Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Era una fredda giornata di Dicembre, mancavano solo dieci giorni a
natale, la sveglia segnava già le sette ed un quarto e suonava ormai da
mezzora
Era
una fredda giornata di Dicembre.La sveglia
segnava già le sette ed un quarto e suonava ormai da mezzora.
Rachele
si alzò in ritardo come al suo solito, inciampando nelle coperte mentre
scendeva dal letto ancora mezza stordita. Si infilò i primi vestiti che trovò
nel grande armadio a muro situato proprio di fronte alla grande finestra dalla
quale filtrava un pallido sole mattutino. Oggi il suo abbigliamento consisteva
in un paio di vecchi jeans blu e una felpa nera, che metteva in risalto i suoi
grandi e profondi occhi neri come la notte. Rachele era una ragazzina di 16
anni, non molto alta, con dei lunghi e ribelli capelli
castano scuro; in lei non c’era niente che non andasse bene, tranne il
fatto che fosse estremamente goffa, infatti non amava lo sport e cercava di
evitare qualsiasi azione che la mettesse in risalto fra i suoi compagni di
scuola. Quel giorno era il suo compleanno ma la ragazzina lo avrebbe passato da
sola a casa perché i genitori erano molto impegnati con il lavoro.
Era
venerdì e lei doveva andare a scuola. Sua madre le gridava di muoversi mentre
preparava la colazione dalla piccola cucina situata al piano inferiore.
La
giovane corse giù per le scale che portavano dalla sua camera in salotto e, mentre
afferrava due fette biscottate con la marmellata, si infilò il suo cappottino
viola e la vivace sciarpa multicolore per proteggersi dal freddo. Poi corse
fuori dalla porta afferrando lo zainetto rosso ed evitando di rompersi il collo
cadendo giù dai quattro gradini che portavano al giardino, diretta a scuola per
incontrare la sua amica Mary.
Percorse
le grigie e pallide strade illuminate appena dalla tenue luce che filtrava
dalla nebbiolina mattutina e dai lampioni ancora accesi, calpestando la rugiada
posata sui marciapiedi.
Rachele
stava per arrivare all’ampio ed imponente edificio che ospitava la scuola, una
vecchia costruzione costruita agli inizi degli anni settanta, formata da una
serie di figure geometriche e di grandi finestre.
Ma
mentre attraversava la strada, una macchina di grande cilindrata sbucò a forte
velocità da un semaforo rosso. La stava per investire quando, l’adolescente
spiccò un incredibile salto e atterro dietro la macchina, che ripartì sgommando
sull’asfalto. Il suo cuore in quel momento aveva iniziato a battere
all’impazzata e nella sua mente si era fatto tutto sfuocato e confuso, e fra le
molte immagini e sensazioni chepassarono velocemente davanti alla sua
vista, vide due meravigliosi occhi grigi che sfumavano nel giallo. Erano
incantevoli, allungati e con delle folte ciglia assomiglianti a quelli di un
gatto.
Non
sapeva come avesse fatto, e ne rimane molto sorpresa. Quello era un numero da
acrobata non certo da lei, che era così goffa e imbranata; non era mai nemmeno
riuscita a saltare la cavallina nell’ora di educazione fisica, come era
riuscita allora a saltare per quasi tre metri senza nemmeno cadere in malo
modo? E poi quei occhi………… occhi che non potevano appartenere ad una persona
umana, troppo belli per essere veri!Tutti
questi pensieri le turbinavano nella testa ad una velocità incredibile, che non
si accorse dell’amica che si stava avvicinando correndo per vedere cosa era
successo. Si riscosse trasalendo solo quando Mary le tocco il braccio e le
chiese se era tutto a posto. La ragazza rispose di si con un cenno e un grande
ma poco sentito sorriso che ebbe l’effetto di rassicurare la compagna di
scuola. Insieme poi si incamminarono verso la lezione della prima ora. Rachele
mandava ogni tanto lo sguardo alla strada ma della persona con quei
meravigliosi occhi non vi era traccia. Che fossero stati solo una sua
invenzione?
La giornata trascorse senza altre stranezze, e con Rachele che
continuava a pensare agli avvenimenti della mattina, e così ben presto la
scuola finì
La
giornata trascorse senza altre stranezze, e con Rachele che continuava a
pensare agli avvenimenti della mattina, e così ben presto la scuola finì.
La
giovane si diresse di buon lena verso casa, rassegnata
ormai a festeggiare il suo compleanno come ogni altro anno, da sola davanti
alla televisione.
Ma
ad un quarto di tragitto compiuto, non avendo fatto attenzione alla strada, si
ritrovò in una vicolo che non aveva mai visto. Era
stretto fra due alti edifici di mattone rosso, abbastanza angusto e con delle
porte che vi si affacciavano, probabilmente poste sul retro di alcuni negozi.
La
ragazza un po’ preoccupata si mise a camminare più velocemente, fin che, non si
ritrovò davanti all’entrata di un negozietto. Aveva un'unica vetrina, appannata
dal riscaldamento, probabilmente acceso all’interni
del locale. L’insegna cigolava posta sopra la posta di vetro oscurata per metà
da una tendina. L’adolescente prendendo coraggio decise di entrare per
chiedervi indicazioni.
Appena
mise piede nel negozio l’assalì un dolce e pungente profumo consueto di noce
moscata ed incenso. La stanza era illuminata da una fiocca luce emanata da un
vecchio lampadario impolverato che non riusciva ad rischiarare tutto
l’ambiente. Le pareti erano ricoperte di volumi che all’apparenza sembravano
molto vecchi e consumati, ed da boccette e contenitori di tutte le forme e
misure contenenti strane erbe e liquidi colorati. Ma la cosa che colpì più
Rachele era il ragazzo seduto all’ampio bancone di mogano. Anche se in ombra si
notavano chiaramente i lunghi capelli argentati che portava legati dietro la
nuca in una coda di cavallo, e i folgoranti occhi gialli. Non potevano essere
proprio gli occhi della sua visione, era impossibile, uno scherzo della luce!
Ma quando la figura si sposto in un unico movimento fluido sotto il lampadario,
Rachele seppe che i suoi dubbi erano fondati! Davanti a lei si ergeva un
giovane alto, molto più dei suoi compagni di classe, di una carnagione pallida . Il corpo era magro e sotto il maglione nero risaltavano i
suoi muscoli. Il viso era squadrato e la sua bocca fine si apriva in un caldo
sorriso. Sotto i capelli risaltavano le orecchie un poco affusolate. Poi parlò:
- Ciao, ti stavo aspettando!- quella voce…………………. Riportò alla mente della
ragazza ricordi di bambina; giornate passate di quando aveva sette, allora
giocava spesso con un bambino, ma che solo lei vedeva. Un giorno però era
sparito e lei era rimasta solo, a convincersi, come dicevano i grandi, che era
stato solo frutto della sua immaginazione. Ora però aveva qualcosa di diverso,
le sue orecchie erano lunghe e spigolose all’estremità.
Bisogna
precisare che Rachele era fissata con le creature magiche e l’affascinavano da
quando era piccola.Pensò che quello
potesse essere un elfo, ma poi si ricredette, ormai si era convinta che la
magia e gli elfi non esistevano! Ma più se lo ripeteva più si convinceva del
contrario.
Poi
il ragazzo le parlò di nuovo: - vedo che ti ricordi di me, bene. Io sono Erik e
sono un elfo, era destino che ci rincontrassimo, a proposito o visto il salto
di oggi, sei stata brava.- La creatura fatata sorrise nel vedere la faccia
sbigottita della ragazza. Poi riprese: - Anche tu come me sei un essere fatato,
sei una pixie, una fata , e
sei stata scelta per salvare il regno della magia. -. La povera ragazzina non
sapeva più cosa pensare. Cosa voleva quel matto che gli raccontava di elfi e
regni in pericolo. – Sei stata scelta perché hai grandi poteri, superiori a
quelli di molti altri fatati. – Poi Erik continuò: - Io sono stato mandato per
istruirti e tenerti d’occhio, proteggerti fino a quando non sarai in grado di
farlo da sola -.
