Just a Toy

di itachiforever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. The eight pages ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Tutto è cominciato un normale venerdì pomeriggio primaverile, uguale a molti altri prima, ad altrettanti che sono venuti dopo quello e chissà quanti ancora ce ne saranno.
Non è cambiato poi molto da prima… da prima di quel venerdì pomeriggio di quella primavera. Ogni giorno era più o meno uguale a tutti gli altri e ora continua ad essere così, anche se in maniera diversa. Ma quel venerdì è stato un giorno diverso da tutti gli altri e, per quello che riesco a ricordare, sono solo due i giorni “speciali” della mia vita.
Il primo è stato quando mia madre è morta. E il giorno stesso scoprii che mio padre aveva una relazione segreta con un’altra donna, lei divorziata e con un figlio di qualche anno più grande di me. Avevo circa sei o sette anni credo, non ricordo bene. Ci trasferimmo in una città vicina e i due si sposarono un paio di anni dopo.
Il secondo è stato quel venerdì pomeriggio in cui decisi che era arrivato il momento di finirla. Di mettere un punto a quel capitolo troppo lungo della mia vita e cominciarne un altro, lontano da quella che non sono mai riuscita a definire famiglia.
Ma andiamo con ordine. Non mi sono ancora presentata.
Mi chiamo Sharleen Crawford, sono alta 1,68 cm, ho i capelli di un biondo piuttosto scuro e gli occhi verdi. L’ultima volta che ho festeggiato, per modo di dire, dato che sono andata a comprarmi da sola una fetta di torta al cioccolato al bar, il mio compleanno è stato al compimento dei sedici anni. Ora sinceramente non so quanti anni ho. Il tempo non ha più molta importanza e come ho già detto tutti i giorni sono uguali. Credo siano passati tre o quattro anni, ma non posso esserne certa. Sono –diventata da quel venerdì- taciturna, magra e con problemi di insonnia frequente.
Quel venerdì era iniziato male, come tutti gli altri giorni.
Mi svegliai allo stesso orario di sempre e scesi in cucina. Feci colazione con papà Henry, Evelin la matrigna, Patrick, il fratellastro più grande, e Kevin, il fratellastro più piccolo nato dopo il secondo matrimonio di papà. Dovetti al solito sorbirmi le lamentele dei due piccioncini su quanto fossi inutile e bla bla bla, non voglio annoiarvi più di tanto, e le prese in giro dei miei adorati bulletti, ops, volevo dire fratellastri… Dopo la colazione salii in camera mia, ovvero la soffitta, quel posto dove solitamente vengono lasciate ad ammuffire le cose che non servono più e i giocattoli di quando si è bambini. L’allegro quartetto sarebbe partito poco dopo per un week end al mare, lasciandomi come al solito a casa. Il mio muso lungo li avrebbe messi di pessimo umore, e comunque non meritavo di andare in vacanza dato che andavo male a scuola e non contribuivo al sostentamento della famiglia, come se non fossi io a pulire sempre tutta la casa da cima a fondo, a lavare piatti e vestiti e tutto. Una moderna Cenerentola in sintesi. Poco male, avrei avuto di nuovo la casa libera per qualche giorno, con accesso illimitato alla scorta di snack dei ragazzi e alla connessione internet, per me un tabù. Compravano talmente tante cose che quando rubacchiavo qualcosa non se ne accorgevano neanche. Peccato che quel giorno non avrei avuto tempo di sgranocchiare biscotti e guardare film al pc. Non appena loro fossero partiti, io avrei fatto i bagagli e me ne sarei andata.
Lo so, è stata una scelta avventata fatta da una sedicenne che preferiva andare in una casa famiglia o in un centro di recupero o che so io piuttosto che passare un altro giorno in quella casa.
