Il Cartomante

di Titto91
(/viewuser.php?uid=864505)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Luna piena e notte scura ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - In cima alla Mole ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - 4 chiacchiere in biblioteca ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Rovistando nella tenda ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Statue a Colori ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Agguato nel Vicolo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Tregua temporanea ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Spiegazioni a tarda notte ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Introduzione ***


"Troverò l'amore?". La solita, scontata domanda. La maggior parte delle ragazze in fila si rivolgevano a lui per la medesima questione. E la maggior parte la poneva pensando a lui. Se ne rendeva conto, aveva un fascino a cui era difficile restare indifferente. Probabilmente anche per il lavoro che faceva. Ma come un ecclesiastico afferma di essere sposato con la propria chiesa, anche il suo cuore era già impegnato. Le arti divinatorie occupavano gran parte, se non tutta la sua vita, e non poteva esserci posto per altro.

Guardò la minuta ragazza bionda davanti a lui, mescolando le carte. "Vediamo cosa ha in serbo il destino per te", le disse con un sorriso enigmatico che accese le speranze della giovane. "Alza il mazzo con la mano con cui non scrivi", le disse mentre lei pendeva dalle sue labbra. Prese 3 carte e le dispose davanti alla ragazza. Il metodo delle 3 carte era il più classico e il più semplice, ma per lei sarebbe andato più che bene. "Questa carta rappresenta il tuo passato" le disse con voce impostata voltandola. Arcano n°16: la Torre. Perfetto -pensò-, la carta peggiore. "Eri una persona ribelle, e probabilmente frequentavi cattive compagnie, che ti hanno fatto perdere fiducia nell'amore". La ragazza rimase in silenzio, ma riusciva a vedere le sue guance colorarsi di rosso. Sicuramente non ne andava orgogliosa.

"Questa carta rappresenta invece il presente". Arcano n°21: il Mondo. "Ora sei cambiata, sei una persona onesta, altruista, sincera, e stai cercando un rapporto più maturo, che possibilmente sia duraturo". La giovane sgranò gli occhi mentre parlava e rispose subito dicendo "Si! Si, è così!", forse con un po' troppa veemenza. "L'ultima carta -riprese lui senza farci troppo caso- è il tuo futuro". Arcano n°20: il Giudizio. "Riuscirai a liberarti del tuo passato... diciamo burrascoso, e diventerai una persona più matura e saggia. Grazie a questo cambiamento avrai finalmente il tuo colpo di fulmine" le disse strizzandole l'occhio. Quel gesto la fece arrossire ancora di più, tanto che quando riprese a parlare sembrava farlo a fatica. "E... E... T-tu puoi... Puoi dirmi come sarà... Lui?". Anche quella era una domanda scontata. E altrettanto scontata era la risposta. Girò un altra carta. Non era importante quale fosse, avrebbe comunque pronunciato meccanicamente le stesse parole: "Sarà un giovane alto, con occhi e capelli chiari e labbra carnose", le disse sospirando. Esattamente la sua descrizione. L'aveva ripetuto così tante volte da averlo imparato a memoria. Praticamente ogni ragazza che chiedeva un consulto voleva sapere se sarebbe riuscita a conquistare il suo cuore. E dunque doveva dar loro ciò che chiedevano. Gli occhi della ragazza si illuminarono mentre lo ringraziava, rassicurata da ciò che le carte le avevano rivelato. La salutò mentre si allontanava. In fondo il mio lavoro consiste in questo -pensò tra se e se-, dargli speranze, sogni, assicurare che le cose andranno meglio. Molte volte la gente aveva bisogno di un consiglio, più che di un consulto. E lui era lì anche per quello.

Era diverso, ovviamente. Le baggianate da 4 soldi le riservava solamente ai consulti che era costretto ad effettuare per poter sopravvivere. La vera arte divinatoria era altro. Oltretutto, era troppo timido e riservato per ricevere tutte quelle attenzioni. Con un sospiro cominciò a mettere via le carte. Mentre era chinato sentì la tenda frusciare. "E' chiuso. Potrebbe tornare domani?" disse mentre alzava la testa. Si bloccò a fissare la ragazza appena entrata. Carnagione olivastra. Occhi e capelli scuri. Labbra sensuali. E un'aria dannatamente familiare. "Oh. Speravo che potessi leggermi le carte.", rispose lei con un tono che non era né dispiaciuto né deluso. Anzi, sembrava decisamente scocciata. La guardò intensamente. Sapeva di averla già vista. Se solo fosse riuscito a ricordare...

"Va bene allora. Accomodati". Doveva guardarla in volto per farle le carte. E forse concentrandosi sul suo viso avrebbe potuto ripescare qualcosa dai meandri della mente. La ragazza non se lo fece ripetere, scostò la sedia che aveva davanti a se e si sedette accavallando elegantemente le gambe coperte dalle calze. La gonna a scacchi le si sollevò leggermente, lasciando intravedere un lembo di pelle. Concentrati sul suo volto e vedi di non distrarti -si disse distogliendo lo sguardo. "Cosa vuoi sapere?". "Diciamo una cosa in generale. Sai, passato, presente, futuro, blah blah blah...". Ah, ci crede molto a quanto pare. Le porse il mazzo. "Alzalo con la mano..." ma lei lo fece senza aspettare. Scettica, ma esperta. Prese 3 carte e le mise davanti alla ragazza."Questo è..." "Il mio passato, si, si". Ora stava esagerando. Le rivolse uno sguardo torvo e girò la carta. Arcano N° 7: il Carro. “Eri in un momento propizio per un'unione duratura, un fidanzamento, o forse un matrimonio” -forse è troppo giovane per sposarsi, pensò tra sé- “Si. È così. Continua” lo esortò lei. Forse non ne vuole parlare. “La seconda carta è il tuo presente”. Arcano N°10: la Ruota. “Hai rivoluzionato la tua vita. Un nuovo incontro, un nuovo amore ti hanno fatto cambiare positivamente”. La ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata. Non era poi così forte come voleva dimostrare allora. “La terza carta”, continuò senza indagare oltre, “è il tuo futuro”. Arcano N°8: la Giustizia. Guardò la carta e poi la ragazza. No, era impossibile. Impensabile. Eppure, era lì, davanti ai suoi occhi. La figura della carta si trovava proprio lì, seduta davanti a lui. “Ma... Come...”. La ragazza si alzò di scatto e fuggì fuori dalla tenda. Cerco di inseguirla, ma si era già dileguata tra la folla. Sentiva di doverla ritrovare, di doverle chiedere spiegazioni. In qualche modo, era sicuro che l'avrebbe rivista.


 

***


 

L'ultima ragazza della fila era appena uscita dalla tenda con un sorriso raggiante sul volto. Era ormai giunto il tramonto, e le sue clienti sapevano benissimo che non avrebbe letto loro le carte una volta calato il sole. Era stata sua madre ad insegnarglielo, e lui non aveva mai messo in discussione quella regola. Mentre stava riponendo i tarocchi, sentì un frusciare dietro di lui. Ovviamente non tutti potevano essere a conoscenza delle sue abitudini. “Mi dispiace, ma è tutto per oggi” disse senza neanche voltarsi. Un paio di braccia si avvolsero intorno al suo collo. “Sciocco, sono io!”. “Nicole. Mi hai spaventato!”. Si girò e baciò la ragazza sulle labbra.

Si erano conosciuti a scuola, qualche anno prima. Si erano avvicinati per via delle loro situazioni familiari difficili: entrambi orfani, entrambi passati da una famiglia affidataria ad un'altra prima di trovare finalmente qualcuno che li amasse, entrambi cresciuti probabilmente troppo presto. Se ne stavano in disparte, timorosi degli scherni degli altri alunni, ed era normale che prima o poi tra loro sarebbe sbocciato qualcosa. Ormai ognuno era l'ancora di salvezza dell'altra.

“Allora, com'è andata oggi?” gli chiese scostandosi una ciocca dei lunghi capelli biondi dalla fronte. “Al solito. Però è successa una cosa strana...”. “Strana come?” continuò lei mentre si sedeva accavallando le gambe. “Beh, stavo leggendo le carte a questa ragazza, e quando ho girato l'ultima... Era uguale a lei. Ma intendo identica. Sembrava una sua fotografia. E quando ho alzato gli occhi lei non c'era più. Svanita”. I lucenti occhi azzurri di lei si oscurarono per un momento. “Forse l'hai guardata con un po' troppa attenzione” replicò in tono acido. “Amore, ne abbiamo già parlato, sai che qui vengono un sacco di ragazze. Ma io ho occhi solo pe te” rispose lui con fare amorevole. Lei mise il broncio per un po', poi scoppiò a ridere. “Stavo scherzando! Si vede che eri stanco e ti sei confuso. Su, andiamo a casa ora”. “Certo amore, aspettami pure fuori. Metto il mazzo a posto e arrivo”.

Nicole poteva pensare quello che voleva, ma la sua non era stanchezza. Per tutta risposta, riprese le carte in mano. Le sfogliò in fretta, ed eccola lì. Arcano N°8: La Giustizia. La ragazza di quella mattina gli rivolgeva un sorriso beffardo dall'illustrazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Luna piena e notte scura ***


La luna splendeva alta nel cielo. Con la sua luce candida rischiarava la notte, permettendogli di vedere anche al buio. Non era solito dormire, anzi, provava un certo fascino nel restare alzato fino a tardi. Era convinto che dormendo avrebbe sprecato tempo prezioso che poteva dedicare ad altro. Ovviamente con altro intendeva i suoi preziosi tarocchi.

Se non era impegnato a leggerli, si preoccupava di riporli accuratamente, come sua madre le aveva insegnato. “Le carte hanno un'anima, devi trattarle bene”, gli ripeteva sempre accarezzando il suo mazzo. “Se ti prenderai cura di loro, loro lo faranno con te”. Ma non l'avevano fatto con lei...

Indubbiamente i tarocchi lo aiutavano. Oltre ad essere uno dei pochi ricordi dei suoi genitori, erano la sua fonte di sostentamento. Ma non avevano potuto salvare i suoi genitori da quell'incendio...

 

***


 

Aveva solo 5 anni, ma la scena era marchiata a fuoco nella sua mente, ed era sicuro che non avrebbe potuto dimenticarla anche se avesse voluto. Era uscito a giocare e si era allontanto un po' dalla loro abitazione. Mentre il sole tramontava alle sue spalle si aspettava che sua madre cominciasse a richiamarlo per la cena. Invece quando si girò verso casa vide solo il fumo che si alzava in rivoli verso il cielo e le fiamme che avvampavano. Corse a perdifiato attraverso il prato chiamando i suoi genitori. Salì al piano di sopra, noncurante delle scale roventi per il rogo, e li vide.

I suoi genitori erano avvolti dalle fiamme. Sicuramente stavano urlando, ma le loro voci non riuscivano a raggiungerlo. O forse le aveva rimosse per rendere il ricordo meno doloroso. Ricordava solamente che sua madre, rendendosi conto della loro situazione, si era voltata verso di lui e, mentre le lacrime solcavano il suo viso, gli aveva mandato un bacio. Poi le macerie li avevano sepolti. Non ricordava come, ma si era ritrovato sul prato, incapace di volgere lo sguardo alla sua casa che bruciava portandosi via i suoi genitori. Poi erano arrivati i soccorsi, qualcuno gli aveva appoggiato una coperta sulle spalle, ed era stato portato via.


 

***


 


 

Distolse la mente da quei ricordi tristi. Un paio di braccia si avvolsero intorno al suo collo. “E' tardi. Vieni a dormire”. “Si, hai ragione. Basta pensare per stanotte”


 

* * *


 

Quel poco sonno che si concedeva ogni notte era sempre piuttosto tranquillo. Difficilmente sognava qualcosa, ma quando capitava non era mai un buon segno. Ma quel sogno era diverso...