Rachele
non poteva credere a quelle parole, ma allo stesso tempo, desiderava che
fossero vere. Lei, una ragazzina come tante altre, scoprire di essere una fata,
la magia vera, e soprattutto di essere importante per un regno. Ma al contrario
di quello che pensava le sue labbra si mossero da sole e dalla sua bocca
uscirono parole pungenti: - ma io non posso salvare proprio nessuno! Non riesco
nemmeno a tenere in ordine la mia stanza, vuoi che aiuti una popolazione
intera? No te lo puoi scordare! – e così dicendo si voltò di scatto e fece per
uscire, quando, si ritrovò di fronte l’elfo che si era mosso da dietro il
bancone con gran velocità e senza il minimo sforzo. Gli si parò davanti senza
darle via d’uscita e disse senza il minimo scompiglio ma con un tono di voce
freddo e pungente che fece venire la pelle d’oca alla ragazza
: - Se non ci aiuti tutto il regno perirà sotto la tirannia di Door, tu sei la nostra unica speranza, ti prego devi
aiutarci! -. A quelle parole Rachele un po’ spaventata dal ragazzo dovette
cedere: - Va bene – e con queste laconiche parole strinse un patto per la vita
con Erik e il suo popolo. L’essere magico si rilassò e sul suo viso comparve un
altro grande sorriso un po’ ironico, che mostrava una fila di bianchi denti un
po’ aguzzi ma perfetti. A quel sorriso il cuore della ragazza fece un tuffo.
Infine il ragazzo la lasciò andare con la promessa che lei sarebbe tornata
l’indomani per iniziare l’allenamento che avrebbe riportato a galla i suoi
poteri. Lei si diresse verso casa pensando a quanto fosse pazzesco quello che
le era successo e a quello che sarebbe successo l’indomani.
Il giorno dopo Rachele si svegliò al suono della sveglia, ma poi
richiuse gli occhi, era sabato e lei non doveva andare a scuola
Il
giorno dopo Rachele si svegliò al suono della sveglia, ma poi richiuse gli
occhi, era sabato e lei non doveva andare a scuola. Non era riuscita a dormire
quella notte, tormentata dal ricordo delle rivelazioni ricevute da Erik. Ma poi
nella sua mente balenò la promessa di ritornare al negozio e si costrinse ad
alzarsi. Mentre scendeva dal letto però si fermò a riflettere e le venne l’idea
che forse tutta quella storia fosse stata solo un sogno, come quelli che faceva
ogni tanto. Doveva essere ancora il suo compleanno e non era stato altro che un
sogno! Purtroppo però il suo sguardo si soffermò sulla piccola sveglia rossa
posata sopra il comodino, no quel giorno era il sedici ed era successo tutto
realmente. Scese le scale cercando di trovare una scusa plausibile per tornare
al negozietto, senza far preoccupare i genitori, quando la madre le venne in
contro: - Dove stai andando alle otto di mattina? Di solito tu dormi a
quest’ora se sei a casa da scuola! – Rachele non sapeva cosa risponderle, se sua mamma avesse sospettato qualcosa non l’avrebbe fatta
uscire; così cercò di prendere tempo: - Sto scendendo a fare colazione, mi è
venuto un certo appetito! – cercando diapparire più felice e calma possibile.
E così dicendo andò verso la cucina. Poi decise di raccontare alla madre che
andava in biblioteca e che non sarebbe tornata prima di pranzo. La mamma la
guardò con fare sospettoso e le chiese: - E su cosa sarebbe questa ricerca?- A
Rachele vennero quasi le lacrime agli occhi, la donna non le credeva. Rispose
un po’ titubante: - Sugli antichi……. Em dei romani! –
La donna non sembrava molto convinta ma lasciò andare comunque la figlia. Rachele
uscì velocemente da casa e corse verso la scuola. L’appuntamento era al negozio
alle nove. Poi ad un tratto si fermò di colpo e una rivelazione la colpì in
pieno: lei non sapeva dove fosse il negozio! A pensarci bene lei non era mai
stata il quel posto prima del giorno prima, e non aveva la minima idea di come
avesse fatto ad arrivarci! Decise allora di percorrere la stessa strada del
giorno precedente, e aspettare di ritrovarsi nel
stretto vicolo per caso. Camminò circa per un quarto d’ora prima di ritrovarsi
di nuovo nella viuzza.Vide il negozio
dall’aria cupa e sinistra che emanava una strana sensazione; no, quei
sentimenti venivano dal suo cuore: un misto tra paura e ansia, per quello che
l’aspettava dietro a quella vetrina e quella porta.
Si
avvicinò con cautela, e da dietro la vetrinetta intravide la figura dell’elfo dietro
il bancone; poi mise la mano sulla maniglia e tirò aprendo la porta.
Un
attimo dopo era lì sulla soglia ad osservare Erik. Fu inondata da uno strano
odore di incenso che le lasciò un sapore dolciastro in bocca. L’elfo alzò lo
sguardo dal libro che stava leggendo e rivelò a Rachele uno dei suoi grandi
sorrisi , che la rassicuro e che divenne tutto per
lei.
-
Ciao, sono felice che tu abbia tenuto fede alla parola
data – l’accolse l’elfo : - Se vuoi seguirmi andiamo sul retro ad iniziare
l’addestramento! -.
E
così dicendo le fece strada dietro il bancone ed attraverso una porta di scuro
legno massiccio.
Si
ritrovarono in una sala con un grande tavolo rotondo al centro, e una grande
libreria che copriva tutte le quattro pareti del locale. La stanza era illuminata
da unfiocco
chiarore proveniente da una lampada bianca cremisimi posta al centro del
soffitto. – Qui è dove ci alleneremo per far emergere i tuoi poteri!- proclamò
l’elfo, e si sedette.
Erano seduti a quel grande tavolo da almeno cinque minuti, ma nessuno
dei due aveva ancora parlato
Erano
seduti a quel grande tavolo da almeno cinque minuti, ma nessuno dei due aveva
ancora parlato. Rachele era immersa nei suoi pensieri, cercando di dargli un
senso. Dopo aver scoperto chi e cosa era, era arrivata l’accettazione del suo
vero io, essere una pixie. Ma con questa nuova
consapevolezza erano arrivati anche nuovi e struggenti dubbi. Come faceva a
essere veramente una fata se i suoi genitori erano umani? Chi erano i suoi veri
genitori? Perché lei era una dei pochi in grado di sconfiggere Door? Chi era in verità Erik? Tutto andava così in fretta
nella sua testa che si accorse solo molto dopo che l’elfo la stava guardando
con aria stupita e un po’ preoccupata. La voce del ragazzo suonò leggermente
inclinata, quasi impensierita, e la riportò alla realtà: - Va tutto Bene
Rachele? Hai una faccia strana! -. La ragazza aprì la bocca per dire qualcosa,
ma ne uscì solo un verso stridulo.
In
seguito si concentrò e riuscì a dire con un filo di voce: - Si,
e solo che ho così tante domande da porti! -.
Erik
non parve sorpreso dalla risposta e rispose con gentilezza: - E’ naturale, sai
di essere una fata solo da due giorni. Se posso risponderò io alle tue domande,
ma ad alcune non potrò. –
Rachele
capì che da li a poco avrebbe avuto delle risposte e
si rasserenò un poco.
