Hallelujah

di Julsss_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - The eyes who changed my life ***
Capitolo 2: *** I was completely lost in his eyes ***
Capitolo 3: *** Tell me your story ***
Capitolo 4: *** Little things about you ***
Capitolo 5: *** Something more ***
Capitolo 6: *** And everything was more clear ***
Capitolo 7: *** Together ***
Capitolo 8: *** Changes ***
Capitolo 9: *** The End ***
Capitolo 10: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologue - The eyes who changed my life ***


Hallelujah






























Chapter One:


Prologue


The eyes who changed my life


 








Mi rifugiai nella natura, quando capii che la città non era il mio posto. Troppe distrazioni, vizi, necessità. Le persone di cui mi circondavo, non riuscivano a capirmi, mi dicevano: “Smetti di sognare, Castiel. La vita vera è un’altra. Scrivere non ti metterà il pane in tavola”.
La mia vita, quella che mi ero scelto, che avevo deciso di intraprendere, era stata piena di sacrifici e di tante sconfitte susseguitesi nel corso degli anni, ma non mi sono mai arreso.
La vita da scrittore può essere difficile, è vero, ma io non ho mai smesso di credere nel mio sogno, nella mia vita. 
Lasciai il mio sudicio appartamento di New York, dove avevo creduto di poter avere una possibilità con un mio libro di poesie, ma non andò come speravo che sarebbe andata. Avevo riposto molta fiducia in quello che avevo scritto negli ultimi anni, ma quelli della casa editrice bocciarono completamente le mie idee.
Ero disperato, ero ad un punto morto, e forse lo ero anch’io.

Decisi che dovevo prendermi una pausa da tutto, avevo bisogno di pensare. Dovevo dare una svolta alla mia vita, riuscire in quello che credevo. Avevo solo bisogno di cambiare aria, di cambiare le mie amicizie.
La cambiai tornando nella mia vera casa, quella in cui ero cresciuto: Whitefish, Montana. Stare lontano da tutti, era la vera risposta.
Non avevo più nessuno al mondo, forse qualche parente lontano, ma preferivo starmene da solo. Avevo perso i contatti con tutti dalla morte dei miei genitori. Eravamo solo noi tre. Ormai erano passati dieci lunghi anni dalla loro morte e ancora non mi ci ero abituato del tutto.
La casa vuota era come la ricordavo: la tipica baita di montagna completamente in legno posta non molto in alto e per niente lontana dall’incantevole lago di Whitefish, racchiuso tra le alte montagne circostanti, e dall’immensità del cielo che si staglia su di esso facendoti sentire oltremodo insignificante.
Ero completamente solo immerso nella natura, quello di cui avevo bisogno. A volte andavo al pontile, mi sdraiavo a terra e ad occhi chiusi, ascoltavo tutto ciò che la natura aveva da raccontarmi; gli uccelli che cinguettavano, mi davano la pace, mi rilassavano coi loro canti, mentre il vento che sfrusciava tra le foglie verdi come gli smeraldi abbattendosi contro le acque del lago facendolo poi agitare, provocava in me una strana sensazione, come timore, ma tutto ciò che avevo con me adesso, era decisamente meglio che ascoltare inutili chiacchiere su come condurre la mia vita. Mi avevano sempre detto di continuare gli studi per diventare avvocato, e che quello era l’unico lavoro che poteva dare soldi e soddisfazioni, ma io avevo lasciato per studiare letteratura, la mia passione. Non avrei mai potuto aiutare qualcun altro, se prima non ero capace di aiutare me stesso.
Ero deciso a staccare la spina da chi non appoggiava le mie scelte, perché scrivere per me era l’unica cosa che contava, l’unica che mi teneva ancora in vita.

Una delle cose che mi dava la certezza che non fossi davvero solo in quel posto, era il vecchio e pietroso sentiero che portava alla baita, che avevo attraversato chiedendo un passaggio ad un contadino, che doveva recarsi alla sua fattoria più avanti. Ero a piedi e senz’auto.
Per i primi giorni fu un po’ difficile adattarmi. Avevo scelto uno stile di vita completamente diverso da quello che avevo a New York fino a poco tempo prima, ma quella che avevo deciso di riprendere, era stata la mia vita precedente, il mio passato a cui ero ancora legato. Ogni volta che posavo il mio sguardo su qualcosa, che fosse stato un sasso, un albero, una tazza, o il pontile in particolare, ricordavo la mia infanzia, di quando ero spensierato e l’unica necessità di cui avevo bisogno era essere felice. Ricordavo di quando mio padre mi portava in barca a pescare al lago, e di come non prendessi nemmeno un pesce, delle nostre scampagnate quando c’era la neve… ma tutto questo non potevo riviverlo se non nei miei ricordi.
Nonostante fossi nel posto più incantevole che avessi mai visto, la mia voglia di scrivere era completamente svanita. Ero circondato dal blu del lago e dall’immensità del verde come i suoi occhi.
La prima volta che lo ascoltai, fu indimenticabile e mi sentii meno solo.

Era notte fonda di una rovente estate. Lasciai alcune finestre aperte per far passare un po’ d’aria.
Ero alla mia vecchia scrivania, quella dov’era iniziato tutto; le avevo dato una pulita, era completamente piena di polvere e per me quello era un luogo sacro. Stavo cercando di scrivere una poesia, o almeno ci stavo provando.
Gettai l’ennesimo foglio di carta nel cestino dopo averlo strappato. Niente. Nessuna parola. Non provavo la necessità di farlo. Anche la mia più grande passione mi stava abbandonando… come tutti. Mi sentii più perso che mai.
Fissai per un attimo una vecchia foto di me e miei genitori. Era lì, sulla scrivania, da quando l’avevo fatta sviluppare; affiorò in me moltissimi ricordi sia tristi che felici e, fu proprio in quel momento, che udii una melodia. Sobbalzai. Mi affacciai subito alla finestra della stanza, ma non c’era nulla, il suono era lontano da me. Di notte non era affatto consigliabile andare a farsi una scampagnata, per cui non ci pensai più e andai a dormire.
La mattina seguente mi svegliai con un grande mal di testa. Non avevo quasi chiuso occhio a causa del caldo. Feci colazione con quel poco che avevo e più tardi sarei andato alla baita del contadino, Bobby si faceva chiamare, che mi aveva promesso di rifornirmi di ogni genere di alimentare in cambio di aiuto. Mi aveva raccontato che era rimasto solo da poco e non sapeva più come gestire la sua fattoria e, siccome io ne avevo assoluta necessità, gli risposi che ne sarei stato felice. Bobby abitava oltre la montagna, nella vallata, e per ogni mattina, si era offerto di venire a prendermi.
Quando tornai nel tardo pomeriggio, ero praticamente distrutto che mi buttai sul letto, ma poi udii di nuovo quella melodia. Proveniva da una chitarra acustica, n’ero certo. Ero curioso di sapere chi diavolo se ne andava a spasso suonando nei boschi. Doveva essere proprio fuori di testa.
Uscii, non vidi nulla, ma la melodia continuava. Mi feci trasportare da quel dolce suono, che mi portò in riva al lago. Non avevo percorso troppo, dopotutto ci abitavo a pochi passi.
Vidi un uomo. Era seduto al pontile e mi dava le spalle; stava suonando la sua chitarra e, proprio in quel momento, iniziò a cantare. La sua voce era penetrante, come una ventata d’aria fresca che non percepivo da quando era iniziata l’estate.


« Well I heard there was a secret chord
that David played and it pleased the Lord
But you don't really care for music, do ya?      
Well it goes like this:
The fourth, the fifth, the minor fall and the major lift  
The baffled king composing Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah, Hallelujah... » 



La sua voce emetteva note di tristezza; cantava quella canzone come se gli appartenesse, quasi mi emozionò. Mi avvicinai di più, cercando di non fare rumore per non disturbarlo, ma poi inciampai in un ramo e mi sentì cadere. Il tizio si fermò all’istante e, preso dal panico, dissi la prima cosa che mi venne in mente.

« Ehi, tu! » esclamai.

Il giovane di fronte a me aveva smesso di suonare la sua chitarra e mi guardò.
Quella fu la prima volta che lo vidi: indossava una maglia grigia aderente al busto, pronunciando soprattutto i bicipiti; un jeans scuro semplice, e dei grossi stivali adatti per quel tipo di suolo. Aveva i capelli corti castano chiaro, viso segnato dal tempo e con lentiggini marcate intorno al naso; occhiaie profonde, labbra carnose, e quegli occhi tristi, ma penetranti, di un verde smeraldo che mi rapirono completamente. All’improvviso, tutta la mia agitazione svanì, mi calmai.

« Chi io? » mi chiese girandosi verso di me.
« Vedi qualcun altro per caso? »
« Tu e la tua goffaggine » mi rispose.
« Questa è proprietà privata! » gli dissi non sapendo come rispondergli.
« Questo sasso è tuo? » disse prendendone uno.
« Beh… no, ma hai oltrepassato il mio recinto » facendogli segno.
« Oh, chiedo scusa sua altezza, me ne vado altrove »

Il tizio fece per andarsene, ma notai la sua chitarra: nera ai bordi che andava sfumandosi nel marroncino chiaro, e una macchia dipinta simile ad una goccia che sembrava che fuoriuscisse dal rosone. Non era nuova ai miei occhi, così trovai una scusa per fermarlo.

« Ma quella è una Gibson? »
« Sì, ne capisci? » mi chiese fissando la sua chitarra.
« Oh, no… mia madre ne aveva una »
« Suonava? »
« Sì, molto tempo fa »
« Ho capito. Beh, io tolgo il disturbo, allora. Ci vediamo… o forse no »


Accennò ad un sorriso abbassando la testa, sembrava quasi imbarazzato. Poi si alzò, prese il suo zaino portandolo alla schiena e iniziò ad avviarsi.
Gli lessi chiaramente negli occhi che era perso, ma poteva benissimo fingere di essere quello che mostrava, e poteva essere un serial killer per quanto ne sapevo, ma aveva un viso talmente bello da non poter essere un mostro del genere.
Si fermò a guardare il tramonto, mentre io osservavo lui come se fosse stata la cosa più usuale per me. Non avevo mai visto qualcuno di così bello e, che allo stesso tempo, celasse qualcosa di misterioso dietro quegli occhi tristi.
L’acqua diventò sempre più scura ed arancione, finché non divenne completamente nera come il buio della notte. Fui troppo disattento ad osservare le sfumature del cielo, quando mi accorsi che lui non c’era più. 










Angolo Autrice:

Come promesso, sono tornata! 
Ringrazio tutte le persone che hanno dato una possibilità a questo mio nuovo progetto.
Questa vuole essere una storia diversa dalle altre, ci sto mettendo l'anima per fare un buon lavoro, e spero che la maggior parte apprezzi quello che sto facendo. 
Ero un pò scettica all'inizio, ma le mie amiche mi hanno dato molta speranza, e adesso sono qui e la condivido con voi.
Mi piacerebbe leggere i vostri pareri... attendo con ansia i vostri commenti :)
Spero vogliate conoscerne il seguito.
Alla prossima, 
Juls

 

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Capitolo 2
*** I was completely lost in his eyes ***


Hallelujah
























Chapter two:


I was completely lost in his eyes









Arrivai ad un punto della mia vita che potevo considerare fermo. Non era cambiato nulla da quando ero lì, non avevo compiuto passi precisi, ma solo insicuri. Non c’era stata nessuna svolta nella scrittura, non trovavo nemmeno le parole per descrivere cosa provavo, o cos’avessi attorno. Ero completamente smarrito.
La maggior parte del tempo la passavo alla fattoria ad aiutare Bobby; mi svegliavo presto al mattino e tornavo il pomeriggio ad orari variabili. Ma io ero venuto per seguire il mio sogno, cosa diavolo mi portava lì? Non ero tornato per questo, di sicuro non ero venuto per procurarmi qualcosa da mettere sotto i denti, o trovare un lavoro tra le montagne del Montana.
Alla fine di ogni giornata, arrivava quel momento in cui iniziavo a dubitare di me stesso ponendomi sempre la stessa domanda: mi chiedevo se tutto quello che avevo fatto, se trasferirmi in quel posto lontano da tutti e tutto, fosse stata la scelta giusta. Più me lo chiedevo e più non trovavo una risposta.
Poi c’era l’altro momento, quello che preferivo… quello in cui chiudevo gli occhi, e ricordavo i suoi verde smeraldo come tutto ciò che adesso mi circondava. Anche i suoi celavano tanta sofferenza, proprio come la canzone che cantava, la sua voce… mi sentii un inutile buono a nulla. L’avevo fatto scappare quando magari si ritrovava da solo e voleva solo della compagnia, qualcuno con cui parlare. Giurai che se l’avessi rincontrato, gli avrei offerto il mio aiuto.
Non lo rividi troppo presto, passarono circa due settimane.

Quella mattina, mi svegliai con un grande desiderio di camminare, di avventurarmi per i boschi e non ci volle molto per auto-convincermi, anche se non ero un tipo molto attivo, la mia era sempre stata una vita sedentaria… a parte quelle volte che rincorrevo i taxi sotto la pioggia.
Chiamai alla fattoria e inventai una scusa per evitare il lavoro, non so se Bobby ci credette, ero un pessimo bugiardo, ma ebbi il via libera.
Feci colazione con quel poco che avevo, e preparai lo zaino con qualche panino, una bottiglia d’acqua, un quaderno e una penna. Avevo tutto l’occorrente per un giorno. 
La giornata era molto calda siccome eravamo nel bel mezzo del mese di agosto. Mi incamminai senza una meta ben precisa entrando sempre di più all’interno della selvaggia vegetazione seguendo nel senso opposto un ruscello; questo mi ricordò quella volta quando io e mio padre ci avventurammo per i boschi alla ricerca di funghi, ma l’unica cosa che riuscimmo a trovare fu un lupo non appena salimmo sulla cima. Lo ricordo ancora come se fosse ieri: era incredibilmente grosso, possente, con occhi profondi, denti come zanne e un pelo folto che si alternava a sfumature che andavano dal bianco al grigio. Era spettacolare ma, allo stesso tempo, terrificante. Aveva appena finito di dissetarsi quando ci vide. Ci osservava da lontano, e ci lasciò perdere come se fossimo inutili. Ci andò alla grande! Ma se solo avesse voluto, avrebbe potuto uccidere entrambi, però non lo fece.
A quel punto, speravo solo di non trovarne nuovamente uno, altrimenti avrei potuto dire addio a tutto quello che avevo pianificato per me, anche se… la morte avrebbe alleviato le mie sofferenze, le mie necessità. Ma non sarei voluto morire in quel modo, magari all’improvviso durante il sonno. Veloce ed indolore, e credevo di averne avuto già abbastanza.

