona che l’ha appena detto, poi sento ancora: “Guardate lì, chi l’avrebbe mai immaginato?” e subito i miei occhi piombano alla ricerca di ciò che stanno parlando. Non sentendo più la forte presa stringermi il braccio, mi accorgo di aver notato una persona che se ne sta da sola al centro di uno spazio libero, circondata da alunni e professori: è Rea.
<< Rea! >> la chiamo accorgendomi di aver gridato. Lei si gira, mi guarda, la guardo e mi accorgo che sta piangendo, ma quelle sue lacrime si confondono con un sorriso malinconico che le si delinea sul bel viso.
“Perché piangi?” chiedo nella mia mente; la risposta giunge nello stesso istante come se il destino mi avesse letto nel pensiero. Sollevo gli occhi nella stessa direzione dove si trova la preside e la maestosa immagine che mi si presenta davanti mi fa mancare un colpo al cuore.

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Capitolo 41
*** Turbinio di sorprese ***


41° Capitolo: TURBINIO DI SORPRESE
 
 
<< Allora Etienne, siamo d’accordo? >>, chiedo spostandogli un ciuffo corvino dalla fronte.
<< Sì, mamma. Devo ritornare a casa solamente con zia Kim e con nessun altro >> risponde lui, ripetendo quella frase come se fosse una poesia noiosa da imparare a memoria.
Dolcemente gli stampo un bacio sulla guancia e poi lo abbraccio stringendolo forte a me; alla fine lo saluto e rimango a guardarlo mentre entra nella sua classe ricolma di fanciulli; saluto la maestra e rivolgendomi verso Kim, usciamo dall’istituto.
<< Ti preoccupi così tanto… >> esordisce la bruna infilandosi le mani nelle tasche degli shorts.
<< Sai benissimo che non è soltanto preoccupazione >> rispondo fermandomi e girandomi ancora una volta verso l’asilo.
<< Fossi stata in te, non l’avrei mandato >>. La guardo << Cosa vorresti dire? >> le chiedo.
<< So come sei fatta. È solo un consiglio che ti sto dando: riprendi il bambino e portalo con te >> risponde tutto d’un fiato.
A quelle parole rimango perplessa; non so se darle retta o far finta di niente. All’inizio la paura mi tenta e mi accingo a ritornare da Etienne, poi, però, mi rendo conto che agendo in questo modo non farei altro che assecondare gli scopi delle cattiverie di Ginevra. Non posso far scappare eternamente Etienne e inculcargli le mie stesse paure; ho tanti amici che mi vogliono bene e una in particolare, ce l’ho qui davanti, così scrollando le spalle mi avvicino a lei e accennandole un sorriso, riprendo il cammino verso la mia automobile.
<< Da questa reazione posso dedurre che hai preso una decisione >> esclama con voce sollevata.
Annuisco, poi volgendole un sorriso, rispondo << Non posso avere per sempre paura >>; detto questo partiamo, ma non posso di certo negare che dentro di me, qualcosa non accenna a volersi calmare; come se fosse più grande di una semplice paura, soprattutto per la sorpresa avuta non appena mi sono destata. Quella fotografia che ormai pervade i miei mal pensieri da giorni e quello che è stato scritto sul retro mi fa capire che la mia storia con Castiel è giunta a ciò che in molti casi chiamano: resa dei conti.
<< Ieri sera Castiel è entrato in camera mia mentre dormivo >> mormoro ad alta voce quello che doveva essere un pensiero.
<< Davvero? >> chiede Kim fingendo di essere attonita. La guardo con circospezione e senza chiederglielo è lei a rispondere << Ok, l’ho fatto entrare io >>. Silenzio. Mi fissa per qualche istante, poi accennando dei movimenti nervosi riprende << Che c’è?... non guardarmi con quell’aria da una che vorrebbe dire “come ti sei permessa?”, ok? Insistette, voleva vedere suo figlio. Ne aveva tutto il diritto! >>
<< E non ti sei chiesta se oltre a vederlo avesse voluto portarmelo via? >>
<< Stai scherzando, spero! Rea, stiamo parlando di Castiel! >>
<< E con ciò? >>
<< E con ciò, un cazzo! Ma ti rendi conto di quello che dici?... non ne è il tipo! Come puoi pensare una cosa del genere? >>
<< Me lo fa pensare quella foto! >> rispondo alzando la voce completamente succube a una crisi di nervi.
<< Ma fammi il piacere! Castiel ti ama! Quella foto non dimostra un cazzo e lui te lo dimostrerà! >>
<< Queste parole te le ha dette lui? >>
<< No, le ho inventate… ma certo che me le ha dette lui, chi altri se no? >>
<< Non lo so Kim… >> riprendo dopo qualche istante di silenzio, ed ecco di nuovo quell’angoscia, non appena ho svoltato in direzione del liceo e ho visto il maestoso edificio stagliarsi davanti ai miei occhi, il respiro si è involontariamente mozzato, dando posto a tremiti e affanni.
<< Cos’hai? >>, sembrerebbe proprio che Kim oggi riesca a leggermi nel pensiero.
<< N-nulla >> rispondo con uno snervante balbettio. Lei si limita soltanto a fare spallucce e ritornare nella sua posizione iniziale; poi la vedo trasalire e guardare l’entrata << Wow! >> esclama, << Non avevo mai visto il liceo così affollato prima d’ora >> aggiunge portando la mano alla maniglia dello sportello.
Esce lei per prima; io, invece, inspiegabilmente, non accenno alcun movimento; il problema è che non riesco a farlo.
<< Ehi, Rea? Che fai, non vieni? >>
Trasalisco a quel richiamo, poi ingoiando faticosamente un groppo spinoso che si è formato in gola, esco dalla macchina, affiancandomi lentamente a Kim. È lei la prima ad andare avanti; la seguo incerta, e non appena giungo all’inizio della folla, mi accorgo che il fastidioso chiasso si placa per qualche secondo; vedo mille occhi puntati sulla mia figura che in questo momento sembra più esile di un misero bastoncino di legno pronto per essere facilmente spezzato, poi i brusii iniziano a invadere lo spazio a me circostante e in mezzo a quelli riesco a sentire alcune frasi, convincendomi che la protagonista sono io.
<< Guardate, è venuta >> mormora qualcuno; << Ha una bella faccia tosta >> sghignazza qualcun altro; << Che schifo! >> sento esclamare in fondo.
<< Ma si può sapere che diavolo sta succedendo? >> urla Kim smorzando quei vocii, la vedo aprire il portone centrale e non appena entriamo all’interno dell’istituto, mi accorgo che la folla non termina lì e con mia attonita sorpresa, ci sono alunni di altre scuole.
Non riesco a spiegarmelo, ma le mie gambe iniziano a camminare da sole, sorpasso Kim e mi dirigo direttamente verso un gruppo accalcato: qualcosa lì in fondo, ha catturato la mia attenzione.
<< Permesso… >> esclamo << …fatemi passare! >>, con uno spintone, datomi da qualcuno nella confusione, mi ritrovo a barcollare al centro del corridoio e mi accorgo che sono sola.
Le voci si placano ancora una volta rendendo l’ambiente più freddo del Polo Nord; mi guardo intorno fissando distrattamente le persone che mi circondano; mi accorgo che i loro occhi beffardi sono incentrati tutti su un unico posto, così, con l’angoscia che mi sta divorando l’anima, accingo a imitarli: mi giro lentamente e non appena il mio sguardo poggia sull’enorme bacheca degli annunci, un gigantesco manifesto mi si staglia davanti, facendomi intendere che tutti i guai non sono finiti, bensì sono appena cominciati: l’immagine maestosa di Alain che bacia una ragazza dai lunghi capelli castani, coperta al viso dalle mani di lui, nel mio ufficio, è la protagonista di tutto questo disastro.
E riecco ancora una volta i vocii beffardi e cattivi.
Rimango ferma a fissare quella foto, non mi accorgo più di quello che mi succede intorno; vorrei sprofondare o meglio ancora morire, mentre un’assurda domanda si impossessa dei miei pensieri. “Perché?”
Confusa e amareggiata, alla fine immergo i miei sensi sulle offese che mi lanciano gli studenti e fra un: “Che vergogna”; “La preside fa schifo” e “Chi l’avrebbe mai immaginato?”, un “Rea!” attira la mia completa attenzione.
Mi volto lentamente e quando i miei occhi incrociano quelli frastornati di Alain, una lacrima scende da essi delineandomi una scottante linea sul viso. Inspiegabilmente mi accorgo di sorridere. Perché lo faccio? Mi chiedo; forse per far intendere che quella situazione non mi scalfisce? Ma così, non faccio altro che mentire a me stessa. La verità è che sto morendo dentro, lentamente e dolorosamente; mi sento come un agnello innocente circondato da un branco di lupi affamati e come quello, una vocina dentro di me si fa largo nel silenzio del mio cuore ed esclama “Qualcuno mi aiuti!”
In quell’istante come una nube portata dal vento, immagino una scena: la figura del mio innocente Etienne e la sua reazione se l’avessi portato con me, qui, nella fossa delle serpi; poi qualcosa cambia, come un raggio di sole tagliente che infilza l’oscurità, qualcosa interrompe tutto; mi sento afferrare per un braccio, e succede tutto all’improvviso: vedo Alain bloccarsi e sgranare gli occhi, mentre l’immagine alta di Castiel e il suo penetrante profumo impossessarsi dei miei sensi; mi solleva per le spalle e poggia con forza e convinzione le sue labbra sulle mie.
Rimango con gli occhi aperti, accorgendomi che i bulbi oculari sono in procinto di voler uscire dalle orbite, mi sento irrigidita, ma quando Castiel dolcemente e lentamente lascia le mie spalle per salire con le mani sul viso, mi perdo fra quella presa, assecondando il suo volere.
Tutto intorno a noi sembra placarsi definitivamente. Perdo la percezione di quello che accade; non c’è più la fossa pericolosa, i lupi affamati sono scomparsi e l’agnellino sa ormai di essere salvo. Non esiste più nulla, solo Castiel e Rea e nessuno a parte lui può immaginare quello che sento.
Quando ci distacchiamo, mi avvolge con le sue braccia, ne approfitto per affondare il mio viso sul suo petto e chiudere gli occhi, mentre lo sento sibilare: “Non aver paura, ci sono io adesso”.
Annuisco sorridendo.
<< è un avvertimento! >> esclama poi rivolgendosi alla folla << ritornate ognuno nella propria aula e dimenticatevi dell’accaduto. Rea è soltanto mia! Quella nella foto non è lei! >> questa frase mette talmente i brividi che spostandomi con il volto, vedo gli allievi indietreggiare velocemente e tra di loro scorgo la figura di Melody, sembra spaventata e smarrita; a un tratto mi volge lo sguardo e la vedo trasalire; alla fine, come un animale braccato, si allontana cercando qualche aula in cui nascondersi.
<< Lei è il secondo preside? >> chiede a un tratto qualcuno attirando i miei pensieri.
<< Sì, sono io >> risponde Castiel serio.
<< La prego di seguirci >>
<< Chi siete? >>
<< Ci manda il sovrintendente del liceo. Questa notizia porterà delle conseguenze sia in questa scuola che per la preside delegata qui presente >>
Stringo gli occhi sospirando afflitta, poi convinta, sciolgo la presa su Castiel e rivolgo il mio viso verso i due presenti.
<< Andiamo, sono pronta >> mormoro cercando di rendere la mia voce il più convincente possibile.
<< Non andrai da nessuna parte! >> esclama Alain liberandosi dalla presa dei signori << Come ha detto mio cugino, quella ragazza non è la preside! >>
<< Questo lo spiegherete al sovrintendente >> e detto questo usciamo dal liceo.
 
 
***
 
 
<< Si può sapere che diavolo ti è saltato in mente? Che ci facevi nel nostro ufficio? >>, Castiel è a dir poco furioso. È da un’ora che ci troviamo nella sala d’attesa di questo posto per essere ricevuti dal sovrintendente e sono convinta che se aspetteremo ancora, il Rosso ucciderà suo cugino, il quale, seduto su una poltrona accanto alla finestra ignora completamente i rimproveri.
<< In quel momento avrei voluto spaccarti la faccia! >>
<< Castiel, ti prego, smettila >> mormoro con un filo di voce affondando il viso sui palmi.
<< Come stai? >> mi chiede dopo qualche istante di silenzio.
<< Voglio convincermi che è stato solo un incubo >>
<< Non preoccuparti >> interviene Alain << lo sarà, aggiusterò io ogni cosa >>
<< Sì, e come? >> chiede suo cugino << ogni cosa che fai si tramuta in disastrosi sbagli! >>
<< Dove vuoi arrivare? >>
<< Sai benissimo di cosa sto parlando! >>
Quella discussione sembra incalzare, così, convinta che non riuscirei mai a calmarli, mi alzo dalla mia postazione, sbuffo e mi accingo ad uscire dalla sala d’attesa. Ne ho abbastanza dei loro continui litigi, non vedo l’ora di farla finita con questa storia, ma non appena accenno il mio gesto, una frase di Castiel mi blocca.
<< Sto parlando della fotografia! >>. Mi volto verso i due guardandoli con curiosità e ansia. Vedo Castiel rivolgermi i suoi occhi e Alain abbassarli sconfitto.
<< Rea… >> riprende quest’ultimo calmandosi << …la ragazza della fotografia, si chiama Dhalia, ed è la mia ex fidanzata >>
Un forte battito colpisce in pieno il mio petto << C-come? >> chiedo smarrita.
<< Castiel non ha nulla a che fare con lei, la conosce, questo è vero, ma lei si presenta a scuola per me, non per lui… >>
<< Ma… la foto… il cassetto… >>
<< L’ho messa io lì dentro e non per dispetto. Mi prendesti alla sprovvista e non sapevo dove nasconderla… >>
Alain si ferma sbalordito dalla mia reazione; scoppio a ridere ripetendomi che sono un’idiota; poi qualcuno ci ferma richiamandoci all’attenzione; ci voltiamo verso la porta e uno dei due uomini che si sono presentati al liceo, ci annuncia che l’incontro con il sovrintendente è rimandato al giorno dopo. << Nel frattempo… >> aggiunge << La preside è momentaneamente sospesa dal suo incarico e anche l’allievo >>.
Usciamo dall’edificio arresi da quell’ordine e Castiel si offre per accompagnarmi a casa.
<< No, vado sola >> rispondo sconsolata.
<< Etienne? Dov’è? >> chiede lui all’improvviso.
<< Cosa vuoi da lui? >> ribatto spaventata.
<< Voglio che sappia tutto e voglio che anche tu conosca la verità >>
<< Non ora Castiel… non sopporterei altro >>. Lo lascio così e lui non accenna a seguirmi. Quando finalmente arrivo a casa, mi accorgo che il cancello è assediato da una folla di persone munite di telecamere, macchine fotografiche e microfoni.
No, maledizione. Mi dico nascondendomi dietro un albero. Questa non ci voleva e non so come agire.
Fantastico! Adesso neanche casa mia è sicura. Quatta quatta ritorno indietro e mi incammino verso casa di Kim, ma non appena attraverso il parco, vedo qualcuno venirmi incontro e chiamarmi a gran voce: è Melody.
Mi fermo guardandola seria e subito un’ondata di disprezzo pervade il mio cuore.
<< Che cosa vuoi? >>
<< Sono venuta a casa tua ma ho visto che ci sono… >>
<< Che vuoi, Melody?! >>
La castana mi guarda afflitta e offesa dal mio rude richiamo. << Io, volevo scusarmi… >>
<< Di cosa? Tu non centri nulla in tutta questa storia, giusto? >>. Non risponde alla mia domanda, abbassa lo sguardo e lo scuote lentamente.
<< Ok, allora sparisci. Non voglio vedere nessuno. Avete ottenuto ciò che bramavate, anche se non so per quale motivo tu abbia deciso di accanirti contro di me >>, detto questo riprendo il mio cammino, lasciandomela dietro.
So che ha mentito, ma in questo istante, non ho voglia di assorbirmi l’ennesima e dolorosa verità.
Kim è affacciata al balcone e scorgo qualcun altro affianco a lei: è Nathaniel.
<< Kim! >> esclamo attirando la sua attenzione, lei mi guarda e mi fa cenno di entrare.
<< Rea, allora, cosa è successo? >>
Non reggendo più, scoppio in lacrime e la bruna mi abbraccia per consolarmi.
Le racconto tutto e Nathaniel, che si trova a casa della bruna preoccupato per la situazione avvenuta a scuola, mi ascolta in silenzio fissando il vuoto, alla fine è lui a prendere la parola.
<< è di sicuro stata Melody. Avevi ragione, Rea, tutti i suoi sotterfugi, i suoi strani comportamenti… >>
<< Si è venuta a scusare… >> aggiungo tra le lacrime << …adesso che cosa faccio? >>
<< Non preoccuparti, si sistemerà tutto >> è Nathaniel a dirmi questa frase. Lo guardo, sperando che le sue parole possano avverarsi.
 
