Invitus Amabo

di Mue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Una terribile delusione ***
Capitolo 3: *** II. Drilla e Stuart ***
Capitolo 4: *** III. La scommessa ***
Capitolo 5: *** IV. Un invito spettrale ***
Capitolo 6: *** V. Festino fantasma e storie fantasmagoriche ***
Capitolo 7: *** VI. Il Ballo e il tranello ***
Capitolo 8: *** VII. Ritorsioni ***
Capitolo 9: *** VIII. Nella bufera ***
Capitolo 10: *** IX. Stranezze ***
Capitolo 11: *** X. Il rompicapo ***
Capitolo 12: *** XI. Incubo sul fondo ***
Capitolo 13: *** XII. Febbre ***
Capitolo 14: *** XIII. Parentesi sonnolenta ***
Capitolo 15: *** XIV. Rivelazione ***
Capitolo 16: *** XV. Il Sorteggio ***
Capitolo 17: *** XVI. Una traccia e una farsa ***
Capitolo 18: *** XVII. Confidenze ***
Capitolo 19: *** XVIII. «Sei cieca.» ***
Capitolo 20: *** IXX. Congiura ***
Capitolo 21: *** XX. Ricatto e rapimento ***
Capitolo 22: *** XXI. Vendetta indiretta ***
Capitolo 23: *** XXII. Il tesoro ***
Capitolo 24: *** XXIII. «Scusa.» ***
Capitolo 25: *** XXIV. Un calice e un ritratto ***
Capitolo 26: *** XXV. Tra cielo e terra ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Benvenuti.
Questa storia è il seguito di Ob Morsum ma, sebbene contenga i personaggi della fanfiction precedente, non è strettamente necessario aver letto il suo prequel per godere appieno della trama di Invitus Amabo.
Vi auguro buona lettura e vi rimando alle note a fine capitolo.

Disclaimer: I personaggi e gli elementi creati da J.K. Rowling presenti in questa fanfiction sono suoi e solamente suoi, il resto della storia è tutto una mia invenzione. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
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Prologo

 

You are the hole in my head
You are the space in my bed
You are the silence in between
What I thought and what I said


Qualcuno la stava chiamando.
Drilla, accovacciata sulle panchine degli spogliatoi di Quidditch, il foglio di strategia della squadra sulle ginocchia e i capelli ancora bagnati dopo la doccia, alzò lo sguardo.
Quella voce la conosceva bene.
Lui era lì, sulla porta, i capelli spettinati che gli ricadevano sul viso attraente, gli occhi azzurri, profondi come fosse oceaniche.
“Ciao”, gli fece. “Che cosa fai qui? Pensavo che adesso avessi lezione. Quebec ti ucciderà se ti scopre.”
Lui alzò le spalle ridendo. “Rischierò la sua stanza delle torture. Non potrà essere peggio delle altre volte, no?”
Drilla scrollò a sua volta le spalle e tornò a concentrarsi sul foglio.
“Senti...” cominciò lui, poi si interruppe, come se solo in quell’istante si fosse reso conto di qualcosa. Lanciò un’occhiata intorno. Non c’era nessuno. Tornò a guardare Drilla e smise di sorridere, fissandola negli occhi. “Senti, devo dirti una cosa...”
Esitava. Drilla cominciò a sentirsi perplessa quando lui si avvicinò di un passo, poi di un altro, senza smettere di guardarla. Si avvicinò ancora, troppo... La perplessità di Drilla cominciò a diventare puro stupore. Ma che cosa...?
“Devo dirti da parecchio tempo...”, esordì lui, teso come mai Drilla l’aveva visto. “Ti amo”, sussurrò il ragazzo a pochi centimetri dalle sue labbra.
La mente di Drilla si svuotò improvvisamente, incredula.
E la campanella suonò, facendola saltare sulla sedia, ancora mezza addormentata.
Emily, alla sua sinistra, sobbalzò, spaventata dal suo movimento improvviso, seguita da metà dei compagni lì accanto che si svegliarono di scatto dal torpore della lezione. Il professor Ruf, invece, rimase impassibile, e sparì senza nemmeno badare a loro attraverso la lavagna della classe, la lezione ormai conclusa.
“Accidenti, mi hai fatto prendere un colpo!”, la rimproverò Emily, seduta nel banco di fianco al suo, mentre metteva via gli appunti di Storia della Magia.
“Mi dispiace, non volevo”, si scusò Drilla seguendo con lei il fiume di studenti che fuori in corridoio si dirigeva verso la Sala Grande per il pranzo.
“Dormito bene?”, sogghignò Stuart affiancandosi a loro. Era il più alto del sesto anno e mentre passavano dalla porta si chinò per evitare alcune ragnatele negli angoli dello stipite.
Drilla si strofinò gli occhi, sospirando. “Direi di sì, perché stavo sognano di brutto.”
Gli altri due risero. “Spero fosse un sogno piacevole, almeno” commentò Stuart pacato.
Drilla corrugò le sopracciglia. “Credo di sì. Perlomeno, ho sognato un bel ragazzo che stava per baciarmi.”
“Allora lo era di sicuro. Immagino che fosse Vidal.”
Drilla sospirò sognante a quel nome: Tristan Vidal, il suo bellissimo, virile capitano di Quidditch di Corvonero! Poi tornò dubbiosa. “Ecco, è per questo che non so se fosse bello: non sono sicura che fosse lui. Ricordo solo che aveva gli occhi chiari ed era bello.”
Emily osservò: “Forse non ha importanza. Magari il tuo inconscio ti sta suggerendo che non è Tristan l'unico ragazzo appetibile in circolazione.”
Drilla negò con forza. “Niente affatto! Sono quasi sicura che fosse lui. E l'unica comunicazione che dovrebbe occuparsi di fare il mio inconscio è qualche idea geniale per dimostrargli quanto valgo.”
Emily scosse la testa. “Oh, dai Drilla, credo che tu ti stia già dando anche troppo da fare per farti notare da lui. Non è meglio che smetti di allenarti così? Hai bisogno di dormire, e se ti riposassi almeno oggi...”
Drilla scrollò le spalle. “Nemmeno per sogno. Questo è l’ultimo anno in cui potrà vincere la coppa di Quidditch, e dato che gli anni scorsi Grifondoro si è sempre messo in mezzo...”
“Jamie ha giocato benissimo e meritava la vittoria!”, si gettò in sua difesa Emily, che quando si trattava del suo ragazzo perdeva quasi tutta la sua timidezza.
“Nessuno ha detto il contrario” la rassicurò Drilla di malavoglia. Era vero, anzi, James Potter si era ormai assicurato una tale fama da Cercatore che si vociferava che c'erano già un paio di squadre professioniste che volevano ingaggiarlo l'anno successivo, dopo i suoi M.A.G.O. Drilla -e tutto il resto della squadra di Corvonero- avrebbe dovuto spremere fino all'ultima goccia di sangue per avere la meglio su di lui.
Come invocato dai loro discorsi, James Potter in persona apparve da un angolo del corridoio, moro, irriverente e allegro come sempre. E, notò Drilla con una smorfia, l’immancabile amico David Steeval lo tallonava da vicino.
“Buongiorno gente! Buongiorno principessa” aggiunse Jamie, mentre scoccava un bacio a Emily che, sotto il peso della borsa zeppa di libri, non riuscì a spostarsi in tempo per sottrarglisi.
Drilla sorrise: l'unico elemento su cui Jamie e la sua ragazza non si sarebbero mai trovati d'accordo era il rispettivo senso di privacy. Jamie avrebbe portato in trionfo Emily sulla sua Firebolt per tutto lo stadio di Quidditch baciandola appasionatamente, se avesse potuto; Emily la scopa invece l'avrebbe usata solo per minacciarlo quando osava assumere atteggiamenti troppo intimi in pubblico.
Drilla era una fedele sostenitrice della sua migliore amica, ma se fosse stato per lei, il giorno in cui Tristan Vidal l'avrebbe baciata sarebbe stata lei stessa a portarlo in trionfo anche dentro il Ministero della Magia.
Perché Tristan l'avrebbe baciata, ne era sicura, l'avrebbe notata finalmente, anche se non era alta, non era formosa e non era dolce come Rose Weasley, che faceva girare la testa a tutti i ragazzi della scuola -Tristan compreso, le sussurrò una vocina dentro che Drilla soffocò con decisione.
“Ehi, Pulcino, stai guardando dove metti i piedi?”
Drilla si risvegliò dalle sue fantasticherie giusto in tempo per saltare uno dei gradini sfondati delle scale di Hogwarts, evitando così una trappola molto dolorosa per il suo piede.
“Chiamami ancora così, Steeval, e giuro che te ne faccia ingoiare cento, di pulcini! Con le piume!”
David sogghignò. “Poveri pulcini, che brutta fine!”
Drilla si sforzò di ignorarlo.
David Steeval non le era mai andato a genio e non aveva mai capito come tante ragazze lo trovassero così bello e irresistibile. Era biondo e atletico, okay, ma aveva le orecchie un po' troppo grandi, le ciglia troppo chiare, e i suoi capelli sembravano più un cespuglio che quei ricci sexy che diceva Ellen, la sua compagna di dormitorio.
E da quando Jamie ed Emily stavano insieme i loro rapporti non si erano affatto fatti più idilliaci, anzi: erano addirittura peggiorati. Basti pensare che solo una settimana prima Drilla aveva quasi fatto rompere l’osso del collo a David lanciando una Fattura Lubrificante alla scalinata d’ingresso mentre la percorreva, dopo che l’aveva allegramente insultata davanti al suo Tristan.
David rise e si unì a Stuart. Quei due, chissà come, erano invece diventati amici per la pelle. Forse, pensò Drilla, avere perennemente intorno occhi femminili adoranti accomunava -quella pertica di Stuart, nonostante tutta la sua secchionaggine, era anche lui nella top ten dei ragazzi popolari della scuola secondo la Gazzetta di Hogwarts, quello stupido giornale inventato dalle pettegole Tassorosso del quinto anno.
Gli animali da esposizione si ritrovano, riflettè Drilla, e sorrise.
Poi la sua mente tornò di nuovo al suo polo di attrazione naturale: Tristan. Quello era l’ultimo anno che lui passava a scuola. E l'ultima possibilità per lei di farsi notare. Doveva farcela. Doveva riuscirci. A tutti i costi.
 

No light, no light in your bright blue eyes
I never knew daylight could be so violent
A revelation in the light of day

No Light, Florence and the Machine
 

Bentrovati.
Eccoci al seguito di Ob Morsum, che alcuni di voi avranno letto, altri forse leggeranno e forse no.
Come avrete capito la protagonista questa volta sarà Drilla e la storia avrà quindi tutto un altro tono. Ho fatto un po' di modifiche al testo originale che avevo pubblicato un po' di anni fa, spero in meglio.
Anche il titolo è cambiato: era Caeca Esse e ho preferito sostituirlo con un estratto di un verso di una poesia di Ovidio.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito la storia precedente e chi recensirà questa.
Cerco di concentrare il poco tempo a disposizione per editare i capitoli ma vi assicuro che leggo sempre i vostri commenti e vi risponderò il prima possibile.
A presto.

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Capitolo 2
*** I. Una terribile delusione ***


I.
Una terribile delusione

 


Fu così che la fatidica giornata venne; quella che, almeno secondo Drilla, avrebbe fatto al differenza tra la vita e la morte. Perchè ormai la conquista di Tristan era diventata una questione di importanza vitale. Aveva solo quell'anno per farlo, solo quell'ultima occasione, poi non l'avrebbe più rivisto. Non doveva assolutamente sprecarla.
Si svegliò più agitata che mai, tanto che Emily, mentre si infilava la divisa al suo fianco, perse la pazienza.
“Ma insomma, ti vuoi dare una calmata?!”, sbottò dopo l’ennesima volta che Drilla ripassava a voce alta gli schemi per la partita di Quidditch di quel giorno.
“Non posso, è la partita più importante della mia vita!”, disse Drilla saltellando in giro per la stanza senza una meta precisa.
Emily scosse il capo. “Credevo che giocassi a Quidditch perchè ti piaceva, non per qualche altro secondo fine. Non mi hai sempre detto che divertirsi è la cosa più impotante?”
“Non oggi!”, replicò istericamente Drilla. “Oggi dobbiamo vincere. Io devo vincere.”
Emily fu tanto innervosita dal suo tono fanatico che la lasciò e scese da sola in Sala Grande. Drilla percorse un’altra decina di volte il dormitorio. Alla fine scese anche lei per unirsi agli altri; non perchè si sentisse pronta ma perchè era terribilmente tardi.
Al tavolo dei Corvonero era già presente l’intera squadra, Tristan a capotavola a cercare di calmare i compagni. Quando la vide, sorrise sollevato. “Ehi, avevo paura di dover mandare qualcuno al dormitorio perchè forse non ti eri svegliata. Tutto bene?”
“Sì!”, mentì Drilla con un tono così teso che due o tre suoi compagni sobbalzarono nel sentirla.
Tristan fece un’espressione poco convinta mentre lei, con il cuore che le martellava a mille, gli si sedeva accanto, concentrata. Non si accorgeva nemmeno di quel che metteva in bocca, talmente era intenta al ripasso mentale delle tattiche che avevano elaborato nel mese precedente.
Schema A: il primo cacciatore prende la pluffa, fa una finta a destra e passa al cacciatore alla sua sinistra, pensò ingozzandosi di porridge. Schema B: il portiere recupera la pluffa...
“Drilla, sei sicura di sentirti bene?”, chiese Tristan preoccupato.
“Sto benissimo”, lo rassicurò Drilla senza prestargli troppa attenzione, mentre ripeteva tra sé lo schema C. Benissimo, e oggi vedrai di cosa sarò capace...No, non devo distrarmi! Schema D...
Tristan rinunciò al tentativo evidentemente vano di farla tornare alla realtà, e si voltò a discutere con il resto della squadra.
Dieci minuti dopo si diressero tutti attraverso il prato che portava al campo di Quidditch, il cielo grigio, le nubi gonfie di pioggia che minacciavano di riversarsi su di loro da un momento all’altro.
Drilla vide Stuart, Emily, e anche Al, unitosi agli amici dopo colazione, salutarla con la mano mentre anche loro si avviavano nella stessa direzione, ma era troppo ansiosa per rispondere ai loro sorrisi, così si limitò ad un cenno del capo che li lasciò perplessi. Non poteva dar loro tutti i torti, di solito non si comportava mai così. Ma quel giorno era speciale!
Negli spogliatoi Tristan fece il suo discorsetto incoraggiante alla squadra, ma Drilla, a differenza del solito, non ne recepì nemmeno una parola. La sua espressione doveva dirla lunga su dove si trovasse la sua testa, perchè mentre stavano per uscire il ragazzo la prese per un attimo per un braccio tirandola indietro. “Drilla, che hai oggi? Sembri completamente con la testa tra le nuvole.”
Drilla cercò di sorridere ma le venne fuori solo una smorfia tirata. “Non preoccuparti, sono solo un po’ agitata.”
“Un po’?!”, ripetè lui scettico.
In quel momento Lotus, l’insegnante di Volo, abbaiò loro di sbrigarsi.
“Senti, non so che ti sia preso”, disse Tristan in fretta. “Ma tu gioca come hai sempre giocato, okay? Sei sempre andata benissimo, non preoccuparti.”
Drilla sentì un nodo stringerle la gola, commossa ed emozionata da quell'apprezzamento, e si limitò ad annuire con la testa.
“Stringetevi le mani”, ordinò Lotus, e Jamie e Tristan obbedirono.
Drilla, una fila dietro, guardò senza realmente vederle le figure degli avversari nella loro divisa rosso sgargiante; David, proprio di fronte a lei, ammiccò provocatorio, ma Drilla mantenne un’espressione totalmente impassibile, accorgendosi a malapena di lui. Era un evento così raro il fatto che lei non gli rispondesse a tono che David, sbalordito, smise di sorridere e se il suo compagno di squadra non gli avesse tirato una gomitata non si sarebbe nemmeno reso conto che Lotus aveva ordinato di salire sulle scope.
Il trillo acutissimo del fischietto d’argento del professore diede inizio alla partita.
E Drilla, innalzandosi nel cielo, sentì il vento frustarle i capelli e l’odore di pioggia rempirle le narici. Cerò di concentrarsi sugli schemi che aveva ripassato fino ad un istante prima. Derek, sotto di lei, sfrecciò e le passò la Pluffa dal basso, e Drilla, riconoscendo una mossa dello schema E, la afferrò al volo e virò bruscamente verso destra, ritrovandosi faccia a faccia con David che con uno scartò riuscì facilmente a rubargliela.
Drilla si voltò esterrefatta dall’essersi lasciata scartare così e partì al suo inseguimento. David era veloce, raggiunse gli anelli delle porta molto prima di lei e tirò. Tristan si gettò di lato e riuscì a prendere la Pluffa al volo. Gridò ai giocatori di risalire verso gli anelli avversari e passò la Pluffa a Drilla, che con una mossa rapida riuscì a oltrepassare Rebecca Asuten, una cacciatrice di Grifondoro, e lanciarsi verso il portiere. Si guardò intorno e non vide nè Ashley nè Derek. Dov’erano finiti? Sapevano che quella tattica prevedeva che ci fosse uno di loro due con lei.
Frustrata, esitò un attimo e quel momento di distrazione le fu fatale. David le volò vicinissimo e allungando un braccio riuscì di nuovo a strapparle la Pluffa e tornare verso Tristan. Stavolta nemmeno le sue parate acrobatiche riuscirono a impedire a Grifondoro di segnare.
“Dieci a zero per Grifondoro!”, tuonò nel megafono Hugo Weasley, che faceva la cronaca a quella partita.
Dopo tre attacchi e tre fallimenti dei Cacciatori di Corvonero, Tristan chiese un time-out e fece tornare la squadra a terra.
“Drilla, che stai combinando?”, sibilò irritato.
“Io?!”, fece lei offesa. “Io sto giocando come avevamo concordato! Sono Derek e Ashley che non ricordano gli schemi!”
“Ma chi se ne importa degli schemi!”, replicò Tristan. “Eri sola davanti al portiere! Perchè non hai tirato in porta?”
Drilla si imbronciò. “Perchè quella mossa era proprio quella che abbiamo provato l’altra sera e tu hai detto...”
“Lascia perdere quello che ho detto l’altra sera!”, esclamò Tristan esasperato. “Era un allenamento, ora stiamo giocando una partita vera, con degli avversari! Ma che hai, oggi? Hai sempre giocato d’intuito e sei sempre stata fantastica. Perchè tutto ad un tratto sei cambiata così?”
Per te! Nient’altro, nessun altro che per te!, avrebbe voluto gridargli Drilla furiosa, ma si rimangiò tutto e tornò sulla sua scopa. Gliel’avrebbe fatta vedere...
Iniziò a piovere, ma Drilla non se ne accorse nemmeno, furibonda com’era. Giocava con rabbia, faceva un mucchio di errori stupidi, tanto che Tristan chiese un altro time-out e la rimproverò di nuovo aspramente.
“Senti, sei la cacciatrice migliore della squadra, ma gioca ancora così e dovrò cercarne un’altra per tutte le prossime partite!”, minacciò furente.
Drilla, gli occhi pieni di lacrime di rabbia, ringraziò che piovesse così nessuno poteva accorgersene e tornò a giocare. Ma sentiva i suoi movimenti lenti, impacciati, e non riusciva nemmeno più a seguire il gioco. Volava di qua e di là senza una direzione precisa, senza riuscire mai a prendere la Pluffa. Tristan non chiese altri time-out, ormai completamente rassegnato. Dava ordini solo a Derek e Ashley e ai Battitori, ignorando totalmente Drilla.
Era talmente lenta che nemmeno si accorse del Bolide che sfrecciò nella sua direzione mentre ostacolava la strada a David, facendoli finire proprio al centro della sua traiettoria. Colpiti, piombarono entrambi sul prato morbido, sotto di loro, ammaccati.
Lotus fischiò un rigore a Corvonero. David imprecò mentre si rialzava dolorante da terra.
“Dannazione, ma si può sapere che ti è preso? Giochi da schifo e coinvolgi pure me?”
Drilla si infuriò all’istante. “Chi è che giocherebbe da schifo?”
“Tu!”, rispose lui senza esitazione. “E non dire che non è vero, andiamo, lo ha detto anche il tuo bel capitano!”
Drilla strinse i denti. “Non-parlare-così-di-Tristan!”, scandì minacciosa.
David alzò le spalle. “Se vuoi posso dire che è brutto. Ehi, che vuoi fare ora, picchiarmi?”, chiese, a metà tra il divertito e il preoccupato, vedendo la sua espressione minacciosa.
Drilla si sforzò di calmarsi. “Non ne avrò bisogno. Piangerai comunque dopo aver perso la partita!”
David sogghignò. “Che paura! Voglio proprio vedere come! Siete sotto di cinquanta punti e la vostra Cercatrice non ha alcuna speranza di battere Jamie.”
“Non ne avrà bisogno, talmente tanti goal vi farò ingoiare!”, ribattè Drilla.
David non potè rispondere a tono perchè vennero entrambi richiamati da Lotus, e tornarono sulle scope agguerriti e assetati di vittoria come non mai.
E avvenne il miracolo.
Drilla non sapeva come, non sapeva quando, ma la tutta la rabbia che aveva in corpo a causa di David la riscosse. I suoi goal scatenarono i tifosi di Corvonero, uno dopo l'altro. Nemmeno con tutto l’impegno di David i Grifondoro riuscirono a mantenere il loro vantaggio a lungo. Alla fine Jamie ed Ellen scorsero lontano il Boccino d’oro, sfavillante tra gli scrosci di pioggia, e scesero in piacchiata come aquile sulla preda. E, come sempre, fu Jamie a prenderlo.
Lo stadio trattenne il fiato voltandosi verso il tabellone del punteggio: Corvonero 260, Grifondoro 230.
Il boato esplose dall’ala azzurra e blu dello stadio, e la squadra della loro Casa scese a terra in un abbraccio collettivo. Drilla era più felice che mai: quanto era stata stupida a voler seguire gli schemi! Era l’improvvisazione il suo gioco, da sempre, non avrebbe dovuto dimenticarlo tanto facilmente! E avevano vinto!
Tristan si fece largo tra la folla e la raggiunse.
Drilla aprì la bocca per parlare, con un enorme sorrise sulle labbra, ma lui glielo impedì e la strinse in un abbraccio mozzafiato. Drilla rimase un istante immobile, incredula, poi lo strinse a sua volta. Non poteva crederci, non poteva essere tanto vicino.
“Drilla...”, disse ansimante lui con un gran sorriso.
Derek emerse in quel momento alla loro sinistra e tirò ad entrambi una pacca sulle spalle. “Abbiamo vinto! Siamo stati grandi!”, ululò felice.
Tristan non riusciva più a smettere di sorridere. “Davvero. Soprattutto tu, Drilla”, aggiunse, rivolgendole uno sguardo pieno di gioia. “Mi dispiace di averti parlato così in malo modo prima. Sono scusato?”
Drilla trattenne il fiato di fronte a quel volto luminoso. “Ma certo!”, rispose in fretta.
Tristan continuò a sorridere e si fece trascinare via dagli altri compagni di squadra. Drilla lo guardò allontanarsi impalata in mezzo al campo. Se solo non fosse arrivato Derek forse avrebbero potuto parlarsi. Forse lui stava per parlarle, e non per farle solo i complimenti...
Euforica, tornò al castello insieme ad Emily, Stuart ed Al, che erano scesi a complimentarsi.
“Gran belle azioni, anche se all’inizio eri un po’ moscia”, disse Al sportivamente, accettando la sconfitta della sua Casa. Era dolce, Al, come sempre, e Drilla era così felice che lo avrebbe abbracciato e coccolato. Avrebbe abbracciato e coccolato tutti, a dire il vero, era fuori di sé dalla felicità!
“Mi stavo solo scaldando”, replicò scherzosamente.
Al rise. “Che modestia.”
Drilla si unì alla sua risata contagiosa.
Al, purtroppo, era tra loro quello che vedevano di meno, ormai sempre impegnato a studiare disperatamente Pozioni per mantenere alti i suoi voti e prendere così i M.A.G.O. necessari l’anno seguente per il suo sogno di sempre: diventare Auror come suo padre.
Aveva perennemente l’aria stanca, gli occhiali che gli coprivano a malapena le occhiaie, gli occhi verdi un po’ appannati dal sonno. Anche lui era cresciuto e, anzi, adesso sembrava proprio un ragazzo maturo, forse addirittura più di Jamie che, sebbene sempre un po' canaglia, aveva cominciato a mettere la testa a posto e ad essere più responsabile -ma Drilla sospettava che più che l'età, era l'influenza di Emily.
Senza contare, poi, che ora Al era anche un Prefetto e superava di parecchie spanne l’esigua altezza di Drilla, arrivando quasi a quella di Stuart. Drilla dovette alzarsi sulle punte per aggrapparsi con un braccio attorno alle sue spalle e stringerlo per la gioia.
La Sala Grande, quella sera, era un caos. Era il 31 ottobre, Halloween, e si teneva il tradizionale Banchetto annuale. I Fantasmi erano più attivi che mai, e sfilarono in una parata davvero spettacolare su destrieri spettrali che svolazzavano sopra i quattro tavoli delle Case.
Gli studenti si mischiarono tra loro, Al e Jamie raggiunsero Drilla e gli altri al tavolo dei Corvonero e la confusione era tale che quasi non ci si rendeva conto di quello che succedeva nel resto della Sala. Quasi. Purtroppo per Drilla.
Stava chiacchierando con Al allegramente, guardandosi attorno alla ricerca di Tristan, quando lo vide, a pochi passi da lei. E rimase inorridita.
Circondato da persone che non facevano caso a lui, il ragazzo era stato anche lui raggiunto da un appartenente ad un’altra Casa. Una ragazza di Grifondoro, per la precisione. Rose Weasley, per la precisione.
Ma quello che fece cadere fragorosamente il calice di succo di zucca dalla mano di Drilla fu il loro abbraccio. Erano avvinghiati talmente stretti che risultava difficile distinguere un corpo dall’altro. I loro volti erano schiacciati uno contro l’altro, gli occhi chiusi, completamente dimentichi del resto, avvinti in un bacio appassionato.
“Drilla?”, fece una voce che la parte razionale di Drilla ancora sveglia riconobbe come quella di Al. “Drilla, che hai?”
Drilla non rispose. Fissò la scena come se fosse ancorata al pavimento, paralizzata, senza riuscire a muoversi. Poi li vide staccarsi e Tristan voltarsi verso di lei. E il sorriso complice e vagamente imbarazzato che le fece mentre teneva un’altra ragazza sulle ginocchia -una ragazza che non era lei, che non era Drilla!- fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Senza una parola, Drilla si voltò e si lanciò tra la ressa di studenti intenti a festeggiare; si fece strada tra loro spintonando via qualcuno, senza badare alle proteste, e riuscì a raggiungere finalmente il portone d’ingresso della sala e raggiungere la Sala d’Ingresso, vuota tranne pochi studenti che gironzolavano nullafacenti lì intorno.
Drilla aveva il fiato corto. Si fermò, ansimò, e si accorse di due persone, alla sua destra, poco lontano; cercò di metterle a fuoco. Due studenti, ragazzo e ragazza, che si baciavano esattamente come avevano fatto Tristan e Rose Weasley poco prima al tavolo di Corvonero. Drilla si concentrò meglio e riconobbe il ragazzo come David Steeval. L’altra, invece, somigliava a una delle tante ragazzine di Grifondoro che gli andavano dietro, forse una del quarto anno.
Drilla li osservò impassibile staccarsi, poi David si voltò e la vide. Stava già per sorridere e lanciarle un insulto quando vide la sua espressione sconvolta. Il sorriso gli scivolò dalle labbra e si accigliò.
“Ehi, Pulcino, che ti prende?”, domandò perplesso lasciando la ragazza e avvicinandosi a Drilla.
“David...”, protestò la Grifondoro in modo petulante.
David la ignorò e si avvicinò a Drilla. “Sembra che tu abbia visto la strega dell’isola resuscitare. Sicura di star bene?”, chiese nel suo tono canzonatorio.
Drilla non rispose. Guardò lui, poi guardò la ragazza alle sue spalle che, offesa, aveva incrociato le braccia e li guardava irritata.
“Chi è questa, David?”
David si voltò verso la ragazza infastidito. “Che te ne importa? Aspetta un secondo e basta!” Tornò a fissare Drilla e le sventolò una mano davanti agli occhi. “Ehi, mi senti?”
Drilla spostò di nuovo lo sguardo dalla ragazza a lui. Era la stessa, identica scena di prima. La stessa scena con il finale che lei avrebbe desiderato. Tristan che si alzava, lasciava lì Rose Weasley, indifferente, e veniva da lei preoccupato. Ma quello che aveva davanti non era lui. Lui non si era alzato, non aveva lasciato la sua ragazza, non aveva capito dalla sua espressione quanto le stesse facendo male. Quello che aveva davanti, in quel momento, era il suo peggiore nemico, il ragazzo che odiava da quando lo aveva incontrato la prima volta fuori dall'aula di Trasfigurazione il primo anno mentre faceva uno scherzo a Pix.
Era David Steeval, l’idiota, strafottente, dannato David Steeval.
“Insomma, ma stai bene o no?”, sbottò lui.
Drilla non si rese nemmeno conto di quello che fece. Alzò una mano e gli sferrò un pugno dritto alla mascella, facendolo cadere sul pavimento con un labbro sanguinante.
“E SECONDO TE COME DOVREI SENTIRMI, RAZZA DI TROLL RITARDATO CHE NON SEI ALTRO?”
David rimase così sorpreso, che, forse anche stordito dal pugno, non trovò una risposta da darle e rimase semplicemente a terra a fissarla con gli occhi spalancati.
Drilla girò le spalle e marciò fino alla sua stanza nel dormitorio senza badare a una sola delle occhiate che gli studenti le lanciavano perplessi al suo passaggio.
David Steeval era un emerito cretino. E Tristan Vidal era anche peggio. Molto peggio.

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Capitolo 3
*** II. Drilla e Stuart ***


II.
Drilla e Stuart


Drilla afferrò il bicchiere di Burrobirra e lo bevve con foga, come a volerci sciacquare tutti i torti indigesti che le opprimevano lo stomaco.
“Ehi, ehi, calma, non vorrai fartela andare di traverso?”, protestò Stuart allungandosi dall’altra parte del tavolo e afferrandole il boccale per portarglielo via a forza dalle labbra.
“Che importa? Tanto ormai posso anche strozzarmi, non se ne accorgerebbe nessuno!”, sbottò in tutta risposta Drilla strattonando il bicchiere per riappropriarsene e rovesciandone buonà metà del contenuto sul tavolo.
“A me importa”, obbiettò lui.
“Allora strozzati anche tu!”, abbaiò Drilla.
Stuart alzò le sopracciglia in modo esagerato. “Se ti facesse sentire meglio, volentieri, ma dato che non servirà a riportarti tra le braccia Vidal, preferirei rimandare alla prossima volta.”
Drilla fece una smorfia accasciandosi sulla sedia. “Non ci sarà un prossima volta. Ormai è andata.”
Stuart si allarmò di più alla sua reazione sconsolata che a tutti gli sfoghi rabbiosi che gli aveva propinato da quando erano usciti da Hogwarts fino a quando erano entrati ai Tre Manici di Scopa: non era da Drilla lasciarsi abbattere. Si spostò vicino a lei e la scrollò per una spalla.
“Andiamo, non c’è bisogno di prendersela così male solo per un bacio...”
Era la cosa più sbagliata che potesse dire.
Drilla si drizzò improvvisamente, gli occhi che lanciavano lampi. “Solo un bacio?! Solo?!”, strillò isterica.
Alcune teste degli avventori si sollevarono verso di loro. Stuart, infastidito, li fissò uno ad uno finchè non furono tutti costretti ad abbassare lo sguardo imbarazzati. Soddisfatto, tornò a Drilla, che per poco non lo assalì.
“Come fai a dire che quello era solo un bacio?!”
Stuart si fece pensieroso. “Beh, in effetti era un po’ più di un bacio...”, ammise con la massima calma.
“E lo dici in quel tono?!”, fece Drilla, sempre con una vaga nota di isteria nella voce.
Stuart allargò le braccia. “E come vuoi che te lo dica? Inginocchiandomi? Saltando su una gamba sola per tutto il castello? Non cambia niente! Sì, quei due si sono baciati, stanno insieme, e sono più cotti del pollo abbrustolito che abbiamo mangiato oggi a pranzo, ok? Tra l’altro dovrebbero licenziare l’elfo domestico che l’ha preparato, è un incompetente...”
“Cosa centra?! Io sto parlando di Tristan, Tristan! Non di uno stupido pollo.”
“La metafora non sarebbe del tutto fuori luogo”, sogghignò Stuart, poi vide l’espressione di Drilla e si affrettò ad assecondarla. “Ok, ok, scherzavo. Ma, insomma, che vuoi farci? Ormai è successo. Se tu lo avessi baciato prima di Rose Weasley, adesso non saresti qui a fumare di rabbia per loro due.”
“E come avrei potuto farlo?”, ribattè Drilla.
Stuart sorrise. “Beh, sai, quando si bacia qualcuno di solito devi andargli vicino, allungare il collo e...”
“So benissimo come si fa!”, lo interruppe scocciata. “Ma non si può fare! Cioè, non poteva certo andare lì e farlo davanti a tutti. E’ come se gli saltassi addosso...”
Stuart ridacchiò. “Veramente è esattamente la cosa che mi sarei aspettato da te.”
Drilla gli sferrò un pugno così forte nel fianco che Stuart emise un gemito di dolore e si piegò in due, mettendoci diversi minuti a riprendersi.
“Ma sei pazza? Mi hai fatto male!”
Drilla incrociò le braccia senza un minimo di risentimento. “Impara a chiudere la bocca quando devi!”
Stuart si alzò lentamente, ancora chino dal dolore. “Bene, se la metti così me ne vado. E io che ero anche venuto con te per consolarti...”
“No, per favore, resta qui! Mi dispiace, va bene?”, lo bloccò Drilla precipitosamente afferrandogli un lembo della camicia e tirandolo indietro.
Stuart borbottò un po’, poi si lasciò cadere di nuovo sulla sedia vicino alla sua.
“Ti prego, devi aiutarmi! Non so cosa fare!”, implorò lei.
“Mi sembra semplicissimo”, replicò lui massaggiandosi le costole nel punto in cui gliele aveva colpite. “Ti scovi qualcun altro a cui sbavare dietro. Ehi, no!”, protestò, schivando per un pelo un altro colpo, stavolta diretto alla sua testa.
“Stuart Dunneth, possibile che tu non riesca mai a dire qualcosa di sensato?!”
Stuart scrollò le spalle. “Se volevi qualcuno di comprensivo dovevi chiamare Emily, non me!”
“Non potevo, oggi aveva un appuntamento con Jamie”, disse Drilla amareggiata e invidiosa.
“Beh, io non me ne intendo di queste faccende. Perchè non chiami Al? Magari lui sa darti un consiglio.”
Drilla fece una smorfia. “Figuriamoci! Al che se ne intende di questioni di cuore. Ma quando mai?”
“Perchè, io invece ti sembro uno che se ne intende?”
“No, ma tu sei mio amico.”
“Anche Al è tuo amico” rispose lui con logica inoppugnabile.
Drilla sbuffò. “Sei davvero pesante, Stuart.”
Appoggiò la testa ad una mano e fece scorrere lo sguardo assente intorno alla sala che li circondava. C’erano parecchi studenti di Hogwarts, maschi e femmine. Queste ultime, anzi, erano più concentrate nelle loro vicinanze, e ogni tanto lanciavano a Drilla delle occhiatacce.
“Il tuo fan club si è riunito qui accanto”, disse con voce monotona.
Stuart sollevò gli occhi e notò anche lui il gruppetto di ragazze ridacchianti, che distolsero lo sguardo non appena lui fissò su di loro il suo. Sbuffò sonoramente.
“Che pollaio”, fu il suo unico, sintetico commento.
Drilla ridacchiò e studiò le ragazze. “Una è molto carina. Credo che sia del quarto anno. Ha i capelli scuri.”
“Mi piacciono le bionde”, disse subito Stuart.
“Quella accanto a lei è bionda. Credo sia sua compagna di classe.”
Stuart non alzò nemmeno lo sguardo. “Non mi piace.”
“Ma se non l’hai neanche vista!”
“Non importa, non mi piace. Detesto i branchi di pecore.”
Drilla sorrise e sospirò. “Ma perchè non mi sono innamorata di te, Stuart? Almeno sarebbe stato tutto più facile.”
Stuart scattò, allarmato. “Ehm... cosa stai cercando di dirmi?”
Drilla ridacchiò. “Niente! Era solo così per dire.”
Stuart tirò un sospiro di sollievo. “Grazie al cielo.”
Lei si depresse di nuovo. “Faccio così schifo?”
“Ma certo che no! E’ solo che non sei bionda”, ribattè prontamente lui.
Drilla rise.
“Allora una risata te l’ho strappata alla fine, eh?”, osservò Stuart soddisfatto. “Festeggiamo il ritrovato sorriso?”
Drilla annuì. “Burrobirra?”
“Aggiudicata.”
Mentre Stuart si alzava a andava a ordinare un altro giro, Drilla appoggiò la testa sulle braccia incrociate e fissò un punto indeterminato del pub, assente. O, almeno, lo fu finchè non si accorse di una ventata fredda che le passò sulla schiena, facendola rabbrividire, e si voltò verso la porta infastidita. E li vide di nuovo.
Oh, no!, fu tutto quello che il suo cervello riuscì a elaborare.
Tristan e Rose Weasley, mano nella mano, erano appena entrati nel pub, e cercavano un posto dove sedersi; fatica inutile: tutti i tavoli erano occupati, e anche quasi tutte le sedie. Le uniche due vuote in vista erano quella al tavolo di Drilla. E, disgraziatamente, se ne accorsero entrambi.
Tristan fece un sorriso, alzò la mano in segno di saluto e cominciò a guidare Rose attraverso la calca nella sua direzione.
Drilla andò nel panico. Non voleva parlare con lui, non voleva nemmeno vederlo. Sapeva che se lui e Rose si fossero seduti lì e avessero cominciato a scambiarsi effusioni avrebbe perso il controllo. E, lo sapeva benissimo, quando lei perdeva il controllo lo perdeva sul serio. E quel sul serio volevano dire guai per tutti.
Tristan e Rose non si erano accorti della sua faccia distorta dal panico. Drilla si guardò attorno per cercare una via di fuga, qualsiasi via di fuga, finchè non vide Stuart tornare con la Burrobirra.
“Ecco qui la tua... Che succede?”, chiese, vedendo la sua faccia sconvolta.
Drilla, senza ragionare, lo afferrò per il bavero del mantello della divisa e lo trascinò accanto a sè, sussurrandogli nell’orecchio: “Stanno venendo da questa parte!”
Stuart volse il capo attorno e individuò la fonte del turbamento di Drilla.
“Be', ovvio, questi sono gli unici posti liberi.”
“Ti prego, ti prego, non farli venire qui!”, lo pregò isterica.
“Non posso mica cacciarli via. Se vuoi ce ne andiamo...”
“Con le due Burrobirre piene? Si accorgeranno subito che non vogliamo stare con loro!”
“Ma noi infatti non vogliamo stare con loro.”
“Ti prego, Stuart, inventati qualcosa!”
“Non so come si tiene lontana la gente senza scacciarla e senza ricorrere a un incantesimo... Non se ne parla neanche!”, aggiunse, vedendo Drilla illuminarsi alla parola incantesimo.
“Ma ne conoscerai qualcuno...”
“Nessuno per questa circostanza...”, replicò lui ostinato scuotendo il capo.
“Ma...”
“Nessuno, Drilla!” ribadì lui. “Rassegnati e sorridi. Speriamo solo di non dover scappare dalle loro effusioni prima di finire la Burrobirra.”
Drilla ebbe un'illuminazione. Scappare dalle loro effusioni...
“Stuart”, lo interpellò rapida, i due innamorati ormai vicini.
“Che c'è? Non dirmi che hai avuto un'idea: non mi piace quando hai quello sguardo.”
“Sì”, annuì lei. “Ma mi devi giurare che non ti muoverai di un millimetro finchè non te lo permetterò.”
Stuart alzò le sopracciglia. “Cosa...?”
“Prometti, svelto, sono già troppo vicini!”, lo pregò lei.
“Okay, promesso. Però...”, si interruppe perchè in quel momento capì. Ovvio, era un Corvonero, aveva il cervello fine. Ma era comunque troppo tardi: Drilla gli passò le mani attornò al collo e lo baciò svelta.
Stuart si immobilizzò come sotto un Petrificus Totalus e Drilla non capì se perchè era sorpreso o perchè aveva promesso, ma non importava: l’importante era che sopportasse finchè Tristan e Rose non se ne fossero andati. Perchè dovevano andarsene, vero? Drilla pregò con tutto il cuore di sì. Non riuscì a vederli, ma Stuart era voltato dalla loro parte e dopo qualche istante che parve interminabile la spinse via con decisione.
“Se ne sono andati”, la informò piatto.
Drilla si voltò indietro di sfuggita e vide che aveva ragione. Erano scomparsi, probabilmente alla ricerca di un altro posto meno imbarazzante per loro. Tirò un sospiro di sollievo, e si voltò vero Stuart: l’amico era rosso in volto come mai l’aveva visto, ma non per il caldo. Sembrava furioso.
“Sai che cos’hai appena fatto?”, sibilò piano.
Drilla si morse il labbro. “Mi dispiace, non volevo, però... però è stata un'idea geniale!”
“Geniale un corno!” esclamò lui.
Bevve il suo boccale tutto d’un fiato, lanciò sul tavolo alcune monete e, alzandosi, si diresse all'uscita a grandi passi. Drilla lo seguì: all’esterno pioveva, ma nessuno dei due ci fece molto caso.
“Sai che stasera lo saprà tutta la scuola?”, disse Stuart ad alta voce, furente.
Drilla si stizzì dal suo tono aggressivo. “E allora? Che importa? Non sono affari loro, no?”
Stuart la guardò con occhi fiammeggianti. “Ma possibile che tu non ti renda conto? Tutti penseranno che stiamo insieme, e si aspetteranno chissà che cosa!”
Lei si strinse nelle spalle. “Che importa? Anzi, non è una buona idea? Potrebbe servire” e gli occhi le si illuminarono, “a far ingelosire Tristan! Oh, perché non ci ho pensato prima? Perché no? Non è una buona idea?”
Stuart ammutolì, poi aprì la bocca per parlare, si fermò di nuovo, come cercando di trattenere la rabbia e riordinare i pensieri, poi disse: “Perchè no? Perché tutti penseranno che l’hai fatto per consolarti da Tristan. E io non voglio essere la consolazione di nessuno!”
Drilla boccheggiò: a questo non aveva pensato. Poi, però, dopo un attimo di riflessione, scrollò le spalle. “Ma che importa, se poi riuscissi nel mio intento? Voglio dire, tu e io sappiamo che non è così. A chi interessa quello che pensano gli altri?”
“A me, Drilla! Nel caso in cui non te ne fossi accorta, ho sempre cercato di rimanere fuori di guai. Detesto essere al centro dell’attenzione. E tu sei riuscita ad annullare tutti i miei sforzi in trenta secondi netti. Complimenti!”, le disse a denti stretti.
Poi si gettò la sciarpa sulle spalle e si inoltrò sotto la pioggia torrenziale, lasciandola lì, sola e sconvolta.
E per la seconda volta in tre giorni la sua vita sembrava aver fatto una capriola atterrando malamente. Ma perchè doveva succedere proprio a lei? Chiuse gli occhi. Che stupida! Stava davvero rischiando di rovinare la sua amicizia con Stuart solo per una stupidaggine simile? Per colpa di Rose Weasley?
Si riscosse e si gettò all'inseguimento dell'amico.
"Stuart!"
Il ragazzo proseguì imperterrito per la sua strada, diretto al castello.
"Stuart, mi dispiace, davvero! Non avrei dovuto! Perdonami!"
Stuart rimase zitto e continuò a camminare senza guardarla.
"Stuart, dimmi qualcosa!"
Silenzio.
"Dimmi qualcosa o ti bacio di nuovo!", lo minacciò Drilla ricorrendo all'ultima risorsa che aveva.
Stuart si fermò, si voltò a guardarla esterrefatto, poi scoppiò a ridere. "Sei proprio una stupida!"
"Senti chi parla", borbottò Drilla. "Allora? Mi perdoni?"
Stuart sospirò. "Ma certo! Solo che mi scoccia dover subire i commenti di tutta la scuola. Che ci saranno, Drilla: c'era metà Hogwarts ai Tre Manici di Scopa."
Drilla inarcò le sopracciglia. "Ma perché ti interessa tanto cosa pensano gli altri...? Aspetta!" Il suo viso si illuminò. "Non dirmi che c'è qualcuno che ti piace?! È così? Per quello non ti piace la mia idea di ingelosire Tristan con te?"
"Ma neanche per sogno!" Sbottò lui. "Non è per quello. Vedi, Drilla..." Si interruppe di nuovo e si passò una mano sul mento, esasperato.
Drilla cercò di assumere l'aria più afflitta che poteva. "Ti prego, non essere arrabbiato con me. Se avessi saputo che ti avrebbe seccato tanto non l'avrei fatto, giuro."
Stuart sospirò, si scompigliò i capelli fradici, come riflettendo, poi tornò a guardare Drilla e il suo viso sembrò un po' più rasserenato. "E va bene. Okay, Drilla, senti: dato che il danno ormai è fatto..."
"Quale danno?"
Stuart fece una smorfia. "Dato che ormai mi hai baciato davanti a mezza scuola."
"Ah!", fece Drilla e abbassò lo sguardo dispiaciuta.
"Beh, sì, e dato che tanto le voci gireranno lo stesso... va bene. Nel senso, facciamo come vuoi tu: possiamo... stare insieme. Intendo per finta!", aggiunse rapido alla sua espressione sbalordita. "Non so se funzionerà con Tristan, ma piuttosto che alimentare i pettegolezzi di tutta la scuola baciandoci e poi passando sei mesi a spiegare che non era nulla meglio far finta sul serio. Se fingiamo che non ci sia nulla di segreto le dicerie smetteranno più in fretta."
Drilla rimase qualche attimo attonita, per assimilare tutto. "Tu faresti davvero finta di... Oh, Stuart, ti adoro!" Lo abbracciò di slancio.
"Vacci piano. Ho detto per finta."
Drilla sorrise e lo mollò. Stuart ridacchiò. "E poi sarà divertente vedere le facce che farà il pollaio!"
Drilla gli lanciò un'occhiata arguta. "Ah, ecco perchè lo fai: doveva esserci un secondo fine. Vuoi liberarti del tuo fan club, vero?"
Stuart storse la bocca. "Un ragazzo impegnato non è più tormentato come uno libero: almeno in biblioteca potrò studiare senza che mi chiedano di raccogliere loro la penna, aiutarle a trovare un libro che non esiste tra gli scaffali e altre stupidaggini."
"Che calcolatore!", lo prese in giro lei.
"Che approfittatrice!", la rimbeccò lui allegramente.

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Capitolo 4
*** III. La scommessa ***


III.
La scommessa


Drilla e Stuart non fecero in tempo a varcare la soglia della Sala Grande, quella sera, che la notizia si era sparsa rapidissima. Non fu una sorpresa, quindi, che il loro ingresso, fianco a fianco, fosse accolto da mormorii eccitati e curiosi e decine di volti si voltarono a fissarli dai rispettivi tavoli.
Stuart si bloccò un attimo sulla soglia, riluttante, poi aprì il volto in un sorrisetto astuto e prese Drilla per mano trascinandola fino al tavolo di Corvonero. Lei lo lasciò fare.
Avrebbe fuzionato?
Cercò Tristan con lo sguardo lungo la tavolata, e lo individuò solo dopo un'attenta perlustrazione; il ragazzo non stava guardando dalla sua parte; anzi, era immerso in una fitta conversazione con un suo compagno di classe. Drilla si morse il labbro: primo tentativo fallito.
“Ciao”, disse Stuart noncurante, sedendosi di fianco a Emily.
Quest'ultima attese che anche Drilla si sedesse prima di parlare. “Che cos’è successo?”, chiese subito, nervosa. “Parlano tutti di voi!
“Davvero? E che dicono?”, chiese Stuart curioso.
Emily arrossì. “Sciocchezze! Non credo a una sola parola dei pettegolezzi che girano. Però voi dovete avere combinato qualcosa per finire al centro dell’attenzione.”
Stuart fece una smorfia infastidita. “Sì, in effetti qualcosa abbiamo combinato”, ammise a bassa voce, perchè gli altri non sentissero. “E suppongo che sia esattamente quello di cui parlano tutti.”
Emily aprì la bocca, passò lo sguardo da lui a Drilla e viceversa, confusa, poi deglutì. “Vi... vi siete davvero...”
“Baciati? Sì”, concluse Stuart per lei. “Ma è stata una finta.”
Emily continuava a non capire. “Come sarebbe a dire una finta? Come si fa a baciarsi per finta?”
“Ssst!”, le ingiunse Drilla nervosa, guardandosi attorno.
Emily si zittì subito e aspettò che le spiegasse.
Drilla sospirò. “L’ho costretto io, era l’unico modo che avevo per non far sedere Tristan al nostro tavolo insieme a quella Weasley.”
“Ah!”, fece Emily, cominciando a capire.
Stuart aveva un’espressione leggermente disgustata. “Non è stato divertente.”
“Neanche per me”, lo rassicurò Drilla con determinazione. “Ma ormai è fatta.”
Emily, però, sembrava ancora dubbiosa. “Però...”, disse lentamente. “Però ora pensano tutti che voi stiate insieme.”
Stuart sogghignò. “L’intento era quello.”
Emily rimase scandalizzata. “Cosa? E perchè?”
“Ci siamo messi d’accordo per fare ingelosire Vidal” spiegò Stuart laconico. 
Emily spalancò gli occhi. “Non dirai sul serio?! Drilla...” si voltò verso di lei, indignata.
“Sì, è vero”, confessò lei a bassa voce.
“Ma non puoi farlo! Insomma, non è corretto! E poi... già, e poi come puoi essere sicura che funzioni? Pensa se invece Tristan sarà felice per te! Ti rendi conto di quanto sia sbagliato?”
“Non mi interessa, voglio provare!”, ribattè Drilla testarda.
Emily non poté obbiettare altro perchè in quel momento Jamie, alzatosi dal tavolo di Grifondoro, arrivò alle loro spalle. Drilla supplicò con uno sguardo Emily di non dire nulla, e lei annuì, sebbene non molto convinta.
“Ehi, voi due, complimenti e felicitazioni!”, sogghignò Jamie mentre cingeva le spalle di Emily con un abbraccio.
“Jamie...”, cercò di protestare a bassa voce lei, ma Jamie la ignorò.
Stuart sorrise. “Cos’è, Jamie, credevi di avere l’esclusiva? Ti dà fastidio che tu ed Emily non siate più la coppia del secolo?”
Jamie continuò a sghignazzare senza mollare Emily. “No, ma mi hanno detto che ci avete dato dentro.”
Drilla fece per dargli una risposta mordace, ma Stuart la trattenne con una morsa micidiale a un braccio e rispose a Jamie: “Be', spero che chi te l'abbia detto si sia anche goduto lo spettacolo, dato che a quanto pare se l'è voluto guardare tutto.” Con un cenno impercettibile, indicò a Drilla Tristan, dall’altra parte del tavolo, che finalmente aveva alzato lo sguardo dal suo amico e ora l’aveva puntato su di loro. Drilla capì al volo e rimase tranquilla accanto a Stuart, neanche fosse stata la ragazza più docile e remissiva del mondo.
Jamie scrollò le spalle. “Suppongo di sì. Comunque non so come facciate voi due a esservi messi insieme, è la cosa meno plausibile dell'universo. Be', a parte che Drilla si metta con David, magari”, sogghignò.
“Nemmeno morta!”, esclamò Drilla violentemente.
Jamie battè le palpebre, perplesso. “Ehi, calma, non ho detto niente. Era solo una battuta. E poi adesso stai con lui, no?”
Drilla scrollò le spalle. “Già.”
Jamie non fu l’unico dubbioso sulla loro -finta- unione. Il giorno dopo, ovunque andassero, erano seguiti da un codazzo di mormorii fastidiosissimi. Compagni di scuola, ragazze invidiose, perfetti sconosciuti... sembrava che i corridoi di Hogwarts si fossero trasformati in un una snervante passerella dove sfilare al fianco di Stuart sotto i riflettori e gli sguardi della marea di studenti che li popolavano.
Drilla era tanto nervosa e irascibile che ad un certo punto perse la pazienza e si voltò di scatto verso un gruppetto di ragazzine di seconda.
“Allora? Mai visto due esseri umani di sesso maschile e femminile camminare fianco a fianco? Sparite, gallinelle!”
Le ragazzine fuggirono via terrorizzate. Drilla poteva essere molto feroce, quando voleva.
“Non era il caso di spaventarle”, disse Stuart calmo.
“Parla per te!”, abbaiò di rimando Drilla, mentre svoltavano un angolo del cortile della scuola. Era l’ora della pausa tra le lezioni del mattino, e c’erano diversi studenti che passeggiavano sotto il cielo plumbeo. L’aria odorava di pioggia.
“Sarà meglio che vada, ho lezione di Aritmanzia e l’aula è dall’altra parte del castello”, disse Stuart. “E Quebec ha giurato che chiunque arrivi in ritardo sarà punito con un turno doppio ai bagni dell’infermeria.”
Fece per allontanarsi poi, come ripensandoci, si avvicinò a Drilla e le posò un bacio rapido sulla guancia. “Giusto perché sia credibile”, le sussurrò ridendo, come leggendole nel pensiero, e se ne andò tranquillo.
Drilla metà stupita e metà compiaciuta, lo guardò allontanarsi quando una sgradevole, anzi, sgradevolissima voce la apostrofò alle sue spalle.
“Ehi, Pulcino!”
Drilla estrasse rapida la bacchetta e si voltò inferocita. “Chiamami ancora così, Steeval, e davvero te ne ingoierai cento!”
David, impassibile, la raggiunse a passo svelto, la faccia aperta in un sorriso a trentadue denti. “Okay, Drilla, ma per me Pulcino è un nome meno ridicolo... Ehi!” L’ultimo grido era rivolto alla fattura che gli aveva lanciato e che aveva evitato per un soffio.
“Dimmi che vuoi, Steeval, e poi sparisci dalla mia vista!”
David ridacchiò. “Sempre nervosa, eh? Eppure dovresti essere più rilassata ora che hai il ragazzo.”
Drilla non abbassò la guardia. “Lascia stare Stuart e dimmi che vuoi!”
Il sorriso di David, se possibile, si allargò ancora di più. “Ah, Stuart. Credi che io me la beva? Non ho capito a che gioco stia giocando lui, ma quanto a te, non ingelosirà Tristan, se è per questo che lo fai.”
Drilla impallidì di rabbia. “Di grazia” disse a denti stretti “Da che cosa hai tratto la brillante conclusione che io e Stuart dobbiamo stare insieme solo per un secondo fine?”
David scosse il capo. “Ma perché è logico, no? L'unico su cui tu abbia mai posato i tuoi miopi occhi da racchia è quel pesce lesso di Vidal. E quanto a Stuart, 
ha un mucchio di belle ragazze intorno; perchè dovrebbe stare con te?”
Drilla si infuriò. “Cioè, io non sarei bella?”
David fece una faccia strana, le labbra che tremavano, come se si stesse trattenendo a malapena dal ridere. “Be', tu... non direi...”
Drilla non si era mai sentita così offesa e umiliata in vita sua. “Tu... tu non immagini nemmeno...”
“Cosa, hai qualche risorsa nascosta? Se ti bacio diventi una principessa? Quello vale per i rospi, però forse magari anche tu, data la somiglianza...”
Drilla gli gettò addosso tutte le fatture che conosceva con un tale furore da colpire una delle armature ai lati del corriodoio, che scappò via terrorizzata e ululante. David riuscì a evitarne la maggior parte e a parare le altre con un Sortilegio Scudo.
“Accidenti, quanto sei permalosa! Non ti si può nemmeno prendere un po’ in giro!”
“PASSI IL TUO TEMPO A NON FARE ALTRO CHE QUELLO!”, replicò Drilla isterica.
David si chinò per evitare un’altra fattura. “Okay, non lo farò più, ma è inutile che distruggi tutto il castello, sai?”
Drilla si guardò intorno: in effetti tutti i personaggi dei quadri erano scomparsi, fuggiti via terrorizzati dal poter essere colpiti.
“Ti odio, Steeval!”
Lui sorrise. “L’avevo capito.”
“E non sono affari tuoi con chi sto!”
“Se il disgraziato è mio amico sì.”
Drilla si morse a sangue la lingua per trattenersi dall’urlargli addosso tutti gli insulti che conosceva. “Guarda che io sono molto meglio di qualsiasi oca venga dietro a te o a lui!”
David continuò a ridere divertito. “Figurati! Sei scorbutica, acida come un solvente di Nonna Acetosella e nemmeno una gran bellezza! Stuart si meriterebbe di meglio. Non so nemmeno come ha fatto a baciarti.” Storse il naso in una palese espressione di schifo.
Drilla avvampò. “COME TI PERMETTI?!”
David si divertiva sempre di più. “Mi permetto cosa? Di dire la verità? Costruisciti pure i tuoi castelli mentali, tanto non vali niente e Stuart si stancherà presto di consolarti. Sono pronto a scommettere che si è messo con te per pena.”
Drilla si rizzò in tutta la sua scarsa statura. “Io non ho bisogno della pena di nessuno, anzi! I ragazzi fanno al fila per stare con me!”
David fece una smorfia. “Solo i più idioti, quelli che sono stati respinti da tutte le altre femmine della scuola.”
Drilla stritolò la bacchetta che aveva in mano. “Ah sì? E allora, dato che tu sei pronto a scommettere che Stuart lo fa per pena, io sono pronta a scommettere che non è così. Anzi, scommetto che tu, maledetta Pluffa gonfiata che non sei altro, mi striscerai ai piedi in men che non si dica!
Lui scoppiò a ridere. “Io? Non ci penso neanche! Piuttosto preferisco finire in pasto alle Acromantule!”
“Bene. Prima della fine dell'anno sarai ai miei piedi, signor Nessuna-è-troppo-bella-per-me”, disse Drilla decisa.
David la guardò stranito. “Stai scommettendo sul serio? Ma perchè diavolo dovrebbe fregartene di far innamorare me di te? Non che tu abbia speranze, intendiamoci, ho a disposizione ragazze molto meno racchie di te.”
Drilla ebbe un fremito ma non rispose alla provocazione. Anzi, sorrise. “Per dimostrarti di quanto sbagli, David Steeval. Così abbasserai un po’ quella tua cresta da gallo nel pollaio.”
“Ti piacerebbe!”, replicò lui con un ghigno.
“Se sei così sicuro di te perchè non accetti, allora?”
“D’accordo”, rispose lui. “Così anche Stuart si accorgerà con che razza di oca si è messo.”
“Stuart sa che tanto di te non me ne frega niente”, ribattè Drilla calma.
David si accigliò, perdendo il suo inalterabile, arrogante buon umore per un istante. “Sei peggio di quanto mi fossi aspettato, cornacchia. Be', buona fortuna, anche se nemmeno con una Felix Felicis potresti riuscire nel tuo intento.”
“Altrettanto”, rispose lei, voltandosi e riprendendo la strada per l’aula della sua lezione. Tu avrai bisogno di molto più di una pozione per sfuggirmi.


