Atlantic High School

di Carol2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New school ***
Capitolo 2: *** Friendships and relationships ***
Capitolo 3: *** Blue ***
Capitolo 4: *** Nuove conoscenze? ***
Capitolo 5: *** Arnaude ***
Capitolo 6: *** All monsters are human ***
Capitolo 7: *** Il richiamo della foresta ***
Capitolo 8: *** A new teacher ***
Capitolo 9: *** Atlantide ***
Capitolo 10: *** Un piano perfetto ***



Capitolo 1
*** New school ***


Da qualche tempo mi sentivo strana, come se un'insolita forza si fosse impadronita dei miei arti e li avesse fatti suoi.
Ogni mattina mi svegliavo e contemplavo l'oceano spumeggiante, mi veniva così spontaneo che non ci facevo più caso.
Da qualche settimana avevo compiuto sedici anni, l'età che i miei genitori avevano stabilito per mandarmi via di casa.
Quando tentai di comprenderne le ragioni, loro mi risposero solamente che avevo bisogno di una scuola migliore e che mi preparasse per il mondo del lavoro.
Il college era a un'ora da casa nostra, così loro sarebbero venuti ogni tanto a trovarmi.
Proprio in quel momento mi trovavo in macchina con loro, intenti a discutere per chissà quali futili motivi.
Io non li stavo nemmeno ascoltando, la musica che fuoriusciva dalle mie cuffie era molto più interessante delle loro ciarle.
Mia madre si voltò verso di me e mi rivolse un sorriso tirato, poi mi appoggiò una mano sul ginocchio e parlò.
"Vedrai, sono sicura che la Atlantic High School ti piacerà moltissimo".
Quella donna aveva molto in comune con me: i capelli corvini, gli occhi scuri e dalla forma affusolata.
Era di origini orientali, giapponesi per essere precisi e ci teneva sempre a puntualizzare che cinesi e giapponesi non fossero la medesima cosa.
Mio padre, invece, proveniva dall'Italia e aveva una folta chioma bionda, in contrasto con i suoi occhi castani.
Io e lui non parlavamo molto, giusto il "buongiorno" e la "buonanotte".
Dopo una quindicina di minuti giungemmo a destinazione: un edificio completamente candido si stagliava in mezzo ad un giardino immenso, ricolmo di pioppi e cespugli di rose rosse.
Le finestre erano così numerose da occupare la gran parte della struttura, poi il tutto era completato da un portone di legno alto e stretto.
Il tetto era nero come la pece, sul quale erano appollaiati corvi e insoliti gabbiani.
Nel complesso aveva un che di inquietante, ma tutto sommato era meglio della mia vecchia e fatiscente scuola.
Quando scesi dall'auto, notai che mia madre aveva le lacrime agli occhi.
Mi strinse in un abbraccio così forte da farmi mancare il respiro, mio papà si limitò ad una stretta veloce e molto sbrigativa.
"A presto Heather! Mi raccomando, non seminare zizzania come tuo solito".
Aggiunse la donna.
"Sì mamma, farò la brava".
Mi voltai e mi diressi verso il cancello, mentre udii il rombo del motore che si faceva sempre più lontano.
«ci siamo».
Pensai, mentre attraversavo il varco dorato, che poi si richiuse con un gesto molto meccanico.
Senza farmi troppe domande, giunsi fino alla segreteria dove domandai dove si trovasse la mia aula.
"Classe seconda F".
Una donna sulla cinquantina, con i capelli raccolti in una crocchia e vispi occhi cerulei mi rivolse un sorriso e prese l'elenco delle classi.
"Al quinto piano, l'ultima aula sulla destra".
Imprecai mentalmente contro tutte quelle rampe fastidiose, il fatto che non ci fosse un ascensore mi irritava ancora di più.
Arrivai stremata a destinazione e mi appoggiai per qualche secondo al muro per riprendere fiato, poi proseguii con la perlustrazione.
Quando mi ritrovai davanti a quella porta bianca e azzurrina, il mio cuore perse un battito e appoggiai lentamente una mano sul pomello.
Aprii l'uscio con calma, finché una voce non spezzò quel silenzio quasi assordante.
"Entra mia cara, non ti succede nulla!"
Esclamò un'anziana signora con i capelli rossicci e il viso solcato da una ragnatela di rughe, costei era così minuta di statura da dover tenere un cuscino sopra la sedia.
"Presentati piccina, non essere timida".
La sua voce mi ricordava quella che di solito appartiene alle fate dei film.
"Mi chiamo Heather, Heather Wilson".
La donna mi sorrise e indicò un banco in ultima fila, affiancato ad un altro vuoto.
"Quello sarà il tuo posto per la prima metà dell'anno, il tuo vicino di banco oggi è in ritardo...come sempre".
Mentre camminavo mi sentivo gli sguardi di tutti i compagni addosso, come se stessero tentando di esaminarmi.
Davanti a me erano sedute due ragazze: una dalle forme prominenti e dai lucenti capelli dorati, l'altra dalla pelle ambrata e una chioma castana.
Qualcosa in tutto quel trambusto non mi convinceva, come se ci fosse qualcosa fuori posto.
La professoressa prima di spiegare la lezione del giorno, mi annunciò di chiamarsi Ingrid Leonard e di insegnare letteratura, storia e geografia.
Mentre la signora si accingeva a spiegare, la porta si spalancò e udii qualche risatina di sottofondo.
"Bene signorino Nelson, vedo che finalmente si è degnato di venire".
Il giovane le rivolse un sorriso sghembo e si avviò verso il suo posto, guardandomi con un'aria confusa.
"Questa panterona chi è?non ricordo di averla mai vista".
Tutti scoppiarono a ridere, mentre uno strano rossore si impadroniva delle mie gote.
"È la tua nuova compagna e si chiama Heather, ti raccomando di trattarla bene".
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e fece finta di aprire il libro, per poi scrivere qualcosa sul tavolo.
"Piacere di conoscerti, Heather".
Il suo tono irrisorio mi irritava alquanto.
"Senti, vedi di abbassare le ali e di cominciare a portarmi un po' rispetto, razza di buzzurro!"
"Sono anche felice di conoscerti, che vuoi di più?se ti interessa saperlo mi chiamo Duncan".
Abbozzai un sorriso e tornai a seguire la lezione, sarebbe stata una giornata molto lunga.

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Capitolo 2
*** Friendships and relationships ***


Le prime tre ore di letteratura e matematica erano passate abbastanza velocemente, così era già giunta l'ora di pranzo.
Il mio vassoio era ricolmo di frutta, acqua minerale e porridge, non era il massimo ma comunque meglio del cibo della vecchia scuola.
Tutti gli studenti stavano disposti fra i vari tavoli, ridendo e scherzando per chissà quali ragioni.
Passai in rassegna tutta la sala, ma non trovai nemmeno un posto libero.
Poi udii un fischio alle mie spalle e non impiegai molto a comprendere di chi si trattasse.
"Panterona, vieni a sederti con noi!"
Sospirai e mi voltai di scatto, d'altronde era l'unica soluzione.
Mi accomodai accanto a quell'assurdo metallaro dalla cresta verdastra e con il viso pieno di piercing.
Di fronte a lui c'erano quattro ragazzi della nostra classe, uno piuttosto massiccio e scuro di pelle, uno biondo e palestrato, un terzo mingherlino e con grandi occhi azzurri e infine un giovane dai capelli corvini e gli occhi verde muschio.
"Presentatevi ragazzi! Anzi, lo farò io per loro. Questi sono Dj, Geoff, Cody e Trent".
Abbozzai un sorriso e loro mi salutarono con un cenno della mano.
"Bene, piacere di conoscervi".
Annunciai con poca convinzione.
"Dobbiamo spiegarti un po' di cose su questa scuola. Devi sapere che noi siamo fra i più popolari, quindi ritieniti fortunata...ah e il secchione qui è rappresentante d'istituto insieme a Courtney".
Ammise indicando quello che dedussi fosse Trent.
"Courtney?"
"Sì, quella seduta davanti a te in classe".
Annuii e bevvi un sorso d'acqua, poi indicò un gruppo di fanciulle al fondo della sala intente a scherzare.
"Quelle sono le ragazze più carine dell'Atlantic High School ".
Il gruppetto era composto da Courtney, la bionda che avevo già visto in aula, un' assurda ragazza dai capelli verdi, un' altra bionda e una dalla pelle abbronzata e i capelli neri raccolti in due codini.
Insieme a loro erano seduti due ragazzi, uno castano con una tuta da ginnastica e poi ne vidi uno che mi colpì come un dardo.
Aveva lunghi e lucenti capelli castani, la pelle ambrata e un corpo così scolpito da ricordare un divinità greca.
"Ti piace quel damerino?"
Mi domandò Duncan mentre lo guardava in cagnesco.
"Lo stavo semplicemente guardando, non posso?"
"Non è mica un reato avere una cotta per qualcuno, Alejandro è quello che rimorchia tutte le più belle della scuola".
Notai una certa amarezza nelle sue parole, mentre i suoi compagni ridacchiavano.
"Quel tipo ci prova con la ragazza dei suoi sogni".
Ammise Cody.
"Taci, vi ho già detto che non mi interessa Courtney!"
"Fratello, vai a raccontarlo a qualcun altro!"
Esclamò Geoff fra le risate.
Notai che un leggero rossore era comparso sulle guance del ragazzo, facendolo sentire impotente.
Alejandro mi dava l'impressione di averlo già visto in passato, ma non riuscivo a comprendere dove.
Ad un certo punto il suo sguardo incontrò il mio: due bellissimi occhi verdi mi contemplavano da lontano.
Mi voltai di scatto e abbassai la testa, qualcosa di misterioso mi faceva sentire fragile.
Quando finimmo di pranzare, buttammo le varie cartacce e lasciammo i vassoi appoggiati sui tavoli, in seguito le bidelle avrebbero provveduto a ripulire il tutto.
Mentre attraversavamo i corridoi, notai che sulle pareti erano appesi quadri insoliti: un mare in tempesta, una spiaggia, delle sirene che giocavano sugli scogli e un tritone molto affascinante che osservava il vuoto.
Per un attimo, credetti persino di averli già incontrati da qualche altra parte.
«torna nella vita reale Heather».
Pensai.