 
***
 
 
 
Il giorno dopo, Castiel, Alain e io, ci presentiamo nel luogo dove avverrà la nostra sentenza.
Ho dormito da Kim, non potendo più ritornare a casa mia, Etienne, fortunatamente non ha fatto domande e io ho cercato in tutti i modi di sembrare calma almeno davanti a lui.
<< Prego >>, l’uomo che si presentò ieri a scuola, interrompe i miei pensieri riportandomi alla realtà e ci accompagna nell’ufficio del sovrintendente; ci permette di entrare per poi richiudere la porta.
Non appena ho messo piede, uno strano ma famigliare profumo ha invaso le mie nari e quando ho sentito il verso di un cane mi sono di scatto allungata per essere sicura dei miei dubbi.
Dietro la scrivania laccata di nero, la vecchiaccia gangster della mia “cara” prozia, ci guarda sottocchio accarezzando dolcemente e in modo quasi perpetuo la pelliccia del suo adorato cane bicentenario.
<< No, non ci credo… >> sibila Castiel.
<< Non è possibile… >> aggiungo sbalordita.
<< Che cavolo… >> termina Alain.
Vediamo la vecchia alzarsi, mettere a terra Kiki, fare il giro della scrivania e posizionarsi davanti a noi.
<< Che diavolo state combinando? >> chiede a voce bassa << vi affido il mio prezioso Liceo e voi in che cosa lo trasformate? In un alcova di tresche fra studenti e preside? >>
Le sue offese fanno più male di un semplice taglio sul cuore, so per certo che ce l’ha con me.
<< Sapevo che non avrei dovuto darvi questo compito >>
<< E allora, se lo sapevi, perché diavolo mi hai messo in mezzo? >> esclamo snervata << L’hai fatto per dispetto e sei riuscita a rovinarmi la vita! >> urlo non riuscendo più a trattenere le lacrime.
<< Abbassa i toni! >>
<< Rea sta calma! >> Castiel si intromette coprendomi la visuale << Signora preside… >>
<< Sovrintendente, prego! >> lo corregge lei alzando il mento fiera.
“Tzé!” mi dico non capendo come sia riuscita a alzare il suo grado; ma ormai non mi sorprende più nulla anche perché, rimane sempre dubbioso il mio posto di Preside Delegata.
<< Può dirci chi è stato a creare questa confusione? >> riprende Castiel che cerca di calmare la sua voce.
<< Giorni fa, ho ricevuto una chiamata da tua suocera, Rea, che mi accennava di questo rapporto, ma non volli farci caso. Questa mattina, sono stata chiamata da scuola e mi hanno informata dello scandalo >>
<< Chi è stato? >> chiedo convinta di sapere la risposta, dato che quando ha nominato la madre di Armin, ho capito che i miei dubbi erano stati infondati.
<< Melody… >> mormora zia Camille senza esitare.
Chiudo gli occhi sospirando afflitta, poi scuoto la testa massaggiandomi le tempie << Lo sapevo… era tutto un complotto, sin dall’inizio e io non ho voluto farci caso >> sibilo.
<< Non ti nascondo e forse non l’ho mai fatto, ma devo dirlo lo stesso: mi vergogno di averti come nipote, lo sai? >>
<< La pianti! >> interviene il Rosso bloccando la mia reazione. << Sta parlando della mia Rea, la madre di mio figlio! >>
Quelle parole danno un altro sussulto al mio cuore.
<< Castiel… >> balbetto tremante.
<< Non le permetto di parlarle in questo modo >> continua minaccioso.
<< Castiel, pretendo rispetto! >>
<< Me ne sbatto! Invece di incolpare sua nipote, perché non cerca di salvarla? In fin dei conti quest’incarico glielo ha affidato lei e contro la sua volontà! >>
<< Non gliel’avrei mai affidato, se avessi saputo che razza di persona è! >> si difende la vecchiaccia inacidendo la voce.
<< E che persona sarebbe? >> interviene Alain che fino ad ora è stato l’unico ad aspettare paziente il suo turno per prendere la parola. Lo guardiamo tutti. << Avanti mi spiega! >>
<< Le conviene tacere, Alain, se non vuole peggiorare la sua situazione! Anzi, faccia una cosa più importante: riveli se è stato sedotto o… >>
<< Sedotto? >> la interrompe il ragazzo scoppiando a ridere << ma che diavolo sta dicendo? Io non sono stato sedotto, e tanto meno l’ho fatto >>
<< Cosa sta dicendo? non vorrà dire che quella immagine è solo un fotomontaggio? >>
<< Assolutamente no. È reale… >>
Guardo Castiel che sembra voler trucidare suo cugino con un solo sguardo.
<< …il problema… >> continua Alain spensierato << …è la ragazza a non essere reale >>
<< Mi sta prendendo in giro, spero! >>
<< No, no. Ve ne darò la prova. >>
<< Ma che stai dicendo? >> interviene Castiel incapace di comprendere le parole di suo cugino.
A interromperci e un lieve rumore proveniente dall’entrata dell’ufficio. Ci giriamo simultaneamente attendendo che la vecchiaccia dia il permesso per aprire. Quando la porta viene dischiusa, la persona che entra ci lascia tutti a bocca aperta tranne Alain, che sbuffando un sorriso vittorioso, si avvicina alla nuova arrivata e cingendole le spalle le mormora sensualmente in un orecchio: << Ciao, amore, sono felice di vederti >>, poi con i suoi modi da play boy, le afferra il viso e le sfiora sensualmente le labbra.
<< Melody… >> sussurro sbalordita, mentre questa si volge verso di me e con voce seria ma poco decisa esclama << Sovrintendente, la ragazza della fotografia, sono io! >>.
 
 

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Capitolo 42
*** Lo sconosciuto piacere ***


42 Capitolo: LO SCONUSCIUTO PIACERE
 
 
Anche se la tentazione di vedere mio figlio e dirgli tutta la verità mi sta divorando, decido di non seguire Rea; la vedo allontanarsi lentamente e non accenno alcun movimento.
<< Così, Etienne è tuo figlio? >> chiede Alain distraendomi dai miei pensieri. Mi volto verso di lui e lo guardo con espressione seria.
<< L’avevo immaginato, sai? >>aggiunge incrociando le braccia dietro la nuca.
<< Smettila, mi stai dando sui nervi! >> lo minaccio.
<< Che cosa sto facendo? >>
<< Non mi piace il tuo comportamento da “non è successo niente”. Non puoi continuare a fare l’indifferente per sempre. Con le tue manie da spaccone hai messo nei guai Rea; se sua zia non chiuderà un occhio e cercherà di salvarla, sarà rovinata! >>
<< Non succederà, sta tranquillo >>. Quel suo atteggiamento mi fa scattare, così mi avvicino minacciosamente prendendolo per il colletto e avvicino il suo viso al mio << Sei solo un piccolo presuntuoso! >> digrigno infuocandolo con gli occhi, << Che cazzo ti passò per la mente quel giorno, quando la baciasti? >>, lui sorride poi afferrandomi i polsi cerca inutilmente di farmi mollare la presa.
<< Ciò che passò a te, quando la facesti entrare nel tuo cuore >>, quelle parole dette così facilmente, mi fanno perdere le forze; lo lascio, facendo cadere le braccia lungo i fianchi; indietreggio di poco e scuoto la testa << Tu… ti sei innamorato di Rea? >>
<< Te lo dissi, quindi non fare quella faccia da idiota! >>
<< No, quel giorno tu scherzavi, non è così? >> chiedo convinto delle mie parole, ma Alain non mi asseconda, anzi scuote la testa sincero ed è quella sua strafottente sincerità a farmi perdere il lume della ragione: gli sferro un pugno in pieno volto lasciando che barcollasse all’indietro; riesce a trovare l’equilibrio e massaggiandosi la mascella, mi guarda nervoso.
<< Non azzardarti mai più >>
<< Io ti spacco la faccia! >>
<< Non puoi comandare i sentimenti degli altri, come io non posso comandare i miei! Non ci posso fare niente se la tua Rea è speciale… >>
<< Hai detto bene: la MIA Rea >> lo interrompo avvicinandomi ancora una volta, lo afferro per un braccio e lo strattono di poco << mettitelo bene in testa, Alain! >> la mia voce sembra voler crollare, ma riesco comunque a reggerla in maniera autoritaria << Rea è mia, e di nessun altro! >>
<< Lo so >> risponde sbuffando un sorriso << è per questo che ho deciso di aiutarla, non voglio che per i miei sbagli siate voi a pagarne le conseguenze >> aggiunge allontanandosi ancora una volta e voltandomi le spalle, prosegue << come ho già detto a sua zia, la ragazza nella foto non è lei >>
<< Come farai a fargliela bere? >> chiedo insicuro di ciò che sta dicendo.
<< Sarà chi le ha fatto del male a salvarla >>
Trasalisco guardandolo mentre prosegue il suo cammino lasciandomi solo, con la mente ricolma di dubbi e pensieri.
 
 
***
 
 
La cornetta del telefono mi trema tra le mani, mentre quel rumore d’attesta mi rende ansiosa, dopo aver assistito a quella scena, ho sentito qualcosa dentro di me logorarmi il cuore, non ci sono altre parole: ho dei rimorsi.
<< Pronto >> finalmente quella voce famigliare mi distrare dai miei pensieri.
<< Si-signora Charlotte, sono io, Melody… >> balbetto con voce tremante.
<< Ah, Melody! Cara, mi chiami per darmi buone notizie? >>
<< Ho fatto come voleva, signora; sua nuora… >>
<< Non chiamarla così! Non è mia nuora e non lo è mai stata. Quella puttana ha ingannato tutti, anche mio figlio si è lasciato abbindolare dal suo finto carattere! Ha cresciuto un bambino che non è suo! >>, la sento sospirare, e poi ritornare con voce calma << allora… cosa è successo a scuola? >>
<< Ha-hanno visto tutti il manifesto e… >>
<< E? >>
<< è accaduto ciò che aveva previsto >> rispondo tutto d’un fiato abbassando la testa afflitta. Lei dal canto suo scoppia in una risata isterica e continua a elogiarmi per il mio lavoro fatto bene. Ma come posso continuare ad assecondarla, se il mio cuore non lo sopporta? Ho fatto del male a Rea la preside del liceo, nonché a una mia amica di studi. No, non posso essere diventata così cinica per scopi, che so benissimo, non si potranno mai avverare.
<< Bel lavoro Melody… >> riprende la madre di Armin tutta contenta << …sapevo che potevo contare su di te; mi somigli molto, sai? >>
Trasalisco nel sentire quell’ultima frase << No! >>, e la negazione esce autonoma dalle mie labbra.
<< No, cosa? >>
<< I-io non sono come lei! >> balbetto presa dalla paura di ciò che sto dicendo ad alta voce. Per la prima volta nella mia vita, sto sfidando qualcuno che sta più in alto di me.
<< Beh era un complimento, non è certo un offesa se ho avuto la compiacenza di mettere una nullità come te al mio stesso livello… >>
<< Lei è cattiva! >> esclamo per interromperla, mentre il mio corpo inizia a darmi segni di nervosismo.
<< Non ho sentito bene l’ultima parola >> ribatte ghignando.
<< Ha capito perfettamente! >>
<< E sentiamo, perché sarei io la cattiva? >>
<< Mi ha ingannata e fatto fare una cosa spregevole… >>
<< Dici bene: hai fatto una cosa spregevole e tutto questo per cosa? Per avere un posto accanto al tuo amato Nathaniel che è salito di un grado in più al tuo, allontanandosi così dal tuo campo visivo… mia cara, sciocca Melody, la cattiva fra le due chi è? Se io l’ho fatto è per salvare l’onore che quella sgualdrina ha spudoratamente rovinato a mio figlio; ma tu perché l’hai fatto? Solo per controllare un giovane che non ti ha mai calcolato in vita sua; l’hai fatto per una cosa così banale?... avanti, dimmi chi è la cattiva? >>
<< Zitta! >> urlo tremando. Sono presa ormai dall’angoscia e allo stesso tempo dalla rabbia. << Io non sapevo le conseguenze di questo piano. Se l’avessi saputo… >>
<< Cosa avresti fatto, sentiamo!... ma non farmi ridere! >> esclama stizzita << Lo sapevi benissimo, ma eri talmente accecata da ciò che ti avevamo promesso, la signora Camille e io, che non c’hai pensato due volte. Ti basta la pronuncia “Nathaniel” per farti perdere il lume della ragione! >>
<< Mi avete solo usata >> mormoro con voce piangente.
<< Non parlare al plurale. Quest’impresa è nata solo da me… diciamo che la sovrintendente Camille mi è servita come ciliegina sulla torta per rovinare definitivamente Rea >>
Ascolto talmente allibita quel ragionamento, che mi ritrovo a fissare lo schermo del cellulare, poi come un lampo di genio, qualcosa di esso mi colpisce la mente. Inizio a sorridere sentendo che lentamente il mio cuore si sta rilassando, così senza aggiungere altro, riaggancio sibilando << Ti sei rovinata da sola mia cara Charlotte >>.
Esco velocemente dall’ufficio e mi guardo intorno: il corridoio è stato liberato dagli alunni anche se attaccato a quel muro odioso, troneggia ancora quel maledetto manifesto. Lo guardo con rabbia e stringo i pugni, poi presa da uno scatto d’ira mi avvicino minacciosamente e con un brusco gesto della mano lo strappo via distruggendo in mille pezzi l’immagine stampata.
Ansimo e piango ricordando sempre che questo rimorso non si cancellerà tanto facilmente dal mio cuore, poi decisa esco dal liceo e m’incammino verso casa di Rea.
Purtroppo per me, le sorprese e le angosce non sono ancora terminate.
Quella folla di giornalisti che si accalcano davanti il campanello della villetta, danno la prova che sarà difficile incontrarla, così afflitta mi volto indietro e prendo la via del parco. Non ce la faccio più a camminare; ho dei dolori che percorrono le gambe; mi sedio su una panchina vuota e affondo il viso fra le mani bollenti.
<< Perché l’ho fatto? >> continuo a ripetermi. Charlotte aveva ragione, mi basta sentire il nome di Nathaniel per farmi perdere completamente il senno << Non posso essere caduta così in basso solo per te, Nathaniel >>; lui mi ha sempre fatto capire che fra noi due non poteva esserci mai nulla e io ho continuato a farmi film inutili, rovinando la vita a chi non c’entra nulla.
Sospiro liberando il viso, poi distrattamente scorgo qualcuno da lontano avvicinarsi lentamente. Guardo con più attenzione, è Rea. il mio cuore inizia a palpitare con più forza; sto avendo un’altra possibilità. Mi alzo di scatto e la raggiungo chiamandola. Quando lei si accorge di me, non reagisce come mi sarei aspettata: si ferma guardandomi quasi con disprezzo. “Che abbia scoperto tutto?”, mi domando frustrata.
<< Che cosa vuoi? >> chiede rude.
<< Sono venuta a casa tua ma ho visto che ci sono… >> cerco di deviare il discorso, incapace di arrivare direttamente alla verità.
<< Che vuoi, Melody?! >> mi interrompe alzando la voce.
La guardo afflitta, comprendendo che i miei dubbi sono giusti. << Io, volevo scusarmi… >>
<< Di cosa? Tu non centri nulla in tutta questa storia, giusto? >>.
Non rispondo alla sua domanda, abbasso lo sguardo e lo scuoto lentamente. Perché lo faccio? Sto ancora mentendo? Dovrei dirle come stanno le cose; dovrei scusarmi e chiederle perdono e invece…
<< Ok, allora sparisci. Non voglio vedere nessuno. Avete ottenuto ciò che bramavate, anche se non so per quale motivo tu abbia deciso di accanirti contro di me >>, detto questo riprende il suo cammino lasciandomi sola.
<< Rea, perdonami >> sibilo con le lacrime agli occhi che bramano presuntuose di voler sgorgare e bagnarmi il viso.
Con passo mogio e la mente sconfitta, ritorno a casa. Mi accorgo che dalla finestra della cucina la luce è accesa, questo significa che mia madre è ritornata da lavoro. Quando entro la vedo seduta vicino al tavolo e sta parlando con qualcuno; mi sporgo meglio per vedere di chi si tratta e quando i miei occhi incontrano l’affascinante immagine di Alain, trasalisco sentendomi venir meno. Che cosa ci fa in casa mia?
Entro nella stanza continuando a fissarlo aggiungendo un lieve saluto.
<< Oh, cara, sei tornata? >> chiede mia madre alzandosi dalla sedia << ti stavo chiamando ma il tuo cellulare risulta irraggiungibile >>
<< L’ho spento >> rispondo come un automa senza distogliere gli occhi da Alain, il quale dopo avermi vista ha repentinamente cambiato la sua espressione, tramutando i suoi occhi in qualcosa che non ho mai visto in un uomo.
<< Questo ragazzo è un tuo amico >> interviene mia madre spezzando il silenzio << ti stava cercando >>
<< U-un mio… >> sibilo quella frase a metà non riuscendo a capire che cosa sta succedendo.
<< Oggi sei andata via e abbiamo lasciato quel lavoro a metà, Melody, ricordi? >> chiede lui sorridendo.
Strabuzzo gli occhi ancora con la mente fra le nuvole. << Di cosa… >>
<< Bene, allora posso ritornare al mio lavoro >> esclama mia madre afferrando la borsa dalla spalliera della sedia << Buona giornata ragazzi! >> conclude uscendo di casa.
Lo scatto della porta è l’ultimo rumore che sentiamo riecheggiare nell’abitacolo, dopo di ciò cala il silenzio.
Alain continua a guardarmi con quello strano sorriso impresso sul volto. Non sapendo come reagire e sentendo che la situazione sta diventando alquanto imbarazzante, almeno per me, accenno qualche colpo di tosse recandomi al frigorifero.
<< C-cosa vuoi da me, Alain? >> balbetto aprendo lo sportello.
<< Sai già cosa voglio, Melody… >>
<< Non so di cosa tu stia… >>, vengo interrotta; succede tutto in un millesimo di secondo: vedo la porta del frigorifero chiudersi; mi sento afferrare per un braccio; il tempo di vedere l’intera cucina roteare davanti ai miei occhi e mi ritrovo distesa sul tavolo, con il corpo di Alain parallelo al mio.
<< Che stai facendo? >> chiedo impaurita; ignara di tutta questa situazione, dato che nessun ragazzo nella mia vita, ha mai fatto una cosa del genere.
<< Andiamo, Melody. Sei troppo intelligente per non capire cosa voglio da te >>
<< Tu… tu… non mi hai mai… >>
<< Mai è una parola troppo grande per essere contenuta nel mio vocabolario >> sibila avvicinandosi all’orecchio sinistro e soffiando leggermente all’interno del padiglione. D’istinto mi ritrovo a piegare le gambe, ma lui sentendo quell’intoppo, affonda il suo ginocchio fra le mie divaricandole con forza.
<< A-Alain… >>
<< Cosa? Non dirmi che non ti piace? Ok, ho capito, vuoi di più… >> e detto questo lascia il mio polso e scende la mano verso i miei fianchi; sento la stoffa della gonna sollevarsi lentamente e le sue calde dita scivolare nell’entro-gamba.
<< No, Alain! Cosa stai… >> esclamo con voce spezzata da un gemito di piacere che fuoriesce presuntuoso dalle mie labbra.
Ora posso dare una spiegazione a tutto: queste sono le stesse sensazioni che provo quando vedo Nathaniel, quando lo sogno di notte e anche se per i miei principi è sbagliato, mi piace. L’unico problema è che chi mi sta facendo godere, non è il mio Angelo Nathaniel, bensì un estraneo, il ragazzo che mai avrei pensato potesse far parte della mia vita.
I suoi sensuali mormorii penetrano nelle mie orecchie sciogliendosi come dolce miele, mentre i miei sensi sono concentrati sul movimento della sua mano che continua indisturbata a giocare con la molla delle mutandine e mi solletica l’inguine.
<< N-non farlo… >> gemo girando la testa a un lato.
<< Perché no? Eppure quel giorno ti piaceva >>
<< C-cosa? >> lo guardo smarrita << Quale giorno? >>
<< Hai già dimenticato? >> chiede inchiodando i miei occhi con i suoi. << Nell’ufficio del preside, quando ci baciammo >>
<< Ma noi non ci siamo mai baciati… >>, frastornata da quelle incomprensibili parole, non ho neanche il tempo di terminare la frase, che lui si fionda sulle mie labbra e mi bacia con foga e trasporto.
Rimango  come un ebete, mentre i miei occhi sembrano voler fuoriuscire dalle orbite. Non ci posso credere, questo è il mio primo bacio e a darmelo non è la persona che ho sempre amato. Non riesco neanche a capire il motivo per il quale non lo respingo. Questo mascalzone si sta approfittando di me e io non sto facendo un bel nulla.
Poi ciò che pensavo fosse molestia, si interrompe di botto: vedo Alain distaccarsi e guardarmi con un sorrisetto vittorioso sulle labbra.
<< Adesso non puoi di certo dire che non ci siamo mai baciati >>, detto questo si alza e mi lascia distesa sul tavolo.
Mi ritrovo a fissare il soffitto ormai succube di quel piacere mai conosciuto fino ad ora.

