Remember me

di LadyBones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** When I found you ***
Capitolo 3: *** When you trusted me ***
Capitolo 4: *** When I made you smile ***
Capitolo 5: *** When you trained me ***
Capitolo 6: *** When we went on a mission ***
Capitolo 7: *** When you saved me ***
Capitolo 8: *** When I fell in love ***
Capitolo 9: *** When you started to remember ***
Capitolo 10: *** When I let you go ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 
    
       

    
 
Sono forte perchè ho già perso chi
amavo, sono già sopravvissuto, so come
si reagisce, so che non si muore.

 

- S. Casciani
 


 
Il genere umano è la cosa più interessante che mi sia mai capitata di osservare e, nonostante possa vantarmi di aver visto un numero considerevole di stramberie, gli umani restano i miei preferiti.
Sono, così, dannatamente ossessionati dall’idea di dover essere abbastanza per meritarsi l’amore di qualcuno, per un lavoro prestigioso o – semplicemente – per essere accettati. La verità che tutti ignorano è che, in realtà, gli umani hanno paura di scomparire.

Polvere portata via dal vento, dimenticata.

Una vita intera passata a cercare di incidere a fuoco il proprio nome su questa esistenza per lasciare – a chi verrà dopo – la prova del proprio passaggio.

Spettri di una vita vissuta, ecco cosa si è destinati a essere.

Ci sarebbe qualcosa di incredibilmente poetico in tutto questo se non fosse che, alcuni di loro – o meglio di noi - , sono nati per essere degli spettri prima ancora di avere la possibilità di viverla una vita. Fatti di sogni negati, amori mancati e strade non percorse.

E si riconoscono, basta guardarli negli occhi anche per una sola frazione di secondo e riconoscere il vuoto che vi è al di là di essi.

Io sono una di loro e vorrei dire che la cosa mi dispiaccia, ma ho imparato a vedere le cose da una prospettiva diversa perché – serve essere pratici nella vita – alle volta bisogna sapersi accontentare di quel poco che si ha.

Forse è per questo – più una serie di motivi relativamente trascurabili – che mi ritrovai in mezzo alla folla irrequieta dello Smithsonian alla ricerca di un paio di occhi chiari. E – per quanto la mia fosse stata la scelta più avventata che avessi preso in quasi 24anni – non riuscivo ancora a trovare un motivo valido per girare i tacchi e andarmene da lì, a parte quello di morire prematuramente – ovviamente.

Avrei potuto cercare di racimolare quel po’ di buon senso che doveva essermi rimasto e andarmene da lì ma – si sa – non sono mai stata brava a seguire i consigli che fossero i miei, o quelli di qualcun altro. Fu così che mi ritrovai a muovermi in direzione della teca in vetro al centro di una delle tre sale principali fino a fermarmi a qualche passo da un uomo con indosso una giacca in jeans e un cappello calcato sulla testa.

Speravo di trovarti qui... sussurrai semplicemente ignorando appositamente il rumore del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.

Lanciai appena un’occhiata nella sua direzione e vederlo restare immobile in quel modo mi fece capire che – no – quello non era assolutamente da prendere come un buon segnale. Quando lo vidi voltarsi nella mia direzione e puntare i suoi occhi chiari su di me, mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro.
 
No, decisamente quella era stata l’idea peggiore che avessi mai preso.
 

 


 


 

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Qualche giorno fa avevo pubblicato una piccolo oneshote promettendo di ritornare con un progetto più grande, così, eccomi qui. Avevo in mente questa storia già da un po’ e solo adesso sono riuscita a metterla per iscritto. Mi sono divertita parecchio a scriverla e spero che possa in qualche modo piacervi. Ci ho praticamente messo il cuore quindi spero che apprezziate, e se qualcuno volesse passare e farmi sapere che cosa ne pensa a riguardo ne sarei molto felice.

Per chi fosse interessato vi lascio il link per la oneshot di cui vi parlavo. Non è essenziale leggerla, ma se lo faceste vi aiuterebbe a farvi un’idea della protagonista e di quello che vi aspetta.

Prima di lasciarvi vorrei però fare un ringraziamento speciale alle mia amica _Tris_Divergent_ che mi ha sostenuto, ma soprattutto sopportato durante la stesura dell’intera storia. Grazie mille <3. 

A presto con il prossimo capitolo,

- LadyBones. 


 

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Capitolo 2
*** When I found you ***




       

 

Avevo passato la notte insonne, cosa che succedeva spesso quando mi ritrovavo a studiare come una matta. D’accordo, forse era meglio dire che mi succedeva spesso quando mi ritrovavo a fissare il monitor del mio computer per ore e ore, ma – ehi – nessuno è perfetto in questa vita.

Almeno questa volta, però, la mia insonnia non era da attribuire né allo studio e né tanto meno a qualche aitante attore, no. Era dal giorno del museo che non ero più riuscita a chiudere occhio. Probabilmente, il mio cervello stava ancora cercando di metabolizzare come diavolo fosse possibile che fossi ancora viva e con ogni pezzo del mio corpo al proprio posto – quello giusto.

A essere onesti stavo ancora cercando di capire cosa fosse realmente successo. Beh, in realtà, sapevo perfettamente cosa fosse successo, ma non volevo ammettere a me stessa di esserci cascata ancora una volta. E, invece, era successo: mi ero fatta coinvolgere, di nuovo.

Quella era la storia della mia vita.

Bastava che prendessi a cuore qualcosa che mi ci fiondavo a capofitto, e poco importava se si parlava di combattere contro il disboscamento forestale o impedire la distruzione di un negozio di ciambelle.

Per quei dolci mi ero persino fatta incatenare davanti la porta dell’edificio, ma stavamo pure sempre parlando delle ciambelle migliori della città. Sono una ragazza con delle priorità, io e, poi, chi non avrebbe fatto la stessa cosa?!?

Questa volta le cose non erano poi così diverse. Certo, ciambelline a parte, ma bisognava andare con ordine.

Tutto era iniziato nel momento in cui Fury mi aveva proposto quello che lui aveva chiamato “tirocinio”, perché chiamarlo con il suo nome – “ho bisogno di tenerti vicina per controllarti meglio” – non sarebbe stato poi così appropriato, infondo. Vorrei poter dire di aver avuto anche solo la possibilità di rifiutare l’offerta, ma è praticamente impossibile dire di no a quell’uomo anche volendo – cercate di capirmi. Mi ero ritrovata, così, a seguirlo più o meno ovunque. Blocchetto alla mano, avevo finto di essere una giovane agente alle prime armi, ignorando volontariamente le occhiate di quelli che erano veri agenti. Probabilmente, la mia presenza aveva finito per destabilizzarli – non si vedono tutti giorni ragazze con mezzi capelli lilla aggirarsi per il centro operativo dello S.H.I.E.L.D.

Nonostante tutto, il piano di Fury stava filando alla perfezione. Per la precisione, quella a filare liscio ero io. Da quasi due settimane mi ero comportata come una ragazza qualunque della mia età – nei limiti del possibile – il che praticamente era un record. Per un attimo, uno soltanto, ero arrivata a pensare che tutta quella calma avrebbe finito per inghiottirmi e disintegrarmi. Lo avevo creduto davvero fino a quando un giorno – senza alcun preavviso – non era scoppiato il finimondo. Lo S.H.I.E.L.D. era imploso per via dell’HYDRA. C’erano stati attacchi da ogni dove, Fury aveva dovuto fingersi morto e lo aveva fatto così bene che me l’ero quasi bevuta – Dio, quell’uomo aveva sempre avuto un certo talento per il dramma. Captain America era stato accusato di tradimento, qualcuno era morto, qualcun altro si era salvato e, beh, il resto credo che ormai sia storia. Per settimane non si era fatto che parlare – su giornali e tv – del disastro che era successo. Supereroi, tsk.

È stato proprio in quell’occasione, in ogni caso, che sono venuta a conoscenza dell’esistenza del Soldato d’Inverno. Non ascoltavo una storia così triste dai tempi di “Edward mani di forbice”, a eccezione del fatto che questa si basava sulla realtà. E – per quanto rasentasse i limiti dell’assurdo – non potevo negare che ai miei occhi da psicologa, aveva il suo dannato fascino. D’accordo, probabilmente il suo fascino lo avrebbe avuto anche se fossi stata una semplice segretaria di un centro estetico, ma questo non è poi così rilevante.

Mi ricordava un po’ quelle ciambelline per cui avevo combattuto a lungo anche se, questa volta, di dolce c’era ben poco.

Quando, poi, tutta quella storia era giunta al termine ognuno aveva preso la sua strada e io mi ero ritrovata nuovamente al punto di partenza: sola. Natasha si era dileguata, Steve e Sam si erano messi alla ricerca di quello che non era più un fantasma, ma una persona in carne e ossa. Fury, invece, aveva preso il largo non senza avermi prima fatto capire chiaramente che la distanza, alla fine dei conti, non sarebbe riuscita a tenerci separati – si, il suo lato tenero continuava a emozionarmi come poche cose nella vita, lo dovevo ammettere.

Per quanto riguardava me, invece, sarei ritornata sui miei libri e alla mia noiosissima vita – petizioni sulla protezione dei koala a parte. Ed era esattamente quello che ho fatto, più o meno.

Avevo deciso di seguire, ancora una volta, il mio istinto e – complice l’interruzione di fine semestre – mi ero detta che non ci sarebbe stato nulla di male se mi fossi imbattuta per puro caso in qualcuno.

Non un qualcuno a caso, ma la ciambellina bisognosa di aiuto… o meglio Bucky – Dio, dovrei seriamente smetterla con queste similitudini così assurde.
A lungo avevo cercato di pensare dove cercare. Insomma, dove sarebbe mai  potuto andare un assassino addestrato con zero ricordi del suo passato e, probabilmente, qualche problema a capire il mondo? Se fosse stato anche solo la metà come Steve, di certo non avrebbe avuto neanche la più pallida idea di cosa fosse Netflix – gli anziani di oggi.

Alla fine avevo finito per optare per lo Smithsonian che per quanto potesse essere una scelta azzardata – quella – restava la meno scontata. Quel posto brulicava di ricordi di persone vissute ed eventi che avevano finito per cambiare la storia, per sempre. Il passato racchiuso in una stanza e, tra tutti quei ricordi, spiccava  la storia di quello che un tempo era stato James Buchanan Barnes.

Vorrei poter dire di aver fatto un buco nell’acqua con quella che, con assoluta certezza, era l’idea più folle che avessi avuto in quasi ventiquattro anni di vita. Talmente assurda e con mille incognite che, quel giorno, prima di uscire dal mio appartamento, avevo lasciato, in un cassetto della mia scrivania, un testamento – non avevo avuto il tempo per scrivere le mie memorie, ancora.

Il fatto che adesso io mi trovi alla terza ora di Psichiatria – il professore che continua a parlare senza sosta della Schizofrenia – e la mia testa che ciondola per l’incredibile stanchezza accumulata, non significa che io abbia fatto un buco nell’acqua. Diavolo, no. Avevo avuto ragione fin dall’inizio.

Quel giorno, lui era là.
 
 

 

***

 


Quella non era la prima volta che mi recavo allo Smithsonian. La prima volta che avevo visto con i miei occhi la mostra dedicata a Captain America, ero poco più che una bambina e l’ala a lui dedicata non era stata ancora sistemata, non del tutto. Oggi, ad anni di distanza quel posto aveva assunto un aspetto diverso ma non aveva perso la sua magia, brulicando continuamente di persone. Non ricordavo più quante volte avevo fatto la fila per entrare e, anno dopo anno, diventava sempre più difficile mimetizzarsi tra i bambini. Una volta avevo persino tentato di prendere per mano il primo ragazzino che mi capitava a tiro, così, giusto per non sentirmi fuori posto. Quel tentativo era fallito miseramente, ma la verità era che – adulta o meno – quello era, in assoluto, il mio posto preferito.

Pensandoci non sarebbe stato poi così catastrofico morire lì dentro, insomma, c’erano posti peggiori in cui morire, no?

Per lo meno era quello che mi continuavo a ripetere mentre vagavo per i lunghi corridoi del museo. Quella volta non avevo perso tempo a soffermarmi su ogni dettaglio di ogni teca ma mi ero diretta – spedita – in direzione dell’unica che, quel giorno, mi interessava.

A voler essere precisi, non era la teca in sé che mi interessava ma la figura in giacca di jeans e cappellino calcato sulla testa. Non era stato difficile capire di chi si trattava. Gli si era creato un piccolo vuoto tutto intorno come se – inconsapevolmente – le persone avessero recepito, a pelle, di dover restare a un passo di distanza.
Una specie di tacita legge scritta chissà dove che io avevo prontamente deciso di ignorare, facendo così un passo avanti. Coraggiosamente mi ero sistemata al suo fianco sbirciando nella sua direzione con la coda dell’occhio. Lui era rimasto immobile, lo sguardo fisso davanti a sé su quella delicata scritta bianca. Vorrei poter dire di essere rinsavita all’ultimo momento ed essermi allontanata con la nonchalance che mi contraddistingueva, ma la realtà dei fatti è che sono rimasta lì fino a quando la mia bocca non aveva preso l’iniziativa di parlare.

Speravo di trovarti qui…

D’accordo, non era stata di certo la frase migliore del mio repertorio. Neanche nei film di serie B erano caduti così in basso, ma a mia discolpa ho da dire che in quel momento ero stata colpita da una botta di panico improvvisa – sempre meglio tardi che mai.

Avevo visto il suo sguardo spostarsi lentamente nella mia direzione e, per un attimo ho pensato: ecco ci siamo, questo è il momento in cui la mia vita finisce. Poi, però, il suo sguardo era volato oltre la mia spalla alla ricerca di qualcosa e, per un secondo – uno soltanto – avevo tirato un sospiro di sollievo.

Un attimo, appunto.

Il mondo ha iniziato a muoversi un po’ più velocemente quando lui mi ha afferrato per il braccio e trascinato via. Inutile elencare tutti i possibili scenari sanguinari che la mia mentre era riuscita a elaborare in quella manciata di secondi. Tutto era stato, però, spazzato via nel momento in cui mi ero ritrovata – spalle al muro – a fissare i suoi occhi. Cavolo, erano più azzurri dei miei.

Tu chi sei? Mi aveva chiesto tendendo il braccio bionico sul muro, la sua mano a qualche centimetro dalla mia testa.

Tutta quella strada per cercare una persona per poi sentirsi chiedere chi fossi – la storia della mia vita, in poche parole. Sollevai gli occhi al cielo ripetendomi mentalmente che me l’ero cercata, alla fine dei conti.

Eleanor. Un’amica di Steve…

Avevo risposto semplicemente rendendomi conto, troppo tardi, che avevo decisamente scelto le parole sbagliate per descrivermi. Mi era uscito spontaneo dire una cosa del genere così come a lui era riuscito spontaneo irrigidirsi.

Beh, non proprio amica amica… conoscente? Probabilmente neanche lui si ricorderà di me, pensandoci. Ok, posso ricominciare da capo? Avevo sputato fuori quelle parole così velocemente che ero stata costretta, poi, a prendere un bel respiro.

E’ qui?

Non aveva perso tempo in stupidi e inutili giri di parole, a differenza mia. In fondo che cosa mi sarei mai potuta aspettare?

No, sono venuta da sola. Nessuno sa che sono qui… e probabilmente non avrei dovuto dire una cosa del genere.

Dio, si poteva essere più idioti di così? E io che mi vantavo di aver visto sufficienti puntate di Criminal Minds da sapere come comportarmi in questi casi – dilettante. Era rimasto a fissarmi, lui, corrugando appena la fronte come se stesse cercando di mettere insieme i pezzi di un puzzle.

D’accordo, so che può suonare leggermente assurdo e lo è, ma non sono qui per fare la spia o trascinarti via con la forza… insomma, mi hai vista?

Avevo sussurrato indicando me stessa che in confronto ero un vero e proprio scricciolo. Doveva essersene accorto anche lui dato che, lentamente, aveva indietreggiato di un passo lasciandomi un po’ di libertà di movimento, ma non la possibilità di scappare.

So cosa significa vedere la propria realtà sgretolarsi e restare completamente soli. Fa paura, ma il mio mondo è abbastanza grande da poter contenere anche te, se tu ne avessi bisogno…

Non avevo mai immaginato che, un giorno, quelle parole  – ancora impresse nella mia mente di bambina – sarebbero sgorgate fuori da vecchie ferite. Erano rimaste lì in sospeso, in attesa del momento per venire fuori e, alla fine, lo avevano fatte con la forza di un fiume in piena.

Qualcuno doveva pur dirtelo.

Avevo poi sussurrato nel vederlo immobile davanti a me. Mi sbagliavo, le situazioni possono sempre peggiorare anche quando crediamo che più in basso di così non si può andare.

Ok, non per rovinare il momento, ma… hai intenzione di uccidermi? Perché non sarebbe davvero carino da parte tua dopo quello che ho detto e vorrei, davvero, essere positiva ma sai tutto questo silenzio… è davvero pesante. La pausa a effetto è passata, tipo un minuto fa quindi potresti che ne so, dire qualc…

Smettila di parlare!

Mi aveva zittito. Sì, il Soldato d’Inverno – l’assassino più pericoloso dell’ultimo decennio – mi aveva zittito e non ero ancora certa se partire con una ola o meno, dipendeva se quello significava che sarei potuta tornare a casa con le mie gambe o non tornarci proprio. Giusto per andare sul sicuro, però, avevo finito per serrare le labbra talmente tanto forte da sbiancare quasi la pelle.

Va via da qui. Non ho bisogno del tuo aiuto.

Lo aveva detto con un filo di voce, quasi per paura di quello che sarebbe potuto succedere se avesse parlato con un tono normale. Io, dal canto mio, avevo cercato di dire qualcosa – qualsiasi cosa – ma prima ancora che ne avessi avuto la possibilità, lui si era allontanato verso la folla venendo risucchiato da essa.

Ed era così che era terminata la mia avventura con il Soldato d’Inverno – veloce come un temporale estivo.
 

 

*** 



 
Trepidante, avevo atteso il fatidico momento in cui, il professore ormai stanco, non avesse notato l’orario e si fosse deciso a finire lì la lezione per quel giorno. Ci aveva impiegato più tempo del solito, ma quando aveva – finalmente – detto di aver terminato un senso di sollievo aveva finito per invadermi il corpo.

E, per quanto fossi incredibilmente assonnata, avevo raccattato tutte le mie cose ed ero schizzata fuori dall’aula – letteralmente. Poco ci era mancato che fossi finita addosso a Tim – uno dei miei compagni di corso.

Ehi, Lenny dove vai così di corsa? Mi aveva chiesto aiutandomi a mantenermi in equilibrio.

A casa. Nel mio letto. A dormire. Ne ho bisogno.

Tim aveva sorriso di quella pessima imitazione di un robot, regalandomi un buffetto scherzoso sulla guancia.

Non ti trattengo oltre, ma ricordati che sabato abbiamo la serata cinema e niente scuse di tu che salvi il mondo, perché non ci credo!

Mi ero ritrovata ad annuire, se solo avesse saputo che quella mezza storia che gli avevo raccontato era vera…

Un sorriso spontaneo sbocciò sulle mie labbra a quel pensiero e – sollevato il braccio – avevo finito per salutarlo, senza impedirmi dal fargli la linguaccia. Una dodicenne intrappolata nel corpo di una ventiquattrenne, ormai non vi era più alcun dubbio.

Scossi la testa divertita quando voltandomi – distratta – non avevo finito per scontrarmi contro qualcuno. La presa sui libri che stringevo al petto finì per allentarsi con il contraccolpo, facendo scivolare tutto al suolo.

Mi spiace, non guardavo dove stavo andando…

Mortificata, mi piegai velocemente per cercare di raccogliere le mie cose seguita a ruota dallo sconosciuto su cui ero finita addosso.

Grazie, ma non c’è bisogno…

Mi affrettai  a dire quando non lo vidi afferrare uno di quei libri e porgermelo con la sua mano sinistra, lasciando che il metallo spiccasse sotto la luce del sole.
 