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Capitolo 3
*** Blue ***


Era solo il mio secondo giorno all' Atlantic High School, ma sentivo già nel mio cuore di amare quella scuola.
I professori erano severi, ma giusti e spiegavano con tale enfasi da farmi appassionare anche agli argomenti più tediosi.
In quel preciso istante stavo assistendo alla lezione di geografia: l'importanza dell'acqua e gli oceani.
Mi vennero in mente le descrizioni dei libri che mi leggeva mia madre.
«gli oceani sono masse sconfinate d'acqua, così grandi che spesso i marinai riuscivano a perdere la rotta.
I fondali sono così profondi, che per toccare la sabbia bisogna nuotare per molto tempo.
Ospitano le specie animali più belle, aggressive e misteriose, alcune probabilmente non sono nemmeno note.
La maggior parte di essi è ancora inesplorata, troppo lontana e rischiosa per essere perlustrata dagli essere umani, o forse troppo piena di segreti che non dovrebbero essere rivelati».
Io rimanevo incantata da quei racconti, così pieni di pathos e terribilmente affascinanti.
Tuttavia non ero mai stata al mare, non avevo mai bagnato le mie gambe snelle nell'acqua fredda come le altre ragazze, mi ero sempre limitata ad osservarle e la curiosità mi uccideva.
I miei genitori di spiaggia e sole non volevano saperne, sostenevano che la montagna fosse molto più tranquilla e rilassante.
Io annuivo, ma nel profondo del mio cuore non desideravo altro che una bella nuotata fra quelle limpide e tempestose acque dell'oceano Atlantico.
La professoressa Leonard ci mostrò una foto così bella da mozzare il fiato: l'oceano Pacifico e l'Atlantico si incontravano, ma senza mischiare le loro acque, da un lato si poteva osservare una massa scura, dall'altra una chiara.
"Bene, la lezione è terminata".
Concluse la donna, che prese i suoi libri e si diresse verso un'altra aula.
Mentre ero intenta a scarabocchiare sul banco, percepii una strana presenza davanti a me.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti quel giovane che aveva attirato la mia attenzione in mensa.
"Ciao".
Mi disse semplicemente, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso radioso.
"Ciao".
Risposi.
"Piacere di conoscerti Heather, io mi chiamo Alejandro. Come ti trovi nella nuova scuola?"
"Bene, grazie".
"Sei una di poche parole a quanto vedo. Questo edificio è un po' particolare, ma è davvero molto formativo e in futuro ti tornerà utile".
Annuii e riabbassai gli occhi sul mio disegno, mentre quel ragazzo rimaneva di fronte a me e non si decideva a spostarsi.
"Sei sempre così insistente?"
Gli domandai.
"Solo con chi mi interessa".
Inarcai un sopracciglio.
"Come fai a dire che ti interesso?sai a malapena il mio nome".
"Io ho un sesto senso molto acuto e sento che in te c'è qualcosa di speciale. Ti va di fare un giro turistico della scuola?"
Sospirai e annuii, mi alzai in piedi e ci dirigemmo verso il corridoio.
Mentre camminavamo, tutte le ragazze lanciavano sguardi seduttori ad Alejandro e occhiate di fuoco verso di me.
"Qui si arriva fino alla quinta classe, a differenza di molti licei che si fermano alla quarta.
Tutti vengono spronati a coltivare un talento particolare come il canto, la scrittura e chi ne ha più ne metta".
Io sapevo ballare, praticavo danza classica da quando avevo sei anni ed ero la più brava del mio corso.
"Tu sei una ballerina, vero?lo deduco dalle tue braccia così asciutte e toniche".
Feci cenno di sì con il capo e osservai i muri: erano dipinti di blu nella parte superiore e di celeste in quella inferiore.
"Come mai qui siete tutti così ossessionati dal blu e dal bianco?"
Domandai, ma non ottenni alcuna risposta.
Dopo una decina di minuti passati ad esplorare, mentre egli mi raccontava ogni aneddoto particolare sull'edificio, giungemmo alla fine del sesto ed ultimo piano, dove un quadro particolarmente grande attirò la mia attenzione.
Sulla tela era illustrata una scena che mi sembrava di aver già visto: una regina dai lunghi capelli neri e dagli occhi grigi come il fumo, affiancata da un re biondastro e con due grandi iridi scure.
Entrambi erano di una bellezza algida, di quelle che intimoriscono anche il più spavaldo degli esseri umani.
Al posto degli arti inferiori c'erano due lunghe code, dedussi quindi che fossero un tritone ed una sirena.
Contemplai quel dipinto per quasi un minuto, finché non scossi il capo e ritornai alla realtà.
"Formidabile, no?l'autore è tutt'ora anonimo, purtroppo".
"Non ti sembra che abbiano qualcosa di familiare?a me sì, come se li avessi già incontrati in precedenza".
Egli sorrise ma non rispose, poi mi prese sottobraccio e mi riportò in classe poiché la campanella era suonata da poco.
Quando giungemmo all'aula, il professor Grant non era ancora arrivato e tutti gli studenti lo attendevano in silenzio religioso.
Non avevo mai incontrato degli individui così civili e rispettosi in tutta la mia vita, a parte Duncan, che si divertiva a provocare gli insegnati.
 

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Capitolo 4
*** Nuove conoscenze? ***


Una settimana era volata, insieme a Duncan e alla sua insolita gang di amici.
Mi sentivo molto in sintonia con Cody e Dj, entrambi molto dolci e premurosi, sopratutto il secondo.
Geoff era un tipo tutto feste e alcolici, il classico ragazzo biondo, bello e un po' sciocco, ma benvoluto da tutti, in particolare da una certa Bridgette.
Trent era molto sulle sue, amante della letteratura e della sua chitarra, nel tempo libero scriveva canzoni d'amore e i ragazzi sostenevano fossero dedicate a Gwen.
Ben presto conobbi anche Tyler: all' apparenza abile negli sport, ma in realtà molto maldestro e impacciato.
Quest'ultimo aveva una storia con Lindsay, la ragazza bionda, formosa e un po' stupida seduta davanti a Duncan.
Poi mi presentarono anche Katie, quella con i codini e sempre vestita di rosa, per la quale DJ si era preso una bella cotta.
Mi sentivo un po' fuori posto all'interno del gruppo: tutti si conoscevano da una vita, mentre io ero la nuova arrivata e sapevo a malapena i loro nomi.
In quel preciso istante eravamo seduti in giardino in cerchio, stavamo chiacchierando riguardo il più e il meno, come di solito fanno tutti i normali adolescenti.
"Non vedo l'ora che arrivi la settimana di vacanza, così potrò andare a fare shopping!"
Esclamò Lindsay mentre ammirava le unghie laccate di viola.
"La settimana di vacanza?"
Domandai spaesata.
"È una tradizione della scuola, all'inizio di ottobre abbiamo sei giorni di pausa per uscire dall'edificio e fare quello che vogliamo".
Mi spiegò Trent.
Alejandro non era con noi e mi chiesi il perché, ma non trovai nessuna risposta.
"Scusate, ma Alejandro?"
Tutti si zittirono.
"È a parlare con la professoressa Leonard".
Annunciò Courtney con poca convinzione.
Qualcosa nei loro modi di fare non mi convinceva tuttavia, sembrava che mi nascondessero qualcosa...non mi riferivo solo a quella situazione.
L'intervallo pomeridiano durava circa un'ora, così avevamo ancora mezz'ora da impiegare a nostro piacimento.
"Allora, ci parli un po' di te?"
Mi chiese Bridgette.
"Non c'è molto da dire, studio danza classica, ho vissuto a Charlottetown fino a pochi giorni fa e...basta".
"Non ci credo! Sei una bella ragazza, avrai di sicuro avuto qualche storia".
Continuò lei.
"Ho avuto solo un ragazzo di nome Steven, ma stiamo parlando di due anni fa e la relazione è durata poco più di quattro mesi".
Il sole si celava fra le nuvole e i suoi deboli raggi filtravano appena, l'aria era abbastanza umida e non particolarmente calda.
Notai una ragazza dai lunghi capelli tinti di viola e la pelle ambrata aggirarsi per il cortile, come se stesse cercando qualcuno.
"Voi conoscete quella laggiù?"
Chiesi indicandola, quella domanda mi sorse così spontanea che non me ne resi nemmeno conto.
Tutti si voltarono nella sua direzione e impallidirono quando la videro, le loro reazioni mi sorpresero.
"È arrivata anche lei..."
Mormorò Gwen.
"È naturale, sapevamo che prima o poi sarebbe venuta".
Rispose Dj.
Inarcai un sopracciglio.
"Mi dite di che cosa state parlando?la conoscete?"
I loro sguardi divennero improvvisamente allarmati, come se avessero rivelato qualcosa di troppo.
"Ehm no, l'abbiamo confusa con un'altra ragazza...vero?"
Ribatté Katie, mentre tutti gli altri annuirono.
Io però non me la bevvi, forse non sapevo come girassero le cose lì dentro, ma non ero certamente nata ieri.
La giovane incontrò il mio sguardo e mi sorrise, poi si diresse verso di noi.
Effettivamente qualcosa in lei appariva familiare, forse il modo di camminare o di acconciarsi i capelli.
"Ciao, io sono nuova e mi chiamo Sierra".
Tutti si presentarono come se nulla fosse, poi infine toccò a me stringerle la mano e una strana scossa mi attraversò le vene.
"Piacere, Heather".
La giovane era più alta di me di una spanna e aveva una corporatura non particolarmente magra.
"Piacere mio".
Rispose.
Le facemmo spazio nel cerchio e si accomodò accanto a Cody, che paragonato a lei sembrava un lattante.
Venti minuti passarono in fretta, la nuova arrivata era così spontanea e diretta che fece amicizia con tutti...praticamente era l'opposto di me.
La campanella suonò e tutti tornammo in classe, Sierra si trovava nell'aula accanto alla nostra.