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Sì, sì, lo so, è banale e scontato ma al tempo in cui scrissi questa storia non avevo la (poca) saggezza che ho accumulato finora e non posso nemmeno cambiare gli eventi perché stravolgerei tutta la trama.
Quindi vi prego di godervela così com'è, luoghi comuni compresi e di godervi le avventure di Drilla, perché anche se la base di partenza è scontata, vi assicuro che passerà parecchi incidenti inaspettati.
Intanto che ne dite di lasciarmi una recensione piccina picciò per farmi sapere cosa ne pensate finora?
A presto, con affetto
Mue

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Capitolo 5
*** IV. Un invito spettrale ***


IV.
Un invito spettrale


 

Drilla aveva fatto una scommessa. E quando Drilla scommetteva, e scommetteva forte come in quel caso, sarebbe stata pronta a tutto pur di averla vinta. E per tutto si intendeva proprio tutto, senza limiti morali o materiali di sorta.
Per questo motivo quando Emily venne a sapere della cosa dall’amica, la mattina dopo durante Cura delle Creature Magiche, non accolse molto bene la novità.
“Ma sei pazza?!”, fu il primo commento che le uscì di bocca quando Drilla ebbe finito di spiegarle la situazione. “Prima ti metti per finta con Stuart e ora questo! Drilla, tu non ti rendi conto in quale situazione ti stai mettendo!”
“Certo che lo so. Mi sto mettendo nella situazione di una che farà finalmente vedere i sorci verdi a quel galletto di Steeval!”, replicò incurante lei infilando i guanti di gomma magica che il professor Weasley aveva distribuito tra gli studenti.
Emily scosse la testa. “Tu ti stai mettendo nella situazione di finire in un mucchio di guai. Grossi guai.”
“Figurati! Non lo verrà mai a sapere nessuno. Anche Steeval è convinto che io stia insieme a Stuart per davvero, e dato che lui è un suo amico terrà la bocca chiusa perché avrà paura di ferirlo.”
Emily corrugò le sopracciglia, pensierosa. “Ma se Stuart gli dicesse la verità? E’ vero, è suo amico, quindi chi ti dice che non gli racconterà della vostra finta?”
Drilla spalancò gli occhi dallo stupore. “Non lo farebbe mai! Non può tradirmi così!”
“No, però non lo sa ancora, no? E chi ti dice che non glielo dica o non gliel’abbia già detto dopo il vostro incontro di ieri?”
Drilla rabbrividì pensando a quanto sarebbe stata umiliante per lei quella prospettiva. “Glielo dirò subito”, stabilì voltandosi verso l’amico che, poco distante, stava facendo coppia con Lorcan.
Ma il professor Weasley intercettò lei ed Emily prima che potesse fare anche un solo passo. “Hale, Cook, volete cominciare voi?”
Drilla si spremette le meningi per una scappatoia. “Ehm... professore, non sarebbe meglio che cominciassero Emily e Stuart per primi, dato che sono i più bravi? Così possono darci l’esempio.”
Emily le lanciò un’occhiata di disapprovazione, ma non osò lamentarsi davanti al professore, che annuì risaputo.
“Sì, in effetti hai ragione. Dunneth?”
Stuart, perplesso, guardò Drilla senza capire a che scopo avesse compiuto quella manovra, e lei, per tutta risposta, sussurrò ad Emily: “Diglielo tu, okay?”
Emily scrollò le spalle annuendo.
“Bene, allora tu, Cook, vai ad unirti al signor Scamandro”, disse Weasley allegro.
Drilla obbedì strascicando i piedi verso Lorcan, che aspettava accanto alla staccionata della capanna del guardiacaccia con la sua figura allampanata e gli occhi sporgenti.
“Ciao, Drusilla”, la salutò cordiale.
Drilla strinse i denti. Gli aveva ripetuto qualcosa come quattrocentonovantotto volte che voleva essere chiamata Drilla, ma lui si ostinava con il suo nome completo. Non poteva nemmeno accusarlo di farlo apposta, perchè con quegli occhi azzurri e i capelli biondi Lorcan sembrava un angelo innocente e totalmente fuori dal mondo. E lo era sul serio, fuori dal mondo, immerso in uno tutto suo.
“Ciao, Lorcan.”
“Come mai hai chiesto al professore di far stare Stuart con Emily? Non vuoi stare tu con lui? Avete litigato?”, chiese in tono vago.
Drilla, stupita da quel ragionamento assolutamente inoppugnabile, guardò allarmata gli altri. In effetti qualcuno guardava incuriosito o perplesso da lei a Stuart e viceversa, ma la maggior parte sonnecchiava come sempre.
“No, no abbiamo litigato, ma Emily doveva dirgli una cosa”, spiegò Drilla rapida.
“Davvero? Ah, be’, sono felice di stare in coppia con te. Mi sei molto simpatica”, affermò con un sorriso disarmante Lorcan.
Drilla sospirò e non rispose. Che cosa avrebbe potuto ribattere? Si consolò vedendo che, mentre il professore armeggiava con delle strane, grosse scatole di gomma, Stuart ed Emily parlottavano tra loro.
Alla fine Weasley li richiamò tutti più vicino, e reclamò Emily e Stuart accanto a sè. I Corvonero facevano sempre la compresenza di Cura delle Creature Magiche con quelli di Serpeverde quell’anno, e nonostante di solito andassero d’amore e d’accordo, c’erano comunque parecchi di loro di cui Drilla non sopportava nemmeno il vago sentore di serpi viscide. Per la precisione questi elementi erano costituiti da due delle ragazze più sciocche ed egocentriche che Drilla avesse mai visto: Electra Zabini e la sua collega, tale Zafira Montague.
E, purtroppo, le due smorfiose in questione capitarono proprio accanto a lei e Lorcan, e presero subito a ridacchiare e a lanciare occhiate sprezzanti al povero Lorcan. La calma di Drilla cominciò a venir meno all’istante. D’accordo: che Lorcan fosse abbastanza fuori di testa lo sapeva anche lei, ma non c’era bisogno di tutto quel sarcasmo nemmeno poco velato.
“Oggi studieremo gli Istrilici. Creature elettriche”, spiegò Weasley infilando una mano nella scatola ed estraendola con le dita strette attorno a una strana creatura simile a un riccio ricoperto di pelo morbido che vibrava ed emetteva scintille.
Le ragazze fecero un “oooh” di ammirazione.
Weasley sorrise. “Sì, sembrano teneri, vero? Ma il loro pelo emette cariche che potrebbero essere paragonate ai più potenti Shockantesimi esistenti. Se non si proteggono adeguatamente le mani, toccarli potrebbe essere addirittura fatale per le vostre funzionalità cerebrali.”
Un mormorio percorse la classe, e le ragazze che avevano espresso con versetti incantati il loro apprezzamento chiusero la bocca e si fecero serie.
“Ora voglio che ogni coppia prenda un Istrilice dalla scatola e gli dia da mangiare. Gli Istrilici si nutrono di elettricità e infestano tantissime case di Babbani creando black-out; quando non trovano fonti di energia elettrica si accontentano anche di lucciole. In quell’angolo ce ne dovrebbe essere una quantità sufficiente.” Indicò un’altra scatola, stavolta di cartone, e allungando il collo Drilla poté vedere che rigurgitava di piccoli insetti dall’addome rigonfio. “Cominciate. E se non sapete come fare guardate prima me, Dunneth e Hale.”
Lorcan non sembrava per nulla intenzionato a seguire quest’ultimo consiglio e fu il primo a prendere dalle scatole il suo animaletto peloso da ingozzare di cibo. Raggiunse Drilla con un sorriso e con l’Istrilice ben saldo in una mano.
“Ehm, non dovremmo aspettare di vedere come fanno Stuart ed Emily?”, obiettò Drilla preoccupata.
“Non serve, a casa ho uno di questi e so come trattarli”, disse lui allegro.
“Pensavo che a casa tua avessi un allevamento di cavalli alati.”
“Oh, sì, ma anche un Istrilice. A mia madre piacevano tanto, così papà ne ha preso uno e lo ha addomesticato”, rispose lui in tono assente.
Drilla fece per chiedergli quanti animali effettivamente avesse, ma poi rinunciò. D’altronde era risaputo che i genitori di Lorcan erano due tipi eccentrici e amanti degli animali. Si inginocchiò e rimase a guardare mentre faceva tutto lui, e dovette ammettere che con gli animali ci sapeva davvero fare. Porgeva le lucciole all’Istrilice che, dopo i primi momenti di diffidenza, aveva preso allegramente ad abbuffarsi.
Un urletto lì accanto le fece girare un attimo la testa, e vide che le due smorfiose di Serpeverde stavano cercando di nutrire a forza il loro esemplare, che invece cercava in tutti i modi di fuggire dalle mani di Zafira.
“Non dovete trattarlo così, non vedete che è spaventato?”, disse Lorcan serio, che si era accorto a sua volta di loro.
Electra lo guardò come se un orrendo e viscido ranocchio di palude le avesse appena rivolto la parola. “Che cosa te ne frega di quello che facciamo, Scamandro?”, ribatté violentemente.
Drilla avvampò di rabbia. “Dovreste ringraziarlo del consiglio invece che rispondere così”, scattò.
Electra puntò gli occhi scuri su di lei e sul suo volto si allargò un sorriso sgradevole. “Ma guarda, ora ti metti anche a difendere un cerebroleso come questo. Cos’è, non sei caduta abbastanza in basso mettendoti insieme a un disgustoso Mezzosangue come quel Dunneth e devi anche cominciare a difendere questa feccia?”, disse inviperita, stringendo l’Istrilice che aveva in mano e che emise uno squittio di dolore.
Drilla non ci vide più dalla rabbia: tirò fuori la bacchetta ma, prima che potesse lanciare un incantesimo, una luce blu lampeggiò da di fianco a lei e colpì la mano di Electra, che mollò all’istante l’Istrilice. Prima che Drilla potesse capire quello che era successo, il pelo dell’animaletto scintillò e una scarica elettrica partì da esso e colpì come un ventaglio vibrante tutto ciò che gli stava intorno. Electra compresa.
Il lampo durò un solo istante, ma bastò: un istante dopo la Serpeverde era completamente bruciacchiata, i capelli scomposti e il viso completamente sconvolto.
Drilla, sbalordita, si voltò e vide Lorcan in piedi accanto a lei con la bacchetta in mano, ancora vibrante per l’incantesimo lanciato. Il ragazzo, per una volta nella vita, aveva perso la sua espressione sognante e, accigliato, fissava Electra.
“Non bisogna fare del male a degli animali indifesi”, annunciò solenne.
“Che sta succedendo?”
La voce del professor Weasley li fece sobbalzare.
L’uomo si avvicinò, vide Lorcan e Drilla con la bacchetta, vide Electra completamente sconvolta e annerita, e si accigliò. “Cosa avete fatto?”, chiese ai primi due.
“Professore, Scamandro e Cook hanno fatto sfuggire di mano l’Istrilice a Electra e per colpa loro lei si è presa una scossa”, piagnucolò Zafira.
Weasley guardò Electra, che con la sua espressione vuota sembrava completamente andata, e scosse la testa. “Portala in infermeria, Montague. Non essere stupida, hai i guanti, non ti farai niente”, aggiunse, vedendo che la ragazza esitava a toccare l'amica bruciacchiata e ancora attraversata da qualche debole scarica.
Zafira si convinse e obbedì. Weasley, allora, passò a Lorcan e Drilla, che avevano abbassato la bacchetta. Il ragazzo aveva riacquistato l’espressione svagata di sempre.
“E’ vero quello che ha detto Montague?”, chiese calmo il professore.
Drilla aprì la bocca per negare, ma Lorcan la precedette. “Sì. Stava maltrattando l’Istrilice”, disse, come se si trattasse di un crimine atroce.
Weasely sembrò doversi sforzare molto per non sorridere. “Davvero? Be’, se le cose stanno così mi dispiace ma dovrò mettere in punizione tutti e due.”
Drilla sospirò. Tanto per cambiare.

Il professor Weasley affidò loro il compito di spolverare uno dei luoghi dei sotterranei che non veniva usato ormai da tempo immemorabile. Non era un compito faticoso, solo estremamente noioso.
Sugli scaffali di alcune mensole erano accatastate vecchie coppe, forse oggetti che erano stati messi lì perché la Sala dei Trofei ormai straboccava troppo di targhe e riconoscimenti.
Rufus Wyman, per Servizi Resi alla Scuola, leggeva pigramente Drilla mentre li spolverava. Richard Burmingham, Campione di Quidditch, 1556, Serpeverde; la foto indicava un ragazzo molto grosso e dall’aria minacciosa; Ellen MacRiven, Encomio Speciale alla Carriera; sotto una faccia segaligna che molto probabilmente apparteneva a qualche Custode; Marion Seidley, Campionessa di Quidditch, 1501, Tassorosso, e sotto c’era il volto di una delle ragazze più smunte che Drilla avesse mai visto.
“Ehi, Drusilla, guarda qui. Questo è un mio avo!”, disse ad un tratto Lorcan, che come lei stava spolverando tutti quei trofei ammuffiti. Le sventolò sotto il naso una targa in argento ormai ossidato che portava incisa la scritta: "Harold Scamandro, Premio ai Servizi Resi alla Scuola, 1506", e, sopra, un individuo alto e allampanato con un pesante volumone tra le mani.
“Mio padre mi ha parlato di lui. Dice che fu il primo a scoprire l’uso medico del sangue dei Grifoni durante le epidemie di Peste di Cerbero”, disse orgogliosamente Lorcan.
Drilla sbuffò. Non poteva fregargliene di meno di tutte quelle persone ormai morte e sepolte. “Quello che vorrei sapere è a cosa serve spolverare tutt... argh!”
Un cascata di freddo polare la trapassò da parte a parte, facendola rabbrividire violentemente.
“Oh, ciao Hector”, salutò cordialmente Lorcan.
Drilla lanciò un’occhiataccia al cavaliere fantasma che le era appena passato attraverso e che guardava prima lei e poi Lorcan con gli occhi vuoti. “Oh, salve, nobili Grifondoro! E’ un onore per me questo incontro”, disse con la voce stentorea.
Hector era il fantasma di un cavaliere che era morto a causa di una brutta mazzata sulla testa ricevuta per sbaglio da un alleato dopo che l’aveva scambiato per un nemico. Nemmeno da morto si era più ripreso, e veniva ormai chiamato da tutti anziché Sir Hector di Valle Ombrosa, semplicemente Hector lo Svampito.
“Noi non siamo Grifondoro”, disse Drilla irritata.
“Ah, quali coraggiosi intenti e nobili cuori si celano nella vostra casata”, proseguì Hector come se non l’avesse sentita.
Drilla sbuffò. Far ragionare lo Svampito era assolutamente impossibile.
“Cosa fai qui di bello, Hector?”, chiese invece Lorcan affabile.
Hector lo fissò per un attimo, come se dovesse riflettere per trovare la risposta a quella domanda, poi il suo viso si illuminò, o meglio, si stese in un’espressione beata e rispose solennemente: “In realtà credevo che fosse oggi la celebrazione per l’anniversario del seicentocinquantesimo anno di nozze tra Eric il Bianco e la Dama delle Segrete, ma, invero, devo essermi sbagliato, indi sarà bene tornare domani.”
“Domani è l’anniversario di nozze tra i due fantasmi delle cantine? Davvero?”, chiese Lorcan interessato. “Dovremmo venire a fare loro gli auguri, non trovi, Drusilla?”
Drilla gli lanciò un’occhiataccia. “Stai scherzando? Ho di meglio da fare che partecipare a un festino di fantasmi!”
Lorcan spalancò gli occhioni innocenti, colpito. “Ma sarebbe educato”, obiettò ragionevole.
“Sarebbe certamente grande onore per noi, spiriti trapassati, avere dei vivi tra noi”, annuì Hector pomposo.
Drilla passò gli occhi da lui a Lorcan, che con la sua espressione angelica sembrava il più indifeso e tenero tra tutti gli esseri viventi. Sospirò. “E va bene, vada per la festa dei fantasmi.”



Note:
Sì, sono sparita da luglio. Sì, siete molto arrabbiati. Sì, potete insultarmi se volete.
Confido però anche nella vostra misericordia: ho dovuto studiare per un esame molto importante e ho cominciato a fare la pendolare con una media di 180 chilometri al giorno da percorrere tra andata e ritorno. Basta come giustifica? No? ​Allora perdonatemi almeno per intercessione dell'angelico Lorcan: se è riuscito a convincere Drilla ad andare a una festa di fantasmi, allora può convincere anche voi ;)
 

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Capitolo 6
*** V. Festino fantasma e storie fantasmagoriche ***


V.
Festino fantasma e storie fantasmagoriche


 

“Una festa di fantasmi? Sul serio?”, chiese interessato Stuart.
“Non vedo cosa ci sia di tanto entusiasmante”, borbottò Drilla sbuffando.
“Stai scherzando? Meglio di Casper!”, ridacchiò lui.
“Cas... che?”
“No, niente”, disse lui spazientito. “E’ solo un film Babbano, niente di che.”
Drilla lasciò perdere al volo. Quando Stuart o Emily si mettevano a discutere di argomenti del mondo dei non-maghi c’era davvero da andare fuori di testa, tra stupide fiabe con draghi parlanti e vecchietti con bastoni magici; senza contare tutti quegli aggeggi completamente inutili come un frallutore o qualcosa del genere che sminuzzava tutto quello che ci buttavi dentro.
“Cos’è questa storia del film Babbano?”, chiese Emily che arrivava in quel momento, scaricando la valanga di libri che teneva in borsa su una delle poltrone della Sala Comune.
Stuart scrollò le spalle. “Niente. Drilla stava parlando di fantasmi.”
“La Dama Grigia ha tenuto sveglio qualcun altro per tutta la notte con i suoi lamenti?”, chiese Emily, sedendosi sfinita di fianco a loro.
“No, Lorcan mi ha costretto ad accettare di andare ad un anniversario di nozze di fantasmi”, rispose Drilla con una smorfia disgustata.
“Lorcan? E come avete fatto a essere invitati ad una festa di fantasmi?”, chiese Emily sorpresa.
“Ci ha chiesto di andare Hector lo Svampito, che è comparso mentre pulivamo il sotterraneo in fondo al secondo corridoio. E sai com’è Lorcan, mi ha costretto ad accettare.”
Stuart sogghignò. “Qualcuno che riesce a costringerti a fare qualcosa che non vuoi dovevo ancora trovarlo. Penso che andrò a fargli le mie congratulazioni.”
Drilla gli sferrò una gomitata tra le costole.
“Ehi!”, protestò vivamente lui.
“Impara a cucirti la bocca quando serve”, si limitò a ribattere Drilla.
“A me, però, piacerebbe andare a una festa di fantasmi...”, meditò Emily incuriosita.
Drilla sbuffò. “Bah, se vuoi puoi venire; più siamo e più lo Svampito sarà felice.”
Stuart fece un sorrisetto furbo. “Secondo me sarà divertente.”
Emily sorrise a sua volta. “Beh, sarà interessante. Perchè no? Ma davvero ti ha detto che potevano venire anche altri?”
Sarebbe certamente grande onore per noi spiriti trapassati avere dei vivi tra noi”, disse Drilla con la voce stentata di Hector.
Emily annuì. “D’accordo, allora andiamo tutti insieme?”
“Perché no? Anzi, io inviterei anche Al e Jamie già che ci siamo. Almeno se avrai paura saprai da chi rifugiarti”, insinuò Drilla.
Emily, con un’espressione indignata, si alzò e se ne andò in camera, offesa.
“Ho esagerato?”, chiese Drilla preoccupata a Stuart.
“No, figurati. Di sicuro avrà pensato la stessa cosa ma non lo confesserà mai”, rispose lui sbadigliando. “Piuttosto dimmi che diavolo è questa storia di te e David?”
Drilla arrossì e cercò di assumere un’espressione incurante. “Abbiamo solo fatto una scommessa”, si limitò a dire.
“Oh! Solo una scommessa?”, ripeté lui inarcando esageratamente le sopracciglia scettico. “Pensavo che questo genere di eventi si chiamassero guai mortali.”
“Non morirà nessuno”, replicò lei in tono leggero.
“Drilla, quando in una scommessa ci sei di mezzo tu morire è una delle eventualità meno spiacevoli che possano capitare a quel disgraziato del tuo avversario.”
“Ho solo detto che lo faccio innamorare, non lo uccido di certo!”, ribatté.
Stuart alzò gli occhi al cielo. “Drilla, tu sei decisamente pazza. Far innamorare David è come cercare di far fare le capriole a un Goblin. Assolutamente contro natura.”
“Tu fai pure fare le capriole a un Goblin, io impegnerò meglio il mio tempo”, ribatté incurante Drilla.
Stuart scosse il capo, incredulo, ma non ribatté.
“Non gli dirai di noi, vero?”, chiese improvvisamente lei, preoccupata.
Stuart scrollò le spalle. “Non vedo che cosa cambierebbe, ma se non vuoi non lo faccio.”
“No, non farlo, ti prego!”, lo supplicò.
Stuart la guardò un attimo, come se stesse riflettendo, poi sorrise. “Okay, non lo farò.”
Drilla sospirò. “Grazie. Ora, però, sarà meglio andare a metterci qualcosa di pesante.”
“Perché?” chiese perplesso Stuart.
“La festa. I fantasmi sono morti, non si accorgono del freddo perciò non si preoccupano molto del riscaldamento alle loro riunioni.”
Stuart si accigliò. “E come fanno a tener caldo il cibo del banchetto?”
Drilla sogghignò. “Vedrai. Ma ti avverto già che i banchetti dei fantasmi non si scordano mai.”
E su quella nota che poteva essere sia invitante sia minacciosa lasciò Stuart in Sala Comune a scervellarsi sul significato delle sue parole.
Un’ora dopo lei, Stuart, Emily e gli immancabili Jamie e Al scendevano insieme la scalinata di pietra della Sala d’Ingresso. Ai piedi dei gradini, ad attenderli, c’erano due persone. Uno doveva essere certamente Lorcan, non poteva essere altrimenti, ma quale dei due Drilla lo capì solo quando vide gli stemmi sulle loro divise, uno di Corvonero e l’altro di Grifondoro.
“Ehi, ciao!”, li salutò allegramente Lorcan. “E’ venuto anche mio fratello Lysander!”
Drilla scese l’ultimo gradino e, come sempre le accadeva quando incontrava i due gemelli Scamandro insieme, rimase ancora una volta sconvolta dalla loro somiglianza. Allampanati, biondi, per un certo verso anche carini, fatta eccezione per quell’aura angelica ed allucinata che li circondava.
“Ciao, Lys!”, fece Al, riconoscendo il suo compagno di stanza. “Non mi avevi detto che venivi anche tu alla festa!”
Lysander sorrise vago. “Nemmeno tu, se è per questo.”
Drilla sbuffò. “Bene, e ora evitiamo di fare convenevoli e ci muoviamo?”
Lysander le rivolse un’occhiata stupita. “Ah, tu devi essere Drusilla. Mio fratello mi ha parlato molto di te.” Aveva un sorriso tanto innocente da disarmare persino l’acidità collaudata di Drilla.
“Sì, sono io”, rispose rassegnata, preparandosi a uno dei commenti imbarazzanti tipici dei due fratelli.
Stuart, forse mosso a pietà, si intromise. “Ragazzi, andiamo? Non vorremo fare tardi, vero?”
“Oh, no”, disse Lorcan serio. “Arrivare tardi a una festa di fantasmi sarebbe un terribile segno di maleducazione da parte di vivi.”
Così si avviarono, scendendo la scala che portava nella parte interrata del castello, si avviarono nei corridoi bui delle fondamenta. Le pareti erano scure e umide e ogni tanto dalla volta del soffitto cadevano delle gocce che si insinuavano sui volti e sul collo dei ragazzi.
Seguivano tutti Lorcan, che faceva strada tra i corridoi. Drilla evitò prudentemente di chiedergli come sapesse quale fosse la strada giusta in quel labirinto buio: temeva la risposta che avrebbe ricevuto. Al, invece, purtroppo non ebbe abbastanza intuito e lo fece. “Dove stiamo andando?”, domandò perplesso.
“Non saprei”, fu la ovvia risposta di Lorcan.
Drilla alzò gli occhi al cielo. L'aveva immaginato.
“Come sarebbe a dire che non lo sai?”, esclamò Al stupefatto.
Prima che Lorcan avesse il tempo di rispondere sentirono una nenia triste e stonata provenire dal fondo del corridoio. Erano andati molto in profondità e l’aria era gelida là sotto.
“Siamo arrivati”, annunciò Lysander con la voce sognante.
Al guardò Lorcan. “Lo sapevi, allora?”
“No”, rispose affabile l’altro. “Ho tirato a caso.”
Drilla ebbe l’orribile sospetto che dicesse sul serio e prima di sentire altro che avrebbe decretato la decadenza completa della sua salute mentale prese Stuart per un braccio e andò avanti, verso il suono.
“Coraggio, non voglio sentire altro. Finiamo in fretta questa faccenda!”
“Agli ordini padrona”, sospirò Stuart lasciandosi trascinare da lei.
Jamie, poco lontano, sogghignò da dietro le spalle di Emily. “Mi raccomando, non isolatevi in qualche angolino buio che rischiamo di dimenticarci di voi!”
“Mi raccomando, tieni d’occhio Emy o rischi che qualche spettro malvagio la ipnotizzi e se la porti via”, ribatté Drilla scocciata.
Il suono dei violini si fece più forte e più lamentoso. Alla fine emersero in una grossa sala sotterranea illuminata da spettrali lanterne che emanavano una fioca luce blu. Erano le uniche fonti di luce oltre alle decine e decine di figure argentate che aleggiavano intorno ai tavoli imbanditi. I due festeggiati levitavano in una posizione corrispondente a quella di una persona seduta vicino a una tavola imbandita.
“Che cos’è questo odore?”, chiese Stuart disgustato.
“Il cibo”, rispose Drilla laconica.
Al, che si era sporto da sopra le loro spalle per vedere, lanciò un’occhiata ai piatti delle portate e si fece verde in faccia. “Disgustoso! E’ tutto avariato! Questo mio padre non me l'aveva detto quando mi parlò della festa di fantasmi a cui era andato.”
“Ognuno ha i suoi gusti”, recitò saggiamente la voce sognante di Lysander.
Nessuno degli altri, tranne, forse, Lorcan, la pensava allo stesso modo.
"Cos’è, hanno bisogno di cibo della loro età perché non apprezzano la cucina del nostro tempo?”, fece Jamie.
“No, è solo più saporito ed è più probabile che ne sentano il sapore”, ribatté Drilla annoiata.
“Come fai a essere così informata?” domandò Al. 
“Ho un fantasma nella mia soffitta” spiegò Drilla scrollando le spalle.
“Oh, salve, nobili Grifondoro”, disse una familiare voce stentorea, interrompendoli. “E’ un onore avervi qui.”
Hector lo Svampito li aveva raggiunti apparendo all’improvviso da una solida parete di pietre scure.
“Ciao Hector” lo salutò Lorcan cordiale. “Tutto bene?”
“Godo di ottima salute, grazie, giovane Grifondoro. Ma voi non vi siete ancora presentati ai festeggiati? Andate, l'etichetta lo impone!”, ingiunse solennemente.
I ragazzi si guardarono in giro: tutti i fantasmi si erano effettivamente fermati a fissarli come se si aspettassero qualcosa da loro. Lorcan e Lysander, senza una parola, obbedirono e si avviarono tranquilli tra le file dei partecipanti al banchetto.
Drilla andò loro dietro indecisa, seguita da Stuart e gli altri. Si lasciò quasi sfuggire una risata vedendo che Jamie al suo fianco afferrava saldamente la mano di Emily fino quasi a farle male e si guardava in giro con un cipiglio minaccioso, come se temesse davvero la presenza di qualche fantasma ipnotico.
“Sir Hector”, disse con voce cavernosa quello che doveva essere lo sposo, vestito con una calzamaglia assurda e un cappello dalla piuma esagerata.
“Salve, nobile Eric il Bianco, ti presento gli ultimi invitati che mi sono arrogato il diritto di invitare. Vivi”, aggiunse con un certo orgoglio.
Eric il Bianco fissò Drilla e gli altri eccitato. “Vedo! È un piacere avervi qui con noi! Lasciate che vi presenti la dama mia moglie”, e indicò la donna emaciata e cadaverica che svolazzava al suo fianco, e che li salutò con un altezzoso cenno del capo.
“Ehm”, fece Drilla, che Stuart aveva spinto in prima fila senza troppi complimenti.
“Il piacere è di noi che siamo potuti venire a questo vostro importante anniversario”, rispose Lysander pacato, salvandola.
La faccia semitrasparente di Eric si inargentò come se fosse arrossito di felicità. “Molto bene, allora divertitevi. E banchettate con noi.”
Jamie emise un verso di disaccordo a quelle ultime parole, mentre i fantasmi intorno a loro si disperdevano lunghe le tavolate traboccanti di cibo avariato.
Lorcan sorrise. “Che ne dite di andare a salutare il Barone Sanguinario? Lo vedo là in fondo da solo. Sarebbe simpatico, no?”
E si incamminò tranquillo verso la figura argentea ricoperta macabramente di macchie scure. Lysander lo seguì tranquillo.
“Aspettate, forse non è il caso”, cominciò Emily incerta, ma, vedendo che non la ascoltavano, andò loro dietro per farli ragionare prima che giungessero al cospetto del temibile fantasma di Serpeverde. Jamie la tallonò da vicino, e Al fece altrettanto.
“Tu non vai?”, sogghignò Stuart a Drilla.
“Non ci penso nemmeno. E tu? Non vuoi assaggiare qualche specialità della casa?”, chiese candida, indicando uno dei tavoli maleodoranti.
Stuart si rabbuiò. ”Tu non mi avevi nemmeno avvertito di tutto questo. E lo sapevi, vero?”, la accusò.
Drilla scrollò le spalle sghignazzando, e stava per ribattere quando una figura familiare veleggiò verso di loro.
“Salve, Corvonero. Vedo che siete venuti a onorare la tavola”, disse il nuovo arrivato amichevole.
“Preferirei onorare qualcos’altro, in questo momento, Frate Grasso”, replicò Stuart. “Che ci fai tu qui? Pensavo che i fantasmi ufficiali non vagassero per le segrete.”
Il Frate Grasso sorrise. “Infatti, ma ho pensato di venire qui a partecipare alla gioia di questo evento. Sapete, ho celebrato io il matrimonio dei festeggiati, ai tempi che furono”, disse allegramente lanciando un’occhiata ai due sposi fantasma. “Pensate che la Dama delle Cantine era la ragazza più bella in circolazione all’epoca.”
Drilla sogghignò. “Da non crederci.”
Il Frate Grasso le rivolse uno sguardo condiscendente. “Oh, tu non mi credi, ragazza, ma è solo perchè sei abituata a vederci in questa forma. Una volta eravamo anche noi persone. Io, ad esempio, ho sgobbato sui banchi di questa scuola molto prima di te!”
Stuart si fece interessato. “Davvero? E come mai poi sei diventato frate?”
Il fantasma sospirò, o almeno, fece il gesto di sospirare, perché i suoi polmoni non lavoravano da cinquecento anni circa. “Ahimè, fu, come sempre accade in questi casi, per una ragazza.”
“Una ragazza?”, ripeté Drilla stupita. Il Frate Grasso con una ragazza non se l’era mai proprio immaginato.
“Oh, sì”, fece il fantasma malinconico. “La più bella della scuola.”
“Oh!”, fece Drilla sbalordita. Da non credere, un frate fantasma sentimentale. “Ed era anche lei di Tassorosso?”
Il Frate Grasso annuì. “No, era una Grifondoro. Ogni ragazzo della scuola ne era innamorato, fin da quando arrivò il primo giorno di scuola.”
“E anche tu, ovviamente?”
“Sì, anch’io”, disse solennemente lui.
“E poi ha sposato qualcun altro”, concluse Stuart in tono risaputo.
Il Frate Grasso scosse la testa. “Non che io sappia.”
“No?”, fece Stuart stupito. “E perchè?”
“All’ultimo anno di scuola il suo aspetto mutò e secondo tutti divenne... poco desiderabile”, spiegò laconico il Frate Grasso.
“Cosa?!”, esclamò Drilla, sbigottita. “Com’è possibile?”
“Pare che possedesse un Medaglione che facesse apparire meraviglioso chi lo indossava agli occhi degli altri, e che, senza, apparisse nel suo vero aspetto fisico”, rispose il fantasma. “Ma a me non importava, perché ai miei occhi era bella come all'inizio.”
“E glielo hai detto?”, chiese Stuart interessato.
“Un Medaglione che rende meraviglioso chi lo indossa, hai detto?”, li interruppe Drilla boccheggiante.
Il Frate Grasso la guardò sorpreso dalla sua agitazione. “Certo, l’ho detto. Ma stavo dicendo che sì, glielo dissi, giovanotto, ma lei non mi credette e alla fine dell’anno se ne andò...”
“Ma lo aveva davvero il Medaglione? E che fine ha fatto?”
Il fantasma scosse le spalle. “Non lo so. Non ha importanza.”
“Ma lo aveva ancora quando se n’è andata?”, insisté Drilla.
“Se l’avesse avuto avrebbe continuato a indossarlo, non ti pare?”, rispose Stuart al posto del fantasma.
“Sì, infatti”, assentì il Frate Grasso. “Penso che lo abbia perso mentre era a scuola. Ma non è questo l’importante. L’importante è che non mi credette, partì e io non la rividi mai più.” Sospirò di nuovo.
“Quindi il Medaglione non è mai stato ritrovato?”, chiese di nuovo Drilla mentre gli ingranaggi del suo cervello cominciavano a girare vorticosamente, come impazziti.
Stuart colse la luce che le si era accesa negli occhi e si accigliò. “Drilla, non penserai...?”
“E’ ancora qui?”, ripetè Drilla ignorandolo, rivolta al Frate Grasso.
Lui inclinò il capo. “Non ne ho idea, non mi sono mai interessato a queste cose...”
“E come si chiamava la ragazza?”
Il Frate Grasso scosse la testa. “A dire la verità l’ho dimenticato.”
“Cosa?!”, fece Drilla incredula.
Il fantasma annuì vigorosamente. “E’ così. Vedi, dopo cinquecento anni certe cose si tendono a dimenticare. Ma ora è meglio che lasci perdere queste storie del passato che a voi giovani certamente non importano. Penso che andrò a salutare il Barone Sanguinario, lo vedo là in fondo con un gruppo di vostri amici. A proposito, avete fame? Gradite uno spuntino?”, chiese facendo cenno verso la tavola.
“No, grazie”, rispose Stuart secco.
Il Frate Grasso fece un cenno gentile e se ne andò.
Stuart tornò a guardare Drilla, che subito lo afferrò per un braccio. “Stuart...”
“No, ti prego, non dirmelo...”, la implorò lui.
“Devo trovare quel Medaglione!”
“Ecco, l’ha detto”, sospirò Stuart alzando gli occhi al cielo.
“Non capisci? E’ la soluzione per tutti i mie problemi! Per conquistare Tristan e per vincere la scommessa con David!”
Stuart scosse il capo. “A me sembra solo l’inizio di un mucchio di guai per tutti.”
Ma Drilla non lo ascoltava. Stava già sognando il momento in cui avrebbe abbracciato Tristan. E il momento in cui avrebbe trionfato su David.


 

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Capitolo 7
*** VI. Il Ballo e il tranello ***


VI.
Il Ballo e il tranello

 

 

“Te lo puoi scordare!”
“Ma Emy...”, la implorò Drilla.
“No, no e poi...”
“Fammi indovinare”, si intromise allegramente Stuart. “No?”
Emily gli lanciò un’occhiataccia.
“Ma, Emy, è importante! Pensaci, con quel medaglione avrò finalmente la soluzione a tutti i miei problemi!”, insisté Drilla.
I tuoi problemi? Ti ricordo che hai fatto tu la scommessa con David, nessuno ti ha obbligato!”, ribatté Emily indignata.
Drilla sbuffò. “D’accordo, con David è una cosa diversa. Ma Tristan? Non gli ho chiesto io di avvinghiarsi a quella Weasley!”
“Sssst!”, la zittì Emily, guardandosi attorno. Erano nel bel mezzo di una lezione di Pozioni, i calderoni che fumavano abbondantemente, e quella Weasley era seduta poco dietro di loro, di fianco ad Al, che sorrise loro e fece un cenno con la mano.
Drilla scrollò le spalle. “Anche se mi sente non mi importa!”, sostenne convinta.
“Non ne dubito. E non ti importa nemmeno se va a riferire a Vidal quanto sei maleducata?”, disse in tono discorsivo Stuart senza guardarla, impegnato ad affettare le sue radici di Erba di zolfo.
Drilla non gli tirò un pugno solo perché aveva le mani occupate a mescolare quel grumo densissimo che si era formato nel suo calderone ed era rossa per lo sforzo. Stuart, evidentemente accortosi di quella strana mancanza da parte sua, si distrasse dalle sue radici e la guardò.
“Che stai facendo?”
Drilla fece fare al mestolo un altro giro del calderone con uno sforzo immenso. “Sto... mesco... lan... do...”, rispose ansimando. “Non... ve... di?”
Stuart lanciò un’occhiata al calderone. “Ehm, Drilla, nel libro non c’è scritto che la pozione deve assumere la consistenza del cemento solido...”
Drilla, dopo un ultimo, disperato tentativo di completare il numero di giri necessari per la pozione -sette, c'era scritto sul libro- rinunciò e ricadde sulla sedia. “Inutile, in Pozioni sono negata. Non puoi darmi una mano?” Guardò Stuart sbattendo gli occhi grandi e luccicanti.
Stuart fece una smorfia di disgusto. “Tutto, pur di farti smettere di fare quell’espressione.”
Drilla sorrise e tornò al suo ghigno abituale. “Grazie, Stuartuccio.”
“Sai, penso di aver appena cambiato idea...”
“Scherzavo!”
Mezz’ora dopo Drilla consegnò la sua boccetta all’insegnante, convinta, grazie all’aiuto di Stuart, di essersi presa almeno un Accettabile. Uscire dall’aula calda, umidissima e piena di vapori fu un sollievo per tutti e tre. Al li raggiunse quasi immediatamente.
“Ciao!”
“Ciao, Al”, lo salutò Emily. “Oggi non hai avuto bisogno di aiuto?”
Al fece un’espressione per metà furba e per metà imbarazzata, come di chi è stato colto in flagrante. “Rose”, spiegò conciso.
Drilla strinse i denti a quel nome ma non replicò e tornò all’attacco di Emily. “Emy, allora, vuoi aiutarmi?”
Emily alzò gli occhi al cielo e fece un verso di disperazione.
“Aiutarti a fare che cosa?”, domandò Al interessato.
“A trovare un Medaglione che rende belle le persone e che, a quanto sembra, è stato perso secoli fa nella scuola”, rispose Stuart per lei, in tono scettico.
Al strabuzzò gli occhi. “Un medaglione che rende belle le persone? E come?”
“E chi lo sa?”, sogghignò Stuart. “Forse infilandolo su per...”
“Stuart, non essere volgare e dammi una mano a convincere Emily”, lo rimbeccò Drilla.
“Inutile, nessuno mi convincerà!”, replicò Emily. “Non penso proprio...”
Si interruppe a metà della frase e si bloccò di colpo sulla soglia della Sala Grande. Drilla la guardò sorpresa.
“Non pensi proprio cosa? Hai cambiato idea?”, chiese speranzosa.
Stuart, di fianco a lei, con una mano le prese il mento e glielo girò verso l’interno della sala. Drilla gli scostò la mano infastidita, poi si paralizzò all’improvviso anche lei. In fondo all’enorme sala, ai piedi della lunga tavolata degli insegnanti, c’erano cinque folletti.
Non che nessuno di loro non avesse mai visto un folletto, chiaro, ma trovarli lì a Hogwarts era più unico che inconsueto. Anzi, diciamo pure che non era mai accaduto un fatto simile. O, almeno, questo era quello di cui Drilla era convinta.
“Che ci fanno qui?”, chiese perplessa.
“Non lo so”, rispose perplesso Stuart, e si guardò intorno. “Ma sarà meglio andare, stiamo intralciando il passaggio.”
“A dopo”, li salutò Al andando al suo tavolo.
Emily, Drilla e Stuart raggiunsero a loro volta quello di Corvonero e si sedettero in fondo, molto vicini alla tavola degli insegnanti.
“Secondo voi cosa fanno qui?”, chiese Emily incuriosita.
“E chi lo sa? Però è strano”, rispose Stuart.
“Saranno venuti per una nuova petizione”, disse una voce sognante dietro di loro, e tutti e tre trasalirono, sorpresi dall’improvvisa apparizione di Lorcan.
“Ciao Lorcan!”, lo salutò Emily debolmente, spaventata.
“Ciao”, rispose lui tranquillo sedendosi accanto a loro.
“Hai detto una petizione?”, chiese Stuart interessato. “Che genere di petizione?”
“Oh, una petizione per i loro nuovi diritti, ovviamente, come sempre”, rispose lui. “E, al solito, se non sarà accettata scateneranno la ribellione.”
Drilla per poco non perse l’equilibrio sulla panca. “Cosa?!”
“Ribellione?”, ripeté terrorizzata Emily.
Lorcan rivolse loro un’occhiata tranquilla. “Certo. E’ sempre successo così in passato, no? Anche nel 1612 quando spedirono una delegazione al preside di Hogwarts e lui non accettò si ribellarono a Hogsmeade. Il mio pro-pro-pro-pro-zio Harold era uno studente, allora, e si mise in testa agli studenti e li attaccò, facendoli battere in ritirata. Fu allora che gli venne conferito il premio per i servizi resi alla scuola. Te l’ho fatto vedere nelle segrete, ricordi?”, chiese a Drilla.
Drilla ricordava un mucchio di trofei ammuffiti, ma sinceramente non era stata a sentire tutte le baggianate che Lorcan le aveva raccontato quella sera. “Ehm...”, fece, ma la fatica di inventarsi una risposta cordiale le fu risparmiata dal preside, Mc Kinnon, che batté le mani per zittire gli studenti.
Drilla vide che nel frattempo i folletti si erano disposti dietro la tavolata, ognuno con un posto a sedere. Dubitava che gli insegnanti avrebbero offerto un lauto pasto a Folletti con intenzioni belliche, ma non riuscì a dirlo ad alta voce perché tutta la sala si zittì improvvisamente e il preside cominciò a parlare.
“Giovani allievi e allieve”, esordì con la sua voce baritonale. Mc Kinnon era un uomo imponente, altissimo, dalle spalle larghe, il fisico asciutto e i lunghi capelli nerissimi, scuri quasi quanto gli occhi che gli saettavano da una parte all’altra. Il volto abbronzato era squadrato, la mascella solcata da diverse cicatrici annerite, tracce di terribili maledizioni oscure. Era stato un Auror micidiale prima di diventare preside, ed il capo della caccia dei Mangiamorte dopo la caduta di Voldemort. “Vedo che la presenza dei nostri amici Folletti ha scatenato la vostra curiosità.”
Un mormorio percorse la sala. Drilla guardò risaputa Lorcan: con la parola “amici” Mc Kinnon aveva appena fatto cadere la teoria della ribellione. “Visto...?”, cominciò, ma Emily e Stuart la zittirono con un’occhiataccia, troppo interessati alle parole del preside.
“Kaver”, e indicò il folletto seduto alla sua destra, che scrutò i presenti con gli occhietti acuti, “è uno dei più importanti esponenti del suo popolo, il che equivale, nella nostra gerarchia, praticamente alla carica di Ministro della Magia”, spiegò Mc Kinnon. “E’ venuto qui con una delegazione di altri cinque rappresentanti perché quest’anno si celebra un’importante ricorrenza.”
Lorcan sorrise. “Certo, sono passati quattrocento anni dalla rivolta del Folletti a Hogsmeade...”, cominciò.
“La pianti con questa storia della ribellione?”, lo interruppe Drilla scocciata. “Non centra niente, non hai capit...?”
“Sono passati quattrocento anni dalla ribellione che il coraggioso popolo dei Folletti perpetrò a Hogsmeade, non vedendosi riconosciuti i diritti che chiedeva gli fossero consessi”, disse la profonda voce di Mc Kinnon.
Drilla ammutolì e Lorcan annuì, soddisfatto.
“Quattrocento anni da quando la scuola di Hogwarts e i suoi valorosi studenti si scontrarono con questo popolo...”
Lorcan sorrise beato, forse pensando alle glorie del suo antenato.
“...e quattrocento anni dall’Armistizio tra le due fazioni. Quest’anno, quindi, la Pace stipulata tra la scuola e i Folletti festeggia quattrocento anni, e come tre volte in precedenza si è fatto allo scadere di questa ricorrenza, così si farà anche quest’anno: il ventotto febbraio di quest’anno, il giorno in cui la pace fu firmata, avrà luogo a Hogwarts il Banchetto tradizionale di Amicizia, con la presenza di una delegazione di Folletti, e, a seguito del pasto, il Ballo dell’Armistizio. Siete tutti invitati, dunque, a prendere qualche lezione di ballo da una delle nostre esperte insegnanti...”, disse con un sorriso.
Un risolino soffocato percorse i tavoli delle Quattro Case mentre le insegnanti scoccavano al Preside occhiate risentite per il commento sarcastico.
“...e trovarvi un cavaliere o una dama che vi accompagnino. E, con questo, credo di aver detto tutto. Possiamo cominciare a pranzare.”
Si sedette, e i Folletti fecero altrettanto, lanciando occhiate malevole tutto intorno.
Stuart fu il primo a scuotersi tra loro e a sogghignare. “Un ballo... chi l’avrebbe mai immaginato?”
“L’avevo detto io che era per la ribellione”, disse risaputo Lorcan, sedendosi a sua volta e servendosi di pasticcio di rognone.
Drilla sbuffò, scocciata, ma non ebbe la forza di contraddirlo, con quella sua aria angelica e innocente, così si limitò a infilzare con ferocia le patate che le si erano materializzate davanti.
“Non capisco come si faccia a organizzare un ballo a scuola...”, disse incerta Emily.
“Ti toccherà andare e ballare per forza con Jamie”, la avvisò Drilla.
Emily avvampò e tossì, facendosi andare di traverso il boccone. Stuart dovette darle numerose pacche energiche sulla schiena per non farla soffocare. Quando Emily riemerse dalla crisi, era totalmente rossa, e non si capiva se per l’imbarazzo o la tosse.
“Io... non credo proprio. Non so ballare...”, biascicò piano.
Stuart scoppiò a ridere.
Drilla gli lanciò una forchetta e lo prese dritto in fronte. “Non c’è niente da ridere. Tu sai forse ballare?”
Stuart si ricompose o, almeno, cercò di farlo, ma ghignava ancora. “No, ma io di sicuro non ci vado. Non possono obbligarci, no?”
Il viso di Emily si accese di speranza. “Oh, spero proprio che sia facoltativo... Anzi, che gli studenti che vogliano tenere alta la media siano esonerati per studiare o...”
“Ehm, Emy?”, fece Drilla dubbiosa. “Non credo che Jamie sarebbe d’accordo... anzi, secondo me non vede l’ora di ballare con te.”
Emily le lanciò un’occhiata disperata.
“Ma lui sa benissimo che non voglio, ne sono sicura.”
“Questi sono gli oneri degli innamorati”, sogghignò Stuart.
“Allora è un onere anche tuo!”, lo rimbeccò Emily rossa.
Stuart fece un’espressione infastidita. “Non dire scemenze! Sai benissimo...”
Non riuscì a concludere la frase perché Lorcan, lì vicino, riemerse in quel momento dal suo piatto ripieno di ravioli con un'espressione distratta. “Sapete che si dice che con gli oggetti che i Folletti si lasciarono indietro dopo la ritirata mio zio Harold ha messo insieme un vero e proprio tesoro e lo ha seppellito da qualche parte nel Parco della scuola?”
Emily, Drilla e Stuart dovettero zittirsi e rimandare i commenti, mentre Lorcan si lanciava in una dettagliata descrizione della vita del suo pro-pro-pro-prozio Harold.
Non poterono farlo nemmeno quando Lorcan, finito il pasto, se ne andò, perché a sostituirlo arrivò Jamie.
“Ciao, Emy”, disse scoccandole un bacio a sorpresa. Emily fece per protestare, ma Jamie era troppo allegro per starla a sentire. “Avete sentito? Ci divertiremo da matti!”
Emy impallidì vistosamente. “Jamie, non vorrai dire...?”
“Cosa?”, chiese lui, stupito dal suo tono nervoso.
“Il... il ballo”, articolò faticosamente Emily. “Non vorrai... andarci davvero...?”
Il volto del ragazzo si aprì in un sorriso a trentadue denti. “Ma certo che voglio!”
Emily diventò, se possibile, ancora più bianca. “Oh!”, fece. “Ma io... Oh, ti prego Jamie!”
Drilla si sentì improvvisamente a disagio, come se fosse di troppo in quella discussione. Guardò Stuart, che sembrava smanioso di levare le tende almeno quanto lei e lo prese per un braccio. Lui fu tutt’altro che riluttante ad abbandonare la scena.
“Emily crede davvero che Jamie non riuscirà a costringerla a ballare?” domandò Stuart sorridendo.
Drilla scrollò le spalle. “Beata igenuità. Jamie non si farebbe mai scappare un'occasione simile per divertirsi... non all'ultimo anno... oh! Stuart!” esclamò, colta da un inatteso lampo di genio. “Hai già un vestito per ballare, tu?”
Stuart la fissò stranito. “Ti ho già detto che non ho nessuna intenzione di partecipare.”
“Davvero?”, fece Drilla con un sorrisetto furbo. “Ma sembrerebbe strano che io ci andassi con qualcun altro... attirerebbe molto l’attenzione su di noi, comincerebbero di nuovo tutti a spettegolare e a te questo darebbe molto fastidio, vero?”
Stuart si fermò, improvvisamente all’erta. La studiò accigliato, come per capire cosa le frullasse nel cervello, ma non ci riuscì, perciò chiese, serio: “Cosa vuoi, Drilla?”
“Che vieni al Ballo con me”, rispose lei subito.
Lui strinse i denti. “Perché?”
“Sarebbe un’ottima occasione per far ingelosire Tristan. Magari anche di fare una bella figura di fronte a David, ammaliandolo con qualche vestito elegante...”
“Non ti abbasseresti mai a mezzi così poco efficaci”, la rimbeccò teso Stuart.
“In mancanza di altro sì”, rispose lei tranquilla.
Stuart strinse le labbra e capì. “Tu vuoi che...?”
“Se mi aiuti a trovare quel Medaglione non ci sarà bisogno del ballo”, affermò Drilla in tono casuale.
Stuart fece una lunga pausa di silenzio, poi cedette. “E va bene. Ma questa me la paghi, Drilla.”
Drilla si limitò a sorridere e gli scoccò un rapido bacio sulla guancia. Stuart fece per protestare, ma in quel momento vide Tristan che arrivava dalle scale e si trattenne. Era troppo leale per tradirla. Così si limitò a salutarla con un grugnito e si voltò, facendosi strada tra la calca di studenti che usciva in quel momento dalla Sala Grande, diretto ad Artimanzia. Lei si issò meglio la borsa in spalla, di buonumore, e raggiunse l’aula di Babbanologia.
La lezione fu una noia mortale; l’insegnante spiegò per tutta l’ora e mezzo successiva l’utilità dei telefoni e come funzionassero; al cambio dell’ora Drilla approfittò dei dieci minuti di intervallo per andare ai bagni.
Li trovò deserti e aveva appena avuto il tempo di chiudersi in uno dei cubicoli quando la porta del locale si aprì di nuovo e sentì delle voci note sussurrare tra loro. Tese l’orecchio: sì, non poteva sbagliarsi, quelle erano proprio Electra Zabini e la sua amica del cuore -se mai ne aveva uno-, Zafira Montague.
“Sei sicura?”, stava sussurrando Zafira.
“Sicurissima. E’ la più potente che c’è in giro... e anche insapore. Steeval non se ne accorgerà nemmeno...”
Drilla sussultò, ma le due non sembrarono averla sentita. Si appiccicò alla porta come una piovra appiccicandoci l'orecchio, nel tentativo di scoprire di più.
“Non capisco, Electra, perché non ci esci normalmente invece che affibbiargli un filtro d’amore?”
“Perché è uno stupido Grifondoro, e io non mi abbasso a chiedere appuntamenti a gente simile! Ne andrebbe del buon nome della mia famiglia!”
Zafira ridacchiò. “E’ uno stupido Grifondoro ma ciò non toglie che sia il più bel ragazzo in circolazione.”
“Già, e purtroppo il più spaccone. No, non mi farò prendere in giro da lui! Sarà lui a implorarmi di uscire!”
“E quando glielo darai?”
“Penso di infilarglielo nel calice stasera a cena con un Incantesimo Levitante.”
Drilla aveva sentito abbastanza. Tirò lo sciacquone del cubicolo per annunciare la sua presenza e uscì con un’aria innocente.
“Oh, salve, serpi!”, salutò come se non avesse sentito i loro discorsi e fosse meravigliata di vederle lì.
Electra la guardò altezzosa. “Cook”, scandì, come se il suo nome fosse un insulto. “Io e te abbiamo un conto in sospeso. E sta’ sicura che lo salderemo!”
Drilla sogghignò. “Puoi contarci.” E, senza aggiungere altro, uscì lasciandosi le due Serpeverde sospettose e offese alle spalle.
 

