Sette raggi intorno a un cerchio

di crimsontriforce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In differenza ***
Capitolo 2: *** Vacuo in blu ***
Capitolo 3: *** Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani ***



Capitolo 1
*** In differenza ***



Sette raggi intorno a un cerchio

Come potrebbe risultare evidente dall'introduzione (ma anche no, in effetti, essendo questa stata scritta sotto l'ebbrezza della prosa di Yeesha, che fa male), trattasi di una raccolta di What if con l'intento di esplorare svariati finali negativi. Alcuni riprenderanno quelli mostrati dai giochi, ad esempio una prospettiva su Catherine nel primo negativo di Riven; più spesso, invece, proverò ad indagare il quasi-accaduto, il temuto, lo sventato dal mirabile tempismo di un'anima buona. E se... Saavedro si fosse collegato un giorno prima? E se... e se, tanto per cominciare sul classico, Gehn fosse riuscito ad aprirsi una strada per D'ni?







Questa prima ipotesi è sponsored by Fanworld.it, nella persona di Graffias, col suo concorso “Il trionfo dell'antagonista”. Prompt come da titolo, con limitazione aggiuntiva che l'antagonista non deve fare il cretino. Non c'è problema: Gehn? Gehn è serious business... al massimo gorgheggia un poco.
Frallaltro, è l'idea che volevo già usare sia per il prompt sul momento del piacere che poi è diventato 'Ricoperta di fiori blu' sia per la coppia Grotta-sangue che è diventata 'Terra tradisce, cuore non vede'. Così invece non posso proprio svicolare: i due scassamaroni scassino maroni lontano dalle mie fanfic, Saavedro non conta del tutto come antagonista (mezzo antagonista, mezzo damsel in distress, mezzo Mario, per un totale di 150% pure win) e Esher... aaaaah, Esher.





Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.






In differenza





Perché aveva esitato?

Gehn soppesò il libro. Qualcosa aveva portato quell'abitante di superficie a prendere tempo e il gesto poteva nascondere più di una semplice ritrosia a condurlo di fronte ad Atrus.
Accese il cannen e, di lì a poco, la pipa. Mentre le note profonde della sua ultima registrazione si innalzavano come sbuffi di fumo, si sedette alla scrivania e aprì il volume alla pagina della finestra di collegamento, in cerca di risposte.
Quell'immagine sembrava, era D'ni - K'veer, la sua casa, nella sua patria, nel suo mondo.
Gehn lasciò che il fumo e la musica portassero con sé una chiarezza di pensiero di cui aveva bisogno, ma che non riusciva a trattenere in quel momento che si era d'un tratto rivelato così vicino al ritorno.
Inspirò a fondo, gustando il sapore pungente dell'ytram, e si preparò ad un rigoroso lavoro di revisione.

Le frasi scorrevano naturali sotto i suoi occhi. Trent'anni di assenza si annullavano in poche ore nel ripensare a ogni dettaglio della stanza cui il libro conduceva e a tutte le volte in cui lui per primo aveva scritto quelle identiche parole.
Senonché, verso la fine...
Non sei mai stato sottile, Atrus, mormorò Gehn raggiungendo la boccetta dell'inchiostro con un gesto trionfante. In questo, come nel resto, hai ancora molto... molto da imparare.

*

Le correzioni sembravano complete, restaurata la stabilità del legame.

Era sera. Appropriato, si disse, che la distesa sotto i suoi occhi si facesse rosso cupo al calar del sole. Un dolce invito, presagio di vittoria.
Gehn si alzò, distendendo la schiena indolenzita dal lungo studio, e come officiando un rito allineò sul banco il libro chiuso, la penna, l'inchiostro. Ad essi aggiunse, ordinatamente appoggiati sulla sedia, il mantello, i diari, la memoria del proiettore, una sacca, il fucile, la lente cristallina sottratta ai ribelli. Tutto era pronto.

Prese d'impulso uno dei libri per Riven custoditi nello studio, per avere certezza di una via d'uscita, ma prima ancora di impilarlo sul resto si rese conto che nello stato degradato delle isole sarebbe stata una scappatoia ben fragile. Così si collegò lui stesso alla Quinta Era tramite quel libro, prese con sé il volume di ritorno custodito nella cupoletta e si concesse un'ultima passeggiata sul suolo della sua prigione, ormai forzata.

Anche quello, rifletté appoggiandosi ad osservare il mare dal lungo ponte di legno fra le isole, era parte del rito. Addii, ricordi da incasellare nella memoria. Passaggi.

Ancora stanotte mi attardo sull'uscio di questa gabbia ostile, scrisse prima di addormentarsi, ma la porta è aperta e il sentiero ha il profumo di casa. Che i fantasmi cullino il mio sogno. Domani renderò loro onore.
Sognò suo padre che gli sorrideva.

*

Avrebbe voluto terminare l'esilio con la mano aperta e tesa, certo che la patria l'avrebbe accolto con uguale benevolenza. Non aveva però idea di cosa, o chi, l'avrebbe atteso all'altro estremo del legame: da qualche parte, suo figlio stava scrivendo per salvare Catherine, forse anche l'Era, forse anche chi gli aveva donato la vita. Quella era una certezza, seppur vaga. Non riusciva invece a spiegarsi quella presenza straniera così cocciutamente devota ad aiutare Atrus e, prudente com'era sempre stato, a malincuore si trovò a caricare il fucile prima di porre – infine! – la mano guantata sull'immagine e svanire con un malcelato brivido.