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Capitolo 43
*** Fuoco ***


43° capitolo: FUOCO
 
 


Ho ascoltato il racconto di Melody come si fa con qualcosa di cui non te ne frega niente. Sto guardando la finestra che riflette i tiepidi raggi di sole, mentre mi accorgo che dopo la voce dell'autrice dei miei guai, interviene quella del serpente a sonagli travestita da zia.
<< Signorina Melody, cosa sta insinuando? Vuole scaricare la colpa su di me? Le ricordo che chi mi ha chiamato siete state la signora Charlotte e lei! >>
Il nome della mamma di Armin sembra penetrarmi la carne come tanti di aghi.
Le donne dibattono come due vecchie pettegole.
Sospiro guardandomi intorno. Si soffoca qui dentro e non vedo l'ora di poter uscire all'aria aperta.
<< Quindi, lei ammette che la ragazza nella foto non è mia nipote? >> riprende il gangster.
<< Sono io! >> risponde sicura di sé Melody.
Chiudo gli occhi per qualche istante, poi li riapro ritrovandomi davanti l'immagine di Castiel che mi fissa sconcertato, forse incapace di comprendere il mio stato d'animo, e non è l'unico. Anch'io non riesco a capire come mi sento. Tutto questo turbinio di guai, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono afflitta, frastornata e incazzata con queste persone. Nessuno escluso.
Con Alain perché ha voluto giocare col fuoco incendiando me; con il gangster maledetto perché ha accettato di rovinarmi senza badare al nostro rapporto di sangue; con Melody perché ha complottato contro di me per via di Nathaniel -situazione alquanto paradossale!... ma dico: se il bel biondino dagli occhi dorati non ti considera, che caspita centro io?!-, e infine c'è Castiel.
Perché sono incavolata anche lui? In fin dei conti ieri ha fatto una cosa davvero... non so darne un aggettivo. Mi ha baciato davanti tutto il liceo, e alla presenza di tutti, ha urlato che sono sua e di nessun altro. Dovrei essere al settimo cielo, ma non riesco a trovare uno spiraglio di felicità in tutto questo.
Mentre lo guardo, mi accorgo che la vista si sta appannando, forse a causa delle lacrime.
La maledetta continua a blaterare qualcosa ma a essere sincera non l'ascolto. No, non voglio ascoltarla, voglio soltanto uscire da qui e allontanarmi il più veloce possibile da quest'inferno.
Senza alcuna esitazione e senza nemmeno proferir parola, raggiungo la porta ed esco lasciandomi alle spalle le voci di tutti che mi chiamano. Nell'eco sento anche Castiel che mi chiede dove sto andando.
Raggiungo l'uscita. Il cielo è stranamente sereno. In casi come questo mi sarei aspettata lo squarcio di un tuono nel firmamento e la pungente pioggia precipitare al suolo irrefrenabile.
Ah, Rea! Com'è possibile che anche adesso debba dar spazio a certi pensieri idioti.
Mi fermo ansimando. Mi gira la testa, e non so dove andare. Mi sento letteralmente confusa e smarrita.
Non trovo la mia auto. Ma dove diavolo l'avrò parcheggiata?... Un momento... ma io, sono venuta a piedi.
Sbuffo un sorriso arrendendomi alla volontà delle lacrime che scorrono giù completamente autonome. Faccio qualche passo avanti per attraversare la strada. Da non molto lontano sento il copioso suono di un clacson, alzo lo sguardo in quella direzione e mi accorgo che un'auto si sta avvicinando velocemente ed io ostruisco il suo passaggio.
Sono bloccata e non riesco ad accennare alcun passo. Stringo gli occhi preparandomi al peggio ma qualcuno, fortunatamente, mi afferra tirandomi indietro e salvandomi la vita.
Sento due forti braccia avvolgermi il busto, mentre la mia testa è affondata sul petto dall'odore famigliare.
<< Rea, ma che fai? >>, quella voce la riconosco all'istante e m'insinua in corpo un sentimento di rancore.
Impossibilitata a muovermi, sibilo: << Lasciami... >>, stringo i pugni iniziando a tremare. Non voglio le sue mani su di me. Non voglio che mi tocchi con così tanta semplicità e sicurezza, come se non fosse accaduto nulla fra noi due.
<< Mi hai spaventato! >>
<< Lasciami andare! Non toccarmi! >> urlo riuscendo a strattonarlo.
Finalmente lontana da lui, gli volgo uno sguardo che riflette pura rabbia, mentre i suoi occhi di ghiaccio sono spalancati dalla paura.
<< Rea... >> prova a dire Armin, ma io lo interrompo urlando e spingendolo.
<< Devi starmi lontano! >>
<< Rea... perché? >>
<< E lo chiedi pure?!... T-tua madre mi ha rovinato la vita, e tu... >> aggiungo avvicinandomi minacciosa << ... tu non hai fatto niente per impedirglielo! >>
Nel frattempo sento altre voci famigliari, sono quelle di Alain e Castiel che si avvicinano a noi, ma non riesco a capire cosa stiano dicendo, perché sono concentrata sul veleno che mi riempie la bocca e che voglio sputarlo su chi me l'ha iniettato.
<< Cosa ti ho fatto di male? >> piango guardandolo negli occhi. Lui stringe le labbra in una linea dura e chiude gli occhi afflitto.
<< Ti amo... >>  sussurra tremando.
Scuoto la testa << Non dirlo mai più. Non farmi ancora male! Non farmi sentire in colpa! >>
<< Perdonami Rea! >> scoppia in lacrime non curandosi della presenza degli altri due.
Cado in ginocchio non riuscendo a reggermi più in piedi. A quel punto sento Castiel prendere parola.
È rivolto ad Armin.
<< Sparisci dalla nostra vita. Non farti più vedere! >>, poi sento dei passi. Si sta avvicinando. Mi posa una mano sulla spalla incitandomi a guardarlo.
Acconsento al suo volere. I suoi occhi grigi brillano e sono dolci << Andiamo... >> mormora con gentilezza.
<< N-non riesco a muovermi >> balbetto tremante. Lui non se lo fa ripetere due volte: si china su di me e mi prende fra le sue braccia.
Sfinita, appoggio la testa sulla sua spalla e con una mano gli sfioro il petto scolpito.
<< Ho freddo, Castiel... tanto freddo... >> sibilo poi, chiudendo gli occhi.
<< Non preoccuparti, è tutto finito. >> mi rassicura, ed è l'ultima cosa che sento.
 
***
 
Un rumore secco è l'artefice del mio risveglio. Il respiro si è bloccato, mentre il cuore mi martella violentemente in petto. Ho gli occhi aperti, ma non riesco a vedere granché. Sono invasa dalla penombra, ma dalla morbidezza su cui è poggiato il mio corpo, capisco che si tratta di un letto, non mio.
L'odore di chiuso si mescola a quello del bucato. Cerco di alzarmi e mi guardo introno. Mi gira ancora la testa e mi sento debole, mi passo una mano sulla fronte bollente. Devo avere la febbre. Ma dove sono? Questa non è casa mia.
Il posto mi sembra famigliare.
A un tratto sento aprire la porta. La sagoma maschile in contro luce entra dal corridoio e accende un abat-jour.
È Castiel e regge in mano un vassoio con una brocca d'acqua e un bicchiere. Indossa una maglia a mezzemaniche nera attillata, pantaloni di tuta. È a piedi nudi.
<< Sei sveglia >> esclama sorpreso, poi chiudendo la porta aggiunge << come ti senti? >>
Senza rispondere mi guardo in torno. Adesso ricordo. Questa è la sua stanza da letto. Mi trovo nella sua villa e osservando alcuni mobili coperti da lenzuola bianche, capisco la causa dell'odore di chiuso.
<< Hai sete? >> mi chiede gentilmente.
<< Un po' >> rispondo affondando sul cuscino.
Lui versa l'acqua nel bicchiere e si avvicina a me porgendomelo.
Lo afferro con insicurezza sentendomi gli arti indolenziti, poi sorseggio di poco il liquido fresco e trasparente.
<< Perché siamo qui, non avevi regalato questo posto a tua moglie? >>
Castiel mi guarda minaccioso.
<< No! >> risponde duramente.
<< Ginevra mi ha detto... >>
<< So cosa ti ha detto quella bugiarda! >> m'interrompe, strappandomi di mano il bicchiere con gesto poco galante << E tu, come al solito, ci hai creduto! >>
<< Non sono in vena di litigi >> mormoro con voce rauca.
<< Neanche io >>
<< Che ore sono? >> chiedo poi, cambiando la direzione dei miei pensieri.
<< Pomeriggio inoltrato. Hai dormito parecchio. Avevi qualche linea di febbre. >>
<< Perché mi hai portato qui? >>
<< Casa tua non è sicura >> risponde sbrigativo. << E poi ti voglio qui, con me! >> aggiunge autoritario.
Non parlo. Lo guardo per qualche istante poi mi accingo ad alzarmi.
<< Dove vai? >>
<< Etienne... >> rispondo confusa.
<< È con Kim >> ribatte avvicinandosi a me. << Dobbiamo parlare, Rea >>
<< Di cosa? >> lo guardo e i miei occhi riflettono ansia.
<< Di lui, di mio figlio... >>
<< No! >> esclamo drizzandomi in piedi e mettendomi sulla difensiva. << Cosa vuoi Castiel? >> chiedo impaurita.
<< Voglio che sappia tutto. >>
Scuoto la testa << Non portarmelo via... >> singhiozzo disperata.
Lui sgrana gli occhi aggrottando la fronte << Perché pensi che voglia farti una cosa del genere? >> chiede incredulo.
<< L'hai detto tu... >> balbetto cercando a stento di rimanere in piedi senza che le ginocchia cedano.
<< Ero incazzato perché hai voluto tenermelo nascosto! >> esclama avvicinandosi.
<< Ho dovuto farlo! Te l'ho detto! >> esclamo << Mi hai detto che non mi avresti lasciata andare con Etienne, questo significa che se volessi farlo, te ne sbatteresti di me, ma penseresti solo a tuo figlio! Che significa, Castiel? >>
<< L'ho detto in un momento di rabbia. >>
<< Non lo avresti mai detto se per me provassi ancora qualcosa!... Tu non mi ami più. È così? >>
Lo vedo scuotere il capo e guardami angosciato. Piango, mi sento debole, e non ce la faccio più.
Si avvicina lentamente continuando a sibilare << No >>. Quando è a pochi passi da me, mi afferra il volto fra le mani e mi spinge involontariamente verso il muro.
<< Come cazzo devo fartelo capire? >> sussurra a denti stretti stringendo la presa.
Agitata, gli afferro i polsi cercando di fargli mollare la presa, ma è più forte, ed io sono ancora debole per la febbre.
M'inchioda al muro appoggiando il suo busto sul mio; infila una gamba fra le mie divaricandomele e con gli ansimi che lo attanagliano, preme le labbra sulle mie intimandomi con la lingua di farmi schiudere la bocca, poi si distacca e poggia la sua fronte sulla mia.
<< Mi farai impazzire! >> digrigna preso dal piacere.
Sento la sua erezione premere il mio fianco. Lo guardo sbalordita.
<< Lo senti?... Lo senti quanto ti desidero? >> chiede spingendola contro la mia pelle, e mentre la sua gamba strofina la mia intimità, non trattengo un gemito di piacere.
<< Sentimi Rea! Senti quanto ti voglio... >>, con un ringhio mi distacca dal muro scaraventandomi -senza curarsi della mia salute- sul letto.
Sobbalzo due volte, poi lascio che le braccia cadano sul materasso. Con le mani mi divarica le gambe e posiziona un'altra volta il suo ginocchio nel mezzo.
È sopra di me come un felino sulla sua preda. M'inchioda col suo sguardo penetrante e colmo di passione << Voglio fare l'amore con te, e sai benissimo cosa significa! >> ansima con convinzione.
Non dico nulla, aspetto solo che continui.
Sì, voglio che mi prenda adesso, qui, su questo letto: testimone del nostro insaziabile amore. Voglio che mi faccia dimenticare tutti i miei guai.
<< Spogliami, Rea >> sussurra in un orecchio. Non me lo faccio ripetere due volte, allungo le mani sui suoi fianchi e gli sollevo lentamente la t-shirt. Lui sembra essere impaziente, perché si alza e completa il lavoro al posto mio. Rimane a petto nudo, si china su di me passando le sue mani sulle mie cosce. Mi accarezza poi arriva alla cerniera e sbottona il pantalone sfilandomelo.
<< Togliti la maglia >> ordina con voce rauca.
Mi metto a sedere e non appena tolgo l'indumento, vedo Castiel affondare la sua testa fra le mie cosce.
Presa alla sprovvista lancio all'aria un mugolio di piacere e istintivamente mi ritrovo a chiudere le gambe, ma lui non si ferma, mordendomi leggermente l'entro gamba sussurra: << Stenditi e apri le gambe >>
Non l'ho mai visto così, e sinceramente questo suo lato nascosto, mi arreca un senso di piacevole sottomissione.
Faccio come dice e non appena ha campo libero, crea il più bel poema erotico mai conosciuto.
Sento andare la pelle a fuoco, ma non è per via della febbre, no. È piacere allo stato puro.
Quel sublime movimento è una minaccia per la mia resistenza.
<< Castiel... ti prego... >> ansimo e gemo allo stesso tempo. Gli afferro la testa stringendogli i capelli tra le dita.
Lui si distacca e mi guarda con occhi da predatore. I suoi muscoli sono tutti tirati riesco finanche a intravedere le vene che gli percorrono le braccia completamente gonfie e pulsanti.
<< Rea, ciò che stai sentendo adesso, è la prova di quello che mi fai ogni volta che sfidi i miei sentimenti. >> gattona su di me; porta una mano sul mio petto e la insinua sotto il reggiseno. << Non dubitare mai più di me, intesi? >> sussurra stringendomi il seno.
Inarco la schiena gemendo ancora più forte.
<< C-Castiel... >>
<< Mi vuoi, non è vero? >> chiede sbuffando un sorriso beffardo.
Annuisco in preda al piacere, mentre le mie mani raggiungono i suoi pantaloni.
<< Come siamo impazienti... >>
<< Prendimi, Castiel... prendimi... >> sussurro portando il capo indietro per dargli campo libero sul collo.
Chiudo gli occhi concentrandomi sugli altri sensi. Sento un fruscio e capisco che si sta disfacendo del pantalone, poi tremo a contatto con le sue dita che scorrono sul mio ventre, sfiorano la parte intima e dopo qualche istante di nulla, sento la sua erezione farsi strada dentro di me scivolando facilmente.
Grido ricolma di piacere.
Castiel mi afferra le cosce e spinge sempre più affondo. Il suo respiro inonda l'aria. I movimenti diventano sempre più intensi e veloci.
Apro gli occhi fissando quelli del mio amato.
<< Rea... >> dice tra gli ansimi << ... Ti amo! >> esclama poi.
Sorrido << A-anche io... >> e quelle poche ma immense parole diventano la chiave del sublime. Raggiungiamo insieme l'apice del piacere per poi giacere attaccati uno sull'altra a domare i nostri respiri.
<< Non lasciarmi... >> sibila dopo un po' << ...non farlo un'altra volta. >> aggiunge stringendomi fra le sue braccia.
<< Sono stata solo una stupida, Castiel. Perdonami >> la mia voce sembra strozzata.
Lui si alza mettendosi di fianco a me. Mi guarda e mi accarezza il viso. << Sposami, Rea >> mormora con sensualità.
Quelle due parole mi sciolgono il cuore. Sorrido ma non rispondo, sono stanca e abbracciandolo mi concedo al sonno.
Quando mi risveglio, Castiel non è accanto a me. Mi guardo intorno, e noto qualcosa sul cuscino: Un biglietto.
"Vestiti e scendi giù in salotto". Sorrido. Che intenzioni ha?
Mi alzo stiracchiandomi, mi sento ancora debole, ma fortunatamente non ho più febbre. Voglio farmi una doccia, ma prima sono curiosa di sapere che cosa sta architettando.
Mi guardo allo specchio per controllare che almeno i capelli siano a posto. Li pettino con le dita, poi prima di scendere giù, afferro il cellulare e compongo il numero di Kim.
<< Rea... >> risponde lei dopo qualche squillo.
<< Ciao Kim >>
<< Come stai? >> chiede ansiosa.
<< Ora bene... Etienne? >>
<< Sta dormendo. L'ho portato a casa mia. >>
<< Grazie, Kim >>
<< Di nulla. Com'è andata con il gangster? >>
<< N-non lo so, me ne sono andata prima ancora che potesse giungere alla fine della discussione. >>
<< Nathaniel mi ha detto che Melody si è assunta la responsabilità... >> rivela schifata nel nominarla.
<< Non m'importa >> rispondo facendo una smorfia.
<< Nel liceo è ritornato tutto alla normalità. Nathaniel ha messo a tacere quelle voci rivelando ciò che ha detto Melody... tornerai al liceo? >>
<< Non lo so Kim, ma preferirei di no. >> rispondo senza esitare.
Dopo aver parlato un altro po', ci salutiamo avvisandola che andrò a prendere Etienne in serata, poi raccolta quanta più aria possibile nei polmoni, scendo giù in salone. Sento delle voci, una delle quali appartiene a Castiel, ma l'altra non la riconosco, è maschile. Chi potrà mai essere?
Quando raggiungo l'ultimo gradino. La prima persona che vedo seduta sul divano è un anziano occhialuto che mi sorride cordialmente. Castiel è di fronte a lui e mi dà le spalle, lo vedo voltarsi e sorridermi.
Si alza e mi raggiunge.
<< Vieni Rea, lascia che ti presenti il Notaio François >> dice porgendomi una mano e invitandomi a sedere con loro.
<< N-notaio? >> chiedo confusa guardando prima l'anziano e poi il Rosso.
<< Piacere signora >> interviene il primo alzandosi.
<< Ma che significa? >> chiedo rivolgendomi a Castiel.
<< Il signor Castiel, ha venduto questa casa >> risponde il notaio.
<< Sì... lo so... >> soggiungo triste.
<< Sono qui perché serve la firma del nuovo proprietario >> aggiunge il vecchio estraendo una penna nera con delle applicazioni dorate.
<< Ma... non capisco. Io cosa centro in tutto questo? >>
<< Serve la vostra firma. >>
Rimango interdetta. Volgo lo sguardo verso Castiel che continua a sorridermi, poi torno a guardare il notaio.
<< Il proprietario è lei, signora >> rivela tutto d'un fiato quest'ultimo.
<< C-cosa?! >> chiedo incredula alzandomi di scatto dal divano. << Castiel... >>
<< Era il mio più grande desiderio. Vivere qui con te. Da quando ho rimesso piede qui >> spiega il Rosso, accavallando una gamba sull'altra << Mio padre voleva venderla a qualcun altro. Ma qui io ti ho conosciuto e il pensiero di vederla invasa da estranei, non mi andava a genio... il vecchio non me l'avrebbe mai ceduta, così ho voluto farti un regalo. >>
<< Tuo padre sa che la proprietaria... sono io? >>
Castiel scuote la testa, ma è lo stesso calmo.
<< Perché l'hai fatto? >>
<< Te l'ho detto, voglio sposarti e vivere con te e nostro figlio in questa casa >>
Lo guardo intensamente e non riesco ad aggiungere altro. Il notaio attira la mia attenzione accennando qualche colpo di tosse, spazientito.
Mi porge la penna. L'afferro con titubanza e in tale maniera, firmo.
 