 

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Capitolo 8
*** VII. Ritorsioni ***


VII.
Ritorsioni

 

 

Quella sera a cena Drilla non fece molta attenzione ai discorsi di Emily e Stuart. Non fece nemmeno caso al broncio di lui, ancora irritato per il ricatto a cui l’aveva sottoposto. Però quando Emily mormorò imbarazzata di dover andare da Jamie al tavolo dei Grifondoro non ci pensò due volte e si alzò prendendola sottobraccio.
“Vengo con te, Emy!”
Emily e Stuart la guardarono sorpresi.
“Ehm, Drilla, non credo che sia una buona idea... c’è David...”, tentò incerta Emily.
“E chi fa caso a quell’idiota?”, ribatté lei con una smorfia. “Coraggio, andiamo, voglio salutare Al!”
Emily guardò prima Drilla, poi Stuart, che scosse il capo, perplesso quanto lei, e si arrese. “D’accordo, allora andiamo.”
Drilla annuì, però, prima sussurrò di sfuggita a Stuart, passandogli vicino: “Vedrai che spettacolo.”
Stuart strabuzzò gli occhi e la fissò andare al tavolo dei Grifondoro con un’espressione inorridita. Probabilmente aveva intuito qualcosa, ma non poteva sapere cosa Drilla aveva in mente.
“Jamie...”, fece Emily appena arrivarono al chiassoso tavolo di Al e di suo fratello.
Jamie si alzò e la accolse con un abbraccio. “Ciao Emy.”
Emily arrossì fino alla radice dei capelli, ma a parte Al, che fece un cenno di saluto con la mano, e David, che non li guardava perché si stava scolando un bicchiere di succo di zucca, nessuno si accorse di loro, perciò si calmò e si sedette accanto al fidanzato.
“Oh, ciao, Drilla, che ci fai qui?”
A quel nome David per poco non sputò il mezzo litro di succo di zucca che gli riempiva la bocca. Fece un orribile verso soffocato, mandò giù e guardò dalla loro parte.
“Pulcino!”, disse, allargando quella sua boccaccia a parere di Drilla troppo larga in un sorriso. “Che ci fai qui?”
Lei sorrise e nel mentre non perse d'occhio il bicchiere di David: aveva notato le due Serpeverde infatti armeggiare con bacchette e bocette un minuto prima e da qualche secondo qualcosa di argenteo aleggiava intorno a David in attesa di ricadervi dentro. Non appena lui fu distratto da Drilla, quella strana cosa -il filtro, Drilla ne era certa- vi ricadde senza suono.
“Mi sembra di averti detto come mi chiamo, Steeval”, disse a David lei, calma.
Lui sghignazzò. “Oh, certo... Mandrilla, mi pareva? Oh, be’, qualcosa del genere...”
“Drilla”, lo rimbeccò cordiale lei. “Potresti anche offrirmi qualcosa da bere, sai? Che razza di cavaliere sei?”
David la guardò perplesso, poi scrollò le spalle. “Prego”, disse con un sorriso tendendole il suo bicchiere mezzo vuoto.
Drilla lo prese, lo guardò e sorrise. “Sai, non ti conviene berlo. Electra Zabini e la sua compare ci hanno appena versato dentro un filtro d'amore.”
David si accigliò per un istante: si fissarono negli occhi, lui serio, Drilla sorridendo; poi, dopo qualche secondo, il ragazzo sogghignò. "Ne dubito. Sai, non hanno tutti bisogno di ricorrere ai tuoi mezzi per trovarsi un ragazzo, pulcino."
Drilla gonfiò le guance. Be', quello era davvero troppo! Aveva dato un'occasione a David per cavarsela, ma dopo quell'insulto si meritava una bella umiliazione. Gli restituì il calice senza una parola.
David ridacchiò alla sua espressione furente e in un sorso finì il contenuto del calice. Lo posò rumorosamente sul tavolo e  mentre rialzava il viso lentamente, il suo volto cambiò, e il suo ghigno si spense. I suoi occhi divennero di colpo vuoti.
“David...?”, tentò Drilla, chiamandolo.
Lui la guardò fisso per un momento, e una scintilla si accese nei suoi occhi vitrei. Una scintilla di adorazione.
“Verresti con me un attimo fuori dalla Sala?”, chiese Drilla innocentemente, senza farsi sentire da nessun altro.
Lui la guardò un attimo, come attonito, e sorrise beatamente. “Tutto quello che vuoi, amore mio”, le sussurrò docile.
Drilla, a quella parole, sorrise soddisfatta. “Muoviti, allora!”, lo esortò.
David si alzò goffamente dalla panca dov’era seduto e per poco non inciampò nei suoi stessi piedi.
Drilla trattenne a malapena un moto di stizza, lo afferrò per un braccio e lo trascinò via dal tavolo di Grifondoro, lungo tutta la navata. David la seguì come un cagnolino adorante. La Sala d’Ingresso era vuota, ma, non fidandosi, preferì portarlo su per una scalinata fino alla biblioteca. A quell’ora era deserta. Nemmeno Madama Oack era presente. Lo spinse tra due scaffali e si assicurò che non ci fosse nessuno.
“Perché siamo qui?” chiese stupidamente David. Si guardò intorno, vide che non c’era nessuno intorno e sorrise. “Volevi che rimanessimo soli?” chiese compiaciuto.
Drilla inarcò le sopracciglia. “Più o meno...”
David si avvicinò con un sorriso sciocco. Aveva ancora lo sguardo appannato.
“Ehm, Stee... David?” fece Drilla in tono innocente, tesa. Era il momento della verità. Il momento in cui avrebbe scoperto se aveva funzionato; se il capello che aveva lasciato cadere nel calice aveva agito come diceva il libro di Pozioni.
Una qualsiasi parte del corpo di una persona lasciata cadere in un filtro d'amore cambierà gli effetti di quel filtro rivolgendo l'attrazione verso la persona in questione.
“Sì?” fece lui avvicinandosi ancora di più.
“Hai... hai bevuto tutto il tuo succo di zucca, prima?”
Lui si bloccò, perplesso. “Sì, perché?”
“No, niente. E... ehm, come ti senti?”
David sorrise in modo strano fissandola. “Incredibilmente bene. Ma credo sia perché ci sei tu...” Sorrise.
“Vuoi dire che... sei innamorato di me?”
“Certo che lo sono.”
Drilla non riuscì a trattenere un moto di trionfo. “Ah sì? E dimmi, faresti qualsiasi cosa per me?”
Lui sorrise. “Ma certo. Tutto quello che vuoi.”
Drilla non si era mai sentità così euforica: aveva tra le mani il suo peggior nemico inerme, pronto a eseguire ogni suo ordine. Aveva David Steeval completamente in suo potere e la vendetta di anni di insulti era finalmente lì, a portata di mano, e senza che lei non avesse alzato un dito o infranto nessuna regola -anzi, a dirla tutta l'aveva salvato da arpie peggiori di lei. Adesso poteva finalmente umiliarlo pubblicamente: magari ordinargli di correre nudo nel parco, tanto per iniziare... O suonare una serenata alla Cooman durante Divinazione... O, travestirsi da vecchia megera e mettersi fuori dal Dormitorio di Serpeverde... Oppure... 
Era così immersa nei suoi piani di vendetta che si era completamente dimenticata di David. Fu costretta a tornare bruscamente alla realtà quando lui si chinò di scatto e la baciò.
“Stee...” iniziò a protestare Drilla dandogli uno spintone.
Ma lui era robusto e l'aveva già stretta tra sé e uno scaffale, per nulla intenzionato a lasciarla parlare.
“Steeval!” esclamò ad alta voce Drilla, scandalizzata. “Smetti su...”. Non riuscì a finire perché lui la baciò di nuovo.
Drilla fece un altro tentativo per allontanarlo, poi lasciò perdere, ricordandosi che suo padre le diceva sempre che ai pazzi è meglio lasciar fare. E in fondo quel bacio era il suo momento di gloria... e, a dire il vero, era anche un momento di gloria parecchio piacevole: non credeva che David Steeval fosse tanto bravo a baciare. Anche se, con tutto il suo fan club alle calcagna, di pratica doveva averne fatta parecchia. Senza nemmeno accorgersene, gli aveva passato le braccia attorno al collo. E prima ancora che se ne rendesse conto, stava ricambiando il suo bacio con entusiasmo. Con molto entusiasmo.
Drilla si dimenticò per un istante di tutto: del filtro, della scommessa, di Rose Weasley.
Quando lui fece per scostarsi un attimo, gli afferrò la catenina d’oro che portava al collo e lo attirò di nuovo a sé. David non si fece pregare
“Levale le mani di dosso” disse una voce fredda.
Stuart. Con la bacchetta in mano. Proprio lì, accanto a loro.
Come diavolo aveva fatto a non sentirlo arrivare?
“Stu...”
Stuart le lanciò un’occhiata fulminante; Drilla ci lesse un astio così intenso da farla sprofondare.
“Non posso crederci! Come hai potuto?!” gridò il ragazzo con quanto fiato aveva in gola.
Drilla rimase atterrita. Non aveva mai visto Stuart tanto arrabbiato. “Stuart, io...”
“Gli hai dato un filtro d’amore, vero?!” ringhiò lui, senza lasciarla parlare.
“No!” protestò Drilla.
“Davvero?! Allora come lo spieghi?!” chiese in tono sprezzante Stuart, e indicando David, che osservava vacuo da una all’altro.
“Io...”
“Tu non sai quello che hai fatto!”
“Ehi, sentite...” cominciò David.
“Stai zitto, Steeval!” sbottò Drilla. “Stuart, ascoltami...”
“No! Lui è mio amico, Drilla! Non posso lasciarti farne quello che vuoi per una stupida scommessa!”
Drilla aprì la bocca per protestare, ma Stuart la precedette.
“Non provare a scusarti! Hai fatto una cosa orribile!”
“Lasciami parlare!” gridò Drilla. Tremava di rabbia. “Con che diritto mi accusi?!”
“Con che diritto?! Sei appena ricorsa a un tranello pur di vincere una scommessa!”
Drilla avvampò di collera. “Io ho fatto esattamente quello che Steeval meritava! E comunque non è per la scommessa, era per vendicarmi di tutte le volte che mi ha insultato! E non dire che è stato peggio di quello che lui avrebbe fatto a me se gli fosse capitata l'occasione!”
Stuart ringhiò e si voltò verso David. E trovò solo uno scaffale pieno di libri.
“Dov’è David?” chiese improvvisamente, guardandosi attorno.
Drilla fece altrettanto. Era sparito. Andato chissà dove, nello stato in cui era...
“Dobbiamo trovarlo” disse spaventata.
Stuart annuì con espressione scocciata e si fiondò fuori dalla biblioteca, seguito da Drilla.
“Dove diavolo può essere andato?”
“E chi lo sa?” disse Stuart ansimante. “Così com’è ridotto è un pericolo pubblico.”
Drilla sentì una fitta allo stomaco. Che cosa aveva fatto? In che razza di situazione assurda si era cacciata? Così impari a impicciarti degli affare di Serpeverde! disse una voce piccola piccola al suo orecchio. Drilla la mise a tacere seguendo di corsa Stuart. Stavano facendo il percorso inverso a quello che aveva fatto all’andata con David.
Ti prego, fa che non sia andato alla Sala Grande! Ti prego, ti prego, ti prego!
Tutte preghiere vane. Drilla e Stuart schizzarono sulla scalinata e fecero appena in tempo a vederlo lì, in mezzo la Sala d’Ingresso, che, dopo il pranzo, cominciava a riempirsi di studenti.
“Stee...” fece per chiamarlo Drilla.
Stuart la bloccò serrandole il braccio in una morsa. “Zitta! Se ti vede chissà cosa può fare! La scuola non deve scoprire che hai usato un filtro: potrebbero espellerti! Che cosa gli hai dato?”
Drilla lo guardò con occhi vacui. “Cosa...?”
“Il filtro!” sbottò Stuart spazientito. “Era forte?
“Io... non lo so...”
“Come fai a...”
Si bloccò a metà della frase. Anche lui, come Drilla, stava parlando sottovoce tenendo lo sguardo vigile su David. E, come lei, vide in quel momento avvicinarsi a David due persone. Due ragazze. Due vipere, pensò Drilla con orrore. Di loro si era proprio dimenticata.
Electra Zabini si fece avanti con il suo passo da gatta morta, elegante, gettando indietro la lunga chioma splendente. “Salve, Steeval” disse con voce suadente all’indirizzo del ragazzo.
David la squadrò vacuo. “Ah. Salve” fece atono.
Electra lo fissò sorpresa; evidentemente si aspettava tutt’altra risposta. Drilla, dietro a Stuart, per quanto sapesse in che situazione disperata erano, non riuscì a fare a meno di sogghignare. Poi ricordò improvvisamente quello che David poteva dire e inorridì.
“Stuart...”
“Stai qui!” ordinò seccamente lui. “Vado a riprenderlo.”
Scese la scalinata facendosi strada tra gli studenti che la risalivano, diretti alle aule.
Electra, nel frattempo, sembrava essersi ripresa dalla sorpresa. “Che saluto pieno di entusiasmo! Cos’è, ti ha appena mollato la ragazza?” chiese ridacchiando. Drilla serrò le nocche alla balaustra della scalinata. Se David le avesse creduto, se non si fosse appena scolato un filtro d’amore con un suo capello dentro, ora sarebbe morta dalle risate. Invece era lì, in piedi e bianca come un lenzuolo, che pregava perché David non avesse il tempo di parlare, che Stuart avesse una trovata geniale per portarselo via...
“Drilla, stai male?”
Al era di fianco a lei, e la guardava preoccupato. Drilla fece un cenno negativo con il capo e continuò a guardare David, che fissava perplesso Electra. Il suo silenzio sembrò espandersi a tutta la sala, come se tutto il chiacchiericcio della stanza fosse improvvisamente lontano, distante.
Ti prego...
Stuart era a un passo da David. Fece per allungare una mano, ma proprio in quell’istante l’altro aprì il viso in un gran sorriso. Un sorriso astuto e calcolato. “Ti piacerebbe, eh?”
La mano di Stuart si bloccò a mezz’aria. Electra accusò il colpo. Aveva una faccia talmente sbigottita da far venir voglia di passarle una mano davanti agli occhi e vedere se reagiva. “Ma... ma tu... ”
David alzò un sopracciglio educatamente. “Io?”
Non è possibile...
Electra scosse il capo, assolutamente sconvolta. “No, niente...”
“Sai, oggi il succo di zucca era particolarmente buono” osservò casualmente David.
Lo sa, disse una voce impietosa nel cervello di Drilla.
Lo sa, diceva l’espressione di Electra.
Come...?
“Anche se aveva un retrogusto strano, come se qualcuno ci avesse messo un ingrediente che non andava” proseguì David. Non si stava rivolgendo a nessuno in particolare mentre parlava.
Drilla vacillò.
“Drilla, sei sicura di sentirti bene?” chiese Al lì vicino.
No, non si sentiva per niente bene. Si sentiva malissimo. Aveva appena commesso un errore. Un errore terribile.
“La prossima volta che vuoi farmi assaggiare uno dei tuoi intrugli, dolcezza, dimmelo in faccia” mormorò David, voltando le spalle a una Electra ormai totalmente senza parole.
Si ritrovò faccia a faccia con Stuart, dietro di lui. Guardò lui, poi alzò gli occhi e li fissò su Drilla.
E sorrise. Con lo stesso, identico sorriso trionfante che Drilla aveva sulla faccia pochi minuti prima.
“Ops! Beccata” disse allegro.
Drilla dovette attingere a tutta la sua forza di volontà per non mettersi a urlargli addosso. L’aveva ingannata e ora la stava deridendo.
David guardò di nuovo Stuart e fece un cenno eloquente. Ecco cosa voleva ottenere con quella messinscena: convincerlo a mollarla, perché lo aveva tradito. Ma David non immaginava...
Stuart scrollò le spalle, salutò David e fece la scalinata a ritroso, lentamente.
“Ciao, Al” disse pacato.
“Ciao Stuart. Che stava combinando David con quella Serpeverde?”
“Non saprei. Sono affari suoi, suppongo” rispose lui alzando le spalle. “Non hai lezione, ora?”
Al guardò l’orologio e scattò. “Oh, no, sono in ritardo a Difesa contro le Arti Oscure!” Raccolse la borsa che aveva abbandonato su un gradino. “Devo andare! Allora... Drilla, sei sicura di sentirti bene?”
Drilla deglutì e incrociò lo sguardo di Stuart: uno sguardo freddo e ostile. Che cos’altro poteva aspettarsi, dopo che lo aveva ricattato così solo poco tempo prima?
“Sì, sto bene” disse con voce rauca. No che non stava bene. Per niente.
Al la guardò per un istante, non del tutto convinto, ma Stuart intervenne. “Non preoccuparti, resto io con lei.”
Al arrossì guardando da uno all’altra. “Ah, già, è vero che voi... beh, va bene. Ci vediamo, allora. Ciao!” Si allontanò imbarazzato.
E Drilla e Stuart rimasero soli. In silenzio.
“Avanti, di’ quello che hai da dire e basta!” sbottò lei, esausta. Tanto, peggio di così...
Stuart la guardava in silenzio. Poi, quando Drilla si era ormai convinta che non volesse rivolgerle la parola, parlò. “David avrebbe potuto essere molto più vendicativo.”
Drilla scrollò le spalle.
“Il filtro d’amore... era delle Serpeverde, vero?”
Drilla annuì.
“E tu sei andata al tavolo dei Grifondoro per infilarci qualcosa di tuo e cambiarlo, vero?”
Annuì di nuovo.
“Ma David ti ha visto.”
“Evidentemente” ammise Drilla con una smorfia.
Stuart rimase un attimo in silenzio, poi alzò le spalle. “Ti sta bene.”
Drilla non poteva crederci. Tutto lì? Era tutto quello che aveva da dire su quello che era successo?
“E il resto?” sbottò, spazientita.
“Resto? Quale resto?” domandò perplesso lui.
“Io e te. Il fatto che agli occhi di tutti stiamo insieme. Non è per farci mollare che David è stato al gioco? Per mostrarti quanto io sia una... una...”
Stuart la fissò con compassione. “Traditrice?”
Drilla annuì. Stava pensando a un sinonimo molto peggiore.
“Ma si da il caso che non stiamo insieme per davvero. E, quindi, non lo sei.”
Drilla avvampò. “Grazie.”
“Anche se devo ammettere che in biblioteca non mi sembravi tanto contrariata al piano di David...”
Drilla gli sferrò un calcio. “Pensavo che quando David si fosse svegliato sarebbe rimasto molto più umiliato pensando... a quello che è successo” borbottò contrariata.
Stuart sospirò massaggiandosi rassegnato un ginocchio. “Drilla, non puoi abbassarti a tanto per una stupida vendetta. E nemmeno per la tua scommessa. Non è morale, capisci?”
“Non m’importa.”
Stuart alzò gli occhi al cielo. “Come vuoi. Andiamo, ora? Abbiamo due ricerche da fare, se non sbaglio. Sarebbe ora di usare la biblioteca nella sua funzione originale di luogo di cultura.”
Drilla era basita. “Ma...”
“Ma cosa...?”
“Tu... non sei arrabbiato?”
Stuart ci pensò su un attimo. “Non eccessivamente.”
“Non vuoi, ecco... mollarmi?”
Stuart sogghignò. “E perché? Non avevamo chiarito che in realtà non mi hai mai tradito?”
“E... per il filtro?”
“Credo che David ti abbia già dato la lezione peggiore.”
Drilla pensò all’umiliazione appena ricevuta e annuì con gli occhi bassi e i pugni stretti. Quanto odiava Steeval!

 

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Capitolo 9
*** VIII. Nella bufera ***


VIII.
Nella bufera

 

 

Nessuna pietà.
Questo sarebbe stato il suo nuovo motto. Soprattutto, anzi, sicuramente e senza-ombra-di-dubbio verso Steeval.
La sua vendetta sarebbe stata malvagia, subdola, lenta e dolorosissima. Quale tipo di vendetta, però, Drilla ancora non lo sapeva. Al momento si limitava a consolarsi per lo smacco subito con questi pensieri rabbiosi e rancorosi, ammantata perennemente da una nube temporalesca che terrorizzava chiunque osasse rivolgerle la parola.
L’unico che sembrava del tutto immune alle scintille di rabbia che Drilla sprizzava da tutti i pori era Stuart, che camminava beato al suo fianco per i corridoi e le rivolgeva tranquillo la parola durante i pasti.
Nessuno dei due aveva dimenticato il subdolo ricatto di Drilla riguardo il celebre Ballo dell’Armistizio, così, ogni volta che avevano qualche ora buca, si rintanavano insieme in biblioteca; non a pomiciare, come praticamente tutta la scuola sosteneva sogghignando, ma a cercare notizie sul fantomatico Medaglione della Bellezza.
Il risultato di quelle ricerche? Niente. Il vuoto, il nulla assoluto.
“C’era un medaglione che pare avesse proprietà teurgiche...”
“Non m’interessa se non parla di bellezza.”
“E uno che sembra costasse addirittura duecento galeoni d’oro? E’ del Settecento...”
“No.”
“E uno…”
No, Stuart!”
Spulciarono da cima a fondo l’intero reparto sugli oggetti magici, consultarono uno ad uno gli scaffali della sezione “Maledizioni e malìe del Medioevo”, frugarono su tutti i manuali storici. Alla fine, un pomeriggio di fine novembre, mentre fuori dalla finestra si addensavano pesanti nubi nere, Stuart chiuse con un gesto secco il libro su cui aveva passato le precedenti due ore e sospirò.
“Non ce ne resta che uno.”
Drilla inarcò un sopracciglio. “Uno?”
Stuart fece un gesto verso uno scaffale e Drilla vide torreggiare, su tutti gli altri tomi, quello che pareva il volume più grosso, vecchio e consunto della biblioteca.
Storia di Hogwarts” spiegò Stuart conciso. “Se non c’è nulla nemmeno lì, dovremo arrenderci.”
Drilla si sentì male nel vedere lo spessore molto più che notevole del libro in questione. “Ci vorrà una vita” disse in tono sconsolato.
“No, solo un mese o due... al massimo tre.”
Drilla sbuffò. “Non resisterò ancora tre mesi vedendo quell’idiota della Weasley spuntare a ogni allenamento di Quidditch e strusciarsi addosso a Tristan.”
Stuart sorrise. “Allora ti ricordi ancora di lui?”
Drilla s’indignò. “Ma certo che mi ricordo di lui! Ne dubiti, forse?”
“No, figurati” ribatté lui tranquillo. “Solo che dopo la faccenda di David mi parevi così concentrata su di lui da dimenticarti di ogni altra cosa.”
Drilla strinse gli occhi: Stuart aveva parlato in tono leggero, quasi distratto; ma sulla sua faccia c’era un sorriso che non mentiva. Stava insinuando qualcosa, ma cosa? Che cosa poteva...
“Stuart!” esclamò Drilla inviperita. “Stai insinuando che mi piace Steeval?”
“Io non insinuo mai” replicò solenne Stuart. “Se devo accusare, faccio allusioni precise.”
“Stai forse alludendo al fatto che io sia innamorata di Steeval?”
“Precisamente.”
“Allora non stai alludendo, ti stai illudendo! Detesto Steeval con tutta la mia anima e il giorno in cui lo vedrò cadere stecchito dalla scopa con quel suo sorrisetto trionfale, allora saprò di aver vissuto il momento più felice della mia vita!” proclamò a gran voce.
Stuart continuava a sorridere. “Certamente molto meglio che il giorno in cui Tristan ti cadrà ai piedi, vero?”
“No!” fece Drilla. “Intendevo… vai al diavolo, Stuart!” concluse spazientita.
Si voltò e se ne andò a grandi passi, senza accorgersi del sogghigno che si era allargato ancora di più sulla faccia di Stuart.
Lei innamorata di Steeval! Pazzesco! Ma come aveva anche solo potuto passargli per il cervello una cosa simile? Come avrebbe mai, lei, potuto anche solo sentirsi attratta da un individuo prepotente, arrogante e tronfio come quell’idiota di David Steeval? La risposta era che non avrebbe potuto, semplicemente.
Insomma, come sarebbe mai riusciti, Steeval, a farla sentire leggera, felice, sognante come invece faceva Tristan tutte le volte che le sorrideva o le rivolgeva la parola?
Forse, era vero, per un certo verso era ossessionata da Steeval. Ma la colpa non era sua: era lui che l’aveva sbeffeggiata, insultata deliberatamente e trattata come l’ultima delle megere della scuola fin dal loro primo incontro. E lo aveva fatto senza una ragione valida; che scorrettezza aveva mai compiuto in precedenza Drilla nei suoi confronti per meritarsi tutto quello?
No, lei detestava David Steeval e amava Tristan.
Uno era il suo polo negativo, da eliminare con tutte le sue forze, l’altro quello positivo, a cui tendeva di natura.
Giunta a quella brillante e assai intellettuale conclusione, Drilla si avviò felicemente verso il campo di Quidditch. La sera prima era sceso dal cielo il diluvio universale perciò avevano dovuto spostare gli allenamenti al pomeriggio seguente, dividendo il campo con i Serpeverde.
Personalmente Drilla non aveva nulla contro di loro: certo, presentavano nelle loro file esempi di inettitudine umana come Elettra Zabini e la sua compare Montague, ma c’era anche gente a posto. Il Cercatore della loro squadra, tanto per dire, era un tipo calmo, introverso e che si sapeva fare i fatti suoi. Anche i due cacciatori –il terzo, il capitano, era un noto esempio di cervello di Vermicolo trapiantato per sbaglio in un corpo umano- erano gente a posto. Uno dei due, poi, tale Landon Amherst, era notevolmente attraente, con i capelli castani, gli occhi scuri e gli zigomi pronunciati. D'accordo, era un po' pieno di sé, ma mai quanto Steeval.
Drilla fu così fortunata da scontrarsi con lui uscendo dagli spogliatoi.
“Ehi, Cook, attenta a dove vai” la rimbrottò il ragazzo insolente.
“Senti chi parla” ribatté Drilla. “Nervoso per i Grifondoro di domani, vero?”
“Come no” sogghignò l’altro. “Vedrai come riduciamo quei tuoi due amichetti di Potter e Steeval.”
“Steeval non è mio amichetto. Anzi, sarebbe cortese da parte tua farlo stramazzare al suolo con più fratture possibile.”
Amherst rise. “Ci penserò.”
E si avviò verso il campo lasciandola alle spalle.
Fu solo allora che Drilla vide che dietro di lui, coperto dalla sua figura alta e prestante, c’era il Cercatore, con la sua chioma biondo platino e il volto affilato. Com’è che si chiamava? Ah, sì, Malfoy…
“Ciao, Cook” la salutò in tono formale.
“Ciao Malfoy. Non vai con la tua squadra?”
Malfoy lanciò un’occhiata al campo, dove alcuni dei suoi compagni si erano già alzati in volo. “Tra poco” rispose laconico. “E tu?”
Anche tutti i Corvonero erano già schierati sulla parte dello stadio opposta a quella dei Serpeverde e ricevevano istruzione da Tristan.
“Sì, ora li raggiungo” rispose lei. Esitò un attimo, per vedere se magari si potevano incamminare insieme, ma Malfoy non si mosse di un passo. Anzi, per qualche strana ragione, sembrava non vedere l’ora che lei si allontanasse.
“Beh, allora ci vediamo in giro” disse Drilla seccamente. “Ciao.”
“Ciao” rispose il ragazzo con un sorriso di circostanza.
Drilla si avviò verso il campo, perplessa. Chissà che cosa stava aspettando. Che volesse chiederle qualcosa su Jamie per batterlo alla partita dell’indomani, sapendo che lei era sua amica? E poi non aveva trovato il coraggio di farlo?
Si voltò ma nel punto in cui si era trovato fino a pochi secondi prima non c’era nessuno.
Confusa, Drilla guardò intorno a sé: niente, sparito nel nulla. Forse era tornato negli spogliatoi. Sì, doveva essere certamente così.
Tristan strapazzò lei e gli altri membri della squadra per tutto l’allenamento. Era chiaro come il sole che ci tenesse davvero moltissimo a vincere il torneo quell’anno. Ed era altrettanto chiaro che il fatto che lei e Stuart stessero insieme non aveva minimamente scalfito la sua sete di vittoria.
Drilla non sapeva se esserne contenta o no: anche lei desiderava con tutto il suo cuore vincere, ma avrebbe anche voluto che Tristan si dimostrasse innervosito, o confuso, o persino arrabbiato per le attenzioni che Stuart le rivolgeva –o fingeva di rivolgerle.-
Fu un allenamento lungo e durissimo, e sarebbe durato forse ancora di più se il cielo non si fosse di nuovo aperto lasciando cadere intere cascate d’acqua sulle due squadre. Sia i Corvonero che i Serpeverde furono costretti a rientrare negli spogliatoi, fradici fino alle ossa.
Drilla, prima di varcare la soglia, vide con la coda dell’occhio Malfoy che guardava dalla parte dello spogliatoio delle ragazze; le fece un cenno di saluto e distolse subito lo sguardo, seguendo i compagni all’interno dello stanzino usato per cambiarsi.
Che tipo strano.


Il giorno dopo non pioveva più. Nevicava.
Drilla era ancora sdraiata nel letto, rimuginando su uno strano sogno con elfi domestici sulle scope e Stuart che giocava a scacchi magici contro qualcuno che non ricordava più. La cosa più strana era stata che lei era la regina e Stuart l’aveva appena mandata a sacrificarsi contro una torre avversaria pronta a farla a fettine. Una torre che, per un breve istante, aveva assunto la faccia sogghignante di Steeval.
Non dovevo mangiare tutti quei Zuccotti di Zucca ieri...
“Drilla, hai visto? Nevica!” le disse allegra Eva, una delle sue compagne, scuotendola e cercando di convincerla a scendere dal letto.
Drilla borbottò qualcosa come “Ancora un minuto”, tirandosi la coperta sulle spalle, poi ricordò improvvisamente qualcosa e si alzò di scatto.
“La partita!” esclamò, saltando giù dal letto e inciampando nelle sue scarpe.
“Partita?” fece Eva. “Pensavo che oggi i Corvonero non giocassero.”
“Ma certo che no! Oggi ci sono i Grifondoro contro i Serpeverde!” ribatté Drilla, infilandosi quanto più veloce possibile i vestiti. “Che ore sono? Devo assolutamente arrivare in tempo!”
“Ma se non giochi perché dovresti preoccuparti di arrivare in ritardo?” chiese ancora Eva che, essendo Babbana di nascita, non aveva mai capito granché di Quidditch.
“Perché voglio vedere quando Steeval cadrà dalla scopa” affermò Drilla entusiasta. “Com’è il tempo? Nevica molto?”
“Sì” rispose Emily dal letto dov’era seduta, già vestita e con un’aria stranamente tesa. “Sarà… sarà brutto volare con questo tempo.”
Drilla sorrise, comprendendo quello che le stava passando di mente. “Non preoccuparti, Jamie se la caverà benissimo.”
Emily fece un cenno affermativo, ma non sembrava affatto più rilassata.
Quando scesero in Sala Grande il soffitto era un vortice grigio e bianco di nubi e neve, che turbinava selvaggiamente fuori dalle mura del castello.
Emily, di fianco a Drilla, emise un verso strozzato, nemmeno fosse stata lei a dover affrontare la bufera di lì a poco tempo.
Passarono accanto al tavolo dei Grifondoro per raggiungere il loro e videro Jamie, David e gli altri membri della squadra che mangiavano in silenzio. Drilla vide anche, con una stretta allo stomaco, Rose Weasley, intenta a fissare con occhi vitrei il piatto senza toccare cibo.
“Perché non vai a dare un bacio a Jamie?” suggerì con una gomitata a Emily. “Gli farà bene prima della partita.”
Emily arrossì e non rispose; però fece un cenno verso il ragazzo, che sorrise rassicurante in risposta.
“Gran brutto tempo, oggi” osservò Stuart quando entrambe si sedettero vicino a lui dopo essere passate oltre i Grifondoro. “Non so davvero come riusciranno a tenersi sulle scope. Con questo vento c’è pure il rischio che vengano portati via da una folata.”
“Non dire scemenze, Stuart. Nessuno volerà via” lo rimbeccò Drilla con un’occhiata allusiva a Emily. A parte Steeval, spero.
Stuart comprese e tacque, cominciando a parlare di tutt’altro.
Mezz’ora dopo uscirono tutti e tre dal portone stringendosi bene nei loro mantelli e vennero immediatamente colpiti dal vento gelido e dai fiocchi di neve che vorticavano violenti nell’aria.
“Ma chi ce lo fa fare di andare?” borbottò Stuart, contrariato.
Tuttavia seguì lealmente le due ragazze fino allo stadio e si accomodò con loro su alcuni spalti. Emily scomparve quasi immediatamente; Drilla poteva immaginare dove fosse andata: agli spogliatoi dei Grifondoro per cercare di convincere Jamie a stare attento, non fare niente di pericoloso e tutto quello che le sarebbe venuto in mente per sentirsi rincuorata.
Il campo di soffice erba verde era totalmente ricoperto da un manto bianco alto mezzo metro e poco dopo Lotus dovette arrancare per raggiungere il centro, seguito da indistinte forme colorate che dovevano essere le due squadre. Drilla riusciva a malapena a distinguere il colore delle loro divise in mezzo a tutto quel bianco e con gli occhi che lacrimavano di freddo.
La bufera era così forte che si accorse solo dopo un po’ di essere seduta accanto a Rose Weasley.
La ragazza in questione si voltò a guardarla e le sorrise cauta.
“Ciao.”
“Ciao” rispose Drilla atona. Se solo avesse potuto metterle le mani al collo…
“Noi… ci vediamo spesso, ma non ci siamo mai parlate. Sono Rose, piacere.”
Drilla guardò la mano affusolata avvolta in un guanto rosso che le tendeva e provò il fortissimo impulso di stringerla fino a stritolarla. Ma riuscì a trattenersi e, semplicemente, le diede la propria educatamente.
“Drilla Cook.”
“Sì, ho sentito parlare di te.”
“Da Tristan, immagino” replicò a denti stretti Drilla.
Rose sembrò incerta. “No, in realtà lui non mi ha mai detto nulla di te. Sono stati Jamie o Albus. Dicono che sei brava a giocare. Lo penso anch’io, per quel poco che so di Quidditch.”
Drilla si sforzò di sorridere. “Grazie.”
Forse aveva risposto in modo un po’ troppo brusco, perché la ragazza si era zittita improvvisamente, così cercò di sforzarsi di sembrare almeno simpatica. Insomma, e se poi fosse andata a raccontare a Tristan che era una terribile maleducata? Di sicuro lo farebbe… anzi, di sicuro gli dirà che sono scortese, stupida e brutta!
“Allora… oltre a Jamie per Grifondoro giocano anche altri tuoi parenti, vero?” chiese con un sorriso forzato.
“Oh, sì. C’è anche mio cugino Fred; fa il Battitore.”
Drilla non poté ribattere perché a quel punto la partita ebbe inizio: quattordici figure colorate si levarono in volo, tra la neve.
Bene, ora voglio proprio vedere cosa combina Steeval.
Drilla lo cercò tra le figure, ma riusciva a individuarlo solo per fugaci momenti, poi tornava a confondersi con le altre macchie di colore che saettavano nel cielo. Con sua grande costernazione, nei brevi momenti in cui lo riconosceva non cadeva, non riceveva Bolidi e nemmeno Amherst, che sicuramente si trovava tra le indistinte figure verdi sulle scope, sembrò riuscire a urtarlo, accidentalmente o no.
Da qualche parte c’era Hugo Weasley, il fratello di Rose, a fare la cronaca della partita, ma la sua voce, per quanto ampliata dal megafono magico, non riusciva a sovrastare la tempesta di neve.
“Non si capisce niente” commentò Stuart strizzando gli occhi. “Chi sta vincendo?”
“Credo i Grifondoro” rispose Drilla.
“Ne sei sicura?” chiese Rose. Era tesa.
“No, ma i Cacciatori di Grifondoro sono molto meglio di quelli di Serpeverde, perciò è più che logico che a vincere siano loro…”
“Santo cielo…” esclamò Stuart con voce strozzata.
Rose e Drilla alzarono lo sguardo e videro una figura indistinta precipitare verso il suolo. Veloce, sempre più veloce...
Rose strillò. Drilla trattenne il fiato, Stuart aprì la bocca ma non ne uscì un suono. Poi la figura rallentò all’ultimo momento e cadde sul manto soffice di neve che ricopriva il campo.
“Credo che non si sia fatto molto male… c’è mezzo metro di neve, ed è riuscito a rallentare la caduta. O riuscita, non so chi sia…” disse Stuart incerto.
“E’ un Serpeverde” dichiarò Drilla, vedendo l’uniforme verde quasi coperta di neve. “Forse Malfoy. Ma come ha fatto a cadere?”
“Non lo so, non l’ho visto.”
“Un bolide…” disse Rose, stringendo gli occhi che lacrimavano di freddo. Era completamente rossa in viso, come, d’altronde, anche Drilla e Stuart.
“Se questa partita non finisce in fretta me ne torno al castello” borbottò il ragazzo.
Drilla non rispose. Tutti i membri delle due squadre scesero a terra, dove Malfoy si era rialzato dalla neve, Lotus in piedi al suo fianco.
“Che succede?”
“E’ finita!” esclamò Drilla. “La partita! Malfoy ha preso il Boccino, guarda!”
Effettivamente Malfoy stringeva il pugno e lo porgeva a Lotus, che faceva gesti con le mani verso Ravenscar, il professore incaricato del tabellone dei punti.
“Sì, gli sta facendo segno di sì. Guarda, vedi il tabellone? Serpeverde ha vinto. Incredibile! Malfoy ha battuto Jamie! Da non crederci!”
Stuart fece una smorfia. “E perché no? In fondo con questo tempo è già un miracolo vedere la Pluffa. Figuriamoci il Boccino. Peccato per i Grifondoro.”
Guardò Rose, che scrollò le spalle e sorrise. “Vado da mio fratello. Ci vediamo, d’accordo?”
E, senza un’altra parola, scomparve tra la folla.
“Perché è venuta a sedersi con noi invece che andare da Tristan?” domandò Stuart guardando nella direzione in cui era sparita.
Drilla scrollò le spalle. “Non ne ho idea. Forse voleva solo tormentarmi.”
“Non credo. Anzi, sembra una ragazza simpatica” sostenne lui con noncuranza.
Drilla lo fissò accigliata. “Stuart Dunneth, non dirmi che ti piace Rose Weasley!”
“E’ carina” ribatté lui. “Peccato non sia bionda.”
Drilla scoppiò a ridere e per poco non ingoiò una manciata di fiocchi di neve. Tossì e si alzò la sciarpa fino al naso.
L’inverno era alle porte, e le vacanze di Natale erano sempre più vicine.

 

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Capitolo 10
*** IX. Stranezze ***


IX.
Stranezze

 

 

Le vacanze di Natale iniziarono un gelido lunedì mattina, il giorno dopo la partenza di quasi tutti gli studenti di Hogwarts, tra cui anche Stuart, Emily e l’intera schiera di Potter e di Weasley che risiedevano altrimenti in pianta stabile nel castello per tutto il resto dell’anno scolastico.
Drilla, invece, rimase, scontenta e immusonita.
“Perché non resti qui anche tu, Stuart? In fondo hai appena detto che i tuoi sono in vacanza in California. Che farai a casa da solo?” aveva chiesto all’amico in procinto di partire.
“Non sarò solo: c’è mio fratello a cui tenere compagnia; vuole che gli racconti tutto di Hogwarts dato che l’anno prossimo verrà qui anche lui.”
Drilla aveva sbuffato e aveva guardato l’amico attraversare, bagagli alla mano, il grande cancello della scuola.
“Buon Natale, eh!” gli aveva gridato dietro contrariata, attirando su di sé le risatine maliziose degli studenti lì intorno.

Si svegliò la mattina di Natale e si alzò depressa. La stanza dove dormiva con le altre quattro compagne era semibuia a causa delle tende tirate alle finestre e i giacigli delle altre erano vuoti e perfettamente rassettati. Una discreta pila di pacchetti di carta colorata la attendeva ai piedi del letto.
Drilla li fissò per un lungo istante e sospirò: avrebbe volentieri fatto a meno di metà o di tutti i regali pur di avere qualcuno con cui passare il Natale. Forse non era stata una buona idea non tornare a casa a badare alla mandria dei suoi fratellini scalmanati.
Abbacchiata, scese direttamente nella Sala Comune senza scartare nemmeno una scatola di cioccolatini e trovò Lorcan, seduto da solo su una poltroncina e intento a tracciare nell’aria strane bolle luminose e crepitanti con un oggetto circolare.
“Oh, buon Natale, Drilla!” la salutò non appena la vide, allegro.
“Anche a te, Lorcan. Che cosa stai facendo con quell’affar…ARGH!” strillò quando una delle bolle la raggiunse ed esplose con uno schiocco appena le toccò il viso, trasformandosi in una piccola fontana di fuochi artificiali.
Drilla tossì e si tastò il viso: aveva un sopracciglio bruciacchiato e una ciocca di capelli completamente abbrustolita. “Ma sei pazzo?! Guarda che cosa hai fatto!”
Lorcan la guardò perplesso e sorrise. “Sei carina come sempre”, affermò senza la minima traccia di malizia.
Drilla ringhiò ma non riuscì a controbattere di fronte alla palese buona fede del ragazzo. “Che diavolo è quell’aggeggio?” borbottò invece, rivolta all'attrezzo che il ragazzo teneva in mano.
“E’ un Bollovettore Pirotecnico. Me l’hanno mandato i miei genitori in regalo dalla Cina. Pare che laggiù vada molto di moda.”
Drilla grugnì. “E a che diavolo serve, oltre a fare bolle che scoppiano bruciacchiando le persone?”
“Perché, non ti piacciono i fuochi d’artificio?” fece Lorcan spalancando gli occhi, incredulo.
Drilla emise un sospiro esasperato e rinunciò a controbattere. “Dove sono gli altri?” domandò, guardandosi intorno.
“A casa, suppongo” fu la risposta svogliata di Lorcan. “Penso che siamo rimasti solo noi.”
Fantastico, di bene in meglio, si disse Drilla sarcastica.
“E tu come mai non sei andato a casa a festeggiare?”
“I miei genitori in questo momento sono in viaggio in Birmania per raccogliere la testimonianza dell’ultimo Changeling in vita. Mia madre vuole riabilitare la loro causa” annunciò fieramente.
Drilla sbuffò. “I Changeling non esistono più, si sono estinti da due secoli!”
“Oh, no, invece, esistono ancora in alcune remote parti del mondo.”
“Non dire sciocchezze! Il Decreto Magico Internazionale è stato stipulato un sacco di tempo fa e ha vietato categoricamente a tutte le specie elfiche o di folletti di rapire e sostituire i bambini umani coi Changeling: da allora quelli rimasti sono stati tutti soppressi!”
“Niente affatto” ribatté Lorcan testardo. “Anzi, potrebbero essercene ancora nascosti nelle famiglie inglesi. Mia madre prima di firmare il certificato di nascita di me e mio fratello si è assicurata che non fossimo Changeling.”
Drilla alzò gli occhi al cielo. Possibile che la madre dei due gemelli Scamandro fosse così fissata con le creature estinte o mai esistite?
“E’ rimasto a scuola anche tuo fratello?” chiese, in un tentativo di vertere il discorso su un piano più razionale.
“Oh, sì. Anzi, credo che sia già al Banchetto di Natale. Dovremmo andare anche noi” affermò, alzandosi dalla poltrona su cui era adagiato.
“Sì, sarà meglio” bofonchiò Drilla.
Scesero lentamente lungo la scala a chiocciola e si avviarono nei corridoi silenziosi.
Tutte le stanze del castello erano addobbate a festa, le statue decorate, e numerosi alberelli ricoperti di Neve Sempiterna creata dall’abile insegnante di incantesimi, la professoressa Fay, erano sparsi lungo tutta la scuola. Insomma, Hogwarts era splendente. I quadri, tuttavia, erano privi dei loro soggetti, sgambettati chissà dove per unirsi a chissà quale banchetto o festicciola, le armature avevano lasciato i piedistalli vuoti e deserti e i corridoi erano permeati dal silenzio. Sembrava che Hogwarts si fosse completamente svuotata della sua normale, quotidiana vitalità.
Quando i due entrarono nella Sala Grande, videro che era praticamente vuota e i colori delle case erano stati tolti e sostituiti con festoni natalizi di tutti i tipi. I pochi presenti erano riuniti tutti ad un unico tavolo, l’unico apparecchiato con piatti, calici e posate di argento e oro luccicante.
“Ehi, salve gente! Buon Natale!”
Hagrid, l’enorme Guardiacaccia, era apparso alle loro spalle, la folta barba grigia cristallizzata di piccoli frammenti di ghiaccio.
“Ciao, Hagrid. Anche a te” rispose Lorcan.
“Hagrid, perché c’è solo un tavolo apparecchiato?” domandò Drilla, perplessa.
“Ah, quello” fece Hagrid. “E’ stato per una lettera del Ministero, credo. Quelli del C.R.E.P.A. hanno scritto a Mc Kinnon e c’hanno chiesto se, dato che così tanti studenti tornavano a casa, poteva dare le ferie agli elfi domestici.”
“E ha accettato?” domandò Drilla scandalizzata. Se gli elfi erano in vacanza chi aveva cucinato per il banchetto di Natale? Anzi, qualcuno aveva cucinato?
“Sì, ma... be', sai come sono gli elfi. Alcuni hanno detto sì, ma la maggior parte si è messa a protestare e credo che Mc Kinnon ce li abbia lasciati lavorare. Poveracci. Però, per far contenti quelli del C.R.E.P.A., credo che il preside c’ha ordinato che apparecchiassero e servissero un solo tavolo, così lavoravano meno…”
Drilla non lo ascoltò più. Aveva appena individuato una testa bionda tra le poche che circondavano il tavolo. E un profilo terribilmente simile a…
“Steeval!” esclamò disgustata. “Lorcan, senti, io torno su in dorm…” si interruppe di scatto.
David si era girato dalla sua parte e l’aveva vista. I loro occhi si incontrarono per un attimo, poi lui distolse lo sguardo, serio, e lo abbassò sul suo piatto.
Drilla rimase a bocca aperta. Steeval che abbassava lo sguardo? Che non coglieva l’occasione di prenderla in giro? Che non le urlava da un capo della sala qualche insulto dei suoi, soprattutto dopo tutto quello che era successo l’ultima volta tra loro?
“Drilla, cos’è che hai detto, scusa?” La voce di Lorcan la fece tornare alla realtà.
“Io… niente” rispose senza riflettere e tenendo gli occhi fissi su David.
“Bene, allora andiamo a mangiare?”
Drilla non gli rispose, ma seguì Lorcan lungo il corridoio tra i tavoli, stranita. Quando presero posto al tavolo, poco lontano da lui, David alzò di nuovo gli occhi, la fissò ancora e tornò di nuovo al piatto. Senza nemmeno un sogghigno.
No, era assurdo. Quello non era David Steeval. Lui non si comportava così, non restava in silenzio in quel modo, non era mai interessato tanto al cibo che mangiava. Che cosa diavolo stava succedendo?
Drilla, confusa, aprì la bocca per dirgli, come suo solito, qualcosa di particolarmente velenoso quando la persona accanto a lei le sfiorò una spalla per attirare la sua attenzione.
“Ciao, Drilla.”
Drilla si voltò. E, una volta ancora, rimase sbalordita. Accanto a lei, con la chioma rossa raccolta in una coda severa, c’era Rose Weasley.
“Oh… ciao Rose. Che cosa fai qui? Non sei con la tua famiglia?”
Rose arrossì impercettibilmente. “No, ecco… sai, a Natale c’è troppa confusione a casa mia, perciò preferisco restare qui per studiare.”
Mentiva, e si notava a un miglio di distanza. Mentiva e Drilla avrebbe dato metà di tutti i suoi trofei di Quidditch per sapere perché.
“E, ehm… Tristan? E’ tornato a casa, mi pare. Non vi vedrete durante le vacanze, quindi?” chiese cauta.
Era stata un’allucinazione o Rose aveva appena sussultato? Drilla la vide annuire, poi guardarsi intorno e tornare a rivolgersi verso di lei.
“No, non… ci vedremo…” Si guardò di nuovo intorno, lanciò un’occhiata a Steeval, che sembrava totalmente assorto nel suo piatto, e abbassò la voce. “Senti, io… a proposito di questo… cioè, non di questo ma… sì, insomma, devo parlarti, se per te non è troppo disturbo.”
Drilla aprì la bocca, sbalordita. Forse stava per ottenere quello che desiderava senza dover toccare uno solo dei suoi trofei di Quidditch.
“Ma certo. Dopo pranzo?” chiese, inarcando un sopracciglio.
Rose annuì, sollevata. “Grazie. E… potresti evitare di… di farlo sapere in giro?” accennò a David con uno sguardo supplichevole.
Drilla annuì, sempre più perplessa. “Sì, nessun problema.”
Non poté aggiungere altro perché in quel momento il preside si alzò dal tavolo degli insegnanti, dimezzato anch’esso di gran parte dei suoi componenti –ovviamente eccettuato l’onnipresente Quebec- e sorrise.
“Innanzitutto, buon Natale a tutti quanti” esordì Mc Kinnon.
I pochi presenti risposero borbottando uno stentoreo “buon Natale.”
“Come vedete siamo davvero in pochi presenti in questa lieta giornata di festa, perciò abbiamo pensato di unire gli studenti in un unico tavolo, almeno per il banchetto di Natale e, soprattutto, per gli elfi domestici che ogni giorno lavorano instancabili per noi, come il nostro generoso comitato ministeriale per la loro difesa ci ricorda nel suo messaggio di auguri alla scuola.”
Drilla sbuffò.
“Perciò socializzate, lasciate da parte eventuali dissapori e, soprattutto, mangiate e divertitevi.”
Quebec emise un grugnito di disapprovazione a quell’ultima affermazione, ma nessuno vi badò perché erano appena comparse nei piatti da portata pietanze di ogni tipo e gusto.
Drilla si servì borbottando infastidita. “Certo che chi ha fondato il C.R.E.P.A. potrebbe avere di meglio da fare che impicciare il naso nelle faccende degli elfi domestici della scuola, che poi sono anche quelli trattati meglio in tutto il mondo magico. Mi piacerebbe sapere a chi è venuta quest’idea.”
“A mia madre. E’ la fondatrice” disse Rose senza guardarla.
Drilla per poco non si fece sfuggire di mano una forchetta. “Davvero? Ehm… è molto nobile come iniziativa...”
Rose scrollò le spalle, come per dire che non le interessava, e Drilla abbassò lo sguardo sul piatto, imbarazzata per l’ennesima figuraccia. Con la coda dell’occhio colse un mezzo sorriso tirato sul volto di David, ma quando lo guardò lui era già tornato serio e concentrato sul suo piatto.
“Che c’è, Steeval? Qualche problema?” chiese in tono aggressivo, non riuscendo più a trattenersi.
David la fissò per un attimo con occhi di fuoco, poi scosse violentemente le spalle. “Nessuno, Cook”, replicò con ferocia, tornando a ignorarla deliberatamente.
Drilla era sbalordita: l’aveva appena chiamata solo per cognome e non con uno dei suoi soliti soprannomi offensivi. E… e non aveva nemmeno abboccato all’amo e colto l’occasione per lanciare uno dei suoi commenti velenosi!
Sono io che sto impazzendo o il mondo si è capovolto durante la notte?
Quello fu il primo pranzo di Natale in cui Drilla non fece alcuna attenzione a quello che mandò giù. La sua mente vagava da Rose, a Tristan a Steeval. C’era qualcosa di strano in tutta quella faccenda. Anzi, molte cose strane, ma al momento le era impossibile capire di cosa si trattasse esattamente.
Lorcan, accanto a lei, aveva preso a conversare di creature cinesi palesemente fantascientifiche con due ragazzini molto impressionabili e affascinati del terzo anno di Tassorosso. Rose ogni tanto scambiava una parola con David, l’unico Grifondoro presente oltre a lei e Lysander, che stava giocherellando con un Bollovettore identico a quello del fratello, con grande disappunto di due ragazze Serpeverde sedutegli a fianco che tossicchiavano per via del fumo.
Il pranzo si protese per un tempo interminabile, finché non arrivarono finalmente al dolce, una splendida torta di melassa che Drilla divorò senza sentirne veramente il sapore.
Lorcan, lì accanto, dalle creature cinesi era passato all’ennesima evocazione del suo prode prozio guida-della-battaglia-contro-i-folletti e del favoloso tesoro che aveva nascosto da qualche parte alle pendici delle montagne vicino a Hogwarts.
“… e pare che contenesse forzieri e forzieri di antiche monete magiche, monete che oggi varrebbero venti o trenta galeoni. E coppe, calici, diamanti, pietre preziose, pugnali…”
Drilla sbuffò e si voltò, impaziente. “Andiamo?” bisbigliò a Rose, che aveva appena posato la forchetta sul piatto ancora pieno a metà.
Rose fece per annuire quando una zazzera rossa spuntò dalle sue spalle, seguita da un volto lentigginoso e due grandi occhi marroni. “Per la barba di Merlino, non ditemi che sono di nuovo arrivata in ritardo!”, si lagnò la nuova arrivata.
Rose trasalì e si voltò. “Lily!” disse, sorpresa. “Dove sei stata finora?”
La nuova arrivata, che Drilla riconobbe di vista come la sorella di Al e Jamie, sorrise astutamente. “A fare… un giretto” disse enigmatica.
Rose alzò un sopracciglio, critica. “Non sarai di nuovo sgattaiolata fuori dalla scuola fino a Hogsmeade, vero?”
“E anche se l’avessi fatto?” replicò imperturbabile l’altra.
“Sai benissimo che non si può. Se Quebec ti scopre…”
“Quebec non si è mosso per tutto il tempo dal tavolo insegnanti e a meno che si sappia duplicare dubito che potrebbe beccarmi finché lo tengo d’occhio” ribatté allegramente Lily. Poi si voltò verso Drilla e di colpo il sorriso le scivolò via dalla faccia, sostituito da una smorfia. “Oh!”

“Che c'è, Lily?... Oh! Conosci Drilla Cook?” la presentò Rose vedendo chi Lily stesse guardando.
Lily non le sorrise e non fece cenno di voler stringere la mano che Drilla, perplessa da quello strano cambio di umore, le aveva teso. “Immagino di sì” disse la ragazzina con sufficienza. “Chi non conosce Drilla Cook?”
Aveva pronunciato il suo nome come se fosse qualcosa di molto sgradevole e Drilla se ne risentì immediatamente. Ma chi si credeva di essere? Che cosa voleva da lei quella bamboccia? “Già, chi? E con questo?” disse alzandosi in piedi in tono di sfida.
Lily la guardò astiosa per un istante, poi scrollò le spalle. “E con questo niente” replicò piatta. “Vado a vedere se riesco a recuperare almeno un boccone in cucina…” E si allontanò senza nemmeno salutare.
Rose non era meno perplessa di Drilla. “Ehm… non so cosa le sia preso. Di solito è molto gentile…” cercò di giustificarla. “Scusa davvero. Vado... vado a vedere cos'è successo, forse non sta tanto bene...” e scappò via inseguendo la cugina.
Drilla emise un verso di esasperazione, assolutamente sconvolta da tutto quello che stava succedendo e ricadde pesantemente sulla panca. Ma che gli era preso a tutti? Mentre cercava di ordinare le idee, uno stralcio di conversazione le giunse casualmente dalla sua destra.
“… forzieri ricolmi di Medaglioni e di antichi calici argentati di…”
Drilla si voltò così veloce che per poco non perse l’equilbrio. “Cos’hai detto?” esclamò a voce forse un po’ troppo forte.
Metà del tavolo si girò dalla sua parte, ma Drilla non vi badò, continuando a fissare Lorcan come se le avesse appena fatto una rivelazione mistica.
“Che cos’hai detto?” ripeté di nuovo, come instupidita.
Lorcan la fissò innocentemente. “Che nel tesoro del mio pro-pro-pro-zio Harold ci sono moltissimi Medaglioni” disse orgoglioso.
Drilla, senza nemmeno accorgersene, aveva afferrato Lorcan per un braccio e lo stava stringendo spasmodicamente. “Medaglioni? Ma quali? Di che genere?”
Le rispose una voce del tutto inaspettata. “Le monete in uso prima del cambio valuta del 1598 che uniformò la moneta magica di tutto il mondo facendo entrare in vigore i Galeoni, i Falci e gli Zellini.” Era stato David a parlare.
Drilla si voltò verso di lui, sbalordita. “E tu cosa ne sai, Steeval?”
David fece una smorfia. “Sono cose che sanno tutti. O, perlomeno, quelli che vivono con i piedi per terra e non chiusi dentro un’illusione romantica.” E, mentre pronunciava le ultime parole, una scintilla di ferocia gli attraversò gli occhi.
Drilla si inalberò. ”Se stai parlando di Stuart...” mormorò a denti stretti.
”E chi ha detto qualcosa?” replicò David.
Drilla non capiva a cosa volesse alludere, ma in quel momento era troppo eccitata dalla rivelazione appena avuta per soffermarsi a pensare. “Quindi vuoi dire che un Medaglione, nel 1500, era una moneta?”
Lorcan, lì accanto, annuì. “Non una, erano tutte le monete che venivano usate dai Maghi. E il tesoro del mio prozio Harold ne rigurgita. Si dice che vi abbia radunato anche numerosi manufatti magici e molto rari di cui non si conoscono bene gli effetti.”
Drilla non poteva credere alle sue orecchie dalla gioia: e se quel fantomatico tesoro fosse la chiave per trovare quello che cercava?
David sbuffò. “Ma fammi il piacere” sbottò rivolto a Lorcan. “Non c’è nessun tesoro a Hogwarts, o l’avrebbero scoperto da tempo.”
“E invece sì” ribadì convinto Lorcan. “Le indicazioni per trovarlo sono state tramandate attraverso tutte le generazioni della mia famiglia!”
“Oh, certo, magari con un bigliettino dove c’è scritto il primo indizio” replicò sarcastico David. “O una mappa del tesoro addirittura!”
“Niente affatto!” replicò Lorcan, imperterrito nella sua aria sognante. “Anzi, c'è uno strumento specifico per trovarlo.”
“Quella del tesoro è solo una stupida leggenda della tua famiglia” ribatté di nuovo David. “Se ci fosse stato davvero un tesoro perché nessuno della tua famiglia è andato a cercarlo?”
“Perché non ne aveva bisogno nessuno” rispose Lorcan tranquillo. “Serve solo in caso di necessità.”
“Boiate! La verità è che il tuo tesoro è solo un modo per procurarsi prestigio.”
Lorcan lo guardò accigliato. “Niente affatto. E’ la verità, e se vuoi te lo dimostrerò.”
David sogghignò. “Ma davvero? Vorrei proprio vedere come.”
“Trovandolo” rispose semplicemente Lorcan.
David lo guardò come se lo ritenesse pazzo. “Stai scherzando? E come pensi di fare?”
“Te l’ho detto” rispose Lorcan con logica inoppugnabile. “Ho indicazioni precise su come trovarlo.”
“Già, e anche su come trasportarlo?” ghignò David. “O chiami una ditta apposita per tutti i forzieri di cui rigurgita?” disse enfatizzando esageratamente l'ultima parola.
“Ma non ne avrò bisogno” disse Lorcan, colpito. “Insomma, una volta che lo avremo trovato lo lasceremo dov’è, no?”
David inarcò un sopracciglio. “Una volta che l’avremo trovato?” ripeté. “Scusa, tu e chi altro dovreste cercarlo?”
“Ma tu, ovviamente” rispose Lorcan. “Non hai detto che vuoi vedere?”
David si accigliò. “E girare come uno stupido insieme a te per il castello a giocare a caccia al tesoro? Mille grazie, ma preferisco starmene dove sono.”
Drilla a quel punto non riuscì più a trattenersi. “Cos’è, Steeval, hai paura?” ringhiò.
David spostò gli occhi su di lei e, per l’ennesima volta quel giorno, sorprese Drilla: invece che rispondere, scrollò le spalle e distolse lo sguardo.
Drilla non poteva sopportare oltre il suo modo di ignorarla. “La verità è che te la stai facendo sotto perché hai paura di andare con Lorcan e di farti beccare dagli insegnanti. E dato che sei un vigliacco…”
SBAM!
David aveva picchiato un pugno sul tavolo e si era alzato in piedi con gli occhi ardenti su Drilla. “Figurati!” ruggì. “Se vogliamo vedere chi è il vigliacco qui… be’, mi piacerebbe vedere te!”
Drilla gli lanciò un’occhiata di sfida. “Per me non c’è nessun problema! Io, infatti, andrò con Lorcan a cercare il tesoro.”
“Tanti auguri” disse David, ma il sarcasmo della frase fu rovinato dal suo tono furibondo.
“Si può sapere cosa stai sbraitando, Steeval?” li interruppe una voce minacciosa.
Tutti i ragazzi alzarono lo sguardo sulla figura intimidatoria di Quebec, che si era materializzato alle loro spalle.
“Allora?” disse il professore di Artimanzia, accigliato.
David aveva il viso così congestionato che risultava più che evidente che avrebbe risposto per le rime a Quebec. E Drilla, inaspettatamente, lo bloccò appena in tempo.
“Stavamo solo parlando, professore.”
Quebec non sembrava felice della sua intromissione. “Le ho chiesto di parlare, signorina Cook?”
“No” rispose Drilla. “Ma non mi sembra sia un crimine parlare a tavola.”
Quebec la fissò per un lungo istante, poi si raddrizzò e assunse un’espressione composta. “Molto bene. Allora, signorina Cook, continuate a parlare tranquillamente. Ma se trovo qualcuno di voi che vaga per il castello a orari insoliti saprò bene che punizione affibiargli.”
E su quella nota minacciosa si ritirò al tavolo degli insegnanti.
Drilla e David si cambiarono un’occhiata e seppero entrambi all'istante che nessuno quella notte sarebbe rimasto tranquillo nel suo letto.

