Ritornerò

di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***



Capitolo 1
*** UNO ***


La strada di notte era solo una lingua d’asfalto illuminata dai fari della sua auto che correva veloce. Doveva andare veloce Temperance. Arrivare in quel paese sperduto, senza fermarsi. Nessuna sosta.
Veloce, ma con prudenza. Non doveva dare troppo nell'occhio e rischiare di essere fermata dalla polizia.
Veloce, ma attenta.

Era stanca ora Temperance. Guidava da ore ed il pianto di Christine nel sedile posteriore non la aiutava a rimanere concentrata sulla strada che ora era diventata più stretta mentre saliva verso le montagne, piena di curve e lei non la conosceva così bene da sentirsi sicura e per lei era sempre fondamentale avere tutto sotto il suo pieno controllo: non era così e le creava disagio che si accentuava ogni momento che realizzava che da ora in poi non avrebbe più avuto nè controllo nè certezze su gran parte delle cose della sua vita. Non poteva nemmeno accendere il navigatore che le avrebbe dato un minimo di conforto nella guida, facendole vedere la strada e dicendole quanto mancava a giungere a destinazione. Sarebbe stata facilmente rintracciabile, quindi niente. Doveva affidarsi solo a se stessa. E Christine continuava a piangere. Avrebbe voluto trovare uno slargo, una stradina laterale ai margini del bosco, qualsiasi cosa per fermarsi e prendere in braccio sua figlia per qualche minuto. Farla mangiare, cullarla, guardarla dormire. Ne aveva bisogno, non solo Christine ma anche lei: aveva bisogno di sentirsi mamma, di essere in contatto fisico con quello che in quel momento rimaneva della sua famiglia.

Non poteva. Non c'era nessun posto dove fosse saggio fermarsi in quella strada buia e stretta e doveva arrivare a quell'indirizzo che le aveva detto suo padre e farlo il prima possibile. Sperò che la stanchezza vincesse il pianto di sua figlia che la stava lacerando dall'interno, come se quello che aveva appena fatto non fosse sufficientemente straziante. Aveva portato via sua figlia dal padre, si era allontanata dall'uomo che amava e la cosa peggiore era non sapere per quanto tempo avrebbero dovuto vivere così.

Ripensava a Booth, a quando si era reso conto di cosa stesse accadendo, si era imposta di non guardare dallo specchietto retrovisore per non vederlo ancora, ed invece il richiamo di imprimere la sua figura ancora una volta nella sua mente fu più forte di tutto il resto e lo vide, solo in mezzo alla strada ad urlare il suo nome disperato mentre lei andava via. E non riusciva ad immaginare cosa avrebbe provato nel vedere il seggiolino di Christine vuoto fuori la chiesa. Certo, suo padre gli avrebbe spiegato e lui avrebbe anche capito, perché Booth era così, lui provava a capire sempre tutti e a cercare il bene ed il buono nelle persone, soprattutto in lei, da sempre. Temperance lo aveva fatto per la loro bambina, per darle una possibilità di avere ancora una famiglia, in un futuro, perché ne era consapevole: le prove erano tutte contro di lei. Se analizzava la situazione dall'esterno con quello che le prove dicevano, lei si sarebbe condannata da sola. Pelant era stato geniale, aveva creato un delitto perfetto facendo ricadere tutte le colpe su di lei e dimostrare che non era così non sarebbe stato facile, ma doveva farlo e lo poteva fare solo se era libera, continuando ad indagare a modo suo. Doveva fare tutto questo e sperare che i suoi amici e colleghi al Jeffersonian non si arrendessero e continuassero a cercare la verità nascosta dietro le macchinazioni di Pelant. Poteva contare ciecamente solo su una persona: Angela. Sapeva che lei come Booth non si sarebbe mai arresa, nemmeno all'evidenza.

Pensare alla sua migliore amica e a Booth da una parte la faceva stare meglio, perché sapeva che loro sarebbero stati sempre dalla sua parte. Dall'altra, però, la faceva stare ancora peggio perché già le mancavano. Booth, le mancava Booth. Gli mancava tutto di lui e si sforzava di non pensarci mentre guidava perché i suoi occhi si riempivano di lacrime e sommati alla stanchezza non erano il modo migliore per guidare di notte.