 

Era buio, come una notte senza luna. L'aria era pesante e carica di polvere. Guardandosi intorno non vide altro che devastazione: edifici in rovina, strade ricoperte di macerie. I suoi occhi si stavano abituando al buio, e cominciò a mettere a fuoco la scena di distruzione che aveva davanti. Fu allora che trai detriti li vide: migliaia e migliaia di corpi senza vita erano incastrati nelle costruzioni crollate, o ammassati sulle strade polverose.

Era troppo da sopportare. Si accucciò stringendo la testa tra le gambe, per celare alla sua vista l'orrore che gli si parava davanti. E mentre pregava di potersi svegliare presto, lo sentì. Dapprima sembrava un rombo lontano, come un tuono, poi divenne sempre più forte, e più chiaro, e comprese che non era un semplice rumore, non poteva provenire da una fonte naturale. Qualcuno stava parlando, stava chiamando il SUO nome.

Un brivido percorse la sua schiena mentre piccole goccioline di sudore freddo andavano formandosi sulla sua fronte. Anche se non voleva, sapeva che doveva alzare gli occhi e guardare quella... Qualunque cosa lo stesse cercando. Lentamente, cercando di vincere il terrore che lo attanagliava, si alzò.

Un'ombra nera, più oscura persino del buio che lo circondava, si stagliava alta contro le rovine di un palazzo. Lentamente, spalancò le sue ali color inchiostro, magnifiche e spaventose allo stesso tempo. E dopo aver raggiunto la massima apertura, la creatura aprì gli occhi.

Non c'era iride, non c'era pupilla. Ma erano luminosi, rossi e incandescenti, e maligni. Ed erano puntati su di lui. Finalmente l'essere riprese a parlare, e con un ghigno soddisfatto disse: “Non puoi più fermarmi ora, Cartomante!”

La terra iniziò a tremare mentre l'ombra spiccava il volo sollevata dalle possenti ali nere, e dopo aver preso quota, si gettò in picchiata su di lui. E fu allora che si svegliò ansimando, madido di sudore. La luna piena che fino a poco prima rischiarava la notte era scomparsa, lasciandolo nell'oscurità.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 - In cima alla Mole ***


PICCOLA PREMESSA

Purtroppo l'università e altre questioni mi hanno portato via molto tempo, soprattutto alla scrittura. Nonostante questo sono tornato più carico che mai per portare a termire quello che è il mio sogno, narrare la storia che sento dentro di me e condividerla con tutti quelli che vorranno!!! Prometto che non passerà più così tanto tempo tra un capitolo e l'altro!
Buona lettura!!

***********

Il giorno seguente si sentiva ancora turbato dall'incubo di quella notte. Decise perciò di non andare alla tenda ad aspettare la clientela che da lì a poco si sarebbe accalcata fuori per interrogare le carte, ma di recarsi in uno dei pochi posti che riusciva a rilassarlo. Entrò nell'ascensore pieno di gente. Due ragazze all'altro angolo non smettevano di fissarlo e scambiarsi risatine tra di loro. Abbassò lo sguardo. Sebbene recitasse la parte del ragazzo sicuro di se quando leggeva le carte, in realtà era molto introverso e poco avvezzo alle attenzioni e ai complimenti delle ragazze. Mentre saliva nell'ascensore trasparente e osservava la solita folla di turisti sotto di lui, cominciò a ripensare a quell'ombra. Tutto quel predire il futuro lo portava spesso ad avere i sogni più disparati, mescolando tutto quello che aveva detto nell'arco della giornata, ma nella maggior parte dei casi erano confusi, senza senso. Invece quell'incubo era così nitido...

Si riscosse dai suoi pensieri quando le porte dell'ascensore si aprirono, e si ritrovò in cima alla Mole Antonelliana. Si avvicinò al parapetto e rimase lì, ad occhi chiusi, lasciando che la dolce brezza gli accarezzasse il volto, portando via con sé ogni pensiero e frustrazione. Rimase lì per un po', la mente finalmente svuotata, libera...

Poi, la dolce brezza si tramutò in un vento gelido, che gli sferzava le guance. Dovette aggrapparsi fermamente alla ringhiera protettiva per non perdere l'equilibrio. Quando infine il vento si placò, riuscì ad aprire gli occhi e voltarsi. E dinanzi a lui, appoggiata tranquillamente con la schiena ad una colonna, c'era la ragazza del giorno prima. Teneva le braccia incrociate all'altezza del petto, e i lunghi capelli corvini ondeggiavano ancora per il vento di poco prima. Sul volto aveva la stessa espressione di quando l'aveva vista per la prima volta, fiera, quasi arrogante, ma teneva gli occhi chiusi. Non sapeva chi fosse, sapeva soltanto che dopo averla incontrata aveva fatto quello strano sogno, e in qualche modo era sicuro che quella strana ragazza c'entrasse qualcosa.

“Chi sei? Perché ieri sei venuta da me?”

Solo allora la ragazza aprì gli occhi, puntando i profondi occhi marroni su di lui.

“Mi conosci molto bene. Potrei dire che mi vedi quasi tutti i giorni.” rispose con tono sprezzante. Rimase spiazzato da quella risposta. Com'era possibile? Ma se era la prima volta che la vedeva? Eppure, non aveva forse avuto l'impressione di averla già vista?

Si riscosse da quei pensieri quando la ragazza si voltò per andarsene. “Fermati! Voglio sapere cosa vuoi da me!”. Si bloccò e rispose senza neanche voltarsi. “Volevo vedere quanto sei bravo. Mi avevano detto che eri straordinario, ma ora capisco che le ragazzine del quartiere erano semplicemente ammaliate da quel bel faccino che ti ritrovi”.

Arrossì sentendo pronunciare quelle parole. “Non importa quello che pensi, io sono un cartomante e...”

“Cartomante? Non sei degno di quel titolo. Sei un ciarlatano che inganna la gente, e anche uno di quelli mediocri. Ma ti renderai conto di cosa significa essere un VERO cartomante!”. Si passò una mano tra i lunghi capelli con fare altezzoso, e senza aspettare una replica, se ne andò. Rimase basito a guardarla mentre si allontanava, le guance avvampate per quello che gli aveva detto. Riformulò nella sua mente una frase adeguata per risponderle per le rime, ma quando pensò di aver trovato quella giusta, la ragazza si era già dileguata.


 

* * *


 

I giorni successivi trascorse tranquilli, almeno in apparenza. Riprese la solita routine di consulti, ma faceva molta più attenzione alle carte che estraeva, ed ogni volta che usciva La Giustizia, non poteva fare a meno di fissare l'illustrazione per qualche secondo. E ogni volta la ragazza sembrava schernirlo con la sua aria strafottente. Ormai stava diventando una fissazione.

Quando era solo estraeva una carta a caso. Mescolava il mazzo, lo tagliava, e puntualmente, pescava sempre la stessa carta, sempre lei. L'aveva guardata così intensamente e così a lungo da averne studiato ogni dettaglio, e ormai aveva fugato ogni dubbio. Era certo che quella ritratta sulla carta fosse proprio la ragazza misteriosa che aveva incontrato, sebbene indossasse un abito rinascimentale nero e un paio di splendide ali bianche.

Popolava perfino il suo sonno, un tempo tranquillo. Gli si parava davanti, con la gonna a scacchi, o con l'abito lungo, a volte addirittura in tutte e 2 le versioni, e continuava ad urlargli contro quella frase... “Non sei degno!”. Si svegliava di soprassalto, madido di sudore. Selene spesso era lì a fissarlo, preoccupata. Insisteva che doveva dimenticarla, cominciava persino ad essere gelosa. Ma come cartomante aveva imparato che il caso non esiste, e per qualche motivo la ragazza era legata a lui, e doveva ritrovarla.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 - 4 chiacchiere in biblioteca ***


Capitolo 4


 

Sebbene si potesse ritenere un esperto dei tarocchi, le sue conoscenze si limitavano all'aspetto pratico, alla stesura e alla lettura. Pensava anzi di essere piuttosto all'oscuro della loro storia, di come erano nati e come si erano diffusi, né sapeva nulla della simbologia nascosta nelle illustrazioni delle carte. Per fortuna che c'era Matt a colmare queste lacune.

Matt Feng era uno studioso dell'Università di Torino, e si da il caso che fosse anche uno dei principali esperti di tarocchi in circolazione. Interessato al lavoro che svolgeva un giorno decise di entrare nella tenda per chiedere un consulto e vedere finalmente qualcuno leggere i tarocchi dal vivo. Fu lui a dirgli che il mazzo che sua madre gli aveva lasciato era molto antico. Da quel giorno i due si erano frequentati spesso presi dall'interesse comune, e in cambio di alcune lezioni teoriche aveva promesso di insegnargli ad interpretare i tarocchi.

Bussò alla porta del suo ufficio, nel Dipartimento di Studi Umanistici, e attese una risposta che tardava ad arrivare. Sospirò mentre si voltava. Non era certo una novità. Il prof. Feng era famoso per essere il docente meno rintracciabile dell'intero Ateneo. Ma immaginava dove poterlo trovare.

Matt era un giovane uomo di 33 anni, dall'aspetto curato tipico di un insegnante. Nonostante il colore dei capelli fosse decisamente più scuro del suo, chi li vedeva insieme avrebbe detto che fossero parenti, perché avevano lo stesso colore degli occhi, un ambra intenso che cambiava spesso sfumatura, ma il professore li nascondeva dietro un paio di occhiali da intellettuale. In realtà erano più spiriti affini per i loro caratteri oltre che ovviamente per la loro passione comune: la cartomanzia.

Non era raro trovarlo tra gli alti scaffali della biblioteca universitaria, immerso in qualche volume polveroso dall'aspetto antico, scritto così fitto da rendere impossibile capire in che lingua fosse scritto. Ed infatti le sue aspettative non furono deluse. Nell'angolo più remoto dell'enorme stanza c'era un giovane con un tomo enorme che dava le spalle all'entrata. Sebbene per la giovane età potesse benissimo far credere che potesse essere uno studente, il librone non lasciava adito a dubbi.

“Come mai la trovo qui a leggere invece che nel suo ufficio durante l'orario di ricevimento, professore?” gli disse dopo averlo raggiunto con tono canzonatorio. Trasalì prima di voltarsi e vedere chi avesse parlato.

“Alex, ma sei tu? Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fosse di nuovo il rettore...”

“Allora non sono l'unico che si lamenta!” disse ridendo mentre si sedeva di fronte all'amico. “Allora, come procedono i tuoi studi?”

“Benone! Ho quasi finito di scrivere il mio articolo, e non è stato semplice sai? Collegare gli I Ching orientali ai Tarocchi occidentali ha richiesto molto lavoro! Sapevi ad esempio che...”

“Se qualcuno poteva riuscirci quello eri tu” lo interruppe delicatamente. Matt infatti era nato da padre europeo e madre asiatica, ed era cresciuto con entrambe le culture, diventando un uomo dalla mente aperta. Sapeva però che se avesse iniziato a parlare delle sue ricerche si sarebbe infervorato e poi sarebbe stato difficile fermarlo. “Scusa se ti interrompo, ma ho una cosa urgente da chiederti. Ho bisogno che tu mi dica tutto quello che sai su questa carta” gli chiese mentre gli porgeva la carta estraendola dal suo mazzo. Gli occhi dell'amico si illuminarono. Adorava fare sfoggio della sua cultura.

Matt si tolse gli occhiali, li pulì con il maglione e poi se li rimise per osservare meglio l'illustrazione. “Ah, la Giustizia. E' una carta molto affascinante, forse unica nel suo genere. Sapevi che la puoi trovare con due numeri diversi? Tradizionalmente è l'Arcano N° 8, ma spesso viene scambiata con la Forza che è il N° 11”.

