Olympus Chapter 3 di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- intreccio ***
Capitolo 2: *** II- Incanto ***
Capitolo 3: *** III- Inizio ***
Capitolo 4: *** IV- Incitamento ***
Capitolo 5: *** V- Immagine ***
Capitolo 6: *** VI- Insperato ***
Capitolo 7: *** VII- Irreale ***
Capitolo 8: *** VIII- Ira ***
Capitolo 9: *** IX- Insieme ***
Capitolo 10: *** X- Istinto ***
Capitolo 11: *** XI- Impazienza ***
Capitolo 12: *** XII- Incendio ***
Capitolo 13: *** XIII- Introspezione ***
Capitolo 14: *** XIV- Imperituro ***
Capitolo 15: *** XV- Inferno ***
Capitolo 16: *** XVI- Imago ***
Capitolo 17: *** XVII- Invito ***
Capitolo 18: *** XVIII- Invecchiare ***
Capitolo 19: *** XIX- Invasione ***
Capitolo 20: *** XX- Ignoto ***
Capitolo 21: *** XXI- Incatenare ***
Capitolo 22: *** XXII- Ironia ***
Capitolo 23: *** XXIII- Innovazione ***
Capitolo 24: *** XXIV- Inganno ***
Capitolo 25: *** XXV- Invocare ***
Capitolo 26: *** XXVI- Ibrido ***
Capitolo 27: *** XXVII- Indelebile ***
Capitolo 28: *** XXVIII- Iride ***
Capitolo 29: *** XXIX- Improvvisare ***
Capitolo 30: *** XXX- Idoli ***
Capitolo 1 *** I- intreccio ***
I
INTRECCIO
Il
sole
tiepido d’inizio primavera illuminava quel giovane guerriero
che, tolto l’elmo,
si puliva il viso con l’acqua del fiume. Lo sciabordio
dell’acqua gli impediva
di udire i lievi passi di lei, che ora stava nascosta fra gli alberi e
lo
osservava. Sorrideva maliziosa, mentre lui restava senza armatura e si
concedeva un breve bagno, con solo una pezza di stoffa a coprirlo.
Consapevole
che i boschi pullulavano di ninfe e divinità che ancora non
conosceva, il
giovane stava attento a non scoprirsi troppo e stava
all’erta, per quanto
possibile. Era stanco, ma soddisfatto. Lavò via il sangue
nemico, con un
ghigno. I capelli neri gli ricaddero sul volto, bagnati. La sua
espressione
mutò leggermente, in una smorfia, quando notò un
taglio sulla spalla. Si guardò
attorno, pensando a cosa usare per potersi fasciare, quando un paio di
candide
mani comparvero, riflesse dall’acqua. Alzando gli occhi, lo
sguardo rosso di
lui incrociò il volto più bello che avesse mai
visto.
“Siete
ferito” parlò lei, porgendo un nastro che portava
fra i capelli “Usate questo”.
Il
giovane
rimase immobile, con la bocca leggermente aperta, farfugliando sillabe
sconnesse. Quella donna, molto poco vestita, era magnifica e lo rendeva
incapace di formulare una frase sensata. Lei rise. Era evidente che era
abituata a provocare reazioni simili negli uomini.
“Qual
è il
tuo nome?” riprese a parlare la donna.
“Io?
Il mio?
Il nome..? Il..”.
Lei
rise
ancora e lui tossì, cercando di recuperare un certo
autocontrollo.
“Sono
Ares”
rispose, infine “E Voi?”.
“Sono
Afrodite. Sei quello nuovo? Il figlio di Era e Zeus?”.
“Sì.
Sono
io..sono già famoso?”.
“Abbastanza.
il figlio del fiordaliso. Il figlio del pruno selvatico. Il Dio della
guerra”.
“E
Voi siete
Afrodite. La figlia delle onde e di Urano. Dea della bellezza e
dell’amore”.
“Del
sesso.
Cerca di essere preciso, ragazzo”.
“Chiedo
perdono..”.
Ares
indossò
l’indispensabile per celare l’inevitabile
conseguenza che provocava ad un uomo
guardare il corpo di Afrodite. Lei finse di non notarlo.
“Ti
aiuto
con la ferita” riprese lei, facendo sedere il giovane Dio e
sedendosi a sua
volta.
Lui
non
oppose resistenza. Afrodite intrecciò il nastro, in modo da
farlo divenire più
resistente. Ares ne osservò i movimenti e, per un istante, i
loro sguardi si
incrociarono di nuovo. E per la prima volta si sorrisero.
Ares
si
stupì nel ripensare a quella scena dopo migliaia di anni. Il
loro primo
incontro. Prima di Phobos, Deimos, Eros, Anteros, Armonia.. E
trovò quasi
divertente constatare che tutte le donne a cui si era più
legato le aveva
conosciute perché ferito. Forse doveva farsi ferire
più spesso..
“A
che
pensi?” chiese Afrodite “Hai un sorriso
stupidissimo sulla faccia. Qualche
nuovo amore?”.
“Non
essere
ridicola..”.
“Perché
no?”.
La
Dea
sorrise, raggiungendo Ares, che osservava Phobos e Deimos che come
sempre si
allenavano. Poco più in là, sorridente, sedeva
una bambina. Era l’ultima
creatura partorita da Afrodite, ovviamente figlia del Dio della guerra.
Guardava
in alto, forse sperando nella neve. Il palazzo del padre, fra le
montagne della
Tessaglia, in quella stagione doveva essere freddo e più
minaccioso del solito.
Ma, stranamente, il clima era ancora mite.
“Forse
Apollo è di buon umore..” si disse il padrone di
casa, non avendo voglia di
usare molto il cervello “..si starà preparando per
il suo compleanno!”.
“Ah,
già! È
il 21 dicembre, giusto?” commentò Afrodite.
“Solstizio
d’inverno, come tutte le divinità legate al
sole..dovrò portargli un regalo!”.
In
realtà,
Apollo non era per niente di buon umore, e Artemide lo notò
subito. Convocata
dal gemello, la Dea capì subito che il fratello aveva una
luce diversa negli
occhi. A capo dell’Olimpo, il Dio sedeva sul trono un tempo
appartenuto a suo
padre Zeus.
“Sono
qui,
fratello” salutò Artemide “Che cosa
ordini?”.
“TI
ho
convocata per un consiglio, sorella. So che tu sei l’unica in
grado di aiutarmi
davvero”.
“È
forse
successo qualcosa?”.
“Rispondi
a
questa domanda: io sono degno di sedere qui?”.
“Degno
di
essere a capo degli Dei Greci?”.
“Sì,
esatto.
Secondo te, ne sono degno?”.
“Sei
il
primo figlio maschio di Zeus. Che domande fai?”.
“Rispondi.
Che cos’ho io che Zeus non ha?”.
“Apollo..
Zeus era il padre di tutti noi. Ha combattuto mostri terribili che
minacciavano
l’Olimpo. Ha sconfitto Crono, liberando i suoi fratelli.
Rispetto a noi, suoi
figli, lui era nettamente più forte e quindi gli obbedivamo
senza discutere. Ma
tu, Apollo, sei figlio di Zeus esattamente come me, Dioniso, Hermes,
Ares, Atena..”.
“E
quindi?”.
“Quindi
non
puoi elevarti al di sopra dei tuoi fratelli, pur essendo il
primogenito. Perché
non vi è prova che sia tu il più forte”.
“Capisco.
Quindi che dovrei fare?”.
“Potresti..sfidarci”.
“Sfidarci?”.
“Dimostra
a
tutti che tu sei il più forte. Che le tue
capacità sono superiori. Tutti i
divini fratelli, in uno scontro, finché non ne resta uno
solo. I nostri
campioni che si scontrano finché non vi sarà una
squadra che prevarrà sulle
altre. Se vincerai, più nessuno oserà mettere in
discussione la tua posizione”.
“Una
sorta
di..torneo?”.
“Olimpiadi..termine
appropriato in questo caso”.
“Pensi
che
sarei in grado di sconfiggervi tutti?”.
“Non
lo so. Ma
per governare sull’Olimpo, facendoti rispettare, questo
è l’unico modo.
Altrimenti tutti non faranno altro che mettere in dubbio la tua
posizione”.
“Ma
quanti
saranno? Gli sfidanti, intendo..”.
“Atena
non è
ancora rinata. Afrodite dubito combatta, sempre che non trovi dei
guerrieri
adatti a rappresentarla. Forse potrebbe sfruttare i suoi figli, con
un’alleanza
con Ares. Phobos e Deimos seguono sempre le disposizioni del
padre..”.
“E
quell’altro figlio della guerra?”.
“Arles?
Il
bastardo mezzosangue? Dici possa lottare in nome di Ares?”.
“No.
Quel
che voglio sapere è se devo temerlo. È cresciuto?
O è solo un apprendista?”.
“Non
lo so.
Non lo vedo da quando ha trascorso del tempo nel mio palazzo, per
apprendere
quanto doveva. Da
te non è stato?”.
“Certo.
A
quanto sembra, ha trascorso un periodo nei Templi di tutti quanti
noi”.
“Questo
ti
preoccupa?”.
“Non
è un
idiota. Ha imparato molto e, ne sono certo, deve aver intuito i nostri
punti
deboli e di forza”.
“E
allora?!
Io li conosco fin dalla nascita i tuoi punti deboli e di forza! Non
avrai mica
paura? Prepara i tuoi campioni e prepara te stesso. Non fare il
mammone”.
“Non
sono un
mammone!”.
“Dimostramelo!”.
“Ne
sei
sicuro? Hai fonti autorevoli?” chiese conferma Mur.
“Persefone”
rispose Kiki, prendendo volentieri un sorso della bevanda calda che gli
offriva
il maestro.
“Hai
ancora
contatti con lei?”.
“Certo.
Come
compagna di Aphrodite dei Pesci, a volte vedo entrambi passare per il
Santuario”.
Kiki
era
momentaneo ospite di Mur, fra le montagne nello Jamir.
“So
che,
come Gran Sacerdote, non dovrei mai lasciare il Tempio”
riprese “Ma,
sinceramente, mi annoio. Atena non è ancora rinata e ci sono
pochi cavalieri.
La notizia di Apollo che vuole organizzare cose strane mi spaventa.
Come capo
dell’Olimpo, lui mi piace. È legato alla medicina,
al sole, alla musica, alla
poesia..”.
“Zeus
era un
pervertito..”.
“Sì,
ma si
faceva valere! Apollo è potente ma non so se
riuscirà a tener testa a tutti i
suoi fratelli. E se Hades o Poseidone reclamassero il
trono..”.
“Comprendo
la tua preoccupazione. Potrebbero anche mostrarsi divinità
di generazioni precedenti”.
“Esatto.
Tutti vogliono un posto sull’Olimpo! E se, al posto di
Apollo, prendesse il
comando una divinità oscura o maligna? O comunque non votata
al bene del
Mondo?”.
“Sarebbe
triste ma..che possiamo farci noi, Kiki? Atena, come ben sai, non
è ancora
rinata e i cavalieri della mia generazione..beh, gli anni passano per
tutti!
Noi siamo Lemuriani, viviamo a lungo ed io ho ancora un aspetto
giovane, ma non
per tutti è così”.
“Lo
so.
Alcuni di loro sono ancora al Santuario”.
“Chi
ha
relazioni con le divinità è ancora giovane ma gli
altri..penso che siano
perfino stufi di combattere”.
“Quello
non
credo..”.
“Ma
resta
sempre valida la mia domanda: che possiamo fare? Non abbiamo una
divinità da
sostenere, o per cui lottare. Siamo tagliati fuori da questa faccenda.
Solo gli
Dei e gli eroi da loro scelti potranno affrontarsi, sono queste le
regole,
giusto?”.
“Sì,
esatto.
Ma non possiamo restare qui. Atena vorrebbe di certo un nostro
intervento!”.
“Potresti
provare a far ingaggiare i cavalieri disposti a combattere da una
divinità che
ritieni giusta”.
“Già
trovarne una è difficile, convincerla pure a farci
combattere al suo fianco..la
vedo davvero dura! Gli Dei sono circondati da semidivinità,
campioni ed eroi.
Ognuno di loro ha il suo gruppo di servitori. Se solo ci fosse
Atena..”.
“Atena
rinascerà quando è giusto che rinasca. Non
acceleriamo le cose..”.
“Non
è
questo il punto! Perché non vai tu a fare il Sacerdote,
visto che sei tanto
saggio e posato?!”.
“Kiki,
rilassati. Atena non può voler veramente lottare in questa
specie di scontro
fratricida”.
“Ah,
no? Ma
se lei stessa ha indetto una cosa identica anni fa!? Non te lo ricordi?
Quel
torneo in cui si vinceva l’armatura finta di
Sagitter”.
“Giusto..ma
rifletti. Vorresti TU parteciparvi? È uno scontro in cui
potresti ritrovarti di
fronte un sacco di vecchie conoscenze”.
“Del
tipo?”.
“Gli
Specter, i Generali Marini, i figli di Ares..”.
Kiki
rimase
in silenzio qualche istante, fissando il nulla. Scosse la testa,
ammettendo di
non volersi immischiare. Però, come Gran Sacerdote, si
sentiva in dovere di
doverlo fare.
“E
poi,
sinceramente..” gli sorrise Mur “..sapresti
decidere con certezza assoluta
quale divinità possa stare meglio sul trono Olimpico? Salvo
Zeus, ovviamente, che
ancora non è rinato. Lui, anche se era un mandrillo, sapeva
il fatto suo. Come
mortali, non possiamo dire di conoscere profondamente le
divinità, i loro pregi
ed i loro difetti. Il consiglio che posso darti è: lascia
che se la sbrighino
in famiglia. So che è dura, e che ritieni giusto dover
intervenire per il bene del
Mondo, ma senza la guida di Atena non possiamo agire in modo sicuro.
Rischiamo
di sostenere un’entità che poi, in
realtà, si potrebbe dimostrare del tutto
inadatta”.
“Ma
noi
Cavalieri abbiamo difeso l’umanità da Hades,
Poseidone e chiunque altro volesse
comandare sulla Terra! E ora ce ne stiamo fermi?!”.
“Se
Atena
non è ancora rinata, significa che
l’umanità non è in pericolo.
Altrimenti,
come prima di ogni Guerra Santa, sarebbe tornata. Perciò
rilassati, torna al
Tempio e stai tranquillo”.
“Mi
chiedi molto..”.
“Lo
so. Se è
destino, Atena ti dirà che cosa fare. Sei sempre il suo
Sacerdote, no?”.
Kiki
annuì.
Doveva fidarsi della sua Dea, non poteva fare altro.
“Cos’hai
da
guardare?” sibilò scocciato.
Imbacuccato
e
con le mani affondate nelle tasche, camminava lungo uno stretto
sentiero, con i
lunghi capelli mossi dal vento. Colui che lo osservava, non rispose.
“Ma
non si
avvicina il 25 Dicembre?!” ringhiò ancora,
infastidito.
“Sì,
e
allora?” rispose la voce limpida dello spione.
“Non
avete
altro da fare, voialtri angeli, in questo periodo?!”.
“Il
mio
lavoro è tenerti sotto controllo. So che cosa vuoi fare,
Lucy”.
“Non
chiamarmi Lucy, non lo sopporto!!”.
“Ma
che hai?
Forse freddo? Sembra tu stia andando da Babbo Natale”.
“Babbo
Natale?! Un simbolo pagano pronunciato dalla tua bocca, Mihael? La cosa
mi
stupisce alquanto”.
“Io
parlo
come mi pare. E adesso vedi di tornartene subito a casa, prima che ti
ci
rispedisca io! A calci!”.
“Abbassa
i
toni! C’è il libero arbitrio, no? Io posso fare
quel che voglio e tu non puoi
impedirmelo. E..come cazzo fai a startene con quel gonnellino
striminzito con
questo gelo?!”.
Mihael
alzò
un sopracciglio, senza mutare espressione. Volava sopra al fratello
maggiore
Lucifero, non provando minimamente freddo. Ma probabilmente colui che
stava
spiando era abituato ad ambienti ben più caldi. Lucifero,
senza le ali e con
abiti “civili”, sembrava solo un mortale
all’aperto, salvo per quello strano
sguardo.
“E
vattene!”
sbottò ancora lo spiato.
“Che
pensi
di fare?”.
“Non
lo
sapevi già?”.
“Lo
intuisco. E cercherò di impedirtelo, ovviamente rispettando
le regole che mi
impongono il cielo”.
“Voglio
solo
andare a trovare mio nipote. Sbaciucchiarmelo sotto il vischio e fare
tutte le
altre cazzate che si fanno durante le feste del solstizio”.
L’angelo
inclinò la testa.
“Sto
scherzando! E fattela una risata, Miky! Non sorridi mai?!”
storse il naso
Lucifero.
“No.
E tu lo
sai”.
“Dovresti
iniziare!”.
“Inizierò
quando tu non mi darai più problemi, cornuto”.
“Questo
non
può succedere, e tu lo sai. Io vedo la nostra
rivalità come qualcosa di
divertente. A volte..”.
“Abbiamo
un
carattere molto diverso, fratello”.
“No,
non
credo. Ad ogni modo, migra! Svolazza altrove!”.
“Non
puoi
impedirmi di andare dove vai tu. Il tuo compito è tentare la
gente, il mio quello
di mostrare quale sia la via giusta, scacciando te”.
“Alla
fine,
sarà mio nipote a decidere. Non appartiene alla schiera di
anime che ci
contendiamo io e te”.
“Ma
non
rifletti sulle conseguenze?! Non usi mai il cervello?!”.
“Lo
uso più
di te! E poi, in questo caso, non si tratta di strane macchinazioni
alle spalle
del cielo”.
“No?
Non
vuoi la possibilità di poter ficcare il naso ed allungare le
mani
sull’Olimpo?”.
“Che
me ne
faccio del simbolo di una religione morta?!”.
“Gerusalemme
non puoi averla, quindi..”.
“Già..Gerusalemme..bel
lavoro con quella città. Davvero” rise,
sarcastico, Lucifero.
“Non
ti
prendo a pugni solo perché sono un signore..”.
“Se
lo dici
tu”.
Mihael
atterrò, facendo svanire le ali, ed iniziò a
camminare a fianco del fratello
maggiore, che trovò la cosa piuttosto fastidiosa.
“Smamma!”
protestò il caduto.
“Voglio
fare
una passeggiata. Non posso?”.
“Consumi
il
mio ossigeno e poi..da quando sei così
fastidioso?!”.
“Voglio
vederci chiaro. Non mi fido di te, ma la faccenda di Sophia ti ha un
po’
mandato fuori fase perciò a volte fai cose che non mi
aspetto”.
“Gli
anni
passano per tutti. Tu, per esempio, stai mettendo su pancia”.
“E
tu hai i
primi capelli bianchi!”.
“Ammettilo.
Vuoi vedermi mentre sbaciucchio mio nipote!”.
“Ma
no! Ma
che pensieri orrendi hai in testa?!”.
Lucifero
allungò una mano ed afferrò l’angelo
per il braccio, tirandolo verso di sé,
fingendo di volerlo baciare. D’istinto, Mihael fece comparire
la sua spada di
fuoco e si contorse, liberandosi.
“Sto
scherzando!” ride di nuovo Lucifero “Riponi la
spada laser, Luke! E lasciami in
pace. Se vorrai discutere con mio nipote, appena me ne sarò
andato, sarai
libero di farlo. Buon Natale, in caso non ci rivedessimo prima di
quella data”.
Questo è il mio personale regalo per la
celebrazione del solstizio a tutti i fan. Non so in quanto tempo
riuscirò ad
aggiornarlo, spero presto. Per ora, aspettatevene di tutti i colori e
buon
inizio d’inverno! E tanti auguri ad Apollo
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Capitolo 2 *** II- Incanto ***
II
INCANTO
Kiki
stava
camminando lungo lo stretto sentiero che correva lungo un terreno molto
poco
ospitale. Non era certo un problema, abituato com’era alle
scale del Tempio ed
i pendii di casa Jamir, perciò voltò
l’angolo con il sorriso sulle labbra. In
lontananza, vicino alla costa, protetto da alti scogli ed alture, si
ergeva il
palazzo che intendeva raggiungere. Non vi era mai entrato,
né lo aveva mai
visto. Solo dicerie erano giunte al suo orecchio e, da quel che vedeva,
erano
del tutto esatte. Lo descrivevano come un luogo meraviglioso e lo era
per
davvero. Il sole al tramonto illuminava il mare e la sagoma della
dimora ormai
vicina.
“E
Voi chi
siete?” si sentì chiedere, da una voce gentile.
Kiki
si
guardò attorno, cercando la fonte di quella voce, ed
individuò quel che a prima
vista gli sembrò un ragazzo. Osservandolo meglio
però si accorse che,
probabilmente, il suo aspetto celava un’età ben
diversa. Con capelli color
rosso cupo lunghi fino a metà schiena, che in parte ne
coprivano il viso, lo
sconosciuto ripeté la domanda, con maggior convinzione. Kiki
non rispose
subito, lo osservò ancora, vedendolo muovere qualche passo
leggero. Il
Sacerdote era prudente. Attorno a quella creatura aleggiava una strana
energia,
che non riusciva a catalogare.
“Sono
Kiki”
si decise a rispondere “Gran Sacerdote di Atena. Sono qui per
vedere il mio
predecessore Arles”.
“Arles?”
sorrise l’essere “Erano anni che non sentivo
chiamare il mio padrone così”.
“Padrone?”.
Lo
sconosciuto ridacchiò, ed un ciuffo di capelli
andò a coprirgli l’occhio
sinistro. Kiki continuava ad osservarlo, senza comprenderne la natura.
“Non
ho
cattive intenzioni” continuò il Sacerdote
“Voglio solo parlargli. Siamo
colleghi..”.
“Il
mio
Signore ha espresso il desiderio di non venire ulteriormente
disturbato. A
quanto pare..è molto gettonato ultimamente e si è
stancato di ricevere visite”.
“È
una
questione molto importante!”.
“Dicono
tutti così, soprattutto negli ultimi tempi. Riguarda le
strane idee di Apollo,
immagino”.
“Sì,
esatto.
Spero capiate che è una questione che..”.
“Mi
spiace.
Io ho ricevuto un ordine”.
“Ma..io
e
Arles siamo amici. Non sono qui per infastidirlo. Solo per..”.
“Non
posso.
Io devo obbedirgli. Se la tua Dea ti desse un ordine, immagino
obbediresti.
Qualsiasi sia la circostanza”.
“Mi
prendo
io la responsabilità. Fammi passare e dirò che
è stata colpa mia, che mi sono
teletrasportato”.
“Il
mio Signore
sa che sono in grado di intercettare anche coloro che, come te, usano
la
telecinesi”.
“Allora
gli
dirò che ti ho minacciato, cosa che intendo fare!”.
“Dovrai
uccidermi. Quello è l’unico modo per farmi
infrangere l’ordine del mio
Signore”.
“Ma
andiamo!
Non sono un nemico!”.
“Per
quel
che mi riguarda, potresti anche essere suo padre. Solo un contrordine
mi farà
smuovere”.
“Ed
un
cazzotto su quel bel faccino angelico? Che dici? Quello ti fa
finalmente
scansare?”.
“Voi
cavalieri sapete risolvere le questioni solo a suon di
pugni?”.
“No,
sono
bravo anche con gli insulti. Voi che ne usi?! Levati! Non sono come
Aphrodite,
a cui dispiace spaccare la faccia a quelli belli!”.
Kiki
strinse
i pugni, espandendo il cosmo. Colui che aveva di fronte mosse solo
leggermente l’occhio
scoperto, di un intenso color ambrato, illuminandolo.
“Kiki!”
esclamò una voce di donna.
Lo
sconosciuto, che nel frattempo si era leggermente sollevato da terra,
ebbe un
sussulto ed il suo sguardo tornò quello di sempre. Rimise i
piedi in terra e si
voltò, raggiunto da Eleonore.
“Kiki!”
parlò proprio lei “Sei proprio tu? Che piacere
vederti! Ho percepito il tuo
cosmo e ti sono venuta a cercare”.
“Eleonore!”
la riconobbe il Sacerdote “Non sei cambiata..”.
“Merito
del
marito divino, cavaliere. Vieni, ti mostro casa! Non l’hai
mai vista, dico
bene?”.
“Non
sono
mai stato qui, esatto”.
“Allora
cosa
aspetti? Seguimi! Non preoccuparti, ti lascerà passare. Dico
bene?”.
Eleonore
fissò con leggero rimprovero la creatura dai capelli rossi,
che distolse lo
sguardo.
“Dico
bene?”
ripeté lei.
“Sì,
Signora” fu la risposta.
Lei
sorrise,
soddisfatta, e guidò Kiki fino al palazzo vicino.
“Un
posto
sull’Olimpo..tuo marito che pensa al riguardo?
Cercherà di accaparrarsi quel
ruolo?” domandò Ipazia rivolta ad Anfitrite,
moglie di Poseidone.
“Non
l’ho
ancora capito” ammise la Dea “Ed il tuo? Hades che
intenzioni ha?”.
“Ha
chiesto
a me se volevo divenire regina degli Dei”.
“E
tu che
cosa hai risposto?”.
“Che
già il
controllo dell’Oltretomba mi basta. E Poseidone? Come ha
reagito?”.
“Sta
soppesando i pro ed i contro. Tutti noi lo stiamo facendo, alla fine.
Vale la
pena scoprirsi, affrontare parenti e amici per divenire signori degli
Dei? Ammetto che
l’idea di divenire regina
dell’Olimpo mi alletta alquanto..ci sono troppi fighetti e
primedonne attorno a
quel trono. Tutti pronti a discutere per cretinate, ma poi..”.
“Io
non
saprei. Non sono al fianco di Hades da abbastanza tempo da poter dire
di
conoscere bene le divinità. Come regina, che cosa faresti?
Nel senso..che ordine
daresti per primo?”.
“Bella
domanda! Non ci ho pensato!”.
“Ma
quindi
tu spingerai tuo marito a combattere?”.
“Spingerò
mio
marito a risvegliare i suoi Generali. Zeus e la sua stirpe ha governato
fin
troppo, portando il nostro culto alla rovina”.
“Non
so se
sono stati loro..”.
“E
tu? Gli
Specter e i Giudici non sono disposti a lottare per Hades?”.
“Non
vedono
l’ora. Quel che mi chiedo è se è
giusto. Gli Specter sono anime morte, a cui
Hades concede un ruolo negli inferi. Il mio sposo controlla le anime e
non
credo che debbano governare sul mondo esterno. Sarebbe qualcosa
di..”.
“Favoloso!
Ipazia, se il tempo della luce di Zeus è terminato, forse
è venuto il nostro
turno. Come regine delle tenebre e dei mari, possiamo cambiare questo
mondo!”.
“E
gli
esseri umani?”.
“Quelli
nascono e muoiono continuamente, lo sai bene. basterà farne
degli altri..”.
Eleonore
aveva condotto Kiki lungo le stanze del palazzo, che l’ospite
osservava con
incanto. Dopo un bel giro, si decise a condurre il Sacerdote dal
padrone di
casa.
“Entra
pure,
immagino dobbiate discutere di cose importanti perciò vi
lascio da soli. Ci
vediamo dopo” sorrise lei, aprendo la porta e incrociando per
solo pochi
istanti gli occhi di Arles.
“Ti
è
piaciuto il tour?” commentò, divertito, il Dio
delle illusioni quando vide
entrare il Sacerdote.
“Sì,
direi
di sì” ammise Kiki, mentre Eleonore chiudeva la
porta e si allontanava.
“Che è
quella faccia?” domandò Arles, seduto su
una sorta di trono complicatissimo, invitando l’ospite a
sedersi al tavolo con
lui.
“Niente”
scosse la testa il Sacerdote, guardandosi attorno e notando che quella
stanza
doveva essere una sorta di studio, pieno di libri e oggetti strani
“È che
questo palazzo è immenso e splendido”.
“Ti
ringrazio. Però..” con un cenno,
l’aspetto della stanza e del paesaggio che si
scorgeva dalla finestra alle spalle di Arles mutò.
“Cosa..cosa
è successo?!” si stupì Kiki, mentre il
palazzo continuava a cambiare più volte.
“Nulla.
Mi
diverto..”.
“Qual
è il
vero aspetto di questo luogo?”.
“Lo
so solo
io”.
Sconcertato
da questo, Kiki sedette, non molto convinto che quel tavolo fosse
reale. Ora
dalla finestra si scorgeva il mare ed il tramonto, come quando
l’ospite era
arrivato.
“Non
sei
cambiato, Arles. Ma potrebbe essere tutta un’illusione, dico
bene?”.
“Dici
bene. Com’è
andato il viaggio? Hai avuto problemi? Ammetto di aver faticato per
trovare un
luogo difficile da raggiungere..”.
“Nessun
problema. Salvo uno scocciatore proprio qua fuori, poco distante dal
palazzo,
che non voleva farmi passare”.
“Uno
scocciatore?”.
“Sì,
una
creatura che non so come definire”.
La
porta si
aprì e l’essere dai capelli rossi entrò
con un vassoio, versando del tè nella
tazza appena posata davanti a Kiki. Senza dire una parola, si
congedò con un
inchino ed uno strano sguardo, che il Sacerdote non seppe interpretare.
“Kiki,
che
c’è? Il tè non ti aggrada?”
domandò Arles “Preferisci i superalcolici? Sei
già
giunto a questo punto, nella tua carriera da Sacerdote?”.
“Ma
no!”
scosse la testa l’ospite “È solo che
è quello il tizio che ho incontrato prima.
E stava per beccarsi una Starlight Extinction in piena
faccia!”.
“Chi?
Keros?”.
“Si
chiama
così?! Non lo so”.
“Poverino.
Obbedisce solo ai miei ordini. Non maltrattarlo”.
“Non
lo
maltratto. Solo che è irritante. Non voleva farmi
passare”.
“Perché
era
quello che gli avevo ordinato di fare. Suvvia..non ti scaldare. Tu eri
molto
più petulante quando si trattava di avere udienza da
Atena”.
“Non
è
vero!”.
“Sì
che è
vero! E poi dai..è carino, perdona la sua
testardaggine”.
“Carino?!”.
“Sì.
Non
sembra una ciliegia, con quel colore di capelli? Una ciliegia vestita
di bianco..”.
Kiki
rimase
perplesso, non sapendo bene che dire e Arles rise, divertito dalla sua
faccia.
“Alla
salute” ridacchiò ancora, sollevando una coppa
d’oro.
“È
ambrosia?” domandò Kiki, allungando il collo
cercando di scorgere il colore del
liquido.
“Mortaluccio
curioso” ghignò il padrone di casa “Ne
vuoi un goccio?”.
“Ah,
magari!”.
“Sto
scherzando! Non posso!”.
“Lo
so. Poi
vivere per sempre non mi interessa. Già come Lemuriano
romperò le palle al mondo
per un paio di secoli, forse anche di più..”.
“Sinceramente,
devo ancora abituarmi a questo intruglio”.
“Il
tè è
delizioso”.
“Dopo
lo
dirai a Keros, così non vi lancerete altri sguardi di odio
nel mio palazzo. E
adesso coraggio, dimmi tutto quel che hai da dirmi. Nessuno giunge fin
qui solo
perché vuol fare una passeggiata..”.
Keros
raggiunse silenziosamente la stanza di Eleonore, che leggeva un libro.
Le versò
il tè, che le lasciò accanto, e fece per
andarsene. Lei alzò gli occhi.
“Fammi
compagnia” invitò lei “Siediti. Oggi la
mia ancella ha il giorno libero”.
Con
un po’
di riluttanza, Keros sedette. Riempì la tazza libera e la
strinse fra le mani
per scaldarle. Eleonore sorrise a quella scena.
“Guarda
che
se hai freddo si può..” iniziò, ma lui
la interruppe, scuotendo la testa e
ripetendo più volte che stava bene.
“Cosa
ti
preoccupa, Keros? Hai una strana faccia..”.
“Niente..”.
Spostando
il
ciuffo rosso dal viso, sorseggiò un po’ di
tè bollente, tentando di sfuggire
allo sguardo indagatore di Eleonore.
“Keros..non
puoi mentirmi. Ormai ti conosco. Da quanti anni sei qui?”.
“Una
decina,
mia Signora”.
“Forse
anche
qualche anno di più. So che per te probabilmente non
è molto, vista la tua
età..”.
“Chiedo
perdono per prima, Lady Eleonore”.
“Per
che
cosa?”.
“Non
ho
obbedito immediatamente al vostro ordine di far passare il Sacerdote di
Atena”.
“Tu
sei a
servizio di mio marito ed è giusto che prima obbedisca alle
sue disposizioni.
Tranquillo. Piuttosto..cosa c’è?”.
“Nulla.
Solo
che..io ho seguito il mio Signore nel suo addestramento fra le varie
divinità,
ed erano tutte pronte a trattarlo come qualcosa di inutile, di
superfluo.
Prendere in giro perché giovane ed inesperto,
perché sangue misto. Poi ne hanno
avuto paura, perché hanno visto parte del suo potere. Angeli
e Demoni lo
temono, lo evitano. Il Santuario, i suoi
colleghi..tutti..d’un tratto
rispuntano. Tutti d’un tratto sono qui, ad elemosinare.
D’un tratto sono tutti
amici, tutti simpatici, tutti che..”.
“Capisco
quel che vuoi dire. Infastidisce pure me, lo ammetto. Ma purtroppo la
faccenda
di Apollo e l’Olimpo coinvolge tutti noi, volenti o nolenti.
Io spero,
sinceramente, che non si cacci in una nuova guerra. Ma, se lo dovesse
fare, il
mio compito è stargli accanto, come ho sempre
fatto”.
“Lo
so..”.
“Lo
sosterrò, anche se vorrei portarlo via con me in un luogo
lontano che non
conosco, in modo che non vengano a cercarlo. Ma tu sei libero, Keros.
Se ti
infastidisce questa gente e non vuoi avere a che fare con Apollo, sei
libero di
andare”.
“Madama
Eleonore, io seguirei il mio Divino Signore fino in capo al mondo, se
me lo
chiedesse. Non mi spaventano di certo le conseguenze”.
“Oh,
Keros..sono davvero tanto felice che tu sia qui. Condividiamo in parte
le preoccupazioni
per la stessa persona. È meno faticoso. Il fatto che tu gli
stessi vicino
mentre affrontava tutte le prove a cui lo hanno sottoposto gli Dei, mi
ha dato
coraggio. Perché so che tu lo aiuti sempre e gli impedisci
di compiere
madornali cazzate. Sei il mio sostituto, sotto certi
aspetti..”.
“Lieto
che
la cosa non la infastidisca”.
“E
perché
dovrebbe?”.
Keros
non
rispose, bevve un altro sorso di tè e poi si
alzò, portando via le tazze vuote.
“Solo
una
cosa..” lo fermò Eleonore “..io apprezzo
la tua fedeltà però..sei libero di
andare e venire quando vuoi, sai? Ne abbiamo già parlato. La
mia ancella ha giorni
liberi e la sera torna sempre a casa. Potreste mettervi
d’accordo, dandovi i
turni e..”.
“Non
è
necessario. Questo è il posto in cui voglio stare. Ovunque
il mio Signore sia.
Da nessun’altra parte”.
Senza
lasciare tempo alla padrona di casa di replicare, Keros
lasciò la stanza.
Eleonore lo osservò, seguendo con lo sguardo il rosso dei
capelli ed il bianco
della veste che scompariva dietro la porta, tornando poi a leggere.
“E
quindi
che cosa vuoi da me, Kiki? Che combatta in nome di Atena?”
chiese Arles.
“No,
non
potrei mai chiedertelo. Chiedo un parere. Che dovrei fare, secondo te?
Mur ha
detto che devo farmi i cazzi miei”.
“Mur
ha
perfettamente ragione..”.
“Ma..come?
Non sei preoccupato?!”.
“Entro
un
certo limite”.
“In
che
senso?! Dovresti esserlo! E molto!”.
“Ah
sì?”.
“Io
lo
sono..vorrei sapere chi potrebbe vincere, che cosa accadrà
e..”.
“È
l'incontenibile
irruenza umana, mio caro. L'imprescindibile desiderio che avete
voialtri
mortali nel cercare di ottenere tutto, di comprendere tutto, qui e ora.
Un
tempo ero anch'io come voi, come te. Ma, sollevando lo sguardo dal
reale
presente si può scorgere, a volte, l'impalpabile futuro ed a
cosa determinate
scelte possono portare. Tu non lo puoi vedere, perché cieco
uomo nelle cui vene
scorre sangue rosso”.
“Ma
che stai
blaterando?! L’ambrosia è alcolica, per caso?! Che
ti sei fumato?!”.
“Smettila
di
porti tante domande, Kiki. Lascia che io ti guidi, in modo che tu sia
in grado
di rispondere da solo alla tua domanda. Lascia che ti mostri fin dove
il mio
ikor può giungere. Lascia che ti insegni come sollevare
quello sguardo umano e
perduto, finalmente aprendo gli occhi verso la conoscenza. Lungi da me
d'aver
compreso ogni cosa ma..concedimi di mostrarti SOPHIA"
“Sophia? Mi fai
paura. Sembri Shaka dopo un
paio di canne. Cos’è Sophia?!”.
“Il
termine
con cui indico la CONOSCENZA. La vado ancora cercando per il mondo, ma
alcune
cose posso già comprenderle”
“Chi
vincerà? Tu lo sai? Puoi vederlo?”
“Ti
rispondo
con un’altra domanda: chi governa il mondo, impaziente
Sacerdote?”.
“In
che senso?”.
“Gli
Dei
sono più potenti se tanta gente crede in loro o agisce
secondo la loro
mansione. Quando la gente si illude, io mi potenzio. Quando suoni uno
strumento, alimenti l’anima di Apollo e le sue muse. Quando
godi con una donna,
appaghi Afrodite. Chi prevale per il mondo? Cosa vedi, fra i
mortali?”.
“Domanda
impegnativa. Parli di mortali in generale?”.
“Sì,
lascia
perdere i casi umani che conosciamo noi. Guarda il mondo nella sua
interezza.
L’umanità nel suo insieme. Cosa ti sembra che
segua?”.
“Direi
i
piaceri terreni. Il divertimento, i piaceri della gola e
dell’ebbrezza di
Dioniso. Ma anche le tentazioni della carne, l’unione
sessuale, l’amore. Afrodite
ed Eros”.
“Bravo.
Se
rifletti manca solo una pedina in questo bel quadretto. Colui che tutti
codesti
soggetti sopracitati hanno in comune”.
“Che
hanno
in comune Dioniso, Eros ed Afrodite? Non sono dei guerrieri,
è questo che
intendi dire?”.
“Secondo
molte fonti, Dioniso è figlio della figlia di Cadmo ed
Armonia”.
“Armonia?
Tua sorella?”.
“Già..”.
“Ma
quindi..la pedina di cui parli è..la guerra?
Ares?”.
“I
mortali e
gli Dei si fanno la guerra fin dagli albori. Da prima che mio padre
nascesse
dal tocco di Era su un fiore che pare sia stato un pruno selvatico. Si
fa la
guerra da sempre e mai si smetterà. Anzi, secondo me,
l’umanità finirà col
distruggersi proprio facendosi la guerra”.
“Quindi
dici
che Ares sia potente in quest’epoca?”.
“Ares
lo è
sempre stato. Ma ha un problema: il cervello altalenante. Non
è in grado di
focalizzare le cose a lungo termine. È istinto, e lo guida
la rabbia. Con
un’alleanza, però, sarebbe molto più
potente. E Afrodite, con Eros, di certo si
alleerebbero con lui. Sarebbero tre delle forze più
influenti del mondo, unite.
Dioniso sinceramente non so che farebbe, ma conoscendo il suo odio nei
confronti di Apollo credo che sarebbe disposto a tutto pur di prenderlo
a calci
in culo”.
“Ma
è
terribile! Ares è un Dio spaventoso! Orrendo!”.
“Se
magari
la pianti di insultare gratuitamente parte del mio patrimonio
genetico..”.
“Ma
è la
verità!”.
“Calmati!
Respira, Lemuriano!”.
“E
tu..combatterai per lui? Al suo fianco?”.
“No”.
“No?”.
“No
per un
semplice motivo: mio padre non combatterà. Lo ha
già deciso”.
“Come
sarebbe a dire?!”.
“Non
vuole
divenire Dio supremo dell’Olimpo. Preferisce il suo Tempio
solitario”.
“Quindi..tutta
la conversazione di prima..”.
“Kiki,
le
divinità più influenti
sull’umanità non hanno intenzione di prenderne le
redini, perché hanno già molto più del
dovuto. Perciò, chi sia a capo
dell’Olimpo che differenza fa? Non riuscirà a
cambiare i mortali”.
“Ma
potrebbe
portare a conseguenze pesanti sulla Terra, se ne modificasse gli
equilibri”.
“Le
divinità
in grado di modificare gli equilibri sono poche. E quasi tutte
incatenate in
luoghi ben nascosti”.
“E
non
potresti essere tu?”.
“Io
che
cosa?”.
“Tu
il Dio
che comanda l’Olimpo”.
Arles
rimase
in silenzio qualche istante e poi scoppiò a ridere.
“Che
hai da
ridere?!” si indispettì Kiki “Trovi la
cosa divertente?!”.
“Molto.
Kiki, io non ho un esercito di guerrieri, e non intendo averlo. I miei
figli
cresceranno in un modo diverso dal mio”.
“Nulla
ti
vieta di avere dei soldati di supporto, provenienti da altri
Templi”.
I
due si
fissarono. Il padrone di casa smise di ridere, inclinando leggermente
la testa.
“Sacerdote..”
mormorò “..tu..stai chiedendo di poter essere un
soldato a mio supporto? Come
tuo Dio, se pur momentaneamente? Tu..stai chiedendo una cosa del
genere..a me?!”.
“Se
necessario, sì”.
“Te
lo ha
suggerito Atena?”.
“No,
non è
ancora rinata”.
“E
allora
perché? Ti rendi conto di quel che dici? L’Olimpo
in mano alle illusioni?”.
“Il
mondo
intero è avvolto dalle illusioni! Io stesso lo sono! Credevo
che avrei servito
per sempre la mia Dea, che lei mi avrebbe sempre sostenuto, ma sono
solo! Mi
sono illuso di poter ascoltare e trasmettere la sua voce,
così come altri mi
hanno seguito illudendosi che io potessi guidarli! Ma non è
così! Il tuo potere
è immenso ed è ovunque, nemmeno te ne accorgi.
Preferisco un’umanità illusa ma
felice, in cerca di quel che tu chiami SOPHIA, piuttosto che un branco
di
animali alcolizzati e maniaci, che san solo scopare e fare la
guerra!”.
“Kiki..Kiki
io..non so che dire..”.
“Dì
quello
che vuoi, incantami pure con i tuoi poteri. Le illusioni sono come
miele per
l’anima, quando la realtà è
crudele”.
“Kiki..l’umanità
intera non potrà mai essere come vuoi tu. Già in
passato si è tentato di creare
un luogo perfetto, avvolto dall’illusione
dell’eterna letizia, ma è stata
proprio la voglia di conoscenza dell’uomo che ha demolito
questa illusione. È
bastato il morso di una mela, offerta da un serpente che conosco fin
troppo
bene. Le religioni nascono e muoiono, Sacerdote. Nessuno sa come
saranno le
credenze nel cuore degli uomini, se ci saranno ancora, fra duemila
anni.
Probabilmente l’inferno ed il paradiso in cui ora credono con
tanto fervore non
saranno altro che mitologia, come lo è ora il regno di
Hades. Ma la verità qual
è? Chi ha ragione? Il serpente, il paradiso, Hades, gli
nuovi Dei che
verranno?”.
“Questi
discorsi sono complicati. Per me la verità è una:
io credo in Atena e faccio
ciò che mi dice”.
“E
se lei
non parla?”.
“Se..”.
“Se
lei non
dovesse tornare, tu cosa faresti?”.
“Come
sarebbe a dire?”.
“Atena
ha
sacrificato se stessa per porre fine ad una guerra e ridare vita a
degli
innocenti. Forse, così facendo, ha consumato tutto il suo
animo. E questo rende
impossibile il suo ritorno”.
“Ipotesi
spaventosa!”.
“Spaventosa
ma possibile”.
“Io
sto
chiedendo a te di aiutarmi. E tu mi fai deprimere”.
“Io,
che
creo illusioni, sono il più adatto a mostrare com’è
la dura realtà”.
“Che
dovrei
fare, secondo te?”.
“Sono
lusingato dal fatto che tu voglia combattere come mio soldato, ma ti
consiglio
di darti tempo. Il tuo animo ed il tuo cosmo sono turbati e non
riescono a
sentire la voce della tua Dea. Se essa ancora esiste, ed attende di
rinascere,
saprà comunicare con te, se saprai ascoltarla.
Perciò torna al tuo Tempio,
riposa, calma la mente. So che suona strano detto da me..”.
“E
tu che
cosa farai?”.
“Io?
Tutti
vogliono vedermi fare qualcosa. Lucifero vuole che combatta, per
potersi
prendere un pezzo d’Olimpo. Mihael vuole che difenda le forze
del bene, che solo
lui sa che cosa siano. Io..ho piena intenzione di sbattermene
dell’Olimpo e di
tutti i suoi abitanti! Questo mese è pieno di cerimonie
molto carine in varie
religioni ed ho intenzione di parteciparvi”.
“Andrai
in
cielo per Natale?”.
“In
paradiso, intendi? No, non mi chiamo Dante. Poi, tecnicamente non sono
un
angelo puro, quindi non ci posso andare”.
“La
cosa ti
fa incazzare?”.
“No.
Chissenefrega”.
“Ma
hai ancora
le ali, vero? Intendo dire..non sei diventato un demone o
un’altra cosa
strana..”.
“Non
sono
abbastanza strano già così?”.
Arles
ghignò, alzandosi e facendo comparire le ali, ancora di
colore rosso.
“Sì..”
ridacchiò “..lo zio Lucifero tenta di farmi cadere
e mutare il loro colore.
Prima o poi ci riuscirà, ma fin ora non è
successo”.
“Sono
bellissime. Perché le nascondi?”.
“Perché
sono
scomode. Sono peggio delle Armature divine, che per fortuna tu non hai
dovuto
provare! Ed ho già Aphrodite dei Pesci che mi rompe le palle
dicendomi che
sono magnifiche,
sexy e cose simili..”.
Kiki
non
riuscì a trattenere una risata, immaginando Arles che
camminava fiero con le
ali spalancate e dietro Aphrodite che gli urlava contro che era
splendido.
“Torna
a
casa, Kiki” sorrise il padrone di casa “E
rilassati. Vedrai che Atena saprà
parlarti, se è destino che accada. Altrimenti non
preoccuparti. Sull’Olimpo
litigano da sempre ed il mondo non è mai giunto alla fine! E
nemmeno
l’umanità”.
“Forse
hai
ragione..”.
Entrambi
si
incamminarono lungo il corridoio. Il Sacerdote, convinto solo in parte,
si
apprestava a tornare a
casa. Incrociò
con lo sguardo una giovane donna e la riconobbe a stento.
“Sophia?”
chiese.
“Sì”
confermò Arles, mentre lei proseguiva il suo cammino
“La primogenita figlia mia
e di Eleonore. È cresciuta, vero?”.
“Molto”.
“Sono
parecchie le divinità che la chiedono in sposa, ma
sarà lei a decidere, quando
lo vorrà”.
“Le
auguro
di trovare un amore come quello che lega te ed Eleonore. Il vostro
sguardo è
come quello che vi scambiaste la prima volta che vi ho visti
accanto”.
“Sì.
Io amo
Eleonore. Ed è l’unica donna di cui mi sono
innamorato. Che cosa schifosamente
romantica, vero?”.
“Io
la trovo
carina. Di amori così non ce ne sono molti”.
“Credo
che
mio fratello Eros abbia esagerato con le frecce, nel mio caso. Ma ora
vai, che
già si fa buio”.
“Hai
ragione..”.
Kiki
salutò
Eleonore ed intravide Keros. Ormai oltre la soglia del Tempio, si
girò un
ultima volta e sorrise proprio alla creatura dai capelli rossi.
“Perdonami
se sono stato scortese” gli disse “La prossima
volta non ti minaccerò,
promesso. Ed il tè l’ho gradito molto. Spero mi
perdonerai, angelo”.
“Angelo..”
sorrise Keros, a braccia conserte “..che bel
complimento..”.
“Non
lo
sei?!” si stupì il Sacerdote.
“Muoviti,
Kiki! Non ti tengo qui per la notte!” sbottò
Arles, divertito “Devo andare a
vedermi il duello fra il re Quercia dell’Estate e il monarca
dell’Agrifoglio d’Inverno!”.
“Ma
di che
parli?!”.
“Divinità
celtiche”.
Kiki
finse
di comprendere e si allontanò. Ad ogni passo i dubbi
più assurdi iniziarono ad
insinuarsi nella sua mente. Era vero quel che aveva visto e quel che
era
successo? Ormai non era più in grado di capirlo.
Ed eccoci qui, secondo capitolo. Più
lunghetto
e “introspettivo”. Ed eccovi la prima
“new entry”: Keros. Tenetelo bene a mente
perché al ciccino ciliegino farò fare un sacco di
cose strane e spero impariate
a volergli un po’ di bene ;) a presto!
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Capitolo 3 *** III- Inizio ***
III
INIZIO
“Ho
comunicato la tua decisione ad ogni divinità Olimpica,
Apollo” parlò Hermes
“C’è altro che devo fare?”.
“No,
va bene
così” annuì il fratello maggiore,
mentre entrambi camminavano lungo i corrodi
luminosi del palazzo.
“Si
stanno
già organizzando e presto potranno iniziare gli scontri,
presumo”.
“Tu
che
farai, fratellino? Resterai neutrale oppure..”.
“Mi
divertono queste cose. Non ho smanie di potere ma l’idea di
poter finalmente
farvi smettere di trattarmi come un bambino, solo perché fra
gli Olimpici sono
il più piccolo, mi piace”.
“Capisco..”.
“Questo
non
significa che io ti consideri inadatto a regnare, fratellone,
ma..voglio
dimostrare che non sono un bambino!”.
“Perfetto”.
“E
tu che
farai? Richiamerai i tuoi figli a combattere?”.
“L’unico
che
potrebbe in qualche modo battersi è Asclepio”.
“Le
sue
conoscenze in medicina sono un notevole vantaggio..ma chi altri? Lo sai
bene
che, in battaglia, Artemide ti sconfigge con relativa
facilità. Specie con
l’arco..”.
“Non
saranno
solo sfide di carattere fisico, Hermes. E, ad ogni modo, io ho le muse
dalla
mia parte e ti assicuro che non hanno alcunché da invidiare
a certi cavalieri.
Poi..io governo le arti, e c’è chi dice che la
guerra è un arte”.
“Ares
non mi
sembra un grande artista..”.
“No,
ma è un
ottimo ballerino”.
Hermes
alzò
un sopracciglio, mentre Apollo ridacchiava, con lo sguardo rivolto
altrove.
“Parlando
di
Ares..” riprese il fratello minore “..ho saputo che
il suo figlio strano, il sanguemisto, è
stato qui. A fare cosa, se mi è concesso saperlo?”.
“A
dirmi che
devo ficcarmi le mie idee sconnesse su per il..”.
“Che?!
Davvero?!”.
“Già.
Ma mi
ha anche portato un regalo di compleanno”.
“Che
cosa
senza senso..Però, è vero: tanti auguri,
fratellone. Quanti anni sono? Scherzo..immagino
avrai perso il conto da secoli”.
“Spiritoso!
Ad
ogni modo..siamo abituati alle stranezze dei figli di Ares. E
quell’essere non
è da meno. Ricordati che ha una personalità un
po’ contorta il nostro caro ex
Sacerdote di Atena”.
“Quindi
non
parteciperà? Non combatterà a fianco del
padre?”.
“Ares,
da
quel che ha detto, non intende lottare. Ma sappiamo bene entrambi che
appena
vede gli animi scaldarsi..non resiste e si butta nella mischia! Il
figlio non
saprei. Ancora non lo riesco ad inquadrare. Credo però che
sia più coscienzioso
del genitore. Probabilmente osserverà la situazione, prima
di agire. Staremo a
vedere. Nel frattempo, ho informato la Regina Madre Hera di quanto ho
intenzione di fare e pare approvare. Dice che così forse la
smetteremo di
bisticciare fra noi bastardi”.
“Bella
definizione..”.
“È risaputo che per Hera siamo questo. I figli avuti da lei con Zeus sono davvero pochi. E
penso che faccia il tifo per uno di loro, anche se non so per chi. O
forse..vuole
partecipare anche lei. Sarebbe interessante”.
“Dici
faccia
il tifo proprio per Ares?”.
“Lo
sai che
nessuno lo sopporta più di tanto, Hera tantomeno.
Vedremo”.
“Ma..se
il
figlio non combatte a fianco del padre..non potresti provare a
richiamarlo come
tuo alleato? Era Sacerdote di Atena, sai bene che di combattimento ed
affini se
ne intende”.
“Sì
ma non
so quanto fidarmi. È pazzo, questo è certo. Si
è presentato qui, nonostante
l’allerta che ormai serpeggia fra le divinità,
come nulla fosse. Gli ho chiesto
se era lì per comunicarmi la sua decisione riguardo a questa
sorta di Olimpiadi
e lui mi ha detto quel che sai. Per poi aggiungere: buon compleanno. E
porgermi
il regalo con un ghigno divertito. È completamente pazzo.
Avrei potuto
distruggerlo, o perlomeno sfidarlo, per la sua sfrontatezza”.
“E
perché
non lo hai fatto?”.
“Non
lo so.
Alla fine noi, fra Dei, bisticciamo sempre ma non ci uccidiamo
mai”.
L’inizio
di
quello che si preannunciava come un evento unico nel suo genere era
ormai alle
porte. Hera, raggiante ed in abiti fin troppo pomposi, osservava con
orgoglio i
discendenti del marito.
“Spero
che
questo possa porre fine ai vostri continui battibecchi”
commentò, con un
sorriso “Ora lascio ad Apollo il compito di spiegarvi come si
svolgerà la cosa
e speriamo che il vincitore riesca a portare un po’ di
stabilità”.
Apollo
si
guardò attorno. Oltre ai suoi fratelli Olimpici, intravedeva
qualche romano e
la cosa lo divertiva.
“Bene..”
iniziò a parlare “..siamo già stati
divisi per i primi incontri. Come sapete,
non sarà solo uno scontro a livello fisico, ma siete liberi
di scegliere la
prova che più vi aggrada. L’importante
è che entrambi i contendenti che si
sfidano siano d’accordo sul tipo di competizione da
affrontare. Non ci sono
regole o restrizioni, anche se preferirei non vedere morti o insulti
gratuiti,
per quanto possibile. Alla fine, colui che avrà sconfitto
tutti gli avversari
che si ritroverà di fronte, sarà nominato re
dell’Olimpo. Signore indiscusso
delle divinità. E ovviamente i perdenti dovranno obbedire,
senza scusa alcuna.
Astrea, Dea della giustizia, giudicherà gli avvenimenti che
seguiranno e, in
caso di appelli o irregolarità, si esprimerà a
riguardo. Il suo giudizio sarà
inappellabile e non voglio sentire lamentele di sorta.
Concederò il permesso ad
altri, non qui presenti ora, di unirsi alle sfide ma solo se faranno
domanda
entro breve, per evitare di trovarsi avvantaggiati rispetto a chi ha
già
disputato più scontri. Mi aspetto dei comportamenti
esemplari, degni degli Dei
che siamo. Ed ora preparatevi, fratelli. All’alba,
inizieranno i giochi”.
“Devono
aver
iniziato” commentò Keros “Percepisco
tante entità divine in un solo luogo”.
“Tanto
casino per niente” rispose il suo padrone, mezzo steso su un
divanetto rosso,
molto simile a quello che aveva al Santuario.
“Per
niente..non direi. Si stabilisce chi sarà a capo
dell’Olimpo. È importante come
cosa, non trovate?”.
“E
secondo
te il vincitore avrà davvero il rispetto degli altri?
Credimi..o rinasce Zeus,
e tira una folgore nel culo a tutti quanti, o i bisticci ci saranno
sempre”.
“Ma
quindi
tutto questo a che serve?”.
“Gli
Dei si
sfidano da sempre. Solo che un tempo si impicciavano delle faccende
umane. Ora
non possono farlo più e non sanno come sfogarsi. Direi che
questo è un ottimo
modo”.
“Che
cosa
scema”.
“Puoi
dirlo..”.
Keros
scosse
la testa. Non capiva le divinità, non ci era mai riuscito.
“Che
guardi?” domandò il padrone di casa.
“Nulla.
Il
mare. È iniziato l’inverno e il mare
d’inverno ho capito che mi piace molto”.
“Potresti
andare
a farci un giro con i piccoli di casa, se ti va”.
“Sinceramente,
Signore..fa freddo. Mi piace guardarlo, non andarci vicino”.
“Come
preferisci..posso farti una domanda?”.
“Certo..”.
“Tu
pensi
che dovrei partecipare a questa baracconata indetta da
Apollo?”.
“Perché
lo
chiedete a me?”.
“Perché
penso che tu mi conosca meglio di molti. Inoltre mi fido del tuo
intuito e
della tua esperienza. Dopotutto..hai più di mille anni, no?
E siamo amici da
più di dieci”.
Qualcosa
in
quella frase infastidì Keros, che arricciò il
naso. Il Dio delle illusioni non
poté vederlo, perché gli dava le spalle, ma
notò una lieve vibrazione
nell’energia di colui che lo serviva.
“Qualcosa
non va? Ti ho offeso, forse? Per la faccenda dei mille anni?”
domandò.
“No,
Signore. Non è niente. Conosco la mia età e la
vostra..”.
“Bene.
E
allora che c’è? Ultimamente sei strano”.
“Me
lo ha
detto anche Eleonore, ma non capisco a che cosa vi riferiate”.
“Sei
silenzioso, sempre pensieroso. Irritabile. Distratto. Sei preoccupato
per
qualcosa?”.
“No,
Signore”.
“E
basta
chiamarmi così. Io ti chiamo per nome, no? Non puoi fare
altrettanto?”.
“No..Signore”.
“Sei
strano..” sospirò il Dio delle illusioni
“..sei affaticato, forse? Ultimamente
abbiamo avuto un sacco di visite e forse ti sei stancato
troppo”.
“Sto
benissimo. Le vostre sono solo paranoie”.
“Ok..se
lo
dici tu..meglio così. Ma non sono convinto, sai?”.
“Non
posso
farci molto”.
“Credo
che
faresti meglio ad andartene da qui. Ho come l’impressione che
inizi ad
infastidirti il rimanere in questo luogo”.
“Impressione
del tutto errata, Signore!”.
“Sei
sicuro?”.
Ora
Keros si
era voltato ed i due si fissavano negli occhi.
“Sicuro.
Signore io vi..io vi servirò finché non
avrò ripagato il mio debito, ed anche
oltre. Non mandatemi via!”.
“Non
ti
mando via! Solo che..io voglio che tu sia felice. Sei così
carino quando
sorridi. Ed in questi giorni lo fai così poco..”.
“Ma..ma
che
dite?!”.
“Scusa.
Ti
ho messo in imbarazzo? A volte parlo a vanvera, e lo sai”.
Keros
si era
voltato di scatto, dando le spalle al suo signore. Arricciò
di nuovo il naso un
paio di volte e questa volta il Dio lo notò,
perché si era portato al suo
fianco. E ridacchiò involontariamente nel vedere quella
scena.
“Ora
so per
certo che qualcosa ti infastidisce. Altrimenti non arricceresti il
naso, Keros.
Perché non me lo vuoi dire?”.
“Perché
non
so di che parlate!”.
“Bugiardo!”.
Il
padrone
di casa si spostò alle spalle di Keros, di due spanne
più basso, ed iniziò a
giocare con i capelli color ciliegia.
“Siete
cresciuto ancora..” commentò questi, a braccia
conserte.
“Già..”
ammise il Dio “..dicono sia normale che mi succeda,
però presto dovrei
fermarmi. Ma tu non cambiare argomento”.
“Una
domanda: perché si ostinano a chiamarvi Arles?”.
“Perché
Arikien, il nome che ho scelto come divinità, non lo conosce
quasi nessuno. Ma
tu puoi usarlo, Kery. Quando vuoi. E adesso dimmi la verità:
cosa ti turba? Hai
trovato la fidanzata?”.
Keros
spalancò gli occhi, arrossendo.
“Che
assurdità state dicendo?!” alzò la
voce, scuotendo la testa.
“Guarda
che
non sono geloso” rise il Dio “Perdonami, sono
indiscreto”.
“Perdonatemi
voi ma..siete stupido, ecco. Io non vi nascondo proprio niente, non ne
avrei
motivo. E poi..mi trattate come un bambino, a volte. Non lo sono e
semmai
dovrei io trattarvi così, vista la nostra differenza
d’età”.
“Scusami,
Keros” si fece serio il padrone di casa “Non era
mia intenzione..”.
“No..scusatemi
voi. Avete ragione. Ultimamente ho qualcosa di diverso, ma non ha nulla
a che
fare con quel che pensate. Passerà presto, spero”.
“Oh..bene.
Se posso fare qualcosa, non hai che da chiedere”.
“Avete
già
fatto troppo per me, Signore”.
“Non
è
vero”.
Il
Dio delle
illusioni diede solo un’ultima sistemata ai capelli di colui
che aveva di
fronte.
“Non
ti
importunerò più, Keros. Perdona la mia
curiosità. Ma il sangue di mia madre
Sophia mi ha donato questa irresistibile voglia di sapere
tutto”.
“Non
credo
che Sophia abbia a che fare con tutto questo. Credo piuttosto che siate
un
pettegolo represso” ridacchiò Keros.
“Hai
ragione. In ogni caso, scusami. Vorrei andare da zio Lucifero
più tardi. Vieni
con me?”.
“Mi
guarda
sempre in modo strano. Ma vi seguirò. E da vostro padre?
Avevate detto che
dovevamo recarci anche là”.
“Hai
ragione. Ma non oggi. Ho voglia di staccare un po’, senza
pensare a quello
stupido scontro Olimpico”.
“Comprendo
perfettamente..”.
Il
padrone
di casa sorrise lievemente.
“Sei
troppo
paziente con me, lo sai?”.
“Lo
so”
ridacchiò ancora Keros.
“Bravo,
ridi. Ti si addice di più, rispetto a quello strano broncio
preoccupato. Però,
se hai qualcosa da dirmi, gradirei che lo facessi. Ok? Niente strani
segreti,
soprattutto se c’è qualcosa che non va”.
“Ma
va tutto
benissimo!”.
“Meglio
così”.
“Io..”
fece
per continuare a parlare Keros ma venne interrotto da Eleonore, che
chiamava
tutti per la cena.
“Inizia!”
ghignò Deimos.
“Tu
per chi
scommetti?” domandò Phobos “Secondo me,
Apollo ha buone possibilità di vincere
ma credo che se parteciperanno Hades e Poseidone..gli faranno il culo a
strisce!”.
“Penso
anch’io”.
“Che
avete
da spettegolare?” li interruppe Ares “Sembrate due
vecchie comari!”.
“Scommettiamo
su chi vincerà. Secondo te, papà?”
chiese il maggiore dei gemelli.
“Non
lo so e
non mi frega, sinceramente. Che si ammazzino pure”.
“Non
puoi
dire sul serio!”.
“Che
vinca
Apollo o chiunque altro a noi non cambia. Siamo confinati
qui”.
“Per
tua
scelta”.
“Sì.
Almeno
qui non ci rompe le palle nessuno. Volete forse trasferivi
sull’Olimpo?! A me è
bastato il periodo al Tempio di Atena per capire che più sto
lontano da certe
cose e più sono felice!”.
In
realtà,
Ares osservava l’inizio di quelle sfide con
curiosità e doveva sforzarsi molto
per non immischiarsi. Amava ritrovarsi in mezzo alle battaglie ed ai
conflitti
ma non aveva alcuna intenzione di ritrovarsi coinvolto in una possibile
lotta
per l’Olimpo. Ma era difficile. Udiva le grida di sfida dei
fratelli e la cosa
lo eccitava. Ma non doveva!
“Autocontrollo”
si disse.
Non
lo aveva
mai avuto, però ci provava..
“Ad
ogni
modo, figli miei..se volete partecipare, siete liberi di
farlo”.
“Ed
a che
titolo? Noi siamo i tuoi figli, sappiamo bene che da soli, senza di te,
non
saremo mai alla pari di certi Dei”.
“Alleatevi
fra fratelli. Se volete tanto menare qualcuno..Oppure
c’è vostra zia Eris. Lei
partecipa e potreste essere un valido supporto”.
Phobos
e
Deimos si fissarono. L’idea di lottare li inebriava ma era
strano per loro
farlo seriamente senza il padre. Si fissarono, indecisi sul da farsi.
Forse,
per il momento, era meglio aspettare..
Il
Leone era
il più agitato. Si ostinava a camminare lungo quella stanza
immensa, piena di
libri. Aiolos lo seguiva con lo sguardo, distrattamente, mentre Camus
continuava a leggere. Dopo un po’, scocciato da quel continuo
movimento,
l’Acquario espresse tutto il suo fastidio in poche frasi.
“Stare
calmo?!” si irritò Aiolia “Gli Dei si
stanno combattendo il destino dell’Olimpo
ed io dovrei stare calmo?!”.
“E
che altro
dovresti fare, sentiamo?” lo zittì il fratello
“Ci hai visti? Non siamo giovani
e potenti come un tempo, non potremmo mai affrontare una battaglia
contro tutti
loro”.
“Ma..Atena..”.
“Atena
non è
ancora rinata” si aggiunse Camus “Questo vuol dire
che la Guerra Santa è
lontana. A conferma di questo c’è il fatto che
noi, cavalieri d’oro, siamo in
pochi. Qui al Tempio, siamo solo noi tre. Non ne sono apparsi
altri”.
“Ma
potremmo
richiamare gli altri. Qualcuno sa dove sono?”.
“L’unico
di
cui ho notizie certe è Tolomeo, Gemini. È in
America, nel suo palazzo, come Dio
precolombiano. Sua sorella, Ipazia, è accanto ad Hades. Di
Aphrodite so solo
che non si è allontanato da Persefone, ma non so dove si
trovi. Milo dovrebbe
essere al Tempio delle Amazzoni, assieme a Mirina. Deathmask e Shaina
sono
tornati in Italia. Mur è a casa sua, ancora ripara armature.
Shaka immagino sia
in India. Dohko sarà al solito posto, o forse anche no. Chi
lo sa. Chi manca?”.
“Shura?
Aldebaran?”.
“Di
loro non
so nulla, se non voci. Ad ogni modo, però, per molti di loro
gli anni sono
trascorsi. Come è giusto che sia”.
“Mi
sento
inutile..”.
“Leone..il
nostro compito non è più combattere ma formare le
nuove generazioni. Esse arriveranno,
lo hai visto. Anche se ora si stanno manifestando giovani cavalieri
d’argento,
sai bene che poi spetterà a loro addestrare i cavalieri
d’oro. Perciò non
preoccuparti. Se la battaglia è prossima, Atena
farà apparire nuovi Saint,
vedrai”.
“Mi
irrita la
vostra calma. Vado a spaccare qualche colonna..”.
C’era
un
petulante e fastidioso ragazzetto che lo stava seguendo, Apollo lo
percepiva
chiaramente. Si voltò, piuttosto irritato. Era convinto di
incutere timore,
altrettanto convinto di ritrovarsi di fronte un mortale. Non era
così. Il
fanciullo sorrise.
“Tu
devi
essere Apollo” salutò “Il mio fratello
maggiore”.
“E
tu chi
saresti?”.
“Mi
chiamo
Hermes. Sono nato da poco”.
“Hermes,
eh?
Carino..e che sai fare? Hai uno scopo o sei nato del tutto a
caso?”.
“Non
so
ancora quale sarà il mio compito ma..sono veloce! Molto
veloce”.
“Ah
sì? Dimostramelo”.
Il
ragazzino
iniziò a correre. La sua velocità era notevole e
perfino Apollo non riuscì del
tutto a seguirne i movimenti. Si accorse solamente che, con la sua
rapidità,
quel moccioso gli si era avvicinato tanto da rubargli un bracciale.
“Sei
un
ladro!” esclamò il primogenito di Zeus.
“Può
darsi”
rise il giovane, restituendo il maltolto e facendo
l’occhiolino “Forse serve un
Dio pure per quello”.
Apollo
sorrideva divertito, ripensando a quel primo incontro. Ora Hermes era
lì, millenni
più tardi, pronto ad affrontare i suoi fratelli per
dimostrare loro che non era
più il piccolo di casa ma una divinità di tutto
rispetto. Ma i primi a sfidarsi
erano altri. Uno scontro molto interessante, perché nessuno
dei presenti aveva
avuto modo di vederli in azione, se non per pochi istanti.
Shasir,
unico figlio maschio di Hades, ghignava felice. Somigliava molto al
padre e sperava
proprio di ritrovarsi di fronte lei: Rose, la figlia bellissima di
Persefone e
Aphrodite dei Pesci. Quei due erano considerati delle vere stranezze.
Lui perché
principe del regno dei morti, ed erede di Hades dopo che per millenni
quel
posto era risultato vacante, e lei perché figlia di una
divinità a servizio
dell’oltretomba per millenni che mai aveva dato un figlio al
suo compagno. Erano
la prova vivente che i tempi cambiavano per tutti, perfino per le
divinità.
“Io
lotto in
nome di mio padre” parlò Shasir
“Lotterò affinché sia lui il capo
dell’Olimpo,
con la sua nuova compagnia Ipazia al suo fianco”.
“Io,
invece..” ghignò Rose “..combatto per me
stessa. E per mia padre Persefone,colei
che tuo padre ha rapito, che
non deve
più vivere nell’ombra. E per mio padre, il
cavaliere che venera la bellezza. Fatti
sotto, principino! Ho sempre sognato vedere quel che sai
fare!”.
“Rimpiangerai
la tua decisione. Sfidarmi in combattimento è stato
stupido”.
Una
rosa blu
comparve fra le mani di lei.
“Parla di meno,
rampollo di Hades. E datti da
fare”.
Shasir
ghignò
di nuovo, e materializzò una sfera oscura. Si sfidavano le
tenebre e
le rose dell’inferno. Tutti gli altri Dei, sedettero
incuriositi, desiderosi di
sapere chi dei due avrebbe avuto la meglio.
Ciao a tutti! Capitolino piccino
prenatalizio. Ho in mente tantissimi scontri fra divinità e
loro campioni ma so
di non poterli inserire e sviluppare tutti. Perciò chiedo ai
fan di darmi un
parere e scrivermi quelli che più vorrebbero. Per
quest’anno non credo di
riuscire ad aggiornare ancora (però non si sa mai..) e
darò il tempo a chi segue la
storia di “portarsi alla pari” e farmi sapere lo
scontro che più desiderano. I
più gettonati vedrò di svilupparli per bene.
Intanto..per chi fate il tifo? Rose o Shasir? E non preoccupatevi: i
Gold torneranno presto, belli pimpanti!
Intanto.. buone feste!
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Capitolo 4 *** IV- Incitamento ***
IV
INCITAMENTO
L’arena
era
gremita. Lo scontro fra Rose, figlia di Aphrodite dei Pesci e
Persefone, e
Shasir, figlio di Hades ed Eleonore, era iniziato. Ad osservarli, non
solo
divinità e curiosi ma anche le statue che circondavano quel
sacro luogo. In
marmo bianco, rivolgevano gli occhi verso la parte centrale
dell’anfiteatro,
fra alte colonne e bracieri che diffondevano nell’aria
profumi naturali. Gli
Dei, seduti fra le scalinate, erano impazienti. Mai avevano visto di
cosa erano
capaci quei due sfidanti e non vedevano l’ora di scoprirlo.
Un vociare continuo
ripeteva il nome dell’uno o dell’altro contendente
come possibile vincitore.
“Forza,
fratellone!” gridava il figlio di Hades e Ipazia.
“Coraggio,
bambina mia!” rispondeva Aphrodite “Fai vedere quel
che sai fare!”.
Shasir
ghignò divertito. Non aveva paura della sua avversaria, non
ne aveva alcun
motivo. Lui era l’erede di Hades, Dio
dell’Oltretomba! Lei rispose a quel
ghigno. Aveva raccolto i lunghi capelli chiari, così da non
avere intralci
durante la lotta. Al primo attacco di Shasir, saltò con
agilità, riuscì a
schivarlo e rispose subito con una delle sue tecniche. Evocò
una rosa blu e la
lanciò contro il figlio di Hades. Questi reagì
prontamente e generò una sfera
d’oscurità. Con un gesto della mano, la diresse
verso Rose. La ragazza saltò
all’indietro ma la sfera deviò e la
colpì di striscio, ferendola e rovinandone
le vesti.
“Non
di fa
così!” protestò lei “Che
modi!”.
Poi
sorrise
e, con un rapido gesto, sistemò la stoffa rosata che la
copriva. Così facendo,
il suo prosperoso seno venne messo notevolmente in risalto.
“Che
caldo”
aggiunse “Meno male che siamo in Dicembre..”.
Shasir
rimase qualche istante stordito da quel gesto, ma si rimise subito in
posizione.
“Lo
sta
distraendo, brava” sorrise Afrodite, seduta accanto al padre
della ragazza, che
portava il suo stesso nome.
“Grazie”
annuì Pesci “Modestamente..è ben
addestrata”.
“I
maschi
sono maschi, non serve addestramento per fare quello”
ridacchiò una voce alle
spalle di Aphrodite, che girò la testa ed
incrociò lo sguardo di Deathmask,
seduto in modo molto poco elegante.
Al
fianco
del Cancro, vi era un uomo con indosso un cappotto pesante e una
sciarpa. Stava
fumando e Aphrodite lo riconobbe subito, stupendosi nel vederlo
lì.
“Anche
l’inferno è interessato
all’Olimpo?” chiese il Saint.
“No”
rispose
l’uomo “Semplicemente volevo divertirmi un
po’. Tua figlia è brava, Aphrodite”.
“Grazie,
Lucifero”.
“Secondo
voi, chi vincerà?” interruppe Deathmask.
“Difficile
a
dirsi” si intromise un’altra voce, questa volta
angelica “Lui è figlio di un
Dio potente, Hades, ma sua madre è una mortale e quando
è stato concepito non
era nemmeno stata posseduta da Iside. Lei è figlia di
Persefone, divinità di
certo minore rispetto ad Hades, ma possiede anche i geni di Aphrodite,
cavaliere
con un notevole cosmo. L’esito della battaglia è
incerto”.
“Hai
finito,
sapientone? Mezz’ora per dire che non lo sai?! Sei
logorroico, Mihael!” sbottò
Lucifero e l’angelo lo raggiunse, sedendosi lì
accanto e incrociando le
braccia.
“Hai
un
brutto vizio” fu la risposta di Mihael, notando la sigaretta
in bocca al
fratello maggiore.
“Ne
ho di
peggiori”.
“Lo
so..”.
“E
che
vuoi?! Non sto facendo nulla. Puoi tornare a casa”.
“Il
mio
compito è sorvegliarti. Specie quando ficchi il naso fra i
mortali”.
“Vedi
mortali qui?! Salvo qualche raro caso, sono quasi tutti Dei. Sono fuori
dalla
mia giurisdizione, non posso tentarli, perciò smamma. Sono
qui solo per
divertirmi”.
“Anche
io”
alzò le spalle Mihael “Pensi che non mi annoi
mai?! E comunque..dov’è tuo
nipote?”.
“Sì,
è
vero!” annuì Aphrodite
“Dov’è Ary?”.
“Dobbiamo
avvicinarsi di più, Signore?” chiese Keros,
alzando lo sguardo.
Avvolto
in
pesanti stoffe, la creatura dai capelli color ciliegia attendeva la
risposta
del suo padrone, che si limitò a scuotere la testa.
“Spero
non
si facciano troppo male” sospirò Eleonore,
appoggiata al braccio del marito “Il
mio povero bambino..”.
“Mia
cara..”
parlò il Dio delle illusioni “..non è
un bambino ormai. Ed è giusto che
combatta”.
“Sono
cose
stupide. Inutili dimostrazioni di forza in cui ci si fa del male senza
una
ragione. Promettimi che tu non avrai nulla a che fare con quella specie
di
torneo”.
“Tesoro..sono
qui. Mi vedi? Non là. Perciò..”.
“Che
non ti
salti in mente di andarci nei prossimi giorni! Ti conosco, sai?
Promettimelo!”.
“Non
ho
alcuna intenzione di..”.
“Prometti!
E
prometti anche che nessun abitante della nostra casa verrà
coinvolto. Nessuno
dei nostri figli né tantomeno Keros! Prometti!”.
“Sì,
lo
prometto..” sospirò lui e lei parve sollevata, e
non udì la risatina che sfuggì
a Keros, divertito dalla scena.
Lo
scontro
fra Rose e Shasir continuava ed Eleonore sperava che tutto finisse
presto,
senza conseguenze gravi per i due combattenti.
“Non
vedo
vostro padre, Signore. E nemmeno i vostri fratelli”
commentò Keros.
“In
effetti,
è strano” annuì colui che ora portava
il nome di Arikien “Mi aspettavo di
vederli. Magari non come partecipanti, ma come spettatori. Non
resistono alle
risse gratuite. Inoltre vedo Afrodite, come sempre mezza nuda. Strano,
molto
strano, che non ci sia mio padre”.
Fra
gli
spettatori, vi erano anche alcuni cavalieri ancora in servizio al
Grande
Tempio. Camus non aveva resistito alla tentazione di ritrovarsi in
mezzo alle
divinità senza che queste cerchino di ucciderlo. Aiolia
invece non riusciva a
stare tranquillo e quindi era lì, ansioso. Camus era giunto
alle stesse
conclusioni di Mihael: lo scontro era aperto. Nessuno prevaleva
nettamente
sull’altro.
“Coraggio,
figlio mio!” commentava Hades, infastidito “Non
farti distrarre da un paio di
tette!”.
Shasir
saltò,
schivando l’ennesima rosa. Tentava di avvicinarsi, con
l’intento di colpire con
la propria sfera la sua avversaria. Ma Rose era veloce e sfuggente.
“Dark
night
rose!” gridò lei, ed una pioggia di rose blu come
la notte si scagliarono contro
Shasir.
Il
figlio di
Hades riuscì a distruggerne buona parte ma alcune andarono a
segno, ferendolo.
Altre invece continuarono per la loro strada e si conficcarono sulle
gradinate,
fra gli spettatori.
“Maledetta!”
ringhiò il ferito “Te la farò
pagare!”.
“Questo
è
per avermi rovinato il vestito!” esclamò lei,
pronta ad attaccare di nuovo.
Questa
volta
però Shasir non usò la sfera. Corse rapido e
raggiunse l’avversaria, colpendola
con un poderoso calcio all’addome e spedendola contro la
pietra dei gradoni.
“Che
galantuomo” furono le parole, sarcastiche, di Persefone.
Ma
la figlia
non si fece scoraggiare e si rialzò in fretta.
Inaspettatamente, si diede la
spinta e sfrecciò contro il figlio di Hades, colpendolo in
pieno volto con un
pugno.
“Che
principessa!” rispose a Persefone il padre del giovane.
I
due
genitori si fissarono qualche istante, con fastidio, ma poi si
sorrisero
divertiti. I due figli si stavano azzuffando in un modo non molto
consono agli
Dei: a suon di calci e pugni. Lei parve in leggero svantaggio, quando
lui la
afferrò per i polsi e tentò di immobilizzarla.
Per farlo, le saltò sopra e
ringhiò. Lei, stesa a terra con Shasir su di sé,
sfoggiò il più malizioso dei
sorrisi.
“Guarda
che
dobbiamo combattere” commentò, sensuale
“Non accoppiarci”.
L’avversario
si accorse della posizione in cui si trovava e per qualche istante la
sua mente
si confuse. Questo permise a Rose di liberare una mano ed usarla per
sferrare
l’ennesimo pugno. Afrodite, la Dea della bellezza e del
piacere sessuale, rise
divertita. Quella ragazza sarebbe stata un ottima discepola!
L’erede del Dio
dell’Oltretomba si rialzò e barcollò
leggermente. Che gli stava succedendo?
Approfittò però del fatto che Rose pareva essere
molto stanca e la colpì di
nuovo, questa volta con la sua sfera di energia nera. Andò a
segno e la ragazza
finì stesa a terra.
“Ancora
hai
la forza per rialzarti?” domandò, sconcertato,
Shasir.
“E
tu?
Ancora non cadi?” ribatté lei, rialzandosi a
fatica e gemendo per il dolore.
Lui
barcollò
ancora, sentendosi sempre più stordito.
“Che
mi hai
fatto?” ringhiò “Che mi
succede?”.
“Le
mie rose
blu, le rose della Dark Night Rose, immettono nel tuo sangue un potente
sonnifero. Non ti uccidono, visto che in questa competizione Apollo non
vuole
dei morti, ma ti fanno perdere i sensi. E sarebbe proprio ora che
accadesse!”.
“Cadrai
prima tu di me!”.
Shasir
provò
di nuovo ad attaccare, e lo stesso fece Rose. Corsero l’uno
verso l’altro. Il
figlio di Hades allungò un pugno e lei schivò,
vedendo poi l’avversario cadere
in terra. Si sforzava di restare sveglio ma non ce la faceva
più.
“Sei
stata
brava” mormorò “Dannatamente brava.
Complimenti. Sono felice di essermi fatto
battere da una donna..bella come te”.
Rose
arrossì. Nessun’altro aveva udito quella frase,
perché a malapena sussurrata.
Sorrise, quando vide gli occhi azzurri di Shasir chiudersi.
“La
vincitrice è Rose” esclamò Astrea,
giudice di gara e Dea della giustizia, e fra
gli spettatori si levò un applauso.
Hades
si
mosse ed Aphrodite lo notò. Lo vide avvicinarsi,
preoccupato. Voleva forse
picchiarlo perché Rose aveva battuto suo figlio?! Il Dio
però aveva tutt’altra
intenzione. Sorrise, porgendo la mano al cavaliere.
“Tua
figlia
è una grande combattente, complimenti”
commentò.
“Sei
serio?!” si stupì Aphrodite “Non vuoi
insultarmi?! Nessun rancore?!”.
“Ma
che
dici?! Questi scontri sono amichevoli e poi non ci possiamo fare nulla
se il
mio erede sragiona di fronte ad un bel seno come quello di tua figlia.
Lei ha
vinto, e merita i miei complimenti. La prossima volta, mi
batterò io”.
“Combatterai?
Bene..”.
“Pensavo
di
far lottare i miei sottoposti ma, visto come stanno le cose, ci
penserò io
personalmente”.
Per
risistemare l’anfiteatro, e raccogliere le varie rose sparse,
gli scontri
furono momentaneamente sospesi. Asclepio, figlio di Apollo e
divinità della
medicina, curò le ferite dei due sfidanti. Qualcuno si
addormentò, dopo aver
imprudentemente colto una delle rose blu. Gli Dei si congratularono con
la
vincitrice, che sorrideva in lieve imbarazzo.
“Questo
è
ciò che mi piace!” commentò Apollo,
soddisfatto “Nessuno che insulta il
perdente, tutti felici. Spero che vada avanti
così..”.
“Non
c’è
Ares. Immagino che questa pace sia dovuta alla sua mancanza”
rispose Hera, che
gli sedeva accanto.
“Può
essere.
Mi rincresce ammetterlo ma..sono contento che non ci sia. Non per
essere
perfido nei confronti del mio fratello minore, ma il clima che si
respira in
sua assenza è delizioso”.
“Chissà
che
cosa ha trovato di così interessante da fare, per non essere
qui..”.
Anche
il Dio
delle illusioni si era posto la stessa domanda. Cosa tratteneva suo
padre ed i
suoi fratelli? Una volta accompagnata Eleonore a casa, era subito
ripartito
verso il palazzo di Ares. Ovviamente Keros
lo seguiva, anche se non amava molto il clima delle
montagne che
circondavano il tempio del Dio della guerra. Raggiunsero il palazzo in
fretta,
senza incontrare alcun tipo di intoppo. Lungo la strada, ormai prossimi
all’ingresso, Arles fece segno a Keros di fermarsi.
“Ascolta..”
gli dissi.
“Che
cosa,
Signore? Non sento niente” ammise Keros, muovendo le orecchie
a punta.
“Appunto.
È
strano. Il silenzio assoluto, al tempio di mio padre..è
molto strano.
Muoviamoci con prudenza”.
“Sì.
Va
bene”.
Entrarono
al
tempio, non trovandovi anima viva. Continuarono, raggiungendo
l’area all’aperto
in cui si allenavano gli abitanti di quel luogo. I palazzi di Phobos e
Deimos
erano rivolti verso quello spiazzo ma da nessuno di essi proveniva
alcun suono.
“Forse
si
sono allontananti per allenarsi altrove” ipotizzò
Keros.
“Già..oppure
sono in gita..”.
“Non
siete
convinto”.
“No,
per
niente. Cerco di percepire il loro cosmo ma non ci riesco”.
“Saranno
schermati. Come fate quasi sempre voi. Per evitare
scocciature”.
“Forse..”.
Il
figlio di
Ares non era per nulla convinto. Fece un giro nei paraggi e poi
rientrò nel
palazzo del padre, in cerca di indizi. Camminò lungo i
corridoi, mentre Keros
restava all’esterno, nell’area per gli allenamenti.
Sapeva che da lì partiva
una piccola e ripida scalinata che conduceva lontano dal tempio e, se
gli abitanti
della casa avevano deciso di allontanarsi, forse sarebbero tornati
proprio da
quella scalinata.
“Papà”
chiamò Arles “Papà, ci sei? Giuro che
se sei sbronzo e disteso a letto ti
prendo a sberle finché non ti riprendi!”.
Udì
un
rumore lieve, proveniente proprio dalla camera da letto del genitore.
Ruotò gli
occhi al cielo, già immaginandoselo in condizioni pietose, e
aprì la porta di
qualche centimetro.
“Se
sei
nudo, vestiti. Se stai scopando, ti prego avvisami che è uno
spettacolo che non
voglio vedere” quasi supplicò Arles che, non
udendo altro, aprì del tutto la
porta.
Il
letto era
vuoto e la stanza buia.
“A
che gioco
stai giocando, vecchio?” iniziò a spazientirsi,
quando capì che c’era qualcosa
nell’armadio.
Rise,
trovando stupido per uno dell’età di suo padre
divertirsi in quel modo.
Fingendo indifferenza, si avvicinò e spalancò il
mobile di legno scuro di
corpo. Dall’interno partì un grido di terrore, da
parte di una bimba.
“Sorellina!”
la riconobbe “Cosa ci fai nell’armadio?! Calmati,
sono io!”.
La
bambina
aveva serrato gli occhi e si era rannicchiata. Solo dopo un
po’ risollevò la
testa e guardò chi aveva di fronte.
“Fratellone?”
mormorò “Fratellone Arikien, sei tu?”.
“Sì,
sono
io. Neith, sorellina, perché ti nascondevi? Cosa
è successo?”.
La
piccola
era visibilmente spaventata. Rimase in silenzio e si fece abbracciare
dal
fratello. Uno dei codini che acconciavano i suoi capelli biondi erano
sfatto e
le ricadeva sulla spalla.
“Sono
andati
via?” domandò, con voce tesa.
“Chi?
Di chi
parli, sorellina?”.
La
figlia di
Ares ed Afrodite si guardò attorno poi, coprendosi in parte
la bocca, iniziò a
sussurrare all’orecchio del fratello.
“Papà
mi ha
detto di stare zitta finché non mi veniva a
prendere”.
“Stavate
giocando?”.
“No.
Prima stavamo
giocando qua fuori ma papà si è fermato. E subito
dopo tutti gli altri. Mi ha preso
in braccio e portata in casa di corsa.
Mi ha detto di stare nascosta, che mi sarebbe venuta a prendere. Ho
chiesto
perché e mi ha risposto che doveva mandar via dei cattivi.
Sono rimasta chiusa
qui, zitta. Ho sentito un gran rumore. Tutti gridavano e poi di colpo
tutto
silenzio. Solo un rumore: qualcosa che si trascinava. Quello
c’era sempre”.
“Il
rumore
di qualcosa che veniva trascinato?”.
“No.
Un
rumore come di qualcosa che andava avanti strusciando”.
“Hem..ok..”.
Arles
non
capì del tutto. Sollevò la bambina e raggiunse lo
spiazzo esterno.
“Hei,
ma..tu
sei lo strano coso con cui gira sempre Arles!”
commentò Milo, riconoscendo i
capelli rossi di Keros da lontano “Meno male, siete
qui!”.
“Che
cosa è
successo?” domandò Keros, sorvolando
sull’appellativo usato dal cavaliere “Dove
sono tutti?”.
“Bella
domanda..”.
Milo
aveva
accanto a sé un giovane che gli somigliava, il figlio dello
Scorpione e di
Mirina, regina delle Amazzoni.
“Ci
eravamo
allontananti..” spiegò il cavaliere
“..io e mio figlio, per un allenamento
diverso dal solito. L’ho condotto fra le montagne ma, al
nostro ritorno, era
tutto deserto. Sono spariti tutti. Ares, Phobos, Deimos, le amazzoni,
Nadijeshda..
tutti scomparsi!”.
“Scomparsi?”.
“Dov’è
il
tuo padrone? Voi due non ve ne andate mai in giro separati”.
“Non
sono la
sua ombra! Ma, ad ogni modo, è nel palazzo di suo padre
Ares, fra le stanze del
Dio della guerra”.
Il
Dio delle
illusioni raggiunse il gruppo, con la sorellina in braccio. Subito
iniziò a
parlare con Milo, facendosi raccontare ogni cosa. Nel frattempo Keros,
notato
il fatto che la piccola era ancora spaventata, la tolse dalle braccia
del
fratello maggiore a cui si era aggrappata e le sistemò i
capelli.
“Non
piangere, Neith” le disse “Ora il tuo fratellone
Arikien è qui, e non ti
accadrà nulla di male”.
“Arles,
cosa
pensi sia successo?” chiese Milo “Erano tutti qui!
Dove sono adesso?! Dov’è mia
moglie?!”.
“Non
lo so”
ammise il figlio di Ares “Non ne ho davvero idea”.
“Nemmeno
un’ipotesi?”.
“L’unica
cosa che mi viene in mente è che qualche divinità
abbia deciso di intervenire
preventivamente. Sapevano tutti che, prima o poi, Ares sarebbe apparso
al
torneo di Apollo. Non avrebbe mai potuto fare a meno di combattere, e
così
anche i suoi figli”.
“Ma
chi? Chi
potrebbe averlo fatto?”.
“Non
lo so.
E, credimi, la cosa mi infastidisce molto”.
La
conclusione a cui il piccolo gruppo giunse, fu che qualcuno,
consapevole del
potere della Guerra, aveva deciso di impedirgli di intervenire agli
scontri
indetti da Apollo. Come ed in che modo non era chiaro. Forse
più divinità
avevano agito insieme.
“E
adesso
che cosa facciamo?” domandò Milo.
“Per
prima
cosa, porto mia sorella Neith da sua madre Afrodite. Là
sarà al sicuro. Vedremo
se saprà fornirmi qualche informazione in più.
Keros, torna a casa, così
Eleonore non avrà motivo di preoccuparsi. Milo, se non ti
dispiace, avvisa Kiki
di quanto accaduto. Non potrà farci molto, ma vorrei lo
sapesse”.
Keros
provò
a protestare ma alla fine cedette ed il gruppo si divise.
L’arena
era
stata sistemata e finalmente gli Dei erano pronti ad assistere al nuovo
duello.
Il sole stava tramontando, e questo rendeva piuttosto pigro il Dio
Apollo. Che
però si sforzava di rimanere concentrato. Lo scontro
successivo vedeva
coinvolte Hera, la regina madre, e Artemide, la gemella
dell’attuale signore
dell’Olimpo. La Dea della caccia, inaspettatamente depose il
proprio arco. La
sua veste leggera e candida svolazzò leggermente, mossa dal
gesto da chi la
indossava. Hera, senza la corona sul capo, era seria e silenziosa.
Artemide
apprezzava il silenzio ma non in questo caso. Era spaventata, doveva
ammetterlo. La sua avversaria apparteneva alla stirpe dei Titani, lo
sapeva
bene.
“Potete
cominciare” annunciò Astrea.
Le
due Dee
si salutarono con un inchino. La loro sfida non era fisica, lo
dimostrava il
fatto che Artemide avesse lasciato il suo arco e il faretra con le
frecce.
“La
Dea
vergine contro la Dea del matrimonio e della famiglia. Sarà
interessante”
sorrise la Dea della bellezza.
Il
fuoco
crepitava e scaldava la stanza. Ormai era notte ed il palazzo era
silenzioso. Avvolto
in una coperta blu scuro, Keros fissava le fiamme con aria distratta.
Sospirò,
piuttosto annoiato, e si lasciò cadere di lato. Steso e
rannicchiato, continuò
a puntare gli occhi verso il camino, agitando leggermente le orecchi e
a punta.
Allungò le mani verso quel fuoco, mentre il colore delle
proprie iridi mutava
dall’ambrato all’oro.
“Che
stai
facendo?” si sentì dire e sobbalzò,
allarmato.
“Signore!”
esclamò, sollevando il capo di scatto e rimanendo in
ginocchio “Da quanto tempo
siete..?”.
“Nella
stanza? Da pochi istanti. Non volevo disturbarti. Perdonami”.
“Ma..ma
no,
che dite?”.
Il
Dio delle
illusioni raggiunse Keros, sedendosi accanto al fuoco.
“Afrodite
vi
ha forse detto qualcosa di utile?” domandò la
creatura dai capelli ciliegia.
“Dice
di non
sapere nulla a riguardo ma, se dovessimo scoprire chi ha osato toccare
il suo
amante, ha promesso di darci volentieri una mano a vendicarci. Eros ed
Hermes
invece, che erano all’arena vicino alla Dea della bellezza,
mi hanno
rassicurato dicendo che capita spesso che mio padre scompaia.
È già successo
altre volte”.
“Sì,
ma
qualcuno ha dovuto liberarlo”.
“Già..”.
“Quindi?
Che
pensate di fare?”.
“Non
posso
gironzolare fra le divinità chiedendo informazioni. Desterei
sospetti. L’unico
modo per scoprire qualcosa è fingere di far parte di quella
specie di torneo e
vedere chi può aver organizzato una cosa del genere. Non
può essere una
divinità soltanto..”.
“Capisco..”.
“Però..io
ho
promesso ad Eleonore di non combattere e di non prendere parte a quegli
scontri. Ed io le mantengo le promesse”.
“E
allora..?”.
“Non
infrangerò una promessa fatta alla donna che amo”.
“Potrei
farlo io. Io potrei, in nome vostro, prendere parte a quelle sfide e
tentare di
scoprire la verità”.
“Ho
promesso
che nessun abitante di questa casa sarebbe stato coinvolto.
Troverò un altro
modo. Domani incontrerò gli angeli, nel giorno in cui
ricordano la morte di mia
madre. Forse loro..”.
“Gli
angeli
odiano tutti. Non credo gli importi della sorte di un Dio come
Ares!”.
“Che
cosa
brutta da dire”.
“Perdonatemi.
Ma io la vedo così..”.
“Ad
ogni
modo, non infrangerò quella promessa”.
“E
lei ora
dov’è? Dov’è
Eleonore?”.
“Immagino
a
riposare”.
“E
se
voi..agiste mentre lei riposa? O mentre lei è impegnata in
altre faccende?
Senza che lo venga a sapere?”.
“Non
potrei
mai! È una questione di fedeltà, di rispetto. Lei
è mia moglie, capisci? Non
potrei mai”.
“Quando
parlate così..” sorrise lievemente Keros
“..sembrate davvero un angelo”.
“Tu
mi
inganneresti?”.
“Prego?!”.
“Tu
mi
inganneresti? Tradiresti la mia fiducia, mentendomi?”.
“No
ma..questo cosa..io..io non sono vostra moglie!”.
Il
Dio rise,
quando vide Keros arricciare il naso e distogliere lo sguardo.
“Resta
pure
a scaldarti davanti al fuoco” parlò poi il padrone
di casa, rialzandosi “Per me
fa troppo caldo lì vicino. Và a
dormire”.
“Non
ho
sonno”.
Il
Dio delle
illusioni lasciò la stanza e si incamminò lungo
il corridoio. Alla sua destra,
fra le colonne, vedeva il limpido cielo stellato. Era inverno,
riconosceva Orione
e la costellazione di cui in tempo indossava le vestigia: Gemini.
Raggiunse la
stanza matronale, dove si aspettava di trovare Eleonore addormentata.
Lei però
era sveglia e pareva aspettarlo. In veste da notte, di un tenue
azzurro, aveva
l’aria preoccupata.
“Sono
a
casa” sorrise il marito “Puoi dormire
adesso”.
“Ho
saputo
quel che è successo” ammise lei, mentre il
consorte le sedeva accanto, sul
letto.
“Non
ti devi
preoccupare”.
“E
se
venissero a prendere te? O i tuoi figli? Se ci fosse qualcuno
intenzionato a
far scomparire Ares e la sua progenie?”.
“Non
posso
fingere di essere figlio di qualcun altro, no?
Perciò..”.
“Che
cosa
farai?!”.
“Non
andrò
al torneo, tranquilla”.
“Ma
lì vi
sono tutte le divinità! Scopriresti di certo
qualcosa!”.
“Ma
ti ho
fatto una promessa”.
Arles
accompagnò quell’ultima frase con un lieve
baciamano. Lei si accigliò
lievemente e scostò la mano.
“Che
stai
dicendo?! Ary!” sbottò lei “Si tratta
della famiglia. Intendi dire che, se
domani facessero sparire me e tutti i tuoi figli, non andresti al
torneo di
Apollo perché me lo avevi promesso?!”.
