La compagnia dei 7 fratelli - Il Globo delle Profezie Passate

di Vago
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di Orsi, Ghiottoni e Globi incantati ***
Capitolo 2: *** Di Mezzorchi, Gnomi e Taverne Affollate ***
Capitolo 3: *** Di Brutte Idee, Nani e Incensi Avvelenati ***



Capitolo 1
*** Di Orsi, Ghiottoni e Globi incantati ***


 Quando mi arrivò quel messaggio non riuscivo a crederci. Mi avrebbero assunto per le mie… particolari capacità per un lavoro. Bastò l’accenno all’adeguata ricompensa per farmi precipitare in questo piccolo paesino collinare che porta il nome di Borgopio.
Ed ora eccomi qui, seduto su un tavolo con un boccale della peggiore birra che ho bevuto da tre anni a questa parte. Non la vale nemmeno una moneta di rame.
Dietro il bancone, un nano tarchiato pure per gli standard della sua razza sta pulendo un boccale con un panno sudicio… Ho come l’impressione che quello sia l’ingrediente segreto di questa bevanda.
Comunque, quando sono arrivato, me lo hanno presentato alcuni avventori come Pius, primo cittadino, locandiere nonché datore del mio prossimo lavoro. Purtroppo non ha ancora voluto dirmi nulla sul motivo di quella missiva, mi ha semplicemente dato le spalle bofonchiando qualcosa su una compagnia e sulla birra, ma non ho voluto indagare su quale fosse il collegamento tra le due cose.
Tanto vale guardarmi attorno.
La locanda è piena di gente. Sporchi contadini maleodoranti affollano i tavoli ridendo sguaiatamente. Un tipo grosso sta parlando animatamente con Pius al bancone, mentre tre o quattro di quelli che sembrano viandanti spostano il loro sguardo dal boccale ancora pieno agli avventori, come me del resto.
Chissà se tra di loro ci sono anche gli altri membri di questa compagni… Più si è, meno lavoro c’è da fare per me. No?
Finalmente quel nano mi degna di uno sguardo, facendomi segno di raggiungerlo con la mano tozza.
Salgo su uno sgabello rimasto vuoto per vedere meglio chi saranno i polli… i miei compagni di avventura. Siamo in quattro, intorno a quel bancone. Più il tipo grosso di prima, che se ne sta in disparte in un angolo. Peccato uno così sarebbe bello avercelo in squadra, per lo meno se muore funziona benissimo come scudo.
C’è un elfo smilzo dalla pelle bianchissima nella sua armatura leggera in pelle, e quella… quella lì al fianco è una spada corta, ne sono sicuro.  Sotto una capigliatura nera curata spuntavano due occhi verdi che si spostavano veloci tra gli avventurieri che sarebbero diventati suoi compagni da lì a poco. Direi che non ha molta esperienza in fatto di avventure, non puoi mettere a fuoco qualcuno se non perdi qualche secondo per osservarlo bene.
Poi quello è un umano decisamente alto e ben piantato, sarà un ottimo scudo umano, poi con quell’armatura pesante e quello scudo… e quelle che gli pendono dallo zaino che porta sulla schiena sono una mazza ferrata e una balestra pesante, ottimo. Tra l’altro deve venire dal nord, nessun’altra popolazione può vantare una carnagione così chiara associata a quei capelli biondi e agli occhi azzurri.
DI fianco a me, infine, un mezzelfo in armatura pesante con tanto di spadone e scudo mi guarda con fare curioso. Che c’è? Non hai mai visto un halfling in vita tua? Maledetti guerrieri.
Pius finalmente ci degna della sua, orribile, voce, non prima, ovviamente, di aver rumorosamente sputato qualcosa nella sputacchiera viscida appoggiata per terra. – Sono felice di vedere che avete risposto tutti al mio invito. Lasciate che mi presenti, il mio nome è Pius, locandiere nonché sindaco di questo meraviglioso villaggio! Bene vi ho convocati perché mi è giunta voce che voi fareste qualsiasi cosa per la giusta causa… o per la giusta ricompensa.-
Ehi, perché guarda me? Non sarò mica l’unico che riconosce il vero valore delle cose materiali, qui. No?
- Vi stavo dicendo, ho un compito per voi e, se lo porterete a termine, vi ricompenserò nella maniera adeguata. Un’enorme belva dalle fattezze di orso si aggira nei territori adiacenti al mio villaggio, devastandoli con l’aiuto delle belve delle foreste qui vicine. Voglio credere che voi abbiate le capacità per portare a buon fine questo compito. La belva pare che abbia la sua dimora in un santuario in rovina, situato sulla cima di un piccolo altopiano circondato da foreste e campi. Per far sì che non perdiate la strada vi accompagnerà una guida esperta di questi territori, il suo nome è Bastion ed è uno dei pochi uomini che può permettersi di avventurarsi nei dintorni del colle e far ritorno sano e salvo.-
Il mio sguardo si posò istintivamente sul tipo rimasto isolato. Non avrei mai detto che fosse del luogo, men che mai una guida.
Il suo volto è un libro aperto di emozioni, non che ce ne siano tante da leggere. Innanzi tutto è scettico nei nostri confronti, lo si capisce da come ci guarda, è come se non fosse convinto della nostra bravura… e forse ha ragione, in fondo io ancora non conosco nessuno di questi tipi qui.
- Se tornerete vittoriosi vi aspetterà la proficua ricompensa promessa. – dice con un sorriso per nulla accattivante il nano, per poi tornare a concentrare la sua attenzione su un boccale sporco.

Una volta fuori dalla locanda ci dobbiamo presentare. Scopro così che l’elfo smilzo è un mago principiante di nome Panmorn Arburstiate il nordico è un chierico devoto al dio Pelor che porta il nome di Padre Gavros, uno particolare, potrei andarci d’accordo; infine il mezzelfo si rivela essere effettivamente un guerriero, il suo nome è Sirol Highdrasil. Infine è il mio turno di presentarmi. – Il nome è Neo Thorngage, ma nel mio clan di ladri sono conosciuto con il soprannome di Shadowfoot.-
Con queste premesse, partiamo all’avventura, attraversando distese infinite di campi che, man mano il villaggio si fa distante alle nostre spalle, si fanno sempre più mal tenuti e lasciati a loro stessi.
Uno spettacolo pietoso e monotono. Ci fosse almeno un bardo che potesse cantare per noi…
Bastò quel pomeriggio di cammino per raggiungere le pendici dell’altopiano coperto dalla vegetazione. Il sentiero che fino ad allora avevamo seguito saliva a spirale lungo il versante in leggera pendenza, lasciando però tra sé e il terrazzamento superiore un muro decisamente troppo alto per essere scalato.
Seguendo il consiglio di Bastion ci accampiamo a lato del sentiero, montando le tende in cerchio intorno al fuoco scoppiettante che il mago ha acceso. Vedi che la magia è anche utile, a volte?
MI offro io per il primo turno di guardia assieme a Bastion, visto che nella mia esperienza di ladro ho avuto modo di acuire i miei sensi, ma a quanto pare non si fidano di me, visto che solo il mago va a dormire sereno nella sua tenda. Chissà come mai…
Il Chierico riesce a malapena a iniziare le sue orazioni rivolte al suo dio che un boato lo interrompe. Una belva gigantesca, un orso di sette metri compare dalla foresta, puntando con gli occhi colmi d’ira il nostro campo.
Merda.
Appena si avvicina notiamo che sul suo corpo figurano decine di rune dall’aria decisamente magica. E, tra l’altro, non c’è traccia di quella maledetta guida.
Il nostro mago esce frettolosamente dalla sua tenda, cercando di capire cosa lo abbia svegliato. Bene, prima che possa lanciare un incantesimo ne passerà di tempo…
Non importa, tanto abbiamo il chierico che può guarire le nostre ferite, cosa mai potrebbe andare storto…
L’orso carica furioso l’umano biondo, artigliando furiosamente il suo petto e gettandolo a terra moribondo, riverso nel suo stesso sangue.
Fantastico.
Ma, aspetta… quella è la borsa della guida. Com’è che si chiamava… Bastion. Se sa come sopravvivere in queste foreste, probabilmente avrà anche delle erbe curative. Un’ombra di novanta centimetri si getta nella tenda, frugando velocemente nella bisaccia lasciata al suo interno e… eccole! Sapevo che doveva avere delle erbe!  E qui c’è anche qualcos’altro… un ciondolo d’argento? Tra l’altro un ciondolo d’argento con un ritratto di una donna con un bambino al suo interno. Perché mai qualcuno dovrebbe portare una cosa così preziosa nella foresta… a meno che…
Lancio il ciondolo a Sirol. Avevo avuto una mezza illuminazione, ma non mi andava di offrirmi come cavia per confermarla.
Il guerriero tentò un affondo di spada, ma la belva riuscì ad evitarlo con innaturale velocità.
Il mago urla a gran voce – Potrei farlo levitare, così al suo primo movimento cadrebbe a terra! Conosco un incantesimo per uno scudo che fa levitare gli oggetti! –
- Ma anche no! – gli rispondiamo io e Sirol quasi simultaneamente. Già un orso alto più di sette volte me è un problema, un orso con tanto di scudo volante non è una così bella idea.
- Va bene… allora… fiotto acido!- una sfera si schianta sulla pelliccia dell’orso, bruciandola un poco.
Meglio che niente.
L’orso pare calmarsi un poco alla vista di quel ciondolo in mano a Sirol, ma si riprende troppo presto dallo sgomento e nulla poté fermare la zampata diretta al fianco il guerriero.
Cosa posso fare ora? Perché mai dovrei aiutare questi tipi? Li conosco da meno di un giorno. Per i soldi della ricompensa, ovvio.
Speriamo che le mie doti atletiche non mi lascino proprio ora…
Con uno scatto prendo il ciondolo dalla mano di Sirol, caduto schiena a terra. Salgo sulla tenda più vicina all’orso e incrocio le dita. Ce l’ho fatta! Sono sulle sue spalle! Ora però non devo cadere.
Gli faccio pendere il ciondolo davanti agli occhi, attaccandomi disperatamente alla pelliccia dura per non essere disarcionato.
L’orso mi disarciona, ma sembra essersi tranquillizzato e si dilegua nell’oscurità senza motivo apparente.
Vivo! Sono vivo! Questo è già un buon risultato.
Con le erbe trovate nella bisaccia di Bastion, ancora non pervenuto, curiamo il chierico moribondo e il guerriero, che lasciamo riposare nell’accampamento mentre io e il mago montiamo di guardia, nel caso quella fiera tornasse per finire il lavoro.
Per fortuna la notte passa tranquilla e al mattino successivo siamo di nuovo tutti pronti a proseguire. Anche senza la nostra guida abbiamo deciso di venire a capo del mistero che si cela dietro a questo altopiano e al santuario che ci hanno detto essere costruito sulla cima.
L’ordine di marcia deciso è: per primo il guerriero, con il ciondolo al collo bene in mostra, io lo seguo con la mia spada corta in mano, gli occhi bene aperti e le orecchie tese. Mi segue il mago e, a chiudere, Padre Gavros. Cosa mai potrebbe andare storto?
Il sentiero è ancora abbastanza in buone condizioni e dalla foresta intorno a noi ci giungono solo fruscii di piccoli animali, nessun indizio lascia trasparire la presenza di un orso di sette metri nei dintorni. L’unica cosa che riesce a metterci in agitazione sono i glifi, molto simili a quelli presenti sul manto dell’orso, tracciati sulla corteccia di tutti gli alberi su cui il nostro sguardo si posa.