 




 

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NdA:

Ed eccomi qui con il primo capitolo. Volevo ringraziare le persone che si sono fermate a leggere, e spero che continuerete a seguirmi in questa piccola avventura. Sono molto soddisfatta di quello che è uscito fuori, il che - conoscendomi - è un miracolo quindi spero davvero di non deludere le vostre aspettative. Ci tenevo a precisare che gli eventi di questa storia si svolgono ovviamente dopo CTWS, e che seguirò il filone dei film. Un ultima cosa prima di salutarvi, la storia è già completa si tratta solo di revisionare e coreggere quindi non dovrete aspettare in eterno. Ciò nonostante ho deciso di pubblicare una volta alla settimana, solitamente mercoledì eccetto imprevisti. Oggi ho fatto un piccolo strappo alla regola visto che il prologo era un pochino scarno e questo capitolo era già pronto. 

Al prossimo capitolo, 
- LadyBones.


 

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Capitolo 3
*** When you trusted me ***






L’ultima volta che avevo condiviso uno spazio così ristretto, come quello del mio appartamento, era stato con Charlie, la mia prima e – probabilmente – unica vera amica che avessi mai avuto. Non ero mai stata poi così fortunata quando si trattava di amicizie. Avevo quella che in molti avrebbero potuto definire come “paura di legarsi a qualcuno”. In realtà, non riuscivo a capire per quale assurdo motivo bisognava riporre la propria fiducia nelle mani di qualcuno che, prima o poi, avrebbe finito per andar via mandandoti in frantumi, ancora e ancora.

Le persone avevano finito sempre con il deludermi dal quel punto di vista. Credo che tutto fosse iniziato quando – da ragazzina – aveva preso l’assurda decisione di prestare il mio libro preferito a una potenziale futura amica. Con il senno di poi, mi ero resa conto che effettivamente quella era stata la prima di una lunga serie di stupide idee che io avessi mai potuto avere. Sì, la lista era abbastanza lunga.

Quel libro, che avevo custodito come se fosse la cosa più preziosa di questo mondo, mi era tornato indietro distrutto e il mio cuore non aveva retto. Insomma, se qualcuno non è in grado di prendersi cura di un libro, come si può mai pretendere che abbia cura di un altro essere umano? Così, quell’amicizia era finita prima ancora di iniziare e mi ero ripromessa che – mai e poi mai – avrei prestato qualcosa di talmente prezioso a qualcun altro. Beh, lo credevo per davvero fino a quando non ho conosciuto Charlie.

Ci eravamo incontrate durante i primi giorni di college, entrambe strambe al punto giusto per poter andare d’accordo. E così era stato.

Avevamo preso un appartamento insieme decise a vivere a pieno la vita da studentesse universitarie – cosa che avevamo fatto, almeno fino al giorno in cui Charlie non era andata via. Un master informatico dall’altra parte del paese.

Un’occasione imperdibile ed ero stata felice per lei, anche se quello aveva significato lasciare che le nostre strade si separassero. Credo che sia stato il momento in cui avevo fatto ritorno nell’appartamento ormai vuoto – dopo aver lasciato Charlie in aeroporto – a farmi decidere di non prendere neanche semplicemente in considerazione l’idea di trovarmi una nuova coinquilina.

Avevo finito per mantenere anche questa promessa… più o meno.

Qualcuno, adesso, stava occupando la stanza di Charlie e quel qualcuno non ero io. Beh, per lo meno non quella volta. No, la stanza era occupata da colui che la maggior parte della popolazione mondiale avrebbe definito come un assassino. E probabilmente lo era, ma personalmente non sono mai stata una grande fan delle etichette. E sì, lo so che al momento potrebbe sembrare che io abbia qualche rotella fuori posto.

Sospirai appena voltandomi su di un fianco, una mano ad arruffarmi i capelli già scompigliati e gli occhi a puntare la sveglia che avevo sul comodino. La luce fluorescente illuminava leggermente la camera, segnando quasi le tre di notte. Restai a fissare quei numeretti, in attesa. Per un attimo ho avuto la sensazione di trattenere il respiro, fino a quando non l’avevo sentito. Un grido, proveniente dalla stanza affianco – quella di Charlie.

Erano quattro notti di fila che succedeva.

La prima volta che avevo sentito quell’urlo squarciare il silenzio, avevo credo di essermelo immaginato. Non era poi la prima volta che mi succedeva di svegliarmi nel cuore della notte per colpa di un incubo, soprattutto visto e considerato che i miei sogni erano alquanto discutibili. Freud avrebbe avuto un gran da fare con la sottoscritta, ormai non vi erano più dubbi.

La seconda volta, invece, avevo capito che non si trattava più della mia immaginazione. Mi ero ritrovata, così, a mettermi a sedere sul letto con lo sguardo fisso sul muro davanti a me pieno zeppo di fotografie. Avevo finito per concentrarmi su ogni singolo fotogramma per cercare di distrarmi da quel vuoto improvviso alla bocca dello stomaco.

La notte seguente ero preparata. Ero rimasta in attesa – il cuore che batteva un po’ più veloce del solito – fino a che non lo avevo sentito, di nuovo. Quella notte le lacrime mi avevano colto di sorpresa. Non so dirvi come fosse successo, se non che mi ero ritrovata con il cuscino zuppo. Avevo tirato su con il naso e abbracciato il mio orsacchiotto. Sì, beh, ventiquattro anni o meno – ogni tanto – la notte avevo bisogno di abbracciare qualcosa e, poi, quella era una specie di emergenza, no?
Questa volta, invece, non ce l’avevo fatta. Mi ero ripromessa di restare buona buona nel mio letto e non invadere la privacy di nessuno. In realtà – pensandoci bene – quella linea l’avevo superata già da un pezzo e, poi, ormai era praticamente ovvio che facessi particolarmente schifo nel mantenere le mie promesse. Avevo finito, così, per alzarmi in punta di piedi avviandomi lentamente in direzione della camera di Charlie. La porta era socchiusa e – non so per quale motivo – mi ero ostinata a muovermi in religioso silenzio, come se fosse anche solo lontanamente possibile non essere notata da qualcuno come Bucky.

Ero a un passo dalla meta quando, improvvisamente, non avevo finito per bloccarmi. E adesso? Insomma, avevo fatto tutta quella strada senza neanche sapere realmente che cosa avrei dovuto fare. Alla faccia di tutte quelle ore insonni passate sui libri di psicologia. Sollevai gli occhi al cielo dandomi mentalmente dell’idiota, prendendo a mordicchiarmi la pellicina delle unghie – cosa che mi succedeva ogni volta che ero in ansia. Non che avessi un vero motivo per esserlo, in quel momento… beh, a parte il fatto che ero sul punto di entrare nella camera di Bucky – momentaneamente in preda agli incubi – con un’alta percentuale di finire spiaccicata contro qualche muro. Nelle migliori delle ipotesi, ovviamente.

Per l’amore del cielo, Eleanor…

Mi rimproverai mentalmente, la mano sollevata a mezz’aria quasi a sfiorare il legno della porta. Sarebbe bastato sospingerla appena per aprirla un po’ di più e sbirciare all’interno, ma poi? Dalla stanza non si sentiva volare una mosca e quello poteva significare che, in realtà, lui si era già riaddormentato, oppure era lì a fingere di dormire. Proprio come facevo io quando – da piccola – mi nascondevo da mia nonna sotto le coperte.

Sospirai appena ritirando la mano e, senza pensarci due volte, finì per scivolare lungo il muro fino a toccare il pavimento – le spalle poggiate alla balaustra della porta. E sono rimasta lì, in attesa senza neanche sapere esattamente cosa avrei dovuto aspettare. In fondo, pensandoci, era ciò che sapevo fare meglio: aspettare per qualcosa di migliore. Magari domani sarebbe cambiato qualcosa e sarei riuscita a trovare il coraggio di entrare, o forse no.

Seduta lì – al freddo – non potevo certo sapere che in quel momento, in realtà, non ero la sola a essere ancora sveglia. Bucky era lì, seduto sul letto – il metallo a sfiorare le lenzuola – e lo sguardo puntato in direzione della porta socchiusa. Aveva trattenuto il respiro per Dio solo sa quanto, fino a che non aveva visto la mia sagoma sistemarsi in un angolo. Quella notte, avevo finito per prenderlo alla sprovvista senza che nessuno dei due ne fosse realmente consapevole. Vorrei poter dire che fossi davvero cosciente di quello che stavo facendo, ma non lo ero. Come non avevo la più pallida idea di dove tutto quello avrebbe finito per portarmi. In fondo, non mi era certo stato concesso il poter di prevedere il futuro – no – semplicemente quello di mettermi costantemente in un mare di guai.


***




Avevo chiusi gli occhi per un attimo. Una semplice frazione di secondo, eppure era bastato a far riemergere quell’incubo ovunque si fosse nascosto.
Era diventato come giocare a nascondino, solo che non era così divertente come quando giocavo con i miei compagni di classe – no. Era tutto così scuro, freddo e a me non piaceva. Per questo avevo chiesto al mio papà se avessimo potuto non dormire mai e passare la notte a fare altro – qualsiasi cosa. Gli avevo persino proposto di cucinare biscotti se vedere un cartone dopo l’altro lo avesse fatto annoiare troppo, ma non c’era stato verso.

Aveva tirato fuori uno di quei discorsi mezzi scientifici che ogni tanto gli piaceva propinarmi, ma non ero poi così sicura che li capisse davvero – io di certo non lo facevo. Avevo comunque deciso di fidarmi, così, mi ritrovai nel mio lettino – l’orsacchiotto stretto al petto – cercando di prendere sonno, ma lui era lì. L’incubo che da mesi continuava a tornare a trovarmi, ogni notte puntualmente.

Aveva l’aspetto della mia mamma.

Parlava come lei, sorrideva persino come lei, ma a me proprio non piaceva. Non sapevo come fare per farlo andar via, solo il mio papà ci riusciva. Gli bastava stendersi al mio fianco e afferrare la mia mano.

Sono qui, è tutto ok.

E tutto iniziava a fare un po’ meno paura.


***




Ormai si trattava di un’abitudine.

Ogni notte – puntualmente intorno alle tre – lo sentivo urlare nel sonno, così, mi andavo a sistemare al mio solito posto trascinandomi dietro il cuscino e un libro. Praticamente di quel passo avrei finito di leggere tutto ciò che avevo in arretrato. Restavo seduta lì fino al mattino seguente, quando – alle prime luci dell’alba – non raccattavo tutto e tornavo nella mia stanza come se fosse del tutto normale passare la notte sul pavimento a fare la guardia. Beh, di quel passo lo stava diventando.

Lui non aveva detto una parola, continuava a gironzolare per la casa come fosse un anima in pena, nel vero senso del termine. Ogni tanto sbirciava dalla finestra per assicurarsi che fosse tutto sotto controllo. Ingurgitava ingenti quantità di caffè – qualcuno che mi faceva un’ottima concorrenza c’era. Sfogliava qualche libro senza davvero soffermarsi sulle parole, oppure restava a fissare un qualche punto dell’appartamento pensando a chissà cosa. Altre volte, invece, spariva nella sua camera.
All’inizio non ne avevo capito il motivo, poi lo aveva sbirciato per caso – beh, illudiamoci che fosse un caso – mentre era intento ad armeggiare con alcune pistole. Probabilmente, si rintanava lì perché geloso delle sue cose oppure perché non voleva spaventarmi. Delle due opzioni io continuavo a preferire la seconda, se proprio dovevo scegliere. Non che avessi avuto realmente la possibilità di chiederglielo ma, anche se l’avessi avuta, dubito che avrei ricevuto risposta.

Da quella volta allo Smithsonian non credo di aver più sentito la sua voce. Non per formulare una frase di senso compiuto, per lo meno. Solitamente, le uniche risposte che ricevevo da parte sua erano un lieve cenno del capo così mi impegnavo a parlare per entrambi. Non che normalmente parlassi così poco, ma questi sono dettagli.
Anche quella sera avevo finito per seguire la solita routine, chiedendomi quanto sarei davvero riuscita a dormire in un letto vero e non sui banchi dell’università. Avevo afferrato il cuscino e il libro lasciato sul comodino quella mattina e, lentamente, ero uscita dalla mia stanza. Mi era bastato mettere un piede nel corridoio, però, per rendermi conto che quella non era decisamente come tutte le altre sere.

La porta della camera di Charlie era aperta.

Per un attimo avevo creduto che Bucky avesse preso a girovagare per la casa prima del tempo ed ero praticamente pronta a fare dietrofront, risparmiandomi un’altra notte sul pavimento duro.

Invece, lui era lì.

Immobile nel suo letto, mentre io ero rimasta come una perfetta idiota ferma a fissare la camera da lontano. Ora, vorrei poter dire di essere una ragazza estremamente intelligente, ma certe volte le mie sinapsi finivano per incepparsi e io non potevo far nulla se non prendermi mentalmente a schiaffi da sola.
Respirai a fondo chiedendomi di cosa avessi paura. Di una porta aperta anziché socchiusa? Del mostro che vi era al di là di essa? Ma, l’uomo che ospitavo nella camera della mia amica, era davvero solo questo?

No, i mostri non dormono in un letto. Loro sono nascosti nelle nostre teste.

E, forse, sarà stata proprio quella consapevolezza a farmi muovere. Un passo dopo l’altro e mi ritrovai nella sua camera. Non dormiva, fissava semplicemente un punto non ben precisato del soffitto. Non si era neanche voltato nella mia direzione, ma sapeva perfettamente che ero lì e io mi ero ritrovata a trattenere involontariamente il respiro. Dio, quell’uomo aveva la capacità di rendermi nervosa come poche cose nella vita.

Lasciai cadere il cuscino per terra prima di sistemarmi sul pavimento esattamente di fianco al letto. Alla faccia di una notte passata su qualcosa di più comodo, ma per quanto agognassi per una buona dormita non avrei di certo invaso i suoi spazi. Lui aveva bisogno di tempo per ricordare, per adeguarsi a un mondo che non era più suo, per capire se stesso e per lasciare che gli altri provassero a guadagnarsi la sua fiducia.

Presi a fissare anche io un punto non ben precisato del soffitto, sembrava andasse di moda ormai. Le mani poggiate sullo stomaco, i piedi puntellati sul pavimento e le gambe lasciate a oscillare lentamente l’una contro l’altra. Ero quasi sul punto di cadere tra le braccia di Morfeo, quando non ho avvertito il suono della sua voce.

Mi collegavano a una specie di macchina e c’era questa corrente che finiva per attraversarmi il corpo. Era come se si concentrasse tutto nella mia testa e, poi, c’era il buio…

Lo avevo sentito sussurrare così piano che mi era quasi parso di essermelo immaginato. E – per un attimo, uno soltanto – una parte di me si ritrovò a rimpiangere che quello non fosse stato semplicemente il frutto della mia mente troppo assonnata. Invece no, la realtà era lì pesante come un macino pronta a sgretolarci, ma non glielo avrei permesso. Oh no, fosse stata anche l’ultima cosa che avrei fatto.

E fu così che mi ritrovai ad allungare istintivamente la mia mano alla ricerca della sua. Trovai il metallo freddo e strinsi, più forte che potei.

E’ tutto ok, sono qui.

E tutto aveva iniziato a fare un po’ meno paura.






NdA:

Come promesso eccomi qui. Volevo ringraziare tutte voi che avete preso a seguire questa storia, mi avete reso immensamente felice. Non avrei mai potuto immaginare tutto questo entusiasmo da parte vostra. Sono davvero entusiasta perchè ci ho messo davvero il cuoro in questi capitolo, quindi spero che continueranno a piacervi. Non esitate a farmi sapere che cosa ne pensate, belle o brutte che sia le vostre opinioni sono importanti.
Questi due stanno iniziando a fare qualche passetto avanti, andrà sempre meglio... si presume. xD Volevo solo farvi notare che di fatto i titoli racchiudono piccoli inidizi su quello che vi ritroverete a leggere nel capitolo. Mi piaceva molto quest'idea, quindi spero che apprezzerete anche a voi.
Detto questo, vi lascio dandovi appuntamento alla prossima settimana.

A preso,
- LadyBones.

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Capitolo 4
*** When I made you smile ***




   
Quella mattina mi ero svegliata piena di buoni propositi. Prima di tutto avrei dovuto fare qualcosa per la mia schiena, dormire sul pavimento di certo non stava avendo un buon effetto su di me. Non che normalmente, al mattino, fossi così estremamente allegra e pimpante, no. Solitamente mi ritrovavo in modalità zombie e con qualche acciacco, ma quello era dovuto all’età – ventiquattro anni e sentirli tutti – non certo al dormire sul pavimento. E per tutti quelli che fossero convinti che stendersi su una superficie dura aiuti la schiena, beh, non avete capito proprio un bel niente.

Avrei dovuto, poi, presentarmi in università o meglio essere quanto meno capace di prendere qualche appunto. L’ultima volta poco ci era mancato che mi mettessi a russare, Tim aveva avuto la prontezza di spirito di rifilarmi una gomitata nel fianco al momento giusto. Le mie costole erano ancora doloranti, ma quanto meno quel briciolo di dignità che mi rimaneva era salvo.

Cosa più importante, però, avrei dovuto – seriamente questa volta – provare a contattare Steve. Sì, d’accordo, probabilmente quella non sarebbe stata la mossa migliore e – sicuramente – un colpo basso nei confronti di Bucky, ma se non lo avessi fatto allora sarebbe stato un po’ come ingannare Steve. Insomma, con quale coraggio avrei mai potuto mentire a Captain America? Erano giorni che mi rigiravo il cellulare tra le mani in preda all’indecisione, ma quella era la giornata dei buoni propositi e quindi mi sarebbe toccato fare un tentativo. Magari Steve non avrebbe neanche risposto, ma in quel caso io avrei fatto la mia parte e nessuno avrebbe potuto dire poi nulla, no?

Non mi ci era voluto poi molto a ritrovare il suo numero tra i contatti e chiamare, a parte una tazza intera di caffè giusto per darmi una giusta dose di coraggio – per l’alcool era ancora troppo presto. Il cellulare aveva preso a squillare – una, due, tre volte – ma di Steve neanche l’ombra. Magari avrei potuto provare a chiamarlo una seconda volta. Sì, perché no? E fu così che ci riprovai quando, al secondo squillo – mentre mi riempivo la seconda tazza di caffè – non mi ritrovai Bucky difronte. Un’ondata di senso di colpa mi travolse con una potenza tale che finì per sorprendermi e, Dio solo sa come, riuscì a stento a mantenere tutto in equilibrio.

Caffè?

Lo avevo chiesto senza pensarci porgendogli la mia tazza, mentre con l’altra mano avevo chiuso la chiamata. Magari non si era accorto di nulla, infondo, non poteva mica sapere con chi diavolo stavo cercando di mettermi in contatto, no? Lui aveva afferrata la tazza sollevando un sopracciglio a un’altezza alquanto preoccupante per il resto della popolazione, ma forse per lui funzionava diversamente persino quello.

Tutto ok?

O forse no.

Sì, solo mio… mio nonno. Credo che non abbia ancora afferrato come funzioni rispondere al cellulare.

Non si poteva certo dire che avessi mentito, più che altro avevo tirato fuori una mezza verità per uscirmene fuori senza troppi effetti collaterali e – stranamente – sembrava aver funzionato dal modo in cui aveva fatto spallucce e si era sistemato su uno degli sgabelli della cucina. Avrei tanto, ma davvero tanto, voluto tirare un sospiro di sollievo se non fosse che, in quel modo, avrei ammesso in qualche modo la mia colpevolezza.

Dio – mi sembrava di essere tornata ai tempi in cui venivo beccata dopo aver mangiato di nascosto la nutella. In quell’occasione la prova del reato era praticamente spalmata su metà della mia faccia, ma qualcosa mi diceva che anche questa volta non ero messa poi così meglio – tracce di cioccolata a parte.

Afferrai un’altra tazza riempiendola di liquido nero, mentre con la coda dell’occhio avevo preso a sbirciare nella direzione di Bucky. Stava sorseggiando tranquillo il suo caffè, perso chissà in quale ricordo – sempre se potevamo davvero definirlo in quel modo. Arricciai appena le labbra avvertendo una strana sensazione, come un formicolio che piano piano stava finendo per invadermi il corpo. Sembrava quasi… tenerezza? Oh, andiamo Lenny, come se fosse davvero possibile provare tenerezza per qualcuno come lui.