E proprio mentre pensavo alla mia morte, lo rividi inaspettatamente.
Il ruscello mi portò alla sua fonte; non ero molto lontano dalla cascata d’acqua che fuoriusciva dalle pareti di una roccia nera, gettandosi poi in una grossa pozza che, a sua volta, scorreva attraverso una fessura che aveva dato origine al ruscello.
La prima cosa che notai dall’alto, fu la sua chitarra; l’aveva poggiata contro un masso con accanto il suo zaino. Spostando lo sguardo verso la cascata, alla fine lo vidi. Era di spalle, stava facendo il bagno in quella pozza d’acqua limpida. L’acqua gli arrivava sino al fondoschiena, non lasciando intravedere il resto. Si trovava precisamente sotto la cascata e lasciava l’acqua scorrere sul suo viso. Era quasi una visione celestiale e io mi sentivo solo uno stupido che lo stava osservando da lontano.
Non appena si girò, non ci pensai due volte a nascondermi dietro un albero lì vicino. Poco a poco però, provai il bisogno di scorgere di più i miei occhi e lo rividi: lasciava ancora che l’acqua gli bagnasse i capelli per poi passarsi le dita massaggiandoli; il sole illuminava il suo corpo asciutto e snello, le spalle larghe e i fianchi stretti… sembrava quasi che brillasse di luce propria dimenticando quei raggi di sole che lo toccavano. Era una visione, forse una delle persone più belle che abbia mai visto in quella mia misera vita. Ne fui abbagliato… completamente. 
All’improvviso, si distaccò della cascata e fece per uscire, dirigendosi verso le sue cose.  Mi girai di scatto verso la vegetazione circostante, non potevo, non sarebbe stato giusto. Mi sedetti alle radici dell’albero dov’ero nascosto e, come se me lo fossi aspettato, iniziò a suonare dopo un po’. Stessa canzone, stessa voce.



« Well your faith was strong but you needed proof     
You saw her bathing on the roof      
Her beauty and the moonlight overthrew ya         
And she tied you to her kitchen chair         
She broke your throne and she cut your hair     
And from your lips she drew the Hallelujah
Hallelujah Hallelujah Hallelujah Hallelujah... »




E finì così, perché io e la mia goffaggine (così aveva detto lui al nostro primo incontro) fummo presenti al momento sbagliato. Mentre stavo cercando di vedere dove fosse, il mio movimento provocò la rottura di un ramo sotto le mie gambe e attirando l’attenzione di lui.

« Chi c’è? » chiese ad alta voce girandosi verso gli alberi.

Ero stato scoperto, il panico mi assalì. Se avessi cercato di andarmene sicuramente mi avrebbe visto e quindi avrei peggiorato solo la situazione. Era stata una pessima idea rimanere lì e di certo non ero il tipo che spiava le persone, no. Qualcosa di lui mi attirava, quei suoi occhi mi avevano parlato, mi avevano chiesto aiuto e io non avevo saputo dargli una risposta. E adesso mi sentivo trascinato da lui.

 « So che ci sei, ti ho visto sai… » disse ancora posando la chitarra.

Mi sentivo in trappola, chissà cosa avrebbe pensato di me una volta riconosciutomi. Ormai non riuscivo più a vederlo, non sapevo dove potesse essere, o cosa stesse facendo. E poi parlò ancora.
 
« Non vorremo fare mica notte? »

La sua voce aveva un tono gentile, per nulla spaventato, o che desse segni d’ imbarazzo nonostante io stessi facendo una cosa così stupida, di cui non era la mia intenzione. Non avrei potuto prevedere quello che stesse facendo, ma fu inevitabile, a quel punto, non rimanerne incantati.

« Non avere paura, non ti mordo » continuò.

Sentivo la sua voce avvicinarsi sempre di più a me e il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Non mi ero mai sentito così… così agitato, così strano, così… rapito.
Ad ogni suo passo, il mio cuore sembrava graffiare contro il mio petto, voler scappare, stavo per essere clamorosamente scoperto. Poi si fermò. Passarono alcuni secondi prima di risentirlo di nuovo, ma questa volta era vicino, potevo percepirlo. Ad un tratto, mi girai alla mia destra.

« Eccoti qui! » esclamò sorridendomi.

Sobbalzai dalla sorpresa spalancando gli occhi e pensai che il mio cuore avesse mancato di un battito. Il suo sorriso mi fece quell’effetto.

« Lo sai che questa è proprietà privata? » mi disse ancora prendendomi in giro.

Ebbi un lieve sussulto e, come se non bastasse, mi si posizionò davanti. Aveva ancora i capelli bagnati e alcune gocce d’acqua che gli cadevano dal viso… non gli avevo dato il tempo necessario per rifarlo sistemare. I suoi vestiti erano altrettanto zuppi. Ne rimasi pietrificato. I suoi splendidi occhi guardarono i miei… mi ci persi completamente.
Quasi dimenticai che stava cercando di fare lo spiritoso, o che forse, mi stava ripagando con la stessa moneta, oppure era un modo gentile per farmi alzare i tacchi e girare allargo. Ma a quel punto, fui dubbioso. Davvero viveva da queste parti? Non c’era mai stata una casa in quella zona, non ci avevano mai costruito per via del terreno friabile da quanto potevo ricordare… e allora dove viveva? Il ragazzo che avevo di fronte a me nascondeva sicuramente qualcosa.

« Ehi, ma che faccia che hai! Ti senti bene? » mi chiese avvicinandosi di più e mettendomi una mano sulla mia spalla.
« S-Sì! » balbettai.
« Ah, allora parli ancora! »
« Ovvio che parlo, mi hai preso alla sprovvista » dissi tutto d’un fiato e incredulo al fatto che avessi trovato le parole per risponderlo.

Il giovane mi sorrise, ma non si bevve la mia scusa. Distolse per un attimo il suo profondo sguardo dal mio, guardandosi attorno. Poi tornò su di me e una nuova sensazione di brivido provai sul mio corpo.

« Mi stavi ascoltando? » disse con fare sospettoso.
« Può essere » dissi alzando gli occhi al cielo e voltandomi al lato opposto al suo.
« Dalla tua faccia… credo che tu sia qui da molto prima »
« Non è… assolutamente vero » mentii spudoratamente perché non potevo fare altro.

Si avvicinò lentamente a me, potevo quasi contargli le lentiggini che aveva in viso e ancora quei maledetti occhi… non ne avevo mai visti come i suoi. Non avrei saputo nemmeno descrivere come mi sentissi. Da quando ero in quel posto, da quando l’avevo incontrato, le parole iniziarono a mancarmi. Iniziò a parlare, a sussurrarmi qualcosa.

« Sei un pessimo bugiardo… dovresti guardarti »

Le sue labbra quasi sfiorarono il lobo del mio orecchio e la sua voce era così seducente e profonda, che mi provocò un brivido che risentii per tutto il corpo. Quel tizio riusciva a farmi provare cose che da tempo avevo abbandonato, e tutto era strano, quasi nuovo. C’era della tensione, ma sembrava quasi conoscermi, ed io non avevo la più pallida idea di chi fosse.
Dovevo conoscerlo! La sua persona, tutto di lui mi incuriosiva parecchio. Perché aveva uno zaino in spalla e una chitarra? Perché se ne andava a spasso tra i boschi cantando sempre la solita canzone? Perché tutto questo mi incuriosiva?
 
« Insomma, ma chi sei? » finalmente gli chiesi.
« Sono solo un ragazzo con una chitarra »

Quella fu la sua risposta, dopodiché si girò e iniziò a camminare scendendo nella direzione in cui io l’avevo casualmente raggiunto. Rimasi impalato e lo vidi allontanarsi, per poi girarsi di nuovo verso di me.

« Che fai, non vieni? » mi domandò.

Non capivo da dove venisse quel suo interesse sfacciato di parlarmi, o di farsi seguire chissà dove. Semplicemente non lo capivo, ma mi lasciai trasportare inevitabilmente, ormai, pensai di non aver più via d’uscita.
Lo raggiunsi senza dire una parola. Sembrava molto sicuro di sé, come se conoscesse il posto come le sue tasche. Rimasi colpito da quella sua sicurezza, e immaginai di essermi sbagliato e che sicuramente abitava da queste parti.
Rimanemmo in silenzio per un breve tratto, dopodiché lui fece la prima mossa.

« Non dovresti avventurarti nei boschi senza qualcosa con cui proteggerti » disse continuando a camminare.
« Ma si può sapere chi sei?! » gli chiesi ancora una volta insistendo. « Ti comporti se mi conoscessi o come se ci stessi provando con me! »

Lui si fermò di colpo davanti a me. Non so con quale coraggio dissi parole del genere, ma tutta quella faccenda iniziava a darmi sui nervi. Pesantemente.

« Ehi, cowboy, sei diretto! »
« Abbastanza » risposi deciso.
« Sono Dean, Dean Winchester » disse porgendomi la mano e abbagliandomi un sorriso.
« Castiel » gli feci incontrare la mia.
« So chi sei, Castiel » mi disse.

Il suo nome era Dean ed io avrei dovuto immaginarlo… mi conosceva! Era incredibile! Un tizio del genere conosceva me, il mio nome e si prendeva anche una certa confidenza. Però finalmente sarei venuto a conoscenza della verità che celava dietro quei suoi occhi verde smeraldo.

« Sei un mistero, Dean Winchester »












Angolo Autrice: 

Come promesso su Twitter (per chi mi segue), ho aggiornato. 
Ero anch'io impaziente di farvi conoscere il seguito di questa storia, e vorrei ringraziare chi ne ha letto il primo cap e, soprattutto, chi è arrivata a leggere questo. 
Spero vi stia piacendo e magari potete farmelo sapere commentando. Ne sarei felice :) 
Adesso, come sempre, mi dileguo e vi lascio andare. 
Alla prossima,
Juls 

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Capitolo 3
*** Tell me your story ***


Hallelujah








































Chapter three:

Tell me your story
 










Finalmente mi era tutto più chiaro. Il giovane che se ne andava in giro a suonare la chitarra, aveva un nome: Dean Winchester, e Dean aveva detto di conoscermi. L’unico problema era che io non sapevo chi fosse e non l’avevo mai visto prima nella mia vita.
Eravamo ancora impalati a metà strada verso casa mia; mancavano ancora venti minuti per arrivare, il sole era ancora alto in cielo e il caldo non aiutava affatto.
Riprese a camminare senza darmi una risposta, ma io pretendevo di sapere. Come conosceva il mio nome? Tutto questo mistero mi incuriosiva sempre di più.

« Come conosci il mio nome? » gli chiesi.
« Vuoi proprio saperlo? »
« No, stiamo aspettando qui come esche per i lupi! »

Rise di gusto alla mia battuta, aveva il sorriso più bello e luminoso che avessi mai visto. Era un sorriso vero, non come quello malinconico che mi lasciò al nostro primo incontro. Forse aveva davvero bisogno di qualcuno che gli parlasse, di qualcuno che lo facesse ridere, aveva solo bisogno di compagnia in questo posto così grande da sentirsi sempre soli.
Dean aveva qualcosa di misterioso che mi attirava; non era per il suo aspetto, o per il fatto che conoscesse il mio nome senza che io conoscessi lui, ma era proprio qualcosa che lo stava logorando dall’interno, glielo potevo leggere negli occhi e loro non potevano essere bugiardi come me. Ma non glielo chiesi, l’avrei scoperto prima o poi , o quando mi sarei fatto coraggio e gliel’avrei chiesto senza mezze misure.
Continuammo a camminare e a parlare.

« Sei simpatico, Cas »
« Tu per niente » gli risposi irritato.
« Spezzi i cuori innamorati, eh? » mi chiese e io non avevo proprio capito cosa intendesse.
« Mai nessuno si è innamorato di me »
« E perché? »
« Che vuoi che ne sappia? E non… cambiare argomento »
« Penso di averlo capito » mi disse.

Non era da me comportarmi in quel modo, così freddo, acido, ma lui continuava ad evitare l’argomento, e credevo lo stesse facendo di proposito. Tentai di forzarlo.

« Sto aspettando! »
« Ho voglia di andare a pescare »
« Io no »
« Sei noioso, Cas »
« Voglio sapere perché conosci il mio nome »
« Te lo dirò una volta scesi al lago »

Non sapevo se fosse un altro suo tentativo di divagare cambiando ancora argomento, ma credetti alla sua promessa e lo seguii. Durante il silenzioso tragitto, prese la sua chitarra iniziando a strimpellarla di nuovo. Non capivo perché avesse questa necessità di farlo sempre e mi venne spontaneo chiederglielo.

« Perché suoni sempre? »
« Anche questo ti dirò una volta arrivati »
« Insomma, con te non si può parlare »
« Non sono di troppe parole, passo più ai fatti »

Non sapevo con esattezza come prendere quella sua risposta, riuscì a spaventarmi e mi chiedevo ancora cosa ci facessi lì con lui e perché non ero già fuggito. Chi era Dean Winchester? L’avrei scoperto al lago.
Una volta arrivati, andammo al pontile, il luogo del nostro primo incontro. Arrivammo alla fine, e lui si sedette ai bordi, cacciando dal suo zaino, una canna da pesca ripiegabile. Preparò il tutto, sembrò non avesse altro in quello zaino, e lanciò l’esca, mentre io presi la mia sdraio e mi ci buttai sopra.
Non dissi niente, stavo aspettando che me ne parlasse e così fece.

« In realtà… se conosco il tuo nome è perché sono entrato in casa tua e… » disse all’improvviso per poi fermarsi.

Lo bloccai, era entrato in casa mia, non la presi affatto bene.

« Come hai fatto ad entrare? Ma come hai osato?! » dissi deciso.
« …e l’ho semplicemente scoperto. Vicino ad una porta c’era segnata la tua altezza »
« Adesso non mi interessa più. Come sei entrato?! »
« Calmati, o mi spaventerai i pesci! Da una finestra aperta… »
« Perché sei entrato? Per studiarti la casa e potermi cogliere nel sonno e uccidermi? »
« Davvero credi che sia un malintenzionato, o cosa? Fantastico! E allora perché sei ancora qui? »

Non risposi. Abbassai lo sguardo e io sapevo perché ero ancora lì. Avevo solo scherzato, ma lui sembrò non aver capito. Avevo bisogno di sapere di più su di lui.

« Perché suoni? »
« Non cambiare argomento, Castiel » mi disse.
« Cosa fai? Mi imiti? »

Sembrò quasi infastidito dalle mie mille domande, ma io avevo la mia ragione, e lui doveva comprendere il mio interesse nei suoi confronti, dopotutto si era presentato a me come un tale mistero…per me lui lo era.

« Sono entrato perché pioveva e non sapevo dove rifugiarmi. Contento?! » 


Ammettere ciò che aveva fatto, gli sembrò davvero vergognoso, non per il gesto in sé che aveva compiuto, ma più perché aveva dovuto farlo siccome non aveva un tetto sulla testa. Tutto questo mi fece capire che lui davvero non aveva un posto in cui stare e stava solo cercando di non volerlo ammettere. Glielo lessi in volto, era troppo difficile per lui.

« E suono perché non ho altro a cui aggrapparmi » disse, il suo tono era malinconico.
 
