II
Sasuke
quella notte non aveva dormito. Si era girato e rigirato in quel
letto troppo piccolo e tremendamente scomodo in cui aveva dormito
così poche volte da quando i suoi genitori si erano trasferiti
nel quartiere di Montmartre. Non che di solito dormisse molto,
ritenendo che cinque ore a notte potessero bastare per ottimizzare
ulteriormente il suo tempo.
Una
ricerca scientifica sosteneva, infatti, che il numero delle ore non
contasse, bensì fosse importante andare a dormire prima delle
due di notte, momento in cui il cervello era più predisposto
per la fase REM e il sonno, quindi, più ristoratore. Lui
l'aveva presa alla lettera. Prima di coricarsi metteva in pratica
anche un rito '' propiziatore '' - per sicurezza – che
consisteva nel bere una tisana rilassante con dieci gocce di
Alprazolam. La sua mente, in quel modo, diventava un libro senza
figure né dialoghi e il
suo sonno, di conseguenza, non rischiava di essere disturbato da
inutili sogni.
Il
suo risveglio, di solito, era dolce, accompagnato dalle note della
radiosveglia impostata su un canale di musica classica e regolata per
suonare alle sei in punto.
Ah,
quanto gli mancava il suo piccolo appartamento alla periferia di
Sidney!
Si
consolò al pensiero che mancasse poco e che presto sarebbe
potuto tornare alla sua vita: dopo le ventiquattro ore canoniche in
cui era obbligatorio lasciare il feretro presso l'obitorio del
cimitero, quel pomeriggio avrebbero tumulato suo padre e poi lui
sarebbe stato libero di tornare alla sua normale e perfetta routine.
Afferrò
l'orologio a cipolla che, come d'abitudine, aveva poggiato sul
comodino e rimase a fissarlo per qualche minuto, riflettendo sul
fatto che erano passati diversi anni dacché aveva avuto
occasione di rimanere in panciolle sul letto fino alle otto del
mattino. Quel pensiero quasi lo infastidì, o forse era già
infastidito dalla notte insonne e da ciò che sua madre e suo
fratello gli avevano raccontato il giorno prima, fatto sta che si
alzò e andò a fare una doccia.
Il
bagno degli ospiti era quasi più striminzito della sua camera
e, quell'assurda fissazione di sua madre per lo stile retrò,
lo rendeva assolutamente poco pratico: la
doccia non era altro che una piccola vasca riadattata con una tendina
di plastica verde, risalente come minimo agli anni Settanta, appesa a
un bastone di ferro. Sasuke si chiese in quale mercatino delle pulci
l'avesse trovata e, soprattutto, perché non avessero
deciso di sostituire quel reperto archeologico con un normale, e
senz'altro più comodo, piatto doccia.
Anche
la rubinetteria risaliva con ogni probabilità ai tempi in cui
la casa era stata costruita tanto che il soffione della doccia,
incrostato in più punti, e non per l'imperizia della donna di
servizio, aveva tutta l'aria di essere ben poco efficiente.
Lo
stile Bohèmien di sua madre, prevalente in quell'appartamento,
lasciava a intendere che suo padre, più borghese e
conformista, le avesse lasciato carta bianca al momento del
trasferimento. La
loro precedente residenza, situata nel quartiere di Montparnasse,
non era mai piaciuta a sua
madre perché troppo moderna e funzionale. Sembrava provare un
fastidio a livello epidermico ad avere l'ascensore al posto di due
rampe di scale ripide quanto quelle de Le Sacre Coeur, ad avere una
caldaia al posto di un camino fuligginoso, ad avere, insomma, tutte
quelle comodità che una casa moderna poteva darle.
Quando,
dopo interminabili ricerche, sua madre aveva scovato
quell'appartamentino a Montmartre, il quartiere Bohemien per
eccellenza, lui era già partito per l'Australia e aveva
appreso la notizia da suo fratello che, riportando le testuali parole
di sua madre, lo aveva definito una '' bonbonnière ''.
A
suo dire quella bomboniera era sul punto di esplodere a causa della
sindrome da accumulatrice seriale che sua madre aveva sempre avuto
che aveva ridotto, con l'andar degli anni, la superficie calpestabile
di quell'appartamento a un terzo.
Per
sua fortuna quei geni poco sani erano stati ereditati da Itachi, che
se ne andava in giro per Parigi con un vecchio Maggiolone cabriolet,
e non da lui che, tolto il suo inseparabile orologio, difficilmente
riusciva ad affezionarsi a degli oggetti – o ad affezionarsi in
generale.
Con
qualche difficoltà di movimento riuscì a farsi la
doccia, maledicendo più volte la tenda, la vasca scivolosa e
il soffione che, come pensava, a causa del calcare accumulato intorno
alle bocchette, era stato efficace come la fontanella di un giardino
pubblico.
