Pokémon: Red Flare

di JesterZ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Danza Rossa ***
Capitolo 2: *** Scintille Di Colore ***
Capitolo 3: *** Bella battaglia, Zuccherino! ***



Capitolo 1
*** La Danza Rossa ***


I fumi salivano colorati di un arancio truce. Il vento era sveglio quella notte, quale amara coincidenza. La città correva in preda al panico, nomi di bambini venivano gridati a pieni polmoni dalle madri nel buio, unendosi alle urla di panico in un vortice.
Ogni fronda, ogni foglia, danzava insieme alla luce incandescente una funesta coreografia
Il primo ramo cadde. Il frastuono scosse la terra, le persone attorno cominciarono a correre zigzagando convinti di diminuire le probabilità di essere colpiti. Seguirono il secondo, il terzo ed il quarto. Che il fato avverso condusse dritto sopra l'edificio che ospitava abitazioni, la biblioteca ed uno dei tre rivenditori di frutta e verdura del villaggio.
Le macerie emisero una nube di fumo che ridusse ulteriormente la visibilità attorno.
Fu alla caduta del settimo ramo che si udirono. Le sirene che annunciavano l'arrivo dei pompieri stavano ululando nel buio. 
L'agglomerato di Korteban, fra i più rispettati di tutta la regione, eccelleva in molteplici campi, era noto a tutti. Altrettanto noto, d'altra parte, erano i loro punti deboli tra cuila poca disponibilità di pokèmon acquatici. Il mare distava svariati chilometri ed i fiumi che attraversavano il suo territorio, per quanto di larga portata, si contavano sulle dita di una mano.
Dalla camionetta in corsa si alzarono in volo tre Pelipper, ma non erano soli. Tre getti d'acqua fuoriuscirono rapidi dai loro becchi, a sfruttare la sua velocità di ognuno vi erano un paio di Wooper che, appena atterrati ai piedi dell'imponente albero, invocarono all'unisono la pioggia.
I tre volatili cercarono di raggiungere la cima dell'albero bombardando di idropompe le fronde in fiamme.
Permettendosi anche il contatto con le fiamme, che grazie alle piogge invocate dagli Wooper trasformavano le bruciature che avrebbero subito, in semplice solletico.
Riuniti sulla cima, lasciarono cadere un'enorme quantità d'acqua, erano gli unici pokèmon volanti a conoscere quel tipo di tecnica. Nel frattempo un paio di Grovyle stavano recuperando ed allontanando verso zone sicure gli abitanti rimasti nei pressi dell'incendio.
La camionetta si era fermata. Uscirono rapidamente tre uomini in divisa che fecero volteggiare le proprie pokèball. Ogni bagliore dorato prese la forma di un Sandshrew, che cominciò a rotolare velocemente verso la zona d'azione.
«Non possiamo tergiversare ulteriormente! Usate il tifone di sabbia ragazzi!» Urlo a gran voce l'uomo che era salito in cima al veicolo.
Un attimo dopo una violenta tempesta di sabbia era riuscita a circondare l'albero. Le fiamme vennero soffocate dalla terra ed il calore svanì in pochi istanti. Il silenzio regnava ora sovrano nella cittadina.
«Non c'è tempo da perdere! Sono crollate degli edifici da quella parte! Muoversi!» Gridate le direttive, saltò nel vuoto venendo aggangiato dai tre Pelipper di ritorno dall'incendio. Si era aggrappato con le due braccia alle ali dei due ai suoi fianchi ed il terzo sosteneva le sue gambe semi inginocchiate, pronte al nuovo scatto.
La scena che si trovò davanti era piuttosto critica, la pattuglia contava un numero esiguo di forze, il possente ramo aveva colpito e fatto crollare la struttura. Anche i cittadini avrebbero dovuto fare la loro parte.
Il Capitano trovò ingenuo sperare di non trovare morti all'interno, ma si fece forza. Poteva ancora salvare delle vite.  Alcune parti dei due piani superiori stavano per crollare e non c'era nessun Pokèmon fra loro che potesse contrastare questa minaccia, perlomeno non con la forza.
Grovyle continuava a trasportare le persone all'esterno della struttura, ma era evidente che le sue energie sarebbero cessate molto presto.
Entrato nell'edificio il Capitano imboccò di fretta una scalinata apparentemente integra. Aveva visto le larghe pozze di sangue all'ingresso, oh se le aveva viste! Ma un suo crollo psicologico era l'ultima cosa di cui quelle persone avevano bisogno in quel momento.
Grida strozzate lo condussero verso una donna. Le si era aperto uno squarcio che partiva dalla spalla e si concludeva alla metà del braccio destro ed uno più corto sullo stesso fianco.
«Sono stati loro! Non è vero? Sono stati loro! Ne sono certa!» Sbraitava come se non avesse sentore del dolore. Il sangue sgorgava dal suo fianco più velocemente di quanto il Capitano avesse previsto, ma non in modo preoccupante. Le pose una mano sulla guancia e guardandola negli occhi cercò di tranquillizzarla. 
«Andrà tutto bene, ma ora dobbiamo uscire dall'edificio. Non è stabile.» La signora annuì, continuando però a ripetere sottovoce ed ossessivamente ciò che aveva detto poco prima. La prese sottobraccio, conducendola il più rapidamente possibile all'esterno.
«Sono stati loro! Ne sono certa! Sono stati loro! Non è così?» La donna riprese a sbraitare cercando di divincolarsi dalla salda stretta del Capitano. Erano quasi giunti alla scalinata.
Un frastuono vibrò nell'aria ed un violento quanto improvviso dolore colse l'uomo alla schiena. Annebbiato dal dolore perse presa e lasciò fuggire la donna, che rovinò insieme a lui giù per le scale. 
Perse i sensi per pochi secondi. I crolli e nubi tutt'intorno rendevano la visuale quasi impossibile. Il Capitano chiamò la signora a gran voce. Non riusciva a rialzarsi, avvertiva forti dolori in diverse parti del corpo, poi l'udì, il suono che avevano temuto di sentire. Era giunto troppo presto.
Il soffitto del primo piano cedette. Il suo campo visivo divenne verde scuro. Poi il buio.