Il suo tono di voce era inoltre calmo, pacato, però ogni qualvolta cercasse di liberarsi di qualche peso, tendeva sempre a nascondere dell’altro. Ma era riuscito a rivelarmi qualcosa di molto intimo, qualcosa che non si rivela ad uno sconosciuto qualunque. Aveva scelto me per confidare questo suo segreto ed io onestamente non ne capii il motivo, non credevo di esserne degno. Chi ero io per lui?
Lui si aggrappava alla musica per qualche strana ragione e io al luogo in cui ero nato.

« Perché lo stai dicendo proprio a me? » gli chiesi.
« Me l’hai chiesto… Oh, ha abboccato! »

Dean tirò dall’acqua una trota. Da quando ero lì non avevo mai pescato nulla, e per me non era una novità. Non ero mai stato molto fortunato con la pesca, e poi arrivava lui e acchiappava il pesce. Era davvero ingiusto. Sbuffai.

« Potremmo mangiarlo, ti va? » mi chiese gentilmente.

Gli risposi di sì. Non avevo nient’altro da perdere, dopotutto avrebbe dovuto farsi perdonare per il semplice fatto che era entrato nella mia proprietà senza permesso. Rientrai in casa e presi un vassoio. Al ritorno, aveva già pulito il pesce e gli dissi di riporlo lì, così l’avrei messo sul fuoco a cuocere.
Erano le sette di sera e il sole già dava i primi segni di cedimento. I colori del cielo iniziavano a divagare e diventare più instabili formando sfumature di rosso, arancione e rosa, che andavano a confondersi coll’azzurro. Qui il tramonto era qualcosa di stupendo, di meraviglioso e Dean lo fissava come se non avesse mai visto niente di più bello in vita sua e non diceva una parola. Ne rimasi incantato anch’io allo stesso modo… quello fu il secondo tramonto a cui assistemmo assieme.
Passarono quasi quarantacinque minuti prima che il cielo diventasse completamente scuro. A quel punto gli chiesi di entrare.

« Ti va di entrare? »
« No, potrei ucciderti! » disse ironicamente.
« Stavo scherzando prima »
« E se io non scherzassi? » mi lasciò in dubbio.
« Correrò il rischio » gli risposi.

Arrivammo in casa e misi la pentola sul fuoco. Lo trattai da ospite qual’era, io cucinavo e lui stava seduto alla tavola da pranzo. Dopo un pò, mi chiese dove fosse il bagno e sparì per circa dieci minuti. Quando lo vidi arrivare, aveva in mano un foglio di carta… il mio foglio di carta.

« “Si può solo immaginare cosa comporti scegliere il tuo più profondo e oscuro desiderio. Io ero perso nel mio, e mi stava consumando” »

Glielo strappai da mano con tutta la mia forza. Era una cosa personale che uno sconosciuto come lui non avrebbe potuto capire.

« Non è male, scrivi? » mi disse ancora.
« Quando ti ho invitato in casa, non intendevo “vai a curiosare dove ti pare”. E comunque sì, ma è solo robaccia »
« Non è robaccia. Credo sia molto profondo. Per diletto, o cosa? »
« Passione, ma spero di farne un lavoro » dissi mentre apparecchiavo la tavola.
« Beh… buona fortuna »


Era la prima volta che qualcuno, al di fuori dei miei genitori, mi esortasse a continuare e che mi facesse dei complimenti. Per me fu un po’ difficile accettarli, non ero molto abituato; mi avevano sempre detto che sognavo ad occhi aperti e che quello che scrivevo ormai l’avevano già provato tutti sulla loro pelle.
Non credo, che noi esseri umani, siamo tutti uguali; ognuno di noi ha le proprie esperienze, i propri sentimenti e questi non ci fanno somigliare per niente. Puntavo a questo, più che altro… ci speravo. Nessuno mai era riuscito a capirmi, lui però sembrava che ci riuscisse. Poteva essere un punto a suo favore.
Si sedette poi a tavola e mi chiese se avrebbe potuto darmi una mano. Gli dissi che non c’era bisogno, e che di lì a poco avrebbe servito la loro cena. Poi mi si avvicinò mentre ero ai fornelli, mi osservava, mi provocava un po’ d’imbarazzo. Riusciva a mettermi in agitazione, più di un colloquio in una qualsiasi casa editrice. Sentii un brivido percorrermi lungo la schiena destabilizzando il mio equilibrio.

« Che ne dici di tornare a sederti? E’ quasi pronto » gli dissi infastidito.
« Ti da fastidio essere osservato? »
« Molto »

Sorrise e tornò a sedere. Il pesce intanto era pronto, lo riposi nei piatti e lo servii a tavola. Iniziammo a parlare del più e del meno, più che altro di me e di come avevo fatto a procurarmi viveri sino a quel momento. Gli dissi che lavoravo alla fattoria di Bobby al di là di quella montagna, sembrò che non ne avesse mai sentito parlare. Evidentemente non era mai andato oltre questa vallata.  

« Allora, che farai? » gli chiesi.
« Che intendi? »
« Te ne andrai ancora in giro per i boschi? »
« Molto probabile »
« Per stanotte puoi rimanere qui, se ti va e, ovviamente, se non mi uccidi » gli sorrisi abbassando lo sguardo.

Man mano che gli parlavo, mi risultava sempre più facile farlo e riuscivo ad essere me stesso. Con lui non avevo bisogno di fingere chi fossi, non era necessario farlo, lui mi avrebbe capito più di chiunque altro. Me lo sentivo.
Accettò il mio invito; gli dissi che avrebbe potuto dormire nella mia stanza, a patto che non andasse a curiosare in giro. Mi diede la sua parola, ma io avevo i miei dubbi.
Una volta ringraziatomi per la cena, si congedò e andò nella mia stanza portandosi le sue cose. Io finii di lavare i piatti, e come usavo fare, mi cambiai i vestiti e misi quelli da notte, per poi andare fuori casa portandomi la sdraio, il mio quaderno e ammiravo le stelle.
Diversamente dalla città, a Whitefish si potevano ammirare senza mezze misure e senza bisogno di un telescopio. Lì l’aria era pulita e non vi era presenza alcuna di lampioni che impedivano la loro splendida visione.
In città non avrei potuto fare quello che ormai usavo fare da qualche mese, e questo era un posto magico che riusciva a meravigliarmi come un tempo. Avevo dimenticato come fosse magico stare lì. Quando ero piccolo, mi sentivo tagliato dal mondo e, a volte, sentivo il dovere, il bisogno di fuggire da lì. Quando poi presi la strada per il college, lasciai tutto e andai in città. Ero spaesato, come se vivere in montagna fosse stata la cosa più naturale del mondo per me. La città era caotica, inquinata e falsa, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Si dice che non si capisce di apprezzare qualcosa finché non le perdi, e io avevo perso il luogo che più amavo. Ma finalmente ero di nuovo lì, avevo avuto il coraggio di tornare dopo la morte dei miei e non me ne sarei andato facilmente. Avevo considerato l’idea di stabilirmici del tutto e non mi avrebbe fatto che bene, nonostante le mie difficoltà nella scrittura, nella mia voglia, nella mia necessità di scrivere. Essa va e viene, e prima o poi sarebbe tornata da me, non appena avessi avuto qualcosa da raccontare.

Dean bloccò i miei pensieri, quando aprì la porta di casa; doveva avermi sentito mentre la chiudevo. Portò con sé la sua chitarra e si sedette sull’ultimo scalino che dava alla porta.

« Che stai facendo? Scrivi? » mi chiese.
« Lo porto sempre, non si sa mai »
« Fa troppo caldo dentro, non riesco a dormire »
« Da quant’è che sei qui? » cambiai totalmente argomento.
« Dall’inizio dell’estate » affermò continuando a giocare con le corde della chitarra.
« E come hai fatto?! »
« Il mio zaino era pieno di roba, non ti credere. Ah! Ah! Ah! »
« E per dormire? »

Mi raccontò che non molto lontano da lì, precisamente nei pressi della cascata dove l’avevo trovato, c’era una grotta che lo stava ospitando da un po’ di tempo. Ma perché aveva scelto quella vita? Avrei voluto tanto chiederglielo, ma non mi sentivo in dovere di fargli una domanda così personale. Avrei aspettato lui.

« … ti ho detto quella cosa prima, perché sembra che anche tu ti stia aggrappando a qualcosa » disse prendendomi alla sprovvista.
« Come fai a dirlo? » gli chiesi.

Capii subito di cosa stava parlando adesso, aveva cambiato argomento di proposito. Sapeva che prima o poi la mia curiosità nei suoi confronti sarebbe venuta a galla.

« Perché sei tornato qui? » chiese ancora.
« Dovevo cambiare aria, allontanarmi da tutto » gli risposi sinceramente.
« Perché me lo stai dicendo? »
« Me l’hai chiesto »

Il giorno dopo sarebbe stato domenica e non sarei andato a lavoro. E quella fu la prima volta che Dean mise piede in casa mia e non se ne andò più.









 











Angolo Autrice: 

Finalmente è sabato! 
Ringrazio tutti per aver letto il terzo capitolo di questa storia. E così abbiamo svelato qualche mistero, ma non si può mai sapere quale sia la verità assoluta. Il nostro Dean è un tipo misterioso, a Cas gli si è parata davanti una bella sfida: decodificarlo! 
Chissà se riuscirà a farlo. Non vi resta che leggerne gli sviluppi.
Fatemi sapere se vi è piaciuto con un commentino :) 

Gli aggiornamenti di queta storia avverranno sempre di sabato pomeriggio, salvo imprevisti.
Alla prossima,
Juls 

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Capitolo 4
*** Little things about you ***


Angolo Autrice: 

Finalmente di nuovo sabato!
E che sabato... che di buono non ha nulla siccome piove e fa freddo, ma andiamo avanti.
Sabato vuol dire aggiornamento di Hallelujah ** finalmente ci siamo!
Spero stia piacendo la storia e che porti un raggio di sole in questa giornata grigia e scura. 
Vi lascio una buona lettura.
Alla prossima,
Juls



















Hallelujah




































Chapter four:

Little things about you




 

(Yeah but) Baby I've been here before 
I've seen this room and I've walked this floor, (You know) 
I used to live alone before I knew ya
 
And I've seen your flag on the marble arch    
and love is not a victory march       
It's a cold and it's a broken Hallelujah
Hallelujah Hallelujah Hallelujah Hallelujah...











La domenica era il giorno preferito della mia infanzia. La domenica, mio padre mi portava a pescare al lago nel suo giorno libero. Quel lago pullulava di ricordi per me, in qualsiasi angolo rammentavo un ricordo diverso ed erano così vividi nella mia mente che sembravano recenti.
Ricordo di quella volta quando caddi dalla barca, all’epoca avevo dieci anni. Era una calda mattina d’estate come questa.
Mio padre mi venne a svegliare presto, il sole era sorto già da un po’. Mi preparai, avevo una canna da pesca tutta per me, era quasi il doppio di me, non ero molto alto e quasi non riuscivo a tenerla in piedi. Prendemmo la barca e ci lasciammo cullare dal vento che ci trasportò sino al centro del lago. Quella mattina però non eravamo soli, c’erano altri visitatori, ma non gli prestai molta attenzione, anzi mio padre cercava di evitare più contatti possibili. Era un tipo che se ne stava spesso per le sue, e credo di sapere da chi ho preso questo mio bisogno di allontanarmi da tutti.
Lui pescò diverse trote quella mattina e poi arrivò anche il mio turno… o quasi. Abboccò un pesce alla mia esca. Faceva talmente tanta resistenza che dovetti alzarmi in piedi per cercare di prenderlo. Mio padre non mi diede nemmeno un aiuto, diceva che s’ero uomo dovevo farcela da solo, ma non ero pronto per esserlo. Mi spinsi troppo indietro e caddi in acqua. Lui rise e mi prese in giro; una volta tornato sulla barca, vidi che anche quei turisti mi stavano guardando e alcuni di loro stavano ridendo. Mi sentii quasi umiliato tutto bagnato fradicio. Ero nervoso e la voglia di fare qualsiasi altra cosa mi passò.
Tornammo indietro al pontile e ormeggiammo la barca. Mio padre andò avanti, mentre io rimasi lì… a pensare. Non ricordo a cosa pensai esattamente, ma quella scena è ancora qui nella mia testa.
Poi arrivò qualcuno… Un ragazzino, doveva avere quasi la mia età, lo vidi arrivare da lontano. Si avvicinò a me con una palla, però io lo mandai via in malo modo, gli dissi di andarsene… volevo rimanere solo. Non lo guardai nemmeno in faccia, non mi interessai nemmeno a quello che volesse… poteva aver riso di me anche lui. E poi mio padre mi chiamò e mi disse di tornare. Non so perché io ricordi particolarmente quel giorno, una cosa del genere si vuole dimenticare, cancellare dai ricordi della mente, ma è ancora qui.

Quando Dean mise piede in casa mia, da quel momento non ci sarebbero state più prime e seconde volte, ma un sempre.
Quel giorno gli chiesi di restare, una parte di me non voleva che se ne andasse, e lui, anche se con qualche obiezione all’inizio, alla fine decise di rimanere dicendomi “Finché non troverò qualche altra sistemazione”. Ma entrambi sapevamo che se non fosse stata la grotta a cui era affezionato, sarebbe stata solo casa mia.
Continuavamo a fingere che non ci importasse di rimanere di nuovo soli, la verità era che avevamo bisogno l’uno dell’altro. E Forse Dean era l’unica persona da cui non volevo, non riuscivo ad allontanarmi.
Tutto iniziò a diventare diverso da quando c’era lui con me. La mia routine cambiò radicalmente, nonostante il mio lavoro da Bobby. A volte, lo portavo con me quando non voleva rimanere solo, servivano volentieri altre due braccia.
Stavamo inevitabilmente insieme sin dal mattino.
Dean non era, e non sembrava, una persona che non aveva mai avuto una casa, un posto dove stare… sembrava tutt’altro. Qualcuno che aveva avuto tutto dalla vita e adesso era rimasto con solo uno zaino, una canna da pesca e la sua chitarra. Come se avesse portato con sé tutto ciò che gli rimaneva, che riteneva necessario.
Evidentemente, aveva fatto una scelta simile alla mia, quella di allontanarsi da tutto e tutti, ma il suo scopo non mi era ancora chiaro. Non gliel’avevo chiesto, non mi sentivo la persona giusta, sebbene pensassi che questa cosa ci accumunasse. E forse non era l’unica cosa… .
Ogni volta che lo guardavo, mi perdevo nei suoi occhi, quei tristi occhi che avevo visto la prima volta; un sorriso mi avrebbe potuto ingannare, ma loro no, erano troppo veritieri per nascondermi cos’avesse.
Dean mi nascondeva sempre tutto, lasciava sempre i discorsi a metà per poi ricominciarne un altro dal nulla. Non voleva che sapessi più del necessario. Era sempre un mistero per me, e sempre lo sarebbe stato.
Ma ci fu quella volta che seppi di più.
Era settembre inoltrato. Le giornate si stavano riducendo ed era da poco tramontato il sole. A Dean piaceva guardarlo, e ogni giorno che passavamo insieme, avevamo come una specie di appuntamento con lui.
Fuori tirava un vento fresco, piacevole e decidemmo di goderci quel poco che ne sarebbe arrivato.
Eravamo fuori casa. Dean si distese sull’erba, mentre io ero sulla mia sedia a sdraio col mio quaderno cercando qualcosa che mi ispirasse disperatamente.
All’improvviso, mi guardò e parlò:

« Ho un fratello, si chiama Sam » disse.
« Perché me lo stai dicendo? » gli chiesi girandomi verso di lui.
« Faccio conversazione, stai sempre con quel quaderno… »
« Sei geloso di un quaderno? » lo stuzzicai banalmente.
« Sei tu che gli dai troppa importanza, esisto anch’io… » disse tenendomi il broncio.