“Eleonore..sono
cose diverse..non credi?”.
“No,
affatto! Devi scoprire la verità e, se per farlo, devi per
forza avere a che
fare con simili cose allora..fallo. Potrebbero essere in pericolo anche
i
nostri piccoli!”.
“Non
combatterò”.
“Non
farmi
promesse che non puoi mantenere. Solo una cosa voglio che tu faccia:
che torni
qui. Sempre. Torna qui da me. Combatti, uccidi, salva fanciulle,
punisci i
cattivi..ma alla fine torna sempre da me. Sano e salvo. Proteggi la tua
famiglia. Proteggi chi vive sotto questo tetto”.
“Quello
non
smetterò mai di farlo, amore mio”.
Ad
Eleonore
pesava permettere al suo uomo di mettersi in pericolo ma, in quel
momento, non
vedeva alternative. Lo osservò, notando che nemmeno lui
pareva particolarmente
sereno. Ma poi Arikien si voltò verso di lei, sfoggiando un
sorriso quasi
angelico ed Eleonore si sentì lievemente rassicurata.
Mi ero ripromessa di non aggiornare tanto
presto ma..eccomi qua! Una volta concluso il disegno di Keros, ho
ricominciato
a scrivere. Ho
fatto vincere Rose, come
voluto dai fan. Prossimo scontro: Hera VS Artemide. Chi volete far
vincere? Ci risentiamo
con il prossimo capitolo, con scene del passato, reunion, piccoli
scorci di
verità e tanta follia!
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Capitolo 5 *** V- Immagine ***
V
IMMAGINE
Hera
era
riuscita a convincere i presenti che era meglio posticipare
l’inizio del suo
scontro con Artemide. La notte era il regno della Dea vergine e sarebbe
stata
avvantaggiata dal sorgere della luna. Le divinità,
desiderose di darsi ai
bagordi serali in compagnia di Dioniso, non ebbero nulla da ridire.
Artemide
stessa annuì, perché non voleva certo affrontare
una sfida sentendosi dire che era
raccomandata perché gemella dell’organizzatore.
Nell’oscurità, Artemide ne
approfittò per tentare di accumulare più energia
possibile, sotto i raggi del
satellite argento. Lei era la divinità legata alla caccia ed
alla luna anche
per i romani, dopo che Arles aveva decapitato la controparte Diana per
vendicare Eleonore. Erano passati degli anni ma la Dea aveva ancora un
pizzico
di nostalgia quando ripensava ai tempi in cui la sposa del Dio delle
illusioni
era la sua somma sacerdotessa. Al tempo, le cose erano diverse. Ma non
doveva
lasciarsi sopraffare dai sentimenti! Stava per affrontare Hera, regina
madre, e
doveva dimostrare di essere all’altezza. Non era il caso di
distrarsi con
inutili ricordi ormai lontani.
“All’alba,
inizierà la sfida” parlò Apollo, prima
di ritirarsi.
La
musica
degli angeli ed il loro canto era qualcosa a cui non si era ancora
abituato. Una
parte di sé ne rimaneva così incantata da
impedirgli di parlare. Non essendo
propriamente un angelo, ma un sanguemisto, non gli era concesso
avvicinarsi
molto al luogo dove si svolgeva la cerimonia di commemorazione per
Sophia. Però
lassù udiva chiaramente quella musica e quelle voci. Teneva
lo sguardo verso il
cielo, mentre qualche piuma gli svolazzò accanto. Percepiva
la presenza di suo
zio Lucifero, non molto lontano. Nemmeno a lui era concesso avvicinarsi
di più.
Mihael lo osservava, impedendo all’angelo caduto di accedere
a quel luogo
sacro. Era una maestosa cattedrale, di cui i mortali riuscivano solo a
scorgerne una minima parte. E ovviamente non vedevano
l’angelo che ne
sorvegliava i confini oltre i quali alle creature non angeliche non era
concesso andare. L’angelo ed il demone, Mihael e Lucifero, si
fissavano. Il
figlio di Sophia, il Dio delle illusioni, osservava entrambi ma il suo
animo
era letteralmente rapito dal canto che proveniva dalla cattedrale,
mentre alle
sue spalle sorgeva il sole.
“Prendimi,
prendimi! Tirami su!” rideva il bambino, quasi inciampando
nella tunica bianca.
“Non
sarebbe
ora che imparassi a volare?” rise il giovane angelo che aveva
di fronte.
Il
piccolo,
angelo a sua volta, scosse la testa.
“Io
so
volare” continuò il piccino “Ma
è più divertente farmi portare da te,
fratellone”.
“Ma
io ho
tanto da fare”.
Il
giovane
sorrideva, divertito dai goffi tentativi del bimbo di raggiungerlo e
farsi
prendere in braccio. Quando il piccolo finalmente riuscì nel
suo intento,
strinse le manine attorno al collo del giovane, felice.
“Un
giorno
sarò grande come te, fratellone”.
“Sì,
e non
ti prenderò più in braccio”.
“Eh
no,
magari sarò io più grande di te e sarò
io a prenderti in braccio”.
“Ma
che
carino!”.
Ridendo
entrambi, continuarono a camminare fra le candide nubi. Sopra di loro,
il cielo
stellato. Il giovane canticchiava, con la voce perfetta degli angeli,
ed il
bambino tentava di fare altrettanto. Altri piccoli angeli si
rincorrevano fra
le nubi, felici. Il più grande li osservava tutti, provando
tenerezza. La sua
luce splendeva ed ebbe un sussulto quando udì la voce della
sorella. Stava
cantando anche lei, in modo perfetto. Voltandosi, il giovane la vide.
Con i
lunghi capelli che si facevano cullare dal vento e le immacolate e
morbide ali
che facevano altrettanto, la voce della fanciulla era accompagnata
dalla
piccola lira di cui sfiorava le corde.
“Sorellona!”
salutò il piccolo angelo, raggiungendola di corsa.
Il
ragazzo
invece rimase fermo, ad osservarla. Percepiva qualcosa di strano,
quando la
vedeva. Qualcosa di nuovo ma di cui sempre più non poteva
fare a meno.
“Cosa
c’è,
piccolo Mihael?” esclamò lei, serena, passando una
mano fra i capelli del
piccolo angelo che l’aveva raggiunta “Vuoi suonare
l’arpa con me?”.
“Non
sono
capace” ammise il piccolo, vergognandosene un po’.
“Chiedi
al
tuo fratellone di insegnarti. Ne sarebbe felice, vero?”.
La
risata di
lei fece ridere anche lui ed il bambino non capì del tutto i
loro sguardi. Poi
lei si alzò e raggiunse il fratello.
“Vero
che
gli insegnerai?” stuzzicò ancora lei
“Rispondimi, Lucifero!”.
“Se
sei tu a
chiedermelo, lo farò di sicuro, Sophia”
annuì il giovane angelo.
I
due
gemelli si abbracciarono e Lucifero diede un piccolo bacio sulla fronte
a
Sophia. Mihael osservava ed inclinò leggermente la testa.
“Voglio
anche io un abbraccio!” protestò e il fratello
maggiore rise ancora, sempre
stringendo la sorella Sophia.
“Ti
abbraccerò quando mi arriverai almeno alla spalla”
fece l’occhiolino Lucifero e
Mihael gli mostrò la lingua.
“Sai
essere
davvero cattivo a volte” lo rimproverò Sophia, con
dolcezza “Vieni, Miky, ti
abbraccio io!”.
“Tutto
bene?” domandò Arles, accanto a Lucifero.
“Certo”
mentì il capo dei demoni, in realtà rattristato
da quel ricordo che era
riemerso nella sua mente.
Cambiò
espressione leggermente, al pensiero che alla fine Mihael non aveva mai
imparato a suonare l’arpa. Così come non aveva
imparato a fare molte altre cose
tipicamente angeliche. Nel sangue era un guerriero, probabilmente molto
più
vicino al fratello caduto di quanto pensasse.
“Me ne torno
all’arena di Apollo” parlò ancora
Lucifero “La cerimonia è finita e
l’odore di angelo mi fa venire la nausea”.
Il
nipote
aveva però scorto lo sguardo dello zio. Preferì
non infierire, non trovandolo
giusto. Lui non poteva ancora andarsene, doveva parlare con Mihael.
“Figlio
di
Sophia” lo chiamò proprio Mihael “Mi
è stato detto che vuoi parlare con me. La
cosa, lo ammetto, mi lascia perplesso. Che cosa
c’è?”.
Il
Dio delle
illusioni raccontò l’accaduto. Descrisse la
sparizione di Ares ed i suoi
sospetti. L’angelo lo ascoltò con tensione,
attento che nessun’altro li
spiasse.
“E
perché lo
vieni a raccontare proprio a me, figlio di Sophia?”.
“Perché
degli Dei non so di chi fidarmi. Lucifero tenterebbe in ogni modi di
convincermi
che devo presentarmi all’arena ed uccidere tutti. Tu invece,
Mihael, sei una
creatura al di sopra di certe faccende e con una certa esperienza in
campo
militare. Chiedo dunque il tuo consiglio”.
“Il
mio
consiglio? Di questo sì che sono stupito..ad ogni modo,
vieni con me. Meglio
andare dove orecchie indiscrete non stanno ritte ad
ascoltarci”.
L’angelo
si
voltò, rientrando nella cattedrale. Il Dio lo
seguì, fra le arcate in pietra.
Ora era tutto spento, se ne stavano andando tutti. Mihael raggiunse
l’altare e,
dopo essersi lievemente inginocchiato davanti ad esso ed aver fatto il
segno
della croce, si avviò nel retro. Arles ne osservò
i gesti, non capendoli del
tutto. Tentò di imitarli, pensando fosse segno di rispetto,
anche se li trovava
ridicoli. Nel frattempo, Mihael aveva recuperato una piccola chiave
nascosta
fra le statue dell’altare, usandola per aprire una porta in
legno, che
scricchiolò. Aveva l’aria antica e molto poco
usata. Dopo di essa, iniziava una
ripida scalinata, avvolta dal buio. La luminescenza di angelo e Dio
illuminò la
discesa che li condusse fino ad una piccola sala, scavata fra le rocce.
“Dove
siamo?” domandò Arles, ed udì
l’eco della sua voce.
Mihael
non
rispose. Subito dopo l’ingresso ad arco, bruciavano due
piccole candele. L’angelo
ne prese una fra le mani e, con un gesto, espanse la sua fiamma,
accendendone
molte altre. Questo illuminò la sala.
“Dimentico
sempre che sei un angelo legato al fuoco..” ammise il Dio.
“Arcangelo,
siamo precisi. E sì, sono legato al fuoco. Ed al sole. I
mortali mi hanno
affidato molti simboli che, lo ammetto, prima appartenevano a voialtri
pagani.
Qui possiamo parlare di ogni cosa, nessuno ci ascolterà, figlio di
Sophia”.
“Puoi
chiamarmi per nome, sai..”.
“Sinceramente..io
non so quale sia il tuo vero nome. Quello che tua madre aveva scelto
per te
nessuno lo saprà mai. E gli altri sono appellativi che ti
sono stati dati da
altri o che ti sei dato da solo..”.
“E
tu..chi
ti ha dato il nome? Il papà?”.
“Non
voglio
entrare nell’argomento. Siamo qui per parlare di altro,
figlio di Sophia”.
“Chiamami
Ary, ok? Come fanno quasi tutti. O Arikien, se proprio non ami i
vezzeggiativi”.
Detesto
i
vezzeggiativi. Se mi chiamassi Miky, mi incazzerei! Ma cambiamo
argomento..”.
“Lei
è mia
madre, vero?” domandò il Dio, indicando uno dei
due splendidi dipinti che
decoravano la parete.
Raffigurava
una donna incantevole, con le ali dischiuse e lo sguardo dolce. Le
mani,
giunte, ed il suo volto, parevano morbide e vellutate come fossero
reali. I
lunghi capelli color del mare si arricciavano vaporosi e davano
l’impressione
di voler uscire dal dipinto.
“Sì”
rispose
Mihael “Quell’affresco, fatto dagli angeli,
rappresenta Sophia”.
“E
lui?”
continuò Arles, indicando l’altro quadro, che
invece rappresentava un angelo
dalle fattezze maschili.
“Sono
sicuro
che lo sai”.
Il
Dio lo
osservò. Quell’angelo dipinto sorrideva, ed
osservava la sala con limpidi occhi
azzurri come il cielo. Brillava di una luce unica, viva e pulsante.
“Lucifero..”.
“Bravo,
Arikien”.
“Perché..?”.
“Perché
è
stato dipinto? Un tempo questo luogo era stato creato per adorare
Sophia, colei
che stava al di sopra di tutti noi. È stata lei a volere il
dipinto del gemello
accanto al proprio. Dopo non molto tempo però, questa sala
è stata chiusa e
solo a pochi è concesso rientrarvi. Si dice che induca in
tentazione. Io so
bene che non puoi provare alcuna tentazione nel guardare tua madre e
per quel
che riguarda Lucifero..beh, non sarebbe in ogni caso affar
mio”.
“E
tu?
Perché vieni qui? Per ricordare Sophia?”.
“Per
ricordare entrambi. Per me, è come se entrambi fossero
morti”.
“Ma
non è
così! Lucifero è..”.
“Caduto.
Cambiato. Quel giorno, il mio fratello maggiore è
morto”.
“Pensare
questo ti renderà più facile trapassargli la gola
con la lancia quando verrà
l’Apocalisse?”.
“Non
voglio
parlare neppure di questo, se non ti dispiace”.
“Allora
veniamo al punto. Cosa mi consigli di fare?”.
Mihael
parve
riflettere qualche istante. Giocherellò con la fiammella di
una candela, con
aria seria. Il Dio sapeva che quell’angelo non rideva mai, e
sorrideva così
raramente che si contavano sulle dita di una mano le persone che glielo
avevano
visto fare.
“Tu
cosa
pensavi di fare?” domandò poi Mihael.
“Sto
chiedendo consiglio proprio perché non lo so!”.
“Ragazzo,
io
sono un angelo. Non posso importi nulla. Però, lo sai, il
mio compito è
proteggere il mondo da una certa persona, che tu conosci. E se Lucifero
ti
dicesse di andare in arena ed uccidere tutti, è ovvio che
dovrei suggerirti il
contrario. La mia vita è tutta bianca o nera. Lucifero
è il nero, ed io il
bianco. Non comprendo tutto il grigio nella mente umana, ma so che
nella tua ce
n’è parecchio di grigio..”.
“Grigio?”.
“Ti
suggerisco perciò di agire d’astuzia. Sei il Dio
delle illusioni, giusto?
Perciò..sfrutta questa tua caratteristica. La forza bruta e
sanguinaria che
suggerisce Lucifero ti porterebbe alla sicura sconfitta,
perché gli Dei
Olimpici sono uniti e, scusa la parola, stronzi. L’unico modo
che hai per
batterli e sfruttando il tuo potere. Usa il cervello e scopri la
verità”.
“Un
inganno?
Fingere di partecipare al torneo, quando in realtà non ho
alcuna intenzione di
combattere, e non lo farò? Per poter osservare gli Dei e
capire che è
successo?”.
“Tu
lo hai
detto, non io. Solo un suggerimento ti do: non fidarti. Questo mondo
è pieno di
serpenti tentatori”.
“Tu
non lo
sei di certo”.
“Non
lo sarei
nemmeno volendo. Ma io non posso agire al tuo fianco. Non posso lottare
per te
o accanto a te. Non sei il mio Dio”.
“Lo
so. Non
te lo chiedo”.
“L’unico
modo che renderebbe possibile una mia entrata in campo sarebbe
un’eventuale
intromissione di Lucifero. In quel caso, sarebbe mio compito agire di
conseguenza”.
“Mi
stai
velatamente suggerendo in che modo toglierti dalla noia,
Mihael?”.
“Ma
che
dici?”.
L’angelo
storse il naso. I due poi discussero ancora un po’, prima di
tornare all’aperto.
“Immagino
vorrai tornare ad osservare i combattimenti”
commentò Arles “Se vedessi
qualcosa di strano..”.
“Non
potrei
dirtelo. Mi spiace. Sempre che non riceva ordini dall’alto
differenti..”.
“Capisco.
Un’ultima domanda. Che ormai mi faccio da tempo. Se Dio ha
creato ogni cosa,
chi ha creato Dio?”.
“Dio
si è
creato da solo”.
“E
in che
modo? Se non esisteva, come poteva crearsi? Con che cosa?”.
“Tu..ma
che..?”.
“Per
le
divinità Greche ci sono tantissime versioni. Pare che prima
del Caos vi fossero
altre creature. Una di queste è il destino. Quella creatura
deve avere tutte le
risposte, ma non riesco a trovarla”.
“Il
destino
non credo sia un’entità facilmente rintracciabile.
Perfino da te che sei un
Dio. Per quanto riguarda il resto..chi ha creato la materia? Secondo
gli atei,
l’universo si è creato con una grande esplosione.
Ma chi ha creato quel che ha
provocato quell’esplosione? Io sono un credente, Arikien. Non potrei mai venerare te
come un Dio, ma so
che lo sei. E so che c’è chi crede in te.
Perciò penso non vi sia una verità
universale. La risposta che cerchi, non esiste”.
Il
Dio delle
illusioni fece per rispondere, ma Mihael si era alzato in volo,
sparendo in
fretta in cielo.
La
Dea Hera
si mostrava tranquilla. Artemide si sforzava di fare altrettanto. In
realtà,
non sapeva bene cosa aspettarsi. Tenne la testa alta e la regina madre
sorrise.
“Hai
gli
occhi del mio amato Zeus” commentò Hera.
Artemide
non
sapeva che cosa dire. Fra le gradinate, le sue sacerdotesse e
sottoposti
facevano il tifo per la loro Dea. Lei, una volta raccolti i lunghi
capelli,
attese la prima mossa di Hera.
“Sei
pronta?” domandò la regina madre e la sfidante
annuì.
Subito
Hera
si mosse. Socchiuse gli occhi e la luce divina l’avvolse.
Artemide fece lo
stesso, accendendosi d’argento. Si concessero
un’ultima occhiata e poi si
lanciarono l’una contro l’altra.
L’aspetto di entrambe mutò e presero sembianze
animali. La loro sfida consisteva in questo: trasformazioni e
mutazioni. Si
trasformavano a vicenda, nella speranza di ottenere la combinazione
perfetta
con l’animale scelto dall’avversaria. Le
trasformazioni erano rapide e in
successione. Quando furono ormai in procinto di scontrarsi, entrambe si
librarono in volo, tramutate in uccelli bianchi. In un turbinio di
piume, le
due Dea si affrontavano in cielo. Gli altri Dei alzarono lo sguardo,
ammirati
da quel singolare scontro. Coprendo in pochi secondi il sole con le
ali, poi si
lanciarono di nuovo in picchiata verso l’arena. Le loro
sembianze umane
riapparvero per qualche istante e poi mutarono. Prima in cane, poi in
lupo, cervi
e orsi. Comparvero delle macchie di sangue, che macchiarono la pietra.
Poi, di
colpo, entrambe si fermarono. Artemide era una splendida giumenta
d’argento,
Hera una cerva dal manto nocciola.
Il
Leone
entrò alla tredicesima senza convenevoli.
Spalancò la porta, poi accigliandosi.
“Gran
Sacerdote!” esclamò “Che
succede?”.
Al
centro
del corridoio, proprio di fronte al sacerdote, vi era una creatura che
Aiolia
non conosceva ma che aveva già visto poco tempo prima.
“Tu!”
esclamò, mentre Kiki tentava di rimproverarlo “Sei
il tizio che ha consegnato a
me ed altri cavalieri questa lettera da parte di Arles. Che
significa?!”.
“Leone
d’oro..” borbottò il Sacerdote
“..non potresti essere un pochino più
educato?”.
“Ma
l’avete
letta questa lettera? E voialtri importunate perfino il Gran
Sacerdote?!”.
“Ioria!
Costui è Keros, e porta i messaggi del suo
signore”.
“Sì,
il
vecchio Arles”.
“Bada
a come
usi impunemente la lingua, cavaliere” sibilò
Keros, senza voltarsi verso Aiolia
“Il mio Signore è un Dio e tu un semplice
mortale”.
“Vedi
di
abbassare i toni con me, ragazzino dai capelli tinti. Io Arles lo
chiamo come
mi pare e mi piace!”.
“Ragazzino?
Tinti?!” ghignò la creatura a servizio del Dio
delle illusioni “Intanto questo
rosso è naturale e poi..io sono nato il 9 dicembre del 718,
nella città che al
tempo portava il nome di Costantinopoli. È da un pezzo ormai
che non ho più
l’età per essere definito un ragazzino. Sono
cresciuto in quelli che definite i
secoli bui. Anche se, sinceramente, non comprendo quella definizione.
Gli umani
sono molto più stupidi ora..”.
“Che..che
cosa?! Non sei umano, dunque?”.
“No”.
“Sei
un
Dio?”.
“No.
Ma sono
al servizio di un Dio e la tua arroganza inizia a darmi sui
nervi”.
“Ma
Arles ci
chiama al suo palazzo! Non può venire lui qui?! E
perché ci chiama?! Che
vuole?!”.
“Mortale,
lui è un Dio e non è suo compito gironzolare per
il mondo a cercarvi. Quello è
l’incarico che ha lasciato a me ed io lo sto svolgendo. Il
mio Signore Arikien
vi ha convocati ma non vi obbliga a far alcunché. Come stavo
spiegando al
Sacerdote Kiki, prima che tu entrassi senza alcun segno
d’educazione, siete liberi
di agire come meglio credete. Colui che servo non è il
vostro Dio, perciò siete
liberi di fare quel che preferite. Se vorrete, potrete recarvi al
Tempio del
Dio illusorio, oppure restare qui”.
“Io
non
prendo ordini da Arles!”.
“Come
preferite..”.
“Per
favore..” interruppe Kiki “..non dare troppo peso
alle parole del Leone. Ci
consulteremo e decideremo il da farsi. Milo mi ha raccontato quanto
successo al
Tempio di Ares, ed immagino che quegli accadimenti siano una delle
ragioni della
convocazione”.
“Non
posso
saperlo” ammise Keros “Io non faccio domande. Il
mio padrone mi svela ciò che
ritiene giusto, il resto non lo richiedo e non è affar
mio”.
“Ma
questa
convocazione..è stata inviata ai Gold, vero?”.
“Sì.
Anche
se me ne mancano ancora un paio. Molti di voi erano all’arena
di Apollo ed a
loro ho già recapitato il messaggio. Ora, vorrei raggiungere
quelli che mancano
prima che faccia buio. E freddo”.
Alla
tredicesima erano giunti anche Camus ed Aiolos, desiderosi di ricevere
delucidazioni o ordini dal Sacerdote. Kiki li osservò. A
volte, lo doveva
ammettere, non riusciva a capacitarsi di essere a capo di quel gruppo
di
cavalieri più anziani di lui. Informò il
messaggero del Dio delle illusioni che
si sarebbero consultati ed avrebbero deciso il da farsi. Keros,
soddisfatto da
quella risposta, annuì. Nonostante le proteste del Leone,
salutò con un cenno e
si voltò, incamminandosi verso l’uscita.
“Perché
lo
servi?” domandò Aiolia
“Perché servi Arles? Sai chi è
veramente?”.
“Sei
tu che
non sai chi realmente sia” rispose Keros.
“TI
sbagli.
È una creatura..strana!”.
“Anch’io
lo
sono, sotto certi punti di vista. Io sono figlio di un demone ed un
angelo”.
“Pensavo
che
gli angeli fossero asessuati!”.
“La
madre
del mio signore non lo era di certo, tanto per fare un esempio.
Inoltre, se lo
fossero, girerebbero tutti nudi assomigliando a tanti Ken e Barbie, non
trovi?
Sono maschi e femmine ma il sesso a loro non interessa. Salvo rari
casi..”.
“Capisco..”.
“Ad
ogni
modo, il legame che vi è fra me ed il mio signore
è lo stesso che esiste fra te
ed Atena. Tu perché servi Atena?”.
“Io..credo
in lei”.
“Bravo.
Inoltre..al mio padrone io devo la vita. Perciò, per quel
che mi riguarda,
potrebbe anche essere la peggiore delle creature fra gli universi ,ma
per me
sarà sempre e comunque il mio signore. Ed ora scusatemi ma
devo andare. Ho
ancora un paio di tappe da fare”.
Muso
contro
muso, cranio contro cranio, le due bestie erano stremate. Hera ed
Artemide
ormai da ore stavano usando il loro potere per mutare
l’aspetto dell’avversaria
e le forze stavano per esaurirsi. Rimasero ferme a guardarsi negli
occhi, e poi
Hera fece un passo indietro ed Artemide tornò ad essere
umana.
“Che
succede?” mormorò il pubblico.
Astrea,
giudice di gara, si avvicinò alle due sfidanti. Ora anche
Hera mostrava il suo
solito aspetto e chiamò a sé la Dea della
giustizia, che annuì. Parlarono fra
loro ed alla fine il giudice alzò il capo.
“Hera,
regina madre, riconosce il valore della Dea Artemide”
decretò Astrea “E non
desidera che questo scontro diventi più cruento. La vittoria
va ad Artemide”.
Hera
annuì,
soddisfatta. Non era stata tecnicamente sconfitta, ma era fiera di
quanto fatto
dalla Dea dalla gemella di Apollo. Era tempo di lasciar spazio alle
nuove
generazioni.
“Come
stanno
i miei mezzosangue preferiti?” domandò Lucifero,
entrando nello studio dove il
nipote stava fingendo di leggere.
Il
padrone
di casa era troppo distratto, ma fingeva di essere concentrato sul
volume che
aveva di fronte. Alzò lo sguardo, quando lo zio fu
accompagnato in quella
stanza dall’ancella di Eleonore. I capelli e le ali scure del demone erano di un colore così diverso rispetto a quel dipinto di tanti secoli prima..
“Qui,
veramente, ci sono solo io” sorrise Arles “Che cosa
ci fai qui?”.
“Lo
scontro
in arena è terminato e non avevo voglia di tornare a casa.
Inoltre questa
mattina ci siamo un po’ lasciati in fretta.
Dov’è Keros?”.
“Non
è la
mia ombra, zio. Sarà a divertirsi”.
“Bugiardo.
Falso. Mi piace”.
“Posso
farti
una domanda? Ora che Keros non c’è, dimmi la
verità. So che non vuoi che lui
sappia il nome dei suoi genitori, non so perché, ma a me
puoi dirlo”.
“No,
non
posso. E ti do questo consiglio: lascia perdere. Ficcare il naso in
certi
affari, non è il caso”.
“Ma
quali
affari?! Io so solo che è figlio di un angelo e di un
demone”.
“Bene.
Non
devi sapere altro”.
“Ma
dai!
Almeno dimmi se l’angelo era il maschio o la
femmina”.
“Smettila!”.
“Non
sarà
mica figlio tuo?!”.
“No!
Certo
che no! Che ti salta in mente?!”.
“E
non è mio
fratello..vero?”.
“No.
Perché?”.
“Così,
per
sapere. Visto che la mia famiglia pare sotto tiro, lo sorveglierei di
più se
condividesse con me parte del mio sangue”.
“Vero..”.
Lucifero
sedette di fronte al nipote, servendosi da solo il potente vino di
Dioniso.
Guardando in su, notò che la biblioteca del Dio delle
illusioni stava
diventando sempre più ricca ed accurata.
“Perché
ti
preoccupi per me e Keros, zio? C’è forse qualcosa
che non so?”.
“Non
credo.
Per quanto io non abbia mai apprezzato molto il rapporto fra la mia
gemella
Sophia e tuo padre Ares, non ho in mente piani di sterminio per lui e
la sua
discendenza. Mi è del tutto indifferente”.
Il
demone
sbadigliò ed allungò i piedi sul tavolo, cosa che
un po’ irritò il padrone di
casa, che però non protestò.
“Parlando
di
altro..” riprese il Dio “..credo che Keros sia
innamorato”.
“Ah
sì? Che
carino. E di chi?”.
“Di
Eleonore”.
“Di
tua
moglie?! Perché lo pensi?”.
“Ultimamente
molta gente viene qui e lui è strano. È nervoso.
Come fosse geloso che girino
altri uomini per casa. Inoltre, ogni volta che siamo soli, chiede dove
sia.
Chiede dov’è Eleonore o che cosa sta
facendo”.
“E
tu come
la prendi questa cosa?”.
“Come
dovrei
prenderla?”.
“Pensi
di
scacciarlo?”.
“No,
certo
che no! Intanto non ho prove a riguardo e poi..che decida Eleonore!
È libera di
agire come meglio crede. Io sono un Dio, ed ho imparato che gli Dei si
divertono un sacco intrecciando relazioni strane”.
“Quindi
non
avresti nulla in contrario se un giorno dovessi trovare Keros che si
scopa tua
moglie?”.
“Non
riesco
ad immaginarmelo, ma comunque no. Anche se vorrei che entrambi me ne
parlassero, piuttosto che coglierli sul fatto. Se me ne parlassero, non
avrei
nulla in contrario. Quel che conta è la felicità
di Eleonore, la mia viene
dopo..”.
“Sei
proprio
un fottuto angelo. E pensavo che Keros lo fosse ancora più
di te. Una sorta di
coso privo di istinti sessuali”.
“Lo
conosci
da molto più di me. Magari hai ragione tu e le mie son solo
idee strane. Sai bene
che io di rapporti interpersonali non ci capisco molto. Ho amato solo
Eleonore in
tutta la mia vita. Non mi sono mai innamorato di altre
donne..”.
“Mai?
Che
tristezza, ragazzo mio! Ad ogni modo..tieni sott’occhio il
collo di tua
moglie”.
“Il
collo?”.
“Gli
angeli
baciano sulla fronte. Quando un angelo bacia sulla fronte significa che
proteggerà ed amerà la persona baciata per il
resto della sua esistenza. Quel
che fanno umani e Dei lo sai benissimo. I demoni mordono. In un punto
fra il
collo e le spalla, i demoni mordono. Quel gesto, è una sorta
di marchio che il
demone imprime sulla persona che ama. Per segnalare agli altri demoni
di stare
alla larga. Un po’ come l’anello di fidanzamento di
voialtri”.
“Keros
dovrebbe mordere Eleonore?! Non lo farà mai! È
troppo puccioso!”.
“Puccioso?!
Ma che cazzo vuol dire?! E poi..magari non vorrà, ma se a
Keros piace quella
donna sarà l’istinto a guidarlo e, appena
avrà l’occasione, la morderà. Non
potrà controllarsi”.
“Buono
a
sapersi..”.
“Ma
parliamo
di altro. Che pensi di fare? Dimmi che vuoi andare al torneo e spaccare
la
faccia a tutti, ti prego!”.
“Bravissima,
Artemide” si complimentò Apollo, applaudendo.
La
sorella
rispose con un piccolo inchino, ansimando per la fatica. Sia lei che
Hera
furono curate da Asclepio, anche se erano ferite solo lievemente. Come
per gli
scontri precedenti, si sistemò l’arena prima di
iniziare lo scontro successivo.
Il giorno seguente si sarebbero incontrate due divinità con
parecchi simpatizzanti.
Da un lato Dioniso,
Dio dai riccioli
scuri e le foglie di vite a creare un’intricata capigliatura,
e dall’altro Pan,
il mezzo capro legato alla natura ed amante dei bagordi tanto quando
Dioniso.
Fra le scalinate, erano seduti uno accanto all’altro e se la
ridevano felici.
Non sembravano pronti a combattere e nemmeno adatti a farlo. Si stavano
raccontando accadimenti passati in maniera del tutto insensata. Erano
alterati
dall’alcol, molto probabilmente, ma era del tutto normale.
Osservando la Dea
della bellezza, si lasciarono sfuggire degli apprezzamenti pesanti che
la Dea
udii.
“Pensate
al
combattimento, maschiacci” ridacchiò lei,
accavallando le gambe “E magari darò
un premio al vincitore”.
“Ma
mamma!”
storse il naso Anteros dalle alidi farfalla “Dioniso
è un tuo discendente! Tuo
e di papà Ares!”.
“Dioniso
è
tante cose, piccolo mio. Come Pan, è legato alla natura ed
al rinnovarsi del
mondo. È in continuo mutamento. È nato e morto
molte volte. La sua essenza
credo sia più antica della mia..”.
Anteros
fissò la madre, senza capire del tutto. Si guardò
attorno, ancora stupito del
fatto che il padre non fosse comparso. Afrodite non gli aveva parlato
di quanto
successo. Voleva che rimanesse concentrato sugli scontri, lasciando al
Dio delle
illusioni il compito di capire la verità.
Svelate altre piccole cose. Fra Dioniso e
Pan chi vincerà? Voi per chi fate il tifo? E quali altre
divinità vorreste
veder combattere? E quali sono i sospettati, causa della sparizione di
Ares? Ed
il legame fra Keros, il mezzosangue angelo e demone, ed Arles, il Dio
per metà
angelo, come si è creato? Non vi svelerò tutto
nel prossimo capitolo ma… a
presto ;)
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Capitolo 6 *** VI- Insperato ***
VI
INSPERATO
Mi
chiamo
Keros e sono una strana creatura. Da quel che ne so, non esistono altri
come
me, figlio di un angelo e di un demone. Sono nato in una
città, che amo
chiamare Bisanzio anche se al tempo era già Costantinopoli,
appena sopravissuta
ad un assedio. Non so come i miei genitori si siano incontrati ed
amati,
nessuno ha mai voluto dirmelo e non sono mai riuscito a scoprirlo. So
solo che
le cicatrici che ho sulla schiena sono il segno lasciato dalle ali che
ho
perso.
Da quel che mi è stato raccontato, dovevo nascere con un
paio di
angeliche ali, ma qualcosa non andò per il verso giusto.
Scoppiò un incendio e
mia madre tentò di fuggire, ma io provavo
l’irrefrenabile desiderio di venire
al mondo. Non so se in quel momento ci fosse qualcuno accanto a lei ad
aiutarla
o se invece gridasse per ricevere aiuto, sola. So che le fiamme
iniziarono ad
avvolgerla e lei pianse, perché voleva proteggermi ma non
poteva più farlo. Io,
minuscola creatura ancora non venuta alla luce, invece tentai di
salvare
entrambi. Più volte mi è stato narrato che, non
appena il fuoco andò a lambire
il ventre di mia madre, io reagii. Non posso ovviamente ricordarlo ma
pare che
avvolsi me stesso nella luce e tentai di fare lo stesso con mia madre.
Ma ero
così piccolo, che potevo mai fare? La mia luce
però attirò l’attenzione di
Asmodeo, primo ministro di Lucifero. Incuriosito, il grosso demone si
era
avvicinato, non subendo danni con il fuoco. Le fiamme avevano ormai
consumato
quasi del tutto mia madre ma io ero lì, avvolto da una bolla
luminosa, che ormai
stava cedendo. Mi portò via, conducendomi dal suo padrone
Lucifero, certo che
mi avrebbe visto come una “bestia interessante”.
Nacqui fra le fiamme e fui condotto
all’inferno. Ho sempre sospettato che Asmodeo e Lucifero
conoscessero bene il
mio genitore demone e per questo non mi uccisero. Per questo,
nonostante
avessero visto chiaramente che in parte ero angelo e quindi loro
nemico, mi
risparmiarono. Le ali che dovevo avere sulla schiena, furono incenerite
dalle
fiamme. Il mio corpo si salvò perché su di esso,
sul lato sinistro, comparvero
dei segni di colore scuro. Complicati intrecci e disegni, che mi
è sempre stato
detto rappresentino un incantesimo di protezione, impedirono al mio
braccio e
parte del busto di svanire nell’incendio. Sono segni che ho
sempre celato,
notando che la gente li trova spaventosi. Per i demoni sono un marchio
angelico,
per gli angeli un maleficio demoniaco. Per me, solo dei disegni da
nascondere.
I primi anni della mia vita li trascorsi nel palazzo di Lucifero ma,
appena ne
fui in grado, me ne andai. Sentivo che quel luogo non era la mia casa.
Lasciai
l’inferno e girai per il mondo, in cerca di un posto da poter
definire “mio”,
in cerca di qualcuno come me. Vagai a lungo, fra varie
città, stati, imperi,
regni e continenti. Ammetto che mi divertii, a volte. Cresciuto da
demoni, mi
comportavo come tale ed era bello vedere come gli uomini credessero a
qualsiasi
cosa gli venisse raccontata. “Quell’uomo
è posseduto da un demone” dicevi, e
tutti ci credevano. “Quella donna è una
strega” e tutti ci credevano. Troppo
stupidi per notare che il colore dei miei capelli e dei miei occhi non
era per
nulla umano, si lasciavano incantare dalle mie parole e dal mio potere.
Ovviamente, non fu sempre così. Fui scacciato e braccato
come creatura maligna
diverse volte. Ma bastava cambiare abito e territorio per ricominciare
da capo,
sempre alla ricerca di un posto mio.
Ho visto nascere grandiosi imperi,
magnifici palazzi, dipinti mozzafiato. Ho sentito le grida e
l’odore della
guerra e della malattia, le pestilenze e le stragi. Ho riso per le
crociate e i
conflitti di religione, ho pianto per le stragi di innocenti compiute
nel nome
di una divinità troppo silenziosa.
Per quasi un millennio vagai per la Terra ma
poi, visto che al mondo non sembrava esistere un posto per me, decisi
di
tornare al palazzo di Lucifero. Sapevo che mi aveva sempre tenuto
d’occhio,
perciò non ebbe nulla da ridire. Vi rimasi segregato, ormai
rassegnato all’idea
che non esistesse un luogo realmente adatto a me, che ero una sorta di
abominio. Passai dei secoli rinchiuso fra quelle mura e fu Lucifero a
portarmi
fuori, una mattina. Mi disse che voleva vedere la nuova dimora di suo
nipote.
Avevo tanto sentito parlare del fantomatico erede di Sophia,
l’amata gemella
del re dell’inferno. Me lo immaginavo molto diverso da quel
che poi in realtà
si rivelò. Credevo fosse un demone spaventoso o comunque una
creatura
chiaramente collocabile agli inferi. Invece non lo era, perlomeno non
del
tutto. Ricordo che entrai nel palazzo del Dio delle illusioni con una
certa
ansia. Il nipote di Lucifero, una delle creature più temute
del mondo, viveva
in quel luogo. Mi aspettavo qualcosa di spettrale, angusto, come il
luogo in
cui ero cresciuto, ed invece non lo era per niente. Era un insieme
armonico di
stili, provenienti da tutto il pianeta. Ed anche lui era molto diverso
da come
me lo ero immaginato. Ricordo che quel giorno non dissi una parola,
rimasi in
silenzio, mentre zio e nipote discutevano di progetti futuri. Voleva
viaggiare
colui che ancora tutti si ostinavano a chiamare Arles. E sua moglie
Eleonore ne
era felice, ma lo aveva spinto a costruire quel palazzo per avere un
luogo dove
poter tornare. I due sposi avevano girato il mondo, conosciuto molte
divinità,
ed ora si erano concessi un luogo dove fermarsi. Appresi che presto il
padrone
di casa avrebbe continuato i vari addestramenti che stava svolgendo con
le
divinità. La cosa mi incuriosì molto e mi piacque
lo sguardo che gli dedicò la
moglie, fiera del suo uomo. Fui stupito dal modo di agire che quelle
creature
avevano con i loro figli. Cresciuto fra i demoni, mi aspettavo che il
nipote di
Lucifero vivesse con indifferenza la presenza di prole nei paraggi e
invece sia
lui che Eleonore si mostrarono tremendamente teneri, forse anche
troppo. Al
tempo, in quella casa non ve ne erano molti di bimbi ma,
assicurò Eleonore, ne
sarebbero presto arrivati degli altri. La più grande, colei
che portava lo
stesso nome di sua nonna, Sophia, era una bimba vivace e ricordo che mi
disse
che amava i miei capelli.
Quando la giornata giunse al termine, sapevo di non
avere alcuna voglia di tornare all’inferno. C’era
qualcosa in quella casa e
nelle persone che l’abitavano che mi attirava, anche se non
capivo esattamente
cosa. Seguii di nascosto il nipote di Lucifero nei suoi addestramenti,
senza
farmi scoprire. Non volevo che mi notasse, volevo prima scoprire che
cosa
nascondesse, chi o che cosa fosse in realtà. Ero sempre
più ammirato da quello
che il ragazzino era in grado di fare. Aveva meno di un secolo ma con
delle
capacità decisamente all’altezza del suo sangue!
Ed ammetto che ero così
concentrato ad osservarlo che quel giorno non mi accorsi del pericolo.
Stavamo
nell’oltretomba, regno di Hades, ed il Dio delle illusioni
stava svolgendo una
missione per conto del re di quel luogo. Io lo osservavo
dall’alto di una
sporgenza di roccia e non percepii un gruppo di Specter, che mi
additarono come
intruso e mi attaccarono. Preso alla sprovvista, non ebbi modo di
difendermi.
Ferito, mi ritrovai sull’orlo del baratro ma il nipote di
Lucifero intervenne e
li scacciò. Sarei stato ucciso, se non fosse stato per lui.
Senza dire nulla,
usò il suo potere di guarigione su di me. Passava la mano
sul mio corpo, senza
toccarmi, soffermandosi sui punti danneggiati. Quando trovava una
ferita, la
mano gli si illuminava ed io guarivo, non provando più
dolore. Quando però usò
questa sua tecnica, sulla schiena apparvero le sue ali. Spalancai gli
occhi,
meravigliato da una simile visione, e ricordo le prime parole che gli
dissi: “Voi
siete..un angelo!”. Lui rise, rispondendo con un
“più o meno”. Lo supplicai di
non usare la sua energia vitale per me ma lui rispose che non era un
problema e
che anzi lo avevo aiutato ad individuare creature che probabilmente lo
avrebbero attaccato in seguito. Capii che era il suo modo di essere ad
attirarmi. Il fatto che fosse un sanguemisto, come me. Il fatto che
come sposa
avesse una sacerdotessa scelta per un po’ da una Dea Egizia.
Lui ed Eleonore non
erano come me, ma strani allo stesso modo e la cosa mi piaceva. Mi
inginocchiai, supplicandolo di permettermi di servirlo, per ripagare al
debito.
Aveva salvato la mia vita, il codice dei demoni prevedeva che lo
servissi fino
al giorno in cui avrei potuto fare altrettanto.
Da quel giorno, lo seguii in
ogni viaggio ed in ogni missione. All’inizio ricordo che
Eleonore mi fissò con
sospetto, per lei io ero un diavolo che girava per casa, vicino a suo
marito ed
i suoi bambini. Sapevo di non poter pretendere di ottenere subito la
sua
fiducia ma ci riuscii una notte. Il mio signore soffriva spesso di
incubi,
anche durante le missioni ed i periodi di addestramento. Una sera, la
prima in
cui ebbe un incubo in mia presenza, mi spaventai. Temevo fosse ferito e
soffrisse. Tentai di capire e poggiai la mia mano, quella del braccio
ricoperto
di disegni, sulla sua fronte. Subito si calmò e capii di
aver scacciato il suo
incubo. Sorrisi, soddisfatto perché per la prima volta mi
sentivo in qualche
modo utile. Non dissi al mio signore quel che avevo fatto, e quel che
feci
nelle notti successive. Lo vedevo come una sorta di pagamento per il
debito che
avevo, senza che necessariamente lo venisse a sapere. Fu Eleonore a
raccontarglielo, la notte in cui non mi considerò
più un pericolo. Sentii il
mio signore gridare e mi allarmai, presi coraggio ed entrai in stanza,
trovando
Eleonore che tentava di calmarlo. Mi avvicinai e scacciai
quell’incubo. Lo feci
come se fosse un mio dovere, senza aspettarmi alcun tipo di
ringraziamento,
però, quando alzai lo sguardo..vidi il sorriso di Eleonore!
Era bellissimo e
sincero. Lasciai la stanza, vedendo che il padrone di casa si era
addormentato
placidamente, e lei mi seguì. Non ne capivo la ragione, mi
voltai e lei mi
abbracciò forte. Mi chiamò
“Benedizione”. Mi disse che avevano tentato
qualsiasi cosa. Libri, pozioni, medicine..quegli incubi non lo
lasciavano in
pace ma io, col solo tocco di una mano, riuscivo a farlo dormire
tranquillo. Ero
un “Miracolo mandato dal cielo”. Eleonore il
mattino seguente lo raccontò a
colui che ormai si faceva chiamare Arikien e lui mi dedicò
lo stesso sorriso di
lei la sera prima. Questo, lo ammetto, mi scosse. Nessuno mi aveva mai
definito
“benedizione” o mi aveva sorriso in quel modo. Fu
del tutto inaspettato ed
insperato, ma in quel luogo mi sentivo a casa. Ero felice, felice come
mai
prima d’ora.
Gli anni sono passati, i bambini sono cresciuti e ne sono nati
altri, ma la fedeltà nei confronti del mio signore non
è crollata. L’ho servito
e lo servirò ancora a lungo. C’è
qualcosa di profondo che mi lega a questo
palazzo, qualcosa che va oltre la devozione ad una divinità
nuova. Non voglio
che le cose cambino, ma non so quanto ancora possa durare questa vita
con noi
soltanto.
Mi chiamo Keros, il mio signore a volte mi chiama
“Keràssi” ovvero
“ciliegia”, e me ne sto qui ora, al tempio del Dio
delle illusioni. Il pendolo
ha appena rintoccato le sei del mattino ed i cavalieri stanno
arrivando.
Percepisco il loro potere, il loro cosmo. Meglio andare a preparare il
tè..
La
prima
cosa che Ares udì, fu il ripetersi di un gocciolio a cadenza
regolare.
Stordito, si sforzò di rialzarsi nel buio.
“Ma
dove
stracazzo sono?!” ringhiò, irritato “Che
è successo?!”.
Non
ricevendo risposta, continuò ad urlare a caso, cercando di
capirci qualcosa. Non
ricordava molto, solo che qualcuno era arrivato al suo tempio a
rompere. Sempre
urlando, camminò per un tratto di quella che sembrava una
grotta. Nel buio,
finì con i piedi nella bassa acqua che scorreva per quel
luogo. Imprecò.
“Puoi
fare
silenzio?!” si sentì dire “Gridare a
vanvera non ti servirà”.
Ares
si
voltò di scatto. Se c’era una cosa che lo faceva
incazzare ancora di più di quanto
già non lo fosse, era sentirsi dire che doveva stare zitto o
calmo. Chi aveva
osato? Una luce d’oro splendeva da dietro una roccia. Il Dio
della guerra,
senza pensarci troppo, si incamminò verso di essa.
“Chi
sei?”
urlò, con tono minaccioso “Come osi rivolgermi la
parola in questo modo?! Fatti
vedere!”.
“Io
da qui
non mi muovo..”.
La
voce che
udiva era calma, non riusciva a comprendere se era maschile o
femminile. Ares
raggiunse quella luce, capendo di avere di fronte quel che
pensò fosse un
angelo. Con un paio d’ali d’oro, sedeva fra le
rocce, ad occhi chiusi.
“Chi
sei?”
domandò il Dio della guerra “Dove siamo? Dove sono
i miei figli?”.
“Dove
siano
i tuoi figli, sinceramente, non ne ho idea. Chi sia io, non ha
importanza e
nemmeno in che luogo ci troviamo”.
“Senti,
coso, non irritarmi. Chi cazzo sei?! Dimmelo subito! Mi hai portato tu
qui?!”.
“No,
io vivo
da millenni qui dentro. E stavo splendidamente bene prima che ci
venissi tu a
gridare a caso!”.
“Dimmi
dove
sta l’uscita, così me ne vado!”.
“Non
posso”.
Ares
osservò
meglio quella creatura. Pareva un uomo, ma il suo corpo era
tremendamente
aggraziato. Decisamente androgino, il Dio della guerra non lo
trovò per nulla
spaventoso. Lo fissò, con sfida, ma chi aveva di fronte non
mutò espressione.
“Sei
cieca,
per caso, cosa strana? Per questo tieni gli occhi chiusi?”
domandò il Dio.
“No,
non lo
sono. Ma aprire gli occhi in questa grotta in cui dimoro da millenni
è del
tutto inutile. Le cose non cambiano, non vi è molto da
vedere”.
“Beh,
ora ci
sono io!”.
“E
perché
mai dovrei vederti?”.
“Magari
potrebbe aiutarti a non farti riempire di botte da me!”.
Ares
scattò
in avanti ma la creatura non mosse un solo dito. Si limitò a
muovere
leggermente le ali d’oro ed il Dio della guerra
finì contro la parete.
“Mi
è stato
detto di non farti troppo male, Ares” spierò la
creatura “Perciò non
provocarmi. Resta buono, per cortesia”.
“Per
cortesia?! Resta buono?! Per chi mi hai preso, coso?! Se non mi dici
subito
dove sono e che cosa sta succedendo, ti strappo tutte quelle belle
piume che
hai”.
“Non
credo
ne saresti in grado”.
Il
Dio,
furioso, gridò e si lanciò di nuovo contro
quell’essere androgino, che rimase
seduto. Con un solo cenno della mano, spedì di nuovo Ares
contro la parete.
Questi tentò per l’ennesima volta di reagire e la
creatura sbuffò.
“Sei
noioso!
Noioso e stupido!” sbottò, muovendo le ali e
immobilizzando il Dio della
guerra.
Questi
ringhiò e protestò, invano. L’essere
androgino schioccò le dita e Ares perse i
sensi di colpo.
“Finalmente
un po’ di silenzio. Che divinità
fastidiosa..”.
“Sophia!”
gridò Aphrodite, correndo lungo il corridoio del palazzo del
Dio delle
illusioni.
Con
un
sorriso, il cavaliere dei pesci raggiunse la primogenita di Eleonore ed
Arles.
Lei rispose con altrettanto entusiasmo, facendosi abbracciare.
“Guarda!”
riprese lui “Guarda che cosa ti ho comprato!”.
Mostrò
un
pacchetto e svelò un fermacapelli d’argento, con
pietre colorate. Lei lo
osservò ammirata e lasciò che Aphrodite le
acconciasse i ciuffi, biondo scuri come
quelli della madre.
“Grazie,
zio
Aphro!” rise lei “Sei sempre gentile!”.
“Vieni
spesso qui?” domando ai Pesci il cavaliere
dell’Acquario, che a sua volta aveva
raggiunto il palazzo.
“Sì,
a
trovare Ary! Anche se era da un po’ che mancavo, vero Sophia?
Quanto sei bella!
Chissà quanti pretendenti hai!”.
“Non
lo so.
Mio padre dice che molti hanno chiesto la mia mano, ma lui lascia a me
scegliere. E fin ora la cosa non mi interessa”.
“Brava,
ragazza. Vivi libera!”.
Risero
ancora, interrotti solo da un paio di colpi di tosse. Voltandosi,
videro lo
sguardo serio di Keros.
“Ciao,
ciliegino!” lo salutò Aphrodite e Keros
arricciò il naso.
“Per
cortesia..” parlò piano il mezzosangue
“..potreste non svegliare i bambini
della casa?”.
“Mi
sa che
abbiamo svegliato anche te, eh?” rise Pesci “Hai
una faccia..”.
“Sono
stanco
e non è ancora l’alba. Non so per quale motivo a
voialtri cavalieri piaccia
rompere le palle per le case ad orari simili. Ad ogni modo, vogliate
seguirmi.
Il mio signore vi raggiungerà subito”.
In
silenzio,
si incamminarono lungo il corridoio.
“Hai
legato
i capelli, Keros” continuò Aphrodite
“Così ti stanno molto bene”.
“Ti
ringrazio. In realtà non avevo voglia di pettinarli e
così la mia pigrizia non
si vede..”.
Il
cavaliere
ridacchiò. Fra statue ed oggetti provenienti da tutto il
mondo, il gruppo fu
condotto nel salone dove li attendeva il tè caldo. Era una
stanza in stile
classico, con archi e colonne. Con i tendaggi scarlatti, un
po’ ricordava il
grande tempio.
“Il
tè è da
signorine” protestò Deathmask “Voglio
del vino”.
“Cerca
di
darti un contegno!” lo rimproverò Aphrodite
“Poi Ary ti parla e tu non capisci.
E mi chiedi di rispiegarti tutto da capo quando siamo da
soli”.
“Delizioso”
commentò invece Camus e Mur gli diede ragione.
“Certo
che..” furono invece le parole di Milo “..voialtri
siete proprio invecchiati da
far schifo! Guardatevi!”.
Lo
Scorpione
osservava Camus, Aiolia, Aiolos, Shaka, Aldebaran, Shura e Dohko. Mur
non era
cambiato, grazie al suo sangue Lemuriano. Milo, Deathmask ed Aphrodite
erano
rimasti giovani, grazie ai loro rapporti con le divinità.
“Meglio
vecchio
che brutto come Deathmask” ribatté Shura,
scherzando.
“Ha
parlato
Adone dai capelli verdi” ghignò il Cancro.
Iniziarono
a
stuzzicarsi a vicenda l’un l’altro. Kiki
tentò invano di farli stare zitti,
senza ottenere risultati. Keros li osservò, senza capire
molto dei loro
discorsi. Restava in piedi accanto alla porta, in attesa del padrone di
casa.
Quando finalmente il Dio delle illusioni entrò, il
mezzosangue si inchinò.
“Ary!”
gridò
Aphrodite, alzandosi di colpo e correndo ad abbracciarlo “Che
bello che sei!
Che eleganza! Dovrai prestarmi uno dei tuoi vestiti un
giorno”.
“Mi
sa che
ti andrebbero un po’ grandi. Ora sono molto più
alto di te” sorrise Arles.
“Userei
i
tacchi, mio caro!”.
“Ah
beh..allora..”.
“E
per
favore..un giorno vorrei mi concedessi una serata con il tuo servo.
È così
carino, che me lo spupazzerei di abbracci!”.
“Keros?
Credo dovresti chiedere a lui. Però lui mi
serve..”.
“Capisco..”.
Keros
aveva
tirato un sospiro di sollievo, dopo essere sobbalzato alle frasi
pronunciate da
Aphrodite ed aver arricciato il naso un sacco di volte. Arles ed
Aphrodite
risero ancora ed il padrone di casa si avviò verso la grossa
poltrona del
capotavola. Il lungo mantello blu che indossava terminava con un ricamo
in oro,
lo stesso che decorava le stoffe di Keros e degli altri abitanti della
casa. La
veste era degna di un Dio ed anch’essa aveva decori e
drappeggi.
“Ed
ecco uno
che ci ha messo un sacco per prepararsi” ghignò
Deathmask “Narcisista del
cazzo”.
“Ma
pensate
per voi. Al cospetto di un Dio conciati come dei pezzenti”
rispose con un
ghigno altrettanto malefico il padrone del palazzo, riferendosi ai loro
abiti
in borghese.
Aveva
raggiunto la poltrona e sedette. Keros fece per congedarsi, con
l’ennesimo
inchino, sconcertato dai discorsi dei presenti. Ma il Dio lo
fermò, e gli fece
cenno di avvicinarsi.
“So
che sei
stanco” gli disse “Ma siedi qui assieme a noi. Ci
sono delle cose che vorrei
ascoltassi pure tu”.
“Io?!
Ma..siete
sicuro?”.
“Siediti,
Keros”.
Con
un tono
che non ammetteva repliche, il Dio indicò la sedia alla sua
sinistra. Keros
annuì, non potendo far altro, ed andò a sedersi
accanto al suo signore.
Dopo
aver
raccontato a grandi linee quanto già Milo aveva riferito al
gruppo, Arles
illustrò quel che aveva in mente. Intendeva presentarsi al
torneo, per poter
indagare. La sparizione di suo padre Ares ed il resto della famiglia
non poteva
che essere opera di una o più divinità. Ma per
poter scoprire chi fosse stato,
doveva fingere di partecipare a quei giochi organizzati da Apollo. Da
solo,
come Dio ficcanaso, sarebbe stato subito scoperto. Con un seguito
invece
sarebbe stato molto più credibile. Inoltre per partecipare
necessitava
obbligatoriamente di un gruppo di “seguaci”, ad
indicare che in caso di
vittoria aveva chi lo seguiva e lo aiutava. In quel caso, i cavalieri
d’oro
sarebbero stati solo dei finti seguaci, così come per finta
aveva intenzione di
partecipare.
“Ci
stai
chiedendo di lottare per te?!” si stupì Shaka.
“No”
rispose
Arles “Non combatterete. Mi serve solo un gruppo di guerrieri
che sia
credibile. Un gruppo di persone a me fidate che mi aiuti a scoprire la
verità.
Non ho alcuna intenzione di vincere il torneo”.
“Ma
siamo
poco credibili” scosse la testa Camus “Guardaci!
Siamo vecchi!”.
“A
quello
posso facilmente rimediare. Ma prima devo sapere cosa ne
pensate”.
“E
ciccino
qui che c’entra?” domandò Deathmask,
indicando Keros, che sedeva alla sua
destra.
“Credimi,
Cancer, il qui presente Keros saprà sorprenderti. Sotto
tutti i punti di vista”
sorrise il Dio.
“Ne
sei
sicuro?!”.
“Assolutamente”.
“Ah..ok..”.
“Grazie,
signore” mormorò il mezzosangue.
“Inoltre..”
riprese Arles “..di lui mi fido ciecamente. Ed in questo
momento avere accanto
qualcuno di cui fidarmi per me è fondamentale. Non voglio
obbligarvi. Ma devo
mettervi fretta. Fra poco Apollo non permetterà ad altre
squadre di unirsi al
torneo, perciò dovrò sbrigarmi a comunicargli la
mia intenzione di
partecipare”.
“Come
intendi rimediare alla nostra età? Con
un’illusione?” chiese Aiolos.
“No.
La
vostra giovinezza sarà reale, non solo un’immagine
creata da me. Una volta che
avrò scoperto la verità, potrete tornare alle
vostre vite”.
“Io
ci sto”
parlò Aphrodite “Sei mio amico, voglio aiutarti.
Ed anche se dovessi vincere,
non mi dispiacerebbe”.
“Io
non ho
niente da perdere” si unì Shura “E
l’idea di tornare giovane e scattante non mi
dispiace”.
“Brava,
capretta!” rise Deathmask “Mi unisco anche io alla
festa! Come ai vecchi
tempi!”.
“Io
trovo
entusiasmante l’idea di potermi trovare fra le
divinità” commentò Camus
“Potrò
rivolgere loro la parola?”.
“Alcuni
di
loro saranno felici di parlare con te. Ti indicherò
quali” annuì Arles.
“Io
ci sono.
Devo recuperare mia moglie Mirina” si alzò Milo,
evidentemente alterato “Conta
pure su di me”.
“Ringiovanire..di
nuovo?!” si chiede Dohko “Che dire..va bene. Ogni
volta che ringiovanisco mi
diverto un sacco perciò..speriamo che anche questa volta mi
vada bene!”.
“Ho
fatto un
sacco di strada!” ridacchiò Aldebaran
“Non me ne andrò a mani vuote! Sono dei
vostri!”.
“Se
dite
tutti di sì, io chi sono per dire di no? Tanto, se si tratta
di stare su delle
scalinate in cerca di risposte, non è sta gran
fatica” alzò le spalle Mur
“Contate anche me”.
“Mi
unisco a
te, fratello di battaglie” furono le parole di Aiolos
“Di te, Saga, mi fido”.
“Io
ci
sto..solo se mi assicuri che non diventerai tu il capo
dell’Olimpo” incrociò le
braccia Aiolia.
“Te
lo posso
assicurare. Non ne ho alcuna intenzione” si sentì
rispondere.
“Se
ho la
tua parola, allora ci sto anch’io” si
unì, per ultimo, Shaka.
Kiki
sorrise
soddisfatto, felice di vederli tutti uniti.
“Ma..Gemini?”
disse poi “Chi indosserà le vestigia dei Gemelli?
Uno dei tuoi figli, Arles?”.
“No.
I miei
figli non sono addestrati a combattere e non voglio che lo siano.
Tolomeo ha il
suo regno, lontano da qui, e non voglio coinvolgerlo. Ma non temete,
non sarà
necessario lottare perciò un’armatura mancante non
farà alcuna differenza”.
“Se
lo dici
tu..io mi fido”.
“Ed
ora,
vecchietti del tavolo, portatemi le vostre tazze”.
Perplessi,
i
cavalieri invecchiati si alzarono e si avvinarono al Dio, che fra le
mani
stringeva una coppa che Kiki aveva già visto. Con un lieve
gesto della mano, il
padrone di casa versò una singola goccia del liquido che
conteneva nel tè degli
ospiti. Il primo fu Aiolos, poi invitato a bere. Il Sagittario,
perplesso,
osservò la goccia color oro perdersi nell’ambrato
del tè. Con un respiro, bevve
tutto in un sorso. Fu scosso da un brivido, ed il suo corpo
tornò ad essere
quello di un tempo.
“Che..cosa
è
successo?” domandò.
“Ambrosia.
Gli Dei la bevono continuamente, dona
l’immortalità” spiegò il
padrone di casa
“Una goccia, per un mortale, e questi ritorna
giovane”.
“Per
quanto
tempo?”.
“Sei
giovane
ora. Come se il tempo si fosse riavvolto”.
Uno
dopo
l’altro, l’ambrosia ringiovanì i saint.
Milo sorrise, lieto di vedere Camus
come una volta. Stessa cosa fece Aphrodite con Shura.
“Ora
sì che
siamo tutti bellissimi!” commentò Pesci.
“Il
tempo scorre,
ragazzi” interruppe i festeggiamenti Arles
“Purtroppo dobbiamo muoverci.
Precedetemi all’arena. Keros, và con loro. Io
avverto Eleonore, in modo che non
si allarmi per niente, e vi
raggiungo”.
Keros
annuì,
anche se controvoglia.
“Tranquillo”
lo derise Deathmask “Se dovremmo combattere, ti difenderemo,
Kerosuccio”.
“Sì,
vero”
annuì Shura “Sei dei nostri ora, non hai nulla da
temere”.
Keros
si era
sforzato di stare calmo ma, ora che il suo signore si era congedato,
non riuscì
a trattenersi.
“Tanto
per
iniziare..” sibilò “..io sono vissuto
per molti anni all’inferno, e non in
senso figurato. Un branco di deucoli ubriachi che si azzuffa non
può certo
farmi paura! In secondo luogo, non ho bisogno della vostra protezione,
né ora
né mai. E per finire..io servo il mio signore. Lo servo con
tutto me stesso e
vi avverto: se a qualcuno di voi salta per caso in mente di tradirlo o
di
compiere atti che in qualche modo possano nuocergli..dovrà
vedersela con me! Giuro
sul mio sangue e sulla mia anima contorta che sarò il
più grande degli alleati,
se lo aiuterete, ma..fate gli stronzi e staccherò le vostre
teste una dopo
l’altra e berrò il vostro sangue in calici
d’argento!”.
Scese
il
silenzio. Nessuno dei presenti si aspettava frasi simili. Annuirono,
facendo
capire di aver compreso e facendo cenno al servo di Arles di calmarsi.
Gli occhi
di Keros si erano tinti di un color arancio intenso, segno che il
mezzosangue
era furioso. Ed era spaventoso.
“E
adesso
andiamo, umani!”.
Eccoci qua! Secondo capitolo dell’anno e
capitolo
leggermente diverso dal solito. Spero che nel complesso vi piaccia, chiedo perdono per la struttura della parte iniziale, che ho tentato di rendere il più fluida possibile narrando quanto successo senza che sia come sempre un dialogo botta e risposta. Nel
prossimo continueranno gli scontri all’arena di Apollo e
succederanno alcune
piccole cose che spero gradiate! Questo capitolo è nato
davvero in fretta, l’ho
scritto di getto come un fiume. Era pronto già il giorno
seguente all’ultimo
aggiornamento ma ho aspettato un paio di giorni. Ora sapete qualcosa di
più su
Keros, che però riserba ancora delle sorprese. E forse chi
se ne intende di
mitologia ha intuito chi sia la creatura che sorveglia Ares..
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Capitolo 7 *** VII- Irreale ***
VII
IRREALE
Con
il sole
del mattino, le armature d’oro che alcuni cavalieri
indossavano risplendevano.
Non tutti avevano scelto di sfoggiare quelle vestigia. Alcuni, come
Aphrodite e
Milo, si erano abbigliati come si conviene a degli uomini compagni di
divinità.
Gli Dei presenti, erano perplessi. Se Atena non era ancora tornata in
vita, in
nome di chi essi avrebbero lottato? Ed avrebbero agito tutti insieme, o
divisi
fra diversi Dei? Rose e Persefone erano sedute accanto a Pesci,
leggermente
distaccato dal gruppo. Milo si guardava attorno, nella speranza di
cogliere
indizi su dove fosse la moglie, con a fianco il figlio, il cui aspetto
era del
tutto simile a quello del padre. Il ragazzo si chiamava Sargas, in
onore di una
delle stelle della costellazione dello Scorpione. Come il padre, anche
lui si
guardava attorno, in cerca di movimenti o voci sospette. Anche Camus
aveva al
suo fianco il figlio, che però stava tranquillo e composto.
Gli eredi dei due
cavalieri erano nati lo stesso anno e così, di comune
accordo, anche Camus
aveva dato a suo figlio il nome di una delle stelle della sua
costellazione:
Sadaltager, Sadalta. I due ragazzi non si conoscevano, se non di fama,
ma i
padri speravano che potessero essere amici. Purtroppo per loro, al
primo
incontro si erano rivelati troppo freddi o irruenti l’uno per
l’altro. Rose
rideva nell’osservarli. Era la più grande, e
fremeva all’idea di picchiarli
entrambi. Nell’arena vi era un gran chiasso, si attendeva
l’inizio dello
scontro ma l’arrivo del Dio delle illusioni
rimandò temporaneamente la sfida.
Keros lo osservò, in piedi, mentre scendeva lungo gli
scalini, trascinando
dietro di sé un lungo mantello, e
raggiungeva il centro dell’arena. In alto, su un trono
d’oro, Apollo accennò un
sorriso.
“Figlio
di
Ares!” gli parlò “Aspettavo con ansia la
tua comparsa. Dov’eri finito? La
puntualità innanzitutto”.
“Divino
Apollo, vogliate scusare il mio ritardo ma a lungo ho cercato lo
stimolo giunto
per poter di nuovo avere a che fare con l’intera
famiglia” rispose il Dio delle
illusioni.
“E
che
stimolo hai trovato?”.
“Non
vedo
perché dovrei dirvelo”.
“Benissimo..insolente,
come sempre! Sei davvero convinto di partecipare? I cavalieri di Atena
lotteranno in nome tuo?”.
“Sono
stati
loro a spingermi in questa impresa” mentì Arles
“Senza la loro Dea, si annoiano
alquanto e questa è un’ottima occasione per
incontrare nuovi talenti e tenersi
in allenamento. E sfogarsi, ovviamente”.
“Accetti
il
fatto che, chiunque dovesse vincere, sarà a capo
dell’Olimpo e tu, figlio di
Ares, dovrai obbedirgli? Niente più sovversione e
menefreghismo? Accettando di
partecipare a questi giochi tu, di fatto, accetti di entrare nella
famiglia
Olimpica. Accetti di essere uno di noi, con tutti i pro ed i
contro?”.
“Lo
accetto.
Chiunque vincerà, avrà la mia
fedeltà”.
Arles
dovette sforzarsi per pronunciare quella frase, perché non
aveva proprio voglia
di mettersi al servizio di qualcuno. Ma era l’unico modo.
Apollo notò quel
lieve cambiamento d’espressione e sorrise.
“Sei
disposto a giurarlo, nipote?”.
“E
voi,
Olimpici, siete disposti a giurare fedeltà a me, nel caso
vincessi?”.
Apollo
rimase in silenzio qualche istante, così come le altre
divinità presenti. Poi
annuì.
“Bene..”.
“Figlio
di
Ares..se vuoi che io acconsenta e ti inserisca a pieno titolo fra i
contendenti, devi mostrarmi il tuo vero aspetto. Qui siamo fra Dei, non
ha
senso che muti la tua immagine, Dio illusore”.
“Sarà..un
vero
piacere..” mentì di nuovo Arles.
Rimase
immobile qualche istante, mentre gli Dei lo fissavano incuriositi,
incitandolo
a mostrarsi per quel che era veramente. Sospirando, capì che
doveva farlo per
forza. Si guardò solo qualche secondo alle spalle, dove
stavano i cavalieri
d’oro fra le gradinate. Poi mosse di scatto una mano,
passandosela davanti al
viso e chiudendo gli occhi. Un lieve vento lo avvolse ed il suo
aspettò mutò.
Fino a quel momento, aveva mostrato il volto a cui gli altri saint
erano
abituati ma ora quel volto non era più così. Le
grandi ali del Dio si
spalancarono ed i due fratelli, Lucifero e Mihael, si lanciarono
un’occhiata
interrogativa. L’ala di destra era brillante di luce oro, di
un intenso color
rosso cupo, perfetta come quella del più puro degli angeli.
L’altra invece
brillava di una luce diversa ed era più scura, sfumata in
tonalità che andavano
oscurandosi. Il loro aprirsi, aveva costretto il loro padrone ad
abbassare
parte della veste, per impedire che venisse stracciata, mostrando il
tatuaggio
del drago, tipico della famiglia guerriera di Ares, che il Dio portava
sul
petto. Il viso a cui i presenti erano abituati era ora diviso in due.
il lato
sinistro era quasi identico a come si presentava Arles.
L’occhio rosso come il
sangue era quello di suo padre Ares e quello dei suoi fratelli
guerrieri.
Quell’occhio, quello sinistro, era crudele e incuteva timore.
Trasmetteva tutta
la rabbia che in quel momento il suo padrone provava. Il lato destro
era
totalmente diverso. Era angelico, splendido. Brillava di una lieve luce
oro,
simile a quella dell’ala di quel lato e l’occhio
verde era grande e dolce.
Nel
complesso, il Dio si era alzato ed i lunghi capelli neri si erano
sciolti fino
a toccare terra. Gli altri Dei rimasero ad osservarlo, per qualche
istante.
“Immagino..”
commentò Apollo “..che se tu un giorno dovessi
avere le corna come tuo zio..le
avresti sul lato sinistro”.
“Non
te lo
posso dire. Non prevedo il futuro” sorrise lievemente il Dio
delle illusioni.
“Bene..Arikien,
siedi pure assieme a noi Dei Olimpici, se lo desideri. Al termine degli
scontri
che sono già stati stabiliti, ti dirò chi
sarà il tuo primo avversario. Se però
qualcuno ti dovesse sfidare, dovrai accettare e batterti”.
“Non
mi
tirerò di certo indietro. Permettimi, però, di
celare le ali e farmi sistemare
la veste ed i capelli. Altrimenti, sul trono che indichi, non
potrò starci”.
Apollo
annuì, dopotutto nemmeno Thanatos mostrava le ali. Solo Eros
ed Anteros non le
celavano mai. Chiudendole, il figlio di Ares le fece sparire e si
lasciò
avvicinare da Keros, che tornò ad allacciare i complicati
intrecci di stoffe
che lo vestivano. Poi, una volta rivestito, Arikien camminò
lentamente lungo la
scalinata dove sedevano gli Olimpici partecipanti agli scontri e
sedette,
sentendosi molto a disagio, ma sforzandosi di non farlo notare troppo.
In quel
momento, coloro che sedevano fra le gradinate dalla parte opposta
riuscirono a
scorgerne il vero volto, mentre legava in parte i capelli neri.
“Tu..”
domandò
Aiolos, a Keros che aveva raggiunto di nuovo i gold per
ordine del suo Signore “..tu lo
sapevi..che è fatto così?”.
“Certo.
Nel
suo palazzo, quando non ci sono ospiti, si mostra per quello che
è. Per caso..ti
spaventa? O ti inquieta?”.
“Leggermente.
A te no?”.
“No,
io lo
trovo straordinario”.
Arles
sapeva
di essere seduto al posto del padre. Quel trono rosso sangue non poteva
che
appartenere a lui. Che disagio! Ma chi glielo aveva fatto fare?! Era
nella fila
più vicina all’arena, accanto ad Hermes. Sopra di
lui, i seggi di Apollo,
Artemide ed altri figli di Zeus. La fila più in alto ancora
era riservata ad
Hades, Poseidone ed il loro seguito.
Nell’anfiteatro
nel frattempo si erano
presentati Dioniso e Pan, un po’ meno sbronzi della sera
precedente ma comunque
non del tutto lucidi. Sorrisero verso gli spalti, con
un’espressione idiota e
divertita. In particolare Dioniso ghignò verso Apollo, che
sapeva bene che mal
lo sopportava.
“Siete
pronti?” domandò Astrea “Potete
incominciare!”.
“Vinca
il
più bello, capretta” sfotté Dioniso.
“Vinca
il
più sobrio, ubriacone!” ribatté Pan ed
insieme si misero a ridere.
“Che
coppia
di coglioni” rise Shura, divertito dal fatto che lui
indossava un’armatura
legata proprio al Dio Pan.
“Secondo
voi
chi vince?” domandò Deathmask “Che ne
dite di fare una scommessa?”.
“Ma
sei
incapace di stare zitto?!” protestò Shaka e Cancer
gli mostrò il dito medio,
convinto che tanto con gli occhi chiusi non lo avrebbe visto.
“Ah,
ma lo
avete visto quanto è bello Ary?!”
esclamò Pesci “Ha quello sguardo
così..”.
“Inquietante!”
concluse Aiolia.
“Inquietante
sarai tu, musone!”.
“Chiudi
la
bocca!”.
Il
gruppetto
iniziò a bisticciare. Keros sospirò. Sarebbe
stato un lungo torneo! Chiuse gli
occhi, cercando di immaginarsi altrove, quando una voce lo
chiamò.
“Scusami..”
gli stava sorridendo Kiki “..perdona il loro
chiasso”.
“Fanno
sempre così?”.
“Sì.
Quando
sono tutti insieme, sì”.
“Wow..”.
“Senti..volevo
scusarmi per come ti ho trattato la prima volta in cui ci siamo visti.
Ero
nervoso ed irritato. Non accadrà più”.
“Ed
io
chiedo perdono per come vi tratterò da qui in avanti
perché sono nervoso sempre
di più, spero comprendiate”.
“Sei
preoccupato per il torneo? Che il tuo signore possa venire
ferito?”.
“Anche.
Più
in generale dal fatto che tutto questo non mi piace per nulla. Gli
scontri, le
risse, la folla..sono un demone, ma non quel tipo di demone”.
“Sei
un..demone tentatore?”.
“Una
specie..”.
“Ma
quindi..scusa se sono insistente ma..tu sei il Gran Sacerdote di Arles,
dico
bene?”.
“Arikien.
Si
chiama Arikien. A-RI-KIEN. Non mi pare difficile..”.
“Va
bene,
non fare il permaloso!”.
“Comunque
sì, si può dire che io sia una sorta di Gran
Sacerdote”.
“E
lo fai
per obbligo o perché ti piace?”.
“Mi
piace
che cosa?! Che stai dicendo?!”.
“Ti
piace
servire il Dio delle illusioni, perché sei un suo devoto,
come lo sono io con
Atena, o lo fai per obbligo?”.
“Nessuno
mi
obbliga”.
“Ah,
quindi
tu credi in lui. È il tuo Dio”.
“Un
Dio non
può appartenermi. Semmai è il
contrario..”.
“Ti
ha
salvato la vita. È per questo che lo servi?”.
“Ha
importanza?”.
“Nei
tuoi
occhi vedo la fece. La devozione assoluta. È una cosa rara
ai giorni nostri”.
“Mi
pare che
voialtri al Grande Tempio vi spariate in vena le peggior cose per
vedere la
fede negli occhi di un demone!”.
Mihael
si
era travestito, per non dare nell’occhio. Lucifero era quasi
sempre in borghese,
perciò quasi nessuno capiva chi fosse in realtà.
Con loro vi erano un altro
angelo ed un altro demone, questa volta. Su nessuno di loro si potevano
scorgere le ali. I due angeli erano avvolti in stoffe e mantelli mentre
i
demoni parevano quasi umani, con lunghi cappotti e stivali in pelle. Il
gruppetto fingeva di far parte della “squadra” di
Arles, per osservarne i movimenti.
“Che
significano quelle ali?” domandò Mihael, alludendo
ai due colori del Dio delle
illusioni.
“E
io che ne
so?!” sbottò Lucifero “Chiedi a
papà”.
“Non
chiamarlo papà!”.
“E
come
dovrei chiamarlo?! Ad ogni modo è la prima volta che le vedo
così. Non saprei
dirti che significhi”.
“Lo
hai
tentato? Per questo una delle sue ali è mutata?”.
“Sta
vivendo! È ovvio che muta! Per voialtri è tutto
un peccato! È impossibile
rimanere puri a questo mondo! Avrà scopato una volta con sua
moglie non a scopo
procreativo e quello è il risultato”.
“Non
sei
spiritoso”.
“Ciccio,
se
fosse come tu dici, sarebbe tutto di colore diverso. Non un lato solo.
Io credo
che questo voglia solo indicare la sua doppia natura, tutto qui. Ma il
lato
destro, lo hai visto? È degno delle più alte
schiere angeliche. Perciò, com’è
che si dice? Osanna nell’alto dei cieli?”.
“Idiota!
Che
cosa speri di ottenere da lui? Che cosa ci fai qui?”.
“Sostegno
psicologico. E non voglio ottenere proprio alcunché.
Tranquillo, Ary non
intende combattere. Mi ha spiegato il suo piano. Ora siediti, musone, e
goditi
lo spettacolo”.
“Ci
attende
uno scontro rumoroso” aveva previsto Apollo e così
fu.
I
due
sfidanti si erano messi a ridere, dopo aver tentato di lanciarsi
sguardi
minacciosi per più di un paio di secondi.
“Ma
perché
dobbiamo sfidarci, io e te? Me lo ricordi?”
ridacchiò Dioniso.
“E
perché non
dovremmo?” rispose Pan, altrettanto divertito.
“Dioniso!”
gridavano le donne fra il pubblico “Sei bellissimo! Vinci per
noi!”.
“Pan!”
incitavano altri “Sconfiggi
quell’alcolista!”.
“Coraggio,
ragazzo mio. Fai vedere di che pasta è fatta la
famiglia!” urlò Hermes, rivolto
a Pan, mentre Dioniso raccoglieva i fiori lanciati dalle fan.
“Ma
è uno
scontro o una presa in giro?” scosse la testa Mihael, in
piedi accanto a
Lucifero, che invece era seduto fra le file più altre delle
gradinate degli
spettatori.
“Signore
e
Signori!” parlò Dioniso “Inizia lo
spettacolo!”.
“Spero
vi
divertiate” aggiunse Pan.
I
due Dei si
sforzarono di fare i seri e nell’arena scese il silenzio. Gli
avversari
parevano studiarsi. Keros li osservava con attenzione. Per evitare
ulteriori
domande e seccature, fra cui l’insistente frase
“vuoi un croccantino,
Keros?” come
allusione al fatto che
serviva fedelmente un Dio come se fosse il suo cane, il mezzo sangue
era sceso
fino al gradino più basso della scalinata dei guerrieri.
Giusto di fronte,
scorgeva il suo signore. Il mezzo demone rabbrividì,
perché la giornata era
nuvolosa e non del clima che amava e questo lo innervosì.
Arricciò il naso ma,
inaspettatamente, si ritrovò a sorridere. Come mai? Astrea,
la creatura più
vicina ai due sfidanti, iniziò a ridere. Tentò di
trattenersi, senza risultato.
“Astrea!”
sbottò Apollo “Che cosa c’è
da ridere?”.
Se
lo
chiedevano tutti. Dioniso e Pan non stavano facendo assolutamente
nulla! Eppure
Astrea rideva. Ed a lei si unì un fanciullo seduto fra le
gradinate più basse.
Poi un altro, ed un altro ancora. La prima fila dalla parte degli
ospiti e dei
guerrieri rideva. Perfino Keros, che si era guardato attorno senza
capire, alla
fine era scoppiato a ridere.
“Guarda,
Asmodeo” indicò Lucifero “Kerosuccio
bello si diverte. Chissà perché”.
“Magari
succede qualcosa nell’arena che noi da qui non vediamo. Chi
lo sa”.
“Ma
insomma!” protestò Poseidone “Un
po’ di serietà!”.
Altre
file,
a partire dal basso, iniziarono a ridere a crepapelle. Fra gli Dei vi
era
ancora silenzio ma nella prima fila già iniziavano a
lanciarsi sguardi
imbarazzati o divertiti. Hermes incrociò lo sguardo di Arles
e si coprì la
bocca, tentando di trattenersi. Ora Pan suonava la sua siringa e
Dioniso
improvvisava uno strano canto. Hermes ed Arles si fissarono di nuovo e
scoppiarono a ridere pure loro, così come tutte le
divinità nella loro stessa
fila.
“Ma
che..?”
si accigliò Apollo “..questi giovani idioti..non
c’è niente da ridere!”.
L’intero
anfiteatro, a partire dalle file più basse stava ridendo.
Quelli più in alto
restavano seri e non capivano. Anche i cavalieri d’oro
ridevano, compreso Camus
che fino all’ultimo aveva tentato di trattenersi. Apollo
protestò ancora un po’
e poi pure lui fu colto dall’irrefrenabile desiderio di
ridere.
“Ma
che
succede?” si chiese Lucifero, seduto sulla scalinata
più alta.
“Vallo
a
capire..” rispose Mihael, che si volto di scatto, sentendo il
ridacchiare
sommesso del collega angelo che gli sedeva a fianco.
L’Arcangelo
guerriero era ancora in piedi e tentò di far mantenere un
contegno a chi lo
accompagnava, che però scoppiò in una risata
fanciullesca. Anche Asmodeo
rideva, con Lucifero che si chiedeva di quale acido si fosse fatto.
“Asmodeo!
Cazzo ridi?!?” sibilò il re dei demoni.
“Gibrihel!”
sibilò Mihael “Riprenditi! Che
c’è di tanto divertente?!”.
Voltandosi
verso Lucifero, l’Arcangelo vide che pure lui sghignazzava.
“Ma
che vi
prende?! Che succede a tutti quanti?”.
“Miky!”
sghignazzò Lucifero “Stai sorridendo!”.
“No,
non è
vero!”.
“Sì
che lo
è”.
“No!
Io..ma..che mi succede?!”.
Ora
tutto
l’anfiteatro rideva, nessuno escluso, ed il sole era apparso
fra le nuvole
quando anche l’angelo che non rideva mai aveva fatto
un’eccezione.
Dioniso
e
Pan si fissarono, unendosi al fragore dell’arena. I raggi
caldi illuminavano i
due sfidanti, che si guardarono attorno, soddisfatti. C’era
un’atmosfera felice.
C’era chi si abbracciava, chi si sorreggeva a vicenda per non
cadere lungo gli
scalini, chi si piegava in due, incapace di fare altro se non ridere.
Mihael si
era dovuto sedere ed era finito, barcollando, addosso al fratello
maggiore.
“Questo
non
lo dirai in giro, vero?” era riuscito a dire Lucifero
“Perché un angelo ed un
demone che ridono assieme non si è mai visto!”.
“Fatevela
una risata, Dei bisbetici!” esclamò Dioniso,
spalancando le braccia ai raggi
del sole.
“Sì,
sempre
a bisticciare! Non sapete pensare ad altro che alla guerra!”
aggiunse Pan
“Ridete! Ridete che vi fa bene!”.
Non
aggiungendo altro, anche loro due risero. Finirono stesi a terra, uno
accanto
all’altro, senza smettere. Tutta la fila più alta
delle gradinate fece lo
stesso, ritrovandosi ribaltata all’indietro. Senza uno
schienale in pietra a
fermarli, chi vi sedeva si
erano trovato
a guardare il cielo, sorretto dal bordo esterno
dell’anfiteatro. Il gruppetto
di angeli e demoni erano fra questi, assieme ad Hades, Poseidone,
Thanatos,
Hypnos ed altre divinità a loro seguito. Continuarono per un
bel po’, prima che
i sensi di tutti definitivamente si appannassero.
“Ragazzi?
Ci
siete?” rimbombò la voce, e i cavalieri risposero
con un gemito di protesta.
“La
mia
testa!” si rialzò a sedere Milo “Ma che
è successo?”.
“Mi
sembra
di essere sbronzo!” si aggiunse Deathmask.
“L’idea
è
quella..”.
“Ary..sei
tu? Vedo un’ombra sfuocata..” biascicò
Mur.
“Sì,
sono
io. Ce la fate ad alzarvi o vi lascio lì seduti ancora un
po’?”.
“Che
cazzo è
successo?!” si riprese Shura.
“Dioniso
e
Pan..” spiegò il Dio delle illusioni
“Hanno unito i loro poteri e ci
hanno..donato un po’ di divertimento. Sì, ci
sentiremo come dopo una sbronza
per un po’. Ma voi mi sa peggio di me..”.
“Tu
sei un
Dio. Forse su di te ha fatto meno affetto..”
ipotizzò Camus, reggendosi la
testa.
“Può
darsi.
Ma ho riso come un cretino esattamente come tutti gli altri”.
“Cugino!”
gridò Dioniso, dando una pacca sulla schiena di Arles
“Stanno bene i tuoi
amici, vero?”.
“Sì,
deficiente” sghignazzò Arles, rispondendo alla
pacca sulla spalla con un po’
più di forza.
“Ma
allora..” alzò un sopracciglio Kiki
“..chi ha vinto?”.
“Tecnicamente,
hanno vinto loro, sconfiggendo tutti quanti noi. Apollo ha detto di
fingere che
non sia successo niente e di farci una dormita. Dalla faccia che aveva
quando
ha lasciato l’arena, penso fosse stordito alla
grande!”.
“Wow..e..quindi?”.
“Quindi
vi
riaccompagno al Tempio di Atena e vi consiglio un’aspirina
prima di dormire. Ci
vediamo domani per il prossimo scontro”.
“Fra
chi
sarà?” chiese Keros, anche lui barcollante fra le
scale.
“Oh,
sarà
uno spasso pure questo: Eris contro Eros!”.
Alla
fine, i
gold avevano deciso che la cosa più intelligente da fare era
recarsi tutti al
Tempio del Dio delle illusioni, per potersi muovere tutti in gruppo e
non
finire sparpagliati tutte le sere. Per l’intero viaggio,
qualcuno improvvisò la
canzoncina che aveva intonato Dioniso. Barcollando lungo il sentiero
che li
conduceva a casa di Arles, c’era chi si vergognava di quanto
successo e chi
invece ancora se la rideva. Camus era tornato il solito Acquario serio,
assieme
al figlio. Milo, al contrario, lo stuzzicava nel tentativo di farlo
ridere di
nuovo. Shaka preferì non commentare, piombando in un
silenzio totale, sicuro altrimenti
di pronunciare parole senza senso. Deathmask, Aphrodite e Shura si
erano presi
a braccetto ed ondeggiavano, biascicando stupidate. Aldebaran li
osservava e
ancora rideva, Mur barcollava incerto. Aiolia ed Aiolos fingevano di
stare
benissimo ma in realtà camminavano a zig zag ed il loro viso
era rosso. Dohko
si era divertito ed ancora si divertiva. Keros, che si sforzava di
tenere il
passo del suo signore, era stordito quanto gli altri ed inoltre si
vergognava
un po’. Se il suo padrone avesse corso qualche pericolo, lui
non avrebbe potuto
fare niente!
“Che
c’è?”
gli domandò il Dio delle illusioni, notando lo sguardo
sfuggente del
mezzosangue.
“Niente..è
che..”.
“Non
ti
vergognare. Guarda in che condizioni siamo tutti quanti!”.
“Sì,
ma..”.
Keros
inciampò, non capì se sui suoi stessi piedi o su
un sasso, ed il Dio lo prese
al volo. Barcollando a sua volta, il padrone di casa varcò
la soglia con Keros
in braccio, canticchiando canzoncine sceme. Poi pure lui
inciampò, su uno
scalino, e finì per terra. I gold, non in condizione di
schivarlo o far altro,
caddero quasi tutti e finirono uno sopra l’altro.
“Branco
di
ciccioni!” gridò Arles, mentre Eleonore li
raggiungeva, preoccupata.
All’inizio
temette fossero feriti e tentò di capire come aiutarli, ma
poi si accorse che
stavano ridendo tutti, compresi i pochi rimasti in piedi, che
però si
poggiarono alle colonne e sedettero a terra, vedendo tutto attorno a
sé girare.
“Ah..Ary!”
sbottò Eleonore, dopo qualche istante di sconcerto
“Saga, Arles, Arikien, Dio
delle illusioni figlio di Ares! Sei ubriaco?!”.
“Posso
spiegarti!” rise il padrone di casa, ancora sepolto dai
colleghi “Cioè..no, in questo
momento proprio non sono in condizione di farlo, scusami!”.
“E
noi qui a
preoccuparci per voi! In pensiero, convinti foste a combattere! E
invece
eravate a fare festa!”.
“Non
è come
sembra! Ma..te lo spiego domani!”.
“Perdono,
signora” biascicò Keros.
“Keros!”
si
stupì Eleonore “Anche tu?! Da te non me lo sarei
proprio aspettato!”.
La
donna si
voltò, ignorando il gruppo di ubriachi. I figli, prima fra
tutti Sophia,
chiesero delucidazioni su quanto successo ed alle parole
“nulla, vostro padre è
ubriaco” furono in molti i curiosi ma Eleonore
impedì loro di vedere e li
rispedì nelle camere.
“Roba
da
matti” si limitò a commentare, chiudendosi poi
nelle sue stanze e lasciando il
marito in terra sull’ingresso.
“Ben
svegliato, serpente tentatore” furono le prime parole che
udì Lucifero.
A
pronunciarle
era stata Eris. L’angelo caduto si rialzò a sedere
e si guardò attorno. L’arena
si stava svuotando, Asmodeo ancora era privo di sensi e Mihael era
sparito,
probabilmente era andato a nascondersi.
“Ma
che bel
risveglio” ammise Lucifero “Mela della
discordia..”.
“Ne
vuoi
forse un morso?” ammiccò lei.
“Mi
piacerebbe molto..”.
L’abito
rosso della Dea piaceva al caduto, che ne collegava il colore a quello
del
sangue, e nel complesso trovava quella femmina piuttosto interessante.
“Davvero?”
mormorò lei “E tu? Cosa mi daresti in cambio del
morso della mia mela?”.
“A
te che
cosa piacerebbe? Magari dare un saluto al serpente
tentatore?”.
“Oh,
vai
dritto al punto, angelo caduto”.
“La
cosa ti
dispiace? Perché io detesto perdere tempo..”.
“No,
non mi
dispiace. Andiamo. Conosco un posto..”.
Lucifero si voltò
solo qualche istante,
sfiorando Asmodeo ancora in terra.
“Non
aspettarmi sveglio” gli sussurro, allontanandosi con Eris,
che sorrise
maliziosa.
Keros
si svegliò,
con un gran mal di testa. Ci mise un po’ per ricordare quanto
successo e si
stupì di trovarsi nella sua stanza. Si alzò,
gemendo. Con le piccole orecchie a
punta udì un rumore proveniente dalla grande sala dove si
consumavano i pasti.
Pensò si trattasse di Larya, l’ancella di
Eleonore, che preparava la colazione.
Si sistemò alla bene e meglio, ancora stordito, e
lasciò la sua camera. Raggiunse
la cucina, recuperando quel che desiderava per colazione, ed
entrò nel salone. Si
stupì nel trovare il suo signore, da solo, seduto al tavolo,
con di fronte a sé
una brocca con un liquido di uno strano colore ed una serie di
bicchieri vuoti.
“Keros”
gli
sentì dire “Mi aspettavo di vedere te per primo.
Come ti senti?”.
“Come
se..mi
avessero preso a pugni..” ammise il sanguemisto.
“Lo
immaginavo..avanti, bevi questo. Ti aiuterà”.
Keros
rimase
in silenzio, mentre il padrone di casa versava il liquido in uno dei
picchieri
e glielo porgeva. Bevve qualche sorso e rabbrividì.
“Ma
è una
cosa schifosa!” non riuscì a fare a meno di dire.
“Lo
so”
ghignò il Dio delle illusioni “Ma ti
farà sentire subito meglio. Fra poche ore,
dovremmo andare all’arena. Cerchiamo di essere
presentabili”.
Sforzandosi,
il sanguemisto bevve tutto, con una boccaccia finale, decisamente
disgustato.
“Dov’è
Eleonore?” chiese, prima di sedersi.
“Nella
sua
stanza, in collera con me. Le passerà, Keros. Sta
tranquillo”.
“Volete
che
le parli? Che le racconti quanto successo?”.
“L’ho
già
fatto. Ma ha detto che per un po’ mi metterà il
muso perché l’ho spaventata.
Non è niente, la capisco. Troverò il modo di
farmi perdonare..”.
Keros
sedette
ed annuì, iniziando a consumare la sua colazione. Il Dio,
che si era messo a
leggere, lo osservò di sfuggita, mentre spalmava troppa
marmellata su un
minuscolo pezzo di pane e ne assaporava il gusto.
“Signore..”
mormorò il mezzosangue, dopo un paio di bocconi
“..perdonate la mia insolenza
ma..perché mostrate di nuovo il vostro finto
aspetto?”.
“Perché
potrebbero entrare i cavalieri..”.
“E
con
questo? Vi hanno visto, non serve più che consumiate energie
mostrando un finto
volto”.
“Le
energie
che consumo per questa immagine illusoria sono davvero minime. E
poi..io non
volevo che mi vedessero. Preferirei che la cosa non accadesse di
nuovo”.
“Perché?
Per
quale motivo?”.
Keros
attese
la risposta del suo padrone, che però non voleva arrivare.
Alle spalle, il
sanguemisto percepiva il calore del camino acceso. Nonostante provasse
un certo
freddo, non si mosse e continuò a fissare il Dio, che
distolse lo sguardo e
riprese a leggere.
“Perché
non
mi rispondete?” parlò ancora Keros.
“Ti
prego di
non insistere, per cortesia” furono le parole, ferme ma non
irate, del padrone
di casa.
“È
perché
loro..hanno paura?”.
“Ne
hanno?”.
“Sì..”.
“Allora
non
serve dire altro”.
“Ma
io..non
capisco! Sia voi che Lucifero..perché non mostrate
ciò che siete? Che importa
se la gente ha paura? Perché fingere di essere
qualcos’altro?”.
“E
tu perché
celi quei segni sul tuo corpo? Non è forse la stessa
cosa?”.
“Io..ecco..”
Keros arrossì leggermente “..avete ragione. Come
sempre. Io potrei anche
mostrare questi segni, sono solo dei tatuaggi, ma non lo faccio
perché, quando
la gente li vede, mi addita come strano, come diverso. Fra i demoni e
gli
angeli io sono un mostro”.
“Per
me non
lo sei. Io, dinnanzi a te e la mia famiglia, quando siamo soli, mostro
il mio
vero aspetto. Tu quei segni non li mostri mai, nemmeno qui”.
“Non
avreste
dovuto vederli nemmeno voi!” sbottò Keros,
stringendosi il braccio sinistro con
la mano destra “Li avete visti solo perché, il
giorno in cui mi avete salvato, le
ferite hanno stracciato le mie vesti in alcuni punti. Altrimenti non le
avreste
mai viste nemmeno voi!”.
“Ti
ringrazio per la sincerità”.
“Signore..”.
Keros
aveva
chinato il capo. Poi si alzò, avvicinandosi
all’imponente sedia su cui sedeva
il Dio. A testa bassa, sempre tenendosi il braccio con i complicati
disegni,
rimase in piedi, in silenzio. Arikien lo fissò, con aria
interrogativa.
“Signore..sapete
che voi potete ordinarmi ogni cosa” riprese a parlare Keros,
dopo qualche istante
“Se voi lo ordinate, io vi mostrerò questi segni
che porto. Per me sono sempre
stati motivo d’odio e di disgusto. Sono stati il mio marchio
e, in molti casi,
la mia condanna. Ma se voi ordinate, io ve li mostro. Ho sbagliato a
rimproverarvi, vista la mia posizione, e sarebbe giusto che io agissi
come voi,
anche se mi è difficile”.
“Keros..va
a
sederti, per favore. Non potrei mai ordinarti di compiere un atto che
so che
non vorresti mai compiere. Se non credi che io possa accettare quei
segni, e
mostri sul viso la stessa espressione di chi li ha scorti prima di me,
non sforzarti.
Non sei il mio schiavo. Era solo per farti comprendere. Io so che tu,
mia
moglie ed i miei figli, quando vedete il mio vero aspetto non ne
restate
turbati. Ma per alcuni dei cavalieri non sarebbe di certo
così. Ed io voglio
poter agire tranquillamente, senza vedere i miei compagni spaventati ad
ogni
mia mossa”.
“Perdonate
ancora la mia insolenza. Non vi importunerò
più”.
Keros
si
inchinò e rimase fermo qualche istante, prima di rialzarsi
del tutto.
“Per
favore,
non fare così” scosse la testa il Dio, ma il
mezzosangue aveva lasciato la
stanza.
Uscendo,
e
camminando lungo il corridoio, incrociò i cavalieri
d’oro, che finalmente si
stavano destando e gemevano, in preda al post sbornia.
“Hei,
Keros!” lo chiamò Camus “Cerca di
coprirti meglio quest’oggi. Ieri ti vedevo
tremare dal freddo”.
“Solo
dei
deficienti possono organizzare un torneo in inverno,
all’aperto, su una
montagna!” sbottò, con fastidio, il mezzo demone,
chiudendosi in camera per
prepararsi. Ovviamente sbattendo la porta.
Mi faccio prendere la mano. Scrivo troppo e
scrivo in fretta!! Parità fra Pan e Dioniso
perché hanno ricevuto pari voti.
Arles, per chi ha letto le altre storie che ho scritto, mi diverte
molto farlo
col viso diviso a metà. Mi ricorda Kasday, uno dei miei OC.