 

 

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Capitolo 11
*** X. Il rompicapo ***


X.
Il rompicapo

 

 

Quella sera, alle undici precise di orologio, due figure sgattaiolarono fuori dalla porta del dormitorio di Corvonero, scendendo silenziose lungo la scala a chioccola della torre. Più precisamente, una scese silenziosa, l'altra s'incamminò con un passo fin troppo rilassato, procedendo sicura nel buio.
“Sei assolutamente certo che dobbiamo uscire dal castello?” chiese Drilla, mentre sfociavano nel corridoio del terzo piano, cercando di fare il meno rumore possibile sul pavimento scricchiolante.
“Sì, assolutamente” confermò Lorcan, procedendo con quella sua andatura distratta e fiduciosa.
Drilla grugnì. Non era del tutto certa di far bene a fidarsi di Lorcan ma quell’occasione era troppo preziosa per essere sprecata. Sperò solo che valesse davvero la pena correre quel rischio con Quebec che pattugliava instancabile la scuola, altrimenti... preferì non pensare alla punizione che li avrebbe aspettati.
“Posso sapere solo una cosa?” chiese Drilla, stringendosi nel mantello nero della divisa. “In che cosa consistono esattamente le indicazioni del tuo avo?”
“Oh, si tratta semplicemente di un rompicapo.”
“Che cosa?!” eruppe Drilla, sbigottita. “Un rompicapo?”
“Oh, sì, ma molto facile. L’ho già risolto una volta, anche se alcuni incastri non li so più ripetere.”
Drilla inorridì. “In... incastri?”
“Già” annuì lui, fermandosi ed estraendo dalla tasca una sfera argentata grande come un pugno.
“Che cos’è?” chiese Drilla, scrutando diffidente l’oggetto. “Se è un’altra diavoleria che ti hanno mandato i tuoi genitori…”
“No, questo è un oggetto tramandato in tutta la mia famiglia” rispose Lorcan. “Lo ha costruito il mio avo, aiutato dai folletti. I folletti buoni” specificò. “Non quelli che si sono ribellati.”
“Non poteva semplicemente scrivere un testamento con le coordinate del tesoro?” domandò lei stizzita.
“Non sarebbe stato sicuro” replicò Lorcan.
“E come si fa ottenere la posizione del tesoro da quell’affare?” borbottò Drilla, di malumore.
“Semplice: si fanno girare gli anelli finché non si fa comparire la trama giusta, che forma una mappa.”
Drilla si chinò sull’oggetto: la sua superficie era solcata da diverse linee parallele che lo dividevano in tanti anelli che ruotavano in continuazione. Lorcan riusciva a tenerlo in mano solo perché lo tratteneva stringendo con le dita le due calotte alle estremità, le uniche parti di quel bizzarro oggetto a restare immobili.
“Ma dove sarebbe la mappa?” chiese perplessa.
“Nei disegni sugli anelli: adesso sono scomposti, ma una volta incastrati gli anelli in modo giusto formano il disegno del luogo e come arrivarci.”
Drilla notò che effettivamente quelle che aveva scambiato per deformità e schegge degli anelli erano parti di un disegno intricato scomposto dal loro movimento continuo.
“E come fai a sapere come incastrarli nel modo giusto?”
“Non lo so.”
“Come sarebbe a dire che non lo sai?” esclamò. “Mi stai dicendo che l’hai risolto a caso?”
“Sì.”
Stava per mettergli le mani al collo quando sentì un tocco su una spalla.
Un tocco sulla spalla? E Lorcan, davanti a lei, che aveva tutte e due le mani in vista.
Drilla si sentì gelare il sangue nelle vene. Quebec.
Si voltò di scatto e sbatté il naso contro qualcosa di duro.
“Ahio!” eruppe.
“Fa’ silenzio! Vuoi finire in punizione per i prossimi sessant’anni?”
Steeval. Non era possibile! Perché doveva sempre spuntare al momento meno opportuno?
“Ciao, Steeval” lo salutò serio Lorcan. “Allora hai deciso di venire con noi?”
David fissò Lorcan, poi Drilla. Aveva un’espressione vagamente furibonda. Invece che rispondere alla domanda, ringhiò. “Voi due fate più casino di un branco di Troll in calore!”
“Se fossi nel tuo letto al caldo come i bravi bambini invece che qui a fare cose da grandi che non fanno per te, non saresti costretto ad ascoltare il nostro casino!” ribatté Drilla.
Si guardarono in cagnesco per un lungo istante, finché Lorcan, lì di fianco a loro, non rimise in tasca la sfera del suo avo e tese l’orecchio. “Sento dei passi che somigliano a quelli del professore di Aritmanza. Credete che sia lui?” fece, tranquillo.
Drilla e David impallidirono.
“Via!” dissero quasi simultaneamente.
Afferrarono ciascuno per un braccio il povero Lorcan e lo trascinarono di corsa giù, lungo la rampa di scale della Sala d’Ingresso.
“Dobbiamo uscire” osservò Lorcan. “Potete evitare di stringermi così le braccia?”
Nessuno dei due lo ascoltò e, attraversando di corsa la sala, si avventarono sul portone, cercando di spostare il pesante battente di legno di quercia.
“E’ chiuso” constatò David.
“L’avevo capito” ribatté Drilla, a denti stretti. “E ora cosa diavolo facciamo?”
Un riverbero fievole di luce in cima alla gradinata li avvertì che Quebec doveva essere vicino.
“Nei sotterranei” suggerì con urgenza David.
Drilla non se lo fece ripetere due volte e afferrò di nuovo il braccio di Lorcan strattonandolo verso la porta che portava alle segrete del castello.
David li aveva preceduti e aprì loro la porta; aspettò che entrassero e li seguì, chiudendosela alle spalle.
Ansimavano tutti e tre, e persino Lorcan aveva i capelli spettinati e l’aria meno tranquilla e più affannata del suo solito.
“E ora?”
“Scendiamo” rispose David, accigliato. “Stai pur certa che Quebec ha l’udito fine. Vi ha sicuramente sentiti, e sa benissimo che le segrete sono un ottimo posto per nascondersi.”
Vi ha sentiti? Mi pare che qui ci sia anche tu, o sbaglio?” lo attaccò Drilla in tono aggressivo.
“E chi ha mai detto di voler venire con voi?” scattò a sua volta lui, feroce.
“Se non volevi venire con noi cosa facevi nel corridoio?” ribatté Drilla.
“Era lì per venire ad aiutarci, ovviamente” intervenne Lorcan ingenuamente.
“Stupidaggini” sbottarono Drilla e David insieme.
Lorcan batté le mani. “Wow, siete proprio in sintonia.”
Drilla e David si guardarono con la stessa amabilità di due grifoni inferociti che si contendono un pezzo di carne.
“Muoviamoci” disse alla fine David, distogliendo lo sguardo.
Drilla si accigliò. L’aveva fatto di nuovo: l'aveva ignorata. Insomma, ma che cosa era successo al vecchio Steeval? Stava forse perdendo colpi per la vecchiaia che avanzava? Era rimasto vittima di un Incantesimo Confundus? Perché se c’era una cosa di cui era certa su di lui era che mai e poi mai, almeno, mai prima di quel giorno avrebbe abbassato gli occhi e cambiato argomento.
E’… è pazzesco. E’… un rompicapo, ecco cos’è!
“Andiamo, Drilla?” la chiamò Lorcan dall’oscurità in basso: lui e David erano già ai piedi della scalinata che conduceva agli umidi sotterranei del castello e Drilla non riusciva più a vederli per il buio.
“Ma come faremo a uscire dal castello?” chiese mentre li raggiungeva, scendendo con calma i gradini per non scivolare.
“Te lo dico io” replicò aspra la voce di David. “Non uscirete e basta perché sarebbe del tutto inutile. Non c’è nessun tesoro né dentro il castello, né fuori e nemmeno in nessun altro posto!”
Drilla sentì la bile ribollirle nel fegato. Quanto lo detestava!
“Senti un po’ Steeval…”
Non concluse la frase perché una luce balenò improvvisamente nel corridoio e qualcosa si materializzò senza preavviso tra loro.
Drilla per poco urlò. David fece un salto all’indietro. Lorcan, invece, non si mosse.
“Buonasera, Hector” disse con un sorriso.
Tu!” esplose Drilla. “Mi hai fatto venire un colpo!”
La luce del fantasma si affievolì man mano che i loro occhi si abituarono a lui.
“Oh, i nobili Grifondoro della festa delle cantine!” esclamò Hector, solenne. “E’ ‘sì gran vanto per me imbattermi una volta ancora in voi. Questo, milady, non è forse il ragazzo che ti fece da cavaliere al banchetto?”
Indicò David, che lo fissava accigliato senza riuscire a capire di cosa il fantasma stesse parlando.
“No” rispose Drilla seccata. “Quello era Stuart.”
“Ora che me lo fai notare è invero decisamente diverso dal tuo precedente cavaliere. Orbene, cosa fate qui, miei nobili amici? Siete forse venuti per qualche altro festeggiamento?”
“No. Stiamo cercando un tesoro” disse Lorcan.
“Un tesoro, nientemeno!” esclamò il fantasma, colpito. “E dove pensato di cercare codesto tesoro?”
“Fuori dal castello, ai piedi delle montagne. Tu conosci forse un’uscita?”
David scelse proprio quel momento per intervenire nel discorso in tono seccato. “Lascia perdere, Scamandro! Non ci sono tesori né uscite, e con questo fantasma non fai altro che perdere il tuo tempo. Anche se mi pare che perdere tempo sia la tua occupazione preferita, dopo lo sparare scemenze.”
Il fantasma lo guardò severamente. “Mi pare di capire che tu, ragazzo, non abbia molto rispetto per me o per questo mio giovane amico.”
David grugnì. “Non vedo perché dovrei fare altrimenti.”
“Perché io”, e qui Hector si erse in tutta la sua considerevole altezza fluttuando a parecchi centimetri dal suolo, “so dov’è un’uscita dal castello.”
“Davvero?” fece Drilla, improvvisamente attenta. “E dove?”
Il fantasma fece un gesto vago con la mano verso il corridoio buio. “In fondo, primo corridoio a sinistra, secondo a destra, parete centrale… oh, ma dimenticavo, voi non potete attraversare i muri.”
“Ma no! Tu guarda, non ci avevamo pensato” fece David, sarcastico.
“…allora dovete attraversare ancora un corridoio, prendere a sinistra, salire i gradini in fondo alla Stanza dei Topi e siete fuori” proseguì il fantasma senza ascoltarlo.
“Ehm… non sono sicura di aver capito tutto…” cominciò Drilla.
“Tranquilla, Drilla” la interruppe Lorcan. “Io sì. Grazie mille, Hector. Buona serata.”
“Buona serata a voi, nobili Grifondoro. E che la fortuna e la buona sorte vi assistano nella vostra impresa avventurosa!”
E, così dicendo, attraversò di nuovo la parete, facendoli ripiombare nell’oscurità. Ci fu un istante di silenzio, poi: “Lumos!
David aveva estratto la bacchetta, che ora sfavillava come una piccola scintilla di fuoco nel buio.
“Ci conviene sbrigarci.”
“Oh, bene! Quindi vieni con noi!” affermò soddisfatto Lorcan, e, senza dargli il tempo di replicare, si avviò nel corridoio, verso la direzione indicata da Hector. “Avanti, seguitemi!”
Drilla e David lo seguirono incerti, decisamente restii ad affidarsi al suo senso dell’orientamento; ma d’altro canto che scelta avevano? Restare lì, soli al buio a scannarsi a vicenda? Non era proprio il caso.
S’incamminarono cauti dietro a Lorcan, che procedeva sicuro alla flebile luce emanata dalla bacchetta di David.
Primo corridoio a sinistra, secondo a destra… Drilla cercava di concentrarsi sul percorso da fare, ma c’erano continuamente rumori attorno a loro che la disturbavano: le suole di Lorcan, il fruscio della divisa di David, scricchiolii sinistri…
“Eccoci nella Stanza dei Topi” annunciò fieramente Lorcan quando oltrepassarono un arco di pietra appena visibile alla luce della bacchetta e approdarono a uno spazio ancora più buio degli altri.
“Ehm… perché si chiama così?” domandò Drilla guardandosi in giro.
“Pare che un tempo il castello fosse stato invaso da topi molto particolari, i Coal” spiegò Lorcan, sognante.
“I… che cosa?”
“I Coal”, ripeté Lorcan. “Topi-umanoidi magici molto pericolosi. Ci volle un’intera squadra del Dipartimento dei Disastri e delle Catastrofi Magiche per ripulire il castello. E si dice che arrivarono anche alcuni Auror che contravvennero al Codice di Regolamentazione e Diritto delle Creature Magiche e ne torturarono tantissimi.”
Drilla sospirò alzando gli occhi al cielo, rassegnata alle sue storie campate per aria. Probabilmente era solo una stanza popolata di molti topi.
David sbuffò, ma stavolta non insistette a insultare Lorcan e si limitò a imbronciarsi.
“Ecco l’uscita.”
Drilla vide solo allora che, in fondo alla stanza, c’era una porta di legno malconcia dalle cui fessure tra le assi penetrava una luce fievolissima. E molto freddo.
“Hai ancora qualcosa da dire contro Lorcan o Hector, Steeval?” infierì Drilla, sebbene solo fino a un momento prima fosse anche lei dubbiosa al proposito.
David scrollò le spalle. “Ci conviene avvolgerci bene nei mantelli. Fuori c’è la neve.”
Non aveva torto. Cinque minuti dopo arrancavano affondando i piedi in sessanta centimetri buoni di neve. Lorcan, davanti a loro, faceva strada verso le montagne che circondavano il lato nordorientale della scuola. La luna piena aleggiava sinistramente nel cielo e sembrava intensificare ancora di più il freddo pungente che penetrava attraverso i mantelli pesanti dei tre ragazzi.
Ma chi me lo ha fatto fare?, pensò per un breve istante Drilla, tentata di mollare tutto e tornare al caldo del suo dormitorio, sotto le coperte.
Poi vide David voltarsi per un attimo a guardarla e strinse la mascella. Vedremo cosa farai quando avrò trovato quel dannato Medaglione!
Senza una parola lo oltrepassò e si avvicinò a Lorcan.
“Manca molto?” chiese cercando di non battere i denti.
“No. Dobbiamo arrivare fino alle radici delle montagne.”
Drilla corrugò le sopracciglia. “E una volta lì?”
Lorcan sorrise senza rispondere e proseguì per la sua strada, come se volesse tenere il segreto per sé fino all’ultimo momento. Drilla gli andò dietro sbuffando.
Avanzarono a fatica ancora per una buona mezz’ora, con David che di tanto in tanto lanciava un grugnito o un borbottio incomprensibile; alla fine, quando ormai aveva quasi il fiatone, Drilla raddrizzò la schiena incurvata dalla fatica e si accorse che erano giunti ai piedi di un ripido costone roccioso.
“Ottimo posto per una slavina” commentò di malumore David.
“Ecco laggiù il passaggio” esclamò Lorcan allegro, senza badargli.
Drilla cercò di aguzzare la vista ma notò solo un enorme masso di roccia crollato dal fianco della montagna. Guardò oltre e lo scenario era sempre lo stesso: il fianco roccioso rosicchiato dalle intemperie e, di tanto in tanto, qualche traccia di frana.
“Io non vedo nulla“ disse infastidita.
“Ma come? E' proprio qui!“ disse Lorcan, avvicinandosi al macigno immenso.
Drilla gli si accorstò e solo allora vide che in realtà là dove sembrava che si appoggiasse alla parete rocciosa c'era l'imboccatura di un passaggio che portava nel cuore della montagna.
“E noi dovremmo entrare in quel buco e strisciare per chissà quanto?“ chiese scettico David.
“Non è lungo. Non vedi? Dall'altra parte si vede la luce della luna.“
E, senza aggiungere altro, Lorcan si infilò nel passaggio avanzando quasi carponi. Drilla esitò un momento poi lanciò un'occhiata di sfida a David e seguì Lorcan.
Il ragazzo aveva ragione: pochi metri più in là Drilla emerse in quella che sembrava una gola talmente stretta da costringere chi entrava a camminare in fila indiana. In alto si vedeva una parte di luna gettare la sua luce nel baratro in cui si trovavano.
David li raggiunse quasi immediatamente.
“Coraggio, andiamo. Siamo vicini“ esclamò Lorcan felice, incamminandosi lungo la gola. Drilla e David si affrettarono a seguirlo per non perderlo di vista.
Le pareti che li fiancheggiavano erano davvero vicine e durante il percorso si allargavano e si restringevano molto; più volte Drilla sentì la roccia strisciare contro la stoffa dei suoi abiti. Dietro di lei David, che aveva anche le spalle più larghe delle sue, non doveva essere messo meglio.
“Cos’è quello?” chiese ad un tratto fermandosi dopo aver scorto una cavità oscura e squadrata in uno dei punti dove i costoni si allontanavano lasciando loro un po’ di spazio dove muoversi.
David la urtò. “Ehi, non fermarti all’improvviso!”
“Cos’è?” chiese ancora Drilla ignorandolo.
David guardò nella direzione che indicava.
“Sembra l’entrata di una miniera” borbottò.
“Forse è la tana di un Troll” disse Lorcan, che era tornato indietro e stava guardando anche lui verso l’antro non identificato.
“Sciocchezze!” ribatté David. “Un troll è troppo grosso, non potrebbe mai passare di lì!”
Lorcan si strinse le spalle e si voltò, riprendendo la camminata.
“Ne abbiamo ancora per molto?” chiese aspro David, che sembrava cominciare davvero a irritarsi.
“No, ancora…” estrasse il rompicapo. “Dieci passi… Eccoci.”
La strettoia angusta tra le rocce si chiuse improvvisamente di fronte a loro in un resistente, altissimo ed invalicabile muro di massi e detriti franati nei secoli dalle montagne circostanti.
I tre rimasero a guardare il passaggio bloccato per un lungo istante, poi David scoppiò a ridere. “Eccolo qui, il tesoro inestimabile! Un mucchio di pietre!”
Drilla boccheggiava. Non poteva essere. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto!
“Lorcan” esclamò con la voce che le tremava. “Cosa diavolo dice il tuo rompicapo?”
Lorcan glielo tese e Drilla lo esaminò quasi con furia. “Come diavolo si fa a risolverlo?”
“Be’, non posso dirtelo…”
“Come sarebbe a dire che non puoi?!”
“E’ un rompicapo, no? Devi risolverlo da sola. E’ così che funzionano i rompicapi, giusto?”
Drilla osservò gli anelli della sfera che proseguivano tranquillamente a roteare e vorticare attorno al nucleo. David, lì di fianco, aveva smesso di ridere e se ne rimaneva stranamente zitto.
Okay, Drilla, abbi pazienza e risolvi in fretta questo affare. Sei una Corvonero dopotutto, no?
Si concentrò sulle linee e cominciò a girare gli anelli cercando di farle combaciare. Provò una, cinque, dieci, venti volte, ma ad ogni combinazione c’era qualcosa che non coincideva. Furiosa, girò di nuovo, poi un’altra volta ancora: mancava un anello.
La fece scorrere piano, lentamente, attenta a ogni particolare, ogni curva, ogni incisione sul metallo di quell’aggeggio infernale. E le linee combaciarono.
Drilla trattenne il fiato vedendole muoversi sulla superficie ora ferma della sfera e formare una figura: delle montagne; poi una gola, e, infine, un passaggio alla fine di essa.
“Il passaggio che c’è qui è stato seppellito dai massi…” cominciò.
“Fa’ vedere” la interruppe David, allungando la mano verso la sfera.
Non appena la sfiorò, quella mandò una scintilla argentata e i cerchi scattarono roteando impazziti.
“Ahi!” gridò David, sfregandosi la mano. “Ma che diavolo…? Perché quell’affare manda scosse elettriche?”
“Non lo so” fece Lorcan, perplesso. “Non lo ha mai fatto.”
“Probabilmente possono toccarlo solo persone dotate di una certa intelligenza” insinuò Drilla.
“O con una propensione naturale a cacciarsi in situazioni stupide senza accorgersene” ribatté David, furioso.
“Cosa ne potevamo sapere io e Lorcan che il passaggio era chiuso?” scattò Drilla.
David aprì la bocca per ribattere, ma per l’ennesima volta si trattenne e la chiuse. A Drilla diede ancor più fastidio di quando le rispondeva a tono.
“Forse c’è un altro passaggio…” stava meditando Lorcan lì accanto, ignorando del tutto il loro battibecco.
“Ovvero?”
“La tana del troll” rispose lui.
David sbuffò. “Ho già detto che non può essere la tana di un troll perché…”
“Sì, abbiamo capito” lo interruppe Drilla. “E quindi secondo te passando di lì e facendo un giro largo possiamo arrivare… dovunque dobbiamo arrivare?”
“Perché no?”
“E chi ci dice che non è bloccato anche quel passaggio?” protestò David.
“Tanto vale controllare. O hai paura del buio?” insinuò Drilla.
David, ovviamente, non poteva resistere a una provocazione simile, tanto che fu il primo a tornare indietro lungo la gola, fino alla cavità scura, tallonato da Drilla e Lorcan.
Lumos!” recitò di nuovo quando fu sulla soglia. “Prima le signore” aggiunse sarcastico. “O preferisce mandare qualcun altro in avanscoperta, Miss Coraggio?”
Drilla varcò impettita l’entrata per prima. Si ritrovò subito nel buio totale, nonostante la bacchetta di David e la debole luce lunare che penetravano dall’esterno. Fece un passo in avanti, poi un altro, e al terzo sbatté un ginocchio contro qualcosa di duro.
“Che cosa…?”
“Un carrello da miniera” constatò in tono soddisfatto David, illuminando l’oggetto che Drilla aveva urtato. “Questo significa che avevo ragione.”
Drilla preferì non ribattere.
“E ora da che parte andiamo?”
“Da quella del passaggio che non esiste, direi” rispose lui, indicando con la mano che impugnava la bacchetta in una direzione. Le scintille che caddero dalla punta illuminarono per un breve istante il luogo. Si trovavano di fronte a un cornicione che dava sul nulla; il carrello e i binari erano rivolti verso un passaggio sulla destra. Un altro, sulla sinistra, era invece privo sia di uno che degli altri.
“No. Dobbiamo andare di là” lo corresse Lorcan, indicando a sinistra.
“Ma se…” iniziò scocciato David.
“Guidaci, Lorcan” disse invece Drilla.
Lorcan fece per incamminarsi, ma David era al limite della sopportazione. “Adesso basta!”
Drilla e Lorcan lo guardarono perplessi. “Che c’è?”
David aveva il volto congestionato dalla rabbia. “Mi trascinate nei sotterranei perché vi siete fatti quasi beccare da Quebec. Mi costringete a strisciare in mezzo alla neve per ore. Mi fate passare per una gola stretta come un manico di scopa e per cosa? Per trovare un mucchio di sassi!”
Mentre si sfogava, Lorcan continuava a guardarlo con un’espressione vacua.
Drilla, invece, fu meno paziente. “E con questo cosa vorresti dire?! Nessuno ti ha costretto!”
David le lanciò un’occhiata di fuoco. “Proprio tu parli! Ti cacci in guai che non sei in grado di affrontare e nemmeno te ne accorgi. O sei cieca come una talpa e non vedi a un palmo dal tuo naso o sei così stupida da non volerlo fare!”
“Di che cosa stai parlando?” replicò lei mentre il suo tono di voce si alzava pericolosamente.
“Non sarò certo io a dirtelo!” ribattè lui. “E’ ora che ti accorgi da sola di quello che ti succede intorno, idiota!”
“Idiota a chi?!” gli gridò Drilla. “Parli tu, che sei il ragazzo più egocentrico, vanesio e approfittatore…”
David si mise a gridare a sua volta. “Lo vedi cosa sei?! Solo una stupida cornacchia orba!”
“Smettetela, o…” iniziò Lorcan, ma nessuno dei due gli diede ascolto.
“Cornacchia orba a chi?” strillò Drilla con una nota isterica particolarmente acuta.
“A…”
Cosa stesse per rispondere nessuno lo seppe mai. Le loro urla echeggiarono di colpo fortissimo tutto intorno. Poi ci fu un rumore orribile e… il cornicione si sfaldò.
David era vicino al bordo. Troppo.
Spalancò gli occhi mentre la roccia cedeva sotto i piedi e cercò di afferrare qualcosa.
Drilla non ragionò, agì solo d’istinto. Gli afferrò un braccio ma era troppo sbilanciata.
Cadde insieme a lui, nel buio.

 

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Capitolo 12
*** XI. Incubo sul fondo ***


XI.
Incubo sul fondo

 

 

La prima cosa che sentì fu il freddo. Freddo dappertutto, persino nelle ossa. Un freddo strano…
Cercò di muoversi, piano, e si accorse di avere i movimenti impediti da qualcosa di pesante che la infagottava. Si mosse ancora e si rese conto che era stoffa, tanta stoffa. E che… che era fradicia! Ecco perché sentiva tanto freddo! Era avvolta in uno strato spesso di vestiti bagnati!
Cercò di tirarsi su a sedere e riuscì nell’intento con qualche difficoltà, guardandosi attorno confusa.
Era buio; così buio che stentava a vedere a pochi centimetri dal naso. Tastò il terreno e si accorse che sotto di lei c’erano solo roccia dura e detriti. Poi sentì l’acqua.
Non era un rumore forte, per questo non l’aveva udito subito. Era solo uno sciabordare leggerissimo, come un lago che si increspa lievemente.
Sono caduta, ricordò. E c’era anche Steeval!
Ma lui dove diavolo era?
“Ehi, Cook, ti sei svegliata?” mormorò qualcuno.
Drilla sobbalzò nel buio e si voltò dalla parte da cui proveniva la voce. “Steeval…” disse.
“Sì, ti sei svegliata” commentò la voce del ragazzo in tono scocciato.
Drilla sforzò gli occhi e cercò di vederlo nell’oscurità. Riuscì solo a distinguerne vagamente il profilo: era seduto a pochi metri a gambe incrociate.
“Perché non hai usato Lumos?”
“Nel lago c'è qualcosa che non mi piace. E la luce qui sotto attira troppo l'attenzione.”
Drilla corrugò le sopracciglia. “Siamo caduti in un lago?”
“Oh, sì. E ho fatto una fatica immensa a tirarti fuori. Dovresti metterti a dieta, sai?”
Drilla avvampò. “Non sono affari tuoi! E comunque come fai a sapere che c’è qualcosa là dentro?”
“Mentre stavo uscendo ho sentito che mi afferrava un piede. E, sinceramente, non ci tengo ad essere affogato da qualche melmosa creatura di caverna per colpa tua e del tuo amico.”
“Piantala con questa storia! Non ti abbiamo chiesto noi di venire!” ribatté Drilla accalorandosi.
Lui sembrò divertito. “Ma guarda! Ti ho appena salvato la vita e mi ripaghi con quel tono insolente!”
Drilla si morse il labbro, furibonda. “Grazie!” sbottò in un tono che era tutt’altro che grato.
“Prego!” replicò lui nello stesso tono aggressivo.
Drilla tacque un attimo. “Hai chiesto se mi sono svegliata?”
Silenzio. Poi: “Credo che fossi svenuta per il botto con l’acqua. Ma potrebbe darsi che tu abbia perso i sensi in volo, anche se è strano, per una cornacchia.” Ghignò.
Drilla, furiosa, fece per alzarsi ma la massa enorme di stoffa che la infagottava la fece ricadere al suolo. “Ma che diavol… cos’ho addosso?”
“Vestiti, mi pare ovvio.”
“Ma non possono essere tutti i miei!”
David non rispose e Drilla si insospettì. “Mi hai dato il tuo mantello?”
“Più o meno.”
Drilla si allarmò per il suo tono stentoreo. Sembrava che fosse costretto ad ammettere qualcosa di immensamente fastidioso.
“Cosa di tuo mi hai dato di preciso?”
David tacque per un lungo istante. Poi si schiarì la voce. “Perché hai cercato di prendermi la mano mentre cadevo?”
Drilla ammutolì. Era per quello che lo aveva fatto? David Steeval era davvero in grado di provare un sentimento come la gratitudine?
“Non lo so” rispose asciutta.
“Ti stavo insultando” osservò lui.
“Già, l’avevo notato” ribatté Drilla aspra.
“E allora perché l’hai fatto?”
Drilla sbuffò. “Non ne ho idea, l'ho appena detto. Suppongo che non siano tutti come te, che rimarrebbero sul cornicione a ghignare mentre chi odiano cade giù.”
“Non avrei mai fatto nulla del genere!”
Drilla sbuffò. No, forse no. Era uno stupido, onorevole Grifondoro, dopotutto, e nessuno di quella Casa sarebbe stato tanto furbo da starsene in disparte a vedere il proprio rivale cadere in un baratro buio.
Ecco cosa sono i Grifondoro: un branco di stupidi spacconi orgogliosi!
“Forse è vero, non l’avresti fatto” ammise suo malgrado. “Non saresti mai stato così furbo.”
“Furbo?”
“Sì. Così furbo da liberarti di me e dalla nostra scommessa che sicuramente perderai.”
David tacque, poi bofonchiò qualcosa che Drilla non capì.
“Che hai detto?”
“Niente.”
Drilla lasciò perdere e iniziò a tentare di svolgersi di dosso tutto quell’ammasso di vestiti. “Perché diavolo mi hai dato il tuo mantello?”
“Perché sembravi un cadavere morto di freddo” rispose prontamente lui, sogghignando al ricordo.
“Ah sì? E come lo sai?”
“Perché, tu non ci vedi?”
“Come faccio a vedere qualcosa con questo buio?” ribatté lei stizzita.
“Strano, io più o meno ti vedo.”
“Beato te che hai gli occhi di un gufo” disse seccata.
Riuscì finalmente a sfilarsi un mantello, poi l’altro, poi un maglione e… un altro?
“Mi hai dato il tuo maglione?”
“E la camicia” confessò lui, avvicinandosi nell’oscurità a riprendersi le sue cose.
“Cosa?! E tu che cosa ti sei tenuto?”
Lo sentì sogghignare. “I pantaloni. O volevi anche quelli?” domandò sarcastico.
“Sei rimasto tutto questo tempo senza niente? Non hai freddo?”
“Non eccessivamente. Non sono tutti delicati come te, Cook.”
Drilla fece un verso incredulo, poi per poco non inciampò in uno dei fagotti di stoffa che aveva gettato a terra. Irritata, cercò la bacchetta, la trovò nella solita tasca dove la riponeva e la puntò davanti, tra sé e David.
Lumos!” mormorò.
La luce dopo tutto quel buio per poco non la accecò. Era ancora peggio di Hector che compariva nel corridoio oscuro dei sotterranei. Man mano che gli occhi si abituarono vide il chiarore riflettersi sull’acqua, poco distante, e scintillare sull'orologio di David e sulla catenina portava al collo, e…
Drilla urlò e cadde all’indietro, spaventata a morte.
David sobbalzò, completamente preso alla sprovvista. Vide Drilla che guardava verso di lui, si voltò per vedere se ci fosse qualcosa di terribile alle sue spalle ma dietro di lui c'era solo il buio. Perplesso, si girò di nuovo verso di lei.
“Che c’è?”
Drilla non parlò. Fissava David, atterita.
“Che cos’hai?” ripeté lui spaventato.
Drilla deglutì e balbettò: “C-che… c-che cos’hai fat-to?”
David la fissò senza capire. “Cosa stai dicendo?”
“C-che cosa t-ti sei fatto?” farfugliò lei.
“Io?” fece lui, sempre più attonito. “Di cosa stai parlando?”
Drilla lo fissò negli occhi e vide che davvero non capiva. Ma… come faceva a non capire? Aveva… Drilla non sapeva nemmeno come descriverlo. Lui era lì, a torso nudo e aveva la pelle d’oca… almeno, aveva la pelle d’oca dove aveva la pelle normale. Ma da un lato del suo corpo... Era una sorta di pelle scura, quasi avvizzita, tesa allo spasmo sulle ossa, come quella di un corpo carbonizzato o scarnito... e sembrava tutt’altro che umana.
“Cos’hai fatto?!” ripeté di nuovo Drilla in tono vagamente isterico.
“Non ho fatto niente!” replicò lui alzando a sua volta la voce, continuando a sembrare del tutto inconsapevole di quello che Drilla gli stava dicendo. “Si può sapere di che diavolo parli?”
“Di te!” disse Drilla. “Di… della tua pelle…”
“La mia pelle? Che diamine ha la mia pelle?” fece David, che sembrava cominciare a dubitare della sanità mentale di Drilla.
“Ma non vedi?” insisté Drilla incredula.
David chinò il capo, si esaminò, poi la guardò di nuovo mentre nei suoi occhi si rafforzava la convinzione che lei stesse delirando. “Senti, non so che cosa dovrei vedere, ma…”
“Tu sei… hai metà… sei… Oh, Merlino!” guaì disperata.
David la guardava. Ora sembrava che stesse davvero meditando sul fatto che la caduta l’avesse fatta impazzire. “Senti, okay, ho o sono tutto quello che ti pare… possiamo tornare su, ora?”
Fece un passo avanti per avvicinarsi a lei e Drilla, d’istinto, si ritrasse. “STAI LONTANO!” urlò.
David la guardò sbalordito. “Che cosa c’è? Non sono un mostro! Che ti è preso, maledizione?!”
Oh, sì che lo sei!, provò l'impulso fortissimo di dire lei, ma non ci riuscì. Non riuscì a fare nulla se non restare paralizzata mentre lui raccoglieva la camicia, il maglione e il mantello e si rivestiva.
“Senti!” sbottò poi quando ebbe finito, vedendo che ancora non accennava a muoversi. “Non so che cosa tu veda o di cosa tu stia parlando, ma dobbiamo muoverci a uscire di qui. Fa un freddo cane, e tu stai decisamente congelando. Hai ancora le labbra blu, e io non voglio portarti a peso morto in giro per queste cave mentre tremi di freddo, perciò alzati e cammina, su!”
Drilla in circostanze normali avrebbe risposto a tono. Ma in quel momento non c’era nessuna circostanza normale. Era in fondo ad un abisso profondissimo. Era in compagnia del suo peggior rivale. Non aveva idea di come tornare indietro. E, soprattutto, aveva appena visto per la prima volta a torso nudo David Steeval il magnifico e… era poco meno di un mostro.
Si premette le mani sulle tempie. Forse quella caduta mi sta davvero facendo impazzire. Forse ho le allucinazioni.
“Ho visto un’imboccatura, laggiù. Forse porta ad un’uscita” stava dicendo David, senza badarle.
Drilla annuì come un automa. David la squadrò stranito, abituato a sentire da lei recriminazioni su ogni sua proposta o argomento, ma forse, vedendo la sua faccia sconvolta, ebbe pietà e non volle infierire.
“Allora, andiamo o no?”
Drilla annuì, raccattò il mantello e il maglione e seguì David a distanza di sicurezza. Se quello che aveva visto, nella più remota delle possibilità, non fosse stata un’allucinazione ma la verità…
Non dire sciocchezze, Drilla. David Steeval è il più bello della scuola, corteggiato da mille ragazze... in intimità con mille ragazze… se fosse vero quello che hai visto, puoi star certa che tutte le sue spasimanti sarebbero scappate di corsa invece che accettare le sue avances come molte raccontano di aver fatto… O forse c'era qualcosa nel lago... Un momento! E se avessi qualcosa anch'io? Si bloccò di colpo, colta dal panico, e prese a togliersi compulsivamente il mantello e il maglione. Doveva vedere, doveva scoprire se anche lei era stata toccata da quella cosa, qualsiasi fosse... 
David, poco più avanti, si accorse che si era fermata e si voltò.
“Ehi, ma che diamine stai facendo?!”
Drilla lo ignorò, lottando contro il maglione, riuscendo finalmente a sfilarselo e cominciò a sbottonarsi i bottoni con mani tremanti.
“Ma sei impazzita?!” ruggì David tornando indietro e afferrandole uno dei polsi. “Smettila! Che cosa ti è saltato...?”
“LASCIAMI!” strillò Drilla, si divincolò dalla sua presa e aprì la camicia tastandosi spasmodicamente le costole, la pancia... Sotto il suo tatto la pelle era liscia e allo sguardo normale, piena, chiara com'era sempre stata.
Drilla sentì un sollevio immenso inondarla ma subito fu bloccata dal pensiero che David non riusciva a vedere se stesso. Quest'ultimo aveva posato la bacchetta e le afferrò di nuovo un polso e la scrollò con forza. “Smettila, hai capito? Mi hai sentito? Smettila, per Merlino!”
Drilla cercò di liberarsi di nuovo ma la stretta del ragazzo stavolta era salda. “Guardami, Steeval, guardami!” gli ingiunse con un una nota isterica nella voce.
David si fermò, lo sguardo dubbioso. “Cosa? Ma che stai dicendo? Ti si è riempito d'acqua il cervello?”
“No! Ti prego, Steeval, guardami! Dimmi se ho qualcosa che non va. Ti prego!” lo implorò lei in lacrime.
David fu così attonito di sentirla pregarlo che lasciò la presa e lei allargò la camicia per mostrarsi meglio alla luce della bacchetta. “Ho qualcosa che non va? Sono... sono un mo-mostro?” balbettò Drilla in tono di supplica.
David la squadrò da capo a piedi, con il viso congestionato. “Ma che stai dicendo? No, non sei un mostro!”
“Me lo giuri? Me lo puoi giurare? Dimmi la verità!”
David rimase in silenzio per un lungo istante, ansimante. “Senti!” disse dopo un po', con una voce fredda e facendosi avanti: le allontanò le mani dalla camicia e gliela chiuse. “Non so che cosa ti sia preso. Forse la botta ti ha fatto qualcosa alla testa, non so, ma ti giuro su Godric Grifondoro che non hai niente che non va. E ora, per favore, rimettiti quel dannato mantello perché se non usciamo di qui entro dieci minuti sento che impazzirò anch'io.”
Drilla eseguì docilmente gli ordini, rassicurata e stordita. Doveva aver visto male, David aveva ragione. La caduta, lo shock, il freddo e il gioco di luci ed ombre le avevano giocato un cattivo scherzo. Sì, doveva essere così, si disse. Ma una vocina, nel profondo, continuava a sibilarle che invece aveva visto benissimo.
David raccolse la bacchetta e la guidò fino a un bivio, dove si fermò un attimo a riflettere. Forse voleva anche chiederle un parere, ma il viso devastato di lei lo dovette far desistere subito dall’intento, e scelse da solo una strada, forse a caso, forse intenzionalmente. Proseguirono a camminare in silenzio e oltrepassarono uno, due, cinque bivi. Finché non approdarono a un sesto, e qui Drilla, ripresasi a sufficienza da parlare, sospirò.
“Questo incrocio è quello di prima.”
David le lanciò un’occhiata acida. “Grazie, me ne sono accorto. Ma potresti anche dare una mano in più invece che seguirmi come un’appendice inutile.”
Drilla scosse la testa. Non sapeva nemmeno lei che pesci pigliare.
“Da questa parte si sale, se volete.”
Sobbalzarono entrambi. Da uno dei cunicoli di fronte era apparso come un fantasma –o un miraggio di salvezza, a seconda dei punti di vista- nientemeno che Lorcan.
“Lorcan!” esclamò Drilla, immensamente sollevata; senza riuscire a trattenersi, gli saltò al collo e lo abbracciò. Fu come abbracciare un pezzo della propria vita.
Lorcan, un Corvonero, un suo amico, un essere umano senza alcuna deformazione. Drilla gli affondò una testa in una spalla senza pensare e scoppiò in singhiozzi.
“Oh, siete tutti bagnati” osservò lui, senza scomporsi.
David, che guardava Drilla piangere con un'espressione a metà tra lo sconvolto e il perplesso, ci mise un po' a riprendersi e rispondere.
“Però, che arguzia” ribatté sarcastico. “Senti, tu sai come si esce di qua?”
“Certo.”
“E allora renditi utile e accompagnaci.”
Lorcan li guardò entrambi. “Perché, non volete continuare a cercare il tesoro?”
David gli rivolse un’occhiata furiosa. “Quel dannato tesoro non esiste! E se stiamo ancora un po’ qui rischiamo di beccarci una broncopolmonite fulminante da come siamo ridotti!”
Lorcan volse la testa verso Drilla, che continuava a stringere spasmodicamente la sua spalla riversandoci una marea di lacrime. “E tu? Vuoi continuare?”
Drilla scosse la testa.
No, non voleva più dare la caccia a quello stupido tesoro. O a quello stupido Medaglione. Tutto quello che voleva era tornare a casa; al castello di Hogwarts, davanti al focolare, al calore del dormitorio, al suo letto a baldacchino e a qualunque cosa le fosse potuta venire in mente.
Lorcan annuì. “D’accordo, allora, andiamo. Seguitemi.”
Tese la mano a Drilla, che la afferrò subito, senza indugi. Devo essere davvero impazzita per fidarmi così ciecamente di uno come Lorcan, meditò con gli ultimi stralci di razionalità che le erano rimasti.

 

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Capitolo 13
*** XII. Febbre ***


XII.
Febbre

 

 

Era ancora buio quando Drilla, Lorcan e David emersero finalmente dai sotterranei, stanchi, distrutti e intirizziti –o, almeno, due di loro lo erano.
Il percorso all’inverso era stato più breve di quello che Drilla ricordasse, ma forse era solo perché lo aveva fatto quasi dormendo, esausta, sostenuta unicamente dal braccio e dalla mano di Lorcan. Tremava ancora, forse per il freddo, forse per la paura o forse per altre ragioni che ora non riusciva più a ricordare.
Quando arrivarono alla scala che portava alla Sala d’Ingresso, David, un’ombra indefinita nelle tenebre, la aprì piano, mentre, dietro di lui, Lorcan cercava di sorreggere Drilla.
“Avanti!” fece il ragazzo seccamente, tenendo loro la porta aperta.
Drilla, trascinata ormai di peso da Lorcan, passò a un soffio da David e, se non fosse stata quasi totalmente sopraffatta dal sonno, avrebbe giurato di sentirlo fremere.
Lorcan la trasportò a fatica su per la scalinata marmorea della Sala d’Ingresso, ansimando impacciato.
“Drilla, non riesco a trascinarti fino al dormitorio” ansimò Lorcan quando approdarono in cima alle scale. “Non ce la fai proprio a camminare?”
Drilla annuì con il capo, stancamente, e lo mollò, cercando di reggersi sulle proprie gambe. “Andiamo” disse con la voce impastata dalla stanchezza.
Lorcan annuì, la guardò preoccupato quando cercò di infilarsi nel corridoio che portava alle aule del primo piano e la prese per un braccio. “Il dormitorio è là, Drilla” spiegò, indicando il corridoio opposto.
Drilla annuì. “Certo” borbottò.
Lorcan scosse la testa e la precedette. “Seguimi.”
Drilla fece due passi, poi sentì una mano calda appoggiarsi alla sua spalla e sussultò.
“Steeva…” cominciò, voltandosi.
Non riuscì a finire la frase: David le si accasciò adosso e per poco non la trascinò a terra insieme a lui.
“Steeval?” fece Drilla cercando istintivamente di reggerlo, mentre un senso d’allarme crescente si fece strada nel sonno che la intorpidiva.
“Steeval, che hai?” ripeté ad alta voce, e uno sprazzo di lucidità la fece finalmente rendere conto che il ragazzo tremava violentemente. “Stai male?”
Il ragazzo non rispose e Drilla cercò di vedergli il volto nel buio: aveva gli occhi chiusi e continuava a fremere. La sua pelle scottava.
Sì, sta male!
“Che succede? Che cos’ha?” domandò Lorcan, tornando sui suoi passi.
“Ha la febbre!” rispose Drilla ansiosa. “Vai a chiamare la signorina Hartland, presto!”
“Ma…”
“Muoviti!”
“Okay” annuì Lorcan, e scattò con insolita rapidità in un corridoio alla sua sinistra.
Drilla era troppo debole per sorreggere ancora a lungo David, così si chinò al suolo, facendolo scivolare con più delicatezza possibile sul pavimento. Gli guardò il volto, pallidissimo e coperto da un velo di sudore e sentì una morsa allo stomaco.
Cercò qualcosa da fare, qualcosa da dire, ma tutto quello che le venne fu: “Potevi dirlo subito che stavi male, invece che cadermi addosso come un sacco di zucche!”
Lui aprì per un istante gli occhi, la fissò un attimo con uno sguardo perso nel vuoto e li richiuse con un gemito.
Drilla si spaventò a morte.
Morgana, sta davvero male! Non riesce nemmeno a rispondermi!, pensò angosciata.
“Steeval, mi senti?”
Il ragazzo tenne gli occhi chiusi.
Maledizione! Perché Lorcan non si sbriga?
Cercò il ragazzo nell’oscurità, scrutando l’imbocco del corridoio dov’era sparito, ma non c’era nulla, solo tenebre. E David si faceva sempre più cadaverico.
Drilla lo fissò ancora un secondo, poi decise. “Coraggio, ti porto per un po’” dichiarò, cercando di prenderlo da sotto un’ascella. Riuscì a fare due passi sotto il peso del ragazzo, poi crollò di nuovo sul pavimento.
Non ce la faccio! E ora? Dove diavolo è Lorcan?!
Clack.
Un rumore alla sua destra interruppe i suoi pensieri e la fece trasalire.
“Chi c’è?”
Una figura vagamente familiare emerse dall’oscurità. Una ragazza.
“Potter?” fece incerta Drilla. Ormai quella sera non era più sicura di nulla di ciò che vedeva.
“Sì, sono io” rispose Lily Potter, avvicinandosi.
Si stava infilando in tasca quella che sembrava una pergamena vuota molto vecchia e sembrava reduce di qualche misfatto ai danni di Quebec o della custode della scuola.
“Che cos’è successo?” chiese sorpresa, vedendo lei e David a terra.
“Steeval sta male.”
“Lo vedo anch’io. Ma che ha?” insisté Lily chinandosi.
“Credo che abbia preso freddo.” O che abbia contratto una malattia mostruosa, non riuscì a fare a meno di pensare.
Lily si accigliò. “E’ fradicio!”
Drilla non replicò, e Lily, insospettita, la studiò da cima a fondo.
“Anche tu” affermò con freddezza. “Cos’è successo?”
Drilla strinse le labbra, poi si decise a rispondere. “Siamo caduti in un lago.”
“Un lago? Quale, quello della scuola?” indagò Lily.
In quell’istante David cominciò ad ansimare.
“Senti, non importa ora” disse Drilla disperatamente. “Dobbiamo portarlo in infermeria!”
Lily annuì e sollevò David da terra. “Dammi una mano” ingiunse a Drilla.
Lei obbedì e prese David da sotto un’ascella.
Ansimando e sbuffando riuscirono a trasportarlo fino a metà strada dell’infermeria prima di incontrare Lorcan, tallonato da una signorina Hartland terribilmente preoccupata.
Le bastò guardare in faccia David per decidere che era davvero messo male.
“Lorcan, aiuta le due ragazze a portarlo in infermeria!” ordinò.
Lorcan obbedì e una volta adagiatolo su uno dei lettini si fecero tutti e tre da parte in attesa del verdetto della signorina Hartland.
“Febbre alta!” stabilì lei. “Una gran bella infreddatura! Non so dove siate stati tutta la notte e cosa abbiate combinato, ma è meglio che filiate subito nei vostri dormitori prima di ammalarvi tutti. O di essere scoperti dal professor Quebec.”
Sapevano tutti che la signorina Hartland provava una forte antipatia verso Quebec a causa dei suoi modi poco ortodossi e delle sue punizioni fin troppo severe.
“Ci penso io a lui. Ora andate, su!” comandò mentre stava già rovistando in un armadio in cerca di qualche rimedio per lo stato di David.
“Sì, d’accordo” disse Lorcan. “Drilla, ce la fai?”
“Sì” rispose lei esausta, battendo i denti: i suoi vestiti erano ancora sgradevolmente umidi.
Il suo tremito non sfuggì alla signorina Hartland.
“Non avrai la febbre anche tu?” fece ansiosa, posandole una mano sulla fronte. “Sì che ce l’hai!”, decretò subito. “E guardati! Hai tutti i vestiti bagnati! Tu stasera non vai da nessuna parte, cara.”
“Ma…”
“Niente ‘ma’. Se ti lasciassi andare in giro potresti peggiorare come il tuo amico. E voi” disse, rivolgendosi a Lorcan e Lily. “State bene? Non sarete zuppi anche voi?”
“No, noi siamo asciuttissimi” rispose Lorcan. “E stiamo benissimo.”
“Bene, allora andate subito ai dormitori. Non oso immaginare a cosa potrebbe farvi passare il professor Quebec se vi trovasse a girovagare per la scuola di notte. Su!”
Lorcan e Lily non si fecero ripetere due volte il suggerimento.
“A domani, Drilla” disse il ragazzo appena prima di chiudersi la porta alle spalle.
Drilla sospirò e si lasciò cadere esausta su un letto. Per quella notte ne aveva avuto davvero abbastanza. Fu con enorme gioia che, dieci minuti dopo, accettò una veste asciutta e una strana brodaglia bollente dalla signorina Hartland. “Grazie.”
“Di nulla. E’ contro la febbre e il raffreddore. E ora vai a cambiarti, mentre io mi occupo del tuo amico.”
“Non è mio…” cominciò Drilla, mentre la signorina Hartland le voltava le spalle.
“Come, cara?”, la interruppe la donna distrattamente.
“No… nulla” bofonchiò Drilla in risposta, lanciando un’occhiata al viso pallido e sudato di David.
“Allora su, fila a dormire. Il sonno è una delle medicine migliori.”
Drilla annuì, si cambiò e si tirò su le coperte, meravigliosamente asciutte e calde, sprofondando quasi immediatamente in un sonno profondo e senza sogni.

* * *

“… non mi interessa! Non sai quanto hai fatto preoccupare me e tuo padre! Ti abbiamo detto milioni di volte di non cacciarti nei guai. Ti abbiamo dato sempre tutto ciò di cui avevi bisogno ed è così che ci ripaghi?”
“Da quand’è che un figlio deve ripagare i suoi genitori?”
“Non essere arrogante! Dopo tutti i sacrifici…”
“Davvero? E quali? Intaccare l’inesauribile conto in banca della tua famiglia?”
“Non parlarmi così! Sono tua madre!”
“Lo so. E sembri sempre troppo ansiosa di ricordarmelo…”
Le voci risuonavano sempre più forti, tanto che a un tratto Drilla si costrinse ad aprire gli occhi e la luce la investì.
Era in infermeria e il sole penetrava dai vetri piombati delle finestre. Qualcuno stava discutendo animatamente dall’altra parte della tendina che donava un po’ di privacy al letto dove dormiva beata fino a tre secondi prima.
“Quando lo verrà a sapere tuo padre…”
“Mamma, non mettere in mezzo papà. Non c’entra niente.”
Drilla riconobbe solo in quel momento la seconda voce che aveva parlato. David.
Cercò di sporgersi un po’ e vide, oltre tendina del suo letto, una donna in piedi che non conosceva. Alta, decisamente di bella presenza, aveva lunghi boccoli biondo scuro che le scendevano a cascata dietro la schiena e un abito scarlatto molto lungo e molto sfarzoso, decorato di pelliccia.
“… adesso basta! Ti sembra quello il tono da usare? Cos’ho mai fatto per meritarmi un simile figlio?! Dopo tutti gli sforzi…” si lamentò la donna.
“Ma basta con questa storia dei tuoi sforzi! A cos’hai rinunciato che ti dà tanto fastidio? Questa…”
“NO!”
La donna aveva parlato a voce così alta e spaventata che Drilla sussultò rumorosamente.
Probabilmente la sentirono, perché improvvisamente la donna si voltò e la vide e nella stanza calò un silenzio innaturale. Per qualche momento si udì solo ticchettare l’orologio appeso sopra la porta dell’infermeria.
Poi la donna sospirò e cercò di ricomporsi.
“Ne riparleremo un’altra volta, David. Ora devo andare a parlare con il preside.”
E, senza aggiungere una parola, si avviò verso la porta e uscì, l’eleganza della sua camminata e della sua figura rovinate solo dal viso preoccupato.
Di nuovo, un silenzio imbarazzante serpeggiò tra le pareti del luogo.
Stavolta, però, fu David a romperlo.
“Ti sei svegliata, eh?”
Drilla si accorse solo in quell’istante di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente, poi si alzò e si affacciò dalla tendina.
David era lì, sul suo letto, il volto ancora pallidissimo, ma sembrava stare molto meglio della notte prima.
“Ciao, Steeval” lo salutò Drilla, cercando di essere cordiale. Le riuscì più facile del solito; forse perché aveva paura di vederlo di nuovo crollare con la febbre da un momento all’altro.
Si squadrarono per diversi minuti senza parlare.
Poi David parlò. “Puoi sederti, se vuoi. Non mordo, non ho malattie contagiose e di sicuro non corri il pericolo che ti salti addosso.” All’ultima affermazione fece un sorrisetto.
Drilla inarcò un sopracciglio, grata per la prima volta in vita sua a David per aver spezzato la tensione. “Nessuno potrebbe esserne più felice di me.”
Si avvicinò e si sedette sul letto di David; rimuginò per un po’, senza trovare nulla da dirgli così non fu di nuovo lui a parlare.
“Stai per chiedermi scusa?”
Drilla alzò gli occhi su di lui, sorpresa. “Perché dovrei?”
“Perché per colpa della tua idiozia mi sono preso una febbre da ippogrifo.”
Drilla cominciò a scaldarsi. “Non ti ho chiesto io di darmi i tuoi vestiti.”
“Non potevo fare altro” ribatté il ragazzo.
“Sì, invece. Ma sei troppo stupido per tenerti i vestiti per te. E per non prenderti la responsabilità delle tue azioni.”
Le mie azioni?” ripeté David stizzito. “Ho deciso io di andare a cacciarmi in quella stupida caverna?”
“Sì” rispose ferocemente Drilla. “Non ti ho costretto io, ricordi?”
“Ricordo solo che sei stata tu, al banchetto di Natale, a insinuare che avessi paura!”
“Se tu sei così scemo da cacciarti nella bocca di un drago solo perché qualcuno insinua che non hai fegato allora la colpa è della tua stupidità!”
“Ehi!” esclamò David con rabbia. “Senti chi parla! Chi te lo ha fatto fare di seguire quell’idiota del tuo amico quando sai benissimo anche tu che è un visionario?! Non è comportarsi da stupidi, questo?”
“La stessa cosa vale per te!”
“Io non sarei mai venuto se non fosse che Stuart…” si interruppe di colpo, serrando la mascella.
Drilla, fumante di rabbia, aveva già una decina di insulti e rispostacce pronte quando lo udì zittirsi di botto. “Stuart? Che c’entra Stuart?”
David non proseguì, ma incrociò le braccia e cambiò argomento. “E se non fosse stato per la tua stupidità non saremmo mai caduti in quel lago e…”
“Che cosa ha fatto Stuart?” lo interruppe Drilla.
David serrò le labbra. “Non ha importanza. Fatto sta che…”
“Che cosa stavi per dire di Stuart?” insisté Drilla, mettendosi le mani sui fianchi.
David contrasse la mascella, la guardò in silenzio per un istante, poi sbuffò. “Non ti interessa.”
“Oh, sì che mi interessa.”
David si accigliò. “E io non vedo perché dovrei dirtelo.”
Drilla non riusciva a capire dove volesse andare a parare David. “Che cosa ti ha detto?”
“Se proprio vuoi saperlo” sbottò lui. “Stuart ti sta trattando esattamente da quello che sei: una stupida!”
Drilla spalancò la bocca, confusa. “Io… Ma che stai dicendo?”
“Esattamente quello che hai sentito.”
“Stuart è mio a… cioè, Stuart mi vuole bene.”
“Stuart ti sta prendendo in giro.”
“Non lo farebbe mai! Sei solo…” Drilla cercò un appellativo adatto da affibbiargli.
“Solo cosa?”
“Solo… solo invidioso!”
“Invidioso?” David scoppiò a ridere. “Che cosa diavolo avresti da invidiare, me lo spieghi?”
Drilla avvampò e non riuscì a trovare una risposta da dargli.
“Sei cieca, Cook. Prima o poi qualcuno ti aprirà gli occhi, ma allora ti accorgerai che sarà troppo tardi.”
“Vedremo” ribattè Drilla, seria. “Abbiamo ancora una scommessa, io e te. E quando sarà il momento, si vedrà chi sarà il vero cieco, qui.”
E, detto questo, gli voltò le spalle e se ne tornò a letto, animata da una nuova energia combattiva.