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Capitolo 2
*** Scintille Di Colore ***


Persino alle prime avvisaglie dell'autunno a Korteban, erano rari i giorni piacevoli come quello. L'afa aveva lasciato la scena ad una fresca brezza, che aveva restituito il respiro ad una cittadina stremata. Il flusso di persone era tornato usuale, i ragazzi in età scolastica avevano ripreso a popolare le vie cittadine ed i prati.
Proprio a causa del clima che la contea presentava, molte famiglie decidevano di pernottare in località marine per qualche settimana, o al limite un mese, durante il periodo estivo. Korteban era una città campagnola situata poco sotto la cima del monte Yeraj, le sue abitazioni erano quasi tutte simili, bianche dai tetti arancioni, ed erano collocate una vicina all'altra per la maggior parte. Guardando la montagna dall'alto, si poteva dire che Korteban fosse non più di una macchia bianca nel verde infinito.
La cittadina si divideva principalmente in quattro aree. La zona centrale era la più alta e veniva sorvegliata dall'imponente quercia, simbolo della città. La "sotto-città" invece era costituita dagli edifici che restavano più in basso, la terza parte consisteva in tutta quell'area confinata fra le ultime case in periferia e le prime fronde della macchia verde. In quell'area sorgevano quasi tutte le coltivazioni di Korteban ed era lì che passavano gli unici fiumi nel territorio cittadino.
Zona decisamente meno battuta dai ragazzi era quella del sottobosco, si vociferava che al suo interno trovasse sede il covo di una banda di teppisti, ma si sa, i giovani talvolta risultano esagerati. Certo è, che quel gruppetto aveva ben chiari i metodi più efficaci per incutere timore ai coetanei e, spesso, anche chi era più giovane. Addentrandosi nella zona si potevano notare diverse rozze incisioni sulle cortecce degli alberi più imponenti. Le raffigurazioni erano vari, si passava dai disegni: per lo più semplici fiamme, ossa o teschi che andavano a fuoco, alle colorite minacce delle quali eviterò esempi. Non sarebbe elegante.
Ma la diceria più succulenta riguardava l'identità del capobanda.
Alcuni avevano riferito di averlo visto senza maschera, si parlava di un omone con svariati chili ed anni sulle spalle di qualsiasi altro studente. Altri, al contrario, spergiuravano fosse un esile figurino che vagava per i boschi armato di uno spadone. Ovviamente nei racconti non mancavano vittime, ma le vicende variavano sempre più guadagnando di volta in volta nuovi particolari, sempre più macabri.
Malgrado tutte queste varie versioni, i ragazzi convergevano in maggioranza su di un fatto.
Il famigerato leader della banda indossava sempre una maschera, che gli ricopriva l'intera testa, raffigurante un teschio.

