Olympus Chapter 3

di SagaFrirry
(/viewuser.php?uid=819857)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- intreccio ***
Capitolo 2: *** II- Incanto ***
Capitolo 3: *** III- Inizio ***
Capitolo 4: *** IV- Incitamento ***
Capitolo 5: *** V- Immagine ***
Capitolo 6: *** VI- Insperato ***
Capitolo 7: *** VII- Irreale ***
Capitolo 8: *** VIII- Ira ***
Capitolo 9: *** IX- Insieme ***
Capitolo 10: *** X- Istinto ***
Capitolo 11: *** XI- Impazienza ***
Capitolo 12: *** XII- Incendio ***
Capitolo 13: *** XIII- Introspezione ***
Capitolo 14: *** XIV- Imperituro ***
Capitolo 15: *** XV- Inferno ***
Capitolo 16: *** XVI- Imago ***
Capitolo 17: *** XVII- Invito ***
Capitolo 18: *** XVIII- Invecchiare ***
Capitolo 19: *** XIX- Invasione ***
Capitolo 20: *** XX- Ignoto ***
Capitolo 21: *** XXI- Incatenare ***
Capitolo 22: *** XXII- Ironia ***
Capitolo 23: *** XXIII- Innovazione ***
Capitolo 24: *** XXIV- Inganno ***
Capitolo 25: *** XXV- Invocare ***
Capitolo 26: *** XXVI- Ibrido ***
Capitolo 27: *** XXVII- Indelebile ***
Capitolo 28: *** XXVIII- Iride ***
Capitolo 29: *** XXIX- Improvvisare ***
Capitolo 30: *** XXX- Idoli ***



Capitolo 1
*** I- intreccio ***


I

INTRECCIO

 

Il sole tiepido d’inizio primavera illuminava quel giovane guerriero che, tolto l’elmo, si puliva il viso con l’acqua del fiume. Lo sciabordio dell’acqua gli impediva di udire i lievi passi di lei, che ora stava nascosta fra gli alberi e lo osservava. Sorrideva maliziosa, mentre lui restava senza armatura e si concedeva un breve bagno, con solo una pezza di stoffa a coprirlo. Consapevole che i boschi pullulavano di ninfe e divinità che ancora non conosceva, il giovane stava attento a non scoprirsi troppo e stava all’erta, per quanto possibile. Era stanco, ma soddisfatto. Lavò via il sangue nemico, con un ghigno. I capelli neri gli ricaddero sul volto, bagnati. La sua espressione mutò leggermente, in una smorfia, quando notò un taglio sulla spalla. Si guardò attorno, pensando a cosa usare per potersi fasciare, quando un paio di candide mani comparvero, riflesse dall’acqua. Alzando gli occhi, lo sguardo rosso di lui incrociò il volto più bello che avesse mai visto.

“Siete ferito” parlò lei, porgendo un nastro che portava fra i capelli “Usate questo”.

Il giovane rimase immobile, con la bocca leggermente aperta, farfugliando sillabe sconnesse. Quella donna, molto poco vestita, era magnifica e lo rendeva incapace di formulare una frase sensata. Lei rise. Era evidente che era abituata a provocare reazioni simili negli uomini.

“Qual è il tuo nome?” riprese a parlare la donna.

“Io? Il mio? Il nome..? Il..”.

Lei rise ancora e lui tossì, cercando di recuperare un certo autocontrollo.

“Sono Ares” rispose, infine “E Voi?”.

“Sono Afrodite. Sei quello nuovo? Il figlio di Era e Zeus?”.

“Sì. Sono io..sono già famoso?”.

“Abbastanza. il figlio del fiordaliso. Il figlio del pruno selvatico. Il Dio della guerra”.

“E Voi siete Afrodite. La figlia delle onde e di Urano. Dea della bellezza e dell’amore”.

“Del sesso. Cerca di essere preciso, ragazzo”.

“Chiedo perdono..”.

Ares indossò l’indispensabile per celare l’inevitabile conseguenza che provocava ad un uomo guardare il corpo di Afrodite. Lei finse di non notarlo.

“Ti aiuto con la ferita” riprese lei, facendo sedere il giovane Dio e sedendosi a sua volta.

Lui non oppose resistenza. Afrodite intrecciò il nastro, in modo da farlo divenire più resistente. Ares ne osservò i movimenti e, per un istante, i loro sguardi si incrociarono di nuovo. E per la prima volta si sorrisero.

 

Ares si stupì nel ripensare a quella scena dopo migliaia di anni. Il loro primo incontro. Prima di Phobos, Deimos, Eros, Anteros, Armonia.. E trovò quasi divertente constatare che tutte le donne a cui si era più legato le aveva conosciute perché ferito. Forse doveva farsi ferire più spesso..

“A che pensi?” chiese Afrodite “Hai un sorriso stupidissimo sulla faccia. Qualche nuovo amore?”.

“Non essere ridicola..”.

“Perché no?”.

La Dea sorrise, raggiungendo Ares, che osservava Phobos e Deimos che come sempre si allenavano. Poco più in là, sorridente, sedeva una bambina. Era l’ultima creatura partorita da Afrodite, ovviamente figlia del Dio della guerra. Guardava in alto, forse sperando nella neve. Il palazzo del padre, fra le montagne della Tessaglia, in quella stagione doveva essere freddo e più minaccioso del solito. Ma, stranamente, il clima era ancora mite.

“Forse Apollo è di buon umore..” si disse il padrone di casa, non avendo voglia di usare molto il cervello “..si starà preparando per il suo compleanno!”.

“Ah, già! È il 21 dicembre, giusto?” commentò Afrodite.

“Solstizio d’inverno, come tutte le divinità legate al sole..dovrò portargli un regalo!”.

 

In realtà, Apollo non era per niente di buon umore, e Artemide lo notò subito. Convocata dal gemello, la Dea capì subito che il fratello aveva una luce diversa negli occhi. A capo dell’Olimpo, il Dio sedeva sul trono un tempo appartenuto a suo padre Zeus.

“Sono qui, fratello” salutò Artemide “Che cosa ordini?”.

“TI ho convocata per un consiglio, sorella. So che tu sei l’unica in grado di aiutarmi davvero”.

“È forse successo qualcosa?”.

“Rispondi a questa domanda: io sono degno di sedere qui?”.

“Degno di essere a capo degli Dei Greci?”.

“Sì, esatto. Secondo te, ne sono degno?”.

“Sei il primo figlio maschio di Zeus. Che domande fai?”.

“Rispondi. Che cos’ho io che Zeus non ha?”.

“Apollo.. Zeus era il padre di tutti noi. Ha combattuto mostri terribili che minacciavano l’Olimpo. Ha sconfitto Crono, liberando i suoi fratelli. Rispetto a noi, suoi figli, lui era nettamente più forte e quindi gli obbedivamo senza discutere. Ma tu, Apollo, sei figlio di Zeus esattamente come me, Dioniso, Hermes, Ares, Atena..”.

“E quindi?”.

“Quindi non puoi elevarti al di sopra dei tuoi fratelli, pur essendo il primogenito. Perché non vi è prova che sia tu il più forte”.

“Capisco. Quindi che dovrei fare?”.

“Potresti..sfidarci”.

“Sfidarci?”.

“Dimostra a tutti che tu sei il più forte. Che le tue capacità sono superiori. Tutti i divini fratelli, in uno scontro, finché non ne resta uno solo. I nostri campioni che si scontrano finché non vi sarà una squadra che prevarrà sulle altre. Se vincerai, più nessuno oserà mettere in discussione la tua posizione”.

“Una sorta di..torneo?”.

“Olimpiadi..termine appropriato in questo caso”.

“Pensi che sarei in grado di sconfiggervi tutti?”.

“Non lo so. Ma per governare sull’Olimpo, facendoti rispettare, questo è l’unico modo. Altrimenti tutti non faranno altro che mettere in dubbio la tua posizione”.

“Ma quanti saranno? Gli sfidanti, intendo..”.

“Atena non è ancora rinata. Afrodite dubito combatta, sempre che non trovi dei guerrieri adatti a rappresentarla. Forse potrebbe sfruttare i suoi figli, con un’alleanza con Ares. Phobos e Deimos seguono sempre le disposizioni del padre..”.

 “E quell’altro figlio della guerra?”.

“Arles? Il bastardo mezzosangue? Dici possa lottare in nome di Ares?”.

“No. Quel che voglio sapere è se devo temerlo. È cresciuto? O è solo un apprendista?”.

“Non lo so. Non lo vedo da quando ha trascorso del tempo nel mio palazzo, per apprendere quanto doveva.  Da te non è stato?”.

“Certo. A quanto sembra, ha trascorso un periodo nei Templi di tutti quanti noi”.

“Questo ti preoccupa?”.

“Non è un idiota. Ha imparato molto e, ne sono certo, deve aver intuito i nostri punti deboli e di forza”.

“E allora?! Io li conosco fin dalla nascita i tuoi punti deboli e di forza! Non avrai mica paura? Prepara i tuoi campioni e prepara te stesso. Non fare il mammone”.

“Non sono un mammone!”.

“Dimostramelo!”.

 

“Ne sei sicuro? Hai fonti autorevoli?” chiese conferma Mur.

“Persefone” rispose Kiki, prendendo volentieri un sorso della bevanda calda che gli offriva il maestro.

“Hai ancora contatti con lei?”.

“Certo. Come compagna di Aphrodite dei Pesci, a volte vedo entrambi passare per il Santuario”.

Kiki era momentaneo ospite di Mur, fra le montagne nello Jamir.

“So che, come Gran Sacerdote, non dovrei mai lasciare il Tempio” riprese “Ma, sinceramente, mi annoio. Atena non è ancora rinata e ci sono pochi cavalieri. La notizia di Apollo che vuole organizzare cose strane mi spaventa. Come capo dell’Olimpo, lui mi piace. È legato alla medicina, al sole, alla musica, alla poesia..”.

“Zeus era un pervertito..”.

“Sì, ma si faceva valere! Apollo è potente ma non so se riuscirà a tener testa a tutti i suoi fratelli. E se Hades o Poseidone reclamassero il trono..”.

“Comprendo la tua preoccupazione. Potrebbero anche mostrarsi divinità di generazioni precedenti”.

“Esatto. Tutti vogliono un posto sull’Olimpo! E se, al posto di Apollo, prendesse il comando una divinità oscura o maligna? O comunque non votata al bene del Mondo?”.

“Sarebbe triste ma..che possiamo farci noi, Kiki? Atena, come ben sai, non è ancora rinata e i cavalieri della mia generazione..beh, gli anni passano per tutti! Noi siamo Lemuriani, viviamo a lungo ed io ho ancora un aspetto giovane, ma non per tutti è così”.

“Lo so. Alcuni di loro sono ancora al Santuario”.

“Chi ha relazioni con le divinità è ancora giovane ma gli altri..penso che siano perfino stufi di combattere”.

“Quello non credo..”.

“Ma resta sempre valida la mia domanda: che possiamo fare? Non abbiamo una divinità da sostenere, o per cui lottare. Siamo tagliati fuori da questa faccenda. Solo gli Dei e gli eroi da loro scelti potranno affrontarsi, sono queste le regole, giusto?”.

“Sì, esatto. Ma non possiamo restare qui. Atena vorrebbe di certo un nostro intervento!”.

“Potresti provare a far ingaggiare i cavalieri disposti a combattere da una divinità che ritieni giusta”.

“Già trovarne una è difficile, convincerla pure a farci combattere al suo fianco..la vedo davvero dura! Gli Dei sono circondati da semidivinità, campioni ed eroi. Ognuno di loro ha il suo gruppo di servitori. Se solo ci fosse Atena..”.

“Atena rinascerà quando è giusto che rinasca. Non acceleriamo le cose..”.

“Non è questo il punto! Perché non vai tu a fare il Sacerdote, visto che sei tanto saggio e posato?!”.

“Kiki, rilassati. Atena non può voler veramente lottare in questa specie di scontro fratricida”.

“Ah, no? Ma se lei stessa ha indetto una cosa identica anni fa!? Non te lo ricordi? Quel torneo in cui si vinceva l’armatura finta di Sagitter”.

“Giusto..ma rifletti. Vorresti TU parteciparvi? È uno scontro in cui potresti ritrovarti di fronte un sacco di vecchie conoscenze”.

“Del tipo?”.

“Gli Specter, i Generali Marini, i figli di Ares..”.

Kiki rimase in silenzio qualche istante, fissando il nulla. Scosse la testa, ammettendo di non volersi immischiare. Però, come Gran Sacerdote, si sentiva in dovere di doverlo fare.

“E poi, sinceramente..” gli sorrise Mur “..sapresti decidere con certezza assoluta quale divinità possa stare meglio sul trono Olimpico? Salvo Zeus, ovviamente, che ancora non è rinato. Lui, anche se era un mandrillo, sapeva il fatto suo. Come mortali, non possiamo dire di conoscere profondamente le divinità, i loro pregi ed i loro difetti. Il consiglio che posso darti è: lascia che se la sbrighino in famiglia. So che è dura, e che ritieni giusto dover intervenire per il bene del Mondo, ma senza la guida di Atena non possiamo agire in modo sicuro. Rischiamo di sostenere un’entità che poi, in realtà, si potrebbe dimostrare del tutto inadatta”.

“Ma noi Cavalieri abbiamo difeso l’umanità da Hades, Poseidone e chiunque altro volesse comandare sulla Terra! E ora ce ne stiamo fermi?!”.

“Se Atena non è ancora rinata, significa che l’umanità non è in pericolo. Altrimenti, come prima di ogni Guerra Santa, sarebbe tornata. Perciò rilassati, torna al Tempio e stai tranquillo”.

“Mi chiedi molto..”.

“Lo so. Se è destino, Atena ti dirà che cosa fare. Sei sempre il suo Sacerdote, no?”.

Kiki annuì. Doveva fidarsi della sua Dea, non poteva fare altro.

 

“Cos’hai da guardare?” sibilò scocciato.

Imbacuccato e con le mani affondate nelle tasche, camminava lungo uno stretto sentiero, con i lunghi capelli mossi dal vento. Colui che lo osservava, non rispose.

“Ma non si avvicina il 25 Dicembre?!” ringhiò ancora, infastidito.

“Sì, e allora?” rispose la voce limpida dello spione.

“Non avete altro da fare, voialtri angeli, in questo periodo?!”.

“Il mio lavoro è tenerti sotto controllo. So che cosa vuoi fare, Lucy”.

“Non chiamarmi Lucy, non lo sopporto!!”.

“Ma che hai? Forse freddo? Sembra tu stia andando da Babbo Natale”.

“Babbo Natale?! Un simbolo pagano pronunciato dalla tua bocca, Mihael? La cosa mi stupisce alquanto”.

“Io parlo come mi pare. E adesso vedi di tornartene subito a casa, prima che ti ci rispedisca io! A calci!”.

“Abbassa i toni! C’è il libero arbitrio, no? Io posso fare quel che voglio e tu non puoi impedirmelo. E..come cazzo fai a startene con quel gonnellino striminzito con questo gelo?!”.

Mihael alzò un sopracciglio, senza mutare espressione. Volava sopra al fratello maggiore Lucifero, non provando minimamente freddo. Ma probabilmente colui che stava spiando era abituato ad ambienti ben più caldi. Lucifero, senza le ali e con abiti “civili”, sembrava solo un mortale all’aperto, salvo per quello strano sguardo.

“E vattene!” sbottò ancora lo spiato.

“Che pensi di fare?”.

“Non lo sapevi già?”.

“Lo intuisco. E cercherò di impedirtelo, ovviamente rispettando le regole che mi impongono il cielo”.

“Voglio solo andare a trovare mio nipote. Sbaciucchiarmelo sotto il vischio e fare tutte le altre cazzate che si fanno durante le feste del solstizio”.

L’angelo inclinò la testa.

“Sto scherzando! E fattela una risata, Miky! Non sorridi mai?!” storse il naso Lucifero.

“No. E tu lo sai”.

“Dovresti iniziare!”.

“Inizierò quando tu non mi darai più problemi, cornuto”.

“Questo non può succedere, e tu lo sai. Io vedo la nostra rivalità come qualcosa di divertente. A volte..”.

“Abbiamo un carattere molto diverso, fratello”.

“No, non credo. Ad ogni modo, migra! Svolazza altrove!”.

“Non puoi impedirmi di andare dove vai tu. Il tuo compito è tentare la gente, il mio quello di mostrare quale sia la via giusta, scacciando te”.

“Alla fine, sarà mio nipote a decidere. Non appartiene alla schiera di anime che ci contendiamo io e te”.

“Ma non rifletti sulle conseguenze?! Non usi mai il cervello?!”.

“Lo uso più di te! E poi, in questo caso, non si tratta di strane macchinazioni alle spalle del cielo”.

“No? Non vuoi la possibilità di poter ficcare il naso ed allungare le mani sull’Olimpo?”.

“Che me ne faccio del simbolo di una religione morta?!”.

“Gerusalemme non puoi averla, quindi..”.

“Già..Gerusalemme..bel lavoro con quella città. Davvero” rise, sarcastico, Lucifero.

“Non ti prendo a pugni solo perché sono un signore..”.

“Se lo dici tu”.

Mihael atterrò, facendo svanire le ali, ed iniziò a camminare a fianco del fratello maggiore, che trovò la cosa piuttosto fastidiosa.

“Smamma!” protestò il caduto.

“Voglio fare una passeggiata. Non posso?”.

“Consumi il mio ossigeno e poi..da quando sei così fastidioso?!”.

“Voglio vederci chiaro. Non mi fido di te, ma la faccenda di Sophia ti ha un po’ mandato fuori fase perciò a volte fai cose che non mi aspetto”.

“Gli anni passano per tutti. Tu, per esempio, stai mettendo su pancia”.

“E tu hai i primi capelli bianchi!”.

“Ammettilo. Vuoi vedermi mentre sbaciucchio mio nipote!”.

“Ma no! Ma che pensieri orrendi hai in testa?!”.

Lucifero allungò una mano ed afferrò l’angelo per il braccio, tirandolo verso di sé, fingendo di volerlo baciare. D’istinto, Mihael fece comparire la sua spada di fuoco e si contorse, liberandosi.

“Sto scherzando!” ride di nuovo Lucifero “Riponi la spada laser, Luke! E lasciami in pace. Se vorrai discutere con mio nipote, appena me ne sarò andato, sarai libero di farlo. Buon Natale, in caso non ci rivedessimo prima di quella data”.

 

Questo è il mio personale regalo per la celebrazione del solstizio a tutti i fan. Non so in quanto tempo riuscirò ad aggiornarlo, spero presto. Per ora, aspettatevene di tutti i colori e buon inizio d’inverno! E tanti auguri ad Apollo

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II- Incanto ***


II

INCANTO

 

Kiki stava camminando lungo lo stretto sentiero che correva lungo un terreno molto poco ospitale. Non era certo un problema, abituato com’era alle scale del Tempio ed i pendii di casa Jamir, perciò voltò l’angolo con il sorriso sulle labbra. In lontananza, vicino alla costa, protetto da alti scogli ed alture, si ergeva il palazzo che intendeva raggiungere. Non vi era mai entrato, né lo aveva mai visto. Solo dicerie erano giunte al suo orecchio e, da quel che vedeva, erano del tutto esatte. Lo descrivevano come un luogo meraviglioso e lo era per davvero. Il sole al tramonto illuminava il mare e la sagoma della dimora ormai vicina.

“E Voi chi siete?” si sentì chiedere, da una voce gentile.

Kiki si guardò attorno, cercando la fonte di quella voce, ed individuò quel che a prima vista gli sembrò un ragazzo. Osservandolo meglio però si accorse che, probabilmente, il suo aspetto celava un’età ben diversa. Con capelli color rosso cupo lunghi fino a metà schiena, che in parte ne coprivano il viso, lo sconosciuto ripeté la domanda, con maggior convinzione. Kiki non rispose subito, lo osservò ancora, vedendolo muovere qualche passo leggero. Il Sacerdote era prudente. Attorno a quella creatura aleggiava una strana energia, che non riusciva a catalogare.

“Sono Kiki” si decise a rispondere “Gran Sacerdote di Atena. Sono qui per vedere il mio predecessore Arles”.

“Arles?” sorrise l’essere “Erano anni che non sentivo chiamare il mio padrone così”.

“Padrone?”.

Lo sconosciuto ridacchiò, ed un ciuffo di capelli andò a coprirgli l’occhio sinistro. Kiki continuava ad osservarlo, senza comprenderne la natura.

“Non ho cattive intenzioni” continuò il Sacerdote “Voglio solo parlargli. Siamo colleghi..”.

“Il mio Signore ha espresso il desiderio di non venire ulteriormente disturbato. A quanto pare..è molto gettonato ultimamente e si è stancato di ricevere visite”.

“È una questione molto importante!”.

“Dicono tutti così, soprattutto negli ultimi tempi. Riguarda le strane idee di Apollo, immagino”.

“Sì, esatto. Spero capiate che è una questione che..”.

“Mi spiace. Io ho ricevuto un ordine”.

“Ma..io e Arles siamo amici. Non sono qui per infastidirlo. Solo per..”.

“Non posso. Io devo obbedirgli. Se la tua Dea ti desse un ordine, immagino obbediresti. Qualsiasi sia la circostanza”.

“Mi prendo io la responsabilità. Fammi passare e dirò che è stata colpa mia, che mi sono teletrasportato”.

“Il mio Signore sa che sono in grado di intercettare anche coloro che, come te, usano la telecinesi”.

“Allora gli dirò che ti ho minacciato, cosa che intendo fare!”.

“Dovrai uccidermi. Quello è l’unico modo per farmi infrangere l’ordine del mio Signore”.

“Ma andiamo! Non sono un nemico!”.

“Per quel che mi riguarda, potresti anche essere suo padre. Solo un contrordine mi farà smuovere”.

“Ed un cazzotto su quel bel faccino angelico? Che dici? Quello ti fa finalmente scansare?”.

“Voi cavalieri sapete risolvere le questioni solo a suon di pugni?”.

“No, sono bravo anche con gli insulti. Voi che ne usi?! Levati! Non sono come Aphrodite, a cui dispiace spaccare la faccia a quelli belli!”.

Kiki strinse i pugni, espandendo il cosmo. Colui che aveva di fronte mosse solo leggermente l’occhio scoperto, di un intenso color ambrato, illuminandolo.

“Kiki!” esclamò una voce di donna.

Lo sconosciuto, che nel frattempo si era leggermente sollevato da terra, ebbe un sussulto ed il suo sguardo tornò quello di sempre. Rimise i piedi in terra e si voltò, raggiunto da Eleonore.

“Kiki!” parlò proprio lei “Sei proprio tu? Che piacere vederti! Ho percepito il tuo cosmo e ti sono venuta a cercare”.

“Eleonore!” la riconobbe il Sacerdote “Non sei cambiata..”.

“Merito del marito divino, cavaliere. Vieni, ti mostro casa! Non l’hai mai vista, dico bene?”.

“Non sono mai stato qui, esatto”.

“Allora cosa aspetti? Seguimi! Non preoccuparti, ti lascerà passare. Dico bene?”.

Eleonore fissò con leggero rimprovero la creatura dai capelli rossi, che distolse lo sguardo.

“Dico bene?” ripeté lei.

“Sì, Signora” fu la risposta.

Lei sorrise, soddisfatta, e guidò Kiki fino al palazzo vicino.

 

“Un posto sull’Olimpo..tuo marito che pensa al riguardo? Cercherà di accaparrarsi quel ruolo?” domandò Ipazia rivolta ad Anfitrite, moglie di Poseidone.

“Non l’ho ancora capito” ammise la Dea “Ed il tuo? Hades che intenzioni ha?”.

“Ha chiesto a me se volevo divenire regina degli Dei”.

“E tu che cosa hai risposto?”.

“Che già il controllo dell’Oltretomba mi basta. E Poseidone? Come ha reagito?”.

“Sta soppesando i pro ed i contro. Tutti noi lo stiamo facendo, alla fine. Vale la pena scoprirsi, affrontare parenti e amici per divenire signori degli Dei?  Ammetto che l’idea di divenire regina dell’Olimpo mi alletta alquanto..ci sono troppi fighetti e primedonne attorno a quel trono. Tutti pronti a discutere per cretinate, ma poi..”.

“Io non saprei. Non sono al fianco di Hades da abbastanza tempo da poter dire di conoscere bene le divinità. Come regina, che cosa faresti? Nel senso..che ordine daresti per primo?”.

“Bella domanda! Non ci ho pensato!”.

“Ma quindi tu spingerai tuo marito a combattere?”.

“Spingerò mio marito a risvegliare i suoi Generali. Zeus e la sua stirpe ha governato fin troppo, portando il nostro culto alla rovina”.

“Non so se sono stati loro..”.

“E tu? Gli Specter e i Giudici non sono disposti a lottare per Hades?”.

“Non vedono l’ora. Quel che mi chiedo è se è giusto. Gli Specter sono anime morte, a cui Hades concede un ruolo negli inferi. Il mio sposo controlla le anime e non credo che debbano governare sul mondo esterno. Sarebbe qualcosa di..”.

“Favoloso! Ipazia, se il tempo della luce di Zeus è terminato, forse è venuto il nostro turno. Come regine delle tenebre e dei mari, possiamo cambiare questo mondo!”.

“E gli esseri umani?”.

“Quelli nascono e muoiono continuamente, lo sai bene. basterà farne degli altri..”.

 

Eleonore aveva condotto Kiki lungo le stanze del palazzo, che l’ospite osservava con incanto. Dopo un bel giro, si decise a condurre il Sacerdote dal padrone di casa.

“Entra pure, immagino dobbiate discutere di cose importanti perciò vi lascio da soli. Ci vediamo dopo” sorrise lei, aprendo la porta e incrociando per solo pochi istanti gli occhi di Arles.

“Ti è piaciuto il tour?” commentò, divertito, il Dio delle illusioni quando vide entrare il Sacerdote.

“Sì, direi di sì” ammise Kiki, mentre Eleonore chiudeva la porta e si allontanava.

 “Che è quella faccia?” domandò Arles, seduto su una sorta di trono complicatissimo, invitando l’ospite a sedersi al tavolo con lui.

“Niente” scosse la testa il Sacerdote, guardandosi attorno e notando che quella stanza doveva essere una sorta di studio, pieno di libri e oggetti strani “È che questo palazzo è immenso e splendido”.

“Ti ringrazio. Però..” con un cenno, l’aspetto della stanza e del paesaggio che si scorgeva dalla finestra alle spalle di Arles mutò.

“Cosa..cosa è successo?!” si stupì Kiki, mentre il palazzo continuava a cambiare più volte.

“Nulla. Mi diverto..”.

“Qual è il vero aspetto di questo luogo?”.

“Lo so solo io”.

Sconcertato da questo, Kiki sedette, non molto convinto che quel tavolo fosse reale. Ora dalla finestra si scorgeva il mare ed il tramonto, come quando l’ospite era arrivato.

“Non sei cambiato, Arles. Ma potrebbe essere tutta un’illusione, dico bene?”.

“Dici bene. Com’è andato il viaggio? Hai avuto problemi? Ammetto di aver faticato per trovare un luogo difficile da raggiungere..”.

“Nessun problema. Salvo uno scocciatore proprio qua fuori, poco distante dal palazzo, che non voleva farmi passare”.

“Uno scocciatore?”.

“Sì, una creatura che non so come definire”.

La porta si aprì e l’essere dai capelli rossi entrò con un vassoio, versando del tè nella tazza appena posata davanti a Kiki. Senza dire una parola, si congedò con un inchino ed uno strano sguardo, che il Sacerdote non seppe interpretare.

“Kiki, che c’è? Il tè non ti aggrada?” domandò Arles “Preferisci i superalcolici? Sei già giunto a questo punto, nella tua carriera da Sacerdote?”.

“Ma no!” scosse la testa l’ospite “È solo che è quello il tizio che ho incontrato prima. E stava per beccarsi una Starlight Extinction in piena faccia!”.

“Chi? Keros?”.

“Si chiama così?! Non lo so”.

“Poverino. Obbedisce solo ai miei ordini. Non maltrattarlo”.

“Non lo maltratto. Solo che è irritante. Non voleva farmi passare”.

“Perché era quello che gli avevo ordinato di fare. Suvvia..non ti scaldare. Tu eri molto più petulante quando si trattava di avere udienza da Atena”.

“Non è vero!”.

“Sì che è vero! E poi dai..è carino, perdona la sua testardaggine”.

“Carino?!”.

“Sì. Non sembra una ciliegia, con quel colore di capelli? Una ciliegia vestita di bianco..”.

Kiki rimase perplesso, non sapendo bene che dire e Arles rise, divertito dalla sua faccia.

“Alla salute” ridacchiò ancora, sollevando una coppa d’oro.

“È ambrosia?” domandò Kiki, allungando il collo cercando di scorgere il colore del liquido.

“Mortaluccio curioso” ghignò il padrone di casa “Ne vuoi un goccio?”.

“Ah, magari!”.

“Sto scherzando! Non posso!”.

“Lo so. Poi vivere per sempre non mi interessa. Già come Lemuriano romperò le palle al mondo per un paio di secoli, forse anche di più..”.

“Sinceramente, devo ancora abituarmi a questo intruglio”.

“Il tè è delizioso”.

“Dopo lo dirai a Keros, così non vi lancerete altri sguardi di odio nel mio palazzo. E adesso coraggio, dimmi tutto quel che hai da dirmi. Nessuno giunge fin qui solo perché vuol fare una passeggiata..”.

 

Keros raggiunse silenziosamente la stanza di Eleonore, che leggeva un libro. Le versò il tè, che le lasciò accanto, e fece per andarsene. Lei alzò gli occhi.

“Fammi compagnia” invitò lei “Siediti. Oggi la mia ancella ha il giorno libero”.

Con un po’ di riluttanza, Keros sedette. Riempì la tazza libera e la strinse fra le mani per scaldarle. Eleonore sorrise a quella scena.

“Guarda che se hai freddo si può..” iniziò, ma lui la interruppe, scuotendo la testa e ripetendo più volte che stava bene.

“Cosa ti preoccupa, Keros? Hai una strana faccia..”.

“Niente..”.

Spostando il ciuffo rosso dal viso, sorseggiò un po’ di tè bollente, tentando di sfuggire allo sguardo indagatore di Eleonore.

“Keros..non puoi mentirmi. Ormai ti conosco. Da quanti anni sei qui?”.

“Una decina, mia Signora”.

“Forse anche qualche anno di più. So che per te probabilmente non è molto, vista la tua età..”.

“Chiedo perdono per prima, Lady Eleonore”.

“Per che cosa?”.

“Non ho obbedito immediatamente al vostro ordine di far passare il Sacerdote di Atena”.

“Tu sei a servizio di mio marito ed è giusto che prima obbedisca alle sue disposizioni. Tranquillo. Piuttosto..cosa c’è?”.

“Nulla. Solo che..io ho seguito il mio Signore nel suo addestramento fra le varie divinità, ed erano tutte pronte a trattarlo come qualcosa di inutile, di superfluo. Prendere in giro perché giovane ed inesperto, perché sangue misto. Poi ne hanno avuto paura, perché hanno visto parte del suo potere. Angeli e Demoni lo temono, lo evitano. Il Santuario, i suoi colleghi..tutti..d’un tratto rispuntano. Tutti d’un tratto sono qui, ad elemosinare. D’un tratto sono tutti amici, tutti simpatici, tutti che..”.

“Capisco quel che vuoi dire. Infastidisce pure me, lo ammetto. Ma purtroppo la faccenda di Apollo e l’Olimpo coinvolge tutti noi, volenti o nolenti. Io spero, sinceramente, che non si cacci in una nuova guerra. Ma, se lo dovesse fare, il mio compito è stargli accanto, come ho sempre fatto”.

“Lo so..”.

“Lo sosterrò, anche se vorrei portarlo via con me in un luogo lontano che non conosco, in modo che non vengano a cercarlo. Ma tu sei libero, Keros. Se ti infastidisce questa gente e non vuoi avere a che fare con Apollo, sei libero di andare”.

“Madama Eleonore, io seguirei il mio Divino Signore fino in capo al mondo, se me lo chiedesse. Non mi spaventano di certo le conseguenze”.

“Oh, Keros..sono davvero tanto felice che tu sia qui. Condividiamo in parte le preoccupazioni per la stessa persona. È meno faticoso. Il fatto che tu gli stessi vicino mentre affrontava tutte le prove a cui lo hanno sottoposto gli Dei, mi ha dato coraggio. Perché so che tu lo aiuti sempre e gli impedisci di compiere madornali cazzate. Sei il mio sostituto, sotto certi aspetti..”.

“Lieto che la cosa non la infastidisca”.

“E perché dovrebbe?”.

Keros non rispose, bevve un altro sorso di tè e poi si alzò, portando via le tazze vuote.

“Solo una cosa..” lo fermò Eleonore “..io apprezzo la tua fedeltà però..sei libero di andare e venire quando vuoi, sai? Ne abbiamo già parlato. La mia ancella ha giorni liberi e la sera torna sempre a casa. Potreste mettervi d’accordo, dandovi i turni e..”.

“Non è necessario. Questo è il posto in cui voglio stare. Ovunque il mio Signore sia. Da nessun’altra parte”.

Senza lasciare tempo alla padrona di casa di replicare, Keros lasciò la stanza. Eleonore lo osservò, seguendo con lo sguardo il rosso dei capelli ed il bianco della veste che scompariva dietro la porta, tornando poi a leggere.

 

“E quindi che cosa vuoi da me, Kiki? Che combatta in nome di Atena?” chiese Arles.

“No, non potrei mai chiedertelo. Chiedo un parere. Che dovrei fare, secondo te? Mur ha detto che devo farmi i cazzi miei”.

“Mur ha perfettamente ragione..”.

“Ma..come? Non sei preoccupato?!”.

“Entro un certo limite”.

“In che senso?! Dovresti esserlo! E molto!”.

“Ah sì?”.

“Io lo sono..vorrei sapere chi potrebbe vincere, che cosa accadrà e..”.

“È l'incontenibile irruenza umana, mio caro. L'imprescindibile desiderio che avete voialtri mortali nel cercare di ottenere tutto, di comprendere tutto, qui e ora. Un tempo ero anch'io come voi, come te. Ma, sollevando lo sguardo dal reale presente si può scorgere, a volte, l'impalpabile futuro ed a cosa determinate scelte possono portare. Tu non lo puoi vedere, perché cieco uomo nelle cui vene scorre sangue rosso”.

“Ma che stai blaterando?! L’ambrosia è alcolica, per caso?! Che ti sei fumato?!”.

“Smettila di porti tante domande, Kiki. Lascia che io ti guidi, in modo che tu sia in grado di rispondere da solo alla tua domanda. Lascia che ti mostri fin dove il mio ikor può giungere. Lascia che ti insegni come sollevare quello sguardo umano e perduto, finalmente aprendo gli occhi verso la conoscenza. Lungi da me d'aver compreso ogni cosa ma..concedimi di mostrarti SOPHIA"

 “Sophia? Mi fai paura. Sembri Shaka dopo un paio di canne. Cos’è Sophia?!”.

“Il termine con cui indico la CONOSCENZA. La vado ancora cercando per il mondo, ma alcune cose posso già comprenderle”

“Chi vincerà? Tu lo sai? Puoi vederlo?”

“Ti rispondo con un’altra domanda: chi governa il mondo, impaziente Sacerdote?”.

“In che senso?”.

“Gli Dei sono più potenti se tanta gente crede in loro o agisce secondo la loro mansione. Quando la gente si illude, io mi potenzio. Quando suoni uno strumento, alimenti l’anima di Apollo e le sue muse. Quando godi con una donna, appaghi Afrodite. Chi prevale per il mondo? Cosa vedi, fra i mortali?”.

“Domanda impegnativa. Parli di mortali in generale?”.

“Sì, lascia perdere i casi umani che conosciamo noi. Guarda il mondo nella sua interezza. L’umanità nel suo insieme. Cosa ti sembra che segua?”.

“Direi i piaceri terreni. Il divertimento, i piaceri della gola e dell’ebbrezza di Dioniso. Ma anche le tentazioni della carne, l’unione sessuale, l’amore. Afrodite ed Eros”.

“Bravo. Se rifletti manca solo una pedina in questo bel quadretto. Colui che tutti codesti soggetti sopracitati hanno in comune”.

“Che hanno in comune Dioniso, Eros ed Afrodite? Non sono dei guerrieri, è questo che intendi dire?”.

“Secondo molte fonti, Dioniso è figlio della figlia di Cadmo ed Armonia”.

“Armonia? Tua sorella?”.

“Già..”.

“Ma quindi..la pedina di cui parli è..la guerra? Ares?”.

“I mortali e gli Dei si fanno la guerra fin dagli albori. Da prima che mio padre nascesse dal tocco di Era su un fiore che pare sia stato un pruno selvatico. Si fa la guerra da sempre e mai si smetterà. Anzi, secondo me, l’umanità finirà col distruggersi proprio facendosi la guerra”.

“Quindi dici che Ares sia potente in quest’epoca?”.

“Ares lo è sempre stato. Ma ha un problema: il cervello altalenante. Non è in grado di focalizzare le cose a lungo termine. È istinto, e lo guida la rabbia. Con un’alleanza, però, sarebbe molto più potente. E Afrodite, con Eros, di certo si alleerebbero con lui. Sarebbero tre delle forze più influenti del mondo, unite. Dioniso sinceramente non so che farebbe, ma conoscendo il suo odio nei confronti di Apollo credo che sarebbe disposto a tutto pur di prenderlo a calci in culo”.

“Ma è terribile! Ares è un Dio spaventoso! Orrendo!”.

“Se magari la pianti di insultare gratuitamente parte del mio patrimonio genetico..”.

“Ma è la verità!”.

“Calmati! Respira, Lemuriano!”.

“E tu..combatterai per lui? Al suo fianco?”.

“No”.

“No?”.

“No per un semplice motivo: mio padre non combatterà. Lo ha già deciso”.

“Come sarebbe a dire?!”.

“Non vuole divenire Dio supremo dell’Olimpo. Preferisce il suo Tempio solitario”.

“Quindi..tutta la conversazione di prima..”.

“Kiki, le divinità più influenti sull’umanità non hanno intenzione di prenderne le redini, perché hanno già molto più del dovuto. Perciò, chi sia a capo dell’Olimpo che differenza fa? Non riuscirà a cambiare i mortali”.

“Ma potrebbe portare a conseguenze pesanti sulla Terra, se ne modificasse gli equilibri”.

“Le divinità in grado di modificare gli equilibri sono poche. E quasi tutte incatenate in luoghi ben nascosti”.

“E non potresti essere tu?”.

“Io che cosa?”.

“Tu il Dio che comanda l’Olimpo”.

Arles rimase in silenzio qualche istante e poi scoppiò a ridere.

“Che hai da ridere?!” si indispettì Kiki “Trovi la cosa divertente?!”.

“Molto. Kiki, io non ho un esercito di guerrieri, e non intendo averlo. I miei figli cresceranno in un modo diverso dal mio”.

“Nulla ti vieta di avere dei soldati di supporto, provenienti da altri Templi”.

I due si fissarono. Il padrone di casa smise di ridere, inclinando leggermente la testa.

“Sacerdote..” mormorò “..tu..stai chiedendo di poter essere un soldato a mio supporto? Come tuo Dio, se pur momentaneamente? Tu..stai chiedendo una cosa del genere..a me?!”.

“Se necessario, sì”.

“Te lo ha suggerito Atena?”.

“No, non è ancora rinata”.

“E allora perché? Ti rendi conto di quel che dici? L’Olimpo in mano alle illusioni?”.

“Il mondo intero è avvolto dalle illusioni! Io stesso lo sono! Credevo che avrei servito per sempre la mia Dea, che lei mi avrebbe sempre sostenuto, ma sono solo! Mi sono illuso di poter ascoltare e trasmettere la sua voce, così come altri mi hanno seguito illudendosi che io potessi guidarli! Ma non è così! Il tuo potere è immenso ed è ovunque, nemmeno te ne accorgi. Preferisco un’umanità illusa ma felice, in cerca di quel che tu chiami SOPHIA, piuttosto che un branco di animali alcolizzati e maniaci, che san solo scopare e fare la guerra!”.

“Kiki..Kiki io..non so che dire..”.

“Dì quello che vuoi, incantami pure con i tuoi poteri. Le illusioni sono come miele per l’anima, quando la realtà è crudele”.

“Kiki..l’umanità intera non potrà mai essere come vuoi tu. Già in passato si è tentato di creare un luogo perfetto, avvolto dall’illusione dell’eterna letizia, ma è stata proprio la voglia di conoscenza dell’uomo che ha demolito questa illusione. È bastato il morso di una mela, offerta da un serpente che conosco fin troppo bene. Le religioni nascono e muoiono, Sacerdote. Nessuno sa come saranno le credenze nel cuore degli uomini, se ci saranno ancora, fra duemila anni. Probabilmente l’inferno ed il paradiso in cui ora credono con tanto fervore non saranno altro che mitologia, come lo è ora il regno di Hades. Ma la verità qual è? Chi ha ragione? Il serpente, il paradiso, Hades, gli nuovi Dei che verranno?”.

“Questi discorsi sono complicati. Per me la verità è una: io credo in Atena e faccio ciò che mi dice”.

“E se lei non parla?”.

“Se..”.

“Se lei non dovesse tornare, tu cosa faresti?”.

“Come sarebbe a dire?”.

“Atena ha sacrificato se stessa per porre fine ad una guerra e ridare vita a degli innocenti. Forse, così facendo, ha consumato tutto il suo animo. E questo rende impossibile il suo ritorno”.

“Ipotesi spaventosa!”.

“Spaventosa ma possibile”.

“Io sto chiedendo a te di aiutarmi. E tu mi fai deprimere”.

“Io, che creo illusioni, sono il più adatto a mostrare  com’è la dura realtà”.

“Che dovrei fare, secondo te?”.

“Sono lusingato dal fatto che tu voglia combattere come mio soldato, ma ti consiglio di darti tempo. Il tuo animo ed il tuo cosmo sono turbati e non riescono a sentire la voce della tua Dea. Se essa ancora esiste, ed attende di rinascere, saprà comunicare con te, se saprai ascoltarla. Perciò torna al tuo Tempio, riposa, calma la mente. So che suona strano detto da me..”.

“E tu che cosa farai?”.

“Io? Tutti vogliono vedermi fare qualcosa. Lucifero vuole che combatta, per potersi prendere un pezzo d’Olimpo. Mihael vuole che difenda le forze del bene, che solo lui sa che cosa siano. Io..ho piena intenzione di sbattermene dell’Olimpo e di tutti i suoi abitanti! Questo mese è pieno di cerimonie molto carine in varie religioni ed ho intenzione di parteciparvi”.

“Andrai in cielo per Natale?”.

“In paradiso, intendi? No, non mi chiamo Dante. Poi, tecnicamente non sono un angelo puro, quindi non ci posso andare”.

“La cosa ti fa incazzare?”.

“No. Chissenefrega”.

“Ma hai ancora le ali, vero? Intendo dire..non sei diventato un demone o un’altra cosa strana..”.

“Non sono abbastanza strano già così?”.

Arles ghignò, alzandosi e facendo comparire le ali, ancora di colore rosso.

“Sì..” ridacchiò “..lo zio Lucifero tenta di farmi cadere e mutare il loro colore. Prima o poi ci riuscirà, ma fin ora non è successo”.

“Sono bellissime. Perché le nascondi?”.

“Perché sono scomode. Sono peggio delle Armature divine, che per fortuna tu non hai dovuto provare! Ed ho già Aphrodite dei Pesci che mi rompe le palle dicendomi che sono  magnifiche, sexy e cose simili..”.

Kiki non riuscì a trattenere una risata, immaginando Arles che camminava fiero con le ali spalancate e dietro Aphrodite che gli urlava contro che era splendido.

“Torna a casa, Kiki” sorrise il padrone di casa “E rilassati. Vedrai che Atena saprà parlarti, se è destino che accada. Altrimenti non preoccuparti. Sull’Olimpo litigano da sempre ed il mondo non è mai giunto alla fine! E nemmeno l’umanità”.

“Forse hai ragione..”.

Entrambi si incamminarono lungo il corridoio. Il Sacerdote, convinto solo in parte, si apprestava a tornare  a casa. Incrociò con lo sguardo una giovane donna e la riconobbe a stento.

“Sophia?” chiese.

“Sì” confermò Arles, mentre lei proseguiva il suo cammino “La primogenita figlia mia e di Eleonore. È cresciuta, vero?”.

“Molto”.

“Sono parecchie le divinità che la chiedono in sposa, ma sarà lei a decidere, quando lo vorrà”.

“Le auguro di trovare un amore come quello che lega te ed Eleonore. Il vostro sguardo è come quello che vi scambiaste la prima volta che vi ho visti accanto”.

“Sì. Io amo Eleonore. Ed è l’unica donna di cui mi sono innamorato. Che cosa schifosamente romantica, vero?”.

“Io la trovo carina. Di amori così non ce ne sono molti”.

“Credo che mio fratello Eros abbia esagerato con le frecce, nel mio caso. Ma ora vai, che già si fa buio”.

“Hai ragione..”.

Kiki salutò Eleonore ed intravide Keros. Ormai oltre la soglia del Tempio, si girò un ultima volta e sorrise proprio alla creatura dai capelli rossi.

“Perdonami se sono stato scortese” gli disse “La prossima volta non ti minaccerò, promesso. Ed il tè l’ho gradito molto. Spero mi perdonerai, angelo”.

“Angelo..” sorrise Keros, a braccia conserte “..che bel complimento..”.

“Non lo sei?!” si stupì il Sacerdote.

“Muoviti, Kiki! Non ti tengo qui per la notte!” sbottò Arles, divertito “Devo andare a vedermi il duello fra il re Quercia dell’Estate e il monarca dell’Agrifoglio d’Inverno!”.

“Ma di che parli?!”.

“Divinità celtiche”.

Kiki finse di comprendere e si allontanò. Ad ogni passo i dubbi più assurdi iniziarono ad insinuarsi nella sua mente. Era vero quel che aveva visto e quel che era successo? Ormai non era più in grado di capirlo.

 

Ed eccoci qui, secondo capitolo. Più lunghetto e “introspettivo”. Ed eccovi la prima “new entry”: Keros. Tenetelo bene a mente perché al ciccino ciliegino farò fare un sacco di cose strane e spero impariate a volergli un po’ di bene ;) a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III- Inizio ***


III

 

INIZIO

 

“Ho comunicato la tua decisione ad ogni divinità Olimpica, Apollo” parlò Hermes “C’è altro che devo fare?”.

“No, va bene così” annuì il fratello maggiore, mentre entrambi camminavano lungo i corrodi luminosi del palazzo.

“Si stanno già organizzando e presto potranno iniziare gli scontri, presumo”.

“Tu che farai, fratellino? Resterai neutrale oppure..”.

“Mi divertono queste cose. Non ho smanie di potere ma l’idea di poter finalmente farvi smettere di trattarmi come un bambino, solo perché fra gli Olimpici sono il più piccolo, mi piace”.

“Capisco..”.

“Questo non significa che io ti consideri inadatto a regnare, fratellone, ma..voglio dimostrare che non sono un bambino!”.

“Perfetto”.

“E tu che farai? Richiamerai i tuoi figli a combattere?”.

“L’unico che potrebbe in qualche modo battersi è Asclepio”.

“Le sue conoscenze in medicina sono un notevole vantaggio..ma chi altri? Lo sai bene che, in battaglia, Artemide ti sconfigge con relativa facilità. Specie con l’arco..”.

“Non saranno solo sfide di carattere fisico, Hermes. E, ad ogni modo, io ho le muse dalla mia parte e ti assicuro che non hanno alcunché da invidiare a certi cavalieri. Poi..io governo le arti, e c’è chi dice che la guerra è un arte”.

“Ares non mi sembra un grande artista..”.

“No, ma è un ottimo ballerino”.

Hermes alzò un sopracciglio, mentre Apollo ridacchiava, con lo sguardo rivolto altrove.

“Parlando di Ares..” riprese il fratello minore “..ho saputo che il suo figlio strano, il sanguemisto, è stato qui. A fare cosa, se mi è concesso saperlo?”.

“A dirmi che devo ficcarmi le mie idee sconnesse su per il..”.

“Che?! Davvero?!”.

“Già. Ma mi ha anche portato un regalo di compleanno”.

“Che cosa senza senso..Però, è vero: tanti auguri, fratellone. Quanti anni sono? Scherzo..immagino avrai perso il conto da secoli”.

“Spiritoso! Ad ogni modo..siamo abituati alle stranezze dei figli di Ares. E quell’essere non è da meno. Ricordati che ha una personalità un po’ contorta il nostro caro ex Sacerdote di Atena”.

“Quindi non parteciperà? Non combatterà a fianco del padre?”.

“Ares, da quel che ha detto, non intende lottare. Ma sappiamo bene entrambi che appena vede gli animi scaldarsi..non resiste e si butta nella mischia! Il figlio non saprei. Ancora non lo riesco ad inquadrare. Credo però che sia più coscienzioso del genitore. Probabilmente osserverà la situazione, prima di agire. Staremo a vedere. Nel frattempo, ho informato la Regina Madre Hera di quanto ho intenzione di fare e pare approvare. Dice che così forse la smetteremo di bisticciare fra noi bastardi”.

“Bella definizione..”.

“È risaputo che per Hera siamo questo. I figli avuti da lei con Zeus sono davvero pochi. E penso che faccia il tifo per uno di loro, anche se non so per chi. O forse..vuole partecipare anche lei. Sarebbe interessante”.

“Dici faccia il tifo proprio per Ares?”.

“Lo sai che nessuno lo sopporta più di tanto, Hera tantomeno. Vedremo”.

“Ma..se il figlio non combatte a fianco del padre..non potresti provare a richiamarlo come tuo alleato? Era Sacerdote di Atena, sai bene che di combattimento ed affini se ne intende”.

“Sì ma non so quanto fidarmi. È pazzo, questo è certo. Si è presentato qui, nonostante l’allerta che ormai serpeggia fra le divinità, come nulla fosse. Gli ho chiesto se era lì per comunicarmi la sua decisione riguardo a questa sorta di Olimpiadi e lui mi ha detto quel che sai. Per poi aggiungere: buon compleanno. E porgermi il regalo con un ghigno divertito. È completamente pazzo. Avrei potuto distruggerlo, o perlomeno sfidarlo, per la sua sfrontatezza”.

“E perché non lo hai fatto?”.

“Non lo so. Alla fine noi, fra Dei, bisticciamo sempre ma non ci uccidiamo mai”.

 

L’inizio di quello che si preannunciava come un evento unico nel suo genere era ormai alle porte. Hera, raggiante ed in abiti fin troppo pomposi, osservava con orgoglio i discendenti del marito.

“Spero che questo possa porre fine ai vostri continui battibecchi” commentò, con un sorriso “Ora lascio ad Apollo il compito di spiegarvi come si svolgerà la cosa e speriamo che il vincitore riesca a portare un po’ di stabilità”.

Apollo si guardò attorno. Oltre ai suoi fratelli Olimpici, intravedeva qualche romano e la cosa lo divertiva.

“Bene..” iniziò a parlare “..siamo già stati divisi per i primi incontri. Come sapete, non sarà solo uno scontro a livello fisico, ma siete liberi di scegliere la prova che più vi aggrada. L’importante è che entrambi i contendenti che si sfidano siano d’accordo sul tipo di competizione da affrontare. Non ci sono regole o restrizioni, anche se preferirei non vedere morti o insulti gratuiti, per quanto possibile. Alla fine, colui che avrà sconfitto tutti gli avversari che si ritroverà di fronte, sarà nominato re dell’Olimpo. Signore indiscusso delle divinità. E ovviamente i perdenti dovranno obbedire, senza scusa alcuna. Astrea, Dea della giustizia, giudicherà gli avvenimenti che seguiranno e, in caso di appelli o irregolarità, si esprimerà a riguardo. Il suo giudizio sarà inappellabile e non voglio sentire lamentele di sorta. Concederò il permesso ad altri, non qui presenti ora, di unirsi alle sfide ma solo se faranno domanda entro breve, per evitare di trovarsi avvantaggiati rispetto a chi ha già disputato più scontri. Mi aspetto dei comportamenti esemplari, degni degli Dei che siamo. Ed ora preparatevi, fratelli. All’alba, inizieranno i giochi”.

 

“Devono aver iniziato” commentò Keros “Percepisco tante entità divine in un solo luogo”.

“Tanto casino per niente” rispose il suo padrone, mezzo steso su un divanetto rosso, molto simile a quello che aveva al Santuario.

“Per niente..non direi. Si stabilisce chi sarà a capo dell’Olimpo. È importante come cosa, non trovate?”.

“E secondo te il vincitore avrà davvero il rispetto degli altri? Credimi..o rinasce Zeus, e tira una folgore nel culo a tutti quanti, o i bisticci ci saranno sempre”.

“Ma quindi tutto questo a che serve?”.

“Gli Dei si sfidano da sempre. Solo che un tempo si impicciavano delle faccende umane. Ora non possono farlo più e non sanno come sfogarsi. Direi che questo è un ottimo modo”.

“Che cosa scema”.

“Puoi dirlo..”.

Keros scosse la testa. Non capiva le divinità, non ci era mai riuscito.

“Che guardi?” domandò il padrone di casa.

“Nulla. Il mare. È iniziato l’inverno e il mare d’inverno ho capito che mi piace molto”.

“Potresti andare a farci un giro con i piccoli di casa, se ti va”.

“Sinceramente, Signore..fa freddo. Mi piace guardarlo, non andarci vicino”.

“Come preferisci..posso farti una domanda?”.

“Certo..”.

“Tu pensi che dovrei partecipare a questa baracconata indetta da Apollo?”.

“Perché lo chiedete a me?”.

“Perché penso che tu mi conosca meglio di molti. Inoltre mi fido del tuo intuito e della tua esperienza. Dopotutto..hai più di mille anni, no? E siamo amici da più di dieci”.

Qualcosa in quella frase infastidì Keros, che arricciò il naso. Il Dio delle illusioni non poté vederlo, perché gli dava le spalle, ma notò una lieve vibrazione nell’energia di colui che lo serviva.

“Qualcosa non va? Ti ho offeso, forse? Per la faccenda dei mille anni?” domandò.

“No, Signore. Non è niente. Conosco la mia età e la vostra..”.

“Bene. E allora che c’è? Ultimamente sei strano”.

“Me lo ha detto anche Eleonore, ma non capisco a che cosa vi riferiate”.

“Sei silenzioso, sempre pensieroso. Irritabile. Distratto. Sei preoccupato per qualcosa?”.

“No, Signore”.

“E basta chiamarmi così. Io ti chiamo per nome, no? Non puoi fare altrettanto?”.

“No..Signore”.

“Sei strano..” sospirò il Dio delle illusioni “..sei affaticato, forse? Ultimamente abbiamo avuto un sacco di visite e forse ti sei stancato troppo”.

“Sto benissimo. Le vostre sono solo paranoie”.

“Ok..se lo dici tu..meglio così. Ma non sono convinto, sai?”.

“Non posso farci molto”.

“Credo che faresti meglio ad andartene da qui. Ho come l’impressione che inizi ad infastidirti il rimanere in questo luogo”.

“Impressione del tutto errata, Signore!”.

“Sei sicuro?”.

Ora Keros si era voltato ed i due si fissavano negli occhi.

“Sicuro. Signore io vi..io vi servirò finché non avrò ripagato il mio debito, ed anche oltre. Non mandatemi via!”.

“Non ti mando via! Solo che..io voglio che tu sia felice. Sei così carino quando sorridi. Ed in questi giorni lo fai così poco..”.

“Ma..ma che dite?!”.

“Scusa. Ti ho messo in imbarazzo? A volte parlo a vanvera, e lo sai”.

Keros si era voltato di scatto, dando le spalle al suo signore. Arricciò di nuovo il naso un paio di volte e questa volta il Dio lo notò, perché si era portato al suo fianco. E ridacchiò involontariamente nel vedere quella scena.

“Ora so per certo che qualcosa ti infastidisce. Altrimenti non arricceresti il naso, Keros. Perché non me lo vuoi dire?”.

“Perché non so di che parlate!”.

“Bugiardo!”.

Il padrone di casa si spostò alle spalle di Keros, di due spanne più basso, ed iniziò a giocare con i capelli color ciliegia.

“Siete cresciuto ancora..” commentò questi, a braccia conserte.

“Già..” ammise il Dio “..dicono sia normale che mi succeda, però presto dovrei fermarmi. Ma tu non cambiare argomento”.

“Una domanda: perché si ostinano a chiamarvi Arles?”.

“Perché Arikien, il nome che ho scelto come divinità, non lo conosce quasi nessuno. Ma tu puoi usarlo, Kery. Quando vuoi. E adesso dimmi la verità: cosa ti turba? Hai trovato la fidanzata?”.

Keros spalancò gli occhi, arrossendo.

“Che assurdità state dicendo?!” alzò la voce, scuotendo la testa.

“Guarda che non sono geloso” rise il Dio “Perdonami, sono indiscreto”.

“Perdonatemi voi ma..siete stupido, ecco. Io non vi nascondo proprio niente, non ne avrei motivo. E poi..mi trattate come un bambino, a volte. Non lo sono e semmai dovrei io trattarvi così, vista la nostra differenza d’età”.

“Scusami, Keros” si fece serio il padrone di casa “Non era mia intenzione..”.

“No..scusatemi voi. Avete ragione. Ultimamente ho qualcosa di diverso, ma non ha nulla a che fare con quel che pensate. Passerà presto, spero”.

“Oh..bene. Se posso fare qualcosa, non hai che da chiedere”.

“Avete già fatto troppo per me, Signore”.

“Non è vero”.

Il Dio delle illusioni diede solo un’ultima sistemata ai capelli di colui che aveva di fronte.

“Non ti importunerò più, Keros. Perdona la mia curiosità. Ma il sangue di mia madre Sophia mi ha donato questa irresistibile voglia di sapere tutto”.

“Non credo che Sophia abbia a che fare con tutto questo. Credo piuttosto che siate un pettegolo represso” ridacchiò Keros.

“Hai ragione. In ogni caso, scusami. Vorrei andare da zio Lucifero più tardi. Vieni con me?”.

“Mi guarda sempre in modo strano. Ma vi seguirò. E da vostro padre? Avevate detto che dovevamo recarci anche là”.

“Hai ragione. Ma non oggi. Ho voglia di staccare un po’, senza pensare a quello stupido scontro Olimpico”.

“Comprendo perfettamente..”.

Il padrone di casa sorrise lievemente.

“Sei troppo paziente con me, lo sai?”.

“Lo so” ridacchiò ancora Keros.

“Bravo, ridi. Ti si addice di più, rispetto a quello strano broncio preoccupato. Però, se hai qualcosa da dirmi, gradirei che lo facessi. Ok? Niente strani segreti, soprattutto se c’è qualcosa che non va”.

“Ma va tutto benissimo!”.

“Meglio così”.

“Io..” fece per continuare a parlare Keros ma venne interrotto da Eleonore, che chiamava tutti per la cena.

 

“Inizia!” ghignò Deimos.

“Tu per chi scommetti?” domandò Phobos “Secondo me, Apollo ha buone possibilità di vincere ma credo che se parteciperanno Hades e Poseidone..gli faranno il culo a strisce!”.

“Penso anch’io”.

“Che avete da spettegolare?” li interruppe Ares “Sembrate due vecchie comari!”.

“Scommettiamo su chi vincerà. Secondo te, papà?” chiese il maggiore dei gemelli.

“Non lo so e non mi frega, sinceramente. Che si ammazzino pure”.

“Non puoi dire sul serio!”.

“Che vinca Apollo o chiunque altro a noi non cambia. Siamo confinati qui”.

“Per tua scelta”.

“Sì. Almeno qui non ci rompe le palle nessuno. Volete forse trasferivi sull’Olimpo?! A me è bastato il periodo al Tempio di Atena per capire che più sto lontano da certe cose e più sono felice!”.

In realtà, Ares osservava l’inizio di quelle sfide con curiosità e doveva sforzarsi molto per non immischiarsi. Amava ritrovarsi in mezzo alle battaglie ed ai conflitti ma non aveva alcuna intenzione di ritrovarsi coinvolto in una possibile lotta per l’Olimpo. Ma era difficile. Udiva le grida di sfida dei fratelli e la cosa lo eccitava. Ma non doveva!

“Autocontrollo” si disse.

Non lo aveva mai avuto, però ci provava..

“Ad ogni modo, figli miei..se volete partecipare, siete liberi di farlo”.

“Ed a che titolo? Noi siamo i tuoi figli, sappiamo bene che da soli, senza di te, non saremo mai alla pari di certi Dei”.

“Alleatevi fra fratelli. Se volete tanto menare qualcuno..Oppure c’è vostra zia Eris. Lei partecipa e potreste essere un valido supporto”.

Phobos e Deimos si fissarono. L’idea di lottare li inebriava ma era strano per loro farlo seriamente senza il padre. Si fissarono, indecisi sul da farsi. Forse, per il momento, era meglio aspettare..

 

Il Leone era il più agitato. Si ostinava a camminare lungo quella stanza immensa, piena di libri. Aiolos lo seguiva con lo sguardo, distrattamente, mentre Camus continuava a leggere. Dopo un po’, scocciato da quel continuo movimento, l’Acquario espresse tutto il suo fastidio in poche frasi.

“Stare calmo?!” si irritò Aiolia “Gli Dei si stanno combattendo il destino dell’Olimpo ed io dovrei stare calmo?!”.

“E che altro dovresti fare, sentiamo?” lo zittì il fratello “Ci hai visti? Non siamo giovani e potenti come un tempo, non potremmo mai affrontare una battaglia contro tutti loro”.

“Ma..Atena..”.

“Atena non è ancora rinata” si aggiunse Camus “Questo vuol dire che la Guerra Santa è lontana. A conferma di questo c’è il fatto che noi, cavalieri d’oro, siamo in pochi. Qui al Tempio, siamo solo noi tre. Non ne sono apparsi altri”.

“Ma potremmo richiamare gli altri. Qualcuno sa dove sono?”.

“L’unico di cui ho notizie certe è Tolomeo, Gemini. È in America, nel suo palazzo, come Dio precolombiano. Sua sorella, Ipazia, è accanto ad Hades. Di Aphrodite so solo che non si è allontanato da Persefone, ma non so dove si trovi. Milo dovrebbe essere al Tempio delle Amazzoni, assieme a Mirina. Deathmask e Shaina sono tornati in Italia. Mur è a casa sua, ancora ripara armature. Shaka immagino sia in India. Dohko sarà al solito posto, o forse anche no. Chi lo sa. Chi manca?”.

“Shura? Aldebaran?”.

“Di loro non so nulla, se non voci. Ad ogni modo, però, per molti di loro gli anni sono trascorsi. Come è giusto che sia”.

“Mi sento inutile..”.

“Leone..il nostro compito non è più combattere ma formare le nuove generazioni. Esse arriveranno, lo hai visto. Anche se ora si stanno manifestando giovani cavalieri d’argento, sai bene che poi spetterà a loro addestrare i cavalieri d’oro. Perciò non preoccuparti. Se la battaglia è prossima, Atena farà apparire nuovi Saint, vedrai”.

“Mi irrita la vostra calma. Vado a spaccare qualche colonna..”.

 

C’era un petulante e fastidioso ragazzetto che lo stava seguendo, Apollo lo percepiva chiaramente. Si voltò, piuttosto irritato. Era convinto di incutere timore, altrettanto convinto di ritrovarsi di fronte un mortale. Non era così. Il fanciullo sorrise.

“Tu devi essere Apollo” salutò “Il mio fratello maggiore”.

“E tu chi saresti?”.

“Mi chiamo Hermes. Sono nato da poco”.

“Hermes, eh? Carino..e che sai fare? Hai uno scopo o sei nato del tutto a caso?”.

“Non so ancora quale sarà il mio compito ma..sono veloce! Molto veloce”.

“Ah sì? Dimostramelo”.

Il ragazzino iniziò a correre. La sua velocità era notevole e perfino Apollo non riuscì del tutto a seguirne i movimenti. Si accorse solamente che, con la sua rapidità, quel moccioso gli si era avvicinato tanto da rubargli un bracciale.

“Sei un ladro!” esclamò il primogenito di Zeus.

“Può darsi” rise il giovane, restituendo il maltolto e facendo l’occhiolino “Forse serve un Dio pure per quello”.

Apollo sorrideva divertito, ripensando a quel primo incontro. Ora Hermes era lì, millenni più tardi, pronto ad affrontare i suoi fratelli per dimostrare loro che non era più il piccolo di casa ma una divinità di tutto rispetto. Ma i primi a sfidarsi erano altri. Uno scontro molto interessante, perché nessuno dei presenti aveva avuto modo di vederli in azione, se non per pochi istanti.

Shasir, unico figlio maschio di Hades, ghignava felice. Somigliava molto al padre e sperava proprio di ritrovarsi di fronte lei: Rose, la figlia bellissima di Persefone e Aphrodite dei Pesci. Quei due erano considerati delle vere stranezze. Lui perché principe del regno dei morti, ed erede di Hades dopo che per millenni quel posto era risultato vacante, e lei perché figlia di una divinità a servizio dell’oltretomba per millenni che mai aveva dato un figlio al suo compagno. Erano la prova vivente che i tempi cambiavano per tutti, perfino per le divinità.

“Io lotto in nome di mio padre” parlò Shasir “Lotterò affinché sia lui il capo dell’Olimpo, con la sua nuova compagnia Ipazia al suo fianco”.

“Io, invece..” ghignò Rose “..combatto per me stessa. E per mia padre Persefone,colei che tuo padre ha rapito,  che non deve più vivere nell’ombra. E per mio padre, il cavaliere che venera la bellezza. Fatti sotto, principino! Ho sempre sognato vedere quel che sai fare!”.

“Rimpiangerai la tua decisione. Sfidarmi in combattimento è stato stupido”.

Una rosa blu comparve fra le mani di lei.

 “Parla di meno, rampollo di Hades. E datti da fare”.

Shasir ghignò di nuovo, e materializzò una sfera oscura. Si sfidavano le tenebre e le rose dell’inferno. Tutti gli altri Dei, sedettero incuriositi, desiderosi di sapere chi dei due avrebbe avuto la meglio.

 

Ciao a tutti! Capitolino piccino prenatalizio. Ho in mente tantissimi scontri fra divinità e loro campioni ma so di non poterli inserire e sviluppare tutti. Perciò chiedo ai fan di darmi un parere e scrivermi quelli che più vorrebbero. Per quest’anno non credo di riuscire ad aggiornare ancora (però non si sa mai..) e darò il tempo a chi segue la storia di “portarsi alla pari” e farmi sapere lo scontro che più desiderano. I più gettonati vedrò di svilupparli per bene. Intanto..per chi fate il tifo? Rose o Shasir? E non preoccupatevi: i Gold torneranno presto, belli pimpanti! Intanto.. buone feste!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV- Incitamento ***


IV

INCITAMENTO

 

L’arena era gremita. Lo scontro fra Rose, figlia di Aphrodite dei Pesci e Persefone, e Shasir, figlio di Hades ed Eleonore, era iniziato. Ad osservarli, non solo divinità e curiosi ma anche le statue che circondavano quel sacro luogo. In marmo bianco, rivolgevano gli occhi verso la parte centrale dell’anfiteatro, fra alte colonne e bracieri che diffondevano nell’aria profumi naturali. Gli Dei, seduti fra le scalinate, erano impazienti. Mai avevano visto di cosa erano capaci quei due sfidanti e non vedevano l’ora di scoprirlo. Un vociare continuo ripeteva il nome dell’uno o dell’altro contendente come possibile vincitore.

“Forza, fratellone!” gridava il figlio di Hades e Ipazia.

“Coraggio, bambina mia!” rispondeva Aphrodite “Fai vedere quel che sai fare!”.

Shasir ghignò divertito. Non aveva paura della sua avversaria, non ne aveva alcun motivo. Lui era l’erede di Hades, Dio dell’Oltretomba! Lei rispose a quel ghigno. Aveva raccolto i lunghi capelli chiari, così da non avere intralci durante la lotta. Al primo attacco di Shasir, saltò con agilità, riuscì a schivarlo e rispose subito con una delle sue tecniche. Evocò una rosa blu e la lanciò contro il figlio di Hades. Questi reagì prontamente e generò una sfera d’oscurità. Con un gesto della mano, la diresse verso Rose. La ragazza saltò all’indietro ma la sfera deviò e la colpì di striscio, ferendola e rovinandone le vesti.

“Non di fa così!” protestò lei “Che modi!”.

Poi sorrise e, con un rapido gesto, sistemò la stoffa rosata che la copriva. Così facendo, il suo prosperoso seno venne messo notevolmente in risalto.

“Che caldo” aggiunse “Meno male che siamo in Dicembre..”.

Shasir rimase qualche istante stordito da quel gesto, ma si rimise subito in posizione.

“Lo sta distraendo, brava” sorrise Afrodite, seduta accanto al padre della ragazza, che portava il suo stesso nome.

“Grazie” annuì Pesci “Modestamente..è ben addestrata”.

“I maschi sono maschi, non serve addestramento per fare quello” ridacchiò una voce alle spalle di Aphrodite, che girò la testa ed incrociò lo sguardo di Deathmask, seduto in modo molto poco elegante.

Al fianco del Cancro, vi era un uomo con indosso un cappotto pesante e una sciarpa. Stava fumando e Aphrodite lo riconobbe subito, stupendosi nel vederlo lì.

“Anche l’inferno è interessato all’Olimpo?” chiese il Saint.

“No” rispose l’uomo “Semplicemente volevo divertirmi un po’. Tua figlia è brava, Aphrodite”.

“Grazie, Lucifero”.

“Secondo voi, chi vincerà?” interruppe Deathmask.

“Difficile a dirsi” si intromise un’altra voce, questa volta angelica “Lui è figlio di un Dio potente, Hades, ma sua madre è una mortale e quando è stato concepito non era nemmeno stata posseduta da Iside. Lei è figlia di Persefone, divinità di certo minore rispetto ad Hades, ma possiede anche i geni di Aphrodite, cavaliere con un notevole cosmo. L’esito della battaglia è incerto”.

“Hai finito, sapientone? Mezz’ora per dire che non lo sai?! Sei logorroico, Mihael!” sbottò Lucifero e l’angelo lo raggiunse, sedendosi lì accanto e incrociando le braccia.

“Hai un brutto vizio” fu la risposta di Mihael, notando la sigaretta in bocca al fratello maggiore.

“Ne ho di peggiori”.

“Lo so..”.

“E che vuoi?! Non sto facendo nulla. Puoi tornare a casa”.

“Il mio compito è sorvegliarti. Specie quando ficchi il naso fra i mortali”.

“Vedi mortali qui?! Salvo qualche raro caso, sono quasi tutti Dei. Sono fuori dalla mia giurisdizione, non posso tentarli, perciò smamma. Sono qui solo per divertirmi”.

“Anche io” alzò le spalle Mihael “Pensi che non mi annoi mai?! E comunque..dov’è tuo nipote?”.

“Sì, è vero!” annuì Aphrodite “Dov’è Ary?”.

 

“Dobbiamo avvicinarsi di più, Signore?” chiese Keros, alzando lo sguardo.

Avvolto in pesanti stoffe, la creatura dai capelli color ciliegia attendeva la risposta del suo padrone, che si limitò a scuotere la testa.

“Spero non si facciano troppo male” sospirò Eleonore, appoggiata al braccio del marito “Il mio povero bambino..”.

“Mia cara..” parlò il Dio delle illusioni “..non è un bambino ormai. Ed è giusto che combatta”.

“Sono cose stupide. Inutili dimostrazioni di forza in cui ci si fa del male senza una ragione. Promettimi che tu non avrai nulla a che fare con quella specie di torneo”.

“Tesoro..sono qui. Mi vedi? Non là. Perciò..”.

“Che non ti salti in mente di andarci nei prossimi giorni! Ti conosco, sai? Promettimelo!”.

“Non ho alcuna intenzione di..”.

“Prometti! E prometti anche che nessun abitante della nostra casa verrà coinvolto. Nessuno dei nostri figli né tantomeno Keros! Prometti!”.

“Sì, lo prometto..” sospirò lui e lei parve sollevata, e non udì la risatina che sfuggì a Keros, divertito dalla scena.

Lo scontro fra Rose e Shasir continuava ed Eleonore sperava che tutto finisse presto, senza conseguenze gravi per i due combattenti.

“Non vedo vostro padre, Signore. E nemmeno i vostri fratelli” commentò Keros.

“In effetti, è strano” annuì colui che ora portava il nome di Arikien “Mi aspettavo di vederli. Magari non come partecipanti, ma come spettatori. Non resistono alle risse gratuite. Inoltre vedo Afrodite, come sempre mezza nuda. Strano, molto strano, che non ci sia mio padre”.

 

Fra gli spettatori, vi erano anche alcuni cavalieri ancora in servizio al Grande Tempio. Camus non aveva resistito alla tentazione di ritrovarsi in mezzo alle divinità senza che queste cerchino di ucciderlo. Aiolia invece non riusciva a stare tranquillo e quindi era lì, ansioso. Camus era giunto alle stesse conclusioni di Mihael: lo scontro era aperto. Nessuno prevaleva nettamente sull’altro.

“Coraggio, figlio mio!” commentava Hades, infastidito “Non farti distrarre da un paio di tette!”.

Shasir saltò, schivando l’ennesima rosa. Tentava di avvicinarsi, con l’intento di colpire con la propria sfera la sua avversaria. Ma Rose era veloce e sfuggente.

“Dark night rose!” gridò lei, ed una pioggia di rose blu come la notte si scagliarono contro Shasir.

Il figlio di Hades riuscì a distruggerne buona parte ma alcune andarono a segno, ferendolo. Altre invece continuarono per la loro strada e si conficcarono sulle gradinate, fra gli spettatori.

“Maledetta!” ringhiò il ferito “Te la farò pagare!”.

“Questo è per avermi rovinato il vestito!” esclamò lei, pronta ad attaccare di nuovo.

Questa volta però Shasir non usò la sfera. Corse rapido e raggiunse l’avversaria, colpendola con un poderoso calcio all’addome e spedendola contro la pietra dei gradoni.

“Che galantuomo” furono le parole, sarcastiche, di Persefone.

Ma la figlia non si fece scoraggiare e si rialzò in fretta. Inaspettatamente, si diede la spinta e sfrecciò contro il figlio di Hades, colpendolo in pieno volto con un pugno.

“Che principessa!” rispose a Persefone il padre del giovane.

I due genitori si fissarono qualche istante, con fastidio, ma poi si sorrisero divertiti. I due figli si stavano azzuffando in un modo non molto consono agli Dei: a suon di calci e pugni. Lei parve in leggero svantaggio, quando lui la afferrò per i polsi e tentò di immobilizzarla. Per farlo, le saltò sopra e ringhiò. Lei, stesa a terra con Shasir su di sé, sfoggiò il più malizioso dei sorrisi.

“Guarda che dobbiamo combattere” commentò, sensuale “Non accoppiarci”.

L’avversario si accorse della posizione in cui si trovava e per qualche istante la sua mente si confuse. Questo permise a Rose di liberare una mano ed usarla per sferrare l’ennesimo pugno. Afrodite, la Dea della bellezza e del piacere sessuale, rise divertita. Quella ragazza sarebbe stata un ottima discepola! L’erede del Dio dell’Oltretomba si rialzò e barcollò leggermente. Che gli stava succedendo? Approfittò però del fatto che Rose pareva essere molto stanca e la colpì di nuovo, questa volta con la sua sfera di energia nera. Andò a segno e la ragazza finì stesa a terra.

“Ancora hai la forza per rialzarti?” domandò, sconcertato, Shasir.

“E tu? Ancora non cadi?” ribatté lei, rialzandosi a fatica e gemendo per il dolore.

Lui barcollò ancora, sentendosi sempre più stordito.

“Che mi hai fatto?” ringhiò “Che mi succede?”.

“Le mie rose blu, le rose della Dark Night Rose, immettono nel tuo sangue un potente sonnifero. Non ti uccidono, visto che in questa competizione Apollo non vuole dei morti, ma ti fanno perdere i sensi. E sarebbe proprio ora che accadesse!”.

“Cadrai prima tu di me!”.

Shasir provò di nuovo ad attaccare, e lo stesso fece Rose. Corsero l’uno verso l’altro. Il figlio di Hades allungò un pugno e lei schivò, vedendo poi l’avversario cadere in terra. Si sforzava di restare sveglio ma non ce la faceva più.

“Sei stata brava” mormorò “Dannatamente brava. Complimenti. Sono felice di essermi fatto battere da una donna..bella come te”.

Rose arrossì. Nessun’altro aveva udito quella frase, perché a malapena sussurrata. Sorrise, quando vide gli occhi azzurri di Shasir chiudersi.

“La vincitrice è Rose” esclamò Astrea, giudice di gara e Dea della giustizia, e fra gli spettatori si levò un applauso.

Hades si mosse ed Aphrodite lo notò. Lo vide avvicinarsi, preoccupato. Voleva forse picchiarlo perché Rose aveva battuto suo figlio?! Il Dio però aveva tutt’altra intenzione. Sorrise, porgendo la mano al cavaliere.

“Tua figlia è una grande combattente, complimenti” commentò.

“Sei serio?!” si stupì Aphrodite “Non vuoi insultarmi?! Nessun rancore?!”.

“Ma che dici?! Questi scontri sono amichevoli e poi non ci possiamo fare nulla se il mio erede sragiona di fronte ad un bel seno come quello di tua figlia. Lei ha vinto, e merita i miei complimenti. La prossima volta, mi batterò io”.

“Combatterai? Bene..”.

“Pensavo di far lottare i miei sottoposti ma, visto come stanno le cose, ci penserò io personalmente”.

 

Per risistemare l’anfiteatro, e raccogliere le varie rose sparse, gli scontri furono momentaneamente sospesi. Asclepio, figlio di Apollo e divinità della medicina, curò le ferite dei due sfidanti. Qualcuno si addormentò, dopo aver imprudentemente colto una delle rose blu. Gli Dei si congratularono con la vincitrice, che sorrideva in lieve imbarazzo.

“Questo è ciò che mi piace!” commentò Apollo, soddisfatto “Nessuno che insulta il perdente, tutti felici. Spero che vada avanti così..”.

“Non c’è Ares. Immagino che questa pace sia dovuta alla sua mancanza” rispose Hera, che gli sedeva accanto.

“Può essere. Mi rincresce ammetterlo ma..sono contento che non ci sia. Non per essere perfido nei confronti del mio fratello minore, ma il clima che si respira in sua assenza è delizioso”.

“Chissà che cosa ha trovato di così interessante da fare, per non essere qui..”.

 

Anche il Dio delle illusioni si era posto la stessa domanda. Cosa tratteneva suo padre ed i suoi fratelli? Una volta accompagnata Eleonore a casa, era subito ripartito verso il palazzo di Ares. Ovviamente Keros  lo seguiva, anche se non amava molto il clima delle montagne che circondavano il tempio del Dio della guerra. Raggiunsero il palazzo in fretta, senza incontrare alcun tipo di intoppo. Lungo la strada, ormai prossimi all’ingresso, Arles fece segno a Keros di fermarsi.

“Ascolta..” gli dissi.

“Che cosa, Signore? Non sento niente” ammise Keros, muovendo le orecchie a punta.

“Appunto. È strano. Il silenzio assoluto, al tempio di mio padre..è molto strano. Muoviamoci con prudenza”.

“Sì. Va bene”.

Entrarono al tempio, non trovandovi anima viva. Continuarono, raggiungendo l’area all’aperto in cui si allenavano gli abitanti di quel luogo. I palazzi di Phobos e Deimos erano rivolti verso quello spiazzo ma da nessuno di essi proveniva alcun suono.

“Forse si sono allontananti per allenarsi altrove” ipotizzò Keros.

“Già..oppure sono in gita..”.

“Non siete convinto”.

“No, per niente. Cerco di percepire il loro cosmo ma non ci riesco”.

“Saranno schermati. Come fate quasi sempre voi. Per evitare scocciature”.

“Forse..”.

Il figlio di Ares non era per nulla convinto. Fece un giro nei paraggi e poi rientrò nel palazzo del padre, in cerca di indizi. Camminò lungo i corridoi, mentre Keros restava all’esterno, nell’area per gli allenamenti. Sapeva che da lì partiva una piccola e ripida scalinata che conduceva lontano dal tempio e, se gli abitanti della casa avevano deciso di allontanarsi, forse sarebbero tornati proprio da quella scalinata.

“Papà” chiamò Arles “Papà, ci sei? Giuro che se sei sbronzo e disteso a letto ti prendo a sberle finché non ti riprendi!”.

Udì un rumore lieve, proveniente proprio dalla camera da letto del genitore. Ruotò gli occhi al cielo, già immaginandoselo in condizioni pietose, e aprì la porta di qualche centimetro.

“Se sei nudo, vestiti. Se stai scopando, ti prego avvisami che è uno spettacolo che non voglio vedere” quasi supplicò Arles che, non udendo altro, aprì del tutto la porta.

Il letto era vuoto e la stanza buia.

“A che gioco stai giocando, vecchio?” iniziò a spazientirsi, quando capì che c’era qualcosa nell’armadio.

Rise, trovando stupido per uno dell’età di suo padre divertirsi in quel modo. Fingendo indifferenza, si avvicinò e spalancò il mobile di legno scuro di corpo. Dall’interno partì un grido di terrore, da parte di una bimba.

“Sorellina!” la riconobbe “Cosa ci fai nell’armadio?! Calmati, sono io!”.

La bambina aveva serrato gli occhi e si era rannicchiata. Solo dopo un po’ risollevò la testa e guardò chi aveva di fronte.

“Fratellone?” mormorò “Fratellone Arikien, sei tu?”.

“Sì, sono io. Neith, sorellina, perché ti nascondevi? Cosa è successo?”.

La piccola era visibilmente spaventata. Rimase in silenzio e si fece abbracciare dal fratello. Uno dei codini che acconciavano i suoi capelli biondi erano sfatto e le ricadeva sulla spalla.

“Sono andati via?” domandò, con voce tesa.

“Chi? Di chi parli, sorellina?”.

La figlia di Ares ed Afrodite si guardò attorno poi, coprendosi in parte la bocca, iniziò a sussurrare all’orecchio del fratello.

“Papà mi ha detto di stare zitta finché non mi veniva a prendere”.

“Stavate giocando?”.

“No. Prima stavamo giocando qua fuori ma papà si è fermato. E subito dopo tutti gli altri. Mi ha  preso in braccio e portata in casa di corsa. Mi ha detto di stare nascosta, che mi sarebbe venuta a prendere. Ho chiesto perché e mi ha risposto che doveva mandar via dei cattivi. Sono rimasta chiusa qui, zitta. Ho sentito un gran rumore. Tutti gridavano e poi di colpo tutto silenzio. Solo un rumore: qualcosa che si trascinava. Quello c’era sempre”.

“Il rumore di qualcosa che veniva trascinato?”.

“No. Un rumore come di qualcosa che andava avanti strusciando”.

“Hem..ok..”.

Arles non capì del tutto. Sollevò la bambina e raggiunse lo spiazzo esterno.

 

“Hei, ma..tu sei lo strano coso con cui gira sempre Arles!” commentò Milo, riconoscendo i capelli rossi di Keros da lontano “Meno male, siete qui!”.

“Che cosa è successo?” domandò Keros, sorvolando sull’appellativo usato dal cavaliere “Dove sono tutti?”.

“Bella domanda..”.

Milo aveva accanto a sé un giovane che gli somigliava, il figlio dello Scorpione e di Mirina, regina delle Amazzoni.

“Ci eravamo allontananti..” spiegò il cavaliere “..io e mio figlio, per un allenamento diverso dal solito. L’ho condotto fra le montagne ma, al nostro ritorno, era tutto deserto. Sono spariti tutti. Ares, Phobos, Deimos, le amazzoni, Nadijeshda.. tutti scomparsi!”.

“Scomparsi?”.

“Dov’è il tuo padrone? Voi due non ve ne andate mai in giro separati”.

“Non sono la sua ombra! Ma, ad ogni modo, è nel palazzo di suo padre Ares, fra le stanze del Dio della guerra”.

Il Dio delle illusioni raggiunse il gruppo, con la sorellina in braccio. Subito iniziò a parlare con Milo, facendosi raccontare ogni cosa. Nel frattempo Keros, notato il fatto che la piccola era ancora spaventata, la tolse dalle braccia del fratello maggiore a cui si era aggrappata e le sistemò i capelli.

“Non piangere, Neith” le disse “Ora il tuo fratellone Arikien è qui, e non ti accadrà nulla di male”.

“Arles, cosa pensi sia successo?” chiese Milo “Erano tutti qui! Dove sono adesso?! Dov’è mia moglie?!”.

“Non lo so” ammise il figlio di Ares “Non ne ho davvero idea”.

“Nemmeno un’ipotesi?”.

“L’unica cosa che mi viene in mente è che qualche divinità abbia deciso di intervenire preventivamente. Sapevano tutti che, prima o poi, Ares sarebbe apparso al torneo di Apollo. Non avrebbe mai potuto fare a meno di combattere, e così anche i suoi figli”.

“Ma chi? Chi potrebbe averlo fatto?”.

“Non lo so. E, credimi, la cosa mi infastidisce molto”.

La conclusione a cui il piccolo gruppo giunse, fu che qualcuno, consapevole del potere della Guerra, aveva deciso di impedirgli di intervenire agli scontri indetti da Apollo. Come ed in che modo non era chiaro. Forse più divinità avevano agito insieme.

“E adesso che cosa facciamo?” domandò Milo.

“Per prima cosa, porto mia sorella Neith da sua madre Afrodite. Là sarà al sicuro. Vedremo se saprà fornirmi qualche informazione in più. Keros, torna a casa, così Eleonore non avrà motivo di preoccuparsi. Milo, se non ti dispiace, avvisa Kiki di quanto accaduto. Non potrà farci molto, ma vorrei lo sapesse”.

Keros provò a protestare ma alla fine cedette ed il gruppo si divise.

 

L’arena era stata sistemata e finalmente gli Dei erano pronti ad assistere al nuovo duello. Il sole stava tramontando, e questo rendeva piuttosto pigro il Dio Apollo. Che però si sforzava di rimanere concentrato. Lo scontro successivo vedeva coinvolte Hera, la regina madre, e Artemide, la gemella dell’attuale signore dell’Olimpo. La Dea della caccia, inaspettatamente depose il proprio arco. La sua veste leggera e candida svolazzò leggermente, mossa dal gesto da chi la indossava. Hera, senza la corona sul capo, era seria e silenziosa. Artemide apprezzava il silenzio ma non in questo caso. Era spaventata, doveva ammetterlo. La sua avversaria apparteneva alla stirpe dei Titani, lo sapeva bene.

“Potete cominciare” annunciò Astrea.

Le due Dee si salutarono con un inchino. La loro sfida non era fisica, lo dimostrava il fatto che Artemide avesse lasciato il suo arco e il faretra con le frecce.

“La Dea vergine contro la Dea del matrimonio e della famiglia. Sarà interessante” sorrise la Dea della bellezza.

 

Il fuoco crepitava e scaldava la stanza. Ormai era notte ed il palazzo era silenzioso. Avvolto in una coperta blu scuro, Keros fissava le fiamme con aria distratta. Sospirò, piuttosto annoiato, e si lasciò cadere di lato. Steso e rannicchiato, continuò a puntare gli occhi verso il camino, agitando leggermente le orecchi e a punta. Allungò le mani verso quel fuoco, mentre il colore delle proprie iridi mutava dall’ambrato all’oro.

“Che stai facendo?” si sentì dire e sobbalzò, allarmato.

“Signore!” esclamò, sollevando il capo di scatto e rimanendo in ginocchio “Da quanto tempo siete..?”.

“Nella stanza? Da pochi istanti. Non volevo disturbarti. Perdonami”.

“Ma..ma no, che dite?”.

Il Dio delle illusioni raggiunse Keros, sedendosi accanto al fuoco.

“Afrodite vi ha forse detto qualcosa di utile?” domandò la creatura dai capelli ciliegia.

“Dice di non sapere nulla a riguardo ma, se dovessimo scoprire chi ha osato toccare il suo amante, ha promesso di darci volentieri una mano a vendicarci. Eros ed Hermes invece, che erano all’arena vicino alla Dea della bellezza, mi hanno rassicurato dicendo che capita spesso che mio padre scompaia. È già successo altre volte”.

“Sì, ma qualcuno ha dovuto liberarlo”.

“Già..”.

“Quindi? Che pensate di fare?”.

“Non posso gironzolare fra le divinità chiedendo informazioni. Desterei sospetti. L’unico modo per scoprire qualcosa è fingere di far parte di quella specie di torneo e vedere chi può aver organizzato una cosa del genere. Non può essere una divinità soltanto..”.

“Capisco..”.

“Però..io ho promesso ad Eleonore di non combattere e di non prendere parte a quegli scontri. Ed io le mantengo le promesse”.

“E allora..?”.

“Non infrangerò una promessa fatta alla donna che amo”.

“Potrei farlo io. Io potrei, in nome vostro, prendere parte a quelle sfide e tentare di scoprire la verità”.

“Ho promesso che nessun abitante di questa casa sarebbe stato coinvolto. Troverò un altro modo. Domani incontrerò gli angeli, nel giorno in cui ricordano la morte di mia madre. Forse loro..”.

“Gli angeli odiano tutti. Non credo gli importi della sorte di un Dio come Ares!”.

“Che cosa brutta da dire”.

“Perdonatemi. Ma io la vedo così..”.

“Ad ogni modo, non infrangerò quella promessa”.

“E lei ora dov’è? Dov’è Eleonore?”.

“Immagino a riposare”.

“E se voi..agiste mentre lei riposa? O mentre lei è impegnata in altre faccende? Senza che lo venga a sapere?”.

“Non potrei mai! È una questione di fedeltà, di rispetto. Lei è mia moglie, capisci? Non potrei mai”.

“Quando parlate così..” sorrise lievemente Keros “..sembrate davvero un angelo”.

“Tu mi inganneresti?”.

“Prego?!”.

“Tu mi inganneresti? Tradiresti la mia fiducia, mentendomi?”.

“No ma..questo cosa..io..io non sono vostra moglie!”.

Il Dio rise, quando vide Keros arricciare il naso e distogliere lo sguardo.

“Resta pure a scaldarti davanti al fuoco” parlò poi il padrone di casa, rialzandosi “Per me fa troppo caldo lì vicino. Và a dormire”.

“Non ho sonno”.

 

Il Dio delle illusioni lasciò la stanza e si incamminò lungo il corridoio. Alla sua destra, fra le colonne, vedeva il limpido cielo stellato. Era inverno, riconosceva Orione e la costellazione di cui in tempo indossava le vestigia: Gemini. Raggiunse la stanza matronale, dove si aspettava di trovare Eleonore addormentata. Lei però era sveglia e pareva aspettarlo. In veste da notte, di un tenue azzurro, aveva l’aria preoccupata.

“Sono a casa” sorrise il marito “Puoi dormire adesso”.

“Ho saputo quel che è successo” ammise lei, mentre il consorte le sedeva accanto, sul letto.

“Non ti devi preoccupare”.

“E se venissero a prendere te? O i tuoi figli? Se ci fosse qualcuno intenzionato a far scomparire Ares e la sua progenie?”.

“Non posso fingere di essere figlio di qualcun altro, no? Perciò..”.

“Che cosa farai?!”.

“Non andrò al torneo, tranquilla”.

“Ma lì vi sono tutte le divinità! Scopriresti di certo qualcosa!”.

“Ma ti ho fatto una promessa”.

Arles accompagnò quell’ultima frase con un lieve baciamano. Lei si accigliò lievemente e scostò la mano.