Gliela diedi vinta. Posai il quaderno sulla sedia e mi sdraiai accanto a lui. Osservò ogni mio movimento con interesse. Ogni volta che lo faceva, mi regalava un brivido. Quegli occhi era imbarazzanti; quando Dean Winchester mi guardava, non potevo sentirmi che a disagio, ma ogni suo sguardo per me era un privilegio.
Poi i nostri sguardi si scontrarono come un’improvvisa collisione tra il cielo e la terra.

« Sei legato a Sam? » gli chiesi.
« Sì, anche se prima di andarmene, abbiamo avuto una discussione »
« Immagino per questa tua folle decisione… » dissi con tono da rimprovero.
« Senti chi parla, tu non sei da meno! » esclamò.
« Anche se adesso non stiamo parlando di me, io non ho più nessuno al mondo, Dean. Sono solo, e le uniche persone di cui mi circondavo, pensavano che fossi un fallimento totale. Perciò me ne sono andato. Ero stanco di essere circondato da quegli idioti »
« Sei ancora circondato dagli idioti, ne hai uno proprio davanti a te »
« Zitto! » esclamai dandogli una spinta alla spalla.
« Anch’io sono un fallimento totale, perciò me ne sono andato. Sto fallendo, Cas » ultimò col suo solito sguardo malinconico.
« In che cosa stai fallendo? » gli chiesi.

Si girò dall’altro lato interrompendo il nostro contatto visivo.
Ed era arrivato il momento in cui calava il silenzio e tutto taceva così come il tramonto.
Il mistero da quella volta s’infittì, l’odiavo quando faceva il misterioso, l’adoravo quando all’improvviso decideva di suonare la sua chitarra. Erano le uniche volte che lo vedevo spensierato, come se, quando lo facesse, ogni suo pensiero svanisse e lui diveniva una persona diversa; ma c’erano anche quelle volte in cui si chiudeva nella mia stanza, iniziava a suonare e sentivo dei singhiozzi di pianto. Non capitava spesso, o almeno quando se ne faceva accorgere.
Quando decisi che avrei voluto aiutarlo, intendevo farlo davvero, ma lui non si lasciava aiutare, non si apriva con me e forse non era pronto.
Era incredibilmente tormentato; a volte se ne stava sulle sue e non parlavamo per ore intere.
Io non lo capivo, Dean Winchester non si lasciava capire.

Ma nonostante questo suo tratto indecifrabile, ero riuscito a decodificare alcune sue abitudini. Si svegliava presto al mattino, a volte io mi alzavo e lui era già in cucina che aveva preparato il caffè e la colazione. Si dimenticava completamente di me o di qualsiasi altra cosa, e andava a pescare tornando a casa con qualche pesce.
Non era una persona molto ordinata; lasciava sempre le sue cose sparse per casa benché fossero poche, e lo riprendevo sempre ogni volta che me ne accorgevo.
Però a modo suo sapeva essere dolce; quando tornavo stremato dalle mie giornate alla fattoria, mi faceva trovare sempre qualcosa di pronto. Non so se lo facesse perché gli ero simpatico, ci tenesse a me, o solo perché era il suo modo di ringraziarmi per l’ospitalità che gli davo.
Ad ogni modo, cercava sempre un pretesto per stare da solo più volte al giorno; forse la mia compagnia lo metteva a disagio oppure ero stato io troppo invadente chiedendogli di restare.
Avevo devastato la sua routine, come lui la mia, e una sera, appena tornato dalla fattoria con qualche ricompensa per il mio aiuto, trovai la tavola già apparecchiata.

« Bentornato! » esclamò vedendomi entrare.
« Mi sembra di rivedere la scena di qualche film » dissi.
« Ciao anche a te! Peccato che non siamo sposati e io non abbia due tette e… »
« Sisi, ho capito, grazie »

Dean rise, era raro vederlo, soprattutto di sera, quando la notte calava, sembrava calasse anche la sua felicità, così come la sua tranquillità.

« Cosa c’è per cena? » chiesi.
« Pesce »
« Ancora?! » sbuffai.
« Non ti lamentare. Non c’è altro »
« Ho portato queste » dissi fiero.

Poggiai sul tavolo i due polli della fattoria di Bobby, quel giorno me li diede perché gli avevo raccontato che non facevamo altro che mangiare pesce. Era una situazione alquanto strana, anche perché non ero mai stato molto amante di quel genere di cose. Accettai quei due polli come se fossero stati migliaia di dollari in contanti.

« Potremo variare la nostra dieta! » disse Dean ironicamente.
« Ha notato la mia disperazione »
« Non solo mi rendo utile… Siediti è pronto, e lavati le mani »
« Oddio, sembri proprio una moglie! »

Dean, a differenza di quello che poteva sembrare, non era per niente male, a parte il suo modo di essere misterioso. Ci si poteva scherzare, era gentile, dolce (e lui ha sempre negato questa cosa), testardo, oh… quello lo era molto. Quando si ficcava una cosa in testa, era quella e non c’era verso di smuoverlo facilmente; come quella volta che era deciso a riparare la porta d’ingresso che stava perdendo colpi, o come quando ebbe una discussione con Bobby riguardo a come gestire la fattoria.
Ed era geloso del mio quaderno; quella era la parte che più amavo di Dean… quando cercava attenzioni.
Non ero mai stato attratto da un uomo come lui, il problema è che lui non era come gli altri e mi metteva in agitazione con un solo suo sguardo.
In un mese trascorso insieme, non era successo niente tra di noi, forse entrambi aspettavamo il momento giusto per parlarci seriamente.
Notavo come mi guardava, il suo sguardo non era di quelli semplici con cui guardi un amico, era qualcosa di più e io me lo sentivo.
A me Dean piaceva. Non ci misi molto per capirlo. Il fatto che il cuore battesse all’impazzata ogni volta che mi guardava con quegli occhi, di tutte quelle sue piccole attenzioni che mi rivolgeva, o quando per un motivo o per un altro, mi sfiorava provocando in me una sensazione di brivido, erano tutte cose che mi fecero capire che Dean non poteva essere solo un mio conoscente – amico.
Di solito, mi era capitato di prevedere le mosse degli altri una volta conosciuti, ma lui era sempre imprevedibile, ed era questa una delle cose che più mi attirava.
Conoscevo così poco di lui, della sua vita, del suo passato, ma per quello c’era tempo… ci sarebbe sempre stato del tempo; avevo imparato a conoscere i suoi gesti e le sue abitudini, ed alcune erano proprio bizzarre.
La più strana a cui mi capitò di assistere più volte, fu quando Bobby ci procurò delle taniche di birra che potevano bastarci per due o tre mesi. Quando seppe che era birra, la sua felicità fu immensa e se ne uscì con una frase del tipo:

« Stavo iniziando ad odiare l’acqua »

Dean riusciva sempre a sorprendermi e la birra passò magicamente al posto dell’acqua bevendola costantemente, anche quando finiva il caffè. 
E poi c’era quell’altra abitudine… quella che non era bizzarra, ma preoccupante.
Almeno tre volte al giorno, andava a fissarsi allo specchio del bagno, guardava i suoi lineamenti, ma non lo faceva pavoneggiarsi, piuttosto sembrava preoccupato, spaventato. Me ne accorsi una notte. Lo beccai al bagno mentre io ci passai davanti. Mi fermai nell’oscurità del corridoio e  l’osservai.
Ero sempre più convinto che Dean nascondesse qualcosa.




 

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Capitolo 5
*** Something more ***


Hallelujah

 

 











 
















Capitolo 5:

Something more










Erano già trascorsi quattro mesi e mezzo da quando ero arrivato a Whitefish, e in tutto quel tempo, le pagine del mio quaderno erano state riempite solo dal mio animo vuoto; solo qualche goccia di inchiostro gli si era posata su, ma per fare scarabocchi od enormi x per far sì che coprissero gli obbrobri che ne uscivano, ogni volta che tentavo di scrivere qualcosa.
Dean insisteva dicendomi di lasciar perdere e che, l’ispirazione, prima o poi sarebbe arrivata nel momento in cui me lo sarei aspettato meno ed io continuavo a ripetergli che, s’era come diceva lui, allora dovevo essere pronto tenendo il quaderno sempre con me. Ero certo che un giorno di quelli, avrei trovato il quaderno nel caminetto a prender fuoco.
Era invece trascorso un mese e mezzo, da quando Dean si era accampato a casa mia. Ormai avevamo sincronizzato le nostre routine diventando una cosa sola, ma quel giovedì l’interrompemmo per un attimo che sembrò infinito.

Il giorno prima Bobby ci aveva avvisati che non saremmo dovuti andare in fattoria, perché sarebbe andato in città per qualche giorno avendo da sbrigare alcuni affari urgenti.
Dean si svegliò più presto del solito e, quando io mi alzai, non trovai la colazione pronta a tavola, tanto meno lui vicino i fornelli che sorseggiava il caffè. No, lui non c’era, non era proprio in casa. Pensai per un attimo che mi avesse lasciato e che se ne fosse andato per sempre. Andai nella sua camera, ma le sue cose erano ancora lì, tranne il suo zaino.
Non poteva essere andato lontano, forse aveva solo voglia di camminare. Uscii di casa, il sole si era appena alzato in cielo illuminando tutto il paesaggio circostante; era sempre uno spettacolo quel posto e fu allora che lo vidi. S'era incamminato verso il lago con lo zaino in spalla, così gridai il suo nome.
Lui mi sentì, si girò verso di me e mi fece segno con la mano, da lontano, di raggiungerlo. Non avrei potuto farlo, avevo ancora in dosso il pigiama e a quell’ora faceva freddo. Gli feci capire che non potevo e lui allo stesso modo mi fece capire che mi avrebbe aspettato. Tornai in casa e mi vestii, ancora non sapevo cosa mi sarebbe aspettato quella mattina.
Raggiunsi Dean al lago.

« Hai preso tutto? » mi chiese.
« Perché, dove andiamo? »
« Ti porto a vedere una cosa » disse con tono misterioso, come se lui non lo fosse mai stato.

Accennò ad un sorriso e pensai che fosse più strano del solito, quasi teso all’idea di mostrarmi quello che aveva intenzione di farmi vedere. Si era svegliato molto presto, quindi pensai che quella cosa dovesse essere alquanto distante da casa mia.

« Dove dobbiamo arrivare? » gli chiesi.
« Laggiù » disse indicando con  la mano.

Indicò al di là del lago, avremmo dovuto percorrerlo interamente lungo la riva ed arrivare alla fitta foresta, che poi ci si sarebbe parata davanti. Ricordo che, da piccolo, mio padre non mi ci voleva mai portare. Era troppo fitta, chissà se adesso lo era ancora di più.
In quasi mezz’ora, riuscimmo a raggiungerla ed era peggio di quello che ricordassi.
Lì la vegetazione era così rigogliosa, tanto da poter "quasi" intravedere il terreno… se si era fortunati. E sembrava che la Natura avesse preso il sopravvento in quel luogo misterioso e colmo di pericoli. Veniva chiamata Schwarzwald, la Foresta Nera. Quel nome, mi portò alla mente nuovi ricordi vissuti proprio davanti a quell’enorme quercia, che segnava l’inizio dell’entrata in quella zona selvaggia e fuori controllo.
Mia madre mi raccontava sempre della vecchia leggenda di Schwarzwald per non farmi avvicinare. Si dice (o si diceva), che un uomo sia stato inghiottito dal terreno sottostante e che, se la si attraversa, si sentano ancora le sue urla di aiuto. Io non ho mai creduto a queste sciocchezze, ma i miei genitori mi hanno sempre vietato di avvicinarmi, mentre adesso li stavo praticamente ignorando. Avrei dovuto dire a Dean che oltre alla leggenda, un altro uomo aveva perso la vita proprio qui.

« E’ come la ricordavo » dissi, quando ci fermammo davanti alla quercia.

Dean si girò verso di me aspettando che continuassi a parlare.

« Questo posto. E’ sempre stato molto fitto e i miei non volevano che ci mettessi piede. Ci è morto qualcuno qui »
« Allora sono stato fortunato! » esclamò avanzando di un passo.
« Perché? » gli chiesi incuriosito.
« Perché è da qui che sono arrivato »

Spalancai gli occhi e ritenevo che fosse quasi impossibile passare da lì. Quel terreno era stato dichiarato instabile e, molto spesso, franava in punti vuoti. Così morì quell’uomo.

« L’hai attraversata?! E da dove sei arrivato? »
« Se riusciamo ad attraversarla senza problemi, arriviamo ad un sentiero nascosto »
« Li conosci tutti tu i posti segreti »
« Ero solo, cos’altro avrei dovuto fare? »

Continuava ad incuriosirmi, non cercava proprio di smettere di risultare misterioso ai miei occhi. Se aveva lasciato la famiglia per andarsene a zonzo, tutto da solo, in mezzo alle montagne, doveva essere stata una grande e brutta decisione, ma che, in qualsiasi caso, non avrei capito, a meno che non me l’avrebbe spiegato.
Ci apprestammo ad entrare, avremmo dovuto fare ritorno prima che facesse buio.
Nonostante il sole fosse già alto in cielo, il freddo persisteva. La foresta era talmente fitta che ci copriva da ogni singolo raggio di luce non facendolo oltrepassare. Tutto ciò che filtrava, era il gracchiare delle corvi o di qualche altro uccello che risiedeva lì, nient’altro.
E stavo tradendo la fiducia dei miei genitori per l’uomo che desideravo amare. Mi lasciavo trasportare da lui, non gli avrei mai dato la colpa, perché non ne aveva. Voleva solo mostrarmi o rendermi partecipe a qualcosa che ritenesse importante e di questo gliene ero grato. Cominciava a darmi dimostrazioni di affetto a piccole dosi; lui era più un tipo da fatti che da parole, lui stesso me l’aveva confidato, e stava facendo proprio quello. Non mi aveva mai confessato nulla del genere, non che mi aspettassi qualcosa di diverso da lui, ma aveva un modo tutto suo di confessare che ci tenesse a me, attraverso le sue dimostrazioni.

Entrammo cauti nella foresta e tastavamo, con la massima attenzione, ogni centimetro della superficie del terreno per assicurarci di non ricevere brutte sorprese. Io seguivo Dean, ero costretto a farlo e non perché conoscesse la strada, ma perché ormai era l’unica cosa che avevo, l’unica cosa a cui mi sentivo legato per qualche strano motivo, nonostante tutto. Non era un legame forte come quello che avevo con Whitefish, ma quello con Dean era qualcosa di diverso, non sapevo spiegare cosa fosse. Mi sentivo intrappolato nella sua morsa e non voleva lasciarmi andare. I suoi occhi facevano da catene per tenermici legato, erano un appiglio più che una trappola.