***
 
Castiel si sta versando uno strano liquido marrone nel lungo bicchiere. Seduta ancora sulla poltrona, lo guardo e nella mente, molti pensieri.
Lui si volta << Che c'è? >> chiede sorseggiando la bevanda.
<< Sai che non mi piacciono questi tipi di regali. >>
<< Non ti ho mai fatto un regalo simile, quindi non posso saperlo. >> si difende facendo spallucce.
<< Che cavolo, Castiel! Hai regalato a tuo padre tutti questi soldi! >> esclamo alzandomi e indicando con un gesto della mano la maestosità della casa.
<< Non li ho regalati, ho comprato la casa per te! >> spiega spazientito.
<< Non avresti dovuto farlo! Non mi piace che si spendano soldi per me, e per una casa poi! >>
<< Hai finto? >> m'interrompe poggiando violentemente il bicchiere sul tavolino << I soldi sono miei, e ci faccio ciò che voglio! >>
<< Ma sono troppi! >>
<< Ho un'intera industria in funzione di veicoli aerei, alle mie spalle. Posso permettermi questo e altro! >>
<< Ma non avevi detto che tuo padre ha perso tutto? >>
<< Hai detto bene... mio padre ha perso tutto. Ciò che ha perso lui, è tutto nelle mie mani >>
Lo guardo a bocca aperta, mi sembra di parlare con un Padrino. Sbuffo facendo una smorfia, << Ricchi spocchiosi! >> mormoro dandogli le spalle.
<< Cosa hai detto? >> chiede avvicinandosi lentamente.
<< Ho forse sbagliato qualcosa? >> ribatto sfidandolo.
<< Ricordi che siamo soli, in cinquecento metri quadri di casa, con sette stanze da letto al piano di sopra? >> mormora cingendomi i fianchi.
<< E con ciò? >>, la mia voce è divertita.
<< Beh, potrei fartele provare tutte... >> sorride poggiando le sue labbra sul mio collo.
<< Oppure, potrei farti uscire da casa mia >> enfatizzo l'ultima parola.
Castiel si drizza fissandomi con occhi severi. << Non ne avresti il coraggio >> mormora malizioso.
<< E allora, accetterai che ti ripaghi il debito >>
Scuote la testa, infastidito << Non ti permettere. È un regalo! >>
<< Castiel... >>
<< Non insistere, Rea. La discussione è chiusa. Tu vivrai qui con me e nostro figlio! >>
Lo guardo a bocca aperta. La sua è autorità allo stato puro. Chi gli dà il diritto di comandare sulle mie decisioni?
<< E poi, non avresti modo di ripagarmi! >> aggiunge vittorioso.
<< Per tua informazione, ho un appartamento in città che ho abbandonato da ormai sette anni! Potrei venderlo, e ho anche il mio lavoro... >> l'ultima parola mi esce quasi con un sibilo, poi il silenzio piomba tra di noi, ed è lui, che dopo qualche secondo lo spezza dicendo: << Da quando ti sei svegliata, non ne abbiamo più parlato. Non vuoi sapere com'è andata a finire? >>
Scuoto la testa, ricordandomi il dolore che ho provato stando in quello studio. Mi volto dandogli le spalle e mi dirigo verso le scale.
<< Rea, tua zia... ti ha salvato! >> esclama. Mi fermo poggiandomi al passamano.
Non riesco a credere alle mie orecchie. Eppure sono sicura di aver ascoltato perfettamente. Mi volto ancora verso Castiel.
Sorride.
<< C-cosa? >> chiedo balbettando.
Lui annuisce e sorride. << Ha denunciato la madre di Armin, e ha sospeso Melody dal suo incarico >>
Quelle parole riecheggiano nell'aria come la rivelazione più importante del mondo.
<< A-Alain? >>
<< Se la caverà con qualche settimana di sospensione... Sei salva, puoi ritornare nel tuo ufficio, preside. >>
Sorrido e lui ricambia. << Non so se vorrei farvi ritorno. >> rivelo sincera << Dopo tutto quello ch'è successo... Ho paura del giudizio degli altri. Andiamo, Castiel. Sappiamo benissimo che la ragazza nella foto con Alain sono io! Melody ha solo voluto redimersi dai suoi sbagli! >>
<< No. Non sei tu. È stato deciso così, il resto non conta >>
<< Ma è la verità! >>
<< Non me ne frega niente, Rea! Smettila di pensare sempre al passato e a cos'è giusto o non... Sei salva, e sei mia. Abbiamo sofferto abbastanza. Troviamo un punto a questa storia! >> esclama raggiungendomi e abbracciandomi. << Dimenticati di tutto. Dimentica Armin e ciò che ti ha fatto... Se tu non ci pensi, allora non lo farò neanche io >>
Le sue parole mi rincuorano, e non posso fare a meno di piangere. Condivido il suo abbraccio aggrappandomi a lui come fosse l'ultima speranza.
<< Come faccio a dimenticare tutto il male... >> singhiozzo disperata.
Castiel mi accarezza i capelli tranquillizzandomi. << Ssshhh! Ti basta sapere solo che ci sono io accanto a te. E non ti lascerò mai. >>
<< Ti amo, Castiel. Ti amo tanto! >> mormoro distaccandomi da lui per guardarlo in volto, poi poggio le mie labbra sulle sue e diamo vita a un bacio appassionato.
È il copioso trillare del mio cellulare a interrompere questo momento idilliaco. Vado a rispondere guardando Castiel che sembra infastidito, forse dall'interruzione.
<< Kim?... Mhm... Perché?... Ok. I suoi soliti capricci. Ok non preoccuparti, vi raggiungo. Tu comincia a incamminarti... Grazie Kim. >> riaggancio, infilando il cellulare nella tasca.
<< Cosa voleva? >> chiede Castiel curioso.
<< Ha detto che porta lei Etienne a casa mia >>
<< Vi voglio qui >> dice severo.
<< Castiel, non posso lasciare casa mia così. Devo prendere le mie cose. Dovrò anche spiegarlo a Etienne... È estremamente intelligente, quel bambino. Non gli si può nascondere nulla >>
<< Non per altro è figlio mio! >> soggiunge vanitoso.
Sorrido gentile, poi mi avvicino a lui accarezzandogli il petto.
<< Vorrei farmi una doccia >> sibilo con un sospiro.
<< È casa tua >> risponde sensuale squadrando ogni minima parte del mio corpo.
Non aggiungo nient'altro, gli sfioro le labbra con l'indice, poi mi allontano salendo le scale.
Ho voglia di lui, ma non voglio farglielo capire. Entro nel bagno e inizio a spogliarmi. Lascio la porta socchiusa convinta che lui possa raggiungermi presto, poi entro nella cabina della doccia, aprendo la valvola dell'acqua calda. Afferro il bagnoschiuma e ne verso un po' sulla spalla. A un tratto sento i suoi famigliari tocchi farsi strada su di me. Mi fa sussultare.
Le sue mani scendono sulla mia schiena portando con loro il bagnoschiuma, arriva sui glutei, poi infila una mano fra le cosce, cingendomi il ventre con l'altra. A contatto con la mia pelle sento che indossa ancora i suoi indumenti. Gemo, poi mi giro e lo guardo dalla testa ai piedi: la stoffa sulla sua pelle aderisce perfettamente alla muscolatura.
Dio, quant'è sexy!
Ci guardiamo per qualche istante, poi lui preso da un inspiegabile sentimento, si piomba sulle mie labbra martoriandole di piacere, mentre le sue mani continuano a vagare alla ricerca dalla mia nudità. Insaziabile di quel contatto, mi prodigo per togliergli i vestiti e quando finalmente anche lui si presenta come mamma l'ha fatto, mi afferra per le cosce ed entra in me.
L'acqua continua a scorrere irrefrenabile sopra di noi, e tutto diventa sublime. I suoi movimenti, i suoi tocchi, i suoi baci.
Mi sta facendo impazzire. Così decido di ricambiare. Lascio la sua spalla e mi aggrappo ai pannelli della cabina spingendo insieme con lui.
<< Ah, Rea... che cosa mi fai! >> esclama fra i denti.
Tempo qualche minuto e dopo poche, intense spinte, raggiungiamo il piacere. Lui mi lascia le gambe, ansimando e poggiandosi si di me. Io l’abbraccio e lo bacio su tutta la superfice della spalla.
Quando riprende il suo normale respiro, afferra la spugna e inizia a lavarmi.
<< Mhm... >> mugolo assaporando ogni sua carezza << potrei abituarmi a tutto questo >>.
Castiel sorride mordicchiandomi il collo.
Quando abbiamo finito, io mi asciugo i capelli, mentre lui rovista nell'armadio alla ricerca di nuovi abiti. Opta per una camicia blu notte e un jeans.
Lo guardo contrariata. << Non ho il cambio! >> replico.
<< Non ho vestiti femminili >> risponde guardandosi allo specchio.
Non aggiungo altro, mi reco al suo comò e sotto i suoi occhi increduli, m’infilo un paio di boxer.
<< Sei incredibile >> dice scuotendo il capo.
<< Non ho altra scelta >> mi difendo alzando le spalle in segno di resa.
<< Vuoi anche la mia roba? >> chiede divertito.
<< Avessimo avuto la stessa taglia... >>
<< Vestiti, ti accompagno >> mormora porgendomi i miei vestiti << Rimarrò da te, spero non ti dispiaccia >>
Lo guardo incredula. << Vuoi proprio farti perdonare! >> esclamo sfidandolo.
<< L'ho già fatto >> risponde rivolgendosi a ciò che abbiamo fatto in camera sua e nel bagno. Ho bisogno di averti vicino. E poi, voglio vedere mio figlio >>
<< Ok >> rispondo, arresa.
 
***
 
Castiel toglie la chiave d'allarme nell'interruttore poi mi porge il mazzo. << Ecco a lei padrona >> sorride. Accetto ricambiando la sua espressione, poi ci dirigiamo verso la sua auto.
A un tratto mi fermo.
<< Che c'è? >> mi chiede, fermandosi insieme con me.
<< Non senti anche tu puzza di fumo? >>
Odora l'aria guardandosi intorno << Un po' >> risponde indifferente aprendo la macchina.
Volgo lo sguardo al cielo notturno che in lontananza, una nuvola più scura, macchia il blu della notte.
<< Guarda Castiel! >> esclamo indicandogli la direzione.
<< Qualcuno avrà acceso il barbecue... Andiamo >>
Acconsento e m’infilo in auto.
Il tragitto verso casa mia lo passiamo in silenzio, poi qualcosa dentro di me si fa strada, è una strana preoccupazione, ma a cosa è dovuta? Non lo so.
Dopo un po', però, sento in lontananza il rumore di una sirena e come se calamitati, i miei occhi si piantano sullo sfondo: non molto lontano c'è un bagliore, e il fumo che continua a espandersi nel cielo.
<< Ma che diavolo..? >> mormora Castiel.
Come un fulmine a ciel sereno, quella preoccupazione diventa pensiero, un inquietante pensiero. Ordino a Castiel di fermarsi facendolo trasalire. Lui inchioda e osserva i miei movimenti. Esco dalla macchina senza ascoltare le sue domande e inizio a incamminarmi verso casa mia, prima con passo lento, poi man mano che le urla di disperazione aumentano, con più velocità.
<< No, ti prego, fa che mi sbagli! >> sibilo con il cuore in gola, ma non appena giro l'angolo, i miei pensieri si tramutano in paura. Mi blocco a qualche metro di distanza da casa mia invasa dalle fiamme. Il mio respiro si spezza e quando vedo l'auto di Kim parcheggiata davanti al cancelletto, un urlo di terrore sovrasta tutti gli altri suoni.
 
