La porta sulla stanza buia

di Northern Isa
(/viewuser.php?uid=153562)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Iridi che sono stagni di montagna, sotto la cui superficie cristallina si intravedono i riflessi verde-alga di ciottoli dalle forme arrotondate. Questo è ciò Rastor Ravenclaw aveva pensato appena aveva incrociato lo sguardo di Vistoria, a suo avviso la più bella creatura su cui occhio umano si fosse mai posato.
L’aveva conosciuta durante un’occasione mondana nel castello di re Ethelred, alla quale erano state invitate tutte le personalità più in vista del mondo magico. Di quella serata, Rastor ricordava ogni dettaglio, dal momento che quella occasione gli aveva cambiato la vita.
C’era stato Uric Testamatta, un folle che indossava una medusa come cappello, ma che era considerato dai più un mago dagli eccezionali poteri. C’era stata anche la splendida sacerdotessa Cliodna con il suo seguito di Fenici, e come dimenticare Corinna la Superba, che millantava una presunta discendenza da nientemeno che la maga Circe. Tra tutti però avevano spiccato, come era lecito aspettarsi, i quattro nomi più osannati del momento, che passavano di bocca in bocca, magica o babbana, con una tale frequenza da rischiare di venir consumati: Godric Gryffindor, Salazar Slytherin, Helga Hufflepuff e Rowena Ravenclaw.
Rastor non conosceva personalmente re Ethelred, inoltre sapeva di non avere doti straordinarie. Era stato invitato solamente in quanto fratello minore di Rowena.
 Sua sorella aveva rinunciato a presentarsi insieme agli altri Fondatori per condividere la carrozza con lui.  Quanto aveva ondeggiato quel mezzo di trasporto mentre aveva percorso sentieri sconnessi e acciottolati disomogenei! Per evitare di pensare alla nausea causata da tutto quell’oscillare, il mago aveva fissato lo sguardo sul profilo austero della sorella. Per quell’occasione la strega aveva indossato una lunga veste blu notte dalle maniche svasate, intessuta con fili color bronzo e stretta in vita da una cintura intrecciata. Al collo avevano brillato splendidi gioielli e i capelli erano stati acconciati in modo semplice, ma accurato. Rastor ricordava di aver sospirato, pensando a come quel banchetto sarebbe stata l’ennesima occasione, per la comunità magica e non, di ammirare Rowena e ignorare suo fratello.
Dopo aver attraversato il ponte levatoio, la carrozza si era fermata bruscamente nell’enorme e granitico cortile interno e i due Ravenclaw avevano sceso pochi ripidi gradini di legno.  Dentro l’ampia sala del trono erano stati investiti dal calore e dal chiacchiericcio dell’ambiente.
«Lady e Lord Ravenclaw!» aveva annunciato una voce imperiosa.
Rowena si era aggrappata al braccio del fratello e aveva salutato i presenti con brevi e calcolati movimenti della mano libera.
«Lady Rowena, è sempre un piacere rivedervi.»
Rastor era stato sicuro che a parlare fosse stato re Ethelred perché questi si era trovato in piedi accanto al trono, con una mano tesa in direzione della strega e l’altra stretta intorno al bordo di pelliccia del mantello, ma quella voce non aveva avuto nulla di regale. Era risuonata stentata, nervosa, quasi come se fosse stata pervasa dal timore di dire qualcosa di inopportuno.
«Mio signore» aveva salutato cortesemente Rowena, chinando la testa nella sua direzione, ben presto imitata dal fratello. A ben guardare, la strega non aveva distolto gli occhi dal re neanche per un attimo.
Non era un mistero che nel mondo della magia ci fossero persone che consideravano un affronto che tanti maghi e streghe dotati fossero sottomessi a un re babbano. Salazar Slytherin era il primo a pensarla in quel modo. Rowena condivideva alcune delle sue opinioni, ma aveva un atteggiamento molto più prudente.
«Musici!» aveva esclamato il re, battendo le mani. All’ordine del sovrano, alcuni uomini armati di salteri, vielle e arpe avevano iniziato a pizzicare o a sfregare le corde dei loro strumenti, e subito il grande salone di pietra era stato pervaso da una musica dolcissima.
Re Ethelred aveva esortato i Ravenclaw a raggiungere gli altri Fondatori, poi aveva gettato il capo all’indietro in una risata stridula e infantile, rischiando quasi di perdere la corona d’oro tempestata di gemme.
Dopo qualche tempo, ogni invitato aveva preso posto a tavola, la cui preziosa tovaglia era stata ingombra di piatti dorati pieni di selvaggina, polenta, funghi, patate, torte dolci e salate e mille altre leccornie.
Per permettere a tante persone di sedere insieme, la tavolata aveva avuto la forma di un ferro di cavallo. Era stato così che, tra una portata e l’altra, Rastor aveva studiato con lo sguardo le persone sedute davanti a lui. Era stato così che l’aveva vista per la prima volta. Fin da subito aveva notato che era come una gemma che rifulgeva in mezzo a tanti sassi di nessun valore. Si era trattato della donna più bella che avesse mai visto. I suoi capelli oro pallido erano stati raccolti in trecce elaborate intorno alle tempie che avevano lasciato scoperti il viso e il collo candidi. Gli occhi avevano brillato più delle pietre preziose della corona di re Ethelred, le labbra piene e rosse, il naso perfetto. L’incarnato era apparso costituito da raggi lunari, gli abiti che aveva indossato erano meno preziosi rispetto a quelli degli altri nobili, ma in confronto a loro quella dama era sembrata la più elegante.
Rastor aveva dovuto sbattere le palpebre più volte di fronte a quella visione ultraterrena, e l’appetito gli era passato quasi subito. La splendida dama era stata circondata da uomini che, come Rastor, avevano dimenticato ciò che avevano nel piatto, e che avevano fatto a gara per raccontarle le avventure più stupefacenti. La donna aveva osservato ora l’uno, ora l’altro avventore, aveva risposto con garbati cenni del capo, ma non era sembrata impressionata da nessuno di loro. Non appena la mente di Rastor aveva formulato quella considerazione, il mago aveva avvertito lo stomaco balzargli in gola e il cuore precipitargli ai piedi. Rastor aveva provato il desiderio di avvicinarsi a quella meravigliosa creatura, di parlare con lei, con l’intenzione di raccontarle storie molto più interessanti di quelle che erano uscite dalle bocche degli uomini che l’avevano circondata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per chiedere al tempo di scorrere più velocemente, invece questo, come se si fosse accorto dei suoi spasmi, sembrava avere crudelmente rallentato.
Alla fine, come il Cielo aveva voluto, il banchetto era terminato e re Ethelred aveva dato ordine di aprire le danze. Dame e signori si erano posizionati ai lati opposti della sala e avevano iniziato una coordinata e pittoresca danza a carola.
La testa di Rastor aveva iniziato a girare molto più rapidamente dei suoi piedi, non aveva saputo se ciò fosse stato dovuto al vino che aveva bevuto o alla vicinanza con la bellissima donna che aveva adocchiato durante la cena. Seppe solo che avevano ballato finché lui non era stato sul punto di svenire.
Vistoria, questo era il nome che la dama aveva rivelato a Rastor a fine serata. Il mago avrebbe voluto sapere tutto di lei fin da subito, ma la donna era stata riservata e silenziosa. Anzi, Rastor aveva avuto quasi l’impressione che lei si fosse comportata in quel modo per giocare con lui, ma il suo profumo lo aveva inebriato così tanto che non si era posto troppe domande.
Quando la serata era terminata, Rastor era tornato a casa insieme a Rowena. Sua sorella si era accorta della sua espressione svagata e tutto le era apparso evidente, neanche il mago avesse avuto il nome “Vistoria” scritto dentro ogni pupilla. La strega aveva scosso il capo davanti a lui, quasi fosse stata delusa. Aveva rivelato al fratello che quella dama in realtà era una Veela, e allora tutto era stato più chiaro anche a Rastor stesso: il modo in cui aveva perso la testa per lei, tutti quegli uomini che si contendevano le sue attenzioni nella speranza di impressionarla, l’improvviso senso di leggerezza che aveva iniziato a provare in sua compagnia.
Rowena era stata sicura che, saputa la verità, il fratello non avrebbe più pensato a Vistoria. Invece non era stato così, perché Rastor sapeva di avere con lei un vantaggio rispetto a tutti gli altri signori che l’avevano circondata. Vistoria aveva ballato con lui, aveva parlato con lui, gli aveva rivelato il suo nome mentre con tutti gli altri aveva mantenuto l’anonimato. Rastor sapeva che la Veela aveva visto in lui qualcosa che nessun altro, mago o Babbano, aveva. Per una volta si era sentito straordinariamente bene, come se fosse stato migliore di chiunque altro, compresa la sua famosa sorella.
Rastor aveva avuto bisogno di rivedere Vistoria, di parlarle ancora. Aveva sentito la necessità di annusare di nuovo il fresco profumo della sua pelle e studiare nuovamente le sue iridi. Quegli occhi cerulei così straordinari erano stati ciò che del suo volto lo aveva colpito di più. Incurante delle raccomandazioni della sorella, Rastor era andato a cercarla.
Vistoria si era dimostrata felice di rivederlo e i due avevano trascorso dell’altro tempo insieme. Nelle occasioni successive in cui Rastor si era trovato in sua compagnia, aveva avuto la conferma del fatto che lei non prestava attenzione a nessun altro uomo. Era davvero rimasta colpita da lui, e glielo dimostrava con le sue cortesi attenzioni e delicate carezze. Qualche mese più tardi, Rastor l’aveva sposata senza chiedere il permesso a nessuno.
Lo avevano chiamato pazzo e incosciente, ma a lui non era importato mai nulla. Senza Vistoria non era che una persona infelice, e fino a quel momento non ci aveva mai badato. Quando lei era entrata nella sua vita però, gli aveva mostrato un modo di vivere che fino ad allora aveva ignorato. Come sarebbe potuto tornare a bere solo acqua dopo aver assaggiato il migliore e più pregiato dei vini aromatizzati? Non poteva fare a meno di Vistoria, la voleva accanto a tutti i costi.
Si erano sposati rapidamente e senza grandi festeggiamenti: a Rastor era bastato osservare le iridi chiare e limpide della sua sposa per avere tutto ciò di cui aveva bisogno.
Gli stessi occhi spalancati lo avevano scrutato con attenzione quando l’aveva fatta sua per la prima volta nella loro magione. Le giornate che Rastor trascorreva con lei gli erano sembrate un soffio delicato di aria frizzante e corroborante. Vistoria aveva continuato ad ammaliarlo e a farlo innamorare ogni istante di più, finché non era rimasta incinta, e allora qualcosa era cambiato.
Gli occhi con cui guardava il marito erano sempre freschi e cristallini, ma c’era qualcosa di diverso in lei, forse nella luce che il suo volto emanava, forse nella piega beffarda che le sue labbra carnose avevano assunto. Proprio nel momento in cui Rastor avrebbe voluto starle più vicino, la moglie era diventata scostante e nervosa. Irritabile e gelosa dei suoi spazi, aveva assunto un atteggiamento irriverente e superbo che non era mai stato suo, o forse che il marito non aveva mai notato prima.
Le parole di Rowena gli erano tornate alla mente più volte, mordendogli il cuore con denti incandescenti: le Veela non erano creature così incantevoli come sembravano, e l’uomo se ne stava iniziando a rendere conto. Troppo orgoglioso per ammettere il suo errore, probabilmente convinto di poter risolvere quella questione da solo, Rastor non aveva chiesto aiuto a nessuno, men che meno a sua sorella.
Vistoria aveva portato a termine la gravidanza senza problemi e dato alla luce il figlio di Rastor. Appena nato non aveva avuto l’aspetto raggrinzito di ogni neonato, ma la sua pelle era chiara e splendente, inoltre aveva gli stessi capelli dorati della madre. Se nel guardare Vistoria Rastor si era detto che non ci fosse creatura più bella in tutto l’universo, aveva scoperto di essersi sbagliato. Il loro bambino, Roderick, aveva un aspetto ancor più stupefacente.
Rowena era stata la sua madrina e, nonostante Rastor si fosse sforzato in tutti i modi di nasconderle l’atteggiamento costantemente irritato di Vistoria e i suoi scoppi d’ira, la sorella era troppo sagace per non accorgersi di niente. Aveva offerto al mago il suo aiuto per controllare la moglie, ma lui, stupido e orgoglioso fino alla fine, lo aveva rifiutato, negando strenuamente  quell’aspetto orribile della sua metà.
Ogni volta che Vistoria si arrabbiava e perdeva il controllo, il marito si sforzava di ignorare le suppellettili scagliate a terra, le urla che risuonavano tra le pareti di pietra della magione, la tappezzeria ridotta a brandelli, persino i graffi rossi che le sue unghie tracciavano sulla sua pelle.  Fingeva che nulla di tutto quello fosse reale, afferrava la moglie e la costringeva tra le sue braccia finché non si calmava. Lo faceva per il loro bambino, lo faceva perché sapeva che lei non era tutta rabbia e violenza, perché sperava di rivedere in lei la splendida creatura che lo aveva incantato durante il banchetto di re Ethelred.
Quando Rastor capì che così non sarebbe stato, non si era perso comunque d’animo. Si era convinto di aver trovato la soluzione ai loro problemi: Vistoria non avrebbe potuto cancellare quel lato di lei dedito agli scoppi d’ira e ai comportamenti perversi, ma, quando Rastor la teneva tra le braccia, smetteva di dibattersi e tornava mansueta. A lui bastava guardare ancora una volta i suoi occhi cerulei, specchi d’acqua in cui si rifletteva un cielo terso e luminoso, per sapere che avrebbero superato insieme anche quella crisi.
Anche in quel momento Rastor aveva le braccia arcuate intorno al suo torso, ma non stringevano niente. Nelle orecchie aveva il pianto disperato di Roderick, nelle narici odore di bruciato. Aveva la terribile sensazione che fosse accaduto qualcosa di spaventoso, come se una Banshee stesse piangendo al suo orecchio tutta la sua disperazione. Sentiva freddo.
Davanti al suo volto c’era quello di Vistoria. Non era più di una bellezza angelica, anzi non era affatto bella. Rastor sentì le ultime briciole di calore abbandonare il suo corpo, e lei corrugò la fronte in un’espressione cattiva. Le erano spuntate delle enormi ali nere e squamose, che muoveva nervosamente nella direzione del marito.
Rastor guardò i suoi occhi nell’estrema speranza di vedere in essi i ben noti laghi di montagna, ma le sue iridi questa volta erano rosse come oceani di fuoco.
Il mago distolse lo sguardo e abbassò la testa. Al centro del suo petto c’era un grande foro dai bordi frastagliati, bruciacchiati e ancora fumanti.

«Ho sentito delle grida, cosa è successo?»
Rowena, che camminava avanti e indietro calcando con decisione il pavimento di pietra, si era fermata di botto. Era la terza volta che pronunciava quella frase quella sera, e fino a quel momento Salazar l’aveva accusata di essere troppo suggestionabile. Quella volta invece Slytherin era balzato in piedi, rovesciando il sedile intagliato che aveva occupato.
«Rastor!» esclamò Rowena, portandosi le mani alla bocca. «Salazar, deve essere successo qualcosa. Dobbiamo andare a vedere.»
Braccia ricoperte da velluto verde bottiglia ricamato con motivi d’argento scattarono in avanti, il mago afferrò le spalle della strega forse con più foga di quanto avesse inteso.
«Andrò io.»
Annuì come a voler convincere Rowena della decisione che lo animava a dispetto degli infausti presagi della donna. Si voltò facendo turbinare il suo lungo mantello nero e in pochi passi raggiunse e superò l’arco a sesto acuto della porta.
Per qualche istante, Rowena fu incapace di muoversi. Le urla che aveva appena udito, giunte attutite attraverso almeno quattro mura di spessa pietra, continuavano a risuonarle nelle orecchie.
La strega si guardò intorno, come se  non avesse mai visto prima di allora i profili di marmo del camino e la cornice dorata dello specchio che si trovava davanti a lei. Il cuore le batteva nel petto a una frequenza drammatica. Salazar era lì per lei, era l’unico a conoscere per sommi capi i problemi di Rastor. Lei non avrebbe voluto che un estraneo entrasse nelle beghe di suo fratello e di sua cognata, ma Salazar avrebbe saputo cosa fare, e poi non era neanche totalmente un estraneo.
Preoccupata e furiosa con se stessa, Rowena si era resa conto che non riusciva più a ragionare lucidamente e con distacco. Senza riflettere, afferrò la bacchetta che aveva poggiato sul ripiano del camino e sparì attraverso la porta che aveva inghiottito Salazar.
Man mano che procedeva lungo i corridoi della magione, illuminati dalla tremolante e insufficiente luce delle torce appese alle pareti, la strega sentiva la sua ansia crescere. Non aveva più udito alcun urlo, ma, inspiegabilmente, la cosa non la tranquillizzava affatto. Avrebbe dovuto incontrare Salazar, Rastor o Vistoria, ma i corridoi erano deserti.
Quando Rowena giunse dinanzi alla porta della stanza destinata al piccolo Roderick, si accorse che era spalancata. Un acre odore di carne bruciata le raggiunse le narici e la fece tossire, ma la strega non riusciva a vedere alcuna colonna di nero fumo. Avvertendo il cuore balzarle in gola, Rowena si affrettò dentro.
Ciò che vide la congelò istantaneamente al suo posto.
Il corpo di suo fratello Rastor giaceva bocconi sul pavimento, con un foro di diversi centimetri di diametro al centro del petto. La ferita era circondata da orrende piaghe sanguinolente e brandelli di pelle bruciata. Gli occhi erano riversi nelle orbite e sul suo viso Rastor aveva un’espressione di puro stupore.
Troppo sconvolta per distogliere lo sguardo, Rowena si portò le mani alla bocca e fu scossa da un singhiozzo. In quel momento udì il rumore di qualcosa che veniva rovesciato e di un vetro che si rompeva. La strega alzò di scatto la testa e urlò.
Vistoria aveva una gamba già a cavallo del parapetto di colonne di pietra e si stava apprestando a saltare giù. Ma sua cognata aveva un aspetto molto diverso dal consueto: la sua chioma era scompigliata e sembrava aver perso la solita tinta d’oro pallido, i lineamenti del volto erano sfigurati dalla rabbia e dalla ferocia tanto da darle l’aspetto di un rapace, sul becco affilato scintillavano due inquietanti occhi rossi. Eppure, nonostante la Veela fosse quasi irriconoscibile, una parte di Rowena urlava disperatamente che quella creatura mostruosa era proprio Vistoria, e che questa stava stringendo tra le braccia suo figlio. Quel mostro aveva appena ucciso suo fratello e si stava apprestando a sparire nella notte con suo nipote.
«Salazar, ti prego, aiuto!» urlò Rowena così forte da sentire la gola bruciare.
Vistoria era lì, troppo lontana da lei, che sentiva le gambe bloccate da quello che poteva essere l’Incantesimo della Pastoia migliore del mondo, mentre le braccia erano protese verso la finestra e le dita della sua mano sinistra si aprivano e chiudevano spasmodicamente, cercando di afferrare l’aria. La destra impugnava la bacchetta, ma il cervello della strega era un foglio bianco sul quale non era scritta alcuna parola: quello strumento in quel momento era utile quanto un comune bastoncino di legno.
Una macchia scura superò la figura pietrificata di Rowena, alcune scintille proruppero da una bacchetta, seguite da una serie di palle di fuoco esplose dai palmi della Veela. La strega strizzò gli occhi e si strinse istintivamente le mani intorno alle spalle mentre le sue labbra ebbero abbastanza prontezza da declamare un “Protego”. Le sue orecchie percepirono altri sibili, alcuni tonfi e infine il frusciare delle foglie, poi tutto tornò silenzioso.
Senza accorgersene, Rowena ricominciò a piangere prima di aprire le palpebre. Quel mostro di Vistoria era fuggita con suo nipote e lei non avrebbe potuto raggiungerli mai più. L’angoscia saliva come una marea crescente e inarrestabile e arrivò a chiuderle la gola.
«Rowena… Rowena, apri gli occhi!»
Un braccio le scosse energicamente la spalla. La strega mosse disperatamente la testa, poi spalancò le palpebre. Davanti a lei, Salazar la guardava con espressione contratta e fronte corrugata. Tra le braccia teneva il piccolo Roderick che piangeva disperatamente.
Rowena aprì e richiuse la bocca più volte, incapace di proferire parola, poi strinse con tutta la sua forza il nipote che Salazar le aveva appena depositato tra le braccia.
Vistoria era sparita e il bambino era salvo, ma lo spavento era stato enorme, e suo fratello era ancora su quel pavimento. Rowena premette la fronte contro la guancia paffuta del nipote e si lasciò scuotere da singhiozzi senza lacrime come se fossero stati una tempesta.
«Roderick è al sicuro adesso» disse Salazar.
Il tono che aveva usato era risuonato asciutto e piatto come al solito, ma in esso c’era una nuova sfumatura che sapeva di umana comprensione. Il mago avvicinò Rowena a sé e le cinse le spalle, mentre questa continuava a stringere il bambino come se ne andasse della sua vita. Le accarezzò la testa e le baciò i capelli, continuando a tenerla tra le braccia.
«Me l’hai salvato…» mormorò la strega tra i singhiozzi.
Qualcosa dentro di lei le diceva che sarebbe stata sua eterna debitrice.




NdA: Ethelred l'Impreparato è un personaggio realmente esistito, che fu re d'Inghilterra dal 978 al 1016, con interruzione di un anno. Nel banchetto da lui organizzato ho infilato sia maghi che Babbani, questo perché lo Statuto di Segretezza fu approvato nel 1692 e prima dell'Inquisizione non c'erano stati problemi di "convivenza". Basti pensare a Merlino, mago in mezzo a re Artù e i suoi cavalieri, che erano Babbani.
Per quanto riguarda i Fondatori, ho preferito lasciare i nomi originali perché personalmente non sopporto quel pasticcio che ha fatto la traduzione italiana con Priscilla/Cosetta/Corinna Corvonero.
Questa storia partecipa al contest "Gary Stu, noi ti amiamo", ragione per cui il mio protagonista, Roderick, avrà tutte le carte in regola per essere un Gary Stu, non dovrà però comportarsi da tale. In particolare, i pacchetti che ho scelto, contenenti le caratteristiche del mio protagonista, sono i seguenti:
- Origine familiare: nipote di Rowena Ravenclaw
- Aspetto fisico:  fisico perfetto senza fare palestra o altro
- Vita accademica: l'OC preferisce il Quidditch o altre attività allo studio, così chiede sempre l’aiuto dell’amico/a di turno, che inevitabilmente cede perché innamorato/a di lui
- Meriti e glorie: solo Prefetto
- Casa: Serpeverde
- Relazioni sentimentali: dopo una lunga storia con una ragazza, la lascerà sull’altare per la sua migliore amica, scatenando la gelosia della sposa abbandonata
- Doti particolari: sa ammaliare gli altri più delle Veela
- Bonus: per metà Veela

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Il sogno arrivò a Roderick anticipato dalle note stridule, ma eleganti, di una viella. Quando la musica suonata dallo strumento si intensificò, il nero dello sfondo delle sue palpebre serrate venne sostituito da alcuni colori. Inizialmente erano tenui: rosa chiaro, oro pallido e verde acqua, poi ci furono due lampi rossi e la viella cessò improvvisamente di suonare.

Roderick si mise a sedere sul letto, ancora frastornato. Si strofinò gli occhi un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco le familiari cortine celesti che circondavano il suo giaciglio. Il bambino sbadigliò e si grattò il capo cercando di scrollarsi di dosso la sensazione di disagio che il sogno gli aveva lasciato in corpo. Non era la prima volta che sognava quei lampi rossi e, ogni volta che li vedeva in sonno, si svegliava di scatto, perplesso e turbato senza sapere perché.
La luce solare filtrava attraverso i pesanti tendaggi che coprivano la finestra della sua stanza. Ormai Roderick era sveglio, non aveva senso indugiare ancora. Il bambino fece sporgere le gambe dal bordo del letto per qualche secondo prima di decidere di indossare la vestaglia e dirigersi verso la finestra. Scostate le tende, la forte luce del mattino inondò la stanza, costringendo Roderick a schermarsi gli occhi con un braccio. Non appena si fu abituato a quella luminosità, prese a scrutare ciò che si trovava fuori dai vetri segmentati da liste di piombo. La stanza che occupava era in cima a un’alta torre di pietra che dava su una vallata rigogliosa, il cui verde tenue, scintillante di rugiada sotto i raggi del sole, era interrotto solo dalla superficie cristallina di un ampio lago e dalle fronde scure di una fitta foresta. L’orizzonte di quel meraviglioso paesaggio era segnato da un’alta catena di monti, le cui vette tendevano a toccare il cielo.
Roderick aprì i vetri e permise alla tiepida aria estiva di fare il suo ingresso nella stanza. Dopo qualche ulteriore secondo di contemplazione, il bambino attraversò il pavimento circolare e si portò davanti all’armadio di legno massello. Si vestì con cura e si lavò il viso con l’acqua del catino, dopodiché, giudicandosi presentabile, impugnò il battente d’ottone della porta e la spinse via.
Scese i gradini della scala a chiocciola a due a due, inspirando soddisfatto: d’estate l’ampio castello era totalmente vuoto, fatta eccezione per lui, sua zia Rowena e le frequenti visite di Lord Slytherin, Lord Gryffindor e Lady Hufflepuff. Non c’era traccia della confusione provocata dalle decine e decine di ragazzi e ragazze e che vedeva per il resto dell’anno, e lui poteva andarsene in giro senza dar conto a nessuno. Nonostante vivesse in pianta stabile a Hogwarts, sembrava che gli ambienti del castello e i segreti del parco fossero infiniti e le sue esplorazioni non terminavano mai. Erano dieci anni che viveva lì, eppure girovagando ogni estate scopriva qualcosa di nuovo tra l’edificio e il parco. Non aveva il permesso di andare nella Foresta Proibita da solo, guai a lui, ma Lord Slytherin ce lo aveva portato qualche volta, e Roderick si era sentito infinitamente coraggioso. Lord Gryffindor avrebbe dovuto vederlo in quelle occasioni, così avrebbe smesso di scompigliargli i capelli ridendo ogni volta che lo vedeva e non l’avrebbe più chiamato “scricciolo”.
Durante l’inverno, Hogwarts ospitava gli studenti ai quali sua zia e gli altri Fondatori impartivano lezioni di magia ed era più difficile andarsene in giro a proprio piacimento. Il mese di agosto era agli sgoccioli, Roderick avrebbe dovuto sbrigarsi se voleva esplorare qualche altro posto prima del ricominciare delle lezioni.
Per quel giorno aveva in mente di visitare i magnifici giardini di Lady Hufflepuff. Potevano sembrare meno avventurosi della Foresta Proibita, e solitamente lo erano, però Roderick non poteva mai dimenticare che era stato lì che si era imbattuto in un esemplare di Tranello del Diavolo, che proprio innocuo non era.
L’entusiasmo per l’avventura programmata per quel giorno aveva fatto passare di mente al bambino il sogno che lo aveva svegliato. Quando Roderick giunse al primo piano del castello, incontrò sua zia Rowena che ne stava varcando il portone.
«Ben svegliato, mio caro» lo salutò con affabilità la strega.
Il bambino le corse incontro e chinò la testa nella sua direzione.
«Buongiorno a voi, zia. Venite da fuori?»
«Sì, ho dovuto sbrigare alcune faccende, ma ora sono rientrata perché attendo Helga, Salazar e Godric. Un nuovo anno scolastico sta per cominciare.»
Rowena intrecciò le dita dietro la schiena ricoperta da un mantello da viaggio leggero e lungo fino ai piedi e prese a scrutare il nipote come se si trovasse di fronte a una nuova Creatura Magica.
Roderick inclinò il capo e ricambiò lo sguardo della zia.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?»
Rowena sorrise e gli posò una mano sulla spalla.
«Mio caro nipote, io e gli altri Fondatori abbiamo discusso fino a tardi ieri sera di una questione che cambierà di molto questa scuola. Salazar voleva che fosse un segreto, ma come posso non raccontarti niente se mi guardi con quegli occhioni sgranati?»
Roderick strizzò le palpebre e rimase in attesa. La strega rise e continuò:
«Abbiamo deciso che gli studi dureranno sempre sette anni, ma i ragazzi verranno ammessi a undici anni, non più a dodici. Riteniamo che siano maturi abbastanza.»
Il bambino spalancò la bocca per lo stupore.
«Quindi… questo significa che io inizio quest’anno?»

Rowena, Helga, Godric e Salazar sedevano a un tavolo di legno quadrato, coperto da pergamene, penne e calamai pieni di inchiostro.
«Bene, ogni problema è stato risolto» constatò Helga dando un’ultima occhiata ai fogli che aveva davanti a sé. Su di essi erano scritte liste di nominativi, alcuni dei quali erano stati sbarrati.
Godric aveva incrociato le braccia sul petto e Salazar si grattava pensosamente il mento.
«Sì, ogni cosa è stata decisa. Il nuovo anno scolastico potrà iniziare in tutta tranquillità» annuì Rowena.
I quattro Fondatori spinsero gli scranni all’indietro e si alzarono quasi contemporaneamente. Godric chinò la testa in direzione di Helga e si offrì galantemente di scortarla fuori dal castello. Rowena, l’unica dei quattro che viveva stabilmente a Hogwarts, si accomiatò dagli altri tre, annunciando che si sarebbe ritirata nelle sue stanze. Si sarebbero poi rivisti da lì a qualche giorno e ognuno avrebbe portato con sé gli studenti selezionati, i cui nomi erano stati scritti sulle pergamene in ordine alle quali avevano tanto discusso.
«Un momento…» la trattenne Salazar, afferrandola delicatamente per un gomito mentre la strega stava per allontanarsi. Perplessa, Rowena si voltò a guardarlo. Il volto del mago era impassibile come sempre, ma gli si era creata una piccola ruga tra le sopracciglia, cosa che accadeva sempre quando aveva qualcosa in mente.
«Cosa c’è?» gli domandò la strega, incuriosita e in allerta.
Salazar esitò prima di rispondere, ma, quando lo fece, la sua voce risuonò pacata e decisa.
«Tuo nipote ha undici anni, quest’anno anche lui sarà nostro studente.» Rowena annuì, Salazar proseguì: «Non abbiamo discusso di lui perché sicuramente Helga e Godric trovano scontato che sarai tu a occuparti della sua istruzione.» Rowena avrebbe voluto osservare che anche lei lo trovava scontato. Roderick era un Ravenclaw di nascita, già prima di essere Smistato. «Invece io non sono d’accordo. Vorrei essere io a occuparmi di lui. Vorrei che Roderick venisse Smistato tra i miei allievi.»
La strega aprì le labbra sottili per rispondere, ma non ne uscì alcun suono. La richiesta di Salazar era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata, era così fuori dall’ordinario che la donna ebbe la tentazione di chiedergli di ripetere per accertarsi di aver inteso correttamente. Non ce ne fu bisogno: Salazar aveva mosso un passo verso di lei e aveva leggermente inclinato il busto in avanti come faceva ogni volta che poneva richieste discutibili. Rowena deglutì il vuoto.
«Ma… Salazar, lui è il figlio di mio fratello. È un Ravenclaw!»
Il mago roteò gli occhi con scetticismo e si allontanò di un passo.
«E allora? È soltanto il suo cognome. Non sei stata tu poco fa a dare manforte a Godric quando ha sostenuto che, nel selezionare gli studenti, non dobbiamo badare troppo alla famiglia da cui provengono?»
Rowena gli rivolse un’espressione a disagio mentre si sentiva chiusa all’angolo.
«Sì, ma…»
«Non abbiamo sempre detto che dobbiamo guardare le caratteristiche dell’intima personalità di ognuno?»
La strega annuì: effettivamente l’avevano ripetuto molte volte.
«Ma Roderick è un bambino molto intelligente» osservò. «È mio nipote, ha il mio sangue. Legge moltissimo e ha già iniziato a studiare del materiale che gli ho fornito.»
«Questo è vero, non nego che sarebbe uno studente brillante» convenne Salazar. «Ma il fatto che abbia il tuo sangue non significa che abbia ereditato il tuo genio. Inoltre, l’essere così dedito alla lettura è un qualcosa che gli hai imposto tu.»
«Io non l’ho mai obbligato!» ribatté Rowena, punta sul vivo.
Salazar le sfiorò l’avambraccio e proseguì con tono comprensivo:
«Non sto insinuando nulla del genere. Ma pensaci: quante volte sarebbe corso fuori a giocare nel parco piuttosto che restare a leggere i tuoi libri e le tue pergamene se tu non l’avessi formato in un certo modo?»
La strega ricambiava il suo sguardo, interdetta, sentendosi in difficoltà.
«Il ragazzo sa badare a se stesso, è ambizioso e sono certo che farà grandi cose. Lasciamelo, Rowena, è nella sua natura essere uno dei miei studenti.»
Salazar aveva pronunciato quelle ultime parole a bassa voce, ma con tono saldo, e aveva scrutato la donna con intensità. Questa aveva stretto le labbra e seguitato a tacere mentre nella sua mente si alternavano voci dissonanti.
Roderick era tutto ciò che le rimaneva del suo caro fratello, era suo nipote e lei l’aveva cresciuto come un figlio. Aveva abbandonato con lui la magione che aveva occupato insieme a Rastor e Vistoria, incapace di vivere ancora in un posto così carico di ricordi struggenti, e si erano stabiliti a Hogwarts. Rowena aveva sempre dato per scontato che, raggiunta l’età dell’istruzione magica, avrebbe continuato a occuparsi del bambino con l’affetto e l’attenzione di sempre, solo affiancando al ruolo di zia, nutrice e madre adottiva quello ulteriore di insegnante.
L’idea che sarebbe stato Salazar a seguire passo dopo passo l’apprendimento di suo nipote infilava nel cuore della strega una spina di gelosia. Se Roderick fosse diventato uno studente di Salazar, di certo il rapporto con lei sarebbe cambiato, si sarebbe fatto meno intenso, e lei non voleva assolutamente permetterlo.
Del resto però non voleva neanche forzare Roderick ad andare contro la sua natura. Le parole di Salazar su come lei l’avesse reso studioso l’avevano profondamente colpita. Di certo il bambino aveva qualcosa di speciale che andava oltre la straordinaria bellezza ereditata dalla madre, e se la componente di ambizione in lui avesse superato l’amore per i libri e il sapere?
La mente di Rowena passò in rassegna gli anni che aveva trascorso con suo nipote da quando Rastor era morto. Roderick era sempre stato ammirato e vezzeggiato, aveva il potere di catalizzare su di sé l’attenzione di tutti anche se non era intenzionato a farsi notare, sapeva suscitare la meraviglia degli adulti e farsi lodare. Era innegabile che qualcuno con tutte quelle caratteristiche fin dall’infanzia avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare un grande da adulto. Forse Salazar era la persona più adatta per guidarlo sul quel sentiero. E poi c’era qualcos’altro. Rowena si mordicchiò le unghie nervosamente al ricordo della figura di arpia di sua cognata Vistoria in procinto di scavalcare il parapetto e di fuggire nella notte portando via Roderick. In quell’occasione, Rowena era stata troppo sconvolta per ragionare lucidamente e reagire prontamente. Se non fosse stato per Salazar, la madre avrebbe portato via il bambino. Era stato il mago a riportarglielo e a starle accanto quando lei ne aveva avuto bisogno. Quella notte terribile lei si era sentita sua debitrice, e quella sensazione non l’aveva mai abbandonata. Avrebbe potuto sdebitarsi acconsentendo alla richiesta di Salazar. Il ruolo essenziale che aveva svolto aveva fatto sì che il mago acquisisse una sorta di diritto sul bambino. Inoltre Roderick sarebbe comunque rimasto al castello e lei avrebbe continuato a vederlo.
Rowena sospirò pietosamente. Aveva deciso cosa fare nell’ottica del perseguimento del benessere di suo nipote, ma non era facile comunicare ad alta voce quella scelta.
«D’accordo, Salazar. Hai ragione tu» convenne, portandosi una mano alla fronte. «Se non ti ascoltassi agirei da egoista. Sia come vuoi, Roderick sarà un tuo studente.»
A quelle parole, Salazar sorrise. Doveva aver compreso quanto fosse costato a Rowena acconsentire alla sua richiesta, perché le sfiorò delicatamente una guancia con le dita prima di allontanarsi.

Quella notte, Roderick aveva faticato a chiudere occhio. La sera precedente aveva cenato come al solito con sua zia. Seduti in un enorme salone, ognuno a un capo di una lunghissima tavola di quercia coperta da una striscia di tessuto viola ricamato con fili dorati, avevano gustato le ottime pietanze preparate dagli Elfi Domestici. Avevano mangiato minestra di ceci e costata di manzo; inizialmente la zia Rowena gli aveva precluso di assaggiare il dolce, sostenendo che l’avrebbe reso troppo eccitabile, poi però aveva ceduto.
Dolce o non dolce, Roderick aveva sentito di avere troppe energie in corpo per addormentarsi. Così, quando aveva dato la buonanotte ed era tornato nella sua stanza, aveva trascorso il tempo a rotolare tra le coperte che ricoprivano il suo letto. Incapace di restare sdraiato, si era alzato ed era andato ad accoccolarsi sul sedile sotto la finestra. Aveva scostato le tende e si era lasciato ricoprire dall’ondata di luce lunare che l’aveva travolto. Per via di quella luce pallida, la Foresta Proibita sembrava un posto ancora più spettrale e inospitale. La superficie del Lago Nero riluceva come se fosse stata percorsa da scaglie argentee e ombre allungate si spandevano tra le piante dei giardini di Lady Hufflepuff.
Roderick represse a stento il brivido che gli percorse la spina dorsale: ben presto lui si sarebbe aggirato tra quei luoghi come una persona nuova. Non come il nipote perdigiorno e a volte combinaguai dell’illustre Lady Rowena Ravenclaw, ma come uno studente come tutti gli altri. I libri che sfogliava, le piante che osservava, le Creature Magiche che adocchiava sarebbero diventati oggetti di studio, e lui non vedeva l’ora di cominciare.
Per anni aveva guardato agli studenti di Hogwarts con un pizzico di invidia, e quel sentimento era stato a stento tenuto a freno solo perché il bambino sapeva che anche lui prima o poi sarebbe stato come loro. Quel giorno si stava avvicinando a grandi passi, e lui non aveva mai dubitato neanche per un attimo che sarebbe finalmente arrivato. Non tanto perché era il discendente di una importante famiglia di maghi Purosangue – la zia gli aveva spiegato cosa fossero i Maghinò –, ma perché i poteri magici si erano manifestati in lui piuttosto precocemente.
Nonostante fosse quindi preparato, Roderick era stato sorpreso da due episodi: sua zia gli aveva comunicato che avrebbe potuto frequentare la scuola già da quell’anno e l’indomani il fabbricante di bacchette sarebbe venuto al castello e lui ne avrebbe acquistata una.
Roderick non stava più nella pelle. Sua zia Rowena gli aveva insegnato a leggere, a scrivere e a far di conto, inoltre gli aveva trasmesso nozioni di storia e di geografia, ma lui aveva sempre agognato di poter fare magie. La zia gli aveva insegnato qualcosa e lo aveva fatto esercitare con la sua bacchetta, ma il bambino non aveva ottenuto grandi risultati. “Andrà meglio quando avrai una bacchetta tutta tua”, gli aveva detto allora, ciò sarebbe accaduto di lì a pochissimo.
Alla fine, stremato dal tanto fantasticare, Roderick era crollato addormentato alle prime luci dell’alba con una guancia appiccicata al vetro. Quando si era svegliato, si era sentito tutto ammaccato come se avesse avuto la febbre: la posizione in cui aveva trascorso delle ore non era certo tra le più comode. Ma non erano stati i crampi a destarlo, né, per una volta, gli strani lampi rossi che vedeva in sogno. Era stato Pix il Poltergeist, che era entrato nella sua stanza a balzelloni, aveva aperto il suo armadio e si era infilato una sua camicia da notte in testa. La sua uscita di scena era stata accompagnata da una sonora pernacchia e tanto rumoreggiare da parte di Pix aveva fatto quasi cadere Roderick dal sedile che occupava.
Stiracchiandosi, il bambino si disse che se sua zia avesse saputo che il Poltergeist osava spingersi fin nella torre ovest l’avrebbe fulminato con lo sguardo, se non letteralmente. Lei l’aveva detto agli altri Fondatori che tanti ragazzi insieme avrebbero attirato la presenza di qualche creatura del genere, e Pix non aveva tardato a farsi vedere nella scuola. A sua zia non dispiaceva la sua presenza dal momento che sapeva essere molto fantasioso e con lei non osava fare scherzi, in ogni caso non avrebbe dovuto superare certi limiti.
Dopo che si fu vestito, un insistente bussare alla porta richiamò l’attenzione di Roderick. Sulla soglia apparve proprio sua zia Rowena.
«Buon compleanno, mio caro! Ti ho fatto preparare una montagna di dolci.» Tanta eccitazione per il nuovo anno scolastico e la bacchetta in arrivo aveva quasi fatto dimenticare a Roderick che quel giorno compiva gli anni. «E questo è il tuo regalo da parte mia!» disse ancora la strega, mostrandogli una splendida cappa blu notte. Il bambino non ebbe il tempo di ammirarla, che la strega lo richiamò. «Sbrigati! Mastro Olivander è qui.»
Percorso da un fremito di eccitazione, Roderick si affrettò lungo le scale. Aveva sentito parlare di come avvenisse la scelta del mago da parte della bacchetta.
«Quindi devo provare un po’ di bacchette e vedere quale usare?»
«Oh, non essere sciocco» rispose Rowena. «Mastro Olivander ti ha preparato una bacchetta su misura. È stato Lord Salazar a occuparsi di tutto, ha detto che è la sua sorpresa per il tuo compleanno.»





NdA: Quando ho scelto i pacchetti, ho voluto l'epoca dei Fondatori per le opportunità che questa cosa mi dava. Mi spiego: se dovessi raccontare di un maghetto di epoca "contemporanea", sapremmo già cosa succede. Manifestazioni dei poteri, lettera di Hogwarts, gita a Diagon Alley e Smistamento. Invece ho ipotizzato che all'epoca della fondazione (o comunque pochi anni più avanti, siamo intorno al 1006 d.C.) le cose dovessero essere un pochino diverse: nei secoli qualcosina sarà cambiato, soprattutto dopo che i Fondatori non c'erano più. Quindi posso dar sfogo alla mia fantasia, evviva. Prima cosa: parlo di Smistamento, ma non avviene col Cappello parlante e roba varia, ogni Fondatore sceglie direttamente i propri studenti. Corollario di questo: il numero di studenti di Hogwarts è molto minore rispetto ai tempi di Harry. Seconda cosa: dubito che in epoca medievale Diagon Alley fosse un grande shopping center, inoltre il fatto che Ollivander faccia al nipote della Fondatrice la bacchetta su misura fa tanto "antica nobiltà" e mi sembrava in linea coi tempi. Ovviamente non è lo stesso Olivander che ha fabbricato la bacchetta di Harry (che te lo dico a fa'). Su Pottermore c'è scritto che la famiglia Olivander operava già in epoca romana, e lo dimostra l'insegna del negozio che dice che fanno bacchette dal 382 a.C. (Hogwarts è stata presumibilmente fondata nel 993 d.C.). Quindi il mio Olivander è un bis-all'infinito-nonno di quello che ha realizzato la bacchetta di Harry.
In questo capitolo nomino Pix: su Pottermore c'è scritto che faceva impazzire già il custode all'epoca dei Fondatori (che prima o poi comparirà), quindi l'ho inserito.
Ultima cosa: in questo capitolo parlo di libri. La stampa a caratteri mobili è stata inventata da Gutemberg nel 1455, quindi in un'epoca ben lontana da quella che tratto io, prima però c'erano gli amanuensi. Quindi dei libri di cui parlo alcuni sono stati scritti a mano, altri verosimilmente con qualche tecnica magica.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Roderick camminava a testa alta e petto in fuori appena dietro sua zia Rowena lungo i corridoi di pietra di Hogwarts. L’idea di una sorpresa così speciale da parte di Lord Slytherin lo riempiva di orgoglio e di aspettativa. Già di per sé, l’idea di stare per entrare in possesso della sua bacchetta lo entusiasmava, ma quella non sarebbe stata una bacchetta qualsiasi. Era stata fatta su misura, e Lord Slytherin doveva essersi sicuramente premurato di selezionare personalmente il nucleo e il legno. Chissà quale incredibile sostanza magica avrebbe contenuto.
I due Ravenclaw individuarono tra le varie scale in movimento quella che li avrebbe portati al primo piano del castello e presto si ritrovarono nella Sala Grande. Dal momento che l’anno scolastico non era ancora iniziato, i quattro lunghi tavoli ai quali usavano sedersi gli allievi dei diversi Fondatori erano scomparsi, svelando così l’aspetto freddo e spoglio del grande pavimento di pietra. Le volte a crociera del soffitto della Sala Grande simulavano il cielo terso e luminoso che sovrastava il castello e le torce appese alle pareti erano spente. In un angolo di quell’ambiente maestoso era comparso un piccolo mobile simile a uno scrittoio con il piano reclinato, intorno al quale si stava affaccendando un uomo basso dalla folta barba corta e i capelli arricciati in sbuffi vaporosi intorno alle orecchie che davano alla sua testa la forma di un rombo. Questi indossava una stretta calzamaglia sotto la tunica viola scuro e un lungo mantello all’interno del quale erano state insolitamente cucite diverse tasche. Quell’uomo doveva essere Garland Ollivander, il fabbricante di bacchette di cui aveva tanto sentito parlare, si disse Roderick.
Affascinato in prima misura dall’aspetto insolito del mago, il bambino non si era subito accorto che questi non era solo. Dietro di lui, un uomo alto dai capelli mossi color rovere scuro lunghi fin sotto le orecchie dava le spalle allo scrittoio. Teneva le dita intrecciate su un lungo mantello verde smeraldo e, a quel che Roderick poteva vedere, calzava dei pesanti stivali con le suole sporche di fango.
«Lady Ravenclaw, è un piacere incontrarvi di nuovo» salutò ossequiosamente Ollivander, inchinandosi di fronte alla dama. Alle parole del fabbricante di bacchette, anche Lord Slytherin si voltò verso i nuovi arrivati.
«Buongiorno, giovane Roderick. Tua zia mi ha detto che oggi è un giorno speciale, ma non riesco a ricordarne la ragione.»
Salazar si portò una mano al mento e assunse un’aria fintamente pensierosa. Rowena roteò gli occhi e sbuffò appena, con un’espressione tra lo scettico e il divertito.
«Lo so che mentite e che ricordate che oggi è il giorno del mio compleanno» ribatté Roderick, sollevando un sopracciglio.
«Il giovanotto è piuttosto acuto!» osservò Salazar sollevando un angolo delle labbra. Dopodiché si inginocchiò fino a portarsi alla stessa altezza del bambino e gli mise una mano su una spalla. «Immagino starai aspettando il tuo regalo. Spero che questo ti piacerà.»
Il mago si sollevò nuovamente e fece un cenno in direzione di Ollivander. Questi chinò reverenzialmente il capo prima di estrarre da una delle tasche interne del mantello un oggetto stretto e allungato avvolto nel velluto.
Roderick avvertì un fremito di eccitazione percorrergli il corpo mentre Ollivander gli porgeva l’involto e lui iniziava a scartarlo con mani tremanti. Quando finalmente i suoi polpastrelli sfiorarono il legno della bacchetta, il bambino sentì una sensazione di intenso calore partirgli dalle dita e irradiarsi lungo tutto il braccio. Di fronte a quel fenomeno, Roderick sollevò uno sguardo preoccupato prima verso sua zia, poi verso Ollivander. Le espressioni di tutti però erano distese e il bambino dedusse che quel fenomeno doveva essere assolutamente normale.
«Non avevo dubbi, ma ora ne ho la conferma! Questa bacchetta è proprio la vostra» disse Ollivander in tono compiaciuto. Dal modo in cui il fabbricante lo guardava, Roderick capì che la sua espressione adorante era tutta rivolta alla sua bacchetta e non ad altri.
Rowena congiunse i palmi delle mani e sorrise.
«Un lavoro ottimo come al solito, mastro Ollivander.»
«Vi ringrazio, mia signora» rispose il mago con un altro inchino, «ma devo ringraziare Lord Slytherin per avermi procurato i materiali con cui ho costruito la bacchetta.»
«A proposito, di cosa  è fatta?» chiese Roderick, incuriosito.
«Il legno, mio piccolo Lord, è acero. Sapete cosa si dice sui maghi che posseggono una bacchetta d’acero? Che sono giramondo, ambiziosi e destinati alla grandezza.»
Tutto preso dalla spiegazione del fabbricante di bacchette, Roderick si accorse a malapena dello sguardo saccente che Salazar scoccò a Rowena.
«Sai, Roderick» disse Lord Slytherin, «quello che dice mastro Ollivander è vero, ma questo non è un pezzo d’acero qualsiasi. Tuo padre amava suonare la viella, lo sapevi?»
Roderick annuì: sua zia glielo aveva raccontato. Subito dopo avvertì un pizzicore agli angoli degli occhi, sensazione che lo pervadeva ogniqualvolta qualcuno nominava il genitore.
«Il legno della tua bacchetta, giovane mago, proviene proprio dalla viella di Rastor» concluse Salazar. Nel silenzio della Sala Grande risuonò il respiro trattenuto da Rowena.
Le dita di Roderick si strinsero con maggior forza intorno alla bacchetta. Per un attimo, il bambino ebbe la sensazione che, se avesse lasciato andare quell’oggetto magico, avrebbe visto sul legno le impronte delle dita.
«La vostra bacchetta» continuò Ollivander, come se non si fosse accorto di nulla, «è rigida e misura dodici pollici e tre quarti: si tratta di una bella lunghezza, il che conferma la vostra personalità spiccata.»
Roderick lo udì a malapena, ancora impegnato a pensare che quello stesso legno che stava stringendo un tempo era stato toccato da suo padre. Quando Ollivander fece una pausa, però, il bambino si sforzò di riportare la sua attenzione su di lui.
«Il nucleo è altrettanto speciale: si tratta del capello di una Veela. È una sostanza che mi capita di usare raramente dal momento che rende le bacchette capricciose, ma sono sicuro che voi non avrete problemi, non siete d’accordo?» concluse Ollivander, strizzando un occhio in direzione di Roderick.
Il bambino si sentiva ancora avvolto in quella sensazione di statico torpore che aveva provato nell’apprendere che provenienza avesse il legno della bacchetta. Se il legno veniva dalla viella di suo padre, il nucleo allora…
«Un regalo davvero splendido, Salazar. E anche voi, mastro Ollivander, avete fatto come al solito un lavoro a regola d’arte. » Nonostante Rowena avesse rivolto ai due maghi dei complimenti, la sua voce era risuonata dura. «Ora però abbiamo proprio da fare.»
Ollivander si inchinò, raccolse le sue cose e fece sparire lo scrittoio con un colpo di bacchetta.
«Grazie a entrambi» fece eco Roderick qualche istante dopo.
Quando il fabbricante di bacchette ebbe varcato il portone del castello, Rowena posò delicatamente una mano sulla spalla del nipote.
«Mio caro, è bene che vada anche tu. C’è una splendida giornata lì fuori, approfitta del bel tempo prima che la stagione si guasti.»
«Posso andare a provare la mia bacchetta nuova?» domandò Roderick, che si sentiva ancora un po’ stordito.
«Ma certo» rispose Rowena con aria distratta.
Il bambino strinse a sé il suo nuovo regalo e seguì a ruota Ollivander fuori dal castello.

Roderick affrontò con un salto i gradini di pietra appena fuori il portone di quercia e iniziò a correre sull’erba cresciuta disordinatamente, stringendo la sua bacchetta tra le mani. Corse a perdifiato con il sole sulla pelle e i polmoni che bruciavano finché non raggiunse il Lago Nero. Scrutò per un attimo il pelo dell’acqua che brillava luminoso, ma non ci mise molto a scegliere la sponda più affollata di alberi e piante e più lontana dal castello. Si rimise in cammino e, appena raggiunto il punto prescelto, si lasciò cadere steso sul prato. Rimase in quella posizione per qualche tempo, con gli occhi sbarrati e un alito di vento che gli accarezzava la fronte, all’ombra di quello che poteva essere un faggio.
Quando Roderick riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu la bacchetta ancora stretta tra le sue dita. Con un sospiro, il bambino si mise a sedere con la schiena contro il tronco d’albero e i piedi puntellati sul gioco di luci e ombre creato dalle foglie. Mentre faceva scorrere le sue dita sul legno, pensò a quante volte aveva chiesto a sua zia di regalargli una bacchetta. Aveva già dimostrato di avere doti magiche, che senso avrebbe avuto aspettare? L’idea di cominciare la scuola sapendo già come usare quell’oggetto magico poi lo aveva allettato parecchio. Rowena però non aveva voluto saperne: aveva detto che non c’era alcuna necessità che suo nipote avesse una bacchetta quando ancora non andava a scuola. Gli aveva fatto usare la sua per qualche incantesimo semplice, ma non aveva voluto che avesse la sua personale, forse per il timore che si mettesse nei guai. Lord Salazar però l’aveva accontentato e ora Roderick poteva fare quello che voleva.
«Wingardium Leviosa» sussurrò, agitando il polso.
L’arbusto contro il quale aveva diretto l’incantesimo si sollevò immediatamente da terra e schizzò in alto. Roderick si stupì per l’efficacia di quella fattura; sapeva che usare la propria bacchetta sarebbe stato più efficace che usare quella di un altro, ma non immaginava così tanto.
Roderick trascorse i minuti successivi incantando altri arbusti e foglie a terra, quando un rumore di passi alle sue spalle lo fece voltare. Poco dopo, una bambina della sua età con lunghi capelli biondi legati in una mezza coda si sedette al suo fianco, lisciandosi la gonna per appiattirne le pieghe.
«Buon compleanno, Roderick!» lo salutò con un leggero cenno del capo.
«Grazie, Lamia» rispose il bambino, imitandola.
Per via delle emozioni della giornata, tra Ollivander, la bacchetta e i suoi genitori, Roderick non aveva pensato a Lamia Slytherin neanche per un attimo. Ora che si trovava lì, però, lui si era sentito pervadere dall’acuta eccitazione che precedeva sempre uno dei loro giochi.
«Hai già visto mio padre?» domandò la bambina, scrutandolo con occhi verdi e vivaci.
«Sì, era al castello. Perché non l’hai accompagnato?»
La figlia di Salazar lo guardò in tralice e assunse un’aria furba.
«Dovevo fare una cosa» spiegò, rialzandosi in piedi.
Senza sapere esattamente perché, Roderick la imitò.
Lamia fece scrocchiare le dita con un gesto molto poco da regal dama che avrebbe tanto scontentato la zia di Roderick, ma che accresceva nel bambino l’ammirazione per l’amica. Subito dopo, la figlia di Salazar iniziò a soffiare tra i denti e a parlare in quella lingua che a Roderick faceva accapponare la pelle ogni volta che la udiva. L’erba risuonò di fruscii che sembravano un’eco del richiamo di Lamia e comparvero due lunghi serpenti verde smeraldo con gli occhi lucenti come bottoni. Roderick trattenne a stento un brivido di disgusto davanti a loro e notò che i due rettili tenevano in bocca una ghirlanda di fiori, che lasciarono ai piedi del bambino. Dopodiché si diressero verso Lamia e Roderick ebbe l’impressione che si stessero inchinando a lei, poi con un ultimo sibilo tornarono a nascondersi nel fitto dell’erba.
«Coraggio, prendila!» sogghignò Lamia, indicando la corona di fiori. L’amico si guardò intorno con aria circospetta per controllare che altri rettili non spuntassero da chissà dove, poi obbedì.  Le dita di Roderick sfiorarono le corolle di caprifogli, cardi, gladioli e altri fiori che lui non fu in grado di riconoscere. Inspirò a fondo, e un profumo intenso si insinuò nelle sue narici.
«È bellissima» commentò, colpito. «È per il mio compleanno? Non dovevi, tuo padre mi ha già fatto un regalo.»
«Oh» rispose Lamia. «Ma questo è esclusivamente da parte mia. Non potevo non fare niente per il compleanno del mio migliore amico.»
Roderick sorrise sollevando un sopracciglio. La corona di fiori era molto bella ed era evidente che Lamia l’avesse composta da sola, ma l’idea di farla trasportare da due serpenti non era che un modo dispettoso per prendere in giro l’amico, visto il suo timore dei rettili. Anzi, si disse Roderick, non è che lui avesse paura dei serpenti, semplicemente gli facevano senso, cosa che accadeva alla maggior parte delle persone. Ma avere Lamia come compagna di giochi comportava, come effetto collaterale, l’occasionale compagnia di qualche serpentello, animale che con lei e suo padre aveva una particolare affinità. Inoltre Roderick la conosceva abbastanza da sapere quanto Lamia sapesse essere dispettosa a volte. Ma sapeva anche che quello era il suo modo di manifestare il suo affetto, o almeno questa era stata la spiegazione di Rowena – spiegazione che per altro lo convinceva – così Roderick rimaneva paziente di fronte agli scherzi dell’amica.
«A proposito, che ti ha regalato mio padre?» chiese Lamia.
Roderick le mostrò la bacchetta e lei trattenne il fiato.
«Ma è bellissima! Così ora anche tu ne hai una.»
La bambina trasse dalle pieghe del suo vestito la sua bacchetta e la confrontò con quella dell’amico. Quercia rossa, ideale per le persone sveglie, dai riflessi pronti e dal tocco leggero, dieci pollici e mezzo, molto flessibile, nucleo di ceneri di Ashwinder. Roderick ne conosceva ogni caratteristica perché Lamia, da quando l’aveva ricevuta per il suo compleanno quattro mesi prima, gliel’aveva descritta almeno un centinaio di volte.
«Già, così non potrai più vantarti nei nostri giochi di essere l’unica di noi con una bacchetta!» rise Roderick.
Descrisse all’amica le caratteristiche della sua bacchetta e si soffermò in particolare sul nucleo e sulla provenienza del legno. Lamia, dopo averlo ascoltato attentamente, portò le ginocchia al petto e assunse un’aria sognante, come se stesse contemplando qualcosa di bello che si trovava molto lontano dal punto in cui sedevano loro.
«Anche la tua bacchetta è in grado di ricordarti i tuoi genitori.»
Roderick annuì. Sapeva che quella di Lamia era appartenuta a sua madre, morta undici anni prima nel darla alla luce.
Strinse con più forza la sua. Quando Salazar gliel’aveva regalata, lui ne aveva colto il reale significato e l’aveva apprezzata, ma, adesso che si era reso conto che lo avvicinava maggiormente a Lamia, la apprezzava ancora di più.

Rowena calcava con decisione il pavimento del suo studio nella torre ovest del castello. Ogni volta che si fermava, non riusciva a contemplare il paesaggio fuori dalla finestra per più di pochi istanti che si rimetteva in moto.
Il nervoso dinamismo della strega contrastava con l’impassibilità di Salazar, seduto mollemente su una sedia imbottita e rivestita di velluto blu.
«Non capisco perché sei così agitata» sospirò il mago, come se l’intera faccenda per lui non fosse che un’inezia. Il tono che usò, se possibile, irritò ancora di più Rowena.
«Non lo capisci?» domandò la strega con voce stridula, fermandosi di botto davanti a lui. Tese un braccio per indicare qualcosa che si trovava in un punto imprecisato alle sue spalle e continuò: «Hai regalato a Roderick una bacchetta contenente un capello di sua madre!»
«E il legno della viella di suo padre, e allora? Sono certo che lui abbia apprezzato, si tratta di un modo per fargli sentire che i genitori gli sono vicini, o almeno questo è quello che dice Lamia a proposito della bacchetta di sua madre.»
Salazar ruotò gli occhi nelle orbite e mosse la mano in direzione di Rowena in un gesto casuale. La strega pestò un piede, stizzita.
«Sono lieta che tu ti sia ispirato ai sentimenti di tua figlia» disse in tono sarcastico. «Forse ti è sfuggito che la madre di Roderick non è morta, ma è fuggita chissà dove dopo aver ucciso suo marito!»
 Salazar socchiuse gli occhi, si strinse il setto nasale tra l’indice e il pollice e scosse la testa. «Io non so proprio come ti sia venuto in mente di mettere nella bacchetta destinata a Roderick un pezzo dell’assassina di suo padre!» continuò a inveire Rowena, sollevando le braccia verso il cielo e lasciandole ricadere lungo i fianchi ricoperti da una veste argentea. Alcune ciocche di capelli scuri erano sfuggite alla treccia in cui erano acconciati e si agitavano scompostamente intorno al suo viso.
«Ma si tratta sempre di colei che lo ha messo al mondo» ribatté Salazar, pungente. «Non abbiamo raccontato a Roderick del suo crimine e lui sente la mancanza di sua madre. Sì, Rowena, che ti piaccia o no. Non è colpa mia se Vistoria ha fatto quello che ha fatto, Rastor avrebbe dovuto scegliere con più attenzione con chi accoppiarsi.»
Rowena sollevò una mano e per un attimo Salazar temette che volesse schiaffeggiarlo.  La strega si allontanò da lui, continuando a fremere di rabbia, poi si accasciò su uno scranno vicino alla finestra fino a tenersi la testa tra le mani.
Salazar scattò in piedi e si diresse prontamente verso di lei. Aveva parlato senza riflettere, o meglio assecondando quella vena di pungente sarcasmo che la faceva da padrone in lui. Così facendo però aveva ferito Rowena, e la cosa lo fece sentire immensamente stupido.
«Mi dispiace, non volevo dire quello che ho detto.»
«Tu c’eri quando ho trovato Rastor, hai visto cosa gli ha fatto lei!» La voce della strega era una via di mezzo tra un ruggito e un singhiozzo, e con suo sommo orrore Salazar si accorse che il suo volto, solitamente impermeabile alle emozioni, era rigato dalle lacrime.
«L’ho visto» tentò di rimediare il mago, impacciato, a pochi passi da lei. «Volevo solo dire che nulla può cambiare il fatto che Vistoria sia la madre di Roderick. Tuo nipote è per metà Veela, anche se non ti piace non puoi cambiare il fatto che sia figlio di Vistoria, nonostante le cose terribili che lei ha fatto. Fa parte di Roderick.»
Rowena aveva smesso di piangere e si era calmata. Fissava insistentemente la gonna del suo abito, come se si fosse vergognata di essersi fatta vedere in quel momento di debolezza.
«Forse il mio gesto ti sembra discutibile» continuò Salazar, cercando di risuonare il più convincente possibile, «ma non volevo sconvolgerti. Ho solo pensato di usare come elementi della bacchetta ciò che è più vicino al ragazzo. Metà di Roderick è l’immagine di Rastor, l’altra metà è lo specchio di Vistoria. A conferma di quello che ti sto dicendo, la bacchetta l’ha scelto subito, con una rapidità che, Ollivander stesso te lo confermerà, è inusuale.»
Salazar non aveva più nulla da dire, ma si sforzò comunque di inventare qualcosa perché il silenzio in quella stanza era insopportabile. Dopo quelli che al mago sembrarono istanti lunghi come anni, Rowena si raddrizzò nuovamente, riprendendo il suo consueto contegno, e si asciugò gli occhi con un gesto elegante della mano. Salazar ebbe quasi voglia di sospirare di sollievo: Rowena sembrava essere ritornata in sé. Tese allora una mano nella sua direzione e si accostò a lei, ma, prima che potesse toccarla in alcun modo, lei lo respinse con gesto freddo e distaccato.
«Che cosa significa?» domando il mago, turbato.
Rowena gli rivolse un’espressione glaciale e si alzò dallo scranno che occupava.
«Credo che sia il caso di richiamare mio nipote e tua figlia. Si è fatta ora di pranzo, dovreste andare.»
Senza aspettare risposta da Salazar, Rowena lo superò, incedendo con passo sicuro e mento alto, e uscì rapidamente dalla stanza. Il mago rimase a guardare la cornice della porta attraverso la quale la strega era sparita, come imbambolato. Quando poi si riscosse si rese conto che sì, forse la cosa migliore per quel giorno era prendere Lamia e tornarsene a casa.






NdA: Facciamo la conoscenza di Garland Ollivander. Ho scelto questo nome per farlo iniziare con la G, dato che gli unici Ollivander di cui sappiamo qualcosa sono Garrick, il fabbricante dell’epoca di Harry, e Gervaise, suo padre. Non volevo interrompere la tradizione di famiglia di nomi con la G.
Le informazioni sul legno delle bacchette sono tratte direttamente da Pottermore. I materiali sono stati scelti appositamente per abbinarsi con le personalità dei proprietari, inoltre le vielle venivano costruite veramente in acero. Parlando dei nuclei, invece, su Pottermore ho letto che sono stati standardizzati da Garrick Ollivander solo in epoca recente, e che invece in passato fosse abituale utilizzare elementi cari al portatore di bacchetta. Inoltre questa cosa, riferita ai notabili figli/nipoti dei Fondatori, fa ancora più “noble chic” u.u La ragione per cui ho scelto il capello di Vistoria per Roderick è evidente, per Lamia ho scelto le ceneri di Ashwinder, che è effettivamente un serpente.
Ribadisco che lo Statuto di Segretezza non è stato ancora approvato e che non ci sono restrizioni all’uso della magia per i minorenni.
Altro personaggio introdotto: Lamia Slytherin, che cara ragazza. Il nome deriva dalla donna serpente della mitologia greca. Figlia di Salazar e una strega purosangue morta di parto, ha ereditato dal paparino la capacità di parlare in Serpentese.
Alcuni dei fiori del regalo che ha realizzato per Roderick sono tipicamente scozzesi.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Quella mattina, Roderick si alzò di soprassalto, pervaso da una scarica di eccitazione che gli impediva di risposare oltre. Come notò osservando il cielo fuori dalla sua finestra, il sole era sorto da poco, ma lui pensò comunque di iniziare a lavarsi e a vestirsi.
Fino a quel momento, il primo settembre non aveva rappresentato per Roderick niente di particolare. A volte il bambino era stato curioso di vedere i volti dei nuovi allievi dei Fondatori, altre volte era stato solo infastidito perché le sue esplorazioni dovevano essere necessariamente ridimensionate. Quel giorno le cose sarebbero cambiate, e il primo settembre sarebbe stato per lui l’inizio del suo anno scolastico.
Una cosa che lo incuriosiva molto era scoprire che tipo di compagna di studi sarebbe stata Lamia. Entrambi sarebbero stati allievi del padre di quest’ultima e avrebbero passato molto più tempo insieme rispetto al solito.
Inizialmente, Roderick aveva immaginato che, giunto il suo momento di diventare uno studente di Hogwarts, sarebbe stato un allievo di sua zia. Rowena stessa l’aveva dato per scontato molte volte, e per Roderick era diventata ormai cosa certa. Quando Lord Slytherin gli aveva chiesto di unirsi ai suoi allievi, il giovane Ravenclaw era rimasto sorpreso, ma nello stesso tempo si era sentito molto più leggero. Negli anni in cui la zia Rowena gli aveva fatto da istitutrice, Roderick aveva scoperto quanto fosse esigente. L’idea di studiare con lei anche le materie magiche lo rendeva un po’ nervoso: sarebbe stato molto difficile dimostrarsi alla sua altezza e, se non ci fosse riuscito, l’avrebbe delusa. Con Lord Slytherin invece si sentiva molto più a suo agio: studiare con lui sarebbe stato più facile, inoltre l’avrebbe tenuto lontano dalla zia, così non avrebbe corso il rischio di disattendere le aspettative di nessuno.
 
Rowena si svegliò quella mattina a causa di un impudente raggio di sole che aveva fatto il suo ingresso tra le cortine blu del suo baldacchino, non perfettamente tirate. Si mise a sedere sul materasso, con la schiena contro i cuscini, e iniziò a districare le ciocche di capelli scuri che la sera prima aveva legato in una morbida treccia. Prima che potesse evitarlo, la sua mente era già a tutti gli impegni che avrebbe dovuto affrontare quel giorno.
Tutto era pronto per l’arrivo di Helga, Godric, Salazar e dei loro allievi, che sarebbero diventati stabili inquilini di Hogwarts per i successivi nove mesi. Il custode, Hankerton Humble, e gli Elfi Domestici avevano tirato a lucido le finestre, lustrato i pavimenti, ordinato le posate e le stoviglie d’oro, pulito tutti i camini e spolverato ogni mobile, quadro, arazzo, statua o armatura. Non che il castello fosse stato in condizioni, pietose visto che lei e Roderick ci vivevano stabilmente e ne curavano quotidianamente l’ordinaria pulizia, ma Rowena ci teneva a che fosse tutto perfetto per l’arrivo degli ospiti. Lo stesso discorso valeva per il parco, di cui si era occupato Harvey Keepwood, il guardiacaccia.
L’elenco dei suoi studenti era sul baule ai piedi del suo letto, i ragazzi erano stati tutti avvisati via gufo e sarebbero arrivati nell’arco della giornata. Il piano di studi era stato già deciso nei mesi precedenti con l’accordo di tutti i Fondatori, e ogni strumento, libro, ingrediente per pozioni o pergamena era al suo posto, in attesa di essere maneggiato dai giovani apprendisti. Gli Elfi Domestici avevano ricevuto indicazioni per il banchetto serale e Rowena non doveva più preoccuparsi di nulla. Questa, in particolare, non era un’ottima notizia. La strega detestava arrivare all’ultimo secondo con una miriade di faccende ancora da sbrigare, ma in quel caso era stata troppo efficiente. Preoccuparsi ancora di qualche piccola incombenza l’avrebbe aiutata a distrarsi, invece adesso non aveva nulla con cui tenere occupata la sua mente.
Finito che ebbe di lavarsi, la strega indossò una lunga veste color bronzo con le maniche svasate che le lasciavano scoperte le spalle. Terminata anche quell’operazione, si avvicinò alla cornice di pietra della finestra e guardò fuori. Keepwood stava rastrellando l’orticello dietro casa sua, le fronde della Foresta Proibita fremevano, la superficie del Lago Nero era increspata dal vento.
Rowena si portò le dita affusolate alle tempie. Lo sapeva che l’inattività l’avrebbe portata a pensare a suo fratello Rastor e a Salazar. Entrambi l’avevano ferita, ognuno a modo suo. Rastor non era stato il responsabile della sua sventura, eppure lei continuava ad avvertire la mancanza del fratello come se fosse stata una spina conficcata nel petto. Per quel che concerneva Salazar, da quando avevano litigato in quel modo lei aveva smesso di parlargli, tranne quando era strettamente necessario per prendere decisioni riguardanti la scuola. Il suo silenzio durava dal giorno del compleanno di Roderick, che risaliva a due settimane prima, ed era un grande cambiamento rispetto al consueto rapporto confidenziale che li legava. In cuor suo, Rowena sapeva che qualcosa tra di loro si era spezzato, e temeva che fosse irreparabile.
Non era stato il gesto in sé a causare la reazione della donna, quanto scoprire che Salazar non aveva tenuto conto dei suoi sentimenti. Certo, il mago si era regolato considerando il benessere di Roderick, un bambino al quale era stato raccontato che entrambi i genitori erano morti quando la loro carrozza si era ribaltata senza dar loro il tempo di usare i poteri magici per salvarsi, un bambino al quale mancavano sia la madre che il padre. Scoprire che in fondo Salazar non aveva avuto tutti i torti non semplificava le cose, semmai le rendeva più contorte. Rowena sapeva che, se avesse perdonato il mago, avrebbe avallato il modo in cui aveva ignorato l’effetto che il dono per Roderick aveva avuto su di lei, e non aveva nessuna intenzione di farlo. Avrebbe continuato nel suo atteggiamento freddo e risentito nei confronti di Salazar anche se gli altri non l’avrebbero capita, semplicemente perché non era in grado di provare dei sentimenti diversi. A dire il vero, le interessava la voce di una sola persona: quella di suo nipote Roderick. Salazar l’aveva conquistato, probabilmente prima del suo regalo di compleanno, e il bambino le aveva confidato di essere stato molto felice di diventare un suo allievo.
Rowena poggiò la fronte contro il vetro della finestra e graffiò il muro con le dita, strizzò gli occhi e riuscì a sento a reprimere un singhiozzo. Salazar l’aveva ferita in molti modi, ma l’ultimo era quello che le faceva più male.
 
Gli allievi dei quattro Fondatori giunsero a Hogwarts in diversi momenti della giornata, chi accompagnato dalla famiglia, chi in gruppetti con altri studenti. Alcuni arrivarono in groppa a Thestral o Ippogrifi, altri a cavallo  di manici di scopa, altri ancora a bordo di carrozze incantate.
Roderick e Lamia avevano trovato un bel posticino, in cima alle scale che portavano al primo piano, dal quale esaminare senza essere visti i nuovi arrivati che man mano si assiepavano in Sala Grande.
«Alcuni sembrano molto più grandi di noi» osservò Roderick.
«Di te, vorrai dire» lo rimbeccò Lamia, pizzicandogli una spalla con espressione furba. In effetti Roderick aveva una corporatura particolarmente minuta e delicata, ereditata sicuramente dalla madre. Al bambino non interessava che tutti gli adulti sostenessero che aveva un viso d’angelo e che crollassero come sacchi di patate a ogni suo sorriso, lui voleva essere più robusto. Non necessariamente imponente come Lord Gryffindor, ma almeno con un aspetto tale da sembrare una persona che contava. Sua zia lo aveva assicurato che sarebbe sicuramente cresciuto in altezza dato che suo padre era molto alto, e a Roderick tanto era bastato.
«Guarda, ci sono anche gli studenti degli anni successivi al nostro!» indicò il giovane Ravenclaw per distogliere l’attenzione dell’amica dalla sua corporatura. «Ed ecco Humble, il custode!»
«Di sicuro Pix lo farà uscire di testa anche quest’anno» sghignazzò Lamia. A lei piaceva molto il Poltergeist, e Roderick si unì alla sua risata.
In quella, Lord Slytherin attraversò il corridoio del primo piano, giungendo fino alle loro spalle.
«Si può sapere che state combinando?» domandò con voce velatamente critica. I due ragazzini sussultarono e si affrettarono a tirarsi in piedi e a ricomporsi. «Lamia, una Lady non siede a terra in quel modo.»
«Sì, padre» annuì lei, chinando la testa fino a che lunghe ciocche di capelli lisci e biondi non ricaddero sul suo viso.
Salazar le lanciò un’ulteriore occhiata di rimprovero, dopodiché superò entrambi e iniziò a scendere lungo la scalinata di marmo.
«Il banchetto sta per iniziare. Affrettatevi, prima che la scala decida di cambiare direzione.»
Quando Lord Slytherin fu sufficientemente lontano, Lamia sibilò all’orecchio di Roderick:
«Hai tutte le fortune… mio padre non ti sgrida mai!»
 