Trovò infine quel posto. Una casa anonima, quasi ai margini di una comunità a lei fino a poco prima sconosciuta. Spense il motore davanti all'ingresso del vialetto. Non c'era anima viva in giro a quell'ora. Prese dal portabagagli solo una piccola borsa dove aveva messo il necessario per quella sera e per Christine, liberò sua figlia dal seggiolino e corse verso l'entrata. Le chiavi erano lì dove suo padre le aveva detto. Entrò, accesse la luce, si chiuse dietro la porta che sembrava troppo leggera per i suoi gusti, e ci si appoggiò con la schiena. Le parve di respirare per la prima volta dopo ore. Lasciò cadere la borsa a terra e pensò solo a stringere sua figlia più che poteva a se. Poteva finalmente consolarla e farsi consolare da lei. Dopo un attimo di calore umano dato dalla vicinanza con Christine, Temperance però si rese immediatamente conto che quella casa era fredda, non solo metaforicamente, anche in senso pratico. Vide il grande caminetto già preparato con la legna accatastata, adagiò la figlia sul divano solo qualche istante, il tempo necessario per accendere il fuoco. La riprese tra le sue braccia, si sedette sulla poltrona più vicina al camino e provò a rilassarsi mentre allattava sua figlia, ma l’unica cosa che riuscì a provare fu una profonda tristezza. Si sentiva sola ed era un sentimento nuovo per lei, che nella sua solitudine era sempre stata benissimo fino a quando Booth non era entrato nella sua vita, abbattendo tutte le sue difese. Si chiedeva, adesso, come potesse riuscire a passare quel tempo, che non poteva nemmeno quantificare, senza di lui. Ma soprattutto la colse un senso di paura che esplose nel suo stomaco fino quasi a provocarle un senso di nausea: e se Booth non l’avesse capita? Se non avesse capito perché stava facendo tutto questo? Se quando tutto si fosse risolto lui non voleva perdonarla? Come poteva adesso immaginare la sua vita senza di lui, senza la sua presenza costante, il suo sostegno incondizionato, il suo amore sincero, la sua folle irrazionalità, la sua bontà: senza di lui, semplicemente. No, non poteva pensare a questo, perché sapeva che il pensiero di tornare a casa, di tornare ad essere una famiglia, era l’unica cosa che la spingeva ad andare avanti a non arrendersi alle manipolazioni di Pelant. Booth non l’avrebbe abbandonata, mai. Glielo aveva detto tante volte, doveva credergli. Doveva avere fiducia, adesso più che mai nel loro amore.

Christine aveva finito la sua poppata, si alzò facendo ricorso a tutte le sue forze residue per cambiarla e metterle qualcosa per dormire. Si forzò ulteriormente e si mise anche lei qualcosa di più comodo. Aveva messo alla fine dentro quella borsa, senza farsi vedere, una delle felpe di Booth, aveva ancora il suo profumo e la faceva sentire a casa. L’unica stanza con un letto per dormire in quella casa era ancora più freddo del resto, lontano dall’unica fonte di calore che aveva trovato e non aveva voglia di cercare altro. Prese le coperte ripiegate in fondo al letto e tornò davanti al camino con sua figlia. Si accoccolò nel grande divano un po’ sformato dal tempo, sicuramente aveva avuto giorni migliori, ma almeno era comodo. Strinse sua figlia e decise che quella notte avrebbero dormito così, abbracciate, non solo per la temperatura della casa, lo avrebbe fatto ugualmente anche fosse stata una fornace, ma perché ne aveva bisogno. Il profumo di lavanda delle coperte pulite si mescolava con quello del profumo di Booth della felpa e quello di Christine, creando nella sua mente un susseguirsi di emozioni che si scontravano tra di loro. Ripensava a quel bacio con Booth prima di scappare via, avrebbe voluto baciarlo di più, più a lungo, avrebbe voluto che scappasse con lei, ma non poteva rovinargli la carriera, non se lo sarebbe mai perdonato. Avrebbe voluto dirgli tante cose, pensò a tutte le volte che poteva dirgli “ti amo” e non lo aveva fatto, tutte le volte che avevano discusso per cose banali, tutte le volte che lei aveva spezzato la sua euforia con la sua razionalità e rimpiangeva ogni singolo momento in cui non lo aveva abbracciato e non gli aveva dimostrato quanto era importante per lui. Era riuscita solo a dirgli che loro non stavano insieme solo per Christine, ma perché lo amava. Aveva sempre paura che questo non glielo aveva fatto capire, che lui potesse avere dei dubbi, ma non era così, glielo aveva voluto dire per affermarlo ancora, prima di sparire con la loro bambina, perché lei Booth lo amava veramente, anche se non era sempre sicura che riusciva a dimostrarglielo come lui si sarebbe meritato, come lui faceva con lei. Era stata felice di partecipare a quella cerimonia alla quale non credeva minimamente, che riteneva solamente un rito legata alla sua mitologia come si divertiva a chiamare la sua fede per farlo arrabbiare. Era stata felice perché avevano condiviso un momento per Booth così importante loro tre insieme, come una famiglia e chissà quando sarebbe accaduto di nuovo. 