 
 
 
 
BAKA TIME (eternamente in ritardo): ciao ragazze! So che adesso starete pensando: non solo ritarda gli aggiornamenti, ma quando pubblica, combina un casino.
Beh, in questo capitolo c’è fuoco -e che fuoco- in alcune scene. Spero di non essermi spinta un po’ troppo, perché non vorrei cambiare rating. Comunque, nonostante il mio imperdonabile ritardo, spero vivamente che il capitolo sia stato di vostro gradimento, inoltre, voglio ringraziare con tutto il cuore, tutte le lettrici che seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono questa storia.
Chiedo anche perdono per le mancate risposte alle recensioni. Non ho tempo a sufficienza e quando lo trovo, mi dimentico di rispondere.
Un’ultima cosa. È un avviso. Forse… oddio, mi viene da piangere… questo è il penultimo capitolo. Ma sottolineo FORSE.
Però ( con la vostra Iaiasdream c’è sempre un però ), ci sarà una Terza serie… chi lo sa. Forse sì, forse no. In base alle vostre preferenze.
Mi piacerebbe molto continuarla, ma se arriva a stancare, è inutile che mi scervelli.
Ho finito… un bacione e alla prossima, spero presto.
 
IAIASDREAM
 

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Capitolo 44
*** Fa male... fa davvero male ***


44° Capitolo: FA MALE… FA DAVVERO MALE
 



I miei occhi sono puntati su quelle fiamme minacciose, che rompono i vetri per affacciarsi alle finestre e salutare con strafottenza chi si trova all’esterno, quasi a voler dire: “Siamo noi le padrone di tutto”.
Il pensiero che si trovino Etienne e Kim lì dentro mi sta repentinamente distruggendo. Ho gettato un urlo, e mi sono fatta avanti, intenta a trovare qualche soluzione, ma non riesco a capire davvero cosa voglio fare. Mi sento in ansia, smarrita, ma soprattutto: dannatamente impaurita.  Stringo le sbarre del cancello chiuso, e di sfuggito guardo la porta d’entrata, non ci sono ancora fiamme. Mi blocco, il mio respiro è l’unico punto focale in cui i miei sensi sono concentrati.
Devo entrare, devo salvare il mio bambino e la mia amica, fosse l’ultima cosa che faccio nella mia vita, ma non appena mi accingo a scavalcare il ferro battuto, mi sento afferrare per i fianchi e distaccare forzatamente dal cancello.
<< Ma che vuoi fare?! >> spicca una voce fra le altre urlanti.
<< Lasciatemi! >> urlo impazzita, stringendo la presa.
<< Rea, calmati! >> insiste lo sconosciuto, dandomi un ultimo strattone. Sento un forte dolore alle dita, e dopo aver mollato il ferro, mi ritrovo con le ginocchia e gli occhi piantati sull’asfalto.
Vedo tutto sfocato; sto piangendo. La persona che mi ha allontanato mi sta scuotendo dalle spalle e mi dice qualcosa che non riesco a comprendere, talmente, sono agitata, poi alzo la testa.
Armin!
<< Rea, parlami! Che diavolo e successo?! >> sembra alquanto agitato. I suoi occhi, color del ghiaccio, sono puntati su di me, come a voler fuoriuscire dalle orbite.
<< E- Etienne… K-Kim… >> balbetto smarrita.
<< Cosa vuoi dire?... oh, no! >> urla angosciato guardando la casa sovrastata dal fumo. << Sono lì! >>. Si alza, e fissa ancora le fiamme. Mi accorgo che sta stringendo i pugni e trema come una foglia, mentre sul suo viso si è disegnata un’espressione decisa.
<< Resta qui! >> ordina dopo qualche secondo di esitazione.
Non ho il tempo di capire cosa vuole fare, perché tra il suono della sirena dei pompieri e le urla delle persone raggruppate sulla strada che riecheggiano nell’aria, ma soprattutto per la paura che sta aumentando nel mio cuore, sento quasi di svenire.
Lo vedo scavalcare il cancello, correre verso una finestra aperta e sparire nel fumo nero.
<< No… >> sibilo sconcertata. << No! >> urlo poi, avvicinandomi ancora una volta al cancello. << Armin! >> strillo come una forsennata, scuotendo violentemente le sbarre.
<< Rea! >>, mi giro e vedo Castiel farsi avanti; notando il modo con cui mi guarda, sono sicura che debba avere un’espressione davvero terrificante.
<< Cosa… >>
<< Castiel! >> esclamo precipitandomi verso di lui, il quale mi accoglie fra le sue braccia << C’è la macchina di Kim… >>
<< Cosa?! >> urla, distaccandomi bruscamente e guardandomi negli occhi. La sua carnagione tramuta colore all’istante. Diventa cerea.
<< Armin… Armin è… >>, non mi lascia il tempo di terminare la frase, lo vedo correre verso il cancello e scatenare violentemente la serratura. Lo sento imprecare; dà calci, spallate e urla come un ossesso. Dopo qualche istante gli si avvicina un pompiere, che cerca inutilmente di fermarlo.
<< Aprite questo cazzo di cancello! >> urla Castiel completamente fuori di sé.
<< Si calmi signore, stiamo spegnendo le fiamme al piano di sopra… >> cerca di spiegare l’agente.
<< Me ne fotto! >> lo interrompe il rosso, strattonandolo bruscamente. << Lì dentro c’è mio figlio! >>
<< E’ tutto sotto controllo… >>, a fermare quella rassicurazione, è un forte boato che proviene dalla casa e fuoriesce dalla porta di entrata, scoppiando come una bomba a orologeria.
Urlo portandomi le mani alla testa e inginocchiandomi disperata, mentre vedo la porta frantumarsi in mille pezzi e l’entrata vomitare fiamme e fumo.
Non riesco a sentire più nulla, sembra che le orecchie si siano riempite di solida cera. I miei occhi bruciano e non solo di lacrime, ma è come se il fuoco mi avesse raggiunto.
La voce mi manca e la saliva si pietrifica in gola, quando a un tratto un caldo tocco, si poggia sulla mia spalla. Trasalisco sentendomi mancare un battito, poi lentamente, come fossi un automa, mi volto. Tremo e succede tutto in un battito di ciglia. Le mani che tenevano la testa cadono di peso sulle gambe piegate, il respiro si fa più veloce e il cuore lo accompagna.
<< Mamma… >>, è la sua voce a sbloccarmi del tutto. Sollevo pesantemente una mano porgendola sul suo volto, e inizio a toccarlo: affondo le dita fra i suoi capelli corvini, scendo sulle guance e con il pollice accarezzo l’epidermide, le labbra, il piccolo nasino; angosciata e con il pensiero che possa essere solo un miraggio, che possa scomparire da un momento all’altro. Lo guardo attentamente negli occhi. Quelle perle grigie sembrano impaurite, ma allo stesso tempo sollevate nel vedermi. Mi afferra una mano e il suo calore è la prova che non lo sto immaginando.
<< E-Etienne… sei tu? >> chiedo ancora smarrita.
<< Mamma >> piange.
<< Oh, mio Dio! >> esclamo stringendolo alle mie braccia e piangendo disperatamente. << Sei salvo… sei salvo… >> continuo a ripetere premendolo contro il mio petto.
<< Mamma, mi soffochi! >> si ribella cercando di farmi mollare la presa.
<< Rea! >>, alzo lo sguardo, e finalmente posso sospirare di sollievo. È Kim. Mi alzo, prendendo il bambino in braccio.
<< Kim, sia ringraziato il Cielo! >> esclamo abbracciando anche lei.
<< Ma cosa è successo? >>
<< Io… io non lo so… non lo so… >> balbetto ancora in preda al panico. << Pensavo foste dentro… >>
<< Fortunatamente siamo usciti a comprarci una pizza… ma non abbiamo lasciato nulla acceso! >> spiega lei.
<< Oh, mio Dio! Armin! >> esclamo dopo un po’ ricordandomi ciò ch’è successo minuti fa.
<< Cosa dici? >>
<< Armin è entrato! >>. La bruna ed io ci guardiamo per qualche istante, poi volgiamo gli occhi sulla casa che lentamente sta crollando a pezzi. Con il bambino fra le braccia e senza che me ne renda conto, mi avvicino a Castiel, che sta ancora gesticolando nervosamente con il pompiere.
<< Castiel! >> lo chiamo per attirare la sua attenzione. Mi guarda, e i suoi occhi s’illuminano non appena vede Etienne fra le mie braccia, sano e salvo.
<< Ma cosa… >> è smarrito, si legge negli occhi.
<< Castiel, Armin è bloccato lì dentro! >> urlo angosciata.
<< Che stai dicendo? >> chiede allibito.
<< Pensavamo che Kim e il bambino fossero bloccati… è entrato lì! >>
<< Maledizione! >> esclama pestando i piedi infuriato.
Esita, guarda Etienne, e accarezzandogli dolcemente la testa, gli dà un bacio sulla fronte, poi ritorna dal pompiere. Li vedo parlare e a un tratto l’agente si allontana dal rosso, si reca al camioncino, prende una coperta, la inzuppa di acqua dalla pompa, se l’avvolge addosso e si precipita all’interno della casa.
Castiel ritorna vicino a me abbracciandomi.
<< Sta tranquilla… >> sussurra baciandomi i capelli << …andrà tutto bene >>
<< E’ colpa mia, Castiel. È tutta colpa mia. >> piango disperatamente, stringendo il mio bambino.
Etienne non parla, sembra non capire quello che sta succedendo. Guarda la casa bruciare inespressivo, poi poggia la sua testa sulle mie spalle e chiude gli occhi. Io, invece, rimango a fissare l’intera scena, pregando Iddio che Armin e quel pompiere escano da quell’inferno, sani e salvi.
Dopo interminabili minuti, ormai, il piano di sopra è spento, e giù i bagliori minacciosi stanno smorzandosi lentamente.
Nell’aria c’è solo il rumore dei vocii, il crepitio di qualche trave logorata, la pompa dell’acqua dei pompieri, ma di Armin e del suo soccorritore neanche l’ombra.
<< Castiel ho paura >> dico a un tratto sfinita.
Lui non risponde, i suoi occhi sono fissi sulla scena, ma dal suo tremolio e dalla mascella irrigidita, sono sicura che stia provando i miei stessi sentimenti.
<< Avanti, idiota, esci! >> lo sento sibilare.
I vigili del fuoco si precipitano all’interno, forse, preoccupati per il loro collega.
Castiel vuole seguirli, e voglio farlo anch’io, ma un agente ci ferma.
<< Cosa è successo al vostro collega? >> chiede ansioso il rosso.
<< Vi prego di stare calmi >>
<< C’è un mio amico! >>
<< Lo so >>
Dopo qualche istante vediamo un vigile uscire velocemente. << Chiama un’ambulanza! >> urla verso di noi.
Il pompiere che ci stava trattenendo, si precipita verso il camion e afferra la ricetrasmittente.
<< Che cosa è successo lì dentro? >> chiede Castiel raggiungendo l’uomo che ci ha avvisato.
<< Il ragazzo che si trova all’interno, è ferito gravemente! Non sappiamo se ce la farà. >> rivela quest’ultimo.
Basta solo quell’ultima parola, per farmi rivivere tutto in un istante. Barcollo, sento di allentare la presa su Etienne, mentre vedo di sfuggito qualcuno togliermelo dalle braccia. Piango, credo di urlare, ma non riesco a sentire la mia voce. Sento solo un forte dolore in petto, e fa male… fa davvero male.
 
***
 
Per la seconda volta nella mia vita, mi ritrovo con la testa appoggiata al vetro che riflette la camera intensiva dell’ospedale, dove hanno ricoverato Armin.
I medici sono usciti da pochi minuti lasciandolo solo.
La maschera per l’ossigeno, copre le sue labbra, mentre un lato del viso è completamente ustionato.
Quel volto che fino a pochi mesi fa, era un dipinto astratto che rispecchiava allegria e fascino, in questo momento è irriconoscibile, e non posso fare a meno di pensare che la causa di tutto, sia io.
È come se le mie stesse mani gli abbiano procurato quello storpio.
Che cosa ti ho fatto, Armin? Ripeto sotto voce, permettendo alle lacrime di rigarmi il volto.
Dopo qualche istante, mi allontano da quell’inquietante dipinto e cerco, con la mente scossa, Castiel. Si è allontanato dopo che un ispettore l’ha chiamato per fargli delle domande.
Ho lasciato Etienne con Kim; Nathaniel è stato così gentile da ospitarli a casa sua.
Percorro il corridoio e mi accorgo che le infermiere mi scansano, dato che non accenno a farlo io. Arrivata davanti alla sala d’attesa, mi fermo osservano Cass che conversa ancora con l’ufficiale in borghese.
Non riesco a sentire ciò che si stanno dicendo. La verità, è che non ce la faccio; la mia mente è ancora concentrata sull’immagine di Armin e sto pregando con tutta me stessa che riesca a sopravvivere.
A un tratto i miei occhi riprendono la visuale, e mi accorgo che il poliziotto mi sta venendo incontro seguito da Castiel. Trasalisco e mi scosto per farli passare, poi vedo il Rosso guardarmi: ha un’aria cupa.
<< D-dove andate? >> balbetto con voce roca.
<< Nell’obitorio… >> risponde lui frastornato.
<< Obitorio? >> chiedo allibita, << Perché? >>
<< Sembra che Armin non era solo, in casa tua >> risponde angosciato.
<< C-cosa? >> esclamo come se mi avessero gettato un secchio di acqua ghiacciata in pieno volto. << Chi altri..? >>
Prima di rispondermi, Castiel mi fissa intensamente negli occhi << Vieni con me >>, mi afferra la mano e ci incamminiamo insieme al piano interrato dell’ospedale.
 
***
 
<< Signora, voglio avvisarvi che il corpo e il viso della persona sotto questo lenzuolo, sono completamente inguardabili. Pertanto, la prego di rinunciare a guardarla, se… >>
<< No! >> esclamo decisa << Voglio vedere chi è! Mi avete detto che probabilmente, è stata questa persona ad appiccare l’incendio in casa mia. >>
<< Sì, ma è irriconoscibile. >> spiega l’ispettore. << prima di perdere i sensi, il signor Armin ha fatto un nome. >>
<< Quale? >> chiedo ansiosa.
<< Ginevra >> risponde Castiel al mio fianco.
Un brivido di terrore mi percorre inesorabile la schiena. Mi volto come un automa verso di lui e non accenno alcuna parola, ma la mente urla, impreca e piange. È stata quella pazza maledetta!
Ritorno a guardare il corpo coperto dal lenzuolo bianco, e sono sovrastata da un pensiero cattivo.
Se il cadavere è di quella puttana…
Trattengo il respiro e non riesco neppure a sentire il “pronti” del poliziotto che vedo subito la coperta sollevata da quel raccapriccio.
Stringo gli occhi, sentendo un conato di vomito farsi strada nella gola. Porto istintivamente una mano sulla bocca, e poi copro il viso dietro la spalla di Castiel.
<< Allora… >> riprende l’ufficiale, << può riconoscerla dal bracciale? >>
Castiel tace per qualche istante, al suo contatto, lo sento irrigidirsi. Sembra aver trattenuto il respiro e un flebile gemito, gli esce presuntuoso dalla bocca ben chiusa.
<< Sì… >> mormora dopo un po’ << è lei! >>
Il mio cuore manca un battito e mi ritrovo a riaprire gli occhi. Senza preavviso, esco dalla sala e corro verso le scale. Tutt’a un tratto ho sentito quel fetore di morte impregnare l’aria, e nonostante la mia contentezza nel costatare che quella maledetta ha fatto la fine che merita, riesco a sentire nel mio cuore qualcosa d’indescrivibile: la paura che si mescola al dispiacere.
Ma dispiacere per cosa? Ginevra voleva uccidere me e mio figlio. Era solo una pazza da internare. Per colpa dei suoi deliri, Armin è rimasto intrappolato con lei.
Sento il bisogno di vomitare, e non aspetto di trovare un bagno: scorgo un cestino per i rifiuti e rigetto tutto.
Sento Castiel chiamarmi, la sua voce sembra allarmata. Mi appoggio al muro riprendo con fatica a respirare.
<< Rea… ti senti male? >>
<< No, è tutto ok, Castiel… devo solo riprendere fiato… >> ansimo sentendomi la testa scoppiare, dopodiché inizio a piangere e a tremare.
<< Ehi, Rea… >> mormora Castiel accogliendomi fra le sue braccia.
<< Scu… scusami Castiel… i-io… non ce la faccio. >>
Mi stringe forte accarezzandomi i capelli, << Sta tranquilla… è tutto finito, adesso. >>
Quanto vorrei che le sue parole fossero sicure. Ho davvero bisogno di sapere che sia per davvero tutto finito, ma non posso ignorare quello che sta ancora succedendo alla persona che per ben quattro anni mi ha aiutato, anche se ciò che mi ha fatto non è un bene.
<< Scusate… >> è il medico a interromperci. Castiel ed io ci distacchiamo e volgiamo lo sguardo verso di lui. << I-il ragazzo che si trovava nella camera intensiva, era vostro parente? >>
Tremiamo, ed è Castiel a parlare.
<< Era..? >> indietreggia scuotendo il capo << … Che significa, era? >>
 