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Capitolo 5
*** Arnaude ***


In quel preciso istante era appena iniziata la lezione di letteratura, si trattava di un argomento insolito e che non avevo mai studiato in vita mia.
Era un racconto mitologico composto da un autore sconosciuto, che recitava le seguenti parole:
«Moltissimo tempo fa, in un piccolo paese della Bretagna, la giovane Arnaude conduceva un'esistenza felice in compagnia dei suoi genitori.
In una notte di tempesta, una nave che passava di lì fu travolta dalle onde del mare e andò a conficcarsi sulle rocce della costa proprio nel punto in cui sorgeva l'abitazione della fanciulla. I suoi genitori videro con preoccupazione arrivare nella loro casa uomini di cui non conoscevano neanche la lingua, ma si tranquillizzarono non appena arrivò il capo dei naufraghi, il sultano d'Atlantide, che chiese loro ospitalità.
Il giorno dopo la notizia si diffuse nel villaggio e tutti accorsero in aiuto del sultano e del suo equipaggio. Sulla spiaggia e nella brughiera regnò per diversi giorni una grande agitazione. Si sentivano ovunque i colpi dei martelli e delle asce, l'eco dei passi degli uomini impegnati a riparare la nave danneggiata.
Arnaude offriva ai lavoratori latte fresco, sidro, miele e frutta, che ella stessa raccoglieva dagli alberi. Con mano esperta applicava sulle ferite dei naufraghi unguenti balsamici che ne favorivano la guarigione.
Il sultano, affascinato dalla sua dolcezza e dalla bellezza dei suoi profondi occhi azzurri, trascorreva molte ore in compagnia di Arnaude. La giovane lo accompagnava nei luoghi più belli della sua terra. Insieme visitavano i punti più nascosti della foresta, si dissetavano alle più fresche sorgenti. Arnaude insegnò al sultano il linguaggio degli uccelli che popolano ancora oggi le coste della Bretagna, gli raccontò le leggende di quei luoghi.
Il sovrano si innamorò perdutamente di lei e volle sposarla. Nella radura dei dolmen un vecchio druido benedisse la loro unione, accompagnata da una grande festa che durò sette lunghi giorni. Durante il ricevimento, la felicità dei giovani fu però offuscata quando il mago del villaggio lesse nelle stelle dei cattivi auspici. Ma Arnaude e il suo sposo erano troppo innamorati e dimenticarono ben presto l'oscura profezia.
Non appena la nave fu riparata, i due giovani sposi partirono felici per la terra di Atlantide. Il viaggio fu lungo ma i venti del mare benevoli gonfiavano le vele permettendo una navigazione regolare.
Finalmente un mattino, dall'alto del pennone, Arnaude vide la sua nuova patria: una città tutta bianca che spiccava sull'intenso azzurro del mare e sulla quale dominava la meravigliosa reggia del sultano. I due giovani attraversarono le strade fra le acclamazioni della folla che salutava festosamente il rientro del sovrano.
Iniziò per Arnaude una nuova vita. Il suo sposo faceva di tutto per renderla felice; la giovane viveva come in una favola, passando di meraviglia in meraviglia.
Ma l'incanto stava per finire. Era una notte calma, le stelle brillavano lucenti nel cielo; i due sposi passeggiavano lungo la spiaggia, quando una voce ruppe il silenzio ricordando al sultano d'aver violato la legge divina. Egli avrebbe dovuto sposare una dea di Atlantide ma, venendo meno a quel patto, aveva attirato su di sé e sul suo popolo la maledizione degli dei.
Il giovane sultano pregò e supplicò la voce invisibile di risparmiare il suo popolo e la sua sposa: egli era il colpevole e perciò egli solo era meritevole di castigo.
Ma gli dei non s'impietosirono. In quello stesso momento, sotto gli occhi spaventati di Arnaude, il suolo si aprì e Atlantide fu inghiottito nelle viscere della terra, fu trascinato verso le più grandi profondità insieme al suo sovrano e a tutti gli abitanti che vennero trasformati in conchiglie.
La giovane donna, trasportata da un vento impetuoso, si ritrovò di lì a poco sulla spiaggia del suo villaggio. Gli dei le avevano concesso di sopravvivere affinché la leggenda di Atlantide non andasse perduta.
La fanciulla ne scrisse la storia e la rinchiuse in uno scrigno insieme a una cartina di Atlantide, permettendo così alle successive generazioni di venirne a conoscenza.
Si racconta che ogni settantacinque anni il favoloso continente riemerga dalle acque e sia visibile per la durata di un'intera notte.»
Quando la storia finì, mi sentii una strana sensazione nel petto: la stessa che provai prima di partire per l'Atlantic High School.
Mi voltai verso Duncan e stranamente anche lui sembrava coinvolto dalla trama.
"Che ne pensi?"
Gli domandai.
"Riguardo cosa?"
"Riguardo ad Atlantide...credi che esista davvero?"
Egli scosse il capo con indifferenza e aprì una pagina a caso del libro.
"Sono solo storielle inventate per incantare gli stolti".
La sua risposta mi deluse un po', ma d'altronde non potevo dargli torto.
La professoressa Leonard mi scrutò dai suoi occhiali tondi e poi mi indicò.
"Signorina Wilson, lei che ne pensa?le è piaciuto il mito?"
"Ammetto che si tratta di una storia davvero affascinante e complicata, di quelle dei film.
Gli antichi avevano una fervida immaginazione, ma tuttavia mi domando se si tratti solo di finzione o di realtà.
Questi racconti sono scritti così bene che paiono reali, quindi mi domando se siano solo storielle campate in aria o vere".
La mia reazione colpì positivamente la professoressa, che mi mostrò un sorriso a trentadue denti.
"Bene, vedo che padroneggia un lessico molto forbito e si sa esprimere discretamente per una ragazza della sua età, le faccio i miei complimenti".
Ringraziai e ritornai al disegno sul quale lavoravo da due giorni: stavo tentando di riprodurre il quadro immenso del sesto piano e non era niente male.

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Capitolo 6
*** All monsters are human ***