Si
legò un asciugamano all'altezza della vita e si guardò
nel grande specchio ovale posto sopra il lavandino, qua e là
striato di ruggine – un altro reperto archeologico.
Il
suo viso era più pallido del solito, quasi smunto, e i suoi
occhi erano adornati da due belle occhiaie, sintomatiche della notte
passata in bianco in cui spesso si era ritrovato a pensare a quella
ragazza, mettendo in moto la sua mente analitica per capire se ci
potesse essere davvero un fondo di verità nelle illazioni di
sua madre.
Era
impensabile che suo padre avesse potuto avere una relazione
extraconiugale, lui
così retto, così intransigente e bigotto.
Certo,
le prove che avevano trovato Itachi e sua madre lasciavano ben poco
al caso, ma qualcosa continuava a non convincerlo. Forse le cose non
stavano così come loro le avevano immaginate, forse si erano
fermati alle apparenze e non avevano scavato abbastanza in fondo per
scoprire la verità. Avevano deciso, più sua madre che
Itachi, che quella fosse l'unica versione possibile dei fatti, per
quanto, ne era certo, apparisse anche a loro assurda.
Per
lui era diverso, lo era sempre stato. Era
stato proprio il desiderio di riuscire a spiegare l'assurdo che lo
aveva convinto a scegliere un percorso di studi scientifico e a
dedicare tutte le sue energie alla ricerca.
Il
medesimo desiderio che adesso
stava attentando ala sua volontà di rimanere al di fuori di
quella faccenda,
complice
il pessimo presentimento che languiva nella sua testa da quando aveva
visto quella ragazza.
Decise
di uscire, sperando che una passeggiata potesse aiutarlo a distrarsi
da quei pensieri pericolosi.
Sua
madre, dalla sera prima, non era più uscita dalla sua stanza e
pensò bene di non disturbarla ritenendo che, probabilmente,
desiderasse riposare un po'.
Scese
le due ripide rampe di scale e uscì in strada.
Si
affrettò a indossare i suoi occhiali da sole perché
dopo una notte insonne tendeva a essere fotofobico e, quella mattina,
il sole splendeva alto sul Quartiere di Montmartre e sembrava aver
reso tutti più gioiosi e rumorosi – tranne lui,
ovviamente.
Si
allontanò in fretta dal caos di quella strada, affollata di
turisti, e si diresse verso il Quartiere di Pigalle dove avrebbe
potuto prendere la Metropolitana e muoversi verso il centro.
Prese
l'orologio dalla tasca e controllò l'ora: le nove e mezza. Era
di nuovo in ritardo, una costante da quando aveva messo piede a
Parigi, e questa volta per la colazione.
Si
fermò in un Bistrot e ordinò un tè e un
croissant. Non
era mai stato un patito di dolci, ma dovette ammetterlo: i croissant
parigini gli erano mancati parecchio.
Senza
una meta ben precisa, prese la linea dodici della Metropolitana che
dopo dieci fermate avrebbe cambiato con la dieci, arrivando così
nei pressi della Tour Eiffel. Da lì si sarebbe poi mosso a
piedi.
Giunto
alla stazione di cambio, alzò lo sguardo per rintracciare le
indicazioni per il treno successivo, ma tutto ciò che i suoi
occhi riuscirono a registrare, come se qualcuno si fosse divertito a
cancellare il resto dei cartelli e a fargli perdere la strada, fu la
dicitura '' Cluny – La Sorbonne ''.
Seguì
la freccia che, nonostante tutto, portava comunque al treno che aveva
deciso di prendere, e una volta a
bordo si
lasciò cadere su uno dei sedili di plastica.
Le
fermate si susseguirono una dopo l'altra e le porte del treno si
riaprirono
alla stazione ''
Cluny – La Sorbonne ''. Le
persone accalcate all'uscita scesero dal treno e lui rimase lì
seduto, a guardarle, come incapace di muoversi o non desideroso di
farlo, mentre
i passeggeri che attendevano sul marciapiede della stazione presero a
salire sul treno.
Il
suo subconscio aveva sperato che sul suo vagone salissero talmente
tante persone da creare come un muro tra lui e l'uscita, impedendogli
di mettere in atto quella malsana idea che aveva iniziato a farsi
strada nella sua testa dacché aveva visto il cartello. Contro
ogni previsione e contro ogni speranza, i passeggeri appena saliti
sul treno si dispersero in fretta, lasciandogli quindi la libertà
di scendere qualora questa fosse stata la sua volontà.
Quando
udì lo sbuffare del marchingegno di chiusura delle porte,
qualcosa in lui finalmente scattò e, incurante della
possibilità di venire redarguito per quel gesto pericoloso e
per aver ritardato la partenza del treno, scese in fretta.