Appena loro furono partiti, non senza avermi dato la lista degli ordini da eseguire,  verso le quattro di pomeriggio, presi il mio zaino di scuola e ci infilai dentro tutto quello che avevo deciso di portarmi. Persi dei vestiti comodi, alcuni leggeri e alcuni più pesanti. Mi lavai e cambiai velocemente il pigiama che avevo tenuto tutta la mattina, mettendo anche quello nello zaino, e indossando al suo posto i pantaloni neri di una tuta, scarpe da ginnastica bianche e una maglietta a maniche corte bianca con la scritta “young, wild & free” in viola chiaro. Perfetta per l’occasione no?
Presi dal comodino una foto con me e la mamma, quando era ancora viva. Morì in un incidente, venne investita da una macchina mentre tornava a casa. Avevo preso gli occhi e i capelli da lei, e fortunatamente non avevo preso niente da mio padre. Ogni giorno prendevo quella foto e la guardavo per qualche minuto, cercando di ricordare ogni piccolo momento passato con lei. Ma ero troppo piccola, e i ricordi di quando si è piccoli piano piano svaniscono. Era un angelo, semplicemente perfetta. La mamma che tutti vorrebbero. Venne sepolta nel cimitero della città dove abitavamo, e proprio per questo non potevo andarla a trovare.
Ricacciai indietro qualche lacrima che faceva forza per uscire e scesi in cucina a prendere una bottiglietta d’acqua e una di the al limone, un pacco di gocciole e uno di patatine al formaggio.
Andai poi in camera di Patrick e presi il coltello a serramanico che teneva nel cassetto del suo comodino. Da Kevin presi invece la torcia elettrica e un paio di batterie in più. Faceva tanto lo sbruffone ma aveva una paura matta del buio. Infine presi i pochi soldi che avevo da parte.
Lasciai tutto, non che comunque avessi molto, telefono compreso perché non fossi rintracciabile, e andai via, senza curarmi di chiudere a chiave la porta.
Appena uscita attraversai la strada e arrivai al parco di fronte casa. Feci con calma il tragitto che mi avrebbe condotta al limitare del bosco che stava proprio al confine della città, passando per i vialetti e soffermandomi a guardare i bambini che giocavano sulle giostre e le famiglie allegre, ricordandomi di quando anche io ne avevo una identica, all’apparenza. Se mia madre era vicina, mio padre era un padre esemplare. Se non era in casa, non dovevo azzardarmi a mettere piedi fuori dalla mia stanza e fare un qualsiasi tipo di rumore.
Alla fine del parco una pineta fungeva da zona pic nick, in quel momento vuota dato l’orario. La attraversai finchè non arrivai alla recinzione che impediva l’accesso alla prima parte del bosco. La recinzione era stata messa dopo una serie di sparizioni avvenute nelle città limitrofe al bosco. Tantissimi bambini e ragazzi si erano praticamente volatilizzati nel nulla e non si era più saputo niente di loro. Si poteva accedere solo da un cancello controllato, a qualche centinaio di metri di distanza da dove ero io. Ma non volevo che nessuno sapesse di me, quindi con non poca fatica scavalcai la recinzione, o meglio caddi dal lato opposto una volta arrivata in cima. Atletica non è esattamente un aggettivo che mi si addice, anche se, per mia fortuna – o sfortuna? – sono abbastanza veloce.
Ignara di tutto quello che sarebbe successo dopo continuai a camminare in mezzo a quella parte iniziale di bosco, arrivando come pianificato alla seconda recinzione, oltre la quale c’era la strada che mi avrebbe portato alla città dove vivevo prima. Ancora oltre si trovava il bosco vero e proprio, dove per nessuna ragione, come tutti gli adulti dicevano, si deve andare. Dicevano che tutti quelli che erano spariti erano entrati o si erano avvicinati troppo. Che chissà quale tremenda creatura si aggirava tra quegli alberi. Le solite storielle per spaventare i bambini, no? Forse…
Stavo per scavalcare anche quella rete, quando mi accorsi di una macchina della polizia sul ciglio opposto della strada. Dei cespugli mi impedivano di essere vista, ma se avessi scavalcato mi avrebbero fermata e poi chissà che altro. Avevo sentito di un posto di blocco in quella zona, per fare in modo che tutti rispettassero le regole della strada, ma non me ne ero ricordata. Decisi quindi di aspettare che i due poliziotti si mettessero in macchina ed andassero via. Non sarebbero certo rimasti lì per tutto il giorno, pensavo.