E non resisto alla
tentazione di farlo in quel modo!! Il prossimo capitolo sarà
l’inizio di una
svolta, tenetevi pronti che inizio a fare casino!!
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Capitolo 8 *** VIII- Ira ***
VIII
IRA
La
partenza
verso l’arena era stata piuttosto faticosa. Quasi tutti
intontiti e confusi da
quanto successo nello scontro fra Dioniso e Pan, ci misero un sacco a
prepararsi. Eleonore non poté trattenere una risata, quando
li vide
allontanare. Il suo sposo, che chiudeva la fila, le stava accanto,
osservando i
colleghi di un tempo che arrancavano lungo il sentiero. Aveva faticato
convincere i figli che dovevano restare a casa, soprattutto i due
gemelli
adolescenti, nati dopo Sophia. I due ragazzini trovavano irresistibile
l’idea
di vedere il loro padre che picchiava qualcuno ma ovviamente non gli fu
dato il
permesso.
“Devo
andare..” parlò il Dio delle illusioni.
“Vedi
di
tornare a casa in maniera dignitosa, marito mio! Altrimenti ti chiudo
fuori!”
sorrise Eleonore.
“Vedrò
di
fare il possibile”.
“E
non
trascinare il povero Keros nelle tue assurdità!”.
“Povero
Keros, tenero Keros, innocente Keros. Va a finire che il cattivo sono
io, che
di demoniaco non ho nulla!”.
“Ma
sai che
scherzo!”.
“Anche
io!”.
Sorridendosi,
si scambiarono un bacio, prima di separarsi.
“Credo
che
alla fine di tutta questa storia dovrai fare qualcosa di eclatante per
farti
perdonare da entrambi, mio caro” disse lei, dopo un
po’.
“Da
entrambi, chi?” alzò un sopracciglio il Dio,
girandosi.
“Da
me e da
Keros. Credo che la convivenza con i tuoi amici gold stia facendo
riemergere il
suo più terribile lato da demone”.
“Ed
io che
colpa ne ho?! Ad ogni modo..mi farò perdonare da tutti. Ci
vediamo stasera!”.
Le
mandò un
altro bacio e lei scosse la testa, divertita.
“Ti
sei
ripreso dalla botta, Mihael?” ridacchiò Lucifero,
vedendo finalmente comparire
il fratello minore.
“E
tu?” si
limitò a rispondere l’angelo.
“Io?
Alla
grande. Mi sono proprio divertito questa notte. Anche se, a saperlo che
doveva
lottare proprio oggi, non l’avrei fatta stancare
tanto”.
“Di
che
parli?!”.
“Di
cose che
tu non capisci, asessuato. Ma sappi che Eris a letto è
proprio divertente”.
Lucifero
stringeva fra le mani una bella mela rossa, e gli diede un grosso morso
con un
ghigno malizioso.
Mihael
storse il naso, lievemente disgustato. Al suo fianco, come nel giorno
precedente, vi era Gibrihel, scambiato da molti per una fanciulla.
“Cerca
di
non venire alle mani, Arcangelo” gli ordinò Mihael
“Come quella volta che quel tizio non
voleva scrivere il libro che gli stavi dettando”.
“Quel
tizio
era Maometto, e l’ho picchiato in più di
un’occasione..”.
“Lo
so..”.
“È
stato
divertente”.
“Gibrihel!”.
L’Arcangelo
delle annunciazioni si voltò verso Mihael, sfoggiando un
sorriso adorabile.
Poi, scuotendo leggermente i lunghi capelli ricci, sedette.
Eris
sbadigliò. Non aveva dormito molto ma non era per nulla
intimorita dal nipote,
Dio dell’amore. Il nipote, dal canto suo, aveva sempre voluto
scontrarsi
apertamente con la zia. Amore e discordia non potevano andare
d’accordo, e non
vedevano l’ora di affrontarsi.
“Iniziate”
ordinò Astrea, dopo aver visto il cenno d’Apollo.
“Per
chi fai
il tifo? Mi incuriosisce saperlo” domandò
Afrodite, che si era portata a fianco
del trono del Dio delle illusioni.
La
Dea della
bellezza, come sempre molto poco vestita, si era accomodata su uno dei
braccioli, trovando quella posizione la più favorevole per
vedere la lotta del
figlio.
“Come
faccio
a scegliere?!” rispose il Dio “Uno è mio
fratello maggiore e l’altra è la
gemella di mio padre!”.
“Io
faccio
il tifo per il mio bambino! Coraggio, Eros! Dimostra che
l’amore vince su
tutto!”.
Nonostante
le proteste di lui, la Dea iniziò a giocherellare con i
capelli di Arles,
sempre rimanendo concentrata sullo scontro. Le mancava Ares ed il Dio
che le
stava accanto era la creatura che più ci somigliava, che
però non era affatto
d’accordo.
Eros
stringeva l’arco, questa volta non armato di frecce legate
all’amore o
all’odio. Eris rise, sapendo che in molti casi la mira del
nipote era
tutt’altro che perfetta. Per rispondere al Dio, la Dea
mostrò la sua mela
d’oro, che brillò. Hera trovava ancora fastidiosa
quella mela, mentre invece
Afrodite sorrise, compiaciuta al ricordo di essere stata scelta lei
come Dea
più bella. Al comparire di quel frutto, gli animi si fecero
più accesi. Le
risate del giorno prima furono improvvisamente dimenticate e lasciarono
il
posto ad insulti e rabbia. Questo rendeva più forte Eris,
che sorrise
compiaciuta. Eros sospirò, trovando sconcertate con quanta
facilità la gente
litigasse per qualsiasi cazzata. Hades e Poseidone si rinfacciavano
cose
accadute migliaia di anni prima, quando i figli di Zeus non esistevano
ancora.
Apollo e Dioniso, come sempre, si rivolgevano ogni insulto possibile.
Hera
gridava contro tutti, Artemide la seguiva. Efesto non si risparmiava,
insultando gli amanti della moglie, cioè praticamente tutti
i presenti. Hermes
gridava le peggior cose rivolto a chiunque. Hypnos e Thanatos davano ad
Hades
del “possessore di ragazzini piagnucolosi”. Arles
non era da meno e tentava di
liberarsi dalla fastidiosa presenza della Dea della bellezza, che
doveva averlo
scambiato per un antistress.
Ovviamente
non solo la tribuna divina si era scaldata. Cavalieri, angeli, demoni e
qualsiasi altra creatura si stava riempiendo di insulti e botte. Milo
rinfacciava a Camus i tempi di Asgard, dandogli del traditore, ed i due
passarono alle mani. Aiolia insultava Milo, in ricordo di tutte le liti
passate. Aphrodite tentava di strozzare Deathmask, colpevole di
“trattarlo
male”. Mur tentava di trattenersi, ma aveva una gran voglia
di prendere a calci
Shaka, che se ne stava seduto come sempre, probabilmente dormendo.
Shura si
beccò gli insulti di Aiolos, come premio per la notte degli
inganni. Dohko si
sentiva dare del “deficiente che non capiva un
cazzo” dal serioso Shaka,
improvvisamente destatosi dal letargo. Solo Aldebaran non capiva il
perché di
tutto quel chiasso. Perfino Kiki si era scaldato, definendo tutti degli
“infantili”. Keros, sentendo questo, non
riuscì a trattenersi, dando ai gold
dei “coglioni”. I figli del gruppo non erano da
meno dei genitori, e si
insultavano dandosi dei “deboli” e cose del genere.
Le risse fra Mihael e
Lucifero erano normale amministrazione, perciò non
c’era da stupirsi se fra le
scalinate tentavano di strozzarsi. Gibrihel invece stava prendendo a
pugni
l’ennesimo che lo aveva definito “bella
fanciulla”. Asmodeo, grande e grosso
com’era, picchiava per divertimento.
Eros
si
portò una mano sul viso, sospirando. In quel clima, avrebbe
dovuto affrontare
la zia. La luce d’oro della mela tentò di
sopraffarlo ma il Dio dell’amore
richiamò la sua energia, riuscendo a respingerla. Espanse il
proprio potere,
avvolgendo le prime file, che smisero di litigare. La Dea della
bellezza tornò
a concentrarsi sullo scontro, ignorando il baccano delle file sopra la
sua.
Arles fece lo stesso e anche Keros. Psiche, compagna di Eros, si
stupì del
proprio atteggiamento e tornò composta e silenziosa.
Eris
usò di
nuovo la luce d’oro della mela, inviandola verso
l’avversario. Eros usò le sue
frecce, ma non riuscì a spezzare tutti i fili che
l’oro creava. Un paio di
questi lo raggiunsero, ferendolo.
“Coraggio,
nipote” sfotté Eris “Mostrami il
fantomatico potere dell’amore!”.
“Te
lo
mostrerò volentieri!” ribatté Cupido,
preparando un’altra freccia e tendendo
l’arco.
Non
poté
scoccarla però perché, nella confusione generale,
un terzo sfidante era apparso
nell’arena. Piombando dall’alto grazie alle ali
dell’armatura, lasciò una netta
crepa dove atterrò. Vedendone le vestigia, coloro che non
erano troppo impegnati
a litigare ed azzuffarsi lo riconobbero.
“Padre
Ares..” commentò a bassa voce Arles.
“Cos’è
questo?” ringhiò Ares, avvicinandosi ad Eros ed
Eris “Uno scontro, o un tè per
signorine?! Dov’è il sangue? Nemmeno vi
impegnate!”.
“Ma..papà..”
cercò di giustificarsi Eros, piuttosto confuso.
Da
sotto il
pesante elmo con l’altissimo pennacchio, era difficile
stabilire se il Dio
della guerra fosse in vena di scherzi o veramente infuriato.
“Datti
una
calmata, Ares!” esclamò Eris “Tornatene
da dove sei venuto! Hai poltrito fin
adesso!”.
“Sei
venuto
anche tu, finalmente” aggiunse Eros
“Però..noi ora stavamo lottando. Ti
dispiace? Sono certo che Apollo, quando avrà finito di
litigare con gli altri
Dei delle scalinate alte, ti accetterà al torneo. Ma
adesso..”.
“Lottando?!”
parve divertito Ares “Quello lo chiami lottare?! Sei
ridicolo. Perfino danzando
riuscirei a batterti!”.
“Questo
lo
so bene. Ma..”.
Ares
chiamò
più volte il nome di Apollo, che però lo
ignorò, troppo impegnato ad insultare
e picchiare i colleghi.
“Papà!”
tentò di protestare ancora Eros ed il Dio della guerra di
voltò di scatto,
colpendo il figlio al volto, con la mano ricoperta dalla pesante
armatura.
Afrodite,
Psiche, Anteros, Eris ed Arles sobbalzarono. Mai prima d’ora
il Dio della
guerra aveva alzato la mano contro i figli, se non durante gli
allenamenti o
per scatti d’ira che comunque non avevano mai coinvolto Eros.
“Ares!”
sibilò Afrodite “Il mio bambino! Dopo le prendi!
Preparati!”.
“Ma
che
cazzo ti prende?!” spalancò le braccia Eris,
avvicinandosi ad Eros e
porgendogli la mano per farlo rialzare “Potevi comparire
prima e mostrarci come
si fa, o grande e possente Dio della guerra. Che, ti ricordo, perde
quasi
sempre!”.
Ringhiando,
il Dio della guerra si voltò verso la gemella. Da sotto
l’elmo, si riuscì a
cogliere lo scintillio color del sangue dei suoi occhi. Con un
gridò, sferrò un
attacco contro la Dea della discordia. Eris, non aspettandosi
assolutamente un
colpo di simile entità, non riuscì a pararlo. Per
fortuna però, si sentì
spingere via da qualcuno. In questo modo, l’attacco del
gemello la colpì ma non
la uccise. Finì poco distante da Eros, che la
chiamò per nome e le chiese in
che condizioni fosse messa. La Dea, confusa, cercò di capire
quanto successo.
Davvero il fratello aveva tentato di ucciderla? E chi l’aveva
salvata?
“Sai
una
cosa, zia?” le sorrise Eros “Ho vinto io”.
Lei
girò gli
occhi. La luce del sole era oscurata da un paio d’ali. Ali
scure, non d’angelo.
“Lucifero..”
riuscì a mormorare e poi perse i sensi.
“Da
che
parte devo iniziare a romperti il culo?” ringhiò
Lucifero, puntando il dito
verso Ares.
“Fatti
da
parte, non sono affari tuoi” rispose il Dio della guerra.
Il
demone
ringhiò. Il colpo ricevuto faceva sì che si
mostrasse per quello che era
davvero. Gli Dei ed i presenti, smettendo di litigare nel momento in
cui Eris
non fu più in grado di tenere aperti gli occhi, ci misero un
po’ per comprendere chi fosse quell’uomo con le corna e la coda al centro
dell’arena.
“Datti
una
calmata” continuò il demone “Fai una
brutta figura”.
“E
tu? Hai
salvato una donna, non fai altrettanta brutta figura, re del
male?”.
Lucifero
rimase stranamente in silenzio, decisamente infastidito da quelle
parole. La
sua coda frustò e si preparò ad attaccare.
“Apollo..”
ghignò Ares “..mettiamo fine a questo giochino.
Vengo lì, ti stacco la testa, e
questi stupidi giochi finiscono. Non trovi?”.
“Credi
di
esserne capace?” ribatté Apollo “Pazzo
che non sei altro!”.
“Vi
ucciderò
tutti quanti!”.
Il
Dio della
guerra rise. Afrodite fissò Arles con aria preoccupata e
lievemente spaventata.
Non capiva che cosa stesse succedendo, e
ne aveva paura.
“ANDREIPHONTES
MALEROS!” gridò Ares.
“Andate
via!” ordinò Arles, dopo qualche istante di
sconcerto, rivolto ai gold e a
tutti coloro senza sangue divino “Andate via
tutti!”.
Riuscì
momentaneamente a fermare il padre, colpendolo e distraendolo.
Pensò, per
qualche istante, che poteva usare l’Another Dimension per
spostare tutti in una
volta ma, con il numero di persone presenti, rischiava di consumare
troppe
energie.
“Lucifero!”
insistette il Dio delle illusioni “Porta via Eris. Andate via
da qui!”.
La
Dea della
discordia era ancora in terra e perdeva sangue.
“Obbeditemi,
una volta ogni tanto!” sbraitò Arles, vedendo che
nessuno si muoveva “E
tu..vecchio! Vedi di riprenderti! Che cazzo ti sei fumato questa
volta?!”.
Ares,
irato
da quella inaspettata interruzione, si lanciò contro il
figlio, che finì in
terra, travolto da tutta quella furia improvvisa.
“Vedi,
Eros?” sghignazzò Ares “Questo si chiama
combattere!”.
Senza
nessuno
ad impedirglielo, il Dio della guerra alzò di nuovo una mano
in cielo e ripeté
il nome del suo colpo
“ANDREIPHONTES
MALEROS” gridò, ed il suo cosmo si tinse di rosso.
Formò
delle
lingue di fuoco e sangue, che iniziarono a piovere fra i presenti.
Lucifero si
alzò in volo, sollevando Eris. Mur evocò il suo
muro di cristallo, che però ben
presto iniziò a mostrare delle crepe. Le creature che fino a
pochi istanti prima
stavano litigando, ora tentavano di collaborare insieme, per salvarsi.
I primi
frammenti di cosmo avevano quasi colpito Sadalta, figlio di Camus, e
Sargas
aveva impedito il peggio. I due si fissarono, con un certo imbarazzo.
Fino a
quel momento si erano insultati, ma era il caso di smetterla! Il muro
creato da
Mur si infranse e tutti si aspettarono di sentire piombare sul proprio
corpo il
cosmo del Dio della guerra, ma non fu così. Una luce oro li
avvolgeva. Stupiti,
gli spettatori senza sangue divino guardarono verso l’arena.
Lì, davanti al suo
padrone, Keros aveva creato una barriera color oro, così
come oro erano
divenuti i suoi occhi. I suoi piedi non toccavano terra ed i capelli
rossi si
muovevano, in preda ad un vento d’energia.
“Il
tuo
Crystal Wall è stato infranto con
facilità..” commentò Kiki, rivolto a
Mur con
stupore “..e so quanto sia
una tecnica
potente. Ma Keros..guarda! Non subisce danni e ci sta proteggendo
tutti. Ha una
capacità straordinaria!”.
“Un’evocazione
di protezione?” si stupì invece Mihael
“Ma..solo gli angeli le sanno fare!”.
Gibrihel
era
stupito tanto quanto il suo collega ma gli suggerì
d’agire. Le divinità
sapevano difendersi da quei colpi, più o meno, ma i mortali
sarebbero stati
gravemente feriti, se quella barriera avesse ceduto. Senza dover
parlare, i due
Arcangeli si posero ai lati opposti dell’arena, proteggendo i
presenti con una
barriera che crearono intrecciando le loro due auree.
“State
bene?” domandò Keros, mentre Arles si rialzava.
“Vattene!”
lo supplicò il padrone “Ti ucciderà.
È fuori di sé. Io posso gestirlo, sono suo
figlio. Non ucciderà mai suo figlio, ma chiunque altro
sì. Allontanati, cerca
riparo”.
“Hai
sentito?” lo additò Ares “Levati o sarai
uno dei trofei della giornata”.
Dato
che il
mezzosangue non si toglieva, il Dio della guerra concentrò
un altro colpo e lo
scagliò contro Keros. Questi, una volta appurato che le
persone presenti in
arena erano al sicuro dietro la barriera di Mihael e Gibrihel, dissolse
la sua
e portò entrambe le mani in avanti, convogliando su di esse
il potere di
protezione. Quell’attacco
del Dio era
molto più potente e concentrato rispetto alla pioggia di
sangue e fuoco, che
nel frattempo continuava. Con i palmi spalancati, percepì il
bruciante calore
del cosmo di Ares scontrarsi con la propria energia d’oro. In
un insieme di
fulmini e lampi, Keros gridò.
“Mi
hai
seccato!” rispose il Dio della guerra, concentrando ancora di
più il colpo e
spostando di colpo una mano verso destra.
Il
flusso
d’energia travolse il sanguemisto da un fianco, trascinandolo
fino alla parete
opposta dell’anfiteatro.
“Keros!”
gridò Arles, non avendo però il tempo di
sincerarsi delle sue condizioni,
perché il padre ricominciò ad attaccarlo.
Ares
aveva
evocato una delle sue armi: la spada. Attaccava ripetutamente il
figlio, che
non aveva alcuna intenzione di indossare l’armatura divina
per calmare i capricci
del padre.
“Keros!”
chiamò Asmodeo, vedendolo rialzare “Entra nella
barriera degli angeli. Lì sarai
al sicuro!”.
Il
mezzo
demone non ascoltava. Si era rialzato. Il cosmo di fuoco e sangue di
Ares lo
feriva solo in parte, non subendo danni con le fiamme grazie ai segni
che aveva
sul braccio.
“Lascia
stare il mio signore!” gridò, tentando di
intervenire di nuovo nella lotta.
Ares
riuscì
con facilità a scagliarlo di nuovo lontano, ora che era
più debole e meno
concentrato.
“Smettila!
Keros non ti ha fatto niente! Stagli lontano!”
ordinò Arles, vedendo il padre
avvicinarsi al mezzosangue.
Inaspettatamente,
il Dio della guerra stava porgendo la mano a Keros, aiutandolo a
rialzarsi.
“Hai
ragione” annuì Ares, facendo scomparire la spada.
Keros
fissò
con sospetto quella mano e preferì rialzarsi da solo. Ares
lo afferrò,
avvicinandosi.
“Hai
ragione, non si può fare del male a questo bel
faccino!” continuò il Dio della
guerra.
Il
sanguemisto aveva una ferita sullo zigomo, che si allungava fin quasi
alle labbra.
Ares ghignò, felice di notare un lieve timore nello sguardo
di colui che aveva
al fianco. Ne prese il volto fra le mani e passò la lingua
sulla ferita che
vedeva gocciolare. Keros rimase immobile qualche secondo e poi
lanciò un grido,
furioso.
“State
lontano
da me!” sbraitò, tirando un cazzotto sul mento del
Dio della guerra, che si
ritrovò a dover fare qualche passo indietro, tenendosi la
faccia con le mani.
“Tu..piccolo
essere schifoso..” sibilò di risposta il Dio, con
gli occhi color del sangue.
“Non
mi fate
paura!” mentì Keros, mentre Ares si apprestava a
colpirlo di nuovo.
“Taci,
irritante creatura!”.
Arles
fermò
il padre, prima che questi colpisse il suo servo, e la cosa non fu per
nulla
gradita al genitore. L’attacco del figlio ne aveva scagliato
lontano l’elmo. Afrodite,
notando che quello scontro non avrebbe portato a nulla di buono,
tentava di far
ragionare Ares come meglio poteva. Lo chiamava per nome, certa che
l’avrebbe
ascoltata, ma non fu affatto così. Lo scontro riprese, con
maggiore furia.
“Ma
insomma!” gridò Keros, guardando verso le
scalinate occupate dagli Dei “Fate
qualcosa!”.
“Do
ragione
a lui!” si unì la Dea della bellezza.
Gli
Dei non
avevano voglia di intromettersi in quella che sembrava
l’ennesima rissa familiare.
“Smettila!”
gridò Arles, afferrando il padre “Torna in
te!”.
Il
Dio delle
illusioni non riusciva a capire che cosa stesse accadendo. Quello era o
non era
suo padre? Non era da lui comportarsi in quel modo con i parenti
diretti, con i
figli meno che mai! Però..non percepiva un’altra
presenza, oltre a quella del
genitore. E quindi? Che stava accadendo?
“Lasciateci
intervenire!” parlò Aiolos, rivolto agli angeli
“Dissolvete questa barriera,
oltre a cui non riusciamo ad andare!”.
“State
fermi
dove siete, non fatevi uccidere per niente dalla pioggia di fuoco e
sangue!”
ribatté Mihael.
Dopo
essere
stato atterrato, Ares rimase in silenzio ad osservare il figlio.
“Ti
sei
finalmente calmato?” domandò Arles “Hai
ripreso il controllo?”.
Il
Dio della
guerra non rispose. Ansimando per la fatica, mutò
espressione. Di colpo,
sorrise. Il suo sguardo non era più iniettato di sangue e
rabbia.
“Sei
di
nuovo tu?” insistette il figlio “Ci sei? Che ti
è successo?”.
“Sì,
sono di
nuovo io” annuì Ares.
“Sei
un
pazzo, lo sai? Dai, alzati”.
Il
padre
ancora sorrideva. Il figlio gli si era avvicinato. Il Dio della guerra
mosse
gli occhi in fretta e poi scattò.
“Io
sono un
pazzo. E tu..sei un idiota!” sibilò.
La
spada era
riapparsa fra le mani di Ares e trafiggeva il petto del Dio delle
illusioni. Afrodite
lanciò un grido di terrore ed in pochi secondi tutti si
mossero. Keros urlò di
rabbia e si mosse in fretta, per raggiungere Ares. Lucifero, dopo aver
lasciato
Eris alle cure di Asclepio, si unì al grido di Keros e
sbatté le ali, deciso a
colpire il Dio della guerra. Apollo si mosse con lo stesso intento,
assieme ad
altri Dei, per fermare quel Dio impazzito. I gold infransero la
barriera, tutti
insieme, e corsero. Poco prima però che chiunque potesse
avvicinarsi, Ares
saltò. Nel fare questo, estrasse la spada dal figlio, che
sputò sangue e cadde
in avanti.
“Ti
ammazzo!” gridò Keros, il più vicino,
che non si fece prendere alla sprovvista
da quello che sembrava quasi un passo di danza.
Ares
schivò
gli assalitori con movimenti rapidissimi, che perfino Hermes fece
fatica a
seguire. Ma Keros, nonostante lo sguardo leggermente velato da lacrime
di
rabbia, iniziò ad inseguirlo. Lucifero tentò di
fermarlo, invano. Il demone era
ferito e non aveva più forze, nonostante l’ira che
provava.
“Prendetelo!”
urlò Apollo “Trovate quel pazzo, prima che ammazzi
qualcun altro!”.
Il
Dio della
guerra era però scomparso, e solo Keros era riuscito ad
inseguirlo. Tutti
rimasero immobili, a fissarsi, indecisi su come agire, quando un gemito
richiamò la loro attenzione.
“Arikien!”
esclamò Apollo, notando con stupore che il nipote si muoveva
“La spada di Ares
ti ha trafitto e..sei in vita?”.
Il
Dio delle
illusioni non rispose. In un lago di sangue, con la mano destra stava
curando
la ferita, sorreggendosi con l’altra mano e con il viso
rivolto verso il
pavimento. Come sempre, le ali d’angelo si spalancarono.
“Ti
aiuto”
gli parlò Apollo, inginocchiandosi ed usando anche lui il
potere di guarigione
“Sei proprio un coso strano..com’è
possibile?”.
“Per
fortuna..la lama ha fatto un taglio netto..senza slabbrature..niente di
tragico..” riuscì a dire Arles.
“Ora
penso
io a te, tranquillo”.
“Keros..dov’è
Keros?”.
“Sta
inseguendo Ares”.
“Cosa?!
Ma..lo
ammazzerà! Keros!”.
“Cerca
di
stare calmo o peggiorerai la ferita, che già è un
vero miracolo che non ti
abbia ucciso!”.
“Miracolo?
Miracolo, già..che però ho compiuto io stesso. Ed
ora Keros rischia la vita per
colpa mia..”.
“Lo
troveremo. Troveremo entrambi. Ora però..”.
“Non
dirmi
quel che devo fare, Apollo!”.
Tentò
di
reagire ma incespicò nel suo stesso sangue e non
riuscì a rialzarsi. Riuscì
solo, un’ultima volta, a chiamare il proprio servo per nome,
prima di perdere i
sensi.
“Chi
è in
condizione di farlo..” ordinò Apollo
“..aiuti i feriti e vada alla ricerca di
Ares e Keros”.
“E
tu che
cosa farai?” domandò Dioniso.
“Devo
curare
Arikien delle illusioni. Sbrighiamoci a ritrovare suo padre, Ares. Non
so che
cosa gli sia successo, ma è più pazzo del solito.
Non agite da soli, girate in
gruppi, è più sicuro”.
“Forse
è..tornato al suo tempio” azzardò
Hermes.
“Può
essere.
Andate a controllare anche là. Ora, scusatemi, ma questo
giovane Dio necessita
cure”.
Avevo promesso botte e le avete avute! Ce
ne saranno altre. Il prossimo capitolo sarà..molto diverso
da questo! Con
confessioni, salvataggi, legami..A presto!
ATTENZIONE: ultimamente sto aggiornando
questa storia molto spesso. Ho notato che vi sono delle discrepanze
notevoli
nel numero delle visite fra un capitolo ed un altro perciò
controllate di
averli letti tutti!! ;)
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Capitolo 9 *** IX- Insieme ***
IX
INSIEME
Il
Dio delle
illusioni riaprì gli occhi. Percepì la morbidezza
ed il profumo delle lenzuola
pulite della sua stanza. Non era dolorante, come temeva. Solo tanto
stanco.
Mosse la mano, sfiorando il punto trapassato dalla spada, provando solo
un
lieve fastidio.
“Oh,
sei sveglio!
Meno male!” parlò la voce che si era aspettato di
udire, quella di Eleonore.
“Ciao,
amore..”.
“Come
ti
senti?”.
“Stanco.
Chi
mi ha portato qui?”.
“Apollo.
Ti
ha accompagnato qui e ti ha guarito, anche se ha detto che la ferita
non era
più mortale grazie al tuo potere. Poi, visto che era senza
forze, l’ho invitato
a restare a dormire. Sta riposando in una delle stanze per gli
ospiti”.
“Per
quanto
tempo ho dormito?”.
“È
notte
fonda, ormai. Circa dodici ore. Ma faresti meglio a riposare ancora,
hai l’aria
stanca. Non ti devi preoccupare per gli scontri e l’arena.
Apollo ha decretato
una pausa, per permettere a tutti di guarire”.
“Come
sta
Keros?”.
“Lui..non
è
rientrato”.
“Che
cosa?!
Keros è ancora là fuori?!”.
“Lo
stanno
cercando tutti. Vedrai che lo troveranno presto”.
Arles
si
voltò, guardando verso la finestra, e sussultò.
“C’è
una
tormenta!” esclamò.
“Sì”
confermò Eleonore “Ha iniziato a nevicare
così da quando Apollo si è
addormentato”.
Il
Dio
immediatamente scansò le coperte e si alzò, ed
Eleonore non riuscì a farlo
ragionare. Supplicandolo di tornare a letto, la moglie
osservò il marito mentre
si rivestiva di corsa ed usciva dalla camera. Avvolgendosi in un
mantello
scuro, Arles si preparò ad uscire di casa.
“Dove
vai?!”
lo chiamò ancora Eleonore “Non fare pazzie! Per
curarti hai consumato
moltissime energie! Se qualcuno ti attaccasse, saresti praticamente
indifeso! Torna
a letto!”.
“Keros
non
sopravvive nella neve! Non capisci? Se non lo riporto a casa,
morirà!”.
“Oppure
verrà trovato da qualcun altro! Lo stanno cercando tutti!
Non fare idiozie!”.
“È
colpa mia
se lui adesso è in questo casino, perciò
è compito mio andarlo a riprendere. Lo
percepisco, Eleonore! È qui vicino..”.
“E
allora
avvisa qualcuno! Chiunque! Che vada a prenderlo o che lo aiuti! Ti
supplico!
Sono preoccupata anch’io per Keros, ma..”.
“Fidati
di
me, amor mio. Tornerò e Keros sarà con me.
Tranquilla!”.
Eleonore
protestò ancora e pregò il marito di cambiare
idea, senza successo. Lo vide
uscire di casa, avvolto dal mantello, e subito scomparve fra il bianco
della
tormenta. Strinse i pugni, ripetendo a se stessa che doveva essere
forte.
Doveva fidarsi, però era spaventata. Perché quel
testone era del tutto incapace
di tenersi lontano dai guai? E Keros, fuori al freddo, probabilmente
ferito, lo
avrebbe rivisto? Si ritrovò a pregare, non sapeva bene chi.
Poi una lacrima, di
angoscia e dolore, le scivolò lungo la guancia e
capì chi avrebbe ascoltato le
sue suppliche. Rispettando i patti, Hades comparve accanto a lei.
“Cosa
ti fa
soffrire tanto, mia antica sposa?” pronunciò il
Dio, nell’oscurità.
“Non
sono
qui per farmi riportare negli inferi, Hades” si
affrettò a dire Eleonore “Sono
qui per chiedere il tuo aiuto. Hai visto quel che è successo
all’arena?”.
“Sì,
l’ho
visto. Che dovrei fare? Stanno tutti cercando quella creatura dai
capelli rossi
e quel cretino di Ares. Vuoi che lo faccia anch’io?
Perché dovrei?”.
“No,
io
voglio che tu protegga il padre della tua amata, il padre di Ipazia. Si
è
incamminato lungo il sentiero, in cerca del suo servo. Ma è
debole e
vulnerabile. Aiutalo, per favore. Fallo per lei, per Ipazia”.
“Lo
farò. Ma
solo per Ipazia. Ed in parte anche per te, Eleonore. Ma la
capacità di
quell’individuo di ficcarsi sempre nei guai mi da davvero sui
nervi!”.
“Keros!”
gridava Arles, camminando nella neve.
La
sua voce
si disperdeva, ovattata dal bianco che lo circondava. Aveva percorso
tutto il
sentiero che affiancava la montagna, conducente alla gola che precedeva
la sua
casa. Sapeva che, appena lasciato quel sentiero, ogni creatura che vi
passava
vedeva qualcosa di diverso. C’era chi vi scorgeva un
cimitero, chi delle rocce,
chi una palude.. In quel momento, si mostrava per quel che era davvero:
una
fitta foresta.
“Keros!”
gridò ancora il Dio delle illusioni, sicuro che non fosse
lontano.
La
neve
fioccava copiosamente ed Arles faceva una gran fatica a camminare,
anche per
colpa del vento. Chiamò ancora ed ancora il suo servo, fino
a quando finalmente
un ciuffo rosso comparve nel bianco. Il mezzosangue era in terra ed il
padrone
lo raggiunse di corsa, togliendone la neve dal corpo. Subito, il Dio si
accorse
che era ferito e gelido al tatto.
“Keros!”
lo
chiamò, scuotendolo leggermente ed avvolgendolo con il suo
mantello
“Tranquillo! Va tutto bene! Ora ci sono io e ti
riporterò a casa al caldo”.
Il
mezzo
demone gemette ed il Dio notò che il rosso che vedeva era in
buona parte il
sangue che usciva da una ferita che il suo servo aveva sul fianco
sinistro.
Pareva grave e quindi Arles tentò di recuperare qualche
goccia di energia, per
curarlo almeno in parte. Questo fece rinvenire Keros, che non comprese
subito
dove si trovasse. Sentiva solo freddo e dolore. Poi però
riconobbe il suo
signore.
“Siete..vivo..”
riuscì a mormorare.
“Certo
che
sono vivo, Keros. Io sono come la gramigna, non muoio mai”
tentò di scherzare
il Dio.
“Io..credevo
di avervi perso..”.
“Non
ti
sforzare. Adesso ti curo ancora un po’ e poi ti riporto
subito a casa”.
“Perdonatemi,
signore. Ho provato a seguire vostro padre ma..mi ha scoperto. E mi ha
colpito..quell’essere è..”.
“Non
ci
pensare. Non importa. Ora conta solo che tu stia bene”.
Arles
aveva
fatto comparire le ali, coprendo entrambi dai fiocchi di neve.
Concentrò ancora
il suo potere, percependo qualcosa di strano nella ferita.
“Scusami,
Keros. Ti farò male” gli disse
“C’è qualcosa nella ferita che devo
togliere,
per poterla guarire. Farò in fretta..”.
“Non
usate
la vostra energia vitale per me..”.
“Finiscila!”.
Il
Dio
affondò le dita nello squarcio che Keros aveva sul fianco ed
il mezzo demone
gridò. Arles strinse a sé il mezzosangue, per
calmarlo. Fra le mani, nel
sangue, si ritrovò uno strano oggetto. Sembrava un seme, un
baccello. Subito lo
distrusse e ricominciò a curare le ferita di Keros, che
tentò invano di
lamentarsi. Con il capo contro la spalla del suo signore, respirava a
fatica,
tremando dal freddo.
“Signore..”
mormorò, quasi del tutto privo di forze
“..lasciatemi qui. Non rischiate
ulteriormente la vostra vita per me..”.
“Se
non la
smetti con questi discorsi scemi, ti prendo a sberle e ti uccido io,
ok? Adesso
ti riporto a casa, al caldo, e vedrai che starai benissimo. Te lo
prometto”.
“Non
importa. Siete
vivo, e questo mi rende
felice. Potrei anche morire adesso..”.
“No,
tu non
morirai! Chiudi la bocca”.
“Ho
tanto
freddo..”.
Il
Dio curò
ancora qualche istante il mezzo demone, stringendolo più
forte, nel tentativo
di scaldarlo ancora un po’. Inginocchiato nella neve,
abbracciò Keros con le
braccia e con le ali, cercando di generare un minimo di calore.
Purtroppo,
privo di forze e cosmo, non riusciva a fare molto.
“Adesso
andiamo a casa” disse, avvolgendo ancora di più
Keros nel mantello scuro, ormai
del tutto bagnato dalla tormenta.
“Signore..”
sussurrò il mezzosangue.
“Che
cosa
c’è?”.
“Mio
signore..c’è una cosa che devo dirvi..”.
“Risparmia
le energie” lo zittì Arles, alzandosi e sollevando
il ferito.
“No..io..ve
lo deve dire. Vi prego, ascoltatemi..”.
“È
così
urgente?” gli rispose il Dio, iniziando a camminare verso
casa “E ricordami di
darti di più da mangiare, d’ora in poi. Pesi come
un bambino!”.
“Per
anni
non ho detto nulla ma, quando ho temuto che quella spada vi avesse
ucciso, me
ne sono pentito. Ed ora che mi sento così vicino alla morte,
vorrei che voi
sapeste la verità”.
“Tu
non sei
vicino alla morte, Keros”.
“Non
lo so.
Ma so che sono vicino a voi. Di nuovo vicino a voi, che mi avete
salvato la
vita come quella volta, la prima volta in cui ho visto le vostre
ali”.
“Lo
ricordo,
non serve parlarne”.
“No..voi..vi
prego..”.
“Va
bene,
non ti interrompo più. Però faresti meglio a
conservare le energie. Dove trovi
le forze per parlare tanto?!”.
Il
Dio
dovette fermarsi, quando una potente sferzata di vento lo
ricacciò indietro.
Che razza di tempo era?! In Grecia non vi erano mai tempeste simili!
Stanco,
barcollò e ricadde in ginocchio.
“Signore!”
gemette
Keros “Lasciatemi qui! Vi prego, salvatevi e lasciatemi
qui”.
“Io
non ti
lascio, hai capito? E ora avanti, che mi devi dire? Perché
sento che non sarai
tranquillo finché non lo avrai fatto”.
Keros,
con
il volto rigato dal sangue e da una piccola lacrima, smise di colpo di
tremare.
Guardò dritto negli occhi il suo signore, che si mostrava
nel suo vero aspetto.
Per pochi istanti, non percepì la neve, il freddo, il
dolore.
“Signore!”
esclamò poi, di getto “Signore, io vi
amo”.
“P..prego?”
alzò un sopracciglio Arles.
“Io..sono
innamorato di voi. Io vi amo, vi amo dal primo momento in cui o visto
le vostre
ali. Io..vi amo! Perdonatemi. Perdonate
l’imbecillità di questo vostro sciocco
servo che vi crea solo problemi. Ora che lo sapete..posso anche
addormentarmi
per sempre, non mi importa. Lasciatemi qui. Lasciate che
io..muoia..”.
Il
Dio
rimase in silenzio, non sapendo bene che cosa dire. Keros non lo
stringeva più,
e stava scivolando di nuovo nella neve. Il suo signore lo
afferrò. Il mezzo
demone era sfinito, con gli occhi socchiusi.
“Keros..”
mormorò il Dio delle illusioni, sollevandolo ed
avvicinandolo a sé, fino a
baciarlo.
“Ora..”
parlò poi, rialzandosi con il servo fra le braccia
“..se ne vuoi un altro,
dovrai vivere e guarire, siamo intesi? Muori, e giuro che ti
cercherò in tutti
gli inferni possibili, per poter strozzare la tua anima. Mi hai capito,
razza
di stupido?”.
Keros
non
era in grado di rispondere, aveva perso i sensi. Arles
ricominciò a camminare.
Nascose le ali, che con la neve si erano appesantite, e
proseguì. L’importante,
si disse, era uscire dalla foresta. Vi era qualcosa in quel luogo che
non gli
piaceva, ma non capiva che cosa. Come sempre, aveva ragione Eleonore:
era del
tutto scoperto. In caso di attacco, sarebbe stato spacciato e sarebbero
morti
entrambi, lui e Keros. Tentò di accelerare il passo, quando
udì un rumore
simile ad un sibilo. Percepì un potere sconosciuto
avvicinarsi. Non sapeva che
altro fare, se non correre. Farlo nella tormenta, con Keros in braccio,
non era
per nulla semplice ma, nonostante questo, si sforzò di
muoversi il più in
fretta possibile. Purtroppo quella forza sconosciuta si avvicinava.
Capì che
stava per essere raggiunto e strinse a sé più
forte Keros, come fosse un
bambino indifeso. Continuò a correre e un’onda
d’energia lo gettò a terra. Si voltò,
riconoscendo quel cosmo: Hades, con le ali dell’armatura
spalancate, stringeva
la spada fra le mani.
“Alzati
subito!” ordinò il Dio dell’Oltretomba
“Sbrigati a tornare a casa: Eleonore è
in pensiero. Non ti preoccupare, mi occupo io delle creature che si
celano in
questo bosco. E non farti illusioni: lo faccio per Ipazia. Se tu
dovessi
crepare, lei ne soffrirebbe. Perciò vedi di muovere il culo
e salvarti le
chiappe!”.
Non
trovando
necessario rispondere, se non con un cenno d’assenso, il Dio
delle illusioni si
rialzò in fretta, stringendo forte Keros e ricominciando a
correre.
Un
rumore
simile allo strisciare di diversi serpenti circondò Hades.
Questi non si lasciò
intimorire. Ghignò divertito, pronto ad affrontare qualsiasi
cosa. Dopotutto,
bastava solo che lasciasse il tempo a quel fastidioso essere un tempo
chiamato
Arles di tornare a casa. Non capiva che cosa producesse quel rumore,
non vedeva
alcuna creatura, ma percepiva chiaramente un’energia che mai
aveva conosciuto.
O forse l’aveva già percepita, un tempo, in
un’Era remota? Di colpo, ci fu
silenzio. Solo il sibilare del vento nella tormenta. Hades lo
trovò molto
strano ma poi qualcosa si mosse. Tutto attorno a sé,
qualcosa si avvicinava.
Espanse il cosmo e un nugolo di ombre striscianti si dissolse.
“Cos’erano
quelle cose, Hades?” si sentì chiedere.
Voltandosi,
il Dio dell’oltretomba vide comparire le armature
d’oro fra il bianco della
neve.
“Non
ne ho
idea” rispose, sinceramente “Ma dobbiamo impedire
che vadano oltre questa
foresta”.
“Come
mai?”
si informò Kiki.
“Il
vostro
amichetto Arles è riuscito a ritrovare il suo strano servo e
lo sta riportando
a casa. Però non erano messi molto bene. Se una di queste
ombre li dovesse
raggiungere, non sarebbe il massimo..”.
“Capito”
annuì Kiki “Da quanto tempo si sono allontanati da
qui?”.
“Non
molto”.
“In
questo
caso..cavalieri! Dividiamoci! Un gruppo di noi raggiunga subito Arles e
Keros e
li scorti fino a casa. Gli altri, restino qui a fermare queste
misteriose
creature”.
“Vado
io”
annuì Camus “Sono il più veloce con
questo tempo. Li raggiungerò in un attimo. Mio
figlio resterà qui, per guidarvi nella neve se la tormenta
peggiorasse”.
“Perfetto.
Aiolos,
muoviti assieme a Camus. Ci vediamo tutti al tempio del Dio delle
illusioni”.
Aiolos
annuì, serio. Poi sorrise, facendo notare a Kiki che quando
faceva il capo era
davvero perfetto. Il Sacerdote fece finta di non aver sentito. Per
qualche
istante, aveva pensato di inviare Mur come supporto, ma aveva subito
capito che
non avrebbe mai potuto teletrasportare un Dio. Camus ed Aiolos si
mossero
immediatamente, iniziando a correre. Gli altri gold di prepararono a
lottare al
fianco di Hades. Una cosa molto strana, si dissero, ma necessaria.
“Coraggio,
distruggiamo anche questo nemico” sorrise leggermente il
Leone.
Arles
era
preoccupato. Keros era gelato e non apriva gli occhi. Tentò
di accelerare il
passo, nonostante il forte vento. Percepì qualcosa, che si
avvicinava
rapidamente. Si voltò, scorgendo una luce color oro
sfrecciargli a pochi
centimetri dal viso, dissolvendo per pochi istanti la bufera e
rendendogli più
agile il cammino.
“Aiolos?”
chiamò
Arles e vide l’armatura di Sagittario e Acquario raggiungerlo.
“Le
mie
frecce possono aprirti un varco” spiegò Aiolos,
sorridendogli “Il mio potere,
unito a quello di Camus, mitigherà la tempesta. Dobbiamo
fare presto”.
Il
Dio delle
illusioni annuì. Camus ed Aiolos, bruciando il cosmo,
tentarono di controllare
la neve ed il gelo. Arles si sforzò di camminare in fretta.
Alcune volte
arrancò ma uno dei suoi compagni era sempre pronto ad
aiutarlo.
“Manca
poco,
Keros” mormorò Arles “La vedi? Quella
è casa nostra. Fra poco sarai salvo”.
Il
Dio
sentiva il calore del sangue che il mezzo demone aveva perso. Ma era
sempre più
freddo..
“Coraggio”
furono le parole di Aiolos “Ormai ci siamo”.
Con
un
ultimo attacco, le frecce del Sagittario dispersero il vento e la neve
per il
tempo necessario ad Arles di superare finalmente la soglia di casa. Una
volta
dentro, il calore lo avvolse e ne fu sollevato. Subito notò
lo sguardo
terrorizzato di Eleonore.
“Tranquilla”
si affrettò a dire “Keros starà bene.
Mi prenderò cura io di lui”.
Lei
non
sapeva che dire. Si guardò attorno, confusa.
“Tranquilla”
ripeté Arles, incamminandosi lungo il corridoio
“Starà bene. Però, avrò
bisogno
di usare ogni mia energia e di concentrarmi al massimo.
Perciò ora io entrerò
in quella stanza e non voglio che qualcun’altro vi entri.
Chiaro? Solo se vi
chiamo, allora aprite la porta. In caso contrario, fidatevi tutti di
me. E
prepara qualcosa di caldo perché, quando rientreranno, Hades
e gli altri
saranno infreddoliti. Grazie per aver evocato il Dio
dell’oltretomba ad
aiutarci”.
Senza
aggiungere altro, il padrone di casa entrò nella stanza del
suo servo,
stringendolo ancora a sé. In cuor suo, era molto preoccupato
ma aveva tentato
di non farlo vedere ad Eleonore. Keros era privo di sensi da molto ed
aveva
perso parecchio sangue.
“Vedrai
che
andrà tutto bene” disse, socchiudendo gli occhi e
richiamando energia.
Combattere
a
fianco di Hades, per i gold era qualcosa di davvero insolito. Quelle
ombre nere
continuavano a materializzarsi. Simili a serpenti, attaccavano
ripetutamente i
cavalieri ed il Dio.
“Ma
che cosa
sono?!” si chiese Shura, tagliandone un gruppo.
“Non
ne ho
idea. Mai viste cose del genere” rispose Hades “Ed
io di cose ne ho viste
parecchie..”.
Le
ombre,
appena toccate dai colpi degli avversari, si dissolvevano. Ma subito ne
arrivavano altre.
“Dobbiamo
capire qual è la fonte che alimenta queste
emanazioni” suggerì Mur “Così
potremmo impedire che se ne creino altre”.
“Ma
sembrano
provenire da ogni luogo!” protestò Milo.
“Lasciate
che provi una cosa..” si propose Aphrodite
“..lasciate fare alle mie rose”.
Lanciando
una
rosa nera, la vide dirigersi verso un punto preciso della tormenta. La
inseguì,
assieme a Shura e Deathmask, in cerca del punto d’origine.
Corsero, mentre i
restanti gold continuavano a distruggere ombre insieme ad Hades.
Percorsero un
tratto tra la foresta e finalmente parvero giungere a quello che doveva
essere
il punto d’origine di quegli strani esseri.
“Che
cos’è
quello?” domandò Deathmask, fermandosi.
Una
creatura, avvolta dalla nebbia e dal fumo nero, ghignava nella neve. Si poteva solo intuire
dove avesse la bocca
ed i suoi occhi brillavano di una luce inquietante.
“Ma
che
bravi” commentò “Mi avete trovato. Siete
stupefacenti”.
La
sua voce
era profonda e pronunciava alcune lettere sibilando, come un serpente.
“Chi
sei?”
gridò Shura, lanciando l’Excalibur contro
quell’essere.
Non
ricevette risposta, la tecnica di Shura trapassò la
creatura, che però si
ricompose subito.
“Dite
sia
un’illusione?” ipotizzò Aphrodite.
“Probabile..”.
“Non
ci
fermerete” ghignò ancora l’ombra
“Non ci fermerete mai. Non potete farlo”.
“Fermerete?
Di che parli? Chi sei?” ringhiò Cancer.
“Ci
rivedremo. Ora che abbiamo trovato quel che cerchiamo, avrete ancora a
che fare
con noi finché non avremo ottenuto ciò che
vogliamo”.
“Eh?!”.
La
creatura
si dissolse, e subito cessò la bufera. Kiki sorrise,
convinto che i suoi
colleghi fossero riusciti a sconfiggere un eventuale nemico. Quando
però vide
ricomparire il trio, notò immediatamente i loro volti
perplessi.
“Non
capisco. Chissà che cosa è successo..”
alzò le spalle Shura.
“Che
facciamo adesso?” domandò il giovane figlio di
Milo “Non percepisco più entità
estranee”.
“Vero,
nemmeno io” confermò suo padre.
“Non
possiamo far altro che raggiungere di nuovo il tempio di
Arles” rispose Kiki.
“Concordo”
annuì Hades “Da lì, potremmo contattare
altre divinità e vedere se qualcuno ha
idea di che cosa ci ha attaccato”.
“Sì,
a
quest’ora di certo mio fratello e Camus ci starano
aspettando” si aggiunse
Aiolia.
“E
allora
andiamo. Ho freddo ai piedi” sbottò Milo,
incamminandosi fra la neve che si era
accumulata.
Eccoci! Che ne dite? Quanti di voi avevano
indovinato una “piccola cosa su Keros”? Spero che
questo non cambi la vostra
opinione su di lui, povero piccino congelato. Scoprirete anche il
perché di
questa scelta “di trama”..non uccidetemi XD. E non
aspettatevi di veder
comparire Andromeda a “scaldarlo con il cosmo” XD A
lunedì (18 gennaio) con il
capitolo nuovo
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Capitolo 10 *** X- Istinto ***
X
ISTINTO
Keros
si
svegliò nel buio. Mosse leggermente le
mani, tentando di capire se aveva ancora tutte le dita. Fu lieto di
constatare
che, a quanto pare, il freddo non gli aveva tolto pezzi. Era avvolto da
molti
strati di coperte e la cosa lo fece sorridere di gusto. Girò
leggermente gli
occhi verso sinistra e sobbalzò. Il suo signore dormiva,
sopra le lenzuola, o
così sembrava. Il letto del mezzo demone era grande e
permetteva ad entrambi di
starci tranquillamente, ma vedere lì il Dio che serviva lo
stupì. Non ricordava
molto. Ricordava la neve, il freddo. Ricordava di aver inseguito Ares
per un
lungo tratto ma poi era stato colpito più volte. Perdute le
tracce di chi
inseguiva, aveva capito che non poteva far altro che tornare a casa.
Ferito, si
era incamminato nella bufera, sempre più forte. Da
lì, i ricordi si facevano confusi.
Il vento, la debolezza..e il suo signore che lo salvava. Era successo
davvero?
Lo salvava, lo aiutava e lui..
Keros
si
portò di scatto entrambe le mani sulla faccia. Un ricordo
gli era di colpo
balenato alla mente: quella frase! Quel “vi amo”
ripetuto più volte. L’aveva
detto davvero? Era successo veramente?!
“Stupido”
sussurrò “Stupido! Stupido!”.
Non
era sicuro
di quanto successo, ma solo l’idea lo metteva in imbarazzo.
Ma che poteva fare?
Se era successo..ormai era fatta! Si stupì di se stesso. Non
aveva timore
dell’inferno e di ciò che ci somigliava, ma solo
l’idea che il suo signore
potesse fargli domande su quanto gli aveva confessato lo faceva agitare.
“Perdonami,
Keros” sentì mormorare.
Il
mezzo
demone non riuscì a dire nulla. Rimase immobile, fissando il
soffitto.
“Perdonami..”
continuò il Dio delle illusioni, rimanendo steso e guardando
a sua volta il soffitto
“Il mio potere non ti ha guarito del tutto. Però
la ferita non è più mortale.
Ora devi stare tranquillo e riposare, e tutto passerà. Come
ti senti?”.
“Io..sono..sono
stanco!” riuscì a dire Keros.
“Lo
immaginavo. Hai perso molto sangue, ci metterai un po’ per
riprenderti. Ma sei
una creatura straordinaria, sono certo che in pochi giorni sarai di
nuovo te
stesso”.
“Grazie..”.
“Posso
stare
un po’ qui? Sono sfinito, ho consumato quasi tutta
l’energia vitale e devo
dormire”.
“Non
dovevate farlo..non dovevate consumare il vostro potere per
me”.
“I
poteri
tornano. La tua vita no”.
“Signore..”.
“E
perdonami
ancora. Le tue vesti erano fradice quando ti ho portato qui. La neve le
aveva
ricoperte. Per scaldarti, ho dovuto cambiarle. So che non volevi ma..ho
dovuto
vedere i disegni che hai sul braccio”.
Keros
girò
il volto, dalla parte opposta al suo padrone, percependo un nodo alla
gola. Non
voleva proprio che qualcuno li vedesse quei segni.
“So
che non
vuoi parlarne e che tu detesti quei simboli ma..io li trovo
bellissimi”
continuò il Dio.
Keros
si
rigirò. Non vi era traccia di menzogna nello sguardo del suo
signore. Era
sincero? Trovava davvero bellissimi quei simboli? Provò di
nuovo quel nodo alla
gola, ma questa volta era diverso. Si sollevò leggermente,
osservando ancora il
suo padrone negli occhi. Questi li girò, non capendo bene
che cosa stesse
facendo il suo servo.
“Bellissimi?”
chiese conferma il mezzo demone.
“Sì”
confermò il Dio “Lo trovi così
incredibile?”.
Keros
rimase
in silenzio, immobile. Il suo signore aveva l’aria sfinita e
lo vide socchiudere
gli occhi, per poi addormentarsi. Lo osservò ancora. I
capelli neri del Dio
erano spettinati per via dell’umido e del vento ed erano
tutti scomposti fra le
lenzuola. Notò che gli abiti che indossava erano gli stessi
con cui lo aveva
salvato, questo voleva dire che si era prodigato di sistemare al meglio
il
mezzo demone ma non se stesso. Keros trovò la cosa quasi
commovente, si sentì
lusingato. Si chiese perché, per quale motivo, una
divinità gli riservasse tante
attenzioni e cure. Si rigirò leggermente, attento a non
svegliare il suo
padrone. Sembrava così tranquillo, così
sereno..pareva quasi un angelo. Anche
se le ali erano richiuse e celate, quel volto era serafico. Il mezzo
demone non
distolse lo sguardo, ne osservò il respiro e le linee che ne
disegnavano il
viso. Con una mano, poi scostò un ciuffo dei capelli neri
del suo signore, che
asciugandosi si era arricciato e gonfiato, infastidendo il riposo del
Dio.
Questo gesto, scoprì in parte il collo della
divinità, che non aprì gli occhi
ma rigirò la testa verso sinistra. Keros, alla sua destra,
si irrigidì,
spaventato all’idea di averlo svegliato. Si accorse che non
era così e sorrise,
sollevato. Si accucciò di nuovo, ripensando a tante cose,
con lo sguardo fisso
sul suo signore. D’un tratto, di colpo, qualcosa si accese
nel mezzo demone,
che scattò in avanti e, come in un istante di follia, morse
il suo padrone.
Poco al di sotto del collo, Keros affondò i denti appuntiti
e sentì il sapore
dell’ikor del suo signore in bocca. Il Dio gemette,
destandosi, e lanciò un
piccolo verso di protesta. Il mezzo demone, tornando in sé,
subito si mosse
all’indietro.
“Oh,
mio
signore!” iniziò a dire, a fatica “Mio
signore, perdonatemi! Io..ma che mi
prende?! Non capisco! Vi chiedo scusa! Io..”.
Era
spaventato, confuso, e visibilmente mortificato. Il Dio invece, dopo il
sobbalzo iniziale dovuto al fatto che dormiva profondamente, pareva
tranquillo.
“Perdonatemi”
ripeté ancora Keros, tentando di farsi piccolo sotto le
lenzuola, incapace di
reggersi in piedi per scappar via come voleva.
“Keros!”
sorrise il Dio “Ma allora..mi ami davvero?”.
Il
mezzo
demone non rispose, si tirò le coperte sopra la testa. Il
Dio, che era steso
sul letto ma non sotto le lenzuola, ora vedeva solo un mucchio di
stoffe
arrotolate e qualche ribelle ciuffo rosso sul cuscino.
“Mi
hai dato
proprio un bel morso! Dai, vieni fuori da lì! Non fare la
tartaruga! Sei una
tartaruga?”.
Keros
si
raggomitolò ancora di più.
“Keros:
è un
ordine! Esci da lì!”.
Il
Dio
insistette ancora un po’, stuzzicando il mezzo demone con le
dita, ma poi,
sfinito, fece ricadere il braccio lungo il fianco. Dopo qualche
istante, Keros
scostò leggermente le coperte, spuntando con parte del viso.
Abbassò di poco le
orecchie a punta.
“Siete
così
stanco..per colpa mia?” domandò, a mezza voce.
“Ho
dovuto
curare anche me. Per fortuna mi ha aiutato Apollo..”.
“Ma
adesso..state bene?”.
“Devo
solo
dormire un po’. E starò benissimo”.
“Perdonatemi
per avervi svegliato. E per molte altre cose. Mi sento
così..”.
“Tu
parli
sempre troppo, Keros”.
Il
Dio ed il
mezzosangue rimasero ad osservarsi. Poi la divinità
accennò ad un sorriso.
“Calmati”
parlò piano Arles, notando come colui che aveva di fronte
continuasse ad essere
teso e nervoso.
Non
ne
capiva la ragione. Non capiva perché si agitasse tanto.
“Hai
seguito
il tuo istinto, Keros. Smettila di condannarti per questo. Vuoi che io
faccia
lo stesso?”.
“Eh?”
riuscì
solo ad esclamare il mezzo demone, alzando un sopracciglio e sentendosi
trascinare verso il suo signore.
I
due si
congiunsero in un bacio e Keros, in principio, lasciò che il
cosmo del suo
padrone lo avvolgesse. Ma dopo qualche istante si scosse e si
scansò.
“No!”
esclamò “Questo è..è tutto
sbagliato!”.
“Che
ti
prende adesso?” si stupì il Dio, perplesso.
“Voi
siete
sposato con Eleonore!”.
“E
con
questo? Non ricordo di aver chiesto la tua mano..”.
“Signore
io..fin dal primo istante in cui vi ho visto ho compreso di provare
qualcosa.
Non sapevo cosa, e mi ci è voluto un po’ per
capirlo, ma alla fine ho accettato
la sensazione. Solitamente, sono i demoni i tentatori ma, in questo
caso, siete
stato voi la tentare me, continuamente. Ogni vostro sguardo, ogni
vostra parola..
Adoro come il vostro cosmo mi culla e mi protegge. Ed ho sempre
desiderato ardentemente
un bacio da quelle vostre labbra. Però..so che non devo. Voi
non appartenete a
me, voi siete l’uomo di Eleonore. Il massimo a cui io possa
aspirare è un
sorriso e chiedo profondamente scusa per avervi morso. Spero possiate
perdonarmi”.
“Oh,
Keros.
Dovresti cercare di trovare più spesso il tuo lato da
demone, sai? Ti fai
troppi problemi. Ora perdonami ma..sono
sfinito. Voglio dormire. Ne parliamo domani, ok? Tu però
stai calmo, rilassati,
e cerca di riposare. Staremo meglio entrambi dopo un buon
sonno..”.
Il
mezzo
demone non sapeva che cosa dire. Vide che il suo padrone stava di nuovo
chiudendo gli occhi. In effetti, era pure lui molto stanco e lo sguardo
socchiuso del suo signore lo spingeva ad assopirsi. Vinto dalla
stanchezza e
dal potere del Dio che aveva accanto, Keros si addormentò,
appoggiato al suo
signore.
“Cosa
cazzo
mi hai fatto fare? Maledetta stronza! Fatti vedere!”
sbraitò Ares “Sentivo la
tua voce nella mia testa. Dove sei?!”.
“Smettila
di
urlare. Anche se gridi, non la vedrai comparire se non ha intenzione di
farlo”
tentò di zittirlo la creatura dalle ali d’angelo.
“Chi
è? Chi
è quella troia? È lei che ti ordina di tenermi
buono qui? Oppure sei tu? Che ti
diverti a prendermi per il culo?”.
“Respira,
Ares. E modera il linguaggio”.
“Non
darmi
ordini, strano coso!”.
“Sei
ferito?
Sento l’odore dell’ikor”.
Il
Dio della
guerra si guardò le mani. In un istante ricordò
quel che aveva fatto all’arena.
Non indossava più l’armatura e non vedeva la spada
ma ricordava di averla
infilata nel petto del figlio. Ebbe un sussulto. La creatura dalle ali
d’angelo
girò il capo, senza aprire gli occhi.
“Ho
ucciso
mio figlio?!” sbraitò Ares “E mia
sorella?! Che cosa mi avete fatto? Perché ho
agito in quel modo?!”.
“Eros?”.
“No!”.
“Un
altro
figlio?” cambiò, per la prima volta, tono di voce
l’essere che rimaneva
immobile e seduto.
“Che
intendi
dire?”.
“Pensavo
che
foste stati presi tutti insieme”.
“Presi?
Speravo che, alla fine, fossi stato solo io trascinato in questa
faccenda. Gli
altri, dove sono?”.
“Phobos
e
Deimos sono fondamentali per la riuscita di quel che lei ha in
mente”.
“Lei?
Allora
c’è una lei? E chi è?”.
“Mia
madre.
Se tu sapessi anche solo un minimo quel che compare nel tuo albero
genealogico
oltre a Zeus ed i Titani, forse capiresti”.
“Senti,
piccione
d’oro, io è già tanto se ricordo i nomi
dei miei fratelli, che sono una marea.
Figurati se tengo a mente i nomi dei trisavoli o peggio!”.
“Parlami
di
tuo figlio”.
“Quale?”.
“Quello
che
non è stato catturato”.
“Perché?
L’ho trapassato con la mia spada, non potete fargli
nulla!”.
“Parlami
di
lui. Com’è fatto? Che cosa fa?”.
“Ma
perché..?”.
“Obbedisci.
O ti scaravento contro la stalagmite laggiù!”.
Ares,
consapevole che quella creatura poteva non solo spedirlo contro la
stalagmite
ma anche impalarcelo, si sforzò di rispondere in modo
soddisfacente.
“Per
prima
cosa..” riprese l’essere “..di chi
è figlio? Afrodite? Ed è un Dio? E come mai
non vive al palazzo con te?”.
“Non
è
figlio di Afrodite. È figlio di Sophia, una degli angeli. E
lui lo è in parte.
Ed in parte è un Dio, delle illusioni. Non vive con me
perché ha un suo
palazzo”.
“Ma..è
un
Dio Greco?”.
“Non
saprei.
Io so che ho un figlio fra gli Egizi, ma questo a voi non
interessa”.
“Di
Kanon
ero a conoscenza. Ma di questa creatura che tu parli non ho le idee
chiare..”.
“È
il
gemello di Kanon”.
“Ah,
è lui!
È un mezzo angelo? Ammetto di non averlo osservato
ultimamente”.
“Ma
che
sei?! Uno stalker?! Perché spii i miei figli?”.
“Non
li
spio! Li osservo. Come si chiama?”.
“Ha
tanti
nomi..quello vero solo sua madre sa quale sia. E sua madre è
morta”.
“Come
mai ha
tanti nomi?”.
“Perché
è
tante cose. È come se avesse vissuto molte vite..”.
“Molte
vite?
E come è fatto? Qual è il suo vero
aspetto?”.
Dopo
che
Ares ebbe descritto il figlio, la creatura si mosse leggermente. Per la
prima
volta, aprì gli occhi. il Dio della guerra
sussultò, perché non erano due come
si aspettava, bensì quattro.
“Che
roba
sei tu?” riuscì a dire e l’essere
sorrise, voltandosi verso il Dio.
“Oh..”
si
limitò a commentare “..hai ancora tutti i tuoi
colori”.
“Che
cazzo
vuol dire?”.
“Non
importa. Ad ogni modo, sta tranquillo. Tuo figlio è vivo.
Solo che mia madre
non deve saperlo”.
“A
che gioco
state giocando, voialtri?!”.
“Lei
ti
userà ancora. Non puoi evitarlo”.
“La
tua
mammina?”.
“Non
farei
tanto lo stronzo, se fossi in te. Non so che cosa esattamente abbia in
mente.
Vedi..io comprendo e conosco ogni cosa ma mia madre non riesco ad
interpretarla. Lei agisce come meglio crede e nessuno può
opporsi”.
“La
rompo la
faccia in due se solo osa avvicinarsi!”.
“Ti
userà.
Ti consiglio di non opporre troppa resistenza, se non vuoi subirne le
conseguenze. Una volta che avrà ottenuto quel che desidera,
sarai libero”.
“Ed
i miei
figli? I miei nipoti?”.
“Non
so
dirti che cosa abbia in mente di farci, con esattezza. So che per ora,
per quel
che mi risulta, sono vivi. Ma in futuro..chi lo sa?”.
“Chi
lo sa?!
Vedi di riferire a quella grandissima puttana di tua madre che io,
Ares, non
sono un giocattolo e non mi farò usare! Preferirei morire,
piuttosto”.
“Benissimo.
Allora credo proprio che sarà quello il tuo
destino..”.
Keros
si
svegliò. Uscì dalla sua stanza, piuttosto
confuso. Le ferite, anche quella più
grave, gli provocavano solo un lieve fastidio. Si incamminò
lungo il corridoio
e si sentì chiamare per nome. Sollevando la testa, vide
Eleonore, che lo
raggiungeva e lo abbracciava forte.
“Keros!”
esclamò lei “Per fortuna stai bene! Che spavento
che mi hai fatto prendere!
Come stai? E Ary?”.
“Il
divino
Arikien sta riposando. Io..io sto bene..però..”.
“Però?
Che
cosa c’è? Hai fame? È quasi ora di
pranzo. Vieni nel salone con il camino, così
ti scaldi e mangi assieme a noi”.
“No,
non
servono tutte queste premure. Io..signora, ho fatto una
cosa..terribile!”.
“Che
cosa
hai fatto? Che cosa è successo?” si
allarmò lei, notando lo sguardo del mezzo
demone.
“Io..chiedo
scusa!”.
Keros
si
gettò in ginocchio, chinando il capo. Eleonore si
chinò a sua volta,
sfiorandolo con una mano, senza capire.
“Oh,
lady
Eleonore!” riprese lui “Mi sono comportato in un
modo che non è degno di me. Ho
agito in modo sconsiderato e crudele. Se vorrete scacciarmi, io lo
capirò”.
“Scacciarti?!
Ma perché? Che avrai mai fatto?”.
“Ho
usato i
miei poteri. I miei poteri da demone tentatore, che confonde e porta a
compiere
atti di puro istinto. Lui era stanco ed io..non era mia intenzione, ma
devo
averlo fatto, perché mi ha baciato. Ed io l’ho
morso! Vi chiedo scusa! Merito
di essere punito”.
“Non
sto
capendo niente, Keros” sorrise Eleonore “Spiegati
meglio. Credi di aver
condizionato la mente di Ary? E questi ti ha baciato?”.
“Sì..io..io
lo amo. Perdonate questi miei sentimenti. Non è mia
intenzione turbare in alcun
modo il rapporto perfetto che c’è fra
voi”.
“Che
tu lo
amassi, questo lo sapevo già”.
“Veramente?!”.
“Certo.
Sono
una donna, so cogliere certi segnali. Che Ary ne sia del tutto
incapace, è
un’altra faccenda. Però ho notato che tiene molto
a te. I sentimenti che prova
nei miei confronti non sono mutati ma lo sento allo stesso tempo molto
vicino a
te. Se poi lui non è in grado di capire quel che prova o
quel che sente, è un
discorso a sé. Devo ammettere che è un uomo dalle
grandi capacità ma quando si
tratta di rapporti interpersonali è..piuttosto
stupido”.
“Io..non
vi
capisco..”.
“Ary
ama me,
mi ama profondamente. Ma non credo che sia stato il tuo potere a
spingerlo a
baciarti. Hai mai sentito la storia di Ganimede? O di altri giovani,
legati
alle divinità?”.
“Vagamente,
signora..”.
“Pare
che
gli Dei, prima o poi, si ritrovino sempre ad avere a che fare con
qualche
giovane di bell’aspetto. Ed a quanto pare le Dee loro spose
non hanno più di
tanto avuto da ridire. Keros, lui mi ama come il primo giorno, non
potrei
chiedere di più. È un marito splendido ed un
padre perfetto. Se tu fossi una
creatura diversa da quella che sei, probabilmente mi arrabbierei. E
anche
molto. Ma tu sei tu! Sei Keros, colui che ha scacciato gli incubi e
protetto il
suo signore con una fedeltà che difficilmente si trova
altrove. Keros..se tu lo
sfruttassi, se tu fosti una sorta di essere malvagio che porta mio
marito a compiere
azioni sconsiderate e crudeli allora sì, ti odierei e ti
scaccerei. Ma tu, come
già ti dissi in passato, sei una benedizione”.
“Ma,
signora! Io..”.
“Alzati,
coraggio. Facciamo così: se Ary si sveglierà e si
scoprirà che tu lo hai
plagiato, allora prenderemo provvedimenti. Se davvero hai osato
approfittare
della debolezza del tuo signore per spingerlo a fare cose inappropriate
e che
non desiderava, allora verrai punito. In caso contrario..tutto
sarà come prima,
o quasi. E adesso andiamo nel salone, ti faccio portare qualcosa da
mangiare”.
Appena
vi
mise piede, Keros fu accolto dalle grida dei cavalieri. Si
stupì di questo e
per qualche istante rimase immobile sulla porta.
“Eccolo!”
esclamò Aphrodite “Il nostro Keros!”.
“Sei
stato
un grande all’arena” si unì Shura.
“Sì,
quel
gancio che hai tirato ad Ares..wow!” sorrise Milo.
“E
quella
barriera di protezione! Straordinario il potere che hai!” si
aggiunse Camus.
“G..grazie..”
riuscì solo a dire il mezzo demone, avvicinandosi al fuoco.
“Ci
hai difesi.
Ti dobbiamo ringraziare” si alzò Aiolos, facendo
un lieve inchino.
“Non
ho
fatto niente di speciale” si affrettò a dire
Keros, senza distogliere lo
sguardo dal fuoco.
“Ti
chiediamo scusa se ti abbiamo sottovalutato” insistette
Aiolia.
“Sì,
ti ho
preso per il culo, non dovevo!” ridacchiò
Deathmask “Non lo farò più, lo
giuro!”.
“Un
applauso
al nostro Keros!” propose Sophia.
“Hai
tirato
un pugno a nonno Ares” rideva uno dei due giovani gemelli di
Arles “Chissà come
si è incazzato!”.
“Sì,
ma
dovevate vederlo!” confermò Dohko “Non
si è fatto intimorire. Non è
indietreggiato nemmeno di un passo! Keros, sei una creatura molto
coraggiosa. E
non importa se sei angelo, demone, umano o che ne so io! Brindo in nome
tuo!”.
Keros
non
rispose. Si limitò a fare un cenno con la testa.
“Ragazzi!”
lo giustificò Eleonore “Non scombussolatelo
così! Non vedete che è ancora molto
stanco e provato? Festeggeremo in nome suo appena si sarà
ripreso del tutto,
vero?”.
I
cavalieri,
in attesa del pranzo, annuirono e sorrisero, alzando i calici in nome
di
quell’insolito nuovo compagno di battaglie. Keros
sospirò. Aveva paura, lo
doveva ammettere. Paura che il suo signore, una volta destato, provasse
rabbia
nei suoi confronti. Perché non era stato in grado di
controllarsi e tacere? Non
voleva essere scacciato, adorava quella casa. Era l’unico
posto in cui voleva
stare! Provava una tale rabbia nei confronti di se stesso, da provare
la
tentazione di bruciare in quel fuoco che ardeva davanti a lui. Inoltre,
era
ancora scosso per quanto successo all’arena. Trattenne il
fiato, quando la
porta si aprì ed entrò il suo padrone. Tutti si
zittirono, vedendolo
stranamente comparire con il suo vero aspetto. Con una mano, teneva
chiuso un
mantello bianco sul petto. I lunghi capelli neri erano tutti spettinati
e
disordinati. Sbadigliò e si stiracchiò.
Così facendo, le immense ali si
allungarono fino quasi oltre la lunghezza del tavolo. Sophia lo
raggiunse,
l’unica sua creatura ad aver ereditato quelle ali.
“Che
bello
vederti in piedi, papà” commentò la
fanciulla “Hai riposato bene?”.
“Certo.
Ti
ringrazio” annuì il padre.
“La
ferita?
Stai bene?” si accertò Eleonore.
“Tutto
risolto. Rilassatevi!”.
“Meraviglioso!
Allora vieni a mangiare, sarai affamato dopo aver consumato tante
energie!”.
Il
Dio mosse
qualche passo, assonnato. Eleonore non riuscì a stare seduta
e raggiunse il
marito, dedicandogli un lungo bacio.
“Smettila
di
farmi preoccupare!” mormorò poi, sforzandosi di
sorridere.
Era
sollevata all’idea che il compagno stesse bene ma era molto
in preoccupata al
solo pensiero che potesse succedere ancora
qualcosa di grave. Arles la rassicurò. Con un altro
sbadiglio, tolse il
mantello e lo poggiò sulle spalle di Keros, che
sussultò. Con le mani poggiate
sulle spalle del mezzo demone, che non distoglieva lo sguardo dal
fuoco, il
padrone di casa si chinò leggermente per raggiungere
l’orecchio del suo servo.
“Come
ti
senti?” domandò a bassa voce “Tutto bene
con la ferita?”.
“Sì..tutto
bene..” mormorò Keros.
“Purtroppo
non sono riuscito a guarirla del tutto. Ti infastidirà
ancora un po’. Se
dovesse sanguinare di nuovo, ti prego di avvisarmi, così che
io possa
aiutarti”.
“Grazie..non
è necessario..”.
“Non hai toccato
cibo. Magari la debolezza può
darti dei fastidi allo stomaco ma devi sforzarti di mangiare. Noi
cavalieri
sappiamo bene che una buona mangiata aiuta a recuperare le energie,
vero
ragazzi?. Hai sanguinato a lungo..mangia almeno un po’. Quel
che non ti va,
lascialo pure. Ma almeno qualcosa devi..”.
“Va
bene,
signore. Smettetela di preoccuparvi per me”.
“Ok..non
ti
agitare. Hai freddo? Stai tremando”.
“Un
po’.
Ma..”.
Il
Dio
inclinò leggermente la testa e diede un piccolo bacio a
Keros, che divenne
dello stesso colore dei propri capelli.
“Va
meglio,
adesso?” sorrise il padrone di casa.
“Eh
no!”
esclamò Aphrodite, sbattendo entrambe le mani sul tavolo
“Non si fa così!”.
Stupidi
dalla reazione di Pesci, l’intera compagnia lo vide
scavalcare la tavola che
aveva davanti per raggiungere il mezzo demone ed il Dio. Senza dare
modo alcuno
ai due di reagire, diede un bacio ad entrambi e poi provò a
fare lo stesso con
tutti gli altri cavalieri, ripetendo un “o tutti o
nessuno”. Ovviamente
fra i saint si udirono diversi
“stai lontano da me”, invani. Keros, sconvolto da
quanto successo, rimase
immobile, mentre il suo signore si diresse verso la propria sedia.
“Vieni
a
mangiare” ordinò il padrone di casa
“Mangiate tutti. Abbiamo molte cose da
fare. Dobbiamo scoprire la verità”.
“Sì,
voglio
capire dove è andata a finire mia moglie!”
annuì Milo.
Arles
stava
per sedersi, quando il mezzo demone lo raggiunse. Senza dire nulla, lo
abbracciò.
“Signore..”
parlò piano “..ditemi che tutto questo non
è un sogno. Che non mi sto
immaginando tutto, che non è una semplice illusione.
Perché in quell’arena..ho
visto la spada di Ares trapassarvi il cuore! L’ho visto, ne
sono sicuro! E sono
stato così male! Mi sono sentito di colpo smarrito.
Perché questo è il posto
dove voglio stare e se voi eravate morto, come credevo, io dove potevo
andare?
Senza di voi, che senso avevo? Ho inseguito Ares con
l’intento almeno di
vendicarvi ma sono così inutile che non ci sono riuscito.
Sono stato ferito e
non ho potuto far altro che tentare di tornare qui, perché
non sapevo che altro
fare. Ma lungo il cammino mi chiedevo per quale motivo dovevo tornare
qui, dato
che voi non c’eravate più. Ero pronto a morire
e..forse sono morto perché da
quel momento sono successe tante cose che non mi paiono vere. Quel che
vi ho
detto, quel che ho fatto..io..spiegatemi come stanno le cose,
perché io non lo
capisco”.
“Keros,
nessuna illusione. Sono stato trafitto davvero da quella spada. Se non
avessi i
miei poteri di guarigione, non so dove sarei ora. Ma io sono
particolare, lo
sai. E sono fortunato. Sai perché? Perché,
nonostante questo mio cuore ne abbia
passate di tutti i colori, trafitto dal mio stesso pugno, accelerato
dal
terrore, colpito da frecce e da spade, riesce sempre e comunque a
battere.
Battere per i miei compagni, con i quali ho lottato molte volte.
Battere per
chi crede in me ed in me confida. Battere per i miei figli, di cui sono
orgoglioso. Battere per la mia famiglia, per i miei fratelli che voglio
ritrovare e per mio padre e la sua sete di sangue. Battere, ovviamente,
per la
mia amata Eleonore, la donna che amo sopra ogni altra cosa al mondo e
che
riesce ad avere sempre la forza per sostenermi. E battere per te,
Keros. Dono
del destino, ne sono certo, che scaccia i miei incubi ed è
disposto a morire
per me. E mi lusinga che un po’ anche il tuo cuore batta per
me..”.
“Oh,
ma vi
sbagliate!” esclamò Keros “Il mio
cuore..batte solo per voi! Non solo un
po’..”.
Scese
il
silenzio.
“Dopo un discorso
così..” sorrise Eleonore
“..nemmeno un bacino? Su, a tavola. Se no si
fredda”.
“Sì,
meglio”
mostrò la lingua Arles “Cambiamo argomento e via!
Cerchiamo di tornare seri..”.
Seduti
finalmente a tavola, l’intera compagnia iniziò a
mangiare.
“Ma..è
squisito!” si stupì Keros “Chi ha
cucinato?!”.
“Noi”
risposero, in coro, molti dei presenti.
“Abbiamo
fatto un casino in cucina!” risero i due giovanissimi gemelli
di Arles.
“Sì,
è vero”
confermò Shura.
“Ma
alla
fine, ne è valsa la pena, no?” volle sapere
Aldebaran.
“Sì,
è molto
buono” annuì il padrone di casa “Non
saprei che cosa sia, pare un misto di
tutto quello che esiste al mondo ma..è decisamente
buono”.
“Buon
appetito!” sorrise Sophia.
“E
adesso,
che facciamo?” domandò Milo, dopo aver mangiato il
terzo dessert di fila “Come
agiamo?”.
“Io
ho
seguito Ares fino ad un punto. Forse, partendo da lì, si
può capire dove si
nasconda” rispose Keros, deciso a battere Milo in numero di
budini consumati in
pochi minuti “Però..non sono sicuro che
quell’essere fosse Ares!”.
“Nemmeno
io”
concordò Arles “Ha mosso dei passi di danza, che
mai farebbe davanti agli altri
Dei se non da sbronzo! Inoltre..dov’erano i miei fratelli?
Phobos e Deimos si
muovono sempre assieme a papà, specie se papà
è in vena di scatenare risse!”.
“Poi
i suoi
colpi..i colpi che mi ha rivolto non erano quelli tipici di Ares! E
quella cosa
che avete estratto dalla mia ferita..che cos’era?”.
“Non
ne ho
idea..”.
“Noi,
nel
bosco..” si intromise Aphrodite “..siamo stati
assaliti da creature striscianti
fatte d’ombra. Poi si sono dissolte, assieme a
quell’uomo, ma..”.
“Un
uomo?
Fatto di ombra e serpenti?” chiese conferma il Dio delle
illusioni.
“Più
o meno.
Ma non penso fosse il suo vero aspetto”.
“Purtroppo,
sono molte le divinità legate ai serpenti”.
“Credi
possa
avere a che fare con quanto accaduto ad Ares ed il suo
seguito?” si preoccupò
Milo “Pensi ad un rapimento?”.
“Non
lo so,
Milo. Sto cercando di capirci qualcosa. Non so bene come muovermi.
Molte
divinità avrebbero potuto agire insieme per creare quel che
avete visto..”.
“E
chi può
spingere Ares a muoversi in quel modo?” fu invece la domanda
di Aiolia.
“Mio
padre è
un Dio piuttosto elementare, sotto certi punti di vista. Penso che
anch’io, se
lo colgo nel momento opportuno, sono in grado di possederlo. Ma
spingerlo a
colpire sua sorella gemella Eris e poi me ed Eros..è una
cosa diversa. Inizio
veramente a pensare che vi sia un gruppo di Dei coalizzati contro di
noi. Non
so a che scopo..”.
“In
questo
caso..” strinse i pugni Milo “..spero di trovarli e
riempirli di botte. Così
imparano a toccare la mia Mirina e giocare con me!”.
Ok, basta con le smancerie XD Dal prossimo
capitolo si riparte con gli scontri. Chiedo perdono per la parentesi
“pucciosa”, spero non vogliate uccidermi ma tento
invano di ritrovare il "lato romantico" XD Ho notato però
che l’Olympus 3 ha
più riscontri positivi rispetto al due. Ne sono felice! A
prestissimo con il
capitolo successivo!
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Capitolo 11 *** XI- Impazienza ***
XI
IMPAZIENZA
Finalmente
Kiki e Mur avevano finito di riparare le armature dalla pioggia di
fuoco e
sangue provocata da Ares. Era stato un lavoro lungo e impegnativo, che
aveva
impegnato i due per diversi giorni. Con il torneo sospeso, i saint
passavano il
tempo ad allenarsi e perdere tempo ormai da quasi una settimana.
Stavano
lentamente imparando a riconoscere le varie creature che periodicamente
si
aggiravano per il tempio del Dio delle illusioni. Pensavano di essere
riusciti
a quantificare, anche se con molti dubbi, il numero esatto dei figli di
colui
che si ostinavano a
chiamare Saga o
Arles. Non erano riusciti a giungere ad un compromesso definitivo,
perché i
piccoli di casa non si vedevano spesso e quelli in grado di muoversi
autonomamente non stavano praticamente mai fermi. Chiedere al padrone
di casa
quanti fossero, pareva brutto. Non volendo disturbare troppo gli
ospiti,
mangiavano nello stesso loro tavolo solo gli eredi più
grandi. Dal quel che
erano riusciti a capire, i gold erano riusciti a cogliere alcuni numeri
ed
informazioni. Sophia, la figlia più grande, era nata in
Grecia. Dopo di lei,
venuti al mondo in India, vi erano i due gemelli. Quei ragazzi, in
piena
adolescenza, erano i più chiassosi ed impiccioni della casa
e portavano il nome
di Iravan e Iravat. Sempre in India, grazie ad un soggiorno
particolarmente
lungo, era comparsa Yashila, di poco più piccola dei
gemelli. In Cina, Eleonore
aveva messo al mondo Xue , una bimba di ormai quasi dieci anni. In Giappone, pochi anni
più tardi, erano nate
, Emiko ed Echiko, gemelle. In Russia, la coppia aveva avuto Roslan,
che da
poco iniziava a leggere. Durante una visita dall’Egiziano
Kanon, era stata
concepita Faram e invece dal precolombiano Tolomeo era nato Azlan.
Tornati in
Grecia, avevano visto la luce i gemelli Neilos e Nitsa, un maschio ed
una
femmina. Avevano circa due anni ed ogni tanto facevano la loro
comparsa. I
cavalieri sapevano che c’era almeno un’altra
creatura in quella casa, perché
ogni tanto la si sentiva piangere ed era un pianto quasi da neonato.
Però non
potevano sapere quanti piccoli esattamente si celassero fra quelle
mura, perche
Eleonore teneva nascosi i più piccini gelosamente. I bambini
ed i ragazzi, dal
canto loro, non stavano troppo a preoccuparsi di ricordare i vari amici
di
papà. In quei giorni, si preoccupavano solo di giocare il
più possibile con
l’abbondante neve caduta e in questo i saint li aiutavano
volentieri.
Kiki
e Mur
si stavano giusto iniziando a rilassare, sorridendo ai bambini della
casa che
avevano voluto assistere alle riparazioni delle armature con
curiosità, quando un
vociare allegro dall’esterno annunciò
l’arrivo di Afrodite. La Dea della
bellezza, assieme alla bimba avuta da Ares, Neith, si stava avvicinando
al
tempio. Con lei, ovviamente, vi erano anche Eros ed Anteros. Keros,
come
sempre, raggiunse quegli ulteriori ospiti e li invitò ad
entrare.
“Dov’è
il
tuo padrone?” domandò la Dea, con un mezzo sorriso.
“Sta
animatamente discutendo con suo zio” rispose Keros, lanciando
una rapida
occhiata ad Eros.
“Quale
zio?”.
“Quello
con
le corna”.
“E
quante
volte te lo devo ripetere?!” sbraitò Lucifero
“Devi piantarla di ficcarti
sempre nei casini!”.
“Ma
cosa ti
importa?!” ruotò gli occhi Arles “Non
sono mica morto! E poi, anche se lo
fossi, non dovrebbe riguardarti”.
“Tu
sei il
figlio di mia sorella, della mia amata Sophia. Sei la cosa che per me
più si
avvicina all’idea che ho di figlio”.
“Ma
non sono
tuo figlio. E nemmeno il tuo successore, perciò calmati. E
poi..hai rischiato
anche tu!”.
“Io
è da
anni che attendo l’occasione per poter riempire di botte tuo
padre! E tu lo sai!”.
“Lo
so bene
e potevi anche farlo, per quel che mi riguarda. Piuttosto..come stai?
Le ferite
sono rimarginate?”.
“Che?”.
“Ti
ho fatto
una domanda. Cos’è che non capisci? Come stai?
Stai bene?”.
“È
una
domanda che non mi rivolge mai nessuno. Ad ogni modo..sto bene, grazie.
Ma
starei meglio se mio nipote non fosse un coglione!”.
“Che
ho
fatto?!”.
“E
Keros!
Dov’è Keros?! Devo prenderlo a sberle con le mie
mani!”.
Proprio
in
quel momento, il mezzo demone era apparso, bussando educatamente. Dopo
aver
domandato perdono per l’intrusione, aveva informato il suo
signore che Afrodite
era giunta al tempio.
“Proprio
te
volevo!” lo fermò al volo Lucifero, prima che
uscisse di nuovo dalla stanza con
un inchino “Vieni qui!”.
Keros
fissò
il suo padrone, che alzò le spalle, non sapendo che cosa lo
zio volesse.
“Quante
volte te l’ho ripetuto?” riprese il demone.
“Ripetuto
che cosa?” storse il naso Keros.
“Di
non
usare i tuoi poteri da mezzo sangue davanti a tutti! Ora ho Mihael che
mi rompe
le palle tutto il giorno chiedendomi chi tu sia e che cosa tu faccia.
Perché ha
capito che il potere che hai non è demoniaco ma di natura
angelica. Ti rendi
conto di quel che hai fatto, usando quella tecnica?”.
“Certo”
annuì il sanguemisto “Ho aiutato il mio signore e
salvato delle vite”.
“Non
è
questo il punto, idiota! Tu sei una creatura che non dovrebbe esistere
e che
rischia gravi conseguenze se le alte sfere in cielo ne vengono a
conoscenza.
Perché, se è evidente che Dio se ne sbatta le
palle perché altrimenti non
saresti mai nato, i suoi sottoposti dalle ali candide sono degli
impiccioni e
degli spacca balle! Cercheranno in ogni modo di capire di chi tu sia
figlio e
di trovare il modo per punire te e chi ti ha generato!”.
“Mia
madre è
morta. Mio padre non so chi sia. Ergo..hem..sticazzi?”.
“Ma
come
sarebbe a dire?!”.
Lucifero
era
rimasto sconcertato da quella risposta, e dalla risata trattenuta a
stento del
nipote. Quei due cretini era evidente che non comprendessero quel che
poteva
succedere! Ringhiando, si mosse in avanti per colpire Keros ma si
sentì
trattenere per un polso.
“Come
osi?”
sibilò, rivolto al Dio delle illusioni.
“Non
colpirai il mio Keros” rispose, convinto, il padrone di casa.
“E
come
pensi di impedirlo?”.
“Vuoi
davvero scoprirlo?”.
“Insolente
marmocchio. Io ti..”.
“No,
vi
prego” interruppe Keros “Non venite alle mani per
me. Signore, Lucifero ha
ragione. Non dovevo mostrare in modo così deliberato il mio
potere. Però, se
dovessi tornare indietro, rifarei la stessa cosa. Vi ho aiutato,
è questo quel
che conta per me. Se gli angeli mi verranno a cercare per
eliminarmi..beh, si
accomodino! Sono pronto ad affrontarli”.
“Tu
non sai
quel che stai dicendo” scosse la testa Lucifero, finalmente
rilasciato dal
nipote.
“Io
lo
difenderò” parlò il Dio “Che
provino pure a fargli del male, se hanno fretta di
venir rispediti a calci in culo da dove sono venuti. Stessa cosa vale
per i
demoni”.
“Sei
coraggioso”
ghignò il diavolo “Ma tanto, tanto stupido. Contro
certe milizie, non potresti
fare molto”.
“Staremo
a
vedere”.
Lucifero
ruotò gli occhi: che nipote testardo che aveva. E Keros era
ancora peggio! Poi
il suo sguardo cadde su un dettaglio che fin ora non aveva notato, ed
alzò un
sopracciglio, perplesso.
“Tua
moglie
lo sa che ti diletti con qualche creatura demoniaca?”
domandò, indicando il
nipote.
“Di
che
parli?”.
“Parlo
del
segno che hai sotto il collo. Quel morso..so riconoscere il marchio
lasciato da
un altro demone, mio caro nipote”.
“Questo?”.
Il
Dio
scostò la stoffa che lo copriva in parte, mostrandolo nella
sua interezza.
Lentamente, attorno al segno dei denti, si stava creando un disegno blu
scuro,
simile ad un sole tatuato.
“Curioso..”
commentò ancora Lucifero “..pare uno di quegli
strani segni che ha Keros sul
braccio..”.
“Già..che
casualità, non trovi?”.
“Cosa
stai
cercando di farmi credere? Conosco Keros! Non è il tipo che
morde. Meno che mai
te, il suo adorato e venerato, intoccabile, signore”.
“Evidentemente,
non lo conosci affatto”.
“Cioè..mi
stai dicendo..che voi due..?”.
“Hai
forse
qualche cosa da ridire?”.
“No,
assolutamente no. Per carità..chi sono io per giudicare? Non
me lo aspettavo,
tutto qui. E Eleonore?”.
“Lo
sa e
apprezza l’idea”.
“Ottimo.
Mio
nipote intreccia relazioni extraconiugali con un semidemone. Questo
sì che
mette a dura prova la tua purezza angelica! Che meraviglia! Non potrei
chiedere
di più! Bravo, Keros!”.
“Ma..non
è
mia intenzione!” si affrettò a dire il mezzosangue
“Non è mia intenzione far cadere
o spegnere il mio signore!”.
“Non
sarai
certo tu a corrompere la mia anima” ghignò Arles
“Che di per sé è già nera da
tempo. Non riesco proprio a comprendere come io possa avere ancora quel
lato
angelico che Mihael tanto ammira. Inoltre, ve lo ricordo, io non sono
mai
asceso perciò nemmeno mai cadrò”.
“Stai
attento a come parli. Il cielo ha orecchie dove nemmeno
immagini” lo zittì
Lucifero “Magari non cadrai come me, ma è sempre
meglio evitare di attirare su
di sé le ire divine”.
“Io
sono un
Dio. Le uniche ire divine che mi spaventano sono quelle che posso
scatenare io
quando perdo il controllo. E basta. Per quanto riguarda il resto..Keros
appartiene a me, per sua scelta. Ed io appartengo a lui, con questo
morso,
anche se lui non si sente degno di questo. Perciò nessuno
potrà portarlo via da
me e da questa casa fino a quando non sarà lui stesso a
volerlo. Spero che
questo sia chiaro”.
“Ary..non
devi parlare con me!” lo fissò Lucifero
“Ma con chi mi ha dannato. Spero che a
Mihael non venga dato l’ordine di eliminarti, Keros. Mi
dispiacerebbe. E
speriamo che gli angeli non ficchino troppo il naso. Mi spiacerebbe
aver coperto
tuo padre per più di 1300 anni inutilmente!”.
“A
questo
proposito..” azzardò Keros “..non si
potrebbe sapere qualcosa di più? Ormai
sono cresciuto a sufficienza da accettare la realtà,
qualunque essa sia. Almeno
i nomi dei miei genitori..e chi dei due era l’angelo e chi il
demone!”.
“Ho
come il
presentimento che presto lo verrai a sapere, e solitamente i miei
presentimenti
non sbagliano mai..”.
“Vi
aiuto?”
domandò Neith, avvicinandosi a Kiki e Mur.
“Ti
ringrazio, ma abbiamo finito” rispose Mur, accarezzandole la
testa.
“Peccato.
Volevo giocare con l’armatura scintillante!”.
“La
prossima
volta ti avvisiamo, così ci aiuti”.
“Bello!
Grazie!”.
Kiki
sorrise. La bimba si era messa a giocare con uno degli elmi
d’oro. Il Sacerdote
rimase ad osservarla. Percepiva in lei un singolare potere,
probabilmente
derivato dai suoi geni divini. La piccola mimò dei movimenti
di lotta, appresi
osservando il padre Ares ed i fratelli. Con l’elmo dello
Scorpione in testa era
quasi ridicola ed inciampò sulla coda, finendo in terra e
ridendo.
“Ti
sei
fatta male?” si preoccupò Mur.
“Ma
no,
certo che no!” ghignò lei “Sono figlia
di Ares, mica una principessina delle
favole! E sono qui per dire al mio fratellone Arikien che deve
muoversi! Che
cosa sta aspettando? Rivoglio il mio papà!”.
“Tuo
fratello sta facendo del suo meglio. Ma è stato ferito
e..”.
“E
non è una
scusa! Muoversi! Bisogna muoversi!”.
Il
Dio delle
illusioni, una volta ottenuto l’elmo di suo padre dalla Dea
Afrodite, aveva
richiesto il consiglio di Apollo. Attendeva che comparisse, seduto
accanto al
camino in una posa molto simile a quella che solitamente aveva Shaka,
nel vano
tentativo di trovare una certa pace interiore. Alle sue spalle, Keros
ne stava
sistemando i capelli. Aphrodite, Deathmask e Shura erano a loro volta
in quella
stanza, desiderosi di capire che cosa il loro antico Sacerdote avesse
intenzione di fare. Il grosso pennacchio dell’elmo del Dio
della guerra si
riempiva di sfumature inquietanti, illuminato dal fuoco. Arles lo aveva
poggiato in terra e lo fissava. Pesci si era seduto accanto a Keros,
osservandone i rapidi movimenti delle mani. Con maestria, il mezzo
demone stava
intrecciando e pettinando i lunghissimi capelli neri del padrone di
casa,
riempiendoli di catene e punti luce in oro, ricreando una pettinatura
molto
simile a quella di una divinità indiana.
“Mi
insegni?” domandò Aphrodite.
“Non
è difficile.
Fai come me” sorrise Keros “Prendi un
ciuffo”.
Arles
girò
solo gli occhi, lievemente preoccupato. Poi tornò a fissare
l’elmo, perplesso.
Pesci seguì i movimenti di Keros, che intrecciava un ciuffo
e ne infilava delle
perle. In quel momento, Deathmask e Shura ringraziarono il cielo di
avere i
capelli corti.
“Ma che belle
signorine” ridacchiò Hades,
entrando nella stanzia buia “Vi fate i capelli e le unghie
stile pigiama party
da liceali cretine?”.
“Almeno
io
non mi pettino con i petardi..” commentò Keros,
restando stranamente calmo e
continuando ad intrecciare capelli e perle oro.
“Come
hai
detto, scusa?!”.
“Hai
sentito
benissimo!”.
“Che
bravo
cagnolino che hai, Arikien” ghignò Hades, tastando
un paio di volte la testa
del mezzo demone come se fosse un animale.
Il
padrone
di casa fece per rispondere ma dovette fermarsi, perché
Keros si era infuriato
e questo lo aveva portato a tirare i capelli neri del suo signore in
modo
incontrollato, ringhiando. In mezzo ad uno scambio di insulti fra Hades
ed il
mezzo demone, Arles tentava invano di farsi rilasciare i ciuffi stretti
fra le
mani di Keros.
“Basta!”
esclamò
poi, tenendosi il capo “Ho già un mal di testa
assurdo da giorni, senza che vi
ci mettiate anche voialtri! Hades: fatti i cazzi tuoi! Io faccio quel
che
voglio con il mio demone a casa mia. Se ne vuoi uno tutto per te,
vattelo a
cercare! E Keros..apprezzo il tuo lato demoniaco ma magari vedi di
sfoggiarlo
non quando hai i miei capelli fra le mani, grazie”.
“Ops..Scusi..”
mormorò piano Keros, resosi conto di quel che stava
combinando e rilasciando
subito la capigliatura del suo signore.
Per
fortuna
aveva fatto il suo ingresso il Dio Apollo, che non volle commentare la
scena
che aveva appena visto. In silenzio, si inginocchiò davanti
all’elmo, di fronte
ad Arles.
“Come
credi
che io ti possa aiutare, Arikien delle illusioni?” chiese poi.
“Il
tuo
potere è anche quello della preveggenza” rispose
il padrone di casa “Scorgo
qualcosa su quest’elmo, ma non riesco a capire che cosa. Il
mio servo mi ha
confessato di aver percepito una presenza, prendendolo fra le mani, ma
di non
essere in grado di identificarla”.
“Il
tuo
servo ha le visioni?”.
“A
volte”.