Eccolo che partiva. Quando iniziava a parlare non la finiva più. Fu costretto a interromperlo di nuovo, mentre si dilungava sulla motivazione di quello scambio, qualcosa che aveva a che fare con i segni zodiacali.

“Si, è tutto molto affascinante. Ma cosa sai dirmi dell'illustrazione?”

“Oh, l'iconografia della Giustizia? Viene solitamente rappresentata come una giovane dall'espressione dura. Dopotutto, la Giustizia dev'essere severa ma imparziale no? I testi più antichi riportano che abbia lo sguardo fisso perché non c'è nient'altro che le interessa se non ciò per cui è stata incaricata”.

-Si, sembra proprio da lei- pensò mentre ascoltava la descrizione.

“A volte ha un cappuccio, altre un copricapo o una corona. Solitamente è seduta su uno scranno, ma nelle raffigurazioni più antiche è in piedi e lo scranno è sostituito da un paio di ali bianche”.

-Proprio come nei miei sogni!-

“Nella mano destra stringe la Spada della Fatalità, con cui punisce i trasgressori della Legge, e nella sinistra la Bilancia, con cui soppesa le azioni commesse. Sono stato abbastanza esaustivo?”.

“Abbastanza. Ma non mi hai detto perché è rappresentata così. Perché è mora, perché ha gli occhi scuri?”.

“Ti stai fermando su dei dettagli, delle sottigliezze che variano da mazzo a mazzo. Ogni carta è differente, le illustrazioni variano, i personaggi possono essere più giovani, più anziani, a volte possono addirittura cambiare sesso! Certo, posso dirti che il tuo mazzo è molto antico, e non è assolutamente una di quelle commercialate industriali che puoi trovare in edicola. Probabilmente la tua Giustizia deriva da una tradizione millenaria che evidentemente ci sfugge”.

Rimase pensieroso per un attimo mentre l'amico gli restituiva la carta. “Alex? Alexander? C'è qualcosa che non va?”

Si riscosse dai suoi pensieri. “No nulla, stavo solo pensando ad una persona che le assomiglia terribilmente. Ma è impossibile che sia lei. Giusto?”

Lo studioso esplose in una fragorosa risata che fece voltare gli altri studenti nella biblioteca oltre a far infuriare l'anziana bibliotecaria. Dopo le occhiatacce ricevute imbarazzato si riprese. “Ovvio che no. In fondo quella rappresenta soltanto un concetto astratto, per quanto importante. Ma sai, i tratti sono talmente generalizzati che non è difficile trovare qualcuno che assomigli all'illustrazione. Sono sicuro che se facessi attenzione ne troveresti decine”.

“Mah, forse hai ragione” rispose, anche se con poca convinzione. Non si trattava di una semplice somiglianza, tutto in quella ragazza, dall'aspetto all'abito con cui la sognava, persino i suoi modi e quell'atteggiamento strafottente ricordavano l'Arcano della Giustizia, e ne era sempre più convinto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Rovistando nella tenda ***


Capitolo 5


 

Prima di salutarlo Matt gli promise che avrebbe fatto altre ricerche sull'Arcano della Giustizia, visto che sembrava tenerci molto. Non aveva raccontato allo studioso dei suoi frequenti incubi in cui la ragazza – o forse avrebbe dovuto dire la Giustizia? - continuava a perseguitarlo. Matt era un intellettuale, e per quanto avesse una mente molto meno razionale e pragmatica dei suoi colleghi universitari, tanto da essere amico di un cartomante di strada che sbarcava il lunario con le sue predizioni, al sentirlo parlare di sogni premonitori li avrebbe sicuramente liquidati come suggestioni.

Erano ormai 2 giorni che non tornava alla sua tenda, perciò decise di non pensare più a quella faccenda e riprendere a lavorare. Trovò alcune ragazze già in fila, probabilmente un gruppo di incallite che non si rassegnavano al fatto che non fosse neanche presente. Notò però con sorpresa che tutte avevano un'espressione scocciata. Accelerò il passo per capire cosa fosse successo.

“Buongiorno ragazze” esordì con un gran sorriso, “Perdonate il ritardo. Un attimo e sono subito da voi!” aggiunse facendo l'occhiolino.

“Veramente la tenda è giò occupata. E c'è una ragazza dentro.” rispose la prima della fila, decisamente furibonda. “Ci ha suggerito di restare fuori perché aveva da fare lì dentro. Chi è quella sciacquetta?!”

Vorrei saperlo anch'io... - pensò senza risponderle. In effetti si sentivano dei rumori provenire dall'interno della tenda. Chiunque era là dentro si stava dando un gran da fare. è

- E se fosse... lei? -

Si avvicinò cauto all'entrata. Sollevò con circospezione il pesante drappo che copriva l'ingresso. L'ambiente era illuminato soltanto da qualche candela accesa qua e là. Una sagoma scura gli dava le spalle mentre rovistava nell'unico mobile, una credenza in cui erano esposti altri mazzi che non utilizzava mai e altri oggetti che servivano solo a rendere l'ambiente più scenico. Si avvicinò di soppiatto senza farsi sentire.

“Cosa stai facendo? Come sei entrata qui?!”

La sagoma si fermò di colpo, poi si alzò in piedi e si voltò.

“Dio che spavento che mi hai fatto prendere! Ma sei pazzo ad urlarmi alle spalle in quel modo?!”

Nicole si stringeva le mani al petto, il respiro affannoso per lo spavento. Anche Alexander tirò un sospiro di sollievo. “Scusami amore, non pensavo che fossi tu. Avrei dovuto controllare prima di affrontarti”.

“E chi pensavi che fossi? Magari quella ragazza da cui sei così ossessionato adesso, no? Ed io che ero venuta qui a dare una pulita dato che mi hai detto che saresti andato da Matt... Volevo farti un favore e invece...” . Nicole cominciò a singhiozzare. In effetti ultimamente l'aveva un po' trascurata.

“Hai ragione amore perdonami... Avevo solo paura che fosse entrato un ladro, o qualcun altro, sai che non sono ben visto in città... Ti prego amore, non volevo sgridarti, sai che amo solo te... Cercherò di essere più presente ok?”.

Mentiva ovviamente. Aveva subito pensato alla ragazza del suo sogno. Ma Nicole aveva ragione. Stava effettivamente diventando un'ossessione e doveva scacciarla dalla sua mente. Si avvicinò per abbracciarla e confortarla, e sembrava funzionare. Nicole si era finalmente calmata e si stava asciugando gli occhi.

“Ah amore, stavo cercando il ciondolo di tua madre, volevo farlo pulire, ma non l'ho trovato...”

“Sai che lo porto sempre con me” le rispose mentre si portava le mani al collo e sollevava un sottile filo di argento. Al centro dondolava un cristallo azzurro splendidamente lavorato. Oltre al mazzo, era l'unica eredità di sua madre. Glielo aveva regalato quando aveva compiuto 5 anni, solamente qualche giorno prima dell'incendio...

“Stai tranquilla, non ce n'è bisogno, è ancora perfetto”. Il pendente scintillava alla tenue luce delle candele, proiettando un vago bagliore ceruleo.

“Come vuoi tu amore, non insisto. Ma dovresti davvero farlo lucidare ogni tanto. Sarebbe un peccato se si opacizzasse...”

“Ti preoccupi sempre troppo. Ora torna pure a casa, provo a smaltire la fila qua fuori” le disse sorridendo prima di baciarla e accompagnarla fuori dalla tenda.


 

* * *


Non troppo lontano, ma sufficientemente da non essere vista, la ragazza misteriosa se ne stava appoggiata ad un muro, le braccia incrociate, e guardava con aria di sufficienza la fila in attesa fuori dalla tenda.

- Ragazzine. Solamente perché è carino, con quei suoi capelli biondi e quegli occhi color ambra... - si riscosse da quei pensieri mentre sembrava che le sue guance si fossero leggermente colorite di rosso. - Resta concentrata, hai una missione da compiere – si ripeté mentre tornava a scrutare la tenda. All'improvviso percepì qualcosa, un mutamento infinitesimale nell'aria che attirò la sua attenzione. Un flebile bagliore azzurro illuminava la tenda.

“Ecco dove lo tenevi nascosto” disse ad alta voce con un sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Statue a Colori ***


Capitolo 6


 

Per qualche giorno tutto quello che era accaduto nei giorni precedenti passò in secondo piano: tornò alla tenda a leggere le carte alla lunga fila di ragazze che lo aspettava trepidante, incurante delle ore di attesa. Non poté però fare a meno di ripensare a quello che aveva detto la ragazza misteriosa: quelle ragazze erano lì perché lui era bravo giusto? Insomma, non aveva mai sbagliato una predizione, se ne sincerava personalmente chiedendo alle sue clienti all'incontro successivo, eppure, come una goccia che scava la roccia, lenta ma inesorabile, il dubbio si stava insinuando in lui.

Un pomeriggio Matt gli inviò un messaggio.

“Ho alcune novità interessanti. Vediamo alle 18:00 al solito posto”.

-Certo che si è proprio fissato con quel bar...- pensò mentre rimetteva in tasca il cellulare.

Il bar in questione non era altro che il famoso Neko Café di Torino, un locale in cui gli avventori erano circondati da gatti che gironzolavano liberi tra i tavoli. Matt era un vero amante dei gatti: li trovava animali dal fascino imperscrutabile. Anche se doveva ammettere che non dispiacevano neanche a lui.

Mentre entrava nel locale Matt lo salutò con la mano destra; la sinistra era impegnata ad accarezzare un gatto snello ed elegante dal lucido mantello nero. Il micio socchiudeva i penetranti occhi color ambra mentre faceva le fusa.

“Hai già trovato un nuovo amico a quanto pare” disse mentre prendeva posto davanti a lui. Il felino aprì gli occhi per scrutarlo con aria interrogativa, per continuare poi a strusciarsi contro la mano di Matt.

“Si chiama Werther” rispose lui senza smettere di accarezzarlo. “Qui i gatti hanno tutti nomi di grandi autori. In fondo è un caffé letterario no?” continuò rivolgendosi più che altro al micio, che per tutta risposta intensificò le fusa.

Una giovane ragazza col grembiule del locale si avvicinò portando con sé un taccuino. “Ciao! Cosa ti porto?” gli chiese sorridendo mentre lo squadrava da capo a piedi. Chinò il capo imbarazzato mentre ordinava a voce bassa un caffé. La ragazza prese l'ordinazione e se ne andò con un risolino.

“Fai ancora il timido con tutte le ragazze che ti vengono dietro? Ormai dovresti esserci abituato” gli disse Matt mentre sorseggiava il suo the.

“Smettila!”. La cameriera tornò con un vassoio. “Ecco qui il tuo caffé. Ti ho portato anche un muffin. Offre la casa!” gli disse mentre si chinava provocatoriamente verso di lui. Balbettò qualche ringraziamento confuso mentre la ragazza tornava di nuovo dietro il bancone, sussurrando “Che tenero!”.

Aveva il volto infuocato mentre versava lo zucchero nella tazzina. Matt sogghignava divertito dietro la sua tazza da the. “Se ti imbarazza tanto sarà meglio cambiare argomento” disse canzonandolo.

“Sarebbe meglio, si” borbottò mentre girava il suo caffé. L'amico posò la tazza sul tavolino, allungò la mano e prese il muffin. Il gatto, irritato dal fatto che avesse smesso di coccolarlo, seguì con lo sguardo il dolcetto mentre gli passava davanti, leccandosi i baffi. Matt prese un grosso boccone prima di cominciare a parlare.

“Dunque” bofonchiò a bocca piena, “L'iconografia della Giustizia come sai è molto antica. I simboli sono gli stessi in più o meno tutte le culture e le religioni: la spada e la bilancia. L'aspetto è sempre posto in secondo piano rispetto al suo significato. Era importante ciò che rappresentava, e non come era rappresentata”.