Fui invece costretta ad aspettare almeno le dieci di sera, perché non si mossero da li prima di quell’ora. Scavalcai e attraversai velocemente, rifugiandomi tra i cespugli della foresta. Era meglio camminare parallelamente alla strada nascosta dalla vegetazione fitta, piuttosto che vicino alla strada col rischio di essere investita, come mamma, o scambiata per “una dai facili costumi”. Dato l’orario la strada non era un posto sicuro e la foresta era buia e piuttosto inquietante, meglio camminare tra le due.
Iniziai quello che sarebbe dovuto essere un viaggio a piedi di almeno tre giorni e iniziai a fantasticare su come sarebbe cambiata la mia vita con la mia dolce zietta a prendersi cura di me.
Avevo infatti intenzione di andare da mia zia Rosalyn, la sorella di mia madre, che ero sicura mi avrebbe aiutato.
Ma a casa di mia zia io non ci sarei mai arrivata. Qualcun altro mi avrebbe trovato prima.





Angolo Autrice
Mi è venuta in mente e non ho potuto fare a meno di scrivere, nonostante le altre serie ancora in corso...ma pazienza u.u

Perdonate eventuali errori e segnalatemeli se li trovate. In questo primo capitolo non succede molto, è solo introduttivo. Volevo scrivere tutta la storia della ragazza ma sarebbe venuta fuori una cosa un po' noiosa forse XD quindi mi sono trattenuta e ho scritto il minimo indispensabile, spero siate riusciti a capirci qualcosa...in caso contrario chiedete pure :3

Al prossimo capitolo! (Se ci sarete CvC)

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Capitolo 2
*** 1. The eight pages ***


1. The eight pages



Era passato poco da quando avevo iniziato a camminare, cercando di essere il meno visibile possibile dalla strada, forse una ventina di minuti.
Fantasticavo su come sarebbe cambiata la mia vita quando, all’improvviso, iniziai ad avere dei capogiri e una brutta sensazione di nausea. Dovetti appoggiarmi ad un albero per non cadere, ma non appena toccai la corteccia le forze mi abbandonarono e svenni.
Non so per quanto tempo rimasi svenuta, ma quando mi ripresi non ero più vicino alla strada. Ero ancora all’aperto, vedevo il cielo stellato tra le chiome degli alberi e sentivo la fresca terra serale sotto di me. La luna era coperta e intorno a me era tutto buio. Mi misi a sedere, guardando in giro, per quanto la vista mi permettesse. Un fastidioso mal di testa mi rendeva difficile pensare, ma mi ricordai della torcia nel mio zaino. Me lo levai dalle spalle e a tentoni riuscii a trovare la torcia, tirandola fuori e accendendola. Iniziai a sentire abbastanza freddo, quindi presi anche la giacca verde della tuta e me la misi.
Mi alzai e girandomi scoprii che la strada era bloccata da una recinzione, diversa da quelle che avevo superato prima. Quelle erano ben tenute e integre, questa invece era arrugginita e in alcuni punti c’erano dei buchi, ma era comunque resistente. Inoltre non poteva essere la recinzione che circondava il bosco. Oltre questa la foresta continuava, estendendosi per chissà ancora quanto.
Continuando ad osservare ciò che mi circondava notai che mi trovavo su un sentiero. Era malmesso e completamente ricoperto da foglie, erba e rami, e qualche pianta aveva iniziato a crescervi per il non utilizzo, ma era l’unico posto dove non c’erano alberi.