“Che stai dicendo?! Ary!” sbottò lei “Si tratta della famiglia. Intendi dire che, se domani facessero sparire me e tutti i tuoi figli, non andresti al torneo di Apollo perché me lo avevi promesso?!”.

“Eleonore..sono cose diverse..non credi?”.

“No, affatto! Devi scoprire la verità e, se per farlo, devi per forza avere a che fare con simili cose allora..fallo. Potrebbero essere in pericolo anche i nostri piccoli!”.

“Non combatterò”.

“Non farmi promesse che non puoi mantenere. Solo una cosa voglio che tu faccia: che torni qui. Sempre. Torna qui da me. Combatti, uccidi, salva fanciulle, punisci i cattivi..ma alla fine torna sempre da me. Sano e salvo. Proteggi la tua famiglia. Proteggi chi vive sotto questo tetto”.

“Quello non smetterò mai di farlo, amore mio”.

Ad Eleonore pesava permettere al suo uomo di mettersi in pericolo ma, in quel momento, non vedeva alternative. Lo osservò, notando che nemmeno lui pareva particolarmente sereno. Ma poi Arikien si voltò verso di lei, sfoggiando un sorriso quasi angelico ed Eleonore si sentì lievemente rassicurata.

 

Mi ero ripromessa di non aggiornare tanto presto ma..eccomi qua! Una volta concluso il disegno di Keros, ho ricominciato a scrivere.  Ho fatto vincere Rose, come voluto dai fan. Prossimo scontro: Hera VS Artemide. Chi volete far vincere? Ci risentiamo con il prossimo capitolo, con scene del passato, reunion, piccoli scorci di verità e tanta follia!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V- Immagine ***


V

IMMAGINE

 

Hera era riuscita a convincere i presenti che era meglio posticipare l’inizio del suo scontro con Artemide. La notte era il regno della Dea vergine e sarebbe stata avvantaggiata dal sorgere della luna. Le divinità, desiderose di darsi ai bagordi serali in compagnia di Dioniso, non ebbero nulla da ridire. Artemide stessa annuì, perché non voleva certo affrontare una sfida sentendosi dire che era raccomandata perché gemella dell’organizzatore. Nell’oscurità, Artemide ne approfittò per tentare di accumulare più energia possibile, sotto i raggi del satellite argento. Lei era la divinità legata alla caccia ed alla luna anche per i romani, dopo che Arles aveva decapitato la controparte Diana per vendicare Eleonore. Erano passati degli anni ma la Dea aveva ancora un pizzico di nostalgia quando ripensava ai tempi in cui la sposa del Dio delle illusioni era la sua somma sacerdotessa. Al tempo, le cose erano diverse. Ma non doveva lasciarsi sopraffare dai sentimenti! Stava per affrontare Hera, regina madre, e doveva dimostrare di essere all’altezza. Non era il caso di distrarsi con inutili ricordi ormai lontani.

“All’alba, inizierà la sfida” parlò Apollo, prima di ritirarsi.

 

La musica degli angeli ed il loro canto era qualcosa a cui non si era ancora abituato. Una parte di sé ne rimaneva così incantata da impedirgli di parlare. Non essendo propriamente un angelo, ma un sanguemisto, non gli era concesso avvicinarsi molto al luogo dove si svolgeva la cerimonia di commemorazione per Sophia. Però lassù udiva chiaramente quella musica e quelle voci. Teneva lo sguardo verso il cielo, mentre qualche piuma gli svolazzò accanto. Percepiva la presenza di suo zio Lucifero, non molto lontano. Nemmeno a lui era concesso avvicinarsi di più. Mihael lo osservava, impedendo all’angelo caduto di accedere a quel luogo sacro. Era una maestosa cattedrale, di cui i mortali riuscivano solo a scorgerne una minima parte. E ovviamente non vedevano l’angelo che ne sorvegliava i confini oltre i quali alle creature non angeliche non era concesso andare. L’angelo ed il demone, Mihael e Lucifero, si fissavano. Il figlio di Sophia, il Dio delle illusioni, osservava entrambi ma il suo animo era letteralmente rapito dal canto che proveniva dalla cattedrale, mentre alle sue spalle sorgeva il sole.

 

“Prendimi, prendimi! Tirami su!” rideva il bambino, quasi inciampando nella tunica bianca.

“Non sarebbe ora che imparassi a volare?” rise il giovane angelo che aveva di fronte.

Il piccolo, angelo a sua volta, scosse la testa.

“Io so volare” continuò il piccino “Ma è più divertente farmi portare da te, fratellone”.

“Ma io ho tanto da fare”.

Il giovane sorrideva, divertito dai goffi tentativi del bimbo di raggiungerlo e farsi prendere in braccio. Quando il piccolo finalmente riuscì nel suo intento, strinse le manine attorno al collo del giovane, felice.

“Un giorno sarò grande come te, fratellone”.

“Sì, e non ti prenderò più in braccio”.

“Eh no, magari sarò io più grande di te e sarò io a prenderti in braccio”.

“Ma che carino!”.

Ridendo entrambi, continuarono a camminare fra le candide nubi. Sopra di loro, il cielo stellato. Il giovane canticchiava, con la voce perfetta degli angeli, ed il bambino tentava di fare altrettanto. Altri piccoli angeli si rincorrevano fra le nubi, felici. Il più grande li osservava tutti, provando tenerezza. La sua luce splendeva ed ebbe un sussulto quando udì la voce della sorella. Stava cantando anche lei, in modo perfetto. Voltandosi, il giovane la vide. Con i lunghi capelli che si facevano cullare dal vento e le immacolate e morbide ali che facevano altrettanto, la voce della fanciulla era accompagnata dalla piccola lira di cui sfiorava le corde.

“Sorellona!” salutò il piccolo angelo, raggiungendola di corsa.

Il ragazzo invece rimase fermo, ad osservarla. Percepiva qualcosa di strano, quando la vedeva. Qualcosa di nuovo ma di cui sempre più non poteva fare a meno.

“Cosa c’è, piccolo Mihael?” esclamò lei, serena, passando una mano fra i capelli del piccolo angelo che l’aveva raggiunta “Vuoi suonare l’arpa con me?”.

“Non sono capace” ammise il piccolo, vergognandosene un po’.

“Chiedi al tuo fratellone di insegnarti. Ne sarebbe felice, vero?”.

La risata di lei fece ridere anche lui ed il bambino non capì del tutto i loro sguardi. Poi lei si alzò e raggiunse il fratello.

“Vero che gli insegnerai?” stuzzicò ancora lei “Rispondimi, Lucifero!”.

“Se sei tu a chiedermelo, lo farò di sicuro, Sophia” annuì il giovane angelo.

I due gemelli si abbracciarono e Lucifero diede un piccolo bacio sulla fronte a Sophia. Mihael osservava ed inclinò leggermente la testa.

“Voglio anche io un abbraccio!” protestò e il fratello maggiore rise ancora, sempre stringendo la sorella Sophia.

“Ti abbraccerò quando mi arriverai almeno alla spalla” fece l’occhiolino Lucifero e Mihael gli mostrò la lingua.

“Sai essere davvero cattivo a volte” lo rimproverò Sophia, con dolcezza “Vieni, Miky, ti abbraccio io!”.

 

“Tutto bene?” domandò Arles, accanto a Lucifero.

“Certo” mentì il capo dei demoni, in realtà rattristato da quel ricordo che era riemerso nella sua mente.

Cambiò espressione leggermente, al pensiero che alla fine Mihael non aveva mai imparato a suonare l’arpa. Così come non aveva imparato a fare molte altre cose tipicamente angeliche. Nel sangue era un guerriero, probabilmente molto più vicino al fratello caduto di quanto pensasse.

 “Me ne torno all’arena di Apollo” parlò ancora Lucifero “La cerimonia è finita e l’odore di angelo mi fa venire la nausea”.

Il nipote aveva però scorto lo sguardo dello zio. Preferì non infierire, non trovandolo giusto. Lui non poteva ancora andarsene, doveva parlare con Mihael.

“Figlio di Sophia” lo chiamò proprio Mihael “Mi è stato detto che vuoi parlare con me. La cosa, lo ammetto, mi lascia perplesso. Che cosa c’è?”.

Il Dio delle illusioni raccontò l’accaduto. Descrisse la sparizione di Ares ed i suoi sospetti. L’angelo lo ascoltò con tensione, attento che nessun’altro li spiasse.

“E perché lo vieni a raccontare proprio a me, figlio di Sophia?”.

“Perché degli Dei non so di chi fidarmi. Lucifero tenterebbe in ogni modi di convincermi che devo presentarmi all’arena ed uccidere tutti. Tu invece, Mihael, sei una creatura al di sopra di certe faccende e con una certa esperienza in campo militare. Chiedo dunque il tuo consiglio”.

“Il mio consiglio? Di questo sì che sono stupito..ad ogni modo, vieni con me. Meglio andare dove orecchie indiscrete non stanno ritte ad ascoltarci”.

L’angelo si voltò, rientrando nella cattedrale. Il Dio lo seguì, fra le arcate in pietra. Ora era tutto spento, se ne stavano andando tutti. Mihael raggiunse l’altare e, dopo essersi lievemente inginocchiato davanti ad esso ed aver fatto il segno della croce, si avviò nel retro. Arles ne osservò i gesti, non capendoli del tutto. Tentò di imitarli, pensando fosse segno di rispetto, anche se li trovava ridicoli. Nel frattempo, Mihael aveva recuperato una piccola chiave nascosta fra le statue dell’altare, usandola per aprire una porta in legno, che scricchiolò. Aveva l’aria antica e molto poco usata. Dopo di essa, iniziava una ripida scalinata, avvolta dal buio. La luminescenza di angelo e Dio illuminò la discesa che li condusse fino ad una piccola sala, scavata fra le rocce.

“Dove siamo?” domandò Arles, ed udì l’eco della sua voce.

Mihael non rispose. Subito dopo l’ingresso ad arco, bruciavano due piccole candele. L’angelo ne prese una fra le mani e, con un gesto, espanse la sua fiamma, accendendone molte altre. Questo illuminò la sala.

“Dimentico sempre che sei un angelo legato al fuoco..” ammise il Dio.

“Arcangelo, siamo precisi. E sì, sono legato al fuoco. Ed al sole. I mortali mi hanno affidato molti simboli che, lo ammetto, prima appartenevano a voialtri pagani. Qui possiamo parlare di ogni cosa, nessuno ci ascolterà,  figlio di Sophia”.

“Puoi chiamarmi per nome, sai..”.

“Sinceramente..io non so quale sia il tuo vero nome. Quello che tua madre aveva scelto per te nessuno lo saprà mai. E gli altri sono appellativi che ti sono stati dati da altri o che ti sei dato da solo..”.

“E tu..chi ti ha dato il nome? Il papà?”.

“Non voglio entrare nell’argomento. Siamo qui per parlare di altro, figlio di Sophia”.

“Chiamami Ary, ok? Come fanno quasi tutti. O Arikien, se proprio non ami i vezzeggiativi”.

“Detesto i vezzeggiativi. Se mi chiamassi Miky, mi incazzerei! Ma cambiamo argomento..”.

“Lei è mia madre, vero?” domandò il Dio, indicando uno dei due splendidi dipinti che decoravano la parete.

Raffigurava una donna incantevole, con le ali dischiuse e lo sguardo dolce. Le mani, giunte, ed il suo volto, parevano morbide e vellutate come fossero reali. I lunghi capelli color del mare si arricciavano vaporosi e davano l’impressione di voler uscire dal dipinto.

“Sì” rispose Mihael “Quell’affresco, fatto dagli angeli, rappresenta Sophia”.

“E lui?” continuò Arles, indicando l’altro quadro, che invece rappresentava un angelo dalle fattezze maschili.

“Sono sicuro che lo sai”.

Il Dio lo osservò. Quell’angelo dipinto sorrideva, ed osservava la sala con limpidi occhi azzurri come il cielo. Brillava di una luce unica, viva e pulsante.

“Lucifero..”.

“Bravo, Arikien”.

“Perché..?”.

“Perché è stato dipinto? Un tempo questo luogo era stato creato per adorare Sophia, colei che stava al di sopra di tutti noi. È stata lei a volere il dipinto del gemello accanto al proprio. Dopo non molto tempo però, questa sala è stata chiusa e solo a pochi è concesso rientrarvi. Si dice che induca in tentazione. Io so bene che non puoi provare alcuna tentazione nel guardare tua madre e per quel che riguarda Lucifero..beh, non sarebbe in ogni caso affar mio”.

“E tu? Perché vieni qui? Per ricordare Sophia?”.

“Per ricordare entrambi. Per me, è come se entrambi fossero morti”.

“Ma non è così! Lucifero è..”.

“Caduto. Cambiato. Quel giorno, il mio fratello maggiore è morto”.

“Pensare questo ti renderà più facile trapassargli la gola con la lancia quando verrà l’Apocalisse?”.

“Non voglio parlare neppure di questo, se non ti dispiace”.

“Allora veniamo al punto. Cosa mi consigli di fare?”.

Mihael parve riflettere qualche istante. Giocherellò con la fiammella di una candela, con aria seria. Il Dio sapeva che quell’angelo non rideva mai, e sorrideva così raramente che si contavano sulle dita di una mano le persone che glielo avevano visto fare.

“Tu cosa pensavi di fare?” domandò poi Mihael.

“Sto chiedendo consiglio proprio perché non lo so!”.

“Ragazzo, io sono un angelo. Non posso importi nulla. Però, lo sai, il mio compito è proteggere il mondo da una certa persona, che tu conosci. E se Lucifero ti dicesse di andare in arena ed uccidere tutti, è ovvio che dovrei suggerirti il contrario. La mia vita è tutta bianca o nera. Lucifero è il nero, ed io il bianco. Non comprendo tutto il grigio nella mente umana, ma so che nella tua ce n’è parecchio di grigio..”.

“Grigio?”.

“Ti suggerisco perciò di agire d’astuzia. Sei il Dio delle illusioni, giusto? Perciò..sfrutta questa tua caratteristica. La forza bruta e sanguinaria che suggerisce Lucifero ti porterebbe alla sicura sconfitta, perché gli Dei Olimpici sono uniti e, scusa la parola, stronzi. L’unico modo che hai per batterli e sfruttando il tuo potere. Usa il cervello e scopri la verità”.

“Un inganno? Fingere di partecipare al torneo, quando in realtà non ho alcuna intenzione di combattere, e non lo farò? Per poter osservare gli Dei e capire che è successo?”.

“Tu lo hai detto, non io. Solo un suggerimento ti do: non fidarti. Questo mondo è pieno di serpenti tentatori”.

“Tu non lo sei di certo”.

“Non lo sarei nemmeno volendo. Ma io non posso agire al tuo fianco. Non posso lottare per te o accanto a te. Non sei il mio Dio”.

“Lo so. Non te lo chiedo”.

“L’unico modo che renderebbe possibile una mia entrata in campo sarebbe un’eventuale intromissione di Lucifero. In quel caso, sarebbe mio compito agire di conseguenza”.

“Mi stai velatamente suggerendo in che modo toglierti dalla noia, Mihael?”.

“Ma che dici?”.

L’angelo storse il naso. I due poi discussero ancora un po’, prima di tornare all’aperto.

“Immagino vorrai tornare ad osservare i combattimenti” commentò Arles “Se vedessi qualcosa di strano..”.

“Non potrei dirtelo. Mi spiace. Sempre che non riceva ordini dall’alto differenti..”.

“Capisco. Un’ultima domanda. Che ormai mi faccio da tempo. Se Dio ha creato ogni cosa, chi ha creato Dio?”.

“Dio si è creato da solo”.

“E in che modo? Se non esisteva, come poteva crearsi? Con che cosa?”.

“Tu..ma che..?”.

“Per le divinità Greche ci sono tantissime versioni. Pare che prima del Caos vi fossero altre creature. Una di queste è il destino. Quella creatura deve avere tutte le risposte, ma non riesco a trovarla”.

“Il destino non credo sia un’entità facilmente rintracciabile. Perfino da te che sei un Dio. Per quanto riguarda il resto..chi ha creato la materia? Secondo gli atei, l’universo si è creato con una grande esplosione. Ma chi ha creato quel che ha provocato quell’esplosione? Io sono un credente, Arikien.  Non potrei mai venerare te come un Dio, ma so che lo sei. E so che c’è chi crede in te. Perciò penso non vi sia una verità universale. La risposta che cerchi, non esiste”.

Il Dio delle illusioni fece per rispondere, ma Mihael si era alzato in volo, sparendo in fretta in cielo.

 

La Dea Hera si mostrava tranquilla. Artemide si sforzava di fare altrettanto. In realtà, non sapeva bene cosa aspettarsi. Tenne la testa alta e la regina madre sorrise.

“Hai gli occhi del mio amato Zeus” commentò Hera.

Artemide non sapeva che cosa dire. Fra le gradinate, le sue sacerdotesse e sottoposti facevano il tifo per la loro Dea. Lei, una volta raccolti i lunghi capelli, attese la prima mossa di Hera.

“Sei pronta?” domandò la regina madre e la sfidante annuì.

Subito Hera si mosse. Socchiuse gli occhi e la luce divina l’avvolse. Artemide fece lo stesso, accendendosi d’argento. Si concessero un’ultima occhiata e poi si lanciarono l’una contro l’altra. L’aspetto di entrambe mutò e presero sembianze animali. La loro sfida consisteva in questo: trasformazioni e mutazioni. Si trasformavano a vicenda, nella speranza di ottenere la combinazione perfetta con l’animale scelto dall’avversaria. Le trasformazioni erano rapide e in successione. Quando furono ormai in procinto di scontrarsi, entrambe si librarono in volo, tramutate in uccelli bianchi. In un turbinio di piume, le due Dea si affrontavano in cielo. Gli altri Dei alzarono lo sguardo, ammirati da quel singolare scontro. Coprendo in pochi secondi il sole con le ali, poi si lanciarono di nuovo in picchiata verso l’arena. Le loro sembianze umane riapparvero per qualche istante e poi mutarono. Prima in cane, poi in lupo, cervi e orsi. Comparvero delle macchie di sangue, che macchiarono la pietra. Poi, di colpo, entrambe si fermarono. Artemide era una splendida giumenta d’argento, Hera una cerva dal manto nocciola.

 

Il Leone entrò alla tredicesima senza convenevoli. Spalancò la porta, poi accigliandosi.

“Gran Sacerdote!” esclamò “Che succede?”.

Al centro del corridoio, proprio di fronte al sacerdote, vi era una creatura che Aiolia non conosceva ma che aveva già visto poco tempo prima.

“Tu!” esclamò, mentre Kiki tentava di rimproverarlo “Sei il tizio che ha consegnato a me ed altri cavalieri questa lettera da parte di Arles. Che significa?!”.

“Leone d’oro..” borbottò il Sacerdote “..non potresti essere un pochino più educato?”.

“Ma l’avete letta questa lettera? E voialtri importunate perfino il Gran Sacerdote?!”.

“Ioria! Costui è Keros, e porta i messaggi del suo signore”.

“Sì, il vecchio Arles”.

“Bada a come usi impunemente la lingua, cavaliere” sibilò Keros, senza voltarsi verso Aiolia “Il mio Signore è un Dio e tu un semplice mortale”.

“Vedi di abbassare i toni con me, ragazzino dai capelli tinti. Io Arles lo chiamo come mi pare e mi piace!”.

“Ragazzino? Tinti?!” ghignò la creatura a servizio del Dio delle illusioni “Intanto questo rosso è naturale e poi..io sono nato il 9 dicembre del 718, nella città che al tempo portava il nome di Costantinopoli. È da un pezzo ormai che non ho più l’età per essere definito un ragazzino. Sono cresciuto in quelli che definite i secoli bui. Anche se, sinceramente, non comprendo quella definizione. Gli umani sono molto più stupidi ora..”.

“Che..che cosa?! Non sei umano, dunque?”.

“No”.

“Sei un Dio?”.

“No. Ma sono al servizio di un Dio e la tua arroganza inizia a darmi sui nervi”.

“Ma Arles ci chiama al suo palazzo! Non può venire lui qui?! E perché ci chiama?! Che vuole?!”.

“Mortale, lui è un Dio e non è suo compito gironzolare per il mondo a cercarvi. Quello è l’incarico che ha lasciato a me ed io lo sto svolgendo. Il mio Signore Arikien vi ha convocati ma non vi obbliga a far alcunché. Come stavo spiegando al Sacerdote Kiki, prima che tu entrassi senza alcun segno d’educazione, siete liberi di agire come meglio credete. Colui che servo non è il vostro Dio, perciò siete liberi di fare quel che preferite. Se vorrete, potrete recarvi al Tempio del Dio illusorio, oppure restare qui”.

“Io non prendo ordini da Arles!”.

“Come preferite..”.

“Per favore..” interruppe Kiki “..non dare troppo peso alle parole del Leone. Ci consulteremo e decideremo il da farsi. Milo mi ha raccontato quanto successo al Tempio di Ares, ed immagino che quegli accadimenti siano una delle ragioni della convocazione”.

“Non posso saperlo” ammise Keros “Io non faccio domande. Il mio padrone mi svela ciò che ritiene giusto, il resto non lo richiedo e non è affar mio”.

“Ma questa convocazione..è stata inviata ai Gold, vero?”.

“Sì. Anche se me ne mancano ancora un paio. Molti di voi erano all’arena di Apollo ed a loro ho già recapitato il messaggio. Ora, vorrei raggiungere quelli che mancano prima che faccia buio. E freddo”.

Alla tredicesima erano giunti anche Camus ed Aiolos, desiderosi di ricevere delucidazioni o ordini dal Sacerdote. Kiki li osservò. A volte, lo doveva ammettere, non riusciva a capacitarsi di essere a capo di quel gruppo di cavalieri più anziani di lui. Informò il messaggero del Dio delle illusioni che si sarebbero consultati ed avrebbero deciso il da farsi. Keros, soddisfatto da quella risposta, annuì. Nonostante le proteste del Leone, salutò con un cenno e si voltò, incamminandosi verso l’uscita.

“Perché lo servi?” domandò Aiolia “Perché servi Arles? Sai chi è veramente?”.

“Sei tu che non sai chi realmente sia” rispose Keros.

“TI sbagli. È una creatura..strana!”.

“Anch’io lo sono, sotto certi punti di vista. Io sono figlio di un demone ed un angelo”.

“Pensavo che gli angeli fossero asessuati!”.

“La madre del mio signore non lo era di certo, tanto per fare un esempio. Inoltre, se lo fossero, girerebbero tutti nudi assomigliando a tanti Ken e Barbie, non trovi? Sono maschi e femmine ma il sesso a loro non interessa. Salvo rari casi..”.

“Capisco..”.

“Ad ogni modo, il legame che vi è fra me ed il mio signore è lo stesso che esiste fra te ed Atena. Tu perché servi Atena?”.

“Io..credo in lei”.

“Bravo. Inoltre..al mio padrone io devo la vita. Perciò, per quel che mi riguarda, potrebbe anche essere la peggiore delle creature fra gli universi ,ma per me sarà sempre e comunque il mio signore. Ed ora scusatemi ma devo andare. Ho ancora un paio di tappe da fare”.

 

Muso contro muso, cranio contro cranio, le due bestie erano stremate. Hera ed Artemide ormai da ore stavano usando il loro potere per mutare l’aspetto dell’avversaria e le forze stavano per esaurirsi. Rimasero ferme a guardarsi negli occhi, e poi Hera fece un passo indietro ed Artemide tornò ad essere umana.

“Che succede?” mormorò il pubblico.

Astrea, giudice di gara, si avvicinò alle due sfidanti. Ora anche Hera mostrava il suo solito aspetto e chiamò a sé la Dea della giustizia, che annuì. Parlarono fra loro ed alla fine il giudice alzò il capo.

“Hera, regina madre, riconosce il valore della Dea Artemide” decretò Astrea “E non desidera che questo scontro diventi più cruento. La vittoria va ad Artemide”.

Hera annuì, soddisfatta. Non era stata tecnicamente sconfitta, ma era fiera di quanto fatto dalla Dea dalla gemella di Apollo. Era tempo di lasciar spazio alle nuove generazioni.

 

“Come stanno i miei mezzosangue preferiti?” domandò Lucifero, entrando nello studio dove il nipote stava fingendo di leggere.

Il padrone di casa era troppo distratto, ma fingeva di essere concentrato sul volume che aveva di fronte. Alzò lo sguardo, quando lo zio fu accompagnato in quella stanza dall’ancella di Eleonore. I capelli e le ali scure del demone erano di un colore così diverso rispetto a quel dipinto di tanti secoli prima..

“Qui, veramente, ci sono solo io” sorrise Arles “Che cosa ci fai qui?”.

“Lo scontro in arena è terminato e non avevo voglia di tornare a casa. Inoltre questa mattina ci siamo un po’ lasciati in fretta. Dov’è Keros?”.

“Non è la mia ombra, zio. Sarà a divertirsi”.

“Bugiardo. Falso. Mi piace”.

“Posso farti una domanda? Ora che Keros non c’è, dimmi la verità. So che non vuoi che lui sappia il nome dei suoi genitori, non so perché, ma a me puoi dirlo”.

“No, non posso. E ti do questo consiglio: lascia perdere. Ficcare il naso in certi affari, non è il caso”.

“Ma quali affari?! Io so solo che è figlio di un angelo e di un demone”.

“Bene. Non devi sapere altro”.

“Ma dai! Almeno dimmi se l’angelo era il maschio o la femmina”.

“Smettila!”.

“Non sarà mica figlio tuo?!”.

“No! Certo che no! Che ti salta in mente?!”.

“E non è mio fratello..vero?”.

“No. Perché?”.

“Così, per sapere. Visto che la mia famiglia pare sotto tiro, lo sorveglierei di più se condividesse con me parte del mio sangue”.

“Vero..”.

Lucifero sedette di fronte al nipote, servendosi da solo il potente vino di Dioniso. Guardando in su, notò che la biblioteca del Dio delle illusioni stava diventando sempre più ricca ed accurata.

“Perché ti preoccupi per me e Keros, zio? C’è forse qualcosa che non so?”.

“Non credo. Per quanto io non abbia mai apprezzato molto il rapporto fra la mia gemella Sophia e tuo padre Ares, non ho in mente piani di sterminio per lui e la sua discendenza. Mi è del tutto indifferente”.

Il demone sbadigliò ed allungò i piedi sul tavolo, cosa che un po’ irritò il padrone di casa, che però non protestò.

“Parlando di altro..” riprese il Dio “..credo che Keros sia innamorato”.

“Ah sì? Che carino. E di chi?”.

“Di Eleonore”.

“Di tua moglie?! Perché lo pensi?”.

“Ultimamente molta gente viene qui e lui è strano. È nervoso. Come fosse geloso che girino altri uomini per casa. Inoltre, ogni volta che siamo soli, chiede dove sia. Chiede dov’è Eleonore o che cosa sta facendo”.

“E tu come la prendi questa cosa?”.

“Come dovrei prenderla?”.

“Pensi di scacciarlo?”.

“No, certo che no! Intanto non ho prove a riguardo e poi..che decida Eleonore! È libera di agire come meglio crede. Io sono un Dio, ed ho imparato che gli Dei si divertono un sacco intrecciando relazioni strane”.

“Quindi non avresti nulla in contrario se un giorno dovessi trovare Keros che si scopa tua moglie?”.

“Non riesco ad immaginarmelo, ma comunque no. Anche se vorrei che entrambi me ne parlassero, piuttosto che coglierli sul fatto. Se me ne parlassero, non avrei nulla in contrario. Quel che conta è la felicità di Eleonore, la mia viene dopo..”.

“Sei proprio un fottuto angelo. E pensavo che Keros lo fosse ancora più di te. Una sorta di coso privo di istinti sessuali”.

“Lo conosci da molto più di me. Magari hai ragione tu e le mie son solo idee strane. Sai bene che io di rapporti interpersonali non ci capisco molto. Ho amato solo Eleonore in tutta la mia vita. Non mi sono mai innamorato di altre donne..”.

“Mai? Che tristezza, ragazzo mio! Ad ogni modo..tieni sott’occhio il collo di tua moglie”.

“Il collo?”.

“Gli angeli baciano sulla fronte. Quando un angelo bacia sulla fronte significa che proteggerà ed amerà la persona baciata per il resto della sua esistenza. Quel che fanno umani e Dei lo sai benissimo. I demoni mordono. In un punto fra il collo e le spalla, i demoni mordono. Quel gesto, è una sorta di marchio che il demone imprime sulla persona che ama. Per segnalare agli altri demoni di stare alla larga. Un po’ come l’anello di fidanzamento di voialtri”.

“Keros dovrebbe mordere Eleonore?! Non lo farà mai! È troppo puccioso!”.

“Puccioso?! Ma che cazzo vuol dire?! E poi..magari non vorrà, ma se a Keros piace quella donna sarà l’istinto a guidarlo e, appena avrà l’occasione, la morderà. Non potrà controllarsi”.

“Buono a sapersi..”.

“Ma parliamo di altro. Che pensi di fare? Dimmi che vuoi andare al torneo e spaccare la faccia a tutti, ti prego!”.

 

“Bravissima, Artemide” si complimentò Apollo, applaudendo.

La sorella rispose con un piccolo inchino, ansimando per la fatica. Sia lei che Hera furono curate da Asclepio, anche se erano ferite solo lievemente. Come per gli scontri precedenti, si sistemò l’arena prima di iniziare lo scontro successivo. Il giorno seguente si sarebbero incontrate due divinità con parecchi simpatizzanti.  Da un lato Dioniso, Dio dai riccioli scuri e le foglie di vite a creare un’intricata capigliatura, e dall’altro Pan, il mezzo capro legato alla natura ed amante dei bagordi tanto quando Dioniso. Fra le scalinate, erano seduti uno accanto all’altro e se la ridevano felici. Non sembravano pronti a combattere e nemmeno adatti a farlo. Si stavano raccontando accadimenti passati in maniera del tutto insensata. Erano alterati dall’alcol, molto probabilmente, ma era del tutto normale. Osservando la Dea della bellezza, si lasciarono sfuggire degli apprezzamenti pesanti che la Dea udii.

“Pensate al combattimento, maschiacci” ridacchiò lei, accavallando le gambe “E magari darò un premio al vincitore”.

“Ma mamma!” storse il naso Anteros dalle alidi farfalla “Dioniso è un tuo discendente! Tuo e di papà Ares!”.

“Dioniso è tante cose, piccolo mio. Come Pan, è legato alla natura ed al rinnovarsi del mondo. È in continuo mutamento. È nato e morto molte volte. La sua essenza credo sia più antica della mia..”.

Anteros fissò la madre, senza capire del tutto. Si guardò attorno, ancora stupito del fatto che il padre non fosse comparso. Afrodite non gli aveva parlato di quanto successo. Voleva che rimanesse concentrato sugli scontri, lasciando al Dio delle illusioni il compito di capire la verità.

 

Svelate altre piccole cose. Fra Dioniso e Pan chi vincerà? Voi per chi fate il tifo? E quali altre divinità vorreste veder combattere? E quali sono i sospettati, causa della sparizione di Ares? Ed il legame fra Keros, il mezzosangue angelo e demone, ed Arles, il Dio per metà angelo, come si è creato? Non vi svelerò tutto nel prossimo capitolo ma… a presto ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI- Insperato ***


VI

INSPERATO

 

Mi chiamo Keros e sono una strana creatura. Da quel che ne so, non esistono altri come me, figlio di un angelo e di un demone. Sono nato in una città, che amo chiamare Bisanzio anche se al tempo era già Costantinopoli, appena sopravissuta ad un assedio. Non so come i miei genitori si siano incontrati ed amati, nessuno ha mai voluto dirmelo e non sono mai riuscito a scoprirlo. So solo che le cicatrici che ho sulla schiena sono il segno lasciato dalle ali che ho perso. 
Da quel che mi è stato raccontato, dovevo nascere con un paio di angeliche ali, ma qualcosa non andò per il verso giusto. Scoppiò un incendio e mia madre tentò di fuggire, ma io provavo l’irrefrenabile desiderio di venire al mondo. Non so se in quel momento ci fosse qualcuno accanto a lei ad aiutarla o se invece gridasse per ricevere aiuto, sola. So che le fiamme iniziarono ad avvolgerla e lei pianse, perché voleva proteggermi ma non poteva più farlo. Io, minuscola creatura ancora non venuta alla luce, invece tentai di salvare entrambi. Più volte mi è stato narrato che, non appena il fuoco andò a lambire il ventre di mia madre, io reagii. Non posso ovviamente ricordarlo ma pare che avvolsi me stesso nella luce e tentai di fare lo stesso con mia madre. Ma ero così piccolo, che potevo mai fare? La mia luce però attirò l’attenzione di Asmodeo, primo ministro di Lucifero. Incuriosito, il grosso demone si era avvicinato, non subendo danni con il fuoco. Le fiamme avevano ormai consumato quasi del tutto mia madre ma io ero lì, avvolto da una bolla luminosa, che ormai stava cedendo. Mi portò via, conducendomi dal suo padrone Lucifero, certo che mi avrebbe visto come una “bestia interessante”.  
Nacqui fra le fiamme e fui condotto all’inferno. Ho sempre sospettato che Asmodeo e Lucifero conoscessero bene il mio genitore demone e per questo non mi uccisero. Per questo, nonostante avessero visto chiaramente che in parte ero angelo e quindi loro nemico, mi risparmiarono. Le ali che dovevo avere sulla schiena, furono incenerite dalle fiamme. Il mio corpo si salvò perché su di esso, sul lato sinistro, comparvero dei segni di colore scuro. Complicati intrecci e disegni, che mi è sempre stato detto rappresentino un incantesimo di protezione, impedirono al mio braccio e parte del busto di svanire nell’incendio. Sono segni che ho sempre celato, notando che la gente li trova spaventosi. Per i demoni sono un marchio angelico, per gli angeli un maleficio demoniaco. Per me, solo dei disegni da nascondere. 
I primi anni della mia vita li trascorsi nel palazzo di Lucifero ma, appena ne fui in grado, me ne andai. Sentivo che quel luogo non era la mia casa. Lasciai l’inferno e girai per il mondo, in cerca di un posto da poter definire “mio”, in cerca di qualcuno come me. Vagai a lungo, fra varie città, stati, imperi, regni e continenti. Ammetto che mi divertii, a volte. Cresciuto da demoni, mi comportavo come tale ed era bello vedere come gli uomini credessero a qualsiasi cosa gli venisse raccontata. “Quell’uomo è posseduto da un demone” dicevi, e tutti ci credevano. “Quella donna è una strega” e tutti ci credevano. Troppo stupidi per notare che il colore dei miei capelli e dei miei occhi non era per nulla umano, si lasciavano incantare dalle mie parole e dal mio potere. Ovviamente, non fu sempre così. Fui scacciato e braccato come creatura maligna diverse volte. Ma bastava cambiare abito e territorio per ricominciare da capo, sempre alla ricerca di un posto mio. 
Ho visto nascere grandiosi imperi, magnifici palazzi, dipinti mozzafiato. Ho sentito le grida e l’odore della guerra e della malattia, le pestilenze e le stragi. Ho riso per le crociate e i conflitti di religione, ho pianto per le stragi di innocenti compiute nel nome di una divinità troppo silenziosa. 
Per quasi un millennio vagai per la Terra ma poi, visto che al mondo non sembrava esistere un posto per me, decisi di tornare al palazzo di Lucifero. Sapevo che mi aveva sempre tenuto d’occhio, perciò non ebbe nulla da ridire. Vi rimasi segregato, ormai rassegnato all’idea che non esistesse un luogo realmente adatto a me, che ero una sorta di abominio. Passai dei secoli rinchiuso fra quelle mura e fu Lucifero a portarmi fuori, una mattina. Mi disse che voleva vedere la nuova dimora di suo nipote. 
Avevo tanto sentito parlare del fantomatico erede di Sophia, l’amata gemella del re dell’inferno. Me lo immaginavo molto diverso da quel che poi in realtà si rivelò. Credevo fosse un demone spaventoso o comunque una creatura chiaramente collocabile agli inferi. Invece non lo era, perlomeno non del tutto. Ricordo che entrai nel palazzo del Dio delle illusioni con una certa ansia. Il nipote di Lucifero, una delle creature più temute del mondo, viveva in quel luogo. Mi aspettavo qualcosa di spettrale, angusto, come il luogo in cui ero cresciuto, ed invece non lo era per niente. Era un insieme armonico di stili, provenienti da tutto il pianeta. Ed anche lui era molto diverso da come me lo ero immaginato. Ricordo che quel giorno non dissi una parola, rimasi in silenzio, mentre zio e nipote discutevano di progetti futuri. Voleva viaggiare colui che ancora tutti si ostinavano a chiamare Arles. E sua moglie Eleonore ne era felice, ma lo aveva spinto a costruire quel palazzo per avere un luogo dove poter tornare. I due sposi avevano girato il mondo, conosciuto molte divinità, ed ora si erano concessi un luogo dove fermarsi. Appresi che presto il padrone di casa avrebbe continuato i vari addestramenti che stava svolgendo con le divinità. La cosa mi incuriosì molto e mi piacque lo sguardo che gli dedicò la moglie, fiera del suo uomo. Fui stupito dal modo di agire che quelle creature avevano con i loro figli. Cresciuto fra i demoni, mi aspettavo che il nipote di Lucifero vivesse con indifferenza la presenza di prole nei paraggi e invece sia lui che Eleonore si mostrarono tremendamente teneri, forse anche troppo. Al tempo, in quella casa non ve ne erano molti di bimbi ma, assicurò Eleonore, ne sarebbero presto arrivati degli altri. La più grande, colei che portava lo stesso nome di sua nonna, Sophia, era una bimba vivace e ricordo che mi disse che amava i miei capelli. 
Quando la giornata giunse al termine, sapevo di non avere alcuna voglia di tornare all’inferno. C’era qualcosa in quella casa e nelle persone che l’abitavano che mi attirava, anche se non capivo esattamente cosa. Seguii di nascosto il nipote di Lucifero nei suoi addestramenti, senza farmi scoprire. Non volevo che mi notasse, volevo prima scoprire che cosa nascondesse, chi o che cosa fosse in realtà. Ero sempre più ammirato da quello che il ragazzino era in grado di fare. Aveva meno di un secolo ma con delle capacità decisamente all’altezza del suo sangue! Ed ammetto che ero così concentrato ad osservarlo che quel giorno non mi accorsi del pericolo. Stavamo nell’oltretomba, regno di Hades, ed il Dio delle illusioni stava svolgendo una missione per conto del re di quel luogo. Io lo osservavo dall’alto di una sporgenza di roccia e non percepii un gruppo di Specter, che mi additarono come intruso e mi attaccarono. Preso alla sprovvista, non ebbi modo di difendermi. Ferito, mi ritrovai sull’orlo del baratro ma il nipote di Lucifero intervenne e li scacciò. Sarei stato ucciso, se non fosse stato per lui. Senza dire nulla, usò il suo potere di guarigione su di me. Passava la mano sul mio corpo, senza toccarmi, soffermandosi sui punti danneggiati. Quando trovava una ferita, la mano gli si illuminava ed io guarivo, non provando più dolore. Quando però usò questa sua tecnica, sulla schiena apparvero le sue ali. Spalancai gli occhi, meravigliato da una simile visione, e ricordo le prime parole che gli dissi: “Voi siete..un angelo!”. Lui rise, rispondendo con un “più o meno”. Lo supplicai di non usare la sua energia vitale per me ma lui rispose che non era un problema e che anzi lo avevo aiutato ad individuare creature che probabilmente lo avrebbero attaccato in seguito. Capii che era il suo modo di essere ad attirarmi. Il fatto che fosse un sanguemisto, come me. Il fatto che come sposa avesse una sacerdotessa scelta per un po’ da una Dea Egizia. Lui ed Eleonore non erano come me, ma strani allo stesso modo e la cosa mi piaceva. Mi inginocchiai, supplicandolo di permettermi di servirlo, per ripagare al debito. Aveva salvato la mia vita, il codice dei demoni prevedeva che lo servissi fino al giorno in cui avrei potuto fare altrettanto. 
Da quel giorno, lo seguii in ogni viaggio ed in ogni missione. All’inizio ricordo che Eleonore mi fissò con sospetto, per lei io ero un diavolo che girava per casa, vicino a suo marito ed i suoi bambini. Sapevo di non poter pretendere di ottenere subito la sua fiducia ma ci riuscii una notte. Il mio signore soffriva spesso di incubi, anche durante le missioni ed i periodi di addestramento. Una sera, la prima in cui ebbe un incubo in mia presenza, mi spaventai. Temevo fosse ferito e soffrisse. Tentai di capire e poggiai la mia mano, quella del braccio ricoperto di disegni, sulla sua fronte. Subito si calmò e capii di aver scacciato il suo incubo. Sorrisi, soddisfatto perché per la prima volta mi sentivo in qualche modo utile. Non dissi al mio signore quel che avevo fatto, e quel che feci nelle notti successive. Lo vedevo come una sorta di pagamento per il debito che avevo, senza che necessariamente lo venisse a sapere. Fu Eleonore a raccontarglielo, la notte in cui non mi considerò più un pericolo. Sentii il mio signore gridare e mi allarmai, presi coraggio ed entrai in stanza, trovando Eleonore che tentava di calmarlo. Mi avvicinai e scacciai quell’incubo. Lo feci come se fosse un mio dovere, senza aspettarmi alcun tipo di ringraziamento, però, quando alzai lo sguardo..vidi il sorriso di Eleonore! Era bellissimo e sincero. Lasciai la stanza, vedendo che il padrone di casa si era addormentato placidamente, e lei mi seguì. Non ne capivo la ragione, mi voltai e lei mi abbracciò forte. Mi chiamò “Benedizione”. Mi disse che avevano tentato qualsiasi cosa. Libri, pozioni, medicine..quegli incubi non lo lasciavano in pace ma io, col solo tocco di una mano, riuscivo a farlo dormire tranquillo. Ero un “Miracolo mandato dal cielo”. Eleonore il mattino seguente lo raccontò a colui che ormai si faceva chiamare Arikien e lui mi dedicò lo stesso sorriso di lei la sera prima. Questo, lo ammetto, mi scosse. Nessuno mi aveva mai definito “benedizione” o mi aveva sorriso in quel modo. Fu del tutto inaspettato ed insperato, ma in quel luogo mi sentivo a casa. Ero felice, felice come mai prima d’ora. 
Gli anni sono passati, i bambini sono cresciuti e ne sono nati altri, ma la fedeltà nei confronti del mio signore non è crollata. L’ho servito e lo servirò ancora a lungo. C’è qualcosa di profondo che mi lega a questo palazzo, qualcosa che va oltre la devozione ad una divinità nuova. Non voglio che le cose cambino, ma non so quanto ancora possa durare questa vita con noi soltanto. 
Mi chiamo Keros, il mio signore a volte mi chiama “Keràssi” ovvero “ciliegia”, e me ne sto qui ora, al tempio del Dio delle illusioni. Il pendolo ha appena rintoccato le sei del mattino ed i cavalieri stanno arrivando. Percepisco il loro potere, il loro cosmo. Meglio andare a preparare il tè..

 

La prima cosa che Ares udì, fu il ripetersi di un gocciolio a cadenza regolare. Stordito, si sforzò di rialzarsi nel buio.

“Ma dove stracazzo sono?!” ringhiò, irritato “Che è successo?!”.

Non ricevendo risposta, continuò ad urlare a caso, cercando di capirci qualcosa. Non ricordava molto, solo che qualcuno era arrivato al suo tempio a rompere. Sempre urlando, camminò per un tratto di quella che sembrava una grotta. Nel buio, finì con i piedi nella bassa acqua che scorreva per quel luogo. Imprecò.

“Puoi fare silenzio?!” si sentì dire “Gridare a vanvera non ti servirà”.

Ares si voltò di scatto. Se c’era una cosa che lo faceva incazzare ancora di più di quanto già non lo fosse, era sentirsi dire che doveva stare zitto o calmo. Chi aveva osato? Una luce d’oro splendeva da dietro una roccia. Il Dio della guerra, senza pensarci troppo, si incamminò verso di essa.

“Chi sei?” urlò, con tono minaccioso “Come osi rivolgermi la parola in questo modo?! Fatti vedere!”.

“Io da qui non mi muovo..”.

La voce che udiva era calma, non riusciva a comprendere se era maschile o femminile. Ares raggiunse quella luce, capendo di avere di fronte quel che pensò fosse un angelo. Con un paio d’ali d’oro, sedeva fra le rocce, ad occhi chiusi.

“Chi sei?” domandò il Dio della guerra “Dove siamo? Dove sono i miei figli?”.

“Dove siano i tuoi figli, sinceramente, non ne ho idea. Chi sia io, non ha importanza e nemmeno in che luogo ci troviamo”.

“Senti, coso, non irritarmi. Chi cazzo sei?! Dimmelo subito! Mi hai portato tu qui?!”.

“No, io vivo da millenni qui dentro. E stavo splendidamente bene prima che ci venissi tu a gridare a caso!”.

“Dimmi dove sta l’uscita, così me ne vado!”.

“Non posso”.

Ares osservò meglio quella creatura. Pareva un uomo, ma il suo corpo era tremendamente aggraziato. Decisamente androgino, il Dio della guerra non lo trovò per nulla spaventoso. Lo fissò, con sfida, ma chi aveva di fronte non mutò espressione.

“Sei cieca, per caso, cosa strana? Per questo tieni gli occhi chiusi?” domandò il Dio.

“No, non lo sono. Ma aprire gli occhi in questa grotta in cui dimoro da millenni è del tutto inutile. Le cose non cambiano, non vi è molto da vedere”.

“Beh, ora ci sono io!”.

“E perché mai dovrei vederti?”.

“Magari potrebbe aiutarti a non farti riempire di botte da me!”.

Ares scattò in avanti ma la creatura non mosse un solo dito. Si limitò a muovere leggermente le ali d’oro ed il Dio della guerra finì contro la parete.

“Mi è stato detto di non farti troppo male, Ares” spierò la creatura “Perciò non provocarmi. Resta buono, per cortesia”.

“Per cortesia?! Resta buono?! Per chi mi hai preso, coso?! Se non mi dici subito dove sono e che cosa sta succedendo, ti strappo tutte quelle belle piume che hai”.

“Non credo ne saresti in grado”.

Il Dio, furioso, gridò e si lanciò di nuovo contro quell’essere androgino, che rimase seduto. Con un solo cenno della mano, spedì di nuovo Ares contro la parete. Questi tentò per l’ennesima volta di reagire e la creatura sbuffò.

“Sei noioso! Noioso e stupido!” sbottò, muovendo le ali e immobilizzando il Dio della guerra.

Questi ringhiò e protestò, invano. L’essere androgino schioccò le dita e Ares perse i sensi di colpo.

“Finalmente un po’ di silenzio. Che divinità fastidiosa..”.

 

“Sophia!” gridò Aphrodite, correndo lungo il corridoio del palazzo del Dio delle illusioni.

Con un sorriso, il cavaliere dei pesci raggiunse la primogenita di Eleonore ed Arles. Lei rispose con altrettanto entusiasmo, facendosi abbracciare.

“Guarda!” riprese lui “Guarda che cosa ti ho comprato!”.

Mostrò un pacchetto e svelò un fermacapelli d’argento, con pietre colorate. Lei lo osservò ammirata e lasciò che Aphrodite le acconciasse i ciuffi, biondo scuri come quelli della madre.

“Grazie, zio Aphro!” rise lei “Sei sempre gentile!”.

“Vieni spesso qui?” domando ai Pesci il cavaliere dell’Acquario, che a sua volta aveva raggiunto il palazzo.

“Sì, a trovare Ary! Anche se era da un po’ che mancavo, vero Sophia? Quanto sei bella! Chissà quanti pretendenti hai!”.

“Non lo so. Mio padre dice che molti hanno chiesto la mia mano, ma lui lascia a me scegliere. E fin ora la cosa non mi interessa”.

“Brava, ragazza. Vivi libera!”.

Risero ancora, interrotti solo da un paio di colpi di tosse. Voltandosi, videro lo sguardo serio di Keros.

“Ciao, ciliegino!” lo salutò Aphrodite e Keros arricciò il naso.

“Per cortesia..” parlò piano il mezzosangue “..potreste non svegliare i bambini della casa?”.

“Mi sa che abbiamo svegliato anche te, eh?” rise Pesci “Hai una faccia..”.

“Sono stanco e non è ancora l’alba. Non so per quale motivo a voialtri cavalieri piaccia rompere le palle per le case ad orari simili. Ad ogni modo, vogliate seguirmi. Il mio signore vi raggiungerà subito”.

In silenzio, si incamminarono lungo il corridoio.

“Hai legato i capelli, Keros” continuò Aphrodite “Così ti stanno molto bene”.

“Ti ringrazio. In realtà non avevo voglia di pettinarli e così la mia pigrizia non si vede..”.

Il cavaliere ridacchiò. Fra statue ed oggetti provenienti da tutto il mondo, il gruppo fu condotto nel salone dove li attendeva il tè caldo. Era una stanza in stile classico, con archi e colonne. Con i tendaggi scarlatti, un po’ ricordava il grande tempio.

“Il tè è da signorine” protestò Deathmask “Voglio del vino”.

“Cerca di darti un contegno!” lo rimproverò Aphrodite “Poi Ary ti parla e tu non capisci. E mi chiedi di rispiegarti tutto da capo quando siamo da soli”.

“Delizioso” commentò invece Camus e Mur gli diede ragione.

“Certo che..” furono invece le parole di Milo “..voialtri siete proprio invecchiati da far schifo! Guardatevi!”.

Lo Scorpione osservava Camus, Aiolia, Aiolos, Shaka, Aldebaran, Shura e Dohko. Mur non era cambiato, grazie al suo sangue Lemuriano. Milo, Deathmask ed Aphrodite erano rimasti giovani, grazie ai loro rapporti con le divinità.

“Meglio vecchio che brutto come Deathmask” ribatté Shura, scherzando.

“Ha parlato Adone dai capelli verdi” ghignò il Cancro.

Iniziarono a stuzzicarsi a vicenda l’un l’altro. Kiki tentò invano di farli stare zitti, senza ottenere risultati. Keros li osservò, senza capire molto dei loro discorsi. Restava in piedi accanto alla porta, in attesa del padrone di casa. Quando finalmente il Dio delle illusioni entrò, il mezzosangue si inchinò.

“Ary!” gridò Aphrodite, alzandosi di colpo e correndo ad abbracciarlo “Che bello che sei! Che eleganza! Dovrai prestarmi uno dei tuoi vestiti un giorno”.

“Mi sa che ti andrebbero un po’ grandi. Ora sono molto più alto di te” sorrise Arles.

“Userei i tacchi, mio caro!”.

“Ah beh..allora..”.

“E per favore..un giorno vorrei mi concedessi una serata con il tuo servo. È così carino, che me lo spupazzerei di abbracci!”.

“Keros? Credo dovresti chiedere a lui. Però lui mi serve..”.

“Capisco..”.

Keros aveva tirato un sospiro di sollievo, dopo essere sobbalzato alle frasi pronunciate da Aphrodite ed aver arricciato il naso un sacco di volte. Arles ed Aphrodite risero ancora ed il padrone di casa si avviò verso la grossa poltrona del capotavola. Il lungo mantello blu che indossava terminava con un ricamo in oro, lo stesso che decorava le stoffe di Keros e degli altri abitanti della casa. La veste era degna di un Dio ed anch’essa aveva decori e drappeggi.

“Ed ecco uno che ci ha messo un sacco per prepararsi” ghignò Deathmask “Narcisista del cazzo”.

“Ma pensate per voi. Al cospetto di un Dio conciati come dei pezzenti” rispose con un ghigno altrettanto malefico il padrone del palazzo, riferendosi ai loro abiti in borghese.

Aveva raggiunto la poltrona e sedette. Keros fece per congedarsi, con l’ennesimo inchino, sconcertato dai discorsi dei presenti. Ma il Dio lo fermò, e gli fece cenno di avvicinarsi.

“So che sei stanco” gli disse “Ma siedi qui assieme a noi. Ci sono delle cose che vorrei ascoltassi pure tu”.

“Io?! Ma..siete sicuro?”.

“Siediti, Keros”.

Con un tono che non ammetteva repliche, il Dio indicò la sedia alla sua sinistra. Keros annuì, non potendo far altro, ed andò a sedersi accanto al suo signore.

 

Dopo aver raccontato a grandi linee quanto già Milo aveva riferito al gruppo, Arles illustrò quel che aveva in mente. Intendeva presentarsi al torneo, per poter indagare. La sparizione di suo padre Ares ed il resto della famiglia non poteva che essere opera di una o più divinità. Ma per poter scoprire chi fosse stato, doveva fingere di partecipare a quei giochi organizzati da Apollo. Da solo, come Dio ficcanaso, sarebbe stato subito scoperto. Con un seguito invece sarebbe stato molto più credibile. Inoltre per partecipare necessitava obbligatoriamente di un gruppo di “seguaci”, ad indicare che in caso di vittoria aveva chi lo seguiva e lo aiutava. In quel caso, i cavalieri d’oro sarebbero stati solo dei finti seguaci, così come per finta aveva intenzione di partecipare.

“Ci stai chiedendo di lottare per te?!” si stupì Shaka.

“No” rispose Arles “Non combatterete. Mi serve solo un gruppo di guerrieri che sia credibile. Un gruppo di persone a me fidate che mi aiuti a scoprire la verità. Non ho alcuna intenzione di vincere il torneo”.

“Ma siamo poco credibili” scosse la testa Camus “Guardaci! Siamo vecchi!”.

“A quello posso facilmente rimediare. Ma prima devo sapere cosa ne pensate”.

“E ciccino qui che c’entra?” domandò Deathmask, indicando Keros, che sedeva alla sua destra.

“Credimi, Cancer, il qui presente Keros saprà sorprenderti. Sotto tutti i punti di vista” sorrise il Dio.

“Ne sei sicuro?!”.

“Assolutamente”.

“Ah..ok..”.

“Grazie, signore” mormorò il mezzosangue.

“Inoltre..” riprese Arles “..di lui mi fido ciecamente. Ed in questo momento avere accanto qualcuno di cui fidarmi per me è fondamentale. Non voglio obbligarvi. Ma devo mettervi fretta. Fra poco Apollo non permetterà ad altre squadre di unirsi al torneo, perciò dovrò sbrigarmi a comunicargli la mia intenzione di partecipare”.

“Come intendi rimediare alla nostra età? Con un’illusione?” chiese Aiolos.

“No. La vostra giovinezza sarà reale, non solo un’immagine creata da me. Una volta che avrò scoperto la verità, potrete tornare alle vostre vite”.

“Io ci sto” parlò Aphrodite “Sei mio amico, voglio aiutarti. Ed anche se dovessi vincere, non mi dispiacerebbe”.

“Io non ho niente da perdere” si unì Shura “E l’idea di tornare giovane e scattante non mi dispiace”.

“Brava, capretta!” rise Deathmask “Mi unisco anche io alla festa! Come ai vecchi tempi!”.

“Io trovo entusiasmante l’idea di potermi trovare fra le divinità” commentò Camus “Potrò rivolgere loro la parola?”.

“Alcuni di loro saranno felici di parlare con te. Ti indicherò quali” annuì Arles.

“Io ci sono. Devo recuperare mia moglie Mirina” si alzò Milo, evidentemente alterato “Conta pure su di me”.

“Ringiovanire..di nuovo?!” si chiede Dohko “Che dire..va bene. Ogni volta che ringiovanisco mi diverto un sacco perciò..speriamo che anche questa volta mi vada bene!”.

“Ho fatto un sacco di strada!” ridacchiò Aldebaran “Non me ne andrò a mani vuote! Sono dei vostri!”.

“Se dite tutti di sì, io chi sono per dire di no? Tanto, se si tratta di stare su delle scalinate in cerca di risposte, non è sta gran fatica” alzò le spalle Mur “Contate anche me”.

“Mi unisco a te, fratello di battaglie” furono le parole di Aiolos “Di te, Saga, mi fido”.

“Io ci sto..solo se mi assicuri che non diventerai tu il capo dell’Olimpo” incrociò le braccia Aiolia.

“Te lo posso assicurare. Non ne ho alcuna intenzione” si sentì rispondere.

“Se ho la tua parola, allora ci sto anch’io” si unì, per ultimo, Shaka.

Kiki sorrise soddisfatto, felice di vederli tutti uniti.

“Ma..Gemini?” disse poi “Chi indosserà le vestigia dei Gemelli? Uno dei tuoi figli, Arles?”.

“No. I miei figli non sono addestrati a combattere e non voglio che lo siano. Tolomeo ha il suo regno, lontano da qui, e non voglio coinvolgerlo. Ma non temete, non sarà necessario lottare perciò un’armatura mancante non farà alcuna differenza”.

“Se lo dici tu..io mi fido”.

“Ed ora, vecchietti del tavolo, portatemi le vostre tazze”.

Perplessi, i cavalieri invecchiati si alzarono e si avvinarono al Dio, che fra le mani stringeva una coppa che Kiki aveva già visto. Con un lieve gesto della mano, il padrone di casa versò una singola goccia del liquido che conteneva nel tè degli ospiti. Il primo fu Aiolos, poi invitato a bere. Il Sagittario, perplesso, osservò la goccia color oro perdersi nell’ambrato del tè. Con un respiro, bevve tutto in un sorso. Fu scosso da un brivido, ed il suo corpo tornò ad essere quello di un tempo.

“Che..cosa è successo?” domandò.

“Ambrosia. Gli Dei la bevono continuamente, dona l’immortalità” spiegò il padrone di casa “Una goccia, per un mortale, e questi ritorna giovane”.

“Per quanto tempo?”.

“Sei giovane ora. Come se il tempo si fosse riavvolto”.

Uno dopo l’altro, l’ambrosia ringiovanì i saint. Milo sorrise, lieto di vedere Camus come una volta. Stessa cosa fece Aphrodite con Shura.

“Ora sì che siamo tutti bellissimi!” commentò Pesci.

“Il tempo scorre, ragazzi” interruppe i festeggiamenti Arles “Purtroppo dobbiamo muoverci. Precedetemi all’arena. Keros, và con loro. Io avverto Eleonore, in modo che non si allarmi per niente, e  vi raggiungo”.

Keros annuì, anche se controvoglia.

“Tranquillo” lo derise Deathmask “Se dovremmo combattere, ti difenderemo, Kerosuccio”.

“Sì, vero” annuì Shura “Sei dei nostri ora, non hai nulla da temere”.

Keros si era sforzato di stare calmo ma, ora che il suo signore si era congedato, non riuscì a trattenersi.

“Tanto per iniziare..” sibilò “..io sono vissuto per molti anni all’inferno, e non in senso figurato. Un branco di deucoli ubriachi che si azzuffa non può certo farmi paura! In secondo luogo, non ho bisogno della vostra protezione, né ora né mai. E per finire..io servo il mio signore. Lo servo con tutto me stesso e vi avverto: se a qualcuno di voi salta per caso in mente di tradirlo o di compiere atti che in qualche modo possano nuocergli..dovrà vedersela con me! Giuro sul mio sangue e sulla mia anima contorta che sarò il più grande degli alleati, se lo aiuterete, ma..fate gli stronzi e staccherò le vostre teste una dopo l’altra e berrò il vostro sangue in calici d’argento!”.

Scese il silenzio. Nessuno dei presenti si aspettava frasi simili. Annuirono, facendo capire di aver compreso e facendo cenno al servo di Arles di calmarsi. Gli occhi di Keros si erano tinti di un color arancio intenso, segno che il mezzosangue era furioso. Ed era spaventoso.

“E adesso andiamo, umani!”.

 

Eccoci qua! Secondo capitolo dell’anno e capitolo leggermente diverso dal solito. Spero che nel complesso vi piaccia, chiedo perdono per la struttura della parte iniziale, che ho tentato di rendere il più fluida possibile narrando quanto successo senza che sia come sempre un dialogo botta e risposta. Nel prossimo continueranno gli scontri all’arena di Apollo e succederanno alcune piccole cose che spero gradiate! Questo capitolo è nato davvero in fretta, l’ho scritto di getto come un fiume. Era pronto già il giorno seguente all’ultimo aggiornamento ma ho aspettato un paio di giorni. Ora sapete qualcosa di più su Keros, che però riserba ancora delle sorprese. E forse chi se ne intende di mitologia ha intuito chi sia la creatura che sorveglia Ares..

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII- Irreale ***


VII

IRREALE

 

Con il sole del mattino, le armature d’oro che alcuni cavalieri indossavano risplendevano. Non tutti avevano scelto di sfoggiare quelle vestigia. Alcuni, come Aphrodite e Milo, si erano abbigliati come si conviene a degli uomini compagni di divinità. Gli Dei presenti, erano perplessi. Se Atena non era ancora tornata in vita, in nome di chi essi avrebbero lottato? Ed avrebbero agito tutti insieme, o divisi fra diversi Dei? Rose e Persefone erano sedute accanto a Pesci, leggermente distaccato dal gruppo. Milo si guardava attorno, nella speranza di cogliere indizi su dove fosse la moglie, con a fianco il figlio, il cui aspetto era del tutto simile a quello del padre. Il ragazzo si chiamava Sargas, in onore di una delle stelle della costellazione dello Scorpione. Come il padre, anche lui si guardava attorno, in cerca di movimenti o voci sospette. Anche Camus aveva al suo fianco il figlio, che però stava tranquillo e composto. Gli eredi dei due cavalieri erano nati lo stesso anno e così, di comune accordo, anche Camus aveva dato a suo figlio il nome di una delle stelle della sua costellazione: Sadaltager, Sadalta. I due ragazzi non si conoscevano, se non di fama, ma i padri speravano che potessero essere amici. Purtroppo per loro, al primo incontro si erano rivelati troppo freddi o irruenti l’uno per l’altro. Rose rideva nell’osservarli. Era la più grande, e fremeva all’idea di picchiarli entrambi. Nell’arena vi era un gran chiasso, si attendeva l’inizio dello scontro ma l’arrivo del Dio delle illusioni rimandò temporaneamente la sfida. Keros lo osservò, in piedi, mentre scendeva lungo gli scalini, trascinando dietro di sé un lungo mantello,  e raggiungeva il centro dell’arena. In alto, su un trono d’oro, Apollo accennò un sorriso.

“Figlio di Ares!” gli parlò “Aspettavo con ansia la tua comparsa. Dov’eri finito? La puntualità innanzitutto”.

“Divino Apollo, vogliate scusare il mio ritardo ma a lungo ho cercato lo stimolo giunto per poter di nuovo avere a che fare con l’intera famiglia” rispose il Dio delle illusioni.

“E che stimolo hai trovato?”.

“Non vedo perché dovrei dirvelo”.

“Benissimo..insolente, come sempre! Sei davvero convinto di partecipare? I cavalieri di Atena lotteranno in nome tuo?”.

“Sono stati loro a spingermi in questa impresa” mentì Arles “Senza la loro Dea, si annoiano alquanto e questa è un’ottima occasione per incontrare nuovi talenti e tenersi in allenamento. E sfogarsi, ovviamente”.

“Accetti il fatto che, chiunque dovesse vincere, sarà a capo dell’Olimpo e tu, figlio di Ares, dovrai obbedirgli? Niente più sovversione e menefreghismo? Accettando di partecipare a questi giochi tu, di fatto, accetti di entrare nella famiglia Olimpica. Accetti di essere uno di noi, con tutti i pro ed i contro?”.

“Lo accetto. Chiunque vincerà, avrà la mia fedeltà”.

Arles dovette sforzarsi per pronunciare quella frase, perché non aveva proprio voglia di mettersi al servizio di qualcuno. Ma era l’unico modo. Apollo notò quel lieve cambiamento d’espressione e sorrise.

“Sei disposto a giurarlo, nipote?”.

“E voi, Olimpici, siete disposti a giurare fedeltà a me, nel caso vincessi?”.

Apollo rimase in silenzio qualche istante, così come le altre divinità presenti. Poi annuì.

“Bene..”.

“Figlio di Ares..se vuoi che io acconsenta e ti inserisca a pieno titolo fra i contendenti, devi mostrarmi il tuo vero aspetto. Qui siamo fra Dei, non ha senso che muti la tua immagine, Dio illusore”.

“Sarà..un vero piacere..” mentì di nuovo Arles.

Rimase immobile qualche istante, mentre gli Dei lo fissavano incuriositi, incitandolo a mostrarsi per quel che era veramente. Sospirando, capì che doveva farlo per forza. Si guardò solo qualche secondo alle spalle, dove stavano i cavalieri d’oro fra le gradinate. Poi mosse di scatto una mano, passandosela davanti al viso e chiudendo gli occhi. Un lieve vento lo avvolse ed il suo aspettò mutò. Fino a quel momento, aveva mostrato il volto a cui gli altri saint erano abituati ma ora quel volto non era più così. Le grandi ali del Dio si spalancarono ed i due fratelli, Lucifero e Mihael, si lanciarono un’occhiata interrogativa. L’ala di destra era brillante di luce oro, di un intenso color rosso cupo, perfetta come quella del più puro degli angeli. L’altra invece brillava di una luce diversa ed era più scura, sfumata in tonalità che andavano oscurandosi. Il loro aprirsi, aveva costretto il loro padrone ad abbassare parte della veste, per impedire che venisse stracciata, mostrando il tatuaggio del drago, tipico della famiglia guerriera di Ares, che il Dio portava sul petto. Il viso a cui i presenti erano abituati era ora diviso in due. il lato sinistro era quasi identico a come si presentava Arles. L’occhio rosso come il sangue era quello di suo padre Ares e quello dei suoi fratelli guerrieri. Quell’occhio, quello sinistro, era crudele e incuteva timore. Trasmetteva tutta la rabbia che in quel momento il suo padrone provava. Il lato destro era totalmente diverso. Era angelico, splendido. Brillava di una lieve luce oro, simile a quella dell’ala di quel lato e l’occhio verde era grande e dolce.

Nel complesso, il Dio si era alzato ed i lunghi capelli neri si erano sciolti fino a toccare terra. Gli altri Dei rimasero ad osservarlo, per qualche istante.

“Immagino..” commentò Apollo “..che se tu un giorno dovessi avere le corna come tuo zio..le avresti sul lato sinistro”.

“Non te lo posso dire. Non prevedo il futuro” sorrise lievemente il Dio delle illusioni.

“Bene..Arikien, siedi pure assieme a noi Dei Olimpici, se lo desideri. Al termine degli scontri che sono già stati stabiliti, ti dirò chi sarà il tuo primo avversario. Se però qualcuno ti dovesse sfidare, dovrai accettare e batterti”.

“Non mi tirerò di certo indietro. Permettimi, però, di celare le ali e farmi sistemare la veste ed i capelli. Altrimenti, sul trono che indichi, non potrò starci”.

Apollo annuì, dopotutto nemmeno Thanatos mostrava le ali. Solo Eros ed Anteros non le celavano mai. Chiudendole, il figlio di Ares le fece sparire e si lasciò avvicinare da Keros, che tornò ad allacciare i complicati intrecci di stoffe che lo vestivano. Poi, una volta rivestito, Arikien camminò lentamente lungo la scalinata dove sedevano gli Olimpici partecipanti agli scontri e sedette, sentendosi molto a disagio, ma sforzandosi di non farlo notare troppo. In quel momento, coloro che sedevano fra le gradinate dalla parte opposta riuscirono a scorgerne il vero volto, mentre legava in parte i capelli neri.

“Tu..” domandò Aiolos, a Keros che aveva raggiunto di nuovo i gold  per ordine del suo Signore “..tu lo sapevi..che è fatto così?”.

“Certo. Nel suo palazzo, quando non ci sono ospiti, si mostra per quello che è. Per caso..ti spaventa? O ti inquieta?”.

“Leggermente. A te no?”.

“No, io lo trovo straordinario”.

 

Arles sapeva di essere seduto al posto del padre. Quel trono rosso sangue non poteva che appartenere a lui. Che disagio! Ma chi glielo aveva fatto fare?! Era nella fila più vicina all’arena, accanto ad Hermes. Sopra di lui, i seggi di Apollo, Artemide ed altri figli di Zeus. La fila più in alto ancora era riservata ad Hades, Poseidone ed il loro seguito.

 Nell’anfiteatro nel frattempo si erano presentati Dioniso e Pan, un po’ meno sbronzi della sera precedente ma comunque non del tutto lucidi. Sorrisero verso gli spalti, con un’espressione idiota e divertita. In particolare Dioniso ghignò verso Apollo, che sapeva bene che mal lo sopportava.

“Siete pronti?” domandò Astrea “Potete incominciare!”.

“Vinca il più bello, capretta” sfotté Dioniso.

“Vinca il più sobrio, ubriacone!” ribatté Pan ed insieme si misero a ridere.

“Che coppia di coglioni” rise Shura, divertito dal fatto che lui indossava un’armatura legata proprio al Dio Pan.

“Secondo voi chi vince?” domandò Deathmask “Che ne dite di fare una scommessa?”.

“Ma sei incapace di stare zitto?!” protestò Shaka e Cancer gli mostrò il dito medio, convinto che tanto con gli occhi chiusi non lo avrebbe visto.

“Ah, ma lo avete visto quanto è bello Ary?!” esclamò Pesci “Ha quello sguardo così..”.

“Inquietante!” concluse Aiolia.

“Inquietante sarai tu, musone!”.

“Chiudi la bocca!”.

Il gruppetto iniziò a bisticciare. Keros sospirò. Sarebbe stato un lungo torneo! Chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi altrove, quando una voce lo chiamò.

“Scusami..” gli stava sorridendo Kiki “..perdona il loro chiasso”.

“Fanno sempre così?”.

“Sì. Quando sono tutti insieme, sì”.

“Wow..”.

“Senti..volevo scusarmi per come ti ho trattato la prima volta in cui ci siamo visti. Ero nervoso ed irritato. Non accadrà più”.

“Ed io chiedo perdono per come vi tratterò da qui in avanti perché sono nervoso sempre di più, spero comprendiate”.

“Sei preoccupato per il torneo? Che il tuo signore possa venire ferito?”.

“Anche. Più in generale dal fatto che tutto questo non mi piace per nulla. Gli scontri, le risse, la folla..sono un demone, ma non quel tipo di demone”.

“Sei un..demone tentatore?”.

“Una specie..”.

“Ma quindi..scusa se sono insistente ma..tu sei il Gran Sacerdote di Arles, dico bene?”.

“Arikien. Si chiama Arikien. A-RI-KIEN. Non mi pare difficile..”.

“Va bene, non fare il permaloso!”.

“Comunque sì, si può dire che io sia una sorta di Gran Sacerdote”.

“E lo fai per obbligo o perché ti piace?”.

“Mi piace che cosa?! Che stai dicendo?!”.

“Ti piace servire il Dio delle illusioni, perché sei un suo devoto, come lo sono io con Atena, o lo fai per obbligo?”.

“Nessuno mi obbliga”.

“Ah, quindi tu credi in lui. È il tuo Dio”.

“Un Dio non può appartenermi. Semmai è il contrario..”.

“Ti ha salvato la vita. È per questo che lo servi?”.

“Ha importanza?”.

“Nei tuoi occhi vedo la fece. La devozione assoluta. È una cosa rara ai giorni nostri”.

“Mi pare che voialtri al Grande Tempio vi spariate in vena le peggior cose per vedere la fede negli occhi di un demone!”.

 

Mihael si era travestito, per non dare nell’occhio. Lucifero era quasi sempre in borghese, perciò quasi nessuno capiva chi fosse in realtà. Con loro vi erano un altro angelo ed un altro demone, questa volta. Su nessuno di loro si potevano scorgere le ali. I due angeli erano avvolti in stoffe e mantelli mentre i demoni parevano quasi umani, con lunghi cappotti e stivali in pelle. Il gruppetto fingeva di far parte della “squadra” di Arles, per osservarne i movimenti.

“Che significano quelle ali?” domandò Mihael, alludendo ai due colori del Dio delle illusioni.

“E io che ne so?!” sbottò Lucifero “Chiedi a papà”.

“Non chiamarlo papà!”.

“E come dovrei chiamarlo?! Ad ogni modo è la prima volta che le vedo così. Non saprei dirti che significhi”.

“Lo hai tentato? Per questo una delle sue ali è mutata?”.

“Sta vivendo! È ovvio che muta! Per voialtri è tutto un peccato! È impossibile rimanere puri a questo mondo! Avrà scopato una volta con sua moglie non a scopo procreativo e quello è il risultato”.

“Non sei spiritoso”.

“Ciccio, se fosse come tu dici, sarebbe tutto di colore diverso. Non un lato solo. Io credo che questo voglia solo indicare la sua doppia natura, tutto qui. Ma il lato destro, lo hai visto? È degno delle più alte schiere angeliche. Perciò, com’è che si dice? Osanna nell’alto dei cieli?”.

“Idiota! Che cosa speri di ottenere da lui? Che cosa ci fai qui?”.

“Sostegno psicologico. E non voglio ottenere proprio alcunché. Tranquillo, Ary non intende combattere. Mi ha spiegato il suo piano. Ora siediti, musone, e goditi lo spettacolo”.

 

“Ci attende uno scontro rumoroso” aveva previsto Apollo e così fu.

I due sfidanti si erano messi a ridere, dopo aver tentato di lanciarsi sguardi minacciosi per più di un paio di secondi.

“Ma perché dobbiamo sfidarci, io e te? Me lo ricordi?” ridacchiò Dioniso.

“E perché non dovremmo?” rispose Pan, altrettanto divertito.

“Dioniso!” gridavano le donne fra il pubblico “Sei bellissimo! Vinci per noi!”.

“Pan!” incitavano altri “Sconfiggi quell’alcolista!”.

“Coraggio, ragazzo mio. Fai vedere di che pasta è fatta la famiglia!” urlò Hermes, rivolto a Pan, mentre Dioniso raccoglieva i fiori lanciati dalle fan.

“Ma è uno scontro o una presa in giro?” scosse la testa Mihael, in piedi accanto a Lucifero, che invece era seduto fra le file più altre delle gradinate degli spettatori.

“Signore e Signori!” parlò Dioniso “Inizia lo spettacolo!”.

“Spero vi divertiate” aggiunse Pan.

I due Dei si sforzarono di fare i seri e nell’arena scese il silenzio. Gli avversari parevano studiarsi. Keros li osservava con attenzione. Per evitare ulteriori domande e seccature, fra cui l’insistente frase “vuoi un croccantino, Keros?”  come allusione al fatto che serviva fedelmente un Dio come se fosse il suo cane, il mezzo sangue era sceso fino al gradino più basso della scalinata dei guerrieri. Giusto di fronte, scorgeva il suo signore. Il mezzo demone rabbrividì, perché la giornata era nuvolosa e non del clima che amava e questo lo innervosì. Arricciò il naso ma, inaspettatamente, si ritrovò a sorridere. Come mai? Astrea, la creatura più vicina ai due sfidanti, iniziò a ridere. Tentò di trattenersi, senza risultato.

“Astrea!” sbottò Apollo “Che cosa c’è da ridere?”.

Se lo chiedevano tutti. Dioniso e Pan non stavano facendo assolutamente nulla! Eppure Astrea rideva. Ed a lei si unì un fanciullo seduto fra le gradinate più basse. Poi un altro, ed un altro ancora. La prima fila dalla parte degli ospiti e dei guerrieri rideva. Perfino Keros, che si era guardato attorno senza capire, alla fine era scoppiato a ridere.

“Guarda, Asmodeo” indicò Lucifero “Kerosuccio bello si diverte. Chissà perché”.

“Magari succede qualcosa nell’arena che noi da qui non vediamo. Chi lo sa”.

“Ma insomma!” protestò Poseidone “Un po’ di serietà!”.

Altre file, a partire dal basso, iniziarono a ridere a crepapelle. Fra gli Dei vi era ancora silenzio ma nella prima fila già iniziavano a lanciarsi sguardi imbarazzati o divertiti. Hermes incrociò lo sguardo di Arles e si coprì la bocca, tentando di trattenersi. Ora Pan suonava la sua siringa e Dioniso improvvisava uno strano canto. Hermes ed Arles si fissarono di nuovo e scoppiarono a ridere pure loro, così come tutte le divinità nella loro stessa fila.

“Ma che..?” si accigliò Apollo “..questi giovani idioti..non c’è niente da ridere!”.

L’intero anfiteatro, a partire dalle file più basse stava ridendo. Quelli più in alto restavano seri e non capivano. Anche i cavalieri d’oro ridevano, compreso Camus che fino all’ultimo aveva tentato di trattenersi. Apollo protestò ancora un po’ e poi pure lui fu colto dall’irrefrenabile desiderio di ridere.

“Ma che succede?” si chiese Lucifero, seduto sulla scalinata più alta.

“Vallo a capire..” rispose Mihael, che si volto di scatto, sentendo il ridacchiare sommesso del collega angelo che gli sedeva a fianco.

L’Arcangelo guerriero era ancora in piedi e tentò di far mantenere un contegno a chi lo accompagnava, che però scoppiò in una risata fanciullesca. Anche Asmodeo rideva, con Lucifero che si chiedeva di quale acido si fosse fatto.

“Asmodeo! Cazzo ridi?!?” sibilò il re dei demoni.

“Gibrihel!” sibilò Mihael “Riprenditi! Che c’è di tanto divertente?!”.

Voltandosi verso Lucifero, l’Arcangelo vide che pure lui sghignazzava.  

“Ma che vi prende?! Che succede a tutti quanti?”.

“Miky!” sghignazzò Lucifero “Stai sorridendo!”.

“No, non è vero!”.

“Sì che lo è”.

“No! Io..ma..che mi succede?!”.

Ora tutto l’anfiteatro rideva, nessuno escluso, ed il sole era apparso fra le nuvole quando anche l’angelo che non rideva mai aveva fatto un’eccezione.

 

Dioniso e Pan si fissarono, unendosi al fragore dell’arena. I raggi caldi illuminavano i due sfidanti, che si guardarono attorno, soddisfatti. C’era un’atmosfera felice. C’era chi si abbracciava, chi si sorreggeva a vicenda per non cadere lungo gli scalini, chi si piegava in due, incapace di fare altro se non ridere. Mihael si era dovuto sedere ed era finito, barcollando, addosso al fratello maggiore.

“Questo non lo dirai in giro, vero?” era riuscito a dire Lucifero “Perché un angelo ed un demone che ridono assieme non si è mai visto!”.

“Fatevela una risata, Dei bisbetici!” esclamò Dioniso, spalancando le braccia ai raggi del sole.

“Sì, sempre a bisticciare! Non sapete pensare ad altro che alla guerra!” aggiunse Pan “Ridete! Ridete che vi fa bene!”.

Non aggiungendo altro, anche loro due risero. Finirono stesi a terra, uno accanto all’altro, senza smettere. Tutta la fila più alta delle gradinate fece lo stesso, ritrovandosi ribaltata all’indietro. Senza uno schienale in pietra a fermarli, chi vi sedeva  si erano trovato a guardare il cielo, sorretto dal bordo esterno dell’anfiteatro. Il gruppetto di angeli e demoni erano fra questi, assieme ad Hades, Poseidone, Thanatos, Hypnos ed altre divinità a loro seguito. Continuarono per un bel po’, prima che i sensi di tutti definitivamente si appannassero.

 

“Ragazzi? Ci siete?” rimbombò la voce, e i cavalieri risposero con un gemito di protesta.

“La mia testa!” si rialzò a sedere Milo “Ma che è successo?”.

“Mi sembra di essere sbronzo!” si aggiunse Deathmask.

“L’idea è quella..”.

“Ary..sei tu? Vedo un’ombra sfuocata..” biascicò Mur.

“Sì, sono io. Ce la fate ad alzarvi o vi lascio lì seduti ancora un po’?”.

“Che cazzo è successo?!” si riprese Shura.

“Dioniso e Pan..” spiegò il Dio delle illusioni “Hanno unito i loro poteri e ci hanno..donato un po’ di divertimento. Sì, ci sentiremo come dopo una sbronza per un po’. Ma voi mi sa peggio di me..”.

“Tu sei un Dio. Forse su di te ha fatto meno affetto..” ipotizzò Camus, reggendosi la testa.

“Può darsi. Ma ho riso come un cretino esattamente come tutti gli altri”.

“Cugino!” gridò Dioniso, dando una pacca sulla schiena di Arles “Stanno bene i tuoi amici, vero?”.

“Sì, deficiente” sghignazzò Arles, rispondendo alla pacca sulla spalla con un po’ più di forza.

“Ma allora..” alzò un sopracciglio Kiki “..chi ha vinto?”.

“Tecnicamente, hanno vinto loro, sconfiggendo tutti quanti noi. Apollo ha detto di fingere che non sia successo niente e di farci una dormita. Dalla faccia che aveva quando ha lasciato l’arena, penso fosse stordito alla grande!”.

“Wow..e..quindi?”.

“Quindi vi riaccompagno al Tempio di Atena e vi consiglio un’aspirina prima di dormire. Ci vediamo domani per il prossimo scontro”.

“Fra chi sarà?” chiese Keros, anche lui barcollante fra le scale.

“Oh, sarà uno spasso pure questo: Eris contro Eros!”.

 

Alla fine, i gold avevano deciso che la cosa più intelligente da fare era recarsi tutti al Tempio del Dio delle illusioni, per potersi muovere tutti in gruppo e non finire sparpagliati tutte le sere. Per l’intero viaggio, qualcuno improvvisò la canzoncina che aveva intonato Dioniso. Barcollando lungo il sentiero che li conduceva a casa di Arles, c’era chi si vergognava di quanto successo e chi invece ancora se la rideva. Camus era tornato il solito Acquario serio, assieme al figlio. Milo, al contrario, lo stuzzicava nel tentativo di farlo ridere di nuovo. Shaka preferì non commentare, piombando in un silenzio totale, sicuro altrimenti di pronunciare parole senza senso. Deathmask, Aphrodite e Shura si erano presi a braccetto ed ondeggiavano, biascicando stupidate. Aldebaran li osservava e ancora rideva, Mur barcollava incerto. Aiolia ed Aiolos fingevano di stare benissimo ma in realtà camminavano a zig zag ed il loro viso era rosso. Dohko si era divertito ed ancora si divertiva. Keros, che si sforzava di tenere il passo del suo signore, era stordito quanto gli altri ed inoltre si vergognava un po’. Se il suo padrone avesse corso qualche pericolo, lui non avrebbe potuto fare niente!

“Che c’è?” gli domandò il Dio delle illusioni, notando lo sguardo sfuggente del mezzosangue.

“Niente..è che..”.

“Non ti vergognare. Guarda in che condizioni siamo tutti quanti!”.

“Sì, ma..”.

Keros inciampò, non capì se sui suoi stessi piedi o su un sasso, ed il Dio lo prese al volo. Barcollando a sua volta, il padrone di casa varcò la soglia con Keros in braccio, canticchiando canzoncine sceme. Poi pure lui inciampò, su uno scalino, e finì per terra. I gold, non in condizione di schivarlo o far altro, caddero quasi tutti e finirono uno sopra l’altro.

“Branco di ciccioni!” gridò Arles, mentre Eleonore li raggiungeva, preoccupata.

All’inizio temette fossero feriti e tentò di capire come aiutarli, ma poi si accorse che stavano ridendo tutti, compresi i pochi rimasti in piedi, che però si poggiarono alle colonne e sedettero a terra, vedendo tutto attorno a sé girare.

“Ah..Ary!” sbottò Eleonore, dopo qualche istante di sconcerto “Saga, Arles, Arikien, Dio delle illusioni figlio di Ares! Sei ubriaco?!”.

“Posso spiegarti!” rise il padrone di casa, ancora sepolto dai colleghi “Cioè..no, in questo momento proprio non sono in condizione di farlo, scusami!”.

“E noi qui a preoccuparci per voi! In pensiero, convinti foste a combattere! E invece eravate a fare festa!”.

“Non è come sembra! Ma..te lo spiego domani!”.

“Perdono, signora” biascicò Keros.

“Keros!” si stupì Eleonore “Anche tu?! Da te non me lo sarei proprio aspettato!”.

La donna si voltò, ignorando il gruppo di ubriachi. I figli, prima fra tutti Sophia, chiesero delucidazioni su quanto successo ed alle parole “nulla, vostro padre è ubriaco” furono in molti i curiosi ma Eleonore impedì loro di vedere e li rispedì nelle camere.

“Roba da matti” si limitò a commentare, chiudendosi poi nelle sue stanze e lasciando il marito in terra sull’ingresso.

 

“Ben svegliato, serpente tentatore” furono le prime parole che udì Lucifero.

A pronunciarle era stata Eris. L’angelo caduto si rialzò a sedere e si guardò attorno. L’arena si stava svuotando, Asmodeo ancora era privo di sensi e Mihael era sparito, probabilmente era andato a nascondersi.

“Ma che bel risveglio” ammise Lucifero “Mela della discordia..”.

“Ne vuoi forse un morso?” ammiccò lei.

“Mi piacerebbe molto..”.

L’abito rosso della Dea piaceva al caduto, che ne collegava il colore a quello del sangue, e nel complesso trovava quella femmina piuttosto interessante.

“Davvero?” mormorò lei “E tu? Cosa mi daresti in cambio del morso della mia mela?”.

“A te che cosa piacerebbe? Magari dare un saluto al serpente tentatore?”.

“Oh, vai dritto al punto, angelo caduto”.

“La cosa ti dispiace? Perché io detesto perdere tempo..”.

“No, non mi dispiace. Andiamo. Conosco un posto..”.

 Lucifero si voltò solo qualche istante, sfiorando Asmodeo ancora in terra.

“Non aspettarmi sveglio” gli sussurro, allontanandosi con Eris, che sorrise maliziosa.

 

Keros si svegliò, con un gran mal di testa. Ci mise un po’ per ricordare quanto successo e si stupì di trovarsi nella sua stanza. Si alzò, gemendo. Con le piccole orecchie a punta udì un rumore proveniente dalla grande sala dove si consumavano i pasti. Pensò si trattasse di Larya, l’ancella di Eleonore, che preparava la colazione. Si sistemò alla bene e meglio, ancora stordito, e lasciò la sua camera. Raggiunse la cucina, recuperando quel che desiderava per colazione, ed entrò nel salone. Si stupì nel trovare il suo signore, da solo, seduto al tavolo, con di fronte a sé una brocca con un liquido di uno strano colore ed una serie di bicchieri vuoti.

“Keros” gli sentì dire “Mi aspettavo di vedere te per primo. Come ti senti?”.

“Come se..mi avessero preso a pugni..” ammise il sanguemisto.

“Lo immaginavo..avanti, bevi questo. Ti aiuterà”.

Keros rimase in silenzio, mentre il padrone di casa versava il liquido in uno dei picchieri e glielo porgeva. Bevve qualche sorso e rabbrividì.

“Ma è una cosa schifosa!” non riuscì a fare a meno di dire.

“Lo so” ghignò il Dio delle illusioni “Ma ti farà sentire subito meglio. Fra poche ore, dovremmo andare all’arena. Cerchiamo di essere presentabili”.

Sforzandosi, il sanguemisto bevve tutto, con una boccaccia finale, decisamente disgustato.

“Dov’è Eleonore?” chiese, prima di sedersi.

“Nella sua stanza, in collera con me. Le passerà, Keros. Sta tranquillo”.

“Volete che le parli? Che le racconti quanto successo?”.

“L’ho già fatto. Ma ha detto che per un po’ mi metterà il muso perché l’ho spaventata. Non è niente, la capisco. Troverò il modo di farmi perdonare..”.

Keros sedette ed annuì, iniziando a consumare la sua colazione. Il Dio, che si era messo a leggere, lo osservò di sfuggita, mentre spalmava troppa marmellata su un minuscolo pezzo di pane e ne assaporava il gusto.

“Signore..” mormorò il mezzosangue, dopo un paio di bocconi “..perdonate la mia insolenza ma..perché mostrate di nuovo il vostro finto aspetto?”.

“Perché potrebbero entrare i cavalieri..”.

“E con questo? Vi hanno visto, non serve più che consumiate energie mostrando un finto volto”.

“Le energie che consumo per questa immagine illusoria sono davvero minime. E poi..io non volevo che mi vedessero. Preferirei che la cosa non accadesse di nuovo”.

“Perché? Per quale motivo?”.

Keros attese la risposta del suo padrone, che però non voleva arrivare. Alle spalle, il sanguemisto percepiva il calore del camino acceso. Nonostante provasse un certo freddo, non si mosse e continuò a fissare il Dio, che distolse lo sguardo e riprese a leggere.

“Perché non mi rispondete?” parlò ancora Keros.

“Ti prego di non insistere, per cortesia” furono le parole, ferme ma non irate, del padrone di casa.

“È perché loro..hanno paura?”.

“Ne hanno?”.

“Sì..”.

“Allora non serve dire altro”.

“Ma io..non capisco! Sia voi che Lucifero..perché non mostrate ciò che siete? Che importa se la gente ha paura? Perché fingere di essere qualcos’altro?”.

“E tu perché celi quei segni sul tuo corpo? Non è forse la stessa cosa?”.

“Io..ecco..” Keros arrossì leggermente “..avete ragione. Come sempre. Io potrei anche mostrare questi segni, sono solo dei tatuaggi, ma non lo faccio perché, quando la gente li vede, mi addita come strano, come diverso. Fra i demoni e gli angeli io sono un mostro”.

“Per me non lo sei. Io, dinnanzi a te e la mia famiglia, quando siamo soli, mostro il mio vero aspetto. Tu quei segni non li mostri mai, nemmeno qui”.

“Non avreste dovuto vederli nemmeno voi!” sbottò Keros, stringendosi il braccio sinistro con la mano destra “Li avete visti solo perché, il giorno in cui mi avete salvato, le ferite hanno stracciato le mie vesti in alcuni punti. Altrimenti non le avreste mai viste nemmeno voi!”.

“Ti ringrazio per la sincerità”.

“Signore..”.

Keros aveva chinato il capo. Poi si alzò, avvicinandosi all’imponente sedia su cui sedeva il Dio. A testa bassa, sempre tenendosi il braccio con i complicati disegni, rimase in piedi, in silenzio. Arikien lo fissò, con aria interrogativa.

“Signore..sapete che voi potete ordinarmi ogni cosa” riprese a parlare Keros, dopo qualche istante “Se voi lo ordinate, io vi mostrerò questi segni che porto. Per me sono sempre stati motivo d’odio e di disgusto. Sono stati il mio marchio e, in molti casi, la mia condanna. Ma se voi ordinate, io ve li mostro. Ho sbagliato a rimproverarvi, vista la mia posizione, e sarebbe giusto che io agissi come voi, anche se mi è difficile”.

“Keros..va a sederti, per favore. Non potrei mai ordinarti di compiere un atto che so che non vorresti mai compiere. Se non credi che io possa accettare quei segni, e mostri sul viso la stessa espressione di chi li ha scorti prima di me, non sforzarti. Non sei il mio schiavo. Era solo per farti comprendere. Io so che tu, mia moglie ed i miei figli, quando vedete il mio vero aspetto non ne restate turbati. Ma per alcuni dei cavalieri non sarebbe di certo così. Ed io voglio poter agire tranquillamente, senza vedere i miei compagni spaventati ad ogni mia mossa”.

“Perdonate ancora la mia insolenza. Non vi importunerò più”.

Keros si inchinò e rimase fermo qualche istante, prima di rialzarsi del tutto.

“Per favore, non fare così” scosse la testa il Dio, ma il mezzosangue aveva lasciato la stanza.

Uscendo, e camminando lungo il corridoio, incrociò i cavalieri d’oro, che finalmente si stavano destando e gemevano, in preda al post sbornia.

“Hei, Keros!” lo chiamò Camus “Cerca di coprirti meglio quest’oggi. Ieri ti vedevo tremare dal freddo”.

“Solo dei deficienti possono organizzare un torneo in inverno, all’aperto, su una montagna!” sbottò, con fastidio, il mezzo demone, chiudendosi in camera per prepararsi. Ovviamente sbattendo la porta.