Eppure…

Già, eppure quella sensazione era lì e i miei buoni propositi in un attimo erano andati a farsi benedire.

Hai fame? Posso prepararti qualcosa. Magari c’è qualcosa in particolare che ti piace…

Lo avevo visto sollevare la testa nella mia direzione senza dire nulla – non ce n’era stato bisogno. Era bastato guardarlo negli occhi e osservare quel lieve smarrimento che gli aveva provocato la mia domanda per capire. Avevo, così, annuito e – poggiata la mia tazza sul tavolo – mi ero avviata ai fornelli.

Di solito non li cucino spesso perché ho poco tempo, ma adoro mangiare i pancakes a colazione… e a cena, e a pranzo. Si, beh, un po’ quando capita, ma insomma sono pur sempre pancakes.

E mi ero lanciata nel mio ennesimo soliloquio della giornata, ma a lui non sembrava dispiacere poi così tanto. La prima volta che ci eravamo incontrati mi aveva zittita, ma adesso sembrava averci fatto l’abitudine o probabilmente aveva capito da solo che era impossibile mettermi un freno anche volendo. All’inizio credevo mi ignorasse, ma quella mattina avevo avuto la conferma che, in realtà, ascoltava qualsiasi cosa dicessi e la consapevolezza del suo sguardo che continuava a seguirmi da una parte all’altra della cucina di certo non mi stava rendendo le cose così facili. Dio, sembrava che mi stessi rammollendo.

Alla fine, però, riuscì a portare a termine la ricetta – alla faccia del buon vecchio Gordon Ramsay. Soddisfatta, afferrai i due piatti andandone a sistemarne uno davanti a Bucky. Lo vidi osservare il piatto con quella sua solita espressione – un misto tra confusione e sorpresa.

Era rimasto per qualche secondo a osservare quella faccina sorridente fatta di fragole e gocce di cioccolato che lo fissava dalla superficie del pancake, ma poi lo vidi.

Un mezzo sorriso fare capolino tra le sue labbra.

Cavolo se era stato veloce, ma non così tanto da perdermelo e la soddisfazione di quel momento era davvero talmente tanta che a stento ero riuscita a trattenermi dal lanciarmi in una ola.

Mi piacciono i pancakes.

Lo aveva detto dopo aver fatto fuori metà della sua porzione in tempi record, così, mi ritrovai ad allungargli anche la mia parte con un sorriso a trentadue denti. E al diavolo, la prima cosa che avrei fatto appena sarei stata al sicuro nella mia camera sarebbe stato lanciarmi nella più soddisfacente ola di tutta la mia vita.
 
 

 
***
 
 

Mio papà era bravo in tante cose, ma faceva un po’ pena in cucina. Non glielo avevo mai detto, certo, ma credo che l’avesse capito perfettamente da solo. L’ultima volta che aveva finito per mettersi dietro i fornelli, aveva quasi finito per bruciare l’intera cucina.

In realtà, era stato molto divertente vederlo cercare di spegnere il fuoco che si era alzato dalla pentola. Alla fine ci era riuscito e aveva tirato fuori la scusa che quella era una tecnica di alta cucina. Avevo finto di credergli, ma da allora in poi aveva saggiamente deciso di evitare di cucinare qualsiasi cosa fosse anche solo lontanamente commestibile.

Per questo motivo, quando quel pomeriggio lo avevo visto intento a mescolare qualcosa in una ciotola, i miei capelli per poco non avevano finito per rizzarsi  per lo spavento.

Cosa stai facendo?

Cosa credi che stia facendo, tesoro? Preparo la cena!

Lo aveva detto con fin troppo entusiasmo, così, mi ero ritrovata ad annuire. Non avrei di certo fermato il suo entusiasmo, ma avrei preso le giuste precauzioni questa volta.

D’accordo, io resterò vicino al telefono giusto nel caso in cui avessimo bisogno dei pompieri, ok?

Nel sentire le mie parole si era fermato – il mestolo a mezz’aria – fissandomi interdetto.

Credo di sapere come cucinare dei pancakes…

Non avevo proferito parola, ma il vedermi fissarlo con le braccia incrociate al petto gli avevano fatto capire che, al momento, ero alquanto seria.

D’accordo, tua nonna mi ha spiegato passo passo come fare.

Senza neanche accorgermene avevo finito per tirare un sospiro di sollievo nel sentirgli dire quelle parole. Se la nonna era stata interpellata allora potevamo stare tutti tranquilli, lei non commetteva errori da principiante come qualcun altro.

Mangiamo pancakes per cena? glielo avevo chiesto mentre mi arrampicavo su una sedia.

Lui aveva semplicemente annuito prima di rimettersi a lavoro e quella volta tutto aveva finito per filare liscio. C’era un profumino…

Ecco qui, per la mia piccola peste dei pancakes speciali!

Non appena aveva posato il piatto davanti a me, mi ero sporta per vedere cosa aveva finito per combinare. Mi ritrovai, così, a ridere divertita nel vedere quell’insieme di fragole e gocce di cioccolata sorridermi.
 
 
 
***
 
 

Il buongiorno si vede dal mattino… o per lo meno è quello che dicono. Sinceramente? Bisognerebbe rivedere questi proverbi perché – davvero – chi li ha inventati non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.

Il mio buongiorno – quella mattina – magari non era stato perfetto, ma ci era andato praticamente vicino. Certo, alla fine non ero riuscita a concludere nulla di quello che mi ero prefissata, ma c’erano cose più importanti nella vita. Un sorriso, per esempio, per qualcuno poteva significare un enorme traguardo. D’accordo mezzo, ma fa lo stesso visto il soggetto in questione.

Quindi ero pressoché convinta che la situazione sarebbe quanto meno rimasta stazionaria, con me che studiavo in un angolo della cucina e con Bucky impegnato a sfogliare un libro o per lo meno era quello che voleva che credessi. Sembrava fossimo all’interno di una bolla di tranquillità. Il che suona assurdo persino per me, ma funzionava.

Poi, qualcuno aveva bussato alla porta rompendo quel sottile equilibrio e fu subito un po’ come “al mio segnale scatenate l’inferno”. Scattammo entrambi a quel suono, all’erta. Ci scambiammo una lunga occhiata e io mi ritrovai a sperare che non fosse Steve. Non che avesse la più pallida idea di dove abitassi ma, insomma, non che in quel momento le mie sinapsi stessero collaborando.

Bucky – fortunatamente o meno – era stato molto più reattivo di me. Aveva lasciato il libro che aveva in mano sul divano prima di farmi un cenno con la testa, segno che sarei dovuta andare a controllare chi fosse mentre lui spariva chissà dove.

Vorrei poter direi di essere riuscita a trovare un briciolo di autocontrollo, ma sembrava che io funzionassi al contrario. Quando dovevo essere realmente terrorizzata mi buttavo a capofitto nelle cose, mentre quando dovevo andare semplicemente ad aprire una porta mi saliva la tachicardia. Insomma, prima della laura avrei dovuto seriamente rivolgermi a qualcuno bravo – bravo davvero.

Ne ebbi la conferma nel momento in cui mi ritrovai davanti l’uscio di casa Tim. Tirai il sospiro più lungo di tutta la mia esistenza, ringraziando il cielo di essere sempre stata abbastanza strana da non destare sospetti in situazioni del genere.

Ciao Tim… come mai da queste parti?

Mi sforzai di sorridere cercando di riprendere il controllo del mio corpo, quando non lo vidi agitare una busta di popcorn davanti alla mia faccia. Ecco, se qualcuno avesse avuto anche solo lontanamente il minimo dubbio, quello era il momento in cui iniziai a rimpiangere che non fosse stato Steve a bussare alla porta e a pregare per l’incolumità del mio ultimo neurone – soprattutto quello.

Ti eri dimenticata della serata cinema, non è vero? aveva sussurrato leggermente abbattuto.

Cosa?!? Io? Nooo, figurati… no, ho solo avuto un piccolo imprevisto…

Qualcun altro avrebbe trovato una scusa sufficientemente plausibile per chiudere lì l’intera situazione, ma stavamo pure sempre parlando della sottoscritta che proprio non ce la faceva a tirarsi fuori da situazioni più grandi di lei. Se possibile, anzi, finiva per affossarsi ancora di più.

Ci ritrovammo, così, in piedi in mezzo al mio salotto come due perfetti idioti. Insomma, tutto nella norma se non fosse stato che da un momento all’altro mi sarebbe arrivato un attacco d’ansia di quelli epocali. Ero sul punto di dire qualcosa incredibilmente intelligente – ne ero certa – quando non ho visto Tim sorridere a qualcuno e agitare la mano in segno di saluto.

Tu devi essere l’imprevisto.

Lo aveva detto con un mezzo sorriso sulle labbra e io, in quel momento, avrei voluto essere inghiottita dal pavimento.

E adesso?

Tim non aveva mai creduto a una sola parola di quello che gli avevo raccontato a riguardo di Captain America e di come mi fossi ritrovata, improvvisamente, a fare parte del suo team. Ok, non ero proprio la parte attiva del team, più la mente del gruppo  – ci vuole ingegno anche per ricordarsi gli ordini del caffè. Restava comunque il fatto che era leggermente complicato spiegare a qualcuno perché Bucky avesse un braccio di metallo. Non che non avessi pensato a delle scuse plausibile, ma si presume che la persone guardino ancora dentro quella scatola nera chiamata tv, di tanto in tanto. Ero nuovamente sul punto di dire qualcosa di estremamente intelligente e arguto, quando qualcuno non ha finito per precedermi – di nuovo.

Bucky, sono un amico di Eleanor. Mi spiace, non mi aveva detto che fosse già impegnata.

Wow… insomma, voglio dire… wow!

Mi voltai incrociando per un attimo lo sguardo con Bucky – aveva indossato una felpa rossa , la mano sinistra infilata nella tasca dei jeans e i capelli tirati all’indietro. Mi ritrovai a fissarlo con un sopraccigli alzato con un lieve – del tutto irrazionale – fastidio alla bocca dello stomaco. Avevo impiegato giorni per tirargli fuori qualche parola in più e Tim ci aveva impiegato quanto? Cinque minuti?!?

Tim, piacere di conoscerti. Ti unisci con noi per il film?

Ehm… non credo che lui voglia…

E per l’ennesima volta fui interrotta.

Ok.

Fu così che ci ritrovammo tutti e tre compressi sul piccolo divano: Tim, io e Bucky – chissà poi se lo sentiva davvero suo quel nome. Sta di fatto che quel momento sarebbe entrato di diritto nella top ten dei miei momenti imbarazzanti. Era tutto così dannatamente surreale, compressa tra loro due a guardare uno stupido film di azione in cui non facevano che darsela di santa ragione.

Solitamente non ero una persona troppo esagitata, ma quella sera sembrava proprio che non riuscissi a prendere pace e più mi muovevo e più mi sentavo in trappola. Riuscivo quasi ad avvertire il calore che emanava la persona seduta al mio fianco, cosa che non aveva senso visto  e considerato che c’era una barriera di metallo a dividerci. Sollevai gli occhi al cielo esasperata e consapevole, al tempo stesso, di avere due paia di occhi puntati su di me. Non credo di essere stata mai realmente felice di veder comparire i titoli di coda. Scattai in avanti spegnendo il televisore prima di sorridere soddisfatta.

Oh, mio Dio questo film è volato in fretta! esclamai con la solita drammaticità che mi contraddistingueva.

L’ultima volta avevi ammesso che ti sarebbe piaciuto prendere lezioni di boxe, quindi ho pensato che avresti apprezzato… lo aveva ammesso con una nota di soddisfazione nella voce.

Non è esattamente quello che ho detto. Mi ero ritrovata a specificare senza neanche sapere bene perché.

La risposta che ne seguì me la andai praticamente a cercare.

Oh giusto… vorresti combattere come Captain America.

Tim – dolce e innocente, Tim.

Al suono di quel nome avevo sentito chiaramente Bucky irrigidirsi al mio fianco. Non c’era stato bisogno di guardarlo negli occhi, lo avevo percepito a pelle – la sua gamba aveva avuto un piccolo fremito.

Non ci sarebbe nulla di male nel voler sapersi difendere…

Ci stavo provando davvero a cercare di arginare in qualche modo la situazione, ma quando il destino ci metteva lo zampino c’era davvero poco da fare. Avevo afferrato in quel momento la bottiglia di birra ormai mezza vuota, mandando giù l’ultimo sorso quando non ho sentito Tim sganciare l’ultima bomba. Strozzarmi, a quel punto, era il minimo.

“Quindi non ha nulla a che fare con la tua cotta colossale per Steve Rogers?”

Non appena quelle parole erano venute fuori avevo avvertito lo sguardo di Bucky puntarsi su di me, sembrava quasi bruciasse dietro la mia nuca. Oh, Tim che il Signore ti avesse in gloria.

Mi sollevai in piedi cercando di scrollarmi di dosso quei due occhi azzurri prima di voltarmi in direzione di entrambi, ma guardando solo uno di loro – quello che, al momento, faceva meno paura.

Ok, credo che si sia fatto davvero tardi e domani dovremmo tutti svegliarci presto e, giusto per la cronaca, tutti hanno una cotta per Steve anche il mio portinaio. Tu sei l’unico e il solo che fa il tifo per l’energumeno verde, Tim.

Lo avevo detto sorridendo e se avessi potuto lo avrei spinto fuori dalla porta, ma – bontà sua – non ce ne fu bisogno. Qualche minuto più tardi – dopo i soliti saluti di rito – mi ritrovai spalle alla porta. Gli occhi puntati sulla sagoma di Bucky che non si era mosso di un solo millimetro, il che al momento non sapevo se fosse un buon segno oppure no.

E’ per Steve?

Lo aveva detto in un sussurro ma non così piano da non riuscire a sentirlo e, a dire il vero, non c’era bisogno che aggiungesse altro. Sapevo perfettamente cosa voleva sapere, ma questo non mi impedì di mordermi il labbro inferiore improvvisamente a disagio. Cosa gli avrei dovuto rispondere?

Era per Steve che lo avevo cercato? Sì, ma non solo. Ed era quel “non solo” a spaventarmi più di tutto il resto perché se lo avessi detto ad alta voce allora sarebbe stato tutto troppo reale. Deglutì a fatica mentre con un dito presi a raschiare via dalle unghie quel poco di smalto nero rimasto. 

E’ per lui, per te e persino per me, perché quello che ti è successo non è giusto. Non è umano. È perché tu rappresenti tutto quello di cui io paura…

Lo avevo tirato fuori anche se non esattamente come avrei voluto, ma c’era così tanto da dire che le parole a breve mi sarebbero scoppiate dentro. Lui non aveva detto nulla. Si era semplicemente alzato, né un cenno con la testa o uno sguardo. Nulla. Si era avviato in direzione di quella che adesso era la sua camera e io non avevo potuto fare altro che seguirlo a debita distanza.

… non riesco a ricordare più il suono della sua risata, eppure mi piaceva così tanto sentir ridere mio padre. So cosa significa non riuscire a ricordare, a vedere tutto sbiadito. Se potessi darei via uno dei miei ricordi – sai, uno di quelli di cui farei a meno, ce ne sono parecchi – se questo significasse avere indietro uno dei tuoi. Lo farei, ma non posso…

Non ero riuscita a guardarlo negli occhi mentre parlavo, ma sapevo che lui era ancora lì. Non mi aveva chiuso la porta in faccia e non sembrava neanche arrabbiato. Sinceramente non avevo la più pallida idea di cose stesse pensando in quel momento, ma andava bene così.

Tieni con te i tuoi ricordi, tienili anche per me…
 





 

NdA:

Ciao a tutti,
sono tornata - come promesso - con un nuovo capitolo che spero vi sia piaciuto. La storia si sta evolvendo piano piano, Lenny e Bucky interagiscono a modo loro e, nel frattempo, state scoprendo qualcosa di più sulla protagonista. Diciamo che sul fronte rivelazioni si è fatto qualche passo avanti, per lo meno adesso sapete qualcosina in più su di lei e magari, chissà, andando avanti avrete altri pezzi del puzzle per completare la sua storia.
Io vorrei ringraziare di vero cuore tutte voi che mi state seguendo, da coloro che mi hanno lasciato due paroline scritte a chi ha preferito restare in silenzio. So che ci siete e la cosa non può che farmi piacere. Vi siete praticamente moltiplicate in pochissimo tempo lasciandomi senza parole. Non mi aspettavo davvero tutto questo entusiasmo, quindi grazie mille a tutte voi. 

Al prossimo capitolo, 
- LadyBones

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Capitolo 5
*** When you trained me ***




La notte appena trascorsa l’avevo passata nel mio letto, avvolta nelle coperte – al sicuro. Non mi ero intrufolata nell’altra camera. Semplicemente non mi era sembrato giusto, non quella volta.

Mi ero sentita improvvisamente prosciugata, come se tutto quello che avevo trattenuto fino a quel momento aveva finito per scivolare via. E mi ero sentita vuota, priva di protezioni. Lui non aveva fatto domande, non aveva neanche detto poi molto. Una sola frase, ed era bastata. Sembrava avere questa dannata capacità di riuscire a stipare un mare di emozioni in poche parole – lo invidiavo per questo. Io non ero mai stata così brava a tirare fuori quello che avevo dentro, figuriamoci farlo in una frase sola. Me ne sarebbero servite come minimo una decina.

Forse, era per quello che avevo finito per ignorare la sveglia quando aveva preso a trillare. Non ero ben sicura di ciò che avrei dovuto dire o se fosse stato davvero necessario dire qualcosa. In realtà, sapevo che non sarebbe stato difficile restare in silenzio in presenza di Bucky. A essere sinceri, c’era qualcosa di incredibilmente rassicurante in quello. Il problema sarebbe stato doverlo guardare negli occhi.

E se non mi fosse piaciuto quello che ci avrei visto dentro?

Non che avrei potuto evitarlo per sempre, ma fino a quando non sarebbe stato inevitabile me ne sarei rimasta al riparo provando a non pensare a niente. Devo ammettere che non era stato poi così difficile seguire quella mia specie di obiettivo, avevo persino evitato accuratamente di pensare al mio stomaco che brontolava.

Probabilmente aveva aiutato quella mezza barretta al cioccolato che nascondevo sotto il materasso giusto in caso di emergenza, ma a me piaceva pensare di aver un forte autocontrollo. Appunto, pensare, perché in realtà le cose erano un pochino diverse e, infatti, ne ebbi la conferma subito dopo.

Ero ancora con la testa infilata sotto le coperte quando avevo iniziato a sentire dei rumori provenire dal salotto. Avevo cercato di capire di cosa si trattasse, ma il suono era attutito così avevo finito per riemergere dal mio bozzolo. Corrugai la fronte leggermente perplessa. Qualcuno sembrava stesse spostando dei mobili. Ora, a meno che mia nonna non avesse improvvisato una sorpresa ai danni della sottoscritta, non riuscivo proprio a pensare a chi altro avrebbe potuto fare tutto quel trambusto. Mi ritrovai a mordicchiarmi il labbro cercando di valutare i pro e i contro del mettere i piedi fuori dal letto. Pensandoci bene, era quasi mezzogiorno e non era davvero buona educazione lasciare un ospite da solo in casa propria. Sì, una sbirciatina per capire cosa stava succedendo poteva darla.

Vorrei poter dire di essermi avviata in direzione del salotto con un’aria di incredibile indifferenza, ma sarebbe stato un po’ come mentire. Sarebbe più corretto dire che mi ci sono fiondata come un bambino di cinque anni si avventa sui regali il giorno di Natale – alla faccia del mio incredibile autocontrollo.

Non appena arrivata a destinazione mi ritrovai di fronte a qualcosa a cui non ero davvero preparata: Bucky intento a spostare una delle poltrone in un angolo del salotto. Mi ritrovai a sollevare un sopracciglio cercando di trovare una spiegazione plausibile a tutto quello, ma a meno che non eravamo finiti in una puntata di Extreme Makeover: Home Edition a mia insaputa, non mi veniva proprio niente in mente.

Prega che mia nonna non venga a sapere di questo cambiamento di arredamento, altrimenti saremmo costretti entrambi a espatriare…

Il che sarebbe potuto anche suonare leggermente esagerato, ma mia nonna quando voleva sapeva essere molto più spaventosa di un esercito addestrato dall’Hydra. Credo che con il tempo la sua lieve tendenza al comando fosse peggiorata.