Feci un passo avanti e sentii un rumore cartaceo provenire da sotto il mio piede. Guardai e raccolsi un foglio di quaderno a righe, ingiallito e con i bordi rovinati, sul quale c’era scritto, probabilmente in maniera frettolosa, “Found the eight pages” con una calligrafia quasi infantile ed ogni lettera era stata rifatta più volte sullo stesso punto, come a volerne enfatizzare il concetto.
“Cos’è, uno scherzo?” Pensai. Forse, quando anni prima il parco era ancora accessibile, vi organizzavano i campi estivi, e quello era forse un indizio per una caccia al tesoro.
Dopotutto per Lui è un gioco, e vuole farmi giocare con lui ad un misto tra la caccia al tesoro, nascondino e acchiapparello. Purtroppo per me non sapevo ancora che la partita era iniziata.
Cercai di capire come ero finita lì. O avevo imparato il teletrasporto o, cosa assai più probabile, mi ci aveva portato qualcuno. Però non c’erano né segni di trascinamento né un qualsiasi tipo di impronte, a parte quelle che avevo lasciato io da quando avevo ripreso i sensi.
L’unica cosa che potevo fare era camminare, quindi mi sistemai lo zaino in spalla, puntai la torcia davanti a me e iniziai a seguire il sentiero, mettendo nella tasca della giacca il foglietto che avevo trovato.
Poco più avanti il sentiero si divideva e mi trovai costretta a scegliere se andare a destra o a sinistra. Feci come ogni volta che mi trovavo davanti a una scelta della quale il risultato era per me indifferente: una veloce conta e andai a destra.
Dopo un paio di minuti mi ritrovai davanti ad una seconda biforcazione, con un silos rosso al centro.
“Cosa ci fa un silos nel bel mezzo di una foresta?” Pensai tra me e me. Non ci feci molto caso e decisi di andare verso sinistra questa volta, quando con la torcia illuminai la parete del silos e vidi un foglio di carta che vi era attaccato. “Sarà una delle pagine di cui parlava il foglio di prima. Strano che sia ancora attaccata dopo così tanto tempo.” Mi avvicinai e la raccolsi. C’era scritto “Can’t run”, con la stessa calligrafia dell’altro foglio e degli scarabocchi sotto. “Forse è la regola del gioco, non si può correre.” Misi anche questa pagina in tasca insieme all’altra e ripresi a camminare.
In realtà il significato di quella pagina è un altro: puoi correre, ma è inutile.
La foresta era a dir poco inquietante. La luna non ne voleva sapere di uscire da dietro le nuvole. Il giorno dopo sembrava ci fosse il diluvio universale. Gli unici rumori che si sentivano erano i miei passi, i grilli e ogni tanto qualche gufo. Oh e ovviamente il battito del mio cuore che alle mie orecchie sembrava una grancassa. Forse non era stata una bella idea guardare l’intera saga di Venerdì 13 la settimana prima, approfittando di tutti i momenti in cui ero sola in casa. Ero terrorizzata all’idea che un qualche assassino con un machete potesse saltare fuori all’improvviso, mentre invece l’unica che saltava per la paura ero io appena sentivo un fruscio, spesso procurato da me stessa. Ora credo che sarebbe stato meglio se avessi incontrato Jason invece che Lui.
Arrivai dopo una bella camminata ad uno spiazzo molto ampio nel quale sorgeva una costruzione in mattoni con un tetto verde. Andai a vedere di cosa si trattasse, arrivando alla conclusione che doveva trattarsi di un bagno, date le piastrelle bianche che coprivano il pavimento e la metà inferiore dei muri. Vi entrai per dare una controllata e scoprii che era quasi un mini labirinto. Il mio senso dell’orientamento non è un gran che, ma fortunatamente c’erano varie uscite. Entrai in una delle stanze della costruzione e attaccata ad una parete c’era un secondo foglio, che raccolsi come gli altri. Su questo c’era scritto “Help Me” sottolineato. “Un po’ strano come indizio…”
Non era un indizio. Era quello che avrei urlato tra qualche ora.