 

Mi faccio prendere la mano. Scrivo troppo e scrivo in fretta!! Parità fra Pan e Dioniso perché hanno ricevuto pari voti. Arles, per chi ha letto le altre storie che ho scritto, mi diverte molto farlo col viso diviso a metà. Mi ricorda Kasday, uno dei miei OC. E non resisto alla tentazione di farlo in quel modo!! Il prossimo capitolo sarà l’inizio di una svolta, tenetevi pronti che inizio a fare casino!!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII- Ira ***


VIII

IRA

 

La partenza verso l’arena era stata piuttosto faticosa. Quasi tutti intontiti e confusi da quanto successo nello scontro fra Dioniso e Pan, ci misero un sacco a prepararsi. Eleonore non poté trattenere una risata, quando li vide allontanare. Il suo sposo, che chiudeva la fila, le stava accanto, osservando i colleghi di un tempo che arrancavano lungo il sentiero. Aveva faticato convincere i figli che dovevano restare a casa, soprattutto i due gemelli adolescenti, nati dopo Sophia. I due ragazzini trovavano irresistibile l’idea di vedere il loro padre che picchiava qualcuno ma ovviamente non gli fu dato il permesso.

“Devo andare..” parlò il Dio delle illusioni.

“Vedi di tornare a casa in maniera dignitosa, marito mio! Altrimenti ti chiudo fuori!” sorrise Eleonore.

“Vedrò di fare il possibile”.

“E non trascinare il povero Keros nelle tue assurdità!”.

“Povero Keros, tenero Keros, innocente Keros. Va a finire che il cattivo sono io, che di demoniaco non ho nulla!”.

“Ma sai che scherzo!”.

“Anche io!”.

Sorridendosi, si scambiarono un bacio, prima di separarsi.

“Credo che alla fine di tutta questa storia dovrai fare qualcosa di eclatante per farti perdonare da entrambi, mio caro” disse lei, dopo un po’.

“Da entrambi, chi?” alzò un sopracciglio il Dio, girandosi.

“Da me e da Keros. Credo che la convivenza con i tuoi amici gold stia facendo riemergere il suo più terribile lato da demone”.

“Ed io che colpa ne ho?! Ad ogni modo..mi farò perdonare da tutti. Ci vediamo stasera!”.

Le mandò un altro bacio e lei scosse la testa, divertita.

 

“Ti sei ripreso dalla botta, Mihael?” ridacchiò Lucifero, vedendo finalmente comparire il fratello minore.

“E tu?” si limitò a rispondere l’angelo.

“Io? Alla grande. Mi sono proprio divertito questa notte. Anche se, a saperlo che doveva lottare proprio oggi, non l’avrei fatta stancare tanto”.

“Di che parli?!”.

“Di cose che tu non capisci, asessuato. Ma sappi che Eris a letto è proprio divertente”.

Lucifero stringeva fra le mani una bella mela rossa, e gli diede un grosso morso con un ghigno malizioso.

Mihael storse il naso, lievemente disgustato. Al suo fianco, come nel giorno precedente, vi era Gibrihel, scambiato da molti per una fanciulla.

“Cerca di non venire alle mani, Arcangelo” gli ordinò Mihael “Come quella volta che quel tizio non voleva scrivere il libro che gli stavi dettando”.

“Quel tizio era Maometto, e l’ho picchiato in più di un’occasione..”.

“Lo so..”.

“È stato divertente”.

“Gibrihel!”.

L’Arcangelo delle annunciazioni si voltò verso Mihael, sfoggiando un sorriso adorabile. Poi, scuotendo leggermente i lunghi capelli ricci, sedette.

 

Eris sbadigliò. Non aveva dormito molto ma non era per nulla intimorita dal nipote, Dio dell’amore. Il nipote, dal canto suo, aveva sempre voluto scontrarsi apertamente con la zia. Amore e discordia non potevano andare d’accordo, e non vedevano l’ora di affrontarsi.

“Iniziate” ordinò Astrea, dopo aver visto il cenno d’Apollo.

“Per chi fai il tifo? Mi incuriosisce saperlo” domandò Afrodite, che si era portata a fianco del trono del Dio delle illusioni.

La Dea della bellezza, come sempre molto poco vestita, si era accomodata su uno dei braccioli, trovando quella posizione la più favorevole per vedere la lotta del figlio.

“Come faccio a scegliere?!” rispose il Dio “Uno è mio fratello maggiore e l’altra è la gemella di mio padre!”.

“Io faccio il tifo per il mio bambino! Coraggio, Eros! Dimostra che l’amore vince su tutto!”.

Nonostante le proteste di lui, la Dea iniziò a giocherellare con i capelli di Arles, sempre rimanendo concentrata sullo scontro. Le mancava Ares ed il Dio che le stava accanto era la creatura che più ci somigliava, che però non era affatto d’accordo.

 

Eros stringeva l’arco, questa volta non armato di frecce legate all’amore o all’odio. Eris rise, sapendo che in molti casi la mira del nipote era tutt’altro che perfetta. Per rispondere al Dio, la Dea mostrò la sua mela d’oro, che brillò. Hera trovava ancora fastidiosa quella mela, mentre invece Afrodite sorrise, compiaciuta al ricordo di essere stata scelta lei come Dea più bella. Al comparire di quel frutto, gli animi si fecero più accesi. Le risate del giorno prima furono improvvisamente dimenticate e lasciarono il posto ad insulti e rabbia. Questo rendeva più forte Eris, che sorrise compiaciuta. Eros sospirò, trovando sconcertate con quanta facilità la gente litigasse per qualsiasi cazzata. Hades e Poseidone si rinfacciavano cose accadute migliaia di anni prima, quando i figli di Zeus non esistevano ancora. Apollo e Dioniso, come sempre, si rivolgevano ogni insulto possibile. Hera gridava contro tutti, Artemide la seguiva. Efesto non si risparmiava, insultando gli amanti della moglie, cioè praticamente tutti i presenti. Hermes gridava le peggior cose rivolto a chiunque. Hypnos e Thanatos davano ad Hades del “possessore di ragazzini piagnucolosi”. Arles non era da meno e tentava di liberarsi dalla fastidiosa presenza della Dea della bellezza, che doveva averlo scambiato per un antistress.

Ovviamente non solo la tribuna divina si era scaldata. Cavalieri, angeli, demoni e qualsiasi altra creatura si stava riempiendo di insulti e botte. Milo rinfacciava a Camus i tempi di Asgard, dandogli del traditore, ed i due passarono alle mani. Aiolia insultava Milo, in ricordo di tutte le liti passate. Aphrodite tentava di strozzare Deathmask, colpevole di “trattarlo male”. Mur tentava di trattenersi, ma aveva una gran voglia di prendere a calci Shaka, che se ne stava seduto come sempre, probabilmente dormendo. Shura si beccò gli insulti di Aiolos, come premio per la notte degli inganni. Dohko si sentiva dare del “deficiente che non capiva un cazzo” dal serioso Shaka, improvvisamente destatosi dal letargo. Solo Aldebaran non capiva il perché di tutto quel chiasso. Perfino Kiki si era scaldato, definendo tutti degli “infantili”. Keros, sentendo questo, non riuscì a trattenersi, dando ai gold dei “coglioni”. I figli del gruppo non erano da meno dei genitori, e si insultavano dandosi dei “deboli” e cose del genere. Le risse fra Mihael e Lucifero erano normale amministrazione, perciò non c’era da stupirsi se fra le scalinate tentavano di strozzarsi. Gibrihel invece stava prendendo a pugni l’ennesimo che lo aveva definito “bella fanciulla”. Asmodeo, grande e grosso com’era, picchiava per divertimento.

Eros si portò una mano sul viso, sospirando. In quel clima, avrebbe dovuto affrontare la zia. La luce d’oro della mela tentò di sopraffarlo ma il Dio dell’amore richiamò la sua energia, riuscendo a respingerla. Espanse il proprio potere, avvolgendo le prime file, che smisero di litigare. La Dea della bellezza tornò a concentrarsi sullo scontro, ignorando il baccano delle file sopra la sua. Arles fece lo stesso e anche Keros. Psiche, compagna di Eros, si stupì del proprio atteggiamento e tornò composta e silenziosa.

Eris usò di nuovo la luce d’oro della mela, inviandola verso l’avversario. Eros usò le sue frecce, ma non riuscì a spezzare tutti i fili che l’oro creava. Un paio di questi lo raggiunsero, ferendolo.

“Coraggio, nipote” sfotté Eris “Mostrami il fantomatico potere dell’amore!”.

“Te lo mostrerò volentieri!” ribatté Cupido, preparando un’altra freccia e tendendo l’arco.

Non poté scoccarla però perché, nella confusione generale, un terzo sfidante era apparso nell’arena. Piombando dall’alto grazie alle ali dell’armatura, lasciò una netta crepa dove atterrò. Vedendone le vestigia, coloro che non erano troppo impegnati a litigare ed azzuffarsi lo riconobbero.

“Padre Ares..” commentò a bassa voce Arles.

“Cos’è questo?” ringhiò Ares, avvicinandosi ad Eros ed Eris “Uno scontro, o un tè per signorine?! Dov’è il sangue? Nemmeno vi impegnate!”.

“Ma..papà..” cercò di giustificarsi Eros, piuttosto confuso.

Da sotto il pesante elmo con l’altissimo pennacchio, era difficile stabilire se il Dio della guerra fosse in vena di scherzi o veramente infuriato.

“Datti una calmata, Ares!” esclamò Eris “Tornatene da dove sei venuto! Hai poltrito fin adesso!”.

“Sei venuto anche tu, finalmente” aggiunse Eros “Però..noi ora stavamo lottando. Ti dispiace? Sono certo che Apollo, quando avrà finito di litigare con gli altri Dei delle scalinate alte, ti accetterà al torneo. Ma adesso..”.

“Lottando?!” parve divertito Ares “Quello lo chiami lottare?! Sei ridicolo. Perfino danzando riuscirei a batterti!”.

“Questo lo so bene. Ma..”.

Ares chiamò più volte il nome di Apollo, che però lo ignorò, troppo impegnato ad insultare e picchiare i colleghi.

“Papà!” tentò di protestare ancora Eros ed il Dio della guerra di voltò di scatto, colpendo il figlio al volto, con la mano ricoperta dalla pesante armatura.

Afrodite, Psiche, Anteros, Eris ed Arles sobbalzarono. Mai prima d’ora il Dio della guerra aveva alzato la mano contro i figli, se non durante gli allenamenti o per scatti d’ira che comunque non avevano mai coinvolto Eros.

“Ares!” sibilò Afrodite “Il mio bambino! Dopo le prendi! Preparati!”.

“Ma che cazzo ti prende?!” spalancò le braccia Eris, avvicinandosi ad Eros e porgendogli la mano per farlo rialzare “Potevi comparire prima e mostrarci come si fa, o grande e possente Dio della guerra. Che, ti ricordo, perde quasi sempre!”.

Ringhiando, il Dio della guerra si voltò verso la gemella. Da sotto l’elmo, si riuscì a cogliere lo scintillio color del sangue dei suoi occhi. Con un gridò, sferrò un attacco contro la Dea della discordia. Eris, non aspettandosi assolutamente un colpo di simile entità, non riuscì a pararlo. Per fortuna però, si sentì spingere via da qualcuno. In questo modo, l’attacco del gemello la colpì ma non la uccise. Finì poco distante da Eros, che la chiamò per nome e le chiese in che condizioni fosse messa. La Dea, confusa, cercò di capire quanto successo. Davvero il fratello aveva tentato di ucciderla? E chi l’aveva salvata?

“Sai una cosa, zia?” le sorrise Eros “Ho vinto io”.

Lei girò gli occhi. La luce del sole era oscurata da un paio d’ali. Ali scure, non d’angelo.

“Lucifero..” riuscì a mormorare e poi perse i sensi.

 

“Da che parte devo iniziare a romperti il culo?” ringhiò Lucifero, puntando il dito verso Ares.

“Fatti da parte, non sono affari tuoi” rispose il Dio della guerra.

Il demone ringhiò. Il colpo ricevuto faceva sì che si mostrasse per quello che era davvero. Gli Dei ed i presenti, smettendo di litigare nel momento in cui Eris non fu più in grado di tenere aperti gli occhi, ci misero un po’ per comprendere chi fosse quell’uomo con le corna e la coda al centro dell’arena.

“Datti una calmata” continuò il demone “Fai una brutta figura”.

“E tu? Hai salvato una donna, non fai altrettanta brutta figura, re del male?”.

Lucifero rimase stranamente in silenzio, decisamente infastidito da quelle parole. La sua coda frustò e si preparò ad attaccare.

“Apollo..” ghignò Ares “..mettiamo fine a questo giochino. Vengo lì, ti stacco la testa, e questi stupidi giochi finiscono. Non trovi?”.

“Credi di esserne capace?” ribatté Apollo “Pazzo che non sei altro!”.

“Vi ucciderò tutti quanti!”.

Il Dio della guerra rise. Afrodite fissò Arles con aria preoccupata e lievemente spaventata. Non capiva che cosa stesse succedendo, e ne aveva paura.

“ANDREIPHONTES MALEROS!” gridò Ares.

“Andate via!” ordinò Arles, dopo qualche istante di sconcerto, rivolto ai gold e a tutti coloro senza sangue divino “Andate via tutti!”.

Riuscì momentaneamente a fermare il padre, colpendolo e distraendolo. Pensò, per qualche istante, che poteva usare l’Another Dimension per spostare tutti in una volta ma, con il numero di persone presenti, rischiava di consumare troppe energie.

“Lucifero!” insistette il Dio delle illusioni “Porta via Eris. Andate via da qui!”.

La Dea della discordia era ancora in terra e perdeva sangue.

“Obbeditemi, una volta ogni tanto!” sbraitò Arles, vedendo che nessuno si muoveva “E tu..vecchio! Vedi di riprenderti! Che cazzo ti sei fumato questa volta?!”.

Ares, irato da quella inaspettata interruzione, si lanciò contro il figlio, che finì in terra, travolto da tutta quella furia improvvisa.

“Vedi, Eros?” sghignazzò Ares “Questo si chiama combattere!”.

Senza nessuno ad impedirglielo, il Dio della guerra alzò di nuovo una mano in cielo e ripeté il nome del suo colpo

“ANDREIPHONTES MALEROS” gridò, ed il suo cosmo si tinse di rosso.

Formò delle lingue di fuoco e sangue, che iniziarono a piovere fra i presenti. Lucifero si alzò in volo, sollevando Eris. Mur evocò il suo muro di cristallo, che però ben presto iniziò a mostrare delle crepe. Le creature che fino a pochi istanti prima stavano litigando, ora tentavano di collaborare insieme, per salvarsi. I primi frammenti di cosmo avevano quasi colpito Sadalta, figlio di Camus, e Sargas aveva impedito il peggio. I due si fissarono, con un certo imbarazzo. Fino a quel momento si erano insultati, ma era il caso di smetterla! Il muro creato da Mur si infranse e tutti si aspettarono di sentire piombare sul proprio corpo il cosmo del Dio della guerra, ma non fu così. Una luce oro li avvolgeva. Stupiti, gli spettatori senza sangue divino guardarono verso l’arena. Lì, davanti al suo padrone, Keros aveva creato una barriera color oro, così come oro erano divenuti i suoi occhi. I suoi piedi non toccavano terra ed i capelli rossi si muovevano, in preda ad un vento d’energia.

“Il tuo Crystal Wall è stato infranto con facilità..” commentò Kiki, rivolto a Mur con stupore “..e so quanto  sia una tecnica potente. Ma Keros..guarda! Non subisce danni e ci sta proteggendo tutti. Ha una capacità straordinaria!”.

“Un’evocazione di protezione?” si stupì invece Mihael “Ma..solo gli angeli le sanno fare!”.

Gibrihel era stupito tanto quanto il suo collega ma gli suggerì d’agire. Le divinità sapevano difendersi da quei colpi, più o meno, ma i mortali sarebbero stati gravemente feriti, se quella barriera avesse ceduto. Senza dover parlare, i due Arcangeli si posero ai lati opposti dell’arena, proteggendo i presenti con una barriera che crearono intrecciando le loro due auree.

“State bene?” domandò Keros, mentre Arles si rialzava.

“Vattene!” lo supplicò il padrone “Ti ucciderà. È fuori di sé. Io posso gestirlo, sono suo figlio. Non ucciderà mai suo figlio, ma chiunque altro sì. Allontanati, cerca riparo”.

“Hai sentito?” lo additò Ares “Levati o sarai uno dei trofei della giornata”.

Dato che il mezzosangue non si toglieva, il Dio della guerra concentrò un altro colpo e lo scagliò contro Keros. Questi, una volta appurato che le persone presenti in arena erano al sicuro dietro la barriera di Mihael e Gibrihel, dissolse la sua e portò entrambe le mani in avanti, convogliando su di esse il potere di protezione.  Quell’attacco del Dio era molto più potente e concentrato rispetto alla pioggia di sangue e fuoco, che nel frattempo continuava. Con i palmi spalancati, percepì il bruciante calore del cosmo di Ares scontrarsi con la propria energia d’oro. In un insieme di fulmini e lampi, Keros gridò.

“Mi hai seccato!” rispose il Dio della guerra, concentrando ancora di più il colpo e spostando di colpo una mano verso destra.

Il flusso d’energia travolse il sanguemisto da un fianco, trascinandolo fino alla parete opposta dell’anfiteatro.

“Keros!” gridò Arles, non avendo però il tempo di sincerarsi delle sue condizioni, perché il padre ricominciò ad attaccarlo.

Ares aveva evocato una delle sue armi: la spada. Attaccava ripetutamente il figlio, che non aveva alcuna intenzione di indossare l’armatura divina per calmare i capricci del padre.

“Keros!” chiamò Asmodeo, vedendolo rialzare “Entra nella barriera degli angeli. Lì sarai al sicuro!”.

Il mezzo demone non ascoltava. Si era rialzato. Il cosmo di fuoco e sangue di Ares lo feriva solo in parte, non subendo danni con le fiamme grazie ai segni che aveva sul braccio.

“Lascia stare il mio signore!” gridò, tentando di intervenire di nuovo nella lotta.

Ares riuscì con facilità a scagliarlo di nuovo lontano, ora che era più debole e meno concentrato.

“Smettila! Keros non ti ha fatto niente! Stagli lontano!” ordinò Arles, vedendo il padre avvicinarsi al mezzosangue.

Inaspettatamente, il Dio della guerra stava porgendo la mano a Keros, aiutandolo a rialzarsi.

“Hai ragione” annuì Ares, facendo scomparire la spada.

Keros fissò con sospetto quella mano e preferì rialzarsi da solo. Ares lo afferrò, avvicinandosi.

“Hai ragione, non si può fare del male a questo bel faccino!” continuò il Dio della guerra.

Il sanguemisto aveva una ferita sullo zigomo, che si allungava fin quasi alle labbra. Ares ghignò, felice di notare un lieve timore nello sguardo di colui che aveva al fianco. Ne prese il volto fra le mani e passò la lingua sulla ferita che vedeva gocciolare. Keros rimase immobile qualche secondo e poi lanciò un grido, furioso.

“State lontano da me!” sbraitò, tirando un cazzotto sul mento del Dio della guerra, che si ritrovò a dover fare qualche passo indietro, tenendosi la faccia con le mani.

“Tu..piccolo essere schifoso..” sibilò di risposta il Dio, con gli occhi color del sangue.

“Non mi fate paura!” mentì Keros, mentre Ares si apprestava a colpirlo di nuovo.

“Taci, irritante creatura!”.

Arles fermò il padre, prima che questi colpisse il suo servo, e la cosa non fu per nulla gradita al genitore. L’attacco del figlio ne aveva scagliato lontano l’elmo. Afrodite, notando che quello scontro non avrebbe portato a nulla di buono, tentava di far ragionare Ares come meglio poteva. Lo chiamava per nome, certa che l’avrebbe ascoltata, ma non fu affatto così. Lo scontro riprese, con maggiore furia.

“Ma insomma!” gridò Keros, guardando verso le scalinate occupate dagli Dei “Fate qualcosa!”.

“Do ragione a lui!” si unì la Dea della bellezza.

Gli Dei non avevano voglia di intromettersi in quella che sembrava l’ennesima rissa familiare.

“Smettila!” gridò Arles, afferrando il padre “Torna in te!”.

Il Dio delle illusioni non riusciva a capire che cosa stesse accadendo. Quello era o non era suo padre? Non era da lui comportarsi in quel modo con i parenti diretti, con i figli meno che mai! Però..non percepiva un’altra presenza, oltre a quella del genitore. E quindi? Che stava accadendo?

“Lasciateci intervenire!” parlò Aiolos, rivolto agli angeli “Dissolvete questa barriera, oltre a cui non riusciamo ad andare!”.

“State fermi dove siete, non fatevi uccidere per niente dalla pioggia di fuoco e sangue!” ribatté Mihael.

 

Dopo essere stato atterrato, Ares rimase in silenzio ad osservare il figlio.

“Ti sei finalmente calmato?” domandò Arles “Hai ripreso il controllo?”.

Il Dio della guerra non rispose. Ansimando per la fatica, mutò espressione. Di colpo, sorrise. Il suo sguardo non era più iniettato di sangue e rabbia.

“Sei di nuovo tu?” insistette il figlio “Ci sei? Che ti è successo?”.

“Sì, sono di nuovo io” annuì Ares.

“Sei un pazzo, lo sai? Dai, alzati”.

Il padre ancora sorrideva. Il figlio gli si era avvicinato. Il Dio della guerra mosse gli occhi in fretta e poi scattò.

“Io sono un pazzo. E tu..sei un idiota!” sibilò.

La spada era riapparsa fra le mani di Ares e trafiggeva il petto del Dio delle illusioni. Afrodite lanciò un grido di terrore ed in pochi secondi tutti si mossero. Keros urlò di rabbia e si mosse in fretta, per raggiungere Ares. Lucifero, dopo aver lasciato Eris alle cure di Asclepio, si unì al grido di Keros e sbatté le ali, deciso a colpire il Dio della guerra. Apollo si mosse con lo stesso intento, assieme ad altri Dei, per fermare quel Dio impazzito. I gold infransero la barriera, tutti insieme, e corsero. Poco prima però che chiunque potesse avvicinarsi, Ares saltò. Nel fare questo, estrasse la spada dal figlio, che sputò sangue e cadde in avanti.

“Ti ammazzo!” gridò Keros, il più vicino, che non si fece prendere alla sprovvista da quello che sembrava quasi un passo di danza.

Ares schivò gli assalitori con movimenti rapidissimi, che perfino Hermes fece fatica a seguire. Ma Keros, nonostante lo sguardo leggermente velato da lacrime di rabbia, iniziò ad inseguirlo. Lucifero tentò di fermarlo, invano. Il demone era ferito e non aveva più forze, nonostante l’ira che provava.

“Prendetelo!” urlò Apollo “Trovate quel pazzo, prima che ammazzi qualcun altro!”.

Il Dio della guerra era però scomparso, e solo Keros era riuscito ad inseguirlo. Tutti rimasero immobili, a fissarsi, indecisi su come agire, quando un gemito richiamò la loro attenzione.

“Arikien!” esclamò Apollo, notando con stupore che il nipote si muoveva “La spada di Ares ti ha trafitto e..sei in vita?”.

Il Dio delle illusioni non rispose. In un lago di sangue, con la mano destra stava curando la ferita, sorreggendosi con l’altra mano e con il viso rivolto verso il pavimento. Come sempre, le ali d’angelo si spalancarono.

“Ti aiuto” gli parlò Apollo, inginocchiandosi ed usando anche lui il potere di guarigione “Sei proprio un coso strano..com’è possibile?”.

“Per fortuna..la lama ha fatto un taglio netto..senza slabbrature..niente di tragico..” riuscì a dire Arles.

“Ora penso io a te, tranquillo”.

“Keros..dov’è Keros?”.

“Sta inseguendo Ares”.

“Cosa?! Ma..lo ammazzerà! Keros!”.

“Cerca di stare calmo o peggiorerai la ferita, che già è un vero miracolo che non ti abbia ucciso!”.

“Miracolo? Miracolo, già..che però ho compiuto io stesso. Ed ora Keros rischia la vita per colpa mia..”.

“Lo troveremo. Troveremo entrambi. Ora però..”.

“Non dirmi quel che devo fare, Apollo!”.

Tentò di reagire ma incespicò nel suo stesso sangue e non riuscì a rialzarsi. Riuscì solo, un’ultima volta, a chiamare il proprio servo per nome, prima di perdere i sensi.

“Chi è in condizione di farlo..” ordinò Apollo “..aiuti i feriti e vada alla ricerca di Ares e Keros”.

“E tu che cosa farai?” domandò Dioniso.

“Devo curare Arikien delle illusioni. Sbrighiamoci a ritrovare suo padre, Ares. Non so che cosa gli sia successo, ma è più pazzo del solito. Non agite da soli, girate in gruppi, è più sicuro”.

“Forse è..tornato al suo tempio” azzardò Hermes.

“Può essere. Andate a controllare anche là. Ora, scusatemi, ma questo giovane Dio necessita cure”.

 

Avevo promesso botte e le avete avute! Ce ne saranno altre. Il prossimo capitolo sarà..molto diverso da questo! Con confessioni, salvataggi, legami..A presto!

ATTENZIONE: ultimamente sto aggiornando questa storia molto spesso. Ho notato che vi sono delle discrepanze notevoli nel numero delle visite fra un capitolo ed un altro perciò controllate di averli letti tutti!! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX- Insieme ***


IX

INSIEME

 

Il Dio delle illusioni riaprì gli occhi. Percepì la morbidezza ed il profumo delle lenzuola pulite della sua stanza. Non era dolorante, come temeva. Solo tanto stanco. Mosse la mano, sfiorando il punto trapassato dalla spada, provando solo un lieve fastidio.

“Oh, sei sveglio! Meno male!” parlò la voce che si era aspettato di udire, quella di Eleonore.

“Ciao, amore..”.

“Come ti senti?”.

“Stanco. Chi mi ha portato qui?”.

“Apollo. Ti ha accompagnato qui e ti ha guarito, anche se ha detto che la ferita non era più mortale grazie al tuo potere. Poi, visto che era senza forze, l’ho invitato a restare a dormire. Sta riposando in una delle stanze per gli ospiti”.

“Per quanto tempo ho dormito?”.

“È notte fonda, ormai. Circa dodici ore. Ma faresti meglio a riposare ancora, hai l’aria stanca. Non ti devi preoccupare per gli scontri e l’arena. Apollo ha decretato una pausa, per permettere a tutti di guarire”.

“Come sta Keros?”.

“Lui..non è rientrato”.

“Che cosa?! Keros è ancora là fuori?!”.

“Lo stanno cercando tutti. Vedrai che lo troveranno presto”.

Arles si voltò, guardando verso la finestra, e sussultò.

“C’è una tormenta!” esclamò.

“Sì” confermò Eleonore “Ha iniziato a nevicare così da quando Apollo si è addormentato”.

Il Dio immediatamente scansò le coperte e si alzò, ed Eleonore non riuscì a farlo ragionare. Supplicandolo di tornare a letto, la moglie osservò il marito mentre si rivestiva di corsa ed usciva dalla camera. Avvolgendosi in un mantello scuro, Arles si preparò ad uscire di casa.

“Dove vai?!” lo chiamò ancora Eleonore “Non fare pazzie! Per curarti hai consumato moltissime energie! Se qualcuno ti attaccasse, saresti praticamente indifeso! Torna a letto!”.

“Keros non sopravvive nella neve! Non capisci? Se non lo riporto a casa, morirà!”.

“Oppure verrà trovato da qualcun altro! Lo stanno cercando tutti! Non fare idiozie!”.

“È colpa mia se lui adesso è in questo casino, perciò è compito mio andarlo a riprendere. Lo percepisco, Eleonore! È qui vicino..”.

“E allora avvisa qualcuno! Chiunque! Che vada a prenderlo o che lo aiuti! Ti supplico! Sono preoccupata anch’io per Keros, ma..”.

“Fidati di me, amor mio. Tornerò e Keros sarà con me. Tranquilla!”.

Eleonore protestò ancora e pregò il marito di cambiare idea, senza successo. Lo vide uscire di casa, avvolto dal mantello, e subito scomparve fra il bianco della tormenta. Strinse i pugni, ripetendo a se stessa che doveva essere forte. Doveva fidarsi, però era spaventata. Perché quel testone era del tutto incapace di tenersi lontano dai guai? E Keros, fuori al freddo, probabilmente ferito, lo avrebbe rivisto? Si ritrovò a pregare, non sapeva bene chi. Poi una lacrima, di angoscia e dolore, le scivolò lungo la guancia e capì chi avrebbe ascoltato le sue suppliche. Rispettando i patti, Hades comparve accanto a lei.

“Cosa ti fa soffrire tanto, mia antica sposa?” pronunciò il Dio, nell’oscurità.

“Non sono qui per farmi riportare negli inferi, Hades” si affrettò a dire Eleonore “Sono qui per chiedere il tuo aiuto. Hai visto quel che è successo all’arena?”.

“Sì, l’ho visto. Che dovrei fare? Stanno tutti cercando quella creatura dai capelli rossi e quel cretino di Ares. Vuoi che lo faccia anch’io? Perché dovrei?”.

“No, io voglio che tu protegga il padre della tua amata, il padre di Ipazia. Si è incamminato lungo il sentiero, in cerca del suo servo. Ma è debole e vulnerabile. Aiutalo, per favore. Fallo per lei, per Ipazia”.

“Lo farò. Ma solo per Ipazia. Ed in parte anche per te, Eleonore. Ma la capacità di quell’individuo di ficcarsi sempre nei guai mi da davvero sui nervi!”.

 

“Keros!” gridava Arles, camminando nella neve.

La sua voce si disperdeva, ovattata dal bianco che lo circondava. Aveva percorso tutto il sentiero che affiancava la montagna, conducente alla gola che precedeva la sua casa. Sapeva che, appena lasciato quel sentiero, ogni creatura che vi passava vedeva qualcosa di diverso. C’era chi vi scorgeva un cimitero, chi delle rocce, chi una palude.. In quel momento, si mostrava per quel che era davvero: una fitta foresta.

“Keros!” gridò ancora il Dio delle illusioni, sicuro che non fosse lontano.

La neve fioccava copiosamente ed Arles faceva una gran fatica a camminare, anche per colpa del vento. Chiamò ancora ed ancora il suo servo, fino a quando finalmente un ciuffo rosso comparve nel bianco. Il mezzosangue era in terra ed il padrone lo raggiunse di corsa, togliendone la neve dal corpo. Subito, il Dio si accorse che era ferito e gelido al tatto.

“Keros!” lo chiamò, scuotendolo leggermente ed avvolgendolo con il suo mantello “Tranquillo! Va tutto bene! Ora ci sono io e ti riporterò a casa al caldo”.

Il mezzo demone gemette ed il Dio notò che il rosso che vedeva era in buona parte il sangue che usciva da una ferita che il suo servo aveva sul fianco sinistro. Pareva grave e quindi Arles tentò di recuperare qualche goccia di energia, per curarlo almeno in parte. Questo fece rinvenire Keros, che non comprese subito dove si trovasse. Sentiva solo freddo e dolore. Poi però riconobbe il suo signore.

“Siete..vivo..” riuscì a mormorare.

“Certo che sono vivo, Keros. Io sono come la gramigna, non muoio mai” tentò di scherzare il Dio.

“Io..credevo di avervi perso..”.

“Non ti sforzare. Adesso ti curo ancora un po’ e poi ti riporto subito a casa”.

“Perdonatemi, signore. Ho provato a seguire vostro padre ma..mi ha scoperto. E mi ha colpito..quell’essere è..”.

“Non ci pensare. Non importa. Ora conta solo che tu stia bene”.

Arles aveva fatto comparire le ali, coprendo entrambi dai fiocchi di neve. Concentrò ancora il suo potere, percependo qualcosa di strano nella ferita.

“Scusami, Keros. Ti farò male” gli disse “C’è qualcosa nella ferita che devo togliere, per poterla guarire. Farò in fretta..”.

“Non usate la vostra energia vitale per me..”.

“Finiscila!”.

Il Dio affondò le dita nello squarcio che Keros aveva sul fianco ed il mezzo demone gridò. Arles strinse a sé il mezzosangue, per calmarlo. Fra le mani, nel sangue, si ritrovò uno strano oggetto. Sembrava un seme, un baccello. Subito lo distrusse e ricominciò a curare le ferita di Keros, che tentò invano di lamentarsi. Con il capo contro la spalla del suo signore, respirava a fatica, tremando dal freddo.

“Signore..” mormorò, quasi del tutto privo di forze “..lasciatemi qui. Non rischiate ulteriormente la vostra vita per me..”.

“Se non la smetti con questi discorsi scemi, ti prendo a sberle e ti uccido io, ok? Adesso ti riporto a casa, al caldo, e vedrai che starai benissimo. Te lo prometto”.

“Non importa.  Siete vivo, e questo mi rende felice. Potrei anche morire adesso..”.

“No, tu non morirai! Chiudi la bocca”.

“Ho tanto freddo..”.

Il Dio curò ancora qualche istante il mezzo demone, stringendolo più forte, nel tentativo di scaldarlo ancora un po’. Inginocchiato nella neve, abbracciò Keros con le braccia e con le ali, cercando di generare un minimo di calore. Purtroppo, privo di forze e cosmo, non riusciva a fare molto.

“Adesso andiamo a casa” disse, avvolgendo ancora di più Keros nel mantello scuro, ormai del tutto bagnato dalla tormenta.

“Signore..” sussurrò il mezzosangue.

“Che cosa c’è?”.

“Mio signore..c’è una cosa che devo dirvi..”.

“Risparmia le energie” lo zittì Arles, alzandosi e sollevando il ferito.

“No..io..ve lo deve dire. Vi prego, ascoltatemi..”.

“È così urgente?” gli rispose il Dio, iniziando a camminare verso casa “E ricordami di darti di più da mangiare, d’ora in poi. Pesi come un bambino!”.

“Per anni non ho detto nulla ma, quando ho temuto che quella spada vi avesse ucciso, me ne sono pentito. Ed ora che mi sento così vicino alla morte, vorrei che voi sapeste la verità”.

“Tu non sei vicino alla morte, Keros”.

“Non lo so. Ma so che sono vicino a voi. Di nuovo vicino a voi, che mi avete salvato la vita come quella volta, la prima volta in cui ho visto le vostre ali”.

“Lo ricordo, non serve parlarne”.

“No..voi..vi prego..”.

“Va bene, non ti interrompo più. Però faresti meglio a conservare le energie. Dove trovi le forze per parlare tanto?!”.

Il Dio dovette fermarsi, quando una potente sferzata di vento lo ricacciò indietro. Che razza di tempo era?! In Grecia non vi erano mai tempeste simili! Stanco, barcollò e ricadde in ginocchio.

“Signore!” gemette Keros “Lasciatemi qui! Vi prego, salvatevi e lasciatemi qui”.

“Io non ti lascio, hai capito? E ora avanti, che mi devi dire? Perché sento che non sarai tranquillo finché non lo avrai fatto”.

Keros, con il volto rigato dal sangue e da una piccola lacrima, smise di colpo di tremare. Guardò dritto negli occhi il suo signore, che si mostrava nel suo vero aspetto. Per pochi istanti, non percepì la neve, il freddo, il dolore.

“Signore!” esclamò poi, di getto “Signore, io vi amo”.

“P..prego?” alzò un sopracciglio Arles.

“Io..sono innamorato di voi. Io vi amo, vi amo dal primo momento in cui o visto le vostre ali. Io..vi amo! Perdonatemi. Perdonate l’imbecillità di questo vostro sciocco servo che vi crea solo problemi. Ora che lo sapete..posso anche addormentarmi per sempre, non mi importa. Lasciatemi qui. Lasciate che io..muoia..”.

Il Dio rimase in silenzio, non sapendo bene che cosa dire. Keros non lo stringeva più, e stava scivolando di nuovo nella neve. Il suo signore lo afferrò. Il mezzo demone era sfinito, con gli occhi socchiusi.

“Keros..” mormorò il Dio delle illusioni, sollevandolo ed avvicinandolo a sé, fino a baciarlo.

“Ora..” parlò poi, rialzandosi con il servo fra le braccia “..se ne vuoi un altro, dovrai vivere e guarire, siamo intesi? Muori, e giuro che ti cercherò in tutti gli inferni possibili, per poter strozzare la tua anima. Mi hai capito, razza di stupido?”.

Keros non era in grado di rispondere, aveva perso i sensi. Arles ricominciò a camminare. Nascose le ali, che con la neve si erano appesantite, e proseguì. L’importante, si disse, era uscire dalla foresta. Vi era qualcosa in quel luogo che non gli piaceva, ma non capiva che cosa. Come sempre, aveva ragione Eleonore: era del tutto scoperto. In caso di attacco, sarebbe stato spacciato e sarebbero morti entrambi, lui e Keros. Tentò di accelerare il passo, quando udì un rumore simile ad un sibilo. Percepì un potere sconosciuto avvicinarsi. Non sapeva che altro fare, se non correre. Farlo nella tormenta, con Keros in braccio, non era per nulla semplice ma, nonostante questo, si sforzò di muoversi il più in fretta possibile. Purtroppo quella forza sconosciuta si avvicinava. Capì che stava per essere raggiunto e strinse a sé più forte Keros, come fosse un bambino indifeso. Continuò a correre e un’onda d’energia lo gettò a terra. Si voltò, riconoscendo quel cosmo: Hades, con le ali dell’armatura spalancate, stringeva la spada fra le mani.

“Alzati subito!” ordinò il Dio dell’Oltretomba “Sbrigati a tornare a casa: Eleonore è in pensiero. Non ti preoccupare, mi occupo io delle creature che si celano in questo bosco. E non farti illusioni: lo faccio per Ipazia. Se tu dovessi crepare, lei ne soffrirebbe. Perciò vedi di muovere il culo e salvarti le chiappe!”.

Non trovando necessario rispondere, se non con un cenno d’assenso, il Dio delle illusioni si rialzò in fretta, stringendo forte Keros e ricominciando a correre.

 

Un rumore simile allo strisciare di diversi serpenti circondò Hades. Questi non si lasciò intimorire. Ghignò divertito, pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Dopotutto, bastava solo che lasciasse il tempo a quel fastidioso essere un tempo chiamato Arles di tornare a casa. Non capiva che cosa producesse quel rumore, non vedeva alcuna creatura, ma percepiva chiaramente un’energia che mai aveva conosciuto. O forse l’aveva già percepita, un tempo, in un’Era remota? Di colpo, ci fu silenzio. Solo il sibilare del vento nella tormenta. Hades lo trovò molto strano ma poi qualcosa si mosse. Tutto attorno a sé, qualcosa si avvicinava. Espanse il cosmo e un nugolo di ombre striscianti si dissolse.

“Cos’erano quelle cose, Hades?” si sentì chiedere.

Voltandosi, il Dio dell’oltretomba vide comparire le armature d’oro fra il bianco della neve.

“Non ne ho idea” rispose, sinceramente “Ma dobbiamo impedire che vadano oltre questa foresta”.

“Come mai?” si informò Kiki.

“Il vostro amichetto Arles è riuscito a ritrovare il suo strano servo e lo sta riportando a casa. Però non erano messi molto bene. Se una di queste ombre li dovesse raggiungere, non sarebbe il massimo..”.

“Capito” annuì Kiki “Da quanto tempo si sono allontanati da qui?”.

“Non molto”.

“In questo caso..cavalieri! Dividiamoci! Un gruppo di noi raggiunga subito Arles e Keros e li scorti fino a casa. Gli altri, restino qui a fermare queste misteriose creature”.

“Vado io” annuì Camus “Sono il più veloce con questo tempo. Li raggiungerò in un attimo. Mio figlio resterà qui, per guidarvi nella neve se la tormenta peggiorasse”.

“Perfetto. Aiolos, muoviti assieme a Camus. Ci vediamo tutti al tempio del Dio delle illusioni”.

Aiolos annuì, serio. Poi sorrise, facendo notare a Kiki che quando faceva il capo era davvero perfetto. Il Sacerdote fece finta di non aver sentito. Per qualche istante, aveva pensato di inviare Mur come supporto, ma aveva subito capito che non avrebbe mai potuto teletrasportare un Dio. Camus ed Aiolos si mossero immediatamente, iniziando a correre. Gli altri gold di prepararono a lottare al fianco di Hades. Una cosa molto strana, si dissero, ma necessaria.

“Coraggio, distruggiamo anche questo nemico” sorrise leggermente il Leone.

 

Arles era preoccupato. Keros era gelato e non apriva gli occhi. Tentò di accelerare il passo, nonostante il forte vento. Percepì qualcosa, che si avvicinava rapidamente. Si voltò, scorgendo una luce color oro sfrecciargli a pochi centimetri dal viso, dissolvendo per pochi istanti la bufera e rendendogli più agile il cammino.

“Aiolos?” chiamò Arles e vide l’armatura di Sagittario e Acquario raggiungerlo.

“Le mie frecce possono aprirti un varco” spiegò Aiolos, sorridendogli “Il mio potere, unito a quello di Camus, mitigherà la tempesta. Dobbiamo fare presto”.

Il Dio delle illusioni annuì. Camus ed Aiolos, bruciando il cosmo, tentarono di controllare la neve ed il gelo. Arles si sforzò di camminare in fretta. Alcune volte arrancò ma uno dei suoi compagni era sempre pronto ad aiutarlo.

“Manca poco, Keros” mormorò Arles “La vedi? Quella è casa nostra. Fra poco sarai salvo”.

Il Dio sentiva il calore del sangue che il mezzo demone aveva perso. Ma era sempre più freddo..

“Coraggio” furono le parole di Aiolos “Ormai ci siamo”.

Con un ultimo attacco, le frecce del Sagittario dispersero il vento e la neve per il tempo necessario ad Arles di superare finalmente la soglia di casa. Una volta dentro, il calore lo avvolse e ne fu sollevato. Subito notò lo sguardo terrorizzato di Eleonore.

“Tranquilla” si affrettò a dire “Keros starà bene. Mi prenderò cura io di lui”.

Lei non sapeva che dire. Si guardò attorno, confusa.

“Tranquilla” ripeté Arles, incamminandosi lungo il corridoio “Starà bene. Però, avrò bisogno di usare ogni mia energia e di concentrarmi al massimo. Perciò ora io entrerò in quella stanza e non voglio che qualcun’altro vi entri. Chiaro? Solo se vi chiamo, allora aprite la porta. In caso contrario, fidatevi tutti di me. E prepara qualcosa di caldo perché, quando rientreranno, Hades e gli altri saranno infreddoliti. Grazie per aver evocato il Dio dell’oltretomba ad aiutarci”.

Senza aggiungere altro, il padrone di casa entrò nella stanza del suo servo, stringendolo ancora a sé. In cuor suo, era molto preoccupato ma aveva tentato di non farlo vedere ad Eleonore. Keros era privo di sensi da molto ed aveva perso parecchio sangue.

“Vedrai che andrà tutto bene” disse, socchiudendo gli occhi e richiamando energia.

 

Combattere a fianco di Hades, per i gold era qualcosa di davvero insolito. Quelle ombre nere continuavano a materializzarsi. Simili a serpenti, attaccavano ripetutamente i cavalieri ed il Dio.

“Ma che cosa sono?!” si chiese Shura, tagliandone un gruppo.

“Non ne ho idea. Mai viste cose del genere” rispose Hades “Ed io di cose ne ho viste parecchie..”.

Le ombre, appena toccate dai colpi degli avversari, si dissolvevano. Ma subito ne arrivavano altre.

“Dobbiamo capire qual è la fonte che alimenta queste emanazioni” suggerì Mur “Così potremmo impedire che se ne creino altre”.

“Ma sembrano provenire da ogni luogo!” protestò Milo.

“Lasciate che provi una cosa..” si propose Aphrodite “..lasciate fare alle mie rose”.

Lanciando una rosa nera, la vide dirigersi verso un punto preciso della tormenta. La inseguì, assieme a Shura e Deathmask, in cerca del punto d’origine. Corsero, mentre i restanti gold continuavano a distruggere ombre insieme ad Hades. Percorsero un tratto tra la foresta e finalmente parvero giungere a quello che doveva essere il punto d’origine di quegli strani esseri.

“Che cos’è quello?” domandò Deathmask, fermandosi.

Una creatura, avvolta dalla nebbia e dal fumo nero, ghignava nella neve.  Si poteva solo intuire dove avesse la bocca ed i suoi occhi brillavano di una luce inquietante.

“Ma che bravi” commentò “Mi avete trovato. Siete stupefacenti”.

La sua voce era profonda e pronunciava alcune lettere sibilando, come un serpente.

“Chi sei?” gridò Shura, lanciando l’Excalibur contro quell’essere.

Non ricevette risposta, la tecnica di Shura trapassò la creatura, che però si ricompose subito.

“Dite sia un’illusione?” ipotizzò Aphrodite.

“Probabile..”.

“Non ci fermerete” ghignò ancora l’ombra “Non ci fermerete mai. Non potete farlo”.

“Fermerete? Di che parli? Chi sei?” ringhiò Cancer.

“Ci rivedremo. Ora che abbiamo trovato quel che cerchiamo, avrete ancora a che fare con noi finché non avremo ottenuto ciò che vogliamo”.

“Eh?!”.

La creatura si dissolse, e subito cessò la bufera. Kiki sorrise, convinto che i suoi colleghi fossero riusciti a sconfiggere un eventuale nemico. Quando però vide ricomparire il trio, notò immediatamente i loro volti perplessi.

“Non capisco. Chissà che cosa è successo..” alzò le spalle Shura.

“Che facciamo adesso?” domandò il giovane figlio di Milo “Non percepisco più entità estranee”.

“Vero, nemmeno io” confermò suo padre.

“Non possiamo far altro che raggiungere di nuovo il tempio di Arles” rispose Kiki.

“Concordo” annuì Hades “Da lì, potremmo contattare altre divinità e vedere se qualcuno ha idea di che cosa ci ha attaccato”.

“Sì, a quest’ora di certo mio fratello e Camus ci starano aspettando” si aggiunse Aiolia.

“E allora andiamo. Ho freddo ai piedi” sbottò Milo, incamminandosi fra la neve che si era accumulata.

 

Eccoci! Che ne dite? Quanti di voi avevano indovinato una “piccola cosa su Keros”? Spero che questo non cambi la vostra opinione su di lui, povero piccino congelato. Scoprirete anche il perché di questa scelta “di trama”..non uccidetemi XD. E non aspettatevi di veder comparire Andromeda a “scaldarlo con il cosmo” XD A lunedì (18 gennaio) con il capitolo nuovo

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X- Istinto ***


X

ISTINTO

 

Keros  si svegliò nel buio. Mosse leggermente le mani, tentando di capire se aveva ancora tutte le dita. Fu lieto di constatare che, a quanto pare, il freddo non gli aveva tolto pezzi. Era avvolto da molti strati di coperte e la cosa lo fece sorridere di gusto. Girò leggermente gli occhi verso sinistra e sobbalzò. Il suo signore dormiva, sopra le lenzuola, o così sembrava. Il letto del mezzo demone era grande e permetteva ad entrambi di starci tranquillamente, ma vedere lì il Dio che serviva lo stupì. Non ricordava molto. Ricordava la neve, il freddo. Ricordava di aver inseguito Ares per un lungo tratto ma poi era stato colpito più volte. Perdute le tracce di chi inseguiva, aveva capito che non poteva far altro che tornare a casa. Ferito, si era incamminato nella bufera, sempre più forte. Da lì, i ricordi si facevano confusi. Il vento, la debolezza..e il suo signore che lo salvava. Era successo davvero? Lo salvava, lo aiutava e lui..

Keros si portò di scatto entrambe le mani sulla faccia. Un ricordo gli era di colpo balenato alla mente: quella frase! Quel “vi amo” ripetuto più volte. L’aveva detto davvero? Era successo veramente?!

“Stupido” sussurrò “Stupido! Stupido!”.

Non era sicuro di quanto successo, ma solo l’idea lo metteva in imbarazzo. Ma che poteva fare? Se era successo..ormai era fatta! Si stupì di se stesso. Non aveva timore dell’inferno e di ciò che ci somigliava, ma solo l’idea che il suo signore potesse fargli domande su quanto gli aveva confessato lo faceva agitare.

“Perdonami, Keros” sentì mormorare.

Il mezzo demone non riuscì a dire nulla. Rimase immobile, fissando il soffitto.

“Perdonami..” continuò il Dio delle illusioni, rimanendo steso e guardando a sua volta il soffitto “Il mio potere non ti ha guarito del tutto. Però la ferita non è più mortale. Ora devi stare tranquillo e riposare, e tutto passerà. Come ti senti?”.

“Io..sono..sono stanco!” riuscì a dire Keros.

“Lo immaginavo. Hai perso molto sangue, ci metterai un po’ per riprenderti. Ma sei una creatura straordinaria, sono certo che in pochi giorni sarai di nuovo te stesso”.

“Grazie..”.

“Posso stare un po’ qui? Sono sfinito, ho consumato quasi tutta l’energia vitale e devo dormire”.

“Non dovevate farlo..non dovevate consumare il vostro potere per me”.

“I poteri tornano. La tua vita no”.

“Signore..”.

“E perdonami ancora. Le tue vesti erano fradice quando ti ho portato qui. La neve le aveva ricoperte. Per scaldarti, ho dovuto cambiarle. So che non volevi ma..ho dovuto vedere i disegni che hai sul braccio”.

Keros girò il volto, dalla parte opposta al suo padrone, percependo un nodo alla gola. Non voleva proprio che qualcuno li vedesse quei segni.

“So che non vuoi parlarne e che tu detesti quei simboli ma..io li trovo bellissimi” continuò il Dio.

Keros si rigirò. Non vi era traccia di menzogna nello sguardo del suo signore. Era sincero? Trovava davvero bellissimi quei simboli? Provò di nuovo quel nodo alla gola, ma questa volta era diverso. Si sollevò leggermente, osservando ancora il suo padrone negli occhi. Questi li girò, non capendo bene che cosa stesse facendo il suo servo.

“Bellissimi?” chiese conferma il mezzo demone.

“Sì” confermò il Dio “Lo trovi così incredibile?”.

Keros rimase in silenzio, immobile. Il suo signore aveva l’aria sfinita e lo vide socchiudere gli occhi, per poi addormentarsi. Lo osservò ancora. I capelli neri del Dio erano spettinati per via dell’umido e del vento ed erano tutti scomposti fra le lenzuola. Notò che gli abiti che indossava erano gli stessi con cui lo aveva salvato, questo voleva dire che si era prodigato di sistemare al meglio il mezzo demone ma non se stesso. Keros trovò la cosa quasi commovente, si sentì lusingato. Si chiese perché, per quale motivo, una divinità gli riservasse tante attenzioni e cure. Si rigirò leggermente, attento a non svegliare il suo padrone. Sembrava così tranquillo, così sereno..pareva quasi un angelo. Anche se le ali erano richiuse e celate, quel volto era serafico. Il mezzo demone non distolse lo sguardo, ne osservò il respiro e le linee che ne disegnavano il viso. Con una mano, poi scostò un ciuffo dei capelli neri del suo signore, che asciugandosi si era arricciato e gonfiato, infastidendo il riposo del Dio. Questo gesto, scoprì in parte il collo della divinità, che non aprì gli occhi ma rigirò la testa verso sinistra. Keros, alla sua destra, si irrigidì, spaventato all’idea di averlo svegliato. Si accorse che non era così e sorrise, sollevato. Si accucciò di nuovo, ripensando a tante cose, con lo sguardo fisso sul suo signore. D’un tratto, di colpo, qualcosa si accese nel mezzo demone, che scattò in avanti e, come in un istante di follia, morse il suo padrone. Poco al di sotto del collo, Keros affondò i denti appuntiti e sentì il sapore dell’ikor del suo signore in bocca. Il Dio gemette, destandosi, e lanciò un piccolo verso di protesta. Il mezzo demone, tornando in sé, subito si mosse all’indietro.

“Oh, mio signore!” iniziò a dire, a fatica “Mio signore, perdonatemi! Io..ma che mi prende?! Non capisco! Vi chiedo scusa! Io..”.

Era spaventato, confuso, e visibilmente mortificato. Il Dio invece, dopo il sobbalzo iniziale dovuto al fatto che dormiva profondamente, pareva tranquillo.

“Perdonatemi” ripeté ancora Keros, tentando di farsi piccolo sotto le lenzuola, incapace di reggersi in piedi per scappar via come voleva.

“Keros!” sorrise il Dio “Ma allora..mi ami davvero?”.

Il mezzo demone non rispose, si tirò le coperte sopra la testa. Il Dio, che era steso sul letto ma non sotto le lenzuola, ora vedeva solo un mucchio di stoffe arrotolate e qualche ribelle ciuffo rosso sul cuscino.

“Mi hai dato proprio un bel morso! Dai, vieni fuori da lì! Non fare la tartaruga! Sei una tartaruga?”.

Keros si raggomitolò ancora di più.

“Keros: è un ordine! Esci da lì!”.

Il Dio insistette ancora un po’, stuzzicando il mezzo demone con le dita, ma poi, sfinito, fece ricadere il braccio lungo il fianco. Dopo qualche istante, Keros scostò leggermente le coperte, spuntando con parte del viso. Abbassò di poco le orecchie a punta.

“Siete così stanco..per colpa mia?” domandò, a mezza voce.

“Ho dovuto curare anche me. Per fortuna mi ha aiutato Apollo..”.

“Ma adesso..state bene?”.

“Devo solo dormire un po’. E starò benissimo”.

“Perdonatemi per avervi svegliato. E per molte altre cose. Mi sento così..”.

“Tu parli sempre troppo, Keros”.

Il Dio ed il mezzosangue rimasero ad osservarsi. Poi la divinità accennò ad un sorriso.

“Calmati” parlò piano Arles, notando come colui che aveva di fronte continuasse ad essere teso e nervoso.

Non ne capiva la ragione. Non capiva perché si agitasse tanto.

“Hai seguito il tuo istinto, Keros. Smettila di condannarti per questo. Vuoi che io faccia lo stesso?”.

“Eh?” riuscì solo ad esclamare il mezzo demone, alzando un sopracciglio e sentendosi trascinare verso il suo signore.

I due si congiunsero in un bacio e Keros, in principio, lasciò che il cosmo del suo padrone lo avvolgesse. Ma dopo qualche istante si scosse e si scansò.

“No!” esclamò “Questo è..è tutto sbagliato!”.

“Che ti prende adesso?” si stupì il Dio, perplesso.

“Voi siete sposato con Eleonore!”.

“E con questo? Non ricordo di aver chiesto la tua mano..”.

“Signore io..fin dal primo istante in cui vi ho visto ho compreso di provare qualcosa. Non sapevo cosa, e mi ci è voluto un po’ per capirlo, ma alla fine ho accettato la sensazione. Solitamente, sono i demoni i tentatori ma, in questo caso, siete stato voi la tentare me, continuamente. Ogni vostro sguardo, ogni vostra parola.. Adoro come il vostro cosmo mi culla e mi protegge. Ed ho sempre desiderato ardentemente un bacio da quelle vostre labbra. Però..so che non devo. Voi non appartenete a me, voi siete l’uomo di Eleonore. Il massimo a cui io possa aspirare è un sorriso e chiedo profondamente scusa per avervi morso. Spero possiate perdonarmi”.

“Oh, Keros. Dovresti cercare di trovare più spesso il tuo lato da demone, sai?  Ti fai troppi problemi. Ora perdonami ma..sono sfinito. Voglio dormire. Ne parliamo domani, ok? Tu però stai calmo, rilassati, e cerca di riposare. Staremo meglio entrambi dopo un buon sonno..”.

Il mezzo demone non sapeva che cosa dire. Vide che il suo padrone stava di nuovo chiudendo gli occhi. In effetti, era pure lui molto stanco e lo sguardo socchiuso del suo signore lo spingeva ad assopirsi. Vinto dalla stanchezza e dal potere del Dio che aveva accanto, Keros si addormentò, appoggiato al suo signore.

 

“Cosa cazzo mi hai fatto fare? Maledetta stronza! Fatti vedere!” sbraitò Ares “Sentivo la tua voce nella mia testa. Dove sei?!”.

“Smettila di urlare. Anche se gridi, non la vedrai comparire se non ha intenzione di farlo” tentò di zittirlo la creatura dalle ali d’angelo.

“Chi è? Chi è quella troia? È lei che ti ordina di tenermi buono qui? Oppure sei tu? Che ti diverti a prendermi per il culo?”.

“Respira, Ares. E modera il linguaggio”.

“Non darmi ordini, strano coso!”.

“Sei ferito? Sento l’odore dell’ikor”.

Il Dio della guerra si guardò le mani. In un istante ricordò quel che aveva fatto all’arena. Non indossava più l’armatura e non vedeva la spada ma ricordava di averla infilata nel petto del figlio. Ebbe un sussulto. La creatura dalle ali d’angelo girò il capo, senza aprire gli occhi.

“Ho ucciso mio figlio?!” sbraitò Ares “E mia sorella?! Che cosa mi avete fatto? Perché ho agito in quel modo?!”.

“Eros?”.

“No!”.

“Un altro figlio?” cambiò, per la prima volta, tono di voce l’essere che rimaneva immobile e seduto.

“Che intendi dire?”.

“Pensavo che foste stati presi tutti insieme”.

“Presi? Speravo che, alla fine, fossi stato solo io trascinato in questa faccenda. Gli altri, dove sono?”.

“Phobos e Deimos sono fondamentali per la riuscita di quel che lei ha in mente”.

“Lei? Allora c’è una lei? E chi è?”.

“Mia madre. Se tu sapessi anche solo un minimo quel che compare nel tuo albero genealogico oltre a Zeus ed i Titani, forse capiresti”.

“Senti, piccione d’oro, io è già tanto se ricordo i nomi dei miei fratelli, che sono una marea. Figurati se tengo a mente i nomi dei trisavoli o peggio!”.

“Parlami di tuo figlio”.

“Quale?”.

“Quello che non è stato catturato”.

“Perché? L’ho trapassato con la mia spada, non potete fargli nulla!”.

“Parlami di lui. Com’è fatto? Che cosa fa?”.

“Ma perché..?”.

“Obbedisci. O ti scaravento contro la stalagmite laggiù!”.

Ares, consapevole che quella creatura poteva non solo spedirlo contro la stalagmite ma anche impalarcelo, si sforzò di rispondere in modo soddisfacente.

“Per prima cosa..” riprese l’essere “..di chi è figlio? Afrodite? Ed è un Dio? E come mai non vive al palazzo con te?”.

“Non è figlio di Afrodite. È figlio di Sophia, una degli angeli. E lui lo è in parte. Ed in parte è un Dio, delle illusioni. Non vive con me perché ha un suo palazzo”.

“Ma..è un Dio Greco?”.

“Non saprei. Io so che ho un figlio fra gli Egizi, ma questo a voi non interessa”.

“Di Kanon ero a conoscenza. Ma di questa creatura che tu parli non ho le idee chiare..”.

“È il gemello di Kanon”.

“Ah, è lui! È un mezzo angelo? Ammetto di non averlo osservato ultimamente”.

“Ma che sei?! Uno stalker?! Perché spii i miei figli?”.

“Non li spio! Li osservo. Come si chiama?”.

“Ha tanti nomi..quello vero solo sua madre sa quale sia. E sua madre è morta”.

“Come mai ha tanti nomi?”.

“Perché è tante cose. È come se avesse vissuto molte vite..”.

“Molte vite? E come è fatto? Qual è il suo vero aspetto?”.

Dopo che Ares ebbe descritto il figlio, la creatura si mosse leggermente. Per la prima volta, aprì gli occhi. il Dio della guerra sussultò, perché non erano due come si aspettava, bensì quattro.

“Che roba sei tu?” riuscì a dire e l’essere sorrise, voltandosi verso il Dio.

“Oh..” si limitò a commentare “..hai ancora tutti i tuoi colori”.

“Che cazzo vuol dire?”.

“Non importa. Ad ogni modo, sta tranquillo. Tuo figlio è vivo. Solo che mia madre non deve saperlo”.

“A che gioco state giocando, voialtri?!”.

“Lei ti userà ancora. Non puoi evitarlo”.

“La tua mammina?”.

“Non farei tanto lo stronzo, se fossi in te. Non so che cosa esattamente abbia in mente. Vedi..io comprendo e conosco ogni cosa ma mia madre non riesco ad interpretarla. Lei agisce come meglio crede e nessuno può opporsi”.

“La rompo la faccia in due se solo osa avvicinarsi!”.

“Ti userà. Ti consiglio di non opporre troppa resistenza, se non vuoi subirne le conseguenze. Una volta che avrà ottenuto quel che desidera, sarai libero”.

“Ed i miei figli? I miei nipoti?”.

“Non so dirti che cosa abbia in mente di farci, con esattezza. So che per ora, per quel che mi risulta, sono vivi. Ma in futuro..chi lo sa?”.

“Chi lo sa?! Vedi di riferire a quella grandissima puttana di tua madre che io, Ares, non sono un giocattolo e non mi farò usare! Preferirei morire, piuttosto”.

“Benissimo. Allora credo proprio che sarà quello il tuo destino..”.

 

Keros si svegliò. Uscì dalla sua stanza, piuttosto confuso. Le ferite, anche quella più grave, gli provocavano solo un lieve fastidio. Si incamminò lungo il corridoio e si sentì chiamare per nome. Sollevando la testa, vide Eleonore, che lo raggiungeva e lo abbracciava forte.

“Keros!” esclamò lei “Per fortuna stai bene! Che spavento che mi hai fatto prendere! Come stai? E Ary?”.

“Il divino Arikien sta riposando. Io..io sto bene..però..”.

“Però? Che cosa c’è? Hai fame? È quasi ora di pranzo. Vieni nel salone con il camino, così ti scaldi e mangi assieme a noi”.

“No, non servono tutte queste premure. Io..signora, ho fatto una cosa..terribile!”.

“Che cosa hai fatto? Che cosa è successo?” si allarmò lei, notando lo sguardo del mezzo demone.

“Io..chiedo scusa!”.

Keros si gettò in ginocchio, chinando il capo. Eleonore si chinò a sua volta, sfiorandolo con una mano, senza capire.

“Oh, lady Eleonore!” riprese lui “Mi sono comportato in un modo che non è degno di me. Ho agito in modo sconsiderato e crudele. Se vorrete scacciarmi, io lo capirò”.

“Scacciarti?! Ma perché? Che avrai mai fatto?”.

“Ho usato i miei poteri. I miei poteri da demone tentatore, che confonde e porta a compiere atti di puro istinto. Lui era stanco ed io..non era mia intenzione, ma devo averlo fatto, perché mi ha baciato. Ed io l’ho morso! Vi chiedo scusa! Merito di essere punito”.

“Non sto capendo niente, Keros” sorrise Eleonore “Spiegati meglio. Credi di aver condizionato la mente di Ary? E questi ti ha baciato?”.

“Sì..io..io lo amo. Perdonate questi miei sentimenti. Non è mia intenzione turbare in alcun modo il rapporto perfetto che c’è fra voi”.

“Che tu lo amassi, questo lo sapevo già”.

“Veramente?!”.

“Certo. Sono una donna, so cogliere certi segnali. Che Ary ne sia del tutto incapace, è un’altra faccenda. Però ho notato che tiene molto a te. I sentimenti che prova nei miei confronti non sono mutati ma lo sento allo stesso tempo molto vicino a te. Se poi lui non è in grado di capire quel che prova o quel che sente, è un discorso a sé. Devo ammettere che è un uomo dalle grandi capacità ma quando si tratta di rapporti interpersonali è..piuttosto stupido”.

“Io..non vi capisco..”.

“Ary ama me, mi ama profondamente. Ma non credo che sia stato il tuo potere a spingerlo a baciarti. Hai mai sentito la storia di Ganimede? O di altri giovani, legati alle divinità?”.

“Vagamente, signora..”.

“Pare che gli Dei, prima o poi, si ritrovino sempre ad avere a che fare con qualche giovane di bell’aspetto. Ed a quanto pare le Dee loro spose non hanno più di tanto avuto da ridire. Keros, lui mi ama come il primo giorno, non potrei chiedere di più. È un marito splendido ed un padre perfetto. Se tu fossi una creatura diversa da quella che sei, probabilmente mi arrabbierei. E anche molto. Ma tu sei tu! Sei Keros, colui che ha scacciato gli incubi e protetto il suo signore con una fedeltà che difficilmente si trova altrove. Keros..se tu lo sfruttassi, se tu fosti una sorta di essere malvagio che porta mio marito a compiere azioni sconsiderate e crudeli allora sì, ti odierei e ti scaccerei. Ma tu, come già ti dissi in passato, sei una benedizione”.

“Ma, signora! Io..”.

“Alzati, coraggio. Facciamo così: se Ary si sveglierà e si scoprirà che tu lo hai plagiato, allora prenderemo provvedimenti. Se davvero hai osato approfittare della debolezza del tuo signore per spingerlo a fare cose inappropriate e che non desiderava, allora verrai punito. In caso contrario..tutto sarà come prima, o quasi. E adesso andiamo nel salone, ti faccio portare qualcosa da mangiare”.

 

Appena vi mise piede, Keros fu accolto dalle grida dei cavalieri. Si stupì di questo e per qualche istante rimase immobile sulla porta.

“Eccolo!” esclamò Aphrodite “Il nostro Keros!”.

“Sei stato un grande all’arena” si unì Shura.

“Sì, quel gancio che hai tirato ad Ares..wow!” sorrise Milo.

“E quella barriera di protezione! Straordinario il potere che hai!” si aggiunse Camus.

“G..grazie..” riuscì solo a dire il mezzo demone, avvicinandosi al fuoco.

“Ci hai difesi. Ti dobbiamo ringraziare” si alzò Aiolos, facendo un lieve inchino.

“Non ho fatto niente di speciale” si affrettò a dire Keros, senza distogliere lo sguardo dal fuoco.

“Ti chiediamo scusa se ti abbiamo sottovalutato” insistette Aiolia.

“Sì, ti ho preso per il culo, non dovevo!” ridacchiò Deathmask “Non lo farò più, lo giuro!”.

“Un applauso al nostro Keros!” propose Sophia.

“Hai tirato un pugno a nonno Ares” rideva uno dei due giovani gemelli di Arles “Chissà come si è incazzato!”.

“Sì, ma dovevate vederlo!” confermò Dohko “Non si è fatto intimorire. Non è indietreggiato nemmeno di un passo! Keros, sei una creatura molto coraggiosa. E non importa se sei angelo, demone, umano o che ne so io! Brindo in nome tuo!”.

Keros non rispose. Si limitò a fare un cenno con la testa.

“Ragazzi!” lo giustificò Eleonore “Non scombussolatelo così! Non vedete che è ancora molto stanco e provato? Festeggeremo in nome suo appena si sarà ripreso del tutto, vero?”.

I cavalieri, in attesa del pranzo, annuirono e sorrisero, alzando i calici in nome di quell’insolito nuovo compagno di battaglie. Keros sospirò. Aveva paura, lo doveva ammettere. Paura che il suo signore, una volta destato, provasse rabbia nei suoi confronti. Perché non era stato in grado di controllarsi e tacere? Non voleva essere scacciato, adorava quella casa. Era l’unico posto in cui voleva stare! Provava una tale rabbia nei confronti di se stesso, da provare la tentazione di bruciare in quel fuoco che ardeva davanti a lui. Inoltre, era ancora scosso per quanto successo all’arena. Trattenne il fiato, quando la porta si aprì ed entrò il suo padrone. Tutti si zittirono, vedendolo stranamente comparire con il suo vero aspetto. Con una mano, teneva chiuso un mantello bianco sul petto. I lunghi capelli neri erano tutti spettinati e disordinati. Sbadigliò e si stiracchiò. Così facendo, le immense ali si allungarono fino quasi oltre la lunghezza del tavolo. Sophia lo raggiunse, l’unica sua creatura ad aver ereditato quelle ali.

“Che bello vederti in piedi, papà” commentò la fanciulla “Hai riposato bene?”.

“Certo. Ti ringrazio” annuì il padre.

“La ferita? Stai bene?” si accertò Eleonore.

“Tutto risolto. Rilassatevi!”.

“Meraviglioso! Allora vieni a mangiare, sarai affamato dopo aver consumato tante energie!”.

Il Dio mosse qualche passo, assonnato. Eleonore non riuscì a stare seduta e raggiunse il marito, dedicandogli un lungo bacio.

“Smettila di farmi preoccupare!” mormorò poi, sforzandosi di sorridere.

Era sollevata all’idea che il compagno stesse bene ma era molto in preoccupata  al solo pensiero che potesse succedere ancora qualcosa di grave. Arles la rassicurò. Con un altro sbadiglio, tolse il mantello e lo poggiò sulle spalle di Keros, che sussultò. Con le mani poggiate sulle spalle del mezzo demone, che non distoglieva lo sguardo dal fuoco, il padrone di casa si chinò leggermente per raggiungere l’orecchio del suo servo.

“Come ti senti?” domandò a bassa voce “Tutto bene con la ferita?”.

“Sì..tutto bene..” mormorò Keros.

“Purtroppo non sono riuscito a guarirla del tutto. Ti infastidirà ancora un po’. Se dovesse sanguinare di nuovo, ti prego di avvisarmi, così che io possa aiutarti”.

“Grazie..non è necessario..”.

 “Non hai toccato cibo. Magari la debolezza può darti dei fastidi allo stomaco ma devi sforzarti di mangiare. Noi cavalieri sappiamo bene che una buona mangiata aiuta a recuperare le energie, vero ragazzi?. Hai sanguinato a lungo..mangia almeno un po’. Quel che non ti va, lascialo pure. Ma almeno qualcosa devi..”.

“Va bene, signore. Smettetela di preoccuparvi per me”.

“Ok..non ti agitare. Hai freddo? Stai tremando”.

“Un po’. Ma..”.

Il Dio inclinò leggermente la testa e diede un piccolo bacio a Keros, che divenne dello stesso colore dei propri capelli.

“Va meglio, adesso?” sorrise il padrone di casa.

“Eh no!” esclamò Aphrodite, sbattendo entrambe le mani sul tavolo “Non si fa così!”.

Stupidi dalla reazione di Pesci, l’intera compagnia lo vide scavalcare la tavola che aveva davanti per raggiungere il mezzo demone ed il Dio. Senza dare modo alcuno ai due di reagire, diede un bacio ad entrambi e poi provò a fare lo stesso con tutti gli altri cavalieri, ripetendo un “o tutti o nessuno”.  Ovviamente fra i saint si udirono diversi “stai lontano da me”, invani. Keros, sconvolto da quanto successo, rimase immobile, mentre il suo signore si diresse verso la propria sedia.

“Vieni a mangiare” ordinò il padrone di casa “Mangiate tutti. Abbiamo molte cose da fare. Dobbiamo scoprire la verità”.

“Sì, voglio capire dove è andata a finire mia moglie!” annuì Milo.

Arles stava per sedersi, quando il mezzo demone lo raggiunse. Senza dire nulla, lo abbracciò.

“Signore..” parlò piano “..ditemi che tutto questo non è un sogno. Che non mi sto immaginando tutto, che non è una semplice illusione. Perché in quell’arena..ho visto la spada di Ares trapassarvi il cuore! L’ho visto, ne sono sicuro! E sono stato così male! Mi sono sentito di colpo smarrito. Perché questo è il posto dove voglio stare e se voi eravate morto, come credevo, io dove potevo andare? Senza di voi, che senso avevo? Ho inseguito Ares con l’intento almeno di vendicarvi ma sono così inutile che non ci sono riuscito. Sono stato ferito e non ho potuto far altro che tentare di tornare qui, perché non sapevo che altro fare. Ma lungo il cammino mi chiedevo per quale motivo dovevo tornare qui, dato che voi non c’eravate più. Ero pronto a morire e..forse sono morto perché da quel momento sono successe tante cose che non mi paiono vere. Quel che vi ho detto, quel che ho fatto..io..spiegatemi come stanno le cose, perché io non lo capisco”.

“Keros, nessuna illusione. Sono stato trafitto davvero da quella spada. Se non avessi i miei poteri di guarigione, non so dove sarei ora. Ma io sono particolare, lo sai. E sono fortunato. Sai perché? Perché, nonostante questo mio cuore ne abbia passate di tutti i colori, trafitto dal mio stesso pugno, accelerato dal terrore, colpito da frecce e da spade, riesce sempre e comunque a battere. Battere per i miei compagni, con i quali ho lottato molte volte. Battere per chi crede in me ed in me confida. Battere per i miei figli, di cui sono orgoglioso. Battere per la mia famiglia, per i miei fratelli che voglio ritrovare e per mio padre e la sua sete di sangue. Battere, ovviamente, per la mia amata Eleonore, la donna che amo sopra ogni altra cosa al mondo e che riesce ad avere sempre la forza per sostenermi. E battere per te, Keros. Dono del destino, ne sono certo, che scaccia i miei incubi ed è disposto a morire per me. E mi lusinga che un po’ anche il tuo cuore batta per me..”.

“Oh, ma vi sbagliate!” esclamò Keros “Il mio cuore..batte solo per voi! Non solo un po’..”.

Scese il silenzio.

 “Dopo un discorso così..” sorrise Eleonore “..nemmeno un bacino? Su, a tavola. Se no si fredda”.

“Sì, meglio” mostrò la lingua Arles “Cambiamo argomento e via! Cerchiamo di tornare seri..”.

Seduti finalmente a tavola, l’intera compagnia iniziò a mangiare.

 “Ma..è squisito!” si stupì Keros “Chi ha cucinato?!”.

“Noi” risposero, in coro, molti dei presenti.

“Abbiamo fatto un casino in cucina!” risero i due giovanissimi gemelli di Arles.

“Sì, è vero” confermò Shura.

“Ma alla fine, ne è valsa la pena, no?” volle sapere Aldebaran.

“Sì, è molto buono” annuì il padrone di casa “Non saprei che cosa sia, pare un misto di tutto quello che esiste al mondo ma..è decisamente buono”.

“Buon appetito!” sorrise Sophia.

 

“E adesso, che facciamo?” domandò Milo, dopo aver mangiato il terzo dessert di fila “Come agiamo?”.

“Io ho seguito Ares fino ad un punto. Forse, partendo da lì, si può capire dove si nasconda” rispose Keros, deciso a battere Milo in numero di budini consumati in pochi minuti “Però..non sono sicuro che quell’essere fosse Ares!”.

“Nemmeno io” concordò Arles “Ha mosso dei passi di danza, che mai farebbe davanti agli altri Dei se non da sbronzo! Inoltre..dov’erano i miei fratelli? Phobos e Deimos si muovono sempre assieme a papà, specie se papà è in vena di scatenare risse!”.

“Poi i suoi colpi..i colpi che mi ha rivolto non erano quelli tipici di Ares! E quella cosa che avete estratto dalla mia ferita..che cos’era?”.

“Non ne ho idea..”.

“Noi, nel bosco..” si intromise Aphrodite “..siamo stati assaliti da creature striscianti fatte d’ombra. Poi si sono dissolte, assieme a quell’uomo, ma..”.

“Un uomo? Fatto di ombra e serpenti?” chiese conferma il Dio delle illusioni.

“Più o meno. Ma non penso fosse il suo vero aspetto”.

“Purtroppo, sono molte le divinità legate ai serpenti”.

“Credi possa avere a che fare con quanto accaduto ad Ares ed il suo seguito?” si preoccupò Milo “Pensi ad un rapimento?”.

“Non lo so, Milo. Sto cercando di capirci qualcosa. Non so bene come muovermi. Molte divinità avrebbero potuto agire insieme per creare quel che avete visto..”.

“E chi può spingere Ares a muoversi in quel modo?” fu invece la domanda di Aiolia.

“Mio padre è un Dio piuttosto elementare, sotto certi punti di vista. Penso che anch’io, se lo colgo nel momento opportuno, sono in grado di possederlo. Ma spingerlo a colpire sua sorella gemella Eris e poi me ed Eros..è una cosa diversa. Inizio veramente a pensare che vi sia un gruppo di Dei coalizzati contro di noi. Non so a che scopo..”.

“In questo caso..” strinse i pugni Milo “..spero di trovarli e riempirli di botte. Così imparano a toccare la mia Mirina e giocare con me!”.

 

Ok, basta con le smancerie XD Dal prossimo capitolo si riparte con gli scontri. Chiedo perdono per la parentesi “pucciosa”, spero non vogliate uccidermi ma tento invano di ritrovare il "lato romantico" XD Ho notato però che l’Olympus 3 ha più riscontri positivi rispetto al due. Ne sono felice! A prestissimo con il capitolo successivo!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI- Impazienza ***


XI

IMPAZIENZA

 

Finalmente Kiki e Mur avevano finito di riparare le armature dalla pioggia di fuoco e sangue provocata da Ares. Era stato un lavoro lungo e impegnativo, che aveva impegnato i due per diversi giorni. Con il torneo sospeso, i saint passavano il tempo ad allenarsi e perdere tempo ormai da quasi una settimana. Stavano lentamente imparando a riconoscere le varie creature che periodicamente si aggiravano per il tempio del Dio delle illusioni. Pensavano di essere riusciti a quantificare, anche se con molti dubbi, il numero esatto dei figli di colui che si ostinavano  a chiamare Saga o Arles. Non erano riusciti a giungere ad un compromesso definitivo, perché i piccoli di casa non si vedevano spesso e quelli in grado di muoversi autonomamente non stavano praticamente mai fermi. Chiedere al padrone di casa quanti fossero, pareva brutto. Non volendo disturbare troppo gli ospiti, mangiavano nello stesso loro tavolo solo gli eredi più grandi. Dal quel che erano riusciti a capire, i gold erano riusciti a cogliere alcuni numeri ed informazioni. Sophia, la figlia più grande, era nata in Grecia. Dopo di lei, venuti al mondo in India, vi erano i due gemelli. Quei ragazzi, in piena adolescenza, erano i più chiassosi ed impiccioni della casa e portavano il nome di Iravan e Iravat. Sempre in India, grazie ad un soggiorno particolarmente lungo, era comparsa Yashila, di poco più piccola dei gemelli. In Cina, Eleonore aveva messo al mondo Xue , una bimba di ormai quasi dieci anni.  In Giappone, pochi anni più tardi, erano nate , Emiko ed Echiko, gemelle. In Russia, la coppia aveva avuto Roslan, che da poco iniziava a leggere. Durante una visita dall’Egiziano Kanon, era stata concepita Faram e invece dal precolombiano Tolomeo era nato Azlan. Tornati in Grecia, avevano visto la luce i gemelli Neilos e Nitsa, un maschio ed una femmina. Avevano circa due anni ed ogni tanto facevano la loro comparsa. I cavalieri sapevano che c’era almeno un’altra creatura in quella casa, perché ogni tanto la si sentiva piangere ed era un pianto quasi da neonato. Però non potevano sapere quanti piccoli esattamente si celassero fra quelle mura, perche Eleonore teneva nascosi i più piccini gelosamente. I bambini ed i ragazzi, dal canto loro, non stavano troppo a preoccuparsi di ricordare i vari amici di papà. In quei giorni, si preoccupavano solo di giocare il più possibile con l’abbondante neve caduta e in questo i saint li aiutavano volentieri.

Kiki e Mur si stavano giusto iniziando a rilassare, sorridendo ai bambini della casa che avevano voluto assistere alle riparazioni delle armature con curiosità, quando un vociare allegro dall’esterno annunciò l’arrivo di Afrodite. La Dea della bellezza, assieme alla bimba avuta da Ares, Neith, si stava avvicinando al tempio. Con lei, ovviamente, vi erano anche Eros ed Anteros. Keros, come sempre, raggiunse quegli ulteriori ospiti e li invitò ad entrare.

“Dov’è il tuo padrone?” domandò la Dea, con un mezzo sorriso.

“Sta animatamente discutendo con suo zio” rispose Keros, lanciando una rapida occhiata ad Eros.

“Quale zio?”.

“Quello con le corna”.

 

“E quante volte te lo devo ripetere?!” sbraitò Lucifero “Devi piantarla di ficcarti sempre nei casini!”.

“Ma cosa ti importa?!” ruotò gli occhi Arles “Non sono mica morto! E poi, anche se lo fossi, non dovrebbe riguardarti”.

“Tu sei il figlio di mia sorella, della mia amata Sophia. Sei la cosa che per me più si avvicina all’idea che ho di figlio”.

“Ma non sono tuo figlio. E nemmeno il tuo successore, perciò calmati. E poi..hai rischiato anche tu!”.

“Io è da anni che attendo l’occasione per poter riempire di botte tuo padre! E tu lo sai!”.

“Lo so bene e potevi anche farlo, per quel che mi riguarda. Piuttosto..come stai? Le ferite sono rimarginate?”.

“Che?”.

“Ti ho fatto una domanda. Cos’è che non capisci? Come stai? Stai bene?”.

“È una domanda che non mi rivolge mai nessuno. Ad ogni modo..sto bene, grazie. Ma starei meglio se mio nipote non fosse un coglione!”.

“Che ho fatto?!”.

“E Keros! Dov’è Keros?! Devo prenderlo a sberle con le mie mani!”.

Proprio in quel momento, il mezzo demone era apparso, bussando educatamente. Dopo aver domandato perdono per l’intrusione, aveva informato il suo signore che Afrodite era giunta al tempio.

“Proprio te volevo!” lo fermò al volo Lucifero, prima che uscisse di nuovo dalla stanza con un inchino “Vieni qui!”.

Keros fissò il suo padrone, che alzò le spalle, non sapendo che cosa lo zio volesse.

“Quante volte te l’ho ripetuto?” riprese il demone.

“Ripetuto che cosa?” storse il naso Keros.

“Di non usare i tuoi poteri da mezzo sangue davanti a tutti! Ora ho Mihael che mi rompe le palle tutto il giorno chiedendomi chi tu sia e che cosa tu faccia. Perché ha capito che il potere che hai non è demoniaco ma di natura angelica. Ti rendi conto di quel che hai fatto, usando quella tecnica?”.

“Certo” annuì il sanguemisto “Ho aiutato il mio signore e salvato delle vite”.

“Non è questo il punto, idiota! Tu sei una creatura che non dovrebbe esistere e che rischia gravi conseguenze se le alte sfere in cielo ne vengono a conoscenza. Perché, se è evidente che Dio se ne sbatta le palle perché altrimenti non saresti mai nato, i suoi sottoposti dalle ali candide sono degli impiccioni e degli spacca balle! Cercheranno in ogni modo di capire di chi tu sia figlio e di trovare il modo per punire te e chi ti ha generato!”.

“Mia madre è morta. Mio padre non so chi sia. Ergo..hem..sticazzi?”.

“Ma come sarebbe a dire?!”.

Lucifero era rimasto sconcertato da quella risposta, e dalla risata trattenuta a stento del nipote. Quei due cretini era evidente che non comprendessero quel che poteva succedere! Ringhiando, si mosse in avanti per colpire Keros ma si sentì trattenere per un polso.

“Come osi?” sibilò, rivolto al Dio delle illusioni.

“Non colpirai il mio Keros” rispose, convinto, il padrone di casa.

“E come pensi di impedirlo?”.

“Vuoi davvero scoprirlo?”.

“Insolente marmocchio. Io ti..”.

“No, vi prego” interruppe Keros “Non venite alle mani per me. Signore, Lucifero ha ragione. Non dovevo mostrare in modo così deliberato il mio potere. Però, se dovessi tornare indietro, rifarei la stessa cosa. Vi ho aiutato, è questo quel che conta per me. Se gli angeli mi verranno a cercare per eliminarmi..beh, si accomodino! Sono pronto ad affrontarli”.

“Tu non sai quel che stai dicendo” scosse la testa Lucifero, finalmente rilasciato dal nipote.

“Io lo difenderò” parlò il Dio “Che provino pure a fargli del male, se hanno fretta di venir rispediti a calci in culo da dove sono venuti. Stessa cosa vale per i demoni”.

“Sei coraggioso” ghignò il diavolo “Ma tanto, tanto stupido. Contro certe milizie, non potresti fare molto”.

“Staremo a vedere”.

Lucifero ruotò gli occhi: che nipote testardo che aveva. E Keros era ancora peggio! Poi il suo sguardo cadde su un dettaglio che fin ora non aveva notato, ed alzò un sopracciglio, perplesso.

“Tua moglie lo sa che ti diletti con qualche creatura demoniaca?” domandò, indicando il nipote.

“Di che parli?”.

“Parlo del segno che hai sotto il collo. Quel morso..so riconoscere il marchio lasciato da un altro demone, mio caro nipote”.

“Questo?”.

Il Dio scostò la stoffa che lo copriva in parte, mostrandolo nella sua interezza. Lentamente, attorno al segno dei denti, si stava creando un disegno blu scuro, simile ad un sole tatuato.

“Curioso..” commentò ancora Lucifero “..pare uno di quegli strani segni che ha Keros sul braccio..”.

“Già..che casualità, non trovi?”.

“Cosa stai cercando di farmi credere? Conosco Keros! Non è il tipo che morde. Meno che mai te, il suo adorato e venerato, intoccabile, signore”.

“Evidentemente, non lo conosci affatto”.

“Cioè..mi stai dicendo..che voi due..?”.

“Hai forse qualche cosa da ridire?”.

“No, assolutamente no. Per carità..chi sono io per giudicare? Non me lo aspettavo, tutto qui. E Eleonore?”.

“Lo sa e apprezza l’idea”.

“Ottimo. Mio nipote intreccia relazioni extraconiugali con un semidemone. Questo sì che mette a dura prova la tua purezza angelica! Che meraviglia! Non potrei chiedere di più! Bravo, Keros!”.

“Ma..non è mia intenzione!” si affrettò a dire il mezzosangue “Non è mia intenzione far cadere o spegnere il mio signore!”.

“Non sarai certo tu a corrompere la mia anima” ghignò Arles “Che di per sé è già nera da tempo. Non riesco proprio a comprendere come io possa avere ancora quel lato angelico che Mihael tanto ammira. Inoltre, ve lo ricordo, io non sono mai asceso perciò nemmeno mai cadrò”.

“Stai attento a come parli. Il cielo ha orecchie dove nemmeno immagini” lo zittì Lucifero “Magari non cadrai come me, ma è sempre meglio evitare di attirare su di sé le ire divine”.

“Io sono un Dio. Le uniche ire divine che mi spaventano sono quelle che posso scatenare io quando perdo il controllo. E basta. Per quanto riguarda il resto..Keros appartiene a me, per sua scelta. Ed io appartengo a lui, con questo morso, anche se lui non si sente degno di questo. Perciò nessuno potrà portarlo via da me e da questa casa fino a quando non sarà lui stesso a volerlo. Spero che questo sia chiaro”.

“Ary..non devi parlare con me!” lo fissò Lucifero “Ma con chi mi ha dannato. Spero che a Mihael non venga dato l’ordine di eliminarti, Keros. Mi dispiacerebbe. E speriamo che gli angeli non ficchino troppo il naso. Mi spiacerebbe aver coperto tuo padre per più di 1300 anni inutilmente!”.

“A questo proposito..” azzardò Keros “..non si potrebbe sapere qualcosa di più? Ormai sono cresciuto a sufficienza da accettare la realtà, qualunque essa sia. Almeno i nomi dei miei genitori..e chi dei due era l’angelo e chi il demone!”.

“Ho come il presentimento che presto lo verrai a sapere, e solitamente i miei presentimenti non sbagliano mai..”.

 

“Vi aiuto?” domandò Neith, avvicinandosi a Kiki e Mur.

“Ti ringrazio, ma abbiamo finito” rispose Mur, accarezzandole la testa.

“Peccato. Volevo giocare con l’armatura scintillante!”.

“La prossima volta ti avvisiamo, così ci aiuti”.

“Bello! Grazie!”.

Kiki sorrise. La bimba si era messa a giocare con uno degli elmi d’oro. Il Sacerdote rimase ad osservarla. Percepiva in lei un singolare potere, probabilmente derivato dai suoi geni divini. La piccola mimò dei movimenti di lotta, appresi osservando il padre Ares ed i fratelli. Con l’elmo dello Scorpione in testa era quasi ridicola ed inciampò sulla coda, finendo in terra e ridendo.

“Ti sei fatta male?” si preoccupò Mur.

“Ma no, certo che no!” ghignò lei “Sono figlia di Ares, mica una principessina delle favole! E sono qui per dire al mio fratellone Arikien che deve muoversi! Che cosa sta aspettando? Rivoglio il mio papà!”.

“Tuo fratello sta facendo del suo meglio. Ma è stato ferito e..”.

“E non è una scusa! Muoversi! Bisogna muoversi!”.

 

Il Dio delle illusioni, una volta ottenuto l’elmo di suo padre dalla Dea Afrodite, aveva richiesto il consiglio di Apollo. Attendeva che comparisse, seduto accanto al camino in una posa molto simile a quella che solitamente aveva Shaka, nel vano tentativo di trovare una certa pace interiore. Alle sue spalle, Keros ne stava sistemando i capelli. Aphrodite, Deathmask e Shura erano a loro volta in quella stanza, desiderosi di capire che cosa il loro antico Sacerdote avesse intenzione di fare. Il grosso pennacchio dell’elmo del Dio della guerra si riempiva di sfumature inquietanti, illuminato dal fuoco. Arles lo aveva poggiato in terra e lo fissava. Pesci si era seduto accanto a Keros, osservandone i rapidi movimenti delle mani. Con maestria, il mezzo demone stava intrecciando e pettinando i lunghissimi capelli neri del padrone di casa, riempiendoli di catene e punti luce in oro, ricreando una pettinatura molto simile a quella di una divinità indiana.

“Mi insegni?” domandò Aphrodite.

“Non è difficile. Fai come me” sorrise Keros “Prendi un ciuffo”.

Arles girò solo gli occhi, lievemente preoccupato. Poi tornò a fissare l’elmo, perplesso. Pesci seguì i movimenti di Keros, che intrecciava un ciuffo e ne infilava delle perle. In quel momento, Deathmask e Shura ringraziarono il cielo di avere i capelli corti.

 “Ma che belle signorine” ridacchiò Hades, entrando nella stanzia buia “Vi fate i capelli e le unghie stile pigiama party da liceali cretine?”.

“Almeno io non mi pettino con i petardi..” commentò Keros, restando stranamente calmo e continuando ad intrecciare capelli e perle oro.

“Come hai detto, scusa?!”.

“Hai sentito benissimo!”.

“Che bravo cagnolino che hai, Arikien” ghignò Hades, tastando un paio di volte la testa del mezzo demone come se fosse un animale.

Il padrone di casa fece per rispondere ma dovette fermarsi, perché Keros si era infuriato e questo lo aveva portato a tirare i capelli neri del suo signore in modo incontrollato, ringhiando. In mezzo ad uno scambio di insulti fra Hades ed il mezzo demone, Arles tentava invano di farsi rilasciare i ciuffi stretti fra le mani di Keros.

“Basta!” esclamò poi, tenendosi il capo “Ho già un mal di testa assurdo da giorni, senza che vi ci mettiate anche voialtri! Hades: fatti i cazzi tuoi! Io faccio quel che voglio con il mio demone a casa mia. Se ne vuoi uno tutto per te, vattelo a cercare! E Keros..apprezzo il tuo lato demoniaco ma magari vedi di sfoggiarlo non quando hai i miei capelli fra le mani, grazie”.

“Ops..Scusi..” mormorò piano Keros, resosi conto di quel che stava combinando e rilasciando subito la capigliatura del suo signore.

Per fortuna aveva fatto il suo ingresso il Dio Apollo, che non volle commentare la scena che aveva appena visto. In silenzio, si inginocchiò davanti all’elmo, di fronte ad Arles.

“Come credi che io ti possa aiutare, Arikien delle illusioni?” chiese poi.

“Il tuo potere è anche quello della preveggenza” rispose il padrone di casa “Scorgo qualcosa su quest’elmo, ma non riesco a capire che cosa. Il mio servo mi ha confessato di aver percepito una presenza, prendendolo fra le mani, ma di non essere in grado di identificarla”.