Saremo a metà della collina e, davanti a noi, spuntano quattro grossi ghiottoni dalla pelliccia marrone, altri tre compaiono dalla boscaglia alle nostre spalle per bloccarci la via da cui siamo arrivati.
Quei maledetti orsetti in miniatura non si vogliono lasciar colpire. Il chierico mena disperato la sua mazza, mancando il suo obbiettivo con costanza degna di nota, la spada di Sirol si abbatte con forza per terra, come se volesse mancare apposta il suo obbiettivo. Io non riesco nemmeno ad avvicinarmi con la mia spada corta, figurarsi se riesco a mettere a segno un colpo.
Solo Panmorn riesce a mettere a segno qualche fiotto acido, che sparge il liquido magico sui quattro ghiottoni di fronte a noi.
A ogni colpo andato a segno, i ghiottoni ringhiavano con forza sempre maggiore, mentre dalle loro bocche comincia a colare una saliva bianca  e schiumosa.
Per poco non ci massacrano.
Il mezzelfo tenta un fendente orizzontale. Il ghiottone è lì davanti, non può scappare, ma la punta della spada si conficca con forza nella corteccia di un albero vicino. Il colpo è così violento da far cadere un riccio, che era salito su uno dei rami per riposare, sulla testa scoperta del nostro guerriero lasciandolo stordito e con un rivolo di sangue che sgorga dalla cute.
Credo che questo, in termini tecnici, si possa definire critico di riccio.
Finalmente, sarà per l’affaticamento dei ghiottoni o per la nostra disperazione, riusciamo a mettere a segno qualche colpo. Io, mentre Padre Gavros e Sirol mietono vittime tra gli animali già feriti dall’elfo, ripongo la spada nel suo fodero e carico la balestra. Sarò anche piccolo, ma non sbaglio troppo con questa.
Alla fine un solo ghiottone riesce a scappare al massacro che ci lasciamo alle spalle.
Il cielo comincia a mostrarsi tra le frasche sempre meno fitte. La cima è vicina, finalmente, ma un sibilo ci fa voltare lo sguardo. Arrotolato attorno a un ramo un grosso serpente ci osserva.
Non sembra essere una specie velenosa, viste le dimensioni è più probabile che sia uno stritolatore, ma noi, già riscaldati dal combattimento all’ultimo sangue di poco prima, non ce ne preoccupiamo.
Torno a caricare la balestra. Quel ramo sarebbe in ogni caso troppo in alto perché io lo possa raggiungere.
Il serpente non perde tempo e si lascia cadere sul guerriero, mancandolo clamorosamente.
Qualche colpo di mazza, alcuni fendenti, due incantesimi riusciti e uno che per poco non colpisce la nostra prima linea, quattro quadrelli di cui tre si piantano nel suolo e del serpente non rimane che carne morta.
Finalmente giungiamo in cima all’altopiano. È quasi mezzogiorno e il sole splende alto nel cielo azzurro. Sarebbe anche una bella giornata, se non avessi rischiato di morire tre volte in meno di venti ore.
Davanti a noi, ad accoglierci, il santuario in rovina. Un cerchio di monoliti antichi delimita il perimetro esterno e, al centro, sorge una specie di cappella circolare di circa venti metri di diametro che pare sorretta dai rampicante, di un colore insolitamente vivido, che vi si avviluppano attorno.
Ci soffermiamo ad osservare l’ambiente, prima di dirigerci verso il santuario. I monoliti, da vicino, paiono colonne di una struttura più grande e antica di quella che ci si propone davanti e, sia Panmorn che il Padre avvertono due fonti distinte di magia intorno a noi, tolta quella emanata dalle rune poste sugli alberi della foresta. La prima arriva dalla cappella davanti a noi, mentre la seconda pare provenire dal terreno, da un luogo sotto i nostri piedi.
Ci avviciniamo circospetti all’ingresso del santuario. Al centro della stanza, sopra una pedana rialzata dal pavimento raggiungibile grazie a tre scalini per lato, sorge una pietra tombale, sopra la quale, rantolante è accasciato Bastion, la nostra guida, completamente nudo. Sopra la sua pelle sono tatuate le stesse rune che avevo notato sull’orso, i suoi occhi ci guardano furiosi, seppur questi siano velati.
Sopra la tomba svetta anche una sfera luminosa.
Accatastati lungo tutte le pareti riposano sacchi gonfi di oggetti, zaini e tracolle, barili, centinaia di monete scintillanti e le armature dei soldati che avevano raggiunto quel luogo prima di noi. Sopra buona parte dell’equipaggiamento militare rovinato dal tempo svettava lo stemma dell’impero, uno scudo rappresentate, a sinistra, una mano con una moneta d’oro, mentre a destra una mano con l’elsa di una spada stretta in pugno. Sopra di queste campeggiava la scritta Gold et Blood, oro e sangue.
Butto un sasso raccolto da terra all’interno del santuario, per verificare la presenza di eventuali trappole, ma nulla scatta e Bastion pare non farci nemmeno caso.
Estraggo la balestra e mi avvicino alla soglia, senza entrare.
Sirol, con il ciondolo in mano, entra cauto nella stanza con le armi rinfoderate. – Questo è tuo, vero? Se non mi farai del male giuro che te lo restituirò. –
Gli occhi della nostra guida paiono addolcirsi un poco.
Padre Gavros prende la parola. – Bastion, Come stai? – dice con voce calma – Sei ferito? –
- A me non resta molto tempo. Ho speso troppi anni a proteggere questo luogo e nessuno con cattive intenzioni dovrebbe giungere qui, ma voi vi siete dimostrati diversi da tutti quelli che vi hanno preceduti, nonostante i vostri cuori non siano i più puri. La donna che è ritratta assieme a me in quella foto è la druida che mi fece da maestra ed  colei che giace sotto questa pietra. Vi siete meritati la mia approvazione, poiché non potrò rimanere a proteggere questo luogo, voglio affidare a voi questo oggetto, il globo delle profezie passate. – Bastion pare spirare, ma il suo corpo si porta dritto in maniera innaturale, come se davanti a noi non ci fosse un uomo bensì un burattino mosso da fili. La sua testa si piega di lato mentre lo sguardo vacuo si punta su di noi.
La bocca del druido comincia a muoversi, ma non va a tempo con le parole che ne escono.
- Le Tenebre della Libertà
Colpiranno con gravi dolori
La decisione dell’animo Verità
Dello scandaglio delle Memorie.
Detto questo, il corpo cadde come un sacco sulla pietra tombale.
All’esterno i rampicanti che avvolgevano la struttura cominciano a cadere a terra e i primi calcinacci iniziano a staccarsi dalla volta che ci sovrasta.
- Voi mettetevi in salvo! – urlo, preso da un moto di insolita gentilezza – Al globo ci penso io! –
Sirol getta il ciondolo sul cadavere della nostra guida, in segno di rispetto, per poi correre in direzione dell’uscita. Un calcinaccio lo colpisce sulle spalle, ma il colpo non è sufficientemente forte da fermare la sua corsa.
Ora tocca a me. Scatto in avanti, verso la tomba e il corpo privo di vita di Bastion, salgo i tre scalini e afferro la sfera grossa quanto la mia testa con mani esperte.
Tutto intorno le pareti crollano sempre più velocemente e buona parte dei tesori contenuti nella stanza è già stata sotterrata dalle macerie.
Il globo pare perdere parte della sua luminosità, ma questo sarà un problema che cercherò di risolvere dopo.
Riprendo a correre a testa bassa verso l’uscita. Il santuario mi sta letteralmente implodendo addosso, qualcosa di troppo duro mi cade su una spalla, ma non posso fermarmi. Esco e continuo a correre, se sotto la cappella esiste una struttura più grande, magari una sala, non vorrei che il terreno mi cedesse sotto i piedi. Una volta superati monoliti mi permetto di prendere fiato e osservare meglio l’oggetto che ho in mano.
Il globo è grande quanto la mia testa, azzurro, anche se qua e là la superficie è screziata da venature blu e bianche che ne percorrono la superficie. Effettivamente non ho preso un abbaglio, della luce azzurrognola che rischiarava la tomba non è rimasto quasi nulla.
Il chierico mi prede la sfera dalle mani, facendola risplendere mentre la osservava con attenzione. Quando riesco a rimettere le mani sul globo, questo torna a emanare solo un fievole bagliore.
Alle nostre spalle, la cappella è completamente crollata. Poi qualcosa si muove dove, prima, riposava la tomba. Tre tentacoli lignei si alzarono dalle macerie, avviluppandosi sopra pietra tombale come un tronco spesso per poi diramarsi nuovamente decine di volte spandendosi verso il cielo. Foglie giovani videro per la prima volta il sole su quei rami spessi.
Mi avvicinai cauto all’albero, trovando durante il tragitto due monete di rame che finirono prontamente nella mia tasca.
L’albero è robusto, ben piantato, anche se non sono in grado di dire a che specie appartenga. Ma, soprattutto, sento in esso come il bisogno di proteggere la tomba e il corpo nascosti all’interno del tronco.
- Ma… se toccassimo tutti quella sfera? – chiede Sirol alle mie spalle.
- A cosa potrebbe servire? È inerte. – gli ribatte Padre Gavros mentre studia l’albero, passandoci la punta delle dita sulla corteccia.
- Cosa abbiamo da perderci? –
Il guerriero non ha tutti i torti…
Ci disponiamo in cerchio. Io tengo la sfera salda tra le mani, di fronte a me. Il primo ad appoggiare la mano  sulla superficie liscia è Panmorn, seguito da Sirol. Il Padre, scettico, tocca con un dito il globo. Poi qualcosa accade.
Vedo un cielo. Un cielo cupo, in cui i caldi raggi del sole sono completamente azzerati da una fitta coltre di nubi nere temporalesche. L’unica fonte di luce sicura sono le braci ardenti e le ceneri trasportate dal vento che cadono con una lentezza surreale. Periodicamente delle saette aprono profonde cicatrici nelle nubi, illuminando a giorno i terreni circostanti, e fragorosi tuoni rimbombanti fanno tremare la terra.
Il mio sguardo viene forzato verso la cima di una montagna che pare innaturalmente vicina. Sulla vetta, circondato dalla neve che pare rossa per via del riflesso delle braci che cadono incessantemente, si trova un luogo arcano che riesco a mettere a fuoco: è un luogo imponente, antico, ha un’aria di importanza tangibile.
La vetta della montagna pare allontanarsi di colpo e il mio sguardo può stendersi, ora, sul paesaggio circostante. Vedo un dirupo sul cui limite si erge una figura ammantata di tenebra dalle fattezze umane che scruta la vetta scarlatta. Passa forse un secondo senza che nulla si muove, poi la figura volta la sua testa nella nostra direzione. Posso vedere i suoi occhi di fuoco ardere della collera di mille persone mentre ci osserva.
La visione si ruppe come uno specchio colpito da un sasso.
Il sole è calato parecchio e non mancano molte ore al sopraggiungere della notte.
Concordiamo tutti che non è il caso di accamparci in quel luogo, quindi, lasciato il tempo al chierico di medicare Sirol, ci avviamo per il sentiero da cui eravamo arrivati.
Abbiamo completato la nostra missione, no? L’orso che attaccava i passanti e depredava i terreni qui intorno è morto, quindi un certo nano mi deve l’adeguata ricompensa promessa.
Lungo la strada non si vede anima e viva, nemmeno i suoni degli animali nel sottobosco si odono.