S'immobilizzò di nuovo al di là della linea gialla,
incredulo e quasi divertito, ricordando un aneddoto della sua
adolescenza, quando saltare giù dalla metropolitana di Parigi
all'ultimo minuto era una consuetudine, un gioco, un modo per
contravvenire alle regole, e poco dopo sentì di nuovo il
marchingegno sbuffare, le porte chiudersi e il treno partire.
Carico
di una buona dose di adrenalina seguì le indicazioni che
riportavano in superficie, percorrendo
i sottopassaggi illuminati dal neon della metropolitana, affollati di
viaggiatori e artisti di strada. Una volta all'esterno, si
ritrovò su
le Boulevard Saint-Germain e da lì in poi non ebbe più
alcun bisogno delle indicazioni: la strada la conosceva a memoria.
Imboccò
Rue de
Cluny ,
poi girò
a destra per Rue Saint-Jacques e infine a sinistra in Rue Cujas,
ritrovandosi
davanti all'ingresso principale della Sorbonne.
Il
tempio della dea Ragione, come era stato ribattezzato durante la
Rivoluzione Francese, continuava a esercitare un certo fascino su
Sasuke nonostante fossero passati svariati anni. In vero, nella sede
centrale, ci aveva messo piede poche volte in
quanto la facoltà di fisica era distaccata presso l'Université
Pierre et Marie Curie Paris 6 in rue dell'Ecole de Médecine,
ma era comunque emozionante pensare che per secoli all'interno di
quelle mura fossero state tramandate imponenti moli di cultura, che
personaggi come gli stessi coniugi Curie, Giordano Bruno, Jean-Paul
Sartre, e molti altri, avessero calpestato quei pavimenti.
Aveva
come l'impressione di poterli vedere con vecchi libri consunti tra le
mani e le dita sporche di inchiostro a discutere di arte,
letteratura, filosofia, matematica. Avrebbe pagato qualsiasi cifra
per poter assistere dal vivo alla creazione dell'Elettrometro
Piezoelettrico al Quarzo, o alla
divisione del radio dal bario con il metodo della cristallizzazione
frazionata.
Entrò
all'interno della struttura e si diresse al punto informazioni,
chiedendo indicazioni per raggiungere l'ufficio di suo padre. La
donna dall'altra parte della scrivania gli aveva fatto immediatamente
le condoglianze e si era offerta di accompagnarlo e lui aveva
accettato di buon grado, temendo di perdersi.
Avevano
salito le scale, ornate da passamano di ottone e bronzo che
riportavano ancora le effigi dei reali di Francia, e attraversato una
serie di corridoi fino a che la donna non si era fermata davanti a
una porta in legno a doppio battente e aveva bussato.
«
Mademoiselle, est-ce que je peux entrer? » (1)chiese,
confermando la sua ipotesi che quella donna si trovasse lì.
«
Un
istant je vous prie. » (2)rispose
una voce sottile dall'altra parte.
Udirono
una serie di rumori che non riuscirono a identificare e, dopo qualche
minuto, la porta si aprì.
La
ragazza spalancò i suoi occhi verdi e socchiuse le labbra.
«
Le monsieur est le fils… »(3) si affrettò
a spiegarle la donna.
«
Ti
conosco.
» la interruppe lei « Quel
bagliore nei tuoi occhi è così famigliare.
»(4)
affermò d'istinto,
prendendo
completamente alla sprovvista
Sasuke che
fu costretto a deglutire e
poi a serrare la mascella per
controllare lo stupore e l'imbarazzo.
«
Je m'en occupe maintenant, merci beaucoup. »(5) si
rivolse poi alla donna, liquidandola con gentilezza.
Appena
questa fu abbastanza lontana, fece cenno a Sasuke di seguirla
all'interno dello studio di suo padre e richiuse la porta.
Sasuke
si guardò intorno per qualche istante, mostrandosi più
interessato a ciò che lo circondava che a lei che era rimasta
alle sue spalle. Era rimasto molto colpito dalla sua spontanea
affermazione, forse un po' troppo articolata, poetica, ma sicuramente
d'effetto. Altresì non si aspettava che quella ragazza fosse
così giovane e che avesse i capelli di quello strano colore:
rosa. Un altro punto a favore della tesi che non fosse l'amante di
suo padre – aveva già dell'incredibile che l'avesse
accettata come sua assistente.
Lo
studio era molto grande, ordinato, nonostante la quantità di
libri che vi erano conservati al suo interno, che impilati gli uni
sugli altri, in alcuni punti della stanza sembravano essere diventati
come un secondo muro.