“Il tuo servo ha le visioni?”.

“A volte”.

“Che creatura piena di sorprese.. e che altro sai fare, Keros?”.

“Io vedo le cose nel fuoco” informò il mezzo demone, sempre alle prese con i capelli del suo padrone “Ma il mio signore non vuole che lo faccia adesso, perché dice che potrebbe essere pericoloso”.

“Ha ragione” annuì Apollo “La tua ferita è recente e sei ancora debole. Rischi di farti del male. Inoltre, ora ci sono io e vediamo che cosa quest’elmo mi saprà dire”.

Il Dio allungò le mani verso l’elmo del fratello minore e nella sala scese il silenzio. Erano tutti incuriositi e fissavano Apollo, che aveva chiuso gli occhi.

“Che strano..” mormorò poi “..percepisco Ares. Eppure..”.

“Anche io lo percepisco. Ma c’è qualcos’altro, che non riesco a capire” confermò Arles.

“Esattamente. Metti anche tu le mani sull’elmo assieme alle mie, cerca di vedere quel che vedo io. Sei il Dio delle illusioni..quel che vedo è realtà o finzione? È accaduto realmente, oppure è tutto un inganno?”.

Il padrone di casa seguì gli ordini di Apollo. Le immagini che vide erano piuttosto nitide, all’inizio. Il tempio del padre era sotto attacco ed Ares aveva deciso di indossare l’armatura. Sentì la voce del genitore impartire chiari ordini a Phobos e Deimos, che vide scattare, pronti all’azione. Vide la sorella Nadijeshda spalancare le ali, con accanto il figlio avuto da Phobos. Mirina, regina delle amazzoni, compagnia di Milo, era salita a cavallo. Poi tutto si faceva più confuso. Ombre, grida, sangue..e quel rumore! Quello strisciare, quel sibilo..

“Nipote..io mi sforzo di credere che non sia stato Ares a commettere certi atti all’arena. Però..non riesco a percepire un’altra entità chiaramente. Sento la sua mente distante ma..potrebbe essere il frutto di qualche atteggiamento non appropriato. Come l’alcol o la droga..”.

“Mio padre non era ubriaco, in arena! Lo hai visto anche tu! Era posseduto!”.

“Ma da chi? Non riesco a cogliere altre presenze. Quest’elmo, lo ha indossato solo tuo padre”.

“E quelle altre scene? Quel che è successo al suo tempio?”.

“Questo non te lo so spiegare. Ma so che, nel caso Ares dovesse ricomparire, lo dovremo combattere. Mi spiace, ma è così. Per quel che ha fatto, è da considerarsi un nemico”.

“E i miei fratelli? Le mie sorelle? Apollo! C’è qualcosa che non va!”.

“Non lo so. Per ora..torniamo all’arena. Se davvero vi sono altri scopi dietro al comportamento di Ares, allora lo rivedremo. E tenteremo di capirci qualcosa di più. Di creature legate ai serpenti ce ne sono troppe. Io stesso lo sono. E non saprei indicarti chi possa essere quel coso che i cavalieri hanno visto nella foresta”.

“Era davvero un coso strano” si intromise Aphrodite “Però ha detto che ci rivedremo. E non parlava al singolare. Io credo che vi siano molti misteri in questa faccenda..”.

“Che dobbiamo scoprire, prima di ricominciare il torneo!” esclamò Shura “Volete mettere in pericolo altra gente?! Ares impazzito potrebbe attaccare di nuovo e con maggiore furia!”.

“Questa volta, non ci faremo cogliere di sorpresa” lo rassicurò Apollo “Ed agiremo tutti insieme”.

“Certo..come no..” mormorò Keros, senza smettere di sistemare i capelli del suo signore.

“Percepisco il sarcasmo, Keros. Hai qualcosa da dirmi?” gli parlò Apollo, accigliandosi leggermente.

“Agirete tutti insieme? Che battuta. Davvero divertente. Siete incapaci di farlo. Siete rimasti con le mani in mano, mentre il divino Arikien veniva colpito. Potevate muovervi prima, fermando il loro scontro!”.

“Divino Arikien. Suona quasi tenero..ad ogni modo..sono talmente abituato alle risse fra Ares ed il resto del mondo, che interromperlo pare superfluo. Non ascolta mai e, in molti casi, si lamenta per l’interruzione”.

“Questa volta era diverso! Questa volta, Ares ha messo in pericolo tutti quanti. So che voi, grandi divinità, ve ne sbattete altamente dei mortali, ma..”.

“Finitela di discutere!” tuonò Hades “Queste sono tutte perdite di tempo! L’arena ci attende. Se Ares dovesse comparire, sarà mia speciale premura prenderlo per il collo e farmi dire tutta la verità”.

“Bella idea” ghignò Deathmask “Ti aiuterò volentieri”.

Dopo poche altre frasi, gli Dei avevano deciso che cosa fare. Hades e Apollo si congedarono, ripetendo l’intenzione di presentarsi in arena.

“Che cosa pensi, realmente?” domandò Deathmask, non appena i due Dei se ne furono andati.

“Realmente?” rispose Arles “Non mi fido. Non mi fido di nessuno di loro. Però non vedo alternative. Non vi sono indizi a sufficienza per capire dove trovare mio padre o i miei fratelli. L’unico modo è tornare in arena e cercare di cogliere altri indizi. Non trovo altre soluzioni”.

“Lasciate che io usi quell’elmo ed il mio potere sul fuoco” si propose Keros “Forse potrei vedere. Potrei capire se..”.

“Non osare!”il Dio si voltò di scatto, fissando con rabbia il mezzo demone “Non osare compiere un tale gesto, dopo che io l’ho vietato. Metteresti in pericolo la tua vita e quella di altri, se non dovessi riuscire a controllare le fiamme a causa della tua debolezza. E non riesco proprio a comprendere perché tu sia così testardo da non farti curare da Apollo. I suoi poteri di guarigione sono superiori ai miei! Poi staresti subito meglio!”.

“Non voglio che lui mi si avvicini. Preferisco lo facciate voi”.

“Ma che differenza fa?! Devi vederlo come un medico, che può farti stare meglio”.

“Io non credo in Apollo. Non è il mio Dio. Voi sì!”.

“Ma io non posso aiutarti!”.

“Fate già troppo per me. E poi..sto bene! Mi avete curato. Sono solo stanco!”.

“Testone che non sei altro..”.

 

Il clima all’anfiteatro era teso, vi era molto più silenzio del solito. Molti erano stupiti nel vedere Arikien e Keros in piedi e, apparentemente, in ottima forma. Il Dio delle illusioni aveva assicurato di essere perfettamente in grado di combattere ed era tornato a sedersi sul trono del padre, nonostante la cosa non gli piacesse. Guardandosi attorno, vedeva molti feriti ed i danni all’arena erano visibili, nonostante le riparazioni fatte in tempi rapidissimi. Senza troppi convenevoli o discorsi, Apollo diede il via all’incontro successivo. Da un lato vi era Efesto, Dio fabbro, legato ai vulcani, e dall’altro Ecate, la misteriosa Dea avvolta dalla nebbia. Il Dio era serio, fiero, e lanciò una rapida occhiata alla tribuna divina. Aveva imparato a farsi rispettare fra gli Dei ed era abituato ai loro commenti poco gentili sul suo modo di essere. Ed ovviamente era pronto a dimostrare il suo valore. La Dea sorrideva, forse divertita dalla situazione. Affrontare uno zoppo non era poi così difficile..

 

Si ricomincia con le botte! A presto! Accorta giusto in tempo che tutto questo si svolge nel futuro, ergo Keros ha più di 1300 anni!!E qualcuno lo nota che sono pazza e faccio tutti i capitoli che iniziano per i?

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XII- Incendio ***


 

XII

INCENDIO

 

L’anfiteatro fu avvolto dalla nebbia. Ecate, Dea con il dono della profezia, aveva avvolto i presenti. Così facendo, a pochi era possibile scorgere quel che accadeva fra lei ed Efesto. Il Dio, per nulla intimorito da quegli effetti speciali, bruciò il suo cosmo e la temperatura all’arena salì. Grazie alla sua natura legata ai vulcani, Efesto stava aumentando di parecchi gradi l’aria circostante. Keros sorrise compiaciuto, felice del “bel calduccio” provocato. Di tutt’altro avviso erano la maggior parte delle persone che assistevano allo scontro. L’umidità provocata dalla nebbia di Ecate amplificava il calore provato, che per alcuni iniziò a divenire insopportabile. Per tentare di vedere qualcosa, e sperando di trovare un posto meno afoso, più di qualche spettatore si mosse verso le scalinate più alte.

“Come pensi di battermi?” domandò Ecate “Ho il dono della profezia”.

“Se è così..” si limitò a rispondere il Dio “..dovresti saperlo quel che ho in mente”.

 

“Non riesco a vedere un tubo!” protestò la Dea Afrodite “Voglio capire che cosa combina mio marito!”.

“Sì, è vero!” si unì Hermes “Vogliamo vedere! Volete che spazzi via la nebbia?”.

“Non interferire” lo fermò Apollo “Quella è la tecnica di Ecate!”.

“Sì..ma..”.

“Cerca di percepire quel che sta accadendo. Le variazioni nel cosmo dei due sfidanti”.

“Ma per chi mi hai preso?! E poi fa troppo caldo qui!”.

Hermes storse il naso e, usando i sandali alati, si sollevò in aria, in cerca di un po’ di fresco.

 

“Questa umidità mi gonfia tutti i capelli” sbuffò Aphrodite.

I gold tentavano di scorgere quanto accadeva all’arena e protestavano perché incapaci di farlo. L’unico che rimaneva pressoché impassibile era Shaka, che come sempre non si capiva se stesse dormendo o meditando. La nebbia confondeva i sensi e copriva i rumori. I mortali, e buona parte degli Dei, non riuscivano ad udire i dialoghi ed i suoni provenienti dalla battaglia in corso. Riuscivano solo a provare sempre più caldo..

“Papà” chiamò Sadalta, figlio di Camus “Qui è insopportabile. Non si vede niente. Visto che non serviamo, io e Sargas possiamo allontanarci dall’arena per allenarci?”.

“Se il padre di Sargas è d’accordo..” rispose Acquario, guardando Milo.

“Fate pure ragazzi” alzò le spalle lo Scorpione “Divertitevi”.

Vedendoli allontanare, i due genitori si fissarono, con un sorriso.

“Non ti ricordano i vecchi tempi, Camus?” ghignò Milo “Quando io e te ci allenavamo al Tempio?”.

“Direi che è inevitabile. Largo alle nuove generazioni, no?”.

“Già..così magari la smettiamo di venir sempre tirati in ballo noialtri!”.

Rose e Shasir seguirono l’esempio dei loro coetanei e si allontanarono a loro volta dall’arena. Il loro sguardo però non era quello di chi non vedeva l’ora di allenarsi, ma fremeva all’idea di fare ben altro! Pesci lo colse al volo ed arrossì leggermente: sua figlia era proprio diventata grande!

“Questo è l’ultimo scontro, giusto?” chiese conferma Mur “Dopo di questo, Apollo dovrebbe rivelare i prossimi incontri, includendo anche Arles”.

“Già” annuì Kiki “Chissà contro chi..ho paura che Apollo non sarà molto clemente”.

“Non decide lui. Gli scontri sono decisi dal fato. Sono casuali”.

“Vedremo..”.

 

Ecate riusciva a prevedere ogni mossa di Efesto. Il Dio iniziava ad infastidirsi. Quella nebbia gli impediva di vedere bene la sua avversaria. Invocò il calore bruciante del suo cosmo, che iniziò ad ardere come la lava di un vulcano. A contatto con la nebbia, si alzava un forte fumo. Ora, ne era sicuro, anche lei aveva difficoltà a scorgere dove si trovasse il suo sfidante.

“Non mi ingannerai!” sibilò Ecate “Io vedo ogni cosa!”.

Socchiudendo gli occhi, la Dea vide chiaramente le prossime mosse del Dio e lo precedette, riuscendo a colpirlo e spedirlo in terra. Questo mise in difficoltà Efesto che, zoppo, iniziava a sentir cedere il marchingegno che ne reggeva la gamba.

“Stronza..” mormorò, arrancando e spostandosi giusto in tempo per non venir colpito di nuovo.

 

 

Le orecchie a punta di Keros riuscivano a cogliere alcune cose. Sentiva Efesto ed Ecate insultarsi e scontrarsi, anche se non capiva del tutto quel che succedeva. Davanti a sé, vedeva solo nebbia. Chissà se il suo signore era in grado di vedere qualcosa di più..

“Scusami..” si sentì dire il mezzo demone.

Voltandosi, vide che al suo fianco vi era Mihael. Sobbalzò, ricordando quanto detto da Lucifero: gli angeli avrebbero potuto cercarlo..

“Calmo” si affrettò a dire Mihael “Non ho ricevuto ordine di ucciderti o altro. Voglio solo parlare con te, figlio di Carmilla. Posso?”.

“Carmilla?”.

“Non era forse questo il nome di tua madre?”.

“Non lo so. Non mi è mai stato detto..”.

“Sono sicuro che si tratti di lei. Hai gli stessi capelli e lo stesso sguardo. Ero convinto che tu fossi un demone del tutto, visti i tuoi trascorsi, ma il potere che hai mi suggerisce qualcosa di diverso. Dico bene?”.

“Sono figlio di un angelo e di un demone. Ma Lucifero non vuole che ne parli..”.

“Lucifero oggi non c’è. Per questo sono qui. Vieni con me, questa nebbia mi scombina tutte le penne ed il caldo infernale non fa per me!”.

 

Una lingua di lava si allungò per l’arena, spaccandone la pietra. Le prime file furono costrette a spostarsi, per non venirne inghiottiti. I cavalieri si scostarono giusto in tempo. Il Dio e la Dea continuavano a colpirsi. La nebbia di Ecate provocava strane visioni e la mente di Efesto iniziava ad annebbiarsi. Allo stesso tempo però, il cosmo di Efesto era sempre più bollente e la Dea sapeva che le forze la stavano abbandonando. Udiva chiaramente, nonostante il fumo e la nebbia, il rumore prodotto dal marchingegno che Efesto portava alla gamba per poter camminare. Lo seguiva con la testa, rigirandosi. Socchiuse di nuovo gli occhi e vide il Dio muoversi verso di lei, con l’intento di colpirla ad un fianco. Soddisfatta da questa visione del futuro, Ecate si voltò di scatto. Si stupì nel vedere Efesto raggiungerla ma fermarsi, guardandola negli occhi.

“Che cosa stai combinando?” domandò lei.

Ne guardò la gamba. Non aveva nulla a sostenerlo, zoppicava. Ma allora quel rumore che aveva udito prima, che cos’era? Tentò di muoversi, invano. Si guardò le gambe e sussultò. La lava del Dio si era avvolta, strato su strato. Lei, ruotando su se stessa per seguire il rumore metallico, aveva contribuito a farsi circondare. Protetta dalla nebbia e confusa dal cosmo del Dio, non era stata in grado di percepirne il calore bruciante.

“Arrenditi” mormorò il Dio “Se non vuoi che la mia lava salga ancora”.

Efesto stava attento a non provocare danni irreparabili sul corpo della Dea, quindi controllava scrupolosamente la temperatura e lo spazio fra il corpo della donna e la struttura che il suo potere stava creando con la lava.

“Perché? Perché questo non lo avevo previsto?” si chiese lei.

“Perché eri distratta da uno dei miei aggeggi”.

La nebbia iniziò a dissolversi, segno che Ecate era stanca di quel gioco. Ora aveva anche le braccia bloccate e non le piaceva per niente. Così, comprese che il Dio aveva fatto muovere autonomamente il marchingegno che ne sorreggeva la gamba storpia e il rumore da esso prodotto avevano distratto la Dea.

“Solo tu potevi creare una tale..cosa!” si accigliò Ecate, poi sorridendo.

“Non è stato semplice. Il tuo potere è notevole. Mi hai mostrato cose assurde, con la tua nebbia”.

“Non so cosa tu ci abbia visto. Io induco alle visioni, ma non so in che modo prendano vita nel tuo cervello”.

“Non te le racconterò. Erano piuttosto perverse..”.

“Tua moglie?”.

“Sì, con mezzo universo..”.

“Non sono visioni. È la realtà!”.

“Non infierire!”.

Ecate sorrise ancora, mentre la lava si dissolveva. Con un piccolo inchino, la Dea riconobbe la vittoria di Efesto e gli altri Dei presenti lo applaudirono. Anche Afrodite, finalmente in grado di capire quanto successo, acclamò felice il marito. Arles si stupì, vedendo che dal lato opposto dell’arena mancava molta gente a lui nota. Keros dov’era?!

 

Mihael e Keros si era allontanati di poco dall’anfiteatro. Il mezzo demone era dubbioso e si guardò indietro un paio di volte. L’Arcangelo però lo rassicurò.

“Te lo ripeto: non ho ordini contro di te, ragazzo” lo calmò Mihael “Voglio solo capirci qualcosa di più”.

“Carmilla..così si chiamava mia madre? La conoscevi bene?”.

“Ho avuto spesso a che fare con lei. Era una tentatrice. Con il suo sguardo, induceva gli umani a compiere le peggior cose possibili. Spesso ho dovuto rispedirla nel regno di Lucifero per salvare anime facilmente plagiabili..”.

“Anch’io ho lo stesso potere..”.

“Lo so. Un paio di volte ho dovuto agire anche contro di te, ricordi? Mi è sempre parso ovvio che tu fossi il figlio di Carmilla, avuto con una delle tante creature che aveva tentato. Mai avrei immaginato che si fosse congiunta con gli angeli..”.

“Era un demone, quindi.. Perciò, devo dedurre, mio padre è un angelo”.

“Lo era, probabilmente”.

“Non è morto, lo sono certo. A volte sento la sua voce”.

“Ah sì? E che ti dice?”.

“Mi incoraggia. Mi consiglia. Ma non lo fa a comando..a volte succede”.

“E sei certo che sia tuo padre?”.

“No, ma chi altro dovrebbe essere?”.

“Non saprei. Però, se è ancora in vita, è sicuramente fra i demoni o fra gli umani. Gli angeli non possono congiungersi carnalmente con qualcuno, meno che mai con un demone, sono le regole. Quindi sarà di certo caduto, avrà perso le ali”.

“E non si può sapere chi sia?”.

“Posso provare a fare qualche indagine. Dimmi di più su di te”.

Keros notava lo sguardo preoccupato di Mihael, che era sfuggente e mai fermo. Probabilmente temeva rimproveri per aver parlato con il mezzosangue.

“Come posso aiutarti? Che cosa vorresti sapere?”.

“Ho visto il tuo incantesimo di protezione. Quello solo gli angeli lo sanno fare, nessun demone ne è in grado. Purtroppo, sono molti gli angeli che possiedono tale potere. Che altre capacità hai? Il fuoco non ti brucia ma quella, probabilmente, è eredità demoniaca . Hai le ali?”.

“Avrei dovuto averle, mi hanno detto. Però sono bruciate alla mia nascita”.

“Carmilla non aveva le ali. Peccato tu le abbia perse. Ma forse il loro dissolversi ti ha salvato la vita. I tuoi capelli, il tuo sguardo, le tue orecchie..tutto di te lascia intendere che tu sia un demone. Quindi, nel regno di Lucifero, potevi vivere relativamente in pace. Con le ali angeliche, non avresti avuto la stessa sorte. Probabilmente saresti stato ucciso da neonato”.

“Ma non esiste una specie di registro, dove sono riportati i nomi dei caduti? Io sono nato a Costantinopoli nel 718. Probabilmente sono stato concepito nella stessa città e quindi mio padre sarà caduto da quelle parti, no? Sono tanti gli angeli che cadono?”.

“Non tanti, in effetti. Però io, come guerriero, non ho grandi contatti con gli angeli che non rientrano nelle milizie. Fra loro, so per certo che nessuno è caduto a Costantinopoli durante l’assedio e nel periodo successivo. È un pezzo che non perdo dei compagni. E non posso personalmente accedere a certi documenti. Sono solo un Arcangelo!”.

“E non sai chi ci fosse di angelico da quelle parti in quel periodo?”.

“La mia memoria non può essere perfetta, dopo più di 1300 anni! Ricordo che era in corso uno degli assedi a Costantinopoli, città importante per la cristianità, ed al tempo tentavano di impossessarsene in molti. Demoni ed Angeli erano divisi fra le due fazioni e si scontravano. In mezzo a tutto quel caos e quegli scontri..però posso provare a chiedere in giro. Noi angeli dobbiamo sempre stare attenti a non fare troppe domande, se non ci viene dato il permesso di farlo, ma penso di poter azzardarmi a pretendere qualche favore. Non credo ci sia qualcosa di male nel chiedere chi è caduto dei nostri in quel periodo”.

“E se non fosse caduto? Se fosse ancora un angelo?”.

“Non penso sia possibile. Un angelo che commette un simile peccato deve essere stato punito. Con la caduta o con la morte”.

“Ma fare sesso per un angelo è così grave?!”.

“E me lo chiedi anche?! Comunque sto pensando..non hai tratti fisici che riesco a collegare ad un angelo. Carmilla aveva i capelli lisci, ed i tuoi non lo sono, ma nessun angelo ha i capelli lisci! Il tuo potere di protezione lo hanno in molti fra noi in cielo, anche se per ognuno è leggermente diverso. Ma le differenze sono troppo misere fra un angelo ed un altro per poter capire. Il legame con il fuoco anche è ambiguo. Carmilla non ricordo fosse in grado di controllare le fiamme..”.

“Cercherò di scoprirlo. Ora che so il suo nome, potrò sapere altre cose su di lei!”.

“Sicuramente..”.

“Ma perché importa agli angeli? Sono una specie di bestia strana da eliminare?”.

“Hai usato il tuo potere per proteggere, e non solo te stesso. Perciò non ne vedo la ragione. Quel che cerco di capire è riuscire a comprendere se posso inserirti nelle schiere che mi appartengono oppure se sei un demone anche nell’animo. E, più in generale, non ho mai conosciuto una creatura come te. In tutta la mia vita, non ricordo un altro figlio di angelo e demone..”.

“Io non ho desiderio di appartenere al cielo o all’inferno. Io ho una casa ed un posto dove stare e non intendo cambiare questa cosa”.

“Capisco..”.

Dall’arena, si udì un applauso, segno che lo scontro fra Efesto ed Ecate era terminato.

“Devo andare” si apprestò a dire Keros.

Mihael annuì, seguendo con gli occhi il mezzo demone che si allontanava. Lo vide comparire di nuovo in arena e colse lo sguardo d’un tratto sollevato di Arles. Il Dio si era preoccupato, non vedendo il sanguemisto fra gli spettatori, ma ora sorrideva. L’angelo non capiva del tutto quel legame, lo trovava strano. Lui, con il suo Dio, non si comportava certo così..

 

Quella sera, al tempio del Dio delle illusioni, erano tutti piuttosto tranquilli. Nella grande sala con il camino, i gold si scambiavano opinioni e voci. Riferivano quanto avevano sentito dire da vari Dei e combattenti in arena riguardo ad Ares. A quanto pare, era opinione quasi unanime che il Dio della guerra, colto dall’ira, era giunto in arena ed aveva agito di conseguenza.  Solo la Dea della bellezza Afrodite non ne era convinta e pensava fosse successo qualcos’altro. Anche perché non riusciva a capire dove potessero essere Phobos, Deimos e gli altri a seguito di Ares! Tutti però erano convinti che non ci fosse altro modo per scoprire la verità se non attendere che comparisse di nuovo all’anfiteatro. In quel caso, avrebbero agito tutti per bloccarlo e capire.

“Che fastidio” sibilò Milo “Mi sento così inutile..”.

“Devi pazientare” lo rassicurò Camus “Tutte le divinità sono all’erta. E sono certo che presto sapremo qualche cosa di più”.

“Odio la tua calma!”.

“Lo so. Lo hai sempre fatto”.

“E se fosse tutta opera di Apollo?” azzardò Aiolia “Mi pare sia legato ai serpenti pure lui. E se fosse solo una trappola per tenere lontano Ares? Forse ha escogitato tutto questo ma, pochi giorni fa, Ares è riuscito momentaneamente a fuggire e fare quel che ha fatto, accecato dall’ira”.

“Teoria interessante” annuì Mur “O forse è, come ha ipotizzato Saga, un attacco combinato di più divinità. Per non permettere ad Ares di partecipare al torneo. Credo sia l’ipotesi più probabile”.

“E se fosse un’altra cosa ancora?” ipotizzò invece Aphrodite “Perché deve essere per forza un greco? Noi abbiamo avuto nemici ovunque..”.

“Sì ma Ares è scomparso proprio all’inizio del torneo! Non può essere una coincidenza” ribatté Mur e  Shaka stranamente annuì.

“Ma non ha senso!” li zittì Shura “Se vuoi impedire che Ares partecipi ed eventualmente vinca, fai sparire l’intera sua famiglia. Non lasci la possibilità di combattere ad uno dei suoi figli guerrieri. Due, se contiamo Kanon. Volendo, Arles potrebbe partecipare e decretare suo padre come re dell’Olimpo, in caso di vittoria”.

“E se fosse qualcuno che non era a conoscenza di Saga? Una divinità che conosce solo il tempio del Dio della guerra e che perciò ha attaccato quel luogo, convinta che tutti i guerrieri risiedessero lì?” propose Aiolos.

“Idea più che buona, fratello. Hai in mente qualche divinità?” domandò Aiolia.

“Non saprei. Una che non rientra nell’elenco degli Olimpici. Avete notato quando Saga si è presentato in arena? Molti lo vedevano per la prima volta”.

“Hai ragione!”.

“Quindi non ci dobbiamo concentrare non sugli Dei principali, che conoscono Arles, ma quelle minori, che sono apparse di nuovo da queste parti solo per il torneo. Fra di loro, se ne celano di molto potenti”.

“Grandioso!” si lagnò Deathmask “Ma sai quante sono?! Solo ad elencarle ci vorrebbero giorni!”.

“Non tutte sono legate ai serpenti..spero!”.

“Keros, tu che dici?” parlò, inaspettatamente, Shaka.

“Io?” si stupì il mezzo demone, che stava steso davanti al fuoco, leggendo un grosso libro dall’aria molto antica.

“Sì, tu. Avrai una tua opinione, immagino. E siamo curiosi di sentirla”.

“Beh..l’idea del Sagittario mi pare molto plausibile. Non credo all’idea di Apollo traditore, pare confuso tanto quanto noi. Però, come ha detto Cancer, le divinità minori sono tantissime ed i serpenti sono un simbolo molto usato. Anche la vostra Atena è legata ad essi, per fare un esempio”.

“Ed una divinità grossa, fumosa e serpentosa?” domandò Aphrodite “Esiste?”.

“Esiste la parola serpentosa?! Ad ogni modo..ce ne sono parecchie. Non so se fumose..potreste provare a fare una ricerca fra i vari libri del mio signore”.

“Ho già provato” rispose Camus “Ma sono talmente tanti gli Dei! Fin ora non ho trovato riscontri perfetti. E poi il tutto potrebbe essere un’illusione”.

“Già. Magari i serpenti sono solo fumo negli occhi” incrociò le braccia Milo “E intanto mia moglie è là fuori, non so dove..”.

“La troveremo. Troveremo tutti, scopriremo la verità e sul trono dell’Olimpo salirà un Dio buono e giusto” lo rassicurò Aldebaran, con incrollabile ottimismo.

 

“Siete ancora svegli?” si stupì il Dio delle illusioni, entrando nella stanza.

Era appena uscito da una delle grandi vasche di casa. Teneva i capelli avvolti in parte in un telo e si accucciò accanto al fuoco, per asciugarsi. Non era molto vestito. Aphrodite, che a sua volta aveva provato una di quelle vasche, sorrise rilassato. Il grande orologio a pendolo della stanza informò i presenti che era ora di ritirarsi.

“Non sarebbe ora di dormire, per voialtri?” continuò Arles “Io, come divinità, dormo poco ma..”.

“Stavamo discutendo su alcune cose. In effetti è tardi” gli diede ragione Aiolos.

“Keros! Vale anche per te!”.

Il mezzo demone alzò solo in quel momento gli occhi dal libro e subito ruotò di nuovo lo sguardo, concentrandosi sui fogli.

“Che cosa leggi?” si incuriosì il Dio, inclinandosi leggermente all’indietro “Un libro sui demoni?”.

“Cerco informazioni su mia madre. Ho scoperto che si chiama Carmilla”.

“Ed era lei il demone? Quindi tuo padre era l’angelo? Perfetto, che bella notizia! E trovi quel che cerchi?”.

“Sì..però voi vestitevi, per favore. Ci sono ospiti e sento di non poter rispondere del tutto delle mie azioni se quel poco che avete addosso si sposta ancora un po’..”.

“Oh, Keros! Andiamo!”.

“Sono un demone!”.

“Ok, ok..va bene! Caspita..ultimamente vi fatte tutti cogliere da strane tempeste ormonali stile ragazzine adolescenti!”.

“Ma che state dicendo?! Io non sono..”.

“Tranquillo. Vado a mettere a letto i ragazzi..”.

I gold stavano lasciando la stanza, dirigendosi verso le camere. Arles si alzò, coprendosi di più con l’enorme asciugamano che aveva in testa per i capelli.

“Faresti bene ad andare a dormire anche tu, Keros” parlò il padrone di casa “Non fare troppo tardi”.

“Sì, finisco questo capitolo e poi vado a letto”.

“Bene. Buonanotte. A domani”.

Il mezzo demone salutò con un gesto del capo, concentrato sulla lettura. Arles uscì dalla stanza e si incamminò lungo il corridoio.

“Luci spente!” gridò rivolto ai suoi figli “Ora di dormire!”.

Alcuni obbedirono immediatamente, altri protestarono e continuarono a giocare.

“A letto! Spegni la luce e dormi, Iravat!”.

Il ragazzo sbuffò e il padre ripeté l’ordine, sentendosi rispondere con un “Sì, ho capito! Che palle!”.

Le gemelle saltavano sul letto e si lanciavano giocattoli. Roslan correva in giro ma il padre lo recuperò al volo, infilandolo sotto le coperte.

“Voglio sentire silenzio!” parlò ancora il Dio “O volano sculacciate, intesi?”.

I più piccoli fecero silenzio immediatamente. Sophia ridacchiò. Iravat ed Iravan sbuffarono di nuovo.

“Silenzio..” mormorò Arles, uscendo sul terrazzino che dava sulla mare.

Da lì, poco distante, riusciva a vedere il mare ed udire il rumore delle onde. Si voltò, percependo un lieve fruscio, e sorrise nel vedere Eleonore.

“Pensavo dormissi” le parlò piano, per non svegliare nessuno.

“Non ho molto sonno..” ammise lei.

“Brutti pensieri?”.

“Non direi..dai, vieni dentro. Fuori fa freddo e tu sei mezzo svestito!”.

“Non ho mica freddo!”.

“Ma io sì..so che hai tante cose da sistemare ed a cui pensare però..avresti un po’ di tempo per me, marito mio?”.

“Io ho sempre tempo per te, mia cara”.

“I bambini dormono?”.

“Lo spero..”.

I due si unirono in un lungo bacio, stringendosi a vicenda.

“Se vuoi..” mormorò lei poi, sorridendo “..possiamo invitare anche Keros..”.

“Ma..che dici?!”.

“Se io dovessi baciarlo..tu che diresti?”.

“Se lui è d’accordo, fate quello che volete”.

“Sei serio?!”.

“Perché no?! Potete fare anche altro..purché non mi lasciate in un angolino, brutti cattivi!”.

Arles rise ed Eleonore fece altrettanto.

“Mi ami, Ary? Mi ami, vero?”.

“Ma certo, Eleonore. Perdonami se ultimamente sono così distante da te. Ma questo torneo..la faccenda di mio padre..”.

“Rilassati. Lo capisco. Ora però dimenticati di tutto, per un po’. Ci riesci?”.

“Se sei tu a chiedermelo, certo”.

 

Keros rimase steso davanti al fuoco, sfogliando il grosse volume sui demoni. Con le sensibili orecchie a punta, udiva i gold che sistemavano le loro armature, le gemelle che ancora saltavano sul letto, i gemelli che giocavano con qualche strano affare elettronico ed i molti altri suoni prodotti dagli abitanti della casa. Attendeva il silenzio assoluto. Percepiva i gemiti ed i sospiri del suo signore ed Eleonore, uniti insieme nell’atto d’amore. Per quanto si sforzassero di non fare rumore, Keros li udiva ma sapeva di essere l’unico. Un po’ si vergognò e tentò di concentrare il suo interesse su altre cose. Aveva iniziato un altro capitolo, incapace di smettere. Leggeva fatti riguardanti sua madre, i suoi trascorsi nel mondo umano e demoniaco. A quanto scritto, era una creatura bellissima e dalle notevoli capacità. A volte descritta come un vampiro, le sue doti di tentatrice erano impareggiabili. Però da nessuna parte vi erano accenni a sue frequentazioni angeliche o indizi che lasciassero intendere che si fosse creato un legame fra lei ed un abitante del cielo. Keros pensò che forse l’angelo era caduto vittima delle doti da tentatrice di Carmilla ma nemmeno di questo vi era traccia alcuna fra i libri che aveva letto. Sospirò. Forse doveva seguire l’esempio del suo signore e dormire. Illuminato solo da un paio di candele e dalle fiamme del camino, iniziava a sentire la stanchezza. L’elmo di Ares, ancora nella stanza, pareva fissarlo. Era notte fonda ormai, finalmente le sue orecchie percepivano solo il respiro regolare di gente addormentata. Forse era ora di fare lo stesso! Chiuse di scatto il libro, dopo aver lasciato un foglietto come segno, e spense le candele con le dita. Si rigirò verso il camino, ancora stando stravaccato in terra: com’era bello guardare il fuoco!

 

Ho dovuto dividere a metà il capitolo!!! Questo ed il prossimo (che caricherò prossimamente) dovevano essere un capitolo unico ma ne usciva una papirata di circa 15 pagine quindi ho preferito dividere a metà. Curiosa di sapere se qualcuno ha già qualche idea su chi possa essere il padre di Keros.. Nel frattempo, vi comunico che fra un mesetto circa sarò da 1 anno su EFP e vorrei “festeggiare” dedicando un disegno a tutti i miei “fan”, probabilmente proprio su questa storia (l’Olympus Chapter 1,2,3. Perché è la più seguita, assieme a quella sui piccoli Saint “storie perdute”). Sono molto indecisa sul soggetto. Voi chi vorreste vedere ritratto? Attendo ispirazione! Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XIII- Introspezione ***


XIII

INTROSPEZIONE

 

L’intera casa fu svegliata da un grido. Era agghiacciante, misto fra paura e dolore. Subito il Dio delle illusioni capì da dove provenisse e da chi fosse prodotto e corse lungo il corridoio. Eleonore, svegliata di soprassalto fra le braccia del marito, lo aveva seguito. Spalancando la porta del grande salone con il camino, Arles aveva trovato il suo servo accucciato e raccolto su se stesso. Incuriositi e lievemente spaventati, in molti si erano svegliati e cercavano di capire cosa stesse succedendo.

“Cos’hai?” chiese il Dio, chinandosi su Keros “Stai male?”.

“Non andate al torneo domani” rispose il mezzosangue “Non andateci. Nessuno di voi ci deve andare”.

“Come?! Che stai dicendo?”.

“L’angelo. L’angelo dalle ali d’oro vi sta cercando”.

“Angelo?! Keros..ma cosa..?”.

“Ed i serpenti. Due serpenti si stringono insieme, avvinghiati. Vi cercano”.

“Hai bevuto?! Oppure..hai usato il tuo potere, anche se te lo avevo proibito?!”.

“Non l’ho fatto. Non andate al torneo”.

“Non lo hai fatto..però stai male ed hai visto delle cose. Perché mi stai mentendo?”.

“Non sto mentendo! Siete voi che non vi fidate! Ma dovete farlo, ve ne prego! Non andate al torneo, né voi né i cavalieri. Restate qui! Succederà qualcosa di terribile”.

“Che cosa?”.

“Non lo so, ma sarà terribile”.

“Oh, andiamo. Keros..non posso basare la mia vita su delle visioni!”.

“Non ho mai sbagliato!”.

“Va bene..ok..”.

“Non mi credete!”.

“Keros, io ti credo. Ma..”.

“Ma non siete disposto ad ascoltarmi. Questo perché il vostro sguardo è celato. L’occhio di Sophia, vostra madre, che possedeva la conoscenza assoluta, non lo ascoltate. Vi prego..fidatevi!”.

“Ti avevo dato un ordine! Guarda come sei ridotto! Cosa ti è successo?”.

“Non ho usato intenzionalmente il mio potere! È stato il fuoco che..”.

“Ah, sì. Certo. Il fuoco ha fatto tutto da solo!”.

Keros si alzò, accigliandosi. Con lo sguardo di un intenso color arancio, ringhiò leggermente.

“E adesso che hai?” sbottò Arles “Dovrei essere io arrabbiato con te, non viceversa!”.

“Non sopporto che mi si rivolga la parola in questo modo. Come fossi un povero idiota!”.

“Ed io non sopporto dare ordini che poi non vengono ascoltati. Guardati!”.

Il mezzo demone si portò una mano al fianco. La veste, dal lato sinistro, si era stracciata, come se i disegni sul braccio fossero divenuti incandescenti e l’avessero bruciata. Keros però non tentò di coprirli, non gli importava più. Fissò ancora il suo signore, che rispose con altrettanta rabbia nello sguardo.

“Io non ho disobbedito!” scandì ancora il mezzosangue.

“Smettila di mentirmi! Perché lo fai? Dimmi! Dimmi perché lo fai! Perché metti in pericolo la tua vita per seguire un tuo capriccio!”.

“Non si tratta di questo! Possibile che non capiate?”.

“E allora di cosa?!”.

“Non urlatemi contro, non lo tollero!”.

“Ah, non lo tolleri? Guarda che posso urlare molto più forte di così e, se continui a farmi girare i coglioni, lo farò! Siamo tutti in mezzo ai casini, siamo tutti preoccupati per le ragioni più disparate, abbiamo una marea di guai da risolvere e..e sto cercando di evitare che volutamente si creino problemi in più! Ho ordinato a tutti di mantenere un certo autocontrollo. Io stesso mi trattengo dall’idea di massacrare di botte chiunque all’arena finché non si svela la verità su mio padre, ma mi trattengo. Vi prego di non essere un peso ulteriore con altre preoccupazioni..ma qualcuno non comprende!”.

“Un peso?”.

“Io capisco che vi sia una lotta e si venga feriti. Non mi piace l’idea, ma posso capirla. Ma questo..questo non lo posso capire! Farsi del male per..delle visioni?! Perché? Keros, io la scoprirò la verità”.

“Non è stata una mia scelta!”.

“Mi stai dicendo che il fuoco si è messo a parlare da solo? Ciao, sono il fuoco! Avrei delle cose da dirti, ti dispiace? Andiamo!”.

“Bene..sai che c’è? Se non vuoi ascoltare, fa pure di testa tua. Va a quel torneo, andateci tutti. Io vi ho avvisato, ma siete tutti degli adulti perciò..liberi di agire come vi pare! Non mi interessa”.

“Non ti interessa?”.

“Abbassiamo i toni, per favore?” cercò di calmarli Eleonore “Tutto questo non ha senso!”.

“Perfino Lucifero dava ascolto alle mie visioni ma tu..tu no. E non solo. Mi consideri pure un bugiardo che deliberatamente non obbedisce ai tuoi ordini, dopo che per anni e anni ti ho servito fedelmente. Non ho parole..”.

“Io ne ho un paio. Com’è che sono anni che ti dico di darmi del tu e obbedisci solo ora, che ti girano le palle? Per caso non merito più il tuo rispetto, creatura dal sangue misto?”.

“Almeno io so a quali famiglie appartengo. Non sono un’incognita che ancora non sa bene dove collocarsi”.

Il Dio trattenne il fiato a sentire quell’ultima frase. Eleonore, intuendo al volo quel che poteva succedere, si affrettò a supplicare al marito di stare fermo e tacere, afferrandogli i polsi. Keros fulminò con lo sguardo un po’ tutti i presenti ed uscì dalla stanza.

 

Il mezzo demone era furioso ed aveva solo voglia di urlare. Non sopportava di passare per un bugiardo. E non sopportava che qualcuno sottovalutasse il suo potere! E poi..quel termine..quel “peso”.. La rabbia lo avvolse di nuovo ed uscì di casa. Nonostante fosse scalzo, camminò nella neve. Subito questa si sciolse, sopraffatta dal bruciante potere di Keros, che lanciò un grido di rabbia. Era più che intenzionato a lanciarne un altro ma una mano gli tappò la bocca. Udì una risata, divertita, e fu sollevato da terra. Finì sul tetto di casa e si voltò di scatto, appena la mano lo lasciò. Rimase qualche istante incapace di comprendere che cosa stesse accadendo. Seduto, a gambe incrociate, su un acroterio, vi era l’angelo dalle ali d’oro che aveva visto nel fuoco. Non sembrava pericoloso ma nemmeno molto rassicurante. Ad occhi chiusi, gli stava sorridendo e Keros non ne capiva la ragione.

“E così..” parlò la creatura, con una voce indefinita fra il maschile ed il femminile “..mi hai visto nel fuoco. Notevole”.

“Come lo sai?”.

“Ed hai anche resistito al baccello di controllo di mia madre. Il tuo padrone l’ha estratto dalla tua ferita e lo ha distrutto. Fantastico”.

“Come sai queste cose? Chi sei?”.

“Oh, io so molte cose. Più di quelle che immagini. Rilassati. Non intendo farti del male. E nemmeno fare del male al tuo signore”.

“E perché mai dovrei fidarmi?!”.

“Respira. Percepisco la tua rabbia. Non ti fa bene”.

“Fatti una marea di cazzi tuoi! Non ti conosco, non ti riguarda quel che provo io!”.

“Respira, Keros. Respira”.

“Sai il mio nome?”.

“So tutto quel che c’è da sapere. Respira”.

Keros alzò il dito medio e l’essere rise.

“Non sei come ti immaginavo..” riprese a parlare “..ma la vita è piacevolmente in grado di stupirmi ancora, nonostante i millenni passati. Non ho molto tempo, devo tornare a sorvegliare quel gran fastidio dalla bocca larga e dai modi discutibili di nome Ares”.

“Ares? Sai dov’è Ares? E la sua famiglia?”.

“Sì. E presto lo saprà anche il tuo signore, se tu non sarai così testardo da riuscire ad impedirglielo con le tue visioni!”.

“Lui non mi ascolta. Sono un peso..”.

“Pure tu non ascolti, se è per questo. Ma è normale. Arikien è un Dio estremamente giovane e zuccone e comprendo possa essere irritante. Ma il tuo compito è incanalare la sua irruenza. Però sei giovane pure tu..”.

“Giovane? Ho più di 1300 anni!”.

“Giovanissimo. Io alla tua età..non ricordo che facevo. Probabilmente fissavo mio figlio mentre iniziava a dar via ad una serie di processi che hanno, alla fine, portato a questo guazzabuglio divertente”.

“Di che parli?”.

“Tu sei un mezzo demone ed un mezzo angelo, non fai parte della mia visione del mondo. Ogni religione ha i suoi creatori, i suoi preservatori ed i suoi distruttori. Ogni religione ed ogni cultura ha un mito di creazione ed uno di distruzione. Il tuo è diverso dal mio, perciò non mi aspetto che tu mi conosca. Ma presto ti sarà tutto molto più chiaro. Devi solo lasciare che il tuo signore sia al torneo, domani. Deve esserci!”.

“E perché mi dovrei fidare? E poi..non sei un angelo?”.

“No. Il culto degli angeli è comparso su questa terra molto tempo dopo la mia nascita”.

“Quindi..chi diamine sei?”.

La creatura aprì tutti e quattro gli occhi e Keros inclinò la testa. In piedi sul tetto, rimase immobile a fissare quello strano essere, che ancora sedeva a gambe incrociate. Con un sorriso, l’angelo dalle ali d’oro si reggeva la testa con una mano e mostrò la punta della lingua.

“Che bestia strana sono, eh?” ridacchiò.

“No, non pensavo questo” si affrettò a dire Keros “Mi chiedevo..chi sei? Cosa sei?”.

“Io? Io sono tutto. Il tuo padrone mi sta cercando, e cerca mia madre. Lascia che ci trovi. Lascia che si rechi all’arena domani”.

“Ma..io ho visto cose terribili”.

“Potrebbero avverarsi. Oppure no. Dipende dal tuo signore e da un paio di altre variabili. Ma posso assicurarti che domani non morirà, se è questo il tuo timore”.

“Verrà ferito? Soffrirà?”.

“No. Ma avrà delle risposte. Se non ci sarà, si innesterà un processo che nessuno potrà più arrestare ed allora le visioni che hai avuto saranno solo un simpatico preludio”.

Keros rimase a fissare quella creatura. Quello sguardo, quei quattro occhi, non parevano mentire. Però non era del tutto convinto.

“Anche se fosse come dici..” si decise a rispondere “..lui non mi ascolta. È arrabbiato. Sono di troppo. Lui ama Eleonore ed io sono solo..un peso”.

“Quante cazzate, porco cane” sbottò la creatura, restando comunque calmo “Respira. E ascolta”.

“Cosa?”.

“Ascolta..”.

Keros si accigliò, senza capire. Poi udì la voce del suo signore e di Eleonore. Erano anche loro usciti all’aperto e dal tetto riusciva a scorgerli e sentirli. Non era sicuro di voler prendere parte all’ennesima conversazione zuccherosa ma subito si accorse che i due stavano litigando, e la cosa lo stupì. Non li aveva mai visti litigare ma, del resto, il suo signore non gli aveva nemmeno mai urlato contro..

“Ma che ti prende?!” domandava Eleonore, spalancando le braccia “Non ti riconosco!”.

“Sono stato anche troppo buono. Non hai sentito?”.

“Ho sentito benissimo. E non comprendo la tua ira per il suo gesto. Tu non avresti fatto forse lo stesso con me?”.

“Che cosa? Dirti che sei un’incognita? O confessarti che non mi interessa se ti capita qualcosa di male?”.

“Tu senti solo quello che vuoi sentire. Sei veramente uno stupido!”.

“Grazie, donna. Grazie davvero”.

“Oh, chiudi quella fottuta bocca! Ma ti senti quando parli?!”.

“Prego..?”.

“Io comprendo, credimi. Comprendo il nervosismo generale che serpeggia per casa. So che sei preoccupato per tuo padre, per i tuoi fratelli e..”.

“No, tu non hai capito”.

“Allora spiegami. Questo splendido caratterino da dove ti esce? Andropausa? Adolescenza tardiva?”.

“Ma..ma..Eleonore!”.

“Scherzo. Però spiegati”.

La donna incrociò le braccia ed attese che il marito ricominciasse a parlare.

“Spiegati!” lo incitò ancora, notando il suo silenzio.

“Eleonore..” sospirò lui “..sai bene che i nostri figli non sono stati addestrati alla battaglia. Non voglio vivano il mio stesso destino, il destino dei cavalieri. Pare che io, per quanto mi sforzi, rimanga sempre legato alle battaglie e la cosa posso accettarla, ma non voglio lo stesso per i miei figli. Keros è, come hai spesso detto anche tu, un cosiddetto dono del destino. Il suo potere è stato subito messo al servizio di questa casa! Il mio ed il suo potere, insieme, rendono inespugnabile questo luogo. Sicuro, per te e per i nostri figli. Però..pochi giorni fa abbiamo rischiato entrambi. Se fossimo morti tutti e due, questa casa sarebbe stata del tutto scoperta”.

“Mi credi incapace di combattere? Dimentichi forse che ero sacerdotessa di Artemide?”.

“Non lo dimentico. Ma non so che potresti fare contro certe creature”.

“E allora? Che cerchi di dire? Forse che Keros è a casa nostra solo ed esclusivamente per proteggerci?”.

“No, certo che no! Ma fin ora mi era parso tutto un po’ un gioco, capisci? Giravamo per il mondo, facevamo gli stupidi..forse convinti che nulla potesse realmente farci del male. Ma non è così. Quando l’ho stretto a me, nella neve, ho avuto davvero paura che fosse tardi. E quando ha agito in modo così sconsiderato solo per aiutarmi..”.

“Tu non faresti lo stesso per me? Amor mio..se tu fossi ferito, stanco o anche moribondo, ma con la possibilità di aiutarmi, non lo faresti? Se mi vedessi struggermi per un problema, non faresti di tutto per aiutarmi? Anche a costo della tua vita? Della tua salute? Non lo faresti? Non sei forse venuto a cercarmi fra le divinità Egiziane, ignorando qualsiasi buon senso?”.

“Lo sai che per te morirei. Mille e più volte morirei”.

“E perché?”.

“Perché ti amo, che domande! Perché sei tu la mia vita e, senza di te, la mia stessa esistenza non avrebbe senso”.

“E questo discorso non ti ricorda un po’ delle frasi che ti ha detto un certo mezzo demone dai capelli color ciliegia?”.

“Eleonore..”.

“Sei così..stupido. Non comprendi proprio i sentimenti altrui?”.

“Non comprendo nemmeno i miei, come vuoi che comprenda quelli degli altri?”.

“Keros farebbe qualsiasi cosa per te, e tu lo sai. Così come faresti qualsiasi cosa tu per me. Ed io per te”.

“Gli ho ordinato di non usare il suo potere perché sapevo che poteva farlo stare male. Ed io non voglio. Io non voglio che qualcuno soffra per causa mia, se non è un mio nemico. Perché in passato in molti hanno sofferto per causa mia..”.

“Purtroppo questo è inevitabile. Le persone amano, odiano, soffrono, gioiscono e tremano. Provano tante cose, emozioni più o meno forti. Non si può non provarle. Vorresti non provarle? Essere..magari perfetto ma..più simile ad una pietra che ad una creatura vivente?”.

“Perché me lo chiedi?”.

“Perché ultimamente è come se fuggissi dalla vita. Tenti di controllare ogni cosa. La tua rabbia, la tua paura..il tuo amore. Perché lo fai? Temi forse di ferire qualcuno?”.

“Non l’ho fatto proprio pochi istanti fa?”.

“Ary..”.

“Per quanto mi sforzi, le persone accanto a me soffrono”.

“Ma anche gioiscono e amano. Ridono, piangono, gridano, combattono..vivono! Vivono grazie a te, per te o assieme a te. Sei un grande guerriero, ma quando si tratta di rapporti interpersonali..sei proprio tanto, ma tanto, stupido!”.

“Lo so. È che io..sono tanto, tanto innamorato”.

“Oh, Ary..”.

Eleonore abbracciò il suo sposo, che la strinse a sé restando in silenzio qualche istante.

“..e non solo di te” aggiunse poi lui.

“Lo so” mormorò lei.

“E la cosa..ammetto che mi confonde. Vorrei tenervi tutti al sicuro, tutti accanto a me. Te, Keros, i nostri figli..tutti! Tutti al sicuro accanto a me. Ma quando non ci riesco..sono così frustrato!”.

“Non c’è niente da fare: hai la sindrome da Dio onnipotente!”.

“Un pochino..forse..”.

“E l’avevi anche quando non eri un Dio! Su..ora rientriamo. Ti è passata? O ti devo prendere a sberle?”.

“Le sberle me le merito. Un po’..”.

“Un po’ tanto! Fila in casa, subito”.

 

Lottando contro la curiosità, gli ospiti del Dio delle illusioni ed i suoi figli erano rientrati nelle loro camere, anche se restavano in attesa di udire rumori o voci. Anche Keros era rientrato ed Aphrodite non aveva resistito ed aveva tentato di parlargli, raccontando dei “bei tempi andati”, quando lui e Saga erano al Tempio insieme. Il mezzo demone accennò un sorriso e tornò davanti al camino. Lì lo trovò il padrone di casa. Steso di schiena, con una gamba sollevata, Keros leggeva. Arles notò come i capelli color ciliegia parevano splendere vicino al fuoco, come fossero essi stessi di fiamma. Fingendo di non aver sentito il suo signore, il mezzosangue non distolse lo sguardo dal grosso volume che teneva aperto. Lo leggeva, smangiucchiando biscotti. Il Dio sorrise a quella scena. Prese una delle mele che stavano sul tavolo, notando che qualcuno, molto probabilmente Milo, ne aveva mangiate una marea. Erano un dono di suo zio Lucifero e diede un bel morso.

“Dunque..” chiese poi “..tua madre ti somigliava?”.

“C’è scritto che era bellissima. Una tentatrice dai capelli come il fuoco e lo sguardo d’ambra”.

“Allora..ti somigliava molto”.

Keros si limitò ad addentare un altro biscotto.

“Spero che tu non abbia equivocato..” ricominciò il Dio “Ti credo. Solo che qualcosa mi dice che devo andare in quell’anfiteatro”.

“È fate bene”.

“Davvero?”.

“Sì..”.

“Scusami..”.

“Sono io nel torto. Il Dio siete voi..”.

“Ma questo che vuol dire?!”.

“Siete un Dio. Non siete un’incognita, come ho detto. Io..non capisco niente. E la mia natura demoniaca mi fa dire cose crudeli”.

“Ed io rispetto il potere che hai. Lo trovo fantastico, sentiti libero di usarlo come meglio credi. Mi rendo conto che, di certo, lo usi da parecchio e non devo essere io a dirti come agire”.

“Oh sì, invece! Voi siete un Dio, è giusto che lo facciate”.

“Sono un Dio? Non sono più il TUO Dio?”.

“Vorrei tanto che voi lo foste. Però..un peso come me..”.

“Un peso?”.

Arles sorrise, accucciandosi accanto a Keros e sollevandolo con estrema facilità. Il mezzo demone tentò d’istinto di ancorarsi al pavimento con gli artigli, come un gatto, ma finì fra le braccia del suo signore.

“Pesi come la bambola di mia figlia! Non sei un peso!”.

“Siate serio!”.

“Lo sono! Non sei un peso! Keros, tu un peso? Tutt’altro! Sei colui che mi ha sollevato da tante angosce che mi creavano gli incubi. E da molte altre cose!”.

Ora erano entrambi seduti davanti al fuoco. Arles era alle spalle di Keros e lo avvolse con le braccia e le gambe. Affondò il viso nei capelli rossi e sospirò.

“Domani devo andare all’arena” mormorò “Mi spiace. Non vederlo come un gesto di scarso rispetto o altro. È che..”.

“Dovete andarci” si affrettò a dire Keros “L’angelo dalle ali d’oro mi ha detto che ci dovete andare”.

“Ma quale angelo?”.

“L’angelo dalle ali d’oro. E dai quattro occhi”.

“Quattro occhi? E le ali d’oro? Phanes?”.

“Chi è Phanes?!”.

“Phanes è..il tutto. Ha generato il Caos da cui sono derivate tutte le divinità Greche”.

“Oh..allora sì, mi sa che era lui”.

“Però, da quel che ne so, non esce mai dalla sua grotta!”.

“Ha detto che domani, all’anfiteatro, molte delle vostre domande troveranno risposta”.

“Ah sì? Ottimo. Sarebbe ora. Ma tu..parli con le divinità ancestrali adesso? Che altro farai? Mi stupisci ogni giorno”.

“Sono una creatura piena di sorprese. Come un’enorme matriosca”.

“Enorme non direi. Quanto pesi? Trenta chili?”.

“Dicono che gli angeli siano tanto leggeri..avrò preso da quel lato della famiglia”.

“In questo caso..io ho preso tutto da papà”.

Ridendo, Arles si poggio sul mezzo demone che gemette un “ciccione”. Keros poi si scansò di lato, facendo finire il Dio in avanti, sul pavimento.

“Mi perdoni?” domandò poi il padrone di casa.

“Però..domani all’arena state attenti, tutti quanti. Non ho visto cose piacevoli..”.

“Staremo attenti. Vedrai, andrà tutto bene”.

Con una mano fra i capelli del mezzosangue, Arles lanciò una rapida occhiata a dove fosse finita la sua capigliatura, non volendo vederla andare a fuoco. Era pericolosamente vicina al camino. Keros intuì i pensieri del suo signore e si allungò in avanti, allontanando i capelli neri dal pericolo. Poi si sentì trascinare,  in un bacio. Questa volta non aveva intenzione di lamentarsi, fuggire o evitarlo. Era quello che aveva sempre voluto, fin dal primo istante in quella casa! Quelle visioni che aveva avuto lo spaventavano ma si sforzò di non pensarci, concentrandosi solamente su ciò che accadeva. Il suo signore lo amava, lo amava per davvero! E lui, piccolo mezzo demone, in quel momento di sentiva la creatura più felice del mondo!

 

Ok, giuro che ora la smetto XD il prossimo capitolo sarà un MACELLO. Sì, finalmente si capirà qualcosa di più su quanto sta accadendo in arena e fra gli Dei. Ares, Phanes ed altri “simpatici soggetti” vi attendono! E fra qualche capitolo capirete anche perché ho deciso di intrecciare la relazione fra Keros ed Arles (oltre che per far tacere quei simpaticoni che mi danno dell’omofoba perché non inserisco scenette yaoi)

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIV- Imperituro ***


XIV

IMPERITURO

 

“Keros..tu e papà avrete dei bambini?” domandò Azlan, pasticciando con latte e biscotti.

L’intera compagnia si era appena destata e stava facendo colazione. Il piccolo, con questa domanda, aveva rotto il silenzio assonnato che si era creato.

 “C..come?!” farfugliò Keros, convinto di non aver ben capito.

 “Una volta ho chiesto a mamma come nascono i bambini e lei mi ha detto che quando due persone si vogliono tanto ma tanto bene..poi i bambini arrivano! E visto che tu vuoi tanto ma tanto bene al mio papà, e gli dai i bacini come fa la mamma, allora avrete dei bambini. No?”.

“Hem..ecco..”.

Keros si guardò attorno, in cerca di un qualche aiuto da parte dei presenti, che però non sapevano bene che dire.

“Azlan!” riuscì finalmente a parlare Arles “Non funziona proprio così. Vedi..ha ragione la mamma, ma per fare bambini ci vuole il maschietto e la femminuccia. Capisci?”.

“Ah. Quindi Keros potrebbe fare i bambini con la mamma!”.

“Oh santo me stesso..hem..ne riparliamo dopo il torneo, ok?”.

“E tu e Keros vi sposerete?” domandò invece Faram.

“Hem..”.

“Il principe sposa sempre la principessa di cui è innamorato. Se siete innamorati, vi dovete sposare. Tu e la mamma siete sposati ma tu e Keros no. È perché ami più la mamma di Keros?”.

“Non faccio questi paragoni, bambina mia. Sarebbe come chiedermi chi fra di voi, figli miei, preferisco. E non posso sceglierne uno, voglio bene a tutti allo stesso modo”.

“Quindi sposerai Keros? Così io potrò vestirmi da principessa? E fare da damigella?”.

Il Dio ed il mezzo demone si lanciarono uno sguardo lievemente preoccupato: la conversazione stava degenerando.

“Papà..” continuò sempre Faram “..ma io dovrò aspettare il mio principe o la mia principessa?”.

“Beh..intanto: non aspettare. L’amore arriva quando meno te lo immagini e stare ad aspettare è del tutto inutile. E poi..che differenza fa? Che sia principe, principessa, demone, angelo, bianco, nero, fuxia, verde, alieno..che differenza fa? Mi auguro che tu possa provare l’amore che ho avuto la fortuna di provare io. Non importa verso chi questo amore verrà rivolto. Se sarai felice, e innamorata, bambina mia..tutto il resto non conterà”.

“Voglio proprio vedere” ironizzò Deathmask “Oh sì, non vedo l’ora di vederti al suo primo appuntamento..”.

“Keros, non vuoi sposare il mio papà?” insistette Azlan.

“Io..sono un demone. I demoni non si sposano”.

“Ma sei anche un angelo”.

“Mi risulta che manco gli angeli si sposino..”.

“Hai paura di stufarti?” suppose Iravat, con un ghigno quasi malefico “Dopotutto, sia tu che mio padre vivrete ancora dei millenni, se non vi fate ammazzare. Ed un legame come il matrimonio..durerebbe troppo a lungo?”.

“Se io potessi firmare un contratto in cui mi si dice che dovrò restare qui altri 6000 anni, o più, lo firmerei all’istante. Non è il tempo che mi spaventa. È il semplice fatto che..tuo padre è il marito di Eleonore. Io sono il suo demone, il suo angelo, il suo servo..sono tante cose..ma per il mio modo di vedere il mondo, per come sono stato cresciuto, non serve di certo che qualcuno mi dichiari in eterno legato a lui, perché lo sono già”.

“E se lui dovesse morire? Rimarresti qui con noi?”.

“Non lo so. Preferisco non farmi domande del genere”.

“Possiamo fare colazione e pensare ad altro?!” interruppe Arles “L’arena ci aspetta! È già tardi! E cosa cazzo è questo suono fastidiosissimo?!”.

“Papà ha detto: cazzo!” si indignò Azlan.

“Parli di questo?” sorrise Aiolia, mostrando un ciondolo che terminava con un campanellino “Me lo ha regalato Marin. Dice che porti fortuna”.

“Ha un suono che ti trapana il cervello!”.

“Non esagerare!” rise Eleonore “A me piace. E non dire le parolacce davanti ai bambini!”.

“Ma è vero! È tremendo!”.

“In effetti..” convenne Keros, concedendosi l’ultimo biscotto “..anche a me da un certo fastidio”.

“Mi ha detto che serve a tener vicino a me l’angelo custode” spiegò ancora il Leone.

“È un fottuto chiama angeli!” sibilò Arles.

“Papà ha detto: fottuto!” rise Faram.

“Ary!” si accigliò Eleonore “Dovrei lavarti la lingua con il sapone!”.

“Sì, è un chiama angeli” alzò un sopracciglio Aiolia “Che problema c’è?”.

“Hai presente i fischietti per cani? Tu lo usi e odi solo un fischietto normale, un cane sente una specie di rottura di coglioni che gli martella le tempie. E sì, papà ha detto: coglioni!”.

I bambini risero ed Eleonore colpì il marito dietro lo nuca con un cucchiaio di legno, minacciandolo.

“Perciò se non lo agiti troppo, ci fai un favore” concluse Keros, mentre Arles veniva colpito di nuovo.

“Capito” rise il Leone.

 

All’arena, come sempre, c’era un gran baccano. Apollo stava per annunciare gli scontri successivi ed erano tutti curiosi ed impazienti. Arles ed i gold, in particolare, attendevano di sapere cosa gli aspettava. Il Dio organizzatore delle sfide si era alzato, e si apprestava a parlare, quando una risata familiare interruppe il discorso sul nascere. Il terreno vibrò e, assieme ad un incessante rumore di catene, un uomo altissimo comparve all’anfiteatro. Aveva l’aria anziana e la sua pelle era scura. Immediatamente, molti Dei o riconobbero e la risata si ripeté.

“Fratellino” parlò una voce, il cui proprietario comparve poco dopo “Posso far partecipare un amico ai giochi?”.

“Ares!” ringhiò Apollo “Lo sapevo che eri un coglione, ma da qui a liberare Cronos e condurlo qui..”.

“Non mi ringraziare” ghignò il Dio della guerra “Vi aiuto a superare le vostre fobie. So bene che cosa temono gli Dei, più di ogni altra cosa: il tempo che corre. La vecchiaia. È per questo che l’ambrosia ve la trincate come non ci fosse un domani”.

“Che cosa vuoi? Perché devi portare scompiglio in una tale situazione? Dove riusciamo ad agire in pace e con il rispetto reciproco?”.

“Patetico idiota. Non distingui la realtà dalla finzione, la lealtà dall’inganno. Siete forse incapaci di combattere sul serio, senza di me? Ad ogni modo..il qui presente Cronos vorrebbe sfidarvi. Se c’è qualcuno con le palle che accetta la sua sfida. In caso contrario..che succede? Vince lui? Diviene re dell’Olimpo?”.

Gli Dei si scambiarono degli sguardi preoccupati. Non volevano che l’ancestrale Cronos vincesse, ma nessuno di loro aveva il coraggio di raccogliere la sfida. Sapevano che, con il minimo errore, rischiavano di divenire polvere nella clessidra del tempo. Un vociare sommesso e lievemente spaventato correva fra le scalinate. Il Dio delle illusioni non comprendeva del tutto ma ricordava bene come i suoi figli, Tolomeo ed Ipazia, avessero perso preziosi anni della loro gioventù per colpa di quella creatura. Non ci teneva di certo ad invecchiare e morire, ma..

Inaspettatamente, Hermes si alzò in piedi e puntò il suo bastone contro Cronos.

“Io raccolgo la tua sfida” esclamò “Non ho paura di te. Il tempo corre, è vero, però io..corro più veloce di lui!”.

“Hermes, fratellino!” si allarmò Artemide “Sei sicuro di quello che fai?”.

“Ma certo, sorella. Tranquilla. E tu, Ares, preparati: perché dopo toccherà a te!”.

Il Dio della guerra rise di nuovo. Arles lo osservava attentamente, cercando di capire la verità. Il Dio alzò lo sguardo e gli sorrise.

“Sei ancora vivo, ragazzo. Complimenti” commentò “Ridammi l’elmo, per favore. A te non serve. E non temere: una volta archiviata questa piccola sfida, la sistemo la faccenda con te ed il tuo amichetto impiccione. Solo che questa volta vi stacco la testa dal collo!”.

“Quello non è mio padre!” disse Eros, girandosi verso Apollo, che però era impegnato ad osservare i movimenti del fratello minore.

Hermes, a passo fiero, aveva lasciato la sua postazione e si era portato al centro dell’arena. Con un gesto di sfida, invitò Cronos a fare altrettanto.

 

“Padre, chi è?” domandò Sadalta.

“Cronos” gli spiegò Camus “Una divinità estremamente antica, che molti confondono con il titano Crono. È legato al tempo ma..credevo che gli Dei lo avessero imprigionato tanto tempo fa. Non pensavo che Ares avesse la forza necessaria per liberarlo!”.

“Il potere di Ares è terribile” commentò Kiki “Anche se non comprendo i suoi intenti”.

“Non possiamo fermarlo?” domandò Aiolia “Mentre si svolge lo scontro fra Cronos ed Efesto, lo possiamo bloccare!”.

“Non penso sia una mossa saggia” rispose Aiolos.

“Saggia o non saggia, ora vado là!” ringhiò Milo “E lo prendo a ceffoni finché non mi dice dov’è Mirina!”.

“Milo! Calmati!” lo fermò Camus “Si tratta pur sempre di un Dio! Rischi di scatenare su di te le ire del resto della famiglia”.

“E sai quanto me ne frega?!”.

“Papà!” sospirò Sargas.

“Ares!” sbraitò Milo, alzandosi “Dov’è mia moglie?!”.

“A lavorare. Assieme a quella gran bagascia di sua madre” ghignò il Dio della guerra.

Lo Scorpione scattò in avanti, furioso, ma subito fu ricacciato indietro dal vento provocato da Hermes: lo scontro era iniziato, e non permetteva interferenze.

 

“Apollo!” chiamò Arikien, girandosi verso il trono che aveva alle spalle “Devo raggiungere mio padre. Voglio capire!”.

“Calmati! Ho dato ordine che non gli sia data la possibilità di lasciare l’arena. Appena lo scontro sarà terminato, lo spingeremo al centro dell’anfiteatro e dovrà parlare. Saremo tutti uniti questa volta, te lo prometto”.

“Pensi davvero che sia veramente Ares a fare tutto questo!?”.

“No, non poteva liberare Cronos da solo. Ma non fa differenza. Che sia lui da solo o se qualcuno lo aiuta, o lo manovra, lo fermeremo e..”.

“Lascia che ci parli io. Lasciami avvicinare”.

“Dopo quello che ha fatto l’ultima volta?!”.

“Fidati. Devo avvicinarmi”.

“Va bene. Ma se sguainerà la spada, darò ordine di ucciderlo”.

“Bene..”.

 

Con i sandali alati, Hermes fluttuava in aria. Cronos lo osservava, senza espressione. Con un gesto, fra le mani della divinità ancestrale comparve della sabbia. Lentamente, avvicinò le mani alle labbra e soffiò. La sottile polvere si sparse, arricciandosi e volando, prendendo la forma di migliaia di farfalle. L’arena rimase affascinata dinnanzi a quello spettacolo.

“Questa cagata dovrebbe far paura?” alzò un sopracciglio Lucifero, fissando una delle farfalle che si avvicinava.

Anche Mihael pareva perplesso. Le farfalle, volando, lasciavano dietro di sé una sottile polvere che risplendeva d’oro. Con il sole, questa polvere lanciava riflessi per tutto l’anfiteatro.

“Magnifico!” sorrise Afrodite.

“Non toccatele!” ordinò Arles ma ormai era tardi: molti dei presenti avevano già quella sabbia fra le mani.

Con addosso quella polverina, gli occupanti dell’arena iniziarono a scorgere delle immagini. Ognuno di loro poteva vedere qualcosa riguardante il proprio passato, presente o futuro. Questo risvegliò la paura. Quel che rivedevano erano momenti tremendi, infelici, spaventosi. C’era chi ricordava persone care che perdevano la vita, chi imperdonabili errori commessi e chi vedeva materializzarsi i peggiori incubi per il futuro. Il Dio delle illusioni in principio fu avvolto da ricordi legati al santuario. La sua vita da Gran Sacerdote, l’angoscia ed il senso di colpa. Tentò di non perdersi in quelle immagini, che già diverse volte aveva rivissuto nella testa. Sfruttando il suo potere, riuscì ad allungare lo sguardo ed andare oltre. Era circondato dagli altri occupanti dell’arena, che a loro volta erano circondati da visioni poco piacevoli. Ma qualcos’altro attirava la sua attenzione. Alle spalle di ogni singola creatura presente, iniziò a scorgere delle ombre, che divennero sempre più nitide. Il primo che riconobbe fu Shion. Alle spalle di Mur e Kiki, l’antico Sacerdote e cavaliere dell’Ariete osservava con tenerezza i suoi successori. Accanto a lui, altre armature d’oro. Arles non ne conosceva i nomi, salvo qualche raro caso, ma intuì che coloro che vedeva dovevano essere tutti i cavalieri passati. Erano sempre di più. Anche dietro alle divinità erano comparse altre persone: Dei del passato, a cui avevano rubato il posto, o reincarnazioni di varie epoche. Accanto a Lucifero e Mihael riusciva a vedere come erano prima della guerra del cielo, quando il demone era ancora uno degli angeli. Riusciva a vederlo, mentre probabilmente lui rivedeva la propria caduta e la separazione da Sophia. E poi vedeva tutte le creature da cui avevano acquisito degli aspetti, che ormai l’uomo aveva dimenticato. Le creature si moltiplicavano, divenendo uno sciame che si allungava all’infinito. Creando due file, che si attorcigliavano in cielo in spire sempre più sottili, Dei e mortali si intersecavano. Come due serpenti, uno di fronte all’altro, le file si intrecciavano. Avvinghiati in un corpo quasi unico, il Dio vide emergere due figure, il cui corpo era in buona parte composto da quella moltitudine di esseri del passato e del presente. Le due figure si osservavano e parevano danzare, in un imperituro movimento cosmico. Poi si fermarono di colpo, quando una terza figura comparve dinnanzi a loro che, avvolta da luce oro, spalancò le ali, le braccia e tutti e quattro gli occhi.

“Phanes..” mormorò Arles “Ma..che cosa significa? Che cosa sto guardando?”.

E perché quella specie di angelo pareva impedire a Keros di intervenire e reagire?

 

L’unico che non era stato colpito dalla polvere, e che quindi aveva mantenuto una certa lucidità, era stato Hermes. Grazie alla sua velocità ed alle sue ali, non si era fatto coinvolgere in quell’attacco. Ignaro di quanto i suoi colleghi vedessero, continuava a cercare di colpire Cronos.

“Irritante” sbottò Cronos, con voce inquietante “Non si può sfuggire al tempo che scorre, sai?”.

“Ci sono riuscito fin ora, cosa ti fa credere che mi fermi adesso?” ridacchiò Hermes, schivando un altro attacco con la sabbia.

“Sei un illuso”.

“Può darsi. Ma visto che tieni sotto controllo tutti i miei fratelli, è compito mio sconfiggerti per liberarli”.

“Non potrai mai farlo. Il destino è dalla mia parte”.

 

Ares si voltò, osservando suo figlio. Non era sotto l’influsso delle visioni come gli altri, stava vedendo qualcosa di diverso. Ma che cosa? Cosa passava per la testa a quello strano essere? Ebbe un lieve sussulto quando notò che il Dio delle illusioni si era alzato ed aveva girato gli occhi, lo stava fissando. Lo sguardo che gli rivolse lo fece rabbrividire per qualche secondo. Poi il Dio della guerra sorrise, mentre i suoi occhi mutarono.

“Mi hai trovato..” commento.

 

Hermes era stanco di correre, volare e fuggire. Sapeva di non poterlo fare all’infinito, ma Cronos si era avvolto nella sabbia e lanciava soffi verso il più giovane dei figli di Zeus. Con un poderoso battito delle ali dei suoi sandali, si avvicinò il necessario per riuscire finalmente a colpire Cronos con un poderoso pugno.

“Lascia che ti mostri perché sono il Dio degli atleti!” sbottò, schivando il contrattacco dell’anziana divinità molto più grossa di lui.

Poggiò uno dei sandali sul petto dell’avversario, rigirandosi e riuscendo a colpirlo di nuovo, questa volta con un calcio. Era estremamente veloce ma questo non scoraggiò Cronos, che lanciò di nuovo la sua sabbia. Questa volta non era in forma di meravigliosa farfalla ma acuminata freccia, che colpì il braccio di Hermes. Subito il proprietario lo sentì molto più pesante e rigido. Guardandolo, vide che era come appassito, invecchiato, per colpa di quella freccia. Non si perse d’animo e contrattaccò immediatamente, con una raffica di calci che spedì a terra Cronos. Hermes ne approfittò per creare un piccolo vortice d’aria, nel tentativo di dissolvere parte della sabbia. Ora che parte di essa era svanita, poteva scorgerla chiaramente: la clessidra! La clessidra, simbolo e fonte del potere del suo avversario, si mostrava accanto a Cronos. Non molto sicuro di fare la cosa giusta, ma del tutto incapace di pensare ad altro, corse verso di essa. Il suo sfidante tentò di afferrarlo e fermarlo, ma non ci riuscì. Concentrando l’energia nel braccio sano, Hermes si lanciò contro quell’oggetto e riuscì ad infrangerlo. La sabbia lo avvolse e dovette fare uno sforzo immane per volar via.

“Pazzo! Non sai che..?” iniziò Cronos, ma un gesto di Ares lo zittì.

Hermes si stupì. Da quando il Dio della guerra poteva controllare il tempo? Notò con un certo sollievo che gli altri presenti all’arena si stavano riprendendo. Molti erano turbati e spaventati.

“Ha vinto?” si stupì Apollo “Il mio fratellino ha vinto contro il tempo?”.

Hermes rispose con un lieve inchino, sentendosi molto stanco. Il contatto con la sabbia lo aveva fatto invecchiare un po’, anche se non abbastanza da renderlo irriconoscibile. Si udì un sibilo, e la clessidra si ricompose. Ares, ridendo, applaudì e si alzò. Nell’arena scese il silenzio, mentre Arles non distoglieva lo sguardo dal Dio della guerra.

“Chi sei?” gli domandò, infine.

“Chi sono io?” ghignò Ares “Me lo chiedi?”.

“Sì, perché io non ti conosco. Chi sei, donna?”.

“Mi vedi? Ma che bravo..”.

L’anfiteatro borbottò. Donna? Quale donna? Il Dio delle illusioni scese i pochi scalini che lo separavano dall’arena, vedendo che Ares faceva lo stesso. Keros trattenne il fiato. Alle sue spalle, un’invisibile Phanes lo tratteneva dall’intervenire.

“Chi sei?” ripeté ancora Arles “E perché hai scatenato il tempo contro di noi? L’altra volta, quando sono stato trafitto dalla spada, non c’eri. O meglio..non eri dentro a mio padre. Probabilmente lo controllavi a distanza ma, essendo più potente di me, non sono stato in gradi di scorgerlo. Ora, invece, riesco a capire che non è mio padre colui con cui sto parlando”.

“Io sono certa che lo sai chi sono, Dio delle illusioni” sorrise il corpo di Ares, allungando una mano verso la fronte del figlio e sfiorandolo con due dita.

Arikien spalancò gli occhi, d’un tratto comprendendo. Quel breve tocco gli aveva mostrato il vero aspetto di chi aveva davanti.

“Ananke?” riuscì a dire “Il destino? Il principio primigenio del mondo? La forza contro cui nessuno può nulla?”.

“Mi conosci..”.

Arles si inchinò, gesto che stupì molti dei presenti che non capivano quanto stesse accadendo.

“Vi ho tanto cercata” confessò il Dio delle illusioni.

“Lo so. Ho udito la tua voce. È stata lei a destare me ed il mio compagno, che altrimenti avremmo continuato a riposare. Non so se ringraziarti o punirti. Ma il potere che hai..mi piace. Inoltre, pare che pure mio figlio Phanes sia interessato alla cosa. Perciò non ti distruggerò”.

“Che avete fatto a mio padre? Che sta succedendo?”.

“Voi proprio saperlo? Vieni a vederlo con i tuoi occhi”.

“Come faccio? Dove sono i miei fratelli? E le mie sorelle?”.

“Raggiungimi, nel luogo dove a lungo ho riposato, e lo scoprirai. Ho tante cose da dirti, Arikien delle illusioni”.

“Ma..io non so dove si trova quel luogo!”.

“Lo saprai. Se mi raggiungerai, non mi vedrete più in questo anfiteatro ad infastidirvi”.

“Io? Perché io?”.

“Perché ho udito la tua voce, non quella di qualcun altro. E tu mi hai visto, fra le sabbie dell’eternità, risalendo fino agli albori del tempo. Accetta il mio invito. Trovami, e tutte le domande che tanto a lungo ti poni troveranno risposta. E rivedrai la tua famiglia, te lo prometto”.

“Cosa avete fatto a mio padre?”.

“Lo rivuoi? E va bene..per dimostrarti che non ti sto ingannando, te lo concedo”.

Il corpo di Ares ebbe un fremito, mentre Ananke lo lasciava. Alle spalle del Dio della guerra, i presenti videro una strana creatura, in parte serpente, che lentamente si dissolse, rivolgendo solo un ultimo “Ti aspetto” al Dio delle Illusioni. Anche Cronos si dissolse, assieme alla sua sabbia, in pochi istanti. Ares invece cadde in avanti, privo di sensi. I lunghi capelli neri erano divenuti candidi, così come bianca era la sua belle ed il suo sguardo, cieco.

“Padre Ares!” lo chiamò Arles “Ma che ti hanno fatto?!”.

 

“Fratello” chiamo Gibrihel, rivolto all’arcangelo che aveva a fianco “Fratello, tutto bene? Che cosa è stato? Cos’erano quelle visioni?”.

“Non ne ho idea” ammise Rahael “Dove Mihael?”.

“Non lo so. Non vedo nemmeno Lucifero”.

“Come sempre quei due si sono allontananti per bisticciare?”.

Poco più in basso, fra i gradini, Asmodeo sollevò lo sguardo e lanciò uno strano sorriso a Rahael, che rispose con un ben poco angelico dito medio.

“Raphy!” mormorò Gibrihel “Comportati bene”.

“Quanto lo odio” sibilò l’arcangelo “Gli spaccherei la faccia in un istante! Quanto mi irrita!”.

“Sì ok ma..ora rilassati. Che è meglio..troviamo Mihael. Noi non dovremmo gironzolare per il mondo così a casaccio”.

“Hai ragione..non devo cedere alle provocazioni di quel demone”.

Rahael parve riprendere il controllo ma non resistette a voltarsi ancora una volta, fissando Asmodeo negli occhi e dedicandogli un “fottiti” con il labiale.

 

Quella sera, poco dopo il tramonto, Keros osservava il suo signore. Aveva lo sguardo distante, concentrato sul fuoco. Apollo aveva visitato il fratello minore Ares, senza comprendere che cosa gli fosse successo. Quel che aveva capito però, era che il Dio della guerra non sarebbe vissuto a lungo. Stava invecchiando e si consumava velocemente, nulla pareva donargli sollievo o giovamento. Afrodite, disperata, continuava a chiedere per quale motivo al suo amato toccava appassire come un bel fiore candido. “Dove sono i tuoi colori e la tua giovinezza, amor mio?” ripeteva, senza che nessuno potesse darle risposta.

“Che cosa pensate di fare?” parlò finalmente il mezzo demone.

“Ti sei cambiato..” si limitò a commentare Arles.

“Il bianco non è il colore più adatto per il luogo che avete in mente”.

“Non sei obbligato a venire con me. So che ti scoccia andare in certi posti”.

“La cosa non mi scoccia. Mi lascia indifferente. Piuttosto..perché ci andiamo? È per via di qualcosa che avete visto prima, con la sabbia di Cronos?”.

“No, direi di no. Tu che cosa hai visto?”.

“Io? La fine di ogni cosa. Voi?”.

“Io il suo inizio”.

 

Eccoci con l'aggiornamento del Lunedì. Ormai è quasi un appuntamento fisso..Lunedì e Giovedì :P 

Sono andata a spulciare figure ancestrali della mitologia greca. Mi sono arrovellata per trovare delle creature che in pochi usano nelle loro storie. Ci sono riuscita?

Preparatevi al prossimo capitolo: si va all’inferno! E, tanto per chiarire, i miei Lucifero ed Asmodeo non sono quei cosi osceni degli OAV di Saint Seiya :P

 

Non so come si carichino le immagini su questo sito perciò vi lascio questo link, nel caso siate curiosi e ancora non abbiate visto il mio primo disegno su Keros https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205323967527672&set=g.256279363821&type=1&theater

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XV- Inferno ***


XV

INFERNO

 

“Che cosa mi porti, Asmodeo? Cos’hai fra le braccia? Un regalo per me?” domandò Lucifero, con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.

Dall’alto di una delle torri nere, osservava il regno oltre i suoi giardini.

“Purtroppo..” chinò la testa Asmodeo “..porto infauste notizie da Costantinopoli”.

“Costantinopoli? L’assedio non è finito?”.

“Sì, mio signore. Da qualche mese”.

“E dunque? Che hai da dirmi?”.

“Si è sviluppato un incendio e..Carmilla è caduta”.

“Carmilla? Carmilla è morta?”.

“Sì, mio re. Me ne prendo la totale responsabilità”.

Lo sguardo di Lucifero parve quasi sollevato, per qualche istante, voltandosi verso Asmodeo, che si era inginocchiato.

“Peccato..” ricominciò a parlare il capo dei demoni “..Carmilla era dotata di un potere straordinario”.

“Colpa mia, signore. Era nelle mie schiere e non l’ho protetta a dovere”.

“La rabbia ha avuto il sopravvento, posso capirlo. So che Carmilla era gravida e non di un figlio tuo. So quanto tu e lei foste legati ed immagino che questo ti abbia fatto infuriare”.

“Non è una scusa per non essere intervenuto tempestivamente per aiutarla. Merito di essere punito”.

“Mediterò a riguardo. Ma non hai risposto alla mia domanda..cos’è quella cosa che stringi fra le braccia? Mostramela”.

Asmodeo si alzò, scostando di poco il mucchietto di stoffe che reggeva. Spuntò un ciuffo di capelli rossi ed un visino tondo si mostrò, gemendo un po’ per il fastidio. Lucifero si avvicinò, arricciando la coda con curiosità. Allungò le mani verso quella creatura e la sollevò.

“Un maschio..il figlio di Carmilla?” ipotizzò.

“Sì”.

“Ho riconosciuto i capelli. Ma che carino..”.

Osservò per bene quel piccolo, notando i disegni sul lato sinistro e le bruciature. Non sembrava ferito, ma iniziò a dimenarsi e protestare. Lucifero gli sorrise, vedendo che già mostrava i dentini a punta della madre.

“Posso prendermene cura io, signore? Posso farlo restare in questo palazzo?” domandò Asmodeo.

“Ne sei sicuro? Non è tuo..potrei affidarlo a qualcun altro..”.

“Lo so. Ma Carmilla era fra i miei soldati. Sarà per me un modo per rimediare alla sua morte”.

“Dovrai stare molto attento. Questa creatura è speciale. Unica. Non dire a nessuno di chi è figlio, non voglio che lui lo sappia”.

“Perché?”.

“Perché suo padre è fra gli angeli. Se vuoi che viva in questo luogo, meglio non si sappia”.

“Capisco..però..Carmilla era una tentatrice! Poteva concepire un figlio solo per sua scelta, per amore!”.

“Lo so..”.

“Un angelo? Quale angelo può..?”.

“Non te lo posso dire. Ora vai. Tratta con riguardo questo piccolino. Tratta con riguardo..Keros”.

Asmodeo si congedò e, con il piccolo fra le braccia, si incamminò lungo i corridoi del palazzo del suo re. Intenzionato a raggiungere le sue schiere, incrociò la  splendida Lilith. Dalla pelle candida e dagli occhi viola, si voltò quando udì il bimbo piangere. Stupita nel vedere Asmodeo alle prese con un neonato, trovò quasi divertente quella scena.

“Come mai piange?” chiese.

“Non ne ho idea” ammise il demone, iniziando ad infastidirsi.

“Avrà fame” suppose lei “Dallo a me”.

Stringendolo a sé, Lilith lo cullo dolcemente, tentando di calmarlo. Lasciò che si attaccasse al suo seno ed iniziasse a nutrirsi, avidamente. Asmodeo ridacchiò divertito. Quel marmocchio era appena arrivato e già aveva avuto l’onore di essere preso in braccio da Lucifero ed allattato addirittura da Lilith, la dama di porcellana che ogni demone bramava!

“Come si chiama?” domandò lei “È bellissimo”.

“Lui..ecco..Keros. Lucifero ha detto che si chiama Keros”.

“Piacere di conoscerti, Keros. Benvenuto all’inferno!”.

 

L’inferno era nero. Neri i suoi palazzi, nere le sue statue, nere le sue rocce. Il rosso si arricciava decorando le pareti del palazzo reale e lo stesso motivo si ritrovava sulla veste che indossava Keros . In nero pure lui, dopo tanto tempo, guidava il suo signore lungo i corridoi. Il Dio delle illusioni gli camminava accanto, non conoscendo molto bene quei luoghi. Stavano ripercorrendo lo stesso tratto che aveva percorso Asmodeo, quella sera di più di 1300 anni fa, quando aveva portato Keros a casa. E proprio Asmodeo li attendeva. Era in piedi, con il solito sguardo fiero e severo. Non era cambiato molto da quel dicembre del 718, salvo qualche capello bianco e ruga in più.

“La vostra visita mi stupisce” ammise il demone “Come mai siete qui?”.

“Devo parlare con mio zio” rispose Arles “Si è allontanato in fretta dall’arena”.

“Il re ha chiesto di non essere disturbato. Mi dispiace, ma non posso fare eccezione alcuna”.

“È successo qualcosa?”.

“Non dovrei dirvelo ma..lo sguardo che aveva, tornando da quell’anfiteatro, mi pareva turbato. Non so che cosa sia successo, ma quando ha quella faccia è consigliabile stargli alla larga”.

“Capisco..Keros, tu resta qui”.

“Che..che fate?” farfugliò il suo servo “..non vorrete mica..?”.

“Stai qui. Restate tutti qui, per favore”.

Il Dio, incurante dei divieti di Asmodeo e degli inviti a ragionare di Keros, camminò rapido. Dietro di sé, trascinava un lungo mantello che si confondeva, fra i capelli e il pavimento. L’oro che portava fra i capelli brillava debolmente, grazie alle candele di quel luogo. Giunto davanti alla porta della stanza dello zio, su una delle torri, bussò con una certa insistenza. Non sentendosi rispondere, la aprì ed entrò. Nel buio totale, intravide un’ombra nel letto.

“So che non stai dormendo” parlò il Dio.

Lucifero non rispose.

“Devo parlarti” riprese il nipote “Vorrei lasciarti in pace, ma purtroppo ho fretta e devo discutere di una cosa piuttosto urgente”.

“Senti..” sospirò lo zio “..sono lieto che finalmente abbia portato il tuo divino culo nel mio regno, ma oggi non sono in vena. Non ho voglia di parlare o discutere né con te né con altri”.

“Si tratta di qualcosa di estremamente importante. E che sono certo che ti piacerà”.

“Mi piacerà? Credimi..in questo momento non c’è nulla che possa rallegrarmi”.

“Voglio fare un patto con te”.

“Io sono il diavolo. Solo un pazzo fa un patto con me”.

“Vedimi come tale. Ma ho bisogno del tuo aiuto”.

“Non ho voglia di ascoltarti. Sparisci..”.

Arles sghignazzò. Questo fece vibrare le orecchie a punta di Lucifero per il fastidio.

“Cosa c’è di tanto divertente?” ringhiò il demone.

“Niente..solo che mi vien da ridere. Il grande demone che ha sfidato il cielo e che ora se ne sta lì a piagnucolare come una ragazzetta scema, fa ridere”.

Lucifero si alzò a sedere, arricciando la coda e fissando con rabbia il nipote.

“Ho voglia di picchiarti, marmocchio insolente”.

“Fallo, che aspetti?”.

“Non mi va. Non sono in vena. Gira al largo, ti conviene”.

“Oh, povero demone. Ti manca la mammina?”.

“Io non ho mai avuto una madre!”.

“Allora ti manca l’abbraccio di papino?”.

Il padrone di casa reagì di scatto a quelle parole, lanciò un grido e si scagliò contro il nipote, che ghignò soddisfatto.

 

Keros non amava tornare in quei luoghi. Sentiva i commenti degli altri demoni, che lo prendevano in giro. Gli stessi discorsi di sempre, sul fatto che era “un demone strano”. Un tempo, Keros ammetteva di averli invidiati. Lui era senza le corna, senza la coda..senza le ali! Quanto invidiava chi aveva le ali! Quanto aveva sognato di potersi librare in cielo, lontano da tutte quelle voci. Ma ora era diverso. Non nascondeva più quei disegni sul braccio, che con il caldo dell’inferno mostrava a braccia scoperte. Non si vergognava più di quello strano fisico, che con quella canotta nera non lasciava grande spazio all’immaginazione. Aveva scelto però un modello a collo alto, per evitare di avere a che fare con demoni dall’istinto vampiresco. Come il suo signore, portava il mantello ed il resto del suo abbigliamento era una veste che pareva quasi angelica, non fosse per il nero ed il rosso. Unica punta di colore diverso erano gli orecchini argento, regalo del Dio delle illusioni.

Tentando di ignorare le voci che udiva, Keros stava chiacchierando con Lilith ed Asmodeo. Entrambi chiedevano informazioni al mezzo demone su come se la passasse. Camminavano per quei luoghi in cui il sanguemisto era cresciuto. Keros ricordava di come a volte Lucifero lo prendesse per mano, da piccolo, per impedirgli di ficcarsi nei guai. Ricordava i momenti in cui osservava le guardie del palazzo ed i loro allenamenti, invidiandone la forza. Ricordava gli ammonimenti del re, quando a volte inavvertitamente mostrava il potere angelico. E ricordava il giorno in cui, sconfitto dopo aver tanto girovagato per il mondo, si era arreso ed era tornato in quel luogo, dopo essersi allontanato perché stanco di essere definito “fuori posto”. Quel giorno, Lucifero gli aveva aperto la porta e di questo, doveva ammetterlo, doveva essergli riconoscente. Doveva anche essere riconoscente ad Asmodeo e Lilith. Lui perché lo aveva salvato da neonato e lei per avergli fatto, in un certo modo, da madre. Il re invece era una sorta di angelo custode. Divertente abbinarlo ad una creatura simile, ma era proprio quel che era per Keros. Lo sorvegliava continuamente, anche quando era per il mondo. Solo da Arikien aveva smesso, probabilmente perché aveva capito che finalmente il suo piccolo mezzosangue era al sicuro.