Non riusciamo a raggiungere la base dell’altopiano che un urlo agghiacciante, un lamento terrificante si leva alle nostre spalle. Riesco a malapena a girarmi. Un fantasma si erge fiero sul sentiero, sopra la tunica nera dal bordo dorato indossa una spessa armatura a placche scura con gli intarsi d’oro sul bordo di ogni piastra. Legato saldamente al braccio sinistro porta uno scudo con, al centro, lo stemma dell’impero bene in vista, lo stesso stemma che affollava il santuario del druido. Nella mano destra, invece, dall’elsa ben stretta nel guanto di ferro si sviluppava la lama scarlatta di una spada lunga. Il volto è completamente nascosto dall’aura di tenebra che pare fuoriuscire direttamente dalla pelle del fantasma, fatta eccezione per gli occhi bianchi che brillano in quel fumo nero. I capelli rossi danzano verso il cielo immersi nell’aura oscura.
Vorrei scappare, ma le mie gambe non hanno intenzione di muoversi. Sono completamente immobilizzato, non ho mai avvertito un terrore così profondo.
Quelle tenebre calzanti figura umana si avvicinano al chierico dagli occhi terrorizzati, colpendolo con un colpo a due mani. Il corpo protetto dall’armatura squarciata cade a terra senza un lamento, gli occhi spalancati verso il cielo, custodi di un urlo di paura mai liberato.
Un fendete della lama cremisi apre uno squarcio sul petto di Sirol, che collassa in una pozza di sangue con ancora la spada stretta in pugno e lo scudo legato al braccio.
Con due passi il fantasma si portò di fronte al mago, appoggiandogli un dito sulla fronte. Il sangue elfico comincia a zampillare dalle orecchie a punta, dal naso, dalla bocca, persino dagli occhi verdi. Il corpo snello cade all’indietro, con gli occhi rovesciati e la faccia coperta da una maschera di sangue.
Sono rimasto solo, con ancora il globo stretto tra le mani.
Il fantasma mi guarda, proferendo con una voce lontana e  rimbombante – Voi non siete in grado di utilizzare questo oggetto. Non potete evitare quello che avverrà. Il futuro è già compiuto. – La spada è stata più veloce del mio occhio. Sento il mio cuore spaccarsi mentre la lama rossa lo trapassa da parte a parte. Un tintinnio lontano mi avverte che le monete di rame che avevo in tasca sono ora per terra, tra i ciottoli e il sangue.
Poi tutto si fa nero.

Riapro gli occhi in una radura. Accanto a me ci sono i miei compagni di morte. L’atmosfera è calma e l’ambiente intorno a me trasmette un silenzio di rilassatezza generale, come se tutto fosse in letargo. Nella quiete non riesco a sentire né il canto degli uccelli, né i passi degli animale, solo il fruscio delle foglie sotto un vento lieve fa da sottofondo a questa mia visione.
Sono forse morto?
Certo, avrei preferito un paradiso un po’ diverso, tipo una taverna che offre giri di ottima birra a ripetizione... E magari non finirci assieme a questi tre. Ma uno nella vita deve sapersi accontentare.
Davanti a me si para uno spettacolo particolare. Al centro della radura, delimitato da un cerchio di pietra bianchissime, arde un fuoco che non produce né scoppiettio, né fumo. Solo volute di leggera cenere bianca si levano da quel fuoco di bivacco.
Seduto davanti alla fiamma c’è un vecchio rugoso, con una barba candida che gli scende morbida dalle guance, cadendo sul saio di sacco che veste. L’uomo si accorge immediatamante del nostro arrivo, si alza e comincia a guardarci con le pupille bianche, cieche, ma maledettamente penetranti. Comincia quindi, un passo dopo l’altro, ad avvicinarsi a noi, direi ancora sufficientemente scossi dalla nostra ultima esperienza.
Di nuovo Padre Gavros prende l’iniziativa. – Dove siamo finiti? Chi è lei? Perché siamo qui? –
L’anziano sorride con un’espressione rassicurante, voltandosi verso di lui. Il volto rugoso, così dolce e così solido, si deforma quando la bocca comincia a muoversi per proferire parola. La voce che esce da quelle labbra è sicura e calda. – Tutto ciò che vi è accaduto, è volto per uno scopo. Ivi nel mondo ci sono forze maligne e benigne in egual misura, l’importante non è che una possa dominare sull’altra, poiché anche il buono e il bello, portati allo loro estremo, non portano che svantaggi. Il mondo ha bisogno dell’equilibrio, poiché non può esistere la luce senza le tenebre, il bene senza il male, l’alba senza il tramonto. E voi, in quest’equilibrio del mondo, siete stati scelti dal Destino. – l’uomo riprese fiato, ritornando nei pressi del fuoco. – Voi siete fortunati, poiché nella vita vi troverete ad affrontare delle scelte e, in questo modo, sarete voi che traccerete il futuro che vi aspetta. La libertà è l’essenza dell’umanità. –
L’anziano fa ancora un passo avanti, portandosi al centro della fiamma che comincia ad avvilupparsi sul suo abito. La sua bocca ci lascia un ultimo monito. – Proprio perché ognuno è libero diffidate degli altri, poiché i desideri dell’uno non coincidono con quelli dell’altro. Andate verso nord. –
Detto questo, la fiamma divampa, avvolgendolo interamente e nascondendolo alla nostra vista. Tutto quello che ne esce è una voluta di cenere bianca che si posa dolcemente a suolo.
Senza dire una parola prepariamo il campo per la notte. Non so gli altri, mai io ho visto fin troppe cose strane in questi due giorni e ho bisogno di almeno una notte per metabolizzare l’accaduto.
Finalmente posso sdraiarmi e concedermi un po’ di meritato riposo, addormentandomi lentamente con lo sguardo fisso al soffitto della tenda che mi ospita. 

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Capitolo 2
*** Di Mezzorchi, Gnomi e Taverne Affollate ***


A mattina inoltrata siamo pronti per partire.
Sirol ha trovato una strada lastricata nascosta dagli alberelli che racchiudono la radura e Panmorn ci ha confermato che, almeno secondo la sua magia, la direzione che punta è il nord.
Ottimo, per lo meno non dovremo farci largo nel bosco.
Il silenzio rilassante ci accompagna nel nostro cammino per almeno un paio d’ore. Nell’aria continua a risuonare solo il fruscio delle foglie. Poi, d’un tratto, si fa strada fino alle nostre un gorgoglio d’acqua, che cresce man mano che avanziamo su quel sentiero.
Il bosco mi si apre davanti, lasciandomi vedere, finalmente, il fiume dal quale questo gorgoglio si leva. Davanti a noi un ponte di pietra si stende per la ventina di metri che ci divide dall’altra riva.
Mentre faccio un veloce controllo sulle condizioni del ponte, impeccabili a mio avviso, il mio sguardo si posa sulla sponda opposta, dove due grosse figure dalla pelle verdastra sembrano discutere animatamente. Quasi sicuramente mezzorchi, viste le dimensioni.
Io e il Padre ci scambiamo un’occhiata chiara. Nessuna offerta ci avrebbe convinti ad attraversare quel ponte per primi. Io, per mettere le cose in chiaro, estraggo la balestra. Perché fidarsi è bene, ma non fidarsi dei mezzorchi vuol dire non finire sul loro menù.
Sirol e Panmorn si fanno infine avanti ad armi ritirate, mentre i due mezzorchi fanno altrettanto.
I due gruppi si incontrano a metà del ponte. L’elfo tenta di parlare con il più alto dei due, quello con indosso un armatura di cuoio borchiata. Lo vedo gesticolare goffamente con le mani mentre la bocca si muove rapida. Le mie orecchie non riescono, però, a capire quello che stesse dicendo.
Segue un momento di calma. Nessuno dice o fa qualcosa. Poi l’imprevedibile, il mezzorco più alto afferra la sua ascia bipenne con entrambe le mani e colpisce violentemente Panmorn all’altezza dello sterno con il piatto della lama.
Uh… quando si rialzerà, se si rialzerà, avrà qualche piccolo problema di respirazione… Si, avremmo dovuto ricordarci che elfi e mezzorchi non sono proprio amici per natura.
Vedo Sirol titubare. Potrei provare a scoccare un quadrello, ma probabilmente peggiorerei la situazione.
Mi volto verso Padre Gavros, che, nel frattempo, ha fatto qualche passo indietro.
- Se la situazione si mette male, io scappo. Sia chiaro. Se vuoi puoi venire con me, io curo i feriti… - comincia a dirmi estraendo la mazza.
- E io intanto li rapino. Mi piace l’idea. – gli rispondo.
La nostra conversazione viene bruscamente interrotta da acute urla provenienti dalla parte opposta del ponte. Là, uno gnomo dalla pelle bronzea e dalla chioma bionda corre nella nostra direzione, urlando disperato.
Poco dietro lo rincorrono cinque cani e un bifolco con un arco lungo in mano che urla iroso – Fermati nano! Nano di merda! Fermati ho detto! –
Il piccoletto, parlo io, gli rispondeva quasi in lacrime – Non sono un nano! Sono uno gnomo! – ma il bifolco pareva non sentirlo.
Lo gnomo riesce a rifugiarsi tra le gambe del mezzorco con indosso una specie di vestito da monaco gridando, questa volta nella nostra direzione – Per favore, gentili avventurieri, aiutate un viandante! –
Il mezzorco in armatura, un barbaro a occhio e croce, è il primo ad essere attaccato. Quattro cani gli si avventano alle spalle mentre uno dalla pelliccia grigiastra, barcollante, è ancora troppo lontano per poter azzannare qualcuno.
Dall’altra parte del ponte il tipo prepara l’arco per attaccarci con le frecce che spuntano dalla faretra che gli penda al fianco.
Padre Gavros, immagino ripensando al suo incontro ravvicinato con l’orso nelle campagne intorno a Borgopio, fa ancora qualche passo indietro, cauto.
Lo gnomo mormora qualcosa, poi dalle sue mani appare una fiammella che colpisce al petto il bifolco che, a sua volta, rincara la dose di insulti diretti al presunto nano.
Il barbaro solleva la sua ascia con uno sguardo omicida negli occhi rossi. L’imponente arma si abbatte sul ponte, intaccando la pietra per la forza del colpo ma mancando l’obbiettivo, che continua a ringhiare.
Io carico in quadrello sulla balestra e fisso il mio obbiettivo. Non ho voglia di sbagliare il colpo.
Sirol estrae rapidamente la sua spada calandola sul cane dalla pelliccia grigia che, a fatica, ci ha raggiunti. La lama scende rapida, ma l’animale barcollando verso destra, la evita con sguardo perso.
Il mezzorco con l’abito in tessuto prova a colpire un cane vicino con un pugno rapido, ma, di nuovo, il colpo non va a segno.
Se continuiamo così non andremo molto lontani…
Due cani si avventano alle caviglie del mezzorco in armatura, intaccando la pelle coriacea e facendo uscire un rivolo di sangue dai buchi lasciati dai denti. Intanto lo gnomo è riuscito a scansarsi quel tanto che basta per evitare il morso di altri due animali.
Finalmente, Padre Gavros si riprende dalla sensazione di paura che lo aveva assalito. Non cerca di curare il nostro mago, ancora svenuto a terra, ma si avventa, con la mazza stretta in pugno, sul cane più vicino, mancandolo per la foga del gesto.
Una freccia viene scoccata dall’arco, piantandosi sul petto del barbaro, che sembra accusare particolarmente tanto il colpo.
Lo gnomo mormora nuovamente qualcosa, poi, dopo una luce abbagliante, un cane cade a terra privo di vita.
Il barbaro in armatura lancia un urlo di rabbia al cielo, sbavando come un animale. L’ascia bipenne si abbatte senza pietà su un cane, lasciandone pochi resti maciullati.