 

Le membra di Jacob erano elettrizzate quella mattina, da quattro mesi ormai si occupava del Cyndaquil donatogli dal padre.
Era giunto il momento della verità, il pokèmon l'avrebbe ritenuto degno di essere il proprio allenatore? L'equilibrio fra pokèmon ed allenatore era fondamentale, il legame poggiava le basi sul reciproco rispetto, se una delle due parti cominciava ad essere, o sentirsi superflua alla vita dell'altra, la sfera cominciava ad incrinarsi. Se la situazione persisteva per troppo tempo, la sfera s'infrangeva ed entrambi erano liberi di proseguire per la propria strada.
In molti affermavano che, se una persona restava legata negli anni ad un pokèmon, la creaturina rappresentasse una parte della sua personalità. Altri invece suggerivano, in via più semplice, che i pokèmon si ponessero come tassello di mezzo fra uomo ed animale. Era da questa credenza che traeva origine la definizione di "animali senzienti" che in molti utilizzavano.
Jacob era giovane, aveva da poco compiuto quattordici anni e la sua visione si confaceva con la seconda corrente di pensiero. Se il suo modo di relazionarsi con il prossimo dovesse essere riassunto in una parola sola, quella parola sarebbe "gentile".
Forse aveva ragione sua sorella, era questo suo modo di porsi ad attirare gli sfruttamenti e le angherie dei compagni di classe, o forse aveva solo avuto sfortuna nell'assegnazione delle classi e si era trovato fra creature dallo spessore celebrale di una torcia elettrica in riserva di batteria.
Jacob non pareva soffrirne troppo, era un ragazzo vivace e sempre coinvolto in qualcosa. Recentemente era stato accolto quasi quotidianamente nella riserva pokèmon del paese, gestita dal padre.
Jiali, non solo era uno degli allevatori più conosciuti della regione ma anche il responsabile della riserva di Korteban.
Non era il genitore biologico di nessuno dei due figli, li aveva adottati entrambi.
Quando Jacob e Cassidy gli avevano domandato il motivo della decisione, egli rispose con una semplicità disarmante di aver deciso, dopo una lunga riflessione durante la sua crescita personale e spirituale, che la cosa più giusta da fare sarebbe stata guardarsi intorno e cercare chi era bisognoso di affetto, anzichè creare una nuova vita. Il pensiero venne successivamente sdrammatizzato da una battuta sulla sua difficoltà di trovare una donna.
Jacob pensava che la scelta dell'uomo fosse una tra le giuste visioni del mondo, mentre Cassidy sul momento non aveva digerito la cosa ed era uscita sbattendo la porta, ma quella era l'essenza di Sid, si disse.
La ragazza era di sei anni più grande, la conosceva da diversi anni, entrambi provenivano dallo stesso istituto. La gente diceva che il loro carattere era diametralmente opposto, che Cassidy il negativo della sua pellicola, e per certi versi lui era d'accordo, ma vi era un punto cardine su cui continuava ad insistere. Lei era una persona buona. I primi mesi nell'istituto erano stati un inferno per il giovanissimo Jacob, era giuntovi all'età di due anni per via della tragica morte dei suoi genitori, era un bambino fragile sia fisicamente che psicologicamente. Un perfetto pupazzo da gioco per chi si annoiava lì dentro.
La prima ed unica persona a prendere le sue difese fu Cassidy, c'era stato un prima ed un dopo di lei, lo ricordava bene.
Aveva iniziato a reputarla sua sorella ben prima di entrare assieme nell'auto di Jiali, nonostante l'ostentata distanza di lei, nonostante ciò che faceva per lui.