La conversazione fra Keros, Asmodeo e Lilith fu interrotta da un gran rumore proveniente dalle stanze di Lucifero.

“Dici debba andare a controllare?” si chiese Asmodeo.

“Non saprei” alzò le spalle Keros “Ma spero che il mio signore non sia venuto fin qui solo per picchiare suo zio!”.

 

“Ti senti meglio?” ghignò il Dio.

“Sì” ammise Lucifero “Le scazzottate insensate mi mettono sempre di buon umore”.

I due si fissarono ancora un po’. Le loro vesti si erano in parte rovinate e sul corpo recavano segni di colpi ricevuti. Sul Dio quei segni svanirono quasi subito, grazie al suo potere.

“Ti ascolto, nipote. Che cosa vuoi da me? Parlavi di un patto..sei sicuro di quel che dici? Non è una cosetta da niente”.

“Non sono stupido. Pazzo, malato di mente..quello che vuoi, ma non stupido. So quel che significa”.

“Molto bene. Tu dunque chiedi il mio aiuto. Ed in cambio? Che cosa mi daresti? La tua anima non mi serve..”.

“I miei servigi. Da anni mi stressi. Ebbene, sono disposto ad accontentarti. Quanto sarà il momento, io lotterò per te”.

“Un Dio che lotta per me? Interessante..ma penso che già da un pezzo tu possa lottare per me. So che, in caso di necessità, i parenti li aiuti sempre”.

“Vero..ma è un erede ciò che vuoi. E sono disposto ad esserlo. Sarò il tuo principe”.

“Mi prendi per il culo? Come mio erede, dovresti lottare al mio fianco durante l’apocalisse, sfidando gli angeli. Se fai questo patto, rinuncerai al cielo per sempre! E sarai principe degli inferi, che prenderà il mio posto se dovesse succedermi qualcosa”.

“Il cielo non mi è mai interessato più di tanto. Ed il drago che porto disegnato sul petto penso possa rappresentare pienamente il drago citato nell’Apocalisse”.

“Sei serio?”.

“Assolutamente. Questa notizia un po’ ti allieta?”.

“Mi allieta parecchio. Però..che dovrei fare in cambio? Cos’è che un Dio non riesce a sbrigare da solo, costringendolo a chiedere aiuto a me?”.

“Lascia che ti spieghi..”.

 

Con un sospiro, Asmodeo aveva tentato di capire quel che stava succedendo ai piani superiori. Si era allontanato da Keros e Lilith. Il mezzo demone invece obbedì al suo signore e rimase fermo dov’era, lottando contro la curiosità. Per togliersi ogni tentazione, invitò Lilith a passeggiare ancora per il palazzo. I giardini erano meravigliosi, e Keros li amava. Erano un luogo magico, ricco di profumi e colori. Era quasi un angolo di paradiso, non fosse per il fatto che quelle piante erano quasi tutte irte di spine e dalle foglie d’ebano. Lilith, con la pelle bianca, spiccava lì in mezzo.

“Sei felice adesso, Keros?” domandò lei, sfiorando i fiori.

“Sì” rispose lui, dopo qualche istante “Finalmente posso dire di sì. Nonostante sia preoccupato ultimamente, posso dire che ora sono felice”.

“Hai trovato la tua casa? Hai trovato il tuo posto?”.

“Finalmente. Sì, finalmente sì”.

“Sono tanto felice per te! E dimmi..è una casa solitaria oppure..?”.

“No, non direi proprio”.

“Ti sei finalmente legato a qualcuno? Hai trovato anche questo?”.

“È così evidente?”.

“Il tuo sguardo è diverso. È fiero e luminoso. Un tempo tenevi sempre gli occhi bassi e tristi. Sono davvero lieta nel sentire, e nel vedere, che è tutto cambiato”.

“Vorrei raccontarti qualcosa di più, ma non so se..”.

“Non serve. Non sono così impicciona. Sperò però che un giorno mi presenterai questa persona..”.

“Certo. Io..”.

“Lilith!” interruppe un gruppo di demoni “Meraviglia delle meraviglie! Che gioia vederti”.

Lilith sospirò, abituata a farsi fare una corte spietata da quasi tutte le creature di quel regno.

“Cosa ci fai fra i fiori? E chi è questo qui?” domandò un altro demone, indicando Keros.

“Ah, è lo strambo!” lo riconobbe un terzo “Quello dai disegni strani. Dov’eri finito? Mi divertivo troppo a sfotterti! Mi sei mancato”.

Keros preferì non rispondere. Girò leggermente le orecchie, fingendo indifferenza.

“Sei diventato pure sordo? Eppure ricordo che una volta ci sentivi benissimo” incalzò il demone, avvicinandosi con fare provocatorio.

Lilith tentò di calmare gli animi, non capendo che senso avesse litigare in quel momento.

“Che c’è?! Ti fai difendere da una donna?” rise un quarto demone “Sei patetico come ricordavo! Dov’è Lucifero? Si è stancato pure lui di difenderti?”.

“Non ho bisogno che Lucifero mi difenda, da uno come te” si voltò di scatto Keros, mutando colore degli occhi.

“Begli orecchini, principessa” lo indicò il primo che aveva parlato.

“Bella faccia da coglione, stronzo”.

Lilith fissò Keros, lievemente preoccupata. Da quando si comportava così? Era pericoloso sfidare tanti demoni in una volta! Specie per quel piccolino, dal corpo così diverso dagli altri.

Irato, il capo di quella fastidiosa compagnia fece per colpire il mezzo demone in pieno viso. Keros però riuscì facilmente a fermare quel pugno con un semplice sguardo. La barriera angelica ora lo avvolgeva e non gli importava se per i suoi avversari era strano quel che faceva. Non si tirò indietro, nessuno di loro era così potente da poterlo colpire, o anche solo sfiorare.

“Ma che roba sei tu?” ringhiò uno di loro “Creatura disgustosa. Sei forse un angelo? Che per secoli ci ha spiato? Ti ucciderò, parola mia!”.

“Provaci, mezza tacca! Mi sa che non ci riesci” alzò un sopracciglio Keros.

Il demone ringhiò di rabbia ed urlò.

 “Non mi fai di certo paura” non si scompose il mezzo angelo, mentre il suo avversario tentava di colpirlo senza successo.

Fin ora aveva evitato in tutti i modi di usare le sue capacità, su esplicito ordine di Lucifero. Ma le cose erano cambiate! Aveva un nuovo padrone, che in ogni modo lo incitava ad esprimere se stesso, in ogni sua forma. Seguendo quel principio, evocò il suo potere di fuoco.

“Le fiamme non possono bruciarmi” ghignò l’avversario “Prova qualcosa di diverso”.

Keros rimase serio e mosse la mano su cui la fiamma che aveva evocato stava guizzando. Questa si diresse verso i suoi avversari, che non tentarono di schivarla. Si pentirono presto del loro errore, perché quel fuoco li raggiunse e li bruciò. Le loro grida di dolore attirarono l’attenzione delle guardie del palazzo e di molti curiosi, che si mossero verso lo scontro. Keros, ignorando la cosa, continuò a combattere. Respinse tutti gli avversari e poi inquadrò per bene tutti i nuovi arrivati. Qualcuno di loro era in cerca di sofferenza e agonia? Fece per attaccare di nuovo, quando vide lo sguardo del suo signore fra la folla. Era strano, forse perplesso. Il mezzo demone abbassò le mani, mentre Arles chiedeva che cosa stesse succedendo.

“Niente” rispose Keros.

“Non mi pare che questo sia niente..”.

“Signore, io..”.

“Non sono il tuo signore qui. Semmai è il contrario. So come funziona fra i demoni. Tu mi hai morso..”.

Un vociare sommesso si espanse fra la folla presente. Davvero quello strano demone aveva morso il nipote di Lucifero? Quella creatura inferiore era riuscita a possedere un Dio e sentirne il sapore del sangue divino Ikor? Arles, con la veste rovinata dallo scontro con lo zio, mosse le stoffe con aria indifferente, con il preciso intento di mostrare quel morso. Questo fece ammutolire tutti, compresa Lilith.

“Non credo ci sia altro da vedere..” mormorò il Dio, fissando la folla, che si disperse, pur rimanendo in parte nei paraggi per spiare quel che accadeva.

Solo Lilith era rimasta, con un lieve sorriso divertito.

“Lei è Lilith” spiegò Keros “Posso considerarla una sorta di madre”.

“È un vero onore conoscerla” commentò il Dio, con un baciamano ed un lieve inchino.

“L’onore è mio” rispose lei “Voi siete il nipote di Lucifero. E il fatto che siate legato a Keros, che ho visto crescere, mi riempie d’orgoglio”.

“Lieto di sentirlo”.

“Ma..posso chiedere cosa è successo? La vostra veste..”.

“Niente di cui preoccuparsi”.

“E Lucifero?”.

“Si sta cambiando. Dice che deve indossare qualcosa di adatto..”.

“Narciso..” ridacchiò Keros.

 

Il re voleva presentarsi al meglio. Si era vestito in modo elegante e minaccioso. L’alto colletto nero gli incorniciava il viso ed il mantello lo avvolgeva. Aveva convocato i principali demoni del regno per annunciare, orgoglioso, che finalmente il suo regno aveva un principe. E non era un principe qualsiasi, ma un Dio! La notizia fu accolta con vero entusiasmo ed iniziò a rimbalzare per l’intero mondo demoniaco.

“Ho accettato..” parlò Lucifero, una volta rimasto solo con il nipote “..ma ho come il presentimento di aver commesso un errore. Dove sta la fregatura?”.

“Non saprei spiegartelo del tutto. Vedi..il mio è solo un timore. Potrebbe anche non succedere alcunché. Però mi sento molto più sicuro all’idea che tu ed i tuoi soldati sorvegliate la mia famiglia, in mia assenza”.

“Assenza..conti di stare via molto?”.

“Non lo so”.

“E perché non hai chiesto aiuto agli angeli?”.

“Perché loro non agiscono, senza uno specifico ordine del cielo. Tu invece puoi fare ciò che vuoi, quando vuoi”.

“E i cavalieri d’oro?”.

“Hanno un diverso compito”.

“Li osservi e ricordi?”.

“Che cosa?”.

“Anche tu, nipote, ricordi i tempi in cui ti seguivano ammirati, perché eri il più grande e forte di loro? Il loro esempio, il loro modello? Prima, ovviamente, di precipitare nell’abisso..”.

“È così che vedi gli angeli?”.

“A volte sì..”.

“Che allegria..”.

“E quando tornerai, qualsiasi cosa accada, rispetterai il nostro patto? Sarai principe?”.

“Se muoio, non potrò farlo. Ma spero di tornare. E spero che, al mio ritorno, la mia famiglia sarà al sicuro. Tu proteggi la mia famiglia, non mi interessa come, ed io sarò il tuo principe. Lotterò in tuo nome, al tuo fianco, quando sarà il momento”.

“Bene. Posso almeno sapere dov’è che andrai?”.

“Tu non hai visto Ananke?”.

“Chi..?!”.

“Lascia stare. Piuttosto..la sabbia di Cronos, che cosa ti ha mostrato?”.

“Il mio passato”.

“La caduta?”.

“No. Mi ha mostrato quel che avevo, prima di essere quel che sono ora”.

“A proposito di questo..sai dov’è Mihael?”.

“Perché lo chiedi?”.

“Perché pare sia sparito. Un gruppetto di angeli lo cercava insistentemente, ma senza successo. Gibrihel sembrava impazzito. Mi ricordava Keros quando finisce i biscotti: girava per l’arena come se stesse per finire il mondo”.

“Miky era vicino a me, come sempre, all’arena”.

“E poi che fine ha fatto?”.

“Non lo so..”.

Capendo che effettivamente lo zio non sapeva molto a riguardo, il nipote si congedò. Aveva molte cose a cui pensare.

 

Tornati a casa, sanguemisto e padrone erano piuttosto silenziosi. Keros aveva intuito gli intenti del suo signore e preferiva non commentare.

“Non mettere il broncio” lo stuzzicò il Dio, uscendo sulla terrazza e raggiungendo il mezzo demone.

Da lì, si vedeva il mare. Keros rabbrividì leggermente, non amando il vento gelido che lì soffiava. Ma voleva starsene un po’ da solo, e in quel luogo sperava che nessuno lo cercasse.

“Non metto il broncio” si limitò a dire.

“Che dovrei fare, secondo te? E che cosa ho fatto di sbagliato?”.

“Non mi piace quel che volete fare. Desiderate andare da Ananke, vero?”.

“Sì, è così. Non dovrei farlo, secondo te?”.

“Io vorrei tanto che mandaste tutti a fanculo e tutto tornasse come prima: solo noi. Ma mi rendo conto che dal destino non si può sfuggire, ed Ananke è il destino. Perciò, se lei vi cerca, non potete fare molto..”.

“Devo salvare i miei fratelli. Ed aiutare mio padre. Ed avere molte risposte”.

“Io odio tutti gli Dei, sinceramente. Se anche Ananke, o chi per lei, li sterminasse tutti..non mi importerebbe. Ma comprendo la vostra decisione. Anche se..”.

“Se..?”.

“Ho rivisto la stessa scena. Ho visto la vostra morte. I due serpenti. L’angelo d’oro..”.

“Keros, devi fidarti di me”.

“Io vi proteggerò. Farò tutto il possibile per..”.

“No, non questa volta. Tu dovrai restare qui”.

“Qui? Ma..come?! No!”.

“Ananke ha chiesto di me, e di me soltanto”.

“Sì ma..che ho fatto? Che cosa ho sbagliato? Perché mi punite? Non capisco..”.

“Non ti sto punendo! Voglio che tu metta i tuoi poteri a servizio di questa casa”.

“Ma avete chiesto a Lucifero di sorvegliare la famiglia! Vi prego, non fatemi questo! Vi prego!”.

“Smettila di fare i capricci..”.

“Non sto facendo i capricci! È perché non mi ritenete all’altezza? È perché sono..”.

“Basta! Keros, non sopporterei di perderti. Così come non sopporterei di perdere Eleonore o i miei figli. Cerca di capire..”.

“E voi cercate di capire come posso sentirmi io, all’idea di sapervi là fuori e non sapere che vi succede. Dopo aver visto quelle terribili cose, nel fuoco e nella sabbia, io..”.

“Fidati di me”.

Arles, non lasciando tempo al mezzo demone di parlare ancora, tentò di tranquillizzarlo, stringendolo a sé.

“Devi prenderti cura di Eleonore” gli disse “Nessuno può farlo come te”.

“Allora..porterete con voi i cavalieri d’oro?”.

“No. Loro torneranno in arena e continueranno a partecipare ai giochi. Ho paura che il piano di Ananke preveda altri attacchi”.

“E quindi..andrete da solo?! Ma è una follia!”.

“Smettila. Fidati di me..”.

“Oh..Ary..”.

Keros non parlava più, sapeva che era inutile e non sapeva nemmeno più che dire. Rimase fermo, fra le braccia del suo signore, sperando che quegli istanti si prolungassero all’infinito.

“Lo sai..” riprese il Dio “..prima, nel regno di Lucifero..ero geloso”.

“Geloso? Per quale motivo?”.

“Io, sul mio corpo, porto il segno del nostro legame. Ma su di te, non avendo io i tuoi stessi denti, non hai quel marchio. Perciò tutti quei demoni, che ti fissavano e ti ammiravano mentre combattevi, non sapevano che..”.

“Quante siete stupido. Pensate che io possa tradirvi?”.

“No..però..”.

“Pensate ad altro ora, per favore”.

“Hai ragione, devo preparare tutto e partire”.

“Partire? Ora? Al buio?”.

“Prima che si svegli Eleonore”.

“E perché?!”.

“Perché se tu, Eleonore ed i ragazzi, mi supplicaste tutti insieme di restare..non potrei varcare la soglia di casa! E so che non è questo il mio destino”.

“..io..”.

“Finisco di preparare le mie cose e me ne vado. Ho già comunicato a Kiki i miei ordini, li trasmetterà lui a tutti i gold. Vorrei che, nel caso si svegliasse, rassicurassi mio padre. Cercherò di fare in fretta e tornare in tempo, per ridargli i colori ed i figli. Libererò i miei fratelli e le mie sorelle”.

“Ma se fosse tutta una trappola? Se Ananke volesse solo..uccidervi?”.

“Lo scoprirò, Keros”.

“E sapete dove dovete andare?”.

“Sì. L’ho visto. In uno dei miei incubi”.

“Incubi?”.

“Sì, quando stavi male ho fatto un sogno. C’era una grotta, delle catene, delle grida. Sono stato così stupido da non capire, ma ora comprendo”.

“Continuo a pensare che sia tutta una follia”.

“Forse. Forse è così, oppure è l’unico modo”.

“L’unico modo per fare cosa? I vostri fratelli potrebbero essere già morti, per quel che ne sappiamo. E Ananke..”.

“Fidati di me. Credi in me”.

Keros rimase immobile qualche istante. Provava un tale insieme di emozioni da farlo quasi impazzire. Era pieno di rabbia, paura, incertezza..però il suo signore contava su di lui per sorreggere quella casa! Doveva mostrarsi all’altezza!

“Promettetevi che tornerete” disse, alla fine “Che tornerete qui, con me. E con Eleonore. Promettetelo”.

“Non so che cosa mi accadrà, ma ti giuro che lotterò con tutto me stesso per tornare qui. Il mio posto è qui”.

“E allora perché non ci rimanete?!”.

“Basta con le domande, Keros. Devo seguire il mio destino e se Ananke mi chiama..”.

Il mezzo demone sospirò. Non sapeva che cos’altro fare, o dire. lo sguardo di smeraldo del suo signore brillava, con la luce delle stelle. Sorrise lievemente, sapendo che il suo Dio non aveva bisogno di altre preoccupazioni inutili.

“Dite ad Ananke che io vi rivoglio qui” riuscì a dire “Che non osi farsi strane idee: tu appartieni a me, non al destino!”.

Arles sorrise: era il genere di frase che sperava di sentirsi dire! E ringraziò il suo mezzo demone con un bacio.

 

Eccoci con il consueto secondo aggiornamento settimanale! Non ho resistito. Il regno di Lucifero è molto simile a quello che gli ho creato ne “La città degli Dei”. È un personaggio con cui mi piace giocare..spero non si offenda! Spero sappia che lo trovo affascinante ;) A questo proposito, ho iniziato a caricare una nuova Originale dal titolo “il diario segreto di Lucifero”. Sarei felice ci deste un’occhiata! È demenziale! E per quanto riguarda il “fisico” di Keros (di cui qualche “groupie” mi ha chiesto info) qui è un po’ descritto. Ci tengo però a far notare che non lo immagino come una specie di larva priva di muscoli..ma vicino agli altri demoni (specie i soldati, che immagino come degli Aldebaran incazzati) sembra gracilino.

Inoltre vi ringrazio perché i commenti per questa storia stanno per battere tutti i “record” delle mie altre storie ed il primo Olympus Chapter sta per raggiungere la meta delle 1500 visite! Grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XVI- Imago ***


XVI

IMAGO

 

“Non è concesso ad un demone varcare questa soglia!” ordinò Hazrael, spalancando le braccia.

“Levati dai piedi, Hazy” rispose Lucifero “Non ho tempo da perdere con te”.

“Questo è il sacro tempio di Sophia. Nessuno può accedervi, se non le creature del cielo. Perciò, per favore, non avanzare oltre”.

“Altrimenti che fai? Anche se sei nell’esercito di Mihael, non sei alla mia altezza. Perciò scansati, devo passare”.

L’angelo si accigliò leggermente, mentre Lucifero rimase con la stessa espressione. Con le mani affondate nelle tasche del lungo cappotto nero, il demone riprese a camminare. Hazrael dispiegò le ali, coprendo l’ingresso della basilica. Lucifero ruotò gli occhi. Senza troppa fatica, il diavolo riuscì a passare, evitando di fare troppo male all’angelo. Incurante delle grida della creatura celeste, Lucifero camminò lungo il colonnato. Le campane iniziarono a suonare, infastidendolo parecchio. Accelerò il passo, raggiungendo l’altare e passando per la porta segreta. Nel buio, avanzava senza problemi. Grazie alla flebile luce delle candele, intravide il dipinto che raffigurava la sua amata sorella Sophia. Non degnò di uno sguardo il proprio ritratto, preferendo non ricordare quei tempi.

“Fratello” chiamò “So che sei qui”.

La luminescenza di colui che un tempo era l’angelo più splendente del cielo non era svanita, aveva solo mutato colore. Era rossa, come il sangue, e creava ombre inquietanti e spaventose sulle pareti.

“Mihael” chiamò di nuovo “Non puoi nasconderti. Ti percepisco”.

“Percepisci allora il mio dito medio alzato e sparisci, fratello”.

“Oh, non sei molto gentile”.

“Come mi hai trovato?”.

“Ormai è da tempo che posso dire di conoscerti come la mia ombra, Miky”.

L’arcangelo arricciò il naso un paio di volte: non sopportava di essere chiamato Miky! Si era rannicchiato in un angolo buio di quel luogo riservato alle creature celesti, con una mano fra i lunghi capelli biondo scuro, e pareva scosso. Il fratello maggiore lo raggiunse, con un lieve ticchettio degli stivali neri.

“Che ti prende, fratellino? Hai gli occhi lucidi. Non avrai mica bevuto..?”.

“Ma che stai blaterando?!”.

“Stai calmo”.

Senza sorridere, Lucifero iniziò a fumare, offrendo anche al fratello una sigaretta, che ovviamente rifiutò disgustato.

“Mi dici che hai?” insistette il demone “Ti stanno cercando tutti..”.

“E a te che importa?”.

“Ben poco, direi. Ma è strano potermi muovere senza avere te costantemente fra i piedi che mi sorvegli”.

“E a te invece? Che ti prende, Satana? Dovresti essere cattivo, dovresti essere da qualche parte a compiere azioni malvagie. Non qui a preoccuparti per me”.

“Non mi preoccupo per te. E non chiamarmi in quel modo”.

“Rispondi solo a questa domanda: quelle cose che ho visto..erano reali? Sono successe davvero? Succederanno?”.

“Ed io che ne so?! Non so che cosa hai visto”.

“Quello che hanno visto gli altri..era reale? Quello che hai visto tu, è successo?”.

“E anche se fosse?! Non capisco dove vuoi andare a parare!”.

“Rispondimi! Hai visto cose accadute veramente? E lo stesso è successo ad altri?”.

“C’è chi ha visto il futuro, o il presente. Ma credo di aver capito che chi ha visto il passato abbia visto la realtà. Cronos ha usato il suo potere per far riaffiorare ricordi scomodi o poco piacevoli. Quindi penso che anche le visioni sul futuro si riveleranno veritiere. Perché? Che cosa hai visto?”.

“Immagini create di certo da quel finto Dio. Però..”.

“Però sembrano tanto reali? Hai per caso ricordato qualcosa che la tua mente aveva rimosso? Oppure immagini di un futuro apocalittico?”.

“Non si possono rimuovere certe cose. Dev’essere tutto un inganno”.

“Se ne sei convinto..ma, se lo fossi, non saresti qui. Dico bene?”.

“Viscido serpente”.

“Piumino fastidioso. Anch’io ti voglio bene”.

“Se quello che ho visto è vero..” iniziò Mihael, storcendo il naso “..che senso ha?”.

“Non so di che parli, fratellino”.

“Lo sai benissimo di che cosa parlo!”.

“Oh..hai ricordato..quello?”.

“Smettila di sibilare cazzate e vedi di darmi una spiegazione plausibile, prima che ti infili la mia spada di fuoco in un posto molto scomodo!”.

“Ok, ok. Rilassati. Meglio mi sieda”.

Lucifero pareva divertito, o forse sorrideva nervoso. Sedette accanto al fratello minore, senza sapere bene da che parte iniziare..

 

“Che pensate di fare?” domandò Apollo.

Davanti a sé, il Dio aveva i cavalieri d’oro ed il Sacerdote Kiki.

“Pensate di proseguire con il torneo, nonostante il Dio con cui vi siete presentati si sia allontanato?”.

“È solo un allontanamento temporaneo” assicurò Kiki “Nel frattempo, se è possibile, vorremmo continuare a combattere”.

“Benissimo. Per me non c’è alcun problema. Però dovrò avvisare i vostri avversari, in modo che mandino in arena i loro campioni, per avere degli scontri teoricamente alla pari”.

“Anche sfidare degli Dei, per noi non è un problema” si affrettò a precisare Aiolia.

“Benissimo. In questo caso..tornate al posto. Spero che il vostro amico sappia quello che fa. Del resto..se Ananke ti chiama non puoi fare molto. Lei possiede le chiavi del nostro destino. Neppure Zeus osava opporvisi”.

“Quanto tornerà, sarà lui stesso a raccontare quel che ha fatto e perché”.

Apollo fece una lieve smorfia infastidita, sentendo il chiasso che si era scatenata in arena. Gli Dei, con idee molto diverse su quanto stesse accadendo, litigavano per decidere il da farsi. C’era chi proponeva di intervenire contro Ananke, ma nessuno aveva realmente il coraggio di sfidarla. C’era chi gridava vendetta e chi se la rideva, senza una ragione. Apollo tentò invano di alzare la voce. Doveva mandare in arena due degni avversari, in modo da rendere succosa la cosa e distrarre gli animi. Guardò in su, verso i troni posti sopra la sua testa, e sorrise.

 

“Benvenuto, Arikien delle illusioni” salutò Phanes, seduto fra le rocce, con espressione neutra “Come hai trovato la mia grotta?”.

“I miei fratelli mi hanno guidato” rispose il Dio, dopo aver percorso un tortuoso cammino sotterraneo per trovare quel luogo.

“Phobos e Deimos? Davvero?”.

“Dove sono? Dove sono i miei fratelli?”.

“Una cosa alla volta..”.

“Dov’è tua madre?”.

“Ripeto: una cosa alla volta”.

“Una cosa alla volta?! Guarda che mi sto trattenendo dall’insultarti e picchiarti. Che cosa volete voialtri da me?”.

“Noi da te? Semmai tu da noi! Sei stato tu a chiamarci”.

“Come sarebbe a dire?!”.

“Tu conosci il mito della creazione greco?”.

“Vi sono tante versioni. Quella che prevede la tua esistenza, narra di due esseri in parte serpenti, Ananke e Drakonta, che insieme si avvinghiano e tu sei il loro figlio. Phanes, il tutto, colui che in sé conserva tutti i poteri del mondo. Però, disinteressato al dominio, ti sei rinchiuso in questa grotta. Tu sei il padre del Caos, che ha generato Gaia, Urano e via dicendo. È giusto quel che so?”.

“Direi di sì. Io ed i miei genitori, una volta avviato il mondo e vista la famiglia olimpica ormai quasi del tutto formata, ci siamo assopiti. La leggenda vuole che il nostro risveglio sia indice della fine di ogni cosa. Io sono rimasto qui, in questa grotta, in pace, sorvegliando l’irruenza dei miei genitori. Ma ora essi si sono svegliati e sai perché? Perché tu li hai chiamati”.

“Io non ho chiamato nessuno!”.

“Ti sbagli. Tu hai voluto cercare le risposte ad ogni cosa e, per farlo, hai cercato me ed il destino. La tua voce, il tuo incessante ripetere il nostro nome, ha fatto sì che nei miei genitori si risvegliasse la piena coscienza”.

“Questo vuol dire che finirà ogni cosa?”.

“No, non necessariamente. Io sono libero dai piani di mia madre, posso muovermi liberamente senza che lei venga a saperlo. Per questo ti sono apparso, all’arena. Ma devo comprendere se quello che vedo è un nuovo inizio o l’inevitabile fine”.

“E come lo puoi comprendere?”.

Phanes si alzò ed aprì tutti e quattro gli occhi. Girò attorno al Dio delle illusioni, osservandolo.

“Dinnanzi a me..” parlò, camminando “..vedo una crisalide. Una pupa ancora in via di sviluppo che non sa se sarà in grado di prendere la forma definitiva o rimarrà così, come si dice? Imago?”.

“Spiegati..”.

“Tu e quel tuo amico, siete strani. Singolari”.

“Di chi parli? Se ti riferisci a Keros, non è un mio amico. È la creatura che amo e non osare avvicinarti a lui, finché non mi sarà chiaro cosa sta succedendo”.

“Lo ami? Legame interessante. Mi chiedo chi sia il numero tre..”.

“Ma che dici?”.

“Per un nuovo inizio, sono sempre in tre. Tre esseri particolari, speciali, dalle doti fuori dal comune. Tu e Keros potreste essere due di questi. Oppure è solo una coincidenza..”.

“Non capisco. Che mal di testa..”.

“Lo so, imago. Ti verrà spiegato, se sarai in grado di comprenderlo”.

 

“Io ero qui per dirti che devo andare da mio nipote, a proteggere la sua famiglia e la sua casa. Non per discutere di cose successe più di un millennio fa o su un futuro ipotetico” parlò Lucifero, finendo la sigaretta “Tu puoi pure restare qui, se non ti va di perdere tempo. Non farò nulla di malvagio alle anime che abitano quel palazzo”.

“Il mio compito è seguirti, sempre. E combatterti”.

“Che noia, Mihael. Non hai altro da fare? Non hai un passatempo? Che ne so..origami? Punto croce?”.

“Quanto sei stupido! Se tu non fossi caduto, se tu non avessi fatto quel che hai fatto, ora sarebbe tutto diverso”.

“Ho una domanda per te: se io non fossi caduto, tu che cosa saresti? Sei un guerriero. Lotti contro i demoni per accompagnare le anime buone in paradiso, ed altre puttanate così. Se io non fossi caduto, se non fossi divenuto un demone assieme agli altri, tu che faresti?”.

“Avrei un altro ruolo. Sarei un guaritore o un messaggero. Oppure..”.

“Oh, sì. Certo. O un suonatore di arpa, un rammendatore di tuniche..andiamo! Mihael! Ti ci vedi?”.

“Che stai dicendo?!”.

“Ti sto dicendo che quel che deve succedere, succede e basta. Io dovevo fare quel che ho fatto. Altrimenti..non ci sarebbe nulla! Saremmo ancora qui a grattarci nel paradiso terrestre, ad annoiarci, a servire umani perfetti e scemi. Niente peccato originale, niente figlio divino che apre le porte del cielo e cose simili. Non può esistere una religione, senza il bene ed il male!”.

“ Tu dici idiozie”.

“Vedila così: seguiamo tutti il disegno di Dio. Io ho fatto quel che dovevo fare”.

“Non nominare il nome di Dio tu, con quella tua boccaccia blasfema”.

“E tu finiscila! Non sei un santo!”.

“Tecnicamente..sì!”.

“Sai sempre dire la frase giusta al momento giusto..”.

Mihael rimase in silenzio qualche istante, lanciando un’occhiata strana al demone.

“Perché lo hai fatto, fratello?” domandò poi.

“Perché ho sfidato Dio?”.

“No..perché..perché..hai alterato le mie memorie? Perché non hai approfittato di quanto accaduto per far crollare l’intero sistema? Ora ricordo quel che è successo per davvero”.

“Quanta fuffa. Che tu sia consapevole o meno di chi sia il padre di Keros..che differenza fa? Ti fai troppe domande”.

“E tu non mi dai risposte. E che cos’è la fuffa?!”.

“Fratellino..io godrei come un pazzo se uno di voi angioletti cadesse perché commette peccati irreparabili. Se vi ribellaste a certe regole o vi faceste tentare dal proibito, sarei un demone felice! Ma in questo caso..non avrei alcuna soddisfazione”.

“Non capisco”.

Lucifero sospirò ed alzò lo sguardo, fissando il dipinto che ritraeva Sophia. Mihael inclinò la testa: non sopportava quando il fratello si imbambolava di botto, ricordando chissà cosa!

“Cadere per amore, Mihael, a mio avviso è sempre sbagliato”.

“Amore?”.

“Mi sta bene se si odia, se si vuole essere liberi da determinate leggi, se si commette un atto imperdonabile! Per invidia, gelosia, ira..ma per amore no! Non mi darebbe alcun piacere”.

“Stai delirando”.

“Può darsi. Ma, fratellino, ho agito così e basta. Io non mi scervello molto e, lo sai bene, non penso troppo alle conseguenze. Asmodeo lo ha salvato, ha agito pure lui d’istinto. Ed io, davanti a quel faccino e quel ciuffo rosso..non ho resistito!”.

“Con quella creatura, hai in pugno le forze celesti. È per questo che lo hai fatto? Per poterci ricattare e scacciare dal cielo quando ti aggrada? Ed hai cancellato la mia memoria per impedirmi di agire?”.

“Scusa ma..va bene che sono malvagio, ma secondo te io mi accollo un moccioso tanto per divertirmi? Guarda che è stato un casino crescerlo! Non faceva che fare domande e cose strane! È stata una faticata e tu mi ringrazi con simili minchiate cospiratrici?! Ma vaffanculo, Miky!”

“Smettila di chiamarmi Miky! E poi..me lo dovevi dire!”.

“E per quale motivo?! Ti conosco! Adesso so che cosa farai”.

“Ah, sì? Che cosa? Sentiamo..”.

“Non puoi vivere nella menzogna. Andrai a raccontare il peccato che è stato commesso quella sera e sarà un casino! Ho indovinato?”.

Mihael distolse lo sguardo, chiedendosi che altro avrebbe potuto fare.

“Hei!” sbottò il demone “Ho coperto il marmocchio per 1300 anni! Pensavo sarebbe stato incenerito e punito immediatamente alla nascita e invece non è successo niente. Questo sai che significa? Che qualcuno lassù era d’accordo!”.

“Questa è la più grande blasfemia che tu abbia mai pronunciato!”.

“Lo sai che non è vero. Ma hai altre ipotesi? Keros doveva venire al mondo ed io l’ho tenuto d’occhio volentieri, in un certo senso. Non è venuto su tanto male, no? Salva delle vite, protegge i deboli e tutte queste cose da angeli..non ha preso da me”.

“Non è quello che stai per fare tu, proteggendo la famiglia di tuo nipote? Oppure lo fai solo e solamente perché, dalle voci che girano, quel Dio sarà il tuo principe ereditario?”.

“Lui è il mio drago. Ovvio che lo faccio solo per rendiconto personale. Mi serve, e combatterà al mio fianco solo se proteggo la sua casa”.

“Sei un racconta cazzate bestiale! Tu ci tieni ad Arikien. Sei cambiato, ultimamente, ed ammetto che la cosa un po’ mi preoccupa. Dovrei avvertite il cielo e farlo eliminare, per scongiurare che un essere con simili poteri lotti per te”.

“Ma non lo farai..dico bene?”.

“No, non voglio. Se mi arriveranno ordini differenti, procederò come ordinato ma, in caso contrario, non agirò contro di lui. È pur sempre il discendente di Sophia!”.

“E Sophia non è stata punita. Eppure si è data da fare parecchio con quell’Ares”.

“Sophia non poteva cadere. Se fosse caduta, ti avrebbe fatto felice. L’avresti avuta di nuovo accanto, e questo non doveva succedere. Per altri di noi..la faccenda è diversa”.

“Agisci come meglio credi. Anche tu non puoi cadere, perché sei l’unico idiota che riesce a starmi dietro! Pare che ogni angelo abbia il suo demone a cui pensare. Tu ti sei beccato proprio me, hai ragione a non sorridere mai! Ora alzati ed esci da qui. Io devo andare..tu fai quello che credi!”.

“Io..ho visto quella battaglia. L’ho vista. Nelle sabbie di Cronos io..fratello, ho visto la tua morte!”.

“Oh, che bellezza. Roba allegra, eh? Tu sempre cose allegre, cazzo!”.

“Non ci scherzare, per favore!”.

“Cerco di sdrammatizzare”.

“Penso che..sarà la mia ultima battaglia..”.

“E perché?”.

“Se tu morirai, io non avrò scopo alcuno per il cielo. Non avrebbero motivo di tenermi lassù”.

“Ma che dici?! Hai lottato per millenni per loro, non possono scacciarti solo perché senza di me risulteresti disoccupato. Ti daranno la pensione. Oppure..verrà qualcuno dopo di me”.

“Se fosse Arikien, comunque non riuscirei a lottarci contro. In lui..rivedo Sophia”.

“Bene. Allora ti cambieranno di reparto! Non farai mica quella faccia depressa per me?! Non sei contento all’idea di poter essere finalmente libero di fare come ti pare? Di andare in vacanza? A fare surf, o che ne so io che ti piace fare?”.

“Ma sei stupido o cosa?! Non comprendi?! Morirai!”.

“E allora? Anche se fosse, e non è detto, non importa. Ho vissuto abbastanza. So che devo andare in quel palazzo e difendere quelle persone, per mio nipote. Non ascolto ordini dall’alto, lo faccio perché sento che è quel che devo fare. Tu dovresti fare lo stesso, ogni tanto, invece di aspettare sempre la vocina di incoraggiamento. Non importa se sbaglio, se agli occhi degli altri demoni risulterò strano o diverso dal solito. Che gli altri demoni mi vedano come cazzo gli pare! Io sono io e quel che ho fatto e che farò è affar mio e dovresti pensare ogni tanto allo stesso modo. Mi diranno che non sono un degno rei dei demoni, perché difendo dei bambini e la moglie di mio nipote? Chissenefrega! I demoni solitamente ignorano i loro figli e la loro famiglia? Me ne sbatto le palle! Gli angeli non dovrebbero avere figli? Keros ed Arikien sono la prova vivente che non è la fine del mondo se accade. Blasfemia? Non me ne frega un cazzo. Ed ora..io me ne vado. Tu stai pure lì seduto, perché non riuscirai ad impedire che mio nipote diventi il mio erede!”.

 

 

E sì, presto un bel po’ di nodi verranno al pettine! E non temete: ho in mente una super scena per i gold! Ma tocca avere un po’ di pazienza.. E intanto, se vi annoiate, ho disegnato Lucifero :P Lo trovate vedendomi a cercare su devianart o su fb (ho messo i link nel mio profilo EFP).

Ed in risposta ad una domanda che mi è stata rivolta, ovvero come mai io abbia fatto un piccolo esercito di figli ad Arles, la risposta è semplice: io non riesco ad averne, quindi mi “consolo” immaginandomi personaggi “circondati” da figli  e famiglie numerose e felici. Quasi tutte le mie storie sono piene di famiglie giganti. a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** XVII- Invito ***


XVII

INVITO

 

“Che freddo, mannaggia a Crist..”.

“Chiudi la bocca!”.

Lucifero girò gli occhi, trovandosi a faccia a faccia con la lancia di Mihael.

“Cosa ci fai qui, angioletto?” ghignò il demone, tornando ad ignorarlo.

“Dove sono i tuoi uomini?” rispose l'angelo.

“Sparsi per questa valle, fra le rocce. Posizione ideale per sorvegliare la casa”.

“Che cosa gli hai detto, per convincerli?”.

“Ho detto loro che il principe ereditario aveva bisogno di un favore”.

“Ma Arikien non è ancora ufficialmente principe ereditario”.

“Ma loro non lo sanno..”.

“Hai mentito ai tuoi stessi soldati?!”.

“Sì, e allora? Tu, piuttosto..sei qui solo soletto?”.

“Io ho ordine di sorvegliarti. Gli altri no, se non in casi di emergenza”.

“Capisco..”.

I due osservavano il palazzo del Dio delle illusioni, dall’alto. La montagna sovrastava l’edificio. Il vento soffiava forte, gelido.

“Con i sandali sulla neve..come cazzo fai, Mihael?” sibilò Lucifero, avviluppandosi ancora di più nel mantello.

“Sono un arcangelo di fuoco, ricordi?”.

“E con ciò? Anche Asmodeo controlla il fuoco ma, sono sicuro, in questo momento ha freddo quanto me”.

“Non so che dirti..”.

“Ora che sai la verità..ne parlerai? Che intenzioni hai?”.

“Ci penserò quando tutto questo sarà finito”.

“Sì, ok. Ma adesso fatti in là! Hai tutta una montagna, non serve che mi stai appiccicato!”.

Mihael si guardò attorno. Riusciva a percepire ogni singolo demone fra quelle rocce. Non erano in molti ma di certo ognuno di essi rientrava fra le schiere di creature più forti a servizio di Lucifero. Esseri del genere a protezione di una casa e dei suoi abitanti? Era assurdo e l’angelo temeva che il tutto si rivelasse un inganno. Tornò a rivolgere lo sguardo verso il fratello maggiore, chiedendosi se davvero quel che aveva visto nella sabbia si potesse avverare.

“Smettila di fissarmi, Mihael! Fatti un giro!” storse il naso Lucifero.

L’arcangelo non si mosse. Un rumore familiare lo stupì. Udiva un battito d’ali e, alzando il capo, riconobbe i suoi fratelli del cielo. Gli altri arcangeli, e la schiera di soldati che Mihael guidava, si erano mostrati ed attendevano ordini. Mihael non ebbe il tempo di parlare, perché una voce si udì dal palazzo del Dio delle illusioni.

“Volete un po’ di tè?” domandò Keros, facendosi udire da angeli e demoni “La casa è protetta dalla mia barriera. Se degli estranei si avvicinano, io lo percepisco. Perciò non serve che ve ne stiate al freddo! Venite dentro”.

 

Lucifero suonava il piano, attorniato dai figli del nipote. Sophia era affascinata, perché avrebbe tanto voluto suonare così. Però sapeva che lo zio aveva delle doti particolari per la musica, soprattutto per il violino. Eleonore sorrise, sollevata dal fatto che quella melodia distraesse i suoi figli da quanto accadeva.

“Dopo ti do una mano io a metterli a letto, vuoi?” propose Rahael, cortesemente “Sono abbastanza bravo con i bambini..anche se ammetto che era da un pezzo che non ne vedevo uno! Inoltre, alcuni di noi hanno delle voci meravigliose ed adatte a cantare delle nenie per far dormire i piccoli”.

“Siete tutti così gentili” mormorò Eleonore, annuendo.

“Immagino che, con la lontananza del tuo sposo, le preoccupazioni pesino sul tuo cuore. Quindi è nostro compito risollevarti, ed aiutarti come possiamo”.

 “Grazie. Però..tu non sembri un guerriero..”.

“Io sono un guaritore. Ed ho una potente barriera di protezione”.

“Davvero? Bellissimo!”.

“Mi hanno detto che anche quella creatura dai capelli rossi che gira per casa vostra sia in possesso di capacità di protezione. E con i miei occhi ho visto la barriera che avvolge il palazzo. Notevole..”.

“Keros è..speciale”.

Eleonore alzò gli occhi, incrociando quelli di Rahael. Sapeva che fra gli angeli vi era il padre di Keros, e tentava di intuire chi fosse.

Nella grande stanza dove erano stati ospitati gli angeli. Mihael, sulla porta, osservava Lucifero accostato al piano.

“Rilassati, Mihael” lo rimproverò velatamente Gibrihel, con le gambe allungate sul tavolo, fra un biscotto ed un altro “Siamo tutti qui, non serve che stai sempre a fissarlo!”.

“Confermo” annuì Camael “Calmati. E goditi questi biscotti, prima che se li mangi quel pozzo senza fondo di Gibrihel. Sono fatti in casa”.

Mihael ignorò entrambi.

“Qualcosa non va?” chiese Keros, che aveva appena portato i biscotti.

“C’è una guerra imminente e voi pensate al cibo” scosse la testa l’angelo guerriero “Assurdo..”.

“Assurdo?” ribatté il mezzosangue “Io trovo assurdo il contrario. E startene lì a fulminare con lo sguardo Lucifero non serve proprio a niente”.

“Preferisco non discutere di questo”.

Lievemente accigliato, Mihael lasciò la stanza.

“Non ti preoccupare. Non ce l’ha con te. Ha sempre quella faccia..” rassicurò Gibrihel, mentre Rahael raggiungeva e rubava un dolcetto.

 “Ma voi angeli..” domandò Keros, fissando alcune armi che sfoggiavano gli ospiti “..avete il permesso di uccidere? Non è un peccato?”.

“Noi dobbiamo difendere i deboli” rispose Camael “Uccidere i demoni non è un peccato”.

“E non avete mai dovuto uccidere degli umani? Lucifero mi parlava sempre di bambini uccisi, in Egitto..”.

“Tu sei il demone cresciuto nel palazzo di Satana, dico bene? Non dare troppo peso alle sue parole. Tutto quello che è stato fatto, è stato fatto per un preciso disegno divino”.

“Oh..ok..quindi voi..non commettete peccati?”.

“Noi siamo creature pure, guidate da Dio. Ma non siamo perfetti. Chi commette un errore, viene punito. Ovviamente, ad ogni peccato corrisponde una punizione diversa”.

“Per un angelo che..fa un figlio con un demone..che pena è prevista?”.

“Che abominio! Un peccato simile non può essere commesso!”.

“E nel caso lo fosse?”.

“Che pensiero disgustoso..”.

“Camael!” lo zittì Rahael “Costui è un giovane demone. Non serve essere offensivo nei confronti della sua specie. Sembra avere un animo gentile..”.

“Un demone dall’animo gentile?”.

“Cambiamo argomento!” continuò il guaritore “Keros..intendi combattere?”.

“Certo che sì!” esclamò il mezzo demone.

“Hai un’armatura?”.

Keros scosse la testa. In quella grande sala, gli angeli avevano riposto le loro armi e vestigia, che il mezzosangue osservava ammirato, così come aveva osservato ammirato le armature d’oro. D’istinto, allungò una mano verso una lancia ma Camael lo fermò.

“Ti sconsiglio di farlo” suggerì l’arcangelo “Quella lancia appartiene a Mihael, ed è piuttosto geloso delle sue cose, piccolo demone. Inoltre tu, come demonio, ne verresti incenerito al contatto”.

Subito Keros ritrasse l’arto.

“Prova la mia armatura” propose Rahael, smorzando i toni “Io non la indosserò, perché preferisco stare qui a curare gli eventuali feriti. Ares, che riposa in quella stanza, pare avere molto bisogno di aiuto. La nostra corporatura è simile, prova a vedere come ti sta”.

 

“Hai risposto al mio invito” sorrise Ananke “E mi complimento: hai trovato la mia dimora, Arikien”.

“Non è stato del tutto merito mio” ammise Arles.

Guidato da Phanes, seguendo una lunga serie di cunicoli collegati alla grotta, il figlio di Ares aveva finalmente raggiunto la dimora di Ananke. Era fra le rocce, non aveva un’aria molto confortevole.

“Dove sono i miei fratelli?” iniziò subito a chiedere.

“Quanta fretta, giovane Dio” sorrise lei.

Seduta su un trono grigio, il suo corpo era celato in parte dall’ombra. Non era del tutto umano, in buona parte era ricoperto di spire e squame. Non aveva le gambe, ma una lunga coda. Simile all’Echidna, Ananke era più serpente che donna.

“Voglio vedere i miei fratelli!” insistette ancora Arles.

“Te li mostrerò. Ma non adesso”.

“Perché?”.

“Mi servono ancora un po’. Come sta tuo padre?”.

“Rivoglio i suoi colori e la sua giovinezza. Che cosa gli hai fatto?!”.

“Non è morto? Caspita..che zuccone!”.

“Volevi ucciderlo? Mi spiace, non ci sei riuscita”.

Ananke socchiuse gli occhi, qualche istante. Poi li riaprì, ghignando.

“Non ci sarò riuscita subito..ma ormai non manca molto. Morirà molto presto”.

“Non lo permetterò. Mi dirai come salvarlo”.

“E perché dovrei?”.

“Che cosa ti ha fatto mio padre? Perché lui? E perché la mia famiglia?”.

“Vuoi saperlo? Bene..te lo spiego. Il mio risveglio, equivale alla fine dei tempi. Prima però di scatenare tutta la mia furia, volevo capire di chi fosse la voce che mi aveva fatto destare. E volevo inoltre agire senza essere disturbata. Ares era perfetto da sfruttare. Quel Dio, vive distante dall’Olimpo, senza avere accanto i fratelli. Un suo allontanamento, non desta alcun sospetto. In pratica: a nessuno importa di tuo padre. Nessuno, tranne pochissime creature, si preoccupano o notano la sua assenza. Non avevo calcolato la tua presenza, questo lo ammetto, perché è da secoli che non rivolgo lo sguardo verso il mondo. Se tu non ci fossi stato, io avrei agito indisturbata. Avrei distrutto tutte le divinità e l’Olimpo stesso, senza nemmeno sforzarmi tanto. Ma tu..tu, fastidiosa interferenza imprevista..ti sei messo in mezzo! Hai scoperto la scomparsa di tuo padre, hai fermato i miei inganni..eppure..sei stato tu stesso a cercarmi!”.

“Io non ti ho consciamente chiamato. Io cercavo delle risposte, che solo il destino credo possa fornirmi, ma questo non comportava di certo il rapimento e la sparizione della mia famiglia e tutto il casino che hai combinato!”.

“Non si gioca con il destino, Ary” ridacchiò Ananke “Lo dovresti sapere”.

“Che cosa vuoi da me?”.

“Quello che vuoi tu: risposte. Tante divinità mi hanno cercata, ma sei stato tu a destarmi. E voglio capire perché”.

“Vuoi far finire il mondo?”.

“Tra non molto, in effetti..”.

 

“Ma che carino!” commentò Lucifero, come era abituato a dire spesso.

Keros indossava l’armatura di Rahael e, se non fosse stato per la mancanza delle ali, pareva davvero un angelo pronto alla guerra.

“Quanto sei bello, Keros” continuò il demone, passando una mano fra i capelli del mezzosangue, per toglierglieli dalla faccia “Stai proprio bene”.

“Io mi sento tanto stupido qui dentro!” ridacchiò Keros.

“Ma scherzi? Sembra fatta per te” lo rassicurò Gibrihel.

“Sembri uno di noi” annuì Rahael “Un fiero guerriero celeste”.

“Vieni con me” lo invitò Lucifero, tirandolo per un braccio “Vieni!”.

Il demone lo trascinò fino alla stanza con il grande camino, dove Mihael si era rintanato. Aveva celato le ali ma, a differenza degli altri angeli, non aveva tolto le vestigia da soldato del cielo.

Keros, appena lo vide, si ritrasse e tentò di opporre resistenza alle spinte di Lucifero.

“Ma che ti prende?” sibilò il demone.

“Credo di stargli sulle palle. Lasciatelo in pace, avanti! Non ha la faccia di uno che ha voglia di essere disturbato”.

“Lui ha un’espressione sola! Miky, guarda! Guarda che bel figurino ti ho portato. Non sta bene con l’armatura degli angeli?”.

“Chiamami Miky un’altra volta, e ti strappo i coglioni!” sbottò Mihael, molto poco angelicamente, accigliandosi “E poi..perché lo avete conciato così, poveretto? Il suo sangue non è puro, non può indossare simili vesti”.

“Quanto sei pignolo!”.

“Devo ravvivare il fuoco” sbuffò Keros “Poi me ne vado a letto. Oggi mi sono stancato di starvi a sentire”.

Con passo impacciato, per colpa di quella strana armatura, il mezzo demone si avvicinò al camino ed aggiunse un paio di ceppi al camino. Con un solo movimento delle dita, fece crescere la fiamma ed il fuoco crepitò.

“Brutta giornata, ragazzo?” domandò Mihael.

“Pessima, direi. Non è che trovi piacevole l’idea di essere circondato da gente che mi disprezza, con il mio signore lontano da casa ed un probabile nemico alle porte. Però..mi sforzo di fingere che non sia così. Faccio un sorriso di cortesia e buonanotte a tutti”.

“Questo è il tuo posto?” riprese Mihael, quando Keros era quasi sulla soglia, pronto ad uscire.

“Prego..?” girò lievemente la testa il sanguemisto.

“Ti piace stare davanti al fuoco? Ho occupato il tuo posto?”.

“Sì, in effetti. Ma non importa. Sei tu l’ospite..”.

“Chiudi la porta. Vieni qui, per cortesia. Ho delle cose da chiederti, se non ti dispiace”.

 

“Perché non sono stato invitato? Perché non sono stato informato?” si chiese Kanon, giungendo all’arena.

“Non guardare me” gli rispose Tolomeo, anche lui giungendo in quel luogo solo in quel momento “Ipazia mi ha tenuto all’oscuro”.

“Cos’è? Una festa per greci? Ma della sparizione di Ares..io dovevo essere informato!”.

Kiki fissò entrambi, lieto di vederli ma anche perplesso. Cosa ci facevano un Egizio ed un Precolombiano lì? Li chiamò per nome, e si fece raggiungere.

“Dov’è mio padre?” domandò Tolomeo, guardandosi attorno.

“Al momento è impegnato su altri fronti” spiegò il Sacerdote.

“Quali altri fronti?”.

“Siediti, te lo spiego”.

“E Ares?” interruppe Kanon “Cosa gli è successo?”.

“Sinceramente, non ci capisco molto nemmeno io. Vi dirò quel che so”.

Kanon e Tolomeo annuirono, scendendo lungo le scalinate.

“Benvenuti” li salutò Apollo “Osiride e Quetzalcoatl, serpente piumato, dico bene?”.

Tolomeo ghignò, con quella bocca esageratamente grande, e mostrò la lingua, come quella dei serpenti. Poi sedette in mezzo ai cavalieri d’oro, pronto a sentire la storia che i suoi colleghi avevano da raccontargli. Il tutto mentre in arena Apollo aveva fatto scatenare divinità ancestrali come le astrazioni.

 

“Volevo ringraziarti” iniziò Keros, dopo essersi seduto davanti al fuoco, accanto all’arcangelo.

“Per che cosa?” rispose Mihael.

“Per avermi rivelato il nome di mia madre. Ho scoperto tante cose su di lei”.

“Mi fa piacere..e, comunque, hai torto: non mi stai sulle palle”.

“Non ho trovato alcun accenno a mio padre ma, dopo queste poche ore con voi angeli qui, ho capito che non voglio sapere chi sia”.

“Perché? Per quale motivo?”.

“Penso che, se mio padre è ancora vivo, sia deluso da me. Lui era, o è, un angelo. Una creatura pura, dagli alti ideali, dalla fede incrollabile. Io sono in parte un demone..un abominio”.

“Camael ha usato questo termine, vero?”.

“Sì, mi pare di sì. Non ricordo tutti i nomi. Rahael mi ha difeso, ma solo perché non mi conosce. Tu mi conosci, e mi tratti come vado trattato da quelli della tua specie: con un certo distacco. Immagino che a mio padre non importi della mia vita, della mia sorte, e mi abbia dimenticato. Io non dovevo nascere. Io dovevo morire, in quel grande incendio”.

“Che pensieri tristi..”.

“Anche tu hai un’aria triste”.

Mihael rimase in silenzio e ricominciò a parlare solo dopo qualche istante.

“Che cosa hai visto nella sabbia di Cronos?” chiese l’arcangelo.

“Morte. La fine dei tempi..e del mio signore”.

“Io la morte di mio fratello Lucifero”.

“Lui lo sa?” si voltò di scatto Keros, preoccupato.

“Sì. Non gli importa”.

“Immagino che..sia una cosa piuttosto triste dover lottare contro il proprio fratello. Io non potrei mai farlo”.

“Hai dei fratelli?”.

“No. Ma, se ne avessi, non potrei mai lottare contro di loro”.

“Nemmeno se il tuo signore te lo ordinasse?”.

“Ma il mio signore non me lo ordinerebbe mai! Risolverebbe da solo certe faccende, senza coinvolgermi”.

“E se uno dei suoi figli si ribellasse?”.

“Non lo farebbe uccidere da un altro dei suoi figli! E non lo scaccerebbe. Però..chi sono io per parlare? Non lo so. Alla fine, sono solo un demone”.

“Sei in parte un angelo..”.

“Cambia qualcosa?”.

Mihael, notando lo sguardo fisso di Keros verso il fuoco, allungò una mano verso la fiamma. Lasciando che ne venisse avvolta, la rigirò, creando una piccola sfera. Quando la ritrasse, la pelle dell’angelo si era ricoperta di disegni blu scuro. La palla di fuoco mutò di colore, riempiendosi di guizzi azzurri. Keros fissò la scena, ammirato.

“Dammi la mano” invitò l’angelo e il mezzo demone obbedì, anche se titubante.

La sfera danzò sul palmo aperto di Keros, senza mutare colore.

“Fa il solletico” ridacchiò il sanguemisto.

“Visto? Il tuo cuore è buono. Altrimenti il mio fuoco purificatore avrebbe mutato colore. Tu sei bravo con il fuoco, ma non così tanto da poter controllare la mia fiamma”.

“Asmodeo mi ha insegnato a dominare l’elemento che amo. Anche lui lo controlla”.

“Però il fuoco di Asmodeo è diverso dal tuo, vero?”.

Keros non capiva del tutto. Mihael mostrò il dorso della mano, mentre gradatamente i segni su di essa svanivano.

“Quei segni che porti sul braccio e sul fianco..” parlò piano Mihael “..sono una conseguenza dell’incendio che ti ha coinvolto alla nascita. Il tuo corpo ti ha protetto, con quei disegni e quelle lettere. Le scritte sono in Enochiano. Se io dovessi trovarmi in mezzo ad un incendio, e fossi avvolto dalle fiamme, incapace di respingerle, probabilmente anche su di me diverrebbero permanenti”.

“Quindi sono..segni angelici? Li hanno tutti gli angeli?”.

“No, non tutti. Solo un certo tipo di angeli”.

“Quale certo tipo di angeli?”.

“Ragazzo..” sospirò Mihael “..lascia che ti racconti una storia. È successa tanti anni fa, ma grazie alle sabbie di Cronos, sono riuscito a ricordare, nonostante Lucifero ne avesse cancellato la memoria a riguardo..”.

 

Ci siamo! Chiedo perdono se i gold per ora se ne stanno buoni. Presto si scateneranno! E molto presto saprete anche alcune verità fondamentali! I capitoli che seguono (fino al 20 circa) sono stati scritti e divisi successivamente, quindi non saranno molto lunghi ma, spero, “carichi” ;) a presto! E per San Valentino caricherò un po’ di disegni “a tema Olympus” su FB e Devian art!!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** XVIII- Invecchiare ***


XVIII

INVECCHIARE

 

L’assedio era terminato, ma i demoni non intendevano lasciare Costantinopoli. La cosa irritava Mihael e gli altri angeli, che attendevano con ansia di poter tornare a casa, in cielo. Era stata una giornata faticosa, ed erano tutti molto stanchi. Riuniti in cerchio, sul suolo sacro della chiesa, celati agli occhi degli umani, consumarono un pasto semplice e si prepararono ad andare a letto. Scoraggiati, guardarono il firmamento.

“Quando potremo andarcene da qui, signor Mihael?” domandò un soldato, visibilmente affaticato e stufo.

“Spero presto, non abbiate timore” tentò di incoraggiare tutti il generale.

“Dannati demoni” sibilò Camael “Mi chiedo per quanto ancora ci toccherà stare qui”.

“Abbi fede” gli sorrise Hazrael “Tutto andrà per il meglio”.

Molti si stavano già addormentando, avvolgendosi nelle ali. Camael sospirò e guardò in alto. Il cielo stellato era meraviglioso quella notte e infondeva speranza. Questo lo calmò, però non voleva dormire.

“Faccio un giro di ricognizione” spiegò, alzandosi e iniziando a camminare per le vie della città.

Mihael lo accompagnò, nonostante la stanchezza. Insieme, lasciarono lo spazio sacro della Basilica di Santa Sophia ed i suoi marmi, per raggiungere le strade della città. A Mihael piaceva, tutto sommato, Costantinopoli. La sua forma a triangolo, le mura, l’architettura, lo stile bizantino..e vi era pure una cattedrale a lui dedicata. Non era un brutto posto, ma di gran lunga preferiva il paradiso! I due angeli passarono oltre le alte colonne, diretti al porto. Camael si accorse di familiari capelli rossi che spiccavano nella notte. Non vi erano molte persone in giro, vista l’ora tarda, ed i pochi svegli stavano facendo chiasso nei locali. La creatura dalla capigliatura come il fuoco, si voltò senza emettere un solo suono. Era leggera, delicata.

“Attento a quella donna, Camael” lo ammonì Mihael.

“Lo so, percepisco la sua aurea demoniaca”.

“Non dormite ancora?” mormorò lei, con voce sensuale “Eppure..pensavo che agli angeli non piacesse il buio”.

“Sei in cerca di una preda, Carmilla?” le rispose il guerriero.

“E tu? Sei in cerca di guai? La notte è il mio regno, arcangelo”.

“Camael..” ordinò Mihael “..tu continua il giro. Sicuramente ci saranno anche i suoi amichetti nei paraggi. A lei penso io. Chiamami, se hai bisogno”.

“Come desiderate..”.

I due angeli si divisero. Carmilla sorrise, divertita, mentre Mihael non cambiò espressione.

“Non puoi farmi nulla, arcangelo” stuzzicò lei “Finché non compio un’azione malvagia, non puoi toccarmi. Sono le regole”.

“Le conosco le regole, tranquilla”.

“E allora che pensi di fare? Pedinarmi?”.

“Il tuo sangue demoniaco ti porterà a compiere qualcosa di sbagliato. Ed io ti rispedirò all’inferno, per l’ennesima volta”.

“La cosa non ti annoia? Sempre la stessa cosa..tutta la vita..”.

“Potrei farti la stessa domanda”.

Carmilla camminò seguendo le mura ed uscì, al porto. Le piaceva guardare il mare di notte. Strinse attorno alle spalle una stoffa leggera, per coprirsi dalla lieve brezza.

“Puoi andare a dormire, arcangelo” parlò poi “Per oggi non ho intenzione di compiere peccati. Voglio solo guardare le stelle”.

“E perché dovrei crederti? Sei un’incantatrice, una tentatrice, una plagiatrice”.

“So chi sono”.

Un gatto nero raggiunse le gambe di Carmilla, strusciandosi contro di esse e facendosi accarezzare.

“Non trovi che il cielo sia più bello del solito, stanotte? Come demone, mi capita raramente di alzare gli occhi ma..”.

“Per una volta, ti do ragione”.

“E allora perché te ne stai lì sull’attenti come una bella statuina? Guarda il cielo pure tu! Rilassati un po’..”.

Mihael fece per ribattere, ma capì che era inutile. Seguì con lo sguardo quella donna, che immerse un piede in acqua e subito la ritrasse: era fredda. I capelli lisci di lei si mossero lievemente, con la brezza.

“Cosa hai in mente?” domandò lui, mentre lei sfiorava con una mano il grosso anello di una catena che chiudeva in parte l’accesso al porto.

“Niente, arcangelo. Voglio solo rilassarmi. Sono stanca, e non voglio svolazzare di piume attorno. Ma immagino che, finché non avrò commesso un peccato, non ti leverai dai piedi!”.

“So che è inevitabile che tu ne commetta. È la tua natura”.

“Tu non sai niente della mia natura, Mihael. Il che è strano perché..ci conosciamo da tanto. Saranno almeno tre secoli, o anche di più. Sono nata all’inferno ma, fin dalla prima missione per il mondo, mi sei sempre stato d’impiccio”.

“Faccio il mio lavoro”.

“Lo so. Allora..che facciamo? Le cose sono due: o mi lasci rientrare nelle mura, per commettere un qualche peccato fra i mortali, oppure stai qui a fissarmi mentre io..non so..tento di sedurre i pesci? Ma sai..non credo di essere molto bella agli occhi delle creature del mare..”.

Mihael rimase serio, nonostante la risatina di Carmilla.

“Ma tu non ridi mai?” continuò lei.

“No” si limitò a dire Mihael.

“E perché?”.

“Me lo chiedi? La mia esistenza si basa sulla continua lotta contro voialtri demoni. Non posso mai rilassarmi, perché sempre uno di voi tenta di plagiare innocenti mortali”.

“Innocenti? Non sono tutti innocenti”.

“Lo so. Io proteggo le anime buone e spero che anche quelle malvagie possano un giorno ritrovare le vie del Signore”.

“Che vitaccia..però, nella vita, non c’è solo il lavoro. Guardati attorno! Guarda il mare, è meraviglioso! Guarda il cielo, le sue migliaia di luci! La luna, gli astri! Ed anche le tante cose che riescono a fare gli umani. Questa città, per esempio! È splendida!”.

Mihael si stupì nel sentire simili frasi. Non pensava che i demoni gradissero certe piccole cose, che ammetteva essere da tempo incapace di apprezzare. Alzando lo sguardo, effettivamente si accorse che il firmamento aveva qualcosa di magico quella notte. Il gatto nero miagolò, forse annoiato.

“Ecco..” sorrise lei “..quello sguardo sognante ti dona di più. Rilassati. Sono stanca, non voglio usare i miei poteri stanotte”.

Mihael non rispose. Non poteva fidarsi di quella donna, di quel demone. Lei, dopo l’ennesima carezza al gatto, si avvicinò. L’arcangelo la fissò, alzando un sopracciglio.

“Te lo ripeto: non voglio usare i miei poteri stanotte” sussurrò di nuovo lei, allungando una mano e sfiorando il viso dell’arcangelo “Perciò, vattene”.

“Non posso” disse lui, afferrando quella mano pallida, con l’intento di allontanarla da sé.

Non compì quel gesto, però. Rimase a guardare Carmilla, ricordando tutte le volte in cui si erano incontrati, sfidati, combattuti. Lo sguardo di lei era ambrato ma non brillava, segno che non mentiva: non stava sfruttando le sue capacità da tentatrice. Gli occhi azzurri di lui invece ebbero un piccolo sussulto. Si chiese solo pochi istanti che cosa stesse facendo, prima che lei ne prendesse il volto con entrambe le mani e lo baciasse.

“Io non voglio combatterti” confessò lei “Ormai è quasi un secolo che ho sempre e solo voluto questo”.

L’arcangelo non rispose, si lasciò baciare ancora. Era notte fonda, l’ombra delle mura li avvolgeva. In alto, in cielo, la luna era argentea come mai i due avevano avuto modo di vedere prima d’ora. Che cosa stava accadendo realmente? Era un sogno? Era in atto uno strano disegno divino? E Mihael, ripensando a quella notte, si chiedeva come avesse potuto dimenticare. La sensazione che dava lo sfiorare la pelle nuda di lei, come l’aveva dimenticata? Ed i suoi baci, i suoi sospiri, i suoi gemiti? E quella sensazione, che mai più aveva provato? Quell’estasi, provocata da quell’unione..come aveva potuto dimenticare tutto quanto? Quelle labbra, quel corpo, quelle parole sussurrate.. e quel gatto nero. Il felino, dagli occhi arancio, rimase a dir poco sconvolto quella notte, nel vedere il suo fratellino avvinghiato così stretto ad una delle sue serve, la bellissima Carmilla. Lucifero, quel gatto nero, aveva già temuto il peggio: l’ira divina o qualcosa di simile. Ma non avvenne e così, quando i corpi dei due amanti si furono separati, usò tutto il suo potere per incantarli e rimuovere dalla loro mente quegli attimi. Poi, ripresa la forma umana, riportò Carmilla nella città e fece in modo che Mihael si convincesse di non aver visto alcun demone quella notte, ma di essersi semplicemente avviato verso il porto in cerca di pace.

 

“Ma..che significa?” riuscì a dire Keros, con sguardo smarrito.

“Non hai alcun motivo di pensare che tuo padre sia deluso o disgustato da te. Io non lo sono, non lo sono per niente. Sono tuo padre, Keros. E sono fiero di esserlo. Non mi importa che cosa dicono le leggi del cielo, se verrò giudicato e condannato a morte. Tu sei una creatura straordinaria. Hai salvato delle vite, hai protetto degli innocenti, servi il tuo signore con fedeltà..”.

“Io amo il mio signore. E non nello stesso modo in cui voi angeli amate il vostro Dio. Ed io..non capisco..se voi siete mio padre..perché Lucifero mi ha cresciuto? Voi due siete nemici! Voi siete il suo più grande nemico”.

“Questo dovresti chiederlo a lui. E non dovresti di colpo usare l’onorifico con me..”.

“Verrete punito?”.

“Per cosa?”.

“Per avermi..generato. Ora che la cosa si sa..”.

“Per ora, nessuno al di fuori di me, te e Lucifero sa la verità. E, immagino, il mio capo. Tornerò in cielo ed accetterò la mia punizione. Di questo tu non ti devi preoccupare”.

“Ma è tutto così triste..”.

“Triste?”.

“Sì. Il mio signore è in parte un angelo e rischio di farlo spegnere, amandolo. Voi rischiate una condanna gravissima per avermi creato. Io porto solo disgrazia..”.

Keros sospirò, tirando le gambe verso di sé. I suoi occhi lucidi brillarono, con la luce delle fiamme.

“Keros..non sono nella posizione di poter dare consigli. Io ho conosciuto solo per pochissimo quel sentimento dal punto di vista fisico. Prima di esso, e prima di ricordare, il mio amore era qualcosa di universale. Amavo Dio, amavo i miei fratelli, amavo i puri di cuore. Li amo ancora, ma so che quella notte ho provato qualcosa di molto diverso e se tu sei in grado di provare un sentimento così forte per il tuo Dio, non vedo perché condannarti”.

“L’amore fisico per me, che non sono sua moglie, non lo porterebbe a spegnersi?”.

Mihael fece ricomparire le ali, che si mostrarono belle e lucenti come sempre.

“Carmilla non era di certo mia moglie..”.

“Al mondo ci sono tanti tipi d’amore..”.

“E tu..per che tipo d’amore sei?”.

“Per quello corrisposto!”.

“Bella risposta..”.

“Grazie”.

 

Nella grotta, Arikien era frustrato. Vedeva Phanes poco distante, con gli occhi chiusi, e l’aria serena. Ananke gli aveva ordinato di restare lì, in quel luogo, fino al successivo comando. Il Dio delle illusioni si era infuriato, perché pretendeva delle risposte che non arrivavano e non gli venivano fornite.

“Ora che l’occhio di mia madre è rivolto altrove..” iniziò Phanes, alzandosi e raggiungendo l’ospite “..vorrei parlarti, Arikien delle illusioni”.

“Ti ascolto. Che hai da dirmi? Ma parla solo se hai cose sensate da proferire, se no non infastidirmi, che ho già mal di testa da giorni. Piuttosto, trova il modo di farmi capire dove sono i miei fratelli”.

“I tuoi fratelli e le tue sorelle sono qui, credo che presto li potrai vedere, perché a mia madre non serviranno più”.

“Non sono dei giocattoli! Sono delle persone!”.

“Per quel che mi riguarda, tu devi solo ritenerti fortunato, perché sei qui e potrai capire molte cose”.

“Capire? Da quando sono qui, ho solo più domande. E la cosa mi sta davvero  facendo innervosire. Ed incazzare”.

“Lo so. Lo capisco..”.

“Quella faccenda che mi avevi accennato..quella del numero tre..che significa?”.

“Mia madre vuole distruggere ogni cosa, perché dice che non vi è più una scintilla di rinnovamento divino. Ma io non credo sia così”.

“Non ho capito un cazzo. O parli chiaro o taci, ti avevo avvertito!”.

“Ogni religione nasce da un culto precedente. Nessuna nuova fede sbuca dal nulla ma integra in sé vari aspetti di credenze precedenti. Gli Dei romani derivano da quelli Greci, le ali degli angeli esistono grazie a culti d’Egitto ed Ishtar, il cristianesimo ha copiato le festività pagane..è un continuo nascere e morire di fede e credenze. Ultimamente ho assistito ad un gradito ritorno di culti dimenticati, precristiani, ma le religioni nuove..non hanno molte cose sensate. Manca una nuova rivelazione, un nuovo inizio. Il sangue divino viene tramandato di generazione in generazione e, periodicamente, nasce qualcosa che non si inserisce all’interno di un culto preciso, come definirei il tuo caso. È un sangue particolare quello che hai, che discende dal mio e da quello dei miei genitori ed è stato tramandato lungo la discendenza Greca. Prende le forme più diverse, ma resta comunque divino. In tuo fratello Kanon si è risvegliato come potere Egizio, ed è Osiride. I tuoi primogeniti sono precolombiani. Sono tutti collegati dal potere di questo sangue”.

“Vai avanti..”.

“Mia madre, e con lei ovviamente mio padre, vuole far chiudere il cerchio. Se questo sangue, come lei dice, si è ormai deteriorato ed è incapace di accendere una nuova scintilla, è tempo di cancellarlo. Come pare che sia stato scritto, una volta esauritesi quest’energia, tutto deve ricominciare da capo e tornare al nulla”.

“Ma questo vale per il mondo Greco, dico bene? Voi siete divinità legate a quel mondo”.

“Sì, hai ragione. E quel mondo verrà distrutto. Morirai tu, discendente di Ares. Morirà la tua donna, legata ad Artemide. Moriranno i tuoi figli ed i tuoi discendenti perché in loro sgorga questo sangue ormai spento. Moriranno i tuoi amici dalle armature d’oro, perché a servizio di Atena. Si estingueranno tutte le divinità Olimpiche e con esse tutto ciò che ne deriva”.

“E la questione del numero tre?”.

“In un grande culto nuovo, fin dalla notte dei tempi, vi sono sempre tre figure. Tre figure connesse fra loro da forti legami di sangue o di altra natura. Sono tre creature potenti e con caratteristiche che si ritrovano in altri culti ma, a modo loro, nuove. Iside, Osiride e Horus. Zeus, Nettuno e Hades. Brahma, Vishnu e Shiva. Padre, Figlio e Spirito Santo. Io, mia madre Ananke e mio padre Drakonta. Quando si incontrano queste tre entità, si sa che si creerà qualcosa di nuovo e straordinario, che nessuno potrà distruggere. Che, alla fine, nuovo non è, perché il mondo stesso, appena creato, era già l’immagine di qualcosa che già era nato altrove, prima di lui. Capisci quel che ti sto dicendo?”.

“Più o meno..”.

“Hanno tre ruoli distinti, solitamente. Oppure si intersecano, divenendo una cosa sola. Creatori, Distruttori e Preservatori. Se io riuscissi a provare a mia madre che in te può risvegliarsi una di queste figure..”.

“Mi sfotti?!”.

“Questo è l’unico modo che conosco per fermare mia madre”.

“Ok..metti che riesca a convincerla che posso fare questa cosa..in che modo?! E gli altri due chi sarebbero?”.

“Keros mi pare un buon candidato..”.

“Ti ho già detto che lo devi lasciare in pace, o ti spiumo!”.

“Io ti dico solo le cose come stanno, Arikien. Poi fai e ascolta quel che ti pare! La terza? Hai idee? Tua moglie ha sangue divino?”.

“Eleonore? No”.

“ Altri? I tuoi figli, o fratelli? A volte le figure sono quattro, se una di esse ha un gemello. Se non esiste una terza entità..allora dovrò aiutare mia madre a far finire ogni cosa”.

“Alla fine..basta una creatura potente che la convinca, no? Una vale l’altra!”.

“Come puoi divenire parte di questo sistema, se nemmeno tu credi in quel che sei?!”.

“E tu credi alle cazzate che mi stai dicendo?! Sul serio?! Tua madre governa il destino, lei sa e decide tutto quello che farò e sarò. Sono legato al mondo Greco, e quindi al suo potere”.

“Ti do ragione..”.

“E quindi?”.

“Non posso dirti tutto io! Accendi il cervello e usalo!”.

 

Non riuscendo a dormire, Lucifero girellava senza meta per casa. Asmodeo russava come un cinghiale e lo teneva sveglio. Non capiva come gli altri demoni, tutti nella stessa grande stanza, fossero in grado di riposare.  Lasciò un’occhiata all’esterno e vide Mihael e Keros, uno contro l’altro. Il demone capì subito che l’arcangelo stava spiegando al sangue misto alcune tecniche di attacco e di difesa. Sorridendo, soddisfatto da quella strana scena, Lucifero si rintanò nella sala del camino: lì vi era silenzio. Fissò il fuoco, lattina di birra alla mano. Mihael diceva che nelle fiamme riusciva a sentire la voce di Dio. Lucifero ci vedeva solo un simbolo di dannazione eterna. Sbadigliò, arricciando la coda. Sentì dei rumori, fuori dalla porta, e poco dopo Mihael e Keros lo raggiunsero.

“Sei ancora in piedi?” domandò l’angelo.

“Anche tu” si limitò a dire Lucifero.

“Non per molto”.

“Buonanotte” interruppe Keros “Non ho voglia di discutere adesso, ma ho molte domande da fare ancora a voi due!”.

“Notte!” salutò il demone, portandosi alla bocca la lattina di birra.

“Insonnia?” domandò Mihael, avvicinandosi al fratello.

“Glielo hai detto?”.

“Sì..mi sembrava giusto”.

“Perché?”.

“Fai troppe domande”.

L’angelo rubò la birra dalla mano del fratello e bevve qualche sorso, sedendosi con aria distratta.

“Hei!” tentò di protestare il demone, rinunciando poi per il sonno.

“Che ci sta succedendo, fratello?” mormorò Mihael.

“Di che parli?”.

Lucifero si era steso, sbadigliando di nuovo.

“Un tempo non facevamo che combattere fra noi, a testa alta. Ma ora? Che è successo? Non abbiamo lo stesso sguardo, la stessa determinazione..”.

“Siamo invecchiati”.

“Già..ma, rispondi sinceramente: non ti manca il cielo? Neanche un po’?”.

“Sinceramente? No. Forse un tempo, quando Sophia era fra di voi, mi mancava lei. Ma ora..non ho nulla che mi leghi a quel luogo. E a te..non manca il sesso?”.

“Il sesso?!”.

“Sì. Quella cosa che hai fatto con Carmilla si chiama così. Non ti manca?”.

“Non saprei..non mi sono soffermato su certi pensieri..”.

“Carmilla aveva un gran bel paio di tette. Penso che a chiunque venisse voglia di far sesso accanto a lei. Ed il fatto che sia riuscita a farlo fare a te..avvalora la mia teoria!”.

“Cambiamo argomento..”.

“Santarellino..”.

“C’è una domanda che ho sempre voluto farti, Lucy”.

“Spara”.

“Ma quelle corna che hai..stanno sempre lì o cadono dopo la stagione degli amori, come quelle dei cervi?”.

“Sei ubriaco?! Con un solo goccio di birra?!”.

“Cercavo di sdrammatizzare..”.

“Sei preoccupato?”.

“Tu no?”.

“No!”.

“E riguardo a quanto ho visto? Questi potrebbero essere i tuoi ultimi giorni di vita..non ci pensi?”.

“Francamente non mi interessa. Non so dove vadano i demoni dopo la morte, e nemmeno gli angeli, ma spero di rincontrare lei..”.

“Gli angeli tornano nelle mani di Dio, che decide il da farsi. I demoni..non saprei, in effetti”.

“Spero di non ritrovarmi fra le mani di Dio, perché altrimenti sento che finirei schiacciato in un grande applauso..”.

“Che strana immagine”.

“Non mi interessa il paradiso. Non mi importa la pace. Non mi spaventa la morte”.

“Bugiardo!”.

Mihael si attendeva la solita risposta sibilante e perfida ma non fu così: il fratello maggiore si era addormentato, avvolto in parte dalle ali. L’angelo lo fissò qualche istante..e finì la birra.

 

Ananke aveva chiamato di nuovo il Dio delle illusioni e lo guidò lungo gli stretti cunicoli della grotta. Lui la seguiva in silenzio, ormai stanco di ripetere sempre la stessa domanda, passandosi una mano sulle tempie doloranti.

Giunsero finalmente in un ampio spazio, avvolto dal buio. Arles percepì il rumore di diverse catene e si sforzò per riuscire a vedere nelle tenebre. Espanse la propria luce ed incrociò un paio di occhi rossi.

“Phobos!” lo riconobbe subito il fratello minore.

Accanto a Phobos, vi era Deimos, entrambi seduti in terra e bloccati da catenacci pesanti.

“State bene?” domandò Arles.

I gemelli non risposero. Fissarono il fratello minore, lievemente preoccupati nel vederlo lì.

“I tuoi fratelli non mi servono più, Arikien. Ho sfruttato le loro capacità per istaurare il terrore nel cuore della gente, ma ora non sono più necessari” parlò Ananke, arrotolandosi leggermente su se stessa “Uccidili”.

“Come no..” rise il Dio, sarcastico “..lo farò di certo!”.

“Posso darti una cosa molto preziosa in cambio”.

“Ti ho risvegliato, lo ammetto. Per errore. Cercavo le risposte assolute ad ogni domanda del mondo ma, anche se tu ora mi offrissi tutte quelle risposte, non alzerei un dito contro i miei fratelli”.

“Ho qualcosa di meglio. Arikien delle illusioni, io voglio concederti la chiave del tuo destino”.

“La chiave del mio destino? Cioè?”.

“La possibilità di slegarti dal mio controllo. Non faresti più parte del mio mondo, non saresti disintegrato assieme a tutti gli altri Dei Greci ed il loro seguito”.

Il Dio rimase in silenzio qualche istante.

“Dove sono gli altri? Perché hai incatenato Phobos e Deimos?”.

“Gli altri sono in luogo sicuro. Ragiona: moriranno comunque. Tutti quanti! Perciò hai la possibilità di liberarli da una possibile lunga agonia, donandogli una fine rapida. Tu, in cambio, saresti libero”.

“Perché? Perché vuoi questa libertà per me?”.

“Perché tu mi hai svegliato. È il mio modo di ringraziarti. Inoltre, uccidendoli, mi farai capire che comprendi il mio disegno”.

“Fallo, fratello” mormorò Phobos, a bassa voce “La nostra vita ormai è alla fine”.

“Ananke..” riprese il Dio delle illusioni, dopo qualche istante “..due morti, per una chiave sola..non mi sembra un buono scambio”.

“Che proponi, giovane Dio?”.

“Voglio le chiavi della mia famiglia. Le chiavi di Eleonore, dei miei figli e di Keros”.

“Quella di Eleonore posso concedertela. I tuoi figli, con tu e la tua amata liberi, non saranno più legati a me, perciò non ne hai bisogno. Per quel che riguarda Keros..non è fra i Greci, perciò non è affar mio. Due chiavi per due vite. Che dici? La tua, e quella della tua sposa. Ci stai?”.

“Mostratemi quelle chiavi” rispose Arles, non fidandosi troppo.

Ananke ridacchiò ancora. Con un rapido movimento delle mani, fece comparire due chiavi di colore diverso.

“La tua è quella rossa e oro, segno dell’unione del sangue di Ares con quello angelico. Quella di Eleonore è blu ed argento, perché è stata a servizio di Artemide, che governa la luna e la notte”.

“Come posso sapere se sono davvero le chiavi che voglio?”.

“Che motivo avrei di mentirti?”.

“Che motivo avresti di non farlo?”.

La Dea sospirò e porse una delle chiavi al Dio. Subito, appena l’ebbe presa fra le mani, Arles iniziò a vedere immagini dal passato.

“Ora fai quel che devi. Non mi interessa come. Ma uccidili, levameli dai piedi. In caso contrario..attaccherò la tua casa. Mi hai sentito? Attaccherò il tuo palazzo, con i tuoi preziosi figli, Eleonore e quello strano essere indefinito di nome Keros. Non voglio rischiare che riescano a comunicare quel che ho in mente di fare agli altri Dei Greci!”.

“Fallo” ordinò anche Deimos “Pensa al tuo futuro. Io, al tuo posto, non esiterei”.

Il Dio delle illusioni rimase in silenzio. Tutto stava davvero per finire, non si poteva lottare contro il destino. Poi, alzando lo sguardo, intravide le ali d’oro di Phanes. Ripensò a quanto detto da quella creatura..e capì che non aveva grandi alternative.

 

“Che cosa significa, secondo te?” domandò Camael.

“A che ti riferisci?” rispose Gibrihel, a bassa voce per non svegliare qualcuno.

“A Mihael. È strano. Molto strano”.

“In che senso?”.

“Prima stava insegnando tecniche angeliche a quel demone dai capelli rossi. Ed hai notato lo sguardo che rivolgeva a Lucifero? Non era il solito. Era triste..come velato dalla preoccupazione. Ed ultimamente li vedo spesso discutere insieme, senza un motivo”.

“Tu che cosa pensi sia successo? O succeda?”.

“Non lo so. Non so davvero che pensare. Girano voci, fra le alte sfere. Ultimamente sta trasgredendo tante piccole regole. Il fatto stesso che sia qui, non credo sia previsto”.

“Questo non mi pare un problema. Noi siamo qui perché lui è nostro fratello, e non lo lasciamo solo in mezzo ai demoni, non perché abbiamo ricevuto un ordine”.

“E se lui..volesse stare in mezzo ai demoni?”.

 

Ares gemette. Steso, in una delle stanze del palazzo del Dio dell’illusioni, percepì la vita dei suoi gemelli spegnersi. Phobos e Deimos erano morti? Il Dio della guerra provò un gran peso sul cuore. Era cieco, ancora privo di colori, e con il volto segnato dalle rughe. Però aveva tentato di conservare la speranza nel futuro, la speranza di riavere la vista e riavere tutti i suoi figli accanto a sé. Afrodite, Dea della bellezza, gli stava accanto e udì quel gemito.

“Che cosa c’è?” gli parlò piano “Senti dolore? Vuoi che avvisi Rahael, l’angelo guaritore?”.

Il Dio non ebbe il coraggio di dirle la verità. Nel frattempo, il palazzo mutava, tingendosi di rosso, assumendo un’aria decisamente spettrale. 

 

L’attesa è finita: è guerra!!!! :P E ieri ho caricato 3 nuovi disegni a tema Olympus

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** XIX- Invasione ***


XIX

INVASIONE

 

“Buongiorno, Uriel” salutò educatamente Mihael.

Con un inchino, l’arcangelo rispose al saluto. Non si stupì di vedere Mihael sveglio poco prima dell’alba, perché sapeva che al collega piaceva vedere il sole sorgere.

“Non mi stanco mai di assistere a questo spettacolo” commentò Uriel, quando si intravidero i primi raggi dell’astro del mattino.

Gli occhi di Mihael risplendettero alcuni istanti di luce d’oro. Fra le colonne, i due angeli rimasero in silenzio qualche minuto. Poi il guerriero sospirò e Uriel girò lo sguardo, serio.

“Girano voci bizzarre, sai?” parlò e Mihael alzò un sopracciglio, perplesso.

“Voci di che tipo?” domandò l’arcangelo di fuoco.

“Sei strano, ultimamente. Questo non puoi negarlo. Che cosa ti prende?”.

“Uriel..tu che se il più saggio di tutti noi,risponderesti sinceramente ad una mia domanda?”.

“Certo, se ne sono in grado..”.

“Tu credi in quel che c’è scritto nell’Apocalisse?”.

“Cos’è? Una domanda retorica?!”.

“No. Te lo chiedo: tu ci credi?”.

“In linea di massima, sì. Poi, ovvio, ricordo che comunque è stata scritta da un essere umano, quindi non mi aspetto che sia perfetta, anche se ispirata da Dio”.

“Ma noi come lo sappiamo che è stata scritta con la guida di Dio? Lo abbiamo mai sentito parlare di queste cose? E se fosse solo una storia inventata da un pazzo?”.

“Non dovrebbe, spero! Ma perché ti fai questo tipo di domande?”.

“La mia esistenza è legata ad un continuo scontro con nostro fratello Lucifero. Ma dimmi, Uriel, se uno di noi dovesse morire prima dell’Apocalisse, che cosa accadrebbe?”.

“Come mai lo chiedi? Stai male? Sei malato?”.

“No, io sto benissimo”.

“Lucifero..?”.

“Rispondi alla mia domanda. Che cosa accadrebbe?”.

Uriel rimase qualche istante in silenzio, pensando. Con i suoi grandi occhi azzurri, guardò il cielo, come in cerca di una risposta.

“Uriel?” lo incitò Mihael, l’angelo più impaziente del cielo.

“Non posso sapere che cosa accadrebbe. Non prevedo il futuro” ammise l’arcangelo, passandosi una mano fra i capelli castani “Ho solo delle ipotesi. Immagino che, in caso di scomparsa di uno dei due, si trovi un sostituto”.

“Sai bene quanto me che nessuno è in grado di sostituire me o Lucifero. Io sono il generale supremo delle truppe angeliche e lui è il re dei demoni”.

“Se Lucifero morisse, significherebbe una nostra vittoria. Sarebbe una buona notizia”.

“Come puoi definire la morte di nostro fratello una buona notizia?!”.

“Mihael! Sei stato tu stesso a dire più volte che quello non è più nostro fratello. Egli è morto, quando è caduto!”.

“Non sono più sicuro di questo..”.

“Forse..dovresti tornare un po’ a casa”.

“A casa?”.

“Sì, in cielo. Stare tanto tempo fra gli uomini ed i demoni ti ha stancato e così la tua mente si confonde. Un periodo in pace e tranquillità non può che farti bene”.

“Non so..”.

“Cosa non sai?!”.

“E se questa fosse la nostra ultima battaglia? Gibrihel ha la tromba dell’Apocalisse con sé..”.

“Ma che dici?!”.

Dall’interno della casa, si udiva il baccano poco elegante di vari demoni che perdevano tempo discutendo fra loro. La voce forte e decisa di Lucifero li interruppe.

“È rimasto il solito” ridacchiò Uriel “Anche quando eravamo bambini, e facevamo troppo chiasso, sbraitava in quel modo..così poco angelico”.

“Siamo un po’ tutti rimasti i soliti. Nel bene o nel male..”.

“Chi più nel bene e chi più nel male..”.

Lucifero raggiunse i due, dando una pacca sulla schiena ad entrambi e circondandone il collo con le braccia.

“Fratellini” commentò, con un mezzo ghigno “Parlate del bene e del male? Ma ogni tanto..figa e sport, no? Sempre le solite menate? Son millenni che cazzeggiamo sempre con le stesse storie da lotta del bene contro il male..”.

“Comprendi ancora l’angelico?” si stupì Uriel, che era il linguaggio che aveva usato con Mihael fino a quel momento.

“Mi prendi per il culo? Certo che sì! Non sono stupido, come pensate voialtri..”.

“Sì, ok..” arricciò il naso Mihael “Ma ora toglimi le zampacce di dosso!”.

“Permaloso! Vado a mangiare”.

“Pensavo andassi a fare un giro” rispose Uriel.

“Oh, sì. Non vedo l’ora di sedermi con le chiappe nella neve all’alba con i pinguini che mi salutano!”.

“Non fa così freddo!”.

Lucifero rispose con una specie di soffio, come un gatto, e si allontanò. I due angeli si lanciarono solo un rapido sguardo e decisero di fare lo stesso.

 

Per il corridoio, Eleonore era in pensiero. Appena vide Keros, si scusò per averlo svegliato così presto ma aveva un problema: Iravat, uno dei gemelli, non era rientrato quella notte! Keros ruotò gli occhi al cielo, perché sapeva dove quel ragazzo si stesse nascondendo. Grazie alla barriera che aveva creato, ne percepiva i movimenti. Subito il mezzo sangue lo raggiunse e lo trovò fra le montagne, “impegnato” con un paio di ragazze. Le due, alla vista di Keros con gli occhi arancio, fuggirono immediatamente.

“Mi hai rovinato la festa” sbottò Iravat.

“Tua madre è in pensiero per te. Non mi sembra il caso di peggiorare la già complicata situazione attuale”.

“Io faccio quello che voglio!”.

“Non in questo caso. Sei sotto la mia tutela e, finché lo sarai, non voglio stronzate”.

“Io sono un vero uomo. E mi comporto come tale. E non dovrei nemmeno stare qui, ma ad uccidere nemici. Io sono forte, lo posso fare”.

“Stai velatamente alludendo a quel che succede fra me e tuo padre?”.

“Lo hai reso debole. Anche l’amore per Eleonore lo ha reso debole. Un tempo, era spietato e crudele”.