Poi
con un luccichio negli occhi e un filo di speranza nella voce chiese, riunendo
tutti i suoi pensieri in un’unica domanda: - chi sono io? -.
A
quelle parole l’elfo titubò, ma si aspettava quella domanda e rispose: - tu sei
una pixie, una fata. Te l’ho detto ieri!-.
La
ragazza replicò quasi gridando: - No! Chi sono io veramente?!
Non è possibile che i mie genitori siano umani e io
no! Chi sono i miei veri genitori? Chi sono io? -.
Quasi
le vennero le lacrime agli occhi; ma dopo quella sfuriata si sentiva meglio.
A
quelle parole pungenti e vedendo l’espressione distrutta della giovane, Erik
cercò di trovare una risposta adatta, senza rivelare troppo: - I tuoi veri
genitori sono esseri fatati morti contro Door! Ti
abbiamo affidata agli umani per non farti correre rischi inutili-.
Rachele
era allibitada
quelle informazioni. Voleva alzarsi e scappare via, ma si costrinsea restare seduta
immobile. Non poteva essere vero! I suoi genitori non erano quelli veri, e
soprattutto i suoi parenti di sangue più stretti erano morti. Ora le lacrime
non riuscì più a trattenerle e le scesero copiose giù per le guancie. Voleva
almeno sapere ilnome
dei suoi veri genitori. Erik l’anticipò e le disse con voce dolce per
consolarla un poco: - Non chiedermi il loro nome, non te lo posso rivelare, mi
dispiace!-.
A
quelle parole Rachele si sentì ingoiare dalle tenebre e sprofondare in un
abisso senza fine. Ora aveva un peso sullo stomaco che non riusciva a
sopportare. Come un vulcano la sua rabbia esplose e si sentì parlare, gridare,
come se non fosse stata nel suo corpo, cose orribili: - Come non puoi dirmelo?
Io ho tutto il diritto di saperlo! Ero io loro figlia!
Non puoi pretendere che io sappia come sono morti e non come si chiamassero!
Vorrei vedere te, se fossero i tuoi genitori!- a quelle parole l’elfo si
irrigidì e rispose: - No, ti sbagli i miei genitori stati uccisi dal tiranno
proprio come i tuoi!-.
Rachele
trasalì, capendo il male che aveva fatto al ragazzo che già considerava suo
amico. Cercò di chiedergli scusa ma l’altro la precedette, parlando con voce
calma e dolce:- Perdonami ma proprio non posso dirti i loro nomi, Mi è stato
vietato!-.
-
E da chi?- domandò d’impulso la ragazza.
Erik
fece un segno sconsolato con la testa per farle capire che anche quello non le
era dato saperlo. Era troppo. Non poteva sopportare altro! Rachele si alzò di
scatto e si diresse verso la porta a passo deciso. Lui non voleva darle delle
risposte? Allora lei se ne sarebbe andata e le avrebbe trovate da sola!
Ma
come il giorno prima l’elfo le si parò davanti, con l’eccezione che questa
volta non parlò, ma con sguardo dolce e comprensivo la abbracciò. La ragazza
esaurì fra le sue braccia tutte le lacrime che aveva e dopo che si fu calmata
si risedette. Stettero seduti uno di fronte all’altra per un tempo che sembrò un eternità immersi ognuno nei suoi pensieri, e infine fu
Erik a rompere quel silenzio: - Vuoi una tazza di the? -. La giovane accennò ad
un si e l’elfo fece comparire dal nulla un elegante
servizio di porcellana finemente lavorato in oro e una teiera fumante. Versò il
the e si risedette.
Rachele
alzò la testa appoggiata tra le mani e sussurrò: - scusa!-.
-
E per cosa?- domandò lui evidentemente sorpreso.
Lei
rispose un po’ titubante: - Per averti gridato contro, tu sei così gentile con
me! –
L’elfo
le rivolse un grande sorriso rassicurante e porse la tazza alla ragazza che ne
bevve un lungo sorso.
-
Oggi è meglio che lasciamo perdere l’allenamento, inizieremo lunedì, va bene?-
aggiunse lui.
Lei
rispose di si con la testa. Era ancora un po’ scossa, ma aggiunse: - Ora è
meglio che vada. Mia madre sarà in pensiero, è già l’una, e io dovevo rientrare
a pranzo.
Lui
annuì: - Vuoi che ti accompagni fino a casa tua?- Anche se avrebbe voluto
accettare si costrinse a dire di no e si alzò per andarsene. Si salutarono e
lei si diresse verso casa. Aveva uno strano presentimento, legato al fatto che
lui sapeva cose che la riguardavano, e soprattutto qualcosa sui suoi veri
genitori.
Si
accorse di essere davanti a casa e vi entrò. Pranzò in silenzio e poi se ne
andò in camera sua. Li si sdraiò sul letto e si
addormentò esausta, con uno strano sapere dolciastro in bocca.
Si svegliò ormai che il sole era tramontato sentendo dei rumori alla
finestra
Si
svegliò ormai che il sole era tramontato sentendo dei rumori alla finestra.
Andò
a controllare e si trovò davanti Erik che le faceva segno di aprire. Rachele
fece come le veniva detto e lo fece entrare. Lui le disse: - Scusa se sono
venuto a disturbarti a casa tua, ma mi sono dimenticato di darti questo libro
di magia prima al negozio-.
E
così dicendo estrasse dallo zaino che teneva in spalla un vecchio volume
rilegato in pelle, consumato dal tempo. La rilegatura era in bronzo e le
scritte sulla copertina in oro.
-
Incomincia a sfogliarlo domani, ci sono scritte le formule base della magia!-
Le disse.
Sentirono
dei passi salire le scale, e la voce della madre che gridava: - Con chi stai
parlando?-.
-Nessuno mamma!- rispose la ragazza e aggiunse sottovoce all’elfo: -Ok, grazie. Ora vai, mia madre non ti deve
trovare qui, ho si scatena il fini mondo-.
Erik
annuì ed uscì da dove era entrato con un unico movimento armonioso. La ragazza
lo salutò di nuovo dalla finestra e lo vide scomparire dietro ad un condominio,
come un ombra impalpabile.
Un
attimo dopo fece irruzione nella stanza la madre, che trovò la figlia ancora
affacciata, immersa nei suoi sogni. Le si accostò e guardò verso la strada dove
ormai non vi era più nessuno. Sospettosa tornò in salotto.
Quando se ne fu andata
Rachele tirò un sospiro di sollievo, e tornò a dormire
Il giorno dopo Rachele venne svegliata dalla madre che le parlava, ma
assonnata come era la ragazza non capì niente
Il
giorno dopo Rachele venne svegliata dalla madre che le parlava, ma assonnata
come era la ragazza non capì niente. Solo dopo alcuni secondi riuscì a capire
che c’era la sua amica Mary al telefono e che voleva parlare con lei. Prese
l’apparecchio dalle mani della madre agitata ed aspetto che lei fosse uscita
dalla stanza prima di rispondere. Meri aveva una voce felice ed allegra come se
avesse appena vinto all’otto. Era una ragazza felice, con un grande sorriso
sempre stampato sulla faccia. L’aveva conosciuta il primo anno delle scuole
medie e d’allora erano state amiche per la pelle.
-
Ciao Rachele come stai?- le chiese Mary.
-
Bene e tu?- rispose la ragazza.
-
E me lo chiedi?! Bene come sempre- disse l’amica: -
Sai oggi Marco mi ha chiesto di uscire!-.
-
Sono veramente felice per te!!- ma in verità non lo
era molto.
-
Si, che ne dici di uscire in coppia. Io e Marco e tu e
il misterioso ragazzo!- chiese l’amica.
Rachele
rimase di sasso a quella battuta, ereplicò col cuore in gola: - Misterioso
ragazzo? Ma cosa stai dicendo? Io non ho nessun ragazzo!-.