Era da qualche giorno che la pioggia scrosciava incessante, battendo sui vetri delle finestre come tante piccole pietruzze, alquanto insolito per il luogo.
Il freddo cominciava a farsi sentire e le canottiere avevano ceduto il posto a maglie della salute di lana.
In tutto quel periodo Alejandro mi aveva completamente ignorata, cosa che mi fece soffrire e sorgere qualche dubbio al contempo.
Tutti i muri della scuola erano tappezzati di annunci sul ballo in maschera di Halloween, festa sacra e tradizionale dell'istituto.
In realtà non capivo come mai fossero così legati a quella celebrazione, nel mio vecchio liceo la ritenevano di pessimo gusto.
La settimana di vacanza tanto attesa si avvicinava e l'avremmo sfruttata per acquistare i costumi per il party.
Il suono della campanella segnò l'inizio del riposo e tutti gli studenti urlavano, cantavano ed esultavano fra i corridoi.
Nel trambusto generale percepii una mano appoggiarsi alla mia spalla, mi voltai e mi ritrovai davanti due iridi verdi a me note.
"Allora hai deciso di farti vivo, stavo perdendo le speranze".
Constatai con tono amareggiato, notai un leggero senso di colpa nella sua espressione.
"Scusami, sono stato impegnato in questi giorni. Ti va di venire ora, con tutto il gruppo a scegliere i costumi?"
"Se proprio devo..."
Mi prese per mano e mi trascinò fino al cancello, che era spalancato.
Varcammo la soglia e i ragazzi ci fecero un cenno di saluto, notai delle occhiate di fuoco da parte di Courtney e lo sguardo soddisfatto di Duncan.
Con loro c'era anche Sierra, allegra e sorridente come suo solito.
"Avete idea di dove andare?"
Domandai.
"Certo! Qui vicino c'è un centro commerciale fantastico, che contiene anche un negozio di costumi".
Rispose Lindsay
"ma almeno avete idea di come arrivarci? Io non ho la mia auto a portata di mano".
Affermai.
"Tranquilla, useremo il furgoncino di Dj!"
Affermò Gwen indicando un veicolo color carta da zucchero.
"Forza, saltate sù!"
Affermò il ragazzo, suonando il clacson.
Tutti ci accomodammo in coppia: Tyler e Lindsay, Geoff e Cody, Sierra e Bridgette, Gwen e Trent, Katie accanto al guidatore e infine Alejandro mi invitò a sedermi vicino a lui.
Courtney ci guardò adirata e impallidì quando si accorse di dover passare tutto il tragitto in compagnia di Duncan.
"Io non ti voglio vicino, razza di orco chiodato!"
Urlò, mentre quello se la rideva sotto i baffi, poi Geoff gli fece l'occhiolino.
"Non hai altra scelta principessa, a meno che tu non voglia restare in piedi".
"Ti prego di smetterla di chiamarmi così! Lo faccio solo perché non ho altra scelta, sappilo".
Il punk era divertito dalla sua reazione, la sicurezza di sé non gli mancava di certo.
Il nostro amico mise in moto e ci avviammo verso il luogo prestabilito, superando campagne e immensi viali alberati.
"Che cosa ti piace fare nel tempo libero?"
Domandai al ragazzo accanto a me.
"Gioco a calcio, sono molto abile e mi diverte schiacciare gli avversari".
Affermò con convinzione.
"Sei uno sportivo allora...io sono una ballerina, ma lo sai già".
"Beh immagino che il tuo ragazzo sia fiero di te, viene a vederti ai tuoi saggi di danza?"
"In realtà non ho un fidanzato, ci siamo lasciati due anni fa".
Risposi con un po' di malinconia, in realtà non ero così presa da lui, però ripensare alla fine della nostra storia mi recò un po' di tristezza.
"Scusami, non ne avevo idea...se ti interessa saperlo io non ho mai avuto una vera e propria ragazza, ho avuto molte storie prese così alla leggera...del tipo, una botta e via.
Okay, sarò sincero, ammetto di fare molto colpo sulle donne, ma non ho mai trovato una che mi divertisse davvero e che mi facesse sentire al settimo cielo".
La sua confidenza non mi stupì, ma allo stesso tempo mi colpì la profondità del suo ragionamento.
Dietro di noi udii la voce assordante di Courtney che ammoniva Duncan, mi scappò una risata.
"...e mangi con la bocca aperta, puzzi di benzina, sei scorbutico, non studi, arrivi sempre in ritardo alle lezioni, credi che i tuoi piercing ti rendano figo ma in realtà sottolineano la tua stupidità.
Che hai da ridere adesso?"
«povero Duncan».
Pensai.
"Sai una cosa? I tuoi insulti sono terribilmente scontati e non mi toccano nemmeno un po'.
Riprova principessa, sarai più fortunata".
Io e Alejandro scoppiammo a ridere all'unisono.
"Ragazzi siamo arrivati".
Dichiarò Katie, così scendemmo dal veicolo e ci avviammo verso il centro commerciale.
Il Mall era gremito di gente, non ero mai stata in quel posto prima e rimasi incantata di fronte a tale meraviglia.
Beh, era il luogo del consumismo per eccellenza, ma pur sempre bellissimo.
Passeggiammo per qualche minuto, finché giungemmo al negozio di costumi: House of mouse, insolito come nome.
Cominciai a fare una perlustrazione generale del luogo: maschere, vestiti da strega, bombolette di tinta, parrucche e trucchi erano poggiate sugli scaffali o appese ai chiodi.
"Io ho già trovato quello che cercavo, è perfetto!"
Dichiarò Gwen con un vestito nero e attillato, un forcone e un cerchietto con le corna in mano.
Trent optò per un costume da apprendista stregone, mentre Geoff per quello da licantropo.
Cody comprò una tuta da scheletro, Sierra decise di abbinarsi a lui e Bridgette al suo ragazzo.
Courtney prese un abitino da dea dell'olimpo, Duncan un completo da vampiro, Dj da zombie, Katie da sposa cadavere, Tyler e Lindsay da Frankenstein e da strega.
Io e Alejandro eravamo gli unici a non aver ancora scelto nulla.
Io ero davvero indecisa, volevo che fosse qualcosa di diverso dal solito, al quale nessuno avrebbe mai pensato.
Alla fine il ragazzo si diresse alla cassa per pagare il suo costume da Cowboy, l'unica differenza con un cowboy normale era che il suo aveva il capo trapassato da un'ascia.
Feci un ultimo giro di perlustrazione per gli scaffali, finché non trovai quello che faceva davvero al caso mio: era composto da un corpetto nero aderente, una gonnella corta, larga e azzurra, calze a rete scure, delle pinne da attaccare alle braccia e del colorante azzurro da stendere su tutto il corpo.
Sì, ero una sottospecie di mostro della laguna.
Mi diressi a pagare il mio acquisto, soddisfatta della mia scelta.
"Che cos'hai comprato?"
Mi domandò Sierra.
"Per ora non voglio dirvelo, preferirei che rimanesse un segreto".
Uscimmo dal negozio e poi Lindsay propose di prendere un frullato.
La fila della frullateria era infinita, ma per noi non fu un problema aspettare.
"Adesso sono curioso di sapere che cos'hai scelto".
"Ve l'ho detto, voglio che sia una sorpresa!"
Attendemmo per circa una decina di minuti, finché non venne il nostro turno.
"Per lei, signorina?"
Mi chiese la cassiera, alta, carina e gentile, con due occhi così azzurri da togliere il fiato anche al più impassibile degli esseri umani.
"Un centrifugato piccolo con fragola, banana e lampone".
"Arriva subito!"
La osservai prepararlo con molta professionalità, si vedeva che amava il suo lavoro.
Quando terminò, me lo porse e tentai di pagare, ma una mano mi si parò davanti e me lo impedì.
"Lasci stare, pago io per la signorina".
Sganciò tre dollari e cinquanta, poi ci dirigemmo verso il tavolino insieme agli altri.
"Grazie mille Alejandro, adesso mi sento in debito".
"Tranquilla, non voglio che tu mi restituisca i soldi per nessuna ragione".
La conversazione cessò non appena mi sedetti, notai anche che Sierra in quel momento non era lì.
"Ehi, il gatto vi ha mangiato la lingua? Ma...dov'è Sierra?"
"È in bagno".
Rispose Courtney.
"Voi dite che mi divertirò alla festa?di solito che cosa si fa?"
"Per mille diavoli, certo che ti divertirai! Staremo svegli fino alle quattro del mattino, faremo giochi di gruppo e balleremo come dei dannati! Vedrai, ti piacerà".
Esclamò Geoff mentre teneva stretta Bridgette.
"Hai finito di nominare i demoni? Ti ricordo che l'unico vero diavolo sono io".
Affermò Gwen.
Nessuno sapeva ancora definire il suo rapporto con Trent, nemmeno lei stessa.
Non stavano insieme, ma comunque non c'era un momento in cui si separassero.
Erano totalmente diversi come il giorno e la notte, ma proprio questa differenza li aveva fatti avvicinare.
Dj faceva di tutto pur di stare da solo con Katie, ma lei sembrava considerarlo solo come un amico.
"Io vorrei che mi invitasse Justin, sarebbe stupendo andarci in coppia!"
Dichiarò con sguardo sognante la mora, mentre il ragazzo al suo fianco abbassò lo sguardo.
"Ma non siamo mica al ballo di fine anno, non hai bisogno di andarci con qualcuno!"
Affermò Sierra, che era appena tornata dalla toilette.
"Sì, ma mi sono stufata di essere sempre quella single! Vorrei anch'io un ragazzo per una volta.
È da due mesi che usciamo, ma ancora non si decide a definire la nostra relazione...ho tentato di mandargli dei segnali, in cui menzionavo la festa indirettamente, ma lui sembrava non capire".
Per intenderci, Justin era fra i ragazzi più belli della scuola ed era circondato da un gran numero di spasimanti.
Il suo corpo tonico e muscoloso non passava mai inosservato, insieme agli occhi cristallini, la carnagione abbronzata e i capelli color ebano.
Alejandro, dal canto suo, aveva un fascino e uno charme che nemmeno Justin poteva eguagliare, era la personificazione della perfezione, senza contare che a differenza sua aveva un minimo di sale in zucca.
"Beh tu almeno ci hai provato...Dj, perché non ci vai tu con Katie? Sono sicura che vi divertirete!"
Duncan era riuscito a metterlo in imbarazzo, i ragazzi ridacchiavano mentre il poverino si grattava il collo.
"Io la accompagnerei volentieri...se...per lei va bene".
Mormorò.
La giovane sorrise al suo migliore amico, ma non riuscì a rispondere, forse si sentiva spiazzata da quella dichiarazione.
La mezz'ora seguente la passammo girando fra i vari negozi, mentre Sierra non riusciva a staccarsi da Cody.
Io osservavo Alejandro che camminava davanti a me e mi lasciai scappare un sorriso...che mi stessi seriamente innamorando di lui?
"Ti piace, eh?"
Mi domandò Duncan.
"Non farti strane idee, io e lui siamo solo amici. Tu piuttosto, con Courtney..."
"Lascia stare, lei non vuole saperne di me! Io alla fine scherzo e basta, non sono seriamente interessato a lei".
"Certo, ne sono convinta".
Quindi le uniche coppie ufficiali erano Bridgette e Geoff (così affiatati da provocare il diabete) e Lindsay e Tyler.
 
 
SPAZIO AUTRICE
Ho scritto questo spazio autrice per avvisarvi che partirò e che non porterò con me l'ipad, quindi per due settimane non riuscirò ad aggiornare la fanfiction...ma vi prometto che appena tornerò aggiungerò i nuovi capitoli, lo giuro. <3

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Capitolo 7
*** Il richiamo della foresta ***