Trascorsi sei anni in quella situazione, ricevettero la notizia che sarebbero stati affidati entrambi alla stessa famiglia, Jacob non sapeva come reagire. Da un lato era entusiasta, voleva molto bene a Cassidy, il resto però restava abbastanza avvolto nelle tenebre dell'incertezza. Come detto in precedenza lei non aveva mai dimostrato affetto nei suoi confronti sarà felice di vivere con me?
Non la vide più fino al giorno in cui colui che sarebbe divenuto loro padre non giunse.
Quella mattina pareva una delle tante, il meteo aveva annunciato pioggia, le nubi stavano reggendo ma i rovesci non si sarebbero fatti attendere, l'umidità era percepibile anche all'olfatto. I dirigenti, che avevano svolto le pratiche in modo approssimativo e probabilmente non prettamente legale, accompagnarono i ragazzi alla macchina dell'uomo che si presentò per la prima volta a loro solo quel giorno.
Non sapeva se anche Cassidy aveva fantasticato sull'aspetto di chi li avrebbe accuditi di lì in poi, lui l'aveva fatto, ma ciò che vide non si avvicinava a nessuna fotografia generata dalla sua mente nei giorni precedenti.
L'uomo era alto oltre il metro e ottanta, possedeva una carnagione olivastra ed un'espressione incuriosita quanto quella dei ragazzi dipinta in volto. Rivolse loro un sorriso in un modo tanto spiazzante, che persino il volto di Cassidy ne venne contagiato. Non l'aveva mai vista sorridere in quella maniera nemmeno guidata dalle gelide cortesie che riservava ai dirigenti o responsabili dell'istituto.
Quell'immagine scavò un varco, s'impresse a forza nell'animo di Jacob e divenne la sua arma contro la tristezza.
Si fidava di lei, se la gioia aveva scavato un passaggio fino al cuore di Cassidy lui era libero di lasciarsi avvolgere.
Uno dei metodi base per unire un pokèmon ad un giovane allenatore era creare le condizioni per conoscersi in modo che iniziassero a rispettarsi e valutassero se stringere un legame o meno. Era preferibile sottostare allo sotto lo sguardo di un allevatore esperto o di una personalità competente.
Jacob si apprestava a raggiungere all'ultima tappa del suo percorso con Cyndaquil, quella mattina avrebbe sostenuto la decisione finale della creaturina, avrebbe scelto di entrare nella sfera oppure no?
Il ragazzo raggiunse il padre nella riserva poco lontana da casa, trovandolo impegnato nella risposta ad una mail, l'uomo lo salutò e gli chiese cinque minuti di attesa.
"Allora! Sei pronto?" disse giovialmente, avvicinandosi a Jacob. Il giovane era in balia dell'agitazione, deglutì e fece dei rapidi e successivi cenni d'assenso.
"Forza e coraggio Jacob! Credo che ci siano più che buone possibilità di formare una squadra quest'oggi" cercò di rassicurarlo ammiccando. A quelle parole il giovane raccolse coraggio, Jiali non sbagliava spesso il giudizio in materia, anzi, non aveva memoria di un suo errore.
L'allevatore mise la sfera rosso e bianca tra lui ed il piccolo pokèmon, l'esame ebbe inizio. I dubbi e le preoccupazioni possedettero nuovamente la mente del ragazzo, si chiedeva se fosse stato degno di quella piccola creatura. Lui faceva parte della schiera persone che reputava i pokèmon migliori di alcuni esseri umani, aveva sempre desiderato stringere un legame con uno di loro sin da quando era all'istituto. I bambini di lì amavano pavoneggiarsi sostenendo di possedere una vasta gamma di pokèmon, ma ben pochi, forse quasi nessuno, diceva il vero e, dato che all'interno della struttura non si potevano introdurre, quelle storie non potevano essere confermate.