Ora piangeva avvolta dalle coperte guardando la fiamma viva del camino fino a quando i suoi occhi furono troppo stanchi per rimanere ancora aperti. Piangeva in silenzio per non svegliare Christine che ignara di tutto era serena tra le sue braccia e si sentì anche tremendamente egoista mentre piangeva, pensando a Booth solo a casa senza nemmeno il conforto di poter abbracciare sua figlia.

Prima di lasciarsi vincere dal sonno, ebbe solo tempo per sperare che suo padre l’avrebbe raggiunta presto.

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Capitolo 2
*** DUE ***


Booth correva, impotente, appena si accorse di quell’auto che sfrecciava via con Bones dentro che furtiva faceva manovra. Non gli volle molto a capire, raccogliere i pensieri e correre lì dove aveva lasciato la sua donna con sua figlia. Le vide allontanarsi senza porter fare nulla. Si fermò solo, in mezzo alla strada qualche istante a guardarle allontanarsi. Fu la voce di Max a farlo smuovere a spingerlo ad avventarsi contro di lui. Era colpa sua, era lui che l’aveva convinta ad andare via, era colpa sua se erano separati. In quel momento non gli importava se era giusto o sbagliato, in quel momento aveva realizzato che Bones e Christine se ne erano appena andate e Max aveva organizzato tutto.

Non gli avrebbe detto niente, lui doveva continuare a lavorare da dentro, non poteva renderlo complice. Lui era bravo a fuggire, lo aveva fatto per anni. Era bravo a dividere le famiglie, a far crescere i figli senza un padre, senza i genitori. Non poteva permettere che fosse così anche per sua figlia, Christine sarebbe cresciuta con sua madre e suo padre. Seduto sulle scale della chiesa dove aveva appena battezzato sua figlia tutti questi pensieri affollavano la sua mente. Avrebbe voluto picchiare quell’uomo ma lasciò perdere e lui sparì, lasciandolo solo. Totalmente solo. 

Il seggiolino vuoto di Christine su quelle scale, vicino a lui, era il simbolo del suo dolore, della sua famiglia separata. Guardò in alto verso il cielo, verso quell’edificio che era la casa di quel Dio in cui tanta fede riponeva ma che lo stava mettendo davanti ad una prova che in quel momento non sapeva come riuscire a superare. In cosa doveva aver fede? Si sentì solo, abbandonato da tutte le persone che amava ed anche dal suo Dio. Si pentì per quel pensiero, doveva trovare la forza di aggrapparsi a qualcosa e, forse, la fede poteva essere un appiglio, anche se gli sembrò solo un sasso liscio e scivoloso sul quale le sue dita non riuscivano a fare presa. Decise di entrare di nuovo in Chiesa, si segnò la fronte con l’acqua benedetta e andò a sedersi in una delle prime panche, vicino al Crocefisso. Fino a pochi minuti prima erano lì, tutti e tre. Chiuse gli occhi e gli sembrava di sentire ancora le risate di sua figlia ed il profumo di Bones che si mischiava con quello dell’incenso. Pregò a lungo cercando di non farsi sopraffare dalle lacrime. Pregò di avere la forza di sopportare questa situazione ma soprattutto pregò che le due donne della sua vita stessero bene, che fossero al sicuro, ovunque si trovassero, quella era la cosa più importante. Lui se la sarebbe cavata, in qualche modo, lui si sapeva proteggere, ma loro avevano bisogno di protezione, di una protezione dall’alto visto che lui non poteva essere lì con loro a tenerle al sicuro.