 
 
 
BAKA TIME: ok… vi do il permesso di dire tutto ciò che volete sulla mia diabolica mente. Penso che nessuno aspettasse un capitolo del genere –per lo meno posso confermare che non è l’ultimo-, sono stata davvero cattiva con Armin, lo so, ma è ciò che la mia mente ha voluto produrre e nonostante il mio diniego, non sono riuscita a comandare i polpastrelli nel momento in cui ho iniziato a scrivere.
Spero di sopravvivere ai vostri giudizi.
Ultimamente è come se stessi giocando ad azzardo. Sembro proprio una sadica, ma vi assicuro che non lo sono.
Alla prossima.
Un bacione :* :*
Iaiasdream
 

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Capitolo 45
*** Io credo in lui ***


45° Capitolo: IO CREDO IN LUI
 




Tre uomini azionano il macchinario per far scendere la tomba nella profonda fossa scavata per accoglierla; figure nere cerchiano la semplice lapide di marmo, esibendosi in un lamentato e fastidioso piagnisteo.
Castiel, tiene gli occhi coperti da un paio di Ray Ban dalle lenti scure come la pece; sembra che stia fissando i movimenti degli uomini che silenziosamente si adoperano a finire il loro lavoro.
Ha serrato le sue labbra in una linea severa.
Con una mano regge quella di Erich che, al suo confronto, sembra straziato.
“Perché gli ha permesso di venire?” mi chiedo distogliendo lo sguardo da loro. “Ma soprattutto, perché sono venuta anch’io?”
Mi sono isolata da quel gruppetto di anime in pena, sono appoggiata al tronco di un cipresso e le fisso come un’accanita osservatrice.
Manca la madre di Castiel, e naturalmente, ne conosco il motivo; suo marito, invece, si trova accanto ai due figli e regge una donna bassa e magra, che si copre il volto con un candido fazzoletto per raccogliere le lacrime e zittire il suo pianto.
Dev’essere la madre di Ginevra, ma come può quel maledetto consolarla davanti a tutti? Cosa avrà fatto pensare ai presenti? Che la defunta sia stata una sua segretaria? Questa è una delle cose che non capirò mai dei ricchi spocchiosi.
Finalmente, dopo pochi minuti la cassa lucida scompare dalla vista dei presenti, e a coprire il tutto ci pensa una lastra massiccia di pietra.
Quando vedo le persone allontanarsi e liberare la visuale, la prima cosa di cui mi accorgo, è la grande fotografia di una Ginevra sorridente. Se non l’avessi mai conosciuta, avrei pensato che fosse stata una delle tante belle e buone ragazze che perdono ingiustamente la vita per colpa del destino, e invece… tutto il male che lei ha fatto agli altri, a me, gli si è ritorto contro.
Per colpa sua, Armin ha perso la vista, l’incendio ha rovinato i suoi occhi color del ghiaccio.
Anche se sono passati solo tre giorni, è come se fosse accaduto pochi istanti fa.
Quando il dottore venne ad avvisarci e parlò al passato, per un attimo, Castiel ed io, pensammo che fosse morto, ma l’uomo si corresse subito, dicendo che lo avevano trasportato con l’ambulanza in un ospedale più attrezzato del loro. La notizia buona fu che quelle bruciature sul viso, sarebbero scomparse, lasciando piccoli segni, ma i suoi occhi, non avrebbero più potuto vedere la luce del sole.
In quel momento volli solo strapparmi il cuore dal petto e gettarlo sul pavimento con tutta la forza che avevo in corpo.
Ora, Ginevra non esiste più, e nonostante mi sia sentita dire da tutti che la colpa è stata solo sua, non posso fare a meno di pensare che l’unica colpevole in questa dannatissima storia, sia io.
Vedendo qualcuno farsi avanti, ritorno alla realtà allontanandomi per non incrociare lo sguardo di nessuno, soprattutto quello del padre di Castiel.
Esco dal cimitero senza voltarmi indietro e raggiungo la mia auto. Esito per qualche istante, poi parto. La meta non è precisa, ma ho bisogno di sentire l’aria fresca penetrarmi le narici e riempirmi i polmoni fino a farli scoppiare, così decido di prendere la strada esterna al paesello e di raggiungere il lago che da anni è ormai diventato il punto di riferimento per sfogare il mio stato d’animo.
Il velo increspato s’incupisce sotto il cielo grigio di questo giorno angosciante; l’aria sembra essere pesante e il vento non vuole essere da meno.
Sospiro chiudendo gli occhi. Afflitta e sconsolata m’incammino un’altra volta verso l’auto. Voglio dimenticare, ma come posso riuscire a farlo? In questi casi, com’è solita dire Kim, è meglio lasciare il passato alle spalle, guardare al presente e aspettare il futuro.
Quanto invidio quella ragazza. La sua testardaggine, il suo menefreghismo, ma soprattutto la sua forza di affrontare le cose. Chissà cosa farebbe lei al posto mio?
E con quel nuovo pensiero nella mente, decido di incontrarla e farmi consolare.
A un tratto, però, sento dentro il mio cuore, un senso di fastidio. So che la sua porta è sempre aperta per me, ma non voglio approfittarmi e scaricare la mia tensione su di lei. La verità è che ho paura che si stanchi; così mi ritrovo a frenare di botto e cambiare direzione. Non mi reco più a casa sua, ritorno nella villa che Castiel mi ha donato.
Nonostante tutto quello che è successo qui dentro, sento che questo posto è la zona migliore per rifugiarsi, ed è proprio questo a renderlo strano.
L’interno è buio, non c’è nessuno. L’abbiamo lasciato proprio com’era tre giorni fa, dopo l’incendio a casa mia.
A proposito, non ho ancora avvisato zia Michelle dell’accaduto, ma non mi sento di fare quest’altro passo. Sono convinta che si precipiterebbe subito qui, senza pensare a nessuno. Non voglio dare preoccupazioni anche a lei.
Mogia, mi reco in bagno: ho bisogno di farmi una doccia. Sembra proprio che l’aria del cimitero, si sia spalmata sulla mia pelle, come un viscido unguento.
L’acqua bollente che scorre sulla mia pelle tenta in tutti i modi di aiutarmi, ma sento che sta lottando inutilmente contro quest’assurda tensione. Esco sbuffando e mi avvolgo nel candido accappatoio. Mi fisso per qualche istante allo specchio e la prima cosa che noto, sono le occhiaie.
“Dio Santo!” mi ritrovo a pensare. Sembra proprio che abbia perso innumerevoli notti.
Passo le mani sulle guance tirando la pelle all’indietro per stenderla, poi distolgo la visuale dopo aver sentito un rumore provenire al piano di sotto: dev’essere ritornato Castiel. Senza perdere altro tempo, mi reco nella nostra camera per vestirmi. Kim mi ha comprato qualcosa dal negozio di Leigh, dato che sono rimasta senza neanche una maglietta.
Faccio in fretta.
Con Castiel avevamo deciso di recarci in ospedale per far visita ad Armin. Dopo l’incidente, non ci è stato permesso di vederlo e sinceramente fremo d’ansia per l’attesa. Anche se so che non può più vedermi, può ascoltare la mia voce ed io voglio chiedergli scusa, voglio che sappia che per lui ci sarò sempre. Oramai è plausibile che abbia sotterrato completamente il passato, nonché ciò che mi ha fatto. Ci siamo feriti a vicenda e l’unica cosa che desidero è mettere la parola fine a questa storia per ricominciare daccapo.
Infilate le ballerine, esco dalla camera e mi precipito verso le scale chiamando a gran voce Castiel. Da lui non ricevo alcuna risposta, ma i rumori riecheggiano comunque. Così, quando arrivo al piano di sotto, la figura che si presenta davanti ai miei occhi, mi lascia scombussolata e infastidita.
Non è Castiel, è suo padre.
Quest’ultimo mi guarda con occhi torvi, le sue labbra che poche ore fa erano piegate all’ingiù con un’espressione rattristata e sconvolta, adesso sono serrate in una linea dura e strafottente.
Dalla mia bocca non esce alcun suono, finanche il respiro si è bloccato.
<< Allora, Ginevra non aveva mentito! >> sogghigna calmo, senza scomporsi. << Adesso la mia proprietà è nelle tue mani! >> aggiunge indicando con un gesto del braccio l’intero ambiente.
Ma che razza di parole sta usando? Se non fosse che per quest’individuo provo già disprezzo, di sicuro avrei potuto odiarlo solo per ciò che ha detto.
<< Alla fine, hai vinto tu >> sibila con voce stranamente soffocata.
<< Che cosa vuole? >> chiedo nervosa.
<< Sai, mia cara Rea? Da quando ti ho visto al fianco di mio figlio, quel giorno che vi presentaste a casa mia, ho subito provato disprezzo per te… >>
<< Oh, il fatto è reciproco! >> lo interrompo meravigliandomi di me stessa. Solitamente una frecciatina del genere l’avrei espressa solo nella mia mente.
L’uomo rimane con le labbra dischiuse, poi sbuffa un sorriso e spostandosi, ricomincia il suo monologo offensivo. << Forse so perché mio figlio non ha mai rinunciato a te; è per questo che quella sciocca puttana ha fatto quella fine. Dovrei reputarmi un uomo fortunato, pensa se avessi voluto farti io una cosa del genere? A quest’ora mi sarei ritrovato al posto di Ginevra… >> s’interrompe fissandomi con sfida, forse aspettandosi una mia qualunque reazione.
So di sentirmi allibita per le parole che ha appena detto, ma non posso e non voglio farglielo capire.
<< Lei è un uomo spregevole! >> esclamo con voce stridula.
<< Mia cara… >> ride sguaiatamente << … non sono stato di certo io a dividere un marito dalla propria moglie per avere tutto questo bendidio… >>
<< No, ma ha fatto di peggio! >> lo interrompo ancora una volta << Ha rinnegato suo figlio per non perdere soldi e potere, rovinando la vita a Castiel! >>
<< E tu? >> chiede scuro in volto. Perlomeno, sono convinta di averlo offeso. << Tu non hai ingannato mio figlio? >> continua, accettando il gioco a carte scoperte.
<< Che sta dicendo? Io non ho ingannato nessuno! >>
<< Ah, no? Cosa mi dici di Etienne? Quel bambino ha gli stessi occhi del padre: mio figlio… >>
Sento un dolore in petto e il mio risvegliato avatar mentale che urla a squarciagola: “Lo sa!”.
<< C-come..? >> balbetto sentendomi la trachea pulsare violentemente quasi a volermi soffocare.
<< Oh, sciocca ragazzina! Non pensare che, adesso che non ho più potere come in passato, ciò che accade intorno a Castiel, mi sfugga come il vento. >> s’interrompe rimanendo a fissarmi intensamente, come se mi stesse leggendo all’interno degli occhi. Mi sento come se volesse succhiarmi l’anima, e questo pensiero mi dà i brividi, manco fossi alla presenza del demonio in persona.
<< Sembri ingenua, mia cara, ma non lo sei; ed io sono l’unico ad averlo capito. >> riprende avvicinandosi come un serpente con la sua preda. << hai voluto tenere nascosta la verità a Castiel fino a quando non fossi stata sicura che avresti potuto accalappiarti tutto, poi, nel momento in cui hai capito che mio figlio voleva lasciarti, hai tirato fuori la tua carta più importante… sei una calcolatrice nata, ed è per questo che sto cambiando opinione su di te! >>
Mentre lui continua ad avvicinarsi, io mi allontano e con le mani dietro la mia schiena vado tentoni cercando di trovare qualcosa su cui appoggiarmi o più appropriatamente, dividermi da questo maledetto.
<< Io non sono così! Giacché sa tante cose, dovrebbe sapere anche il perché ho tenuto nascosta la vera identità di Etienne! >> esclamo gettando all’aria quelle parole come se fossero veleno.
<< Oh, lo so, lo so… l’hai fatto perché avevi paura che Castiel, o casomai io, avessi voluto decidere di portartelo via… >>
<< L’avreste fatto di sicuro! >>
<< E adesso, chi ti ha fatto cambiare idea? >> rivela sicuro di sé.
Mi blocco, irrigidita come una statua di marmo. << Cosa sta cercando d’insinuare? >> chiedo nel panico più totale.
<< Vuoi proprio scoprire tutte le carte? Ok, voglio svelarti un segreto… sai per quale motivo Ginevra ha tentato di uccidere te e tuo figlio? >>
Deglutisco a fatica, perché nella mia gola si stanno formando delle spine tali da lacerarmi le pareti che la rivestono. È come se quella rivelazione altro non fosse che una bomba a orologeria.
<< Perché io, ho convinto mio figlio a riconoscere quel bastardello, e a lei –pace all’anima sua- non è andato a genio! >>
“Ha chiamato mio figlio bastardello?
Scuoto la testa, abbassandola, e respirando profondamente, aspetto che decida di finire ciò che ha da dire.
<< Hai fatto i conti senza l’oste, Rea. Ti ostini a volere mio figlio, e adesso ho capito perché. Hai avuto ciò che volevi. La mia casa, ma ricorda che lui non ti sposerà mai! Farò di tutto purché questo accada. Se mio figlio riconosce quel bastardo, le azioni che quella maledetta mi ha fatto perdere, per non aver dato eredi, ritorneranno nelle mie mani. Diremo che Etienne è figlio di Castiel e di Ginevra, e tu rimarrai chiusa nel tuo castello a ricoprire il ruolo di quella che sei: una sgualdrinella mantenuta! >>
Eccola la goccia che fa traboccare il vaso. Non voglio sentire altro, e presa da uno scatto istintivo d’ira, gli tiro uno schiaffo di traverso, riuscendo a fargli piegare la testa a un lato.
<< Esci da qui, fottuto bastardo! >> e subito le parole educate, lasciano il posto al loro contrario. << Ho accettato fin troppo le tue offese. Stetti zitta una volta, ma adesso non ti permetto di nominare mio figlio con quel vezzeggiativo! Riconoscerlo è stata la volontà unica e sola di Castiel. Io credo in lui, e non mi farò trasportare mai più dalle vostre insinuazioni! Se rivuoi la tua eredità, maledetto… >> digrigno avvicinandomi minacciosamente << …fatti pestare come un verme da quelli come te, ma mio figlio non si tocca! >>. Quanto vorrei che in questo momento ci fosse Kim a guardarmi, sarebbe di sicuro fiera di me.
<< Tu… >> cerca di ribattere, fulminandomi con gli occhi. “Dio, è nero di rabbia!”
<< Non hai sentito cosa ha detto mia moglie? >> interviene una voce dietro di noi. Ci giriamo contemporaneamente, ritrovandoci di fronte Castiel, che se ne sta appoggiato alla porta con le braccia conserte.
<< Vattene via! >> si rivolge a suo padre con aria pacata ma minacciosa, << e non farti più vedere >>
<< Non puoi cacciarmi… >> sghignazza l’uomo << … sono tuo padre! >> esclama poi irritato.
Castiel si allontana dalla sua postazione, si avvicina a me, e mi cinge i fianchi con un braccio. << Farò finta di non aver sentito tutto ciò che hai detto, quindi, cosa preferisci: essere denunciato per tentato rapimento, o essere cacciato? >>
<< I-io non ho rapito nessuno! >> si difende indietreggiando.
<< Questo lo sai solo tu! >> esclama convinto suo figlio << A chi crederanno: a un uomo rispettabile quale sono io, o a un pezzente come te? >>
Il padre ingoia malamente la sconfitta, senza dire una parola, volge uno sguardo rammaricato verso di me, poi gira i tacchi ed esce dalla villa. Il rumore, che provoca la serratura, rimbomba nel mio cuore facendomi capire che è finalmente tutto finito.
Di scatto mi giro verso Castiel e lo abbraccio stringendolo forte. Voglio piangere ma non ci riesco e non potete immaginare quanto questo mi sia di sollievo.
Il mio ritrovato amore, mi accarezza i capelli e mi bacia il capo.
<< E’ finito tutto, vero? >> chiedo sollevando il viso per guardarlo negli occhi. Lui non risponde, annuisce solamente per poi baciarmi.
Il bacio è casto e di poca durata.
<< Rea, l’unica cosa che adesso dobbiamo fare… >>
<< Lo so. >> lo interrompo mollando la presa sui suoi fianchi. << Armin ed Etienne >> mormoro sospirando afflitta.
 