Non devo distrarmi. Il mio obbiettivo è di fronte a me, non ci sono ostacoli tra me e lui. Il quadrello vola veloce, conficcandosi in mezzo agli occhi del bifolco. Il collo dell’uomo si piega all’indietro, mentre il corpo cade schiena a terra, privo di vita. Posso immaginare i sui occhi, sgranati, guardare l’asta del dardo che vibra sulla sua fronte.
Sirol volge di nuovo il suo sguardo verso il cane barcollante, tentando un fendente obliquo degno di menzione. Di nuovo, la bestiaccia barcolla quei pochi centimetri a sinistra utili a schivare la lama. Il guerriero lo guarda con disprezzo stringendo serratamente l’elsa in mano per la rabbia.
Una mascella osa avvicinarsi tanto al mezzorco con gli abiti in tessuto che le zanne riescono a chiudersi sulla spalla dello gnomo che cerca di nascondersi all’ombra del gigante.
Un altro cane tenta di azzannare nuovamente la caviglia del barbaro che, con gli occhi iniettati di sangue, lo scaraventa nel fiume con un calcio. Il mezzorco urla infine, soddisfatto – Gruntu colpisce!-
Credo… stia parlando di sé stesso in terza persona.
L’altro mezzorco salta agile in aria, caricando un pungo diretto al cane che si è avvicinato troppo ai suoi polpacci. Il colpo manca nuovamente l’obbiettivo, andando a schiantarsi sulla pavimentazione del ponte. Non so come possa non essersi rotto la mano…
Il Padre retrocede un poco, alzando il palmo della mano in direzione dello gnomo mentre dalle sue labbra esce live una nenia. Le preghiere del chierico pare abbiano colpito particolarmente Pelor, visto che lo gnomo raddrizza le spalle carico di nuove energie.
Un cane si avventa sul barbaro stringendo il bracciale in cuoio tra le fauci ma non riuscendo ad arrivare con i denti alla pelle coriacea. Il mezzorco lo guarda e sul suo viso ricoperto di cicatrici si fa strada un sorriso terribile. Basta un colpo dell’ascia, netto, violento, accompagnato da un grugnito animalesco. Il corpo martoriato dell’animale viene scagliato addosso al mago ancora svenuto a terra, mentre la testa rimane cocciutamente attaccata al braccio.
Un cane abbrustolito, uno spappolato per terra, uno a mollo nelle acque del fiume e uno decapitato. Ne rimane uno solo, quel maledetto cagnaccio barcollante. Carico un altro dardo e premo il grilletto. Il quadrello si conficca nella scapola del vecchio animale, che comincia a barcollare ancor di più.
Il mezzelfo lo guarda con odio. La spada si leva in alto, riflettendo la luce del sole morente. Poi cala.
Silenzio. Un silenzio magico, interrotto dopo pochi secondi da un urlo liberatorio di Sirol, che guarda il corpo del suo rivale attraversato da parte a parte, dalla testa al basso ventre, dalla lama della sua spada, ora tinta di rosso vermiglio.
Il ponte si è tramutato in una pozza di sangue dove corpi smembrati e interiora varie giacciono sparsi sulla pietra.
Finalmente Panmorn si rialza barcollante, con una mano stretta sullo sterno. – Cosa diavolo è tutto questo casino? – è la sua prima domanda da redivivo.
- Abbiamo di nuovo salvato la situazione senza il tuo aiuto. Inutile di un mago. – gli risponde il nostro chierico biondo.
Lì vicino il barbaro tira fuori una corda da… non voglio sapere da dove l’ha tirata fuori. Non mi importa. Comunque infila la testa sanguinolenta del cane decapitato nella corda, legandosela poi al collo come una collana.
Facendo attenzione a non scivolare sulla pavimentazione viscida mi avvicino al centro del ponte, dove il mio gruppo si sta radunando di fronte ai tipi che abbiamo incontrato.
Il mezzorco in armatura pare accorgersi solo ora che l’elfo è di nuovo in piedi. Le mani si stringono sul manico dell’ascia, pronta ad essere sollevata, ma lo gnomo sparisce prima in una nuvola di fumo, lasciando il posto a un demone gigante, dalla pelle nera e con la testa racchiusa in un rogo divampante. – Fermati! -Ordina in direzione del barbaro con una voce dannatamente bassa.
Per fortuna il mago non viene di nuovo steso.
- Vorrei ringraziarvi per l’aiuto concessomi. – attacca lo gnomo baldanzoso – Permettetemi di presentarmi. Il mio nome è Bimpnottim Ningel, per gli amici Bimp. Sono un archivista e il mio campo di studi sono le divinità. Vedo che qui c’è anche un chierico, noi potremmo discutere su… Pelor, non è così? –
- Si. – gli risponde il Padre – Ma, adesso, lascia che possa presentare la mia compagnia. Il mio nome è Padre Gavros, chierico di Pelor. I miei compagni sono il valoroso guerriero Sirol Highdrasil, l’apprendista mago Panmorn Arburstiate e… -
- Lui nome strano. – lo interrompe il barbaro. – Me chiama lui Gigi. Gigi facile. –
- No che non va bene! – si rivolta l’elfo scocciato. – Non mi chiamo Gigi. Il mio nome è Panmorn, che ti piaccia o no. –
- Gigi arrabbiato? Me mangia Gigi. –
- Non mangiarlo. – articola con un accento gutturale l’altro mezzorco. – Abbiamo già mangiato oggi. –
- Me non ricorda. Cosa abbiamo mangiato? –
- I bambini di quel villaggio di umani. –
- Me ricorda il villaggio. Ma non erano cinghiali? –
- Mi ricordo che erano bambini. E poi i cinghiali non urlano così tanto. –
- Allora erano bambini. Sono buoni i bambini umani. Gli elfi sono secchi. – conclude il barbaro dimenticandosi completamente dell’elfo che si sta allontanando a piccoli passi.
Incontrerai persone incredibili, là fuori, vedrai! Mi diceva sempre mia mamma. Finora, a quanto pare, ho avuto davvero sfiga.
– Ora presento noi due. – riprende l’altro mezzorco. - Io sono Cruamros Silverkin, monaco dei monti orientali. Il mio amico è Gruntu Thokk, lui è un combattente cresciuto dagli orchi del nostro clan. Io sono quello studiato, invece. –
- Io e Silverkin stesso villaggio da cuccioli. Poi lui partito per tanto tempo. –
A quanto pare tocca a me presentarmi. – Signori, voi potete chiamarmi con il soprannome di cui mi fregio: Shadowfoot. Sono il tuttofare, diciamo, della mia compagnia e, tra le mie mansioni, figura anche quella di tesoriere. Vi chiedo, quindi, di portare a me tutto ciò che troverete di valore, in modo che lo possa custodire. –
Grunt infila una mano nel pettorale della sua armatura borchiata, tirandone fuori un sacchetto incrostato di sangue.
- Me trovato questo tra i denti dopo mangiato pastore. Me non può mangiare monete. Me da te! – dice porgendomi l’oggetto.
- Io e te saremo grandi amici, Gruntu. – gli dico con un sorriso a trentadue denti, da basettone a basettone. Il sacchetto è bello pieno, lo sento a peso e, vediamo quant’è il bottino di oggi… fantastico! Quattordici monete d’oro e venti d’argento. Ora si che la giornata mi sorride.
- Vorrei sapere – aggiunge il chierico – come siete arrivati in questo luogo. –
- Grande luce blu. Poi spuntino sparito e noi qui. – gli risponde il barbaro gesticolando pericolosamente con l’ascia ancora in mano.
- Un teletrasporto. – dice lo gnomo. – è stato un teletrasporto a prelevarmi dal mio studio e trascinarmi qui.-
- Qualcosa di simile è successa a noi. – riprende l’uomo biondo passandosi una mano sul petto, là, dove la lama scarlatta lo aveva tranciato. – Se per voi va bene io vi proporrei una specie di alleanza, almeno finché non capiamo cosa sta succedendo e perché siamo qui…-
Io, di nascosto, scopro un poco la sfera nella mia bisaccia, mostrandola al chierico, ma lui mi fa un cenno d diniego con il capo. Pienamente d’accordo, meno persone ne sanno di questo oggetto, meglio è per noi.
- Quindi noi ora come fratelli come stesso clan? – chiede confuso Gruntu storcendo la testa di lato.
- Si, siamo come fratelli. Ecco, saremo la compagnia dei sette fratelli! – dice esaltato Sirol alzando la lama ancora sporca di sangue di cane al cielo.
E compagnia dei sette fratelli sia… anche se non sentivo tutta questa necessità di dare un nome a questo gruppo maledetto.
Lascio il gruppo a discutere su quale sponda del fiume sia meglio montare il campo per andare a fare il mio lavoro. C’è ancora un cadavere umano da depredare, in fondo.
L’armatura che indossa è scadente, non vale nemmeno la fatica di togliergliela. L’arco lungo non è male… forse Sirol ne voleva uno. Poi magari questa spada corta la lascio al mago… la corda, però, me la tengo io. Invece nello zaino troviamo… un quaderno con qualche indicazione inutile sui boschi intorno al ponte e… un diario. Vabbè, Padre Gavros avrà qualcosa da leggere questa sera.
Oh, già! Certo! Devo riprendermi il mio quadrello. Non vorrei mai andare a comprarmene altri.
Mentre i due orchi si preparano un rifugio con un tronco ammuffito e pregno d’acqua sotto il ponte e lo gnomo è impegnato ad ammirare qualcosa, porgo il diario al Padre. – Dacci una letta. – gli dico.
Non che sia un’analfabeta, ma non mi piace particolarmente leggere, specialmente la vita di quelli che ora sono morti.
Il chierico si schiarisce la voce e comincia a sfogliare le pagine sporche.
- Oggi mi hanno insegnato a cucinare pasta e fagioli, secondo me questo è il futuro della cucina… Oggi ho mangiato per la prima volta la mia pasta e fagioli, non c’è male, ma devo migliorare… Oggi ho scoperto che se metto il sale la pasta con fagioli diventa più buona… Oggi ho sentito che stanno cercando un nuovo guardacaccia per il bosco, potrei candidarmi. Mi farò un piatto di pasta e fagioli e ci penserò su… Ho comprato un cane da caccia, barcolla un po’ ma mi sembra simpatico. Lo chiamerò Ubriaco. Sembra che anche a Ubriaco piaccia la mia pasta e fagioli… Ubriaco sta crescendo bene. Ho fatto domanda al sindaco per diventare guardiacaccia, lui mi ha detto che avrei avuto bisogno di altri quattro cani per poter essere ammesso come candidato… Ho comprato quattro cani della stessa razza di Ubriaco e anche un arco. Ora devo imparare ad usarlo. Comunque oggi i fagioli mi sono venuti un po’ molli, forse dovrei tenerli meno nell’acqua… Oggi mi hanno preso come guardiacaccia, ho organizzato un pranzo per festeggiare la notizia. Credo che hai miei ospiti sia piaciuta la mia pasta e fagioli. Oggi ho finito di esplorare tutto il bosco, ora lo conosco tutto a memoria… Oggi un nano mi ha chiesto ospitalità e io gli ho offerto un piatto di pasta e fagioli e un letto… Oggi mi sono svegliato presto, il nano non c’era più. Mi ha rubato i miei risparmi, lasciandomi un foglio con su scritto: Sono stato qui. P. Ora esco e vado a cercarlo con i cani. Se trovo quel nano di merda lo trafiggo con le mie freccia. – Il Padre prende fiato dalla lettura. – Qui il diario finisce. –
- Dunque il prode avversario che ho sconfitto era Ubriaco. – dice fiero Sirol con le spalle dritte.
Glielo dirò un’altra volta che, detto così, non è un gran vanto. Non che ci possa vantare di aver ucciso un vecchio cane barcollante.