« Hai una vaga idea di dove stiamo andando? » gli chiesi.
« Si e…no » mi rispose girandosi per poi sorridermi.
« Mi chiedo perché mi lascio trasportare da te in queste follie »
« E’ semplice. Perché non hai altro da perdere »

Ed aveva ragione. Non avevo nient’altro da perdere… se non la vita, almeno in quel caso.
A volte, Dean sembrava davvero capirmi, ma non me l’aveva mai detto esplicitamente. Lo faceva in modo tale da sorprendermi. Nel momento in cui meno me l’aspettassi. Lui mi aveva letto dentro, ma come usava fare lui , teneva tutto per sé custodito come un profondo segreto e poi, quando voleva colpirmi, incuriosirmi, come lui solo sapeva fare, eccolo lì che mi diceva che non avevo altro da perdere.
Dean stava diventando una specie di guida per me, non solo in questo caso, ma seguivo ogni suo passo. Ora poggiava le sue mani sui tronchi degli alberi e l’osservava attentamente come avrebbe fatto un pittore, come se avesse dovuto intravederne qualcosa di più, per poi dipingerlo sulla sua tela e donagli forma.
Continuava ad osservare gli alberi, sembrava che cercasse qualcosa di specifico, forse qualcosa che gli sbarrasse la strada verso quella “cosa”. Corse verso un albero, era maestoso, un'altra quercia nel bel mezzo della foresta, poteva avere chissà quanti secoli. Lo vidi sorridere e mi fece segno di raggiungerlo.

« Ci siamo! » disse improvvisamente.
« Siamo arrivati? »
« Sì » mi rispose.

In lontananza, finalmente, riuscimmo a vedere uno spiraglio di luce, come se fossimo usciti dall’Inferno e fossimo arrivati in Paradiso. Non appena varcammo la soglia, una distesa immensa di verde continuava a circondarci, sembrando quasi di essere tornati indietro nel tempo, ma la cosa che mi riportava alla realtà, era quel famoso sentiero di cui parlava Dean. Lo trovammo sulla nostra destra. Il terreno era leggermente marcato, come se fosse stato attraversato già prima di allora e Dean, come lo vide, confermò che avremmo dovuto seguirlo.
Finalmente, avrei potuto assistere a qualcosa a cui solo Dean Winchester era a conoscenza e questo mi riempì il cuore.

Andammo avanti, il sentiero ci portò in una nuova boscaglia, ma questa non era fitta, i raggi del sole riuscivano senza alcuna difficoltà a raggiungerci per riscaldarci, e all’improvviso, vidi qualcosa che attirò la mia attenzione: un’automobile.
L’auto era circondata da cespugli e oltrepassata da piante arrampicanti che quasi l’avevano resa tutt’uno con la Natura. Si intravedeva ancora, per fortuna, il nero brillante delle carrozzeria; sembrava ancora del tutto intatta, sebbene fosse col paraurti contro un albero, e questo non mi permise di riconoscerne il modello. Dean s’avviò per primo e s’accasciò sulla stessa sembrando di abbracciarla.

« Finalmente, eccoti qui! » diede un respiro di sollievo.
« Se volete vi lascio da soli… » scherzai.
« Non essere sciocco! »
« Questa è la cosa che volevi mostrarmi? » gli chiesi poi.
« Cosa ti aspettavi? » disse rialzandosi.
« No, è che non mi aspettavo un’auto »
« Come credevi che ci fossi arrivato qui? »


Gli risposi che potevano esserci stati molti modi con cui sarebbe potuto arrivare a Whitefish, ma non avrei mai creduto che fosse arrivato in auto. Avendolo visto vagare per i boschi, avevo completamente escluso il suo arrivo in quel modo. Ma a quanto pare, era arrivato con una delle cose a cui teneva di più e questa ormai era coperta dalle erbacce, quasi l’aveva dimenticata.
Iniziò a ripulirla da tutto quello che l’aveva ricoperta in quegli ultimi mesi, dopodiché si posizionò al volante.

« Cosa fai lì impalato? Entra! » mi ordinò.

Entrai al lato opposto, quello del passeggero. La tappezzeria sembrava ancora nuova nonostante il tempo trascorso e trascurata al suo triste destino.

« Che ne pensi della mia Baby? » mi chiese.
« Bella, e lo sarebbe di più se potessi metterla in moto. Potremmo chiedere a Bob… »
« NO! » mi rispose infastidito. « Non chiederemo nulla a Bobby! »
« Okay, come vuoi, non ti alterare… »
« Scusami, ma rimarrà qui. Le ho già detto addio tempo fa. Abbiamo trascorso una vita insieme ed è tempo che riposi anche lei. E se sono qui adesso, è perché ho voluto mostrarla a te… questa è una parte di me »

Non avevo mai visto Dean infastidito e dolce allo stesso tempo, più che altro non l’avevo mai visto contraddirmi per qualcosa che avevo detto. Aveva acconsentito sempre alle mie scelte, non avevamo mai litigato, però questa volta, per la prima volta, si alterò per una cosa che gli stavo proponendo.
Ed era stato dolce, perché aveva voluto mostrare una parte di sé a me, ma per quale motivo? E ancora una volta mi chiedevo cosa fossi io per lui.
Ad un tratto, si calmò e tornò il Dean di sempre. Iniziò a raccontarmi che per i primi periodi dormiva nell’auto, e siccome vide che da quelle parti si aggirava qualche lupo, aveva deciso di lasciarla lì e trovare un rifugio migliore. Del perché fosse contro un albero non me lo disse. Ed ecco che ritornavano i segreti.
Chiuse l’argomento uscendo dall’auto, sedendosi sul cofano per poi distendersi con la schiena sul parabrezza. Non sapevo se potessi seguirlo, così aspettai un suo segnale che non tardò ad arrivare. Feci lo stesso.
Il sole continuava a sfiorarci la pelle e riscaldarci. Il vento freddo ci faceva avvicinare un po’ di più. A quel punto, eravamo vicini, le nostre braccia si toccavano. Si girò verso di me e io gli ricambiai lo sguardo.
 
« Non hai mai avuto paura di tutto questo? » gli chiesi all’improvviso.
« Di cosa? »
« Di essere solo. Di essertene andato in giro per questi boschi e non avere paura di quello che avresti potuto incontrare »
« Io ho sempre avuto paura, Cas. La mia è una paura continua, l’affronto tutti i giorni, anche se… se sono qui con te, ho meno paura »


Dean aveva paura, questa paura lo tormentava e io n’ero sempre più sicuro. Non voleva dirmi cosa, avrei potuto aiutarlo in qualche modo, avrei potuto ascoltare tutte le sue preoccupazioni, alleviare il suo dolore, ma lui non mi permetteva di entrare nel suo mondo. Nonostante ciò, avevo apprezzato quello che mi aveva confessato, che con me aveva meno paura.
Ero felice e gli sorrisi inevitabilmente perché non potevo fare altro.

« Perché mi guardi così? » mi chiese.
« Non lo so, Dean. Riesci sempre a stupirmi, rimango esterrefatto da te. Ogni qualvolta sono più vicino a scoprire qualcosa di te, di conoscerti come adesso, nello stesso tempo mi allontani. Ormai vivi con me da più di un mese e credo di avere il diritto di conoscerti, di conoscere i tuoi pensieri, quello che ti tormenta da tempo »

Dean rimase in silenzio. I suoi occhi color verde smeraldo come il tutto ciò che ci circondava in quell’istante, mi fissavano attenti pronti a sferrare un attacco imminente. Ero inerme, mi ci persi ancora una volta; lentamente si avvicinavano sempre più a me. Le nostre labbra si sfiorarono delicatamente per poi scontrarsi come in un falso incidente.
Mi zittì completamente. Avevo i pensieri annebbiati e non sapevo dare una spiegazione a quello che stava accadendo, ma una cosa era certa: quel bacio l’aspettai come pioggia che cade su d’un arido terreno.



























Angolo di un'Autrice Disperata:

Sabato non vuol dire solo Behind Blue Eyes, ma anche Hallelujah e possiamo anche prenderla come un'esclamazione "Oh, hallelujah, hai pubblicato finalmente"... vabbè, me ne vado. La pateticità oggi è al limite.
Comunque, ce l'abbiamo fatta, finalmente si sono dati un bacio, non se ne poteva più... o no, l'avete pensato? HAHAHAH
Vabbé, la smetto e vi saluto, ovviamente fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con un commentino, o magari due, tre, mille... *s'impicca per la stupidaggine*
Alla prossima, o sabato prossimo,
Juls

 

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Capitolo 6
*** And everything was more clear ***


Angolo dell'Autrice disperata sempre e comunque:

Rieccomi!
E siamo arrivati al capitolo sei. Quanto lo aspettavate da 1 a 1o? *spera 10, spera 10* 
C'è una piccola scena "Omg", ma non vi rovino la sorpresa!
Mi dileguo e intanto vi lascio una buona lettura.  
Alla prossima, 
Juls 

































 
Hallelujah




























Chapter six:
And everything was more clear





 

Ormai n’ero certo. Avrei potuto rispondere alla domanda di cui tanto avevo voluto conoscerne la risposta: io ero qualcosa di più per Dean.

Passammo almeno dieci secondi con le nostre labbra attaccate intente a non lasciarsi mai. Le sue labbra erano soffici e morbide e sapevano di marmellata alla pesca. Pensai che fosse un dolce bastardo, non solo aveva fatto colazione senza di me, ma aveva anche avuto il coraggio di non farla fare a me. La sua lingua poi si insinuò nella mia bocca incontrando la sua pari iniziando così una dolce e bagnata danza.
Non lo rifiutai, come potevo? Mi abbandonai completamente al suo volere. Mi aveva rapito, ero suo prigioniero. E come morire in un sogno, mi svegliai non appena lasciò le sue labbra dalle mie. Quel bacio fu la rappresentazione di quello che io pensavo che fossi per lui.
I suoi occhi continuavano a fissarmi, non eravamo mai stati così vicini, eppure così lontani. Riuscivo ad intravedere ogni singola sfumatura e lineamenti nei suoi occhi, quelle gocce color caffè che si insinuavano nel verde più brillante.
Allontanò di più il suo viso da me, non appena capì che forse, era stato tutto uno sbaglio. Per me non lo era stato. Avrei voluto che non ci fosse stata mai una fine.

Ancora stordito, accettai la fine di quel sogno. Adesso Dean scendeva dal cofano dell’Impala, non riuscivo a vedere più il suo viso. Osservai ogni suo movimento e adesso raccoglieva il suo zaino da terra e lo portava alla spalla.
Si fermò guardando poi il cielo. Erano passate solo due ore da quando eravamo usciti improvvisamente, ma il cielo stava cambiando rapidamente, era diventato grigio come il suo cuore e nuvole nere presero il loro posto.

« Dovremo tornare » disse all’improvviso. « Il cielo è cambiato »

La sua voce emetteva note di rimpianto. Forse, baciarmi, era stato solo un terribile sbaglio.

« Scusami, Cas » disse ancora girandosi verso di me.

Il suo viso adesso parlava chiaramente. Aveva sbagliato tutto con me. Era percepibile. Sentivo in cuor mio, che lui aveva desiderato farlo, ma che per qualche motivo ancora a me incomprensibile, si era fermato.
Non risposi, non dovevo perdonarlo.

Il tragitto di ritorno fu più silenzioso del solito. Non eravamo abituati a starcene zitti, a parte in quel momenti in cui Dean desiderava stare solo. Avrei voluto domandargli molte cose, ero curioso. Avrei voluto sapere cosa significassi io per lui, cosa lo tormentasse, cosa l'avesse spinto ad allontanarsi da tutti e adesso anche da me.
Dean continuava ad essere un mistero che non riuscivo a risolvere e questo mi faceva male.
Non appena cominciò a piovere, eravamo appena usciti dalla Schwarzwald. Fu un sollievo.
Lampi e fulmini invasero il cielo, come se la natura avesse capito il mio stato d'animo e la pioggia nascondeva le mie lacrime.
Mi fermai all'improvviso sotto quella che sembrava una pioggia adirata e, cadendomi addosso, faceva male. Chiusi gli occhi e accettai il mio destino.
E poi lui si voltò verso di me.
 
« Muoviti Cas, ti prenderai un raffreddore! » urlò.
 
Non gli diedi ascolto, era l'ultima cosa che volevo fare in quel momento. Però apprezzai il suo preoccuparsi per me. Infondo Dean ci teneva a me. Continuava a chiamarmi sotto la pioggia, finché non decise di andarsene da solo. Non mancava molto.
Quando decisi che, quella pioggia sicuramente mi avrebbe fatto ammalare, rinvenii.
Iniziai a correre come un forsennato, lo raggiunsi e non dissi niente.
Arrivammo a casa bagnati fradici. Accesi subito il fuoco del camino e Dean iniziò a togliersi i vestiti davanti a me. C'era molto imbarazzo, soprattutto per me, lui invece non sembrava preoccuparsene affatto. Buttò i vestiti a terra e io mi girai, ma non dissi nulla. Gli bastò un mio sguardo per capire. A quel punto, a mia volta tolsi i miei non appena lui si dileguò riprendendo i suoi.
 
Dopo essermi riscaldato al fuoco che aleggiava nel cammino, iniziai ad avere un pò fame. Preparai qualcosa per entrambi, nonostante Dean non si fosse ancora fatto vivo in sala da pranzo.
Mentre il pollo cuoceva in padella, salii al piano di sopra per vedere che fine avesse fatto.
La porta della sua stanza era socchiusa e avevo quasi paura di guardare all'interno. Bussai.
                                                       
« Il pranzo è pronto » dissi entrando.
 
Rimasi scioccato da quello che ne scoprii all'interno. Aveva allestito uno stendipanni improvvisato col fil di ferro attaccato allo schienale del letto e alla maniglia della porta. Quando entrai tutto cadde. Avevo gettato il suo lavoro a terra.
 
« Scusami, Dean. Non volevo » in tono monocorde.
« Fa niente, Cas. Ho sbagliato io »
 
Raccolsi i suoi vestiti bagnati e dissi che li avrei portati ad asciugare accanto al fuoco con lo stendipanni che avevamo in casa. Non capii perché non aveva potuto pensarci prima o chiedermelo.
Ero totalmente convinto che per l'episodio precedente, si sentisse in colpa e quello era un suo strano modo per darmi spazio.
 
« Comunque se hai fame, ho preparato qualcosa anche per te »
« Grazie Cas. Arrivo subito » il suo era un tono comunque dolce.
 
Feci come promesso e tornai in cucina. Preparai la tavola e attesi il suo arrivo.
Arrivò più bello che mai, ancora coi capelli bagnati buttati all'indietro e l'acqua li rendeva più scuri.
Si sedette a tavola e iniziò a mangiare voracemente. Io l'osservavo stupito imboccando lentamente un boccone dopo un altro.
Lui si accorse di me non appena finì.
 