“Che
creatura piena di sorprese.. e che altro sai fare, Keros?”.
“Io
vedo le
cose nel fuoco” informò il mezzo demone, sempre
alle prese con i capelli del
suo padrone “Ma il mio signore non vuole che lo faccia
adesso, perché dice che
potrebbe essere pericoloso”.
“Ha
ragione”
annuì Apollo “La tua ferita è recente e
sei ancora debole. Rischi di farti del
male. Inoltre, ora ci sono io e vediamo che cosa quest’elmo
mi saprà dire”.
Il
Dio
allungò le mani verso l’elmo del fratello minore e
nella sala scese il
silenzio. Erano tutti incuriositi e fissavano Apollo, che aveva chiuso
gli
occhi.
“Che
strano..” mormorò poi “..percepisco
Ares. Eppure..”.
“Anche
io lo
percepisco. Ma c’è qualcos’altro, che
non riesco a capire” confermò Arles.
“Esattamente.
Metti anche tu le mani sull’elmo assieme alle mie, cerca di
vedere quel che
vedo io. Sei il Dio delle illusioni..quel che vedo è
realtà o finzione? È
accaduto realmente, oppure è tutto un inganno?”.
Il
padrone
di casa seguì gli ordini di Apollo. Le immagini che vide
erano piuttosto
nitide, all’inizio. Il tempio del padre era sotto attacco ed
Ares aveva deciso
di indossare l’armatura. Sentì la voce del
genitore impartire chiari ordini a
Phobos e Deimos, che vide scattare, pronti all’azione. Vide
la sorella Nadijeshda
spalancare le ali, con accanto il figlio avuto da Phobos. Mirina,
regina delle
amazzoni, compagnia di Milo, era salita a cavallo. Poi tutto si faceva
più
confuso. Ombre, grida, sangue..e quel rumore! Quello strisciare, quel
sibilo..
“Nipote..io
mi sforzo di credere che non sia stato Ares a commettere certi atti
all’arena.
Però..non riesco a percepire un’altra
entità chiaramente. Sento la sua mente
distante ma..potrebbe essere il frutto di qualche atteggiamento non
appropriato. Come l’alcol o la droga..”.
“Mio
padre
non era ubriaco, in arena! Lo hai visto anche tu! Era
posseduto!”.
“Ma
da chi?
Non riesco a cogliere altre presenze. Quest’elmo, lo ha
indossato solo tuo
padre”.
“E
quelle
altre scene? Quel che è successo al suo tempio?”.
“Questo
non
te lo so spiegare. Ma so che, nel caso Ares dovesse ricomparire, lo
dovremo
combattere. Mi spiace, ma è così. Per quel che ha
fatto, è da considerarsi un
nemico”.
“E
i miei
fratelli? Le mie sorelle? Apollo! C’è qualcosa che
non va!”.
“Non
lo so.
Per ora..torniamo all’arena. Se davvero vi sono altri scopi
dietro al
comportamento di Ares, allora lo rivedremo. E tenteremo di capirci
qualcosa di
più. Di creature legate ai serpenti ce ne sono troppe. Io
stesso lo sono. E non
saprei indicarti chi possa essere quel coso che i cavalieri hanno visto
nella
foresta”.
“Era
davvero un coso strano” si intromise Aphrodite
“Però ha detto che ci rivedremo.
E non parlava al singolare. Io credo che vi siano molti misteri in
questa
faccenda..”.
“Che
dobbiamo scoprire, prima di ricominciare il torneo!”
esclamò Shura “Volete
mettere in pericolo altra gente?! Ares impazzito potrebbe attaccare di
nuovo e
con maggiore furia!”.
“Questa
volta, non ci faremo cogliere di sorpresa” lo
rassicurò Apollo “Ed agiremo
tutti insieme”.
“Certo..come
no..” mormorò Keros, senza smettere di sistemare i
capelli del suo signore.
“Percepisco
il sarcasmo, Keros. Hai qualcosa da dirmi?” gli
parlò Apollo, accigliandosi
leggermente.
“Agirete
tutti insieme? Che battuta. Davvero divertente. Siete incapaci di
farlo. Siete
rimasti con le mani in mano, mentre il divino Arikien veniva colpito.
Potevate
muovervi prima, fermando il loro scontro!”.
“Divino
Arikien. Suona quasi tenero..ad ogni modo..sono talmente abituato alle
risse
fra Ares ed il resto del mondo, che interromperlo pare superfluo. Non
ascolta
mai e, in molti casi, si lamenta per
l’interruzione”.
“Questa
volta era diverso! Questa volta, Ares ha messo in pericolo tutti
quanti. So che
voi, grandi divinità, ve ne sbattete altamente dei mortali,
ma..”.
“Finitela
di discutere!” tuonò Hades “Queste sono
tutte perdite di tempo! L’arena ci
attende. Se Ares dovesse comparire, sarà mia speciale
premura prenderlo per il
collo e farmi dire tutta la verità”.
“Bella
idea” ghignò Deathmask “Ti
aiuterò volentieri”.
Dopo
poche
altre frasi, gli Dei avevano deciso che cosa fare. Hades e Apollo si
congedarono, ripetendo l’intenzione di presentarsi in arena.
“Che
cosa
pensi, realmente?” domandò Deathmask, non appena i
due Dei se ne furono andati.
“Realmente?”
rispose Arles “Non mi fido. Non mi fido di nessuno di loro.
Però non vedo
alternative. Non vi sono indizi a sufficienza per capire dove trovare
mio padre
o i miei fratelli. L’unico modo è tornare in arena
e cercare di cogliere altri
indizi. Non trovo altre soluzioni”.
“Lasciate
che io usi quell’elmo ed il mio potere sul fuoco”
si propose Keros “Forse
potrei vedere. Potrei capire se..”.
“Non
osare!”il Dio si voltò di scatto, fissando con
rabbia il mezzo demone “Non
osare compiere un tale gesto, dopo che io l’ho vietato.
Metteresti in pericolo
la tua vita e quella di altri, se non dovessi riuscire a controllare le
fiamme
a causa della tua debolezza. E non riesco proprio a comprendere
perché tu sia
così testardo da non farti curare da Apollo. I suoi poteri
di guarigione sono
superiori ai miei! Poi staresti subito meglio!”.
“Non
voglio
che lui mi si avvicini. Preferisco lo facciate voi”.
“Ma
che
differenza fa?! Devi vederlo come un medico, che può farti
stare meglio”.
“Io
non
credo in Apollo. Non è il mio Dio. Voi
sì!”.
“Ma
io non
posso aiutarti!”.
“Fate
già
troppo per me. E poi..sto bene! Mi avete curato. Sono solo
stanco!”.
“Testone
che non sei altro..”.
Il
clima
all’anfiteatro era teso, vi era molto più silenzio
del solito. Molti erano
stupiti nel vedere Arikien e Keros in piedi e, apparentemente, in
ottima forma.
Il Dio delle illusioni aveva assicurato di essere perfettamente in
grado di
combattere ed era tornato a sedersi sul trono del padre, nonostante la
cosa non
gli piacesse. Guardandosi attorno, vedeva molti feriti ed i danni
all’arena
erano visibili, nonostante le riparazioni fatte in tempi rapidissimi.
Senza
troppi convenevoli o discorsi, Apollo diede il via
all’incontro successivo. Da
un lato vi era Efesto, Dio fabbro, legato ai vulcani, e
dall’altro Ecate, la
misteriosa Dea avvolta dalla nebbia. Il Dio era serio, fiero, e
lanciò una
rapida occhiata alla tribuna divina. Aveva imparato a farsi rispettare
fra gli
Dei ed era abituato ai loro commenti poco gentili sul suo modo di
essere. Ed
ovviamente era pronto a dimostrare il suo valore. La Dea sorrideva,
forse
divertita dalla situazione. Affrontare uno zoppo non era poi
così difficile..
Si
ricomincia con le botte! A presto! Accorta
giusto in tempo che tutto questo si svolge nel futuro, ergo Keros ha
più di
1300 anni!!E qualcuno lo nota che sono pazza e faccio tutti i capitoli che iniziano per i?
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Capitolo 12 *** XII- Incendio ***
XII
INCENDIO
L’anfiteatro
fu avvolto dalla nebbia. Ecate, Dea con il dono della profezia, aveva
avvolto i
presenti. Così facendo, a pochi era possibile scorgere quel
che accadeva fra
lei ed Efesto. Il Dio, per nulla intimorito da quegli effetti speciali,
bruciò
il suo cosmo e la temperatura all’arena salì.
Grazie alla sua natura legata ai
vulcani, Efesto stava aumentando di parecchi gradi l’aria
circostante. Keros
sorrise compiaciuto, felice del “bel calduccio”
provocato. Di tutt’altro avviso
erano la maggior parte delle persone che assistevano allo scontro.
L’umidità
provocata dalla nebbia di Ecate amplificava il calore provato, che per
alcuni
iniziò a divenire insopportabile. Per tentare di vedere
qualcosa, e sperando di
trovare un posto meno afoso, più di qualche spettatore si
mosse verso le
scalinate più alte.
“Come
pensi
di battermi?” domandò Ecate “Ho il dono
della profezia”.
“Se
è
così..” si limitò a rispondere il Dio
“..dovresti saperlo quel che ho in
mente”.
“Non
riesco
a vedere un tubo!” protestò la Dea Afrodite
“Voglio capire che cosa combina mio
marito!”.
“Sì,
è
vero!” si unì Hermes “Vogliamo vedere!
Volete che spazzi via la nebbia?”.
“Non
interferire” lo fermò Apollo “Quella
è la tecnica di Ecate!”.
“Sì..ma..”.
“Cerca
di
percepire quel che sta accadendo. Le variazioni nel cosmo dei due
sfidanti”.
“Ma
per chi
mi hai preso?! E poi fa troppo caldo qui!”.
Hermes
storse il naso e, usando i sandali alati, si sollevò in
aria, in cerca di un
po’ di fresco.
“Questa
umidità mi gonfia tutti i capelli”
sbuffò Aphrodite.
I
gold
tentavano di scorgere quanto accadeva all’arena e
protestavano perché incapaci
di farlo. L’unico che rimaneva pressoché
impassibile era Shaka, che come sempre
non si capiva se stesse dormendo o meditando. La nebbia confondeva i
sensi e
copriva i rumori. I mortali, e buona parte degli Dei, non riuscivano ad
udire i
dialoghi ed i suoni provenienti dalla battaglia in corso. Riuscivano
solo a
provare sempre più caldo..
“Papà”
chiamò Sadalta, figlio di Camus “Qui è
insopportabile. Non si vede niente. Visto
che non serviamo, io e Sargas possiamo allontanarci
dall’arena per allenarci?”.
“Se
il
padre di Sargas è d’accordo..” rispose
Acquario, guardando Milo.
“Fate
pure
ragazzi” alzò le spalle lo Scorpione
“Divertitevi”.
Vedendoli
allontanare, i due genitori si fissarono, con un sorriso.
“Non
ti
ricordano i vecchi tempi, Camus?” ghignò Milo
“Quando io e te ci allenavamo al
Tempio?”.
“Direi
che
è inevitabile. Largo alle nuove generazioni, no?”.
“Già..così
magari la smettiamo di venir sempre tirati in ballo
noialtri!”.
Rose
e
Shasir seguirono l’esempio dei loro coetanei e si
allontanarono a loro volta
dall’arena. Il loro sguardo però non era quello di
chi non vedeva l’ora di
allenarsi, ma fremeva all’idea di fare ben altro! Pesci lo
colse al volo ed
arrossì leggermente: sua figlia era proprio diventata grande!
“Questo
è
l’ultimo scontro, giusto?” chiese conferma Mur
“Dopo di questo, Apollo dovrebbe
rivelare i prossimi incontri, includendo anche Arles”.
“Già”
annuì
Kiki “Chissà contro chi..ho paura che Apollo non
sarà molto clemente”.
“Non
decide
lui. Gli scontri sono decisi dal fato. Sono casuali”.
“Vedremo..”.
Ecate
riusciva a prevedere ogni mossa di Efesto. Il Dio iniziava ad
infastidirsi.
Quella nebbia gli impediva di vedere bene la sua avversaria.
Invocò il calore
bruciante del suo cosmo, che iniziò ad ardere come la lava
di un vulcano. A
contatto con la nebbia, si alzava un forte fumo. Ora, ne era sicuro,
anche lei
aveva difficoltà a scorgere dove si trovasse il suo
sfidante.
“Non
mi
ingannerai!” sibilò Ecate “Io vedo ogni
cosa!”.
Socchiudendo
gli occhi, la Dea vide chiaramente le prossime mosse del Dio e lo
precedette,
riuscendo a colpirlo e spedirlo in terra. Questo mise in
difficoltà Efesto che,
zoppo, iniziava a sentir cedere il marchingegno che ne reggeva la gamba.
“Stronza..”
mormorò, arrancando e spostandosi giusto in tempo per non
venir colpito di
nuovo.
Le
orecchie
a punta di Keros riuscivano a cogliere alcune cose. Sentiva Efesto ed
Ecate
insultarsi e scontrarsi, anche se non capiva del tutto quel che
succedeva.
Davanti a sé, vedeva solo nebbia. Chissà se il
suo signore era in grado di
vedere qualcosa di più..
“Scusami..”
si sentì dire il mezzo demone.
Voltandosi,
vide che al suo fianco vi era Mihael. Sobbalzò, ricordando
quanto detto da
Lucifero: gli angeli avrebbero potuto cercarlo..
“Calmo”
si
affrettò a dire Mihael “Non ho ricevuto ordine di
ucciderti o altro. Voglio
solo parlare con te, figlio di Carmilla. Posso?”.
“Carmilla?”.
“Non
era
forse questo il nome di tua madre?”.
“Non
lo so.
Non mi è mai stato detto..”.
“Sono
sicuro che si tratti di lei. Hai gli stessi capelli e lo stesso
sguardo. Ero
convinto che tu fossi un demone del tutto, visti i tuoi trascorsi, ma
il potere
che hai mi suggerisce qualcosa di diverso. Dico bene?”.
“Sono
figlio di un angelo e di un demone. Ma Lucifero non vuole che ne
parli..”.
“Lucifero
oggi non c’è. Per questo sono qui. Vieni con me,
questa nebbia mi scombina
tutte le penne ed il caldo infernale non fa per me!”.
Una
lingua
di lava si allungò per l’arena, spaccandone la
pietra. Le prime file furono
costrette a spostarsi, per non venirne inghiottiti. I cavalieri si
scostarono
giusto in tempo. Il Dio e la Dea continuavano a colpirsi. La nebbia di
Ecate
provocava strane visioni e la mente di Efesto iniziava ad annebbiarsi.
Allo
stesso tempo però, il cosmo di Efesto era sempre
più bollente e la Dea sapeva
che le forze la stavano abbandonando. Udiva chiaramente, nonostante il
fumo e
la nebbia, il rumore prodotto dal marchingegno che Efesto portava alla
gamba
per poter camminare. Lo seguiva con la testa, rigirandosi. Socchiuse di
nuovo
gli occhi e vide il Dio muoversi verso di lei, con l’intento
di colpirla ad un
fianco. Soddisfatta da questa visione del futuro, Ecate si
voltò di scatto. Si
stupì nel vedere Efesto raggiungerla ma fermarsi,
guardandola negli occhi.
“Che
cosa
stai combinando?” domandò lei.
Ne
guardò
la gamba. Non aveva nulla a sostenerlo, zoppicava. Ma allora quel
rumore che
aveva udito prima, che cos’era? Tentò di muoversi,
invano. Si guardò le gambe e
sussultò. La lava del Dio si era avvolta, strato su strato.
Lei, ruotando su se
stessa per seguire il rumore metallico, aveva contribuito a farsi
circondare.
Protetta dalla nebbia e confusa dal cosmo del Dio, non era stata in
grado di
percepirne il calore bruciante.
“Arrenditi”
mormorò il Dio “Se non vuoi che la mia lava salga
ancora”.
Efesto
stava attento a non provocare danni irreparabili sul corpo della Dea,
quindi
controllava scrupolosamente la temperatura e lo spazio fra il corpo
della donna
e la struttura che il suo potere stava creando con la lava.
“Perché?
Perché questo non lo avevo previsto?” si chiese
lei.
“Perché
eri
distratta da uno dei miei aggeggi”.
La
nebbia
iniziò a dissolversi, segno che Ecate era stanca di quel
gioco. Ora aveva anche
le braccia bloccate e non le piaceva per niente. Così,
comprese che il Dio
aveva fatto muovere autonomamente il marchingegno che ne sorreggeva la
gamba
storpia e il rumore da esso prodotto avevano distratto la Dea.
“Solo
tu
potevi creare una tale..cosa!” si accigliò Ecate,
poi sorridendo.
“Non
è
stato semplice. Il tuo potere è notevole. Mi hai mostrato
cose assurde, con la
tua nebbia”.
“Non
so
cosa tu ci abbia visto. Io induco alle visioni, ma non so in che modo
prendano
vita nel tuo cervello”.
“Non
te le
racconterò. Erano piuttosto perverse..”.
“Tua
moglie?”.
“Sì,
con
mezzo universo..”.
“Non
sono
visioni. È la realtà!”.
“Non
infierire!”.
Ecate
sorrise ancora, mentre la lava si dissolveva. Con un piccolo inchino,
la Dea
riconobbe la vittoria di Efesto e gli altri Dei presenti lo
applaudirono. Anche
Afrodite, finalmente in grado di capire quanto successo,
acclamò felice il
marito. Arles si stupì, vedendo che dal lato opposto
dell’arena mancava molta
gente a lui nota. Keros dov’era?!
Mihael
e
Keros si era allontanati di poco dall’anfiteatro. Il mezzo
demone era dubbioso
e si guardò indietro un paio di volte. L’Arcangelo
però lo rassicurò.
“Te
lo
ripeto: non ho ordini contro di te, ragazzo” lo
calmò Mihael “Voglio solo
capirci qualcosa di più”.
“Carmilla..così
si chiamava mia madre? La conoscevi bene?”.
“Ho
avuto
spesso a che fare con lei. Era una tentatrice. Con il suo sguardo,
induceva gli
umani a compiere le peggior cose possibili. Spesso ho dovuto rispedirla
nel
regno di Lucifero per salvare anime facilmente plagiabili..”.
“Anch’io
ho
lo stesso potere..”.
“Lo
so. Un
paio di volte ho dovuto agire anche contro di te, ricordi? Mi
è sempre parso
ovvio che tu fossi il figlio di Carmilla, avuto con una delle tante
creature
che aveva tentato. Mai avrei immaginato che si fosse congiunta con gli
angeli..”.
“Era
un
demone, quindi.. Perciò, devo dedurre, mio padre
è un angelo”.
“Lo
era,
probabilmente”.
“Non
è
morto, lo sono certo. A volte sento la sua voce”.
“Ah
sì? E
che ti dice?”.
“Mi
incoraggia. Mi consiglia. Ma non lo fa a comando..a volte
succede”.
“E
sei
certo che sia tuo padre?”.
“No,
ma chi
altro dovrebbe essere?”.
“Non
saprei. Però, se è ancora in vita, è
sicuramente fra i demoni o fra gli umani.
Gli angeli non possono congiungersi carnalmente con qualcuno, meno che
mai con un
demone, sono le regole. Quindi sarà di certo caduto,
avrà perso le ali”.
“E
non si
può sapere chi sia?”.
“Posso
provare a fare qualche indagine. Dimmi di più su di
te”.
Keros
notava lo sguardo preoccupato di Mihael, che era sfuggente e mai fermo.
Probabilmente
temeva rimproveri per aver parlato con il mezzosangue.
“Come
posso
aiutarti? Che cosa vorresti sapere?”.
“Ho
visto
il tuo incantesimo di protezione. Quello solo gli angeli lo sanno fare,
nessun
demone ne è in grado. Purtroppo, sono molti gli angeli che
possiedono tale
potere. Che altre capacità hai? Il fuoco non ti brucia ma
quella,
probabilmente, è eredità demoniaca . Hai le
ali?”.
“Avrei
dovuto averle, mi hanno detto. Però sono bruciate alla mia
nascita”.
“Carmilla
non aveva le ali. Peccato tu le abbia perse. Ma forse il loro
dissolversi ti ha
salvato la vita. I tuoi capelli, il tuo sguardo, le tue orecchie..tutto
di te
lascia intendere che tu sia un demone. Quindi, nel regno di Lucifero,
potevi
vivere relativamente in pace. Con le ali angeliche, non avresti avuto
la stessa
sorte. Probabilmente saresti stato ucciso da neonato”.
“Ma
non
esiste una specie di registro, dove sono riportati i nomi dei caduti?
Io sono
nato a Costantinopoli nel 718. Probabilmente sono stato concepito nella
stessa
città e quindi mio padre sarà caduto da quelle
parti, no? Sono tanti gli angeli
che cadono?”.
“Non
tanti,
in effetti. Però io, come guerriero, non ho grandi contatti
con gli angeli che non
rientrano nelle milizie. Fra loro, so per certo che nessuno
è caduto a Costantinopoli
durante l’assedio e nel periodo successivo. È un
pezzo che non perdo dei
compagni. E non posso personalmente accedere a certi documenti. Sono
solo un
Arcangelo!”.
“E
non sai
chi ci fosse di angelico da quelle parti in quel periodo?”.
“La
mia memoria
non può essere perfetta, dopo più di 1300 anni!
Ricordo che era in corso uno
degli assedi a Costantinopoli, città importante per la
cristianità, ed al tempo
tentavano di impossessarsene in molti. Demoni ed Angeli erano divisi
fra le due
fazioni e si scontravano. In mezzo a tutto quel caos e quegli
scontri..però
posso provare a chiedere in giro. Noi angeli dobbiamo sempre stare
attenti a
non fare troppe domande, se non ci viene dato il permesso di farlo, ma
penso di
poter azzardarmi a pretendere qualche favore. Non credo ci sia qualcosa
di male
nel chiedere chi è caduto dei nostri in quel
periodo”.
“E
se non
fosse caduto? Se fosse ancora un angelo?”.
“Non
penso
sia possibile. Un angelo che commette un simile peccato deve essere
stato
punito. Con la caduta o con la morte”.
“Ma
fare
sesso per un angelo è così grave?!”.
“E
me lo
chiedi anche?! Comunque sto pensando..non hai tratti fisici che riesco
a
collegare ad un angelo. Carmilla aveva i capelli lisci, ed i tuoi non
lo sono,
ma nessun angelo ha i capelli lisci! Il tuo potere di protezione lo
hanno in
molti fra noi in cielo, anche se per ognuno è leggermente
diverso. Ma le
differenze sono troppo misere fra un angelo ed un altro per poter
capire. Il
legame con il fuoco anche è ambiguo. Carmilla non ricordo
fosse in grado di
controllare le fiamme..”.
“Cercherò
di scoprirlo. Ora che so il suo nome, potrò sapere altre
cose su di lei!”.
“Sicuramente..”.
“Ma
perché
importa agli angeli? Sono una specie di bestia strana da
eliminare?”.
“Hai
usato
il tuo potere per proteggere, e non solo te stesso. Perciò
non ne vedo la
ragione. Quel che cerco di capire è riuscire a comprendere
se posso inserirti
nelle schiere che mi appartengono oppure se sei un demone anche
nell’animo. E,
più in generale, non ho mai conosciuto una creatura come te.
In tutta la mia
vita, non ricordo un altro figlio di angelo e demone..”.
“Io
non ho
desiderio di appartenere al cielo o all’inferno. Io ho una
casa ed un posto
dove stare e non intendo cambiare questa cosa”.
“Capisco..”.
Dall’arena,
si udì un applauso, segno che lo scontro fra Efesto ed Ecate
era terminato.
“Devo
andare” si apprestò a dire Keros.
Mihael
annuì, seguendo con gli occhi il mezzo demone che si
allontanava. Lo vide
comparire di nuovo in arena e colse lo sguardo d’un tratto
sollevato di Arles.
Il Dio si era preoccupato, non vedendo il sanguemisto fra gli
spettatori, ma
ora sorrideva. L’angelo non capiva del tutto quel legame, lo
trovava strano.
Lui, con il suo Dio, non si comportava certo così..
Quella
sera, al tempio del Dio delle illusioni, erano tutti piuttosto
tranquilli. Nella
grande sala con il camino, i gold si scambiavano opinioni e voci.
Riferivano
quanto avevano sentito dire da vari Dei e combattenti in arena riguardo
ad
Ares. A quanto pare, era opinione quasi unanime che il Dio della
guerra, colto
dall’ira, era giunto in arena ed aveva agito di conseguenza. Solo la Dea della bellezza
Afrodite non ne
era convinta e pensava fosse successo qualcos’altro. Anche
perché non riusciva
a capire dove potessero essere Phobos, Deimos e gli altri a seguito di
Ares!
Tutti però erano convinti che non ci fosse altro modo per
scoprire la verità se
non attendere che comparisse di nuovo all’anfiteatro. In quel
caso, avrebbero
agito tutti per bloccarlo e capire.
“Che
fastidio” sibilò Milo “Mi sento
così inutile..”.
“Devi
pazientare” lo rassicurò Camus “Tutte le
divinità sono all’erta. E sono certo
che presto sapremo qualche cosa di più”.
“Odio
la
tua calma!”.
“Lo
so. Lo
hai sempre fatto”.
“E
se fosse
tutta opera di Apollo?” azzardò Aiolia
“Mi pare sia legato ai serpenti pure
lui. E se fosse solo una trappola per tenere lontano Ares? Forse ha
escogitato
tutto questo ma, pochi giorni fa, Ares è riuscito
momentaneamente a fuggire e
fare quel che ha fatto, accecato dall’ira”.
“Teoria
interessante” annuì Mur “O forse
è, come ha ipotizzato Saga, un attacco
combinato di più divinità. Per non permettere ad
Ares di partecipare al torneo.
Credo sia l’ipotesi più probabile”.
“E
se fosse
un’altra cosa ancora?” ipotizzò invece
Aphrodite “Perché deve essere per forza
un greco? Noi abbiamo avuto nemici ovunque..”.
“Sì
ma Ares
è scomparso proprio all’inizio del torneo! Non
può essere una coincidenza”
ribatté Mur e Shaka
stranamente annuì.
“Ma
non ha
senso!” li zittì Shura “Se vuoi impedire
che Ares partecipi ed eventualmente
vinca, fai sparire l’intera sua famiglia. Non lasci la
possibilità di
combattere ad uno dei suoi figli guerrieri. Due, se contiamo Kanon.
Volendo,
Arles potrebbe partecipare e decretare suo padre come re
dell’Olimpo, in caso
di vittoria”.
“E
se fosse
qualcuno che non era a conoscenza di Saga? Una divinità che
conosce solo il
tempio del Dio della guerra e che perciò ha attaccato quel
luogo, convinta che
tutti i guerrieri risiedessero lì?” propose Aiolos.
“Idea
più
che buona, fratello. Hai in mente qualche
divinità?” domandò Aiolia.
“Non
saprei. Una che non rientra nell’elenco degli Olimpici. Avete
notato quando
Saga si è presentato in arena? Molti lo vedevano per la
prima volta”.
“Hai
ragione!”.
“Quindi
non
ci dobbiamo concentrare non sugli Dei principali, che conoscono Arles,
ma
quelle minori, che sono apparse di nuovo da queste parti solo per il
torneo.
Fra di loro, se ne celano di molto potenti”.
“Grandioso!”
si lagnò Deathmask “Ma sai quante sono?! Solo ad
elencarle ci vorrebbero
giorni!”.
“Non
tutte
sono legate ai serpenti..spero!”.
“Keros,
tu
che dici?” parlò, inaspettatamente, Shaka.
“Io?”
si
stupì il mezzo demone, che stava steso davanti al fuoco,
leggendo un grosso
libro dall’aria molto antica.
“Sì,
tu. Avrai
una tua opinione, immagino. E siamo curiosi di sentirla”.
“Beh..l’idea
del Sagittario mi pare molto plausibile. Non credo all’idea
di Apollo
traditore, pare confuso tanto quanto noi. Però, come ha
detto Cancer, le
divinità minori sono tantissime ed i serpenti sono un
simbolo molto usato.
Anche la vostra Atena è legata ad essi, per fare un
esempio”.
“Ed
una
divinità grossa, fumosa e serpentosa?”
domandò Aphrodite “Esiste?”.
“Esiste
la
parola serpentosa?! Ad ogni modo..ce ne sono parecchie. Non so se
fumose..potreste provare a fare una ricerca fra i vari libri del mio
signore”.
“Ho
già
provato” rispose Camus “Ma sono talmente tanti gli
Dei! Fin ora non ho trovato
riscontri perfetti. E poi il tutto potrebbe essere
un’illusione”.
“Già.
Magari i serpenti sono solo fumo negli occhi”
incrociò le braccia Milo “E
intanto mia moglie è là fuori, non so
dove..”.
“La
troveremo. Troveremo tutti, scopriremo la verità e sul trono
dell’Olimpo salirà
un Dio buono e giusto” lo rassicurò Aldebaran, con
incrollabile ottimismo.
“Siete
ancora svegli?” si stupì il Dio delle illusioni,
entrando nella stanza.
Era
appena
uscito da una delle grandi vasche di casa. Teneva i capelli avvolti in
parte in
un telo e si accucciò accanto al fuoco, per asciugarsi. Non
era molto vestito.
Aphrodite, che a sua volta aveva provato una di quelle vasche, sorrise
rilassato. Il grande orologio a pendolo della stanza informò
i presenti che era
ora di ritirarsi.
“Non
sarebbe ora di dormire, per voialtri?” continuò
Arles “Io, come divinità, dormo
poco ma..”.
“Stavamo
discutendo su alcune cose. In effetti è tardi” gli
diede ragione Aiolos.
“Keros!
Vale anche per te!”.
Il
mezzo
demone alzò solo in quel momento gli occhi dal libro e
subito ruotò di nuovo lo
sguardo, concentrandosi sui fogli.
“Che
cosa
leggi?” si incuriosì il Dio, inclinandosi
leggermente all’indietro “Un libro
sui demoni?”.
“Cerco
informazioni su mia madre. Ho scoperto che si chiama
Carmilla”.
“Ed
era lei
il demone? Quindi tuo padre era l’angelo? Perfetto, che bella
notizia! E trovi
quel che cerchi?”.
“Sì..però
voi vestitevi, per favore. Ci sono ospiti e sento di non poter
rispondere del
tutto delle mie azioni se quel poco che avete addosso si sposta ancora
un
po’..”.
“Oh,
Keros!
Andiamo!”.
“Sono
un
demone!”.
“Ok,
ok..va
bene! Caspita..ultimamente vi fatte tutti cogliere da strane tempeste
ormonali
stile ragazzine adolescenti!”.
“Ma
che
state dicendo?! Io non sono..”.
“Tranquillo.
Vado a mettere a letto i ragazzi..”.
I
gold
stavano lasciando la stanza, dirigendosi verso le camere. Arles si
alzò,
coprendosi di più con l’enorme asciugamano che
aveva in testa per i capelli.
“Faresti
bene ad andare a dormire anche tu, Keros” parlò il
padrone di casa “Non fare
troppo tardi”.
“Sì,
finisco questo capitolo e poi vado a letto”.
“Bene.
Buonanotte. A domani”.
Il
mezzo
demone salutò con un gesto del capo, concentrato sulla
lettura. Arles uscì
dalla stanza e si incamminò lungo il corridoio.
“Luci
spente!” gridò rivolto ai suoi figli
“Ora di dormire!”.
Alcuni
obbedirono immediatamente, altri protestarono e continuarono a giocare.
“A
letto!
Spegni la luce e dormi, Iravat!”.
Il
ragazzo
sbuffò e il padre ripeté l’ordine,
sentendosi rispondere con un “Sì, ho capito!
Che palle!”.
Le
gemelle
saltavano sul letto e si lanciavano giocattoli. Roslan correva in giro
ma il
padre lo recuperò al volo, infilandolo sotto le coperte.
“Voglio
sentire silenzio!” parlò ancora il Dio
“O volano sculacciate, intesi?”.
I
più
piccoli fecero silenzio immediatamente. Sophia ridacchiò.
Iravat ed Iravan
sbuffarono di nuovo.
“Silenzio..”
mormorò Arles, uscendo sul terrazzino che dava sulla mare.
Da
lì, poco
distante, riusciva a vedere il mare ed udire il rumore delle onde. Si
voltò,
percependo un lieve fruscio, e sorrise nel vedere Eleonore.
“Pensavo
dormissi” le parlò piano, per non svegliare
nessuno.
“Non
ho
molto sonno..” ammise lei.
“Brutti
pensieri?”.
“Non
direi..dai, vieni dentro. Fuori fa freddo e tu sei mezzo
svestito!”.
“Non
ho
mica freddo!”.
“Ma
io sì..so
che hai tante cose da sistemare ed a cui pensare
però..avresti un po’ di tempo
per me, marito mio?”.
“Io
ho
sempre tempo per te, mia cara”.
“I
bambini
dormono?”.
“Lo
spero..”.
I
due si
unirono in un lungo bacio, stringendosi a vicenda.
“Se
vuoi..”
mormorò lei poi, sorridendo “..possiamo invitare
anche Keros..”.
“Ma..che
dici?!”.
“Se
io
dovessi baciarlo..tu che diresti?”.
“Se
lui è
d’accordo, fate quello che volete”.
“Sei
serio?!”.
“Perché
no?! Potete fare anche altro..purché non mi lasciate in un
angolino, brutti
cattivi!”.
Arles
rise
ed Eleonore fece altrettanto.
“Mi
ami,
Ary? Mi ami, vero?”.
“Ma
certo,
Eleonore. Perdonami se ultimamente sono così distante da te.
Ma questo
torneo..la faccenda di mio padre..”.
“Rilassati.
Lo capisco. Ora però dimenticati di tutto, per un
po’. Ci riesci?”.
“Se
sei tu
a chiedermelo, certo”.
Keros
rimase steso davanti al fuoco, sfogliando il grosse volume sui demoni.
Con le
sensibili orecchie a punta, udiva i gold che sistemavano le loro
armature, le
gemelle che ancora saltavano sul letto, i gemelli che giocavano con
qualche strano
affare elettronico ed i molti altri suoni prodotti dagli abitanti della
casa.
Attendeva il silenzio assoluto. Percepiva i gemiti ed i sospiri del suo
signore
ed Eleonore, uniti insieme nell’atto d’amore. Per
quanto si sforzassero di non
fare rumore, Keros li udiva ma sapeva di essere l’unico. Un
po’ si vergognò e
tentò di concentrare il suo interesse su altre cose. Aveva
iniziato un altro
capitolo, incapace di smettere. Leggeva fatti riguardanti sua madre, i
suoi
trascorsi nel mondo umano e demoniaco. A quanto scritto, era una
creatura
bellissima e dalle notevoli capacità. A volte descritta come
un vampiro, le sue
doti di tentatrice erano impareggiabili. Però da nessuna
parte vi erano accenni
a sue frequentazioni angeliche o indizi che lasciassero intendere che
si fosse
creato un legame fra lei ed un abitante del cielo. Keros
pensò che forse
l’angelo era caduto vittima delle doti da tentatrice di
Carmilla ma nemmeno di
questo vi era traccia alcuna fra i libri che aveva letto.
Sospirò. Forse doveva
seguire l’esempio del suo signore e dormire. Illuminato solo
da un paio di
candele e dalle fiamme del camino, iniziava a sentire la stanchezza.
L’elmo di
Ares, ancora nella stanza, pareva fissarlo. Era notte fonda ormai,
finalmente
le sue orecchie percepivano solo il respiro regolare di gente
addormentata.
Forse era ora di fare lo stesso! Chiuse di scatto il libro, dopo aver
lasciato
un foglietto come segno, e spense le candele con le dita. Si
rigirò verso il
camino, ancora stando stravaccato in terra: com’era bello
guardare il fuoco!
Ho
dovuto dividere a metà il capitolo!!! Questo
ed il prossimo (che caricherò prossimamente) dovevano essere
un capitolo unico
ma ne usciva una papirata di circa 15 pagine quindi ho preferito
dividere a
metà. Curiosa di sapere se qualcuno ha già
qualche idea su chi possa essere il
padre di Keros.. Nel frattempo, vi comunico che fra un mesetto circa
sarò da 1
anno su EFP e vorrei “festeggiare” dedicando un
disegno a tutti i miei “fan”,
probabilmente proprio su questa storia (l’Olympus Chapter
1,2,3. Perché è la
più seguita, assieme a quella sui piccoli Saint
“storie perdute”). Sono molto
indecisa sul soggetto. Voi chi vorreste vedere ritratto? Attendo
ispirazione! Alla
prossima!
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Capitolo 13 *** XIII- Introspezione ***
XIII
INTROSPEZIONE
L’intera
casa fu svegliata da un grido. Era agghiacciante, misto fra paura e
dolore.
Subito il Dio delle illusioni capì da dove provenisse e da
chi fosse prodotto e
corse lungo il corridoio. Eleonore, svegliata di soprassalto fra le
braccia del
marito, lo aveva seguito. Spalancando la porta del grande salone con il
camino,
Arles aveva trovato il suo servo accucciato e raccolto su se stesso.
Incuriositi e lievemente spaventati, in molti si erano svegliati e
cercavano di
capire cosa stesse succedendo.
“Cos’hai?”
chiese il Dio, chinandosi su Keros “Stai male?”.
“Non
andate
al torneo domani” rispose il mezzosangue “Non
andateci. Nessuno di voi ci deve
andare”.
“Come?!
Che
stai dicendo?”.
“L’angelo.
L’angelo dalle ali d’oro vi sta cercando”.
“Angelo?!
Keros..ma cosa..?”.
“Ed
i
serpenti. Due serpenti si stringono insieme, avvinghiati. Vi
cercano”.
“Hai
bevuto?! Oppure..hai usato il tuo potere, anche se te lo avevo
proibito?!”.
“Non
l’ho
fatto. Non andate al torneo”.
“Non
lo hai
fatto..però stai male ed hai visto delle cose.
Perché mi stai mentendo?”.
“Non
sto
mentendo! Siete voi che non vi fidate! Ma dovete farlo, ve ne prego!
Non andate
al torneo, né voi né i cavalieri. Restate qui!
Succederà qualcosa di
terribile”.
“Che
cosa?”.
“Non
lo so,
ma sarà terribile”.
“Oh,
andiamo. Keros..non posso basare la mia vita su delle
visioni!”.
“Non
ho mai
sbagliato!”.
“Va
bene..ok..”.
“Non
mi
credete!”.
“Keros,
io
ti credo. Ma..”.
“Ma
non
siete disposto ad ascoltarmi. Questo perché il vostro
sguardo è celato.
L’occhio di Sophia, vostra madre, che possedeva la conoscenza
assoluta, non lo
ascoltate. Vi prego..fidatevi!”.
“Ti
avevo
dato un ordine! Guarda come sei ridotto! Cosa ti è
successo?”.
“Non
ho
usato intenzionalmente il mio potere! È stato il fuoco
che..”.
“Ah,
sì.
Certo. Il fuoco ha fatto tutto da solo!”.
Keros
si
alzò, accigliandosi. Con lo sguardo di un intenso color
arancio, ringhiò
leggermente.
“E
adesso
che hai?” sbottò Arles “Dovrei essere io
arrabbiato con te, non viceversa!”.
“Non
sopporto che mi si rivolga la parola in questo modo. Come fossi un
povero
idiota!”.
“Ed
io non
sopporto dare ordini che poi non vengono ascoltati.
Guardati!”.
Il
mezzo
demone si portò una mano al fianco. La veste, dal lato
sinistro, si era
stracciata, come se i disegni sul braccio fossero divenuti
incandescenti e
l’avessero bruciata. Keros però non
tentò di coprirli, non gli importava più.
Fissò ancora il suo signore, che rispose con altrettanta
rabbia nello sguardo.
“Io
non ho
disobbedito!” scandì ancora il mezzosangue.
“Smettila
di mentirmi! Perché lo fai? Dimmi! Dimmi perché
lo fai! Perché metti in
pericolo la tua vita per seguire un tuo capriccio!”.
“Non
si
tratta di questo! Possibile che non capiate?”.
“E
allora
di cosa?!”.
“Non
urlatemi contro, non lo tollero!”.
“Ah,
non lo
tolleri? Guarda che posso urlare molto più forte di
così e, se continui a farmi
girare i coglioni, lo farò! Siamo tutti in mezzo ai casini,
siamo tutti
preoccupati per le ragioni più disparate, abbiamo una marea
di guai da
risolvere e..e sto cercando di evitare che volutamente si creino
problemi in
più! Ho ordinato a tutti di mantenere un certo
autocontrollo. Io stesso mi
trattengo dall’idea di massacrare di botte chiunque
all’arena finché non si
svela la verità su mio padre, ma mi trattengo. Vi prego di
non essere un peso
ulteriore con altre preoccupazioni..ma qualcuno non
comprende!”.
“Un
peso?”.
“Io
capisco
che vi sia una lotta e si venga feriti. Non mi piace l’idea,
ma posso capirla.
Ma questo..questo non lo posso capire! Farsi del male per..delle
visioni?!
Perché? Keros, io la scoprirò la
verità”.
“Non
è
stata una mia scelta!”.
“Mi
stai
dicendo che il fuoco si è messo a parlare da solo? Ciao,
sono il fuoco! Avrei
delle cose da dirti, ti dispiace? Andiamo!”.
“Bene..sai
che c’è? Se non vuoi ascoltare, fa pure di testa
tua. Va a quel torneo,
andateci tutti. Io vi ho avvisato, ma siete tutti degli adulti
perciò..liberi
di agire come vi pare! Non mi interessa”.
“Non
ti
interessa?”.
“Abbassiamo
i toni, per favore?” cercò di calmarli Eleonore
“Tutto questo non ha senso!”.
“Perfino
Lucifero dava ascolto alle mie visioni ma tu..tu no. E non solo. Mi
consideri
pure un bugiardo che deliberatamente non obbedisce ai tuoi ordini, dopo
che per
anni e anni ti ho servito fedelmente. Non ho parole..”.
“Io
ne ho
un paio. Com’è che sono anni che ti dico di darmi
del tu e obbedisci solo ora,
che ti girano le palle? Per caso non merito più il tuo
rispetto, creatura dal
sangue misto?”.
“Almeno
io
so a quali famiglie appartengo. Non sono un’incognita che
ancora non sa bene
dove collocarsi”.
Il
Dio
trattenne il fiato a sentire quell’ultima frase. Eleonore,
intuendo al volo
quel che poteva succedere, si affrettò a supplicare al
marito di stare fermo e
tacere, afferrandogli i polsi. Keros fulminò con lo sguardo
un po’ tutti i
presenti ed uscì dalla stanza.
Il
mezzo
demone era furioso ed aveva solo voglia di urlare. Non sopportava di
passare
per un bugiardo. E non sopportava che qualcuno sottovalutasse il suo
potere! E
poi..quel termine..quel “peso”.. La rabbia lo
avvolse di nuovo ed uscì di casa.
Nonostante fosse scalzo, camminò nella neve. Subito questa
si sciolse,
sopraffatta dal bruciante potere di Keros, che lanciò un
grido di rabbia. Era
più che intenzionato a lanciarne un altro ma una mano gli
tappò la bocca. Udì
una risata, divertita, e fu sollevato da terra. Finì sul
tetto di casa e si
voltò di scatto, appena la mano lo lasciò. Rimase
qualche istante incapace di
comprendere che cosa stesse accadendo. Seduto, a gambe incrociate, su
un
acroterio, vi era l’angelo dalle ali d’oro che
aveva visto nel fuoco. Non
sembrava pericoloso ma nemmeno molto rassicurante. Ad occhi chiusi, gli
stava
sorridendo e Keros non ne capiva la ragione.
“E
così..”
parlò la creatura, con una voce indefinita fra il maschile
ed il femminile
“..mi hai visto nel fuoco. Notevole”.
“Come
lo
sai?”.
“Ed
hai
anche resistito al baccello di controllo di mia madre. Il tuo padrone
l’ha
estratto dalla tua ferita e lo ha distrutto. Fantastico”.
“Come
sai
queste cose? Chi sei?”.
“Oh,
io so
molte cose. Più di quelle che immagini. Rilassati. Non
intendo farti del male.
E nemmeno fare del male al tuo signore”.
“E
perché
mai dovrei fidarmi?!”.
“Respira.
Percepisco la tua rabbia. Non ti fa bene”.
“Fatti
una
marea di cazzi tuoi! Non ti conosco, non ti riguarda quel che provo
io!”.
“Respira,
Keros. Respira”.
“Sai
il mio
nome?”.
“So
tutto
quel che c’è da sapere. Respira”.
Keros
alzò
il dito medio e l’essere rise.
“Non
sei
come ti immaginavo..” riprese a parlare “..ma la
vita è piacevolmente in grado
di stupirmi ancora, nonostante i millenni passati. Non ho molto tempo,
devo
tornare a sorvegliare quel gran fastidio dalla bocca larga e dai modi
discutibili di nome Ares”.
“Ares?
Sai
dov’è Ares? E la sua famiglia?”.
“Sì.
E
presto lo saprà anche il tuo signore, se tu non sarai
così testardo da riuscire
ad impedirglielo con le tue visioni!”.
“Lui
non mi
ascolta. Sono un peso..”.
“Pure
tu non
ascolti, se è per questo. Ma è normale. Arikien
è un Dio estremamente giovane e
zuccone e comprendo possa essere irritante. Ma il tuo compito
è incanalare la
sua irruenza. Però sei giovane pure tu..”.
“Giovane?
Ho più di 1300 anni!”.
“Giovanissimo.
Io alla tua età..non ricordo che facevo. Probabilmente
fissavo mio figlio
mentre iniziava a dar via ad una serie di processi che hanno, alla
fine,
portato a questo guazzabuglio divertente”.
“Di
che
parli?”.
“Tu
sei un
mezzo demone ed un mezzo angelo, non fai parte della mia visione del
mondo.
Ogni religione ha i suoi creatori, i suoi preservatori ed i suoi
distruttori.
Ogni religione ed ogni cultura ha un mito di creazione ed uno di
distruzione.
Il tuo è diverso dal mio, perciò non mi aspetto
che tu mi conosca. Ma presto ti
sarà tutto molto più chiaro. Devi solo lasciare
che il tuo signore sia al
torneo, domani. Deve esserci!”.
“E
perché
mi dovrei fidare? E poi..non sei un angelo?”.
“No.
Il
culto degli angeli è comparso su questa terra molto tempo
dopo la mia nascita”.
“Quindi..chi
diamine sei?”.
La
creatura
aprì tutti e quattro gli occhi e Keros inclinò la
testa. In piedi sul tetto,
rimase immobile a fissare quello strano essere, che ancora sedeva a
gambe
incrociate. Con un sorriso, l’angelo dalle ali
d’oro si reggeva la testa con
una mano e mostrò la punta della lingua.
“Che
bestia
strana sono, eh?” ridacchiò.
“No,
non
pensavo questo” si affrettò a dire Keros
“Mi chiedevo..chi sei? Cosa sei?”.
“Io?
Io
sono tutto. Il tuo padrone mi sta cercando, e cerca mia madre. Lascia
che ci
trovi. Lascia che si rechi all’arena domani”.
“Ma..io
ho
visto cose terribili”.
“Potrebbero
avverarsi. Oppure no. Dipende dal tuo signore e da un paio di altre
variabili.
Ma posso assicurarti che domani non morirà, se è
questo il tuo timore”.
“Verrà
ferito? Soffrirà?”.
“No.
Ma
avrà delle risposte. Se non ci sarà, si
innesterà un processo che nessuno potrà
più arrestare ed allora le visioni che hai avuto saranno
solo un simpatico
preludio”.
Keros
rimase a fissare quella creatura. Quello sguardo, quei quattro occhi,
non
parevano mentire. Però non era del tutto convinto.
“Anche
se
fosse come dici..” si decise a rispondere “..lui
non mi ascolta. È arrabbiato.
Sono di troppo. Lui ama Eleonore ed io sono solo..un peso”.
“Quante
cazzate, porco cane” sbottò la creatura, restando
comunque calmo “Respira. E
ascolta”.
“Cosa?”.
“Ascolta..”.
Keros
si
accigliò, senza capire. Poi udì la voce del suo
signore e di Eleonore. Erano
anche loro usciti all’aperto e dal tetto riusciva a scorgerli
e sentirli. Non
era sicuro di voler prendere parte all’ennesima conversazione
zuccherosa ma
subito si accorse che i due stavano litigando, e la cosa lo
stupì. Non li aveva
mai visti litigare ma, del resto, il suo signore non gli aveva nemmeno
mai
urlato contro..
“Ma
che ti
prende?!” domandava Eleonore, spalancando le braccia
“Non ti riconosco!”.
“Sono
stato
anche troppo buono. Non hai sentito?”.
“Ho
sentito
benissimo. E non comprendo la tua ira per il suo gesto. Tu non avresti
fatto
forse lo stesso con me?”.
“Che
cosa?
Dirti che sei un’incognita? O confessarti che non mi
interessa se ti capita
qualcosa di male?”.
“Tu
senti
solo quello che vuoi sentire. Sei veramente uno stupido!”.
“Grazie,
donna.
Grazie davvero”.
“Oh,
chiudi
quella fottuta bocca! Ma ti senti quando parli?!”.
“Prego..?”.
“Io
comprendo, credimi. Comprendo il nervosismo generale che serpeggia per
casa. So
che sei preoccupato per tuo padre, per i tuoi fratelli e..”.
“No,
tu non
hai capito”.
“Allora
spiegami. Questo splendido caratterino da dove ti esce? Andropausa?
Adolescenza
tardiva?”.
“Ma..ma..Eleonore!”.
“Scherzo.
Però spiegati”.
La
donna
incrociò le braccia ed attese che il marito ricominciasse a
parlare.
“Spiegati!”
lo incitò ancora, notando il suo silenzio.
“Eleonore..”
sospirò lui “..sai bene che i nostri figli non
sono stati addestrati alla
battaglia. Non voglio vivano il mio stesso destino, il destino dei
cavalieri.
Pare che io, per quanto mi sforzi, rimanga sempre legato alle battaglie
e la
cosa posso accettarla, ma non voglio lo stesso per i miei figli. Keros
è, come
hai spesso detto anche tu, un cosiddetto dono del destino. Il suo
potere è
stato subito messo al servizio di questa casa! Il mio ed il suo potere,
insieme, rendono inespugnabile questo luogo. Sicuro, per te e per i
nostri
figli. Però..pochi giorni fa abbiamo rischiato entrambi. Se
fossimo morti tutti
e due, questa casa sarebbe stata del tutto scoperta”.
“Mi
credi
incapace di combattere? Dimentichi forse che ero sacerdotessa di
Artemide?”.
“Non
lo
dimentico. Ma non so che potresti fare contro certe creature”.
“E
allora?
Che cerchi di dire? Forse che Keros è a casa nostra solo ed
esclusivamente per
proteggerci?”.
“No,
certo
che no! Ma fin ora mi era parso tutto un po’ un gioco,
capisci? Giravamo per il
mondo, facevamo gli stupidi..forse convinti che nulla potesse realmente
farci
del male. Ma non è così. Quando l’ho
stretto a me, nella neve, ho avuto davvero
paura che fosse tardi. E quando ha agito in modo così
sconsiderato solo per
aiutarmi..”.
“Tu
non
faresti lo stesso per me? Amor mio..se tu fossi ferito, stanco o anche
moribondo, ma con la possibilità di aiutarmi, non lo
faresti? Se mi vedessi
struggermi per un problema, non faresti di tutto per aiutarmi? Anche a
costo
della tua vita? Della tua salute? Non lo faresti? Non sei forse venuto
a
cercarmi fra le divinità Egiziane, ignorando qualsiasi buon
senso?”.
“Lo
sai che
per te morirei. Mille e più volte morirei”.
“E
perché?”.
“Perché
ti
amo, che domande! Perché sei tu la mia vita e, senza di te,
la mia stessa
esistenza non avrebbe senso”.
“E
questo
discorso non ti ricorda un po’ delle frasi che ti ha detto un
certo mezzo
demone dai capelli color ciliegia?”.
“Eleonore..”.
“Sei
così..stupido. Non comprendi proprio i sentimenti
altrui?”.
“Non
comprendo nemmeno i miei, come vuoi che comprenda quelli degli
altri?”.
“Keros
farebbe qualsiasi cosa per te, e tu lo sai. Così come
faresti qualsiasi cosa tu
per me. Ed io per te”.
“Gli
ho
ordinato di non usare il suo potere perché sapevo che poteva
farlo stare male.
Ed io non voglio. Io non voglio che qualcuno soffra per causa mia, se
non è un
mio nemico. Perché in passato in molti hanno sofferto per
causa mia..”.
“Purtroppo
questo è inevitabile. Le persone amano, odiano, soffrono,
gioiscono e tremano.
Provano tante cose, emozioni più o meno forti. Non si
può non provarle.
Vorresti non provarle? Essere..magari perfetto ma..più
simile ad una pietra che
ad una creatura vivente?”.
“Perché
me
lo chiedi?”.
“Perché
ultimamente è come se fuggissi dalla vita. Tenti di
controllare ogni cosa. La
tua rabbia, la tua paura..il tuo amore. Perché lo fai? Temi
forse di ferire
qualcuno?”.
“Non
l’ho
fatto proprio pochi istanti fa?”.
“Ary..”.
“Per
quanto
mi sforzi, le persone accanto a me soffrono”.
“Ma
anche
gioiscono e amano. Ridono, piangono, gridano, combattono..vivono!
Vivono grazie
a te, per te o assieme a te. Sei un grande guerriero, ma quando si
tratta di
rapporti interpersonali..sei proprio tanto, ma tanto,
stupido!”.
“Lo
so. È
che io..sono tanto, tanto innamorato”.
“Oh,
Ary..”.
Eleonore
abbracciò il suo sposo, che la strinse a sé
restando in silenzio qualche
istante.
“..e
non
solo di te” aggiunse poi lui.
“Lo
so”
mormorò lei.
“E
la
cosa..ammetto che mi confonde. Vorrei tenervi tutti al sicuro, tutti
accanto a
me. Te, Keros, i nostri figli..tutti! Tutti al sicuro accanto a me. Ma
quando
non ci riesco..sono così frustrato!”.
“Non
c’è
niente da fare: hai la sindrome da Dio onnipotente!”.
“Un
pochino..forse..”.
“E
l’avevi
anche quando non eri un Dio! Su..ora rientriamo. Ti è
passata? O ti devo
prendere a sberle?”.
“Le
sberle
me le merito. Un po’..”.
“Un
po’
tanto! Fila in casa, subito”.
Lottando
contro la curiosità, gli ospiti del Dio delle illusioni ed i
suoi figli erano
rientrati nelle loro camere, anche se restavano in attesa di udire
rumori o
voci. Anche Keros era rientrato ed Aphrodite non aveva resistito ed
aveva
tentato di parlargli, raccontando dei “bei tempi
andati”, quando lui e Saga
erano al Tempio insieme. Il mezzo demone accennò un sorriso
e tornò davanti al
camino. Lì lo trovò il padrone di casa. Steso di
schiena, con una gamba
sollevata, Keros leggeva. Arles notò come i capelli color
ciliegia parevano
splendere vicino al fuoco, come fossero essi stessi di fiamma. Fingendo
di non
aver sentito il suo signore, il mezzosangue non distolse lo sguardo dal
grosso
volume che teneva aperto. Lo leggeva, smangiucchiando biscotti. Il Dio
sorrise
a quella scena. Prese una delle mele che stavano sul tavolo, notando
che
qualcuno, molto probabilmente Milo, ne aveva mangiate una marea. Erano
un dono
di suo zio Lucifero e diede un bel morso.
“Dunque..”
chiese poi “..tua madre ti somigliava?”.
“C’è
scritto che era bellissima. Una tentatrice dai capelli come il fuoco e
lo
sguardo d’ambra”.
“Allora..ti
somigliava molto”.
Keros
si
limitò ad addentare un altro biscotto.
“Spero
che
tu non abbia equivocato..” ricominciò il Dio
“Ti credo. Solo che qualcosa mi
dice che devo andare in quell’anfiteatro”.
“È
fate
bene”.
“Davvero?”.
“Sì..”.
“Scusami..”.
“Sono
io
nel torto. Il Dio siete voi..”.
“Ma
questo
che vuol dire?!”.
“Siete
un
Dio. Non siete un’incognita, come ho detto. Io..non capisco
niente. E la mia
natura demoniaca mi fa dire cose crudeli”.
“Ed
io
rispetto il potere che hai. Lo trovo fantastico, sentiti libero di
usarlo come
meglio credi. Mi rendo conto che, di certo, lo usi da parecchio e non
devo
essere io a dirti come agire”.
“Oh
sì,
invece! Voi siete un Dio, è giusto che lo
facciate”.
“Sono
un
Dio? Non sono più il TUO Dio?”.
“Vorrei
tanto che voi lo foste. Però..un peso come me..”.
“Un
peso?”.
Arles
sorrise, accucciandosi accanto a Keros e sollevandolo con estrema
facilità. Il
mezzo demone tentò d’istinto di ancorarsi al
pavimento con gli artigli, come un
gatto, ma finì fra le braccia del suo signore.
“Pesi
come
la bambola di mia figlia! Non sei un peso!”.
“Siate
serio!”.
“Lo
sono!
Non sei un peso! Keros, tu un peso? Tutt’altro! Sei colui che
mi ha sollevato
da tante angosce che mi creavano gli incubi. E da molte altre
cose!”.
Ora
erano
entrambi seduti davanti al fuoco. Arles era alle spalle di Keros e lo
avvolse
con le braccia e le gambe. Affondò il viso nei capelli rossi
e sospirò.
“Domani
devo andare all’arena” mormorò
“Mi spiace. Non vederlo come un gesto di scarso
rispetto o altro. È che..”.
“Dovete
andarci” si affrettò a dire Keros
“L’angelo dalle ali d’oro mi ha detto che
ci
dovete andare”.
“Ma
quale
angelo?”.
“L’angelo
dalle ali d’oro. E dai quattro occhi”.
“Quattro
occhi? E le ali d’oro? Phanes?”.
“Chi
è
Phanes?!”.
“Phanes
è..il tutto. Ha generato il Caos da cui sono derivate tutte
le divinità
Greche”.
“Oh..allora
sì, mi sa che era lui”.
“Però,
da
quel che ne so, non esce mai dalla sua grotta!”.
“Ha
detto
che domani, all’anfiteatro, molte delle vostre domande
troveranno risposta”.
“Ah
sì?
Ottimo. Sarebbe ora. Ma tu..parli con le divinità ancestrali
adesso? Che altro
farai? Mi stupisci ogni giorno”.
“Sono
una
creatura piena di sorprese. Come un’enorme
matriosca”.
“Enorme
non
direi. Quanto pesi? Trenta chili?”.
“Dicono
che
gli angeli siano tanto leggeri..avrò preso da quel lato
della famiglia”.
“In
questo
caso..io ho preso tutto da papà”.
Ridendo,
Arles
si poggio sul mezzo demone che gemette un
“ciccione”. Keros poi si scansò di
lato, facendo finire il Dio in avanti, sul pavimento.
“Mi
perdoni?” domandò poi il padrone di casa.
“Però..domani
all’arena state attenti, tutti quanti. Non ho visto cose
piacevoli..”.
“Staremo
attenti. Vedrai, andrà tutto bene”.
Con
una
mano fra i capelli del mezzosangue, Arles lanciò una rapida
occhiata a dove
fosse finita la sua capigliatura, non volendo vederla andare a fuoco.
Era
pericolosamente vicina al camino. Keros intuì i pensieri del
suo signore e si
allungò in avanti, allontanando i capelli neri dal pericolo.
Poi si sentì trascinare,
in un bacio. Questa
volta non aveva
intenzione di lamentarsi, fuggire o evitarlo. Era quello che aveva
sempre
voluto, fin dal primo istante in quella casa! Quelle visioni che aveva
avuto lo
spaventavano ma si sforzò di non pensarci, concentrandosi
solamente su ciò che
accadeva. Il suo signore lo amava, lo amava per davvero! E lui, piccolo
mezzo
demone, in quel momento di sentiva la creatura più felice
del mondo!
Ok,
giuro che ora la smetto XD il prossimo
capitolo sarà un MACELLO. Sì, finalmente si
capirà qualcosa di più su quanto
sta accadendo in arena e fra gli Dei. Ares, Phanes ed altri
“simpatici
soggetti” vi attendono! E fra qualche capitolo capirete anche
perché ho deciso
di intrecciare la relazione fra Keros ed Arles (oltre che per far
tacere quei
simpaticoni che mi danno dell’omofoba perché non
inserisco scenette yaoi)
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Capitolo 14 *** XIV- Imperituro ***
XIV
IMPERITURO
“Keros..tu
e
papà avrete dei bambini?” domandò
Azlan, pasticciando con latte e biscotti.
L’intera
compagnia si era appena destata e stava facendo colazione. Il piccolo,
con
questa domanda, aveva rotto il silenzio assonnato che si era creato.
“C..come?!”
farfugliò Keros, convinto di non
aver ben capito.
“Una volta ho
chiesto a mamma come nascono i
bambini e lei mi ha detto che quando due persone si vogliono tanto ma
tanto bene..poi
i bambini arrivano! E visto che tu vuoi tanto ma tanto bene al mio
papà, e gli
dai i bacini come fa la mamma, allora avrete dei bambini.
No?”.
“Hem..ecco..”.
Keros
si
guardò attorno, in cerca di un qualche aiuto da parte dei
presenti, che però
non sapevano bene che dire.
“Azlan!”
riuscì finalmente a parlare Arles “Non funziona
proprio così. Vedi..ha ragione
la mamma, ma per fare bambini ci vuole il maschietto e la femminuccia.
Capisci?”.
“Ah.
Quindi
Keros potrebbe fare i bambini con la mamma!”.
“Oh
santo me
stesso..hem..ne riparliamo dopo il torneo, ok?”.
“E
tu e
Keros vi sposerete?” domandò invece Faram.
“Hem..”.
“Il
principe
sposa sempre la principessa di cui è innamorato. Se siete
innamorati, vi dovete
sposare. Tu e la mamma siete sposati ma tu e Keros no. È
perché ami più la
mamma di Keros?”.
“Non
faccio
questi paragoni, bambina mia. Sarebbe come chiedermi chi fra di voi,
figli
miei, preferisco. E non posso sceglierne uno, voglio bene a tutti allo
stesso
modo”.
“Quindi
sposerai Keros? Così io potrò vestirmi da
principessa? E fare da damigella?”.
Il
Dio ed il
mezzo demone si lanciarono uno sguardo lievemente preoccupato: la
conversazione
stava degenerando.
“Papà..”
continuò sempre Faram “..ma io dovrò
aspettare il mio principe o la mia
principessa?”.
“Beh..intanto:
non aspettare. L’amore arriva quando meno te lo immagini e
stare ad aspettare è
del tutto inutile. E poi..che differenza fa? Che sia principe,
principessa,
demone, angelo, bianco, nero, fuxia, verde, alieno..che differenza fa?
Mi
auguro che tu possa provare l’amore che ho avuto la fortuna
di provare io. Non
importa verso chi questo amore verrà rivolto. Se sarai
felice, e innamorata,
bambina mia..tutto il resto non conterà”.
“Voglio
proprio vedere” ironizzò Deathmask “Oh
sì, non vedo l’ora di vederti al suo
primo appuntamento..”.
“Keros,
non
vuoi sposare il mio papà?” insistette Azlan.
“Io..sono
un
demone. I demoni non si sposano”.
“Ma
sei
anche un angelo”.
“Mi
risulta
che manco gli angeli si sposino..”.
“Hai
paura
di stufarti?” suppose Iravat, con un ghigno quasi malefico
“Dopotutto, sia tu
che mio padre vivrete ancora dei millenni, se non vi fate ammazzare. Ed
un
legame come il matrimonio..durerebbe troppo a lungo?”.
“Se
io
potessi firmare un contratto in cui mi si dice che dovrò
restare qui altri 6000
anni, o più, lo firmerei all’istante. Non
è il tempo che mi spaventa. È il
semplice fatto che..tuo padre è il marito di Eleonore. Io
sono il suo demone,
il suo angelo, il suo servo..sono tante cose..ma per il mio modo di
vedere il
mondo, per come sono stato cresciuto, non serve di certo che qualcuno
mi
dichiari in eterno legato a lui, perché lo sono
già”.
“E
se lui
dovesse morire? Rimarresti qui con noi?”.
“Non
lo so.
Preferisco non farmi domande del genere”.
“Possiamo
fare colazione e pensare ad altro?!” interruppe Arles
“L’arena ci aspetta! È
già tardi! E cosa cazzo è questo suono
fastidiosissimo?!”.
“Papà
ha
detto: cazzo!” si indignò Azlan.
“Parli
di
questo?” sorrise Aiolia, mostrando un ciondolo che terminava
con un
campanellino “Me lo ha regalato Marin. Dice che porti
fortuna”.
“Ha
un
suono che ti trapana il cervello!”.
“Non
esagerare!” rise Eleonore “A me piace. E non dire
le parolacce davanti ai
bambini!”.
“Ma
è vero!
È tremendo!”.
“In
effetti..” convenne Keros, concedendosi l’ultimo
biscotto “..anche a me da un
certo fastidio”.
“Mi
ha
detto che serve a tener vicino a me l’angelo
custode” spiegò ancora il Leone.
“È
un
fottuto chiama angeli!” sibilò Arles.
“Papà
ha
detto: fottuto!” rise Faram.
“Ary!”
si
accigliò Eleonore “Dovrei lavarti la lingua con il
sapone!”.
“Sì,
è un
chiama angeli” alzò un sopracciglio Aiolia
“Che problema c’è?”.
“Hai
presente i fischietti per cani? Tu lo usi e odi solo un fischietto
normale, un
cane sente una specie di rottura di coglioni che gli martella le
tempie. E sì,
papà ha detto: coglioni!”.
I
bambini
risero ed Eleonore colpì il marito dietro lo nuca con un
cucchiaio di legno,
minacciandolo.
“Perciò
se
non lo agiti troppo, ci fai un favore” concluse Keros, mentre
Arles veniva
colpito di nuovo.
“Capito”
rise il Leone.
All’arena,
come sempre, c’era un gran baccano. Apollo stava per
annunciare gli scontri
successivi ed erano tutti curiosi ed impazienti. Arles ed i gold, in
particolare, attendevano di sapere cosa gli aspettava. Il Dio
organizzatore
delle sfide si era alzato, e si apprestava a parlare, quando una risata
familiare interruppe il discorso sul nascere. Il terreno
vibrò e, assieme ad un
incessante rumore di catene, un uomo altissimo comparve
all’anfiteatro. Aveva
l’aria anziana e la sua pelle era scura. Immediatamente,
molti Dei o
riconobbero e la risata si ripeté.
“Fratellino”
parlò una voce, il cui proprietario comparve poco dopo
“Posso far partecipare
un amico ai giochi?”.
“Ares!”
ringhiò Apollo “Lo sapevo che eri un coglione, ma
da qui a liberare Cronos e
condurlo qui..”.
“Non
mi
ringraziare” ghignò il Dio della guerra
“Vi aiuto a superare le vostre fobie. So
bene che cosa temono gli Dei, più di ogni altra cosa: il
tempo che corre. La
vecchiaia. È per questo che l’ambrosia ve la
trincate come non ci fosse un
domani”.
“Che
cosa
vuoi? Perché devi portare scompiglio in una tale situazione?
Dove riusciamo ad
agire in pace e con il rispetto reciproco?”.
“Patetico
idiota. Non distingui la realtà dalla finzione, la
lealtà dall’inganno. Siete
forse incapaci di combattere sul serio, senza di me? Ad ogni modo..il
qui
presente Cronos vorrebbe sfidarvi. Se c’è qualcuno
con le palle che accetta la
sua sfida. In caso contrario..che succede? Vince lui? Diviene re
dell’Olimpo?”.
Gli
Dei si scambiarono
degli sguardi preoccupati. Non volevano che l’ancestrale
Cronos vincesse, ma
nessuno di loro aveva il coraggio di raccogliere la sfida. Sapevano
che, con il
minimo errore, rischiavano di divenire polvere nella clessidra del
tempo. Un
vociare sommesso e lievemente spaventato correva fra le scalinate. Il
Dio delle
illusioni non comprendeva del tutto ma ricordava bene come i suoi
figli,
Tolomeo ed Ipazia, avessero perso preziosi anni della loro
gioventù per colpa
di quella creatura. Non ci teneva di certo ad invecchiare e morire, ma..
Inaspettatamente,
Hermes si alzò in piedi e puntò il suo bastone
contro Cronos.
“Io
raccolgo la tua sfida” esclamò “Non ho
paura di te. Il tempo corre, è vero,
però io..corro più veloce di lui!”.
“Hermes,
fratellino!”
si allarmò Artemide “Sei sicuro di quello che
fai?”.
“Ma
certo,
sorella. Tranquilla. E tu, Ares, preparati: perché dopo
toccherà a te!”.
Il
Dio
della guerra rise di nuovo. Arles lo osservava attentamente, cercando
di capire
la verità. Il Dio alzò lo sguardo e gli sorrise.
“Sei
ancora
vivo, ragazzo. Complimenti” commentò
“Ridammi l’elmo, per favore. A te non
serve. E non temere: una volta archiviata questa piccola sfida, la
sistemo la
faccenda con te ed il tuo amichetto impiccione. Solo che questa volta
vi stacco
la testa dal collo!”.
“Quello
non
è mio padre!” disse Eros, girandosi verso Apollo,
che però era impegnato ad
osservare i movimenti del fratello minore.
Hermes,
a
passo fiero, aveva lasciato la sua postazione e si era portato al
centro
dell’arena. Con un gesto di sfida, invitò Cronos a
fare altrettanto.
“Padre,
chi
è?” domandò Sadalta.
“Cronos”
gli spiegò Camus “Una divinità
estremamente antica, che molti confondono con il
titano Crono. È legato al tempo ma..credevo che gli Dei lo
avessero
imprigionato tanto tempo fa. Non pensavo che Ares avesse la forza
necessaria
per liberarlo!”.
“Il
potere
di Ares è terribile” commentò Kiki
“Anche se non comprendo i suoi intenti”.
“Non
possiamo fermarlo?” domandò Aiolia
“Mentre si svolge lo scontro fra Cronos ed
Efesto, lo possiamo bloccare!”.
“Non
penso
sia una mossa saggia” rispose Aiolos.
“Saggia
o
non saggia, ora vado là!” ringhiò Milo
“E lo prendo a ceffoni finché non mi
dice dov’è Mirina!”.
“Milo!
Calmati!” lo fermò Camus “Si tratta pur
sempre di un Dio! Rischi di scatenare
su di te le ire del resto della famiglia”.
“E
sai
quanto me ne frega?!”.
“Papà!”
sospirò Sargas.
“Ares!”
sbraitò Milo, alzandosi
“Dov’è mia moglie?!”.
“A
lavorare. Assieme a quella gran bagascia di sua madre”
ghignò il Dio della
guerra.
Lo
Scorpione
scattò in avanti, furioso, ma subito fu ricacciato indietro
dal vento provocato
da Hermes: lo scontro era iniziato, e non permetteva interferenze.
“Apollo!”
chiamò Arikien, girandosi verso il trono che aveva alle
spalle “Devo
raggiungere mio padre. Voglio capire!”.
“Calmati!
Ho dato ordine che non gli sia data la possibilità di
lasciare l’arena. Appena
lo scontro sarà terminato, lo spingeremo al centro
dell’anfiteatro e dovrà
parlare. Saremo tutti uniti questa volta, te lo prometto”.
“Pensi
davvero che sia veramente Ares a fare tutto questo!?”.
“No,
non
poteva liberare Cronos da solo. Ma non fa differenza. Che sia lui da
solo o se qualcuno
lo aiuta, o lo manovra, lo fermeremo e..”.
“Lascia
che
ci parli io. Lasciami avvicinare”.
“Dopo
quello che ha fatto l’ultima volta?!”.
“Fidati.
Devo avvicinarmi”.
“Va
bene.
Ma se sguainerà la spada, darò ordine di
ucciderlo”.
“Bene..”.
Con
i sandali
alati, Hermes fluttuava in aria. Cronos lo osservava, senza
espressione. Con un
gesto, fra le mani della divinità ancestrale comparve della
sabbia. Lentamente,
avvicinò le mani alle labbra e soffiò. La sottile
polvere si sparse,
arricciandosi e volando, prendendo la forma di migliaia di farfalle.
L’arena
rimase affascinata dinnanzi a quello spettacolo.
“Questa
cagata dovrebbe far paura?” alzò un sopracciglio
Lucifero, fissando una delle
farfalle che si avvicinava.
Anche
Mihael pareva perplesso. Le farfalle, volando, lasciavano dietro di
sé una
sottile polvere che risplendeva d’oro. Con il sole, questa
polvere lanciava
riflessi per tutto l’anfiteatro.
“Magnifico!”
sorrise Afrodite.
“Non
toccatele!” ordinò Arles ma ormai era tardi: molti
dei presenti avevano già
quella sabbia fra le mani.
Con
addosso
quella polverina, gli occupanti dell’arena iniziarono a
scorgere delle
immagini. Ognuno di loro poteva vedere qualcosa riguardante il proprio
passato,
presente o futuro. Questo risvegliò la paura. Quel che
rivedevano erano momenti
tremendi, infelici, spaventosi. C’era chi ricordava persone
care che perdevano
la vita, chi imperdonabili errori commessi e chi vedeva materializzarsi
i
peggiori incubi per il futuro. Il Dio delle illusioni in principio fu
avvolto
da ricordi legati al santuario. La sua vita da Gran Sacerdote,
l’angoscia ed il
senso di colpa. Tentò di non perdersi in quelle immagini,
che già diverse volte
aveva rivissuto nella testa. Sfruttando il suo potere,
riuscì ad allungare lo
sguardo ed andare oltre. Era circondato dagli altri occupanti
dell’arena, che a
loro volta erano circondati da visioni poco piacevoli. Ma
qualcos’altro
attirava la sua attenzione. Alle spalle di ogni singola creatura
presente,
iniziò a scorgere delle ombre, che divennero sempre
più nitide. Il primo che
riconobbe fu Shion. Alle spalle di Mur e Kiki, l’antico
Sacerdote e cavaliere
dell’Ariete osservava con tenerezza i suoi successori.
Accanto a lui, altre
armature d’oro. Arles non ne conosceva i nomi, salvo qualche
raro caso, ma
intuì che coloro che vedeva dovevano essere tutti i
cavalieri passati. Erano
sempre di più. Anche dietro alle divinità erano
comparse altre persone: Dei del
passato, a cui avevano rubato il posto, o reincarnazioni di varie
epoche.
Accanto a Lucifero e Mihael riusciva a vedere come erano prima della
guerra del
cielo, quando il demone era ancora uno degli angeli. Riusciva a
vederlo, mentre
probabilmente lui rivedeva la propria caduta e la separazione da
Sophia. E poi
vedeva tutte le creature da cui avevano acquisito degli aspetti, che
ormai
l’uomo aveva dimenticato. Le creature si moltiplicavano,
divenendo uno sciame
che si allungava all’infinito. Creando due file, che si
attorcigliavano in
cielo in spire sempre più sottili, Dei e mortali si
intersecavano. Come due
serpenti, uno di fronte all’altro, le file si intrecciavano.
Avvinghiati in un
corpo quasi unico, il Dio vide emergere due figure, il cui corpo era in
buona
parte composto da quella moltitudine di esseri del passato e del
presente. Le
due figure si osservavano e parevano danzare, in un imperituro
movimento
cosmico. Poi si fermarono di colpo, quando una terza figura comparve
dinnanzi a
loro che, avvolta da luce oro, spalancò le ali, le braccia e
tutti e quattro
gli occhi.
“Phanes..”
mormorò Arles “Ma..che cosa significa? Che cosa
sto guardando?”.
E
perché
quella specie di angelo pareva impedire a Keros di intervenire e
reagire?
L’unico
che
non era stato colpito dalla polvere, e che quindi aveva mantenuto una
certa
lucidità, era stato Hermes. Grazie alla sua
velocità ed alle sue ali, non si
era fatto coinvolgere in quell’attacco. Ignaro di quanto i
suoi colleghi
vedessero, continuava a cercare di colpire Cronos.
“Irritante”
sbottò Cronos, con voce inquietante “Non si
può sfuggire al tempo che scorre,
sai?”.
“Ci
sono
riuscito fin ora, cosa ti fa credere che mi fermi adesso?”
ridacchiò Hermes,
schivando un altro attacco con la sabbia.
“Sei
un
illuso”.
“Può
darsi.
Ma visto che tieni sotto controllo tutti i miei fratelli, è
compito mio sconfiggerti
per liberarli”.
“Non
potrai
mai farlo. Il destino è dalla mia parte”.
Ares
si
voltò, osservando suo figlio. Non era sotto
l’influsso delle visioni come gli
altri, stava vedendo qualcosa di diverso. Ma che cosa? Cosa passava per
la
testa a quello strano essere? Ebbe un lieve sussulto quando
notò che il Dio
delle illusioni si era alzato ed aveva girato gli occhi, lo stava
fissando. Lo
sguardo che gli rivolse lo fece rabbrividire per qualche secondo. Poi
il Dio
della guerra sorrise, mentre i suoi occhi mutarono.
“Mi
hai
trovato..” commento.
Hermes
era
stanco di correre, volare e fuggire. Sapeva di non poterlo fare
all’infinito,
ma Cronos si era avvolto nella sabbia e lanciava soffi verso il
più giovane dei
figli di Zeus. Con un poderoso battito delle ali dei suoi sandali, si
avvicinò
il necessario per riuscire finalmente a colpire Cronos con un poderoso
pugno.
“Lascia
che
ti mostri perché sono il Dio degli atleti!”
sbottò, schivando il contrattacco
dell’anziana divinità molto più grossa
di lui.
Poggiò
uno
dei sandali sul petto dell’avversario, rigirandosi e
riuscendo a colpirlo di
nuovo, questa volta con un calcio. Era estremamente veloce ma questo
non
scoraggiò Cronos, che lanciò di nuovo la sua
sabbia. Questa volta non era in
forma di meravigliosa farfalla ma acuminata freccia, che
colpì il braccio di
Hermes. Subito il proprietario lo sentì molto più
pesante e rigido.
Guardandolo, vide che era come appassito, invecchiato, per colpa di
quella
freccia. Non si perse d’animo e contrattaccò
immediatamente, con una raffica di
calci che spedì a terra Cronos. Hermes ne
approfittò per creare un piccolo
vortice d’aria, nel tentativo di dissolvere parte della
sabbia. Ora che parte
di essa era svanita, poteva scorgerla chiaramente: la clessidra! La
clessidra,
simbolo e fonte del potere del suo avversario, si mostrava accanto a
Cronos.
Non molto sicuro di fare la cosa giusta, ma del tutto incapace di
pensare ad
altro, corse verso di essa. Il suo sfidante tentò di
afferrarlo e fermarlo, ma
non ci riuscì. Concentrando l’energia nel braccio
sano, Hermes si lanciò contro
quell’oggetto e riuscì ad infrangerlo. La sabbia
lo avvolse e dovette fare uno
sforzo immane per volar via.
“Pazzo!
Non
sai che..?” iniziò Cronos, ma un gesto di Ares lo
zittì.
Hermes
si
stupì. Da quando il Dio della guerra poteva controllare il
tempo? Notò con un
certo sollievo che gli altri presenti all’arena si stavano
riprendendo. Molti
erano turbati e spaventati.
“Ha
vinto?”
si stupì Apollo “Il mio fratellino ha vinto contro
il tempo?”.
Hermes
rispose
con un lieve inchino, sentendosi molto stanco. Il contatto con la
sabbia lo
aveva fatto invecchiare un po’, anche se non abbastanza da
renderlo
irriconoscibile. Si udì un sibilo, e la clessidra si
ricompose. Ares, ridendo,
applaudì e si alzò. Nell’arena scese il
silenzio, mentre Arles non distoglieva
lo sguardo dal Dio della guerra.
“Chi
sei?”
gli domandò, infine.
“Chi
sono
io?” ghignò Ares “Me lo
chiedi?”.
“Sì,
perché
io non ti conosco. Chi sei, donna?”.
“Mi
vedi?
Ma che bravo..”.
L’anfiteatro
borbottò. Donna? Quale donna? Il Dio delle illusioni scese i
pochi scalini che
lo separavano dall’arena, vedendo che Ares faceva lo stesso.
Keros trattenne il
fiato. Alle sue spalle, un’invisibile Phanes lo tratteneva
dall’intervenire.
“Chi
sei?”
ripeté ancora Arles “E perché hai
scatenato il tempo contro di noi? L’altra
volta, quando sono stato trafitto dalla spada, non c’eri. O
meglio..non eri
dentro a mio padre. Probabilmente lo controllavi a distanza ma, essendo
più
potente di me, non sono stato in gradi di scorgerlo. Ora, invece,
riesco a
capire che non è mio padre colui con cui sto
parlando”.
“Io
sono
certa che lo sai chi sono, Dio delle illusioni” sorrise il
corpo di Ares,
allungando una mano verso la fronte del figlio e sfiorandolo con due
dita.
Arikien
spalancò gli occhi, d’un tratto comprendendo. Quel
breve tocco gli aveva
mostrato il vero aspetto di chi aveva davanti.
“Ananke?”
riuscì a dire “Il destino? Il principio primigenio
del mondo? La forza contro
cui nessuno può nulla?”.
“Mi
conosci..”.
Arles
si
inchinò, gesto che stupì molti dei presenti che
non capivano quanto stesse
accadendo.
“Vi
ho
tanto cercata” confessò il Dio delle illusioni.
“Lo
so. Ho
udito la tua voce. È stata lei a destare me ed il mio
compagno, che altrimenti
avremmo continuato a riposare. Non so se ringraziarti o punirti. Ma il
potere
che hai..mi piace. Inoltre, pare che pure mio figlio Phanes sia
interessato
alla cosa. Perciò non ti distruggerò”.
“Che
avete
fatto a mio padre? Che sta succedendo?”.
“Voi
proprio saperlo? Vieni a vederlo con i tuoi occhi”.
“Come
faccio? Dove sono i miei fratelli? E le mie sorelle?”.
“Raggiungimi,
nel luogo dove a lungo ho riposato, e lo scoprirai. Ho tante cose da
dirti,
Arikien delle illusioni”.
“Ma..io
non
so dove si trova quel luogo!”.
“Lo
saprai.
Se mi raggiungerai, non mi vedrete più in questo anfiteatro
ad infastidirvi”.
“Io?
Perché
io?”.
“Perché
ho
udito la tua voce, non quella di qualcun altro. E tu mi hai visto, fra
le
sabbie dell’eternità, risalendo fino agli albori
del tempo. Accetta il mio
invito. Trovami, e tutte le domande che tanto a lungo ti poni
troveranno
risposta. E rivedrai la tua famiglia, te lo prometto”.
“Cosa
avete
fatto a mio padre?”.
“Lo
rivuoi?
E va bene..per dimostrarti che non ti sto ingannando, te lo
concedo”.
Il
corpo di
Ares ebbe un fremito, mentre Ananke lo lasciava. Alle spalle del Dio
della
guerra, i presenti videro una strana creatura, in parte serpente, che
lentamente si dissolse, rivolgendo solo un ultimo “Ti
aspetto” al Dio delle
Illusioni. Anche Cronos si dissolse, assieme alla sua sabbia, in pochi
istanti.
Ares invece cadde in avanti, privo di sensi. I lunghi capelli neri
erano
divenuti candidi, così come bianca era la sua belle ed il
suo sguardo, cieco.
“Padre
Ares!” lo chiamò Arles “Ma che ti hanno
fatto?!”.
“Fratello”
chiamo Gibrihel, rivolto all’arcangelo che aveva a fianco
“Fratello, tutto
bene? Che cosa è stato? Cos’erano quelle
visioni?”.
“Non
ne ho
idea” ammise Rahael “Dove Mihael?”.
“Non
lo so.
Non vedo nemmeno Lucifero”.
“Come
sempre
quei due si sono allontananti per bisticciare?”.
Poco
più in
basso, fra i gradini, Asmodeo sollevò lo sguardo e
lanciò uno strano sorriso a
Rahael, che rispose con un ben poco angelico dito medio.
“Raphy!”
mormorò Gibrihel “Comportati bene”.
“Quanto
lo
odio” sibilò l’arcangelo “Gli
spaccherei la faccia in un istante! Quanto mi
irrita!”.
“Sì
ok
ma..ora rilassati. Che è meglio..troviamo Mihael. Noi non
dovremmo gironzolare
per il mondo così a casaccio”.
“Hai
ragione..non devo cedere alle provocazioni di quel demone”.
Rahael
parve riprendere il controllo ma non resistette a voltarsi ancora una
volta,
fissando Asmodeo negli occhi e dedicandogli un
“fottiti” con il labiale.
Quella
sera, poco dopo il tramonto, Keros osservava il suo signore. Aveva lo
sguardo
distante, concentrato sul fuoco. Apollo aveva visitato il fratello
minore Ares,
senza comprendere che cosa gli fosse successo. Quel che aveva capito
però, era
che il Dio della guerra non sarebbe vissuto a lungo. Stava invecchiando
e si
consumava velocemente, nulla pareva donargli sollievo o giovamento.
Afrodite,
disperata, continuava a chiedere per quale motivo al suo amato toccava
appassire come un bel fiore candido. “Dove sono i tuoi colori
e la tua
giovinezza, amor mio?” ripeteva, senza che nessuno potesse
darle risposta.
“Che
cosa
pensate di fare?” parlò finalmente il mezzo demone.
“Ti
sei
cambiato..” si limitò a commentare Arles.
“Il
bianco
non è il colore più adatto per il luogo che avete
in mente”.
“Non
sei
obbligato a venire con me. So che ti scoccia andare in certi
posti”.
“La
cosa
non mi scoccia. Mi lascia indifferente. Piuttosto..perché ci
andiamo? È per via
di qualcosa che avete visto prima, con la sabbia di Cronos?”.
“No,
direi
di no. Tu che cosa hai visto?”.
“Io?
La
fine di ogni cosa. Voi?”.
“Io
il suo
inizio”.
Eccoci
con l'aggiornamento del Lunedì. Ormai è quasi un
appuntamento fisso..Lunedì e Giovedì :P
Sono
andata a spulciare figure ancestrali della
mitologia greca. Mi sono arrovellata per trovare delle creature che in
pochi
usano nelle loro storie. Ci sono riuscita?
Preparatevi
al prossimo capitolo: si va
all’inferno! E, tanto per chiarire, i miei Lucifero ed
Asmodeo non sono quei
cosi osceni degli OAV di Saint Seiya :P
Non
so come si carichino le immagini su questo
sito perciò vi lascio questo link, nel caso siate curiosi e
ancora non abbiate
visto il mio primo disegno su Keros
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205323967527672&set=g.256279363821&type=1&theater
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Capitolo 15 *** XV- Inferno ***
XV
INFERNO
“Che
cosa
mi porti, Asmodeo? Cos’hai fra le braccia? Un regalo per
me?” domandò Lucifero,
con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.
Dall’alto
di una delle torri nere, osservava il regno oltre i suoi giardini.
“Purtroppo..”
chinò la testa Asmodeo “..porto infauste notizie
da Costantinopoli”.
“Costantinopoli?
L’assedio non è finito?”.
“Sì,
mio
signore. Da qualche mese”.
“E
dunque?
Che hai da dirmi?”.
“Si
è
sviluppato un incendio e..Carmilla è caduta”.
“Carmilla?
Carmilla è morta?”.
“Sì,
mio
re. Me ne prendo la totale responsabilità”.
Lo
sguardo
di Lucifero parve quasi sollevato, per qualche istante, voltandosi
verso
Asmodeo, che si era inginocchiato.
“Peccato..”
ricominciò a parlare il capo dei demoni
“..Carmilla era dotata di un potere
straordinario”.
“Colpa
mia,
signore. Era nelle mie schiere e non l’ho protetta a
dovere”.
“La
rabbia
ha avuto il sopravvento, posso capirlo. So che Carmilla era gravida e
non di un
figlio tuo. So quanto tu e lei foste legati ed immagino che questo ti
abbia
fatto infuriare”.
“Non
è una
scusa per non essere intervenuto tempestivamente per aiutarla. Merito
di essere
punito”.
“Mediterò
a
riguardo. Ma non hai risposto alla mia
domanda..cos’è quella cosa che stringi
fra le braccia? Mostramela”.
Asmodeo
si
alzò, scostando di poco il mucchietto di stoffe che reggeva.
Spuntò un ciuffo
di capelli rossi ed un visino tondo si mostrò, gemendo un
po’ per il fastidio.
Lucifero si avvicinò, arricciando la coda con
curiosità. Allungò le mani verso
quella creatura e la sollevò.
“Un
maschio..il figlio di Carmilla?” ipotizzò.
“Sì”.
“Ho
riconosciuto i capelli. Ma che carino..”.
Osservò
per
bene quel piccolo, notando i disegni sul lato sinistro e le bruciature.
Non
sembrava ferito, ma iniziò a dimenarsi e protestare.
Lucifero gli sorrise,
vedendo che già mostrava i dentini a punta della madre.
“Posso
prendermene cura io, signore? Posso farlo restare in questo
palazzo?” domandò
Asmodeo.
“Ne
sei sicuro?
Non è tuo..potrei affidarlo a qualcun altro..”.
“Lo
so. Ma
Carmilla era fra i miei soldati. Sarà per me un modo per
rimediare alla sua
morte”.
“Dovrai
stare molto attento. Questa creatura è speciale. Unica. Non
dire a nessuno di
chi è figlio, non voglio che lui lo sappia”.
“Perché?”.
“Perché
suo
padre è fra gli angeli. Se vuoi che viva in questo luogo,
meglio non si
sappia”.
“Capisco..però..Carmilla
era una tentatrice! Poteva concepire un figlio solo per sua scelta, per
amore!”.
“Lo
so..”.
“Un
angelo?
Quale angelo può..?”.
“Non
te lo
posso dire. Ora vai. Tratta con riguardo questo piccolino. Tratta con
riguardo..Keros”.
Asmodeo
si
congedò e, con il piccolo fra le braccia, si
incamminò lungo i corridoi del
palazzo del suo re. Intenzionato a raggiungere le sue schiere,
incrociò la splendida
Lilith. Dalla pelle candida e dagli
occhi viola, si voltò quando udì il bimbo
piangere. Stupita nel vedere Asmodeo
alle prese con un neonato, trovò quasi divertente quella
scena.
“Come
mai
piange?” chiese.
“Non
ne ho
idea” ammise il demone, iniziando ad infastidirsi.
“Avrà
fame”
suppose lei “Dallo a me”.
Stringendolo
a sé, Lilith lo cullo dolcemente, tentando di calmarlo.
Lasciò che si
attaccasse al suo seno ed iniziasse a nutrirsi, avidamente. Asmodeo
ridacchiò
divertito. Quel marmocchio era appena arrivato e già aveva
avuto l’onore di
essere preso in braccio da Lucifero ed allattato addirittura da Lilith,
la dama
di porcellana che ogni demone bramava!
“Come
si
chiama?” domandò lei “È
bellissimo”.
“Lui..ecco..Keros.
Lucifero ha detto che si chiama Keros”.
“Piacere
di
conoscerti, Keros. Benvenuto all’inferno!”.
L’inferno
era nero. Neri i suoi palazzi, nere le sue statue, nere le sue rocce.
Il rosso
si arricciava decorando le pareti del palazzo reale e lo stesso motivo
si
ritrovava sulla veste che indossava Keros . In nero pure lui, dopo
tanto tempo,
guidava il suo signore lungo i corridoi. Il Dio delle illusioni gli
camminava
accanto, non conoscendo molto bene quei luoghi. Stavano ripercorrendo
lo stesso
tratto che aveva percorso Asmodeo, quella sera di più di
1300 anni fa, quando
aveva portato Keros a casa. E proprio Asmodeo li attendeva. Era in
piedi, con
il solito sguardo fiero e severo. Non era cambiato molto da quel
dicembre del
718, salvo qualche capello bianco e ruga in più.
“La
vostra
visita mi stupisce” ammise il demone “Come mai
siete qui?”.
“Devo
parlare con mio zio” rispose Arles “Si è
allontanato in fretta dall’arena”.
“Il
re ha
chiesto di non essere disturbato. Mi dispiace, ma non posso fare
eccezione
alcuna”.
“È
successo
qualcosa?”.
“Non
dovrei
dirvelo ma..lo sguardo che aveva, tornando da
quell’anfiteatro, mi pareva turbato.
Non so che cosa sia successo, ma quando ha quella faccia è
consigliabile
stargli alla larga”.
“Capisco..Keros,
tu resta qui”.
“Che..che
fate?” farfugliò il suo servo “..non
vorrete mica..?”.
“Stai
qui.
Restate tutti qui, per favore”.
Il
Dio,
incurante dei divieti di Asmodeo e degli inviti a ragionare di Keros,
camminò
rapido. Dietro di sé, trascinava un lungo mantello che si
confondeva, fra i
capelli e il pavimento. L’oro che portava fra i capelli
brillava debolmente,
grazie alle candele di quel luogo. Giunto davanti alla porta della
stanza dello
zio, su una delle torri, bussò con una certa insistenza. Non
sentendosi rispondere,
la aprì ed entrò. Nel buio totale, intravide
un’ombra nel letto.
“So
che non
stai dormendo” parlò il Dio.
Lucifero
non rispose.
“Devo
parlarti” riprese il nipote “Vorrei lasciarti in
pace, ma purtroppo ho fretta e
devo discutere di una cosa piuttosto urgente”.
“Senti..”
sospirò lo zio “..sono lieto che finalmente abbia
portato il tuo divino culo
nel mio regno, ma oggi non sono in vena. Non ho voglia di parlare o
discutere
né con te né con altri”.
“Si
tratta
di qualcosa di estremamente importante. E che sono certo che ti
piacerà”.
“Mi
piacerà? Credimi..in questo momento non
c’è nulla che possa rallegrarmi”.
“Voglio
fare un patto con te”.
“Io
sono il
diavolo. Solo un pazzo fa un patto con me”.
“Vedimi
come tale. Ma ho bisogno del tuo aiuto”.
“Non
ho
voglia di ascoltarti. Sparisci..”.
Arles
sghignazzò. Questo fece vibrare le orecchie a punta di
Lucifero per il
fastidio.
“Cosa
c’è
di tanto divertente?” ringhiò il demone.
“Niente..solo
che mi vien da ridere. Il grande demone che ha sfidato il cielo e che
ora se ne
sta lì a piagnucolare come una ragazzetta scema, fa
ridere”.
Lucifero
si
alzò a sedere, arricciando la coda e fissando con rabbia il
nipote.
“Ho
voglia
di picchiarti, marmocchio insolente”.
“Fallo,
che
aspetti?”.
“Non
mi va.
Non sono in vena. Gira al largo, ti conviene”.
“Oh,
povero
demone. Ti manca la mammina?”.
“Io
non ho
mai avuto una madre!”.
“Allora
ti
manca l’abbraccio di papino?”.
Il
padrone
di casa reagì di scatto a quelle parole, lanciò
un grido e si scagliò contro il
nipote, che ghignò soddisfatto.
Keros
non
amava tornare in quei luoghi. Sentiva i commenti degli altri demoni,
che lo
prendevano in giro. Gli stessi discorsi di sempre, sul fatto che era
“un demone
strano”. Un tempo, Keros ammetteva di averli invidiati. Lui
era senza le corna,
senza la coda..senza le ali! Quanto invidiava chi aveva le ali! Quanto
aveva
sognato di potersi librare in cielo, lontano da tutte quelle voci. Ma
ora era
diverso. Non nascondeva più quei disegni sul braccio, che
con il caldo dell’inferno
mostrava a braccia scoperte. Non si vergognava più di quello
strano fisico, che
con quella canotta nera non lasciava grande spazio
all’immaginazione. Aveva
scelto però un modello a collo alto, per evitare di avere a
che fare con demoni
dall’istinto vampiresco. Come il suo signore, portava il
mantello ed il resto
del suo abbigliamento era una veste che pareva quasi angelica, non
fosse per il
nero ed il rosso. Unica punta di colore diverso erano gli orecchini
argento,
regalo del Dio delle illusioni.
Tentando
di
ignorare le voci che udiva, Keros stava chiacchierando con Lilith ed
Asmodeo. Entrambi
chiedevano informazioni al mezzo demone su come se la passasse.
Camminavano per
quei luoghi in cui il sanguemisto era cresciuto. Keros ricordava di
come a
volte Lucifero lo prendesse per mano, da piccolo, per impedirgli di
ficcarsi
nei guai. Ricordava i momenti in cui osservava le guardie del palazzo
ed i loro
allenamenti, invidiandone la forza. Ricordava gli ammonimenti del re,
quando a
volte inavvertitamente mostrava il potere angelico. E ricordava il
giorno in
cui, sconfitto dopo aver tanto girovagato per il mondo, si era arreso
ed era
tornato in quel luogo, dopo essersi allontanato perché
stanco di essere
definito “fuori posto”. Quel giorno, Lucifero gli
aveva aperto la porta e di
questo, doveva ammetterlo, doveva essergli riconoscente. Doveva anche
essere
riconoscente ad Asmodeo e Lilith. Lui perché lo aveva
salvato da neonato e lei
per avergli fatto, in un certo modo, da madre. Il re invece era una
sorta di angelo
custode. Divertente abbinarlo ad una creatura simile, ma era proprio
quel che
era per Keros. Lo sorvegliava continuamente, anche quando era per il
mondo.
Solo da Arikien aveva smesso, probabilmente perché aveva
capito che finalmente
il suo piccolo mezzosangue era al sicuro.
La
conversazione fra Keros, Asmodeo e Lilith fu interrotta da un gran
rumore
proveniente dalle stanze di Lucifero.