Uscendo puntai la torcia e illuminai quelli che sembravano dei serbatoi gialli e rossi per liquidi di qualche sorta. Girai intorno a questi, non sapendo neanche perché, come se fossi inconsciamente spinta a farlo, finchè non trovai la terza pagina. Su questa la scritta diceva “Don’t Look… or it takes you” di nuovo sottolineato e con il disegno di un omino stilizzato sull’angolo in basso a destra del foglio. “Ok, se quello di prima era strano, questo è decisamente inquietante” continuavo a pensare tra me e me.
La strana sensazione di essere osservata mi pervase e non potei fare a meno di voltarmi e illuminare la zona dietro di me con la torcia.
Fu quella la prima volta in cui lo vidi. Se ne stava lì, tra gli alberi all’inizio del sentiero che avevo deciso prima di prendere, e mi osservava. Il mal di testa che avevo da quando mi ero risvegliata era diminuito, ma non era sparito del tutto. Non appena vidi quella strana creatura ebbi una fitta terribile, come se avessi avuto un trapano nel cranio. Ripresero anche nausea e capogiri, più forti della prima volta. Lui non si era mosso. Non aveva fatto niente, ma la situazione in cui mi trovavo mi fece andare in panico e quindi iniziai a correre da un’altra parte rispetto a quella che mi ero prefissata, non notando neanche di essermi inoltrata nella foresta senza l’ombra di un sentiero ai miei piedi.
Non so per quanto tempo corsi, ma fui costretta a fermarmi quando mi sentii i polmoni scoppiare e le gambe a pezzi. Per tutto il tempo non avevo fatto altro che correre, incurante di dove mi stessi dirigendo. Mi costrinsi a non guardare indietro per paura di rivederlo.
Mi sedetti ai piedi di un albero, appoggiando la schiena alla corteccia e respirando affannosamente, cercando di riprendere fiato. Dopo un po’ di corsa i dolori si erano calmati, ma la paura era aumentata ogni istante di più.
Cercai di calmarmi, prendendo qualche sorso d’acqua dalla bottiglia che tenevo nello zaino. Riflettei su cosa avevo visto.
Un uomo non poteva essere di sicuro, a meno che non indossasse un costume, ma cosa ci faceva lì? Era alto, troppo alto, e magro. Anche da lontano lo si capiva. Superava la metà dell’albero cui stava accanto che come minimo era di quattro metri, se non di più. Le sue braccia erano lunghissime, arrivavano quasi fino al terreno e le mani erano decisamente molto più grandi di quelle di una persona. Non ero riuscito a vederlo in faccia, forse a causa della torcia. Se non fosse stato impossibile avrei creduto che quell’essere non avesse effettivamente un volto. O forse indossava una maschera. Era vestito completamente di nero, fatta eccezione per una cravatta rossa intorno al collo. Non sapevo proprio a cosa pensare, se non che volevo andarmene da quel bosco il più in fretta possibile.
Non appena mi fui riposata a sufficienza decisi di alzarmi e continuare a muovermi, strisciando verso l’alto con la schiena attaccata al tronco dell’ albero. Sentii di nuovo il rumore della carta che viene stropicciata. Mi alzai del tutto e mi girai per raccogliere la quarta pagina. “Leave me alone” e uno scarabocchio, forse un albero, a lato del foglio.
Proprio quello che avrei pensato subito dopo. Volevo essere lasciata da sola. Meglio soli che mal accompagnati, no? Meglio soli che con Lui.
Mi resi conto, dopo aver messo via la nota, che non ero stata appoggiata ad un albero, ma ad un tronco tagliato. E oltre quello ce n’erano altri cinque. Sei tronchi tagliati ad altezza uomo perfettamente allineati in due file da tre. Non stetti molto a pensare a cosa potesse significare e ripresi a camminare.