 

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Capitolo 14
*** XIII. Parentesi sonnolenta ***


XIII.
Parentesi sonnolenta

 

 

Le vacanze di Natale passarono più lente che mai quell’anno. Probabilmente anche la noia contribuiva a rendere le buie, fredde giornate dopo Capodanno più lunghe del consueto. Il rientro a scuola degli studenti dalle ferie fu accolto da Drilla come uno dei più bei giorni della sua vita, tanto che, quando vide Stuart tra la calca di ragazzi che entrava dalla grande arcata dell’ingresso, non riuscì a trattenersi e gli saltò al collo.
“Stuart!”
A Stuart servì tutta la forza dei suoi scarsi muscoli da intellettuale per non crollare a terra sotto il peso di Drilla. “Ehi, ehi, che ti prende?”
“Tubate in un posto dove non intralciate il traffico, voi due” sogghignò Jamie, passando accanto a loro in quel momento.
Drilla gli fece una smorfia.
“Ti sei annoiata così tanto? Senza di me non te la cavi proprio, vero?” insinuò Stuart ironico, cercando di scollarsela di dosso.
Drilla sbuffò infastidita, lasciandolo andare. “In realtà…” si bloccò, come fulminata.
“Che c’è?” domandò Stuart perplesso.
“Ti devo parlare” disse lei, d’un tratto seria. “Vieni con me.”
“Ma…”
Drilla lo afferrò per un polso e lo trascinò via dalla folla, fino a un’aula vuota, dove spinse dentro Stuart e si chiuse la porta alle spalle.
Il ragazzo si guardò intorno, sbigottito, poi fissò lei. “Si può sapere che succede?”
Drilla prese un profondo sospiro, ancora appoggiata con la schiena alla porta di legno scuro. “Tu!” esclamò in tono accusatorio. “Che cosa hai detto a Steeval?”
Stuart rimase per un secondo silenzioso, come se stesse cercando di capire cosa gli veniva chiesto, poi inarcò un sopracciglio. “Ehm… come?”
Drilla cominciò a irritarsi. “A Natale mi stava per dire qualcosa che ti riguarda, ma alla fine si è trattenuto.”
Stuart sbatté le palpebre, sempre più perplesso. “Non capisco di che diavolo parli…”
Drilla sospirò e si rassegnò a raccontargli l’avventura del tesoro di Lorcan e le conseguenze in infermeria. Stuart ascoltò in silenzio tutto, mentre la sua espressione diventava sempre più ilare finché, a fine racconto, si era tramutata in una vera e propria risata.
“Non posso crederci! A cacciare tesori in una grotta delle montagne! Ma che diavolo pensavate?”
“Non è questo il punto” lo interruppe Drilla sferrandogli un pugno in un fianco.
Stuart si piegò in due e smise di colpo di ridere, senza fiato.
“Il punto è” procedette Drilla ignorando la sua ostentata dimostrazione di dolore, “che tu gli hai detto qualcosa. Non è forse così?”
Le ultime parole erano lievemente minacciose, e Stuart badò bene a ricomporsi e dare una risposta accettabile: Drilla infuriata non era piacevole come compagnia. “In realtà per niente…”
“Cosa vuol dire ‘per niente’?” indagò lei.
“Che non gli ho detto niente di niente. Almeno, nulla che spieghi il modo di agire di David.”
“Ma allora che senso ha quello che mi ha detto in infermeria?”
Stuart si strinse le spalle. “Non ne ho la benché minima idea. Andrò a chiedergl…”
“NO!”
Stuart sobbalzò. “Perché?”
Drilla strinse i denti. “Non gli darò mai la soddisfazione si sapere di avermi… turbata, o cose del genere.”
Stuart non capiva. “Turbata?”
Drilla annuì vigorosamente. “Non me ne frega niente di quello che dice. Qualunque cosa possa insinuare, noi siamo innamoratissimi e inseparabili!”
Stuart sogghignò. “Se lo dici tu…”
“Non preoccuparti, non sarà ancora per molto. Mi basta trovare quel Medaglione, e Tristan e Steeval saranno ai miei piedi.”
Lo disse con tale convinzione che Stuart non poté fare a meno di scoppiare a ridere di nuovo.
“Che c’è?” abbaiò infastidita Drilla mentre lui si sganasciava dalle risate. “Piantala!” gli ingiunse dato che non smetteva. “Sembri un Golem con il singhiozzo!”
Stuart cercò di nuovo di tornare serio. “Scusa, è che hai una faccia… davvero sei convinta di risolvere tutti i problemi con quell’affare?”
“Perché, tu credi che non funzionerà?” chiese Drilla, d’un tratto ansiosa.
“Non è questo” disse lui, scuotendo il capo. “E’ solo che… non so… non sarebbe meglio se cercassi di conquistarli senza sotterfugi?”
Drilla si fece cupa. “Io…”
“Che?” la incoraggiò Stuart.
Drilla si morse il labbro, poi si fece di nuovo determinata.
“No! Steeval deve strisciami ai piedi! E lo farà solo con quel Medaglione!”
Stuart sospirò, un sorriso mesto sul viso. “Come vuoi. Anche se…”
Drilla attese che continuasse, ma lui rimase zitto.
“Anche se?” ripeté lei, in attesa.
Lui le scoccò un’occhiata intensa. “Non fidarti troppo dell’evidenza, Drilla. Sono le cose palesi a risultare, alla fine, le più false.”
Drilla spalancò gli occhi. “Cioè?”
Stuart ridacchiò. “Vedrai che lo scoprirai da sola. Almeno” aggiunse, mentre il sorriso gli scivolava via dalle labbra, “lo spero.”
Drilla sospirò. “Ti odio quando inizi a parlare con queste frasi criptiche.”
“Non tutti hanno il dono della chiarezza espositiva come il tuo.”
Drilla sorrise, poi sentì un borbottio strano e dopo qualche attimo di smarrimento, comprese che proveniva dal suo stomaco. “Ho fame!” esclamò.
Stuart batté le mani. “E allora muoviamoci, l’ora di cena è passata da un pezzo.”
Drilla annuì ed aprì la porta, uscendo nel corridoio semibuio. Fu solo un secondo, ma le parve di scorgere, per un momento, un lampo di rosso nella semioscurità.
“Ti muovi?” fece Stuart, superandola e avviandosi verso la Sala d’Ingresso.
Drilla rimase ancora per un secondo impalata sulla porta, paralizzata da un sospetto improvviso.
Capelli rossi?
“Muoviti!”

Drilla si sentiva come immersa in una nuvola di tepore.
“… e a causa della ribellione dei Goblin che al tempo erano adibiti a lavoratori nelle miniere senza alcun contratto di lavoro…”
Stuart giocherellava con una Gobbiglia, facendola roteare sul banco con una piuma.
“… quindi la crisi finanziaria della Gringott nel diciassettesimo secolo…”
La Gobbiglia continuava a roteare sul banco, cercando di spruzzare liquido puzzolente alla piuma, ignara del proprietario della mano che la muoveva.
Drilla la fissava come ipnotizzata.
“… furono i due più importanti Magifinanziari dell'epoca a sanare le casse del Ministero della Magia l’anno seguente…”
Fissava tanto intensamente la Gobbiglia che poteva quasi vedersi rispecchiare sulla sua liscia superficie di vetro…
“… perciò Marcus Williamson e Richard Eddison, promotori della Riforma Finanziaria Magica del 1521…”
Anzi, riusciva proprio a vederlo. Vedeva il suo viso stanco, sballottato qua e là dalla penna di Stuart.
“… l’anno seguente…”
La testa cominciò a girarle mentre non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo riflesso, tormentato in quel modo da una stupida piuma. Nemmeno fosse stata uno dei suoi tremila problemi, come una certa persona di nome David Steeval o un’altra di nome Tristan Vidal…
L’immagine di se stessa sballottata da una malvagia penna con la faccia di Steeval le affiorò alla mente… eccolo, quell’odioso vanesio pieno di sé…
"...1533..."
Ma che cosa aveva fatto per attirare le sue ire? Cosa? Perché diavolo dovevano odiarsi così tanto? C’era un’altra ragione, oltre all’indispettirsi a vicenda?
Ma lui continuava a trattarla come nient’altro che una stupida palla di vetro…
Improvvisamente, la piuma prese a contorcersi, come se volesse liberarsi della mano che la teneva ma che si ostinava a trattenerla. Poi, di colpo, fu lasciata andare andare, si sollevò in volo e si posò sulla biglia di vetro, immobile…
“Drilla?”
Una fitta dolorosa a un fianco, e Drilla si svegliò di botto.
“Ahio!”
Stuart, lì vicino, sogghignò. “Ti eri addormentata.”
“E c’è bisogno di svegliarmi ficcandomi un dito tra le costole?”
Stuart si alzò raccattando la borsa. “Scusa se non sono un principe azzurro e non sveglio con i baci.”
Drilla affondò la testa tra le braccia incrociate sul banco. “Ho sonno…”
“Ci credo” osservò il ragazzo, tranquillo. “Ieri sei rimasta in piedi fino a tardi. Ti sei decisa a studiare per gli esami di fine anno in anticipo e non gli ultimi tre giorni?”
“Tanto sono uscita sempre con ottimi voti anche facendo così” fece Drilla con una smorfia.
“A parte in Pozioni” fece lui in tono casuale.
“E allora? E’ una materia inutile. Come Storia della Magia” aggiunse, dopo essersi assicurata che non ci fosse in giro Ruf.
Stuart aveva notato la sua ispezione dell’aula prima di pronunciare ad alta voce le ultime parole. Rise. “Coda di paglia, eh?”
“Ma come ti…?”
“Andiamo” la interruppe lui, già sulla porta.
“Aspettami!” gli gridò dietro Drilla, rassegnandosi ad alzarsi e raggiungerlo.
“Che c’è, ora? Hai paura di stare da sola?”
Drilla sbuffò. “Piantala di dire idiozie! Piuttosto, dov’è sparita la Gobbiglia con cui stavi giocando?”
“Oh, perché, ci tenevi?” le domandò con un’espressione colpevole.
Drilla strinse gli occhi. “L’hai rotta?”
“Ehm… mi è caduta mentre cercavo di farla rotolare vicino al bordo del tavolo.”
Drilla sospirò. “E un’altra in meno. La prossima volta che ti metterai a frugare nella mia borsa per trovare qualcosa con cui far passare il tempo per poi romperla vedi cosa ti faccio. Sai che me ne sono rimaste tre? Come faccio a giocare la prossima partita al Club delle Gobbiglie?”
“Fai ancora parte di quello stupido club?”
Drilla si scaldò. “Non è uno stupido club!”
“Solo perché ogni tanto va alle riunioni anche Tristan” rispose Stuart con un’alzata di spalle.
“Beh, dato che tu non mi vuoi più aiutare con quello stupido Medaglione devo fare qualcosa almeno per conquistare lui, nel frattempo, no?”
Stuart sospirò. “E David?”
Il viso di Drilla si rabbuiò. “Ci sto lavorando” rispose a denti stretti. “Ma sarà tutto più semplice con il Medaglione.”
“Ormai sei proprio fissata!”
“E allora?!” abbaiò Drilla, aggressiva.
“Niente, niente, era solo un’osservazione” disse Stuart, cercando di rabbonirla.
Drilla tenne il broncio per tutto il tragitto, finché, sulle scale, non si volse verso Stuart. “Senti, puoi parlarmi di Steeval?”
Stuart inciampò in un gradino e per poco non finì con la faccia a terra.
“COSA?!”
“Non pensare subito male!” lo rimproverò Drilla, arrossendo. “Voglio solo trovare un suo punto debole, e chi, meglio di te che sei suo amico, può aiutarmi a trovarlo?”
Stuart sorrise con aria risaputa. “Non lo farò mai”, rispose serenamente.
“Perché?”
“Perché se aiuto te, allora è legittimo che aiuti anche lui, se me lo chiede.”
Drilla avvampò. “Non lo farai!” esclamò, imperativa.
“Oh, sì, invece” replicò lui, sempre immensamente calmo.
Si fermarono sulle scale a guardarsi, seri.
Poi Drilla serrò i denti. “Va bene” annuì. “Però, almeno, risponderai a qualche domanda?”
Stuart rifletté. “Sì, questo forse lo posso fare.”
“Bene” fece lei, soddisfatta. “Allora… cosa piace a Steeval?”
Stuart alzò gli occhi al cielo. “Che domanda banale!”
“Non importa se la domanda è banale. Mi rispondi, sì o no?”
“Gli piace il succo di zucca” fece lui. “E il Whisky Incendiario. Una volta se ne è scolato un boccale intero. Oh, e adora i biscotti alla cannella…”
“Chi se ne importa di queste cose! Voglio sapere che ragazze gli piacciono, non mi importano i suoi gusti sul cibo!”
“Ah” fece Stuart. “Allora… uhm, esce spesso con le ragazze bionde. Però gli piacciono anche le ragazze con i capelli scuri. Ah, il mese scorso, ora che mi ricordo, stava insieme a una Tassorosso con i capelli rossi…”
“Qualcosa di più del colore dei capelli?”
“Ehm… non saprei. So che non ha mai avuto una ragazza seria. Voglio dire, quelle che gli sono intorno sono sempre allegre e ridono a tutte le sue battute…”
“Idiote! E comunque non m’importa nemmeno di questo. Non c’è qualcosa che possa fare per conquistarlo senza dovermi abbassare a fargli da leccapiedi?”
Stuart parve pensarci a lungo. Alla fine concluse con: “Niente.”
Drilla spalancò la bocca. “Come niente?!”
“Quello che ho detto: niente. David non sopporta chi si considera superiore a lui.”
“Ma… ma… è insopportabile!”
“No, solo viziato. Che vuoi farci, è l’abitudine di essere ricchi e riveriti.”
“Cosacosa?” fece Drilla, colpita. “Chi sarebbe ricco?”
“David, chi altri?”
“Ma… come sarebbe a dire ricco? Perché? Chi sono i suoi genitori? Il suo cognome non appartiene a nessuna famiglia di maghi rinomati.”
“Non è suo padre, quello ricco: è sua madre.”
Drilla ricordò improvvisamente la donna vista in infermeria.
“Perché, chi è?”
“Sei tu quella nata in una famiglia di maghi, dovresti saperle meglio di me, queste cose. Comunque se avessi ascoltato la lezione di Ruf di oggi l’avresti saputo.”
Drilla voleva obbiettare che quel rimprovero da parte di uno che aveva giocato tutta la lezione con una Gobbiglia non era proprio coerente, ma era troppo distratta dall’argomento della conversazione.
“Perché, di che ha parlato Ruf, oggi?”
“Della Riforma Finanziaria Magica fatta da Marcus Williamson e Richard Eddison” rispose imitando la voce strascicata di Ruf.
Drilla inarcò un sopracciglio. “Oh. Mi pare che i Williamson siano emigrati in Svizzera presso una sede del distaccamento tedesco della Gringott.”
“Sì. Gli Eddison, invece, sono rimasti in Inghilterra e hanno perso il loro cognome una generazione fa, quando l’unica figlia ha sposato un certo Terry Steeval.”
Drilla spalancò gli occhi. “Steeval?”
“Esattamente. Il padre di David.”
Drilla non poteva credere alle sue orecchie. Quella era decisamente una notizia inaspettata. Adesso che Stuart gliene aveva parlato, ricordò chi fossero gli Eddison: avevano la fama di aver accumulato tanti di quei soldi nella loro cassaforte in fondo alla Gringott di Londra da poterci riempire la Sala Grande e la Sala d’Ingresso di Hogwarts e averne ancora d’avanzo.
“E’… è…”
“David comincia ad apparirti un po’ più attraente, eh?” insinuò Stuart sghignazzando.
“Certo che no! Io…”
Drilla si interruppe quando la scala che stavano percorrendo si staccò di colpo dal pianerottolo a cui era ancorata e si spostò pigramente fino a quello sottostante.
“Odio queste scale!” esclamò Drilla, afferrando la balaustra di legno per mantenere l’equilibrio.
“Pazienza. Siamo al secondo piano, ora, e dovremo fare una rampa di scale in più. Niente di troppo faticoso.”
S’incamminarono su per la rampa fino ad un corridoio pieno di ritratti e si avviarono.
“Comunque, su Steeval…” ricominciò Drilla, ma Stuart la interruppe con un gesto secco.
“Ssst! Non hai sentito qualcosa?”
Drilla si accigliò. “No, nient…”
Stuart la zittì di nuovo con una mano, e stavolta anche Drilla sentì qualcosa.
… Un sospiro?
Allarmata, avanzò quatta quatta lungo il corridoio silenzioso, fino al punto dove svoltava formando un angolo retto.
Poi si affacciò con circospezione a sbirciare.
C’era una persona, china sul tappeto rosso. Una persona dai lunghi riccioli rossi e una divisa nera di Grifondoro.
E singhiozzava.
Stuart si affacciò da dietro a Drilla e rimase sbalordito.
“Rose Weasley?”

 

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Capitolo 15
*** XIV. Rivelazione ***


XIV.
Rivelazione

 

 

“Rose Weasley?”
La ragazza sussultò e alzò il viso rigato di lacrime su di loro.
“Oh” fece, scossa.
Per un instante regnò un silenzio di tomba.
Poi Rose si alzò con grazia. “Scusate” mormorò tirando su con il naso e oltrepassandoli, fuggendo sulle scale.
“Che cosa diavolo le è preso?” domandò Stuart sbalordito, rivolto più a se stesso che a Drilla.
Lei non rispose, paralizzata. Aveva appena visto Rose Weasley -la sua nemica, la sua rivale, la sua nemesi- in lacrime. Rose Weasley, figlia degli eroi del mondo magico. Rose Weasley, seconda, forse, solo a Stuart e Emily in quanto a voti. Rose Weasley, la bellissima Grifondoro. Rose Weasley, che stava insieme al suo Tristan…
“Andiamo!” esclamò, afferrando rudemente Stuart per una manica.
“Cosa?” fece lui, spiazzato.
“Andiamo!” gli gridò Drilla, trascinandolo giù per le scale.
Rose era già sparita, ma Drilla poteva immaginare dove stesse andando: lì vicino, almeno a quel che le risultava, c’era il dormitorio dei Grifondoro.
“Che vuoi fare?”
Drilla non rispose. Approdarono al pianerottolo di prima giusto in tempo per scorgere un lampo di capelli rossi svanire in un buco, subito coperto dal ritratto della donna più imponente che Drilla avesse mai visto.
Schizzò in quella direzione, tallonata dal povero Stuart, e arrivò ai piedi del quadro con il fiatone.
“Spostati, per favore.”
L’immensa signora dipinta sulla tela, avvolta nel suo abito cinquecentesco multicolore, inarcò un sopracciglio e non si mosse. “Parola d’ordine.”
Drilla boccheggiò. “Come?”
“Parola d’ordine” ripeté la donna freddamente.
“Ehm…” rivolse uno sguardo implorante a Stuart.
“Guardi me? Che vuoi che ne sappia io della parola d’ordine dei Grifondoro?” protestò aspramente il ragazzo, ancora piegato in due dalla corsa.
Drilla cercò di lambiccarsi il cervello in cerca di un modo per entrare. “Non la sappiamo. Non puoi farci entrare lo stesso, per una volta?”
“Senza la parola d’ordine non si entra” replicò austera la donna. “E poi voi ragazzini mi sembrate anche di un’altra Casa. Cosa volete fare, qui?”
“Dobbiamo vedere una persona” spiegò Drilla, che cominciava a irritarsi. “Se vuoi possiamo risolvere un indovinello…” tentò, pensando al dormitorio dei Corvonero.
“Ti sembro in vena di scherzare?” ribatté la donna seriamente. “Se non sapete la parola d’ordine andatevene e smettetela di disturbarmi.”
“Senti un po’, grassona…”
La donna grassa si inalberò. “Grassona a chi, sciacquetta?”
Drilla avvampò. “COME MI HAI CHIAMATO?”
“Drilla…” cominciò Stuart cercando di rabbonirla.
“Che diavolo ci fate voi qui?” interloquì una voce familiare.
Stuart e Drilla si voltarono.
David Steeval, una scopa in mano e la divisa di Quidditch ricoperta di fango, era appena arrivato dalle scale e li stava scrutando accigliato.
“Ciao, David” lo salutò Stuart, immensamente sollevato.
“Stuart” fece David, poi grugnì in direzione di Drilla. “E lei cosa fa qui?”
“Queste scale sono di tutti e io sono libera di andare dove mi pare!” replicò Drilla, ficcandosi le mani sui fianchi con aria minacciosa.
“Oh, certo” fece David, indifferente. “Ma, se permetti, questa è l’entrata del mio dormitorio e io vorrei andare a farmi una doccia.”
“Non m’interessa nulla di quello che vorresti fare, a meno che sia andare…”
Stuart, intuendo che la discussione stava per degenerare, interruppe Drilla in fretta. “Via, via, Drilla, lascia perdere. Non volevi entrare nel dormitorio, piuttosto?”
Drilla strinse i denti. “Già.”
David guardò da lei a Stuart, senza capire. “Entrare nel dormitorio di Grifondoro? Per fare che? Non ti basta più rovinare il panorama del tuo con la tua presenza?” insinuò malignamente a Drilla.
“Senti un po’…”
“Insomma, mi dite se volete entrare o no senza disturbarmi tutto il giorno?” tuonò la donna del ritratto, evidentemente seccata da tutto quel caos sul suo pianerottolo.
“Felix Felicis” disse David distrattamente. “E ora smettila di rompere, grassona.”
La donna si spostò di lato, indignata. “Se non la smetterai di offendermi non ti lascerò più entrare davvero, ragazzino! E non m’importa nulla di chi siano i tuoi genitori!”
David sbuffò e s’infilò nel buco dietro il ritratto. Drilla e Stuart lo seguirono.
“Non è che se ci vedono i Grifondoro, ci buttano fuori?” chiese Stuart preoccupato, uscendo dall’altra parte.
“Di sicuro le ragazze non butteranno fuori te” borbottò Drilla, emergendo a sua volta dal buco.
Non correvano nessun pericolo, tuttavia, poiché la Sala Comune sembrava totalmente vuota. Totalmente vuota a parte per due persona, una rannicchiata in una poltrona davanti al fuoco e scossa dai singhiozzi e l’altra che cercava di consolarla.
Rose Weasley e Lily Potter.
Drilla le individuò subito, e così fecero anche David e Stuart.
“Rose? Lily?” esclamò David, dubbioso.
Rose alzò lo sguardo e lo vide, ma non disse nulla. Poi notò anche gli altri due e spalancò gli occhi.
Si alzò subito, cercando di asciugarsi in fretta le lacrime e ricomporsi. Lily, al suo fianco, si rizzò in piedi a sua volta con un’espressione contrariata rivolta prima a Stuart e poi a Drilla
“Che cosa ci fate qui?” chiese con un ringhio.
“Ehm, noi…” cominciò Stuart, ma Drilla lo interruppe.
“Perché piangi?” domandò bruscamente a Rose.
La domanda era così secca e diretta che Rose, per un istante, rimase totalmente senza parole.
A rispondere ci pensò Lily, scontrosa. “Non sono affari tuoi.”
Non sono affari miei?” ripeté Drilla, indignata. “Mi pare nemmeno tuoi. Ti chiami Rose Weasley e stai piangendo?”
Il tono era così minaccioso che riuscì a zittire Lily di colpo.
Drilla tornò a rivolgersi a Rose. “L'altro giorno volevi parlarmi. Che cos'è successo?”
“Io… io…”
“Piantala di farle domande!” intervenne Lily, sebbene con meno convinzione di prima. “Cosa ne sai tu di quello che può passare Rose? Chi pensi di essere? Che vuoi da lei? Sei solo un'arrogante egoista Corvonero presuntuosa e...”
Drilla gonfiò le guance. Ne aveva abbastanza di quella mocciosetta.
“Io sarei un'arrogante presuntuosa?” esclamò Drilla alzando la voce. “Già, un'egoista Corvonero” disse amareggiata. “Che cosa ne posso mai sapere? Tu puoi capirla meglio di me, vero? Perché tu sei una leggendaria Potter, vero? Io invece non faccio parte del vostro gigantesco clan di Weasley e Potter, non ho genitori famosi, non ho depositi traboccanti di galeoni alla Gringott, non...”
“CHI SE NE IMPORTA DI QUESTE COSE!”
Nella stanza cadde un silenzio di piombo. Perché a urlare era stata Rose.
Non appena si accorse di ciò che aveva fatto, la ragazza si morse un labbro. “Io... io... ti volevo parlare l'altro giorno, è vero! Volevo dirti solo che... ecco, che... che ho lasciato Tristan.”
Drilla si pietrificò dov'era. “Cosa?” boccheggiò, incredula. David, poco oltre, sembrava anche lui sbigottito, e così Stuart al suo fianco che, quando gli cercò lo sguardo, come a trovare conferma che avesse sentito bene, ricambiò l'occhiata sconvolta.
“Volevo dirtelo perché so che tu gli sei vicina... Hai... hai una tale energia, una carica che ti invidio... e credo che potresti aiutarlo a farlo stare meglio se... se volessi” concluse balbettando Rose.
Drilla non poteva credere alle sue orecchie: era assurdo. “Tu hai lasciato Tristan?” domandò debolmente.
Rose annuì rossa in viso.
“Perché io... io... non ho mai voluto stare con lui.” Rose si guardava le punte dei piedi mentre parlava, il capo chino. “Credevo di essere innamorata di lui ma mi sono sbagliata... ho fatto un terribile errore ma adesso voglio correggerlo.”
Drilla tacque per un lungo istante, poi aprì la bocca, un fiume di insulti, imprecazioni e altro ancora pronto a dirompere.... Ma una mano fredda si appoggiò alla sua spalla, e il fiume si arrestò di botto.
“Scusa, ma stai dimenticando una cosa” disse una voce, calma.
Drilla si voltò verso Stuart: il ragazzo aveva un sorriso di beata serenità sulle labbra e guardava Rose come se la compatisse. “Forse ti è sfuggito che ora Drilla è la mia ragazza.”
Rose spalancò gli occhi. “Sì, ma io credevo che lei potesse…”
“No, lei non può. Io non voglio” replicò subito Stuart asciutto. “A meno che, ovviamente, lei ritenga meno importanti i miei desideri della felicità di Tristan Vidal. Drilla” aggiunse poi, guardandola tranquillo. “È così? Preferisci Vidal a me?”
Drilla ammutolì. Ma che razza di domanda era?
Guardò Stuart, serenamente in attesa di una risposta. Guardò Lily, con un’espressione sconcertata, e Rose, con la bocca aperta e il volto ancora congestionato dal pianto. E David, che la stava fissando con due occhi grandi come piattini da tè e un cipiglio serio.
Sospirò, chiuse gli occhi, poi li riaprì determinata, e fece un sorriso. “No.” Si volse verso Rose. “Io sto con Stuart, ora.”
Fu come sprangare una porta per sempre.


“Drilla, che cos’hai?” domandò Emily dolcemente quando la ragazza rientrò in dormitorio e si lasciò cadere sul letto.
“Niente.”
Emily tacque. “C’entrano David Steeval o Tristan?”
Drilla chiuse gli occhi. “Emy, dimmi la verità.”
“Su cosa?”
Silenzio. “Quando ha smesso di piacermi Tristan?”
Ancora un istante senza parlare. Poi Emily sospirò. “Diversi mesi fa, credo.”
“E perché ci ho messo tanto ad accorgermene?”
Emily esitò, poi asserì saggiamente: “Quando ti ostini a guardare fuori da una finestra è difficile vedere anche il tuo riflesso sul vetro.”
Sei cieca, Cook.
“Già, lo sono” disse ad alta voce. “Ma Stuart mi ha aperto gli occhi in tempo.”

 

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Capitolo 16
*** XV. Il Sorteggio ***


XV.
Il sorteggio

 

 

La Sala Grande, la sera del venti gennaio, era spoglia e solenne come sempre, gli addobbi natalizi scomparsi, le tavolate di nuovo affollate di studenti nella classica divisa nera di Hogwarts.
Drilla arrivò imprecando in goblinese alla tavola di Corvonero. La professoressa Bones le aveva rifilato un’altra “T” in Pozioni perché era riuscita a fondere il calderone e il tavolo su cui stava appoggiato tentando di far amalgamare la sua Soluzione di Magitermia Superiore ficcandoci una radice di Rilcoflone. D’altro canto come poteva sapere che i Rilcofloni a contatto con le Viviminacee Cornute creavano una reazione abrasiva pari a quelle dell'Acetone Iperconcentrato di Nonna Acetosella?
“Assurdo! Un’altra “T”! E’ la volta buona che mia madre mi mandi una Strillettera!” mugugnò di pessimo umore. “E piantatela di ridere, voi due babbei. Si può sapere perché avete quelle facce soddisfatte?”
Stuart ed Emily si affrettarono a nascondere i sorrisi allegri e si sedettero con inguaribile buonumore accanto all’amica. Era da quando aveva fatto la scenata a Rose Weasley nel dormitorio di Grifondoro che sembravano stranamente raggianti.
“Pazzesco! E dire che ho fatto esattamente quello che mi ha detto Stuart” proseguì lagnosamente Drilla.
“Io, in realtà, non ti ho mai detto di versare quella polvere di Piombo di Golem…” cominciò Stuart.
“Potresti stare zitto se non sei interpellato?” scattò Drilla, schiaffando sul tavolo la borsa piena di libri. “Oggi durante Trasfigurazione mi hai rotto un’altra Gobbiglia.”
“E allora? Ormai di Tristan non può importartene di meno.”
Drilla meditò per un breve istante su quella faccenda. “Già, vero” fu la sua conclusione. “Però le partite di Gobbiglie mi piacevano davvero.”
Stuart sorrise.
Emily, invece, si era fatta seria al nome di Tristan. “Ma, Drilla, ora che ti sei accorta che non ti importa nulla di lui, non c’è ragione per cui tu debba continuare a stare alzata fino a notte fonda a cercare informazioni su quel Medaglione, no?”
Drilla s’inalberò. “Ma certo che sì, invece!” replicò. “Ho ancora da vincere la scommessa con Steeval, giusto?”
Emily rimase stupefatta. “Cosa?! Ma non hai ancora rinunciato?”
“Mai!” annunciò seria Drilla. “Non gli farò mai vincere la scommessa!”
Stuart alzò gli occhi al cielo. “Per questo non posso dire in giro che non stiamo insieme?”
“Non provarci nemmeno!” lo redarguì precipitosamente Drilla. “Non gli darò mai questa soddisfazione! Anzi, chissà come si starà rodendo il fegato dopo l’altro giorno, quando ho detto chiaro e tondo che la nostra unione è al di sopra di Tristan.”
“Peccato che sia una menzogna bella e buona.”
“Però, insomma, Drilla” intervenne Emily, dubbiosa, “non puoi continuare a recitare per sempre. E nemmeno costringere Stuart a farlo! Prima o poi anche lui dovrà pensare ad una ragazza! Anzi, Stuart, non credi che…”
“Non credo un bel niente” la interruppe amabilmente Stuart. “Anzi, mi sto cominciando davvero a divertire. E almeno quelle idiote del primo e del secondo anno mi stanno lasciando in pace.”
“Allora non c’è nessun problema” affermò Drilla, battendo soddisfatta un pugno sul tavolo.
“Nessun problema per cosa?” domandò una voce sognante alle loro spalle.
Sobbalzarono tutti e tre.
“Ciao, Lorcan” lo salutò Stuart, mentre il ragazzo si sedeva vicino a loro.
“Ciao. Avete sentito? I Folletti vogliono organizzare un’altra sommossa, ma stavolta da dentro la scuola.”
“Cosa?!” esclamò Drilla sbigottita.
“Già” fece lui sereno. “Il Ballo dell’Armistizio si avvicina, no? E devono partecipare anche loro.”
Emily, al solo pronunciare la parola “ballo” sbiancò.
“E questo che ha a che fare con le rivolte?”
“Oh, lo scoprirete” rispose Lorcan. “Anzi, credo che Mc Kinnon lo stia per annunciare.”
Il preside, effettivamente, si era alzato dal suo posto alla tavola degli insegnanti e con un battito di mani aveva zittito l’intera Sala Grande.
“Studenti e studentesse! Innanzitutto spero che queste prime due settimane di scuola dopo le vacanze siano cominciate bene per tutti voi.”
Le parole del preside furono accolte da un mormorio sarcastico.
“Come sapete, febbraio si avvicina” proseguì Mc Kinnon imperterrito. “E, com’è tradizione, saranno ospiti della nostra scuola i Folletti a quel grande evento che è il Ballo dell’Armistizio.”
Rivolse un’occhiata intorno, ma gli studenti continuarono a tacere, perciò proseguì: “Spero che ciascuno di voi abbia un abito da cerimonia per partecipare a questa occasione irripetibile, soprattutto le dame.”
Le ragazze della sala si accigliarono, chi più o chi meno perplessa.
Anche Drilla si fece attenta. “Perché le ragazze?”
“A questo proposito, è bene che v’informi di una delle tradizioni del ballo di cui finora non siete venuti al corrente” proseguì Mc Kinnon. “Un mese prima del ballo vengono scelte dieci delle nostre studentesse tra quelle degli ultimi due anni perché abbiano l’onore di avere per cavaliere dieci dei nostri ospiti…”
Nella sala scoppiò un boato di protesta femminile, e il resto del discorso di Mc Kinnon fu sovrastato dal vocio di protesta.
“E’ assurdo” esclamò Electra Zabini.
“Inammissibile!” disse una ragazza del sesto anno di Grifondoro.
“Non ha senso!” fece loro eco una del settimo anno di Serpeverde.
Drilla scoppiò a ridere. “Bene, ecco il rischio che correranno tutte le ragazze che parteciperanno al ballo!” disse ad alta voce.
Emily sembrava sull’orlo di uno svenimento. Stuart, invece, fissava accigliato Mc Kinnon che aveva interrotto a metà il discorso e cercava di recuperare l’attenzione degli studenti.
Lorcan si chinò tra loro, con aria lugubre. “Sapevo che sarebbe successo.”
“Che vuoi dire?” fece Drilla, ancora in preda a risa convulse.
“Beh, la prima volta i Folletti hanno cercato di ribellarsi a Hogwarts attaccandola dall’esterno e ma non ci sono riusciti. Ora stanno semplicemente cercando di minare il sistema dall’interno.”
“Non dire assurdità” sbuffò Drilla, smettendo di ridere.
“E’ la pura verità. Prenderanno le dieci ragazze e la notte del Ballo sveleranno i loro intenti, usandole come ostaggi e minacciando di tagliare loro i nasi se il Ministero della Magia non accetterà le loro richieste.”
“Perché i nasi?” chiese Stuart, incuriosito.
“Stuart! Non ci crederai davvero?!” Drilla non poteva credere che stesse davvero dando corda alle fesserie che Lorcan si ostinava a sostenere.
Lui scrollò le spalle. “Perché no? Potrebbe essere interessante.”
“Insomma, smett…”
“Tagliano i nasi perché il fiuto per i Folletti è il senso più importante” spiegò serio Lorcan, interrompendo Drilla. “E’ con quello che sono riusciti a infiltrarsi nel settore finanziario dei Maghi, no? Con il fiuto per gli affari…”
Drilla alzò gli occhi al cielo, esasperata.
“Stai scherzando, vero?” fece Emily con voce flebile.
“No. E quando hanno tagliato i nasi, passano agli occhi, perché è risaputo che gli esseri non umani hanno occhi che vedono benissimo, anche di notte. Perciò è il loro secondo senso più importante. E dopo gli occhi…”
Emily era cadaverica.
“Piantala, Lorcan! Emily, non preoccuparti, non è vero nulla…”, la rassicurò Drilla.
“Non è per quello…” fece lei debolmente. “E’ che… il ballo…” si interruppe, deglutendo rumorosamente.
“Non sceglieranno mai te!” affermò Drilla con sicurezza. “Insomma, hai il ragazzo e…”
“SILENZIO!” tuonò una voce possente.
Quebec si era alzato dal tavolo e aveva dato sfoggio della notevole prestanza delle sue corde vocali.
La Sala Grande ricadde in un silenzio assoluto.
Mc Kinnon si schiarì la voce. “Stavo dicendo…”, riprese tranquillo, “che saranno scelte dieci ragazze che avranno l’onore di rappresentare Hogwarts in questa occasione e partecipare al ballo insieme ai nostri ospiti. Avendo noi insegnanti deciso di dare una possibilità a tutte le studentesse di ogni Casa di avere quest’onore…”
Un borbottio scontento attraversò la stanza, ma nessuno osò lamentarsi apertamente, soprattutto perché Quebec era ancora in piedi al suo posto al tavolo degli insegnanti e fissava tutte le tavolate con cipiglio minaccioso.
“… abbiamo deciso per un sorteggio e abbiamo trovato le dieci studentesse che ci rappresenteranno. …”
Un altro coro di protesta si levò da tutte le esponenti del genere femminile della scuola, e nemmeno le minacce e la voce possente di Quebec bastarono a zittirlo. Tutte le ragazze di Hogwarts erano inorridite alla prospettiva di trovarsi per cavaliere, al posto del loro sognato principe azzurro un basso Folletto inquietante.
“SILENZIO!” ripeté Quebec, invano.
“… e queste dieci ragazze”, stava dicendo Mc Kinnon, cercando di sovrastare il vocio, “…parteciperanno alle lezioni di danza con un noto maestro di quadriglia, Kallias Van Duyne e al ballo…”
La Sala Grande si zittì di colpo.
“Van Duyne?” fece qualcuno.
Quel Van Duyne?”
“La stella del Teatro Flamel?”
“Esattamente” rispose Mc Kinnon senza scomporsi, lieto di aver riacquistato l’attenzione. “Verrà qui tre volte alla settimana e le ragazze sorteggiate potranno imparare da lui la…”
“Mi offro” esclamò una ragazza alzando la mano.
“Anch’io” fece un’altra.
“Pure io!”
In un attimo tutte avevano cambiato idea. Servirono altri cinque minuti buoni per riportare di nuovo al silenzio gli studenti –anzi, più che altro le studentesse.
“Mi dispiace, ma i nomi sono già stati decisi. Il direttore di ogni Casa provvederà a informare le dirette interessate. Ora vi lascio alla cena.”
Si sedette tranquillamente e prese a discorrere con l’insegnante di Antiche Rune. La Sala Grande si riempì istantaneamente di un chiacchiericcio frastornante ed eccitato.
“Chi diavolo è Van Duyne?” chiese quasi immediatamente Stuart
“Chi è… stai scherzando, vero?!” esclamò Drilla. “Non sai chi è Van Duyne?!”
Stuart scrollò le spalle.
“Nemmeno io, a dire il vero” mormorò Emily, che si era un po’ ripresa.
“Cosa?!” fece lei, incredula. “Ma… è semplicemente una delle celebrità più importanti del Mondo Magico!”
Stuart inarcò un sopracciglio. “Ovvero?”
“E’ una star! Sa cantare e ballare benissimo, soprattutto grazie al suo famoso Incantesimo Alipes: sembra che quasi voli sulle piante dei piedi, dovreste vederlo!”
“Lo vedremo, se davvero verrà a fare lezione qui” replicò Stuart perdendo ogni interesse. “Comunque, a giudicare dall’entusiasmo, mi aspettavo qualcosa di più eccezionale…”
“Stuart Dunneth, Kallias Van Duyne è eccezionale. E lo vedrai con i tuoi stessi occhi!” lo redarguì Drilla.
“Per caso hai cambiato anche tu idea e vuoi offrirti per il ballo?” domandò Stuart, sogghignando.
Drilla serrò le labbra. “Non ballerò mai con uno stupido Folletto. MAI!”

Il mattino seguente la lezione di Difesa Contro le Arti Oscure fu più movimentata del solito. E non per merito di Ravenscar, che li tenne impegnati per tutto il tempo in un difficile quanto noioso esercizio di concentrazione che avrebbe loro permesso di acquisire la base degli Incantesimi Distruttivi di Secondo Livello, tra i più difficili dell’intero programma scolastico, ma per l’evidente esagitazione delle ragazze della classe. Tutte, ovviamente, tranne Emily, che, come sempre, si concentrava al massimo sugli esercizi, e Drilla che, come sempre, si distraeva per un nonnulla.
“Basta così!” esclamò Ravenscar esasperato, dopo la decima volta che riprendeva due ragazze che, anziché fare l’esercizio, chiacchieravano tra loro. “Questa mattina non c’è verso di far lezione! Finiamo dieci minuti prima, ma se la prossima volta non siete preparati sulle basi, sarà peggio per la vostra media scolastica.”
E, seccato, si mise a correggere i compiti che gli alunni gli avevano consegnato per quel mattino.
“Ehm, professor Ravenscar?” fece Virginia Pride, alzando la mano.
Ravenscar alzò gli occhi, irritato. “Che cosa c’è? Hai domande sulla lezione, Pride?”
“Ehm, no… mi chiedevo solo…” fece una pausa, tesa, e le altre ragazze si fecero sfuggire delle risatine, “mi chiedevo solo se non deve per caso dirci i nomi delle… ehm, ragazze scelte. Dato che è il nostro direttore di Casa e ieri il Preside ha detto…”
“So benissimo cos’ha detto il Preside, e so benissimo cosa devo fare, Pride. Avviserò chi è stato scelto al suono della campanella, non durante la lezione che voi avete disturbato.”
Virginia fece una faccia delusa, e anche le altre ragazze si abbacchiarono. Drilla sbuffò. “Ben vi sta.”
La campanella, dieci minuti dopo, fu un sollievo. Le ragazze scattarono in piedi, eccitate, mentre i maschi borbottarono infastiditi e si diressero verso la porta. Drilla era completamente indifferente: prima di Natale era stata una delle poche ragazze che non avevano firmato la partecipazione al Ballo, e quindi non correva alcun rischio di venire scelta, anche perché non aveva nessun abito da cerimonia.
Ravenscar sospirò. “E va bene. E’ stata sorteggiata Leigh.”
Eva Leigh emise un grido di esultanza, mentre le altre si imbronciarono.
Emily emise un sospiro di sollievo.
“Visto?” disse Drilla, allegra. “Nulla di cui preoccuparsi.”
Emily sorrise.
“E anche Hale” soggiunge Ravenscar.


 

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Capitolo 17
*** XVI. Una traccia e una farsa ***


XVI.
Una traccia e una farsa

 

“Non può dire sul serio!”
Drilla era scioccata. Più o meno come metà del resto delle sue compagne di classe; ed Emily, che boccheggiava, stordita.
Ravenscar era serissimo. “Ti sembra che stia scherzando?”
“Ma… ma non Emily! Con tutte le ragazze che ci sono in giro e che vorrebbero farlo…”
Le esponenti del sesso femminile presenti annuirono con convinzione. “Infatti!”
“Professore…”
“La prego…”
“No!”
Lo sguardo duro che rivolse loro segnò la fine della discussione. L’uomo prese i compiti sulla cattedra, li infilò sottobraccio e uscì impettito.
Drilla guardò Emily, di un colorito piuttosto malsano.
“Emy…”
La ragazza scosse la testa, muta, e, senza spiccicare una parola, dimenticandosi persino della borsa e dei libri se ne andò.
Drilla fece per correrle dietro, ma Stuart, rimasto appena fuori dalla porta, la abbrancò per un braccio. “Lasciala in pace!”
“Ma…”
“Che cosa pensi di poter fare?” disse lui ragionevole. “L’hanno scelta, e Ravenscar ha detto che non accetterà cambiamenti di sorta.”
“Ma non è possibile… è inaudito! Bisogna fare qualcosa! Insomma…”
Stuart scosse il capo. “Non c’è proprio niente da fare.”
“Dannazione, ma perché? Non può… mi offrirei persino io al suo posto se potessi!”
“Ma non puoi” affermò Stuart tranquillo.
Drilla inveì contro i professori, i Folletti, i balli, David Steeval –che non c’entrava nulla ma ogni scusa era buona per tirarlo in ballo- e qualunque altro possibile responsabile della faccenda che le venisse in mente.
Stuart, invece, era cogitabondo.
“Si può sapere perché te ne stai lì immobile senza dire nulla? Ti lascia così indifferente la sorte di Emily?”
Stuart si acciglio. “Non esageriamo! Non la stanno mandando proprio al patibolo!”
“Stuart Dunneth! Tu sei il più insensibile…” iniziò rabbiosa Drilla, mentre i loro compagni di classe guardavano da uno all’altra interessati.
“… orribile, egocentrico…”
“Mi è venuta un’idea” proclamò tutt’a un tratto Stuart, che non le stava minimamente prestando attenzione.
“… e sleal… cosa?”
“Vieni con me!” fece lui, prendendola per un braccio.
“Si può sapere che ti prende?” chiese Drilla correndogli dietro.
“Drilla, sei davvero disposta a offrirti al posto di Emily?” domandò lui ansimando e guidandola su per un passaggio segreto.
Drilla esitò. “Io… sì, certo, se servisse a evitarle…”
“Bene, allora forse possiamo farcela.”
Un’altra rampa di scale, e Stuart si fermò, trafelato e senza fiato davanti a un grosso ritratto.
“Sai, dovresti fare qualcosa per la tua forma fisica da topo di biblioteca” osservò Drilla che era ancora fresca dopo una rosa dopo la corsa. Poi alzò gli occhi e emise un gemito. Non di nuovo lei!
“E voi due cosa ci fate di nuovo qui?”
L’enorme dama del Cinquecento li fissava altera da sopra il vasto abito sfarzoso che ingombrava il ritratto.
Felix felicis!” disse Stuart ad alta voce.
La donna non si mosse. “Mi spiace, ma hanno cambiato la parola d’ordine proprio ieri, ragazzino” disse malevola. “Quindi consiglio a entrambi di sloggiare dal mio pianerottolo. Ne ho abbastanza di essere disturbata.”
Drilla si mise le mani sui fianchi. “Senti un po’, grassona…”
“Di nuovo? Ragazzina impudente, se non smetti di chiamarmi così…”
“Ma è quello che sei!” ribatté Drilla malefica.
La donna grassa si erse in tutta la sua notevole statura e l’ancor più notevole ampiezza. “Niente affatto! Io, ragazzina sconsiderata, sono stata la dama più corteggiata di Hogwarts dei miei tempi, ma il pittore che mi ha ritratta mi ha ridotta così perché era geloso e non voleva che prestassi attenzione agli altri uomini!”
“Oh, certo! Anche il mio ritratto tra cinquecento anni può mettersi a raccontare in giro che io ero alta, bionda e con un fisico mozzafiato. Tanto chi c’è che possa contraddirlo?”
La signora del ritratto si accigliò. “Se proprio vuoi saperlo qualcuno c’è! Anzi, prova a chiedere a quel signore laggiù. E’ stato con me a Hogwarts!” asserì indicando un quadro cinque metri più a destra.
Drilla raccolse la sfida. “Voglio proprio vedere!”
Stuart sospirò, esasperato. “Drilla, non abbiamo tempo da perdere…”
Drilla lo ignorò e andò al quadro in questione: all'interno della cornice due uomini erano immersi in una difficile partita a scacchi. “Ehm, scusate…”
Uno dei due alzò una mano senza distogliere gli occhi dalla scacchiera. “Un attimo, per favore. Sto per fare la mossa vincente.”
L’altro saltò su. “Che cosa dici! Io sto per fare la mossa vincente!”
“Tu?” disse il primo uomo, derisorio. “Mio caro, mi spiace dirtelo ma sei veramente in una brutta situazione.”
“Cosa? Ma se mi basta spostare il cavallo per farti scacco matto!”
Il primo uomo si grattò il mento. “Per la barba di Merlino, è vero! Bene, allora sposterò il mio re!”
“Ma… non vale! Mi hai estorto dalla bocca la mia prossima mossa con un inganno!”
“Niente affatto…” iniziò l’altro.
La discussione degenerò in una baruffa generale, e i personaggi degli altri quadri migrarono interessati sul luogo per assistere alla zuffa.
“SCUSATE!” gridò Drilla, che stava cominciando a spazientirsi.
I due litiganti smisero di accapigliarsi e si ricomposero.
“Al vostro servizio, madame.”
“Quella donna grassa laggiù… era davvero bella da giovane?”
I due ritratti si sporsero verso la fine della cornice. “Oh, voi parlate della Signora Grassa!”
“Sì, quella” rispose Drilla, pensando che il nome fosse davvero appropriato.
“Beh, sì, in realtà lo era. Però poi si scoprì che era tutto un trucco.”
Drilla si accigliò. “Un trucco?”
“Sì, esattamente. Sembra che possedesse” aggiunse sibilando, “un amuleto magico che rendesse belli.”
Drilla spalancò la bocca.
Un amuleto che rende belli…
Può essere...?
“Sì, e si dice che… Ehi, dove andate?” gridò il ritratto, vedendola partire in quarta di nuovo verso la Signora Grassa.
“Drilla, che è quella faccia?” domandò Stuart spaventato.
Drilla non lo ascoltò: scandagliò la Signora Grassa in cerca di qualcosa, una qualsiasi cosa che somigliasse a un medaglione, a una moneta…
“Allora, cosa ti hanno risposto?” domandò tracotante la donna.
“Tu hai il Medaglione, vero?!” esclamò Drilla in tono accusatorio. “Cioè, lo avevi, vero?”
Vide i numerosi doppi menti della donna fremere per un attimo, poi lei si accigliò. “Non so di cosa tu stia parlando!” disse, ma a Drilla non sfuggì che con una mano si infilasse nella scollatura qualcosa che aveva legato ad una catenella intorno al collo.
“Sì, lo avevi!” la accusò Drilla. “Lo hai appena nascosto!”
“Io non ho nascosto proprio niente” fece lei. “Anzi, perché non ve ne andate? Mi state disturbando e basta!”
In quell’istante, però, la Signora Grassa, corredata di cornice, dovette spostarsi di lato perché qualcuno uscì dal dormitorio: David e Jamie.
I due si bloccarono appena usciti dal buco del ritratto.
“Ma questo sta diventando un vizio!” esclamò David scontroso, vedendo Drilla e Stuart.
Jamie, invece, li accolse con atteggiamento più amichevole. “Ciao, ragazzi! Che ci fate qui?”
“Emily è stata scelta per il ballo” spiegò rapido Stuart.
Il sorriso scivolò dal viso di Jamie in meno di un battito di ciglia. “Co… cosa?!”
“Dovrà ballare con un Folletto” spiegò Stuart.
L’espressione di Jamie passò dallo sconcerto alla rabbia. “NO! Non lo permetterò!”
“Nemmeno noi” si affrettò ad annuire Stuart. “Infatti ho avuto un’idea.”
“Vale a dire?” chiese David, incrociando le braccia.
“Ora ve la spiego. Ma mi serve che Drilla e David mi facciano un enorme favore.”
Drilla e David si guardarono. “Varrebbe a dire?”
“Per una volta, dovreste collaborare.”
I due sbottarono perfettamente all’unisono. “MAI!”

Il corridoio su cui si affacciavano le aule di Artimanzia, Difesa contro le Arti Oscure e Antiche Rune era particolarmente affollato, quel giorno. Il motivo? Dalle finestre di quel luogo si aveva un’ampia visuale dei prati che si estendevano scoscesi dal castello fino al cancello della scuola. E quel giorno era previsto l’arrivo di Van Duyne, che sarebbe probabilmente passato dal cancello in questione.
“Ma ti rendi conto? Verrà proprio qui!” trillò eccitata una ragazza.
“Ah, perché non sono anch’io del sesto o del settimo anno?” sospirò un’altra con le lacrime agli occhi.
“Mi pare di aver visto qualcosa…” fece una terza, speranzosa.
“Oche” disse Drilla a voce particolarmente alta. Era appoggiata allo stipite della porta di Difesa contro le Arti Oscure, in attesa dell’inizio della lezione. Al suo fianco Stuart, stranamente rilassato, ed Emily, che invece negli ultimi giorni era tesa come una corda di violino.
Ovviamente, il commento di Drilla non passò inudito, tanto che un gran numero di teste si voltò dalla sua parte, contrariato.
“Qualcosa da dire, Cook?” domandò una incrociando le braccia in segno di sfida.
Drilla continuò a mantenere il tono distaccato e derisorio. “Non so cosa ci troviate di bello ad andare a ballare con un fantoccio come quello. Senza contare che poi dovreste ballare con i Folletti.” Ghignò.
“Tu senza dubbio insieme a un Folletto non ci staresti male. Anzi, sarebbe già un bel cavaliere per te” rispose una voce familiare.
Drilla serrò la mascella e si girò lentamente. “Steeval” constatò a denti stretti.
“Salve, pulcino” fece lui irriverente, ben piantato in mezzo al corridoio e la borsa gettata su una spalla.
“Vedo che siamo tornati alle vecchie abitudini” disse Drilla a denti stretti. “Strano, però, che il signor-Grifondoro-perfetto-ricco-biondo si fermi a parlare con i pulcini.”
David scrollò le spalle. “Sai, sono indeciso se ritenere una fortuna o una sfortuna che tu non venga al Ballo. Senza di te il panorama sarà decisamente migliore, ma se fossi venuta ci sarebbe stato davvero da ridere: una cornacchia addobbata a festa.”
Emily si morse un labbro nervosamente. “Drilla, Quebec è nell’aula, vi sentirà…”
Drilla estrasse la bacchetta, ignorando del tutto Emily. “Ritira quello che hai detto!”
David estrasse a sua volta la propria. “No!”
Stupeficium!
Lanciarono lo stesso incantesimo. Lo stesso istante.
Emily e parecchie ragazze strillarono.
Drilla si scansò di lato, e lo Schiantesimo di David colpì in pieno un quadro da cui i personaggi saltarono via terrorizzati. David si chinò, e quello di Drilla finì…
Protego!
Un colpo quasi pigro di bacchetta, e lo Schiantesimo si infranse, dissolvendosi contro la barriera evocata da Quebec.
“Ma bene” disse lui, scostandosi dalla porta dell’aula di Artimanzia e dirigendosi verso di loro con un’espressione malevola. “Ma bene. Che cos’abbiamo qui? Steeval e Cook che lanciano Schiantesimi nei corridoi… devo ricordarvi le regole della scuola, signori?”
Drilla e David avevano abbassato le bacchette e fissavano Quebec, tesi.
“Cinquanta punti in meno a Grifondoro e Corvonero” annunciò sadicamente Quebec. “E una bella punizione per tutti e due direi.”
I due ragazzi abbassarono lo sguardo.
“Steeval, da quant’è che non pulisci i bagni del primo piano? Magari il giorno prima del Ballo, così siamo sicuri che i nostri ospiti li troveranno puliti.”
Drilla non riuscì a trattenere un sorriso.
“Credo che tu non abbia niente per cui sorridere, Cook.”
“Professore, la prego, non l’ha fatto apposta…” intervenne Emily con una vocina sottile sottile.
Quebec la squadrò da cima a fondo. “Ho chiesto il tuo parere, Hale?”
“N-no, ma…”
“Van Duyne!” strillò una studentessa eccitata.
Di colpo tutto il gruppo di studentesse pigiate nello stretto corridoio si precipitò alle finestre.
“Oh, sì, è lui!”
“Non posso crederci! E’ qui davvero!”
“SILENZIO!” tuonò Quebec. “Filate subito tutte alle vostre aule! ADESSO!” aggiunse ringhiando, e le ragazze, borbottando, eseguirono restie l’ordine, alcune che ancora si spingevano per stare dalla parte delle finestre mentre andavano via.
“E quanto a voi” soggiunse quindi Quebec, rivolgendosi a David, Drilla e Emily –Stuart se n’era rimasto in disparte tutto il tempo- “Hale, sbaglio o tu sei una delle dieci ragazze scelte per il Ballo?”
Emily impallidì, senza capire cosa c’entrasse quella domanda. “Io… sì, ma…”
“Bene, allora per esserti impicciata in faccende che non ti riguardano, non parteciperai alle lezioni di Van Duyne. E tu, Cook, prenderai il suo posto. Anche al Ballo” aggiunse, vedendo che lei stava per dire qualcosa. “Vediamo se così imparerai ad apprezzare i nostro ospiti.”
E, detto questo, voltò loro le spalle e tornò nella sua aula. “Steeval” esclamò, soffermandosi un attimo sulla soglia. “I bagni li pulirai senza guanti e senza magia.”
Poi si sbatté la porta alle spalle.
Ci fu un lungo istante di silenzio. Poi Stuart sorrise. “Grazie, David.”
Emily sorrise a sua volta arrossendo. “Grazie anche da parte mia... quello che hai fatto...”
David si ficcò le mani in tasca e la interruppe bruscamente. “Giuro che qualcuno dovrà ripagarmi questo favore” borbottò, e se ne andò di malumore.
Stuart ridacchiò e si volse verso le due ragazze. Emily, non riuscendo più a trattenersi, lo abbracciò. “Grazie mille anche a voi. Stuart, sei un genio; ed mi hai pure preparato la Felix Felicis facendomene bere un sorso. E anche tu, Drilla. Hai... ti sei offerta al mio posto... Ma come sapevate che sarebbe successo?” si interruppe, commossa.
Stuart strizzò l'occhio. “Con un po' di fortuna si può fare tutto. Ma se non fossi incappato nella parola d'ordine di Grifondoro dell'altra settimana non mi sarebbe mai venuta in mente, quindi è anche merito di Drilla, che mi ci ha trascinato.”
Drilla sorrise compiaciuta, poi si accigliò. “Comunque aspetta a gioire, Emily. Ora ti toccherà andarci con Jamie.”
Emily si rabbuiò di colpo.
“Mi spiace disturbare questa discussione così commovente, ma la lezione sta cominciando” disse una voce alle loro spalle.
Sobbalzarono tutti e tre e si ritrovarono Ravenscar alle spalle.
“Professore…” fece Drilla incerta.
Aveva sentito tutto? Sarebbe andato da Quebec per dirgli di cambiare la punizione?
L’uomo li scrutò uno ad uno, quindi sorrise. “Un'incredibile dimostrazione di talento in Pozioni, Stuart. Cinquanta punti a Corvonero, e ora muovetevi se non volete che ve ne tolga venti ciascuno per il ritardo.”