Percepiva
lo sguardo della ragazza alle sue spalle: lo stava studiando e
aspettava forse che lui dicesse qualcosa. Lei, in quella semplice
affermazione fatta poco prima
aveva
implicitamente
ammesso di averlo riconosciuto, forse
per quel fugace incontro in Chiesa, mentre
lui non era stato ancora in grado di dirle alcun che.
«
Hai il suo stesso sguardo » esordì la ragazza, mentre lo
superava e si posizionava di fronte a lui, appoggiandosi
di
schiena alla
scrivania « Severo e inquietante.
» aggiunse, abbozzando un sorriso.
La
sincera tristezza che Sasuke poté leggere nei
suoi occhi
lo costrinse a cambiare i suoi piani. Lungo il percorso dalla fermata
della Metropolitana alla sede della Sorbonne, aveva fantasticato a
lungo su quel momento. Aveva
deciso di
farla parlare, di
aggredirla se necessario, ma guardandola adesso, così triste,
aveva provato più il desiderio di consolarla che altro.
«
Tu sei Sasuke, vero? » gli domandò la ragazza.
«
Sì. » le
rispose « E
lei è Sakura Haruno. » aggiunse,
scegliendo di proposito di darle del lei per mantenere le distanze.
«
Tuo padre mi ha parlato tanto di te. » lo
informò,
ignorando l'evidente chiusura che il ragazzo aveva mostrato nei suoi
confronti.
«
Strano. » replicò Sasuke, stando ben attento a non far
trasparire l'amarezza nel suo tono di voce: dopo quanto accaduto in
passato era impensabile
che suo padre parlasse a un estraneo di lui.
«
Al contrario io ho appreso di lei solo ultimamente. » aggiunse,
guardandola dritta negli occhi per cogliere un eventuale reazione.
«
Sarebbe stato strano
il contrario.
» affermò Sakura,
sorridendo
divertita e aspettandosi che anche lui facesse lo stesso: i giochi di
parole erano sempre stati il suo forte. Ricordò quanto Fugaku
li odiasse e si adombrò per un attimo per poi concentrarsi di
nuovo sul ragazzo che aveva di fronte che si era limitato ad alzare
un sopracciglio, perplesso.
Si
schiarì la voce con un colpo di tosse e riprese: «
Perché mai tuo padre avrebbe dovuto parlarti di me? Dopotutto
ero
solo la sua assistente. »
In
effetti, constatò Sasuke, sorvolando su quello stupido gioco
di parole, il ragionamento della ragazza non faceva una piega.
«
Ma
dimmi. » continuò lei,
incrociando le braccia « Cosa ti ha portato qui, oggi? »
gli domandò, socchiudendo gli occhi.
Sasuke
si prese qualche minuto per valutare bene cosa risponderle: se si
fosse esposto troppo probabilmente lei si sarebbe chiusa a riccio e
lui non avrebbe ottenuto alcuna informazione.
«
Dovrei recuperare gli effetti personali di mio padre. »
Una
scusa plausibile, dopotutto prima o poi l'Università avrebbe
chiesto a sua madre di farlo.
«
Di già! » esclamò la ragazza, questa volta
spalancando gli occhi dallo stupore « Bande d'ingrats! »
(6)imprecò, sottovoce.
«
Beh,
allora preparati! » gli
annunciò « In questo studio, tutto è un effetto
personale di tuo padre. » gli disse poi, enfatizzando il
concetto spalancando le braccia.
Sua
madre sarebbe stata contenta, osservò Sasuke: tanti altri
oggetti da collezionare.
«
Ci metterai come minimo tre settimane. » pronosticò la
ragazza « A meno che tu non voglia pagare una ditta di
traslochi. »
«
Valuterò il da farsi. » replicò Sasuke, caustico.
«
Vuoi
iniziare subito? » gli domandò Sakura.
«
No, penso che ne parlerò prima con mia madre. »
«
Bene. » ribatté lei, piegando le labbra in una smorfia
strana, sicuramente d'imbarazzo.
«
Bene. » ripeté lui, deciso a non muoversi da lì
fino a che non avesse ottenuto anche solo una minima informazione.
Sullo
studio si abbatté un febbrile silenzio. Sasuke tirò
fuori dalla tasca il suo orologio per controllare l'ora e lei, di
sottecchi, lo osservò, trovando abbastanza inusuale che un
uomo della sua età andasse in giro con un pezzo di anticaglia
del genere.
Tuttavia,
quel gesto, le fece venire in mente un modo per togliersi
dall'impaccio.
«
È
quasi ora del brunch. » esordì, dunque, attendendo una
sua reazione prima di continuare.
Sasuke
alzò lo sguardo dall'orologio e la guardò con aria
interrogativa: lo stava gentilmente mandando via o lo stava invitando
a pranzo?
«
Mi fai compagnia? » decise di dirgli scegliendo tra le varie
opzioni quella più gentile.