Secondo l’opinione di Roderick, il banchetto di benvenuto di quella sera fu il più gustoso della storia di Hogwarts, o forse era l’idea di parteciparvi come studente e non solo come nipote di una Fondatrice che dava quel sapore speziato a ogni piatto. Lui e Lamia si erano seduti, uno accanto all’altra, al primo tavolo a sinistra, quello la cui lunghezza si proiettava verso il posto occupato da Lord Slytherin al desco degli insegnanti. L’aria risuonava di chiacchiere, scoppi di risa ed esclamazioni di giubilo, i piatti d’oro si riempivano come per magia delle leccornie più squisite che i ragazzi avessero mai assaggiato.
«Non ho mai mangiato niente di simile!» esclamò infatti il ragazzo seduto a fianco a Roderick mentre addentava una coscia di tacchino. Era un giovane alto, con le spalle larghe ricoperte da una veste color sottobosco bordata di pelo nero, rado e setoso. La sua fronte era spaziosa, i capelli lunghi fino alle spalle e pettinati con la riga al centro, gli occhi erano piccoli e scuri.
Roderick osservò con attenzione tutti i ragazzi seduti al suo tavolo, cercando di interpretare le loro espressioni: alcuni sembravano pieni di sé, altri erano taciturni e intimiditi, altri ancora a loro agio e già al centro dell’attenzione dei compagni. Tutti però erano evidentemente e profondamente eccitati per via dell’arrivo a scuola.
Terminato che ebbero di mangiare il dolce, i quattro Fondatori si alzarono dai loro posti e immediatamente la Sala Grande divenne silenziosa. Tutti i ragazzi li guardavano con avidità: ognuno di quei quattro era meravigliosamente vestito e irradiava intorno a sé un’aura di magia e autorità da far restare senza parole.
«A tutti un caloroso benvenuto alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts!» iniziò Helga, allargando le braccia a voler idealmente avvolgere gli occupanti dei quattro tavoli. «Gli studenti del primo anno potrebbero essere giunti alla scuola per accompagnare i fratelli più grandi e averla già conosciuta in quella occasione, oppure potrebbero non averla mai visitata. Anche in questa eventualità, non preoccupatevi: i vostri compagni più grandi sapranno farvi da guida tra i segreti del castello.»
Al loro posto al tavolo degli allievi di Lord Slytherin, Roderick e Lamia si scambiarono un sorriso complice. Dubitavano fortemente che il Capiscuola o i Prefetti della loro Casa conoscessero la scuola meglio di loro.
«Per i primi tempi, quello che è importante è che capiate dove si trovano la vostra Sala Comune e le aule dove si terranno le lezioni» continuò Lord Gryffindor, «poi ogni cosa verrà da sé. Parlando delle lezioni, saremo io, Lord Slytherin, Lady Hufflepuff e Lady Ravenclaw a occuparci della vostra istruzione. Quando i Capiscuola vi accompagneranno nelle rispettive Sale Comuni, troverete ad attendervi delle pergamene con gli orari dei corsi e i nomi delle aule in cui si terranno.»
«Sappiate» si intromise Lord Slytherin, «che i vostri meriti scolastici aumenteranno il prestigio della vostra Casa e del suo Fondatore.» A quel punto, il mago si interruppe per ammiccare in direzione degli altri tre, strappando qualche risolino ai suoi allievi. «I vostri demeriti invece getteranno onta sulla vostra Casa e su voi stessi. Impegnatevi duramente e sarete premiati, trascurate i vostri doveri e sarete puniti.»
Diversi studenti si scambiarono occhiate preoccupate, ma smisero di farlo quando si accorsero che Lady Ravenclaw aveva preso la parola.
«Ognuno di noi vi ha scelti personalmente perché incarnate le qualità che apprezziamo di più. So che i miei allievi» e qui Rowena si interruppe per far segno agli occupanti del tavolo a fianco a quello di Roderick di alzarsi, «mi soddisferanno grazie alla loro intelligenza, creatività e alla loro capacità di apprendimento.»
«I miei» le fece eco Lord Gryffindor, facendo a sua volta cenno ai ragazzi di alzarsi, «vi sorprenderanno per la loro audacia, lealtà e nobiltà d’animo.»
Lord Slytherin roteò gli occhi e continuò:
«Io condurrò i miei allievi alla grandezza facendo leva sulla loro ambizione, furbizia e intraprendenza.»
«I miei studenti» proseguì Lady Hufflepuff, «sopporteranno anche la più difficile delle prove con tolleranza, pazienza e costanza.»
A quel punto, tutti gli studenti erano in piedi, con gli sguardi incollati ai Fondatori. Lo stesso Roderick, quando aveva ascoltato il Fondatore della sua Casa parlare di grandezza, si era sentito pervadere da una straordinaria energia.
«Nel corso dei prossimi giorni» si avviò a concludere Lord Gryffindor, «capirete i meccanismi della vita a Hogwarts e dovrete attenervi al regolamento che potrete leggere in ognuna delle vostre Sale Comuni. In caso di dubbio, fatevi guidare dall’onestà, giustezza e lealtà.»
Il silenzio che seguì le sue parole non fu interrotto nessuno, neanche da Lord Slytherin che per un attimo era sembrato sul punto di voler obiettare qualcosa. Terminato il discorso dei Fondatori, i Capiscuola e i Prefetti di ogni Casa, studenti rispettivamente dell’ultimo e del quinto anno, iniziarono a far strada ai loro compagni. Roderick si avviò spontaneamente verso le scale, quando Lamia lo trattenne per una manica, e allora il ragazzino si accorse che i suoi piedi l’avrebbero automaticamente portato verso la torre ovest. Inizialmente, provò un brivido di malinconia e smarrimento: dopo undici anni trascorsi in quell’ala del castello, avrebbe dimorato in un posto diverso. Poi a quella stessa considerazione fu pervaso da un senso di eccitazione: ogni cambiamento portava in sé una potenziale avventura. Fu così che si avviò celermente dietro il Prefetto della sua Casa, salutando brevemente sua zia Rowena. Questa esitò alcuni istanti per osservare il passaggio degli allievi di Lord Slytherin, poi sparì dietro un arco di pietra, al seguito di una bambina dall’aria slavata e dai lunghi capelli castani.
Roderick e i suoi compagni scesero alcune scale umide e poco illuminate, finché non giunsero nei sotterranei. Il Caposcuola si posizionò davanti a un muro liscio e nero e declamò con voce chiara:
«Via ad magnitudinem!»
Immediatamente il muro scomparve e i ragazzi si ritrovarono all’interno di una sala che si estendeva in lunghezza, con le pareti e il soffitto in pietra e un camino di marmo che spalancava la sua bocca vuota. Dal soffitto pendevano delle lampade rotonde nelle quali ardevano alcune candele, il pavimento era occupato da alcuni divani scuri e da un grande tappeto verde e argento, sul quale campeggiava l’effige di un serpente avvolto nelle sue stesse spire. L’atmosfera della Sala Comune era tetra, illuminata dal flebile bagliore delle candele e da una luce verdastra, dovuta al fatto che, come aveva spiegato il Caposcuola, si trovavano sotto il Lago Nero. A quella affermazione, molti studenti avevano esclamato eccitati, ma Roderick non era riuscito ad emettere un fiato. Quella Sala Comune non aveva niente a che vedere con quella degli allievi di sua zia. Vivendo nella torre ovest, Roderick aveva avuto modo di apprezzarne innanzitutto la luminosità e l’ariosità, nonché la vista splendida sul parco. Non essendo ufficialmente uno studente, non aveva il permesso di accedere alla Sala Comune, abitata durante i nove mesi di scuola esclusivamente dagli allievi di sua zia. Tante volte però si era avventurato da quelle parti durante le sue esplorazioni estive, e il bello della Sala Comune Ravenclaw era che non c’era alcuna parola d’ordine a proteggerla dalle intrusioni altrui. Era bastato riflettere un po’ sulla domanda posta dal batacchio a forma di corvo, personalmente incantato da sua zia, e rispondere correttamente per entrare. A differenza della Sala Comune in cui si trovava attualmente, quella degli studenti di Rowena aveva un aspetto molto più accogliente, non era così fredda e umida, ma era costantemente inondata dalla luce solare.
«Bel posticino, vero?» gli chiese Lamia.
Non avendo cuore di deluderla con la sua risposta, Roderick annuì, seppur senza troppa convinzione.
Il Caposcuola e i Prefetti diedero le ultime indicazioni, dopodiché ogni studente si diresse verso il suo dormitorio. Roderick salutò Lamia e si avviò, insieme ad alcuni dei suoi nuovi compagni, lungo una scala a chiocciola. Giunse finalmente nel suo dormitorio: una stanza non troppo ampia costruita anch’essa nella pietra. Le cortine di velluto verde dei cinque letti, le morbide coperte, gli arazzi e i tappeti davano ad essa un’aria molto più ospitale e comoda della Sala Comune, e Roderick sospirò sollevato.
«Veramente un bel posto!» sussurrò un ragazzo entrato subito dopo di lui.
Roderick lo riconobbe all’istante: si trattava dello studente che, durante il banchetto, era stato seduto accanto a lui. Riavutosi dall’attimo di contemplazione in cui era caduto, il ragazzo si accorse della presenza di Roderick.
«Oh, ciao! Anche tu del primo anno, naturalmente. Io sono il barone Baldric Redslaught» si presentò, tendendo la mano all’altro, che la afferro e la scosse con energia.
«Molto piacere, io sono Roderick Ravenclaw.»
Per un attimo, il bambino si sentì a disagio: aveva davanti a sé un barone, e lui non aveva alcuni titolo con cui accompagnare il suo nome. La Lady era sua zia; se qualcuno lo chiamava Lord lo faceva per deferenza a Rowena, ma era un’attribuzione impropria. L’espressione di stupore che si dipinse sul volto di Baldric però interruppe quel corso di pensieri.
«Ravenclaw? Ma sei un discendente dell’illustre Fondatrice!»
Quella non era una domanda, ma una constatazione carica di meraviglia.
«Sono il nipote. Mio padre era il fratello di zia Rowena» rispose Roderick, facendo spallucce.
Baldric non aveva ancora chiuso la bocca, spalancata per lo stupore, che altri tre ragazzi fecero il loro ingresso nel dormitorio.
«Voi sarete i nostri compagni, vero?» domandò uno di quelli.
«Ma no, sono gli Elfi Domestici. Indovina?» fece un altro.
Roderick si voltò per guardarli. Chi aveva parlato per ultimo era un ragazzino smilzo dai corti capelli castano ramati, gli occhi marroni e lucenti e il mento troppo poco pronunciato. Quello che era in piedi accanto a lui era la sua copia esatta.
«Piacere, noi siamo i gemelli Uchelgais, Ruben e Alef. Siamo gallesi» specificò uno dei due fratelli con un sorriso orgoglioso che aveva in sé una vena di buon umore contagioso.
«Io sono Brayden Bush-League» annunciò il terzo ragazzo, un po’ troppo in carne per la sua età e con lisci capelli biondi tagliati a scodella. «Figlio dei signori del Gloucestershire.»
Terminate le presentazioni, i ragazzi si lavarono, indossarono le camicie da notte e si infilarono a letto. Roderick si accorse che quello che occupava era tanto morbido quanto quello in cui aveva dormito fino alla notte precedente. Chiuse gli occhi e affondò più comodamente nel guanciale. L’ultima cosa che udì prima di dormire fu il sibilo esterrefatto di Baldric.
«Hai capito? È il nipote di Lady Ravenclaw!»





NdA: Hankerton Humble è il custode di Hogwarts all’epoca dei Fondatori citato da Pottermore. Harvey Keepwood, il guardiacaccia, invece è un personaggio di mia invenzione. Per quanto riguarda i nomi dei miei OC, ho usato quasi sempre la tecnica della Rowling di creare un nome e/o cognome legato a una caratteristica del personaggio. Keepwood ne è la prima dimostrazione: “keep”, dall’inglese “mantenere”, “custodire”, “wood”, sempre dall’inglese “bosco”.
Sempre Pottermore spiega che, prima dell’Espresso, ognuno arrivava a scuola un po’ come gli pareva. Mi sono conformata a questa cosa, anche perché all’epoca gli studenti non dovevano essere troppo numerosi.
Niente canzone del Cappello Parlante o discorso di Silente prima del banchetto – ovviamente -, ma chiacchiere dei Fondatori alla fine.
Ho mantenuto le figure dei Prefetti e Capiscuola per la necessità di usare un certo prompt u.u
Quando, alla fine del discorso, Godric fa riferimento a “onore, giustezza e lealtà”, mi sono volutamente riferita al codice morale del cavaliere di epoca medievale.
La parola d’ordine della Sala Comune Slytherin la dice lunga, spero che il mio latino sia corretto.
Veniamo ora ai compagni di dormitorio di Roderick. Baldric Redslaught è proprio quel barone: il Barone Sanguinario. Infatti il cognome deriva da “slaughter”, che in inglese vuol dire massacro, inoltre il “red” dà l’idea del sangue. Uchelgais, il cognome dei gemelli Ruben e Alef, in gallese vuol dire “ambizione” (che ci vogliamo fare, son pur sempre allievi di Salazar). Bush-League, il cognome di Brayden, invece in inglese significa “mediocre” (sì, è il meno acuto dei cinque, nonostante si dia molto da fare. Amen, nella storia non servirà a molto). Ho voluto inserire qualche titolo nobiliare, sia perché il Barone Sanguinario era un barone, e sia per riprendere quel discorso di mescolanza di maghi e Babbani che ho introdotto nel prologo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 

Roderick era così emozionato all’idea di essere finalmente uno studente di Hogwarts, in particolare un allievo di Lord Slytherin, che faticò a dormire. Quando si assopì, il suo sonno fu agitato e costellato da immagini di sé che produceva incantesimi straordinariamente potenti sotto lo sguardo meravigliato dei suoi compagni e compiaciuto del Fondatore della sua Casa. I suoi sogni si confusero e intricarono man mano che le ore notturne si avvicendavano, finché non rimasero solo accecanti lampi rossi. Quando Roderick si svegliò di soprassalto, si accorse che era stato Baldric a scuoterlo.
Il giovane Ravenclaw si mise a sedere sul letto e si grattò il petto, sbadigliando. Per qualche istante faticò a riconoscere il luogo in cui si trovava, poi però si rese conto che era nel dormitorio nei sotterranei, non in quello nella torre ovest.
«Coraggio, Roderick, è già suonata la sveglia! Dobbiamo sbrigarci ad arrivare in Sala Grande» lo istruì Baldric.
«Cosa?» balbettò l’altro. Scese dal letto come una folgore, si lavò rapidamente e si vestì ancora più in fretta.
«Possibile che tu non abbia sentito nulla?» domandò Alef, che era già vestito di tutto punto. «Quella campana infernale mi ha quasi buttato giù dal letto con i suoi rintocchi.»
Il suo gemello portò una mano alla bocca per mascherare un sorriso, poi gli altri lo raggiunsero sulla soglia della porta e scesero la scala a chiocciola che li portava in Sala Comune. Lì Roderick incontrò Lamia, con i lucidi capelli biondi legati in una treccia e una pila di libri sottobraccio.
Tutti insieme, gli allievi di Lord Slytherin giunsero in Sala Grande e si accomodarono al loro tavolo. Non appena i piatti si furono riempiti di leccornie, cominciarono a fare colazione. Superando con lo sguardo la chioma rossiccia di Ruben e quella bionda di Brayden, Roderick osservò che i posti dei Fondatori erano vuoti. Quando Lamia si accorse di ciò, disse all’amico:
«Mio padre sta preparando le cose per la lezione della tarda mattinata, di sicuro gli altri staranno facendo lo stesso.»
Roderick annuì e continuò a consumare la sua colazione. Finito di mangiare, i ragazzi si alzarono come mossi da una sola molla. Seguendo Prefetti e Capiscuola, tutti gli studenti del primo anno uscirono dalla Sala Grande, attesero che una scala smettesse di ruotare, dopodiché affrontarono i gradini. Proseguirono ancora lungo un corridoio dalle pareti ricoperte da una miriade di quadri di ogni dimensione, mentre gli occupanti dei dipinti osservavano interessati il loro passaggio. Infine giunsero davanti a una soglia di legno chiaro ed entrarono.
L’aula aveva il pavimento in pietra quasi rosata, scrittoi di legno con penna e calamaio e una bella finestra ampia dalla quale entrava un sole tiepido. Su una pedana di legno con uno scrittoio più grande di quello degli studenti, Lady Hufflepuff dava le spalle alla finestra.
«Buongiorno, miei cari ragazzi. Accomodatevi, accomodatevi tutti.»
Roderick prese posto appena dietro Lamia, con Baldric alla sua sinistra e l’allieva slavata che la sera prima aveva visto in compagnia di sua zia alla sua destra.
«Pensavo che saremmo stati solo noi!» sibilò Lamia, voltandosi verso l’amico.
«Siamo tutti gli studenti del primo anno, del resto non siamo così tanti da formare più di una classe. Tuo padre non te l’ha detto?» le rispose Roderick, gongolando per il fatto di ricoprire, per una volta, una posizione di superiorità rispetto all’amica. Lamia gli fece la linguaccia e tornò a girarsi verso Lady Hufflepuff.
«Ora che siete tutti composti, possiamo iniziare la nostra lezione. Oggi vi insegnerò i rudimenti della Trasfigurazione! Qualcuno sa dirmi di cosa si occupa questa branca della magia? Sì, giovane Ravenclaw?»
Roderick abbassò la mano e rispose:
«Tratta della trasformazione di un oggetto in un altro, dell’arte di evocarlo o di farlo sparire.»
«Molto bene!» sentenziò Lady Hufflepuff, rivolgendogli un sorriso compiaciuto. Poi la strega tornò a rivolgersi al resto della classe. «Con la lezione di oggi, vi insegnerò a trasformare degli aghi di pino in veri e propri aghi da cucito.»
Molti degli studenti, specialmente allievi di Lady Hufflepuff, si scambiarono occhiate entusiaste all’idea. La Fondatrice trasse la propria bacchetta dalle pieghe del suo lungo abito giallo zafferano e si esibì in un rapido ed elegante movimento del polso. In quella, un piccolo cumulo di aghi di pino comparve sullo scrittoio di ogni studente. Altri mormorii interessati serpeggiarono nell’aula e giunsero alle orecchie dell’insegnante, che sorrise con affabilità.
«Nei prossimi mesi anche voi imparerete a fare comparire piccoli oggetti dal nulla, ma ora non distraiamoci e occupiamoci dell’incantesimo odierno.»
La strega impugnò un ago di pino e gli puntò contro la bacchetta. Dopo un fulmineo movimento a zig-zag disse:
«Acutus!»
Immediatamente, tra le sue dita scintillò un piccolo ago d’argento.
Diverse allieve esclamarono il loro stupore, poi Lady Hufflepuff invitò tutti a imitarla e per l’ora successiva l’aula risuonò di formule declamate e strilli di chi si pungeva le dita.
«Molto bene, cari ragazzi» esclamò a fine lezione la Fondatrice. «Avete dimostrato ottime capacità! Mi raccomando, esercitatevi a lungo e duramente, e questo incantesimo diventerà per voi facile come bene un bicchiere d’acqua.»
Quando anche gli ultimi studenti furono usciti dall’aula, Ruben mugugnò:
«Accidenti, io mi sono dato da fare, ma più aghi Trasfiguravo, più ne rimanevano da trasformare.»
Il gemello rise di lui e tornò a chiacchierare animatamente con Brayden.
«Io invece sono riuscita a Trasfigurare quasi tutti i miei aghi» si vantò Lamia con un sorriso luminoso.
«Sì, e anche a far levitare i rimanenti sullo scrittoio di Ruben» le sussurrò Roderick all’orecchio. L’amica scrollò i capelli e proruppe in una risata cristallina.
Dopo la lezione di Trasfigurazione, fu la volta di quella di quella di Storia della Magia. Roderick e gli altri suoi compagni di Casa non stavano nella pelle, dal momento che il corso sarebbe stato tenuto proprio da Lord Slytherin.
L’aula in cui il Fondatore li aspettava era ampia e ariosa, così diversa dai sotterranei che aveva consacrato a sua dimora per quei mesi. Le finestre partivano dal pavimento e giungevano fino al soffitto, e i loro vetri erano aperti e protesi verso il sole come ali ghiacciate di una misteriosa Creatura Magica.
Lord Slytherin era in piedi su una pedana molto simile a quella che si trovava nell’aula di Trasfigurazione, e aveva intrecciato le dita dietro la schiena.
«Prendete posto, rapidi» ordinò appena gli studenti ebbero fatto il loro ingresso in quell’ambiente. «Vorrei i miei allievi seduti ai primi posti. Su, forza, più celeri!»
Alcuni allievi di Lord Gryffindor e di Lady Ravenclaw si scambiarono degli sguardi straniti e dovettero alzarsi dai posti che avevano occupato per spostarsi nelle retrovie.
«Grazie» disse Lamia, rivolgendosi a uno di questi, abbozzando un ironico inchino.
Lei, Roderick e i suoi compagni di dormitorio si accomodarono e Lord Slytherin si schiarì la gola.
«Oggi parleremo di alcuni eventi che videro come protagonista una delle streghe più potenti al mondo, le cui conseguenze si riverberano sui giorni nostri. Sto parlando della fondazione di Roma.»
Roderick e Baldric si guardarono con la stessa espressione scettica. Il giovane Ravenclaw aveva conosciuto la grandezza dei Romani, popolazione giunta fino alle loro terre, attraverso ciò che sua zia gli aveva raccontato. Sapeva che, sebbene le cronache babbane dell’epoca non lo riportassero, molte figure di maghi e streghe avevano avuto un ruolo determinante nella storia di quel popolo, ma non aveva letto nulla a proposito della fondazione.
«Qualcuno di voi sa da chi è stata fondata la città di Roma?»
Le mani di Lamia, di Roderick e di un paio di allievi di Lady Ravenclaw scattarono in aria, ma Lord Slytherin le ignorò tutte, tranne una.
«Sì, Roderick?»
«Da Romolo, fratello gemello di Remo. Ma, che io sappia, erano entrambi Babbani.»
La perplessità del ragazzo era evidente, ma solo quando ebbe finito la frase si rese conto che aveva sbagliato a parlare in quel modo. Non voleva infatti che il Fondatore della sua Casa pensasse che era intenzionato a mettere in discussione le sue conoscenze.
Contro le aspettative di Roderick, però, Lord Slytherin scoppiò in una risata profonda.
«Molto bene, ragazzo, hai proprio ragione. Spero che tu conosca anche la leggenda che vede come protagonisti questi due gemelli.» Roderick annuì, chiedendosi dove Lord Slytherin volesse andare a parare. Il mago continuò: «Si narra che Marte, colui che i Romani adoravano come dio della guerra, si invaghì di una sacerdotessa, Rea Silvia, e la rese madre dei due gemelli, Romolo e Remo. Naturalmente, la sacerdotessa non poteva avere figli dato che aveva fatto voto di castità, così il re suo zio ordinò che i neonati venissero uccisi. Il servitore di ciò incaricato si impietosì e non riuscì a portare a termine il compito, così abbandonò i bambini sulla riva del fiume Tevere. Qui, sempre secondo la leggenda, furono trovati da una lupa, che si prese cura di loro e li salvò da morte certa. Vedete, qui la leggenda corrisponde a verità, tranne per un particolare: quella lupa non era una semplice fiera, era un Animagus.»
Gli studenti sgranarono gli occhi, sorpresi. Buona parte di loro, prima di giungere a Hogwarts, aveva ricevuto un’istruzione molto simile a quella di Roderick, ma nessuno aveva sentito parlare di un Animagus legato alla fondazione di Roma.
«Si chiamava Salvia, ed era una strega dai grandi poteri. Come studierete più avanti, non sono molti i maghi o le streghe capaci di diventare Animagi. Inoltre Salvia era anche una Veggente: anni prima, aveva profetizzato che uno dei due figli di Rea Silvia avrebbe cambiato il destino del mondo, ma non aveva visto quale. Quando i neonati furono abbandonati, Salvia corse in loro aiuto e si prese cura di loro. Come vedete, un semplice Babbano non avrebbe potuto fondare il regno, che poi si trasformò in una Repubblica e dopo ancora in un Impero che dominò il mondo. Senza l’intervento della strega Salvia, nessuno avrebbe mai sentito parlare di Romolo e di Roma.»
La lezione di Lord Slytherin proseguì ininterrottamente, accolta da un attento silenzio che sarebbe stato totale senza il rumore del grattare delle penne sulle pergamene. Quando il Fondatore finì di parlare, Roderick aveva riempito un intero rotolo di appunti. Il mago diede agli allievi il permesso di alzarsi.
«Voglio che impariate bene la lezione per la prossima volta che ci vedremo perché sicuramente interrogherò.»
Con queste parole, Lord Slytherin uscì dall’aula con un turbinio del suo mantello scuro.
«Diamine, l’avreste mai detto?» domandò Alef ai suoi compagni di dormitorio una volta che anche loro furono nel corridoio.
«Che mio padre era così severo? Ebbene sì, lo conosco da parecchio tempo» rispose Lamia, caricandosi del peso della sua borsa e strappando un sorriso ai gemelli.
«No, voglio dire di Salvia. Non avevo idea che una strega fosse coinvolta nella fondazione di Roma!»
Gli altri annuirono, Roderick stesso era alquanto perplesso. Sapeva tante cose su Roma e su quel grande Impero che aveva dominato il mondo fino a pochi secoli prima, ma quella versione della storia per lui era una novità. Il che gli confermò che Lord Slytherin doveva essere davvero un grande mago per conoscere tutte quelle cose.
 
Gli allievi di Lord Slytherin consumarono un lauto pasto in Sala Grande, dopodiché avevano circa tre ore libere prima delle lezioni pomeridiane. I gemelli Uchelgais ne approfittarono per andare in esplorazione all’interno del castello, mentre Brayden annunciò che sarebbe andato in Guferia per spedire una lettera. Roderick, Baldric e Lamia rimasero in Sala Comune.
«Non sarebbe meglio iniziare a studiare la lezione di Lord Slytherin?» azzardò Ravenclaw.
Baldric, che era mollemente adagiato su uno dei divani neri, mosse pigramente un piede nella sua direzione.
«Non ci penso proprio, abbiamo già studiato abbastanza per oggi.»
«Si direbbe quasi che non siate abituato a far lavorare il cervello, barone» lo canzonò Lamia.
Baldric, per nulla offeso, si sedette con maggiore compostezza e sfilò la bacchetta dai calzoni.
«Ho passato un sufficiente numero di anni ad ammuffire sui libri, Lady Slytherin, grazie. Se proprio dobbiamo studiare, preferisco esercitarmi con l’incantesimo che abbiamo imparato oggi a Trasfigurazione.»
Fu così che i tre, un po’ esercitandosi, un po’ scherzando, trascorsero il tempo che li separava dalla lezione successiva. Dopodiché si recarono nel parco, dove si sarebbe tenuta la lezione di Cura delle Creature Magiche.
Attraversando la distesa d’erba verde che costeggiava i giardini di Lady Hufflepuff, gli studenti vennero travolti da una sinfonia di straordinari profumi così dolci da rischiare di stordirli. Superarono la casa del guardiacaccia Keepwood e giunsero al limitare della Foresta Proibita. Lì trovarono Lord Gryffindor ad attenderli. Il mago indossava una casacca bruna e un cinturone di cuoio come gli stivali e i guanti alle estremità delle braccia nerborute. Un leggero alito di vento smuoveva i suoi capelli castani, lunghi fin sotto le orecchie.
«Buon pomeriggio, studenti» esordì, incrociando le braccia sull’ampio petto. «Venite tutti intorno a me, così potrete vedere la creatura che sarà l’oggetto della nostra lezione.»
Lamia, Roderick e gli altri allievi di Lord Slytherin si fecero largo tra gli altri studenti. Lord Gryffindor chiamò Keepwood e questi giunse poco dopo con una gabbia di legno tra le mani, nella quale era appollaiato un uccello nero, il cui piumaggio, se colpito dai raggi del sole pomeridiano, mostravano dei riflessi verdastri. Alla vista di quella creatura, alcuni studenti si tirarono indietro.
«Ma… Lord Gryffindor!» chiamò Brayden nervosamente. «È un Augurey!»
«Bene, onore agli studenti del signore della cordialità, Lord Slytherin» esclamò l’insegnante con un sorriso franco sul volto.
Brayden storse il naso, segno che non aveva gradito la presa in giro, seppur bonaria, del Fondatore. In ogni caso non disse nulla, ma continuò a guardare l’uccello che li fissava con aria smarrita dalla gabbia nelle mani di Lord Gryffindor.
«Vi chiedo perdono» continuò l’allievo di Lord Slytherin, «ma quell’uccello porta sfortuna!»
Lord Gryffindor proruppe in una sonora risata.
«Che ridicolaggine è mai questa? Questo Augurey non è un portatore di morte, ma di pioggia. E ora, se vorrete finirla con le sciocche superstizioni e avrete la bontà di ascoltare cosa ho da dirvi, vi spiegherò perché.»
Offeso a morte, Brayden distolse lo sguardo dal mago e prese a scavare nella sua borsa. Per tutta la durata della lezione non sollevò il naso dal rotolo di pergamena che ne aveva tratto, anche se Roderick aveva notato che non vi aveva scritto sopra neanche una sillaba.
La lezione di Lord Gryffindor fu interessante e a suo modo avvincente, ma Roderick cercò di non godersela troppo perché lui, come gli altri suoi compagni di Casa, non aveva dimenticato il modo con cui il mago aveva canzonato Lord Slytherin.
Terminate anche le due ore di Cura delle Creature magiche, gli studenti del primo anno di Hogwarts rientrarono al castello che il sole aveva appena iniziato a tramontare. Nel suo dormitorio, Roderick si diede una ripulita e si cambiò per la cena. Quando scese in Sala Grande, si accorse che i suoi compagni di Casa erano già seduti al loro tavolo. Il ragazzino sventolò così una mano nella loro direzione, ma non fece in tempo ad avanzare di un passo che una figura slanciata gli si parò davanti.
«Allora, nipote, com’è andato il primo giorno di lezione?»
Rowena sorrideva, ma una piccola ruga tra le sopracciglia rivelava che non fosse totalmente serena.
«Bene, zia» rispose Roderick, continuando a lanciare occhiate nervose in direzione dei suoi amici, «ma forse adesso non dovrei parlare con voi. Sono un allievo di Lord Slytherin…» Il solco tra le sopracciglia di Rowena si approfondì, così il nipote si affrettò a specificare: «Non vorrei che i miei compagni pensassero che voi mi privilegerete nei vostri corsi per via della nostra parentela.»
Rowena esitò un attimo e fece scoccare la lingua.
«D’accordo, potresti avere ragione. Ma abbiamo trascorso la giornata totalmente separati e vorrei conoscere le impressioni di mio nipote sul primo giorno di studi. Al termine della cena, ti aspetterò in torre ovest prima che tu torni nei sotterranei.»
Senza attendere una risposta, la strega gli voltò le spalle e andò a sedersi al tavolo con gli altri Fondatori, mentre Roderick raggiunse i suoi compagni di Casa.
Terminato di cenare, il ragazzino si alzò, ma non rivelò agli amici dove stesse andando. Giunse in torre ovest il più rapidamente possibile – nonostante Pix, attraversando il suo cammino, avesse fatto cadere alcune armature, sperando che il custode Humble lo incolpasse, ma ciò era accaduto in danno dell’allieva slavata di sua zia – e raggiunse Rowena nella sua stanza.
«Allora? Raccontami tutto!»
Con un po’ di riluttanza, Roderick iniziò il suo resoconto. Man mano che parlava, però, acquisiva sempre maggiore scioltezza, che si trasformò in autentico entusiasmo quando raccontò della lezione di Lord Slytherin.
«Cosa?» lo interruppe Rowena quando Roderick aveva iniziato a parlare di Salvia. «Cosa ha detto, Lord Slytherin?»
Roderick strabuzzò gli occhi e Rowena continuò, quasi parlando a se stessa:
«Il fatto che quella lupa fosse un Animagus è una teoria minoritaria! La maggior parte degli storici sostiene che si trattò solo di una leggenda.»
«Ma le leggende hanno sempre un fondo di verità!» si oppose Roderick.
«E questo chi te l’ha detto? Lord Slytherin? Quell’uomo vuole solo dimostrare a tutti i costi che maghi o streghe hanno permesso il venire ad esistenza dell’Impero più grande del mondo…»
Rowena si interruppe, nonostante la sua espressione rimanesse scettica. Considerando quanto fosse prudente e ragionevole la zia, Roderick immaginò che dovesse essersi accorta che criticare un suo collega dinanzi a un allievo non era la mossa più saggia da fare. Dopo qualche istante, la Fondatrice addolcì l’espressione.
«Va bene così, Roderick, non preoccuparti. Sono contenta che le lezioni abbiano catturato il tuo interesse. Ora vai, altrimenti farai tardi. Buonanotte, ci vediamo domani.»
Roderick si allontanò rapidamente dalla torre ovest, sperando di arrivare in Sala Comune abbastanza presto da trovare i suoi amici ancora alzati.





NdA: come ho già iniziato a delineare negli scorsi capitoli, gli studenti di Hogwarts non sono ancora tantissimi, perciò tutti quelli del primo anno, senza distinzione alcuna, riescono comodamente a seguire una lezione insieme. Sono i Fondatori a fare lezione.
La lezione di Salazar l’ho totalmente inventata, volevo mettere in evidenza fin da subito il suo razzismo. Salvia è un nome che derivato dal latino “salvus” per ricordare come ha salvato i gemelli. Ho pensato inoltre che i personaggi della mia storia, vivendo qualche secolo dopo la caduta di Roma, vedessero quell’impero come la cosa più figa del mondo (del resto nel Medioevo c’era il culto di ciò che era romano, in particolare del diritto).
Spero che questo capitolo non sia noioso. Ho voluto dare uno sguardo all’organizzazione delle lezioni di Hogwarts visto che non mi ci concentrerò più avanti, inoltre volevo dare un po’ di spazio ai tre Fondatori che finora sono stati un po’ nell’ombra. Con la lezione di Salazar, ho voluto mostrare un aspetto un po’ manipolatore di lui che sarà importante più avanti, inoltre la reazione di Rowena getta qualche semino di quella discordia tra i Fondatori che si verificherà nel prosieguo della storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


I primi mesi trascorsi a Hogwarts furono per i nuovi allievi tanto interessanti quanto lo era stato il primo giorno di lezione. Ogni cosa esercitava sugli studenti del primo anno un fascino irresistibile, e ciò valeva anche per Lamia e Roderick, che conoscevano la scuola meglio e da prima degli altri.
Man mano che le lezioni si susseguivano, i ragazzi avevano approfondito la conoscenza con i quattro Fondatori: Lord Gryffindor insegnava, oltre a Cura delle Creature Magiche, Difesa contro le Arti Oscure e, per gli allievi più grandi che richiedevano conoscenze approfondite, Aritmanzia. Lord Slytherin era il maestro di Storia della Magia, Incantesimi e, per chi lo voleva, Divinazione. Lady Hufflepuff istruiva gli allievi in Trasfigurazione, Erbologia e Antiche Rune a scelta degli studenti più grande. Similmente, la materia facoltativa insegnata da Lady Ravenclaw era Volo, mentre le sue lezioni di Pozioni e Astronomia erano obbligatorie per tutti.
Fin da subito, Roderick aveva mostrato di prediligere le materie insegnate da Lord Slytherin, anche se non sapeva se ciò fosse dovuto al fascino che il maestro esercitava su di lui o a una inclinazione personale.
Quella mattina, il giovane Ravenclaw era seduto al familiare tavolo della Sala Grande, attorniato da Lamia, Baldric, Brayden e dai gemelli Uchelgais. Tutti e sei stavano pregustando la fine della settimana scolastica, annunciata fin dalle prime ore dell’alba da un bel sole dorato dopo un’intera settimana di pioggia.
«Dovremo anche studiare ed estrarre il succo dalle rose di Lady Hufflepuff» puntualizzò Lamia, storcendo il naso.
«Nonché scrivere la ricerca su non so quale creatura oscura per Lord Gryffindor» le fece eco Alef.
I sei allievi di Lord Slytherin si scambiarono l’un l’altro occhiate eloquenti, dopodiché scoppiarono contemporaneamente in una fragorosa risata che fece guadagnare loro le occhiate stranite dei compagni agli altri tavoli.
Non appena ebbero preso fiato, i ragazzi terminarono la colazione e, borsa in spalla, si apprestarono per dirigersi verso l’aula di Incantesimi per due ore di lezione con il loro Capocasa. Roderick aveva appena spinto la panca di legno per alzarsi, quando gli venne incontro quella ragazzina dai lunghi e piatti capelli castani e dall’aria slavata che vedeva spesso in compagnia di sua zia.
«Roderick Ravenclaw?» domandò timidamente, accennando un inchino nella direzione del ragazzo.
Questi lanciò delle occhiate ironiche ai suoi amici prima di annuire.
«Lady Ravenclaw desidera vedervi. Vi sta aspettando nella torre ovest» disse la ragazzina tutto d’un fiato.
Roderick storse il naso: credeva di essere stato chiaro con sua zia sul fatto che non voleva che a scuola calcasse sulla loro parentela, specialmente davanti ai suoi compagni.
«Adesso ho lezione di Incantesimi. Puoi dire a Lady Ravenclaw che la raggiungerò più tardi.»
Con quelle parole, Roderick si mise la borsa a tracolla e fece per allontanarsi.
«Mi dispiace.»
Roderick fu costretto a fermarsi e con occhi sgranati notò che la ragazzina lo stava trattenendo per un braccio. Lei era arrossita violentemente e teneva lo sguardo scrupolosamente puntato verso il basso, nel determinato tentativo di evitare gli occhi di lui.
«Mi dispiace» ripeté l’allieva di Rowena. «Non è possibile. La mia Capocasa mi ha detto che avrei dovuto insistere perché è una questione della massima importanza. Ha detto che Lord Slytherin può aspettare e che, se del caso, sarà lei a scusarti con lui.»
Roderick, sempre più sorpreso, si accorse di non avere altra scelta. Salutò gli amici con la richiesta di tenergli un posto accanto a loro nell’aula di Incantesimi e si avviò dietro la ragazzina bruna. Conosceva bene la strada più breve per arrivare nella torre ovest, ma, con aria diabolicamente divertita, incedeva alle sue spalle. Se lei doveva essere la sua guida, che si godesse il momento. Dal canto suo, la brunetta camminava con piccoli passi rapidi e nervosi, in silenzio. Roderick immaginò che, se avesse potuto vedere il suo viso, vi avrebbe letto lo stesso disagio che aveva intravisto quando lei l’aveva trattenuto, il che lo divertiva molto. Ma anche quella piccola soddisfazione ben presto svanì; al sesto corridoio, dopo tre rampe di scale, ne aveva già abbastanza di quel silenzio.
«Come ti chiami?»
La ragazzina non rispose subito, continuando imperterrita ad avanzare, ma, quando lo fece, la sua voce risultò particolarmente flebile.
«Abigail Preshy.»
«E da dove vieni, Abbie?» continuò Roderick, affondando le mani nelle tasche della sua palandrana. Notò che le spalle della ragazzina venivano scosse da un tremito e sorrise compiaciuto. In quel momento si rese conto di essere dispettoso tanto quanto Lamia.
«Sono originaria del Derbishire. Provengo da una famiglia di Babbani.»
Quando Abigail si accorse che il rumore di passi del suo accompagnatore si era interrotto, si fermò a sua volta e si voltò.
«Tutti Babbani? Davvero? E da dove credi di aver preso i tuoi poteri?»
Abigail si strinse nelle spalle e rispose con noncuranza:
«Non lo so. Un giorno ho scoperto di poter fare magie, tutto qui. Qualche tempo dopo abbiamo ricevuto la visita di Lady Ravenclaw, che si è premurata di venirmi a conoscere di persona e mi ha chiesto di diventare una sua allieva. Ne siamo stati tutti molto onorati: vostra zia è molto conosciuta e stimata anche tra chi non appartiene al mondo magico.»
Roderick soppesò le sue parole per qualche attimo e la guardò incuriosito, come se quella ragazzina scialba fosse stata l’ultima Creatura Magica mostrata da Lord Gryffindor agli allievi del primo anno.
Abigail evitava di incrociare lo sguardo di Roderick, ma nello stesso tempo non si decideva a riprendere il cammino verso le stanze di Lady Rowena.
«Mi sembra molto strano che i poteri magici si siano manifestati in una Babbana.»
«Non sono una Babbana, sono una strega» rispose pazientemente Abigail.
«Ma vieni da una famiglia di Babbani! Neanche una goccia di sangue magico nelle vene!» obiettò Roderick.
L’allieva di Lady Ravenclaw si strinse nuovamente nelle spalle.
«E allora?» Fece una pausa nella quale osò sollevare lo sguardo e scrutare in viso il suo interlocutore. «Lady Ravenclaw mi aveva avvisata che sarebbe potuto succedere.»
«Sarebbe potuto succedere che cosa?» domandò Roderick, con una vena di irritazione nella voce. Era stato lui a iniziare quella conversazione, avrebbe dovuto scorrere nel letto che aveva tracciato per essa. Aveva voluto prendersi gioco di quell’anonima ragazzina, invece era arrivato al punto da non riuscire a intendere dove volesse andare a parare. Era abituato ad ottenere dagli altri quello che voleva, stava sperimentando che non riuscirci risultava molto frustrante.
«Dopo che Lady Ravenclaw è venuta nella casa dei miei genitori per la prima volta per rivelarmi la mia vera natura, si è presentata per altre visite. È sempre stata così gentile con me, ascoltava sempre volentieri cosa avevo da dirle. Non vorrei sembrare irriverente nei suoi confronti, ma rischierò, giacché quello che sto per dire mi riscalda il cuore: Lady Ravenclaw ha dimostrato di tenere a me.»
Roderick strabuzzò gli occhi. Era ancora confuso, e l’irritazione in lui stava crescendo con la stessa rapidità della marea. Non aveva senso reagire in quel modo, lo sapeva, eppure si sentiva geloso di quella scialba ragazzina. Abigail continuò:
«Mi ha dato molti consigli e avvertimenti per affrontare al meglio il mio percorso di studi a Hogwarts. Mi ha detto che avrei potuto incontrare alcune persone convinte del fatto che una nata-Babbana non sarebbe stata degna di avere dei poteri magici, e che alcuni ci considerano poco più di uno scherzo della natura.» Inconsapevolmente, Roderick ripensò al suo primo giorno di scuola: sua zia si era alterata per via degli insegnamenti di Lord Slytherin, a suo dire razzisti. «Ma mi ha detto anche di non preoccuparmi perché, sotto la sua guida, un giorno sarei diventata più potente di tutti loro messi insieme.»
Quando Abigail tacque, le sue gote erano colorate di soddisfazione. Visto che Roderick non riusciva a trovare nulla da ribattere, la strega girò sui tacchi e riprese a incedere verso la torre ovest. Il giovane Ravenclaw non aprì bocca finché non furono arrivati davanti alla porta che conduceva agli alloggi di sua zia. Lì Abigail accennò un secondo timido inchino e scomparve lungo la scala a chiocciola.
Roderick rimase a osservare per qualche istante il punto in cui la ragazza era appena scomparsa, poi la voce di sua zia che lo invitava ad entrare lo riscosse. Spinse così l’uscio e si trovò in una stanza circolare molto simile a quella che aveva occupato prima di diventare un allievo di Lord Slytherin. Alte finestre a sesto acuto si aprivano sul muro di pietra a intervalli regolari, l’ultima di esse era sostituita da un’altra porta, Roderick sapeva che conduceva nella stanza da letto di Rowena. Un piccolo scrittoio di legno, sul cui piano si trovavano una pergamena spiegata e una boccetta di inchiostro blu con una penna di pavone, era addossato contro il muro e riceveva da ogni angolo la luce che filtrava dalle finestre. Due divani di legno lucido con la seduta e lo schienale imbottiti e ricoperti di raso color indaco erano posizionati uno di fronte all’altro, mentre un mosaico colorato occupava il pavimento tra loro. Rowena era seduta, dritta come un fuso, su uno dei due divani e indicava l’altro al nipote per invitarlo ad accomodarsi.
Roderick obbedì subito. Aveva smesso di pensare al dispetto causatogli dalla conversazione con Abigail e aveva iniziato a domandarsi cosa la Fondatrice avesse da dirgli di così urgente da non poter aspettare il termine della lezione di Incantesimi.
Rowena esitava, lisciandosi le pieghe dell’abito ricamato che indossava. Se avesse ignorato che sua zia era una donna molto sicura di sé, Roderick avrebbe detto che era a disagio.
«Bene, nipote» esordì la strega quando si decise finalmente a parlare. «Ti ho fatto chiamare perché ho preso una decisione molto importante e che desidero che tu conosca prima di tutti gli altri.»
Roderick sgranò gli occhi scuri, iniziando a preoccuparsi.
«Si tratta di qualcosa che mi riguarda?»
Rowena proruppe in una risata falsa.
«No, mio caro, non direttamente. Direi piuttosto che la decisione riguarda me.»
La strega esitò ancora e il ragazzo realizzò di non poter sopportare un’ulteriore pausa. Per un attimo fu tentato di balzare in piedi e gridarle di continuare, ma non si mosse dal divano che occupava.
Rowena sollevò su di lui uno sguardo luminoso e disse:
«Presto mi sposerò. Sai che frequentiamo la corte di re Ethelred…» Roderick visualizzò rapidamente la figura bassa, grassoccia e stempiata del sovrano, ma era rimasto così di sasso per via della notizia di sua zia da non preoccuparsi a chi si riferisse il “frequentiamo” che questa aveva pronunciato. «Conosciamo molti dignitari, certo, compreso l’arciduca Beauregard Bachelor. Te lo ricordi, non è vero? Bene, mi ha chiesto di sposarlo un mese fa. Non te l’ho detto prima perché ho voluto pensarci» si affrettò a giustificarsi Rowena, «ma ora credo di aver meditato abbastanza. È un uomo di classe e molto colto, e tra noi c’è stima reciproca. Saprà proteggerci.»
Rowena intrecciò le dita curate sul suo grembo, guardando il nipote come se fosse stata una bambina in attesa dell’approvazione del genitore.
Roderick ripercorse con la mente più volte la notizia appena ascoltata, ancora così sorpreso che non si sarebbe meravigliato se Pix fosse spuntato da sotto il divano per pizzicarlo e dirgli che era tutto uno scherzo. Dopo qualche istante però iniziò ad assimilare quanto udito. Di quei tempi, era piuttosto raro vedere una donna dell’età di sua zia senza marito, a meno che non fosse rimasta vedova. D’altra parte, lei non era una donna qualsiasi: era una delle streghe più potenti della loro epoca, non aveva esattamente bisogno di essere protetta, specialmente da un Babbano.
Roderick si grattò le tempie, pensieroso. Era stato un caso ascoltare prima il discorso di Abigail, e poi la notizia di sua zia? Era un fatto troppo curioso per poter credere che fosse una combinazione, ma non poteva essere altrimenti.
Il bambino sospirò e si dimenò un poco sul divano per prendere una posizione più comoda.
Nonostante le apparenze, non era Rowena a dover chiedere a lui il permesso di fare le cose, semmai il contrario. Se sua zia aveva deciso in quel modo dopo un mese di riflessioni, doveva essere sicura di quanto affermato, e lui era contento che avesse voluto renderlo partecipe prima di tutti gli altri.
«Congratulazioni, zia» disse quindi Roderick. «Se è questo quello che volete, sono molto felice per voi.»
Rowena gli rispose con un sorriso carico di gratitudine.
 
Prima di parlare con Roderick, Rowena era stata molto in ansia: come avrebbe preso la notizia delle sue nozze? Giungere alla conclusione che sposarsi sarebbe stata la cosa migliore aveva un po’ sorpreso anche lei, figuriamoci cosa avrebbe potuto provare suo nipote. Invece le cose erano andate nel migliore dei modi, la strega non avrebbe potuto sperare di meglio.
Rowena sapeva che parlare con Roderick sarebbe stato difficile, ma farlo con Salazar sarebbe stato anche peggio.
«Che cosa?» domandò infatti Lord Slytherin per la seconda volta.
Rowena sospirò e il suo respiro si addensò in nuvolette perlacee, che fluttuarono per un attimo sullo sfondo della pietra dei sotterranei del castello, per poi dissolversi. Era incredibile quanto facesse freddo in quella parte della scuola, nonostante il camino fosse acceso; niente a che vedere con l’esposizione della torre ovest, che riceveva fiotti di luce tiepida per tutto il pomeriggio.
«Perché ti comporti come se non ti importasse di quello che ho da dire?»
Rowena sollevò lo sguardo su Salazar e si accorse che era accigliato. Le sopracciglia scure erano aggrottate, le guance rasate erano scavate, gli occhi duri come il marmo.
Quando la strega gli aveva comunicato la notizia delle nozze, i cui preparativi erano già cominciati, inizialmente Salazar aveva riso. Poi, quando aveva compreso che la donna non stava scherzando, si era adombrato.
«Certo che mi importa…» sospirò ancora Rowena.
«E lo dimostri così? Comunicandomi la lieta novella a cose fatte?» domandò rabbiosamente il mago, irrigidendo le braccia lungo i fianchi.
«E allora?» domandò di rimando Rowena, alzando il tono ed ergendosi davanti a lui. «Avrei forse dovuto chiederti il permesso?»
«Non dire sciocchezze» sibilò nervosamente Salazar. «Ma almeno avresti potuto sperare che qualcuno ti facesse tornare la ragione! Sposare un Babbano… come ti è venuto in mente?»
«Fai pure come vuoi, ritienimi una sciocca. Non cambierò idea» si intestardì Rowena, puntando le mani sui fianchi.
Salazar chinò la testa e scosse i capelli color mogano.
«Non devo essere io a dirti che sei la persona più intelligente di questa dannata isola. Ma quello di sposare il marchese è un capriccio.»
«Arciduca» puntualizzò Rowena.
«Non ha importanza!» scandì Salazar, sgranando gli occhi e avvicinandosi a lei. «È pur sempre un Babbano, uno che non varrà mai niente in confronto a noi. Uno che è al seguito di un essere senza spina dorsale come re Ethelred!»
«Non iniziare con questa storia» lo redarguì la strega. «Conosco il contenuto della tua lezione di Storia della Magia su Salvia e non mi è piaciuto per niente.»
«So che hai riferito tutto a Godric e ho ricevuto la sua strigliata, grazie tante» rispose il mago, distogliendo lo sguardo e arricciando le labbra sottili in un’espressione beffarda.
«Perfetto, allora smettila di fare discorsi così anti-Babbani. Se non te ne fossi accorto, il nostro re è un Babbano, che ti piaccia o no, e lui regna benissimo senza bisogno della tua approvazione.»
Salazar sbuffò tutto il suo scetticismo e Rowena espirò, seccata.
«Non ti riconosco più, Rowena. In cosa ti sei trasformata, nella serva del re? È Ethelred che dovrebbe ringraziarci perché non spazziamo via lui e tutta la sua ridicola corte con un colpo di bacchetta. Un tempo la pensavi come me.»
«Non è vero!» ribatté la strega, piccata.
«Oh, sì che lo è. Sei sempre stata cauta e accorta nell’esporre le tue idee, questo te lo concedo. Ma non cercare di mentire a me, a me che ti conosco meglio di chiunque altro! Quella di sposare questo maledetto nobile è una sciocchezza, un capriccio, un’assurdità! E per quale ragione, poi?»
Rowena aggrottò le sopracciglia e tra di esse si formò una piccola ruga.
«E me lo chiedi? Secondo te, perché le persone si sposano?»
Il viso di Salazar era a un centimetro dal suo, tanto contratto quanto quello di lei. Avrebbe potuto mordere le nuvolette perlacee del suo fiato che si condensava.
Il mago distese i lineamenti, fece un passo all’indietro, si portò una mano alla fronte e scoppiò in una fragorosa risata che risuonò per tutti i sotterranei. Fortuna che la maggior parte dei suoi allievi erano via per le vacanze di Natale, pensò la strega.
«Tu? Sposare quel Bachelor per amore? Sei più falsa di Godric sui libri da quando si è improvvisato insegnante di Aritmanzia.»
Rowena rimase immobile, fremente di irritazione, incapace di rispondergli a tono. Tutto quello che fu in grado di fare fu accompagnare l’uscita del mago dai sotterranei con occhiate di fuoco.
Giunto sulla soglia, Salazar si fermò e si voltò a guardarla. Ogni traccia di ilarità era svanita dal suo volto.
«Sei fuori di testa, Rowena.»





NdA: In questo capitolo completo le informazioni sull’organizzazione delle lezioni scoperte nel quarto. Ho diviso le materie tra i quattro Fondatori, avendo cura di dare a ognuno due materie obbligatorie e una facoltativa (qui Volo diventa facoltativa perché secondo me nel Medioevo non era indispensabile saper cavalcare una scopa, per altro all’epoca le scope facevano ancora schifo). Alcune materie le vedevo cucite addosso a un Fondatore piuttosto che a un altro, come ad esempio Storia per Salazar e Trasfigurazione per Helga. Proprio perché queste due combinazioni sono state le prime a venirmi in mente, sono quelle che ho inserito subito nella FF (quarto capitolo). Non si insegna Babbanologia, e questo avviene per due ragioni. Innanzitutto perché la tredicesima materia mi sfasava la divisione (XD), e poi perché all’epoca Babbani e maghi convivevano piuttosto tranquillamente, quindi non si aveva bisogno di imparare una cosa che si aveva sotto gli occhi tutti i giorni.
Teoricamente, a ogni Casa corrisponde un elemento, e io l’ho tenuto presente solo in parte: a Ravenclaw corrisponde l’aria, così Rowena insegna Volo e Astronomia, a Hufflepuff corrisponde la terra, perciò Helga si dà all’Erbologia. Godric mi sa di un aitante cacciatore (*A*), perciò ce lo vedo bene a insegnare Cura. Per quanto riguarda le materie più importanti, probabilmente alcune delle mie scelte sembreranno bizzarre. Siamo abituati al responsabile dei Ravenclaw che insegna Incantesimi, quello degli Slytherin che insegna Pozioni e quella dei Gryffindor che insegna Trasfigurazione. L’unico abbinamento che ho lasciato intonso era quello Erbologia-Hufflepuff, per la ragione dell’elemento anzidetta. Per il resto ho mescolato un po’ le carte: Difesa doveva andare necessariamente al coraggioso Godric, ma Incantesimi e Pozioni sono invertiti. Olè.
Finalmente spiego chi era quella tizia slavata che Roderick vedeva spesso insieme a sua zia Rowena: si tratta di Abigail Preshy, laddove il cognome è una fusione di “precious” (=preziosa) e “shy” (=timida). Anche qui, la ragione che mi ha portato a darle questo cognome è che riprende due aspetti della sua personalità.
Giungiamo a un punto nodale: Rowena si sposa! E con un Babbano? Ebbene sì u.u Nel secondo capitolo, il rapporto/non-rapporto (qualunque cosa questo significhi) tra Rowena e Salazar è arrivato a un punto di non ritorno, inoltre lui le ha portato via Roderick, almeno secondo il punto di vista di lei. Per questa ragione, la strega si sente libera di sposarsi, anche se l’amore qui non c’entra: lei vuole una scusa per lasciarsi Salazar alle spalle e vuole un figlio. Fino a quel momento non ne aveva sentito l’esigenza perché aveva Roderick da accudire/istruire, ora invece questi è diventato allievo di Salazar e Rowena sente di averlo perso. Del resto lei è una strega dalle reazioni un po’ estreme, a questo punto dovrebbe essersi capito :P Essendo una strega molto bella e potente, era corteggiata da maghi quanto da Babbani, ma lei sceglie uno di loro. Più o meno consciamente, sapeva di essere a un livello inarrivabile per molti maghi suoi contemporanei (solo Salazar e Godric sarebbero stati alla sua altezza, ma col primo è andata come è andata, col secondo non c’era feeling u.u). Per questa ragione, Rowena ha risolto il problema alla radice, decidendo di sposare un Babbano. Era piuttosto sicura che la prole avrebbe ereditato i suoi poteri (i Ravenclaw erano Purosangue), inoltre il nobile da lei scelto era un arciduca, che secondo Wikipedia è uno dei titoli più alti in assoluto, perciò era pur sempre un notabile. Iniziali uguali per il nostro arciduca, Beauregard Bachelor: il cognome in inglese vuol dire “scapolo” (non per molto, pasticcino) e il nome non vuol dire niente ma era molto altisonante XD

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


Durante le vacanze natalizie, gran parte degli studenti avevano lasciato Hogwarts per andare a trascorrere le festività con le loro famiglie. Roderick invece non si era mosso perché il castello era la sua casa, in senso letterale. Il ragazzino aveva in parte temuto, in parte atteso, la richiesta di sua zia Rowena di tornare ad occupare per quel periodo la sua stanza nella torre ovest, ma non era accaduto niente del genere. La Fondatrice probabilmente era stata troppo occupata a organizzare le nozze con l’arciduca, fatto stava che aveva riservato al nipote ben poche attenzioni. Per Roderick, quella situazione era una novità. Certo, dall’inizio dell’anno il riguardo di Lord Slytherin per lui, in quanto suo Capocasa, aveva superato quello di Lady Ravenclaw, ma il bambino si sarebbe quasi aspettato che, come i suoi compagni tornavano dalle famiglie nei periodi delle vacanze, anche a lui sarebbe successa la stessa cosa. Solo che, in quel caso, per tornare dalla sua unica parente non avrebbe dovuto spostarsi troppo.
Tutto sommato, l’effetto disarmante di quella novità era durato poco e Roderick si era sforzato di concentrarsi su altro. L’atmosfera era stata troppo festosa perché potesse dedicarsi più di tanto allo studio, ma era riuscito comunque a finire alla bell’e meglio i compiti che gli erano stati assegnati. La Sala Comune era stata più tranquilla del solito, deserta in confronto ai mesi precedenti, e Roderick aveva avuto modo di godersi quella pace. Certo, se avesse avuto i suoi amici accanto a lui avrebbe potuto giocare a Scacchi Magici tutto il tempo che voleva, ma nessuno di loro era rimasto al castello. Fino all’ultimo, Roderick aveva sperato in Lamia, dato che suo padre era uno dei quattro Capocasa, ma Lord Slytherin aveva sorpreso tutti lasciando Hogwarts con sua figlia.
Ben presto, Roderick ne aveva avuto abbastanza delle vacanze natalizie, perciò aveva accolto con sollievo l’ultimo giorno prima del ricominciare delle lezioni.
«È stato bellissimo!» esclamò Baldric, agitandosi con fervore sul divano più prossimo al camino della Sala Comune la sera del suo ritorno al castello. «Per tutta la durata delle vacanze abbiamo ospitato numerosi maghi e nobili del circondario. È stata un’idea di mia madre, naturalmente. Dice che, anche se dalla morte di mio padre il barone sono io, se fosse per me non si organizzerebbero mai queste cose – e ha ragione –, ma bisogna pur farle. Ha organizzato tutto lei, ma sono contento che l’abbia fatto! Ogni giorno si teneva una battuta di caccia e io ho partecipato sempre.»
Roderick, con la testa mollemente appoggiata su una mano, schiacciò ulteriormente la guancia contro le dita e roteò gli occhi. Braydan, seduto di fronte a lui con aria contratta, osservava la scacchiera come se si aspettasse di vederla trasformarsi da un momento all’altro in un Folletto.
«Una di queste volte vi inviterò tutti! Sarà splendido» concluse Baldric con espressione compiaciuta.
Contemporaneamente, Brayden fece la sua mossa sulla scacchiera e dichiarò di avere fatto scacco matto.
«Questo gioco mi ha stufato» dichiarò Roderick, andando a sedersi accanto all’amico sul divano e tendendo le mani verso il fuoco che scoppiettava nel camino.
«E tu invece cosa hai fatto in questi giorni?» domandò Baldric.
«Niente di che… le solite cose, immagino.»
«Non hai nessuna novità da riferirci? So che tua zia si sposa.»
Roderick non rispose subito. Non lo turbava l’argomento in sé, quanto la rapidità con cui si era diffusa la notizia. Ma Lady Ravenclaw e il suo futuro marito erano due personaggi importanti, si disse, non doveva meravigliarsi troppo.
«Sì, con l’arciduca Bachelor.»
«L’ho saputo» confermò il giovane barone. «È stata la notizia più chiacchierata dai miei ospiti, ma c’era da aspettarselo, visto quanto sono noti entrambi. Certo che… un Babbano! Te lo saresti aspettato?»
Roderick sospirò e si ritrasse dal fuoco.
«A dire la verità, no.»
«Nessuno se lo sarebbe aspettato» gli fece eco una voce distante. Apparteneva a Lamia che, seduta in disparte, stava sfogliando il libro di Pozioni. Aveva sostenuto di averne abbastanza di chiacchiere maschili, ma la verità che Roderick conosceva bene era che non voleva affrontare impreparata la lezione di Lady Ravenclaw prevista per la mattina seguente. «I quattro Fondatori sono maghi e streghe dai poteri ineguagliabili, sarebbe stato più logico se Lady Ravenclaw avesse scelto di prendere per marito un mago, se non alla sua altezza, il più vicino possibile ad essa. Ma un Babbano? Ha perso in partenza. Lo sostiene anche mio padre.»
Roderick si strinse nelle spalle e non rispose. Anche lui si era chiesto perché sua zia avesse scelto di sposare un uomo senza poteri magici e non era riuscito a trovare una risposta. Poi però aveva pensato che se Rowena si sentiva felice con quell’uomo, non aveva bisogno di porsi quesiti.
Il ragazzo si guardò intorno nel tentativo di appigliarsi a una cosa qualsiasi per cambiare argomento, ma i rintocchi della campana di Hogwarts interruppero la sua ricerca. Baldric si stiracchiò.
«È ora di andare a letto. Inizio ad andare in dormitorio, così posso lavarmi.»
Detto ciò, salutò gli altri e si avviò lungo la scala a chiocciola. Roderick si disse che il viaggio doveva averlo stancato molto, perché l’amico non aveva mai obbedito con quella solerzia ai rintocchi della campana.
 
«Buongiorno a tutti, studenti» esordì Rowena Ravenclaw, facendo il suo ingresso nell’aula di Pozioni.
Gli allievi del primo anno si sarebbero voltati a osservare il suo passaggio anche se la strega non avesse proferito parola, dato che fu preceduto da una zaffata nauseabonda che costrinse tutti a ricercarne la fonte.
Lady Ravenclaw attraversò l’aula fino a raggiungere la pedana sulla quale si trovava il suo scrittoio, alle spalle del quale quattro imponenti vetrine facevano bella mostra degli ingredienti che ospitavano sulle scansie. Dietro di lei, trotterellava un Elfo Domestico, con le grandi orecchie da pipistrello che pendevano verso il basso e le braccia sottili caricate con un sacco scuro. La creatura depositò il sacco ai piedi dello scrittoio, poi si esibì in un profondo inchino rivolto alla Fondatrice.
«Molto bene, Potty, grazie. Puoi tornare in cucina ora» gli disse la strega con un leggero cenno del capo.
Gli occhi degli studenti erano fissi sull’involto portato dall’Elfo Domestico. Lady Ravenclaw socchiuse gli occhi, portandosi due dita alla fronte, poi disse:
«Sì, è il contenuto del sacco a odorare in questo modo disgustoso. Potty ha trasportato la nuova scorta di milze di pipistrello, ingrediente fondamentale per la preparazione della pozione di cui ci occuperemo oggi.»
La strega trasse la bacchetta dalle pieghe del suo abito e la puntò verso la lavagna, dove iniziarono a comparire delle scritte bianche tracciate con il gesso.
Roderick strizzò gli occhi per leggere meglio e ricopiò sulla sua pergamena gli ingredienti e le fasi di preparazione della Pozione Dilatante. Poi si mise in fila con gli altri, diretto verso la pedana dell’insegnante, per prendere la dose di milze di pipistrello necessitata dal decotto. Fatto ciò, ritornò al calderone intorno al quale avrebbe lavorato insieme a Lamia e Baldric. Alla destra della loro postazione, Brayden, Alef e Ruben avevano già iniziato a introdurre le ortiche secche nel mortaio.
«D’accordo… Vediamo cosa dobbiamo fare» disse Roderick, concentrandosi sul loro bacile di pietra.
Baldric si tirò su le maniche e Lamia rilesse per la terza volta la sequenza di operazioni da svolgere.
Erano trascorsi ben tre quarti della lezione, e i tre allievi di Lord Slytherin si agitavano istericamente intorno al calderone con la terribile consapevolezza che l’aspetto blu notte della pozione, che tanto contrastava con la delicata tinta di verde che dovevano attendersi, era frutto di un loro fatale errore.
«Lamia, rileggi le indicazioni!» ripeté per l’ottava volta Roderick.
«Lo sto facendo, ma non riesco a capire cosa abbiamo fatto di sbagliato» sbottò l’amica, irritata.
«Rileggile con più attenzione!»
La Slytherin gli scoccò un’occhiata velenosa e gli sibilò contro qualcosa di sicuramente poco carino in Serpentese. Baldric contribuiva al loro battibecco con qualche disperato “Siamo spacciati, questa volta Lady Ravenclaw ci metterà zero!”.
All’ennesimo tentativo infruttuoso di Lamia di porre rimedio a quel disastro, Roderick decise di prendere l’iniziativa. Sapeva di non essere più in grado dell’amica di capire l’errore, ma conosceva qualcuno che avrebbe potuto.
«Abbie!» chiamò, protendendosi verso il gruppetto di allievi di sua zia che sembrava aver quasi terminato la sua pozione.
Abigail Preshy si voltò con qualche riluttanza, il volto madido a causa dei vapori sprigionati dal calderone al quale stava lavorando.
«Sembri a tuo agio con questa pozione» le disse Roderick con un sorriso. «Perché non vieni qua e ci dici cosa stiamo sbagliando?»
Abigail sollevò un sopracciglio e strinse le labbra.
«Si suppone che dobbiate lavorare da soli. E comunque io non ti aiuterei lo stesso» rispose, abbandonando il formalismo con cui si era rivolta a lui la prima volta che gli aveva parlato.
Roderick spalancò la bocca, contrariato.
«Non essere crudele!»
«Non mi interessa essere cortese con te» ribatté lei, incrociando le braccia sul petto. Il giovane Ravenclaw capì che ce l’aveva ancora con lui per ciò che gli aveva detto sulle sue origini babbane.
«Per favore!» l’implorò Roderick, consapevole del fatto che la lezione era quasi terminata.
Abigail l’osservò sottecchi per un attimo, poi sbuffò e lo raggiunse.
«D’accordo, vedrò di aiutarti» disse, chinandosi sul calderone con il quale Lamia e Baldric avevano fatto un disastro dopo l’altro. L’allieva di Lady Ravenclaw aggiunse un occhio di pesce palla al miscuglio e mescolò per un certo numero di volte, abbassò la fiamma e poi rimestò ancora. Man mano che lei agiva, la pozione si era schiarita sempre di più, fino a raggiungere una tinta indiscutibilmente verdognola. Non era esattamente quella che avrebbero dovuto ottenere, ma almeno il decotto non era più blu notte.
«Grazie» le disse Roderick, sospirando di sollievo.
In quella, Lady Ravenclaw iniziò a circolare tra i calderoni, prendendo un campione della pozione di ciascun gruppo, così Abigail ritornò in fretta e furia dai suoi compagni. Quando Rowena ebbe osservato la pozione del nipote e dei suoi compagni di lavoro, corrugò per un attimo la fronte, ma non disse niente. I rintocchi della campana di Hogwarts risuonarono prepotentemente e la strega accomiatò la classe.
Roderick, Lamia e Baldric furono tra gli ultimi a uscire dall’aula perché dovettero pulire i residui dei loro tentativi fallimentari; quando ebbero finito, non era rimasto quasi più nessuno.
«Meno male che quella Preshy ci ha dato una mano» osservò Lamia, «altrimenti avremmo iniziato veramente male!»
«Già» le fece eco Baldric, mettendo un braccio intorno alle spalle di Roderick con fare cameratesco. «Ma dobbiamo anche ringraziare il compare qui presente per averla convinta! Nessuno resiste al tuo fascino, vero?»
Roderick rise, ma smise subito quando l’oggetto dei loro discorsi gli passò accanto con un sorriso soddisfatto sul volto.
«Perché tu lo sappia» gli disse Abigail, «non ti ho aiutato per bontà d’animo, ma per dimostrarti che una strega di origini babbane come me è più dotata di un mago con una discendenza così sbalorditiva.»
Roderick, rimasto con un palmo di naso, assistette alla sua uscita senza riuscire a ribattere nulla.
 
L’inverno era terminato e l’aria più calda era intervenuta a sbrinare il parco di Hogwarts e gli umori degli abitanti del castello. La frenesia e quella sensazione carica di eccitata attesa che serpeggiava lungo i corridoi però non erano dovute tanto all’arrivo della bella stagione, quanto all’imminenza delle nozze di una Fondatrice della scuola.
Roderick si trovava nel suo dormitorio nei sotterranei e stava contemplando allo specchio l’effetto che l’abito da cerimonia aveva su di lui. La veste che gli era stata confezionata per l’occasione gli cadeva a pennello, era di un colore a metà tra il verde e il ciano che doveva avere un nome tecnico, ma che lui ignorava e sarebbe vissuto bene anche senza conoscerlo. I risvolti intorno alle maniche e alla base della veste erano ricamati con dei fili color ottone che ben si armonizzavano con i suoi capelli. Roderick si passò una mano tra le ciocche ricciute, tentando di ravviarle, dopodiché pensò di essere pronto.
«Allora? Andiamo?» domandò Baldric, improvvisamente comparso accanto a lui. Doveva aver fatto qualcosa ai capelli, perché erano più lucenti e ordinati del solito, e la veste che indossava era una delle più sontuose che Roderick gli aveva visto addosso. L’arciduca Bachelor aveva invitato al suo matrimonio tutta la nobiltà più in vista della Gran Bretagna, categoria che comprendeva anche il barone Redslaught.
Roderick annuì alla domanda dell’amico ed entrambi scesero nella Sala Comune, deserta a causa delle vacanze pasquali. Prima di uscire dai sotterranei, il giovane Ravenclaw lanciò una rapida occhiata alla scala a chiocciola che conduceva al dormitorio femminile.
Baldric dovette capire al volo quale pensiero gli avesse attraversato la mente, perché gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla:
«Vedrai che Lord Slytherin e Lamia saranno presenti.»
Roderick si strinse nelle spalle, piuttosto dubbioso. Da quando sua zia aveva comunicato l’intenzione di sposarsi, il ragazzo aveva assistito alle reazioni più diverse, ma nessuna era stata tanto bizzarra quanto quella degli Slytherin. Roderick si era persino azzardato a pensare che il suo Capocasa fosse apparso piuttosto ostile. Non c’era da meravigliarsi troppo, data la considerazione che Lord Slytherin aveva dei Babbani, eppure tutto il mondo magico e non si sarebbe aspettato di vedere alle nozze il quartetto di Fondatori al completo. Roderick sapeva bene che tutta la nobiltà babbana non si sarebbe neanche avvicinata al valore e all’importanza di quei maghi e di quelle streghe.
I due allievi di Lord Slytherin uscirono dai sotterranei e percorsero rapidamente le scale e i corridoi che li condussero fino in Sala Grande. Lì trovarono il guardiacaccia Harvey Keepwood ad attenderli.
«Buongiorno, signori» esordì questi, abbassando leggermente la testa coperta da sottili capelli color topo.
I ragazzi ricambiarono il saluto, dopodiché il guardiacaccia li scortò nel parco. Lungo le rive del lago stanziava una certa moltitudine di persone: si trattava di ragazzi più o meno dell’età di Roderick e Baldric, alcuni più grandi che avevano ormai l’aspetto di uomini e donne adulti, insieme ai loro genitori.
«Madre!» chiamò Baldric appena Lady Redslaught fu in vista.
Roderick non l’aveva mai conosciuta prima e si sorprese nel notare la somiglianza con il figlio. Avevano gli stessi capelli lisci e scuri e la stessa fronte spaziosa. La strega però era più minuta, segno del fatto che Baldric doveva aver preso la statura e le spalle larghe dal suo defunto padre.
Lady Redslaught salutò il figlio e Roderick le venne presentato.
«È un piacere conoscerti, Baldric mi ha parlato tanto di te» disse la donna, accompagnando le sue parole con un discreto cenno del capo.
Roderick ricambiò il suo sorriso, dopodiché ricominciò a percorrere con lo sguardo le persone intorno a lui. Poco dopo, Keepwood fendette la folla per annunciare che la Passaporta era pronta.
«Ci condurrà tutti alla corte di re Ethelred, dove si terrà il matrimonio» spiegò Lady Redslaught. «Sarà sicuramente una festa imponente, dato il numero di invitati, ma c’era da aspettarselo.»
La strega indicò con un gesto ampio e vago gli studenti di Hogwarts e i loro genitori. Roderick ne conosceva molti solo di vista: si trattava di esponenti di famiglie importanti sia nel mondo magico che in quello babbano.
A un’altra parola di Keepwood, Roderick, Baldric, sua madre e altri maghi e streghe attorniarono una piccola scatola d’argento che era stata depositata sull’erba.
Il giovane Ravenclaw allungò la mano e poggiò l’indice della mano destra sulla scatola, subito dopo tutto intorno a lui iniziò a vorticare, i colori si confusero gli uni con altri, la luce del mattino venne inghiottita dal vortice in cui si trovava e una fastidiosa sensazione al ventre sembrò che volesse strappargli l’ombelico. Con la stessa rapidità con cui era cominciata, quella sensazione terminò, e il ragazzo tornò a poggiare i piedi per terra. Non si trattava più del manto erboso che circondava il Lago Nero, ma di solida e rigida pietra.
Roderick alzò la testa e scoprì di essere al centro del maestoso cortile del castello di re Ethelred. Era circondato da mura grigie che terminavano con delle merlature, inframmezzate da feritoie e finestre più ampie, dotate di vetri colorati. Al centro del cortile c’era un grande pozzo, costruito con le stesse pietre chiare delle mura, sormontato da un arco in ferro battuto intorno al quale si avvolgevano piante rampicanti, punteggiate da graziosi fiori bianchi che emanavano un profumo invitante.
Seguendo i loro compagni di viaggio, a loro volta messisi in moto in direzione dei servitori del re che stavano loro dando il benvenuto, Roderick e Baldric salirono tre scalini stretti e lunghi e attraversarono l’imponente arco della porta.
«Benvenuti, gentili ospiti» stavano dicendo i servitori, profondendosi in inchini. «Benvenuti nella dimora di re Ethelred.»





NdA: Mi piace troppo l’idea di Baldric piccolo barone! La notizia delle nozze di Rowena e dell’arciduca si sta spargendo e non tutti l’accolgono con estremo entusiasmo, in effetti la scelta della strega è stata piuttosto insolita.
Contrariamente alla fama degli Slytherin, Roderick non è un asso in Pozioni! All’inizio Abigail non lo vuole aiutare, ancora risentita per ciò che lui le aveva detto (capitolo 5), ma alla fine cede: chi può resistere al fascino di un tipo per metà Veela come Rod? Episodio inserito per sottolineare ancora una volta l’elemento-fascino che dovevo usare come prompt.
Le nozze sono ormai alle porte, preparate i confetti.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Gli invitati al matrimonio del secolo erano stati fatti accomodare in una cappella affrescata con il pavimento costituito da alcuni lastroni di pietra colorata.
Roderick si dimenò un poco sul sedile di legno lucido che occupava, non riuscendo ad alzare gli occhi sui due promessi sposi al cospetto di re Ethelred. Non sapeva come mai, tutto ciò che sapeva era che aveva avvertito una strana sensazione stringergli la bocca dello stomaco quando aveva avvistato sua zia Rowena, splendida nel suo sontuoso abito candido, con fiori nivei intrecciati nei capelli e il suo diadema risplendente sulla sua fronte. Roderick aveva abbassato lo sguardo quando la donna aveva iniziato a incedere verso il sovrano e il suo futuro sposo, l’aveva tenuto fisso sulle sue scarpe finché la predica non era terminata e l’aveva sollevato solo una volta che gli invitati avevano iniziato a sciamare fuori dalla cappella.
«Ti senti bene?» domandò a un tratto Baldric.
Roderick sollevò lo sguardo su di lui, come se l’amico l’avesse appena svegliato da un sogno, scuotendolo.
«Tutto bene, andiamo» rispose il ragazzo a denti stretti.
Il barone fece finta di niente e, a braccetto con la madre, uscì dalla cappella al seguito di dame, cavalieri, streghe e maghi.
Seguendo le indicazioni dei servitori, gli invitati giunsero nel salone dei banchetti che era stato predisposto per la festa. In un  angolo della sala, un gruppo di musici avevano preso in mano i loro strumenti e avevano iniziato a suonare.
La tavolata che dominava l’ambiente era a forma di ferro di cavallo e occupava quasi tutto lo spazio a disposizione. Alle pareti erano appesi pregiati arazzi che raffiguravano scene di caccia, intervallati da grandi torce spente. Nello spazio lasciato vuoto dalla tavola, i quattro cani del re osservavano interessati e scodinzolanti la processione di uomini e donne che si stavano riversando nella sala.
I coniugi Bachelor furono i primi a prendere posto, due ali del seggio centrale che avrebbe ospitato il re. Dopo di loro, tutti gli altri si accomodarono. Roderick aveva uno scranno riservato al fianco di sua zia e tutto sommato non fu dispiaciuto di quella soluzione: almeno non avrebbe avuto di fronte o accanto il nuovo marito della donna. Intorno a loro presero posto gli altri tre Fondatori. Immischiandosi nella folla che animava la sala erano infatti giunti Lord Slytherin e sua figlia. Erano stati così discreti che Roderick non avrebbe saputo dire quando avevano fatto la loro comparsa, stava di fatto che a un certo punto Lamia era apparsa accanto a lui e l’aveva salutato con il solito affetto.
«Mi hanno detto che hai fatto da paggio» lo canzonò l’amica, rivolgendogli un sorriso malizioso.
Roderick si irritò un poco e volse lo sguardo dall’altra parte. Lamia dovette aver capito che non era aria di scherzi, così era passata oltre e si era concentrata sulla selvaggina adagiata sui vassoi che venivano scoperchiati dai servitori.
Il banchetto fu ricco e molto speziato, secondo i gusti di re Ethelred, e tutti parvero gradirlo molto. Terminato di mangiare, il sovrano batté le mani e invitò i suoi ospiti a lasciare la sala: di lì a poco sarebbero iniziate le danze.
La seconda parte dei festeggiamenti fu per Roderick anche peggiore della prima: nobili, streghe e maghi lo circondarono a turno, vezzeggiandolo e ricordandogli la somiglianza con suo padre e con sua zia. Quando il ragazzo pensò di non poterne più, fu Lamia a salvarlo, strappandolo dalle grinfie di due nobildonne petulanti e conducendolo al cospetto di suo padre.
«Lord Slytherin» lo salutò Roderick, chinando la testa. «Sono felice di vedervi. Pensavo che non sareste venuto.»
Il mago ascoltò le parole del ragazzo senza guardarlo in viso. Era in piedi vicino a una delle finestre della sala, con il mento sollevato e una mano rigidamente poggiata sul fianco coperto da una veste verde palude. In quella posizione altera, scrutava le persone affollate nella sala come se si reputasse superiore a ognuna di loro.
«Io stesso ho deciso di venire giusto stamattina» rispose Salazar dopo un po’, «e ancora mi sto domandando se ho fatto bene. Giudico disdicevole quest’accozzaglia di persone, così diverse tra loro, eppure mescolate insieme.»
Roderick prese a sua volta a osservare le dame e i cavalieri che avevano iniziato ad eseguire una rotta. Neanche dall’abbigliamento era in grado di distinguere i maghi e le streghe dai Babbani.
«Avete ragione, signore» rispose infine.
Salazar parve essere rimasto soddisfatto dalle sue parole, così gli mise una mano sulla spalla.
«Sei un bravo ragazzo, Roderick. E ora scusami, vado a salutare i miei illustri compari.»
Ciò detto, Lord Slytherin si allontanò dalla finestra per giungere al lato opposto della sala, dove Lady Hufflepuff e Lord Gryffindor stavano chiacchierando piacevolmente.
Roderick osservò per qualche istante ancora i tre maghi, dopodiché la voce di Lamia gli fece distogliere lo sguardo.
«Guarda là… Re Ethelred ti sta facendo cenno di raggiungerlo!»
Il giovane Ravenclaw mise a fuoco il sovrano e si rese conto che questi stava effettivamente tentando di richiamare la sua attenzione. Lo raggiunse, e re Ethelred congiunse le mani con entusiasmo prima di rivolgersi a lui.
«Oh, il giovane nipote di Lady Ravenclaw! Che piacere rivederti, giovanotto. Stai crescendo in fretta, non è così? Assomigli ben poco a tua zia.»
Roderick avrebbe preferito tentare una fuga dalla finestra piuttosto che rispondere, ma sapeva di non avere altra scelta.
«È buffo, sire, ma i vostri invitati non hanno fatto altro che dirmi il contrario per tutto il tempo! Ad ogni modo, credo che abbiate ragione voi. Ma, a detta di mia zia, sono un misto dei miei genitori: ho preso un po’ dall’uno, un po’ dall’altra.»
«Oh sì, senza dubbio» confermò il sovrano. «E dimmi, giovanotto, hai quei… quei come-si-chiamano, poteri magici?»
Sembrava che l’argomento divertisse così tanto il sovrano che questi doveva trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Sì, maestà. Ho quasi terminato il mio primo anno di studi a Hogwarts.»
«Splendido! Mi piacerebbe vedere uno dei tuoi giochi di prestigio un giorno di questi, ma ora devo proprio andare a cercare gli sposi.»
Re Ethelred scomparve tra le schiere di danzatori, lasciando Roderick con un palmo di naso.
 Giochi di prestigio, li aveva chiamati! Lord Slytherin aveva ragione sul suo conto, aveva ragione su tutto.
Il ragazzo raggiunse nuovamente Baldric e Lamia per raccontargli la conversazione con il sovrano, i tre amici si scambiarono lo stesso tipo di occhiate critiche. Sapevano però che fare commenti ad alta voce non era appropriato, così lasciarono perdere, tanto più che si erano già capiti alla perfezione.
Un paio di volte vennero avviluppati dal cerchio in movimento di dame e cavalieri danzanti e non poterono sottrarsi, per il resto del tempo ciondolarono per la sala, ascoltando ora questo, ora quel discorso.
D’un tratto si fermarono a pochi passi dall’arciduca Bachelor, da re Ethelred e da Lord Gryffindor, in compagnia di qualche altro nobile conosciuto solo da Baldric.
«Questi Norvegesi e Danesi sono una vera piaga» stava commentando il sovrano, storcendo il naso in un modo che lo fece assomigliare tremendamente a un grugno. «Non si può mai star tranquilli con loro in agguato.»
«Non conviene mai abbassare la guardia, avete ragione, maestà» concordò Lord Gryffindor. «Ma ora sono anni che non si avvicinano troppo alle nostre coste.»
«Dei Norvegesi io non mi preoccuperei più» sostenne l’arciduca con espressione seria. «Ma questi Danesi… Non sembrano le classiche persone che si danno per vinte, non è così?»
Alcuni dei nobili intorno a loro annuirono con convinzione, Lord Gryffindor si strinse nelle spalle.
«Hanno già assaggiato la mia lama prima della fondazione di Hogwarts, non mi tirerò indietro se sarà necessario rimetterla al servizio di vostra maestà.»
Re Ethelred parve soddisfatto dalla risposta. Lanciò a Lord Gryffindor un sorriso che Roderick non ebbe il timore di definire ottuso, poi si accomiatò dai suoi interlocutori, raccomandando all’arciduca Bachelor di occuparsi della sua amabile sposa, e si avviò a invitare Lady Hufflepuff a unirsi alle danze.
Roderick, Lamia e Baldric sapevano quanto filo da torcere Olaf Trygvasson, nobile norvegese, avesse dato agli Inglesi, contemporaneamente impegnati contro i Danesi guidati da Sweyn Barbaforcuta. Di sicuro uomini come Lord Gryffindor si erano battuti coraggiosamente, usando le arti magiche o la spada, ma la verità, ben nota perfino ai tre studenti, era che Re Ethelred aveva pagato gli invasori per impedirne le incursioni. Olaf era stato richiamato in patria dal suo re, Haakon Sigurdsson, che aveva ben gradito il denaro inglese, e aveva lasciato i territori invasi sotto la promessa di denaro e schiavi. Evidentemente re Haakon aveva fatto male i suoi conti, perché Olaf era tornato solo per spodestarlo e prendere il suo posto. Alcuni domini di Sweyn, re danese, si erano sottomessi volontariamente a lui, e da quel momento sembrava che i popoli nordici avessero smesso di curarsi dell’Inghilterra.
«Dato che il re ha comprato la pace, non credo che debba preoccuparsi di altre guerre» sibilò Lamia, così piano che solo Roderick e Baldric riuscirono a sentirla.
«A meno che non siano finiti i soldi» sussurrò in risposta il barone con un’espressione di disgusto sul volto. «Allora sì che il re dovrebbe impensierirsi.»
 