*

Al suo arrivo, D'ni lo accolse con un carico di ricordi.
Il mosaico rotondo ai suoi piedi, l'aria stagnante che soffocava la luce delle lampade: tutto in quella stanza era impregnato dal passato. Quello che aveva iscritto nella sua memoria con la fissità della pietra riacquistava la dimensione del reale.
Nel tavolo rozzamente accomodato fra una colonna e una nicchia, Gehn poteva rivedere se stesso chino a lavorare su un libro.

Atrus sollevò la testa, incuriosito dal rumore improvviso che aveva scosso la tranquillità di K'veer e che, per assurdo, sembrava quello di un collegamento.
Col pennino immobile sull'ultima parola scritta, ora rovinata da una macchia crescente d'inchiostro, guardò per lunghi attimi attraverso Gehn, incapace di distinguere la sua sagoma rigida e severa dall'atmosfera di una stanza che da mezzo secolo era satura del tocco del padre.
Si sistemò gli occhiali, incerto.
La penna gli cadde di mano e rotolò giù dal libro.

Gehn assisté a quel tormento con interesse: seppe osservandolo in pochi gesti costretti, se mai ne aveva dubitato, che Atrus era ancora cosa sua.
Suo figlio era inerme: una pallottola sarebbe stata il giusto compenso per le umiliazioni che gli aveva causato. Questo gli suggeriva l'istinto e questo era il metro che avrebbe usato per giudicare un qualunque selvaggio, in qualunque Era. Ma suo figlio era anche intento a praticare l'Arte seduto nel cuore di D'ni, nella casa che era stata sua, come aveva tentato d'inculcargli anni addietro. In allora il ragazzo era stato sordo ai suoi insegnamenti, con le orecchie imbottite del sentimentalismo di Anna. Eppure, adulto, era lì. E per due mani capaci ad aiutarlo nella ricostruzione, per uno spirito che comprendesse il peso del loro destino, molti peccati potevano essere perdonati.

Esitò. Suo figlio era inerme e senza via d'uscita, tranne il vicolo cieco che era il libro descrittivo della Quinta Era. Il suo trionfo era già compiuto: forse che l'esilio l'aveva indurito così tanto da non permettergli di condividerlo, magnanimo, con chi sembrava finalmente dimostrarsene degno? Fece un passo in avanti e incontrò il suo sguardo perso, rassicurandolo sulla realtà della sua presenza.
“Sono tornato a prenderti, Atrus”, lo apostrofò. “È così che saluti tuo padre?”

Atrus fermò la penna nel suo lento percorso verso terra, ma nel farlo il suo braccio tremava. Si strinse nella casacca.
“Eri atteso”, rispose. Si resse la fronte con la mano sinistra: gli era calato sulle spalle un peso insostenibile.

Suonava falso, poco convincente. Gehn si avvide però che non era tanto una menzogna – non Atrus, no, come aveva commentato solo un giorno prima – quanto una possibilità fra le più remote, accettata per scrupolo nel congegnare il suo piccolo piano ma mai seriamente considerata. Stolto. Inesperto, fiducioso e stolto.
E, per una volta, l'altra serpe traditrice non sarebbe giunta a coprire le evidenti falle del suo pensiero.

“Catherine?”, mormorò Atrus, come a fare da contrappunto a quelle riflessioni.
Gehn scosse la testa e fece qualche passo senza meta nella stanza, come preparando un discorso grave che però non venne. Gli avrebbe potuto dire molto di quello che aveva visto di lei negli ultimi mesi: mezze verità, parole scelte con cura, una prigionia necessaria alla luce della precarietà del suo stato.
Ma il silenzio di orrori inenarrabili era un'arma più forte e lasciò che lavorasse a suo vantaggio, legandolo a lui, vanificando ogni giorno e ogni notte passati a scrivere per potersi permettere ogni volta poco più che due o tre ore di riposo in cui sognare di salvarla.
“Dov'è?”, chiese. Guardava lui e il libro di Riven e un altro diario che teneva sul banco, poi ancora Riven, ancora lui.
Era un animale in trappola. Ma perché il diario?

Gehn s'irrigidì, paonazzo in volto. Strinse le labbra in una linea sottile, girandosi verso il figlio senza più traccia del compatimento che aveva inscenato fino ad attimi prima.
Diario?
“Alza le mani!”, intimò. Si avvicinò al tavolo, imbracciò il fucile e lo puntò.
Quello non era un diario.
“Cos'è questo?” chiese con disprezzo prendendo con sé il libro, la cui copertina scarna recitava semplicemente “MYST”.
Aveva rischiato di perderli, suo figlio e un'Era preziosa. Mentre lui si concedeva la calma del vincitore, Atrus sarebbe potuto svanire in ogni istante su Riven col libro in mano e, da lì, collegarsi ancora lasciandolo cadere in acqua: la più classica delle fughe. L'avrebbe fatto, se non avesse avuto a cuore la moglie adorata più della sua stessa vita.
“Padre, devo tornare a scrivere.”
“No.”