Ahm… sistemo quando avremo finito.

Lo avevo sentito dire mentre finiva di spostare l’ultimo pezzo del salotto. Io, al contrario, non mi ero mossa di un millimetro, troppo occupata a cercare di capire cosa in realtà mi stesse cercando di dire. Insomma, uno non si prenderebbe tutto quel disturbo se volesse liberarsi di una presenza diventata troppo ingombrante e, sinceramente, non ho la minima idea del perché la mia mente continui a dipingere scenari fin troppo macabri. Forse avrei dovuto darci un taglio con tutte quelle puntate di Dexter, per il bene della mia salute mentale.

Avremo? gli avevo fatto eco osservandolo incuriosita.

Lui non si era scomposto più di tanto, si era posizionato al centro della sala facendomi cenno di raggiungerlo. E lo avevo fatto, non prima di aver tirato un lungo sospiro – mi ero posizionata a qualche passo da lui.

Mi è parso di capire che vuoi imparare a combattere, beh… credo di essere in grado di insegnarti qualcosa.

Probabilmente avrei dovuto rivedere le mie espressioni facciali perché – ne sono certa – in quel momento dovevo sembrare una perfetta idiota: occhi sgranati e mascella quasi del tutto spalancata. Di certo non la solita reazione che ci si aspetterebbe da una ragazza a modo, ma – al Diavolo – aspettavo quel momento da una vita intera.

Davvero? Insomma… sì, cioè… voglio dire… oh mio Dio, grazie!

Avevo preso a balbettare come una dodicenne alla sua prima cotta e – cosa peggiore – avevo finito per lasciarmi prendere un po’ troppo dall’emozione. Peccato che quando me ne sono resa conto ormai avevo praticamente già abbracciato Bucky. Non so per quale motivo lo avevo fatto, in fondo, non ero certo una di quelle persone che erano così dannatamente fissate con gli abbracci. A essere onesta cercavo sempre di evitare il troppo contatto umano, ma certe volte finivo per cascarci anche io. Lo avevo sentito irrigidirsi al mio contatto troppo invasivo – chissà quand’era stata l’ultima volta che qualcuno lo aveva abbracciato. Mi allontanai un attimo dopo, improvvisamente in colpa per quell’ondata di entusiasmo che mi aveva travolta.

Sapevo di aver fatto il passo più lungo della gamba, così, sperai semplicemente che quel piccolo intoppo non avesse finito con il rovinare tutto. Non che la cosa mi avrebbe sorpreso più di tanto. Dopotutto, quella non era la prima e di certo non sarebbe stata l’ultima volta in cui finivo per sciupare qualcosa.

Scusa, mi spiace… se vuoi possiamo iniziare.

Lo avevo sussurrato – lievemente in colpa – mentre nervosamente mi sistemavo una ciocca di capelli dietro l’orecchio, aspettando il momento in cui lui avrebbe girato i tacchi e si sarebbe allontanato e, invece, rimase lì.

Sembrava proprio che, in tutto quel tempo, non mi fossi affatto sbagliata. Erano le persone danneggiate – anime in frantumi – con più nulla da perdere che avevano quell’innata capacità di sorprenderti, anche quando pensavi che ormai fossero completamente perdute. No, loro erano lì in attesa – un po’ come lo era Bucky. In attesa che qualcuno allungasse loro una speranza.

Fu così che quel giorno iniziai a imparare a difendermi, ma capì anche che dietro ogni storia di fantasmi c’era una persona in carne e ossa – reale. E quella persona – fatta di silenzi e ricordi perduti – stava iniziando a piacermi più di quanto avessi mai potuto immaginare.
 
 

***

 
 
Da che abbia memoria, non ero mai stata una grandissima fan dell’esercizio fisico. Odiavo con tutto il mio cuore le palestre, ma adoravo più di quanto fosse necessario i dolci. Sarei potuta andare avanti a muffin e acqua se avessi potuto. A dire il vero una volta mi ero persino lanciata nel seguire una dieta fatta di soli gelati. Non aveva funzionato un granché certo, ma era stato davvero divertente.

A mio favore c’è da dire che avevo dato più di una possibilità alla palestra, dico sul serio. L’ultima tessera di abbonamento era ancora nel mio cassetto… pressoché intatta. Insomma, ci avevo provato. Sembrava, però, che la nostra relazione non fosse proprio destinata a decollare. Certo, non mi ero mai sentita troppo in colpa per non averci messo più impegno… beh, per lo meno, non fino ad ora.

Mi ero allenata per tutto il santo giorno e, adesso, non riuscivo più a muovere un muscolo. Avevo finito per stendermi sul pavimento avvertendo ogni nervo del mio corpo implorare pietà. Dio, se solo avessi saputo che essere addestrata avrebbe richiesto tutta quella energia probabilmente me ne sarei rimasta a letto.

Credi che potremmo riprendere domani? Perché sono abbastanza certa che il mio corpo sia appena entrato in sciopero…

E con quello avevo esaurito l’ultimo briciolo di fiato che avevo in corpo. Un braccio a coprirmi gli occhi, mentre cercavo di riportare il mio respiro alla normalità. Sembrava che avessi appena scalato una montagna e Bucky, invece, non sembrava minimamente stanco. D’accordo, lui era in pratica un super soldato, ma poteva quanto meno fingere per il bene della mia autostima.

Non avrei mai immaginato che allenarsi richiedesse tutto questo sforzo… voi fate sembrare tutto così dannatamente facile.

Diventerà più facile, ma sei stata… sei stata brava.

Lo avevo sentito pronunciare quella frase e non ero riuscita a trattenermi dal sollevare il mio braccio e puntare i gli occhi nella sua direzione. Si era seduto – spalle poggiate al muro, una gamba sotto di sé e l’altra piegata per fare da appoggio al suo braccio – e non me ne ero neanche resa conto di quando fosse successo tanto era stato silenzioso.

Ti hanno mai detto che sei un pessimo bugiardo?

Ti hanno mai detto che tendi a sottovalutarti?

Sollevai un po’ di più la testa per guardarlo meglio, ma la sua domanda mi aveva preso alla sprovvista. Ciò nonostante non ero riuscita a trattenere un mezzo sorriso. Dunque anche il Soldato d’Inverno si era reso conto di che caso disperato fossi. Bene, per lo meno non si sarebbe sentito solo.

Ti concedo questo round solo perché sono troppo stanca per ribattere…

Tornai a stendermi, sapendo che non sarei riuscita a vedere perfettamente la sua espressione. Poteva anche non saper mentire, ma – Diavolo – se era furbo. Si era sistemato in modo che fosse avvolto leggermente dall’ombra, cosicché mi sarebbe stato ancora più complicato leggere il suo volto.

Perché volevi imparare a combattere?

C’erano un’infinita di risposte a quella domanda, ma non tirai fuori nessuna di esse. Avevo deciso di cogliere l’opportunità che mi era stata data, e approfittare del fatto che in quel momento sembrasse intenzionato a rispondere. E, così, mi ritrovai a giocare sporco anche io, perché non era l’unico ad avare qualche asso nella manica. Poteva restarsene lì – al sicuro nell’ombra – quanto voleva, ma ciò non significava che non ci avrei affatto provato.

Era davvero questo che volevi chiedermi?

Con la coda dell’occhio, lo avevo visto inclinare la testa da un lato. Non riuscivo a vedere perfettamente il suo volto, ma sapevo che in quel momento stava soppesando la domanda che gli era appena stata fatta e un moto di soddisfazione aveva finito per invadermi il corpo. Riuscì a trattenere a stento un sorriso, mentre lui continuava a restare in silenzio. Il che non significava necessariamente che non volesse rispondere, ma semplicemente aveva questo insano bisogno di avere il controllo della situazione.

E lo capivo.

Capivo davvero, perché fino a quel momento non gli era stato concesse neanche di avere il controllo sul proprio corpo, men che meno sulla sua mente o le sue scelte. Avevo finito, così, per aspettare quello che mi era parso un sacco di tempo prima di sentirlo finalmente parlare di nuovo.

Il ponte… è una delle poche cose che ricordo anche se non perfettamente, ma tu eri lì.

Quello non era decisamente ciò che mi aspettavo. In realtà, non saprei dire cosa mi aspettassi, ma sicuramente non quello. Aveva detto di non ricordarsi di me o per lo meno era ciò che mi aveva fatto capire e, invece, no. Sapeva che ero anche io lì sul ponte quel giorno. Avrei voluto tempestarlo di mille domande e, invece, me ne restai in silenzio – occhi puntati verso il soffitto – lasciandogli il tempo di continuare.

E’ tutto un po’ sbiadito. Ricordo Steve e lui che pronunciava quello che, a quanto pare, sembra essere il mio nome – io però in quel momento non sapevo di che diavolo stesse parlando. Prima… prima, però, c’eri tu. Non so perché mi ricordi di te…

D’accordo, quello non era la frase più felice che mi era stata rivolta. Mi sarei consolata però con il fatto che non era neanche la peggiore, quanto meno la mia autostima non ne avrebbe risentito.

E’ che… eri sulla mia linea di tiro, so per certo che ti avrei… ma tu ti sei spostata. Un passo di lato, e mi hai lasciato passare. Lo aveva pronunciato piano e, nonostante non riuscissi a vederli chiaramente, i suoi occhi sembravano volermi trapassare da una parte all’altra.

Non hai premuto il grilletto.

Lo avrei fatto…

Lo so.

Mi sollevai su a sedere – gambe incrociate sotto di me, un lieve sorriso sulle labbra e gli occhi puntati in direzione della sua sagoma. Non aveva formulato una vera e propria domanda, ma sapevo cosa voleva sapere e io, per una volta, sapevo esattamente cosa rispondere.

Ti ho lasciato passare perché sapevo che non mi avresti toccato…

Come facevi a essere certa che sarebbe andata così?

Non lo ero, non al cento percento per lo meno. Sapevo, però, che non eri lì per me. Non era me che volevi, o Sam, o Natasha. Lei è stata colpita perché aveva provato a fermarti. Ti ho lasciato passare perché sapevo di non essere la tua missione e, lo so, è stato vigliacco da parte mia fare un passo di lato ma…

Ripensandoci, continuavo a sentirmi un po’ in colpa. In una frazione di secondo mi ero ritrovata nel mezzo tra lui e Steve. Sapevo che, se avessi voluto diventare un buon agente dello SHIELD, avrei dovuto restare lì dov’ero e provare a fare qualcosa. Cercare di aiutare Steve – non che avesse realmente bisogno del mio aiuto – ma questo non importava davvero alla fine dei conti. Non per me, quanto meno.

Sono contento che tu l’abbia fatto.

E, ancora una volta , aveva finto per cogliermi alla sprovvista. Questo perché sapevo che, in quel momento, non era felice del fatto che lo avessi aiutato a raggiungere il suo obiettivo, ma perché spostandomi gli avevo impedito di premere il grilletto. Involontariamente mi ero ritrovata a sorridere, riuscendo a dimenticare tutto il resto almeno per un attimo. Persino il senso di colpa.
 
 
 







 


NdA:
Salve a tutti. :)
Ce l'ho fatta a pubblicare nonostante il pochissimo tempo. Per un  attimo ho temuto di dover slittare la pubblicazione - lo studio mi sta letteralmente esaurendo - ma, fortunatamente non ce n'è stato bisogno. 
La storia piano piano sta procedendo con Bucky che ogni volta fa un passetto in avanti. Prometto che nel prossimo capitolo avrete qualche informazine in più su Lenny, credo. Praticamente sono al punto che non ricordo neanche cosa io abbia scritto, ma va bene lo studio fa anche questo. xD Io volevo più che altro ringraziarvi per la milionesima volta. Non mi aspettavo davvero tutto questo entusiasmo da parte vostra, è stata una meravigliosa sorpresa. Non posso, quindi, non dirvi grazie e per essere ancora qui a farmi compagnia in questa avventura. 

Un bacione, 
- LadyBones.

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Capitolo 6
*** When we went on a mission ***






Quando ero molto più piccola non avevo le idee ben precise riguardo il mio futuro – chi le ha. Volevo essere di tutto un po’: un medico, una scrittrice famosa, magari o – perché no – il presidente degli Stati Uniti. I miei genitori sembravano incoraggiare ogni mia stramba idea, persino quella volta in cui ero fermamente convinta di voler diventare un piccolo mago. Era uscito fuori che non ero poi così portata, ma ciò nonostante – per un mese intero – i miei genitori avevano finito per supportarmi e sopportarmi.

La svolta era avvenuta nel momento in cui avevo scoperto cosa facesse mio padre per vivere – intendo il suo lavoro vero, non quella copertura che si era inventato per tenermi al sicuro. Era successo una sera d’estate quando, tornato a casa, gli era stato praticamente impossibile nascondere i lividi. Fu in quel modo che scoprì che mio padre era, in realtà, un agente dello SHIELD. All’inizio quella mi era sembrata una parola davvero assurda poi, però, mi aveva spiegato che cosa significasse e tutto aveva avuto un senso.

Credo che sia quello il momento in cui avevo realizzato, per davvero, che cosa sarei voluta diventare da grande.
 
 
 
***
 
 
 
Che cos’è successo alla tua faccia?

Avevo visto i miei genitori sobbalzare al suo della mai voce. Non si aspettavano di trovarmi lì, in piedi avvolta nel mio pigiamino e in una mano il mio peluche preferito. Eravamo rimasti a fissarci per qualche secondo, quando mia madre non aveva finito per fare un lieve cenno con il capo a mio padre. Sembrava che riuscissero a capirsi con un semplice sguardo perché, subito dopo, papà aveva finito per farmi segno di raggiungerlo. Non me l’ero fatto ripetere due volte ritrovandomi, così, seduta sulle sue gambe.

C’è stato un po’ di trambusto oggi a lavoro…

Non pensavo che lavorare in una libreria fosse così pericoloso.

Lui si era lanciato in quello che doveva essere un sorriso, ma aveva finito per sembrare una smorfia uscita male. Aveva posato un bacio sulla mia fronte e – accarezzando i miei capelli – aveva iniziato a parlare.

Non voglio che tu ti arrabbi, ma c’è una cosa che devo dirti… lavorare in una libreria non è esattamente il mio lavoro.

Ti hanno licenziato?

La mamma lo aveva guardato ridacchiando mentre io mi ero ritrovata a corrugare la fronte, non capendo. Avevo finito per agitarmi un pochino e papà sembrava essersene accorto – lo faceva sempre.

No, tesoro. In realtà non ho mai lavorato in una libreria e mi spiace averti mentito, ma era un modo per tenerti al sicuro.

Ero rimasta a soppesare quelle parole per un attimo. Non mi piaceva quando le persone mentivano, e avrei tanto voluto alzarmi e con il mio peluche ritornarmene nella mia camera. Lo avrei fatto, ma lo sguardo del mio papà me lo aveva impedito. Sembrava davvero dispiaciuto e poi, in quel momento, ero molto più curiosa di sapere cosa stesse nascondendo. Mi sarei potuta arrabbiare più tardi, volendo.

Sei per caso un mafioso? Loro finiscono per avere spesso quei lividi, l’ho visto in tv…

Lo avevo detto con tutta l’innocenza possibile. Non era certo colpa mia se ero una bambina curiosa. Lui aveva sorriso prima di scuotere la testa e, in tutta onestà, fui felice della sua risposta negativa.

Sono un agente dello SHIELD… sai un po’ come James Bond, ma un po’ meno inglese e con tante persone a lavorare tutte insieme.

SHIELD? Come questo qui? gli avevo chiesto mostrandogli lo scudo in mano al mio peluche di Captain America.

Mio padre aveva spostato lo sguardo da me a quel peluche per poi tornare nuovamente a me. Aveva annuito prima di stringermi un po’ di più a lui.

Sì, proprio così. Il mio lavoro è quello di fare da scudo tra te e tutto quello di spaventoso che c’è là fuori. Cerchiamo di proteggere tutte le persone che non sono in grado di farlo da sole, un po’ come ha fatto Captain America, ma senza tutta quella storia sull’essere eroi, sai com’è…

E’ per questo che hai tutti quei lividi?

Lui aveva semplicemente annuito e io non avevo chiesto altro. Quella sera avevo avuto la conferma di quello che avevo sempre saputo: mio padre era un eroe. Non importava quante volte lui avesse provato a convincermi del contrario, per me le cose non sarebbero cambiate. D’accordo, non sarebbe stato Captain America, ma ai miei occhi proprio non importava.

Aveva appena finito di rimboccarmi le coperte ed era sul punto di posare un bacio sulla mia fronte, quando non avevo – finalmente – riaperto bocca.

Da grande voglio essere proprio come te…

 
 
 
***
 
 
 
Nessuno si era ricordato di avvisarmi che, crescendo, tutto sarebbe diventato più complicato. Era per questo che mi ero ritrovata a studiare psicologa, ma non per questo avevo rinunciato al mio sogno. No, non l’avrei mai fatto. Soprattutto non dopo che Fury mi aveva dato un assaggio di quello che sarei potuta essere, obbligandomi a seguirlo di qua e di là. Non so dire con precisione se fossi davvero o no tagliata per quel lavoro, ma a me piaceva pensare di sì. E credo proprio che sia stata questa mia convinzione a finire per mettermi nei guai.

Ero rincasata da appena dieci minuti, dopo un’estenuante giornata passata sui banchi dell’università. Avessi potuto, avrei felicemente saltato quella tortura, ma visto e considerato che stavamo parlando di un mezzo esame allora avevo deciso di schiodarmi da casa. Probabilmente con tutto quello che mi era successo nell’ultimo periodo avevo finito per non passarlo, ma avevo imparato che nella vita bisognava sempre tentare. In più, giustificarmi dicendo di essere stata impegnata a fare da babysitter a un potenziale omicida non sarebbe stato il massimo.

Avevo fatto quindi il mio dovere da buona studentessa con la convinzione che avrei potuto passare il resto del mio pomeriggio a scoprire i piacere nascosti di Netflix – per lo meno quelli che mi erano rimasti da scoprire. Sembrava, però, che i miei piani fossero saltati prima ancora di essere messi in pratica.

Mi ero ritrovata a fissare il salotto vuoto. Non che ci fosse realmente alcunché di strano in quello, ma avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Avevo lasciato il mio zaino e la giacca di pelle in un angolo, prima di avviarmi in direzione delle camere da letto. Bucky era nella sua, in mano una pistola e lo sguardo puntato su quella che doveva essere una cartina. Ora, non ero una persona che si allarmava facilmente, però… però quel giorno avevo una strana sensazione alla bocca dello stomaco che proprio non voleva andar via.

Cosa stai facendo?

Lo avevo chiesto prima ancora di recepire che la mia bocca avesse preso il controllo della situazione, e si fosse mossa senza il mio consenso. Bucky non si era voltato nella mia direzione, segno che mi aveva sentito arrivare. Certo, non lo biasimavo alle volte ero in grado di annunciare la mia presenza a chilometri di distanza, ma ciò nonostante non mi sarei mai abituata a questa sua assurda capacità.

Devo allontanarmi per un po’…

Mi ritrovai ad annuire come una perfetta idiota nel momento in cui lo avevo sentito parlare. Solo un secondo più tardi recepì davvero quello che mi aveva appena detto – la solita ritardataria. Corrugai la fronte lievemente perplessa e, senza neanche chiedergli il permesso,  entrai in quella che ormai era diventata la sua camera. Non appena lo vidi sistemare la pistola che aveva in mano dietro la schiena, ne approfittai per sbirciare la cartina aperta sul letto. Vorrei poter dire che in quel modo tutto mi fu immediatamente più chiaro, ma in realtà tutte quelle indicazioni finirono solo per farmi venire un gran mal di testa.

Ahm… non per farmi i fatti tuoi, ma esattamente dov’è che staresti andando?

Devo recuperare una cosa che mi appartiene.

Certo, tutto ha più senso. Sei consapevole che sei praticamente ricercato da mezza America, vero?

Lui aveva semplicemente annuito e io mi ero ritrovata a tirare un sospiro. Eravamo ritornati, di nuovo, al punto in cui io parlavo e parlavo e lui se ne stava lì a non dire nulla. Questa volta, però, ero certa che mi stesse nascondendo qualcosa che avrebbe potuto tranquillamente dirmi, ma che per chissà quale motivo invece lo voleva tenere per sé.