Terminate le vacanze estive, gli allievi dei quattro Fondatori si prepararono a ritornare a scuola per un altro anno di studi magici. A differenza delle precedenti vacanze natalizie, Roderick si era goduto appieno l’estate. Era rimasto al castello, ma Lamia era andata a trovarlo molto spesso, inoltre era stato invitato da Baldric per un paio di settimane. Ritornare alla routine scolastica non fu quindi troppo piacevole per il ragazzo.
«Coraggio, muoviamoci» brontolò Alef, stranamente di cattivo umore. «Lady Hufflepuff ci sta aspettando.»
Roderick annuì e si caricò della sua borsa coi libri e le pergamene. Imitato dagli altri compagni di Casa, lasciò il castello in direzione dei giardini della strega bionda.
«Eccovi qui» li salutò la Fondatrice, esibendosi in un sorriso dolce non appena li ebbe avvistati. «Sono felice di ritrovarvi! Spero che tutti quanti abbiate trascorso delle piacevoli vacanze. Su, prendete posto.»
Lady Hufflepuff aveva acconsentito a che gli studenti scegliessero con chi sedere solo durante i primi giorni di lezione del primo anno. Poi aveva sostenuto che, una volta ambientatisi, i ragazzi avrebbero dovuto conoscere anche studenti di altre Case. Obbedendo a quella filosofia, sciolse il gruppetto di allievi di Lord Slytherin e li fece prendere posto gli uni lontani dagli altri.
Roderick si sedette sull’erba accanto a due studenti di Lord Gryffindor e un’allieva di Lady Ravenclaw.  Intanto che Lady Hufflepuff sistemava gli ultimi arrivati, il ragazzo ne approfittò per guardarsi intorno. Si trovavano in uno dei cinque giardini della Fondatrice, ognuno ospitante piante diverse. Quello nel quale avrebbero seguito la lezione in particolare era dotato di aiuole profumate in cui i fiori erano stati piantati secondo forme geometriche, circondate da cespugli di media altezza; più a sud c’era un pergolato di quelle che sembravano viti.
«Dunque, miei cari studenti, quest’oggi studieremo il Frullobulbo» esordì la strega, indicando un cespuglietto di piante tentacolari che si trovava vicino a loro.
Molti degli studenti allungarono i colli per osservarli meglio, Abigail Preshy aveva già tirato fuori un rotolo di pergamena per prendere appunti, ma Roderick, al colmo del disinteresse, aveva sollevato gli occhi al cielo. Aveva visitato il giardino di Lady Hufflepuff almeno un centinaio di volte, conosceva a memoria l’aspetto di quella pianta.
Strisciando sull’erba senza farsi notare dall’insegnante, Lamia si era avvicinata a Roderick. Resasi conto del fatto che l’amico non stava ascoltando la lezione, gli assestò una gomitata.
«Si può sapere che ti prende?» domandò Roderick, massaggiandosi il braccio nel punto in cui la ragazza lo aveva colpito.
«Cerca di stare attento!» lo redarguì Lamia, accennando nervosamente col capo in direzione dell’insegnante.
«Andiamo, anche tu conosci il Frullobulbo, come fa a interessarti questa lezione?»
«L’Erbologia non mi interessa» convenne la ragazza con espressione seria, «ma i buoni voti sì.»
Roderick si stese ancora un po’ di più sul prato, lasciando che il vento tiepido che preannunciava l’autunno giocasse con le ciocche dei suoi capelli chiari.
«So tutto quello che bisogna sapere sul Frullobulbo» sostenne, inviando all’amica uno sguardo complice.
Lamia sbuffò.
«Solo perché una volta tua zia ci ha detto di non giocare in mezzo a quelle piante perché possono facilmente essere scambiate per Tranelli del Diavolo non significa che tu sappia tutto sul loro conto.»
Roderick ricordò come in quella occasione non avesse dato retta alla strega e si fosse effettivamente imbattuto in quella malefica pianta. Sorrise, ostentando ancora di più il suo disinteresse per la lezione, in un modo che irritò ulteriormente la ragazza. Lamia infatti sbuffò di nuovo.
«Già l’anno scorso sei rimasto indietro con alcune materie e comunque, in un modo che ancora non riesco a capire, hai avuto buoni voti. Se quest’anno pensi di fare la stessa cosa, accomodati. Ma se farai perdere punti alla nostra Casa, ti ammazzerò.»
Roderick rise apertamente, si sdraiò completamente sull’erba e si coprì il viso con la pergamena su cui avrebbe dovuto prendere gli appunti.
 
Da quando Lady Ravenclaw aveva sposato l’arciduca Bachelor, era andata a vivere nel castello di quest’ultimo. In realtà faceva la spola tra la dimora del marito e Hogwarts, dal momento che pernottava nella scuola quando sapeva che l’indomani mattina avrebbe dovuto fare lezione.
Anche se non era stato definitivo, il cambiamento comunque si era verificato e Roderick l’aveva avvertito. Solitamente trascorreva il tempo libero in Sala Comune in compagnia dei suoi amici e a volte anche di Lord Slytherin, perciò non aveva comunque frequenti occasioni per vedere sua zia. Ma sapere che lei era lì, a pochi piani da lui, aveva avuto sempre un certo peso, tant’era vero che, ora che lei passava molto tempo fuori da Hogwarts, Roderick ne sentiva la mancanza.
A parte questa, il primo quadrimestre di studi trascorse senza particolari novità, finché non giunsero le vacanze di Natale. Fu allora che Rowena chiese al nipote di trascorrere le feste al castello dei Bachelor, e Roderick si sentì agghiacciare al pensiero. Aveva accettato la presenza dell’arciduca nella vita di sua zia, ma per lui era poco più che un estraneo. Come poteva Rowena pensare che il nipote volesse trascorrere del tempo con quell’uomo? Roderick sapeva però che non avrebbe potuto dire di no. Per fortuna intervenne Baldric a risolvere il problema, invitando l’amico da lui per le vacanze. Rowena approvò, a patto che il nipote trascorresse con loro almeno il giorno di Natale. Roderick dovette accettare quel compromesso, che gli sorrideva sicuramente di più dell’idea originaria di trascorrere tutte le vacanze nel castello dei Bachelor.
Il giovane Ravenclaw aveva già avuto modo di apprezzare la vastità e bellezza dei possedimenti del barone Redslaught, nonché la sua ospitalità e quella di sua madre. I due amici trascorsero le giornate piacevolmente, cavalcando, cacciando qualche quaglia con le loro bacchette e la muta di cani di Baldric, giocando a Scacchi dei Maghi e a Gobbiglie. Il tempo passato lì era stato così piacevole che Roderick visse con particolare irritazione l’avvicinarsi del momento in cui avrebbe dovuto lasciare la dimora dell’amico e raggiungere la zia e il marito.
Lady Redslaught si preoccupò personalmente di far giungere il ragazzo sano e salvo al castello dei Bachelor, accompagnandolo con la sua carrozza trainata da due coppie di splendidi Etoni. Quando il mezzo di trasporto atterrò a destinazione, Lord e Lady Bachelor percorsero rapidamente l’acciottolato che li separava dai nuovi arrivati per dargli il benvenuto.
«Milady, che piacere vedervi! Vi auguro un felice Natale» salutò l’uomo con modi ossequiosi.
«Piacere mio, arciduca» ricambiò l’altra, inchinandosi. «E sono lieta di incontrare anche voi, Lady Bachelor. Vi faccio i miei migliori auguri. È stato davvero meraviglioso avere Roderick ospite nella nostra casa, lui e mio figlio, il barone Redslaught, vanno così d’accordo.»
Gli adulti si scambiarono qualche altro convenevole mentre Roderick lanciava occhiate frequenti alla carrozza dalla quale era appena sceso: quanto gli sarebbe piaciuto risalirvi e tornare da Baldric!
Quando Lady Redslaught fu andata via – “La servitù starà battendo la fiacca, dal momento che non ci sono io a redarguirla!” –, i Bachelor e Roderick entrarono nel castello.
Il giovane Ravenclaw non vi aveva mai messo piede prima di quel momento e, sebbene non fosse esattamente felice di trovarvisi, dovette ammettere che era così maestoso da mozzare il fiato. Decisamente più grande della dimora di Baldric, un po’ più piccolo di Hogwarts, ma molto simile a quello di re Ethelred. I soffitti erano così alti che Roderick non si sarebbe meravigliato se non fosse stato in grado di vederne la fine, come accadeva con quello della Sala Grande a scuola. I pavimenti erano lucidi e alcuni di essi erano a scacchi bianchi e neri, le decorazioni delle pareti e delle finestre erano a dir poco fastose.
I padroni di casa rimandarono il completamento della visita al castello dopo pranzo, dal momento che le pietanze erano già pronte. Accompagnarono allora Roderick nella sala dei banchetti, dove il giovane incontrò i loro ospiti, infine si sedettero a una tavola imbandita sontuosamente apparecchiata.
Dopo essersi scambiati ulteriori auguri più o meno sentiti, iniziarono a mangiare. Terminato il pranzo, Roderick si sentiva così pieno che credeva che non sarebbe riuscito mai più ad alzarsi da tavola, ma dovette imitare gli ospiti dei Bachelor quando questi abbandonarono la sala dei banchetti. Non aveva neanche avuto il tempo di pensare a cosa fare quel pomeriggio, che i padroni del castello lo avevano trattenuto e condotto in una saletta piccola e accogliente.
«Caro Roderick» esordì l’arciduca Bachelor, provocando al ragazzo qualche brivido per essere stato chiamato “caro”. «Desidereremmo cogliere l’occasione di una giornata così festosa per farti un annuncio.»
Il giovane sollevò le sopracciglia, non sapendo proprio cosa aspettarsi. I coniugi iniziarono a scambiarsi alcune occhiate enigmatiche, sembravano volersi sfidare a chi avrebbe dovuto parlare per primo. Alla fine, fu Rowena a decidersi.
«Aspetto un bambino.»



NdA: Ho voluto sottolineare il legame tra i Bachelor e la corona britannica organizzando cerimonia e banchetto al castello di re Ethelred. Ho colto l’occasione anche per contestualizzare ulteriormente la storia. Come il re inglese, anche Olaf Trygvasson è veramente esistito. Le invasioni dei Danesi, dei Vichinghi e dei pagamenti da parte di Ethelred sono storia.
La rotta, anche detta rondeau, rondellus o rond, era una caratteristica danza medievale, eseguita in cerchio.
Gli Etoni che trainano la carrozza di Lady Redslaught sono, secondo Gli animali fantastici: dove trovarli, una razza di Cavalli Alati dal manto castano diffusi in Gran Bretagna e Irlanda.
Ho voluto mettere in evidenza le dimensioni del castello dell’arciduca per sottolineare la differenza di grado nobiliare con gli altri. Della serie: “Ce l’ho più grosso io”, “No, io!”. Il castello, naturalmente u.u

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


Il secondo quadrimestre di studi a Hogwarts procedette senza intoppi più grandi di un candelabro per poco finito in testa al custode, Hankerton Humble, ad opera di Pix.
Roderick, Baldric, Brayden, Alef, Ruben e Lamia seguirono le loro lezioni – alcuni più diligentemente di altri – e affrontarono diverse interrogazioni e prove scritte. Roderick era ormai diventato una specie di leggenda: era l’unico studente di Hogwarts con ottimi voti alle interrogazioni e pessimi agli esami scritti. Come fosse possibile, nessuno riusciva a spiegarselo. Il ragazzo sapeva solo che quando era faccia a faccia con un insegnante si sentiva più disinvolto e alla fine qualcosa riusciva a inventarsi, aiutandosi con qualche sorriso o battuta di spirito. Un rotolo di pergamena invece mostrava solo quello che recava scritto, se chi l’aveva redatto non sapeva niente sull’argomento, non c’era modo di ingannare il lettore. La media tra voti tanto estremi raggiungeva comunque la sufficienza, perciò Roderick non doveva preoccuparsi più di tanto. I suoi amici stavano per uscire nel parco, e lui aveva appena deciso di seguirli: l’indomani mattina avrebbe improvvisato cosa raccontare a Lord Gryffindor per l’interrogazione in Difesa Contro le Arti Oscure.
«Lasciatemi posare il mantello, fuori fa già piuttosto caldo.»
Detto ciò, Roderick lo abbandonò di malagrazia su un seggio della Sala Comune, poi raggiunse gli amici nei sotterranei e da lì uscirono dal castello. Una volta nel parco, furono temporaneamente accecati da una luce solare molto intensa.
«Che facciamo adesso?» domandò Ruben, strofinando tra di loro i palmi delle mani.
«Andiamo nella Foresta Proibita!» propose Baldric con entusiasmo.
«Non lo sai che l’accesso è consentito solo agli studenti dell’ultimo anno per le battute di caccia con Lord Gryffindor?» osservò Lamia, incrociando le braccia sul petto.
Il barone sbuffò il suo disappunto, ma non insistette.
«Che ne dite del Lago Nero?» propose Brayden. «Lord Slytherin ci ha lasciato le esche per pescare.»
Roderick non era troppo entusiasta all’idea di rimanere immobile sotto il sole per un tempo indefinito, così gli amici acconsentirono a lasciare la pesca come ultima risorsa. Alla fine decisero di affrontarsi in qualche innocuo duello all’ombra di alcuni cipressi, sfoggiando gli incantesimi che avevano imparato in due anni di istruzione magica.
«Adesso tocca a me e a Lamia!» annunciò Roderick, facendo rotolare la sua bacchetta tra le dita.
La giovane strega avanzò di alcuni passi, mentre gli altri allievi di Lord Slytherin si posizionavano in cerchio intorno a loro. La giovane strega si passò le dita tra le lunghe ciocche di capelli biondi e sorrise in direzione dell’amico.
«Questa volta il tuo bel faccino non ti aiuterà. Inizia a piangere!»
Roderick rise e si preparò a sferrare il primo incantesimo.
 
Rowena giaceva sul letto della sua stanza nella torre ovest del castello. Attraverso la finestra aperta entrava un vento caldo che annunciava l’imminente arrivo dell’estate e che rendeva opprimente l’aria.
La strega espirò debolmente e si deterse la fronte con un panno umido che aveva poggiato accanto al letto. La frescura sulla pelle fu un immediato sollievo e Rowena si sentì subito meglio. Puntellandosi sui gomiti, si sollevò un po’, cercando di assumere una posizione più comoda. Nel fare ciò, diede un’occhiata alla sua figura stesa e storse il naso. Ora che era all’ottavo mese di gravidanza era poco meno grassa di una balena e il suo aspetto la disgustava.
Una volta diventata donna, aveva provato come tutte le sue coetanee un desiderio di maternità, ma aveva avuto sempre altre priorità. Innanzitutto le invasioni dei Vichinghi e dei Danesi: re Ethelred aveva capito che i suoi soldati non sarebbero bastati contro i nemici e aveva richiamato al suo castello i quattro maghi più potenti di tutta la Gran Bretagna. Era stato in quell’occasione che aveva conosciuto Helga, Salazar e Godric. Ognuno di loro si era dato da fare per difendere la propria patria o fronteggiare i nemici. Helga aveva messo a disposizione le sue conoscenze di piante e rimedi e si era adoperata come Guaritrice, a volte coadiuvata da Rowena, che si era preoccupata di preparare le scorte di pozioni. Salazar si era occupato degli Incantesimi di Protezione e Godric aveva preso piena parte ai combattimenti. Era stato bello collaborare con loro, quella compagnia l’aveva finalmente fatta sentire a casa.
Poi c’era stata la fondazione di Hogwarts, naturalmente. I due maghi e le due streghe avevano deciso di restare insieme anche dopo la guerra. Si erano resi conto di quanto molto spesso le persone dotate di poteri magici non sapessero usarli appieno, perciò avevano deciso di comune accordo di trasmettere le loro conoscenze ai loro conterranei.
Successivamente era avvenuta la tragedia della scomparsa di Rastor, e la sorella si era occupata del nipote anima e corpo. Roderick era stato il centro delle sue giornate per anni, finché anche lui non era cresciuto e, una volta pronto per studiare a Hogwarts, era stato Salazar a occuparsi di lui.
Da quel momento, Rowena si era sentita sola come mai le era accaduto prima di allora. La scuola era ben avviata e l’organizzazione collaudata aveva reso tutto più semplice e rapido, Roderick non aveva più avuto bisogno di lei e alla strega non era rimasto che occuparsi di se stessa. Aveva scoperto di non essere adatta a una cosa del genere, e aveva sentito il bisogno di trovare qualcun altro a cui dedicarsi.
Rowena si accarezzò distrattamente il ventre gonfio, fantasticando sull’aspetto che avrebbe avuto il bambino una volta nato. Magari sarebbe stata una femmina, si riscoprì a pensare.
Quello che non aveva calcolato era stato l’enorme ingombro che la gravidanza le avrebbe portato, e soprattutto quanto sarebbe stato insopportabile il caldo in quelle condizioni.
Un lieve bussare alla porta precedette la voce di Potty, uno degli Elfi Domestici stanziati al castello.
«Lady Ravenclaw! Lord Slytherin chiede di vedere voi. Potty ha risposto che la signora non può muoversi fino ai sotterranei, e Lord Slytherin ha detto che verrà lui in torre ovest!»
Rowena inspirò, socchiudendo gli occhi. Nessuno ad Hogwarts usava il suo cognome da sposata, neanche gli Elfi Domestici. Non che la cosa le dispiacesse troppo, dopotutto.
«D’accordo, Potty. Digli che può venire.»
Un tonfo fuori dalla stanza suggerì alla strega che l’Elfo doveva essersi inchinato così profondamente da picchiare la testa contro la porta, poi, con uno scalpiccio di piedi, Potty scomparve.
Rowena tentò di tirarsi su: non si sarebbe fatta vedere da Salazar in quelle condizioni. Scese dal letto con qualche difficoltà, indossò le scarpe e si lisciò le pieghe che l’abito turchese faceva sul suo ventre.
Avrei dovuto indossare qualcosa di scuro, pensò la donna, riflettendo sul fatto che il suo abito faceva sembrare la sua immagine nello specchio il tendone di un palio. Distolse nervosamente lo sguardo dal suo ventre gonfio e iniziò a pettinare i capelli scuri, la cui acconciatura si era rovinata a causa del contatto col guanciale. Fece appena in tempo a spruzzare un paio di nuvole di profumo, che udì un nuovo bussare alla porta.
«Avanti» declamò la strega, voltandosi di scatto.
L’uscio si schiuse e Salazar fece il suo ingresso nella stanza.
«Buongiorno, Rowena» la salutò semplicemente. «Non dovresti restare a casa nelle tue condizioni?»
«Devo occuparmi degli esami di Pozioni e Astronomia.»
Salazar roteò gli occhi e assunse un’espressione sarcastica.
«Hai già devoluto quelli di Volo a Helga, potresti fare lo stesso con le altre materie.»
La donna arricciò le labbra e corrugò la fronte. Si allontanò bruscamente dalla specchiera e iniziò a sprimacciare i cuscini, tanto per tenersi impegnata.
«Apprezzo la tua preoccupazione» disse seccamente, «ma mi sono già organizzata come meglio credo.»
Salazar si strinse nelle spalle e mosse qualche passo verso la finestra a sesto acuto della stanza. Fece scorrere i polpastrelli lungo la cornice di pietra, socchiudendo gli occhi per mettere a fuoco, nonostante il riverbero del sole, le figure degli studenti assiepati intorno alle sponde del Lago Nero.
«Volevi dirmi qualcosa?» domandò d’un tratto Rowena.
«Sì, in effetti…» rispose Salazar, corrugando le sopracciglia.
Senza una parola, la strega lo condusse nella stanza attigua e lo fece accomodare su un divanetto di legno con la seduta imbottita e foderata di raso blu.
Salazar incrociò le mani su un ginocchio e fissò lo sguardo su Rowena, in attesa che anche lei si sedesse. L’operazione fu piuttosto difficoltosa, ma alla fine i due si trovarono faccia a faccia.
«Dimmi pure» lo invitò Rowena, con un eloquente gesto delle mani.
Il mago parve riflettere sulle parole migliori da usare, quando alla fine parlò, sembrò che stesse evitando l’argomento.
«Ti trovo bene. La gente non mente quando dice che la gravidanza rende le donne più belle.»
Rowena sbuffò.
«È solo un mucchio di sciocchezze. Se dovessi gonfiarmi ancora un po’, leviterei. Sono una specie di Graphorn» si lamentò la strega.
«È normale per una donna incinta» convenne Salazar. «Ma guardati! Sei curata come al solito, non un capello fuori posto, e non mi è sfuggito l’odore del tuo profumo nell’aria.»
Rowena abbassò lo sguardo, sentendo improvvisamente di voler cambiare argomento.
«Posso sapere di cosa volevi parlarmi? Devo preparare gli esami di Astronomia.»
Salazar si rizzò un poco e plasmò l’espressione del volto fino a farla diventare seria.
«Certo.  Sono stato contento di essere stato alla tua festa di nozze l’anno scorso, è stata un’esperienza… illuminante, per certi versi.» Rowena lo guardava incuriosita, ma non lo interruppe. «Prima di allora, avevo trascurato la valenza di questo strumento generalmente utilizzato. Ho ascoltato re Ethelred e la sua corte parlare, e mi sono reso conto dell’importanza delle alleanze in un momento che precede tempi bui.»
La strega sollevò ancora di più le sopracciglia, senza capire.
«Tempi bui? Ma di cosa parli, Salazar? Non c’è alcuna minaccia all’orizzonte.»
Il mago congiunse le dita sotto il mento e assunse una posa più rilassata, che contrastava con l’intensità del suo sguardo.
«Non c’è alcuna minaccia, dici? Rowena, Olaf Trygvasson è morto. Avrai sicuramente capito prima degli altri che l’equilibrio che avevamo raggiunto finché lui è stato re di Norvegia non durerà ancora a lungo. Prima o poi Ethelred farà qualcosa di stupido, lo so.»
Rowena tentò di incrociare le braccia sotto il seno, ma l’ampio ventre glielo rese impossibile, così desistette. Glissò sul fatto che il mago non aveva nominato il sovrano chiamandolo con i dovuti appellativi e andò al sodo.
«Ne abbiamo già parlato, noi quattro… Non cambierà proprio niente. Quando Olaf Trygvasson si è ritirato, re Haakon ha stipulato un trattato di non aggressione…»
«Pagato da Ethelred» puntualizzò Salazar. Rowena gli lanciò un’occhiata perforante e riprese:
«Ad ogni modo, i Norvegesi non hanno il benché minimo interesse ad attaccarci.»
«Olaf è stato un uomo di pasta rara» sbottò il mago. «Non ha voluto il denaro, come il suo re. È stato re Haakon, pagato da Ethelred, a ordinare a Olaf di ritirarsi, e lui l’ha fatto, ma è tornato in patria solo per spodestarlo. La Norvegia ci ha solo guadagnato ad avere un re incorruttibile come lui; alcuni territori, tra cui quelli danesi di Sweyn Barbaforcuta, si sono sottomessi volontariamente al suo dominio. Avrà perso interesse nell’Inghilterra, ma ha comunque rispettato il patto stipulato da Haakon prima di lui. Il suo successore potrebbe pensarla diversamente.»
Rowena lo scrutò con intensità. Aveva sempre avuto l’impressione che, anche se Salazar aveva sempre combattuto lealmente per il suo paese, ammirasse quei popoli del nord e i loro comandanti. Di certo non sopportava re Ethelred, specialmente per il suo modo di affrontare i nemici pagandoli. In fondo Rowena era stata parzialmente d’accordo: i condottieri venuti dal nord avevano una dignità che non si vedeva con troppa frequenza tra le alte cariche inglesi. Ad ogni modo, la donna sapeva che non avrebbe dovuto rendere Salazar partecipe di quelle riflessioni che lei aveva formulato a suo tempo, così rispose, scettica:
«Ad oggi non c’è alcuna prova delle tue parole.»
«Questo è vero» le concesse Salazar. «Ma tu sai che non mi sono mai fidato dei Norvegesi. E del nostro re.»
«Ora basta, questo è troppo!» esclamò Rowena. «Non puoi dire certe cose!»
Il mago incrociò le braccia sul petto, come a volerla sfidare a convincerlo a fare il contrario.
«D’accordo» disse poi con tono più condiscendente. «Lasciamo stare Ethelred. Ma converrai con me che quella che ti sto descrivendo è una prospettiva possibile.»
«Possibile, ma non più probabile di un figlio di Babbani come tuo allievo» rispose sarcasticamente la donna.
Per qualche istante i due rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Rowena analizzò più volte le parole di Salazar nella sua mente, confrontandole con ciò che aveva sentito dalla bocca di suo marito o di re Ethelred, ma non riuscì a trovare nulla che confortasse le preoccupazioni del Fondatore.
La strega scosse la testa come per scacciare le illazioni che aveva appena ascoltato. La sua mente era già agli impegni con i suoi studenti, quando ricordò che Salazar era andato da lei per domandarle qualcosa.
«Va bene» gli disse, portandosi una mano alla fronte. «Lasciamo per un attimo le questioni di politica. Cosa volevi chiedermi?»
Salzar inspirò prima di rispondere:
«Vorrei stipulare con te un patto nuziale.»
Rowena sgranò gli occhi, sorpresa. Si sarebbe aspettata di tutto, meno che quella dichiarazione di intenti. Quando chiese spiegazioni, il mago gliele fornì.
«Vorrei che, quando sarà più grande, tuo nipote sposasse mia figlia. Sono venuto qui perché voglio promettere Lamia in sposa a Roderick.»
Per qualche secondo, la strega non fu in grado di rispondere per via della bocca troppo secca. Quando riuscì trovare le parole, avvertì gli occhi riempirsi inspiegabilmente di lacrime, che ricacciò immediatamente.
«Tu vuoi portarmelo via!» lo attaccò. Fu il turno di Salazar per mostrarsi sorpreso, ma Rowena lo precedette prima che questi potesse ribattere. «Anzi, me l’hai già portato via quando l’hai scelto come tuo allievo! E ora vuoi rendere definitivo il distacco.»
La strega guardò verso l’alto, fissando lo sguardo sulle volte del soffitto, per impedire alle lacrime di riformarsi.
«Non è così» tentò di spiegarsi Salazar, alzandosi in piedi e parlando con voce stranamente affannata. «Te l’ho detto, voglio rinsaldare la nostra alleanza!»
Rowena trasse una serie di brevi respiri, non sapendo se ciò che le faceva più male fosse l’idea che suo nipote si legasse alla sua futura sposa o il calcio che il bambino o la bambina dentro di lei le aveva appena sferrato.
«Perché?» domandò lei, con rabbia. «Siamo i quattro Fondatori di Hogwarts, c’è già un legame abbastanza forte tra noi.»
Salazar chinò il capo e non rispose subito. Mosse alcuni passi e risollevò la testa, osservando la donna con occhi socchiusi.
«Sai che non è vero. Negli ultimi tempi, io e Godric abbiamo discusso sempre più spesso, e tu e Helga siete dalla sua parte, non raccontiamoci menzogne.»
Rowena tacque, ripensando a quando aveva scoperto, attraverso le parole di Roderick, il contenuto della prima lezione di Storia della Magia l’anno prima. Era stata lei a riferire tutto a Godric, e l’aveva fatto proprio affinché questi affrontasse Salazar.
«E poi non è tutto» continuò Lord Slytherin. «Ci sono state delle tensioni fra noi due.»
L’ultima frase era stata pronunciata così a bassa voce da essere risultata appena percepibile.
«Questo è vero» rispose duramente Rowena, ripensando alle loro liti dell’anno precedente. «Ma è stato per colpa tua.»
Salazar distolse lo sguardo, la strega lo conosceva abbastanza da sapere che si stava trattenendo per evitare di risponderle.
«Voglio solo mettere una pietra sopra tutto questo, nient’altro.»
La strega rifletté sulla proposta di Salazar, in effetti non aveva tutti i torti.
«E poi» continuò lui, «non resterai sola. Tua figlia sta per nascere.»
Rowena si portò le mani sul ventre, trattenendo il respiro. Allora anche lui aveva la sensazione che sarebbe stata una femmina. O forse l’aveva previsto.
«Io…» balbettò la strega. «Credo che si potrebbe fare.»
Salazar si animò all’istante.
«Quindi è fatta? Sei d’accordo sul futuro matrimonio di Lamia e Roderick?»
Rowena annuì prima di rendersene conto. Il mago uscì dalla stanza, sostenendo che l’avrebbero detto ai ragazzi insieme.
Quando la strega rimase da sola, espirò come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato. Si alzò, appoggiandosi al bracciolo del divanetto, e si diresse verso lo scrittoio sul quale si trovava la pergamena con le domande per l’esame di Astronomia per gli studenti di tutti e sette gli anni. Srotolò la lista davanti a sé, senza vederla veramente.
La spiegazione di Salazar di appianare ogni divergenza col matrimonio dei ragazzi l’aveva convinta, ma un angolo remoto del suo essere, uno che lei era abituata ad ascoltare poco, ma che conosceva molto bene Lord Salazar Slytherin, le suggeriva che quella fosse l’ennesima piccola vendetta del mago nei suoi confronti.




NdA: Forse Roderick compare poco – anziché studiare cazzeggia, che svogliato! – ma Rowena e Salazar decidono della sua vita, perciò il capitolo è cruciale. Perché Lamia e Roderick vengono promessi sposi? Perché avevo il prompt della lunga storia d’amore, e siccome non intendo protrarre la FF fino agli ottanta anni di Rod, l’ho fatto fidanzare presto. Il che comunque non era una cosa tanto insolita per il Medioevo, a dodici anni sei già un uomo. È chiaro che lui e Lamia non si sposeranno subito, ma comunque era normale che nel Medioevo i matrimoni venissero combinati quando i due rampolli erano ancora piccoli.
Passando oltre, tutte le informazioni su re Ethelred, Sweyn barbaforcuta, Haakon e Olaf Trygvasson hanno delle basi storiche.
Il Graphorn nominato da Rowena è una Creatura Magica citata in Gli animali fantastici: dove trovarli.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9


Il terzo anno di studi ad Hogwarts per Roderick e compagni era giunto in punta di piedi su una brezza ancora dichiaratamente estiva e aveva bussato al portone del castello con fastidiosa insistenza.
Quell’estate era stata la più tormentata che Roderick ricordasse, dal momento che Lord Slytherin aveva pensato bene di dare al suo allievo qualche ripetizione di Storia della Magia. Proprio per questo il ragazzo aveva come l’impressione che il nuovo anno scolastico sarebbe ricominciato senza che lui avesse avuto la possibilità di godersi appieno le vacanze. Roderick era convinto che Lord Slytherin si fosse intestardito con lui: i suoi voti erano nella media, molti altri studenti avrebbero avuto più bisogno di lui di studiare durante l’estate. Il suo Capocasa sembrava però aver preso particolarmente a cuore l’istruzione del suo pupillo: non gli bastava che i voti di Roderick fossero nella media, voleva spingerlo oltre. Nonostante il ragazzo non avesse gradito particolarmente studiare durante l’estate, sapeva che era stato meglio impegnarsi sotto la guida di Lord Slytherin che sotto quella di sua zia. Con Rowena, il nipote aveva sempre avuto l’impressione di non fare abbastanza e che nessuna sua risposta sarebbe stata all’altezza della Fondatrice. Con il suo maestro invece si sentiva pienamente a suo agio. Ammirava entrambi profondamente, ma in Lord Slytherin c’era qualcosa che faceva desiderare al ragazzo di diventare come lui un giorno. Solo quel pensiero aveva reso lo studio estivo un po’ più sopportabile, anche se Roderick avrebbe comunque gradito almeno una settimana di pausa completa prima del ricominciare delle lezioni.
L’unica cosa positiva portata dal primo settembre era stato il ritorno dei suoi amici. Quella sera, dopo il sontuoso banchetto di accoglienza per vecchi e nuovi studenti, Roderick era ritornato nella Sala Comune nei sotterranei insieme a Lamia, Baldric, Brayden e ai gemelli. Avevano giocato a Gobbiglie e, insieme agli altri compagni di Casa, si erano scambiati varie notizie e resoconti dell’estate. A mezzanotte passata, gli ultimi irriducibili, i gemelli Uchelgais, erano andati a letto e Roderick e Baldric erano rimasti da soli davanti al camino spento. Entrambi sapevano che c’erano grosse novità che ancora non erano state raccontate, e fu il barone a parlare per primo.
«Ho saputo che è nata la figlia di Lord e Lady Bachelor… io e mia madre abbiamo mandato al castello un dono per lei.»
«Sì» confermò Roderick, congiungendo le mani di fronte a sé. «L’hanno chiamata Helena e porta il doppio cognome. Una cosa a dir poco rivoluzionaria, pare che i Bachelor non fossero esattamente contenti.»
«Immagino l’espressione del vecchio!» rise Baldric, per poi imitare il padre dell’arciduca Beauregard, che conosceva personalmente, modellando i suoi lineamenti in modo da apparire terribilmente scandalizzato.
Roderick rise di gusto.
«Sì, una cosa del genere. Ma mia zia non ha voluto sentire storie e non ha ceduto. Alla fine hanno raggiunto un compromesso: mia cugina userà il cognome del padre nelle occasioni babbane, ufficiali e non, invece sarà una Ravenclaw nel mondo magico.»
«Mi sembra ragionevole» convenne Baldric, annuendo con convinzione eccessiva.
Probabilmente come Roderick doveva pensare che tutta quella disputa su un paio di cognomi fosse un’idiozia completa, ma per fortuna avevano smesso di fare questioni e il giovane Ravenclaw avrebbe accolto con entusiasmo qualsiasi soluzione che mettesse a tacere le parti in causa.
«C’è dell’altro…» Probabilmente non avrebbe detto a Baldric nulla che non sapesse già, ma Roderick preferiva autoconvincersi di essere il primo a rivelare una notizia tanto importante al suo migliore amico. «Io e Lamia siamo stati promessi. Finita la scuola ci sposeremo.»
Il barone congiunse le lunghe dita sotto il mento e sembrò che la fredda apertura del camino risucchiasse il suo sguardo in un cono buio.
«È una grande notizia» rispose dopo un po’.
Roderick strinse le braccia intorno al suo torso sottile. Sperava che Baldric lo capisse, ed era andata proprio in quel modo. Non aveva palesato di saperlo già, ma nello stesso tempo non si era esibito in quella falsa sorpresa che lo avrebbe rivelato ugualmente.
«Come l’hai presa?»
«Piuttosto bene, direi» rispose Roderick, facendo spallucce. «Sapevo che prima o poi sarebbe capitata una cosa del genere. Meglio Lamia che un’altra, almeno la conosco e le voglio bene.»
Notato il silenzio dell’amico, Roderick si voltò a guardarlo e notò la sua espressione contratta e lo sguardo fosco.
«Quando arriverà il mio momento, spero di essere fortunato come te» disse il barone, rispondendo alla sua occhiata interrogativa.
 
Il mattino dopo, quando gli studenti del terzo anno scesero in Sala Grande, furono sorpresi di vedere i quattro Fondatori ad accoglierli. Era piuttosto raro che facessero loro compagnia per colazione, in effetti.
Subito dalle schiere di ragazzi in movimento si levò un vocio e incuriosito e i gemelli Uchelgais attirarono l’attenzione di Roderick sui due maghi e sulle due streghe con delle lievi gomitate.
«Sì, sapevo che ci sarebbero stati» ricordò Roderick. «Lord Slytherin mi ha detto che dobbiamo scegliere le materie facoltative da seguire.»
Lamia e Brayden gli fecero eco: anche loro sapevano che quella scelta andava fatta al terzo anno.
«No!» esclamò invece Ruben, che aveva tanta voglia di studiare quanto Roderick. «Dobbiamo scegliere altre materie?»
«Forse, dato che sono facoltative, potremmo farne a meno!» osservò speranzoso Alef.
«Non credo proprio» rispose una voce asciutta alle sue spalle. Il ragazzo trasalì e sbatté le palpebre un paio di volte prima di voltarsi e accorgersi che Lord Slytherin lo stava osservando con espressione severa. «Anzi, mi aspetto che i miei studenti si distinguano.»
Ciò detto, il mago superò il gruppetto di ragazzi con passo marziale per andare a raggiungere i suoi colleghi.
«Sì che ci distingueremo» sibilò a denti stretti Lamia. «Come la Casa con più zucconi» concluse lanciando un’occhiata critica agli amici.
Gli allievi di Lord Slytherin si avvicinarono al centro della Sala, dove i quattro Fondatori avevano posizionato altrettanti scrittoi rivolti verso i quattro punti cardinali. Ognuno dei ripiani di legno era ricoperto da pergamene, una recante la scrittura grande e aspra di Lord Gryffindor, una riempita con le lettere piccole di Lady Ravenclaw, quella con le tracce di grandi occhielli apparteneva a Lady Hufflepuff mentre quella con la scrittura obliqua doveva essere stata riempita dalla mano di Lord Slytherin che esercitava sempre grande pressione.
«Avvicinatevi, cari!» stava dicendo Lady Hufflepuff. «Venite a dare un’occhiata a queste pergamene. Solo conoscendone il contenuto potrete scegliere quali materie seguire.»
«Ognuno di noi, oltre alle due materie obbligatorie, ne insegna una facoltativa. Potrete scegliere se e quali seguire nei prossimi anni a Hogwarts» spiegò Lord Gryffindor.
«Avete visto che possiamo decidere anche di non scegliere nessuna?» sussurrò Alef ai suoi amici.
«Sì, poi glielo dici tu a Lord Slytherin che non abbiamo preso nessuna materia facoltativa» rispose Roderick ridendo.
Anche loro si avvicinarono agli scrittoi, cercando di adocchiare meglio il contenuto delle pergamene. Bastò una rapida occhiata per capire che Lord Gryffindor insegnava Aritmanzia, Lady Hufflepuff Antiche Rune, Lord Slytherin Divinazione e infine Lady Ravenclaw Volo.
I gemelli si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Noi prendiamo Volo!» esclamarono all’unisono.
Lamia appoggiò la fronte al palmo della mano e produsse un sonoro sospiro.
«Perché fai così?» le chiese Ruben. «È perfetto! Se proprio dobbiamo scegliere qualcosa, preferiamo l’unica materia che ci tenga lontano da uno scrittoio.»
Lamia ribatté in Serpentese, probabilmente qualcosa di poco gentile se aveva deciso di esprimersi in quella lingua, ma i gemelli non le prestarono molta attenzione.
«In effetti l’idea non è brutta» osservò candidamente Baldric, ricevendo a sua volta un’occhiata sdegnata dalla ragazza.
«Dai, Lamia» la rimbeccò Roderick, sorridendo. «Ti comporti come un’allieva di mia zia.»
Proprio in quel momento, come richiamata dalle parole del giovane, Abigail Preshy passò a pochi centimetri da lui per andare a consultare le pergamene di Lady Hufflepuff.
«Prevedibile… La secchiona è andata a scegliere tra tutte la materia più complessa: Antiche Rune!»
Roderick aveva parlato a voce volutamente alta e le sue parole avevano raggiunto le orecchie di Abigail. La ragazza gli scoccò un’occhiata furente, per poi chinarsi sullo scrittoio di Lady Hufflepuff in modo da far sì che i capelli piatti e sottili le piovessero sul viso.
Ridendo per la buona riuscita della sua provocazione, Roderick tornò a concentrarsi sulla sua promessa, che lo osservava con aria poco meno seccata di quella di Abigail.
«No, non sono come lei» ribatté la Slytherin, accennando con la testa in direzione dell’allieva di Lady Ravenclaw.
Roderick era così abituato a scherzare con gli amici che la reazione di Lamia lo sorprese. Il ragazzo conosceva a memoria tutte le sue espressioni, il suo labbro superiore sollevato e le sue sopracciglia bionde aggrottate non davano adito a dubbi: Lamia era gelosa.
Possibile?, si domandò Roderick. Il fatto che lei fosse la sua migliore amica a volte gli faceva dimenticare che era anche la sua promessa sposa.
Le sorrise conciliante, posandole una mano sulle braccia conserte.
«Cosa farai, sceglierai tutte e quattro le materie facoltative?»
«Smettila, Rod!» fece lei, ritraendosi a quel contatto, ma intanto il mago aveva ottenuto il risultato sperato: Lamia sorrideva e l’atmosfera era tornata quella di sempre. «Voglio solo che la nostra Casa sia la migliore di tutte, e per questo devo farle guadagnare punti.»
«Finalmente ti riconosciamo!» rispose il ragazzo, scatenando l’ilarità degli amici e il consenso in particolare di Brayden.
«Io ho già optato per Aritmanzia e Antiche Rune» affermò il biondo.
«Ottima scelta, Bray» rispose Baldric con una sonora manata sulle spalle grassocce del ragazzo.
«Anche perché non ti ci vediamo ad appoggiare le tue nobili chiappe su uno scomodo manico di scopa!»
La battuta dei gemelli fece piegare tutti dal ridere.
«Io scelgo tre materie» decise Lamia aggrottando le sopracciglia, questa volta, notò Roderick, per via delle elucubrazioni che stavano avendo luogo nella sua testa. «Penso Aritmanzia, Volo e Divinazione, che tutto sommato sembra meno impegnativa di Rune.»
«Ti seguo» le fece eco Baldric. «Ma solo con Volo e Divinazione.»
Rimase Roderick. Non avrebbe scelto più di una materia come avevano fatto Brayden, Baldric e Lamia, non voleva passare i suoi pomeriggi a sgobbare sui libri. D’altra parte non sarebbe stato neanche tanto sprovveduto come i gemelli Uchelgais, scegliere solo Volo, ma andiamo! La soluzione migliore era una sola, e Lord Slytherin, che tanto si stava prodigando affinché il suo futuro genero si impegnasse di più, non avrebbe avuto niente da ridire.
«Io opto per Divinazione… E con questo abbiamo finito!»
 
Roderick non rimpianse la scelta fatta. Lord Slytherin sembrava non si aspettasse altro, all’inizio sembrò un po’ critico per il fatto che il suo pupillo aveva scelto una sola materia, ma, contrariamente alle aspettative del mago, c’erano stati allievi che non ne avevano scelta nessuna, neanche quella insegnata da lui.
L’aula di Divinazione era nei sotterranei, ambiente che il Lord prediligeva per via dell’oscura frescura che li caratterizzava. Quel pomeriggio, il mago attese i suoi studenti in piedi sulla soglia.
«Su, entrate» li invitò con un gesto secco.
A differenza delle aule a cui erano abituati, quella di Divinazione aveva dei tavoli circolari con tre scranni dall’aspetto piuttosto scomodo ciascuno. Su due pareti opposte si trovavano le bocche aperte di due camini, più piccole rispetto a quelle degli altri. Tre gradini sbeccati portavano al grande scranno che avrebbe ospitato Lord Slytherin e che, insolitamente, non era preceduto da alcuno scrittoio.
Gli studenti del terzo anno presero posto, Roderick, Lamia e Baldric scelsero lo stesso tavolo circolare.
«La Divinazione consiste nella capacità di ottenere informazioni inaccessibili attraverso fonti sovrannaturali.» La voce di Lord Slytherin risuonò particolarmente cavernosa in quell’aula dei sotterranei. Alcuni studenti iniziarono a prendere appunti sulle loro pergamene. «Non consiste nell’osservare il fondo di un boccale di qualche bevanda alcolica aromatizzata alla ricerca di chissà quali informazioni. Se doveste notare qualche immagine particolare in questo modo, quella non è Divinazione. Si chiama sbronza.»
Quasi tutti i ragazzi risero alle parole del maestro e Lord Slytherin sollevò appena un angolo delle labbra.
«Oggi iniziamo lo studio di una particolare branca della Divinazione che si chiama Aruspicia, una pratica di origine etrusca a cui ricorrevano anche i Romani. Gli aruspici avevano il compito di esaminare le viscere di animali sacrificati per trarne segni divini.»
Alcune ragazze storsero il naso, e la cosa non sfuggì a Lord Slytherin.
«Suvvia, non fate quelle facce. I pranzetti che preparerete ai vostri futuri mariti non saranno molto diversi.»
Questa volta furono i ragazzi a ridere e Roderick lanciò un’occhiata divertita a Lamia, figurandosela nella preparazione dello stufato di coniglio.
«Gli antichi credevano che nelle viscere degli animali si potesse ritrovare la stessa struttura della volta celeste» riprese l’insegnante, tornando serio. «Essa è attraversata da due rette perpendicolari: cardo e decumano.»
Lord Slytherin sollevò la bacchetta e tracciò due linee luminescenti in aria. Subito dopo, richiamato non si sa come, un Elfo Domestico fece il suo ingresso con un sacco sulla spalla. Il Fondatore gli diede l’ordine di aprirlo e di distribuire il suo contenuto tra i tavoli, dopodiché agitò la bacchetta una seconda volta e su ogni ripiano di legno comparve un piatto d’argento.
Dal momento che Roderick era seduto piuttosto vicino a Lord Slytherin, il suo tavolo fu uno dei primi a venire rifornito. L’Elfo Domestico vi depositò un oggetto viscido e scuro, che alla penombra dell’aula sembrava di un intenso color marrone o rosso cupo. Roderick non ci mise molto a riconoscerlo e, quando alcune studentesse giunsero alla sua stessa conclusione, esordirono con qualche esclamazione lamentosa o disgustata.
«Studiamo Aruspicia, non ricamo!» le rimproverò freddamente Lord Slytherin. «Ora smettetela di frignare e iniziate ad aprire i fegati di pecora come illustrato dal vostro libro.»
A differenza delle altre ragazze, Lamia non sembrava aver alcun problema con l’organo depositato sul piatto davanti a lei. Lo afferrò senza esitazione e impugnò il coltello d’argento che Baldric le porgeva. Dopo che lo ebbe tagliato a metà, lo ridepose sul piatto e lo allargò ben bene, poi ridusse gli occhi a due fessure, imitata dagli amici, nell’intendo di scrutarne il contenuto per cogliervi i segreti dell’universo. Ogni tanto Roderick staccava gli occhi dal piatto per leggere la descrizione del modello di fegato riportato sul libro, ma interpretare quelle viscere era più difficile di quel che aveva immaginato.
«Allora? Che cosa dice?» domando Baldric, il primo a perdere la pazienza.
«Non è chiaro…» mugugnò Lamia, arricciando le labbra, pensierosa.
Roderick si intromise senza staccare gli occhi dal libro.
«Qui dice che dobbiamo partire dal decumano, a sinistra dovremmo trovare i presagi positivi e a destra quelli negativi.»
I tre ragazzi tornarono a fissare il fegato, ma le espressioni istupidite che assunsero poco dopo palesarono che l’informazione letta dal giovane Ravenclaw non sembrava essere stata di alcun aiuto. Mezz’ora più tardi, Roderick si accorse che nessun altro nell’aula era riuscito a leggere un bel niente in quelle viscere, e poco più tardi ne fu consapevole anche Lord Slytherin. Il mago non fece nulla per tentare di dissimulare quanto fosse seccato, scese gli scalini che lo separavano dagli studenti e raggiunse il tavolo della figlia e dei suoi amici.
«Cosa siete stati in grado di fare?» domandò, asciutto.
Lamia aveva sempre disapprovato il modo in cui Roderick improvvisava durante i compiti e le interrogazioni, ma, a giudicare dall’occhiata che gli stava rivolgendo, il ragazzo capì che se c’era un momento in cui lei avrebbe gradito che inventasse qualcosa, era proprio quello. Così Roderick ripeté al Fondatore ciò che aveva letto sul libro, parola per parola, per poi azzardare che, secondo loro, la parte del fegato a destra del decumano conteneva qualcosa di importante.
«Molto bene, Roderick» disse Lord Slytherin quando il ragazzo tacque. Il mago si chinò sul tavolo per osservare meglio l’organo aperto e al giovane Ravenclaw sembrò che le sue pupille si fossero dilatate. L’insegnante afferrò il coltello con urgenza e con la punta tormentò quello che ai ragazzi non era sembrato niente di più speciale di un grumo di sangue. Lord Slytherin strinse le labbra sottili fino a sbiancarle mentre premeva questa volta il piatto della lama contro la superficie viscida del fegato.
«Qualcosa non va, signore?» domandò cautamente Roderick.
«Hai ragione… La tua previsione è corretta.»
Lamia e Baldric sussultarono per la sorpresa, e lo stesso Ravenclaw non si sarebbe aspettato di convincere in quel modo l’insegnante.
«È una buona notizia, non è vero?» domandò allora il ragazzo, cercando gli sguardi degli amici e sfoderando dapprima stentatamente, poi sempre con maggiore convinzione, il suo consueto sorriso.
«Non per tutti» rispose freddamente Lord Slytherin, senza staccare gli occhi dal fegato. «Sta per scatenarsi una guerra.»






NdA: Il fatto che Helena sia conosciuta con il cognome materno mi conferma la non assurdità della mia idea di far sposare Rowena a un Babbano.
Le calligrafie dei quattro Fondatori rispecchiano la personalità di ognuno. Quella di Godric non si perde in ghirigori o segni tondeggianti, segno che appartiene a un uomo concreto, mentre la grande dimensione delle lettere rappresenta la sua personalità dominante. Salazar pressa molto sul foglio, il che indica la sua capacità di introspezione, inoltre la sua scrittura pende verso sinistra, segno del fatto che è una persona chiusa e introversa. La scrittura di Rowena è molto piccola, il che denota intelligenza e sagacia, mentre quella di Helga è caratterizzata da occhielli ampi, che stanno a indicare la sua grande sensibilità.
Le informazioni sull’aruspicia sono supportate da fonti storiche. Non trovo inverosimile che una persona come Salazar inizi un corso con viscere di animali, trovo che sia un mago con un senso dell’umorismo un po’ macabro :P

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 

Roderick calcava la pietra dei sotterranei con decisione. Aveva un’agitazione in corpo che si era scatenata fin dall’alba, quando era stato svegliato dal suo incubo ricorrente. Era da mesi ormai che i lampi rossi non disturbavano il suo sonno, ma quella mattina erano ritornati con prepotenza. Negli anni, Roderick si era convinto che significassero qualcosa, ma non era mai riuscito a capire cosa. Aveva anche rinunciato a domandarlo a Lord Slytherin, esperto di tecniche divinatorie, dal momento che erano diventati sempre più rari e insignificanti. Invece quella volta i lampi rossi erano esplosi davanti ai suoi occhi, gettandogli addosso schegge di paura e disperazione. Il turbamento provato dal ragazzo si era amplificato in Sala Grande, quando aveva pranzato con i suoi compagni di quarto anno. Un banditore con gli abiti impolverati e i capelli impastati di sudore e terra aveva fatto irruzione nel castello, con il guardiacaccia Harvey Keepwood che si era precipitato al suo seguito, non era stato chiaro se per trattenerlo o per scortarlo. Il banditore aveva chiesto dei quattro Fondatori e si era rifiutato di scucire anche una sola parola su ciò che aveva da dire. Roderick, così come era sicuro anche gli altri studenti, si era incuriosito, ma la situazione era apparsa immediatamente grave e ben lontana da possibili scherzi. Così, dopo le prime domande dei Capiscuola, che il banditore aveva rudemente messo a tacere, nessuno aveva più osato aprire bocca.
I Capiscuola si erano alzati e avevano condotto l’uomo dai due Lord e da Lady Hufflepuff. Lady Rowena era assente, sarebbe arrivata al castello solo quella sera.
Non appena il banditore aveva lasciato Hogwarts, centinaia di ipotesi sussurrate avevano iniziato a serpeggiare tra i maghi e le streghe, ma Roderick era sicuro che quelle legate a un Lethifold che aveva strangolato Lady Rowena nel sonno fossero decisamente false. La strega era assente perché era con la figlia e il marito al castello dei Bachelor e su questo non c’era da dubitare.
Quando Baldric e Alef gli avevano chiesto cosa pensasse che fosse accaduto, Roderick non aveva risposto. Non solo non ne aveva la minima idea, ma non riusciva neanche a pensare a qualcosa che non fossero i lampi rossi che lo avevano svegliato in un bagno di sudore.
Qualche tempo dopo, i tre Fondatori avevano sospeso le lezioni di quel giorno e pareva che avessero lasciato la scuola. Era accaduto presumibilmente in momenti diversi, cosa che lasciava intuire che i maghi e la strega avessero impegni e direzioni diverse. All’ora di cena, Lord Slytherin era rientrato e si era fatto vedere in Sala Grande. Roderick l’aveva sentito parlare con Keepwood del fatto che anche Lady Ravenclaw e Lady Hufflepuff fossero al castello.
La curiosità degli studenti non si era affatto smorzata, mentre la loro preoccupazione era aumentata esponenzialmente, complici le angoscianti voci che stavano circolando. Lord Slytherin però non aveva offerto nessuna spiegazione, anzi si era defilato il prima possibile.
Terminato di cenare, Roderick, Lamia, Baldric, Brayden, Alef e Ruben erano rientrati nella loro Sala Comune. Tutti gli allievi di Lord Slytherin, dal primo all’ultimo anno, si erano raccolti intorno al camino acceso per continuare a bisbigliare e a proporre tesi sempre più oscure e improbabili sull’accaduto. I Prefetti e il Caposcuola non erano riusciti a mantenere la calma, ma non si erano neanche impegnati troppo su quella linea, dato che erano curiosi tanto quanto gli altri.
Roderick non aveva avuto voglia di unirsi ai suoi amici quando questi avevano iniziato a sostenere che probabilmente quell’agitazione era legata alla previsione nefasta fatta da Lord Slytherin qualche mese prima. Tutto ciò che sapeva era che il loro Capocasa doveva essere più che informato su ciò che stava accadendo e, se voleva una spiegazione, doveva chiedergliela direttamente. Lord Slytherin non gliel’avrebbe negata, non a lui.
Il mago si era alzato dal divano che stava occupando con Brayden e Lamia e aveva mosso qualche passo verso l’ingresso segreto della Sala Comune. Nella confusione, né i Prefetti, né il Caposcuola avevano notato nulla. Quando il giovane aveva raggiunto l’uscita però si era accorto che gli occhi chiari di Lamia lo stavano fissando attentamente.
Mai i corridoi dei sotterranei gli erano sembrati così lunghi. Roderick era stato tentato di correre, ma aveva cercato di dominarsi. L’operazione era stata particolarmente difficile, infatti il passo del mago era comunque abbastanza svelto da dargli il fiatone.
Quando Roderick si fermò davanti alla porta degli alloggi di Lord Slytherin, dovette inspirare profondamente nel tentativo di regolare la sua respirazione. Era come se i suoi polmoni si fossero ridotti e rinsecchiti, privandosi della possibilità di riempirsi dell’aria fredda che anelava. Davanti agli occhi continuava a vedere le immagini dei lampi rossi del sogno; per scacciarle, Roderick allungò il braccio e bussò con decisione. Non ottenne nessuna risposta. Lord Slytherin doveva essere lì, perché non gli apriva?
Roderick bussò ancora, più forte e più a lungo.
«Mio signore, apritemi, vi prego» chiamò. Ancora nessuna risposta.
Il giovane aveva appena voltato le spalle alla porta, quando udì un rumore di passi e il cigolio dei cardini che ruotavano su loro stessi.
«Cosa c’è?» gli domandò in Fondatore.
«Fatemi entrare, per favore.»
Lord Slytherin parve pensarci un poco, dopodiché scostò l’uscio il tanto che bastava per far entrare il ragazzo e gli rivolse un cenno della testa.
Roderick fece il suo ingresso in un’ampia sala rettangolare e calcò un largo tappeto steso sul pavimento di pietra. A differenza delle aule del maestro, solitamente spoglie o quasi, il suo alloggio personale era pieno di oggetti. Larghi arazzi erano stati appesi alle pareti tra un’apertura del muro e un’altra. Raffiguravano scene di pesca, e la luce verdognola che filtrava attraverso le finestrelle faceva quasi sembrare vivi tanto i maghi pescatori, quanto gli Avvicini e gli Ippocampi che catturavano. Un’enorme libreria ricopriva un’intera parete, davanti ad essa c’erano uno scranno intagliato e un ampio tavolo. Due piccole panche erano state orientate in modo che gli occupanti potessero avere una chiara visione di Lord Slytherin seduto dietro il tavolo, o meglio che il mago potesse avere un’ottima visione dei suoi ospiti. Dal soffitto pendevano candelabri circolari in ferro battuto, bastò un movimento della bacchetta del Fondatore perché le candele si accendessero all’istante.
«Allora?» domandò il Fondatore, facendo segno a Roderick di sedersi su una delle panche di fronte alla scrivania. Contrariamente alle aspettative del ragazzo, Lord Slytherin non raggiunse il suo scranno, ma si accomodò sull’altra panca.
«Signore» esordì Roderick, con ancora un po’ di fiatone. «Voglio sapere cosa aveva da dire il banditore, dove siete stato insieme agli altri Fondatori… cosa sta succedendo, insomma» snocciolò rapidamente. Accorgendosi all’ultimo di non essere nella posizione di poter imporre qualcosa a qualcuno, men che meno al suo maestro, aggiunse: «Se non vi dispiace.»
Lord Slytherin non protestò per i modi del futuro genero, appoggiò rigidamente un braccio al piano del tavolo e diresse lo sguardo verso la finestra alle spalle del ragazzo.
«La guerra…» iniziò il mago.
Roderick non ebbe bisogno di chiedere di cosa parlasse. Ricordava perfettamente la prima lezione di Aruspicia, la sua improvvisazione e infine la previsione seria e preoccupante del maestro.
«È iniziata?» chiese con un filo di voce.
Il Fondatore tornò a concentrarsi sul ragazzo, gli occhi scuri quasi scomparivano sotto le sopracciglia aggrottate.
«A quanto pare... Vuoi sapere cosa è venuto a dirci il banditore?»
Roderick annuì appena mentre Lord Slytherin si alzava bruscamente dalla panca. Intrecciò le dita dietro la schiena e iniziò a camminare avanti e indietro.
«Maledizione!» inveì all’improvviso il Fondatore. Continuò a muoversi e a stringere le labbra, Roderick stava iniziando a pensare che si fosse dimenticato della sua presenza lì, invece il mago riprese:
«Sai che Olaf Trygvasson è morto. Il nostro saggio e lungimirante sovrano, re Ethelred, ha pensato di cogliere l’occasione per vendicarsi dell’invasione dei Norvegesi e dei Danesi. Ha ordinato l’esecuzione dei Danesi che vivevano in Gran Bretagna, e la notizia è arrivata a Sweyn Barbaforcuta.»
Le narici di Roderick si allargarono e il ragazzo trattenne il respiro.
«Siete sicuro che…»
«Sì» rispose nervosamente Lord Slytherin, anticipandolo. «Le navi nemiche sono state avvistate, presto raggiungeranno le nostre coste.»
Roderick avrebbe preferito dubitare ancora per aggrapparsi a qualsiasi cosa potesse suonare come una smentita di quella notizia, ma l’espressione del Fondatore non glielo consentiva. Le viscere del ragazzo iniziarono a impastarsi tra di loro e la sua bocca si seccò all’istante. Un’improvvisa sensazione di pericolo lo aveva colto e quella volta sembrava dannatamente concreto.
«Combatteremo, mio signore?» domandò, in cerca di rassicurazioni.
«Purtroppo credo che saremo costretti a farlo» rispose il mago rabbuiandosi.
Qualche settimana dopo, i quattro Fondatori convocarono tutti gli studenti di Hogwarts in Sala Grande. Alcuni ragazzini del primo anno mormoravano preoccupati, chiedendosi cosa aspettarsi, ma i più acuti conoscevano già il contenuto del discorso che i quattro maghi avrebbero tenuto.
Lord Gryffindor, Lady Ravenclaw, Lady Hufflepuff e Lord Slytherin aspettavano i ragazzi in piedi dietro il tavolo dei maestri, le loro espressioni erano insolitamente contratte.
«Studenti» esordì Lord Gryffindor, sciogliendo le braccia che aveva incrociato sul petto. La sua barba era più lunga e folta della regolare peluria bruna che normalmente gli copriva le guance e i capelli castani erano più scarmigliati del solito. «In qualità di vostri maestri, è nostro dovere avvisarvi di ciò che sta accadendo sulle coste del nostro amato regno.»
Molti studenti si scambiarono occhiate cariche di ansia o di intesa. Ragazzi come Baldric o Brayden avevano già una conoscenza più o meno parziale dei fatti grazie alle lettere dei loro genitori. Lo stesso Roderick aveva parlato con Lord Slytherin e Lady Ravenclaw e, anche se l’incontro non era stato voluto da lui, con l’arciduca Bachelor. Poteva dire di essere perfettamente al corrente di ogni cosa, ma sentire l’avvertimento dalla bocca dei Fondatori, annunciato in Sala Grande davanti a tutti, dava al ragazzo un’ufficialità della cosa che gli faceva male allo stomaco.
«Il re danese Sweyn Barbaforcuta ha diretto la sua flotta contro di noi, dopo un’aspra battaglia navale i nemici sono riusciti a prendere le nostre coste. Lì abbiamo subito una seconda sconfitta. Le barriere tra noi e i Danesi sono sempre di meno» arrivò al punto Lord Slytherin.
Alcune ragazze trattennero il fiato, portandosi una mano alla bocca o premendosela sul petto. La maggior parte dei giovani maghi proruppe in esclamazioni di sdegno e rabbia. Lady Ravenclaw tacitò tutte quelle voci alzando una mano.
«Non vi abbiamo raccolto qui per discutere le strategie militari di re Ethelred.»
Roderick notò che il volto di sua zia era più scavato del solito e che il fisico era tornato asciutto come prima della nascita di Helena.
«Vogliamo solo rassicurarvi» proseguì Lady Hufflepuff. La donna aveva perso la consueta aria gioviale e paciosa e il suo sguardo era forgiato in una determinazione che fece sentire Roderick inerme nel guardarla. «Non in ordine alla situazione dell’Inghilterra, giacché non vogliamo illudervi o mentirvi sulle difficoltà dei nostri cavalieri, ma a proposito delle lezioni a Hogwarts.»
Fu Lord Gryffindor a spiegare cosa intendesse la strega:
«Potrebbe arrivare un momento in cui re Ethelred chiederà il nostro aiuto, così come è capitato anni fa contro lo stesso nemico. Ma l’Inghilterra può vantare la presenza di molti altri maghi capaci che all’epoca dell’invasione congiunta di Olaf Trygvasson e Sweyn Barbaforcuta non c’erano. Parlo di maghi che si sono formati proprio qui, tra queste pareti.»
Roderick e Baldric si scambiarono un’occhiata eloquente. Per quanto Hogwarts avesse effettivamente sfornato dei nomi importanti, nessun mago o strega sarebbe mai stato all’altezza dei quattro Fondatori. Se la situazione fosse stata critica, solo il loro intervento avrebbe potuto dare speranza.
«Saranno questi maghi e queste streghe a intervenire per primi a fianco dei nostri cavalieri» disse Lady Hufflepuff. «Finché la nostra partecipazione non sarà attiva, rimarremo a scuola.»
Quando i Fondatori si allontanarono dal tavolo dei maestri, fu chiaro a tutti che il discorso era finito. Lord Slytherin passò a pochi passi da Roderick e un ragazzo del quinto anno richiamò la sua attenzione.
«Mio Lord, combatteremo anche noi?» domandò con il volto illuminato dall’ardore. Il Fondatore gli scoccò un’occhiata penetrante.
«Non essere sciocco.»
«Rod!»
Il giovane Ravenclaw camminava a testa bassa nel parco, con la borsa sottobraccio. La lezione di Cura delle Creature Magiche di Lord Gryffindor era appena terminata – era incredibile che al quinto anno ci fossero ancora studenti che avevano problemi con gli Avvicini – e non vedeva l’ora di tornare al castello per avere un po’ di refrigerio dalla calura che preannunciava l’estate.
«Roderick!» chiamò ancora la voce. Un altro rumore di passi faceva eco al suo, ma il ragazzo non si fermò, né si voltò. Incassò la testa tra le spalle e continuò a camminare speditamente verso il portone del castello. Un gruppo di studenti di Lady Hufflepuff dell’ultimo anno lo superò schiamazzando.
«Roderick.» Questa volta il proprietario della voce non permise di essere ignorato. Ravenclaw si sentì trattenere per una spalla e si voltò contrariato. Lamia lo fissava con un cipiglio tremendamente simile a quello di suo padre. «Smettila di ignorarmi» gli ordinò.
Il ragazzo tentò di evitare il suo sguardo, ma poi si accorse di non avere vie di fuga.
«Spostiamoci, dai.» Afferrò Lamia per un polso e, senza stringere troppo, la condusse lontano dal sentiero che tutti gli altri studenti stavano percorrendo. Camminarono per qualche tempo nell’erba, finché non aggirarono una delle maestose mura del castello. Lamia fu di nuovo davanti a Roderick, ma non lo osservava più con sguardo perforante; sul suo viso chiaro era stampata un’espressione confusa.
«Roderick, si può sapere cosa ti prende?» gli domandò dopo un po’, ansimando sotto il sole che picchiava. «Prima sei scostante, poi mi ignori, e ora mi trascini qui!»
Il mago la osservava senza sapere precisamente cosa rispondere. Non sapeva a quale impulso aveva risposto nel condurla lì, ma del resto aveva qualche idea. Lo scoppio della guerra lo aveva particolarmente colpito e l’idea che i Britannici non fossero imbattibili come cantavano i menestrelli nelle ballate lo faceva sentire inerme, come se fosse stato esposto in prima persona. Di sicuro quel conflitto aveva cambiato tutto, gli sembrava di essere un ipocrita continuando a vivere la stessa vita di sempre.
«Io… siamo in guerra» rispose Roderick, tentando di articolare in frasi di senso compiuto ciò che provava, ma fallendo in buona misura.
«Davvero?» domando Lamia con pungente sarcasmo. «Non credevo che tra di noi ci fosse un conflitto. O forse hai interpretato la mia richiesta di stamattina di passarmi il pane come una dichiarazione di guerra.»
Roderick sbuffò innervosito. Non sopportava quando la ragazza era caustica con lui, soprattutto ora che cercava di comunicarle qualcosa di serio. Non sopportava quella calura, il frinire delle cicale, la distesa d’erba intorno a loro che il sole stava bruciando impietosamente.
«Cosa c’entri tu?»
«Sembra che te la sia presa per un fatto personale» constatò Lamia, incrociando le braccia sul petto.
Roderick si passò nervosamente una mano dietro la nuca e constatò con disappunto di essere sudato.
«Non è così» ricominciò. «È che…»
Ancora una volta, il ragazzo si inceppò. Lamia volse gli occhi al cielo e puntò le mani sui fianchi.
«Lo so che questa guerra ti preoccupa, non sei l’unico ad essere in pensiero.»
Roderick smise di andare alla ricerca di qualcosa da farfugliare. Quell’ammissione della ragazza sembrava aver sciolto molti nodi, immediatamente parlare fu più facile.
«Non so se i Danesi arriveranno fino a Londra, ma l’hanno già fatto una volta, no? Perché non dovrebbero riuscirci ancora? I Fondatori verranno chiamati di nuovo. Mia zia e tuo padre esposti… Questa cosa non mi piace.»
Le braccia di Lamia si ammorbidirono e scivolarono lungo il corpo.
«Non piace neanche a me» riconobbe a bassa voce.
«E le famiglie di Baldric, di Brayden, di Alef e Ruben! E di tutti gli altri. Quanto dureranno?»
Roderick fu sorpreso dalle sue stesse parole. Fino a quel momento si era chiesto se le persone che conoscevano sarebbero sopravvissute ai Danesi, quando era diventata tutta una questione di tempo?
La strega sollevò lo sguardo su di lui, le sopracciglia che puntavano verso l’alto. Il ragazzo non le avrebbe detto che temeva che il vuoto causato dall’assenza dei suoi genitori si allargasse a causa della mancanza di altre persone care, le avrebbe rivelato troppo. Ma una parte dentro di lui – la parte più vicina a Lamia, quella che sapeva che anche lei aveva perso sua madre – gli  disse che la ragazza l’aveva capito da sé.
«E quando toccherà a noi? Perché se le cose si mettono male, neanche Hogwarts sarà una barriera sufficiente.»
Lamia si strinse le tempie tra le dita e scrollò i lunghi capelli biondi strizzando gli occhi.
«Lo so, lo so» disse. «Ma perché devi ignorarmi? Cosa c’entro?»
Quando la ragazza riaprì le palpebre, il mago scoprì che era davvero arrabbiata. Peggio, era ferita. In quel momento capì che niente di ciò che avrebbe potuto dirle l’avrebbe scusato. Non sarebbe bastato spiegarle che in un momento in cui ogni legame sembrava precario sentiva quasi la voglia di liberarsene per non essere più costretto a preoccuparsi per le sorti di nessuno. Non sarebbe stato sufficiente rivelarle che amava Lord Slytherin come se fosse stato suo padre, che aveva paura di perderlo così come aveva paura di perdere lei, Lamia, che lo aveva accompagnato fino a quel momento e che avrebbe dovuto accompagnarlo per il resto della sua vita.
Senza pensarci, Roderick le prese il viso tra le mani e la baciò.




NdA: Nel mio immaginario, ho associato Lord Gryffindor alla caccia nella Foresta Proibita. Di conseguenza mi è venuto naturale legare Lord Slytherin, il cui elemento è l’acqua, alla pesca nel Lago Nero. A dimostrazione di ciò, il suo alloggio è arredato con immagini di Creature Magiche acquatiche.
Bacio, bacio, bacio! Finalmente.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11


L’estate si era definitivamente dissolta, lasciando il posto a un autunno particolarmente rigido che preannunciava un inverno inclemente. Il parco di Hogwarts era spazzato da una brezza tagliente, che smuoveva i bordi dei mantelli e scompigliava le chiome.
Roderick strinse una mano intorno al collo della sua cappa per proteggersi dal freddo umido e imprecò tra i denti quando iniziò a cadere una pioggia fitta e sottile. Allungò un braccio e utilizzò il suo mantello per coprire Lamia, che camminava accanto a lui stringendo al petto un paio di libri. Negli ultimi mesi Roderick era cresciuto così tanto di statura che ora la ragazza arrivava alla sua spalla. Sua zia Rowena aveva avuto ragione, dopotutto, il mago assomigliava sempre di più a suo padre. A sentire lei o le altre persone che lo avevano conosciuto, oltre all’altezza di Rastor, Roderick aveva anche la sua mascella squadrata e i suoi occhi piccoli e marroni. Persino il colore dei capelli, che da bambino era stato il medesimo oro pallido della madre, crescendo era andato sporcandosi e scurendosi appena.
«Finalmente» sospirò Lamia, al riparo del portone di quercia, allontanando da sé il mantello del mago.
Quando entrambi fecero il loro ingresso nella Sala Comune, Baldric e Fabian Farley, un corpulento studente dell’ultimo anno, gli andarono incontro. Lamia scoccò un’occhiata risentita al barone. All’inizio dell’anno, lui e Roderick erano stati nominati Prefetti da Lord Slytherin, ed era evidente che la strega non aveva ancora digerito la decisione del padre. Il giovane Ravenclaw la conosceva abbastanza da sapere quanto la sua promessa sposa fosse ambiziosa e, sebbene Baldric ricoprisse egregiamente quel ruolo, sapeva che la scelta di Lord Slytherin di non affidare la carica alla figlia l’aveva ferita ancora. Con lui invece il Fondatore era sempre pieno di premure, come quasi tutti al castello. Roderick lo apprezzava, ma a volte si sentiva in imbarazzo perché sembrava che Lord Slytherin tenesse più a lui che alla sua stessa figlia.
«Perché non eri alla lezione di Volo?» chiese Lamia, strizzandosi le ciocche di capelli che si erano bagnate comunque.
«Sono stato trattenuto da Lord Slytherin insieme al Caposcuola» rispose Baldric, accennando con la testa in direzione di Fabian Farley. Quando si concentrò su Roderick, non notò l’espressione risentita di Lamia. «A proposito, il Lord avrebbe voluto vedere anche te.»
Il ragazzo si strinse nelle spalle: se lo avesse saputo, non avrebbe accompagnato Lamia nel parco per la sua lezione.
«Andrò adesso a vedere di cosa si tratta» disse infine. Salutò gli altri e attraversò la Sala Grande in tutta la sua lunghezza.
Quando Roderick giunse nei sotterranei, passò dal suo dormitorio per lasciare il mantello fradicio, dopodiché si affrettò verso l’alloggio del suo Capocasa. Fece appena in tempo a bussare, che Lord Slytherin aprì di scatto la porta.
«Vieni dentro» gli ordinò. «Avevo convocato il Caposcuola e i Prefetti, perché tu non c’eri?»
Roderick aprì la bocca per rispondere, ma Lord Slytherin lo mise a tacere con un brusco gesto della mano, dopodiché gli intimò di sedersi sulla panca che ormai conosceva bene.
«Dovrò assentarmi da Hogwarts per qualche giorno, e la stessa cosa sarà per gli altri Fondatori. Ti rendi conto di cosa significa questo?» Il ragazzo lo fissava, impietrito. «Nessun Fondatore nella scuola.»
Fino a quel momento Lord Slytherin, Lord Gryffindor, Lady Ravenclaw e Lady Hufflepuff si erano alternati nel lasciare il castello.
«Siete stati chiamati da re Ethelred?» domandò Roderick.
«Esatto» rispose il Capocasa con una smorfia di disgusto. «Questo significa che fino al nostro ritorno le lezioni sono sospese e che la responsabilità della scuola graverà sui Capiscuola e sui Prefetti. Mi raccomando a voi.»
I quattro Fondatori avevano deciso di recarsi al castello di re Ethelred con una Passaporta, che li fece atterrare appena fuori la sala del trono. Quando fecero il loro ingresso con passo marziale, il sovrano e i suoi consiglieri sussultarono, dal momento che non si erano accorti del loro arrivo.
«Mio signore» salutò Rowena con un calcolato cenno del capo, imitata dagli altri tre. L’arciduca Beauregard Bachelor e gli altri consiglieri si alzarono al passaggio dei due maghi e delle due streghe.
Re Ethelred sospirò di sollievo non appena si fu ripreso dalla sorpresa dell’arrivo dei quattro, comparsi dal nulla. Aveva un aspetto molto più sciupato rispetto all’ultima volta che Rowena lo aveva visto. Il colorito da roseo era diventato cinereo, le guance erano scavate, le rughe sulla fronte erano più marcate e stava perdendo i capelli. Anche il corpo sembrava meno pingue, ed era ricurvo sotto un peso troppo grande persino per un re.
«Eccoci, come avete comandato» disse Godric, inclinando il capo.
Re Ethelred congiunse le mani e sorrise, animandosi un poco. Poi afferrò i braccioli del trono intagliato su cui sedeva e si sporse verso i consiglieri.
«Benissimo, ecco… Abbiamo iniziato proprio adesso, perciò non avete perso niente di importante. Le pergamene… Dove sono quelle dannate? Dovremmo proprio mandare qualcuno a prenderle…»
Il sovrano non fece in tempo a terminare la frase che Helga e Salazar avevano impugnato le loro bacchette. La strega aveva fatto Materializzare un largo tavolo di legno lucido, sul quale si adagiarono le mappe fluttuanti Appellate dal mago. Re Ethelred trattenne il fiato di fronte a quegli incantesimi, ma non si esibì in commenti fuori luogo. Lord Caradoc, un canuto consigliere dalle spalle troppo larghe per il fisico sottile che si ritrovava, si sporse sul tavolo appena comparso con una certa diffidenza. Quando L’arciduca posò le mani sulla mappa delle isole inglesi Appellata da Salazar, Lord Caradoc sembrò convincersi della bontà di quegli oggetti.
«I Danesi ci stanno mettendo a dura prova» esordì l’arciduca, senza tanti preamboli. Rowena scrutò con intensità il volto del marito cercando di interpretare non solo le sue parole, ma anche le sue espressioni, poi il suo sguardo scivolò lungo il suo braccio per concentrarsi sui nomi che stava indicando sulla mappa. «Irlanda, Scozia, Galles, Man, Maldon, Northumbria, Cumberland.»
Beauregard picchiettò con l’indice su ogni località nominata. Rowena strinse gli occhi: la situazione era peggiore di quella che aveva immaginato.
Il principe Edmond, un giovane alto, atletico e dall’aspetto fiero che tanto strideva con quello del padre, colpì la tavola con un pugno.
«Abbiamo altri soldati da inviare! Sweyn non troverà un branco di pecore ad attenderlo.»
Godric mosse il capo nella sua direzione in segno di approvazione. Per un attimo, Rowena vide bene Edmond tra gli allievi del Fondatore, peccato che il ragazzo fosse un Babbano.
«I soldati non sono l’unico problema» obiettò Beauregard, corrugando le folte sopracciglia scure. «I Danesi hanno portato con loro alcune… creature. Pare che si tratti di Creature Magiche.»
«Davvero?» domandò Godric, sciogliendo le braccia che aveva incrociato sul petto e sollevando le sopracciglia per l’interesse.
Lord Caradoc trasse da una piega delle sue vesti alcuni frammenti di pergamena e li mostrò ai Fondatori. Su ognuno di essi era disegnato un soggetto.
«I nostri cavalieri hanno tentato di raffigurare le creature in cui si sono imbattuti. Speriamo che voi possiate riconoscerle.»
Rowena afferrò i disegni e iniziò a scrutarli con attenzione, passandoli man mano ai suoi compagni. Uno di questi rappresentava in maniera piuttosto accurata una donna bellissima, sottile e dotata di lunghi capelli.
«I Danesi le chiamano huldre» spiegò Edmond.
Rowena avvertì una sensazione di vertigine coglierla improvvisamente. Appena fu passata, si riscosse e si costrinse a tornare salda sulle gambe.
«Sono Veela» dichiarò, per poi passare rapidamente a un altro disegno.
I Fondatori scorsero i disegni rimanenti, arrivando a stabilire che ciò che i nemici chiamavano Jotunn erano i Giganti, che il nome con cui indicavano delle creature marine, forse Kelpie, era impronunciabile e che i Troll erano universali.
«Miei Lord e mie Lady, converrete con me che è giusto per noi avvalerci della magia» disse re Ethelred, puntandosi un dito arcuato contro la guancia. I presenti nella sala del trono annuirono.
Rowena si disse che infatti un nutrito numero di maghi e streghe stava combattendo al fianco dei cavalieri schierati contro le truppe di Sweyn barbaforcuta. Peccato che re Ethelred sembrava essersene dimenticato, rifletté ancora, sentendosi ribollire. Fu Helga a dar voce ai suoi pensieri, ma il sovrano badò poco alle sue parole.
«Cosa possono fare dei maghi normali contro i Danesi? Io voglio voi.»
Accanto a lei, Salazar strinse le dita fino a farsi sbiancare le nocche. Dal modo in cui i muscoli del viso erano in tensione, la donna dedusse che stava digrignando i denti. Condivideva il suo sdegno, ma Salazar non doveva reagire, altrimenti sarebbe stato peggio per tutti.
«Sire, cosa intendete dire?» domandò con l’obiettivo di anticipare qualsiasi risposta di Lord Slytherin.
«Voi quattro dovete lasciare Hogwarts e dovete dedicarvi a tempo pieno alla protezione del mio regno.»
A Rowena bastò un’occhiata fugace per rendersi conto che neanche Helga e Godric avevano accolto con favore l’iniziativa di re Ethelred, Salazar però era l’unico a mostrarsi apertamente ostile.
«Ma sire… non crederete che…»
«Io credo» ribatté il sovrano con una smorfia compiaciuta. «E ordino, perciò voi, in quanto miei sudditi, dovrete obbedirmi.»
Salazar avanzò di un passo in direzione del re, ma Rowena fece scivolare silenziosamente la sua mano alle sue spalle e lo trattenne per il mantello. Sperò che nessuno si fosse accorto di quel gesto, ma si sbagliava.
«Lord Slytherin» si rivolse a lui infatti re Ethelred, «avete qualcosa da dire?»
Il mago esitò un istante prima di rispondere negativamente.
Il cervello di Rowena era in piena attività: nessuno di loro avrebbe voluto lasciare la scuola, doveva trovare un modo per dirlo al sovrano senza fargli intendere che consideravano la sua decisione una sciocchezza.
«Altezza» esordì dopo un po’, «siamo pronti ad obbedirvi. Ma forse, nell’ardore di combattere il nemico, non avete considerato una cosa. I nostri poteri sono grandi, questo è certo, ma siamo solo in quattro. I giovani che stiamo istruendo a Hogwarts saranno a breve pronti per difendere le loro famiglie, il loro Paese e il loro re. Non credete che sia più utile terminare la loro istruzione?»
Beauregard e Lord Caradoc strabuzzarono gli occhi, invece re Ethelred si accarezzò distrattamente il mento per qualche istante. Alla fine decise di accogliere il suggerimento di Rowena: i quattro Fondatori non avrebbero lasciato definitivamente la scuola, ma avrebbero dovuto aumentare i loro compiti al servigio del re. Le due ore successive trascorsero tra varie pianificazioni affinché la scuola non rimanesse nuovamente sguarnita di tutti e quattro i maestri. I Fondatori ripianificarono argomenti e orari delle lezioni in modo da renderli più funzionali alle esigenze di quei tempi. Helga avrebbe inoltre prestato la sua opera nei vari monasteri dei cerusici che si occupavano di curare i soldati feriti, Rowena avrebbe incrementato le scorte di pozioni che sarebbero state utilizzate dai guaritori, mentre Godric e Salazar si sarebbero dedicati a rinforzare regolarmente gli Incantesimi di Protezione già scagliati in precedenza in tutto il regno.
Terminato il consiglio con il sovrano, Rowena si sentiva distrutta. Re Ethelred accomiatò tre dei Fondatori, mentre Godric sarebbe rimasto ancora qualche tempo per mettere a punto ulteriori strategie militari insieme al principe Edmond. Rowena e Helga sarebbero tornate al castello, mentre Salazar avrebbe iniziato subito la sua opera di protezione delle zone limitrofe.
La strega bruna si stava apprestando a lasciare la sala del trono, quando suo marito le fu accanto in pochi passi.
«Lady Hufflepuff» disse rivolgendo a Helga un secco cenno del capo, «vi chiedo la gentilezza di attendere un attimo. Devo interloquire in privato con mia moglie.»
Sorpresa, Rowena seguì Beauregard in un angolo a riparo da orecchie indiscrete. L’arciduca aveva i lineamenti del volto induriti da qualcosa che la strega non riusciva a decifrare.
«Quindi torni a Hogwarts.» Non si trattava di una domanda, ma di un’affermazione asciutta. «Passi più tempo lì che nella nostra dimora.»
Rowena si guardò alle spalle per dare un’occhiata agli altri Fondatori. Helga, con i lunghi capelli biondi intrecciati che le arrivavano alla vita, fingeva di osservare gli affreschi che decoravano la sala mentre la aspettava. Salazar le passò accanto, salutandola brevemente, per poi prepararsi alla Smaterializzazione. Godric era ancora nella sala del trono, la sua voce si elevava su quella di Lord Caradoc mentre cercava di imporre la strategia migliore.
«Non adesso» sostenne Rowena. «C’è tanto da fare, hai sentito re Ethelred? Devo preparare i rimedi che serviranno a Helga. I miei allievi…»
«Tua figlia ha bisogno di te!» la interruppe bruscamente Beauregard. Gli occhi scuri dell’arciduca lampeggiarono, e per un attimo Rowena ne rimase colpita.
«Mia figlia ha bisogno di essere protetta» replicò freddamente subito dopo. «Così come l’intera Inghilterra.»
Roderick e Baldric stavano facendo una ronda nei corridoi di Hogwarts per controllare che ogni cosa fosse al suo posto. Il fatto che nessuno dei Fondatori fosse al castello li aveva caricati di una responsabilità che quasi impediva loro di parlare.
Avevano lasciato la Sala Comune sia per dovere, sia perché il Caposcuola allievo di Lord Slytherin, Fabien Farley, era diventato un fascio di nervi insopportabile. Vero era che, se qualcosa fosse andata storto durante l’assenza del Capocasa, le conseguenze più gravi sarebbero ricadute su di lui. Fabien però sembrava aver dimenticato che anche i due Prefetti avevano il loro fardello da portare, e Roderick e Baldric non si erano presi la briga di spiegarglielo.
I due ragazzi svoltarono un angolo e iniziarono a percorrere un corridoio sovrastato da volte a crociera e illuminato da diverse torce accese. Il loro calore sulla pelle quando ci si passava davanti era addirittura piacevole.
«Non ho neanche finito i compiti di Difesa Contro le Arti Oscure» borbottò Baldric tra i denti.
Roderick non seppe cosa rispondere. Mai come in quel momento gli sembrava che tutto il sistema di compiti, interrogazioni ed esami fosse fuori luogo, quasi inutile. D’altra parte, mai come in quel momento sentiva il bisogno di imparare davvero, imparare per difendersi, per attaccare.
«Qualcosa cambierà» previse poco dopo il barone, scuotendo il capo.
L’amico in cuor suo fu totalmente d’accordo.