« Cas, scusami per prima. Non sarebbe mai dovuto accadere. Non so cosa mi sia preso »
 
Ed ecco che quelle parole di scuse mi ferirono terribilmente, come una lama che ti trafigge il cuore all'improvviso provocando un dolore immane e ti lascia urlare.
 
« Non fa niente, Dean » non potei che rispondere così.
 
Mentii clamorosamente. Però a mio parere, lui percepì il mio disappunto in modo errato. Forse avrei dovuto dirgli subito la verità.
 
« Davvero, Cas. Sono disposto anche ad andarmene e lasciarti in pace... »
 
Non potevo più ascoltarlo. Non ce la facevo. Mi alzai velocemente da tavola e afferrai con delicatezza il suo mento pungente e lasciai che le nostre labbra si incontrassero di nuovo. Lui rimase inerme ed io non aspettavo altro.
 
« Io non voglio che tu te ne vada, Dean. Sei la cosa più bella, e strana, e misteriosa che mi sia mai  potuta accedere e non voglio che tu te ne vada. Nemmeno per un attimo ho pensato di volerti fuori da qui » gli dissi.

Il mio cuore batteva rapido, il suo volto era stupito. Lui rimase attonito all’aver udito quelle mie coraggiose parole.
Non credevo possibile che avevo davvero detto ciò che pensavo di lui. Avevamo passato più di un mese a non dare delle opinioni su noi stessi, casomai lo facevamo su quello che ci circondava, o su cosa era sano mangiare, su cosa faceva bene, oppure di come un giorno ci saremo pentiti di non avere il necessario per fare una torta, ma quella che si presentava adesso, era un’altra storia.
Dean rimase in silenzio aspettando. I suoi occhi mi stavano trasmettendo un messaggio che come al solito non riuscivo a decifrare. Non capivo se aveva apprezzato o se avevo commesso l’ennesimo errore nella mia vita. Ma quando si alzò girando intorno alla tavola per raggiungermi, per poi ricongiungere le nostre labbra, capii. Capii che, dopotutto, non era stato uno sbaglio e che forse uno sbaglio che andava fatto… quello più bello.


« E questo che significa? » chiesi.
« Cosa dovrebbe significare un bacio? » mi rispose.
« Vuol dire tutto e niente. Il tuo cosa vuol dire? »

Se c’era una cosa che più avevo compreso di Dean, è che non sapeva esprimere i suoi sentimenti, le sue emozioni a parole, e cercavo qualche possibile risposta in quegli che avevo di fronte, che sembravano parlare apertamente, non avrei voluto fraintendere. Il suo volto, ogni suo tratto, esprimeva sicurezza, ero certo che in qualche modo mi stesse dicendo: « Tutto ».
E a quel punto, mi buttai tra le sue braccia e lui non mi respinse. No, non lo fece ed il mio cuore fu colmo di gioia. E allora perché nella foresta mi aveva detto che era uno sbaglio? La mia mente era confusa. Ero certo di non riuscire ad avere una risposta esauriente e iniziai a pensare a mille motivazioni possibili; in particolare che non fosse decisamente pronto per qualcosa come una relazione, o che semplicemente non voleva rovinare qualcosa tra di noi.
Ma noi eravamo totalmente estranei all’amicizia, io almeno ero sempre stato attratto da lui e i suoi sguardi non erano quelli di un semplice amico o conoscente che incontri per caso in un bosco. No. I suoi erano qualcosa di più, che non ti davano spazio personale. Ed io altrettanto gli rispondevo con uno sguardo, ma pieno d’imbarazzo, perché non era facile gestire quegli occhi, gli occhi di Dean Winchester.
E sì, Dean non era un uomo dalle parole facili, ma più dai fatti e questo lo capii presto quando ricominciò a voler vicine le nostre labbra.
Lo maledii… ah! Sì, perché doveva essere maledetto! Come potevo dargliela vinta nonostante non mi rispondesse? Come faceva a farla franca da uno come me che riusciva sempre a ribellarsi in qualsiasi situazione scomoda?
Mi aveva intrappolato e non riuscivo più ad uscirne. Era come una malattia benigna che fa male, ma che poi riesci a superare. Dean era questo e molto altro.
Dean era come un diamante, bello, tagliente e difficile da scalfire.

« Hai idea di quello che mi stai facendo? » gli confessai sospirando non appena tolsi le labbra dalle sue.
« Tu invece non hai la minima idea di quello che fai a me » mi rispose continuando ad usare la sua magia su di me.

Mi avvolse col suo braccio annullando le nostre già ravvicinate distanze. I nostri addomi si toccarono. Gli sfiorai i capelli con le dita, erano soffici ed ancora bagnati per via della pioggia che ci aveva giocato un brutto scherzo.
Starnutii sporgendomi di lato.

« Vuoi attaccarmi il raffreddore? » disse scherzosamente.
« Se viviamo insieme dobbiamo condividere tutto… »

Solo… sorrise.
Ero certo, ormai, che Dean mai avrebbe condiviso i suoi pensieri con me. nonostante quello che provavamo per entrambi, nonostante quei baci, nonostante tutto.



Smise di piovere. Il cielo si schiarì. Le nuvole si dissiparono. Stava finalmente calando la notte e quello voleva poter dire solo una cosa: il nostro appuntamento fisso col tramonto. Ne io, ne Dean lo dimenticammo, cosicché appena la stanza fu illuminata di un caldo arancione, inevitabilmente ci separammo anche se non avremmo voluto. Andammo al lago. Non una parola, nessuno dei due aprì bocca per i soliti quarantacinque minuti del meraviglioso spettacolo a cui assistemmo da quando eravamo insieme. Se le nostre bocche non avessero parlato, lo avrebbero fatto le nostre mani. Dean continuava a guardare in alto, come i colori lentamente si sbiadivano in cielo, e senza volerlo o essermelo ripetuto troppe volte, presi la sua mano e la strinsi alla mia. Lui rispose stringendola a sua volta. Avevo quasi perso il mio interesse nel guardare il cielo. Lo spettacolo era quasi giunto al termine, ma non ne fui affatto colpito quella volta.
A quel punto, puntai il mio sguardo sul suo volto attento ed illuminato. Sorrideva. Non avevo fatto altro che pensare e ripensare a quello che era accaduto un'ora prima e all'idea rabbrividivo ancora. Pensai a quei baci che mi aveva donato, di cui ancora non ne avevo colto appieno il vero significato.
E quando tutto terminò, si voltò verso di me. Mi sorrise leggermente e, mano nella mano, tornammo alla baita.

 

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Capitolo 7
*** Together ***


Hallelujah
























Chapter seven:

Together

 












Quella notte non fu diversa dalle altre, per il semplice fatto che non dormimmo insieme. Credo che nessuno dei due si pose il problema e a me andava bene anche così, ma non riuscii a dormire. Avevo così tanti pensieri, che dormire quasi mi sembrava inutile e come morire.
Quella giornata aveva plasmato e migliorato le mie capacità nello scrivere. Adesso avevo un senso per cui scrivere, e forse anche per vivere.
Mi svegliai presto al mattino, più presto del solito e controllai che Dean dormisse... volevo fargli una sorpresa. Scesi in cucina e preparai la colazione come usava fare lui per me. Gliela portai mentre lui dormiva ancora.

« Buongiorno » dissi, sedendomi sul letto accanto a lui.

Dean era abbracciato al cuscino, fece alcune smorfie senza rendersene conto e con la voce ancora impastata di sonno, mugolò. Sembrava uno di quei bambini che fanno finta di dormire per non andare a scuola. Non l'avevo mai guardato dormire. Pensai che fosse la creatura più bella che avessi conosciuto. Il suo viso era calmo e rilassato come non gliel'avevo mai visto. Potevo contare persino le sue lentiggini.

« Altri cinque minuti » disse all'improvviso ancora con la voce impastata di sonno.
« Non ti sono concessi » gli risposi, accennando ad un sorriso sghembo.

Dean sbuffò e cercai di invogliarlo a svegliarsi. Usai un’arma che non sfoderavo spesso, ma sapevo che avrebbe funzionato su di lui.

« Ti ho preparato la colazione. Caffè e la marmell- »

Dean spalancò gli occhi e, in men che non si dica, si alzò. Che strano potere aveva la marmellata su di lui! Una volta alzato e aver ripassato più volte le mani sugli occhi per strofinarseli, mi rivolse uno splendido sorriso.

« Come mai questo servizio a letto? » 
« Volevo ricambiare tutte le colazioni preparate da te » gli rivelai.
« Non c'entra niente quello che è successo ieri? » disse con tono sospetto, guardandomi come solo lui sapeva fare.
« Assolutamente no » mentii.
« Sei il solito bugiardo, Cas » disse sorridendo e addentando allo stesso tempo una fetta di pane con la marmellata.

Sorrisi a mia volta. Sapeva sempre quando mentivo. Era la prima persona che riusciva a capirlo, che cercava di comprendermi, di conoscermi davvero per quello che ero.
Da quando era arrivato, mi aveva sempre ripetuto di non abbandonare quello in cui credevo e non perché fosse meno realista degli altri, loro sicuramente avevano le loro ragioni per consigliarmi qualcosa di diverso, potevano essere anche stupidi e superficiali, ma Dean credeva in me, riusciva a farlo come nessun altro. Forse anche lui aveva bisogno di credere in qualcosa per non sprofondare.
Più tardi, fui preso di soprassalto da un forte mal di testa che non mi dava pace, per non parlare del raffreddore tanto temuto che sopraggiunse come previsto.
Dean si occupò subito di me dicendo 'Te l'avevo detto di non rimanere impalato sotto la pioggia'. Ed io gli diedi ragione, ma in parte la colpa era anche un pò sua.
Quel pomeriggio Dean divenne il mio infermiere personale, cucinando un brodo caldo niente male e ogni tanto controllava se avessi la febbre, ma per fortuna quest'ultima, almeno, non venne a farmi visita.
Nel tardo pomeriggio invece, il dolore alla testa passò completamente, e avevamo il nostro solito appuntamento col tramonto. Questa volta però, Dean pensò bene di prendere la vecchia barca di mio padre per goderci quella meraviglia proprio al centro del lago.
Notai che Dean aveva anche un aspetto molto romantico; pensavo conoscesse quel che mi piaceva. Si occupò anche di portare una vecchia coperta che aveva trovato nella mia stanza e la poggiò sulle mie spalle e mi sentii di nuovo amato come una volta.
Faceva molto freddo, più che altro era il vento che ti intorpidiva dentro. Prendemmo la barca e remammo fino al punto che consideravamo il centro.
In quel posto, proprio lì, l’ultima volta che c’ero stato, era con mio padre e adesso ero con Dean che mi guardava con quei suoi occhi penetranti dai quali non riuscivo mai a distogliere lo sguardo.
Sembrò che lo spettacolo principale non era più rivolto al tramonto, bensì a noi stessi. Per i primi tempi non avevamo fatto altro che osservare le diverse pennellate di caldi colori che la Natura aveva dipinto per noi, createsi verso l’orizzonte, al di là delle alte montagne di Whitefish; adesso avevo trovato una cosa più bella di un tramonto: Dean.

Quando tornò Bobby, iniziammo a lavorare entrambi, perché le esigenze stavano diventando doppie. Arrivavamo sfiniti tanto che non riuscivamo a goderci i nostri appuntamenti quotidiani col tramonto e tanto meno riuscivamo a stare insieme diversamente.
Dean dopo la cena crollava quasi subito. Era davvero stancante, ma se volevamo sopravvivere, dovevamo farci forza. Capitò un paio di volte, che Dean si addormentasse sul divano e a quel punto, accendevo il camino, prendevo il mio quaderno, e mentre Dean dormiva, l'osservavo, scrivevo e talvolta lo disegnavo.
Le parole iniziavano a fluire nella mia mente quando lo guardavo. Tutta la mia stanchezza svaniva. Era la mia musa. Forse era questo che mi mancava davvero: qualcuno o qualcosa su cui scrivere. In quegli istanti, capii che la decisione di tornare a Whitefish si era rivelata saggia, rivelatrice.
Grazie a Dean avevo di nuovo la mia grande passione con me e grazie a lui ero di nuovo felice.

Qualche tempo più tardi, Dean si svegliò agitato una domenica mattina inoltrata. Mi disse di aver perso o lasciato qualcosa di vitale importanza nell'Impala. Ovviamente non mi svelò cosa aveva lasciato, ma vista l'urgenza e la disperazione della sua richiesta, capii che era qualcosa di estremamente importante per lui.
Doveva tornare lì a tutti i costi e io l'avrei accompagnato senza battere ciglio. C'ero e ci sarei sempre stato per lui nonostante avesse ancora dei segreti con me. Ero spaventato da quel suo lato, non avrei mai potuto desiderare di conoscerlo più affondo.
Arrivammo alla Schwarzwald e come la volta precedente cercammo di stare in guardia. In lontananza sentimmo degli ululati certamente appartenuti ad un branco di lupi. La situazione iniziò a peggiorare non appena raggiungemmo all'Impala. Avevamo scelto la giornata sbagliata per tornare lì, in quel posto terrificante, ma allo stesso tempo romantico.
Dean frugò nell'auto e sembrava che quella cosa che cercava non ci fosse. Era furibondo. Io rimasi in silenzio, più che della sua 'cosa', ero preoccupato per il fatto che i lupi ci avrebbero avvistati e infatti fu così.
Piombammo nell'auto sopraffatti dalla paura. Non potevamo prevedere una situazione del genere, anche se Dean mi aveva accennato a quella possibilità. Cercammo di mantenere la calma e avvolti da quel costante terrore, non ci accorgemmo di essere sdraiati entrambi sui sedili posteriori uno sopra l'altro e nulla che ci separava. Avevo la schiena appoggiata tra lo sportello e lo schienale, mentre Dean teneva la sua testa sul mio petto e le gambe retratte per far si che entrasse. Quando mi girai, trovai lo sguardo fisso di Dean su di me e stava chiaramente dicendo qualcosa con quei suoi vispi occhi.

« Ho qualcosa che non va? » gli chiesi.
« N-no, no. Ti guardavo »


Potei giurare di sentire fuoco ardere sulle mie guance al punto che staccai il nostro contatto visivo.