Sasuke
annuì: poteva essere un'ottima occasione per conoscerla meglio
e, chissà, capire quale rapporto ci fosse stato tra lei e suo
padre. Certo, quella ragazza era scaltra e sicuramente con la sua
dialettica avrebbe potuto intortarlo a suo piacimento, ma era sempre
stato bravo a leggere tra le righe e con un po' di pazienza, ne era
sicuro, avrebbe ottenuto quello che voleva.
«
Allons! »
Appena
fuori dall'edificio, Sakura gli fece un cenno, invitandolo a fermarsi
un attimo. Si appoggiò a una delle colonne del porticato e
tirò su una gamba, rimanendo in equilibrio, per sostenere il
peso della sua borsa a tracolla. Frugò insistentemente
all'interno della stessa, portando la lingua sul labbro superiore, in
un'espressione che Sasuke definì alquanto buffa. Dopo alcuni
secondi, sorrise trionfante, avendo trovato il pacchetto di sigarette
e l'accendino in un solo colpo – evento raro.
Prese
una sigaretta e la portò alla bocca, porgendo poi il pacchetto
a Sasuke.
«
Ho smesso, grazie. » la informò, rifiutando con
gentilezza.
Sakura
accese la sigaretta e inspirò a fondo il primo tiro,
sentendosi immediatamente meglio: da quando Sasuke aveva fatto la sua
comparsa aveva sentito il bisogno impellente di fumare.
«
Che bravo! » esclamò, davvero colpita « E come hai
fatto? Agopuntura? Sigaretta elettronica? » gli domandò
curiosa: lei ci aveva provato molte volte a smettere, ma puntualmente
era ricaduta in tentazione.
«
Qualcosa di molto più semplice. » le rispose, quasi
divertito.
«
Cioè? »
«
Forza di volontà. » dichiarò Sasuke, con una nota
di sufficienza nella voce che riuscì a zittire la ragazza.
Da
quel momento in poi camminarono in silenzio, ripercorrendo al
contrario la strada dalla Sorbonne al Boulevard Saint-Germain dove
era situata la brasserie in cui Sakura aveva intenzione di portarlo.
Era
un locale in pieno stile parigino, anche se proponeva piatti
internazionali come il sushi o la pasta.
Si
misero a sedere a un tavolo, già apparecchiato con tovagliette
di carta a quadretti bianchi e rossi, un bicchiere di vetro da acqua
e le posate avvolte in un tovagliolo, anch'esso di carta.
In
quanto a eleganza non era il massimo, ma a giudicare dalla folla il
cibo doveva essere buono.
«
Qui preparano un sushi eccellente. » lo informò la
ragazza « Anche se io non l'ho mai mangiato. Non mi piace. »
aggiunse, porgendogli il menù che la cameriera aveva lasciato
al tavolo.
«
Come fa a dire che è eccellente se non l'ha mai mangiato? »
la provocò Sasuke, che dopo essere riuscito a zittirla si era
sentito intellettualmente superiore e, quindi, aveva acquisito
sicurezza.
«
Potresti. » Sakura indugiò appena « Sì,
insomma, potresti non darmi del lei? » gli chiese, tutto d'un
fiato, aggiungendo poi: «Mi mette a disagio. Siamo quasi
coetanei dopotutto. »
Sasuke
incurvò le labbra in un ghigno: l'aveva capito subito che il
fatto che lui le avesse dato del lei l'avesse messa in imbarazzo, ma
aveva continuato, deciso a mantenere le distanze, a non darle
confidenza. Non aveva intenzione di diventare suo amico, in verità
non vedeva l'ora di dimenticare tutta quella storia, ma non prima di
aver scoperto la verità.
«
Se non sbaglio sei nato a Luglio. » riprese Sakura « Io
sono nata a Marzo. Sono più grande di te di qualche mese, ma
non per questo mi devi dare del lei. Mi fai sentire vecchia. »
sproloquiò nervosa, spiegazzando l'angolo della tovaglietta.
Sasuke
rimase stupito nell'apprendere che lei fosse così informata:
forse non mentiva sul fatto che suo padre le avesse parlato di lui.
«
Non sei originaria di Parigi, vero? » le chiese Sasuke,
accontentandola sul '' tu '' e partendo definitivamente all'attacco.
Lei
gli sorrise, sollevata, e smise di maltrattare la tovaglietta.
«
Non mangio il sushi, ma sono Giapponese. » gli confermò,
anche se era certa che quella precisazione fosse stata assolutamente
inutile.
«
Da quanto tempo vivi a Parigi? » incalzò lui, deciso a
battere il ferro finché era caldo.