NdA:  Ho dato al Caposcuola Slytherin lo stesso cognome del Prefetto di quella Casa su Pottermore. Forse ho calcato un po’ la mano sulla “coglionaggine” di re Ethelred, ma doveva esserci una ragione se storicamente era conosciuto come “l’Impreparato”.
Il nome di Lord Caradoc è preso da uno dei cavalieri della tavola rotonda.
Le huldre sono delle creature del folklore scandinavo, creature di sesso femminile estremamente belle, così mi è partito il parallelismo con le Veela. Ho immaginato che le creature potessero essere le stesse, solo che i popoli scandinavi le chiamavano con un nome diverso. Lo stesso ragionamento è stato fatto sugli Jotunn e sulle altre creaturine.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

L’organizzazione delle lezioni a Hogwarts cambiò, e di molto. I Fondatori avevano fatto in modo di non assentarsi più tutti e quattro, ma gli impegni che avevano preso per conto di re Ethelred facevano sì che, uno o due alla volta, dovessero lasciare il castello anche per diversi giorni. Capitava così che gli studenti si trovassero con giornate fitte di lezioni e altre in cui non dovevano seguirne nessuna e potevano approfittare del tempo libero per studiare e allenarsi. Capitava anche che i Fondatori rimasti al castello tenessero le lezioni di quelli in giro per la Gran Bretagna, e Roderick e i suoi amici scoprirono ben presto che Lord Slytherin era un eccellente pozionista, che Lady Ravenclaw conosceva le Rune alla perfezione, che Lady Hufflepuff era espertissima negli incantesimi e che le lezioni di Storia della Magia di Lord Gryffindor erano avvincenti come poemi epici.
Per studenti come Roderick, ormai al sesto anno di studi, tutte quelle innovazioni furono una ventata d’aria fresca. Nello stesso tempo però non si poteva ignorare che la ragione delle stesse risiedeva nelle nubi temporalesche che si stavano addensando sui campi di guerra.
I doveri di Prefetto del giovane Ravenclaw, così come quelli di Baldric, erano terminati: quell’anno Lord Slytherin aveva assegnato l’incarico a un ragazzo e a una ragazza di un anno più piccoli di loro. Per tutta la durata del suo quinto anno, Roderick aveva odiato il senso di responsabilità che comportava quel ruolo, ma ora sentiva la mancanza delle ronde continue, dei rapporti al suo Capocasa, degli interventi tra i suoi compagni. Si consolava però con il pensiero che l’anno successivo sarebbe probabilmente diventato Caposcuola, cosa che l’avrebbe ulteriormente avvicinato a Lord Slytherin.
Il primo quadrimestre di studi era proseguito senza intoppi; durante le vacanze di Natale, Roderick era stato per una settimana al castello dell’arciduca Bachelor, per poi ritornare a Hogwarts prima del ricominciare delle lezioni. Quel soggiorno dai Bachelor sotto un certo punto di vista era stato migliore dei precedenti: Beauregard non era totalmente un estraneo, sia perché era il marito di sua zia da qualche anno ormai, sia perché ora c’era la piccola Helena a legarli. Roderick era affezionato a sua cugina, che veniva trattata da ogni abitante del castello come se fosse stata una scultura di vetro. Helena non era però giocosa e allegra come si ci sarebbe dovuti aspettare da una bambina della sua età. Troppo piccola per comprendere ciò che accadeva intorno a lei, sembrava vivere in una boccia di cristallo nella quale erano ammessi solo balocchi e nastri per capelli. Le reazioni generate dalle sorti della guerra non entravano in quella boccia, era escluso che l’apatia di Helena fosse dovuta a quell’atmosfera. Forse ciò che le mancava era la presenza di una madre e di un padre, visto che Rowena e Beauregard erano innanzitutto funzionari del regno.
Nonostante le vacanze natalizie fossero trascorse senza problemi, Roderick era stato felice di tornare a Hogwarts. La tensione dovuta a una totale attenzione verso le sorti della guerra, estranea a Helena, era invece ben nota al ragazzo. Tornare a scuola era stato un modo per lasciarsela alle spalle.
Le lezioni erano ricominciate da una settimana, e sembrava quasi che il suo auspicio avesse addirittura superato le sue aspettative: un messaggero era infatti giunto ad annunciare che le truppe inglesi stavano respingendo i Danesi. Roderick, che si trovava in Sala Grande quando l’uomo era venuto a riferire la notizia, per un attimo aveva creduto di sognare. Subito dopo, un brivido di eccitazione gli era corso lungo la colonna vertebrale: e se la guerra fosse finita davvero? Avrebbero potuto vincere, erano nelle condizioni di farlo.
Immediatamente un chiacchiericcio esaltato si diffuse nell’ambiente, Roderick non riuscì a impedirsi di guardarsi intorno e di sorridere delle espressioni entusiaste dei suoi compagni.
Dei quattro Fondatori, solo Lady Hufflepuff era stata presente in Sala Grande al momento dell’annuncio. La strega bionda non sorrideva, chiamò a sé il messaggero e lo accompagnò fuori dalla sala. Di sicuro la donna doveva accertarsi della fondatezza della notizia, nonché della sua reale misura. Roderick si sentì uno sciocco per essersi lasciato andare così presto a felici pensieri e allungò il collo nella speranza di seguire con lo sguardo la strega e il messaggero, che erano appena scomparsi dietro la cornice a sesto acuto della porta.
«C’è qualcosa che non va?» mormorò Lamia, seduta al tavolo degli allievi di Lord Slytherin accanto a Roderick.
«No» mormorò questi, tornando a concentrarsi sul cibo nel piatto che aveva davanti.
Lady Hufflepuff non tornò neanche quando la cena fu terminata, ma quel segnale non fu interpretato negativamente dagli studenti. Anche secondo Brayden e i gemelli Uchelgais un’eventuale smentita sarebbe stata fatta subito, invece più passava il tempo, più la notizia sembrava acquistare solidità.
Il buon umore degli altri studenti ai quattro tavoli della Sala Grande aveva raggiunto le volte del soffitto, che simulavano un cielo scuro punteggiato di stelle luminose, ed era diventato così contagioso che Roderick era tornato speranzoso. La voglia di conoscere i dettagli della vicenda però non lo aveva abbandonato; ormai non dubitava più della sua veridicità, ma era comunque curioso.
Terminato il pasto, gli allievi di Lord Slytherin tornarono nei sotterranei. Baldric, Lamia, Brayden e i gemelli presero la via della Sala Comune, ma Roderick non li imitò.
«Andrò da tuo padre per chiedergli qualche notizia in più» spiegò alla sua promessa sposa, trattenendola mentre tutti gli altri studenti superavano il passaggio segreto tra le fredde pietre della parete.
La ragazza lo guardò dubbiosa, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.
«Va bene» disse infine. «Se vai tu, non lo disturberai.»
Roderick la baciò sulla fronte e si allontanò rapidamente. Man mano che si inoltrava lungo i corridoi gelidi dei sotterranei, le chiacchiere e le risate che provenivano dai ragazzi che stavano rientrando in Sala Comune andarono smorzandosi. Giunto davanti alla porta dell’alloggio di Lord Slytherin bussò ripetutamente, ma nessuno venne ad aprirgli. Probabilmente il suo Capocasa aveva lasciato il castello, ormai i Fondatori andavano e venivano senza neanche annunciarlo. Nonostante questo però, il ragazzo non si arrese. La notizia portata dal messaggero aveva acceso qualcosa in lui che non si sarebbe consumata bruciando. Doveva sapere quanto dura fosse stata la reazione degli Inglesi, se i maghi e i cavalieri avevano combattuto insieme, fin dove fossero stati spinti i Danesi insieme alle loro Creature Magiche. Non si arrischiava a immaginarli di nuovo sulle loro navi, diretti verso le loro terre gelide, ma magari le loro perdite erano state sufficientemente ingenti da condurli a pensare a una più o meno prossima ritirata.
Se Lord Slytherin non avesse potuto rispondere a quelle domande, avrebbe chiesto a sua zia Rowena. Nella speranza che si trovasse al castello, Roderick seguì il percorso dei sotterranei a ritroso e si apprestò a salire nella torre ovest.
Dopo un interminabile numero di scale in movimento e corridoi smisurati, il ragazzo giunse finalmente davanti alla porta degli alloggi di sua zia. Spinse via la superficie di legno con facilità e si ritrovò nella familiare sala circolare, immersa nella penombra. Seduta su uno dei divanetti foderati in raso blu però non c’era Lady Rowena, ma Abigail Preshy. Nel momento stesso in cui la ragazza fu consapevole della presenza di un’altra persona nella sala, sussultò.
«Abby?» domandò Roderick.
Scorse con lo sguardo le pareti nel tentativo di identificare con l’ausilio del solo chiarore lunare le sagome delle torce appese ai sostegni di ferro battuto, dopodiché punto la sua bacchetta contro di esse e mormorò “Incendio”. Alla luce crepitante delle fiaccole, il ragazzo notò che gli occhi di Abigail erano arrossati dal pianto.
«Mia zia dov’è?» mormorò, teso.
«Non lo so» rispose la ragazza, torcendo il tessuto della gonna con le mani. «La stavo cercando anche io, credo che abbia lasciato il castello. Mi trovo qui perché mi ha detto che posso restare… quando ho bisogno…» Abigail esplose in un singulto isolato e Roderick prese posto accanto a lei, sentendosi impacciato e in ansia. Avrebbe dovuto chiederle cosa era successo? Eppure non riusciva a proferir parola, non perché si fosse posto il problema di conoscere i suoi fatti personali, ma perché aveva paura di quello che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca. E dire che solo pochi minuti prima si era esaltato per i successi dei militari inglesi. Se la strega era così sconvolta, doveva essere accaduto qualcosa terribile. L’unica cosa che sapeva – e di cui era profondamente grato – era che non riguardava sua zia Rowena.
Una parte di lui avrebbe voluto lasciare la torre ovest per scappare il più velocemente possibile da qualsiasi verità Abigail stesse custodendo. Un’altra parte invece non si sarebbe mostrata così insensibile da lasciarla sola nello stato pietoso in cui si trovava.
Prima che potesse decidere di fare qualsiasi cosa, Abigail lo sorprese prendendo la parola.
«Devo sembrarti un mostro in questo stato.»
«Ma no, sei solo un po’…» tentò Roderick, poi improvvisamente ricordò di avere un fazzoletto piuttosto pulito in una tasca del suo farsetto marrone e glielo porse. Abigail lo afferrò con mano tremante e si asciugò gli angoli degli occhi. Poi lo spiegò sulle gambe davanti a sé e parve che il ricamo del tessuto assorbisse tutta la sua attenzione. Dopo un po’, la ragazza parlò, ma la sua voce non aveva niente di simile a quella che Roderick conosceva.
«Mio padre è stato trovato ucciso, così come mio fratello maggiore. I loro corpi sono stati trovati inchiodati alla porta di casa nostra. Di mia madre, delle mie sorelle e del mio fratellino più piccolo non so nulla.»
Il ragazzo ascoltò ogni parola, impietrito. Abigail sollevò lo sguardo arrossato su di lui e Roderick desiderò che non lo avesse mai fatto: la sua espressione non riusciva a palesare lo sgomento che la ragazza avrebbe meritato di vedere. Questa però parve interpretare correttamente la sua confusione.
«I Danesi sono stati respinti da alcuni territori della Northumbria, nel ritirarsi hanno incendiato tutte le fattorie attraverso le quali sono passati, compresa casa mia.»
Roderick immediatamente si figurò dei campi e un edificio di legno in fiamme e si sentì gelare. Se la madre di Abigail, le sue sorelle e il fratello minore non erano stati ritrovati, molto probabilmente avevano subito un destino peggiore della morte. Al castello dell’arciduca Bachelor, aveva udito cosa i popoli del nord facevano ai prigionieri. Li portavano via, abusavano delle donne, li costringevano alla fame e a volte li giustiziavano.
«Io… vorrei solo sapere dove sono, cosa gli è successo» sospirò Abigail.
Roderick promise a se stesso che sarebbe rimasto in quella torre, insieme a lei, fino a che sua zia non fosse tornata o fino a che lei non fosse stata pronta a tornare della sua Sala Comune.
Non le rivelò ciò che pensava fosse veramente accaduto alla sua famiglia, ritenendo che una lunga notte silenziosa sarebbe stata la risposta migliore alle domande di lei.
La vittoria inglese sugli invasori era stata conseguita a un caro prezzo e non era stata neanche duratura. Più determinati e implacabili di prima, i Danesi erano andati al contrattacco e i cavalieri di re Ethelred avevano subito ingenti perdite. Le settimane successive erano trascorse portando con sé le vicende alterne dello scontro che ormai logorava la fibra persino del guerriero più robusto. Altri studenti dopo di Abigail piansero la scomparsa dei loro cari.
Il sesto anno di studi a Hogwarts di Roderick e dei suoi amici si era terminato in un’atmosfera surreale. Mai come quell’estate il castello era stato così pieno: diversi ragazzi non erano ritornati dalle loro famiglie, alcuni perché non avevano potuto, altri perché così i loro genitori avevano deciso, ritenendo Hogwarts il luogo più sicuro dell’intera Gran Bretagna. Roderick aveva dovuto abituarsi a quello stato delle cose, uso com’era al silenzio dei corridoi di pietra e al parco percorso soltanto dal vento caldo e dalla luce solare, ma tutto sommato la presenza dei suoi compagni gli aveva fatto piacere. Il giovane sapeva però che, a fronte di quell’inusuale concentrazione di studenti nei mesi estivi, il successivo anno scolastico sarebbe stato meno frequentato rispetto ai precedenti. Più volte aveva ascoltato i discorsi dei suoi compagni di Casa o degli allievi degli altri Fondatori: alcuni dei ragazzi che sarebbero tornati a casa, l’avrebbero fatto per rimanere con le loro famiglie.
Su quelle considerazioni stava riflettendo Roderick mentre vagava per i corridoi del terzo piano senza alcuna meta in particolare. Veniva dalla guferia, nella quale aveva ricevuto il messaggio di Lamia, che gli scriveva di essere al sicuro insieme a suo padre. Leggere le parole della ragazza lo aveva tranquillizzato; aveva avuto notizie anche degli altri suoi amici e si sentiva decisamente più leggero. Abbastanza da dedicarsi a qualche allenamento con la bacchetta senza avere la testa altrove.
Io che mi esercito durante le vacanze?, disse a se stesso. La guerra aveva cambiato davvero molte cose.
D’un tratto, uno scalpiccio di piedi alle sue spalle attirò la sua attenzione. Sì voltò e si trovò faccia a faccia con Abigail. Non avendo più nessuna famiglia alla quale tornare, la strega era rimasta a Hogwarts per i mesi estivi. Il suo aspetto era cambiato: gli occhi sembravano perennemente gonfi e arrossati e il colorito si era fatto più spento. Non che prima l’allieva di sua zia fosse stata una beltà, ma adesso il suo volto era lo specchio della sofferenza che la scomparsa dei suoi familiari le aveva procurato.
«Roderick, ti cercavo» esordì, fermandosi davanti a lui. «Tua zia vorrebbe vederti. Ti aspetta nell’aula di Pozioni.»
Il ragazzo annuì brevemente, dopodiché si lasciò condurre al cospetto di Lady Ravenclaw. La strega si trovava effettivamente dove aveva dichiarato Abigail, ed era intenta a consultare una pergamena stesa tra le sue dita. Non appena si accorse della presenza del nipote e della sua allieva, la donna la ripiegò e rivolse loro un’espressione tirata.
«Devo portare alcune scorte di pozioni a Helga» esordì, indicando le ampolle e i recipienti imballati alle sue spalle, «e voi due mi aiuterete.»
Roderick si sentì spiazzato da quella richiesta. Fino a quel momento, era sembrato che i Fondatori volessero tenere i ragazzi il più possibile al sicuro tra le protettive mura del castello, e ora Rowena voleva portarli fuori. La sorpresa per quell’ordine inusuale fece sì che il ragazzo impiegasse qualche istante prima di comprendere e apprezzare gli intenti della zia. Più volte si era confidato con Baldric, lamentandosi per la loro inattività mentre tanti maghi e streghe combattevano per difendere il regno; era finalmente arrivato per loro il momento di fare qualcosa.
«Certo, zia» rispose con decisione, abbassando il capo nella sua direzione. Abigail annuì nervosamente; ricevuto quell’ulteriore assenso, Rowena tornò a concentrarsi sui contenitori delle pozioni richieste da Lady Hufflepuff.
«Controllo le ultime cose, intanto voi inseritele qui.» La strega estrasse dalle maniche svasate dell’abito leggero che indossava due piccole sacche delle dimensioni di un pugno, ordinando ai ragazzi di legarle al collo una volta terminata l’operazione.
Roderick e Abigail si scambiarono un’occhiata di intesa, dopodiché colpirono entrambe le sacche con le loro bacchette e mormorarono la formula dell’Incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Sembrava che le piccole bisacce non fossero cambiate dopo quella fattura, ma Roderick seppe di averla eseguita correttamente quando riuscì ad ammassare al suo interno una cinquantina di contenitori senza difficoltà. Infine fu la volta di un altro incantesimo per rendere più leggera la bisaccia e consentire ai ragazzi di appenderla al collo.
«Benissimo» approvò Rowena, congiungendo le mani. «Siamo diretti nel Derby, in un monastero di cerusici babbani istruiti da Lady Hufflepuff in persona e coadiuvati da altrettanti maghi.»
Roderick avvertì un brivido percorrergli la nuca. Forse era eccessivo considerare il compito affidato da Lady Rowena una vera e propria missione, in ogni caso avrebbe fatto la sua parte e tanto sua zia quanto il suo Capocasa lo avrebbero apprezzato. Probabilmente quella sarebbe stata la prima di altre incombenze, che magari si sarebbero potute trasformare in  incarichi sempre più importanti: decisamente ciò a cui lui aspirava.
Insieme ad Abigal, seguì la Fondatrice fino in Sala Grande, per poi uscire nel parco. Giunsero al limitare della Foresta Proibita, dove trovarono Lord Gryffindor ad attenderli. L’uomo indossava un impolverato mantello da viaggio sopra una corazza lucida, legata alla vita scintillava l’impugnatura tempestata di rubini della sua spada. I due studenti lo salutarono ossequiosamente; il mago si ravviò i capelli con un gesto distratto della mano destra, svelando un volto molto stanco. La sinistra stringeva le briglie di due grandi creature, una bruna e una color miele. Roderick identificò nei corpi metà cavallo, metà aquila, degli Ippogrifi.
Rowena si inchinò al loro cospetto, senza distogliere lo sguardo dalle iridi dei due animali, poi questi si inchinarono a sua volta, e la donna si sentì in grado di avvicinarsi. Roderick e Abigail la imitarono, ma dovettero inchinarsi prima davanti a una Creatura, poi davanti all’altra. Il giovane ebbe qualche difficoltà con l’Ippogrifo dal mantello color miele, ma, una volta che questo si fu inchinato a sua volta, tirò un sospiro di sollievo.
«Sei rientrato da poco?» domandò Rowena, avvicinandosi a Godric.
«Sì» rispose questi, annuendo brevemente. Dopodiché fece cenno alla donna di seguirlo e si allontanarono dalle orecchie di Roderick e Abigail. Di sicuro, il Fondatore doveva riferire della missione che aveva seguito per conto di re Ethelred; doveva essersi trattato di qualcosa di molto impegnativo e probabilmente pericoloso, a giudicare dal suo aspetto.
Roderick, al quale erano state affidate le briglie degli Ippogrifi, attese con ansia il loro ritorno. Dal modo in cui le creature si erano inchinate aveva dedotto che non avrebbe avuto problemi con loro, ma la vicinanza con i loro artigli affilati non lo tranquillizzava neanche un po’. Sarebbero dovuti arrivare nel Derby in groppa agli Ippogrifi? Pessima, pessima idea, continuava a ripetersi il giovane, a disagio.
Fortunatamente, Rowena ritornò presto da loro, mentre Godric si diresse al castello. La strega afferrò le briglie dell’Ippogrifo dal mantello bruno e lasciò a Roderick proprio quello più diffidente nei suoi confronti.
«Cavalcate insieme» ordinò la Fondatrice, «e seguitemi.»
Detto ciò, si sollevò con gesto fluido la gonna dell’abito, rivelando di indossare delle braghe molto simili a quelle di Godric, e montò sul suo animale. Abigail fece lo stesso, Roderick tentennò un po’, fissando prima la groppa dell’animale, poi la vita si Abigail che avrebbe dovuto afferrare per non cadere. Non avendo altra scelta, montò a sua volta e si aggrappò alla ragazza. Quando la Creatura Magica si sollevò da terra, chiuse le palpebre, per riaprirle solo dopo essere atterrati. 




NdA: la guerra tra Inglesi e Danesi è durata non poco, ma è stata caratterizzata da periodi di pausa e da fasi alterne. Infatti in questo capitolo finalmente sono gli Inglesi a prevalere, ma, quando le cose sembrano andare bene, devo piazzarci qualche morticino u.u Ed è così che ho sterminato la famiglia di Abigail, PUF. Poverina, ma è la guerra.
La scena di Roderick che porge il fazzoletto alla dama piangente non potevo non inserirla! Fa tanto amor cortese XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Roderick non seppe dire quanto tempo fosse passato, ricordava solo di non aver pensato ad altro all’infuori dei vuoti d’aria sotto di loro e alla vita solida di Abigail tra le sue dita.
Scombussolato e a stento capace di stare in piedi, il mago seguì l’amica e la zia in una struttura isolata che sorgeva in cima a una piccola collina. Bastò varcare la soglia del monastero per rendersi conto che l’atmosfera all’interno non aveva nulla a che fare con la placida estate all’esterno. Diverse monache, abbigliate in modo tradizionale, gli andarono incontro, camminando nervosamente. Altre alle loro spalle, affiancate da maghi e streghe con la bacchetta in mano, saettavano da una cella all’altra. Il pavimento era cosparso da corpi vestiti di cotte di maglia o di fasciature sporche di sangue, le mattonelle erano lucide a causa di liquami sulla cui provenienza Roderick preferì non interrogarsi. L’aria era impregnata del caratteristico odore della Pozione Disinfettante e risuonava dei gemiti dei feriti.
Nella confusione, una figura più autoritaria delle altre si avvicinò ai nuovi arrivati. Lady Hufflepuff, il cui abito giallo pallido aveva ricevuto un’impronta di una mano sporca di sangue in pieno petto, infilò una ciocca arruffata nel tessuto con cui aveva avvolto i capelli.
«Grazie mille, Rowena» la accolse, indovinando la ragione del suo arrivo. «E grazie anche a voi, ragazzi.»
Abigail e Roderick le consegnarono immediatamente le sacche che portavano attorno al collo.
«Io e i ragazzi vorremmo restare qualche tempo per darti una mano» disse Rowena, iniziando a legare a sua volta la sua lunga chioma corvina. Helga annuì e diede loro disposizioni. Il giovane Ravenclaw era così impegnato a fissare con occhi sbarrati la marea caotica di feriti ai suoi piedi che notò a malapena che Abigail era impallidita e aveva chiesto che le venisse concesso un attimo fuori dal monastero per riprendersi. Quando questa rientrò, il pallore più accentuato suggerì a Roderick che doveva aver liberato le sue viscere, scosse dalla vista dei feriti.
Per le due ore successive, i due ragazzi lavorarono gomito a gomito con alcuni cerusici e guaritori, armonicamente integrati nelle operazioni di cura che svolgevano sotto la direzione attenta di Lady Hufflepuff. Il sole era tramontato alle spalle del monastero, e Lady Ravenclaw aveva dichiarato che era ora per lei di ricondurre gli studenti a Hogwarts. Si accomiatarono così dalle monache, dai cerusici e dai guaritori, salutando per ultima Lady Hufflepuff. Terminato il giro, attraversarono nuovamente il pavimento cosparso dei corpi dei feriti e furono fuori. Lì si imbatterono in tre uomini, vestiti con cotte di maglia, corazze e altre protezioni di metallo dorato, le cui spalle erano state coperte da lunghi mantelli rosso sangue e con le dita guantate strette intorno alle bacchette. Roderick riconobbe le loro divise: erano i maghi fedeli a Lord Gryffindor che erano stati incaricati da quest’ultimo per la sorveglianza della persona di re Ethelred e di altri obiettivi sensibili nel regno. Un monastero così pieno di feriti e frequentemente visitato da una delle streghe più potenti della Gran Bretagna doveva essere piuttosto a rischio, si disse Roderick.
Superò i maghi, rivolgendo loro un rispettoso cenno del capo, e si avvicinò agli Ippogrifi legati alla staccionata di fianco all’edificio, quando tutto a un tratto la quiete della sera venne stracciata da alcune urla e da un boato. Roderick si sentì gelare e aveva impugnato la bacchetta, mettendosi in posizione di difesa, prima che potesse accorgersene. Non aveva idea di cosa stesse accadendo, i due maghi che aveva salutato un attimo prima erano corsi in avanti. Risuonarono altre urla, ma terminarono quando i fedeli a Lord Gryffindor vennero inghiottiti dalle fronde degli alberi. Qualche istante dopo, quando vide un sinistro alone aranciato illuminare i contorni degli alberi, Roderick identificò l’odore acre che percepiva come odore di bruciato. Qualcuno in lontananza urlò “Aguamenti”.
Trascorsero degli istanti interminabili, in cui il giovane si arrischiò soltanto a gettare un’occhiata a sua zia e ad Abigail alle sue spalle. Rowena era immobile come una statua, ma anche lei aveva la bacchetta tesa davanti a sé. Nessuno di loro osò muovere un muscolo, come se l’attesa gravida di silenzio si fosse addensata intorno alle loro caviglie per bloccare ogni movimento.
Udirono un fruscio di foglie e dei passi concitati, dopodiché i maghi in armatura dorata e mantello rosso – raddoppiati o forse triplicati rispetto a quelli notati da Roderick – uscirono dal bosco. Due di loro stringevano le mani intorno alle braccia di una donna. La sua figura era sottile e perlacea, sporca di terra che oscurava lo splendore della pelle. I capelli erano una criniera argentea nell’oscurità illuminata da una luna seminascosta dalle nubi.
«È una huldre… Una Veela portata dai Danesi» spiegò uno dei maghi, con la voce carica di sdegno. I due che la trascinavano la scaraventarono a terra; la creatura non si rialzò, limitandosi ad allontanare le ciocche di capelli dagli occhi con le dita bluastre. Rivolse agli uomini alcune parole in norreno, ma Roderick non aveva bisogno di conoscere la lingua per percepire il disprezzo e l’odio che la huldra aveva palesato.
«Ha tentato di appiccare un incendio in questo bosco…» spiegò un altro mago.
La vicinanza con il monastero, si rese conto il giovane Ravenclaw, era pericolosa. A questo stava pensando, quando il silenzio cadde su di loro. La huldra aveva smesso di inveire e aveva assunto una posizione più composta. Guardava insistentemente i maghi che l’avevano trascinata fin lì, i quali a loro volta ricambiavano lo sguardo senza sapere cosa fare. Quando la creatura sorrise, uno dei due fece lo stesso.
Nell’istante stesso in cui Roderick capì cosa stava accadendo, Rowena urlò. I maghi in armatura dorata scossero la testa, come se si fossero appena ripresi da uno stato di dormiveglia, e rinsaldarono la presa sulle bacchette. Intuito che il suo tentativo di seduzione era appena fallito, la huldra soffiò come un gatto selvatico e arruffò la chioma.
Una creatura del genere come nemica era un pericolo assoluto, rifletté Roderick, sentendosi invadere da un senso di panico. Senza alcun preavviso, i maghi in armatura puntarono le bacchette contro la huldra e mormorarono contemporaneamente “Avada Kedavra”. Getti di luce verde colpirono la Creatura Magica, e questa si accasciò al suolo come un fiore che si afflosciava sul suo stelo.
Roderick non riuscì a togliersi quella scena da davanti agli occhi nemmeno quando tornarono a Hogwarts. Salutò Abigail e sua zia per dirigersi verso i sotterranei, quando Rowena lo trattenne. Fece cenno alla sua allieva di iniziare ad avviarsi verso la torre ovest, poi posò le mani sulle spalle del nipote. Nel silenzio della Sala Grande, deserta a quell’ora di notte, risuonarono i passi di Abigail, sempre più attutiti.
Rowena fissò il suo sguardo sul nipote, per poi distoglierlo subito dopo. Aveva qualcosa da dirgli, era evidente, ma forse neanche lei sapeva cosa. Entrambi erano consapevoli di aver assistito a una scena piuttosto impressionante, ma Roderick volle tranquillizzarla.
«Quegli uomini hanno fatto bene a uccidere la huldra. È la guerra. Se risparmi il tuo nemico, lui ti ucciderà.»
La strega annuì, aumentando la pressione sulle spalle del giovane.
«Già, la guerra è la guerra. E tu sei un uomo» concesse.
Quando iniziò il suo settimo e ultimo anno di studi a Hogwarts, Roderick si rese conto che ci aveva visto giusto: gli studenti ritornati al castello erano effettivamente di meno rispetto a quelli che lo avevano frequentato prima dell’estate. Le panche dei tavoli delle quattro Case erano meno popolate del solito, cosa che contribuì a rendere il banchetto di benvenuto deprimente. Lady Ravenclaw aveva raggiunto studenti e Fondatori a banchetto quasi finito, tutti e quattro i grandi maghi avevano espressioni tese che non si erano sforzati di nascondere. In quel contesto molto poco felice, l’unica cosa che instillò in Roderick un po’ di allegria fu il ritrovare Lamia, Baldric, Alef, Ruben e Brayden. Con gli ultimi tre in particolare non si era visto per tutta l’estate e aveva ricevuto poche notizie da parte loro; sapere che stavano bene e che le loro famiglie erano al sicuro contribuì a distendere i suoi nervi. Per questa ragione, quando il banchetto finì, senza neanche il consueto discorso dei Fondatori a concluderlo, il giovane ritornò nei sotterranei con il cuore più leggero.
Gli allievi di Lord Slytherin erano forse quelli che si erano maggiormente decimati, quindi la Sala Comune appariva innaturalmente calma e silenziosa. Deciso a non farsi pervadere dall’atmosfera di malinconia che aleggiava nei sotterranei, Roderick si infilò rapidamente nel dormitorio, strenuamente convinto che le pareti avrebbero protetto la sensazione di sollievo che lo aveva pervaso finalmente dopo mesi.
Il mattino seguente, gli allievi di Lord Slytherin si ritrovarono in Sala Comunque prima di andare a fare colazione in Sala Grande. L’atmosfera sembrava essersi un po’ alleggerita, probabilmente grazie agli impegni scolastici imminenti che avevano iniziato ad occupare le menti dei ragazzi.
«Che lezione abbiamo per prima?» domandò Baldric, facendo scricchiolare la colonna vertebrale nello stiracchiarsi.
Lamia aggrottò la fronte mentre consultava il piccolo rotolo di pergamena che aveva in mano, dopodiché rispose:
«Difesa Contro le Arti Oscure con Lord Gryffindor. Poi abbiamo il resto della mattinata libera, mentre Brayden dovrà seguire Antiche Rune con Lady Hufflepuff.»
Il giovane Bush-League accolse la notizia arricciando il naso in un’espressione di scontento.
«Ah… Andrò male anche quest’anno, per poco agli scorsi esami Lady Hufflepuff non mi ha bocciato.»
Roderick sapeva che, quando Brayden aveva scelto di seguire quella materia, si era gettato in un pozzo senza fondo. Tutti erano consci del fatto che lo studio delle rune fosse molto difficile, e Brayden non era esattamente un’aquila. Nonostante lo pensassero, gli amici non glielo dicevano apertamente per evitare di abbattere ulteriormente il suo morale, anzi cercavano di motivarlo come potevano. Per quanto poco efficace, il loro aiuto poteva limitarsi a quello, dato che nessun altro aveva scelto quella materia.
«Dai, Bray, vedrai che riuscirai a salvarti anche stavolta» tentò infatti di confortarlo Alef.
«Ragazzi, non avete notato?» domandò a un tratto Baldric, fermando chi si era già avviato verso l’ingresso della Sala Comune.
«Che Alef ha la faccia di un mulo e la sensibilità di una pannocchia? Da molto tempo, mio caro amico» scherzò Ruben.
«No. Che Lord Slytherin non ha mandato a nessuno la lettera di nomina a Caposcuola.»
Né Roderick, né nessun altro, avevano pensato a chi quell’anno avrebbe potuto assumere quel ruolo in effetti. Le possibilità non erano tante, di solito il Lord sceglieva chi era stato in precedenza Prefetto, e tra i ragazzi che attualmente frequentavano il settimo anno la scelta si riduceva a Baldric e a lui stesso.
Pensandoci, non era così strano che il loro Capocasa non si fosse attivato in tal senso durante l’estate: era stato un periodo difficile per i maghi e i cavalieri al servizio della corona inglese, di sicuro Lord Slytherin aveva avuto incombenze più serie e urgenti.
«Dite che quest’anno non verrà nominato nessuno?» domandò Brayden.
Roderick si strinse nelle spalle. Mentre usciva dalla Sala Comune con gli amici, si disse che qualcuno ci sarebbe dovuto essere per forza: quando i Fondatori lasciavano la scuola – cosa che accadeva spesso e a volte all’improvviso – erano i Capiscuola ad assumersi per primi la responsabilità dei loro compagni, Hogwarts non poteva fare a meno di loro. Probabilmente Lord Slytherin non aveva fatto in tempo a nominarlo prima, ma avrebbe provveduto presto. Tutto a un tratto il suo cuore fece un tuffo: e se avesse scelto proprio lui? Perché no? Anzi, era la soluzione di gran lunga più probabile. Non era un mistero che Lord Slytherin preferisse lui ad altri studenti, gli dispiaceva per Baldric che era suo amico, ma lui era la persona più adatta per diventare Caposcuola.
Con quella certezza nel cuore, Roderick andò a sedersi al tavolo degli allievi di Lord Slytherin per la colazione. Quella mattina erano presenti tutti e quattro i Fondatori, che diedero qualche frettolosa raccomandazione ai nuovi studenti, quasi come se si fossero accorti in quel momento che la sera prima avevano dimenticato qualcosa.
Terminato di mangiare, gli allievi del settimo anno di Lord Slytherin si erano alzati per dirigersi verso l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, quando il mago li trattenne.
«Un momento di attenzione.» Anche gli allievi degli altri Fondatori si fermarono, incuriositi. «Durante l’estate non ho avuto il tempo di nominare Caposcuola uno dei miei studenti. Lo faccio adesso: barone Redslaught, complimenti.»
Dopo quell’annuncio sbrigativo, il mago rivolse allo studente un rapido cenno del capo, poi si allontanò a grandi passi dal tavolo dei maestri e lasciò la Sala Grande.
Per gli istanti successivi, Roderick ebbe la sensazione di non essere più in grado di muoversi. Baldric.
«Congratulazioni!» dissero i gemelli Uchelgais, accompagnando l’esclamazione con due sonore pacche sulle spalle larghe del giovane.
Baldric.
«Che bella notizia» si congratularono a loro volta Lamia e Brayden.
Baldric!
Il cervello di Roderick dovette smettere di ripetere quel nome perché il ragazzo potesse accorgersi che gli amici lo stavano osservano. Tutti tranne Baldric avevano sollevato le sopracciglia e gli stavano inviando delle occhiate eloquenti.
«Sì… Complimenti» balbettò Roderick.
Il sole era tramontato sul primo giorno di lezioni a Hogwarts, e Salazar quasi rimpiangeva i due mesi trascorsi con la poco piacevole compagnia del concilio di re Ethelred. E si trattava di Babbani.
Nel primo pomeriggio aveva tenuto la lezione di Incantesimi per gli studenti del quinto anno e si era reso conto con orrore che la loro preparazione era decisamente al di sotto delle sue previsioni. Quei ragazzi sarebbero dovuti uscire fuori dalla scuola con la presunzione di difendere le loro famiglie? Esporre sulla porta di casa un cartello con scritto “Benvenuti, Danesi” avrebbe prodotto lo stesso risultato, solo con un minore dispendio di energie. Dopo la deludente lezione di Incantesimi, era stata la volta dei commenti stupidi di uno stupido allievo di Lord Gryffindor – la novità – che, sostenuto dai suoi compagni, aveva dichiarato che la lezione di Storia della Magia che stavano seguendo in quel momento era inutile. Il focoso giovane voleva combattere contro i Danesi senza perdere tempo. Salazar non si era preso la briga di spiegare che la strategia di Sector Testadiquercia, sui cui verteva quella lezione, era stata recentemente seguita dai cavalieri di re Ethelred, dietro suo suggerimento, naturalmente. Si limitò a ordinare al ragazzo di recarsi quella sera da Hankerton Humble per la sua punizione.
Finalmente le lezioni per quel giorno erano terminate, e l’indomani lui avrebbe avuto a che fare con i ragazzi del sesto e del settimo anno, per i quali nutriva qualche speranza in più. Ad ogni modo, il fatto che i giovani allievi non fossero ancora pronti ad affrontare la guerra non lo faceva sentire tranquillo. Per quanto fossero spesso dei giovani spacconi con poco cervello, era suo dovere proteggerli e metterli in grado di proteggersi.
Salazar strinse due dita intorno al setto nasale e socchiuse gli occhi, per meglio riflettere sull’idea che aveva iniziato a solleticargli il cervello. Aveva già in mente di preparare in maniera più adeguata i suoi allievi, in particolare quelli dell’ultimo anno, sufficientemente pronti per affrontare ciò che lui aveva in serbo per loro, come aveva sempre fatto. I muri della Camera dei Segreti erano le sentinelle silenti delle lezioni poco canoniche che aveva impartito negli anni precedenti. Questa volta forse avrebbe potuto estendere i suoi insegnamenti anche agli allievi degli altri tre Fondatori. Ne avrebbero tratto solo beneficio, doveva solo parlare con Godric, Helga e Rowena.
Giunto in Sala Grande per la cena, Salazar fu contento di vedere che anche gli altri maestri si trovavano lì. Consumato il pasto, mentre gli studenti iniziavano a sciamare verso le rispettive Sale Comuni, il mago trattenne con dei gesti discreti gli altri Fondatori. Helga, Godric e Rowena si scambiarono delle occhiate a metà tra il sorpreso e il perplesso, ma poi acconsentirono a seguirlo nei suoi alloggi.
Mentre camminava verso i sotterranei, facendo strada, Salazar rifletteva su come porre il discorso. Bastava non nominare la Camera dei Segreti e far passare quell’iniziativa come un’idea che gli era venuta da poco.
I quattro maghi fecero il loro ingresso negli alloggi di Salazar e questi fece loro cenno di accomodarsi.
«Di cosa vuoi parlarci?» domandò Helga, prendendo posto su una delle panche antistanti il grande tavolo di legno. Intrecciò le dita intorno al ginocchio coperto da una lunga veste arancione e inclinò leggermente il capo, per poi restare in attesa. Rowena si sedette accanto a lei, mentre Godric, che aveva preso a esaminare con lo sguardo l’arredamento di quell’ambiente, rimase in piedi.
«Considerati gli anni critici che stiamo vivendo, credo che la preparazione che stiamo offrendo ai nostri studenti non sia ancora la migliore possibile» esordì Salazar senza preamboli.
Punto sul vivo, Lord Gryffindor sciolse le braccia che aveva incrociato sul petto e gli rivolse un’occhiata critica. Salazar ruotò gli occhi nelle orbite, seccato, sicuro che di lì a poco avrebbero preso a litigare. E lui che voleva solo fare un favore agli allievi degli altri.
«Cosa vorresti dire? Stiamo facendo il possibile nelle materie che abbiamo deciso di insegnare ai ragazzi, anche se gli ordini di re Ethelred comportano frequenti assenze dal castello.»
«Esatto» si animò per un attimo Salazar. «Proprio questo intendevo. Nelle materie che abbiamo deciso di insegnare. Ebbene, io credo che siano senz’altro utili, ma non bastano. Possediamo delle conoscenze che non trasmettiamo ai nostri allievi, perché non cominciare adesso che ne avrebbero più bisogno?»
Gli altri Fondatori lo ascoltarono, silenti e perplessi. Dalle espressioni di Godric e Helga poteva intuire che non avessero ancora inteso dove voleva andare a parare. Certo, lo sguardo di Gryffindor palesava diffidenza, ma nutrita a priori, giacché era stato lui a parlare. Solo gli occhi di Rowena brillavano di comprensione. Già, Rowena, sapeva che avrebbe capito al volo. La donna aveva iniziato a mordersi il labbro inferiore, evidentemente a disagio.
«Ti riferisci alle Arti Oscure?» domandò con un filo di voce.
Salazar non ebbe il tempo di annuire, che Godric fece un balzo in avanti.
«È così!» tuonò, finalmente anche lui consapevole delle intenzioni dell’altro. «Sei un folle! Non puoi auspicare di insegnare la magia usata per scopi malvagi.»
Fu la volta di Salazar di perdere la pazienza e alzare la voce.
«Non sto dicendo di insegnare loro proprio tutto. Siamo in guerra! Bisogna attuare scelte che in periodo di pace non adotteremmo mai.»
«Vuoi forse dire che in periodo di guerra la moralità di una persona debba cambiare?» domandò Helga, modulando la voce, ma infondendo nelle sue parole tutta la decisione di cui fu capace.
«Voglio solo dire che le cose sono cambiate, e noi dovremmo cambiare insieme ad esse, per il bene del regno. E tu, Godric» proseguì Salazar, puntando contro il mago un indice accusatore, «non dovresti mostrarti così scandalizzato. I tuoi fedeli che stanno combattendo là fuori insieme ai cavalieri uccidono come tutti gli altri!»
Godric ridusse gli occhi a due fessure e sollevò il mento.
«Non insegnerò agli studenti come si uccide.»
Detto questo, ruotò su se stesso il un turbinio del suo mantello color porpora e lasciò i sotterranei.




NdA: La scena della huldre inizialmente non era prevista, però poi si è rivelata necessaria sia perché serviva per sottolineare il tema della guerra, in particolare il fatto che alcune decisioni che in tempo di pace sarebbero aberranti, in tempo di guerra sono necessarie, e poi per anticipare un episodio che sarà importante più avanti.
Roddy non diventa Caposcuola perché avevo scelto il pacchetto di solo Prefetto, ma mi è servito anche ai fini della trama.
Sector Testadiquercia è una mia invenzione, in galiziano “sector” significa ramo.
Su Pottermore c’è scritto che Salazar usava la Camera dei Segreti per impartire insegnamenti oscuri ai suoi allievi. La lite tra Salazar e Godric serve sia per sottolineare l’astio tra i due, sia per riprendere il tema delle scelte in periodo di guerra.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Quel pomeriggio, Roderick, Lamia e i gemelli Uchelgais erano usciti nel parco per provare alcuni incantesimi che avevano recentemente appreso da Lord Slytherin. Avrebbero voluto coinvolgere anche Baldric e Brayden, dato che quest’ultimo era quello che aveva un maggiore bisogno di esercitarsi. Il primo però era stato convocato dal Lord in persona; Roderick sapeva che di lì a poco avrebbe lasciato il castello, perciò sicuramente doveva fare le sue raccomandazioni al Caposcuola. Brayden invece, come aveva prognosticato all’inizio dell’anno, era già nei guai con le Antiche Rune, perciò era rimasto in biblioteca, a seppellirsi sotto una valanga di tomi.
Roderick, Lamia e i gemelli avevano duellato per un’ora buona, dopodiché si era sollevato un vento pungente e impetuoso che li aveva costretti a smettere.
«Io rientro al castello» comunicò Ruben, stringendo il collo di pelliccia del mantello sotto il suo mento sfuggente. Alef si dichiarò della stessa intenzione, ma Roderick disse che lui e Lamia sarebbero rimasti fuori un altro po’.
«Ma sei matto?» protestò la ragazza, quando i due Uchelgais erano ormai scomparsi alla vista. «Fa freddo, anche io voglio tornare al coperto.»
«D’accordo» acconsentì il giovane, sorridendo. «Ma non al castello.»
Vinse le sue proteste intrecciando le dita con quelle di lei, dopodiché la condusse verso i giardini di Lady Hufflepuff. Come ogni inverno, per proteggere le piante magiche dal vento e dal gelo, la strega li aveva circondati con delle protezioni trasparenti che sotto i raggi solari sembravano cristallo.  Il sole stava tramontando sul parco di Hogwarts, perciò non doveva perdere tempo se voleva mostrare alla ragazza quello che aveva in mente.
Superò, senza degnarlo di uno sguardo, il giardino nel quale quell’anno studiavano Erbologia e si fermò invece davanti a quello contenente le piante oggetto di attenzioni dei ragazzi di primo.
«Perché mi hai portata qui? Cosa c’è di tanto speciale?» protestò Lamia.
Se non l’avesse conosciuta così bene, probabilmente Roderick sarebbe stato smontato dalle sue parole. Invece aveva un’idea ben precisa in mente, e sapeva che, nonostante la sua riottosità iniziale, la sua promessa sposa l’avrebbe apprezzata. Con una mano sollevò un lembo della protezione incantata che circondava le aiuole, poi, sempre stringendo le sue dita, condusse la strega all’interno. La sensazione di piacevole calore che li avvolse fu immediata e stridente con il vento gelido che soffiava fuori. Sotto quella specie di cupola trasparente, sembrava che il cielo sovrastante fosse più terso. I raggi del sole morente aranciavano i contorni delle piante e dei fiori cresciuti intorno a loro, le cui corolle sprigionavano un profumo intenso.
«Ricordi le margherite danzanti che ti erano piaciute durante il primo anno?» disse Roderick, distraendo Lamia dal momento di contemplazione in cui era caduta. Lei annuì e il ragazzo la condusse davanti ad alcuni cespugli di fiorellini bianchi con il cuore dorato che si muovevano leggermente, come sospinti dalla brezza, anche se non soffiava nemmeno un alito di vento. Quando si fermarono davanti a loro, le margherite produssero dei flebili versi simili a mugolii.
«Si sono riprese!» esclamò Lamia con un ampio sorriso.
Le piante si erano ammalate e Lady Hufflepuff aveva sostenuto che probabilmente non avrebbe potuto far altro che estirparle. Invece eccole adesso, più rigogliose di prima. Roderick l’aveva scoperto ascoltando l’insegnante di Erbologia comunicarlo ad alcuni studenti del primo anno, e subito aveva pensato che la cosa avrebbe potuto far piacere a Lamia. Inoltre era alla ricerca di un’occasione per stare un po’ da solo con lei, e i giardini di Lady Hufflepuff gli erano sembrati un bel posto.
Lamia stava ancora contemplando le margherite, quando Roderick aggirò silenziosamente la sua figura e le posò le mani sulle spalle. Scostò leggermente il tessuto del suo mantello e posò le sue labbra sulla pelle del collo di lei.
I due ragazzi rientrarono al castello in tempo per la cena, ma, quando incontrarono Baldric, lo scoprirono di pessimo umore.
«Roderick, si può sapere dove diavolo eri finito?» iniziò a inveire il barone appena li incontrò in Sala Grande, guadagnandosi le occhiate stranite di un gruppetto di allieve di Lady Ravenclaw del primo anno.
L’amico, aggrottò le sopracciglia, infastidito prima dal fatto che Baldric aveva usato il suo nome per esteso – cosa che faceva raramente –, poi dal tono di rimprovero che aveva usato.
«Eravamo ai giardini di Lady Hufflepuff… Non capisco perché ti scaldi così tanto.»
Il barone sollevò il labbro superiore in modo da scoprire i suoi denti.
«Non capisci? Lord Slytherin non è al castello, la responsabilità di voi studenti è sulle mie spalle.»
Roderick sgranò gli occhi, per poi risentirsi. Si voltò verso i gruppi di studenti, già seduti intorno ai quattro tavoli, allargò le braccia ed esclamò, badando di farsi sentire da tutti.
«Udite, udite! Inchiniamoci tutti davanti a quel grand’uomo del barone Redslaught!»
Tacque quando sentì qualcosa urtare contro il suo braccio. Scoprì che era stata Lamia a colpirlo; la ragazza si stava nervosamente infilando una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed evitava di incrociare il suo sguardo tenendo gli occhi bassi.
«Smettila, Rod» sussurrò, a disagio. Lanciò uno sguardo al tavolo dei maestri, che per fortuna era ancora vuoto.
«Già, smettila» ordinò Baldric, con il volto contratto. «Altrimenti sarò costretto a fare un rapporto a Lord Slytherin sul tuo comportamento.»
Roderick rise. La considerazione che il Capocasa nutriva per lui non era un mistero per nessuno, e lui voleva ricordarlo a Baldric dimostrandosi spavaldo. In cuor suo però non lo era affatto: proprio perché aveva una buona reputazione presso il suo futuro suocero, non voleva rischiare di rovinarla. Per questo, nonostante continuasse a osservare l’amico quasi a volerlo sfidare a continuare su quella linea, non ribatté nulla. Dal canto suo, Baldric gli stava inviando un’occhiata truce. In quel momento, Lord Gryffindor e Lady Ravenclaw fecero il loro ingresso in Sala Grande, perciò i due ragazzi distolsero lo sguardo e si avviarono in buon ordine verso il loro tavolo. Si stavano sedendo, quando Baldric colpì il legno con un pugno violento e repentino, facendo sobbalzare diversi studenti intorno a lui.
Gli allievi di Lord Slytherin consumarono la cena in silenzio, alcuni muovevano le posate con tanta accortezza che sembravano aver paura di provocare un altro scatto d’ira nel loro Caposcuola.
Terminato di cenare, gli studenti raggiunsero la loro Sala Comune nei sotterranei. Baldric non si intrattenne come al solito con gli alti intorno al camino, ma si infilò nel dormitorio senza una parola.
«Ha veramente esagerato» sussurrò Roderick all’orecchio di Lamia, in commento al comportamento dell’amico. «Siamo rientrati che non era neanche ora di cena! Che ritardo poteva mai essere?»
«Tu hai esagerato, Rod.» Sorpreso, il ragazzo sollevò le sopracciglia. «Non dovevi canzonarlo pubblicamente in quel modo.»
«Ma hai sentito cosa mi ha detto appena mi ha visto? Non è la mia balia» soffiò il mago.
Sulle prime, sembrò che la ragazza non avesse intenzione di rispondere. Poi puntò le mani sui fianchi e disse:
«Sai perché gli hai risposto in quel modo? Non perché ti ha dato fastidio il modo in cui Baldric si è rivolto a te, ma perché è dall’inizio dell’anno che sei invidioso marcio perché mio padre ha nominato Caposcuola lui anziché te. E ora scusami, sono molto stanca, vado a letto.»
La strega si dileguò prima che Roderick potesse ribattere, sparendo subito dopo dietro la soglia scura della porta.
Circondato da compagni intenti a scherzare e a giocare a Scacchi Magici, il ragazzo si accasciò su uno dei divani in pelle nera, tenendosi la testa tra le mani.
Lamia aveva tenuto il muso a Baldric per quasi un anno perché era diventato Prefetto al posto suo, non era nella posizione di criticarlo. Anche se aveva ragione, disse a se stesso con astio, era convinto di meritare quell’incarico più di Baldric. A volte, quando formulava quel pensiero, si sentiva in colpa perché aveva l’impressione di tradire l’amico. Ad ogni modo non ce l’aveva con lui, ma con Lord Slytherin, che era stato ingiusto nei suoi confronti. Non c’era nulla che potesse fare con lui, ma non era così impotente nei riguardi di Baldric. L’indomani, concluse alzandosi e dirigendosi verso il dormitorio, si sarebbe scusato per il suo comportamento, nella speranza che tutto sarebbe tornato come prima.
Il risveglio nel dormitorio maschile degli allievi di Lord Slytherin non fu il più caloroso possibile. Brayden era avvilito per i brutti voti che Lady Hufflepuff gli aveva assegnato, Ruben si era raffreddato durante l’allenamento nel parco e non la smetteva di lamentarsi del suo naso gocciolante, Alef era insolitamente taciturno. Roderick e Baldric, dal canto loro, erano ancora in freddo dalla discussione della sera prima.
I loro compagni lasciarono il dormitorio appena furono pronti, il barone sarebbe stato il primo a uscire se Roderick non l’avesse trattenuto.
«Che vuoi?» gli domandò rudemente quando furono rimasti soli.
Il giovane Ravenclaw contrasse i muscoli della mascella, irritato, ma si sforzò di mantenere un tono neutro nel rispondergli.
«Chiederti scusa per ieri.»
Baldric incrociò le braccia sul petto e sbuffò.
«Per essere arrivato in ritardo o per avermi parlato come un fottuto idiota?»
Roderick non era esattamente la persona abituata a domandare scusa, e il Caposcuola non lo stava di certo aiutando. Però quel testone era il suo migliore amico, detestava l’idea di mandare alle ortiche un’amicizia di anni. Perciò si morse la lingua e rispose:
«Per entrambe le cose.»
Baldric continuò a scrutarlo in cagnesco per qualche istante, poi distese l’espressione e sciolse le braccia.
«D’accordo. Mettiamoci una pietra sopra.» Roderick fu sorpreso per come il diverbio si fosse concluso rapidamente e senza morti e feriti. «Ma se ci riprovi, ti ammazzo» concluse il barone mentre uscivano dalla Sala Comune.
Ah, ecco. Stava sorridendo, la questione era definitivamente risolta.
O lo sarebbe stata, se non fosse stato per Lord Slytherin. Roderick non era più arrabbiato con Baldric, né quest’ultimo lo era con lui, però il ragazzo non riusciva a togliersi dalla testa la delusione per non essere stato scelto come Caposcuola. Quella nomina avrebbe significato molto per lui. Lord Slytherin aveva promesso di scortarlo lungo la strada verso la grandezza, gli aveva mentito? O era successo qualcosa che aveva diminuito l’affetto che nutriva per lui?
Roderick aveva continuato a porsi quei quesiti nei giorni successivi, finché, al termine di una lezione di Incantesimi, proprio Lord Slytherin gli aveva fatto segno di rimanere. I suoi amici avevano dato una mano a riordinare i materiali utilizzati per la lezione, dopodiché, su indicazione di Roderick, erano usciti nel corridoio, assicurandogli di tenere un posto per lui alla successiva lezione di Pozioni.
Roderick era rimasto in piedi accanto alla cattedra del Capocasa, paziente e silenzioso, ma questi non l’aveva degnato di uno sguardo per i minuti successivi, impegnato com’era a scrivere su una pergamena quelle che avevano tutto l’aspetto di valutazioni provvisorie sulle prove degli studenti. Quando finalmente sollevò lo sguardo dalla carta, sembrò accorgersi solo in quel momento che l’allievo era ancora lì.
«Volevate parlarmi, mio signore?» domandò educatamente questi.
«Sì» rispose il Lord, posando la penna sul piano del tavolo e concentrando l’attenzione sul ragazzo. «Non abbiamo ancora avuto occasione di parlarci a quattr’occhi. Ti sarai aspettato di diventare Caposcuola, immagino.»
Come al solito, Lord Slytherin evitava giri di parole. Roderick rifletté su cosa rispondere: non voleva apparire presuntuoso, ma non poteva neanche negare qualcosa che il Capocasa aveva intuito da sé. Alla fine annuì brevemente.
«La mia decisione ti avrà deluso, e me ne dispiaccio. Ma fidati di me, Roderick, quando ti dico che ho in mente qualcosa per te di gran lunga più importante di un ruolo scolastico.»
Il ragazzo taceva, senza sapere cosa rispondere. Era curioso di sapere a cosa si riferisse Lord Slytherin, ma non voleva sollecitarlo a parlare per non risultare sgarbato. Nonostante il mistero, le parole del mago avevano acceso qualcosa all’interno del suo petto che sembrava farlo respirare meglio.
«È ancora presto» continuò il Fondatore. «Aspettati delle indicazioni da me quando sarà il momento.»
Quella sera, Roderick si infilò a letto con un gran senso di leggerezza addosso. Aveva avuto paura che Lord Slytherin avesse iniziato a preferire Baldric a lui, ma ora sapeva che non era vero. Inoltre l’idea che questi avesse una sorta di missione in serbo per lui lo riempiva di sovreccitata attesa. Per questa ragione riuscì ad assopirsi molto tardi. Quando si sentì scuotere e dovette aprire gli occhi, gli sembrò che si fosse addormentato solo pochi minuti prima.
«Muoviti, Rod» gli disse Baldric, allontanandosi dal letto a baldacchino che conteneva l’amico, per riprendere a vestirsi. Anche Brayden, Alef e Ruben stavano finendo di prepararsi al lume di un mozzicone di candela, l’unico bagliore che illuminava il dormitorio. Solo quando tutti e quattro giunsero in Sala Comune, per ritrovarsi con i loro compagni del settimo anno, raccolti intorno a Lord Slytherin, Roderick si rese conto che probabilmente non era mattina.
«Vi ho fatti svegliare a quest’ora di notte» confermò il Fondatore, scrutando i volti assonnati dei suoi allievi uno per uno, «perché ho in mente delle esercitazioni molto particolari per voi, delle quali i miei illustri colleghi non sono a conoscenza.»
I ragazzi iniziarono a guardarsi l’un l’altro, alcuni con espressioni confuse, altri avevano già cominciato a bisbigliare in tono eccitato, quando il Capocasa li fece tacere con un gesto della mano.
«Naturalmente non dovrete mai parlare del luogo in cui vi condurrò, né delle attività che svolgeremo. Confido in voi, ma, per maggiore sicurezza, ricorreremo a un Voto Infrangibile.»
Lamia sollevò lo sguardo sul suo promesso sposo nella speranza di ricevere una rassicurazione, ma poi obbedì, come tutti gli altri, quando Lord Slytherin ordinò loro di posare le mani sulla sua.
L’unico a rimanere un po’ in disparte fu un ragazzo corpulento che Roderick riconobbe come Fabian Farley. L’ex Caposcuola aveva la bacchetta in pugno e aspettava pazientemente che tutti si sistemassero: avrebbe assistito all’incantesimo in qualità di Sugello.
Quando tutte le mani furono sulla sua, Lord Slytherin parlò.
«Miei fedeli allievi, volete voi apprendere i miei segreti, per mantenerli tali?»
«Lo vogliamo» risposero gli studenti, ancora un po’ incerti e agitati.
Una fiamma brillante e sottile sgorgò dalla punta della bacchetta di Farley, per andare ad avvolgere il groviglio di mani.
«E volete voi scoprire l’ubicazione della Camera dei Segreti, per non rivelarla mai a nessuno?»
«Lo vogliamo!» ripeterono, questa volta con un tono più saldo.
Un secondo filamento incandescente andò a unirsi agli altri.
«Bene» disse il Capocasa con tono casuale. «Ricordo a tutti che lo scioglimento del Voto Infrangibile comporta la morte. Ora, se volete seguirmi…»
Senza una parola, gli studenti del settimo anno si incolonnarono dietro il loro Capocasa e lasciarono i sotterranei. Roderick aveva girovagato più volte per il castello deserto e illuminato solo da poche torce e dalla luce delle stelle che filtrava dalle finestre, ma mai come quella volta aveva avuto l’impressione di fare qualcosa di proibito.
Lord Slytherin li condusse attraverso due rampe di scale e diversi corridoi, senza imbattersi né in Pix, né in nessun altro. Quando raggiunse una porta di legno, lucida come tutte le altre, si fermò, sollevò la bacchetta e questa ruotò silenziosamente sui cardini. Roderick entrò, insieme ai suoi compagni, in una sala piuttosto piccola, che li conteneva a malapena tutti. Non c’erano torce appese alle pareti, perciò i ragazzi dovettero accedere le punte delle bacchette con l’incantesimo Lumos per poter osservare meglio il luogo. Ad un’occhiata poco più approfondita, Roderick si accorse che, accatastati contro una parete, c’erano alcuni resti di mobilia vecchia e rotta. Cosa c’era di speciale in quella stanza, che per essere scoperto abbisognava di un Voto Infrangibile? Probabilmente anche gli altri studenti si stavano ponendo la stessa domanda, perché avevano iniziato a bisbigliare. Lord Slytherin li mise a tacere con un secco gesto della mano, per poi ordinare loro di accalcarsi lungo le pareti. Quando obbedirono, i ragazzi si resero conto che al centro del pavimento, quasi invisibile tra le pietre che lo componevano, c’era una botola. Un altro colpo di bacchetta da parte del Fondatore e un sussurro in Serpentese, e questa si aprì, svelando una gola nera che odorava di umidità. Lord Slytherin guidò i suoi allievi nella discesa nell’oscurità, attraverso alcuni corridoi che sembravano interrarsi sempre di più. Più volte il Capocasa dovette alzare la bacchetta, probabilmente per spezzare incantesimi a protezione del suo segreto che solo lui riusciva ad identificare, finché non si trovarono in un ambiente enorme, dominato da alcune pesanti colonne di pietra, intorno alle quali si attorcigliavano serpenti dello stesso materiale.
«Benvenuti nella Camera dei Segreti» esordì la voce cavernosa di Lord Slytherin.



NdA: 
mini momento di intimità tra Lamia e Roddy. L’ho voluto inserire perché finora ho scritto che si erano dati solo un bacino. Siamo nel medioevo e siamo a scuola, perciò non succede niente di che – ho descritto volutamente un bacio sul collo perché mi sembra delicato – però Roddy è un maschietto, e sappiamo come sono fatti i maschietti.
La lite tra Baldric e Roderick mi sembra una cosa normale tra amici. Mi è servita inoltre per evidenziare il temperamento del Barone Sanguinario e la gelosia di Roderick.
Ho pensato che non bastasse fare il mignolin giurello con gli studenti affinché questi non rivelassero l’esistenza della Camera dei Segreti, sebbene gli Slytherin mi sembrano fedeli tra di loro. Quindi gli ho fatto fare un simpatico Voto Infrangibile, che mi sembra un metodo ragionevole con cui mantenere il segreto. Più tardi la notizia circolò il tanto che bastava per tramutarsi in leggenda, ma potrebbe essere perché Salazar non era più a scuola e non tartassava più gli studenti col Voto Infrangibile.
Sempre su Pottermore c’è scritto che originariamente l’ingresso della Camera dei Segreti era altrove, ed era costituito da una botola e da una serie di gallerie magiche. “Ci sono prove evidenti che la Camera venne aperta più di una volta nel periodo compreso tra la morte di Serpeverde e l'ingresso a scuola di Tom Riddle nel ventesimo secolo. Non appena creata, l'accesso alla Camera avveniva attraverso una botola segreta e una serie di gallerie magiche. Tuttavia, quando nel diciottesimo secolo il sistema di tubazioni di Hogwarts divenne più elaborato (questo è un raro caso di maghi che copiano i Babbani, perché sino ad allora andavano al bagno ovunque si trovassero, facendo scomparire ogni traccia dei loro bisogni), l'entrata alla Camera fu messa in pericolo e quindi venne spostata in un bagno. La presenza a quel tempo nella scuola di uno studente di nome Corvinus Gaunt - discendente diretto di Serpeverde e predecessore di Tom Riddle - spiega come la semplice botola fosse segretamente protetta, in modo che coloro che sapevano come fare potessero continuare ad accedere alla Camera anche dopo che un nuovo impianto idraulico era stato posizionato sopra di essa.”


 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Dopo la prima discesa nella Camera dei Segreti, Lord Slytherin fissò per i suoi allievi un incontro a settimana di due ore, nel cuore della notte. I ragazzi erano meno agitati rispetto alla prima lezione, ma la Camera continuava ad esercitare su di loro un fascino sinistro.
Da quando avevano iniziato quegli incontri segreti, per Roderick era come se fosse giunta la primavera a sbrinare gli incubi e i timori di un inverno durato anni. La guerra contro i Danesi, una realtà che ritmicamente sembrava ritrarsi, per poi avvicinarsi e tentare nuovamente di afferrarlo, aveva prodotto nel suo animo un senso di inquietudine così consolidato che lui stesso aveva smesso di notarne l’esistenza. Il timore per sua zia e per il suo futuro suocero, sempre più esposti, per le famiglie dei suoi compagni di studi, per la salvezza di tutti loro, l’essere combattuto tra il voler restare protetto dalle mura di Hogwarts e il sentirsi inutile e frustrato perché lontano dal conflitto, tutte quelle realtà erano diventate fin troppo familiari, tanto che Roderick si era accorto consapevolmente di loro solo quando aveva iniziato a scacciarle grazie agli incontri clandestini nella Camera dei Segreti. Solo in quelle occasioni aveva l’impressione di acquisire nozioni e abilità veramente utili ed efficaci contro i nemici. Solo allora sentiva la sua forza crescere, insieme alla sicurezza di sé.
Stupeficium, Petrificus Totalus, Mobilicorpus, Oppugno, Lacarnum Inflamarae, Everte Statim, Incarceramus e gli altri incantesimi insegnati loro da Lord Gryffindor erano certamente utili, ma in guerra non sarebbero stati sufficienti. E anche se il Lord insegnava loro ogni minima caratteristica delle Creature Magiche giunte dalla Danimarca, le esercitazioni contro di loro, a parere di Roderick, erano state insufficienti. Non avevano creature sottomano contro cui combattere e usare gli incantesimi specifici insegnati da Lord Gryffindor, per questa ragione occorreva imparare delle fatture magari più generiche, ma dall’impatto maggiore ed efficaci in ogni situazione. In questo, le Arti Oscure fornivano un grande aiuto.
Lord Slytherin aveva insegnato ai ragazzi il Siccitatibus Infirmitate, un incanto che provocava sete, debolezza e vertigini, fino alla perdita dei sensi, l’Inania Lumina, che rendeva gli occhi del nemico ipersensibili alla luce, l’Ulceribus, che provocava piaghe purulente quasi insanabili, e l’Exper Halitus, in grado di solidificare l’aria nei polmoni del nemico. Si erano esercitati su carcasse di creature o sugli Elfi Domestici, il che era stato pietoso, soprattutto all’inizio, ma poi i ragazzi si erano abituati. Cos’era la vita di una creatura inferiore, quando centinaia di maghi come loro combattevano contro i Danesi? Quello era l’unico modo per fare pratica, inoltre nessuna esercitazione aveva condotto alla morte.
Quella notte, il Capocasa aveva insegnato agli studenti l’ultimo incantesimo di sua invenzione, l’Imber, capace di far piovere sull’avversario delle gocce dure come sassi. Non avevano avuto bisogno di creature per far pratica, e Baldric aveva scoperto con soddisfazione quanto quella fattura gli fosse confacente.
Terminata la lezione, Lord Slytherin scortò i ragazzi fuori dalla Camera dei Segreti; man mano che tornavano verso la Sala Comune, l’eccitazione per la lezione scemava, sostituita da un crescendo di sbadigli e stiracchiamenti. Giunti nei sotterranei, i ragazzi si infilarono nei dormitori. Roderick disse ai suoi compagni che li avrebbe raggiunti presto e aspettò che anche Lamia andasse a dormire, per poi voltarsi verso Lord Slytherin. Tre giorni prima, il suo Capocasa gli aveva fatto sapere che, dopo l’esercitazione di quella settimana, avrebbe voluto vederlo nei suoi alloggi per parlargli; per tre giorni Roderic aveva atteso con ansia quel momento.
Il Capocasa gli fece un cenno d’intesa, dopodiché uscì con lui dalla Sala Comune.
«Mio signore» disse Roderick, in attesa.
«Ti avevo detto che ti avrei dato disposizioni a proposito della missione che ho intenzione di affidarti. Ebbene, voglio che tu impari le Rune.»
Lord Slytherin si sedette dietro il tavolo di legno e congiunse le punte delle dita sotto il mento, scrutando il ragazzo con occhi vigili.
«Le Rune?» domandò questi, sbattendo le palpebre. «Ma, signore, non ho scelto quella materia tra le facoltative.»
«Peggio per te» rispose seccamente Lord Slytherin. «Devi imparare a parlare il norreno, è essenziale ai fini della tua missione. Provaci da solo, cerca qualcuno che ti aiuti, fa’ un po’ come vuoi. Ma bada di essere discreto: nessuno dovrà sospettare che stai imparando le Rune dietro mio ordine, sono stato chiaro?»
Roderick annuì, confuso, ma determinato ad obbedire. Si azzardò a chiedere al Capocasa qualche dettaglio in più sulla sua missione, ma questi lo congedò, sostenendo che fosse già abbastanza tardi e che Roderick avesse bisogno di dormire.