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Capitolo 46
*** La scomparsa ***


46° Capitolo: LA SCOMPARSA
 




<< Sei arrabbiata? >> chiede Castiel riportandomi alla realtà.
Lo guardo sbattendo velocemente le ciglia, << Perché dovrei esserlo? >> chiedo.
<< Beh, perché nonostante mi abbia detto di non presentarmi al funerale di Ginevra, ci sono andato >>
Accenno un sorriso malinconico << Ci sono venuta anch’io >> rispondo con voce amara.
<< E allora cos’hai? È per mio padre? >>
<< Sai, in un certo senso, anche lui è diventato l’ultimo dei miei pensieri. Mi hai detto che hai ascoltato tutta la discussione, e nonostante potesse sembrarti strano, non ho creduto a ciò che ha detto su di te. Solitamente a quest’ora staremo ancora litigando, è un passo avanti, non trovi? >>
<< Rea, cos’hai? >> insiste e questa volta con voce seria.
Abbasso lo sguardo, volgendo la testa verso il parabrezza, e inizio a pensare se quello che sto per dirgli sia la cosa giusta.
<< Io… per tutto quello che è successo ad Armin, mi sto chiedendo se noi due meritiamo di essere felici insieme. Quando pensavo non ci fosse più nessuno a intralciare la nostra storia, il destino ha messo ancora i suoi artigli. >>
<< Tu pensi che stiamo sbagliando? >> chiede interrompendomi. Lo guardo ancora una volta non riuscendo a proferir parola. << Pensi che per l’incidente ad Armin, dovremo rinunciare a ciò che abbiamo lottato fino ad ora?... rispondimi! >> esclama facendomi trasalire.
<< Non sto dicendo che è sbagliato… >> mi correggo intimidita dalla sua reazione << …sto solo pensando che, malgrado tutto ciò che mi ha fatto, gioire per il nostro lieto fine, non sia giusto nei suoi confronti. >>
<< Beh! >> esclama fermando definitivamente l’auto << Questo sarà lui stesso a dirlo! >> aggiunge indicando il palazzo ospedaliero con un cenno del capo.
L’alto portone dell’ospedale si staglia davanti a noi maestoso. Castiel mi tiene per mano, mentre non riesco a trattenere i tremiti che mi hanno assalito nel momento in cui abbiamo deciso di ritornare qui per far visita ad Armin.
Lo ammetto: ho una paura bestiale nel vedere la sua reazione. Durante il tragitto ho pensato e ripensato alla sua situazione. Armin è cieco e il solo immaginare i suoi occhi che cercano invano le figure davanti a sé senza riuscire a vederle, mi fa star male. Forse mi sto facendo dei problemi per niente, ma non riesco a pensare che se questa è la fine, devo accettarla così com’è. Infondo, Castiel ha ragione: abbiamo lottato molto in quest’ultimo periodo, soprattutto lui; si è messo contro il padre, cosa che non mi sarei mai aspettata da parte sua.
No. Non posso mandare tutto in fumo solo per le mie paranoie.
Accanto a me, Castiel, sembra essere l’unico tranquillo e, infatti, è lui il primo a entrare nell’edificio; mi ritrovo a seguirlo come un cucciolo indifeso, lasciando che si occupi di tutto. Si affaccia alla reception e chiede gentilmente all’infermiere, dove si trova la stanza del nostro amico, dopodiché si avvicina a me e m’invita a seguirlo.
Annuisco senza battere ciglio; prendiamo l’ascensore; quando usciamo, la prima cosa che notiamo in fondo al corridoio, è una sedia a rotelle ospitante una persona in contro luce, rivolta verso la vetrata.
<< Armin… >> sussurro bloccandomi. Castiel m’imita, poi armato di tutto il suo coraggio, s’incammina verso Occhi di ghiaccio.
Dal canto mio non riesco a muovermi, sembra che i miei piedi si siano conficcati nel pavimento come le possenti radici di un albero. Mi limito solo a guardare la scena con tutta l’ansia che ho nel corpo.
<< Armin. >> lo chiama il Rosso con voce tremante.
Vedo il moro trasalire, ma non si volta. << Castiel, sei tu? >> chiede allibito << Sei venuto a trovarmi? >>
<< Come stai? >>, la voce di Castiel sembra tremare.
<< Ho chiesto all’infermiera di mettermi vicino la finestra… ma penso proprio che mi abbia preso in giro. >> ribatte Armin voltandosi verso di lui ma puntando gli occhi nel vuoto.
Riesco a vederli, e l’unica cosa che riesce a consolarmi, è che non hanno perso il loro meraviglioso colore. Solo il suo affascinante viso è bendato per le ustioni.
Scoppia a ridere ed esclama una battuta schernendosi da solo.
Castiel rimane in silenzio.
<< Ah, ho un cattivo senso dell’umorismo, non trovi?... perché non parli? Di’ qualcosa, Castiel. Le voci delle persone sono le uniche a farmi capire che non sto dormendo… >>
Quella frase infilza il mio cuore come un coltello ben arrotato, così mi avvicino senza, però, dire nulla. Quando sono anch’io di fronte ad Armin, mi accorgo che quest’ultimo sta girando la testa e vaga con gli occhi in cerca di qualcosa.
<< N-non sei da solo, vero? >> chiede a Castiel balbettando.
<< No. >> risponde il Rosso con un sussurro.
<< Rea! >> esclama Armin, spalancando le palpebre dalle iridi spente.
<< S-sono qui, Armin >> piango passandomi una mano sugli occhi.
<< Ho sentito il tuo profumo, è inconfondibile. >> detto questo, si alza, chiede a Castiel di accompagnarlo nella sua camera e si siede su un’altra sedia. << Castiel, potrei chiederti un favore? >>
<< Sì. >>
<< Lasciami solo con Rea. >>
Castiel mi guarda, poi senza aggiungere altro, esce chiudendo la porta.
Rimaniamo soli, ma non riesco a parlare. Ho tante cose da dirgli e non so come esprimermi.
<< Perché sei venuta? >> chiede dopo qualche istante di silenzio.
<< I-io volevo… >> cerco di rispondere ma le parole mi muoiono in bocca.
<< Non volevo che mi vedessi in questo stato… Rea? >>
<< Dimmi Armin. >>
<< Pensi che abbia pagato abbastanza il mio peccato? >> domanda sorridendo.
<< Non parlare così, ti prego! >> esclamo singhiozzando.
<< Io penso che sia stato il minimo… >>
<< Oh, Armin! >> scoppio in lacrime, m’inginocchio verso di lui e poggio la testa sulle sue gambe << Mi dispiace… mi dispiace! È solo colpa mia. >>
<< No, non dirlo Rea. >> sussurra sollevandomi il capo << Sono io ad aver sbagliato dall’inizio… avrei dovuto lasciarti andare, ma non ne ho avuto né il coraggio, né tantomeno la forza… sai perché non ti ho mai voluto sposare? Perché sapevo che da un giorno all’altro Castiel avrebbe fatto ritorno… ma io ho voluto provare… >> sussurra poi, tastandomi il viso con le sue dita affusolate. Lo guardo negli occhi, quegli specchi sono puntati su di me, anche se inanimi, lui me li rivolge come ha sempre fatto.
<< Sai Rea? Io ti vedo, riesco a vederti… i tuoi occhi castani… >> dice toccandomi tutto ciò che sta elencando << …il tuo nasino impertinente, i tuoi capelli lunghi e lisci e… e le tue labbra… tu sei l’unica che riesco a vedere. Sei come la luce che illumina il buio. Quando mi sono risvegliato e ho aperto gli occhi, nonostante il dottore mi abbia detto che, puntate su di me, c’erano cinque lampade, questo buio che vedo solo io, mi ha fatto ridere… sto pagando per averti fatto soffrire. Non posso più vederti, ma riesco a immaginarti nella mia mente. >>
Lo abbraccio, non riuscendo più a sopportare quelle parole.
<< Rea… >> riprende senza ricambiare il mio gesto. << devi dire tutto a Etienne… lui non mi vede più come suo padre, da… da quando vi ho lasciati e non l’ho più cercato. È giusto che sappia la verità. È giusto che tu e Castiel siate felici. Tu non devi preoccuparti per me, sono sempre riuscito a cavarmela. Le persone che vi hanno diviso non ci sono più, ed io, non voglio sentirmi dire che appartengo a una di queste; so che non potrei mai averti comunque, quindi, rinuncio… sii felice con Castiel. >>
<< Armin… io non posso lasciarti con questo rimorso… >>
<< Ti prego, nessun rimorso. Tu non hai colpa di niente. Io non ti ho amato abbastanza. Quando mia madre ti ha trattato male, io non ho battuto ciglio per difenderti, sapevo quello che aveva in mente quando ti ha umiliato davanti tutta la scuola ed io, io ho taciuto; mi sono lasciato trasportare dalle sue malignità; se non l’avessi fatto, tutto questo non sarebbe successo.
Quando sono entrato in casa e ho visto tutte quelle fiamme, dopo un po’, mi ero accorto che Kim e il bambino non c’erano, la via era libera, sarei potuto ritornare fuori, ma non l’ho fatto. Per un istante ho pensato che se fossi rimasto dentro lasciandomi morire, avrei scontato il male che ti feci quella sera; ma adesso so che solo vivendo in questa maniera e lasciandoti andare, potrei sentirmi in pace con me stesso. Non piangere più, Rea. Non farlo per me. >>
<< Perché deve finire in questo modo? >> singhiozzo lasciandolo.
<< Per favore… >> mormora ignorando la mia frase. << Prima che tu te ne vada, voglio sentire solo una cosa… >>
<< D-dimmi… >>
<< Se Castiel non ci fosse stato, e se tutto questo non fosse accaduto, tu, mi avresti amato? >>
Trasalisco nel sentire quelle parole, poi mi alzo, mi avvicino alla porta, mi volto verso di lui e sorridendo, annuisco per poi sussurrare << Saresti stato l’unico e il solo… ciao, Armin. >>
Prima di uscire dalla sua stanza, lo guardo in viso, da quegli specchi d’acqua ormai vuoti, cadono piccole lacrime che gli rigano il volto, mentre più giù, le labbra, si sono allungate in uno di quei suoi sorrisi che fanno comprendere il suo stato d’animo: è felice. Nonostante tutto ciò che ha passato, è felice.
Adesso non riesco a capire chi fra i due sia stato da sempre il più spregevole. Lui mi ha lasciato andare senza farmi avere alcun rimorso, ma non posso comportarmi da persona sollevata e contenta, io ne soffro.
Castiel è davanti a me e mi guarda.
<< Come sta? >> chiede.
<< Mi ha dato la risposta >> mormoro stringendo i denti. Senza aggiungere altro, il Rosso si allontana entrando nella camera di Armin, così rimango sola. Inizio a camminare avanti e indietro fino a ritrovarmi nella sala d’attesa. Non c’è nessuno. Mi siedo nervosamente iniziando a massaggiarmi le mani.
Dopo qualche istante squilla il telefono; rispondo velocemente.
<< Ciao Rea. Sono Nathaniel… >>
<< Nath >> esclamo sospirando di sollievo. Non so perché ma da quando è successo tutto questo trambusto, ogni volta che mi squilla il cellulare, mi sento preda dell’ansia. << Cosa c’è? >>
<< Rea, scusami, so che non è il momento opportuno, ma vorrei avvisarti di una cosa… >>
Nel frattempo che Nathaniel ha formulato questa frase, nella stanza sono entrate due signore alle prese con le loro chiacchiere, così stringendomi nelle spalle, come a voler nascondere ciò che sto facendo, sono uscita fuori, incitando il delegato a continuare.
<< Ecco, vedi… tre giorni fa, le classi sono partite per quella famosa gita… doveva andarci anche Melody, ricordi? >>
<< S-sì >> rispondo non riuscendo a capire cosa voglia dirmi.
<< Poche ore fa, mi ha chiamato sua madre, chiedendomi se avessi notizie di sua figlia. >>
Silenzio.
<< Rea, Melody è scomparsa… >>
<< Cosa?! >> esclamo allibita << Ma cosa vai dicendo?! E’ in gita… >>
<< No, Rea… ho chiamato il professor Faraize e mi ha detto che il giorno della partenza, Melody non si presentò. >>
Rimango perplessa, scrollo le spalle come se avessi retto per troppe ore un peso da dieci chili. Mi passo una mano fra le labbra e sospiro guardandomi in torno smarrita.
<< Rea, ci sei? >> chiede il delegato con voce roca.
<< Sì, sì. Ci sono >> rispondo accennando qualche colpo di tosse << è che non riesco a comprendere… >>
<< Sua madre insiste nel dire che Melody uscì dalla casa tre giorni fa e d’allora non ha più dato sue notizie. >>
<< Tu a cosa pensi, Nathaniel? >> chiedo non riuscendo a formulare altre domande per continuare quest’assurdità.
<< Rea, non vorrei essere paranoico, ma la prima cosa cui ho pensato dopo aver sentito sua madre, è che… forse Melody, per tutto ciò ch’è successo: per la foto, la preside e per l’averti tradito, si sia sentita in colpa e abbia fatto qualche sciocchezza… >>
<< Andiamo, Nathaniel, non dire stronzate! >> lo interrompo innervosita, senza rendermi conto di aver alzato un po’ troppo la voce.
<< Mi dispiace, Rea… >> mormora con voce greve.
Sospiro, cercando di calmarmi << è inutile chiederti se hai provato a chiamarla… >>
<< Non risponde. >>
<< Giusto. >>
<< L’ho anche cercata… >>
<< Inutilmente. >>
<< Cosa facciamo, Rea? Sono tre giorni. Di sicuro la madre, sporgerà denuncia. >>
<< Lo stai dicendo come se nascondessimo qualcosa >> rivelo con un accenno d’ironia. So che non è il momento di scherzare, soprattutto dopo aver sentito quest’altra notizia, ma non posso neanche negare che di Melody me ne frega poco quanto niente.
<< Rea… >>
<< Nathaniel, ascoltami… io non so cosa fare in questo momento. Anzi, penso proprio che cercherò le dimissioni, con questo non voglio scaricare tutto su di te; con me c’è Castiel, ne parlerò con lui e ti faremo sapere, nel frattempo tu cerca di tranquillizzare la madre di Melody. >>
<< Va bene, Rea >> risponde sospirando sconsolato.
La nostra conversazione finisce così, non ci salutiamo e chiudiamo contemporaneamente la chiamata. Dopo qualche istante, vedo Castiel uscire dalla stanza di Armin e avvicinarsi a me.
<< Va tutto bene? >> chiedo, accorgendomi che ha uno sguardo cupo in volto. Non mi risponde. << Castiel, dovrei parlarti. Mi ha chiamato Nathaniel e… >>
<< Anch’io dovrei parlarti. Andiamocene da qui. >> m’interrompe afferrandomi per il braccio e trascinandomi verso l’uscita. Sento la sua presa stringermi l’arto, e fa male. Ma cos’ha? Mi chiedo fissandolo allibita.
Quando entriamo nella macchina, provo a chiedergli che cosa vuole dirmi. Dal canto suo, poggia le mani sul volante avvolgendolo con le dita; sospira, chiude gli occhi, poi si volta verso di me e sorridendo dice: << Prima tu. Cosa dovevi dirmi? >>
<< Mi… ha chiamato Nathaniel e… >> ripeto incerta << ha detto che Melody è scomparsa >>
Castiel corruga la fronte e mi fissa smarrito. << In che senso? >>
Gli racconto tutto il discorso che ho avuto con il delegato, alla fine, senza scomporsi sbuffa scocciato e impreca qualcosa a voce bassa.
<< Quando avrà fine questa storia? >> chiede dopo qualche secondo di silenzio. Lo guardo sospettosa.
<< Che c’è? >> ribatto con voce flebile. Lui non mi risponde, solo dopo qualche istante di esitazione, lo vedo trasalire, dopodiché accende l’auto e s’immette nel traffico senza dare alcuna spiegazione.
Cerco di chiedergli che cosa gli sia preso, ma non parla ed è inutile dire che questo suo comportamento mi sta dando sui nervi.
Dopo un breve tragitto, mi accorgo che siamo giunti a casa di Nathaniel.
Ad aprirci, con mia grande sorpresa, è Kim, che nonostante il suo colore di pelle scuro, riflette sul volto delle chiazze purpuree.
Sollevo un sopracciglio guardandola dubbiosa, mentre castiel dopo aver salutato, entra, chiedendo del delegato.
<< Sono qui! >> esclama quest’ultimo uscendo da una stanza, mentre si aggiusta la cravatta.
<< Cos’è successo a Melody? >> chiede il Rosso senza far caso a quel sospettoso atteggiamento.
Nathaniel mi guarda smarrito, ed io faccio altrettanto, poi guarda l’amico e passandosi una mano fra i capelli mormora << Non pensavo fosse tanto importante… non so cosa le sia successo, so solo che non dà sue notizie da tre giorni. >>
<< Sicuramente si sarà sentita male per via di ciò che ha combinato a Rea! >> interviene Kim con un leggero affanno nella voce.
<< Io invece ho qualche dubbio >> rivela castiel andandosi a sedere sul divano.
<< Cosa vuoi dire? >> chiedo tanto incuriosita quanto spazientita.
<< Armin… mi ha detto che in casa di Rea, il giorno dell’incendio, prima che lui potesse perdere i sensi e prima ancora che la trave del soffitto l’avesse colpito in pieno volto, ha sentito le voci di due persone che litigavano. >> s’interrompe.
Mi avvicino a lui assottigliando gli occhi e incrociando le braccia al petto. << Cosa stai dicendo? >> chiedo sbalordita.
<< Ragazzi, Ginevra, era con qualcun altro! >>
<< Ma… >>
<< Tu pensi che sia Melody? >> chiede Nathaniel fissando attentamente il Rosso negli occhi.
Quest’ultimo senza scomporre la sua espressione, annuisce nervosamente.  
 