Ritirò fra sé e sé l'aggettivo 'preziosa' mentre sfogliava il libro di collegamento: il testo parlava di una modesta stanza in legno, con un caminetto e nuvole affrescate a decorare il soffitto. Dalla porta s'intravedeva un praticello, qualche pino. Aria salmastra. Una piccola isola.
“Cos'è?”, chiese ancora.
Atrus esitò.
“Casa”, rivelò con un sospiro.
“E questo?”, ribatté Gehn irato. “Cos'è per te questo, allora?, disse indicando lo spazio attorno a sé col braccio armato.
“Questa è una prigione, che tu costruisti. Quella è casa, che Anna creò.”

Gehn non amava sperare: le azioni di chi gli era stato vicino avevano eroso da anni il sentimento, lasciandone solo tracce da cui si teneva bene in guardia. Né era solito fidarsi, tranne che di se stesso. Non si era fatto illusioni di poter veramente parlare con Atrus, non subito almeno, non prima di aver cancellato da quell'animo semplice ogni sciocchezza che si portasse ancora dietro dagli anni in superficie. Ma se la risposta era quella, no, non c'era salvezza nel cambiamento. Solo distruzioni e rinascite.

“Era una prova, Atrus!”, disse gettando il libro per terra, nella polvere. Polvere e rovine, certo. Decadenza. Nessuno aveva più onorato quel luogo. Gehn scosse la testa. “Ti stavo mettendo alla prova. Come puoi pretendere di giungere alla grandezza se non attraverso difficoltà, sacrifici? Se non agisci?” Lo guardò dritto negli occhi. “Non mentirmi. Non hai fatto nulla per la Città, vero?”
Tentò di restare calmo, ma Atrus sembrava esserlo abbastanza per entrambi e non lasciargliene modo, immobile tranne che per le mani alzate, che iniziavano a risentire della stanchezza. Senza tradire le sue emozioni, sosteneva il suo sguardo da oltre uno spesso schermo di cui gli occhiali erano solo una minima manifestazione materiale. Provava emozioni? Tutto il suo conflitto si era risolto in un tremito, un'espressione smarrita, poi triste, stanca, poi più nulla. Restava passivo a custodire chissà cosa, dopo essere stato sconfitto in tutto.
“Com'è possibile? Non lo senti, Atrus? È il tuo sangue... il tuo nome.”
Non lo capiva, non l'aveva mai capito.
“Invece”, incalzò, “invece ti sei rintanato in quest'isola... questo buco senza orgoglio?”
“Si chiama Myst, padre. Ha un nome, come ogni Era ne ha uno, scelto dal suo popolo o risiedente in un'intima essenza che sta allo scrittore cogliere.”
“E per questo l'hai chiamata Myst?” Diede sfogo a una risata amara. “Missed, perduto? Come opportunità perdute, come il buon senso che hai perduto che eri ancora in culla? Ho provato a credere in te, Atrus, ad andare oltre le parole grevi con cui ci salutammo. Cosa pensi che mi trattenga il dito sul grilletto? Mi hai fatto perdere trent'anni. Trent'anni di stenti, passati giocando a fare il dio minore. Eppure vivi. Perché sei mio figlio, e il sangue lega te, me e il ricordo di tua madre più di quanto ti abbia mai unito a quell'esterna. Ma posso ancora ripudiarti.”
“L'hai già fatto, padre. Due volte.”

Avrebbe voluto farlo ancora, di fronte a quell'insolenza. Cosa doveva fare di quel figlio emotivamente storpio, senz'altre aspirazioni fuorché dare vita artificiale ad un'Era morta?
Alzò nuovamente il fucile e si appoggiò sul tavolo, premendogli la baionetta alla gola fino a ferirlo. Atrus si ritrasse, ma Gehn incalzò e gli parve di sentire il battito accelerato del suo cuore trasmettersi attraverso la canna metallica.
“Dimmi, Atrus. Non hai ambizione. Non hai aiutato la ricostruzione. Non hai... Cosa hai fatto nella tua vita? Cosa fai qui?”
Atrus deglutì e chiuse gli occhi per il dolore.

“Ho osservato un cielo grigio”, rispose dopo aver riflettuto. “Ho imparato a distinguere le sue nuvole e a dare loro nomi. Ho ammirato tutte le sue tonalità, più di quante immaginassi, e quando infine è tornato azzurro ho festeggiato sul tetto di una fortezza che aveva perso il suo scopo. Ho studiato le stelle del cielo sopra Myst e le ho radunate in costellazioni: riconosco l'occhio, il serpente, la freccia, l'ancora... Ho camminato sul mare circondato da un tappeto di foglie. Ho scritto un galeone, ma ho visto che è meglio costruirlo con assi e pece. Ho vissuto, padre, sotto molti soli.”
“E poi?”
“E poi l'ho condiviso e mi è stata donata saggezza.”
“E poi? Rispondi, quando ti viene posta una domanda.”

Atrus cercò con lo sguardo il libro di Myst.
“E poi”, disse, facendosi piccolo e sconfitto, “poi ho commesso un errore.”
E infine era lì, solo, prigioniero, umano nei suoi rimorsi e nella sua paura, e Gehn credette di capirlo e compatirlo.
“Due”, si corresse, ma non tradì altro. “E ora, se vuoi scusarmi, devo tornare a scrivere.”
Premette dolcemente la mano sulla canna del fucile.

Lo sparò riecheggiò per sale e corridoi franati fino a disperdersi nella calma accogliente del lago.