«
Da sempre. O almeno da che ho memoria. »
Quella
risposta criptica non soddisfò affatto il ragazzo che
mentalmente aveva già fatto i suoi conti: il cognome Haruno lo
aveva subito portato a pensare che lei non fosse di Parigi, i
lineamenti, il taglio degli occhi e quella frase a bruciapelo che
aveva proferito sulla porta dello studio di suo padre gli avevano
confermato il suo sospetto, tuttavia in quel quadro quasi perfetto
c'era qualcosa che stonava ed era il suo francese, impeccabile e
senza accenti particolari.
Vivendo
all'estero Sasuke aveva imparato che, per quanto si potesse conoscere
bene una lingua e parlarla correntemente, l'accento della propria
lingua madre fosse impossibile da eliminare del tutto: che fosse nata
in Francia, quindi?
La
cameriera si accostò al tavolo e chiese loro cosa volessero
ordinare.
Sasuke
optò per una semplice insalata e dell'acqua naturale, mentre
Sakura ordinò una omelette, un tagliere di formaggi e un
bicchiere di vino rosso.
«
E così sei un fisico. »
Sakura
cambiò discorso, incentrando di nuovo la conversazione su di
lui.
«
Sì. » affermò lui, senza aggiungere altro: non
amava parlare di sé.
«
Ambizione, distrazione, mostrificazione e derisione. » recitò
lei, facendo ondeggiare una mano come un direttore d'orchestra.
Sasuke
la guardò perplesso e alzò un sopracciglio: ciò
che aveva appena detto non aveva il ben che minimo senso logico.
La
ragazza scoppiò a ridere, conscia che non avesse capito e lui
corrugò la fronte, contrariato, sentendosi preso in giro.
«
Sono le varie branche dell'aritmetica, ma penso che possano essere
valide anche per la fisica. » tentò di spiegargli, anche
se era quasi certa che non avrebbe capito ugualmente « Voi
scienziati siete come dei libri senza figure, né dialoghi. »
continuò, cercando di rendere il concetto più chiaro «
Inseguite in modo spasmodico la conoscenza, schiavi di formule e
numeri, dimentichi di avere un'anima che necessita di essere nutrita
quanto la mente. »
Per
quanto Sasuke si sforzasse non riusciva a seguirla e quel senso
fastidioso di inadeguatezza lo portò a lanciarle uno sguardo
severo, ammonitore, volto a dissuaderla dal continuare.
La
cameriera, in modo provvidenziale, tornò al tavolo con il loro
pranzo, allentando così la tensione.
Sakura
iniziò a mangiare come se nulla fosse accaduto, mentre lui
ancora troppo arrabbiato rimase a fissare la sua insalata, cercando
di allontanare da sé il desiderio di risponderle con il
rischio di poter essere offensivo. Aveva voglia di insultarla, di
umiliarla, per quella bestemmia che aveva appena proferito.
Implicitamente lo aveva offeso, deliberatamente attaccato, e il suo
orgoglio non riusciva a sopportare un simile affronto.
Un
libro senza figure, né dialoghi. Ambizione, distrazione,
mostrificazione e derisione.
Quella
ragazza non sapeva di cosa stava parlando e, soprattutto, aveva
quello strano modo di interloquire che la rendeva non solo
incomprensibile, ma anche insopportabile.
«
Come hai conosciuto mio padre? »
Sasuke
si decise a rompere il silenzio, tornando all'argomento principale,
quello per cui aveva accettato di pranzare con quella donna blasfema
e inopportuna.
«
All'università. » gli rispose lei, mandandolo su tutte
le furie per quell'ennesima risposta vaga e superficiale.
Sasuke
iniziò a sospettare che lei avesse subdorato qualcosa, che
avesse scoperto il suo gioco e che, quindi, si comportasse in quel
modo di proposito.
«
Tuo padre era un uomo molto buono. »
Inaspettatamente
Sakura ricominciò a parlare, con un tono molto diverso da
quello che aveva utilizzato in precedenza.
«
Per me non è stato solo un mentore, ma anche un amico, un
padre. » continuò, con voce strozzata, mostrando quanto
in fondo fosse fragile dietro quella maschera di donna emancipata che
si era costruita « L'ho amato molto. » chiosò,
lasciando Sasuke esterrefatto: forse le teorie di sua madre non erano
poi così tanto infondate.
Dopo
aver pronunciato quelle parole Sakura posò la forchetta,
sentendo venir meno la fame, e con un gesto veloce della mano si
asciugò una lacrima arroccata nell'angolo dell'occhio destro.
Sasuke,
dentro di sé, cercò di convincersi che quella fosse una
sceneggiata per non cadere nella tentazione di provare pena o
comprensione per lei. Aveva appena ammesso di aver amato molto suo
padre, era quello che lui voleva sentirsi dire, ma non quello che si
sarebbe aspettato che lei dicesse; non così spontaneamente,
almeno, come fosse stata una cosa normale: quale amante avrebbe
confessato il suo peccato con tale facilità?