Prese un altro boccone mentre il gatto cominciava a miagolare per richiedere la sua attenzione. Staccò un pezzettino del dolce e lo offrì al felino che riprese a fare le fusa contento. “La statua della Giustizia è presente in quasi tutti, se non tutti, i tribunali del mondo. Ma sapevi che le statue greche erano colorate?”

“Mi stai dicendo che le statue non erano bianche?”

“Esattamente. Tutte le statue erano colorate ed avevano anche numerose sfumature! Il tempo ha ovviamente fatto deteriorare i colori ed ora tutto ciò che rimane è il marmo bianco.”

Posò la tazzina sul suo piattino e poi incrociò le dita davanti al volto. “E quindi cosa stai cercando di dirmi?”

Un sorriso soddisfatto emerse sul viso dello studioso. Stava di nuovo per essere sopraffatto dalla frenesia della scoperta.

“Beh, ho chiesto un favore ad una collega del Dipartimento di Beni Culturali. Non ha potuto fare molto, ma è riuscita a ritrovare una pubblicazione riguardante l'utilizzo di una tecnica a luce ultravioletta in grado di rivelare i colori delle statue antiche.”

“Interessante” disse ironico trattenendo a stento uno sbadiglio. Matt non era certo famoso per il dono della sintesi. “Potremmo arrivare al dunque?”

“Il punto è che questa tecnica è stata testata anche su una statua rappresentante la Giustizia esposta al Louvre. E indovina un po'?”

Matt tirò fuori un foglio piegato a metà dalla sua borsa a tracolla e glielo porse. Lo aprì diffidente. Mostrava la stessa foto di una statua, in bianco e nero e a colori. No, non era in bianco e nero, probabilmente era l'immagine della famosa statua, com'era adesso e come sarebbe stata a colori. Sgranò gli occhi nel vedere l'opera colorata. Sbatté più volte le palpebre incredulo.

“È quella la ragazza che hai visto?” gli chiese soddisfatto. Adorava avere ragione.

La bilancia. La spada. Ma soprattutto quei capelli corvini, e quello sguardo, fiero e altezzoso. Di nuovo si ritrovava a fissare l'immagine sputata della ragazza misteriosa.

Un gatto si tuffò dalle numerose mensole disseminate nel locale che creavano un percorso privilegiato per i felini. Lo colse così di sorpresa che lo fece sobbalzare. Aveva un pelo folto color crema, tranne sulle zampe, che erano candide come la neve.

“Oh, un Sacro di Birmania!” urlò Matt eccitato. “Un gatto bellissimo! Misterioso e affascinante, proprio come quella ragazza non trovi?”

Il gatto rimase a fissarlo con i suoi intensi occhi azzurro ghiaccio. Forse era impazzito, ma il gatto sembrava avere la stessa espressione strafottente che ormai lo ossessionava giorno e notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Agguato nel Vicolo ***


Capitolo 7


 

Era ormai sera quando salutò Matt lasciandosi il Neko Café alle spalle. La sottile striscia di luce di un vivido arancione proiettava la sua lunga ombra di fronte a lui. Si ritrovò a camminare fissandola, senza una meta precisa. Aveva bisogno di schiarire la mente.

Matt gli aveva promesso ulteriori ricerche, poiché era sicuro si trattasse solamente di una coincidenza.

“Sarà soltanto un caso. Ognuno di noi ha almeno 7 sosia nel mondo. Quella ragazza avrà un aspetto molto somigliante alla statua, è vero, ma chissà quante ce ne saranno in giro per il mondo!”

Ma se c'era una cosa che le carte gli avevano insegnato era che il caso non esiste. Sebbene gli uomini rifiutino di ammetterlo, le loro vite erano governate da una legge superiore che ne influenzavano gli eventi. Chi lo riconosceva veniva spesso additato come “credulone”, come capitava alle ragazze fuori dalla sua tenda. Gli altri preferivano far finta di avere il controllo delle loro esistenza.

Era ormai buio quando alzò di nuovo la testa, riprendendosi da quel flusso di pensieri. Si guardò intorno, cercando di cogliere qualche dettaglio che lo aiutasse ad orientarsi, ma sembrava essere arrivato in una zona della città a lui sconosciuta.

Si voltò, deciso a tornare sui propri passi e dirigersi verso casa. Ma avendo camminato con lo sguardo fisso a terra, ben presto si trovò in un vicolo cieco. Fu allora che lo avvertì.

Il vento. Gelido, sferzante. Proprio come quel giorno in cima alla Mole. Sgranò gli occhi mentre l'aria fredda gli muoveva i capelli. Impaurito, ma deciso, lentamente si girò.

La ragazza era lì, all'inizio del vicolo. Chissà da quanto tempo lo stava seguendo, ma troppo preso dai mille pensieri non se n'era accorto. Lo guardava fisso negli occhi, con aria di sfida, ma non disse niente.

Non ne poteva più. Lo stava realmente perseguitando. Tutta l'ansia e l'oppressione di quei giorni eslpose. Decise di chiudere la faccenda una volta per tutte.

“Cosa vuoi da me?! Ho scoperto chi sei, ormai non puoi più nasconderti! Perché la Giustizia mi sta perseguitando?! Cosa ho fatto di male?!!”

Un sorriso beffardo affiorò sul volto della giovane mentre inveiva contro di lei. Rimase deliberatamente in silenzio mentre il ragazzo riprendeva fiato dopo essersi sfogato. Poi, lentamente, cominciò ad avvicinarsi, i tacchi degli stivali che riecheggiavano nella stretta viuzza.

“Stai tranquillo, non sono come tutte le ragazzine che abbindoli, non sono innamorata di te” . Pronunciò le ultime parole con una vocetta infantile, scimmiottando le numerose ammiratrici che aveva e facendolo arrossire. Di nuovo. Si fermò a circa una decina di metri da lui.

“Voglio soltanto una cosa da te. Un oggetto, che dovresti avere con te anche adesso. Voglio il tuo pendente. Dammelo e me ne andrò per sempre”.

Portò la mano sinistra al collo sollevando la catenina d'argento. Strinse le dita intorno al cristallo azzurro.

“Intendi questo ciondolo? E a cosa ti servirebbe?”

“Questioni personali. Un ciarlatano come te non potrebbe capire” gli rispose passandosi una mano tra i capelli con aria di superiorità. Quell'atteggiamento lo fece imbestialire.

“Beh puoi scordartelo! È un ricordo di mia madre e non me ne separerò!”

La ragazza incrociò la braccia e ricominciò ad avvicinarsi. “Beh allora penso proprio che noi due abbiamo un problema. Vedi, io non te lo stavo chiedendo. E se non vuoi darmelo me lo prenderò da sola!”

Si avventò contro di lui alzando le mani verso il suo collo. Fu colto di sorpresa, non si aspettava un attacco così diretto. Riuscì a fermarla appena in tempo, stringendo le mani di lei tra le sue.

“Sei bravo” gli disse sprezzante. I suoi occhi sembravano ardere. “Ma non sei bravo abbastanza!”. Gli sferrò un calcio sullo stomaco. Per qualche secondo il suo respiro si fermò mentre cadeva all'indietro lasciando la presa.

Sbatté la schiena contro il muro in fondo al vicolo e rimase ansimante faccia a terra. A fatica si rialzò in piedi. Doveva combattere. Per il ricordo di sua madre.

“Non ti facevo una ragazza violenta” gli disse mentre cercava di riprendere fiato. Forse facendola parlare si sarebbe distratta.

“Non sono violenta. Sono solo più brava di te. Ora dammi quel ciondolo o dovrò continuare”. Allungò una mano in attesa.

Alzò le mani al collo, slacciandosi il sottile filo d'argento. Strinse il cristallo nel pugno e le si avvicinò.

“Vedo che sai riconoscere quando è l'ora di arrendersi” gli disse soddisfatta.

“Io si. E tu?”. Mentre lo guardava con aria interrogativa le diede una spallata, facendola finire in un mucchio di scatoloni di cartone ammassati l'uno sull'altro.

Approfittò del momento per scappare. Le costole gli facevano male e non riusciva a correre, ma doveva allontanarsi il più possibile. Non avrebbe mai voluto ferire una donna, ma aveva l'impressione che con quella ragazza non ci sarebbe riuscito neanche se avesse voluto.

Si ritrovò in una piccola piazza circolare da cui si dipanavano numerose vie secondarie. Non sapeva da quale direzione fosse arrivato ma forse sarebbe riuscito a far perdere le sue tracce.

Si affrettò in una delle tante stradine, cercando di muoversi il più in fretta possibile date le sue condizioni. Svoltò a destra, poi a sinistra, insinuandosi sempre più in quel dedalo di vicoli e mura. Poi, però, giunse al termine.

Era finito in un altro vicolo cieco. Si appoggiò al muro, cercando di riprendere fiato per poter ricominciare a muoversi. E in quel momento, lo sentì.

Il ticchettio dei suoi stivali sul selciato. Non stava correndo. Lei stava giocando con lui.

Apparve in cima alla via. Aveva lo sguardo divertito e un ghigno in volto. Teneva in mano qualcosa di lungo e metallico che rifletteva la luce dell'unico lampione. Un brivido gli percorse la schiena quando realizzò cosa fosse.

Teneva in mano una spada. No, non una spada qualsiasi, ma la spada!

La portava svogliatamente, con una mano sola, rivolta verso il basso, di modo che la punta della lama strusciasse per terra emettendo un sibilo acuto.

“Hai voluto metterti contro di me, Cartomante. Ma adesso è finita. Avresti dovuto consegnarmi il cristallo come ti avevo chiesto. Ora dovrò prenderlo da me!”.

Alzò la spada con entrambe le mani e cominciò a correre verso di lui. Chiuse gli occhi preparandosi al peggio. La ragazza menò un fendente verso l'alto, troppo presto per poterlo colpire veramente. In realtà stava cercando di rompere la catena d'argento con la punta della sua spada, ma aveva calcolato male le distanze.

La lama tranciò la stoffa della sua maglietta per tutta la sua lunghezza, esponendo il suo fisico asciutto e tonico. Un sottile rivolo di sangue gli colava dal petto attraversando gli addominali.

Dopo un tempo che parve infinito, riaprì gli occhi. Si guardò l'addome, assicurandosi di non avere ferite gravi, e poi alzò lo sguardo sulla ragazza. E per la prima volta non la riconobbe.

L'espressione arrogante e fiera era scomparsa dal suo volto. Le guance erano imporporate, gli occhi sbarrati, e si copriva la bocca con la mano che non reggeva l'arma con cui l'aveva ferito.

“Io... Io non...”. Era stupito di vederla per una volta senza parole, lei che rispondeva sempre per le rime a tutto.

Abbassò lo sguardo. Poteva forse essere... Imbarazzata?

“Ti chiedo scusa, non volevo spogliarti! Cioè volevo dire... “. Il viso le stava diventando sempre più rosso. “Non volevo tagliare la tua maglietta, sei tu che ti sei spostato!”, sbottò infine.

La guardava con aria confusa. Stava parlando con la stessa ragazza che l'aveva minacciato pochi istanti prima?

La ragazza si girò di scatto, dandogli le spalle. La vide colpirsi più volte la testa e bofonchiare qualcosa tra sé e sé.

“Concentrati, cavolo! Ok, possiamo ammettere che è carino, anzi è decisamente bello, ma hai una missione da compiere! Ricomponiti immediatamente!!” si sussurrò pensando di non essere sentita. La faccia di lui aveva un'espressione sempre più attonita.

Si voltò di nuovo, più carica di prima. Ogni traccia di imbarazzo era svanita dal suo viso. Alzò di nuovo la spada. “Stavolta non sbaglierò!”