Gehn osservò la scena come se stesse accadendo a qualcun altro, in un altro tempo, in un'altra Era.
Era sereno e deluso.
Sereno perché infine lo sentiva. Il silenzio di D'ni, la sua profondità benedetta, al cuore dei mondi; promesse, aspettative e segreti. Era quello il ritorno che aveva atteso e lo sentiva sulla pelle, un sentimento già forte acuito dalla lunga cerca.
Deluso da se stesso. Aveva sempre saputo che l'unica persona degna di fiducia si era consumata sotto i suoi occhi cinquant'anni prima, in un torrido buco nel terreno. O vent'anni prima ancora, come un eroe ma senza salutarlo, senza un ultimo abbraccio al figlio che stava lasciando solo, e quel nome proprio non poteva andare perso... così, nel profondo, al di là della ragione, aveva sperato un poco.
Si chinò sul corpo riverso, studiandolo, cercando di capire allora quello che non aveva compreso quand'era in vita.
Voleva solo essere orgoglioso di suo figlio.

Sfogliò il libro descrittivo della Quinta Era fino a tornare all'inizio di tutto, alla pagina dell'immagine porta, e vi appoggiò la mano di Atrus senza distogliere lo sguardo finché non fu svanito.
Cos'altro avrebbe dovuto fare? Forse nulla. Forse la Storia voleva che tagliasse del tutto i legami col passato prima di donare un vero nuovo inizio alla sua civiltà.
In pace, sentendo gli echi di quella stessa Storia sussurrare nell'immobilità di K'veer, si sedette al suo posto con lentezza rituale, raccolse la penna e la intinse nel calamaio.
Era tornato a casa.


***




In quel momento, Riven: Catherine si alzò dal giaciglio della sua prigione. Silenziosa e compunta, quasi temesse di disturbare il legno su cui poggiava i piedi, si vestì e si affacciò sul camminatoio che dava sul mare. Aprì le braccia e tenne alta la testa, fissando l'orizzonte: avrebbe assistito il suo mondo morente fino all'ultimo respiro.

Nuoteremo fra le stelle, amore mio, disse ancora salda e immobile al vento nero quando sentì la terra aprirsi sotto di lei.

*

In quel momento, 233: il suo cuore impazzito sovrastò il boato del collegamento. Con i nervi tesi, si preparò ad accettare la proposta di Gehn.
E la prima persona sarebbe rilasciata nel mondo, recitava il diario: il libro era una trappola pensata per un solo uomo. Aveva letto quella pagina fino ad averne nausea prima di trovare il coraggio di tornare. Ebbene. Era lì.
Ma lo studio era vuoto.
Si cullò nell'osservazione di quello spazio intimo e rosso mentre la sua mente si arrovellava sul nuovo enigma e non capiva, non capiva, non capiva.

Quando tornò su Riven l'aria era scura e densa e l'isola irriconoscibile, piagata da una ragnatela di nuove ferite incandescenti. Con gli occhi arrossati e fissi sulla devastazione causata dal suo fallimento, che ancora non comprendeva, non cercò scampo dal miasma.

*

Cinquemila anni prima, Windring: nel centoventiseiesimo giorno l'Osservatore si preparò al riposo, poiché l'opera era terminata ed ogni sua riga era bella e giusta e piena di speranza . Ma giunse allora al suo orecchio una voce immensamente triste che gli chiese di tornare ad impugnare la penna, perché delle correzioni erano diventate necessarie, e per cinque giorni egli cancellò e trascrisse seguendo l'altrui sapienza, che trascendeva il tempo e le Ere. Nel centotrentunesimo giorno dacché aveva riacquistato la vista il lavoro fu compiuto e l'Osservatore, stanco, lesse per la prima volta nella loro interezza le parole trasmessegli dal Creatore. E il suo cuore divenne pietra.

Cosa crescerà?
L'albero con rami di orgoglio.
Chi lo farà crescere?
Il ricostruttore.

Un ricostruttore che rifiuterà il dolore.
Un ricostruttore che terminerà l'esilio.
Un ricostruttore che si volgerà al passato.
Un ricostruttore che seccherà le radici.
Un ricostruttore che restaurerà i primi.

Un nuovo uno regna.
Per dominarli;
Per svuotarli;
In solitudine.




















...sì, mi sento un verme ignobile. Appronterò al più presto un cartello con su scritto "Kick me". Nel mentre, nerdaggine & credits:

@ introduzione alla raccolta: la faccenda del simbolo di negazione non è 'wingrovismo', ve'? *guarda santino di RAWA con occhioni supplicanti*

@ titolo: indifferenza formale di Atrus, indifferenza emotiva di Gehn, 'nella differenza' fra i due.

@ fanfic: la pianificazione è stata un amore. Cinque punti di scaletta tematica da sviluppare in dialogo sarebbero semplici, non fosse che metà delle parti in causa aderisce strettamente all'approccio 'shoot first, ask later' e l'altra si appella al quinto emendamento, già che siamo negli USA... o sotto gli USA... whatever. u_u 'na meraviglia proprio.
Alla fine non sono riuscita né a ridare il Gehn che volevo (cioè la meraviglia trasmessaci dal signor Keston <3) né l'Atrus che volevo (*glomp*)... non credo (spero...) sia una questione di OOC quanto di situazione in cui li ho piazzati. Gehn in quella posizione lì si rifà infatti più al Gehn del libro; Atrus può fare proprio pochino. Per vendicare la scintillante caratterizzazione del secondo mi sto già attrezzando; per il primo non ho idee, ma la BDT è lunga!