L’unica sicurezza che aveva era la fiducia totale che riponeva nella donna che amava. Sapeva che lei non avrebbe mai messo in pericolo la loro bambina per niente al mondo, che era sempre lucida e razionale, che analizzava a fondo ogni situazione. Christine sarebbe stata al sicuro con sua madre, Bones non avrebbe fatto nulla di avventato con sua figlia, nessun colpo di testa dei suoi, non con la loro bambina che dipendeva totalmente da lei. Di questo ne era certo.

Si alzò e gli sembrò quasi di non riuscire a rimanere in equilibrio. Si sentiva spossato. Fece un respiro profondo e si chinò a raccogliere il seggiolino di Christine, poteva sentire ancora il suo profumo nell’imbottitura. Avrebbe dovuto sistemare la sua auto, ma non ne aveva voglia. Avrebbe chiamato il giorno successivo un meccanico per farla riparare, ora voleva solo non pensare, se fosse possibile in qualche modo. Fermò un taxi e si fece portare a casa, tenendo in mano quel seggiolino vuoto. Notava lo sguardo del conducente indugiare su di lui un po’ più del normale dallo specchietto retrovisore. Il suo animo di agente gli avrebbe voluto intimare di farsi i fatti propri e non indagare su di lui, glielo avrebbe detto anche a brutto muso in un altro momento, ma non in quel giorno, non ne aveva voglia. Sperò ardentemente che il tizio non facesse nessuna domanda e non avesse voglia di fare conversazione e per sua fortuna così fu. Aveva capito il tassista che nel suo sguardo c’era un disagio troppo profondo e non aveva detto nulla, in cuor suo pensava ad una qualche tragedia e provò pena per Booth. Si fermò ad osservarlo anche mentre percorreva ciondolando il vialetto che lo portava a casa, portandosi dietro quell’oggetto così carico di significati. Scosse la testa prima di mettere via i soldi e ripartire, Booth sarebbe stato solo una delle tante anime che trasportava con la sua storia che non avrebbe conosciuto mai, ma che poteva immaginare nella sua mente.