“Non esisteresti, senza quell’amore per Eleonore. Ma, ad ogni modo..ora ti dirò una cosa, ragazzo. Ascoltami bene, perché non la ripeterò. Un vero uomo non si valuta in base al numero di volte in cui sfodera l'uccello o l'elenco di donne con cui è stato a letto. Un vero uomo non è colui che con la forza sottomette i deboli e gonfia il petto dinnanzi a chi non può difendersi. Quello non è un uomo, ma un semplice coglione. Un vero uomo, dinnanzi a chi ha bisogno di sostegno, si ferma e aiuta. Un vero uomo è chi, vedendo una creatura in difficoltà, si china per risollevarla e non chi usa il suo potere per schiacciarla. Essere uomini non significa essere forti e dimostrare ad ogni costo di essere il più in alto di tutti, ma usare quella stessa forza per proteggere chi non è in grado di farlo o chi confida in noi. Essere uomo significa combattere per proteggere chi amiamo, non combattere per distruggere chi è più fragile. Non conta chi ami ed in che modo, conta il rispetto che provi per te stesso e per chi hai accanto. Amare, una donna o un altro uomo, non rende meno uomini. Un vero uomo conosce la pace, l'amore, non solo la guerra. Sa quali sono i suoi punti deboli, non finge di non averne. Altrimenti non è un uomo, ma solo una bestia. Vuoi essere un uomo o una bestia, Iravat?”.

Il giovane rimase in silenzio, non del tutto convinto.

“Iravat..” riprese Keros “So che stai attraversando un periodo difficile dell’esistenza. Sei in piena adolescenza, e cerchi di dimostrare a tutti che sei un adulto. Ma non è facile come sembra”.

“Che cosa dovrei fare? Non posso combattere!”.

“Tua madre, i tuoi fratelli, le tue sorelle..hanno bisogno di te! Questa famiglia conta anche su di te, sul tuo coraggio, sulla tua forza d’animo. Non serve affrontare i nemici a spada tratta per sostenere qualcuno. Cerca di alleviare le preoccupazioni di chi hai vicino, senza procurargliene di altre. So che sei spaventato per quanto sta succedendo, so che temi per la vita di tuo padre..ma siamo tutti nella stessa barca! Cerchiamo di darci una mano a vicenda, ti va? Proviamoci, almeno”.

Iravat non disse altro. Si alzò e tornò in casa, seguito da Keros. Appena entrato, il giovane sorrise alla madre, cosa che non faceva da tempo, ed aiutò i fratellini a vestirsi e togliere il pigiama. Iravan, il gemello, lo accolse con un “era ora!”.

“Che cosa gli hai detto?” domandò Eleonore, fissando Keros.

“Cose fra uomini” si limitò a dire il mezzo demone.

“Ah..capisco..”.

“Vuole un gran bene a suo padre, ed anche a te. Di certo è un bravo ragazzo ma è in quella fase della vita in cui si è un po’ confusi. È naturale”.

Lei sorrise debolmente.

“Hai mai pensato di averne uno tuo?” domandò poi, guardando lungo il corridoio.

“Di che?” si stupì il sanguemisto.

“Di figli, stupido!”.

“Sinceramente..no. Prima di conoscere il signor Arikien, non mi ero nemmeno mai innamorato..perché lo chiedi?”.

“Perché sei sempre stato bravo con i ragazzi. Quasi tutti i miei figli li hai visti crescere e nascere. Te la cavi bene”.

“Che idee strane..”.

“E perché ci hai messo tanto a dirglielo?”.

“Che cosa? Scusami ma oggi non so di che parli..”.

“Perché hai aspettato tanto per dire ad Ary che lo ami?”.

“Se tu ti fossi innamorata di Artemide, che un tempo servivi, lo avresti detto? Siamo su due livelli diversi..”.

Eleonore rimase in silenzio e allungò le dita, afferrando la mano di Keros e stringendola.

“Non avere paura” parlò ancora il mezzo demone “Lui tornerà di certo, e presto. Dobbiamo credere”.

“Io credo in Ary” rispose lei “Ma ho paura. Paura per questa casa e per il futuro. Devo essere forte, lo so..ma non so per quanto a lungo ci riuscirò”.

“Io sono qui. Ci sosterremo a vicenda. È questo il mio ruolo, no?”.

Keros si sforzò di sorridere e lo stesso fece Eleonore.

“Keros” chiamò Mihael, interrompendo i pensieri dei due “Vieni con me, per favore”.

Il mezzosangue si congedò da Eleonore e seguì l’angelo, fino alla grande stanza dove tutte le creature del cielo avevano riposto le vestigia e riposavano. Appena svegli, gli alati si stupirono nel vedere il loro generale ancora in compagnia di quella strana creatura dai capelli rossi.

“Attento a come ti relazioni con quella femmina..”  iniziò Mihael, a bassa voce, passando in rassegna le armi del suo esercito “..lei è la donna del tuo signore. Lucifero è caduto anche per il legame che aveva con Sophia, la più amata del cielo”.

“La cosa è del tutto diversa. E un soldato angelico dubito possa insegnarmi molto a riguardo..”.

“Va bene..cambiamo argomento. Parlami del nemico”.

“Non so dire un granché” rispose Keros “Ho avuto delle visioni..ma non erano chiare”.

“Il tuo signore..è andato da quell’essere, da Ananke. Chi è? E che creature potrebbe mandarci contro?”.

“Ananke governa il destino, secondo la mitologia greca. Perciò..tecnicamente potrebbe mandarci contro chiunque! Divinità del mondo ellenico di ogni tipo”.

“Quindi..dobbiamo prepararci ad affrontare qualsiasi cosa?”.

“Più o meno”.

“Cosa c’era nelle tue visioni?”.

“E nelle vostre?”.

“Sarà quella..cosa ad attaccarci?”.

“Non lo so. Continuo a vedere serpenti, enormi serpenti..”.

Sfiorando con le mani una delle armature, Mihael inclinò la testa. Prese la propria lancia fra le mani e notò lo sguardo di Keros, che brillò.

“Ti piace?” domandò l’Arcangelo.

“Sì” ammise il mezzosangue “Anche se..so che è quella che servirà ad uccidere Lucifero”.

“Solo seconda una delle versioni della storia”.

L’angelo guerriero porse l’arma a Keros, che rimase immobile a fissarla, senza sapere bene che cosa volesse il padre.

“Non esplode mica!” sbottò Mihael “Allunga la mano. Si impugna qui, in questo punto”.

Il sanguemisto allungò la mano, afferrando la lancia nel punto indicato dall’arcangelo.

“Com’è possibile?” si chiese Camael “Se quell’essere fosse un demone..quella lancia lo avrebbe distrutto al solo tocco! Che cosa succede?”.

“E..” continuava a parlare l’arcangelo guerriero “..tira indietro i capelli. Come fai a combattere con quei cosi tutti davanti alla faccia?!”.

“Mica è facile!”.

“Credi non lo sappia?! Secondo te, quei capelli che hai in testa da dove vengono?! Con i poteri delle fiamme, c’è sempre il rischio che prendano fuoco”.

“Non sono un bambino!” ridacchiò Keros “Li lego i capelli. E le orecchie a punta aiutano..”.

“Quelle non posso sapere come funzionano..”.

All’ennesimo ciuffo che finì sul volto di Keros, mentre il sanguemisto tentava di sembrare convincente con la lancia in mano, l’arcangelo allungò le mani e tirò indietro i capelli del figlio. Il mezzo demone rimase alquanto perplesso da quel gesto, così come la maggior parte degli angeli della sala. Di tutta risposta, dopo pochi secondi, Keros rispose allo stesso modo: scompigliando i capelli di Mihael, che ricaddero in avanti in modo disordinato. Così facendo, le loro pettinature parevano quasi identiche. Fissandosi, entrambi arricciarono il naso un paio di volte.

“Chi è costui, Mihael?” finalmente domandò Gibrihel “Che succede? Sembrerebbe quasi uno di noi..”.

“Lui? Ecco..lui è..” iniziò a spiegare l’arcangelo, ma notò che lo sguardo di Keros si era illuminato d’oro per qualche istante.

“Qualcosa ha oltrepassato la mia barriera” parlò il sanguemisto.

“Che cosa? Un nemico?” si allarmò Camael.

“Non so dirvi che cosa sia..ma si muove in fretta ed ha un potere immenso”.

 

L’arena era in subbuglio. Stava per iniziare lo scontro che in moltissimi attendevano ansia: uno scontro fratricida fra Hades e Poseidone! I cavalieri d’oro erano curiosi, perché in passato avevano avuto a che fare con quelle divinità ed erano curiosi di vedere chi avrebbe avuto la meglio.

“Il vincitore sarà il nostro prossimo avversario” commentò Camus “Dato che Apollo non vuole farci lottare direttamente contro gli Dei, ci toccano i Generali Marini o i tre giudici infernali”.

“Io spero nei generali marini” ammise il Leone “Di botte da Radamante ne ho prese abbastanza”.

“Ma fra i marini hanno trovato chi mi sostituisce?” chiese Kanon, cercandoli fra la folla.

“Non te lo so dire” ammise Kiki “Non mi sembra”.

“Sono unico ed irripetibile” ghignò Osiride.

“Ma su, in ogni caso saremo tutti noi contro tre o sei individui. Non mi pare una gran cosa” storse il naso Milo “Apollo ci sottovaluta”.

“Se è stupido, noi che ci possiamo fare?” alzò le spalle Sargas.

“Non è stupido!” lo corresse Camus “Secondo me ha un piano in mente”.

“E sarebbe? Eliminare Hades e Poseidone dai giochi senza doverli affrontare?”.

“Esatto. Hades è già in svantaggio, perché suo figlio ha perso. Dovesse essere sconfitto ancora, sarebbe fuori. Se invece è Poseidone lo sconfitto, a noi toccherebbero i tre giudici, ostacolo alquanto fastidioso ma eliminabile da noialtri”.

“La folla già acclama il suo beniamino: Hermes” sorrise Aphrodite “E non so come dargli torto, visto quel che ha fatto”.

“Non mi dispiacerebbe” ammise Aiolos “Ma sappiamo bene che Apollo vince sempre contro Hermes”.

“Il bastardo ha organizzato tutti gli scontri in modo da vincere facile?!” ghignò Deathmask “Che stronzo astutamente ingegnoso!”.

 

“Signore..” domandò Asmodeo, seguendo Lucifero all’aperto, in cerca del nemico “..perché gli angeli sono qui? Che cosa sta succedendo? I sette arcangeli riuniti..”.

“Rilassati” lo zittì il re dei demoni “Loro sono qui per impedirci di raggiungere il nostro scopo. Sanno che, se noi proteggiamo questa casa, Arikien sarà il nostro principe. E cercando di impedircelo, salvando questo tempio dai nemici senza lasciarci intervenire”.

“In pratica..stiamo per lottare a fianco degli angeli per ottenere la stessa cosa? La salvezza di un gruppo di innocenti?”.

“Asmodeo..mi irriti, lo sai? Che stai cercando di dirmi?”.

“Sto cercando di capire come mai sembriamo quasi alleati con..quei cosi piumosi”.

“Quei cosi piumosi sono i tuoi fratelli, o sbaglio? O per caso credi di essere sbucato dal nulla all’inferno? Che io sappia, tu sei uno dei caduti”.

“Si, signore”.

“Perciò taci! E fidati! Questo lo sto facendo per il principe. Abbiamo bisogno di un principe, se vogliamo vincere sul cielo, e tu lo sai! Perciò chiudi quella cazzo di bocca e proteggi questa casa. Vi saranno anche degli innocenti e non sarà molto demoniaco, ma se uno di loro muore..Arikien non sarà al nostro fianco nella lotta finale. Chiaro? Capisci ora, o ti faccio un disegno?”.

“Sì..”.

“Bravo. Ora porta con te Azazel e Baphomet. Astaroth e Moloch si muoveranno sull’altro versante della montagna. Appena il nemico si mostrerà, vediti pronto a gestire le truppe”.

Asmodeo annuì, anche se non del tutto convinto, e gridò, richiamando all’ordine un gruppo di demoni a suo servizio. Lucifero incrociò le braccia, con un sorriso beffardo. In realtà, nella mentre aveva le parole di Mihael. Doveva morire davvero? Era destino che si spegnesse in quella battaglia? E come mai il fratello minore se ne preoccupava tanto? Guardò in alto, riconoscendo Mihael e la sua armatura. L’arcangelo girò gli occhi ed i due si fissarono, qualche istante.

“Non so che ti prenda ultimante..” commentò Camael, affiancando Mihael in volo“..ma, per favore, riprenditi. Ricorda chi è il nostro nemico e perché lo combattiamo”.

“Lo so meglio di te, Camael”.

“Non mi sembra”.

“Non siamo qui per lottare contro i demoni ma per proteggere delle creature, che discendono dal sacro sangue di Sophia. Ci vedi forse qualcosa di sbagliato?”.

“Se anche una sola di queste creature morisse, Arikien non diverrà principe degli inferi. So che quel che suggerisco può sembrare crudele, ma rappresenterebbe la salvezza del cielo e del mondo. Dobbiamo pensare al bene superiore. E, per non toccare il sacro sangue di Sophia, possiamo far sì che muoiano coloro a cui non ne sono legati. Quella donna, per esempio. O quello strano essere”.

“Ma che cosa stai dicendo?!”.

“Sono in molti a pensarla come me. La morte di quella femmina, o di quel demone dai capelli rossi, porterebbe alla rinuncia di Arikien al ruolo di principe. Non so se ti rendi conto di cosa accadrebbe se lui dovesse combattere contro di noi. Il suo potere è immenso”.

“Lo so bene. Ma uccidere Eleonore o Keros non è la cosa giusta”.

“Eleonore è una donna. È umana. Posso capire la tua titubanza. Ma quel demone..perché proteggere quel demone? È uno di loro! Anche se muore..”.

“Tu prova ad avvicinarti a lui e dovrai vedertela con me, Camael. E sai che fra me e te io sono il più potente”.

“Dico solo..che si dovrebbero rispettare gli ordini”.

“Tu inizia rispettando le gerarchie, tanto per cominciare. In guerra sono io che comando. Sono il generale delle truppe. Perciò devi fare quel che ti dico”.

“Fratello..non riesco più a comprenderti. E questo è strano, perché a lungo abbiamo lottato fianco a fianco”.

“Rimanda le tue domande a dopo la battaglia. Una volta che sarà tutto finito, ne parleremo con calma, se ne avremo l’occasione”.

“Perché non dovremmo averne l’occasione?!”.

Mihael sbatté le ali e si allontanò dal fratello. Più in alto di qualsiasi altra creatura presente, vide avvicinarsi rapidamente due entità. Subito, nella creatura più grande, enorme, vide quel serpente che nella visione uccideva suo fratello. La terra tremò e Mihael strinse forte la lancia.

In casa, Eleonore e Keros, assieme a Sophia ed i gemelli, portarono tutti i piccoli della famiglia in un luogo sicuro, posto sotto il palazzo, dopo una lunga scalinata. Il mezzo demone, una volta appurato che fossero tutti al sicuro, compreso il bianco Ares, si apprestò a raggiungere l’esterno, pronto a combattere. Mihael, quando lo vide, di primo acchito fu tentato di bloccarlo ma capì subito che Keros non avrebbe mai disobbedito al suo signore e l’ordine del suo signore era proteggere quel luogo.

 

Sì, d’ora in poi aggiornerò i capitoli solo il Lunedì. Un po’ perché sto lavorando anche ad altro, ed un po’ perché vorrei che vi metteste di nuovo tutti in pari ;) e poi ho notato che i capitoli del Lunedì hanno molte più visite di quelli del Giovedì!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** XX- Ignoto ***


XX

IGNOTO

 

“Lucifero, ti trasformi in gatto?” domandava sempre Keros da piccolo.

Il re dei demoni fingeva fastidio e si lamentava ma, alla fine, accontentava sempre quel piccolo bimbo dal sangue misto. Lo trovava adorabile, lo doveva ammettere. Non aveva mai amato molto i bambini ma Keros era diverso. Quando metteva il broncio, era identico a Mihael! Però lo sguardo era quello di Carmilla e Lucifero era consapevole di averlo spinto ad usare i suoi poteri fin in tenera età. Inconsapevolmente però lo aveva portato ad imitarlo mentre, nel regno umano, sfoderava tutte le sue capacità di inganno e tentazione. In quel momento, con il nemico alle porte, Lucifero osservava il mezzosangue e si chiedeva se avesse compiuto le azioni giuste. Forse quella creatura meritava di crescere fra gli angeli e lui lo aveva spinto a diventare qualcosa di sbagliato. Forse? Che domande..era una cosa certa. Lui era il diavolo, lui era l’essenza dello sbagliato! Però ci aveva provato. Aveva trattato quel piccolo con affetto e con cura, come fosse una cosa preziosa, spinto da uno strano ed insolito istinto. Ed andava fiero del risultato anche se ora, lo vedeva, era probabile che lo scoprire la verità avrebbe incasinato tutto quanto. Abbassò leggermente le orecchie e sorrise, orgoglioso, quando lo vide pronto a combattere. Mihael lo osservava a sua volta.

“Inizia dunque la mia ultima battaglia” commentò il demone, guardando il cielo “Vedremo se Mihael avrà ragione. In ogni caso..non ho questioni in sospeso. Il mio regno ha chi lo governerà al posto mio e Keros non ha più bisogno di un finto angelo custode, perché ne ha uno vero che veglia su di lui. Ed un Dio che lo ama. Perciò..se questo è il tuo disegno, che senso ha opporvisi? Sono proprio curioso di sapere che cosa hai in mente per me..papà!”.

 

“Non essere gentile con me, fratello” sorrise Poseidone.

“Non lo sono mai stato” gli rispose Hades, con la stessa espressione.

In arena, vi era chi gridava l’uno o l’altro nome, assetati di sangue e insulti. I rappresentanti dell’esercito delle due divinità si lanciavano occhiate poco rassicuranti. I cavalieri d’oro, seduti proprio in mezzo alle due fazioni, si fissarono. Alcuni di loro erano preoccupati, mentre altri si stavano divertendo.

Il tridente di Poseidone brillò intensamente, liberando il suo potere in un vortice che Hades respinse con un vento di anime.

“Era da tempo che non ci divertivamo, fratellino” commentò Hades, con un ghigno.

“Ed era ora che tornassimo a farlo!” aggiunse Poseidone, lanciandosi contro il fratello maggiore con il tridente stretto fra le mani.

 

“Un momento..” borbottò, poco convinto, Keros “..quello è..Phanes?”.

Alla casa si avvicinava velocemente un serpente enorme con a fianco proprio Phanes, che pareva fluttuare a pochi centimetri da terra.

“Lo conosci?” gli chiese Mihael, scendendo leggermente di quota.

“Sì. Phanes non è cattivo. Non capisco..”.

“La loro energia non pare molto amichevole..”.

“Vero. Pensate voi al serpente? Phanes credo di poterlo sistemare io. Vedo di farlo ragionare”.

“Sicuro di quello che dici?”.

L’enorme serpente spalancò la bocca e si lanciò contro i due, che si erano mossi in avanti, pronti a colpire. Mihael e Keros agirono insieme, allo stesso modo. Richiamarono il fuoco da entrambe le mani. Mihael spalancò le ali, mentre Keros si sollevò da terra, e le fiamme raggiunsero il nemico, che lanciò un verso stridulo e si agitò. Le iridi di padre e figlio si tinsero d’oro nell’usare quel potere e per qualche istante l’enorme serpente, stordito, si scosse.

“Che significa?” sibilò Asmodeo, raggiungendo Lucifero che ruotò gli occhi al cielo “Due angeli non possono avere tecniche identiche. Perché loro le hanno?”.

“Si vede che si trasmettono geneticamente..” si limitò a dire il capo dei demoni, rimanendo concentrato sulla battaglia ed osservando quanto stava accadendo.

“Mi hai fatto allevare il moccioso di quel figlio di puttana di Mihael?!”.

“Punto primo: Mihael non può essere un figlio di puttana, perché non ha una madre. E se ce l’avesse, essendo noi angeli e demoni tutti fratelli, ti offenderesti da solo. Punto secondo: Keros l’abbiamo allevato assieme. Suona strano, ma è così. E adesso concentrati”.

“Questa me la paghi”.

“Bada a come parli. E ora, ripeto: concentrati! Siamo qui per combattere, non per perdere tempo in conversazioni inutili!”.

“Me la paghi! Te lo giuro! Hai oltrepassato il limite!”.

Lucifero ringhiò ed il suo sguardo si infiammò qualche istante, segno che fece capire ad Asmodeo che era meglio allontanarsi.

Anche gli angeli avevano compreso il legame che accomunava Mihael e Keros e la cosa li aveva lasciati alquanto perplessi e stupiti. I presenti, confusi, non reagirono in tempo alla coda in movimento del serpente, che provocò un tale spostamento d’aria da scagliare quasi tutti in varie direzioni. Keros, incapace di volare, finì lanciato fin quasi sull’ingresso e da lì vide avanzare Phanes , capendo che era lui il suo avversario. Lucifero, con un movimento altrettanto rapido della coda, schivò il colpo del nemico e rimase in aria, prendendo leggermente quota.

“Ecco a che serve la coda” si sentì dire da Mihael, che si era voltato per sincerasti che il figlio non si fosse ferito.

“Già. Ha una sua utilità” ghignò il demone.

Entrambi schivarono altri colpi del rettile gigante, che però erano estremamente veloci.

“Avete intenzione di fare qualcosa o volete stare a guardare?!” sbraitò Mihael, rivolto ad angeli e demoni, mostrandosi decisamente poco gentile “Cazzo..”.

“Dobbiamo rallentarlo..” rifletté poi, vedendo che gli attacchi suoi e dei colleghi venivano respinti ed i contrattacchi erano rapidissimi “..ma come si rallenta un serpente?”.

Si voltò verso il fratello maggiore, consapevole di poterlo considerare a sua volta un serpente. Lo vide usare i suoi attacchi contro quell’essere. D’un tratto, ebbe un’intuizione e si guardò attorno, in cerca di due angeli.

“Torno subito” disse a Lucifero “Tu..distrailo!”.

“Che?! Ma che me lo dici a fare?! E poi..ma che vuoi?!” farfugliò il demone, mentre il serpente sibilò e provò ad attaccare di nuovo l’angelo caduto.

Il demone rispose sibilando a sua volta. Fece segno a tutti i suoi sottoposti di fermarsi e questi obbedirono, nonostante la titubanza di Asmodeo. Gli angeli, non appena Lucifero si mosse, rimasero immobili ad osservarlo, curiosi e, probabilmente, affascinati. Il caduto si era messo proprio di fronte al muso del serpente e lo fissava negli occhi. Si era illuminato intensamente ed il suo sguardo era mutato, illuminandosi a sua volta.

“Quando il capo usa quella tecnica, c’è poco da fare” ridacchiò Azazel ed altri demoni si unirono a quella risata.

“Teniamoci pronti ad agire quando ci farà un segnale” ordinò Baphomet.

“Guardami, serpente” mormorò Lucifero “Guardami!”.

Il nemico smise di sibilare e fissò il demone, trovandolo interessante per via di quella bella luce.

“Guardami” ripeté di nuovo l’angelo caduto, muovendo leggermente le mani, vedendo il serpente muoversi come guidato da quei gesti.

“Bravo, serpente” ghignò Lucifero “Bravo. Che roba sei tu, serpente? Quanta energia mi stai facendo consumare?”.

Il nemico si muoveva lentamente, ipnotizzato dallo sguardo del demone.

“Quanto mi piace quando usa quella tecnica” ammise Lilith “Ma cosa aspetta a darci un segnale? Che quella bestia non sia ancora del tutto sotto il suo controllo? È pericoloso che stia così vicino a quella bocca..”.

 

“Che ti prende, Phanes?” domandò Keros, fissando negli occhi quella creatura ancestrale “Che cosa succede? Perché attaccate questa casa?”.

“Non mi aspetto che tu comprenda il disegno di mia madre” si limitò a dire l’invasore, continuando a camminare, con l’intento di entrare nel palazzo del Dio delle illusioni.

“Tu non sei malvagio! Tutti i discorsi che mi hai fatto..a che sono serviti? Il mio signore è venuto da voialtri e adesso? Io non l’ho seguito, su sua precisa volontà, e tu ti presenti qui con l’intento di ucciderci?! Cazzo, quanto vi odio tutti quanti!” riprese Keros, furioso.

“Hai ragione. Odiaci pure. Metteremo fine al mondo come lo conosci. Ma tranquillo: tu non appartieni al mio mondo, perciò sarai salvo”.

“Che dici?! Di che parli?!”.

“Tu non sei Greco. Io sono qui per cancellare il sangue Greco, che tu non hai. Perciò scansati”.

“Nemmeno gli angeli ed i demoni che sono qua fuori hanno sangue Greco. Eppure li state attaccando”.

“Mio padre Drakonta non ha un senso della misura molto accurato. È stato liberato ed è affamato. Si nutrirà delle creature che lo infastidiscono. Io invece sono più metodico e non ho intenzione di ucciderti”.

“Hai però intenzione di uccidere Eleonore ed i figli del mio signore”.

“Sì”.

“Perché?”.

“Perché non è presente il terzo potere. Senza il terzo potere, ogni cosa è destinata a soccombere”.

“Non capisco di che parli, ma non farai del male alla famiglia del mio signore. Dovrai uccidere anche me!”.

“Come preferisci..”.

 

Lo scontro fra Hades e Poseidone continuava, senza che nessuno dei due riuscisse a prevalere. I colpi che si infierivano erano sempre più forti, incitati dall’arena. Quella sfida aveva fatto scordare momentaneamente a quasi tutti i presenti quanto successo ad Ares e quella strana donna serpente. Ma ben presto dovettero ricordarla, perché proprio lei, Ananke, riapparve.

“Fratello?” si stupì Kanon, vedendo il gemello camminare a fianco della Dea ancestrale “Ho voglia di picchiarti solo per il fatto che fai sempre di testa tua!”.

Arles si limitò a girare leggermente la testa, allarmato dal fatto che il fratello fosse lì. Non era una cosa che aveva previsto. Si sforzò di non mostrare il suo fastidio ad Ananke, che continuò a camminare. La Dea era in forma del tutto umana, solamente il suo sguardo era inquietante ed animale. Interruppe lo scontro fra Hades e Poseidone, fra il disappunto generale.

“Ananke” parlò Apollo, fingendo di essere tranquillo “Cosa ti porta di nuovo qui?”.

“La fine di ogni cosa, figlio di Zeus” si limitò a dire lei, iniziando a mutare.

“Ananke?” continuò il Dio, con un lieve tremito della voce “Non siamo tuoi nemici. Che cosa..?”.

La Dea era cresciuta, circondando con la coda l’intera arena.

“Cosa succede?” chiese Kanon, fissando il fratello.

“Lui è qui solo per assistere” ghignò Ananke “Vero, Arikien delle illusioni? O ora dovrei chiamarti solo Arikien? Perché, una volta che il mondo greco sarà caduto, tu non avrai più quel ruolo”.

“Chiamami come vuoi..” si limitò a dire Arles, stanco di avere sempre appellativi nuovi.

“Il mondo greco caduto?!” si accigliò Hades “Perché mai il mondo greco dovrebbe cadere?”.

“Perché lo decido io” lo zittì la Dea “Tuo fratello Zeus sapeva bene come funzionavano le cose. Non si lotta contro il destino. Perciò dovreste seguire le sue regole e inginocchiarvi a me, lasciando che tutto si compia”.

Nell’arena si alzò un intenso coro di voci. Nessuno voleva arrendersi ma nemmeno potevano davvero sperare di lottare contro il destino. Che fare? E perché Arikien  era lì? Che era successo?

“Che significa?” domandò Tolomeo, fissando il padre.

“Non esiste la terza figura” rispose Arles “Perciò tutto deve finire”.

 

Mihael aveva raggiunto Gibrihel, che lo fissò perplesso.

“Ho bisogno del tuo controllo dell’acqua” spiegò l’arcangelo guerriero “Il nemico è un rettile e con il freddo rallenta. È inverno, fa freddo, c’è la neve in terra. Se riusciamo a raffreddarlo abbastanza, sarà più facile poi colpirlo ed abbatterlo”.

“Non ho mai usato l’elemento a cui sono legato in questo modo..”.

“Andiamo! So che puoi farlo!”.

“Ci posso provare..”.

“Appena sarà freddo e più lento, attaccheremo tutti insieme. Ora seguimi. Ti conduco abbastanza vicino da poterlo colpire. Ma dobbiamo stare attenti..se si distrae e si libera dal controllo di Lucifero, non sappiamo come possa reagire”.

“Hai lasciato il nemico nelle mani di Lucifero?! Ti sei bevuto il cervello?! E se si alleano per agire contro di noi?!”.

“Smettila con le cazzate e vieni con me!”.

“Bravo, serpente” si sentì ripetere Lucifero, nella testa, da una voce profonda “Bravo serpente..”.

“Chi sei tu?” domandò il demone, sempre usando i suoi poteri di controllo.

“E tu chi sei, serpente? Non lo siamo forse entrambi?”.

“Chi sei?”.

“Il mio nome è Drakonta”.

“Drakonta?”.

Lucifero si stupì nel sentire quel nome e lo ripeté lentamente. Drakonta? Il compagno di Ananke? Perciò una divinità primordiale? Ora comprendeva perché gli risultava così difficile e faticoso riuscire a domarlo.

“Bravo, fantoccio del cielo” ripeté ancora Drakonta “Notevole quel che fai..ma rimarrà un serpente soltanto!”.

Lucifero intensificò la sua luce ed il suo potere, con un ringhio, e la voce si placò. Fantoccio del cielo? Oh, come quella frase lo aveva fatto incazzare!

“Spazzerò via la tua anima, e poi disintegrerò quella troia di tua moglie Ananke!” sibilò, digrignando i denti.

La volontà di Drakonta era di nuovo sotto il suo pieno controllo? Un movimento impercettibile gli fece intuire che non era così. Notò la coda del nemico muoversi e si accorse di essere l’unico che pareva averla vista, mentre tutti gli altri presenti erano come incantati dai poteri di controllo mentale dei due avversari. Mihael si stava muovendo rapidamente, seguito a distanza di sicurezza da Gibrihel e nemmeno lui notò quel movimento.

“Mihael!” esclamò Lucifero, distogliendo lo sguardo e concentrando la sua energia per provocare un’onda d’urto, che allontanò l’angelo dalla traiettoria della coda del rettile.

Così facendo però aveva permesso a Drakonta di tornare del tutto in sé. La divinità ancestrale spalancò la bocca ed affondò i denti nella carne del demone, che lanciò un grido di protesta.

“Ora non mi ipnotizzerai più” si sentì dire nella testa l’angelo caduto, mentre provava un dolore sempre più acuto. Lo sguardo gli si appannò qualche istante, senza più alcuna luce. Anche la luminescenza che avvolgeva il demone si stava spegnendo e niente pareva voler far lasciare la presa a Drakonta. I demoni, perplessi, non sapevano bene come agire. Il loro capo aveva appena salvato l’angelo più pericoloso del cielo?

“Lascialo, serpe!” gridò Mihael, dopo essersi ripreso dall’energia inviatagli dal fratello maggiore per farlo spostare.

Trapassandolo con la lancia, l’angelo era riuscito a far spalancare le fauci al nemico ma senza ottenere la libertà del demone. Drakonta, dopo aver colpito in malo modo l’arcangelo, aveva avvolto il diavolo in parte fra le sue spire. L’avversario ghignò, fissando negli occhi la sua preda.

“Ti mangerò” sibilò.

Lucifero, con le braccia e le ali bloccate dal corpo del serpente che lo imprigionava, veniva sempre più avvolto. Con anche la bocca chiusa in quella morsa, si accigliò e fissò con odio il suo nemico, mentre il dolore si era fatto quasi insopportabile.

“Smettila di guardarmi così” rise Drakonta “Non hai più il tuo potere”.

 

I cavalieri d’oro furono i primi a reagire all’attacco di Ananke. Incapaci di restare fermi mentre si “compiva l’inevitabile destino”, i Saint avevano indossato le loro vestigia ed erano pronti a combattere. Si stupirono nel vedere che il loro ex collega Arles rimaneva immobile, a braccia conserte, mentre la divinità ancestrale attaccava tutti. Apollo fu, inaspettatamente, il primo fra i Greci che si mosse. Non poteva permettere che quella mezza serpe distruggesse tutto quello che con tanta fatica aveva protetto e governato! Purtroppo per lui, Ananke prevedeva ogni singola mossa dei presenti, avendo il controllo di tutti i loro destini. E così ogni loro attacco era del tutto vano e lei diveniva sempre più grossa e minacciosa.

“Dov’è mia moglie?!” gridò Milo, lanciando una raffica di cuspidi contro la Dea.

“Non credo che il tuo veleno possa fare qualcosa ad una donna serpente..” commentò Camus.

Lo Scorpione non lo ascoltava e lanciava ancora colpi, uno dietro l’altro. La Dea nemmeno si preoccupava di schivarli, sorrideva divertita.

“Lascia fare a me” ghignò Tolomeo “Vediamo chi ha il veleno più potente”.

L’erede di Arles mutò d’aspetto, divenendo il serpente piumato Quetzalcoatl. Il suo attacco prese alla sprovvista Ananke, che mostrò il suo disappunto. Fissò quel giovane e capì: era figlio del Dio delle Illusioni, quindi non più sotto il suo controllo! Maledisse padre e figlio, sottovoce, ma si riprese presto, perché sapeva che quel che stava facendo era ciò che era giusto. Non vi era la terza figura: tutto doveva finire. E nessuno poteva impedirglielo, perché nessuno in grado di comprendere come fermarla.

“Ordina a tuo figlio di non infastidirmi” si limitò a dire, agitando la coda nervosamente “O lo ucciderò, Arikien”.

“Il destino di mio figlio non è nelle mie mani” rispose Arles “Così come quello di nessuno dei presenti. Io non posso impedirgli di agire contro di te”.

“Pezzo di merda. Obbediscimi”.

“Perché dovrei farlo? Comprendo il tuo disegno, ma non ti aiuterò a realizzarlo. Non posso fermarti, ma non ho intenzione di incoraggiarti”.

“Appena avrò finito con loro, distruggerò anche te. Sarà uno scontro un po’ più impegnativo, perché io non controllo il tuo fato, ma ti schiaccerò come un moscerino fastidioso”.

Arles rimase immobile, senza mutare espressione. Poi ebbe un sussulto. Aveva percepito qualcosa che non gradì molto.

“Hai attaccato la mia casa?” mormorò.

“Non è stata un’idea mia” si giustificò lei, per nulla allarmata “Bensì di Phanes. Io li rispetto i patti. Non ho interesse alcuno a fare del male alla tua stirpe, per stramba che sia”.

“Se tu infrangi i tuoi patti, io posso infrangere i miei”.

“Fai pure quel che vuoi, Arikien delle illusioni. Non puoi farmi troppo male. Io sono una creatrice. Io sono un nuovo inizio e la fine, tu un semplice portatore di sangue divino residuo, come lo sono tutti gli altri qui presenti”.

“Però..io ho visto una cosa..”.

“Che cosa?”.

“Il numero tre!”.

 

Keros aveva richiamato a sé il potere del fuoco ed aveva attaccato Phanes, con l’intento di farlo retrocedere. Non poteva credere che lo stesse attaccando. Non era cattivo, ne era certo. E allora perché era lì? Fuori, udiva le grida di angeli e demoni.

“Lasciate questa casa!” urlò il mezzosangue, attaccando ancora.

“Non lo hai capito?” commentò Phanes, afferrando il braccio di Keros e bloccandone i colpi “Il tuo compito non è creare o distruggere. Tu non puoi cambiare le cose. Solo preservarle”.

“Non toccarmi” ringhiò il figlio di Mihael, liberandosi da quella stretta “Nessuno può toccarmi. Se non..Arikien”.

“Ah sì? Ed Eleonore?”.

“Non sono affari che ti riguardano!”.

Il potere di Drakonta raggiungeva la casa con onde d’energia intermittente, che facevano tremare la terra e crollare pietre e marmi.

“Devo preservare?” sibilò poi Keros, accigliandosi “Benissimo. Permettimi di preservare..”.

Strinse entrambi i pugni ed attorno a sé creò una bolla che si espanse rapidamente. Con un grido, quella bolla investì Phanes e lo ricacciò indietro. L’energia di Drakonta aveva aperto uno squarcio, mostrando il luogo in cui Eleonore ed i bambini si erano rifugiati. Il mezzosangue udì le loro urla spaventate e notò che la sua sfera di protezione si stava crepando in alcuni punti.

“Il mio potere è superiore al tuo” commentò Phanes “Ma sono lieto che tu abbia capito”.

“Taci. Andatevene, tu ed il tuo padre rettile!”.

Con un gesto di entrambe le mani, Phanes aveva mandato in mille pezzi la barriera di Keros, che indietreggiò di qualche passo. Accanto a sé, il sanguemisto si stupì nel vedere Iravan ed Iravat. I due gemelli identici, dalla lunga chioma nera, si erano mossi in modo da proteggere Keros.

“State indietro” ordinò il mezzosangue “Se vi succedesse qualcosa, vostro padre non me lo perdonerebbe mai. Per favore..”.

I gemelli ignorarono l’ordine ed agirono all’unisono, lanciandosi contro Phanes. Questi rimase colpito e stupito da quel comportamento, a suo parere tremendamente stupido. Trovandosi ancora nella posizione necessaria a disgregare la barriera di Keros, il pugno di Iravat lo raggiunse.

“Non farai del male a mia madre ed ai miei fratelli!” esclamò il giovane.

“Tranquillo..” gli mormorò Phanes, afferrandolo “..tu sarai il primo. Non vedrai la loro morte”.

Iravat si agitò per qualche istante, prima che la divinità spalancasse tutti e quattro gli occhi. Immobilizzato, il giovane incrociò quello sguardo ed iniziò a sbiadire. Il nero corvino dei suoi capelli era come risucchiato dalla mano di Phanes.

“Lascialo state! Lui non ha nulla a che fare con tutto questo!” ringhiò Keros, preparandosi a colpire di nuovo il nemico.

Si fermò, quando qualcosa sfrecciò accanto al suo orecchio. Si voltò, vedendo Eleonore con un arco in mano.

“Lascia subito mio figlio” ordinò lei, dopo aver colpito con estrema precisione il braccio del Dio.

“Eleonore! Ferma dove sei!” si accigliò Keros “Lascia che me la sbrighi io”.

“Sono una sacerdotessa di Artemide. Non resterò ferma mentre i miei piccoli sono in pericolo”.

Phanes, piuttosto infastidito, fissò tutti con un certo fastidio. Quei suoi quattro occhi, si agitavano in direzioni diverse. Era inquietante, ma nessuno dei presenti abbassò lo sguardo. I due gemelli, una volta che Iravat fu libero, si rimisero in posizione d’attacco. La luce che li avvolse si era fatta d’oro ed ora indossavano le vesti appartenute al loro padre, allo zio ed al fratello maggiore: l’armatura dei gemelli. Iravan, dai lunghi capelli neri, mostrava le vestigia d’oro mentre il gemello, ora con i capelli bianchi, era protetto dalla Surplice. Phanes non si fece impressionare da così poco e ricacciò indietro qualsiasi attacco. Spalancando le ali oro, scagliò tutti lontano, contro le pareti ed il pavimento.

“Mamma!” chiamò Sophia, preoccupata.

Stringeva a sé il più piccolo dei suoi fratelli, cercando di rassicurare gli altri. Phanes la fissò, preferendo per ora concentrandosi su altro. I gemelli avevano perso i sensi, mentre Keros ed Eleonore si erano rialzati, pronti a colpire ancora. Purtroppo però il potere di Phanes era immenso e nulla pareva fermarlo.

“Mi spiace” commentò il Dio ancestrale, avvicinandosi alla moglie ed al compagno del Dio delle illusioni “Ma non c’è la terza figura. Dovete morire tutti”.

E, dopo aver detto questo, uccise entrambi.

 

ECCOCI!! Punto primo: non maledicetemi o uccidetemi XD punto secondo: grazie per tutte le visite su Devianart a seguito della pubblicazione del capitolo precedente! Punto terzo: a lunedì prossimo :P

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** XXI- Incatenare ***


XXI

INCATENARE

 

 Cadendo nel buio, Keros si sforzava di rimanere focalizzato su quella luce lontana. La vedeva, era splendida e calda. Ma doveva raggiungerla? Oppure il suo posto era nel buio? Il cielo? O l’inferno?

“Keros!” lo chiamò una voce.

Voltandosi, al suo fianco vide Eleonore. Con ancora l’arco in mano, lo osservava.

“Dove siamo?” chiese il mezzosangue.

“Non lo so” ammise lei “Però dobbiamo uscire da qui. Stammi vicino”.

Le tenebre si facevano più fitte ma comparve una figura. Una donna, vestita d’argento.

“Artemide” la riconobbe Eleonore “Mia antica signora. Che cosa..?”.

“Scocca la tua freccia” la incitò la Dea “Scocca la freccia ed esci dal buio. Segui la luce che ti invia tuo padre”.

“Mio padre?”.

Il buio fu squarciato da un fulmine e da un tuono. Il lampo mostrò loro il campo di battaglia sottostante. Videro Phanes e Drakonta.

“Dobbiamo affrettarci!” esclamò Eleonore, tendendo l’arco.

Keros spalancò gli occhi, vedendo dietro di lei girare un’immensa ruota ad otto braccia. E quel fulmine..

“Segui la freccia” riprese Artemide “Figlia della Luna e dei lampi del cielo. Figlia mia, della Dea della Luna, e di Taranis della luce. Seguite quella freccia, figli proibiti. Figli che mai sarebbero dovuti nascere, da madri e padri che hanno infranto ogni regola per concepirvi”.

Eleonore sorrise a quelle parole e scoccò. Ma era un dardo che si muoveva in fretta..come seguirlo? Keros prese per mano Eleonore. Spalancando le braccia, la strinse a sé e una luce argentea lo avvolse, plasmandosi e divenendo un paio d’ali d’angelo. Con solo pochi battiti, portò fuori entrambi da quella sorta di limbo.

Quando riaprirono gli occhi, notarono lo sguardo di Phanes. Pareva divertito.

“Bentornati” commentò “Mi iniziavo a preoccupare. Piacere di conoscerti, terza entità. Ero indeciso se riconoscerla in te, Eleonore, o in qualcuno dei tuoi figli”.

“Ma che cazzo dici?” si accigliò Keros, spalancando le ali d’argento.

Sophia osservò entrambi, la madre e il mezzo demone, sollevata nel vederli in vita ma piuttosto confusa.

“Vi dispiacerebbe darmi una mano a rinchiudere di nuovo mio padre Drakonta?” continuò Phanes “Sapete..da solo non mi è molto semplice. Prima che faccia troppi danni”.

Keros ed Eleonore si lanciarono un’occhiata, perplessi.

“Ok..” sospirò il Dio “..siete morti. Vi ho ucciso. Ma la vostra vera natura vi ha riportati in vita. Voi siete fondamentali adesso. Va bene? Il mondo non deve finire, il mondo greco ed i suoi Dei devono continuare. Ma per farlo ho bisogno del vostro aiuto. E spero vivamente che Arikien si stia dando una mossa!”.

“Non ci sto capendo molto” ammise Keros “Ma fermiamo quel coso e poi mi spiegherai”.

 

Il Dio delle illusioni spalancò le ali rosse, di colpo. Erano immense e provocò uno spostamento d’aria non da poco.

“Avvisami, la prossima volta” sbottò Kanon.

“Ho bisogno che mi fai un favore, fratello” rispose Arles.

“Adesso me lo chiedi?!”.

“Sì, perché è adesso che mi serve!”.

Con un piccolo movimento delle ali, il fratello maggiore si ritrovò una piuma rosso cupo fra le mani, che consegnò a Kanon.

“Quando tutto questo sarà finito, portala a Keros ed Eleonore. Loro capiranno”.

“Quanto tutto questo sarà finito? Ma scusa..fallo tu!”.

“Non so se potrò. Ma non preoccuparti: ogni cosa andrà al giusto posto”.

“Mi prendi per il culo? Non la voglio la tua piuma magica! Aspetta!”.

Kanon tentò invano di fermare il fratello, che camminò convinto verso Ananke. La Dea ancestrale lo fissò con fastidio e rabbia.

“Osi sfidarmi, Arikien?” sibilò.

Arles sostenne quello sguardo. Con le mani dietro la schiena, non mostrò alla Dea d’avere fra le mani la propria chiave rossa. Con un piccolo taglio nella mano, la bagnò del suo sangue e questa brillò. Ananke però non lo notò. Spalancò le fauci ed il figlio di Ares chiuse gli occhi. Il cosmo della Dea lo stava avvolgendo.

“Che fai?!” sbraitò Kanon “Sei impazzito?! Fratello!”.

Arikien rispose con un sorriso e Ananke, ormai enorme ed a fauci spalancate, se lo mangiò.

 

Mihael tentava invano di liberare il fratello dalla stretta di Drakonta, ottenendo solo di venir respinto da un’energia incredibile, provocata dal nemico, che lo feriva e lo ricacciava all’indietro. L’animo di fuoco del generale angelico bruciava al massimo e sull’aureola ne era comparso il sigillo, segno che stava richiamando a sé tutto il suo potere, che sprigionò in un attacco che avvolse quasi del tutto il nemico. Il fatto che accuratamente avesse evitato di colpire accanto al fratello maggiore, con la paura di ferirlo, fece nascere una voce fra gli angeli. Non da tutti condivisa, ma iniziò a rimbalzare di bocca in bocca: lascia che muoia. Lascia che il cielo abbia la sua vittoria. Lascia che Drakonta uccida il re dei demoni!

 Lucifero, prigioniero, spalancò gli occhi, con rabbia, ed una piccola luce vi riapparve. Il serpente si stupì di questo. Quella scintilla lo distrasse ed allentò leggermente la presa, il necessario per permettere al diavolo di liberare la bocca e lanciare un grido misto di dolore e rabbia. La pelle del demone si accese, di colpo, divenendo accecante, ed alle sue spalle comparve il sigillo di Lucifero. Era immenso e ruotava, come ad indicare che non vi fosse un solo senso di lettura. Era un simbolo che gli altri angeli avevano dimenticato e che non si aspettavano di rivedere. Drakonta emise un verso acuto e fastidioso, lasciando andare la preda. Il demone chiuse gli occhi, irritato da quel suono e pronto a precipitare. Dopotutto..era abituato a cadere! E forse quella era l’ultima volta..Ma qualcuno fermò il suo inevitabile schianto al suolo. Mihael aveva afferrato il fratello, giusto in tempo.

“Te lo avevo promesso” mormorò l’angelo “Che un giorno ti avrei preso in braccio. Ricordi? Ero piccolo..”.

Lucifero non era in grado di rispondere. Si stava spegnendo di nuovo, come una candela che lentamente veniva consumata dalla fiamma.

“Non morire, fratello mio” continuò l’arcangelo, sfinito, per poi voltarsi di nuovo verso Drakonta.

Era proprio quella la scena che aveva visto nella sabbia di Cronos: il demone avvolto da quelle spire che stringevano fino ad ucciderlo. Ma forse era riuscito ad intervenire in tempo..

Udì il suono delle tombe degli arcangeli. Con sollievo, vide che Gibrihel e Rahael stavano attaccando il nemico, divenuto cieco con la luce dell’angelo caduto. Quel loro gesto, che rallentò il serpente, unito al salvataggio reciproco del capo degli angeli e quello dei demoni, fece muovere entrambe le loro specie che agirono insieme con lo scopo di abbattere quel rettile. Mihael fece per rialzarsi e ricominciare a combattere ma gemette e finì di nuovo in ginocchio. Il dolore? Il sangue? Era strano. Lui, come angelo, non aveva mai provato il dolore e le sue ferite si rimarginavano subito. Cos’era cambiato? Provò a stringere la spada di fuoco ma il braccio destro, colpito duramente da Drakonta, gli trasmise una stilettata dolorosa che lo costrinse a gemere. Sanguinava e Lucifero lo notò.

“Mihael!” lo chiamò, con la poca voce ed il poco fiato rimasti.

“Mihael!” chiamò anche Rahael, avendo udito il gemito del fratello.

L’arcangelo guaritore scese rapido. Il guerriero doveva aver perso i sensi, perché lo vide cadere in avanti, accanto al fratello maggiore. Un lampo, seguito da un fortissimo tuono, scosse il cielo. Lucifero socchiuse gli occhi, infastidito dalla luce del fulmine. Ogni respiro stava divenendo tremendamente faticoso. In gola sentiva il sapore del sangue e provava una sensazione opprimente, gli sembrava di soffocare. Il morso di Drakonta gli aveva danneggiato il polmone trafiggendolo e le spire, stringendo, avevano fatto tutto il resto. Allungò una mano verso Mihael. Ne sentì il sangue caldo fra le dita e provò una grande tristezza. Lui il dolore lo conosceva bene, ma non era lo stesso per il fratello minore, lo sapeva. Inoltre tutto quel sangue.. Concentrando l’energia rimasta, il demone richiamò a sé la sua luce ed il suo potere, trasmettendolo all’angelo. Questo fece sì che Lucifero, il portatore di luce, si spegnesse del tutto e perdesse i sensi, prima di poter capire se il suo gesto era servito a salvare il fratello minore, contro cui a lungo aveva combattuto.

“Sia fatta la Sua volontà..”.

 

“Ma..che..” riuscì solo a commentare Tolomeo, dopo aver visto il padre inghiottito da Ananke.

“Dobbiamo abbattere questo mostro” lo incoraggiò Kanon “Non so cosa tuo padre abbia in mente, ma dobbiamo rispedire questa bestia da dove è venuta”.

Tolomeo annuì. Anche i cavalieri stavano combattendo, assieme ad alcuni Dei. Non erano convinti, avevano timore ad affrontare il destino.

“Hai mangiato mio fratello!” gridò Neith, la figlia più piccola di Afrodite ed Ares “Ed hai fatto male al mio papà. Io ti odio! Devi crepare!”.

“Che parole poco adatte ad una bimba così piccola” sorrise Ananke.

“Voglio la tua testa come trofeo!”.

“Neith!” la zittì Kanon “Vai al sicuro, lascia fare a noi”.

La bambina si accigliò, stringendo i pugni. Non retrocedette di un solo passo. Risplendeva di una luce strana, sempre più intensa.

“Un cosmo?” commentò Kiki, stupito.

Un cosmo caldo, sempre più grande e familiare.

“Non può essere..” furono le parole di Aiolos, mentre quel cosmo esplodeva.

Ananke gridò, contraendo le dita e gli artigli.

“Cosa mi stai facendo, Arikien?” urlò, piena di rabbia.

Il suo occhio sinistro ora non era più quello da rettile che fin ora aveva mostrato ma era rosso come il sangue, con l’iride verde smeraldo.

“Cosa mi stai facendo?” ripeté e qualcuno rise.

“Liberati, Atena” parlò la voce di Arles, bassa ed inquietante “Sciogli i tuoi legami. Risvegliati!”.

Nel buio in cui si trovava, il Dio delle illusioni spezzo i fili rossi che avvolgevano il cosmo di Atena, che Ananke teneva imprigionato per impedirle di tornare in vita.

“Piccolo bastardo” sibilò Ananke “Frutto di un amore malato. Ti sopprimerò con il mio potere! Finirai incatenato dentro di me come colei che cerchi di liberare!”.

Neith sorrise. Fra le mani, aveva richiamato lo scettro di Nike. La Dea ancestrale si mosse rapida, spalancando la bocca e cercando di inghiottirla di nuovo. Ma due cosmi ostili la respinsero e risero, sadicamente.

“Ciao, stronza” sorrise uno dei due.

“Phobos!” gioì la bambina “Fratellone!”.

“L’unico ed il solo”.

“Ti strapperò il cuore!” sbraitò Ananke.

“Molon Labe! [vienitelo a prendere]” rispose il Dio, con a fianco il gemello.

Alle loro spalle, i figli di Ares stavano circondando il serpente. Mirina sorrise, vedendo il suo amato Milo.

“Arikien!” continuò a gridare la Dea ancestrale “Come hai osato? Ingannare me? Come hai potuto?”.

“Non si gioca contro il destino” commentò Neith, ormai del tutto risvegliata come Atena “Ma nemmeno si sottovalutano le migliaia di illusioni della vita. Eri talmente convinta di essere a lui superiore, che non hai considerato la possibilità che possa sopraffarti con il suo potere. Sei stata ingannata”.

“Io vi sconfiggerò tutti. Uno dopo l’altro. E lui resterà qui, dentro di me, avvolto da fili rossi, per l’eternità!”.

Neith puntò lo scettro contro Ananke, che sibilò infastidita.

“Sorella!” sorrise Artemide, espandendo il suo potere “Io ti sono vicino. Combattiamo insieme”.

Atena annuì a quelle parole, così come molti altri Dei. Nel cielo, tuoni e lampi, dopo tanto tempo.

“Padre mio” mormorò Apollo “Aiutaci a ricacciare questa creatura nell’abisso. Aiutaci ad essere liberi dai legami del destino!”.

Arikien stava tentando di liberare le catene rosse che imprigionavano l’animo di Zeus. Queste però erano davvero molte e nel frattempo Ananke tentava di imprigionarlo a sua volta. Con già in parte le gambe bloccate, il Dio delle illusioni si agitò e continuò nel suo intento.

“Zeus!” sbottò “Dammi una mano! Cerca di essere un pochino più collaborativo! Rischiamo di restare qui dentro per sempre tutti e due!”.

“Non si può lottare contro il destino” mormorò il re degli Dei.

“Guarda..prima ti libero e poi ti prendo a pugni, ok? Tanto per capirci. Ora però..ti spiace? Ti dai una mossa?”.

Zeus non si mosse ed Arles sospirò. Con le mani, spezzava le catene, che però iniziavano ormai ad immobilizzare pure lui.

“I tuoi figli hanno bisogno di te, dannato vecchio! Reagisci! Nessun padre dovrebbe lasciare da soli i suoi figli mentre questi lottano per la vita!”

“E allora tu che cosa ci fai qui?”.

Arles rimase in silenzio qualche istante. Zeus aveva ragione: aveva lasciato soli i suoi figli per fermare Ananke e così facendo li aveva messi in pericolo. Per qualche istante, la sua sicurezza vacillò. Ma si riprese in fretta, ricominciando a spezzare quelle catene con più convinzione.

“Sei libero, Padre degli Dei” esclamò poi, soddisfatto “Vai!”.

Zeus non si mosse. Arles storse il naso, infastidito. Cominciava a capire l’astio che aveva Lucifero nei confronti del suo genitore, se questi si comportava così.

“Andiamo!” lo incoraggiò “Ti ho liberato! Ho fatto quel che dovevo, quel che serviva! Muovi il culo ed esci da qui!”.

Zeus continuò a rimanere immobile.

“Ma..mi sfotti?!” spalancò le braccia Arikien, sconcertato “Che devo fare per farti muovere?!”.

Provò a tirare il Dio, nel tentativo di farlo reagire. La testa ricominciava a fargli un gran male. Che odio! Che fastidio! Quel vecchio iniziava ad irritarlo sul serio!

“Vedi di muoverti o giuro che ti uccido!”.

“Quella che vedi è solo la mia essenza”.

“E credi che il figlio di Ares, nipote di Lucifero, non riesca a disintegrare un’essenza? Vedi di muovere il culo! Non farmi girare ulteriormente le palle!”.

“La tua rabbia è del tutto inappropriata”.

“Lo so. Sai..è da un pezzo che voglio picchiare qualcuno e non posso. Pensi sia saggio provocarmi ancora, così che mi sfoghi su di te?”.

“Il tuo intento è spaventarmi? Suvvia..sono tuo nonno!”.

“Non farmi pensare a chi sia, teoricamente, l’altro mio nonno perché potrei peccare d’onnipotenza. Adesso muovi le chiappe, dico sul serio”.

Vedendo che il vecchio non aveva alcuna intenzione di muoversi, Arles allungò un braccio e lo colpì al volto. Zeus si accigliò, furioso.

“Finalmente reagisci!” ghignò il Dio delle illusioni, mentre il padre degli Dei si muoveva di scatto, tentando di colpire il nipote.

“Figlio bastardo di un’unione sacrilega!” ringhiò Zeus, afferrando per il collo il nipote.

“Non venire proprio tu a parlarmi di questo, che ti sei accoppiato con qualsiasi cosa!”.

“Il tuo sangue ti condannerà per sempre!”.

“Sempre meglio essere condannato per la rabbia e la curiosità che ribolle nel mio sangue, piuttosto che esserlo per l’incapacità di tenere a freno il proprio cazzo!”.

Zeus, con un potente lampo, scaraventò il nipote parecchio più in basso, in quel buio totale, interrotto solo da nastri e catene  rosse. Arles spalancò le ali e tornò su, anche se quei fastidiosi legami iniziavano a rallentarlo troppo.

“Va fuori di qui!” gridò il Dio delle illusioni, concentrando il suo potere e spedendo Zeus verso l’alto.

Ananke gridò di dolore, quando un forte lampo lasciò il suo corpo. L’essenza di Zeus, spedita verso l’esterno, aveva fatto un gran rumore ed una luce intensa. Il padre degli Dei si guardò le mani. Era tornato di nuovo lì? Aveva un corpo? Ma come poteva averlo avuto? Che quella creatura dal sangue bastardo fosse..?

“Figli miei!” furono le sue prime parole “Aiutatemi ad incatenare Ananke e riportarla al giusto posto!”.

“Padre!” si stupì Apollo “Affrontare il destino..?”.

“Ho visto che si può fare. Ed ora fate quel che vi dico”.

Zeus voleva agire in fretta. Doveva bloccare quella bestia prima che Arikien riuscisse ad uscirne. Era riuscito a donargli un corpo nuovo, prerogativa che spettava a divinità creatrici o comunque estremamente potenti. Non poteva permettere che quell’esistenza potesse alterare gli equilibri del mondo.

“Atena, mi amata figlia” sorrise Zeus “Guida i tuoi cavalieri”.

“Ma..Ary è..”.

“Per permettere a me di uscire, di essere fra voi..si è sacrificato”.

Il padre degli Dei era compiaciuto da quella bugia. Era necessaria e, così facendo, avrebbe pure fatto passare quell’essere per un eroe. Alla fine..non ci rimetteva nessuno.

Aiolos chinò il capo e fissò la bimba che conteneva in sé lo spirito di Atena. Notò il suo sguardo, lucido.

“Prepara il tuo arco, Sagittario” parlò poi lei, risoluta “Ho bisogno di un colpo simile a quello che avete usato per abbattere il muro del lamento..ma senza la vostra morte!”.

“Sì, Atena”.

Zeus sorrise. Sapeva di aver bisogno di un potere immenso per imprigionare Ananke e colui che portava dentro di sé. E lui ancora non aveva recuperato del tutto le sue capacità. Però la sua presenza fece muovere all’unisono gli Dei.

Apollo, Artemide, Eros ed Aiolos già tendevano l’arco. Le loro frecce si stavano caricando con l’energia dei cosmi di tutte le divinità presenti.

“In nome tuo, Arles” mormorò il Sagittario.

“Ci rivedremo, fratello. Alalà!” gridò Phobos, con l’urlo di guerra di suo padre, ripetuto da tutti i presenti.

“Sono ancora qui, deficienti!” furono le ultime parole che riuscì a dire il Dio delle illusioni, che non poterono essere udite, prima che le catene di Ananke lo avvolgessero.

Le frecce furono scoccate all’unisono, il cosmo di ogni singola divinità si unì ai loro raggi e colpirono Ananke, imprigionandola. Immobile e furiosa, si agitò senza risultato.

“Che venga ricondotta nella sua grotta” ordinò Zeus “E che venga sorvegliata. Giorno e notte. Che niente esca od entri da quel luogo, chiaro?”.

 

Una freccia argento colpì Drakonta, che spalancò la bocca con rabbia. A lanciarla era stata Eleonore.

“Se il compito di Keros è preservare..” domandò  a Phanes “..il mio qual è? Creare o distruggere?”.

“Non saprei. Spesso i due ruoli si interscambiano e si confondono” fu la risposta.

“Ottimo..”.

Keros spalancò le ali, seguendo quello che suggeriva Phanes. Fu proprio il Dio ancestrale a prenderlo per un braccio, permettendogli di sollevarsi da terra. Il mezzosangue non era ancora capace di spiccare il volo autonomamente. Poteva fidarsi di quella creatura? Non aveva molte alternative.

“Figlio” ringhiò Drakonta “Figlio, sei tu?”.

Cieco, il serpente chiamava il nome di Phanes, incapace di vederlo ma in grado di percepirlo.

“Sì, padre” rispose la creatura dai quattro occhi.

“Uccidili tutti, figlio! Guarda che cosa mi hanno fatto! Uccidi questi esseri!”.

“Padre..è tempo di tornare a casa”.

“Che cosa?! Phanes, non essere ridicolo! Non osare tradire me e tua madre. Da solo, non puoi rinchiudermi di nuovo in quella grotta”.

“Ma io non sono da solo..”.

Phanes spalancò le braccia, richiamando il suo potere. Keros ne imitò i movimenti, sentendo che era quello che doveva fare. La luce oro di Phanes si fuse con quella argento del mezzosangue, intrecciandosi attorno al corpo di Drakonta e creando catene ed anelli.

“Oh, Mihael!” esclamò Rahael, accanto al fratello privo di sensi “Dovresti proprio vederlo! Hai un figlio straordinario e ti stai perdendo uno spettacolo unico”.

“Eleonore!” chiamò Phanes “Sai quello che devi fare”.

La donna osservò bene il serpente, mentre Sophia raggiungeva Rahael per aiutare i feriti. Fra la pelle squamata, Eleonore intravide una luce che pulsava. D’istinto, tese l’arco e scoccò la freccia. Colpendo quel punto, fece gridare Drakonta di dolore. Phanes e Keros intensificarono la loro luce, sempre a braccia spalancate, sospesi in aria. Gli intrecci e le catene si fecero più stretti, finché il rettile non fu del tutto avvolto da fili oro ed argento. La freccia di Eleonore bloccò il suo potere.

“Ora ci penso io” mormorò Phanes, congiungendo le mani e facendo dissolvere il padre.

“Dov’è finito?” chiese Keros.

“Nella grotta dove ha riposato per millenni. E dove riposerà ancora. Grazie per l’aiuto. Ora puoi atterrare..”.

Keros abbassò lo sguardo e sussultò. Phanes lo prese di nuovo per un braccio, accompagnandolo fino in terra.

“Immagino avrai molte cose da chiedere” commentò la creatura dai quattro occhi.

“Sì, hai ragione” ammise Keros “Ma prima vorrei aiutare chi ha protetto questa casa ed è rimasto ferito..”.

 

Che fatica scrivere questo capitolo!!!! XD Non temete: ai gold spetta ancora un po’ di lavoro!! Li vedrete tutti in azione!

E grazie perché il numero dei commenti ha battuto quello di ogni altra mia storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** XXII- Ironia ***


XXII

IRONIA

 

“Oh, grazie al cielo! Hai aperto gli occhi!”.

Mihael gemette. Riconobbe il familiare volto del fratello guaritore Rahael. Ma dove si trovava? Provò a muoversi ma si fermò immediatamente, lanciando un lamento.

“Non è un buon segno..” commentò Rahael “..quando un angelo prova dolore. Ma, grazie a Dio, sei vivo e sveglio”.

“Ah, no. Non è grazie a Dio se io sono vivo, e tu lo sai” sbottò Mihael “Inoltre, mi fa male ogni singolo centimetro. Penso mi faccia male perfino l’aureola. Comincio a capire perché nostro fratello Lucifero bestemmi continuamente. Ho una gran voglia di farlo pure io”.

“Mihael! Non in mia presenza, grazie!”.

“Tranquillo. Non ti sconvolgerò con i miei discorsi. Ma tu non tediarmi con i tuoi..”.

“Mihael!”.

“Vi prego di frenare, per ora, la lingua” interruppe Keros, comparendo alle spalle del guaritore “Le vostre parole sono sicuramente frutto del dolore e della rabbia. Quando starete meglio, la vostra mente si sarà placata e ritroverete l’armonia”.

“L’armonia? Non sono un’ocarina!” si stizzì Mihael.

“Siete uguali” ridacchiò Keros “Voi e Lucifero, siete in grado di dare le stesse risposte perfide”.

Mihael si lasciò sfuggire un piccolo ghigno, che preoccupò ulteriormente Rahael.

“Cosa è successo?” domandò poi l’arcangelo guerriero, sforzandosi di mettersi seduto “Il nemico è stato sconfitto? E..Lucifero?”.

“Come puoi chiedere di lui?” si accigliò Gibrihel, anch’egli nella stanza “Abbiamo combattuto tutti quanti noi, tutti insieme, e tu il primo di cui chiedi è Lucifero?”.

“Se permetti..” rispose Mihael “..vorrei sapere come sta colui che ha permesso che sia ancora qui, adesso, a parlarti, e non nello stomaco di Drakonta”.

“Il nemico è stato respinto” parlò Keros, con calma “Sophia ha usato i suoi poteri per aiutare i feriti, risvegliando del tutto la sua natura di angelo”.

“Oh, è salita in cielo?”.

“No. Le è stata data la possibilità di farlo, ma ha chiesto di poterci riflettere un po’. E poi..”.

“E poi ti sei perso lo spettacolo del tuo ragazzo!” interruppe Rahael, cingendo con il braccia le spalle di Keros “Lo vedi? Lo vedi che ha le ali?”.

“Le ho viste” ammise Mihael “Ali d’argento. Non avevo mai visto un angelo con le ali d’argento..”.

“Io sono speciale” sorrise Keros.

“Indubbiamente..”.

“Ha sconfitto il nemico” riprese Rahael “Tuo figlio ha sconfitto, assieme ad Eleonore, quel mostro serpentoso. Dovresti essere fiero di lui”.

“Lo sono”.

“Ora vedi di guarire. Il cielo non penso gradisca molto il fatto che tu abbia avuto un figlio. Specie con un demone.. La tua ala destra è danneggiata, così come il braccio. Perciò niente guerra ai diavoli per un po’..”.

“Sono talmente stanco e dolorante che l’unica guerra che voglio fare è contro il mio fegato, riempiendomi di alcolici..” sussurrò Mihael, gemendo di nuovo.

“Ma..sei veramente tu?” alzò un sopracciglio Rahael “Miky..”.

Mihael girò la testa, con un movimento lento degno dei peggiori esorcismi, accigliandosi. Quanto odiava essere chiamato Miky! Rahael subito portò le mani in avanti, indietreggiando.

“Lucifero?” incalzò Mihael, dopo essere tornato in sé “Ancora non mi avete detto dov’è. Si è rintanato negli inferi e me lo ritroverò fra i piedi non appena gli sarà passata la batosta?”.

“Siete entrambi ospiti di questa casa” furono le parole, calme, di Keros “Sono sicuro che il mio signore non avrebbe nulla da ridire. È rischioso per un demone recarsi agli inferi se non è in perfetta forma, specie se ricopre posizioni di potere. Vige la legge del più forte, lo ammazzerebbero subito”.

“Ma dai! È il capo! Asmodeo lo difenderebbe sempre!”.

“Veramente.. Asmodeo è già venuto qui con l’idea di ucciderlo. Di uccidervi entrambi. E probabilmente uccidere anche me..”.

“E..che è successo?”.

“L’ho mandato via”.

“Tu..hai respinto Asmodeo?!”.

“Sì. Che ironia, vero? Ho sconfitto e respinto colui che mi ha salvato la vita alla nascita, e che in parte mi ha fatto da padre, mentre tentava di uccidere l’altro mio padre adottivo ed il mio vero padre. Cazzo..ho troppi padri”.

“E Lucifero che cosa ha detto? Immagino non sia stato facile per te..davvero lo hai sconfitto?  E, cosa più importante: dammi del tu, ti supplico..”.

“Non ho molto tempo per raccontarti tutto. Ci penserà qualcun altro. Io ora devo andare”.

“Andare? Andare dove?”.

“I cavalieri d’oro mi hanno detto che il mio signore è stato inghiottito da Ananke”.

“Oh..io..mi dispiace..”.

“Vado a riprenderlo. Spero di poterlo fare”.

“E come?”.

“Ho scoperto di avere capacità più speciali di quanto pensassi. Perciò ci proverò. Io ed Eleonore partiremo, assieme ai cavalieri d’oro”.

“Ci sono possibilità che sia ancora in vita?”.

“La casa non muta più..non lo so..”.

“Keros..”.

Mihael non trovava le parole. Notò lo sguardo triste e sfuggente del figlio, che però gli sorrise debolmente.

“Vedi di guarire. Non preoccuparti per me o per altro” disse il sanguemisto.

“Lucifero..è morto?”.

“Che..?”.

“Continuate a non dirmi dove sia e come sta. È morto?”.

“No”.

Mihael tirò un sospiro di sollievo che indispettì molto gli angeli presenti, già in collera con il generale.

“Però..” riprese Keros, ed il guerriero avvertì un nodo alla gola “..è spento. Ha donato la sua luce a te, per non farti morire dissanguato. Sophia ha tentato di guarirlo, ma non è stata in grado di farlo risplendere di nuovo. Ha arrestato l’emorragia e tutto il resto, ma non ha riaperto gli occhi. È spento, addormentato. Al veleno di Drakonta pare che nessuno conosca rimedio. Non si sveglia e non reagisce. Ma..confido possa farlo presto. Ora devo andare..”.

“Keros..io..non so che altro dire. Se non..coraggio!”.

“Asmodeo mi odia, Lucifero è in coma e tu verrai probabilmente condannato dal cielo. Già provi dolore e sanguini, cosa che un angelo non fa. So che è colpa mia..”.

“Non lo è. Questa è una punizione per aver salvato la vita a mio fratello, ne sono certo”.

“Sia come sia..cercate di riguardarvi, in qualche modo, tutti e due. Mi dispiacerebbe ritrovarmi senza nemmeno un padre. Specie se il mio amato signore non dovesse riuscire a salvarsi”.

“La fede ti guiderà, figlio mio. La fede nel tuo signore, nell’uomo che ami. Spero ti guidi nella giusta direzione”.

Keros si sforzò di sorridere e lasciò la stanza. Lo raggiunse Eleonore, che si fece abbracciare. Tentavano di darsi coraggio a vicenda e, girando la testa verso i cavalieri d’oro, già schierati davanti alla casa, vi uscirono.

“Tienili d’occhio” commentò Keros, con Eleonore stretta a sé, rivolto a Kanon “Lucifero e Mihael tendono a..non controllarsi”.

“Ci penso io” commentò Kanon, che si era offerto di rimanere a guardia della casa assieme a Tolomeo.

“Litigano di brutto..”.

“Come me e Saga. Non c’è problema, è tipico dei fratelli. Sempre se il demone si sveglia! Piuttosto..vedete di riportarmi Arles!”.

“Lo faremo. Abbi fiducia”.

Mihael si lasciò cadere di nuovo sul letto, non appena Keros ne fu uscito. Rahael si limitò a fissarlo.

“Perché hai aiutato solo me?” domandò l’arcangelo guerriero.

“Di che parli?” rispose il guaritore.

“Ho vaghi ricordi. Di te che durante la battaglia mi chiami per nome. Hai usato i tuoi poteri solo con me?”.

“Di cosa mi accusi?”.

“Di niente. Ma anche tu eri fra quelli che mi incitavano ad uccidere Lucifero?”.

“Cerca di dormire. Ha ragione Keros. La tua mente è confusa”.

“Voglio vedere mio fratello”.

“Non sei in condizione di farlo. Resta buono dove sei”.

“Rahael..”.

“Non costringermi a legarti al letto. Dormi. Ed attento a quel che fai. Noi arcangeli siamo ancora qui, accanto a te. Io, Gabry ed Uriel siamo qui, perché siamo sempre stati al tuo fianco. Ma altri già sono tornati in cielo e non ti vedono di buon occhio”.

“Non me ne frega un cazzo”.

“Bene. Fai come credi. Magari il dolore ti aiuterà a ragionare. Quel che provi non ti suggerisce che, forse, sei sulla strada sbagliata?”.

“Non mi pento di niente. Non mi pento di aver avuto Keros e non mi pento di aver salvato Lucifero. Sono in debito con lui. Ha allevato e salvato mio figlio ed ha salvato la mia vita, donandomi la sua luce. È stato morso per permettere a me di schivare i colpi. Qualcosa non va in nostro fratello, Rahael. Non è il demone che ho combattuto per secoli. È cambiato”.

“O forse quello cambiato sei tu. Riflettici”.

Rahael si voltò, avviandosi verso la porta.

“Se serve..” mormorò il guaritore “..io sono qua fuori”.

Mihael rimase in silenzio, mentre gli altri arcangeli lasciavano la stanza. Tentò di alzarsi, con l’intento di raggiungere il fratello maggiore, ma non ci riuscì. Provava un dolore così insopportabile da costringerlo a tornare a stendersi.

 

Guidati dalla piuma scarlatta di Arikien, la compagnia si allontanava dal tempio del Dio delle illusioni.

“Non siete obbligati a seguirci, se avete ricevuto ordini diversi” spiegò Keros, incamminandosi lungo la via, rivolto ai gold saint.

“Atena, la giovanissima fanciulla appena risvegliata..” spiegò il Sacerdote “..ci ha ordinato di riprenderci suo fratello Arles, anche a costo di infrangere le regole di Zeus”.

“Come preferite..la grotta è a parecchi giorni di cammino e sicuramente sarà sorvegliata..”.

“Ottimo!” continuò Milo “Io ho voglia di pestare a sangue quella gran stronza di Ananke”.

Nonostante le proteste, Iravan ed Iravat li seguivano, con le vestigia dei gemelli. Kiki sorrise nel vederli, provando una certa tenerezza per la loro giovane età. Eleonore si era aggrappata al braccio di Keros, trovandolo confortante. In quella circostanza, il sanguemisto si era mostrato molto diverso dal solito. Era molto più sicuro, serio e deciso. Doveva essere forte, o almeno sembrarlo. Guidava la compagnia, diretto verso la grotta dove sapeva essere rinchiusa Ananke. Il suo amato signore era ancora in vita? Ne era certo, lo percepiva. E cercava di trasmettere quella stessa certezza ad Eleonore ed ai gold. Ebbe un lieve sussulto quando in cielo comparve Venere, la “stella del mattino”, la “stella della sera”.

“Vedrai che andrà tutto bene” mormorò Eleonore “Andrà tutto bene..” ripeté, sforzandosi di sembrare convincente.

“Ma certo..” le rispose Keros, dandole un bacio sul capo.

“Lucifero si risveglierà, Asmodeo non sarà più in collera con te e Arikien sarà di nuovo a casa. Tutto tornerà come prima..”.

“Non potrà mai tornare tutto come prima. Ora Sophia è un angelo, Mihael e Lucifero sono davanti ad un bivio da cui non possono fuggire. E anche noi..siamo diversi. Ma non preoccuparti: ucciderò per te. Ed ucciderò per Arikien, se sarà necessario”.

Lei sospirò, avvilita. Ma lo sguardo di Keros la spinse a sorridere ancora. Che ironia che in quel momento quel sanguemisto, che fin ora le era sempre parso dolce e fragile, di colpo si mostrasse determinato e spietato! O forse era lei che mai fin ora lo aveva visto com’era per davvero..

 

A fatica, Mihael era riuscito ad arrancare fino alla stanza dove riposava il fratello maggiore. Dolorante, aprì la porta ed entrò. Camminò e raggiunse il letto. Pareva davvero dormire il demone e l’angelo rimase sconcertato dal vedere quanti segni portasse sul corpo.

“Sono stato io?” chiese “Per colpa mia sei ridotto così?”.

“No” si sentì rispondere.

Si voltò, vedendo Rahael con un’aria di rimprovero sul volto.

“Torna subito a letto. Non sono disposto a seguire i tuoi capricci” sbottò il guaritore.

“E allora lasciami in pace! Chi ti dice di pedinarmi?” si accigliò Mihael.

“Sei ferito gravemente, devi riposare e guarire. La tua ala deve tornare a funzionare perché così potrai volare”.

“E tornare in cielo. Dove mi attende la punizione eterna per aver avuto un figlio e per aver salvato Lucifero”.

“I peccati vanno puniti, Mihael”.

“Vaffanculo. Tu e tutti gli altri angeli”.

“Guarda che io non ti giudico. Io penso che Keros sia una cosa buona e non auguro la morte a Lucifero”.

“E allora che cosa vuoi?”.

“Che tu stia bene”.

“Perché ha tutte queste cicatrici? Non le avevo mai viste prima..”.

“Lucifero è un manipolatore. Non mostra il suo vero aspetto, solitamente. Ma ora non è in grado di nascondersi e si mostra per quello che è. Quei segni sul corpo sono vecchi, salvo quelli riportati nell’ultima battaglia, che sono fasciati. Grazie a Sophia, le sue ferite non sono gravi e ormai sanguinano poco. Il veleno di Drakonta è in circolo, ma lui come serpente dovrebbe riuscire a sopprimerlo”.

“Però ha consumato tutta la sua energia vitale per salvare me. E tutti quei segni..sono il frutto dei nostri scontri. Io, come angelo, guarivo immediatamente. Non provavo dolore, non ho cicatrici. Mentre lui..quanta sofferenza gli ho provocato? Fratello..che dovrei fare?”.

“Segui il consiglio di Uriel: torna a casa. E in fretta. E ora fila a letto”.

“Voglio stare qui”.

“Non puoi. Devi riposare. Cerca di essere ragionevole!”.

“Per favore..”.

“Mihael, fallo per me. C’è chi si prende cura di Lucifero. Se si sveglierà, ti avvertirò”.

L’arcangelo rimase immobile.

“Che succede?” parlò una voce femminile.

Voltandosi leggermente, Mihael si stupì nel vedere entrare Eris. La Dea della discordia, gemella di Ares, sorrise all’angelo guerriero.

“Cosa fate qui, signora Eris?” domandò l’angelo, perplesso.

“Non lo so” ammise lei “Mi sto prendendo cura di mio fratello Ares, che grazie a Phanes ha riavuto i colori, ma è ancora debole. Però qualcosa mi spinge a venire qui”.

La Dea si avvicinò al letto, passando dolcemente una mano fra i capelli del demone.

“Ti ringrazio di averlo salvato” aggiunse ancora “Immagino che questo ti costerà”.

“Non importa” rispose Mihael “Avrei pagato comunque, per la faccenda di Keros”.

“Siamo tutti peccatori, bene o male. Vuoi uno spicchio di mela?”.

“No, grazie..”.

“Torna pure a riposare. Mi prenderò io cura di lui, finché non si sveglierà..”.

“SE si sveglierà..”.

“Lo farà. Vedrai”.

“Non affezionatevi troppo. Mio fratello non prova sentimenti d’amore, se non per nostra sorella Sophia”.

“Lo so. Che pensieri fai, angelo? Ogni volta che vedi un uomo ed una donna insieme, pensi che fra loro vi sia un legame d’amore? Non è così. Però..mi dispiacerebbe non poterci più giocare..”.

“Giocare?”.

“Angioletto..non ti racconterò quel che il tuo fratello maggiore fa sotto le lenzuola. Ed ora torna a dormire, sei pallido..non vorrei che svenissi”.

 

Il Dio delle illusioni riaprì gli occhi. Avvolto da nastri e catene di colore rosso, era sospeso nel buio. Tentò di aprire le ali, invano. Udiva il battito regolare del cuore di Ananke, che rimbombava nell’oscurità. Pensò che fosse questo quel che provava un bimbo nel ventre della madre. Si agitò per un po’, senza ottenere altro che sentire quei legami stringere più forte. Solo in quel momento intravide altre figure accanto a sé. Non erano legate, giravano liberamente per il corpo oscuro del destino. Lo osservavano con curiosità.

“Chi siete?” domandò il Dio e questi sobbalzarono, forse non aspettandosi di vederlo muovere.

“Voi..siete una divinità?” riuscì a dire una donna.

“Una specie..” furono le parole di Arles, infastidito di essere legato in una posa rassomigliante ad una crocifissione.

“Abbiamo visto quel che avete fatto” prese parola un uomo “Avete liberato quel Dio, Zeus. E Atena. avete sacrificato voi stesso per loro! Siete morto per loro, per la salvezza di tutte quelle creature che là fuori avevano bisogno di aiuto”.

“Non mi sento morto..”.

“Nessuno può uscire da qui. Noi galleggiamo in questo nulla da tempo immemore. Ananke risucchia le energie, smorza gli animi, sconforta il cuore”.

“Con me non credo possa avere successo. Verranno a prendermi. E vi porterò fuori di qui!”.

“Chi? Chi può avere un simile potere, oltre a voi?”.

“Lo vedrete!”.

Il sorriso del Dio era sincero, lievemente inquietante. Le creature di quel luogo per qualche istante si sentirono rincuorate. Che fosse possibile? Che stessero per assistere ad un miracolo?

 

Sto scrivendo in questi giorni i capitoli finali, ma continuerò a postarne uno a settimana. Ne avrete ancora per un paio di mesetti ;) grazie a tutti coloro che sono andati a spulciare la mia pagina Devianart!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** XXIII- Innovazione ***


XXIII

INNOVAZIONE

 

La grotta di trovava a diversi giorni di cammino ed il gruppo si era fermato per riposare. Keros fu il primo a percepire quella presenza, piuttosto familiare. Aprì le ali in cui si era avvolto per dormire e si guardò attorno. Preferì non dare l’allarme, non essendo sicuro di quel che sentiva. Si alzò, rizzando le orecchie a punta. Aiolia, che faceva la guardia, gli lanciò un’occhiata interrogativa, chiedendo cosa non andasse. Keros lo rassicurò, con un cenno della mano. Nel silenzio, socchiuse gli occhi e si allontanò di qualche passo. Un rumore lo fece ghignare, quasi divertito.

“Smettila di nasconderti” commentò “Sento la tua presenza. Ed il tuo odore..stai ancora sanguinando..”.

“La tua spavalderia è incredibile” si sentì rispondere, da una voce profonda “Ti farò pentire amaramente di aver pronunciato simili parole”.

“Non renderti ulteriormente ridicolo, Asmodeo..”.

“Insolente ragazzino!”.

“Hai portato gli amichetti? Vuoi essere umiliato davanti a tutti?”.

Keros rimase impassibile, mentre il demone compariva, affiancato da altri colleghi infuriati.

“Rimedierò all’offesa” ringhiò Asmodeo “Ti ucciderò, figlio d’arcangelo”.

“Quale offesa? Ti sei offeso da solo, tentando di uccidere Lucifero. Se fosse stato sveglio, ti avrebbe disintegrato in miliardi di particelle. Sono stato anche fin troppo buono!”.

“Piccolo bastardo..”.

“Non ho tempo adesso, chiaro? Devo recuperare Arikien, non giocare con voialtri demoni! Sparite!”.

“Tu non vedrai l’alba!”.

“E tu te ne tornerai a casa con la coda fra le gambe!”.

“Ma chi ti credi di essere?!”.

“Il figlio di Mihael arcangelo, cresciuto da Lucifero e salvato proprio da te..ma se dovrò ucciderti, non avrò problema alcuno nel farlo. Specie ora che ho davvero bisogno che ti levi dai coglioni!”.

Asmodeo ringhiò.

“Serve una mano?” si unì Aiolia, con a fianco il fratello maggiore risvegliato dal rumore.

“Combattere appena svegli e con i capelli scombinati..che seccatura” storse il naso Aphrodite.

I gold si erano destati e fissarono con un certo fastidio i demoni. Keros capì che, da chi aveva di fronte, non era solo una questione di regolazione di conti personali. Si trovava davanti ad i massimi rappresentanti delle armate di Lucifero: era una guerra per il predominio. Un posto vacante come quello di re dell’Inferno faceva gola a molti e se Asmodeo veniva sconfitto...

“Non sottovalutateli” si limitò a dire il mezzosangue “Sono estremamente potenti”.

I cavalieri si resero subito conto che Keros non mentiva. Baphomet, Astaroth, Moloch, Malphas, Furcas e Mephistophel risposero allo sguardo dei cavalieri, con un sorriso divertito. Azazel, anche lui presente, incrociò le braccia, come desideroso di vedere come sarebbe andata a finire.

“Ti ucciderò, Keros” minacciò Asmodeo, ringhiando ancora.

“Demone..” rispose il mezzosangue, con un sorriso quasi divertito e spalancando le ali d’argento “..non nominare il mio nome invano!”.

 

Il silenzio. Ed il buio. Gli pareva di galleggiare, dondolato da dolci onde regolari, simili all’oscillare di una culla. Poi prese il primo respiro, ed il suo corpo si accese, risplendendo. Aprendo gli occhi, vide una bambina. A passi incerti, i primi passi che mai aveva compiuto, si era poi fermato ad osservare quella bimba, alta come lui, che gli aveva sorriso.

“Lucifero” l’aveva chiamato lei, con quella vocina dolce “Sei un Lucifero. Luce. Porti la luce”.

La bimba si era avvicinata, impaurita da tutte quelle tenebre, attirata dalla luce.

“Sorella” aveva detto il bambino “Sorella Sophia!”.

Voleva cancellare quello sguardo spaventato e così il piccolo appena chiamato Lucifero decise di accendere le stelle. Iniziò a tessere i loro raggi e le tenebre furono molto mene profonde. Questo fece sorridere di gioia Sophia, che abbracciò forte il fratello. Era cresciuta la bella Sophia, così come era cresciuta la stella del mattino. Nei loro occhi azzurri si rifletteva il firmamento e lo splendore del mondo. Sophia lo comprendeva, Lucifero dissipava ogni suo dubbio.

“Insieme, possiamo fare tutto” aveva detto lei, stretta in quell’abbraccio.

E quei piccoli angeli che poi comparirono, a cui i due diedero un nome, erano come uniti in una danza perpetua, attorno a quell’abbraccio.  Mihael, Rahael, Uriel, Camael, Remiel.. La danza..la danza del mondo, il moto delle stelle, la piroetta dell’infinito. Ma una di quelle piroette separò quell’abbraccio. Ed a quel punto, che importanza poteva mai avere i termine “padre”, “madre”, “fratello”, “sorella”? Risuonarono solo quei due nomi: sapienza e luce, Sophia e Lucifero. E si levò un gridò di rabbia e di dolore, iniziò il cambiamento. La danza perpetua ed immutata era stata interrotta ed ora tutto cambiava, era un nuovo inizio: era l’inizio del mondo. Con il suo bianco e nero, luce ed ombra, iniziava il cammino della vita. E tutto era buio..

“Papà!” furono parole pronunciate da una bambina.

Lucifero si svegliò, steso sull’erba. Tre bambine lo fissavano: Vera, la fede, accanto a Nadijeshda, la speranza e Ljubow, l’amore. Erano belle, come la loro madre, che gli sorrideva.

“Buongiorno” salutò Sophia “Ti sei addormentato?”.

“Dove sono?” mormorò lui.

“Dove vuoi essere?”.

“Che razza di risposta è?”.

Le bimbe risero.

“Oggi papà è strano” commentò Vera.

“Non sono tuo papà” si affrettò a dire Lucifero, mettendosi seduto “Sophia ti ha generato da sola, assieme alle tue due sorelle”.

“Ma che stai dicendo?!” alzò un sopracciglio Sophia “Hai battuto la testa?”.

“No! Dove sono? Che sta succedendo? Dov’è Mihael?”.

“Mihael? Se vuoi te lo chiamo. Immagino sia con gli altri angeli a cazzeggiare come al solito. Lucy, tesoro..che hai?”.

“Non chiamarmi tesoro. Tu sei morta! Questo dev’essere un giochetto di Arikien”.

“Chi è Arikien?”.

“Sophia! Come sarebbe a dire?! Arikien è tuo figlio. Lo hai avuto con Ares”.

“Io?! Un figlio con Ares?! Lucy..ti avevo detto di fare il bravo con le sostanze stupefacenti” ridacchiò Sophia, toccandogli la fronte con l’indice.

“Che fai?! Cerchi di farmi venire un terzo corno?”.

“Corno? Ma di che parli? Oggi sei assurdo..”.

Lucifero si mosse, notando immediatamente di avere di nuovo le ali da angelo. Subito si alzò, accendendosi d’oro.

“Hei!” sorrise Sophia, alzandosi a sua volta, lentamente “Calmo! Sei il creatore del mondo, un movimento simile potrebbe generare qualche problema”.

“Io non ho creato il mondo!”.

“Mio bell’angelo modesto” mormorò Sophia, appoggiandosi al petto di Lucifero “Creatore. Ed io, sempre al tuo fianco, la distruttrice. Con in mezzo Mihael, il preservatore che impedisce che compiamo troppi casini”.

“Ma..no! Non è così!”.

“E allora com’è?”.

“Io..sono un demone. Dio mi ha punito, io sono caduto. Io sono..Shaitan! Satana! Il nemico!”.

Sophia scosse la testa e lo stesso fece Lucifero, confuso. Indietreggiò di qualche passo, sentendo la terra mancargli sotto i piedi. Precipitò e cadde, finendo di nuovo disteso. Vide una mano, pronta a sorreggerlo.

“Arikien” lo riconobbe.

Avvolto da una veste nera, il Dio delle illusioni gli sorrise.

“Che cosa significa? Perché mi fai questo?” domandò Lucifero.

“Io non sto facendo nulla. È il tuo inconscio. La mancanza di ossigeno..”.

“Ma di che parli? Cosa sono queste cose che vedo?”.

“Non lo so. La tua mente elabora questo, non posso sapere per quale motivo”.

“Perché il mio inconscio dovrebbe mostrarmi fandonie?! Io non sono il creatore del mondo, io non sono il padre degli angeli!”.

“Non ne ho idea. Ma..già altre volte mi sono chiesto se fosse possibile”.

“Cosa?”.

“Che Sophia sia in realtà una madre. Che sia lei la Divinità Suprema. Lei ha in mano tutte le risposte. Potrebbe aver creato te e poi, con te, aver generato tutto il resto. Oppure tu ti sei creato da solo, come nelle migliori storie da inizio del mondo”.

“E chi mi avrebbe fatto cadere, scusa?”.

“Sophia”.

“Tu stai delirando! Lei ha sofferto quando io sono caduto. Ho percepito la sua tristezza”.

“Voi due vicini non avreste prodotto altro che immobilità eterna. Per sempre insieme. Era necessario che foste separati, per far iniziare a far girare il mondo. Il bene ed il male erano necessari. L’infinita ricerca l’uno dell’altro erano necessari. Ma la mia è solo una supposizione..”.

Lucifero rimase in silenzio. Era piuttosto confuso. Seduto in terra, guardò in alto, verso il volto del nipote che rimaneva immobile, con le mani nelle tasche del lungo cappotto nero.

“Che dovrei fare adesso?” domandò poi l’angelo caduto.

“Quel che vuoi. Per quel che mi riguarda, puoi anche tornare alla visione di prima, se ti piace viverla”.

“È una menzogna!”.

“Ah sì? Ne sei sicuro?”.

“Sparati, Arikien! Odio tutti gli Dei proprio perché parlano come te!”.

“Lo so..odi anche te stesso”.

“Fanculo”.

Rimasero in silenzio qualche istante. Il demone guardò altrove, con aria infastidita. Dopo parecchio tempo tornò a girarsi e sorrise, fissando il nipote.

“Carine le corna” commentò.

“Ti piacciono?” ghignò il Dio delle illusioni, scostando un ciuffo di capelli neri e mostrando due piccole escrescenze rosse “Mi stanno facendo impazzire con il mal di testa!”.

“Normale. Lo faranno finché non saranno cresciute del tutto. Ci metteranno un po’, ma poi non ti daranno più fastidio”.

“Sono di questo colore. Come mai? Le tue sono grigie..”.

“Non saprei. È una questione genetica. Oppure tua moglie si è divertita. Hanno la stessa tonalità dei capelli di Keros..”.

“Buon per loro”.

“Sai..pure io ho baciato tua moglie. È una gran donna. Avvisami se ci litighi e torna sulla piazza”.

“Lo so che l’hai baciata. In Egitto. Ci conoscevamo da poco, io e te. Lo ricordo..”.