“Dici
debba
andare a controllare?” si chiese Asmodeo.
“Non
saprei”
alzò le spalle Keros “Ma spero che il mio signore
non sia venuto fin qui solo
per picchiare suo zio!”.
“Ti
senti
meglio?” ghignò il Dio.
“Sì”
ammise
Lucifero “Le scazzottate insensate mi mettono sempre di buon
umore”.
I
due si
fissarono ancora un po’. Le loro vesti si erano in parte
rovinate e sul corpo
recavano segni di colpi ricevuti. Sul Dio quei segni svanirono quasi
subito,
grazie al suo potere.
“Ti
ascolto, nipote. Che cosa vuoi da me? Parlavi di un patto..sei sicuro
di quel
che dici? Non è una cosetta da niente”.
“Non
sono
stupido. Pazzo, malato di mente..quello che vuoi, ma non stupido. So
quel che
significa”.
“Molto
bene. Tu dunque chiedi il mio aiuto. Ed in cambio? Che cosa mi daresti?
La tua
anima non mi serve..”.
“I
miei
servigi. Da anni mi stressi. Ebbene, sono disposto ad accontentarti.
Quanto
sarà il momento, io lotterò per te”.
“Un
Dio che
lotta per me? Interessante..ma penso che già da un pezzo tu
possa lottare per
me. So che, in caso di necessità, i parenti li aiuti
sempre”.
“Vero..ma
è
un erede ciò che vuoi. E sono disposto ad esserlo.
Sarò il tuo principe”.
“Mi
prendi
per il culo? Come mio erede, dovresti lottare al mio fianco durante
l’apocalisse, sfidando gli angeli. Se fai questo patto,
rinuncerai al cielo per
sempre! E sarai principe degli inferi, che prenderà il mio
posto se dovesse
succedermi qualcosa”.
“Il
cielo
non mi è mai interessato più di tanto. Ed il
drago che porto disegnato sul
petto penso possa rappresentare pienamente il drago citato
nell’Apocalisse”.
“Sei
serio?”.
“Assolutamente.
Questa notizia un po’ ti allieta?”.
“Mi
allieta
parecchio. Però..che dovrei fare in cambio?
Cos’è che un Dio non riesce a
sbrigare da solo, costringendolo a chiedere aiuto a me?”.
“Lascia
che
ti spieghi..”.
Con
un
sospiro, Asmodeo aveva tentato di capire quel che stava succedendo ai
piani
superiori. Si era allontanato da Keros e Lilith. Il mezzo demone invece
obbedì
al suo signore e rimase fermo dov’era, lottando contro la
curiosità. Per
togliersi ogni tentazione, invitò Lilith a passeggiare
ancora per il palazzo. I
giardini erano meravigliosi, e Keros li amava. Erano un luogo magico,
ricco di
profumi e colori. Era quasi un angolo di paradiso, non fosse per il
fatto che
quelle piante erano quasi tutte irte di spine e dalle foglie
d’ebano. Lilith,
con la pelle bianca, spiccava lì in mezzo.
“Sei
felice
adesso, Keros?” domandò lei, sfiorando i fiori.
“Sì”
rispose lui, dopo qualche istante “Finalmente posso dire di
sì. Nonostante sia
preoccupato ultimamente, posso dire che ora sono felice”.
“Hai
trovato la tua casa? Hai trovato il tuo posto?”.
“Finalmente.
Sì, finalmente sì”.
“Sono
tanto
felice per te! E dimmi..è una casa solitaria
oppure..?”.
“No,
non
direi proprio”.
“Ti
sei
finalmente legato a qualcuno? Hai trovato anche questo?”.
“È
così
evidente?”.
“Il
tuo
sguardo è diverso. È fiero e luminoso. Un tempo
tenevi sempre gli occhi bassi e
tristi. Sono davvero lieta nel sentire, e nel vedere, che è
tutto cambiato”.
“Vorrei
raccontarti qualcosa di più, ma non so se..”.
“Non
serve.
Non sono così impicciona. Sperò però
che un giorno mi presenterai questa
persona..”.
“Certo.
Io..”.
“Lilith!”
interruppe un gruppo di demoni “Meraviglia delle meraviglie!
Che gioia
vederti”.
Lilith
sospirò, abituata a farsi fare una corte spietata da quasi
tutte le creature di
quel regno.
“Cosa
ci
fai fra i fiori? E chi è questo qui?”
domandò un altro demone, indicando Keros.
“Ah,
è lo
strambo!” lo riconobbe un terzo “Quello dai disegni
strani. Dov’eri finito? Mi
divertivo troppo a sfotterti! Mi sei mancato”.
Keros
preferì non rispondere. Girò leggermente le
orecchie, fingendo indifferenza.
“Sei
diventato
pure sordo? Eppure ricordo che una volta ci sentivi
benissimo” incalzò il
demone, avvicinandosi con fare provocatorio.
Lilith
tentò di calmare gli animi, non capendo che senso avesse
litigare in quel
momento.
“Che
c’è?!
Ti fai difendere da una donna?” rise un quarto demone
“Sei patetico come
ricordavo! Dov’è Lucifero? Si è
stancato pure lui di difenderti?”.
“Non
ho
bisogno che Lucifero mi difenda, da uno come te” si
voltò di scatto Keros,
mutando colore degli occhi.
“Begli
orecchini, principessa” lo indicò il primo che
aveva parlato.
“Bella
faccia da coglione, stronzo”.
Lilith
fissò Keros, lievemente preoccupata. Da quando si comportava
così? Era
pericoloso sfidare tanti demoni in una volta! Specie per quel
piccolino, dal
corpo così diverso dagli altri.
Irato,
il
capo di quella fastidiosa compagnia fece per colpire il mezzo demone in
pieno
viso. Keros però riuscì facilmente a fermare quel
pugno con un semplice
sguardo. La barriera angelica ora lo avvolgeva e non gli importava se
per i
suoi avversari era strano quel che faceva. Non si tirò
indietro, nessuno di
loro era così potente da poterlo colpire, o anche solo
sfiorare.
“Ma
che
roba sei tu?” ringhiò uno di loro
“Creatura disgustosa. Sei forse un angelo?
Che per secoli ci ha spiato? Ti ucciderò, parola
mia!”.
“Provaci,
mezza tacca! Mi sa che non ci riesci” alzò un
sopracciglio Keros.
Il
demone
ringhiò di rabbia ed urlò.
“Non mi fai di
certo paura” non si scompose il
mezzo angelo, mentre il suo avversario tentava di colpirlo senza
successo.
Fin
ora
aveva evitato in tutti i modi di usare le sue capacità, su
esplicito ordine di
Lucifero. Ma le cose erano cambiate! Aveva un nuovo padrone, che in
ogni modo
lo incitava ad esprimere se stesso, in ogni sua forma. Seguendo quel
principio,
evocò il suo potere di fuoco.
“Le
fiamme
non possono bruciarmi” ghignò
l’avversario “Prova qualcosa di diverso”.
Keros
rimase serio e mosse la mano su cui la fiamma che aveva evocato stava
guizzando. Questa si diresse verso i suoi avversari, che non tentarono
di
schivarla. Si pentirono presto del loro errore, perché quel
fuoco li raggiunse
e li bruciò. Le loro grida di dolore attirarono
l’attenzione delle guardie del
palazzo e di molti curiosi, che si mossero verso lo scontro. Keros,
ignorando
la cosa, continuò a combattere. Respinse tutti gli avversari
e poi inquadrò per
bene tutti i nuovi arrivati. Qualcuno di loro era in cerca di
sofferenza e
agonia? Fece per attaccare di nuovo, quando vide lo sguardo del suo
signore fra
la folla. Era strano, forse perplesso. Il mezzo demone
abbassò le mani, mentre
Arles chiedeva che cosa stesse succedendo.
“Niente”
rispose Keros.
“Non
mi
pare che questo sia niente..”.
“Signore,
io..”.
“Non
sono
il tuo signore qui. Semmai è il contrario. So come funziona
fra i demoni. Tu mi
hai morso..”.
Un
vociare
sommesso si espanse fra la folla presente. Davvero quello strano demone
aveva
morso il nipote di Lucifero? Quella creatura inferiore era riuscita a
possedere
un Dio e sentirne il sapore del sangue divino Ikor? Arles, con la veste
rovinata dallo scontro con lo zio, mosse le stoffe con aria
indifferente, con
il preciso intento di mostrare quel morso. Questo fece ammutolire
tutti,
compresa Lilith.
“Non
credo
ci sia altro da vedere..” mormorò il Dio, fissando
la folla, che si disperse,
pur rimanendo in parte nei paraggi per spiare quel che accadeva.
Solo
Lilith
era rimasta, con un lieve sorriso divertito.
“Lei
è
Lilith” spiegò Keros “Posso considerarla
una sorta di madre”.
“È
un vero
onore conoscerla” commentò il Dio, con un
baciamano ed un lieve inchino.
“L’onore
è
mio” rispose lei “Voi siete il nipote di Lucifero.
E il fatto che siate legato
a Keros, che ho visto crescere, mi riempie
d’orgoglio”.
“Lieto
di
sentirlo”.
“Ma..posso
chiedere cosa è successo? La vostra veste..”.
“Niente
di
cui preoccuparsi”.
“E
Lucifero?”.
“Si
sta
cambiando. Dice che deve indossare qualcosa di adatto..”.
“Narciso..”
ridacchiò Keros.
Il
re
voleva presentarsi al meglio. Si era vestito in modo elegante e
minaccioso.
L’alto colletto nero gli incorniciava il viso ed il mantello
lo avvolgeva. Aveva
convocato i principali demoni del regno per annunciare, orgoglioso, che
finalmente il suo regno aveva un principe. E non era un principe
qualsiasi, ma
un Dio! La notizia fu accolta con vero entusiasmo ed iniziò
a rimbalzare per
l’intero mondo demoniaco.
“Ho
accettato..” parlò Lucifero, una volta rimasto
solo con il nipote “..ma ho come
il presentimento di aver commesso un errore. Dove sta la
fregatura?”.
“Non
saprei
spiegartelo del tutto. Vedi..il mio è solo un timore.
Potrebbe anche non
succedere alcunché. Però mi sento molto
più sicuro all’idea che tu ed i tuoi
soldati sorvegliate la mia famiglia, in mia assenza”.
“Assenza..conti
di stare via molto?”.
“Non
lo so”.
“E
perché
non hai chiesto aiuto agli angeli?”.
“Perché
loro non agiscono, senza uno specifico ordine del cielo. Tu invece puoi
fare
ciò che vuoi, quando vuoi”.
“E
i
cavalieri d’oro?”.
“Hanno
un
diverso compito”.
“Li
osservi
e ricordi?”.
“Che
cosa?”.
“Anche
tu,
nipote, ricordi i tempi in cui ti seguivano ammirati, perché
eri il più grande
e forte di loro? Il loro esempio, il loro modello? Prima, ovviamente,
di
precipitare nell’abisso..”.
“È
così che
vedi gli angeli?”.
“A
volte
sì..”.
“Che
allegria..”.
“E
quando
tornerai, qualsiasi cosa accada, rispetterai il nostro patto? Sarai
principe?”.
“Se
muoio,
non potrò farlo. Ma spero di tornare. E spero che, al mio
ritorno, la mia
famiglia sarà al sicuro. Tu proteggi la mia famiglia, non mi
interessa come, ed
io sarò il tuo principe. Lotterò in tuo nome, al
tuo fianco, quando sarà il
momento”.
“Bene.
Posso almeno sapere dov’è che andrai?”.
“Tu
non hai
visto Ananke?”.
“Chi..?!”.
“Lascia
stare. Piuttosto..la sabbia di Cronos, che cosa ti ha
mostrato?”.
“Il
mio passato”.
“La
caduta?”.
“No.
Mi ha
mostrato quel che avevo, prima di essere quel che sono ora”.
“A
proposito di questo..sai dov’è Mihael?”.
“Perché
lo
chiedi?”.
“Perché
pare sia sparito. Un gruppetto di angeli lo cercava insistentemente, ma
senza
successo. Gibrihel sembrava impazzito. Mi ricordava Keros quando
finisce i
biscotti: girava per l’arena come se stesse per finire il
mondo”.
“Miky
era
vicino a me, come sempre, all’arena”.
“E
poi che
fine ha fatto?”.
“Non
lo
so..”.
Capendo
che
effettivamente lo zio non sapeva molto a riguardo, il nipote si
congedò. Aveva
molte cose a cui pensare.
Tornati
a
casa, sanguemisto e padrone erano piuttosto silenziosi. Keros aveva
intuito gli
intenti del suo signore e preferiva non commentare.
“Non
mettere il broncio” lo stuzzicò il Dio, uscendo
sulla terrazza e raggiungendo
il mezzo demone.
Da
lì, si
vedeva il mare. Keros rabbrividì leggermente, non amando il
vento gelido che lì
soffiava. Ma voleva starsene un po’ da solo, e in quel luogo
sperava che
nessuno lo cercasse.
“Non
metto
il broncio” si limitò a dire.
“Che
dovrei
fare, secondo te? E che cosa ho fatto di sbagliato?”.
“Non
mi
piace quel che volete fare. Desiderate andare da Ananke,
vero?”.
“Sì,
è
così. Non dovrei farlo, secondo te?”.
“Io
vorrei
tanto che mandaste tutti a fanculo e tutto tornasse come prima: solo
noi. Ma mi
rendo conto che dal destino non si può sfuggire, ed Ananke
è il destino.
Perciò, se lei vi cerca, non potete fare molto..”.
“Devo
salvare i miei fratelli. Ed aiutare mio padre. Ed avere molte
risposte”.
“Io
odio
tutti gli Dei, sinceramente. Se anche Ananke, o chi per lei, li
sterminasse
tutti..non mi importerebbe. Ma comprendo la vostra decisione. Anche
se..”.
“Se..?”.
“Ho
rivisto
la stessa scena. Ho visto la vostra morte. I due serpenti.
L’angelo d’oro..”.
“Keros,
devi fidarti di me”.
“Io
vi
proteggerò. Farò tutto il possibile
per..”.
“No,
non
questa volta. Tu dovrai restare qui”.
“Qui?
Ma..come?! No!”.
“Ananke
ha
chiesto di me, e di me soltanto”.
“Sì
ma..che
ho fatto? Che cosa ho sbagliato? Perché mi punite? Non
capisco..”.
“Non
ti sto
punendo! Voglio che tu metta i tuoi poteri a servizio di questa
casa”.
“Ma
avete
chiesto a Lucifero di sorvegliare la famiglia! Vi prego, non fatemi
questo! Vi
prego!”.
“Smettila
di fare i capricci..”.
“Non
sto
facendo i capricci! È perché non mi ritenete
all’altezza? È perché sono..”.
“Basta!
Keros, non sopporterei di perderti. Così come non
sopporterei di perdere
Eleonore o i miei figli. Cerca di capire..”.
“E
voi
cercate di capire come posso sentirmi io, all’idea di sapervi
là fuori e non
sapere che vi succede. Dopo aver visto quelle terribili cose, nel fuoco
e nella
sabbia, io..”.
“Fidati
di
me”.
Arles,
non
lasciando tempo al mezzo demone di parlare ancora, tentò di
tranquillizzarlo,
stringendolo a sé.
“Devi
prenderti
cura di Eleonore” gli disse “Nessuno può
farlo come te”.
“Allora..porterete
con voi i cavalieri d’oro?”.
“No.
Loro
torneranno in arena e continueranno a partecipare ai giochi. Ho paura
che il
piano di Ananke preveda altri attacchi”.
“E
quindi..andrete da solo?! Ma è una follia!”.
“Smettila.
Fidati di me..”.
“Oh..Ary..”.
Keros
non
parlava più, sapeva che era inutile e non sapeva nemmeno
più che dire. Rimase
fermo, fra le braccia del suo signore, sperando che quegli istanti si
prolungassero all’infinito.
“Lo
sai..”
riprese il Dio “..prima, nel regno di Lucifero..ero
geloso”.
“Geloso?
Per quale motivo?”.
“Io,
sul
mio corpo, porto il segno del nostro legame. Ma su di te, non avendo io
i tuoi
stessi denti, non hai quel marchio. Perciò tutti quei
demoni, che ti fissavano
e ti ammiravano mentre combattevi, non sapevano che..”.
“Quante
siete stupido. Pensate che io possa tradirvi?”.
“No..però..”.
“Pensate
ad
altro ora, per favore”.
“Hai
ragione, devo preparare tutto e partire”.
“Partire?
Ora? Al buio?”.
“Prima
che
si svegli Eleonore”.
“E
perché?!”.
“Perché
se
tu, Eleonore ed i ragazzi, mi supplicaste tutti insieme di restare..non
potrei
varcare la soglia di casa! E so che non è questo il mio
destino”.
“..io..”.
“Finisco
di
preparare le mie cose e me ne vado. Ho già comunicato a Kiki
i miei ordini, li
trasmetterà lui a tutti i gold. Vorrei che, nel caso si
svegliasse,
rassicurassi mio padre. Cercherò di fare in fretta e tornare
in tempo, per
ridargli i colori ed i figli. Libererò i miei fratelli e le
mie sorelle”.
“Ma
se
fosse tutta una trappola? Se Ananke volesse solo..uccidervi?”.
“Lo
scoprirò, Keros”.
“E
sapete
dove dovete andare?”.
“Sì.
L’ho
visto. In uno dei miei incubi”.
“Incubi?”.
“Sì,
quando
stavi male ho fatto un sogno. C’era una grotta, delle catene,
delle grida. Sono
stato così stupido da non capire, ma ora
comprendo”.
“Continuo
a
pensare che sia tutta una follia”.
“Forse.
Forse è così, oppure è
l’unico modo”.
“L’unico
modo per fare cosa? I vostri fratelli potrebbero essere già
morti, per quel che
ne sappiamo. E Ananke..”.
“Fidati
di
me. Credi in me”.
Keros
rimase immobile qualche istante. Provava un tale insieme di emozioni da
farlo
quasi impazzire. Era pieno di rabbia, paura,
incertezza..però il suo signore
contava su di lui per sorreggere quella casa! Doveva mostrarsi
all’altezza!
“Promettetevi
che tornerete” disse, alla fine “Che tornerete qui,
con me. E con Eleonore.
Promettetelo”.
“Non
so che
cosa mi accadrà, ma ti giuro che lotterò con
tutto me stesso per tornare qui.
Il mio posto è qui”.
“E
allora
perché non ci rimanete?!”.
“Basta
con
le domande, Keros. Devo seguire il mio destino e se Ananke mi
chiama..”.
Il
mezzo
demone sospirò. Non sapeva che cos’altro fare, o
dire. lo sguardo di smeraldo
del suo signore brillava, con la luce delle stelle. Sorrise lievemente,
sapendo
che il suo Dio non aveva bisogno di altre preoccupazioni inutili.
“Dite
ad
Ananke che io vi rivoglio qui” riuscì a dire
“Che non osi farsi strane idee: tu
appartieni a me, non al destino!”.
Arles
sorrise: era il genere di frase che sperava di sentirsi dire! E
ringraziò il
suo mezzo demone con un bacio.
Eccoci
con il consueto secondo aggiornamento
settimanale! Non ho resistito. Il regno di Lucifero è molto
simile a quello che
gli ho creato ne “La città degli Dei”.
È un personaggio con cui mi piace
giocare..spero non si offenda! Spero sappia che lo trovo affascinante
;) A
questo proposito, ho iniziato a caricare una nuova Originale dal titolo
“il
diario segreto di Lucifero”. Sarei felice ci deste
un’occhiata! È demenziale! E
per quanto riguarda il “fisico” di Keros (di cui
qualche “groupie” mi ha
chiesto info) qui è un po’ descritto. Ci tengo
però a far notare che non lo
immagino come una specie di larva priva di muscoli..ma vicino agli
altri demoni
(specie i soldati, che immagino come degli Aldebaran incazzati) sembra
gracilino.
Inoltre
vi ringrazio perché i commenti per
questa storia stanno per battere tutti i “record”
delle mie altre storie ed il
primo Olympus Chapter sta per raggiungere la meta delle 1500 visite!
Grazie!
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Capitolo 16 *** XVI- Imago ***
XVI
IMAGO
“Non
è
concesso ad un demone varcare questa soglia!”
ordinò Hazrael, spalancando le
braccia.
“Levati
dai
piedi, Hazy” rispose Lucifero “Non ho tempo da
perdere con te”.
“Questo
è
il sacro tempio di Sophia. Nessuno può accedervi, se non le
creature del cielo.
Perciò, per favore, non avanzare oltre”.
“Altrimenti
che fai? Anche se sei nell’esercito di Mihael, non sei alla
mia altezza. Perciò
scansati, devo passare”.
L’angelo
si
accigliò leggermente, mentre Lucifero rimase con la stessa
espressione. Con le
mani affondate nelle tasche del lungo cappotto nero, il demone riprese
a
camminare. Hazrael dispiegò le ali, coprendo
l’ingresso della basilica.
Lucifero ruotò gli occhi. Senza troppa fatica, il diavolo
riuscì a passare, evitando
di fare troppo male all’angelo. Incurante delle grida della
creatura celeste,
Lucifero camminò lungo il colonnato. Le campane iniziarono a
suonare,
infastidendolo parecchio. Accelerò il passo, raggiungendo
l’altare e passando
per la porta segreta. Nel buio, avanzava senza problemi. Grazie alla
flebile
luce delle candele, intravide il dipinto che raffigurava la sua amata
sorella
Sophia. Non degnò di uno sguardo il proprio ritratto,
preferendo non ricordare
quei tempi.
“Fratello”
chiamò “So che sei qui”.
La
luminescenza di colui che un tempo era l’angelo
più splendente del cielo non
era svanita, aveva solo mutato colore. Era rossa, come il sangue, e
creava
ombre inquietanti e spaventose sulle pareti.
“Mihael”
chiamò di nuovo “Non puoi nasconderti. Ti
percepisco”.
“Percepisci
allora il mio dito medio alzato e sparisci, fratello”.
“Oh,
non
sei molto gentile”.
“Come
mi
hai trovato?”.
“Ormai
è da
tempo che posso dire di conoscerti come la mia ombra, Miky”.
L’arcangelo
arricciò il naso un paio di volte: non sopportava di essere
chiamato Miky! Si
era rannicchiato in un angolo buio di quel luogo riservato alle
creature
celesti, con una mano fra i lunghi capelli biondo scuro, e pareva
scosso. Il
fratello maggiore lo raggiunse, con un lieve ticchettio degli stivali
neri.
“Che
ti
prende, fratellino? Hai gli occhi lucidi. Non avrai mica
bevuto..?”.
“Ma
che
stai blaterando?!”.
“Stai
calmo”.
Senza
sorridere, Lucifero iniziò a fumare, offrendo anche al
fratello una sigaretta,
che ovviamente rifiutò disgustato.
“Mi
dici
che hai?” insistette il demone “Ti stanno cercando
tutti..”.
“E
a te che
importa?”.
“Ben
poco,
direi. Ma è strano potermi muovere senza avere te
costantemente fra i piedi che
mi sorvegli”.
“E
a te invece?
Che ti prende, Satana? Dovresti essere cattivo, dovresti essere da
qualche
parte a compiere azioni malvagie. Non qui a preoccuparti per
me”.
“Non
mi
preoccupo per te. E non chiamarmi in quel modo”.
“Rispondi
solo a questa domanda: quelle cose che ho visto..erano reali? Sono
successe
davvero? Succederanno?”.
“Ed
io che
ne so?! Non so che cosa hai visto”.
“Quello
che
hanno visto gli altri..era reale? Quello che hai visto tu, è
successo?”.
“E
anche se
fosse?! Non capisco dove vuoi andare a parare!”.
“Rispondimi!
Hai visto cose accadute veramente? E lo stesso è successo ad
altri?”.
“C’è
chi ha
visto il futuro, o il presente. Ma credo di aver capito che chi ha
visto il
passato abbia visto la realtà. Cronos ha usato il suo potere
per far
riaffiorare ricordi scomodi o poco piacevoli. Quindi penso che anche le
visioni
sul futuro si riveleranno veritiere. Perché? Che cosa hai
visto?”.
“Immagini
create di certo da quel finto Dio. Però..”.
“Però
sembrano tanto reali? Hai per caso ricordato qualcosa che la tua mente
aveva
rimosso? Oppure immagini di un futuro apocalittico?”.
“Non
si
possono rimuovere certe cose. Dev’essere tutto un
inganno”.
“Se
ne sei
convinto..ma, se lo fossi, non saresti qui. Dico bene?”.
“Viscido
serpente”.
“Piumino
fastidioso. Anch’io ti voglio bene”.
“Se
quello
che ho visto è vero..” iniziò Mihael,
storcendo il naso “..che senso ha?”.
“Non
so di
che parli, fratellino”.
“Lo
sai
benissimo di che cosa parlo!”.
“Oh..hai
ricordato..quello?”.
“Smettila
di sibilare cazzate e vedi di darmi una spiegazione plausibile, prima
che ti
infili la mia spada di fuoco in un posto molto scomodo!”.
“Ok,
ok.
Rilassati. Meglio mi sieda”.
Lucifero
pareva divertito, o forse sorrideva nervoso. Sedette accanto al
fratello
minore, senza sapere bene da che parte iniziare..
“Che
pensate di fare?” domandò Apollo.
Davanti
a
sé, il Dio aveva i cavalieri d’oro ed il Sacerdote
Kiki.
“Pensate
di
proseguire con il torneo, nonostante il Dio con cui vi siete presentati
si sia
allontanato?”.
“È
solo un
allontanamento temporaneo” assicurò Kiki
“Nel frattempo, se è possibile,
vorremmo continuare a combattere”.
“Benissimo.
Per me non c’è alcun problema. Però
dovrò avvisare i vostri avversari, in modo
che mandino in arena i loro campioni, per avere degli scontri
teoricamente alla
pari”.
“Anche
sfidare degli Dei, per noi non è un problema” si
affrettò a precisare Aiolia.
“Benissimo.
In questo caso..tornate al posto. Spero che il vostro amico sappia
quello che
fa. Del resto..se Ananke ti chiama non puoi fare molto. Lei possiede le
chiavi
del nostro destino. Neppure Zeus osava opporvisi”.
“Quanto
tornerà, sarà lui stesso a raccontare quel che ha
fatto e perché”.
Apollo
fece
una lieve smorfia infastidita, sentendo il chiasso che si era scatenata
in
arena. Gli Dei, con idee molto diverse su quanto stesse accadendo,
litigavano per
decidere il da farsi. C’era chi proponeva di intervenire
contro Ananke, ma
nessuno aveva realmente il coraggio di sfidarla. C’era chi
gridava vendetta e
chi se la rideva, senza una ragione. Apollo tentò invano di
alzare la voce.
Doveva mandare in arena due degni avversari, in modo da rendere succosa
la cosa
e distrarre gli animi. Guardò in su, verso i troni posti
sopra la sua testa, e
sorrise.
“Benvenuto,
Arikien delle illusioni” salutò Phanes, seduto fra
le rocce, con espressione
neutra “Come hai trovato la mia grotta?”.
“I
miei
fratelli mi hanno guidato” rispose il Dio, dopo aver percorso
un tortuoso
cammino sotterraneo per trovare quel luogo.
“Phobos
e
Deimos? Davvero?”.
“Dove
sono?
Dove sono i miei fratelli?”.
“Una
cosa
alla volta..”.
“Dov’è
tua
madre?”.
“Ripeto:
una cosa alla volta”.
“Una
cosa
alla volta?! Guarda che mi sto trattenendo dall’insultarti e
picchiarti. Che
cosa volete voialtri da me?”.
“Noi
da te?
Semmai tu da noi! Sei stato tu a chiamarci”.
“Come
sarebbe a dire?!”.
“Tu
conosci
il mito della creazione greco?”.
“Vi
sono
tante versioni. Quella che prevede la tua esistenza, narra di due
esseri in
parte serpenti, Ananke e Drakonta, che insieme si avvinghiano e tu sei
il loro
figlio. Phanes, il tutto, colui che in sé conserva tutti i
poteri del mondo.
Però, disinteressato al dominio, ti sei rinchiuso in questa
grotta. Tu sei il
padre del Caos, che ha generato Gaia, Urano e via dicendo. È
giusto quel che
so?”.
“Direi
di
sì. Io ed i miei genitori, una volta avviato il mondo e
vista la famiglia
olimpica ormai quasi del tutto formata, ci siamo assopiti. La leggenda
vuole
che il nostro risveglio sia indice della fine di ogni cosa. Io sono
rimasto
qui, in questa grotta, in pace, sorvegliando l’irruenza dei
miei genitori. Ma
ora essi si sono svegliati e sai perché? Perché
tu li hai chiamati”.
“Io
non ho
chiamato nessuno!”.
“Ti
sbagli.
Tu hai voluto cercare le risposte ad ogni cosa e, per farlo, hai
cercato me ed
il destino. La tua voce, il tuo incessante ripetere il nostro nome, ha
fatto sì
che nei miei genitori si risvegliasse la piena coscienza”.
“Questo
vuol dire che finirà ogni cosa?”.
“No,
non
necessariamente. Io sono libero dai piani di mia madre, posso muovermi
liberamente senza che lei venga a saperlo. Per questo ti sono apparso,
all’arena. Ma devo comprendere se quello che vedo
è un nuovo inizio o
l’inevitabile fine”.
“E
come lo
puoi comprendere?”.
Phanes
si
alzò ed aprì tutti e quattro gli occhi.
Girò attorno al Dio delle illusioni,
osservandolo.
“Dinnanzi
a
me..” parlò, camminando “..vedo una
crisalide. Una pupa ancora in via di
sviluppo che non sa se sarà in grado di prendere la forma
definitiva o rimarrà
così, come si dice? Imago?”.
“Spiegati..”.
“Tu
e quel
tuo amico, siete strani. Singolari”.
“Di
chi
parli? Se ti riferisci a Keros, non è un mio amico.
È la creatura che amo e non
osare avvicinarti a lui, finché non mi sarà
chiaro cosa sta succedendo”.
“Lo
ami? Legame
interessante. Mi chiedo chi sia il numero tre..”.
“Ma
che
dici?”.
“Per
un
nuovo inizio, sono sempre in tre. Tre esseri particolari, speciali,
dalle doti
fuori dal comune. Tu e Keros potreste essere due di questi. Oppure
è solo una
coincidenza..”.
“Non
capisco. Che mal di testa..”.
“Lo
so,
imago. Ti verrà spiegato, se sarai in grado di
comprenderlo”.
“Io
ero qui
per dirti che devo andare da mio nipote, a proteggere la sua famiglia e
la sua
casa. Non per discutere di cose successe più di un millennio
fa o su un futuro
ipotetico” parlò Lucifero, finendo la sigaretta
“Tu puoi pure restare qui, se
non ti va di perdere tempo. Non farò nulla di malvagio alle
anime che abitano
quel palazzo”.
“Il
mio compito
è seguirti, sempre. E combatterti”.
“Che
noia,
Mihael. Non hai altro da fare? Non hai un passatempo? Che ne
so..origami? Punto
croce?”.
“Quanto
sei
stupido! Se tu non fossi caduto, se tu non avessi fatto quel che hai
fatto, ora
sarebbe tutto diverso”.
“Ho
una
domanda per te: se io non fossi caduto, tu che cosa saresti? Sei un
guerriero.
Lotti contro i demoni per accompagnare le anime buone in paradiso, ed
altre
puttanate così. Se io non fossi caduto, se non fossi
divenuto un demone assieme
agli altri, tu che faresti?”.
“Avrei
un
altro ruolo. Sarei un guaritore o un messaggero. Oppure..”.
“Oh,
sì.
Certo. O un suonatore di arpa, un rammendatore di tuniche..andiamo!
Mihael! Ti
ci vedi?”.
“Che
stai
dicendo?!”.
“Ti
sto
dicendo che quel che deve succedere, succede e basta. Io dovevo fare
quel che
ho fatto. Altrimenti..non ci sarebbe nulla! Saremmo ancora qui a
grattarci nel
paradiso terrestre, ad annoiarci, a servire umani perfetti e scemi.
Niente
peccato originale, niente figlio divino che apre le porte del cielo e
cose
simili. Non può esistere una religione, senza il bene ed il
male!”.
“
Tu dici
idiozie”.
“Vedila
così: seguiamo tutti il disegno di Dio. Io ho fatto quel che
dovevo fare”.
“Non
nominare il nome di Dio tu, con quella tua boccaccia
blasfema”.
“E
tu
finiscila! Non sei un santo!”.
“Tecnicamente..sì!”.
“Sai
sempre
dire la frase giusta al momento giusto..”.
Mihael
rimase in silenzio qualche istante, lanciando un’occhiata
strana al demone.
“Perché
lo
hai fatto, fratello?” domandò poi.
“Perché
ho
sfidato Dio?”.
“No..perché..perché..hai
alterato le mie memorie? Perché non hai approfittato di
quanto accaduto per far
crollare l’intero sistema? Ora ricordo quel che è
successo per davvero”.
“Quanta
fuffa. Che tu sia consapevole o meno di chi sia il padre di Keros..che
differenza fa? Ti fai troppe domande”.
“E
tu non
mi dai risposte. E che cos’è la fuffa?!”.
“Fratellino..io
godrei come un pazzo se uno di voi angioletti cadesse perché
commette peccati
irreparabili. Se vi ribellaste a certe regole o vi faceste tentare dal
proibito,
sarei un demone felice! Ma in questo caso..non avrei alcuna
soddisfazione”.
“Non
capisco”.
Lucifero
sospirò ed alzò lo sguardo, fissando il dipinto
che ritraeva Sophia. Mihael
inclinò la testa: non sopportava quando il fratello si
imbambolava di botto,
ricordando chissà cosa!
“Cadere
per
amore, Mihael, a mio avviso è sempre sbagliato”.
“Amore?”.
“Mi
sta
bene se si odia, se si vuole essere liberi da determinate leggi, se si
commette
un atto imperdonabile! Per invidia, gelosia, ira..ma per amore no! Non
mi
darebbe alcun piacere”.
“Stai
delirando”.
“Può
darsi.
Ma, fratellino, ho agito così e basta. Io non mi scervello
molto e, lo sai
bene, non penso troppo alle conseguenze. Asmodeo lo ha salvato, ha
agito pure
lui d’istinto. Ed io, davanti a quel faccino e quel ciuffo
rosso..non ho
resistito!”.
“Con
quella
creatura, hai in pugno le forze celesti. È per questo che lo
hai fatto? Per
poterci ricattare e scacciare dal cielo quando ti aggrada? Ed hai
cancellato la
mia memoria per impedirmi di agire?”.
“Scusa
ma..va bene che sono malvagio, ma secondo te io mi accollo un moccioso
tanto
per divertirmi? Guarda che è stato un casino crescerlo! Non
faceva che fare
domande e cose strane! È stata una faticata e tu mi ringrazi
con simili
minchiate cospiratrici?! Ma vaffanculo, Miky!”
“Smettila
di chiamarmi Miky! E poi..me lo dovevi dire!”.
“E
per
quale motivo?! Ti conosco! Adesso so che cosa farai”.
“Ah,
sì?
Che cosa? Sentiamo..”.
“Non
puoi
vivere nella menzogna. Andrai a raccontare il peccato che è
stato commesso quella
sera e sarà un casino! Ho indovinato?”.
Mihael
distolse lo sguardo, chiedendosi che altro avrebbe potuto fare.
“Hei!”
sbottò il demone “Ho coperto il marmocchio per
1300 anni! Pensavo sarebbe stato
incenerito e punito immediatamente alla nascita e invece non
è successo niente.
Questo sai che significa? Che qualcuno lassù era
d’accordo!”.
“Questa
è
la più grande blasfemia che tu abbia mai
pronunciato!”.
“Lo
sai che
non è vero. Ma hai altre ipotesi? Keros doveva venire al
mondo ed io l’ho
tenuto d’occhio volentieri, in un certo senso. Non
è venuto su tanto male, no?
Salva delle vite, protegge i deboli e tutte queste cose da angeli..non
ha preso
da me”.
“Non
è
quello che stai per fare tu, proteggendo la famiglia di tuo nipote?
Oppure lo
fai solo e solamente perché, dalle voci che girano, quel Dio
sarà il tuo
principe ereditario?”.
“Lui
è il
mio drago. Ovvio che lo faccio solo per rendiconto personale. Mi serve,
e
combatterà al mio fianco solo se proteggo la sua
casa”.
“Sei
un
racconta cazzate bestiale! Tu ci tieni ad Arikien. Sei cambiato,
ultimamente,
ed ammetto che la cosa un po’ mi preoccupa. Dovrei avvertite
il cielo e farlo
eliminare, per scongiurare che un essere con simili poteri lotti per
te”.
“Ma
non lo
farai..dico bene?”.
“No,
non
voglio. Se mi arriveranno ordini differenti, procederò come
ordinato ma, in
caso contrario, non agirò contro di lui. È pur
sempre il discendente di
Sophia!”.
“E
Sophia
non è stata punita. Eppure si è data da fare
parecchio con quell’Ares”.
“Sophia
non
poteva cadere. Se fosse caduta, ti avrebbe fatto felice.
L’avresti avuta di
nuovo accanto, e questo non doveva succedere. Per altri di noi..la
faccenda è
diversa”.
“Agisci
come
meglio credi. Anche tu non puoi cadere, perché sei
l’unico idiota che riesce a
starmi dietro! Pare che ogni angelo abbia il suo demone a cui pensare.
Tu ti
sei beccato proprio me, hai ragione a non sorridere mai! Ora alzati ed
esci da
qui. Io devo andare..tu fai quello che credi!”.
“Io..ho
visto quella battaglia. L’ho vista. Nelle sabbie di Cronos
io..fratello, ho
visto la tua morte!”.
“Oh,
che
bellezza. Roba allegra, eh? Tu sempre cose allegre, cazzo!”.
“Non
ci
scherzare, per favore!”.
“Cerco
di sdrammatizzare”.
“Penso
che..sarà la mia ultima battaglia..”.
“E
perché?”.
“Se
tu
morirai, io non avrò scopo alcuno per il cielo. Non
avrebbero motivo di tenermi
lassù”.
“Ma
che
dici?! Hai lottato per millenni per loro, non possono scacciarti solo
perché senza
di me risulteresti disoccupato. Ti daranno la pensione.
Oppure..verrà qualcuno
dopo di me”.
“Se
fosse
Arikien, comunque non riuscirei a lottarci contro. In lui..rivedo
Sophia”.
“Bene.
Allora ti cambieranno di reparto! Non farai mica quella faccia depressa
per
me?! Non sei contento all’idea di poter essere finalmente
libero di fare come
ti pare? Di andare in vacanza? A fare surf, o che ne so io che ti piace
fare?”.
“Ma
sei
stupido o cosa?! Non comprendi?! Morirai!”.
“E
allora?
Anche se fosse, e non è detto, non importa. Ho vissuto
abbastanza. So che devo
andare in quel palazzo e difendere quelle persone, per mio nipote. Non
ascolto
ordini dall’alto, lo faccio perché sento che
è quel che devo fare. Tu dovresti
fare lo stesso, ogni tanto, invece di aspettare sempre la vocina di
incoraggiamento. Non importa se sbaglio, se agli occhi degli altri
demoni
risulterò strano o diverso dal solito. Che gli altri demoni
mi vedano come
cazzo gli pare! Io sono io e quel che ho fatto e che farò
è affar mio e
dovresti pensare ogni tanto allo stesso modo. Mi diranno che non sono
un degno
rei dei demoni, perché difendo dei bambini e la moglie di
mio nipote?
Chissenefrega! I demoni solitamente ignorano i loro figli e la loro
famiglia?
Me ne sbatto le palle! Gli angeli non dovrebbero avere figli? Keros ed
Arikien
sono la prova vivente che non è la fine del mondo se accade.
Blasfemia? Non me
ne frega un cazzo. Ed ora..io me ne vado. Tu stai pure lì
seduto, perché non
riuscirai ad impedire che mio nipote diventi il mio erede!”.
E
sì, presto un bel po’ di nodi verranno al
pettine! E non temete: ho in mente una super scena per i gold! Ma tocca
avere
un po’ di pazienza.. E intanto, se vi annoiate, ho disegnato
Lucifero :P Lo
trovate vedendomi a cercare su devianart o su fb (ho messo i link nel
mio
profilo EFP).
Ed
in risposta ad una domanda che mi è stata
rivolta, ovvero come mai io abbia fatto un piccolo esercito di figli ad
Arles,
la risposta è semplice: io non riesco ad averne, quindi mi
“consolo”
immaginandomi personaggi “circondati” da figli
e famiglie numerose e felici. Quasi tutte le mie storie sono piene di famiglie giganti. a presto!
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Capitolo 17 *** XVII- Invito ***
XVII
INVITO
“Che
freddo, mannaggia a Crist..”.
“Chiudi
la
bocca!”.
Lucifero
girò gli occhi, trovandosi a faccia a faccia con la lancia
di Mihael.
“Cosa
ci
fai qui, angioletto?” ghignò il demone, tornando
ad ignorarlo.
“Dove
sono
i tuoi uomini?” rispose l'angelo.
“Sparsi
per
questa valle, fra le rocce. Posizione ideale per sorvegliare la
casa”.
“Che
cosa
gli hai detto, per convincerli?”.
“Ho
detto
loro che il principe ereditario aveva bisogno di un favore”.
“Ma
Arikien
non è ancora ufficialmente principe ereditario”.
“Ma
loro
non lo sanno..”.
“Hai
mentito ai tuoi stessi soldati?!”.
“Sì,
e
allora? Tu, piuttosto..sei qui solo soletto?”.
“Io
ho
ordine di sorvegliarti. Gli altri no, se non in casi di
emergenza”.
“Capisco..”.
I
due
osservavano il palazzo del Dio delle illusioni, dall’alto. La
montagna
sovrastava l’edificio. Il vento soffiava forte, gelido.
“Con
i
sandali sulla neve..come cazzo fai, Mihael?”
sibilò Lucifero, avviluppandosi
ancora di più nel mantello.
“Sono
un
arcangelo di fuoco, ricordi?”.
“E
con ciò?
Anche Asmodeo controlla il fuoco ma, sono sicuro, in questo momento ha
freddo
quanto me”.
“Non
so che
dirti..”.
“Ora
che
sai la verità..ne parlerai? Che intenzioni hai?”.
“Ci
penserò
quando tutto questo sarà finito”.
“Sì,
ok. Ma
adesso fatti in là! Hai tutta una montagna, non serve che mi
stai
appiccicato!”.
Mihael
si
guardò attorno. Riusciva a percepire ogni singolo demone fra
quelle rocce. Non
erano in molti ma di certo ognuno di essi rientrava fra le schiere di
creature
più forti a servizio di Lucifero. Esseri del genere a
protezione di una casa e
dei suoi abitanti? Era assurdo e l’angelo temeva che il tutto
si rivelasse un
inganno. Tornò a rivolgere lo sguardo verso il fratello
maggiore, chiedendosi
se davvero quel che aveva visto nella sabbia si potesse avverare.
“Smettila
di fissarmi, Mihael! Fatti un giro!” storse il naso Lucifero.
L’arcangelo
non si mosse. Un rumore familiare lo stupì. Udiva un battito
d’ali e, alzando
il capo, riconobbe i suoi fratelli del cielo. Gli altri arcangeli, e la
schiera
di soldati che Mihael guidava, si erano mostrati ed attendevano ordini.
Mihael
non ebbe il tempo di parlare, perché una voce si
udì dal palazzo del Dio delle
illusioni.
“Volete
un
po’ di tè?” domandò Keros,
facendosi udire da angeli e demoni “La casa è
protetta dalla mia barriera. Se degli estranei si avvicinano, io lo
percepisco.
Perciò non serve che ve ne stiate al freddo! Venite
dentro”.
Lucifero
suonava
il piano, attorniato dai figli del nipote. Sophia era affascinata,
perché
avrebbe tanto voluto suonare così. Però sapeva
che lo zio aveva delle doti
particolari per la musica, soprattutto per il violino. Eleonore
sorrise,
sollevata dal fatto che quella melodia distraesse i suoi figli da
quanto
accadeva.
“Dopo
ti do
una mano io a metterli a letto, vuoi?” propose Rahael,
cortesemente “Sono
abbastanza bravo con i bambini..anche se ammetto che era da un pezzo
che non ne
vedevo uno! Inoltre, alcuni di noi hanno delle voci meravigliose ed
adatte a
cantare delle nenie per far dormire i piccoli”.
“Siete
tutti così gentili” mormorò Eleonore,
annuendo.
“Immagino
che, con la lontananza del tuo sposo, le preoccupazioni pesino sul tuo
cuore.
Quindi è nostro compito risollevarti, ed aiutarti come
possiamo”.
“Grazie.
Però..tu non sembri un guerriero..”.
“Io
sono un
guaritore. Ed ho una potente barriera di protezione”.
“Davvero?
Bellissimo!”.
“Mi
hanno
detto che anche quella creatura dai capelli rossi che gira per casa
vostra sia
in possesso di capacità di protezione. E con i miei occhi ho
visto la barriera
che avvolge il palazzo. Notevole..”.
“Keros
è..speciale”.
Eleonore
alzò gli occhi, incrociando quelli di Rahael. Sapeva che fra
gli angeli vi era
il padre di Keros, e tentava di intuire chi fosse.
Nella
grande stanza dove erano stati ospitati gli angeli. Mihael, sulla
porta,
osservava Lucifero accostato al piano.
“Rilassati,
Mihael” lo rimproverò velatamente Gibrihel, con le
gambe allungate sul tavolo, fra
un biscotto ed un altro “Siamo tutti qui, non serve che stai
sempre a
fissarlo!”.
“Confermo”
annuì Camael “Calmati. E goditi questi biscotti,
prima che se li mangi quel
pozzo senza fondo di Gibrihel. Sono fatti in casa”.
Mihael
ignorò entrambi.
“Qualcosa
non va?” chiese Keros, che aveva appena portato i biscotti.
“C’è
una
guerra imminente e voi pensate al cibo” scosse la testa
l’angelo guerriero
“Assurdo..”.
“Assurdo?”
ribatté il mezzosangue “Io trovo assurdo il
contrario. E startene lì a
fulminare con lo sguardo Lucifero non serve proprio a niente”.
“Preferisco
non discutere di questo”.
Lievemente
accigliato, Mihael lasciò la stanza.
“Non
ti
preoccupare. Non ce l’ha con te. Ha sempre quella
faccia..” rassicurò Gibrihel,
mentre Rahael raggiungeva e rubava un dolcetto.
“Ma voi
angeli..” domandò Keros, fissando
alcune armi che sfoggiavano gli ospiti “..avete il permesso
di uccidere? Non è
un peccato?”.
“Noi
dobbiamo difendere i deboli” rispose Camael
“Uccidere i demoni non è un
peccato”.
“E
non
avete mai dovuto uccidere degli umani? Lucifero mi parlava sempre di
bambini
uccisi, in Egitto..”.
“Tu
sei il
demone cresciuto nel palazzo di Satana, dico bene? Non dare troppo peso
alle
sue parole. Tutto quello che è stato fatto, è
stato fatto per un preciso
disegno divino”.
“Oh..ok..quindi
voi..non commettete peccati?”.
“Noi
siamo
creature pure, guidate da Dio. Ma non siamo perfetti. Chi commette un
errore,
viene punito. Ovviamente, ad ogni peccato corrisponde una punizione
diversa”.
“Per
un
angelo che..fa un figlio con un demone..che pena è
prevista?”.
“Che
abominio! Un peccato simile non può essere
commesso!”.
“E
nel caso
lo fosse?”.
“Che
pensiero disgustoso..”.
“Camael!”
lo zittì Rahael “Costui è un giovane
demone. Non serve essere offensivo nei
confronti della sua specie. Sembra avere un animo gentile..”.
“Un
demone
dall’animo gentile?”.
“Cambiamo
argomento!” continuò il guaritore
“Keros..intendi combattere?”.
“Certo
che
sì!” esclamò il mezzo demone.
“Hai
un’armatura?”.
Keros
scosse la testa. In quella grande sala, gli angeli avevano riposto le
loro armi
e vestigia, che il mezzosangue osservava ammirato, così come
aveva osservato
ammirato le armature d’oro. D’istinto,
allungò una mano verso una lancia ma
Camael lo fermò.
“Ti
sconsiglio di farlo” suggerì l’arcangelo
“Quella lancia appartiene a Mihael, ed
è piuttosto geloso delle sue cose, piccolo demone. Inoltre
tu, come demonio, ne
verresti incenerito al contatto”.
Subito
Keros ritrasse l’arto.
“Prova
la
mia armatura” propose Rahael, smorzando i toni “Io
non la indosserò, perché
preferisco stare qui a curare gli eventuali feriti. Ares, che riposa in
quella
stanza, pare avere molto bisogno di aiuto. La nostra corporatura
è simile,
prova a vedere come ti sta”.
“Hai
risposto al mio invito” sorrise Ananke “E mi
complimento: hai trovato la mia
dimora, Arikien”.
“Non
è
stato del tutto merito mio” ammise Arles.
Guidato
da
Phanes, seguendo una lunga serie di cunicoli collegati alla grotta, il
figlio
di Ares aveva finalmente raggiunto la dimora di Ananke. Era fra le
rocce, non
aveva un’aria molto confortevole.
“Dove
sono
i miei fratelli?” iniziò subito a chiedere.
“Quanta
fretta, giovane Dio” sorrise lei.
Seduta
su
un trono grigio, il suo corpo era celato in parte dall’ombra.
Non era del tutto
umano, in buona parte era ricoperto di spire e squame. Non aveva le
gambe, ma
una lunga coda. Simile all’Echidna, Ananke era più
serpente che donna.
“Voglio
vedere i miei fratelli!” insistette ancora Arles.
“Te
li
mostrerò. Ma non adesso”.
“Perché?”.
“Mi
servono
ancora un po’. Come sta tuo padre?”.
“Rivoglio
i
suoi colori e la sua giovinezza. Che cosa gli hai fatto?!”.
“Non
è morto?
Caspita..che zuccone!”.
“Volevi
ucciderlo? Mi spiace, non ci sei riuscita”.
Ananke
socchiuse gli occhi, qualche istante. Poi li riaprì,
ghignando.
“Non
ci
sarò riuscita subito..ma ormai non manca molto.
Morirà molto presto”.
“Non
lo
permetterò. Mi dirai come salvarlo”.
“E
perché
dovrei?”.
“Che
cosa
ti ha fatto mio padre? Perché lui? E perché la
mia famiglia?”.
“Vuoi
saperlo? Bene..te lo spiego. Il mio risveglio, equivale alla fine dei
tempi.
Prima però di scatenare tutta la mia furia, volevo capire di
chi fosse la voce
che mi aveva fatto destare. E volevo inoltre agire senza essere
disturbata.
Ares era perfetto da sfruttare. Quel Dio, vive distante
dall’Olimpo, senza
avere accanto i fratelli. Un suo allontanamento, non desta alcun
sospetto. In
pratica: a nessuno importa di tuo padre. Nessuno, tranne pochissime
creature,
si preoccupano o notano la sua assenza. Non avevo calcolato la tua
presenza,
questo lo ammetto, perché è da secoli che non
rivolgo lo sguardo verso il
mondo. Se tu non ci fossi stato, io avrei agito indisturbata. Avrei
distrutto
tutte le divinità e l’Olimpo stesso, senza nemmeno
sforzarmi tanto. Ma tu..tu,
fastidiosa interferenza imprevista..ti sei messo in mezzo! Hai scoperto
la
scomparsa di tuo padre, hai fermato i miei inganni..eppure..sei stato
tu stesso
a cercarmi!”.
“Io
non ti
ho consciamente chiamato. Io cercavo delle risposte, che solo il
destino credo
possa fornirmi, ma questo non comportava di certo il rapimento e la
sparizione
della mia famiglia e tutto il casino che hai combinato!”.
“Non
si
gioca con il destino, Ary” ridacchiò Ananke
“Lo dovresti sapere”.
“Che
cosa
vuoi da me?”.
“Quello
che
vuoi tu: risposte. Tante divinità mi hanno cercata, ma sei
stato tu a destarmi.
E voglio capire perché”.
“Vuoi
far
finire il mondo?”.
“Tra
non
molto, in effetti..”.
“Ma
che
carino!” commentò Lucifero, come era abituato a
dire spesso.
Keros
indossava l’armatura di Rahael e, se non fosse stato per la
mancanza delle ali,
pareva davvero un angelo pronto alla guerra.
“Quanto
sei
bello, Keros” continuò il demone, passando una
mano fra i capelli del
mezzosangue, per toglierglieli dalla faccia “Stai proprio
bene”.
“Io
mi
sento tanto stupido qui dentro!” ridacchiò Keros.
“Ma
scherzi? Sembra fatta per te” lo rassicurò
Gibrihel.
“Sembri
uno
di noi” annuì Rahael “Un fiero guerriero
celeste”.
“Vieni
con
me” lo invitò Lucifero, tirandolo per un braccio
“Vieni!”.
Il
demone
lo trascinò fino alla stanza con il grande camino, dove
Mihael si era
rintanato. Aveva celato le ali ma, a differenza degli altri angeli, non
aveva
tolto le vestigia da soldato del cielo.
Keros,
appena lo vide, si ritrasse e tentò di opporre resistenza
alle spinte di
Lucifero.
“Ma
che ti
prende?” sibilò il demone.
“Credo
di
stargli sulle palle. Lasciatelo in pace, avanti! Non ha la faccia di
uno che ha
voglia di essere disturbato”.
“Lui
ha
un’espressione sola! Miky, guarda! Guarda che bel figurino ti
ho portato. Non
sta bene con l’armatura degli angeli?”.
“Chiamami
Miky un’altra volta, e ti strappo i coglioni!”
sbottò Mihael, molto poco
angelicamente, accigliandosi “E poi..perché lo
avete conciato così, poveretto?
Il suo sangue non è puro, non può indossare
simili vesti”.
“Quanto
sei
pignolo!”.
“Devo
ravvivare il fuoco” sbuffò Keros “Poi me
ne vado a letto. Oggi mi sono stancato
di starvi a sentire”.
Con
passo
impacciato, per colpa di quella strana armatura, il mezzo demone si
avvicinò al
camino ed aggiunse un paio di ceppi al camino. Con un solo movimento
delle
dita, fece crescere la fiamma ed il fuoco crepitò.
“Brutta
giornata, ragazzo?” domandò Mihael.
“Pessima,
direi. Non è che trovi piacevole l’idea di essere
circondato da gente che mi
disprezza, con il mio signore lontano da casa ed un probabile nemico
alle
porte. Però..mi sforzo di fingere che non sia
così. Faccio un sorriso di
cortesia e buonanotte a tutti”.
“Questo
è
il tuo posto?” riprese Mihael, quando Keros era quasi sulla
soglia, pronto ad
uscire.
“Prego..?”
girò lievemente la testa il sanguemisto.
“Ti
piace
stare davanti al fuoco? Ho occupato il tuo posto?”.
“Sì,
in
effetti. Ma non importa. Sei tu l’ospite..”.
“Chiudi
la
porta. Vieni qui, per cortesia. Ho delle cose da chiederti, se non ti
dispiace”.
“Perché
non
sono stato invitato? Perché non sono stato
informato?” si chiese Kanon,
giungendo all’arena.
“Non
guardare me” gli rispose Tolomeo, anche lui giungendo in quel
luogo solo in
quel momento “Ipazia mi ha tenuto
all’oscuro”.
“Cos’è?
Una
festa per greci? Ma della sparizione di Ares..io dovevo essere
informato!”.
Kiki
fissò
entrambi, lieto di vederli ma anche perplesso. Cosa ci facevano un
Egizio ed un
Precolombiano lì? Li chiamò per nome, e si fece
raggiungere.
“Dov’è
mio
padre?” domandò Tolomeo, guardandosi attorno.
“Al
momento
è impegnato su altri fronti” spiegò il
Sacerdote.
“Quali
altri fronti?”.
“Siediti,
te lo spiego”.
“E
Ares?”
interruppe Kanon “Cosa gli è successo?”.
“Sinceramente,
non ci capisco molto nemmeno io. Vi dirò quel che
so”.
Kanon
e
Tolomeo annuirono, scendendo lungo le scalinate.
“Benvenuti”
li salutò Apollo “Osiride e Quetzalcoatl, serpente
piumato, dico bene?”.
Tolomeo
ghignò, con quella bocca esageratamente grande, e
mostrò la lingua, come quella
dei serpenti. Poi sedette in mezzo ai cavalieri d’oro, pronto
a sentire la
storia che i suoi colleghi avevano da raccontargli. Il tutto mentre in
arena
Apollo aveva fatto scatenare divinità ancestrali come le
astrazioni.
“Volevo
ringraziarti” iniziò Keros, dopo essersi seduto
davanti al fuoco, accanto
all’arcangelo.
“Per
che
cosa?” rispose Mihael.
“Per
avermi
rivelato il nome di mia madre. Ho scoperto tante cose su di
lei”.
“Mi
fa
piacere..e, comunque, hai torto: non mi stai sulle palle”.
“Non
ho
trovato alcun accenno a mio padre ma, dopo queste poche ore con voi
angeli qui,
ho capito che non voglio sapere chi sia”.
“Perché?
Per
quale motivo?”.
“Penso
che,
se mio padre è ancora vivo, sia deluso da me. Lui era, o
è, un angelo. Una
creatura pura, dagli alti ideali, dalla fede incrollabile. Io sono in
parte un
demone..un abominio”.
“Camael
ha
usato questo termine, vero?”.
“Sì,
mi pare
di sì. Non ricordo tutti i nomi. Rahael mi ha difeso, ma
solo perché non mi
conosce. Tu mi conosci, e mi tratti come vado trattato da quelli della
tua
specie: con un certo distacco. Immagino che a mio padre non importi
della mia
vita, della mia sorte, e mi abbia dimenticato. Io non dovevo nascere.
Io dovevo
morire, in quel grande incendio”.
“Che
pensieri tristi..”.
“Anche
tu
hai un’aria triste”.
Mihael
rimase in silenzio e ricominciò a parlare solo dopo qualche
istante.
“Che
cosa
hai visto nella sabbia di Cronos?” chiese
l’arcangelo.
“Morte.
La
fine dei tempi..e del mio signore”.
“Io
la
morte di mio fratello Lucifero”.
“Lui
lo
sa?” si voltò di scatto Keros, preoccupato.
“Sì.
Non
gli importa”.
“Immagino
che..sia una cosa piuttosto triste dover lottare contro il proprio
fratello. Io
non potrei mai farlo”.
“Hai
dei
fratelli?”.
“No.
Ma, se
ne avessi, non potrei mai lottare contro di loro”.
“Nemmeno
se
il tuo signore te lo ordinasse?”.
“Ma
il mio
signore non me lo ordinerebbe mai! Risolverebbe da solo certe faccende,
senza
coinvolgermi”.
“E
se uno
dei suoi figli si ribellasse?”.
“Non
lo
farebbe uccidere da un altro dei suoi figli! E non lo scaccerebbe.
Però..chi
sono io per parlare? Non lo so. Alla fine, sono solo un
demone”.
“Sei
in
parte un angelo..”.
“Cambia
qualcosa?”.
Mihael,
notando lo sguardo fisso di Keros verso il fuoco, allungò
una mano verso la
fiamma. Lasciando che ne venisse avvolta, la rigirò, creando
una piccola sfera.
Quando la ritrasse, la pelle dell’angelo si era ricoperta di
disegni blu scuro.
La palla di fuoco mutò di colore, riempiendosi di guizzi
azzurri. Keros fissò
la scena, ammirato.
“Dammi
la
mano” invitò l’angelo e il mezzo demone
obbedì, anche se titubante.
La
sfera
danzò sul palmo aperto di Keros, senza mutare colore.
“Fa
il
solletico” ridacchiò il sanguemisto.
“Visto?
Il
tuo cuore è buono. Altrimenti il mio fuoco purificatore
avrebbe mutato colore.
Tu sei bravo con il fuoco, ma non così tanto da poter
controllare la mia
fiamma”.
“Asmodeo
mi
ha insegnato a dominare l’elemento che amo. Anche lui lo
controlla”.
“Però
il
fuoco di Asmodeo è diverso dal tuo, vero?”.
Keros
non
capiva del tutto. Mihael mostrò il dorso della mano, mentre
gradatamente i
segni su di essa svanivano.
“Quei
segni
che porti sul braccio e sul fianco..” parlò piano
Mihael “..sono una
conseguenza dell’incendio che ti ha coinvolto alla nascita.
Il tuo corpo ti ha
protetto, con quei disegni e quelle lettere. Le scritte sono in
Enochiano. Se
io dovessi trovarmi in mezzo ad un incendio, e fossi avvolto dalle
fiamme,
incapace di respingerle, probabilmente anche su di me diverrebbero
permanenti”.
“Quindi
sono..segni angelici? Li hanno tutti gli angeli?”.
“No,
non tutti.
Solo un certo tipo di angeli”.
“Quale
certo tipo di angeli?”.
“Ragazzo..”
sospirò Mihael “..lascia che ti racconti una
storia. È successa tanti anni fa,
ma grazie alle sabbie di Cronos, sono riuscito a ricordare, nonostante
Lucifero
ne avesse cancellato la memoria a riguardo..”.
Ci
siamo! Chiedo perdono se i gold per ora se
ne stanno buoni. Presto si scateneranno! E molto presto saprete anche
alcune
verità fondamentali! I capitoli che seguono (fino al 20
circa) sono stati
scritti e divisi successivamente, quindi non saranno molto lunghi ma,
spero,
“carichi” ;) a presto! E per San Valentino
caricherò un po’ di disegni “a tema
Olympus”
su FB e Devian art!!
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Capitolo 18 *** XVIII- Invecchiare ***
XVIII
INVECCHIARE
L’assedio
era terminato, ma i demoni non intendevano lasciare Costantinopoli. La
cosa
irritava Mihael e gli altri angeli, che attendevano con ansia di poter
tornare
a casa, in cielo. Era stata una giornata faticosa, ed erano tutti molto
stanchi. Riuniti in cerchio, sul suolo sacro della chiesa, celati agli
occhi
degli umani, consumarono un pasto semplice e si prepararono ad andare a
letto.
Scoraggiati, guardarono il firmamento.
“Quando
potremo andarcene da qui, signor Mihael?” domandò
un soldato, visibilmente
affaticato e stufo.
“Spero
presto, non abbiate timore” tentò di incoraggiare
tutti il generale.
“Dannati
demoni” sibilò Camael “Mi chiedo per
quanto ancora ci toccherà stare qui”.
“Abbi
fede”
gli sorrise Hazrael “Tutto andrà per il
meglio”.
Molti
si
stavano già addormentando, avvolgendosi nelle ali. Camael
sospirò e guardò in
alto. Il cielo stellato era meraviglioso quella notte e infondeva
speranza.
Questo lo calmò, però non voleva dormire.
“Faccio
un
giro di ricognizione” spiegò, alzandosi e
iniziando a camminare per le vie
della città.
Mihael
lo
accompagnò, nonostante la stanchezza. Insieme, lasciarono lo
spazio sacro della
Basilica di Santa Sophia ed i suoi marmi, per raggiungere le strade
della città.
A Mihael piaceva, tutto sommato, Costantinopoli. La sua forma a
triangolo, le
mura, l’architettura, lo stile bizantino..e vi era pure una
cattedrale a lui
dedicata. Non era un brutto posto, ma di gran lunga preferiva il
paradiso! I
due angeli passarono oltre le alte colonne, diretti al porto. Camael si
accorse
di familiari capelli rossi che spiccavano nella notte. Non vi erano
molte
persone in giro, vista l’ora tarda, ed i pochi svegli stavano
facendo chiasso
nei locali. La creatura dalla capigliatura come il fuoco, si
voltò senza
emettere un solo suono. Era leggera, delicata.
“Attento
a
quella donna, Camael” lo ammonì Mihael.
“Lo
so,
percepisco la sua aurea demoniaca”.
“Non
dormite ancora?” mormorò lei, con voce sensuale
“Eppure..pensavo che agli
angeli non piacesse il buio”.
“Sei
in
cerca di una preda, Carmilla?” le rispose il guerriero.
“E
tu? Sei
in cerca di guai? La notte è il mio regno,
arcangelo”.
“Camael..”
ordinò Mihael “..tu continua il giro. Sicuramente
ci saranno anche i suoi
amichetti nei paraggi. A lei penso io. Chiamami, se hai
bisogno”.
“Come
desiderate..”.
I
due
angeli si divisero. Carmilla sorrise, divertita, mentre Mihael non
cambiò
espressione.
“Non
puoi
farmi nulla, arcangelo” stuzzicò lei
“Finché non compio un’azione malvagia,
non
puoi toccarmi. Sono le regole”.
“Le
conosco
le regole, tranquilla”.
“E
allora
che pensi di fare? Pedinarmi?”.
“Il
tuo
sangue demoniaco ti porterà a compiere qualcosa di
sbagliato. Ed io ti
rispedirò all’inferno, per l’ennesima
volta”.
“La
cosa
non ti annoia? Sempre la stessa cosa..tutta la vita..”.
“Potrei
farti la stessa domanda”.
Carmilla
camminò seguendo le mura ed uscì, al porto. Le
piaceva guardare il mare di
notte. Strinse attorno alle spalle una stoffa leggera, per coprirsi
dalla lieve
brezza.
“Puoi
andare a dormire, arcangelo” parlò poi
“Per oggi non ho intenzione di compiere
peccati. Voglio solo guardare le stelle”.
“E
perché
dovrei crederti? Sei un’incantatrice, una tentatrice, una
plagiatrice”.
“So
chi
sono”.
Un
gatto
nero raggiunse le gambe di Carmilla, strusciandosi contro di esse e
facendosi
accarezzare.
“Non
trovi
che il cielo sia più bello del solito, stanotte? Come
demone, mi capita
raramente di alzare gli occhi ma..”.
“Per
una
volta, ti do ragione”.
“E
allora
perché te ne stai lì sull’attenti come
una bella statuina? Guarda il cielo pure
tu! Rilassati un po’..”.
Mihael
fece
per ribattere, ma capì che era inutile. Seguì con
lo sguardo quella donna, che
immerse un piede in acqua e subito la ritrasse: era fredda. I capelli
lisci di
lei si mossero lievemente, con la brezza.
“Cosa
hai
in mente?” domandò lui, mentre lei sfiorava con
una mano il grosso anello di
una catena che chiudeva in parte l’accesso al porto.
“Niente,
arcangelo. Voglio solo rilassarmi. Sono stanca, e non voglio svolazzare
di
piume attorno. Ma immagino che, finché non avrò
commesso un peccato, non ti
leverai dai piedi!”.
“So
che è
inevitabile che tu ne commetta. È la tua natura”.
“Tu
non sai
niente della mia natura, Mihael. Il che è strano
perché..ci conosciamo da
tanto. Saranno almeno tre secoli, o anche di più. Sono nata
all’inferno ma, fin
dalla prima missione per il mondo, mi sei sempre stato
d’impiccio”.
“Faccio
il
mio lavoro”.
“Lo
so.
Allora..che facciamo? Le cose sono due: o mi lasci rientrare nelle
mura, per
commettere un qualche peccato fra i mortali, oppure stai qui a fissarmi
mentre
io..non so..tento di sedurre i pesci? Ma sai..non credo di essere molto
bella
agli occhi delle creature del mare..”.
Mihael
rimase serio, nonostante la risatina di Carmilla.
“Ma
tu non
ridi mai?” continuò lei.
“No”
si
limitò a dire Mihael.
“E
perché?”.
“Me
lo
chiedi? La mia esistenza si basa sulla continua lotta contro voialtri
demoni.
Non posso mai rilassarmi, perché sempre uno di voi tenta di
plagiare innocenti
mortali”.
“Innocenti?
Non sono tutti innocenti”.
“Lo
so. Io
proteggo le anime buone e spero che anche quelle malvagie possano un
giorno
ritrovare le vie del Signore”.
“Che
vitaccia..però, nella vita, non c’è
solo il lavoro. Guardati attorno! Guarda il
mare, è meraviglioso! Guarda il cielo, le sue migliaia di
luci! La luna, gli
astri! Ed anche le tante cose che riescono a fare gli umani. Questa
città, per
esempio! È splendida!”.
Mihael
si
stupì nel sentire simili frasi. Non pensava che i demoni
gradissero certe
piccole cose, che ammetteva essere da tempo incapace di apprezzare.
Alzando lo
sguardo, effettivamente si accorse che il firmamento aveva qualcosa di
magico
quella notte. Il gatto nero miagolò, forse annoiato.
“Ecco..”
sorrise lei “..quello sguardo sognante ti dona di
più. Rilassati. Sono stanca,
non voglio usare i miei poteri stanotte”.
Mihael
non
rispose. Non poteva fidarsi di quella donna, di quel demone. Lei, dopo
l’ennesima carezza al gatto, si avvicinò.
L’arcangelo la fissò, alzando un
sopracciglio.
“Te
lo
ripeto: non voglio usare i miei poteri stanotte”
sussurrò di nuovo lei,
allungando una mano e sfiorando il viso dell’arcangelo
“Perciò, vattene”.
“Non
posso”
disse lui, afferrando quella mano pallida, con l’intento di
allontanarla da sé.
Non
compì
quel gesto, però. Rimase a guardare Carmilla, ricordando
tutte le volte in cui
si erano incontrati, sfidati, combattuti. Lo sguardo di lei era ambrato
ma non
brillava, segno che non mentiva: non stava sfruttando le sue
capacità da
tentatrice. Gli occhi azzurri di lui invece ebbero un piccolo sussulto.
Si chiese
solo pochi istanti che cosa stesse facendo, prima che lei ne prendesse
il volto
con entrambe le mani e lo baciasse.
“Io
non
voglio combatterti” confessò lei “Ormai
è quasi un secolo che ho sempre e solo
voluto questo”.
L’arcangelo
non rispose, si lasciò baciare ancora. Era notte fonda,
l’ombra delle mura li
avvolgeva. In alto, in cielo, la luna era argentea come mai i due
avevano avuto
modo di vedere prima d’ora. Che cosa stava accadendo
realmente? Era un sogno?
Era in atto uno strano disegno divino? E Mihael, ripensando a quella
notte, si
chiedeva come avesse potuto dimenticare. La sensazione che dava lo
sfiorare la
pelle nuda di lei, come l’aveva dimenticata? Ed i suoi baci,
i suoi sospiri, i
suoi gemiti? E quella sensazione, che mai più aveva provato?
Quell’estasi,
provocata da quell’unione..come aveva potuto dimenticare
tutto quanto? Quelle
labbra, quel corpo, quelle parole sussurrate.. e quel gatto nero. Il
felino,
dagli occhi arancio, rimase a dir poco sconvolto quella notte, nel
vedere il
suo fratellino avvinghiato così stretto ad una delle sue
serve, la bellissima
Carmilla. Lucifero, quel gatto nero, aveva già temuto il
peggio: l’ira divina o
qualcosa di simile. Ma non avvenne e così, quando i corpi
dei due amanti si
furono separati, usò tutto il suo potere per incantarli e
rimuovere dalla loro
mente quegli attimi. Poi, ripresa la forma umana, riportò
Carmilla nella città
e fece in modo che Mihael si convincesse di non aver visto alcun demone
quella
notte, ma di essersi semplicemente avviato verso il porto in cerca di
pace.
“Ma..che
significa?” riuscì a dire Keros, con sguardo
smarrito.
“Non
hai
alcun motivo di pensare che tuo padre sia deluso o disgustato da te. Io
non lo
sono, non lo sono per niente. Sono tuo padre, Keros. E sono fiero di
esserlo.
Non mi importa che cosa dicono le leggi del cielo, se verrò
giudicato e
condannato a morte. Tu sei una creatura straordinaria. Hai salvato
delle vite,
hai protetto degli innocenti, servi il tuo signore con
fedeltà..”.
“Io
amo il
mio signore. E non nello stesso modo in cui voi angeli amate il vostro
Dio. Ed
io..non capisco..se voi siete mio padre..perché Lucifero mi
ha cresciuto? Voi
due siete nemici! Voi siete il suo più grande
nemico”.
“Questo
dovresti chiederlo a lui. E non dovresti di colpo usare
l’onorifico con me..”.
“Verrete
punito?”.
“Per
cosa?”.
“Per
avermi..generato. Ora che la cosa si sa..”.
“Per
ora,
nessuno al di fuori di me, te e Lucifero sa la verità. E,
immagino, il mio
capo. Tornerò in cielo ed accetterò la mia
punizione. Di questo tu non ti devi
preoccupare”.
“Ma
è tutto
così triste..”.
“Triste?”.
“Sì.
Il mio
signore è in parte un angelo e rischio di farlo spegnere,
amandolo. Voi
rischiate una condanna gravissima per avermi creato. Io porto solo
disgrazia..”.
Keros
sospirò, tirando le gambe verso di sé. I suoi
occhi lucidi brillarono, con la
luce delle fiamme.
“Keros..non
sono nella posizione di poter dare consigli. Io ho conosciuto solo per
pochissimo quel sentimento dal punto di vista fisico. Prima di esso, e
prima di
ricordare, il mio amore era qualcosa di universale. Amavo Dio, amavo i
miei
fratelli, amavo i puri di cuore. Li amo ancora, ma so che quella notte
ho
provato qualcosa di molto diverso e se tu sei in grado di provare un
sentimento
così forte per il tuo Dio, non vedo perché
condannarti”.
“L’amore
fisico per me, che non sono sua moglie, non lo porterebbe a
spegnersi?”.
Mihael
fece
ricomparire le ali, che si mostrarono belle e lucenti come sempre.
“Carmilla
non era di certo mia moglie..”.
“Al
mondo
ci sono tanti tipi d’amore..”.
“E
tu..per
che tipo d’amore sei?”.
“Per
quello
corrisposto!”.
“Bella
risposta..”.
“Grazie”.
Nella
grotta, Arikien era frustrato. Vedeva Phanes poco distante, con gli
occhi
chiusi, e l’aria serena. Ananke gli aveva ordinato di restare
lì, in quel
luogo, fino al successivo comando. Il Dio delle illusioni si era
infuriato,
perché pretendeva delle risposte che non arrivavano e non
gli venivano fornite.
“Ora
che
l’occhio di mia madre è rivolto
altrove..” iniziò Phanes, alzandosi e
raggiungendo l’ospite “..vorrei parlarti, Arikien
delle illusioni”.
“Ti
ascolto. Che hai da dirmi? Ma parla solo se hai cose sensate da
proferire, se
no non infastidirmi, che ho già mal di testa da giorni.
Piuttosto, trova il
modo di farmi capire dove sono i miei fratelli”.
“I
tuoi
fratelli e le tue sorelle sono qui, credo che presto li potrai vedere,
perché a
mia madre non serviranno più”.
“Non
sono
dei giocattoli! Sono delle persone!”.
“Per
quel
che mi riguarda, tu devi solo ritenerti fortunato, perché
sei qui e potrai
capire molte cose”.
“Capire?
Da
quando sono qui, ho solo più domande. E la cosa mi sta
davvero facendo
innervosire. Ed incazzare”.
“Lo
so. Lo
capisco..”.
“Quella
faccenda che mi avevi accennato..quella del numero tre..che
significa?”.
“Mia
madre
vuole distruggere ogni cosa, perché dice che non vi
è più una scintilla di
rinnovamento divino. Ma io non credo sia così”.
“Non
ho
capito un cazzo. O parli chiaro o taci, ti avevo avvertito!”.
“Ogni
religione nasce da un culto precedente. Nessuna nuova fede sbuca dal
nulla ma integra
in sé vari aspetti di credenze precedenti. Gli Dei romani
derivano da quelli
Greci, le ali degli angeli esistono grazie a culti d’Egitto
ed Ishtar, il
cristianesimo ha copiato le festività pagane..è
un continuo nascere e morire di
fede e credenze. Ultimamente ho assistito ad un gradito ritorno di
culti
dimenticati, precristiani, ma le religioni nuove..non hanno molte cose
sensate.
Manca una nuova rivelazione, un nuovo inizio. Il sangue divino viene
tramandato
di generazione in generazione e, periodicamente, nasce qualcosa che non
si
inserisce all’interno di un culto preciso, come definirei il
tuo caso. È un
sangue particolare quello che hai, che discende dal mio e da quello dei
miei
genitori ed è stato tramandato lungo la discendenza Greca.
Prende le forme più
diverse, ma resta comunque divino. In tuo fratello Kanon si
è risvegliato come
potere Egizio, ed è Osiride. I tuoi primogeniti sono
precolombiani. Sono tutti
collegati dal potere di questo sangue”.
“Vai
avanti..”.
“Mia
madre,
e con lei ovviamente mio padre, vuole far chiudere il cerchio. Se
questo
sangue, come lei dice, si è ormai deteriorato ed
è incapace di accendere una
nuova scintilla, è tempo di cancellarlo. Come pare che sia
stato scritto, una
volta esauritesi quest’energia, tutto deve ricominciare da
capo e tornare al
nulla”.
“Ma
questo
vale per il mondo Greco, dico bene? Voi siete divinità
legate a quel mondo”.
“Sì,
hai
ragione. E quel mondo verrà distrutto. Morirai tu,
discendente di Ares. Morirà
la tua donna, legata ad Artemide. Moriranno i tuoi figli ed i tuoi
discendenti
perché in loro sgorga questo sangue ormai spento. Moriranno
i tuoi amici dalle
armature d’oro, perché a servizio di Atena. Si
estingueranno tutte le divinità
Olimpiche e con esse tutto ciò che ne deriva”.
“E
la
questione del numero tre?”.
“In
un
grande culto nuovo, fin dalla notte dei tempi, vi sono sempre tre
figure. Tre
figure connesse fra loro da forti legami di sangue o di altra natura.
Sono tre
creature potenti e con caratteristiche che si ritrovano in altri culti
ma, a
modo loro, nuove. Iside, Osiride e Horus. Zeus, Nettuno e Hades.
Brahma, Vishnu
e Shiva. Padre, Figlio e Spirito Santo. Io, mia madre Ananke e mio
padre
Drakonta. Quando si incontrano queste tre
entità, si sa che si creerà
qualcosa di nuovo e straordinario, che nessuno potrà
distruggere. Che, alla
fine, nuovo non è, perché il mondo stesso, appena
creato, era già l’immagine di
qualcosa che già era nato altrove, prima di lui. Capisci
quel che ti sto dicendo?”.
“Più
o
meno..”.
“Hanno
tre
ruoli distinti, solitamente. Oppure si intersecano, divenendo una cosa
sola.
Creatori, Distruttori e Preservatori. Se io riuscissi a provare a mia
madre che
in te può risvegliarsi una di queste figure..”.
“Mi
sfotti?!”.
“Questo
è
l’unico modo che conosco per fermare mia madre”.
“Ok..metti
che riesca a convincerla che posso fare questa cosa..in che modo?! E
gli altri
due chi sarebbero?”.
“Keros
mi
pare un buon candidato..”.
“Ti
ho già
detto che lo devi lasciare in pace, o ti spiumo!”.
“Io
ti dico
solo le cose come stanno, Arikien. Poi fai e ascolta quel che ti pare!
La
terza? Hai idee? Tua moglie ha sangue divino?”.
“Eleonore?
No”.
“
Altri? I
tuoi figli, o fratelli? A volte le figure sono quattro, se una di esse
ha un
gemello. Se non esiste una terza entità..allora
dovrò aiutare mia madre a far
finire ogni cosa”.
“Alla
fine..basta una creatura potente che la convinca, no? Una vale
l’altra!”.
“Come
puoi
divenire parte di questo sistema, se nemmeno tu credi in quel che
sei?!”.
“E
tu credi
alle cazzate che mi stai dicendo?! Sul serio?! Tua madre governa il
destino,
lei sa e decide tutto quello che farò e sarò.
Sono legato al mondo Greco, e
quindi al suo potere”.
“Ti
do ragione..”.
“E
quindi?”.
“Non
posso
dirti tutto io! Accendi il cervello e usalo!”.
Non
riuscendo a dormire, Lucifero girellava senza meta per casa. Asmodeo
russava
come un cinghiale e lo teneva sveglio. Non capiva come gli altri
demoni, tutti
nella stessa grande stanza, fossero in grado di riposare. Lasciò
un’occhiata all’esterno e vide Mihael
e Keros, uno contro l’altro. Il demone capì subito
che l’arcangelo stava
spiegando al sangue misto alcune tecniche di attacco e di difesa.
Sorridendo,
soddisfatto da quella strana scena, Lucifero si rintanò
nella sala del camino:
lì vi era silenzio. Fissò il fuoco, lattina di
birra alla mano. Mihael diceva
che nelle fiamme riusciva a sentire la voce di Dio. Lucifero ci vedeva
solo un
simbolo di dannazione eterna. Sbadigliò, arricciando la
coda. Sentì dei rumori,
fuori dalla porta, e poco dopo Mihael e Keros lo raggiunsero.
“Sei
ancora
in piedi?” domandò l’angelo.
“Anche
tu”
si limitò a dire Lucifero.
“Non
per
molto”.
“Buonanotte”
interruppe Keros “Non ho voglia di discutere adesso, ma ho
molte domande da
fare ancora a voi due!”.
“Notte!”
salutò il demone, portandosi alla bocca la lattina di birra.
“Insonnia?”
domandò Mihael, avvicinandosi al fratello.
“Glielo
hai
detto?”.
“Sì..mi
sembrava giusto”.
“Perché?”.
“Fai
troppe
domande”.
L’angelo
rubò la birra dalla mano del fratello e bevve qualche sorso,
sedendosi con aria
distratta.
“Hei!”
tentò di protestare il demone, rinunciando poi per il sonno.
“Che
ci sta
succedendo, fratello?” mormorò Mihael.
“Di
che
parli?”.
Lucifero
si
era steso, sbadigliando di nuovo.
“Un
tempo
non facevamo che combattere fra noi, a testa alta. Ma ora? Che
è successo? Non
abbiamo lo stesso sguardo, la stessa determinazione..”.
“Siamo
invecchiati”.
“Già..ma,
rispondi
sinceramente: non ti manca il cielo? Neanche un
po’?”.
“Sinceramente?
No. Forse un tempo, quando Sophia era fra di voi, mi mancava lei. Ma
ora..non
ho nulla che mi leghi a quel luogo. E a te..non manca il
sesso?”.
“Il
sesso?!”.
“Sì.
Quella
cosa che hai fatto con Carmilla si chiama così. Non ti
manca?”.
“Non
saprei..non mi sono soffermato su certi pensieri..”.
“Carmilla
aveva un gran bel paio di tette. Penso che a chiunque venisse voglia di
far
sesso accanto a lei. Ed il fatto che sia riuscita a farlo fare a
te..avvalora
la mia teoria!”.
“Cambiamo
argomento..”.
“Santarellino..”.
“C’è
una
domanda che ho sempre voluto farti, Lucy”.
“Spara”.
“Ma
quelle
corna che hai..stanno sempre lì o cadono dopo la stagione
degli amori, come
quelle dei cervi?”.
“Sei
ubriaco?! Con un solo goccio di birra?!”.
“Cercavo
di
sdrammatizzare..”.
“Sei
preoccupato?”.
“Tu
no?”.
“No!”.
“E
riguardo
a quanto ho visto? Questi potrebbero essere i tuoi ultimi giorni di
vita..non
ci pensi?”.
“Francamente
non mi interessa. Non so dove vadano i demoni dopo la morte, e nemmeno
gli
angeli, ma spero di rincontrare lei..”.
“Gli
angeli
tornano nelle mani di Dio, che decide il da farsi. I demoni..non saprei,
in
effetti”.
“Spero
di
non ritrovarmi fra le mani di Dio, perché altrimenti sento
che finirei
schiacciato in un grande applauso..”.
“Che
strana
immagine”.
“Non
mi
interessa il paradiso. Non mi importa la pace. Non mi spaventa la
morte”.
“Bugiardo!”.
Mihael
si
attendeva la solita risposta sibilante e perfida ma non fu
così: il fratello
maggiore si era addormentato, avvolto in parte dalle ali.
L’angelo lo fissò
qualche istante..e finì la birra.
Ananke
aveva chiamato di nuovo il Dio delle illusioni e lo guidò
lungo gli stretti
cunicoli della grotta. Lui la seguiva in silenzio, ormai stanco di
ripetere
sempre la stessa domanda, passandosi una mano sulle tempie doloranti.
Giunsero
finalmente in un ampio spazio, avvolto dal buio. Arles
percepì il rumore di
diverse catene e si sforzò per riuscire a vedere nelle
tenebre. Espanse la
propria luce ed incrociò un paio di occhi rossi.
“Phobos!”
lo riconobbe subito il fratello minore.
Accanto
a
Phobos, vi era Deimos, entrambi seduti in terra e bloccati da catenacci
pesanti.
“State
bene?” domandò Arles.
I
gemelli
non risposero. Fissarono il fratello minore, lievemente preoccupati nel
vederlo
lì.
“I
tuoi
fratelli non mi servono più, Arikien. Ho sfruttato le loro
capacità per
istaurare il terrore nel cuore della gente, ma ora non sono
più necessari”
parlò Ananke, arrotolandosi leggermente su se stessa
“Uccidili”.
“Come
no..”
rise il Dio, sarcastico “..lo farò di
certo!”.
“Posso
darti una cosa molto preziosa in cambio”.
“Ti
ho
risvegliato, lo ammetto. Per errore. Cercavo le risposte assolute ad
ogni
domanda del mondo ma, anche se tu ora mi offrissi tutte quelle
risposte, non
alzerei un dito contro i miei fratelli”.
“Ho
qualcosa di meglio. Arikien delle illusioni, io voglio concederti la
chiave del
tuo destino”.
“La
chiave
del mio destino? Cioè?”.
“La
possibilità di slegarti dal mio controllo. Non faresti
più parte del mio mondo,
non saresti disintegrato assieme a tutti gli altri Dei Greci ed il loro
seguito”.
Il
Dio
rimase in silenzio qualche istante.
“Dove
sono
gli altri? Perché hai incatenato Phobos e Deimos?”.
“Gli
altri
sono in luogo sicuro. Ragiona: moriranno comunque. Tutti quanti!
Perciò hai la
possibilità di liberarli da una possibile lunga agonia,
donandogli una fine
rapida. Tu, in cambio, saresti libero”.
“Perché?
Perché vuoi questa libertà per me?”.
“Perché
tu
mi hai svegliato. È il mio modo di ringraziarti. Inoltre,
uccidendoli, mi farai
capire che comprendi il mio disegno”.
“Fallo,
fratello” mormorò Phobos, a bassa voce
“La nostra vita ormai è alla fine”.
“Ananke..”
riprese il Dio delle illusioni, dopo qualche istante “..due
morti, per una chiave
sola..non mi sembra un buono scambio”.
“Che
proponi, giovane Dio?”.
“Voglio
le
chiavi della mia famiglia. Le chiavi di Eleonore, dei miei figli e di
Keros”.
“Quella
di
Eleonore posso concedertela. I tuoi figli, con tu e la tua amata
liberi, non
saranno più legati a me, perciò non ne hai
bisogno. Per quel che riguarda
Keros..non è fra i Greci, perciò non è
affar mio. Due chiavi per due vite. Che
dici? La tua, e quella della tua sposa. Ci stai?”.
“Mostratemi
quelle chiavi” rispose Arles, non fidandosi troppo.
Ananke
ridacchiò ancora. Con un rapido movimento delle mani, fece
comparire due chiavi
di colore diverso.
“La
tua è
quella rossa e oro, segno dell’unione del sangue di Ares con
quello angelico.
Quella di Eleonore è blu ed argento, perché
è stata a servizio di Artemide, che
governa la luna e la notte”.
“Come
posso
sapere se sono davvero le chiavi che voglio?”.
“Che
motivo
avrei di mentirti?”.
“Che
motivo
avresti di non farlo?”.
La
Dea sospirò
e porse una delle chiavi al Dio. Subito, appena l’ebbe presa
fra le mani, Arles
iniziò a vedere immagini dal passato.
“Ora
fai
quel che devi. Non mi interessa come. Ma uccidili, levameli dai piedi.
In caso
contrario..attaccherò la tua casa. Mi hai sentito?
Attaccherò il tuo palazzo,
con i tuoi preziosi figli, Eleonore e quello strano essere indefinito
di nome
Keros. Non voglio rischiare che riescano a comunicare quel che ho in
mente di
fare agli altri Dei Greci!”.
“Fallo”
ordinò anche Deimos “Pensa al tuo futuro. Io, al
tuo posto, non esiterei”.
Il
Dio
delle illusioni rimase in silenzio. Tutto stava davvero per finire, non
si
poteva lottare contro il destino. Poi, alzando lo sguardo, intravide le
ali
d’oro di Phanes. Ripensò a quanto detto da quella
creatura..e capì che non
aveva grandi alternative.
“Che
cosa significa,
secondo te?” domandò Camael.
“A
che ti
riferisci?” rispose Gibrihel, a bassa voce per non svegliare
qualcuno.
“A
Mihael.
È strano. Molto strano”.
“In
che
senso?”.
“Prima
stava insegnando tecniche angeliche a quel demone dai capelli rossi. Ed
hai
notato lo sguardo che rivolgeva a Lucifero? Non era il solito. Era
triste..come
velato dalla preoccupazione. Ed ultimamente li vedo spesso discutere
insieme,
senza un motivo”.
“Tu
che
cosa pensi sia successo? O succeda?”.
“Non
lo so.
Non so davvero che pensare. Girano voci, fra le alte sfere. Ultimamente
sta
trasgredendo tante piccole regole. Il fatto stesso che sia qui, non
credo sia
previsto”.
“Questo
non
mi pare un problema. Noi siamo qui perché lui è
nostro fratello, e non lo
lasciamo solo in mezzo ai demoni, non perché abbiamo
ricevuto un ordine”.
“E
se
lui..volesse stare in mezzo ai demoni?”.
Ares
gemette. Steso, in una delle stanze del palazzo del Dio
dell’illusioni, percepì
la vita dei suoi gemelli spegnersi. Phobos e Deimos erano morti? Il Dio
della
guerra provò un gran peso sul cuore. Era cieco, ancora privo
di colori, e con
il volto segnato dalle rughe. Però aveva tentato di
conservare la speranza nel
futuro, la speranza di riavere la vista e riavere tutti i suoi figli
accanto a
sé. Afrodite, Dea della bellezza, gli stava accanto e
udì quel gemito.
“Che
cosa
c’è?” gli parlò piano
“Senti dolore? Vuoi che avvisi Rahael, l’angelo
guaritore?”.
Il
Dio non
ebbe il coraggio di dirle la verità. Nel frattempo, il
palazzo mutava,
tingendosi di rosso, assumendo un’aria decisamente spettrale.
L’attesa
è finita: è guerra!!!! :P E ieri ho
caricato 3 nuovi disegni a tema Olympus
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Capitolo 19 *** XIX- Invasione ***
XIX
INVASIONE
“Buongiorno,
Uriel” salutò educatamente Mihael.
Con
un
inchino, l’arcangelo rispose al saluto. Non si
stupì di vedere Mihael sveglio
poco prima dell’alba, perché sapeva che al collega
piaceva vedere il sole
sorgere.
“Non
mi
stanco mai di assistere a questo spettacolo”
commentò Uriel, quando si intravidero
i primi raggi dell’astro del mattino.
Gli
occhi di
Mihael risplendettero alcuni istanti di luce d’oro. Fra le
colonne, i due
angeli rimasero in silenzio qualche minuto. Poi il guerriero
sospirò e Uriel
girò lo sguardo, serio.
“Girano
voci bizzarre, sai?” parlò e Mihael
alzò un sopracciglio, perplesso.
“Voci
di
che tipo?” domandò l’arcangelo di fuoco.
“Sei
strano, ultimamente. Questo non puoi negarlo. Che cosa ti
prende?”.
“Uriel..tu
che se il più saggio di tutti noi,risponderesti sinceramente
ad una mia
domanda?”.
“Certo,
se
ne sono in grado..”.
“Tu
credi
in quel che c’è scritto
nell’Apocalisse?”.
“Cos’è?
Una
domanda retorica?!”.
“No.
Te lo
chiedo: tu ci credi?”.
“In
linea
di massima, sì. Poi, ovvio, ricordo che comunque
è stata scritta da un essere umano,
quindi non mi aspetto che sia perfetta, anche se ispirata da
Dio”.
“Ma
noi
come lo sappiamo che è stata scritta con la guida di Dio? Lo
abbiamo mai
sentito parlare di queste cose? E se fosse solo una storia inventata da
un
pazzo?”.
“Non
dovrebbe, spero! Ma perché ti fai questo tipo di
domande?”.
“La
mia
esistenza è legata ad un continuo scontro con nostro
fratello Lucifero. Ma
dimmi, Uriel, se uno di noi dovesse morire prima
dell’Apocalisse, che cosa
accadrebbe?”.
“Come
mai
lo chiedi? Stai male? Sei malato?”.
“No,
io sto
benissimo”.
“Lucifero..?”.
“Rispondi
alla mia domanda. Che cosa accadrebbe?”.
Uriel
rimase qualche istante in silenzio, pensando. Con i suoi grandi occhi
azzurri,
guardò il cielo, come in cerca di una risposta.
“Uriel?”
lo
incitò Mihael, l’angelo più impaziente
del cielo.
“Non
posso
sapere che cosa accadrebbe. Non prevedo il futuro” ammise
l’arcangelo,
passandosi una mano fra i capelli castani “Ho solo delle
ipotesi. Immagino che,
in caso di scomparsa di uno dei due, si trovi un sostituto”.
“Sai
bene
quanto me che nessuno è in grado di sostituire me o
Lucifero. Io sono il
generale supremo delle truppe angeliche e lui è il re dei
demoni”.
“Se
Lucifero morisse, significherebbe una nostra vittoria. Sarebbe una
buona
notizia”.
“Come
puoi
definire la morte di nostro fratello una buona notizia?!”.
“Mihael!
Sei stato tu stesso a dire più volte che quello non
è più nostro fratello. Egli
è morto, quando è caduto!”.
“Non
sono
più sicuro di questo..”.
“Forse..dovresti
tornare un po’ a casa”.
“A
casa?”.
“Sì,
in
cielo. Stare tanto tempo fra gli uomini ed i demoni ti ha stancato e
così la
tua mente si confonde. Un periodo in pace e tranquillità non
può che farti
bene”.
“Non
so..”.
“Cosa
non
sai?!”.
“E
se
questa fosse la nostra ultima battaglia? Gibrihel ha la tromba
dell’Apocalisse
con sé..”.
“Ma
che
dici?!”.
Dall’interno
della casa, si udiva il baccano poco elegante di vari demoni che
perdevano
tempo discutendo fra loro. La voce forte e decisa di Lucifero li
interruppe.
“È
rimasto
il solito” ridacchiò Uriel “Anche quando
eravamo bambini, e facevamo troppo
chiasso, sbraitava in quel modo..così poco
angelico”.
“Siamo
un
po’ tutti rimasti i soliti. Nel bene o nel male..”.
“Chi
più
nel bene e chi più nel male..”.
Lucifero
raggiunse i due, dando una pacca sulla schiena ad entrambi e
circondandone il
collo con le braccia.
“Fratellini”
commentò, con un mezzo ghigno “Parlate del bene e
del male? Ma ogni tanto..figa
e sport, no? Sempre le solite menate? Son millenni che cazzeggiamo
sempre con
le stesse storie da lotta del bene contro il male..”.
“Comprendi
ancora l’angelico?” si stupì Uriel, che
era il linguaggio che aveva usato con
Mihael fino a quel momento.
“Mi
prendi
per il culo? Certo che sì! Non sono stupido, come pensate
voialtri..”.
“Sì,
ok..”
arricciò il naso Mihael “Ma ora toglimi le
zampacce di dosso!”.
“Permaloso!
Vado a mangiare”.
“Pensavo
andassi a fare un giro” rispose Uriel.
“Oh,
sì.
Non vedo l’ora di sedermi con le chiappe nella neve
all’alba con i pinguini che
mi salutano!”.
“Non
fa
così freddo!”.
Lucifero
rispose con una specie di soffio, come un gatto, e si
allontanò. I due angeli
si lanciarono solo un rapido sguardo e decisero di fare lo stesso.
Per
il
corridoio, Eleonore era in pensiero. Appena vide Keros, si
scusò per averlo
svegliato così presto ma aveva un problema: Iravat, uno dei
gemelli, non era
rientrato quella notte! Keros ruotò gli occhi al cielo,
perché sapeva dove quel
ragazzo si stesse nascondendo. Grazie alla barriera che aveva creato,
ne
percepiva i movimenti. Subito il mezzo sangue lo raggiunse e lo
trovò fra le
montagne, “impegnato” con un paio di ragazze. Le
due, alla vista di Keros con
gli occhi arancio, fuggirono immediatamente.
“Mi
hai
rovinato la festa” sbottò Iravat.
“Tua
madre
è in pensiero per te. Non mi sembra il caso di peggiorare la
già complicata
situazione attuale”.
“Io
faccio
quello che voglio!”.
“Non
in
questo caso. Sei sotto la mia tutela e, finché lo sarai, non
voglio stronzate”.
“Io
sono un
vero uomo. E mi comporto come tale. E non dovrei nemmeno stare qui, ma
ad
uccidere nemici. Io sono forte, lo posso fare”.
“Stai
velatamente alludendo a quel che succede fra me e tuo padre?”.
“Lo
hai
reso debole. Anche l’amore per Eleonore lo ha reso debole. Un
tempo, era
spietato e crudele”.
“Non
esisteresti, senza quell’amore per Eleonore. Ma, ad ogni
modo..ora ti dirò una
cosa, ragazzo. Ascoltami bene, perché non la
ripeterò. Un vero uomo non si
valuta in base al numero di volte in cui sfodera l'uccello o l'elenco
di donne
con cui è stato a letto. Un vero uomo non è colui
che con la forza sottomette i
deboli e gonfia il petto dinnanzi a chi non può difendersi.