 

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Capitolo 18
*** XVII. Confidenze ***


Buongiorno a tutti!
Mi sono fatta aspettare un po' di più ma eccomi con il nuovo capitolo. Spero che sia di vostro gradimento e ne approfitto per augurare a tutti buon anno! Grazie a tutti i lettori che mi scrivono e mi lasciano una recensione, è un regalo di Natale veramente gradito ^-^ Tanti auguri a tutti voi, che le vostre giornate siano meravigliose e piene di avventure come quelle di Drilla -magari un po' meno di guai. A presto!
 


XVII.
Confidenze

 

Era una pallida, fredda domenica mattina quando Tassorosso e Corvonero si scontrarono sul campo di Quidditch. E quando Corvonero strappò la vittoria alla squadra avversaria per duecento a centocinquanta punti.
Tuttavia, per quanto strano possa sembrare, Drilla quel giorno non gioì particolarmente. Al contrario: rimase silenziosa e in disparte mentre i compagni festeggiavano dandosi enormi pacche sulle spalle.
Da quattro giorni a quella parte nella mente di Drilla esisteva una cosa sola: il Medaglione.
Era tornata al ritratto della Signora Grassa più e più volte, aveva interrogato di nuovo il Frate Grasso, che era però rimasto vago e spiritato come solo un fantasma poteva essere; non aveva ottenuto nulla.
Come se non bastasse, febbraio si avvicinava, insieme alla sgradevole eventualità del Ballo dell’Armistizio. D'un tratto ricordò che quel pomeriggio avrebbe avuto la prima lezione con Van Duyne: sospirò, consolandosi a quel pensiero e con il fatto che non aveva più visto David da nessuna parte, quindi almeno le erano state risparmiate le sue frecciate velenose sui Folletti... sempre che fosse tornato il David di prima: non era del tutto certa che gli insulti ordinari che le aveva rivolto alla farsa di Quebec fossero spontanei o se invece fosse ancora dello strano, schivo umore che aveva mantenuto durante tutte le vacanze di Natale. Umore che, per qualche motivo che non riusciva a comprendere, le era ancora più insopportabile delle sue battute velenose.
Era così immersa nelle sue elucubrazioni che si accorse di trovarsi sola nello spogliatoio vuoto e silenzioso solo dopo qualche minuto. Sorpresa, si voltò a vedere se fosse rimasto qualcuno, e individuò, con grande sorpresa, Tristan Vidal seduto su una panchina ancora con la divisa di Quidditch addosso, gli occhi vitrei e la mente chissà dove.
“Tristan?” fece Drilla piano. Non sapeva come comportarsi di preciso con lui, ora che aveva capito che non le piaceva più.
Il ragazzo alzò lo sguardo. “Oh, ciao, Drilla. Non sei andata a festeggiare?”
Drilla alzò le spalle. “Non ne ho voglia. E tu, perché non sei andato? In fondo sei il capitano, questa vittoria è tua.”
Tristan sorrise mestamente restando in silenzio. Drilla non lo vedeva così strano da… beh, da mai.
“Stai bene?” domandò, incerta.
Tristan annuì. “Sì, non ho niente. Perché?”
Drilla esitò, poi si sedette accanto a lui sulla panchina. “Non mi sembra proprio.”
Tristan guardava dritto davanti a sé, in silenzio. Drilla cominciò a credere che non volesse parlare quando, d’un tratto, lui si volse a fissarla. “Drilla, onestamente… pensi che io abbia qualcosa che non va?”
Drilla rimase basita da quella domanda. “No, certo che no. Perché?”
“Pensi che abbia... non so, qualche problema? Che sia un tipo a posto? Magari... pure interessante?”
Drilla alzò gli occhi al cielo. Ma perché non mi hai fatto queste domande prima, stupido?
Si trattenne dal dirlo ad alta voce e sospirò. “Tristan, sei uno dei ragazzi migliori che conosca. Ogni tanto sei distratto o troppo concentrato su una cosa, è vero, ma per il resto sei a posto.”
“E allora perché lei non vuole stare con me?”
Drilla si morse un labbro, a disagio. Sapevano benissimo entrambi di chi stesse parlando, non c’era bisogno di fare nomi.
“Non lo so. Però… a volte capita di smettere di amare qualcuno…”
Il ragazzo reclinò la testa all’indietro appoggiandola alla spalliera e volgendo gli occhi in alto. “E non si può fare niente per tornare indietro, vero?” domandò sconsolato.
Drilla, nonostante tutto quello che aveva passato a causa della cotta per Tristan, nonostante tutta la rabbia che aveva accumulato quando si era messo con Rose Weasley, non riuscì a non provare un fiotto di compassione per lui.
Gli pose una mano sulla spalla. “Prova ad aspettare. Forse passerà.”
“Non credo. Ma… grazie.”
Drilla annuì. “Ora devo andare: ho una stupida lezione di ballo ad aspettarmi” spiegò con una smorfia.
“Già, i Folletti” disse lui con un sorriso. “Coraggio. Al Ballo ti inviterò ad un giro di danze, okay? Tanto per sottrarti a quegli esserini ignobili.”
Drilla sorrise. “Guarda che ti prendo sulla parola.”
Tristan si pose una mano sul petto. “Promessa di capitano della squadra.”
Drilla sorrise, poi riprese a vestirsi con la divisa scolastica. Come sempre, dopo la vittoria i suoi compagni avevano sparso vestiti, festoni, bottiglie di Burrobirra –e altre bevande meno lecite a scuola- e mucchi indefiniti di stoffa ovunque per tutti gli spogliatoi.
Frugò un po’ in cerca delle sue scarpe e, scocciata, si chinò a guardare sotto le panche. Ne trovò una ricoperta di ragnatele vicino ai bagni, e un’altra in un angolo nascosto, sotto un mucchio di vestiti.
Che è questa roba?, si chiese perplessa quando vide quello che sembrava un pezzo di pergamena strappata attaccato alla suola.
Lo staccò schifata con due dita e si stava già dirigendo verso il cestino della spazzatura quando l’occhio le cadde sulla scrittura sottile e arzigogolata che lo ricopriva. Rimase per un istante a decifrare le parole scritte frettolosamente da chissà che mano.
E per poco non le venne un colpo.
Ora capisco!

Arrivò ansimando davanti alla porta della Sala Grande. I professori avevano deciso che sarebbe stata usata da Van Duyne per le lezioni. E che l’enorme portone di quercia sulla soglia sarebbe stato chiuso.
Drilla non poté che concordare completamente su quella decisione: primo, perché sarebbe stato terribile se qualcuno –tipo David Steeval- fosse passato di là e l’avesse vista saltellare e piroettare di qua e di là; secondo, non si sarebbe mai potuta svolgere una lezione tranquilla con la folla di ragazze deliranti che già ora affollavano la Sala d’Ingresso, speranzose di scorgere anche solo per un poco da vicino il famoso, meraviglioso Van Duyne.
Per raggiungere la porta d’ingresso Drilla dovette farsi strada a gomitate e ginocchiate, anche andandoci un po’ pesante.
Una volta lì, si chinò ansimando, di malumore, quando una voce inaspettata le giunse dalla sua sinistra.
“Drilla?”
Drilla alzò lo sguardo.
Rose Weasley era lì, davanti a lei, in tutto il fulgore dei suoi capelli rosso fuoco.
“Ciao, Rose” la salutò Drilla, raddrizzandosi all’improvviso. “Anche tu sei stata scelta?”
Rose alzò le spalle. “Già.”
La porta della Sala Grande che si aprì e l’urlo della folla femminile attorno a loro le interruppe.
Insieme ad altre otto ragazze -tra cui Drilla, con gran disgusto, riconobbe Zafira Montague- lei e Rose entrarono nella Sala Grande chiudendosi a fatica i pesanti battenti alle spalle e lasciando fuori il caos della folla adorante femminile.
“Wow” esclamò Drilla.
I quattro tavoli delle Case erano stati spostati, tanto che l’immenso stanzone ora pareva più grande e, in un certo senso, più vuoto. La volta era di un azzurro splendente, e raggi di sole si gettavano obliqui sul pavimento di marmo entrando dalle finestre.
Al centro della sala le attendevano due persone: uno era McKinnon, insolitamente teso, l’altro, più basso e molto più magro, tanto da sembrare quasi un giunco sul punto di spezzarsi, era il famoso Kallias Van Duyne.
Drilla, Rose e le altre otto ragazze si avvicinarono quasi con timore.
“Ragazze, vi presento il vostro insegnante di danza per tutto il mese a venire. Kallias, queste sono le vostre allieve.”
Van Duyne era più giovane di quanto Drilla ricordava dalle foto sui giornali, e anche meno bello di quanto pensasse. Aveva capelli scuri e corti, due occhi profondi e un naso forse troppo lungo; aveva però anche una postura invidiabilmente signorile. Diede una rapida occhiata a tutte e dieci con occhi impenetrabili e chinò lievemente il capo con distacco. “Buongiorno” fu tutto quello che disse.
Non sembrò voler aggiungere altro, così McKinnon, schiarendosi la voce, si congedò. “Bene, vi lascio alla vostra lezione. Buon lavoro.”
Quando l’uomo uscì dalla porta per qualche istante regnò un silenzio imbarazzante nella stanza.
“Cominciamo” disse poi Van Duyne.
E così ebbe inizio la lezione.
No, non lezione. Massacro, si disse Drilla.
Van Duyne, contrariamente alle sue aspettative, si rivelò tutt’altro che un eccentrico e vanitoso ballerino. Era di poche parole, severo e intransigente; correggeva ogni passo scorretto, ogni errore di postura, ogni respiro al momento sbagliato. Non diceva mai più di quante parole non fossero necessarie a indicare e correggere, ed era di un distacco gelido.
Quando però per l’ennesima volta riprese atono Drilla che aveva sbagliato a sollevare un braccio, lei si spazientì. “Scusi, ma noi dobbiamo ballare una volta e con dei folletti. Che cosa importa se alziamo un braccio al momento sbagliato e non facciamo tutto perfettamente? Tanto loro nemmeno ci arrivano, alla nostra spalla.”
Non avrebbe potuto dire niente di più sbagliato. Il volto inespressivo di Van Duyne assunse un’aria ostile. “Non importa quante volte né con chi ballerete. La danza è un’arte, e quando ci si applica ad essa bisogna farlo con tutti se stessi. E ora, per favore, abbassa quel braccio.”
Drilla s’imbronciò, ma strinse i denti e proseguì la lezione.
Dopo un’ora e mezza di salti, passi, movimenti e posture, si lasciò cadere a terra, ogni articolazione del corpo che mandava fitte dolorose.
“Non avrei mai dovuto accettare di sostituire Emily” borbottò.
“Sei stata molto coraggiosa a offrirti per la tua amica” disse una voce alle sue spalle.
Drilla si voltò e vide Rose Weasley sedersi con grazia sul pavimento di fianco a lei.
“Lasciamo perdere” bofonchiò scontenta.
Rose si guardò intorno, poi tornò a volgersi verso Drilla sottovoce. “Senti, per quel giorno nel dormitorio di Grifondoro…”
“Ah, ecco, io…” cominciò Drilla a disagio. Pensandoci ora, a mente fredda e senza l’illusione di essere innamorata di Tristan, le sembrava di aver un tantino esagerato quella volta. “Mi dispiace di essere stata invadente…”
“No, sono io che ti devo una spiegazione” la interruppe Rose.
Drilla aprì la bocca per parlare, ma l’altra glielo impedì. “Ecco, vedi, in realtà io... io devo spiegarti una cosa” disse mordendosi un labbro. “Però tu mi devi promettere che non lo dirai a nessuno.”
Drilla annuì senza parlare, ansiosa di vedere dove volesse andare a parare Rose.
“Vedi, io… non mi sono messa insieme a Tristan perché lo amavo…” spiegò Rose. “Io… io l’ho fatto solo perché volevo vendicarmi della persona che mi piaceva davvero…”
“Scorpius Malfoy?” chiede Drilla casualmente.
Rose spalancò gli occhi. “Come lo sai?”
“Pensavi di farlo ingelosire” disse tranquilla Drilla, ignorando la sua domanda.
Rose strinse le labbra. “Sì, ma… ma non ha funzionato.” Stava assumendo un tono di voce acuto. Drilla capì al volo che era sull’orlo delle lacrime, e non aveva alcuna voglia di fare la spalla su cui la ragazza avrebbe pianto. Bruscamente le tese il pezzo di carta trovato attaccato alla sua scarpa negli spogliatoi. “Prima di dirmi altro è meglio che guardi questo.”
Rose lo prese, perplessa mentre singhiozzava. “Cos..?”
“Leggi.”
Rose obbedì. Non appena scorse la grafia sottile si lasciò sfuggire un sussulto.
“L’ho trovata negli spogliatoi” spiegò Drilla. “E quando l’ho letta e ho letto la firma in fondo ho capito.”
“Lo spogliatoio è stato… è stato il posto dove ci siamo dati il primo appuntamento di nascosto” disse Rose tirando su con il naso. Poi lesse tutta la pergamena e la sua espressione passò dall’afflizione a una gioia indicibile. “Non posso crederci” mormorò euforica, tenendo il pezzo di pergamena in mano come se fosse un cimelio preziosissimo. “Lui…”
“Non m’interessano le vostre faccende” la avvertì Drilla. “Te l’ho dato solo perché era giusto così.”
Rose la guardò sprizzando felicità da tutti i pori. “Oh, grazie, Drilla. Grazie!”
Drilla bofonchiò un “prego” non troppo convinto. Non aveva ancora perdonato a Rose di averle soffiato Tristan e, soprattutto, di essere così bella e perfetta.
“Tu... tu non hai idea di che felicità tu mi abbia dato! Se posso fare qualcosa per te… qualsiasi cosa…” si offrì Rose, entusiasta.
Drilla stava per ribattere un secco “no!”, ma i ricci ramati di Rose le fecero venire in mente un'altra chioma di uguale tinta cromatica.
“Mi sai dire perché tua cugina mi tratta così?” chiese accigliata.
“Lily? Oh, pensavo che fosse evidente” disse Rose sorpresa.
Drilla inarcò un sopracciglio a dimostrazione che per lei non lo era poi così tanto.
“E’ gelosa” spiegò Rose semplicemente. “Le piace Stuart Dunneth.”

 

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Capitolo 19
*** XVIII. «Sei cieca.» ***



XVIII.
«Sei cieca.»

 

Drilla rientrò nel dormitorio con tutti i muscoli del corpo indolenziti, quasi trascinandosi su per la scala a chiocciola. Raggiunse il divano davanti al caminetto e ci si lasciò cadere esausta.
Emily era lì, con un libro sulle ginocchia. “Drilla! Com’è andata con Van Duyne?” chiese subito chiudendolo di scatto all'entrata dell'amica.
Drilla sbuffò. “Quel tipo è un fanatico. Sembra che per lui esista solo la danza.”
“Beh, devi capirlo” intervenne Eva Leigh entrando indolenzita ma felice. “E’ la sua vita. In fondo i suoi genitori sono morti quando era poco più che un neonato e il ballo lo ha salvato da una vita misera.”
Emily corrugò le sopracciglia. “Non aveva altri parenti?”
“Oh, no. E’ stato cresciuto in un orfanotrofio non si sa dove e poi preso a dodici anni in un'importante accademia di Danza Magica ad Amsterdam. È venuto a Londra solo tre anni fa.”
“Tuttavia nessuno sa che Van Duyne nasconde un segreto” disse una voce sognante alle loro spalle.
Le ragazze si voltarono spaventate. “Lorcan!”
“Che vuoi dire?” domandò Emily incuriosita.
“Beh, è noto solo nelle alte sfere che Van Duyne è in realtà uno degli ultimi Changeling in vita e gli hanno offerto un posto nel teatro Flamel di Londra solo come riparazione all’epurazione razziale perpetrata nei confronti del loro genere tempo fa.”
“Questa è la più grande stupidaggine che abbia mai sentito” disse Drilla sbuffando.
“I Changeling? Ne ho letto qualcosa una volta su un libro…” mormorò Emily soprappensiero. “Non sono una sottospecie dei Folletti?”
“No, non proprio” spiegò Drilla scettica. “Erano i bambini scambiati. Sai, le creature magiche hanno sempre avuto figli con qualche problema di costituzione o cose del genere, allora li scambiavano con i figli dei Maghi o dei Babbani, impossessandosi dei loro.”
“E come facevano i Maghi a riprenderseli?” domandò Emily colpita.
“Non lo facevano. Le creature magiche appena nate sono molto versatili e crescono più o meno con l’aspetto della razza con cui vivono, quindi sembravano in tutto e per tutto uguali ai figli originali. Però poi, al tempo, quando superavano l’adolescenza e si sviluppavano emergeva sempre qualche aspetto della loro vera natura che svelava l’inganno.”
Emily era orripilata. “Ma è terribile! E… e poi cosa succedeva?”
“Il più delle volte venivano allontanati dalla famiglia” interloquì Lorcan. “Ma non entravano mai del tutto in società perché erano temuti. Più volte venne ordinata un’epurazione di queste creature nel corso della storia.”
“Ma non è giusto! Loro erano appena nati! Come potevano sapere…” balbettò Emily.
“Oh, è proprio per questo che la cosa è stata messa a tacere” disse allegro Lorcan.
“Ma come può un genitore accettare di cambiare un altro figlio con il proprio?” insisté Emily ancora incredula.
Lorcan si strinse nelle spalle. “La concezione di bene e male delle creature magiche sono diverse dalle nostre.”
“E gli esseri umani rubati? Loro dove sono? Nessuno ne sa niente?”
“No, perché i Folletti sono bravi a mascherarli e sembrano membri della loro razza. E il più delle volte crescono senza sapere che in realtà in origine erano uomini.”
“Sì, beh, alcuni però saltavano fuori e tornavano a vivere con i Maghi e le Streghe normali, ma ormai erano così abituati a seguire le leggi naturali dei Folletti che si comportavano in modo bizzarro e venivano emarginati anche loro” spiegò Drilla annoiata. “E’ per questo che fu varata la legge internazionale che condannava ad una permanenza forzata ad Azkaban tutti coloro che avessero osato scambiare figli di razze diverse.”
Emily la guardò stupita. “E tu come sai tutte queste cose? Io sui libri non le ho mai lette.”
“Mia madre è laureata in Magisprudenza” rispose Drilla con una smorfia.
“E sui libri non è scritto niente perché è una delle pagine nere della storia dei Maghi” aggiunse Lorcan saggiamente.
“Scemenze! Non c’è stata nessuna epurazione; i Changeling si sono estinti da soli poco dopo la legge, dato che non sono più avvenuti scambi” ribatté Eva Leigh. “E comunque Van Duyne non c’entra niente.”
“E invece c’entra. In tanti dicono che mangi più di qualsiasi essere umano” affermò Lorcan. “Dicono che a casa sua faccia arrivare enormi scorte di cibo e anche di altre cose che spariscono nel nulla in pochi giorni, se non in ore.”
Eva s’imbronciò. “Sono tutte stupidaggini!”
“Niente affatto. Mia madre…”
“Tua madre è una che crede che esistano robe come i Ricciocorni Schiattosi e…”
“I Ricciocorni Schiattosi esistono” sostenne Lorcan con alterigia.
“No che non esistono!”
I due presero a discutere così animatamente da far venire il mal di testa a Drilla, che si alzò e si rifugiò in camera. Emily la seguì, per nulla intenzionata a partecipare a una discussione sui Ricciocorni Schiattosi.
“Hai una faccia strana, Drilla” le disse mentre si sedevano entrambe su un letto –Drilla, più che altro, ci si lasciò cadere pesantemente- “E’ successo qualcosa?”
Drilla meditò un istante, poi decise che poteva confidarsi con Emily. “Beh, c’era Rose Weasley…”
“Non dirmi che ce l’hai ancora con lei anche adesso che non ti piace più Vidal!”
“No, non è quello. Abbiamo parlato e…” si zittì un attimo e decise di non raccontare in giro i fatti della ragazza, così passò subito alla cosa che la preoccupava. “Beh, a quanto pare Lily Potter ce l’ha con me.”
Emily rimase zitta e Drilla trovò quel silenzio strano. Si voltò a guardare l’amica. “Tu sai qualcosa?”
“Certo che lo so. E’ gelosa, no?”
Drilla scattò in piedi. “Lo sapevi?! Sapevi che le piace Stuart?!”
Emily la guardò stupita. “Certo. Credo lo sappia tutta la scuola. Perché, tu non te n’eri accorta?”
Drilla la guardò inorridita. Tutta la scuola?
“Ma… da quanto tempo dura questa cosa?”
Emily aggrottò la fronte, pensierosa. “Da secoli, penso. Anche se gli si era dichiarata solo poco prima che tu e Stuart vi metteste insieme per finta.”
“Cosa?!”
“Sì. Credo proprio il giorno prima.”
Drilla boccheggiò. Non era possibile. Non poteva essere…
“Ma… ma Stuart non mi ha mai detto…”
Non riuscì a continuare. Era senza parole. Una ragazza si era dichiarata a Stuart e lui il giorno dopo… loro il giorno dopo… In un lampo le ricomparve il giorno in cui avevano sconfitto i Grifondoro, e di quando aveva visto, ancora euforica per la partita, Rose e Tristan insieme. E a quanto ci era rimasta male.
Poteva capire benissimo perché Lily Potter la odiasse così tanto. Troppo bene.



“Tu sapevi.”
Stuart alzò gli occhi, preso alla sprovvista. Era seduto a un tavolo dei Tre Manici di Scopa con una Burrobirra in mano, e la stava aspettando dopo che Drilla gli aveva quasi ordinato di vedersi lì con lei, dato che non riusciva a trovare mai un attimo di tempo in cui fossero soli durante la settimana.
“Di che stai parlando?” domandò lui perplesso, mentre Drilla si sedeva pesantemente con aria minacciosa.
“Di Lily Potter” scandì Drilla.
Stuart ci mise un lungo secondo per afferrare ciò che lei gli stava dicendo. La sua espressione si solidificò in una maschera di noncuranza.
“Sì, certo. Non dirmi che te ne sei accorta solo ora?”
Drilla lo guardò con gli occhi spalancati. “Stuart Dunneth, non fare l’attore con me. Sapevi benissimo anche che io non sapevo, e speravi che continuassi a non sapere!”
Stuart sogghignò. “Stai cercando di scioglierti la lingua?”
Drilla si sedette. “Senti, se non mi dici tutta la verità ti prendo a botte. E sai benissimo che lo farei!”
Stuart la scrutò, poi sospirò, mise giù la sua Burrobirra e si prese la testa tra le mani. “Ecco perché non volevo lo sapessi.”
“Ma…”
“Tu, Drilla, hai il vizio di ficcarti negli affari altrui quando non devi.”
“Lily Potter non è solo un affare tuo, dato che dopo che ci siamo messi insieme per finta ha iniziato a odiarmi selvaggiamente.”
Stuart si accigliò. “Se è gelosa senza motivo non è un problema mio.”
Drilla gli afferrò un braccio, irritata. “Stuart, se le piaci è ovvio che sia gelosa. Come hai potuto essere così crudele da metterti con me il giorno dopo averla rifiutata?”
“Con chi mi metto non è di certo affar suo”, fu la risposta gelida.
Drilla si morse il labbro e si decise a sputare la cosa che più l’aveva tormentata dopo aver saputo di Lily e Stuart. “Non ricordi quanto soffrivo appena Rose e Tristan si erano messi insieme?” gli domandò in tono sommesso.
In quel momento non poté non chiedersi se, al tempo, Rose Weasley sapeva qualcosa del sentimento di Drilla per Tristan e se avesse sentito lo stesso peso del senso di colpa che sentiva lei gravarle addosso. In fondo lei non amava Stuart: stava insieme a lui per puro scopo egoistico, proprio come aveva fatto Rose. Drilla si sentiva disgustata per essersi scoperta così uguale alla sua acerrima rivale.
Stuart la guardo con espressione seccata. “Drilla, hai ammesso tu stessa che da secoli non ti piace più Tristan.”
“Ma non è la stessa cosa!”
“Appunto. Quindi non fare paragoni.”
“Ma io a quel tempo ho davvero sofferto! Non ricordi?”
Stuart assunse un tono paziente. “Drilla, tu a quel tempo credevi di soffrire, ma in realtà era solo una convinzione che ti eri messa in testa.”
Drilla batté un pugno sul tavolo. “Ma era una convinzione che faceva male!” replicò lei. Perché Stuart si ostinava a non capire?
Il ragazzo scosse la testa. “Su, non ti agitare così” disse con voce più gentile. “Bevi qualcosa e…”
Drilla scostò con un gesto secco la bottiglia che le stava porgendo. “Stuart” disse, inspirando profondamente. “Io e te dobbiamo lasciarci.”
Stuart appoggiò lentamente la bottiglia sul tavolo. “Davvero? E perché?” domandò in tono indifferente. Un tono che infastidì terribilmente Drilla.
Drilla aprì la bocca per rispondere, ma lui la interruppe prima che potesse anche solo pronunciare una sillaba.
“Te lo dico io” esordì spazientito. “Tu continui a paragonare me a Tristan e te stessa a Rose Weasley. E pensi solo a quanto hai sofferto allora. E al fatto che alla fine Rose Weasley non amava per nulla Tristan così come tu non ami me. E impersonifichi te stessa nella terza incomoda, Lily Potter.” Fece una pausa, massaggiandosi la fronte, poi alzò gli occhi su di lei e Drilla fu colpita dalla sua espressione rabbiosa. “Ma, tu, Drilla” riprese Stuart sillabando lentamente le parole, “hai mai” batté un pugno sul tavolo, “mai” le afferrò un braccio in una morsa rude, “mai pensato a come diamine dovesse sentirsi Tristan?”
Drilla lo guardò, sbalordita. Aprì la bocca, ma aveva la gola secca, così dovette schiarirsi la voce per parlare. “Tu… sei innamorato di me?”
“No, non è questo” sbottò lui, irritato. “Il punto è che tu ragioni solo basandoti su te stessa. Dimmi, se Tristan non ti avesse amata ma si fosse messo con te anziché con Rose Weasley, ne saresti stata contenta?”
Drilla ci pensò su, deglutendo, poi ammise: “Forse… all’inizio sì, ma poi no. Mi sarei sentita…” Esitò.
“Triste? Depressa?” la incoraggiò Stuart. “E forse avresti sofferto di più di quando lui si è messo con Rose, vero?”
“Non posso saperlo! Non è successo!” esclamò Drilla cercando di liberarsi dalla stretta di Stuart.
“Ma è la verità, lo devi ammettere.”
“Sì, ma c’è anche un’altra cosa…” mormorò Drilla. “Tristan… non si è mai fermato a pensare a me nemmeno una volta. Non si è mai chiesto se potesse anche solo provare ad amarmi. Non ci ha mai nemmeno provato. E tu? Ci hai provato? Come sai che non t’innamoreresti di lei?”
Stuart strinse le labbra. “E’ questo che sono per te i sentimenti, Drilla? Sono cose che possono cambiare così facilmente?”
Drilla lo guardò senza capire.
“Tu hai fatto in fretta a dimenticarti Tristan. E hai fatto altrettanto in fretta a innamorarti di qualcun altro. Anzi, praticamente lo hai fatto in contemporanea. Ma io non sono come te.”
La guardò con un’espressione che Drilla non gli aveva mai visto. Fredda, gelida.
“Ma… che dici? Io non sono innamorata di nessuno ora…”
“Tu sei senza paura” la interruppe lui senza ascoltarla. “Sei forte, sei sicura, sei tu. Nonostante tutti i tuoi difetti, ti sai far voler bene oppure odiare, ma non lasci che nessuno ti rimanga indifferente; sei un tale uragano che neanche ti accorgi di che scompiglio puoi creare con il tuo passaggio. Non corri il rischio di trovarti una porta chiusa perché se ti succede la sfondi. Io non sono così, capisci?”
Drilla scosse la testa, confusa. “Ma che stai dicendo?”
“Ho sempre paura che se lascio un posto che mi ha accolto poi troverò tutte le altre porte sbarrate; e, dopo, non posso più nemmeno tornare indietro. Mi è successo già quando stavo per morire: mi ero visto escludere dalla mia famiglia, e pensavo di aver trovato una soluzione con la strega; poi ho scoperto che era solo un miraggio, un vicolo cieco. E che non potevo più tornare sui miei passi.”
“Ma innamorarsi non vuol dire andare incontro a un vicolo cieco…” tentò Drilla flebilmente.
“Non lo so, Drilla: non ci ho mai provato e non voglio. Io sto benissimo così come sono.”
Drilla lo guardò e per la prima volta vide oltre le apparenze del ragazzo secchione, pallido e a tratti attraente che era il suo amico. Si rese conto che in quei due anni era rimasto sempre a fianco di lei ed Emily. O di Albus, Jamie e David. Ma era sempre circondato da uno scudo, qualcosa che non faceva avvicinare nessun altro.
“Sei ancora... ancora isolato” si rese conto Drilla d'un tratto. “È come se ti sentissi ancora la maledizione addosso e non ti fai avvicinare da nessuno. Ma non lei non c'è più, Stuart! Non c'è più!”
Stuart fece un sorriso mesto. “Dicono che le maledizioni delle creature elfiche lascino sempre una traccia sulle loro vittime, anche quando si spezzano. Sono passato sotto quell’ombra e mi porterò il suo segno tutta la vita.”
“Ma non è vero! Non c'è niente che non va: devi solo... lasciarti andare.”
Stuart s’incupì. “Io farò quello che voglio.”
Drilla scosse la testa. “Tu devi imparare a rischiare…”
“IO NON VOGLIO RISCHIARE!”
Tutte le teste del locale si voltarono a guardare. Il chiacchiericcio si spense di colpo, e un silenzio gelido percorse tutta la grande sala cosparsa di tavoli affollati.
Drilla aveva un labbro che tremava, ma si costrinse ad alzarsi in piedi e trattenersi. “Tu devi andare avanti” mormorò. “Quindi…” fece una pausa, poi alzò la voce, in modo che tutti sentissero. “E’ per questo che oggi ci lasciamo.”
Sul viso di Stuart si rincorsero mille espressioni. Sbigottimento. Spavento. Tradimento. Delusione. Rabbia. Tanta rabbia.
Drilla non aggiunse altro. Raccolse la borsa e se ne andò tra i mormorii degli altri studenti.
Percorse la strada da Hogsmeade al castello in silenzio, sconvolta. Si era accorta già dentro il locale che stava piangendo, ma non capiva perché. Forse per Stuart. O per Lily Potter, che le ricordava tanto lei stessa. O perché era sempre stata così stupida da non accorgersi né di uno né dell’altra.
Attraversò il portone d’ingresso, inciampò nella gradinata e s’incamminò stancamente verso il dormitorio, vagando per i corridoi deserti.
“Ehi.”
Drilla si voltò di scatto.
David la fissava da un angolo del corridoio. “Che è successo?”
Ci mancava solo lui.
Lei non rispose, e continuò a camminare per la sua strada. Se c’era una cosa che non era in grado di affrontare in quel momento era uno scontro con Steeval.
“Aspetta!”
Drilla si voltò e vide che l’aveva seguita.
“Cosa vuoi?”
David si mise le mani in tasca, a disagio. “Sapere cos’è successo.”
Lei alzò le spalle. “Niente che riguardi te.”
Fece per voltargli di nuovo le spalle.
“Stuart?” azzardò David.
Drilla si bloccò di colpo e le parole dette da David tempo prima gli riaffiorarono alla mente. Sei cieca, Cook.
“Sì” ammise abbassando gli occhi.
David ebbe un moto di stizza. “Sei un’idiota! Se mi avessi ascoltato…”
Comunque” lo interruppe Drilla stringendo i pugni e gli occhi per trattenere le lacrime che si ostinavano a emergere, “non sono affari tuoi.”
“No, ma ciò non toglie che tu sia un’idiota! Te l’avevo detto che a Stuart non gliene fregava niente di te! Ma tu, scema, hai continuato a stare con lui!”
Drilla si accigliò. “Senti un po’! Ma come fai a essere così sicuro che a Stuart non gliene importo nulla di me?”
“Me l’ha detto lui!” ribatté con sadica sicurezza David.
Drilla lo guardò basita. “Cosa?”
David si rabbuiò. “Dopo quella storia del filtro d’amore mi ha detto che non dovevo più preoccuparmi di voi due perché tanto stava insieme a te solo perché si annoiava e voleva tenere lontano Lily Potter.”
Drilla sbiancò. Cosa gli ha detto?
“Ma tu non mi hai ascoltato! Sei la più grande…”
“…idiota del mondo, sì, ho capito.” Fece una pausa, mentre una ridda di sentimenti contrastanti si facevano strada in lei. Sorpresa, rabbia, perplessità…
Rimase in silenzio per un po’, mentre David la fissava in attesa.
Poi ricordò il banchetto di Natale, e quelle stranezze, e un dubbio si fece strada nella sua mente. “Perché… perché hai cercato di avvertirmi? E perché hai cominciato a ignorarmi?”
David avvampò. “Io non…”
Drilla lo scrutò negli occhi, accigliata. “Ti faccio pena, Steeval?”
Lui si accigliò. “Io non sono malevolo come te, Cook. Le persone le rispetto.”
“IO NON VOGLIO IL TUO RISPETTO!” esplose Drilla. “Non me ne faccio niente! E nemmeno della tua pietà! Pensi che mi faccia sentire meglio?!”
David boccheggiò. “Io…”
Drilla si sfregò con furia gli occhi, cercando di asciugarsi le lacrime prima che strabordassero. Non ne poteva più di tutto quello. Non ne poteva più di scoprire che niente era come credeva. Prima Tristan, poi Rose Weasley, e ora Stuart e Lily Potter…
Qualcosa è come sembra?
“Tu mi odi, vero Steeval?” mormorò, gli occhi che bruciavano mentre cercava di nascondere i goccioloni che emergevano testardamente. Ora lo stava implorando. “Mi odi, vero?” Lo vide indugiare mentre la fissava sbalordito. Aveva bisogno di saperlo. Aveva bisogno di un sentimento sicuro a cui aggrapparsi. Anche se era odio. “Ti prego…”
David si accigliò. “Certo che ti odio!” sbottò. “Sei una cornacchia odiosa che non vede tre centimetri al di là del suo naso, testarda, petulante…”
Non riuscì a terminare.
Drilla si sentì investita da una tale sensazione di gratitudine che, senza pensare, gli saltò addosso e lo abbracciò. Era come abbracciare un’ancora di salvezza annaspando nella confusione.
Sentì David irrigidirsi di colpo. “Ti ho appena detto che ti odio!” protestò il ragazzo, cercando di spingerla via.
Drilla non lasciò la presa. “Grazie.”
Per un attimo rimasero così, entrambi immobili. Poi sentì le braccia di David circondarla in una stretta che le fece scricchiolare le ossa. Sorpresa, alzò il viso e trovò labbra che cercavano le sue, aggressive.
Ma che…?
Aveva dimenticato che Steeval sapesse baciare così bene.
Fu come essere percorsa da una scarica elettrica mentre la bocca di lui premeva sulla sua, calda, decisa. Forse avrebbe dovuto spingerlo via e sconvolgersi; e invece lo seguì mentre lui arretrava appoggiando la schiena contro il muro, trascinandola con sé in una morsa, come se la volesse più vicina. Ancora più vicina.
Drilla non si accorse nemmeno di aver smesso di respirare finché David non si staccò di pochi millimetri, ansimando.
Anche Drilla si sentiva il respiro affannato. “Hai… hai detto che mi odi…” osservò debolmente.
“Sì che ti odio!” ribadì lui. “Maledetto il giorno in cui mi sono imbattuto in te, dannazione!”
La parte razionale del cervello di Drilla gridava che non si dovrebbero baciare i propri nemici. L’altra, invece, la spingeva ancora verso David, verso la sua bocca, le sue labbra.
David sollevò una mano e gliela appoggiò su un lato del viso, calda come se fosse febbricitante. Aveva l'espressione corrucciata, la bocca dischiusa: si fissarono ancora qualche secondo e poi, con grande gioia dell’irrazionalità di Drilla, lui riavvicinò la bocca alla sua e la baciò ancora. La parte razionale di Drilla fu dimenticata all’istante, sepolta dalle braccia di David che la schiacciavano contro di lui.
“David Steeval.”
Drilla trasalì e David la spinse via di colpo.
In piedi nel corriodoio c’era Kallias Van Duyne. Li guardava con un disagio evidente, corrucciato.
“Sei David Steeval?”
Il ragazzo cercò di ricomporsi e lo guardò con disprezzo. “Sì. E tu chi diamine sei?”
Drilla gli sferrò una gomitata. “Salve, signor Van Duyne.”
Van Duyne la squadrò con scarso interesse. “Ah, sei la ragazza che non apprezza il ballo.”
“Io…” iniziò, ma lui la ignorò.
“Una persona ti deve parlare, Steeval.”
David si accigliò. “Chi è che vorrebbe parlarmi? E perché sei venuto proprio tu a dirmelo?”
Van Duyne serrò le labbra al suo tono impertinente. “Tua madre, Steeval: è qui per il Banchetto dell’Armistizio. E io sono venuto a cercarti insieme al professor Quebec, ma evidentemente ti ho trovato prima di lui…”
David sbiancò. “Mia madre?”
Van Duyne annuì con indifferenza. “Vogliamo andare da lei?”
David guardò Drilla, le sfiorò con una mano la manica, poi si scostò e si allontanò raggiungendo Van Duyne. Quest’ultimo gli fece un segno verso il corridoio e, prima di voltarsi a guidarlo, lanciò un’occhiata strana a Drilla. Un‘occhiata che non le piacque nemmeno un po’.
Non andare via da me!, avrebbe voluto gridare a David. Ma non lo fece. Non sapeva ancora quanto se ne sarebbe pentita. Quanto quelle poche parole avrebbero potuto fare la differenza per quello che sarebbe accaduto presto.






Note:

Finalmente! Lo so che tanti aspettavano questo capitolo da un secolo, lo so, e spero di non avervi delusi. Che dire? Drilla non aveva capito niente a differenza della maggior parte di voi; a volte mi sento quasi cattiva a maltrattarla così, ma poi penso che le ho fatto baciare David e quindi dovrebbe essermi grata, giusto?
In questo capitolo c'è un cenno alla storia precedente, Ob Morsum, quando Stuart e Drilla parlano della strega e della maledizione; non credo che chi non l'ha letta abbia avuto particolari problemi di comprensione, o almeno spero.
Cosa ne dite? Fatemi sapere!
Colgo anche l'occasione per dirvi che ho pubblicato il primo capitolo anche di una storia originale di vecchia data che sto correggendo e se potesse interessarvi sarei contenta di proporvela: è una commedia romantica/comica e si chiama Martini&Cioccolato (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3348756&i=1).
Che altro dire? Spero abbiate passato un bel capodanno. Buoni ultimi giorni di vacanza a tutti! A presto!
 

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Capitolo 20
*** IXX. Congiura ***



IXX.
Congiura



 

Il mese seguente passò in fretta. Troppo in fretta.
Il castello era invaso dal frenetico entusiasmo che precede gli avvenimenti importanti e tutti non facevano che parlare del banchetto imminente. Tutti tranne Drilla che camminava assente in quell’atmosfera di trepidante attesa: era come se una bolla di sapone l’avesse avvolta, isolandola da tutto e da tutti.
Ormai erano tre settimane che Stuart non le parlava, e altrettante che David Steeval era scomparso.
Già, scomparso.
Drilla, all’inizio, non ci aveva fatto caso.; non voleva farci caso. Ma dopo sette sofferti giorni a girare ogni angolo con il batticuore, temendo e sperando insieme di incontrarlo, si era arresa e, un giorno, aveva fermato Al fuori dall'aula di Pozioni per chiedergli dove fosse finito Steeval.
“A casa” era stata la semplice risposta del ragazzo. “Sua madre è venuta qui due o tre settimane fa e lui se n'è andato via con lei. Non so perché; non l’ha spiegato nemmeno a Jamie.”
Drilla si era sentita sprofondare. “Ma… quando tornerà?”
Al aveva scosso il capo mestamente. “Non ne ho idea. Non ci ha nemmeno salutato. Forse sua madre aveva fretta e non gliene ha lasciato il tempo ma nemmeno noi capiamo perché sia andato via con lei. Non sembrava malato o qualcosa del genere. Comunque ti farò sapere se risponde alle lettere di Jamie.”
Drilla avrebbe voluto alzare le spalle con un’espressione indifferente e passare a un altro argomento con naturalezza. Invece aveva salutato Al con il viso sconvolto, trascinandosi via verso la lezione di Trasfigurazione. Ovviamente poi era arrivata in ritardo e aveva fatto perdere a Corvonero dieci punti, ma nemmeno quello l'aveva scossa dalla sua apatia.
Emily ogni tanto cercava di tirarla su di morale, ma era difficile, dato che anche lei tendeva a buttarsi giù in quel periodo.
“Jamie ha chiesto di fare con me almeno dieci balli” mormorò un giorno a Drilla, pallida.
Drilla si sentì infastidita dai problemi di Emily, che le parevano alquanto futili ma prima di sbottare vide la sua aria sconsolata e fragile e le sfuggì un sorriso: povera, dolce, banale Emily! Sentire le sue preoccupazioni, così semplici e un po' sciocche la rasserenò. La abbracciò di slancio: “E tu fingi di slogarti una caviglia” le propose.
Emily impallidì ancora di più. “Probabilmente succederà davvero” disse, in preda al panico. “Cadrò al primo ballo e farò una figura tremenda!”
Drilla cercò di scuoterla, ma in quel momento la professoressa Bones, alle loro spalle, tossì in modo eloquente ed entrambe tornarono a concentrarsi sul loro Filtro Galleggiante.
Stuart, seduto poco distante da loro, non aveva perso tempo in chiacchiere e aveva già finito e consegnato la boccetta. Drilla lo guardò di sfuggita senza troppe speranze: da settimane, ormai, si comportava come se lei non esistesse; ogni volta che aveva cercato di rivolgergli la parola, lui l’aveva ignorata platealmente. E quella volta non fu diverso: Stuart continuò a fissare il ripiano consumato da anni e anni di studio ed esperimenti degli studenti di Hogwarts come se lo trovasse estremamente interessante.
Drilla non insistette più; dopotutto, Stuart non aveva torto ad essere arrabbiato con lei: praticamente tutta la scuola parlava di quello che era successo ai Tre Manici di Scopa, e nemmeno i preparativi al Ballo bastavano a spegnere i pettegolezzi nati da quel giorno. Le ragazze nei corridoi continuavano a sussurrare al passaggio di Stuart, parecchie avevano ricominciato a ronzargli intorno, ed Emily e Al erano costantemente assediati da domande talvolta imbarazzanti.
Drilla cercava di badarci il meno possibile; non era molto difficile, considerato il fatto che ormai c’era un unico, singolo pensiero che le martellava nel cervello: David Steeval.
Perché mi ha baciata?, continuava a chiedersi senza requie. Gli piaccio? Possibile che l'odioso Steeval si sia innamorato della tanto odiata racchia Corvonero? No, Drilla non poteva crederci. Doveva esserci qualcosa sotto, era troppo strano, troppo... troppo. E, soprattutto, la domanda peggiore che la assillava la notte era: perché lei lo aveva lasciato fare? E gli aveva, anzi, addirittura risposto? Qualche timida risposta aveva provato a darsela, ma era inaccettabile e Drilla l'aveva seppellita sotto altri pensieri, rifiutandosi di prenderla in considerazione.
Si sforzava di trovare una soluzione diversa, qualcosa di comprensibile, di più reale di assurde ipotesi sentimentali ma non trovava altro che nuove domande e dubbi, e la confusione non si placava.
Aveva bisogno di vedere Steeval e chiarirsi le idee ma quel maledetto sbruffone era sparito, quasi come se volesse farle l'ennesimo dispetto. Drilla non l'aveva mai detestato così tanto e il fatto di desiderare di rivederlo, di volerlo lì, con lei, non faceva altro che confonderla e farla arrabbiare di più.
Giuro che appena lo rivedo lo Avada Kedavrizzo!


Arrivò al grande giorno del banchetto ancora completamente immersa nel suo alone tempestoso e senza pace.
Era domenica, e le dieci ragazze sorteggiate dovevano presentarsi in Sala Grande mezz’ora prima degli altri studenti. Quando Eva Leigh finì finalmente di rimirarsi per la decima volta nello specchio, Drilla era ancora immersa nella lotta contro i fermagli del suo vestito di velluto verde scuro.
Eva la guardò vagamente preoccupata. “Ehm, Drilla, mancano solo dieci minuti a quando dobbiamo presentarci giù...”
“Va’ pure” disse Drilla, facendo un verso esasperato quando l’ennesimo bottone si rifiutò di lasciarsi allacciare. “Ti raggiungo subito!”
Emily era lì vicino, seduta immota e cerea sul suo letto a baldacchino. Era bellissima nel suo vestito color carta da zucchero e Drilla sentì un moto di orgoglio e di affetto per lei. “Non preoccuparti, Emily, andrà tutto bene. Non cadrai e ti sentirai una favola con Jamie” le disse nel tono più convincente che riuscì a trovare mentre si annodava i nastri.
Emily scosse la testa, scettica.
Perché, perché questo vestito deve avere tutti questi dannati nastri?, si chiese imprecando Drilla mentre uno dei pezzi di stoffa le sfuggiva dalle dita nervose.
Alla fine, con l'aiuto distratto di Emily, riuscì a vincere il vestito e tutte le sue allacciature quando erano già passati cinque minuti da quando doveva presentarsi in Sala Grande.
“Dannati Troll! Sono già in ritardo! Emily...”
La ragazza cercò di rivolgerle un sorriso. “Non preoccuparti, ce la farò. Ah, e sei bellissima, Drilla, davvero.” Aveva un tono così disperato che Drilla fu combattuta tra il ridere della sua ingenua timidezza o scrollarla, ma sapeva di non avere tempo di fare alcuna delle due cose. La abbracciò forte per un attimo, poi schizzò via, traballante sulle scarpe da ballo.
Raggiunse di corsa la Sala d’Ingresso e superò a gomitate il crocchio di studenti che già affollavano la stanza, in attesa dell’inizio del grande evento. Nella ressa passò vicino a un ragazzo che le prese la mano per un attimo, fermandola: Drilla lo guardò battendo gli occhi e le ci volle qualche momento per riconoscere quel biondo stratosferico in abito grigio.
“Lorcan!” esclamò Drilla sbalordita. “Sei proprio tu? Merlino, stai benissimo!” le uscì di getto.
Lui sorrise e la avvicinò a sé. “Drilla” le sussurrò piano. “Stai attenta ai Folletti.”
Drilla rimase per un istante perplessa, poi alzò gli occhi al cielo.“Oh, sì, certo, la ribellione! Devo andare ora” disse sbrigativa, liberandosi il braccio.
Lorcan la lasciò subito andare. “E fa’ attenzione a Van Duyne!” le gridò dietro.
Drilla lo ignorò ed entrò dalla porta, lasciandosi dietro il chiacchiericcio degli studenti.
La Sala Grande era ancora più solenne del solito: gli stendardi delle Case erano stati sostituiti da decine di vaporosi drappi bianchi, i tavoli di legno scuro coperti da tovaglie immacolate e da essi faceva bella mostra di sé un’enorme quantità di piatti, vassoi e posate d’argento.
Van Duyne e McKinnon si trovavano ai piedi della tavola d’onore, che sostituiva quella degli insegnanti ed era costellata di tantissimi candelabri di oro bianco. I Folletti erano già arrivati, un esiguo gruppetto da cui le altre nove ragazze, già tutte presenti, si tenevano prudentemente a distanza. Poco lontano quattro persone si tenevano in disparte a osservare la scena; Drilla fu molto colpita nel riconoscere tra loro il Ministro della Magia Weasley: doveva essere la delegazione venuta per rappresentare il Ministero.
“Cook, sei in ritardo” la rimproverò McKinnon mentre lei si affrettava a raggiungerli attraversando la grande sala.
“Scusate” borbottò Drilla abbassando lo sguardo.
“Bene, ora che ci siamo tutti” disse il preside sbrigativo, “voglio presentarvi, ragazze, i vostri cavalieri per il ballo.”
Le ragazze si scambiarono occhiate nervose mentre il preside snocciolava i nomi dei Folletti: ora che le lezioni di Van Duyne erano finite, nessuna pareva troppo ansiosa di fare ciò per cui era stata sorteggiata. C’erano Reimogh, uno dei più importanti folletti della Gringott, Womer, un folletto di un’altra nazione che biascicava poche parole in inglese, Uttock, famoso per la sua abilità a riconoscere l’oro falso, Greshan, importante funzionario bancario che sorvegliava i registri dei conti, e altri ancora di cui Drilla scordò i nomi non appena furono pronunciati.
Una volta che McKinnon ebbe finito le presentazioni, pregò tutti di mettersi in coppie. Drilla, prima ancora che se ne accorgesse, si ritrovò affiancata da un Folletto dal lungo naso incurvato e l’espressione particolarmente inquietante. I suoi occhi, quando incontrarono quelli di Drilla, parevano delle pozze d’inchiostro iniettate di sangue.
Drilla rabbrividì.
“No, Cook” intervenne Van Duyne facendola sobbalzare. “Tu sarai in coppia con Hivish.”
Hivish era un Folletto un po’ più anziano degli altri, dagli spessi occhiali cerchiati d’oro e l’espressione insolitamente benevola: quasi umana.
Drilla obbedì senza fare commenti e si avvicinò a quest’ultimo, che fece un sorriso.
Forse non mi è andata così male, pensò sollevata. Le altre ragazze parvero fare lo stesso pensiero, considerate le occhiate che le lanciarono. A Eva Leigh, in particolare, toccò in sorte un Folletto dai lineamenti così grezzi e accigliati che parevano scolpiti in una corteccia da uno scultore piuttosto impacciato.
McKinnon spiegò che i Folletti e le ragazze sarebbero entrati a coppie da una stanza attigua alla Sala Grande quando il banchetto sarebbe iniziato; Van Duyne ricordò seccamente a tutti poche istruzioni per il ballo che avrebbe seguito il banchetto, poi si accostò a una donna molto elegante che affiancava il Ministro.
Drilla la vide irrigidirsi e all’improvviso la riconobbe. La madre di Steeval!
La fissò intensamente, cercando di capire perché fosse lì: sapeva, dopo che Stuart glielo aveva detto, che la famiglia di Steeval era molto influente e ricca, ed era probabile che si trovava lì per quel motivo. Forse, se si fosse avvicinata e le avesse chiesto gentilmente di David...
Mentre si arrovellava su un modo per parlarle, venne spinta insieme a tutti gli altri nella stanza accanto alla Sala Grande. Il Ministro, i suoi accompagnatori e Van Duyne li seguirono.
“La signora Steeval sembra molto pallida, oggi” osservò una voce gentile al fianco di Drilla mentre lei non staccava gli occhi di dosso dalla donna in questione.
Drilla si voltò di scatto e vide che a parlare era stato il folletto che le faceva da cavaliere.
“La conosce?” chiese Drilla sorpresa.
Il folletto fece un sorriso simile a una smorfia. “Tutti i Folletti conoscono i membri della famiglia Eddison: sono tra i più illustri azionisti della Gringott.” Non sembrava molto contento di quel fatto.
“Ah” fece Drilla, pensando che probabilmente i Folletti li consideravano soci pericolosi. “Davvero?”
Il folletto annuì. “Il cambio della valuta inglese fu opera loro. Anche se sono ricordati soprattutto per aver salvato l’Inghilterra magica dal tracollo finanziario nel Cinquecento.”
“Oh, sì!” esclamò Drilla, ricordando qualche stralcio di frase catturata mentre si appisolava durante la lezione di Ruf. “L’ho appena studiato in Storia della Magia.”
Il folletto fece un’espressione strana. “Davvero? E cosa dice il vostro insegnante di storia in proposito?”
Drilla si morse il labbro: si era addormentata troppo in fretta per ricordare qualcosa di più sull’argomento di quella lezione. “Beh, che grazie al loro ingegno finanziario risolsero la situazione” disse, mantenendosi sul vago.
Hivish si accigliò. “Suppongo che dell’aiuto che diedero loro i Folletti non si faccia menzione, vero?”
“I Folletti li aiutarono?” domandò Drilla sospresa.
“Oh, sì. Fu anche una delle cause della rivolta avvenuta a Hogwarts, anche se già da un po’ la tensione era alta tra le nostre due specie. Molti di noi non erano d’accordo sul fatto di aiutare gli umani negli affari finché non ci avrebbero riconosciuto i diritti che chiedevamo.”
Non aggiunse altro perché in quel momento McKinnon aprì la porta e fece loro cenno di uscire.
Drilla e Hivish erano i secondi a varcare la soglia, subito dopo la coppia di Rose Weasley e del folletto inquietante che Drilla aveva fortunatamente evitato di avere come cavaliere.
La Sala Grande era già affollata di studenti, tutti abbigliati con variopinti abiti da cerimonia, un’esplosione di colori accecante e di voci che colpì Drilla facendola vacillare per un istante. La presa del folletto sul suo braccio, però, era salda, e Drilla riuscì a trascinarsi fino alla tavola d’onore senza inciampare o cadere a causa delle sue infide scarpe da ballo.
Al la salutò dalla tavolata a destra, accanto a Lysander; c’era anche Tristan poco lontano, che la guardò ammiccando; Drilla ricordò di colpo che gli doveva un ballo e sorrise, poi cercò automaticamente una familiare testa bionda tra i Grifondoro, ricordandosi troppo tardi che David non c’era. Strinse i pugni e si lasciò condurre da Hivish fino alla sua sedia; il folletto gliela spostò galantemente.
“Grazie” mormorò Drilla, sorpresa.
Il folletto sorrise. “I Folletti hanno vissuto troppo a lungo tra i Maghi per non imparare le loro maniere a tavola.”
Drilla sorrise a sua volta. “E le maniere a tavola dei Folletti quali sarebbero?”
Hivish rise. “E’ meglio che tu non le venga mai a sapere.”
Drilla non insistette oltre: anche se Hivish aveva parlato ridendo, aveva il sospetto che fosse serio per quanto riguardava i costumi dei folletti. Il preside si alzò, cominciò con un discorso di cui Drilla, di nuovo intenta a elaborare un piano per parlare con la signora Steeval non sentì, poi si sedette e la festa dell’Anniversario dell’Armistizio ebbe inizio.
Il banchetto non avrebbe potuto essere servito e preparato meglio: pasticcio di carne e verdura, cinghiale stufato, roast beef e pudding dello Yorkshire, salsicce e altro ancora. Probabilmente il lavoro che il C.R.E.P.A. aveva insistito a risparmiare agli elfi domestici a Natale era stato ampiamente recuperato in quest’occasione. Nessuno, però, parve farci caso, occupati com’erano tutti a godersi quel pasto sublime.
Su un ripiano rialzato addossato a un lato della sala, tra i tavoli di Grifondoro e Tassorosso, c’era un quartetto di uomini dalle fattezze strane, animalesche, che suonavano violini e cornamuse.
“Chi sono?” chiese Drilla, incuriosita.
“I musicanti di Brema” rispose Eva, seduta di fianco a lei.
Drilla inarcò un sopracciglio. “Pensavo che le pratiche di Metamorfosi Umana Permanente fossero vietate in Inghilterra.” Studiò interessata il musicista al centro che aveva il mento e il collo ricoperti di piume marroni.
“Oh, sì, infatti quei quattro sono andati in India per l’intervento; e lo hanno anche pagato fior di galeoni!”
“Che modo idiota di spendere soldi” fece Drilla contrariata.
“Però hanno successo” replicò Eva. “Il loro solista, Harchier, ha avuto una dozzina di fidanzate o amanti. C’era scritto sul Settimanale delle Streghe della settimana scorsa.”
Drilla, che non leggeva il Settimanale delle Streghe, grugnì e tornò al suo piatto di spiedo e cavolini di Bruxelles.
Il banchetto terminò alla tredicesima, ultima e imponente portata, una maestosa torta a tre piani interamente fatta di pan di spagna, crema pasticciera e panna montata: ognuno ne prese il bis, e, alla fine, quando tutti furono pieni come barili, gli avanzi sparirono dalle tavole lasciandole spoglie e pulite.
Fu in quel momento che la musica, fino a quel momento bassa e di sottofondo, alzò il volume e il quartetto di musicisti attaccò le prime note di un valzer. Van Duyne e McKinnon si alzarono e il primo fece un cenno alle ragazze e ai Folletti: era il momento di ballare.
Drilla si alzò insieme alle altre, raggiunse diligentemente il grande spazio sgombro di tavoli con Hivish e iniziò a volteggiare piano. Il Folletto era molto più agile e sicuro di quanto la sua costituzione gracile e curva desse a vedere, e la sorresse per tutta la danza con fermezza.
Non è così terribile, si disse Drilla facendo un giro su se stessa.
Vide Elettra Zabini volteggiare con un tipo allampanato e le fece una smorfia, poi incontrò gli occhi sorridenti di Albus e sorrise; chissà con chi era venuto. Stuart non c’era: aveva mantenuto il suo intento di non partecipare al ballo. Drilla ricordò con un groppo alla gola quando lo aveva minacciato di costringerlo ad accompagnarla per farsi aiutare a cercare il Medaglione. Adesso avrebbe buttato via dieci Medaglioni perché tornassero amici.
Spostò lo sguardo oltre Rose, che ballava lì vicino, e per un breve attimo incrociò un paio di occhi grigi e severi: la madre di Steeval.
La donna, ancora seduta al tavolo d’onore, la fissò un istante, poi tornò a discutere con l’uomo che era in piedi accanto a lei; probabilmente non l’aveva riconosciuta: in fondo si erano viste una sola volta in infermeria, e lei non le aveva nemmeno fatto molto caso.
Drilla si rivolse a Hivish. “Come andò a finire la rivolta dei Folletti di cui mi stava raccontando prima? Gli Eddison presero una posizione?”
Hivish scrollò le spalle. “Arrivarono a Hogwarts quando la battaglia era già finita. Probabilmente non sarebbero nemmeno venuti se non fosse stato per le ricchezze nascoste dei Folletti che si erano ribellati.”
Drilla sussultò. “Ricchezze?”
Il folletto annuì. “Oh, sì. Tutte le grandi comunità di Folletti un tempo accumulavano ricchezze a non finire. Abbiamo sempre amato l’oro e l’argento.”
Il tesoro… “E… le trovarono?” chiese Drilla.
“No” disse il folletto cupo. “Il tesoro era già sparito. Tuttavia chiunque lo possieda ora avrà prima o poi una brutta sorpresa.”
“Perché?” chiese Drilla sorpresa.
Hivish fece un ghigno strano. “I Folletti ritrovano sempre i loro tesori. E se anche uno solo di quelli che si sono ribellati è sopravvissuto, si può star certi che lo sta cercando senza requie. La vendetta su chi glielo ha sottratto sarà inevitabile.”
Drilla inarcò un sopracciglio. “Ma ormai saranno tutti morti.”
Il Folletto sorrise in modo inquietante. “Non bisogna esserne così sicuri. Quanti anni credi che io abbia?”
Drilla lo guardò perplessa: era come tutti gli altri Folletti, ma di aspetto un po' più grinzoso. Quanti anni poteva avere?
“Non lo so.”
Il Folletto sorrise. “E’ meglio che tu non lo sappia.”
Drilla rabbrividì: era la seconda volta che udiva quella frase dalle labbra del folletto, e suonava stranamente minacciosa.
Scrollò le spalle, cercando di scuotersi via il senso di inquietudine, e tornò alla discussione precedente.“Quindi gli Eddison rimasero senza nulla?”
Il Folletto fece un’espressione indifferente. “Nulla. O pochi avanzi: qualche moneta o manufatto magico. Poco per l’avidità degli Eddison.” Fece una pausa e la guardò fisso. “Ma abbastanza perché un Folletto decida di vendicarsi.”
Drilla s’irrigidì. Lo sguardo di Hivish non le piaceva. Lui spostò gli occhi da lei a qualcuno che stava dietro di loro.
Un volteggio e un cambio di posizione, e Drilla vide Van Duyne che li guardava con uno sguardo agghiacciante. Lo vide fare un cenno affermativo: non a lei, a Hivish.
Che cosa…?
Poi sentì le mani ossute di Hivish contrarsi. “Scusami, ragazza” mormorò perché nessun altro sentisse. “Tu non c’entri niente. Ma devo farlo.”
Poi sentì qualcosa di appuntito premerle alla gola.