Quel pomeriggio Alejandro mi aveva invitata ad uscire con lui, avevamo deciso di fare un picnic nel bosco: mi avrebbe portata in un posto segreto.
Il sole splendeva alto nel cielo, io e il latino eravamo nella sua auto da una manciata di minuti.
"Ma dai, perché non vuoi dirmi che cosa sarebbe questo posto segreto?"
"Voglio che sia una sorpresa, pazienta e vedrai".
Sbuffai e ritornai ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino: immensi prati, alberi e cespugli si stagliavano intorno alla stradina deserta.
Mi ricordava una di quelle ambientazioni che di solito si trovano nei film ambientati nell'Ottocento, la natura così incontaminata era qualcosa di meraviglioso.
Dalla radio proveniva una melodia lieve, alzai il volume dell'aggeggio e le note di a thousand years di Christina Perri aleggiarono nell'aria.
 "Ti piace?"
Gli chiesi mentre mi sistemavo gli occhiali da sole sul naso.
"Non è esattamente il mio genere...preferisco le canzoni latinoamericane, sono molto sensuali e ritmate".
"Io le odio...in generale detesto lo spagnolo".
L'auto frenò di colpo e mi fissò attonito.
Madre de dios, no me lo puedo creer! A esta chica no le gusta el espanol, es un desastre".
Farfugliò una serie di parole incomprensibili, mentre io lo guardavo con un'aria interrogativa.
"Non hai capito nulla, vero?"
Mi domandò con un sorriso stampato sul volto.
"No, forse solo qualcosa tipo...desastre?"
"Lascia stare, in ogni modo...come mai questo odio?"
"Non mi piace come suona".
"Quindi non ti piace sentirmelo parlare?"
"No...cioè sì, con te è diverso".
Il ragazzo sorrise e rimise in moto, forse eravamo quasi giunti al luogo prestabilito.
Capii di avere ragione quando si diresse accanto ad un albero e frenò, poi scese dall'auto e mi fece segno di uscire.
Afferrò la tovaglia dal bagagliaio e un cestino di vimini, poi mi prese per mano e mi ordinò di chiudere gli occhi.
"Mi vuoi dire dove stiamo andando?"
"Sei cocciuta! Non te lo dirò finché non saremo lì".
Sbuffai e sorrisi, mi faceva uno strano effetto vagare così alla cieca.
"Ora puoi riaprirli".
Quando le mie pupille videro tale meraviglia rimasi incantata: grandi querce ci circondavano come se fossero disposti in quel modo intenzionalmente, al centro si ergeva un cespuglio di rose rosse e il sole filtrava attraverso le chiome degli alberi, sembrava un luogo paradisiaco.
"Bello, eh? L'ho scoperto l'anno scorso per caso, da allora me ne sono innamorato".
Stese la tovaglia per terra e poi mi invitò a sedermi accanto a lui.
Dal cestino tirò fuori ogni forma di leccornia: pizzette, hot dog, aranciata, acqua frizzante, cheesecake ai lamponi, caramelle e fragole con panna.
"Ma dove hai preso tutta questa roba? Aspetta, fammi indovinare...al centro commerciale!"
Sorrise e mi porse un panino con un bicchiere di aranciata.
"Bingo, sono andato stamattina prima che ti svegliassi".
Quando finimmo di mangiare, mi sentivo piena come un otre e mi sdraiai sulla tovaglia ad ammirare il sole.
Alejandro si stese accanto a me e intrecciò la sua mano con la mia; il mio cuore perse un battito e le gote avvamparono come non mai, forse in quel momento mi accorsi davvero di essermi...innamorata? No, non poteva andare così, non dovevo cadere nella trappola dell'amore come un allocco.
"Qui in questo posto credo di essere felice. Non mi sono mai ambientata nelle mie vecchie classi, ma qui è diverso...tu e gli altri mi fate sentire a mio agio.
È strano, ci siamo presentati poco meno di un mese fa e mi sembra di conoscervi da una vita".
Il ragazzo sorrise e si voltò nella mia direzione, le sue iridi chiare incastonate nelle mie scurissime.
Aveva dei lineamenti a dir poco perfetti: il naso regolare, le labbra piene, il viso ovale e incorniciato da una massa di capelli castani.
Il sole cominciava a spegnersi gradualmente, come se un temporale stesse per scoppiare di lì a poco.
Grandi nubi grigiastre si avvicinavano sempre di più, poi udii uno strano boato.
"Sarà stato un tuono".
Mormorai, ma era impossibile...il rumore sembrava provenire da vicino.
Il giovane scattò in piedi, qualcosa non andava e lo intuii dal suo sguardo accigliato.
"Non era un tuono".
Non eravamo soli lì, si sentivano dei passi intorno a noi e un rumore di foglie incessante.
Tentai di alzarmi, ma lui me lo impedì.
"Stai ferma dietro di me, non voglio che tu corra alcun rischio".
In men che non si dica un gruppo composto da ragazzi e ragazze, circa della nostra età, ci circondò.
Erano vestiti in un modo insolito e portavano lance, frecce e archi, come quei tizi che si dilettano a fare i cosplay.
"Allora ci si rivede Burromuerto, ti obblighiamo a consegnarci la ragazza, se vuoi che non subisca alcun danno".
Era stata una ragazza a parlare, ella portava abiti verdi e aveva lunghi capelli arricciati sulle punte.
"Mai, non l'avrete per nulla al mondo!"
"Chi sono? Che cosa vogliono da me?"
Ero spaventata poiché non sapevo che cosa mi avrebbero fatto quegli psicopatici, sopratutto non capivo perché cercassero proprio me.
Mi stupì il fatto che Alejandro li conoscesse, quindi sicuramente non erano ladri giunti lì per caso: avevano un obiettivo specifico.
"Povera ingenua, mi fa quasi tenerezza".
Affermò l'altra con un tono sprezzante.
"Dov'è il vostro capo?"
"Non c'è tempo per le domande, dacci la prescelta e nessuno si farà male!"
Gli urlò contro un ragazzo dalla corporatura minuta, mi domandavo da dove tirasse fuori tutta quella voce.
Poi riflettei un attimo; la prescelta? Qualcosa non andava.
"No".
"Bene l'hai voluto tu".
La giovane vestita di verde lo attaccò, lui rispose al calcio con disinvoltura e si difese come meglio poteva.
Dal canto mio, mi sentivo scoperta perché non era più lì a farmi da scudo e tremavo come una foglia.
La maestria con cui stendeva quegli avversari mi stupì piacevolmente, ma al contempo mi sorse un dubbio: dove e soprattutto perché aveva imparato quelle mosse?
Quando credetti di aver scampato il pericolo, una freccia mi perforò il braccio e gemetti dal dolore.
Avevo cantato vittoria troppo presto.
La vista si annebbiò e persi l'uso degli arti inferiori e superiori, mi accasciai sul suolo e poi non vidi più nulla.
 
 *** 
 
Quando mi risvegliai, annaspai come se fossi appena riemersa da un fondale marino.
Respirai affannosamente e mi tirai sù con la schiena, ma il braccio destro mi sorreggeva a malapena e non riuscivo nemmeno a sentirlo, come se ne avessi completamente perso l'uso.
"Ti sei svegliata!"
Esclamò una voce a me familiare, era Bridgette.
"Io...dove mi trovo?"
La bionda si sedette accanto a me e mi sorrise amorevolmente, poi mi accarezzò la fronte come se volesse sentirmi la temperatura.
"Sei in infermeria, sei stata in coma per tre giorni consecutivi".
"Come ci sono finita?è stata colpa di quella freccia?"
Quando la nominai, lei si irrigidì di colpo e fece cenno di sì col capo.
"Sì, c'era così tanto sedativo da far addormentare anche un pachiderma".
Sorrisi e tentai di nuovo a sollevarmi, ma lei mi intimò di non fare sforzi eccessivi.
"Alzati con calma, è pericoloso".
Mi prese per mano e mi aiutò a scendere dal lettino.
"Come ti senti?"
"Frastornata e riposata allo stesso tempo. Perché quegli squilibrati mi volevano portare via?"
Lei sospirò e abbassò lo sguardo.
"Non lo so, sono degli idioti che si divertono a fare degli scherzi di pessimo gusto".
Non me la bevvi, sapevo che ci fosse qualcosa sotto e dovevo scoprirlo.
"Perché mi hanno definita la prescelta?"
Al sentire quel nome si bloccò di colpo, poi sorrise e mi prese sottobraccio.
"Vieni, sono sicura che gli altri siano preoccupati".
Tuttavia non ricordavo i volti dei delinquenti, rammentavo semplicemente che qualcuno mi stesse cercando e che volesse rapirmi.
I corridoi erano vuoti e anche le aule, gli studenti erano fuori dalla scuola o nelle loro camere a festeggiare l'ultimo giorno di vacanze.
La bionda mi condusse fino alla mia stanza, dove ritrovai la mia compagnia intenta a confabulare su chissà quali argomenti, poi quando mi videro si zittirono e corsero nella mia direzione per salutarmi.
Dj mi strinse forte fra le sue possenti braccia e Sierra mi tempestava di domande, non ero mai stata così desiderata in tutta la mia vita.
Tuttavia un latinoamericano mancava all'appello e mi sentii pervadere da una strana malinconia quando me ne accorsi.
"Dov'è Alejandro?è ferito?"
Il silenzio calò nella stanza e poi infine Katie rispose.
"Sta benissimo, aveva solo un impegno".
Mi venne un groppo in gola, quelli lì non me la raccontavano giusta.
"Ma ora l'importante è che tu ti sia svegliata, quegli stolti non ti disturberanno più".
Aggiunse Gwen.
"Alejandro li ha sistemati?"
"Li ha conciati per le feste, per un po' non si faranno vedere".
Dichiarò Tyler.
"Ora potete lasciarmi un po' da sola? Vorrei avere del tempo per riflettere".
Mi sedetti sul letto senza nemmeno guardare le loro reazioni.
"Certamente, ragazzi andiamo, è ancora un po' sconvolta".
Tutti uscirono dalla mia camera e si richiusero la porta alle spalle, abbandonandomi in un silenzio così assordante da farmi uno strano effetto.
Sapevo per certo che c'era qualcosa di cui mi volevano tenere all'oscuro, inoltre sospettavo anche che Alejandro si vedesse con un'altra a mia insaputa. 
Sembrava strano che andasse tutto così bene, troppa perfezione per i miei gusti.
Mi sentivo persa, come se non mi potessi più fidare di nessuno.
Se solo avessi potuto tenere un cellulare, non avrei esitato a chiamare i miei genitori e la mia vecchia migliore amica, ma le regole dell'istituto lo proibivano severamente.
Poi mi balzò alla mente un'idea: il telefono comune della scuola.
Esso si trovava al seminterrato, accanto alla palestra.
Aprii la porta e mi affacciai per vedere se ci fosse qualcuno, quando constatai di essere sola mi diressi verso le scale e scesi le rampe alle velocità della luce.
Aprii il portone, lo richiusi alle mie spalle ed entrai nell'edificio centrale.
Le residenze degli studenti si trovavano in una sede distaccata dietro la scuola; io alloggiavo nell'ultima camera in fondo al corridoio del secondo piano, la numero 224.
Non avevo coinquiline, essendo una nuova arrivata mi era stata assegnata la stanza speciale.
Mi ritrovai di fronte all'arnese, blu notte e con una conchiglia attaccata alla cornetta.
Composi il numero di mia madre, che dopo qualche squillo rispose.
"Ciao tesoro! Come stai?"
"Come facevi a saperlo?"
"Sciocchina, ho letto il numero della scuola sul display! Come stai? Ti sei ambientata? Hai fatto nuove conoscenze?"
"Piano con le domande! Bene, ho conosciuto un gruppo di ragazzi molto simpatici e disponibili, si sono dimostrati gentili nei miei confronti dall'inizio".
"Sono così felice, la tua mamma è fiera di te!"
"Ma piantala! Ora dovrei andare, salutami papà e digli che mi manca tanto".
"Senz'altro, a presto tesoro".
Riattaccai e mi avviai verso l'uscita, assorta nei miei pensieri.
Urtai contro qualcuno, alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti una ragazzina della mia età, con grandi occhi verdi e capelli rossicci.
"Scusami, non ti avevo vista! Ultimamente sono davvero distratta".
"Tranquilla, succede di continuo anche a me. Io sono Izzy, piacere di conoscerti".
"Piacere mio, io sono Heather...vedo che all'Atlantic High School fate tutti amicizia facilmente".
Lei rise, ma il suo sorriso aveva un che di inquietante.
"È un istituto un po' particolare per persone dotate".
Fu la sua unica risposta, poi mi voltò le spalle e se ne andò, come se nulla fosse successo.
«che strana persona».
Pensai mentre le osservavo allontanarsi.
 