Quello non è un
uomo, ma un semplice coglione. Un vero uomo, dinnanzi a chi ha bisogno
di
sostegno, si ferma e aiuta. Un vero uomo è chi, vedendo una
creatura in
difficoltà, si china per risollevarla e non chi usa il suo
potere per
schiacciarla. Essere uomini non significa essere forti e dimostrare ad
ogni
costo di essere il più in alto di tutti, ma usare quella
stessa forza per
proteggere chi non è in grado di farlo o chi confida in noi.
Essere uomo
significa combattere per proteggere chi amiamo, non combattere per
distruggere
chi è più fragile. Non conta chi ami ed in che
modo, conta il rispetto che
provi per te stesso e per chi hai accanto. Amare, una donna o un altro
uomo,
non rende meno uomini. Un vero uomo conosce la pace, l'amore, non solo
la
guerra. Sa quali sono i suoi punti deboli, non finge di non averne.
Altrimenti
non è un uomo, ma solo una bestia. Vuoi essere un uomo o una
bestia, Iravat?”.
Il
giovane
rimase in silenzio, non del tutto convinto.
“Iravat..”
riprese Keros “So che stai attraversando un periodo difficile
dell’esistenza.
Sei in piena adolescenza, e cerchi di dimostrare a tutti che sei un
adulto. Ma
non è facile come sembra”.
“Che
cosa
dovrei fare? Non posso combattere!”.
“Tua
madre,
i tuoi fratelli, le tue sorelle..hanno bisogno di te! Questa famiglia
conta
anche su di te, sul tuo coraggio, sulla tua forza d’animo.
Non serve affrontare
i nemici a spada tratta per sostenere qualcuno. Cerca di alleviare le
preoccupazioni di chi hai vicino, senza procurargliene di altre. So che
sei
spaventato per quanto sta succedendo, so che temi per la vita di tuo
padre..ma
siamo tutti nella stessa barca! Cerchiamo di darci una mano a vicenda,
ti va? Proviamoci,
almeno”.
Iravat
non
disse altro. Si alzò e tornò in casa, seguito da
Keros. Appena entrato, il
giovane sorrise alla madre, cosa che non faceva da tempo, ed
aiutò i fratellini
a vestirsi e togliere il pigiama. Iravan, il gemello, lo accolse con un
“era ora!”.
“Che
cosa
gli hai detto?” domandò Eleonore, fissando Keros.
“Cose
fra
uomini” si limitò a dire il mezzo demone.
“Ah..capisco..”.
“Vuole
un
gran bene a suo padre, ed anche a te. Di certo è un bravo
ragazzo ma è in
quella fase della vita in cui si è un po’ confusi.
È naturale”.
Lei
sorrise
debolmente.
“Hai
mai
pensato di averne uno tuo?” domandò poi, guardando
lungo il corridoio.
“Di
che?” si
stupì il sanguemisto.
“Di
figli,
stupido!”.
“Sinceramente..no.
Prima di conoscere il signor Arikien, non mi ero nemmeno mai
innamorato..perché
lo chiedi?”.
“Perché
sei
sempre stato bravo con i ragazzi. Quasi tutti i miei figli li hai visti
crescere e nascere. Te la cavi bene”.
“Che
idee
strane..”.
“E
perché ci
hai messo tanto a dirglielo?”.
“Che
cosa?
Scusami ma oggi non so di che parli..”.
“Perché
hai
aspettato tanto per dire ad Ary che lo ami?”.
“Se
tu ti
fossi innamorata di Artemide, che un tempo servivi, lo avresti detto?
Siamo su
due livelli diversi..”.
Eleonore
rimase in silenzio e allungò le dita, afferrando la mano di
Keros e
stringendola.
“Non
avere
paura” parlò ancora il mezzo demone “Lui
tornerà di certo, e presto. Dobbiamo
credere”.
“Io
credo in
Ary” rispose lei “Ma ho paura. Paura per questa
casa e per il futuro. Devo
essere forte, lo so..ma non so per quanto a lungo ci
riuscirò”.
“Io
sono qui.
Ci sosterremo a vicenda. È questo il mio ruolo,
no?”.
Keros
si
sforzò di sorridere e lo stesso fece Eleonore.
“Keros”
chiamò Mihael, interrompendo i pensieri dei due
“Vieni con me, per favore”.
Il
mezzosangue si congedò da Eleonore e seguì
l’angelo, fino alla grande stanza
dove tutte le creature del cielo avevano riposto le vestigia e
riposavano.
Appena svegli, gli alati si stupirono nel vedere il loro generale
ancora in
compagnia di quella strana creatura dai capelli rossi.
“Attento
a
come ti relazioni con quella femmina..” iniziò
Mihael, a bassa voce, passando in
rassegna le armi del suo esercito “..lei è la
donna del tuo signore. Lucifero è
caduto anche per il legame che aveva con Sophia, la più
amata del cielo”.
“La
cosa è
del tutto diversa. E un soldato angelico dubito possa insegnarmi molto
a
riguardo..”.
“Va
bene..cambiamo argomento. Parlami del nemico”.
“Non
so dire
un granché” rispose Keros “Ho avuto
delle visioni..ma non erano chiare”.
“Il
tuo signore..è
andato da quell’essere, da Ananke. Chi è? E che
creature potrebbe mandarci
contro?”.
“Ananke
governa il destino, secondo la mitologia greca.
Perciò..tecnicamente potrebbe
mandarci contro chiunque! Divinità del mondo ellenico di
ogni tipo”.
“Quindi..dobbiamo
prepararci ad affrontare qualsiasi cosa?”.
“Più
o
meno”.
“Cosa
c’era
nelle tue visioni?”.
“E
nelle
vostre?”.
“Sarà
quella..cosa ad attaccarci?”.
“Non
lo so.
Continuo a vedere serpenti, enormi serpenti..”.
Sfiorando
con le mani una delle armature, Mihael inclinò la testa.
Prese la propria
lancia fra le mani e notò lo sguardo di Keros, che
brillò.
“Ti
piace?”
domandò l’Arcangelo.
“Sì”
ammise
il mezzosangue “Anche se..so che è quella che
servirà ad uccidere Lucifero”.
“Solo
seconda una delle versioni della storia”.
L’angelo
guerriero porse l’arma a Keros, che rimase immobile a
fissarla, senza sapere
bene che cosa volesse il padre.
“Non
esplode
mica!” sbottò Mihael “Allunga la mano.
Si impugna qui, in questo punto”.
Il
sanguemisto allungò la mano, afferrando la lancia nel punto
indicato
dall’arcangelo.
“Com’è
possibile?” si chiese Camael “Se
quell’essere fosse un demone..quella lancia lo
avrebbe distrutto al solo tocco! Che cosa succede?”.
“E..”
continuava a parlare l’arcangelo guerriero “..tira
indietro i capelli. Come fai
a combattere con quei cosi tutti davanti alla faccia?!”.
“Mica
è
facile!”.
“Credi
non
lo sappia?! Secondo te, quei capelli che hai in testa da dove vengono?!
Con i
poteri delle fiamme, c’è sempre il rischio che
prendano fuoco”.
“Non
sono un
bambino!” ridacchiò Keros “Li lego i
capelli. E le orecchie a punta aiutano..”.
“Quelle
non
posso sapere come funzionano..”.
All’ennesimo
ciuffo che finì sul volto di Keros, mentre il sanguemisto
tentava di sembrare
convincente con la lancia in mano, l’arcangelo
allungò le mani e tirò indietro
i capelli del figlio. Il mezzo demone rimase alquanto perplesso da quel
gesto,
così come la maggior parte degli angeli della sala. Di tutta
risposta, dopo
pochi secondi, Keros rispose allo stesso modo: scompigliando i capelli
di
Mihael, che ricaddero in avanti in modo disordinato. Così
facendo, le loro
pettinature parevano quasi identiche. Fissandosi, entrambi arricciarono
il naso
un paio di volte.
“Chi
è
costui, Mihael?” finalmente domandò Gibrihel
“Che succede? Sembrerebbe quasi
uno di noi..”.
“Lui?
Ecco..lui è..” iniziò a spiegare
l’arcangelo, ma notò che lo sguardo di Keros
si era illuminato d’oro per qualche istante.
“Qualcosa
ha
oltrepassato la mia barriera” parlò il sanguemisto.
“Che
cosa?
Un nemico?” si allarmò Camael.
“Non
so
dirvi che cosa sia..ma si muove in fretta ed ha un potere
immenso”.
L’arena
era
in subbuglio. Stava per iniziare lo scontro che in moltissimi
attendevano
ansia: uno scontro fratricida fra Hades e Poseidone! I cavalieri
d’oro erano
curiosi, perché in passato avevano avuto a che fare con
quelle divinità ed
erano curiosi di vedere chi avrebbe avuto la meglio.
“Il
vincitore sarà il nostro prossimo avversario”
commentò Camus “Dato che Apollo
non vuole farci lottare direttamente contro gli Dei, ci toccano i
Generali
Marini o i tre giudici infernali”.
“Io
spero
nei generali marini” ammise il Leone “Di botte da
Radamante ne ho prese
abbastanza”.
“Ma
fra i
marini hanno trovato chi mi sostituisce?” chiese Kanon,
cercandoli fra la
folla.
“Non
te lo
so dire” ammise Kiki “Non mi sembra”.
“Sono
unico
ed irripetibile” ghignò Osiride.
“Ma
su, in
ogni caso saremo tutti noi contro tre o sei individui. Non mi pare una
gran
cosa” storse il naso Milo “Apollo ci
sottovaluta”.
“Se
è stupido,
noi che ci possiamo fare?” alzò le spalle Sargas.
“Non
è
stupido!” lo corresse Camus “Secondo me ha un piano
in mente”.
“E
sarebbe?
Eliminare Hades e Poseidone dai giochi senza doverli
affrontare?”.
“Esatto.
Hades è già in svantaggio, perché suo
figlio ha perso. Dovesse essere sconfitto
ancora, sarebbe fuori. Se invece è Poseidone lo sconfitto, a
noi toccherebbero
i tre giudici, ostacolo alquanto fastidioso ma eliminabile da
noialtri”.
“La
folla
già acclama il suo beniamino: Hermes” sorrise
Aphrodite “E non so come dargli
torto, visto quel che ha fatto”.
“Non
mi
dispiacerebbe” ammise Aiolos “Ma sappiamo bene che
Apollo vince sempre contro
Hermes”.
“Il
bastardo
ha organizzato tutti gli scontri in modo da vincere facile?!”
ghignò Deathmask
“Che stronzo astutamente ingegnoso!”.
“Signore..”
domandò Asmodeo, seguendo Lucifero all’aperto, in
cerca del nemico “..perché
gli angeli sono qui? Che cosa sta succedendo? I sette arcangeli
riuniti..”.
“Rilassati”
lo zittì il re dei demoni “Loro sono qui per
impedirci di raggiungere il nostro
scopo. Sanno che, se noi proteggiamo questa casa, Arikien
sarà il nostro
principe. E cercando di impedircelo, salvando questo tempio dai nemici
senza
lasciarci intervenire”.
“In
pratica..stiamo per lottare a fianco degli angeli per ottenere la
stessa cosa?
La salvezza di un gruppo di innocenti?”.
“Asmodeo..mi
irriti, lo sai? Che stai cercando di dirmi?”.
“Sto
cercando di capire come mai sembriamo quasi alleati con..quei cosi
piumosi”.
“Quei
cosi
piumosi sono i tuoi fratelli, o sbaglio? O per caso credi di essere
sbucato dal
nulla all’inferno? Che io sappia, tu sei uno dei
caduti”.
“Si,
signore”.
“Perciò
taci! E fidati! Questo lo sto facendo per il principe. Abbiamo bisogno
di un
principe, se vogliamo vincere sul cielo, e tu lo sai! Perciò
chiudi quella
cazzo di bocca e proteggi questa casa. Vi saranno anche degli innocenti
e non
sarà molto demoniaco, ma se uno di loro muore..Arikien non
sarà al nostro
fianco nella lotta finale. Chiaro? Capisci ora, o ti faccio un
disegno?”.
“Sì..”.
“Bravo.
Ora
porta con te Azazel e Baphomet. Astaroth e Moloch si muoveranno
sull’altro
versante della montagna. Appena il nemico si mostrerà,
vediti pronto a gestire
le truppe”.
Asmodeo
annuì, anche se non del tutto convinto, e gridò,
richiamando all’ordine un
gruppo di demoni a suo servizio. Lucifero incrociò le
braccia, con un sorriso
beffardo. In realtà, nella mentre aveva le parole di Mihael.
Doveva morire
davvero? Era destino che si spegnesse in quella battaglia? E come mai
il
fratello minore se ne preoccupava tanto? Guardò in alto,
riconoscendo Mihael e
la sua armatura. L’arcangelo girò gli occhi ed i
due si fissarono, qualche
istante.
“Non
so che
ti prenda ultimante..” commentò Camael,
affiancando Mihael in volo“..ma, per
favore, riprenditi. Ricorda chi è il nostro nemico e
perché lo combattiamo”.
“Lo
so
meglio di te, Camael”.
“Non
mi
sembra”.
“Non
siamo
qui per lottare contro i demoni ma per proteggere delle creature, che
discendono dal sacro sangue di Sophia. Ci vedi forse qualcosa di
sbagliato?”.
“Se
anche
una sola di queste creature morisse, Arikien non diverrà
principe degli inferi.
So che quel che suggerisco può sembrare crudele, ma
rappresenterebbe la
salvezza del cielo e del mondo. Dobbiamo pensare al bene superiore. E,
per non
toccare il sacro sangue di Sophia, possiamo far sì che
muoiano coloro a cui non
ne sono legati. Quella donna, per esempio. O quello strano
essere”.
“Ma
che
cosa stai dicendo?!”.
“Sono
in
molti a pensarla come me. La morte di quella femmina, o di quel demone
dai
capelli rossi, porterebbe alla rinuncia di Arikien al ruolo di
principe. Non so
se ti rendi conto di cosa accadrebbe se lui dovesse combattere contro
di noi.
Il suo potere è immenso”.
“Lo
so
bene. Ma uccidere Eleonore o Keros non è la cosa
giusta”.
“Eleonore
è
una donna. È umana. Posso capire la tua titubanza. Ma quel
demone..perché
proteggere quel demone? È uno di loro! Anche se
muore..”.
“Tu
prova
ad avvicinarti a lui e dovrai vedertela con me, Camael. E sai che fra
me e te
io sono il più potente”.
“Dico
solo..che si dovrebbero rispettare gli ordini”.
“Tu
inizia
rispettando le gerarchie, tanto per cominciare. In guerra sono io che
comando.
Sono il generale delle truppe. Perciò devi fare quel che ti
dico”.
“Fratello..non
riesco più a comprenderti. E questo è strano,
perché a lungo abbiamo lottato
fianco a fianco”.
“Rimanda
le
tue domande a dopo la battaglia. Una volta che sarà tutto
finito, ne parleremo
con calma, se ne avremo l’occasione”.
“Perché
non
dovremmo averne l’occasione?!”.
Mihael
sbatté le ali e si allontanò dal fratello.
Più in alto di qualsiasi altra
creatura presente, vide avvicinarsi rapidamente due entità.
Subito, nella
creatura più grande, enorme, vide quel serpente che nella
visione uccideva suo
fratello. La terra tremò e Mihael strinse forte la lancia.
In
casa,
Eleonore e Keros, assieme a Sophia ed i gemelli, portarono tutti i
piccoli
della famiglia in un luogo sicuro, posto sotto il palazzo, dopo una
lunga
scalinata. Il mezzo demone, una volta appurato che fossero tutti al
sicuro,
compreso il bianco Ares, si apprestò a raggiungere
l’esterno, pronto a
combattere. Mihael, quando lo vide, di primo acchito fu tentato di
bloccarlo ma
capì subito che Keros non avrebbe mai disobbedito al suo
signore e l’ordine del
suo signore era proteggere quel luogo.
Sì,
d’ora in poi aggiornerò i capitoli solo il
Lunedì. Un po’ perché sto lavorando
anche ad altro, ed un po’ perché vorrei che
vi metteste di nuovo tutti in pari ;) e poi ho notato che i capitoli
del Lunedì
hanno molte più visite di quelli del Giovedì!
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Capitolo 20 *** XX- Ignoto ***
XX
IGNOTO
“Lucifero,
ti trasformi in gatto?” domandava sempre Keros da piccolo.
Il
re dei
demoni fingeva fastidio e si lamentava ma, alla fine, accontentava
sempre quel
piccolo bimbo dal sangue misto. Lo trovava adorabile, lo doveva
ammettere. Non
aveva mai amato molto i bambini ma Keros era diverso. Quando metteva il
broncio, era identico a Mihael! Però lo sguardo era quello
di Carmilla e
Lucifero era consapevole di averlo spinto ad usare i suoi poteri fin in
tenera
età. Inconsapevolmente però lo aveva portato ad
imitarlo mentre, nel regno
umano, sfoderava tutte le sue capacità di inganno e
tentazione. In quel
momento, con il nemico alle porte, Lucifero osservava il mezzosangue e
si
chiedeva se avesse compiuto le azioni giuste. Forse quella creatura
meritava di
crescere fra gli angeli e lui lo aveva spinto a diventare qualcosa di
sbagliato. Forse? Che domande..era una cosa certa. Lui era il diavolo,
lui era
l’essenza dello sbagliato! Però ci aveva provato.
Aveva trattato quel piccolo
con affetto e con cura, come fosse una cosa preziosa, spinto da uno
strano ed
insolito istinto. Ed andava fiero del risultato anche se ora, lo
vedeva, era
probabile che lo scoprire la verità avrebbe incasinato tutto
quanto. Abbassò
leggermente le orecchie e sorrise, orgoglioso, quando lo vide pronto a
combattere. Mihael lo osservava a sua volta.
“Inizia
dunque la mia ultima battaglia” commentò il
demone, guardando il cielo “Vedremo
se Mihael avrà ragione. In ogni caso..non ho questioni in
sospeso. Il mio regno
ha chi lo governerà al posto mio e Keros non ha
più bisogno di un finto angelo
custode, perché ne ha uno vero che veglia su di lui. Ed un
Dio che lo ama.
Perciò..se questo è il tuo disegno, che senso ha
opporvisi? Sono proprio
curioso di sapere che cosa hai in mente per
me..papà!”.
“Non
essere
gentile con me, fratello” sorrise Poseidone.
“Non
lo
sono mai stato” gli rispose Hades, con la stessa espressione.
In
arena,
vi era chi gridava l’uno o l’altro nome, assetati
di sangue e insulti. I rappresentanti
dell’esercito delle due divinità si lanciavano
occhiate poco rassicuranti. I
cavalieri d’oro, seduti proprio in mezzo alle due fazioni, si
fissarono. Alcuni
di loro erano preoccupati, mentre altri si stavano divertendo.
Il
tridente
di Poseidone brillò intensamente, liberando il suo potere in
un vortice che
Hades respinse con un vento di anime.
“Era
da
tempo che non ci divertivamo, fratellino” commentò
Hades, con un ghigno.
“Ed
era ora
che tornassimo a farlo!” aggiunse Poseidone, lanciandosi
contro il fratello
maggiore con il tridente stretto fra le mani.
“Un
momento..” borbottò, poco convinto, Keros
“..quello è..Phanes?”.
Alla
casa
si avvicinava velocemente un serpente enorme con a fianco proprio
Phanes, che
pareva fluttuare a pochi centimetri da terra.
“Lo
conosci?” gli chiese Mihael, scendendo leggermente di quota.
“Sì.
Phanes
non è cattivo. Non capisco..”.
“La
loro
energia non pare molto amichevole..”.
“Vero.
Pensate voi al serpente? Phanes credo di poterlo sistemare io. Vedo di
farlo
ragionare”.
“Sicuro
di
quello che dici?”.
L’enorme
serpente spalancò la bocca e si lanciò contro i
due, che si erano mossi in
avanti, pronti a colpire. Mihael e Keros agirono insieme, allo stesso
modo. Richiamarono
il fuoco da entrambe le mani. Mihael spalancò le ali, mentre
Keros si sollevò
da terra, e le fiamme raggiunsero il nemico, che lanciò un
verso stridulo e si
agitò. Le iridi di padre e figlio si tinsero d’oro
nell’usare quel potere e per
qualche istante l’enorme serpente, stordito, si scosse.
“Che
significa?” sibilò Asmodeo, raggiungendo Lucifero
che ruotò gli occhi al cielo
“Due angeli non possono avere tecniche identiche.
Perché loro le hanno?”.
“Si
vede
che si trasmettono geneticamente..” si limitò a
dire il capo dei demoni, rimanendo
concentrato sulla battaglia ed osservando quanto stava accadendo.
“Mi
hai
fatto allevare il moccioso di quel figlio di puttana di
Mihael?!”.
“Punto
primo: Mihael non può essere un figlio di puttana,
perché non ha una madre. E
se ce l’avesse, essendo noi angeli e demoni tutti fratelli,
ti offenderesti da
solo. Punto secondo: Keros l’abbiamo allevato assieme. Suona
strano, ma è così.
E adesso concentrati”.
“Questa
me
la paghi”.
“Bada
a
come parli. E ora, ripeto: concentrati! Siamo qui per combattere, non
per perdere
tempo in conversazioni inutili!”.
“Me
la
paghi! Te lo giuro! Hai oltrepassato il limite!”.
Lucifero
ringhiò ed il suo sguardo si infiammò qualche
istante, segno che fece capire ad
Asmodeo che era meglio allontanarsi.
Anche
gli
angeli avevano compreso il legame che accomunava Mihael e Keros e la
cosa li
aveva lasciati alquanto perplessi e stupiti. I presenti, confusi, non
reagirono
in tempo alla coda in movimento del serpente, che provocò un
tale spostamento
d’aria da scagliare quasi tutti in varie direzioni. Keros,
incapace di volare,
finì lanciato fin quasi sull’ingresso e da
lì vide avanzare Phanes , capendo
che era lui il suo avversario. Lucifero, con un movimento altrettanto
rapido
della coda, schivò il colpo del nemico e rimase in aria,
prendendo leggermente
quota.
“Ecco
a che
serve la coda” si sentì dire da Mihael, che si era
voltato per sincerasti che
il figlio non si fosse ferito.
“Già.
Ha
una sua utilità” ghignò il demone.
Entrambi
schivarono altri colpi del rettile gigante, che però erano
estremamente veloci.
“Avete
intenzione di fare qualcosa o volete stare a guardare?!”
sbraitò Mihael, rivolto
ad angeli e demoni, mostrandosi decisamente poco gentile
“Cazzo..”.
“Dobbiamo
rallentarlo..” rifletté poi, vedendo che gli
attacchi suoi e dei colleghi
venivano respinti ed i contrattacchi erano rapidissimi “..ma
come si rallenta
un serpente?”.
Si
voltò
verso il fratello maggiore, consapevole di poterlo considerare a sua
volta un
serpente. Lo vide usare i suoi attacchi contro quell’essere.
D’un tratto, ebbe
un’intuizione e si guardò attorno, in cerca di due
angeli.
“Torno
subito” disse a Lucifero “Tu..distrailo!”.
“Che?!
Ma
che me lo dici a fare?! E poi..ma che vuoi?!”
farfugliò il demone, mentre il
serpente sibilò e provò ad attaccare di nuovo
l’angelo caduto.
Il
demone
rispose sibilando a sua volta. Fece segno a tutti i suoi sottoposti di
fermarsi
e questi obbedirono, nonostante la titubanza di Asmodeo. Gli angeli,
non appena
Lucifero si mosse, rimasero immobili ad osservarlo, curiosi e,
probabilmente,
affascinati. Il caduto si era messo proprio di fronte al muso del
serpente e lo
fissava negli occhi. Si era illuminato intensamente ed il suo sguardo
era
mutato, illuminandosi a sua volta.
“Quando
il
capo usa quella tecnica, c’è poco da
fare” ridacchiò Azazel ed altri demoni si
unirono a quella risata.
“Teniamoci
pronti ad agire quando ci farà un segnale”
ordinò Baphomet.
“Guardami,
serpente” mormorò Lucifero
“Guardami!”.
Il
nemico
smise di sibilare e fissò il demone, trovandolo interessante
per via di quella
bella luce.
“Guardami”
ripeté di nuovo l’angelo caduto, muovendo
leggermente le mani, vedendo il
serpente muoversi come guidato da quei gesti.
“Bravo,
serpente” ghignò Lucifero “Bravo. Che
roba sei tu, serpente? Quanta energia mi
stai facendo consumare?”.
Il
nemico
si muoveva lentamente, ipnotizzato dallo sguardo del demone.
“Quanto
mi
piace quando usa quella tecnica” ammise Lilith “Ma
cosa aspetta a darci un
segnale? Che quella bestia non sia ancora del tutto sotto il suo
controllo? È
pericoloso che stia così vicino a quella bocca..”.
“Che
ti
prende, Phanes?” domandò Keros, fissando negli
occhi quella creatura ancestrale
“Che cosa succede? Perché attaccate questa
casa?”.
“Non
mi
aspetto che tu comprenda il disegno di mia madre” si
limitò a dire l’invasore,
continuando a camminare, con l’intento di entrare nel palazzo
del Dio delle
illusioni.
“Tu
non sei
malvagio! Tutti i discorsi che mi hai fatto..a che sono serviti? Il mio
signore
è venuto da voialtri e adesso? Io non l’ho
seguito, su sua precisa volontà, e
tu ti presenti qui con l’intento di ucciderci?! Cazzo, quanto
vi odio tutti
quanti!” riprese Keros, furioso.
“Hai
ragione. Odiaci pure. Metteremo fine al mondo come lo conosci. Ma
tranquillo:
tu non appartieni al mio mondo, perciò sarai
salvo”.
“Che
dici?!
Di che parli?!”.
“Tu
non sei
Greco. Io sono qui per cancellare il sangue Greco, che tu non hai.
Perciò
scansati”.
“Nemmeno
gli angeli ed i demoni che sono qua fuori hanno sangue Greco. Eppure li
state
attaccando”.
“Mio
padre
Drakonta non ha un senso della misura molto accurato. È
stato liberato ed è
affamato. Si nutrirà delle creature che lo infastidiscono.
Io invece sono più
metodico e non ho intenzione di ucciderti”.
“Hai
però
intenzione di uccidere Eleonore ed i figli del mio signore”.
“Sì”.
“Perché?”.
“Perché
non
è presente il terzo potere. Senza il terzo potere, ogni cosa
è destinata a
soccombere”.
“Non
capisco di che parli, ma non farai del male alla famiglia del mio
signore.
Dovrai uccidere anche me!”.
“Come
preferisci..”.
Lo
scontro
fra Hades e Poseidone continuava, senza che nessuno dei due riuscisse a
prevalere. I colpi che si infierivano erano sempre più
forti, incitati
dall’arena. Quella sfida aveva fatto scordare momentaneamente
a quasi tutti i
presenti quanto successo ad Ares e quella strana donna serpente. Ma ben
presto
dovettero ricordarla, perché proprio lei, Ananke, riapparve.
“Fratello?”
si stupì Kanon, vedendo il gemello camminare a fianco della
Dea ancestrale “Ho
voglia di picchiarti solo per il fatto che fai sempre di testa
tua!”.
Arles
si
limitò a girare leggermente la testa, allarmato dal fatto
che il fratello fosse
lì. Non era una cosa che aveva previsto. Si
sforzò di non mostrare il suo
fastidio ad Ananke, che continuò a camminare. La Dea era in
forma del tutto
umana, solamente il suo sguardo era inquietante ed animale. Interruppe
lo
scontro fra Hades e Poseidone, fra il disappunto generale.
“Ananke”
parlò Apollo, fingendo di essere tranquillo “Cosa
ti porta di nuovo qui?”.
“La
fine di
ogni cosa, figlio di Zeus” si limitò a dire lei,
iniziando a mutare.
“Ananke?”
continuò il Dio, con un lieve tremito della voce
“Non siamo tuoi nemici. Che
cosa..?”.
La
Dea era
cresciuta, circondando con la coda l’intera arena.
“Cosa
succede?” chiese Kanon, fissando il fratello.
“Lui
è qui
solo per assistere” ghignò Ananke “Vero,
Arikien delle illusioni? O ora dovrei
chiamarti solo Arikien? Perché, una volta che il mondo greco
sarà caduto, tu
non avrai più quel ruolo”.
“Chiamami
come vuoi..” si limitò a dire Arles, stanco di
avere sempre appellativi nuovi.
“Il
mondo
greco caduto?!” si accigliò Hades
“Perché mai il mondo greco dovrebbe
cadere?”.
“Perché
lo
decido io” lo zittì la Dea “Tuo fratello
Zeus sapeva bene come funzionavano le
cose. Non si lotta contro il destino. Perciò dovreste
seguire le sue regole e
inginocchiarvi a me, lasciando che tutto si compia”.
Nell’arena
si alzò un intenso coro di voci. Nessuno voleva arrendersi
ma nemmeno potevano
davvero sperare di lottare contro il destino. Che fare? E
perché Arikien era
lì? Che era successo?
“Che
significa?” domandò Tolomeo, fissando il padre.
“Non
esiste
la terza figura” rispose Arles “Perciò
tutto deve finire”.
Mihael
aveva raggiunto Gibrihel, che lo fissò perplesso.
“Ho
bisogno
del tuo controllo dell’acqua” spiegò
l’arcangelo guerriero “Il nemico è un
rettile e con il freddo rallenta. È inverno, fa freddo,
c’è la neve in terra.
Se riusciamo a raffreddarlo abbastanza, sarà più
facile poi colpirlo ed
abbatterlo”.
“Non
ho mai
usato l’elemento a cui sono legato in questo
modo..”.
“Andiamo!
So che puoi farlo!”.
“Ci
posso
provare..”.
“Appena
sarà freddo e più lento, attaccheremo tutti
insieme. Ora seguimi. Ti conduco
abbastanza vicino da poterlo colpire. Ma dobbiamo stare attenti..se si
distrae
e si libera dal controllo di Lucifero, non sappiamo come possa
reagire”.
“Hai
lasciato il nemico nelle mani di Lucifero?! Ti sei bevuto il cervello?!
E se si
alleano per agire contro di noi?!”.
“Smettila
con le cazzate e vieni con me!”.
“Bravo,
serpente” si sentì ripetere Lucifero, nella testa,
da una voce profonda “Bravo
serpente..”.
“Chi
sei tu?”
domandò il demone, sempre usando i suoi poteri di controllo.
“E
tu chi
sei, serpente? Non lo siamo forse entrambi?”.
“Chi
sei?”.
“Il
mio
nome è Drakonta”.
“Drakonta?”.
Lucifero
si
stupì nel sentire quel nome e lo ripeté
lentamente. Drakonta? Il compagno di
Ananke? Perciò una divinità primordiale? Ora
comprendeva perché gli risultava
così difficile e faticoso riuscire a domarlo.
“Bravo,
fantoccio del cielo” ripeté ancora Drakonta
“Notevole quel che fai..ma rimarrà
un serpente soltanto!”.
Lucifero
intensificò la sua luce ed il suo potere, con un ringhio, e
la voce si placò. Fantoccio
del cielo? Oh, come quella frase lo aveva fatto incazzare!
“Spazzerò
via la tua anima, e poi disintegrerò quella troia di tua
moglie Ananke!”
sibilò, digrignando i denti.
La
volontà
di Drakonta era di nuovo sotto il suo pieno controllo? Un movimento
impercettibile gli fece intuire che non era così.
Notò la coda del nemico
muoversi e si accorse di essere l’unico che pareva averla
vista, mentre tutti
gli altri presenti erano come incantati dai poteri di controllo mentale
dei due
avversari. Mihael si stava muovendo rapidamente, seguito a distanza di
sicurezza da Gibrihel e nemmeno lui notò quel movimento.
“Mihael!”
esclamò Lucifero, distogliendo lo sguardo e concentrando la
sua energia per
provocare un’onda d’urto, che allontanò
l’angelo dalla traiettoria della coda
del rettile.
Così
facendo però aveva permesso a Drakonta di tornare del tutto
in sé. La divinità
ancestrale spalancò la bocca ed affondò i denti
nella carne del demone, che
lanciò un grido di protesta.
“Ora
non mi
ipnotizzerai più” si sentì dire nella
testa l’angelo caduto, mentre provava un
dolore sempre più acuto. Lo sguardo gli si
appannò qualche istante, senza più alcuna
luce. Anche la luminescenza che avvolgeva il demone si stava spegnendo
e niente
pareva voler far lasciare la presa a Drakonta. I demoni, perplessi, non
sapevano bene come agire. Il loro capo aveva appena salvato
l’angelo più
pericoloso del cielo?
“Lascialo,
serpe!” gridò Mihael, dopo essersi ripreso
dall’energia inviatagli dal fratello
maggiore per farlo spostare.
Trapassandolo
con la lancia, l’angelo era riuscito a far spalancare le
fauci al nemico ma
senza ottenere la libertà del demone. Drakonta, dopo aver
colpito in malo modo
l’arcangelo, aveva avvolto il diavolo in parte fra le sue
spire. L’avversario
ghignò, fissando negli occhi la sua preda.
“Ti
mangerò” sibilò.
Lucifero,
con le braccia e le ali bloccate dal corpo del serpente che lo
imprigionava,
veniva sempre più avvolto. Con anche la bocca chiusa in
quella morsa, si
accigliò e fissò con odio il suo nemico, mentre
il dolore si era fatto quasi
insopportabile.
“Smettila
di guardarmi così” rise Drakonta “Non
hai più il tuo potere”.
I
cavalieri
d’oro furono i primi a reagire all’attacco di
Ananke. Incapaci di restare fermi
mentre si “compiva l’inevitabile
destino”, i Saint avevano indossato le loro
vestigia ed erano pronti a combattere. Si stupirono nel vedere che il
loro ex
collega Arles rimaneva immobile, a braccia conserte, mentre la
divinità
ancestrale attaccava tutti. Apollo fu, inaspettatamente, il primo fra i
Greci
che si mosse. Non poteva permettere che quella mezza serpe distruggesse
tutto
quello che con tanta fatica aveva protetto e governato! Purtroppo per
lui,
Ananke prevedeva ogni singola mossa dei presenti, avendo il controllo
di tutti
i loro destini. E così ogni loro attacco era del tutto vano
e lei diveniva
sempre più grossa e minacciosa.
“Dov’è
mia
moglie?!” gridò Milo, lanciando una raffica di
cuspidi contro la Dea.
“Non
credo
che il tuo veleno possa fare qualcosa ad una donna
serpente..” commentò Camus.
Lo
Scorpione non lo ascoltava e lanciava ancora colpi, uno dietro
l’altro. La Dea
nemmeno si preoccupava di schivarli, sorrideva divertita.
“Lascia
fare a me” ghignò Tolomeo “Vediamo chi
ha il veleno più potente”.
L’erede
di
Arles mutò d’aspetto, divenendo il serpente
piumato Quetzalcoatl. Il suo
attacco prese alla sprovvista Ananke, che mostrò il suo
disappunto. Fissò quel
giovane e capì: era figlio del Dio delle Illusioni, quindi
non più sotto il suo
controllo! Maledisse padre e figlio, sottovoce, ma si riprese presto,
perché
sapeva che quel che stava facendo era ciò che era giusto.
Non vi era la terza
figura: tutto doveva finire. E nessuno poteva impedirglielo,
perché nessuno in
grado di comprendere come fermarla.
“Ordina
a
tuo figlio di non infastidirmi” si limitò a dire,
agitando la coda nervosamente
“O lo ucciderò, Arikien”.
“Il
destino
di mio figlio non è nelle mie mani” rispose Arles
“Così come quello di nessuno
dei presenti. Io non posso impedirgli di agire contro di te”.
“Pezzo
di
merda. Obbediscimi”.
“Perché
dovrei farlo? Comprendo il tuo disegno, ma non ti aiuterò a
realizzarlo. Non
posso fermarti, ma non ho intenzione di incoraggiarti”.
“Appena
avrò finito con loro, distruggerò anche te.
Sarà uno scontro un po’ più
impegnativo, perché io non controllo il tuo fato, ma ti
schiaccerò come un
moscerino fastidioso”.
Arles
rimase immobile, senza mutare espressione. Poi ebbe un sussulto. Aveva
percepito qualcosa che non gradì molto.
“Hai
attaccato la mia casa?” mormorò.
“Non
è
stata un’idea mia” si giustificò lei,
per nulla allarmata “Bensì di Phanes. Io
li rispetto i patti. Non ho interesse alcuno a fare del male alla tua
stirpe,
per stramba che sia”.
“Se
tu
infrangi i tuoi patti, io posso infrangere i miei”.
“Fai
pure
quel che vuoi, Arikien delle illusioni. Non puoi farmi troppo male. Io
sono una
creatrice. Io sono un nuovo inizio e la fine, tu un semplice portatore
di sangue
divino residuo, come lo sono tutti gli altri qui presenti”.
“Però..io
ho visto una cosa..”.
“Che
cosa?”.
“Il
numero
tre!”.
Keros
aveva
richiamato a sé il potere del fuoco ed aveva attaccato
Phanes, con l’intento di
farlo retrocedere. Non poteva credere che lo stesse attaccando. Non era
cattivo, ne era certo. E allora perché era lì?
Fuori, udiva le grida di angeli
e demoni.
“Lasciate
questa casa!” urlò il mezzosangue, attaccando
ancora.
“Non
lo hai
capito?” commentò Phanes, afferrando il braccio di
Keros e bloccandone i colpi
“Il tuo compito non è creare o distruggere. Tu non
puoi cambiare le cose. Solo
preservarle”.
“Non
toccarmi” ringhiò il figlio di Mihael, liberandosi
da quella stretta “Nessuno
può toccarmi. Se non..Arikien”.
“Ah
sì? Ed Eleonore?”.
“Non
sono
affari che ti riguardano!”.
Il
potere
di Drakonta raggiungeva la casa con onde d’energia
intermittente, che facevano
tremare la terra e crollare pietre e marmi.
“Devo
preservare?” sibilò poi Keros, accigliandosi
“Benissimo. Permettimi di
preservare..”.
Strinse
entrambi i pugni ed attorno a sé creò una bolla
che si espanse rapidamente. Con
un grido, quella bolla investì Phanes e lo
ricacciò indietro. L’energia di
Drakonta aveva aperto uno squarcio, mostrando il luogo in cui Eleonore
ed i
bambini si erano rifugiati. Il mezzosangue udì le loro urla
spaventate e notò
che la sua sfera di protezione si stava crepando in alcuni punti.
“Il
mio
potere è superiore al tuo” commentò
Phanes “Ma sono lieto che tu abbia capito”.
“Taci.
Andatevene,
tu ed il tuo padre rettile!”.
Con
un
gesto di entrambe le mani, Phanes aveva mandato in mille pezzi la
barriera di
Keros, che indietreggiò di qualche passo. Accanto a
sé, il sanguemisto si stupì
nel vedere Iravan ed Iravat. I due gemelli identici, dalla lunga chioma
nera,
si erano mossi in modo da proteggere Keros.
“State
indietro” ordinò il mezzosangue “Se vi
succedesse qualcosa, vostro padre non me
lo perdonerebbe mai. Per favore..”.
I
gemelli
ignorarono l’ordine ed agirono all’unisono,
lanciandosi contro Phanes. Questi
rimase colpito e stupito da quel comportamento, a suo parere
tremendamente
stupido. Trovandosi ancora nella posizione necessaria a disgregare la
barriera
di Keros, il pugno di Iravat lo raggiunse.
“Non
farai
del male a mia madre ed ai miei fratelli!” esclamò
il giovane.
“Tranquillo..”
gli mormorò Phanes, afferrandolo “..tu sarai il
primo. Non vedrai la loro
morte”.
Iravat
si
agitò per qualche istante, prima che la divinità
spalancasse tutti e quattro
gli occhi. Immobilizzato, il giovane incrociò quello sguardo
ed iniziò a
sbiadire. Il nero corvino dei suoi capelli era come risucchiato dalla
mano di
Phanes.
“Lascialo
state! Lui non ha nulla a che fare con tutto questo!”
ringhiò Keros,
preparandosi a colpire di nuovo il nemico.
Si
fermò,
quando qualcosa sfrecciò accanto al suo orecchio. Si
voltò, vedendo Eleonore
con un arco in mano.
“Lascia
subito mio figlio” ordinò lei, dopo aver colpito
con estrema precisione il
braccio del Dio.
“Eleonore!
Ferma dove sei!” si accigliò Keros
“Lascia che me la sbrighi io”.
“Sono
una
sacerdotessa di Artemide. Non resterò ferma mentre i miei
piccoli sono in
pericolo”.
Phanes,
piuttosto infastidito, fissò tutti con un certo fastidio.
Quei suoi quattro
occhi, si agitavano in direzioni diverse. Era inquietante, ma nessuno
dei
presenti abbassò lo sguardo. I due gemelli, una volta che
Iravat fu libero, si
rimisero in posizione d’attacco. La luce che li avvolse si
era fatta d’oro ed
ora indossavano le vesti appartenute al loro padre, allo zio ed al
fratello
maggiore: l’armatura dei gemelli. Iravan, dai lunghi capelli
neri, mostrava le
vestigia d’oro mentre il gemello, ora con i capelli bianchi,
era protetto dalla
Surplice. Phanes non si fece impressionare da così poco e
ricacciò indietro
qualsiasi attacco. Spalancando le ali oro, scagliò tutti
lontano, contro le
pareti ed il pavimento.
“Mamma!”
chiamò Sophia, preoccupata.
Stringeva
a
sé il più piccolo dei suoi fratelli, cercando di
rassicurare gli altri. Phanes
la fissò, preferendo per ora concentrandosi su altro. I
gemelli avevano perso i
sensi, mentre Keros ed Eleonore si erano rialzati, pronti a colpire
ancora.
Purtroppo però il potere di Phanes era immenso e nulla
pareva fermarlo.
“Mi
spiace”
commentò il Dio ancestrale, avvicinandosi alla moglie ed al
compagno del Dio
delle illusioni “Ma non c’è la terza
figura. Dovete morire tutti”.
E,
dopo
aver detto questo, uccise entrambi.
ECCOCI!!
Punto primo: non maledicetemi o
uccidetemi XD punto secondo: grazie per tutte le visite su Devianart a
seguito
della pubblicazione del capitolo precedente! Punto terzo: a
lunedì prossimo :P
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Capitolo 21 *** XXI- Incatenare ***
XXI
INCATENARE
Cadendo
nel
buio, Keros si sforzava di rimanere focalizzato su quella luce lontana.
La
vedeva, era splendida e calda. Ma doveva raggiungerla? Oppure il suo
posto era
nel buio? Il cielo? O l’inferno?
“Keros!”
lo
chiamò una voce.
Voltandosi,
al suo fianco vide Eleonore. Con ancora l’arco in mano, lo
osservava.
“Dove
siamo?” chiese il mezzosangue.
“Non
lo so”
ammise lei “Però dobbiamo uscire da qui. Stammi
vicino”.
Le
tenebre
si facevano più fitte ma comparve una figura. Una donna,
vestita d’argento.
“Artemide”
la riconobbe Eleonore “Mia antica signora. Che
cosa..?”.
“Scocca
la
tua freccia” la incitò la Dea “Scocca la
freccia ed esci dal buio. Segui la
luce che ti invia tuo padre”.
“Mio
padre?”.
Il
buio fu
squarciato da un fulmine e da un tuono. Il lampo mostrò loro
il campo di
battaglia sottostante. Videro Phanes e Drakonta.
“Dobbiamo
affrettarci!” esclamò Eleonore, tendendo
l’arco.
Keros
spalancò gli occhi, vedendo dietro di lei girare
un’immensa ruota ad otto
braccia. E quel fulmine..
“Segui
la
freccia” riprese Artemide “Figlia della Luna e dei
lampi del cielo. Figlia mia,
della Dea della Luna, e di Taranis della luce. Seguite quella freccia,
figli
proibiti. Figli che mai sarebbero dovuti nascere, da madri e padri che
hanno
infranto ogni regola per concepirvi”.
Eleonore
sorrise a quelle parole e scoccò. Ma era un dardo che si
muoveva in
fretta..come seguirlo? Keros prese per mano Eleonore. Spalancando le
braccia,
la strinse a sé e una luce argentea lo avvolse, plasmandosi
e divenendo un paio
d’ali d’angelo. Con solo pochi battiti,
portò fuori entrambi da quella sorta di
limbo.
Quando
riaprirono gli occhi, notarono lo sguardo di Phanes. Pareva divertito.
“Bentornati”
commentò “Mi iniziavo a preoccupare. Piacere di
conoscerti, terza entità. Ero
indeciso se riconoscerla in te, Eleonore, o in qualcuno dei tuoi
figli”.
“Ma
che
cazzo dici?” si accigliò Keros, spalancando le ali
d’argento.
Sophia
osservò entrambi, la madre e il mezzo demone, sollevata nel
vederli in vita ma
piuttosto confusa.
“Vi
dispiacerebbe darmi una mano a rinchiudere di nuovo mio padre
Drakonta?”
continuò Phanes “Sapete..da solo non mi
è molto semplice. Prima che faccia troppi
danni”.
Keros
ed
Eleonore si lanciarono un’occhiata, perplessi.
“Ok..”
sospirò il Dio “..siete morti. Vi ho ucciso. Ma la
vostra vera natura vi ha
riportati in vita. Voi siete fondamentali adesso. Va bene? Il mondo non
deve
finire, il mondo greco ed i suoi Dei devono continuare. Ma per farlo ho
bisogno
del vostro aiuto. E spero vivamente che Arikien si stia dando una
mossa!”.
“Non
ci sto
capendo molto” ammise Keros “Ma fermiamo quel coso
e poi mi spiegherai”.
Il
Dio
delle illusioni spalancò le ali rosse, di colpo. Erano
immense e provocò uno
spostamento d’aria non da poco.
“Avvisami,
la prossima volta” sbottò Kanon.
“Ho
bisogno
che mi fai un favore, fratello” rispose Arles.
“Adesso
me
lo chiedi?!”.
“Sì,
perché
è adesso che mi serve!”.
Con
un
piccolo movimento delle ali, il fratello maggiore si ritrovò
una piuma rosso cupo
fra le mani, che consegnò a Kanon.
“Quando
tutto questo sarà finito, portala a Keros ed Eleonore. Loro
capiranno”.
“Quanto
tutto questo sarà finito? Ma scusa..fallo tu!”.
“Non
so se
potrò. Ma non preoccuparti: ogni cosa andrà al
giusto posto”.
“Mi
prendi
per il culo? Non la voglio la tua piuma magica! Aspetta!”.
Kanon
tentò
invano di fermare il fratello, che camminò convinto verso
Ananke. La Dea
ancestrale lo fissò con fastidio e rabbia.
“Osi
sfidarmi, Arikien?” sibilò.
Arles
sostenne quello sguardo. Con le mani dietro la schiena, non
mostrò alla Dea d’avere
fra le mani la propria chiave rossa. Con un piccolo taglio nella mano,
la bagnò
del suo sangue e questa brillò. Ananke però non
lo notò. Spalancò le fauci ed
il figlio di Ares chiuse gli occhi. Il cosmo della Dea lo stava
avvolgendo.
“Che
fai?!”
sbraitò Kanon “Sei impazzito?!
Fratello!”.
Arikien
rispose con un sorriso e Ananke, ormai enorme ed a fauci spalancate, se
lo
mangiò.
Mihael
tentava invano di liberare il fratello dalla stretta di Drakonta,
ottenendo
solo di venir respinto da un’energia incredibile, provocata
dal nemico, che lo
feriva e lo ricacciava all’indietro. L’animo di
fuoco del generale angelico bruciava
al massimo e sull’aureola ne era comparso il sigillo, segno
che stava richiamando
a sé tutto il suo potere, che sprigionò in un
attacco che avvolse quasi del
tutto il nemico. Il fatto che accuratamente avesse evitato di colpire
accanto
al fratello maggiore, con la paura di ferirlo, fece nascere una voce
fra gli
angeli. Non da tutti condivisa, ma iniziò a rimbalzare di
bocca in bocca:
lascia che muoia. Lascia che il cielo abbia la sua vittoria. Lascia che
Drakonta uccida il re dei demoni!
Lucifero, prigioniero,
spalancò gli occhi, con
rabbia, ed una piccola luce vi riapparve. Il serpente si
stupì di questo.
Quella scintilla lo distrasse ed allentò leggermente la
presa, il necessario
per permettere al diavolo di liberare la bocca e lanciare un grido
misto di
dolore e rabbia. La pelle del demone si accese, di colpo, divenendo
accecante,
ed alle sue spalle comparve il sigillo di Lucifero. Era immenso e
ruotava, come
ad indicare che non vi fosse un solo senso di lettura. Era un simbolo
che gli
altri angeli avevano dimenticato e che non si aspettavano di rivedere.
Drakonta
emise un verso acuto e fastidioso, lasciando andare la preda. Il demone
chiuse
gli occhi, irritato da quel suono e pronto a precipitare.
Dopotutto..era
abituato a cadere! E forse quella era l’ultima volta..Ma
qualcuno fermò il suo
inevitabile schianto al suolo. Mihael aveva afferrato il fratello,
giusto in
tempo.
“Te
lo
avevo promesso” mormorò l’angelo
“Che un giorno ti avrei preso in braccio.
Ricordi? Ero piccolo..”.
Lucifero
non era in grado di rispondere. Si stava spegnendo di nuovo, come una
candela
che lentamente veniva consumata dalla fiamma.
“Non
morire, fratello mio” continuò
l’arcangelo, sfinito, per poi voltarsi di nuovo
verso Drakonta.
Era
proprio
quella la scena che aveva visto nella sabbia di Cronos: il demone
avvolto da
quelle spire che stringevano fino ad ucciderlo. Ma forse era riuscito
ad
intervenire in tempo..
Udì
il
suono delle tombe degli arcangeli. Con sollievo, vide che Gibrihel e
Rahael
stavano attaccando il nemico, divenuto cieco con la luce
dell’angelo caduto.
Quel loro gesto, che rallentò il serpente, unito al
salvataggio reciproco del
capo degli angeli e quello dei demoni, fece muovere entrambe le loro
specie che
agirono insieme con lo scopo di abbattere quel rettile. Mihael fece per
rialzarsi e ricominciare a combattere ma gemette e finì di
nuovo in ginocchio.
Il dolore? Il sangue? Era strano. Lui, come angelo, non aveva mai
provato il
dolore e le sue ferite si rimarginavano subito. Cos’era
cambiato? Provò a
stringere la spada di fuoco ma il braccio destro, colpito duramente da
Drakonta,
gli trasmise una stilettata dolorosa che lo costrinse a gemere.
Sanguinava e
Lucifero lo notò.
“Mihael!”
lo chiamò, con la poca voce ed il poco fiato rimasti.
“Mihael!”
chiamò anche Rahael, avendo udito il gemito del fratello.
L’arcangelo
guaritore scese rapido. Il guerriero doveva aver perso i sensi,
perché lo vide
cadere in avanti, accanto al fratello maggiore. Un lampo, seguito da un
fortissimo tuono, scosse il cielo. Lucifero socchiuse gli occhi,
infastidito
dalla luce del fulmine. Ogni respiro stava divenendo tremendamente
faticoso. In
gola sentiva il sapore del sangue e provava una sensazione opprimente,
gli
sembrava di soffocare. Il morso di Drakonta gli aveva danneggiato il
polmone
trafiggendolo e le spire, stringendo, avevano fatto tutto il resto.
Allungò una
mano verso Mihael. Ne sentì il sangue caldo fra le dita e
provò una grande
tristezza. Lui il dolore lo conosceva bene, ma non era lo stesso per il
fratello minore, lo sapeva. Inoltre tutto quel sangue.. Concentrando
l’energia
rimasta, il demone richiamò a sé la sua luce ed
il suo potere, trasmettendolo
all’angelo. Questo fece sì che Lucifero, il
portatore di luce, si spegnesse del
tutto e perdesse i sensi, prima di poter capire se il suo gesto era
servito a
salvare il fratello minore, contro cui a lungo aveva combattuto.
“Sia
fatta
la Sua volontà..”.
“Ma..che..”
riuscì solo a commentare Tolomeo, dopo aver visto il padre
inghiottito da
Ananke.
“Dobbiamo
abbattere questo mostro” lo incoraggiò Kanon
“Non so cosa tuo padre abbia in mente,
ma dobbiamo rispedire questa bestia da dove è
venuta”.
Tolomeo
annuì. Anche i cavalieri stavano combattendo, assieme ad
alcuni Dei. Non erano
convinti, avevano timore ad affrontare il destino.
“Hai
mangiato mio fratello!” gridò Neith, la figlia
più piccola di Afrodite ed Ares
“Ed hai fatto male al mio papà. Io ti odio! Devi
crepare!”.
“Che
parole
poco adatte ad una bimba così piccola” sorrise
Ananke.
“Voglio
la
tua testa come trofeo!”.
“Neith!”
la
zittì Kanon “Vai al sicuro, lascia fare a
noi”.
La
bambina
si accigliò, stringendo i pugni. Non retrocedette di un solo
passo. Risplendeva
di una luce strana, sempre più intensa.
“Un
cosmo?”
commentò Kiki, stupito.
Un
cosmo
caldo, sempre più grande e familiare.
“Non
può
essere..” furono le parole di Aiolos, mentre quel cosmo
esplodeva.
Ananke
gridò, contraendo le dita e gli artigli.
“Cosa
mi
stai facendo, Arikien?” urlò, piena di rabbia.
Il
suo
occhio sinistro ora non era più quello da rettile che fin
ora aveva mostrato ma
era rosso come il sangue, con l’iride verde smeraldo.
“Cosa
mi
stai facendo?” ripeté e qualcuno rise.
“Liberati,
Atena” parlò la voce di Arles, bassa ed
inquietante “Sciogli i tuoi legami.
Risvegliati!”.
Nel
buio in
cui si trovava, il Dio delle illusioni spezzo i fili rossi che
avvolgevano il
cosmo di Atena, che Ananke teneva imprigionato per impedirle di tornare
in
vita.
“Piccolo
bastardo” sibilò Ananke “Frutto di un
amore malato. Ti sopprimerò con il mio
potere! Finirai incatenato dentro di me come colei che cerchi di
liberare!”.
Neith
sorrise.
Fra le mani, aveva richiamato lo scettro di Nike. La Dea ancestrale si
mosse
rapida, spalancando la bocca e cercando di inghiottirla di nuovo. Ma
due cosmi
ostili la respinsero e risero, sadicamente.
“Ciao,
stronza” sorrise uno dei due.
“Phobos!”
gioì
la bambina “Fratellone!”.
“L’unico
ed
il solo”.
“Ti
strapperò il cuore!” sbraitò Ananke.
“Molon
Labe! [vienitelo a prendere]” rispose il Dio, con a fianco il
gemello.
Alle
loro
spalle, i figli di Ares stavano circondando il serpente. Mirina
sorrise, vedendo
il suo amato Milo.
“Arikien!”
continuò a gridare la Dea ancestrale “Come hai
osato? Ingannare me? Come hai
potuto?”.
“Non
si
gioca contro il destino” commentò Neith, ormai del
tutto risvegliata come Atena
“Ma nemmeno si sottovalutano le migliaia di illusioni della
vita. Eri talmente
convinta di essere a lui superiore, che non hai considerato la
possibilità che
possa sopraffarti con il suo potere. Sei stata ingannata”.
“Io
vi
sconfiggerò tutti. Uno dopo l’altro. E lui
resterà qui, dentro di me, avvolto
da fili rossi, per l’eternità!”.
Neith
puntò
lo scettro contro Ananke, che sibilò infastidita.
“Sorella!”
sorrise Artemide, espandendo il suo potere “Io ti sono
vicino. Combattiamo
insieme”.
Atena
annuì
a quelle parole, così come molti altri Dei. Nel cielo, tuoni
e lampi, dopo
tanto tempo.
“Padre
mio”
mormorò Apollo “Aiutaci a ricacciare questa
creatura nell’abisso. Aiutaci ad
essere liberi dai legami del destino!”.
Arikien
stava tentando di liberare le catene rosse che imprigionavano
l’animo di Zeus. Queste
però erano davvero molte e nel frattempo Ananke tentava di
imprigionarlo a sua
volta. Con già in parte le gambe bloccate, il Dio delle
illusioni si agitò e
continuò nel suo intento.
“Zeus!”
sbottò “Dammi una mano! Cerca di essere un pochino
più collaborativo! Rischiamo
di restare qui dentro per sempre tutti e due!”.
“Non
si può
lottare contro il destino” mormorò il re degli Dei.
“Guarda..prima
ti libero e poi ti prendo a pugni, ok? Tanto per capirci. Ora
però..ti spiace?
Ti dai una mossa?”.
Zeus
non si
mosse ed Arles sospirò. Con le mani, spezzava le catene, che
però iniziavano
ormai ad immobilizzare pure lui.
“I
tuoi
figli hanno bisogno di te, dannato vecchio! Reagisci! Nessun padre
dovrebbe
lasciare da soli i suoi figli mentre questi lottano per la
vita!”
“E
allora
tu che cosa ci fai qui?”.
Arles
rimase in silenzio qualche istante. Zeus aveva ragione: aveva lasciato
soli i
suoi figli per fermare Ananke e così facendo li aveva messi
in pericolo. Per
qualche istante, la sua sicurezza vacillò. Ma si riprese in
fretta,
ricominciando a spezzare quelle catene con più convinzione.
“Sei
libero, Padre degli Dei” esclamò poi, soddisfatto
“Vai!”.
Zeus
non si
mosse. Arles storse il naso, infastidito. Cominciava a capire
l’astio che aveva
Lucifero nei confronti del suo genitore, se questi si comportava
così.
“Andiamo!”
lo incoraggiò “Ti ho liberato! Ho fatto quel che
dovevo, quel che serviva!
Muovi il culo ed esci da qui!”.
Zeus
continuò a rimanere immobile.
“Ma..mi
sfotti?!” spalancò le braccia Arikien, sconcertato
“Che devo fare per farti
muovere?!”.
Provò
a
tirare il Dio, nel tentativo di farlo reagire. La testa ricominciava a
fargli
un gran male. Che odio! Che fastidio! Quel vecchio iniziava ad
irritarlo sul
serio!
“Vedi
di
muoverti o giuro che ti uccido!”.
“Quella
che
vedi è solo la mia essenza”.
“E
credi
che il figlio di Ares, nipote di Lucifero, non riesca a disintegrare
un’essenza? Vedi di muovere il culo! Non farmi girare
ulteriormente le palle!”.
“La
tua
rabbia è del tutto inappropriata”.
“Lo
so.
Sai..è da un pezzo che voglio picchiare qualcuno e non
posso. Pensi sia saggio
provocarmi ancora, così che mi sfoghi su di te?”.
“Il
tuo
intento è spaventarmi? Suvvia..sono tuo nonno!”.
“Non
farmi
pensare a chi sia, teoricamente, l’altro mio nonno
perché potrei peccare
d’onnipotenza. Adesso muovi le chiappe, dico sul
serio”.
Vedendo
che
il vecchio non aveva alcuna intenzione di muoversi, Arles
allungò un braccio e
lo colpì al volto. Zeus si accigliò, furioso.
“Finalmente
reagisci!” ghignò il Dio delle illusioni, mentre
il padre degli Dei si muoveva
di scatto, tentando di colpire il nipote.
“Figlio
bastardo di un’unione sacrilega!”
ringhiò Zeus, afferrando per il collo il
nipote.
“Non
venire
proprio tu a parlarmi di questo, che ti sei accoppiato con qualsiasi
cosa!”.
“Il
tuo
sangue ti condannerà per sempre!”.
“Sempre
meglio essere condannato per la rabbia e la curiosità che
ribolle nel mio
sangue, piuttosto che esserlo per l’incapacità di
tenere a freno il proprio
cazzo!”.
Zeus,
con
un potente lampo, scaraventò il nipote parecchio
più in basso, in quel buio
totale, interrotto solo da nastri e catene
rosse. Arles spalancò le ali e tornò
su, anche se quei fastidiosi legami
iniziavano a rallentarlo troppo.
“Va
fuori
di qui!” gridò il Dio delle illusioni,
concentrando il suo potere e spedendo
Zeus verso l’alto.
Ananke
gridò di dolore, quando un forte lampo lasciò il
suo corpo. L’essenza di Zeus,
spedita verso l’esterno, aveva fatto un gran rumore ed una
luce intensa. Il
padre degli Dei si guardò le mani. Era tornato di nuovo
lì? Aveva un corpo? Ma
come poteva averlo avuto? Che quella creatura dal sangue bastardo
fosse..?
“Figli
miei!” furono le sue prime parole “Aiutatemi ad
incatenare Ananke e riportarla
al giusto posto!”.
“Padre!”
si
stupì Apollo “Affrontare il destino..?”.
“Ho
visto
che si può fare. Ed ora fate quel che vi dico”.
Zeus
voleva
agire in fretta. Doveva bloccare quella bestia prima che Arikien
riuscisse ad
uscirne. Era riuscito a donargli un corpo nuovo, prerogativa che
spettava a
divinità creatrici o comunque estremamente potenti. Non
poteva permettere che
quell’esistenza potesse alterare gli equilibri del mondo.
“Atena,
mi
amata figlia” sorrise Zeus “Guida i tuoi
cavalieri”.
“Ma..Ary
è..”.
“Per
permettere a me di uscire, di essere fra voi..si è
sacrificato”.
Il
padre
degli Dei era compiaciuto da quella bugia. Era necessaria e,
così facendo,
avrebbe pure fatto passare quell’essere per un eroe. Alla
fine..non ci
rimetteva nessuno.
Aiolos
chinò il capo e fissò la bimba che conteneva in
sé lo spirito di Atena. Notò il
suo sguardo, lucido.
“Prepara
il
tuo arco, Sagittario” parlò poi lei, risoluta
“Ho bisogno di un colpo simile a
quello che avete usato per abbattere il muro del lamento..ma senza la
vostra
morte!”.
“Sì,
Atena”.
Zeus
sorrise.
Sapeva di aver bisogno di un potere immenso per imprigionare Ananke e
colui che
portava dentro di sé. E lui ancora non aveva recuperato del
tutto le sue
capacità. Però la sua presenza fece muovere
all’unisono gli Dei.
Apollo,
Artemide, Eros ed Aiolos già tendevano l’arco. Le
loro frecce si stavano
caricando con l’energia dei cosmi di tutte le
divinità presenti.
“In
nome
tuo, Arles” mormorò il Sagittario.
“Ci
rivedremo, fratello. Alalà!” gridò
Phobos, con l’urlo di guerra di suo padre,
ripetuto da tutti i presenti.
“Sono
ancora qui, deficienti!” furono le ultime parole che
riuscì a dire il Dio delle
illusioni, che non poterono essere udite, prima che le catene di Ananke
lo
avvolgessero.
Le
frecce
furono scoccate all’unisono, il cosmo di ogni singola
divinità si unì ai loro
raggi e colpirono Ananke, imprigionandola. Immobile e furiosa, si
agitò senza
risultato.
“Che
venga
ricondotta nella sua grotta” ordinò Zeus
“E che venga sorvegliata. Giorno e
notte. Che niente esca od entri da quel luogo, chiaro?”.
Una
freccia
argento colpì Drakonta, che spalancò la bocca con
rabbia. A lanciarla era stata
Eleonore.
“Se
il
compito di Keros è preservare..” domandò
a Phanes “..il mio qual è? Creare o
distruggere?”.
“Non
saprei. Spesso i due ruoli si interscambiano e si confondono”
fu la risposta.
“Ottimo..”.
Keros
spalancò le ali, seguendo quello che suggeriva Phanes. Fu
proprio il Dio
ancestrale a prenderlo per un braccio, permettendogli di sollevarsi da
terra.
Il mezzosangue non era ancora capace di spiccare il volo autonomamente.
Poteva
fidarsi di quella creatura? Non aveva molte alternative.
“Figlio”
ringhiò Drakonta “Figlio, sei tu?”.
Cieco,
il
serpente chiamava il nome di Phanes, incapace di vederlo ma in grado di
percepirlo.
“Sì,
padre”
rispose la creatura dai quattro occhi.
“Uccidili
tutti, figlio! Guarda che cosa mi hanno fatto! Uccidi questi
esseri!”.
“Padre..è
tempo di tornare a casa”.
“Che
cosa?!
Phanes, non essere ridicolo! Non osare tradire me e tua madre. Da solo,
non
puoi rinchiudermi di nuovo in quella grotta”.
“Ma
io non
sono da solo..”.
Phanes
spalancò le braccia, richiamando il suo potere. Keros ne
imitò i movimenti,
sentendo che era quello che doveva fare. La luce oro di Phanes si fuse
con
quella argento del mezzosangue, intrecciandosi attorno al corpo di
Drakonta e
creando catene ed anelli.
“Oh,
Mihael!” esclamò Rahael, accanto al fratello privo
di sensi “Dovresti proprio
vederlo! Hai un figlio straordinario e ti stai perdendo uno spettacolo
unico”.
“Eleonore!”
chiamò Phanes “Sai quello che devi fare”.
La
donna
osservò bene il serpente, mentre Sophia raggiungeva Rahael
per aiutare i
feriti. Fra la pelle squamata, Eleonore intravide una luce che pulsava.
D’istinto, tese l’arco e scoccò la
freccia. Colpendo quel punto, fece gridare
Drakonta di dolore. Phanes e Keros intensificarono la loro luce, sempre
a
braccia spalancate, sospesi in aria. Gli intrecci e le catene si fecero
più stretti,
finché il rettile non fu del tutto avvolto da fili oro ed
argento. La freccia
di Eleonore bloccò il suo potere.
“Ora
ci
penso io” mormorò Phanes, congiungendo le mani e
facendo dissolvere il padre.
“Dov’è
finito?” chiese Keros.
“Nella
grotta dove ha riposato per millenni. E dove riposerà
ancora. Grazie per
l’aiuto. Ora puoi atterrare..”.
Keros
abbassò lo sguardo e sussultò. Phanes lo prese di
nuovo per un braccio,
accompagnandolo fino in terra.
“Immagino
avrai molte cose da chiedere” commentò la creatura
dai quattro occhi.
“Sì,
hai
ragione” ammise Keros “Ma prima vorrei aiutare chi
ha protetto questa casa ed è
rimasto ferito..”.
Che
fatica scrivere questo capitolo!!!! XD Non
temete: ai gold spetta ancora un po’ di lavoro!! Li vedrete
tutti in azione!
E
grazie perché il numero dei commenti ha
battuto quello di ogni altra mia storia!
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Capitolo 22 *** XXII- Ironia ***
XXII
IRONIA
“Oh,
grazie
al cielo! Hai aperto gli occhi!”.
Mihael
gemette. Riconobbe il familiare volto del fratello guaritore Rahael. Ma
dove si
trovava? Provò a muoversi ma si fermò
immediatamente, lanciando un lamento.
“Non
è un
buon segno..” commentò Rahael “..quando
un angelo prova dolore. Ma, grazie a
Dio, sei vivo e sveglio”.
“Ah,
no.
Non è grazie a Dio se io sono vivo, e tu lo sai”
sbottò Mihael “Inoltre, mi fa
male ogni singolo centimetro. Penso mi faccia male perfino
l’aureola. Comincio
a capire perché nostro fratello Lucifero bestemmi
continuamente. Ho una gran
voglia di farlo pure io”.
“Mihael!
Non in mia presenza, grazie!”.
“Tranquillo.
Non ti sconvolgerò con i miei discorsi. Ma tu non tediarmi
con i tuoi..”.
“Mihael!”.
“Vi
prego
di frenare, per ora, la lingua” interruppe Keros, comparendo
alle spalle del
guaritore “Le vostre parole sono sicuramente frutto del
dolore e della rabbia.
Quando starete meglio, la vostra mente si sarà placata e
ritroverete
l’armonia”.
“L’armonia?
Non sono un’ocarina!” si stizzì Mihael.
“Siete
uguali” ridacchiò Keros “Voi e Lucifero,
siete in grado di dare le stesse
risposte perfide”.
Mihael
si
lasciò sfuggire un piccolo ghigno, che preoccupò
ulteriormente Rahael.
“Cosa
è
successo?” domandò poi l’arcangelo
guerriero, sforzandosi di mettersi seduto “Il
nemico è stato sconfitto? E..Lucifero?”.
“Come
puoi
chiedere di lui?” si accigliò Gibrihel,
anch’egli nella stanza “Abbiamo
combattuto tutti quanti noi, tutti insieme, e tu il primo di cui chiedi
è
Lucifero?”.
“Se
permetti..”
rispose Mihael “..vorrei sapere come sta colui che ha
permesso che sia ancora
qui, adesso, a parlarti, e non nello stomaco di Drakonta”.
“Il
nemico
è stato respinto” parlò Keros, con
calma “Sophia ha usato i suoi poteri per
aiutare i feriti, risvegliando del tutto la sua natura di
angelo”.
“Oh,
è
salita in cielo?”.
“No.
Le è
stata data la possibilità di farlo, ma ha chiesto di poterci
riflettere un po’.
E poi..”.
“E
poi ti
sei perso lo spettacolo del tuo ragazzo!” interruppe Rahael,
cingendo con il braccia
le spalle di Keros “Lo vedi? Lo vedi che ha le
ali?”.
“Le
ho
viste” ammise Mihael “Ali d’argento. Non
avevo mai visto un angelo con le ali
d’argento..”.
“Io
sono
speciale” sorrise Keros.
“Indubbiamente..”.
“Ha
sconfitto il nemico” riprese Rahael “Tuo figlio ha
sconfitto, assieme ad
Eleonore, quel mostro serpentoso. Dovresti essere fiero di
lui”.
“Lo
sono”.
“Ora
vedi
di guarire. Il cielo non penso gradisca molto il fatto che tu abbia
avuto un
figlio. Specie con un demone.. La tua ala destra è
danneggiata, così come il
braccio. Perciò niente guerra ai diavoli per un
po’..”.
“Sono
talmente stanco e dolorante che l’unica guerra che voglio
fare è contro il mio
fegato, riempiendomi di alcolici..” sussurrò
Mihael, gemendo di nuovo.
“Ma..sei
veramente tu?” alzò un sopracciglio Rahael
“Miky..”.
Mihael
girò
la testa, con un movimento lento degno dei peggiori esorcismi,
accigliandosi.
Quanto odiava essere chiamato Miky! Rahael subito portò le
mani in avanti,
indietreggiando.
“Lucifero?”
incalzò Mihael, dopo essere tornato in sé
“Ancora non mi avete detto dov’è. Si
è rintanato negli inferi e me lo ritroverò fra i
piedi non appena gli sarà
passata la batosta?”.
“Siete
entrambi ospiti di questa casa” furono le parole, calme, di
Keros “Sono sicuro
che il mio signore non avrebbe nulla da ridire. È rischioso
per un demone
recarsi agli inferi se non è in perfetta forma, specie se
ricopre posizioni di
potere. Vige la legge del più forte, lo ammazzerebbero
subito”.
“Ma
dai! È
il capo! Asmodeo lo difenderebbe sempre!”.
“Veramente..
Asmodeo è già venuto qui con l’idea di
ucciderlo. Di uccidervi entrambi. E
probabilmente uccidere anche me..”.
“E..che
è
successo?”.
“L’ho
mandato via”.
“Tu..hai
respinto Asmodeo?!”.
“Sì.
Che
ironia, vero? Ho sconfitto e respinto colui che mi ha salvato la vita
alla
nascita, e che in parte mi ha fatto da padre, mentre tentava di
uccidere
l’altro mio padre adottivo ed il mio vero padre. Cazzo..ho
troppi padri”.
“E
Lucifero
che cosa ha detto? Immagino non sia stato facile per te..davvero lo hai
sconfitto? E, cosa
più importante: dammi del tu, ti
supplico..”.
“Non
ho
molto tempo per raccontarti tutto. Ci penserà qualcun altro.
Io ora devo
andare”.
“Andare?
Andare dove?”.
“I
cavalieri d’oro mi hanno detto che il mio signore
è stato inghiottito da Ananke”.
“Oh..io..mi
dispiace..”.
“Vado
a
riprenderlo. Spero di poterlo fare”.
“E
come?”.
“Ho
scoperto di avere capacità più speciali di quanto
pensassi. Perciò ci proverò.
Io ed Eleonore partiremo, assieme ai cavalieri
d’oro”.
“Ci
sono
possibilità che sia ancora in vita?”.
“La
casa
non muta più..non lo so..”.
“Keros..”.
Mihael
non
trovava le parole. Notò lo sguardo triste e sfuggente del
figlio, che però gli
sorrise debolmente.
“Vedi
di
guarire. Non preoccuparti per me o per altro” disse il
sanguemisto.
“Lucifero..è
morto?”.
“Che..?”.
“Continuate
a non dirmi dove sia e come sta. È morto?”.
“No”.
Mihael
tirò
un sospiro di sollievo che indispettì molto gli angeli
presenti, già in collera
con il generale.
“Però..”
riprese Keros, ed il guerriero avvertì un nodo alla gola
“..è spento. Ha donato
la sua luce a te, per non farti morire dissanguato. Sophia ha tentato
di
guarirlo, ma non è stata in grado di farlo risplendere di
nuovo. Ha arrestato
l’emorragia e tutto il resto, ma non ha riaperto gli occhi. È
spento, addormentato. Al veleno di Drakonta pare che nessuno
conosca rimedio. Non si sveglia e non reagisce. Ma..confido possa farlo
presto.
Ora devo andare..”.
“Keros..io..non
so che altro dire. Se non..coraggio!”.
“Asmodeo
mi
odia, Lucifero è in coma e tu verrai probabilmente
condannato dal cielo. Già
provi dolore e sanguini, cosa che un angelo non fa. So che è
colpa mia..”.
“Non
lo è.
Questa è una punizione per aver salvato la vita a mio
fratello, ne sono certo”.
“Sia
come
sia..cercate di riguardarvi, in qualche modo, tutti e due. Mi
dispiacerebbe
ritrovarmi senza nemmeno un padre. Specie se il mio amato signore non
dovesse
riuscire a salvarsi”.
“La
fede ti
guiderà, figlio mio. La fede nel tuo signore,
nell’uomo che ami. Spero ti guidi
nella giusta direzione”.
Keros
si
sforzò di sorridere e lasciò la stanza. Lo
raggiunse Eleonore, che si fece
abbracciare. Tentavano di darsi coraggio a vicenda e, girando la testa
verso i
cavalieri d’oro, già schierati davanti alla casa,
vi uscirono.
“Tienili
d’occhio” commentò Keros, con Eleonore
stretta a sé, rivolto a Kanon “Lucifero
e Mihael tendono a..non controllarsi”.
“Ci
penso
io” commentò Kanon, che si era offerto di rimanere
a guardia della casa assieme
a Tolomeo.
“Litigano
di brutto..”.
“Come
me e
Saga. Non c’è problema, è tipico dei
fratelli. Sempre se il demone si sveglia!
Piuttosto..vedete di riportarmi Arles!”.
“Lo
faremo.
Abbi fiducia”.
Mihael
si
lasciò cadere di nuovo sul letto, non appena Keros ne fu
uscito. Rahael si
limitò a fissarlo.
“Perché
hai
aiutato solo me?” domandò l’arcangelo
guerriero.
“Di
che
parli?” rispose il guaritore.
“Ho
vaghi
ricordi. Di te che durante la battaglia mi chiami per nome. Hai usato i
tuoi
poteri solo con me?”.
“Di
cosa mi
accusi?”.
“Di
niente.
Ma anche tu eri fra quelli che mi incitavano ad uccidere
Lucifero?”.
“Cerca
di
dormire. Ha ragione Keros. La tua mente è confusa”.
“Voglio
vedere mio fratello”.
“Non
sei in
condizione di farlo. Resta buono dove sei”.
“Rahael..”.
“Non
costringermi a legarti al letto. Dormi. Ed attento a quel che fai. Noi
arcangeli siamo ancora qui, accanto a te. Io, Gabry ed Uriel siamo qui,
perché siamo
sempre stati al tuo fianco. Ma altri già sono tornati in
cielo e non ti vedono
di buon occhio”.
“Non
me ne
frega un cazzo”.
“Bene.
Fai
come credi. Magari il dolore ti aiuterà a ragionare. Quel
che provi non ti
suggerisce che, forse, sei sulla strada sbagliata?”.
“Non
mi
pento di niente. Non mi pento di aver avuto Keros e non mi pento di
aver
salvato Lucifero. Sono in debito con lui. Ha allevato e salvato mio
figlio ed
ha salvato la mia vita, donandomi la sua luce. È stato morso
per permettere a
me di schivare i colpi. Qualcosa non va in nostro fratello, Rahael. Non
è il
demone che ho combattuto per secoli. È cambiato”.
“O
forse
quello cambiato sei tu. Riflettici”.
Rahael
si
voltò, avviandosi verso la porta.
“Se
serve..”
mormorò il guaritore “..io sono qua
fuori”.
Mihael
rimase in silenzio, mentre gli altri arcangeli lasciavano la stanza.
Tentò di
alzarsi, con l’intento di raggiungere il fratello maggiore,
ma non ci riuscì.
Provava un dolore così insopportabile da costringerlo a
tornare a stendersi.
Guidati
dalla piuma scarlatta di Arikien, la compagnia si allontanava dal
tempio del
Dio delle illusioni.
“Non
siete
obbligati a seguirci, se avete ricevuto ordini diversi”
spiegò Keros,
incamminandosi lungo la via, rivolto ai gold saint.
“Atena,
la
giovanissima fanciulla appena risvegliata..”
spiegò il Sacerdote “..ci ha
ordinato di riprenderci suo fratello Arles, anche a costo di infrangere
le
regole di Zeus”.
“Come
preferite..la grotta è a parecchi giorni di cammino e
sicuramente sarà
sorvegliata..”.
“Ottimo!”
continuò Milo “Io ho voglia di pestare a sangue
quella gran stronza di Ananke”.
Nonostante
le proteste, Iravan ed Iravat li seguivano, con le vestigia dei
gemelli. Kiki
sorrise nel vederli, provando una certa tenerezza per la loro giovane
età. Eleonore
si era aggrappata al braccio di Keros, trovandolo confortante. In
quella
circostanza, il sanguemisto si era mostrato molto diverso dal solito.
Era molto
più sicuro, serio e deciso. Doveva essere forte, o almeno
sembrarlo. Guidava la
compagnia, diretto verso la grotta dove sapeva essere rinchiusa Ananke.
Il suo
amato signore era ancora in vita? Ne era certo, lo percepiva. E cercava
di
trasmettere quella stessa certezza ad Eleonore ed ai gold. Ebbe un
lieve
sussulto quando in cielo comparve Venere, la “stella del
mattino”, la “stella
della sera”.
“Vedrai
che
andrà tutto bene” mormorò Eleonore
“Andrà tutto bene..” ripeté,
sforzandosi di
sembrare convincente.
“Ma
certo..” le rispose Keros, dandole un bacio sul capo.
“Lucifero
si risveglierà, Asmodeo non sarà più
in collera con te e Arikien sarà di nuovo
a casa. Tutto tornerà come prima..”.
“Non
potrà
mai tornare tutto come prima. Ora Sophia è un angelo, Mihael
e Lucifero sono
davanti ad un bivio da cui non possono fuggire. E anche noi..siamo
diversi. Ma
non preoccuparti: ucciderò per te. Ed ucciderò
per Arikien, se sarà necessario”.
Lei
sospirò, avvilita. Ma lo sguardo di Keros la spinse a
sorridere ancora. Che
ironia che in quel momento quel sanguemisto, che fin ora le era sempre
parso
dolce e fragile, di colpo si mostrasse determinato e spietato! O forse
era lei
che mai fin ora lo aveva visto com’era per davvero..
A
fatica,
Mihael era riuscito ad arrancare fino alla stanza dove riposava il
fratello
maggiore. Dolorante, aprì la porta ed entrò.
Camminò e raggiunse il letto.
Pareva davvero dormire il demone e l’angelo rimase
sconcertato dal vedere
quanti segni portasse sul corpo.
“Sono
stato
io?” chiese “Per colpa mia sei ridotto
così?”.
“No”
si
sentì rispondere.
Si
voltò,
vedendo Rahael con un’aria di rimprovero sul volto.
“Torna
subito a letto. Non sono disposto a seguire i tuoi capricci”
sbottò il
guaritore.
“E
allora
lasciami in pace! Chi ti dice di pedinarmi?” si
accigliò Mihael.
“Sei
ferito
gravemente, devi riposare e guarire. La tua ala deve tornare a
funzionare
perché così potrai volare”.
“E
tornare
in cielo. Dove mi attende la punizione eterna per aver avuto un figlio
e per
aver salvato Lucifero”.
“I
peccati
vanno puniti, Mihael”.
“Vaffanculo.
Tu e tutti gli altri angeli”.
“Guarda
che
io non ti giudico. Io penso che Keros sia una cosa buona e non auguro
la morte
a Lucifero”.
“E
allora
che cosa vuoi?”.
“Che
tu
stia bene”.
“Perché
ha
tutte queste cicatrici? Non le avevo mai viste prima..”.
“Lucifero
è
un manipolatore. Non mostra il suo vero aspetto, solitamente. Ma ora
non è in
grado di nascondersi e si mostra per quello che è. Quei
segni sul corpo sono
vecchi, salvo quelli riportati nell’ultima battaglia, che
sono fasciati. Grazie
a Sophia, le sue ferite non sono gravi e ormai sanguinano poco. Il
veleno di
Drakonta è in circolo, ma lui come serpente dovrebbe
riuscire a sopprimerlo”.
“Però
ha
consumato tutta la sua energia vitale per salvare me. E tutti quei
segni..sono
il frutto dei nostri scontri. Io, come angelo, guarivo immediatamente.
Non
provavo dolore, non ho cicatrici. Mentre lui..quanta sofferenza gli ho
provocato? Fratello..che dovrei fare?”.
“Segui
il
consiglio di Uriel: torna a casa. E in fretta. E ora fila a
letto”.
“Voglio
stare qui”.
“Non
puoi.
Devi riposare. Cerca di essere ragionevole!”.
“Per
favore..”.
“Mihael,
fallo per me. C’è chi si prende cura di Lucifero.
Se si sveglierà, ti
avvertirò”.
L’arcangelo
rimase immobile.
“Che
succede?” parlò una voce femminile.
Voltandosi
leggermente, Mihael si stupì nel vedere entrare Eris. La Dea
della discordia,
gemella di Ares, sorrise all’angelo guerriero.
“Cosa
fate
qui, signora Eris?” domandò l’angelo,
perplesso.
“Non
lo so”
ammise lei “Mi sto prendendo cura di mio fratello Ares, che
grazie a Phanes ha
riavuto i colori, ma è ancora debole. Però
qualcosa mi spinge a venire qui”.
La
Dea si
avvicinò al letto, passando dolcemente una mano fra i
capelli del demone.
“Ti
ringrazio di averlo salvato” aggiunse ancora
“Immagino che questo ti costerà”.
“Non
importa” rispose Mihael “Avrei pagato comunque, per
la faccenda di Keros”.
“Siamo
tutti peccatori, bene o male. Vuoi uno spicchio di mela?”.
“No,
grazie..”.
“Torna
pure
a riposare. Mi prenderò io cura di lui, finché
non si sveglierà..”.
“SE
si
sveglierà..”.
“Lo
farà.
Vedrai”.
“Non
affezionatevi troppo. Mio fratello non prova sentimenti
d’amore, se non per
nostra sorella Sophia”.
“Lo
so. Che
pensieri fai, angelo? Ogni volta che vedi un uomo ed una donna insieme,
pensi
che fra loro vi sia un legame d’amore? Non è
così. Però..mi dispiacerebbe non
poterci più giocare..”.
“Giocare?”.
“Angioletto..non
ti racconterò quel che il tuo fratello maggiore fa sotto le
lenzuola. Ed ora
torna a dormire, sei pallido..non vorrei che svenissi”.
Il
Dio
delle illusioni riaprì gli occhi. Avvolto da nastri e catene
di colore rosso,
era sospeso nel buio. Tentò di aprire le ali, invano. Udiva
il battito regolare
del cuore di Ananke, che rimbombava nell’oscurità.
Pensò che fosse questo quel
che provava un bimbo nel ventre della madre. Si agitò per un
po’, senza
ottenere altro che sentire quei legami stringere più forte.
Solo in quel
momento intravide altre figure accanto a sé. Non erano
legate, giravano
liberamente per il corpo oscuro del destino. Lo osservavano con
curiosità.
“Chi
siete?” domandò il Dio e questi sobbalzarono,
forse non aspettandosi di vederlo
muovere.
“Voi..siete
una divinità?” riuscì a dire una donna.
“Una
specie..” furono le parole di Arles, infastidito di essere
legato in una posa
rassomigliante ad una crocifissione.
“Abbiamo
visto quel che avete fatto” prese parola un uomo
“Avete liberato quel Dio,
Zeus. E Atena. avete sacrificato voi stesso per loro! Siete morto per
loro, per
la salvezza di tutte quelle creature che là fuori avevano
bisogno di aiuto”.
“Non
mi
sento morto..”.
“Nessuno
può uscire da qui. Noi galleggiamo in questo nulla da tempo
immemore. Ananke
risucchia le energie, smorza gli animi, sconforta il cuore”.
“Con
me non
credo possa avere successo. Verranno a prendermi. E vi
porterò fuori di qui!”.
“Chi?
Chi
può avere un simile potere, oltre a voi?”.
“Lo
vedrete!”.
Il
sorriso
del Dio era sincero, lievemente inquietante. Le creature di quel luogo
per
qualche istante si sentirono rincuorate. Che fosse possibile? Che
stessero per
assistere ad un miracolo?
Sto
scrivendo in questi giorni i capitoli
finali, ma continuerò a postarne uno a settimana. Ne avrete
ancora per un paio
di mesetti ;) grazie a tutti coloro che sono andati a spulciare la mia
pagina
Devianart!
|
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Capitolo 23 *** XXIII- Innovazione ***
XXIII
INNOVAZIONE
La
grotta
di trovava a diversi giorni di cammino ed il gruppo si era fermato per
riposare. Keros fu il primo a percepire quella presenza, piuttosto
familiare.
Aprì le ali in cui si era avvolto per dormire e si
guardò attorno. Preferì non
dare l’allarme, non essendo sicuro di quel che sentiva. Si
alzò, rizzando le
orecchie a punta. Aiolia, che faceva la guardia, gli lanciò
un’occhiata
interrogativa, chiedendo cosa non andasse. Keros lo
rassicurò, con un cenno
della mano. Nel silenzio, socchiuse gli occhi e si allontanò
di qualche passo.
Un rumore lo fece ghignare, quasi divertito.
“Smettila
di nasconderti” commentò “Sento la tua
presenza. Ed il tuo odore..stai ancora
sanguinando..”.
“La
tua
spavalderia è incredibile” si sentì
rispondere, da una voce profonda “Ti farò
pentire amaramente di aver pronunciato simili parole”.
“Non
renderti ulteriormente ridicolo, Asmodeo..”.
“Insolente
ragazzino!”.
“Hai
portato gli amichetti? Vuoi essere umiliato davanti a tutti?”.
Keros
rimase impassibile, mentre il demone compariva, affiancato da altri
colleghi
infuriati.
“Rimedierò
all’offesa” ringhiò Asmodeo
“Ti ucciderò, figlio
d’arcangelo”.
“Quale
offesa? Ti sei offeso da solo, tentando di uccidere Lucifero. Se fosse
stato
sveglio, ti avrebbe disintegrato in miliardi di particelle. Sono stato
anche
fin troppo buono!”.
“Piccolo
bastardo..”.
“Non
ho
tempo adesso, chiaro? Devo recuperare Arikien, non giocare con voialtri
demoni!
Sparite!”.
“Tu
non
vedrai l’alba!”.
“E
tu te ne
tornerai a casa con la coda fra le gambe!”.
“Ma
chi ti
credi di essere?!”.
“Il
figlio
di Mihael arcangelo, cresciuto da Lucifero e salvato proprio da te..ma
se dovrò
ucciderti, non avrò problema alcuno nel farlo. Specie ora
che ho davvero
bisogno che ti levi dai coglioni!”.
Asmodeo
ringhiò.
“Serve
una
mano?” si unì Aiolia, con a fianco il fratello
maggiore risvegliato dal rumore.
“Combattere
appena svegli e con i capelli scombinati..che seccatura”
storse il naso
Aphrodite.
I
gold si
erano destati e fissarono con un certo fastidio i demoni. Keros
capì che, da
chi aveva di fronte, non era solo una questione di regolazione di conti
personali.
Si trovava davanti ad i massimi rappresentanti delle armate di
Lucifero: era
una guerra per il predominio. Un posto vacante come quello di re
dell’Inferno
faceva gola a molti e se Asmodeo veniva sconfitto...
“Non
sottovalutateli” si limitò a dire il mezzosangue
“Sono estremamente potenti”.
I
cavalieri
si resero subito conto che Keros non mentiva. Baphomet, Astaroth,
Moloch,
Malphas, Furcas e Mephistophel risposero allo sguardo dei cavalieri,
con un
sorriso divertito. Azazel, anche lui presente, incrociò le
braccia, come
desideroso di vedere come sarebbe andata a finire.
“Ti
ucciderò, Keros” minacciò Asmodeo,
ringhiando ancora.
“Demone..”
rispose il mezzosangue, con un sorriso quasi divertito e spalancando le
ali
d’argento “..non nominare il mio nome
invano!”.
Il
silenzio. Ed il buio. Gli pareva di galleggiare, dondolato da dolci
onde
regolari, simili all’oscillare di una culla. Poi prese il
primo respiro, ed il
suo corpo si accese, risplendendo. Aprendo gli occhi, vide una bambina.
A passi
incerti, i primi passi che mai aveva compiuto, si era poi fermato ad
osservare
quella bimba, alta come lui, che gli aveva sorriso.
“Lucifero”
l’aveva chiamato lei, con quella vocina dolce “Sei
un Lucifero. Luce. Porti la
luce”.
La
bimba si
era avvicinata, impaurita da tutte quelle tenebre, attirata dalla luce.
“Sorella”
aveva detto il bambino “Sorella Sophia!”.
Voleva
cancellare quello sguardo spaventato e così il piccolo
appena chiamato Lucifero
decise di accendere le stelle. Iniziò a tessere i loro raggi
e le tenebre
furono molto mene profonde. Questo fece sorridere di gioia Sophia, che
abbracciò forte il fratello. Era cresciuta la bella Sophia,
così come era
cresciuta la stella del mattino. Nei loro occhi azzurri si rifletteva
il
firmamento e lo splendore del mondo. Sophia lo comprendeva, Lucifero
dissipava
ogni suo dubbio.
“Insieme,
possiamo fare tutto” aveva detto lei, stretta in
quell’abbraccio.
E
quei
piccoli angeli che poi comparirono, a cui i due diedero un nome, erano
come
uniti in una danza perpetua, attorno a quell’abbraccio. Mihael, Rahael, Uriel,
Camael, Remiel.. La
danza..la danza del mondo, il moto delle stelle, la piroetta
dell’infinito. Ma
una di quelle piroette separò quell’abbraccio. Ed
a quel punto, che importanza
poteva mai avere i termine “padre”,
“madre”, “fratello”,
“sorella”? Risuonarono
solo quei due nomi: sapienza e luce, Sophia e Lucifero. E si
levò un gridò di
rabbia e di dolore, iniziò il cambiamento. La danza perpetua
ed immutata era
stata interrotta ed ora tutto cambiava, era un nuovo inizio: era
l’inizio del
mondo. Con il suo bianco e nero, luce ed ombra, iniziava il cammino
della vita.
E tutto era buio..
“Papà!”
furono parole pronunciate da una bambina.
Lucifero
si
svegliò, steso sull’erba. Tre bambine lo
fissavano: Vera, la fede,
accanto a Nadijeshda,
la speranza e Ljubow, l’amore. Erano belle, come la loro
madre, che gli
sorrideva.
“Buongiorno”
salutò Sophia “Ti sei addormentato?”.
“Dove
sono?” mormorò lui.
“Dove
vuoi
essere?”.
“Che
razza
di risposta è?”.
Le
bimbe risero.
“Oggi
papà
è strano” commentò Vera.
“Non
sono
tuo papà” si affrettò a dire Lucifero,
mettendosi seduto “Sophia ti ha generato
da sola, assieme alle tue due sorelle”.
“Ma
che
stai dicendo?!” alzò un sopracciglio Sophia
“Hai battuto la testa?”.
“No!
Dove
sono? Che sta succedendo? Dov’è Mihael?”.
“Mihael?
Se
vuoi te lo chiamo. Immagino sia con gli altri angeli a cazzeggiare come
al
solito. Lucy, tesoro..che hai?”.
“Non
chiamarmi tesoro. Tu sei morta! Questo dev’essere un
giochetto di Arikien”.
“Chi
è Arikien?”.
“Sophia!
Come sarebbe a dire?! Arikien è tuo figlio. Lo hai avuto con
Ares”.
“Io?!
Un
figlio con Ares?! Lucy..ti avevo detto di fare il bravo con le sostanze
stupefacenti” ridacchiò Sophia, toccandogli la
fronte con l’indice.
“Che
fai?!
Cerchi di farmi venire un terzo corno?”.
“Corno?
Ma
di che parli? Oggi sei assurdo..”.
Lucifero
si
mosse, notando immediatamente di avere di nuovo le ali da angelo.
Subito si
alzò, accendendosi d’oro.
“Hei!”
sorrise Sophia, alzandosi a sua volta, lentamente “Calmo! Sei
il creatore del
mondo, un movimento simile potrebbe generare qualche
problema”.
“Io
non ho
creato il mondo!”.
“Mio
bell’angelo modesto” mormorò Sophia,
appoggiandosi al petto di Lucifero
“Creatore. Ed io, sempre al tuo fianco, la distruttrice. Con
in mezzo Mihael,
il preservatore che impedisce che compiamo troppi casini”.
“Ma..no!
Non è così!”.
“E
allora
com’è?”.
“Io..sono
un demone. Dio mi ha punito, io sono caduto. Io sono..Shaitan! Satana!
Il
nemico!”.
Sophia
scosse la testa e lo stesso fece Lucifero, confuso.
Indietreggiò di qualche
passo, sentendo la terra mancargli sotto i piedi. Precipitò
e cadde, finendo di
nuovo disteso. Vide una mano, pronta a sorreggerlo.
“Arikien”
lo riconobbe.
Avvolto
da
una veste nera, il Dio delle illusioni gli sorrise.
“Che
cosa
significa? Perché mi fai questo?”
domandò Lucifero.
“Io
non sto
facendo nulla. È il tuo inconscio. La mancanza di
ossigeno..”.
“Ma
di che
parli? Cosa sono queste cose che vedo?”.
“Non
lo so.
La tua mente elabora questo, non posso sapere per quale
motivo”.
“Perché
il
mio inconscio dovrebbe mostrarmi fandonie?! Io non sono il creatore del
mondo,
io non sono il padre degli angeli!”.
“Non
ne ho
idea. Ma..già altre volte mi sono chiesto se fosse
possibile”.
“Cosa?”.
“Che
Sophia
sia in realtà una madre. Che sia lei la Divinità
Suprema. Lei ha in mano tutte
le risposte. Potrebbe aver creato te e poi, con te, aver generato tutto
il
resto. Oppure tu ti sei creato da solo, come nelle migliori storie da
inizio
del mondo”.
“E
chi mi
avrebbe fatto cadere, scusa?”.
“Sophia”.
“Tu
stai
delirando! Lei ha sofferto quando io sono caduto. Ho percepito la sua
tristezza”.
“Voi
due
vicini non avreste prodotto altro che immobilità eterna. Per
sempre insieme.
Era necessario che foste separati, per far iniziare a far girare il
mondo. Il
bene ed il male erano necessari. L’infinita ricerca
l’uno dell’altro erano
necessari. Ma la mia è solo una supposizione..”.
Lucifero
rimase in silenzio. Era piuttosto confuso. Seduto in terra,
guardò in alto,
verso il volto del nipote che rimaneva immobile, con le mani nelle
tasche del
lungo cappotto nero.
“Che
dovrei
fare adesso?” domandò poi l’angelo
caduto.
“Quel
che
vuoi. Per quel che mi riguarda, puoi anche tornare alla visione di
prima, se ti
piace viverla”.
“È
una
menzogna!”.
“Ah
sì? Ne
sei sicuro?”.
“Sparati,
Arikien! Odio tutti gli Dei proprio perché parlano come
te!”.
“Lo
so..odi
anche te stesso”.
“Fanculo”.
Rimasero
in
silenzio qualche istante. Il demone guardò altrove, con aria
infastidita. Dopo
parecchio tempo tornò a girarsi e sorrise, fissando il
nipote.
“Carine
le
corna” commentò.
“Ti
piacciono?” ghignò il Dio delle illusioni,
scostando un ciuffo di capelli neri
e mostrando due piccole escrescenze rosse “Mi stanno facendo
impazzire con il
mal di testa!”.
“Normale.
Lo faranno finché non saranno cresciute del tutto. Ci
metteranno un po’, ma poi
non ti daranno più fastidio”.
“Sono
di
questo colore. Come mai? Le tue sono grigie..”.
“Non
saprei. È una questione genetica. Oppure tua moglie si
è divertita. Hanno la
stessa tonalità dei capelli di Keros..”.
“Buon
per
loro”.
“Sai..pure
io ho baciato tua moglie. È una gran donna. Avvisami se ci
litighi e torna
sulla piazza”.
“Lo
so che
l’hai baciata. In Egitto. Ci conoscevamo da poco, io e te. Lo
ricordo..”.
“E
lei lo
sa? Nel senso..lo ha capito che in quel momento ero io, che mi fingevo
te?”.