Ai tempi Jacob era convinto di aver visto Cassidy introdurne uno e parlarci qualche volta, ma lei aveva sempre negato e lui aveva deciso di crederle. Sua sorella aveva successivamente stabilito un legame con un pokèmon, gli aveva raccontato di come fosse successo tutto molto velocemente fra lei e Vulpix e di come non riusciva a spiegarne le cause con semplici parole.
Jiali gli aveva spiegato che, sia le tempistiche sia il fatto di non trovare facile spiegazione, era , non solo perfettamente normale, ma frequente. Ora guardava il Cyndaquil nei piccoli occhietti, dentro rivedeva le giornate passate assieme, passi avanti e passi falsi. Si ricordò di quando all'inizio, tutto preso dall'euforia pensava bastasse una lettura attenta dei manuali sull'argomento, per avvicinarlo.
Di quando, dopo i primi fallimenti a cui lo portò quella strada, era stato preso dallo sconforto perdendo motivazione ed entusiasmo.
Il suo comportamento durante gli incontri con la creaturina era mutato sensibilmente, al chè Jiali se ne rese conto. L'allevatore gli svelò in confidenza una nozione che solitamente non veniva messa a disposizione dei giovani per non demotivarli negli studi. La conoscenza del mondo pokèmon, non rappresentava che un'infima percentuale del talento necessario per costruire un legame, a farla da padrone erano le emozioni, i pensieri, il carattere di entrambi Se questi fattori si univano in un vortice, e quel vortice assumeva lo stesso colore l'unione era consolidata.
Cyndaquil cominciò a muovere alcuni passetti verso la sfera, fermandosi ogni paio per osservare entrambi gli umani nella stanza, Jiali osservava la scena incuriosito e speranzoso. Lo separavano oramai pochi passi dalla sfera, ma la tensione non accennava a sciogliere i propri tentacoli dal cuore e dalla mente di Jacob. Il pokèmon procedette oltre la sfera poggiata a terra. Il ragazzo non capì, era in tal modo che si manifestava il rifiuto? E se sì, perchè lo aveva rifiutato? Si era impegnato a fondo in quei mesi, in fondo pensava di poter riuscire quest'oggi, era colpa sua? Oppure era colpa di Jiali? Era lui ad aver preteso troppo dal figlio?
Quello sarebbe stato senz'altro lo scenario peggiore a giudizio del ragazzo.
Il groviglio di pensieri che attanagliava le sue membra venne sciolto da una lieve sensazione di calore poco sopra la caviglia, i suoi occhi ne cercarono la fonte ed incontrarono le lievi fessure di Cyndaquil.
Jiali osservava la scena sempre più interessato al comportamento del pokèmon, il quale tornò indietro da dov'era arrivato e, toccando la sfera, vi entrò. Il neo allenatore osservava la scena senza parole. Il pallino rosso divenne bianco, poi di nuovo rosso, finchè non si assestò sul bianco. Il padre si mosse rapidamente verso di lui con la luce in volto.
"Fenomenale! Fenomenale! Adesso ho una domanda da farti, quando hai avvertito il tocco di Cyndaquil, hai sentito un nome, non è vero? E' risaputo che sentire un nome durante l'unione è sintomo di un legame saldo e potente." Jacob si avvicinò a passi ponderati verso la sfera inginocchiandosi per osservarla meglio, dopodichè la prese in mano. Il groviglio divenne cenere.
"Spark" disse scrutando l'oggetto da più vicino "Spark è ciò che ho sentito".