SPAZIO AUTRICE
Allora...le due settimane al mare alla fine sono diventate tre e non sono riuscita ad aggiornare, per questo mi scuso ancora.
Ora vi darò un'altra brutta notizia...devo partire di nuovo 😂 quindi per altre due settimane niente capitoli, mi dispiace.
Beh sapete come si dice, l'attesa aumenta il desiderio...no? Ci vediamo, alla prossima! Xx
 

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Capitolo 8
*** A new teacher ***


Una nuova insegnate era giunta all'Atlantic High School per sostituire la professoressa Leonard, poiché quest'ultima aveva avuto un malanno ed era stata costretta a recarsi al pronto soccorso.
Una sorta di infarto l'aveva colta alla sprovvista, sotto gli occhi di tutti gli studenti meravigliati e preoccupati.
"Come credi che sarà?"
Domandai a Duncan, intento a scarabocchiare un teschio sul suo banco.
"Il solito vecchio spaventapasseri".
Rispose.
Udimmo bussare alla porta e rispondemmo.
"Avanti".
L'uscio si spalancò e una donna piuttosto giovane varcò la soglia.
Era alta, snella e con lunghi capelli neri che le ricadevano morbidi sulle spalle.
Indossava un abitino rosso vermiglio e tacchi a spillo così alti da ricordarmi dei trampoli, si sedette alla cattedra e vi appoggiò sopra una pila di libri.
I ragazzi la osservarono come un cacciatore fa con la propria preda, la donna aveva fatto colpo su ogni individuo maschile.
"Buongiorno ragazzi, sono la vostra nuova insegnante e mi chiamo Blaineley O'Halloran.
Insegno letteratura, storia e geografia e sostituisco la signorina Leonard, ma questo penso lo sappiate già". 
Il ragazzo accanto a me aveva gli occhi spalancati, nemmeno lui si aspettava una sorpresa del genere.
"Il solito spaventapasseri, eh?"
Sussurrai.
"Beh, anche i migliori sbagliano".
La donna ci scrutava attraverso i suoi occhi di ghiaccio, talmente freddi da far venire i brividi.
In particolare il suo sguardo si posò su di me e le sue labbra tinte di rosso si incurvarono in un sorriso.
"Lei deve essere la signorina Wilson, vero?"
"Come lo sa?"
"Un bravo reporter non rivela mai le sue fonti. Allora cara Heather, saprebbe dirmi quale fosse l'ultimo argomento di letteratura affrontato?"
"Certo, l'incontro fra Odisseo e la maga Circe".
"Bene, siete abbastanza avanti allora. Aprite il libro a pagina ventuno...signorina Barlow, vuole leggere lei? Dov'è seduta Courtney Barlow?"
Partì con uno dei primi nomi dell'elenco, così la ragazza si alzò in piedi.
"Sono io".
"Bene, cominci a leggere e alla fine mi riassumerà molto brevemente il contenuto.
Voi seguite attentamente, potrei anche porvi qualche domanda".
In quel capitolo Odisseo era giunto nella terra dei Cimmeri, dopo un anno trascorso sull'isola con Circe.
Io mi ero abbastanza appassionata a quei racconti mitologici greci, ma il mio mito preferito restava quello di Arnaude e il sultano, quello che la nostra vecchia professoressa aveva narrato verso l'inizio dell'anno.
Amavo i racconti di fantasia perché mi facevano sognare, leggevo quelle storie d'amore così pure ambientate in luoghi straordinari e riuscivo a figurarmi nella mente tutti gli avvenimenti nei minimi dettagli.
Duncan stranamente stava seguendo attentamente la lezione, forse per il fatto che Courtney stesse leggendo con la sua voce melodiosa, o forse perché si sentiva soggiogato dalla O'Halloran.
Al termine della lezione, la ragazza raccontò per filo e per segno il contenuto e sembrava quasi che lo stesse leggendo.
L'insegnate rimase piacevolmente stupita e le ordinò di consegnarle il libretto dei voti.
Suonò la campanella che segnava l'inizio della ricreazione, ma prima che me ne andassi la professoressa mi chiamò per parlarmi in privato.
"Signorina Wilson, potrebbe andare a prendermi questo libro in biblioteca? Si chiama il tesoro perduto e dovrebbe essere di un certo John White, se non erro. Io non posso entrarci perché non ho ancora attivato la tessera".
"Certo, vado subito".
Non riuscivo a spiegarne il motivo, ma quella donna sortiva uno strano effetto su di me.
Forse ero solo un po' stanca e il sonno mi faceva brutti scherzi.
"Heather, non vieni con noi?"
Mi voltai e mi accorsi che la domanda mi era stata posta da Trent, che teneva stretta a sé Gwen, insieme a loro c'era tutto il resto del gruppo.
"Devo prendere questo libro per la O'Halloran, arriverò non appena gliel'avrò consegnato".
Ritornai sui miei passi e mi diressi verso il primo piano, dove si trovava la mia destinazione.
Aprii la porta lentamente e rimasi incantata di fronte a quella visione, poiché era la prima volta che la visitavo.
Scaffali altissimi e di legno pregiato si stagliavano da tutte le parti, tavolini azzurri si trovavano fra di essi e in fondo alla sala c'era la cattedra del bibliotecario, un uomo quasi sulla quarantina e con una folta capigliatura color ebano.
Mi avvicinai timidamente e mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione.
"Mi scusi, ha per caso questo libro? Si chiama il tesoro perduto ed è di John White".
Sembrò pensarci sù un attimo, poi mi fece cenno di seguirlo.
"È nel penultimo scaffale in fondo, ma avrò bisogno della scala perché si trova nell'ultima mensola, nessuno lo legge più da anni".
Salì per la rampa con molta cautela e afferrò il manoscritto, poi scese con calma e me lo porse.
"Potresti dirmi il tuo nome, cognome e la tua classe?"
"Non è per me, è per la mia insegnate...lei non ha ancora la tessera della biblioteca, lo intesto a mio nome?"
Annuì.
"Heather Wilson, seconda F".
Mentre uscivo, sentii una voce alle mie spalle.
"Oh, vedo che sei un'appassionata di libri antichi..."
Mi voltai verso la direzione da cui proveniva il suono e mi ritrovai davanti uno strano ragazzo.
Egli portava occhiali da vista, aveva i capelli rossi come il sangue e il naso spruzzato di lentiggini.
"In realtà non serve a me, è per la mia professoressa ".
Risposi.
"Le acque sommersero completamente l'isola, fino ad affondarla fra gli abissi insieme ai suoi abitanti, questo è sicuramente il pezzo migliore".
Abbassai gli occhi sul volume, poi li rialzai nella sua direzione, ma era già sparito nel nulla.
 
SPAZIO AUTRICE
Mi scuso per l'assenza e dirò la verità, non ho aggiornato perché mi sono dimenticata 😂.
Che ve ne pare di questo capitolo? La prof O'Halloran come vi sembra a primo impatto? Sì, nella descrizione ho scritto "lunghi capelli neri", ma andando avanti con i capitoli capirete perché.
Aggiornerò quando questo capitolo arriverà almeno a 2 recensioni, ci vediamo. 💕

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Capitolo 9
*** Atlantide ***


«le acque sommersero completamente l'isola, fino ad affondarla fra gli abissi insieme ai suoi abitanti».
Quella frase mi risuonava nella mente imperterrito, l'aveva pronunciata con tale enfasi da lasciarmi senza fiato.
«ma certo! Il tesoro perduto, la città sommersa...che cosa poteva essere se non Atlantide?»
Pensai.
Mi appartai in una scrivania della biblioteca e cominciai a sfogliare il libro, d'altronde non pensai che lei si sarebbe arrabbiata se avessi dato un'occhiata.
Sulla prima pagina era illustrata una cartina geografica che mostrava, appunto, la posizione del luogo quando era ancora una terra emersa.
«CAPITOLO 1
C'era una volta un bel sultano di nome Ander che viveva felice nella città di Atlantide, patria di grandi templi e di sontuosi palazzi.
Tuttavia egli si rammaricava, poiché non era ancora riuscito a trovare moglie, nonostante fossero diverse le pretendenti che si presentavano al suo cospetto.
Tutti i cittadini si domandavano come mai faticasse così tanto a scegliere una compagna, in quella terra così rigogliosa e colma di donne bellissime.
Un giorno, però, accadde che per caso il sultano conobbe una bella giovane dai capelli color dell'oro di nome Diana.
Ella all'apparenza aveva un carattere molto docile, ma sotto quell'aspetto così mansueto si celava un'anima nera, una maga.
La donna conosceva degli incantesimi così potenti da incutere timore a tutto il regno, ma il sultano per qualche assurdo motivo non se ne accorgeva.
Un giorno, egli dovette recarsi in viaggio alla conquista di nuovi territori, ma qualcosa andò storto e la nave si scontrò contro degli scogli sulle coste della Bretagna.
Una bella giovane, il cui nome era Arnaude, corse in loro aiuto e portava sidro di mele e viveri di ogni genere per tenerli in vita.
Con il tempo, il sultano si innamorò perdutamente dei modi gentili della ragazza e dei suoi grandi occhi azzurri.
Egli si dimenticò presto di Diana, ormai il suo cuore batteva solo per la bella Arnaude, così quando la nave fu riparata decise di portarla con lui in patria.
Le sue intenzioni erano lasciare Diana per sposare Arnaude, ma decise che la cerimonia si sarebbe tenuta in segreto, così in seguito avrebbe congedato la maga e l'avrebbe spedita su un'isola deserta.
Quello di cui non era al corrente, era che ella aveva osservato ogni suo minimo movimento attraverso la sua sfera di cristallo.
Era così adirata per il tradimento, che giurò vendetta ad Ander, ma decise di aspettare il suo ritorno per mettere in atto il piano.  
Quando i due innamorati giunsero in città, Arnaude disse di essere la nuova schiava del sultano e tentò di stargli il più lontano possibile.
La maga si recò al tempio, come faceva ogni giorno, per comunicare con gli dei.
Ella confessò il tradimento del marito, ricordò loro che egli aveva giurato di sposare una donna della sua patria e così facendo avrebbe infranto il giuramento.
Gli dei andarono su tutte le furie e decisero di punire Ander per la sua slealtà: le acque sommersero completamente l'isola, fino ad affondarla fra gli abissi insieme ai suoi abitanti.
Tutti i cittadini furono tramutati in conchiglie, Ander compreso, spopolando completamente Atlantide.
Nonostante tutto scelsero di salvare Arnaude, ma la rispedirono su una spiaggia della sua patria, con lo scopo di tramandare la storia di quel luogo mitico.
Tuttavia, decisero di punire Diana per le malefatte compiute in passato e per aver fatto la spia, così la chiusero in una cella nelle segrete del palazzo reale.
In seguito, Atlantide divenne luogo di residenza per sirene e tritoni».
Non riuscivo a capire se disprezzassi più Diana o se la compatissi per il tradimento di Ander.
Quella storia mi aveva sconvolta, perché nonostante fosse la prima volta che la leggessi mi sembrava di averne già sentito parlare in precedenza.
Ma certo, era il libro da cui era tratto il mito che ci aveva raccontato la professoressa Leonard!
La campanella suonò e quindi dovetti ritornare in classe, ma prima andai a consegnare il libro alla O'Halloran.
Quando fu nelle sue mani, notai una scintilla negli occhi.
"Grazie mille, è stato molto gentile da parte sua signorina Wilson".
"Si figuri".
Girai i tacchi e mi diressi verso l'aula, dove nel frattempo la lezione di spagnolo era già iniziata.
 