“Non
gliene
ho mai parlato. E tu?”.
“No.
Non
avrei alcun interesse a farlo. Siete così carini insieme.
Anche se Keros..”.
“Lascia
che
si divertano. Recupererò non appena tornerò a
casa. Se ci tornerò..”.
“Perché
non
dovresti?”.
“Ho
avuto
un contrattempo. Tu, piuttosto..hai intenzione di svegliarti o vuoi
rimanere
bloccato nella vastità della tua mente?”.
“In
che
senso?”.
“Davanti
a
te vi sono diverse strade. Puoi restare seduto qui, ed aspettare che
illusioni
e ricordi ti avvolgano. Oppure puoi andare avanti, scoprendo che fine
fanno i
demoni quando muoiono. Oppure..trovare la strada per risvegliarti.
Perché
quelli come te non sono destinati a morire..”.
“E
la
strada qual è?”.
“La
sai la
risposta”.
Arikien
si
dissolse, lasciando il caduto da solo. Il demone si guardò
attorno. Si stava
facendo buio e sottili radici iniziavano a spuntare dal terreno, come
artigli
pronti a trattenerlo. Si alzò di colpo, guardando verso
l’alto.
“Volare?”
si chiese “Mal che vada..farò come Icaro e mi
schianterò. Ma almeno arriverò
alla conclusione di tutto questo”.
Spalancò
le
ali e si sollevò, sfrecciando veloce verso l’alto.
La luce si era fatta sempre
più intensa ma il demone non aveva chiuso gli occhi per
nemmeno un istante. Vi
era qualcosa, alla fine di quel viaggio: una parete. Come uno specchio,
l’angelo caduto vide se stesso e gridò,
infrangendo quella superficie in
migliaia di pezzi. Con lo stesso grido bloccato in gola, si
sollevò di colpo a
sedere su quel letto dove era rimasto immobile e spento.
Ansimò, piuttosto
confuso. Si guardò attorno. Riconobbe le stanze del palazzo
del nipote e riconobbe
Eris, accoccolata su una sedia ed addormentata. Si chiese che cosa ci
facesse
lì quella donna e provò ad alzarsi. Erano
faticosi quei primi passi, come in
quel ricordo.. Poi riuscì ad uscire dalla stanza senza
barcollare troppo.
“Lucifero”
lo chiamò una voce.
Girandosi,
vide Sophia, la prima figlia di Eleonore ed Arikien, che gli sorrideva.
Lui
rimase in silenzio. La casa era buia, era notte fonda, e lei aveva
l’aria
stanca. Però era così splendida, con le ali
candide e l’aureola. Era dunque
divenuta una degli angeli? Sarebbe stata di certo una bella figurina
fra le
nuvole..
“Non
brilli” continuò Sophia “Non ti illumini
più..”.
“Come
mai
sei sveglia, bambina?” cambiò argomento lui
“Pare sia molto tardi..”.
“Lo
è. Ma
uno dei miei fratelli non dorme. Dice che c’è un
mostro in camera”.
La
giovane
stringeva fra le braccia Azlan, che piagnucolava.
“Ci
penso
io” ghignò lui, prendendo il bambino con il
braccio dal lato non intaccato dai
colpi di Drakonta “Tu vai a letto. Anche gli angeli dormono,
sai?”.
“Lo
so.
Grazie..”.
Rimasto
solo con il bambino, Lucifero si chiese per quale motivo lo avesse
fatto.
Incrociò lo sguardo color smeraldo di quel piccolo e gli
sorrise, nel solito
modo leggermente inquietante.
“Andiamo
a
vedere il tuo mostro..” gli disse “..e lasciamo
dormire la tua povera sorella”.
Mise
a
letto Azlan, che si guardò attorno impaurito. Poi fece un
giro per la stanza e
tornò a sedersi accanto al bambino.
“Ho
mandato
via tutti i mostri” esclamò “I mostri
hanno tanta paura di me, sai?”.
Il
bambino
annuì, sollevato.
“Ora
chiudi
gli occhi e dormi”.
Il
piccolo,
con i capelli biondo scuro come quelli di Eleonore, lanciò
uno sguardo di
supplica.
“Non
riesco
a dormire” mormorò “Mamma mi faceva
sempre dormire con una ninnananna”.
“Hem..è
tardi, piccolo. Non mi sembra il caso di mettersi a cantare, non
trovi?”.
Gli
occhi
del piccolo si fecero tristi e Lucifero sospirò.
L’unica canzone che gli veniva
in mente era quella che cantava agli angeli e, non capì per
quale motivo,
riuscì a cantarla come un tempo. Non appena il bambino si fu
addormentato, il
demone si alzò a fatica, dolorante, ed uscì dalla
camera. Ad attenderlo, fuori,
trovò Mihael.
“Hoi!”
lo
salutò, con il solito ghigno strano “Ciao,
Miky”.
Si
aspettava di vederlo andare su tutte le furie, ma non fu
così. L’arcangelo lo
fissò in silenzio, qualche istante e poi si
avvicinò, abbracciandolo.
“Fratello..”
furono le parole, mormorate, del guerriero.
“Ma
che ti
prende?!” protestò Lucifero “Lasciami
subito!”.
“Fratello!
Sei tornato!”.
L’angelo
si
distaccò, capendo che quella vicinanza eccessiva faceva
provare dolore ad
entrambi, con le ferite ancora aperte.
“Hai
bevuto?” si accigliò Lucifero.
“No”
rispose Mihael “Ma mi piacerebbe”.
“Che
ti
succede? Sei ferito..non dovresti esserlo. Sei caduto?”.
“Non
lo so.
Ho ancora le ali come un tempo. Niente corna o cose simili..”.
“Capisco.
Una specie di avvertimento..”.
“Dici
sia
questo?”.
“Non
saprei
che altro possa essere”.
“Ed
i tuoi
occhi invece che cosa sono?”.
“Cos’hanno
i miei occhi?”.
Lucifero
non riuscì ad interpretare lo sguardo del fratello. Decise
di ignorarlo. Aveva
bisogno di scoprire dove il nipote nascondesse i superalcolici. Ne
aveva
DAVVERO bisogno. Camminò a passo incerto lungo il corridoio,
non trovando
indizi a riguardo. Eppure doveva tenerli da qualche parte.. Durante la
sua
ricerca incrociò uno specchio, simpatico orpello in cui
solitamente amava
rimirarsi. In quel frangente, però, non poté fare
a meno di sussultare. Notò di
non essere in grado di celare i segni di tutte le battaglie che aveva
affrontato
e poi notò loro: gli occhi. Erano azzurri! Azzurri come il
cielo, come quando
era un angelo! Lanciò un grido, istintivamente, ed
indietreggiò, come se nello
specchio avesse visto un qualche strano tipo di mostro pronto ad
ucciderlo.
Quel movimento brusco non piacque molto al suo corpo martoriato dalle
ferite e
provò di colpo un dolore intenso, che lo fece cadere in
ginocchio.
“Fratello!”
si allarmò Mihael, raggiungendolo “Stai
bene?”.
“E
me lo
chiedi?! Cosa sono queste due cose che ho sulla faccia?!”.
“Sono
come
i miei. La cosa ti fa così schifo?”.
“Non
per
offenderti ma..abbastanza. Io non sono un angelo. Non voglio questi
occhi”.
“Che
siano
pure loro..un avvertimento?”.
Lucifero
ringhiò, infastidito. Ma il dolore era troppo forte e non
reagì in altro modo,
se non stringendosi il petto che bruciava ad ogni respiro.
“Andiamo..”
lo incoraggiò Mihael “..dobbiamo entrambi tornare
a letto. Penseremo poi a
questioni che..”.
“Solo
una
domanda..” mormorò il demone, a fatica,
arricciando la coda
“..fratello..tu..com’è
la voce di papà?”.
“Perché
me
lo chiedi?”.
“Perché
io
non la ricordo. Puoi dirmi com’è?”.
“Non
la
sento da molto. Ma ricordo la sua luce. È proprio come la
tua, Lucifero. Sono
certo che presto la ritroverai e brillerai come una volta. Come ai
tempi in cui
cantavi quella canzone..”.
“Proprio
come la mia..”.
Lucifero
si
voltò verso il fratello, dopo aver osservato la propria
pelle spenta. Avevano
gli occhi uguali. Certo, si disse, tutti gli angeli hanno gli occhi
uguali.
Ma..se fosse stato lui a dar loro quel colore? Si scosse, pensando che
fosse
tutta un’assurdità.
Il
Dio
delle illusioni mosse il capo. Sorrise, avendo visto quel che la mente
di
Lucifero aveva elaborato e trovandolo molto interessante. Gli altri
presenti,
uomini, donne ed un paio di bambini, non capirono il motivo di quel
sorriso ma
sorrisero a loro volta. Arikien si sentiva stanco, sempre di
più. Ananke lo
stava combattendo ferocemente ma lui opponeva resistenza, non volendo
farsi
sottomettere. Era riuscito a liberare in parte le ali e continuava ad
insistere, nella speranza di riuscire a spiegarle. Nella mente
percepiva
speranza, fede. Coloro che aveva di fronte speravano in lui o solo
volevano che
li liberasse e gli conveniva crederci? Non lo sapeva, ma la loro
graduale conversione
lo rendeva più forte.
“Chi
era
quell’uomo?” domandò una ragazza
“Quell’uomo brillante come una stella?”.
“Lui
è..mio
zio” sorrise Arles “Lo avete visto?”.
“Il
buio si
è riempito di immagini. Abbiamo visto il vostro colloquio,
il suo sguardo. Lo
avete salvato!”.
“Gli
ho
solo spiegato che strada intraprendere..”.
“Lui
deve
credere profondamente in voi!”.
“Non
credo.
Siamo di..famiglie diverse, sotto quel punto di vista”.
“Io
non
credo. Da come vi guardava, pareva volervi seguire ovunque”.
“Lui?
Ah, no!
Fidatevi. Lui vola da solo, come ha sempre fatto. Non ha bisogno di
me”.
“Ma
senza
di voi si sarebbe smarrito. Lo ha capito poco prima che
spariste!”.
“Se
ne sei
convinta..”.
Il
Dio
aveva un gran mal di testa, ma ora ne comprendeva la ragione. Il dolore
era
ormai una costante, aveva imparato a sopportarlo. Chiuse gli occhi,
concentrandosi per liberare altri legami che lo bloccavano. Il dialogo
con
Lucifero gli aveva fatto comprendere altre cose e le sue ali erano
sempre più
libere. Il rosso delle loro piume brillava sempre più
intensamente.
“Cercatemi..”
mormorò “..così che io possa essere
libero!”.
Credetemi
se vi dico che quando scrivo certe
cose non sono sotto l’effetto di stupefacenti..
|
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Capitolo 24 *** XXIV- Inganno ***
XXIV
INGANNO
L’unico
che
non reagì fu Azazel, che rimase fermo, appollaiato fra i
rami di un alto albero
avvolto dalla notte. Da lì poté assistere
chiaramente a quanto successe. I
cavalieri d’oro si mossero rapidi, seguendo il consiglio di
Keros. Percepivano
l’immenso potere di quei demoni ed agirono di conseguenza. Il
mezzosangue aveva
espresso il desiderio di combattere direttamente contro Asmodeo e per
farlo non
voleva distrazioni di sorta. Nonostante sapesse che tutti i diavoli
presenti
erano lì per lui, per combattere fino a quando non si fosse
stabilito chi fosse
il più forte, non aveva alcuna intenzione di cadere in
quell’inganno. Volevano
ucciderlo? No, non era il momento perché aveva un compito da
svolgere: doveva
salvare il suo signore! Richiamò il potere del fuoco.
Asmodeo lo fissò,
trovando rivoltanti quelle ali d’angelo dal colore argentato.
Il loro scontro
iniziò, così come i cavalieri si ritrovarono
dinnanzi i loro avversari.
Eleonore era l’unica che pareva far caso ad Azazel, e
tentò di avvicinarsi.
Il
primo
demone ad agire fu Moloch. Il grosso diavolo dalle corna caprine si
trovò
subito ostacolato da una pioggia di fulmini. Aiolia ed Aiolos erano uno
a
fianco dell’altro ed avevano colto quei suoi movimenti
rapidissimi. Ed erano
pronti a dimostrare che erano in grado di muoversi altrettanto
velocemente!
Mephistophel,
con il suo grosso libro rosso, sorrise a Milo. Fra le pagine di quel
volume, vi
erano rinchiuse le anime che qualche incosciente aveva venduto al
demone.
Deathmask percepì la cosa e si affiancò allo
Scorpione, curioso di scoprire
come quel tomo funzionasse.
Astaroth,
creatura dalla doppia natura e dal duplice aspetto femmineo e
mascolino,
incrociò lo sguardo di Aphrodite. Il suo corpo femminile era
molto bello, Pesci
doveva ammetterlo, ed il cavaliere rispettava la bellezza. Ma bastarono
solo
pochi secondi di consapevolezza dell’esistenza della seconda
natura, quella
maschile e deforme, a farlo agire con l’uso delle rose. Shura
si unì a
quell’attacco, deciso a dividere in due quelle
entità.
Malphas
era
distruttivo, irruente, ma si ritrovò di fronte la potenza
difensiva di
Aldebaran che, affiancato dai giovani Iravan ed Iravat, era
intenzionato a
rispedire quell’essere all’inferno.
Il demonio Furcas non aveva
aria minacciosa o
temibile. Era anziano, o così sembrava. Nel suo sguardo
però scintillò una luce
strana. Propose a coloro che lo ostacolavano di svelare i segreti
dell’astronomia, i più profondi e sconosciuti, ed
ampliarne la conoscenza.
Camus, per quanto tentato, dovette declinare l’offerta e Mur
lo sostenne in
quella scelta.
Baphomet
era rimasto immobile, seduto in una posizione simile a quella del loto.
Quando
Shaka e Dohko gli furono sufficientemente vicini, alzò un
braccio e mostrò il
palmo ai due. Attorno a lui si formò una barriera contro cui
i due cavalieri
sbatterono e furono respinti.
“Ti
restituirò al fuoco da cui erroneamente ti ho
salvato!” gridò Asmodeo,
richiamando le fiamme e lanciandole contro Keros, che però
le respinse con
facilità.
Il
mezzosangue aveva solo un punto di svantaggio nei confronti del demone
ovvero
il fatto che Asmodeo volasse con una certa agilità mentre
lui, con ancora fragili
ali d’angelo, era incapace di sollevarsi. Però
riusciva a sfruttare ogni altro
singolo punto di forza a suo vantaggio, ad iniziare dal fatto che era
del tutto
immune alle fiamme di quel diavolo. Inoltre era più leggero
e veloce, grazie al
sangue angelico. Così riuscì facilmente ad
assestare un bel po’ di colpi
dall’avversario, senza subire danni.
“Vuoi
dare
un’occhiata?” sorrideva Mephistophel, sfogliando il
suo grosso libro rosso e
rivolgendosi a Deathmask “Qui vi sono imprigionate tutte le
anime di coloro che
hanno fatto un patto con me lungo i secoli. Ne percepisci il potere? Ne
vorresti un po’?”.
“Sì,
in
effetti ne vorrei” ammise il Cancro.
Il
demone
sorrise. Non aveva alcun tratto demoniaco, se non uno sguardo strano.
Era un
uomo affascinante, alto, ben vestito e con un pizzetto piuttosto
pronunciato.
“Magari,
cavaliere..è un patto con me ciò che
vuoi” disse, appena Deathmask si fu
avvicinato a sufficienza.
“Ah
no, non
sono bravo a mantenere le promesse” ghignò il
saint e puntò il dito contro il
libro.
Subito
le
anime al suo interno reagirono, richiamate dal potere di Deathmask.
Sapeva che
la forza di quel demone dipendeva proprio da quelle anime. Nel
frattempo, Milo
infieriva lanciando cuspidi. Il demone non pareva molto impressionato,
anche se
lievemente stupito. Le anime sul suo libro si mossero ed attaccarono i
due
cavalieri, che si ritrovarono in difficoltà. Non dovevano
stupirsi: quelli eri
i demoni più potenti dell’inferno! E compresero i
timori degli angeli. Se
Lucifero avesse scelto di combattere per l’Olimpo, avrebbe
dato filo da torcere
a molti, con i suoi eserciti!
Malphas
era
estremamente potente ma non particolarmente sveglio. Questo permise al
Toro di
trattenerlo il tempo necessario per permettere ai gemelli di attaccare,
all’unisono. L’avversario ringhiò,
ferito in più punti. Chinò la testa, pronto
a scagliarsi ad ariete contro Aldebaran, che gli dimostrò
che il suo corno era
decisamente più duro di quelle due grosse escrescenze che il
demone portava sul
capo.
Aiolos
ed
Aiolia accecarono Moloch con i fulmini.
L’avversario, non abituato a tutta quella luce,
rimase stordito e
piuttosto disorientato. Ma non per questo si lasciò
sconfiggere. Attaccò con
tutte le forze, ferendo di striscio Aiolos. Questo però
provocò l’ira del
Leone, che attaccò con il doppio dell’energia.
Mur
e Camus
erano circondati da una miriade di piccole immagini, piccole luci.
Ognuna di
esse, spiegava Furcas, era una scintilla di conoscenza. Nel suo campo,
quel
demone era il più sapiente.
“La
natura
demoniaca non è sempre negativa” parlò
il nemico dall’aspetto anziano
“Anzi..non lo è quasi mai. I demoni sono nati
seguendo un’ideale di libertà,
conoscenza e desiderio di sfuggire da ciò che è
predestinato. Giudico la
nascita di Keros come uno splendido lavoro del signore degli inferi
Lucifero,
con la energia manipolatrice e tentatrice. Ha condotto alla lussuria un
angelo,
uno dei più forti, e questo per me è
straordinario. Purtroppo però..ora è privo
di luce perciò è pressoché un mortale
ed io ho bisogno di una nuova luce da
seguire. Così come l’avete voi, assetati di
conoscenza. Venite con me! Seguite
la vostra natura e divenite come me”.
“Tu
non sai
tutto” precisò Camus “Sophia sapeva ogni
cosa”.
“Sì.
E
Lucifero è fatto della sua stessa sostanza”.
“E
allora
perché sei qui?”.
“Ho
bisogno
di una luce nuova da seguire..”.
Astaroth,
dopo il momento di distrazione di entrambi i cavalieri dinnanzi al suo
aspetto
femmineo, respingeva le rose di Aphrodite ed i colpi di Shura.
“Una
tecnica così bella..” commentò, con una
rosa fra le dita “..è degna di un
grande demone tentatore. E pure il tuo aspetto..Aphrodite dei Pesci,
sono
ammirato. Ed anche la lama di colui che si fa chiamare Shura ai miei
occhi
risulta magnifica. Peccato siate miei nemici. Non vorreste unirvi a
noi?”.
“Nessuno
ti
obbliga a combattere, mi sembra” storse il naso Shura,
scocciato da simili
atteggiamenti.
“In
realtà
noi demoni dobbiamo seguire il diavolo più forte. E magari
tentare di
ammazzarlo, per prenderne il posto. Ora è Asmodeo che ci
comanda”.
“Ma
Keros
lo ha battuto! E lo sconfiggerà di nuovo!”.
“Sono
solo
voci. Se non lo vedrò con i miei occhi, non mi
piegherò al volere di quello
schifoso sanguemisto!”.
L’immobile
Baphomet non parlava, non reagiva. Osservava i movimenti dei compagni e
respingeva gli attacchi di Shaka e Dohko apparentemente senza sforzo.
In
particolare, teneva gli occhi puntati sullo scontro fra Keros ed
Asmodeo,
trovando alquanto sorprendente che quel figlio di razza bastarda
riuscisse a
tenere testa ad un demone così potente.
“Non
ti
distrarre!” lo sfotté Dohko, usando la sua spada
per infrangere la barriera dal
demone.
Questa
si
incrinò e la creatura si accigliò,
perché mai nessuno era riuscito in tale
impresa. I colpi combinati di quei due cavalieri lo stavano
destabilizzato: ora
capiva perché il re Lucifero più volte gli aveva
raccomandato di non
stuzzicarli!
“Fratello,
ragiona!” insisteva Camael, rivolto a Mihael “Hai
mai pensato che in realtà..si
tratti di una menzogna? Lucifero è il re degli inganni,
è in grado di manipolare
la mente e tu sei così stanco.. Io ricordo Carmilla e
ricordo Costantinopoli.
Non ti passa nemmeno per un secondo per la testa che potrebbe essere
tutta una
falsità la faccenda di Keros?”.
“Lo
hai
visto anche tu!” ribatté Mihael, accigliandosi.
I
due si
trovavano in una delle grandi stanze della casa del Dio delle
illusioni,
lontani da orecchie indiscrete. Mihael, seduto al tavolo, osservava i
movimenti
del fratello, che camminava per la sala.
“Lo
hai
visto anche tu, fratello Camael” parlava il guerriero
“Lo hai visto che cosa
Keros sia in grado di fare. Il suo potere..è come il
mio”.
“Satana
potrebbe avergli insegnato una tecnica simile, per ingannarti. Non ha
nulla di
tuo! Ha i capelli di Carmilla, lo sguardo da demone..quelle
orecchie!”.
“E
le ali
d’argento?”.
“Tu
non hai
le ali d’argento!”.
“Ma
ho ali
d’angelo. Cosa che Keros ha e Carmilla no. Inoltre, dovresti
guardarlo un po’
meglio. Non avrà i miei colori ma possiede le mie forme. La
bocca, il modo in
cui arriccia il naso quando qualcosa lo infastidisce, quei ciuffi
ribelli sul
viso, quelle spalle, quelle mani..Camael! Come puoi in esso non
rivedere me
stesso?”.
“Prima
che
ricordassi, nemmeno tu ti ci rivedevi. Adesso all’improvviso
ecco che tutto
cambia. È tutta un’illusione, Mihael!”.
L’angelo
guerriero rimase seduto e non sobbalzò quando Camael
poggiò entrambe le mani
sul tavolo che aveva di fronte.
“Che
cosa
cambia, a questo punto?” domandò Mihael, senza
mutare espressione.
“In
che
senso?”.
“Ho
aiutato
Lucifero, provo dolore per questo. La mia ala ed il mio braccio sono
danneggiati e fanno estremamente fatica a guarire. Che io sia o meno il
padre
di quel ragazzo, che cosa cambia? Sono già comunque
condannato, non trovi?”.
“Stai
delirando”.
“Quella
era
la mia ultima battaglia, Camael. Prendi pure la mia lancia e le mie
vestigia e
riportale in cielo, perché io non potrò
più lottare contro di lui”.
“Perché?
Cosa ti ha mai detto per ridurti in questo stato mentale?!”.
“Mi
ha
salvato la vita. Lo hai visto anche tu”.
“È
stato un
gesto istintivo! Ha visto la coda di Drakonta venire verso di lui ed a
reagito
così. Tu eri in traiettoria e sei stato respinto e, di
conseguenza, salvato.
Non è come credi”.
“Ma
come
puoi dire questo?! Camael! I suoi occhi! Sono azzurri come il cielo.
Questo non
credi sia un segno? Nostro fratello sta tornando quello di un
tempo”.
“Non
potrà
mai tornare quello di un tempo! Sei impazzito?!”.
“Keros
è
mio figlio, Camel. Ne sono certo”.
“E
come lo
sai?”.
Mihael
si
alzò, allungandosi sul tavolo e fissando dritto negli occhi
il collega
angelico.
“Perché
io
ricordo quel che ho provato. E credimi..per quanto lui sia il signore
della
menzogna, non potrebbe mai ricreare nella mia mente una simile
sensazione”.
“Di
che
parli?”.
“Di
una
sensazione che non hai mai provato, angelo puro. Del piacere che
l’atto più
condannato in cielo può donare. E che sono più
che felice di aver sperimentato,
fratello. Su questa mia pelle, Camael, io ho percepito il tocco
vellutato di
donna. Il tocco peccaminoso e voluttuoso di donna, che mi ha permesso
di
entrare in lei con desiderio e passione. Credimi..non è una
sensazione che di
può ricreare artificialmente con un inganno!”.
“Oh,
Signore delle schiere celesti! La situazione è peggiore di
quanto credessi!
Meglio ti riporti a casa immediatamente, così da impedirti
di commettere e dire
altre oscenità”.
“Non
mi
toccare!”.
“Mihael!
Io
voglio aiutarti!”.
“Non
ho
bisogno del tuo aiuto!”.
L’arcangelo
guerriero si alzò e scansò dal tentativo del
fratello di toccarne il braccio
sano.
“Tornatene
in cielo, Camael!” ordinò, allontanandosi
“Lasciatemi in pace. Se nostro padre
mi rivuole a casa, sarà lui stesso a chiamarmi. Se invece
desidera la mia
condanna..ebbene, così sia!”.
Con
lo
sguardo fiero, Mihael lasciò la stanza. Camael lo
seguì per un po’ ma poi
desistette. Intravide il fratello maggiore Lucifero e si
stupì nel vedere che
effettivamente il suo sguardo era azzurro. Ed il suo corpo non brillava
più. Ma
forse era anche quella una menzogna..meglio tornare a casa! Ed
istintivamente
si fece il segno della croce.
Lo
sguardo
di Azazel incontrò quello di Eleonore. Quella donna era
interessante. Strana.
Il demone incrociò le braccia, quasi divertito. Il suo
aspetto non era
mostruoso o spaventoso. Era chiaramente un tentatore, dagli occhi molto
profondi e quasi dolci. Le corna nere però lasciavano poco
spazio alla
fantasia: era uno dei diavoli più temibili
dell’inferno. Era l’araldo di
Lucifero, alla sua destra al momento della caduta.
“Perché
non
combatti?” domandò lei.
“E
tu
perché non hai paura di me?” rispose Azazel.
“Non
ho
paura di Lucifero, perché dovrei avere paura di
te?”.
“Mi
pare
evidente che tu non lo abbia mai visto veramente infuriato”.
“Credo
che,
visto quanto sta accadendo, lo vedrò presto. E si
scaglierà contro di voi”.
“Io
non ho
nulla contro Lord Lucifero, anzi! Io sono sempre stato un suo fedele
compagno,
fin da quando eravamo entrambi angeli. L’ho sempre seguito ed
ammirato. E non
approvo minimamente i tentativi sovversivi di quello zotico di Asmodeo.
Perché
se Lord Lucifero fosse qui, sarebbe in grado di sconfiggerci tutti
quanti con
ben poco sforzo”.
“Lord
Lucifero? Sai..mi ricordi Keros. Quando si rivolge all’uomo
che ama. Hai lo
stesso sguardo..”.
Azazel
sostenne lo sguardo di Eleonore e si accigliò leggermente,
senza dire nulla.
“Ho
indovinato?” sorrise lei.
“Forse.
Ma
non ha importanza. Io non sono un guerriero, solitamente. Ma dopo che
ho
appreso quanto successo..è mio compito impedire che capiti
di nuovo”.
“Intendi
l’attacco di Asmodeo contro Lucifero?”.
“Lo
tengo
d’occhio. Se sarà necessario, fermerò
la sua mano. Posso sembrare una creatura
più debole di lui ma la verità è che
potrei tenere testa ad Asmodeo. Fin ora
sono stato sotto le grandi ali di Lucifero ma sono in grado di vivere
anche
senza averle sopra la testa a proteggermi”.
“E
allora
perché non lo fermi adesso? E gli impedisci di ferire
Keros?”.
“Keros
non
ha bisogno del mio aiuto..”.
Asmodeo
era
sconvolto dalla potenza che riusciva a scatenare il mezzosangue. Dopo
essersi
scontrati ancora un paio di volte, lanciò un grido di dolore.
“Tua
madre
sarebbe fiera di te” disse, finendo a terra
“Rinnovo il mio gesto di sottomissione
e supplico la pietà”.
Il
sanguemisto
era furioso. Stringeva sempre di più la gola del suo
avversario.
“Dimmi,
come
hai osato?” sibilò, con un tono che avrebbe
indotto il terrore in chiunque
“Come hai osato tentare di uccidere il tuo signore? Il tuo
fratello maggiore? Colui
che per millenni hai servito negli inferi? Me lo dici come hai osato? O
forse
lo servivi solo nella speranza che compisse un passo falso per
prenderne il
posto? Sappi che questo io non lo permetterò mai!”.
“Supplico
clemenza. Keros..abbi pietà!”.
“Pietà?
Tu
non ne avresti avuta. Se io non fossi intervenuto, Lucifero sarebbe
morto. E
non combattendo, ma giacendo inerme e privo di sensi. Che razza di
pietà dovrei
avere nei confronti di una creatura come te?!”.
“Ma
io..io
ti ho salvato. Io ti ho salvato quando eri un neonato. Ti ho portato
nel
palazzo di Lucifero. Senza di me, saresti morto. Una vita, per una
vita!
Risparmiami e saremo pari”.
Keros
rimase immobile qualche istante. Alla fine, lasciò andare
Asmodeo, lanciandogli
solo un ultimo sguardo di disprezzo. Il demone tentò di
reagire, sferrando un
ulteriore attacco, ma Azazel lo fermò. Tutti gli altri
demoni avevano smesso di
combattere, vedendo che coloro che ritenevano il più forte
era stato sconfitto.
Inoltre, il corpo di Keros brillava in un modo così
familiare, con quelle ali
spalancate, da costringerli ad inginocchiarsi. Azazel rimase in piedi e
fece
solo un lieve inchino.
“Azazel!”
lo riconobbe Keros “Ti ringrazio per aver fermato questa
scocciatura. Ho
fretta..devo raggiungere Arikien. Esiste un modo per impedire che
voialtri
demoni mi infastidiate ancora?”.
“Avete
la
mia parola che la vostra missione non verrà interrotta
più da noi, principe”
mormorò l’araldo.
“Principe?
Io?
Non regnerò mai sull’inferno: mi fa schifo. Non
tanto per il posto, quanto per
la compagnia. Detesto la maggior parte dei demoni, così come
detesto angeli e
Dei. Spero di vedere presto Lucifero in piedi ed in grado di regnare di
nuovo
sul suo impero”.
“E
fino a
quel momento? Gli inferi sono un luogo che, senza un forte leader,
cadono nel
caos”.
“Sono
sicuro che tu riuscirai a gestire questo caos, Azazel. E, nel caso che
la
situazione non si sia ancora risolta al mio ritorno, ne riparleremo.
Ora, per
cortesia..sparite tutti. Ho una missione da portare a
termine!”.
Kanon
scosse la testa, trovando lo zio demone mezzo spaparanzato sul
divanetto rosso
del salotto, sigaretta accesa di sbieco in bocca ed una mela a fianco,
con cui
giocherellava con la coda.
“Non
dovresti fumare” lo rimproverò “Non con
un polmone danneggiato”.
“Farti
i
cazzi tuoi, mai?” sbottò Lucifero, dopo una
boccata di fumo.
“Era
per
dire. Se vuoi crepare, fai pure”.
“Non
sarà
una sigaretta ad uccidermi..”.
“Ah,
questo
è sicuro”.
“Più
probabile il veleno di Drakonta. Ma a questo non vi è
rimedio, dico bene?
Perciò lasciami in pace”.
“Mihael
sta
discutendo con un altro angelo..”.
“Sì,
ho
visto. È quello scassa cazzi di Camael. Tanto carino e
servizievole lui, ma
quanto rompe!”.
“Non
pensi
che Mihael debba tornare in cielo?”.
“Assolutamente
sì. Ma conosco mio fratello e non sarà
tartassandogli i coglioni che lo
convinceranno. Piuttosto..è vero che Keros ha respinto
Asmodeo? Lo hai visto?
Com’è andata?”.
“Non
c’è
molto da dire. Asmodeo è venuto qui e pensavamo tutti fosse
comparso per
verificare le tue condizioni ma si è mostrato piuttosto
aggressivo. Ha
minacciato di ucciderti. Anzi..ci ha provato proprio! Per fortuna Keros
era
nella stanza e lo ha fermato. È stata una bella scena
perché, alla fine, nel
loro concitato e furioso scontro, Asmodeo si è ritrovato
alla gola la lancia di
Mihael, impugnata da Keros”.
“Asmodeo
è
uno dei demoni più potenti
dell’inferno..”.
“Lo
so. Ma
Keros è un Dio. Ah..dimenticavo che tu non hai visto quel
che ha fatto”.
“Un
Dio?!”.
“Una
specie. Non saprei spiegartelo. Ad ogni modo, Asmodeo gridava che
avrebbe
ucciso te, insultandoti in varie maniere, e poi avrebbe staccato la
testa a
Mihael ed al suo figlio bastardo. Era fuori di sé”.
“E
Keros
come lo ha fermato?! Asmodeo furioso è una creatura che solo
io riesco a
domare..”.
“Senti..non
ci ho capito molto. So che ad un certo punto Asmodeo è
finito in terra e Keros
gli ha ordinato di andarsene. E Asmodeo ha fatto uno strano segno con
la mano”.
Lucifero
mosse il braccio destro, quello dal lato sano e non intaccato da
Drakonta, e
compì un gesto vicino al petto, chiedendo se il demone
avesse compiuto proprio
quel movimento. Kanon annuì.
“È
un gesto
di sottomissione” spiegò Lucifero “Lo
compiono i demoni quando non vogliono
essere uccisi dal loro avversario e ne riconoscono la
superiorità. Asmodeo..ha
fatto tale segno dinnanzi a me. E solo dinnanzi a me. Keros..come ci
è
riuscito? È così potente?”.
“Lo
capirai
quando lo rivedrai. Non scervellarti troppo..”.
Il
diavolo si
passò una mano sugli occhi, infastidito. Non riusciva
proprio a sopportarli!
Erano così grandi e chiari! Sembrava strafatto e vedeva
strane ombre, riflessi
e luci. Ma forse era solo effetto del veleno..
Eris
entrò
nella stanza, sorridendo ad entrambi, ed andando a sedersi sul
divanetto.
Lucifero la fissò con disapprovazione ed arricciò
la coda.
“Come
stai
oggi?” domandò lei e lui alzò un
sopracciglio “Puoi anche rispondermi..”.
“Non
hai un
altro posto per sederti, donna?” storse il naso il demone.
Lei
allungò
la mano ed afferrò la mela con cui Lucifero stava giocando,
dandole un bel
morso. Kanon sorrise a quella scena e decise che forse era meglio
lasciare i
due da soli, nonostante le proteste del diavolo.
“Sai..”
commentò Eris “La mia mela, la mela
d’oro della discordia, doveva andare alla
più bella. E sai a chi è andata?”.
“A
Venere.
Tutti la conoscono quella storia”.
“Esatto.
A
Venere. Alla stella del mattino..non è questo uno dei tuoi
nomi?”.
“Continuo
a
non capire cosa tu voglia da me..”.
“Dici
di
non meritare la mela per il più bello?”.
“Suvvia,
Eris.
Non prendiamoci in giro. La meritavo quando ero un angelo, il
più bello degli
angeli, perfetto sotto ogni aspetto. Non ora..con il corpo pieno di
cicatrici e
questo sguardo assurdo. E questi capelli, che non stanno da nessuna
parte
ultimamente!”.
“La
perfezione è noiosa. L’ho sempre
pensato”.
“Anch’io..”.
“Per
i
capelli..basta pettinarli! Io ti trovo bellissimo”.
“Pure
io mi
trovo bellissimo. Sono in molti a pensarlo..anche se ora questi occhi
non li
sopporto..”.
“Mi
ricordi
mio fratello Ares..”.
“Scherzi?!”.
“No,
per
niente. Penso anzi che sia stato proprio questo a spingere Sophia fra
le sue
braccia. Lei voleva te, ma non poteva e così..”.
“NO!”
sibilò Lucifero, scansandosi “Bella, parliamo di
ciò che vuoi ma NON di mia
sorella, chiaro?!”.
“Va
bene..scusa..comunque non ti giudico mica. Anche a me piace mio
fratello. E tu
ci somigli..e mi piaci”.
“Questa
la
vedo come una cosa piuttosto offensiva, sai? Io non somiglio a quella
capra
ignorante ed irascibile di Ares!”.
“Ah
no?”.
“Stronza..”.
“Mio
fratello ed io, secondo una versione dei fatti, non siamo stati
concepiti nel solito
modo ma generati da nostra madre, in seguito al suo tocco su un fiore.
Dicono
sia il pruno selvatico o altro ancora, non ha importanza. Quel che
voglio dire
è che siamo nati da una divinità soltanto. Mio
fratello non è mai stato molto
amato dagli altri Dei, ed è per questo che è
esiliato e non vive sull’Olimpo. E
sai perché è stato esiliato? Perché
è stato beccato ad amoreggiare con
Afrodite, una donna sposata di cui è follemente innamorato
da sempre ed a cui
pensa sempre nonostante i millenni passati. È un guerriero
temibile ma a volte
il suo pessimo carattere e la sua irruenza lo portano a dire o fare
cose
sconsiderate. Non trovi una certa somiglianza?”.
“No.
Ma
anche se fosse..è perché gli Dei non hanno
inventiva e ripetono sempre le
stesse storie dall’alba dei tempi!”.
Eris
sorrise, ghignò. Si chinò sul demone, che la
fissò perplesso. Ma che mai voleva
quella femmina? Cosa serviva stare tanto appiccicati? In quel momento,
con il
veleno di Drakonta che bruciava e la ferita che ancora lo tormentava,
non aveva
proprio voglia di avere rapporti interpersonali di qualsiasi tipo, per
quanto
la sua natura fremesse. Avrebbe recuperato appena possibile..
“Ero
tanto
preoccupata per te” mormorò Eris.
“Perché?”.
“Non
lo so.
Ma lo ero. Vederti sveglio mi fa molto piacere”.
“Non
vedi
l’ora che sia di nuovo in grado di saltarti addosso,
vero?”.
“Anche..”
rise lei “..ma non solo per quello..”.
Con
la
mano, passò sul petto del demone, che sobbalzò
per il dolore.
“Ti
ho
fatto male?” parlò, mortificata, la Dea della
discordia.
“Sì”
ammise
lui, con un sussurro “Fallo pure tutte le volte che
vuoi..”.
Eris
alzò
gli occhi, sfiorando il volto di Lucifero e dandogli un bacio. Il
demone non
comprese del tutto quel gesto ma non poteva farci niente: ultimamente
non
capiva più nulla!
Lunghissimo
e faticosissimo. Chiedo perdono per
gli scontri “concisi” ma questa storia si sta
protraendo ben oltre il previsto
e non volevo divulgarmi troppo. E buona pasquetta!
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Capitolo 25 *** XXV- Invocare ***
XXV
INVOCARE
Dopo
diversi
giorni di cammino, la compagnia dei cavalieri, guidati da Keros ed
Eleonore,
erano ormai prossimi a raggiungere l’obbiettivo. La piuma
rossa del Dio delle
Illusioni brillava sempre più intensamente. Nessun altro
ostacolo aveva
incrociato la loro strada ma un’ombra oscurò
qualche istante il sole. Una piuma
candida volò dinnanzi a loro e dieci angeli si pararono
dinnanzi al gruppo.
Keros sospirò, alcuni cavalieri li osservarono ammirati ed
altri si fissarono
perplessi, chiedendosi che mai volessero degli angeli.
“Non
siamo
qui per combattere” parlò uno di essi, con sei ali
“Il mio nome è Akaiah, Serafino
residente normalmente nell’Empireo ed il cui dono
è il coraggio. Era proprio
curioso di vedere con i miei occhi il tanto discusso figlio di Mihael,
l’unico
di noi fratelli ad aver avuto una progenie, se escludiamo i Nephilim
all’inizio
dei tempi”.
“Lusingato
nell’apprendere che siete sceso addirittura
dall’Empireo per vedermi. Ora..”
rispose Keros “..mi avete visto? Posso andare? Ho un compito
da svolgere. Una
volta che l’avrò portato a termine,
sarò lieto di prendere il tè con tutti
voi”.
“Non
essere
scortese. Permettimi di presentarti i miei fratelli. Costui
è Raziel, un
Auphanim, un Cherubino, principe della conoscenza, un tempo a servizio
di Lady
Sophia. Accanto a lui vi è Barkiel, una delle sette luci
ardenti, uno dei sette
reggitori del mondo, uno dei Troni. Zadkiel fa parte delle Dominazioni,
ed il
suo nome richiama alla giustizia di Dio. Hamliel è una
Virtù, uno dei sette
planetari. Rappresentante delle Potestà è Aniel,
in grado di sovvertire lo
scorrere della circolarità delle cose. Mebahiah possiede la
luce
dell’intelletto ed è fra i Principati. Colui che
fra le mani stringe un grosso
libro è Vereheveil, l’arcangelo che conosce tutte
lingue e le scritture. Infine
vi è Requiel, angelo con il dono della preveggenza. Camael
immagino tu lo
conosca già e non serva ti dica nulla, se non che
temporaneamente ha preso il
posto di tuo padre in cielo”.
“Camael
il
generale delle forze celesti? Ok..non dico nulla..”
alzò le mani Keros
“..lasciatemi andare avanti, per favore”.
“Siamo
qui
per fermarvi” parlò ancora il Serafino.
“E
per quale
motivo?”.
“In
quella
grotta giace una creatura estremamente pericolosa”.
“Ananke.
Lo
so bene..”.
“Non
parlo
di Ananke”.
“Arikien
non
è una creatura pericolosa!”.
“Figlio
di
uno di noi, di Lady Sophia, con fra le mani un potere divino?
Nonché la
promessa fatta a Satanahel di divenire principe
dell’inferno?”.
“Avete
paura
che vi faccia il culo alla fine del mondo?”.
“A
te, al
momento, non è stato dato modo di comprendere. Siamo qui per
proporti un patto.
A proporlo, in verità, ad Eleonore. Vi proponiamo la pace, a
nome di tutte le
schiere angeliche, qui rappresentate. La protezione da ogni male, per
la vostra
intera famiglia”.
“Ed
in
cambio dovremmo lasciarvi uccidere Arikien?”.
“Esatto.
Per
quel che ne sappiamo, potrebbe anche essere già
morto..”.
Keros
storse
il naso, fingendo di pensarci. Poi alzò entrambe le mani,
dedicando agli angeli
un paio di dita medie alzate.
“Eleonore..”
riprese il Serafino, mordendosi il labbro per controllarsi
“..parlo a te. Al
tuo essere donna e madre. Non desideri un futuro di pace per i tuoi
piccoli? So
che una madre desidera solo il meglio per i suoi bambini. Mai
più conflitti e
pericoli, in nome di tutto il cielo”.
“Sarebbe
magnifico” ammise lei “Però non credo
che potrei mai stare senza il mio amato
Ary”.
“E
lui
sarebbe d’accordo? Rinunciare alla sicurezza dei suoi figli
in cambio della sua
libertà?”.
“Non
sarebbe
mai d’accordo, lo so. Ma io lo amo. E non mi aspetto che un
Serafino comprenda
questo sentimento..”.
“Io
comprendo l’amore”.
“Sì.
L’amore
per un Dio. Per un’entità superiore. Ma io lo amo
come si ama un uomo, e questo
un angelo non lo può capire”.
“L’amore
carnale, no. Quello non lo capiamo. Ed è per questo che non
riusciamo ad
accettare il gesto di Mihael, che una volta tornato in cielo
dovrà subirne le
conseguenze. Oltre al fatto di aver deliberatamente aiutato il
più grande
nemico del cielo, il nostro fratello maggiore ormai caduto”.
“Puoi
anche
chiamarlo per nome” si intromise Keros “Chiamarlo
Lucifero non ti porterà alla
dannazione eterna”.
“Si
da un
nome a ciò a cui ci si affeziona. Ed il tradimento del re
dei demoni ancora
brucia negli animi di chi ha combattuto quella battaglia”.
“Lucifero
ha
salvato Mihael”.
“Lo
ha fatto
per te, che considera quasi un figlio. Il suo potere è
troppo grande per poter
far concepire ad una donna la sua creatura, perciò vede in
te e nel figlio di
Sophia una sorta di
progenie”.
“Non
è stato
un angelo a salvarmi, quando sono nato. Non è stato un
angelo a crescermi. Non
è stato un angelo a condurmi dall’uomo che amo. Io
non credo nel vostro Dio, ho
il mio Dio da venerare ed amare. E lo stesso vale per Eleonore. Voi
avete solo
paura di essere sconfitti”.
“Non
è stato
un angelo a tentare di ucciderti qualche giorno fa, mi sembra. E non
è stato un
angelo ad attentare alla vita del caduto”.
“Già.
A quanto
pare mi vogliono tutti morto..e vogliono tutti morto
Lucifero”.
“E,
nonostante questo, rifiuti la nostra protezione?”.
“L’unico
che
può proteggermi è Arikien. L’unico che
potrò venerare come Dio è lui. Ed io so
per certo che voialtri non perdereste mai tanto tempo con creature che
non
credono nel grande disegno di vostro padre”.
“Osi
sfidarci?” si accigliò Barkiel.
“Fateci
passare, per cortesia”.
“Ti
staccherò la testa dal collo, insolente mezzosangue
dall’animo contaminato da
Satana!” fu la risposta di Barkiel ma Akaiah lo
fermò con un gesto.
Il
Serafino
si avvicinò a Keros, con un mezzo sorriso, mostrando le mani
in segno di pace e
resa. Sfiorò le ali d’argento del sanguemisto,
ammettendo di non averne mai
viste di quel colore.
“In
te lo
rivedo” mormorò “In te rivedo mio
fratello Mihael, che anelo rivedere in cielo,
ma temo che il mio disio non potrà mai avverarsi. Non ho
saputo proteggerlo,
non ho saputo guidarlo. Ed ora è in terra che prova dolore e
sofferenza.
Permettimi di tutelare
almeno suo figlio..”.
“Io
ho chi
bada a me. Ho un angelo custode, mio padre. Ho un..demone custode, che
è colui
che mi ha cresciuto. Ed ho un Dio che mi ama e che rivoglio accanto a
me.
Perdonatemi, ma devo declinare l’offerta”.
“In
questo
caso..abbiamo degli ordini”.
Le
creature
angeliche furono avvolte dalla luce.
“Non
mi
impressionate” commentò Keros “Io ho
visto la luce del più luminoso di voi,
anche se non lo considerate più uno di voi da tanto
tempo”.
“Noi
non
proviamo dolore” gli fece notare Camael “E non
sanguiniamo. Vuoi comunque
sfidarci?”.
“Ho
alternative? Esiste un altro modo per farvi sparire?”
“Allora..mio
bel
fratellino ad energia solare..che fai?” domandò
Lucifero, vedendo il fratello
con gli occhi rivolti verso il cielo.
“Sto
pregando, fratello”
rispose Mihael “Sto cercando di sentire di nuovo la voce di
nostro padre”.
“Papi
è silenzioso?”.
“Non
chiamarlo così. Non
è rispettoso”.
“E
da quando io sono
rispettoso?!”.
“Ho
molti dubbi . Molta
nebbia da dissipare”.
“Ti
capisco. Ma..è ormai
da più di un millennio che credo di essere
orfano..”.
Mihael
si voltò verso il
fratello, con aria mista fra il rimprovero, la rabbia e lo smarrimento.
“Io
voglio pregare mio
padre” esclamò, scandendo bene le parole
“Perciò ora vattene. Lasciami in
pace”.
“Ok..scusa..”
ghignò Lucifero.
“Solo
una domanda: perché
mi hai salvato? È stato un riflesso? Non mentirmi”.
“Ho
pensato a Keros.
Tutti hanno bisogno di qualcuno che li guidi. Che sia un padre, un
amico, un
fratello..e lui ha bisogno del suo vero padre, specie se Arikien non
dovesse
riuscire a tornare”.
“E
tu?”.
“Io
che cosa?”.
“Tu
chi hai che ti
guida?”.
“Nessuno.
Per questo sono
così. Ed ora prega pure..”.
“E
perché lo hai fatto?
Perché hai pensato a Keros?”.
“Non
lo so, va bene? Se
faccio qualcosa di cattivo, rompete il cazzo. Se faccio qualcosa di
buono,
rompete il cazzo. Che volete che faccia?!”.
“Io..non..”.
Lucifero
non attese altro
e si allontanò dal fratello, piuttosto infastidito. Accanto
all’angelo, che
riprese la sua preghiera, andò il piccolo Roslan,
incuriosito. Non capiva che
cosa stesse facendo Mihael con le mani giunte e gli occhi chiusi.
“Che
cosa fai?” domandò
con la sua vocina dolce, guardando in su.
“Prego”
rispose l’angelo,
semplicemente.
“Chi
preghi?”.
“Mio
padre”.
“Ti
ascolta?”.
“Io..non
lo so”.
“Anch’io
posso pregare il
mio papà?”.
“..sì,
in teoria..”.
“Come
si fa?”.
L’angelo
si chinò,
poggiando una mano sul capo del bimbo. Amava l’innocenza dei
piccoli! Il bimbo
congiunse le mani, come aveva visto fare all’angelo, ma
questi scosse la testa.
“Non
devi copiare quello
che faccio io” gli disse “Tuo padre non
è il mio. Metti le mani come ti viene
più naturale”.
Il
bimbo era perplesso. Si
guardò le mani e le mise una dentro l’altra, come
se una mano altrui la
stringesse.
“Ti
prego, papà..” disse,
serio “..torna a casa. Assieme alla mamma ed a Keros. Ti
voglio tanto bene.
Torna da me!”.
“Bravo..”.
“Dici
mi abbia
ascoltato?”.
“Ah..ma
certo! È il tuo
papà, no? Ti avrà sentito di sicuro!”.
Una
voce gentile lo
chiamava per nome.
“Roslan,
figlio mio!” la
riconobbe il Dio delle illusioni.
Quella
voce, così dolce e
limpida, era come un balsamo su ogni ferita e dolore. Quella preghiera
entrò
nelle vene del padre come fosse pura linfa vitale. Sorrise, cullato da
quella
sensazione. I legami si stavano allentando, riusciva a sentirlo. Ma,
così come
lo sentiva lui, lo stesso valeva per Ananke che creò altre
catene. Arles
però si dibatté da esse. Con
un sorriso, lanciò un grido e spalancò le
ali.
“Dovrai
lasciarmi andare”
gridò, con un ghigno da folle “Io non ti
appartengo! Io volerò di nuovo! Io
regnerò sul mio mondo!”.
I
cavalieri d’oro erano
perplessi e fissavano le creature del cielo, mentre queste fluttuavano
nell’aria. Lottare contro degli angeli? Era il caso? Non
dovrebbero incarnare
la perfezione, la bellezza assoluta, la giustizia? Eppure Keros ed
Eleonore
erano tremendamente risoluti, o almeno così sembravano.
Akaiah, il Serafino,
aveva l’aria triste. Non voleva combattere, lo si leggeva
negli occhi. Vereheveil,
con il suo grosso libro fra le mani, osservava il sanguemisto e sorrise
leggermente.
“Sai..”
disse “..quando
eravamo entrambi in cielo, io e Lucifero parlavano spesso. Anche da
giovane era
una mente piuttosto singolare. Più unica che raro, direi.
Ero affascinato da
quel che sapeva e scrivevo ogni cosa su questi miei libri. In te rivedo
quello
strano modo di fare, quella scontrosa cocciutaggine”.
“Non
so bene se sia un
complimento oppure un’offesa..” ammise Keros.
“Nessuna
delle due cose”
alzò le spalle Vereheveil “Solo una constatazione.
Mi piaceva Lucifero..prima
che facesse quel che ha fatto”.
“Sei
solo uno che non ha
avuto le palle di seguirlo”.
“Può
darsi..”.
“Adesso
basta” interruppe
Camael “Abbiamo degli ordini da rispettare”.
“Tristemente
vero..”
annuì Raziel.
“Un
attimo!” li
interruppe Eleonore “Posso solo sapere..chi vi da questi
ordini? È vostro
padre?”.
“Le
alte sfere ricevono
gli ordini direttamente da nostro padre, e noi obbediamo”
rispose Zadkiel,
fissando il Serafino.
“Akaiah..”
continuò lei
“..tu hai ricevuto questi ordini direttamente dalla bocca di
tuo padre?”.
“No”
ammise lui “Noi
agiamo secondo quanto suggerisce il nostro cuore ed il nostro cuore
è mosso dal
volere di nostro Padre”.
“Ma
perché vuole
questo?”.
“Il
suo disegno non sono
mai stato in grado di comprenderlo. Solo Sophia ci riusciva..ma per
colpa di
divinità pagane, ella è morta”.
“Roba
vecchia” sbottò
Milo “Per favore, fatevi da parte. Dobbiamo recuperare una
persona, se non vi
dispiace. Che vi stia sul cazzo quanto vi pare, scansatevi!”.
“Non
puoi parlarci in
questo modo, mortale!” si accigliò Raziel.
“E
perché no? Io sono
greco, sposato con la figlia di Ares. Non credo al vostro Dio, non ho
paura del
vostro diavolo. Perciò..”.
“Capisco..”.
“E
la stessa cosa vale
per tutti quanti noi. Tranne per il tizio biondo che è
buddista. Perciò, per
cortesia..fatevi da parte!”.
“Siete
dei pazzi. Noi non
sanguiniamo e non proviamo dolore. Come pensate di
sconfiggerci?”.
“Troveremo
un modo..”.
I
saint si prepararono a
colpire, nonostante molti dubbi nella mente. Vereheveil
sospirò, non avendo
alcuna intenzione di combattere. Aprì il suo libro e una
piuma candida iniziò a
scrivere. Narrava quello scontro, nei minimi dettagli. Narrò
dei colpi che i
cavalieri indirizzarono verso le creature del cielo, respinti con
facilità
dalla luce dei loro avversari.
“Ma..”
chiese Deathmask,
avvicinandosi a Keros “..se questi qui sono così,
Lucifero che è in grado di
fare?”.
“Nemmeno
lo immagini”
ghignò il mezzosangue “Ma purtroppo lui prova
dolore e sanguina. Per quanto
distruttivo sia il suo potere, non può far nulla contro un
corpo danneggiato”.
“Smettetela
di
pronunciare quel nome!” esclamò Raziel,
spalancando le quattro ali da
Cherubino.
La
penna di Vereheveil
scriveva rapida, su sottili pagine che si sfogliavano dolcemente, come
mosse da
un vento gentile. Scrisse della lancia di Camael, una volta appartenuta
a
Mihael, che cercò di colpire Keros ed abbatterlo. Scrisse
della moltitudine di
tecniche usate per tentare di scalfire quelle creature, che
però contro dei
mortali parevano essere incrollabili. Solamente i colpi di Keros fecero
vacillare i più bassi di livello. Camael era divenuto
più forte, una volta
ottenuto il ruolo temporaneo di generale delle truppe, ma questo non
scoraggiava il mezzosangue, consapevole del desiderio
dell’arcangelo di
ucciderlo. Anche Eleonore era in pericolo e questo lo incitava a
combattere
ancora più ferocemente. La freccia di lei, scoccata senza
timore, dissolveva
temporaneamente la luce degli angeli. Capendo questo, i cavalieri
agirono
all’unisono con lei. Mentre Keros e Camael si affrontavano
singolarmente, i
saint lanciarono colpi assieme alle frecce di Eleonore. Questo fece
sì che
alcuni di essi andassero a segno e stupì parecchio gli
avversari, che mai si
sarebbero aspettati una cosa simile. Chi era in realtà
quella donna? Come
potevano le sue frecce disperdere la luce degli angeli, anche se solo
per pochi
istanti?
“Io
rivoglio Mihael in
cielo!” sbraitò Camael, spingendo in terra Keros
con la sua lancia.
“E
che cosa ci posso fare
io?!” rispose il mezzosangue.
“Perché
sei nato?!”.
“E
io che cazzo ne so?!”.
La
piuma di Vereheveil
scorreva rapida ma improvvisamente si arrestò.
L’arcangelo la fissò in modo
strano: che stava accadendo? Mai fin ora aveva cessato di scrivere! Si
era
fermata ed era rimasta immobile, a mezz’aria. Vereheveil
provò a toccarla ma
non ottenne altro che vedere quella piuma mutare colore. Trovandolo a
dir poco
assurdo, l’arcangelo prese fra le mani il libro, tentando di
capire, ed anche
le scritte su di esso mutarono. Si fecero rosse e di colpo un occhio
dello
stesso colore si aprì al centro di quelle pagine. Vereheveil
lanciò un grido,
vedendo quell’immagine muoversi come fosse viva.
“Chi
ti ha evocato,
demone?” esclamò, non trovando un’altra
spiegazione.
L’occhio
si mosse ed
incrociò gli occhi azzurri dell’arcangelo, che ne
fu terrorizzato e gettò il
libro a terra.
“Fratello!”
si voltò
Akaiah “Che succede?”.
“Un
demone!” rispose Vereheveil
“Un demone si è impossessato del mio
libro”.
“Nessun
demone è dotato
di un simile potere!”.
“E
quello allora che
cazzo è?!”.
“Modera
il linguaggio..”.
Il
Serafino si avvicinò
al libro, che nel frattempo si era richiuso per la caduta. Ne
riaprì le pagine
e l’occhio si voltò di scatto, fissandolo.
“Oddio,
che cazzo è?!” si
tirò indietro Akaiah, serrando il volume e poi cercando di
riprendere un certo
autocontrollo.
“Dev’essere
opera di
Lucifero” commentò Raziel.
“Lucifero
non ha quello
sguardo” lo corresse Hamliel.
Il
Serafino prese
coraggio e si avvicinò di nuovo al libro.
“Non
lo fare!” si allarmò
Aniel “potrebbe essere pericoloso!”.
“Pericoloso
o no, qui
qualcosa non va!” furono le parole di Akaiah.
Eleonore
non comprese i
loro timori e riaprì il libro, sorridendo. Lei lo conosceva
bene quell’occhio e
non ne aveva di certo paura! Subito il cielo mutò,
ricoprendosi di piume rosse,
come se due enormi ali di quel colore si fossero dispiegate sulle teste
dei
presenti.
“Ma
che cosa..?” si
accigliò Camael.
“Che
diavoleria è
questa?” si chiese Requiel.
“Non
è che tutto succede
sempre per colpa del Diavolo..” scosse la testa Barkiel,
ricevendo in risposta
una smorfia da parte del fratello angelo.
“Ali?
Ali rosse? Rosse
come il sangue e non come il rosso dei Serafini? Ma che
succede?” farfugliò
Mebahiah, guardando in su.
“Ary!”
sorrise Eleonore
“Tranquillo. Stiamo arrivando”.
Una
pioggia di piume
avvolse i presenti e lo spazio iniziò a mutare.
“Questa
non è opera di
demoni o angeli” si arrese Akaiah “Ma di qualcosa
che va oltre ciò che ci è
dato modo di cambiare”.
Le
ali stavano
richiamando Keros, Eleonore ed i cavalieri, avvolgendoli in un
abbraccio che li
condusse all’ingresso della grotta. Le creature del cielo
rimasero a guardarsi,
incapaci di comprendere del tutto quanto successo.
“Forse..”
azzardò Requiel
“Il saggio Uriel saprà illuminarci”.
“Speriamo”
annuì il
Serafino “Io, sinceramente, non ci ho capito un fottuto
niente!”.
Ecco
anche il 25! Giusto un piccolo appunto: il capitolo 23
(innovazione) ha moltissime visite in meno rispetto a tutti gli altri.
Qualcuno
lo ha saltato? Il risveglio di Lucifero non serviva narrarlo? XD a lunedì prossimo!
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Capitolo 26 *** XXVI- Ibrido ***
XXVI
IBRIDO
“Rivoglio
i
miei occhi..” confessò Lucifero, a braccia
incrociate, frustando la coda.
“Tecnicamente..tu
sei nato con quegli occhi! Usa le lenti a contatto”
ironizzò Mihael “Con l’età
che avanza, potrebbero anche aiutarti con la vista che cala”.
“Io
ci vedo
benissimo! E queste stupide iridi sono così grosse che non
saprei come
coprirle, altro che lenti a contatto!”.
“Sto
scherzano! E poi sei il solito esagerato. Son solo un paio di occhi
azzurri..non è che di colpo sei diventato un putto dal
faccino paffutello ed il
pannolino!”.
“Vuoi
che
ti picchi?!”.
“Rilassati..sei
ridicolo!”.
Lucifero
fece per colpire il fratello, che però riuscì a
fermarlo.
“Sei
mancino?” domandò l’angelo.
“Lo
sono
sempre stato..”.
“Hai
le
mani gelide”.
“E
chi ti
dice di toccarle?! È colpa del veleno di
Drakonta..”.
“Non
riesci
a contrastarlo?”.
“Fatti
i
cazzi tuoi! E ti do un consiglio: sbrigati a tornare a casa. Da quando
sei qui,
mangi troppe schifezze. Se ingrassi troppo, poi non riuscirai
più a volare..”.
“Che
ti
fotte?! E poi..come volano i putti ciccioni dal faccino paffutello che
ho
citato prima, ce la fanno tutti. Appena la mia ala sarà
guarita, vedrò il da
farsi. Non sto mangiando troppo. Mi godo solo qualche dolce in
più..”.
“Peccato
di
gola, fratello”.
“Può
darsi..”.
Mihael
affondò il cucchiaio nella tazza che aveva davanti, colma di
densa cioccolata
calda con la panna. Kanon e Tolomeo avevano appena terminato le ore di
lezione
ai piccoli di casa, su precisa indicazione di Keros ed Eleonore. Come
ogni
giorno, i bambini dovevano leggere, scrivere e studiare. Quelle ore
erano terminate
ed ora i bambini correvano per casa. Sorrisero all’angelo ed
al demone,
facendosi sfiorare il capo da entrambi e giocando con la coda del
diavolo.
Ora,
nella
stessa stanza, si fissavano gli adulti di casa. Kanon, Tolomeo, Eris,
Lucifero,
Mihael ed Ares. Il demone ed il Dio della guerra non si sopportavano,
ma si
ignorarono, entrambi non in condizione di venire alle mani.
“Secondo
voi..” ruppe il silenzio Eris “Quanto tempo ci
metteranno a tornare? Parlo di
Keros ed Eleonore, ovviamente. Con Ary, si spera..”.
“Sai
dove
sia stato rinchiuso mio figlio, sorella?” le chiese Ares.
“No,
mi
spiace. Ho provato a scoprirlo, ma Zeus non si fida di me”.
Ares
scosse
la testa. Eris sorrise, d’istinto. Il fratello ed il demone
erano nella stessa
posizione, a braccia incrociate. I loro capelli neri, scombinati,
ricadevano
sul viso imbronciato. Una lieve ruga segnava quei volti, preoccupati e
stanchi.
“Scusate..”
interruppe Larya, entrando dopo aver bussato
“..c’è una donna qua fuori che chiede
di voi, signor Lucifero”.
“Una
donna?” chiese lui.
“Sì.
Pelle
bianca, capelli ramati, occhi viola..”.
“Lilith!”
sorrise il diavolo “Falla pure entrare. Non è
pericolosa”.
La
donna
degli inferi entrò nella stanza, seguendo il gesto
d’invito di Larya. Si guardò
attorno, incrociando lo sguardo di tutti i presenti. Che strana
compagnia, si
ritrovò a pensare. Un demone, un angelo, dei greci, un
egiziano ed un
precolombiano. Pareva l’inizio di una barzelletta..
“Mia
bella
bambola di porcellana!” la salutò Lucifero
“Come sono felice di vederti! Stavo
iniziando a sentirmi solo”.
“Sono
venuta a vedere con i miei occhi quanto mi è stato detto, Re
Lucifero” rispose
lei, rimanendo ferma accanto alla porta.
“E
che ti è
stato detto?”.
“Io
non c’ero
alla battaglia..”.
“Lo
so, mia
cara. Non vorrei mai che venissi danneggiata a causa di faccende
belliche. Che
mai ti han raccontato?”.
Lilith
si
decise a muoversi. Fissò Eris ed Ares, seduti uno accanto
all’altro, vicino al
fuoco. A fianco di Lucifero, lanciò un’occhiata a
Kanon e Tolomeo, in piedi oltre
il camino. Si accigliò leggermente notando Mihael, ma si
concentrò su altro. Si
voltò verso il demone e ci girò attorno,
osservandolo.
“Che
cosa
c’è?” alzò un sopracciglio
Lucifero, con un ghigno divertito “Ti sono mancato?
Vuoi che restiamo soli?”.
Lei,
con un
lungo abito nero e un profondo spacco, allungò la pallida
mano e si poggiò al demone,
facendosi stringere. Ne sfiorò quasi le labbra ma poi si
scansò di colpo.
“È
vero
quel che si dice?” mormorò “È
vero che hai tentato di strapparti gli occhi,
Lucifero? Quegli occhi così..disgustosi?”.
“Sì,
è vero..”
ammise lui, sempre ghignando “Vorresti aiutarmi?”.
“Te
li
caverei volentieri quegli occhi..” furono le parole di
Lilith, con una smorfia
di disprezzo “..ma non potrei far nulla per rimediare al
resto”.
“Quale
resto?!”.
“Puzzi
di
angelo!”.
“Che..?!”.
“Che
schifo..”.
“Credi
forse che io sia di nuovo un angelo?! Ma mi guardi?!”.
“Sì.
Ti
guardo”.
“E
ti
sembro un angelo?!”.
“Forse
non
d’aspetto. Ma nemmeno Keros sembrava figlio di quel fottuto
stronzo di Mihael”.
“Grazie..”
mormorò l’angelo, continuando la sua cioccolata.
“Perché
ci
ritroviamo ancora a parlare di questo, dopo più di 1300
anni?! Non ti ho chiesto
io di crescerlo!” sbottò Lucifero “Io ho
proposto ad Asmodeo di prendermi cura
personalmente di Keros, da solo. È stato lui ad insistere ed
è stata una tua
scelta autonoma!”.
“Che
pezzo di
merda che sei! Mi hai mentito ed ingannato. Se avessi saputo che era
figlio di
Mihael, non lo avrei mai allattato ed allevato!”.
“Ma
che
cazzo dici?! Io non ti ho mai mentito! Ed Asmodeo sapeva che Keros era
figlio
di un angelo!”.
“Sì,
ma non
sapeva di quale angelo! E non mi ha svelato tutto questo”.
“Sono
problemi vostri, non miei! Io non ho..”.
“Asmodeo
doveva ammazzarti, lo sai? Lo meritavi. Hai tradito la tua
specie!”.
“Quale
specie? Inoltre, mia cara, ti ricordo che tu ed io non siamo della
stessa famiglia.
Tu sei una donna, creata per soddisfare Adamo. Ti sei rifiutata e sei
stata
cacciata. Io ti ho accolta, quando non avevi un posto dove andare. Tu
sei
quello che sei grazie a me, non dimenticarlo”.
“Mi
disgusti”.
“La
cosa
non mi riguarda, ingrata puttana degli inferi. Torna da dove sei
venuta, torna
a farti fottere da Asmodeo e da chiunque. Io ti ho reso libera. Se
è questo il
tuo modo di ringraziarmi..allora sii pure schiava di qualunque demone
ti
desideri. Fin ora ti ho protetta, ma ora la cosa non mi interessa.
Scelta tua.
E avvisa Asmodeo: appena starò meglio, lo farò
pentire di tanta insolenza ed
arroganza. Supplicherà il mio perdono”.
“Non
ti
conviene rimettere piede all’inferno. Vogliono tutti la tua
morte”.
“Magari
potrei mandare loro un regalo..”.
Lucifero
ringhiò, afferrando per il collo Lilith, che
lanciò un gemito. Il demone strinse
forte e lei supplicò perdono, mentre gli altri presenti
della stanza
suggerivano al demone di controllarsi.
“Vattene”
sibilò lui,
lasciandola andare di colpo
e gettandola a terra “Ti ho vista crescere. Da quel primo
giorno, in cui ti ho
accompagnata nel mio regno, sei cambiata, divenendo sempre
più splendida. Non
voglio uccidere una rosa così bella, una tale opera
d’arte..ma sparisci dalla
mia vista, o mi costringerai a farlo”.
Lilith
ansimò, riprendendo fiato.
“Tranquillo..”
riuscì a dire “..non mi vedrai più. Io
sono riconoscente al re dei demoni, non
a questa specie di ibrido in cui ti sei ridotto”.
“Ibrido?!”.
Lei
si
allontanò, svanendo alla vista dei personaggi della casa.
“Fatti
un
goccio” suggerì Ares, porgendo un bicchiere al
demone e riempiendolo in parte
di un qualche strano superalcolico “Non ci fare troppo caso.
Le donne..”.
“Che
fai?!”
ringhiò Lucifero “Mi compatisci?”.
“Certo
che
no!”.
Il
diavolo
bevve solo un sorso e poi lanciò il bicchiere sul fuoco.
Kanon protestò, non
volendo spegnere incendi. Mihael rimase concentrato sulla cioccolata,
lievemente allarmato, e Lucifero accompagnò quel gesto con
un “Troia” detto a
gran voce. Poi lasciò la stanza, sbattendo la porta. Eris e
Mihael si alzarono,
volendo raggiungerlo. Ares però bloccò
l’angelo, con un ghigno, assicurandolo
di lasciar fare a sua sorella.
“Lucifero!”
chiamò la Dea della discordia.
“Lasciami
stare!” furono gli ordini del demone, che si sforzava di
riuscire a raggiungere
la sua stanza e chiudersi dentro “Per oggi ne ho abbastanza
di femmine e cose
simili. Voglio solo dormire”.
“Aspetta!”.
Eris
riuscì
ad anticiparlo, approfittando del fatto che il demone era ancora
piuttosto
impacciato nei movimenti per colpa delle ferite. Si parò
davanti alla porta
della camera, sfidando lo sguardo d’odio di Lucifero.
“Vuoi
che
strangoli anche te?” domandò lui, serio,
inclinando la testa “Che c’è? Ti
eccita?”.
“Voglio
solo parlarti. Le parole di quella donna ti hanno turbato, e non
è giusto che
tu sia turbato, perché non hai fatto nulla di sbagliato e
non c’è nulla di
sbagliato in te”.
“Non
sono
turbato. Sai con chi hai a che fare? Sono il diavolo. Nulla di
sbagliato?!”.
“E
che cosa
pensi di fare? Vuoi davvero tornare all’inferno a punire chi
ti ha offeso?”.
“Se
Lilith
pensa queste cose di me..allora tutto l’inferno le pensa! Per
poter tornare a
regnare ed ottenere il rispetto dei miei sottoposti, dovrò
sconfiggere tutti
quelli che mi sfidano e sottometterli”.
“E
tu hai
voglia di farlo?”.
“Non
lo so.
Ma penso di non avere alternative..che altro dovrei fare? Darmi
all’uncinetto e
passare le giornate a giocare a canasta? E poi devo andare pure a
prendere le
mie cose! Gli abiti di mio nipote hanno le spalle talmente larghe che
ci navigo
nelle sue giacche! E ora gira al largo. Inizio a pensare che tu ti sia
fatta
strane idee e te lo dico subito: io, come demone, non conosco
l’amore. Non so
che cosa sia, e non lo provo”.
“E
se non
fossi più un demone?”.
“Può
darsi
che non lo sia più. Ma di certo non sono un
angelo”.
“Non
sei un
demone? Non sei un angelo? Ma a chi interessa? Sai che cosa vedo
io?”.
“Non
ha
importanza..”.
“Io
vedo un
uomo. Un uomo dallo sguardo fiero, non importa di che colore sia.
È fiero ed
orgoglioso, segno di chi ha combattuto a lungo nella vita. Le battaglie
si
vincono e si perdono, succede a tutti, ma tu sei sempre andato avanti,
qualsiasi cosa sia successa. E sarà lo stesso anche ora.
Queste cicatrici..sono
traccia di ogni singolo scontro che hai affrontato lungo la tua
esistenza e
dovresti sfoggiarle con orgoglio. Che importa che pensa quella donna?
Lei non
fa che vedere un solo lato di te, non tutto l’insieme. Stessa
cosa fanno gli
angeli. Io ho due
volti, lo sai? Io sono
l’insieme di essi. E tu sei così. Sei un insieme
di cose che ti rendono unico e
magnifico. Sai come sono fatte le gemme più belle e
luminose? Con migliaia di
sfaccettature! D’ombra e di luce, migliaia di angoli diversi
che le rendono
uniche e magnifiche. Non so quanto queste parole possano confortarti o
schiariti le idee, però ci tenevo a dirtelo”.
Lucifero
rimase in silenzio. Lei gli sorrise, per pochi istanti, pronta a
spostarsi e
lasciare che entrasse in stanza. Lui rimase fermo e pure Eris,
piuttosto
confusa da quella strana faccia, non sapendo bene che cosa fare. Lo
sguardo del
demone era puntato su di lei ma non era più minaccioso o
inferocito. La
fissava..e poi la baciò. Adorava i complimenti e quella Dea
era sincera, non
parlava solo perché lo voleva adulare in cerca di qualcosa o
perché ne era intimorita
e voleva pietà. Era strano. Era abituato ad avere tante
donne intorno ma ad
ognuna di esse incuteva un certo timore, oppure gli erano del tutto
sottomesse.
Fin ora solo Lei, Sophia, l’aveva trattato in quel modo: solo
e solamente Sophia.
Ella non aveva paura, non chinava il capo dinnanzi a lui, e quella Dea
faceva
lo stesso. Eris era orgogliosa, fiera..come Sophia! Solo che, in quel
caso, non
vi erano divieti o strani tabù. Era quasi liberatorio! La
strinse a sé e la
spinse in quella camera, con foga demoniaca. Lei solo qualche istante
tentò di
fermarlo, preoccupata per le ferite provocate da Drakonta, ma poi
lasciò che
accadesse. Era già successo in passato e doveva ammettere
che non vedeva l’ora
che accadesse di nuovo. Era passionale, era violento, era
istintivo..era qualcosa
di non molto adatto a chi era in via di guarigione ma la cosa non
preoccupò
minimamente il diavolo che sentiva davvero il bisogno di sfogare quella
sua
voglia. Eris lo strinse a sé, passando una mano lungo il
fianco ferito e la
spalla. Lui lanciò un gemito, di dolore e piacere. La loro
unione si protrasse
più a lungo di quanto Eris avesse mai sperato e
gridò eccitata in più di
un’occasione.
“Ti
direi
che sono in paradiso..ma non mi sembra rispettoso”
mormorò la Dea, con una mano
affondata fra i capelli del demone, che si sollevò
leggermente e la guardò in
viso, con un ghigno.
“Il
tuo
labbro sanguina” continuò poi lei, passandoci
sopra il pollice.
“Non
penso
sia il labbro” rispose lui, sentendo in bocca ed in gola il
sapore del sangue
“Ma sta tranquilla: ho affrontato ferite ben più
gravi di queste”.
“Sicuro?”.
“Fidati”.
Con
un
mezzo sorriso, Lucifero si lasciò cadere nel letto e lei
rimase ad osservarlo,
leggermente impensierita. Anche sulle sue mani vi era del sangue ma il
demone
pareva non preoccuparsene minimamente. Sforzandosi di riuscire a
fidarsi, lo
guardò addormentarsi e gli rimase accanto, osservandolo
mentre riposava, avvolta
in parte da quelle grandi ali nere.
“State
all’erta” commentò Kiki
“Sicuramente ci sarà qualche trappola”.
“Hai
ragione..” annuì Keros “..sicuramente.
Ma la via è questa”.
La
grotta
dove Ananke era rinchiusa era buia e piuttosto tetra. Ne avevano appena
varcata
la soglia e già si riusciva a percepire più di
una presenza. La piuma rossa del
Dio delle illusioni brillò, illuminando la via.
“Avverto
cosmi ostili” furono le parole di Shaka, camminando nella
quasi totale oscurità.
“Sì,
anch’io” annuì Aiolos.
Eleonore
incitò il gruppo a proseguire con un “per di
qua” e seguì Keros, le cui ali
argento brillavano leggermente. Lei si concentrò, ricordando
chi fosse la sua
famiglia, e pure lei si accese, seppur lievemente.
“Vedervi
mi
rammarica” si sentirono dire “Ma lo dovevo
immaginare che, infine, sareste
giunti per tentare di salvare il vostro amico”.
“Apollo?”
scosse la testa Shura “Cosa ci fai qui?”.
“Io
e i
miei fratelli siamo stati messi qui da nostro padre Zeus, per
sorvegliare la
grotta. Ci diamo i turni, in questo momento siamo io ed Hermes. Presto
giungerà
la mia amata sorella Artemide”.
“Non
siamo
nemici, lo sai bene” tentò di fare il diplomatico
Kiki “Chiediamo solo di
avvicinarci ad Ananke e..”.
“E
che
cosa?! Lo ha mangiato! Lo avete visto tutti! Cosa pensate di
fare?”.
“Cerca
di
essere più delicato!” lo zittì Hermes,
raggiungendo il gruppo a braccia
incrociate “Questa povera fanciulla piange il suo
sposo!”.
Riferendosi
ad Eleonore, il Dio si esibì in un elegante baciamano,
chiedendo perdono da
parte del fratello maggiore.
“Ci
sta
chiamando” si sentì rispondere da lei
“Da poco abbiamo ricevuto un segno.
Dobbiamo liberarlo e non sarete voi a fermarci!”.
“Abbiamo
ricevuto un ordine, sono spiacente”.
“Ma,
andiamo! Fino a poco tempo stavate a picchiarvi per decidere chi
è degno di
regnare sull’Olimpo e ora ve ne state qui ad obbedire come
bravi bambini al
volere di Zeus?”.
“Padre
Zeus
ci ha detto che il Dio delle illusioni è morto”
interruppe Apollo.
“Ed
io so
che non lo è! Che cosa vi cambia?”.
“Come
pensate di aiutarlo? Anche se fosse in vita, che pensate di fare?
Smembrare
Ananke?”.
“Se
sei
così curioso, lasciaci passare. E lo vedrai”.
“Se
vi
lasciassi passare, incorrerei nell’ira di mio padre e vi
vedrei crepare. Non
otterrete null’altro!”.
“Se
non ci
lasci passare, incorrerai nella MIA ira, che ti assicuro è
pari se non peggiore
a quella di Zeus!”.
“Non
essere
ridicola. Tu sei solo un’umana, compagna di una
divinità. Non possiedi un
potere in grado di turbarmi. Ed assieme a te vi sono solo un manipolo
di
cavalieri e un ibrido mezzo angelo”.
“Io
non
sono solo un’umana..”.
“Eleonore..”
le mormorò Keros “..tranquilla. Ci pensiamo
noi”.
“No!
Non
dirmi quel che devo fare, perché lo so!”.
Con
un
movimento rapido, richiamò a sé l’arco
e la freccia. Apollo, per nulla
impressionato, la fissò incuriosito. Davvero voleva sfidare
lui, una delle
divinità più abili in assoluto con
quell’arma? Ma Eleonore mirava altrove. La
sua freccia argento corse veloce e raggiunse la parete alle spalle del
Dio, che
sorrise divertito.
“Non
hai
una buona mira..” commentò.
“Sei
tu che
non capisci un cazzo” scosse la testa Hermes, mentre la
parete si sgretolava e
mostrava ciò che celava: Ananke imprigionata.
Keros
afferrò
Eleonore, lei guardò i cavalieri che annuirono. Il mezzo
demone scattò,
consapevole che Hermes si sarebbe mosso ancora più in
fretta. Ma Mur, grazie
alla telecinesi, si frappose fra loro, permettendo al mezzosangue ed
alla sposa
di Arles di andare oltre.
“Ci
pensiamo noi a loro” annuì Milo, ghignando
divertito e puntando il dito contro
Apollo “Andate a recuperare quel caso umano di nome
Arles!”.
Eleonore
si
lasciò sfuggire una risatina. Keros corse, afferrandola per
mano, trovando in
quel momento le sue ali piuttosto ingombranti. Per potersi spostare
più
agilmente, le celò ed i due raggiunsero Ananke. Lei gridava,
dimenandosi, e la
piuma rossa di Arikien brillava intensamente.
“Ananke!”
gridò Keros “Lascia subito andare il mio signore!
So che è colpa sua se gridi
così, il suo potere non riesci a contenerlo!”.
“Spezza
le
mie catene” sibilò lei “Ma io ne creo
delle altre e stringo più forte. Ha aperto
le sue ali ma ora gliele spezzerò. E spezzerò le
vostre vite!”.
Il
mezzo
demone trovò divertente quella frase. La Dea era incatenata,
imprigionata dal
potere di Zeus, che non riusciva a domarla ma ne impediva la fuga.
“Lo
rivoglio” insistette Keros “Ridammelo”.
“Citando
Phobos: Molon Labe” ghignò Ananke.
“Come
vuoi..” si accigliò Eleonore, preparando
l’arco.
Ma
Keros la
fermò, ricordandole che all’interno di
quell’enorme creatura vi era il Dio
delle illusioni e rischiava di ferirlo.
“E
allora
che facciamo?” chiese lei, avvilita “Devo stare qui
a guardarla mentre lo
uccide?”.
“Certo
che
no! Ce lo riprendiamo!”.
I
due si
guardarono, ed entrambi capirono perfettamente quel che dovevano fare.
Lasciarono
che il cosmo di Ananke li avvolgesse e li assimilasse. Era
un’idea folle, ma
era l’unica che balenò nelle loro menti: farsi
mangiare.
Ma
ciao a tutti!! Capitolo 26! Ormai siamo al
“giro di boa”, ci avviamo verso il finale (ci
saranno in tutto 30 capitoli).
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Capitolo 27 *** XXVII- Indelebile ***
XXVII
INDELEBILE
Ares
e
Lucifero, nella stessa stanza, non era mai una cosa buona. Ma in quel
caso, i
due si ignoravano a vicenda. Mihael li teneva d’occhio,
leggendo un libro. Il
demone giocherellava con la solita mela, steso sul divanetto a cui
ormai si era
affezionato.
“Hai
per
caso una sigaretta?” domandò il Dio della guerra.
“Tieni”
rispose Lucifero, offrendogli il pacchetto “Io per un
po’ è meglio che le
eviti”.
“Cazzo,
deve farti male davvero..”.
“Non
è il
dolore quanto la mancanza di fiato. Attualmente ho un solo polmone
funzionante..”.
“Capisco.
Grazie, comunque, Satana. Posso chiamarti Saty?”.
“No.
Assolutamente no! Scordatelo!”.
“Ok..ok..ad
ogni modo..ci terrei a farti sapere che io voglio molto bene a mia
sorella Eris
e non voglio che soffra”.
“E
allora
tienila lontana da me”.
“Non
credo
di poterlo fare”.
Lucifero
passò la mela dalla mano alla coda e viceversa, trovando la
cosa alquanto
stupida e vagamente divertente. Ares fissò la scena
perplesso.
“Comprendo
l’odio che hai provato” continuò il Dio
“Quando mi sono avvicinato a tua sorella
Sophia..”.
“Non
ti sei
avvicinato. Te la sei scopata! Ma è passato un po’
di tempo, non voglio
pensarci”.
“Non
ferire
mia sorella. Non si è mai legata a qualcuno. È la
prima volta che la vedo così,
e non ne comprendo la ragione. Ma per qualche motivo..è
felice accanto a te”.
“Dovrebbe
smetterla di esserlo. Inoltre, lei è innamorata di te.
Dovresti accontentarla,
e la faccenda si risolverebbe, senza che lei abbia a che fare con un
coso come
me”.
“Stai
cercando di irritarmi? Oggi che cerco di fare il gentile con
te?”.
“No.
Ti sto
dicendo la verità. Verità che ho ripetuto
più e più volte a tua sorella Eris”.
Con
una
piroetta, la mela finì in alto e Lucifero allungò
il braccio per prenderla al
volo ma il dolore alla spalla lo bloccò ed il frutto
finì in terra, fra i piedi
di Eris.
“Che
cosa
mi hai ripetuto più e più volte?”
domandò lei, raccogliendo la mela e
porgendola al demone.
“Di
starmi
lontano”.
Lei
sorrise,
sedendosi e sfiorando la fronte del demone disteso, con il dorso della
mano.
“Hai
preso
le medicine che ti ha dato Apollo?” parlò piano
“Scotti un po’..”.
“Sì,
mammina” prese in giro lui.
“Non
fare
lo scemo!”.
“Ma
io sono
scemo”.
Lucifero
mostrò la lingua ed Eris scosse la testa, divertita.
“Devo
andare a prendermi cura dei miei pronipoti”
annunciò poi la Dea “Mi lasci
andare?”.
“Io
non ti
trattengo mica” storse il naso il demone, con entrambe le
mani attorno alla sua
preziosa mela.
“La
coda..”.
Lucifero
mosse la testa, notando che effettivamente la coda si era attorcigliata
attorno
alle gambe di Eris.
“Scusala..”
sorrise, ghignando “..si fa prendere
dall’entusiasmo”.
“È
felice
di vedermi?”.
“Può
darsi..chi lo sa..”.
Eris
scambiò un breve e piccolo bacio con il demone e poi si
alzò. Chiamò con sé il
fratello, ordinandogli di darle una mano con i vari nipoti, i figli di
Arles,
che correvano e strillavano per casa. Ares, sospirando,
lasciò la stanza e per
il corridoio si udì il grido “Nonno
Ares!” ed il rumore di piedi di bimbi e
gridolini d’entusiasmo. Gli erano quasi tutti saltati addosso
per giocare.
“Ma
che ti
prende?” domando Mihael, fissando il fratello maggiore che a
sua volta fissava
la mela.
“Perché?”
chiese Lucifero.
“Dimmelo
tu..”.
“Non
mi
prende niente. Sono di buon umore. A volte capita..”.
“Hai
fatto
la treccia ai capelli!?”.
“Sì,
uno dei
tanti marmocchi della casa ci teneva tanto a farmela..”.
“Ti
sei
addolcito..”.
“No.
Sto
solo cercando di ignorare il passato. Questo rende tutto più
facile”.
“Se
lo dici
tu..”.
“Che
cerchi
di insinuare?”.
“Niente..”.
Lucifero
fece per ribattere quando udì qualcuno suonare il piano.
Erano note che si
interrompevano e poi ricominciavano. Il demone, incuriosito,
lasciò la stanza e
si avvicinò allo strumento. Davanti ad esso, stava Sophia,
la giovane figlia di
Arles ed Eleonore.
“Conosco
quello sguardo” commentò Lucifero.
“Ah,
sì?”
mormorò lei, mordendosi il labbro.
“Già.
È lo
sguardo di chi ha nella testa una musica e vorrebbe suonarla,
trovandone le
note”.
“Esatto”
annuì lei “E non ci riesco! Ho fatto un sogno,
stanotte”.
“Davvero?
Che genere di sogno?”.
“Assurdo,
direi”.
“Racconta..”.
“C’eri
anche tu!”.
“Sul
serio?
E che facevo? Niente di perverso, spero”.
“Cantavi.
È
c’era una melodia così bella.. Era così
bella che la voglio ritrovare!”.
“Cantavo?!
E che cosa cantavo?!”.
“Una
canzone..romantica”.
“Romantica?!
Oh, sì..hai fatto proprio un sogno strano! Ma lascia che ti
aiuti”.
Il
demone
sedette accanto alla ragazza, osservandone i movimenti delle dita sui
tasti
d’avorio.
“Cantami
questa canzone” continuò poi “Vediamo se
riesco a coglierne le note”.
“Cantare?
Io?” farfugliò Sophia, arrossendo “Ma
no! Io..non voglio cantare! Mi
vergogno!”.
“Perché
ti
vergogni?! Di che cosa?!”.
“Perché
io
ti ho sentito. Ho sentito la canzone per il mio fratellino, per farlo
addormentare. Hai una voce..splendida”.
“E
tu credi
di essere da meno? Suvvia..sei un angelo! Sai che cosa fanno gli angeli
tutto
il giorno, quando non hanno altre mansioni da svolgere?”.
“No..”
ammise la giovane.
“Cantano.
Cantano le lodi di loro padre e stanno lì a
fissarlo”.
“Davvero?”.
“Sì..”.
Lucifero
fissò la ragazza con una strana espressione e poi
mimò il gesto di premere il
grilletto di una pistola fatta con la mano contro le proprie tempie.
Sophia
rise.
“Quindi..”
ridacchiò lei “..ti sei creato l’inferno
per sfuggire alla noia?”.
“No,
bambina. Ma..è una storia che zio Miky sarà
più che felice di raccontarti. Ora
che sei un angelo, non devi sentire certe cose da me. Ah, a
proposito..bella
aureola”.
“Grazie..la
tua com’era?”.
“Non
è un
argomento di conversazione. E ora su..sono sicuro che canti
magnificamente.
Coraggio. Vediamo di risolvere la faccenda”.
Sophia
prese un paio di respiri, in imbarazzo, poi iniziò a
cantare. Era un testo
triste, malinconico. Lo sguardo di Lucifero si fece distante e mosse le
mani,
iniziando a suonare e continuando anche quando la ragazza si
zittì.
“È
lei!”
sorrise la ragazza “Fa proprio così! Anche se io
l’ho stonata un po’. Oh, è
magnifica! La conosci? Mi sembra di conoscerla da sempre. Come quei
carillon
che ti regalano da bambini, che riapri dopo anni ed hai un tuffo al
cuore.
Forse era una ninnananna di quando ero piccina, ma proprio non
ricordo”.
“Hai
cantato molto bene..”.
“Grazie.
E
grazie per aver trovato le note. Me le scrivi?”.
“Certo.
Io..ti posso dare anche il testo, se vuoi”.
“Ma
è una
canzone famosa?”.
“No,
non
direi. Ma la conosco piuttosto bene”.
“Oh.
Forse
l’ho sentita proprio da te quando ero bambina!”.
“Non
credo,
Sophia..”.
“Va..tutto
bene?”.
“Sì.
Ho..bisogno di aria. Mi gira un po’ la testa”.
“Vuoi
che
usi ancora il mio potere di guarigione?”.
“No.
Tranquilla..”.
“Non
allontanarti dal portico. Fuori diluvia!”.
Il
demone
si alzò e camminò lentamente, uscendo
all’esterno della casa. Pioveva a dirotto
ma non ci fece caso. Anzi..provò quasi liberatorio sentire
l’acqua sul viso. Vi
fu un tuono ed un lampo. Mihael sobbalzò: che tempo
tremendo!
“Allora..”
iniziò Deathmask “..voi siete due. Noi siamo
in..quattordici! I dodici segni,
il gemello doppio e il Sacerdote. Facciamo che vi arrendete
subito?”.
“Voi
siete
mortali” non si scompose Apollo “Noi siamo due
Dei”.
“Come
se
questo fosse un problema..”.
“Se
vi fa
schifo la vita..”.
“Ci
sottovaluti? Non te lo consiglio, sai?”.
“Chiacchiere.
Solo arroganza umana, ecco quel che siete”.
“Se
ti
spacco la faccia, allora sì che la vedi la mia
arroganza!”.
“Death!”
sbottò Kiki “Cerchiamo di non scaldarci troppo.
Specie se di fronte hai
Apollo..”.
“Insolenti”
si stizzì Apollo ed Hermes gli lanciò una strana
occhiata.
Le
due
divinità avevano un ordine e corsero per raggiungere Ananke,
con l’intento di
fermare Keros ed Eleonore, ma i cavalieri bloccavano il passaggio.
“Non
andrete oltre” esclamò il Leone.
Hermes
si
mosse rapido, come sempre. Però i fulmini di Aiolos e Aiolia
riuscirono a
colpirlo, anche se solo di striscio. Il Dio capì che
probabilmente aveva
sottovalutato quelle creature.
“Quanto
siete noiosi!” si accigliò Apollo, evocando la sua
armatura dalla luce
accecante.
Hermes
seguì l’esempio del fratello maggiore e
compì lo stesso gesto.
“Bene,
vedo
che finalmente fate sul serio!” sorrise compiaciuto lo
Scorpione “Non mi
piaceva l’idea di affrontare dei tizi in gonnella
greca!”.
“Ve
ne
pentirete. Tutti quanti!”.
I
due Dei
tentarono di nuovo di scavalcare i cavalieri, che però erano
uniti e decisi,
senza alcuna intenzione di retrocedere o abbassare la guardia. Il
potere di
Apollo si infiammò ed il Dio lanciò un grido,
fiondandosi contro gli avversari.
Hermes fu meno avventato ma raggiunse in un lampo i saint, iniziando a
colpirli.
“Come
ha
osato quell’ibrido greco darvi da bere l’ambrosia?!
È inammissibile!”.
“Fatti
i
cazzi tuoi!” rispose Milo, lanciando una cuspide contro il
Dio del sole.
Urlandosi
insulti vari, i cavalieri e gli Dei si affrontarono. L’intera
grotta tremò, scossa
da cosmi che bruciavano ed esplodevano. Le divinità si
stupirono nel vedere
quanto potere potessero sprigionare quei mortali dalla vestigia
d’oro. Forse la
vittoria non sarebbe stata una cosa rapida e scontata..
“Fratello!”
chiamò a gran voce l’arcangelo guerriero
“Fratello, che cosa fai? Sta
diluviando! Torna dentro!”.
Lucifero
lo
ignorò. Si era allontanato dalla porta e dal colonnato.
“Torna
dentro!” ordinò ancora Mihael, raggiungendolo
“Che cosa combini?!”.
“Quando
Sophia è morta..” iniziò a parlare il
demone, dopo l’ennesimo tuono “..ho
supplicato papà. Ho chiamato a gran voce il suo nome,
implorandolo di far
finire tutto questo. Mi sono gettato in ginocchio ed ho gridato la mia
resa. Mi
arrendo, ho ripetuto. Basta! Ma..non è successo nulla. Mi
sono dovuto rialzare,
nonostante non sapessi più che strada intraprendere. Sono
passati gli anni e
ultimamente mi ero convinto che era giusto così, che per me
c’era in serbo un
diverso destino. Eris, la battaglia, mio nipote..ok..mi ero convinto
che
facesse parte tutto di un disegno alternativo, di un nuovo inizio. Ma
poi..”.
“Poi?
Fratello, mi spaventi..”.
“Poi
è
tornata lei. È di nuovo lei. Sophia..”.
“Lei
è la
figlia di Arikien ed Eleonore. È la nipote di Sophia, non la
vera Sophia. È
nostra nipote, non nostra sorella..”.
“Quella
canzone..l’ho scritta per lei. Per la mia amata sorella,
quando sono caduto. È
indelebile nella mia mente e la conosceva lei e lei
soltanto..”.
“E..anche
se fosse? È tornata. Dovresti essere contento!”.
“Non
la
toccherei nemmeno con un dito. È una bambina e, anche se non
lo fosse, è la
figlia di Arikien. Ed è un angelo. È un modo come
un altro per dirmi: non
l’avrai mai. L’hai aspettata, ma anche stavolta non
potrai averla. Anche
stavolta rimarrai a guardare. E se non ti limiterai a guardare..ecco
che ti
ricorderò il tuo posto, modificando quegli occhi come il
cielo. La mia amata
sorella, colei che abbracciavo, non tornerà mai
più. Non è un nuovo inizio,
Mihael. È un fottuto cerchio. È il solito fottuto
cerchio. Ed io non ce la
faccio e ripercorrerlo di nuovo punto a capo..forse è un
bene che il veleno mi
stia consumando..”.
“Ma..che
dici? Io sono qui, tu sei qui. Siamo diversi. È tutto
diverso!”.
“Non
ho un
posto dove andare. Ero riuscito quasi a voltare le spalle a questo
Ouroboros
cosmico ma..lei è tornata. E per quanto io mi illuda..la amo
ancora”.
“Ami
Sophia. Ami nostra sorella. Che è morta. Lei è
sua nipote. Forse ha dei ricordi
latenti della nonna, ha qualche connessione ma..tu puoi voltare le
spalle a
tutto e ricominciare! Lo puoi fare”.
“Sono
così
stanco..ho freddo..”.
Il
demone
strinse la spalla, ferita da Drakonta. Sotto la pioggia battente, si
inginocchiò. Mihael fece un passo, per avvicinarsi di
più, e sobbalzò. Vi era
del sangue in terra, molto sangue.
“Che
cos’hai?” si allarmò “Il
veleno?”.
“Uccidimi!”
mormorò il demone “Uccidimi e torna in cielo da
eroe. Così saremo entrambi
contenti, no?”.
“Non
dire
assurdità!”.
“Perché
non
mi ascolti?” gridò Lucifero, furioso, rivolto a
un’entità non precisata “Posa i
tuoi occhi su di me! Sono stanco! Basta!”.
Qualcosa
nel cielo mutò. Un’ombra si tinse del colore del
sangue versato ed un grande
occhio si spalancò, sospeso. Era rosso e fisso. Ma poi
sbatté e l’iride si
tinse di verde, circondata dal colore del sangue.
“Arikien?”
si stupì il demone “Sei tu? Il tuo..occhio
sinistro?”.
L’occhio
si
mosse leggermente, fissando Lucifero.
“Che
succede, fratello?” domandò Mihael, chinandosi
accanto al demone “Ammetto che
questa cosa mi inquieta..”.
“Inquieta
pure me..”.
L’occhio
fissò entrambi, sbattendo un paio di volte.
“Che
dobbiamo fare, Ary?” chiese l’angelo caduto
“Che dobbiamo fare?”.
Spalancandosi
e poi tornando normale, quell’occhio sospeso era strano, e
sempre più grande.
“Il
mio
occhio è su di te” parlò una voce,
quella del Dio delle illusioni “Non sei
curioso di sapere dove porta?”.
Lucifero
si
rialzò, a fatica. Nonostante le proteste di Mihael,
allungò una mano verso
quello sguardo. Sophia, vedendo da lontano quanto stava accadendo,
corse e
raggiunse i due. Riconobbe l’occhio del padre e si
spaventò, stringendo
istintivamente il braccio all’angelo guerriero. Questi a sua
volta afferrò il
braccio del fratello maggiore, invitandolo a fermarsi. Ma Lucifero era
curioso,
come sempre, e non resistette. Allungò ancora la mano e
sfiorò quell’iride. Si
spostò e, non appena fu sopra la pupilla, percepì
il vuoto sotto la mano e si
sbilanciò. Cadde e trascinò con sé
Mihael e Sophia. L’occhio sbatté ed i tre
svanirono.