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Capitolo 3
*** Bella battaglia, Zuccherino! ***


"Che giornata pallosa, dov'è la gente oggi? In chiesa?" Oratio pronunciò l'ultima parola con fare sprezzante, dopodichè spezzo il ramo con cui stava giocherellando buttandolo sul sentiero. Se ne stavano lì, occultati dalle fronde poco sopra il sentiero che portava alla città, aspettando i soliti malcapitati.
L'assenza di risposta fece voltare il giovane. "Tutto bene Capo?".
Colui che era stato chiamato Capo rimaneva appostato poco più in là, la maschera raffigurante un teschio sempre indosso a coprire la sua identità, di fianco il fedele Marowak controllava circospetto l'area alle loro spalle. Nè lui nè gli altri due membri della banda erano a conoscenza della sua identità, nessuno dei loro coetanei in città condivideva una simile corporatura fisica.
Teschio Nero portava i capelli tanto corti che non fuoriuscivano dalla maschera, era poco più basso del resto di loro ed aveva una corporatura piuttosto esile.
Ritratto in questi termini si potrebbe pensare che fosse uno fra tanti, che fosse facile per lui mimetizzarsi fra la marmaglia dei ragazzi della città, ma i suoi segni particolari non si limitavano ai suddetti. Era dotato di un'eleganza innata, Oratio non aveva mai visto nessuno muoversi con così tanta grazia.
Caratteristica che cozzava tremendamente con la voce particolarmente roca per un ragazzo della loro età.
Queste qualità donavano a Teschio Nero un alone di mistero e proprio per questo egli suscitava la reverenza dei suoi tre sottoposti, che lo ammiravano quanto temevano.
Colui dal volto celato fece cenno al compare di tacere, dunque si spostò con passo leggero per avere una visuale più chiara del passo.
"Non mi sembra un buon modo per accogliere i turisti, non trovate?" Una voce sorprese i tre.
Era una voce femminile, ma dov'era? E come aveva potuto avvicinarsi senza essere notata?
La donna non sembrava desiderosa di occultare la propria posizione, se ne stava là in alto, a cavalcioni di un ramo d'acero facendo dondolare le gambe avanti e indietro.
Si presentava in modo più che stravagante: guanti rossi in pandant con la maschera tirata sin quasi alla fine del setto nasale, attraversata in obliquo da una saetta bianca sull'occhio destro, il resto degli abiti era di un anonimo color nero.
L'osso di Marowak volteggiò verso la figura sconosciuta non appena il pokèmon ne ottenne contatto visivo. La donna schivò pigramente sia la traiettoria d'andata, che quella di ritorno. La sconosciuta conosceva la tecnica del boomerang, Teschio Nero comprese che non si trattava del solito stolto di turno, la situazione lo irritava.
"Dovresti controllare quella tua creaturina. Quell'osso poteva ferirmi o fare di peggio come intaccare questo bell'albero" disse con fare spensierato la donna tastando la corteccia dell'acero, cercando di trovarne la cima guardando all'insù.
Un altro lancio. Questa volta le ossa erano due. Due schiocchi attraversarono l'aria, i guanti rossi della donna si erano chiusi sulle armi di Marowak.
La straniera sorrise, ed emettendo schiocchi di dissenso con la lingua e scese dall'albero. "Peccato, pensavo di poter ottenere un trattamento di favore. Una sorta di sorellanza mascherata, o roba simile. Dici di no" Sibilò tutta sorridente.
Teschio Nero digrignò i denti sotto la maschera e si voltò verso il suo tirapiedi, rimasto per tutto il tempo fermo con la mano sulla sfera, pronto all'eventuale estrazione
"Oras, vai a chiamare gli altri. Se la scrolliamo per bene sono sicuro di potermi rifare la dentatura". Oratio arretrò controllando la straniera, per poi mettersi a correre raggiunta una debita distanza.

 

 

 