E cosa sarebbe questa cosa che ti appartiene che vorresti recuperare? Così, giusto per sapere… avevo finto noncuranza, ma in realtà stavo letteralmente morendo dalla curiosità solo che non lo avrei mai ammesso.

Non so dire se lui lo avesse capito o meno, sta di fatto che finì per rispondere. Ad averlo saputo prima che bastava chiedergliele le cose…

Il mio fascicolo… quello del Soldato d’Inverno.
Aveva precisato prima di afferrare lo zaino ai piedi del letto e la cartina e avviarsi in salotto. Io annuì semplicemente alle sue parole, fino a che non collegai tutte quelle informazioni e mi ritrovai a sgranare gli occhi. Era forse impazzito in quelle poche ore che mi ero allontanata? Sicuramente sì, altrimenti non vi era alcuna spiegazione.

Quando parli del tuo fascicolo, non intendi quello che dovrebbe essere in possesso dell’Hydra, vero?

Il suo sguardo bastò come risposta. Dovetti fare affidamento a tutta la calma che possedevo per non guardarlo come una perfetta isterica.

Non per creare allarmismi inutili, ma sei consapevole che Steve non è l’unico che ti cerca? Insomma, dubito che l’Hydra sia stata così incredibilmente entusiasta di perdere la sua arma migliore. E tu cosa vorresti fare? Andare a recuperare un fascicolo di dubbia utilità nascosto chissà dove proprio dall’Hydra…

Avevo parlato talmente tanto veloce che, alla fine, mi ero ritrovata senza fiato. Insomma, quel giorno di tutto mi sarei aspettata ma non quella follia. E io che ero convinta che, tra i due, quella priva di buon senso fossi io. Sembrava proprio che, in quel momento, la situazione si fosse invece capovolta e Bucky non sembrava minimamente intenzionato a demordere. Nonostante le mie parole, infatti, era rimasto in silenzio preoccupato più che altro a finire di sistemare il suo zaino – chissà poi che cosa diavolo ci fosse lì dentro di così importante da doverselo portare dietro. Un attimo più tardi, quando ormai avevo recuperato fiato, mi ritrovai a roteare gli occhi al cielo decidendo di dargli il beneficio del dubbio. Magari, dopotutto, non era poi del tutto impazzito.

E’ davvero così importante per te?

A quella domanda si era bloccato, aveva sollevato lo sguardo verso di me e poco ci era mancato che finissi per annegare in tutto quel dannato azzurro. Sinceramente? Non ci sarebbe stato neanche bisogno di nient’altro perché sapevo già quale sarebbe stata la sua risposta, ma fui felice di sentirlo parlare.

Sì, lo è…

A quel punto che cosa avrei potuto fare? Impedirgli di cimentarsi in quella missione suicida? Non gli avrei impedito di uscire per andarsi a prendere una birra al pub di sotto, figuriamoci per una cosa così importante. In più se lo avessi fatto, non sarei stata certo migliore di chi gli aveva impedito la benché minima scelta fino a quel momento.

Se non torno entro…

Quando, però, lo sentì parlare in quel modo corrugai la fronte prendendo ad agitare le mani a mezz’aria bloccandolo sul nascere.

Se non torni un bel niente, vengo con te!

E’ fuori discussione, tu resti qui senza muoverti.

Devo ammetterlo, quando si tratta di ignorare le indicazioni di qualcuno ero incredibilmente brava. Gli passai davanti lasciandolo parlare , mentre afferrato il mio giubbotto di pelle me lo infilai senza troppo cerimonie.

Se vuoi quel dannato fascicolo vorrà dire che verrò con te perché non ho nessuna intenzione di restare qui ad aspettare, quindi se vogliamo andare… ovunque dobbiamo andare…

Mi ero ritrovata a gesticolare improvvisamente non più così sicura quanto lo ero stata un attimo prima. Lui era rimasto a fissarmi interdetto per qualche secondo – indeciso. Questa volta poteva anche scordarsi che mi sarei spostata e lo avrei lasciato passare senza combattere prima, o quanto meno provarci. Non che la mia vita non sarebbe stata in pericolo se fossi rimasta lì a fronteggiarlo, solo che non era lui il pericolo al momento. No, il pericolo era altrove e io mi ci stavo praticamente fiondando ma, alle volte, è questo che fanno i buoni agenti, no? Non lasciano che qualcun altro si metta nei guai da solo, anche se quel qualcun altro era – tecnicamente – molto più addestrato della sottoscritta.

Bucky si era ritrovato – suo malgrado – con le spalle al muro e, dopo un primo momento di indecisione, aveva finito per cedere. Non so che cosa sia stato a convincerlo – insomma, neanche io ero così convinta di me stessa – ma indubbiamente una parte di me si ritrovò a fare i salti di gioia quando lo vidi accennare un sì con la testa prima di avviarsi verso la porta.

Sta sempre vicino a me…

Lo aveva detto con uno strano tono nella voce, un misto tra imposizione e preoccupazione o – probabilmente – era quello che la mia mente aveva recepito in quel momento. Non so dirlo con precisione, ma di certo non avevo intenzione di trasgredire a quella sua raccomandazione. Lo vidi calcarsi sulla testa lo stesso cappellino che aveva quella volta allo Smithsonian, mentre si avviava spedito fuori dal palazzo in cui abitavo. Io, dal canto mio, non potei fare altro che seguirlo esattamente come mi aveva detto. Avevamo appena voltato l’angolo del mio palazzo – quello che si affacciava in una piccola viuzza lontano dalla folla – quando lo vidi voltarsi nella mia direzione. Mi bloccai a un passo di distanza da lui, appena in tempo per evitare di finirgli addosso. Per un attimo, mi assalì il dubbio che avesse cambiato idea e che sarei stata costretta a tornarmene in casa e onestamente, in quel momento, Netflix non era più così incredibilmente allettante come idea. Invece, contro ogni mia buona aspettativa lo vidi afferrare l’estremità del cappuccio del mio giubbotto e sistemarmelo sopra la testa. Nessuno dei due disse niente, uno sguardo fu sufficiente prima che sentissi il metallo avvolgere la mia mano.
 

 
***
 
 

Tutto era così dannatamente surreale.

Eravamo riusciti a raggiungere la basa in cui, si supponeva, fosse il fascicolo per cui avevamo fatto tutta quella strada. A dire il vero, era stato più facile del previsto raggiungerla e trovarla. Il che non significava necessariamente che ce ne saremmo andati da lì altrettanto facilmente. La struttura sembrava semi abbandonata e la cosa non mi sorprendeva più di tanto. Potevo non essere un vero e proprio agente, ma non ero stupida. Indubbiamente tutto quel trambusto che era successo qualche tempo prima aveva avuto delle ripercussioni sia sullo SHIELD che sull’Hydra. E, visto e considerato, che le persone che militavano nell’Hydra erano tutto fuorché stupide ciò significava che non sarebbero rimaste bloccate nello stesso posto per tutto quel tempo. Sarebbe stato, come dire… un mossa da principianti?

Siamo sicuri che qui troveremo quello che stiamo cercando?

Sembrava alquanto improbabile che l’Hydra o chi per lei si fosse lasciata delle prove così importanti dietro di lei. Insomma, se avessi in mano un fascicolo talmente importante non lo lascerei certo incustodito e a dirlo è una ragazza che la sua prima missione era stata quella di cercare di non morire prematuramente.

Era qui che…

Non aveva aggiunto altro. Era riuscito a pronunciare solo quelle tre parole, ma era stato molto più che sufficiente. Quindi nel posto in cui ci trovavamo in quel momento, c’era molto più di ciò che pensavo. In quel momento, però, c’era qualcosa che continuava a non quadrarmi. Che senso avrebbe avuto lasciare una struttura come quella – scadente, certo – ma con dentro qualcosa di così importante? A meno che…

Loro pensano che tu sia morto, non è così?

Lo avevo sussurrato talmente piano che, per un attimo, avevo persino avuto il dubbio che fosse riuscito a sentirmi. Tutto, però, adesso aveva più senso. E’ vero, lui fino a quel momento aveva finito per prendere tutte le precauzioni necessarie per mantenere un basso profilo e io, effettivamente, gli avevo dato una bella mano. Chi mai andrebbe a cercare il Soldato d’Inverno nell’appartamento di una studentessa? Il punto era che probabilmente, al momento, Steve era l’unico che lo cercava. L’Hydra sicuramente stava mandando avanti le sue ricerche, ma di certo cercava nel posto sbagliato. Loro cercavano un cadavere.

Alla fine di ogni missione si supponeva che dovessi tornare alla base in un tempo prestabilito, erano le regole. Se non l’avessi fatto allora significava una sola cosa…

Steve è ancora vivo, e tu non sei più tornato indietro…

Quindi fino a quel momento avevo finito per ignorare ciò che, in realtà, era un tassello fondamentale. Il Soldato d’Inverno sembrava essere morto tanto quanto Bucky… allora, a quel punto, cosa era rimasto della persona che avevo al mio fianco?
Una strana sensazione aveva finito per invadermi lo stomaco, ma non ebbi neanche il tempo di metabolizzarla che mi ritrovai pressata tra il muro e il corpo di Bucky. Una mano sulla bocca e l’altra a farmi segno di far silenzio.

A quanto pare non siamo soli.

E tanti cari saluti alla mia ansia. Mi ritrovai a sgranare gli occhi, dandomi mentalmente dell’idiota per aver anche solo creduto di potercela cavare così facilmente. Avrei dovuto immaginare che, prima o poi, un intoppo sarebbe dovuto saltare fuori. Stranamente, però, per quanto fossi consapevole che c’era un cinquanta percento di possibilità di morire nel peggiore dei modi, una parte di me sembrava fin troppo tranquilla. Non so davvero spiegare il perché, ma c’era qualcosa in tutta quella situazione che mi impediva di dare di matto nonostante avessi tutte le buone ragioni per farlo.

Dove dovrebbe essere questo fascicolo? gli chiesi in un sussurro dopo essermi liberata dalla sua mano.

Credo che ci siano degli uffici in quella direzione, ma non ricordo con precisione…

D’accordo, vorrà dire che andrò a dare un’occhiata.

Lo dissi senza pensarci due volte, ed ero già sul punto di incamminarmi quando non sentì la sua stretta intorno al mio braccio. Non ci stava mettendo poi così tanta forza, ma abbastanza da riuscire a bloccarmi.

Non ti lascio andare da sola.

Infatti, io mi avvio e tu mi raggiungi dopo aver controllato che non ci siano problemi. Se ci dividiamo faremo più in fretta…

Dio, non credevo che sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrei detto una frase del genere, ma purtroppo ormai era troppo tardi per rimangiarmela. Solitamente nei film, la persona a cui veniva fuori questa brillante idea non faceva una bella fine, anzi… Mi ritrovai, così, a pregare che per una volta nella mia vita filasse tutto liscio. Lentamente mi liberai dalla presa di Bucky, che lo ritrovai ad annuire con un lieve cenno della testa prima di vederlo avviarsi nella direzione opposta alla mia. Inspirai profondamente incamerando più ossigeno di quanto i miei polmoni fossero realmente capaci di contenere, prima di muovermi. Non avevo davvero la più pallida idea di ciò che stessi facendo, ma se c’era un momento in cui avrei potuto tirare fuori tutti quei trucchi che mio padre mi aveva insegnato, beh, era sicuramente quello.

Entrai con cautela nella prima stanza che mi ritrovai davanti, ma di ciò che cercavo neanche l’ombra. Per un attimo rimpiansi di non aver accettato quella pistola che Bucky mi aveva offerto. Conoscendomi, però, probabilmente avrei finito con il colpire me stessa anziché il potenziale nemico, quindi era meglio fare affidamento sulla mia buona sorte. Per una volta una gioia dovevo pur avercela, no?

E sembrava proprio che quello era il momento adatto. Nel momento in cui aprì la seconda porta mi ritrovai in una stanza piena di archivi, all’interno dei quali doveva esserci quel dannato file per il quale stavo praticamente rischiando la vita. Non appena avessi fatto ritorno a casa, avrei dovuto seriamente rivedere le mie priorità.

Dio, saranno migliaia di documenti…

Sussurrai rimpiangendo in quel momento il mio amato Netflix. Sollevai gli occhi al cielo frustrata, prima di mettermi a lavoro. Non so con precisione quanto rimasi lì dentro con le mani infilate in quei cassetti, forse una manciata di secondi o forse minuti. Non lo so, sembrava come se improvvisamente il tempo si fosse fermato e io vi ero rimasta intrappolata all’interno, ma quando avevo quasi perso le speranze, lo trovai. Trovai il fascicolo per cui avevamo fatto tutta quella strada e una parte di me avrebbe voluto aprirlo immediatamente e darci una sbirciatina. La me di qualche tempo prima lo avrebbe fatto, ma la me di adesso sapeva che in quel modo avrebbe finito per incrinare la fiducia di qualcuno. Fiducia che mi ero guadagnata duramente, così, mi ritrovai a prendere quel fascicolo e riporlo al sicuro nello zaino. Bucky avrebbe deciso cosa farne di quel pezzo della sua vita.

Ero sul punto di tornare indietro quando non sentì dei passi provenire dal corridoio e farsi più vicini. Credetti che fosse Bucky venuto a cercarmi, ma quando vidi un uomo fare capolino dalla porta sentì letteralmente il sangue gelarmi nelle vene. Quella non era ovviamente la persona che mi aspettavo di vedere e io ero decisamente nei guai.

Guarda guarda un po’ chi abbiamo qui…

Lo aveva sussurrato con un che di viscido nella voce che finì per farmi accapponare la pelle. Sapevo che non avevo poi molte chance di cavarmela contro quell’energumeno, ne ero tristemente consapevole. Avrei dovuto semplicemente cercare di sopravvivere, e dare il tempo a Bucky di trovarmi.

Perché sapevo che mi avrebbe trovato.
 
 
 
 



 
NdA:
Ed eccoci arrivate anche alla fine di questo capitolo. Lo so, probabilmente a quest'ora mi starete odiando e un pochino me lo merito. xD Insomma, fossi stata al vostro posto sicuramente non sarei stata molto felice di leggere di un finale così, quindi vi capisco. Non so se questo possa esservi di consolazione o meno, però vi sono vicina. xD Al di là di questo, prometto - sto facendo un sacco di promesse ultimamente - che nel prossimo capitolo mi farò in qualche modo perdonare. In fondo, non sono poi così cattiva. Ergo, non dovrete fare altro che incrociare le dita e attendere il prossimo aggiornamento che potrebbe arrivare con un pochino di ritardo rispetto al solito, causa esame. Ve lo dico perchè mi sembra giusto avvisarvi visto che già so che mi toccherà sforare un pochino. :(
In ogni caso, vi ringrazio ancora di vero cuore per continuare a seguire questa storia e spero che continui a piacervi. 

Un bacione a tutte,
- LadyBones. 

 

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Capitolo 7
*** When you saved me ***






Mi era stato insegnato a non arrendermi mai, neanche quando la situazione sembrava essere disperata. Farlo sarebbe stato un po’ come perdere in partenza. Probabilmente, alla fine dei conti, avrei finito per perdere comunque, ma ciò non significava che non ci avrei provato con tutte le mie forze – persino quando queste avrebbero iniziato a scarseggiare.

E, in quel preciso momento, sembrava proprio che le mie forze si stessero lentamente esaurendo. Ciò nonostante, non avevo smesso di difendermi neanche per un minuto. Il che era assurdo visto che il tipo era il doppio di me che in confronto ero un vero e proprio scricciolo, senza contare il fatto che io ero decisamente alle prime armi. Forse sarà stato il mio istinto di sopravvivenza a farmi andare avanti, o la convinzione che, dà a lì a qualche secondo, Bucky sarebbe arrivato.

Pensandoci, quella situazione non poteva essere più assurda. Io che riponevo la mia speranza in un killer addestrato – decisamente non il tipico eroe a cui ero abituata a pensare. Eppure, c’era una parte di me che era fermamente convinta che lui sarebbe arrivato. Una parte di me che voleva credere che non mi avrebbe abbandonata lì al mio destino – da sola. Avevo sperimentato cose davvero assurde nella mia vita, ma quella sono certa che le battesse tutte.

Ero finita a terra per – Dio solo sa – quante volte e, di nuovo, avevo finito per rialzarmi. Avvertivo qualcosa di appiccicaticcio sulla fronte, vicino all’attaccatura dei capelli. Qualcosa colarmi lungo la tempia e poi fin giù il collo, per non parlare del dolore sparso un po’ ovunque. Tutto quello avrebbe dovuto spaventarmi e in parte era così, ma il dolore mi ricordava che ero ancora viva. In più vedere la faccia di quel tipo non più immacolata era una soddisfazione, anche se sicuramente lui era messo molto meglio di me, nonostante tutto.

Non ne hai avuto ancora abbastanza?

Lo aveva sputato fuori con tutto il disprezzo possibile, come se quelle parole avrebbero finito in qualche modo per fermarmi. In tutta onesta, in quel momento, avrei voluto essere una persona diversa. Un po’ meno testarda, un po’ meno orgogliosa, un po’ meno… tutto. Forse, in quel modo, sarebbe stato molto più semplice mollare tutto e rannicchiarmi in un angolo in attesa che tutto finisse. Per sfortuna – o fortuna, dipende dai punti di vista – ero quella che ero.

Oh, posso continuare per tutto il giorno…

Al suono di quelle parole un sorriso – il più inquietante che avessi mai visto – finì per allargarsi sulla facci dell’uomo. Ebbi giusto il tempo strofinarmi le labbra con il dorso della mano, prima di vederlo avvicinarsi pericolosamente. Riuscì a schivare il primo colpo per una semplice frazione di secondo, piegandomi appena sulle gambe e ruotando il busto verso sinistra. Il suo pugno finì, così, per colpire l’aria e non ci pensai due volte per assestargli un colpo dritto tra le costole. Riuscì a mantenermi in equilibrio senza neanche sapere come e, velocemente, cercai di mettere una lieve distanza tra di noi. Quella relazione stava decisamente diventando troppo intima per i miei gusti. Senza contare che durante quella specie di allenamento – che tra l’altro stava dando i suoi frutti – mi era stato insegnato che lasciare che fosse l’altro ad attaccare per prima non equivaleva necessariamente a cedergli il controllo.

Avevo indietreggiato ancora un po’, prima di vederlo ripartire all’attacco. Bisognava ammetterlo, avevo trovato pane per i miei denti: quel tipo non sembrava demordere per nessun motivo al mondo. Sollevai gli occhi al cielo cercando di ignorare per un attimo – uno soltanto – il dolore. Questa volta però il colpo non riuscì a evitarlo, non del tutto e finì per ritrovarmi faccia a terra. La testa pesante e tutto intorno sembrava vorticare un po’ troppo velocemente. Mi ritrovai a sbattere le palpebre un paio di volte cercando di rimettere ogni cosa di quella stanza al suo posto. Lentamente, molto lentamente, provai a sollevarmi ma quello che sembrava essere un calcio finì per abbattersi sul mio ventre e rialzarmi mi fu praticamente impossibile. L’unica cosa che riuscì a fare fu stendermi sulla schiena. Gli occhi rivolti al soffitto sapendo che quella sarebbe stata la fine, specialmente se non mi fossi rialzata nei prossimi tre secondi. A dire il vero mi aspettavo di sentire arrivare un altro colpo chissà dove, ma dovetti ricredermi. Non successo niente, o per lo meno era quello che credevo.

In realtà, qualcosa stava succedendo semplicemente non ero in grado di capire cosa perché tutto continuava a vorticare intorno a me. Riuscivo a sentire il rumore di qualcosa che veniva presa a pugni con forza – tanta forza. Un po’ come quando si colpisce qualcosa con del metallo. Era assordante, o semplicemente tutto era diventato fin troppo amplificato per i miei sensi. Un attimo più tardi, udì solo un colpo di pistola e qualcosa  toccare pesantemente il suolo. E, nonostante non riuscissi più davvero a percepire il mio di corpo, sapevo che quella pallottola non aveva colpito me. Non ero io a essere precipitata per terra, no.