-
Si certo. Non prenderti gioco di me, se non hai nessuno, come mai ieri e oggi
non ti sei fatta sentire? Di solito mi chiami sempre!- commentò Mary e poi
proseguì: - In oltre ieri sera ho visto un ragazzo uscire furtivamente dalla
tua stanza!-.
Ha
Rachele si raggelò il sangue nelle vene. L’amica aveva visto Erik, e questo era
un grande problema.
-No
ti sbagli, veramente. Ieri sera io ero qui in camera e ti posso assicurare che
ero da sola!- ora quasi gridava.
-
Va bene; sarà come dici tu…… ora ti lascio che devo prepararmi per uscire,
ciao!- e così dicendo Mary agganciò la cornetta.
Rachele
rimase qualche istante immobile con il telefono tra le mani. Le dita erano
quasi sbiancate per quanto stringeva l’apparecchio. Come era possibile? La sua
avventura era iniziata solo da un paio di giorni e già era stata scoperta! Era
furente. Erik si era fatto vedere mentre entrava in camera sua, ed ora la sua
amica non avrebbe smesso di farle domande sull’elfo per molto tempo. Le era
ovvia solo una cosa da fare: stare più attenti a quello che facevano!
Lo
sguardo della ragazza cadde poi sul vecchio libro di magia. Incuriosita lo
raccolse da sotto il letto dove lo aveva nascosto la sera prima e si mise a
sfogliarlo.
Nel
volume vi erano tante formule scritte in una strana lingua che non conosceva, e
da bizzarri simboli, ma stranamente riusciva a comprendere tutte le
informazioni riportate su quelle pagine d’avorio.
Iniziò
a leggere.
C’erano
formule per tramutare esseri umani in animali e viceversa; altre per prevedere
il futuro; altre ancora per levitare e spostare gli
oggetti. Infine nell’ultimo capitolo vi erano quelle più pericolose e
complicate: incantesimi di magia bianca e nera sull’auto difesa e gli attacchi
magici.
Rachele
cercò di memorizzare il più possibile, anche se non riusciva a capire come
comprendeva quelle parole.
Passò
così buona parte della mattina e del pomeriggio. Ogni tanto alla porta
compariva la madre che con la scusa di sistemare i panni appena stirati o di
portarle uno spuntino non perdeva mai occasione di domandarle cosa facesse. La
ragazza mentiva facendo credere alla madre che studiava inglese.
Quel
pomeriggio stava per finire di memorizzare una formula di levitazione quando la
madre la chiamò dal soggiorno. Rachele si costrinse ad alzarsi dal letto e
scendere al piano di sotto.
Appena
scese le scale si bloccò. Davanti a lei si stagliava Erik. Il ragazzo indossava
un lungo cappotto nero che gli scendeva perfettamente fino le ginocchia,
lasciando intravedere sotto un maglione dolcevita nero. I capelli erano legati un una crocchia dietro la nuca in modo che nascondessero le
orecchie a punta. Il suo aspetto lo faceva assomigliare ad un meraviglioso e
temibile dio della morte. Quei pensieri stupirono molto la ragazza.
Insieme
a lui c’erano altri due uomini: un uomo e una donna.
La madre vedendo arrivare la figlia disse: - Ecco mia
figlia Rachele – indicandola con un ampio gesto della mano – Rachele questi
sono i nostri nuovi vicini: la signora Samanta, il signor Ering
e il loro figlio Erik!- e cosi facendo presentò i presenti alla ragazza.
-
Molto piacere di conoscervi! – osservò la giovane. Le due persone che
accompagnavano il ragazzo erano evidentemente creature fatate, ma per un uomo
che non credesse alla magia, apparivano solo come persone di origine straniera.
La
femmina indossava un leggero vestito di lino ricamato con fantasie floreali, e
sopra per coprirsi dal freddo un colorato e caldo scialle di lana morbida. I
suoi capelli erano di un biondo intenso come il sole, raccolti in una lunga
treccia che le scendeva fino sotto le spalle.
Il
maschio portava un elegante completo grigio, che metteva in risalto la sua
figura snella e i lineamenti duri del viso. I capelli rossi come il rame erano
tagliati poco sopra le spalle. Ma la cosa che colpì più Rachele di lui furono
gli occhi di un rosso sanguigno.
Un
vampiro! Penso subito la ragazza. Ne aveva letto nel libro di magia. Agli inizi
erano creature solitarie, che vivevano isolate dal resto della comunità magica,
ma, con l’avvento di Door anche questo dimenticato
popolo si era dovuto unire alla battaglia per la sopravvivenza.
La
madre della ragazza condusse tutti in sala da pranzo e fece accomodare gli
ospiti; poi sparì in cucina per preparare il the.
-
Cosa ci fai tu qui? Sei impazzito?- sbotto sottovoce Rachele appena la madre fu
sparita nell’altra stanza.
-
Perché? Non sei felice di vedermi? – domandò l’elfo con ironia ed un grande
sorriso stampato in volto: - Pensavo ti avrebbe fatto piacere rivedermi?! –.
-
No, cioè si, ma non qui a casa mia; mia madre potrebbe
sospettare qualcosa!- ribatte lei imbarazzata e con le guance le divennero
rosse come due pomodori.
-
Calmati, per tua madre siamo solo dei nuovi vicini venuti a farvi visita, e poi
non può scoprire nulla neanche se volesse!- e sulla faccia di Erik comparve uno
strano sguardo enigmatico seguito da un mezzo sorriso.
-
Non ci credo!- quasi gridò Rachele : - Avete usato la
magia su mia madre!-
L’espressione
dell’elfo e dei suoi compagni cambiò rapidamente in sbigottimento.
-
Caspita, sei molto perspicace!- dovette ammettere lui.
-
Non voglio che usiate….. – la ragazza venne interrotta
dal ritorno della madre con il the.
-
Ecco il the!- annunciò con una espressione felice.
Servì
gli ospiti e poi si sedette.
-
Allora Erik che scuola intendi frequentare? – domandò dopo un attimo di
silenzio la donna.
-
La stessa che frequenta vostra figlia, signora- rispose lui.
-
Oh, ma che bello, così Rachele potrà aiutarti ad inserirti!- esclamò con gioia
la madre.
Si, che
bello…… pensò invece la giovane, ci mancava solo questo. Mary mi bombarderà di
domande!
Stette
ad ascoltare in silenzio la madre e i suoi nuovi vicini discutere del quartiere,
della scuola, del lavoro…….. per un tempo che le
sembrò interminabile, e alla fine Erik e i suoi finti genitori si congedarono
con la scusa di dover finire di sistemare i mobili.
Rachele
se ne tornò in stanza e si infilò il pigiama per andare a letto.Stette distesa sul comodo materasso per un
tempo infinito costringendosi a pensare all’indomani: avrebbe dovuto
accompagnare Erik a scuola e sopportare le domande dell’amica; ma soprattutto
avrebbe dovuto iniziare l’allenamento. Poi i suoi pensieri si fecero leggeri
come zucchero filato, le palpebre si fecero pesanti come cemento, e il sonno la invase risucchiandola nel meraviglioso mondo dei sogni.
- Sveglia dormigliona sei in ritardo per la scuola
-
Sveglia dormigliona sei in ritardo per la scuola! – la voce della madre le
rimbombò nelle orecchie sottraendola ai suoi sogni.
-
Si, adesso mi alzo!- mugugno Rachele.
Rimase
accucciata nel suo caldo letto ancora per un momento, poi si costrinse ad
alzarsi.
Nel
frattempo la madre era già uscita dalla stanza diretta in cucina per preparare
qualcosa da mangiare.