Una freccia si piantò proprio vicino al piede di lei. Splendeva, come se fosse fatta di un metallo prezioso, tuttavia il suo colore era indefinito, più chiaro dell'argento, pallido come un raggio di luna. Entrambi alzarono gli occhi nella direzione da cui proveniva il dardo.

“Sei sicura di non aver denudato di proposito il mio ragazzo?”

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Tregua temporanea ***


Piccola premessa: finalmente sono riuscito a scrivere un nuvo capitolo! Il periodo delle feste è stato un po' movimentato e soprattutto gli esami incombono!
Nonostante ciò sono riuscito a ricavare del tempo per continuare la mia storia, e finalmente sono arrivate anche le prime spiegazioni!
Buona lettura!!

* * *

Capitolo 8


 

Nella flebile luce che illuminava il vicolo, riconobbe una sagoma in cima ad un tetto. Una ragazza dai lunghi capelli biondi se ne stava in piedi godendosi la scena dall'alto. Impugnava un arco piuttosto grande che sembrava brillare di luce propria, probabilmente dello stesso materiale della freccia che aveva scoccato pochi istanti prima.

Socchiuse gli occhi per vederla meglio... Era assurdo eppure... Possibile che fosse...

“Nicole?” chiese in un sussurro.

“Selene. Percepivo la presenza di un altro arcano intorno a questo ragazzino. Non mi stupisce che sia tu” ribatté la ragazza misteriosa sbuffando.

Selene? Chi diavolo era Selene? Non stava forse guardando la sua ragazza sopra quel tetto? O si stava sbagliando?

La ragazza bionda saltò agilmente giù dal tetto atterrando senza difficoltà in ginocchio tra loro due. Si rialzò dandogli le spalle, i fluenti capelli biondi leggermente mossi dalla brezza che sferzava il vicolo.

Forse si era davvero sbagliato. Nicole non avrebbe mai portato un vestito di quel genere. Eppure la ragazza sembrava trovarsi a suo agio in quell'abito elegante e pomposo.

Girò il volto verso di lui. “Non preoccuparti. Ora me ne occupo io!”. Sembrava davvero Nicole. Eppure i suoi capelli non erano forse più lunghi? E anche il colore, era diverso, più chiaro, quasi argenteo...

Incoccò di nuovo una freccia, le maniche a pipistrello dell'ampio vestito, blu come la notte, che seguivano i suoi eleganti movimenti.

La ragazza bruna alzò la propria spada pronta ad attaccare. “Pensi che Artemide possa essere più veloce della mia Excalibur?”

“Non saprei. Vogliamo provare?”

Artemide? Excalibur? Di certo quella era la prova che era impazzito. Eppure il dolore che provava al petto, per quanto lieve, sembrava così reale...

Le due non si mossero di un centimetro, entrambe pronte a scattare al minimo movimento dell'altra. Il vento si era fermato nel vicolo. Tutto era immobile e impassibile. Rimase a fissarle a bocca aperta, confuso.

La ragazza bruna cercò di giocare d'anticipo. Sapeva che restando ferma sarebbe stata un bersaglio fin troppo facile da colpire per un'arciera esperta. E se fosse riuscita a colmare in breve tempo la distanza che la separava dall'altra, il suo arco sarebbe diventato inutile in una mischia.

La ragazza bionda aveva già pronta la sua freccia quando vide la sua avversaria partire all'attacco. Era furba, cambiava direzione continuamente, in modo da confonderla e non permetterle di scagliare la freccia. La seguiva con lo sguardo, il braccio teso pronto a lasciare la corda, perché sapeva che nel momento in cui avesse alzato la spada per caricare il colpo, sarebbe riuscita a colpirla.

La spadaccina decise che era il momento di agire. Alzò la spada con entrambe le mani, decisa.

L'arciera era pronta a rispondere, e nell'istante in cui vide alzarsi la spada, fece partire la sua freccia.

Un lampo azzurro apparve tra le due, accecandole. Il ragazzo, ormai stufo di starsene in un angolo a guardare, era intervenuto per fermare le due contendenti.

La spada tranciò la stoffa di ciò che restava della sua maglietta su un fianco, prima di essere fermata dalla sua mano.

La freccia invece passò sul petto, lasciandolo praticamente a torso nudo, se non per qualche brandello che restava ancora faticosamente attaccato al suo corpo. Col braccio sinistro aveva afferrato l'arco cambiandone la traiettoria.

Entrambe restarono immobili a guardarlo. La pelle ormai lasciata scoperta sembrava brillare dello stesso intenso azzurro che poco prima le aveva abbagliate.

“Voi due mi dovete qualche spiegazione!”


 


 

* * *


 

Erano tornati tutti e 3 a casa. Nessuno di loro aveva aperto bocca da quando si erano scontrati nel vicolo. Le ragazze tenevano lo sguardo rivolto verso il basso, ed un'espressione contrita, fatta eccezione per qualche occhiataccia che si scambiavano dietro le spalle di lui quando non guardava.

Appena entrato si era subito gettato sotto la doccia. Aveva bisogno di schiarire la mente dai mille pensieri e dalle troppe congetture che si era fatto in quei pochi minuti che avevano impiegato per rientrare. Pochi, ma più che sufficienti perché iniziasse a viaggiare, formulando milioni di teorie, una più assurda dell'altra. Scosse la testa e chiuse l'acqua. Non era più il momento delle teorie. Era arrivato il momento delle risposte.

Mentre si asciugava e rivestiva, le due ragazze erano sedute una accanto all'altra sul divano. Entrambe avevano le braccia incrociate e guardavano nella direzione opposta, dandosi le spalle.

“Bel casino hai fatto. Hai fatto saltare anni di copertura!”

“Pff. Se mi avessi lasciato fare ora sarebbe tutto risolto. Ma no, lei è sempre convinta di avere ragione!”

La ragazza bionda si voltò adirata verso l'altra. “Cosa credi, di poter arrivare qui e fare quello che vuoi?! Se fosse stato pronto gliel'avrei già detto!”

La mora accavallò le gambe con un movimento elegante. “È proprio per questo che sono intervenuta! Non c'è più tempo! Non possiamo stare ad aspettare i tuoi comodi perché ti piace passare il tuo tempo con lui!!”

Le guance dell'altra avvamparono, in netto contrasto con la sua carnagione chiara. “Cosa stai insinuando?! Cosa pensi che...”

“La finite voi due?”

Era entrato nel salotto e le aveva trovate a discutere. Di nuovo. Aveva ormai capito che non correva buon sangue tra le due. Prese una sedia e la mise davanti al divano, a metà tra le due contendenti.

Si mise seduto, fece un lungo respiro ad occhi chiusi e poi parlò.

“Voglio che mi spieghiate ogni cosa. Chi sei tu e perché vuoi il mio pendente. E cosa stavi facendo tu con quell'arco? E vestita in quel modo poi!”

“Ti spiegherò tutto ok? Devi solo fidarti di me, me lo prometti?”

“Sono tutt'orecchi, Nicole.”

“Tsk. Non è neanche il suo vero nome...”

“Stai zitta! Non hai diritto di...”

“Basta!” le interruppe di nuovo prima che ricominciassero a battibeccare. “Senza discutere. E senza interrompervi l'un l'altra. In maniera chiara”.

Le due si guardarono a lungo prima di parlare di nuovo. La ragazza bionda decise di partire per prima.

“Io non mi chiamo Nicole. Il mio nome è Selene, e quello che sto per raccontarti potrà sembrare assurdo, ma ti prego di ascoltare fino alla fine prima di farmi domande, altrimenti non potrai mai capire. Va bene?”

Il ragazzo annuì, in silenzio.

“Il mio nome, Selene, non è un caso. Mi chiamo così perché io sono la Luna.”

“Certo, e io sono il Sole” . “Avevi promesso di non interrompere, ricordi?”

Guardò prima Nicole, cioé Selene, poi la ragazza mora. Nessuna delle due stava ridendo. Anzi, entrambe avevano un'espressione tremendamente seria.

“Pensi davvero che crederò ad una storia del genere?!”

“Capisco che sia difficile. Ma devi ascoltare fino alla fine, ti prego. Poi sarà tutto più chiaro”.

Il ragazzo incrociò le braccia al petto, rassegnato. Non capiva se fosse impazzito e se fosse rimasto l'unico savio in quella stanza. Ma ascoltare quella storia assurda di sicuro non poteva portare alcun danno. Avrebbe avuto tutto il tempo per preoccuparsene una volta finita.

“Ovviamente io non sono la luna che vedi in cielo. Sono più una sorta di... Incarnazione di ciò che rappresenta. Sotto questo punto di vista puoi vedermi come la personificazione dell'Arcano N° XVIII, la Luna appunto”. Si interruppe per un istante, voltandosi verso la ragazza seduta accanto a lei. “Mentre Micaela, come avevi già capito... Beh, lei è la Giustizia”.

“Incantata” rispose l'altra in tono acido, mantenendo la stessa espressione irritata di sempre.

“Aspetta, quindi vuoi dirmi che... Avevo ragione?! E tu sei rimasta a guardarmi mentre credevo di essere impazzito?!!”

“Dovevo. Anzi, ho cercato di sviarti dallo scoprire la verità, ma a quanto pare non ci sono riuscita. Forse perché qualcuno si è intromesso?”. Sputò l'ultima parola tra i denti rivolta verso Micaela.

“Sai bene che non possiamo più aspettare. Il momento è arrivato. Qualcuno doveva prendere in mano le situazione. Non possiamo certo aspettare i tuoi comodi!” le rispose con aria di sufficienza senza neanche guardarla.

“I miei comodi?! Cosa pensi, che sia stata qui a passare il tempo?!”

“Vi prego, è già difficile seguire tutta la storia, se poi litigate per ogni parola...”

Entrambe si fermarono. Selene sembrava insicura su come andare avanti. “Vedi... Noi non siamo le uniche. Ce ne sono altri, sparsi per la Terra. 22 per l'esattezza, proprio come gli Arcani dei Tarocchi”. Fece un lungo respiro prima di continuare. “E poi... Ci sei tu”.

“E cosa ha a che fare tutto questo con me?”

“Tu sei invischiato più di tutti noi. Perché ho ragione di credere che tu sia il Cartomante della profezia”.

Nel sentirla pronunciare quella parola balzò sulla sedia. Non l'aveva forse chiamato così la strana ombra del suo sogno? E anche quella ragazza, Micaela, aveva usato quel termine quando avevano parlato in cima alla Mole...

“Cosa significa? Quale profezia?”

“Una profezia completamente senza senso, se devi essere tu”. Micaela aveva interrotto il suo silenzio e si era alzata in piedi, aggiustandosi la gonna. “Ascolta, non ho bisogno di ripassare ciò che so già a memoria. Quando hai finito di istruire il belloccio, sai dove trovarmi”. Si voltò senza aspettare una risposta che comunque non sarebbe arrivata e se ne andò. Selene la guardò mentre usciva dalla stanza e fece una smorfia alle spalle di Micaela, ma aspettò di sentir sbattere la porta prima di continuare.

“Tra gli Arcani è diffusa una profezia. Prevede un'era di disgrazie e la fine del mondo come lo conosciamo. A meno che il Cartomante non si risvegli e ci guidi verso la salvezza”.

“E questa persona dovrei essere io?!”

Selene si inclinò in avanti, avvicinandoglisi. “Ne hai tutti i requisiti”, gli sussurrò piano.

“E quali sarebbero?”

“Beh, alcuni potrebbero essere classificati come coincidenze. Innanzitutto sei orfano”.

“Non sono certo l'unico”.

“Si, ma quanti di loro sanno leggere i Tarocchi?”

“Pochi, ma di certo non sono il solo. E comunque è stata mia madre ad insegnarmelo, non credo che...”