Tentai con tutte le mie forze di dare un senso a tutto quello che era appena successo, ma fallì miseramente nel mio intento. Tutto ciò che riuscì a recepire furono due paia di braccia sollevarmi dal suolo.

Quelle, e due paia di occhi azzurro cielo. Fu in quell’esatto momento che capì che non avevo più bisogno di combattere. Avrei potuto anche lasciarmi andare, ormai ero al sicuro.

E il buio mi avvolse.
 
 
 
***
 
 
 
Quando riaprì gli occhi ci misi un po’ a mettere a fuoco quello che avevo davanti. Tutto mi sembrava sconosciuto e incredibilmente familiare allo stesso tempo. Per non parlare del fatto che ogni cosa sembrasse avere i contorni sfumati e tutto quel buio proprio non aiutava.

Una manciata di secondi più tardi e il continuo sbattere di ciglia, mi resi conto di trovarmi in un letto – il mio letto, per la precisione. Quella era la mia camera e il buio che mi impediva di vedere le cose chiaramente era dovuto al fatto che fosse notte fonda.

Ogni singola parte del mio corpo era dolorante. La testa sembrava pronta a implodere da un momento all’altro e i miei occhi riuscivano a stento a rimanere aperti. Insomma, sembrava che mi fossi trasformata in un agglomerato di dolore. Il problema, però, non era il mio corpo perché nonostante tutto riuscivo a sentirlo mio centimetro per centimetro. Ciò che, invece, mi sembrava difficile da raggiungere erano i miei ricordi. Come diavolo ero riuscita a tirarmi fuori da quella situazione impossibile tutta intera? Beh, quanto meno respiravo ancora.

E fu esattamente in quel momento che mi ricordai di quell’unico dettaglio che ero riuscita a cogliere prima di perdere completamente i sensi: due occhi chiari.

Bucky.

Mi sollevai di scatto e in risposta ricevetti una fitta lancinante alla testa. Questo, però, non mi impedì di notare con la coda dell’occhio una figura sbiadita che – seduta sulla poltrona vicino a una delle finestre – era scattata in piedi non appena mi ero mossa.

Wow… pessima, pessima idea… sussurrai avvertendo tutta la stanza prendere a vorticare.

Tentai di aggrapparmi a qualcosa, come se quello potesse davvero aiutarmi, quando avvertì una mano afferrare la mia. La stanza non aveva smesso di ruotare a quel contatto, no, ma ciò nonostante mi ritrovai a sentirmi un po’ meglio. Giusto un pochino.

Dovresti cercare di riposare e star ferma…

Il letto aveva scricchiolato sotto il peso del suo corpo, mentre io mi ero ritrovata a fare esattamente come mi aveva detto. Lentamente ero scivolata contro il materasso, la testa appoggiata al cuscino morbido e gli occhi puntati in direzione di quella figura lievemente sbiadita. Mi ritrovai a sbattere un paio di volte le palpebre e poi, finalmente, lo vidi – Bucky, seduto in un angolo del letto che mi fissava di rimando.

Restammo, così, a fissarci per quella che sembrò essere un’eternità probabilmente per paura di quello che sarebbe potuto venir fuori se qualcuno dei due avesse aperto bocca. Non che avessi realmente qualcosa di intelligente da dire al momento, sembrava che tutte le mie forze mi avessero abbandonato e lui, invece… lui sembra essere tornato a essere la persona decifrabile di un tempo.

Il fascicolo che cercavi è nel mio zaino.

Non avrei dovuto portarti con me.

Avevamo finito per parlare contemporaneamente. Io avevo provato a girare intorno alla questione, lui invece ci si era buttato a capofitto.

Sono stata io a chiedertelo, anzi credo che il termine corretto sia imposto…

Avrei dovuto dirti di no, come avrei dovuto impedirti di andare da sola in quella stanza.

Tecnicamente anche quella sarebbe stata una mia decisione.

Non è questo il punto.

Lo aveva detto con una certa frustrazione che aveva finito per sorprendermi. Inclinai la testa di lato, quel poco che il dolore mi consentiva, per cercare di guardarlo meglio. Aveva abbassato lo sguardo e lo aveva fatto di proposito, come se avesse paura che potessi trovarci chissà quale cosa spaventosa nei suoi occhi.

E allora quale sarebbe?

Non sono stato addestrato per questo. So come uccidere un uomo, in modi che se tu ne avessi anche solo la minima idea finiresti per avere paura di me od odiarmi. Nessuno mi ha mai detto, però, come fare questo… come salvare qualcuno.

Non sono mai stata una persona incredibilmente sentimentale – cavolo, non piangevo neanche davanti ad un film, rare eccezioni a parte. Quelle parole, invece, avevano toccato qualcosa – magari era semplicemente il dolore – ma in quel momento avrei voluto piangere tutte le lacrime del mondo. Non so che cosa mi impedì di farlo, ma sentivo un groppo bloccato in gola che faceva male più di tutto il resto.

Se non fossi arrivato in tempo…

Lo aveva sussurrato – piano. E, per un attimo, avevo creduto che il mondo sarebbe imploso sotto il peso di quelle parole. Feci una fatica immane a tirarmi su, con ogni più piccolo muscolo che implorava pietà, ma riuscì a mettermi seduta, la schiena poggiata alla testiera del letto.

Va bene sentirsi un po’ in colpa, sai? Significa che sei umano, ma questo non vuol dire che incolpo te per quello che è successo. Sono consapevole di come possa suonare strano quello che sto per dire, ma… sapevo che saresti venuto ad aiutarmi, ok? Perché, alle volte, siamo capaci di cose sorprendenti.

Bucky, nonostante tutto, rappresentava la più grande contraddizione del genere umano. Il suo essere distruttivo da una parte e dall’altra, invece, il suo essere capace di grandi cose.

Il Soldato d’Inverno non è stato certo creato per portare la pace nel mondo, direi che  ne siamo tutti consapevoli. Adesso, però, tu non sei più solo quello… sei Bucky e il Soldato d’Inverno e qualcos’altro. Loro avranno anche creato un’arma, un mostro – chiamalo come vuoi – ma ciò non significa che non puoi essere qualcos’altro.

Dio – in quel momento, se avessi avuto la possibilità di guardarmi dall’esterno ero quasi certa che mi sarebbe stato difficile riconoscermi. Probabilmente, Bucky non era l’unico a essere cambiato in quel periodo e la cosa non mi sorprendeva. Alla fine dei conti, è più facile accorgersi del cambiamento altrui che del proprio. Respirai piano, ma a fondo restando in attesa che lui metabolizzasse quello che gli avevo appena detto – o che lo facessimo entrambi, forse. Lo avevo visto agitarsi leggermente, prima di vederlo scivolare un po’ più vicino e quasi per istinto finì per farmi più vicina anche io. La sua mano di metallo a qualche centimetro dalla mia, fatta di lividi e graffi.

E allora che cosa sarei?

Che ne dici di iniziare con… umano?

Umano…

Aveva ripetuto quella parole un paio di volte, forse a cercare di capire come suonasse associata a lui. Quando ne fu abbastanza convinto, lo vidi annuire. Aveva così tanta strada da fare, ma era già a buon punto. Il solo ammettere di non essere soltanto uno strumento tra le mani di qualcuno era un gran bel passo avanti. Quello che gli era successo non era stata una semplice missione andata male, come era successo a me. Io ne sarei uscita fuori con qualche ammaccatura qua e là, ma quando le ferite non erano sul tuo corpo ma nella tua anima allora tutto diventava più complicato. Era un miracolo se, in tutto quel tempo, non fosse completamente impazzito.

Mi scrollai di dosso quei pensieri prima che quella a perderci la testa fossi io. Lentamente tornai a stendermi tra le coperte, non con qualche difficoltà. Non ero mai stata incredibilmente aggraziata, ma tutti quei lividi avevano finito per peggiorare il tutto. La testa aveva ripreso a pulsarmi, segno che ormai avevo esaurito tutte le mie energie per quella sera. Mi ero sistemata su un fianco, la coperta tirata fin su il mento e Bucky che aveva finito per sistemarsi contro la testiera del letto all’angolo opposto del mio. Qualcosa mi diceva che avrebbe finito per passare lì tutta la notte e ricambiarmi il favore delle sere passate sul pavimento. Avrei tanto voluto dirgli che non c’era alcun bisogno, ma c’era qualcosa di incredibilmente rassicurante nella sua presenza.

Buck?

Uhm...

Grazie per non avermi lasciata da sola…
 
 
 
 
 



 
NdA:
Con immenso ritardo sono riuscita, finalmente, a postarvi il nuovo capitolo. Mi spiace avervi fatto aspettare più del previsto ma, come vi avevo già avvisato, lo studio o meglio gli esami mi avrebbero tenuta impegnata. Ora sono, relativamente, un pochino più libera quindi non dovrebbero esserci problemi per i prossimi aggiornamenti. Passando al capitolo, spero di essere riuscita a risollevarvi un pochino e far diminuire la vostra ansia - spero vivamente che nessuna di voi sia deceduta nel mentre. xD Scherzi a parte, volevo ringraziarvi per il vostro continuo entusiasmo perchè è stata una piacevole sorpresa. Se non fosse per voi questa storia non sarebbe la stessa. <3 
Comunque prima di lasciarvi, volevo farmi perdonare per l'attesa perchè effettivamente è capitata nel momento meno opportuno per voi. Quindi, volevo avvisarvi che manca davvero poco alla fine della storia - praticamente tre capitoli - ma, fossi in voi, resterei nei paraggi perchè ci sarà ancora da leggere sulla nostra Lenny... la storia non è tutta qui. ;) Fine dello spoiler alert, posso salutarvi sperando che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Un bacione, 
- LadyBones. 

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Capitolo 8
*** When I fell in love ***






Non ricordavo quando fosse stata l’ultima volta che avevo dormito così tanto. Forse erano stati tutti quei dolori o la stanchezza accumulata, ma avevo finito per scivolare in un sonno profondo, privo di sogni. Il che per certi versi era stato rassicurante. Solo il silenzio ad avvolgermi e nient’altro.

Mi ero svegliata nel tardo pomeriggio, quando il sole era ormai sul punto di tramontare. Alcuni riflessi dorati avevano finito per fare capolino da una delle finestre e posarsi sulla mia coperta. Lentamente mi ero voltata in pancia in su prendendo a fissare per qualche istante il soffitto. Dio – dormire tanto aveva finito per intontirmi più di quanto non lo fossi già, ma quanto meno il mal di testa sembrava essere sparito. Tentai lentamente di sollevarmi, sperando di non riprovare quella dolorosa sensazione di mille spilli che mi trafiggevano il cervello. Fortunatamente avevo scampato il pericolo, così, quando appoggiai la schiena alla testiera non potei fare a meno che tirare un lungo sospiro di sollievo. Con una mano mi stropicciai gli occhi ancora mezzi assonnati mentre cercavo di decidere cosa fare.

Bucky non era più nel punto in cui l’avevo lasciato la sera precedente. La cosa non mi sorprendeva, avevo praticamente dormito per un giorno intero, quindi probabilmente doveva essere in qualche punto non ben precisato della casa. Avrei potuto tentare per la seconda volta la fortuna e provare a mettere i piedi fuori dal letto, ma qualcosa mi diceva che – forse – questa volta non sarei stata poi così fortunata. Uno sbadiglio finì per sfuggire al mio controllo a causa del troppo pensare e cercai di acciuffarlo con una mano, ma era stato più veloce di me.

Forse restare a letto non sarebbe stata la fine del mondo, ma proprio quando ero sul punto di infilare la testa sotto la coperta qualcosa di più urgente richiamò la mia attenzione.

No, ok Lenny dormirai dopo aver fatto pipì…

Sussurrai prima di farmi coraggio e mettere un piede dopo l’altro sul pavimento freddo. Ne avevo fatte di cose complicate nella vita, ma raggiungere il bagno – la stanza esattamente al fianco della mia – era stata un’impresa che neanche Thor ne avrebbe avuto la più pallida idea. Inutile dire che una volta raggiunta la mia meta mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo. Poi, il pensiero di dover ritornare esattamente da dov’ero venuta aveva finito per farmi precipitare nello sconforto.

Così impari a voler fare l’eroe. Te la sei andata a cercare… con il lanternino proprio.

E fu così che iniziai a parlare con me stessa, e – onestamente – quella non era neanche la cosa più strana che avessi mai fatto. Avevo passato sì e no una decina di minuti in bagno approfittandone per darmi una ripulita veloce, quando non fui costretta a dover uscire. Fosse stato per me, sarei tranquillamente rimasta dentro la vasca fino a quando non avrei recuperato le forze, ma il solo pensiero di tutto lo sforzo che mi ci sarebbe voluto per entrarci dentro mi fece riconsiderare l’idea.

Uscii dal bagno a passo di lumaca e, prima di ritornare nella mia camera, diedi una sbirciatina nel soggiorno. Bucky era seduto sul divano, lo sguardo fisso sul tavolinetto davanti a lui su cui vi era posato quello che mi sembrava essere il suo fascicolo. Senza neanche pensarci due volte mi avviai nella sua direzione. Per la prima volta da quando lo conoscevo , aveva finito per sollevare lo sguardo nella mia direzione non appena mi aveva sentito arrivare.

Dovresti restare a letto…

Ci ritorno tra un po’, promesso. Cosa stai facendo?

Gli avevo chiesto prima di sistemarmi al suo fianco sul divano. Tirai un sospiro di sollievo e potei chiaramente avvertire ogni mio singolo muscolo ringraziarmi per la clemenza ricevuta – e no, non lo dicevo tanto per esagerare. Bucky, nel frattempo, aveva finito per farmi un po’ di spazio e – in silenzio – mi aveva allungato il fascicolo.

Fissai prima lui e poi tutti quei fogli indecisa su cosa fare. Tecnicamente se me lo stava porgendo significava che avevo il suo permesso di dare finalmente una sbirciata, eppure.

Già, eppure…

Non è necessario che io lo legga.

Lo so…

E non potei fare altro che afferrare il fascicolo. Potevo anche essere sicura, adesso, che per lui non ci fossero problemi che io leggessi, ma ciò non toglieva che potessi aver paura di farlo. Quei fogli rappresentavano l’ignoto e, francamente, non ero certa di essere pronta per quello.

Potrebbero non piacerti le cose che ho fatto…

Lo aveva detto piano con una strana nota nella voce che non ero stata in grado di decifrare. Sicuramente, il fatto che io fossi rimasta – immobile – con il fascicolo chiuso appoggiato sulle gambe non doveva aver avuto un buon effetto su di lui. Di solito avevo la capacità di possedere molto più tatto, però tutta quella situazione andava al di là anche delle mie capacità. Non ero certo infallibile, e stavo iniziando ad avvertirne i primi segni.

… potrebbero non piacermi le cose che ti hanno fatto.

Non ero completamente all’oscuro di quello che gli era successo. Lui stesso mi aveva confessato che lo avevano sottoposto all’elettroshock, il che rendeva già di per sé l’idea di quello che aveva dovuto subire. Leggerlo, però, avrebbe finito per rendere tutto più reale e una parte di me non era pronta. Non sapevo spiegarne il motivo, ma sapevo che in quel modo avrei finito per farmi del male. Ciò nonostante mi ritrovai ad aprire quell’involucro di cartoncino – conscia di quei due occhi blu puntati su di me.

E, lessi.

Mi ci volle tempo e forza – tutta quella che avevo – per arrivare fino alla fine. Girato l’ultimo foglio, tutto il dolore fisico che avevo provato fino a quel momento sembrava essersi annullato in confronto a tutto ciò che stavo provando. Sembrava avessi un peso, proprio all’altezza del petto, che non faceva altro che schiacciarmi senza mai riuscirci davvero. Era insopportabile, ma molto di più lo era quella dannata consapevolezza che aveva finito per invadermi il corpo.

Non avevo mai sopportato le ingiustizie di nessun genere, ma specialmente quelle rivolte nei confronti di altre persone. Non ero mai riuscita a capire come potesse un essere umano volere la distruzione di un altro essere umano. Quella era crudeltà, nuda e cruda che io non ero mai riuscita a tollerare. Tutto si era fatto, però, complicato nel momento in cui mi ero ritrovata a leggere quel dannato fascicolo perché non stavamo più parlando di una persona qualsiasi. No, stavamo parlano di Bucky e bastò quello per farmi capire ciò che avevo preferito ignorare fino a quel preciso momento.

Mi ero affezionata a lui più di quanto avrei dovuto e fu, un po’, come essere schiaffeggiati in faccia dalla realtà.

Vorrei, davvero, avere qualcos’altro da dire di un semplice mi dispiace…

Lo avevo sussurrato mentre riponevo sul tavolino il fascicolo. Al suo interno vi era persino un elenco con tutte le vite a cui il Soldato d’Inverno aveva messo fine, ma quello avevo preferito non leggerlo.

Potresti non dire nulla e andrebbe bene comunque…

No, non andrebbe bene perché meriti che qualcuno ti dica che tutto quello che ti è successo non potevi impedirlo e che, nonostante tutto, hai un’amica su cui potrai sempre contare… ok?

Avevo visto spuntare un mezzo sorriso illuminare il suo viso quando mi aveva sentita pronunciare quelle parole. Probabilmente non era quella la reazione che si aspettava e – onestamente – una persona normale avrebbe sicuramente agito diversamente, ma alle volte ci si guadagnava a essere un po’ strani.

Tu sei… sei diversa, insomma… voglio dire, non sei come le persone che ho incontrato fino a ora.

Sai, questo è un bel complimento visto le persone con cui hai avuto a che fare – senza offesa.

Aveva riso.

Non un mezzo sorriso, o quella solita smorfia che era solito fare e per un attimo mi era mancato il respiro. Era stato un po’ come rivedere il ragazzo che ero solita guardare nel vecchio video che veniva mandato a ripetizione allo Smithsonian. Quello in cui c’erano Steve e Bucky – solo due amici cresciuti insieme – intenti a ridere, chissà poi su cosa. E, cavolo, era persino bello quando rideva. Non che normalmente non lo fosse, insomma… ecco… oh per l’amor di Dio Lenny, a cosa diavolo vai a pensare.

Hai detto che sei una mia amica, questo vuol dire che posso farti una domanda?

Avresti potuta farla in ogni caso.

Si era ritrovato ad annuire e io non sapevo se dover essere più curiosa o preoccupata. Diciamo che, il fatto che ci mettesse un po’ a parlare, mi faceva propendere per la seconda opzione. E, poi, avevo capito il motivo del suo silenzio iniziale.

Tuo padre… non hai mai veramente parlato di lui.

La sua non era stata una vera e propria domanda, ma aveva ragione. Lo avevo menzionato qualche sera prima senza, in realtà, dire poi molto. Non ero abituata a parlare di lui. Solitamente lo facevo con le persone che lo avevano conosciuto, per lo più i miei nonni e Fury. La verità era che non mi piaceva parlare di lui perché era un po’ come riaprire una vecchia ferita – anche se, in realtà, non si era mai realmente chiusa.

Cosa vuoi sapere di lui?

Solo quello che vuoi dirmi…

Sembrava un po’ che la situazione tra noi si fosse capovolta, e la cosa stranamente mi piaceva. Mi ero ritrovata, così, a sistemarmi meglio sul divano – le gambe raccolte sotto di me, leggermente girata nella sua direzione. In quel modo sarei riuscita a guardarlo meglio, e lui sembrava aver avuto la stessa idea perché aveva finito per seguire i mei movimenti e sistemarsi a sua volta.

Mio padre si chiamava Christopher ed era la cosa più bella che avessi. Mia madre è morta quando ero più piccola, quindi è un po’ come se fossimo stati sempre e solo noi due. Si è preso cura di me anche quando, a stento, riusciva a occuparsi di se stesso. Lavorava tanto – troppo – ma non è mai mancato a un mio compleanno, o recita scolastica o traguardo importante…

Lo avevo sussurrato senza riuscire davvero a nascondere una punta d’orgoglio nella voce.

Era un agente dello SHIELD – dicono che fosse davvero bravo, ma io non ho mai avuto la possibilità di vederlo in azione. All’inizio, in realtà, mi aveva fatto credere che lavorasse in una libreria e ogni settimana si preoccupava di farmi avere sempre un libro nuovo… sapeva che non era facile imbrogliarmi.