- Quindi… il nostro gnometto potrebbe aver svaligiato quel tipo, prima di venire qui? E non mi ha dato la refurtiva… -
- Non fare cose sconvenienti. – Mi ammonisce Panmorn, che sbianca quando sente l’olezzo di sudore proveniente da Gruntu avvicinarsi a lunghi passi alle sue spalle.
- Tranquillo. Non farò nulla di male… - gli rispondo mentre tiro fuori dalla bisaccia la corda delle emergenze. Quindi mi dirigo verso lo gnomo lasciando l’elfo in compagnia del barbaro.
L’archivista mi guarda circospetto.
Forse non avrei dovuto scoprire la corda così presto… vabbè, io provo a legarlo lo stesso, mal che vada… qualcosa per scolparmi me la invento.
- Perché sei giunto da me? – mi chiede Bimp dall’alto del suo metro e cinque centimetri.
- Volevo… chiederti qualcosa. – Si, mi sembra un’ottima scusa.
- E… la corda? –
Dannazione. – La corda? Ah… questa corda. – dico portandola all’altezza del mio naso. – La sto facendo… respirare? Si, perché avevo paura che ammuffisse con tutta l’umidità che ha raccolto in questi giorni. – Sono fiero di me.
- E… cosa volevi chiedermi? –
- Cosa volevo chiederti? Vedi, ecco… volevo chiederti se… sapessi dove abitava il bifolco che ho ucciso, sai com’è, ora che lui non c’è più avremmo potuto fare scorta di provviste e passare una notte dentro un’abitazione. – Halfling due, gnomo zero.
- In realtà non so dove possa essere casa sua… purtroppo quando ho ripreso i sensi dopo il teletrasporto ho avuto pochi minuti per ambientarmi e studiare la zona, prima che i cani fiutassero il mio odore e cominciassero ad inseguirmi. –
- Quindi non avevi mai visto quell’uomo, prima? –
- No, mai. –
Mi sembra dannatamente sincero… lo terrò d’occhio, ma per ora non lo lego ancora.
Il sole cala velocemente dietro alle piante.
- Ieri sera vi eravate resi conto che il sole sta tramontando a est? Cioè, la mia magia mi ha detto che noi stiamo andando verso nord, quindi quello è l’est. – chiede Panmorn guardando il cielo rosseggiante.
Una stranezza in più non mi scuote, oramai. Il mio cuore è stato trapassato dalla lama di un fantasma di tenebra. Ho già visto tutto.
Mentre i due mezzorchi passano la notte sotto il ponte, protetti dalle intemperie dal tronco marcio che avevano trovato, noi rimaniamo sulla riva da cui siamo giunti, protetti dalle tende dall’umidità della notte che, salendo dal letto del fiume, condensa sul terreno.
Il sole sorge a ovest, facendo risplendere la rugiada sull’erba come diamanti.
Smontiamo il campo velocemente e riprendiamo il sentiero, gettando uno sguardo veloce alla catasta di corpi a lato della strada.
La mattina la passiamo camminando sulla strada, senza svoltare quasi mai, poi, poco prima dell’ora di pranzo, un bivio ci si propone davanti, là dove le strade si dividono sorge un cartello in legno rovinato. Da una parte reca scritto: “NORD. FOREVERWINTER: ARENA DEI COMBATTIMENTI.”. Dall’altra, invece: “SUD. NEVERWINTER: ACCADEMIA DI MAGIA.”.
- Un uomo che abbiamo incontrato ci ha caldamente consigliato di andare a nord. – dice il chierico in direzione dello gnomo e dei mezzorchi.
- Ma se sole scende est, nord è sud? –
Cosa? Gruntu ha detto una frase sensata? Non è irrecuperabile come pensavo. Vabbè, come barbaro le cose fondamentali per la sopravvivenza deve averle apprese, in fondo.
Panmorn chiude gli occhi, mormorando parole dal sapore arcano mentre il mantello che copre la sua armatura leggera svolazza sotto un vento impercettibile.
Il mago riapre le palpebre con il volto corrucciato e la fronte solcata da una profonda ruga.
- Gigi sta male ancora? – chiede il barbaro guardandolo dall’alto verso il basso.
- La mia magia non può rivelarmi quale sia il nord. –
Ed ecco che entrano in gioco le mie doti per salvare la situazione, di nuovo.
- E che problema c’è? Olidammara, la signora della fortuna, è con me! – Dalla mia bisaccia prendo una delle monete d’argento che appartennero al pastore divorato e la lancio in aria, riprendendola al volo con sicurezza. – Se c’è lo stemma dell’impero il nord è nord, se c’è il sigillo del coniatore il sud è il nord. – dico sicuro.
Il mio palmo si apre lentamente e i raggi del caldo sole fanno risplendere lo scudo bipartito, a sinistra campeggia la mano con la moneta d’oro, a destra quella con la spada. Gold et Blood continua a campeggiare sopra la figura.
- Bene, il nord è il nord. – Lascio cadere nuovamente la moneta nel sacchetto sporco di sangue e con un gesto teatrale lascio che i miei compagni meglio armati procedano per primi.

La cittadina che ci attende non è nulla di che. Costruita su un altopiano veramente basso, protetta da una palazzata di legno getta la sua ombra sui campi e sui boschi attorno. Al centro sorge una muraglia in pietra da cui nascono due torri che fanno da guardia al torrione centrale. Alle spalle di questo, in lontananza, si vedono solo lontane montagne innevate.
Superiamo la palizzata senza difficoltà mentre le due guardie ai lati della porta ci accolgono con un largo sorriso.
Le prime case sono basse, sporche, con le pareti in tavole di legno e i tetti ricoperti della paglia che, probabilmente, prima apparteneva a una stalla. Avvicinandosi però al torrione la situazione migliora, i muri cominciano a farsi in muratura, la maggior parte anche coperta di calce, e non sono rari i coppi in argilla sui tetti spioventi.
Tutt’a un tratto la stradina che fino ad ora abbiamo seguito si apre su una piazza incuneata tra le case. Al centro vi è un pozzo con un secchio appeso a una corda appoggiato lì di fianco, dietro a questo una strada decisamente più grossa sale verso il torrione mentre, sulla sinistra, una più piccola serpeggia tra la bottega chiusa di un fabbro, le tende a lato strada di un mercato errante e negozietti di oggetti di prima necessità, passando sotto all’insegna arrugginita ma ancora ben leggibile della locanda a due piani che porta fiera il nome “Da Bob”.
Intorno a noi non si vedono altro che umani, ma non per questo ci guardano con sospetto. E io sono il più normale in compagnia di uno gnomo e due mezzorchi, di cui uno viaggia con un’ascia bipenne perennemente in mano.
- Me sete. – dice Gruntu annusando l’odore nell’aria.
- Adesso ti offro io da bere! – gli rispondo. Non vorrei mai che quell’arma a due lame per sbaglio calasse su di me come sull’elfo.
Rinfoderiamo le armi, per non dare un’impressione troppo negativa di noi, e passiamo sotto l’insegna.
La locanda è un buco pregno di fumo di pipa denso. La stanza in cui entriamo è buia, a una prima stima una quindicina di metri di lunghezza per altrettanti di larghezza.
Sulla destra si allunga il bancone del barista, che ci accoglie con un largo sorriso, ai tavoli chiassosi sono seduti diversi paesani che ammirano le cameriere mentre queste portano in continuazione boccali di birra agli avventori.
Una guardia in armatura è seduta al bancone, a chiacchierare con il barista, altre quattro sono sedute a un tavolo nell’angolo più lontano dalla porta, sulla sinistra, proprio sotto la scala che credo porti al piano superiore.
Mi avvicino al bancone baldanzoso, in quanto custode delle finanze della compagnia, e, salito in piedi su uno sgabello, ordino un giro per tutto il mio gruppo della migliore birra che quella locanda potesse offrire.
- Siete stranieri, non è così? – chiede l’uomo moro di fronte a me – Allora per voi il primo giro lo offre la casa! – urla, sollevando un’ovazione dalla stanza con tanto di brindisi.
Non voglio sembrare il taccagno del gruppo, ma se mi offrono qualcosa, questa ha un sapore sempre migliore.
I sette boccali arrivano di fronte a noi e Gruntu, pronto, ne afferra uno versandoselo in gola d’un fiato. È un mezzorco, infondo, quasi niente può abbattere quell’organismo.
Sto per afferrare il mio, ma una mano mi afferma il polso.
Non so chi sia, ma se si mette tra me e il mio alcol spero non abbia moglie e figli.
Alle mie spalle Padre Gavros mi fa un cenno di diniego con il capo. Il chierico passa quindi una mano sui bicchieri, recitando una breve litania in cui riesco a distinguere uno o due Pelor.
Un bagliore si leva anche dalla mano di Panmorn, così come da quella di Bimp.
Lo gnomo, poi, soddisfatto esclama – Perché mi avete fatto così paura questa birra è ottima… - sta per accostare le labbra al bordo del boccale, quando vede che nessun’altro allunga la propria mano al proprio.
- Forse qualcosa mi è sfuggito. – Aggiunge posando nuovamente il bicchiere.
L’archivista si fa avanti e, ripreso il boccale dal bancone, urla in direzione dell’oste – Non è che ne prenderesti un sorso tu per primo?-
L’uomo, avvicinandosi incerto, gli risponde con il sorriso incerto un “sicuramente”. Poco prima che il contenuto del boccale bagnasse le labbra bianche, la guardia seduta al bancone tira un colpo in testa allo gnomo, facendolo svenire. Veloce come una freccia Sirol estrae la spada, puntandola alla gola dell’oste e intimando alla guardia al bancone di non muoversi.
La punta della lama si fa strada nella pelle dell’uomo, lasciando scendere un rivolo di sangue che, scorrendo piano, va a bagnare la camicia.
La bolgia scoppia in un istante. Avventori e cameriere si rifugiano in fretta e furia al piano superiore, lasciandoci soli con il locandiere e le guardie.
Approfitto dell’attimo di confusione per allontanarmi dal bancone e dare un’occhiata da sotto le scale, non si sa mai se può servire una via di fuga.
Riesco solo a intravedere un lungo corridoio con diverse porte, tutte chiuse.
Intanto, Gruntu, senza sentire nemmeno gli effetti del veleno, prende la testa dell’oste con la mano destra, mentre con la sinistra afferra un boccale.
Capisco troppo tardi le intenzioni del barbaro per poterlo fermare. Il liquido velenoso scorre a forza nella bocca dell’uomo, tenuta aperta dalla stretta poderosa della mano verde. Bastano pochi secondi che il veleno faccia effetto, lasciando il locandiere appeso alla mano come un burattino, che cade a terra non appena il mezzorco perde interesse in lui, per concentrarsi di nuovo sui boccali rimasti pieni.
Sirol guarda con uno sguardo a metà tra la disperazione e l’incredulità il suo ostaggio a terra, senza capacitarsi di quello che è successo.
In realtà non capisco nemmeno io cosa diavolo sia successo… ma, soprattutto, perché è successo.
Intanto il gruppo di guardia si è alzato dal tavolo, muovendosi rapidamente verso l’uscita.
Silverkin prende per primo l’iniziativa, saltando in alto, dandosi lo slancio sul bancone, attaccandosi al lampadario che pendeva dal soffitto e tentando un’acrobazia per bloccare la porta. La mossa non gli riesce, ma, in compenso, al termine della caduta imprigiona sotto di sé una guardia particolarmente sfortunata.
Bimp si riprende dalla botta ricevuta, guardando intensamente una guardia e pronunciando qualche parola. Di nuovo un fumo misterioso porta via con sé la figura dello gnomo, lasciando al posto un demone fumoso dagli occhi di brace e i capelli d’argento. L’uomo rimane pietrificato a quella vista.