Poco dopo aver superato il punto della sosta ritrovai un sentiero e lo percorsi verso destra, arrivando nuovamente a una biforcazione. Dovevo girare a sinistra o proseguire e andare dritto?
Scelsi di girare ed arrivai ad un’altra strana costruzione. Stavolta si trattava di un muro di mattoni. O meglio di due muri che si incrociavano a formare una x. Ci girai attorno, convinta che probabilmente vi avrei trovato la quinta pagina. Invece non trovai niente, tranne lo strano essere di prima, più vicino stavolta. Non appena lo illuminai con la torcia i dolori ripresero, più forti di prima e mi costrinsi a girarmi e correre via, nonostante il mio corpo implorasse di accasciarmi lì in terra e sperare in bene. Ritrovai il sentiero, ma invece di andare a sinistra e proseguire verso la direzione che avevo preso qualche minuto addietro, andai a destra, ritornando al punto dei tronchi e superandolo.
Giunsi a quello che aveva tanto l’aria di essere un tunnel. Non sono ancora riuscita a capire cosa ci faccia un tunnel di cemento nel bel mezzo di una foresta. Comunque vi entrai e sul muro, vicino all’ingresso raccolsi un altro foglio. Lo illuminai, tenendolo in mano. Questa volta non si trattava di una scritta, ma di un disegno. Era una figura stilizzata in mezzo a degli alberi, solo che era più grande di questi. Non ebbi dubbi e capii che si trattava della creatura che avevo visto prima. “ Chi può aver lasciato questi fogli in giro? E perché soprattutto…”
Stavo per continuare a camminare quando di nuovo delle fitte mi attraversarono il corpo. Sentivo come un peso sul petto che mi impediva di respirare bene. Mi girai solo per un istante e rividi la creatura della quinta pagina. Ripresi a correre attraversando il tunnel e sbucando fuori, su un altro sentiero che si divideva. Senza neanche pensare un secondo andai a sinistra. Girando un po’ la testa riuscii a scorgere dietro gli alberi lo spiazzo con lo strano bagno e i serbatoi.
Mi fermai di nuovo ma i dolori ripresero e mi girai di nuovo. Era ancora dietro di me, sempre più vicino.
“LASCIAMI STARE!” gli gridai con tutto il fiato che mi era rimasto. Continuai ad andare avanti, perdendo di nuovo di vista il sentiero. La vista iniziò ad annebbiarsi, i capogiri facevano vorticare tutto ciò che avevo intorno. Il mal di testa era tale che gli occhi iniziarono a lacrimarmi per il dolore e la paura.
Non ce la facevo più e fui costretta a rallentare. Gli alberi si diradarono, lasciando il posto ad un piccolo spiazzo con un gigantesco albero morto al centro. Vidi la sesta pagina e la presi, cadendo poi in ginocchio per aver inciampato su una radice che sporgeva dal terreno.
“Follows” con il disegno della creatura e un albero alto quanto questa.
Segue. È quello che fa sempre. Ti segue finchè non crolli. E se non crolli e lui si stufa…mi dispiace per te.
La luce della torcia stava diventando più debole, segno che le batterie stavano per scaricarsi.
“Maledizione!” imprecai. Tutto sembrava essersi calmato, a parte il mio cuore che batteva ancora come se volesse fuggire dal petto. Anche i dolori erano spariti. Capii che erano causati dalla vista di quell’essere, per la paura che mi provocava, pensavo. Ora so che è proprio lui che li causa, chissà come.
Iniziai a riflettere, in quel momento di calma.
“Forse è solo un brutto sogno… forse è un’allucinazione… forse è qualcuno mascherato… a questo punto sono anche disposta a credere che sia una strana creatura sovrannaturale. Magari tutte le sparizioni sono colpa sua. O magari mi sono  solo comportata come una codarda. Per quanto possa avermi spaventata e per quanto possa essere inquietante, mi ha solo seguito. Non mi ha fatto niente di male, avrebbe potuto se avesse voluto. I dolori di prima devono essere stati una reazione alla paura…”
Quanto mi sbagliavo…
Avevo appena finito di pensarlo, avevo ancora il fiatone per la corsa, quando lo rividi.