@ implicazioni dell'introduzione alla raccolta che cozzano con le implicazioni della parte finale: in realtà l'intro è così solo perché suona bene, so che cozza con le basi esplicite della serie fin dal più tenero 1997. Mi sembra che la parte finale invece salvi benino il tema di profezie + libero arbitrio... e la presenza dei finali multipli.

@ mare rosso cupo: this.

@ Gehn che esita: lo so che nel finale negativo #5468ter gli spara a vista, come fa in più o meno tutti i finali con più o meno qualunque bersaglio abbia a tiro. Un campioncino a Duck Hunt, quell'uomo. Ma la sua 'magnanimità selettiva', passatemi la definizione, nei confronti dei Rivenesi (case in point: 234th) mi fa pensare che si compiaccia nel dimostrare la sua divina benevolenza, quando può. Cioè, insomma, il Gehn col fuoco sotto le chiappe è molto diverso dal Gehn che può permettersi di prendere le cose con calma.
Inoltre, se avesse sparato a vista la fanfic dove sarebbe andata a finire, eh? EH?
Credo che il 'parto armato perché sai mai' possa essere applicabile al gioco stesso, anche a parte le necessità di sceneggiatura qui: Gehn esce pure di casa armato, non so se mi spiego... 233rd! Piena così di pericoli... soprattutto il sabato sera...

@ rimembranze: Mechanical (quant'è bello quel diario? ç_ç), Myst, Channelwood, Stoneship. I due errori da non tradire sono l'unica cosa che lo sa buttar giù così: i figli. E guai se Gehn li avesse scoperti!

@ emotivamente storpio: emotionally crippled, of course: 'invalido' mi sembrava un termine troppo moderno. Diversamente emotivo, asd. Si vede che qui c'è uno Straniero generico anche perché la mia, dopo aver letto un insulto del genere, appena incontrato Gehn l'avrebbe steso con un montante attraverso le sbarre. Non s'insulta Atrus in sua presenza e nemmeno in sua assenza. u_u Questo vale anche per te, Achenar, ha occhi ovunque, Haven inclusa è_é

@ nuotare fra le stelle: Book of Atrus. Riprende uno dei suoi primi momenti dolci con Atrus, quello sul pianetino di Mario Galaxy, ripreso poi al confronto alla Fessura.
"Did you ever wonder what it would be like to go swimming among the stars?", chiede Catherine ridendo a un attonito Atrus che sta ancora cercano di mettere insieme come quella roba lì possa esistere (evidentemente non aveva giocato a Mario Galaxy). "If it is my dream, we could fall into the night and be cradled by the stars and still return to the place where we began." *sniff*

@ assenza di declinazioni: l'ho fatto di nuovo. Mi odio, è la morte civile e sintattica. Ma quando non è protagonista voglio che rimanga il più possibile neutro.

@ Windring: ...o Rolep? Ma con 'as I waited near the cavern of Rolep' ho inteso che ci fosse una caverna chiamata Rolep nell'Era di Windring citata nella pagina prima. O su D'ni nel posto dove sta l'Albero, se poi è la prima cosa che vede... o quello è metaforico? X_x Beh insomma, delle tre l'una, resti valido il concetto. '_'

@ violenza fatta a Words: 'Ricostruttore' as in 'Rebuilder of pride', come lo definisce Yeesha. E anche come differenza fra restore e rebuild nel senso inteso da Phil. Fra me e me la traduco come ristorare VS restaurare, ma restauratore suonava buffo. In originale:
What will grow?
The tree of all things.
Who will grow it?
The grower.
[...]
A grower to learn of the death.
A grower to see new life.
A grower to bring the gathered.
A grower to restore the least.
A grower to move through time.
A grower to link at will.
A grower to follow the shell.
A grower to banish the darkness.
A grower to graft the branches.
A grower to join the paths.
[...]
A new one reigns.
To send them away;
to push away;
to divide.
[...]
A new one reigns.
To send them away to what is good;
To return them to what is right;
To unite them to what is true.

...amen. Torno ai miei tiny enemy quabs.

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Capitolo 2
*** Vacuo in blu ***




Ehm, rieccomi sulla raccolta, dopo giusto quell'anno o due... come cianciavo EONI FA nell'introduzione alla serie, qui siamo nel primo negativo di Riven, con Gehn intrappolato e Catherine non liberata al momento di aprire la Fessura. Tanto il primo finale negativo di Myst mi fa rotolare dalle risate e non riesco a prenderlo sul serio per più di trenta secondi consecutivi, tanto il primo negativo di Riven mi affascina e questa fanfic potrebbe non essere l'ultima cosa che scrivo ambientata in quella timeline. O su Tay!










Vacuo in blu





La mia fine è un punto di luce fioca e calda in un'Era blu. È una stanza carica di oggetti familiari, molti dei quali ricordo dall'infanzia, mentre dal corridoio riecheggiano scoppi di risa e della lingua che mi ha cresciuta e torna a commuovermi con i suoi suoni aspri. Le geometrie tonde, le ceramiche, i muri sabbiosi narrano di casa mentre il cielo al di fuori, brumoso e freddo, cala una coltre di pace.

Perché non riesco a esserne felice?