Quella notte, Roderick sognò di nuovo i lampi di luce rossa, ma lo inquietarono meno del solito: era come se il giovane sapesse in cuor suo che non potevano fargli del male, o che poteva combatterli.
Quando si mise a sedere sul letto, perfettamente sveglio, notò che alcuni dei suoi compagni di dormitorio si stavano destando in quel momento. Scese dal materasso, si lavò e si vestì con cura, dopodiché si preparò a lasciare la stanza.
«Dove stai andando?» domandò Alef, con la voce impastata di sonno, da sotto un groviglio di coperte. «Non abbiamo lezioni così presto.»
«Tranquillo, vado a trovare mia zia. Tu continua a dormire» sussurrò Roderick, infilandosi nello spazio tra la porta e il muro. In Sala Comune, alcuni ragazzi del secondo o forse del terzo anno stavano ripassando sugli appunti, probabilmente in vista di un’interrogazione, mentre due studentesse più grandi chiacchieravano a bassa voce su un divano. Roderick calcò con poche falcate rapide il tappeto con l’effige del serpente, dopodiché lasciò i sotterranei.
Aveva mentito ad Alef, non stava andando a trovare sua zia, ma Lady Ravenclaw entrava indirettamente in ciò che aveva in mente di fare.
Doveva imparare il norreno, così gli aveva detto Lord Slytherin, e lui aveva fretta di mettersi al lavoro e compiacerlo. Di sicuro non sarebbe stato in grado di farlo da solo, doveva chiedere l’aiuto di una persona competente e soprattutto riservata. Nessuno dei suoi amici seguiva il corso di Antiche Rune, l’unica eccezione era Brayden, ma i risultati che il ragazzo stava conseguendo erano troppo desolanti per permettergli di insegnare qualcosa a qualcun altro. Questo costringeva Roderick a cercare aiuto fuori dalla cerchia di amicizie più strette, il che, da una parte, non era totalmente negativo. Infatti avere a che fare con i suoi amici, o peggio con Lamia, gli avrebbe reso quasi impossibile mantenere il segreto su ciò che Lord Slytherin gli aveva chiesto di fare. La persona più adatta a insegnargli qualcosa era Abigail Preshy: aveva avuto a che fare con lei in diverse occasioni e la conosceva abbastanza da sapere quanto fosse discreta, inoltre i suoi meriti scolastici non erano un mistero per nessuno.
Roderick sapeva da Brayden e Lamia che quel pomeriggio avrebbero avuto lezione di Aritmanzia, e Lord Gryffindor avrebbe interrogato. Una persona precisa come Abigail stava di sicuro studiando, il ragazzo sperava che lo stesse facendo in biblioteca. Giunto alla meta, iniziò a muoversi silenziosamente tra gli scaffali, tentando di individuare la familiare figura minuta e slavata di Abigail tra i vari tavoli. Quando ci riuscì, un sorriso di trionfo si accese sulle sue labbra. Prevedibie, pensò, sedendosi di fronte a lei.
La strega sollevò gli occhi dalla pergamena stesa davanti a sé e sussultò nel riconoscere il nuovo avventore.
«Roderick, che ci fai qui?» sussurrò, sorpresa.
«Ti cercavo» rispose lui, ammiccando. Prese in mano la pergamena davanti alla ragazza e le diede un’occhiata rapida, per poi rinunciare a capire i calcoli che la mano della strega vi aveva tracciato. «Ti piacciono le Antiche Rune?»
«Se non l’avessi capito, questa è Aritmanzia» puntualizzò lei, storcendo il naso e sorridendo.
Roderick non si scompose affatto, ma si portò le mani dietro la testa per accomodarsi meglio sul sedile che occupava.
«Lo vedo, ma non mi interessa. Ho invece scoperto di recente che le Rune mi incuriosiscono non poco e mi piacerebbe studiarle. Mi chiedevo se ti andasse di darmi una mano.»
Abigail lo osservava, incredula.
«Allora perché non hai scelto di seguire Antiche Rune al terzo anno?»
«Te l’ho detto, ho iniziato ad appassionarmi solo di recente. Magari Lady Hufflepuff potrebbe ammettermi lo stesso agli esami di fine anno.»
Ormai la sorpresa della ragazza si era trasformata in aperto scetticismo.
«E non ti pare un po’ tardi per iniziare a studiare Antiche Rune l’ultimo anno?»
La strada che Roderick aveva seguito fino a quel momento era azzardata, la sua scelta poteva dirsi addirittura stupida, per questo doveva cambiarla.
«Sì, hai ragione, affronterò le prove finali senza Antiche Rune, ma tu accontentami lo stesso, ti prego.» Sciolse le dita da dietro la nuca e protese il busto verso di lei. Aveva bisogno di lei, se voleva obbedire a Lord Slytherin. Si rese conto del senso di urgenza che le stava comunicando solo quando vide il suo volto contratto riflesso nelle pupille di lei. «Al termine di quest’anno scolastico diventeremo degli Stregoni, lasceremo Hogwarts e dovremo affrontare tutto quello che c’è là fuori. Voglio solo conoscere la lingua del mio nemico» concluse stringendo le dita a pungo.
Abigail rabbrividì e distolse lo sguardo, Roderick sapeva di aver con buona probabilità risvegliato in lei un dolore ancora fresco.
«Va bene» rispose dopo un po’, con un filo di voce. «Ti aiuterò, se è quello che vuoi. Ora devo finire di studiare Aritmanzia, dovrai aspettare che finisca.»
E Roderick aspettò. Non aveva alcuna intenzione di alzarsi da quel tavolo, temeva che Abigail ci ripensasse e si tirasse indietro; lui non voleva lasciarla andare. La osservò così mentre studiava, con le braccia conserte e il busto contro lo schienale di legno del sedile. Sentendo lo sguardo del mago sulla sua pelle, la ragazza dapprima arrossì violentemente. Provò un paio di volte ad aprire la bocca per dirgli qualcosa, ma tornò sempre a concentrarsi sulla pergamena che aveva davanti a sé. Roderick sapeva di metterla a disagio, ma non l’avrebbe lasciata neanche per quella ragione.
Dopo l’imbarazzo iniziale, Abigail si era gradualmente immersa nello studio, concentrandosi così tanto da dimenticare quasi la presenza di Roderick a quel tavolo.
Il mago osservò l’indice della ragazza sfiorare delicatamente i bordi delle pagine di un libro che aveva tratto dalla sua bisaccia, i suoi denti mordicchiare l’estremità della penna con cui appuntava note in continuazione, la luce che filtrava dalla finestra colpirle il viso. Quando i doccioni del castello iniziarono a gettare un’ombra sui suoi zigomi pronunciati, Abigail posò finalmente la penna e sospirò.
«Bene, vogliamo cominciare?»
Roderick aveva immaginato che la ragazza avrebbe avuto bisogno di una pausa – se non altro perché nessuno dei suoi amici era stato così tanto tempo sui libri, senza fermarsi –, ma Abigail sembrava lucida. Così il giovane annuì brevemente e cambiò posto, per accomodarsi accanto a lei. La strega si alzò con la promessa di tornare presto e, quando lo fece, portava quattro o cinque tomi caricati sulle braccia. Li poggiò accanto a loro e aprì il primo.
«Risparmiati la storia, gli orpelli narrativi e le cose che non mi interessano: io voglio solo imparare a parlare norreno» chiarì Roderick, preoccupato dalle dimensioni dei libri.
Abigail non batté ciglio.
«D’accordo, direi allora che possiamo iniziare dal fuþark, l’alfabeto.»

Quando lasciò la biblioteca, Roderick sentiva le tempie che gli pulsavano e la testa che gli scoppiava. Abigail era un’insegnante decisamente più intransigente di Lamia, alla quale in fin dei conti importava solo che la loro Casa si distinguesse. La giovane Preshy non era così, era convinta che non fosse sufficiente memorizzare le nozioni per l’interrogazione, ma che bisognasse assimilarle, e per farlo occorreva ripeterle più volte. In altre occasioni, Roderick non le avrebbe dato retta, ma in quel caso non stava studiando per alcun esame, e occorreva che sapesse padroneggiare davvero quella lingua, così non aveva avuto altra scelta che assecondarla. Aveva comunque sospirato di sollievo quando la ragazza lo aveva salutato per andare alla lezione di Aritmanzia.
Lasciata la biblioteca, Roderick avrebbe fatto bene a tornare in Sala Comune per riposare un po’ prima della lezione di Cura delle Creature magiche, ma scoprì di avere voglia di una boccata d’aria fresca più che di rinchiudersi nei sotterranei. Attraversò così il portone del castello e si trovò con le caviglie immerse in qualche centimetro di neve. Faceva piuttosto freddo, ma lui era coperto a sufficienza, e quell’aria frizzante era proprio ciò di cui aveva bisogno. Iniziò così a passeggiare senza meta, calciando distrattamente qualche sasso di tanto in tanto. Non riusciva a smettere di pensare all’incarico che gli aveva assegnato Lord Slytherin. Aveva iniziato ad occuparsene, certo, ed era felice che Abigail avesse voluto accontentarlo, altrimenti non avrebbe saputo come fare. Però era anche curioso di sapere a cosa gli servisse imparare a parlare il norreno e cosa il Fondatore avesse in mente per lui. Il suo cervello passò così in rassegna una serie interminabile di ipotesi, una più fantasiosa dell’altra man mano che andava avanti ragionando. Ad un certo punto, le sue riflessioni furono interrotte dallo scricchiolare di passi nella neve. Quando si voltò, Lamia gli era già addosso.
«Si può sapere che fine hai fatto?» domandò la ragazza, irritata. Aveva stretto i capelli biondi in una treccia ed era avvolta in un pesante mantello di pelliccia.
«Io… sono uscito un attimo» rispose Roderick, dopo un istante di esitazione.
«Un attimo? È da stamattina che non ti vediamo.»
In quella, furono raggiunti anche da Baldric, Brayden, Alef e Ruben. Parvero notare il momento di tensione tra Roderick e Lamia, così rimasero incerti sul da fare. Solo il barone, dopo un po’, si sentì di invitare gli altri a muoversi.
«Lord Gryffindor ci sta aspettando, sbrighiamoci o faremo tardi.»
Lamia fu la prima a recepire il suo invito; superò Roderick senza guardarlo e si avviò verso il punto nel parco in cui avrebbero dovuto seguire la lezione.
Lord Gryffindor li stava aspettando al limitare della Foresta Proibita, con un piede poggiato su una gabbia di legno nella quale erano racchiuse delle Creature Magiche dall’aspetto simile a piccoli maiali. Non appena adocchiò gli ultimi allievi di Lord Slytherin, intimò loro di far presto.
«La lezione di oggi verterà su questi Nogtail» esordì, indicando con la punta dello stivale di cuoio graffiato e sporco di neve e fango le creature nella gabbia.
Roderick diede ai Nogtail un’occhiata fugace, per poi concentrarsi su Lamia, che era ritta a pochi passi da lui e sembrava invece concentratissima sulla lezione.
Lord Gryffindor iniziò ad elencare le caratteristiche di quelle creature, ma Roderick non lo ascoltava. Da una parte si sentiva a disagio per la reazione della sua promessa sposa, dall’altra era profondamente irritato.
«Lamia» le sussurrò all’orecchio.
La ragazza non reagì, così lui la chiamò di nuovo, finché lei non mosse le spalle e scosse la treccia, come reagendo davanti a un insetto fastidioso.
«Che vuoi?» sibilò in risposta, quando le fu chiaro che Roderick non si sarebbe lasciato ignorare tanto facilmente.
«Sapere perché fai così. Sembra che abbia ammazzato qualcuno.» La strega si voltò il tanto che bastava per lanciargli un’occhiata perforante, ma non rispose. Testardo, il giovane le si avvicinò ancora un po’. «Ho detto agli altri che sarei andato a trovare mia zia, ti pare così strano?»
«Non lo sarebbe, se tu fossi andato davvero da Lady Ravenclaw» ribatté, piccata.
In quella, lo sguardo di Lord Gryffindor intimò loro di smetterla. Roderick non rispose, sia perché non aveva voglia di farsi rimproverare o togliere punti dal Fondatore, sia perché la bocca gli era diventata immediatamente secca.
Cosa ne sapeva Lamia di dove era o non era stato? Il giovane continuò a ripetersi quella domanda nella mente, chiedendosi anche se la sua promessa sposa non sapesse di Abigail e delle lezioni di Antiche Rune che aveva iniziato a impartirgli.
La lezione di Cura delle Creature Magiche terminò, e gli studenti rientrarono al castello. Durante il pasto, Lamia e Roderick sedettero vicini, come al solito. Il giovane decise di tentare il tutto per tutto per mantenere la sua credibilità; se l’aveva già persa, quel tentativo non avrebbe potuto rendere la situazione peggiore di quanto non fosse già.
«Come fai a dire che non sono stato da mia zia?» domandò a bassa voce, sfoderando la migliore faccia tosta di cui era capace. «Mi hai visto da qualche altra parte? Hai visto lei da qualche altra parte? Francamente, il tuo pensar male mi delude.»
Lamia arrossì.
«No, è che la lezione di Volo di oggi con Lady Ravenclaw è stata sospesa, perciò credevo che lei non fosse al castello.»
«Infatti» rispose Roderick dopo un attimo di esitazione. «Ma quando è tornata io l’ho raggiunta.»
Lamia tornò a concentrarsi sul contenuto del suo piatto, come se le patate arrosto avessero potuto salvarla dal momento di imbarazzo in cui Roderick sapeva di averla fatta precipitare.
«Ma allora perché sei stato via così tanto, quando fino a una cert’ora Lady Ravenclaw non c’è stata?» gli domandò, quando furono nuovamente nei sotterranei.
Era come se la ragazza stesse tentando di trincerarsi dietro l’ultima ragione non ancora crollata che l’aveva portata a pensare male.
«Perché volevo farti una sorpresa.» Questa volta Roderick fu più lesto nel rispondere. Afferrò Lamia per le spalle, la costrinse a fermarsi, e le stampò un bacio così intenso che avvertì le labbra di lei ritrarsi sotto le sue. Risatine e commenti sussurrati dei loro compagni di Casa risuonarono alle loro orecchie prima che si staccassero. Quando ciò avvenne, Lamia era così rossa in volto che non disse più una parola.





NdA: Il Siccitatibus Infirmitate (“disidratazione, debolezza”), l’Inania Lumina (“occhi vuoti”), l’Ulceribus (“piaghe”), l’Exper Halitus (“privo di respiro”) e l’Imber (“pioggia”) sono incantesimi di mia invenzione.
Non ho cambiato il nome del corso di Antiche Rune in “Rune” perché, sebbene il Medioevo sia già un’epoca remota rispetto a quella di Harry e compagnia, le Rune precedono quell’epoca. Infatti secondo Wikipedia il runico risale al II secolo e ci sono state serie successive, tra qui quella vichinga, quella anglosassone e quella medioevale. Ricordo che c’erano già stati dei contatti tra gli Inglesi e i Vichinghi, perciò le Rune hanno già avuto modo di giungere in Gran Bretagna e, dato il loro potenziale magico, a Hogwarts.
Roderick parla di diventare Stregoni. Ne parlerò nel dettaglio più avanti, ma il riferimento è alle Fiabe di Beda il Bardo, in cui c’è scritto che il termine Stregone originariamente non era un semplice sinonimo di mago, ma indicava “una persona versata nel duello e nella magia marziale. Era anche il titolo che si conferiva ai maghi per aver compiuto delle imprese coraggiose, così come i Babbani possono venir nominati cavalieri per atti di valore”. Ho immaginato che all’epoca dei Fondatori esistessero degli esami particolarmente impegnativi a chiusura del ciclo di studi, che non facevano prendere M.A.G.O. ma facesse diventare “Stregoni”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16


Le lezioni di Antiche Rune con Abigail erano continuate, ma Roderick non aveva dimenticato quanto fosse andato vicino a farsi scoprire da Lamia – proprio da lei! – la prima volta. In quel caso si era inventato una scusa e l’aveva distratta con degli incantesimi spettacolari che aveva sostenuto di aver approfondito proprio quel giorno per farle piacere. Ma non poteva rischiare di nuovo, non quando la posta in gioco era così alta. Così aveva convinto Abigail a dargli lezioni non più in biblioteca, ma nella torre ovest, in modo da gravitare cautamente intorno agli alloggi di Lady Ravenclaw. Una quasi verità era più prudente di una menzogna completa.
Le cose stavano esattamente in quel modo. Lui stava mentendo alla sua promessa sposa, alla ragazza con cui aveva condiviso quasi tutta la vita, all’amica con cui era sempre stato sincero. Non era fiero di ciò che faceva, ma non aveva scelta: il Lord suo padre gli aveva imposto di mantenere il segreto con tutti. Roderick aveva giurato fedeltà a Lord Slytherin quando era stato scelto come suo allievo, mentre avrebbe giurato fedeltà a Lamia solo il giorno delle loro nozze.
Erano passate intere settimane, e il mago sentiva che le Antiche Rune non erano più una materia completamente oscura, anzi si sarebbe aspettato di trovare difficoltà nell’apprendimento in cui non si era effettivamente imbattuto.
Quella mattina, Roderick si era recato nella torre ovest, in un’aula vuota in cui si era dato appuntamento con Abigail. Lei non era ancora arrivata, perciò si sedette comodamente su un sedile e iniziò a giocherellare con la sua bacchetta nell’attesa.
«Sapevo che non ti avrei trovato intento a ripassare» esclamò una voce gioviale. Roderick sollevò lo sguardo e Abigail lo raggiunse rapidamente, depositando accanto a lui la pila di rotoli di pergamena che aveva portato con sé.
«E tu sei in ritardo» rispose il giovane, ricambiando il sorriso, consapevole che erano pari.
«Lady Hufflepuff era via, così Lady Ravenclaw ha tenuto la lezione di Antiche Rune al posto suo, ma è stata avvisata tardi, così ci ha fatto recuperare la mezz’ora che avevamo perso.»
Roderick aggrottò le sopracciglia; quando notò l’espressione tirata della ragazza, capì che anche lei stava pensando che Lady Hufflepuff fosse nel monastero che avevano visitato anche loro. Ogni volta che ripensava all’esperienza, il mago si sentiva pervadere da un brivido freddo. A giudicare dall’aria che aveva, Abigail era rimasta più impressionata di lui.
«Coraggio, mettiamoci al lavoro» propose lei, scuotendo le spalle. «Ripetiamo le declinazioni e iniziamo a tradurre queste frasi. Stai seguendo il mio consiglio?»
Roderick ricordò che, una settimana prima, la ragazza gli aveva suggerito di annotare su un rotolo di pergamena da portare sempre con sé i termini in cui man mano si imbattevano, così da poterli ripetere e memorizzare più facilmente. All’inizio l’idea gli era sembrata buona, ma poi se ne era dimenticato.
«Sì, molto utile» mentì. «Iniziamo, dai.»
I due staccarono gli occhi dai libri solo quando giunse il momento per Roderick di andare a lezione di Divinazione; il giovane salutò l’amica e si precipitò nell’aula, cogliendo Lord Slytherin sulla soglia.
«Quando finisce la lezione, aspettami» sussurrò il mago, badando di non farsi udire da nessuno. Poi fece il suo ingresso nell’aula come se si fosse accorto a malapena della sua presenza.
Il giovane andò a sedersi allo stesso tavolo di Lamia e Baldric, e per le due ore successive ascoltò il loro Capocasa parlare della Moleosofia. Quando la lezione terminò, finse di dover riordinare alcune pergamene e suggerì agli amici di non aspettarlo, ma di iniziare ad andare in Sala Grande per il pranzo.
Rimasto da solo con Lord Slytherin, questi gli pose una domanda in norreno. Sorpreso di sentirlo esprimersi in quella lingua, il giovane esitò prima di rispondere un “bene, grazie”. Quando serrò le labbra, sperò tanto che il Fondatore gli avesse chiesto come stava procedendo lo studio. A giudicare dalla espressione soddisfatta  che questi esibì poco dopo, Roderick si disse che doveva aver intuito bene.
«Mi fa piacere sapere che hai preso seriamente l’impegno che ti ho affidato» constatò Lord Slytherin, intrecciando le dita davanti a sé.
«Grazie, mio signore.» Roderick si esibì in un discreto cenno del capo.
«È arrivato il momento di chiederti dell’altro» disse ancora il mago. Il giovane Ravenclaw si sentì perforare dallo sguardo acuminato che il Fondatore gli rivolgeva, e si chiese cosa mai questi avesse ancora in serbo per lui, e soprattutto perché non arrivava rapidamente al punto, come era solito fare. «Vieni con me, usciamo nel parco» disse, alzandosi.
Roderick lo seguì fuori dal castello senza dire una parola, curioso, ma anche un po’ inquieto. Il sole era tiepido sulla pelle, e la neve scricchiolava sotto la suola degli stivali. Alcuni ragazzi, del primo o forse del secondo anno, stavano dirigendosi verso uno dei giardini di Lady Hufflepuff, chiacchierando animatamente tra di loro, e Lord Slytherin si portò lontano dalle loro orecchie con poche falcate.
«Tu sai che conoscevo i tuoi genitori, vero, ragazzo?» domandò il Fondatore senza preavviso. Roderick, incapace di capire cosa c’entrassero i suoi genitori nel nuovo incarico che doveva assumersi, annuì. «E sai, naturalmente, che tua madre Vistoria era una Veela.»
Roderick annuì di nuovo.
«Sì, signore.»
«E dimmi, quell’aitante cavaliere di Lord Gryffindor vi ha spiegato le caratteristiche delle Veela in una lezione di Cura delle Creature Magiche?»
Roderick aggrottò le sopracciglia. Avrebbero quel genere di creature tra qualche settimana, ma, dal momento che lui era figlio di una di esse, era già abbastanza informato sull’argomento.
«Sono dotate di una bellezza straordinaria che dà assuefazione a chi sta loro intorno» sciorinò il ragazzo. Il giovane ricordava distintamente il momento in cui la zia gli aveva spiegato qualcosa sulle Veela e su sua madre, nonostante fosse stato molto piccolo. Sapeva che aveva ereditato parte delle caratteristiche di Vistoria; il suo bell’aspetto, il suo fisico asciutto, nonostante non praticasse attività fisica, e la tendenza a venire spesso accontentato da chi lo circondava erano un’impronta sbiadita di ciò che era stata sua madre. A Roderick piaceva quella sua condizione, ma la apprezzava ancora di più quando pensava che si trattava di ciò che di Vistoria era rimasto in lui.
«Molto bene» approvò Lord Slytherin. «Ma c’è dell’altro. A volte le Veela possono risultare delle creature spaventosamente belle, altre volte solo spaventose.» Il mago si morse le labbra, aggrottò le sopracciglia e si fermò. I suoi stivali erano affondati nella neve fin quasi alle caviglie. «Le Veela hanno un’ulteriore caratteristica: possono esplodere palle di fuoco attraverso i palmi delle mani.»
Quell’informazione non era nuova per Roderick, anche se, sforzandosi di tornare indietro nel tempo con la memoria, gli pareva di ricordare che sua zia non gliel’avesse mai accennata.
Lord Slytherin taceva, come se, rivelato quel dato, fosse impossibilitato ad andare oltre.
«Sì, mio signore» rispose il ragazzo, più per colmare quel silenzio che per altro.
Il Fondatore gettò un’occhiata sbilenca alle sue spalle, si passò una mano sul mento, poi la appoggiò sulla spalla di Roderick. Era sul punto di dirgli dell’altro, quando allontanò bruscamente la mano e la sua espressione ritornò quella di sempre.
«Tu sei figlio di una Veela, devo sapere se anche tu sei in grado di esplodere palle di fuoco dai palmi.»
Roderick strabuzzò gli occhi e trattenne il respiro, spiazzato.
«Io, mio signore? Perché dovrei farlo?»
«Tu provaci e basta, a tempo debito te lo spiegherò.»
Prima che il ragazzo potesse trattenerlo con qualche altra domanda, Lord Slytherin ruotò su se stesso in un turbinio del mantello scuro e si avviò a grandi passi verso la facciata di pietra del castello.
Tre giorni dopo l’inusuale richiesta del Fondatore, Roderick non aveva ancora iniziato le prove per verificare la tesi di quest’ultimo. La sua idea non era sciocca, del resto il ragazzo aveva ereditato tanto dalla madre, perché non anche quell’abilità? Ma da un’altra parte la possibilità di lanciare palle di fuoco gli appariva così lontana dalla realtà.
Il giovane si arrestò nel bel mezzo del corridoio del secondo piano, rivolse i palmi verso di sé e iniziò a fissarli. Nulla nei solchi sottili che attraversavano la sua pelle lasciava intendere che si sarebbero aperti per vomitare fuoco.
«Rod, perché ti sei fermato?» protestò Brayden, che era quasi andato a sbattere contro la schiena dell’amico. Roderick si riscosse, nascose le mani nel farsetto che indossava e riprese a incedere verso l’aula di Incantesimi. Quel giorno, seguire la lezione risultò particolarmente difficile. Il giovane infatti non riusciva a non pensare al nuovo incarico che gli era stato assegnato dal Capocasa. Doveva trovare un luogo in cui esercitarsi, possibilmente lontano dagli altri studenti o dagli insegnanti: nonostante lui dubitasse di riuscire in ciò che gli era stato chiesto da Lord Slytherin, non voleva correre il rischio di appiccare fuoco alla scuola. Avrebbe avuto la bacchetta a portata di mano e sarebbe stato lesto a scagliare un Aguamenti, ma la confusione e le tracce di bruciato avrebbero richiesto troppe spiegazioni da parte sua.
Il luogo che gli sembrava più adatto per quegli esperimenti era la Foresta Proibita. Non era certo allettato dall’idea di inoltrarsi in essa da solo, ma avrebbe cercato di non addentrarsi troppo, rimanendo vicino al limitare della stessa, e forse sarebbe andato tutto bene.
Quanto ci avrebbe impiegato per riuscire a produrre il fuoco dalle mani? Avrebbe dovuto organizzarsi, in modo da evitare che le sue assenze dal castello causassero sospetti. Già con lo studio delle Antiche Rune aveva fatto innervosire Lamia ed era andato molto vicino a farsi scoprire; aggiungendoci quell’ulteriore impegno, Roderick la vedeva molto dura. Ma in qualche modo doveva fare, o avrebbe scontentato Lord Slytherin.
Le elucubrazioni del ragazzo coprirono l’intero arco della lezione di Incantesimi, così, quando l’insegnante assegnò agli studenti il compito di incantare delle coppie di oggetti per farli comportare allo stesso modo con l’Incanto Simul, si accorse di non aver minimamente compreso il movimento che andava effettuato.
Ritornato in Sala Comune, Roderick avrebbe avuto un’ora di libertà prima di incontrarsi con Abigail per la loro lezione. Quella volta, la scusa inventata dal ragazzo con i suoi amici era stata una punizione con Hankerton Humble, affibbiatagli da Lord Gryffindor. Era stato piuttosto difficile convincerli che era stato punito, dal momento che, in sette anni di istruzione magica, non era mai accaduto niente del genere, nemmeno quando a dodici anni aveva tinto, più o meno involontariamente, i capelli di un’allieva di lady Hufflepuff. Alla fine però Lamia, Baldric e gli altri avevano assimilato la novità e si erano esibiti in una serie di proteste unilaterali nei confronti del Fondatore, ma poi anche queste erano andate scemando.
Affondando tra i cuscini scuri di un divano della Sala Comune, Roderick si portò la testa tra le mani. Come al solito, anche quell’anno si era impegnato il minimo indispensabile per ottenere dei risultati decenti, ma le cose non stavano andando come sperato. La preparazione per l’esame di fine anno era più pesante di quanto lui non avesse previsto, inoltre lo studio delle Antiche Rune contribuiva a portargli via diverse ore alla settimana. E pensare che si stava impegnando in una materia per la quale non gli sarebbe stato assegnato nemmeno un voto! Ma Lord Slytherin aveva voluto così, e lui non aveva potuto fare a meno di obbedire. Sempre più spesso gli tornava in mente come, al terzo anno, il suo Capocasa si fosse imposto di farlo studiare di più per fargli prendere dei voti migliori. Nel vedere quelli di quell’anno colare a picco come sassi sul fondo del Lago Nero non avrebbe dovuto protestare, giacché era soprattutto per lui che Roderick stava mettendo da parte gli impegni scolastici. L’ultimo della serie era stato proprio Incantesimi; il giovane avrebbe dovuto esercitarsi con l’incantesimo Simul, ma non aveva idea di come fare.
Roderick allungò il collo per dare un’occhiata a Lamia. La sua promessa sposa era seduta a un piccolo tavolo circolare in un angolo, e stava dando un’occhiata ai compiti che avrebbe dovuto svolgere per il giorno dopo. Se avesse iniziato con il Simul, forse Roderick avrebbe potuto capire, osservandola, il movimento del polso e la formula da declamare.
La speranza del giovane fu incenerita quando la strega afferrò le mappe stellari di Astronomia e iniziò a compilarle, sfogliando di tanto in tanto il libro di testo. Immediatamente un senso di gelo che nulla aveva a che fare con l’umidità dei sotterranei lo attanagliò.
«Alef» sussurrò in direzione del giovane dai capelli ramati che, poco distante da lui, stava giocando a Scacchi Magici con il suo gemello. «Stasera dobbiamo consegnare la mappa di Astronomia?»
«Quella che potrebbe valere come metà punteggio della valutazione di fine anno?» domandò distrattamente il Gallese, muovendo il cavallo. Il senso di gelo che Roderick provava gli raggiunse la spina dorsale. «No, abbiamo ancora una settimana di tempo prima di doverla consegnare a Lady Ravenclaw.»
Il ragazzo sospirò di sollievo. Prima che potesse rilassarsi del tutto però Ruben aggiunse:
«Se non l’hai ancora iniziata, ti converrebbe farlo. Noi abbiamo iniziato la settimana scorsa, quando tu eri con tua zia, e siamo ancora a metà lavoro. È un compito di una lungaggine insopportabile.
Anche quella era una menzogna: la settimana scorsa aveva visto sua zia solo di sfuggita, era con Abigail che era stato.
Roderick lanciò un’ulteriore occhiata furtiva alla pergamena che veniva man mano compilata dalla mano bianca di Lamia. Avrebbe dovuto concentrarsi sui compiti di Astronomia, ma c’era ancora tempo, anche se poco. Ciò che era più urgente era l’incanto Simul, insieme al compito di Divinazione, ma lì avrebbe inventato qualcosa.
Dopo essere stata china sulla sua mappa stellare per mezz’ora, Lamia raddrizzò la schiena e la mise da parte. Roderick sarebbe dovuto andare da Abigail di lì a poco, ma forse aveva ancora una possibilità di spiare la sua promessa sposa mentre si esercitava con il nuovo incantesimo appreso.
Lamia trasse infatti i suoi appunti di Incantesimi e la sua bacchetta, le più rosee aspettative di Roderick si stavano concretizzando; quando però la ragazza iniziò a puntare il bastoncino di legno contro la boccetta d’inchiostro e la penna, le sue labbra non si mossero affatto.
È un incantesimo non verbale, realizzò con affanno il giovane. Non c’era tempo da perdere: doveva lasciare i sotterranei per dirigersi verso la torre ovest, e non sapeva fino a che ora avrebbe studiato Antiche Rune. Se voleva capire qualcosa di quel Simul, doveva smetterla di osservare e passare all’azione.
Roderick si alzò dal divano e raggiunse Lamia, per sedersi accanto a lei intorno al piccolo tavolo circolare.
«Ehm… Sembra interessante» esordì, mentre la penna e il calamaio si esibivano in un simultaneo inchino rivolto alla strega.
«È l’incantesimo che ha spiegato mio padre oggi» ribatté Lamia, asciutta.
Roderick fu sorpreso dalla sua reazione irritata, non riuscendo a intuirne la ragione. Aveva iniziato a non sopportare le sue risposte caustiche, ma non doveva scoraggiarsi.
«Ti dispiacerebbe… farmi vedere come fai? Forse oggi mi è sfuggito qualcosa.»
Lamia raddrizzò di scatto il collo, piantandogli sul viso un’occhiata incandescente.
«Ti è sfuggito qualcosa?» ripeté, sollevando le sopracciglia e dilatando le narici. Si alzò repentinamente, richiudendo il libro con uno schiocco e caricandoselo sulle braccia, insieme alle pergamene, alla penna e al calamaio. Sibilando in Serpentese, attraversò la Sala Comune e si sbatté la porta del dormitorio dietro le spalle.
L’attenzione degli altri allievi di Lord Slytherin era stata catalizzata dal comportamento rumoroso della ragazza, tanto che questi interruppero le attività in cui erano immersi. Dopo aver seguito attentamente la sua uscita di scena, ognuno tornò a dedicarsi allo studio, ai giochi o alle chiacchiere.
Sbalordito per la reazione della strega, Roderick si sollevò a sua volta dal sedile quasi senza udire il brusio che percorreva la Sala Comune. Si avvicinò a Baldric, intento a studiare le caratteristiche delle scope rudimentali che cavalcava durante le lezioni di Volo, e si sedette accanto a lui.
«Perché Lamia reagisce così?» domandò, sinceramente perplesso. Non aveva ragione di dubitare che l’amico avesse notato il suo atteggiamento riottoso.
Baldric richiuse il libro che aveva aperto sulle ginocchia e si avvicinò a Roderick con espressione seria.
«È arrabbiata con te.»
«Questo lo avevo notato» osservò il giovane Ravenclaw, scuotendo le spalle. «Quello che vorrei capire è perché.»
Baldric si guardò intorno, poi tornò a concentrarsi sull’amico.
«Prima la punizione con Lord Gryffindor, e ora scopre che sei indietro coi compiti. Pensa che tu stia perdendo tempo, e stia facendo anche perdere punti alla nostra Casa.»
Roderick ascoltò con attenzione, stringendo le labbra per l’irritazione.






NdA: Sembra che Rod sia un genio delle rune? La verità è che tra il norreno e l’inglese antico intercorreva, secondo Wikipedia, un rapporto di mutua intelligibilità: i parlanti possono capire con relativa facilità la lingua dell’altro.
La Moleosofia è una tecnica divinatoria con cui si predice il futuro guardando i difetti degli oggetti o di un volto umano.
L’incantesimo Simul (“insieme”) è una mia invenzione.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Roderick avanzava rapidamente lungo i corridoi di pietra del castello, diretto verso la torre ovest. Si era intrattenuto a parlare con Baldric, e per questo era in ritardo. Sperava tanto di trovare ancora Abigail nel luogo dell’appuntamento, o sarebbe stato molto contrariato. D’altronde non aveva potuto avviarsi prima: era stato necessario capire perché Lamia era stata così acida con lui. Le spiegazioni di Baldric gli erano decisamente servite.
Roderick non riusciva ancora a credere alle motivazioni che avevano spinto la sua promessa sposa a reagire in quel modo a una semplice domanda che le aveva posto. Il loro paese era in guerra da anni contro quei demoni venuti dal nord, le famiglie dei loro compagni di studi scomparivano senza che nessuno potesse impedirlo, e Lamia si preoccupava dei punti della loro Casa. Assurdo.
Inoltre Roderick non avrebbe danneggiato realmente la Casa di Lord Slytherin, dato che la punizione di Lord Gryffindor era una scusa che aveva dovuto inventare. Era spesso indietro con i compiti, questo era vero, ma non era colpa sua: gli studi e le esercitazioni che il suo Capocasa gli assegnava occupavano molto del suo tempo. Eppure lui non avrebbe potuto fornire nessuna delle due spiegazioni a Lamia: su richiesta del suo stesso genitore, i suoi incarichi dovevano rimanere assolutamente segreti.
Fumante di irritazione per essere stato incolpato di qualcosa di cui non era responsabile, Roderick spalancò con foga eccessiva la porta di un’aula in disuso nella torre ovest. Abigail, che aveva appoggiato la testa sulle braccia conserte, sussultò.
«Roderick!» esclamò quando lo vide.
Grato che lo stesse ancora aspettando, il ragazzo si sedette accanto a lei con un sospiro.
«Ho fatto tardi, mi dispiace.»
La strega gli rivolse un debole sorriso. Scrutando il suo viso, Roderick si rese conto che aveva delle ombre scure sotto gli occhi e le guance scavate le davano un’aria molto stanca. Evidentemente Abigail aveva avuto una giornata pesante, e aspettarlo a lungo doveva essere stato il colpo di grazia; nonostante ciò, era lì per lui, sempre disponibile.
«Se ti senti stanca e vuoi tornare nella tua Sala Comune, fa’ pure» le disse facendo spallucce.
Abigail gli sorrise nuovamente, ma questa volta il sorriso le raggiunse anche gli occhi, animandola un po’.
«Non preoccuparti, ormai ci siamo. Dai, fammi vedere la traduzione che hai fatto.» Roderick scavò nella sua borsa e ne trasse un rotolo di pergamena, che spiegò di fronte a lei. La strega impugnò la penna e iniziò a seguire con lo sguardo le righe di inchiostro che lui aveva tracciato sul foglio. Di tanto in tanto si fermò per cancellare qualche parola o per annotare qualcosa a margine, ma quando terminò il lavoro di correzione era piuttosto soddisfatta. «Molto meglio dell’ultima che mi hai fatto vedere. Bravo!»
Roderick ammiccò nella sua direzione, orgoglioso dei suoi stessi progressi. Dopodiché passarono a conversare in norreno: Lord Slytherin gli aveva detto che non solo doveva conoscere la lingua, ma che doveva anche parlarla fluentemente. L’esperienza fu molto più divertente di quanto si fosse aspettato; Abigail infatti era una maestra nelle traduzioni, ma Lady Hufflepuff insegnava Antiche Rune per via del loro potenziale magico e del loro significato storico, non certo per fare conversazione. In quello anche lei era impacciata, e più volte si erano fermati per scoppiare a ridere a causa delle sciocchezze che erano uscite fuori dalle loro bocche.
«Direi che per stasera può bastare» disse a un certo punto Abigail, asciugandosi gli occhi e soffocando l’ultimo scoppio di risa.
«Decisamente. Ho detto abbastanza idiozie per oggi» concordò Roderick.
I due ragazzi si alzarono e lasciarono l’aula, dopodiché Abigail iniziò a salire la scala a chiocciola, diretta verso la sua Sala Comune, invece il giovane Ravenclaw prese a discenderla. Quando arrivò finalmente nei sotterranei, erano rimasti solo alcuni ragazzi del suo anno, intenti a lavorare sulla mappa delle stelle per l’insegnante di Astronomia. Roderick li salutò brevemente, poi si infilò nel dormitorio.

L’indomani, Lamia si era rivelata meno evasiva nei confronti di Roderick, ma era ancora scostante, e il giovane sapeva che probabilmente era lui ad alimentare quell’atteggiamento. Non potendo darle alcuna spiegazione per procedere a un eventuale chiarimento, aveva preferito evitarla, e questa cosa l’aveva irritata ulteriormente. Tuttavia Roderick non aveva avuto scelta, e aveva preferito concentrarsi sulle prove che doveva svolgere per Lord Slytherin. Il norreno non era più un grosso problema, il campo in cui non aveva fatto alcun progresso era quello delle palle di fuoco esplose dai palmi. Per fortuna il Lord non gli si era ancora avvicinato per sincerarsi dei suoi miglioramenti, Roderick era certo che sapere che non ne aveva fatti lo avrebbe deluso. Aveva così stabilito che quel pomeriggio sarebbe andato ad esercitarsi nella Foresta Proibita, subito dopo la lezione di Pozioni.
Roderick, Baldric, Lamia, Alef, Ruben e Brayden si infilarono nell’aula appena prima che Lady Ravenclaw chiudesse la porta. Questa li gratificò con un’occhiataccia per lo sfiorato ritardo, ma gli studenti si affrettarono a prendere le loro posizioni per evitare di farla innervosire ulteriormente.
Roderick si avvicinò a uno dei pochi calderoni liberi, insieme al suo migliore amico e alla sua promessa sposa. Probabilmente era la forza dell’abitudine che aveva condotto Lamia vicino a lui, perché, quando questa sollevò gli occhi dal bordo di peltro del calderone, socchiuse le palpebre e gli lanciò un’occhiata tagliente. Deciso ad ignorarla, Roderick si seppellì dietro il libro di testo, senza tuttavia riuscire a concentrarsi sulla descrizione della Pozione della Memoria che avrebbero dovuto preparare.
Fu Baldric a tenere le redini della realizzazione del decotto per l’ora successiva, e gli effetti si videro, dal momento che il risultato non era stato perfetto. La loro pozione era tuttavia accettabile, Roderick confidava che gli facesse guadagnare una sufficienza.
Terminata la lezione, il ragazzo svicolò prima che gli amici potessero chiedergli dove stesse andando. Era a corto di scuse al momento, ma si sarebbe fatto venire in mente qualcosa più tardi. Attraversò la Sala Grande, quasi totalmente deserta a quell’ora, e varcò il grande portone di quercia, per trovarsi nel parco.
Quel giorno il cielo era chiazzato di nuvole scure e macchie di sole, e la sua variabilità faceva quasi male agli occhi. Affondando le mani nelle tasche del mantello, Roderick attraversò la distesa d’erba. Man mano che si avvicinava al limitare della Foresta Proibita, le occhiate furtive che lanciava tutt’intorno per sincerarsi che nessuno lo stesse osservando divennero sempre più frequenti. Adocchiò Harvey Keepwood, intento a dare da mangiare ad alcune Creature Magiche che Lord Gryffindor aveva affidato alle sue cure durante la sua assenza. Il guardiacaccia era così impegnato a non farsi asportare gli indici dalle non meglio identificate creature che non si avvide della presenza di Roderick, questi continuò comunque a tenerlo d’occhio: se nella Foresta fosse stato in difficoltà, avrebbe potuto chiamarlo in soccorso.
Superò la prima fila di alberi e continuò a camminare; si sarebbe inoltrato quel tanto che bastava per togliersi dalla vista, ma non tanto da non vedere più la facciata di legno della capanna di Keepwood.
Ritenendosi sufficientemente al sicuro, si accasciò sul suolo ricoperto da foglie secche e terriccio e appoggiò la schiena al tronco di un albero. Iniziò a osservarsi le mani, lisce e prive di calli, come si conveniva a un mago del suo lignaggio, cercando ispirazione nelle linee che percorrevano l’epidermide. Cosa avrebbe dovuto fare? Lord Slytherin gli aveva comunicato l’obiettivo, ma non gli aveva detto come raggiungerlo.
Roderick iniziò a scrutare con sempre maggiore intensità i suoi palmi, trattenendo perfino il respiro e contraendo i muscoli dell’addome nella concentrazione, ma, nonostante gli sforzi, non accadde nulla.
Il giovane allora si alzò e iniziò a colpire con le nude mani la corteccia di un albero nelle vicinanze, un po’ sperando di provocarsi qualche reazione, un po’ per sfogare la frustrazione che aveva iniziato a pervaderlo. Ancora una volta, non accadde nulla. Sbuffando, Roderick iniziò a guardarsi intorno, nella speranza di farsi venire un’idea.
Il sole filtrava attraverso le fronde degli alberi, gettando chiazze luminose sulla pavimentazione di foglie. Alcuni ciuffi d’erba erano cresciuti flessuosi e sottili intorno alle radici di un olmo, biondi come i capelli di Lamia. Il ricordo di come si era comportata e di come stava continuando ad agire tornò a irritarlo. Gli sembrava così puerile e ingiustificato!
Aveva sempre saputo che lui e Lamia erano entrambi ambiziosi, orgogliosi, testardi, con caratteri dominanti. In due parole, erano molto simili, pure troppo.
Ulteriormente infastidito per essersi fatto distrarre da quelle riflessioni, Roderick tornò a concentrarsi sulle sue mani. Più tentava e falliva, più si scoraggiava. Lord Slytherin stesso aveva fatto intendere di non essere sicuro che Roderick avesse ereditato anche quell’abilità della madre, e se avesse avuto ragione?
Sconfortato, si accasciò nuovamente al suolo, questa volta quasi completamente, e rivolse gli occhi al cielo alla ricerca di un segno, di qualunque cosa.
Sentiva la mancanza di sua madre Vistoria, scomparsa prima che lui potesse ricordare di averla conosciuta.  Roderick doveva imparare quell’abilità delle Veela perché glielo aveva chiesto Lord Slytherin, ma voleva farlo anche per sua madre, perché potesse ricordarla anche nei suoi gesti.
Quasi senza accorgersene, il ragazzo si riscoprì a tentare di immaginare il volto che doveva avere avuto Vistoria, esattamente come faceva di solito quando era bambino.

Vistoria aveva un viso ovale dai lineamenti delicati. La pelle era candida, come quella delle dame più eleganti delle canzoni dei bardi. I capelli, color oro pallido, erano lisci e pettinati in trecce avvolte intorno alle tempie. Gli occhi erano limpidi, le labbra sottili, ma graziose. Quando sorrideva, le si scavavano due fossette nelle guance.
All’improvviso due lampi di luce rossa attraversarono il campo visivo di Roderick, poi cadde il buio.


Roderick riaprì gli occhi, ansimando, e tentò di rialzarsi puntellandosi sui gomiti. In un primo momento non riconobbe il luogo in cui si trovava, poi però, osservando il cielo che tinto d’inchiostro tra le cime degli alberi, si rese conto con orrore di essere nella Foresta Proibita, e il tramonto era già passato da un pezzo. Doveva essersi addormentato mentre si esercitava per conto di Lord Slytherin.
Si tirò in piedi e iniziò ad avanzare rapidamente per guadagnare il prima possibile l’uscita dall’intrico di rami e tronchi d’albero. Quando vide il rassicurante profilo del castello di Hogwarts stagliarsi davanti a sé, tirò un sospiro di sollievo. Era stato fortunato a non essere stato intercettato mentre dormiva da nessuna delle creature misteriose che popolavano la foresta. Ad ogni modo, non tutti i pericoli erano stati scongiurati: a giudicare dal colore del cielo, l’ora di cena era probabilmente trascorsa, e lui era in ritardo. Temendo di trovare il portone d’ingresso chiuso, iniziò a correre nella sua direzione. L’impeto con cui lo raggiunse quasi lo portò a scontrarsi con Harvey Keepwood. Il guardiacaccia stava attraversando in quel momento la lama di luce sprigionata dall’uscio scostato dalla soglia, e rivolse al ragazzo uno sguardo critico.
«È tardi. Dove sei stato?» Roderick non trovò niente di meglio di un balbettio sconnesso da usare come risposta. «Venivi dal parco, eh?» continuò l’uomo, accarezzandosi la barba rada e ispida che gli colorava di grigio le guance. «È il caso di portarti da Lady Ravenclaw.»
I capelli sulla nuca di Roderick si drizzarono all’istante.
«M-mia zia?» domandò, accelerando per tenere il passo con il guardiacaccia, che lo stava guidando attraverso la Sala Grande, deserta. Le fiamme delle candele sospese a mezz’aria erano quasi estinte, doveva essere decisamente tardi. «Ma il mio Capocasa è Lord Slytherin.»
Harvey Keepwood scosse la testa con disapprovazione e gli lanciò un’occhiata di commiserazione che irritò il ragazzo.
«Sarà, ma Lady Ravenclaw è la tua tutrice, credo che sia la persona più adatta a prendere provvedimenti per la tua… insubordinazione.»
Il guardiacaccia di Hogwarts era stato un cavaliere, e la sua camminata marziale e il suo gergo lo ricordavano spesso agli studenti. Era stato un fedele di Lord Gryffindor e aveva combattuto per lui per respingere le invasioni vichinghe prima della fondazione di Hogwarts. In quella occasione, un nemico gli aveva tagliato tre dita della mano destra e lo aveva reso zoppo. Terminato il conflitto, Lord Gryffindor non aveva dimenticato il valore con cui aveva combattuto. Impossibilitato a servire ancora come cavaliere per via della sua condizione fisica, il suo Lord lo aveva invitato a restare a Hogwarts per prestare i suoi servigi al castello, e così era accaduto.
Per essere uno zoppo, Keepwood camminava piuttosto velocemente, osservò Roderick.
«Ma… signore, io non credo che sia il caso…» tentò un’altra volta il ragazzo, mentre risalivano una rampa di scale che aveva appena arrestato il suo movimento.
Il guardiacaccia rispose con una risata aspirata.
«E io non credo che sia il caso di far decidere al colpevole la sua punizione.»
Roderick si ammutolì, osservando la nuca dell’uomo mentre incedevano lungo il corridoio. Se avesse provato a fuggire, probabilmente Keepwood non sarebbe riuscito a raggiungerlo, ma avrebbe aggravato la sua posizione.
Mentre così rifletteva, il giovane avvertì un rumore di passi e il frusciare di un mantello alla sua destra. Nel voltarsi, riconobbe Baldric, impegnato in una delle sue ronde. Quando i loro sguardi si incrociarono, dapprima il Caposcuola sollevò le sopracciglia, sorpreso, poi le aggrottò in un’espressione di astio.
«Baldric!» chiamò l’amico. Non aveva idea del modo in cui il barone avrebbe potuto aiutarlo, ma tentò comunque di appellarsi a lui, consapevole di essere nei guai. Baldric però seguitava a osservarlo con un’espressione contrariata, poi ruotò su se stesso in un turbinio del suo mantello e scomparve.
«Io non mi distrarrei se fossi in voi, giovane Ravenclaw» disse Keepwood, poi riprese a camminare.
Roderick avvertì delle gocce di sudore freddo materializzarsi sulla sua nuca: non solo l’amico non l’aveva aiutato, ma aveva tutta l’aria di voler aggravare ulteriormente la sua posizione. Perché?
Lui e Keepwood arrivarono al secondo piano del castello, il ragazzo stava pensando che il percorso fino alla torre ovest avrebbe visto il suo disagio crescere, quando un ulteriore rumore di passi lo costrinse a fermarsi. Anche il Harvey si bloccò, e aggrottò le sopracciglia nel riconoscere Lord Slytherin che incedeva rapidamente affiancato dal suo Caposcuola.
«Non dovresti essere nella tua capanna, guardiacaccia?» domandò il Fondatore, rivolgendogli un’occhiata di sdegno. Keepwood ruotò il collo per farlo scricchiolare; Roderick notò che era livido in volto.
«Stavo uscendo dal castello quando mi sono imbattuto in questo studente. Ha ampiamente disubbidito alle regole sugli orari, sto andando a consegnarlo a Lady Ravenclaw.»
«Nel caso in cui non te ne fossi accorto» riprese l’altro, sprezzante, «Roderick Ravenclaw è un mio allievo, perciò è a me che dovresti fare rapporto. Ma in questo caso non ce n’è bisogno: il ragazzo era fuori dalla scuola su mio ordine.»
Keepwood sbatté le palpebre un paio di volte. Dal modo in cui Baldric spalancò la bocca, Roderick capì che anche lui era rimasto spiazzato dalla dichiarazione del Lord. Era andato a chiamarlo perché sperava che mi punisse, realizzò con rabbia. Le assenze e le risposte evasive di Roderick erano aumentate, forse Baldric aveva iniziato a pensarla come Lamia in fatto di punti che avrebbe potuto far perdere alla loro casa. Magari voleva che venisse punito, sì, ma dal loro Capocasa, non da altri. Lord Slytherin avrebbe potuto raddrizzarlo, senza dar troppa risonanza alla cosa. Ah sì? Peccato che le mie mancanze sono davvero frutto dell’obbedienza agli ordini del Lord. Roderick era a dir poco furioso. Baldric dovrebbe essere mio amico, ma non ha esitato a denunciarmi.
Dal momento che nessuno aveva reagito alla dichiarazione di Lord Slytherin, questo si esibì in un secco e irritato gesto della mano.
«Allora? Tutto chiaro? Roderick è con me. Puoi andare, Keepwood, la Foresta Proibita ti chiama.»
Con un ultimo sguardo cupo rivolto al Fondatore, il guardiacaccia iniziò a percorrere a ritroso il corridoio, fino a sparire dalla loro vista. Quando ciò accadde, Lord Slytherin ringraziò Baldric per averlo avvertito di ciò che stava accadendo e gli ordinò di proseguire la sua ronda. Chinando il capo, il barone obbedì, e anche lui si allontanò ben presto. Il Capocasa e Roderick invece tornarono nei sotterranei. Il ragazzo era ancora arrabbiato con il Caposcuola, perciò incedeva ad occhi bassi e con le mani brutalmente affondate nelle tasche del mantello. La sua espressione non sfuggì al mago.
«Furioso, Ravenclaw?»
Erano rare le occasioni in cui il Lord usava il suo cognome, così Roderick sollevò la testa, sorpreso.
«Sì» rispose dopo un po’. «Con Baldric Redslaught. Mi ha denunciato a voi…»
«Se non lo avesse fatto» lo interruppe il Fondatore, asciutto, «Keepwood ti avrebbe portato da tua zia, e sarebbe stata Lady Ravenclaw a occuparsi della tua punizione. Prima ti avrebbe interrogato, suppongo, avrebbe voluto sapere perché ti trovavi nel parco a quest’ora così tarda. Tu avresti dovuto darle delle spiegazioni. Scomode spiegazioni.»
Il ragionamento di Lord Slytherin non faceva una grinza, ma Baldric non se la sarebbe cavata così facilmente ai suoi occhi.
«Ma lui non sa nulla delle missioni che mi avete assegnato, se vi ha avvisato non è stato certo perché voleva farmi un favore.»
Lord Slytherin sollevò le sopracciglia e assunse un’espressione stranamente divertita.
«Credi che il tuo amico avesse intenzione di farti passare un guaio? Io non so come stanno le cose, ma ho avuto l’impressione che tu e il barone foste sempre stati coesi. Ad ogni modo, vedila così: ti ha insegnato ad essere più cauto. Perché non voglio ripescarti in situazioni dubbie come questa, ci siamo capiti?»
Roderick chinò il capo.
«Sì, mio signore.»





NdA: Salazar è piuttosto ruvido nei confronti del guardiacaccia Harvey Keepwood: ciò avviene perché Keepwood è fedele prima a Lord Gryffindor che agli altri Fondatori per via dei loro trascorsi, e Salazar nutre un’antipatia verso tutto ciò che si ricollega a Godric, inoltre vede un non nobile guardiacaccia come un essere inferiore. “Furioso, Ravenclaw?” mi sa tanto di “Fifa, Potter?” XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Né il giorno seguente, né quello dopo ancora, Baldric e Roderick affrontarono l’argomento della sparizione di quest’ultimo per mezza giornata e del suo ritorno a notte fonda.
Le parole di Lord Slytherin lo avevano turbato: era stato imprudente, questo era vero, inoltre era sicuro delle cattive intenzioni di Baldric, ma il Fondatore gli aveva detto che quasi quasi avrebbe dovuto ringraziarlo. Su tutto, si stagliava il suo fallimento con riguardo alla missione assegnatagli da Lord Slytherin: non stava riuscendo in ciò che gli aveva ordinato il mago. Ricordava la sensazione di smarrimento provata nella Foresta Proibita, non aveva saputo neanche da dove partire. Eppure, quella sera non era andata completamente sprecata. Aveva sognato di nuovo quei lampi rossi, e allora aveva capito: doveva trattarsi di sogni premonitori, di cos’altro? Ne era così sicuro che non aveva chiesto neanche la conferma a Lord Slytherin. Tutta la vita aveva fatto sogni del genere, e ora sapeva che lo avevano condotto a quel momento: sarebbe riuscito a esplodere palle di fuoco dai palmi, in un modo o nell’altro.
Rimaneva un altro problema: con l’obbiettivo di obbedire al Fondatore, Roderick stava allontanando sia la sua promessa sposa, sia il suo migliore amico.
Era adirato con entrambi, ma sentiva anche la loro mancanza in maniera smisurata, soprattutto quella di Baldric. Era infatti sicuro che, prima o poi, Lamia sarebbe venuta a conoscenza della verità grazie a suo padre, ma Baldric sarebbe probabilmente rimasto all’oscuro di tutto fino alla fine.
Li aveva persi? Il pensiero gli agitava le viscere e gli seccava la gola. Per che cosa, poi? Tante menzogne, e nessun risultato pratico, per il momento.
Roderick si ritrovava ormai sempre più spesso a formulare quei pensieri, anche quella volta, durante la lezione di Storia della Magia. Lord Slytherin stava parlando di una rivolta di Folletti o di un’invasione di Troll, il ragazzo aveva perso il senso della lezione già da qualche tempo. Rendersene conto aumentò il suo disagio: forse i suoi amici avevano ragione, forse stava davvero perdendo di vista i suoi obblighi scolastici. Questa volta potrei essere bocciato sul serio, realizzò con magone. Negli anni precedenti si era sempre mantenuto sulla sufficienza, ma ora il calo era evidente, e i voti bassi che aveva preso l’avevano palesato anche ai suoi insegnanti. Non ci voleva molto per superare il limite e scadere nelle insufficienze; e se alla fine dell’anno i Fondatori gli avessero precluso di prendere parte alla Cerimonia delle Investiture? Non avrebbe potuto farsi scusare sostenendo che Lord Slytherin gli aveva imposto altri impegni.
Baldric, Lamia e tutti gli altri sarebbero andati avanti, e lui sarebbe rimasto indietro. Sua zia si sarebbe sentita disonorata, la stessa cosa sarebbe valsa per Lord Slytherin. Che genere di marito avrebbe avuto sua figlia? Inoltre, ipotizzando sulla natura di incarico finale che avrebbe ricevuto dal Fondatore, si era fatto l’idea che dovesse essere svolto fuori dalla scuola. E se l’anno successivo lui avesse dovuto restare a Hogwarts? No, non era possibile.
Un senso di orrore crescente l’aveva pervaso, le critiche pronunciate con la voce di Lamia gli risuonavano nelle orecchie, e ora lui sapeva che, per quanto probabilmente la strega avesse sbagliato approccio, aveva avuto ragione. Persino lo stesso Baldric poteva aver agito per il suo bene, per porre un freno alle sue sregolatezze, e non per il semplice gusto di vederlo nei guai. Stupido, che stupido che era stato!
Non doveva più lasciar andare i suoi impegni scolastici in quel modo, questo era un dato ormai assodato, ma come avrebbe fatto, visto che gli allenamenti e lo studio per conto di Lord Slytherin gli occupavano così tanto tempo? Roderick non dovette riflettere a lungo, l’immagine di un volto iniziò subito a fluttuargli davanti agli occhi. Apparteneva della persona che lo aveva aiutato tanto negli ultimi tempi, e a cui gli veniva automatico pensare quando doveva risolvere dei problemi: Abigail Preshy.
Con una nuova speranza nel petto, Roderick si seppellì con un accenno di sorriso sulle labbra dietro il suo libro di Storia della Magia.

Appena terminata la lezione di Lord Slytherin, i suoi allievi erano tornati nei sotterranei. Roderick non avrebbe voluto dare a Baldric e a Lamia altre occasioni per criticarlo e per dubitare di lui, ma doveva lasciare la Sala Comune per andare alla ricerca di Abigail. Così strinse al petto un libro di Trasfigurazione, e disse loro che sarebbe andato in biblioteca per completare il tema per Lady Hufflepuff.
Baldric fece spallucce e Lamia gli scoccò un’occhiata sospettosa. Non mi credono. Roderick avrebbe voluto urlare loro in faccia di fidarsi, che quella volta sarebbe stato diverso, che si sarebbe impegnato sul serio, ma non lo fece. Ferito e nel contempo irritato dall’espressione di supponenza sfoggiata da Lamia, uscì dalla Sala Comune guardando dove metteva i piedi. Quando raggiunse la biblioteca, aveva in fiatone, anche se non aveva corso.
Abigail era seduta al solito tavolo, con un tomo, probabilmente di Erbologia, aperto davanti al suo viso. Roderick si lasciò cadere sulla sedia accanto a lei. Immediatamente la ragazza assunse un colorito rossastro.
«Ho dimenticato che dovevamo vederci oggi? Dovevamo studiare Antiche Rune?» domandò, con il disagio che traspariva dai sussurri che uscivano dalla sua bocca.
Roderick sorrise.
«No, non avremmo dovuto incontrarci oggi, ma ti volevo vedere lo stesso.»
Quelle parole ebbero l’effetto di farla imporporare ancora di più; avvicinandosi al suo viso, il ragazzo poteva percepire il calore che emanava. Possibile che… impossibile! Roderick doveva aver capito male. O forse no?
«Ho ancora bisogno del tuo aiuto.»
Abigail sorrise con modestia.
«D’accordo» sussurrò.
Roderick era senza parole: non le aveva neanche spiegato di cosa aveva bisogno, e lei aveva già accettato di aiutarlo. Per fugare ogni dubbio, specificò:
«Sono indietro con i compiti. Ieri non ho consegnato la mappa stellare per Astronomia, probabilmente mia zia mi boccerà. Non posso affrontare gli esami di fine anno in questo stato. Ho bisogno del tuo aiuto» ripeté.
«D’accorto, ti ho detto che ce l’hai» rispose la ragazza con indulgenza. «Potremo studiare insieme qualche volta, non solo le Antiche Rune, intendo. Dove non riesci a seguirmi, ti farò copiare i miei compiti.» Roderick era a dir poco sbigottito. Non si aspettava che l’amica avrebbe acconsentito così facilmente. «Tanto per cominciare» continuò Abigail, «puoi dire a Lady Ravenclaw che non le hai portato la mappa stellare perché l’avevi dimenticata nella tua Sala Comune e non riuscivi a trovarla. Puoi copiare la mia e consegnargliela domani, dicendole che, cercando meglio, è spuntata fuori.»
Abigail amava e stimava profondamente la sua Capocasa, e ora parlava di mentirle e di imbrogliarla con la stessa facilità con cui aveva bevuto il succo di zucca al mattino.
«D-d’accordo. Grazie, Abby, sei… meravigliosa!» disse, ancora frastornato per quell’inaspettato quanto apprezzatissimo colpo di fortuna. A quel complimento, la ragazza si imporporò ancora una volta.

Percorrendo i corridoi e le scalinate verso la sua Sala Comune, a Roderick sembrò di camminare a mezzo metro da terra, tanto si sentiva leggero. Finalmente qualcosa stava andando per il verso giusto: grazie ad Abigail avrebbe evitato la bocciatura, pur avendo il tempo di esercitarsi per Lord Slytherin. I sogni premonitori che aveva fatto gli suggerivano che avrebbe avuto successo anche nel compito che questi gli aveva assegnato. Dopo tante incertezze, finalmente Roderick si sentiva sicuro. Fu così che attraversò il passaggio segreto per la sua Sala Comune a testa alta e con un abbozzo di sorriso sulle labbra. Individuò rapidamente Lamia e Baldric, seduti entrambi intorno a un piccolo tavolo circolare, intenti a studiare Divinazione per l’indomani. Senza aspettare il loro permesso, afferrò una sedia, la ruotò in modo da mostrare lo schienale al tavolo e vi si sedette a cavalcioni.
«Sei di ottimo umore oggi, Rod» lo accolse con tono neutrale Baldric, sollevando gli occhi dal libro solo dopo aver finito di parlare.
«Sì, miei cari» confermò. «Ho un’ottima notizia. Per me, innanzitutto, ma sono convinto che anche voi ne gioirete.»
Lamia e Baldric si scambiarono delle occhiate interrogative, dopodiché si voltarono entrambi verso Roderick, rimanendo in attesa. Questi prolungò l’attimo di silenzio in cui erano caduti il tanto che bastava per far aumentare la risonanza della notizia che aveva da dargli, dopodiché disse:
«Ho preso atto delle mie mancanze scolastiche degli ultimi tempi e, siccome non ho nessuna intenzione di farmi bocciare, ho pensato di porvi rimedio.» Il suo auditorium gli rispose con ampi sorrisi. «Sarà Abigail Preshy ad aiutarmi nei compiti» concluse. Il sorriso sulle labbra di Lamia si spense rapidamente.
«Oh, è davvero una buona notizia» si congratulò Baldric. «Sono contento di saperlo… Noi avremmo voluto parlartene, ma tu sei stato talmente evasivo che siamo riusciti a prendere il discorso solo alla lontana. Anche quella volta che sono andato a chiamare Lord Slytherin…» Il Caposcuola abbassò gli occhi e assunse un’espressione contrita. «Mi dispiace… volevo evitarti guai maggiori, e speravo che, dato che io non ci riuscivo, il Lord potesse parlare con te.»
«Non preoccuparti» rispose Roderick. Non aveva intuito subito le sue intenzioni, ma l’aveva comunque fatto prima che parlasse.
Soddisfatto perché finalmente le cose tra di loro si erano chiarite, allungò una mano per afferrare a sua volta il libro di Divinazione, intenzionato a studiare con gli amici, quando si accorse dell’espressione di Lamia. La ragazza non aveva smesso di fissarlo, aveva il labbro superiore appena sollevato e i suoi occhi erano glaciali. Sembrava quasi che non avesse ascoltato la buona notizia che le aveva dato, che non avesse compreso che le sue preoccupazioni per i punti della loro Casa sarebbero finite lì.
Quando si accorse che Roderick la stava fissando, Lamia distolse rapidamente lo sguardo e tornò a concentrarsi sul suo libro, mugugnando qualcosa che assomigliava tanto a “Abigail Preshy”.

La notizia dell’aiuto di Abigail nei compiti di Roderick aveva sortito l’effetto sperato in Baldric: il Caposcuola sembrava meno teso, evidentemente sollevato nei confronti dell’amico, e questi ne era sinceramente felice. Quella che non era cambiata di una virgola era Lamia, e all’inizio Roderick non ne aveva capito la ragione. Era stata la sua promessa sposa a innervosirsi per prima a causa delle sparizioni del ragazzo e dei suoi scarsi risultati nei compiti, Baldric aveva iniziato a darvi peso solo dopo che Lamia aveva portato l’attenzione su quei fatti, e soprattutto era apparso preoccupato più che irritato. Ora Roderick aveva trovato finalmente una soluzione a quei problemi, eppure la ragazza appariva incontentabile. Forse era gelosa, gli aveva suggerito Alef, ma Roderick credeva che si trattasse in ogni caso di una reazione fuori luogo. Non solo: stava diventando insopportabile per via dei suoi continui atteggiamenti scostanti.
Acida, irritabile, esigente, troppo ambiziosa, era questa la sua promessa sposa? Al suo confronto, Abigail iniziava a sembrare piena di attrattive. Non aveva il bell’aspetto di Lamia, ma era molto più dolce e remissiva. Da bambino, Roderick aveva amato la compagnia della figlia di Lord Slytherin: erano così simili, e lei era così determinata e piena di iniziativa, che lui si era sempre trovato bene ad avere a che fare con una sua pari. Sentiva che Abigail era in una posizione subordinata rispetto a lui, lo leggeva nella sua discrezione, nei suoi silenzi, nel suo modo compassato di agire, nel modo in cui arrossiva, e fino a quel momento Roderick non aveva pensato di apprezzare quella sua dolcezza. Invece negli ultimi tempi qualcosa era cambiato.
Questi erano i pensieri che si agitavano nella sua mente mentre, al termine della lezione di Astronomia, in cui aveva consegnato in ritardo la mappa stellare copiata da Abigail a Lady Ravenclaw, si stava dirigendo con lei nella torre ovest. Baldric e Lamia erano dovuti correre nel parco per la lezione di Volo, perciò per l’ora successiva Roderick non avrebbe dovuto ascoltare le sue battute caustiche.
«Sono contenta che Lady Ravenclaw abbia accettato il tuo compito di Astronomia» disse la strega, piegando le labbra in un sorriso.
«Ma mi ha sottratto due punti per il ritardo» rilevò Roderick, aggrottando le sopracciglia.
«Sarebbe potuta andare peggio» osservò Abigail con serietà. «Avrebbe potuto non accettarlo e ti saresti giocato la promozione in Astronomia.»
Questo era vero, rifletté il ragazzo, facendo silenziosamente spallucce, e lo doveva tutto a lei.
Il resto del percorso lo affrontarono senza parlare, quando raggiunsero l’aula in disuso si sedettero uno accanto all’altra.
«Per domani dobbiamo fare quel tema per Lord Gryffindor…. Difesa Contro le Arti Oscure» snocciolò la ragazza. Roderick non ricordava nemmeno l’argomento dell’ultima lezione.
«D’accordo, mi fido. Iniziamo adesso?»
L’amica gli rispose affermativamente, dopodiché entrambi sfoderarono i loro libri di testo. Trascorsero l’ora successiva a scrivere febbrilmente; Roderick era piuttosto sorpreso di avere tante cose da dire sui Lethifold, il suo tema si spandeva davanti ai suoi occhi come un mare d’inchiostro. Quando lo terminò, fece scorrere con soddisfazione le dita sulla pergamena.
«Fatto, questa volta mi sono superato» disse, raggiante, nel voltarsi verso Abigail.
«Hai fatto un buon lavoro.» L’espressione della ragazza era a metà tra il divertito e il sorpreso, e Roderick non riusciva a capirne la ragione. Lo stava prendendo in giro? Che cosa strana per una persona come lei. «Ma ti manca ancora un palmo per raggiungere la lunghezza richiesta da Lord Gryffindor.»
Roderick sbatté le palpebre più volte nell’assimilare quella notizia. Appoggiò un gomito sul tavolo, sbuffando, e la sua mano seguì un automatico movimento casuale.
«Ero tanto soddisfatto, mi tedia troppo rimettermici sopra per capire quali informazioni ho saltato.»
Abigail sorrise.
«Non brontolare, ci penso io.»
Afferrò così la pergamena del ragazzo e iniziò a leggere il suo tema, dietro la promessa di permettergli di copiare le parti della sua composizione, che lui invece aveva omesso. Dal momento che non l’aveva riletta, Abigail gli suggerì di darle un’occhiata insieme a lei: magari sarebbe arrivato da solo a riempire le lacune. Roderick non era dello stesso parere: perché avrebbe dovuto sforzarsi se lei gli aveva promesso di farlo copiare? Ciononostante non protestò, dato non gli sembrava una reazione adeguatamente grata. Iniziò così a seguire con gli occhi le frasi che aveva tracciato sulla pergamena, ma ben presto le sue pupille continuarono a seguire il dito di Abigail che scorreva sulla carta. E dopo il dito la mano, il polso sottile, il braccio ricoperto dalle maniche turchesi della sua veste, lo scollo che lasciava intravedere le scapole, il collo seminascosto dai capelli raccolti. Qualcosa si agitò in lui all’altezza del bassoventre.
Le sopracciglia della ragazza erano contratte, i suoi occhi di una comunissimo color marrone seguivano senza posa il movimento del suo dito. Nel leggere con attenzione, si mordicchiava un labbro sottile.
Impercettibilmente, Roderick iniziò ad avvicinarsi a lei. Qual era il problema? Abigail gli aveva mostrato più volte, anche se inconsapevolmente, di essere attratta da lui.
La strega afferrò la sua penna e corresse alcune imprecisioni del tema, per poi riprendere la lettura.
Tante volte aveva fatto quello che voleva lui, adesso era arrivato il momento che Roderick facesse qualcosa che desiderava lei. Continuò pian piano ad avvicinarsi, Abigail si accorse della sua presenza incombente solo quando le sue labbra si trovarono alla distanza di un soffio dal collo di lei. Immediatamente sussultò e si ritrasse, arrossendo violentemente. Roderick fu colto di sorpresa, ma non per questo smise di sorridere.
«Che succede?» le domandò con calma.
La ragazza era evidentemente a disagio: non aveva smesso di mordicchiarsi le labbra, i suoi occhi saettavano per tutta la stanza, evitando di posarsi su di lui, le sue dita avevano iniziato a tormentare la pelle intorno alle unghie.
«Va tutto bene» continuò il giovane, allungano un braccio per cingerle le spalle. Ancora una volta, Abigail si ritrasse e l’incertezza e il nervosismo nei suoi gesti aumentarono esponenzialmente.
«Rod, no…» riuscì a balbettare.
«Perché?» domandò lui sardonicamente. Inclinò il capo e le ammiccò, in un gesto automatico con cui solitamente sperava di ottenere qualcosa da qualcuno tentando di apparire il più affascinante possibile.
«P-perché tu sei promesso sposo alla figlia di Lord Slytherin» disse tutto d’un fiato da ragazza.
Per nulla colpito da quell’osservazione, Roderick tornò a muoversi verso di lei, questa volta le sue resistenze erano in procinto di crollare. Riuscì a cingerle le spalle con un braccio, con l’altro vinse un ultimo, fiacco moto di ribellione, dopodiché mise a tacere i suoi balbettii con un bacio. Non era trascorso neanche un secondo da quando le loro labbra si erano incontrate che Abigail si era abbandonata contro il suo petto.