“Dove
siamo?” si chiese Keros, fluttuando e tenendo Eleonore per
mano.
Con
le ali
richiuse e celate, del tutto inutili, seguì ancora la piuma
rossa e finalmente
lo vide: Arles! Incatenato e legato, il Dio aveva la bocca serrata in
una morsa
fatta di fili rossi.
“Ary!”
gridò Eleonore, con un sorriso.
“Aspetta!”
la fermò il mezzosangue “Qualcosa non
va..”.
Altri
nastri e catene erano apparsi in quel luogo buio e la piuma rossa si
era
arrestata, immobile a mezz’aria. Molte altre creature
comparvero, ed i due
videro che non vi era un solo Arles.
“È
una
trappola” commentò Eleonore, allarmata.
Catene
e
nastri rossi già li avvolgevano, tenendoli stretti.
Gridarono e si agitarono,
senza riuscire a spezzarli.
“Ary!”
gridò lei, prima che anche la bocca le venisse chiusa da
quei nastri scarlatti.
Pronti
al prossimo capitolo iper trip assurdo?
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Capitolo 28 *** XXVIII- Iride ***
XXVIII
IRIDE
“Che
razza
di posto è? Dove siamo?” si chiese Mihael.
Dopo
un
volo nel nulla, lui, Lucifero e la giovane Sophia erano finiti a terra
e si
stavano rialzando lentamente. Si guardarono attorno, senza riconoscerne
alcun
dettaglio.
“Dove
ci
hai portato?” domandò ancora l’angelo,
rivolto al fratello maggiore.
“Ma
io che
ne so?” rispose lui “Non dare la colpa a
me”.
“Ed
a chi,
se no? Dai..andiamocene da qui”.
“Tutto
bene?” domandò Sophia, fissando il demone.
“Sì,
ho
solo perso un po’ di sangue. Andiamo..”.
I
tre
camminarono per un tratto, fra l’erba bassa ed i fiori. Come
posto, era davvero
bello ma decisamente innaturale. Poi, in un attimo, iniziò a
diluviare.
“Oh,
no!”
sospirò la ragazza, non sapendo con cosa ripararsi.
Chinò
la
testa con già i capelli bagnati e di colpo non
sentì l’acqua sulla pelle.
“Ma
che..?”
si chiese.
“Sono
impermeabili” si limitò a dire Lucifero, coprendo
con le ali da demone sia la piccola
Sophia che Mihael.
Dopo
non
molto strada, il livello dell’acqua iniziò a
salire.
“Che
palle!” sbottò il diavolo “Erano scarpe
italiane! Sono del tutto rovinate!”.
“È
colpa
tua se siamo qui!” lo accusò l’angelo
“Perciò non lamentarti!”.
“Ma
che ho
fatto io?!”.
“Chi
ha
fatto comparire quell’occhio? Io?”.
“No,
ma non
sono stato io!”.
“Lo
sai che
il tuo sangue è potente. Hai praticato
un’evocazione!”.
“Non
dire
cagate, Mihael! Non ho fatto proprio niente!”.
“Smettetela
di litigare!” alzò la voce Sophia
“Usciamo di qui. L’acqua sta salendo
ancora”.
La
pioggia
era violenta ed i tre facevano sempre più fatica ad
avanzare. Il tempo avverso
impediva ai due fratelli di insultarsi di nuovo. L’acqua
saliva rapidamente e
ben presto si ritrovarono immersi fino alla cinta. Sophia
celò le ali, capendo
che in quel caso erano solo d’intralcio . Mihael, avendo
l’ala ferita, non
riuscì a fare lo stesso e questo lo rallentò
notevolmente perché le sue piume
si appesantirono.
“Restiamo
uniti” gridò Sophia, per farsi sentire fra tuoni,
lampi e pioggia battente.
Ora
al trio
toccava nuotare ma l’angelo, con le ali pesanti e il braccio
bloccato, si trovò
subito in difficoltà.
“Ma
che
fai? Affoghi?” finse di sfotterlo il demone, tenendolo su
“Certo che papà con
queste ali ha donato un bell’impiccio, eh? Si vede che in
paradiso non piove!”.
Mihael
non
rispose, usando le energie per riprendere fiato e per non lasciare la
presa del
fratello.
“Per
di
qua!” indicò la giovane.
“Come
lo
sai?” le rispose Lucifero.
“Me
lo
sento. Fidati di me! Andiamo!”.
“Ho
alternative?”.
L’alternativa
era affogare ma la ragazza si muoveva sicura ed il demone la seguiva,
seppur a
fatica e con il fratello tenuto stretto.
“Una
luce!”
riuscì a dire lei, prendendo Lucifero per mano “Ci
siamo!”.
Sotto
di
loro, quella luce si espanse e si tinse di verde. In mezzo
all’acqua, erano
tutti sfiniti ma quella luce li rassicurò qualche istante.
“Quello
è
il suo occhio!” sorrise Sophia.
“Quale
occhio?” ansimò il demone, poi riuscendo a
scorgerlo sott’acqua.
“L’occhio
di Eleonore! L’occhio di mia madre!”.
Appena
la
giovane ebbe pronunciato quelle parole, l’acqua
iniziò a fluire. Come attratta
dall’iride gigante di Eleonore, creò un vortice ed
il trio ne finì risucchiato.
Poi anche quella palpebra sbatté ed il gruppo si
ritrovò altrove. In quello
stesso istante, Eleonore fu liberata dai legami di Ananke e fu di nuovo
in
grado di muoversi.
“Dove
siamo
adesso?” ansimò Mihael, lieto di sentire il
terreno sotto di sé e l’aria nei
polmoni.
“Vattelappesca”
rispose Lucifero, tenendosi il petto ferito.
“Risposta
esauriente” storse il naso, sarcastico, l’angelo.
“Lascia
che
riprenda fiato un attimo e poi ti metto le mani addosso, piumino per la
polvere!”.
“Voglio
proprio vedere, pipistrello bagnato”.
“A
chi hai
dato del pipistrello?! Vedi mo dove ti infilo la coda!”.
“Basta
voi
due!” li interruppe, per l’ennesima volta, Sophia
“Ma fate sempre così? Mi
avete rotto!”.
“Hai
ragione” annuì Mihael “Dobbiamo uscire
di qui. E poi picchiarci”.
“Sì,
concordo” si scosse il demone, per togliersi un po’
d’acqua di dosso “Dove
cazzo siamo?”.
“Te
l’ho
chiesto prima. Boh..”.
“Bene..”.
Il
trio si
incamminò. Faceva caldo, così le loro vesti ed i
loro corpi si asciugarono in
fretta. Però non si vedeva nulla, se non il terreno nero ed
il cielo aranciato.
“Sembra
quasi l’Inferno..” furono le parole
dell’angelo, dopo un po’.
“Tu
che ne
sai?” ridacchiò Lucifero.
“Faccio
supposizioni..”.
“Del
tutto
errate..”.
“L’Inferno
è meglio o peggio?”.
“Perché
lo
chiedi?”.
“Perché
con
la faccenda di Keros e tutto il resto..mi sa che finirò da
quelle parti”.
“Io
non ti
voglio all’Inferno! Fra i piedi costantemente tutto il
giorno?!”.
“Potresti
torturarmi, penso..”.
“In
effetti..molti dei miei demoni fremerebbero all’idea. Ma al
momento la faccenda
è complicata, lo sai..”.
“Già..”.
“Su,
intanto usciamo da qui. Siamo una bella squadra, vero Sophia? Siam tre
piccoli
porcellin, siamo tre fratellin. Mai nessuno ci dividerà,
trallalallalà!”.
“Hai
bevuto?!” sbottò Mihael, mentre Sophia
ridacchiò.
“Su,
sei
troppo serio!” lo stuzzicò il demone
“Preferisci altre citazioni? Il numero tre
è abbastanza usato. I tre moschettieri? Tu sei quello che si
fa prete..”.
“E
tu sei
quello pervertito!”.
“Lo
so!
Oppure potremmo essere..cenerentola e le due sorellastre. I tre topini
ciechi. Qui,
Quo, Qua. Don Chisciotte, Dulcinea ed i mulini a vento. Otello,
Desdemona e
quello stronzo di Jago..”.
“Ok..basta..ho
capito..ti è tornato il buon umore?”.
“Incredibile,
vero? Mi sa che sono bipolare..”.
“Qualche
problema lo hai di sicuro..”.
“Grazie,
Miky! Anch’io ti voglio bene!”.
Sophia
rideva e questo rilassava gli animi. Camminarono ancora per un tratto,
iniziando ad avere un gran caldo.
“Mihael..”
parlò Lucifero, mezzo nudo “..non è che
puoi fare un fischio a papà? Magari
passa a prenderti e noi ci accodiamo..”.
“Non
ha
segnale..”.
“Ah
ah, che
battuta! Dico davvero!” storse il naso il maggiore, con tono
sarcastico.
“Pure
io
dico davvero! Non riesco a parlarci”.
“Sei
fottuto..lo sai? Quando non ti parla più, vuol dire
che..”.
“Lo
so. Per
questo ti ho chiesto dell’Inferno”.
“Oh,
suvvia. Sarà solo un momento. Sei debole e intontito e poi
papà ha sempre fatto
i capricci. Vedrai che prima o poi risponde. Lasciagli in messaggio in
segreteria”.
Mihael
fissò il fratello, non sapendo che cosa rispondere ad una
cazzata di quel
calibro, e continuò a camminare. Era l’unico della
compagnia che si ostinava a
non togliersi nulla di dosso. Sophia aveva arrotolato la veste,
scoprendo in
parte le gambe, e raccolto i capelli. Lucifero, abituato a temperature
piuttosto elevate, era a torso nudo e su di esso si vedevano le bende
insanguinate.
“Questo
è
peggio dell’Inferno!” commentò
“Almeno all’Inferno succede qualcosa!”.
“E
il
Paradiso com’è?” cambiò
argomento Sophia.
“Noioso.
Ma
non devo parlartene io..” rispose il demone, con una smorfia
divertita.
“Zio
Mihael..se io salissi in cielo, come mi è stato proposto,
che cosa dovrei fare?
Che mansione avrei?”.
“Non
saprei
dire..” ammise l’angelo.
“Ma
è vero
che, quando non avete compiti da svolgere, cantate?”.
“Sì.
Ma io
non ho mai avuto modo di farlo, se non da bambino. Fin dalla caduta, il
mio
compito è stato sorvegliare i demoni che si aggiravano per
il mondo e non ho
avuto molto tempo libero”.
“Capisco..ma..io
non sono una guerriera. Che potrei fare? Dammi delle opzioni”.
“Hai
il
potere di guarigione. Anche se è ancora debole, potresti di
certo migliorare e
divenire una taumaturga, come Rahael. Oppure seguire le orme di tua
nonna
Sophia, divenendo una studiosa, come Uriel..”.
“Ma
non
sono entrambe cose che potrei fare anche senza ascendere?”.
“Può
darsi.
Deciderai tu. Per ora direi che l’importante è
uscire di qui”.
Una
piccola
luce compariva e svaniva lungo il terreno nero. Simile ad un fuoco
fatuo,
andava e veniva. Lucifero la fissava, arricciando la coda curioso e
cercando di
afferrarla, come farebbe un gatto. Mihael osservò la scena,
non sapendo bene se
esserne imbarazzato o infastidito. Sophia invece trovò la
cosa divertente.
Quando finalmente il demone riuscì a mettere un piede sulla
luce, questa si
dissolse e si moltiplicò. Piccole fiamme si mostrarono, in
punti diversi, e poi
svanirono di nuovo, tornando ad essere un’unica luce accanto
al piede di Lucifero.
Il demone alzò un sopracciglio.
“Fallo
ancora!” ordinò Sophia.
“Cosa?”.
“Calpesta
la luce!”.
Il
diavolo
non ne capì l’utilità ma
obbedì e successe di nuovo la stessa cosa.
“È
una
danza!” capì la ragazza
“Spostati..”.
Prendendo
il posto del demone, la giovane sfiorò la luce e
seguì le altre che si
sprigionarono dopo di essa. Con movimenti rapidi dei piedi, le
raggiungeva e ne
creava di nuove.
“È
una
danza!” ripeté ballando, con un sorriso, invitando
Lucifero e Mihael a fare lo
stesso.
I
due
fratelli si fissarono, perplessi. Poi il demone alzò le
spalle, seguendo una
luce che ne aveva raggiunto i piedi scalzi. L’angelo rimase
immobile,
nonostante quella lucetta insistente gli lampeggiasse davanti. I
movimenti di
Sophia e di Lucifero si intrecciavano ed a volte le loro luci si
scambiavano.
Si moltiplicavano, facendo cambiare colore al terreno.
“Che
state
facendo?!” arricciò in naso Mihael “Con
questo caldo..voi avete le forze per
perdere tempo in questo modo?!”.
“Avanti!
È
quel che dobbiamo fare!” gli sorrise Sophia.
“Come
lo
sai?”.
“Lo
so e
basta! Non è difficile”.
“Dai,
smettila di fare il cazzone e danza!” ghignò
Lucifero, sfiorando le mani della
ragazza e poi allontanandosi con un movimento altrettanto rapido.
“Ma
non so
come si fa”.
“Cosa?!
A
smetterla di fare il cazzone?!”.
“No!
A
danzare. Io sono un angelo, gli angeli non danzano!”.
“Se
per
questo gli angeli nemmeno si riproducono. Perciò zitto e
muoviti!”.
Mihael
strinse i pugni, desideroso come non mai di picchiare il fratello. Ma
capì che
non era quello il momento: doveva attendere.
Sophia,
con
un sorriso, raggiunse l’angelo a passi di danza e gli porse
le mani. L’arcangelo
la fissò. Poi fissò i suoi piedi: quella luce
pareva chiamarlo. Inoltre i
movimenti del demone e della ragazza stavano creando un disegno in
terra. Era
un occhio! E capì che doveva unirsi a quel ballo per aprire
un varco ed
andarsene da quel luogo. Era impacciato, non abituato ad agire
istintivamente
come invece faceva sempre il fratello maggiore.
“Non
seguire uno schema” suggerì lei
“Lasciati solo guidare da quelle luci. La
musica è dentro di te..”.
Effettivamente
Mihael iniziò a sentire una musica e si mosse. Era strano,
era assurdo, ma si
ritrovò a sorridere, seppur solo leggermente, deridendo la
sua stupidità. Ma
stava funzionando! I contorni di quello sguardo si stavano delimitando,
accendendosi di luce e tingendosi di un intenso color ambra.
“Carmilla?”
azzardò l’angelo, comprendendo poi in pochi
secondi che quello era l’occhio di
suo figlio Keros.
“Keros!”
ne
chiamò il nome e l’occhio si accese, infiammandosi.
Sophia
sobbalzò, venendo protetta subito dalle ali
dell’arcangelo.
“Per
di
qua” indicò Mihael “Attraverso le
fiamme”.
“Sophia
non
può passare attraverso il fuoco!” gli
ricordò Lucifero.
“La
proteggerò io. Venite con me”.
Il
demone
fissò quell’incendio. Tentò di fidarsi
del fratello e lo seguì. L’arcangelo
guerriero strinse Sophia, proteggendola, e si gettò
nell’iride del gigantesco occhio
del figlio, venendo inghiottito dalle fiamme.
Passati
oltre, i tre si ritrovarono in un luogo completamente buio e,
all’interno di
Ananke, Keros fu libero dalle catene che lo imprigionavano. Il
mezzosangue vide
Eleonore e le sorride, muovendosi rapido per raggiungere il suo
signore,
circondato da creature a loro volta bloccate in quel luogo.
“E
adesso?”
si chiese Lucifero “Prima io e Sophia abbiamo aiutato te,
Mihael, a non
affogare. Poi io e te, fratello, siamo passati oltre le fiamme
proteggendo
Sophia. E ora?”.
“Ora
torniamo a casa! Non ne posso più!”.
Il
corpo di
Mihael si era acceso di tatuaggi e disegni, che lentamente stavano
svanendo.
“Il
tuo
braccio!” commentò Sophia. “È
guarito! E anche le ali!”.
L’arcangelo
lo notò solo in quel momento e mosse le dita, finalmente in
grado di farlo. Non
capì perché lui fosse guarito mentre il fratello
no e si ostinava ad essere
privo di luce. Era strano vedere Lucifero senza luce! Ed ammetteva di
sentirsi
un po’ in colpa per questo..
“Andiamo”
si
sentì dire dal fratello maggiore, che pareva affaticato.
“Dove?
Non
vedo niente all’orizzonte”.
“E
allora
ogni direzione sarà lo stesso..”.
Il
trio si
mosse, in cerca di un segno o di un qualsiasi tipo di traccia sulla
strada da
prendere. Lucifero aveva celato le ali, trovandole solo un impiccio
pesante, in
mezzo al nulla. Poi una figura si avvicinò, lentamente.
“Non
siamo
i soli?” sorrise Sophia.
“Basta
che
quel qualcuno non voglia ucciderci o fare altre cose
strane..” commentò Mihael.
La
figura,
lievemente brillante, camminò senza far rumore. Era
un’ombra bianca che però,
appena giunta sufficientemente vicina, si fece riconoscere.
“Lady
Sophia!” mormorò Mihael, inchinandosi davanti a
lei.
“Alzati”
rispose lei e la sua dolce voce riempì lo spazio vuoto di
riccioli di colore.
“Sophia?
Mia..nonna?” domandò la giovane figlia di Arles ed
Eleonore.
“Sì,
bimba.
Vuoi abbracciarmi?”.
“Sì!”.
Le
due si
abbracciarono, mentre Mihael si rimetteva in piedi. Lucifero rimase in
silenzio, poi barcollò. Il veleno di Drakonta lo stava
consumando, e finì con
un ginocchio a terra.
“Oh,
Sophia!” parlò la ragazza “Sei qui con
noi giusto in tempo! Aiuta Lucifero con
il tuo potere di guarigione! Il veleno di Drakonta è troppo
forte ed io non
riesco a curarlo..”.
“Un
serpente che si fa uccidere da un altro serpente..” si
sentì dire dalla nonna
“..che cosa quasi ridicola. Vero, fratello?”.
Si
chinò,
sfiorando con le dita il volto del demone e fissandolo negli occhi.
“Dove
siamo?” disse lui.
“Nella
mente di mio figlio. Attraversando quell’occhio, vi siete
entrati, passando da
Eleonore e da Keros. Vi trovate in una parte dell’universo
che rappresenta
l’essenza di mio figlio Arikien, come gli piace farsi
chiamare”.
“Il
suo
vero nome..lo sai solo tu”.
“Te
lo
dirò, forse..”.
“Come
mai
sei qui?”.
“Mio
figlio
esiste grazie a me, è ovvio che nel profondo del suo essere
ci sia io. Se
guardi attentamente, vedrai anche molte altre tracce di altro che lo
rappresenta”.
Alzando
lo
sguardo, il trio effettivamente iniziò a vedere diverse
figure. Vi erano dei
guerrieri, dei cavalieri, delle voci e del sangue. Shion fissava con
occhi
vuoti i presenti e poi si dissolse. Sì udì il
grido di rabbia del Dio della
guerra e le urla di incitamento dei cavalieri d’oro, quella
volta in cui tutti
avevano trovato la morte contro il Muro del Lamento.
“Come
usciamo da qui?” continuò Lucifero, rialzandosi a
fatica.
“La
piccola
Sophia è entrata in contatto facilmente con lo sguardo di
sua madre,
permettendovi di passare oltre. Mihael doveva solo sciogliersi un
po’ per
entrare in sintonia con suo figlio e farsi meno pippe mentali. Tu..tu
sei un
caso strano, fratello. Ci sono delle cose che devi sapere”.
“Dimmele”.
Il
demone
allungò le mani verso la sorella, che si lasciò
cingere.
“Fosse
così
facile..” sorrise lei “..fosse come sempre, che
basta un mio bacio o un mio
sorriso per farti agire come devi, lo farei. Ma in questo caso,
è diverso”.
“Di
che..di
che parli?”.
“Parlo
di
un po’ tutto quel che ti è capitato..”.
“Sophia..io..”.
“Tu
mi ami,
lo so”.
“E
mi
manchi. Mi manchi tanto”.
“Lo
so. Ma
c’è un piccolo dettaglio che non ti ho mia detto e
che ora ti dirò: ciò che
provi..non è ciò che provo io”.
Lucifero
si
limitò a fissarla, inclinando leggermente la testa.
“Fratello..faceva
tutto parte di un piano. Ed il tuo amore per me ha scatenato tutto. Ma
io non
ti amo. Sono la Sapienza, sono al disopra di certi sentimenti. Mi
ecciti, dal
punto di vista fisico, ma l’amore è una cosa molto
diversa”.
“Ma
che
cosa..? Che significa tutto questo?”.
“Smettila
di aspettarmi e cercarmi. Staccati da tutto questo e cresci!
Cambia!”.
“Sono
cambiato tante di quelle volte..”.
“Lo
so. Noi
angeli invece siamo immutati, come quando sei stato cacciato. Non
è cambiato il
nostro aspetto ed il nostro cuore”.
“Mihael..”.
“Mihael
è
cambiato. Sta cambiando. Ma ha capito la verità. Lui era
innamorato di Carmilla
ed è un’unione fatta di passione e fuoco che ha
generato Keros. Tu che cosa hai
capito? Che cosa aspetti a seguire il tuo destino?”.
“Destino?”.
“Smettila
di cercare di essere te stesso. Come puoi essere te stesso, se non sai
chi sei?”.
“Io
so chi
sono!”.
“E
non devo
essere io a curarti. Ti arrangerai da solo..come hai sempre fatto.
È così che
vanno le cose, e certe cose non cambiano mai”.
Con
uno
strano sorriso, Sophia spalancò le ali e si dissolse.
Lucifero rimase qualche
istante immobile poi barcollò di nuovo e finì in
terra.
“Fratello!”
chiamò Mihael “Tutto bene?”.
“È
una
domanda retorica?” gemette il demone, tenendosi il petto.
“Io..non
capisco..”.
“Nemmeno
io..”.
“Dov’è
finita nonna Sophia?” domandò la piccola Sophia
“E perché ha detto quelle cose
e non ti ha guarito? Stronza!”.
“Coraggio,
alzati” incitò Mihael “Dobbiamo
proseguire”.
“Non
ne ho
le forze. Il veleno mi sta contaminando il sangue ed ormai ha raggiunto
il cuore.
Mi sento bruciare. Non potrò fare ancora molta
strada..lasciatemi qui, vi
rallenterei”.
“Sophia
ha
detto che come sempre ti arrangerai da solo. Perciò un modo
c’è”.
“E
quale?
Io non sono più un guaritore! E quella donna mi ha riempito
l’esistenza di
bugie! Inoltre..non so se ha molto senso che io mi muova da
qui..”.
“Non
dire
scemenze. A costo di portarti in braccio fino all’uscita!
Alzati! Usciamo di
qui..se poi, una volta fuori, vorrai comunque morire..ti
darò una mano!”.
Sophia
si
chinò, tentando di usare il suo potere di guarigione.
Purtroppo non era
sufficiente e produsse solo qualche scintilla.
“Non
so se
può servire..” parlò, richiamando
ancora potere “..ma..se un uomo mi dedicasse
una canzone come quella che hai cantato a Sophia, e che io ho
ricordato,
io..come minimo piangerei commossa. Ma il cuore delle donne
è complicato, ed è
difficile farvi breccia. Io ho ricevuto un sacco di proposte, ma a
nessuno ho
detto di sì. Però..so che vi è una
donna che ti aspetta. Una donna che ti ama
davvero. Credo che dovresti smetterla di pensare a chi ti ha ingannato
e
rivolgere lo sguardo verso chi spera davvero di vederti tornare. So che
non è
facile..”.
“È
complicato..”.
“Lo
so. Ma
dovremmo uscire da qui, non credi? E poi riflettere. Io so ora qual
è la mia
strada..”.
Il
demone
si sforzò di alzarsi a sedere, con un sospiro ed un brivido
di dolore. Lo
scenario iniziò a mutare, divenendo di colpo bianco ed
accecante. I tre si
strinsero l’uno all’altro, venendo avvolti da
quella luce. Riaprendo gli occhi,
Mihael sobbalzò, riconoscendo subito il luogo.
“Lucy!”
esclamò “Siamo a casa! È la
città degli Angeli! Guarda! Dai, ora ti porto da
papà.
Lui ti guarirà di sicuro!”.
“Stai
delirando..”.
Lucifero
si
guardò attorno, tentando invano di rialzarsi.
“Non
sapevo
vi fossero tanti piccoli angeli..” commentò,
celando ogni aspetto demoniaco e vedendo
piccole creature alate che si inseguivano fra nuvole e architetture
candide.
“Non
ce ne
sono!” si stupì Mihael “Un attimo..quel
bambino è..Uriel!”.
Il
piccolo
si voltò, udendo il suo nome.
“Questo..non
è il presente! Siamo nel passato!” capì
l’arcangelo guerriero.
“Ottimo.
Mi
mancava un viaggio nel tempo..”.
“Il
tuo
sarcasmo ora non è appropriato. Non capisci? È
perfetto!”.
“Perdonami..sono
troppo debole per comprendere il ragionamento incasinato degli
angeli..”.
“Lucifero!”
gridò Mihael.
“Sono
qui!
Non serve che gridi!” protestò il demone, che
venne zittito dall’angelo.
Uriel
si
era avvicinato ai tre, curioso, ma una voce lo chiamò per
nome. Mihael alzò gli
occhi, vedendo scendere lentamente dalle scalinate una creatura
angelica che
emanava una luce spettacolare, con i capelli e le vesti mossi da un
vento
piuttosto coreografico. Uriel rise e raggiunse quell’angelo.
“Quello
è
Lucifero?” sussurrò Sophia.
“Già”
rispose Mihael “Prima che..beh..lo sai. Ma non deve sapere di
avere di fronte
se stesso. Sarebbe un vero casino..”.
“Cazzarola
se era bello..”.
“Sì,
in
effetti..”.
Il
Lucifero
demoniaco, lanciò un’occhiata al fratello minore,
non sapendo se prenderlo a
sberle o insultarlo. In entrambi i casi, non ne aveva le energie e si
stese,
trovando le nuvole piuttosto comode.
“Voi
siete..angeli?” azzardò il Lucifero angelico
“Vedo le vostre ali. Ma
lui..cos’è?”.
“Un
paradosso” gli rispose il Lucifero demoniaco.
“Credevo
che solo io e mia sorella Sophia fossimo adulti, o quasi. Sono
circondato da
bambini..”.
“Frustrante?”
azzardò Sophia, comprendendo la sensazione, essendo la prima
di una marea di
figli.
“Lo
ammetto: spesso sì. Dover sempre fare l’adulto che
da l’esempio, anche se non
si sa dove andare a parare, a volte è sconfortante. Ma
cambiamo argomento: voi
da dove venite?”.
“Da
molto
lontano” rispose Mihael “Da così lontano
che nemmeno immagini..”.
“Supponevo
ci fossero altre città ed altri mondi con altri angeli ma
fin ora non ne avevo
avuto la certezza. Che vi è capitato? Il paradosso
sembra..ferito. E strano. Ma
il suo sguardo è come quello di tutti noi, perciò
non può essere tanto male,
no?”.
Il
demone
ridacchiò e Mihael, accucciato ancora accanto a lui, gli
piantò le unghie nel
braccio, sibilando che doveva tacere e stare fermo.
“Abbiamo
affrontato un mostro” rispose Sophia.
“Un
mostro?” chiese conferma il Lucifero angelico.
“Sì,
un
serpente. Un serpente gigante che lo ha morso e lo ha ridotto
così”.
“Spaventoso!
Devo..chiamare mia sorella. È lei la guaritrice”.
“No,
grazie” sbottò il demone “Preferirei non
ritrovarmela davanti, per un po’..”.
“Conoscete
mia sorella? Ah, ma certo. Lei è la sapienza, immagino che
aiuti molti. Sono io
la lucetta che deve fare da baby sitter..”.
“Aiutaci,
per favore” mormorò la giovane Sophia
“So che puoi farlo”.
“Si
è fatto
male?” domandò una vocina, appartenente ad un
piccolo angelo.
Mihael
si
riconobbe, e sorrise a se stesso.
“Sì,
ma ora
lo faccio stare meglio. O almeno ci provo..” fu la risposta
del fratello
maggiore.
“Posso
guardare?”.
“Ma
certo,
piccolo..”.
Il
Lucifero
angelico si chinò accanto al se stesso demoniaco, dando
un’occhiata alla
ferita.
“Dimmi..Lucifero..”
iniziò a parlare il demone “..che vuoi fare? Nel
futuro, intendo”.
“Ho
alternative? Nostro padre ci crea per uno scopo ed è quello
che dobbiamo
seguire”.
“Questo
è
ciò che ti è stato detto?”.
“Questo
è
ciò che so..”.
“E
perché
credi a tutto ciò che ti dicono? Io non sono un angelo,
Sophia racconta un
sacco di stronzate, ma sei annebbiato dai sentimenti che provi per lei
e non
dovresti”.
“Zitto,
Satana!” ringhiò il Mihael adulto.
“Satana?”
alzò un sopracciglio il Lucifero angelico “Che
razza di nome è? Scusa..non
volevo essere irrispettoso”.
“Non
mentirmi” ghignò il demone “Non mentire
a te stesso, vuoi riempirmi di insulti
dopo quel che ho detto di Sophia. Ed ora dimmi: cosa vuoi fare? Cosa
vuoi dal
tuo futuro?”.
“Nel
mio
futuro? Voglio essere la luce. La luce più bella ed
accecante del cielo”.
“E
se
questa luce..si dovesse spegnere?”.
“Anche
le
stelle si spengono, prima o poi. Ma, prima di farlo, devi proprio
vedere che
spettacolo in cielo! Ed io voglio essere così. Prima di
spegnermi, voglio essere
come una supernova, che tutti ricorderanno. Libero, per
l’eternità”.
I
due
Lucifero di fissarono, con lo stesso strano sorriso, e
l’aureola dalle forme
spigolose dell’angelo emise un lampo.
“Da
dove
avete detto che venite, voi?” si chiese l’angelo,
mentre il demone provava
sollievo dalla vicinanza di quella luce.
“Non
ha poi
così tanta..importanza” gli sorrise il demone,
percependo qualcosa di strano
dentro di sé.
Come
una
stella, di colpo ricominciò a brillare. Era guarito e si
illuminò
all’improvviso, rialzandosi e spalancando le ali. Quelle ali
da demone
spaventarono i piccoli presenti, che corsero a raggiungere
l’angelico Lucifero.
L’angelo fissò chi aveva di fronte, d’un
tratto capendo chi fosse.
“Il
prezzo
per la libertà è alto” parlò
il demone “Ma so che questo non ti
fermerà”.
L’angelico
non sapeva cosa dire. Sentì una lacrima rigargli il volto ed
il demone gli
sorrise.
“Dopotutto..non
è tanto male..”.
I
due
Lucifero si fissarono ancora ed il diavolo notò che le sue
ali da demone non
erano più sole. Sulla schiena si erano spalancate anche
delle ali da angelo, di
colore scuro, che si protesero verso il cielo, per un totale di tre
paia. Guardò
in su, vedendo un grande occhio aprirsi: l’occhio del Dio
delle illusioni.
“Ma
che..cos’è?” farfugliò il
Lucifero angelico, mentre i fratellini gli si
stringevano attorno e lui cercava di proteggerli con le ali.
Il
demone,
l’angelo guerriero e Sophia presero il volo, raggiungendo
quell’immenso occhio
che aveva riempito il cielo. Lanciando un’ultima occhiata al
se stesso
angelico, con quello sguardo così confuso e quei capelli del
colore
dell’orizzonte terso, senza alcun segno sul corpo e senza
macchie sul cuore..Provò
quasi nostalgia ma scosse la testa: non voleva essere un eterno
bambino! Con un
grido, raggiunse e sorpassò il nero della pupilla, seguito
da Mihael e Sophia. Per
qualche istante, quell’occhio sospeso gli parve tremendamente
familiare. Un
occhio che aveva visto millenni indietro.. Nel buio, i tre videro
scorrere
immagini dal passato. L’aspetto di Lucifero che mutava e che
intrecciava il suo
destino con quello di Arikien. Il loro primo incontro in Egitto ed i
cambiamenti che il Dio delle illusioni aveva affrontato, in
così poco tempo.
“Solo
mio
fratello poteva essere un tale paradosso da farsi curare da se
stesso” commentò
Mihael.
“Sono
speciale. E se devo cambiare ancora..lo farò. Dopotutto..mio
nipote è cambiato
in altrettanti modi in molto meno tempo di me! Se la morte è
sempre l’unica
vincitrice, alla fine, mi spiace deluderla ma per questa volta
dovrà attendere.
Nessuno vince, nessuno perde”.
“E
adesso?
Dove andiamo?”.
“Da
chi ha
creato tutto questo. Perdona il ritardo, nipote mio, ti ho evocato e
non ti ho
ancora risposto. Eccomi!”.
Il
demone
lanciò un grido, espandendo ulteriormente la propria luce.
Gridò un nome, che
si diffuse nell’aria e si ripeté. Nastri rossi,
catene e buio. Ma quel nome
spezzò ogni legame. Il trio si ricongiunse a Keros ed
Eleonore, che stavano
tentando di sciogliere quel che tratteneva il Dio delle illusioni. Il
vero nome
di quel Dio, ripetuto da Lucifero, lo liberò.
“Siete
qui!” furono le prime parole che disse “Siete tutti
qui, finalmente!”.
Spalancò
le
ali rosse, ora di dimensioni di molto superiori al solito, ed avvolse
tutti i
presenti . Prese con sé tutte le creature imprigionate nel
corpo di Ananke,
Eleonore, Keros, Mihael, Lucifero e Sophia. Poi protese ancora di
più le piume,
circondando i cavalieri d’oro, che ancora combattevano contro
Apollo ed Hermes.
“Dove
andiamo adesso?” si allarmò Sophia, mentre
Eleonore abbracciava forte il suo
sposo.
“Fuori”
si
sentì rispondere.
Ed
un’immensa luce si espanse, assieme al grido di Ananke.
Scusate
per le dimensioni di questo capitolo,
ma dividerlo in pezzi non aveva senso :P a presto!
E
grazie per tutti i commenti!
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Capitolo 29 *** XXIX- Improvvisare ***
XXIX
IMPROVVISARE
Kanon
guardava verso l’alto. Accanto a sé, Eris e Larya.
“Ma
sei
sicura?” domandò lui, rivolto a Discordia.
“Li
ho
visti svanire” confermò lei.
“Assurdità!
In questa casa succedono sempre assurdità!”.
D’un
tratto, l’occhio del Dio delle illusioni riapparve in cielo e
da esso ne
uscirono il Dio stesso, assieme a Keros, Eleonore e tutti gli altri.
Kanon e le
due donne furono travolti e non riuscirono a schivare la folla di
gente.
“Bentornati!” rise Larya, quando si
accorse di quanto
successo.
“Che
è
successo? Dove siamo?” si guardò attorno Milo,
rialzandosi.
“Dovrai
spiegarmelo..” mormorò Lucifero al nipote
“E dirmi quel che è reale e quel che
ti sei inventato”.
“A
che ti
riferisci?” ghignò Arles.
Pioveva
ancora ed il Dio sbuffò un “basta”
stizzito, facendo smettere un po’.
“E
questi
chi sono?” chiese Kanon, notando molte facce nuove.
“Creature
prigioniere assieme a me. Ora sono libere. Andate pure!”.
Gli
uomini
e le donne si inchinarono dinnanzi ai loro salvatori e si dispersero,
ancora
confusi. I cavalieri si dissero che era il caso di tornare da Atena e
comunicarle che tutto era andato a buon fine.
“Siamo
vivi?” si chiese Mihael “Non ho capito molto bene
che è successo..”.
“I
giochetti di mio padre sono esilaranti, vero?” sorrise Sophia.
Il
Dio si
era alzato e si stava dirigendo verso casa, con Eleonore fra le
braccia. Keros,
rimasto seduto fra Mihael e Lucifero, sorrise. Accanto a sé,
alcuni dei bimbi
della casa erano venuti a salutarlo.
“Hai
ancora
le ali d’angelo?” domandò
l’arcangelo.
“Sì..”
rispose il mezzosangue, che in quel momento le celava, come per buona
parte del
viaggio.
“Immagino
che..il tuo signore dovrà insegnarti a volare”.
“Sinceramente..”
ammise Keros, vedendo il corpo mezzo scoperto dalle vesti stracciate
del Dio
delle illusioni “In questo momento vorrei tanto che mi
insegnasse
qualcos’altro”.
“Keros!
Ci
sono i bambini!” ridacchiò Lucifero e Mihael non
capì.
“Dai,
rientriamo. Voglio farmi una doccia” ghignò il
sanguemisto e tutti seguirono il
suo esempio.
Dopo
una
doccia e qualche pezzo di dolce, si sentivano tutti molto meglio. I
bambini a
fatica erano stati rimessi a dormire, nonostante l’entusiasmo
per aver riavuto
i genitori.
“Keros..”
mormorò Eleonore, comparendo nella sala del camino
“..perché non porti una
fetta di dolce ad Ary?”.
“È
nella
sua stanza. Starà riposando..” rispose il mezzo
demone.
“Sì,
ma non
dirà mai di no ad un dolcetto”.
Keros
non
comprese del tutto lo strano sorriso di Eleonore, misto fra la
tenerezza ed il
sollievo. Incoraggiato da quello sguardo, il sanguemisto prese un
piatto con un
po’ di torta e si alzò, raggiungendo le sale del
suo signore. Nel buio, lo vide
assopito fra i cuscini. Poggiò il piattino, il
più delicatamente possibile, ma
il Dio aprì comunque gli occhi.
“Scusatemi..”
mormorò Keros, con un mezzo sorriso.
“Per
cosa?”.
“Per
avervi
svegliato”.
“Non
importa. Come stai?”.
“Sono
stanco. Ho dovuto fare il forte e indistruttibile per troppo tempo. Ora
voglio
solo che tutto torni come prima..”.
“È
quel che
accadrà. Solo io, te ed Eleonore. Ed i ragazzi,
ovviamente”.
“Me
lo
potete promettere?”.
“No..ma
ora
ho un po’ più di certezze”.
“Davvero?”.
Keros
era
serio e si chinò sul suo signore, baciandolo. Non si
sollevò, e rimase a
fissarlo, con un lieve sorriso.
“Che
cosa
c’è? Hai voglia di un po’ di
coccole?” mormorò Arles.
“Devo
mostrarvi una cosa..”.
“Oh..va
bene..”.
Keros
salì
a cavalcioni sul suo padrone e scostò la veste, scoprendo la
schiena. Poi
chiuse gli occhi qualche istante e fece comparire le ali
d’argento. Il Dio
rimase immobile, a fissare meravigliato quelle ali.
“Keros..”
parlò piano “..sei un angelo!”.
“Più
o
meno” ghignò il sanguemisto, baciando di nuovo il
suo signore, questa volta con
molta più passione.
“Non
andare
mai più via da me, Arikien” aggiunse e si
sentì abbracciare da Arles.
Il
Dio si
lasciò baciare e strinse forte il mezzo demone.
“Siamo
in
tre ora” furono le parole del Dio “Io, te ed
Eleonore. Siamo noi tre. Nessuno
ci dividerà mai, splendidi amori miei!”.
Keros
sorrise sinceramente ed il suo sguardo brillò: era il
momento di accantonare
per un attimo la natura angelica e sfoggiare tutta la sua passione
demoniaca!
“Perdona
l’intrusione..” mormorò
Lucifero,
entrando in una delle sale dove, in una grande vasca, Eris stava
facendo il
bagno “..ma ho saputo che intendi andar via da qui ed io ho
delle faccende da
sbrigare. Perciò..volevo salutarti, prima di prendere la mia
strada”.
“Che
cosa
farai?” domandò lei, per nulla imbarazzata.
“Per
prima
cosa, andrò all’Inferno a sistemare un
po’ di faccende”.
“Tornerai
a
regnare su di esso?”.
“No.
Ho
intenzione di tornarci per sistemare qualche benpensante e vendicarmi
di un
paio di torti. Poi metterò sul trono una persona a me fidata
ed andrò in cielo
a riferire la mia decisione, in modo che non vengano più a
tormentarmi con le
loro faccende angeliche”.
“Mi
pare un
bel piano. Funzionerà?”.
“In
che
senso?”.
“Esiste
qualcuno con le tue capacità? Pare che il cielo abbia donato
i poteri di Mihael
a Camael. Tu puoi fare lo stesso con un demone?”.
“Non
del
tutto. Ma la guerra del cielo non mi interessa
più..”.
“E
poi?”.
“Poi?
Improvviserò.
Tu che farai?”.
“Tornerò
al
mio tempio, accanto a quello di mio fratello. Ci sono i miei sottoposti
che mi
aspettano. Potrai venirmi a trovare, se vuoi”.
“In
montagna? Fa freddo, non è il clima per me”.
“Capisco..”.
“Pensavo..”
riprese il demone, dopo aver versato una manciata di sali da bagno
profumati fra
la schiuma, nell’acqua della Dea “..di costruirmi
una casa in riva al mare, non
distante da questo tempio. In questo luogo in cui le persone non
possono
accedervi, se non su mio invito. Con una piscina. Ed una stanza per la
musica”.
“Ed
un
giardino?”.
“Perché
no?
Con tanti fiori e colori, che all’Inferno avevo dimenticato.
Però vi porterei
anche le mie amate rose nere, come ricordo. Il loro profumo, mi
riporterà in
mente tante cose..”.
“E
alberi?
Alberi con tanti frutti succosi? Ho sempre voluto un giardino, ma al
mio tempio
fa troppo freddo”.
“E
che
altro?”.
“Che
altro?”.
“Che
altro
vorresti?”.
“Una
vasca
come questa, tanto per cominciare. Una grande camera da letto, lussuosa
e piena
di specchi dove potermi ammirare. Una stanza con abiti ed accessori ed
una con
le armi, dove potermi esercitare senza che mio fratello mi stressi. E
tu? Che
altro?”.
“Voglio
che, ad una particolare ora della notte, i raggi della luna entrino ed
incontrino un singolare gioco di cristalli, ricreando il cielo stellato
per i
corridoi”.
“Bello..”.
“Dicono
che
io sia della stessa sostanza delle stelle, che mio padre mi abbia
generato con
una manciata di quella stessa luce con cui sono illuminate le
costellazioni.
Per questo mi piace guardarle..mi sembrano quasi le mie sorelle e le
vorrei
guardare sempre”.
“Romantico.
Quasi..”.
“E
vorrei..vorrei
potermi svegliare in un grande e lussuoso letto con a fianco una
bellissima
donna, che si alzerà e si rimirerà negli specchi
della stanza”.
“Tu..mi
stai proponendo di venire a vivere con te, Figlio
dell’Aurora?”.
“Non
chiamarmi così, ti prego..”.
“E
come,
allora? Stella del Mattino?”.
“Lucifero
non ti sta bene?”.
“Come
preferisci. Comunque..quanto tempo ti ci vorrà?”.
“Per
cosa?”.
“Per
sistemare le faccende..”.
“Dunque..”
il demone versò del vino in un calice e lo porse ad Eris
“..Inferno e Paradiso
non dovrebbero impegnarmi troppo a lungo. Però la casa va
costruita. Non è che
schiocco le dita e compare..”.
“E
se io
non vorrò aspettarti?”.
“Lo
hai
fatto fin ora. Ma ovviamente non sei obbligata..la mia era solo
un’idea”.
“Magari..”
aggiunse lei, con aria sognante “..un giorno mi presenterai
tuo padre..”.
Lucifero
rimase in silenzio, con sul viso un’espressione mista fra lo
sconcerto e la
paura. La Dea lo rassicurò, dicendo che era uno scherzo, ma
la faccia del
demone non mutò. Eris allora sorrise, giocherellando con la
coda del demone, che
tentò invano di riprendersela. Poi lei si rigirò,
allungando le mani lungo il
corpo di Lucifero, certo che questo lo avrebbe distratto.
“Ho
già
buttato via un paio di scarpe, mia cara..” ghignò
infatti lui “..avvisami, se
intendi che butti anche il vestito”.
“Per
quel
che mi riguarda, del vestito puoi farci anche coriandoli. Basta che lo
togli..e
vieni a farmi compagnia. Ma ovviamente non sei obbligato..”.
“Come
potrei mai resistere ad un simile invito?”.
Era
trascorso qualche tempo ed alcune cose erano cambiate. Erano stati
eretti tre
grandi templi, uno per Keros, uno per Eleonore ed uno per Arikien,
comunicanti
fra loro e con un giardino comune. A volerli era stato il gruppo di
persone
intrappolato nel corpo di Ananke, che per ringraziare aveva deciso di
diffondere la parola di quelle nuove divinità. Sophia e
Mihael erano a capo e
guida di quei templi, lei per la madre e lui per il figlio. Lucifero,
dopo aver
passato un po’ di tempo all’Inferno ed aver messo
Azazel al suo posto sul trono,
ed aver massacrato buona parte dei demoni che avevano osato sfidarlo,
era passato
in cielo e poi, come previsto, si era costruito casa. Però
ancora non aveva
compreso molte cose. Provava un desiderio che non riusciva del tutto a
soddisfare. Curioso, passò per il tempio del nipote, per
vedere come fosse. Era
carino, nulla di eccezionale, ma passabile per una religione appena
nata. Ed il
simbolo, quei tre occhi spalancati, era decisamente pittoresco.
“E
così..”
commentò Lucifero “..questa è la tua
chiesa”.
“Non
la
definirei così..” si sentì rispondere,
nella testa, con voce profonda.
“E
come la
definiresti? E perché sento la tua voce, Ary?”.
“Sei
nel
mio tempio e vuoi parlare con me, ergo ti rispondo”.
“Che
carino..”.
“Hai
finito
il tuo vagare per la Terra?”.
“Non
lo so.
Non sono ancora convinto..”.
“Perché
non
ti giri?”.
Il
demone
si voltò e vide che una donna lo stava fissando. Dietro di
lei, un gruppetto di
altre persone. Lucifero sospirò, aspettandosi le solite
reazioni strane. Anche
se il suo aspetto da diavolo era celato, la gente provava sempre paura
quando
lo vedeva.
“Voi
siete
quella creatura!” mormorò la donna
“Quella creatura che stava accanto al nostro
signore. Voi avete contribuito alla nostra salvezza”.
“Eh?”.
Il
demone
non capì ma vide la donna prostrarsi, e così
fecero anche tutti gli altri
presenti.
“La
vostra
luce riscalda il nostro cuore” continuò la donna
“Vi prego, illuminateci!
Parlate del nostro salvatore, parlateci di coloro in cui
crediamo”.
“Siete
disposti ad ascoltarmi?”.
“Che
le
vostre parole ci guidino!”.
“Ed
io che
dovrei mai dirvi..?”.
“Improvvisa!”
parlò Arles, nella testa del demone “A me il
potere non interessa, dì loro ciò
che vuoi. Sono disposti ad adorarti come messaggero di Dio, come mio
parente e
consigliere. Dà loro ciò che vogliono!”.
Lucifero
li
fissò perplessi. Ma che bella sensazione, però!
Dopotutto, doveva solo dire la
verità! Si accese, mostrando la sua vera natura e la gente
lo fissò con ancora
più ammirazione, volendone sfiorare le ali e volendo sentire
il calore di
quella luce. Sedette ed iniziò a raccontare.
Raccontò del viaggio intrapreso
con Mihael e Sophia e di molte altre cose, rendendosi conto che quelle
creature
non lo temevano, ma lo ammiravano. Ed era una bella sensazione.
Così nacque uno
strano culto fatto di danze, rituali con il fuoco, canzoni e musica:
alla
ricerca continua di quel bagliore e di quelle stelle, che contenevano
il cosmo
del loro signore e la luce di colui che diffondeva il suo messaggio.
Era
assurdo, era curioso ed era forse privo di senso ma a Lucifero piaceva.
“Dici
che
ce la farà?” sorrise Mihael, vedendo il fratello
circondato dalle persone.
“Ma
certo”
gli rispose Sophia, sfiorandone la mano.
I
due si
scambiarono un sorriso dolce, che valeva più di migliaia di
parole, e poi
ognuno rientrò al suo tempio.
“Allora,
Kiki, come se la cavano Iravan ed Iravat come cavalieri dei
Gemelli?” domandò
Arles, in visita al tempio.
“Direi
egregiamente” ammise il Sacerdote “E la loro
parentela con Athena li rende
doppiamente fedeli e legati ad essa. Penso potrebbero avere un futuro
come
Sacerdoti di questo luogo. Quando io sarò morto, ovviamente.
Tanto, come figli
tuoi, dovrebbero vivere parecchio. Dico bene?”.
“Se
non
restano coinvolti in qualche missione suicida..”.
“E
Sophia?
Ho saputo che è sacerdotessa di sua madre
Eleonore”.
“Già.
Le
piace, o così mi dice”.
“Una
religione nuova è sempre qualcosa da osservare con
curiosità..”.
“Sì,
preferirei che la gente si limitasse a guardare. Invece infierisce,
specie al
tempio che guida Lucifero”.
“Ho
saputo.
Dare fuoco ad un luogo di culto in nome dell’unico Dio. Che
cosa assurda..”.
Il
Dio non
rispose. Osservò il grande tempio, da quel terrazzino da cui
tanti anni fa si
affacciava, in attesa di Saori. Sembrava trascorsa
un’eternità.
“Milo
è
tornato con suo figlio e Mirina al tempio di Ares..” riprese
Kiki “..e pare che
sia stato seguito dal figlio di Camus. La figlia di Aphrodite
è
nell’oltretomba, assieme al figlio di Eleonore ed Hades. Ma
immagino che tu
questo lo sappia..”.
“In
realtà..è bello sentirsi raccontare le
cose”.
“Coloro
che
già avevano lasciato questo tempio si sono allontanati,
anche se so che
risponderanno ad un eventuale richiamo della Dea”.
“Quindi
qui
vi sono solo Aiolos, Camus ed Aiolia?”.
“Sì,
esatto. Mur è tornato nel suo Paese. Shaka ha parlato con
Maya, la consorte di
tuo figlio Tolomeo, ed ha ottenuto il permesso di sostare nel tempio
della
Trimurti. Aphrodite va e viene assieme a Persefone, è
mutevole come le
stagioni. Deathmask e Shura sono tornati nelle loro residenze estive,
stessa
cosa vale per Aldebaran. Dohko è già tanto se
abbia mosso il culo per venire
fin qui. Star seduto su quel sasso a Goro Ho gli piace
proprio..”.
“Spero
siano tutti felici”.
“Hanno
ricevuto in dono una vita ben più lunga di quel che gli
spettava”.
“Lo
so..”.
“E
Zeus..che ha detto? Ha tentato di imprigionarti”.
“Ha
tentato
di infierire, ma alla fine ha compreso che quel che io sono
può coesistere
perfettamente con ciò che è lui”.
“Immagino
che ora avrai tante cose da fare. Non avrai più tempo per
noi..”.
“Avrò
sempre tempo per voi. Faccio una promessa: ogni anno, al mio
compleanno, vi
porterò dolci e vino. Anche quando sarete tutti ai Campi
Elisi”.
“Ci
conto,
sai?”.
“Vedrai.
Io
rispetto le promesse!”.
“Non
passerai mai!” ringhiò Ares.
“Scommettiamo?”
ghignò Lucifero.
“Ti
distruggerò!”.
“Scansati,
ciccione!”.
Il
Dio
della guerra lanciò un grido e corse verso il demone, che
scattò di lato,
lanciando un poderoso calcio ad una palla che finì in rete.
“Inchinati,
Greco!” gridò, alzando le braccia al cielo.
“Roba
da
matti..” si limitò a commentare Eris, distesa su
una sdraio accanto alla
piscina della casa di Arles “Dai una palla ad un uomo, e lo
vedrai regredire a
livello Neanderthal!”.
Sophia,
stesa accanto a lei, rise. Poco più in là, le
figlie di Eris, che la Dea aveva
avuto millenni indietro senza congiungersi con uomini, si stancarono di
stare a
guardare e si unirono al divertimento. Le grida dei giocatori, fra cui
figuravano i vari figli del Dio delle illusioni, Mihael ed alcune
divinità,
erano piuttosto fastidiose ma discordia e Sophia riuscivano comunque a
rilassarsi. Era estate, e si stavano tutti godendo il sole, con poco
addosso e
nessun pensiero in particolare per la testa. Il padrone di casa non si
vedeva,
era dentro assieme alla moglie e Keros gironzolava, cercando di godersi
una
granita.
“Ragazzi!”
chiamò Eris, rivolta ad Ares e Lucifero “State
diventando color aragosta!
Mettete la crema quando state tanto tempo sotto il sole! Vi state
bruciando la
pelle..”.
I
due si
misero a ridere, commentando che i veri uomini non avevano bisogno di
certe
cose.
“Guarda
che
io stasera non voglio sentire lamentele, Lucy”
informò lei, tornando a leggere.
“Non
ne
sentirai, donna. Sono stato fra le fiamme
dell’inferno”.
“Appunto.
Al sole mai..”.
Con
un
mezzo sorriso, la Dea già si aspettava di vedere entrambi di
un colore simile
ad una fragola in cerca di sollievo. La partita continuava e volarono
diversi
insulti, specie fra Ares e Lucifero.
“Fanno
sempre così?” domandò Sophia.
“Sì,
giocano come bambini” ridacchiò la Discordia.
“Come
capisci quando fanno sul serio?”.
“Semplice:
mio fratello muta colore degli occhi, come tuo padre. E Lucifero punta
la
coda”.
“Punta
la
coda?!”.
“Sì..non
so
come altro spiegarlo”.
“Ares
è più
grosso di Lucifero..”.
“Sì.
Ma è
anche più stupido..si compensano”.
Dopo
l’ennesimo insulto, Sophia comprese le parole di Eris. La
coda del demone, che
solitamente si arricciava tranquilla, si era irrigidita e piegata verso
il
“nemico”, come un’arma. La Dea non
riuscì a pronunciare una sola parola e li
vide finire nell’acqua della piscina, minacciandosi di
affogarsi a vicenda.
Scosse la testa, non trovando che altro fare se non ruotare gli occhi
al cielo.
Keros, sul bordo della piscina, rise. La palla della partita
finì a sua volta
in acqua e le squadre si tuffarono, gridando assurdità.
“Il
sole fa
male al cervello..” commentò il mezzo demone.
“Vieni
anche tu?” lo invitò Mihael “Che fai
lì fermo?”.
“Ho
la
testa altrove..” ammise Keros.
“Non
ne hai
motivo. Andrà tutto bene. E poi..non sono propriamente
affari tuoi, giusto? Si
tratta di faccende che riguardano Ary ed Ely”.
“Arikien
ed
Eleonore, prego”.
“Oh,
che
pigna che sei..”.
L’angelo
sobbalzò, mentre il fratello maggiore piantava gli artigli
sul bordo della
piscina, nel tentativo di non farsi di nuovo trascinare di sotto da
Ares. Mihael
ghignò e lo allontanò, spingendo la mano sulla
faccia del demone. Keros sorrise
poi si voltò verso l’ingresso di quel giardino,
vedendo avvicinarsi il suo
signore.
“Ary!”
sorrise, questa volta in modo molto più sincero.
“Ecco
che
arriva il mio papà!” si entusiasmò
Sophia, rigirandosi “Allora? È maschio? Ho
indovinato?”.
“Quanta
impazienza” mormorò il Dio delle illusioni, con
fra le braccia un fagottino
“Sono due. Due maschi, non identici”.
“Avevo
indovinato! Iravan, mi devi pagare!”.
“Complimenti”
ghignò Lucifero “A che numero sei
arrivato?”.
Arles
non
rispose, non sapendo sinceramente che rispondere , invitando Keros ad
avvicinarsi con il dito indice. Il mezzo demone obbedì,
felice.
“Ti
dispiace scostare la copertina dal capo di questi due
cuccioli?” domandò il
Dio.
“Ma
certo.
Avranno caldo, con questo sole!”.
Il
sanguemisto obbedì. E si immobilizzò,
all’istante. Uno aveva gli inconfondibili
capelli neri di Arikien e due piccolissime ali come quelle del padre.
Ma
l’altro..sbadigliando, mostrò un piccolo dentino a
punta ed un grosso ciuffo
rosso acceso sul capo. Keros lo guardò, senza capire del
tutto.
“Lo
sapevo
che voi facevate le cose a tre” ridacchiò Lucifero
“Congratulazioni, papà
Keros”.
“Ma..che
..” il mezzo demone non sapeva cosa dire e seguì
il consiglio del suo signore,
che lo vide leggermente pallido.
Seduti
uno
accanto all’altro, su una sdraio, il piccolo dai capelli
rossi finì fra le
braccia di Keros, che lo fissò. Dapprima perplesso,
notò che il neonato lo
fissava a sua volta e lo vide arricciare il naso un paio di volte.
Attento a
non rovinare le delicatissime ali d’argento del piccolo, il
sanguemisto rise
orgoglioso.
“È
splendido” commentò Arles, dando un bacio sulla
fronte di Keros.
“Sono
splendidi” rispose il sanguemisto “E dovrei andare
da Eleonore..immagino..”.
“Lasciala
riposare. Poi ci andremo assieme. Come una famiglia..”.
Il
sanguemisto rispose con un sorriso ed un bacio sulle labbra.
“Posso?”
domandò Eris, sollevando il piccolo dai capelli neri.
La
Dea lo
cullò, ripetendo che era una meraviglia. Accanto a lei,
Sophia salutò il
fratellino. Il bambino ignorò tutti e con un espressione di
totale indifferenza
si mise a dormire.
“Nonno
Mihael” ghignò Lucifero “Posso essere il
primo a chiamarti così?”.
“Arriva
per
tutti quel momento..” gli rispose l’angelo,
sedendosi a bordo piscina.
“Quale
momento?”.
“Quello
in
cui si cresce e si smette di fare i deficienti donnaioli”.
“Non
stai
parlando né di Keros né di te, vero?”.
“Già..”.
Lucifero,
ancora in acqua, si poggiò al bordo con entrambe le braccia.
Ares ed Eris erano
vicini, che osservavano quel piccolo fagottino dai capelli neri, mentre
Keros
mostrava il suo piccolo agli altri bimbi della casa, dicendo loro che i
due
nuovi arrivati si sarebbero chiamati Koknos, il rosso, e Mavros, il
nero.
“E
se non
fosse possibile?” parlò poi il demone.
“Che
cosa?”.
“Quel
che
pensi..”.
“Allora
dovresti parlarne con Eris, perché i segnali che lancia sono
inequivocabili”.
“Ma
cosa
vuoi saperne tu?!”.
“Fai
come
vuoi. Dai sempre solo voce al tuo orgoglio..”.
“Affoga!”.
“Sei
tu
quello in acqua, non io” concluse l’angelo
ghignando, raggiungendo il figlio ed
il nipote neonato.
Pronti
per il gran finale?
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Capitolo 30 *** XXX- Idoli ***
XXX
IDOLI
“Ragazzi,
adesso basta”.
“Finiscila
di rompere le palle!”.
“Non
sto
rompendo le palle! È passata l’alba!”.
“E
con
ciò?”.
Koknos
e
Mavros si lanciarono un’occhiata divertita, voltandosi verso
il più giovane
della compagnia.
“Dovresti
imparare a divertirti. Non sei più un bambino. Cosa
penserebbe tuo padre?”
stuzzicò Mavros.
“Vuoi
davvero sapere cosa direbbe mio padre se mi sapesse qui? Mi urlerebbe
contro con
quel tono che come solo nei tuoi migliori growl sai fare!”.
“Davvero?
Mi
piacerebbe vederlo! E sentirlo!”.
“Io
no! Torniamo
a casa!”.
“Ormai
siamo qui. Ed entreremo all’Inferno”.
Il
più
giovane ruotò gli occhi e si arrese. Seguì i
gemelli oltre quelle porte e
rimase impassibile dinnanzi allo stupore di chi lo precedeva.
“Che
figata
di posto!” esclamò Koknos, udendo una serie di
grida di dolore.
Le
fiamme,
i dannati, i demoni..
“Questo
è
il posto ideale per scrivere una bella canzone..”
commentò Mavros “..dove sta
il palazzo del re?”.
“Che
sia
quella torre laggiù?” sorrise Mavros
“Andiamo”.
I
due
gemelli spalancarono le ali, prendendo il volo.
“Ma
scherzate?!” furono le parole del più giovane
“Ali d’angelo all’Inferno?! Siete
impazziti?!”.
Son
un
sospiro, fu costretto ad aprire a sua volta le ali, d’angelo,
e seguire i due,
che sfrecciarono rapidi per i gironi e le torture. I demoni alzarono lo
sguardo, notando quelle luci. I gemelli avevano raggiunto il palazzo e
si
incamminarono lungo esso.
“Lucifero!”
esclamò Mavros, riconoscendo il soggetto raffigurato in un
enorme dipinto, che
li fissava “Mio padre gli ha proposto diverse volte di
ridargli quegli occhi
demoniaci. Ma ha preferito tenersi quelli azzurri. Chissà
perché..”.
Gli
occhi
del quadro brillarono di colpo ed i gemelli sobbalzarono, poi ridendo.
Che
begli effetti speciali aveva quel posto! Demoni vari si erano
ammassati,
osservando quelle tre creature.
“Perché
non
ci attaccano?” si chiese Koknos.
“Sanno
chi
sono i nostri genitori. Ed hanno paura” gli rispose il
gemello “Certo
che..vivere in un posto come questo, crearlo, e rinunciarvi per una
villa con
la piscina è una cosa che non capisco”.
“Sono
tante
le cose che non capisci, Mavros..” si sentì
rispondere dal più giovane.
“Come,
scusa? Come ti permetti? Potrei ribaltarti con un solo ceffone, se solo
volessi, e osi darmi dello stupido?”.
“Non
ti ho
mai dato dello stupido! Ti offendi da solo!”.
“Chiedimi
perdono!”.
“Non
lo
farò mai. E prova a darmi quel ceffone, se ne hai il
coraggio”.
Il
gemello
dai capelli neri reagì e tentò di colpire chi
aveva di fronte, ma una mano lo
fermò. Il giovane si agitò, tentando di
liberarsi, e vide che a trattenerlo era
suo padre Arles.
“Non
mi
sarei mai aspettato di dovervi venire a riprendere QUI!”
commentò il Dio,
piuttosto irritato “Cosa vi è saltato in mente? Di
chi è stata l’idea?”.
“Andiamo,
papà! Siamo gli Angels Blood! Le nostre canzoni parlano di
angeli e demoni, era
nostro dovere vedere l’Inferno!”.
“Dovere?!
Siete fuori di testa?! Se vostra madre sapesse che son dovuto venire a
riprendervi in certi posti, andrebbe su tutte le furie”.
“Come
te?”.
“No,
molto
peggio!”.
Azazel
era
rimasto lungo il corridoio ad osservare la scena. Arles
obbligò Koknos e Mavros
a chinare il capo e chiedere perdono per l’intrusione. I due
giovani
obbedirono, pur protestando.
“E
ora a
casa! Tutti quanti!”.
“Svegliati!”.
Eris
spalancò le tende della camera, udendo uno strano rumore che
ormai conosceva.
Lucifero si era avvolto completamente nelle ali.
“Esci
da
lì!” ordinò lei “Abbiamo
ospiti!”.
Il
demone
non rispose, avvolgendosi ancora di più.
“Sono
i
tuoi fratelli! Ci sono degli angeli!”.
“Lo
so.
Solo loro scassano il cazzo prima di mezzogiorno ad un
demone!”.
“Esci!
È da
tantissimo che non li vedi!”.
Lucifero
si
srotolò leggermente e fissò l’orologio
a pendolo nella stanza. Ma erano solo le
sette del mattino! Lanciò un gemito di protesta e si arrese:
avrebbe dormito
più tardi.
Gli
angeli
sorrisero, vedendolo arrivare. Erano Rahael, Gibrihel, Urihel e
Vereheveil.
“Ma
voialtri non potreste passare ad orari più
consoni?” si lamentò Lucifero,
invitando gli ospiti in salotto e provando un piacere estatico quando
Eris gli
porse il caffè.
“Non
pensiamo troppo agli orari” gli rispose Urihel.
“Non
è
vero. Lo fate apposta”.
“Sì..è
vero”.
Il
gruppo
si sorrise. gli angeli sorseggiarono un po’ di tè,
guardandosi attorno. Era la
prima volta che entravano nella dimora del fratello maggiore ed erano
piuttosto
incuriositi.
“Scusate
il
casino” sbottò il demone, notando con fastidio un
mucchio di libri sparsi per
il pavimento.
“Innanzitutto..”
iniziò a parlare Vereheveil “..siamo davvero
stupiti nell’apprendere che Eris è
ancora qui”.
“Perché?”.
“Non
so.
Non ti immaginavamo da storia fissa”.
“Non
è una
storia fissa. Non siamo sposati. E lei va e viene quando ha voglia.
È una Dea,
si concede altri incontri al di fuori di me e lo stesso faccio
io”.
“Ma
vive
qui”.
“Già..”.
“Ed
altrettanto ci stupisce..” si unì Rahael
“..che tu sia una specie di sacerdote.
Sacerdote di Arikien”.
“Vedi
di
usare i termini corretti, fratellino. Io parlo agli umani di mio
nipote, senza
inventarmi nulla, e loro mi ascoltano. Non chiedo soldi per farlo e non
cerco
di convertire la gente”.
“E
la
figura malvagia di questa religione chi è? Tutte le
religioni hanno il bene ed
il male”.
“Arikien,
Keros ed Eleonore rinchiudono in sé entrambi i lati. Spetta
alla gente
scegliere il lato che vuole vedere”.
“E
quando
muoiono? I mortali, intendo. Quando muoiono, dove vanno?”.
“Dove
desiderano. I desideri degli umani sono piuttosto limitati.
C’è chi vuole
rivedere tutti i cari che ha perso, chi vuole cibo, alcol e sesso e chi
vuole
un luogo di pace. Non ci sono molte altre alternative. Qualcuno
rinasce..si
asseconda la loro immaginazione. Del resto, non penso sia possibile
creare un
Paradiso universale per tutti”.
“Scherzi?!”.
“No.
Il
Paradiso, da cui voi provenite, è la cosa più
pallosa che abbia mai provato
nella mia vita”.
“Ed
i
malvagi? Come vengono puniti?”.
“Ci
sono
molti meno peccati da punire. Le persone che compiono azioni degne di
essere condannate,
vedono il secondo volto di Ary, Keros ed Eleonore. E questo
è sufficiente,
credetemi..ma ci stiamo organizzando per creare un posticino
appropriato per
coloro che compiono gesti indicibili”.
“Ok..se
lo
dici tu. E non ti annoi?”.
“No.
Non mi
annoiavo all’Inferno all’inizio. Ma poi son
trascorsi più di 7000 anni..”.
“Anche
Mihael mi pare felice. Siamo passati a trovarlo ieri sera..”.
“Mihael,
l’arcangelo del sole,andate a trovarlo dopo il tramonto e
scassate le palle a
me subito dopo l’alba. Ma il sadico non dovrei essere
io?”.
“In
realtà..” proseguì Gibrihel
“..siamo qui anche per discutere di una cosa
delicata”.
“Lo
supponevo. Che volete?”.
Attorno
ad
un tavolino basso, Lucifero allargò le braccia lungo tutto
il divano ed allungò
le gambe sul bancone. Di fronte, gli angeli restavano seduti composti,
leggermente rigidi come sempre. Erano a disagio, non potevano negarlo,
dinnanzi
al fascino che il loro fratello maggiore era ancora in grado di
esercitare.
“Ci
sono
giunte voci su qualche cambiamento all’Inferno”.
“Cambiamenti?”
si stupì il demone.
“Sì.
Girano
voci, in cielo, che non sia solo Azazel a detenere il governo. Sarebbe
una voce
corretta?”.
“Ed
io che
ne so? Non ci vado mai da quelle parti!”.
“Sei
sicuro?”.
“Assolutamente”.
“E
non hai
modo di contattare i tuoi vecchi colleghi di lavoro per chiedere loro
spiegazioni?”.
“Non
comando più su di loro. Non ne avrei alcun
diritto”.
“Capisco..”.
“Ma
di che
vi preoccupate? Dopotutto..in cielo non vi sono le truppe di rimpiazzo?
Camael e
compagnia bella”.
“In
effetti
sì, ma preferiremmo conoscere il nostro nemico”.
“Suppongo
che al momento giusto lo conoscerete..”.
Lucifero
si
versò un po’ di vino, udendo un suono familiare di
catena all’ingresso.
“Torna
a
casa” ordinò Arles, davanti alla porta
“Non sei figlio mio, non è mio compito
sgridarti o altro. Non sono affari miei”.
“Grazie”
mormorò il più giovane della compagnia, mentre
Koknos e Mavros protestavano.
Entrando,
il ragazzo sospirò. Tentò di fare piano, credendo
i suoi genitori ancora a
dormire. Levò gli stivali neri, ma le catene che aveva su
tutto il vestito
tintinnarono.
“Espero..”
udì, scandito lentamente.
Quella
voce..che ci faceva sveglio a quell’ora? Non era normale! Che
Arikien o Azazel gli
avessero raccontato la sua “gita”
all’Inferno? O altro ancora? Avvertì un
brivido lungo la schiena, quando il suo nome venne ripetuto, questa
volta con
maggiore convinzione. Prese coraggio ed entrò nella stanza.
Vi stupì di trovare
degli angeli seduti di fronte a Lucifero, che appena lo vide entrare
gli indicò
il mucchio di libri in terra.
“Ah..”
si
stupì il giovane “..sei arrabbiato per
quello?”.
“C’è
altro
che dovrei sapere?” rispose il demone, bevendo ancora un
po’ ed arricciando la
coda.
“No..avrei
riordinato dopo il concerto, prima che ti svegliassi.
Promesso”.
“Che
hai
combinato per creare un casino simile? Ci hai tirato le
bombe?”.
“Stavo
giocando. E sono finito contro la libreria”.
“Con
cosa
stavi giocando?! Con un dinosauro?!”.
“No..giocavo
con quel simpatico telecomando senza fili che TU odi tanto e che
maledici ogni
volta che provi ad usare. Prevede che ci si muova”.
“E
non hai
rimesso al suo posto lo schermo..”.
“Avrei
riordinato al ritorno. Ora, scusami, vorrei cambiarmi..”
“Ti
hanno
accompagnato a casa Koknos e Mavros?” riprese Lucifero
“Ho percepito la
presenza di Arikien”.
“Sì,
mi ha
riportato a casa Arikien. I gemelli..si sono trattenuti con delle fan e
quindi
ho dovuto aspettarli. Per questo ho fatto così
tardi”.
“E
tu?”.
“Io
che
cosa? Te l’ho appena detto: ho dovuto aspettarli”.
“Non
hai
delle fan?”.
“Siamo
fra
i gruppi più famosi del Mondo, certo che ne ho. Ma ho un
esame, ed ho occupato
il mio tempo in altro modo”.
Lucifero
gli lanciò una strana occhiata, che il giovane conosceva ma
che ignorò.
“Scusate
la
maleducazione” si inchinò leggermente il ragazzo,
porgendo la mano agli angeli
“Sono Espero, perdonatemi per l’abito non molto
normale, ma ero ad un
concerto..”.
“Chi
suonava?” domandò Vereheveil, osservando con attenzione quel ragazzo, che
vestiva come ci
si aspettava dal membro di un gruppo metal.
“Io”
ghignò
il giovane.
“Davvero,
Stella della Sera?” gli sorrise l’angelo.
Lo
squadrò
per bene, incrociando quello sguardo. Per qualche istante,
l’angelo ne fu stordito
ed affascinato. Quel ragazzo pareva proprio un angelo, non fosse per
quei
capelli neri e dritti come quelli di Lucifero. Aveva un fisico
aggraziato,
quasi androgino, e brillava, anche se non intensamente come il demone.
“Ora
devo
cambiarmi, fare una doccia e correre
all’Università, scusate. Ho un esame..”
interruppe Espero.
“Vai
pure”
lo congedò l’alato.
“Sarà
mio
piacere parlare con voi quando rientrerò, se ci sarete
ancora”.
“Fai
colazione, almeno!” sbottò Lucifero.
“Non
ho
tempo. Mangerò in facoltà. E..papà! ti
prego! Vino alle otto di mattina?!”.
“Veramente
sono le nove e mezza”.
“Che?!”.
Espero
fissò il suo orologio da polso e lo scosse, mentre segnava
l’ora sbagliata.
“È
tardissimo”
gemette “Devo andare!”.
“Ti
serve
la moto?”.
“Non
ho la
patente..”.
“Nemmeno
io!”.
“Papà..”.
“Ok,
fai
come vuoi!”.
Il
ragazzo
salutò di nuovo gli angeli e fece per uscire.
“Espero..”
lo fermò di nuovo il padre.
“Che
c’è?!
Sono tardi!”.
“Buon
compleanno”.
“Che..?”.
Il
demone
si voltò e fissò il figlio, che rimase qualche
istante perplesso e poi
realizzò.
“È
oggi!”.
“Sì,
e vedi
di non dimenticarti di venire stasera, dopo la fatica che ho fatto per
accontentarti”.
“Hai
prenotato il locale che ti avevo chiesto?”.
“Sì”.
“Davvero?!
Io..io ti adoro! Ora però devo andare..”.
“Vai,
vai!
Dai un bacio a tua madre”.
Espero
sparì,
legandosi i capelli distrattamente, tentando di avere un aspetto
presentabile.
Gli angeli, rimasti soli con il fratello maggiore, lo fissarono, con
aria
interrogativa.
“Che
avete?” alzò un sopracciglio Lucifero.
“Che
frustrazione quando i figli non crescono come vorremmo, eh?”
rise Gibrihel.
“Ma
quanto
sei simpatico..”.
“Perché
non
ci hai detto che hai un figlio?”.
“Credi
che
ami sbandierare al mondo dell’Anticristo? E poi pensavo che
il cielo lo
sapesse. Ad ogni modo, tranquilli: non ha alcun marchio strano addosso.
Niente
strani numeri o segni particolari. È un ragazzo normale,
come potete vedere.
Fin troppo umano, per i miei gusti”.
“Quanti
anni fa?”.
“Diciotto”.
“Ed
è
all’università?!”.
“Ha
fatto
letteralmente carte false. Vi è entrato l’anno
scorso”.
“Che
cosa
studia?” volle sapere Vereheveil.
“Economia
e
politica”.
“Cosa
c’è
di più malvagio di politici e finanzieri?” rise
Urihel.
“Vi
sbatto
tutti fuori di casa, se non la finite di sfottere!”.
“Mi
pare un
bravo ragazzo..” sorrise Rahael “..con la testa
sulle spalle. Non serviva lo
sgridassi per dei libri fuori posto!”.
“Vi
sono
dei libri, lì in mezzo, che preferirei non fossero toccati.
Li ho portati via
dall’inferno, li ho scritti con le mie mani..”.
“E
allora
puoi stare tranquillo..” sorrise Vereheveil “..se
sono scritti a mano da te,
nessuno sarà mai in grado di leggerli”.
“Divertente..”.
“Scrivi
da
cani. Lo hai sempre fatto, anche da angelo..con tutti quegli strani
riccioli e
sbavature..”.
“Già..vero.
Cambiando argomento..se volete, questa sera vi do l’indirizzo
della festa.
Tanto paga papà..”.
“I
giovani
non vogliono i vecchi alle loro feste”.
“In
realtà..ha invitato un sacco di persone ed ha detto che
vuole anche che ci sia
io. So che Ary ci sarà assieme ad
altri
da quel lato della famiglia. Non so chi esattamente. Ha fatto le cose
in
grande. Del resto..diciotto anni sono diciotto anni! Anche se
ufficialmente ne
compie ventuno, come Koknos e Mavros. I loro fan sono convinti che
siano tre
gemelli o qualcosa del genere..”.
“Sono
degli
idoli?”.
“Sì.
Idoli
di fanciulle adoranti e ragazzi invasati che cantano le loro canzoni
agitando
le chiome”.
“Questo
non
dovrebbe dispiacerti”.
“No,
per
niente. Solo che mi aspettavo un altro atteggiamento. I gemelli di
Arikien son
sempre sulle copertine, che fanno le star. Lui tiene un profilo
più basso..”.
“Fa
il
misterioso. Aumenta la sua fama così”.
“Può
darsi.
Comunque io ero devo andare a lavorare. Ci vediamo stasera”.
“Solo
una
domanda..Michael sa di questo giovane, suppongo..” lo
fermò Gibrihel.
“Certo”
sorrise Lucifero “Lui è stato il prima che lo ha
saputo, quando Eris mi ha
detto di essere incinta. Lui mi conosce bene, ha intuito subito che
qualcosa
fosse cambiato. Inoltre, voi lo sapete, non sono bravo a trattenere
l’entusiasmo”.
“Quindi
non
è stato un..incidente?”.
“No,
piccolo angelo curioso. Io ed Eris desideravamo un erede ed il suo
arrivo è
stato molto gradito”.
“E
Mihael
approvava la cosa?”.
“Perché
non
avrebbe dovuto?”.
“Sarebbe
prerogativa del cielo fermare l’Anticristo..”.
“Quando
è
nato, è stato il primo che ha saputo che era maschio.
Seguito a ruota da tutti
coloro che occupavano il tempio di Arikien, a cui ho chiesto di
indossare
qualcosa di azzurro. Siamo andati a festeggiare assieme. Penso di
averlo abbracciato
come uno stupido in più di un’occasione”.
“Mi
fa
piacere sapere che hai provato una simile gioia..”.
“Sei
sarcastico, Gibrihel. Lo percepisco. Ma non importa. Ora devo proprio
andare..”.
L’eleganza
era una prerogativa per Espero, che si presentò al suo
compleanno vestendo in
modo impeccabile. Sfoggiò un sorriso, vedendo suo padre
vestito in modo
altrettanto elegante.
“Quanta
gente hai chiamato?” domandò Lucifero
“Percepisco un sacco di persone”.
“Entriamo
e
lo vedrai di persona..” gli rispose il figlio.
“Prima
vorrei..chiarire un punto”.
“Parla..”.
“Io..so
cosa mi nascondi”.
“Ah..ok..ecco..ti
giuro che ho cercato di fermare Koknos e Mavros, ma non mi hanno
ascoltato
e..”.
Lucifero
fissò il figlio, alzando un sopracciglio.
“..ok..”
si
corresse Espero “..ero curioso pure io e per un po’
mi sono fatto trascinare
e..”.
Altro
sguardo.
“Mi
arrendo. Tu sai tutto, vero?” abbassò le braccia
il ragazzo.
“Tu
che
dici?” inclinò la testa il demone.
“Non
ti
riferisci alla piccola gita di ieri..”.
“No..”.
“E..non
hai
niente da dirmi?”.
“Che
dovrei
dirti? Piuttosto..perché me lo hai tenuto
nascosto?”.
“Perché
l’Inferno è la tua creazione. Ma so che hai fatto
di tutto per garantirmi un
futuro non legato ad esso. Ed io invece..”.
“Com’è
successo esattamente?”.
“Non
so. Un
paio di anni fa ho deciso di farci un giro. Avevo la sensazione che..mi
chiamasse! La strada la conoscevo, me l’avevi mostrata tu
quando ero piccolo.
La meraviglia che ho provato è stata unica. Era come se
tornassi in un luogo
che a lungo avevo conosciuto e che avevo dimenticato. E quel luogo mi
accoglieva, mi avvolgeva. Azazel è stato molto gentile, si
può dire..”.
“Azazel
ha
capito il tuo potere, la portata di esso”.
“Può
darsi..”.
“Quindi
l’università è una
copertura?”.
“Sto
studiando veramente. Però è comodo dire che sono
in facoltà mentre invece sono
all’Inferno a..regnare su di esso. Assieme ad Azazel,
ovviamente”.
“Che
è
deciso a lasciarti del tutto il comando, non appena dimostrerai di
essere
pronto. O almeno così mi ha detto”.
“Non
volevo
lo sapessi..ancora. Mi rovini la sorpresa!”.
“Ma
perché?”.
“Pensavo..fossi
deluso. Io sto facendo quel che tu non vuoi più
fare!”.
“Io
temevo
che tu fossi una specie di finto umano e invece..scopro che hai preso
in giro
me, tua madre, metà della tua famiglia e perfino Azazel, a
cui hai detto che io
sapevo tutto”.
“Mi
farò
perdonare..”.
“E
di cosa?
Sei figlio mio..non potevo aspettarmi niente di diverso. Goditi la
festa. E
questo è per te”.
“Cos’è?”
mormorò il ragazzo, scuotendo il pacchetto.
“Un
orologio. Di quelli seri. Così non farai tardi. Il diavolo
è sempre puntuale”.
Entrando
nella sala, padre e figlio vennero accolti dalle grida della gente.
Lucifero
continuò a camminare, mentre il festeggiato veniva
circondato. Il demone si
accorse di star camminando a testa in giù, sul soffitto, e
capì che il Dio
delle illusioni come sempre si divertiva a deformare la
realtà. Osservando gli
invitati, capì che non aveva alcun motivo di celare il suo
vero aspetto. Era
circondato da angeli, demoni e divinità. Il ragazzo aveva
fatto le cose davvero
in grande! La stanza ruotò un paio di volte, mentre si
alzava la musica.
Raggiunse Mihael al bancone del bar e sorrise, nel vederlo stranamente
vestito
elegante. Il maggiore si ordinò da bere e Mihael propose un
brindisi.
“Ai
figli, che
crescono e prendono la propria strada”.
“Pensavo,
Miky, che ti saresti divertito. Ero curioso. Volevo vederti con altri
mocciosi
a seguito..”.
“Mi
sono
preso cura di mio nipote Koknos. E mi sono divertito..solo che sono
stato
attento”.
Il
demone
ghignò. Mosse leggermente le spalle, facendo volare qualche
piuma scura. Mihael
trovava ancora strano vedere il fratello con le ali di due tipi.
“Ed
io,
Lucy, pensavo che ti saresti stufato presto della vita di famiglia e
saresti
fuggito altrove”.
“E
invece..pensa come sono ancora in grado di stupire! E pensa
te..sopporto
perfino i suoi sottoposti! Compreso quello con la lira, che suona
assurdità”.
“Però
non
l’hai sposata..non hai sposato Eris”.
“Quello
mai! Non fa per me. Anche se Hera scassa le palle
continuamente..”.
“Hera
come
suocera..”.
“E
Zeus
come suocero. Preferirei spararmi in bocca..”.
“Posso
capirti. Ma..un figlio solo? Ti basta?”.
“Dammi
tregua, Miky. Non sono come Ary, che sfiora la sua donna e la
ingravida. Peggio
di Zeus! E poi uno è più che
sufficiente..”.
“L’adolescenza..”.
“Se
ero
pure io così alla sua età..mi sono chiare davvero
molte cose!”.
“Ciao,
zio
Mihael” interruppe Espero “Quando arriva
Koknos?”.
“Dovrebbe
arrivare a momenti, assieme a suo padre” gli ripose Mihael,
ancora ridendo per
la frase del fratello.
“Grazie..”.
Il
ragazzo
si voltò verso Lucifero che, con il bicchiere alla labbra,
lo salutò con gli
artigli che gli spuntavano sulla piega delle ali da demone.
“Quanto
adoro quelle ali” sorrise il figlio “E anche la
coda”.
“Hanno
la
loro comodità..” ammise il padre, mentre Espero
gli rubava il bicchiere e dava
un assaggio.
“Ah!”
gemette il giovane “Bevi questa roba da tutta una vita? Ed
hai ancora il
fegato? Sul serio?!”.
Il
demone
ridacchiò, mentre il ragazzo si voltò verso gli
invitati, accigliandosi
leggermente. Aveva notato Camael, assieme ad un giovane angelo.
“Quello
non
l’ho chiamato” protestò il festeggiato.
“Vuoi
che
lo mandi via?” si propose il padre.
“No.
Lascia
che gli angioletti si divertano in mezzo alle tentazioni..”.
“Chi
è il
moccioso che ha a fianco?” si chiese Mihael, non
riconoscendolo.
“Un
angelo
nuovo” spiegò Espero “Pare che sia
apparso per sostituirti. Camael lo sta
addestrando..”.
“Un
angelo
nuovo? Pensavo che i miei poteri fossero passati del tutto a Camael. Un
angelo
in più servirebbe nel caso ci fosse un demone in
più, per riequilibrare la
faccenda. Ma non mi risultano demoni in più. Io mica sono
diventato un
demone!”.
“Non
guardare me” ghignò Lucifero.
“Sarà
qui
per controllare tutti questi diavoli” fu l’ipotesi
di Mihael, ordinando a sua
volta da bere.
“Gli
darei
fuoco, se potessi” fu invece la frase che
pronunciò Espero, con un sorriso
stampato sul volto “A lui ed al suo allievo
impiccione”.
L’arcangelo
ed il giovane alato parvero percepire quelle parole e si voltarono,
salutando
il festeggiato da lontano con un’allegria del tutto falsa.
“Auguri”
gridò Camael.
“Grazie..”
gridò di rimando Espero, ancora sorridendo, aggiungendo
sottovoce uno “Sparati”
rivolto ad entrambi.
Lasciando
Mihael e Lucifero piuttosto perplessi, il ragazzo non
restituì il bicchiere al
padre e tornò a sparire fra la gente.
Arles
aveva
preso posto accanto agli altri cavalieri e le loro famiglie, raggiunto
da Keros
ed Eleonore. Il mezzo demone fu salutato da un inchino rispettoso da
parte di
Asmodeo, che ancora ricordava di essere stato sconfitto e non ci teneva
a farsi
di nuovo picchiare. Tutti molto eleganti, fissavano il palco centrale,
osservando il festeggiato, raggiunto da Koknos e Mavros.
“Benvenuti”
salutò Espero, accostandosi al microfono.
“E
allora?”
gridò Mavros, interrompendo ed afferrando quello stesso
microfono “Facciamo un
po’ di casino o no? Non vi sento! È una
festa!”.
Keros
si
voltò verso il Dio delle Illusioni, che sorrise. Mavros
somigliava molto al
padre. Stesse spalle, stesso viso. Ma con gli occhi di Eleonore, unica
cosa che
aveva in comune con il gemello Koknos, che invece somigliava del tutto
a Keros.
Il gemello aveva i capelli solo leggermente più dritti del
padre ed il fisico
lievemente più importante, eredità della parte
celtica della famiglia.
“Grazie
per
aver portato i vostri strumenti, come richiesto” riprese
Espero, quando la
folla si fu un po’ calmata “Stasera, vogliamo
suonare con tutti voi. Ce lo
concedete?”.
Scese
il
silenzio, per qualche istante, ma poi si udì un vociare
d’approvazione.
“E
chi non
sa suonare..che balli!”.
Altre
grida
d’approvazione e brindisi a casaccio. Espero
sollevò il bicchiere al cielo e
ghignò.
“Come
dicevo..” parlò ancora “..vi ringrazio
per essere qui. Tutti quanti. Dal
Paradiso, all’Inferno, agli strati intermedi, se mi concedete
il termine. Nello
specifico, ci tenevo a ringraziare due persone in particolare, in
questo giorno
importante. Vi prego, non diventate rossi, non nascondetevi..ringrazio
i miei
genitori”.
Il
ragazzo
indicò il tavolo a cui sedevano Lucifero ed Eris, invitando
i presenti a fare
un applauso.
“Grazie,
mamma e papa, per aver creato un figone allucinante come me!”.
Gli
invitati risero ed applaudirono ancora.
“E
grazie
per avermi fatto avvicinare alla musica. Ed a molte altre cose..che non
posso
dire, perché ci sono gli angeli..e i bambini”.
Altra
risata, Eris nascose un po’ il viso dietro la mano,
arrossendo.
“Papà..mi
faresti l’onore di venire qui e suonare con me? Solo io e te,
come
riscaldamento per la serata”.
Lucifero
si
guardò attorno, sconcertato nel vedere tanti demoni chiamare
il suo nome. Passo
proprio accanto a quei demoni che lo volevano morto e lo disprezzavano,
ghignando a tutti
quanti loro. Lilith
distolse lo sguardo.
“Adoratori
di idoli..” commentò qualche angelo, scuotendo la
testa.
Padre
e
figlio si fissarono, uno accanto all’altro.
“Vediamo
un
po’ cosa proponi ai miei ospiti” mormorò
Espero.
“Vediamo
un
po’ se riuscirai a starmi dietro, cucciolo”
ghignò Lucifero.
“Che
strumenti vuoi?”.
“Tutti”.
“Eh..?”.
Il
demone
sorrise, divertito. Il figlio lo fissò, senza ben capire
cosa avesse in mente.
Il padre mosse le dita, lentamente, come sfiorando fili e tasti
invisibili. La
gente mormorò, perplessa, ma poi nell’aria si
udì un suono. Dapprima era debole
e lento, un pianoforte lontano ed il lieve vibrare di corde di violino.
Poi
quel suono si moltiplicò, assieme ad i movimenti delle mani
di Lucifero. Si
udirono altri archi ed iniziarono le percussioni, assieme agli
strumenti a
fiato. Il ritmo era sempre più veloce, con sempre
più strumenti. Aprendo
entrambi i palmi delle mani, il diavolo fece rallentare il tutto. Per
qualche
secondo fu silenzio, Espero lo guardò, chitarra elettrica
fra le mani, ed
annuì. Lucifero sollevò entrambe le braccia e la
musica ricominciò, più
incalzante, e il figlio ne seguì le note con il suo
strumento e cantando. Gli
invitati si fissarono. Gli angeli si sorrisero: non tutti loro
cantavano e
basta, e ricordavano bene la gioventù del loro fratello
maggiore. Uno dopo
l’altro, gli abitanti del cielo si univano a quel canto, in
un coro degno del
Paradiso. Keros e Mihael erano fra quelle voci, con Arles che li udiva
ammirato, incapace di cantare così magnificamente.
L’ultimo tono, lungo e
imponente, lo cantò pure Lucifero. Poi tutta la musica
iniziò a scemare, e si
concluse tutto con delle semplici note di pianoforte.
“Ti
è
piaciuta la tua canzone, Espero?” domandò il padre
ed il figlio annuì.
“Ora
lascia
che sia io a farti una dedica, anche se di canzoni su di te ne hanno
scritte un
sacco!”.
Koknos
e
Mavros si scambiarono uno sguardo d’intesa e mostrarono a
tutti le loro ali d’angelo.
Il primo le aveva argento, il secondo rosso cupo, come i loro padri.
Inaspettatamente, anche Espero fece lo stesso.
“Oh..”
commentò Lucifero “..le ali di mio figlio. Temevo
di non rivederle più!”.
Erano
d’angelo, piumate, di un colore che sfumava fra il nero ed il
blu, come quelle
del genitore. Ma un altro dettaglio attirò
l’attenzione dei presenti: un
tatuaggio sul petto del ragazzo. Era complicato, un sigillo fra cui
spiccavano
dei riccioli, intrecciati a formare un numero che angeli e demoni
conoscevano
bene: 666.
“Ci
siamo
modernizzati” spiegò Espero “La chiave
dell’Inferno ora è sulla mia pelle, non
trovate sia comodo?”.
Gli
angeli
sobbalzarono ed i demoni lanciarono grida di approvazione per il loro
signore,
che spalancava le braccia, lieto di udire tali ovazioni. Mihael parve
turbato.
Lui, assieme a Lucifero, si era staccato volutamente dal destino che lo
incatenava a lottare e lo costringeva a partecipare
all’Apocalisse. Ma quel
ragazzo rimetteva in discussione alcune cose. 666..il marchio della
bestia..
L’ombra
di
colui che un tempo era il re dell’Inferno si muoveva lenta,
alle spalle di
Espero. Come avvolgendolo, ricordava a tutti che avrebbe difeso la sua
prole ad
ogni costo, e che nessuno doveva osare azzardarsi a tentare di fargli
del male.
Il giovane non lo notava, distratto dalle grida dei demoni e dal tifo
dei
presenti.
“Venisse
la
fine del mondo..” si chiese l’arcangelo guerriero
“..lotteresti a fianco di tuo
figlio?”.
“Quando
verrà la fine del mondo ci penserò” si
limitò a dire Lucifero, proponendo un
brindisi al festeggiato “Per ora penso solo al fatto che,
qualsiasi scelta
compia, io sarò qui a guidarlo e sostenerlo”.
“E
se lui
non volesse più la tua guida?”.
“Di
certo
non lo maledirò. O lo scaccerò dalla mia
casa..”.
“Non
mi
piace quando fai questi discorsi”.
“Immagino.
Ma
sai..di una cosa sono certo: io ora so in che cosa credere. Io credo
nella
vita. Nel cambiamento. Nella dualità di luce ed ombra. Credo
che, qualsiasi
cosa riservi il futuro, si cadrà e ci si
rialzerà. A volte con facilità, a
volte con più fatica. Ma ci si rialzerà..e si
volerà ancora. Venga pure la
fine. Non sarà mai la fine, ci sarà sempre un
nuovo inizio”.
“Molto
zen..”.
“Beviamoci
su. Meglio!”.
Koknos,
Mavros ed Espero iniziarono a suonare e cantare uno dei loro pezzi.
Keros
osservò suo figlio con orgoglio, trovando incantevole quella
voce. il figlio di
Arles possedeva una tonalità ben diversa dagli altri due,
molto più profonda, e
la sfruttava. Alcuni invitati si unirono al trio, suonando a loro
volta. C’era
chi ballava, chi cantava, chi rideva sotto l’effetto
dell’alcol e chi restava
serio, immobile. Alcuni angeli non si mossero, nonostante
l’insistenza di chi
li circondava. Stranamente, fra queste statue piumate non figuravano
Gibrihel
ed Uriel. Rahael rideva, osservandoli mentre ballavano come degli
imbecilli,
bevendo al tavolo assieme a Mihael. Anche Atena ed i suoi cavalieri si
stavano
divertendo a fare gli scemi.
“Se
verrà
la fine del mondo..” domandò Kanon, avvicinandosi
al gemello “..noi dovremmo
saperlo, giusto?”.
“E
chi lo
sa?” ammise Arles “Io ho il mio mondo, le mie
influenze. Ma se altri decidono
di distruggere, non posso saperlo. Diciamo che preferisco concentrarmi
sul qui
e ora. E sulle persone di cui mi importa e che credono in me”.
“Non
sei
molto misericordioso come creatore..”.
“Nessun
creatore è misericordioso..”.
“Bene..dunque..che
accadrà ora? Tu che cosa hai visto?”.
“Ora?
Ora
ho intenzione di farmi un paio di drink”.
“Parlo
del
futuro, idiota!”.
Il
Dio
delle illusioni sorrise. Keros ascoltava con attenzione, curioso. Le
sue ali
d’argento brillavano nel buio del locale, seppur lievemente.
Alla base del
collo, leggermente scoperto, si intravedeva il drago rosso che si era
fatto
tatuare, come segno d’unione con il figlio di Ares. Arles lo
avvicinò e, con un
bacio, lo fece brillare con più intensità.
Eleonore discuteva con Sarah, la sua
gemella, ignorando per una volta i discorsi seri. Nell’aria,
musica ispirata al
mondo celtico.
“Cosa
ho
visto?” inclinò la testa il Dio dalle ali rosso
sangue “Ho visto tante piccole
cose. I cavalieri, come è facilmente intuibile,
invecchieranno. Ho visto la
morte del mio amico Aiolos. Non sarà in battaglia ed in
giovane età bensì una
dipartita dolce, serena, da anziano. Io lo andrò a salutare
e lui mi dirà di
non essere triste, perché ha vissuto ben più a
lungo del previsto. Andrò a
trovarli tutti, nei campi elisi, un giorno. E saranno felici. Ho visto
i miei
figli, Iravan ed Iravat, con indosso gli abiti sacerdotali e da primo
ministro.
E poi..chi lo sa. Saremo noi, in questo grande universo..”.
“E
se..gli
donassi la vita eterna?”.
“A
chi? Ai
miei colleghi gold?”.
“Sì.
Potresti farlo..”.
“Non
so
quanti di loro vorrebbero..”.
Arles
si
voltò verso i cavalieri, che si stavano divertendo. Ci
avrebbe fatto un
pensierino..
“E
tutta la
faccenda degli angeli e dei demoni?” interruppe il silenzio
Keros.
“Non
sono
sotto la mia giurisdizione” alzò le spalle Arikien
“Però..quando inizieranno le
danze mi piacerebbe assistervi. Quel ragazzo, Espero, ha scelto
volutamente di
staccarsi dalla vista del mio occhio. Gesto coraggioso”.
“Oppure
stupido”.
“Chi
lo sa?
Io lo vedo come un cerchio, qualcosa che viene e va, che inizia e
finisce e poi
ricomincia. Ma ora è inutile pensarci. Tutto ha un inizio ed
una fine, prima o
poi. E questa, per ora, non so se sia la fine o un nuovo inizio. Ma
facciamo un
brindisi, e che la vita ci sorrida, mio mezzo demone!”.
FINE
Sì,
è la fine! :) grazie a tutti per aver
seguito questa storia fino alla fine, averla commentata e gradita!
È stata una
gran fatica anche se è nata di getto, in davvero poco tempo
(era conclusa già a
marzo, ma non potevo postare tutti i capitoli in una volta!). Siete
contenti?
Niente finale assurdo o deprimente, niente stragi XD Vi dico subito che
no, non
ci sarà il numero 4! Non saprei per quale altro motivo
rievocare i saint e
della fine del mondo non mi pare il caso di scrivere XD Forse
prenderanno vita
delle piccole storie parallele su vari OC (Keros, Espero etc..) ma al
momento
non ci penso! Si vedrà
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