“E lei lo sa? Nel senso..lo ha capito che in quel momento ero io, che mi fingevo te?”.

“Non gliene ho mai parlato. E tu?”.

“No. Non avrei alcun interesse a farlo. Siete così carini insieme. Anche se Keros..”.

“Lascia che si divertano. Recupererò non appena tornerò a casa. Se ci tornerò..”.

“Perché non dovresti?”.

“Ho avuto un contrattempo. Tu, piuttosto..hai intenzione di svegliarti o vuoi rimanere bloccato nella vastità della tua mente?”.

“In che senso?”.

“Davanti a te vi sono diverse strade. Puoi restare seduto qui, ed aspettare che illusioni e ricordi ti avvolgano. Oppure puoi andare avanti, scoprendo che fine fanno i demoni quando muoiono. Oppure..trovare la strada per risvegliarti. Perché quelli come te non sono destinati a morire..”.

“E la strada qual è?”.

“La sai la risposta”.

Arikien si dissolse, lasciando il caduto da solo. Il demone si guardò attorno. Si stava facendo buio e sottili radici iniziavano a spuntare dal terreno, come artigli pronti a trattenerlo. Si alzò di colpo, guardando verso l’alto.

“Volare?” si chiese “Mal che vada..farò come Icaro e mi schianterò. Ma almeno arriverò alla conclusione di tutto questo”.

Spalancò le ali e si sollevò, sfrecciando veloce verso l’alto. La luce si era fatta sempre più intensa ma il demone non aveva chiuso gli occhi per nemmeno un istante. Vi era qualcosa, alla fine di quel viaggio: una parete. Come uno specchio, l’angelo caduto vide se stesso e gridò, infrangendo quella superficie in migliaia di pezzi. Con lo stesso grido bloccato in gola, si sollevò di colpo a sedere su quel letto dove era rimasto immobile e spento. Ansimò, piuttosto confuso. Si guardò attorno. Riconobbe le stanze del palazzo del nipote e riconobbe Eris, accoccolata su una sedia ed addormentata. Si chiese che cosa ci facesse lì quella donna e provò ad alzarsi. Erano faticosi quei primi passi, come in quel ricordo.. Poi riuscì ad uscire dalla stanza senza barcollare troppo.

“Lucifero” lo chiamò una voce.

Girandosi, vide Sophia, la prima figlia di Eleonore ed Arikien, che gli sorrideva. Lui rimase in silenzio. La casa era buia, era notte fonda, e lei aveva l’aria stanca. Però era così splendida, con le ali candide e l’aureola. Era dunque divenuta una degli angeli? Sarebbe stata di certo una bella figurina fra le nuvole..

“Non brilli” continuò Sophia “Non ti illumini più..”.

“Come mai sei sveglia, bambina?” cambiò argomento lui “Pare sia molto tardi..”.

“Lo è. Ma uno dei miei fratelli non dorme. Dice che c’è un mostro in camera”.

La giovane stringeva fra le braccia Azlan, che piagnucolava.

“Ci penso io” ghignò lui, prendendo il bambino con il braccio dal lato non intaccato dai colpi di Drakonta “Tu vai a letto. Anche gli angeli dormono, sai?”.

“Lo so. Grazie..”.

Rimasto solo con il bambino, Lucifero si chiese per quale motivo lo avesse fatto. Incrociò lo sguardo color smeraldo di quel piccolo e gli sorrise, nel solito modo leggermente inquietante.

“Andiamo a vedere il tuo mostro..” gli disse “..e lasciamo dormire la tua povera sorella”.

Mise a letto Azlan, che si guardò attorno impaurito. Poi fece un giro per la stanza e tornò a sedersi accanto al bambino.

“Ho mandato via tutti i mostri” esclamò “I mostri hanno tanta paura di me, sai?”.

Il bambino annuì, sollevato.

“Ora chiudi gli occhi e dormi”.

Il piccolo, con i capelli biondo scuro come quelli di Eleonore, lanciò uno sguardo di supplica.

“Non riesco a dormire” mormorò “Mamma mi faceva sempre dormire con una ninnananna”.

“Hem..è tardi, piccolo. Non mi sembra il caso di mettersi a cantare, non trovi?”.

Gli occhi del piccolo si fecero tristi e Lucifero sospirò. L’unica canzone che gli veniva in mente era quella che cantava agli angeli e, non capì per quale motivo, riuscì a cantarla come un tempo. Non appena il bambino si fu addormentato, il demone si alzò a fatica, dolorante, ed uscì dalla camera. Ad attenderlo, fuori, trovò Mihael.

“Hoi!” lo salutò, con il solito ghigno strano “Ciao, Miky”.

Si aspettava di vederlo andare su tutte le furie, ma non fu così. L’arcangelo lo fissò in silenzio, qualche istante e poi si avvicinò, abbracciandolo.

“Fratello..” furono le parole, mormorate, del guerriero.

“Ma che ti prende?!” protestò Lucifero “Lasciami subito!”.

“Fratello! Sei tornato!”.

L’angelo si distaccò, capendo che quella vicinanza eccessiva faceva provare dolore ad entrambi, con le ferite ancora aperte.

“Hai bevuto?” si accigliò Lucifero.

“No” rispose Mihael “Ma mi piacerebbe”.

“Che ti succede? Sei ferito..non dovresti esserlo. Sei caduto?”.

“Non lo so. Ho ancora le ali come un tempo. Niente corna o cose simili..”.

“Capisco. Una specie di avvertimento..”.

“Dici sia questo?”.

“Non saprei che altro possa essere”.

“Ed i tuoi occhi invece che cosa sono?”.

“Cos’hanno i miei occhi?”.

Lucifero non riuscì ad interpretare lo sguardo del fratello. Decise di ignorarlo. Aveva bisogno di scoprire dove il nipote nascondesse i superalcolici. Ne aveva DAVVERO bisogno. Camminò a passo incerto lungo il corridoio, non trovando indizi a riguardo. Eppure doveva tenerli da qualche parte.. Durante la sua ricerca incrociò uno specchio, simpatico orpello in cui solitamente amava rimirarsi. In quel frangente, però, non poté fare a meno di sussultare. Notò di non essere in grado di celare i segni di tutte le battaglie che aveva affrontato e poi notò loro: gli occhi. Erano azzurri! Azzurri come il cielo, come quando era un angelo! Lanciò un grido, istintivamente, ed indietreggiò, come se nello specchio avesse visto un qualche strano tipo di mostro pronto ad ucciderlo. Quel movimento brusco non piacque molto al suo corpo martoriato dalle ferite e provò di colpo un dolore intenso, che lo fece cadere in ginocchio.

“Fratello!” si allarmò Mihael, raggiungendolo “Stai bene?”.

“E me lo chiedi?! Cosa sono queste due cose che ho sulla faccia?!”.

“Sono come i miei. La cosa ti fa così schifo?”.

“Non per offenderti ma..abbastanza. Io non sono un angelo. Non voglio questi occhi”.

“Che siano pure loro..un avvertimento?”.

Lucifero ringhiò, infastidito. Ma il dolore era troppo forte e non reagì in altro modo, se non stringendosi il petto che bruciava ad ogni respiro.

“Andiamo..” lo incoraggiò Mihael “..dobbiamo entrambi tornare a letto. Penseremo poi a questioni che..”.

“Solo una domanda..” mormorò il demone, a fatica, arricciando la coda “..fratello..tu..com’è la voce di papà?”.

“Perché me lo chiedi?”.

“Perché io non la ricordo. Puoi dirmi com’è?”.

“Non la sento da molto. Ma ricordo la sua luce. È proprio come la tua, Lucifero. Sono certo che presto la ritroverai e brillerai come una volta. Come ai tempi in cui cantavi quella canzone..”.

“Proprio come la mia..”.

Lucifero si voltò verso il fratello, dopo aver osservato la propria pelle spenta. Avevano gli occhi uguali. Certo, si disse, tutti gli angeli hanno gli occhi uguali. Ma..se fosse stato lui a dar loro quel colore? Si scosse, pensando che fosse tutta un’assurdità.

 

Il Dio delle illusioni mosse il capo. Sorrise, avendo visto quel che la mente di Lucifero aveva elaborato e trovandolo molto interessante. Gli altri presenti, uomini, donne ed un paio di bambini, non capirono il motivo di quel sorriso ma sorrisero a loro volta. Arikien si sentiva stanco, sempre di più. Ananke lo stava combattendo ferocemente ma lui opponeva resistenza, non volendo farsi sottomettere. Era riuscito a liberare in parte le ali e continuava ad insistere, nella speranza di riuscire a spiegarle. Nella mente percepiva speranza, fede. Coloro che aveva di fronte speravano in lui o solo volevano che li liberasse e gli conveniva crederci? Non lo sapeva, ma la loro graduale conversione lo rendeva più forte.

“Chi era quell’uomo?” domandò una ragazza “Quell’uomo brillante come una stella?”.

“Lui è..mio zio” sorrise Arles “Lo avete visto?”.

“Il buio si è riempito di immagini. Abbiamo visto il vostro colloquio, il suo sguardo. Lo avete salvato!”.

“Gli ho solo spiegato che strada intraprendere..”.

“Lui deve credere profondamente in voi!”.

“Non credo. Siamo di..famiglie diverse, sotto quel punto di vista”.

“Io non credo. Da come vi guardava, pareva volervi seguire ovunque”.

“Lui? Ah, no! Fidatevi. Lui vola da solo, come ha sempre fatto. Non ha bisogno di me”.

“Ma senza di voi si sarebbe smarrito. Lo ha capito poco prima che spariste!”.

“Se ne sei convinta..”.

Il Dio aveva un gran mal di testa, ma ora ne comprendeva la ragione. Il dolore era ormai una costante, aveva imparato a sopportarlo. Chiuse gli occhi, concentrandosi per liberare altri legami che lo bloccavano. Il dialogo con Lucifero gli aveva fatto comprendere altre cose e le sue ali erano sempre più libere. Il rosso delle loro piume brillava sempre più intensamente.

“Cercatemi..” mormorò “..così che io possa essere libero!”.

 

Credetemi se vi dico che quando scrivo certe cose non sono sotto l’effetto di stupefacenti..

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** XXIV- Inganno ***


XXIV

INGANNO

 

L’unico che non reagì fu Azazel, che rimase fermo, appollaiato fra i rami di un alto albero avvolto dalla notte. Da lì poté assistere chiaramente a quanto successe. I cavalieri d’oro si mossero rapidi, seguendo il consiglio di Keros. Percepivano l’immenso potere di quei demoni ed agirono di conseguenza. Il mezzosangue aveva espresso il desiderio di combattere direttamente contro Asmodeo e per farlo non voleva distrazioni di sorta. Nonostante sapesse che tutti i diavoli presenti erano lì per lui, per combattere fino a quando non si fosse stabilito chi fosse il più forte, non aveva alcuna intenzione di cadere in quell’inganno. Volevano ucciderlo? No, non era il momento perché aveva un compito da svolgere: doveva salvare il suo signore! Richiamò il potere del fuoco. Asmodeo lo fissò, trovando rivoltanti quelle ali d’angelo dal colore argentato. Il loro scontro iniziò, così come i cavalieri si ritrovarono dinnanzi i loro avversari. Eleonore era l’unica che pareva far caso ad Azazel, e tentò di avvicinarsi.

Il primo demone ad agire fu Moloch. Il grosso diavolo dalle corna caprine si trovò subito ostacolato da una pioggia di fulmini. Aiolia ed Aiolos erano uno a fianco dell’altro ed avevano colto quei suoi movimenti rapidissimi. Ed erano pronti a dimostrare che erano in grado di muoversi altrettanto velocemente!

Mephistophel, con il suo grosso libro rosso, sorrise a Milo. Fra le pagine di quel volume, vi erano rinchiuse le anime che qualche incosciente aveva venduto al demone. Deathmask percepì la cosa e si affiancò allo Scorpione, curioso di scoprire come quel tomo funzionasse.

Astaroth, creatura dalla doppia natura e dal duplice aspetto femmineo e mascolino, incrociò lo sguardo di Aphrodite. Il suo corpo femminile era molto bello, Pesci doveva ammetterlo, ed il cavaliere rispettava la bellezza. Ma bastarono solo pochi secondi di consapevolezza dell’esistenza della seconda natura, quella maschile e deforme, a farlo agire con l’uso delle rose. Shura si unì a quell’attacco, deciso a dividere in due quelle entità.

Malphas era distruttivo, irruente, ma si ritrovò di fronte la potenza difensiva di Aldebaran che, affiancato dai giovani Iravan ed Iravat, era intenzionato a rispedire quell’essere all’inferno.

 Il demonio Furcas non aveva aria minacciosa o temibile. Era anziano, o così sembrava. Nel suo sguardo però scintillò una luce strana. Propose a coloro che lo ostacolavano di svelare i segreti dell’astronomia, i più profondi e sconosciuti, ed ampliarne la conoscenza. Camus, per quanto tentato, dovette declinare l’offerta e Mur lo sostenne in quella scelta.

Baphomet era rimasto immobile, seduto in una posizione simile a quella del loto. Quando Shaka e Dohko gli furono sufficientemente vicini, alzò un braccio e mostrò il palmo ai due. Attorno a lui si formò una barriera contro cui i due cavalieri sbatterono e furono respinti.

“Ti restituirò al fuoco da cui erroneamente ti ho salvato!” gridò Asmodeo, richiamando le fiamme e lanciandole contro Keros, che però le respinse con facilità.

Il mezzosangue aveva solo un punto di svantaggio nei confronti del demone ovvero il fatto che Asmodeo volasse con una certa agilità mentre lui, con ancora fragili ali d’angelo, era incapace di sollevarsi. Però riusciva a sfruttare ogni altro singolo punto di forza a suo vantaggio, ad iniziare dal fatto che era del tutto immune alle fiamme di quel diavolo. Inoltre era più leggero e veloce, grazie al sangue angelico. Così riuscì facilmente ad assestare un bel po’ di colpi dall’avversario, senza subire danni.

“Vuoi dare un’occhiata?” sorrideva Mephistophel, sfogliando il suo grosso libro rosso e rivolgendosi a Deathmask “Qui vi sono imprigionate tutte le anime di coloro che hanno fatto un patto con me lungo i secoli. Ne percepisci il potere? Ne vorresti un po’?”.

“Sì, in effetti ne vorrei” ammise il Cancro.

Il demone sorrise. Non aveva alcun tratto demoniaco, se non uno sguardo strano. Era un uomo affascinante, alto, ben vestito e con un pizzetto piuttosto pronunciato.

“Magari, cavaliere..è un patto con me ciò che vuoi” disse, appena Deathmask si fu avvicinato a sufficienza.

“Ah no, non sono bravo a mantenere le promesse” ghignò il saint e puntò il dito contro il libro.

Subito le anime al suo interno reagirono, richiamate dal potere di Deathmask. Sapeva che la forza di quel demone dipendeva proprio da quelle anime. Nel frattempo, Milo infieriva lanciando cuspidi. Il demone non pareva molto impressionato, anche se lievemente stupito. Le anime sul suo libro si mossero ed attaccarono i due cavalieri, che si ritrovarono in difficoltà. Non dovevano stupirsi: quelli eri i demoni più potenti dell’inferno! E compresero i timori degli angeli. Se Lucifero avesse scelto di combattere per l’Olimpo, avrebbe dato filo da torcere a molti, con i suoi eserciti!

Malphas era estremamente potente ma non particolarmente sveglio. Questo permise al Toro di trattenerlo il tempo necessario per permettere ai gemelli di attaccare, all’unisono. L’avversario ringhiò, ferito in più punti. Chinò la testa, pronto a scagliarsi ad ariete contro Aldebaran, che gli dimostrò che il suo corno era decisamente più duro di quelle due grosse escrescenze che il demone portava sul capo.

Aiolos ed Aiolia accecarono Moloch con i fulmini.  L’avversario, non abituato a tutta quella luce, rimase stordito e piuttosto disorientato. Ma non per questo si lasciò sconfiggere. Attaccò con tutte le forze, ferendo di striscio Aiolos. Questo però provocò l’ira del Leone, che attaccò con il doppio dell’energia.

Mur e Camus erano circondati da una miriade di piccole immagini, piccole luci. Ognuna di esse, spiegava Furcas, era una scintilla di conoscenza. Nel suo campo, quel demone era il più sapiente.

“La natura demoniaca non è sempre negativa” parlò il nemico dall’aspetto anziano “Anzi..non lo è quasi mai. I demoni sono nati seguendo un’ideale di libertà, conoscenza e desiderio di sfuggire da ciò che è predestinato. Giudico la nascita di Keros come uno splendido lavoro del signore degli inferi Lucifero, con la energia manipolatrice e tentatrice. Ha condotto alla lussuria un angelo, uno dei più forti, e questo per me è straordinario. Purtroppo però..ora è privo di luce perciò è pressoché un mortale ed io ho bisogno di una nuova luce da seguire. Così come l’avete voi, assetati di conoscenza. Venite con me! Seguite la vostra natura e divenite come me”.

“Tu non sai tutto” precisò Camus “Sophia sapeva ogni cosa”.

“Sì. E Lucifero è fatto della sua stessa sostanza”.

“E allora perché sei qui?”.

“Ho bisogno di una luce nuova da seguire..”.

Astaroth, dopo il momento di distrazione di entrambi i cavalieri dinnanzi al suo aspetto femmineo, respingeva le rose di Aphrodite ed i colpi di Shura.

“Una tecnica così bella..” commentò, con una rosa fra le dita “..è degna di un grande demone tentatore. E pure il tuo aspetto..Aphrodite dei Pesci, sono ammirato. Ed anche la lama di colui che si fa chiamare Shura ai miei occhi risulta magnifica. Peccato siate miei nemici. Non vorreste unirvi a noi?”.

“Nessuno ti obbliga a combattere, mi sembra” storse il naso Shura, scocciato da simili atteggiamenti.

“In realtà noi demoni dobbiamo seguire il diavolo più forte. E magari tentare di ammazzarlo, per prenderne il posto. Ora è Asmodeo che ci comanda”.

“Ma Keros lo ha battuto! E lo sconfiggerà di nuovo!”.

“Sono solo voci. Se non lo vedrò con i miei occhi, non mi piegherò al volere di quello schifoso sanguemisto!”.

L’immobile Baphomet non parlava, non reagiva. Osservava i movimenti dei compagni e respingeva gli attacchi di Shaka e Dohko apparentemente senza sforzo. In particolare, teneva gli occhi puntati sullo scontro fra Keros ed Asmodeo, trovando alquanto sorprendente che quel figlio di razza bastarda riuscisse a tenere testa ad un demone così potente.

“Non ti distrarre!” lo sfotté Dohko, usando la sua spada per infrangere la barriera dal demone.

Questa si incrinò e la creatura si accigliò, perché mai nessuno era riuscito in tale impresa. I colpi combinati di quei due cavalieri lo stavano destabilizzato: ora capiva perché il re Lucifero più volte gli aveva raccomandato di non stuzzicarli!

 

“Fratello, ragiona!” insisteva Camael, rivolto a Mihael “Hai mai pensato che in realtà..si tratti di una menzogna? Lucifero è il re degli inganni, è in grado di manipolare la mente e tu sei così stanco.. Io ricordo Carmilla e ricordo Costantinopoli. Non ti passa nemmeno per un secondo per la testa che potrebbe essere tutta una falsità la faccenda di Keros?”.

“Lo hai visto anche tu!” ribatté Mihael, accigliandosi.

I due si trovavano in una delle grandi stanze della casa del Dio delle illusioni, lontani da orecchie indiscrete. Mihael, seduto al tavolo, osservava i movimenti del fratello, che camminava per la sala.

“Lo hai visto anche tu, fratello Camael” parlava il guerriero “Lo hai visto che cosa Keros sia in grado di fare. Il suo potere..è come il mio”.

“Satana potrebbe avergli insegnato una tecnica simile, per ingannarti. Non ha nulla di tuo! Ha i capelli di Carmilla, lo sguardo da demone..quelle orecchie!”.

“E le ali d’argento?”.

“Tu non hai le ali d’argento!”.

“Ma ho ali d’angelo. Cosa che Keros ha e Carmilla no. Inoltre, dovresti guardarlo un po’ meglio. Non avrà i miei colori ma possiede le mie forme. La bocca, il modo in cui arriccia il naso quando qualcosa lo infastidisce, quei ciuffi ribelli sul viso, quelle spalle, quelle mani..Camael! Come puoi in esso non rivedere me stesso?”.

“Prima che ricordassi, nemmeno tu ti ci rivedevi. Adesso all’improvviso ecco che tutto cambia. È tutta un’illusione, Mihael!”.

L’angelo guerriero rimase seduto e non sobbalzò quando Camael poggiò entrambe le mani sul tavolo che aveva di fronte.

“Che cosa cambia, a questo punto?” domandò Mihael, senza mutare espressione.

“In che senso?”.

“Ho aiutato Lucifero, provo dolore per questo. La mia ala ed il mio braccio sono danneggiati e fanno estremamente fatica a guarire. Che io sia o meno il padre di quel ragazzo, che cosa cambia? Sono già comunque condannato, non trovi?”.

“Stai delirando”.

“Quella era la mia ultima battaglia, Camael. Prendi pure la mia lancia e le mie vestigia e riportale in cielo, perché io non potrò più lottare contro di lui”.

“Perché? Cosa ti ha mai detto per ridurti in questo stato mentale?!”.

“Mi ha salvato la vita. Lo hai visto anche tu”.

“È stato un gesto istintivo! Ha visto la coda di Drakonta venire verso di lui ed a reagito così. Tu eri in traiettoria e sei stato respinto e, di conseguenza, salvato. Non è come credi”.

“Ma come puoi dire questo?! Camael! I suoi occhi! Sono azzurri come il cielo. Questo non credi sia un segno? Nostro fratello sta tornando quello di un tempo”.

“Non potrà mai tornare quello di un tempo! Sei impazzito?!”.

“Keros è mio figlio, Camel. Ne sono certo”.

“E come lo sai?”.

Mihael si alzò, allungandosi sul tavolo e fissando dritto negli occhi il collega angelico.

“Perché io ricordo quel che ho provato. E credimi..per quanto lui sia il signore della menzogna, non potrebbe mai ricreare nella mia mente una simile sensazione”.

“Di che parli?”.

“Di una sensazione che non hai mai provato, angelo puro. Del piacere che l’atto più condannato in cielo può donare. E che sono più che felice di aver sperimentato, fratello. Su questa mia pelle, Camael, io ho percepito il tocco vellutato di donna. Il tocco peccaminoso e voluttuoso di donna, che mi ha permesso di entrare in lei con desiderio e passione. Credimi..non è una sensazione che di può ricreare artificialmente con un inganno!”.

“Oh, Signore delle schiere celesti! La situazione è peggiore di quanto credessi! Meglio ti riporti a casa immediatamente, così da impedirti di commettere e dire altre oscenità”.

“Non mi toccare!”.

“Mihael! Io voglio aiutarti!”.

“Non ho bisogno del tuo aiuto!”.

L’arcangelo guerriero si alzò e scansò dal tentativo del fratello di toccarne il braccio sano.

“Tornatene in cielo, Camael!” ordinò, allontanandosi “Lasciatemi in pace. Se nostro padre mi rivuole a casa, sarà lui stesso a chiamarmi. Se invece desidera la mia condanna..ebbene, così sia!”.

Con lo sguardo fiero, Mihael lasciò la stanza. Camael lo seguì per un po’ ma poi desistette. Intravide il fratello maggiore Lucifero e si stupì nel vedere che effettivamente il suo sguardo era azzurro. Ed il suo corpo non brillava più. Ma forse era anche quella una menzogna..meglio tornare a casa! Ed istintivamente si fece il segno della croce.

 

Lo sguardo di Azazel incontrò quello di Eleonore. Quella donna era interessante. Strana. Il demone incrociò le braccia, quasi divertito. Il suo aspetto non era mostruoso o spaventoso. Era chiaramente un tentatore, dagli occhi molto profondi e quasi dolci. Le corna nere però lasciavano poco spazio alla fantasia: era uno dei diavoli più temibili dell’inferno. Era l’araldo di Lucifero, alla sua destra al momento della caduta.

“Perché non combatti?” domandò lei.

“E tu perché non hai paura di me?” rispose Azazel.

“Non ho paura di Lucifero, perché dovrei avere paura di te?”.

“Mi pare evidente che tu non lo abbia mai visto veramente infuriato”.

“Credo che, visto quanto sta accadendo, lo vedrò presto. E si scaglierà contro di voi”.

“Io non ho nulla contro Lord Lucifero, anzi! Io sono sempre stato un suo fedele compagno, fin da quando eravamo entrambi angeli. L’ho sempre seguito ed ammirato. E non approvo minimamente i tentativi sovversivi di quello zotico di Asmodeo. Perché se Lord Lucifero fosse qui, sarebbe in grado di sconfiggerci tutti quanti con ben poco sforzo”.

“Lord Lucifero? Sai..mi ricordi Keros. Quando si rivolge all’uomo che ama. Hai lo stesso sguardo..”.

Azazel sostenne lo sguardo di Eleonore e si accigliò leggermente, senza dire nulla.

“Ho indovinato?” sorrise lei.

“Forse. Ma non ha importanza. Io non sono un guerriero, solitamente. Ma dopo che ho appreso quanto successo..è mio compito impedire che capiti di nuovo”.

“Intendi l’attacco di Asmodeo contro Lucifero?”.

“Lo tengo d’occhio. Se sarà necessario, fermerò la sua mano. Posso sembrare una creatura più debole di lui ma la verità è che potrei tenere testa ad Asmodeo. Fin ora sono stato sotto le grandi ali di Lucifero ma sono in grado di vivere anche senza averle sopra la testa a proteggermi”.

“E allora perché non lo fermi adesso? E gli impedisci di ferire Keros?”.

“Keros non ha bisogno del mio aiuto..”.

Asmodeo era sconvolto dalla potenza che riusciva a scatenare il mezzosangue. Dopo essersi scontrati ancora un paio di volte, lanciò un grido di dolore.

“Tua madre sarebbe fiera di te” disse, finendo a terra “Rinnovo il mio gesto di sottomissione e supplico la pietà”.

Il sanguemisto era furioso. Stringeva sempre di più la gola del suo avversario.

“Dimmi, come hai osato?” sibilò, con un tono che avrebbe indotto il terrore in chiunque “Come hai osato tentare di uccidere il tuo signore? Il tuo fratello maggiore? Colui che per millenni hai servito negli inferi? Me lo dici come hai osato? O forse lo servivi solo nella speranza che compisse un passo falso per prenderne il posto? Sappi che questo io non lo permetterò mai!”.

“Supplico clemenza. Keros..abbi pietà!”.

“Pietà? Tu non ne avresti avuta. Se io non fossi intervenuto, Lucifero sarebbe morto. E non combattendo, ma giacendo inerme e privo di sensi. Che razza di pietà dovrei avere nei confronti di una creatura come te?!”.

“Ma io..io ti ho salvato. Io ti ho salvato quando eri un neonato. Ti ho portato nel palazzo di Lucifero. Senza di me, saresti morto. Una vita, per una vita! Risparmiami e saremo pari”.

Keros rimase immobile qualche istante. Alla fine, lasciò andare Asmodeo, lanciandogli solo un ultimo sguardo di disprezzo. Il demone tentò di reagire, sferrando un ulteriore attacco, ma Azazel lo fermò. Tutti gli altri demoni avevano smesso di combattere, vedendo che coloro che ritenevano il più forte era stato sconfitto. Inoltre, il corpo di Keros brillava in un modo così familiare, con quelle ali spalancate, da costringerli ad inginocchiarsi. Azazel rimase in piedi e fece solo un lieve inchino.

“Azazel!” lo riconobbe Keros “Ti ringrazio per aver fermato questa scocciatura. Ho fretta..devo raggiungere Arikien. Esiste un modo per impedire che voialtri demoni mi infastidiate ancora?”.

“Avete la mia parola che la vostra missione non verrà interrotta più da noi, principe” mormorò l’araldo.

“Principe? Io? Non regnerò mai sull’inferno: mi fa schifo. Non tanto per il posto, quanto per la compagnia. Detesto la maggior parte dei demoni, così come detesto angeli e Dei. Spero di vedere presto Lucifero in piedi ed in grado di regnare di nuovo sul suo impero”.

“E fino a quel momento? Gli inferi sono un luogo che, senza un forte leader, cadono nel caos”.

“Sono sicuro che tu riuscirai a gestire questo caos, Azazel. E, nel caso che la situazione non si sia ancora risolta al mio ritorno, ne riparleremo. Ora, per cortesia..sparite tutti. Ho una missione da portare a termine!”.

 

Kanon scosse la testa, trovando lo zio demone mezzo spaparanzato sul divanetto rosso del salotto, sigaretta accesa di sbieco in bocca ed una mela a fianco, con cui giocherellava con la coda.

“Non dovresti fumare” lo rimproverò “Non con un polmone danneggiato”.

“Farti i cazzi tuoi, mai?” sbottò Lucifero, dopo una boccata di fumo.

“Era per dire. Se vuoi crepare, fai pure”.

“Non sarà una sigaretta ad uccidermi..”.

“Ah, questo è sicuro”.

“Più probabile il veleno di Drakonta. Ma a questo non vi è rimedio, dico bene? Perciò lasciami in pace”.

“Mihael sta discutendo con un altro angelo..”.

“Sì, ho visto. È quello scassa cazzi di Camael. Tanto carino e servizievole lui, ma quanto rompe!”.

“Non pensi che Mihael debba tornare in cielo?”.

“Assolutamente sì. Ma conosco mio fratello e non sarà tartassandogli i coglioni che lo convinceranno. Piuttosto..è vero che Keros ha respinto Asmodeo? Lo hai visto? Com’è andata?”.

“Non c’è molto da dire. Asmodeo è venuto qui e pensavamo tutti fosse comparso per verificare le tue condizioni ma si è mostrato piuttosto aggressivo. Ha minacciato di ucciderti. Anzi..ci ha provato proprio! Per fortuna Keros era nella stanza e lo ha fermato. È stata una bella scena perché, alla fine, nel loro concitato e furioso scontro, Asmodeo si è ritrovato alla gola la lancia di Mihael, impugnata da Keros”.

“Asmodeo è uno dei demoni più potenti dell’inferno..”.

“Lo so. Ma Keros è un Dio. Ah..dimenticavo che tu non hai visto quel che ha fatto”.

“Un Dio?!”.

“Una specie. Non saprei spiegartelo. Ad ogni modo, Asmodeo gridava che avrebbe ucciso te, insultandoti in varie maniere, e poi avrebbe staccato la testa a Mihael ed al suo figlio bastardo. Era fuori di sé”.

“E Keros come lo ha fermato?! Asmodeo furioso è una creatura che solo io riesco a domare..”.

“Senti..non ci ho capito molto. So che ad un certo punto Asmodeo è finito in terra e Keros gli ha ordinato di andarsene. E Asmodeo ha fatto uno strano segno con la mano”.

Lucifero mosse il braccio destro, quello dal lato sano e non intaccato da Drakonta, e compì un gesto vicino al petto, chiedendo se il demone avesse compiuto proprio quel movimento. Kanon annuì.

“È un gesto di sottomissione” spiegò Lucifero “Lo compiono i demoni quando non vogliono essere uccisi dal loro avversario e ne riconoscono la superiorità. Asmodeo..ha fatto tale segno dinnanzi a me. E solo dinnanzi a me. Keros..come ci è riuscito? È così potente?”.

“Lo capirai quando lo rivedrai. Non scervellarti troppo..”.

Il diavolo si passò una mano sugli occhi, infastidito. Non riusciva proprio a sopportarli! Erano così grandi e chiari! Sembrava strafatto e vedeva strane ombre, riflessi e luci. Ma forse era solo effetto del veleno..

Eris entrò nella stanza, sorridendo ad entrambi, ed andando a sedersi sul divanetto. Lucifero la fissò con disapprovazione ed arricciò la coda.

“Come stai oggi?” domandò lei e lui alzò un sopracciglio “Puoi anche rispondermi..”.

“Non hai un altro posto per sederti, donna?” storse il naso il demone.

Lei allungò la mano ed afferrò la mela con cui Lucifero stava giocando, dandole un bel morso. Kanon sorrise a quella scena e decise che forse era meglio lasciare i due da soli, nonostante le proteste del diavolo.

“Sai..” commentò Eris “La mia mela, la mela d’oro della discordia, doveva andare alla più bella. E sai a chi è andata?”.

“A Venere. Tutti la conoscono quella storia”.

“Esatto. A Venere. Alla stella del mattino..non è questo uno dei tuoi nomi?”.

“Continuo a non capire cosa tu voglia da me..”.

“Dici di non meritare la mela per il più bello?”.

“Suvvia, Eris. Non prendiamoci in giro. La meritavo quando ero un angelo, il più bello degli angeli, perfetto sotto ogni aspetto. Non ora..con il corpo pieno di cicatrici e questo sguardo assurdo. E questi capelli, che non stanno da nessuna parte ultimamente!”.

“La perfezione è noiosa. L’ho sempre pensato”.

“Anch’io..”.

“Per i capelli..basta pettinarli! Io ti trovo bellissimo”.

“Pure io mi trovo bellissimo. Sono in molti a pensarlo..anche se ora questi occhi non li sopporto..”.

“Mi ricordi mio fratello Ares..”.

“Scherzi?!”.

“No, per niente. Penso anzi che sia stato proprio questo a spingere Sophia fra le sue braccia. Lei voleva te, ma non poteva e così..”.

“NO!” sibilò Lucifero, scansandosi “Bella, parliamo di ciò che vuoi ma NON di mia sorella, chiaro?!”.

“Va bene..scusa..comunque non ti giudico mica. Anche a me piace mio fratello. E tu ci somigli..e mi piaci”.

“Questa la vedo come una cosa piuttosto offensiva, sai? Io non somiglio a quella capra ignorante ed irascibile di Ares!”.

“Ah no?”.

“Stronza..”.

“Mio fratello ed io, secondo una versione dei fatti, non siamo stati concepiti nel solito modo ma generati da nostra madre, in seguito al suo tocco su un fiore. Dicono sia il pruno selvatico o altro ancora, non ha importanza. Quel che voglio dire è che siamo nati da una divinità soltanto. Mio fratello non è mai stato molto amato dagli altri Dei, ed è per questo che è esiliato e non vive sull’Olimpo. E sai perché è stato esiliato? Perché è stato beccato ad amoreggiare con Afrodite, una donna sposata di cui è follemente innamorato da sempre ed a cui pensa sempre nonostante i millenni passati. È un guerriero temibile ma a volte il suo pessimo carattere e la sua irruenza lo portano a dire o fare cose sconsiderate. Non trovi una certa somiglianza?”.

“No. Ma anche se fosse..è perché gli Dei non hanno inventiva e ripetono sempre le stesse storie dall’alba dei tempi!”.

Eris sorrise, ghignò. Si chinò sul demone, che la fissò perplesso. Ma che mai voleva quella femmina? Cosa serviva stare tanto appiccicati? In quel momento, con il veleno di Drakonta che bruciava e la ferita che ancora lo tormentava, non aveva proprio voglia di avere rapporti interpersonali di qualsiasi tipo, per quanto la sua natura fremesse. Avrebbe recuperato appena possibile..

“Ero tanto preoccupata per te” mormorò Eris.

“Perché?”.

“Non lo so. Ma lo ero. Vederti sveglio mi fa molto piacere”.

“Non vedi l’ora che sia di nuovo in grado di saltarti addosso, vero?”.

“Anche..” rise lei “..ma non solo per quello..”.

Con la mano, passò sul petto del demone, che sobbalzò per il dolore.

“Ti ho fatto male?” parlò, mortificata, la Dea della discordia.

“Sì” ammise lui, con un sussurro “Fallo pure tutte le volte che vuoi..”.

Eris alzò gli occhi, sfiorando il volto di Lucifero e dandogli un bacio. Il demone non comprese del tutto quel gesto ma non poteva farci niente: ultimamente non capiva più nulla!

 

Lunghissimo e faticosissimo. Chiedo perdono per gli scontri “concisi” ma questa storia si sta protraendo ben oltre il previsto e non volevo divulgarmi troppo. E buona pasquetta!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** XXV- Invocare ***


XXV

INVOCARE

 

Dopo diversi giorni di cammino, la compagnia dei cavalieri, guidati da Keros ed Eleonore, erano ormai prossimi a raggiungere l’obbiettivo. La piuma rossa del Dio delle Illusioni brillava sempre più intensamente. Nessun altro ostacolo aveva incrociato la loro strada ma un’ombra oscurò qualche istante il sole. Una piuma candida volò dinnanzi a loro e dieci angeli si pararono dinnanzi al gruppo. Keros sospirò, alcuni cavalieri li osservarono ammirati ed altri si fissarono perplessi, chiedendosi che mai volessero degli angeli.

“Non siamo qui per combattere” parlò uno di essi, con sei ali “Il mio nome è Akaiah, Serafino residente normalmente nell’Empireo ed il cui dono è il coraggio. Era proprio curioso di vedere con i miei occhi il tanto discusso figlio di Mihael, l’unico di noi fratelli ad aver avuto una progenie, se escludiamo i Nephilim all’inizio dei tempi”.

“Lusingato nell’apprendere che siete sceso addirittura dall’Empireo per vedermi. Ora..” rispose Keros “..mi avete visto? Posso andare? Ho un compito da svolgere. Una volta che l’avrò portato a termine, sarò lieto di prendere il tè con tutti voi”.

“Non essere scortese. Permettimi di presentarti i miei fratelli. Costui è Raziel, un Auphanim, un Cherubino, principe della conoscenza, un tempo a servizio di Lady Sophia. Accanto a lui vi è Barkiel, una delle sette luci ardenti, uno dei sette reggitori del mondo, uno dei Troni. Zadkiel fa parte delle Dominazioni, ed il suo nome richiama alla giustizia di Dio. Hamliel è una Virtù, uno dei sette planetari. Rappresentante delle Potestà è Aniel, in grado di sovvertire lo scorrere della circolarità delle cose. Mebahiah possiede la luce dell’intelletto ed è fra i Principati. Colui che fra le mani stringe un grosso libro è Vereheveil, l’arcangelo che conosce tutte lingue e le scritture. Infine vi è Requiel, angelo con il dono della preveggenza. Camael immagino tu lo conosca già e non serva ti dica nulla, se non che temporaneamente ha preso il posto di tuo padre in cielo”.

“Camael il generale delle forze celesti? Ok..non dico nulla..” alzò le mani Keros “..lasciatemi andare avanti, per favore”.

“Siamo qui per fermarvi” parlò ancora il Serafino.

“E per quale motivo?”.

“In quella grotta giace una creatura estremamente pericolosa”.

“Ananke. Lo so bene..”.

“Non parlo di Ananke”.

“Arikien non è una creatura pericolosa!”.

“Figlio di uno di noi, di Lady Sophia, con fra le mani un potere divino? Nonché la promessa fatta a Satanahel di divenire principe dell’inferno?”.

“Avete paura che vi faccia il culo alla fine del mondo?”.

“A te, al momento, non è stato dato modo di comprendere. Siamo qui per proporti un patto. A proporlo, in verità, ad Eleonore. Vi proponiamo la pace, a nome di tutte le schiere angeliche, qui rappresentate. La protezione da ogni male, per la vostra intera famiglia”.

“Ed in cambio dovremmo lasciarvi uccidere Arikien?”.

“Esatto. Per quel che ne sappiamo, potrebbe anche essere già morto..”.

Keros storse il naso, fingendo di pensarci. Poi alzò entrambe le mani, dedicando agli angeli un paio di dita medie alzate.

“Eleonore..” riprese il Serafino, mordendosi il labbro per controllarsi “..parlo a te. Al tuo essere donna e madre. Non desideri un futuro di pace per i tuoi piccoli? So che una madre desidera solo il meglio per i suoi bambini. Mai più conflitti e pericoli, in nome di tutto il cielo”.

“Sarebbe magnifico” ammise lei “Però non credo che potrei mai stare senza il mio amato Ary”.

“E lui sarebbe d’accordo? Rinunciare alla sicurezza dei suoi figli in cambio della sua libertà?”.

“Non sarebbe mai d’accordo, lo so. Ma io lo amo. E non mi aspetto che un Serafino comprenda questo sentimento..”.

“Io comprendo l’amore”.

“Sì. L’amore per un Dio. Per un’entità superiore. Ma io lo amo come si ama un uomo, e questo un angelo non lo può capire”.

“L’amore carnale, no. Quello non lo capiamo. Ed è per questo che non riusciamo ad accettare il gesto di Mihael, che una volta tornato in cielo dovrà subirne le conseguenze. Oltre al fatto di aver deliberatamente aiutato il più grande nemico del cielo, il nostro fratello maggiore ormai caduto”.

“Puoi anche chiamarlo per nome” si intromise Keros “Chiamarlo Lucifero non ti porterà alla dannazione eterna”.

“Si da un nome a ciò a cui ci si affeziona. Ed il tradimento del re dei demoni ancora brucia negli animi di chi ha combattuto quella battaglia”.

“Lucifero ha salvato Mihael”.

“Lo ha fatto per te, che considera quasi un figlio. Il suo potere è troppo grande per poter far concepire ad una donna la sua creatura, perciò vede in te e nel figlio di Sophia  una sorta di progenie”.

“Non è stato un angelo a salvarmi, quando sono nato. Non è stato un angelo a crescermi. Non è stato un angelo a condurmi dall’uomo che amo. Io non credo nel vostro Dio, ho il mio Dio da venerare ed amare. E lo stesso vale per Eleonore. Voi avete solo paura di essere sconfitti”.

“Non è stato un angelo a tentare di ucciderti qualche giorno fa, mi sembra. E non è stato un angelo ad attentare alla vita del caduto”.

“Già. A quanto pare mi vogliono tutti morto..e vogliono tutti morto Lucifero”.

“E, nonostante questo, rifiuti la nostra protezione?”.

“L’unico che può proteggermi è Arikien. L’unico che potrò venerare come Dio è lui. Ed io so per certo che voialtri non perdereste mai tanto tempo con creature che non credono nel grande disegno di vostro padre”.

“Osi sfidarci?” si accigliò Barkiel.

“Fateci passare, per cortesia”.

“Ti staccherò la testa dal collo, insolente mezzosangue dall’animo contaminato da Satana!” fu la risposta di Barkiel ma Akaiah lo fermò con un gesto.

Il Serafino si avvicinò a Keros, con un mezzo sorriso, mostrando le mani in segno di pace e resa. Sfiorò le ali d’argento del sanguemisto, ammettendo di non averne mai viste di quel colore.

“In te lo rivedo” mormorò “In te rivedo mio fratello Mihael, che anelo rivedere in cielo, ma temo che il mio disio non potrà mai avverarsi. Non ho saputo proteggerlo, non ho saputo guidarlo. Ed ora è in terra che prova dolore e sofferenza. Permettimi di  tutelare almeno suo figlio..”.

“Io ho chi bada a me. Ho un angelo custode, mio padre. Ho un..demone custode, che è colui che mi ha cresciuto. Ed ho un Dio che mi ama e che rivoglio accanto a me. Perdonatemi, ma devo declinare l’offerta”.

“In questo caso..abbiamo degli ordini”.

Le creature angeliche furono avvolte dalla luce.

“Non mi impressionate” commentò Keros “Io ho visto la luce del più luminoso di voi, anche se non lo considerate più uno di voi da tanto tempo”.

“Noi non proviamo dolore” gli fece notare Camael “E non sanguiniamo. Vuoi comunque sfidarci?”.

“Ho alternative? Esiste un altro modo per farvi sparire?”

 

“Allora..mio bel fratellino ad energia solare..che fai?” domandò Lucifero, vedendo il fratello con gli occhi rivolti verso il cielo.

“Sto pregando, fratello” rispose Mihael “Sto cercando di sentire di nuovo la voce di nostro padre”.

“Papi è silenzioso?”.

“Non chiamarlo così. Non è rispettoso”.

“E da quando io sono rispettoso?!”.

“Ho molti dubbi . Molta nebbia da dissipare”.

“Ti capisco. Ma..è ormai da più di un millennio che credo di essere orfano..”.

Mihael si voltò verso il fratello, con aria mista fra il rimprovero, la rabbia e lo smarrimento.

“Io voglio pregare mio padre” esclamò, scandendo bene le parole “Perciò ora vattene. Lasciami in pace”.

“Ok..scusa..” ghignò Lucifero.

“Solo una domanda: perché mi hai salvato? È stato un riflesso? Non mentirmi”.

“Ho pensato a Keros. Tutti hanno bisogno di qualcuno che li guidi. Che sia un padre, un amico, un fratello..e lui ha bisogno del suo vero padre, specie se Arikien non dovesse riuscire a tornare”.

“E tu?”.

“Io che cosa?”.

“Tu chi hai che ti guida?”.

“Nessuno. Per questo sono così. Ed ora prega pure..”.

“E perché lo hai fatto? Perché hai pensato a Keros?”.

“Non lo so, va bene? Se faccio qualcosa di cattivo, rompete il cazzo. Se faccio qualcosa di buono, rompete il cazzo. Che volete che faccia?!”.

“Io..non..”.

Lucifero non attese altro e si allontanò dal fratello, piuttosto infastidito. Accanto all’angelo, che riprese la sua preghiera, andò il piccolo Roslan, incuriosito. Non capiva che cosa stesse facendo Mihael con le mani giunte e gli occhi chiusi.

“Che cosa fai?” domandò con la sua vocina dolce, guardando in su.

“Prego” rispose l’angelo, semplicemente.

“Chi preghi?”.

“Mio padre”.

“Ti ascolta?”.

“Io..non lo so”.

“Anch’io posso pregare il mio papà?”.

“..sì, in teoria..”.

“Come si fa?”.

L’angelo si chinò, poggiando una mano sul capo del bimbo. Amava l’innocenza dei piccoli! Il bimbo congiunse le mani, come aveva visto fare all’angelo, ma questi scosse la testa.

“Non devi copiare quello che faccio io” gli disse “Tuo padre non è il mio. Metti le mani come ti viene più naturale”.

Il bimbo era perplesso. Si guardò le mani e le mise una dentro l’altra, come se una mano altrui la stringesse.

“Ti prego, papà..” disse, serio “..torna a casa. Assieme alla mamma ed a Keros. Ti voglio tanto bene. Torna da me!”.

“Bravo..”.

“Dici mi abbia ascoltato?”.

“Ah..ma certo! È il tuo papà, no? Ti avrà sentito di sicuro!”.

 

Una voce gentile lo chiamava per nome.

“Roslan, figlio mio!” la riconobbe il Dio delle illusioni.

Quella voce, così dolce e limpida, era come un balsamo su ogni ferita e dolore. Quella preghiera entrò nelle vene del padre come fosse pura linfa vitale. Sorrise, cullato da quella sensazione. I legami si stavano allentando, riusciva a sentirlo. Ma, così come lo sentiva lui, lo stesso valeva per Ananke che creò altre catene.  Arles però si dibatté da esse.  Con un sorriso, lanciò un grido e spalancò le ali.

“Dovrai lasciarmi andare” gridò, con un ghigno da folle “Io non ti appartengo! Io volerò di nuovo! Io regnerò sul mio mondo!”.

 

I cavalieri d’oro erano perplessi e fissavano le creature del cielo, mentre queste fluttuavano nell’aria. Lottare contro degli angeli? Era il caso? Non dovrebbero incarnare la perfezione, la bellezza assoluta, la giustizia? Eppure Keros ed Eleonore erano tremendamente risoluti, o almeno così sembravano. Akaiah, il Serafino, aveva l’aria triste. Non voleva combattere, lo si leggeva negli occhi. Vereheveil, con il suo grosso libro fra le mani, osservava il sanguemisto e sorrise leggermente.

“Sai..” disse “..quando eravamo entrambi in cielo, io e Lucifero parlavano spesso. Anche da giovane era una mente piuttosto singolare. Più unica che raro, direi. Ero affascinato da quel che sapeva e scrivevo ogni cosa su questi miei libri. In te rivedo quello strano modo di fare, quella scontrosa cocciutaggine”.

“Non so bene se sia un complimento oppure un’offesa..” ammise Keros.

“Nessuna delle due cose” alzò le spalle Vereheveil “Solo una constatazione. Mi piaceva Lucifero..prima che facesse quel che ha fatto”.

“Sei solo uno che non ha avuto le palle di seguirlo”.

“Può darsi..”.

“Adesso basta” interruppe Camael “Abbiamo degli ordini da rispettare”.

“Tristemente vero..” annuì Raziel.

“Un attimo!” li interruppe Eleonore “Posso solo sapere..chi vi da questi ordini? È vostro padre?”.

“Le alte sfere ricevono gli ordini direttamente da nostro padre, e noi obbediamo” rispose Zadkiel, fissando il Serafino.

“Akaiah..” continuò lei “..tu hai ricevuto questi ordini direttamente dalla bocca di tuo padre?”.

“No” ammise lui “Noi agiamo secondo quanto suggerisce il nostro cuore ed il nostro cuore è mosso dal volere di nostro Padre”.

“Ma perché vuole questo?”.

“Il suo disegno non sono mai stato in grado di comprenderlo. Solo Sophia ci riusciva..ma per colpa di divinità pagane, ella è morta”.

“Roba vecchia” sbottò Milo “Per favore, fatevi da parte. Dobbiamo recuperare una persona, se non vi dispiace. Che vi stia sul cazzo quanto vi pare, scansatevi!”.

“Non puoi parlarci in questo modo, mortale!” si accigliò Raziel.

“E perché no? Io sono greco, sposato con la figlia di Ares. Non credo al vostro Dio, non ho paura del vostro diavolo. Perciò..”.

“Capisco..”.

“E la stessa cosa vale per tutti quanti noi. Tranne per il tizio biondo che è buddista. Perciò, per cortesia..fatevi da parte!”.

“Siete dei pazzi. Noi non sanguiniamo e non proviamo dolore. Come pensate di sconfiggerci?”.

“Troveremo un modo..”.

I saint si prepararono a colpire, nonostante molti dubbi nella mente. Vereheveil sospirò, non avendo alcuna intenzione di combattere. Aprì il suo libro e una piuma candida iniziò a scrivere. Narrava quello scontro, nei minimi dettagli. Narrò dei colpi che i cavalieri indirizzarono verso le creature del cielo, respinti con facilità dalla luce dei loro avversari.

“Ma..” chiese Deathmask, avvicinandosi a Keros “..se questi qui sono così, Lucifero che è in grado di fare?”.

“Nemmeno lo immagini” ghignò il mezzosangue “Ma purtroppo lui prova dolore e sanguina. Per quanto distruttivo sia il suo potere, non può far nulla contro un corpo danneggiato”.

“Smettetela di pronunciare quel nome!” esclamò Raziel, spalancando le quattro ali da Cherubino.

La penna di Vereheveil scriveva rapida, su sottili pagine che si sfogliavano dolcemente, come mosse da un vento gentile. Scrisse della lancia di Camael, una volta appartenuta a Mihael, che cercò di colpire Keros ed abbatterlo. Scrisse della moltitudine di tecniche usate per tentare di scalfire quelle creature, che però contro dei mortali parevano essere incrollabili. Solamente i colpi di Keros fecero vacillare i più bassi di livello. Camael era divenuto più forte, una volta ottenuto il ruolo temporaneo di generale delle truppe, ma questo non scoraggiava il mezzosangue, consapevole del desiderio dell’arcangelo di ucciderlo. Anche Eleonore era in pericolo e questo lo incitava a combattere ancora più ferocemente. La freccia di lei, scoccata senza timore, dissolveva temporaneamente la luce degli angeli. Capendo questo, i cavalieri agirono all’unisono con lei. Mentre Keros e Camael si affrontavano singolarmente, i saint lanciarono colpi assieme alle frecce di Eleonore. Questo fece sì che alcuni di essi andassero a segno e stupì parecchio gli avversari, che mai si sarebbero aspettati una cosa simile. Chi era in realtà quella donna? Come potevano le sue frecce disperdere la luce degli angeli, anche se solo per pochi istanti?

“Io rivoglio Mihael in cielo!” sbraitò Camael, spingendo in terra Keros con la sua lancia.

“E che cosa ci posso fare io?!” rispose il mezzosangue.

“Perché sei nato?!”.

“E io che cazzo ne so?!”.

La piuma di Vereheveil scorreva rapida ma improvvisamente si arrestò. L’arcangelo la fissò in modo strano: che stava accadendo? Mai fin ora aveva cessato di scrivere! Si era fermata ed era rimasta immobile, a mezz’aria. Vereheveil provò a toccarla ma non ottenne altro che vedere quella piuma mutare colore. Trovandolo a dir poco assurdo, l’arcangelo prese fra le mani il libro, tentando di capire, ed anche le scritte su di esso mutarono. Si fecero rosse e di colpo un occhio dello stesso colore si aprì al centro di quelle pagine. Vereheveil lanciò un grido, vedendo quell’immagine muoversi come fosse viva.

“Chi ti ha evocato, demone?” esclamò, non trovando un’altra spiegazione.

L’occhio si mosse ed incrociò gli occhi azzurri dell’arcangelo, che ne fu terrorizzato e gettò il libro a terra.

“Fratello!” si voltò Akaiah “Che succede?”.

“Un demone!” rispose Vereheveil “Un demone si è impossessato del mio libro”.

“Nessun demone è dotato di un simile potere!”.

“E quello allora che cazzo è?!”.

“Modera il linguaggio..”.

Il Serafino si avvicinò al libro, che nel frattempo si era richiuso per la caduta. Ne riaprì le pagine e l’occhio si voltò di scatto, fissandolo.

“Oddio, che cazzo è?!” si tirò indietro Akaiah, serrando il volume e poi cercando di riprendere un certo autocontrollo.

“Dev’essere opera di Lucifero” commentò Raziel.

“Lucifero non ha quello sguardo” lo corresse Hamliel.

Il Serafino prese coraggio e si avvicinò di nuovo al libro.

“Non lo fare!” si allarmò Aniel “potrebbe essere pericoloso!”.

“Pericoloso o no, qui qualcosa non va!” furono le parole di Akaiah.

Eleonore non comprese i loro timori e riaprì il libro, sorridendo. Lei lo conosceva bene quell’occhio e non ne aveva di certo paura! Subito il cielo mutò, ricoprendosi di piume rosse, come se due enormi ali di quel colore si fossero dispiegate sulle teste dei presenti.

“Ma che cosa..?” si accigliò Camael.

“Che diavoleria è questa?” si chiese Requiel.

“Non è che tutto succede sempre per colpa del Diavolo..” scosse la testa Barkiel, ricevendo in risposta una smorfia da parte del fratello angelo.

“Ali? Ali rosse? Rosse come il sangue e non come il rosso dei Serafini? Ma che succede?” farfugliò Mebahiah, guardando in su.

“Ary!” sorrise Eleonore “Tranquillo. Stiamo arrivando”.

Una pioggia di piume avvolse i presenti e lo spazio iniziò a mutare.

“Questa non è opera di demoni o angeli” si arrese Akaiah “Ma di qualcosa che va oltre ciò che ci è dato modo di cambiare”.

Le ali stavano richiamando Keros, Eleonore ed i cavalieri, avvolgendoli in un abbraccio che li condusse all’ingresso della grotta. Le creature del cielo rimasero a guardarsi, incapaci di comprendere del tutto quanto successo.

“Forse..” azzardò Requiel “Il saggio Uriel saprà illuminarci”.

“Speriamo” annuì il Serafino “Io, sinceramente, non ci ho capito un fottuto niente!”.

 

Ecco anche il 25! Giusto un piccolo appunto: il capitolo 23 (innovazione) ha moltissime visite in meno rispetto a tutti gli altri. Qualcuno lo ha saltato? Il risveglio di Lucifero non serviva narrarlo? XD a lunedì prossimo!

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** XXVI- Ibrido ***


XXVI

IBRIDO

 

“Rivoglio i miei occhi..” confessò Lucifero, a braccia incrociate, frustando la coda.

“Tecnicamente..tu sei nato con quegli occhi! Usa le lenti a contatto” ironizzò Mihael “Con l’età che avanza, potrebbero anche aiutarti con la vista che cala”.

“Io ci vedo benissimo! E queste stupide iridi sono così grosse che non saprei come coprirle, altro che lenti a contatto!”.

“Sto scherzano! E poi sei il solito esagerato. Son solo un paio di occhi azzurri..non è che di colpo sei diventato un putto dal faccino paffutello ed il pannolino!”.

“Vuoi che ti picchi?!”.

“Rilassati..sei ridicolo!”.

Lucifero fece per colpire il fratello, che però riuscì a fermarlo.

“Sei mancino?” domandò l’angelo.

“Lo sono sempre stato..”.

“Hai le mani gelide”.

“E chi ti dice di toccarle?! È colpa del veleno di Drakonta..”.

“Non riesci a contrastarlo?”.

“Fatti i cazzi tuoi! E ti do un consiglio: sbrigati a tornare a casa. Da quando sei qui, mangi troppe schifezze. Se ingrassi troppo, poi non riuscirai più a volare..”.

“Che ti fotte?! E poi..come volano i putti ciccioni dal faccino paffutello che ho citato prima, ce la fanno tutti. Appena la mia ala sarà guarita, vedrò il da farsi. Non sto mangiando troppo. Mi godo solo qualche dolce in più..”.

“Peccato di gola, fratello”.

“Può darsi..”.

Mihael affondò il cucchiaio nella tazza che aveva davanti, colma di densa cioccolata calda con la panna. Kanon e Tolomeo avevano appena terminato le ore di lezione ai piccoli di casa, su precisa indicazione di Keros ed Eleonore. Come ogni giorno, i bambini dovevano leggere, scrivere e studiare. Quelle ore erano terminate ed ora i bambini correvano per casa. Sorrisero all’angelo ed al demone, facendosi sfiorare il capo da entrambi e giocando con la coda del diavolo.

Ora, nella stessa stanza, si fissavano gli adulti di casa. Kanon, Tolomeo, Eris, Lucifero, Mihael ed Ares. Il demone ed il Dio della guerra non si sopportavano, ma si ignorarono, entrambi non in condizione di venire alle mani.

“Secondo voi..” ruppe il silenzio Eris “Quanto tempo ci metteranno a tornare? Parlo di Keros ed Eleonore, ovviamente. Con Ary, si spera..”.

“Sai dove sia stato rinchiuso mio figlio, sorella?” le chiese Ares.

“No, mi spiace. Ho provato a scoprirlo, ma Zeus non si fida di me”.

Ares scosse la testa. Eris sorrise, d’istinto. Il fratello ed il demone erano nella stessa posizione, a braccia incrociate. I loro capelli neri, scombinati, ricadevano sul viso imbronciato. Una lieve ruga segnava quei volti, preoccupati e stanchi.

“Scusate..” interruppe Larya, entrando dopo aver bussato “..c’è una donna qua fuori che chiede di voi, signor Lucifero”.

“Una donna?” chiese lui.

“Sì. Pelle bianca, capelli ramati, occhi viola..”.

“Lilith!” sorrise il diavolo “Falla pure entrare. Non è pericolosa”.

La donna degli inferi entrò nella stanza, seguendo il gesto d’invito di Larya. Si guardò attorno, incrociando lo sguardo di tutti i presenti. Che strana compagnia, si ritrovò a pensare. Un demone, un angelo, dei greci, un egiziano ed un precolombiano. Pareva l’inizio di una barzelletta..

“Mia bella bambola di porcellana!” la salutò Lucifero “Come sono felice di vederti! Stavo iniziando a sentirmi solo”.

“Sono venuta a vedere con i miei occhi quanto mi è stato detto, Re Lucifero” rispose lei, rimanendo ferma accanto alla porta.

“E che ti è stato detto?”.

“Io non c’ero alla battaglia..”.

“Lo so, mia cara. Non vorrei mai che venissi danneggiata a causa di faccende belliche. Che mai ti han raccontato?”.

Lilith si decise a muoversi. Fissò Eris ed Ares, seduti uno accanto all’altro, vicino al fuoco. A fianco di Lucifero, lanciò un’occhiata a Kanon e Tolomeo, in piedi oltre il camino. Si accigliò leggermente notando Mihael, ma si concentrò su altro. Si voltò verso il demone e ci girò attorno, osservandolo.

“Che cosa c’è?” alzò un sopracciglio Lucifero, con un ghigno divertito “Ti sono mancato? Vuoi che restiamo soli?”.

Lei, con un lungo abito nero e un profondo spacco, allungò la pallida mano e si poggiò al demone, facendosi stringere. Ne sfiorò quasi le labbra ma poi si scansò di colpo.

“È vero quel che si dice?” mormorò “È vero che hai tentato di strapparti gli occhi, Lucifero? Quegli occhi così..disgustosi?”.

“Sì, è vero..” ammise lui, sempre ghignando “Vorresti aiutarmi?”.

“Te li caverei volentieri quegli occhi..” furono le parole di Lilith, con una smorfia di disprezzo “..ma non potrei far nulla per rimediare al resto”.

“Quale resto?!”.

“Puzzi di angelo!”.

“Che..?!”.

“Che schifo..”.

“Credi forse che io sia di nuovo un angelo?! Ma mi guardi?!”.

“Sì. Ti guardo”.

“E ti sembro un angelo?!”.

“Forse non d’aspetto. Ma nemmeno Keros sembrava figlio di quel fottuto stronzo di Mihael”.

“Grazie..” mormorò l’angelo, continuando la sua cioccolata.

“Perché ci ritroviamo ancora a parlare di questo, dopo più di 1300 anni?! Non ti ho chiesto io di crescerlo!” sbottò Lucifero “Io ho proposto ad Asmodeo di prendermi cura personalmente di Keros, da solo. È stato lui ad insistere ed è stata una tua scelta autonoma!”.

“Che pezzo di merda che sei! Mi hai mentito ed ingannato. Se avessi saputo che era figlio di Mihael, non lo avrei mai allattato ed allevato!”.

“Ma che cazzo dici?! Io non ti ho mai mentito! Ed Asmodeo sapeva che Keros era figlio di un angelo!”.

“Sì, ma non sapeva di quale angelo! E non mi ha svelato tutto questo”.

“Sono problemi vostri, non miei! Io non ho..”.

“Asmodeo doveva ammazzarti, lo sai? Lo meritavi. Hai tradito la tua specie!”.

“Quale specie? Inoltre, mia cara, ti ricordo che tu ed io non siamo della stessa famiglia. Tu sei una donna, creata per soddisfare Adamo. Ti sei rifiutata e sei stata cacciata. Io ti ho accolta, quando non avevi un posto dove andare. Tu sei quello che sei grazie a me, non dimenticarlo”.

“Mi disgusti”.

“La cosa non mi riguarda, ingrata puttana degli inferi. Torna da dove sei venuta, torna a farti fottere da Asmodeo e da chiunque. Io ti ho reso libera. Se è questo il tuo modo di ringraziarmi..allora sii pure schiava di qualunque demone ti desideri. Fin ora ti ho protetta, ma ora la cosa non mi interessa. Scelta tua. E avvisa Asmodeo: appena starò meglio, lo farò pentire di tanta insolenza ed arroganza. Supplicherà il mio perdono”.

“Non ti conviene rimettere piede all’inferno. Vogliono tutti la tua morte”.

“Magari potrei mandare loro un regalo..”.

Lucifero ringhiò, afferrando per il collo Lilith, che lanciò un gemito. Il demone strinse forte e lei supplicò perdono, mentre gli altri presenti della stanza suggerivano al demone di controllarsi.

“Vattene” sibilò  lui, lasciandola andare di colpo e gettandola a terra “Ti ho vista crescere. Da quel primo giorno, in cui ti ho accompagnata nel mio regno, sei cambiata, divenendo sempre più splendida. Non voglio uccidere una rosa così bella, una tale opera d’arte..ma sparisci dalla mia vista, o mi costringerai a farlo”.

Lilith ansimò, riprendendo fiato.

“Tranquillo..” riuscì a dire “..non mi vedrai più. Io sono riconoscente al re dei demoni, non a questa specie di ibrido in cui ti sei ridotto”.

“Ibrido?!”.

Lei si allontanò, svanendo alla vista dei personaggi della casa.

“Fatti un goccio” suggerì Ares, porgendo un bicchiere al demone e riempiendolo in parte di un qualche strano superalcolico “Non ci fare troppo caso. Le donne..”.

“Che fai?!” ringhiò Lucifero “Mi compatisci?”.

“Certo che no!”.

Il diavolo bevve solo un sorso e poi lanciò il bicchiere sul fuoco. Kanon protestò, non volendo spegnere incendi. Mihael rimase concentrato sulla cioccolata, lievemente allarmato, e Lucifero accompagnò quel gesto con un “Troia” detto a gran voce. Poi lasciò la stanza, sbattendo la porta. Eris e Mihael si alzarono, volendo raggiungerlo. Ares però bloccò l’angelo, con un ghigno, assicurandolo di lasciar fare a sua sorella.

“Lucifero!” chiamò la Dea della discordia.

“Lasciami stare!” furono gli ordini del demone, che si sforzava di riuscire a raggiungere la sua stanza e chiudersi dentro “Per oggi ne ho abbastanza di femmine e cose simili. Voglio solo dormire”.

“Aspetta!”.

Eris riuscì ad anticiparlo, approfittando del fatto che il demone era ancora piuttosto impacciato nei movimenti per colpa delle ferite. Si parò davanti alla porta della camera, sfidando lo sguardo d’odio di Lucifero.

“Vuoi che strangoli anche te?” domandò lui, serio, inclinando la testa “Che c’è? Ti eccita?”.

“Voglio solo parlarti. Le parole di quella donna ti hanno turbato, e non è giusto che tu sia turbato, perché non hai fatto nulla di sbagliato e non c’è nulla di sbagliato in te”.

“Non sono turbato. Sai con chi hai a che fare? Sono il diavolo. Nulla di sbagliato?!”.

“E che cosa pensi di fare? Vuoi davvero tornare all’inferno a punire chi ti ha offeso?”.

“Se Lilith pensa queste cose di me..allora tutto l’inferno le pensa! Per poter tornare a regnare ed ottenere il rispetto dei miei sottoposti, dovrò sconfiggere tutti quelli che mi sfidano e sottometterli”.

“E tu hai voglia di farlo?”.

“Non lo so. Ma penso di non avere alternative..che altro dovrei fare? Darmi all’uncinetto e passare le giornate a giocare a canasta? E poi devo andare pure a prendere le mie cose! Gli abiti di mio nipote hanno le spalle talmente larghe che ci navigo nelle sue giacche! E ora gira al largo. Inizio a pensare che tu ti sia fatta strane idee e te lo dico subito: io, come demone, non conosco l’amore. Non so che cosa sia, e non lo provo”.

“E se non fossi più un demone?”.

“Può darsi che non lo sia più. Ma di certo non sono un angelo”.

“Non sei un demone? Non sei un angelo? Ma a chi interessa? Sai che cosa vedo io?”.

“Non ha importanza..”.

“Io vedo un uomo. Un uomo dallo sguardo fiero, non importa di che colore sia. È fiero ed orgoglioso, segno di chi ha combattuto a lungo nella vita. Le battaglie si vincono e si perdono, succede a tutti, ma tu sei sempre andato avanti, qualsiasi cosa sia successa. E sarà lo stesso anche ora. Queste cicatrici..sono traccia di ogni singolo scontro che hai affrontato lungo la tua esistenza e dovresti sfoggiarle con orgoglio. Che importa che pensa quella donna? Lei non fa che vedere un solo lato di te, non tutto l’insieme. Stessa cosa fanno gli angeli.  Io ho due volti, lo sai? Io sono l’insieme di essi. E tu sei così. Sei un insieme di cose che ti rendono unico e magnifico. Sai come sono fatte le gemme più belle e luminose? Con migliaia di sfaccettature! D’ombra e di luce, migliaia di angoli diversi che le rendono uniche e magnifiche. Non so quanto queste parole possano confortarti o schiariti le idee, però ci tenevo a dirtelo”.

Lucifero rimase in silenzio. Lei gli sorrise, per pochi istanti, pronta a spostarsi e lasciare che entrasse in stanza. Lui rimase fermo e pure Eris, piuttosto confusa da quella strana faccia, non sapendo bene che cosa fare. Lo sguardo del demone era puntato su di lei ma non era più minaccioso o inferocito. La fissava..e poi la baciò. Adorava i complimenti e quella Dea era sincera, non parlava solo perché lo voleva adulare in cerca di qualcosa o perché ne era intimorita e voleva pietà. Era strano. Era abituato ad avere tante donne intorno ma ad ognuna di esse incuteva un certo timore, oppure gli erano del tutto sottomesse. Fin ora solo Lei, Sophia, l’aveva trattato in quel modo: solo e solamente Sophia. Ella non aveva paura, non chinava il capo dinnanzi a lui, e quella Dea faceva lo stesso. Eris era orgogliosa, fiera..come Sophia! Solo che, in quel caso, non vi erano divieti o strani tabù. Era quasi liberatorio! La strinse a sé e la spinse in quella camera, con foga demoniaca. Lei solo qualche istante tentò di fermarlo, preoccupata per le ferite provocate da Drakonta, ma poi lasciò che accadesse. Era già successo in passato e doveva ammettere che non vedeva l’ora che accadesse di nuovo. Era passionale, era violento, era istintivo..era qualcosa di non molto adatto a chi era in via di guarigione ma la cosa non preoccupò minimamente il diavolo che sentiva davvero il bisogno di sfogare quella sua voglia. Eris lo strinse a sé, passando una mano lungo il fianco ferito e la spalla. Lui lanciò un gemito, di dolore e piacere. La loro unione si protrasse più a lungo di quanto Eris avesse mai sperato e gridò eccitata in più di un’occasione.

“Ti direi che sono in paradiso..ma non mi sembra rispettoso” mormorò la Dea, con una mano affondata fra i capelli del demone, che si sollevò leggermente e la guardò in viso, con un ghigno.

“Il tuo labbro sanguina” continuò poi lei, passandoci sopra il pollice.

“Non penso sia il labbro” rispose lui, sentendo in bocca ed in gola il sapore del sangue “Ma sta tranquilla: ho affrontato ferite ben più gravi di queste”.

“Sicuro?”.

“Fidati”.

Con un mezzo sorriso, Lucifero si lasciò cadere nel letto e lei rimase ad osservarlo, leggermente impensierita. Anche sulle sue mani vi era del sangue ma il demone pareva non preoccuparsene minimamente. Sforzandosi di riuscire a fidarsi, lo guardò addormentarsi e gli rimase accanto, osservandolo mentre riposava, avvolta in parte da quelle grandi ali nere.

 

“State all’erta” commentò Kiki “Sicuramente ci sarà qualche trappola”.

“Hai ragione..” annuì Keros “..sicuramente. Ma la via è questa”.

La grotta dove Ananke era rinchiusa era buia e piuttosto tetra. Ne avevano appena varcata la soglia e già si riusciva a percepire più di una presenza. La piuma rossa del Dio delle illusioni brillò, illuminando la via.

“Avverto cosmi ostili” furono le parole di Shaka, camminando nella quasi totale oscurità.

“Sì, anch’io” annuì Aiolos.

Eleonore incitò il gruppo a proseguire con un “per di qua” e seguì Keros, le cui ali argento brillavano leggermente. Lei si concentrò, ricordando chi fosse la sua famiglia, e pure lei si accese, seppur lievemente.

“Vedervi mi rammarica” si sentirono dire “Ma lo dovevo immaginare che, infine, sareste giunti per tentare di salvare il vostro amico”.

“Apollo?” scosse la testa Shura “Cosa ci fai qui?”.

“Io e i miei fratelli siamo stati messi qui da nostro padre Zeus, per sorvegliare la grotta. Ci diamo i turni, in questo momento siamo io ed Hermes. Presto giungerà la mia amata sorella Artemide”.

“Non siamo nemici, lo sai bene” tentò di fare il diplomatico Kiki “Chiediamo solo di avvicinarci ad Ananke e..”.

“E che cosa?! Lo ha mangiato! Lo avete visto tutti! Cosa pensate di fare?”.

“Cerca di essere più delicato!” lo zittì Hermes, raggiungendo il gruppo a braccia incrociate “Questa povera fanciulla piange il suo sposo!”.

Riferendosi ad Eleonore, il Dio si esibì in un elegante baciamano, chiedendo perdono da parte del fratello maggiore.

“Ci sta chiamando” si sentì rispondere da lei “Da poco abbiamo ricevuto un segno. Dobbiamo liberarlo e non sarete voi a fermarci!”.

“Abbiamo ricevuto un ordine, sono spiacente”.

“Ma, andiamo! Fino a poco tempo stavate a picchiarvi per decidere chi è degno di regnare sull’Olimpo e ora ve ne state qui ad obbedire come bravi bambini al volere di Zeus?”.

“Padre Zeus ci ha detto che il Dio delle illusioni è morto” interruppe Apollo.

“Ed io so che non lo è! Che cosa vi cambia?”.

“Come pensate di aiutarlo? Anche se fosse in vita, che pensate di fare? Smembrare Ananke?”.

“Se sei così curioso, lasciaci passare. E lo vedrai”.

“Se vi lasciassi passare, incorrerei nell’ira di mio padre e vi vedrei crepare. Non otterrete null’altro!”.

“Se non ci lasci passare, incorrerai nella MIA ira, che ti assicuro è pari se non peggiore a quella di Zeus!”.

“Non essere ridicola. Tu sei solo un’umana, compagna di una divinità. Non possiedi un potere in grado di turbarmi. Ed assieme a te vi sono solo un manipolo di cavalieri e un ibrido mezzo angelo”.

“Io non sono solo un’umana..”.

“Eleonore..” le mormorò Keros “..tranquilla. Ci pensiamo noi”.

“No! Non dirmi quel che devo fare, perché lo so!”.

Con un movimento rapido, richiamò a sé l’arco e la freccia. Apollo, per nulla impressionato, la fissò incuriosito. Davvero voleva sfidare lui, una delle divinità più abili in assoluto con quell’arma? Ma Eleonore mirava altrove. La sua freccia argento corse veloce e raggiunse la parete alle spalle del Dio, che sorrise divertito.

“Non hai una buona mira..” commentò.

“Sei tu che non capisci un cazzo” scosse la testa Hermes, mentre la parete si sgretolava e mostrava ciò che celava: Ananke imprigionata.

Keros afferrò Eleonore, lei guardò i cavalieri che annuirono. Il mezzo demone scattò, consapevole che Hermes si sarebbe mosso ancora più in fretta. Ma Mur, grazie alla telecinesi, si frappose fra loro, permettendo al mezzosangue ed alla sposa di Arles di andare oltre.

“Ci pensiamo noi a loro” annuì Milo, ghignando divertito e puntando il dito contro Apollo “Andate a recuperare quel caso umano di nome Arles!”.

Eleonore si lasciò sfuggire una risatina. Keros corse, afferrandola per mano, trovando in quel momento le sue ali piuttosto ingombranti. Per potersi spostare più agilmente, le celò ed i due raggiunsero Ananke. Lei gridava, dimenandosi, e la piuma rossa di Arikien brillava intensamente.

“Ananke!” gridò Keros “Lascia subito andare il mio signore! So che è colpa sua se gridi così, il suo potere non riesci a contenerlo!”.

“Spezza le mie catene” sibilò lei “Ma io ne creo delle altre e stringo più forte. Ha aperto le sue ali ma ora gliele spezzerò. E spezzerò le vostre vite!”.

Il mezzo demone trovò divertente quella frase. La Dea era incatenata, imprigionata dal potere di Zeus, che non riusciva a domarla ma ne impediva la fuga.

“Lo rivoglio” insistette Keros “Ridammelo”.

“Citando Phobos: Molon Labe” ghignò Ananke.

“Come vuoi..” si accigliò Eleonore, preparando l’arco.

Ma Keros la fermò, ricordandole che all’interno di quell’enorme creatura vi era il Dio delle illusioni e rischiava di ferirlo.

“E allora che facciamo?” chiese lei, avvilita “Devo stare qui a guardarla mentre lo uccide?”.

“Certo che no! Ce lo riprendiamo!”.

I due si guardarono, ed entrambi capirono perfettamente quel che dovevano fare. Lasciarono che il cosmo di Ananke li avvolgesse e li assimilasse. Era un’idea folle, ma era l’unica che balenò nelle loro menti: farsi mangiare.

 

Ma ciao a tutti!! Capitolo 26! Ormai siamo al “giro di boa”, ci avviamo verso il finale (ci saranno in tutto 30 capitoli).

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** XXVII- Indelebile ***


XXVII

INDELEBILE

 

Ares e Lucifero, nella stessa stanza, non era mai una cosa buona. Ma in quel caso, i due si ignoravano a vicenda. Mihael li teneva d’occhio, leggendo un libro. Il demone giocherellava con la solita mela, steso sul divanetto a cui ormai si era affezionato.

“Hai per caso una sigaretta?” domandò il Dio della guerra.

“Tieni” rispose Lucifero, offrendogli il pacchetto “Io per un po’ è meglio che le eviti”.

“Cazzo, deve farti male davvero..”.

“Non è il dolore quanto la mancanza di fiato. Attualmente ho un solo polmone funzionante..”.

“Capisco. Grazie, comunque, Satana. Posso chiamarti Saty?”.

“No. Assolutamente no! Scordatelo!”.

“Ok..ok..ad ogni modo..ci terrei a farti sapere che io voglio molto bene a mia sorella Eris e non voglio che soffra”.

“E allora tienila lontana da me”.

“Non credo di poterlo fare”.

Lucifero passò la mela dalla mano alla coda e viceversa, trovando la cosa alquanto stupida e vagamente divertente. Ares fissò la scena perplesso.

“Comprendo l’odio che hai provato” continuò il Dio “Quando mi sono avvicinato a tua sorella Sophia..”.

“Non ti sei avvicinato. Te la sei scopata! Ma è passato un po’ di tempo, non voglio pensarci”.

“Non ferire mia sorella. Non si è mai legata a qualcuno. È la prima volta che la vedo così, e non ne comprendo la ragione. Ma per qualche motivo..è felice accanto a te”.

“Dovrebbe smetterla di esserlo. Inoltre, lei è innamorata di te. Dovresti accontentarla, e la faccenda si risolverebbe, senza che lei abbia a che fare con un coso come me”.

“Stai cercando di irritarmi? Oggi che cerco di fare il gentile con te?”.

“No. Ti sto dicendo la verità. Verità che ho ripetuto più e più volte a tua sorella Eris”.

Con una piroetta, la mela finì in alto e Lucifero allungò il braccio per prenderla al volo ma il dolore alla spalla lo bloccò ed il frutto finì in terra, fra i piedi di Eris.

“Che cosa mi hai ripetuto più e più volte?” domandò lei, raccogliendo la mela e porgendola al demone.

“Di starmi lontano”.

Lei sorrise, sedendosi e sfiorando la fronte del demone disteso, con il dorso della mano.

“Hai preso le medicine che ti ha dato Apollo?” parlò piano “Scotti un po’..”.

“Sì, mammina” prese in giro lui.

“Non fare lo scemo!”.

“Ma io sono scemo”.

Lucifero mostrò la lingua ed Eris scosse la testa, divertita.

“Devo andare a prendermi cura dei miei pronipoti” annunciò poi la Dea “Mi lasci andare?”.

“Io non ti trattengo mica” storse il naso il demone, con entrambe le mani attorno alla sua preziosa mela.

“La coda..”.

Lucifero mosse la testa, notando che effettivamente la coda si era attorcigliata attorno alle gambe di Eris.

“Scusala..” sorrise, ghignando “..si fa prendere dall’entusiasmo”.

“È felice di vedermi?”.

“Può darsi..chi lo sa..”.

Eris scambiò un breve e piccolo bacio con il demone e poi si alzò. Chiamò con sé il fratello, ordinandogli di darle una mano con i vari nipoti, i figli di Arles, che correvano e strillavano per casa. Ares, sospirando, lasciò la stanza e per il corridoio si udì il grido “Nonno Ares!” ed il rumore di piedi di bimbi e gridolini d’entusiasmo. Gli erano quasi tutti saltati addosso per giocare.

“Ma che ti prende?” domando Mihael, fissando il fratello maggiore che a sua volta fissava la mela.

“Perché?” chiese Lucifero.

“Dimmelo tu..”.

“Non mi prende niente. Sono di buon umore. A volte capita..”.

“Hai fatto la treccia ai capelli!?”.

“Sì, uno dei tanti marmocchi della casa ci teneva tanto a farmela..”.

“Ti sei addolcito..”.

“No. Sto solo cercando di ignorare il passato. Questo rende tutto più facile”.

“Se lo dici tu..”.

“Che cerchi di insinuare?”.

“Niente..”.

Lucifero fece per ribattere quando udì qualcuno suonare il piano. Erano note che si interrompevano e poi ricominciavano. Il demone, incuriosito, lasciò la stanza e si avvicinò allo strumento. Davanti ad esso, stava Sophia, la giovane figlia di Arles ed Eleonore.

“Conosco quello sguardo” commentò Lucifero.

“Ah, sì?” mormorò lei, mordendosi il labbro.

“Già. È lo sguardo di chi ha nella testa una musica e vorrebbe suonarla, trovandone le note”.

“Esatto” annuì lei “E non ci riesco! Ho fatto un sogno, stanotte”.

“Davvero? Che genere di sogno?”.

“Assurdo, direi”.

“Racconta..”.

“C’eri anche tu!”.

“Sul serio? E che facevo? Niente di perverso, spero”.

“Cantavi. È c’era una melodia così bella.. Era così bella che la voglio ritrovare!”.

“Cantavo?! E che cosa cantavo?!”.

“Una canzone..romantica”.

“Romantica?! Oh, sì..hai fatto proprio un sogno strano! Ma lascia che ti aiuti”.

Il demone sedette accanto alla ragazza, osservandone i movimenti delle dita sui tasti d’avorio.

“Cantami questa canzone” continuò poi “Vediamo se riesco a coglierne le note”.

“Cantare? Io?” farfugliò Sophia, arrossendo “Ma no! Io..non voglio cantare! Mi vergogno!”.

“Perché ti vergogni?! Di che cosa?!”.

“Perché io ti ho sentito. Ho sentito la canzone per il mio fratellino, per farlo addormentare. Hai una voce..splendida”.

“E tu credi di essere da meno? Suvvia..sei un angelo! Sai che cosa fanno gli angeli tutto il giorno, quando non hanno altre mansioni da svolgere?”.

“No..” ammise la giovane.

“Cantano. Cantano le lodi di loro padre e stanno lì a fissarlo”.

“Davvero?”.

“Sì..”.

Lucifero fissò la ragazza con una strana espressione e poi mimò il gesto di premere il grilletto di una pistola fatta con la mano contro le proprie tempie. Sophia rise.

“Quindi..” ridacchiò lei “..ti sei creato l’inferno per sfuggire alla noia?”.

“No, bambina. Ma..è una storia che zio Miky sarà più che felice di raccontarti. Ora che sei un angelo, non devi sentire certe cose da me. Ah, a proposito..bella aureola”.

“Grazie..la tua com’era?”.

“Non è un argomento di conversazione. E ora su..sono sicuro che canti magnificamente. Coraggio. Vediamo di risolvere la faccenda”.

Sophia prese un paio di respiri, in imbarazzo, poi iniziò a cantare. Era un testo triste, malinconico. Lo sguardo di Lucifero si fece distante e mosse le mani, iniziando a suonare e continuando anche quando la ragazza si zittì.

“È lei!” sorrise la ragazza “Fa proprio così! Anche se io l’ho stonata un po’. Oh, è magnifica! La conosci? Mi sembra di conoscerla da sempre. Come quei carillon che ti regalano da bambini, che riapri dopo anni ed hai un tuffo al cuore. Forse era una ninnananna di quando ero piccina, ma proprio non ricordo”.

“Hai cantato molto bene..”.

“Grazie. E grazie per aver trovato le note. Me le scrivi?”.

“Certo. Io..ti posso dare anche il testo, se vuoi”.

“Ma è una canzone famosa?”.

“No, non direi. Ma la conosco piuttosto bene”.

“Oh. Forse l’ho sentita proprio da te quando ero bambina!”.

“Non credo, Sophia..”.

“Va..tutto bene?”.

“Sì. Ho..bisogno di aria. Mi gira un po’ la testa”.

“Vuoi che usi ancora il mio potere di guarigione?”.

“No. Tranquilla..”.

“Non allontanarti dal portico. Fuori diluvia!”.

Il demone si alzò e camminò lentamente, uscendo all’esterno della casa. Pioveva a dirotto ma non ci fece caso. Anzi..provò quasi liberatorio sentire l’acqua sul viso. Vi fu un tuono ed un lampo. Mihael sobbalzò: che tempo tremendo!

 

“Allora..” iniziò Deathmask “..voi siete due. Noi siamo in..quattordici! I dodici segni, il gemello doppio e il Sacerdote. Facciamo che vi arrendete subito?”.

“Voi siete mortali” non si scompose Apollo “Noi siamo due Dei”.

“Come se questo fosse un problema..”.

“Se vi fa schifo la vita..”.

“Ci sottovaluti? Non te lo consiglio, sai?”.

“Chiacchiere. Solo arroganza umana, ecco quel che siete”.

“Se ti spacco la faccia, allora sì che la vedi la mia arroganza!”.

“Death!” sbottò Kiki “Cerchiamo di non scaldarci troppo. Specie se di fronte hai Apollo..”.

“Insolenti” si stizzì Apollo ed Hermes gli lanciò una strana occhiata.

Le due divinità avevano un ordine e corsero per raggiungere Ananke, con l’intento di fermare Keros ed Eleonore, ma i cavalieri bloccavano il passaggio.

“Non andrete oltre” esclamò il Leone.

Hermes si mosse rapido, come sempre. Però i fulmini di Aiolos e Aiolia riuscirono a colpirlo, anche se solo di striscio. Il Dio capì che probabilmente aveva sottovalutato quelle creature.

“Quanto siete noiosi!” si accigliò Apollo, evocando la sua armatura dalla luce accecante.

Hermes seguì l’esempio del fratello maggiore e compì lo stesso gesto.

“Bene, vedo che finalmente fate sul serio!” sorrise compiaciuto lo Scorpione “Non mi piaceva l’idea di affrontare dei tizi in gonnella greca!”.

“Ve ne pentirete. Tutti quanti!”.

I due Dei tentarono di nuovo di scavalcare i cavalieri, che però erano uniti e decisi, senza alcuna intenzione di retrocedere o abbassare la guardia. Il potere di Apollo si infiammò ed il Dio lanciò un grido, fiondandosi contro gli avversari. Hermes fu meno avventato ma raggiunse in un lampo i saint, iniziando a colpirli.

“Come ha osato quell’ibrido greco darvi da bere l’ambrosia?! È inammissibile!”.

“Fatti i cazzi tuoi!” rispose Milo, lanciando una cuspide contro il Dio del sole.

Urlandosi insulti vari, i cavalieri e gli Dei si affrontarono. L’intera grotta tremò, scossa da cosmi che bruciavano ed esplodevano. Le divinità si stupirono nel vedere quanto potere potessero sprigionare quei mortali dalla vestigia d’oro. Forse la vittoria non sarebbe stata una cosa rapida e scontata..

 

“Fratello!” chiamò a gran voce l’arcangelo guerriero “Fratello, che cosa fai? Sta diluviando! Torna dentro!”.

Lucifero lo ignorò. Si era allontanato dalla porta e dal colonnato.

“Torna dentro!” ordinò ancora Mihael, raggiungendolo “Che cosa combini?!”.

“Quando Sophia è morta..” iniziò a parlare il demone, dopo l’ennesimo tuono “..ho supplicato papà. Ho chiamato a gran voce il suo nome, implorandolo di far finire tutto questo. Mi sono gettato in ginocchio ed ho gridato la mia resa. Mi arrendo, ho ripetuto. Basta! Ma..non è successo nulla. Mi sono dovuto rialzare, nonostante non sapessi più che strada intraprendere. Sono passati gli anni e ultimamente mi ero convinto che era giusto così, che per me c’era in serbo un diverso destino. Eris, la battaglia, mio nipote..ok..mi ero convinto che facesse parte tutto di un disegno alternativo, di un nuovo inizio. Ma poi..”.

“Poi? Fratello, mi spaventi..”.

“Poi è tornata lei. È di nuovo lei. Sophia..”.

“Lei è la figlia di Arikien ed Eleonore. È la nipote di Sophia, non la vera Sophia. È nostra nipote, non nostra sorella..”.

“Quella canzone..l’ho scritta per lei. Per la mia amata sorella, quando sono caduto. È indelebile nella mia mente e la conosceva lei e lei soltanto..”.

“E..anche se fosse? È tornata. Dovresti essere contento!”.

“Non la toccherei nemmeno con un dito. È una bambina e, anche se non lo fosse, è la figlia di Arikien. Ed è un angelo. È un modo come un altro per dirmi: non l’avrai mai. L’hai aspettata, ma anche stavolta non potrai averla. Anche stavolta rimarrai a guardare. E se non ti limiterai a guardare..ecco che ti ricorderò il tuo posto, modificando quegli occhi come il cielo. La mia amata sorella, colei che abbracciavo, non tornerà mai più. Non è un nuovo inizio, Mihael. È un fottuto cerchio. È il solito fottuto cerchio. Ed io non ce la faccio e ripercorrerlo di nuovo punto a capo..forse è un bene che il veleno mi stia consumando..”.

“Ma..che dici? Io sono qui, tu sei qui. Siamo diversi. È tutto diverso!”.

“Non ho un posto dove andare. Ero riuscito quasi a voltare le spalle a questo Ouroboros cosmico ma..lei è tornata. E per quanto io mi illuda..la amo ancora”.

“Ami Sophia. Ami nostra sorella. Che è morta. Lei è sua nipote. Forse ha dei ricordi latenti della nonna, ha qualche connessione ma..tu puoi voltare le spalle a tutto e ricominciare! Lo puoi fare”.

“Sono così stanco..ho freddo..”.

Il demone strinse la spalla, ferita da Drakonta. Sotto la pioggia battente, si inginocchiò. Mihael fece un passo, per avvicinarsi di più, e sobbalzò. Vi era del sangue in terra, molto sangue.

“Che cos’hai?” si allarmò “Il veleno?”.

“Uccidimi!” mormorò il demone “Uccidimi e torna in cielo da eroe. Così saremo entrambi contenti, no?”.

“Non dire assurdità!”.

“Perché non mi ascolti?” gridò Lucifero, furioso, rivolto a un’entità non precisata “Posa i tuoi occhi su di me! Sono stanco! Basta!”.

Qualcosa nel cielo mutò. Un’ombra si tinse del colore del sangue versato ed un grande occhio si spalancò, sospeso. Era rosso e fisso. Ma poi sbatté e l’iride si tinse di verde, circondata dal colore del sangue.

“Arikien?” si stupì il demone “Sei tu? Il tuo..occhio sinistro?”.

L’occhio si mosse leggermente, fissando Lucifero.

“Che succede, fratello?” domandò Mihael, chinandosi accanto al demone “Ammetto che questa cosa mi inquieta..”.

“Inquieta pure me..”.

L’occhio fissò entrambi, sbattendo un paio di volte.

“Che dobbiamo fare, Ary?” chiese l’angelo caduto “Che dobbiamo fare?”.

Spalancandosi e poi tornando normale, quell’occhio sospeso era strano, e sempre più grande.

“Il mio occhio è su di te” parlò una voce, quella del Dio delle illusioni “Non sei curioso di sapere dove porta?”.

Lucifero si rialzò, a fatica. Nonostante le proteste di Mihael, allungò una mano verso quello sguardo. Sophia, vedendo da lontano quanto stava accadendo, corse e raggiunse i due. Riconobbe l’occhio del padre e si spaventò, stringendo istintivamente il braccio all’angelo guerriero. Questi a sua volta afferrò il braccio del fratello maggiore, invitandolo a fermarsi. Ma Lucifero era curioso, come sempre, e non resistette. Allungò ancora la mano e sfiorò quell’iride. Si spostò e, non appena fu sopra la pupilla, percepì il vuoto sotto la mano e si sbilanciò. Cadde e trascinò con sé Mihael e Sophia. L’occhio sbatté ed i tre svanirono.