Lungo il percorso di ritorno ai sotterranei, Roderick si sentiva particolarmente appagato. La serata aveva avuto un risvolto inaspettato, ma comunque felice.
Raggiunta l’entrata segreta alla Sala Comune della sua Casa, declamò la parola d’ordine. Aspettò che la pietra si aprisse per lasciarlo passare, dopodiché fece il suo ingresso nella sala scarsamente illuminata. Non gli ci volle molto per indentificare Lamia e Baldric seduti al consueto tavolo rotondo, impegnati in una partita a Scacchi Magici. Lamia aveva aggrottato la fronte e poggiava il mento sul dorso della mano, Baldric aveva un accenno di sorriso sul volto: probabilmente stava vincendo.
Roderick li salutò e andò a sedersi su un divano poco distante, aspettando il termine della partita. Mentre osservava la mossa successiva di Lamia, si rese conto del fatto che il trio che aveva costituito con i suoi due più cari amici si era disgregato a causa delle sue assenze sempre più frequenti. E se i superstiti più che un duo avessero formato una coppia?
Baldric esultò per la sua vittoria e Lamia incrociò le braccia sul petto e gli rivolse una smorfia.
Decisamente la sua fantasia stava correndo troppo, si disse Roderick, non c’era alcun segnale che tra i due ci fosse qualcosa: non era affatto spaventato. Il ragazzo si rese conto che, se pure le cose fossero state diversamente, lui non avrebbe provato niente. Fu questo a spaventarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

I giorni a Hogwarts trascorsero in una frenesia sempre maggiore: gli studenti dell’ultimo anno si stavano preparando agli importantissimi esami finali e Roderick, che era più indietro del solito, era sicuro di faticare più degli altri. Inoltre doveva occuparsi dei compiti ulteriori che gli erano stati assegnati da Lord Slytherin. Ormai discorreva fluentemente in norreno, cosa che lo riempiva di grande soddisfazione, così Abigail aveva smesso di dargli lezioni di Antiche Rune. L’altra missione, quella di riuscire ad esplodere palle di fuoco dai palmi delle mani, era invece a un punto morto. Nonostante a volte la carenza di risultati lo facesse sentire molto frustrato, Roderick non si dava per vinto, animato dalla consapevolezza, instillata in lui dai suoi sogni, di essere destinato prima o poi a riuscirvi. Il problema serio era che il ragazzo non sapeva da dove iniziare per ottenere ciò che Lord Slytherin gli aveva chiesto, così aveva consultato alcuni libri sulle Creature Magiche alla ricerca di indizi. Aveva studiato in lungo e in largo le Veela, eppure non aveva scoperto nulla che non sapesse già. Era già al corrente anche del fatto che le Veela si trasfigurassero quando erano furiose, eppure leggerlo su un libro gli diede l’idea di tentare in quella direzione. Forse doveva trovare qualcosa che lo facesse diventare furibondo, ma cosa? Roderick si ripromise di pensarci, nel frattempo avrebbe dovuto concentrarsi sullo studio.
Quel giorno, il ragazzo seguì la lezione di Erbologia con i suoi amici. Quando questa fu terminata, Lady Hufflepuff gratificò gli studenti con un sorriso teso, e annunciò loro che avrebbe lasciato Hogwarts per qualche giorno.
Il ritorno verso il castello fu piacevole: la brezza tiepida si stava impegnando con tutta se stessa a far dimenticare agli studenti i rigori dell’inverno, e l’erba verde frusciava dolcemente contro le suole dei ragazzi. Nonostante il bel tempo, Roderick si sentiva ancora turbato.
Era da qualche tempo che aveva realizzato che Lamia per lui non contava tanto quanto aveva immaginato, e la scoperta lo aveva spiazzato. Non aveva saputo dire quale parte Abigail avesse giocato in quella rivelazione, ma lo stato delle cose era ormai ben chiaro ai suoi occhi. All’inizio aveva cercato di ignorarlo, di dimenticare i suoi atteggiamenti scostanti. Aveva ricominciato a baciarla, a far scorrere le dita nei suoi capelli, a cercare la sua pelle ogni volta che ne aveva occasione, ma non era più la stessa cosa. Forse perché lei non si era sbrinata completamente, forse perché quei gesti avevano sempre meno senso e sempre meno sapore. Alla fine aveva dovuto fare i conti con la realtà e con le implicazioni che quei cambiamenti avevano portato. Lui e Lamia erano promessi sposi, ma su quali basi si sarebbero uniti in matrimonio di lì a qualche mese? Roderick l’aveva tradita e, a quanto pareva, aveva smesso di provare qualcosa per lei. Sentiva di averla oltraggiata abbastanza, e con lei anche suo padre. Ma forse non era ancora tutto perduto.
Salazar calcava con decisione le assi di legno della Guferia, camminando avanti e indietro. Ogni tanto si fermava per lanciare uno sguardo al sole fuori dalla finestra, sperando di veder volare contro di esso la smentita alla notizia che aveva appena letto, ma poi ricominciava a muoversi, incapace di trattenersi.
Spiegò nuovamente il rotolino di pergamena che era arrivato da poco, legato alla zampa di un barbagianni, e imprecò. Ciò che si era effettivamente verificato non sarebbe dovuto accadere nemmeno nella più nefasta delle sue aspettative, e lui non aveva mai nutrito alcuna fiducia in quel maiale di Ethelred. Eppure il sovrano babbano aveva dato il meglio di sé; se l’avesse avuto davanti, Salazar gli avrebbe volentieri torto il collo con le sue mani.
D’un tratto, la porta della Guferia si spalancò, e un’allieva di Rowena – quella dall’aria anonima che le trotterellava spesso dietro, ma di cui lui non ricordava il nome – chinò il capo al suo cospetto.
«Lord Sytherin, Lady Ravenclaw mi ha incaricato di mandarvi a chiamare. Se vi compiace, vi condurrò ai suoi alloggi.»
«So benissimo dove alloggia la tua Capocasa» ribatté Salazar, sputacchiando un paio di goccioline di astio nel rivolgersi a lei.
La studentessa chinò nuovamente la testa per nascondere il rossore che le aveva tinto le guance e fece per andarsene. La voce del mago la trattenne.
«Perché Lady Ravenclaw vuole vedermi adesso? Sono rimasto d’accordo che avrei dovuto vedere tutti gli altri Fondatori appena Lord Gryffindor fosse tornato.»
La ragazza si strinse nelle spalle, incapace di dargli una risposta. Seccato, con un unico gesto della mano Salazar le ingiunse di lasciarlo; lei si dileguò così rapidamente che sembrava avesse avuto le ali ai piedi.
Anziché lasciare la Guferia, Salazar riprese a camminare nervosamente avanti e indietro, stringendo spasmodicamente il rotolo di pergamena tra le dita. Subito dopo averlo ricevuto, ne era arrivato un altro da parte di Godric, in cui chiedeva a tutti i Fondatori di non lasciare il castello prima del suo ritorno e li avvisava di voler parlare con loro. Il suo messaggio traspariva urgenza e severità da ogni poro della carta, Godric doveva aver avuto sentore di qualcosa, eppure Salazar escludeva che sapesse proprio tutto: la notizia non poteva essere circolata così rapidamente. Rowena invece sembrava essere come al solito più avanti di tutti. Ma, anche lei, come faceva a sapere cosa aveva fatto? L’unica ragione della sua richiesta di incontrarsi prima della riunione doveva risiedere nel suo desiderio di accertarsi della veridicità della notizia che aveva avuto chissà come, confrontandosi con il diretto interessato.
Fino a quel momento, l’ira di Salazar si era concentrata esclusivamente su re Ethelred e sul suo ennesimo gesto stupido, solo adesso iniziava a pensare che la sua reazione lo avrebbe fatto incorrere nel disappunto – per usare un eufemismo – degli altri Fondatori.
Dopo aver lanciato un’ultima occhiata al cielo chiaro fuori dalla finestra, Salazar lasciò la Guferia e ridiscese le scale. Giunto finalmente nella torre ovest, bussò alla porta degli alloggi di Rowena, preparandosi ad aspettare qualche istante, come capitava di solito. Invece l’uscio si aprì che il pugno di Salazar era ancora appoggiato al legno, e Rowena gli fece segno di entrare. Quando si richiuse la porta alle spalle, andò a sedersi su uno dei divanetti blu, spiegando nervosamente le pieghe della gonna dell’abito color bronzo che indossava.
«Mi hai fatto chiamare» esordì il mago, appoggiandosi allo schienale del divanetto. Rowena, di fronte a lui, era ritta come un fuso, quasi non fosse capace di assumere una posizione rilassata.
«Salazar, dimmi che quello che so non corrisponde a verità.»
Dal modo in cui corrugava la fronte, l’uomo capì che era nervosa.
«Dipende da quello che sai» rispose con noncuranza.
Il suo atteggiamento disteso irritò la strega. Rowena artigliò un bracciolo del divanetto e si sporse verso di lui, sgranando gli occhi.
«Hai tolto a re Ethelred l’appoggio dei tuoi fedeli» sussurrò.
«Sì, è così» confermò Salazar a bassa voce.
Quando era scoppiata la guerra con i Danesi, i Fondatori erano riusciti a far desistere il sovrano dal proposito di allontanarli da Hogwarts per metterli in prima linea con gli invasori. Come contraltare al suo ripensamento, Ethelred aveva preteso comunque il massimo attivismo da parte loro. Helga aveva ripreso le sue vesti da guaritrice, Rowena le forniva le pozioni e lui e Godric si erano dati da fare con gli incantesimi di protezione, ma non era abbastanza. Gryffindor, con le sue manie da cavaliere, aveva iniziato a consigliare il re nelle vesti di stratega. Salazar doveva dargliene atto: senza di lui, gli Inglesi non avrebbero conseguito nessuna delle vittorie ottenute fino a quel momento, e il conflitto sarebbe stato molto più breve, concluso probabilmente con le loro teste su un egual numero di picche, usate da Sweyn Barbaforcuta per arredare il suo nuovo castello londinese. Godric aveva però preso troppo a cuore il suo ruolo, e aveva creato un ordine di maghi cavalieri fedeli a lui e al servizio del re, costituito perlopiù da suoi vecchi allievi. Fin dall’inizio della guerra, diversi maghi e streghe inglesi avevano partecipato al conflitto, ma presto si era avvertita la necessità di costituirli in corpi organizzati, giacché agendo isolatamente non avevano prodotto grandi risultati. Godric era stato per l’appunto il primo interprete di quella necessità; quando fu chiaro che i Danesi potevano contare tra le loro fila qualche mago e soprattutto diverse Creature Magiche, Helga, Rowena e lui stesso avevano dovuto imitarlo. Prevenuto a causa della necessità di imitare Godric, Salazar aveva messo in pratica quell’iniziativa senza entusiasmo. Non si era divertito a vestire i suoi uomini con armature d’argento e mantelli verde bosco: erano troppo simili ai cavalieri babbani di re Ethelred. Non aveva apprezzato neanche il dover accontentarsi degli scarti di Godric: re Ethelred aveva assegnato a lui la sorveglianza degli obiettivi più sensibili e le missioni più importanti, invece gli uomini di Salazar Slytherin si erano ridotti a pattugliare villaggi di pezzenti e ad affrontare qualche Troll qui e là. L’unica cosa positiva di tutta quella vicenda risiedeva nel fatto che i maghi a lui fedeli gli appartenevano, e lui poteva farne quello che voleva. Sottrarli al sovrano, per esempio.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?»
La voce di Rowena era poco più che un sussurro.
«Ethelred non avrebbe dovuto ordinarmi di mandare i miei uomini nell’Essex. È più folle di quanto immaginassi, dannazione. Il suo piano era un’idea stupida e lo stesso Godric ha cercato di dargli dei suggerimenti alternativi. Sono libero di decidere di non mandare i miei al macello, o no?»
Rowena aggrottò le sopracciglia e arretrò. Conosceva la situazione disperata di quella zona di costa: l’Essex era ormai perso e non c’era niente da fare.
«Tu hai disubbidito al re» osservò la strega, con più calma di quanto Salazar si sarebbe aspettato.
«A un re impreparato, incapace e babbano!»
Un ticchettare ai vetri della finestra attirò la loro attenzione. Un allocco li stava colpendo col becco, legato a una zampa recava un rotolino. Rowena si alzò lestamente per farlo entrare, spiegò la pergamena davanti a sé e socchiuse le labbra.
«Godric è tornato al castello» annunciò, sollevando lo sguardo su Salazar. Capita l’antifona, il mago si alzò e si apprestò ad uscire dalla stanza circolare per recarsi alla riunione. Mentre la porta si chiudeva con uno schiocco alle loro spalle, gli arrivò ancora una volta la voce di Rowena: «Non farti sentire da lui mentre fai questi discorsi, altrimenti sarà peggio per te.»
Roderick chiuse il libro di Trasfigurazione che aveva davanti a sé, incapace di concentrarsi sullo studio. Abigail, accanto a lui, sollevò la testa nell’udire quel rumore secco. Indugiò con lo sguardo sul suo volto, poi domandò:
«Rod, c’è qualcosa che non va?»
Il ragazzo l’aveva a malapena sentita parlare, preso com’era dalle sue riflessioni. Quando realizzò il significato della domanda, si affrettò a ricambiare lo sguardo e a rispondere:
«No, non preoccuparti. Non ho la testa per studiare oggi pomeriggio, scusami. Puoi farmi copiare le tue risposte ai quesiti di Lady Hufflepuff?»
Abigail arricciò le labbra, ma non obiettò nulla.
«E adesso dove vai?» domandò quando Roderick si alzò dal tavolo.
«Devo fare una cosa che ho rimandato per un po’. Ma non preoccuparti, tornerò presto. Tu aspettami.»
Con quelle parole, il ragazzo lasciò l’aula, diretto verso i sotterranei.
Salazar sedeva mollemente appoggiato a uno scranno accanto a un tavolo ovale dalle gambe scolpite. Si trovava in una sala del quinto piano in cui raramente metteva piede, ma che era stata designata da Godric come luogo della riunione. Di fronte a lui, Rowena e Helga erano sedute composte. Una fissava con aria svagata il paesaggio fuori dalle finestre aperte, l’altra osservava con interesse le volte del soffitto. A Salazar era però chiaro che fossero semplicemente impegnate ad evitare di incrociare il suo sguardo.
Quando anche Godric fece il suo ingresso nella sala, le due donne si alzarono per andargli incontro. Il mago indossava un impolverato mantello da viaggio, aveva la barba disordinata e il suo spadone dall’impugnatura tempestata di rubini scintillava al suo fianco. Raggiunto il tavolo, tagliò corto con i convenevoli e piantò uno sguardo deciso su Salazar.
«Ho visto il principe Edmond al castello di re Ethelred. Lui e Lord Caradoc sono preoccupati e francamente perplessi a causa del tuo rifiuto di mandare i tuoi uomini nell’Essex» andò dritto al punto Godric.
«E il re cosa dice?» domandò Salazar con finta noncuranza.
«Non è il momento di scherzare!» Il mago dalla tunica scarlatta sbatté i palmi delle mani contro il tavolo. «Ti rendi conto di quello che hai fatto? Questa è insubordinazione!»
Salazar scattò in piedi.
«E tu ti rendi conto di cosa quel vecchio folle mi aveva ordinato? L’Essex è nelle mani dei Danesi, non serve a niente mandare lì un nostro contingente. L’unica cosa che possiamo fare per liberarlo sarà sconfiggere re Sweyn e suo figlio Knut una volta per tutte, e tu lo sai.»
«E tu hai giustamente pensato di non fare presente queste cose al re, preferendo disubbidire.» Il tono di voce di Godric era sferzante. L’uomo si allontanò dal tavolo e intrecciò le dita dietro la schiena, senza mai perdere di vista Salazar.
«Perché avrei dovuto sprecare il mio fiato?» obiettò questi. «Tu per primo hai sconsigliato questa tattica a re Ethelred, cosa sarebbe cambiato se avessi unito la mia voce alla tua?»
Godric sgranò gli occhi, quasi faticasse a credere di aver udito davvero quelle parole.
«Re Ethelred avrebbe ascoltato due voci anziché una.»
«Sì, dopodiché avrebbe mosso le dita e ci avrebbe costretti a cantare in coro» ribatté acidamente Salazar. «Sii serio, Godric, il re ti adora: se non sei riuscito a fargli adottare un piano diverso, credi davvero che io avrei avuto successo?»
«Non ci hai neanche provato!» urlò in risposta l’altro. Rowena e Helga avevano fissato gli occhi su di lui, Salazar non ricordava di averlo mai visto arrabbiarsi in quel modo. «Non ti interessa niente di re Ethelred o delle sorti del regno, tu pensi solo alla tua pellaccia.»
Salazar assunse un’espressione fintamente scandalizzata che sapeva l’avrebbe fatto innervosire ulteriormente.
«Godric, mi ferisci se dici queste cose!» Era troppo facile provocare Godric Gryffindor, questi digrignava i denti e sembrava volerlo incenerire con lo sguardo. Forse avrebbe anche messo mano alla bacchetta. Tornando serio, Salazar continuò: «Finora ho sempre servito il reame con voi, mi pare di ricordare.»
Godric aggrottò le sopracciglia.
«Sì, finché un bel giorno non ti sei stancato e non hai deciso di uscire dal gioco. Perché questo è quello che hai fatto, dico bene? Non si tratta solo di non mandare i tuoi uomini nell’Essex, tu non hai intenzione di dare il tuo appoggio a re Ethelder mai più.»
Salazar schiuse le labbra e lasciò andare lentamente le braccia lungo i fianchi. Nemmeno Rowena l’aveva realizzato fino a quel momento. Ma lui rifiutò di sorprendersi troppo: Godric non aveva dato prova di grande acume, semplicemente lo conosceva davvero bene.
Sentì gli occhi di Rowena ed Helga su di sé: le iridi cerulee dell’una e ambrate dell’altra sembravano essere in attesa di una risposta, di una controbattuta o di una conferma. La sensazione di essere osservato gli diede ai nervi.
«La verità è che io non riesco ancora a capacitarmi di come voi tre diate ancora retta a quel mentecatto che si fa chiamare re solo perché porta una corona. È stato lui a scatenare questa guerra, ed è lui a condurla nel modo più sbagliato! E noi che stiamo facendo? Ci esibiamo in un coro di “sì, maestà”, mentre lui manda i nostri uomini al macello.»
«Non è vero!» obiettò Helga. Lo sguardo smarrito e il respiro trattenuto tradivano ciò che doveva provare. «Abbiamo sempre consigliato il re. Godric ha cercato di indirizzarlo, io mi prendo cura dei feriti, Rowena…»
«Basta così!» La voce di Salazar era risuonata più alta e dura di quanto avesse inteso, ma ormai era stanco e seccato di una situazione protrattasi per troppo tempo e faticava a controllarsi. O forse non voleva farlo davvero.
«Come osi!» si intromise Godric, muovendo un passo verso di lui e serrando le dita nei suoi guanti di pelle.
«Oh sì, continua a giocare al cavaliere, Godric» rispose l’altro puntandogli contro un dito accusatore. «Anzi, continuate tutti a prostrarvi davanti a un re incapace e babbano!»
L’ultima parola fu quasi urlata. Salazar ebbe una visione fugace dell’espressione adirata di Godric e di quella turbata di Helga, poi si accorse di Rowena e dei suoi occhi imploranti. Sapeva che stava silenziosamente cercando di fermarlo, ma non avrebbe potuto. C’era stato un tempo in cui lei aveva avuto un forte ascendente su di lui, pensò con amarezza il mago, ma quel tempo era passato.
«È stato un errore piegarci a lui.»
«Ma è il re…» cercò di osservare Rowena.
«Non me ne faccio niente del diritto di nascita, se tutto quello che sa fare è berciare e mandare il regno al disastro! È un Babbano, figlio di una puttana babbana, e io non ho nessuna intenzione di farmi dare ancora ordini da un essere inferiore. Avremmo dovuto toglierlo di mezzo, governare noi, e mai i Danesi si sarebbero avvicinati alle nostre coste…»
«Non tollero questi discorsi davanti a me!» tuonò Godric, aggirando con passi rapidi il tavolo ovale.
«Avresti preferito che continuassi a parlarti alle spalle?» lo sfidò l’altro.
Godric ignorò l’ultima provocazione.
«Rimangia quello che hai detto e fai ammenda, Salazar» lo ammonì severamente. «O dovrai affrontarmi per il tuo alto tradimento.»
Salazar esplose in una risata sonora.
«Forse sarai tu a dover affrontare me.» In un attimo la sua mano era già alla bacchetta infilata nel cinturone. Helga scattò in piedi, Rowena urlò e Godric riuscì a produrre un potente Incantesimo Scudo prima che la fattura di Salazar potesse raggiungerlo. Quando la cupola evanescente si dissolse, Lord Slytherin aveva già lasciato la sala. Nessun rumore di passi lo inseguì lungo i corridoi.
Ormai la frattura era irreparabile.





NdA: la lite e la definitiva separazione tra i Fondatori è fondamentale nella storia di Hogwarts, ed è anche importante ai fini della mia trama. Si sa che Godric e Salazar litigarono a causa delle idee razziste di quest’ultimo, e così io ho fatto, inserendo la vicenda nel contesto storico del dominio di re Ethelred e della guerra contro i Danesi. La condotta di Salazar era inaccettabile per gli altri Fondatori: erano intollerabili tanto il suo razzismo, quanto la sua insubordinazione. Quella lite è stato solo il momento in cui la distanza tra Salazar e gli altri quattro è venuta alla luce, in tutta la sua manifesta incolmabilità. Ho voluto scrivere che Salazar attaccava Godric per rendere il suo comportamento ancora più grave, inoltre non mi sembra fuori dal personaggio: del resto Salazar ha ficcato un bestione nella Camera dei Segreti con il preciso intento di lasciare a qualche suo erede la possibilità di sguinzagliarlo per la scuola e far fuori nati Babbani e Mezzosangue, non mi pare esattamente un agnellino.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20


Lasciata la torre ovest, Roderick era andato nei sotterranei per cercare Lord Slytherin. Era fondamentale che gli parlasse, non sarebbe riuscito a pensare ad altro finché non si fosse tolto quel peso dallo stomaco. Una parte consistente di lui gli ripeteva che sarebbe stato una follia dirgli che non voleva più sposare sua figlia, che il Lord l’avrebbe cacciato via a suon di maledizioni se gli fosse andata bene. Un’altra parte di lui però riteneva che provocare una cocente delusione e un paio di fatture non sarebbe stato peggiore del senso di colpa che provava nel tacere la verità al Fondatore.
Nei sotterranei però Lord Slytherin non c’era. Eppure era strano: Roderick aveva incontrato Hankerton Humble mentre attraversava Hogwarts, e questi gli aveva assicurato che tutti e quattro i Fondatori erano a scuola.
Il ragazzo andò allora a cercarlo nell’aula di Divinazione, di Incantesimi e di Storia della Magia. Doveva trovarlo e parlargli prima che il suo poco coraggio scemasse, ma non lo trovò neanche lì. Controllò allora in Sala Grande, nella biblioteca, ovunque i suoi piedi lo conducessero, eppure non c’era traccia di lui da nessuna parte. Man mano che i luoghi in cui lo cercava finivano depennati dalla lista mentale che aveva stilato, l’ansia e l’urgenza di parlargli aumentavano. Era sul punto di credere di aver terminato le idee, quando gli vennero in mente le colonne circondate dai serpenti di pietra della Camera dei Segreti: forse avrebbe potuto trovarlo lì. Si indirizzò quindi verso l’aula la cui botola nel pavimento celava l’ingresso alla Camera, domandandosi come avrebbe fatto a trovare il Lord. Non aveva mai provato a spezzare gli incantesimi che lo proteggevano perché fino a quel momento ci aveva pensato il Fondatore, ci sarebbe riuscito? E come avrebbe fatto ad aprirla? Per farlo, Lord Slytherin sussurrava qualcosa in Serpentese. Forse avrebbe dovuto aspettarlo finché non fosse riemerso dalla Camera.
Il suo cervello si stava dibattendo tra quei due interrogativi quando attraversò la soglia dell’aula. I mobili accatastati contro le pareti erano ancora lì, nulla tradiva una presenza umana in quella stanza, tranne una sottile frattura nel pavimento. Roderick si rese conto che la botola era stata lasciata aperta. Convinto di trovare Lord Slytherin là sotto, il ragazzo si calò nell’oscurità. I suoi piedi calcarono il pavimento di pietra, le sue mani cercarono la bacchetta e la sua voce ne accese la punta con un “Lumos”. Sembrava che non ci fosse nulla che non andava, così si inoltrò lungo il corridoio, diretto verso la Camera nella quale aveva seguito tante volte delle lezioni di Arti Oscure. Non c’era nessun incantesimo a ostacolarlo: il Lord doveva essere entrato con l’idea di rimanervi pochi istanti, così non si era preso la briga di ripristinarli. Ad un certo punto il corridoio si divideva, Roderick prese con sicurezza la biforcazione di destra, dal momento che quella di sinistra conduceva fuori dalla Camera dei Segreti. A rigor di logica, l’uno o l’altro non avrebbero fatto differenza: entrambi collegavano la Camera con la botola, ma un incantesimo aveva fatto sì che uno consentisse solo l’entrata e l’altro solo l’uscita. Roderick continuò a camminare, seguendo le svolte del corridoio, finché non varcò l’ingresso dell’ampio ambiente in cui Lord Slytherin aveva tenuto le sue lezioni. Le candele che proiettavano una innaturale luce verdastra accese dal mago si stavano estinguendo. Il ragazzo alzò la bacchetta, ma in quel momento tanto la luce sulla sua punta quanto le fiammelle si estinsero con un sibilo.
Udì un rumore di passi che si avvicinava, espirò sollevato, credendo che si trattasse del suo Capocasa, ma il fiato gli si mozzò in gola quando ai passi fece eco il tonfo della grande apertura di pietra che si chiudeva.
“Oh no!” Questo avrebbe voluto esclamare Roderick, ma la lingua gli si era seccata nella bocca. Quando ritrovò la voce e colpì la porta con i palmi delle mani, ebbe la certezza che Lord Slytherin ormai era andato via, ignaro della sua presenza. Forse non aveva ancora attraversato la botola, ma la pesante porta di pietra isolava ogni rumore e il mago non avrebbe potuto in alcun modo sentirlo. Nonostante ciò, Roderick continuò a chiamare e a battere fin quando i polmoni e i palmi non gli andarono in fiamme, ma non accadde nulla. Era sul punto di cadere nel panico, o forse vi era già caduto da un pezzo, quando tentò di calmarsi e razionalizzare. Appoggiò la schiena alla pietra e strisciò lungo la superficie della porte finché non si ritrovò seduto.
Non aveva alcun senso urlare e strepitare, Lord Slytherin non avrebbe potuto sentirlo. Qualcuno prima o poi si sarebbe accorto della sua assenza – Baldric, Lamia e Abigail, tanto per cominciare – e avrebbe iniziato a cercarlo. La ricerca avrebbe condotto prima o poi qualche suo compagno di Casa fino alla Camera dei Segreti, avrebbero avvertito il Fondatore e questi sarebbe venuto a salvarlo. Facile. Anzi, sicuro.
Forse Roderick avrebbe dovuto aspettare un po’, ma non sarebbe stato un grande problema: aveva mangiato un paio d’ore prima, non avrebbe sofferto la fame tanto presto; sperò solo di non dover fare i bisogni.
Attese, silente, con la schiena contro la porta. Ormai l’oscurità non gli faceva più impressione e il ripetersi che qualcuno sarebbe venuto a salvarlo lo aveva tranquillizzato. Ipotizzò di concedersi una dormitina per ingannare l’attesa, quando udì un fruscio. Si alzò di scatto e si voltò, restando in attesa, ma poi si rese conto che non poteva provenire da fuori. Tese l’orecchio, nella speranza che questo si ripetesse, e così accadde. Qualcosa in quel suono bloccò la circolazione del sangue nelle sue vene e gli fece drizzare i capelli sulla nuca. Non si trattava solo di un fruscio. Era un sibilo.
Un terrore sordo e innominato iniziò a martellargli il diaframma; senza sapere esattamente di cosa avere paura, Roderick iniziò a percorrere la porta di pietra con i polpastrelli. Prima di rendersene conto, aveva smesso di tastarla e aveva iniziato a grattare. Il fruscio si stava avvicinando e il sibilo era diventato intermittente. Doveva trattarsi di qualcosa che si muoveva, di qualcosa di grande, perché al suo passaggio alcuni dei sassi e degli oggetti che occupavano il pavimento della Camera venivano smossi. Da qualche parte in lontananza, le gambe di un sedile grattarono contro la pietra, poi un tonfo che risuonò nell’ambiente come un tuono: il sedile era caduto.
C’era una creatura in quel luogo, insieme a lui, che prima non c’era e che non aveva nulla di umano nei suoni che produceva muovendosi. Roderick si pentì per aver urlato e poi grattato contro la porta: non voleva attirare la sua attenzione producendo del rumore. Ma la creatura non era ancora arrivata da lui, non doveva essersi ancora accorta della sua presenza. Decise così di rimanere in silenzio e immobile, e forse non sarebbe venuta. Forse.

Salazar percorse rapidamente i corridoi di pietra e le scalinate semoventi che lo avrebbero condotto nei sotterranei, evitando lo sguardo dei pochi studenti che incrociava. In lui si agitava ancora la rabbia dell’ultimo scontro con Godric: era stato peggiore del solito, ma sarebbe stato anche l’ultimo, di quello era certo. Non gli importava più di quello che pensavano lui, Rowena e Helga; l’unica cosa che contava era che si sarebbe sottratto una volta per tutte dal teatrino di quell’inutile Babbano che si faceva chiamare re.
Giunto nei sotterranei, Salazar esitò davanti all’entrata segreta della Sala Comune. Non aveva messo in conto di dover affrontare i suoi allievi e non ci teneva proprio a farlo. Era sul punto di tornare indietro, quando si imbatté in cinque studenti che, chiacchierando e scherzando, stavano rientrando proprio nella Sala Comune.
«Lord Slytherin» lo salutarono in coro i gemelli Uchelghais. Bush-League e Redslaught abbassarono le teste nella sua direzione e sua figlia Lamia li imitò.
Il mago si scostò per farli passare, il Caposcuola declamò la parola d’ordine e tra le pietre della parete si aprì l’ingresso della Sala Comune. I ragazzi lo stavano varcando, quando Salazar sibilò a sua figlia un ordine in Serpentese. Lamia si arrestò, irrigidendosi, poi disse agli amici di andare avanti senza di lei. Quando l’entrata si fu richiusa, Salazar le fece cenno di seguirlo nei suoi alloggi.
Lamia camminava dietro di lui, l’uomo non aveva bisogno di guardarla in faccia per sapere che si stava chiedendo, probabilmente con una punta di preoccupazione, per quale ragione l’aveva trattenuta.
Salazar le fece cenno di sedersi su una delle due panche davanti al tavolo lucido e prese posto su quella di fronte.
«Sto lasciando Hogwarts» esordì senza preamboli.
Lamia annuì, continuando a osservarlo con i grandi occhi chiari sbarrati. Quegli occhi li aveva ereditati da sua madre. Era strano rivedere quella donna nella figlia; se non fosse stato per quello, Salazar avrebbe persino potuto dimenticare di essere mai stato sposato.
«P-perché lo stai dicendo a me, e non al Caposcuola?» domandò, incerta, la ragazza.
«Ho avuto il barone Redslaught a portata di voce, se avessi potuto dirgli questa cosa, l’avrei fatto subito» rispose Salazar, sferzante. «No» continuò, portandosi una mano alla tempia, «non voglio parlare con nessuno… ma con te devo. Quando dico che sto lasciando Hogwarts, non voglio intendere che starò via per qualche giorno, per sbrigare qualcosa per conto di re Ethelred, magari, come ho fatto finora. Sto andando via per non tornare mai più.»
Quel poco di colore che Lamia aveva sulle guance la abbandonò all’istante, le sue pupille si dilatarono e lei trattenne il fiato.
«Come sarebbe a dire, padre? Perché…»
«Non ti ho cercata per discutere con te le motivazioni» la interruppe bruscamente Salazar, «ma per darti delle indicazioni.» Sua figlia boccheggiò per qualche istante, poi tacque. «Tu non dirai nulla a nessuno, non voglio che la notizia inizi a diffondersi prima che io sia arrivato al castello. A un certo punto, i tuoi compagni verranno a chiederti dove sono: tu farai finta di non sapere niente e farai capire che questa mia assenza non ha niente di diverso rispetto alle altre. A un certo punto però anche i più stolti si renderanno conto che starò via troppo a lungo: non preoccupartene e continua ad agire come se tu non fossi al corrente di nulla.»
«Anche con gli altri Fondatori?» domandò la giovane strega con un filo di voce.
«Soprattutto con loro, anche se probabilmente sanno già che non tornerò più.»
Di quello, Salazar ne era certo. Lui e Godric avevano spesso assunto posizioni diametralmente opposte, specialmente sul conto dei Babbani; adesso era apparso che la loro distanza era così grande da essere incolmabile, inoltre aveva attaccato Godric stesso: aveva superato un punto di non ritorno.
«È successo qualcosa con loro?» intuì Lamia.
«Ho detto che non voglio parlarne, non ora almeno. Una volta a casa, potrei spiegarti» rispose suo padre. Aveva urgenza di lasciare il castello il prima possibile. Gli altri Fondatori non si erano gettati subito al suo inseguimento, ma ciò non escludeva che sarebbero potuti venire a cercarlo presto, e lui non aveva alcuna voglia di essere condotto davanti a re Ethelred. «La scuola dovrà continuare come se niente fosse: Godric, Rowena e Helga non permetteranno che la mia assenza possa rovinare l’anno scolastico. Tu dovrai affrontare gli esami e, quando avrai fatto, tornerai al castello. Anche Roderick dovrà venire con te, sono stato chiaro?»
Lamia annuì. Dalla pausa di Salazar, dovette dedurre che aveva finito con le sue raccomandazioni, ma il padre la trattenne prima che potesse uscire dai suoi alloggi.
«Un’ultima cosa. Tempo fa, ho iniziato a far covare a un rospo un uovo di gallina.»
«Un B-basilisco?» balbettò Lamia.
«È quello che ho ottenuto. L’ho appena portato nella Camera dei Segreti, e crescerà ancora. Tu dovrai portargli il cibo. Non hai nulla da temere da quella creatura: parli il Serpentese, sarà ai tuoi ordini.
Dal momento che io lascio la scuola, cesseranno le lezioni di Arti Oscure. Ma ciò non vi impedisce di entrare nella Camera dei Segreti: tu sai come fare. Se e quando condurrai i tuoi compagni lì sotto, dovrai ordinare al Basilisco di nascondersi: nessuno deve vederlo, nessuno deve sapere che si trova lì. Nemmeno Roderick, sono stato chiaro?»
Lamia annuì. Doveva essere abbastanza acuta da capire che possedere un Basilisco non era una notizia da gridare ai quattro venti.
«Padre, ma… a cosa ti serve un Basilisco?»
Salazar socchiuse gli occhi. Sullo sfondo delle palpebre che avevano portato la penombra alle sue pupille rivide ogni singolo oltraggio perpetrato dal Babbano buffone, re Ethelred, oltre all’ultima lite con Godric.
«Sono stato offeso… oltraggiato! E vuoi sapere da chi? Da un Babbano.»
Lamia si ritrasse, inorridita. Salazar sorrise: era proprio sua figlia.
«Come hanno osato? Bisogna punirli. Dimmi i loro nomi, padre, e ti giuro che io…»
Salazar posò delicatamente una mano sul capo della ragazza per stemperare la sua indignazione.
«Lo so. Verranno puniti. Tutto quello che devi fare per partecipare al loro castigo è nutrire il Basilisco, puoi incominciare da ora. E mantenere il segreto su di lui, ovviamente. La pena verrà loro inflitta quando meno se lo aspettano.»

Roderick aderiva alla porta di pietra della Camera dei Segreti, senza osare muovere un muscolo. In quell’oscurità che non riusciva a sconfiggere neanche con la sua bacchetta gli sembrava di perdere il senno.
I fruscii ogni tanto si fermavano, il tempo di fargli quasi credere di averli immaginati, poi riprendevano, insieme a sibili e soffi.
Il ragazzo era ragionevolmente sicuro che la bestia non l’avesse fiutato, né sentito, ma in quei momenti la razionalità non contava poi molto, e la paura dominava su tutto.
Seguì una pausa silenziosa più lunga delle altre, così lunga che Roderick stava pensando di lasciarsi scivolare nuovamente contro la porta, per poi accovacciarsi al suolo, quando i fruscii ripresero, questa volta più vicini, e lui sentì qualcosa toccare la sua gamba. Qualcosa di freddo e viscido insieme. E allora urlò, urlò con quanto fiato aveva in gola, finché non avvertì i polmoni e le mani bruciare, gli occhi lacrimare, il pavimento e il soffitto scambiarsi di posto, il buio inghiottirlo.
Stava scivolando in uno stato di incoscienza, quando una luce gli ferì gli occhi e dell’aria fredda gli investì il volto. Una voce parlò, o meglio sibilò. I fruscii ripresero, ma questa volta si stavano allontanando. Una mano lanciò qualcosa di scuro che tracciò un arco sopra la sua testa. Dieci dita gli artigliarono il bavero del farsetto e lo tirarono su.
Roderick si sentì trascinare; sbatté le palpebre più volte, ansimando e annaspando in cerca d’aria, finché il volto di Lamia non venne a fuoco davanti ai suoi occhi.
«Rod, va tutto bene» esclamò lei con voce stridula, poggiando le mani sul petto del ragazzo, che si alzava e si abbassava a un ritmo frenetico. Roderick si aggrappò a lei con tutte le sue forze, desiderando solo richiudere gli occhi contro la massa dorata dei suoi capelli, quando Lamia fece un salto all’indietro ed emise un urlo strozzato. Il giovane non capì cosa le fosse accaduto finché lei non gli indicò le mai.
«Rod… I tuoi palmi!»
Roderick abbassò lo sguardo su di loro. Non erano percorsi da epidermide rosa, ma la pelle era incandescente. Stavano fumando.

Quando riaprì gli occhi, dovette sbattere più volte le palpebre per eliminare il velo di lacrime che glieli offuscava. Guardandosi intorno, si rese conto che si trovava su un giaciglio in quella che probabilmente era una delle stanze del castello. Due mani gli tastarono la fronte, e Roderick le riconobbe: erano quelle di Lady Hufflepuff.
«Mio caro, hai finalmente aperto gli occhi!»
Il ragazzo spostò lo sguardo sulle sue braccia, ricoperte da maniche color avorio, e raggiunse il suo viso, tondo e illuminato da un’espressione canzonatoria.
«Hai avuto solo un grosso spavento, tutto qui. La tua promessa sposa mi ha raccontato cosa è successo. Non puoi cavalcare una scopa senza sapere come fare, è chiaro che poi potresti cadere!»
La guaritrice staccò le mani da lui e gli rivolse le spalle per trafficare con qualcosa ai piedi del suo giaciglio.
Di colpo, Roderick ricordò. Rivide il buio e il terrore nella Camera dei Segreti, Lamia che apriva la porta ed entrava dicendo chissà cosa in Serpentese, che lo prendeva tra le braccia e lo portava via. Ricordò la sua espressione tesa e la sua decisione di far controllare a Lady Hufflepuff che stesse bene, così come la decisione di mentire alla guaritrice per non rivelare nulla a proposito della Camera dei Segreti. Ricordò ancora i suoi palmi incandescenti; Roderick sollevò di scatto le mani, aspettandosi di vederle avvolte in bende, ma rimase sorpreso nello scoprire che non avevano nulla che non andava, che erano fredde e lisce come sempre. Ad ogni modo, non poteva cancellare ciò che era accaduto: appena fuori dalla Camera lui e Lamia le avevano viste fumare. Roderick aveva scoperto che non solo una forte ira, ma anche una grande paura conduceva le Veela ad esplodere palle di fuoco dai palmi.
Lady Hufflepuff si rivolse ancora al giovane, ribadendogli che era sano come un pesce, ma raccomandandogli di non commettere più cose imprudenti, dopodiché lo lasciò riposare. Aveva lasciato la stanza da poco, che l’uscio si aprì di nuovo, facendo entrare Lamia. La strega si precipitò al capezzale del giovane e prese la mano tra le sue. Roderick notò i suoi occhi: erano febbrili e lucidi.
«Sto bene.» Il mago si mise a sedere per rincuorarla sulle sue condizioni, Lamia riprese a respirare regolarmente.
«Che ci facevi nella Camera dei Segreti?» domandò con un tono che era a metà tra il rimprovero e la preoccupazione.
«Cercavo tuo padre» rispose il giovane con un mezzo sorriso. «Ma lui deve essere uscito prima di me, e ha chiuso la Camera senza avvedersi che io ero rimasto dentro… E poi la bacchetta si è spenta e qualcosa si è mosso. Mi ha toccato la gamba. Doveva esserci una Creatura Magica lì dentro.»
La strega si esibì in un sorriso tirato.
«Ma no, non c’è stato mai nulla! Forse era la tua suggestione, o magari si è trattato dell’effetto di un incantesimo posto da mio padre a sicurezza della Camera.»
Roderick ci rifletté su. Aveva letto di incantesimi oscuri che provocavano delle illusioni terribili e torture mentali atroci, come l’Incanto Dismundo; forse si era trattato proprio di quello. Ma se i fruscii erano stati fittizi, il terrore era stato quanto mai reale. Tranquillizzatosi, Roderick si portò le mani di Lamia alle labbra e le baciò.
«A proposito, cosa volevi dire a mio padre?»
La domanda della ragazza ebbe l’effetto di una secchiata gelata. Il giovane rivide il volto di Abigail e si affrettò a cancellarlo dalla sua mente.
Se non avesse amato Lamia, lei non sarebbe stata lì a stringergli le mani, dopo averlo liberato da un luogo oscuro. Lo aveva salvato da una fine che gli era apparsa più che reale, quel gesto contava molto per lui. Forse la amava ancora, dopotutto.
«Nulla di importante» rispose.
Con gesti delicati e sicuri guidò la testa di lei contro il suo petto e rimase in silenzio, desiderando che nulla venisse a rovinare quel momento.






NdA: perché il Basilisco non avverte subito la presenza di Roderick? Perché Salazar lo aveva portato ben addentro la Camera dei Segreti e da quella posizione non si era accorto subito della presenza di un ragazzo all’ingresso (anche in HP2 il serpentone gigante non arriva immediatamente, e soprattutto viene chiamato da Tom Riddle). Perché, una volta che è finito per caso dove stava Roderick, non se l’è mangiato in un sol boccone? Sicuramente il tempismo di Lamia è stato fondamentale, ma il Basilisco era ancora un cucciolone, e quindi più curioso che altro :’3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21


La fine della scuola, tanto sussurrata, bisbigliata, temuta o agognata, giunse in una calda giornata estiva. L’ultima lezione dell’intera carriera scolastica di Roderick fu Trasfigurazione; alcuni dei suoi amici sottolinearono la combinazione: la prima lezione del primo anno era stata della stessa materia.
La fine dei corsi non consentì agli studenti di rilassarsi, ma anzi comportò per loro un ulteriore carico di studio in vista degli esami finali. Era molto strano osservare i ragazzi degli altri anni sdraiarsi pigramente lungo le sponde del Lago Nero in uno stato di beata nullafacenza. Fino all’anno prima, Roderick li aveva imitati, ma adesso non poteva più, e non riusciva a non invidiare la spensieratezza degli studenti più piccoli.
Le giornate dopo la fine delle lezioni proseguivano sempre uguali per gli studenti dell’ultimo anno, costituite da una sequenza di argomenti da imparare e incantesimi da ripassare. Forse ripetere con Abigail avrebbe reso le cose molto più facili, ma ogni volta che quella considerazione faceva capolino nella mente di Roderick, si affrettava a cancellarla. Aveva salutato la strega l’ultimo giorno di lezioni, ringraziandola sentitamente per tutto l’aiuto che gli aveva dato quell’anno; le aveva detto che sapeva di essere solo una zavorra per gli studi di lei, e non poteva permettersi di rallentarla nella preparazione degli esami. Le aveva fatto capire che le loro strade si separavano lì: quella di lei l’avrebbe condotta nella torre ovest, quella di Roderick nei sotterranei. Il ragazzo l’aveva guardata intensamente, e Abigail non aveva risposto. La sua espressione aveva palesato apatia e niente più. Aveva sollevato i suoi occhi su Roderick solo una volta, e lì lui aveva saputo che aveva capito più di quanto non avesse detto a voce.
Niente più Abigail Preshy, non dopo che Lamia Slytherin, la sua promessa sposa, colei che gli aveva fatto compagnia fino a quel momento, che gli avrebbe cucinato i pasti, scaldato il letto e che avrebbe generato i suoi figli, lo aveva liberato dalla Camera dei Segreti.
Così Roderick aveva ricominciato a studiare con i suoi amici di sempre e a volte aveva l’impressione che non fosse cambiato nulla in tutto quel tempo. Quando sollevava lo sguardo dai libri e vedeva Brayden che piagnucolava, Alef e Ruben che si lanciavano boccette di inchiostro incantato, Lamia che li rimbeccava e Baldric che cercava di imporre il silenzio, rivedeva gli stessi ragazzini che a undici anni frequentavano il loro primo anno di studi a Hogwarts. Sarebbe stato bello potersi abbandonare alla puerile convinzione che sette anni non fossero trascorsi: avrebbe significato che la guerra non era scoppiata, che intere famiglie non erano state sterminate, che Roderick non avrebbe dovuto preoccuparsi di dove andare una volta lasciata Hogwarts, né di poter non rivedere più i suoi amici. Non aveva parlato con nessuno delle sue ansie: non voleva ammorbare i suoi compagni, già provati dal tanto studio. Non si sentiva neanche di parlarne con sua zia, l’unico a cui avrebbe voluto chiedere consiglio era Lord Slytherin, ma lui mancava dal castello da molto tempo. Tutti a Hogwarts erano rimasti straniti da quel comportamento, molti si erano addirittura preoccupati, ma gli altri Fondatori non avevano fatto domande. Si erano limitati a rassicurare gli studenti sul fatto che Lord Slytherin era vivo e stava bene, per poi passare a organizzare gli esami finali senza di lui.
Roderick si era interrogato sulle ragioni della sparizione del Fondatore e si era convinto che probabilmente il mago era impegnato in una missione più lunga delle altre per conto di re Ethelred. A un certo punto, gli impegni di studio erano stati così tanti che aveva smesso di porsi qualsiasi interrogativo che non avesse a che fare con il programma d’esame.
Gli esami erano finalmente arrivati e, nelle materie in cui ciò era possibile, si componevano di una prova scritta e di una pratica. I lunghi tavoli della Sala Grande erano scomparsi per l’occasione, sostituiti da tanti piccoli scrittoi, accompagnati da altrettanti sedili. La prima volta che Roderick si sedette a uno di quelli, sentì le sue viscere annodarsi. Niente prove orali, niente prove intermedie: erano solo lui e la pergamena, e questa non avrebbe mentito ai maestri, avrebbe invece rivelato tutto ciò che lui sapeva e – temeva – soprattutto ciò che non sapeva.
Il primo esame fu quello di Incantesimi; i tre Fondatori sedevano al tavolo dei maestri, scrutando con occhio vigile gli studenti chini sulle pergamene, incantate appositamente, così come le penne e l’inchiostro, per evitare copiature. Poteva essere trascorsa mezz’ora, quando Lord Gryffindor si era alzato e aveva iniziato a camminare tra gli scrittoi, rivolgendo occhiate severe a chiunque osasse sollevare lo sguardo su di lui.
Il tempo scorreva implacabilmente, eppure il cervello di Roderick era bloccato. La consapevolezza di dover riversare tante nozioni su un foglio in poco tempo avevano fatto sì che un senso di panico lo invadesse, ed era riuscito a tenerlo a bada solo dopo che Lord Gryffindor era tornato a sedersi insieme alle due Fondatrici. Da quel momento scrisse tutto quello che gli venne in mente, anche ciò che non gli sembrava totalmente attinente, finché la mano non iniziò a dolergli. Quando i Fondatori dichiararono che il tempo era scaduto, la risposta di Roderick all’ultima domanda era rimasta incompleta, ma, per il resto, credeva di essersela cavata piuttosto bene. La prova pratica seguì immediatamente la scritta, Roderick fu esaminato da Lady Hufflepuff e con la bacchetta ebbe molti meno problemi che con la penna.
Successivamente fu la volta dell’esame di Antiche Rune e dei saluti a un Brayden tremante come gelatina. Nelle due ore dell’esame, gli altri allievi di Lord Slytherin si diressero nel parco, alcuni per ripetere per la prova successiva, altri semplicemente per riposare all’ombra di un albero.
L’esame scritto di Erbologia fu piuttosto facile: molti si lamentarono perché Lady Hufflepuff aveva inserito delle domande sulle margherite canterine, che erano state programma del primo anno, ma ciò non rappresentò una difficoltà per Roderick. Un Fungo Saltellante gli sfuggì dalle mani durante la prova pratica, ma riuscì ad acchiapparlo prima che Lady Hufflepuff potesse accorgersene.
Nei giorni successivi si tennero le prove di Aritmanzia e Volo, a cui Roderick non dovette partecipare, poi quella di Trasfigurazione, Difesa Contro le Arti Oscure, Pozioni, Cura delle Creature Magiche, Divinazione, Astronomia e Storia della Magia. Al termine degli esami, Roderick si sentiva spossato come se avesse scalato a mani nude una montagna dopo l’altra.
L’attesa dei risultati fu a dir poco snervante, Alef chiedeva pronostici in continuazione ai suoi amici.
«Io sono andato bene, tu no» gli rispondeva Ruben, con un sorriso da un orecchio all’altro.
«Io… Noi… Siamo andati tutti bene, vero? Dobbiamo essere andati bene» reagiva Lamia, torcendosi la veste tra le dita.
«Ma sì, siamo stati tutti bravi» sosteneva con sicurezza Baldric.
«Antiche Rune... Antiche Rune… Antiche Rune!» ripeteva ossessivamente Brayden.
Roderick preferiva non rispondere per non crearsi troppe aspettative.
La mattina di una assolata giornata di fine giugno, il ragazzo fu svegliato da uno scossone potente. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di identificare i lineamenti di Ruben, poi si mise a sedere sul letto sbadigliando.
«Come fai a dormire con quella tranquillità?» domandò Brayden con voce stridula. «Proprio oggi che devono uscire i risultati degli esami!»
Avvertendo il nervosismo nella sua voce, Roderick optò per non dirgli che in effetti stava dormendo saporitamente, immerso in un piacevole sogno dalle tinte un po’ forti che aveva Lamia come protagonista. Scendendo dal letto, per poi andare alla ricerca dei suoi vestiti, si rese conto che in effetti la ragazza che aveva tenuto tra le braccia aveva il volto della figlia di Lord Slytherin, ma aveva i capelli castani. Poi i suoi lineamenti a un certo punto erano diventati confusi, come se lui stesse osservando la scena attraverso una superficie liquida e qualcuno avesse gettato un sasso nell’acqua. Scuotendo la testa, respinse le ultime immagini del sogno e infilò le braghe. Finito di vestirsi, uscì dal dormitorio insieme ai suoi compagni e, nel fare il suo ingresso nella Sala Comune, la trovò già piena di studenti. Si trattava di ragazzi dell’ultimo anno come lui, vocianti e accalcati intorno al leggio di fianco al divano più grande. Fino al giorno prima, la pergamena su quel leggio aveva recato gli orari degli esami, ma ora doveva essere stata sostituita da un’altra con i voti. Nel realizzarlo, Roderick sentì che la tranquillità che lo aveva seguito fuori dal dormitorio era stata spazzata via, sostituita da una morsa ghiacciata allo stomaco.
«I voti, i voti!» balbettò Brayden accanto a lui.
«I voti, sono usciti i voti!» cantilenarono i gemelli Uchelgais.
Baldric si fece largo con facilità tra gli studenti assembrati intorno al leggio, tentando di imporre la calma, ma risultando a sua volta meno che calmo.
«Vi ho detto di tacere!» urlò infine, gelando gli studenti sul posto e facendo sobbalzare tre o quattro streghe.
Se fosse stato davvero arrabbiato, probabilmente Baldric avrebbe distrutto il leggio con le sue mani. Invece si limitò ad afferrare la pergamena, stringendo le labbra, e a scorrerla con lo sguardo. Il chiacchiericcio impaziente dei ragazzi minacciò di riprendere, quando il Caposcuola impose nuovamente il silenzio, rimbottando persino i due Prefetti.
«Ora leggerò i nomi di coloro che sono stati promossi, dopodiché potrete vedere i voti in ogni materia, in ordine e con compostezza, altrimenti vi affatturo.»
Le pupille del barone saettarono lungo tutta la Sala Comune per accertarsi che tutti avessero compreso che non stava scherzando, dopodiché si schiarì la voce e iniziò l’elenco.
«Alicia Brown, marchese Edward Cooper…»
L’attenzione di Roderick calò a “conte Corin Campbell”, assorbita dal timore di non udire il suo nome, o quello di uno dei suoi amici, quando la voce di Baldric declamò chiaramente “Roderick Ravenclaw”.
Se avesse potuto saltare senza sembrare un idiota, Roderick l’avrebbe fatto.
«Ce l’abbiamo fatta tutti!» esclamò Lamia, le sue guance si erano arrossate. «Anche tu, Brayden!»
Il ragazzo biondo sospirò di sollievo e sul viso gli comparve un sorriso ebete.
«Vediamo i voti!» esclamò qualcuno; Baldric gli consegnò la lista, ingiungendo di non fare troppa confusione. Gli studenti si gettarono sulla pergamena come cani sull’osso.
«Andiamo, lasciamo questa bolgia» dichiarò il Caposcuola, sgusciando via dalla confusione con qualche difficoltà. «Ho già visto i voti di tutti.»
Ben lieto di non doversi infilare nell’intreccio di braccia protese verso la pergamena, Roderick seguì il compagno in disparte. Questi aveva i voti degli amici stampati nella memoria e li riferì tutti d’un fiato. Il giovane Ravenclaw non ebbe troppe sorprese; si sarebbe aspettato qualcosa di più in Storia della Magia e in Divinazione, nonché qualcosa di meno di Difesa Contro le Arti Oscure, ma in linea di massima i voti si erano mantenuti di poco superiori alla sufficienza.
Lamia era andata bene in tutte le materie, i voti dei gemelli erano stati altalenanti, quelli di Baldric di poco superiori a quelli di Roderick, e Brayden si era salvato per un soffio dall’insufficienza in Antiche Rune.
«Dovremmo festeggiare!» esclamò Alef, allargando le braccia.
«E lo faremo» rispose Lamia con un sorriso fiducioso. «Domani ci saranno le Investiture.»

La Cerimonia delle Investiture era stata ideata dai Fondatori per investire i loro studenti stregoni. Alcuni raccontavano che l’idea fosse stata di Lord Gryffindor, dato che l’investitura a stregone richiamava quella a cavaliere, e tutti sapevano che Lord Godric fosse tanto l’una, quanto l’altra cosa. Roderick, che sui fatti di Hogwarts sapeva qualcosa in più, aveva chiarito che la proposta era giunta per prima da sua zia Rowena, Lord Gryffindor aveva suggerito di formalizzare un po’ di più il procedimento, dopodiché ognuno dei Fondatori aveva dato il suo apporto a quelle idee in fase di esecuzione.
Nessuno degli amici di Roderick aveva mai assistito a una Cerimonia delle Investiture, dal momento che avveniva dopo i corsi, e gli studenti dal primo al sesto anno erano soliti lasciare la scuola prima dello svolgimento degli esami. Nemmeno Lamia si era mai trovata a Hogwarts con suo padre per quell’occasione. Roderick invece era vissuto al castello praticamente da sempre e, sebbene non avesse avuto il permesso di sua zia di assistere, era riuscito a intrufolarsi e a dare qualche sbirciatina. Normalmente la cerimonia avveniva nella Sala Grande, ma quella volta i tre Fondatori avevano optato per organizzarla nel parco.
Roderick aveva atteso e pregustato quel momento, ma ora che era finalmente giunto sentiva che c’era qualcosa di sbagliato: Lord Slytherin non era ancora tornato e Lamia ignorava dove fosse. Si era così rivolto a sua zia per chiederle dove si trovasse, se fosse possibile riportarlo al castello in tempo o se convenisse rimandare le Investiture per dargli il tempo di raggiungerli, ma Lady Ravenclaw aveva scosso la testa e fornito risposte brevi e poco soddisfacenti.
«Sta bene?» aveva chiesto allora il giovane, pieno di apprensione.
Lady Ravenclaw lo aveva scrutato e doveva aver letto sul suo viso ciò che si agitava sotto la superficie della sua epidermide, così gli aveva posto una mano su una spalla e aveva sorriso con indulgenza.
«Sì, mio caro, non preoccuparti. Potrai vederlo dopo la scuola, se vorrai, ma lui non tornerà a Hogwarts per le Investiture.»
Lady Ravenclaw si era morsa un labbro, dopodiché non aveva aggiunto altro e si era accomiatata da lui. Roderick si era comunque tranquillizzato, probabilmente Lord Slytherin era impegnato molto lontano, ma almeno stava bene, e lui avrebbe potuto vederlo. Con quello spirito, l’idea di essere Investito anche senza di lui faceva un po’ meno impressione.
La mattina stabilita, Roderik si svegliò di scatto e in un bagno di sudore. Aveva sognato di nuovo i lampi rossi, ma quella volta il sogno gli era apparso spaventoso come quando lo faceva da bambino. Credeva di aver superato la cosa col tempo, era sempre più convinto che sognare quei lampi fiammeggianti fosse un incoraggiamento, una promessa, e infatti lui era riuscito davvero a produrre il fuoco dalle mani. Perché quell’angoscia, allora? Roderick impiegò qualche tempo per riprendersi da essa e iniziare a svolgere tutte le incombenze del mattino. Poi rifletté che forse quel sogno era stato in grado di turbarlo perché era contaminato dall’ansia per le Investiture, che si sarebbero svolte in tarda mattinata. Prese un paio di respiri profondi e tentò di scacciare definitivamente l’ansia, dopodiché ricominciò a vestirsi.
Gli studenti di Hogwarts non avevano mai portato divise, e l’abbigliamento di ognuno aveva fatto esplicitamente capire chi aveva umili origini e chi invece era di alto lignaggio. Durante le Investiture invece le cose sarebbero andate diversamente: tutti gli studenti della stessa Casa avrebbero indossato gli stessi abiti, procurati dai Fondatori in persona. Forse quella volta erano stati Lady Hufflepuff, Lady Ravenclaw e Lord Gryffindor a occuparsi del vestiario per conto del Capocasa mancante, oppure Lord Slytherin aveva già preparato tutto prima della partenza.
Roderick infilò un paio di calzoni chiari in cui erano intessuti dei fili d’argento, dopodiché indossò un farsetto verde bottiglia, punteggiato da piccole borchie a forma di serpente, anche queste d’argento. La schiena apparentemente non era decorata, ma Roderick aveva notato che se il tessuto veniva colpito dalla luce in una certa angolazione rivelava il riflesso di un grande serpente modellato a forma di “S”.
Quando ebbe finito di prepararsi, si scontrò con le figure medesimamente vestite dei suoi amici.
«Coraggio, andiamo in Sala Comune» li esortò Baldric.
Gli amici lo seguirono, e Roderick poté dare un’occhiata agli altri compagni, già seduti sui divani, o in piedi e intenti a conversare. I ragazzi erano vestiti come lui, mentre le streghe indossavano dei lunghi abiti del medesimo verde bottiglia dei loro farsetti, stretti in vita da una cintura d’argento a forma di serpente. Le maniche lasciavano scoperte le spalle e cadevano svasate lungo le braccia, anch’esse erano color argento, decorate con dei ricami verdi. Quando le ragazze si muovevano e i loro abiti catturavano i riflessi del lago, sulle loro schiene brillava la medesima “S” che avevano i loro compagni.
Tra tutte le streghe, l’attenzione di Roderick venne catturata da Lamia.
«Allora? Come sto?» gli domandò, avvicinandosi a lui con un sorriso.
Il giovane deglutì, per poi rispondere che era bellissima. E lo era davvero: la sua promessa sposa aveva raccolto i capelli sulla nuca in un nodo morbido che le lasciava scoperto il collo e le spalle. La pelle candida sembrava illuminata dai riflessi prodotti dalla collana d’argento e smeraldi che portava al collo.
Quando Roderick distolse lo sguardo dalla strega, si accorse che Baldric stava già parlando da un pezzo e si era rivolto a lui.
«Hai capito?» Da come l’amico sbatté le palpebre, inviandogli uno sguardo bovino, comprese che non aveva afferrato una parola, così, roteando gli occhi, ripeté. «Stavo dicendo che, in quanto Caposcuola, devo andare dai Fondatori prima degli altri. Con tutti voi ci vediamo nel parco non prima di mezzogiorno, d’accordo?»
Roderick annuì. Mezzogiorno? Allora aveva tutto il tempo di fare ciò che aveva in mente.
Dopo che Baldric fu uscito dalla Sala Comune, diede un rapido bacio a Lamia, dicendole che l’avrebbe raggiunta più tardi. Alla sua domanda su cosa doveva fare, rispose che sarebbe andato a parlare con sua zia prima della cerimonia.
Fuori dai sotterranei però Roderick non prese la strada che lo avrebbe portato nella torre ovest, ma attraversò la Sala Grande e fu fuori nel parco. Di fronte al Lago Nero, alcuni maghi che non aveva mai visto prima stavano sistemando il padiglione che avrebbe ospitato gli studenti che sarebbero stati Investiti. Mentre le loro bacchette tracciavano volute invisibili in aria, alcune stoffe così eteree da essere quasi trasparenti si sollevavano e andavano a depositarsi sull’impalcatura di legno dipinto che era stata predisposta. Cespugli di fiori profumati dei colori delle quattro Case incorniciavano la struttura, mentre rampicanti verdi avvolgevano il legno.
Roderick non indugiò troppo lì davanti, ma iniziò a camminare rapidamente verso la Foresta Proibita, badando di non farsi notare. Superata la prima fila di alberi, trasse la bacchetta dalla sua cintura e la infilò tra i denti. Dopodiché stese i palmi davanti a sé e inspirò. Quella volta riuscì a rievocare le pietre della Camera dei Segreti, cementate dal terrore che aveva provato, senza neanche chiudere gli occhi. Un intenso pizzicore sui palmi anticipò di un istante la coppia di palle infuocate che eruttarono da essi. Questa volta erano anche più grandi delle ultime che aveva prodotto. Avevano appena toccato terra, bruciando erba, foglie e arbusti, quando Roderick impugnò la bacchetta che aveva reso a portata di mano e soffocò il principio di incendio con un Aguamenti.




NdA: Roddy finalmente è fatto grande! Ed è riuscito in ciò che gli aveva chiesto l’amico Salazar, bravo u.u Naturalmente Lamia sta facendo la gnorri su dove si trova il padre, dato che lui gliel’aveva espressamente ordinato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22


Roderick era tornato al castello appena in tempo: la campana di Hogwarts stava diffondendo i suoi dodici rintocchi nella tiepida aria estiva. Giunto nei sotterranei, quasi si scontrò con la massa di studenti dell’ultimo anno che fuoriuscivano dalla Sala Comune.
«Eccoti qui» lo salutò Lamia, scoccandogli un’occhiata critica. Quando abbassò lo sguardo, la sua espressione si fece ancora più torva. «Ma che hai fatto? Ti sei sporcato i calzoni!»
Il ragazzo notò che in effetti il tessuto chiaro era percorso da una strisciata d’erba, inoltre piccoli frammenti di foglie e corteccia erano rimasti attaccati alla stoffa. Tentando di rimediare, il mago li scacciò via con le mani, dopodiché intervenne sulla la chiazza verde con un Tergeo.
«Ma dove sei stato per conciarti così?» domandò ancora la ragazza, ravviandogli i capelli biondo scuro passando le dita tra le ciocche. Prima che Roderick potesse rispondere, i Prefetti richiamarono l’attenzione degli altri studenti. Il giovane Ravenclaw intrecciò le sue dita con quelle della promessa sposa, dopodiché si avviò insieme ai suoi compagni lungo il corridoio. Attraversarono la Sala Grande, dopodiché uscirono nel parco. Un’intensa luce solare li inondò all’istante, inducendo alcuni ragazzi a sollevare le mani per schermarsi gli occhi. Sempre al seguito dei Prefetti, i giovani calcarono il prato, talmente curato da Harvey Keepwood che sembrava che non avesse risentito della calura estiva, e giunsero al padiglione che Roderick aveva avvistato nel recarsi nella Foresta Proibita.
I maghi che in precedenza si erano adoperati per metterlo in piedi adesso erano in piedi alle sue spalle, le loro figure vestite di bianco erano velate dai drappi di organza del padiglione. Roderick riuscì a vedere che le loro mani giunte stringevano le bacchette.
«Ma quello è lord Upstage, ed è insieme a sua moglie, sono amici di Lady Hufflepuff. Il marchese Cogent… stava appiccando fuoco al suo castello con un Ardemonio un paio di mesi fa. E quelli chi sono?» domandò Brayden, indicando una ad una le figure che nominava.
«Lui è Uric Testamatta» rispose Roderick, riferendosi a un mago, vestito di bianco come gli altri, ma che si faceva notare perché indossava una medusa come cappello.
«C’è la sacerdotessa Cliodna» disse Lamia, illuminandosi. Se c’era lei, da qualche parte dovevano esserci anche le sue Fenici.
«E Corinna la Superba» aggiunse Alef.
I suoi amici avevano ragione, rifletté Roderick: i maggiori esponenti della comunità magica si trovavano a Hogwarts per la Cerimonia delle Investiture, e avevano gli occhi puntati su di loro.
Istruiti dai Prefetti, gli studenti raggiunsero i loro Capiscuola, che erano già sistemati ai quattro angoli del padiglione.
Roderick lanciò alcune occhiate agli allievi degli altri Fondatori. I ragazzi indossavano farsetti e calzoni come i discepoli di Lord Slytherin nelle tinte del porpora e oro e con decorazioni leonine per gli allievi di Lord Gryffindor, blu e bronzo, con borchie a forma di aquila per gli studenti di Lady Ravenclaw, giallo e nero, con ricami a forma di tasso per quelli di Lady Hufflepuff. Le ragazze invece indossavano lunghi abiti dei medesimi colori, con maniche strette, svasate o sovrastate da una rete.
Nelle prime file di allievi di sua zia, Abigail Preshy aveva giunto le mani e stava a testa china. A differenza di molte sue compagne che avevano acconciato i capelli in modo vezzoso, lei li teneva sciolti sulla schiena. Roderick ricordò il buon profumo che emanavano e come fossero morbidi al tatto. Era trascorso del tempo dall’ultima volta che li aveva accarezzati, ma non abbastanza da dimenticare le sensazioni che quel gesto gli aveva dato.
I pensieri del giovane furono interrotti dall’arrivo dei tre Fondatori. Il mago e le due streghe incedevano nel prato con eleganza, muovendo le mani per salutare i loro ospiti e i loro allievi. Una musica ultraterrena e bellissima si sollevò gradualmente: le Fenici di Cliodna stavano salutando con il canto il loro arrivo.
Lord Gryffindor, Lady Hufflepuff e Lady Ravenclaw salirono su una pedana nel padiglione e il canto delle Fenici si abbassò di intensità. Un vivace mormorio si accese alle spalle di Roderick, e questi non ebbe bisogno di voltarsi per indovinare che i maghi e le streghe intervenuti alla cerimonia si stavano chiedendo come mai mancasse Lord Slytherin. Gli altri tre Fondatori sembravano ignorare il vocio: Lord Gryffindor aveva spalancato le braccia nella direzione degli studenti e degli ospiti, mentre le due streghe rivolgevano a ognuno discreti cenni del capo.
«Anche quest’anno sono onorato di darvi il benvenuto a Hogwarts!» esordì Lord Godric. La sua barba era stata accorciata e regolata per l’occasione, anche i capelli erano stati spuntati, ma continuavano a sfiorare le orecchie. L’abito che indossava era sontuoso e le pietre del suo farsetto, forse rubini, riflettevano bagliori amaranto tutt’intorno. Roderick non lo vedeva con un aspetto così riposato da mesi ormai.
«I giovani davanti a voi» disse Lady Ravenclaw, smuovendo con un gesto fluido la lunga gonna di sciamito blu dai riflessi bronzei, «si sono distinti negli ultimi sette anni per la loro capacità di apprendere e mettere in pratica quanto imparato. In questi tempi così tribolati diventa particolarmente importante sapere che ci sono giovani maghi forti e capaci, in grado di affrontare i nemici e proteggere il regno.»
«È per riconoscere la loro abilità e per premiare i loro successi a Hogwarts che abbiamo il piacere di nominarli stregoni» concluse Lady Hufflepuff. Anche lei era riccamente abbigliata, ma il modo in cui aveva raccolto i lunghi capelli biondi in una retina dorata ricordava a Roderick l’aspetto che aveva avuto quando l’aveva raggiunta nel monastero.
Terminato di parlare, i Fondatori andarono a posizionarsi davanti ai loro allievi ordinatamente schierati. Lady Hufflepuff e Lord Gryffindor salutarono i gruppi più avanzati; alle loro spalle, Lady Ravenclaw assunse una posizione equidistante tra il raggruppamento dei suoi studenti e di quelli di Lord Slytherin.
La sensazione che qualcosa non andasse si acuì nel petto di Roderick: di fronte a lui avrebbe dovuto avere il suo Capocasa, riccamente abbigliato come tutti gli altri, e con un’espressione canzonatoria rivolta a Lord Gryffindor o ai pomposi maghi alle sue spalle. Invece, se guardava dritto davanti a sé, Roderick riusciva solo a vedere le nuche degli allievi di Lady Hufflepuff.
Ad un gesto dei Fondatori, i tendaggi di organza furono percorsi da un vento comparso dal nulla e cambiarono aspetto: dal bianco uniforme passarono a una fantasia con gli stemmi di Hogwarts. I Capiscuola, seguiti dai Prefetti e poi dagli altri studenti, si inchinarono al cospetto dei Fondatori.
Roderick poggiò il ginocchio a terra come tutti gli altri, ma tentò di sollevare il capo il tanto che bastava per osservare cosa stava accadendo.
Lord Gryffinor era stato il primo a muoversi: aveva tratto il suo pesante spadone dal fodero appeso alla cintura. Quando sollevò la lama sopra la testa, questa irradiò una luce così intensa che sembrava provenire dal metallo stesso. Il mago si portò davanti al suo Caposcuola, immobile sulle tavole di legno dipinto come se anche lui avesse fatto parte dell’architettura.
«Derek Dashing, conscio della tua prodezza e della tua cavalleria, ti ammetto al mio cospetto affinché tu possa essere investito stregone. Sei pronto a pronunciare il tuo giuramento?»
Il Caposcuola  annuì nervosamente, dopodiché rispose:
«Sì, mio signore. Uno stregone giura di essere intrepido e di non temere il duello. Il suo cuore conosce solo la virtù, la sua mente conosce solo la magia insegnata dai maestri. La sua bacchetta combatte il male e difende gli inermi, la sua forza sostiene il mondo, la sua collera stermina i malvagi.»
«Giuri inoltre di sottostare alle leggi del regno, al comando del nostro re, alla chiamata del tuo Lord maestro, Lord Gryffindor?» riprese il Fondatore, muovendo un passo nella sua direzione. Quando il giovane confermò, Lord Godric alzò nuovamente la spada. «In rimembranza del giuramento fatto e ricevuto» La lama venne appoggiata sulla spalla destra «In rimembranza del tuo lignaggio e dei tuoi impegni» seguì l’accollata sulla spalla sinistra «sii un buon stregone.»
Derek Dashing sollevò la testa, ma Roderick non poté scorgere lo sguardo che stava rivolgendo al suo Capocasa.
«Alzati, stregone…» concluse Lord Gryffindor.
L’allievo tremò appena sul ginocchio, dopodiché si sollevò e si immobilizzò un’altra volta. Lo stesso rito proseguì per tutti gli allievi di Lord Godric, successivamente fu la volta degli studenti di Lady Hufflepuff. La strega ora stringeva tra le mani una lucente coppa d’oro con due manici sottili. Roderick non fece in tempo a chiedersi se fosse piena oppure no, che la Fondatrice si rivolse al suo Caposcuola. Dopo che questi ebbe pronunciato il suo giuramento, intinse un pollice nel coppa e con esso tracciò un disegno sulla fronte dell’allievo. Quando ebbe finito, il ragazzo era diventato uno stregone.
Quando Lady Hufflepuff ebbe terminato con i suoi allievi,  toccò a Lady Ravenclaw occuparsi dei propri. Anche in questo caso le parole di rito furono le medesime, ma era cambiato l’oggetto con cui la strega investiva i suoi stregoni. Essendo piuttosto vicina e soprattutto mancando file di studenti a separarli, Roderick riuscì a notare che sua zia aveva tra le dita delle scintillanti pietre blu, sicuramente zaffiri. Dopo il giuramento della sua Caposcuola, le premette le pietre contro i palmi della ragazza. Fu in quel momento che Roderick si accorse che si trattava delle pietre del suo diadema, che mancavano dalla montatura d’oro bianco che le ornava la fronte.
Quando Lady Ravenclaw ebbe finito con i suoi allievi, passò a quelli del Fondatore assente. Il primo ad essere Investito fu Baldric, che si trovava a pochi posti di distanza da Roderick. A dispetto della statuaria immobilità in cui il barone si era costretto, un muscolo della sua mascella pulsava, tradendo il suo nervosismo. Quando la Fondatrice si rivolse a lui, Roderick si accorse che gli zaffiri con cui aveva investito i suoi studenti erano ricomparsi in cima al diadema. Con cosa avrebbe investito gli allievi di Lord Slytherin?, si riscoprì a domandare ansiosamente Roderick. Per tutta risposta a quella sua domanda inespressa, la strega trasse da una delle sue maniche un medaglione d’oro massiccio. Il ragazzo riconobbe immediatamente la “S” realizzata con dei brillanti verdi: quello era l’oggetto che tante volte aveva visto al collo del suo Fondatore. Come faceva sua zia ad averlo?
Dopo l’investitura di Baldric, dei due Prefetti e di Lamia, fu la volta di Roderick. Quando sua zia gli chiese di ripetere il suo giuramento, temette che il lungo tempo trascorso in silenziosa osservazione gli avesse seccato la lingua.
«Uno stregone giura di essere intrepido e di non temere il duello» iniziò, gracchiando. Non temerò. Fulminerò il primo Danese che avrò davanti prima che possa sfidarmi. «Il suo cuore conosce solo la virtù, la sua mente conosce solo la magia insegnata dai maestri.» Un sorriso deformò le labbra del giovane mentre, con maggiore sicurezza, pronunciava quelle parole. Questa parte del giuramento dovrebbe tener fuori le Arti Oscure? Peccato che è stato proprio Lord Slytherin a insegnarcele. «La sua bacchetta combatte il male e difende gli inermi, la sua forza sostiene il mondo, la sua collera stermina i malvagi.» Aiuterò Lord Slytherin, qualsiasi sia la natura della missione che vuole affidarmi.
«Giuri inoltre di sottostare alle leggi del regno, al comando del nostro re, alla chiamata del tuo Lord maestro, Lord Slytherin?» continuò Lady Ravenclaw con voce calma.
Roderick confermò. La sua mente tornò all’ultimo ricordo che aveva di re Ethelred: la sua faccia porcina, le sue sciocche parole e la sua completa incapacità di capire la magia durante il matrimonio di sua zia. Tutto, per il mio maestro. E per il re… solo quello che il mio maestro mi ordinerà di fare per lui.
La Fondatrice gli tese il medaglione di Lord Slytherin, in modo da permettergli di baciarlo. Il contatto con le labbra rivelò a Roderick che il metallo era più freddo di quel che avrebbe potuto aspettarsi.
«Alzati, stregone.»
L’indomani mattina, Roderick fu svegliato da una sensazione di bruciore di stomaco poco dopo l’alba. Ruotò su un fianco nel tentativo di trovare sollievo, e fu lieto di riuscirci. Il giorno prima, subito dopo le Investiture, era stato tutto un banchetto senza fine. Nonostante la guerra facesse scarseggiare il cibo un po’ ovunque, la grande tavola di Hogwarts era riuscita a  riempire i suoi piatti d’oro con cinghiale alla menta, vari tipi di zuppa, spuma di mele al latte di mandorla, pane speziato, cipolle arrosto, bollito di pesce, fegatelli alle erbe e pere sciroppate al vino. Era stato tutto così delizioso che, anche se sazio, Roderick aveva continuato a mangiare per gola, e il sonno agitato di quella notte, nonché la sveglia presto, furono le conseguenze di tutto ciò che aveva ingurgitato.
Roderick sgusciò fuori dal letto e si diresse verso le tende di velluto, malamente accostate davanti alla finestra. Nel farlo, superò le sagome addormentate dei suoi compagni di dormitorio, dando loro una vaga occhiata. Non c’era da meravigliarsi che stessero ancora dormendo: i festeggiamenti erano durati fino a tardi e alcuni di loro ci avevano dato dentro in maniera singolare. Ad esempio Brayden non era abituato al vino, e suoi amici se ne erano accorti quando, al terzo bicchiere, il ragazzo aveva iniziato a ridere sguaiatamente e a dondolarsi sul posto. Roderick, che al massimo aveva bevuto un bicchiere ai banchetti organizzati dall’arciduca Bachelor, aveva preferito tenersi prudentemente lontano da quella bevanda, e aveva tenuto d’occhio Brayden. Questi però, a parte l’eccessiva ilarità, non si era comportato in maniera preoccupante, perciò i suoi amici si erano rilassati ed erano intervenuti giusto un paio di volte per evitare che si portasse alle labbra altri bicchieri colmi. Solo che Brayden doveva aver eluso la sorveglianza perché, a festa finita, aveva vomitato tutto quello che aveva ingurgitato davanti alla Sala Comune.
Alef e Ruben avevano messo gli occhi sulla stessa ragazza, un’allieva di Lady Hufflepuff dal viso rotondo e dall’aria dolce. Avevano iniziato a farsi avanti, ma, quando avevano capito di avere le stesse intensioni, si erano chiusi in un ostinato mutismo e non si erano rivolti uno sguardo per tutto il resto della serata.
Baldric aveva discusso con un Prefetto di Lord Gryffindor in merito a qualcosa che Roderick non era riuscito ad afferrare. I toni erano stati piuttosto accesi, ma il ragazzo sperava che, nella confusione del banchetto e delle danze successive, i Fondatori non se ne fossero accorti. Ad un certo punto della serata era sembrato che gli animi si fossero calmati, solo in quel momento Roderick si era accorto che il Caposcuola non era più in Sala Grande. Quando l’aveva incontrato successivamente, in Sala Comune, aveva notato che questi aveva riportato un taglio piuttosto profondo sul labbro.
«È stato il Prefetto?» aveva domandato il giovane Ravenclaw, a metà tra il preoccupato e l’indignato.
Il barone aveva risposto con un sorriso per niente rassicurante.
«Dovresti vedere cosa ho fatto a lui…»
Troppo stanco per preoccuparsi ulteriormente, Roderick non aveva approfondito. L’indomani sarebbe stato Lord Gryffindor a prendere eventuali provvedimenti, ma Baldric poteva anche passarla liscia, considerando che il Prefetto avrebbe potuto non parlare per la vergogna di ammettere di essere stato conciato da un allievo di Lord Slytherin. Così Roderick si era trascinato al dormitorio e, quando si era gettato sul letto, aveva scoperto di essere davvero, davvero stanco.
Anche lui aveva fatto qualcosa di memorabile quella sera, ma non l’aveva condiviso con gli altri. Roderick socchiuse gli occhi e gli parve di sentire nuovamente sui palmi la pressione dei fianchi di Lamia. L’euforia del banchetto e delle danze li aveva condotti fuori nel parco. Con la complicità delle tenebre, Roderick l’aveva portata lontano, tra una risata e l’altra. Metà degli ospiti era ubriaca e l’altra metà si stava scatenando in Sala Grande, nessuno avrebbe notato la loro assenza.
Era stato sorpreso quando Lamia aveva preso l’iniziativa di baciarlo, ma non l’aveva trovato spiacevole, tutt’altro. Si era fermato solo quando aveva immaginato che, se lui non aveva toccato una goccia di vino, forse per la ragazza non era stato lo stesso, ma Lamia lo aveva rassicurato. Poi gli aveva addentato un lobo dell’orecchio, sussurrandogli che di lì a poco tempo i preparativi per le nozze, di cui si stavano occupando Lady Ravenclaw e Lord Slytherin, sarebbero terminati e loro sarebbero diventati marito e moglie. Perché aspettare, se la loro unione era così vicina? Roderick aveva immerso le dita nell’acconciatura della ragazza, disfandola un po’, grato di non essere più costretto a ignorare il rigonfiamento sui suoi calzoni. L’aveva coricata sull’erba e ci aveva messo un’eternità a liberarla parzialmente dalla biancheria intima, poi era rimasto in contemplazione delle creste iliache sulla tavola pallida del suo basso ventre. Teoricamente sapeva come si faceva, ma la pratica era stata tutta un’altra cosa. Un bel disastro, a pensarci bene, ma le luci dell’alba del giorno dopo facevano sembrare tutto molto diverso. Bello, in effetti, così bello da desiderare di ripeterlo al più presto, senza l’impaccio, il dolore e il nervosismo della prima volta.
Terminato di vestirsi, Roderick lasciò il dormitorio il più silenziosamente possibile per non svegliare i suoi amici. Scacciò le immagini della sera prima dalla mente e lasciò i sotterranei, diretto verso la torre ovest. Era ancora presto, ma il ragazzo sperava di trovare sua zia già sveglia.
La sera prima, gli aveva chiesto di presentarsi ai suoi alloggi, così avrebbero potuto parlare. Roderick salì i gradini della scala a chiocciola a due a due, chiedendosi cosa mai volesse dirgli. Giunto a destinazione, bussò con discrezione. La voce di Lady Ravenclaw gli rispose prontamente.
Il ragazzo spinse via la porta ed entrò in quel luogo tanto familiare. Trovò sua zia china su un baule, intenta a ordinare con la magia gli oggetti che stava depositando al suo interno. Quando si accorse della presenza del nipote raddrizzò la schiena e lo accolse con un sorriso. Probabilmente la notte prima era andata a dormire tardi visto che gli ospiti avevano lasciato Hogwarts a notte fonda, ma aveva il viso riposato ed era perfettamente vestita e pettinata.
«Buongiorno, mio caro!» salutò, accogliendolo con un ampio sorriso e invitandolo ad accomodarsi. Roderick schivò un paio di stole, che andarono a depositarsi sul fondo del baule, e si sedette. «Domani lascerò Hogwarts» annunciò, «per questo devo riordinare le ultime cose e finire i preparativi. Ora che sei stato nominato stregone, vorrei riprendere con te il discorso sul tuo futuro. Ma trattiamo una cosa per volta. Mi avevi detto che non vuoi più restare a Hogwarts, non è vero?»
Roderick annuì. Hogwarts era stata la sua casa da sempre a quanto ricordava e le era molto legato, ma adesso sentiva l’esigenza di cambiare. Non aveva più senso soggiornarvi una volta terminati gli studi.
«Molto bene. Ti propongo di lasciare Hogwarts con me domani e di venire al castello di Beauregard. Lì starai benissimo, e l’arciduca è ben felice di ospitarti.»
Roderick accolse quell’invito con un sorriso tirato.