Quando andò ad aprire la porta di casa si accorse che le sue mani tremavano. Non era freddo era solo nervoso. Entrò, appoggiò il seggiolino in un angolo, si chiuse la porta alle spalle ed in quel momento avvertì tutta la potenza della solitudine opprimerlo. Se prima di entrare a casa il senso di abbandono faceva male, lì nella loro casa il dolore era feroce e da dolore dell’anima si trasformava in qualcosa di quasi fisico. Buttò la giacca sul divano e si appoggiò con entrambe le mani alla spalliera piegato in avanti come se stesse cercando di respirare meglio. Si trovò a stringere la stoffa più di quanto credeva possibile, tanto che sentiva le sue dita indolenzite. Tutto lì gli parlava di loro. Sentiva il profumo di Bones nell’aria, vedeva i suoi oggetti e pensava a lei, alle discussioni che avevano avuto per portare lì un pezzo piuttosto che un altro delle sue collezioni etniche. I giochi di Christine sul divano, la scatola di latte in polvere sul mobile della cucina, il baby monitor con la quale controllavano era ancora sul tavolo davanti a lui e gli parve quasi di poter sentire il suo pianto metallico che quell’aggeggio riportava sempre nelle situazioni meno opportune. Sua figlia aveva sempre avuto un sesto senso per svegliarsi quando non doveva. Quel pensiero gli strappò un sorriso pensando alle volte che lui e Bones erano stati interrotti da Christine che reclamava le loro attenzioni e invidiava la capacità della sua donna di ricomporsi e di passare dal ruolo di amante a quello di madre premurosa in un attimo, sottraendosi dalle sue braccia, per accogliere nelle proprie la figlia e a lui non veniva in mente visione più bella di quella, solo l’immagine di quando aveva adagiato Christine per la prima volta tra le braccia di Bones appena nata, perchè non aveva mai visto gli occhi di Temperance brillare in quel modo e ridere e piangere contemporaneamente mentre vedeva il miracolo della vita tra le sue braccia. Respirò profondamente e si tirò su. Sbottonò i bottoni rimanenti della camicia, come se fosse quella leggera stoffa ad opprimere il suo petto, ma non ne trovò sollievo. Prese un bicchiere e lo riempì quasi completamente di scotch. Lo bevve tutto d’un fiato. Sentì il liquido bruciare mentre scendeva nel suo esofago. Voleva stordirsi ma non ottenne nessun risultato, se non un forte bruciore allo stomaco.

Si buttò sul divano e chiuse gli occhi. Le immagini di Bones e Christine occupavano tutta la sua mente, da quando erano entrati a casa per la prima volta con tutti i loro amici pronti a festeggiarli. In quel momento gli sembrava che nulla avrebbe mai distrutto la sua felicità, che nulla avrebbe mai toccato la sua famiglia. Non poteva immaginare in quei giorni dove tutto era perfetto quanto si sarebbe sbagliato. Ora non aveva più niente. Era solo. Come da tanto tempo non gli capitava. Ma non era più nel suo appartamento da single, era nella casa dove avrebbe voluto crescere sua figlia con la donna che amava e tutto parlava di loro.

Aveva desiderato una famiglia per tutta la vita, una donna che lo amasse come lui la amava, crescere i loro figli e l’aveva trovata in Bones, certo non nel modo convenzionale che si sarebbe aspettato, ma aveva con lei tutto quello che aveva sempre voluto, con la donna che aveva sempre voluto, da quando l’aveva conosciuta ed aveva capito che lei non era come le altre, era quella giusta, doveva solo farglielo capire e c’era riuscito. Ora gli mancava solo di fargli capire quanto lui desiderasse sposarla, che diventasse sua moglie, anche se lei diceva che non voleva, che non era un contratto che avrebbe cambiato le cose tra loro. Ma Booth sapeva che tutte le bambine sognano di sposarsi e lui doveva solo ricordarlo anche a Bones, perchè lui sapeva che in qualche parte del suo cuore lo voleva anche lei, anche se il cuore per Bones era solo un muscolo.

Erano passate ore, fuori era buio. Si chiedeva dove fossero in quel momento, se erano al sicuro, se stavano bene, se avevano un posto dove dormire. Si sarebbe fatto tutte quelle domande ogni giorno, ogni ora, ogni istante fino a quando non sarebbero state di nuovo con lui. L’impossibilità di sapere quanto tempo dovevano stare separati lo straziava: qualunque lasso temporale fosse era sempre troppo. Dipendeva anche da lui, si diceva, doveva combattere da dentro il sistema, come gli aveva detto Max. Ma quella sera non aveva la forza di pensare anche a questo, quella sera era solo per il suo dolore e la sua solitudine.

Andò verso la camera da letto, passò davanti alla camera di Christine e si fermò ad osservare il lettino vuoto, strinse i denti, chiuse la porta e passò oltre. Arrivò nella loro camera. Si sedette dalla sua parte di letto si spogliò mettendo una delle sue tshirt dei Flyers, accarezzò la coperta lì dove doveva esserci Bones, ma non riuscì nemmeno a sdraiarsi. Prese un’altra coperta dall’armadio e tornò sul divano, lasciando in quella stanza ricordi troppo grandi per sopportarli quella sera e, infine, pianse.

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