Note:

Lo so che mi state odiando per questo, ma chi ha letto Ob Morsum si doveva immaginare che anche nel seguito ci sarebbe stato qualche pericolo in agguato per la nostra povera Drilla.
Spero che nonostante la fine così brusca e la mancanza dell'irritante David il capitolo vi sia piaciuto. Sarei curiosa di sapere cosa vi aspettate dopo questa brusca svolta nella trama. Nel frattempo vi ringrazio come sempre per leggere e seguire questa storia e un abbraccio speciale a tutti quelli che la recensiscono, sono assolutamente deliziata dei vostri commenti ^-^ Grazie ancora e a presto!

*Angolo pubblicità* Se qualcuno dovesse essere interessato, ho pubblicato il secondo capitolo della commedia romantica: Martini&Cioccolato (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3348756&i=1). Se avete tempo e voglia, fateci un salto. Au revoir!

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Capitolo 21
*** XX. Ricatto e rapimento ***



XX.
Ricatto e rapimento

 

 

Drilla era immobile, avvolta da una cappa di silenzio assoluto.
Non sentiva più la musica del valzer, non c’erano più le mille voci che risuonavano nella sala. Non esisteva più niente; solo lei, Hivish e quello stiletto d’oro massiccio puntato alla sua gola.
Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì un suono.
“Che cosa significa, Hivish?” chiese una voce profonda.
McKinnon era a due passi da loro, dritto e minaccioso, i suoi occhi di ghiaccio puntati sul Folletto.
Le persone intorno smisero di ballare, la musica scemò in una nota stonata e poi tacque. Un forte brusio si levò dagli studenti in fondo alla sala che non riuscivano a capire che cosa stesse succedendo. I Folletti, le ragazze vicine, gli insegnanti, la delegazione del Ministero- tutti parevano impietriti.
“A te cosa sembra, McKinnon?” chiese Hivish con una calma raggelante.
McKinnon non distoglieva gli occhi da quelli del Folletto nemmeno per un secondo. “Che stai mettendo in pericolo una studentessa di questa scuola” disse, atono. “Perché?”
Hivish fece un sorriso inquietante. “Che giorno si festeggia, oggi, McKinnon?”
Lui lo squadrò con freddezza. “Un giorno di pace.”
Drilla sentì la punta dello stiletto tremare nella mano del folletto.
“Risposta sbagliata, Preside” replicò lui aspramente. “Oggi è il giorno in cui, ancora una volta, voi Maghi avete soffocato i diritti del nostro popolo.”
Quebec, alle spalle di McKinnon, fece un passo in avanti e, rapido come un serpente, infilò una mano in tasca.
“E’ inutile, Aritmante” gli disse il folletto con un sorriso astuto. “Puoi cercare quanto vuoi, ma non troverai la tua bacchetta.”
Sul volto di Quebec comparve un’espressione sbalordita mentre frugava nella tasca senza trovarvi nulla. Gli insegnanti e i membri del ministero, colti da un sospetto improvviso, cercarono le loro. Niente, le bacchette parevano come volatilizzate.
“E ora che avete appurato di non poter fare nulla, volete ascoltare le mie condizioni?”
McKinnon, che, come tutti gli altri, non aveva la bacchetta, guardò il folletto trucemente. “Quali condizioni?” domandò aspro.
“Le condizioni per impedire di riversare il sangue di questa ragazza sul pavimento della vostra bella sala” ribatté il folletto stringendo in una morsa il braccio di Drilla.
Lei boccheggiò.
Non era possibile.
Non stava succedendo davvero.
Non a lei.
“Che cosa vuoi, Folletto?” ringhiò Quebec.
“La carta dei diritti che i Folletti sottoposero cinquecento anni fa al Ministero della Magia” rispose Hivish. “Voglio che venga firmata dal Ministro. In tutti i suoi punti.”
Il Ministro Weasley assunse un’espressione allucinata. “Questo non è possibile!” ribatté. “Quella carta era inaccettabile allora, e lo è ancora. Inoltre è una questione di secoli fa e…”
Hivish lo interruppe bruscamente, avvicinando ancora più Drilla a sé. “Non m’importa quanto sia accettabile. Di certo lo è più che sporcarvi le mani con il sangue di questa ragazza.”
Tutti erano immobili, inorriditi.
Drilla, semplicemente, non riusciva ad articolare un pensiero coerente.
Doveva essere tutto un incubo. Un orribile, assurdo incubo. Doveva svegliarsi. Doveva alzarsi e scoprire che mancavano ancora settimane al Ballo dell’Armistizio. Che non aveva mai litigato con Stuart. Che David Steeval non era mai scomparso, andandosene dalla scuola. E non l'aveva mai baciata.
Svegliati, Drilla!, urlava dentro di sé con quanta voce aveva in corpo.
Non si svegliò.
Continuò a sognare; a restare lì, premuta contro il corpo solo apparentemente gracile del Folletto, con gli sguardi di tutti puntati addosso. E una lama puntata alla gola.
“Avete una notte” disse il folletto seccamente. “Domattina, se il Ministro non avrà trasformato in decreto la carta e la notizia non sarà apparsa su tutti i giornali, avrete la vita di questa ragazza sulla coscienza.”
Poi, come per un segnale prestabilito, le luci si spensero tutte di colpo. Grida nel buio, spinte, folla.
Un colpo alla testa.
Poi, nulla.


Drilla si svegliò lentamente, scivolando da un caldo torpore a una senzasione di freddo e umido.
Avvertì la roccia dura su cui era sdraiata sfregare attraverso il vestito e gli arti annichiliti. Poi sentì che aveva la testa appoggiata a qualcosa di morbido, di caldo.
Mosse la mano per capire cosa fosse e sentì la cosa sussultare. Aprì gli occhi, spaventata, e prima di tutto il resto incrociò uno sguardo familiare. Due occhi limpidi, fissi su di lei.
Fu come trovare una torcia in mezzo al buio totale.
“Steeval?”
Il ragazzo era lì, chino su di lei e avvolto dalla penombra. Ci mise qualche secondo a rispondere.
“Sì”, disse laconico.
Drilla aveva la testa appoggiata alla sua gamba; la alzò di scatto e si drizzò a sedere. David si scostò un poco da lei per lasciarle spazio.
Lei si guardò intorno, smarrita. Erano in una grotta buia, illuminata solo da qualche candela sparsa qua e là. Dalla penombra si vedevano emergere sagome di panche, casse, forzieri sventrati e ricoperti di ragnatele. Nell’angolo opposto della caverna si vedeva uno squarcio nella roccia, e due piccole sagome rachitiche. Drilla ci mise diversi secondi per distinguere la corporatura dei Folletti.
“Che cosa succede? Dove siamo? Chi sono quei Folletti?”
David fece una smorfia appena visibile nella penombra. “Ribelli.”
Drilla si voltò a guardarlo, senza capire.
“Sono alcuni dei folletti della rivolta avvenuta a Hogwarts cinquecento anni fa. O i loro discendenti. Sono secoli che si nascondono nelle grotte delle montagne vicino alla scuola in attesa di un’occasione per far valere i diritti che non furono accettati dopo la battaglia avvenuta a Hogwarts.”
Drilla lo fissò stralunata. “Le montagne vicino alla scuola?” ripeté, incredula.
David fece un sorriso di scherno. “Oh, sì. Probabilmente molto vicino a dove il tuo amico fuori di testa ci voleva portare a caccia di tesori. Se non nello stesso posto.”
“Vuoi… vuoi dire che il tesoro c’è? Che è qui?”
David scosse il capo. “Non lo so. Se c’era, qualcuno l’ha portato via da secoli. Forse i Folletti stessi, non gliel’ho chiesto. E’ già tanto se so perché mi hanno trascinato qui.”
Drilla sentì il cuore pulsare forte. “Già. Perché sei qui?”
Lui la studiò per qualche secondo prima di rispondere. “Per il tuo stesso motivo” sbottò alla fine.
Drilla si chinò vicino a lui. “Ti hanno rapito?”
David annuì. “Tre settimane fa.”
“Ma… ma io credevo che tua madre ti avesse portato via con sé!”
“Se lei avesse detto agli Auror che mi avevano preso, i Folletti l'avrebbero scoperto e mi avrebbero sgozzato senza pensarci due volte, non ti pare?” replicò lui aspramente.
Drilla boccheggiò.
“Pare che ai Folletti piaccia ricattare la gente" soggiunse lui. "Per rivedermi, mia madre doveva fare da complice al tuo rapinatore, questa sera.”
Drilla spalancò la bocca. “Ha rubato lei le bacchette?” chiese, sbalordita.
Lui scrollò le spalle. “Da quel che mi ha detto il Folletto che ti ha trascinato qui, deduco che sia andata così.”
“E… sei qui da tre settimane?” chiese lei incredula.
David annuì. “Ho provato a scappare, ma i Folletti sono furbi: c’è sempre più di una guardia all’uscita di questa grotta, e dopo un tentativo sanno come farti passare la voglia di fuggire.”
Drilla lo fissò: era sporco, i capelli in disordine, i vestiti infangati e in alcuni punti strappati o macchiati di sangue. Doveva aver perso il maglione e il mantello, perché si teneva ostinatamente chiusi i lembi della camicia con una mano.
Drilla, prima di rendersi conto di quello che faceva, gliela sfiorò con le dita, e il ragazzo trasalì. “Che c'è?” domandò, brusco.
Lei lo fissò negli occhi; aveva mille domande da fargli, ma una le salì spontanea alle labbra senza che lo volesse. “Quel giorno, nel corridoio…” cominciò.
David distolse lo sguardo da lei fissando il pavimento della grotta.
“Perché mi hai baciata?”
Lui continuò a non guardarla.
Drilla attese un po’ la risposta, poi, dato che lui non accennava a parlare, insisté: “Perché?”
“E tu perché hai ricambiato?” sbottò lui.
Drilla avvampò. “Io…” Non riuscì a terminare la frase, limitandosi a bofonchiare qualcosa come “una vera stupidaggine.”
“Non mi sembrava una stupidaggine” obbiettò David, serio.
Drilla arrossì ancora di più. “Certo che lo era!” Si stava cominciando ad agitare, e sentiva il sangue che le pulsava selvaggiamente contro i timpani. “E’ stata un’idiozia. Ero sconvolta per Stuart! E poi tu ne hai approfittato, e…” disse tutto d'un fiato.
David, finalmente, alzò gli occhi. “Stuart! Stuart! Perché devi sempre corrergli dietro come un cagnolino?!”
Drilla ammutolì.
“Perché diamine non lo lasci perdere? Sai benissimo che non ha bisogno di te!”
Lei deglutì, abbassando gli occhi. David aveva mollato per un attimo i bordi della camicia slacciata; fu solo un secondo, ma Drilla lo vide di nuovo: il suo torace rattrappito, la pelle morta tirata sulle ossa.
David si accorse del suo sguardo e di scatto si richiuse la camicia con una mano.
“Che cosa ti sei fatto?” chiese Drilla senza fiato.
David ebbe un tremito. “Niente.”
Drilla lo guardò con sospetto. “Non mentire. Ti ho visto.”
Lui impallidì. “Non ho niente” ripeté più forte.
“Sì, invece” replicò lei. “L’ho visto. Anche quella notte in cui siamo caduti giù nel lago.”
David spalancò gli occhi. “Nel lago?”
Drilla annuì, irritata. Perché continuava a fingere di non capire? “Ti ho visto. Ma tu facevi finta di non accorgerti... di non vedere...” Le si spezzò la voce.
David non riuscì a replicare, perché una voce lo interruppe. Una voce conosciuta, e che fece accapponare la pelle a Drilla.
“Certo che non se ne accorgeva.”
Alzarono entrambi il volto: Van Duyne era in piedi accanto a loro, un’ombra contro la tenue luce delle candele. Alzò una mano e tra le sue dita lasciò ondeggiare una catenina d’oro da cui pendeva un sottile cerchio di metallo.
“Non avrebbe mai potuto, finché aveva addosso questa.”


 

Note:
Chiedo umilmente perdono se non rispondo alle vostre recensioni ma sono di frettissima stasera e lo farò non appena mi rimetterò al computer. Vi sono comunque grata delle vostre opinioni e spero che questo capitolo valga a farmi momentaneamente perdonare.
Scappo, a presto, e grazie ancora!


*Angolo pubblicità* As usual, pubblicizzo la mia storia originale, che ho aggiornato con il terzo capitolo: Martini&Cioccolato (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3348756&i=1). Vi aspetto anche con Dana e Max, i protagonisti di questa pazza commedia romantica ;)

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Capitolo 22
*** XXI. Vendetta indiretta ***


Chiedo umilmente perdono per avervi fatto aspettare a lungo questo capitolo, è stato un periodo un po' critico ma per fortuna è quasi alla fine. Non mi dilungo oltre e vi lascio al capitolo, buona lettura!



XXI.
Vendetta indiretta

 

 

“Una moneta…?” disse Drilla ad alta voce, senza riflettere.
Poi fu la luce.
Era come se nella sua mente tante cose avessero galleggiato e sussurrato per mesi dietro a un velo, e ora quello stesso velo fosse stato strappato via.
Il Medaglione; la sottile catenina d’oro che da sempre David portava al collo; il ciondolo che la donna del ritratto aveva nascosto alla sua vista.
“Quello è…” balbettò stordita.
Van Duyne fece un sorriso distorto. “Vedo che sei a conoscenza di certe vecchie leggende di Hogwarts, Cook.”
Drilla cercò di dire qualcosa, ma la sua mente pareva una trottola impazzita.
Fu David a parlare al suo posto.
“Basta!” sbottò con un ringhio rabbioso.
Drilla sobbalzò, si girò verso di lui e rimase a bocca aperta: il viso del ragazzo era congestionato, distorto in un’espressione di furore così intenso da terrorizzare.
Non aveva mai visto David Steeval tanto inferocito. Mai.
Van Duyne non si lasciò impressionare. Anzi, il suo sorriso maligno si allargò in una smorfia compiaciuta.
“Che c’è, mostriciattolo? Hai paura che dica alla tua ragazza la verità su di te?”
David sembrò dimenticare per un attimo che era ferito, disarmato ed esausto. Si slanciò in avanti, verso Van Duyne.
Fu questione di istanti.
Un lampo accecante.
Drilla strillò.
David fu respinto indietro e sbatté con violenza contro la parete di roccia. Uno scricchiolio terribile, e il ragazzo si afflosciò su se stesso, senza fiato.
“Steeval!” strillò Drilla.
Il ragazzo non si mosse, ma Drilla riuscì a vedere il suo corpo alzarsi e abbassarsi al ritmo del respiro affannato. Senza pensarci, gli accorse di fianco e allungò una mano per scuoterlo, ma appena lo sfiorò, lui mandò un gemito di protesta.
“Quel rumore era di qualche osso che si spezzava” costatò freddamente Van Duyne, la bacchetta levata, stretta in mano.
Drilla sbarrò gli occhi. “Lei… Tu…” Guardò David, e le lacrime le salirono agli occhi. “Perché... perché lo hai fatto?”
Van Duyne le rivolse un sorriso cordiale che le mise i brividi. “La domanda giusta è cosa ci faccio qui, Cook” osservò tranquillo.
Drilla soffocò il tremito crescente che le attraversava le mani. “Che cosa c’entri con tutto questo? Perché... perché...”
Van Duyne fece un sogghigno. “Che cosa c’entro, dici?” Allargò le braccia, indicando la caverna che li circondavano. “La vedi questa grotta? E’ buia, fredda, morta. Come pensi che avrebbero potuto viverci i Folletti dopo essersi riuniti negli ultimi anni e facendone il proprio quartier generale senza che qualcuno dall’esterno mandasse loro rifornimenti?”
Drilla boccheggiò. No, non era possibile, non era...
“Li ho riforniti di cibo, di acqua…” ammise Van Duyne candidamente. “Li ho riforniti di notizie. E di rancore.” I suoi occhi brillarono.
Drilla era sconvolta. “Ma perché fai questo? Che cosa c’entri tu con i folletti?” Ripensò alle parole di Lorcan su di lui, nel dormitorio di Corvonero. “Sei davvero un Changeling?”
Van Duyne scoppiò a ridere. Fu una risata irrefrenabile, vittoriosa; Drilla sentì brividi di paura percorrerle la pelle mentre il suono di quella risata le penetrava nelle vene, agghiacciandola.
“Un Changeling?” ripeté scuotendo la testa, senza smettere di sorridere. “Io? Ma non te ne sei ancora accorta? C’è un solo Changeling in tutta questa faccenda, ed è l’impostore accanto a te.”
Steeval si agitò, ma sembrava troppo sofferente anche solo per parlare. Quanto a Drilla, era totalmente sbigottita.
“Stai mentendo” lo accusò.
Van Duyne indicò Steeval, impassibile. “E allora cos’è che ha sul corpo questa creatura?”
Drilla deglutì. “Non…”
“Te lo dico io” la interruppe. “I segni della sua natura. La malformazione per cui i Folletti non l'hanno voluto, per cui l'hanno scambiato. E’ facile nasconderla quando sono ancora piccoli, mentre, crescendo con la razza a loro destinata, ne acquisiscono i tratti... ma quando sono adulti... no, c’è sempre qualche modo per rivelarne la natura.”
“Non è vero” balbettò Drilla. “Lui… lui è David Steeval. Se lo avessero scambiato, i suoi genitori l’avrebbero saputo… tutti l’avrebbero saputo…”
Van Duyne smise di sorridere, e il suo volto si trasformò in una maschera di risentimento. “No, invece. Nessuno l’ha scoperto. Perché quella donna ha deciso di proteggerlo!”
Drilla batté gli occhi. “Che cosa?”
David si mosse in quel momento; cercò di tirarsi su a sedere con scarso successo. “Lascia mia madre fuori da questa storia, Van Duyne.”
L’altro puntò la bacchetta contro David: non sorrideva più, e sembrava preda di una rabbia violenta.
Tua madre? Quella donna ha un solo figlio, mostro. E sono io.”
Drilla fissò Van Duyne, senza parole.
“Sei sorpresa, vero?” le chiese Van Duyne con un sorriso che non aveva nessuna allegria. “I Folletti scoprirono che gli Eddison si erano portati via la parte del loro tesoro che era rimasta dopo la rivolta. Manufatti magici, diverse decine di medaglioni antichi… e questo.” Sollevò il ciondolo dorato che teneva ancora stretto tra le dita.
“Ma erano custoditi alla Gringott, protetti dalle magie dei Folletti che avevano tradito gli ideali della loro razza. Che si erano abbassati a lavorare con i Maghi. Così fecero l’unica cosa che rimaneva loro come consolazione: vendicarsi.”
Steeval tossì: forse voleva parlare, ma il dolore glielo impedì. Drilla avrebbe voluto aiutarlo, ma il suo corpo si rifiutava di collaborare: era paralizzata, avvinta dalla gabbia di rivelzioni di Van Duyne.
Lui fece un sorriso amaro. “Ci vollero secoli: gli Eddison sapevano che tra le vendette più probabili dei Folletti c'era lo scambio dei loro figli. Li protessero e li circondarono di incantesimi fin dalla nascita. Ma il tempo è nemico della vigilanza e dopo un'attesa di centinaia di anni finalmente la guardia fu allentata tanto che i Folletti ci riuscirono. Chissà che faccia fece la signora Steeval quando si accorse che il bambino era un Changeling.”
Drilla strinse i pugni. Non poteva lasciarlo parlare: quello che diceva era… non poteva essere la verità. Non doveva essere la verità. Perché se lo era…
“Lorc… un mio amico mi ha detto che si riconoscevano i Changeling solo quando crescevano” dichiarò cercando di ostentare una sicurezza che non sentiva. “Quindi la madre di Steeval non avrebbe mai potuto…”
“E invece sì” ribatté Van Duyne, sicuro di sé. “Se non avesse capito che era un Changeling, perché lo avrebbe costretto a indossare sempre questa?” alzò una mano, mostrando il medaglione che teneva ancora stretto in una mano.
Il medaglione della Bellezza; il medaglione che nascondeva i difetti, le imperfezioni... poteva nascondere anche quelle dovuto a una natura non umana? Drilla non lo sapeva. Ma se fosse stato così, perché lei aveva visto com'era il corpo di David anche se ce l'aveva addosso? Non riusciva a trovare una logica in tutto quello. Non voleva trovarla.
“Perché la signora Steeval avrebbe dovuto nascondere che le avevano rubato il figlio?” disse alla fine, dubbiosa. “Poteva denunciarli…”
Van Duyne ringhiò e scagliò con violenza improvvisa il medaglione per terra. Drilla sobbalzò e si ritrasse, impaurita da quello scoppio di collera.
“GIA’, AVREBBE POTUTO!” gridò Van Duyne. “Avrebbe dovuto! Ma gli esseri umani sono tutti degli sciocchi dal cuore troppo debole!”
Guardò David, rannicchiato al fianco di Drilla, con uno sguardo che esprimeva il disprezzo nella sua forma più pura.
“Ma che cosa sarebbe successo in quel caso? Le avrebbero sottratto questo mostro sotto forma di bambino, confinandolo in un istituto. Ma lei non poteva rinunciare all’erede degli Eddison! La vergogna sarebbe caduta su tutta la sua famiglia, se avesse ammesso di essersi lasciata rubare il figlio vero. Così lo tenne con sé. Abbandonando me!”
C’era un tale senso di amarezza nelle sue ultime parole che Drilla, per un breve attimo, ebbe pietà di lui.
Era la verità? O solo un mucchio di menzogne? Ma allora come si sarebbe spiegato tutto?
Drilla chinò il capo, soffocata. Non voleva credere a quello che raccontava Van Duyne. Non poteva. Eppure i risvolti più sottili di quella vicenda, le parti più infime, i dettagli più minuscoli, tutto combaciava così perfettamente con le spiegazioni di quell’individuo... Che cosa doveva pensare? In che cosa doveva credere? In chi?
“Ma perché servi i Folletti?” domandò in un sussurro, incerta. “Furono loro a rapirti.”
Van Duyne fece un verso di disprezzo. “Per molte ragioni, alcune più ovvie di altre.” La scrutò negli occhi. “Ma principalmente per una sola: vendicarmi.”
Drilla lo fissò negli occhi, incredula.
Lui sorrise con quel suo sorriso amaro. “E’ tutta la vita che non aspetto altro. Sono cresciuto i primi anni tra i Folletti, di cui sarei stato la spia nel mondo umano, l’asso nella manica. Poi, con il loro aiuto, mi creai un falso passato all’estero, tornai ad assumere il mio aspetto umano e mi conquistai un posto al teatro più rinomato di Londra.” Fece un sorriso che pareva più una smorfia di disgusto. “Quale posto migliore di un teatro, dove i Maghi più potenti o importanti amano andare a pavoneggiarsi? Era la posizione perfetta: potevo ottenere informazioni utili, inviare rifornimenti e rapporti ai Folletti, scoprire occasioni come la festa dell’Armistizio, elaborare un piano per venirne coinvolto.” Di colpo, come se si fosse ricordato qualcosa di sgradevole, il suo viso si oscurò. “E un giorno, ad uno spettacolo, arrivò lei.”
“La signora Steeval?” domandò Drilla, intuitiva.
L’altro annuì. “Quella sera Hivish era dietro le quinte con me. Mi disse chi era. E che chi avrei dovuto essere io per lei.”
Drilla scattò in piedi. “Ma perché stai dalla parte dei Folletti? Sono stati loro a sottrarti a tua madre.”
Van Duyne la fissò con i suoi occhi di ghiaccio. “Ho passato tanti anni con loro, e ho conosciuto il loro affetto. Un affetto che invece mia madre mi ha negato.” Si accigliò. “Ho sempre covato rancore per lei, ma non mi ero mai chiesto chi fosse e cosa facesse la creatura che mi aveva sostituito. Poi venni in questa scuola, e la vidi.”
Guardò Steeval, sprezzante.
“Aveva tutto quello che io non avevo mai avuto. Ma era viziato, odioso, irascibile. Ho cambiato i miei piani, parlando di lui ai Folletti. E loro mi ordinarono di rapirlo.”
Drilla ricordò quel giorno, in corridoio, quando Van Duyne era piombato tra lei e David così malamente.
“Obbedii, pensando che poi l’avrebbero lasciato a me. Avevo diritto alla mia vendetta.” Si zittì un momento e la sua espressione si fece truce. “Ma loro avevano altri piani: decisero di tenerlo vivo per poter ricattare sua madre. E io rimasi a mani asciutte.”
Volse lo sguardo su Drilla. “Poi pensai a te. Eri la sua ragazza; una via alternativa per far soffrire lui.”
Drilla sentì un brivido di paura artigliarle la spina dorsale. Cercò di indietreggiare da Van Duyne, ma improvvisamente una mano le artigliò un braccio.
Drilla si voltò, e vide David che si tirava su aggrappandosi a lei.
“Stee...”
Lui non la ascoltò. Cercò di raddrizzarsi come meglio poteva: un braccio gli pendeva inerte, e ogni movimento sembrava costagli un’agonia terribile. Guardò Van Duyne dritto in faccia.
“Bastardo.”
Lui scoppiò a ridere. “Non m’importa se m’insulti, Changeling. Sono io ad avere il coltello dalla parte del manico.” Si rivolse a Drilla. “Non ti sei chiesta perché all’ultimo momento ti ho scambiato di coppia? Sapevo che sarebbe stato Hivish a dover agire e rapire la sua compagna di ballo. Un ottimo modo per farti cadere qui, nelle mie mani.”
Drilla si morse un labbro. Van Duyne era determinato a portare a termine la sua vendetta, glielo leggeva negli occhi. Sentì la mano di David stringerle più forte il braccio, ma non capì se stesse tentando di comunicarle qualcosa o solo cercando di tenersi in piedi.
“Ma… perché ce l’hai con Steeval?” disse con voce acuta. “Lui non ha deciso di sostituirti!”
“No, non l’ha deciso” ammise Van Duyne. “Se è per questo, il tuo caro amico non sapeva nemmeno di essere diverso, prima che gli strappassi il Medaglione” aggiunse sorridendo. “Ma ciò non cambia la sua natura. Nè il fatto che, più sofferenza infliggerò a lui, più ne infliggerò a lei.
David fece un passo in avanti, e Drilla dovette sostenerlo per impedirgli di piombare a terra.
“Te l’ho già detto” sbottò, rauco il ragazzo. “Non me ne frega niente di te, dei Folletti o di quello stupido Medaglione. E nemmeno di mia madre.”
“E’ troppo tardi. Ci sei dentro fino al collo” ribatté Van Duyne facendo un passo avanti. “Scansati, ora. Non posso ammazzarti, perché avremo bisogno di tua madre ancora per molto, ma con Cook è diverso. I Folletti non vogliono lasciarla viva perché sa dove si nascondono; e perché può essere sostituita da qualsiasi altra ragazza.”
David si eresse davanti a Drilla. “Non provare a toccarla!” sibilò.
Van Duyne sorrise, e alzò la bacchetta. “Temo che dovrai stare a vedere quel che le farò, mostricciattolo, volente o nolente.”
Non riuscì ad aggiungere altro.
Ci fu uno scalpiccio in lontananza, poi un’esplosione e grida da oltre l’ingresso della grotta.
Van Duyne abbassò la bacchetta e si voltò a vedere cosa stesse succedendo.
David non aspettava altro. Con un balzo e un gemito di dolore saltò addosso a Van Duyne, facendogli cadere la bacchetta. Drilla si lanciò a prenderla.
Sollevata, sentì le dita stringerla saldamente; si rialzò di scatto, voltandosi affrontare Van Duyne.
Lui e David erano avvinghiati in una lotta su cui il primo stava decisamente prendendo vantaggio. Drilla esitò a lanciare un incantesimo, timorosa di colpire anche David. Poi vide balenare un lampo d’acciaio nella mano di Van Duyne. Un pugnale.
Urlò.
Un lampo blu, e di colpo tutto finì.
Van Duyne si accasciò, incosciente. David emise un lamento quando lui gli crollò sul braccio rotto.
Drilla cadde in ginocchio, le lacrime agli occhi, il corpo ancora scosso da un tremito convulso.
Ma non guardava né David né Van Duyne.
Guardava due figure erette sulla soglia della grotta, uno dei due con la bacchetta stretta in mano e gli occhi scuri come pozzi senza fine.
“Stuart.”


 

Note:
E dopo una lunga attesa ecco il nuovo capitolo!
Spero che sia valsa la pena di aspettare, nonostante tutto. Per farmi perdonare cercherò di postare prima il prossimo. Cosa ne pensate? Spero vi soddisfi, almeno per il momento.
Alla prossima!

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Capitolo 23
*** XXII. Il tesoro ***



XXII.
Il tesoro

 

 

 

“Stuart.”
Drilla pronunciò quel nome in un sussurro, come se stesse evocando il nome di un morto.
Era lì. Era lì, nonostante tutto. Era lì, e aveva appena salvato lei e David.
“Stuart” ripeté, senza riuscire a formulare nulla di più coerente.
Il ragazzo abbassò la bacchetta e si avvicinò. Drilla lo guardò fare un passo avanti, un altro, l'espressione indecifrabile.
Non si fermò davanti a lei. La superò e andò da David.
Drilla fu attraversata da una vertigine terribile.
Non mi ha perdonata, realizzò.
“Stai bene?” chiese Stuart con un tono di voce distaccato a David, porgendogli la mano.
L’altro non rispose. Il suo sguardo incontrò quello perso nel vuoto di Drilla; si accigliò e cercò di tirarsi su appoggiandosi alla parete vicina.
Stuart lo osservò perplesso. “Dave, lascia che ti dia…”
David gli scostò la mano con malagrazia. “Non sono io che ho bisogno del tuo aiuto.”
Drilla sussultò. Si riferisce a me?
Stuart serrò la mascella, ma ancora non degnò Drilla di un’occhiata.
“Vuoi una mano, Drusilla?” chiese una voce sognante lì vicino.
Drilla alzò il capo e vide Lorcan chino su di lei con il suo solito sorriso beato, il vestito grigio del ballo ancora addosso, stirato perfettamente, come se fosse pronto a invitarla a danzare insieme un valzer.
“Lorcan” mormorò. Poi vide la mano che il ragazzo le tendeva e la prese, lasciandosi tirare su.
Non osò chiedere nulla a Stuart, così si rivolse a Lorcan. “Perché siete qui?”
“Mi pare ovvio” disse il ragazzo ridendo. “Siamo venuti a salvarvi.”
Drilla lo guardò allibita. “Ma... come avete fatto a trovarci?”
“E’ merito di Lorcan se siamo qui” disse secco Stuart. Mentre parlava teneva lo sguardo fisso nel vuoto, ignorando volutamente Drilla. “Ha detto che Van Duyne era sicuramente coinvolto, e mi ha trascinato in un inseguimento su e giù per il castello. Lo abbiamo visto andare nelle segrete, e poi uscire attraverso il passaggio che conduce fuori dal castello. Quando siamo arrivati qui, però, abbiamo dovuto fermarci fuori; non sapevamo come superare la sorveglianza dei Folletti.”
“E come avete fatto, allora, a entrare?” domandò David, tastandosi con una smorfia di dolore il braccio inerte.
“Beh” disse Lorcan, tutto allegro. “Mentre noi inseguivamo Van Duyne Emily è andata con James Potter dagli insegnanti che erano in colloquio con il Ministro a decidere cosa fare per dire loro che noi stavamo inseguendo Van Duyne e lo sospettavamo coinvolto, ma prima di arrivarci ha incontrato…”
“Avete finito di chiacchierare, voi?!” esclamò una voce aspra.
Drilla sussultò: all’entrata della grotta, dritto e anche lui ancora vestito nel suo abito da cerimonia nero e scarlatto c’era Quebec in persona.
Il professore in questione si guardò intorno e individuò David. Il suo viso si aprì in un sorrisetto. “Lo sapevo che tu hai il vizio di finire sempre dove ci sono guai, Steeval. Il direttore della tua Casa non sarà felice di saperlo.”
David, esasperato, non riuscì a trattenere un gemito di dolore quando cercò di alzare le spalle in un gesto di sfida.
Quebec, senza proferire parola, gli si avvicinò e lo studiò. “Braccio rotto” osservò bruscamente. “E anche le costole, direi. E’ meglio che fili in infermeria seduta stante.”
David fece una smorfia. “E come? Se siamo…”
“Cos’è questo rumore?” li interruppe Stuart, allarmato.
C’era un fastidioso ronzio che fischiava nella grotta. Tutti si guardarono intorno, e alla fine i loro occhi si puntarono all’unisono su Lorcan.
“Che hai in tasca, Scamandro?” fece Quebec, corrucciato.
Il ragazzo fece un’espressione di gioia. “Oh, avevo dimenticato il Rompicapo!”
Tirò fuori dalla tasca la strana sfera argentata e tutti videro che i cerchi attorno ad essa giravano su se stessi, come impazziti.
“Siamo proprio nella stanza del tesoro” affermò Lorcan allegramente.
David fece un lamento esausto. “Basta con questa storia del tesoro! Non vedi che non c’è nie…”
In quell’esatto momento la sfera lanciò un bagliore accecante, e di colpo la grotta, il soffitto, e persino il terreno sotto i loro piedi cambiarono: la pietra si vaporizzò, come se fosse stata della stessa sostanza del fumo, rivelando, dietro di essa, pareti e pareti incrostate di qualcosa che rifulgeva.
Ci vollero alcuni secondi per abituarsi alla luce e distinguere, in quella superficie informe, centinaia di oggetti concreti... oggetti d’oro e d’argento. E diamanti, rubini, topazi; e mille altre pietre preziose ancora, tutte che riflettevano migliaia di volte sulle loro superfici lucide le fiammelle delle candele. Dappertutto forzieri straboccanti, corone, armi da cerimonia... sembrava di essere piombati improvvisamente in mezzo alla più ricca delle casseforti della Gringott.
“Non posso crederci” borbottò David nel silenzio sbalordito che era calato su tutti loro. “Il tesoro… e proprio sotto il naso dei Folletti!”
Lorcan sorrise compiaciuto, giocherellando con la sfera che ora aveva finalmente smesso di muoversi. “Forse il mio avo non ne aveva bisogno e così lo lasciò dove l’aveva trovato, limitandosi a nasconderlo.”
“Non è possibile” replicò Stuart. “A quel che mi risulta, i Folletti sanno sempre ritrovare il loro oro, se non è stato speso e disperso ovunque. Come facevano a vivere qui e non essersi mai accorti di averlo tanto vicino?”
“Perché il tesoro era protetto da una Barriera Aritmantica” grugnì Quebec, sorprendendo tutti.
I ragazzi lo guardarono, sbigottiti. “Una barriera… che?”
L’insegnante fece un’espressione seccata. “Da Steeval non me ne stupisco, ma almeno da voi Corvonero confidavo in qualche conoscenza in più.”
David sbuffò, ma non ebbe la forza, o forse la voglia di controbattere alla frecciatina.
Stuart, invece, sembrava interessato. “Pensavo che Aritmanzia avesse a che fare solo con numeri, abbinamenti aritmetici, influenza delle cifre…”
“Certo che lo pensi, Dunneth! Non si studia nulla di pratica se non si ha un M.A.G.O. elevato in Artimanzia per accedere ai corsi avanzati dopo Hogwarts” sbottò Quebec.
“Ma a che cosa serve una barriera del genere? Come può impedire ai folletti di trovare il loro oro?” si azzardò a chiedere Drilla.
Quebec s’irritò. “Se ti aspetti che ti faccia qui una lezione sulle barriere numeriche magiche, Cook, sei veramente una povera illusa.”
Drilla era ancora troppo scossa per insistere oltre.
Quebec allungò una mano verso la sfera di Lorcan. “Anche questa è opera di Aritmanzia avanzata.”
Lorcan gliela porse senza pensarci, e Quebec la afferrò e la osservò da vicino. “Come immaginavo, una barriera avversa alle razze non umane. I Folletti non potrebbero mai toccare questo aggeggio.”
Drilla ricordò di colpo quando David aveva cercato di prenderla in mano, restando fulminato.
Steeval non è umano.
Il peso di quell’affermazione, ora che aveva la certezze che fosse vera, le cadde addosso come un macigno. Insieme a tutte le rivelazioni di Quebec.
Era come subire l'effetto ritardato della caduta dalla cima della torre più alta di Hogwarts.
Steeval non era umano. Era un Changeling, un essere che, se cresciuto in un’altra razza, avrebbe potuto assumere un aspetto totalmente diverso. Un essere che possedeva una natura diversa da quella di Drilla. Forse anche sentimenti diversi; sentimenti che lei o altri umani non potevano nemmeno capire.
I suoi pensieri furono interrotti da un tramestio improvviso e alcune eslamazioni lontane.
“Folletti!” esclamò Stuart allarmato.
Aveva ragione: dalla soglia della stanza si udivano voci, passi affrettati, imprecazioni nella strana lingua di quelle creature.
“Dannazione! Credevo di averli sistemati tutti!” esclamò Quebec. “Non devono entrare qui!”
“Beh, non possono, no?” disse David incerto. “Non c’è quella stupida barriera attorno al tesoro che li respinge?”
Quebec lo guardò sprezzante. “Sei proprio senza cervello, Steeval. Quella barriera serve a proteggere il tesoro, non la stanza. E, nel caso tu non l’abbia ancora capito, quel dannato aggeggio di Scamandro l’ha appena dissolta.”
“Allora direi di preparare le bacchette” osservò a denti stretti Stuart, estraendo la sua.
Quebec lo fulminò con un'occhiataccia. ”Voi quattro non farete proprio niente! Tu, Dunneth, forse sei capace di difenderti, ma dubito che gli altri tuoi tre compagni sappiano affrontare un'intera squadra di Folletti! Soprattutto Steeval” aggiunse, mentre David stava già per controbbatere e difendere le proprie abilità.
Drilla non disse nulla. Era ancora prigioniera della consapevolezza che le era appena piombata addosso. Sapeva di dover provare paura, sapeva di dover impugnare la bacchetta di Van Duyne e combattere, ma non ci riusciva. La sua mente era come sospesa sull'orlo di un baratro, e non c'era nient'altro, in quel momento, che la potesse toccare.
Solo David Steeval. David Steeval, e la sua vera natura.
Drilla lo guardò protestare contro Quebec, tenendosi il braccio inerte. Era veramente possibile? Davvero il ragazzo che da sette anni odiava, che aveva baciato... davvero era diverso?
E... anche se lo fosse stato, anche se poteva essere possibile... perché la colpiva così nel profondo? Perché le importava così tanto di cosa fosse Steeval? Della natura di Steeval? Dei suoi sentimenti?
Sentì Lorcan domandare con voce pacata: “Che cosa facciamo?”
Quebec estrasse la bacchetta. “Voi niente. Anzi, vedete di imparare qualcosa sull’Aritmanzia avanzata, dato che siete tanto ignoranti.”
Cominciò a pronunciare una strana, lunghissima formula di cui né Drilla ne gli altri capirono niente.
Septuaginta-duodecim-rei…
Sono numeri, comprese Drilla, distaccata. Numeri e formule di protezione.
Lo scalpiccio dei Folletti si fece più vicino.
Poi Drilla, sentendo i capelli rizzarsi sulla nuca, come se l'aria si stesse riempiendo di elettricità, alzò lo sguardo: lassù, sulle loro teste, un cerchio di numeri e simboli di luce evanescente stava roteando lentamente.
Anche Stuart, Lorcan e David lo videro, e si ritrassero, intimoriti; poi il cerchio iniziò a vorticare sempre più velocemente. Quebec ruggì un'ultima formula e lo fece esplodere di una luce abbagliante. Drilla sbatté gli occhi, sbalordita, e quando tornò a vedere si accorse che l'entrata della grotta era bloccata da una barriera che pareva fatta della più liscia e pura delle lastre di vetro.
I Folletti, visibili oltre quella barriera, saltarono indietro, le facce furibonde.
Quebec si voltò verso i ragazzi, ancora sbigottiti.
“Allora, ci muoviamo o no?”
David sogghignò. “E per fare che? Siamo intrappolati qui, e non ci sono altre vie d’uscita.”
Quebec lo guardò storto. “Fammi il favore di tenere la bocca chiusa, Steeval, invece che vomitare un’idiozia dietro l’altra.”
Afferrò una delle sedie divelte che costellavano la grotta, la posò davanti a sé e mormorò: “Portus!
Poi alzò lo sguardo e li studiò uno per uno. “Dunneth, aiuta il tuo amico idiota a camminare fino a qui. Scamandro, tu trascina fin qua quel criminale, e non preoccuparti di avere riguardo per lui.” Indicò Van Duyne, che giaceva ancora bocconi a terra, dimenticato. Qualsiasi incantesimo gli avesse lanciato Stuart, doveva essere stato pesante.
“E tu, Cook…” La guardò bene in faccia. “No, tu è meglio che non fai nulla. Cerca di controllare i nervi e basta.”
I ragazzi obbedirono tutti e si avvicinarono alla sedia.
“E una Passaporta, Steeval, se non l’hai ancora capito, cosa che ritengo probabile” chiarì Quebec malefico.
David non replicò; era troppo occupato a trattenere altri lamenti per il dolore che gli costava camminare.
“Avanti, mancano venti secondi. Tenetela stretta, perché vi porterà dritta a Hogsmeade.”
“Hogsmeade?” ripeté Stuart.
“Non posso farvi andare direttamente a Hogwarts per le sue magie protettive” spiegò asciutto Quebec.
“Ma lei non viene con noi?” domandò Lorcan candidamente.
“E chi protegge il tuo tesoro dai Folletti, Scamandro? Quella barriera è temporanea, e devo stare qui ad alimentarla” sbottò il professore. “E poi devo controllare che i Folletti non fuggano prima che arrivino gli Auror.”
“Gli Auror?” fece Lorcan perplesso.
Quebec li guardò infastidito. “Sì. Perché, che pensavate di fare una volta arrivati a Hogsmeade? Bere una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa prima di far dare l’allarme?”
“Come…” cominciò Stuart, ma era troppo tardi.
Una familiare sensazione di scossone alla pancia, e tutti e quattro i ragazzi insieme a Van Duyne privo di sensi si lasciarono indietro la grotta, il tesoro e Quebec.

 


 

Note:
Buonasera!
Rieccomi con il nuovo capitolo! Speravo di postarlo prima ma purtroppo il periodo di fuoco non è ancora finito quindi solo adesso ho potuto mettermi con -relativa- calma al pc.
Cosa ne pensate? Mi piace coinvolgere i professori nelle avventure degli studenti, soprattutto il sadico Quebec, e mi è sempre sembrato strano che Harry, Ron ed Hermione siano sempre riusciti a tenerli fuori.
So che Stuart non è per nulla simpatica in questo capitolo ma per quanto abbia un carattere conciliante Drilla lo ha portato all'esasperazione e non è certo il tipo da dimenticare facilmente un torto, anzi. Ma Drilla è una tipa dura e prima o poi riuscirà a farsi perdonare, abbiate fede! Intanto cosa ne dite di lasciarmi una vostra opinione?
Grazie a tutti quelli che lo faranno e a tutti quelli che hanno letto il capitolo e seguono fedelmente la storia. A presto!

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Capitolo 24
*** XXIII. «Scusa.» ***


XXIII.
«Scusa.»

 

Un battito di ciglia, e furono a Hogsmeade: l’aria fredda li investì come una cascata, e ci vollero diversi secondi perché riuscissero ad abituarsi all’oscurità. Il villaggio era avvolto in una pace assoluta.
Drilla, distesa nella terra fangosa, avvertì il profumo dell’erba e il canto lontano di una civetta. Le sembrava quasi di essersi appena risvegliata da un sogno; un sogno con una grotta d’oro, dei Folletti e...
“Cook, ci sei?” le disse una voce nel buio. David Steeval.

No, non era un sogno, si disse.
“Ci siamo tutti?” chiese la voce sognante di Lorcan.
“Direi di sì” disse atono Stuart, poco lontano. “
Lumos!
La luce si diffuse dalla bacchetta di Stuart, illuminando il terreno circostante. Si trovavano ai margini delle case di periferia di Hogsmeade, in mezzo ad un prato fangoso; Stuart era in piedi in mezzo a loro, accigliato.
“Dovremmo andare a svegliare uno degli abitanti di Hogsmeade per dare l’allarme.”
“Oh, non dovevamo prima ordinare delle Burrobirre ai Tre Manici di Scopa?” chiese Lorcan, perplesso.
Stuart ignorò il suo commento. “Madama Rosmerta forse è ancora sveglia, se il pub è rimasto aperto fino a tardi. Vado a vedere; voi restate qui.” E, così dicendo, si avviò, sparendo oltre le prime case del villaggio e portandosi dietro la bacchetta e la luce, lasciandoli di nuovo nell’oscurità.
Drilla sentì la bacchetta di Van Duyne stretta nella sua mano, ma non tentò nessun incantesimo per illuminare la notte. Era troppo vuota, troppo stordita per fare qualsiasi cosa. Vide la sagoma di Lorcan alzarsi, spolverarsi le ginocchia e allontanarsi verso una figura scura distesa nell’erba a qualche metro di distanza.
“Lo dicevo, io, che Van Duyne era un Changeling” lo sentì dire da lontano.
Drilla serrò la mascella.
Changeling... Quasi senza accorgersene, si volse verso David e incrociò il suo sguardo duro.
Il ragazzo era lì, seduto scompostamente accanto a lei, la mano sana ancora stretta alla camicia. Anche nel buio, Drilla riuscì a scorgere il suo colorito terreo e la sua espressione, contratta in una smorfia.
Parlò prima ancora di rendersene conto, spinta da una premura che non ricordava di aver mai avuto nei confronti di David. “Stai bene?”
Lui parve per un attimo stranito da quella domanda, poi distolse lo sguardo e lo fissò dinanzi a sé, inespressivo. “Mi chiedi se sto bene, Cook? Proprio tu? Hai visto la tua faccia?” ribatté bruscamente.
Troppo bruscamente: per quella notte, di eventi bruschi Drilla ne aveva vissuti troppi; quella fu la minuscola, insignificante goccia finale. I nervi, fino ad allora tesi allo spasmo, cedettero di colpo.
Drilla scoppiò a piangere.
Forse era un pianto liberatorio, dopo tutta la tensione accumulata. Forse era solo un pianto di frustrazione, per tutte le cose che ancora non capiva. O forse aveva solo voglia di piangere.
“Ecco, guarda cosa le hai fatto!” sbottò Lorcan, perdendo di colpo il tono sognante e avvicinandosi a grandi passi. “Perché devi essere sempre così cattivo con lei? Non ti ha mai fatto niente di male!”
Vero. Troppo vero. Drilla non aveva mai torto un capello a David. Forse aveva tentato qualche dispetto, qualche scherzo, forse tra loro c’era stato qualche screzio, ma, per il resto, cosa mai aveva fatto per inimicarselo così profondamente? Che motivo aveva, lui, di trattarla come un insetto fastidioso fin dal loro primo incontro? Che senso avevano i loro litigi? Drilla non l’aveva mai capito. Non se l’era mai nemmeno chiesto. Non le era sembrata una cosa importante; David Steeval non le era mai apparso come un degno oggetto di riflessione.
Eppure, mentre continuava a essere convinta di ciò, lui si era comunque insinuato nella sua testa, lentamente, con discrezione. Sotto la pelle, nelle vene e nelle ossa. Solo ora, piangendo disperatamente, Drilla se ne rese conto. E
ancora non capiva il come, il perché Steeval fosse diventato per lei una presenza così costante e rilevante. Non capiva perché i suoi pensieri, i suoi sentimenti, tutto ciò che lo riguardava le importavano così tanto.
David, dinanzi a lei, pareva impietrito, una statua di marmo. La fissava con gli occhi spalancati, vuoti, come se non credesse a ciò che vedeva.
Oh, sì, che spettacolo inaspettato doveva essere vedere Drilla piangere. Forse per lui, suo eterno rivale, era anche una visione piacevole. Una soddisfazione... A quel pensiero Drilla, invece che cercare di recuperare la dignità, affondò la testa tra le ginocchia, ancora più abbattuta ed esausta.
“Drusilla” mormorò Lorcan al suo fianco, scuotendole la spalla con una mano. “Non è vero quello che ha detto David. La tua faccia è carina come sempre, anche se è sporca di fango.”
Drilla, senza pensarci, alzò il volto e si passò il dorso della mano sulla faccia. Era vero, costatò continuando a singhiozzare, aveva la faccia imbrattata. Si strofinò gli occhi, ma per quante lacrime asciugasse, altre prendevano il loro posto, sempre.
Fu allora che David si riscosse dalla sua immobilità, e aprì la bocca per dire qualcosa. E in quell’istante risuonarono nella fredda aria notturna decine di schiocchi secchi, e la radura fu d’un tratto illuminata a giorno. Drilla, David e Lorcan si ritrovarono di colpo circondati da una folla di persone.
Lei strizzò gli occhi, e infine individuò lo stemma sui loro mantelli.
“Gli Auror!” gridò Lorcan, dando voce al suo pensiero.
“State bene?” esclamò con voce profonda uno di loro.
“Siete i ragazzi mancati all’appello di Hogwarts?”
“Ci sono feriti?”
“Da dove venite? Dov’è la ragazza rapita?”
“Come avete fatto ad arrivare qui?”
“Una passaporta illegale...”
Le voci degli Auror si accavallavano, concitate. Non c’erano solo loro: c'era anche gente in camicia da notte, alcuni insegnanti tra cui Ravenscar, persone che Drilla non aveva mai visto, tutte ammassate in cerchio attorno a loro.
Stordita, barcollò indietro e andò a scontrarsi con qualcosa. Si voltò e si ritrovò faccia a faccia con David.
Il ragazzo la fissò per un lungo, interminabile istante, poi aggrottò le sopracciglia in un’espressione angosciata. Alzò la mano sana e le sfiorò il volto. Come una carezza.
“Scusa” le mormorò piano in un orecchio.
Drilla non ebbe tempo per nessuna reazione.
“Drilla!” urlò d’un tratto una voce più forte delle altre nella folla.
Drilla si voltò. Conosceva quella voce. Conosceva anche l’uomo che la possedeva, e che si faceva strada tra la gente, verso di lei.
La raggiunse in poche falcate e la abbracciò.
“Sei viva...”

Fu come se le paure, i pensieri, tutto svanisse di colpo, circondato da un calore rassicurante. “Papà.”