La
ragazza si avvicinò all’armadio di malavoglia e ne tirò fuori un semplice
vestito di lana arancione, che indossò sopra delle calzamaglia
nere. Ai piedi calzò un paio di stivali marroni con le rifiniture del colore
del rame. Per finire legò i suoi lunghi capelli in due bozzoli ai lati opposti
della nuca.
Si
ammirò per un momento allo specchio. Stranamente aveva voglia di essere
perfetta quel giorno.
Raccolse
un paio di orecchini d’ambra che teneva in una scatolina sopra la scrivania e
scese in salotto mentre se li metteva.
Fece
colazione velocemente e scappò via. Era di nuovo in ritardo per la scuola.
Corse
a perdifiato per le vie che conducevano all’edificio scolastico, senza badare
al fatto che le persone che camminavano stancamente per i marciapiedi la
rimproverassero quando li urtava accidentalmente.
Arrivo
fortunatamente che la campanella di inizio lezione non era ancora suonata. Allora
si diresse verso Mary per salutarla. La ragazzina era in piedi davanti alle
scale dell’entrata che parlava con un ragazzo. Rachele capì che si trattava di
Marco. Appena Mary la vide l’asciò con un saluto l’amico e le si diresse
incontro.
L’amica
indossava un lungo poncio con due pompon che le scendevano ai lati del collo,
colorato come un arcobaleno.
Si
salutarono e si misero a parlare del nuovo ragazzo di Mary.
Ad
un tratto però Rachele si senti afferrare per un braccio e tirare. Pensando che
fossero i soliti compagni di classe che le facevano qualche scherzo, si girò di
scatto preparandosi a sferrare un poderoso pugno.
Il
gancio si fermò a mezz’aria quando la ragazza riconobbe Erik.
Il
ragazzo la guardava con aria perplessa e attonita.
Rachele
abbassò subito il braccio, arrossendo per la vergogna nei confronti dell’elfo e
soprattutto nella consapevolezza che tutti i ragazzi della scuola erano voltati
ad osservare il nuovo ed affascinante alunno dell’istituto.
L’elfo
le disse: - Mi stavi per colpire con un pugno?- e sul suo viso comparve un
mezzo sorriso ironico.
-
No, e solo che pensavo fossi un mio compagno di classe!- ammise Rachele.
-
Perché, di solito, prendi a pugni i tuoi compagni di classe?-
Ora
il sorriso era tirato da un lato all’altro della faccia. Si vedeva benissimo
che si stava divertendo a prenderla in giro.
-No!
Lasciamo perdere, ok?- sbotto la giovane.
In
quel momento si intromise nel discorso Mary: - Ei! Che bella amica che sei! Parli
con un ragazzo che non conosco e neanche me lo
presenti!!!-
Rachelesi scusò con l’amica
e le presentò l’elfo.
-
Non è giusto tutte le fortune capitano a te! Ti sei trovata proprio un bel
ragazzo!- commentò poi l’amica.
-
Come? No guarda che lui non è il mioragazzo! Anzi……. – era esterrefatta! Come
poteva pensare che Erik fosse il suo ragazzo? Però forse era comprensibile. In fondo
Mary lo aveva visto sgusciare fuori dalla sua stanza e ora lo vedeva così in
confidenza con lei. I sui pensieri vennero interrotti dalla campanella;
utilizzandola come scusa Rachele scappò in classe. Non aveva voglia di
giustificarsi con l’amica. Soprattutto perché non c’era niente da giustificare.
Trascorsero le prime tre ore di lezione, noiose monotone come al solito,
e finalmente suonò la campanella dell’intervallo
Trascorsero
le prime tre ore di lezione, noiose monotone come al solito, e finalmente suonò
la campanella dell’intervallo.
Rachele
non aveva nessuna voglia di uscire dalla classe. Era più che sicura che avrebbe incontrato Erik o Mary e non gli andava di parlare
con nessuno in quel momento.
Come
poteva spiegare all’amica che fra lei e il ragazzo non c’era niente e come
poteva chiarireil
fatto che lo conosceva da meno di una
settimana maerano già in così buoni
rapporti? Oltretutto lei non aveva mai mentito all’amica, le aveva sempre detto
tutto, anche del suo amico immaginario di quando era piccola.
Alla
fine venne convinta dal professore ad uscire dall’aula e come sospettava si
trovò l’elfo ad aspettarla.
-
Facciamo merenda insieme?- le propose mostrandole una grande focaccia che
teneva tra le mani. Lei rispose con un sospiro ed un si.
La
ragazza condusse l’essere fatato su per le scale poste alla fine del corridoio
dove si trovavano, e insieme raggiunsero la terrazza sul tetto.
Come
Rachele sospettava sulla terrazza non vi era anima viva. Il terrazzo veniva
spazzato da un continuo vento freddo che induceva anche i più coraggiosi a
rinunciare di avventurarvisi.
Raggiunsero
una delle panchine postein estate per prendere il sole da qualche ragazzo e poi lasciate
lì. Si sedettero. Rachele aveva la pelle d’oca e la schiena era percorsa da
continui brividi. Ma almeno li non li avrebbero
disturbati.
-
Cos’hai? Sembri più strana e silenziosa del solito; cosa c’è che ti tormenta? –
chiese ad un tratto Erik.
La
ragazzina sobbalzò; si era accorto che qualcosa non andava, e ora voleva che
lei si confidasse con lui.
-
Niente e solo…- non concluse la frase, perche non riusciva a trovare le parole
giuste per parlagli e soprattutto si vergognava e
aveva paura che lui ridesse di lei. Così ammutolì e le salirono le lacrime agli
occhi.
-
Su dai, prometto che non rido- insistette il ragazzo
mettendosi una mano sul cuore e adoperando l’espressione più seria che riuscì a
trovare.
Rachele
rincuorata da quelle parole si convinse e rivelò tutta la sua angoscia per il
fatto di dover mentire alla sua migliore amica, quando non lo aveva mai fatto
in tutti gli anni che la conosceva. E poi gli raccontò di come non sapeva
spiegare chi lui fosse e che questo la demoralizzava molto.
Quando
ebbe finito tirò un sospiro di sollievo e aspetto le risate dell’altro, ma non
arrivarono. Allora la ragazza alzò il suo sguardo sull’amico e lasciò
finalmente scorrere le lacrime; notò che non stava ridendo affatto, ma la
guardava con un espressione dolce e consolatrice.
Capiva quello che lei voleva spiegargli ma lui non poteva rivelargli altro,
purtroppo.
-
Mi dispiace!- disse con un filo di voce: - Non avevo idea che tu soffrissi
tanto!-.
E
così parlando le mise una mano sulla spalla per confortare un poco, poi
proseguì: - Se solo potessi dirti di più lo farei, devi credermi! Ma proprio
non posso!-.
Fra
un singhiozzo e l’altro lei disse che già lo sapeva, e credeva nelle sue
parole.
Erik
prese la focaccia dalla panchina dove l’aveva appoggiata e ne diede un pezzo
alla ragazza. Mangiarono in silenzio e poi tornarono in classe.
Rachele
non ne poteva più di stare in classe. Dopo aver confessato i sui sentimenti a
Erik aveva iniziato a provare una strana voglia di stare con lui. Con tristezza
si era separata dal ragazzo quando era finito l’intervallo e ora non vedeva
l’ora di passare con lui il pomeriggio. Finalmente suonò la campanella che
annunciava la fine delle lezioni, laragazza fu la prima a lasciare l’aula.
Si era accordata con Erik per trovarsi da li ad un’ora
al negozio, giusto l tempo di tornare a casa per il pranzo. La ragazza entrò in
casa, come al solito sua madre non era tornata per il pranzo e dovette
cucinarsi qualcosa da mangiare. Mangiò velocemente un piatto di pasta, recuperò
il libro di magia dal nascondiglio sotto il letto e uscì di nuovo.