Qualcosa
continuava a non tornargli e non era solo il fatto che qualcun altro,
a parte sua madre, avesse potuto provare un simile attaccamento verso
una persona tendenzialmente anaffettiva come suo padre.
«
Cosa intendi? » le domandò Sasuke, con la speranza che
lei rispondesse con sincerità.
«
Ho perso i miei genitori quando ero molto piccola » gli
rispose, riprendendo a maltrattare la tovaglietta con le dita della
mano « E Fugaku è stato quanto di più simile a
una famiglia che io abbia mai avuto. Si prendeva cura di me come
avrebbe fatto un padre, o almeno credo. » gli spiegò,
poi, sentendo di nuovo le lacrime affiorarle sui bordi delle
palpebre.
«
Mi dispiace per i tuoi genitori. » si sentì di dirle il
ragazzo, versando un po' d'acqua nel bicchiere per ovviare alla
sgradevole sensazione di secchezza che aveva iniziato a provare in
direzione della gola.
«
Non puoi dispiacerti per qualcosa che non conosci, come non si può
soffrire per qualcosa che non ricordi di avere avuto. » affermò
lei, dandogli di nuovo prova di essere molto brava con le parole e,
all'occorrenza sintetica, ma efficace.
«
Non hai ricordi di loro, quindi. »
«
No. Avevo solo quattro anni. »
Sakura
inforcò lo stelo del calice e portò il bicchiere alle
labbra, bevendo un lungo sorso di vino: l'ultima volta che aveva
parlato del suo passato così apertamente era stato proprio con
il padre di Sasuke, un dejavù che aveva dell'incredibile.
Probabilmente, come suo padre, Sasuke tentava di difendere il suo
animo gentile e altruista, indossando la maschera dell'uomo duro e
intransigente.
«
Dopo cos'è accaduto? » incalzò Sasuke, sentendo
di essere sulla strada giusta, infischiandosene di poter essere
inopportuno o sgarbato nel porle domande così personali.
«
Quello che accade a tutti gli orfani. Sono stata in un istituto, in
Giappone, per circa un anno, o almeno credo. Il primo vero ricordo,
un po' confuso, della mia infanzia è il viaggio in aereo che
mi ha condotta a Parigi. »
Più
Sakura andava avanti nel racconto, più dentro Sasuke nasceva
un nuovo dubbio, se possibile più inquietante di quello con il
quale era partito quella stessa mattina.
«
Perché Parigi? Non avevi parenti in Giappone? » indagò,
quindi, perché quel dubbio si era ormai insinuato nelle sue
sinapsi e la sua mente era già arrivata a una conclusione, ma
aveva bisogno di ulteriori informazioni per averne la certezza.
«
Mi stai facendo il terzo grado per caso? » obiettò lei,
riducendo i suoi occhi a due fessure.
«
No. » rispose, sicuro « È
solo che la tua storia mi ha incuriosito, ma se non hai voglia di
parlarne possiamo anche cambiare argomento. » si sforzò
di sembrare convinto di quello che diceva, benché in cuor suo
desiderasse il contrario.
«
Comunque no, nessun parente. Né qui, né in Giappone. »
Sasuke
tirò un sospiro di sollievo, udendo la sua risposta ancora
attinente all'argomento.
«
Non so neanche come ci sia finita qui a Parigi. Un bel giorno mi
hanno caricato su un aereo e spedita in un collegio dove sono rimasta
fino ai diciotto anni. » continuò lei, gesticolando
animatamente.
La
domanda nacque spontanea nell'eccelsa mente dell'Uchiha: come aveva
fatto una povera orfanella a diventare assistente del Rettore
dell'Università di Letteratura Straniera della Sorbona?
«
Ti starai chiedendo chi ha pagato i miei studi, immagino. »
Leggeva
anche nel pensiero?
«
Una delle suore del collegio fece richiesta per una borsa di studio
e, non so come, la vinsi. Evidentemente Suor Marie aveva dei buoni
agganci in Paradiso. » gli confessò,
sorridendo al ricordo di quel giorno in cui la sua vita era cambiata
in modo radicale.
Quell'ultima
rivelazione insospettì ulteriormente Sasuke: che la suora
avesse potuto avere qualche aggancio all'interno della Sorbona poteva
essere anche plausibile, ma quella storia continuava ad avere delle
enormi incongruenze, delle falle che la rendevano assai poco
credibile.
«
Non hai mai cercato di scoprire come sei arrivata a Parigi? »
le domandò, quindi: al suo posto non si sarebbe dato pace,
proprio come stava facendo in quel momento, fino a che non avesse
trovato una spiegazione.