NdA: tutti i dettagli dell’Investitura sono miei. Lord Upstage: dall’inglese “altezzoso”, il marchese Cogent, dall’inglese “potente”. Dashing, il cognome che ho dato al Caposcuola Gryffindor, in inglese significa “focoso”. Le parole del rito dell’Investitura sono una parafrasi di quelle che venivano pronunciate in epoca medievale quando il re investiva i cavalieri. Gli oggetti usati per l’Investitura sono i simboli dei Fondatori, e quindi i futuri simpatici Horcrux.
I piatti nominati sono tipici del medioevo. In questo capitolo do un altro esempietto del caratterino di Baldric :D
Roderick ha intinto il biscotto, evviva XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Roderick lasciò sua zia Rowena con la promessa di riflettere sulla sua proposta. Dal modo in cui lei aveva sorriso, aveva capito che considerava la cosa ormai fatta. Del resto, dove altro sarebbe potuto andare? Eppure l’idea di trasferirsi dall’arciduca Beauregard non gli sorrideva neanche un po’. Non aveva nulla contro di lui, inoltre con il tempo si erano conosciuti meglio, ma dal trascorrere una o due settimane di vacanze al castello con sua zia e il marito a trasferircisi definitivamente ce ne correva. Per questa ragione Roderick aveva ottenuto un po’ di tempo per rifletterci, non tanto per trovare delle soluzioni alternative – che non c’erano – ma piuttosto per assimilare l’idea che aveva avuto Rowena.
Il ragazzo ci aveva rimuginato su per tutta la strada di ritorno ai sotterranei, così preso dalle sue riflessioni che si accorse della presenza di Lamia solo quando rischiò di andarle addosso.
Quando alzò lo sguardo su di lei, notò che era arrossita, e allora gli tornò in mente la sera prima.
«Ciao!» lo salutò, intrecciando le dita dietro la schiena e abbassando gli occhi. «Ti stavo cercando.»
Sorpreso, Roderick le inviò uno sguardo interrogativo, che lei evitò.
«Sono stato da mia zia» rispose.
Lamia gli chiese se la strega lo avesse aggiornato sui preparativi delle nozze e Roderick scosse la testa. Rowena aveva affrontato l’organizzazione del matrimonio come tutti gli altri suoi impegni: a testa bassa, con determinazione ed efficienza incredibili. Concentrata sull’obiettivo da raggiungere, aveva smesso di interpellare il futuro sposo quando, di fronte alla scelta del colore delle tovaglie, ocra o avorio, aveva chiesto che differenza ci fosse tra i due colori. Era stata Rowena a occuparsi di tutti i dettagli, interpellando di tanto in tanto Lamia, ma l’indecisione della promessa sposa si era rivelata un ostacolo al pari dell’ignoranza di Roderick, così Rowena aveva preso ad aggirare anche quella. A Lord Slytherin venivano risparmiati tutti quei futili dettagli, ma aveva partecipato alla stesura della lista degli invitati e aveva messo il suo castello a disposizione per la cerimonia. Qualche giorno prima delle Investiture, Roderick aveva scoperto che si sarebbero tenuti due ricevimenti: uno, il giorno del matrimonio, ospitato da Lord Slytherin, l’altro, il giorno successivo, al castello dell’arciduca Bachelor. Quando aveva visto le liste degli invitati all’uno e all’altro banchetto, aveva letto la conferma dei suoi sospetti: nessun Babbano era stato invitato dal suo futuro suocero. Conoscendo sua zia ed essendo consapevole dell’identità dell’uomo aveva sposato, Roderick sapeva che non avrebbe potuto tagliare fuori la nobilità non magica. Riusciva solo a immaginare le discussioni tra i due Fondatori prima di trovare un compromesso.
«Domani tornerò a casa. Ci pensi? Lasciare Hogwarts dopo sette anni…»
Lamia aveva uno sguardo vacuo, come se fosse immersa nell’osservazione di qualcosa che Roderick non riusciva a vedere.
«Già…» le fece eco il mago.
«Se per me la sensazione di lasciare la scuola è strana, immagino cosa significhi per te!» continuò.
Il ragazzo si interrogò sulla possibilità di riferirle l’ultimo colloquio con la zia, quando la strega lo anticipò.
«Mio padre vuole che tu venga con me nel Norfolk».
Roderick strabuzzò gli occhi. Finalmente. Finalmente notizie da Lord Slytherin, non ne poteva più di tutto quel silenzio da parte sua. Si sarebbe aspettato di ricevere un suo gufo, ma il mago non gli aveva mai scritto. Sapere però che aveva pensato a lui parlandone con sua figlia lo fece stare meglio.
«Con te?» ripeté, come instupidito.
Lamia gli diede uno scherzoso pizzicotto sulla spalla.
«Sì, con me! Sei sordo? Credo che debba parlarti, ma non so di cosa. Dovrai seguirmi per scoprirlo.»
Detto ciò, si voltò su se stessa, facendo turbinare la gonna di satin turchese, e gli mostrò le spalle, ma non prima di avergli rivolto uno sguardo malizioso e un movimento di fianchi. Dopodiché attraversò l’ingresso segreto della Sala Comune, ma Roderick le disse che l’avrebbe raggiunta dopo aver riparlato con sua zia.
La fortuna gli aveva appena offerto un aiuto inaspettato che lo avrebbe tenuto lontano dal castello dei Bachelor per qualche tempo ancora.
Roderick e Lamia lasciarono Hogwarts l’indomani mattina. Il giovane incantò un arbusto trovato nel parco, che li portò nella regione del Norfolk, poco distante da Norwich, e che abbandonò successivamente nell’erba. Nel punto in cui erano atterrati, i due giovani incontrarono un drappello di maghi che vestivano armature argentate e lunghi mantelli verde bosco. Roderick li riconobbe come i fedeli a Lord Slytherin. Il comandante del drappello, un mago con un’armatura più istoriata di quelle dei suoi compagni, si avvicinò ai due.
«Vi stavamo aspettando, come d’accordo. Lord Slytherin mi ha dato ordine di condurvi al suo castello.»
I soldati cavalcavano dei Grani, grigi cavalli alati con lunghe zampe che erano fasci di muscoli scattanti. Solo dopo che il comandante ebbe parlato si rese conto che un mago reggeva le briglie di due animali senza cavaliere. Aiutò Lamia a salire su uno dei due, dopodiché lui inforcò la sella dell’altro. A un ordine del comandante, il drappello partì al galoppo; dopo alcune iarde le Creature Magiche spiegarono le ali e spiccarono il volo.
Sotto di sé, Roderick vide scorrere pianure che sembravano mantelli di velluto di diverse tonalità di verde stesi al sole. Superarono dei campi e degli agglomerati di case, nonché alcune zone nere in cui dovevano essere divampati alcuni incendi. Quando i cavalli finalmente atterrarono, il comandante del drappello annunciò loro di essere giunti nelle terre di Lord Slytherin. A Roderick era stato ben chiaro anche senza le spiegazioni dell’uomo, dato che ovunque c’erano drappelli di maghi come quello che li aveva scortati lì.
Il comandante notò la sua aria interrogativa e spiegò:
«Lord Slytherin non ha abbassato la sorveglianza da quando abbiamo ripreso il Norfolk. La prudenza non è mai troppa: abbiamo scacciato i Danesi, ma quei demoni del nord non sono mai abbastanza lontani.»
Roderick fu sul punto di domandare qualcosa, quando Lamia annunciò di avere fame, e che non vedeva l’ora di riposarsi in casa. Così lei, il suo promesso sposo e il drappello che li aveva accompagnati si diressero lungo un sentiero di terra battuta, che attraversava la distesa d’erba piegata dal vento come una lama. Non una roccia, non una costruzione segnava i confini dei terreni del Lord. Come gli aveva spiegato Lamia in passato, il vero confine erano le paludi. Acquitrinose, umide, focolaio di zanzare, si distendevano a perdita d’occhio tutt’intorno ai possedimenti del Fondatore. Chiunque avrebbe evitato la natura infida di quei luoghi, Lord Salazar invece li amava proprio per quella ragione.
Cullato dal passo regolare del Granio che cavalcava, Roderick smise persino di avvertire la calura sulla pelle.
Percorsero il sentiero di terra battuta finché non raggiunsero il castello di Lord Slytherin. Questo aveva un mastio dall’aspetto tozzo, dal quale partivano delle piccole torrette, inoltre era protetto da due muri di cinta: uno più interno e una più esterno che ospitava il corpo di guardia. Superato il barbacane, degli uomini presero in consegna i loro Grani. Vennero poi accolti da alcuni servitori che li condussero all’interno del palazzo. Lì, Lamia inspirò con profonda soddisfazione, evidentemente felice di ritrovarsi a casa.
«Ah, non vedo l’ora di fare un bel bagno…» esordì.
L’attendente di Lord Slytherin la interruppe con un inchino.
«Non ora, mia Lady, sono spiacente. Il Lord vostro padre ha ordinato di condurvi da lui appena arrivati.»
La ragazza manifestò il suo disappunto con una smorfia, ma poi seguì il servitore lungo la galleria. I loro passi rimbombarono sul pavimento di fredda pietra, l’aria era impregnata dell’odore della resina delle torce spente appese alle pareti.
Salazar era chino su alcuni rotoli di pergamena stesi avanti a sé ad occupare quasi tutta la superficie del tavolo rettangolare. Tra le ciocche di capelli sulla sua nuca si insinuavano alcuni raggi solari che filtravano dalle finestre a sesto acuto alle sue spalle, bruciandogli la pelle. Infastidito, il mago si solleticò la nuca con la penna che reggeva in mano, poi la intinse di nuovo nella boccetta di inchiostro e ricominciò a scrivere.
Un lieve bussare interruppe quell’operazione e lo costrinse a sollevare la testa dalla pergamena.
«Avanti!»
La porta si schiuse, lasciando passare Herberth, il suo attendente. Questi si inchinò ossequiosamente, dopodiché annunciò:
«Mio Lord, vostra figlia e il vostro futuro genero sono qui.»
Era ora. Con un secco gesto della mano, Salazar li invitò ad entrare, dopodiché congedò l’attendente. Roderick e Lamia indossavano degli abiti da viaggio impolverati e sgualciti, inoltre dalla treccia di sua figlia sfuggivano diverse ciocche di capelli, sottratte probabilmente ai nodi dell’acconciatura dal vento.
«Benvenuti» li salutò.
«Sono felice di rivederti, padre» esclamò Lamia, accendendosi in un largo sorriso.
«Grazie per la vostra ospitalità, mio signore» disse Roderick, abbassando lievemente il capo nella sua direzione.
I tre si scambiarono qualche inevitabile convenevole sul viaggio, dopodiché Salazar consentì alla figlia di ritirarsi nelle sue stanze.
«Non tu, Roderick» specificò. «Ho bisogno di parlarti.»
Il giovane rimase immobile davanti a lui, in attesa. Il Fondatore lo scrutò bene: non mancava da Hogwarts da molto tempo, eppure aveva l’impressione che fosse cresciuto ancora un po’ in altezza. Ora le sue guance erano ricoperte da una rada peluria bionda, più chiara del colore dei suoi capelli. I suoi occhi scuri erano vigili, concentrati sul suo interlocutore.
«Ormai sei uno stregone… So che i tuoi esami sono andati bene».
«Sì, signore.» Roderick annuì brevemente, poi esitò. «Signore… perché non siete stato presente? Immaginavo che foste impegnato al servizio di re Ethelred, ma ora…»
Salazar stese le mani sulle pergamene e afferrò quella su cui stava scrivendo, giusto per prendere tempo. Il ragazzo era sveglio, lui l’aveva sempre saputo. La domanda che gli era morta in gola era più che legittima: se lui, Salazar, si trovava comodamente seduto nello studio del suo palazzo, perché non aveva partecipato alla Cerimonia delle Investiture, così importante nella tradizione di Hogwarts? Lui stesso aveva sentito la mancanza di quell’esperienza, ma era stato solo per un momento. Aveva incaricato Rowena, l’unica di cui si fidava, nonostante alla fine avesse preso le parti di Godric, di investire i suoi allievi. Non ce l’aveva con lei per quella scelta, tutti amavano Godric. Salazar sapeva bene che si sarebbe inimicato più di un mago, ma, quando non ne aveva potuto più, non aveva potuto fare altrimenti. Sapeva che non avrebbe più rimesso piede a Hogwarts e qualcuno aveva iniziato a capirlo. Roderick, seduto impettito davanti a lui, era uno di quei qualcuno. Non avrebbe negato l’evidenza con lui, sarebbe stato un insulto alla tua intelligenza.
«Vedi, Roderick…» iniziò, posando la pergamena che aveva in mano. Sono stato impegnato al servizio di quel re Babbano, ma ora non più, ringraziando il cielo. «Ho discusso con Lord Gryffindor.»
Se Salazar si fosse aspettato di vedere la sorpresa sul volto del giovane mago, si sarebbe sbagliato. Roderick continuava ad ascoltare attentamente, con la testa leggermente inclinata e lo sguardo sveglio puntato su di lui.
«Voi discutevate spesso» osservò sagacemente.
«Sì, ma questa volta è stata l’ultima. Abbiamo idee troppo diverse per continuare a collaborare.»
Roderick annuì, questa volta con più convinzione.
«Capisco.»
A Salazar bastò uno sguardo per notare che aveva capito veramente. In effetti non era un mistero per nessuno che lui e Godric avessero idee diverse, specialmente sui Babbani, ma fino a quel momento erano riusciti a convivere con quelle differenze. Una persona sagace avrebbe intuito però che a lungo andare e a furia di tirare la corda, si sarebbe spezzata. Il bello del ragazzo seduto davanti a lui era che non solo capiva la situazione, ma capiva il suo maestro.
Salazar ne era sicuro: più volte Roderick gli aveva manifestato di condividere pienamente il suo pensiero. Il mago si sentì sollevato; nonostante ciò, sapeva che non poteva affidarsi alla comprensione del giovane anche per altre cose. Decise quindi di non raccontargli di come aveva disubbidito a un ordine espresso di re Ethelred, né del fatto che aveva attaccato Godric. Probabilmente Roderick sarebbe stato dalla sua parte sempre e comunque, ma non si trattava di fatti che Salazar poteva sbandierare così senza pensieri. Non lo preoccupavano più, del resto le conseguenze non erano state affatto catastrofiche, ma conveniva essere prudenti. Re Ethelred si era infuriato, c’era d’aspettarselo. Gli aveva anche mandato contro i suoi uomini, evidentemente con l’obiettivo di arrestarlo o qualcosa di simile. Quell’idiota aveva dimostrato per l’ennesima volta di avere poco cervello quando gli aveva mandato contro dei cavalieri babbani come lui. Erano resistiti un quarto d’ora, giusto il tempo di avvicinarsi alle mura. Neanche i maghi che il re aveva inviato successivamente avevano avuto fortuna maggiore. Finalmente quel babbano mollaccione si era reso conto che nessuno avrebbe potuto competere con lui e con i suoi fedeli, solo gli altri Fondatori, eppure questi non erano intervenuti. Rowena gli aveva inviato un gufo un giorno, recante un biglietto in cui gli scriveva che Godric aveva appianato la faccenda. Non scriveva come fosse andata, ad ogni modo la storia era terminata con Godric che aveva garantito al re che Salazar avrebbe collaborato ugualmente per il benessere del regno. Forse il Fondatore aveva semplicemente fatto capire a quell’imbecille del re babbano che non gli conveniva liberarsi del mago che aveva respinto i Danesi dal Norfolk e che continuava a tenerlo.
«Di cos’altro volevate parlarmi, mio signore?» domandò Roderick.
Salazar fece scricchiolare le dita davanti a sé.
«Ci sono tante cose di cui dobbiamo parlare, ragazzo mio. Tanto per cominciare, come stanno andando gli incarichi che ti ho affidato?»
Seppe di non ingannarsi quando vide il sorriso, più simile a un ghigno, che spuntò sul volto del giovane.
«Molto bene, mio signore.»
Salazar irrigidì il busto. E lui che, proprio in quei tempi, stava iniziando a nutrire qualche dubbio sulla riuscita di quel piano. Aveva visto di cosa erano capaci i Danesi, e a volte sentiva qualcosa mordere la sua coscienza, ma poi si ripeteva che no, lui non stava usando il ragazzo.
Era arrivato a stabilire che, se Roderick gli avesse detto che non riusciva in una o nell’altra cosa che gli aveva incaricato, avrebbe lasciato perdere e sarebbe andato oltre. Invece il giovane stava sfoggiando un’espressione talmente compiaciuta da essere difficilmente equivocabile.
«Molto bene, dici?» domandò, tanto per essere sicuro. «Stai dicendo forse che…»
«Li ho perfettamente completati entrambi» lo interruppe, continuando a sorridere.
Già. Ora questo cambiava le carte in tavola, pensò Salazar, ma avrebbe avuto il tempo di pensarci con più calma.
«Molto bene, ragazzo mio, ne riparleremo. Ora affrontiamo questioni più urgenti, per esempio il tuo futuro.»
«Il mio futuro?» domandò Roderick, socchiudendo gli occhi con sospetto.
«Sì. Tra poche settimane sposerai mia figlia e diventerai mio genero. È mia intenzione concederti un appezzamento di terreno a sud. È una zona non direttamente esposta ai Danesi, ma, trattandosi di un confine del Norfolk, abbisogna di essere presidiato, ed è a te che ho pensato per questo compito. Si tratta di una zona di diverse leghe…»
«D-diverse leghe?» balbettò Roderick, profondamente colpito.
Salazar avrebbe voluto sorridere del suo stupore.
«Sì. Il terreno e il castello saranno il mio dono di nozze a mia figlia e a suo marito.» Roderick sbatté le palpebre più volte.
«Mio signore, è… più di quanto…»
«Meriti? Ti aspettassi?» concluse per lui Salazar, aggrottando le sopracciglia e prendendo a ordinare bruscamente le pergamene davanti a sé. «Non dire sciocchezze. Più tardi ti farò vedere qualche mappa e magari nei prossimi giorni ti ci porterò, così potrai vederlo con i tuoi occhi.»
«Sì, mio signore, ne sarei felice» rispose il giovane mago, abbassando la testa.
«Ma ora passiamo ad altro. Ti ho invitato per qualche giorno al mio castello, ma non puoi rimanere qui per sempre. Immagino che tu non abbia voglia di ritornare a Hogwarts, perciò quale alternativa ti resta?»
Roderick si toccò l’avambraccio e distolse lo sguardo, evidentemente a disagio.
«Il castello dell’arciduca Bachelor.»
Salazar scoppiò in una risata spontanea.
«Immagino che bruci dal desiderio di trasferirtici».
Il ragazzo rispose con uno sguardo evasivo che fu più eloquente di qualunque parola. Del resto l’arciduca era sempre un Babbano, e Roderick ne era fin troppo consapevole.
«Credo di potertelo evitare» disse Salazar, catturando immediatamente l’attenzione del giovane. «Se lo vorrai, potrai trasferirti al castello nel sud che ti ho promesso. Quando tu e Lamia sarete sposati, lei ti raggiungerà lì.»





NdA: Siamo a casa di Salazar, finalmente un cambio di location!
La piramide feudale vedeva al vertice il re, che assegnava le terre in beneficio ai vassalli; poi c’erano i vassalli dei vassalli: valvassori e valvassini. In tutto ciò, potevano esserci anche i governatori: il re o un nobile di alto rango, e i vassalli dipendevano da loro. Nella mia storia, i Fondatori, l’arciduca Bachelor e altri sono dei Governatori, perciò ora Roderick diventa un vassallo di Lord Slytherin.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24


Roderick sedeva su un grande scranno di legno intagliato all’interno di una sala del castello che Lord Slytherin gli aveva donato. La seduta era imbottita e coperta di velluto color verde brillante, ma lo schienale non era altrettanto comodo, così il giovane protettore di South Norfolk protese il busto in avanti nel tentativo di trovare una posizione migliore.
Il suo interlocutore equivocò quel gesto e si illuminò immediatamente.
«Quindi, mio signore, siete persuaso dalle mie parole?»
Roderick si irrigidì e aggrottò le sopracciglia quando tornò a fissare quell’uomo. Si trattava di una figura cenciosa e ingobbita, era evidente che aveva tentato di presentarsi al meglio dal suo signore, ma il mantello che indossava era sbiadito e macchiato in più punti. L’espressione del contadino era speranzosa, le grigie sopracciglia cespugliose erano sollevate, le labbra schiuse in un’ultima supplica.
Ai suoi lati, due maghi in armatura argento e mantello verde, assegnatigli da Lord Slytherin, tenevano le bacchette puntate contro il contadino. Alla sua destra si trovava Stepan Staunch, uno dei suoi sottoposti, impettito nella sua tunica bordata di cuoio, che scrutava l’uomo cencioso con sguardo implacabile. Era stato proprio lui a riferire a Roderick che quell’uomo aveva sottratto parte del misero raccolto che riuscivano ancora a produrre. Il contadino era stato molto persuasivo nella sua afflizione e aveva dichiarato di non aver voluto mancare di rispetto né a Roderick, né a Lord Slytherin.
Roderick non ignorava gli effetti che la guerra aveva sul commercio; il Norfolk era stato strappato ai Danesi ad opera di Lord Slytherin, ma, quando i demoni del nord dovevano battere in ritirata, si lasciavano una scia di fuoco alle loro spalle. Molti campi erano andati bruciati, molti braccianti e artigiani erano stati trucidati, e ormai non si produceva quasi più nulla. Non vi erano dubbi sul fatto che la famiglia del contadino stesse soffrendo la fame, ma Roderick sapeva bene di dover nutrire non solo loro, ma anche chi faceva pullulare di vita il suo castello, nonché gli armaioli e i soldati, maghi o Babbani che fossero.
Quando aveva potuto, Roderick aveva privilegiato i maghi naturalmente: uno di loro valeva quanto dieci armigeri dotati solo di spada o di picca, e lui doveva pensare a difendere la sua terra.
«Sono convinto di ciò che mi dici» rispose il giovane.
Staunch voltò il busto verso di lui, sgranando gli occhi e serrando le labbra. Prima che anche il contadino potesse equivocare, Roderick serrò le dita a pugno e ridusse gli occhi a due fessure.
«Nonostante questo» continuò, «il tuo rimane un gesto molto grave.»
Gli angoli della bocca del contadino piovvero pietosamente verso il basso.
«Ma, mio signore, io…»
La grande porta di quercia della sala si aprì bruscamente e un rumore di passi fece sollevare la testa ai presenti. Quattro maghi in armatura attraversarono il vasto pavimento di pietra con passo marziale, superando Staunch e il contadino senza degnargli di uno sguardo.
«Mio signore» esordì il primo della schiera, chinando il capo.
«Come vi viene in mente di entrare così impetuosamente e interrompere la giustizia del signore di queste terre?» protestò Staunch, paonazzo in volto.
Roderick sollevò una mano, imponendogli il silenzio. Con l’altra, invocò i maghi a parlare.
«Mio signore, portiamo notizie da Londra» spiegò uno di loro. Sollevò il capo e Ravenclaw incrociò il suo sguardo: fu come scrutare in un abisso. «Terribili notizie».
Roderick e gli stessi maghi che erano giunti a riferire attraversarono il ponte levatoio sul dorso dei loro Grani. Gli zoccoli dei cavalli martellarono le assi di legno con tale impetuosità che chiunque fosse stato entro qualche miglio di distanza avrebbe detto che si stava avvicinando una tempesta. L’enorme sfera di Incantesimi Protettivi che ricopriva il castello non era visibile, ma i raggi del sole che bucavano le nubi si infrangevano su di essa mandando qualche bagliore, unico indizio della sua presenza. Il protettore di South Norfolk e i suoi uomini più fidati erano gli unici a poterla oltrepassare senza dover spezzare quegli incantesimi.
Non appena furono fuori dall’area protetta, Roderick diede di speroni e il suo cavallo spiegò le grandi ali. Uno dopo l’altro, anche i maghi della sua scorta si librarono in volo.
Roderick aveva il fiato corto come se i muscoli sotto sforzo fossero i suoi, non riusciva a smettere di pensare a ciò che aveva appena sentito con le sue stesse orecchie. Tutto quello che più temevano si era infine verificato. Avrebbe preferito non crederci, si era sforzato di dubitare della veridicità della notizia fino alla fine, ma poi si era reso conto che negare ciò che era realmente avvenuto sarebbe stato da folli. Ciò che bisognava fare era agire, ed era per quella ragione che aveva deciso di precipitarsi da Lord Slytherin il prima possibile.
Non appena i cavalli alati atterrarono nelle sue terre, furono i maghi in armatura, vestiti come quelli che lo seguivano, che, riconoscendolo, interruppero l’azione degli Incantesimi di Protezione per permettere loro il passaggio.
«Devo vedere il Lord, subito» ordinò Roderick, slacciando gli alamari del suo mantello e sfilandoselo dalle spalle. I servitori di Lord Slytherin presero in consegna i loro Grani e la scorta rimase ad attendere il giovane mentre questo si recava verso lo studio del Fondatore, dove sperava di trovarlo. Ma Lord Slytherin non era lì.
Frustrato, Roderick lasciò quella stanza e, nel ripercorrere la galleria a ritroso, incontrò Lamia. Non c’era alcun sorriso a illuminare il suo volto pallido, solo un’espressione tesa che le dava un’aria angustiata.
«Oh, Rod…» esclamò alla sua vista, per poi correre ad abbracciarlo. Il giovane sentì le esili braccia della futura sposa stringersi intorno al suo torace, ma non aveva né il tempo, né la voglia di concedersi a momenti di tenerezza.
«Sto cercando tuo padre» le disse senza mezzi termini. Quando si sciolse dal suo abbraccio, l’espressione di Lamia mutò in quella che Roderick interpretò come delusione. Non voleva continuare a perdere tempo con lei, non in quel momento, quando la situazione era così critica, così le ripeté le sue intenzioni. Lamia strinse le labbra, dopodiché gli fece cenno di seguirla e lo condusse in una delle torrette che spuntavano dal mastio come funghi intorno ad una roccia.
Entrarono in una stanza con il pavimento e le travi in legno e grandi finestre aperte sulla pianura paludosa circostante. Era molto più fredda del resto del castello visto che era esposta alle correnti d’aria. Tra una finestra e l’altra erano impilate alcune gabbie, dal cui interno diverse coppie di grandi occhi gialli lo osservavano con attenzione. Davanti a una di esse, Lord Slytherin stava aprendo la piccola porta e afferrando uno dei gufi che ospitava.
«Mio Lord» chiamò Roderick, attirando la sua attenzione.
Il Fondatore lo fissò come se si fosse aspettato con sicurezza di vederlo apparire in quella torre, dopodiché finì di legare il rotolino di pergamena che aveva in mano alla zampa del gufo e lasciò che questi spiccasse il volo attraverso la cornice a sesto acuto della finestra.
«Se sei qui» iniziò, «conoscerai sicuramente il contenuto dei biglietti che sto inviando.»
Roderick non ne era sicuro, ma di certo conosceva la ragione che aveva spinto Lord Slytherin a raggiungere la Guferia; ad ogni modo, annuì nervosamente.
Il Fondatore lanciò un’ultima occhiata obliqua alle gabbie. Molte erano vuote, doveva aver spedito davvero tante lettere. Dopodiché calcò con decisione le assi di legno del pavimento e invitò il ragazzo a seguirlo dabbasso. Di nuovo in un ambiente confortevole, Lord Slytherin lo invitò a sedere. Lamia, esitante, stava per prendere posto accanto a lui, quando il padre la fermò e le chiese di lasciarli. La giovane strega scoccò un’occhiata incredula prima a lui, poi al suo promesso sposo. Era sul punto di ribattere, quando ci ripensò. Serrò le labbra, che divennero livide, e lasciò la stanza in un turbinio della gonna del suo abito.
«Bevi con me, ragazzo» disse Lord Slytherin. Senza aspettare una sua risposta, agitò la bacchetta. Le ante di uno stretto mobile sotto la finestra si aprirono e un otre scuro fluttuò attraverso la stanza, seguito da due calici di ottone. I recipienti atterrarono sulla superficie istoriata di una cassapanca che si trovava accanto agli scranni occupati dai due uomini, dopodiché Lord Slytherin versò quello che sembrava vino di ortiche e porse a Roderick il suo calice. Quando lo portò alle labbra, avvertì tutto il suo sapore intenso, con un retrogusto amaro.
  Lord Slytherin era ricurvo sul suo sedile, quasi afflosciato; stringeva tra le dita il suo calice, ma non sembrava avere intenzione di bere.
«Mio signore…» esordì il giovane, non senza qualche esitazione.
«Siamo, come si suol dire in termini tecnici, fottuti» disse il Fondatore.
Roderick non seppe cosa ribattere. Non sapeva se era rimasto sorpreso dal tono cupo che aveva usato, o da un termine che mai aveva sentito fuoriuscire dalle sue labbra. Forse ciò che era risultato ancora più disarmante era l’atteggiamento rassegnato che aveva in quel momento.
Un senso di frustrazione e odio lo pervase, bruciando ogni suo organo interno.
«Mio Lord, non posso credere che non ci sia niente da fare…»
Lord Slytherin colpì violentemente i braccioli del suo scranno con le mani strette a pugni.
«Sweyn Barbaforcuta è a Londra! Quell’idiota di Ethelred si è dato alla fuga!»
Roderick esitò un istante, aggrottando le sopracciglia.
«Veramente mi è stato riferito che il re è stato costretto all’esilio dai Danesi.»
Lord Slytherin schiaffò ancora una volta le mani sui braccioli, poi si alzò di scatto e iniziò a percorrere il pavimento della sala.
«È ovvio che la notizia diffusa sia questa, ma io non ci credo neanche un po’. Quel piccolo, stupido, grasso Babbano! È scappato come una lepre, ci scommetto il mio medaglione…»
Roderick incassò la testa tra le spalle. Lui aveva conosciuto re Ethelred e fin da subito gli aveva dato l’impressione di essere un uomo sciocco, vacuo, pavido. Non ci sarebbe stato in effetti da meravigliarsi se fosse fuggito il più lontano possibile dal pericolo. Ricordava che suo cognato era il duca di Normandia, forse era lì che era diretto. Quando esternò quel pensiero, Lord Slytherin gli diede ragione.
«Dubito che Riccardo abbia le forze e la voglia di venire in Inghilterra contro i Danesi… Allora è vero che re Ethelred sta fuggendo» realizzò Roderick.
«Non lo chiamerei più re se fossi in te» osservò Lord Slytherin con un’espressione beffarda sul volto. «Adesso il re d’Inghilterra è Sweyn Barbaforcuta.»
Fu la volta di Roderick di scattare in piedi. Stringeva i pugni mentre avvertiva una vena sulla sua tempia pulsare forsennatamente.
«No… Non possiamo permetterlo, è…»
«La realtà» completò Lord Slytherin, chinando il capo con rassegnazione.
Il furore che animava il giovane si amplificò. Non poteva credere che il Fondatore avesse veramente deciso di non reagire in alcun modo.
«Mio signore» riprese, cercando di controllare il tremore che la rabbia e la frustrazione avevano indotto nella sua voce. «Abbiamo aspettato troppo prima di agire!»
Il Lord ridusse gli occhi a due fessure e storse le labbra. Non aveva gradito quell’affermazione, ma Roderick sapeva quello che diceva e si sarebbe spiegato meglio.
«Voi, Lady Hufflepuff, Lord Gryffindor e mia zia vi siete certamente dati molto da fare, non lo metto in discussione. Ma siete sempre stati agli ordini di re Ethelred, ed è stato lui a condurci al disastro.» Su quello, sapeva che lui e il Fondatore concordavano pienamente. «Voi ed io ci siamo mossi in ritardo!»
Lord Slytherin strabuzzò gli occhi, a metà tra il sorpreso e il confuso.
«Non fingete di non sapere di cosa sto parlando: io non fingo di non sapere cosa avevate in mente per me.»
L’espressione del Fondatore divenne sospettosa.
«Lo sai?»
Roderick non riuscì a impedirsi di sbuffare.
«Certo che lo so. All’inizio credevo che aveste deciso di farmi conoscere il norreno in modo da mandarmi a parlamentare coi demoni del nord. Ad ogni buon conto, se anche questa non fosse stata la vostra intenzione, credevo e credo tutt’ora che sia utile conoscere la lingua dei propri nemici. Poi, quando mi avete chiesto di verificare se riuscivo a esplodere palle infuocate dalle mani, mi è sembrato tutto più chiaro. Ho sempre saputo che re Ethelred fosse la causa della nostra disfatta, che senza di lui, con il comando nelle mani dei quattro Fondatori, avremmo potuto farcela contro i Danesi e le loro Creature Magiche. Come arrivare a lui, sempre così protetto dalle sue mura e dai suoi uomini? Non sarebbe stato difficile: io lo conosco e non avrei avuto problemi ad accedere alla sua corte. Se gli avessi lanciato un Avada Kedavra, Lord Gryffindor o qualunque altro mago avrebbe potuto scoprire che ero stato io con il Prior Incantatio, ma se l’avessi colpito con il fuoco…»
Man mano che parlava, le labbra di Lord Slytherin si schiudevano sempre di più e le sue palpebre si ritiravano. Giunto a quel punto, lo interruppe con un imperioso gesto della mano.
«Credevi che io avessi voluto mandarti a uccidere re Ethelred?»
Fu la volta di Roderick di strabuzzare gli occhi.
«Non era questa la vostra intezione?»
«No, diamine. No!» ripeté più decisione. «Regicidio?» esclamò, come se neanche lui stesso fosse stato sicuro di aver pronunciato quella parola.
«La vostra considerazione del re non era un mistero per nessuno, e non mi stupirei se la rottura definitiva con Lord Gryffindor fosse stata per causa sua. Non ditemi che non ci avete pensato neanche per un momento» osservò Roderick, sicuro di sé, incrociando le braccia sul petto.
Lord Slytherin arretrò di un passo, continuando a osservarlo con occhi sbarrati.
«Io… sì, ci ho pensato.» Distolse lo sguardo per un istante, poi tornò a fissare il suo interlocutore; nei suoi occhi non c’era più traccia dell’orrifico stupore di poco prima. «Ma l’ho escluso nel momento stesso in cui la mia mente ha formulato quel pensiero. Ho sempre odiato quel Babbano, ma forse il regicidio era troppo anche per me, o forse l’attuazione era troppo difficoltosa e non avrebbe portato il potere nelle mani di noi Fondatori, come tu sostieni, dato che Ethelred ha un figlio vivente. Cosa avrei dovuto fare, sterminare tutti i Babbani sul suolo inglese? Non ne avrei avuto il tempo» scandì.
Roderick non riuscì a decifrare la sua espressione imperscrutabile, così non fu in grado di capire se era ironico o sincero.
«Non era Ethelred il re che avevo programmato di portare nella tomba, no…» riprese, continuando a muoversi nella stanza. «Ma Sweyn Barbaforcuta.»
Roderick serrò le labbra. Era un’eventualità che non aveva contemplato, non vedendo come fosse possibile che un inglese come lui, per altro legato a due grandi maghi difensori del paese, potesse infiltrarsi tra le schiere nordiche.
 «Hai idea dello scompiglio che avremmo portato tra i nemici se avessimo ucciso il loro capo?» domandò Lord Slytherin. Il giovane poté vedere il suo volto accendersi nel ripensare a quel piano. Era ancora dubbioso al riguardo, ma se il suo maestro l’aveva preso in considerazione, doveva aver pensato a tutto.
Una nuova sensazione incandescente percorse le viscere di Roderick, ma questa volta non si trattava di frustrazione.
«Mio signore, forse non è tutto perduto, allora. Sì, Sweyn è entrato a Londra; chi ha in pugno la capitale, ha in pugno l’intero Paese. Ma se voi mi diceste come fare a raggiungerlo, ad avvicinarmi abbastanza da colpirlo, lo ucciderei senza esitazione!»
Si sentiva il volto in fiamme e ogni suo muscolo era pronto a scattare. Lord Slytherin, di contro, aveva assunto un’espressione grave.
«Sei forse un assassino, Roderick?»
Il giovane abbassò la testa, ma non perse il contatto con gli occhi del Fondatore. Irrigidì i muscoli della mascella e rispose.
«Sarò quello che serve per liberare il mio Paese.»
Calò un silenzio che si poteva tagliare col coltello. Roderick avvertì il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, fomentato da quell’energica eccitazione che lo aveva percorso al pensiero di poter essere finalmente in grado di fare qualcosa, qualcosa di risolutivo e di epocale.
Lord Slytherin non sembrava essere intenzionato ad aggiungere altro, ma il giovane non riusciva più a sopportare quel silenzio.
«Perché alla fine avete accantonato l’idea di inviarmi dai Danesi?» domandò, rivolgendogli un cenno con il mento.
Il Fondatore attraversò lentamente la sala, per tornare a sedersi con gesti misurati. La sua espressione era inintellegibile, ma Roderick lo conosceva abbastanza da sapere che era un uomo con la lingua rapida e scattante come quella dei serpenti che parlavano con lui. Se taceva, voleva dire che esitava. E se esitava, era perché una battaglia si stava consumando al suo interno. Roderick iniziò a credere che ci fosse qualcosa sotto, e l’infuocato dinamismo che si agitava sotto la sua pelle si pietrificò all’istante.
Quando finalmente Lord Salazar si decise a parlare, si umettò le labbra e congiunse le mani sulle sue gambe.
«Tutto era programmato nei dettagli, ormai da tempo. C’è voluto molto perché organizzassi tutto, non perché ci fossero eccessive difficoltà o non ne fossi capace» spiegò, storcendo la bocca in una smorfia. «Ma perché avevo iniziato a pormi degli scrupoli.»
«Scrupoli? Di che natura?» domandò Roderick, guardingo. «Pensavate che la missione fosse troppo pericolosa? Sapete che sono in grado di affrontarla.»
«Sì, lo saresti stato» acconsentì pacatamente Lord Slytherin, inclinando leggermente la testa.
«Sapevate che avrei concordato con voi e che avrei fatto il possibile per uccidere Sweyn!» proseguì Roderick, con voce più alta.
Di nuovo il Lord annuì, seppur dopo un momento di esitazione.
«Sapevo tutto questo, Roderick. Ma devi comprendermi: avevo la sensazione di usarti e non avrei potuto permettermelo, tengo molto a te.»
Il giovane sentì a un tempo l’impulso di abbracciarlo e di colpirlo. Per non cadere in preda a nessuno dei due, continuò a sbraitare:
«Ma non mi avreste usato se fossi stato cosciente e d’accordo, come in effetti lo sono!»
Lord Slytherin sollevò una mano per ridurlo al silenzio. Quando alzò anche la testa, Roderick si rese conto che qualcosa si era spento nei suoi occhi, dando al suo viso un’aria malinconica.
«Non era solo questo che mi rodeva la coscienza. Ti avevo detto che avevo organizzato tutto, ora ascoltami e capirai. Ho da dirti una cosa che ti abbiamo taciuto per troppo tempo.»
Roderick drizzò il busto, rimanendo in attesa.
«Tempo fa, ricevemmo la notizia che i Danesi annoveravano delle Creature Magiche tra le loro schiere. Alcuni soldati le avevano viste con i loro occhi e ne avevano disegnato le figure per permetterci la loro identificazione. Ne riconoscemmo una in particolare, e quella sarebbe stata la chiave per farti penetrare negli accampamenti danesi.»
Lord Slytherin serrò le labbra e per un attimo Roderick ebbe timore che non avrebbe rivelato più niente, quando finalmente l’uomo parlò ancora:
«Si trattava di tua madre, Vistoria la Veela.» 






NdA: Staunch in inglese significa fedele. Sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo, non perché sia venuto chissà come (XD), ma perché rappresenta un po’ una chiusura del cerchio in vista della conclusione della storia. Salazar racconta finalmente la verità a Roderick, inoltre i suoi piani vengono svelati e non c’è più alcun mistero.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25


Roderick si avvicinò a una delle finestre di una stanza del suo palazzo e scrutò attraverso i vetri. Enormi nubi scure, gravide di pioggia e di lampi, si stavano addensando nel cielo; presto non sarebbe rimasto neanche un spicchio ceruleo libero. Le paludi intorno ai terreni si sarebbero ingrossate e nuovi acquitrini sarebbero sorti dappertutto.
Nell’abbassare lo sguardo, Roderick si rese conto che alcuni dei maghi in armatura d’argento e mantello verde che si trovavano sul camminamento delle mura del castello si erano voltati e lo stavano fissando. Irritato, il giovane tirò bruscamente la pesante tenda di velluto, oscurando la luce pallida e malata che filtrava dalla finestra. Con poche falcate nervose raggiunse il grande tavolo che dominava la stanza e si lasciò cadere su uno dei sedili che lo circondavano, portandosi la testa tra le mani. Dopo un po’, si abbandonò sul piano di legno.

«La verità? È quella che ti sto riferendo» ripeté per l’ennesima volta Lord Slytherin, esasperato. «Tua madre ha ucciso tuo padre in uno scatto di ira o di follia. Con una delle sue palle di fuoco gli ha fatto un buco proprio qui» disse, indicandosi il petto.
Roderick aveva sentito le sue viscere rivoltarsi a quelle parole. Era così confuso, eppure non chiese ulteriori conferme a Lord Slytherin. L’aveva fatto una decina di volte, e dalla settima lui aveva smesso di ripetere la stessa storia con gentilezza.
In quel momento, un lieve bussare li interruppe. Roderick si aspettava di vedere Lamia, invece, quando la porta si aprì, lasciò passare un uomo molto alto, dai ricci capelli castani. Aveva delle sopracciglia cespugliose e un naso adunco. Il giovane non ebbe bisogno di chiedergli chi fosse: sapeva già che si trattava di Rastor Ravenclaw, suo padre. Nessun buco dai frastagliati bordi bruciati  gli aveva aperto il petto.
Furioso, Roderick si rivoltò contro Lord Slytherin.
«Mi avete mentito! Mio padre è qui… ed è vivo!»
Il Fondatore scosse mestamente la testa. Roderick tornò a voltarsi verso Rastor e lo vide barcollare sul posto. Si premette una mano sul petto e i suoi lineamenti vennero distorti dalla paura e dall’orrore.
La luce nella stanza iniziò progressivamente a diminuire, come se qualcuno stesse spegnendo il sole.
Spaventato, Roderick protese le mani verso il genitore nel tentativo di afferrarlo. In quel momento il buio divenne totale, per venire squarciato poco dopo da alcuni lampi rossi.


Il giovane si svegliò di soprassalto e col fiato corto. Quando si passò una mano sul volto, si rese conto di essere madido di sudore.
Altri colpi risuonarono contro la superficie lignea della porta, e lì il giovane si rese conto che erano stati quelli a svegliarlo. Si alzò di scatto dal sedile e andò alla finestra, aprendo le tende. La luce riflessa gli ferì gli occhi, così lui imprecò tra i denti.
Bussarono nuovamente, e a quel punto Roderick diede il permesso di entrare.
Un Elfo Domestico si inchinò profondamente al suo cospetto non appena fu entrato nella stanza.
«Mio signore, padron Roderick, Terzo era preoccupato perché non rispondevate» squittì la creatura.
Il giovane reagì con un gesto stizzito.
«Fatti gli affari tuoi, Terzo, non voglio che ti impicci nei fatti miei» abbaiò; l’Elfo fece un salto all’indietro e iniziò a guaire.
Roderick si strinse il setto nasale tra due dita e socchiuse gli occhi, espirando. Odiava quando quell’Elfo Domestico reagiva in quel modo, eppure dimenticava sempre che fosse così sensibile. Creatura inutile, concluse mentalmente.
Dal momento che Terzo sembrava avere troppa paura per spiegare per quale motivo era venuto a disturbarlo, il padrone lo sollecitò bruscamente a parlare. La creatura mugolò un altro po’, poi disse:
«Signor padrone, Lady Slytherin è al castello e chiede di vedervi.»
Roderick distolse lo sguardo dall’Elfo. Non era affatto dell’umore giusto per vedere la ragazza e non aveva voglia di ulteriori discussioni a una settimana dalle nozze.
Da quando aveva scoperto la verità sui suoi genitori, era stato pervaso da una confusione che aleggiava nel suo cervello come nebbia e che lui non era in grado di scacciare in alcun modo. Sapere che i suoi genitori non erano morti nel ribaltamento della carrozza, come aveva creduto per diciotto anni, lo aveva sensibilmente sconvolto. Inoltre si sentiva uno stupido per aver interpretato i sogni con i lampi rossi come un presagio, quando invece erano sono un ricordo di qualcosa che aveva visto da piccolo; stupido per aver passato tanto tempo a cercare di immaginare il volto di sua madre, di sentirla vicina. Lei, in fin dei conti, era solo un’assassina.
Non aveva parlato con nessuno di ciò che provava, non avrebbe saputo da dove cominciare, e poi riteneva che si trattasse di qualcosa di troppo intimo per poter essere condiviso. A volte immaginava le espressioni di Lamia, di Staunch, degli altri sottoposti, dei suoi soldati e l’irritazione lo pervadeva al solo pensiero. Non voleva la pietà di nessuno, né voleva essere considerato uno sciocco. In definitiva, non voleva proprio essere sulle loro bocche.
«Di’ alla Lady che sono piuttosto indaffarato e non posso riceverla» disse all’Elfo Domestico.
«Ma, mio signor padrone, Lady Slytherin è qui e chiede di voi!» sottolineò la creatura, torcendo tra le lunghe dita il cencio che indossava.
«L’ho capito» rispose, caustico. «E tu allora cacciala! Non tu, magari» disse, ripensandoci, «riferisci i miei ordini ai miei uomini.»
Terzo esitò, balbettando frasi sconnesse. Seccato perché quell’essere inferiore stava continuando a importunarlo, Roderick mise mano alla bacchetta. Quando se ne accorse, l’Elfo cacciò uno strillo acuto e si affrettò a guadagnare l’uscita.
«Ma siate cortesi!» gli gridò dietro il giovane, colto da una punta di rimorso, quando Terzo era già nel corridoio.

Per tutto il resto della giornata, Roderick rimase chiuso nella stessa stanza. Quarto e Sesto, altri due Elfi Domestici, gli portarono il pranzo su un vassoio d’argento. Lui riuscì a sbocconcellare solo un po’ di carne fredda, dopodiché ordinò alle creature che si riprendessero il cibo. Il suo stomaco era chiuso e la sua mente confusa.
Aveva iniziato a piovere pensatemente e le gocce colpivano i vetri delle finestre come se si trattasse di una grandinata di sassi. Tutto quel rumore non faceva che accrescere il suo mal di testa, in compenso Roderick trovava sollievo nella penombra diffusa nella stanza, così, quando altri servitori si presentarono per accendere le torce, lui li scacciò risolutamente.
Senza le ordinarie occupazioni a tenerlo impegnato, come la giustizia, il controllo di ciò che avveniva nel possedimento e la caccia, il tempo trascorreva con una lentezza inesorabile, eppure lui non riusciva a muovere un muscolo per farlo accelerare. Aveva provato a farsi portare alcune carte e a rispondere a un messaggio di Staunch, ma non riusciva a concentrarsi: sentiva che il suo cervello stava fluttuando a mille miglia di distanza dal suo castello. Non riusciva a concentrarsi su alcun volto senza immaginare le parole che avrebbe potuto udire; il fastidio tornava a pervaderlo e preferiva così tornare a ciondolare, senza pensare a nulla in particolare. Era sprofondato in uno stato di apatia che lo stava divorando, ma non aveva la forza di liberarsene.
L’indomani mattina, Secondo gli portò dei rotoli di pergamena che erano giunti con dei gufi nei giorni precedenti, e che Roderick aveva volutamente ignorato. Si sforzò di dargli un’occhiata: la maggior parte erano di Lamia, uno era di Baldric, uno di sua zia e due di Lord Slytherin. Altri invece erano di persone che normalmente non gli scrivevano: Leana Landbridge, Derek Dashing, Fabian Farley e altri. Compagni di scuola, realizzò Roderick. Comprese la ragione di quelle lettere quando ne lesse il contenuto: erano risposte agli inviti al suo matrimonio. Alcuni comunicavano che sarebbero intervenuti, la maggior parte si scusava ma gli facevano sapere che non avrebbero potuti esserci. Il giovane non faticava a intuirne la ragione: con Sweyn Barbaforcuta a Londra, tante cose erano cambiate, e quelli non erano esattamente tempi per festeggiare.
Roderick sfogliò le missive rimanenti, quando ad un tratto il respiro gli si mozzò in gola.
Si rigirò la pergamena tra le mani, incapace di non riconoscere la scrittura obliqua che la ricopriva. Quella lettera era da parte di Abigail Preshy. Roderick la lesse avidamente, avvertendo un inspiegabile senso di urgenza premergli contro il diaframma. Quando giunse all’ultima riga, si domandò perché provasse quel senso di delusione. Era ovvio che Abby non si sarebbe presentata al suo matrimonio, cosa si aspettava?
La mente del giovane tornò a quando l’aveva baciata per la prima volta, nell’aula in disuso nella torre ovest. Sapeva che lei era stata consumata dalla voglia di cedere, ma all’inizio aveva resistito, consapevole del fatto che lui fosse già stato promesso a un’altra. A quello erano seguiti altri baci ed effusioni, finché Lamia non lo aveva liberato dalla Camera dei Segreti, e allora lui aveva allontanato l’allieva di sua zia.
Roderick rivide gli occhi inespressivi con cui lei lo aveva guardato quando le aveva comunicato la notizia. L’aveva sempre saputo, si rese conto con magone. Non aveva protestato, non aveva pianto, non si era arrabbiata, né lo aveva colpito, affatturato, o sbugiardato davanti alla sua futura sposa. Abigail aveva sempre saputo che non avrebbe mai potuto averlo davvero, e forse Roderick ne era stato consapevole. Aveva approfittato della devozione che Abby aveva nei suoi confronti e non si era curato di altro. Superare le sue resistenze e darle un assaggio di ciò che non avrebbe potuto provare più a fondo non era stato un gesto di gratitudine da parte sua, ma una cattiveria.
Roderick appallottolò bruscamente la lettera della ragazza e la gettò alle sue spalle; si affrettò subito dopo a cancellare il pensiero di lei dalla sua mente, ma scoprì con suo disappunto che non era affatto facile.
«Perfetto» sbraitò, colpendo il tavolo con un pugno. Ci mancava solo il senso di colpa nei confronti di Abigail; la confusione, l’orrore, l’ira nei confronti di sua madre e l’odio verso se stesso non erano sufficienti?
In quel momento, udì un rumore di passi concitati nel corridoio e desiderò che gli Elfi Domestici smettessero di fare confusione prima che lui potesse affatturarli. Ma quando il rumore – tonfi e tintinnii – crebbe di intensità, si accorse che non potevano essere quelle creature a provocarlo, dal momento che non indossavano cuoio e ferro.
Il giovane si diresse rapidamente verso la porta, quando questa venne spalancata da alcuni maghi in armatura che non chiesero neanche il permesso di entrare.
Roderick era sul punto di rivolgere loro un rimprovero, quando l’espressione dei loro volti gli bloccò le parole in fondo alla gola.
«Mio signore» esordì una delle guardie, chinando il capo. «I Danesi sono alle mura.»
Il cuore di Roderick mancò un battito. Gli ci volle qualche istante prima di ricordarsi di riprendere a respirare.
«Danesi?» domandò, cercando di mantenere il tono calmo e neutrale.
«Sì, uomini di re Sweyn.» Il mago aggrottò le sopracciglia chiare sotto la celata dell’elmo. «Sono una trentina di cavalieri e due Troll. Il loro comandante dice di essere venuto in pace e di voler parlare col signore di questo castello.»
Roderick strinse le labbra e distolse lo sguardo. Non aveva scelta: doveva andare ad affrontarli.
Fece cenno ai maghi in armatura di seguirlo, dopodiché uscì a grandi passi dalla stanza in cui si era confinato negli ultimi due giorni. Nel percorrere con decisione i corridoi del palazzo, tenne le dita strette intorno alla bacchetta infilata nella sua cintura.
Attraversò il cortile, dopodiché fu sul camminamento sulle mura. Appoggiò i palmi delle mani sulla solida pietra e spinse lo sguardo ai piedi delle stesse. Come descritti dai suoi uomini, una trentina di cavalieri, vestiti di cuoio e pellicce drappeggiate sulle spalle, erano schierati davanti al barbacane. Molti di loro portavano lunghi capelli intrecciati, altri erano completamente rasati. Alle loro spalle, due Troll strusciavano le clave nodose contro il suolo, senza prestare troppa attenzione a ciò che accadeva intorno a loro. Dalle loro dimensioni, Roderick dedusse che si trattasse di esemplari piuttosto giovani. Se c’erano Troll in quella compagnia, di certo doveva esserci almeno un mago.
Non appena i Danesi si accorsero che il signore del castello era apparso sulle mura, il loro capitano si portò le mani a coppa intorno alla bocca e gli gridò di essere giunti in nome di re Sweyn con intenzioni pacifiche.
Proprio come mi è stato riferito, rifletté Ravenclaw, ma lui non si fidava di quei demoni del nord. I Danesi non sembravano pesantemente armati, ma erano pur sempre dei nemici.
Roderick si risolse per scendere dalle mura per andare ad incontrarli, ma non l’avrebbe fatto da solo. Richiamò altre guardie, che andarono ad unirsi a quelle che gli avevano riferito della presenza dei nuovi arrivati e, insieme a loro, si diresse verso le stalle. Qualcuno montò dei Grani, altri degli Etoni, ma gli Ippogrifi rimasero negli stabbioli. Si trattava di Creature Magiche dall’aspetto tanto fiero quanto letale, probabilmente sarebbero state più impressionanti dei cavalli alati, ma sarebbero state più difficili da controllare, specialmente se le cose fossero andate per il verso sbagliato.
In groppa al suo Granio, Roderick lanciò un’occhiata alle sue spalle, rivolta ai maghi dietro di lui. Indossavano armature d’argento e mantelli verdi; alcuni portavano delle armi forgiate dai Folletti appese alle cinture, tutti impugnavano la bacchetta. Decine di voci bisbigliarono opportuni Incantesimi di Protezione personale mentre il ponte levatoio veniva abbassato.
Roderick spronò appena la creatura che cavalcava, immediatamente imitato dalle guardie. Giunto di fronte ai Danesi, quello che doveva essere il comandante del gruppo fece schioccare le redini del suo cavallo e si portò davanti a lui. Quando prese la parola, Roderick si accorse che il suo inglese non era troppo buono, ma non gli concesse la gentilezza di parlare la sua lingua.
«Siamo qui su ordine di re Sweyn» disse il Danese, «e portiamo la sua parola e invito da Londra.»
Roderick fece muovere qualche passo al suo Granio, mostrando al nuovo arrivato l’altro fianco. «Che invito?»
«A recare voi a Londra, insieme a Lord Slytherin, per riconoscere il re e sottomettervi.»
L’Inglese si sforzò di rimanere impassibile; il massimo che si concesse fu di sollevare appena il labbro superiore. Sotto la granitica superficie del suo volto, le arcate dentali sbatterono l’una contro l’altra. Le sue dita continuavano a stringere la bacchetta e le briglie, ma lo facevano con tale forza che solo i guanti in pelle di drago che indossava impedirono che il cuoio e il legno penetrassero nella pelle.
«Allora?» incalzò il Danese. Il suo cavallo scrollò la criniera, bionda e simile alla stoppa come i capelli dei suo padrone. «Che risposta devo riferire al re?»
Roderick non esitò un attimo. Sfilò la bacchetta dalla cintura e gliela puntò contro prima che questi potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo.
«Avada Kedavra.»
Un lampo di luce verde eruppe dalla punta della bacchetta e colpì in pieno petto il Danese. Questi si irrigidì, poi, un instante dopo, crollò dalla sella e atterrò al suolo con un tonfo pesante.
I momenti successivi furono concitati e confusi. Il cavallo di fronte a Roderick, spaventato dal lampo verde e dalla caduta del suo padrone, nitrì e tentò di sollevarsi sulle zampe posteriori, ma un incantesimo esploso da qualche punto alle spalle del giovane lo colpì al collo, recidendogli la giugulare. La bestia crollò con tutto il suo peso sul cadavere del padrone, spruzzando di sangue il viso e la tunica di Roderick.
I Danesi, sguainarono le spade e, ruggendo imprecazioni irate, spronarono i cavalli contro gli Inglesi. Lampi di diversi colori eruttarono dalle bacchette dei maghi in armatura argentea, ma qualcuno tra i nemici evocò degli Incantesimi di Protezione che ne deviarono la maggior parte. Alcuni raggi verdi e viola riuscirono però a raggiungere i loro obiettivi, mandando altri uomini a ruzzolare nella polvere.
«Mano alle spade!» urlò Roderick ai suoi uomini. Il tambureggiare degli zoccoli dei cavalli coprì i sibili delle armi tratte dai foderi. I maghi in armatura attraversarono il gruppo di nemici roteando le lame e recidendo arti e teste. Ma l’obiettivo primario era uno.
«Trovate i maghi!» ordinò infatti il padrone del castello.
I Troll si erano lanciati contro gli Inglesi, brandendo le loro mazze e mandandole ad infrangere manibole, costati, zampe dei Grani. Due uomini caddero di sella a pochi passi da Roderick e poco ci mancò che gli zoccoli del suo Granio li calpestassero. Riusì a evitarli solo perché, spronando la creatura, la costrinse a volare, o meglio a saltare e a planare di alcuni piedi. Prima di atterrare nuovamente, colpì uno dei due Troll con un incantesimo oscuro che lo mandò a imbevere il terreno con il suo sangue bruno.
Una delle sue guardie tentò di far spiccare il volo al suo cavallo alato, ma una fattura lesionò una delle ali e fece crollare al suolo la creatura, che schiacciò il suo cavaliere con la sua mole.
Roderick si voltò di scatto verso il punto da cui era partita la fattura e notò un Danese dalla barba fulva che gli arrivava alla cintura brandire una bacchetta. Prima che potesse colpirlo con la sua, cinque simultanei Anatemi lo centrarono. Il mago boccheggiò e i suoi occhi si rovesciarono nelle orbite prima che potesse afflosciarsi sul posto, per poi venire colpito erroneamente dalla clava del secondo Troll. Pochi istanti dopo, anche questo veniva colpito a morte.
I combattimenti terminarono solo quando non ci fu più nessun altro Danese in piedi. Roderick scese agilmente di sella e fu solo quando l’adrenalina dello scontro scemò che si rese conto di essere stato colpito a un braccio, anche se non gravemente.
Davanti a lui, la terra e i fili d’erba erano chiazzati di rosso. I cadaveri dei Troll sembravano parte integrante del paesaggio.
Aveva ucciso dei messaggeri, si rese conto, pulendosi con la manica il volto da sangue e sudore. Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa per un gesto tanto deprecabile, ma nel suo petto che si sollevava e abbassava, ansante, riusciva a percepire solo la gioia selvaggia di aver vinto lo scontro.
Mai avrebbe riconosciuto Sweyn Barbaforcuta come suo re, né si sarebbe inchinato al suo cospetto.
Si voltò verso le guardie e fu consapevole delle non ingenti perdite, tra uomini e Creature Magiche, che aveva subito.
«Trasfigurate questi cadaveri» ordinò con voce salda, «e seppelliteli nelle paludi.»





NdA: Roderick è comprensibilmente sconvolto. Considerato che era della pasta di Lord Slytherin e che, quando era a scuola, si era esercitato nelle Arti Oscure contro gli Elfi Domestici, è chiaro come non possa trattare bene i suoi. Inoltre in un castello gli Elfi saranno stati tanti, perciò, per non avere problemi, Roderick gli ha dato dei numeri per nome.
La grammatica delle frasi del capitano danese è volutamente scorretta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26


Roderick appoggiò il mento sui palmi delle mani e puntellò i gomiti sulla superficie di legno del tavolo. Quando si rese conto di avere la vista un po’ appannata, sbatté le palpebre con fastidio. In questo modo riuscì a mettere a fuoco un calice di ottone e una caraffa di cristallo dal contenuto rosso scuro che, quando veniva colpito dalla luce delle fiaccole, emanava bagliori che sembravano provenire da rubini liquefatti.
«Mio signore, avete bisogno di qualcosa?»
L’uomo che aveva parlato era in piedi accanto al tavolo e indossava una tunica ben tesa sul suo ventre a botte. Il viso era incorniciato da una folta barba scura, gli occhi erano piccoli e porcini. Doveva trattarsi di Oberon Orderly, l’attendente: solo lui, tra i conoscenti di Roderick, aveva un ventre di quelle dimensioni.
«No, ti ringrazio.»
Oberon esitò, torcendosi le dita come se fosse sul punto di aggiungere dell’altro, ma poi chinò rigidamente il capo e fece per allontanarsi.
«Lascia il vino» si raccomandò Roderick, accennando con la testa alla caraffa davanti a lui. «Anzi, se dovesse capitarti, manda qualcuno dalle cucine a portarmene dell’altro.»
«Come desiderate» rispose l’attendente, dopodiché lo lasciò da solo.
Roderick immaginò di aver visto un lampo di biasimo nel suo sguardo e si sentì pervadere da un moto di irritazione. In che modo pretendevano che un uomo trascorresse la notte prima delle sue nozze?
La sua stizza si trasformò quasi subito in sete e Roderick bevve di nuovo dal suo calice in ottone. Cercava di costringersi a pensare a Lamia, dato che non riusciva a immaginare un pensiero più appropriato di quello della sua promessa sposa, ma la sua mente continuava a prospettargli le immagini dello scontro consumatosi ai piedi delle mura del suo castello. Anche il vino che ondeggiava nella caraffa a ogni suo tocco sembrava sangue. Quello stesso sangue che aveva lordato la terra, i suoi abiti, il suo volto e i suoi capelli.
Fottuti Danesi, pensò, versandosi dell’altro vino.
Quella contro il loro contingente non era stata una battaglia degna di questo nome, ma si era trattato della prima volta in cui Roderick aveva ucciso. Eppure, contrariamente alle sue aspettative, questo pensiero non pesava più di tanto nel suo animo. Ogni volta che tornava a visualizzare le morti, le mutilazioni e le ferite a cui aveva assistito, si sentiva infiammare dallo stesso senso di morbosa eccitazione che aveva provato allora. Dopo che Sweyn si era impossessato di Londra, era ovvio che avrebbe offerto ai signori rimasti la possibilità di inginocchiarsi davanti a lui, ma, nonostante se lo fosse aspettato, Roderick aveva reagito nel modo più brusco possibile.
Maledetto Sweyn Barbaforcuta, e maledetto Ethelred! Roderick bevve ancora dal suo calice.
Era stato quel Babbano a provocare la guerra e poi a condurli alla loro sconfitta. Quando pensava ad entrambi i sovrani, Roderick si sentiva pervadere da un odio che rischiava di mandarlo a fuoco.
Il giovane allungò nuovamente le dita verso il calice, ma calcolò male la distanza e lo colpì con il dorso della mano, facendolo rovesciare. Imprecando, si alzò di scatto dallo scranno che occupava per evitare che il vino, spandendosi sul tavolo, gli finisse addosso. Con un altro gesto brusco afferrò il calice e fu tentato di scagliarlo contro il pavimento, ma poi vi rinunciò.
Ora che era in piedi, si sentiva stranamente lucido. Non aveva più la vista appannata e ogni cosa era dotata di contorni netti e chiari ai suoi occhi. Mosse un passo e avvertì una sensazione di vuoto tentare di inghiottirlo, così si resse al tavolo, stringendone il bordo fino a farsi sbiancare le nocche. Forse il suo corpo non era ancora consapevole della sua capacità di resistere al vino, ma la sua mente sì. Di colpo ogni cosa appariva nitida come non lo era mai stata nelle ultime settimane.
Roderick aveva vissuto chiuso in quella stanza con la sola compagnia dei fantasmi di Rastor e Vistoria Ravenclaw. Eppure solo ora, all’indomani dello scontro con i Danesi, si rendeva conto che aveva sbagliato a lasciarsi tormentare in quel modo da loro. Non era il momento, non ancora: una minaccia più grande incombeva su di lui e su tutti quelli che conosceva, e si rifiutava di ignorarla o di cedervi come aveva fatto invece Lord Slytherin. Non c’era tempo per disperdersi in memorie fittizie e stralci di un passato perduto: un presente più terribile lo minacciava, un presente dal colore vermiglio del sangue che era schizzato dalle gole dei Danesi arrivati alla sua porta. La sua casa! Roderick non l’avrebbe consegnata a nessuno, né avrebbe abbassato la sua testa al cospetto di uno straniero.
Il giovane mosse alcuni passi, via via più sicuri, verso la finestra e aprì i vetri. La fresca brezza notturna invase immediatamente la stanza, scompigliandogli i capelli e invadendo i suoi polmoni. Roderick respirò profondamente e avvertì subito i benefici dell’aria frizzante farsi strada nel suo cervello; ragionare divenne ancora più facile.
Il contingente danese si era presentato da lui per riferire un messaggio, ma non avrebbe più fatto ritorno dal suo re per riferire la risposta. Sweyn si sarebbe accorto dell’assenza protratta dei suoi uomini, forse non subito, ma prima o poi sarebbe accaduto e non avrebbe avuto difficoltà a risalire all’ultimo castello a cui erano stati inviati. Presto o tardi, altri Danesi sarebbero arrivati, più numerosi, più agguerriti, più spietati, e Roderick non avrebbe potuto sopraffarli con facilità. Nessun altro signore si sarebbe schierato al suo fianco. Forse Lord Slytherin avrebbe condiviso le sue ragioni, ma era un uomo pratico, e Roderick l’aveva già visto farsi da parte dopo che Sweyn Barbaforcuta aveva preso Londra. Sua zia Rowena, Baldric e gli altri suoi amici non erano nella posizione di prendere le sue parti, e comunque Roderick non voleva metterli in pericolo.
Possibile che, uccidendo quei messaggeri, avesse firmato la sua condana a morte? Roderick rifiutava di crederci, eppure un brivido ghiacciato si diffuse lungo la sua schiena. Gli venne in mente una lunga serie di imprecazioni, una più scurrile dell’altra, ma inveire non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Ripensò alle parole che gli aveva rivolto Lord Slytherin quel giorno, nel suo castello, quando Roderick aveva scoperto più di una verità. E allora gli venne in mente una soluzione che invece da qualche parte l’avrebbe portato.
Rianimato da quel pensiero, tornò al tavolo e si versò dell’altro vino, felice di non aver gettato via il calice. Incapace di controllare la sua mano destra, questa lo alzò in un brindisi a un commensale invisibile, poi Roderick scolò tutto il suo contenuto in alcune lunghe sorsate.
Il piano era folle, il fallimento piuttosto probabile, ma non era detta l’ultima parola. Le altre possibilità, che potevano essere considerate potenzialmente meno rischiose, finivano ugualmente con il suo collo su un ceppo. Deciso a mettere in pratica il prima possibile ciò che aveva pensato, scrisse un biglietto, lo vergò con la sua firma, dopodiché si diresse nella guferia e lo legò alla zampa di un barbagianni che spiccò il volo poco dopo. Fatto ciò, tornò nella stanza che aveva occupato nell’ultimo periodo.
Espirando, il giovane si accasciò su un sedile. Immediatamente, si sentì inghiottire da un senso di vuoto. Era incredibile come in un castello di quelle dimensioni, abitato da decine e decine di altre persone, si sentisse così solo. Ma lui non si sarebbe intristito il giorno prima del suo matrimonio, si disse qualche istante più tardi. Si alzò così di scatto e si recò nel suo studio. Afferrò, uno dopo l’altro, i rotoli di pergamena che si trovavano sullo scrittoio, finché non trovò quello che cercava. Lasciò cadere a terra tutti gli altri e iniziò a rigirare tra le mani la lettera, cercando l’indirizzo del mittente. Nel leggerlo, non lo riconobbe, ma poi si diede dello sciocco per non averci pensato prima. La famiglia di Abigail era stata spazzata via quando erano ancora a scuola, ovvio che lei non abitasse più nella casa che era stata data alle fiamme dai Danesi.
Roderick ritornò nelle sue stanze e recuperò il mantello più bello che aveva, o almeno quella era la sua intenzione, ma, al buio, le sue cappe si assomigliavano tutte. Se lo gettò alle spalle e infilò la bacchetta nella cintura, dopodiché uscì dal palazzo. Attraversò il cortile interno, quasi totalmente silente nella notte, e fu alle stalle. Incontrò qualcuno a cui lasciò detto di essere diretto in un posto, ma, tra l’oscurità e gli effetti del vino, non riconobbe di chi si trattava. Afferrò le redini del suo Granio, dopodiché scagliò contro di lui e contro se stesso un Incantesimo Dissimulante. Salì in sella alla creatura e diede di speroni, inducendola a spiccare il volo.
L’aria notturna gli sferzò dolorosamente il viso, ma Roderick non se ne curò. Il Granio sbatteva ritmicamente le ali e quel movimento sollecitò fastidiosamente il suo stomaco. Per fortuna la sua destinazione non era tanto lontana, così atterrò prima di dover pregare di non vomitare.
Era incredibile, si disse Roderick, mentre sentiva un arbusto scricchiolare sotto i suoi stivali. In tutti quei mesi non aveva mai avuto idea che Abigail fosse stata lì vicino. A saperlo prima, forse non avrebbe aspettato così tanto prima di recarsi da lei.
In cima alla collina si trovava un casale rurale costruito in pietra e legno, una sola delle finestre era illuminata. Accanto all’edificio principale si trovavano quelle che dovevano essere delle stalle. Roderick richiamò alla mente alcuni ricordi del periodo scolastico: Abigail gli aveva detto di avere uno zio materno, probabilmente il giovane si stava dirigendo verso la sua abitazione.
Man mano che il casale si avvicinava, pensò a quanto fosse stata sciocca l’idea di recarsi lì dopo il crepuscolo. Non era ancora notte fonda, ma non era ugualmente momento di visite, specialmente in quei tempi in cui i conflitti erano terminati, ma i nemici continuavano a percorrere le campagne come lupi.
Cosa avrebbe dovuto dire allo zio di Abigail?, pensò mentre superava la palizzata che circondava l’area in cui si trovava il casale. Alla fine si risolse per continuare a camminare, magari nel percorso fino all’abitazione gli sarebbe venuta un’idea.
Aveveva raggiunto le stalle e nessuna ispirazione l’aveva colto, così passò una mano sul muso del suo Granio per farlo fermare. Indugiando sotto il plenilunio che rischiarava la collina quasi a giorno, si sentì molto più stupido di quando gli era venuto in mente per la prima volta di recarsi da Abigail.
Aveva appena deciso di tornarsene al suo castello, senza alimentare ulteriormente il suo imbarazzo, quando un cigolio e una lama di luce proiettata a terra lo immobilizzarono sul posto. Di fronte alle stalle dove si trovava, non era in grado di scorgere chi fosse uscito dal casale. Magari, chiunque fosse, sarebbe rientrato presto, senza nemmeno accorgersi della presenza di Roderick. Un rumore di passi in avvicinamento però rese ben presto chiaro che quel qualcuno si stava dirigendo proprio verso le stalle.
Con lo stomaco annodato, il giovane rimase in attesa. Il suo cavallo alato però raspò il terreno con lo zoccolo, e un “chi va là” nervoso venne sussurrato a poca distanza.
Abigail aveva appena svoltato l’angolo, protendendo il secchio di biada come se fosse stato uno scudo. Quando riconobbe Roderick, lasciò cadere il recipiente. Sbatté le palpebre e aprì e richiuse la bocca più volte, senza però riuscire ad articolare nulla. Fu solo dopo qualche istante che si rese conto del danno che aveva fatto, così si accovacciò per rimettere nel secchio la biada che aveva fatto cadere.
Alla vista della ragazza, abbigliata semplicemente e con il consueto, tanto familiare, aspetto dimesso, le viscere di Roderick si sciolsero e allora ogni ulteriore dubbio del mago svanì. Con poche falcate la raggiunse, dopodiché la aiutò a sollevarsi da terra.
«Rod…» soffiò lei, scrutandolo con occhi sbarrati. Era così pallida che sembrava aver visto un fantasma.
Incapace di trattenersi oltre, premette le sue labbra contro quelle di lei. Le sue erano fredde e sottili, ma fu come assaggiare la propria pietanza preferita dopo tanto tempo. Il secchio cadde per la seconda volta al suolo quando le braccia di Abigail circondarono il collo del mago.
Quando i due si staccarono, Roderick poté vedere che lei era rossa in faccia, aveva gli occhi lucidi e l’espressione febbricitante.
«Mi sei mancata» le sussurrò semplicemente. Ed era vero. Nell’istante in cui l’aveva baciata, i mesi in cui era rimasto lontano da lei erano stati cancellati.
«Che ci fai qui a quest’ora?» le domandò, sorridendo.
Abigail si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e assunse un’aria colpevole.
«Questo pomeriggio ho dimenticato di dare da mangiare ai cavalli» spiegò, «e non volevo che mio zio se ne accorgesse, così sono uscita a provvedere adesso che si è ritirato nella sua stanza…» Sollevò il suo sguardo sul giovane, come se solo in quel momento avesse compiutamente realizzato che era lì accanto a lei. «Tu, piuttosto, che ci fai qui?»
Roderick cancellò il sorriso dal suo viso, rimasto improvvisamente a corto di parole. Recuperò il secchio con la biada e lo rimise nelle mani di Abigail, dopodiché, stringendo le redini della sua cavalcatura, la condusse nelle stalle. Gli stabbioli erano spaziosi, tre per lato, ma solo quattro erano occupati. Uno ospitava un mulo, un altro un palafreno, mentre gli altri due erano occupati da altrettanti cavalli da tiro. Abigail diede loro da mangiare, mentre Roderick faceva entrare il suo Granio in uno degli stabbioli vuoti.
«Hai finito?» le domandò. La ragazza scosse la testa, spiegandogli che doveva ancora controllare il fienile. Questo era adiacente alla stalla, emanava tepore e profumava di buono. La strega incantò alcune balle di fieno e così fu in grado di ordinarle facilmente. Quando ebbe finito, lei e Roderick si sedettero su una di quelle.
«Non hai ancora risposto alla mia domanda» riprese Abigail, corrugando le sopracciglia.
Roderick intrecciò le sue dita con quelle di lei prima di rispondere:
«Domani mi sposo.» A quelle parole, Abigail sottrasse la mano alla stretta. La sua reazione irritò Roderick: cosa si aspettava? Aveva ricevuto l’invito al matrimonio come tutti gli altri, doveva conoscere la data delle nozze. «Volevo salutarti un’ultima volta.»
Abigail, che aveva ruotato il busto in modo da offrirgli la schiena, gli lanciò un’occhiata scettica.
«Non ne posso più di essere guardato in questo modo» sbuffò il mago. Non aveva bisogno di diffidenza, ma di coraggio per affrontare ciò che aveva in mente.
«Mi dispiace, Rod…» rispose Abigail, addolcendo un po’ l’espressione.
Il giovane l’afferrò per le spalle, facendo pressione con le sue dita sul semplice abito di panno che indossava, senza tuttavia farle del male.
«Ho bisogno di baciarti adesso, sapendo che non potrò farlo mai più.»
La strega lo fissava dritto negli occhi, con un’intensità tale da fargli desiderare un maggiore contatto.
«Hai bevuto» constatò storcendo il naso. «Il tuo fiato puzza di vino.»
«Stai insinuando che sono ubriaco? Sì, lo sono.» Provò a baciarla di nuovo, ma lei si sottrasse. Ruotando gli occhi, Roderick disse ancora:
«Non perdere tempo a domandarti se è stato il vino a condurmi qui, o se è stato qualcos’altro. L’unica cosa che ti serve conoscere è il bisogno di te che ho in questo momento.»
Roderick si chiese se fosse ancora diffidenza ciò che le rendeva le iridi traslucide, ma qualsiasi pensiero scivolò via dalla sua mente quando avvertì nuovamente la pressione umida delle labbra di Abigail sulle sue e il tocco delle dita di lei sul collo.
Roderick si alzò improvvisamente, mosso da un senso di urgenza del quale non conosceva la fonte. Si tolse il mantello e lo stese su un gruppo di balle di fieno che si trovavano un po’ più in alto rispetto al punto in cui si erano seduti. Abigail si alzò a sua volta e, prima che potesse fare domande, il giovane riprese a baciarla. Quando strinse le mani intorno alla sua vita, si accorse che stava tremando. I baci di Roderick divennero gradualmente più voraci man mano che si allontanavano dalle sue labbra e scendevano lungo il suo collo. Quando la sentì gemere, capì di non poter più aspettare oltre. La issò sulle balle di fieno coperte dal mantello e le alzò la gonna, domandandosi se fosse vergine. Resasi conto delle sue intenzioni, la strega trattenne il fiato, poi tentò di scacciarlo con fiacche quanto poco convincenti spinte contro il suo petto. Roderick si aprì le brache e le allargò le gambe, iniziando ad accarezzarla.
«Domani ti devi sposare…» L’ultima protesta di Abigail risuonò nel fienile con la sua voce alterata, poi, quando Roderick la prese, la ragazza non parlò più.
«Domani moriremo» le sussurrò all’orecchio. «Tutti e due.»
La mattina seguente, Roderick avvertì il mal di testa prima ancora di aprire gli occhi. Quando sollevò le palpebre, si rese conto che si trovava nelle sue stanze, ma si era addormentato su uno scranno poco distante dal letto, con la testa poggiata sul mantello ripiegato e con i piedi sul baule.
Provò a sollevarsi, allora la testa prese a vorticare e ogni palmo del suo corpo iniziò a dolergli. Appoggiò le mani su un mobile addossato al muro e si specchiò nella lastra di ottone appesa alla parete. Questa gli rimandava l’immagine di un volto scavato sul quale era cresciuta una barba bionda disordinata e non troppo folta, sovrastata da due occhiaie che incorniciavano un paio di occhi arrossati.
Mosse le labbra e le sentì riarse, così si versò l’acqua contenuta nella caraffa che era stata riempita dagli Elfi Domestici la sera prima. Solo dopo quell’operazione si rese conto che di lì a poco avrebbe dovuto sposarsi.
Si ripulì il volto e si rasò alla meno peggio, incapace di togliersi il pensiero di Abigail dalla mente, poi indossò gli abiti della sera precedente, ripuliti dal fieno, e scese dabbasso.
Non appena il suo attendente e i suoi servitori l’ebbero visto, i loro volti furono percorsi da espressioni interrogative tendenti al critico. Roderick si accorse che, in fondo alla sala, c’erano anche Staunch e altri sottoposti come lui. Le donne non vollero sentire obiezioni e spinsero il giovane signore nuovamente nelle sue stanze per costringerlo a indossare l’abito da cerimonia che era stato cucito per l’occasione. Incapace persino di parlare, Roderick si fece vestire come se fosse stato una bambola di pezza.
Poco dopo, arrivarono anche sua zia Rowena e l’arciduca Bachelor. La strega si accorse del colorito pallido del nipote, ma si accontentò della spiegazione che questo le diede: era semplicemente nervoso. E questo corrispondeva a verità.
Una colonna di Grani, addobbati con il serpente di Lord Slytherin e l’aquila di Lady Ravenclaw, spiccò il volo, seguita dalla carrozza volante, trainata da sei Abraxas, che ospitava Roderick e i Bachelor. Giunsero rapidamente al castello del Lord che sarebbe presto diventato suo suocero, addobbato con fiori candidi che intonavano delicate canzoni, vessilli che garrivano al vento, Cespugli Farfallini, cascate d’argento che tendeva allo smeraldo e di bronzo che tendeva allo zaffiro.
Quando Roderick scese dalla carrozza, le sue ginocchia tremarono, così lo dovettero sorreggere. Il suo seguito rideva e faceva battute sull’emozione che aveva afferrato il promesso sposo, Rowena era l’unica preoccupata, ma il nipote la tranquillizzò nuovamente.
Erano in ritardo, così quasi lo spinsero nella cappella. Mentre ne percorreva il pavimento, Roderick non badò alla folla che osservava il suo passaggio. Lamia si trovava davanti al celebrante, splendida in un abito candido ricamato d’argento che le scendeva lungo la corporatura sottile. A quella visione, Roderick accelerò il passo, quasi corse verso di lei, ignorando i mormorii, le battute, la musica fuori tempo.
Lamia dapprima gli sorrise, poi intuì che qualcosa non andava.
«Non posso più sposarti» le disse, prima che la ragazza potesse anticiparlo.
La strega si irrigidì e sollevò il labbro superiore in un’espressione che Roderick non riuscì a decifrare, ma che aveva qualcosa di ferino.
Gli invitati avevano fatto silenzio, così le parole del mago erano rimbombate in tutto l’ambiente, rimbalzando da una parete all’altra, rintoccando nel suo cranio, aumentando il mal di testa.
L’espressione di Lamia ora era rabbiosa e gli occhi erano umidi di lacrime; Roderick non poteva sopportare di vederla piangere, né di ricevere uno schiaffo in pieno volto, così le voltò le spalle e si rivolse a Lord Slytherin.
Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva, ma non ci riuscì. Nessuna spiegazione uscì dalla sua bocca. Roderick strinse le palpebre e si Smaterializzò.