Per
la strada, mentre si recava al negozio, la fata incontrò la sua amica Mary; la
fece sentire un po’ male doverle mentire sul luogo in cui si stava recando, ma
non poteva rivelargli il suo segreto. L’amica non avrebbe capito e l’avrebbe
presa per matta. Inoltre avrebbe potuto renderla vulnerabile agli attacchi di
eventuali nemici. No, non poteva dirle la verità. Le disse che si stava recando
a trovare una zia malata e se ne andò velocemente. Camminò velocemente quasi
volesse scappare dall’incombenza dell’amica e non si fermò a riposare fino a
quando non arrivò in vista del negozio. Come sempre la vetrinetta era
appannata, ma dall’altra parte non si scorgeva nessuno.
Si
avvicinò all’entrata e con il solito senso di timore la oltrepasso. Venne
subito invasa dall’odore dolciastro accumunato a quel luogo.
Da
fuori aveva visto giusto; nel piccolo locale non c’era nessuno. Stette alcuni
secondi ad aspettare, attendendo di veder spuntare all’improvviso dal nulla
l’amico, come succedeva spesso nei romanzi di magia, ma quella non era fantasia
era realtà. Non vedendo comparire nessuno pensò che forse Erik poteva essere nel locale sul retro del negozio e decise di
dare un’occhiata.
Si
avvicinò con cautela alla scura porta, appoggiando delicatamente la mano sulla
maniglia. Poi premette. La serratura scattò e la porta si aprì con un lieve
cigolio. Un arcobaleno di luci la avvolsero. Quello che vide in seguito la
sorprese e le fece battere il cuore come mai prima d’allora.
Seduti
intorno al tavolo rotondo vi erano tre figure spettacolari. Erano avvolte da un
flusso di colori che si mischiavano fra loro creando migliaia di arcobaleni
lucenti. i giochi di luce erano originati dalla
mescolanza dei tre colori che ricoprivano le creature. Infatti
da ognuno di essi fuoriusciva una tinta differente. Guardando bene Rachele
riconobbe in Erik una di quelle creature, era avvolto dal colore blu che
sembrava zampillare dalle sue mani. Le altre due figure si delinearono col l’abituarsi della vista alla luminosità; uno era Ering
dal rosso acceso, e l’altra era Samanta dal giallo dorato.
Lo
spettacolo durò solo alcuni istanti, gli esseri magici si accorsero della
ragazza e interromperò la magia.
Erik
si alzò dal tavolo e si diresse verso di lei.
Aveva
una faccia più pallida del solito, contornata da alcune goccioline di sudore.
La sua espressione fece preoccupare la giovane che pensava di vederselo
crollare a terra da un momento all’altro.
-
Scusatemi…….. io non volevo interrompervi, e solo che
di la non c’era nessuno…. E poi ho trovato la porta aperta… veramente io….-
cercò di scusarsi, aveva le guancie in fiamme, ma venne interrotta dall’elfo: -
Non ti devi scusare, tanto il più prendi quello che hai visto come
dimostrazione della magia- si fermò per far segno a Rachele di sedersi; poi
riprese Ering : - Quello che hai visto non è altro che
la nostra essenza-.
-
Essenza?- ripeté lei senza capire.
-
Si, la nostra essenza, la nostra anima. Ogni essere
vivente ne possiede una. Noi creature magiche non facciamo altro che
utilizzarla e manipolarla- bevve un sorso d’acqua dal bicchiere posato sul
tavolo davanti a lui, poi riprese con un espressione grave
sul viso: - un tempo esistevano svariati tipi di essenze e tutti gli esseri
viventi le sapevano sfruttare, anche gli uomini. Ma il tempo passa e con esso
anche le conoscenze vanno svanendo insieme alle molteplici specie di esseri che
un tempo esistevano… pensa ai giganti, ora non esistonopiù!-.
La
ragazza cercava di seguire quel discorso come meglio poteva ma era molto
complicato.
Andò
avanti Samanta con la sua cinguettante voce da canarino: - Naturalmente alcune
di queste specie, come per esempio gli uomini hanno solo perso la capacità di
sfruttarle, mantenendo però le loro anime, che però si manifestano nelle persone più potenti sottoforma di pallida luce opaca.
Noi creature fatate, di cui anche te fai parte, siamo
le uniche poche specie ancora in grado di utilizzare questo potere-.
Si
fermò per riprendere fiato e sopraggiunse a raccontare Erik :
- Ormai esistono solo tre tipi di anime attive: quelle legate alla terra che si
manifestano con il colore giallo, quelle legate al fuoco che si manifestano con
il colore rosso, e quelle legate all’acqua che si rappresentano con il colore
blu. Noi, prima, non abbiamo fatto altro che liberare le nostre essenze, ed è
quello che dovrai imparare a fare anche tu, se vorrai utilizzare la magia per
salvarci tutti!-.
Rachele
era stupita, come era possibile tutta quella storia. Quella che aveva appena
sentito era una trama da libro fantasy, non da vita reale. Dentro se provava un
immenso desiderio di scoprire di che colore fosse la sua anima. Sperava con
tutto il cuore che fosse dell’elemento dell’acqua, come quella di Erik.
-
E’ essenziale che tu impari a richiamare la tua anima, e per far ciò non esiste
un modo preciso- spiego poi l’elfo.
Come
non esiste un modo preciso, penso la piccola fata, come faccio a chiamare la
mia magia se non mi dicono come fare?
-
Di solito noi creature magiche, impariamo fin da piccoli a richiamare la magia,
ed anche tu ne eri capace. Soltanto che eri molto piccola, non avevi ancora un
anno, e vivendo con gli umani hai dimenticato come si fa! Devi solo ricordare!-
Ora
la ragazza era perplessa, come faceva a ricordare una cosa che faceva prima di
avere un anno? Non ci sarebbe mai riuscita nemmeno concentrandosi per settimane
intere.
-
Non capisco; come faccio a ricordare? Ero talmente piccola!- chiese senza
guardare i suoi interlocutori, era molto imbarazzante ammettere che le loro
speranze su di lei erano illusioni. Possibile che non capivano che non ci
sarebbe mai riuscita?
Erik
però non perse la speranza, anziincoraggiò la ragazza a provare e
riprovare fino a che non ci sarebbe riuscita: - E’ una cosa insita in te,
vedrei ce la farai!-.
Rachele
passò le seguenti due ore concentrandosi per riuscire a richiamare la sua
anima, mentre i due elfi e il vampiro lavoravano in negozio. La ragazza scoprì
che era frequentato da strane persone ed esseri che richiedevano strani volumi
dai titoli assurdi e inverosimili.
All’ora
di cena Rachele si congedò dal negozio per tornare a casa, promettendo di
studiare nuove formule magiche e cercare di ricordare. Non sapeva come avrebbe
fatto a riavere il dono di materializzare la sua anima, ma sapeva che c’è
l’avrebbe fatta!
Passarono così sei giorni in cui Rachele si recava costantemente al
negozio, anche di mattina visto che la scuola era finita per le vacanze
invernali
Passarono
così sei giorni in cui Rachele si recava costantemente al negozio, anche di
mattina visto che la scuola era finita per le vacanze invernali.
Per
quanto si stesse impegnando però, non riusciva ancora a materializzare la sua
anima.
Andava
meglio con le formule, aveva già finito di studiare quello consegnatogli da
Erik e ora studiava su testi più impegnativi, anche se, senza saper
materializzare la magia, erano pressoché inutili.