« S-sono andati via? » chiesi imbarazzato.
« No, sono ancora lì » rispose guardando fuori.
« Non ci tocca che aspettare »

Dean annuì.
E non potevamo fare altro che aspettare, e cosa avrebbero potuto mai fare due persone che si amavano in un’auto nell’attesa che degli enormi lupi lascino il territorio? A questo non avrei saputo rispondere, non appena Dean trovò qualcosa di piacevole da fare: mordermi le labbra. Era piacevole e doloroso, ma un passatempo voluto.
Eravamo troppo vicini per non guardarci, riuscivo persino a cogliere e a contare tutta quella costellazione di lentiggini; quegli occhi verdi luminosi e colmi di desiderio mi guardavano e io non sapevo dirgli di no, perché non potevi dire di no a Dean Winchester.
E poi fummo trasportati da un’intensa passione che, non so come, ci ritrovammo svestiti lì, su quei sedili posteriori della sua Impala, mantenendo le nostre posizioni originarie. Il freddo riusciva a penetrare dentro l’abitacolo, ma coi nostri caldi corpi ci compensavamo a vicenda.
Lui mi accarezzava i capelli mentre io lo guardavo, era così bello da sembrare un Dio. In quel momento, ricordai la seconda volta che l’avevo visto, lì, sotto quella cascata, di quando ne fui ipnotizzato e spaventato allo stesso momento. Il suo petto scolpito e marmoreo era, questa volta, su di me e potevo percepire il battito del suo cuore accelerato. I nostri occhi continuavano ad incontrarsi timidi, imbarazzati, soprattutto i miei che non riuscivano a tenergli testa.
Poco a poco le nostre mani iniziarono a toccarsi, i respiri affannarsi, i corpi ad agitarsi; dimenticammo completamente il perché eravamo lì, ci dimenticammo del pericolo che ci circondava ed eravamo insieme e questo ci bastava.
Tutto finalmente aveva un senso, rimanere bloccati lì aveva assunto un unico e magico senso. Non avevo più paura, perché ero lì con Dean e sapevo che nulla mi sarebbe accaduto.
Il suo corpo nudo toccava ancora il mio, riuscendone a sentire il suo caldo respiro sempre più veloce su di me. Il suo tocco era delicato e mai sprecato.
Fare l’amore con Dean era come andare sulle montagne russe: eccitante e terrificante contemporaneamente. Non potevo mai sapere cosa pensava Dean in quei momenti, poiché mi guardava con quello sguardo enigmatico che non avrei mai compreso. Era un mistero, sempre, anche in quei momenti, ma comunque dolce come le sue labbra al gusto di marmellata.  

« Resterai per sempre con me? » gli chiesi una volta che si riposizionò con la testa sul mio petto e accarezzandogli i capelli.
« Sempre » rispose.












Angolo dell'Autrice sempre più che supermega Disperata:

Che minchia ho detto non lo so, ma ri-salve xD 
Quanto NON mi aspettavate da 1 a 10?? *spera 0, spera 0* 
E anche oggi si aggiorna, (H)allelui(j)a(h) !!! Vabbè, perdonatemi, ma a quest'ora so cazzi per tutti. 
Comunque questo capitolo è di una fluffosità spaventosa e si salvi chi può (?) 
Come ho detto in BBE, Jensen mi crea problemi e quindi anche l'8 dev'essere ancora completato DDD: Spera di essere perdonata per queste mancanze, ma anche qui volevo ringraziare per chi segue e legge in silenzio, ma soprattuto chi commenta :)
Alla prossima, o forse a mai più,
Juls

 

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Capitolo 8
*** Changes ***


Hallelujah
 

 











































 

Chapter eight:

Changes









Ci lasciammo trasportare inevitabilmente da quella notte scura e pericolosa, dimenticando perché eravamo giunti lì, dimenticandoci di tutto il resto. Eravamo solo io e Dean.
Ci addormentammo nell’Impala, l’uno accanto all’altro, come in una scena di un romantico film.
Dean chiuse gli occhi per primo, lasciandomi solo.
Sembrava terribilmente calmo, il suo respiro era regolare; il suo viso quando dormiva, non traspariva alcuna particolare preoccupazione. Sembrava celare tutto ciò che gli occhi lasciavano trapelare da sveglio; le occhiaie segnate mi fecero capire che lui non aveva dormito molto la scorsa notte e forse non solo quella.
Lo stringevo forte a me, la sua pelle era fredda in superficie. Lo tenni al caldo, coprendolo con la coperta che avevo portato con me in caso di necessità. Pensai di non volerlo lasciare mai, e non di certo non sarei riuscito a lasciarlo andare.“Sempre” aveva detto, sarebbe rimasto per sempre con me, ne avevo la conferma e magari avrei sempre sperato che un giorno mi avrebbe rivelato i suoi segreti, aprendosi completamente a me.

Il pericolo sembrava ormai scampato. Quando mi svegliai, avevo la mia testa poggiata alla guancia di Dean, eravamo perfettamente incastrati l’uno con l’altro. Non avevo mai avuto qualcuno per cui valesse la pena dormici accanto; tranne che per quelle volte in cui mia madre mi faceva compagnia quando ero piccolo, in quelle notti di tempesta e quando i tuoni ancor mi spaventavano. Avere Dean vicino, era la sensazione più bella del mondo. 
Iniziai a muovere la schiena dolorante, quella posizione non era stata affatto una buon’idea. Lui mosse la testa. Era sveglio e mi stava guardando.

« Buongiorno » annunciò per primo, lasciandomi un brillante sorriso.
« Buongiorno » risposi a mia volta, ricambiandolo del mio di sorriso. « Dormito bene? »
« Tremendamente bene » rispose poi.

Un fremito mi percosse la schiena, e non perché fosse dolorante. Aveva ammesso di aver dormito bene in mia presenza anche in quella scomoda posizione. Anch’io avevo dormito bene accanto a lui.

« E’ stato bellissimo » riprese all’improvviso, ancor coi nostri corpi attaccati.
« Dormire? » domandai. « Non ho russato, vero? »

Dean rise. Il sorriso più bello del mondo si mostrava ai miei occhi. Ero decisamente in un film, pensai.

« No, no » rispose con tono calmo e divertito allo stesso tempo. « Anche… » continuò, ed io non capii. Cosa voleva dire?

Non risposi. Ero ancora frastornato da tutto quello che era accaduto tra di noi che non ragionavo lucidamente. Mi sentivo un cretino, un totale cretino.
Poi Dean capì che non avevo afferrato il significato delle sue parole, glielo leggevo in volto.

« Quello che c’è stato tra di noi, Cas » rispose, ed un macigno di gioia si schiantò contro il mio stomaco. Questo era ciò che voleva dirmi. « E’ stato bellissimo » ripeté.
« Anche per me è stato bellissimo, Dean » risposi a mia volta, sentendomi lusingato.
« Ne sono felice » affermò, poggiando la sua testa sul mio petto.

Il suo volto era più rilassato del solito, e in quegli attimi, aveva sorriso più di quanto non avesse fatto normalmente in quel mese trascorso insieme. Dean era felice ed era la prima volta che glielo sentivo dire.
Da quando ci eravamo baciati qualche settimana prima, da quando avevamo trascorso quel momento importante insieme, Dean era più sereno, più allegro. C’erano minor momenti in cui si nascondeva da me, non suonava più quella solita canzone, non spariva all’alba per andare chissà dove, e soprattutto, i suoi occhi mi parlavano in modo diverso, mostravano un verde diverso, più brillante e meno cupo.
Non sembrava più il Dean che avevo conosciuto; quello che celava segreti, quello che non era come si mostrava adesso. Era diverso, e forse aveva davvero bisogno di qualcuno che lo facesse sentire amato, qualcuno che gli stesse accanto.

I giorni trascorrevano veloci e li vivevamo insieme come se fossero gli ultimi. Ma ne ricordo uno in particolare che destò in me maggior interesse.
Un giorno lo trovai alla mia scrivania. Era notte fonda. Sì faceva luce con la lampada accesa su di essa e potei giurare di averlo sentito ridere per un momento.
Stava scrivendo una lettera, o qualsiasi cosa fosse, la stava scrivendo di suo pugno. Avvertì la mia presenza, il mio cuore mancò di un battito.

« Torna a dormire, Cas » mi disse ancor, intento a scrivere.
« Sentivo freddo. Non ti ho trovato più nel letto… » dissi, cercando di avanzare.
« Non ti preoccupare, Cas. Arrivo subito »

Non volli insistere. Non erano affari miei, pensai.
A chi poteva star scrivendo? Da quanto sapevo, aveva abbandonato la sua vita e aveva chiuso i contatti con chiunque, forse mi aveva mentito? Il lato misterioso non lo abbandonava mai e io, come sempre, ero il codardo che non osava chiedere.




***



« Chi ti ha insegnato a suonare la chitarra? » gli chiesi un giorno, mentre guardavamo il tramonto.
« Mia madre » rispose semplicemente, senza alcun segno di rimpianto nelle sue parole.
« Come la mia » feci notare.
« Me lo dicesti il primo giorno che ci siamo incontrati » rispose, guardandomi intensamente.
« Lo ricordo perfettamente » feci lo stesso.
« Anch’io lo ricordo… ricordo tutto ciò che ti riguarda » disse il giovane bellissimo che era davanti a me, con tono soave.

Come poteva cambiare da un momento all’altro? Come riusciva ad essere la persona più misteriosa e più dolce che avessi mai conosciuto? Che poteri aveva, Dean Winchester?
Lui conosceva ogni tratto di me, gli avevo detto tutto della mia vita precedente ogni qualvolta me lo chiedeva, ma lui non aveva mai parlato di sé.

Quel giorno morii dentro, quel giorno ebbi il coraggio di chiedergli chi fosse davvero, quel giorno segnò la mia fine.

« Dean, posso farti una domanda? » azzardai.
« C-certo… » rispose titubante.

Stavo rovinando il nostro appuntamento, lo stavo facendo sul serio. Giurai che mi sarei maledetto un giorno. Tutto era perfetto e avrei rovinato tutto con le mie mani. Ma dovevo... dovevo sapere.

« Chi sei, Dean? » gli chiesi.
« Solo un ragazzo con una chitarra » rispose, non destandomi di uno sguardo.
« Chi eri, Dean? » chiesi ancora.
« Ero solo un meccanico di Lawrence » disse, e qui abbassò completamente lo sguardo.

Era un meccanico. Avrebbe potuto riparare l’auto, la sua Piccola, ma aveva scelto di no, perché era “tempo di riposare” così disse.

« Com’era la tua vita? » chiesi curioso a quel punto.
« Un casino » il suo volto s'incupì, distogliendo lo sguardo dal cielo.
« Perché? » continuai.

Semplicemente non rispose, abbassò lo sguardo sulle sue mani.
Ritentai.

« Cos’è che dovevi cercare nell’auto quella volta?
» gli chiesi dopo un po’.
« Dei farmaci » sbuffò, sembrando quasi infastidito.

Farmarci. Avrei dovuto immaginarlo.

« Per cosa? »
« Ansia » disse con tono fermo, alzando lo sguardo e guardandomi negli occhi.
« Perché ansia, Dean? »

Non rispose, di nuovo.
Ci provai ancora una volta nella speranza che avrebbe finalmente parlato, ma in cuor mio sentivo che Dean non voleva e mai l'avrebbe fatto.

« Dean? » richiamai.
« Cas » ribatté.
« Perché ansia? » ripetei.  « A cos’è dovuta? »
« Non voglio parlarne, Cas » rispose.
« Dean... per favore » ritentai, con un nodo alla gola.

Dean mi guardò, i suoi occhi imploravano pietà, lucidi sul punto di piangere. S'alzò dalla sedia, e tornò in casa, nella nostra casa.

E tutto finì così all'improvviso.














Angolo dell'Autrice che finalmente pubblica :D

E rieccomi qua anche con un nuovo capitolo di questa fic! 
Changes. Cambiamenti che sembrano migliorare ad un tratto, e poi per una stupida domanda, peggiorano. Questo Dean proprio non si vuole far conoscere da Castiel, forse per paura, forse perché sente di deluderlo. 
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
Juls

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Capitolo 9
*** The End ***



E sabato arrivò e Juls si ricordò 
di aggiornare una settimana sì e una no. 


Ci sentiamo a fine capitolo. 




















 

Hallelujah






 




















 

Chapter nine:

The End























E tutto finì lì.
Finì per davvero.

Dopo quel giorno non parlammo più come una volta.
Quando ritornai in casa, lo trovai rinchiuso nella sua camera. Non vi uscì finché non gli dissi che avevo preparato qualcosa.
Mangiammo in silenzio, non uno sguardo mi rivolse, il mio cuore piangeva. E poi ognuno nella propria stanza, l’uno lontano dall’altro. 
Un senso di angoscia mi pervase, ed io avevo davvero superato il limite con lui, ma era il mio diritto sapere, conoscerlo.
Non voleva che lo conoscessi, Dean non voleva farsi conoscere, ma perché? Cosa lo bloccava? Cosa nascondeva? Assumeva degli ansiolitici, perché l’ansia lo corrodeva da chissà quanto tempo. Ed io non potevo fare niente per aiutarlo, perché lui non si lasciava aiutare. E non voleva essere aiutato.
Quella notte mi lasciò solo, ero solo… di nuovo, nonostante lui fosse nella camera accanto.
Non dormii affatto, ero solo in quel letto freddo, sentendo la mancanza del calore del suo corpo che da un po’ di tempo mi aveva fatto compagnia. Le mie mani lo cercavano invano, il mio cuore lo cercava e sperava che poi sarebbe tornato da me. Ma non accadde.
Il giorno dopo peggiorò.
Dean non parlava.
Dean non era più la persona che avevo conosciuto, né la prima volta, né quella che aveva subìto un cambiamento dopo che ci eravamo amati.
Mi mostrò inconsapevolmente una nuova versione sé stesso: un Dean che soffriva di essere quello che era; un Dean consumato dall’ansia e un Dean che avrebbe avuto bisogno di qualcuno al suo fianco, ma che non voleva ammetterlo. Gli lasciavo i suoi spazi personali nell’attesa che mi avrebbe perdonato. Ma le cose purtroppo non cambiarono.

Non preparava più la nostra colazione con l'odore del caffè appena fatto e della crostata sfornata da poco sulla tavola. Mi mancava quell’abitudine così dolce, come la marmellata di ciliegie.

Non guardavamo più il tramonto.
Io continuavo ad andare al lago. Era l’unico momento della giornata in cui mi fermavo a pensare a quel che ci eravamo detti, e anche perché quella era l’unica cosa che mi legava ancora a lui… ma la spezzò, così all’improvviso. Quel momento che a lui piaceva così tanto… e non si presentò più.
Non lo guardava più. Spezzò ogni legame con me dopo quella conversazione.

Ricominciò a suonare la chitarra.
Ricominciò a cantare quella canzone triste che l’aveva accompagnato sin dal primo momento che l’avevo conosciuto. Tornava al pontile, o nella sua camera e faceva sempre quello che aveva fatto.
L’unica cosa che aveva, che lui desiderava avere, perché io non ero di certo quello che desiderava. Perché non riusciva a guardarmi negli occhi, mentre io lo cercavo.

Talvolta lo udivo piangere nella sua stanza. Avrei voluto andargli incontro, abbracciarlo e non lasciarlo mai più. Ma non lo feci, non lo affrontai.

Una sera in particolare, tornato dal lavoro, i nostri sguardi per un attimo s’incrociarono. Mi era mancato il suo sguardo su di me, il brivido che mi percorreva dietro la schiena. Tutto di lui mi mancava, soprattutto il suo sorriso.
Non mi trattenni.

« Dean » dissi, prendendogli la mano.
« Cas » rispose, non apponendo alcuna resistenza.

Si lasciò toccare.

« Parlami… per favore » dissi, guardandolo con speranza nei suoi occhi.