Io estraggo la mia spada corta, preparandomi a quel combattimento.
Una delle guardie, la più vicina alla porta, riesce a portarsi fuori, sulla strada che conduce alla piazza.
- Gruntu piscia. – dice il barbaro alle mie spalle.
Aspetta… cosa?
Il mezzorco dopo un grugnito, carica la porta per uscire in tutta fretta, colpendo in pieno petto la guardia appena uscita con una spallata. La schiena del povero uomo in armatura si inarca innaturalmente, rimanendo ripiegata su dalla parte sbagliata mentre l’uomo innaffia il terreno con il sangue pompato da suoi ultimi batti.
Questo deve avergli fatto male…
Gruntu, afferra una mano dell’uomo morto, staccandola con un colpo secco per poi infilarla nella collana dei trofei vicino alla testa del cane. Come aveva detto, poi, comincia a liberarsi dei liquidi in eccesso estraendo nel frattempo l’imponente arma con una tranquillità invidiabile, vista la situazione, e… menomale che la porta si richiude alle sue spalle, non ho intenzione di ammirare quello spettacolo.
Poco lontano, dalla piazza, due guardie hanno assistito alla stessa scena, per poi dileguarsi in men che non si dica.
Una seconda guardia tenta di uscire, ma, superata la soglia, si trova di fronte il petto del barbaro, ancora intento a svuotare la propria vescica. Inutile dire che l’uomo ci va a sbattere contro, cadendo con la schiena sulla terra coperta di sangue e urina.
Sirol si volta quindi in direzione della guardia che aveva colpito lo gnomo, trafiggendogli la gola con la spada e bagnando di sangue vermiglio il bancone.
La guardia rimasta sotto Silverkin riesce, a fatica, a scivolare fuori, ma il monaco le afferra la testa con tutta la forze che la sua razza gli ha donato per poi sbatterla contro il pavimento, ammaccando l’elmo. Il mezzorco, infine, si risiede di nuovo sull’uomo.
Il mago, impietoso, finisce la guardia imprigionata sotto il sedere del monaco con un dardo magico dritto sul volto.
Padre Gavros si riprende dalla concitazione iniziale, estraendo la mazza e avvicinandosi alla porta.
Lo gnomo sempre sotto le spoglie del demone, chiede alla guardia paralizzata dal terrore cosa volessero dalla nostra compagnia, ma questa non riesce a produrre più di qualche bofonchio incomprensibile.
Va bene, ho capito. Lascio il divertimento della lotta agli altri e mi concentro sulle cose che amo fare.
Tiro fuori la corda dalla mia bisaccia e, una volta davanti alla guardia terrorizzata, la lego con calma, tanto non prova nemmeno a imporre resistenza. Dubito riuscirà a slegarsi da questi nodi.
Gruntu pare aver finito, pescando lo stomaco della guardia a terra per rientrare nella locanda e finire i boccali lasciati ai tavoli dagli avventori fuggiti.
Le porte si richiudono, nascondendo alla nostra vista l’uomo steso a terra, che riesce ad alzarsi e scappare, piegato a metà, verso la piazza.
Sirol tenta un ultimo colpo disperato. Preso l’arco, incocca una freccia e la scaglia fuori dalla finestra aperta in direzione dell’uomo. Il dardo vola, conficcandosi nel terreno poco lontano dalla gamba dell’uomo in fuga, che riesce a scampare alla morte.
Non ho il tempo di pensare a una strategia che lo gnomo tornato sé stesso, richiama la mia attenzione. -Chierico, vai a controllare che non arrivi nessuno. – gli ordina – Gruntu, preparati con la tua ascia, quando te lo dirò io, solo quando te lo dirò, dovrai sfondare la parete in fondo, quella dall’altra parte della porta. Noi qui dobbiamo far parlare il signore. Halfling, Shadowcoso, se si rifiuta tagliagli un dito. –
- Sarebbe Shadowfoot. – gli rispondo estraendo la spada corta mentre il mezzorco si muove pesante e barcollante verso la parete indicata.
- Rispondimi! Perché volevate avvelenarci? –
- Io non vi dirò un bel niente! – gli risponde il tipo sputando a terra.
La mia lama lacera la carne e i tendini, portandosi via il pollice sinistro. Un urlo disumano rompe il silenzio.
- Gruntu, vuoi un altro trofeo? – gli urlo lanciandogli il moncherino. Lui lo guarda, poi con mochi movimenti di mandibola lo deglutisce.
Non mi aspettavo proprio questo…
- Ora vuoi parlare? –
- No! Tra poco i miei commilitoni saranno qui! –
Uno non basta? Me ne prendo due. Medio e indice volano con uno zampillo di sangue.
Un altro urlo scaturisce dalla gola dell’uomo, mentre lacrime cristalline gli invadono gli occhi.
Forse dovrei avere pietà di lui… No, hanno tentato di avvelenarci, perché non dovrei farlo soffrire? Così imparano cosa vuol dire mettersi contro Shadowfoot.
- Rispondimi! –
Lo gnomo ha bisogno di trovare un modo per scaricare la rabbia repressa che non siano le persone…
- D’accordo… Dovete sapere che lo spettacolo sta per cominciare. –
- Non mi basta. Taglia! –
Come vuoi… anulare e mignolo raggiungono i fratelli maggiori per terra.
Questa volta l’urlo, più che di dolore, mi sembra disperato.
- Le belle e le bestie cominceranno a danzare! –
- Delle guardie si stanno ammassando qui di fronte, ce ne sono troppe perché possiamo abbatterle! – ci avverte Padre Gavros allontanandosi dalla finestra.
Gruntu emette un misto tra una russata e un grugnito.
Si è addormentato. Ovvio.
- Uccidilo. –
Cosa? – Cosa? –
- Fallo fuori. Non voglio che dica agli altri cosa ci ha detto.-
Va bene…
La lama passa sotto la gola, tagliandola di netto e scalfendo la colonna vertebrale. Un fiotto di sangue gli inzacchera i vestiti.
Raccolgo la corda sporca, e, pulita al meglio, la risistemo nella bisaccia, accanto al Globo delle Profezie Passate.
- Gruntu! – urla lo gnomo svegliando il mezzorco – Sfonda ora quel muro! –
Il barbaro, con gli occhi socchiusi, solleva e lascia ricadere l’ascia pesantemente, facendo esplodere in mille schegge la parete di legno.
Fuori, nel giardino sul retro, tre guardie ci si parano davanti. Due, vicine, pronte a colpirci con il filo della spada, la terza, in disparte, con la corda dell’arco tesa e la freccia incoccata.
Merda. Siamo fottuti.

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Capitolo 3
*** Di Brutte Idee, Nani e Incensi Avvelenati ***


 Padre Gavros

Qual strana sensazione… avverto come un occhio che scruta la mia anima e la mia mente, errante come non sapesse cosa cercar. Non importa, non mi farò coglier in fallo e alto manterrò l’onore dei servi di Pelor.
Tre uomini innanzi a noi. Bruti, a giudicare dall’aspetto.
Due maneggiano rozze spade, uno un arco, un semplice muro di legno mi divide da quelle armi. La loro armatura splende sotto la luce del sole al termine della sua corsa del dì.
Il monaco di razza mezzorchesca si volta verso la porta. I suoi occhi rossi guizzano tra le ante dell’ingresso e una finestra socchiusa da cui si intravede il melmoso viottolo dal quale siamo entrati.
- Voi continuate e scoprite perché questi uomini volevano avvelenarci. – ci dice Silverkin con voce prode – io distrarrò le guardie all’ingresso per lasciarvi una via di fuga. Ci rivedremo, se il destino vorrà. –
- Che la grazia di Pelor sia con te. – gli rispondo poggiandogli una mano sulla spalla gonfia di muscoli.
Il mezzorco si getta quindi dalla finestra, correndo freneticamente sul selciato, mentre gran clangore d’armature lo insegue da ben poca distanza.
Mi sposto d’un poco verso la ferita nella parete, evitando il sangue che copre le assi del pavimento.
Pover uomo, non è forse meglio morir in battaglia, di vecchiaia o per volere della Natura, piuttosto che sgozzato come un capretto sacrificale?
Innanzi a me, il rude barbaro solleva per la collottola l’archivista che crede di aver tutto sugli dei e il ladro dalle mani sporche di sangue. Che abbian trovato un piano d’azione?
Lo gnomo pare mormorar qualcosa, una preghiera, forse. Al suo comando una fitta coltre di nebbia si leva dal suolo, nascondendoci ai nostri nemici.
Seguo i miei compagni d’avventura, che corrono verso Nord. Poi, però mi fermo. Invoco la protezione del mio signore, implorandolo di far risuonare passi che si dirigon verso Sud, per far si che i nostri inseguitori ne siano depistati.
La coltre mi priva della vista per quelli che paion sei metri, ivi si dirada, permettendomi dunque di raggiunger i miei alleati e, con loro, la cinta muraria che alta si leva come per toccare il cielo. Un cielo cupo, ora che solo gli ultimi raggi del sole diradan le tenebre.
- Ora che facciamo? Quei tipi non ci lasceranno mai scappare. – dice l’Halfling grattandosi con gran foga le basette, mentre i suoi piedi ancora non toccano il suolo.
- Se il nostro Gruntu mi rimette a terra, vi posso esporre il mio piano. – gli risponde lo gnomo con voce sì squillante.
- VI dicevo. – riprende Bimp spolverandosi i pantaloni dalle molte tasche. – Perché mai dovremmo scappare? Quando siamo arrivati, da un lato della piazza la strada maestra continuava verso le mura, presumibilmente verso il portone d’ingresso. E dubito che, sera tarda com’è la porta della guardiola abbia lasciato entrare la notizia del tumulto che abbiamo provocato. Presentiamoci dunque al cospetto del signore di questa fortezza come ambasciatori di un regno lontano, in visita. Non potranno negarci ospitalità.-
Pelor, mio signore, ascolta la preghiera di questo tuo devoto. Proteggici, mentre ci addentriamo nella bocca del lupo e permettici di uscirne illesi dai suoi denti.
Proseguiamo verso Ovest, intravedendo la piazza del pozzo, ora deserta, dagli stretti vicoli laterali.
Sopra le nostre testa, lanterne ardenti seguono i passi delle guardie poste di vedetta lungo il muro di cinta.
Dinnanzi a noi, finalmente, si manifesta l’inferriata chiusa del portone principale e, lì accanto, un porticino rinforzato all’esterno da barre di freddo metallo.
Lo gnomo bussa tre volte e, al di là, una voce risponde al richiamo. – Chi va là? –
- Mi permetta di presentarci. Siamo un’ambasciata di una città del Sud. Io sono Ferdon di Calindor. Siamo arrivati così in tarda serata da non poter sperare nelle attenzioni del vostro signore, ma vi vorrei comunque chiedere ospitalità. –
- Calindor, hai detto? Non mai sentito parlare di un luogo che porta quel nome. –
- Posso immaginare. SI trova nel lontano Sud, oltre Neverwinter e le terre che vengono dopo. –
- Non posso negare ospitalità a un ambasciata. Avete il mio permesso di entrare. –
Oltrepassiamo quella soglia e metto in mostra il medaglione di Pelor sopra l’armatura che indosso.
- Vi devo chiedere di seguirmi. Prima di permettervi di accedere alle stanza dell’ambasciata dobbiamo fare tappa in un altro luogo. –
Detto questo la guardia si richiude alla spalle la porta, serrandola con un asse posto di traverso.