Jacob osservava i raggi di sole filtrare attraverso le fronde della grande quercia. Quell albero era il più alto e maestoso che il ragazzo avesse mai visto.
Era stato il vecchio Magnuss a raccontargli per la prima volta la storia che stava dietro a quella meravigliosa opera della natura.
La credenza popolare voleva che la quercia fosse nata dopo il primo legame stretto fra umani e pokèmon, alle perplessità e domande del giovane, l'anziano rispose con semplicità. "Ovviamente, nessuno può fornire conferma a questa storia e probabilmente essa è ben lontana dalla verità, ma è molto più affascinante vederla in questo modo. Non credi?"
Jacob aveva riflettuto a lungo sulle parole del vecchio venditore di giornali, infine decise di lasciarsi cullare dalle calde correnti della leggenda. Il vecchio Magnunss gestiva un'attività nello stesso edificio in cui risiedeva la famiglia di Jacob ed il volto dell'anziano era uno dei primi ricordi del giovane una volta giunto in città.
Oltre a quello di sua nipote logicamente. Autunna era sua coetanea e se il nonno era uno dei suoi primi ricordi, l'infatuazione per lei era certamente il secondo.
Dalla conformazione tonda del suo viso ai suoi occhi azzurri tendenti al verde, dalle labbra piccole ma carnose ai biondi capelli mossi dai soffi di vento, non sapeva con esattezza quale di questi elementi gli avesse dato alla testa.
Probabilmente tutto aveva giocato una parte importante, ma ciò che legava il tutto, il dipinto che rendeva giustizia a quella splendida cornice era probabilmente il suo sguardo, la sua espressione. Scrutava il mondo come se ne conoscesse i segreti più profondi, doveva essere questa sua maturità apparente ad averlo rapito. In fondo che ne sapeva lui, chi conosce l'infatuazione?
Jacob osservava le fronde scostando la testa per giocare con i raggi di sole, quando una bolla scoppiò sulla sua guancia.
Autunna entrò nella stanza scalciando le scarpe da qualche parte della stanza, dopodichè si lanciò sul letto di Jacob sbuffando. Marill che l'aveva preceduta si avvicinò per salutare lui e Cyndaquil.
"Avete perso?" chiese il ragazzo con tono neutro, ancora concentrato sui riflessi. Ciò permise alla ragazza di raggiungere la scrivania dove stava il ragazzo e di sferrargli un pugno sulle costole. "Maledizione! Ma sei matta?" sobbalzò Jacob, ululando e facendo cadere una parte della cancelleria
L'espressione corrucciata di Autunna mutò gradualmente in un lieve broncio.
"Non è quello.." si sedette accanto al ragazzo cingendosi le spalle con il suo braccio. "Abbiamo vinto, ed anche nettamente, 3-1. Non c'è stata partita."
"Ah, ho capito qual'è il problema.." Jacob invitò Autunna a voltarsi verso di lui passandole un dito sulla guancia "..un'altra delle tue manie di protagonismo" aggiunse sorridendo.
Dopodichè si avvicinò e la baciò, lei rispose in un primo momento, poi gli diede un morso ben assestato sul labbro inferiore alzandosi.
Cominciò a percorrere brevi passeggiate avanti e indietro nella stanza. Jacob sobbalzò ma incassò silenziosamente inumidendosi le labbra, era visibilmente nervosa.
Gli racconto come era successo innumerevoli volte di Joy Villesk, quel giorno in particolare era stata premiata nuovamente miglior giocatrice della partita.
Non è propriamente corretto dire che Autunna avesse una rivalità con Joy in particolare, Autunna aveva una rivalità con chiunque eccellesse nella pallavolo.
Diversamente da Jacob, che veniva attratto da più attività diverse, lei era più schematica ed organizzata. Nel momento in cui il suo interesse veniva catturato da un'attività la ragazza vi spendeva anima e corpo. In quel periodo, come oramai risulta palese, ciò che le mandava in fiamme l'animo era la pallavolo.
Jacob essendo il suo ragazzo aveva assistito a diverse sue gare, ed oggettivamente era chiaro che avesse del talento. A limitarla però, c'era un fattore che non poteva eliminare in alcun modo, era la più giocatrice più bassa della regione.
Aveva lavorato duro per azzerare la penalità data dalla statura con la tecnica, fino a diventare una delle migliori giocatrici che la scuola avesse mai avuto. Questo livello avrebbe potuto soddisfare molte ragazze della sua età, ma non Autunna. Lei aveva il bisogno di eccellere, di pretendere sempre di più, di mezzo ci fosse la sua felicità.
Da un certo punto di vista Jacob adorava quel lato del suo carattere.

 