NdA: Orderly in inglese vuol dire “attendente”. Roderick è un futuro maritino coi fiocchi u.u E, facendogli piantare Lamia all’altare, realizzo anche l’ultimo prompt.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27


Roderick riapparve accanto alle stalle, davanti l’espressione esterrefatta dello stalliere che, bacchetta alla mano, stava dando da mangiare ai cavalli alati.
«Mio signore…» balbettò, sbigottito.
Roderick non voleva che gli chiedesse della cerimonia, né voleva perdere del tempo prezioso dandogli inutili spiegazioni, con il rischio che l’orda di invitati inferociti lo raggiungesse. Madido di sudore e con le mani smosse da un incontrollabile tremore, afferrò un ferro di cavallo che giaceva a terra, dimenticato. Impugnò la bacchetta, la puntò contro quell’oggetto ed esclamò: «Portus!»
Un turbinio di colori e immagini confuse fece da sfondo alla familiare sensazione di strappo all’ombelico. Quando i contorni dello scenario tornarono definiti, il rinnovato contatto con il terreno quasi lo fece cadere. Ritrovato l’equilibrio, Roderick iniziò a correre, e corse fino a sentire i polmoni in fiamme, le gambe doloranti e la milza a pezzi. Attraversò gli Incantesimi di Protezione che circondavano il suo castello e urlò alle sue guardie di abbassare il ponte levatoio. Gli uomini in armatura d’argento obbedirono, non senza un attimo di esitazione.
Roderick si sentì particolarmente miserevole nel percorrere, da solo, le assi di legno del ponte. Le guardie gli lanciarono delle occhiate interrogative, ma il giovane ordinò loro di non fare domande. La cosa non fu altrettanto semplice una volta giunto all’interno del palazzo. Il ricevimento per le nozze era stato organizzato al castello di Lord Slytherin, ma anche la dimora dei futuri sposi era stata decorata con qualche addobbo a festa. Non appena ebbe calpestato il pavimento del salone d’ingresso, dalla pietra si sollevarono delle enormi forme luminescenti generate dalla magia. Si trattava di una grande aquila color bronzo che stringeva tra gli artigli un serpente smeraldo. Quando l’uccello spiccò il volo, il rettile scivolò dalla sua stretta e iniziò a danzare sinuosamente intorno a lui, per poi svanire entrambi in una pioggia di scintille multicolori. Quella vista provocò la nausea in Roderick. Ciò che seguì però lo fece stare peggio: un coro di “padrone, signore” fuoriuscito dalle gole di tutti coloro che avevano un lignaggio troppo basso per poter partecipare al matrimonio e al successivo banchetto, e che erano perciò rimasti al castello di Roderick.
Man mano che quelle stesse persone si rendevano conto che il giovane era rincasato prima del previsto e soprattutto da solo, le esclamazioni perdevano in giubilo, ma guadagnavano in curiosità, risultando ugualmente fastidiose alle orecchie del giovane.
Non era giunto il momento delle spiegazioni, non ancora, e se Roderick fosse stato fortunato – o sfortunato, da un altro punto di vista – non sarebbe mai arrivato. Così mise a tacere come poteva le persone che gli ponevano domande e tentò di allontanarsi da loro il prima possibile. Quando riuscì a chiudersi la porta delle sue stanze alle spalle, seppe che aveva lasciato fuori anche i mormorii, ma questi sarebbero perdurati e cresciuti nel silenzio che lui aveva fornito come unica giustificazione.
Prima di poterselo impedire, Roderick si era lanciato sul materasso imbottito del suo letto e aveva serrato le dita sugli occhi. I postumi della sbornia gli avvelenavano le labbra e la lingua e gli facevano dolere la testa, il senso di colpa gli divorava lo stomaco. Per un attimo tentò di figurarsi le espressioni dei suoi invitati, dei suoi amici, di Lady Ravenclaw, di Lord Slytherin, di Lamia. Forse avrebbe dovuto dire alla ragazza che era incapace di sposarla perché non voleva coinvolgere lei o suo padre in ciò che aveva in mente.
Roderick non seppe dire quanto tempo trascorse sdraiato sul letto, ma ad un certo punto dovette costringersi ad alzarsi, rinunciando al sollievo di sentire la testa sostenuta da qualcosa. Aveva pianificato di lasciare il castello una volta ricevuta la risposta alla lettera che aveva inviato la sera precedente, ma ora doveva anticipare tutto. Non poteva restare ancora a lungo, lo sarebbero venuto a cercare. Anzi, si disse il giovane, era strano che Lord Slytherin non si fosse già presentato, buttando giù il ponte levatoio del castello che gli aveva così gentilmente concesso in vista del matrimonio con sua figlia. Quel pensiero acuì l’impressione di essere solo un vile traditore della fiducia di tutti, ma Roderick si impedì di indugiarvi troppo. Il tempo in quel momento era un lusso e lui non poteva permettersi di sprecarlo.
Sollevò la bacchetta e mormorò: «Accio bisaccia.»
Il baule ai piedi del letto si scoperchiò e ne fuoriucì una sacca marrone con il fondo rinforzato in cuoio. Utilizzando altri Incantesimi di Appello, la riempì con un paio di ricambi d’abito, un mantello e una pesante coperta, dopodiché rimpicciolì magicamente la bisaccia e la appese al suo collo. Uscito dalle sue stanze, si imbatté nel suo attendente e in alcuni Elfi Domestici, ma li mise a tacere tutti con un secco gesto della mano. Riuscì a liberarsi degli Elfi, ma Oberon Orderly lo seguì fin nelle cucine.
«Mio signore» ripeté ancora una volta, muovendo convulsamente le labbra dietro la sua barba. «Mi dovete una spiegazione!»
Roderick si arrestò bruscamente e aggrottò le sopracciglia. «Io non ti devo proprio niente. E ora smettila di farmi domande, altrimenti ti cucio la bocca con un incantesimo.»
Oberon parve rendersi conto di aver oltrepassato il limite, così chinò la testa e chiese venia. Nemmeno gli Elfi Domestici indaffarati intorno al paiolo, il cui contenuto ribolliva, posero ulteriori domande, così Roderick poté prendere comodamente tutto il cibo di cui aveva bisogno e infilarlo nella bisaccia che aveva legato intorno al collo. Nel compiere quell’operazione, si domandò se fosse il caso di lasciare detto qualcosa per chi di lì a poco sarebbe venuto a cercarlo. Alla fine si risolse per tacere.
«Preparami un Granio» ordinò all’attendente; questi annuì e lasciò le cucine. Poco dopo, Roderick fece lo stesso, organizzò rapidamente le ultime cose e uscì nel cortile interno. Lì, lo stalliere lo attendeva tenendo le briglie di cuoio inciso della sua cavalcatura. Roderick aveva già infilato un piede in una delle staffe, quando la voce di Orderly lo richiamò.
«Non ho intenzione di spiegarti nulla, sono stato chiaro?» sbraitò, schiumando di rabbia.
L’attendente gli chiese perdono e gli porse un rotolo di pergamena.
«Mio signore, è arrivato un gufo con questa lettera per voi.»
Il cuore di Roderick mancò un battito. Agguantò quel pezzo di carta come se si stesse ricongiungendo con un frammento di se stesso, poi lo  infilò nella bisaccia senza aprirlo. Non era il momento di leggere quella lettera, non davanti ai suoi uomini.
«Grazie. Mi hai servito bene, Orderly» concluse, dopodiché diede di speroni e il Granio spiccò il volo.
Londra era più lercia dell’ultima volta in cui vi aveva messo piede. Melma mista a liquami e ad altri residui delle ultime battaglie si ammassava ai lati delle strade, spinta via dagli zoccoli degli animali e dalle ruote dei carri. Il cielo plumbeo sovrastava costruzioni malandate, dai pozzi si spandeva un disgustoso lezzo di decomposizione e bambini macilenti chiedevano l’elemosina a ogni angolo. Roderick si ritrasse prima che uno di questi potesse afferrargli il bordo del mantello, poi spronò il suo Granio, deciso a proseguire.
La città aveva un aspetto molto diverso rispetto a quello delle campagne e delle paludi del Norfolk che lui era abituato a conoscere, cosa che gli fece intendere quanto fosse stato fortunato a non essere stato direttamente coinvolto dalla guerra. Fino ad ora, rifletté il giovane.
Infilò la mano nella piccola bisaccia che teneva legata al collo e i suoi polpastrelli sfiorarono il rotolo di pergamena che conteneva. Da quando aveva lasciato il suo castello, ripeteva sempre più spesso quel gesto, come se il timore e il dubbio in agguato tendessero a fargli dimenticare ciò che si era prefissato, e solo il contatto con quella lettera gli permettesse di ricordarlo.
Non ci mise molto a raggiungere il castello di re Ethelred. Notò che le guardie sul camminamento avevano perlopiù capelli chiari e barbe lunghe, alcune le portavano addirittura intrecciate. Quando queste gli domandarono chi fosse, Roderick rispose senza alcuna esitazione, dopodiché estrasse il rotolo di pergamena e lo sventolò nella loro direzione. Fu abbastanza perché le guardie gli permettessero l’ingresso.
«Il figlio di Vistoria» ripeté uno dei Danesi sollevando il sopracciglio biondo che sovrastava l’occhio ceruleo.
Roderick annuì ancora, porgendogli la lettera perché la guardia la leggesse, ma l’uomo la respinse con un gesto secco.
«Non so leggere» spiegò rudemente.
Quello tuttavia non rappresentò un intoppo: dopo che Roderick aveva scritto a sua madre, questa gli aveva risposto con più rapidità ed entusiasmo di quel che si sarebbe aspettato, e aveva avvisato il re dell’arrivo di suo figlio. Le guardie, che erano state messe in preallarme, non opposero obiezioni, solo vollero trattenere la bacchetta di Roderick. Il giovane si era aspettato una precauzione del genere, così gliela consegnò prontamente, anche se si sentì nudo dopo essersene separato.
Roderick venne scortato all’interno del palazzo. A differenza delle abitazioni circostanti, l’edificio non reacava i segni della violenza degli invasori. E come avrebbe potuto? Re Ethelred era fuggito prima di poter ordinare una resistenza.
Le guardie introdussero Roderick in un ampio salone con poca mobilia e con ricchi arazzi appesi alle pareti. Il giovane era intendo ad osservare la trama dei fili di uno di questi, quando un rumore di passi lo costrinse ad alzare la testa.
Una donna dai capelli color oro pallido che le arrivavano a metà coscia si stava avvicinando. Era piuttosto alta e aveva una corporatura flessuosa, la sua pelle risplendeva come neve sotto il sole, gli occhi erano turchesi, grandi, sgranati. Roderick non ebbe bisogno di chiederle il nome per capire chi fosse.
Aveva rapidamente pianificato di arrivare a quel momento, ma non aveva preso in considerazione la reazione che avrebbe dovuto avere nell’incontrare Vistoria. Avrebbe dovuto gettarsi tra le braccia della madre che non aveva mai conosciuto? Roderick non riusciva a non pensare ai lampi rossi che aveva sognato in tutti quegli anni, perciò non mosse un passo. Fu la Veela a rompere qualsiasi indugio, percorrendo di corsa la distanza che li separava, facendo fluttuare le gonne color prugna e gettando le braccia al collo del giovane. Roderick si sentì un pezzo di granito, incapace di muovere un muscolo, ma Vistoria parve non dare peso al fatto che lui non aveva ricambiato la stretta. Quando si sciolse dall’abbraccio, gli afferrò il viso tra le mani e gli sollevò un ciuffo di capelli biondo scuro dalla fronte.
«Sei tu… Sei proprio tu, Roderick!» esclamò con voce vibrante.
Il mago distolse lo sguardo e annuì. La Veela lo strinse nuovamente a sé e gli baciò la fronte.
«Quanto tempo è passato» constatò in un soffio. «Ma ora siamo di nuovo insieme, ed è questo ciò che conta.»
Sua madre sembrava aver dimenticato che erano stati separati per tutti quegli anni perché lei lo aveva abbandonato, ma Roderick non ci tenne a ricordarglielo. Deglutì a fatica e le manifestò la gioia che provava per averla ritrovata. Vistoria lo prese per mano e gli rivolse un sorriso raggiante.
«Vieni con me, voglio presentarti a re Sweyn e al principe Knut. Saranno felici di conoscerti.»
Roderick non oppose resistenza quando lei lo guidò fuori dal salone, ma era comunque molto incerto. Non aveva preventivato di incontrare immediatamente il capo danese, cosa avrebbe dovuto fare? Le cose si stavano svolgendo troppo in fretta.
«Ma, madre» osservò il giovane, «non sono atteso!»
Vistoria gli rispose con una risata cristallina.
«Oh, mio caro, non ho bisogno di un appuntamento per essere ricevuta dal re!»
Giunsero finalmente nella sala del trono, le cui porte si aprirono celermente per far entrare madre e figlio. Arrivato ai piedi del monumentale scranno, Roderick appoggiò un ginocchio a terra e chinò il capo, ma non abbastanza da non riuscire a scrutare il re. Sweyn Barbaforcuta aveva una corporatura formidabile: spalle larghe, un ampio torace, braccia grosse come tronchi e una statura invidiabile. Aveva lunghi capelli biondi, che però al confronto con quelli di Vistoria sembravano spenti e stinti, e lunghi baffi della medesima tinta, intrecciati sopra una folta barba. Il suo abbigliamento non aveva niente a che vedere con quello che il giovane era abituato a vedere addosso a re Ethelred: si trattava di funzionali brache di lana e una lunga giubba di cuoio borchiato. Non c’era nessuna corona tempestata di gemme a ornargli la fronte.
In piedi accanto a lui si trovava quello che Roderick identificò con sicurezza come suo figlio. Knut aveva le stesse spalle larghe del padre, ma la corporatura appariva più asciutta. I capelli castani arrivavano a sfiorargli il collo e la barba che gli copriva le guance era regolare e ben curata.
«Miei signori.» La voce di Vistoria risuonò nella sala cristallina come uno squillo di tromba; solo in quel momento Roderick si accorse che la madre non si era inchinata. «Sono felice di presentarvi mio figlio.»
Alle spalle dello scranno occupato da re Sweyn, una mezza dozzina di Danesi in abbigliamento militare sollevò lo sguardo verso il giovane e sua madre, ma Roderick ignorò tutti loro. L’unico sguardo su cui era concentrato era quello di Sweyn, e l’uomo lo stava osservando con perforanti occhi verdi. Si sollevò dallo scranno, scese i tre gradini di pietra e si avvicinò al ragazzo. Roderick poté notare che lo sovrastava di tutta la testa.
«Ti assomiglia, Vistoria, ma non come immaginavo» rilevò il re, rivolgendosi alla Veela in norreno. Roderick rispose nella stessa lingua.
«Avete ragione, mio signore: molti sostengono che assomiglio a mio padre.»
Non gli sfuggirono le espressioni sorprese che gli rivolsero gli altri presenti nella sala, ma, quando tornò a portare la sua attenzione su re Sweyn, si rese conto che questi non era sbalordito come gli altri. Un altro tipo di espressione affiorava sul suo volto, ma Roderick non riuscì a decifrarla, probabilmente perché nascosta sotto tutta quella peluria.
Barbaforcuta mosse qualche passo intorno al giovane, osservandolo come un pesce scruta un pezzo di pane caduto nel lago, dopodiché congiunse le mani.
«Roderick, figlio di Vistoria, sei il benvenuto alla mia corte e nella mia dimora.»
Il mago si morse la lingua e si sentì prudere le mani. Quel castello non era la sua casa, e si sentiva fremere al pensiero che quegli invasori si fossero già appropriati di tutto e si considerassero i padroni. Tuttavia non esternò i suoi pensieri, ma si limitò a chinare il capo e a rispondere tutta la sua gratitudine per una simile accoglienza. Vistoria strinse nuovamente la sua mano e si lasciò andare a un tremito eccitato. Sembrava una bambina, vista in quello stato.
Quando re Sweyn parlò ancora, fu per indire un banchetto in onore del figlio ritrovato della Veela. Roderick fu stupito da un simile onore, così tanto da non riuscire a trovare subito le parole per ringraziarlo ancora.
«Nel frattempo che infervono i preparativi» disse Vistoria, «potrei accompagnare mio figlio in giro per il castello!»
Il re le lanciò un’occhiata obliqua, dopodiché accordò il suo permesso. La Veela trascinò Roderick fuori dalla sala del trono, conducendolo di nuovo per mano.
«Sono così felice che tu sia qui!» esclamò ancora una volta, mentre percorrevano lunghe gallerie dagli alti soffitti. «Ma come facevi a sapere come trovarmi?»
Roderick si era aspettato una domanda del genere, perciò rispose con sicurezza. Aveva deciso che quella volta non avrebbe mentito.
«È stato per via di mia zia Rowena… Ha visto alcuni ritratti delle creature al seguito dei Danesi fatti da alcuni soldati e ti ha riconosciuta.»
Vistoria aggrottò le sopracciglia, storse la bocca in una linea sottile e si affrettò a cambiare argomento. Roderick si era aspettato e aveva sperato in quel tipo di reazione. La Veela aveva ucciso suo marito e perfino lei doveva sapere che sua cognata non glielo avrebbe mai perdonato.
Piuttosto che rivangare un passato scomodo, Vistoria preferiva proiettarsi al futuro, raccontando le meraviglie che avrebbero assaggiato al banchetto e progettando il loro futuro alla corte di re Sweyn. Roderick ascoltò pazientemente ogni parola, grato del fatto che in questo modo avrebbe evitato domande scomode.
Il pomeriggio trascorse rapidamente e, quando arrivò la sera, alcune servette presero in consegna Roderick per fargli il bagno. Il giovane fu sollevato alla vista dell’ampio catino in cui era stata versata acqua calda, il viaggio era stato piuttosto stancante e non vedeva l’ora di darsi una ripulita, ma non volle essere assistito dalle servette e si lavò da solo. Nella sua mente, i lineamenti di Lamia e di Abigail si confondevano, e non voleva essere toccato da mani diverse da quelle delle due giovani donne. Tanto Lamia quanto Abigail appartenevano però al passato ormai, e Roderick avrebbe fatto meglio a non pensare più a nessuna delle due.
Una volta che si fu asciugato, il giovane si vestì con gli abiti che il sovrano gli aveva fatto portare.  Erano di lana e la tunica aveva una doppia manica.
Roderick uscì dalla stanza che gli era stata messa a disposizione e si avviò verso la sala dei banchetti. Ricordava piuttosto chiaramente dove si trovasse, inoltre venne guidato dalla musica, sempre crescente, che proveniva da essa. Giunto finalmente a destinazione, fu accolto dal principe Knut in persona. Era abbigliato in modo molto simile a lui, cambiava solo il colore delle vesti. Anche sua madre Vistoria si era cambiata e indossava un lungo abito verde pallido che le lasciava le spalle scoperte. Appariva ancora più bella rispetto a quando aveva accolto Roderick, e nessuno dei commensali sembrava immune al suo fascino. Il mago lo intuiva da come orientavano il corpo verso di lei, dal modo in cui le ponevano delle domande solo per sentirla parlare e dai sorrisi che avevano mentre la ascoltavano, ma tutti erano ben attenti a non esagerare, e lui si chiese la ragione di quel comportamento. Non fece in tempo a rispondersi, che re Sweyn gli fece cenno di accomodarsi alla sua destra. Sua madre sedeva alla sinistra del re.
I servi portarono nella sala numerose portate, perlopiù cacciagione, e Roderick sentì l’acquolina in bocca. Prima di iniziare a mangiare, re Sweyn afferrò il suo boccale e lo portò in alto.
«Brindo a te, giovane Roderick. Tua madre mi ha riferito che hai molti pregi, spero che, col tempo, me li mostrerai tutti.»
Il mago sollevò a sua volta il suo calice e rispose:
«Lo farò, maestà.» Molto presto, aggiunse mentalmente.






NdA: Ci avviamo alla conclusione della storia con un ulteriore cambio di location: Londra. Roderick si ricongiunge a sua madre, ma è chiaro che trama qualcosa u.u Bravo bimbo.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28


L’indomani mattina, Roderick impiegò qualche istante per rendersi conto di dove si trovava. Il letto in cui era sdraiato aveva un materasso tanto morbido quanto il suo, ma non c’era una cassapanca ai suoi piedi, inoltre era orientato in maniera diversa rispetto alla porta e alla finestra della stanza. Il giovane si mise a sedere e si rese conto che anche le coperte erano diverse dalle sue e, a ben guardare, l’arredamento di quell’ambiente gli era totalmente estraneo. Udì dei rumori fuori dalla sua porta: servette che parlottavano tra loro mentre sbrigavano le loro faccende. Una di loro nominò re Sweyn, e tutto fu drammaticamente chiaro nella mente di Roderick. Ricordò improvvisamente la fuga dal suo matrimonio e dal suo castello, l’incontro con sua madre e con il re danese, il banchetto al palazzo reale.
Si passò una mano sul volto e non si sorprese nell’accorgersi che era madido di sudore freddo. Si era infiltrato nei nemici, era in mezzo a loro. La sera prima era stato piuttosto facile brindare con re Sweyn, ma ora, dopo una notte di sonno, si sentiva come uno scalatore bloccato ad alta quota, incapace tanto di salire ancora, quanto di ridiscendere a terra.
Roderick si alzò e si vestì, ancora agitato, ma, dopo che ebbe finito di lavarsi, si sforzò di calmarsi. Non aveva fatto tutta quella strada per niente, non aveva ucciso dei messaggeri e lasciato una sposa sull’altare per essere imprigionato in una sontuosa camera da letto dalla sua stessa paura. Inspirò profondamente un paio di volte, poi, quando il suo ritmo cardiaco si fu regolarizzato, affrontò la porta e uscì nel corridoio.
La colazione si tenne nella sala del banchetto, che era stata accuratamente ripulita e riordinata dalla sera prima. Quando Roderick ne varcò la soglia, re Sweyn, già seduto al tavolo, gli fece cenno di sedersi accanto a lui. Solo dopo che ebbe mosso qualche passo sul pavimento di pietra, Roderick si accorse che sua madre Vistoria, seduta al suo fianco, con una mano reggeva il calice da cui beveva, mentre l’altra era distrattamente posata sul braccio del Danese. Il giovane distolse lo sguardo e si sedette sullo scranno all’altro fianco del re.
«Hai dormito bene, mio caro?» gli domandò Vistoria. I lunghi capelli biondi erano stati acconciati in una mezza coda che terminava con una treccia, i suoi occhi erano luminosi e attenti.
Roderick annuì, poi iniziò a piluccare il cibo che aveva davanti a sé, ma lo stomaco era strettamente annodato.
Dopo la colazione, il sovrano e suo figlio, il principe Knut, si ritirarono insieme ad alcuni comandanti dell’esercito per discutere di alcune questioni. Roderick avrebbe dato qualsiasi cosa per seguirli e ascoltare i loro discorsi, ma sapeva che l’essere entrato nella corte del re non faceva di lui un suo uomo. Se tutto fosse andato bene, Sweyn avrebbe iniziato a fidarsi di lui gradualmente, e Roderick iniziò a pensare a qualcosa per accelerare i tempi. Le sue riflessioni furono però interrotte dalla madre, che gli prese la mano e lo fece alzare dal tavolo dei banchetti.
«Il re è occupato, ma io e te possiamo fare un giro per il castello! Magari possiamo avventurarci anche fuori dalla mura, se una scorta potrà seguirci.»
A Roderick nessuna delle due proposte andava a genio, ma sapeva di non avere scelta, così seguì la madre. Questa volta lei parlò poco, ma volle sapere dal figlio tutto ciò che aveva fatto in quegli anni. Il mago raccontò così degli studi a Hogwarts. Parlò dapprima stentatamente, a disagio nel raccontare dettagli di sé a quella che era praticamente un’estranea, ma poi le parole uscirono più agilmente dalle sue labbra, interrotte giusto di tanto in tanto da frequenti esclamazioni deliziate o da qualche scoppio di risa di Vistoria.
Terminato che ebbe di raccontare delle Investiture, Roderick tacque, incapace di trovare altri argomenti di conversazione. La Veela lo condusse nel cortile del castello e si sedette accanto a lui su una panca di quercia intagliata. L’aria era pervasa dall’odore di terra bagnata e dalle voci delle persone impiegate al castello.
«Dimmi di più» lo esortò Vistoria, intrecciando le dita sul ginocchio, incassando la testa tra le spalle e rivolgendogli un sorriso malizioso.
«Non c’è molto di più» rispose Roderick, facendo spallucce. Probabilmente sapevano già del suo legame con Lord Slytherin, ma, nel caso in cui si fosse sbagliato, non sarebbe stato lui a rivelarlo, esponendo così il Fondatore. «Ti mostrerei qualche incantesimo che ho imparato, ma non ho la mia bacchetta. Credi che potresti farmela riavere?» domandò con finta noncuranza.
Vistoria ignorò volutamente il quesito, si avvicinò ancora di più a lui e sbatté le ciglia nella sua direzione.
«Oh, deve esserci dell’altro. Sei un ragazzo molto bello, non a caso sei mio figlio» disse, accarezzandogli il mento. «Non riesco a credere che un giovane avvenente come te non abbia l’amore di una fanciulla.»
Roderick strinse le labbra. A quell’ora, Lamia doveva odiarlo, e Abigail… molto probabilmente pure, si rese conto.
«Non lo so» rispose con franchezza. Ma io ne amo una, avrebbe voluto aggiungere. Parole che non uscirono mai dalle sue labbra.
Vistoria ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.
«Non sarà un problema, vedrai» gli disse, sorridendogli maliziosamente e osservandolo avidamente con i suoi occhi chiari. «Se le donne inglesi non si fanno avanti, probabilmente ti innamorerai di una Danese. A dispetto delle apparenze, non è gente fredda.»
«E tu ne sai qualcosa, di ciò che prova la gente del nord, non è così?» domandò seccamente Roderick, prima di riuscire a impedirselo. Vistoria sollevò le sopracciglia chiare e schiuse le labbra, apparentemente senza capire il riferimento del figlio. Poi la comprensione si fece gradualmente strada nelle sue iridi e le impedì di articolare una risposta.
Un rumore di passi sul selciato del cortile costrinse entrambi a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra e a voltarsi. L’oggetto dell’allusione di Roderick avanzava con suo figlio Knut al suo fianco, seguito da un piccolo drappello di Danesi armati di lancia, arco e frecce.
«Ti cercavo, Roderick» esordì il re, raggiungendolo con un paio di ampie falcate. «Stiamo uscendo per una battuta di caccia, seguimi, se vuoi.»
Il giovane mago non riuscì a credere alle sue orecchie. Per quanto rude e ben lontano dai costumi inglesi, quello articolato da re Sweyn era un autentico invito. Per il suo secondo giorno a Londra, era ben più di quanto avesse osato sperare.
Roderick scattò in piedi, tenendo le braccia rigide lungo i fianchi.
«Ma certo, altezza, è un onore per me.»
Barbaforcuta gli lanciò un’occhiata obliqua, dopodiché gli voltò le spalle per ordinare al suo seguito di procurare alcuni cavalli. Quando tornò a rivolgersi a Roderick, non aveva perso la sua aria enigmatica.
«Pare che un cinghiale indemoniato infesti questi boschi» disse, indicando un punto imprecisato alla sua destra con un vago gesto della mano.
«È vero» gli fece eco Vistoria, in piedi accanto al figlio. Mentre rispondeva al re, il suo sguardo non aveva abbandonato il profilo di Roderick. C’era provocazione in quegli occhi, come se volesse sfidarlo a dire qualcosa sulla relazione che aveva intessuto con il capo danese. Il mago affondò le mani nelle tasche delle brache, e fece spallucce. In fin dei conti non gli interessava in quale letto si infilasse sua madre. Dopo ciò che aveva fatto a lui e a Rastor, niente l’avrebbe resa peggiore di quel che era. Non gli era chiaro da dove gli fosse nato quel moto di stizza che l’aveva condotto a parlarle in quel modo, ma non aveva intenzione di alimentarlo. Non quando la vicinanza e la concordia con Vistoria erano così utili per i suoi propositi.
«Il popolino non fa che ripetere altro» continuò re Sweyn, «con il terrore negli occhi e la schiuma alla bocca. Dicono che sia impossibile da uccidere. Da un Inglese, forse, ma non da noi.»
Concluse la frase con una risata bassa e gutturale, alla quale Roderick si costrinse a unirsi.
«Ma certo, maestà» finse di concordare, «la gente di qui non è abituata a bestie più pericolose di un cervo. Al di là del mare invece dovete essere avvezzi a creature ben più minacciose.»
Re Sweyn inclinò appena il capo, e in quel gesto Roderick lesse interesse, così continuò a parlare di ciò che sapeva sulle terre del nord, calcando su quanto quelle genti fossero vigorose e senza paura. Parlò anche quando giunsero gli altri Danesi con i cavalli, continuò quando lasciarono il castello e si infilarono nei boschi. Quando iniziò a udire delle grida più simili a un ruggito che a un grugnito, tacque. Strinse le dita intorno all’arco che gli aveva dato il re, rimpiangendo di non avere con sé la sua bacchetta.
Quando il drappello di cacciatori tornò al castello, anticipato da una muta di cani latranti, re Sweyn e Roderick vennero accolti come eroi. Vistoria baciò entrambi e Knut diede al mago una pacca di approvazione su una spalla. Dal canto suo, questi era solo sollevato per essere sopravvissuto. Demoniaco o no, quel cinghiale era stato un avversario davvero formidabile, che aveva messo in difficoltà alcuni dei migliori cacciatori danesi, tra cui lo stesso sovrano. Roderick aveva cacciato spesso insieme a Baldric, ma mai senza la bacchetta. Colpire la bestia con un Avada Kedavra sarebbe stato semplice, ma con frecce e arpioni non era la stessa cosa e in particolare in un momento, quando si era trovato faccia a faccia con l’animale, aveva temuto per la sua vita. Tuttavia era riuscito a evadere da quella foresta senza nulla di più grave di qualche graffio e senza aver prestato un contributo essenziale alla battuta di caccia. Alla fine era stato re Sweyn a uccidere la bestia con un potente colpo d’ascia sul collo, ma Roderick era stato festeggiato ugualmente. Pareva infatti che si fosse trovato nel posto giusto al momento giusto, e che avesse così permesso che il cinghiale venisse accerchiato. Sapeva che si era trattato di una combinazione fortunata, ma non ci tenette a spiegarlo ai Danesi.
«Tuo figlio è un cacciatore» tuonò re Sweyn dopo che Vistoria si fu staccata da lui.
La Veela giunse le mani sotto il mento e sorrise, osservando il figlio come se lo vedesse per la prima volta. Knut fece eco al padre, per poi invitare Roderick ad aiutarlo a trasportare la carcassa dell’animale.
Quella sera, i cacciatori vennero degnamente festeggiati. Il cinghiale venne impalato e messo ad arrostire su un grande fuoco, mentre alcune serve cospargevano la carne con un sugo aromatizzato che doveva essere il risultato di una ricetta danese. Il grasso colava sulle braci, facendole scoppiettare allegramente e sprigionando tutto il suo appetitoso aroma nell’aria.
«I cantori parleranno delle gesta di Sweyn il Cacciatore!»
L’esclamazione di Vistoria costrinse Roderick a staccare gli occhi dai fianchi anneriti dalle fiamme del cinghiale. La Veela sedeva accanto al re, come al solito, e gli accarezzava un avambraccio mentre questi sorseggiava un grande boccale di birra.
Come se un nuovo appellativo possa far dimenticare che si tratta di Sweyn il Conquistatore, pensò Roderick stringendo le labbra. Poi anche lui si concentrò sul suo boccale e bevve.
Non era abituato alla birra, che per i suoi gusti aveva un sapore troppo amaro, ma in tempo di guerra il vino aveva scarseggiato e i commerci non erano ancora ripresi. Inoltre la birra era molto più vicina al costume scandinavo, perciò non fece commenti ad alta voce e si limitò a tracannare quel liquido scuro e torbido. Quando si sollevò per l’ennesimo brindisi a re Sweyn, la sua testa prese a girare. Gli tornò in mente lo stato di ubriachezza in cui era caduto prima di andare a cercare Abigail, i fumi alcolici che lo avevano annebbiato mentre le aveva sollevato le gonne. Sapeva che se avesse continuato a bere sarebbe stato preda dell’incertezza e del timore che accompagnava silentemente il suo soggiorno londinese, e quella sera non ci sarebbe stata nessuna Abigail Preshy a confortarlo. Così allontanò da sé il boccale e accolse con sollievo la prima fetta di cinghiale che gli venne servita. Ben presto scoprì però che gli effetti della bevanda alcolica si erano insinuati nel suo cervello senza che il cibo nel suo stomaco potesse scacciarli. Il mondo era ancora nitido intorno a lui, i cantori, sua madre, re Sweyn, il principe Knut, il cinghiale sfrigolante, le patate arrosto nel suo piatto, i bagliori delle fiamme. Eppure il senso di incertezza richiamato dalla birra era riemerso prepotentemente, e lui non riusciva a pensare ad altro. Sentiva che quella battuta di caccia lo aveva avvicinato al re, ma ancora era troppo poco. Desiderava un maggiore contatto, la possibilità di restare da solo con lui, ma nello stesso tempo li temeva. Si trovava in una sorta di limbo in cui era difficile stare, una zona intermedia tra il pericolo e la più tranquilla sicurezza. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa se non voleva restare per sempre in quella zona tormentosa. Forse l’indomani avrebbe potuto proporre qualcosa, se non risultava troppo sfacciato.
A una settimana dalla fortunata caccia al cinghiale, Roderick non era ancora riuscito a fare ciò che si era prefissato. Tuttavia ebbe modo di avvicinarsi ancora di più al sovrano danese, in particolare grazie all’aiuto inconsapevole del principe Knut e di Vistoria la Veela. Il giovane scandinavo infatti sembrava provare un’istintiva simpatia per lui, e il fatto che fossero piuttosto vicini d’età rendeva scontato che trascorressero del tempo insieme. Ogni volta che Knut andava da qualche parte, Roderick lo seguiva. Il principe aveva una risata ragliante molto simile a quella di Baldric; ogni volta che il mago lo sentiva ridere ripensava alla tranquilla spensieratezza dei tempi andati. I due avevano gli stessi gusti in fatto di passatempi, così per Roderick fu piuttosto piacevole stargli dietro. Ogni volta che Knut faceva qualcosa con suo padre, anche il mago era dei loro, con profonda soddisfazione per il risultato che era riuscito a raggiungere. Ma quella che osò di più fu sua madre Vistoria. Un giorno, dopo che Roderick era tornato da una cavalcata col principe, la Veela aveva constatato che era davvero bello vederli insieme, inoltre si assomigliavano abbastanza da sembrare fratelli, e magari un giorno lo sarebbero diventati davvero. Il ragazzo non aveva risposto, ma aveva assimilato la notizia con attenzione. I sentimenti contrastanti con cui l’aveva accolta erano durati meno di un battito di ciglia, poi Roderick si era concentrato lucidamente sul significato delle parole della madre. Probabilmente Vistoria sarebbe riuscita a farsi sposare da re Sweyn, mentre in base alla sua opinione era meno facile che il sovrano riconoscesse suo figlio. Tuttavia non era nulla di impossibile, la Veela era in grado di far fare qualsiasi cosa agli uomini. Fu la stessa Vistoria a procurare a Roderick nuove occasioni per stare in compagnia di re Sweyn, nell’ottica del perseguimento di quello che il giovane aveva capito fosse il suo obiettivo.
Il mago non poteva dire di essersi totalmente guadagnato la fiducia di Sweyn Barbaforcuta, la gente del nord sembrava diffidente per natura e il re lo era quanto tutti i suoi sudditi messi insieme, eppure aveva notato che qualcosa si stava iniziando a smuovere nell’algido sovrano. Non sapeva se per merito della sua amante o di suo figlio, o di entrambi. Se il loro intervento era riuscito ad avvicinarli, risultando così un importante aiuto, d’altra parte però si stava rivelando un ostacolo: Roderick non era mai da solo con il re. La soddisfazione dei tempi iniziali si stava trasformando in frustrazione, e il giovane stentava a controllarla.
Una mattina uguale a tante altre che aveva trascorso al castello londinese, Roderick terminò di fare colazione con il re, il principe, la madre e altri. Quando si sollevarono dai sedili, il sovrano e i membri del suo consiglio si accomiatarono dal resto della corte per discutere le loro questioni. Diversamente dal solito, però, Vistoria si affrettò a trattenere Sweyn per un braccio, per poi bisbigliargli qualcosa all’orecchio. La Veela aveva un sorriso eccitato sul volto, mentre il sovrano era impassibile come al solito. Annuì brevemente, dopodiché si liberò dalla stretta di lei e seguì i magnati fuori dalla sala.
Roderick rimase seduto al suo posto, tranquillo e silenzioso, giocherellando con alcune molliche che si erano depositate sulla tovaglia. Non aveva fretta di andare da nessuna parte, eppure fu costretto ad alzarsi quando sua madre tornò da lui e gli prese le mani.
«Dai, usciamo» propose la Veela. «Dobbiamo approfittare della prima giornata serena dopo tutta questa pioggia, non credi?»
Vistoria aveva lo stesso sguardo lucido che aveva rivolto a re Sweyn; quando il figlio le chiese cosa avesse, tagliò corto, dicendogli che non era nulla.
Roderick aveva appena legato il mantello sotto il mento, quando un servitore del sovrano gli andò incontro, dicendogli che il Barbaforcuta lo aspettava. Il giovane, sorpreso, si sfilò la cappa con movimenti lenti e la consegnò a sua madre. Vistoria lo osservò con occhi lustri, ma non disse niente.
Il servitore condusse il mago fin nella sala in cui il sovrano era abituato a riunirsi con il suo consiglio. Roderick ricordava distintamente quella stanza, eppure ai tempi di re Ethelred non aveva avuto una funzione precisa. Era evidente perché il conquistatore danese l’apprezzasse: era piuttosto ampia, senza risultare dispersiva, e riceveva luce per due terzi della giornata. I bassorilievi che la ornavano raffiguravano scene di vita quotidiana, il pavimento a scacchi colorati ricordava alcune fantasie che Roderick aveva visto sugli abiti di alcuni uomini del nord. Re Sweyn aveva fatto sostituire il piccolo scrittoio che si era trovato lì con il tavolo che Ethelred aveva usato per il suo, di consiglio. Roderick ripensò agli uomini che, in un’occasione o in un’altra, aveva conosciuto. Si concentrò in particolare sul canuto Lord Caradoc e sull’atletico principe Edmond. Chissà se erano ancora vivi.
Scuotendo la testa, si costrinse a smettere di pensare a loro e si concentrò sui sedili che circondavano il tavolo di legno. Erano tutti vuoti. Al limitare della sala si trovava re Sweyn. Osservava il paesaggio fuori dalla finestra e aveva intrecciato le dita dietro la schiena coperta di lana marrone.
Roderick tossicchiò leggermente per segnalare la sua presenza e il Barbaforcuta si voltò.
«Eccoti». Indicò uno degli scranni vuoti con un gesto ampio. «Siediti.»






NdA: Mi è piaciuto troppo scrivere di Sweyn Barbaforcuta. Me lo sono immaginato un po’ come il re sassone di King Arthur XD È riservato, sfrontato con i nemici, cauto con gli amici. Affiancargli Vistoria, così briosa ed esuberante, può sembrare un azzardo, ma non dobbiamo dimenticare che lei è una Veela, e per sua natura riesce ad avere tutti gli uomini in suo potere. Inoltre, come Rastor sa bene – pover’uomo – quello è solo un lato di lei, che sa essere anche ben pericolosa. Inoltre l’ho voluta caratterizzare come una creatura calcolatrice, una che è ben cosciente del potere che ha sugli uomini, e che sa anche molto bene come esercitarlo. Infatti prima è stata con il fratello di una famosissima strega inglese, ora addirittura con un re. È una che sa come apparire allegra e spensierata, a volte infantile, ma i suoi conti se li sa fare bene.
Knut invece è figo, punto.
Roderick si è ficcato in questa situazione, però appare a disagio, a volte spaventato. Sa che rischia molto, moltissimo, ed è assolutamente umano – specialmente per uno come lui – avere paura.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29


Roderick avvertì il suo pomo d’Adamo muoversi su e giù nel deglutire. Biascicò un ringraziamento, dopodiché si sedette sul sedile che re Sweyn gli indicava. Questi, invece, rimase in piedi.
Per un po’ parve non essere interessato ad altro che non si trovasse fuori dalla finestra. Mentre il sovrano osservava il paesaggio, Roderick osservava lui. La luce che filtrava attraverso la finestra andava ad annidarsi tra i nodi della sua barba. Tra le sopracciglia cespugliose e la massa di capelli chiari, la sua fronte quasi scompariva, così il mago non poté rendersi conto se era aggrottata.
«Mio figlio Knut mi ha riferito che rivorresti la tua bacchetta» esordì il Danese, senza distogliere lo sguardo dal paesaggio fuori dalla finestra.
Roderick si inumidì le labbra secche. Un paio di giorni prima, mentre era insieme al principe, aveva distrattamente espresso la considerazione che la sua bacchetta era ancora nelle mani delle guardie che lo avevano fatto entrare al castello appena giunto a Londra. Da allora, non aveva smesso di sentirsi nudo. Per anni era vissuto a stretto contatto con quell’oggetto che era ormai diventato un prolungamento del suo braccio. Lo utilizzava per fare qualsiasi cosa, anche per svolgere le incombenze più semplici, e si era disabituato a svolgere i lavori manuali. Tuttavia alla corte di re Sweyn sembrava non esserci posto per la magia, e Roderick aveva dovuto abituarsi, pur senza smettere totalmente di sentirsi fuori posto.
«Sì, maestà» rispose. «È che sono abituato… Mi appartiene…»
Roderick smise di parlare quando si accorse che aveva incominciato a balbettare. La sua bacchetta era parte di sé e di certo gli avrebbe fatto più che piacere rientrarne in possesso, ma non era quello a cui stava pensando. Re Sweyn era, in quel momento, da solo. Da solo con me.
Il Barbaforcuta si allontanò dalla finestra e mosse un passo verso di lui, emettendo un verso a metà tra un grugnito e uno sbuffo.
«Deve essere bello essere un mago» rilevò.
Roderick rimase in attesa, interdetto. Re Sweyn non era un uomo che si sforzava di fare conversazione, perciò doveva puntare a qualcosa.
«Sì, lo è» concordò dopo un po’.
Il re prese a passeggiargli intorno con fare casuale.
«Nessuno della mia famiglia ha mai avuto dei poteri magici, eppure conosco stregoni potenti. Io il comando l’ho preso con queste.» Mostrò a Roderick le mani. Il giovane notò che erano grandi e callose, e una sottile cicatrice bianca ricopriva il dorso della destra. «La mia gente ama la forza, e io gliel’ho mostrata. Ma non pensare che basti. Un re deve occuparsi del suo popolo, e il suo popolo lo deve amare. Sai cosa serve affinché un re sia amato?»
Roderick negò scuotendo il capo, incerto.
«Deve avere la fiducia della sua gente.» Sweyn si fermò proprio davanti al mago e protese il busto solido verso di lui, scrutandolo con i suoi perforanti occhi verdi. «Tu sai cos’è la fiducia, Roderick? Tua madre te l’ha insegnato?»
Un’altra volta il giovane si trovò a deglutire con difficoltà.
«Sì, maestà. Lo so bene.»
Il Barbaforcuta si ritrasse, apparentemente soddisfatto.
«Voglio che tu lasci Londra per un po’, e che torni nel Norfolk. C’è un Lord di cui ancora non mi fido… Slytherin. Lo conosci, vero?»
Roderick rimase così spiazzato dal cambio di argomento, che per qualche istante rimase imbambolato a osservare i baffi color sabbia del Danese, uno dei quali più sollevato rispetto all’altro. Re Sweyn stava sorridendo.
«Sì, mio signore» fu costretto ad ammette Roderick.
«Molto bene. Sarà più semplice se sarai tu a parlare con lui. Con Bachelor è stato facile, era di pasta più tenera. Ma so che questo Lord Slytherin è da tenere sotto controllo.»
Roderick avrebbe voluto sapere di più. Il re aveva voluto intendere che l’arciduca Beauregard era passato spontaneamente dalla sua parte, o che era stato ucciso? E di sua zia Rowena cosa ne era stato?
Iniziò ad avvertire il sudore freddo bagnargli la schiena. Nonostante desiderasse sapere con tutto se stesso, continuò a stringere le labbra. Il Barbaforcuta aveva parlato di fiducia: lo stava mettendo alla prova. Porre quesiti scomodi, che avrebbero avuto il solo effetto di svelare la sua debolezza, non sarebbe stato certo un buon inizio.
«Come desiderate, maestà.» Le parole che uscirono dalle sue labbra furono quelle giuste, ma il tono fu di un’ottava superiore al normale. Il re danese lo scrutò attentamente, e Roderick sentì che gli leggeva dentro. Per togliersi da quella situazione scomoda, si alzò. «Quando desiderate che parta?»
Il Barbaforcuta si accarezzò la barba, continuando a studiarlo. Lo sguardo del mago percorse la sua figura, la mente in corsa tra più pensieri. Quella conversazione era scomoda, lo sapeva bene. Il suo volto doveva tradire la sua agitazione, ma non riusciva a calmarsi. Aveva passato settimane intere a pianificare quel momento, e ora non sapeva come comportarsi. Aveva desiderato ardentemente di poter parlare a quattr’occhi con il sovrano, e ora che erano da soli doveva lottare contro l’impulso di scappare via da quella sala.
«So che Lord Slytherin ti ha preso sotto la sua ala protettrice a Hogwarts.» Sweyn non lo perdeva di vista un istante, come una fiera che ha puntato la sua preda. Roderick annuì. «Forse è stato più di questo» continuò il re, inclinando leggermente il capo. «È stato un padre per te.»
Il mago annuì e stirò le labbra in un sorriso forzato.
«Sì, maestà, è così. Come sapete, ho perso mio padre che ero molto piccolo.» Senza che il suo cervello lo avesse comandato, le sue dita si serrarono in un pugno. «È stata mia zia Rowena a occuparsi di me, e Lord Slytherin mi è stato sempre accanto.»
Sweyn sgranò gli occhi e socchiuse le labbra sotto i baffi, mostrando tutta la sua soddisfazione per averlo colto in fallo. Prima che potesse parlare, però, il giovane continuò:
«Tuttavia sono consapevole del fatto che non sia il mio padre naturale. Adesso ho trovato mia madre, e con lei esiste certamente un legame più profondo, mentre Lord Slytherin è, in fin dei conti, un estraneo.»
Il Danese tornò ad assumere la sua solita espressione. Roderick si esibì in un secondo sorriso, questa volta più sicuro. Era figlio di una Veela, non era la prima volta che esercitava il suo fascino per avere ragione in un confronto.
«Ho capito cosa mi state chiedendo» disse, distendendo nuovamente le dita e mostrando i palmi al sovrano. «Una dimostrazione di fedeltà. E vi capisco, altezza. Ora che siete risultato vittorioso, chissà quanti falsi alleati hanno bussato alla vostra porta. Ma io non sono altro che un figlio che è stato separato troppo a lungo da sua madre. Sono felice di averla trovata, e sono felice che lei abbia trovato voi.»
Ebbe l’impressione che un fugacissimo lampo avesse attraversato le iridi di re Sweyn, ma poteva essersi trattato solo di un riflesso. Roderick sapeva di aver osato, toccando dettagli così intimi, e sapeva inoltre quanto Sweyn fosse riservato, ma aveva avuto bisogno di pronunciare quelle parole per dimostrare tutta la sua onestà. Ora che aveva toccato quel punto, bastava che facesse marcia indietro per cogliere nel segno.
«Maestà» disse ancora, chinando appena il capo. «So che voi siete un uomo che badate ai fatti, e io concordo con voi. Affidatemi qualsiasi missione volete che io esegua, lo farò al massimo delle mie possibilità, mantenendo alto il vostro onore.»
Dall’espressione del re, Roderick non riuscì a capire se era riuscito a fare breccia nel suo muro di diffidenza.
«Vistoria mi ha parlato molto bene di te. Ti ho osservato, sai, in questi giorni. Mi sembra che tua madre abbia ragione su di te, ma devo verificarlo una volta per tutte.»
Il giovane sorrise e allargò le braccia, muovendo un passo verso re Sweyn.
«Mio signore e sovrano, non potete immaginare quale gioia mi dia compiacervi. Ho trascorso una vita intera senza genitori, e ora ho ritrovato mia madre. Spero di conquistare la fiducia anche di un padre e di un fratello.»
Il Barbaforcuta rimase fermo dov’era, il suo volto era una maschera di granito. Roderick era però convinto di sapere cosa stava facendo. Gli conveniva osare, o mai più avrebbe avuto un’occasione simile. Le parole che aveva appena pronunciato erano risuonate così sentite che lui stesso ne fu quasi commosso.
«Mio signore» riprese, muovendo un altro passo verso di lui. «Andrò nel Norfolk quando me lo ordinerete e farò qualsiasi cosa voi vogliate. Non esiste nulla di più importante per me che dimostrarvi la mia fedeltà.»
Re Sweyn distolse lo sguardo. Era abbastanza a disagio da interrompere il contatto visivo con lui, ma non tanto da sbatterlo fuori.
«Il viaggio sarà lungo, dopodomani partirai. Seguirai le mie istruzioni e tornerai con l’alleanza di questo Lord Slytherin. Se dovessi avere dei ripensamenti, lì nel Norfolk, sarà meglio per te non tornare affatto.»
Roderick annuì.
«Ma certo, maestà. Vedrete, non vi deluderò.»
Re Sweyn si mosse e lanciò uno sguardo dietro la finestra. Il sole era alto nel cielo, e probabilmente gli ulteriori impegni che costellavano la giornata del sovrano incombevano. Roderick capì che il Danese non avrebbe aggiunto altro.
«Mio signore» disse, muovendo ancora un passo verso di lui. «Vi ho detto quanto questa missione conti per me. Ora, vi prego…» Questa volta fu lui a distogliere lo sguardo, incapace di sostenere oltre quello glaciale del re. «Concedetemi la vostra benedizione.»
Re Sweyn lo scrutò come se stesse soppesando le sue parole.
«Vi prego» disse ancora Roderick, continuando a sorridere. Mosse un altro passo verso di lui.
Il Barbaforcuta arretrò.
«Vi prego» ripeté il mago, mentre sentiva gli angoli della sua bocca calare.
Il re danese guardò oltre Roderick, poi si voltò verso al finestra alle sue spalle.
Le mani di Roderick tremarono vistosamente.
«VI PREGO!» urlò con quanto fiato aveva in gola. La saliva gli inumidì gli angoli della bocca.
Sweyn si portò una mano alla cintura, nello stesso istante Roderick protese le braccia davanti a sé.
Vide il buio, lo sfondo di pietra della Camera dei Segreti, contro il quale strisciava un orrore innominabile. Poi tutto fu spazzato via da due bagliori di fuoco, che saettarono davanti a lui come comete dotate di una coda di fumo. Un attimo dopo colpirono Sweyn Barbaforcuta, che andò a urtare pesantemente la parete accanto alla finestra.
Un odore di carne bruciata invase la sala, penetrando nelle narici di Roderick. Il suo stomaco si rivoltò, ma lui si rifiutò si assecondarlo.
Intorno a lui, tutto era rumore. Le fiamme che crepitavano sulla veste di lana del re, divorando tessuto, pelle, carne, ossa. Passi concitati rimbombavano sul pavimento come un tuono lontano. Una porta si spalancò, degli uomini imprecarono, una donna urlò. Fu il suono più terribile che Roderick avesse mai udito, centinaia di unghie che grattavano sull’ardesia grezza.
Qualcuno corse verso il re per estinguere le fiamme. Qualcun altro afferrò Roderick per le spalle e gli torse le braccia, per un istante ebbe la fugace visione dei palmi delle sue mani che fumavano. Qualcosa colpì il retro delle sue ginocchia, costringendolo a terra.
Altre voci si accavallarono le une alle altre, altre mani lo strattonarono.
«Sweyn, Sweyn!» continuava a urlare la voce femminile. Roderick vide sua madre, la chioma non più lucente, ma opaca e scarmigliata, lanciarsi sul corpo fumante del re danese. Vide le sue mani cercare di coprire un buco di notevole diametro che si era aperto sul suo petto, ma non c’era niente da fare. Non c’era alcuna ferita da tamponare, solo il pavimento impregnato di sangue e tessuti bruciati sotto il pesante corpo dell’uomo. Alcuni soldati trassero la Veela per le spalle, costringendola ad alzarsi, e le sue urla ripresero, più terrificanti che mai.
Uno schiaffo in pieno volto costrinse Roderick a distogliere lo sguardo da sua madre. Un Danese gli afferrò i capelli e lo strattonò, imponendogli di alzare il viso.
Davanti a lui si ergeva il principe Knut, terreo in viso, con gli occhi sbarrati rivolti verso il padre.
«Portatelo nelle segrete» disse.
Il suo era stato poco più di un sussurro, ma alle orecchie di Roderick esplose con un fragore maggiore di quello che riempiva la sala.
Quando Roderick riaprì gli occhi, credette per un istante di non essersi ancora svegliato. Subito dopo però avvertì una fitta dolorosa dietro la nuca, tastò la pelle con le dita e toccò qualcosa di viscido. Ricordò i soldati danesi che lo avevano strattonato lungo corridoi che anni prima aveva attraversato a testa alta e con andatura regolare. Ricordò come lo avessero trascinato per le scale, mandandolo a sbattere contro le pareti che si facevano sempre più umide man mano che si addentravano nelle viscere del castello. Ricordò infine la porta di legno pesantemente borchiato che avevano aperto davanti a lui, e infine la miriade di stelle bianche che erano esplose davanti ai suoi occhi quando lo avevano colpito alla nuca.
Inspirò profondamente l’umidità delle pareti e un brivido di terrore lo percorse. Non riusciva infatti a non pensare a quando era rimasto chiuso nella Camera dei Segreti. In quell’occasione, Lamia era sopraggiunta a salvarlo dall’incubo. Adesso invece era tutto reale, e nessuno sarebbe giunto ad aiutarlo.
Roderick si premette contro la parete viscina ed espirò. Probabilmente il suo fiato si era condensato nel freddo della cella, ma era troppo buio per vederlo.
Non sapeva da quanto tempo si trovava lì, ma era certo di non volervi rimanere un istante di più. Si concentrò al massimo delle sue possibilità per Smaterializzarsi, ma quando riaprì gli occhi si accorse che non era cambiato nulla. Un riso isterico sgorgò attraverso la sua gola: stava finendo esattamente come aveva immaginato. Per tutto il tempo che aveva passato a organizzare l’assassinio di Sweyn Barbaforcuta non si era limitato a pensare a come trovarsi faccia a faccia con lui, ma si era concentrato anche per trovare una via di fuga. Conosceva il castello, il che era un vantaggio. Quando era giunto a Londra, aveva conosciuto anche i Danesi, e giorno dopo giorno era diventato sempre più chiaro che sarebbe riuscito a colpire il re e a svignarsela indisturbato solo in seguito a una serie di congiunzioni astrali fortunate. Quando gli era stata sottratta la bacchetta, aveva capito di non avere troppe speranze. Da lì era nata la paura, l’ansia, il desiderio di fuggire. Era stato un incubo, ma non aveva ceduto. Ed ecco che le cose erano andate come da manuale: le guardie erano giunte pochi istanti dopo che aveva colpito il re, richiamate dal grande fragore generato dalle palle di fuoco. Era stato colpito prima di poter tentare qualsiasi fuga magica, e senza bacchetta erano pochissime le vie che avrebbe potuto seguire. Ora che si era svegliato, aveva scoperto di non potersi Smaterializzare. Re Sweyn l’aveva detto che conosceva alcuni stregoni potenti, ricordò con un sorriso.
Sarebbe morto in quella cella, lo sapeva. Così si arrotolò su se stesso in un angolo.
Quando riaprì gli occhi, realizzò imediatamente dove si trovava. Qualcuno bussò nuovamente alla porta, e allora Roderick capì che era stato quel rumore a svegliarlo.
Strisciò verso la soglia e gracchiò qualcosa. Per tutta risposta, una feritoia si aprì nel legno. La luce che filtrò gli ferì gli occhi anche se non era particolarmente intensa. Attraverso le sbarre della feritoia, vide una mano bianca farsi strada verso di lui.
«Roderick!» chiamò una voce concitata. Vistoria afferrò il braccio del figlio prima che questi potesse fare alcunché. «Oh, Roderick» ripeté con voce rotta. Il mago mise a fuoco il suo viso e notò immediatamente gli occhi arrossati dal pianto. Il labbro inferiore della Veela tremava incontrollabilmente e le dita di lei stringevano la mano del giovane.
«Madre…» esalò.
Il sentire la sua voce riportò la vita nel viso di Vistoria, che si animò un po’.
«È successo…» Un violento singhiozzo le impedì di proseguire. Riuscì a calmarsi solo dopo un po’, e allora riprese: «Dicono che sei stato tu, ma… Oh, Sweyn! Io non voglio crederci, figlio mio, non è possibile.»
La Veela scosse con energia la lunga chioma arruffata. Si portò le dita di Roderick alle labbra bianche e screpolate e le baciò.
«Glielo dirò, a Knut. Si ricrederanno, vedrai, e dovranno farti uscire da qui. Nessuno ti ha visto, come fanno a dire… Non sei stato tu, mio bel figlio, non sei stato tu» ripeté.
«Madre…» protestò debolmente Roderick.
«Non è possibile che sia stato tu» ripeté Vistoria. «Come fanno a dirlo? Non c’era nessuno quando è… successo.»
Roderick insistette: «C’ero io. C’ero solo io, capisci?»
Ma la Veela seguitava a scuotere il capo strizzando gli occhi. Quando il giovane ripeté che non poteva essere stato nessun altro, si portò le mani alle orecchie.
«Non vuoi sentirlo? L’ho ucciso io!» inveì lui, all’apice dell’esasperazione.
Vistoria smise di muovere il capo in protesta, poi nascose il viso nelle mani e ricominciò a piangere, più rumorosamente di prima. Roderick sentì di non poter sopportare oltre quella vista.
«Perché?» domandò tra i singhiozzi. «Eravamo finalmente felici…»
Allontanò la mano dalla feritoia e tentò di alzarsi in piedi. Sulle prime le ginocchia gli tremarono, ma poi tornarono salde.
«No, non lo eravamo!» urlò. Vistoria sobbalzò e smise di singhiozzare, ma Roderick non aveva finito. «Tu forse, mentre ti facevi scopare da quel montone biondo, non io» inveì, indicandosi il petto.
La Veela sgranò così tanto gli occhi che minacciarono di fuoriuscire dalle orbite.
«Io… sono tua madre» sussurrò con un filo di voce.
«Solo perché mi hai messo al mondo? O anche mentre uccidevi mio padre e mi abbandonavi?» Sentiva una furia incontrollabile ribollirgli dentro, una pressione enorme comprimergli le tempie, una voglia di grattare, afferrare, colpire, animargli le dita. «Ti ho fatto credere il contrario per avvicinarmi a Sweyn, ma io ti odio! Odio questi fottuti Danesi, odio Sweyn, doveva morire! Sparisci dalla mia vista, maledetta, o ti uccido adesso!»
Vistoria fece un salto all’indietro, visibilmente intimoritta. Guardò il figlio come se avesse appena visto un fantasma, poi fece per andarsene. Mentre richiudeva lo sportello della feritoia, Roderick balzò verso le sbarre.
«Tu sarai la prossima a morire, mi hai capito?» continuò a urlarle dietro.





NdA: forti emozioni. Roderick si trova finalmente faccia a faccia con Sweyn. A differenza di Vistoria, il re non si fidava completamente del nostro protagonista – e a ben ragione, direi. Del resto lui era un uomo sospettoso per natura, fargli mettere alla prova la fedeltà di Roderick mi è sembrata la cosa più “da lui”. E non lo mette alla prova con una persona qualsiasi, ma con Lord Salazar, proprio perché è a conoscenza del rapporto tra di loro.
Ho amato scrivere della parte dell’omicidio, spero di aver reso la scena con la stessa efficacia con cui si è svolta nella mia mente. A proposito di Sweyn Barbaforcuta, devo dire che è morto davvero cinque settimane dopo la conquista di Londra, pensa che sfiga. Ho inventato le modalità e il ruolo di Roderick, ma il resto è storia.
Vistoria si incaponisce fino alla fine sull’innocenza di Roderick, il quale spiega educatamente che sì, in effetti ha appena stecchito il suo amante. Credo che celle come quelle in cui è stato chiuso Roddy siano capaci di portare molto vicino alla pazzia, e le sue reazioni sono piuttosto isteriche. Ho avuto dei dubbi sul linguaggio scurrile che gli ho fatto usare alla fine, ma credo che la situazione non richiedesse niente di diverso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30


Salazar si trovava nel suo studio, i gomiti puntati sul piano di legno  del tavolo davanti a lui, il mento poggiato sulle dita intrecciate. Aveva lo sguardo fisso sull’architrave della porta che si trovava dall’altra parte della stanza, di fronte alla scrivania, ma la sua mente era altrove.
Lo aveva visto nelle viscere, perché ciò che aveva profetizzato tardava ad avverarsi?
Salazar distolse lo sguardo e corrugò la fronte. Il re danese sarebbe dovuto venire da lui, ma ancora non si era visto. Il mago sapeva che Sweyn Barbaforcuta non si fidava di lui per quella storia dei messaggeri spariti nel nulla, e sapeva inoltre che non poteva fare molto per fargli cambiare idea. Il nuovo sovrano aveva inviato i suoi uomini da tutti i lord dell’isola per chiedere loro di fare atto di sottomissione e riceveva regolarmente i loro rapporti. Tuttavia l’ultimo era stato inviato dal castello di Salazar Slytherin, per questo il re lo aveva collegato alla loro scomparsa. Invece Salazar aveva visto i messaggeri volgergli la schiena e allontanarsi tra le paludi a dorso dei loro cavalli, non c’entrava nulla con la loro scomparsa, anche se, da una parte, avrebbe tanto voluto. Solo dopo si era reso conto che probabilmente i Danesi avevano raggiunto l’ulteriore tappa del South Norfolk. Che Roderick avesse dato loro una sanguinosa accoglienza? Da una parte, Salazar non riusciva a capacitarsene. Gli sembrava che non fosse trascorso poi molto tempo da quando il Ravenclaw, alto un metro o giù di lì, si nascondeva ridendo tra le gonne di sua zia, o giocava spensierato con sua figlia Lamia. D’altra parte però, negli ultimi tempi il ragazzo si era mostrato capace di più di quanto lui avesse mai osato immaginare.
Salazar strinse le dita delle mani a pugno e serrò le labbra al pensiero. Roderick aveva infangato il suo nome e il suo onore lasciando Lamia sull’altare e, come se non bastasse, si vociferava che avesse un’altra donna. Furibondo come mai avrebbe immaginato di essere con il giovane, si era presentato al castello che lui gli aveva tanto generosamente concesso alla ricerca di una spiegazione. Roderick invece era completamente sparito nel nulla, aggravando così la sua posizione.
Salzar si era fatto prendere dall’ira. Aveva iniziato a pensare a dove fosse potuto andare il giovane, e a cosa l’avesse portato a sparire, così aveva iniziato le sue ricerche. Aveva scoperto che non c’era traccia di lui a Hogwarts, né al castello di Bachelor. Nessuno dei Fondatori l’aveva visto, nemmeno sua zia; nessuno dei suoi amici aveva avuto sue notizie. Aveva perfino cercato di scoprire l’identità della sua misteriosa amante, ma non aveva trovato alcuna traccia di lei. Dov’era potuto andare, allora? Salazar non riusciva a pensare a nessun altro posto in cui Roderick avrebbe potuto trovare rifugio.
D’un tratto, tutto fu drammaticamente chiaro. Come una folgore, un ricordo attraversò la sua mente. Roderick che, in un ambiente di quello stesso castello, gli manifestava con calore la volontà di uccidere Sweyn Barbaforcuta. Lui che gli rivelava che sua madre aveva ucciso suo padre. E Roderick sapeva che Vistoria era stata vista con i Danesi.
Il mago affondò la testa tra le mani, l’ira che aveva provato nei confronti del ragazzo si era trasformata in preoccupazione e rimorso. Roderick non si era comportato in quel modo per infangare il suo onore e tradire la fiducia, ma per evitare che gli Slytherin potessero venire in alcun modo coinvolti in ciò che aveva in mente.
Il mago si sollevò di scatto dallo scranno che occupava; doveva capire. Uscì dallo studio e percorse il castello finché non giunse nella sala in cui conservava tutti i suoi strumenti divinatori. Afferrò un altro fegato e lo aprì con mani febbrili. Per quanto lo rigirasse tra le dita, ciò che vedeva era chiaro: nessun Sweyn Barbaforcuta sarebbe giunto al suo castello.
Il cuore di Salazar mancò un battito. Doveva andare a cercare Rowena.
Roderick continuava a giacere nel buio, senza altre visite, dopo quella di sua madre, al di fuori quelle dei topi che infestavano le segrete. Si era accorto molto presto della loro presenza. Le loro zampette avevano iniziato a percorrere il pavimento di pietra, i loro squittii risuonavano seguiti da strane eco, i loro occhietti ogni tanto rilucevano nell’oscurità, colpiti dalle lame di luce opaca che filtravano attraverso i cardini della porta. All’inizio erano stati presenze discrete, poi, appena avevano capito che Roderick non rappresentava per loro una minaccia, si erano avvicinati sempre di più. Erano arrivati a mordergli gli stivali e a tirargli le vesti. Travolto dalla rabbia e dal disgusto, Roderick li aveva scacciati dapprima agitando le braccia, poi aveva esploso due sfere di fuoco dai palmi. Queste erano andate ad estinguersi all’altra estremità della cella, contro la pietra fredda e umida, ma la vista delle fiamme era bastata a tenere lontani quegli odiosi animali. Roderick però sapeva che sarebbero tornati, più audaci di prima, e lui non avrebbe potuto scagliare palle di fuoco all’infinito.
Affamato, indolenzito e sconfortato, si ritirò nel suo angolo e si cinse le ginocchia con le braccia. Nel muoversi urtò qualcosa: un secchio, nel quale con grande probabilità avrebbe dovuto espletare le sue funzioni corporee. Disgustato, cercò di non pensare alla cella oscura in cui si trovava.
Pensò a sua zia Rowena e a quando si era raccomandata affinché lui non andasse a giocare troppo vicino al Tranello del Diavolo, a Lord Salazar e alla bacchetta che gli aveva donato. Pensò alle ronde di pattuglia con Baldric quando erano Prefetti, all’aria di sfida con cui la generalmente timida Abigail gli aveva detto che, da nata Babbana, un giorno avrebbe fatto impallidire i maghi Purosangue. Pensò alla composizione floreale che Lamia gli aveva regalato per il suo undicesimo compleanno. Di colpo, l’impressione di aver sbagliato tutto lo travolse. Tutte quelle persone avevano dimostrato di essergli sinceramente affezionate, e lui aveva mentito a tutte loro, tradendole. Eppure si era sempre ripetuto di fare tutto per loro: mirava alla libertà da Sweyn e dai Danesi. Sua zia Rowena, Lord Salazar, Baldric, Lamia e anche Abigail sarebbero stati meglio senza di loro. Ma aveva fallito, e nessuno di loro avrebbe saputo per quale ragione Roderick gli aveva mentito. Aveva anche approfittato della devozione di Abigail e tradito Lamia, sapendo che l’avrebbe lasciata sull’altare per allontanarsi da lei e da suo padre. Alla fine di Abigail si era innamorato veramente, e lei non l’avrebbe mai saputo. Tutti loro l’avrebbero ritenuto un infame, un impostore, un mentitore, e l’avrebbero odiato. E lui non avrebbe potuto smentirli in alcun modo.
Roderick affondò il visto tra le mani e pianse.
Trascorse un’eternità, dopodiché la porta della cella ruotò sui cardini, svegliando il prigioniero con il suo cigolio. Due uomini armati di tutto punto lo afferrarono rudemente per le spalle e lo sollevarono, ignorando il suo grugnito di sofferenza. Gli legarono i polsi con una corda e lo trascinarono fuori dalla cella. Roderick fu in grado solo di muovere stupidamente il capo per cercare di capire chi fossero quegli uomini e cosa volessero da lui.
Le due guardie lo portarono fuori dalle segrete, su per alcune scale a chiocciola che si arrampicavano nelle viscere di una torre. Attraversarono ancora una porta e spinsero il giovane nella luce del giorno.
Accecato, Roderick dovette sbattere ripetutamente le palpebre per riuscire a vedere qualcosa. Si mosse a tentoni, sorreggendosi con la spalla a un muro; quando i suoi occhi si abituarono all’intensa luce solare, fece un salto all’indietro per il terrore. Le guardie lo avevano condotto su una sorta di terrazzo che si apriva sul fianco di una delle torri del castello, ma che non aveva parapetto. Muovendosi senza sapere dove stesse andando, per poco Roderick non era caduto di sotto.
Con occhi sbarrati osservò il cortile che si apriva sotto di lui, il suo petto si sollevava e abbassava ritmicamente mentre sudore freddo gli bagnava la fronte. Le guardie, a pochi passi da lui, ridevano tra loro.
«Cos’è, hai paura di morire?» domandò una delle due nel suo dialetto. Roderick strinse le labbra e non rispose.
«Se ti spiaccicavi di sotto non cambiava molto, visto che questo è il tuo destino» sogghignò l’altra.
In quel momento, la porta che conduceva al terrazzo si aprì di nuovo, lasciando passare altri armigeri, seguiti dal principe Knut. Aveva un aspetto orribile, osservò Roderick, con quelle guance scavate, il colorito smunto e una rada barba disordinata. Sopra le occhiaie marcate però lo sguardo era terribilmente vigile e determinato. Roderick notò che tra le ciocche scarmigliate dei suoi capelli era stato collocato un cerchio di metallo.
Appena i carcerieri si accorsero della presenza del principe, smisero di ridere e costrinsero il prigioniero a inginocchiarsi. Roderick gemette per il colpo ricevuto; con un paio di falcate Knut fu davanti a lui. Sotto la superficie tesa della pelle del viso, i muscoli erano contratti.
Roderick si chiese se avrebbe dovuto dire qualcosa. Non era affatto pentito di ciò  che aveva fatto a Sweyn, però per Knut avrebbe quasi potuto dispiacersi. Forse perché in tante cose era molto simile a Baldric.
Ogni parola che gli veniva alla mente però gli sembrava vana e ipocrita, così decise di non nominare Sweyn.
«Mia madre…» inizò. Fu sorpreso di notare quanto rauca fosse risuonata la sua voce.
«Non verrà» tagliò corto il principe. Anche lui sembrava essere intenzionato a non sprecare parole.
Senza scollare gli occhi dal mago, mosse una mano in direzione degli uomini alle sue spalle. Le guardie gli portarono un involto di grandi dimensioni di un tessuto marrone che Roderick non riuscì a riconoscere.
Knut lo afferrò e iniziò ad allontanare i lembi dell’involto per svelarne il contenuto. Fu proprio in mezzo a quelle estremità di tessuto che Roderick notò uno scintillio di metallo. Una solida impugnatura di legno, intorno alla quale erano avvolte strettamente delle strisce di cuoio, delle rune incise sui bordi accuratamente affilati: Knut reggeva una maestosa ascia bipenne.
A quella vista, qualcosa scattò in Roderick. Iniziò a divincolarsi con tutte le sue forze, riuscendo a sottrarre alla presa di uno dei suoi carcerieri il braccio sinistro. Urlava, inveiva, invocava aiuto. Gridò le formule di alcuni incantesimi oscuri insegnatigli da Lord Slytherin, ma furono del tutto inefficaci senza bacchetta. Cercò allora di esplodere delle palle di fuoco dai palmi: non aveva bisogno di rievocare il ricordo di quando era rimasto chiuso nella Camera dei Segreti, il terrore che provava ora era di gran lunga più intenso.
Gli armigeri riuscirono ad afferrarlo nuovamente, deviando così l’unica, grande sfera di fuoco che provenne dalle sue mani legate insieme. Nella confusione, questa andò a colpire due guardie che si trovavano lì vicino; le loro urla furono alte, ma i loro compagni riuscirono rapidamente ad estinguere il fuoco rovesciando loro addosso un intero cato d’acqua. Attrezzati com’erano, erano intervenuti così rapidamente da evitare che il fuoco causasse danni rilevanti.
Roderick venne colpito duramente alla tempia, e questo bastò a ripristinare la calma sul terrazzo. A un’ordine di Knut, le guardie portarono davanti al prigioniero un altro recipiente colmo d’acqua, poi lo costrinsero a immergere le mani. In quell’istante, Roderick seppe di essere veramente perduto.
Qualcosa doveva aver attraversato i suoi occhi, perché Knut si illuminò di un selvaggio trionfo. Il suo volto parve meno emaciato di prima e le pupille sembravano tizzoni ardenti.
Roderick aprì la bocca per parlare, ma una guardia lo colpì con un manrovescio talmente forte che gli ruotò il capo. Il giovane sentì le labbra invase dal sapore ferroso del suo sangue, tossì e sputò un dente.
Sollevò la testa in tempo per scorgere Knut che impugnava nuovamente la bipenne. L’ultima cosa che vide fu lo scintillio della lama che venne sollevata. Poi chiuse gli occhi, sperando solo che tutto finisse presto.
 
Rowena sedette su un ceppo d’albero, con occhi sbarrati. Il luogo in cui lei e Salazar si erano accampati, poco lontano da Londra, puzzava di bruciato e di liquami. Il mago aveva garantito che la città era messa anche peggio, e che ad ogni modo per loro sarebbe stato pericoloso soggiornarvi. Non avevano alleati, laggiù.
La strega si morse le labbra, sentendo che il peso che le gravava il petto stava diventando ormai intollerabile.
Salazar le si avvicinò e le strinse una mano. La donna espirò profondamente. Era buffo, quello era il loro primo contatto da anni. Eppure gli era grata per aver osato tanto.
«Sei stato laggiù» disse con un filo di voce.
Non era una domanda, e Salazar comprese. Il mago aveva insistito affinché lei rimanesse fuori dal perimetro della città, mentre lui vi si inoltrava, diretto verso il castello. Era tornato a prenderla molto tempo dopo, e da solo. Rowena sapeva perfettamente cosa voleva dire, senza bisogno di parole.
«Avrei dovuto fare qualcosa.» Nel parlare, la voce le si incrinò.
«No, Rowena. Non avresti potuto fare niente: siamo arrivati troppo tardi.»
La strega ebbe voglia di esplodere in mille frammenti fluttuanti nell’aria, lontana da tutto ciò che stava vivendo. Lontana dal dolore, dalla rabbia, da una nuova ferita che si era aperta accanto a una vecchia, mai rimarginata.
Salazar aveva fatto il possibile, e anche di più, lei lo sapeva.
«Ho ucciso Vistoria» le sussurrò, accarezzandole i capelli. Rowena socchiuse gli occhi.
Erano trascorse settimane da quando quel barbaro principe aveva torturato e ucciso Roderick. Salazar si affiancò al vetro della finestra a sesto acuto e sospirò. Nonostante quella perdita, il mondo era andato avanti, come se lo avesse dimenticato. Del resto, Roderick non era che una tra le centinaia, forse migliaia di vittime che quella guerra aveva provocato. Eppure per lui era più che un semplice numero.
Il mago si staccò dalla cornice della finestra e indossò il mantello, pronto per uscire. Nel cortile del castello, il suo attendente lo aspettava reggendo per le briglie il Thestral che avrebbe cavalcato fino al castello dei Bachelor. Più rapidi dei Grani, si era detto. Inforcò la sella e superò, galoppando, il barbacane. Quando fu fuori, spiccò il volo.
Atterrò di fronte al grande ponte levatoio del castello dell’arciduca Bachelor, che era stato abbassato in vista del suo arrivo. Lo percorse rapidamente e, appena fu dentro, venne accolto da Rowena. La strega gli corse incontro, prese poi in consegna il Thestral e il suo mantello.
«Ho delle notizie importanti» esordì la donna. Dall’espressione del suo viso, Salazar non riuscì a capire se si trattasse di buone o cattive notizie. Da quando Roderick era morto, il volto di Rowena era diventato di pietra.
La strega lo condusse all’interno dell’edificio, dove trovò l’arciduca stesso ad attenderli. Beauregard fece strada e introdusse Salazar in un’ampio salone con il camino acceso.
«Mi accennavate a delle novità» disse il mago, sedendosi al tavolo e congiungendo le dita di fronte a sé.
L’arciduca annuì.
«L’abbiamo saputo da pochissimo. Si tratta di notizie riservate, che se finissero nelle mani sbagliate potrebbero costarci la vita. Ma sono anche confermate, dal momento che provengono da una fonte accertata.»
Salazar roteò gli occhi davanti a quella posopopea. Istintivamente volse lo sguardo verso Rowena, che costrinse il marito a tagliare corto.
«Si tratta del re» disse. Qualcosa si mosse dietro la maschera di pietra.
«Re Knut?» domandò Salazar, sollevado un sopracciglio. Il figlio di Barbaforcuta era stato proclamato re dall’esercito alla morte del padre, ma non si trattava di una novità.
«No, re Ethelred.» Sul viso di Rowena si aprì l’ombra di un sorriso. «Sta tornando.»
Salazar ebbe difficoltà a credere alle sue orecchie. Il pasciuto, pavido Ethelred, al sicuro in Normandia da suo cugino, stava ritornando in Inghilterra?
«Il titolo di Knut è stato messo in discussione dai magnati» spiegò Rowena. «Chiunque rifiuta i Danesi e vuole indietro re Ethelred.»
Salazar dubitò che volessero realmente indietro quel vecchio stupido, quanto piuttosto quello che lui rappresentava: un regno libero da invasori stranieri. E soprattutto, l’erede di Ethelred era Edmond che, a differenza del padre, sembrava un uomo capace.
«Sta tornando?» domandò ancora il Fondatore. «Con degli alleati?»
«È riuscito a mettere insieme un esercito.»
Rowena interpretò correttamente lo sguardo interrogativo di Salazar prima che lui potesse esternare una qualsiasi domanda.
«Abbastanza grande da costringere Knut alla fuga.»
Solo dopo aver accolto l’informazione da qualche istante, Salazar si rese conto che stava sorridendo. Non amava re Ethelred e nulla avrebbe potuto cambiare lo stato dei fatti. Ma forse, se lui si era messo alla testa di un esercito per tornare in Inghilterra, c’era ancora speranza. Per quella terra, per loro, per le loro famiglie.
Quando il mago fu pronto a lasciare il castello, Rowena lo accompagnò alle stalle dove avevano fatto riposare il suo Thestral. La donna accarezzò distrattamente il muso della Creatura Magica, poi passò le redini a Salazar. Nel compiere quel gesto, le loro mani si sfiorarono.
Il mago la salutò, chinando leggermente il capo. Poi salì in groppa alla creatura e la spronò al galoppo. Oltrepassate le mura del castello, spiccò il volo.
Lì, sospesi nell’aria, i pensieri sembravano assumere un nuovo colore.
Forse, dopotutto, agli occhi dei posteri Roderick non sarebbe sembrato un caduto tra tanti, ma sarebbe stato giustamente considerato come colui che, ucciso il re conquistatore danese, aveva permesso tutto ciò che di lì a poco si sarebbe verificato. Un’Inghilterra di nuovo libera, di nuovo forte, di nuovo temibile.
Il pensierò risultò così audace che Salazar gettò il capo all’indietro ed esplose in una nuova risata.
«E tutto per mano del mio ragazzo!»
Il vento si portò via le sue parole.






NdA: Un minuto di silenzio per Roddy. È la prima volta che uccido un protagonista, questa cosa mi esalta e mi riempie di amarezza insieme. Mi ero affezionata a lui, povero ciccino, ma doveva morire ai fini della trama. Le cose non sarebbero potute andare diversamente.
In realtà può sembrare che la sua sia stata una fine troppo tenera per un regicida. Non volevo esagerare descrivendo chissà cosa, considerato che, dal pov del protagonista, sarebbe stato tutto più duro. Però ci tengo a sottolineare che c’era una tortura vichinga che consisteva nell’amputazione degli arti, per poi lasciare il malcapitato in quelle condizioni. Sappi che è ciò che è successo
Il linguaggio sgrammaticato dei suoi carcerieri è voluto.
Passando alla conclusione, ci stava, ammettiamolo :’) Anche questa è storia: Ethelred, messo insieme un esercito, costringe veramente Knut a lasciare l’Inghilterra. Quando si prepara a salpare, il Danese mutila gli ostaggi che i nobili locali avevano dato a Sweyn a garanzia del loro sostegno. Non c’è quindi da meravigliarsi del trattamento che Knut ha riservato a Roderick. Knut non era stato riconosciuto vero erede di Sweyn perché questi aveva un figlio maggiore, che diventa re di Danimarca. Knut gli propone di governare insieme, ma suo fratello Harald non accoglie il suo appello. Gli promette il suo sostegno però se conquisterà l’Inghilterra. Knut torna così alla carica, conquista diversi territori inglesi e giunge nuovamente ad assediare Londra. Ethelred muore durante l’assedio e suo figlio, il principe Edmond, viene proclamato re. Segue la battaglia decisiva tra le forze di Knut e quelle di Edmond; nonostante il valore dimostrato da quest’ultimo, deve piegarsi al Danese per ottenere la pace. Knut ed Edmond si accordano allora per dividersi il regno. La morte di Edmond qualche tempo dopo lascia Knut unico sovrano d’Inghilterra, e alla fin fine fu pure un buon re. Tuttavia, alla fine della mia storia, Salazar ancora non lo sa, e lasciamolo crogiolare nella pia speranza che Roderick abbia cambiato davvero le cose.
Roddino, ti amiamo :’D

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2188056