Non avremo fatto più di sedici metri che già si ferma innanzi a una struttura che pare una scuderia, mentre a lato ci giunge l’olezzo dello sterco di cavallo.
L’uomo entra nella scuderia, intimandoci di aspettarlo.
Al mio fianco, il barbaro, dimostrando la diplomazia tipica dei suoi pari, si gratta le natiche con gusto.
Scrutando nella semi-oscurità della struttura riesco finalmente a intravedere la nostra guida ripalesarsi alla luce delle lanterne, seguito da almeno due suoi compagni d’arme.
Avverto un sibilo alle mie spalle, ma il mio intelletto non riesce a spiegarselo in tempo da evitare che Gruntu venga trafitto due volte alle spalle.
L’imponente mezzorco crolla a terra, con un rivolo di sangue misto a saliva che sgorga dalle labbra verdi e squamose e l’impennaggio di due frecce che spunta dall’armatura.
I miei compagni si voltano, e io con loro, in direzione opposta al tragitto dei dardi.
Oh, grande Pelor! Dall’arco dal quale si può raggiunger il forte principale son giunti due arcieri, amici d’infanzia, mi fa intuire la postura e la fiducia che l’una pare riporre nell’altro.
La situazione, al momento, richiede l’uso della violenza. Mi chino sul corpo privo di sensi del barbaro e gli poggio una mano sulla spalla.
- Immenso Pelor, nemico delle tenebre, dona nuove forze a questo mortale così brutalmente ferito e fa sì che possa sanarsi. –
L’aurea verde della guarigione divina avvolge il mio palmo e le dita, trasferendo il volere del mio dio nel corpo di Gruntu, che si rialza in un secondo.
Con la coda dell’occhio noto l’Halfling lestofante che corre nell’ombra, non visto dai nemici che vanno a circondarci, fino a gettarsi in uno dei barili a lato dell’armeria.
La voce dello gnomo risuona nell’etere con aumentato vigore, frutto della sua magia, un misto tra quella impura dei maghi e quella celestiale degli dei, immagino. – Come osate? Io sono Ferdon di Calindor, voi come vi permettete di non solo negare ospitalità, ma anche colpire, degli ambasciatori del Sud? –
Una risata immonda prorompe dalle gole di coloro che ci sono davanti e dietro, mai mi capitò di udire cotanta follia da un solo suono.
Nuove guardie, intanto si riversano verso di noi dall’arco interno.
Un arciere, il più rapido ad incoccare a quanto pare, mi trafigge la spalla col suo dardo malefico, tempestando il mio corpo di dolore.
L’archivista, forte della sua magia, ordina all’uomo che mi ha colpito di gettarsi sull’altro e questi obbedisce, con gran sgomento dell’amico. Entrambi rovinano a terra, disarmati e confusi.
Il mago, scelto l’incantesimo dal tomo che si porta sempr’appresso, lancia una freccia incantata all’arciere immobilizzato dal peso dell’amico, che prorompe in un grido di dolore.
Il guerriero, sicuro di sé, estrae fluidamente la spada dal fodero che riposa al suo fianco, facendo poi fendere l’aria alla lama finché questa non si blocca contro il parabraccio della guardia che aveva guidato verso quella trappola mortale. La nostra guida, quindi, tenta di rispondere al colpo, ma la spada non riesce nemmeno a sfiorare l’armatura del mio compagno.
Un’altra guardie, ancora all’interno della struttura, tenta anch’essa un colpo in direzione del mezzelfo dai capelli neri, ma la stazza del collega lo intralcia a tal punto da render vano il colpo.
Gruntu, al mio fianco, non perde tempo a constatar la sua guarigione per opera mia, avventandosi con foga distruttrice sulla guida, ma l’intento di sfoderare al contempo l’ingombrante ascia bipenne lo impaccia sì tanto che l’unico a soffrir del colpo sia il muro in pietra dell’armeria.
Mi rendo conto che la situazione s’è fatta ardua per il nostro gruppo, mi accingo per cui, accompagnato dall’archivista, a raggiunger la porta della guardiola da cui ci han permesso di entrare. Non disdegno, però il brandir la mia mazza.
Shadowfoot, nel mentre, riaffiora dal barile in cui poc’anzi s’era nascosto e, grondante d’acqua dalla vita in giù si muove rapido all’ombra delle mura per poi per primo giungere alla porta, nostra salvezza.
L’arciere, superato il momento d’incertezza dovuto all’aggressione dell’amico, si rialza, pronto a scoccare nuovamente frecce dal suo arco.
Bimp ordina nuovamente al primo arciere di rigettarsi sul compagno, ma questa volta qualcosa pare protegger l’uomo dal controllo dello gnomo. Visto che nulla accade, l’archivista si precipita in direzione della porta.
Panmorn segue a ruota il gruppo, correndo sulle esili gambe da mago per non rimaner arretrato. Similmente faccio io, mentre il barbaro dalla verde pelle solcata da cicatrici e il guerriero dagli occhi scuri chiudono la ritirata.
Il secondo arciere tenta una freccia in direzione dello gnomo che, con destrezza tale da sembrar fortuna, evita con un balzo il dardo, ora inesorabilmente piantato nel terreno.
Gruntu, forse condotto dal divino intelletto. Carica la porta a testa bassa, cadendo quasi a terra per il contraccolpo quando il rinforzo di ferro regge alla sua bruta potenza. Il colpo, però, non si è rivelato inutile poiché l’asse posta a bloccare l’apertura si frantuma, permettendoci di fuggire.
Di nuovo, il mezzorco rivela la sua primordiale intelligenza repressa sotto quella montagna di muscoli, quando, con voce gutturale dice – Gigi blocca porta! –
I cardini della porta richiusa si fusero sotto l’incanto del mago, impedendo ai nostri inseguitori di proseguire oltre.
La nostra fuga prosegue verso Ovest ma viene interrotta da una voce così fuori luogo, questa notte.
- Ps, ue ue. Che cazzo avete fatto? Ue, tutto sto casino è colpa vostra? –
Il turpiloquio proviene da una testa coperta da una zazzera di capelli scompigliati e da una barba sporca oltre ogni dire. Un nano, mi vien da dire.
- Ora venite qui. Dopo vi spiego. Dovete solo far entrare quel mezzorco attraverso questo buco! –
Gruntu si lancia nel tombino, rimanendo incastrato all’altezza dei fianchi.
Qui il lavoro di squadra diventa necessario. Il nano pare si sia appeso alle gambe del barbaro, dimostrando, a mio avviso, un discreto coraggio. Il resto della compagnia, invece sale sopra le spalle del mezzorco, saltando per farlo passare.
Solo la grazia di Pelor ci permette di far passare il nostro compagno nerboruto e di precipitare dietro di lui all’interno delle fognature della città.
Il nano ci precede con una torcia accesa in mano, guidandoci fin quando una catapecchia si prospetta di fronte a noi.
Ora che posso osservalo meglio, posso accertarmi che è un nano, le spalle larghe accostate alla corporatura tarchiata, il tutto incorniciato da un folto pellame duro come i crini di cinghiale non lascian che intender altro.
- Gruntu no piace fogne. Puzza più di Gruntu. Gruntu picchia. –
All’udir coteste parole il nano estrae prontamente un coltello che direi provenir da un servizio da cucina, inquadrando il loco, sul corpo del mezzorco, più comodo da colpir per un omo della sua stazza. Mi rattrista, e devo ammetter mi ferisce, constatar chel loco puntato non è altri che la parte più intima e preziosa che il barbaro possiede.
Entriamo nella catapecchia, ove non molto c’è se non qualche barile di birra e un giaciglio sudicio.
Fortuitamente Bimp si fa di mezzo alla baruffa,  evitando quello che sarebbe potuto rivelarsi un disastro.
- Fermi tutti! – urla lo gnomo – Non siamo qui per combattere! –
- Ue, io voglio sapere perché siete venuti qui in città a fare casino. –
- Ti dirò la verità. – gli risponde l’archivista. – Siamo un’ambasciata da parte del regno di Calindor, dal profondo sud. Il nostro compito era quello di proporre una collaborazione al signore di questa città, ma al nostro arrivo le guardie ci hanno attaccato. –
- Calindor, dici. Ue, io quel nome non l’ho mai sentito. –
- Ci credo. – gli rimbecca il nostro halfling – Pensa che Calindor si trova talmente a Sud che da noi il sole sorge a Est e tramonta a Ovest. Hai mai visto una cosa del genere? –
- Minchia ragazzi, che botta vi siete fatti. Posso sapere i vostri nomi? –
- Il mio nome è Bimpnottin Ningel, ambasciatore a capo di questa delegazione. –
- Me Gruntu. –
È il mio momento di presentarmi. – Io sono Padre Gavros. Vorrei coglier l’occasione per ringraziarti per l’aiuto. –
- Si, ue, certo. –
- Io sono l’arcaista Panmorn Arburstiate. –
- Tu che? Ue, parla come mangi, smilzo. –
- Lui Gigi. –
- Ahhhh, allora tu sei Gigi. Potevi dirlo subito. –
- Il mio nome, caro amico, è Sirol Highdrasil. –
- Tu puoi chiamarmi Shadowfoot. –
- Bene. Ue, il mio nome è Pius, della casata dei Motolefium. Shadowfoot, il tuo nome non mi suona nuovo.-
- Diciamo che non sono proprio del posto. Però ammetto di aver già sentito parlare di te. Hai per caso derubato un guardiacaccia? –
- Oh, certo! Ue, l’ultimo lo incastrato meno di una settimana fa. Ue, era proprio un pollo. –
- Puoi dirlo forte. A noi quel pollo ci ha fruttato quell’arco e quella spada. Pensa un po’ com’è piccolo il mondo. –
- Sarà grande o piccolo quanto vuoi ma, ue, io vi ho salvati. Quindi voi mi dovete un favore, ue. Ho giusto un lavoro per cui siete perfetti. Il re ultimamente è un po’ ammattito, ue, tipo ha cominciato a far combattere i suoi prigionieri nell’arena, ue, ma vestiti come delle favole. Il prossimo spettacolo lo hanno chiamato La bella e la bestia. Ue, l’ultimo che hanno fatto era Cappuccetto rosso e il Lupo. Ma, ue, non è finita molto bene per cappuccetto. Comunque, ue, sono riuscito a scippare al re in persona una mappa, ue, e praticamente se entriamo nelle segrete che passano sotto il palazzo, ci sono delle scale che portano alla cucina. Ue, da lì c’è un ingresso nascosto dietro dei mattoni nella cantina. Un corridoio, poi la stanza del tesoro. Allora, mi dovete un favore, ue. Che fate? –
- Noi cosa ci guadagniamo? – domanda Sirol con la mano poggiata sull’elsa splendente della spada.
- Ue, voi potrete prendere ciò che vorrete, una volta all’interno. Padre, ue, secondo lei da quanto non mi confesso?-
- Tanto, mi vien da pensare. –
- Non immagina quanto. Ue, e sa perché? Perché non ne ho bisogno, ue, sono una persona fidata, io, ue. –
Giacciamo la notte nella catapecchia del nano, attorniati dalle sue armi e coltelli.

Mi desto all’alba, nonostante sia recluso nelle luride fogne d’una città posso avvertire il sole stendere il suo caldo manto sul terreno. Comincio le orazioni mattutine, pregando a bassa voce che la giornata a me riservata dal mio signore sia ottimale.
L’archivista mi osserva da poco lontano mentre il volere del dio del sole prende a scorrermi nelle vene, donandomi nuovo vigore e riconcedendomi per la giornata la possibilità di veder realizzate le mie preghiere.
In qualche maniera dall’olezzo magico lo gnomo convince Gruntu a lasciar alla catapecchia l’ascia imponente, favorendo un randello trovato poco lontano, in vero più silenzioso e meno appariscente.