Quando fu certo della solitudine che li accompagnava, Teschio Nero riprese.
"Se non vuoi farti male, ti consiglio caldamente di tornare sui tuoi passi. Le fanciulle come te hanno soltanto da rimetterci in situazioni simili." Un ghigno celato decorava il suo volto.
La donna scrutava di rimando. Sembrava non capire cosa le venisse detto. Spostò la sua attenzione verso le due ossa che aveva afferrato e le fece cozzare l'una contro l'altra. "Mi ero sempre chiesta che rumore facessero le ossa dei Marowak l'una sull'altra, uff, che delusione."
Teschio Nero cercò in tutti i modi di celare la propria irritazione. "Ok Marowak, mettila fuori gioco. Ci vediamo alla base" detto ciò, l'allenatore del pokèmon diede le spalle ai due e s'incamminò verso il luogo del futuro appuntamento.
La donna in nero pareva divertita da quell'atteggiamento. "Beh, se ci tieni così poco al tuo amico, mi dispiace per lui." Una sfera bianca fuoriuscì dalle sue vesti. Quando la sua luce svanì, Jolteon si rivelò al campo di battaglia con una sorta di grido di battaglia. Teschio Nero si bloccò per lunghi istanti, per poi girarsi lentamente.
Il fennec fu svelto, e con violente codate rese inutilizzabili le ossa che Marowak aveva perso. Ora entrambi partivano in svantaggio, poichè Jolteon non disponeva di tecniche molto versatili e la maggior parte erano inefficaci sull'avversario.
Il compagno del pokèmon terra fu scosso da sonore risate. "Tante chiacchere, tante minacce e poi mi presenti un pokèmon elettrico? E dire che mi avevi quasi spaventato. Odio visceralmente tutta la discendenza degli Eevee. Ma i Jolteon sono sempre stati i miei preferiti, sai, è molto più semplice per me ottenere il loro sangue." Concluse sollevando il tono della voce sino ad un urlo stridulo.
Marowak cominciò a spostarsi velocemente sul terreno tentando di occultarsi con un grosso polverone. Jolteon era fermo nello stesso luogo dov'era apparso poco prima. Piccole saette attraversavano l'area tutt'attorno. L'avversario sembrava essere sparito dal campo, nessun rumore, solo polvere.
Ad un tratto il quadrupede scattò in avanti, a destra, a sinistra. Come se il panico avesse posseduto il suo piccolo corpo. Si fermò a pochi centimetri da una maldestra e grossa buca nel terreno. Poggiò il muso al centro della suddetta e produsse un suono inaspettato.
Teschio Nero cadde al suolo stordito e sorpreso, mentre la donna in nero se la rideva estraendo un qualche aggeggio dalle orecchie. Lamenti e gemiti provenivano dalla buca, erano la conferma di ciò che Jolteon già aveva capito.
Un altro violento suono fendette l'aria, poi un altro ancora.
Il pokèmon, che non poteva reggere ancora per molto, si lanciò un attacco dal sottosuolo ma lo stordimento ed il fattore sorpresa gli si rivoltarono contro. Jolteon lo evitò quasi pigramente con un balzo laterale. Una sfera luminosa di color violetto si materializzò davanti al suo muso ed in un attimo andava ad infrangersi su Marowak che crollava al suolo.
"Ritira il tuo amico prima che si faccia troppo male. Te lo consiglio caldamente. Non voglio sulla coscienza un'altra morte evitabile." Teschio Nero, che sentiva su di sè gli effetti degli attacchi di Jolteon, cercava di riflettere il più lucidamente possibile. Non poteva permettersi di mettere in pericolo Marowak. D'altra parte non avrebbe potuto di certo contare sull'altro pokèmon. Sarebbe stato un ulteriore suicidio. La sua tecnica ed esperienza erano lontane anni luce da quelle di Marowak.
Ma il Capo non si era mai arreso dinanzi a qualcuno, la sua reputazione sarebbe andata distrutta, fatta a pezzi. Per quanto ne sapeva, quella donna poteva avere l'intenzione di denunciare la sua identità alle autorità, anzi, poteva lei stessa far parte delle forze dell'ordine ed essere lì per smascherarlo.
Il suo compagno si rialzò lentamente, era vistosamente malconcio e si reggeva in piedi a fatica. Non si sarebbe fermato, sapeva che avrebbe dato tutto sino all'ultimo respiro per proteggere il suo allenatore. Fu per questo che lo richiamò nella sfera.
La donna si lasciò andare in un sospiro, seguito da un cenno soddisfatto.
Dopodichè cominciò ad avvicinarsi. "Bella battaglia, zuccherino. Ora riposa, ne avrai bisogno." Scambiò un'occhiata con Jolteon e le scintille circondarono Teschio Nero. Le membra del losco figuro si bloccarono e lui cadde su un lato. Gli occhi iniettati di paura.
La donna si chinò sfilandole il passamontagna, le aggiustò una ciocca di capelli dietro l'orecchio ed accarezzò il viso. Gli occhi privati della maschera la osservavano pregni di terrore.
"Non preoccuparti, non tornerai al villaggio in questo stato. Ho dei vestiti adatti a te nella carovana." La donna tirò fuori da sotto le vesti un piccolo sacchetto e gettò una piccola parte del contenuto sullo smascherato che si addormentò dopo pochi secondi.
"Nessuno saprà di te, Cassidy. Perlomeno, finchè mi andrà" concluse sorridendo.

 

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