***
 
In quel periodo mi ero vista di rado con la mia comitiva e quando stavo con loro parlavo pochissimo.
Avevo come l'impressione di non potermi più fidare di loro, sentivo che mi nascondevano qualcosa.
Ma la festa di Halloween si avvicinava sempre di più e non vedevo l'ora di sfoggiare il mio costume.
In quel preciso istante mi trovavo a mensa con i miei amici, intenti a discutere sulla fantomatica celebrazione.
"Sono così eccitata, sarò la streghetta più sexy del party insieme al mio Frankenstein!"
Esclamò Lindsay abbracciando Tyler.
"Alla fine Justin non si è più fatto sentire, credo proprio di doverci andare con Dj".
Dichiarò Katie con un'aria triste, mentre il ragazzo in questione era ai servizi.
Gwen le cinse una spalla e sfoderò un sorriso a trentadue denti.
"È un bravo ragazzo, ti divertirai con lui...ne sono certa!"
Lei annuì, ma poco convinta.
Mi girai verso Alejandro, il quale era seduto accanto a me, ma non spiccicava una parola.
"Allora mister Latin lover, mi farai da accompagnatore?"
Lui si voltò nella mia direzione e mi sorrise, poi appoggiò una mano sulla mia coscia sinistra provocandomi un brivido.
"Certo, madamoiselle Wilson".
Nonostante il suo tono scherzoso, mi appariva molto insolito e taciturno nell'ultimo  periodo.
"Ma a voi non sembra un tantino strana la O'Halloran?"
Domandò all'improvviso Bridgette.
"No, perché?"
Rispose Cody.
"Non lo so, ma ha un che di familiare e non mi convince".
Geoff alzò gli occhi al cielo e le scoccò un bacio sulla guancia.
"Secondo me sei solo un tantino gelosa".
Lei rimase a bocca aperta e divincolò dalla sua stretta.
"Non è vero, lo sai benissimo! Tu che ne pensi, Heather? Mi sembra che lei abbia un occhio di riguardo per te".
Aggiunse, tutti mi fissarono e io rimasi impalata.
"Con me è molto gentile e premurosa, non mi sembra che sia così fuori dal normale...forse ha un metodo diverso dalla Leonard perché è più giovane".
A dire il vero mi sentivo un po' soggiogata da lei, come se fosse stata una maga e io la vittima di un suo incantesimo.
Ma quella era la vita reale, streghe e formule magiche non esistevano.
Sierra teneva stretto a sé il povero Cody, che tentava senza successo di liberarsi dal suo abbraccio.
Quello che più mi stupiva era il fatto che desse per scontato che anche lui avesse, a sua volta, una cotta per lei.
In realtà il giovane, appena ne aveva l'occasione, inventava una scusa per scappare da lei, come una forte necessità di andare in bagno o di dover prendere un libro in biblioteca.
Era evidente, invece, che provasse qualcosa per Gwen, ma non aveva il coraggio di dichiararsi poiché lei era follemente innamorata di Trent.
Forse aveva accettato di fare da accompagnatore a Sierra solo per pietà, oppure perché si era rassegnato all'idea che la ragazza dei suoi sogni non lo considerasse.
Suonò la campanella che annunciava la fine della pausa pranzo, così lasciammo i nostri vassoi e ci dirigemmo verso l'aula.
La lezione di storia dell'arte con il professor Fitzgerald era piuttosto gradevole: egli aveva un modo tutto suo di spiegare ed era un vero folle, un genio!
Nonostante ciò, in quell'ora non prestai attenzione a nessuna parola che uscì dalla sua bocca, il libro di John White era diventato il mio chiodo fisso.
E se quel luogo sperduto esistesse veramente? Se quella non fosse solo una leggenda e fosse accaduto tutto per davvero? Avrei dovuto indagare e lo avrei fatto il prima possibile.
Prima, però, avrei dovuto cercare un momento in cui non avrei destato nessun sospetto, così i miei amici non se ne sarebbero accorti e non avrebbero fatto nessuna domanda.
"Signorina Wilson, segua la lezione e non pensi al suo fidanzato, per favore!"
Si udì qualche risatina di sottofondo, poi abbassai la testa e ritornai con gli occhi sul libro.
Era proprio quello che intendevo, non potevo nemmeno distrarmi perché tutti sembravano conoscere a menadito ogni mio movimento.

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Capitolo 10
*** Un piano perfetto ***


Mi svegliai alle cinque del mattino, a causa del suono assordante della mia sveglia.
Quel risveglio non era per nulla casuale, in quel lasso di tempo avrei elaborato un piano per cercare informazioni di nascosto.
«forse potrei andare nell'intervallo...no, darebbe troppo nell'occhio!»
Pensai.
L'ora di pranzo era esclusa, non avrei di certo rinunciato al cibo per una ricerca.
La pausa pomeridiana nemmeno a parlarne, mi avrebbero tempestata di mille domande sospettose.
Pensai per una decina di minuti abbondanti, finché non ebbi un lampo di genio.
«di sera, una volta terminate le lezioni! La biblioteca rimane aperta fino alle undici, potrò usufruire di uno dei computer e tutto all'oscuro della mia compagnia!»
Certo, era geniale! Le lezioni terminavano alle cinque del pomeriggio, quindi avrei potuto recarmi subito in biblioteca e attivare il mio piano.
Per non farmi notare, avrei aspettato che tutti i miei compagni abbandonassero l'aula e poi sarei uscita di soppiatto.
Controllai l'orario sull'orologio da polso: le cinque e mezza del mattino, avevo ancora un'ora per riposare, così ritornai a dormire.
 
***
 
Dopo aver fatto colazione, come al solito, ci dirigemmo tutti verso le classi.
Nel trambusto generale intravidi una figura a me nota, mi avvicinai a lei e la rossa si voltò di scatto, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
"Heather, ma che piacere vederti!"
"Ciao Izzy! Non ti ho ancora presentato i miei amici, ti andrebbe di conoscerli?"
Al che il suo viso perse colore e rimase con gli occhi e la bocca spalancati.
"Non posso ora, devo andare in classe! Mi dispiace, sarà per un'altra volta".
Girò i tacchi e filò più veloce della luce.
Alquanto strana come reazione, forse era una di quelle emarginate, coloro che vanno in tilt quando si trovano di fronte a persone mai viste prima?
Scossi la testa e mi unii al mio gruppo fisicamente, ma mentalmente ero in un altro universo.
Passai così le seguenti ore di lezione, nella mia mente continuava a frullare quel piano segreto che avrei attivato di lì a poco.
"Ti vedo pensierosa panterona, qualcosa non va?"
Mi domandò Duncan.
"No, sono solo stanca...stanotte non ho chiuso occhio".
Mentii spudoratamente, ma ormai stavo cominciando a farci l'abitudine.
I seguenti cinquantasei minuti passarono così lentamente, che quasi mi addormentai.
Quando udii il trillo della campanella, per poco non esultai dalla gioia.
In seguito ebbi due ore con la professoressa O'Halloran, ormai la mia preferita.
Le sue lezioni era davvero coinvolgenti, riusciva persino a farci immedesimare nei personaggi di cui leggevamo i racconti.
Appena entrò in aula, appoggiò la borsa sulla cattedra e ci rivolse un sorriso radioso, poi si sedette e cominciò a spiegare storia.
L'argomento in questione era abbastanza noioso: i romani, ma lei non ce lo fece pesare e ci illustrò le varie guerre in chiave comica, facendoci sbellicare dalle risate.
Solo alcune persone non ridevano: Courtney, Bridgette e Lindsay, per qualche assurdo motivo non si fidavano di lei.
Il tempo passò così velocemente che arrivò subito l'intervallo, ma prima che potessi andare con i miei compagni, l'insegnante mi fermò.
"Volevo ringraziarti ancora per avermi preso il libro, molto gentile da parte tua.
Allora, che te ne pare? Hai letto qualche pezzo?"
"Sì, ma lei come lo sa?"
"Avevo solo fatto un'ipotesi. Che ne pensi, ti è piaciuto?"
"Il primo capitolo mi è sembrato interessante".
In effetti era vero, quella vicenda mi aveva coinvolta ed emozionata.
"Quando lo finirò, potrò sempre prestartelo...sempre che tu lo voglia".
"Ma certo...grazie mille prof".
In tutta risposta mi sorrise e poi ritornò a scrivere sul suo taccuino.
Notai che utilizzava una bizzarra forma di scrittura, completamente diversa dall'alfabeto latino.
Mi strinsi nelle spalle e raggiunsi la mia comitiva, poi andammo in giardino e ci sedemmo in cerchio sul prato, nonostante il freddo cominciasse a farsi sentire.
"Allora, carichi per domani?"
Domandò Geoff visibilmente emozionato, se fosse esistito il dio delle feste, avrebbe di sicuro portato il suo nome.
"Eccome, fratello!"
Esclamò Dj dando una pacca sulla schiena a Katie, che abbozzò un sorriso.
"Io spero che non ci siano troppe persone con il costume uguale al mio".
Affermò Gwen.
"Per me sarebbe quasi impossibile, non penso che un cowboy con la testa trapassata da un'ascia sia un'idea molto comune".
Dichiarò Alejandro soddisfatto per la sua originalità.
"Complimenti Cascamuerto, ti meriti un premio".
"Non fare la spiritosa, querida!"
Mi si avventò contro e cominciò a solleticarmi freneticamente il collo, mentre io ridevo come una psicopatica, sotto gli occhi divertiti dei ragazzi.
Mi sentii le guance avvampare, così le nascosi con i capelli e mi divincolai dalla sua stretta.
"Smettila, ci guardano tutti".
Affermai, mentre mi ricomponevo.
"E allora lasciali guardare".
Replicò.
Mi afferrò per le spalle e mi pose contro il suo petto, in quel preciso istante potevo giurare di sentirmi in paradiso.
 