L’ospite di casa ci fornisce panni d’avvolgerci attorno alle calzature, per attutire il rumore.
Così bardati ci avviamo al seguito del nano, con Gruntu in prima fila col randello nodoso in mano.
Alla cima d’una scala un muro di mattoni logori c’intralcia il passaggio, ma Pius, sicuro di sé, comincia a sfilare i pezzi uno a uno dal muro a una velocità impressionante. Ben presto un pertugio ci si apre d’innanzi e, oltre a questo le sale d’una cucina.
Due porte conducono ad altrettanti corridoi d’innanzi a noi e alla nostra destra. Una terza porta, sormontata da un arco, alla nostra sinistra conduce alle cantine. Pius imbocca quest’ultima, dopo aver mandato Gruntu e Sirol a guardia delle restanti due.
Superate botti piene e vuote, scaffali colmi di vasi in vetro e terracotta e bauli sigillati, giungiamo infine a un’ulteriore porta, la cui sommità è campeggiata da un indovinello in  Comune, lingua a noi tutti familiare.
“ Sia Mora che Bionda non ti tradirà mai, alza la voce e grida il nome dell’amata.” Recitano le scritte.
Dubito che qualcuno di questo gruppo ignori la risposta.
- Birra! – pronunciamo assieme, forse a tono eccessivo.
I battenti si aprono silenziosi sui cardini ben oliati.
Avverto movimento nell’altra stanza. Sirol giunge a noi, avvertendoci che Gruntu, ora nascosto in penombra, ha visto due lumi in avvicinamento. Ci sporgiamo dall’ingresso della cantina quel tanto da poter aver visuale su Gruntu e l’ingresso da lui sorvegliato.
Due guardie in armatura, con spade al fianco e lumi appresso passano nel corridoio d’innanzi, senza notare il colosso dalla pelle verde dietro lo stipite.
Tiro un sospiro di sollievo. Oggi non dovremo spargere sangue inutilmente.
Il destino, però, ci gioca un tiro mancino. Dalla porta rimasta sguarnita sopraggiunge una pulzella che visto il barbaro, prorompe in un grido acuto, prima di svenire a terra.
Le guardie invertono la loro ronda, vedendo così il mezzorco.
La prima non fa in tempo a fiatare, che il pesante randello cala sul suo capo, deformando l’elmo e rompendo qualunque cosa ci fosse al suo interno. Tutto ciò che ne esce è un liquido che alla luce del lume riverso a terra pare rosato.
La seconda guardia tenta una stoccata verso il barbaro, ma la punta della spada cozza contro le pareti dello stretto corridoio in cui si trova, producendo una cascata di scintille.
Gruntu cala nuovamente il bastone nodoso, ma il suo bersaglio evita il colpo con un balzo felino.
Bimp, a questo punto, esce allo scoperto, comandando alla guardia rimasta di gettarsi a terra. Questa obbedisce senza fiatare.
La verga cala infine sul suo petto, rompendo ogni osso che incontra sul suo cammino e lasciando la guardia priva di sensi con lo sterno pregno di sangue scarlatto.
La nostra attenzione, quindi, si sposta sulla donzella svenuta. Una nordica, dagli occhi chiari e i capelli color paglia. Potrei descriver altro, ma mi ritengo ancora uomo non così vile da osservare una fanciulla indifesa.
- Gruntu può usare donna? –
Qual proposta indecente da questo bruto.
- No, no che non puoi! – gli rispondo sconvolto a tal pensiero.
Shadowfoot, non dimostrandosi così scontento di poter avvicinarsi alla pulzella, tira fuori dalla sua sacca una delle sue amate corde, colla quale lega la signorina e la imbavaglia, con il proposito di non farla urlare per attirare l’attenzione.
Mi sorge l’idea che l’Halfling della nostra compagnia abbia una qual certa perversione nei confronti delle funi.
Caliamo i tre corpi all’interno d’una botte vuota, risigillandola per non destar sospetto.
I gli sguardi della compagnia al completo tornano a voltarsi sul corridoio al di là della porta appena aperta. Al termine di questo non vi è altro che un muro.
Il ladro e il barbaro scrutano nella semi oscurità in cerca di trappole, senza trovar nulla.
Panmorn cerca dunque qualcosa di nascosto sulla parete opposta, scandagliandola con la sua magia. Ivi ci avverte di aver percepito una porta celata.
Superiamo il corridoio. Inciso sulle pietre della parete v’è una fiamma.
Bimp produce dunque un fuoco fatuo sul suo palmo, accostandolo all’incisione.
Qualcosa scatta e le pareti cominciano a spostarsi per lasciarci passare oltre.
Siamo giunti finalmente alla nostra meta. CI troviamo su un balconcino, all’incirca due metri sotto i nostri calzari si apre una stanza quadrata lunga all’incirca venticinque metri. Pile di monete, sacchi d’oro e forzieri straboccante di gemme sono sparsi ovunque sul pavimento.
Gruntu afferra il nostro ladro per la collottola, impedendogli di raggiungere il tesoro.
Cerco nella stanza fonti di magia, così come l’archivista, ma non rileviamo nulla. Sirol nota, però, in direzione della parete sinistra della stanza una nebbia insalubre, al cui interno si può intravedere una figura deforme con in mano qualcosa da cui pare fuoriuscire la nube.
Basandosi sull’odore putrido, il pizzicore al naso e il bruciore al viso, Bimp cerca all’interno dei suoi tomi un qualche genere di descrizione della nebbia, senza ottenere risultati.
Estraiamo le armi.
Pius, impaziente di posare le sue mani sul tesoro, da una spinta al nostro mago, che capitombola di sotto. Gruntu a sua volta, con un calcio, getta il nano di sotto, per poi seguirlo.
Bimp estrae una mascherina da una delle tasche della sua vestigia, ponendosela su naso e bocca e avvicinandosi alla nebbia con fare curioso.
Non posso guarir le loro ferite, se resto in disparte.
Scendo pure io, con la mazza in mano, pronta per ogni evenienza.
Un oggetto simile a un incensiere, che tante volte ho visto nei templi verso cui ho pellegrinato, viene lanciato in mezzo al nostro gruppo. Una catena lo lega ancora a quella cosa che si nasconde nel fumo.
Per un secondo nulla si muove. Un silenzio tombale aleggia nell’aria. Poi Panmorn e Gruntu si voltano verso di noi con fare minaccioso.
La figura, quindi, si fa avanti con passo lento. È un uomo, il corpo avvolto in un sudicio mantello dal quale esce un braccio rachitico che impugna un’asta, alla cui estremità parte la catena legata all’incensiere. Il volto, inoltre, è coperto da una maschera inquietante: Bianca, con gli occhi cerchiati e un lungo becco che si sviluppa all’altezza del naso.
Bimp si volta verso Gruntu. Utilizzando la sua magia per renderlo nuovamente amichevole.
Alle nostre spalle, dalla balaustra, Shadowfoot tenta un dardo, che manca per poco la figura e si perde nei miasmi di questa nebbia infernale.
Gruntu si torna a voltare verso l’essere, con gli occhi gonfi d’ira e il randello stretto tra le mani. Quando il legno colpisce le coste dell’uomo avvolto dal mantello, questi emette un gemito.
Sono abbastanza vicino per tentar un colpo. La mia mazza si leva alta, in direzione del cielo, per poi abbattersi sulla nuca della figura mascherata. Non ci giunge nemmeno più il gemito. Due rigagnoli rossi fuoriescono dalle ferite per gli occhi, rassomigliando a lacrime di sangue, poi il corpo crolla a terra, scomposto.
Panmorn, ancora sotto gli influssi di questo fumo diabolico, tenta un incantesimo nella nostra direzione, mancandoci.
- Ci penso io al mago! – urla Sirol dalla balaustra impugnando l’arco lungo del guardiacaccia.
Il guerriero pare esser irrorato dalla grazia divina. Il braccio destro tende la corda al suo limite, il legno scricchiola e trema, pronto a rilasciare la freccia incoccata. Che non si renda conto della sua forza?
Il dardo parte a una velocità mai vista, volando dritto e mortale.
Entrambe le ginocchia del mago vengono trapassate e questo non può far altro che compiere una giravolta in aria per poi abbattersi pesantemente faccia a terra con le gambe frantumate.
La nebbia aleggia ancora nell’aria e Gruntu, nuovamente, ci volge il suo sguardo avverso.
Per la seconda volta Bimp lo incanta e, onde evitar ulteriori ferimenti sigilliamo l’incensiere all’interno d’un contenitore offertoci dall’archivista.
Il fumo pian piano si dirada, concedendoci piena visione sulla stanza e sul corpo riverso ai miei piedi.
Bimp e Shadowfoot s’avvicinano e, assieme, prendiamo ad esaminare il cadavere.
Al di sotto del mantello strappato in più punti ci si presenta un corpo rachitico. Studiando l’abito lo gnomo nota diverse fiale ripiene da liquidi dai colori accesi, io, invece, mi approprio della maschera dal lungo becco, in quanto ho notato che all’interno di quest’ultimo v’è inserito un qual genere di respiratore, probabilmente contenente un filtro contro il malanno portato dai veleni. Come ultima cosa, troviamo una missiva all’interno della bisaccia del nostro aggressore.
Io e l’archivista ci apprestiamo, quindi, agli scaffali che si sono palesati al diradarsi della nebbia. I piani sono straripanti di libri, per lo più prime edizioni rovinate di testi religiosi famosi da me già appresi. Un unico tomo desta in me curiosità.: una cronaca delle terre in cui siamo capitati.
Mentre l’halfling è sì intento nel riempire la propria borsa con i tesori contenuti nella stanza, noto con una certa sorpresa l’assenza del nano Pius, accompagnata dalla sparizione di buona parte delle pietre più preziose che avevo notato in un primo momento al nostro arrivo.
Io e l’archivista, attendendo che il mago si riprenda dalle sue ferite, cominciamo a studiare la missiva e il tomo delle cronache. I fogli ingialliti ritrovati sul cadavere riportano una serie di istruzioni che l’uomo avrebbe dovuto seguire pedestremente. Innanzi tutto il suo scopo era quello di assoggettare prima il signore della fortezza, poi la città intera, al suo volere. Per far ciò, leggibile tra le macchie di muffa e sangue, era distinguibile la modalità di preparazione delle tre varietà di veleno, assieme alle specifiche dimensioni dell’incensiere. A fondo pagine, sotto quello che doveva essere stato un nome, ora illeggibile, risalta lo stemma dell’impero che, pensavamo, aver lasciato nel nostro mondo.
Spostiamo or dunque la nostra attenzione al tomo, sfogliandolo piano per paura di rovinar le fragili pagine ingiallite. Buona parte delle cronache è sbiadito, ma possiamo giunger entrambi alla conclusione che l’impero che ci siam lasciati alle spalle, in questo mondo ove siamo finiti, non esiste o, per lo meno, non esiste ancora.
Il dubbio che ora tormenta il mio spirito è riguardante lo stemma riportato sulla missiva. Posso essere un mortale dalla mente limitata, ma dubito che possano esistere al mondo due stemmi così identici appartenenti a due organizzazioni diverse.
L’incensiere s’è esaurito ed ora riposa inerme in mano al mezzorco, mentre il mago, seppur pallido e affannato, è di nuovo in piedi grazie all'intervento delle mie preghiere, che gli han sanato le ossa, i muscoli, i tendini e tutto ciò che la freccia aveva devastato. Ci apprestiamo dunque, dopo aver raccolto da terra la parte a noi spettante, a uscir dalla stanza prima che qualcuno possa coglierci in fallo. 

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