La
ragazza si era recata al negozio come ogni giorno, ma già dall’esterno capì che
c’era qualcosa che non andava. Dalla vetrinetta appannata non si scorgeva
nessuno all’interno, ma la porta era rimasta socchiusa. Da quando Rachele aveva
sorpreso il gruppo usare la magia, chiudevano sempre la porta a chiave se
andavano tutti nella stanza sul retro.
Si
avvicinò con cautela alla porta e vide che la maniglia era quasi del tutto
fusa. Alla ragazza si raggelò il sangue nelle vene. La situazione non prevedeva
niente di buono.
Si
fece coraggio ed entrò. La stanza era in disordine, tutti i vecchi e pregiati
volumi che prima stavano sugli scaffali, ora risiedevano per terra aperti,
rotti e rovinati. Le boccette di vetro e i vasetti erano in frantumi e al suolo
rimanevano poltiglie di vari colori e consistenze. Ma la cosa che sorprese più
la giovane fu l’odore: non più il dolce odore che sentiva sempre entrando li,
ma un pungente e nauseante odore di zolfo.
Erik
un giorno le aveva spiegato che nella parte del negozio aperta al pubblico era
vietata qualsiasi forma di magia e di incantesimi perché, qualsiasi impiego
dell’essenza rilasciava un odore particolare; aveva aggiunto poi che le formule
di magia nera lasciavano scie di nauseanti odori.
Quindi
in quella stanza era stata usata la magia nera! La consapevolezza che in quel
luogo fosse avvenuto uno scontro le trafisse il cuore. Se era andata veramente
così allora c’erano solo due possibilità: o Erik e gli altri avevano vinto, o
erano stati sconfitti o peggio ancora uccisi. Senza pensarci Rachele fece uno
scatto verso la porta che portava sul retro e chiamò il nome dell’elfo, ma
senza avere risposta. Anche questa stanza era in disordine e piena di macerie , reliquie del suo splendore passato. Degli amici non vi
era traccia.
Rachele
si lasciò cadere sull’unica sedia rimasta intatta nel locale e strinse la
faccia tra le mani, lasciando scorrere le lacrime. Come era possibile? Erano spariti
tutti e quel posto sembrava abbandonato da quanto era stato distrutto. Come poteva
fare ora per salvarli? Non aveva possibilità di ritrovarli, lei che non conosceva
il mondo magico! E soprattutto non sapeva neanche se erano ancora vivi!
Nella
sua mente balenò l’immagine degli occhi da gatto di Erik e il suo cuore perse
un colpo. Non poteva, non voleva che fosse morto, era troppo importante per
lei, e lo capiva solo adesso. Si rialzò, per lei non c’era più niente in quel
luogo, doveva dimenticarsene, dimenticarsi d tutto e di tutti, era l’unico modo
che vedeva in quel momento per andare avanti.
Era
ormai arrivata alla porta d’ingresso, quando si voltò per imprimersi bene nella
mente quel luogo e dargli il suo ultimo addio quando vide sul bancone uno
scintillio. Si avvicinò incuriosita e vide che era una foglia d’argento con
inciso sopra: se vuoi rivedere i tuoi amici, vieni nel picco boschetto nel
parco.
Ora
sapeva cosa doveva fare per salvare i suoi amici!
Corse veloce come il vento per tutta la città, fino a che non raggiunse
la sommità del boschetto dove s’arrestò
Corse
veloce come il vento per tutta la città, fino a che non raggiunse la sommità
del boschetto dove s’arrestò.
Aveva
paura, un terrore nero che le gridava di fare dietro
fronte e tornarsene al sicuro a casa. Però sapeva anche che senza di lei i
ragazzi sarebbero stati spacciati ed oltretutto lei non sarebbe mai stata al
sicuro, mai. Se erano riusciti ad entrare nel negozio e prendere di sorpresa i
suoi amici, che possedevano barriere magiche e dei grandi poteri, come poteva
lei impedirgli di entrare a casa sua?
Sapeva
anche però che non riusciva ancora a richiamare l’essenza, e che in quanto a
forza fisica era praticamente zero. Devi tentare, sono tuoi amici, si ripeteva
in continuazione; amici… quella parola era rara come l’oro per lei che non
aveva mai avuto veri amici all’infuori di Mary! E poi c’era Erik per il quale
provava molto più che semplice amicizia, lui la capiva e poi era sempre pronto
ad aiutarla! Ora lei avrebbe fatto lo stesso a costo di sacrificare tutto,
anche la sua stessa vita.
Si
convinse del tutto a proseguire ma, la paura non la abbandonò mai.
Si
inoltrò fra gli alberi, cercando di non graffiarsi con i rami appuntiti. Non sapeva
come avrebbe dovuto fare a trovare il luogo dell’incontro, ma sospettava che
sarebbe stato lui a trovare lei.
Appunto
dopo dieci minuti di cammino si ritrovò in una radura e al suo centro vi erano i
suoi amici sdraiati per terra, svenuti. Senza pensarci, e se lo avesse fatto
forse avrebbe capito che quella era una trappola, Rachele corse da loro per
svegliarli. Li chiamò a gran voce e quando vide che Erik si stava riprendendo lo scosse leggermente.
-Cosa
ci fai tu qui? Non dovevi venire! Sei te quella che vogliono! Va via non ti
devono prendere!- le disse appena riprese coscienza. Era
evidentemente alterato e nei suoi occhi c’era un pozzo di preoccupazione.
-
Ma che bella riconoscenza!- esclamò lei ironica: - Io ti vengo a salvare e tu
mi tratti così!-
Stava
per mettersi a piangere dalla rabbia ma si trattenne.
L’espressione
di Erik si addolcì un poco, ma la preoccupazione era ancora evidente sul suo
volto: - No, non capisci sono solo preoccupato per te! Se ti
succedesse qualcosa le speranze dell’intero popolo magico saranno vanificate, e
poi……..- si interruppe.
-E
poi cosa???- gli gridò contro Rachele.
-E poi…… non voglio
che ti succeda niente di male!- concluse lui, le orecchie gli diventarono rosse
fino alla punta e il suo sguardo sfuggì da quello di lei.
-
Su ora svegliamo gli altri ed andiamocene!- disse dopo un attimo e si scostò da
lei per svegliare Ering e Samanta.
Rachele
era rimasta senza parole, non poteva credere che lui le avesse detto
praticamente che teneva a lei.
Non
fecero in tempo a svegliare gli altri che la battaglia per la salvezza del
regno incominciò.
Capitolo 12 *** la battaglia per la soppravivenza ***
All’improvviso si ritrovarono circondati da una ventina di creature
fatate che si erano alleate con Door
All’improvviso
si ritrovarono circondati da una ventina di creature fatate che si erano
alleate con Door. Vi erano: Elfi, gnomi, fate,
troll…. Erano più di quante creature magiche Rachele avesse mai visti in tutta
la sua vita, ed erano mostruose! Avevano le facce contorte in ghigni feroci e
una bava bianca che gli scendeva giù per le gole. Ma la cosa più inquietante
erano gli occhi! Occhi vitrei e spenti senza alcuna traccia di coscienza.
Sembravano morti, se non fosse stato che ogni tanto si muovevano a scatti.
Rachele
arretrò istintivamente ed andò a finire contro Erik che la prese per un braccio
e la tirò dietro di se sussurrandole : - Non ti
preoccupare c’è la faremo, qualunque cosa succeda stai sempre indietro, e se le
cose si mettono male scappa, capito?- parlò con un tale tono autorevole che la
ragazza non riuscì a rifiutarsi.
Erik
scatto in avanti con un gesto fulmineo e abbatté i primi due nemici che si
trovò davanti solo con la forza bruta. Poi tra le sue mani comparve una
sfolgorante spada di luce blu. Con essa il ragazzo sconfisse un altro paio di
nemici. Lottò contro i rimanenti aggressori con tutta la forza che aveva, spinto dalla forza che gli dava l’idea di salvare
Rachele e i suoi amici. Ben presto fu sopraffatto ma non smise mai di lottare,
tanto che riuscì a rimontare sugli avversari. Ai suoi piedi si accatastavano i
corpi dei rivali senza coscienza.