Sorrisi divertita a quel pensiero e Bucky finì per imitarmi. Non potevo certo raccontagli tutti i minimi dettagli in solo cinque minuti, ma non mi era mai sembrato così facile parlare con qualcuno di mio padre. Credo che per quello avrei dovuto ringraziare Bucky che se ne stava seduto lì in silenzio ascoltando incuriosito, ma senza nessuna traccia di giudizio nel suo sguardo.

Un giorno – ero nel giardino dei miei nonni – non ricordo con precisione cosa stessi facendo. Ho visto arrivare Fury con una strana espressione sul volto. Non che solitamente sprizzi allegria, ma quel giorno c’era qualcosa di diverso e avevo ragione. Qualcosa era andato storto e mio padre non ce l’aveva fatta… tornava sempre da me, solo non quella volta…

Non mi ero neanche resa conto che – parlando – alcune lacrime avevano finito per sfuggire al mio controllo. Me ne ero resa conto solo nel momento in cui avevo avvertito il mio viso bagnarsi. Avevo cercato di asciugarle via con il dorso della mano, ma ero quasi certa che non fosse servito poi a molto.

Alle volte provavo a immaginare come sarebbe stata la mia vita se lui non fosse stato nei paraggi, ma non immaginavo che sarebbe stata così. È che mi manca… mi manca avere qualcuno che si preoccupi per me. Lui aveva quel suo modo di farmi sentire speciale per qualche ragione, è difficile da spiegare… era come se riuscisse a vedere in me qualcosa che io proprio non riuscivo a percepire, e che continuo a non farlo...

Tutta la verità, che non ero neanche riuscita ad ammettere a me stessa, era venuta fuori. Era tutta lì, che galleggiava sospesa nell’aria. Non so neanche per quale motivo avessi così tanta paura di dire quelle cose a voce alta. Sono certa che ci fosse, da qualche parte, un buon motivo per cui avevo preferito ignorare quel sassolino nella mia anima – in quel momento, però, non riuscivo a ricordare quale fosse.

Ciò nonostante mi sentivo meglio. Non bene, ma meglio sicuramente. Bucky era rimasto in silenzio ad ascoltare, senza dire nulla o interrompermi. Aveva lasciato che quel fiume in piena facesse il suo percorso, fino a quando non lo avevo sentito cercare di arginare ciò che ne rimaneva. Rabbrividì appena, quando sentì la sua mano sfiorare la mia guancia e raccogliere l’ultima tra le lacrime rimaste.

Credo che tu gli somigli più di quanto pensi…

E so – lo so – che quello era il suo modo per consolarmi, ma il mio cuore non aveva retto a quelle parole e altre lacrime avevano finito per uscire fuori. Quella era la cosa più bella che mi fosse mai stata detta e non avrei permesso a niente e nessuno di portarmela via – almeno credo che fu questo quello che pensai. Un secondo più tardi fui distratta dalle braccia di Bucky che finirono per avvolgermi in quello che sarebbe passato alla storia per l’abbraccio più goffo e tenero della storia. Era raro vederlo prendere quel tipo di iniziativa e – sarà stato il mio stato d’animo altamente instabile – ma mi ritrovai a stringerlo a mia volta, quasi come per paura che potesse andare via da un momento all’altro. Lui, invece, ci aveva messo un po’ meno forza quasi per paura di potermi frantumare.

Onestamente non so dire quanto tempo siamo rimasti in quella scomoda posizione – forse qualche secondo, o minuti. So solo che, non appena le mie lacrime si erano arrestate, Bucky aveva allentato la presa. Per quanto non volessi lasciarlo andare sapevo che prima o poi avrei dovuto farlo, quindi mi ero in qualche modo preparata. E fu proprio in quell’esatto momento che finì per sorprendermi… di nuovo. Avvertì, improvvisamente, mancarmi il contatto con il divano su cui ero seduta. Le braccia di Bucky a tenermi saldamente, senza realmente stringere troppo per paura di farmi troppo male se ci avesse messo più forza del dovuto. E io non potei fare altro che allacciare le mie braccia intorno al suo collo, mentre lentamente si avviava nella mai camera con me in braccio. Dio – quell’uomo riusciva a fare sembrare semplice anche il sollevarmi. Non che al momento avessi poi così tanto per cui lamentarmi, sia chiaro. Beh, probabilmente una cosa c’era… la mia stanza non mi era mai sembrata così dannatamente vicina come in quel momento.

Qualche secondo più tardi, infatti, mi ritrovai nel mio letto – le coperte a coprirmi. Sapevo che quello sarebbe stato il momento in cui avremmo dovuto saltarci e – lo so – la mattina sarebbe arrivata molto prima di quanto pensassi, ma quella sera non era ancora pronta a dirgli buona notte.

Ti spiacerebbe restare ancora un po’ qui?

Non aveva detto nulla – come suo solito – ma avevo sentito il letto piegarsi sotto il suo peso. A stento riuscì a trattenere un sorriso, così ne approfittai per voltarmi sul fianco e dargli le spalle. Quella volta, però, non rimase appollaiato in un angolo del letto, no. Lo sentì scivolare al mio fianco ed era così vicino che riuscivo persino ad avvertire il calore del suo corpo.

Posso preoccuparmi io per te…

Fu come andare in apnea – il respiro trattenuto e il cuore che batteva a mille. Talmente forte che per un attimo ne ebbi paura. Paura di quello che significava, ma soprattutto della consapevolezza che, ormai, era troppo tardi per tornare indietro. Tutto ciò per cui quella storia aveva avuto inizio non mi sembrava avere più molto senso. Non in quel momento, stesa lì nel letto con lui. Respirai piano, il più piano che potei quasi per paura di rompere quella bolla in cui avevamo finito per ritrovarci. E, lentamente, posai le mie spalle contro il suo torace. L’ultima cosa che ricordo è il braccio di Bucky avvolgermi la vita. 






 


NdA:

Ed eccomi qui con il nuovo capitolo. Dovete perdonarmi se arriva con un giorno di ritardo, ma a quanto pare in questo periodo il mio tempo è davvero poco. Tra l'altro, credo di essermi giocata l'ultimo neurone che avevo perchè ho realizzato di aver perso completamente la cognizione dei giorni e mi sono ritrovata per magia a Giovedì. xD Perdonatemi, davvero. Spero, però, che questo capitolo riesca a riparare alla mia sbadataggine. Finalmente, si scopre qualcosina in più su Lenny e suo padre anche se diciamo che non è tutto qui, ma tempo al tempo. In ogni caso, spero di leggervi ancora così numerose e grazie mille per il vostro supporto e per la vostra presenza perchè, anche se non recensite, so che ci siete e credetemi per me questo è davvero tanto.

Un bacione e alla prosima,
-LadyBones.


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Capitolo 9
*** When you started to remember ***






E’ strano come tante piccole coincidenze messe insieme possano – qualche volta – dare vita a qualcosa. Tutto ero iniziato nel momento in cui avevo finito per mettermi nei guai. Adesso – guai era una parola grossa, ma per qualcuno rischiare di essere arrestata per aver voluto prendere parte a una manifestazione sui diritti dei… panda… poteva rientrare in quella definizione. Certo, io non ero assolutamente d’accordo a riguardo, ma al mondo siamo tutti diversi.

E fu proprio per quella ragione che mi ritrovai a dover seguire ovunque Fury – questa ormai era storia nota. Quello che, in realtà, aveva finito per sconvolgere l’intera situazione era stata… sì, beh, era sempre stata una mia decisione. Il punto è che quando avevo deciso di andare allo Smithsonian – un giorno di qualche settimana prima ­– non ero davvero consapevole a cosa andavo incontro.

Avevo seguito il mio istinto – con ampie tendenze suicide, certo. Non credevo davvero che sarei riuscita nel mio intento. Insomma, sfiderei chiunque anche solo a pensare che io possa , di tanto in tanto, avere idee geniali. Casualità volle che quella volta ne ebbi una. Ed è stata proprio quella folle e geniale idee a condurmi esattamente dove mi trovavo in questo momento. Non che con questo voglio avere la presunzione di poter ammettere che tutto fosse filato secondo i piani. Primo perché, di fatto, non avevo mai avuto per davvero un piano e – forse – se mi fossi applicata a escogitarne uno non mi sarei trovata in questa situazione.

Per l’amore di Dio – avevo appena passato la notte abbracciata a un uomo. La cosa di per sé avrebbe finito per sconcertarmi anche in situazioni normali, ma si dava il caso che non stavamo parlando di un ragazzo rimorchiato in un bar. No, stavamo parlando di una specie di serial killer. D’accordo, io non avevo mai davvero pensato a lui in quel modo e quelle ultime settimane me ne avevano dato conferma. Ciò che pensavo io, però, non contava per davvero. Per la miseria, era quasi riuscito a fare fuori Fury.

Oddio, Fury.

Se solo avesse saputo quello che avevo combinato avrebbe finito per rinchiudermi nella prima cella a disposizione, per poi gettare chissà dove la chiave. Non che fosse un uomo cattivo, anzi. Si era sempre preoccupato per me ed era stato gentile. A modo suo certo, ma non potevo lamentarmi. Qualcun altro al suo posto avrebbe finito per perderci la pazienza appresso a me – lui no.

Già immaginavo la sua faccia se solo avesse visto quello di cui ero stata capace. Gli sarebbe come minimo partito un embolo a tradimento prima ancora che potesse dire anche una sola parola. Ma poi a chi prendevo in giro? Non c’era neanche bisogno che lui parlasse. Un suo sguardo valeva più di mille parole, era terrore allo stato pure. D’accordo forse stavo un tantino esagerando, ma tanto valeva pensare alla sua faccia che non a quello che era successo.

Avevo dormito – abbracciata – con Bucky.

Non ci sarebbe stato niente di male alla fine dei conti, non era la prima volta che condividevo il letto con un essere di sesso maschile – beh, peluche a parte. Il problema era che quella sera avevo realizzato di aver fatto un pasticcio. Mi ero così tanto preoccupata per lui che avevo dimenticato me stessa e – adesso – mi ritrovavo con questa enorme… non sapevo neanche come definirla. Provavo qualcosa per lui, ecco.

E quello mi spaventava da morire. L’ultima volta che avevo avuto una cotta per qualcuno avevo si e no dodici anni, e il diretto interessato era Steve. Qualcuno che si supponeva fosse morto, il che la dice lunga sulla sottoscritta. Vorrei dire che poi sia rinsavita, ma mentirei perché ricordo perfettamente che cosa successe quando finì per incontrare per la prima volta Captain America – non fu un bello spettacolo.

Dio, ma come ci ero arrivata fino a quel punto?

Neanche nei peggiori telefilm si vedevano quegli intrecci amorosi. Certo, era tutto nella mai testa visto che i diretti interessati erano all’oscuro di tutto – non che la cosa mi facesse sentire meglio. Sbuffai sopra la tazza di caffè che stringevo tra le mani. Una nuvoletta di fumo finì per volteggiare per aria e mi ritrovai a seguirla con lo sguardo fino a quando una mano non la spazzò via facendomi sobbalzare. Poco mancò che facessi rovesciare il caffè ovunque.

Stai bene?

Uhm… sì, molto meglio, grazie.

Avevo detto una mezza verità, alla fin dei conti stavo davvero meglio fisicamente parlando. Era qualcos’altro che aveva finito per ingarbugliarsi. Ovviamente, questo perché nella vita non si poteva mai stare cinque minuti tranquilli.

Sollevai gli occhi al cielo prima di andarmi a sistemare su uno degli sgabelli. Afferrai un paio di biscotti e con la coda dell’occhio non riuscì a impedirmi di sbirciare nella sua direzione.

Infilai un biscotto in bocca.

Aveva afferrato una delle tazze nella credenza – quella a forma di Tardis, ormai era diventata di sua proprietà. L’aveva riempita di caffè fino a quando, soddisfatto, non aveva rimesso al suo posto la caraffa.

Infilai un secondo biscotto in bocca.

Non ci avevo mai realmente pensato, ma era un bel… sì, insomma… un bel vedere. Certo, aveva quasi sempre l’espressione imbronciata eppure quando sorrideva… oh, Dio.
Infilai un terzo biscotto in bocca.

E un quarto.

Dovevo sembrare uno di quei scoiattoli con le guance gonfie per le troppe ghiande e ci provai – davvero – a ingoiare tutto e tornare alle mie sembianze normali prima che lui si voltasse, ma neanche tutto il caffè del mondo mi sarebbe potuto essere d’aiuto. Inutile dire che tentai di assumere un’aria di completa noncuranza nel momento in cui sentii il suo sguardo su di me. Probabilmente non aveva funzionato neanche quel tentativo, ma quanto meno Bucky non aveva fatto nessun commento. Era bello non avere qualcuno con uno spiccato sarcasmo in giro per casa in situazioni come quelle – adesso capivo Charlie e il suo odio nei miei confronti, sì.

C’è un peluche di Captain America nella tua stanza.

Dio – dovevo aver fatto qualcosa di veramente grave in una delle mie vite precedenti, perché altrimenti proprio non si spiegava. Tra l’altro – dato che la situazione non poteva certo essere più grottesca di così – lo aveva detto nell’esatto momento in cui mi ero decisa a mandare giù un sorso di caffè. Lo avevo sentito tutto il sorso – sì, lo avevo sentito andarmi di traverso. L’unica cosa che avevo potuto fare era tossire cercando di mantenere un certo contegno che per qualcuno come me era praticamente come sperare in un miracolo.

C’è una spiegazione a quello…

E sarebbe?

Non credo di aver mai potuto dire una cosa del genere, ma rimpiangevo i giorni in cui il suo modo di comunicare si limitava a quello non verbale. Sembrava che avessi scoperchiato il vado di Pandora e, adesso, lui non potesse fare altro che parlare. Alla fine dei conti, però, lo capivo perché dubitavo che l’Hydra fosse davvero interessata a sentire ciò che aveva da dire. E, poi, me l’ero cercata – inutile girarci intorno.

Era un regalo, mi spiaceva doverlo buttar via…

Mi aspettavo di vedere il mio naso iniziare ad allungarsi da un momento all’altro. Fortunatamente non accadde niente del genere, ma la bugia era stata comunque scoperta. Mi era bastato notare lo sguardo che mi aveva rivolto per capirlo. Sollevai gli occhi al cielo, afferrando un altro biscotto – giusto per farmi coraggio.

D’accordo. Potrei essere stata io a richiedere specificatamente quel peluche, come potrei essere stata sempre io a volerlo tenere in camera… insomma, è carino per essere un orsacchiotto.

Avevo fatte spallucce, come se non ci fosse realmente poi molto da dire. Bucky, però, sembrava essere più percettivo del solito oppure aveva deciso di rendermi la mattinata complicata.

Esattamente che cosa vorresti sapere?

Glielo avevo chiesto sporgendomi un po’ di più verso di lui – braccia incrociate sul tavolo e gli occhi ridotti a due fessure. Era chiaro che volesse arrivare da qualche parte e forse in quel modo avremmo fatto più in fretta. Se poi nel frattempo sarei riuscita a togliermi da quell’impiccio tanto di guadagnato.

Sembra che tu abbia un debole per lui…

Non si poteva certo dire che ci andava giù leggero. No, anzi sembrava che negli ultimi giorni avesse addirittura acquistato maggiore fiducia, il tutto a mio discapito. Si era fatto più vicino anche lui, gli occhi puntati nei miei e poi aveva fatto quella cosa con le labbra . Era stato del tutto casuale, ma dannazione a lui.

Credo che questo dettaglio sia ormai di dominio pubblico.

Il che era vero, praticamente tutti sapevano di quella mia cotta per Steve. Tutti a eccezione del diretto interessato, ovviamente. Ricordo che persino Fury aveva detto qualcosa a riguardo – Dio, com’era stato imbarazzante.

Quanto bene conosci la sua storia?

Abbastanza bene, ma non tanto da sembrare una stalker. Giusto nel caso tu te lo stessi chiedendo.

Una stalker?

Lo avevo chiesto leggermente stralunato e la cosa mi aveva fatto sorridere. Poteva anche aver fatto cose in grado di accapponare la pelle e aver vissuto per tutti quegli anni, ma – esattamente come il suo amico – era ancora innocente per certi aspetti del mondo moderno.

Lascia perdere. Conosco abbastanza la sua storia, se tu volessi sapere qualcosa anche se forse di questo dovresti parlarne con il diretto interessato…

Avevo detto quelle ultime parole con enorme cautela. Non avevamo mai realmente parlato di Steve e io non avevo neanche provato a tirare fuori l’argomento. Non mi era sembrato il caso di farlo all’inizio. Adesso, però, sembrava pronto quanto meno a menzionarlo, ma ciò nonostante non sapevo realmente come muovermi su quel terreno inesplorato. Quindi sarebbe stato meglio per entrambi andarci con i piedi di piombo, almeno per il momento.

Vorrei solo che mi aiutassi a chiarirmi le idee.

Non ero ben sicura di cosa lui intendesse con quello, ma non potevo certo tirarmi indietro proprio adesso. Mi ritrovai, così, ad annuire con un lieve cenno del capo. Prima di agire in qualsiasi modo, avrei provato a capire cosa effettivamente stesse cercando di fare, dopo di che mi sarei adeguata di conseguenza.

Sua madre si chiamava Sarah… non è così?

Un nome.

Aveva semplicemente pronunciato un nome – uno come tanti – ma era stato come se avesse appena disinnescato una mina. Non avevo potuto fare altro che sgranare gli occhi per la sorpresa. Credevo volesse sapere qualcosa che riguardasse lui in prima persona, o il suo rapporto con Steve o qualsiasi altra cosa sarebbe potuta tornargli utile, invece no. Mi aveva fatto quella precisa domanda per un altrettanto preciso motivo: aveva iniziato a ricordare. Il che non doveva sorprendermi più di tanto. Era passato tempo sufficiente – dall’ultima seduta di elettroshock a cui era stato sottoposto – da consentire ai suoi ricordi di tornare. Al suo posto, una persona normale probabilmente adesso si ritroverebbe con il cervello in pappa per via di quel trattamento così prolungato. Lui, però, non era come tutte le altre persone. Era un super soldato e questo voleva dire che il suo corpo guariva più in fretta. Il suo cervello aveva la capacità di rigenerarsi e quello era stato un punto a suo favore. Con il tempo i ricordi sarebbero tornati. All’inizio si sarebbe magari trattato di semplici flash, ma poi avrebbero finito per diventare qualcosa di più.

Hai iniziato a ricordare di nuovo…

La mia era stata una semplice constatazione. Non avevo bisogno di una sua risposta, così come io non gliene avevo veramente dato una alla sua domanda. Non era stato necessario, le mie parole facevano già presupporre quale sarebbe stata la risposta. Il fatto che lui me lo avesse chiesto significava semplicemente che lui non era sicuro di quello che la sua mente stava ricordando. Non era poi difficile da capire. Come poteva essere sicuro di qualcosa che fino a un attimo prima non sapeva di conoscere? Il vecchio Bucky sapeva perfettamente che Sarah era il nome della madre di Steve, ma lo stesso non valeva per il Soldato d’Inverno la cui mente era stata trasformata in una tabula rasa.

Aveva il vizio di riempirsi le scarpe con la carta di giornale.

Lo aveva sussurrato non riuscendo a impedirsi di sorridere. Finì per farlo anche io, a dire il vero. Sorridevo per quel ragazzino magrolino che si impegnava a riempirsi le scarpe in quel modo. Sì, era proprio una cosa da Steve pensandoci. Quel sorriso, però, aveva finito per andar via più in fretta di come era arrivato. Il fatto che Bucky stesse iniziando a ricordare era davvero un bel traguardo e sapevo – giuro che lo sapevo – di dover essere felice per lui in quel momento. E lo ero, ma al tempo stesso non potevo impedirmi di essere triste per me. Quello poteva anche essere il giorno in cui lui aveva iniziato a ricordare, ma era anche il giorno in cui finiva tutto.