***
 
Finalmente era giunta l'ora di mettere in atto il mio piano, sgattaiolai fuori dalla stanza e camminai tranquilla fra i corridoi deserti.
In realtà era severamente proibito girare a quell'ora, ma feci finta di nulla e continuai la missione con disinvoltura.
Mentre ero quasi giunta a destinazione, vidi delle sentinelle avvicinarsi, così mi nascosi nel bagno degli uomini lì accanto.
"Non ti è sembrato di aver sentito qualcosa, Adeline?"
Domandò una voce stridula.
"Secondo me sei solo stanca e ti sei immaginata tutto".
Per fortuna le due donne se ne andarono e non si presero nemmeno la briga di controllare, così potei dirigermi indisturbata verso la biblioteca.
Varcai di soppiatto la soglia e andai verso l'ultimo tavolo in fondo alla sala, dove il bibliotecario non avrebbe potuto vedermi.
L'unica cosa che sperai vivamente era che non chiudesse a chiave prima che finissi la ricerca, altrimenti l'avrei pagata cara.
Accesi il PC, che impiegò un quarto d'ora per azionarsi.
"Dannazione, quanto odio questi arnesi".
Sussurrai, sperando di non essere stata sentita.
Quando finalmente lo schermo si illuminò, tirai un sospiro di sollievo e aprii il motore di ricerca.
In realtà non sapevo esattamente cosa digitare, poi riflettei un attimo e scrissi "miti e origini di Atlantide".
Mi apparirono diverse opzioni, cliccai sulla prima per vedere quali informazioni ne avrei ricavato.
Purtroppo si trattava di Wikipedia, quindi cose che sapevo già e per le quali non provavo molto interesse.
Cliccai sulla seconda scritta, in cui trovai una citazione di Platone.

<<Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d'Ercole, c'era un isola. E quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. [..] In tempi posteriori [..], essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [..] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve>>.

Cose ormai risapute, nulla di nuovo per me.

«Atlantide, il cui nome deriva da Atlante, il mitico gigante che reggeva il Mondo sulle spalle e che governava l'oceano, era un ipotetico grandissimo continente sprofondato, migliaia e migliaia di anni fa, al di là delle colonne d'Ercole, nelle acque dell'attuale Oceano Atlantico. 

 

 
La scienza ufficiale dichiara che non c'è alcuna prova che sia esistito un continente oltre lo stretto di Gibilterra. Ma la geologia e la paleontologia, studiando la somiglianza  tra le razze animali e la flora del nuovo e dell'antico mondo, hanno ipotizzato che tra il Cambrico e il Cretacico fosse emerso nell'Oceano Atlantico un continente intermedio, servito da ponte naturale. Esso occupava la zona corrispondente oggi alla Groenlandia, all'Islanda, alle Azzorre, alle Canarie e a Madeira, in parte considerate, da alcuni ricercatori, come le cime delle montagne della sommersa Atlantide. Altre prove a favore dell'esistenza di Atlantide sono di carattere puramente indiziario: esistono, per esempio, manufatti non inquadrabili come prodotti di civiltà note; vi sono poi i racconti di Platone e c'è, inoltre, una vasta tradizione a proposito di una biblica catastrofe avvenuta in tempi remoti: il diluvio universale. Più recentemente, nel 1898 una nave, nel tentativo di recuperare un cavo che si era spezzato a nord delle Azzorre, portò in superficie frammenti di una lava vetrosa che si forma esclusivamente sopra il livello delle acque e in presenza dell' atmosfera: da qui un'ulteriore conferma all'ipotesi di immensi inabissamenti di isole e forse di interi continenti. 
 
Ammessa (e non concessa) l'esistenza di Atlantide, la sua distruzione potrebbe essere avvenuta intorno a 10.000 anni fa e sarebbe stata determinata da un'immane catastrofe, come un'eruzione vulcanica o la caduta di un asteroide. 
 
Alcuni studiosi di Atlantide pensano che questo continente abbia subito diversi cataclismi (forse quattro) che abbiano fatto inabissare alcune parti dell'isola in diversi periodi. Il primo cataclisma  sarebbe avvenuto circa 800.000 anni fa, determinato dal rovesciamento dei poli: esso avrebbe cominciato ad attaccare l'ossatura terrosa di Atlantide che successivamente sarebbe stata spazzata via dalle masse d'acqua provenienti dal nord. Il secondo Cataclisma probabilmente di origine vulcanica, sarebbe avvenuto circa 200.000 anni fa. Il terzo cataclisma, causato all'azione vulcanica, sarebbe avvenuto 80.000 anni fa e avrebbe ridotto Atlantide a due isole: Routo e Daitya. Infine il quarto e ultimo cataclisma avrebbe avuto luogo nell'anno 9.564 a.C., quando stavano sciogliendosi i ghiacci dell'ultima glaciazione e quando Atlantide era già ridotta solo ad un'isola: Poseidone. Essa fu inghiottita e  disparve per sempre dalla terra.

 

Quanto ci sia di vero, e quanto sia completamente frutto della fantasia, nel mito di Atlantide, forse a nessuno sarà mai dato dirlo... Ma la ricerca delle vicende di questa misteriosa terra e della sua progredita civiltà, affascinano ancor oggi e spingono ad intraprendere indagini e studi sempre nuovi.»

Ancora niente di particolarmente interessante, solo informazioni scientifiche ed oggettive.

Al contrario, trovai informazioni davvero utili ed interessanti nel terzo sito.

«COME NACQUE ATLANTIDE?

"Su questa montagna aveva la sua dimora uno degli uomini primordiali di quella terra,nato dal SUOLO;si chiamava Evenor e aveva una moglie chiamata Leucippe,ed essi avevano un'unica figlia,Cleito. La fanciulla era già donna quando il padre e la madre morirono;Poseidone si innamorò di lei ed ebbe rapporti con lei e,spezzando la terra,circondò la collina,sulla quale ella viveva,creando zone alternate di mare e di terra,le une concentriche alle altre;ve ne erano due di terra e tre d'acqua,circolari come se lavorate al tornio,avendo ciscuna la circonferenza equidistante in ogni punto dal centro,di modo che nessuno potesse giungere all'isola,dato che ancora non esistevano navi e navigazione...".Possiamo immaginare l'isola come un'enorme "Triplice cinta"di terra e di acqua.

Platone continua, e ci informa ulteriormente:"...I sovrani di Atlantide anzitutto gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l'antica metropoli,e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal Palazzo reale,che fin da principio eressero nella dimora del dio e dei loro antenati,e seguitarono ad abbellirlo di generazione in generazione,dato che ciascun re superava-all'apice della gloria-colui che l'aveva preceduto,sino a fare dell'edificio una meraviglia a vedersi,sia in ampiezza che in bellezza.E,partendo dal mare,scavarono un canale largo trecento piedi,profondo cento,lungo 50 stadi,che arrivava alla zona più esterna creando un varco dal mare fino a che essa divenne un porto;e il varco era abbastanza ampio da permettere l'entrata alle navi più grandi.Inoltre-a livello dei ponti-aprirono gli anelli di terra che separava gli anelli di mare,creando uno spazio sufficiente al passaggio di una trireme per volta da un anello all'altro e ricoprirono questi canali facendone una via sotterranea per le navi;infatti le rive furono innalzate di parecchio sopra il livello dell'acqua.Ora, la più grande delle zone-cui si poteva accedere dal mare tramite questo passaggio-aveva una larghezza di tre stadi e la zona di terra che veniva dopo era altrettanto larga;ma le due zone successive,l'una d'acqua e l'altra di terra,erano larghe due stadi e quella che circondava l'isola centrale era di uno stadio soltanto.L'isola su cui sorgeva il palazzo aveva un diametro di cinque stadi..."

Dunque esisteva davvero, non si trattava di una semplice leggenda metropolitana!

Ad un tratto la mia attenzione fu attirata da un foglietto ingiallito appoggiato vicino al computer.

«strano, non mi ricordavo che ci fosse prima»

Pensai, in effetti non lo avevo notato.

C'era scritto il numero a fondo pagina, come se fosse stato preso da un libro.

«Arnaude pianse lacrime amare quando dovette ritornare in Bretagna, sopratutto era affranta per la scomparsa di Ander. Ella rimase ferma e immobile per giorni e giorni, diventando sempre più magra e con il viso prosciugato. Una mattina, quando si trovava sul punto di morte, una messaggera degli dei le parlò telepaticamente.

"Ascoltami Arnaude, sono una messaggera degli dei e devo comunicarti il loro volere. Il tuo corpo è ormai debole e qualsiasi istante potrebbe esserti fatale.

Tuttavia, il fato ha deciso di essere buono con te e ti concederà un'ulteriore  opportunità, tu sai bene che è impossibile opporvisi.

Avvicinati verso l'acqua cristallina, immergiti fino a quando ogni tua singola parte del corpo non sarà completamente inondata.

Una volta sott'acqua, scoprirai un dono che ti è stato offerto dagli dei".

La giovane, in realtà, non credeva a una parola di quello che le era stato detto, ma poi pensò che morire annegata sarebbe stato semplice e indolore, così obbedì.

Si trascinò fino alla riva e poi si bagnò piano piano: i piedi, le gambe, il busto, il collo e infine il viso.

"Avanti morte, vienimi a prendere...non ho paura".

Pensò.

Proprio quando credette di aver esalato l'ultimo respiro, una strana scossa le percorse le vene e le ritornò la forza in corpo.

Il cuore riprese a battere regolarmente, gli arti funzionavano perfettamente e riusciva persino a respirare, come se possedesse una sorta di branchie».

Il racconto si concluse così, ma molto probabilmente avrebbe dovuto esserci un seguito nella pagina successiva, che io non possedevo.

Spensi il computer e sgattaiolai fuori dalla biblioteca, sollevata per non essere stata scoperta.

 

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