Ad
ogni colpo di lama, ad ogni clangore metallico Rachele trasaliva dalla paura di
vedere l’amico cadere senza vita, desiderava tremendamente potergli dare una
mano ma l’essenza non rispondeva al suo richiamo.
Stava
guardando l’amico combattere con i denti e con le unghie per la libertà delle
loro vite, quando si sentì un forte rombo e una luce nera attraversò il cielo
per scagliarsi contro la schiena di Erik che con un gemito di dolore si
accasciò a terra, tirando con se gli ultimi avversari.
-
No- fu il grido che uscì dalle labbra della fata. Non poteva essere morto, non
dopo essere arrivati fin li! però non si muoveva più,
era caduto esanime a terra.
Rachele
rimase incantata a guardarlo, la a terra, senza vita
ormai. Sentì le lacrime scendergli dagli occhi alle guance e poi cadere nel
vuoto, ed insieme a queste senti salire dentro di lei qualcosa d’altro,
crescere ed espandersi!
Si
volto verso la direzione in cui era arrivato il colpo e vide da chi era
arrivato.
Era
stato un elfo a far stramazzare al suolo Erik. era alto e i suoi muscoli erano
coperti da un’armatura di pelle finemente lavorata. I lunghi capelli di un blu
scuro erano legati in una lunga trecce che gli
scendeva fino quasi le ginocchi. Ma la cosa che colpì di più Rachele fu il suo
volto: assomigliava tremendamente a Erik!
-
Ebbene ora che siete rimasta sola vi arrendete?- disse l’elfo ghignando nel
vedere l’espressione impaurita e spaurita della ragazza.
-
Mai!- gridò la fata di rimando, anche se moriva dal terrore e desiderava solo
scappare, però le sue gambe non volevano muoversi.
-
Bene, allora farai la fine del mio fratellino che ha osato ribellarsi a me!- e
così dicendo fece un gesto con la mano verso il giovane a terra.
Non
poteva essere vero! Il malvagio Door colui che veniva
odiato da tutto il popolo, tirannico e malvagio, e soprattutto detestato dal
profondo del cuore da Erik, era in veritàil fratello del ragazzo!
Eppure
come poteva essere? Uno così malvagio e l’altro protettore del popolo.
La
ragazza lotto per levarsi quelle idee dalla testa per concentrarsi sul
combattimento, e quando Door attacco lei era pronta!
Quando Door le lanciò contro una maledizione sotto forma di un fascio nero lei era pronta.
Erik le aveva spiegato che coloro che usufruivano della magia nera avevano un anima scura ed impura, come quella che stava vedendo in quel momento. Sentì le dita formicolargli e dei brividi d’energia percorrerle la schiena. Chiuse gli occhi e si fece invadere dalla magia. Davanti a lei si formava un intreccio di fili argentati che creavano una rete tutt’intorno a lei. Allungò le mani e manipolò quei fili trasformandoli in onde di magia di luna che tenne racchiuse tra le dita. Quando sentì l’avvicinarsi del buio e dell’oblio, Rachele rilasciò tutto la sua essenza, spazzando via il buio. Infine riaprì gli occhi e seppe che tutto era finito.
Door rilasciò tutta la sua anima corrotta verso la ragazza, sicuro della vittoria. Si accorse solo troppo tardi che qualcosa non andava, la giovane aveva uno strano sguardo, sembrava quasi risplendere. Poi la fata chiuse gli occhi e dopo qualche istante dalle sue mani sfuocarono raggi di magia sfavillante e d’argento. Non poté opporsi a quella magia. Infine non aveva fatto bene a credere che tutto il male che aveva fatto sarebbe rimasto impunito, ora lo sapeva, e finalmente avrebbe trovato l’oblio che tanto amava.
Il corpo di Door cadde a terra senza più coscienza.
Rachele si riscosse dopo un attimo, stava fissando Door a terra, non era morto, respirava ancora.
Si girò e si diresse verso Erik a passo lento e incerto. Vederlo li a terra la faceva soffrire terribilmente, gli voleva troppo bene per lasciarlo andare così. Si chinò su di lui e gli passo una mano sulla faccia sporca.
Dalle sue dita scaturirono scintille d’argento, se era ancora vivo quelle lo avrebbero aiutato. Lo osservò ma lui rimaneva immobile. No non poteva essere morto! Le lacrime le scesero copiose dagli occhi e caddero sul ragazzo.
- Ei perché piangi? Guarda che non sono ancora passato a miglior vita!-
Rachele trasalì e guardò l’elfo che era sveglio e la guardava con infinita dolcezza.
La ragazza tocco il cielo con un dito dalla felicità.
Lo aiutò ad alzarsi e curò le sue ferite come meglio poté. Infine Rachele svegliò i suoi amici ancora incoscienti e li riaccompagnò al negozio.
Erano passati ormai due giorni da quando Rachele aveva sconfitto Door facendolo piombare in un coma profondo. Dopo aver riaccompagnato al negozio i suoi amici non aveva avuto più un attimo di tempo libero.
Aveva spiegato come si erano svolti i fatti della battaglia a Erik in quanto privo di sensi dopo essere stato attaccato dal fratello e a Samanta ed Ering ancora svenuti dopo essere stati catturati. Erik le aveva spiegato che il suo potere derivava dall’elemento aria, e che ormai erano gli esseri con questo tipo di essenza, per questo quando i suoi genitori l’avevano scoperto avevano fatto di tutto per proteggerla; consci che sarebbe diventata la salvatrice del popolo magico. Per questo lui non le aveva rivelato i loro nomi prima, che ora sapeva essere: Aya e Robert; perché avrebbe potuto leggere i loro nomi nei libri custoditi in negozio e così facendo svelare la sua presenza al tiranno. Door era capace di avvertire le persone che leggevano determinate parole e intrufolarsi così nella loro testa. Poi c’era stato un gran da fare per rimettere in sesto il negozio, sistemare i libri rovinato, e ricostituire la riserva di pozioni. Quella mattina il telefono aveva squillato insistentemente, e quando la ragazza era andata a rispondere aveva sentito la voce di Erik dall’altra parte dell’apparecchio che le chiedeva di vedersi nel pomeriggio.
Rachele aveva passato più di un ora davanti allo specchio per decidere cosa indossare, alla fine aveva optato per una gonna di jeans e una felpa viola. Come tocco finale aveva legato i capelli sopra la nuca in modo che le cadessero a cascata sulle spalle.
Era arrivata all’appuntamento un quarto d’ora prima dell’orario prestabiliti e fu felice di vedere l’elfo seduto su una panchina ad aspettarla. Gli si avvicinò col cuore in gola, e quando fu abbastanza vicino lo salutò.
L’elfo alzò la testa, preso evidentemente di sorpresa, ma non si scompose, anzi le indirizzò un grande sorriso che fece arrossire la ragazza.
- Cosa ne pensi se ora che è finita tutta questa storia- iniziò Erik :- Non accettassimo quell’uscita a quattro che continuava a proporci Mary?-
Non ci credeva, doveva essere solo un sogno, la stava veramente invitando ad uscire?
Divenne ancora più rossa di quanto non lo fosse già e disse con un filo di voce: - Si va bene, ne sarei molto felice!-.
- Bene- esclamò l’elfo apparentemente molto felice :- ora posso darti il mio regalo di natale!-
Rachele alzò lo sguardo sul ragazzo giusto in tempo per vederlo chinarsi su di lei e darle un bacio. Il suo primo bacio.