Ci fu una pausa lunga un’eternità.

« Tieni » disse dopo un po’.

Mi porse un pezzo di carta ripiegato. Forse era proprio quello che stava scrivendo tempo prima, quando ancora aveva il sorriso sulle labbra.

« Leggila solo quando sarai pronto » disse. « Promettimelo » i suoi occhi mi implorarono, non erano mai stati così lucidi.
« Cosa vuol dire tutto questo, Dean? » gli dissi, alzando un po’ la voce. « Non parli e mi dai una lettera. Io ti sto dando i tuoi spazi, ho smesso di farti domande, perché ormai ho capito che non posso avere risposte… »

Mi fermò.

« Lì ci sono tutte le risposte di cui hai bisogno, Castiel. Aprila quando ne senti il bisogno, quando ti senti pronto »

Mi lasciò col mio stupore e tornò in camera sua. Avevo ancora quel pezzo di carta nelle mie mani. ‘Leggila quando ti senti pronto’. Pronto per cosa? Perché scrivermi una lettera? Forse era l’unico modo per comunicarmi quello che provava, quello che nascondeva dentro di sé. Ed una cosa era certa: ciò che nascondeva non era qualcosa di semplice.


“Mi dispiace”









***




E Dean sparì.
Sparì, non come uno di quegli oggetti che non trovi più per caso, che non ricordi di averli dati via o riposti chissà dove, ma come quelli che decidi di lasciar andare quand’è arrivata la loro ora, nonostante tu ci tenga.
Sparì, lasciandomi solo, solo come ero sempre stato.
Dean era stato qualcosa di passeggero, come quei rari spettacoli della natura a cui ci si assiste una sola volta nella vita, ed io l’avevo vissuto appieno, fotografandolo coi miei occhi e stampandolo nella mia memoria per sempre.
Dean non se n’era andato per via della conversazione che avemmo, ma perché era giunto il momento, e la lettera me lo confermò.
Non era fatto per restare, non lo era mai stato. 
L’avevo incontrato, perché il destino voleva così. Pensavo, che il destino, volesse che mi riprendessi dallo stato di fermo in cui mi trovavo prima di conoscerlo; per reagire alla vita, quella vita che per me non aveva più un senso dopo aver perso tutti. Dean era stato solo di passaggio nel mio cuore per donarmi quel coraggio che non avevo.
Dean mi aveva donato speranza, coraggio e forza di andare avanti, intimandomi ogni volta a credere in quello che volevo fare, nonostante lui vivesse qualcosa di simile, ma che io non ero riuscito a dargli, o a donargli, quello che lui aveva dato a me.
Infine lessi la lettera.

Dopo due settimane che Dean se ne andò, lasciai Whitefish. Non avevo più bisogno di stare lì, avevo concluso il nuovo manoscritto e tornai in città, ma con un altro scopo: conoscere il vero Dean Winchester. Dean era di Lawrence, mi recai lì. Una volta arrivato, posai lo sguardo su tutto quello che mi circondava: case, negozi, alberi in fiore, strade. Pensai che Dean avesse camminato per quelle strade, magari in compagnia di qualche suo amico, o di suo fratello, mentre rideva, prendendolo in giro. Il sorriso era il suo punto debole. A distrarmi da questi pensieri, fu un uomo che mi sfiorò, chiedendomi scusa. Non lo guardai in volto. 
Iniziai a chiedere a molti passanti se conoscessero Dean e loro mi guardavano e sospiravano. Conoscevano Dean.
“Ah, Winchester… Povero ragazzo”, dicevano.
Poi una donna si fermò accanto a me.

« Stai cercando Dean? » mi chiese una gentile signora, dai lunghi capelli biondi e dal viso dolce. 
« Sì, Dean Winchester. Lo conosce? »
« E’… era mio figlio »

La signora era la madre di Dean, Mary Winchester. Avevano gli stessi occhi, impossibile confonderli. Il destino me l’aveva fatta incontrare. Mi chiese chi fossi e gli spiegai che avevo vissuto con Dean per svariati mesi. Qualche lacrima le scese sul viso e poi prese la mia mano, tremante.
Mary mi portò nella sua casa. Il profumo inebriante mi ricordava le crostate alla ciliegia che preparavo a Dean. Tutto sapeva di Dean in quella casa. Era il suo mondo, il suo passato.
Ci accomodammo nel salottino di quella splendida casa. Mary tornò con del tè e una fetta di crostata.

« Era la sua preferita » disse la donna, mostrando un sorriso malinconico.

Annuii, ricambiandole il sorriso.  E ricordai di quando lui la preparava la mattina presto.

« Lo ricordo bene » risposi.
« Ha imparato da me a farla. Tutti i giorni ci alzavamo presto e ne facevamo una per tutta la famiglia » disse malinconica.
« Mi dispiace ricordarle di questo »
« Non preoccuparti, sono bei ricordi » disse, sedendosi accanto a me. « Come mai sei giunto qui? »

Chiesi alla gentile Mary di raccontarmi del passato suo figlio, cui Dean aveva accennato nella lettera. Lei mi guardò con aria triste, i suoi occhi mi parlarono chiaro. 
Mi raccontò che furono tempi duri dopo quella terribile notizia, Dean si chiuse in sé stesso, trascurando lavoro e famiglia, soprattutto quest’ultima. Aveva litigato con suo fratello per via della decisione di lasciare tutto e tutti e poi non erano mai riusciti a riappacificarsi. E così, di punto in bianco, Dean li aveva lasciati, così come aveva fatto con me.
D’allora era passato quasi un anno dalla sua fuga, o scomparsa.

« Quando ho incontrato Dean, aveva uno zaino, una chitarra e una canna da pesca » le raccontai. « Avevo capito fin da subito che c’era qualcosa che non andava, che lo tormentava e quindi, decisi di aiutarlo, ospitandolo a casa mia »

Mary, in lacrime, prese le mie mani tra le sue, baciandole.  

« Castiel, non è così? » mi chiese.  « L’angelo del giovedì »
« Sì » le sorrisi.
« Mi ha raccontato di te molto tempo fa… di un bambino a Whitefish »

La guardai sbalordito, non avrei mai pensato che Dean ne avesse parlato con qualcuno. E che soprattutto pensava fossi importante.

« Dean mi ha lasciato una lettera » aggiunsi dopo un po’.
« Non è mai stato bravo con le parole » sentenziò la madre, asciugandosi le lacrime.

Gliela porsi e il suo viso, poco a poco che la leggeva, cambiava. Gli occhi lucidi mi mostrarono una madre distrutta dal dolore, ma appena accennò quel sorriso, restituendomela, mi fece capire che era serena.

« Grazie, Castiel. Grazie per averlo amato e grazie per aver vegliato come un angelo su di lui »

 


 

***


 
 

Sono passati anni da quando Dean se n’è andato da Whitefish e, di tanto in tanto, mi capita di tornare alla casa sul lago.
Ancora adesso però, quando ascolto una chitarra suonare, ricordo la sua voce e lui, seduto all’estremità del pontile, che canta quella triste canzone. E finalmente capii perché la cantava; la sua era come una preghiera e la recitava quando ne sentiva il bisogno, il bisogno di sperare e di andare avanti.
Quando torno alla casa nel Montana, mi reco al pontile dove ci conoscemmo la prima volta. Forse anni fa avrei dovuto alzare lo sguardo non appena mi invitò a stare con lui, magari anche parlandogli, ma poi ricapitò l’occasione. Destino suppongo. Lo stesso destino che poi me l’ha portato via.
Incredibile come la vita dia e tolga, in una frazione di secondo, quel che ti appartiene; incredibile come un attimo prima raggiungi la felicità con un dito, e il momento dopo sprofondi nel baratro più oscuro; incredibile come Dean tornò nella mia vita e fu incredibile come scomparve.
Avrei aspettato lì per sempre al pontile; avrei continuato ad assistere ai nostri tramonti, magari, voltandomi sempre dov'era solito stare, cercando il suo sorriso e quegli occhi che, da quel momento in poi, mi avevano cambiato la vita.













Angolo dell'Autrice esaurita:


Ebbene sì, sono in ritardo (come sempre), ma siamo giunti alla fine. 
Questo è l'ultimo capitolo di questa storia, che verrà seguito la settimana prossima (di sicuro, giuro) dall'EPILOGO.
Spero che abbiate apprezzato, nonostante questo finale davvero triste.
A sabato prossimo, lo giuro.
Juls

 

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Capitolo 10
*** EPILOGO ***


Hallelujah































Epilogue











 




Caro Castiel,

adesso tu stai dormendo ed io sono qui a scriverti questa lettera senza nemmeno capirne il perché. Ma in realtà so…so che ti sto facendo solo del male coi miei silenzi. Questo che porto sulle spalle, è un peso troppo grande per me, e soprattutto poggiarlo sulle tue non mi sembra giusto.
Con le parole non sono bravo, lo sai, e spero che almeno questo pezzo di carta mi aiuti.

Non ti ho mai detto, in tutto questo tempo, il vero motivo per cui mi trovavo a vagare da solo per i boschi con la mia chitarra, sicuramente avrai pensato che fossi un pazzo, e come darti torto, Cas.
Non molto tempo fa mi dissero che ero malato di un male incurabile. Il mondo mi crollò addosso. Per giorni mi chiusi nella mia camera se non per uscirne qualche volta. Trovai da solo il coraggio di andare avanti e decisi di affrontarlo. Quindi cercai di combatterlo per i primi tempi, ma era troppo forte ed io troppo debole. Ogni volta che mi dava la speranza di sparire, eccolo lì che riappariva, torturandomi.
Dopo vari e vani tentativi decisi di finirla lì. Non volevo vivere in un luogo in cui sai di doverci passare l’intera vita, vedendomi man mano trasformarmi in qualcosa che non potevo riconoscere, e quindi decisi che, se il mio viaggio su questa terra stava giungendo alla fine, anche se troppo presto, avrei dovuto essere felice.

Presi la decisione di andarmene… così, all’improvviso. Non dissi dove sarei andato, o cos’avrei fatto da solo, seguii semplicemente il mio cuore.
Avevo sempre desiderato ritornare in questo posto; ho passato quasi tutte le domeniche della mia vita qui e mio padre mi ci portava sempre per pescare. Decisi di tornare nel posto in cui mi sentivo più a casa, volevo passare lì il mio ultimo anno di vita, e decisione presa non fu più mai azzeccata di così, perché non tu avevi perso il vizio di dire quella tua frase, e quando la dicesti, capii che eri tu.
I tuoi occhi erano la prova che non mi sbagliavo, non potevano ingannarmi. Erano dello stesso colore del lago, che mi rimasero impressi e non li ho più dimenticati.
Ci incontrammo una domenica d’agosto: cadesti dalla barca, perché non eri abbastanza forte. Risi, ma poi da lontano ti vidi abbattuto. Mi avvicinai allora, quando tornasti a riva. Eri seduto al pontile dove ci siamo incontrati la prima volta, dove ti ho aspettato la prima volta; volevo solo chiederti di giocare insieme, di sollevarti col morale, ma tu mi mandasti via dicendo:“Questa è proprietà privata, và via!”.
Non ti girasti nemmeno verso di me, ma potei comunque scorgere i tuoi occhi blu. Io ti chiesi scusa e me ne andai.
E dopo quella volta non ritornai più a Whitefish, perché mio padre venne a mancare e non ebbi più l’occasione di riascoltare ‘Questa è proprietà privata’.

Tutte le mie scelte mi portarono inevitabilmente a te, non l’avevo scelto, non l’avevo previsto.
Non so se incontrare te è stato destino, o come l’ultimo grande regalo della mia vita, so solo che con te io me ne sarò andato felice, nonostante tutto.

Quando arrivai al lago, la casa era abbandonata e capii che non ci sarebbe stata occasione di ripetere quella scena. La mia nacque più come una curiosità. Ma, incredibilmente, dopo qualche settimana, tu arrivasti.
In realtà non sapevo s’eri proprio tu, ma poi ti affacciasti alla finestra e, anche s’era notte fonda, ti vidi. Me ne andai, cercando di attirare la tua attenzione. Non ci riuscii, tu non uscisti, ma ormai sapevo che c’eri. Così ritentai il giorno dopo.
Bussai alla tua porta invano, così ti aspettai lì, al pontile, dove ci incontrammo la prima volta. Quant’ho aspettato per vederti di nuovo… e poi sei arrivato.
Era quasi il tramonto ed inciampasti. Come sempre un po’ rude, ti avvinasti e dicesti la tua famosa frase, quella frase per cui ancora ti ricordavo dopo tutti quegli anni. “Questa è proprietà privata!”. In un certo senso me l’aspettavo, ma che addirittura mi cacciassi… sei stato parecchio stronzo, Cas, come la prima volta. Ma potevo capirti, dopotutto non potevi ricordarti di me, eravamo troppo piccoli.

E non ti ho mai rivelato il vero motivo per cui conoscevo il tuo nome. Ti dissi che ero entrato in casa tua e l’avevo letto sullo stipite della porta… beh, non era affatto così. Non sono mai entrato in casa tua, non avrei potuto. 
Accadde lo stesso giorno in cui mi dicesti di andarmene, da piccoli. Tuo padre fece il tuo nome. Io lo sentii e dall’ora non l’ho più dimenticato, perché, diciamoci la verità, che nome è Castiel? Indimenticabile.

Non è stato affatto facile vivere insieme a te, portando questo peso addosso. So di averti deluso più di una volta coi miei silenzi, i miei segreti, non volevo recarti altro dolore, ma credo di averlo fatto ugualmente.
Mi dispiace, Cas.
Mi dispiace per tutto e spero che tu un giorno possa perdonarmi.
Mi auguro che tu riesca a portare avanti i tuoi sogni, perché vali, Cas.  

E poi quando ci baciammo la prima volta, fu un errore. Lo era, perché tu avresti potuto vivere tutta la tua vita con me, ed io non avrei potuto vivere la mia vita con te. Volevo andarmene e me ne sarei andato. Ma non riuscivo a lasciarti, i miei sentimenti per te sono sinceri. Ed ogni volta che ci siamo amati è come essere tornato a vivere.

Sei stata la cura temporanea che stavo cercando, Cas.

Grazie per tutto, grazie per avermi amato.

Tuo per sempre,
Dean










Angolo dell'Autrice che finalmente ha concluso una nuova storia: 

...spero non stiate piangendo troppo, girls. 
Ebbene, è sabato e siamo giunti alla fine di questa storia. Ringrazio tutti coloro che l'hanno seguita e recensita. Ma ringrazio in particolare Francesca (aka Lady Midnight) per la sua supervisione e gli incoraggiamenti. 
Fatemi sapere tutto quello che ne pensate, mi farebbe piacere come sempre. 
Inoltre, per chi segue Behind Blue Eyes, tornerò ad aggiornare dalla settimana prossima. E nel frattempo sto scrivendo un'altra fanfic... e siete avvisate, un Castiel porno pittore non potete perdervelo! xD *si spamma da sola* 
Bene, dopo questo romanzo, vi saluto. 
Alla prossima,
Juls

 

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