“Hai centrato il punto. Tua madre. Non sai niente delle origini della tua famiglia vero?”

“Cosa dovrei sapere? So che erano girovaghi e hanno girato il paese cercando di sopravvivere leggendo le carte. Quando mia madre è rimasta incinta si sono stabiliti qui e hanno abbandonato quella vita. Erano gente normalissima”.

“Non potresti essere più lontano dalla verità. Tua madre, e di conseguenza tu... Discendete dalla casata degli Estensi”.

“Certo, ora sarei addirittura nobile!” scoppiò in una fragorosa risata. Neanche nei più reconditi meandri della sua mente avrebbe potuto elaborare una serie di sciocchezze come quelle che le stava raccontando Selene. Stava per alzarsi, ma la mano di lei gli strinse il braccio, costringendolo a rimettersi seduto.

“Non ti sto raccontando delle stupidaggini. E questa volta posso dimostrartelo. Pensa al tuo mazzo. Saprai già che è antico. Ma è molto più antico di quel che pensi. Quel mazzo è l'eredità di tua madre, tramandata di generazione in generazione: un autentico mazzo di Tarocchi Dorati degli Estensi”.

Si ricordò di una conversazione avuta con Matt qualche tempo prima. Lo studioso era particolarmente interessato alle sue carte, perché diceva che fossero un mazzo originale del periodo rinascimentale... Che quello che Selene stava raccontando corrispondesse a verità?

“Non... Non significa niente!” sbottò poco convinto alla ragazza seduta sul divano. “Come il mio ce ne saranno centinaia, sparsi per il mondo...”

“No Alexander. Non è l'unico, ma sono davvero pochi. Tutti questi dettagli non possono essere liquidati come semplici casualità. Presi nel loro insieme, fanno di te il Cartomante della profezia”.

“Ascoltami, tutta questa storiella è molto affascinante, ma io sono un normalissima ambulante che legge le carte per sopravvivere. Perciò dovrai cercarti qualcun altro da incantare con la tua favoletta”.

Si alzò e andò verso la porta. “E quello che è successo nel vicolo allora?”.

Si fermò di colpo, ma non si voltò. “Ti sei accorto che stavi risplendendo di un bagliore azzurro, vero?”. Pensava di esserselo immaginato, nella foga di quei momenti concitati. “Hai un potere dentro di te. Un potere che dovrai usare per salvare il mondo”.

Rimase fermo sulla porta. Era impossibile che fosse vero. Assurdo. Eppure, una piccola parte di lui, nel profondo, trovava un senso in quello che Selene gli stava raccontando. Che cosa avrebbe dovuto fare?

“Se resti ed ascolti ciò che ho da dirti fino alla fine... Ti dirò cosa è successo ai tuoi genitori”.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Spiegazioni a tarda notte ***


ENORME PREMESSA

E' passato moltissimo tempo dall'ultima volta che ho scritto un capitolo. Questo perché per l'ennesima volta la vita si è accanita contro di me e il mio portatile si è fuso con tutti i dati -.-"
Tuttavia la sorte ha deciso di graziarmi perché pur dopo oltre un mese sono riuscito a recuperare pc e dati, compresi i capitoli già scritti!
Per farmi scusare questo capitolo è decisamente più lungo degli altri, anche perché ci stiamo piano piano inoltrando sempre più a fondo nella trama.
Buona lettura!!



Capitolo 9


 

“Cosa sai tu dei miei genitori?”

“So cosa è successo. Ogni cosa è collegata, Alexander. Solo che ancora non riesci a comprenderlo”

Non sapeva se crederle o meno. Non aveva mai creduto che i suoi genitori fossero morti in un semplice incendio. Il volto di sua madre... E il fatto di non riuscirla a sentire. Sapeva che c'era qualcosa di poco chiaro in ciò che era accaduto.

“Resterò. Ma dovrai spiegarmi ogni cosa riguardo a quella sera”

Selene annuì silenziosamente. Aspettò che si rimise seduto di fronte a lei prima di riprendere.

“Per comprendere ogni cosa, dobbiamo tornare indietro, nel Rinascimento. Gli Estensi erano una famiglia nobile, signori di Ferrara. Sotto Ercole I D'Este la cultura della città divenne fiorente, tanto da far invidia alle altre corti d'Europa. Poeti, pittori, compositori, ogni genere di arte e di intrattenimento trovava la sua locazione ideale nei palazzi della famiglia. Tra questi vi erano anche i Tarocchi. La famiglia degli Estensi si era invaghita particolarmente di questo gioco, molto di moda all'epoca, ed avevano un personalissimo gruppo di maghi, alchimisti e ovviamente cartomanti di corte. Tra questi c'era anche un tuo antenato”

“Aspetta, non hai detto che sarei discendente degli Estensi?”

“Un passo per volta. Il tuo antenato era bravo, e proprio come te, si distingueva dagli altri che molto spesso erano semplici imbroglioni. Gli Estensi ne erano affascinati, in particolare Beatrice, la figlia più piccola del Duca Ercole. I due avevano più o meno la stessa età, e sembravano andare molto d'accordo. La giovane nobile fece anche in modo che il padre regalasse al Cartomante di Corte uno dei pochissimi mazzi completi dei Tarocchi Dorati degli Estensi, creati appositamente per la famiglia qualche anno prima ed andati perduti. Beh, quasi tutti almeno”

Alexander ripensò a ciò che Selene aveva detto prima. Davvero il suo mazzo era così prezioso ed antico? Eppure le carte sembravano ancora nuove...

“Ma Beatrice ingannava il suo cuore. Il padre infatti l'aveva promessa in sposa quando aveva solamente 5 anni. La sua condizione sociale infatti le imponeva di sposare un nobile, e non avrebbe mai potuto tradire le aspettative del Duca. Si sposò a soli 16 anni con Ludovico Sforza, futuro Duca di Milano, dove si trasferì poco dopo. Ottenne tuttavia che il Cartomante di Corte la seguisse nella sua nuova residenza. Il tuo avo sapeva che si sarebbe cacciato nei guai, ma era davvero innamorato di Beatrice”

Gli occhi di Selene brillavano mentre parlava. Sembrava davvero coinvolta in quello che raccontava.

“Beatrice viveva in un'illusione. Si sposò ed ebbe 2 figli da suo marito nell'arco di pochi anni, ma vedeva ogni giorno il suo vero amore, e questo non fece altro che acuire l'amore che provava per lui. Ben presto i due caddero in tentazione, e Beatrice rimase incinta. Il Duca non era uno stupido, ed aveva iniziato a sospettare del tradimento di sua moglie, ma fece buon viso a cattivo gioco, per mantenere i possedimenti che Beatrice aveva portato in dote con sé. Fece però allontanare da corte il Cartomante, perché esso non potesse vantare alcuna pretesa”

Selene aveva assunto un'espressione triste. Piccole lacrime cominciarono a raggrupparsi intorno alle iridi azzurre della ragazza. Si asciugò velocemente gli occhi per non farsi vedere.

“Beatrice piangeva tutti i giorni nella sua stanza. Il marito era spesso lontano per impegni politici, e senza il suo vero amore a consolarla cadde presto in depressione. Partorì mentre il Duca era assente, e purtroppo... Non sopravvisse”

Questa volta una lacrima le scivolò lungo la guancia sinistra. Alexander sentiva che quella che stava raccontando era più di un semplice avvenimento storico.

“Il bambino... Per le ultime volontà di sua madre, fu preso dalle sue serve e nascosto. Raccontarono al padre che era nato morto, e Ludovico non approfondì la questione. La servitù ancora devota a Beatrice riuscì a rintracciare il tuo avo, il vero padre, e glielo affidò, raccontandogli ciò che era successo. Fu un duro colpo per lui sapere della morte della sua amata, ma fu contento di poter almeno crescere il frutto del loro amore. E così iniziò la discendenza da cui sei nato tu”

Notò che Selene stava ancora piangendo. Si alzò e le si mise seduto accanto, circondandola con un braccio e portandola a sé. La ragazza appoggiò il volto sul suo petto mormorando un “Grazie” tra i singhiozzi. Alexander le accarezzò i lunghi capelli biondi per tranquillizzarla.

 “È una storia davvero bella... Anche se triste. Ma non comprendo come mai ti tocchi tanto”
Ripensò al rapporto che si era instaurato tra loro due, ai baci che si erano scambiati, agli abbracci che li avevano scaldati durante la notte... E all'improvviso una terribile possibilità gli balenò in mente.

“Non dirmi che siamo... Parenti?!”

Selene scattò in piedi inorridita. “Ma cosa ti viene in mente?!”

Si asciugò le lacrime con una risata. “Solo tu potevi uscirtene con una cosa del genere! Il fatto è... Che io conoscevo Beatrice”

Alexander sgranò gli occhi. Beatrice morì alla fine del XV secolo. Questo voleva dire che... “Tu avresti più di 500 anni?!”

“Si e no. Esiste da molto, moltissimo tempo prima. Ma si può dire che io sia nata proprio grazie al tuo antenato”

La fissò con un'espressione perplessa. “Perdonami, ma ormai ho rinunciato a capire”

“Il tuo avo... Non era solo un Cartomante esperto. Egli era un autentico mago, e su richiesta del Duca Ercole infuse la propria magia nei mazzi creati appositamente per gli Estensi. Grazie ad essi il potere e il prestigio della famiglia crebbe ogni giorno di più”

“Si, ma in che modo un mazzo di Tarocchi magici avrebbe garantito potere agli Estensi? Erano forse infallibili?”

“Non solo. Oltre alla certezza delle loro previsioni, i Tarocchi potevano invocare gli Arcani. Io, Micaela, ma anche tutti gli altri prestavamo il nostro potere alla famiglia. Grazie a noi, non c'era battaglia che non potessero vincere, né alleati che non potessero soggiogare al loro volere. Ma il tuo antenato non era uno stolto. Fece in modo di essere l'unico a poterli utilizzare. Sperava che in questo modo sarebbe stato richiamato a corte, prima o poi. Invece con la morte di Beatrice dovette andarsene, e i Tarocchi Dorati rimasero inutilizzati fino a cadere nel dimenticatoio. Un mazzo è conservato a Parigi, incompleto. Un altro è arrivato fino a te, di generazione in generazione. Credo ce ne fosse un terzo, ma se ne sono perse le tracce”

Alexander si portò una mano all'altezza del cuore, dove in una tasca interna portava sempre le carte lasciategli da sua madre. Improvvisamente sembravano pesare come un macigno.

“Non mi hai ancora spiegato cosa tutto questo abbia a che fare con me e con la morte dei miei genitori...”

“Hai ragione, mi sono lasciata trasportare dai ricordi. Come ti stavo dicendo, il tuo avo fu costretto a lasciare la Corte con il bambino che Beatrice aveva dato alla luce. Prima di andarsene, però, liberò gli Arcani dalle carte in cui li aveva confinati, in modo che nessuno potesse più sfruttarne i poteri per i propri scopi. Li sigillò in posti lontani, nascosti agli uomini, affinché potessero riposare in pace. Sapeva anche che, con il passare dei secoli, il suo sigillo si sarebbe indebolito, permettendo agli Arcani di poter tornare ad essere delle entità, senza vincoli terreni. Invano gli Estensi cercarono questi luoghi segreti: senza l'aiuto degli Arcani la famiglia cadde lentamente in disgrazia. Il Cartomante fuggì e di lui non si seppe più nulla. Da lui ebbe origine una stirpe di Cartomanti che vive tuttora. In te”

“Perciò, secondo quanto hai detto, io discenderei dalla famiglia degli Estensi e da un potente mago?” chiese Alexander in tono sarcastico.

“Vedo che cominci a capire!” gli rispose lei con un ampio sorriso. Evidentemente quell'umorismo era passato inosservato. Con un sospiro si rassegnò ad assecondarla. Con la mano le fece segno di continuare il racconto, ma lei scosse la testa.