Era a pochi metri da me e ora potevo vederlo bene. Non arrivò nessun dolore però, nessun malessere. Arrivò però una sensazione di terrore che cresceva sempre di più.
Era vestito con uno smoking nero, scarpe nere e lucide, una camicia bianca sotto la giacca e una cravatta rossa. Tralasciando il suo aspetto, era - ed è sempre così – a dir poco impeccabile.
Riuscii a vedere bene il suo volto. O per meglio dire non lo vidi affatto il suo volto. Semplicemente perché lui un volto non ce l’ha. Solo pelle di un bianco irreale. Eppure se lo si guarda con attenzione, cosa non facile dato quello che fa a chi ci prova, si riesce a capire, a immaginare, quella che deve essere la sua espressione.
Come stavo dicendo, avevo appena finito di pensare a quanto forse mi ero comportata da stupida e che magari non voleva farmi niente, quando lo vidi e sentii la sua voce.
Era uno dei suoni più brutti che avessi mai sentito. Stava ridendo, anzi sghignazzando.
“Sono contento che tu la pensi così” la sua voce è chiaramente maschile, profonda e roca. Sentivo che proveniva da lui e al tempo stesso la sentivo nella mia testa. “Ma non è ancora arrivato il momento di riposare, a meno che tu non voglia arrenderti”
Inutile dire che ero senza parole, oltre che paralizzata dalla paura. Rimasi lì a fissarlo, incapace di muovermi. Non avevo ancora recuperato le energie, erano passati solo un paio di minuti da quando mi ero fermata.
“Allora, cosa intendi fare? Vuoi mollare proprio ora che sei così vicina alla fine?”
Inutile, non riuscivo a formulare un solo pensiero.
“Forse hai solo bisogno di un piccolo incentivo. Lascia che ti dica una cosa, Sharleen. Se ti fermi adesso mi costringi ad ucciderti. Quindi cosa vuoi fare? Ti arrendi?”
“Mi ha appena chiamato per nome? Come fa a sapere il mio nome?!” ancora non parlai. La paura mi bloccava.
“Lo prendo per un sì. Peccato…” dal tono con cui lo disse sembrava sinceramente dispiaciuto.
Due lunghi viticci neri gli uscirono dalla schiena, ondeggiando verso di me e raggiungendomi in un istante.
Riuscii finalmente a trovare la forza di parlare, dopotutto era questione di vita o di morte.
“NO!” indietreggiai, restando a terra, allontanandomi da quelle strane appendici.
“Allora continua a correre, te ne mancano due” riprese a ridere, una risata cattiva che mi raggelò il sangue nelle vene e mi fece tremare come una foglia.
Mi alzai e feci qualche passo indietro, senza staccargli gli occhi di dosso.
“VAI!” Il suo ruggito fu così forte da farmi credere che la terra stesse tremando. Un’altra fitta mi attraversò la testa e mi convinse a girarmi, dandomi anche un po’ di energie per ricominciare a correre.
Non sapevo dove stavo andando, ma ero su un sentiero quindi da qualche parte sarei arrivata.
Infatti trovai un pick up rosso, fermo e abbandonato lì chissà da quanto tempo, con la vernice scrostata e i vetri crepati. Subito dietro c’era un piccolo prefabbricato di legno, sul quale trovai attaccata la settima nota.
Su questa c’era scritto “Always Watches”, un cerchio che doveva rappresentare un volto con due x al posto degli occhi e sotto “No Eyes”.
Mi girai ed ebbi un'altra fitta alla testa vedendolo. Continuavo a sentire la sua terribile risata, sempre più forte, sempre più vicina.