~/~


L'ultima immagine che ho del mio mondo è un cammino uniforme di distruzione. Trent'anni fa ho potuto abbandonare Riven con l'unica consolazione di saperla viva, pur sotto il dominio di Gehn, e l'eco dei suoi colori vibranti mi ha sorretta da allora; sotto i miei passi recenti invece la terra si crepa e mi lacera. L'ho visto accadere con i miei occhi, l'ho sentito nell'aria dalla finestra della prigione costruita sulle rovine dell'Albero – l'altro albero, l'altra prigione, non questa che ho scritto con le mie mani. Ho visto Riven morire e fermarsi a un battito dalla distruzione totale, sospesa su un filo – su una riga d'inchiostro? – per permettere a Eti di scardinare la porta della mia cella e portarmi in salvo. Se solo avesse potuto chiudermi gli occhi mentre mi scortava al villaggio. Chiudermi il cuore. Questa distruzione entra sotto la pelle.
Ho dovuto parlare di fronte alla mia gente riunita, ma erano parole vuote. Parlava Katran, la dea, che si era dimostrata superiore a un altro dio tiranno e conduceva l'intero villaggio verso la salvezza di un mondo sicuro. Io restavo in disparte. La terra tremava.


~/~


Una frattura attraversa i miei sogni, come se la vera realtà fosse rimasta separata da una cortina e mi trovassi in un nulla confuso, ovattato e prima di tutto sbagliato. So che è anche la Fessura, lo squarcio fra i mondi, e che la linfa di Riven cola nelle sue profondità. Il mio sangue pulsa nelle tempie e frantuma i pensieri – a volte sento che, se riuscissi a svuotarmi del tutto, colerei anch'io oltre le sue labbra fino a disperdermi in un campo di stelle e il dolore finirebbe in quell'immensità. Sarei parte di tutti i mondi e tutte le storie e un frammento di me potrebbe discendere a posarsi con fermezza sulla mano di Atrus e scostarla dalla pagina scritta. Non posso pensare che tutto sia perduto.

Posso ammetterlo, ora che non corre pericolo? Mi manca. Scrivo in inglese per non dimenticare. Il ricordo vacilla come una fiamma, vorrei poter

Ho dei doveri. Resto. Eti è vicina.

Parlo con lei di perdite e riunioni. Prende una mano fra le sue, circondandola, proteggendola. Mi rivolge un sorriso tenue.
Parlo con lei del vuoto che mi divora. Mi rivolge lo stesso sorriso, tinto da una nota leggera di timore, e dice che il tempo lenisce le ferite. Che ho perso molto, che passerà.
Eti, mi sto perdendo. Taccio.


~/~


I lavori di scavo nella nuova ala sono quasi finiti ma, per mia fortuna, riordinare richiede più tempo e non è difficile trovare una stanza silenziosa che dia sull'esterno e che, in mezzo alle masserizie, nasconda una scrivania. Accatasto ai suoi margini fogli e scatole e vi libero uno spazio che per il momento chiamo mio, illuminato da una lampada a olio e da una finestrella di cielo.

Se ripenso all'anno passato (e non è qualcosa che vorrei fare, ma lo definirei una necessità), mi convinco sempre più di aver sentito fin da principio una forza contrastare il disgregarsi di Riven. La mia testa era occupata da mille altri pensieri, allora, ma poter covare in fondo a tutti la certezza che lui stesse bene e vegliasse su quell'Era a me cara mi dava coraggio, nonostante tutto. Ora, pensarlo chino su un Libro vuoto mi lacera. So, perché lo conosco, che non smetterà finché riuscirà a tenere gli occhi aperti – è quello che amo in lui. Ma non può sapere di questo rifugio. Più di ogni altro dolore, in questi tempi in cui ogni passo recide un ponte alle mie spalle, mi strazia la consapevolezza che si stia sacrificando per salvare un'Era abbandonata, quando tutte le persone verso cui sente una responsabilità sono da tempo al sicuro sotto questo nostro nuovo cielo.
Stanno sorgendo le stelle. Cerco di vedere al di là, ma l'azzurro della sera è offuscato.

C'è un vetro doppio a separarci, che non dovrebbe essere sufficiente a impedirmi di battervi con tutta la forza che mi rimane in corpo e far sentire i miei colpi che ti implorano di smettere, se non fossero in realtà due universi a separarci. Credo che sia troppo anche per me.

Atrus, non devi salvarmi.


~/~


Abbiamo sbagliato tutto. I nostri figli...

non riesco a scrivere i loro nomi

Ho pianto, nel distruggere l'ultimo Libro di Collegamento per Riven, ma a quel gesto terribile si è accompagnato un senso di completezza, come una coperta che si distendesse infine sulle incertezze degli anni passati.
Altre ferite restano aperte e mi consumano. Non so quanto di solido resti ancora in me.


~/~


Il primo rumore di cui ho avuto coscienza oggi è stato lo sciabordio delle onde. Ma il blu denso che lo accompagnava non era lo stesso di casa: mi trovavo accucciata sulla riva di un lago sconosciuto, lontano dall'albero che è la nostra nuova casa.
Non ho memoria di aver camminato fino a lì.

È stata Nelah a tracciare i miei passi e, raggiuntami sul promontorio, mi ha avvolta in una coperta ruvida che graffiava quanto tutte le parole che non mi stava rivolgendo. Altri soccorritori l'hanno seguita e suppongo di dover essere loro grata, ma confondendomi nelle rive di quel lago avevo trovato, per una notte, un'oncia di completezza.
E ora si alternano veglie di fronte alla porta della mia stanza. Mai nessuno che entri e mi parli.