“Ti ho già raccontato molto. E sono davvero tante notizie da assimilare in una volta sola. Ed è già notte. Direi ci continuare domani, che ne dici?”.

Guardò l'orologio. Selene aveva parlato per oltre 2 ore. E sebbene la storia avesse incominciato a stuzzicare la sua curiosità, doveva ammettere che la stanchezza stava prendendo il sopravvento.

“D'accordo. Ma non significa che io ti creda: anzi penso ancora che tutto questo sia assurdo!”

Selene gli fece l'occhiolino. “Tranquillo, il problema più grande non sarà convincere te, ma quell'antipatica di Micaela!”.


 


 

* * *


 

Si addormentò quasi subito, spossato dagli avvenimenti di quella giornata.

Quando aprì gli occhi, non sapeva dire se fossero passati 5 minuti o tutta la notte. Intorno a sé vedeva solo buio.

“Selene?”
Nessuna risposta. Allungò una mano per cercarla, ma invece di toccare la morbidezza delle lenzuola, afferrò qualcosa di duro. Un senso di angoscia cominciò ad attanagliarlo. Nell'oscurità cominciò a distinguere un paesaggio in rovina.

“Selene?!”
Il panico cominciò a sopraffarlo. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Tra le dita macchiate di sangue stringeva un braccio appartenente ad un corpo esanime adagiato accanto a lui. Il volto si deformò in un'espressione di orrore.

Lasciò andare l'arto con uno scatto mentre cercava di allontanarsi dal cadavere, scivolando nella polvere, incapace di coordinare lucidamente i movimenti. Voleva solo andarsene da lì, il prima possibile. Nel guardarsi intorno riconobbe lo stesso scenario di morte e distruzione che aveva già perseguitato i suoi sogni.

Alle sue spalle sentì un rumore indefinito che lo fece fermare. All'inizio sembrava un ronzio, ma crescendo assomigliava più ad un ringhio. Un brivido gli attraversò la schiena mentre lentamente si voltava per capire da dove venisse.

L'oscurità pareva addensarsi in una figura dalle fattezze umane, fatta esclusione per le grandi ali ripiegate dietro di essa. Mentre i suoi contorni si facevano via via più definiti, si rese conto di aver già incontrato quell'essere.

Il rumore si fece quasi assordante. L'ombra continuava a crescere. Sapeva di dover scappare, trovare un rifugio, ma era immobilizzato dal terrore.

Il demone, ormai completamente formato, si stagliava alto sopra le macerie. Continuava a ringhiare, minaccioso, e sebbene avesse ancora gli occhi chiusi, sapeva che era lui il suo bersaglio.

Con passo tranquillo, un giovane si avvicinò e si fermò accanto a lui. Sebbene fosse ancora spaventato, si voltò per vedere chi fosse. Aveva i suoi stessi capelli biondo sporco, e lo stesso taglio degli occhi, ma quelli del nuovo arrivato erano di un azzurro intenso. Indossava delle vesti rinascimentali, ma a parte questo dettaglio, sembrava assomigliargli moltissimo. Ma il suo viso aveva un'espressione più matura, quasi austera.

“Sembra un bel problema” disse tranquillo rivolgendosi verso l'ombra in lontananza. Si chinò sulle ginocchia per portare i loro occhi sullo stesso livello. “Tutto questo è colpa mia. E mi dispiace che sia toccato a te porvi rimedio. Ma ora devi alzarti”
Gli tese la mano. Restò a fissarla, terrorizzato ed insicuro. Eppure per qualche motivo sentiva di potersi fidare. Quel ragazzo emanava un'aura di pace e serenità, quasi come fosse un vecchio amico.

Proprio mentre si era deciso ad accettare quell'aiuto insperato, il giovane lo afferrò per le spalle e lo tirò su. “Che diamine, un po' più di sicurezza!”. Rimase spiazzato da quei modi bruschi. Cercò di protestare, ma la figura fatta di oscurità di fronte a loro aveva aperto gli occhi e spalancato le ali, provocando uno spostamento d'aria. Lo sconosciuto gli girò intorno, e si mise dietro di lui, poggiandogli le mani sulle spalle.

“Ascoltami ora. Tu hai il potere di fermarlo. Lo so perché è il mio stesso potere. Credi in te. Credi nella tua discendenza!”

“Io... Io non so come fare... Non sono in grado di...”

L'ombra si levò alta nel cielo, pronta a colpire.

“Credi nelle tue capacità!”

Il cristallo che portava al collo cominciò a brillare. Un'abbagliante luce azzurra li avvolse completamente. L'oscurità si schiantò contro quel muro di luce, ma anziché colpirli si dissolse senza lasciare traccia.

“È... È finita?”

“Oh no, non è neanche cominciata. Ma ci sarà tempo. Dobbiamo separarci ora. Ma sono certo che saprai cavartela”

Si voltò, e cominciò ad incamminarsi, e man mano che si allontanava, la sua figura diventava sempre più indistinta, impalpabile.

“Aspetta! Dimmi... Dimmi almeno chi sei!”

Il ragazzo si fermò e lentamente si girò. Un ampio sorriso gli illuminava il viso.

“Possibile che tu non l'abbia ancora capito?! Eppure ci somigliamo parecchio!”
Scoppiò in una fragorosa risata. “Hai la stessa ingenuità di Beatrice...” aggiunse piano scuotendo la testa.

“Quindi tu sei...”

Tornò indietro, prese le sue mani e le strinse all'altezza del petto. “Mi chiamo Tiziano, e sono il tuo antenato. In te scorre il sangue del Cartomante di Corte della nobile famiglia degli Estensi, oltre a discendere da essa. Perciò non deludermi, va bene?”

Senza aspettare una risposta, si voltò e ricominciò ad andarsene, ad ogni passo più evanescente. Prima di scomparire del tutto, alzò una mano per salutarlo. “Sono sicuro che ce la farai!”


 


 

* * *


 

Quando si svegliò il sole era sorto da poco. La maggior parte della città dormiva ancora sonni profondi. Ma non Selene, che già vestita, lo fissava appoggiata alla porta della stanza.

“Buongiorno” disse con un sorriso timido. Alexander si guardò intorno, poi si passò una mano tra i capelli, notando quanto erano zuppi. “Io... Io devo aver fatto un incubo”

Selene si avvicinò e si mise seduta accanto a lui sospirando. Alzò una mano per scansargli una ciocca rimasta attaccata alla fronte.

“Credimi, vorrei tanto che fosse così... Mi piacerebbe dirti che quello che ti ho raccontato ieri potrebbe averti influenzato tanto da fare quell'incubo... Ma temo che non sia così”

Si alzò dal letto con espressione triste. “Vestiti ora. Abbiamo un appuntamento”

“Dove dobbiamo andare? Non dovevi andare avanti con le spiegazioni?”

“Ci penserà Micaela. Ha paura che io non ti racconti i fatti con la giusta imparzialità. Stiamo proprio andando da lei. Ora sbrigati: la Giustizia è piuttosto intransigente sugli orari”


 

* * *


 

Si incamminarono insieme in silenzio. Aveva moltissime domande, ma non sapeva se era il momento adatto per porle. Selene camminava poco avanti a lui, con passo spedito. Si fermò all'improvviso e per poco non si scontrò con lei.

“Capisco che possa essere difficile” disse senza voltarsi, “Ma sono sempre io. Mi conosci da molto tempo. Non lasciare che le tue perplessità ti facciano cambiare idea su di me”
Si girò con un ampio sorriso ed un'espressione dolce. “Ti prometto che dopo questa giornata tutto avrà un senso. Ma per ora non pensarci ok? Godiamoci la passeggiata insieme!”

Gli prese la mano e intrecciò le dita con le sue. Sebbene riluttante, non poté fare a meno che seguirla, anche se non sapeva ancora come comportarsi con lei.

Selene camminava tranquilla, chiacchierando del più e del meno. Alexander non le dava molta attenzione, rispondendo solamente ogni tanto con qualche monosillabo. Troppi pensieri gli turbinavano in testa, e davvero non riusciva a lasciar perdere tutto per passare del tempo con quella che si, era a tutti gli effetti la sua fidanzata, ma se ciò che gli aveva raccontato era vero, in realtà era un'entità centenaria che il suo avo aveva costretto sulla Terra secoli prima.

Si accorse che Selene si era fermata. Alzò lo sguardo e si ritrovò di fronte ad una imponente cancellata dietro cui si estendeva una villa ancora più imponente.

“Micaela abita qui?!” le chiese senza nascondere lo stupore. La ragazza estrasse il pezzo strappato di un foglio dalla borsa. “L'indirizzo è giusto... Non mi abituerò mai alle sue manie di grandezza...” rispose scuotendo la testa.

Suonarono al grande citofono placcato d'oro e rimasero in attesa.

“Chi è?” chiese Micaela con tono scocciato. Selene alzò gli occhi al cielo. “Ci hai dato appuntamento tu, ricordi?”

Micaela non rispose, ma l'ampio cancella si aprì lentamente. Si scambiarono un'occhiata d'intesa prima di varcarlo.

Attraversarono in silenzio l'enorme giardino, ammirando le piante e i fiori che lo ornavano. C'erano molte siepi di rose di vari colori, e il profumo si espandeva nell'aria.

Sotto l'elegante porticato che decorava il resto dell'edificio li aspettava Micaela. Portava una canottiera nero, dei leggins neri con dei piccoli fiori bianchi e degli stivaletti di pelle. Accanto a lei, sdraiato al sole, c'era un cane nero di piccola taglia. Sentendoli arrivare, il cane alzò il muso e cominciò a ringhiare. Alexander vide che si trattava di un bassotto.

Micaela alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo. “Cuccia, Nana, non c'è bisogno di sbranarli”

Scavallò le gambe e si alzò in piedi per andargli incontro. Il cane si alzò con lei, si stiracchiò e poi la seguì al suo fianco.

“Era ora. Avrei anche potuto finire il libro mentre vi aspettavo”.
Alexander controllò il suo orologio da polso. Le 11:05.

Micaela indicò un grande tavolo di legno sotto il porticato. “Sedetevi. Abbiamo un lungo discorso da affrontare. Allora, quanto gli hai raccontato?”

Selene si mise seduta accanto a lui, sistemandosi il vestito. “Quasi tutto. Speravo tu potessi raccontargli della Profezia”

“Ah, il mio momento preferito”.
Prese posto a capotavola, il bassotto seduto accanto a lei che scrutava attentamente Alexander.

“Come forse avrai intuito, tutti i discendenti del tuo avo sono stati cartomanti più o meno discreti. Ovviamente nessuno aveva lo stesso potere, altrimenti non staremmo qui a parlare. Tuttavia le loro predizioni erano abbastanza affidabili, tanto da comporre una profezia che è stata tramandata di generazione in generazione”

Chiuse gli occhi ed assunse un'espressione seria.

“Mentre le forze della natura si abbattono sul Mondo,

Mari di lacrime e tristezza, nessuno riconosce il mio valore.

Nessuna ragione d'esistere, il vuoto più profondo,

Solo una scena di pazzia, tutti quei segni che ero troppo cieco per vedere.

Su spazi desolati, è giunta la fine del tempo.

Volti umani coperti, non riesco a dormire.

Come una forza della natura, il dolore mi riempie dentro.

Una scena di perdizione, non c'è risposta su cosa possa significare”.

Riaprì gli occhi. Alexander la guardava sconcertato. Per qualche motivo quella poesia gli ricordava la scena del suo sogno.

“Stai tranquillo, adesso arriva la parte bella”.
Si schiarì la voce e ricominciò.

“La mia casa è ovunque, mentre si distende l'oscurità.

L'aria è satura, il cielo dorato sta danzando.