 

L’infermeria era piena di luce, di calore e di profumo di sciroppo alla menta. Drilla fu fatta sdraiare su un lettino in fondo alla stanza; era solo un cigolante giaciglio di ferro, ma in quel momento avrebbe giurato di non aver mai provato un letto così comodo. La signorina Hartland mise tra le mani di suo padre, che l’aveva accompagnata, una tazza di liquido verde dall’aroma penetrante, poi li lasciò soli per andare a occuparsi di David.
“Non preoccuparti, ora sei al sicuro” disse l’uomo, mettendole una mano sulla testa e porgendole la tazza.
Drilla la prese tra le mani e la sua fragranza intensa le raggiunse le narici. Era buona, e le infondeva una sensazione di pace. Sospirò e guardò suo padre: ancora non poteva credere che l’Auror Leander Cook fosse lì, con lei.
“Quando sei arrivato?” gli chiese.
L’uomo sorrise, e Drilla si sentì riscaldare il cuore: era un uomo rassicurante, suo padre. Alto, forte, forse ormai oltre la mezza età, ma ancora capace di infonderle sicurezza.
“Poco fa. Ronald Weasley mi ha avvertito mentre stavo uscendo dall’ufficio per andare a casa e mi sono Smaterializzato direttamente a Hogsmeade. La scuola era in subbuglio, sembrava quasi peggio dei nostri uffici quando c’è stata quella questione dell’attacco dei draghi fuggiti dal serraglio a Belfast.”
Drilla sorrise a quel ricordo, quando vedeva suo padre tornare la sera a casa, esausto e, spesso, bruciacchiato.
Il loro idillio venne interrotto di colpo.
“NO!”
Drilla sobbalzò e anche suo padre si volse di scatto. Dall’altra parte della stanza, David era seduto su un letto uguale a quello di Drilla e stava protestando vivacemente, la mano stretta convulsamente ai bordi della camicia, serrandoli.
“Ma non posso curarti se...” stava dicendo la signorina Hartland.
“Ho solo un braccio rotto!” sbottò David. “Nient’altro!”
La donna sospirò, paziente. “Ma se hai delle ferite...”
“Non ho nessuna ferita!” ribatté ostinatamente il ragazzo.
“Ma hai la camicia piena di sangue” replicò la signorina Hartland.
“Non importa!”
Drilla vide le dita di David contrarsi attorno alla stoffa che stringevano, sporca e imbrattata di sangue, e capì. Il Medaglione.
Rivide in un lampo Van Duyne gettarlo ai suoi piedi, sul pavimento della grotta. Rivide il Rimpicapo di Lorcan impazzire, e la roccia dissolversi nel nulla. Lasciando posto a monete. Tante monete. Medaglioni. Drilla fu colta da una vertigine. Il Medaglione era lì, tra migliaia e migliaia di monete. Irriconoscibile tra loro. Perduto. E David...
“Conosci bene quel ragazzo?” chiese all’improvviso suo padre, riportandola bruscamente alla realtà.
Drilla incrociò lo sguardo penetrante dell'uomo e abbassò il capo. “Più o meno.”
L’uomo fissò David. “Che cos’ha? Perché non vuole lasciarsi curare?”
Drilla serrò le labbra. Che cosa doveva fare? Rivelare cos’era David? Suo padre avrebbe mantenuto il segreto? “Lui...” cominciò, ma poi si zittì, indecisa.
Suo padre la guardò, insospettito, poi tornò a osservare David. “E’ David Steeval, vero?” chiese, sovrappensiero.
Drilla annuì. “Come lo sai?”
L’uomo si sedette sul letto accanto a lei. “Quando sono arrivato qui c’erano gli altri Auror che stavano interrogando sua madre. A quanto pare aveva rubato lei le bacchette a tutti gli insegnanti per impedire che qualcuno intervenisse. Così ha confessato di aver agito per salvaguardare suo figlio.” Aggrottò le sopracciglia. “Tre settimane e passa di prigionia, in mezzo a Folletti ostili, in una grotta buia. E’ comprensibile che sia scosso.”
Drilla, sorpresa, volse lo sguardo su David.
La signorina Hartland si era finalmente arresa, limitandosi ad affibbiargli una grossa tazza di una sostanza non meglio identificata. Il ragazzo ne stava fissando il fondo, assorto.
Drilla lo osservò meglio da oltre la spalla del padre, e sentì una stretta allo stomaco. Non stava guardando il fondo della tazza, realizzò; anzi, non ne aveva bevuta nemmeno una goccia. Stava fissando il suo riflesso. La sua espressione era... violenta, non c’era altro modo di descriverla. Poi la signorina Hartland tirò le tendine attorno al suo letto, e il ragazzo, il suo viso, tutto di lui scomparve dietro quella semplice cortina di tessuto.
E allora Drilla capì di aver sbagliato: aveva scoperto che era un Changeling, e si era subito chiesta se avesse sentimenti umani. Si era chiesta se la odiasse per aver scoperto la sua natura. Ma non erano quelle, le domande giuste. Lei non c’entrava nulla; lei non aveva niente a che fare con tutta quella vicenda: non importava niente se lei avesse scoperto o no la natura di lui. La sola cosa che c’entrava, la sola cosa che
contava, in quella notte terribile, era che David aveva scoperto di essere un Changeling... dopo diciassette anni passati a credersi qualcos’altro.
Che cosa sta provando?
“Drilla, che succede?” le chiese suo padre, preoccupato.
Drilla lo guardò, confusa, e lui con un gesto paziente tolse un fazzoletto dalla tasca e glielo passò sulle guance. Erano bagnate.
“Papà...”
“E’ tutto a posto” le disse lui dolcemente, cercando di calmarla, ma era inutile. L’espressione di David si era impressa dentro di lei, come una trapanata dritta al cuore.
“Papà, io...”
L’uomo le pose le mani sulle spalle. “Drilla, calmati ora, sono qui!”
“Lo so!” esclamò Drilla. Certo, lui era lì, con lei. Ma chi c’era con David? Chi avrebbe calmato lui? Chi altri sapeva del suo segreto, oltre a Van Duyne e...
“Papà, dov’è la signora Steeval, ora?” chiese.
Suo padre sembrò sorpreso da quella domanda, ma rispose in tono tranquillo. “Con gli altri Auror e il Ministro. Vogliono raccogliere la sua deposizione di nuovo, poi forse la lasceranno andare.”
“Ma quando? Quando finiranno di interrogarla?” domandò Drilla, agitata.
“Non lo so. Forse presto, forse molto tardi.”
Drilla fece di nuovo per parlare, ma suo padre la spinse a forza indietro, distesa sui cuscini. “Ora basta, Drilla. Prendi questa e dormi, è meglio.” Gli prese la tazza dalle mani e gliela portò davanti al viso. Il suo profumo la confuse, facendo perdere ai contorni delle cose intorno la loro nitidezza. Doveva essere un calmante molto forte, per fare quell’effetto.
Drilla sentì le membra distendersi e i pensieri e le preoccupazioni scivolare via lentamente. Era una sensazione meravigliosa. “Io...”
“Bevi, su. Quando avrai dormito le cose ti appariranno più chiare e meno terribili di ora.”
Drilla si morse un labbro. Forse aveva ragione. Forse...
“Coraggio” sentì la voce di suo padre giungerle ovattata all’orecchio. “Non scapperà niente e nessuno, stanotte.”
Drilla si convinse, e lasciò che il liquido le scivolasse giù per la gola. Tiepido, ma anche fresco; e dolce...
In pochi secondi chiuse gli occhi e si addormentò.

 


 

Note:
Due mesi! Sono passato davvero due mesi da quando ho aggiornato? Immagino che mi abbiate data per dispersa chissà dove e chissà fino a quando. Non so che altro fare se non chiedervi perdono: è stato un periodo orribile e la scrittura è dovuta passare in secondo piano di fronte a cose di importanza di molto maggiore.
Non starò qui a tirarla per le lunghe perché credo che le mie vicende di "vita reale" non interessi a nessuno. Spero di ricominciare a pubblicare con continuità, anche perchè manca davvero solo una manciata di capitoli alla -speriamo- felice conclusione di questa storia a cui sono tanto affezionata.
Se ci siete ancora e vi interessa tuttora sapere come finiranno le avventure della nostra sfortunata Drilla battete un colpo nelle recensioni, e farete felice lei e me. A presto!

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Capitolo 25
*** XXIV. Un calice e un ritratto ***


XXIV.
Un calice e un ritratto

 

“Perché è andato?”
“E’ il primo giorno del processo, doveva testimoniare.”
Hai sentito di quello che è successo in infermeria?” 
“Sì! Sconvolgente! Deve essere proprio vero, allora!” 
“E se fosse coinvolto? E poi lui e Cook...” 
“Oh, scusa” borbottò uno studente mentre spintonava Drilla per farsi posto più avanti. 
Le due studentesse che stavano parlottando tra loro alzarono lo sguardo e solo allora videro Drilla, in piedi dietro di loro, la borsa dei libri stretta nelle mani tremanti. Arrossirono entrambe e si zittirono di colpo.
“Ehm... ciao, Cook” tentò una, con le gote infiammate. 
Drilla le squadrò per un lungo istante, poi, senza spiccicare parola, le oltrepassò e andò a sedersi nell’angolo in fondo al tavolo di Corvonero, sola. 
Il suo sguardo per un breve, fugace istante si posò sul tavolo dall’altra parte della sala, dove gli studenti di Grifondoro chiacchieravano allegramente. Nel posto accanto a Jamie Potter non c’era nessuno. Vuoto, un po’ come si sentiva lei da due giorni a quella parte. 
“Drilla?” fece una voce familiare alle sue spalle. 
Drilla sorrise a Emily, che si era avvicinata con prudenza insieme ad Al e Lorcan. 
“Ciao ragazzi” disse in tono metallico. 
Vide Emily e Al scambiarsi un’occhiata nervosa che le pizzicò i nervi già a fior di pelle. Lorcan, invece, si sedette accanto a lei tranquillo. 
“Se non vuoi sorridere non dovresti farlo” disse, puntandole un dito davanti alla faccia, ancora tesa in un sorriso forzato. 
“Devo tornare al mio tavolo” si affrettò a dire Al, impacciato, e con un saluto nervoso si lasciò alle spalle gli altri tre. 
Drilla non commentò e allungò una mano verso il bricco di succo di zucca. 
“Sembrate tutti nervosi. Non sarà di nuovo per David, vero?” disse Lorcan, dando prova di possedere il tatto di un Gigante di montagna. 
Drilla rovesciò il succo di zucca, e una malevola pozza arancione si allargò sul tavolo tra le posate. I loro vicini di posto, fino ad allora intenti a bisbigliare e lanciare loro occhiate curiose, tacquero, le orecchie tese. 
“Lorcan!” protestò Emily. 
“Lascialo dire” disse Drilla a denti stretti. “Tanto qui tutti non vedono l’ora di parlarne, ma nessuno ha abbastanza fegato per farlo.” 
Intorno a loro i ragazzi si scambiarono occhiate nervose, ma nessuno osò controbattere. Erano troppo curiosi. 
“Beh” continuò Lorcan, tranquillo. “Se è vero che è un Changeling, che c’è di male a dirlo ad alta voce?” 
“Già, che c’è di male?” brontolò Drilla. “Di che avete paura? Ditelo ad alta voce!” Aveva assunto un tono aggressivo. 
Emily, di fianco a lei, la trattenne per un braccio per impedirle di alzarsi in piedi. 
“Allora è vero?” trovò il coraggio di chiedere Lancelot, uno dei loro compagni di classe. “Lo hai visto?” 
Drilla si guardò intorno: c’erano solo facce curiose, ansiose di sapere, di conoscere la verità. Una verità che apparteneva a David Steeval, non a lei. “Se l’ho visto? Perché non lo chiedete a Yvonne, che c’è stata insieme per quattro mesi? Di sicuro l’avrà visto molto meglio di me!” ribatté indicando una ragazza del settimo anno in fondo al tavolo. “O alla Wyman di Tassorosso? O a Samantha Parrit? O...” 
“Lo chiediamo a te perché eri con lui nella grotta” s’intromise Noah Sanders, dall’altra parte del tavolo. “Tu sai di sicuro cos’è successo laggiù.” 
“Per quello vi basta leggere la Gazzetta del Profeta. C’è il processo oggi, ricordi, Sanders? Là diranno tutto, e forse anche di più.” 
“Se Steeval è un Changeling, i suoi genitori metteranno a tacere la cosa sui giornali” replicò Eva Leigh. “I soldi per farlo a loro non mancano.” 
“Mentre invece a te manca un cervello” ribatté Drilla alzandosi in piedi. 
“Che cos’è successo in quella grotta, Cook?” continuò Sanders, con un sorrisetto sardonico. “Steeval ti ha fatto un incantesimo da Folletto? Ti ha sedotta?” 
Drilla stava cominciando a tremare per la rabbia. “Ma come osi...” cominciò. 
“E allora com’è che se lo detestavi tanto, ora fai di tutto per coprirgli le spalle? Se non c’è nulla da nascondere perché non vuoi parlarne? Non è che invece hai il vizio di innamorarti dei ragazzi strani? Prima Stuart, poi David...” 
Drilla stava già portando la mano alla bacchetta. Ma prima che potesse anche solo fare una mossa, che potesse anche solo pensare a una formula da lanciare, qualcosa le schizzò davanti al naso. 
BUMP! 
Un calice d’oro aveva attraversato la traiettoria da una parte del tavolo all’altra e aveva colpito Noah Sanders in pieno naso. Il ragazzo si catapultò indietro e cadde sul corridoio di pietra tra i tavoli, le narici che zampillavano sangue. 
Drilla si pietrificò, stupefatta, così come buona parte del tavolo di Corvonero. 
Perché a lanciare il calice era stata la timida, remissiva, pacifica Emily Hale, ora in piedi accanto a Drilla con un’espressione tesa e determinata. 
“Lascia in pace la mia amica, capito?” balbettò a Sanders, corrucciata, la bacchetta che aveva usato per compiere il lancio levata in una mano. Si guardò intorno con decisione, e tutti si ritrassero: Emily era di fama una delle migliori del sesto anno, e nessuno era ansioso di scoprire se oltre che negli incantesimi delle lezioni, era brava anche in quelli offensivi. “Vale anche per voi. Lasciate stare Drilla.” Poi si volse verso quest’ultima, ancora totalmente sbigottita, e abbassò lo sguardo, rossa. “Non si scherza con i sentimenti” mormorò rossa in viso. 
Drilla sentì il cuore stringersi in una morsa. “Grazie” fu tutto quello che seppe dire. 
Emily annuì, poi lanciò uno sguardo al tavolo degli insegnanti, allarmata. “E’ meglio che tu vada. Quebec si è appena alzato e sta venendo da questa parte.” 
Drilla annuì, ancora sbigottita, e si volse dirigendosi verso l’uscita della sala. Sapevano entrambe che l’insegnante negli ultimi giorni aveva assunto la malsana tendenza a estendere su Drilla l’odio che solitamente riservava a Steeval. Forse gli mancava il ragazzo e doveva sfogarsi su qualcun altro. 
Mentre Drilla usciva dalla Sala Grande, un numero imprecisato di sguardi si posò su di lei, bramosi di sapere. 
Ormai è di dominio pubblico, si disse a denti stretti. In fondo a Hogwarts era sempre stato così: nessuno parlava, eppure tutti sapevano. 
Chi avesse sparso la voce della natura di David, Drilla non lo sapeva. Ma i ritratti, i fantasmi, tutto in quella scuola era vivo, e pronto a rivelare segreti e misteri nascosti dai suoi abitanti. Era inevitabile che si venisse a sapere, così come inevitabile era che in molti cominciassero a sospettare che ci fosse qualcosa tra lei e Steeval. 
Forse David aveva fatto bene ad andarsene il mattino subito dopo quella notte tremenda. Senza dare il tempo agli studenti di assediarlo con le loro mille domande. O con le loro occhiate sottili. 
E senza dare il tempo a Drilla di salutarlo. O anche solo di parargli. 
Quando lei si era svegliata, lui non c’era già più. Sua madre l’aveva portato via con sé a Londra, a testimoniare al processo ai folletti ribelli e a Van Duyne. 
E Drilla era rimasta sola, unica testimone nel castello di ciò che era avvenuto nella grotta prima dell’arrivo di Quebec, Lorcan e Stuart. Unica, stanca e quasi allo stremo delle forze, con i nervi perennemente tesi. 
Se non ci fosse stata Emily a intervenire probabilmente avrebbe distrutto i connotati a Sanders in modo permanente; invece il ragazzo ci aveva rimesso solo il naso, quella volta. Drilla fece un sorriso mesto tra sé, pensando alla timida Emily che lanciava un calice. 
“Non si scherza con i sentimenti”, aveva bofonchiato impacciata. 
I sentimenti... Drilla ancora non ci si raccapezzava. Non riusciva a capire che cosa le fosse successo, che cosa ancora le stava succedendo. Era confusa, stanca, irritabile... triste... e arrabbiata. Arrabbiata con David Steeval, che l’aveva lasciata sola, lì, ad affrontare la curiosità dell’intera scuola. Arrabbiata con lui perché si era volatilizzato come l’ultima volta, senza nemmeno una parola di saluto. Arrabbiata perché prima era scomparso dopo averla baciata, e, ora, dopo quello “scusa” mormorato in un orecchio, dopo averla sfiorata così, come se la stesse implorando, come se le stesse chiedendo qualcosa... 
E se Sanders avesse ragione? Se davvero io... Drilla sussultò e si bloccò in mezzo al corridoio del secondo piano in cui si stava trascinando senza una meta precisa, la mente in subbuglio. 
E se... 
No, non era possibile. Sarebbe stato... no, non sarebbe stato logico. Era semplicemente assurdo anche solo pensarlo. Ma se... 
Scattò e corse fino alle scale animate, i capelli che le frustavano la faccia, la divisa che la impacciava. Schizzò su per una rampa, poi per un’altra, e, alla fine della terza, si fermò, ansimante. 
“Ancora tu? Non hai proprio niente da fare oltre che disturbarmi?” 
Drilla alzò lo sguardo. Il ritratto dell’entrata del dormitorio di Grifondoro la squadrava dall’alto della sua imponente statura –e corporatura- con un cipiglio di superiorità. 
“Devo parlare con te” disse Drilla tutto d’un fiato. 
La donna grassa parve sinceramente stupita. “Con me? Tu? Ti avviso che se vuoi chiedermi scusa...” 
“Non voglio chiederti scusa” la rassicurò Drilla. 
“Ma bene! Non chiediamo scusa! No, non ce n’è assolutamente bisogno!” esplose lei in tono petulante. “Voi giovani d’oggi non sapete più nemmeno chiedere perdono! E’ vergognoso! E...” 
“Devo parlare del Medaglione” disse Drilla senza stare ad ascoltarla. “Il Medaglione della bellezza” specificò. 
La donna sembrò innervosirsi di colpo. “Io non ho proprio niente a che vedere con l’oggetto di cui parli” affermò fieramente. 
“Sì, invece.” 
“Non ne so nulla!” ribatté l’altra. 
“E se ti parlassi di un ragazzo che fece Hogwarts con te, che ti amò, sebbene ti vedesse nel tuo vero aspetto?” tentò Drilla. 
“Lo conosci?” si lasciò sfuggire sbalordita la donna, prima di tapparsi la bocca con una mano. 
Drilla sorrise. “Lo sapevo.” 
“Mi hai ingannata!” strillò l’altra. “Mi hai strappato la verità con un subdolo tranello! Ma io...” 
“Ormai è fatta” disse Drilla indifferente, alzando le spalle. “Perché non mi racconti la tua storia?” 
“Perché dovrei farlo?” disse la donna, irritata.
“Perché altrimenti” disse Drilla, “andrò a raccontare a tutti la storia del Medaglione.” 
Vide il rossore dilagare sugli strati di pelle e grasso della donna e seppe di aver fatto centro. “Tu, piccola, sudicia ricattatrice...” 
“Allora?” disse Drilla, impaziente. 
La donna si accigliò, ma alla fine non poté fare altro che rassegnarsi al ricatto. “Voi Corvonero siete tutti delle volpi miserabili” disse, scontenta. 
“Grazie del complimento” replicò Drilla imperturbabile. Era troppo ansiosa di sapere la verità per ribattere alle offese. 
La donna del ritratto si aggiustò le pieghe della gonna e si schiarì la voce. “Persi il Medaglione l’ultimo anno di Hogwarts. L’unico uomo che mi vide mai con il mio vero aspetto prima di allora fu il pittore di questa tela. Fece questo ritratto per me al sesto anno, e lo presero tutti in giro perché non mi somigliava affatto.” 
“Ma in realtà non era altro che il tuo vero aspetto” proseguì Drilla con ovvietà. “Non sapevo che il Frate Grasso fosse bravo a dipingere” aggiunse poi, incuriosita suo malgrado. 
La donna grassa si rizzò con fierezza. “Era un artista. In seguito si fece monaco, e non lo rividi più per tutto il resto della mia vita perché mi trasferii in Francia.” 
Drilla annuì. “E poi?” 
“Poi si scoprì che questo quadro non era altro che il mio vero aspetto, così credettero che lui avesse la Vista. E’ per questo che sono stata collocata all’entrata di un dormitorio; dicono che un ritratto dipinto da un uomo con la Vista porti fortuna.” 
Drilla si mise a camminare a grandi passi, nervosa. “Ma non era così, vero? Lui non aveva la Vista, giusto?” chiese con urgenza. 
Doveva sapere. Doveva essere certa che non era come credeva. Perché se lo era... 
La donna grassa la guardò intensamente. “Già. La verità è che quel Medaglione porta bellezza agli occhi di tutti. Tutti, tranne la persona per cui già non potremmo essere più belle.” 
Drilla si bloccò a metà di un passo. No... 
“La persona che ci ama” concluse il ritratto. 
Drilla chiuse gli occhi, sopraffatta. 
La persona che ci ama. 
Era stata cieca. Fin dall’inizio. Cieca ai suoi sentimenti, ora così chiari. 
Cieca alla verità, adesso così lampante. Cieca. 
Perché amava David, e lo aveva amato fin dal principio. Cieca e stupida. 
“Ma... come poteva amarti fin dall’inizio? Non ti conosceva... non poteva essersi innamorato da subito...” 
La donna la guardò, seria. “Ci sono legami, tra le persone, che sono innati. Non si spiegano. Vuoi per alchimia, vuoi per Fato...”
“Non può essere solo questo!” esclamò Drilla, esasperata, senza accorgersi che ora parlava di David Steeval. “Non posso essermi innamorata di lui senza una ragione, senza...” 
“L’amore non ha ragioni. L’amore è la forma di follia più grave dell’uomo” sentenziò saggiamente la donna grassa.
Drilla non rispose. Era totalmente annientata, soverchiata dalla consapevolezza che si era fatta strada in lei. 
Amava David Steeval. 
Ma lui amava lei?

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Capitolo 26
*** XXV. Tra cielo e terra ***


XXV.
Tra cielo e terra

 
 
Vento, nubi e orizzonti discontinui; non c’era altro lassù, sulla cima della Torre Nord di Hogwarts. 
Drilla fissava con occhi vuoti le rupi delle montagne lontane, seguendone i contorni con lo sguardo, esplorandone i bordi frastagliati, fino alle cime, ancora dipinte di neve e ghiaccio. 
Faceva freddo, ma perlomeno era sola. 
Sola... non aveva mai creduto che potesse essere così difficile prima di allora. E non aveva mai pensato che un giorno ne sentisse così intensamente la necessità. 
Era passato solo un altro giorno, ma nessuno sembrava ancora voler dimenticare l’episodio e lasciarla in pace. E lei non era certa di poter sopportare ancora oltre sguardi e frecciatine prima che i suoi nervi saltassero definitivamente. 
La nuova consapevolezza che aveva acquisito, la coscienza di amare David, non era servita a molto. Anzi, ora alla frustrazione per essere stata lasciata lì si era unita anche un’incomprensibile smania di agire, di fare qualcosa, di muoversi...
Improvvisamente qualcosa di bianco entrò nella sua visuale, sventolando a pochi millimetri dalla sua faccia. 
Drilla sobbalzò e si voltò di scatto. 
Alla sua destra, in una mano la copia della Gazzetta del Profeta che le aveva ficcato sotto il naso, Stuart fissava l’orizzonte con un braccio appoggiato a una merlatura. 
Drilla aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, ricordandosi che lei e Stuart non si parlavano più. Perplessa, si chiese che cosa ci facesse lassù, ma prima di trovare una risposta, Stuart le sventolò di nuovo il giornale sotto il naso. 
Lei esitò, poi si decise ad afferrarlo con un gesto brusco. “Potevi anche dirmi che volevi darmi questo! Non è che se mi rivolgi la parola ti organizzerò subito un appuntamento al buio con Lily Potter, non preoccuparti!” 
“Ne saresti capace.” 
Drilla per poco non si lasciò sfuggire il giornale di mano, strappato dal vento che soffiava intorno a loro con violenza. Le aveva parlato! 
Lo fissò meglio e, anche se lui non la guardava ancora, riconobbe un sorriso appena accennato sulle sue labbra. 
Senza parole, prese il giornale e fissò la prima pagina: proprio al centro di essa campeggiava una grande foto in bianco e nero di una folla di Maghi e Streghe che affollavano l’inconfondibile atrio del Ministero della Magia. Tra loro c’erano anche il Ministro, molti Auror, Van Duyne e una testa bionda che Drilla non poteva non notare. David Steeval. 
Con un nodo alla gola, si apprestò a leggere l’articolo. 
... Si conclude oggi, a tempo record, il processo della scabrosa vicenda dei Folletti ribelli a Hogwarts. Il giudice Audrey Cattermole, niente meno che la moglie del Ministro della Magia Wealsey, ha stabilito una condanna di dodici anni ad Azkaban per tutti i Folletti ribelli e ha inoltre avviato una procedura di accertamento sulla legittimità delle pretese della famiglia Scamandro nei confronti del grande deposito d’oro e oggetti preziosi rinvenuto durante la notte del ventisette febbraio dopo il blitz degli Auror nella tana dei rivoltosi. I coniugi Scamandro, di cui potete trovare l’intervista a pag. 15, si dicono tranquilli, perché ai sensi della Legge sulle Proprietà e i Ritrovamenti di Tesori Abbandonati, la loro posizione di legittimi proprietari del suddetto è inattaccabile. E’ inoltre stata assolta da tutte le accuse la signora Erato Eddison Steeval, avendo agito in seguito a ricatto e minaccia di morte di congiunti. A sua volta assolto da tutte le accuse Kallias Van Duyne...” 
“Che cosa?!” sbottò Drilla, stupefatta. 
Stuart non disse nulla, continuando a guardare l’orizzonte, assente, e Drilla proseguì a leggere. 
...Kallias Van Duyne, in quanto la stessa signora Eddison Steeval e suo figlio, maggiorenne e unico testimone dei fatti avvenuti prima dell’incursione degli Auror, hanno garantito per lui. Van Duyne avrebbe infatti agito su richiesta della signora Steeval, fungendo da tramite tra lei e i Folletti, troppo sospettosi per accettare un altro intermediario. Tra gli Auror che hanno partecipato prima alla cattura dei ribelli e poi al tribunale ci sono nomi illustri come Ron Weasley, Will Sheriman, Cole Timmet...” 
Il resto dell’articolo era solo una lunga lista di nomi importanti, titoli e paroloni. 
Drilla abbassò il giornale e fissò Stuart. “Perché?” chiese stranita al ragazzo, del tutto dimentica che loro non si parlavano più. “Perché hanno protetto Van Duyne? Perché...” 
“David mi ha raccontato cos’è successo nella grotta prima del nostro arrivo” la interruppe Stuart lasciando vagare gli occhi sulla foresta e sui prati attorno al castello. “Suppongo che sia stato costretto a difenderlo mentendo, al tribunale. Se lui e la madre non avessero cercato un accordo con lui, Van Duyne non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a raccontare in giro la natura di David. Per gli Eddison sarebbe uno scandalo terribile. I ricordi e le vergogne delle epurazioni dei Changeling non sono ancora abbastanza lontane perché se ne possa parlare con ragionevolezza.” 
Drilla batté le palpebre. “Ma... ma ormai lo sanno tutti! Che lui è un Changeling, voglio dire.” 
“Lo sospettano tutti. Ma averne una conferma, fosse anche da Van Duyne, è una cosa diversa. E poi” alzò lo sguardo al cielo, contemplando le nubi grigie e bianche che si rincorrevano come cavalli imbizzarriti, “credo che la madre di David volesse, almeno una volta, fare qualcosa per il suo vero figlio riparmiandolo da Azkaban. Fosse anche un figlio malvagio come Van Duyne.” 
“Perché avrebbe dovuto? L’ha ricattata, voleva vendicarsi di lei e...” 
“Perché entrambi hanno le proprie colpe, suppongo, ed entrambi volevano il perdono dell’altro. Solo chi non ha mai commesso una colpa preferisce la giustizia al perdono.” Per la prima volta da quando era lì, distolse lo sguardo dal panorama e guardò Drilla, dritto negli occhi. “Io qualche colpa ce l’ho. Non dovevo nasconderti di Lily. E non dovevo lasciarti sola, né nella grotta, né in questi giorni, circondata da impiccioni.” 
Drilla spalancò la bocca, troppo sorpresa per parlare. Troppo sorpresa quasi per respirare.
“Quando ho letto la Gazzetta e ciò che aveva fatto la madre di David, mi sono vergognato” proseguì Stuart abbassando gli occhi. “Tu non mi hai fatto nulla di anche solo paragonabile a ciò che ha fatto Van Duyne a lei. Ma io non sono stato capace di perdonarti.” Sospirò. “Non mi sono mai sentito tanto meschino in vita mia.” 
Drilla tirò su con il naso, senza riuscire a impedire alle lacrime di salirle agli occhi. “Non... mi stai prendendo in giro?” 
Stuart sorrise. “Pensi che lo farei?”
Poi, senza dire altro, le afferrò le spalle e la strinse forte, in un abbraccio che non aveva bisogno di parole. 
Un abbraccio forte, caldo, un abbraccio che a Drilla in quel momento serviva più di qualsiasi parola di conforto. Lei si sentì sciogliere le ginocchia, lo stomaco improvvisamente pieno di farfalle.
“Scusa se sono stata così stupida” disse, cercando di non piangere.
“Non preoccuparti, sei perdonata. Essere stupidi non è un difetto così grave” ridacchiò lui con il mento appoggiato alla sua testa. 
Drilla fece una smorfia ma non cercò di sciogliere l’abbraccio. “Ho detto che lo sono stata, non che lo sono ancora!” protestò debolmente. “Sono pur sempre una Corvonero, ricordi? La Casa intelligente di cui fa parte anche un secchione di mia conoscenza.” 
Stuart continuò a sogghignare. “Essere intelligenti non vuol dire essere saggi. Molte persone intelligenti non sono abbastanza sagge da rendersi conto dei loro sentimenti finché non è troppo tardi per farlo.” 
Drilla si staccò di colpo da lui e lo fissò, seria. “Stuart” mormorò. “Io...” 
Stuart le studiò il viso, poi sorrise. “Ci sei arrivata, finalmente, vero? Ma ti serviva proprio un ballo, una congiura segreta, un rapimento e non so cos’altro per capire chi ti piace davvero?” 
Drilla si strofinò gli occhi. “Tu lo sapevi fin dall’inizio!” lo accusò. “Perché non me l’hai detto?” 
“Merlino, se sono io a doverti spiegare di chi sei innamorata, siamo proprio messi male!” 
Drilla sospirò, poi ricordò improvvisamente una cosa e gli puntò il ditto al petto. “Hai detto a Steeval che mi stavi usando!” esclamò, indignata. Stuart assunse un’aria colpevole. “Mi hai fatta sembrare una stupida!” proseguì Drilla, scaldandosi. 
“Come lo sai?” chiese Stuart, indietreggiando di un passo davanti alla furia montante di Drilla. 
“Me lo ha detto lui!” rispose Drilla, rossa in faccia. “E tu mi avevi promesso che non gli avresti rivelato nulla! Era il nostro segreto, e...” 
“Io avevo promesso di non dirgli che stavamo insieme per finta, e così ho fatto” si giustificò lui pacatamente. 
“Ma è la stessa cosa! Non avresti mai...” 
“Come mai te l’ha raccontato? David non mi sembra uno che va in giro a dire cosa gli racconto io” chiese Stuart curioso, interrompendola. 
Drilla ricordò l’episodio, quando si erano lanciati insulti nel corridoio. E poi lei che lo abbracciava, il bacio, e se Van Duyne non fosse arrivato... 
Stuart parve leggerle nel pensiero. Sorrise sornione. “Allora è servito a qualcosa. È quello che speravo.” 
“No, io...” iniziò Drilla, paonazza. 
“Stuart!” Drilla e Stuart si voltarono di colpo: dalla botola che portava all’interno del castello, gli occhi spalancati, Al li fissava sbalordito. “Oh, ci sei anche tu, Drilla...” Guardò da uno all’altra, timoroso. 
Stuart scrollò le spalle. “Non preoccuparti, non stiamo cercando di buttarci giù dalla torre a vicenda.” 
“Non è una cattiva idea” bofonchiò Drilla lanciando un’occhiata eloquente ai merli che li circondavano. 
“Che succede, Al?” chiese Stuart ignorandola. 
“Beh” balbettò il ragazzo tirandosi su. “Ecco, sono corso a dirtelo perché pensavo che ti avrebbe fatto piacere... David è tornato.” 
La rabbia e l’imbarazzo che fino a un secondo prima avevano infiammato Drilla si spensero di colpo, sostituito da un brivido che la percorse dalla testa ai piedi. 
David era tornato. Era tornato! 
Barcollò, come colta da una vertigine, e Stuart le afferrò un braccio. “Che aspetti?” disse con voce suadente. “Vai!” 
Drilla lo guardò, terrorizzata. “Ma... io non so se lui...” 
“Da quando in qua esiti?” ribatté lui. “Sei Drilla Cook, ricordi? Non starai certo ad aspettarlo tu, no?” 
Drilla aprì la bocca. Vero, lei non era la persona che esitava. Non era la persona che aspettava. Drilla agiva e basta. 
Si liberò dalla mano di Stuart e senza una sola parola oltrepassò Al e si fiondò giù dalla scala a pioli. Una volta giunta a terra si mise a correre, più veloce di quanto non avesse mai fatto. 
Sentiva il cuore battere a mille, rimbombando contro i timpani, ma non era la fatica. Quella nemmeno la sentiva. 
Oltrepassò il corridoio al terzo piano, la scala a chiocciola che portava al suo dormitorio. Oltrepassò due rampe di scale animate, superò il ritratto della donna grassa che le lanciò un insulto cordiale mentre passava, e poi un altro corridoio e un altro ancora. 
E poi fu là. 
La Sala d’Ingresso era affollata, una schiera di studenti in divisa nera divisi in gruppetti. E, in mezzo a loro, lui. 
Drilla lo vide distintamente anche dalla cima della scalinata, dove si era fermata ansimante. David era proprio in mezzo alla sala, un baule alle spalle, evidentemente appena scaricato e portato dentro, i capelli chiari arruffati dal vento e l’espressione arcigna che teneva lontani gli studenti incuriositi che lo accerchiavano. 
Poi lui alzò gli occhi, e i loro sguardi s’incontrarono. Il cuore, che fino a un attimo prima batteva a mille, cessò di colpo di farsi sentire. 
Drilla s’immobilizzò, e d’un tratto il chiacchiericcio, il rumore del vento, tutti i suoni scomparvero. 
Che cosa devo fare? 
Senza nemmeno pensarci, si portò la mano al viso, nello stesso punto in cui lui, quattro giorni prima, l’aveva sfiorata così dolcemente. 
“Sei Drilla Cook, ricordi?” le mormorò nella testa la voce di Stuart. 
Sì. Scese gli scalini due a due, mentre mille idee diverse le si accavallavano nel cervello, una più invitante dell’altra. Poteva salutarlo, poteva dirgli che doveva parlargli, poteva insultarlo perché l’aveva lasciata lì da sola senza una parola, ad affrontare l’intera scuola... Poteva fare mille cose, ma ne fece una, sbagliata o giusta che fosse: gli gettò le braccia al collo e lo baciò. 
E non le importò niente di tutta la gente che li guardava. Non le importò di Sanders che in un angolo rideva, ululando che lo sapeva fin dall’inizio. E non le importò nemmeno se David era un Changeling. 
Quello che importava era che lui, ora, la stava baciando a sua volta. 
Senza rabbia, per una volta. 
Senza paura.

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


Epilogo 
 
 
 

 

Nessun bacio è infinito; eppure Drilla là, in mezzo alla Sala d’Ingresso, sotto gli sguardi increduli di decine di studenti, pensò di star assaporando l'eternità. E quel sapore le rimase impresso anche dopo che si scostò da David. 
“Steeval...” bisbigliò mentre il ragazzo le prendeva il viso tra le mani, come se volesse baciarla di nuovo. 
“Che c’è, Cook?” 
“Devo parlarti.” 
David avvicinò di nuovo i loro visi fino a sfiorarsi, e Drilla rischiò di dimenticare tutto quello che voleva dirgli. 
“Steeval...” 
“Non c’è bisogno di parlare” sbottò il ragazzo guardandola negli occhi, accigliato. 
Drilla sentì il suo respiro sulla sua pelle e fu tentata di annuire. Non aveva tutti i torti. A che serviva parlare se... 
“Bene, signori, spettacolo finito” disse una voce profonda. 
Drilla e David emersero dal loro idillio di colpo: il professor Ravenscar si era fatto largo tra gli studenti, evidentemente seccato. “Steeval, fammi il favore portare immediatamente la tua valigia nel dormitorio senza dare altre dimostrazioni di esuberanza. Se vuoi stare con la tua ragazza, fallo in un posto più consono della Sala d’Ingresso.” 
David sbuffò, ma annuì ed estraendo la bacchetta recitò pigramente un “Baule Locomotor.” 
“Vieni” aggiunse, rivolto a Drilla, afferrandola per un braccio e trascinandola con sé, ignorando i fischi e i versi maliziosi degli studenti mentre passavano tra loro. 
Drilla si lasciò guidare su per le scale, dove trovarono ad attenderli Al, Stuart e anche Jamie ed Emily, che sembravano essere stati richiamati dal guazzabuglio che si era scatenato all’arrivo di David.
Jamie, appena furono approdati in cima alla scalinata, inarcò le sopracciglia lanciando un ampio sorriso a entrambi. “Beh, David, era l’ultima cosa che mi sarei aspettato da te, però ti faccio le mie felicitazioni... Ahio!” 
David aveva fatto volare il baule dritto contro la testa di Jamie. “Puoi portarmelo in camera?” chiese spiccio.
Jamie guardò prima lui, poi Drilla, e la sua faccia s’illuminò. “Ah, capisco! Va bene, restate pure soli e...”
“Jamie, piantala!” lo rimproverò Emily, rossa. 
“Emy...” cominciò Drilla, ma Stuart la interruppe. “Glielo spiego io. Voi andate. A proposito, ben tornato, David” aggiunse con un gran sorriso. 
David sorrise a sua volta. “Ci vediamo dopo.” 
Poi si volse e, sempre trascinandosi dietro Drilla, s’infilò in un passaggio segreto, risalì una scalinata e uscì in un altro corridoio. 
“Dove stiamo andando?” chiese Drilla, che cominciava a essere impaziente. 
“In un posto più consono” rispose lui con un ghigno, girandosi un attimo per lanciarle un’occhiata divertita. 
“Ma...” 
David aprì la porta di una classe vuota e ci tirò dentro Drilla, chiudendosi poi l’uscio alle spalle. 
Drilla sospirò, esausta, e cercò di liberare il polso dalla mano di David. Il ragazzo non la lasciò ma, anzi, strinse la presa e la guardò dritto negli occhi. “Ti piaccio, Cook?” chiese serio. 
Drilla deglutì. Le faceva soggezione trovarsi davanti uno Steeval così cupo; era molto più a suo agio quando la insultava. “Ecco...” 
“Mi hai baciato. Vuol dire sì, giusto?” insisté lui. La voce gli vibrava, come se si sforzasse di non farla tremare. 
“Beh... sì.” 
“Dimmelo. Dimmi che... che mi vuoi.” 
Drilla abbassò lo sguardo. “Credo... credo di sì. Sì. Ma...” 
David la trasse a sé, brusco, e la baciò senza mezzi termini. 
“Aspetta...” cercò di dire Drilla, respingendolo. David non la ascoltò. 
“Per favore... David...” 
Il ragazzo la strinse ancora di più a sé. 
“David...” 
All’improvviso lui la scostò da sé, gli occhi spalancati. “Cos’hai detto?”
“Ho detto di aspettare, perché...” iniziò lei. 
“Come mi hai chiamato?” la interruppe lui. 
Drilla si stizzì. “Con il tuo nome! E come, se no?” 
David era incredulo. “Non mi hai mai chiamato per nome.” 
Drilla arrossì. “Lo so. Ma se ti dà così fastidio smetto subito” borbottò imbronciata. 
“Non mi dà fastidio” disse lui in fretta. 
Drilla annuì, avvampando, poi incrociò le braccia sul petto. “Ora mi vuoi stare a sentire, comunque?” 
David fece per parlare, poi si trattenne e fece un cenno con il capo. “Va bene.” 
Drilla contrasse le dita, tesa. Forse sarebbe stato meglio lasciar perdere, eppure sentiva che era una cosa importante. “Tu sei un Changeling...” cominciò. 
David s’irrigidì. “Sì, mi pareva che si fosse già capito. E allora?” 
“Beh... non è una cosa da poco. Insomma, tu non sei come tutte le altre persone, sei...” 
David fece un verso di esasperazione. “Che cosa? Diverso? Deformato?” 
Prima che Drilla si rendesse conto di cosa stesse facendo, il ragazzo si era tolto velocemente il maglione e si era sbottonato la camicia. “Sì, va bene, lo sono! Sono deformato! Guarda!” eruppe rabbiosamente. Si scostò il lembo di camicia e rivelò il torace. Lisco, pallido, normale... ma solo da una parte. L’altro lato era esattamente come Drilla lo ricordava: grigio, rattrappito... inumano. “Sei contenta, ora?!” ringhiò David. 
Drilla serrò la mascella. “Io...” 
“Non l’ho scelto io!” gridò lui, iniziando a camminare su e giù, agitato. Non la ascoltava. “Non lo sapevo! Non ne sapevo niente finché quel bastardo nella grotta non mi ha strappato il Medaglione. Non sapevo nemmeno che cosa fosse quella moneta prima di allora! Mia madre me l’aveva data da piccolo, mi aveva detto di non toglierla mai perché ci teneva. Non potevo sapere...” 
“Lo so” disse Drilla, ma lui non le prestava più attenzione. Sembrava in preda a una crisi di nervi. 
“Io non sono diverso! Sono come tutti gli altri! Ho solo questo... questo...” 
Drilla lo raggiunse mentre percorreva l’aula a grandi passi e gli mise una mano sul petto. “David.” 
Il ragazzo si fermò di colpo e abbassò lo sguardo: la mano di Drilla era posata sul suo cuore, che batteva oltre la pelle grigia, oltre le costole che spiccavano da sotto quella membrana rattrappita eppure calda al tatto. 
“Lo so” ripeté Drilla. “Lo sento” aggiunse, ripensando al calore che gli aveva trasmesso con quel bacio, con quell’abbraccio di poco prima. Oh, sì, lo sapeva. Ne era sicura, era certa che lui fosse come tutti gli altri. Se ne aveva dubitato, se era stata incerta delle sue emozioni, era bastato un abbraccio, un bacio, e ogni perplessità si era sciolta, scivolata via come acqua che fluisce. 
David la fissò negli occhi. “Non... non ti fa impressione?” chiese deglutendo, la voce che ora gli tremava davvero. “A me sì.” 
Era immensamente più spaventato, più inorridito di lei, comprese Drilla. Da quella notte nella grotta non era ancora riuscito ad accettarsi. Ricordò il modo in cui guardava il suo riflesso nell’infermeria. E seppe che lui aveva paura, paura di quello che aveva scoperto di essere. E ribrezzo. 
Drilla era pronta ad amarlo per ciò che era, ma lui non era pronto a farlo con se stesso. “Un po’” ammise cercando di ammansirlo. “Ma non preoccuparti, sei perdonato” aggiunse, ricordando le parole di Stuart. “Non è un difetto così grave.” 
David si accigliò. “Mi prendi in giro? Guarda, Pulcino, che...” 
“Invece questo tuo modo di parlare irritante non so se potrei perdonarlo” lo interruppe lei togliendo la mano da lui, improvvisamente urtata. 
David, suo malgrado, sorrise. “Ma tu sei un Pulcino. Sei stupida, rumorosa, ingenua e goffa...” 
Drilla gli voltò le spalle. “Vatti a cercare qualcun’altra a cui piacciano i semi-zombie!” sbottò. 
Non fece in tempo a incamminarsi fuori dall’aula che David l’aveva già afferrata per la vita. “No, per favore!” la pregò con urgenza. “Stai qui.” 
Drilla si voltò a guardarlo in faccia. “Sei così spaventato, a rimanere qui solo al buio?” 
Il volto del ragazzo si contrasse in un’espressione rabbiosa. “Bada a quello che dici, Pulcino, o...” 
“Pulcino a chi? E poi cosa pensi di potermi fare, stupido Grifondoro pieno di sé?!” lo sfidò Drilla. 
Si fissarono dritti negli occhi, ognuno in cerca di un insulto adatto all’altro. Poi le loro labbra, troppo vicine, si sfiorarono e dimenticarono che stavano litigando. 
“Non sei male come cornacchia, Drilla” sogghignò David stringendola a sé con forza. 
E Drilla sentì le gambe trasformarsi in succo di zucca. “Vuol dire che ti sei innamorato di me?” balbettò cercando di assumere un tono di sfida. In realtà era troppo stordita, troppo felice per riuscire a conservare un’apparenza dignitosa. “Tu che non l’avresti fatto mai e poi mai?” 
David alzò le spalle: non gliene importava nulla di quello che aveva dichiarato quel giorno lontano durante un litigio in corridoio. E, a dirla tutta, non importava nemmeno a Drilla. Gli posò la testa sul torace, fregandosene di che parte di torace fosse. A lei David piaceva così e basta. 
Lui, come se stesse pensando alla stessa cosa, a un tratto disse: “Nella caverna hai detto che mi avevi visto... ma com’è possibile se fino a quel momento ho sempre indossato il Medaglione? Anche quando siamo usciti dal lago sotterraneo non me lo sono tolto, ma tu...” 
Drilla ripensò alle parole del ritratto di Grifondoro. “Quel Medaglione porta bellezza agli occhi di tutti. Tutti, tranne la persona per cui già non potremmo essere più belle. La persona che ci ama.” 
“Te lo racconterò un’altra volta” disse accoccolandosi meglio contro di lui. 
Ora non aveva voglia di parlare. Aveva solo voglia di lasciarsi stringere per il resto della vita in quell’abbraccio così perfetto, così confortevole. 
In quell’abbraccio che, senza saperlo, era una vita che aspettava.
 
Just keep following the heartlines on your hand,
Cause I am.
 
Heartlines, Florence and the Machine
 
 
 
Qualcuno la stava chiamando.
Drilla, accoccolata contro un albero, una rivista di Quidditch sulle ginocchia e i capelli ancora umidi dopo il bagno nel lago, alzò lo sguardo.
Quella voce la conosceva bene.
Lui era lì, appoggiato al tronco dell'albero, i capelli spettinati che gli ricadevano sul viso attraente, gli occhi azzurri, profondi come fosse oceaniche.
“Ciao”, gli fece Drilla. “Che cosa fai qui? Pensavo che adesso avessi lezione. Quebec ti ucciderà se ti scopre.”
Lui alzò le spalle ridendo. “Rischierò la sua stanza delle torture. Non potrà essere peggio delle altre volte, no?”
Drilla scrollò a sua volta le spalle e tornò a guardare la rivista.
“Senti...” cominciò lui, poi si interruppe, come se solo in quell’istante si fosse reso conto di qualcosa. 
Drilla cominciò a sentirsi perplessa quando lui si avvicinò di un passo, poi di un altro, senza smettere di guardarla. Si avvicinò ancora, troppo... La perplessità di Drilla cominciò a diventare divertimento e fastidio insieme. Cosa aveva in mente?
“Hai una macchia d'inchiostro sul naso”, spiegò lui alla fine, alzando una mano per sfregarla via.
Drilla, sorpresa e irritata, gli tirò la rivista di Quidditch sulla testa. «Stupido!»
David fece una smorfia. «Ahio! Perché, scusa?»
Una voce lì vicino li interruppe declamando: “Ed ecco Jamie Potter, l’Aquila Bianca della Nazionale di Quidditch inglese che sfreccia in picchiata. Il Boccino è proprio davanti a lui, a un metro da terra. E’ uno dei Boccini più difficili degli ultimi cinquant’anni. Ci riuscirà? Ecco, è sempre più vicino, sempre più vicino... L’HA PRESO!” 
SPLASH! 
Drilla sbuffò. “E Jamie Potter l’Aquila Spennacchiata si catapultò dritto nel lago di Hogwarts.”
Emily, poco lontano, ridacchiò, scartando una delle sue carte. “E’ il tuo turno, Stuart” disse al ragazzo sdraiato di fianco a lei. Erano seduti tutti nel soffice prato del parco della scuola, a pochi metri dalla sponda del lago. 
Poco lontano, Jamie e tre dei suoi compagni di classe che non avevano lezione di Antiche Rune come David e indifferenti quanto lui ai M.A.G.O. quasi alle porte, stavano schiamazzando in costume da bagno, intenti a fingere una finale agguerritissima tra la nazionale inglese e quella russa, circondati da numerose ragazze adoranti. 
Emily ogni tanto lanciava loro occhiate sbieche, ma poi si limitava ad alzare le spalle e tornare al gioco. Finalmente, dopo tre anni passati insieme, aveva sviluppato un po’ di fiducia in se stessa e aveva smesso di temere che Jamie la lasciasse da un giorno all’altro per qualche stupida fan. 
Stuart sbadigliò sonoramente e buttò per terra tutte le carte che aveva in mano. “Mano chiusa.” 
Emily sbuffò. “Così non vale, vinci sempre. Sei troppo bravo.” 
“Ha solo troppa fortuna” replicò Drilla raggiungendoli mentre David si stravaccava nel posto che aveva lasciato libero sotto l'albero. 
Emily si alzò, spolverandosi le ginocchia. 
“Vai da Jamie?” chiese Stuart, sorridendo sornione. 
“No” rispose lei, composta. “Vado in biblioteca. Ho una ricerca da finire.” 
“Merlino!” esclamò Drilla esasperata. “Siamo all’ultima settimana di scuola e lei pensa ancora alle ricerche!” 
“Faresti meglio a farlo anche tu, Drilla” replicò Emily. “Dopodomani Ravenscar chiederà una dimostrazione pratica di tutti gli esercizi che abbiamo fatto quest’anno.” E, impettita, se ne andò con i libri sottobraccio, la testa già altrove, tra pagine consunte e vecchie pergamene. 
“Contenta lei” bofonchiò pigramente Stuart, girandosi sulla schiena con le mani dietro la testa. 
Drilla lo studiò per qualche istante, pensierosa.
“Quando mi guardi così vuol dire che hai in mente qualcosa” disse lui in tono lamentoso. “Che cosa c’è, stavolta?” 
Drilla scrollò le spalle. “Pensavo.” 
“A che?” indagò lui, sospettoso. 
“Beh, niente di che. Stavo ricordando quando abbiamo litigato per Lily Potter...” 
“Non ci provare” la minacciò Stuart, serio. “E poi lei ora non esce con il tuo capitano?” 
“Sì, si vede con Tristan” disse Drilla indifferente. “Ma non è lei che mi preoccupa.” 
Stuart si tirò su a sedere, esasperato. “Senti un po’, ma ti sembra che io sia così bisognoso di tutto questo affetto? O hai bisogno di esperienza per aprire un’agenzia matrimoniale?” 
Drilla lo fissò negli occhi con serietà. “No, però... però non sei cambiato di una virgola. Voglio dire, sei ancora così... isolato.” 
Stuart sospirò, rassegnato. 
“Ti senti ancora la maledizione addosso?” chiese Drilla cercando di cogliere qualcosa dalla sua espressione. 
Stuart scosse la testa. “Non è la maledizione. E’ che c’è sempre qualcosa che mi frena o che mi impedisce di andare in là.” Tacque, poi le sorrise mestamente. “E’ difficile spiegarlo. E’ che i sentimenti fanno paura.” 
“Paura?” domandò Drilla, perplessa. 
“Esatto. Anche tu ne avevi, ricordi?” 
Drilla si accigliò. “Io non ricordo proprio niente del genere.” 
“Oh, sì, invece. Tutti hanno paura. Perché pensi che la tua mente abbia rifiutato per così tanto tempo l’idea di esserti innamorata di David prima che la realtà ti fosse sbattuta in faccia palesemente?” 
“Non lo so. Ma non avevo paura...” 
“Sì, l’avevi. I sentimenti fanno paura. Li temiamo, perché non hanno logica, non hanno fondamento, e non si possono controllare. L’uomo è sempre stato terrorizzato da quello che non riesce a capire a fondo.” 
“Ma i sentimenti sono il bello della vita!” ribatté Drilla, ostinata. “Come facciamo a temerli?” 
“Tu hai conosciuto solo quelli migliori, Drilla” disse Stuart cupo. “Ma i sentimenti possono essere pericolosi. Possono portarti a compiere gesti senza senso. Possono portarti alla pazzia... anche alla morte.” 
Drilla lo studiò un momento. “Anche tu hai paura, allora?” 
Stuart fece un sorriso mesto. “Sono un Corvonero, non un Grifondoro. Non ho coraggio. Non sono forte. Ma un giorno riuscirò a diventarlo.” 
Drilla fece per replicare, ma Stuart la interruppe.“Io sto bene, ora, Drilla. E' questo che conta. Piuttosto, che ne dici di una partita?” 
Drilla sorrise e raccolse il mazzo di carte.
Un'ora più tardi, dopo quattro vittore di Stuart e un pareggio si dichiarò esasperatamente sconfitta. Il sole cominciò a scendere verso l'orizzonte e Jamie e i suoi amici erano ormai tornati nel castello da un pezzo.
Stuart raccolse le carte e si alzò.  Drilla, invece, si voltò verso la familiare sagoma in camicia distesa ancora all’ombra dell'albero. Una sensazione di sfarfallio allo stomaco la pervase. Una sensazione piacevole. 
“Ci vediamo in dormitorio” disse Stuart. “Vado a ripassare per la verifica di Pozioni di dopodomani. Tu vedi di svegliare il tuo principe azzurro.” E con un occhiolino se ne andò.
“Ci vediamo dopo” gli disse Drilla, poi scattò in piedi e s’incamminò verso David. Quando lo raggiunse, vide che si era addormentato profondamente, disteso sulla schiena, e gli si sedette di fianco. 
Lo fissò con attenzione, una cosa che da qualche mese a quella parte non si stufava mai di fare. Seguì con gli occhi il suo profilo, la mascella squadrata, la linea del suo collo che scendeva fino al colletto e sotto la camicia. Sapeva che lì, a un tratto, terminava la pelle liscia e rosea da essere umano e iniziava la sua natura di Changeling. Era proprio per quel motivo che David era rimasto là, sotto quell’albero, e non insieme a Jamie e agli altri suoi compagni. 
Le voci sulla sua natura ormai erano scomparse, sbiadite, così com’era destino di ogni pettegolezzo. Ma la verità era rimasta. E David non poteva mostrarla; la piaga della sua specie era incisa ancora troppo in profondità nella memoria del Mondo Magico. 
Lorcan aveva promesso, una volta che Stuart gli aveva raccontato la verità raccomandandogli di non rivelarla, che avrebbe fatto cercare il Medaglione tra le monete dai suoi Snasi speciali una volta che l’accertamento sulla legittima possessione degli Scamandro sul tesoro fosse finalmente concluso. 
Nessuno credeva sinceramente che sarebbe riuscito a ritrovarlo. E nessuno, soprattutto Drilla, ci teneva davvero. 
Che importava, a lei, che al collo del ragazzo ci fosse un misero, insignificante cerchio d’oro? In fondo l’avrebbe visto sempre per quello che era. 
E voleva vederlo sempre per quello che era. 
E l’unico oro di cui le sarebbe importato mai qualcosa, d’ora in poi, sarebbe stato il colore del grano dei suoi capelli. 
E la luce del sole d’estate che si riflesse nei suoi occhi quando li aprì pigramente, e la vide. 
Drilla sorrise, e lui fece altrettanto. 
“Ehi, Pulcino.”



 Fine.



Note:
Ed eccoci alla fine di questa storia! Com'è? In realtà erano due capitoli ma ho deciso di unirli in uno solo perché meritavate, dopo l'attesa, di vedere finalmente la felice vicenda di questa storia.
Adesso anche i lettori nascosti che non hanno mai recensito mi lasceranno un commento piccinò picciò? Dai, un po' me lo sono meritato, vero? Fatelo almeno per Drilla e David ;)
Vorrei aggiungere che ho una grossa sorpresa per voi *rullo di tamburi* da anni languisce nel mio computer ma finalmente ho deciso di dargli una spolverata e rivelarvelo, sebbene al momento sia composto solo dall'inizio: si tratta di Ab Altitudo, niente di meno che il seguito di Invitus amabo! Sì, avete capito bene, il seguito! Chi sarà stavolta il protagonista/la protagonista? Dove sarà ambientato? Di cosa parlerà? Siete curiosi? Dai, provate a rispondere e andate a vedere nel mio profilo sulla nuova storia se avete indovinato, poi mi farete sapere *_*
Però non dimenticate di lasciarmi anche una recensioncina qui.
A presto e grazie per aver letto questa storia!

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