Continuai a correre per un po’, le forze mi stavano abbandonando completamente. I polmoni, il naso, i muscoli delle gambe bruciavano in maniera incredibile. Lui continuava a comparire e sparire accanto a me, avvicinandosi ogni volta un po’ di più.
Mi fermai alla vista di un camion cisterna azzurro fermo in mezzo al sentiero.
“C’è l’ho fatta! Sicuramente qui troverò l’ultima pagina!”
Girai attorno al camion più volte, guardai sotto di esso e all’interno dell’abitacolo, ma del foglio finale nessuna traccia.
“No…no…non può essere…NO!” Tirai un pugno sullo sportello della vettura e per poco non mi ruppi una mano. Imprecai per il dolore e la frustrazione. Stavo per ricominciare a camminare per trovare quella maledetta pagina. Avrei continuato a cercarla fino a che non sarei più riuscita a muovere un muscolo per trovarla. Ma lui mi apparve davanti, bloccandomi la strada, con sei di quei viticci neri che gli uscivano dalla schiena e ondeggiavano verso il cielo.
“Tempo scaduto” mi disse.
“NO! No ti prego! Posso ancora farcela!” cercai di convincerlo, ma fu inutile.
“Impossibile, Sharleen, l’ultima pagina si trova dalla parte opposta a dove siamo adesso ed è quasi l’alba. Hai finito il tempo.” Detto questo avvicinò a me i viticci. Provai ad evitarli, a scappare via, ma mi aveva messo con le spalle contro la fiancata del camion.
“No…no…no…” continuavo a ripetere quelle due lettere compulsivamente, sperando che in qualche modo mi avrebbero salvato.
“Curioso che tu lo dica. È proprio ciò che c’è scritto sull’ultima pagina.” Uno di quegli strani tentacoli mi si avvolse intorno al collo, sollevandomi da terra e facendomi arrivare alla sua altezza. Mi teneva stretta, ma non tanto da soffocarmi.
“T-ti prego” riuscii a stento a parlare “non…u-ccider-mi” a quel punto potevo solo implorarlo.
“Non preoccuparti, non voglio ucciderti. Non ancora almeno” un’altra risatina “Mi piaci, voglio giocare ancora con te”
“C-che vuoi da me?” sono assolutamente certa di aver visto la pelle del suo viso strapparsi all’altezza della bocca e creare quello che poteva essere solo un ghigno di enormi denti affilati.
“Divertirmi”
Sentii uno spostamento d’aria, un forte dolore alla testa e poi divenne tutto buio.

 
 
Angolo autrice

Ciao a tutti! :D
Sono tornata col secondo capitolo di questa storia su Slender.
Dunque, se non avete capito cosa è successo alla fine, la testa della povera ragazza è stata sbattuta contro il camion per farle perdere i sensi.
Perché non farla svenire con i poteri di Slendy? Semplicemente perché in questa storia è un pochetto sadico e anche se preferisce la tortura psicologica, non disdegna quella fisica.
L’ultima pagina si trovava ovviamente nell’unico posto dove non è stata, ovvero le tre rocce.
Vi spiego adesso perché ho messo “cross-over” nelle note di questa storia.
Ho intenzione di usare tutte le mappe dei giochi di Slender che conosco, eccetto quella di Slender Space e dell’edizione natalizia di Carnival. Dato che la maggior parte dei giochi non sono ufficiali e la storia è un cross-over tra le sezioni “ Creepypasta” e “Slender game” ho deciso di metterlo anche nelle note.
Ora però entrate in azione voi, infatti vi chiedo di scegliere quale volete che sia la mappa del prossimo capitolo.
(The Arrival, Sanatorium, Hospice, Claustrophobia, Elementary, Mansion, Carnival, Haunt, Woods, Anxiety)
Ho deciso di sostituire 7th Street con qualcos’altro, ma non vi dico ancora con cosa XD
Fatemi sapere cosa preferite e se questa storia vi sta piacendo, ora vi devo lasciare.
Alla prossima :3

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