«
Oh, sì! » esclamò lei « Ci ho provato
svariate volte. Ho persino pensato di andare in Giappone, a Kamakura,
la mia città natale per scoprire le mie origini. »
«
Kamakura hai detto? » la interruppe Sasuke, che sentendo quel
nome aveva sbarrato gli occhi.
«
Sì, la conosci? »
«
Ne ho sentito parlare. » mentì: era la
città natale di suo
padre. Coincidenza?
La
coincidenza, in senso lato, è la probabilità,
accidentale e inaspettata, che due o più eventi siano tra loro
collegati, ma in fisica, come nel
caso di due raggi di sole
che colpiscono
lo stesso punto, l'allineamento dei due eventi non è affatto
casuale o sorprendente.
Sasuke,
pertanto, non aveva mai creduto alle coincidenze.
«
Mi piacerebbe molto andarci, ma il viaggio costa un'assurdità.
» piagnucolò la ragazza, abbassando le spalle,
sconfortata.
«
Adesso. » sbottò improvvisamente Sasuke, tirando fuori
il portafogli dalla tasca e posando i soldi per il conto sul tavolo «
Adesso devo proprio andare. Mia madre e mio fratello mi stanno
aspettando. » le spiegò in fretta, con un'espressione
sul viso molto simile a quella di chi ha appena ricevuto una pessima
notizia o ha visto un fantasma. L'ultima informazione che Sakura gli
aveva dato era stata cruciale. Non aveva ancora le idee molto chiare,
ma quantomeno aveva assodato che tra lei e suo padre non ci fosse
stato quel sordido rapporto ipotizzato da sua madre. Adesso
quantomeno sapeva come comportarsi, cosa fare, e con un po' di
fortuna sarebbe riuscito a mettere in atto i suoi propositi prima che
suo padre venisse tumulato.
«
Aspetta! » lo fermò lei, cercando di nuovo qualcosa
nella borsa: questa volta una semplice penna.
Allungò
una mano verso di lui, invitandolo a fare lo stesso. Lui la guardò
corrucciato non riuscendo a capire il senso di quel gesto, ma la
assecondò.
«
Hai delle belle mani. » osservò lei, accarezzando
la mano del ragazzo che, rigido, continuava a chiedersi che
intenzioni avesse.
Con
gentilezza lo costrinse a voltare il palmo della mano all'insù
e prese a scrivervi sopra dei numeri.
«
Questa sera sono stata invitata a una festa. » gli disse «
Forse non hai voglia di stare in mezzo alla gente, ma mi farebbe
piacere se tu venissi. » aggiunse poi, restituendogli la mano.
Sasuke
annuì, incapace di fare altro e uscì in fretta dalla
brasserie diretto nuovamente all'Università: doveva
immediatamente togliersi quel dubbio angosciante dalla testa.
Suo
padre era nato a Kamakura, poi durante il servizio militare si era
trasferito a Tokyo dove aveva iniziato gli studi e conosciuto sua
madre. Dopo la morte dei suoi nonni non aveva più fatto
ritorno alla sua città natia, tuttavia poteva essere
plausibile che avesse avuto ancora delle amicizie lì. Sakura
era nata a marzo, lui a luglio, e nel periodo che era intercorso tra
la sua nascita e quella di Itachi i suoi genitori avevano avuto una
crisi matrimoniale che li aveva portati quasi al divorzio. Quelli
erano fatti, non coincidenze, ed era sicuro che, indagando su quella
borsa di studio, avrebbe scoperto che non era mai esistita.
Note
Autrice
Salve
carissimi lettori,
questa
mattina sarò abbastanza sintetica perché sono in
ritardo e tra un quarto d'ora devo stare in ufficio. :-(
Ringrazio
chi ha recensito il precedente capitolo, chi ha inserito la storia
tra le preferite, le seguite e le ricordate, e chi l'ha solamente
letta. Grazie infinite!
Vi
annuncio anche che il capitolo di Mr è quasi terminato ma
siccome in questi giorni sono oberata di lavoro non penso che
riuscirò a postarlo prima di giovedì o venerdì.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e gradirei sapere che cosa ne
pensate.
Colgo
l'occasione per fare gli auguri a una mia carissima amica che oggi
compie gli anni. Bonne Anniversaire Giropizza!
Un
bacione a tutti e a presto.
Note:
(1)
« Mademoiselle, est-ce que je peux entrer? » (Signorina,
posso entrare?)
(2)
« Un istant je vous prie. » (Un istante prego)
(3)
« Le monsieur est le fils… » (Il signore è
il figlio…)
(4)
Traduzione di un verso della canzone '' Once upon a dream'' di Lana
del Rey
(5)
« Je m'en occupe maintenant, merci beaucoup. » (Me ne
occupo io adesso, grazie mille.)
(6)
« Bande d'ingrats! » (Banda di ingrati)
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