~/~


Nei miei sogni trovo solo il vuoto di una voragine di stelle. Ha perso ogni calore.


~/~


Oggi è calata la nebbia. Seduta sulle radici più basse del nuovo albero, sfiorando l'acqua con la punta delle dita, ho guardato il mondo al di fuori confondersi: gli strapiombi di roccia perdevano i loro confini, diventando tutt'uno con il cielo al di sopra e la superficie del lago, mentre le finestrelle sopra la mia testa si facevano lumi indistinti, da fiaba, in una coltre blu.
Ho lasciato che la foschia mi riempisse. Ogni chiarezza è perduta.

Ma ho colto lo sguardo di Eti mentre rientravo: ha dato addio alla Katran che conosceva e che ai suoi occhi sta smettendo di comportarsi come una donna di carne e sangue per diventare... un fantasma? La divinità che i miei Moiety ancora pregano? Non ha importanza. Sono nata sola fra questa gente. Tornerò sola.


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Dormiamo, amore mio.


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Li vedo uniti sotto un cielo libero. Nessun prezzo è troppo alto per quella felicità, sono fiera di loro. Solo, sono

Non sono Katran né mai più Catherine, sono


Il tempo lenisce le ferite, diceva Eti. Il tempo ricopre e forma.
Ho chiesto a mio padre di darmi un nome. Un punto fermo che mi ha bisbigliato nell'orecchio e ha risuonato nel vuoto. Oggi sono...









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Capitolo 3
*** Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani ***



IL DIALOGO, BUON UOMO. IL DIALOGO.
“Attesa” @COW-T, terza settimana, nonché la spiegazione spiegata del motivo per cui, col senno di poi, ritengo ridicolo il finale melodrammatico emo negativo senza la pagina bianca.










Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani





Scrive. Scrivo pur'io, finché non terminerò le pagine di questo taccuino.
Non ho ancora trovato il coraggio di porgergli le mie scuse: mi dico che ormai non fa differenza che spieghi o meno come fu un gesto sciocco e liberatorio, quel mio toccare il libro dopo che l'ebbi sentito parlare. Ero solo sollevata e lo consideravo la cosa più preziosa che avessi trovato sull'isola, così accadde che, nel gesticolare... Non fa più differenza quanto rivanghi l'errore, ma il mio tacere resta un atto di codardia. Mi dico che tacendo non lo disturbo, ma la verità resta meno nobile.

La stanza in cui siamo reclusi è alta e buia, con un soffitto che va perdendosi nella roccia viva di una caverna. Non ci troviamo sull'isola di Myst – tanto almeno ho imparato – e mi sorprendo spesso a chiedermi che genere di mondo circondi questa prigione. Alle risposte cui non so giungere provvedono i miei sogni.
Una serie di lampade delimita oasi di luce in quest'antro, ravvivando il rosso di ogni serie di colonne e i gradini che le dividono. Ciononostante, capita di rado che io mi allontani dalla pila di detriti che gli fa da scrittoio: la luce aggiunta della sua lampada da tavolo è rassicurante e, più ancora, la Sua stessa presenza è l'unico sostegno che mi abbia ancora permesso di conservare il senno.
Vorrei, solo, poterlo chiamare amico, come fece quando si rivolse a me la prima volta. Temo di averne perso il diritto. È gentile quando mi si rivolge – giungo a dubitare che sia capace del contrario – ma la delusione che gli ho causato è troppo grande. Resta curvo e fragile sul suo tomo, un pallido ricordo dell'uomo che doveva essere prima della reclusione, e tutto quel che ho fatto è stato privarlo dell'unica speranza di tornare a casa. Continua a scrivere. Lo vedo nutrire le pagine di una devozione incessante che mi spaventa. Dice di essere intrappolato da mesi e mi trovo incapace di immaginare una concentrazione sì duratura. Lo consuma.

Dal canto mio, attendo. Sembrerà sciocco, ma non voglio accettare del tutto l'idea che un singolo errore (un atto di gioia! Una carezza a quel maledetto libro!) ci condanni entrambi senza possibilità di redenzione. Dopo le meraviglie che ho vissuto, devo forse credere che non esista uscita? Mantengo viva la speranza, se lui sembra averla abbandonata del tutto.
Non è un'attesa passiva. Ricordo distintamente ogni momento di risoluzione, da quando sono giunta su Myst fino allo strisciare dentro al caminetto. Ricordo che l'impressione era quella di un'idea perfettamente formata che dall'alto mi aprisse la testa e vi entrasse, e si può dire che sia questo l'attimo che aspetto, ma la realtà era fatta di piccoli indizi che andavano a sommarsi fino a quell'unica combinazione plausibile. Così, da due giorni, osservo.
Mi ha sconsigliato di perdere tempo con porte: le ha già forzate trentatré anni addietro, senza trarne benefici. Dev'essere stato poco più che un bambino, in allora, e nell'immaginarlo il mistero delle origini di questa prigione s'infittisce, ma ogni domanda sul suo passato mi muore in gola quando alzo lo sguardo a incontrare quello di un uomo sconfitto.
“Troveremo un'uscita”, gli dico a volte. Annuisce triste, ma non mi crede.