 
 

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Capitolo 47
*** Ritrovato amore ***


47° Capitolo: RITROVATO AMORE
 
 
Dopo qualche istante di silenzio, passato a pensare a ciò che ha rivelato Castiel sulla scomparsa di Melody, la prima persona a romperlo è Kim, che sbuffando nervosamente, esclama:
<< Ok, non pensate anche voi che questa sia solo un’emerita cazzata? >>. La guardiamo tutti aspettando che continui. << Andiamo, non credo di esserci arrivata solo io. Ragionate: Armin ha detto di aver sentito due persone litigare nel bel mezzo dell’incendio; contemporaneamente a questo, scopriamo che Melody –che a quest’ora dovrebbe essere a stretto contatto con la natura e con quattro bulletti da strapazzo, alle prese con la loro precoce erezione- è scomparsa proprio il giorno in cui si è sputtanata, e questa, io, la chiamerei fottuta coincidenza. Ma, non vi sembra di esagerare? Se fosse stata in casa di Rea a litigare con Ginevra, i vigili del fuoco avrebbero trovato anche lei carbonizzata! Che cazzo! Non si conoscevano neppure! >>
Nathaniel è l’unico di noi a rimanere a bocca aperta per la maniera trasgressiva con la quale Kim ha esposto la sua.
<< Kim ha ragione! >> soggiungo sentendomi sollevata dal suo ragionamento. << Non possiamo pensare subito al peggio. Dobbiamo anche ammettere che Armin, in quel momento, stava per perdere i sensi. Può anche essere che lo abbia immaginato. >>
E dopo questo mio piccolo sfogo, ripiomba il silenzio di prima, poi Castiel si alza dal divano tira due lembi della sua giacca verso il basso e passandosi una mano fra i capelli, mormora: << Sapete, io ne ho piene le tasche di questa faccenda. L’antagonista di questa storia è morta e sepolta. L’unica cosa che adesso voglio fare, è vivere la mia vita con la persona che amo e rendere felice mio figlio. Se la madre di Melody vuole denunciare la sua scomparsa, faccia pure. Noi non abbiamo nessuna responsabilità, perciò, scusate il disturbo… >> mentre si volta per uscire dalla stanza, si blocca fissando esterrefatto la porta.
Con indosso una maglia e mezzamanica, lunga fino ai piedi, troppo grande per lui, prestatagli da Nathaniel, il mio piccolo Etienne se ne sta fermo sulla soglia a guardarci con due occhioni ancora assonnati.
Guardo prima lui, poi di scatto volgo lo sguardo verso Castiel: sembra impietrito.
<< Mamma… >> dice il bambino con voce impastata, e dopo uno sbadiglio e uno stropiccio agli occhi, aggiunge << sei tornata? >>
Mi avvicino prendendolo in braccio e stringendolo forte a me, do le spalle a Castiel.
<< Mamma… come sta papà? >> chiede a un tratto il piccolo lasciandomi impietrita. Lentamente mi giro, preoccupata di vedere la reazione del suo vero padre.
Castiel lo guarda, e lo fa con occhi malinconici, poi dopo qualche istante di esitazione, ci sorpassa ed esce da casa.
<< Castiel, aspetta… >> provo a fermarlo inutilmente.
<< Perché è andato via senza salutarmi? >> domanda il bambino imbronciato.
<< Io… >> provo a rispondere, ma non ce la faccio. Sento un mucchio di chiodi conficcarsi nella gola, tali da farmi sentire un forte dolore. Smarrita, guardo la stanza e i miei occhi si poggiano istintivamente su Kim, che a sua volta mi guarda con rimprovero, poi si avvicina lentamente, e posandomi una mano sulla spalla, sussurra: << Non pensi che sia giunto il momento di dire anche a lui la verità? >>
Già. Come il solito, stavo aspettando la sua parola per essere spronata in ciò che dovrei fare. Quando la finirò di dipendere da lei? Mi sono talmente abituata a ricevere consigli dalla mia migliore amica che senza, sento di avere paura; di sapere che non potrei mai farcela senza di lei.
<< Prima o poi, dovrò finirla. >> sibilo con voce fioca.
Non pensavo che un giorno avrei dovuto raccontare tutto a mio figlio. In questi anni ho sempre vissuto con la convinzione che sarebbe sempre andata in questo modo: io che esco dal mio lavoro, prendo Etienne dall’asilo, ritorno a casa per preparare la cena e osservo con dolcezza lui e Armin che si sfidano con i loro videogiochi preferiti. Questo perché, fino a qualche tempo fa, mi ero categoricamente vietata di pensare che –come ha anche ammesso Armin- un giorno o l’altro il mio vero grande amore avesse potuto far ritorno.
Naturalmente, non avrei potuto nascondere all’infinito la verità. Alle volte pensavo: se da grande Etienne scoprisse tutto, come reagirebbe? E non voglio nemmeno descrivere il mio stato d’animo che subito mi ha colpita, non appena ho formulato nella mia mente quella domanda.
Mio figlio è un bambino molto intelligente per la sua età, forse, parlandogli con estrema calma, potrei fargli capire ogni cosa, senza però segnare la sua infanzia.
<< Nathaniel? >> mormoro ritornando alla realtà.
<< Dimmi, Rea. >>
<< Potrei usare la tua camera, per vestire mio figlio? >> chiedo tutto d’un fiato.
<< Ma certo, fa come se stessi a casa tua! >> risponde il biondino sorridendo.
Ringrazio e mi dileguo.
 
***
 
<< Mamma… >> si lamenta << …non hai ancora risposto alla domanda che ti ho fatto! >>
<< Etienne, sono stata in ospedale, da pa… Armin. >>
Il bambino mi guarda sottocchio, aspettando che continui.
Non voglio dirgli ciò che è successo ad Armin.
Chiudo gli occhi per qualche istante, poi, presa più aria possibile nei polmoni e rigettatala con un sospiro, mi preparo a parlare e dirgli tutto.
<< Ascoltami, piccolino… devo dirti qualcosa d’importante, ma ho paura a farlo… >>
<< Perché? >> chiede lui alzando le braccia per permettere che gli sfili la maglia prestatagli da Nath.
<< P-perché è un po’ difficile… >> rispondo denudandolo.
<< E tu spiegamelo! >>
Sorrido per il suo modo di essere così schietto. Prima di parlare, gli infilo la canottiera e i jeans, poi afferro la maglia con la stampa dei Minions e cerco di farla passare dalla testa.
<< Aspetta mamma… faccio io… tu intanto racconta >>
Mollo la presa e indietreggio di qualche passo. Non so davvero come iniziare. Vorrei tanto cambiare discorso, ma non posso più rimandare, ne vale dei sentimenti che Castiel prova per me e per lui.
Mi volto verso la finestra che si affaccia su una strada deserta, la quale divide due palazzi grigi. << Se ti dicessi che tuo padre non è Armin… >>, solo adesso mi accorgo di aver espresso quel pensiero ad alta voce. Trasalisco nel sentire l’eco delle mie parole e di scatto mi volto verso Etienne.
È riuscito a liberare il viso dalla stoffa dal collo stretto. Mi guarda. Stranamente per le mie aspettative, non c’è nessuna sorpresa disegnata sulla sua espressione, bensì, è dubbioso. Ha le sopracciglia corrugate e le labbra increspate.
<< Mhm… >> mormora incrociando le braccia al petto.
Bene. Adesso cosa faccio? Perché sento che la parte peggiore non era quella di rivelarle la verità?
Provo ad avvicinarmi con cautela, come se stessi a contatto con una tigre appisolata pronta a svegliarsi da un momento all’altro per potermi aggredire.
<< C-cosa c’è? >> balbetto deglutendo a fatica.
<< Mi chiedevo per quale motivo, se Armin non è mio padre, lo chiamo papà? >>
Ecco. Sono praticamente spiazzata dal suo ragionamento. Che gli dico adesso?
<< Beh, vedi Etienne… Armin ti è sempre stato vicino, e mi ha aiutato a crescerti… >>
<< Ah! Allora è come Vivien! >> esclama illuminandosi in viso.
<< Vivien? C-chi è Vivien? >> chiedo scettica.
<< E’ la mia amica d’asilo. I suoi genitori sono morti in un incidente stradale e lei vive con i nonni. A suo nonno lo chiama papà! >>
<< Oh… >>
<< Sai mamma, gli altri la prendono in giro perché non ha i genitori, ma se domani le dicessi che anch’io non ho un papà, lei non soffrirebbe più… >>
Quelle parole mi fanno trasalire, è davvero una sensazione indescrivibile sentirle da un bambino di soli quattro anni.
Mi avvicino più a lui, e lo abbraccio forte. << No, Etienne. Non dire una cosa del genere. Tu ce l’hai un padre, e se non l’hai conosciuto prima, è perché… >> sbuffo iniziando a piangere << …la colpa è stata solo mia. >>
<< Perché non mi ha cresciuto lui? Non mi voleva? >> chiede appoggiando la testa sulla mia spalla.
<< No, non è così. >> soggiungo velocemente. << lui… lui è stato costretto a stare lontano da noi perché aveva molto da fare, ma quando ha saputo di te, non ha resistito alla voglia di conoscerti. >>
Per il momento so che dirgli questa versione è la cosa migliore da fare, non voglio che sappia mai la dura verità. I suoi occhi da bambino sono la cosa più innocente che esista in questo mondo pieno di male e ipocrisia. No, non voglio che sappia ciò che suo padre ed io abbiamo passato fino a questo momento.
<< Mamma… >> mormora dopo un po’ riportandomi dolcemente alla realtà. << … il mio vero papà è Castiel, è così? >>
Lo distacco da me fissandolo sbigottita in volto. I suoi occhi grigi brillano come pietre preziose e il suo caldo sorriso riesce a scaldare il mio cuore congelato dall’ansia.
<< Ma, come fai… >>
<< Quella sera che cenammo a casa sua, io salii in camera con Erich, e mentre giocavamo, vidi su un mobile, una fotografia: ero io da piccolino, ma Erich, mi disse che quel bambino era Castiel quando aveva se… mhm… non ricordo. Mi somigliava tanto che pensai che Erich mi avesse detto una bugia… >>
Le mie braccia cadono penzoloni lungo i fianchi. Erich lo sapeva. Mi dico sedendomi sul letto. L’ha sempre saputo, ecco perché il giorno del nostro primo incontro mi disse che aveva capito.
Lo ricordo come se fosse ieri, per via dei rumori delle vetture, non riuscii a sentirlo, ma il labiale lo capii comunque. Lui disse: “E’ suo figlio!”. Vedendo il mio Etienne, lui aveva riscontrato una certa somiglianza con Castiel.
<< Mamma, però, perché Castiel non mi ha mai detto che è mio padre, se non vedeva l’ora di conoscermi? >>
<< C-credo che volesse farti una sorpresa… >> spiego confusa.
<< Ma se n’è andato senza salutarmi, prima! >>
<< Ti sei offeso? >> chiedo carezzandogli i capelli. Lui annuisce imbronciato. << E allora che ne diresti se fossi tu a fargli una sorpresa? >>
I suoi occhi s’illuminano ancora una volta, annuisce scendendo dal letto e incitandomi a raggiungerlo in fretta.
Usciti dalla stanza da letto di Nathaniel, sento delle voci provenire dalla cucina: Kim e il padrone di casa stanno discutendo di qualcosa. Mi fermo, pregando mio figlio di imitarmi, lui ubbidisce sorridendo e tirandomi un lembo della maglia, m’invita ad ascoltarlo, così mi abbasso alla sua altezza curiosa di quello che vuole dirmi.
<< Zia Kim e Nathaniel, si sono baciati stanotte. >> rivela con un sibilo.
Mi alzo di scatto sentendomi il cuore in subbuglio. Che significa? Cos’hanno fatto quei due avanti a mio figlio? Ma soprattutto… si sono baciati?!
E da ciò che posso costatare lo stanno facendo ancora.
Imbarazzata e curiosa, entro nella stanza tossicchiando per catturare la loro attenzione.
Nathaniel è seduto sulla poltrona, e Kim si trova cavalcioni su di lui. Non appena sentono la nostra presenza, la bruna balza in piedi aggiustandosi nel miglior modo possibile, la maglia e i capelli, mentre il delegato si copre la parte bassa –fortunatamente ancora coperta dai pantaloni- con un cuscino.
<< A-avete finito? >> chiede Kim indifferente.
Etienne trattiene a stento una risata, tappandosi la bocca con una mano.
<< Poi dovrai spiegarmi cosa fai vedere a mio figlio… >> mormoro linciandola con gli occhi. Dal canto suo, Kim non capisce le mie parole e guarda complice il biondino che mantenendo il cuscino sul suo ventre, si alza tossendo. << Non è come credi… >> spiega completamente rosso in volto. << … vedi, ho appena ricevuto un messaggio da Melody, e ci diceva che è solo andata da una sua cugina per cercare di dimenticare il torto che ti ha fatto… >>
<< Bel modo di leggere un messaggio… >> sorrido strafottente, poi, però, ripenso alle sue parole. Se Melody ha mandato quel messaggio, significa che sta bene e che quindi non abbiamo più motivo di preoccuparci. Sospiro sollevata, poi spronata da Etienne per raggiungere Castiel, mi affretto a salutarli.
<< Aspetta… >> mi ferma Kim. Ci guardiamo per un attimo e come se l’avessi letta nel pensiero, rispondo con un sorriso: << è stato facile, grazie. >>, infine usciamo.
Castiel non si trova nei paraggi, per nostra sfortuna non c’è nemmeno la sua auto.
Etienne inizia a chiedersi, dove potrebbe essere andato, e per un momento pensa che non voglia vederlo.
Lo consolo senza perdere tempo, dicendogli che lo troveremo di sicuro. Dobbiamo solo scoprire in che posto potrebbe essersi rifugiato.
<< Aspetta mamma, forse ho capito! >> esclama dopo un po’.
<< Pensi di sapere, dove si trovi? >> gli chiedo, stando al suo gioco.
<< Un giorno, lui portò Demon al lago, mi trovò lì e mi promise che non mi avrebbe mai lasciato… sai, fu lì che mi accorsi di conoscere il suo battito del cuore; gli dissi che era come il mio. Anche il tuo, mamma, è come il mio. >>
Sorrido felice delle sue parole << Allora… >> sussurro abbassandomi << Hai capito dov’è? >>
Lui annuisce e afferrandomi per mano, esclama: << Il lago! >>
 
***
 
Protagonista di uno sconosciuto quadro d’autore, la figura di Castiel, troneggia l’intero paesaggio.
Fermo, con lo sguardo rivolto verso il lago, sembra in attesa.
Etienne ed io lo guardiamo a qualche metro di distanza. Non sembra averci sentito; forse per il rumoreggiare delle onde o del vento. Tutto intorno a sé sembra un meraviglioso poema. Il nostro poema.
Abbiamo lottato a lungo, e fra incomprensioni e ostacoli, alla fine abbiamo vinto. Se fino a qualche tempo fa, credevo che la mia vita avesse raggiunto un punto fermo, che ciò che avevo perduto non lo avrei mai più ritrovato, la persona che è a pochi passi da me, è la conferma che mi sbagliavo.
Castiel è qui ed è finalmente mio.
Durante il tragitto, Etienne mi ha detto che vorrebbe ringraziare Armin per avermi aiutato a crescerlo. Conosco mio figlio e so che nonostante tutto, non lo dimenticherà mai.
A un tratto mi lascia la mano, spazientito dalla mia esitazione. Lo vedo correre verso suo padre e chiamarlo a gran voce: << Papà! >>
Castiel trasalisce, si gira lentamente e quando vede la piccola figura di nostro figlio, avvicinarglisi velocemente, s’inginocchia aprendo le braccia per accoglierlo.
I due si stringono forte, e il vento che li accarezza, sembra voler sigillare il loro gesto.
Rimango a guardare quella scena con il cuore finalmente libero da ogni ansia, pensiero, ma soprattutto rimorso.
Dentro di me sento che il sogno più grande che avevo in cuore, si è finalmente realizzato.
Ed è proprio vero che i sogni possono diventare realtà. Con quest’ultimo pensiero nella mente, accenno qualche passo in avanti, per poi ritrovarmi a correre fra le braccia del mio ritrovato amore.
 
***
 
Il vetro oscuro di un’auto nera, si chiude. Il mezzo, parcheggiato a qualche metro di distanza dal lago riparte, portando via con sé, il sorriso amaro di una donna.
 
Continua…
  
 
 
 
BAKA TIME: Eccomi qui. Sono arrivata alla fine di questa serie, ciò significa che non è andata poi così male.
Ringrazio davvero tanto tutte le persone che hanno seguito, preferito e recensito questa mia storia.
Come avrete potuto capire (anche se lo accennai) ci sarà una terza serie. Penso che questa macchina nera dai vetri oscurati, faccia la sua parte nel rendere la fine piena di suspance.
Non so dirvi quando inizierò la terza serie, ma posso dirvi il titolo, naturalmente per chi è ancora interessato a seguire le vicende di Rea e Castiel: COME PROFUMO SULLA MIA PELLE.
È un azzardo che andrò per fare, ciò non toglie che vi consiglierei di aspettarvi qualunque cosa la mia mente bakata progetterà.
Vi ringrazio ancora,
un abbraccio,
Iaiasdream
 
PS: non appena avrò tempo, e pazienza, revisionerò le due storie, perché a causa della mia pigrizia, ho tralasciato molti errori grammaticali.
Per questo me ne scuso.

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