Ma tu sei andata via, e mi hai lasciato qua.

Ci rivedremo in paradiso, i giorni sto contando.

Alla fine del tempo, alla fine di noi,

Alla fine di tutto ciò che abbiamo,

Solo la fede può aiutarti, solo la grazia può farlo,

Solo tu puoi sopportare il dolore.

Perché la fine della pace è la fine della vita,

E la fine di ogni felicità.

Solo l'amore può aiutarti, solo la fiducia può farlo,

Solo tu puoi sopportare il mio dolore”.

Rimasero in silenzio per un po'. “E questa dovrebbe essere la parte allegra?!”

“E tu dovresti essere un Cartomante?”

Alexander si girò. Non era stata Micaela a parlare. Ma quandò incrociò lo sguardo di Selene la vide sorpresa quanto lui.

“ È proprio tonto...”

Abbassò gli occhi. Il bassotto lo stava guardando con aria di sfida. “Beh, cos'hai da guardare?”

Alexander scattò in piedi incredulo. Miacela cominciò a ridere fino alle lacrime. “Ti spaventi per un semplice cane parlante?”

“No, ne vedo a bizzeffe tutti i giorni! Secondo te è normale?!”

La ragazza prese il cane in braccio e gli diede una grattatina dietro le orecchie. “Lei è Signum. È il mio famiglio. Ma potete chiamarla Nana”

“Non credo proprio. Per loro sono Signum e basta”

“Il tuo famiglio è un bassotto?”

“Ti creo qualche problema?”

Non aveva dubbi ora, era decisamente il suo famiglio. Micaela la accarezzò per tranquillizzarla. “I bassotti sono fieri, testardi e se ne fregano se gli altri sono più alti di loro. Sono perfetti” disse con un sorriso.

Per forza, sono come lei – pensò Alexander senza avere il coraggio di dirlo ad alta voce.

“Magari dovremmo tornare alla Profezia...” si intromise Selene timidamente.

“Si, certo. Dunque, cosa possiamo capire dalla Profezia? Innanzitutto prevede la fine del mondo, ad occhio e croce”

“Dovresti prenderla un po' più seriamente di così, non credi?”
Selene attaccò la ragazza che però rimase impassibile.

“L'ho presa anche più seriamente di te. Perché sono io quella che ha studiato la Profezia mentre tu facevi la balia al bel faccino!”

Era stufo di sentirsi chiamare in quel modo, ma non osò intromettersi tra le due ragazze che avevano ricominciato a discutere.

“Cosa avresti scoperto, sentiamo!”

“Ho scoperto che presto sarà la fine per tutti noi! Se non agiamo in fretta saremo spacciati!”

Selene ammutolì. Forse non si aspettava che la situazione fosse così tragica.

“Cosa... Cosa te lo fa pensare?”

Micaela tirò fuori una pergamena arrotolata e la svolse di fronte a sé.

“Ho letto e riletto la profezia per anni. Intere notti spese per interpretare i segni, per comprenderne il contenuto. E persino questo era scritto!”

Indicò una riga a metà del documento. “Tutti quei segni che ero troppo cieco per vedere” recitò a voce alta. “A quel punto ho capito. Non riuscivo a connettere i pezzi perché il momento non era ancora giunto. E poi c'è stato l'incendio”.

Si fermò, accarezzando il bassotto che aveva ancora in braccio. Fu Selene ad arrivarci per prima.

“Ma tu sei andata via, e mi hai lasciato qua...” ripeté con voce flebile.

“Esatto. Il Prescelto non doveva solo essere discendente degli Estensi e del Cartomante. Doveva anche essere orfano di madre”.

Il mondo si rivestì di una patina trasparente mentre nei suoi occhi cominciavano ad accumularsi le lacrime. Una piccola, singola goccia scivolò lungo la guancia destra.

Aveva sempre pensato che i suoi genitori fossero morti in un tragico incidente. Il fatto che si fosse trattato di una fatalità, seppure in minima parte, era stato in qualche modo di consolazione quando crescendo era riuscito ad accettare la cosa. Ed ora quello stupido foglio di carta stava dicendo che era tutto parte di un piano?

“Stronzate...”

Entrambe le ragazze si voltarono a guardarlo.

“Stronzate!”

Si alzò di scatto sbattendo i pugni sul tavolo e si allontanò. Selene e Micaela si scambiarono sguardi perplessi. Micaela fece per alzarsi, ma Selene la fermò.

“Dagli un attimo. Sono sicura che tornerà tra poco”

La ragazza mora si rimise a sedere. Il piccolo cane però decise di scendere e seguirlo.

Lo trovò seduto poco lontano, le ginocchia raccolte contro il petto, le testa china mentre il corpo era scosso da fremiti e singhiozzi. Si avvicinò e si mise in piedi sulle zampe posteriori, poggiando quelle anteriori sulle sue gambe. Alexander sollevò il capo. Rimase interdetto nel vedere il cagnolino che lo fissava.

“Cosa vuoi?!”

“Innanzitutto ti calmi. Seconda cosa voglio parlare con te”.
Con un balzo l'animale gli saltò in grembo pur non invitato. Si mise seduto su di lui e riprese a parlare. “I tuoi genitori non sono morti a causa tua. Non sono morti perché tu sei speciale, ma tu sei speciale per ciò che è successo loro. La differenza è sottile, ma sostanziale. Sei un cartomante, dovresti sapere che il destino di ognuno di noi è già scritto”

Sapeva che aveva ragione. Eppure non poteva fare a meno di sentirsi responsabile. Doveva credere che i suoi genitori fossero morti perché lui potesse salvare il mondo? E i suoi genitori non meritavano forse di essere salvati?

Ripensò a quel giorno, alla scena che l'aveva tormentato per così tanti anni. Ripensò al volto di sua madre, così sereno nonostante le fiamme che la circondavano... Che sua madre sapesse? Se lei aveva accettato il suo destino, per quanto doloroso, chi era lui per rinnegare il suo?

Il bassotto spalancò le fauci interrompendo i suoi pensieri. Per un attimo ebbe paura che l'avrebbe morso. Ma invece l'animale tirò fuori la lunghissima lingua fin quasi a toccargli il naso e fece un grosso sbadiglio. Non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

“Forza, scendi, torniamo dalle ragazze” disse mentre asciugava le lacrime con il dorso della mano.


 


 

Pensò di trovarle impegnate nell'ennesima discussione. Invece stavano chiacchierando amabilmente l'una con l'altra. Si fermarono entrambe quando lo videro tornare, e nessuna delle due gli chiese nulla.

“Io...”
Non sapeva se sarebbe riuscito ad esprimere a parole ciò che provava. Muoveva lo sguardo da Micaela, che lo fissava con la solita espressione saccente, a Selene, che sembrava decisamente in ansia, alla pergamena ancora srotolata sul tavolo. Signum, che era salita su una sedia dall'altro lato del tavolo, gli fece un cenno d'assenso.

“Non ho compreso ancora pienamente quale sia il mio ruolo in tutto questo. Ma sembra che sia importante. Perciò, anche se ci sono ancora molte cose che mi sfuggono... Resterò qui, e vi ascolterò fino alla fine, e accetterò il mio destino”

Un largo sorriso si formò sul volto di Micaela. “Bene, Cartomante. È giunta l'ora di fare sul serio”

Voltò la pergamena. Alexander vide che anche l'altro lato era scritto.

“Quando l'oscurità scende,

il dolore ci riempe.

L'angelo dell'oscurità arriverà

e io combatterò.

L'amore è perduto,

bellezza e luce

sono sparite

dal Giardino delle Delizie.

È svanito ogni sogno,

l'orologio ha battuto il segno,

l'oscurità è il nostro nuovo regno.

Ormai comprendo,

le stelle stanno morendo,

l'oscurità in Paradiso sta scendendo.

Ma saremo forti

e insieme combatteremo

le creature della notte sconfiggeremo”

Arrotolò di nuovo la pergamena.

“Questo significa che c'è una speranza?” le chiese Selene col suo solito fare ottimista.

“Si e no. La Profezia teoricamente dovrebbe continuare, ma sarebbe toccato ai tuoi genitori andare avanti. Però purtroppo...”

“Non hanno potuto” concluse Alexander ponendo fine a quella pausa imbarazzante.

“Tuttavia, ritengo che siamo in possesso di abbastanza informazioni per poterci capire qualcosa”

Fece una pausa drammatica.

“Sappiamo che tutti gli Arcani sono stati sigillati dal tuo antenato. Questi sigilli si stanno indebolendo tanto che alcuni, come noi ma presumibilmente anche altri, sono riusciti a liberarsi. Nonostante questo, non sono ancora liberi di lasciare questo mondo. E penso sia proprio questo il problema”

“Cosa intendi con questo, Micaela? Io non sono intenzionata ad andarmene. Ho più di un motivo per... Per restare”, concluse Selene arrossendo mentre guardava Alexander.

“Lo sai che teoricamente sarebbe proibito. E comunque probabilmente saresti l'unica. Gli altri non vedono l'ora di potersene andare. Ma soprattutto, credo ci sia qualcuno che voglia vendicarsi”

Si girò verso Alexander, aspettandosi una qualche reazione. Il ragazzo non capiva cosa volesse dire.

“Vendicarsi con te”

“Con me?! E cosa c'entro io?”

“Sei il diretto discendente dell'uomo che li ha segregati per centinaia di anni. Anch'io sono infuriata. Ma prendersela con te non sarebbe... Beh, non sarebbe giusto”

Alexander ripensò al sogno della notte precedente. Se quello che aveva incontrato era veramente il suo antenato, non sembrava affatto una persona cattiva. Eppure, in un certo senso, poteva comprendere i sentimenti di Micaela. Essere trattenuti in un mondo che non ti appartiene per centinaia di anni non doveva essere un'esperienza piacevole.

Selene interruppe i suoi pensieri. “Ritieni che la Profezia parli di questo? E perché dovrebbe portare alla fine del mondo?”

“Perché, biondina, se gli Arcani dovessero allearsi niente gli impedirebbe di vendicarsi contro l'intera umanità”

La ragazza spalancò gli occhi turbata. “Pensi davvero che sarebbero in grado di fare una cosa del genere?”

“Probabilmente non tutti. Ma temo che alcuni potrebbero. Inoltre...”

Posò lo sguardo sulla pergamena di fronte a lei.

“Questa parte... L'Angelo dell'Oscurità... Non preannuncia nulla di buono. Per questo dobbiamo muoverci in fretta”

“Esattamente... Muoverci nel fare cosa?” le chiese Alexander senza staccare gli occhi dal foglio sul tavolo.

“Dobbiamo trovare gli altri Arcani. Dovrai liberarli dalla loro prigionia e sperare che siano grati per questo gesto. Altrimenti...”

“Altrimenti cosa?”

Entrambe le ragazze rimasero in silenzio. Fu Selene a rompere quel momento di calma.

“Vedi, se gli Arcani si dimostrassero... Poco collaborativi... Se non riuscissimo a convincerli a non cercare vendetta... Temo che dovremmo sigillarli di nuovo”

“Cosi che possano odiare la mia famiglia ancora di più?!”

“È la nostra unica soluzione...”

“Non se ne parla! Non lo farò!”

Micaela sbatté le mani sul tavolo alzandosi in piedi. “Non credere che noi ne saremmo felici! Ma se sarà necessario lo farai eccome!”

“Calmatevi ora!”

Selene cercò di stroncare la discussione sul nascere. “Sarà la nostra ultima spiaggia. Ma forse non sarai costretto a farlo. Tuttavia, dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza. Inoltre, per prima cosa dobbiamo trovarli”

“Per quello non devi preoccuparti. Io so dove dobbiamo andare” disse Micaela con un sorriso soddisfatto.

“Preparate i bagagli! Vi porto tutti in gita a Villa D'Este!”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3192403