“Che cos'è quello?”
Sono ben strane conversazioni, queste che intratteniamo. Dilatate. Minuti interi di silenzio fra una frase e l'altra, giacché tutto passa per la scrittura cui è incatenato e di cui non riesco a desumere il motivo. Se solo sapessi___
Ecco, pochi istanti fa mi ha risposto. Ma quel che offre è solo una domanda improvvisa, come pescata dall'aria: “Dove hai trovato la via per Myst?”
Mi ha dedicato d'un tratto l'attenzione più assoluta. Cosa l'abbia portato a una tale sequenza di pensieri, però, mi resta ignoto. Che speri che qualcun altro trovi il Libro e sia meno stolto? Ah, ma i fratelli sono quasi liberi: se così è, ci resta da confidare in un giudizio ben fine.
Per terra, gli dico, vicino al campo dove conducevamo degli scavi. Ma il libro già reclama le sue cure.

Non passa molto prima che ceda alla stanchezza e crolli sulle braccia conserte, trovando appena la forza di levarsi gli occhiali dal naso. Chiede di non lasciarlo dormire più di un'ora: che almeno sia un buon riposo, mi dico, così mi alzo ad accostargli sulle spalle la coperta ripiegata sul vicino scaffale. L'hanno mai fatto, i suoi figli? Sento un impulso a proteggere quest'uomo riservato, tanto indeciso nel parlare quanto garbato in punta di penna.
“Raccontami di casa”, chiede con gli occhi già chiusi, strascicando le parole. Casa sua, Myst? No, la mia. E potrei fargli mille nomi, quello della patria lontana, poi il viaggio, Nueva España, i compagni, i viaggi, le ricerche, ma temo che non direbbero nulla a un alieno, di un altro mondo. Così gli parlo del deserto che sento essere la mia vera casa e, se i suoi mondi hanno mai contemplato anche un solo deserto, capirà perché. Gli parlo della linea azzurra delle montagne e dei dipinti di crepe sul terreno, del vulcano che domina sul paesaggio piatto, punteggiato da arbusti, e dei fiori effimeri sorti la mattina dopo l'unico temporale che io abbia visto graziare quella terra assetata.
Non so cosa ho toccato con il mio racconto, ma nel dormiveglia ha accennato un sorriso.

Ho svegliato un uomo nuovo, pare.
Ancora non si confida, ma ha scoperto in sé una forza nascosta. Chiedo se c'è un'uscita (mi chiedo cosa l'abbia portata, se non il mio racconto e, se sì, in quale imperscrutabile modo, ma non oso ancora valicare il suo riserbo).
Annuisce.
“Un tempo”, dice, ponderando ogni parola fra un guizzo d'inchiostro e il successivo, “solevo dire che la fine non è ancora stata scritta.”
Sento un peso scivolare dal cuore. Mi rimetto al suo inaspettato ottimismo e attendo.
Solo: chiedo conferma delle mie speranze. Quello che sta scrivendo
“È un Libro. E, nel Libro, una voragine di stelle...”

























...e oltre le stelle, casa. Senza il Libro di Myst, imho Riven può accadere uguale con l'unica differenza che, alla fine, si buttano tutti e tre giù per la Star Fissure. Arrivano nella Cleft con un dieci anni di anticipo, Myst ancora raggiungibile (il Libro è lì nel deserto da qualche parte) e D'ni... pure, se Atrus si ricorda la strada. A smenarci probabilmente è solo Saavedro, che alla fine s'è salvato per una certa serie di coincidenze. E Chroma'agana non verrà mai scritta, ma dubito che all'Era freghi molto. Gli altri avvenimenti importanti dovrebbero poter proseguire con aggiustamenti minimali...
“Siamo rinchiusi qui per seeeeeempreeeeeeeeee!!!11!”, sì Atrus, certo Atrus. Hai un Libro di Collegamento in mano, Atrus.
E io scriverei di scene a K'veer in cui lui e la mia Straniera scoprono di venire dallo stesso mondo da qui a fine tabella.
Note:
@ titolo: “Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani, imbecille”, a dirla tutta. Sotto le sue mani chiaramente c'è il Libro di Riven.
@ bad ending ottenuto per caso: la mia Straniera non è cretina, se l'uomo dice “porta la pagina bianca o gtfo” lei porta la pagina bianca o gtfo fino a nuovo ordine. Ma è anche una gran smanacciona. Mi sembra l'unico modo plausibile per farla finire a K'veer senza pagina...
@ senso dello scambio “Cos'è quello” / “Dove hai trovato la via per Myst”: il passaggio mentale di Atrus è stata la Star Fissure. Più in dettaglio, qualcosa come: “Cos'è questo? Che domande idiote, è un Libro di Collegament... oh wait. Bah, ma è un Libro di Collegamento inutile, porta a un'Era prigione in dissoluzione: rimarremmo sempre senza una via d'uscita. Ah no, c'è la Star Fissure. Che però non so dove porti. Ma c'è finito dentro il mio Libro di Myst ed è sbucato in qualunque Era abbia dato i natali a 'sta tizia, quindi porta in un posto abitabile e abitato. Tizia, dove hai trovato il mio libro?” Solo dopo approfondisce la domanda chiedendole di casa. Qualunque mondo lei avesse descritto avrebbe costituito comunque una via d'uscita e un modo per tornare a Myst... ovviamente il fatto che sia la Terra facilita molto la questione!

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