Credo che sia arrivato il momento che tu parli con lui. Ti sta cercando da quel giorno sul ponte e sono certa che non ha mai smesso di farlo. Tu hai bisogno di lui…

Ed era vero, avevano entrambi bisogno l’uno dell’altro e non sarei stata certo io a tenerli separati. Prima c’era Bucky che non era ancora pronto, ma adesso quella scusa non avrebbe retto più. Per quanto non avrei voluto mettere la parola fine a quella che era la più assurda ed eccitante avventura della mia vita, non avrei potuto tenerlo lì con me per sempre. Avrei solo finito per sentirmi in colpa se lo avessi fatto. Lui, in realtà, non mi aveva risposto per davvero. Aveva semplicemente annuito, ma entrambi sapevamo che era la cosa giusta da fare. E, poi, se non fosse stato lui ad andare da Steve, allora sarebbe stato Steve a venire da noi e quella era proprio un’opzione che preferivo non vedere avverarsi.

Non dissi nient’altro, improvvisamente a corto di parole. Non ero mai stata brava con gli addii. Certo, non sarebbe andato via nel giro di una manciata di minuti, ma anche volendo neanche tutto il tempo del mondo mi avrebbe davvero preparata per quel momento. Ero fatta così – avevo visto così tante persone della mia vita andare via che affezionarmi per me era qualcosa di tremendamente doloroso e impegnativo. Quello era il motivo per cui cercavo di non legarmi a qualcuno più di quanto avessi dovuto, ma sembrava che certe volte non potevo farne proprio a meno, come era successo con Charlie e, adesso, Bucky.

Lasciai sul tavolo quel biscotto mezzo mangiucchiato e, alzatami dal mio posto, mi diressi in direzione della mia camera. Avrei tanto voluto potermi raggomitolare tra le coperte e restare lì per un tempo non ben indefinito, ma poi a cosa sarebbe servito? Mi ritrovai, così, a rovistare tra i miei cassetti alla ricerca di un diario con la copertina di pelle marrone. Al terzo cassetto aperto – sotto un ammasso di vestiti – trovai quello che stavo cercando. Lo sfogliai velocemente notando come le sue pagine fossero ancora tutte bianche, esattamente come avevo pensato. Non ero mai stata un tipo da diario, nonostante mi fosse sempre piaciuto scrivere. Sembrava che avessi una specie di avversione per quell’ammasso di fogli. Ci avevo provato un paio di volte ad averne uno, ma avevo finito per abbandonarlo prima ancora di iniziare per davvero. Il diario che stringevo in quel momento tra le mani ne era una prova.

Sembrava che la scintilla tra noi non fosse mai scoppiata, ma questo non voleva dire che sarebbe stato lo stesso anche per la persona a cui avrei finito per cederlo. Lentamente, tornai sui miei passi – indietro, in direzione della cucina. Bucky era rimasto seduto esattamente dove lo avevo lasciato, così, mi andai a risistemare al mio posto – davanti a lui.

Tieni… io non l’ho mai usato, ma a te potrebbe tornare molto più utile. Puoi annotarci i tuoi vecchi ricordi e, perché no, anche quelli nuovi…

Sembrava un po’ un regalo d’addio e, in realtà, parole migliori per descriverlo non c’erano. Potevamo definirlo come un ultimo piccolo gesto d’aiuto prima che il mio lavoro finisse – non che lo si potesse davvero chiamare lavoro. Avrebbe finito per scrivere lì sopra tutto ciò che sarebbe successo nella sua vita da lì in poi, e soprattutto nella sua mente.

Aveva afferrato il diario, soppesandolo per qualche secondo. Lo aveva aperto e sfogliato lentamente fino a quando non avevano finito per piacersi – la scintilla era scoppiata.

E, in quel momento, una piccola parte di me aveva iniziato a sperare che tra quelle pagine ci finissi anche io.
 
 





 
NdA:
E siamo quasi in dirittura d'arrivo. Ormai Bucky sta iniziando a ricordare di nuovo ed è giusto che affronti il suo passato per andare avanti. Lui lo sa, Eleanor lo sa, noi lo sappiamo... ma un pò di amarezza c'è comunque. Quindi non vi resta che aspettare il prossimo e, ahimè, ultimo capitolo. Quando ho iniziato a scrivere questa storia avevo davvero delle basse aspettative - mannaggia alla mia autostita. xD Voi, invece, mi avete sorpresa sotto ogni punto di vista. Siete state tutte voi come una ventata d'aria fresca e probabilmente non sarei arrivata fino alla fine senza di ognuno di voi. Siete davvero tante e vorrei ringraziarvi una per una, ma non temete perchè ho già trovato il modo giusto per farlo. ;) 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e vi do appuntamento per la prossima settimana.

Un bacione, 
- LadyBones. 

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Capitolo 10
*** When I let you go ***






Avevo perso molte persone nella mia vita, il che era assurdo visto e considerato che aveva appena ventiquattro anni. E, nonostante la mia giovinezza, potevo affermare che – probabilmente – le perdite improvvise erano quelle meno dolorose.

Non fraintendetemi, dover dire addio a mio padre era stato qualcosa di straziante. La sua scomparsa aveva squarciato il mio cuore, lasciando solo brandelli di carne impossibili da ricucire. Quella ferita sarebbe rimasta lì con me per sempre e – chissà – con il tempo magari avrebbe finito per fare meno male, o forse no.

Tuttavia, per quanto il dolore fosse stato devastante aveva aiutato il fatto che fosse successo all’improvviso. Nessuno avrebbe mai potuto prevederlo realmente. Certo, il suo lavoro implicava determinati pericoli, ma quello era uno giorno come tanti altri e nessuno avrebbe mai potuto immaginare ciò che sarebbe successo.

Poi, però, c’erano quelle perdite che avvenivano lentamente. Nessun effetto sorpresa, ma la semplice consapevolezza che da un momento all’altro avresti dovuto direi addio alla persona che amavi. L’attesa – ecco, lei aveva la capacità di distruggerti più della perdita stessa. Tu eri lì e non c’era niente che potessi fare per impedire l’impossibile.

L’attesa era la cosa che più odiavo in assoluto.

Avevo dovuto attendere mesi prima di veder mia madre arrendersi. Ero troppo piccola per poter fare qualsiasi cosa, ma sembrava che allora neanche gli adulti avessero capacità migliori delle mie. Non avevo potuto fare altro che vederla spegnersi uno giorno alla volta. Era stato disumano.

Quando pensavo di aver finalmente chiuso il capitolo degli addii, era comparsa Charlie. Ci avevo provato a non farmi coinvolgere dalla sua esuberanza, ma lei aveva finito per vincere e io mi ero ritrovata – due anni più tardi – a vederla scomparire dietro la porta del gate numero 4.

E, poi, era stato il turno di Bucky, l’ultima persona al mondo a cui avrei anche solo potuto immaginare di affezionarmi. Quella volta avevo fatto un errore da vera principiante: sottovalutare il potere dell’umanità. Non avevo neanche provato a tenerlo lontano, no, perché ero fermamente convinta di non correre nessun rischio. In quel modo, invece, gli avevo praticamente concesso libero accesso. Era stato assurdo da parte mia illudermi di uscirne indenne. Avevo lasciato che si fidasse di me, ma senza rendermi conto della realtà e cioè che io per prima avevo finito per fidarmi di Bucky.

Mi ritrovavo, così, di nuovo nella stessa situazione delle volte precedenti. Dovevo dire addio a qualcuno che proprio non volevo uscisse fuori dalla mia vita.

Ero abituata a vedere la gente andar via? Sì, lo ero ma questo non rendeva le cose più facili perché, ancora una volta, io non ero pronta. Ero praticamente preparata a tutto – persino ad un’apocalisse zombie – ma non a quello, dannazione a me. Ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, così, mi ero messa ad aspettare.

All’inizio lo avevo fatto nella mia camera, seduta al centro del letto e il peluche appoggiato sulle mei gambe. Bucky, invece, era nella sua camera a raccogliere le sue cose e ci stava impiegando una vita. Insomma, era un uomo e in più aveva – occhio e croce – quattro cose contate da prendere, eppure ci stava mettendo un’eternità. Non che avessi tutta questa fretta di vederlo andare via, ma tutta quell’attesa mi stava tormentando. Gli avrei concesso ancora altri cinque minuti e poi sarei andata a controllare quello che stava combinando, sì.

Al diavolo… sussurrai lanciando il peluche sulla poltrona vicino alla finestra balzando, subito dopo, in piedi.

Cinque minuti sarebbero potuti essere troppi, pensandoci. Mi bastò varcare la soglia della mia camera per sapere per quale motivo ci stava impiegando così tanto. Era seduto sul bordo del letto, lo zaino ai suoi piedi e il diario che gli avevo regalato tra le mani. Aveva la testa inclinata verso il basso, quindi non potevo perfettamente vedere la sua espressione. Fu, così, che mi feci coraggio e lo raggiunsi sedendomi al suo fianco.

Credi che sarà contento di vedermi?

Hai dubbi al riguardo? Sei il suo migliore amico.

Quella persona dubito che esista ancora, o per lo meno non è la stessa che potrebbe ricordare lui.

Vorrà dire che vi aiuterete a ricordare a vicenda.

E se non gli piacesse la persona che sono adesso?

Fino a quando resterai qui non potrai mai saperlo…

Mi era costato tanto – molto – dire quelle parole, ma non avrei potuto fare altrimenti. Non avrei mica potuto tenerlo lì con me per sempre, quello si chiamava rapimento. Certo, non che lui si fosse mai lamentato a riguardo e per giunta mi aveva seguito di sua spontanea volontà. Questo, però, non significava che non mi sarei sentita in colpa. Avrei potuto decidere di essere egoista in quel momento, ma sembrava che dopotutto non fossi una così brutta persona. Preferivo mettere lui e ciò di cui aveva bisogno al primo posto, a me ci avrei pensato dopo.

Bisognava ammettere che avesse fatto degli enormi progressi da quando le nostre strade si erano incrociate. Adesso, però, quelle due strade avrebbero dovuto separarsi perché lui aveva bisogno di percorrere quella in direzione di Steve – ammettiamolo, lui era l’unico e il solo che avrebbe potuto realmente aiutare Bucky, lui lo conosceva da una vita intera. Ciò non voleva assolutamente dire, però, che le nostre strade non avrebbero finito per incrociarsi ancora. Un giorno, magari.

Restava solo un ultimo passo da fare e sembrava che, ancora una volta, toccasse a me incoraggiarlo. Mi ritrovai, così, a sollevarmi dal letto e provai a sorridere ma quello che uscì fuori fu qualcosa di molto più simile ad una smorfia. Lui finì per seguirmi a ruota, come previsto. Restammo uno davanti all’altra a fissarci, un solo passo di distanza a separarci.

Sta attento là fuori.

E tu cerca di non cacciarti in qualche guaio mentre sono via.

Farò del mio meglio, ma non ti assicuro niente.

Sorridemmo entrambi, consapevoli che c’era un’alta probabilità che io finissi in qualche guaio nell’immediato futuro. Il che era triste, a pensarci. Persino il Soldato d’Inverno ci teneva a ricordarmi di rigare dritto, insomma, dovevo davvero essere un caso disperato. Questa volta avrei provato a metterci un po’ di impegno in più. Nonostante tutto, però, mi era piaciuto il modo in cui lo aveva detto. Mentre sono via… sì, aveva detto proprio così.

Mi morsi il labbro inferiore leggermente indecisa sul da farsi, fino a che non mi decisi. Accorciai la distanza che ci separava e allaccia le braccia intorno al suo collo. La prima volta che lo avevo abbracciato lui era rimasto immobile – pietrificato – e io mi ero scostata come se scottata. Adesso, invece, ero rimasta lì e lui aveva finito per ricambiare la stretta, allacciando le sue braccia intorno alla mia vita.

Grazie per avermi dato lezioni di auto difesa.

Avevo sorriso divertita  e credo che abbia finito per sorridere anche lui, nonostante in quella posizione non fossi in grado di vederlo in volto.

Credo di dover essere io ringraziarti.

Per cosa?

Per avermi trattato come una persona. Era da molto tempo che qualcuno non era così gentile con me…

Era stato un po’ come ricevere un pugno nello stomaco, perché all’improvviso mi sembrava di non riuscire più a respirare tanto bene. Mi scostai appena, quel tanto che mi permetteva di guardarlo negli occhi – le mani poggiate ancora sulle sue spalle. Non ero riuscita a dire nulla, niente di niente. Era stato come se la mia mente avesse subito un blackout. Nessuno mi aveva mai realmente ringraziato per qualcosa, figuriamoci per essere stata gentile con qualcuno. Avevo avvertito gli occhi inumidirsi, ma ero riuscita a trattenere le lacrime per un puro colpo di fortuna.

Sapevo che avrei dovuto lasciarlo andare, era arrivato il momento. Ciò nonostante, nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di allentare la presa. Sembrava un po’ come se fossimo finiti all’interno di una bolla incredibilmente confortevole che nessuno dei due voleva rompere. Mi ritrovai, così, a prendere coraggio e feci un passo indietro. Di solito ero io quella a cui era destinata la prima mossa, ma risulta difficile fare qualsiasi cosa quando a bloccarti è un braccio di metallo.

Sollevai lo sguardo nella sua direzione non appena avvertii la sua presa farsi un po’ più stretta. Non so neanche se fosse possibile, ma sembrava che fossimo molto più vicini di quanto non lo fossimo un attimo prima. Vorrei poter dire che in quel momento avevo il pieno controllo della situazione, e che non fosse il mio cuore che avesse preso a battere in quella maniera assordante. Se lo avessi fatto, però, avrei mentito. Dopo tutto il tempo trascorso insieme, quella era l’unica volta – forse – in cui era lui ad avere il controllo. E una parte di me stava odiando quella situazione.

Beh, per lo meno fino a quando non avevo sentito le sue labbra sulle mie. Dio – stavo cercando di capire come diavolo fossimo arrivati a quel punto, ci stavo provando davvero ma il tutto mi risultava alquanto difficile in quel preciso istante. Sapevo che tecnicamente quel bacio non era propriamente corretto, ma… ma, al diavolo, probabilmente non l’avrei visto mai più e quelle labbra erano dannatamente morbide. Le mie non sarebbero riuscite a essere così soffici neanche grazie all’effetto di tonnellate di burro di cacao.

E fu, così, che - anziché fare la cosa più sensata e posare la mia mano sul suo petto per interrompere quel contatto – spostai le mie dita dalla spalla tra i suoi capelli ricambiando quel bacio. Avevo schiuso le labbra quel poco che bastava per lasciargli libero accesso alla mia bocca. Quel bacio era stato veloce e lento, tenero e passionale allo stesso tempo. Era stato il tutto e il niente, tanto intenso da avvertire le ginocchia tremare. Nessun altro bacio aveva avuto lo stesso effetto – era stato inebriante.

Purtroppo, però, tutte le cose sono destinare a finire – come quel bacio. Avevamo fatto entrambi un passo indietro, il respiro affannoso e lo sguardo puntato ovunque purchè non sulla persona che ci stava davanti. Nessuno dei due disse niente, insomma, sarebbe stata difficile dire qualsiasi cosa dopo quello che era successo. Bucky si piegò ad afferrare lo zaino portandoselo – subito dopo – sulla spalla, il diario in mano. Mi lanciò un’ultima occhiata prima di avviarsi in direzione dell’uscita di quell’appartamento. L’unica cosa che riuscì a fare fu sospirare senza mai staccare gli occhi dalla sua schiena.

Era a qualche passo dalla porta quando, improvvisamente, mi risvegliai dal torpore in cui avevo finito per sprofondare.

Aspetta un attimo…

Lo avevo detto forse con un po’ troppa enfasi, mentre percorrevo il corridoi. Ero riuscita ad afferrare una penna al volo e – accorciata la distanza tra di noi – presi il diario tra le sue mani. Lo aprì su una pagina a caso, senza prestare realmente attenzione al fatto che vi avesse già scritto sopra oppure no. Infilai il tappo in bocca, la penna in una mano e scrissi sotto il suo sguardo incuriosito.

- Ricordati di me... -

Quella fu l’ultima volta che vidi Bucky.
 
 
 

***

 
 
 
Dovevano essere passati, sì e no, un paio di giorni da quando quella mia folle avventura era giunta al termine e io ero tornata alla mia solita vita. D’accordo, per la precisione erano passati quattro giorni, tredici ore, dieci minuti e qualche manciata di secondi. Non che stessi lì a contarli, ovvio. Insomma, chi farebbe una cosa del genere?

Dio, non ero neanche capace a prendermi in giro da sola. Il fatto era che Bucky aveva finito per mancarmi molto di più di quanto avessi potuto immaginare. Come è che si dice? Oh sì, capisci quanto ti manca qualcuno solo quando finisci di perderlo. Già, triste, ma vero. In poche parole la storia della mia vita.

Sorrisi appena a quel pensiero, continuando a scarabocchiare sul mio quaderno. Tim stava parlando ininterrottamente riguardo qualcosa da quando la lezione era iniziata. Non ero riuscita a capire non solo quello su cui il mio amico stava farneticando, ma neanche quello che il professore stava spiegando. La mia testa sembrava cercasse di rifiutare tutto quel rumore, beh, tutto eccetto la parola “pausa”. A quel suono un sospiro di sollievo aveva finito per sfuggirmi.

Con Tim ci eravamo diretti al distributore automatico, forse un caffè avrebbe finito per sortire un qualche effetto. Avevo avuto ragione, effettivamente. Peccato che l’effetto era stato molto più simile a un conato di vomito.

Dio mio, dovrebbero vietare questo caffè. È orribile… esclamai con la faccia disgustata.

Sempre meglio di niente. Piuttosto, il tuo amico come sta?

Accartocciai il bicchiere di plastica prima di gettarlo nel bidone della spazzatura a qualche passo da me. Nel sentire la domanda di Tim, però, fui costretta a sollevare lo sguardo nella sua direzione. Sarà stata la mia espressione leggermente stralunata a farlo continuare.

Bucky…

Oh, sì. No, è dovuto tornare… a casa. È tornato a casa.

Rispondere in quel modo era stato del tutto naturale e mi ero ritrovata a sorridere. Lui mi mancava non potevo certo dire il contrario, ma era giusto così. Dopo tutto quel tempo era riuscito, finalmente, a tornare a casa.

Certo, quello aveva significato dover lasciare che le nostre strade si separassero, ma era giusto che lui finalmente cogliesse quell’opportunità che gli era stata negata: vivere la sua vita.

Sorrisi a quel pensiero, mentre lentamente ritornavo al mio posto. Il professore pronto a ricominciare esattamente dove aveva interrotto, un po’ come Tim che aveva ripreso a parlare senza sosta. Mi ero lasciata cadere sulla sedia con la solita grazia che mi contraddistingueva, e fu allora che lo vidi.

Un bigliettino ripiegato tra le pagine del mio quadernone. Corrugai la fronte osservandolo incuriosita. Ero certa che non ci fosse lì quando mi ero alzata. Lanciai un’occhiata in giro, prima di afferrarlo. Non so per quale motivo, ma mi ritrovai a trattenere il respiro come se quel pezzo di carta potesse esplodermi tra le mani, e forse era così. Lo aprì con cautela e una calligrafia lievemente disordinata spiccava in tutto quel bianco.

- Non ti dimenticherò, promesso. -

E il mio cuore perse un battito. Forse – chissà – le nostre strade erano destinate a incrociarsi ancora. 








 


NdA:
E siamo giunti così alla fine. Non avrei mai potuto immaginare che questa storia sarebbe piaciuta così tanto, quindi tutto il vostro entusiasmo è stata una piacevolissima sorpresa. Adesso che siamo arrivate alla fine, però, un pò mi spiace perchè è stato bello condividere qualcosa con voi che fino a poco prima era solo nella mia testa. xD Visto e considerato, però, che le cose nella mia testa sono tante e come - giustamente - qualcuna di voi mi ha fatto notare, non tutte le vostre domande hanno avuto una risposta. Effettivamente, questo capitolo della storia finisce qui, ma - come Lenny stessa ha detto - la sua strada e quella di Bucky potrebbero incrociarsi ancora. Ecco perchè, invece di salutarv, vi lascio appuntamento per la prossima settiamana. Se avete amato questa storia e la sua protagonista, allora spero di rivedervi tutte. Io ed Eleanor vi aspettiamo, stesso giorno, stesso posto. ;)

A presto e con immenso affetto, 
- LadyBones <3

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