 

“Dove siamo?” si chiese Keros, fluttuando e tenendo Eleonore per mano.

Con le ali richiuse e celate, del tutto inutili, seguì ancora la piuma rossa e finalmente lo vide: Arles! Incatenato e legato, il Dio aveva la bocca serrata in una morsa fatta di fili rossi.

“Ary!” gridò Eleonore, con un sorriso.

“Aspetta!” la fermò il mezzosangue “Qualcosa non va..”.

Altri nastri e catene erano apparsi in quel luogo buio e la piuma rossa si era arrestata, immobile a mezz’aria. Molte altre creature comparvero, ed i due videro che non vi era un solo Arles.

“È una trappola” commentò Eleonore, allarmata.

Catene e nastri rossi già li avvolgevano, tenendoli stretti. Gridarono e si agitarono, senza riuscire a spezzarli.

“Ary!” gridò lei, prima che anche la bocca le venisse chiusa da quei nastri scarlatti.

 

Pronti al prossimo capitolo iper trip assurdo?

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** XXVIII- Iride ***


XXVIII

IRIDE

 

“Che razza di posto è? Dove siamo?” si chiese Mihael.

Dopo un volo nel nulla, lui, Lucifero e la giovane Sophia erano finiti a terra e si stavano rialzando lentamente. Si guardarono attorno, senza riconoscerne alcun dettaglio.

“Dove ci hai portato?” domandò ancora l’angelo, rivolto al fratello maggiore.

“Ma io che ne so?” rispose lui “Non dare la colpa a me”.

“Ed a chi, se no? Dai..andiamocene da qui”.

“Tutto bene?” domandò Sophia, fissando il demone.

“Sì, ho solo perso un po’ di sangue. Andiamo..”.

I tre camminarono per un tratto, fra l’erba bassa ed i fiori. Come posto, era davvero bello ma decisamente innaturale. Poi, in un attimo, iniziò a diluviare.

“Oh, no!” sospirò la ragazza, non sapendo con cosa ripararsi.

Chinò la testa con già i capelli bagnati e di colpo non sentì l’acqua sulla pelle.

“Ma che..?” si chiese.

“Sono impermeabili” si limitò a dire Lucifero, coprendo con le ali da demone sia la piccola Sophia che Mihael.

Dopo non molto strada, il livello dell’acqua iniziò a salire.

“Che palle!” sbottò il diavolo “Erano scarpe italiane! Sono del tutto rovinate!”.

“È colpa tua se siamo qui!” lo accusò l’angelo “Perciò non lamentarti!”.

“Ma che ho fatto io?!”.

“Chi ha fatto comparire quell’occhio? Io?”.

“No, ma non sono stato io!”.

“Lo sai che il tuo sangue è potente. Hai praticato un’evocazione!”.

“Non dire cagate, Mihael! Non ho fatto proprio niente!”.

“Smettetela di litigare!” alzò la voce Sophia “Usciamo di qui. L’acqua sta salendo ancora”.

La pioggia era violenta ed i tre facevano sempre più fatica ad avanzare. Il tempo avverso impediva ai due fratelli di insultarsi di nuovo. L’acqua saliva rapidamente e ben presto si ritrovarono immersi fino alla cinta. Sophia celò le ali, capendo che in quel caso erano solo d’intralcio . Mihael, avendo l’ala ferita, non riuscì a fare lo stesso e questo lo rallentò notevolmente perché le sue piume si appesantirono.

“Restiamo uniti” gridò Sophia, per farsi sentire fra tuoni, lampi e pioggia battente.

Ora al trio toccava nuotare ma l’angelo, con le ali pesanti e il braccio bloccato, si trovò subito in difficoltà.

“Ma che fai? Affoghi?” finse di sfotterlo il demone, tenendolo su “Certo che papà con queste ali ha donato un bell’impiccio, eh? Si vede che in paradiso non piove!”.

Mihael non rispose, usando le energie per riprendere fiato e per non lasciare la presa del fratello.

“Per di qua!” indicò la giovane.

“Come lo sai?” le rispose Lucifero.

“Me lo sento. Fidati di me! Andiamo!”.

“Ho alternative?”.

L’alternativa era affogare ma la ragazza si muoveva sicura ed il demone la seguiva, seppur a fatica e con il fratello tenuto stretto.

“Una luce!” riuscì a dire lei, prendendo Lucifero per mano “Ci siamo!”.

Sotto di loro, quella luce si espanse e si tinse di verde. In mezzo all’acqua, erano tutti sfiniti ma quella luce li rassicurò qualche istante.

“Quello è il suo occhio!” sorrise Sophia.

“Quale occhio?” ansimò il demone, poi riuscendo a scorgerlo sott’acqua.

“L’occhio di Eleonore! L’occhio di mia madre!”.

Appena la giovane ebbe pronunciato quelle parole, l’acqua iniziò a fluire. Come attratta dall’iride gigante di Eleonore, creò un vortice ed il trio ne finì risucchiato. Poi anche quella palpebra sbatté ed il gruppo si ritrovò altrove. In quello stesso istante, Eleonore fu liberata dai legami di Ananke e fu di nuovo in grado di muoversi.

 

“Dove siamo adesso?” ansimò Mihael, lieto di sentire il terreno sotto di sé e l’aria nei polmoni.

“Vattelappesca” rispose Lucifero, tenendosi il petto ferito.

“Risposta esauriente” storse il naso, sarcastico, l’angelo.

“Lascia che riprenda fiato un attimo e poi ti metto le mani addosso, piumino per la polvere!”.

“Voglio proprio vedere, pipistrello bagnato”.

“A chi hai dato del pipistrello?! Vedi mo dove ti infilo la coda!”.

“Basta voi due!” li interruppe, per l’ennesima volta, Sophia “Ma fate sempre così? Mi avete rotto!”.

“Hai ragione” annuì Mihael “Dobbiamo uscire di qui. E poi picchiarci”.

“Sì, concordo” si scosse il demone, per togliersi un po’ d’acqua di dosso “Dove cazzo siamo?”.

“Te l’ho chiesto prima. Boh..”.

“Bene..”.

Il trio si incamminò. Faceva caldo, così le loro vesti ed i loro corpi si asciugarono in fretta. Però non si vedeva nulla, se non il terreno nero ed il cielo aranciato.

“Sembra quasi l’Inferno..” furono le parole dell’angelo, dopo un po’.

“Tu che ne sai?” ridacchiò Lucifero.

“Faccio supposizioni..”.

“Del tutto errate..”.

“L’Inferno è meglio o peggio?”.

“Perché lo chiedi?”.

“Perché con la faccenda di Keros e tutto il resto..mi sa che finirò da quelle parti”.

“Io non ti voglio all’Inferno! Fra i piedi costantemente tutto il giorno?!”.

“Potresti torturarmi, penso..”.

“In effetti..molti dei miei demoni fremerebbero all’idea. Ma al momento la faccenda è complicata, lo sai..”.

“Già..”.

“Su, intanto usciamo da qui. Siamo una bella squadra, vero Sophia? Siam tre piccoli porcellin, siamo tre fratellin. Mai nessuno ci dividerà, trallalallalà!”.

“Hai bevuto?!” sbottò Mihael, mentre Sophia ridacchiò.

“Su, sei troppo serio!” lo stuzzicò il demone “Preferisci altre citazioni? Il numero tre è abbastanza usato. I tre moschettieri? Tu sei quello che si fa prete..”.

“E tu sei quello pervertito!”.

“Lo so! Oppure potremmo essere..cenerentola e le due sorellastre. I tre topini ciechi. Qui, Quo, Qua. Don Chisciotte, Dulcinea ed i mulini a vento. Otello, Desdemona e quello stronzo di Jago..”.

“Ok..basta..ho capito..ti è tornato il buon umore?”.

“Incredibile, vero? Mi sa che sono bipolare..”.

“Qualche problema lo hai di sicuro..”.

“Grazie, Miky! Anch’io ti voglio bene!”.

Sophia rideva e questo rilassava gli animi. Camminarono ancora per un tratto, iniziando ad avere un gran caldo.

“Mihael..” parlò Lucifero, mezzo nudo “..non è che puoi fare un fischio a papà? Magari passa a prenderti e noi ci accodiamo..”.

“Non ha segnale..”.

“Ah ah, che battuta! Dico davvero!” storse il naso il maggiore, con tono sarcastico.

“Pure io dico davvero! Non riesco a parlarci”.

“Sei fottuto..lo sai? Quando non ti parla più, vuol dire che..”.

“Lo so. Per questo ti ho chiesto dell’Inferno”.

“Oh, suvvia. Sarà solo un momento. Sei debole e intontito e poi papà ha sempre fatto i capricci. Vedrai che prima o poi risponde. Lasciagli in messaggio in segreteria”.

Mihael fissò il fratello, non sapendo che cosa rispondere ad una cazzata di quel calibro, e continuò a camminare. Era l’unico della compagnia che si ostinava a non togliersi nulla di dosso. Sophia aveva arrotolato la veste, scoprendo in parte le gambe, e raccolto i capelli. Lucifero, abituato a temperature piuttosto elevate, era a torso nudo e su di esso si vedevano le bende insanguinate.

“Questo è peggio dell’Inferno!” commentò “Almeno all’Inferno succede qualcosa!”.

“E il Paradiso com’è?” cambiò argomento Sophia.

“Noioso. Ma non devo parlartene io..” rispose il demone, con una smorfia divertita.

“Zio Mihael..se io salissi in cielo, come mi è stato proposto, che cosa dovrei fare? Che mansione avrei?”.

“Non saprei dire..” ammise l’angelo.

“Ma è vero che, quando non avete compiti da svolgere, cantate?”.

“Sì. Ma io non ho mai avuto modo di farlo, se non da bambino. Fin dalla caduta, il mio compito è stato sorvegliare i demoni che si aggiravano per il mondo e non ho avuto molto tempo libero”.

“Capisco..ma..io non sono una guerriera. Che potrei fare? Dammi delle opzioni”.

“Hai il potere di guarigione. Anche se è ancora debole, potresti di certo migliorare e divenire una taumaturga, come Rahael. Oppure seguire le orme di tua nonna Sophia, divenendo una studiosa, come Uriel..”.

“Ma non sono entrambe cose che potrei fare anche senza ascendere?”.

“Può darsi. Deciderai tu. Per ora direi che l’importante è uscire di qui”.

Una piccola luce compariva e svaniva lungo il terreno nero. Simile ad un fuoco fatuo, andava e veniva. Lucifero la fissava, arricciando la coda curioso e cercando di afferrarla, come farebbe un gatto. Mihael osservò la scena, non sapendo bene se esserne imbarazzato o infastidito. Sophia invece trovò la cosa divertente. Quando finalmente il demone riuscì a mettere un piede sulla luce, questa si dissolse e si moltiplicò. Piccole fiamme si mostrarono, in punti diversi, e poi svanirono di nuovo, tornando ad essere un’unica luce accanto al piede di Lucifero. Il demone alzò un sopracciglio.

“Fallo ancora!” ordinò Sophia.

“Cosa?”.

“Calpesta la luce!”.

Il diavolo non ne capì l’utilità ma obbedì e successe di nuovo la stessa cosa.

“È una danza!” capì la ragazza “Spostati..”.

Prendendo il posto del demone, la giovane sfiorò la luce e seguì le altre che si sprigionarono dopo di essa. Con movimenti rapidi dei piedi, le raggiungeva e ne creava di nuove.

“È una danza!” ripeté ballando, con un sorriso, invitando Lucifero e Mihael a fare lo stesso.

I due fratelli si fissarono, perplessi. Poi il demone alzò le spalle, seguendo una luce che ne aveva raggiunto i piedi scalzi. L’angelo rimase immobile, nonostante quella lucetta insistente gli lampeggiasse davanti. I movimenti di Sophia e di Lucifero si intrecciavano ed a volte le loro luci si scambiavano. Si moltiplicavano, facendo cambiare colore al terreno.

“Che state facendo?!” arricciò in naso Mihael “Con questo caldo..voi avete le forze per perdere tempo in questo modo?!”.

“Avanti! È quel che dobbiamo fare!” gli sorrise Sophia.

“Come lo sai?”.

“Lo so e basta! Non è difficile”.

“Dai, smettila di fare il cazzone e danza!” ghignò Lucifero, sfiorando le mani della ragazza e poi allontanandosi con un movimento altrettanto rapido.

“Ma non so come si fa”.

“Cosa?! A smetterla di fare il cazzone?!”.

“No! A danzare. Io sono un angelo, gli angeli non danzano!”.

“Se per questo gli angeli nemmeno si riproducono. Perciò zitto e muoviti!”.

Mihael strinse i pugni, desideroso come non mai di picchiare il fratello. Ma capì che non era quello il momento: doveva attendere.

Sophia, con un sorriso, raggiunse l’angelo a passi di danza e gli porse le mani. L’arcangelo la fissò. Poi fissò i suoi piedi: quella luce pareva chiamarlo. Inoltre i movimenti del demone e della ragazza stavano creando un disegno in terra. Era un occhio! E capì che doveva unirsi a quel ballo per aprire un varco ed andarsene da quel luogo. Era impacciato, non abituato ad agire istintivamente come invece faceva sempre il fratello maggiore.

“Non seguire uno schema” suggerì lei “Lasciati solo guidare da quelle luci. La musica è dentro di te..”.

Effettivamente Mihael iniziò a sentire una musica e si mosse. Era strano, era assurdo, ma si ritrovò a sorridere, seppur solo leggermente, deridendo la sua stupidità. Ma stava funzionando! I contorni di quello sguardo si stavano delimitando, accendendosi di luce e tingendosi di un intenso color ambra.

“Carmilla?” azzardò l’angelo, comprendendo poi in pochi secondi che quello era l’occhio di suo figlio Keros.

“Keros!” ne chiamò il nome e l’occhio si accese, infiammandosi.

Sophia sobbalzò, venendo protetta subito dalle ali dell’arcangelo.

“Per di qua” indicò Mihael “Attraverso le fiamme”.

“Sophia non può passare attraverso il fuoco!” gli ricordò Lucifero.

“La proteggerò io. Venite con me”.

Il demone fissò quell’incendio. Tentò di fidarsi del fratello e lo seguì. L’arcangelo guerriero strinse Sophia, proteggendola, e si gettò nell’iride del gigantesco occhio del figlio, venendo inghiottito dalle fiamme.

Passati oltre, i tre si ritrovarono in un luogo completamente buio e, all’interno di Ananke, Keros fu libero dalle catene che lo imprigionavano. Il mezzosangue vide Eleonore e le sorride, muovendosi rapido per raggiungere il suo signore, circondato da creature a loro volta bloccate in quel luogo.

 

“E adesso?” si chiese Lucifero “Prima io e Sophia abbiamo aiutato te, Mihael, a non affogare. Poi io e te, fratello, siamo passati oltre le fiamme proteggendo Sophia. E ora?”.

“Ora torniamo a casa! Non ne posso più!”.

Il corpo di Mihael si era acceso di tatuaggi e disegni, che lentamente stavano svanendo.

“Il tuo braccio!” commentò Sophia. “È guarito! E anche le ali!”.

L’arcangelo lo notò solo in quel momento e mosse le dita, finalmente in grado di farlo. Non capì perché lui fosse guarito mentre il fratello no e si ostinava ad essere privo di luce. Era strano vedere Lucifero senza luce! Ed ammetteva di sentirsi un po’ in colpa per questo..

“Andiamo” si sentì dire dal fratello maggiore, che pareva affaticato.

“Dove? Non vedo niente all’orizzonte”.

“E allora ogni direzione sarà lo stesso..”.

Il trio si mosse, in cerca di un segno o di un qualsiasi tipo di traccia sulla strada da prendere. Lucifero aveva celato le ali, trovandole solo un impiccio pesante, in mezzo al nulla. Poi una figura si avvicinò, lentamente.

“Non siamo i soli?” sorrise Sophia.

“Basta che quel qualcuno non voglia ucciderci o fare altre cose strane..” commentò Mihael.

La figura, lievemente brillante, camminò senza far rumore. Era un’ombra bianca che però, appena giunta sufficientemente vicina, si fece riconoscere.

“Lady Sophia!” mormorò Mihael, inchinandosi davanti a lei.

“Alzati” rispose lei e la sua dolce voce riempì lo spazio vuoto di riccioli di colore.

“Sophia? Mia..nonna?” domandò la giovane figlia di Arles ed Eleonore.

“Sì, bimba. Vuoi abbracciarmi?”.

“Sì!”.

Le due si abbracciarono, mentre Mihael si rimetteva in piedi. Lucifero rimase in silenzio, poi barcollò. Il veleno di Drakonta lo stava consumando, e finì con un ginocchio a terra.

“Oh, Sophia!” parlò la ragazza “Sei qui con noi giusto in tempo! Aiuta Lucifero con il tuo potere di guarigione! Il veleno di Drakonta è troppo forte ed io non riesco a curarlo..”.

“Un serpente che si fa uccidere da un altro serpente..” si sentì dire dalla nonna “..che cosa quasi ridicola. Vero, fratello?”.

Si chinò, sfiorando con le dita il volto del demone e fissandolo negli occhi.

“Dove siamo?” disse lui.

“Nella mente di mio figlio. Attraversando quell’occhio, vi siete entrati, passando da Eleonore e da Keros. Vi trovate in una parte dell’universo che rappresenta l’essenza di mio figlio Arikien, come gli piace farsi chiamare”.

“Il suo vero nome..lo sai solo tu”.

“Te lo dirò, forse..”.

“Come mai sei qui?”.

“Mio figlio esiste grazie a me, è ovvio che nel profondo del suo essere ci sia io. Se guardi attentamente, vedrai anche molte altre tracce di altro che lo rappresenta”.

Alzando lo sguardo, il trio effettivamente iniziò a vedere diverse figure. Vi erano dei guerrieri, dei cavalieri, delle voci e del sangue. Shion fissava con occhi vuoti i presenti e poi si dissolse. Sì udì il grido di rabbia del Dio della guerra e le urla di incitamento dei cavalieri d’oro, quella volta in cui tutti avevano trovato la morte contro il Muro del Lamento.

“Come usciamo da qui?” continuò Lucifero, rialzandosi a fatica.

“La piccola Sophia è entrata in contatto facilmente con lo sguardo di sua madre, permettendovi di passare oltre. Mihael doveva solo sciogliersi un po’ per entrare in sintonia con suo figlio e farsi meno pippe mentali. Tu..tu sei un caso strano, fratello. Ci sono delle cose che devi sapere”.

“Dimmele”.

Il demone allungò le mani verso la sorella, che si lasciò cingere.

“Fosse così facile..” sorrise lei “..fosse come sempre, che basta un mio bacio o un mio sorriso per farti agire come devi, lo farei. Ma in questo caso, è diverso”.

“Di che..di che parli?”.

“Parlo di un po’ tutto quel che ti è capitato..”.

“Sophia..io..”.

“Tu mi ami, lo so”.

“E mi manchi. Mi manchi tanto”.

“Lo so. Ma c’è un piccolo dettaglio che non ti ho mia detto e che ora ti dirò: ciò che provi..non è ciò che provo io”.

Lucifero si limitò a fissarla, inclinando leggermente la testa.

“Fratello..faceva tutto parte di un piano. Ed il tuo amore per me ha scatenato tutto. Ma io non ti amo. Sono la Sapienza, sono al disopra di certi sentimenti. Mi ecciti, dal punto di vista fisico, ma l’amore è una cosa molto diversa”.

“Ma che cosa..? Che significa tutto questo?”.

“Smettila di aspettarmi e cercarmi. Staccati da tutto questo e cresci! Cambia!”.

“Sono cambiato tante di quelle volte..”.

“Lo so. Noi angeli invece siamo immutati, come quando sei stato cacciato. Non è cambiato il nostro aspetto ed il nostro cuore”.

“Mihael..”.

“Mihael è cambiato. Sta cambiando. Ma ha capito la verità. Lui era innamorato di Carmilla ed è un’unione fatta di passione e fuoco che ha generato Keros. Tu che cosa hai capito? Che cosa aspetti a seguire il tuo destino?”.

“Destino?”.

“Smettila di cercare di essere te stesso. Come puoi essere te stesso, se non sai chi sei?”.

“Io so chi sono!”.

“E non devo essere io a curarti. Ti arrangerai da solo..come hai sempre fatto. È così che vanno le cose, e certe cose non cambiano mai”.

Con uno strano sorriso, Sophia spalancò le ali e si dissolse. Lucifero rimase qualche istante immobile poi barcollò di nuovo e finì in terra.

“Fratello!” chiamò Mihael “Tutto bene?”.

“È una domanda retorica?” gemette il demone, tenendosi il petto.

“Io..non capisco..”.

“Nemmeno io..”.

“Dov’è finita nonna Sophia?” domandò la piccola Sophia “E perché ha detto quelle cose e non ti ha guarito? Stronza!”.

“Coraggio, alzati” incitò Mihael “Dobbiamo proseguire”.

“Non ne ho le forze. Il veleno mi sta contaminando il sangue ed ormai ha raggiunto il cuore. Mi sento bruciare. Non potrò fare ancora molta strada..lasciatemi qui, vi rallenterei”.

“Sophia ha detto che come sempre ti arrangerai da solo. Perciò un modo c’è”.

“E quale? Io non sono più un guaritore! E quella donna mi ha riempito l’esistenza di bugie! Inoltre..non so se ha molto senso che io mi muova da qui..”.

“Non dire scemenze. A costo di portarti in braccio fino all’uscita! Alzati! Usciamo di qui..se poi, una volta fuori, vorrai comunque morire..ti darò una mano!”.

Sophia si chinò, tentando di usare il suo potere di guarigione. Purtroppo non era sufficiente e produsse solo qualche scintilla.

“Non so se può servire..” parlò, richiamando ancora potere “..ma..se un uomo mi dedicasse una canzone come quella che hai cantato a Sophia, e che io ho ricordato, io..come minimo piangerei commossa. Ma il cuore delle donne è complicato, ed è difficile farvi breccia. Io ho ricevuto un sacco di proposte, ma a nessuno ho detto di sì. Però..so che vi è una donna che ti aspetta. Una donna che ti ama davvero. Credo che dovresti smetterla di pensare a chi ti ha ingannato e rivolgere lo sguardo verso chi spera davvero di vederti tornare. So che non è facile..”.

“È complicato..”.

“Lo so. Ma dovremmo uscire da qui, non credi? E poi riflettere. Io so ora qual è la mia strada..”.

Il demone si sforzò di alzarsi a sedere, con un sospiro ed un brivido di dolore. Lo scenario iniziò a mutare, divenendo di colpo bianco ed accecante. I tre si strinsero l’uno all’altro, venendo avvolti da quella luce. Riaprendo gli occhi, Mihael sobbalzò, riconoscendo subito il luogo.

“Lucy!” esclamò “Siamo a casa! È la città degli Angeli! Guarda! Dai, ora ti porto da papà. Lui ti guarirà di sicuro!”.

“Stai delirando..”.

Lucifero si guardò attorno, tentando invano di rialzarsi.

“Non sapevo vi fossero tanti piccoli angeli..” commentò, celando ogni aspetto demoniaco e vedendo piccole creature alate che si inseguivano fra nuvole e architetture candide.

“Non ce ne sono!” si stupì Mihael “Un attimo..quel bambino è..Uriel!”.

Il piccolo si voltò, udendo il suo nome.

“Questo..non è il presente! Siamo nel passato!” capì l’arcangelo guerriero.

“Ottimo. Mi mancava un viaggio nel tempo..”.

“Il tuo sarcasmo ora non è appropriato. Non capisci? È perfetto!”.

“Perdonami..sono troppo debole per comprendere il ragionamento incasinato degli angeli..”.

“Lucifero!” gridò Mihael.

“Sono qui! Non serve che gridi!” protestò il demone, che venne zittito dall’angelo.

Uriel si era avvicinato ai tre, curioso, ma una voce lo chiamò per nome. Mihael alzò gli occhi, vedendo scendere lentamente dalle scalinate una creatura angelica che emanava una luce spettacolare, con i capelli e le vesti mossi da un vento piuttosto coreografico. Uriel rise e raggiunse quell’angelo.

“Quello è Lucifero?” sussurrò Sophia.

“Già” rispose Mihael “Prima che..beh..lo sai. Ma non deve sapere di avere di fronte se stesso. Sarebbe un vero casino..”.

“Cazzarola se era bello..”.

“Sì, in effetti..”.

Il Lucifero demoniaco, lanciò un’occhiata al fratello minore, non sapendo se prenderlo a sberle o insultarlo. In entrambi i casi, non ne aveva le energie e si stese, trovando le nuvole piuttosto comode.

“Voi siete..angeli?” azzardò il Lucifero angelico “Vedo le vostre ali. Ma lui..cos’è?”.

“Un paradosso” gli rispose il Lucifero demoniaco.

“Credevo che solo io e mia sorella Sophia fossimo adulti, o quasi. Sono circondato da bambini..”.

“Frustrante?” azzardò Sophia, comprendendo la sensazione, essendo la prima di una marea di figli.

“Lo ammetto: spesso sì. Dover sempre fare l’adulto che da l’esempio, anche se non si sa dove andare a parare, a volte è sconfortante. Ma cambiamo argomento: voi da dove venite?”.

“Da molto lontano” rispose Mihael “Da così lontano che nemmeno immagini..”.

“Supponevo ci fossero altre città ed altri mondi con altri angeli ma fin ora non ne avevo avuto la certezza. Che vi è capitato? Il paradosso sembra..ferito. E strano. Ma il suo sguardo è come quello di tutti noi, perciò non può essere tanto male, no?”.

Il demone ridacchiò e Mihael, accucciato ancora accanto a lui, gli piantò le unghie nel braccio, sibilando che doveva tacere e stare fermo.

“Abbiamo affrontato un mostro” rispose Sophia.

“Un mostro?” chiese conferma il Lucifero angelico.

“Sì, un serpente. Un serpente gigante che lo ha morso e lo ha ridotto così”.

“Spaventoso! Devo..chiamare mia sorella. È lei la guaritrice”.

“No, grazie” sbottò il demone “Preferirei non ritrovarmela davanti, per un po’..”.

“Conoscete mia sorella? Ah, ma certo. Lei è la sapienza, immagino che aiuti molti. Sono io la lucetta che deve fare da baby sitter..”.

“Aiutaci, per favore” mormorò la giovane Sophia “So che puoi farlo”.

“Si è fatto male?” domandò una vocina, appartenente ad un piccolo angelo.

Mihael si riconobbe, e sorrise a se stesso.

“Sì, ma ora lo faccio stare meglio. O almeno ci provo..” fu la risposta del fratello maggiore.

“Posso guardare?”.

“Ma certo, piccolo..”.

Il Lucifero angelico si chinò accanto al se stesso demoniaco, dando un’occhiata alla ferita.

“Dimmi..Lucifero..” iniziò a parlare il demone “..che vuoi fare? Nel futuro, intendo”.

“Ho alternative? Nostro padre ci crea per uno scopo ed è quello che dobbiamo seguire”.

“Questo è ciò che ti è stato detto?”.

“Questo è ciò che so..”.

“E perché credi a tutto ciò che ti dicono? Io non sono un angelo, Sophia racconta un sacco di stronzate, ma sei annebbiato dai sentimenti che provi per lei e non dovresti”.

“Zitto, Satana!” ringhiò il Mihael adulto.

“Satana?” alzò un sopracciglio il Lucifero angelico “Che razza di nome è? Scusa..non volevo essere irrispettoso”.

“Non mentirmi” ghignò il demone “Non mentire a te stesso, vuoi riempirmi di insulti dopo quel che ho detto di Sophia. Ed ora dimmi: cosa vuoi fare? Cosa vuoi dal tuo futuro?”.

“Nel mio futuro? Voglio essere la luce. La luce più bella ed accecante del cielo”.

“E se questa luce..si dovesse spegnere?”.

“Anche le stelle si spengono, prima o poi. Ma, prima di farlo, devi proprio vedere che spettacolo in cielo! Ed io voglio essere così. Prima di spegnermi, voglio essere come una supernova, che tutti ricorderanno. Libero, per l’eternità”.

I due Lucifero di fissarono, con lo stesso strano sorriso, e l’aureola dalle forme spigolose dell’angelo emise un lampo.

“Da dove avete detto che venite, voi?” si chiese l’angelo, mentre il demone provava sollievo dalla vicinanza di quella luce.

“Non ha poi così tanta..importanza” gli sorrise il demone, percependo qualcosa di strano dentro di sé.

Come una stella, di colpo ricominciò a brillare. Era guarito e si illuminò all’improvviso, rialzandosi e spalancando le ali. Quelle ali da demone spaventarono i piccoli presenti, che corsero a raggiungere l’angelico Lucifero. L’angelo fissò chi aveva di fronte, d’un tratto capendo chi fosse.

“Il prezzo per la libertà è alto” parlò il demone “Ma so che questo non ti fermerà”.

L’angelico non sapeva cosa dire. Sentì una lacrima rigargli il volto ed il demone gli sorrise.

 “Dopotutto..non è tanto male..”.

I due Lucifero si fissarono ancora ed il diavolo notò che le sue ali da demone non erano più sole. Sulla schiena si erano spalancate anche delle ali da angelo, di colore scuro, che si protesero verso il cielo, per un totale di tre paia. Guardò in su, vedendo un grande occhio aprirsi: l’occhio del Dio delle illusioni.

“Ma che..cos’è?” farfugliò il Lucifero angelico, mentre i fratellini gli si stringevano attorno e lui cercava di proteggerli con le ali.

Il demone, l’angelo guerriero e Sophia presero il volo, raggiungendo quell’immenso occhio che aveva riempito il cielo. Lanciando un’ultima occhiata al se stesso angelico, con quello sguardo così confuso e quei capelli del colore dell’orizzonte terso, senza alcun segno sul corpo e senza macchie sul cuore..Provò quasi nostalgia ma scosse la testa: non voleva essere un eterno bambino! Con un grido, raggiunse e sorpassò il nero della pupilla, seguito da Mihael e Sophia. Per qualche istante, quell’occhio sospeso gli parve tremendamente familiare. Un occhio che aveva visto millenni indietro.. Nel buio, i tre videro scorrere immagini dal passato. L’aspetto di Lucifero che mutava e che intrecciava il suo destino con quello di Arikien. Il loro primo incontro in Egitto ed i cambiamenti che il Dio delle illusioni aveva affrontato, in così poco tempo.

“Solo mio fratello poteva essere un tale paradosso da farsi curare da se stesso” commentò Mihael.

“Sono speciale. E se devo cambiare ancora..lo farò. Dopotutto..mio nipote è cambiato in altrettanti modi in molto meno tempo di me! Se la morte è sempre l’unica vincitrice, alla fine, mi spiace deluderla ma per questa volta dovrà attendere. Nessuno vince, nessuno perde”.

“E adesso? Dove andiamo?”.

“Da chi ha creato tutto questo. Perdona il ritardo, nipote mio, ti ho evocato e non ti ho ancora risposto. Eccomi!”.

Il demone lanciò un grido, espandendo ulteriormente la propria luce. Gridò un nome, che si diffuse nell’aria e si ripeté. Nastri rossi, catene e buio. Ma quel nome spezzò ogni legame. Il trio si ricongiunse a Keros ed Eleonore, che stavano tentando di sciogliere quel che tratteneva il Dio delle illusioni. Il vero nome di quel Dio, ripetuto da Lucifero, lo liberò.

“Siete qui!” furono le prime parole che disse “Siete tutti qui, finalmente!”.

Spalancò le ali rosse, ora di dimensioni di molto superiori al solito, ed avvolse tutti i presenti . Prese con sé tutte le creature imprigionate nel corpo di Ananke, Eleonore, Keros, Mihael, Lucifero e Sophia. Poi protese ancora di più le piume, circondando i cavalieri d’oro, che ancora combattevano contro Apollo ed Hermes.

“Dove andiamo adesso?” si allarmò Sophia, mentre Eleonore abbracciava forte il suo sposo.

“Fuori” si sentì rispondere.

Ed un’immensa luce si espanse, assieme al grido di Ananke.

 

Scusate per le dimensioni di questo capitolo, ma dividerlo in pezzi non aveva senso :P a presto!

E grazie per tutti i commenti!

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** XXIX- Improvvisare ***


 

XXIX

IMPROVVISARE

 

Kanon guardava verso l’alto. Accanto a sé, Eris e Larya.

“Ma sei sicura?” domandò lui, rivolto a Discordia.

“Li ho visti svanire” confermò lei.

“Assurdità! In questa casa succedono sempre assurdità!”.

D’un tratto, l’occhio del Dio delle illusioni riapparve in cielo e da esso ne uscirono il Dio stesso, assieme a Keros, Eleonore e tutti gli altri. Kanon e le due donne furono travolti e non riuscirono a schivare la folla di gente.

“Bentornati!”  rise Larya, quando si accorse di quanto successo.

“Che è successo? Dove siamo?” si guardò attorno Milo, rialzandosi.

“Dovrai spiegarmelo..” mormorò Lucifero al nipote “E dirmi quel che è reale e quel che ti sei inventato”.

“A che ti riferisci?” ghignò Arles.

Pioveva ancora ed il Dio sbuffò un “basta” stizzito, facendo smettere un po’.

“E questi chi sono?” chiese Kanon, notando molte facce nuove.

“Creature prigioniere assieme a me. Ora sono libere. Andate pure!”.

Gli uomini e le donne si inchinarono dinnanzi ai loro salvatori e si dispersero, ancora confusi. I cavalieri si dissero che era il caso di tornare da Atena e comunicarle che tutto era andato a buon fine.

“Siamo vivi?” si chiese Mihael “Non ho capito molto bene che è successo..”.

“I giochetti di mio padre sono esilaranti, vero?” sorrise Sophia.

Il Dio si era alzato e si stava dirigendo verso casa, con Eleonore fra le braccia. Keros, rimasto seduto fra Mihael e Lucifero, sorrise. Accanto a sé, alcuni dei bimbi della casa erano venuti a salutarlo.

“Hai ancora le ali d’angelo?” domandò l’arcangelo.

“Sì..” rispose il mezzosangue, che in quel momento le celava, come per buona parte del viaggio.

“Immagino che..il tuo signore dovrà insegnarti a volare”.

“Sinceramente..” ammise Keros, vedendo il corpo mezzo scoperto dalle vesti stracciate del Dio delle illusioni “In questo momento vorrei tanto che mi insegnasse qualcos’altro”.

“Keros! Ci sono i bambini!” ridacchiò Lucifero e Mihael non capì.

“Dai, rientriamo. Voglio farmi una doccia” ghignò il sanguemisto e tutti seguirono il suo esempio.

 

Dopo una doccia e qualche pezzo di dolce, si sentivano tutti molto meglio. I bambini a fatica erano stati rimessi a dormire, nonostante l’entusiasmo per aver riavuto i genitori.

“Keros..” mormorò Eleonore, comparendo nella sala del camino “..perché non porti una fetta di dolce ad Ary?”.

“È nella sua stanza. Starà riposando..” rispose il mezzo demone.

“Sì, ma non dirà mai di no ad un dolcetto”.

Keros non comprese del tutto lo strano sorriso di Eleonore, misto fra la tenerezza ed il sollievo. Incoraggiato da quello sguardo, il sanguemisto prese un piatto con un po’ di torta e si alzò, raggiungendo le sale del suo signore. Nel buio, lo vide assopito fra i cuscini. Poggiò il piattino, il più delicatamente possibile, ma il Dio aprì comunque gli occhi.

“Scusatemi..” mormorò Keros, con un mezzo sorriso.

“Per cosa?”.

“Per avervi svegliato”.

“Non importa. Come stai?”.

“Sono stanco. Ho dovuto fare il forte e indistruttibile per troppo tempo. Ora voglio solo che tutto torni come prima..”.

“È quel che accadrà. Solo io, te ed Eleonore. Ed i ragazzi, ovviamente”.

“Me lo potete promettere?”.

“No..ma ora ho un po’ più di certezze”.

“Davvero?”.

Keros era serio e si chinò sul suo signore, baciandolo. Non si sollevò, e rimase a fissarlo, con un lieve sorriso.

“Che cosa c’è? Hai voglia di un po’ di coccole?” mormorò Arles.

“Devo mostrarvi una cosa..”.

“Oh..va bene..”.

Keros salì a cavalcioni sul suo padrone e scostò la veste, scoprendo la schiena. Poi chiuse gli occhi qualche istante e fece comparire le ali d’argento. Il Dio rimase immobile, a fissare meravigliato quelle ali.

“Keros..” parlò piano “..sei un angelo!”.

“Più o meno” ghignò il sanguemisto, baciando di nuovo il suo signore, questa volta con molta più passione.

“Non andare mai più via da me, Arikien” aggiunse e si sentì abbracciare da Arles.

Il Dio si lasciò baciare e strinse forte il mezzo demone.

“Siamo in tre ora” furono le parole del Dio “Io, te ed Eleonore. Siamo noi tre. Nessuno ci dividerà mai, splendidi amori miei!”.

Keros sorrise sinceramente ed il suo sguardo brillò: era il momento di accantonare per un attimo la natura angelica e sfoggiare tutta la sua passione demoniaca!

 

“Perdona l’intrusione..” mormorò  Lucifero, entrando in una delle sale dove, in una grande vasca, Eris stava facendo il bagno “..ma ho saputo che intendi andar via da qui ed io ho delle faccende da sbrigare. Perciò..volevo salutarti, prima di prendere la mia strada”.

“Che cosa farai?” domandò lei, per nulla imbarazzata.

“Per prima cosa, andrò all’Inferno a sistemare un po’ di faccende”.

“Tornerai a regnare su di esso?”.

“No. Ho intenzione di tornarci per sistemare qualche benpensante e vendicarmi di un paio di torti. Poi metterò sul trono una persona a me fidata ed andrò in cielo a riferire la mia decisione, in modo che non vengano più a tormentarmi con le loro faccende angeliche”.

“Mi pare un bel piano. Funzionerà?”.

“In che senso?”.

“Esiste qualcuno con le tue capacità? Pare che il cielo abbia donato i poteri di Mihael a Camael. Tu puoi fare lo stesso con un demone?”.

“Non del tutto. Ma la guerra del cielo non mi interessa più..”.

“E poi?”.

“Poi? Improvviserò. Tu che farai?”.

“Tornerò al mio tempio, accanto a quello di mio fratello. Ci sono i miei sottoposti che mi aspettano. Potrai venirmi a trovare, se vuoi”.

“In montagna? Fa freddo, non è il clima per me”.

“Capisco..”.

“Pensavo..” riprese il demone, dopo aver versato una manciata di sali da bagno profumati fra la schiuma, nell’acqua della Dea “..di costruirmi una casa in riva al mare, non distante da questo tempio. In questo luogo in cui le persone non possono accedervi, se non su mio invito. Con una piscina. Ed una stanza per la musica”.

“Ed un giardino?”.

“Perché no? Con tanti fiori e colori, che all’Inferno avevo dimenticato. Però vi porterei anche le mie amate rose nere, come ricordo. Il loro profumo, mi riporterà in mente tante cose..”.

“E alberi? Alberi con tanti frutti succosi? Ho sempre voluto un giardino, ma al mio tempio fa troppo freddo”.

“E che altro?”.

“Che altro?”.

“Che altro vorresti?”.

“Una vasca come questa, tanto per cominciare. Una grande camera da letto, lussuosa e piena di specchi dove potermi ammirare. Una stanza con abiti ed accessori ed una con le armi, dove potermi esercitare senza che mio fratello mi stressi. E tu? Che altro?”.

“Voglio che, ad una particolare ora della notte, i raggi della luna entrino ed incontrino un singolare gioco di cristalli, ricreando il cielo stellato per i corridoi”.

“Bello..”.

“Dicono che io sia della stessa sostanza delle stelle, che mio padre mi abbia generato con una manciata di quella stessa luce con cui sono illuminate le costellazioni. Per questo mi piace guardarle..mi sembrano quasi le mie sorelle e le vorrei guardare sempre”.

“Romantico. Quasi..”.

“E vorrei..vorrei potermi svegliare in un grande e lussuoso letto con a fianco una bellissima donna, che si alzerà e si rimirerà negli specchi della stanza”.

“Tu..mi stai proponendo di venire a vivere con te, Figlio dell’Aurora?”.

“Non chiamarmi così, ti prego..”.

“E come, allora? Stella del Mattino?”.

“Lucifero non ti sta bene?”.

“Come preferisci. Comunque..quanto tempo ti ci vorrà?”.

“Per cosa?”.

“Per sistemare le faccende..”.

“Dunque..” il demone versò del vino in un calice e lo porse ad Eris “..Inferno e Paradiso non dovrebbero impegnarmi troppo a lungo. Però la casa va costruita. Non è che schiocco le dita e compare..”.

“E se io non vorrò aspettarti?”.

“Lo hai fatto fin ora. Ma ovviamente non sei obbligata..la mia era solo un’idea”.

“Magari..” aggiunse lei, con aria sognante “..un giorno mi presenterai tuo padre..”.

Lucifero rimase in silenzio, con sul viso un’espressione mista fra lo sconcerto e la paura. La Dea lo rassicurò, dicendo che era uno scherzo, ma la faccia del demone non mutò. Eris allora sorrise, giocherellando con la coda del demone, che tentò invano di riprendersela. Poi lei si rigirò, allungando le mani lungo il corpo di Lucifero, certo che questo lo avrebbe distratto.

“Ho già buttato via un paio di scarpe, mia cara..” ghignò infatti lui “..avvisami, se intendi che butti anche il vestito”.

“Per quel che mi riguarda, del vestito puoi farci anche coriandoli. Basta che lo togli..e vieni a farmi compagnia. Ma ovviamente non sei obbligato..”.

“Come potrei mai resistere ad un simile invito?”.

 

Era trascorso qualche tempo ed alcune cose erano cambiate. Erano stati eretti tre grandi templi, uno per Keros, uno per Eleonore ed uno per Arikien, comunicanti fra loro e con un giardino comune. A volerli era stato il gruppo di persone intrappolato nel corpo di Ananke, che per ringraziare aveva deciso di diffondere la parola di quelle nuove divinità. Sophia e Mihael erano a capo e guida di quei templi, lei per la madre e lui per il figlio. Lucifero, dopo aver passato un po’ di tempo all’Inferno ed aver messo Azazel al suo posto sul trono, ed aver massacrato buona parte dei demoni che avevano osato sfidarlo, era passato in cielo e poi, come previsto, si era costruito casa. Però ancora non aveva compreso molte cose. Provava un desiderio che non riusciva del tutto a soddisfare. Curioso, passò per il tempio del nipote, per vedere come fosse. Era carino, nulla di eccezionale, ma passabile per una religione appena nata. Ed il simbolo, quei tre occhi spalancati, era decisamente pittoresco.

“E così..” commentò Lucifero “..questa è la tua chiesa”.

“Non la definirei così..” si sentì rispondere, nella testa, con voce profonda.

“E come la definiresti? E perché sento la tua voce, Ary?”.

“Sei nel mio tempio e vuoi parlare con me, ergo ti rispondo”.

“Che carino..”.

“Hai finito il tuo vagare per la Terra?”.

“Non lo so. Non sono ancora convinto..”.

“Perché non ti giri?”.

Il demone si voltò e vide che una donna lo stava fissando. Dietro di lei, un gruppetto di altre persone. Lucifero sospirò, aspettandosi le solite reazioni strane. Anche se il suo aspetto da diavolo era celato, la gente provava sempre paura quando lo vedeva.

“Voi siete quella creatura!” mormorò la donna “Quella creatura che stava accanto al nostro signore. Voi avete contribuito alla nostra salvezza”.

“Eh?”.

Il demone non capì ma vide la donna prostrarsi, e così fecero anche tutti gli altri presenti.

“La vostra luce riscalda il nostro cuore” continuò la donna “Vi prego, illuminateci! Parlate del nostro salvatore, parlateci di coloro in cui crediamo”.

“Siete disposti ad ascoltarmi?”.

“Che le vostre parole ci guidino!”.

“Ed io che dovrei mai dirvi..?”.

“Improvvisa!” parlò Arles, nella testa del demone “A me il potere non interessa, dì loro ciò che vuoi. Sono disposti ad adorarti come messaggero di Dio, come mio parente e consigliere. Dà loro ciò che vogliono!”.

Lucifero li fissò perplessi. Ma che bella sensazione, però! Dopotutto, doveva solo dire la verità! Si accese, mostrando la sua vera natura e la gente lo fissò con ancora più ammirazione, volendone sfiorare le ali e volendo sentire il calore di quella luce. Sedette ed iniziò a raccontare. Raccontò del viaggio intrapreso con Mihael e Sophia e di molte altre cose, rendendosi conto che quelle creature non lo temevano, ma lo ammiravano. Ed era una bella sensazione. Così nacque uno strano culto fatto di danze, rituali con il fuoco, canzoni e musica: alla ricerca continua di quel bagliore e di quelle stelle, che contenevano il cosmo del loro signore e la luce di colui che diffondeva il suo messaggio. Era assurdo, era curioso ed era forse privo di senso ma a Lucifero piaceva.

“Dici che ce la farà?” sorrise Mihael, vedendo il fratello circondato dalle persone.

“Ma certo” gli rispose Sophia, sfiorandone la mano.

I due si scambiarono un sorriso dolce, che valeva più di migliaia di parole, e poi ognuno rientrò al suo tempio.

 

“Allora, Kiki, come se la cavano Iravan ed Iravat come cavalieri dei Gemelli?” domandò Arles, in visita al tempio.

“Direi egregiamente” ammise il Sacerdote “E la loro parentela con Athena li rende doppiamente fedeli e legati ad essa. Penso potrebbero avere un futuro come Sacerdoti di questo luogo. Quando io sarò morto, ovviamente. Tanto, come figli tuoi, dovrebbero vivere parecchio. Dico bene?”.

“Se non restano coinvolti in qualche missione suicida..”.

“E Sophia? Ho saputo che è sacerdotessa di sua madre Eleonore”.

“Già. Le piace, o così mi dice”.

“Una religione nuova è sempre qualcosa da osservare con curiosità..”.

“Sì, preferirei che la gente si limitasse a guardare. Invece infierisce, specie al tempio che guida Lucifero”.

“Ho saputo. Dare fuoco ad un luogo di culto in nome dell’unico Dio. Che cosa assurda..”.

Il Dio non rispose. Osservò il grande tempio, da quel terrazzino da cui tanti anni fa si affacciava, in attesa di Saori. Sembrava trascorsa un’eternità.

“Milo è tornato con suo figlio e Mirina al tempio di Ares..” riprese Kiki “..e pare che sia stato seguito dal figlio di Camus. La figlia di Aphrodite è nell’oltretomba, assieme al figlio di Eleonore ed Hades. Ma immagino che tu questo lo sappia..”.

“In realtà..è bello sentirsi raccontare le cose”.

“Coloro che già avevano lasciato questo tempio si sono allontanati, anche se so che risponderanno ad un eventuale richiamo della Dea”.

“Quindi qui vi sono solo Aiolos, Camus ed Aiolia?”.

“Sì, esatto. Mur è tornato nel suo Paese. Shaka ha parlato con Maya, la consorte di tuo figlio Tolomeo, ed ha ottenuto il permesso di sostare nel tempio della Trimurti. Aphrodite va e viene assieme a Persefone, è mutevole come le stagioni. Deathmask e Shura sono tornati nelle loro residenze estive, stessa cosa vale per Aldebaran. Dohko è già tanto se abbia mosso il culo per venire fin qui. Star seduto su quel sasso a Goro Ho gli piace proprio..”.

“Spero siano tutti felici”.

“Hanno ricevuto in dono una vita ben più lunga di quel che gli spettava”.

“Lo so..”.

“E Zeus..che ha detto? Ha tentato di imprigionarti”.

“Ha tentato di infierire, ma alla fine ha compreso che quel che io sono può coesistere perfettamente con ciò che è lui”.

“Immagino che ora avrai tante cose da fare. Non avrai più tempo per noi..”.

“Avrò sempre tempo per voi. Faccio una promessa: ogni anno, al mio compleanno, vi porterò dolci e vino. Anche quando sarete tutti ai Campi Elisi”.

“Ci conto, sai?”.

“Vedrai. Io rispetto le promesse!”.

 

“Non passerai mai!” ringhiò Ares.

“Scommettiamo?” ghignò Lucifero.

“Ti distruggerò!”.

“Scansati, ciccione!”.

Il Dio della guerra lanciò un grido e corse verso il demone, che scattò di lato, lanciando un poderoso calcio ad una palla che finì in rete.

“Inchinati, Greco!” gridò, alzando le braccia al cielo.

“Roba da matti..” si limitò a commentare Eris, distesa su una sdraio accanto alla piscina della casa di Arles “Dai una palla ad un uomo, e lo vedrai regredire a livello Neanderthal!”.

Sophia, stesa accanto a lei, rise. Poco più in là, le figlie di Eris, che la Dea aveva avuto millenni indietro senza congiungersi con uomini, si stancarono di stare a guardare e si unirono al divertimento. Le grida dei giocatori, fra cui figuravano i vari figli del Dio delle illusioni, Mihael ed alcune divinità, erano piuttosto fastidiose ma discordia e Sophia riuscivano comunque a rilassarsi. Era estate, e si stavano tutti godendo il sole, con poco addosso e nessun pensiero in particolare per la testa. Il padrone di casa non si vedeva, era dentro assieme alla moglie e Keros gironzolava, cercando di godersi una granita.

“Ragazzi!” chiamò Eris, rivolta ad Ares e Lucifero “State diventando color aragosta! Mettete la crema quando state tanto tempo sotto il sole! Vi state bruciando la pelle..”.

I due si misero a ridere, commentando che i veri uomini non avevano bisogno di certe cose.

“Guarda che io stasera non voglio sentire lamentele, Lucy” informò lei, tornando a leggere.

“Non ne sentirai, donna. Sono stato fra le fiamme dell’inferno”.

“Appunto. Al sole mai..”.

Con un mezzo sorriso, la Dea già si aspettava di vedere entrambi di un colore simile ad una fragola in cerca di sollievo. La partita continuava e volarono diversi insulti, specie fra Ares e Lucifero.

“Fanno sempre così?” domandò Sophia.

“Sì, giocano come bambini” ridacchiò la Discordia.

“Come capisci quando fanno sul serio?”.

“Semplice: mio fratello muta colore degli occhi, come tuo padre. E Lucifero punta la coda”.

“Punta la coda?!”.

“Sì..non so come altro spiegarlo”.

“Ares è più grosso di Lucifero..”.

“Sì. Ma è anche più stupido..si compensano”.

Dopo l’ennesimo insulto, Sophia comprese le parole di Eris. La coda del demone, che solitamente si arricciava tranquilla, si era irrigidita e piegata verso il “nemico”, come un’arma. La Dea non riuscì a pronunciare una sola parola e li vide finire nell’acqua della piscina, minacciandosi di affogarsi a vicenda. Scosse la testa, non trovando che altro fare se non ruotare gli occhi al cielo. Keros, sul bordo della piscina, rise. La palla della partita finì a sua volta in acqua e le squadre si tuffarono, gridando assurdità.

“Il sole fa male al cervello..” commentò il mezzo demone.

“Vieni anche tu?” lo invitò Mihael “Che fai lì fermo?”.

“Ho la testa altrove..” ammise Keros.

“Non ne hai motivo. Andrà tutto bene. E poi..non sono propriamente affari tuoi, giusto? Si tratta di faccende che riguardano Ary ed Ely”.

“Arikien ed Eleonore, prego”.

“Oh, che pigna che sei..”.

L’angelo sobbalzò, mentre il fratello maggiore piantava gli artigli sul bordo della piscina, nel tentativo di non farsi di nuovo trascinare di sotto da Ares. Mihael ghignò e lo allontanò, spingendo la mano sulla faccia del demone. Keros sorrise poi si voltò verso l’ingresso di quel giardino, vedendo avvicinarsi il suo signore.

“Ary!” sorrise, questa volta in modo molto più sincero.

“Ecco che arriva il mio papà!” si entusiasmò Sophia, rigirandosi “Allora? È maschio? Ho indovinato?”.

“Quanta impazienza” mormorò il Dio delle illusioni, con fra le braccia un fagottino “Sono due. Due maschi, non identici”.

“Avevo indovinato! Iravan, mi devi pagare!”.

“Complimenti” ghignò Lucifero “A che numero sei arrivato?”.

Arles non rispose, non sapendo sinceramente che rispondere , invitando Keros ad avvicinarsi con il dito indice. Il mezzo demone obbedì, felice.

“Ti dispiace scostare la copertina dal capo di questi due cuccioli?” domandò il Dio.

“Ma certo. Avranno caldo, con questo sole!”.

Il sanguemisto obbedì. E si immobilizzò, all’istante. Uno aveva gli inconfondibili capelli neri di Arikien e due piccolissime ali come quelle del padre. Ma l’altro..sbadigliando, mostrò un piccolo dentino a punta ed un grosso ciuffo rosso acceso sul capo. Keros lo guardò, senza capire del tutto.

“Lo sapevo che voi facevate le cose a tre” ridacchiò Lucifero “Congratulazioni, papà Keros”.

“Ma..che ..” il mezzo demone non sapeva cosa dire e seguì il consiglio del suo signore, che lo vide leggermente pallido.

Seduti uno accanto all’altro, su una sdraio, il piccolo dai capelli rossi finì fra le braccia di Keros, che lo fissò. Dapprima perplesso, notò che il neonato lo fissava a sua volta e lo vide arricciare il naso un paio di volte. Attento a non rovinare le delicatissime ali d’argento del piccolo, il sanguemisto rise orgoglioso.

“È splendido” commentò Arles, dando un bacio sulla fronte di Keros.

“Sono splendidi” rispose il sanguemisto “E dovrei andare da Eleonore..immagino..”.

“Lasciala riposare. Poi ci andremo assieme. Come una famiglia..”.

Il sanguemisto rispose con un sorriso ed un bacio sulle labbra.

“Posso?” domandò Eris, sollevando il piccolo dai capelli neri.

La Dea lo cullò, ripetendo che era una meraviglia. Accanto a lei, Sophia salutò il fratellino. Il bambino ignorò tutti e con un espressione di totale indifferenza si mise a dormire.

“Nonno Mihael” ghignò Lucifero “Posso essere il primo a chiamarti così?”.

“Arriva per tutti quel momento..” gli rispose l’angelo, sedendosi a bordo piscina.

“Quale momento?”.

“Quello in cui si cresce e si smette di fare i deficienti donnaioli”.

“Non stai parlando né di Keros né di te, vero?”.

“Già..”.

Lucifero, ancora in acqua, si poggiò al bordo con entrambe le braccia. Ares ed Eris erano vicini, che osservavano quel piccolo fagottino dai capelli neri, mentre Keros mostrava il suo piccolo agli altri bimbi della casa, dicendo loro che i due nuovi arrivati si sarebbero chiamati Koknos, il rosso, e Mavros, il nero.

“E se non fosse possibile?” parlò poi il demone.

“Che cosa?”.

“Quel che pensi..”.

“Allora dovresti parlarne con Eris, perché i segnali che lancia sono inequivocabili”.

“Ma cosa vuoi saperne tu?!”.

“Fai come vuoi. Dai sempre solo voce al tuo orgoglio..”.

“Affoga!”.

“Sei tu quello in acqua, non io” concluse l’angelo ghignando, raggiungendo il figlio ed il nipote neonato.

 

Pronti per il gran finale?

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** XXX- Idoli ***


XXX

IDOLI

 

“Ragazzi, adesso basta”.

“Finiscila di rompere le palle!”.

“Non sto rompendo le palle! È passata l’alba!”.

“E con ciò?”.

Koknos e Mavros si lanciarono un’occhiata divertita, voltandosi verso il più giovane della compagnia.

“Dovresti imparare a divertirti. Non sei più un bambino. Cosa penserebbe tuo padre?” stuzzicò Mavros.

“Vuoi davvero sapere cosa direbbe mio padre se mi sapesse qui? Mi urlerebbe contro con quel tono che come solo nei tuoi migliori growl sai fare!”.

“Davvero? Mi piacerebbe vederlo! E sentirlo!”.

“Io no! Torniamo a casa!”.

“Ormai siamo qui. Ed entreremo all’Inferno”.

Il più giovane ruotò gli occhi e si arrese. Seguì i gemelli oltre quelle porte e rimase impassibile dinnanzi allo stupore di chi lo precedeva.

“Che figata di posto!” esclamò Koknos, udendo una serie di grida di dolore.

Le fiamme, i dannati, i demoni..

“Questo è il posto ideale per scrivere una bella canzone..” commentò Mavros “..dove sta il palazzo del re?”.

“Che sia quella torre laggiù?” sorrise Mavros “Andiamo”.

I due gemelli spalancarono le ali, prendendo il volo.

“Ma scherzate?!” furono le parole del più giovane “Ali d’angelo all’Inferno?! Siete impazziti?!”.

Son un sospiro, fu costretto ad aprire a sua volta le ali, d’angelo, e seguire i due, che sfrecciarono rapidi per i gironi e le torture. I demoni alzarono lo sguardo, notando quelle luci. I gemelli avevano raggiunto il palazzo e si incamminarono lungo esso.

“Lucifero!” esclamò Mavros, riconoscendo il soggetto raffigurato in un enorme dipinto, che li fissava “Mio padre gli ha proposto diverse volte di ridargli quegli occhi demoniaci. Ma ha preferito tenersi quelli azzurri. Chissà perché..”.

Gli occhi del quadro brillarono di colpo ed i gemelli sobbalzarono, poi ridendo. Che begli effetti speciali aveva quel posto! Demoni vari si erano ammassati, osservando quelle tre creature.

“Perché non ci attaccano?” si chiese Koknos.

“Sanno chi sono i nostri genitori. Ed hanno paura” gli rispose il gemello “Certo che..vivere in un posto come questo, crearlo, e rinunciarvi per una villa con la piscina è una cosa che non capisco”.

“Sono tante le cose che non capisci, Mavros..” si sentì rispondere dal più giovane.

“Come, scusa? Come ti permetti? Potrei ribaltarti con un solo ceffone, se solo volessi, e osi darmi dello stupido?”.

“Non ti ho mai dato dello stupido! Ti offendi da solo!”.

“Chiedimi perdono!”.

“Non lo farò mai. E prova a darmi quel ceffone, se ne hai il coraggio”.

Il gemello dai capelli neri reagì e tentò di colpire chi aveva di fronte, ma una mano lo fermò. Il giovane si agitò, tentando di liberarsi, e vide che a trattenerlo era suo padre Arles.

“Non mi sarei mai aspettato di dovervi venire a riprendere QUI!” commentò il Dio, piuttosto irritato “Cosa vi è saltato in mente? Di chi è stata l’idea?”.

“Andiamo, papà! Siamo gli Angels Blood! Le nostre canzoni parlano di angeli e demoni, era nostro dovere vedere l’Inferno!”.

“Dovere?! Siete fuori di testa?! Se vostra madre sapesse che son dovuto venire a riprendervi in certi posti, andrebbe su tutte le furie”.

“Come te?”.

“No, molto peggio!”.

Azazel era rimasto lungo il corridoio ad osservare la scena. Arles obbligò Koknos e Mavros a chinare il capo e chiedere perdono per l’intrusione. I due giovani obbedirono, pur protestando.

“E ora a casa! Tutti quanti!”.

 

“Svegliati!”.

Eris spalancò le tende della camera, udendo uno strano rumore che ormai conosceva. Lucifero si era avvolto completamente nelle ali.

“Esci da lì!” ordinò lei “Abbiamo ospiti!”.

Il demone non rispose, avvolgendosi ancora di più.

“Sono i tuoi fratelli! Ci sono degli angeli!”.

“Lo so. Solo loro scassano il cazzo prima di mezzogiorno ad un demone!”.

“Esci! È da tantissimo che non li vedi!”.

Lucifero si srotolò leggermente e fissò l’orologio a pendolo nella stanza. Ma erano solo le sette del mattino! Lanciò un gemito di protesta e si arrese: avrebbe dormito più tardi.

Gli angeli sorrisero, vedendolo arrivare. Erano Rahael, Gibrihel, Urihel e Vereheveil.

“Ma voialtri non potreste passare ad orari più consoni?” si lamentò Lucifero, invitando gli ospiti in salotto e provando un piacere estatico quando Eris gli porse il caffè.

“Non pensiamo troppo agli orari” gli rispose Urihel.

“Non è vero. Lo fate apposta”.

“Sì..è vero”.

Il gruppo si sorrise. gli angeli sorseggiarono un po’ di tè, guardandosi attorno. Era la prima volta che entravano nella dimora del fratello maggiore ed erano piuttosto incuriositi.

“Scusate il casino” sbottò il demone, notando con fastidio un mucchio di libri sparsi per il pavimento.

“Innanzitutto..” iniziò a parlare Vereheveil “..siamo davvero stupiti nell’apprendere che Eris è ancora qui”.

“Perché?”.

“Non so. Non ti immaginavamo da storia fissa”.

“Non è una storia fissa. Non siamo sposati. E lei va e viene quando ha voglia. È una Dea, si concede altri incontri al di fuori di me e lo stesso faccio io”.

“Ma vive qui”.

“Già..”.

“Ed altrettanto ci stupisce..” si unì Rahael “..che tu sia una specie di sacerdote. Sacerdote di Arikien”.

“Vedi di usare i termini corretti, fratellino. Io parlo agli umani di mio nipote, senza inventarmi nulla, e loro mi ascoltano. Non chiedo soldi per farlo e non cerco di convertire la gente”.

“E la figura malvagia di questa religione chi è? Tutte le religioni hanno il bene ed il male”.

“Arikien, Keros ed Eleonore rinchiudono in sé entrambi i lati. Spetta alla gente scegliere il lato che vuole vedere”.

“E quando muoiono? I mortali, intendo. Quando muoiono, dove vanno?”.

“Dove desiderano. I desideri degli umani sono piuttosto limitati. C’è chi vuole rivedere tutti i cari che ha perso, chi vuole cibo, alcol e sesso e chi vuole un luogo di pace. Non ci sono molte altre alternative. Qualcuno rinasce..si asseconda la loro immaginazione. Del resto, non penso sia possibile creare un Paradiso universale per tutti”.

“Scherzi?!”.

“No. Il Paradiso, da cui voi provenite, è la cosa più pallosa che abbia mai provato nella mia vita”.

“Ed i malvagi? Come vengono puniti?”.

“Ci sono molti meno peccati da punire. Le persone che compiono azioni degne di essere condannate, vedono il secondo volto di Ary, Keros ed Eleonore. E questo è sufficiente, credetemi..ma ci stiamo organizzando per creare un posticino appropriato per coloro che compiono gesti indicibili”.

“Ok..se lo dici tu. E non ti annoi?”.

“No. Non mi annoiavo all’Inferno all’inizio. Ma poi son trascorsi più di 7000 anni..”.

“Anche Mihael mi pare felice. Siamo passati a trovarlo ieri sera..”.

“Mihael, l’arcangelo del sole,andate a trovarlo dopo il tramonto e scassate le palle a me subito dopo l’alba. Ma il sadico non dovrei essere io?”.

“In realtà..” proseguì Gibrihel “..siamo qui anche per discutere di una cosa delicata”.

“Lo supponevo. Che volete?”.

Attorno ad un tavolino basso, Lucifero allargò le braccia lungo tutto il divano ed allungò le gambe sul bancone. Di fronte, gli angeli restavano seduti composti, leggermente rigidi come sempre. Erano a disagio, non potevano negarlo, dinnanzi al fascino che il loro fratello maggiore era ancora in grado di esercitare.

“Ci sono giunte voci su qualche cambiamento all’Inferno”.

“Cambiamenti?” si stupì il demone.

“Sì. Girano voci, in cielo, che non sia solo Azazel a detenere il governo. Sarebbe una voce corretta?”.

“Ed io che ne so? Non ci vado mai da quelle parti!”.

“Sei sicuro?”.

“Assolutamente”.

“E non hai modo di contattare i tuoi vecchi colleghi di lavoro per chiedere loro spiegazioni?”.

“Non comando più su di loro. Non ne avrei alcun diritto”.

“Capisco..”.

“Ma di che vi preoccupate? Dopotutto..in cielo non vi sono le truppe di rimpiazzo? Camael e compagnia bella”.

“In effetti sì, ma preferiremmo conoscere il nostro nemico”.

“Suppongo che al momento giusto lo conoscerete..”.

Lucifero si versò un po’ di vino, udendo un suono familiare di catena all’ingresso.

 

“Torna a casa” ordinò Arles, davanti alla porta “Non sei figlio mio, non è mio compito sgridarti o altro. Non sono affari miei”.

“Grazie” mormorò il più giovane della compagnia, mentre Koknos e Mavros protestavano.

Entrando, il ragazzo sospirò. Tentò di fare piano, credendo i suoi genitori ancora a dormire. Levò gli stivali neri, ma le catene che aveva su tutto il vestito tintinnarono.

“Espero..” udì, scandito lentamente.

Quella voce..che ci faceva sveglio a quell’ora? Non era normale! Che Arikien o Azazel gli avessero raccontato la sua “gita” all’Inferno? O altro ancora? Avvertì un brivido lungo la schiena, quando il suo nome venne ripetuto, questa volta con maggiore convinzione. Prese coraggio ed entrò nella stanza. Vi stupì di trovare degli angeli seduti di fronte a Lucifero, che appena lo vide entrare gli indicò il mucchio di libri in terra.

“Ah..” si stupì il giovane “..sei arrabbiato per quello?”.

“C’è altro che dovrei sapere?” rispose il demone, bevendo ancora un po’ ed arricciando la coda.

“No..avrei riordinato dopo il concerto, prima che ti svegliassi. Promesso”.

“Che hai combinato per creare un casino simile? Ci hai tirato le bombe?”.

“Stavo giocando. E sono finito contro la libreria”.

“Con cosa stavi giocando?! Con un dinosauro?!”.

“No..giocavo con quel simpatico telecomando senza fili che TU odi tanto e che maledici ogni volta che provi ad usare. Prevede che ci si muova”.

“E non hai rimesso al suo posto lo schermo..”.

“Avrei riordinato al ritorno. Ora, scusami, vorrei cambiarmi..”

“Ti hanno accompagnato a casa Koknos e Mavros?” riprese Lucifero “Ho percepito la presenza di Arikien”.

“Sì, mi ha riportato a casa Arikien. I gemelli..si sono trattenuti con delle fan e quindi ho dovuto aspettarli. Per questo ho fatto così tardi”.

“E tu?”.

“Io che cosa? Te l’ho appena detto: ho dovuto aspettarli”.

“Non hai delle fan?”.

“Siamo fra i gruppi più famosi del Mondo, certo che ne ho. Ma ho un esame, ed ho occupato il mio tempo in altro modo”.

Lucifero gli lanciò una strana occhiata, che il giovane conosceva ma che ignorò.

“Scusate la maleducazione” si inchinò leggermente il ragazzo, porgendo la mano agli angeli “Sono Espero, perdonatemi per l’abito non molto normale, ma ero ad un concerto..”.

“Chi suonava?” domandò Vereheveil, osservando con  attenzione quel ragazzo, che vestiva come ci si aspettava dal membro di un gruppo metal.

“Io” ghignò il giovane.

“Davvero, Stella della Sera?” gli sorrise l’angelo.

Lo squadrò per bene, incrociando quello sguardo. Per qualche istante, l’angelo ne fu stordito ed affascinato. Quel ragazzo pareva proprio un angelo, non fosse per quei capelli neri e dritti come quelli di Lucifero. Aveva un fisico aggraziato, quasi androgino, e brillava, anche se non intensamente come il demone.

“Ora devo cambiarmi, fare una doccia e correre all’Università, scusate. Ho un esame..” interruppe Espero.

“Vai pure” lo congedò l’alato.

“Sarà mio piacere parlare con voi quando rientrerò, se ci sarete ancora”.

“Fai colazione, almeno!” sbottò Lucifero.

“Non ho tempo. Mangerò in facoltà. E..papà! ti prego! Vino alle otto di mattina?!”.

“Veramente sono le nove e mezza”.

“Che?!”.

Espero fissò il suo orologio da polso e lo scosse, mentre segnava l’ora sbagliata.

“È tardissimo” gemette “Devo andare!”.

“Ti serve la moto?”.

“Non ho la patente..”.

“Nemmeno io!”.

“Papà..”.

“Ok, fai come vuoi!”.

Il ragazzo salutò di nuovo gli angeli e fece per uscire.

“Espero..” lo fermò di nuovo il padre.

“Che c’è?! Sono tardi!”.

“Buon compleanno”.

“Che..?”.

Il demone si voltò e fissò il figlio, che rimase qualche istante perplesso e poi realizzò.

“È oggi!”.

“Sì, e vedi di non dimenticarti di venire stasera, dopo la fatica che ho fatto per accontentarti”.

“Hai prenotato il locale che ti avevo chiesto?”.

“Sì”.

“Davvero?! Io..io ti adoro! Ora però devo andare..”.

“Vai, vai! Dai un bacio a tua madre”.

Espero sparì, legandosi i capelli distrattamente, tentando di avere un aspetto presentabile. Gli angeli, rimasti soli con il fratello maggiore, lo fissarono, con aria interrogativa.

“Che avete?” alzò un sopracciglio Lucifero.

“Che frustrazione quando i figli non crescono come vorremmo, eh?” rise Gibrihel.

“Ma quanto sei simpatico..”.

“Perché non ci hai detto che hai un figlio?”.

“Credi che ami sbandierare al mondo dell’Anticristo? E poi pensavo che il cielo lo sapesse. Ad ogni modo, tranquilli: non ha alcun marchio strano addosso. Niente strani numeri o segni particolari. È un ragazzo normale, come potete vedere. Fin troppo umano, per i miei gusti”.

“Quanti anni fa?”.

“Diciotto”.

“Ed è all’università?!”.

“Ha fatto letteralmente carte false. Vi è entrato l’anno scorso”.

“Che cosa studia?” volle sapere Vereheveil.

“Economia e politica”.

“Cosa c’è di più malvagio di politici e finanzieri?” rise Urihel.

“Vi sbatto tutti fuori di casa, se non la finite di sfottere!”.

“Mi pare un bravo ragazzo..” sorrise Rahael “..con la testa sulle spalle. Non serviva lo sgridassi per dei libri fuori posto!”.

“Vi sono dei libri, lì in mezzo, che preferirei non fossero toccati. Li ho portati via dall’inferno, li ho scritti con le mie mani..”.

“E allora puoi stare tranquillo..” sorrise Vereheveil “..se sono scritti a mano da te, nessuno sarà mai in grado di leggerli”.

“Divertente..”.

“Scrivi da cani. Lo hai sempre fatto, anche da angelo..con tutti quegli strani riccioli e sbavature..”.

“Già..vero. Cambiando argomento..se volete, questa sera vi do l’indirizzo della festa. Tanto paga papà..”.

“I giovani non vogliono i vecchi alle loro feste”.

“In realtà..ha invitato un sacco di persone ed ha detto che vuole anche che ci sia io. So che Ary ci sarà assieme ad  altri da quel lato della famiglia. Non so chi esattamente. Ha fatto le cose in grande. Del resto..diciotto anni sono diciotto anni! Anche se ufficialmente ne compie ventuno, come Koknos e Mavros. I loro fan sono convinti che siano tre gemelli o qualcosa del genere..”.

“Sono degli idoli?”.

“Sì. Idoli di fanciulle adoranti e ragazzi invasati che cantano le loro canzoni agitando le chiome”.

“Questo non dovrebbe dispiacerti”.

“No, per niente. Solo che mi aspettavo un altro atteggiamento. I gemelli di Arikien son sempre sulle copertine, che fanno le star. Lui tiene un profilo più basso..”.

“Fa il misterioso. Aumenta la sua fama così”.

“Può darsi. Comunque io ero devo andare a lavorare. Ci vediamo stasera”.

“Solo una domanda..Michael sa di questo giovane, suppongo..” lo fermò Gibrihel.

“Certo” sorrise Lucifero “Lui è stato il prima che lo ha saputo, quando Eris mi ha detto di essere incinta. Lui mi conosce bene, ha intuito subito che qualcosa fosse cambiato. Inoltre, voi lo sapete, non sono bravo a trattenere l’entusiasmo”.

“Quindi non è stato un..incidente?”.

“No, piccolo angelo curioso. Io ed Eris desideravamo un erede ed il suo arrivo è stato molto gradito”.

“E Mihael approvava la cosa?”.

“Perché non avrebbe dovuto?”.

“Sarebbe prerogativa del cielo fermare l’Anticristo..”.

“Quando è nato, è stato il primo che ha saputo che era maschio. Seguito a ruota da tutti coloro che occupavano il tempio di Arikien, a cui ho chiesto di indossare qualcosa di azzurro. Siamo andati a festeggiare assieme. Penso di averlo abbracciato come uno stupido in più di un’occasione”.

“Mi fa piacere sapere che hai provato una simile gioia..”.

“Sei sarcastico, Gibrihel. Lo percepisco. Ma non importa. Ora devo proprio andare..”.

 

L’eleganza era una prerogativa per Espero, che si presentò al suo compleanno vestendo in modo impeccabile. Sfoggiò un sorriso, vedendo suo padre vestito in modo altrettanto elegante.

“Quanta gente hai chiamato?” domandò Lucifero “Percepisco un sacco di persone”.

“Entriamo e lo vedrai di persona..” gli rispose il figlio.

“Prima vorrei..chiarire un punto”.

“Parla..”.

“Io..so cosa mi nascondi”.

“Ah..ok..ecco..ti giuro che ho cercato di fermare Koknos e Mavros, ma non mi hanno ascoltato e..”.

Lucifero fissò il figlio, alzando un sopracciglio.

“..ok..” si corresse Espero “..ero curioso pure io e per un po’ mi sono fatto trascinare e..”.

Altro sguardo.

“Mi arrendo. Tu sai tutto, vero?” abbassò le braccia il ragazzo.

“Tu che dici?” inclinò la testa il demone.

“Non ti riferisci alla piccola gita di ieri..”.

“No..”.

“E..non hai niente da dirmi?”.

“Che dovrei dirti? Piuttosto..perché me lo hai tenuto nascosto?”.

“Perché l’Inferno è la tua creazione. Ma so che hai fatto di tutto per garantirmi un futuro non legato ad esso. Ed io invece..”.

“Com’è successo esattamente?”.

“Non so. Un paio di anni fa ho deciso di farci un giro. Avevo la sensazione che..mi chiamasse! La strada la conoscevo, me l’avevi mostrata tu quando ero piccolo. La meraviglia che ho provato è stata unica. Era come se tornassi in un luogo che a lungo avevo conosciuto e che avevo dimenticato. E quel luogo mi accoglieva, mi avvolgeva. Azazel è stato molto gentile, si può dire..”.

“Azazel ha capito il tuo potere, la portata di esso”.

“Può darsi..”.

“Quindi l’università è una copertura?”.

“Sto studiando veramente. Però è comodo dire che sono in facoltà mentre invece sono all’Inferno a..regnare su di esso. Assieme ad Azazel, ovviamente”.

“Che è deciso a lasciarti del tutto il comando, non appena dimostrerai di essere pronto. O almeno così mi ha detto”.

“Non volevo lo sapessi..ancora. Mi rovini la sorpresa!”.

“Ma perché?”.

“Pensavo..fossi deluso. Io sto facendo quel che tu non vuoi più fare!”.

“Io temevo che tu fossi una specie di finto umano e invece..scopro che hai preso in giro me, tua madre, metà della tua famiglia e perfino Azazel, a cui hai detto che io sapevo tutto”.

“Mi farò perdonare..”.

“E di cosa? Sei figlio mio..non potevo aspettarmi niente di diverso. Goditi la festa. E questo è per te”.

“Cos’è?” mormorò il ragazzo, scuotendo il pacchetto.

“Un orologio. Di quelli seri. Così non farai tardi. Il diavolo è sempre puntuale”.

 

Entrando nella sala, padre e figlio vennero accolti dalle grida della gente. Lucifero continuò a camminare, mentre il festeggiato veniva circondato. Il demone si accorse di star camminando a testa in giù, sul soffitto, e capì che il Dio delle illusioni come sempre si divertiva a deformare la realtà. Osservando gli invitati, capì che non aveva alcun motivo di celare il suo vero aspetto. Era circondato da angeli, demoni e divinità. Il ragazzo aveva fatto le cose davvero in grande! La stanza ruotò un paio di volte, mentre si alzava la musica. Raggiunse Mihael al bancone del bar e sorrise, nel vederlo stranamente vestito elegante. Il maggiore si ordinò da bere e Mihael propose un brindisi.

“Ai figli, che crescono e prendono la propria strada”.

“Pensavo, Miky, che ti saresti divertito. Ero curioso. Volevo vederti con altri mocciosi a seguito..”.

“Mi sono preso cura di mio nipote Koknos. E mi sono divertito..solo che sono stato attento”.

Il demone ghignò. Mosse leggermente le spalle, facendo volare qualche piuma scura. Mihael trovava ancora strano vedere il fratello con le ali di due tipi.

“Ed io, Lucy, pensavo che ti saresti stufato presto della vita di famiglia e saresti fuggito altrove”.

“E invece..pensa come sono ancora in grado di stupire! E pensa te..sopporto perfino i suoi sottoposti! Compreso quello con la lira, che suona assurdità”.

“Però non l’hai sposata..non hai sposato Eris”.

“Quello mai! Non fa per me. Anche se Hera scassa le palle continuamente..”.

“Hera come suocera..”.

“E Zeus come suocero. Preferirei spararmi in bocca..”.

“Posso capirti. Ma..un figlio solo? Ti basta?”.

“Dammi tregua, Miky. Non sono come Ary, che sfiora la sua donna e la ingravida. Peggio di Zeus! E poi uno è più che sufficiente..”.

“L’adolescenza..”.

“Se ero pure io così alla sua età..mi sono chiare davvero molte cose!”.

“Ciao, zio Mihael” interruppe Espero “Quando arriva Koknos?”.

“Dovrebbe arrivare a momenti, assieme a suo padre” gli ripose Mihael, ancora ridendo per la frase del fratello.

“Grazie..”.

Il ragazzo si voltò verso Lucifero che, con il bicchiere alla labbra, lo salutò con gli artigli che gli spuntavano sulla piega delle ali da demone.

“Quanto adoro quelle ali” sorrise il figlio “E anche la coda”.

“Hanno la loro comodità..” ammise il padre, mentre Espero gli rubava il bicchiere e dava un assaggio.

“Ah!” gemette il giovane “Bevi questa roba da tutta una vita? Ed hai ancora il fegato? Sul serio?!”.

Il demone ridacchiò, mentre il ragazzo si voltò verso gli invitati, accigliandosi leggermente. Aveva notato Camael, assieme ad un giovane angelo.

“Quello non l’ho chiamato” protestò il festeggiato.

“Vuoi che lo mandi via?” si propose il padre.

“No. Lascia che gli angioletti si divertano in mezzo alle tentazioni..”.

“Chi è il moccioso che ha a fianco?” si chiese Mihael, non riconoscendolo.

“Un angelo nuovo” spiegò Espero “Pare che sia apparso per sostituirti. Camael lo sta addestrando..”.

“Un angelo nuovo? Pensavo che i miei poteri fossero passati del tutto a Camael. Un angelo in più servirebbe nel caso ci fosse un demone in più, per riequilibrare la faccenda. Ma non mi risultano demoni in più. Io mica sono diventato un demone!”.

“Non guardare me” ghignò Lucifero.

“Sarà qui per controllare tutti questi diavoli” fu l’ipotesi di Mihael, ordinando a sua volta da bere.

“Gli darei fuoco, se potessi” fu invece la frase che pronunciò Espero, con un sorriso stampato sul volto “A lui ed al suo allievo impiccione”.

L’arcangelo ed il giovane alato parvero percepire quelle parole e si voltarono, salutando il festeggiato da lontano con un’allegria del tutto falsa.

“Auguri” gridò Camael.

“Grazie..” gridò di rimando Espero, ancora sorridendo, aggiungendo sottovoce uno “Sparati” rivolto ad entrambi.

Lasciando Mihael e Lucifero piuttosto perplessi, il ragazzo non restituì il bicchiere al padre e tornò a sparire fra la gente.

Arles aveva preso posto accanto agli altri cavalieri e le loro famiglie, raggiunto da Keros ed Eleonore. Il mezzo demone fu salutato da un inchino rispettoso da parte di Asmodeo, che ancora ricordava di essere stato sconfitto e non ci teneva a farsi di nuovo picchiare. Tutti molto eleganti, fissavano il palco centrale, osservando il festeggiato, raggiunto da Koknos e Mavros.

“Benvenuti” salutò Espero, accostandosi al microfono.

“E allora?” gridò Mavros, interrompendo ed afferrando quello stesso microfono “Facciamo un po’ di casino o no? Non vi sento! È una festa!”.

Keros si voltò verso il Dio delle Illusioni, che sorrise. Mavros somigliava molto al padre. Stesse spalle, stesso viso. Ma con gli occhi di Eleonore, unica cosa che aveva in comune con il gemello Koknos, che invece somigliava del tutto a Keros. Il gemello aveva i capelli solo leggermente più dritti del padre ed il fisico lievemente più importante, eredità della parte celtica della famiglia.

“Grazie per aver portato i vostri strumenti, come richiesto” riprese Espero, quando la folla si fu un po’ calmata “Stasera, vogliamo suonare con tutti voi. Ce lo concedete?”.

Scese il silenzio, per qualche istante, ma poi si udì un vociare d’approvazione.

“E chi non sa suonare..che balli!”.

Altre grida d’approvazione e brindisi a casaccio. Espero sollevò il bicchiere al cielo e ghignò.

“Come dicevo..” parlò ancora “..vi ringrazio per essere qui. Tutti quanti. Dal Paradiso, all’Inferno, agli strati intermedi, se mi concedete il termine. Nello specifico, ci tenevo a ringraziare due persone in particolare, in questo giorno importante. Vi prego, non diventate rossi, non nascondetevi..ringrazio i miei genitori”.

Il ragazzo indicò il tavolo a cui sedevano Lucifero ed Eris, invitando i presenti a fare un applauso.

“Grazie, mamma e papa, per aver creato un figone allucinante come me!”.

Gli invitati risero ed applaudirono ancora.

“E grazie per avermi fatto avvicinare alla musica. Ed a molte altre cose..che non posso dire, perché ci sono gli angeli..e i bambini”.

Altra risata, Eris nascose un po’ il viso dietro la mano, arrossendo.

“Papà..mi faresti l’onore di venire qui e suonare con me? Solo io e te, come riscaldamento per la serata”.

Lucifero si guardò attorno, sconcertato nel vedere tanti demoni chiamare il suo nome. Passo proprio accanto a quei demoni che lo volevano morto e lo disprezzavano, ghignando  a tutti quanti loro. Lilith distolse lo sguardo.

“Adoratori di idoli..” commentò qualche angelo, scuotendo la testa.

Padre e figlio si fissarono, uno accanto all’altro.

“Vediamo un po’ cosa proponi ai miei ospiti” mormorò Espero.

“Vediamo un po’ se riuscirai a starmi dietro, cucciolo” ghignò Lucifero.

“Che strumenti vuoi?”.

“Tutti”.

“Eh..?”.

Il demone sorrise, divertito. Il figlio lo fissò, senza ben capire cosa avesse in mente. Il padre mosse le dita, lentamente, come sfiorando fili e tasti invisibili. La gente mormorò, perplessa, ma poi nell’aria si udì un suono. Dapprima era debole e lento, un pianoforte lontano ed il lieve vibrare di corde di violino. Poi quel suono si moltiplicò, assieme ad i movimenti delle mani di Lucifero. Si udirono altri archi ed iniziarono le percussioni, assieme agli strumenti a fiato. Il ritmo era sempre più veloce, con sempre più strumenti. Aprendo entrambi i palmi delle mani, il diavolo fece rallentare il tutto. Per qualche secondo fu silenzio, Espero lo guardò, chitarra elettrica fra le mani, ed annuì. Lucifero sollevò entrambe le braccia e la musica ricominciò, più incalzante, e il figlio ne seguì le note con il suo strumento e cantando. Gli invitati si fissarono. Gli angeli si sorrisero: non tutti loro cantavano e basta, e ricordavano bene la gioventù del loro fratello maggiore. Uno dopo l’altro, gli abitanti del cielo si univano a quel canto, in un coro degno del Paradiso. Keros e Mihael erano fra quelle voci, con Arles che li udiva ammirato, incapace di cantare così magnificamente. L’ultimo tono, lungo e imponente, lo cantò pure Lucifero. Poi tutta la musica iniziò a scemare, e si concluse tutto con delle semplici note di pianoforte.

“Ti è piaciuta la tua canzone, Espero?” domandò il padre ed il figlio annuì.

“Ora lascia che sia io a farti una dedica, anche se di canzoni su di te ne hanno scritte un sacco!”.

Koknos e Mavros si scambiarono uno sguardo d’intesa e mostrarono a tutti le loro ali d’angelo. Il primo le aveva argento, il secondo rosso cupo, come i loro padri. Inaspettatamente, anche Espero fece lo stesso.

“Oh..” commentò Lucifero “..le ali di mio figlio. Temevo di non rivederle più!”.

Erano d’angelo, piumate, di un colore che sfumava fra il nero ed il blu, come quelle del genitore. Ma un altro dettaglio attirò l’attenzione dei presenti: un tatuaggio sul petto del ragazzo. Era complicato, un sigillo fra cui spiccavano dei riccioli, intrecciati a formare un numero che angeli e demoni conoscevano bene: 666.

“Ci siamo modernizzati” spiegò Espero “La chiave dell’Inferno ora è sulla mia pelle, non trovate sia comodo?”.

Gli angeli sobbalzarono ed i demoni lanciarono grida di approvazione per il loro signore, che spalancava le braccia, lieto di udire tali ovazioni. Mihael parve turbato. Lui, assieme a Lucifero, si era staccato volutamente dal destino che lo incatenava a lottare e lo costringeva a partecipare all’Apocalisse. Ma quel ragazzo rimetteva in discussione alcune cose. 666..il marchio della bestia..

L’ombra di colui che un tempo era il re dell’Inferno si muoveva lenta, alle spalle di Espero. Come avvolgendolo, ricordava a tutti che avrebbe difeso la sua prole ad ogni costo, e che nessuno doveva osare azzardarsi a tentare di fargli del male. Il giovane non lo notava, distratto dalle grida dei demoni e dal tifo dei presenti.

“Venisse la fine del mondo..” si chiese l’arcangelo guerriero “..lotteresti a fianco di tuo figlio?”.

“Quando verrà la fine del mondo ci penserò” si limitò a dire Lucifero, proponendo un brindisi al festeggiato “Per ora penso solo al fatto che, qualsiasi scelta compia, io sarò qui a guidarlo e sostenerlo”.

“E se lui non volesse più la tua guida?”.

“Di certo non lo maledirò. O lo scaccerò dalla mia casa..”.

“Non mi piace quando fai questi discorsi”.

“Immagino. Ma sai..di una cosa sono certo: io ora so in che cosa credere. Io credo nella vita. Nel cambiamento. Nella dualità di luce ed ombra. Credo che, qualsiasi cosa riservi il futuro, si cadrà e ci si rialzerà. A volte con facilità, a volte con più fatica. Ma ci si rialzerà..e si volerà ancora. Venga pure la fine. Non sarà mai la fine, ci sarà sempre un nuovo inizio”.

“Molto zen..”.

“Beviamoci su. Meglio!”.

Koknos, Mavros ed Espero iniziarono a suonare e cantare uno dei loro pezzi. Keros osservò suo figlio con orgoglio, trovando incantevole quella voce. il figlio di Arles possedeva una tonalità ben diversa dagli altri due, molto più profonda, e la sfruttava. Alcuni invitati si unirono al trio, suonando a loro volta. C’era chi ballava, chi cantava, chi rideva sotto l’effetto dell’alcol e chi restava serio, immobile. Alcuni angeli non si mossero, nonostante l’insistenza di chi li circondava. Stranamente, fra queste statue piumate non figuravano Gibrihel ed Uriel. Rahael rideva, osservandoli mentre ballavano come degli imbecilli, bevendo al tavolo assieme a Mihael. Anche Atena ed i suoi cavalieri si stavano divertendo a fare gli scemi.

“Se verrà la fine del mondo..” domandò Kanon, avvicinandosi al gemello “..noi dovremmo saperlo, giusto?”.

“E chi lo sa?” ammise Arles “Io ho il mio mondo, le mie influenze. Ma se altri decidono di distruggere, non posso saperlo. Diciamo che preferisco concentrarmi sul qui e ora. E sulle persone di cui mi importa e che credono in me”.

“Non sei molto misericordioso come creatore..”.

“Nessun creatore è misericordioso..”.

“Bene..dunque..che accadrà ora? Tu che cosa hai visto?”.

“Ora? Ora ho intenzione di farmi un paio di drink”.

“Parlo del futuro, idiota!”.

Il Dio delle illusioni sorrise. Keros ascoltava con attenzione, curioso. Le sue ali d’argento brillavano nel buio del locale, seppur lievemente. Alla base del collo, leggermente scoperto, si intravedeva il drago rosso che si era fatto tatuare, come segno d’unione con il figlio di Ares. Arles lo avvicinò e, con un bacio, lo fece brillare con più intensità. Eleonore discuteva con Sarah, la sua gemella, ignorando per una volta i discorsi seri. Nell’aria, musica ispirata al mondo celtico.

“Cosa ho visto?” inclinò la testa il Dio dalle ali rosso sangue “Ho visto tante piccole cose. I cavalieri, come è facilmente intuibile, invecchieranno. Ho visto la morte del mio amico Aiolos. Non sarà in battaglia ed in giovane età bensì una dipartita dolce, serena, da anziano. Io lo andrò a salutare e lui mi dirà di non essere triste, perché ha vissuto ben più a lungo del previsto. Andrò a trovarli tutti, nei campi elisi, un giorno. E saranno felici. Ho visto i miei figli, Iravan ed Iravat, con indosso gli abiti sacerdotali e da primo ministro. E poi..chi lo sa. Saremo noi, in questo grande universo..”.

“E se..gli donassi la vita eterna?”.

“A chi? Ai miei colleghi gold?”.

“Sì. Potresti farlo..”.

“Non so quanti di loro vorrebbero..”.

Arles si voltò verso i cavalieri, che si stavano divertendo. Ci avrebbe fatto un pensierino..

“E tutta la faccenda degli angeli e dei demoni?” interruppe il silenzio Keros.

“Non sono sotto la mia giurisdizione” alzò le spalle Arikien “Però..quando inizieranno le danze mi piacerebbe assistervi. Quel ragazzo, Espero, ha scelto volutamente di staccarsi dalla vista del mio occhio. Gesto coraggioso”.

“Oppure stupido”.

“Chi lo sa? Io lo vedo come un cerchio, qualcosa che viene e va, che inizia e finisce e poi ricomincia. Ma ora è inutile pensarci. Tutto ha un inizio ed una fine, prima o poi. E questa, per ora, non so se sia la fine o un nuovo inizio. Ma facciamo un brindisi, e che la vita ci sorrida, mio mezzo demone!”.

 

FINE

 

 

Sì, è la fine! :) grazie a tutti per aver seguito questa storia fino alla fine, averla commentata e gradita! È stata una gran fatica anche se è nata di getto, in davvero poco tempo (era conclusa già a marzo, ma non potevo postare tutti i capitoli in una volta!). Siete contenti? Niente finale assurdo o deprimente, niente stragi XD Vi dico subito che no, non ci sarà il numero 4! Non saprei per quale altro motivo rievocare i saint e della fine del mondo non mi pare il caso di scrivere XD Forse prenderanno vita delle piccole storie parallele su vari OC (Keros, Espero etc..) ma al momento non ci penso! Si vedrà

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3333154