Lilium di Loop (/viewuser.php?uid=39715)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
cap I
Capitolo 1
Attraverso
i finestroni di alabastro, la luce del tramonto, striata di rosso dai
riverberi della neve sugli Urali, filtrava avvolgente e malinconica,
allungato le ombre dei diesis sul pianoforte.
Liliane
guardava scomparire il sole fra le vette frastagliate dei monti,
ancora preda di quel torpore piacevole che lascia il sonno.
Davanti
a lei stavano gli spartiti di un notturno: tra breve sarebbe arrivato
Stephan, che certamente avrebbe voluto ascoltare come procedeva lo
studio di quel pezzo.
Coprì
un piccolo sbadiglio con il palmo della mano,e con dei fiammiferi
accese con cura gli stoppini dei quattro bracci di un massiccio
candelabro d'argento sbalzato, facendo attenzione a non lasciar
cadere la cera sul piano.
Le
fiammelle iniziarono la loro danza con appariscenza, ostentando
bagliori e giochi di luce che muovevano le ombre deformandole lungo i
muri.
La
fanciulla si sedette sullo sgabello, e ripercorse con lo sguardo le
battute, cantando a bassa voce la melodia per controllare che non vi
fossero errori; e, con la reverenza degli allievi che desiderano
compiacere un maestro esigente, pose delicatamente le mani sugli
accordi iniziali, esercitando una prima, debole pressione sui tasti:
ed il suono fluì dalle corde dello strumento, accarezzando
l'aria, disperdendosi in volute fragili e cristalline, con la
dolcezza e la malinconia di quelle composizioni che ricordano un
passato mai vissuto, un paesaggio mai visto.
Le
dita correvano come danzanti, sottili e traslucide, giocando fra gli
acquosi trilli e le scale ripercorse avanti e indietro, acute,
chiare, che parlavano di una purezza immacolata e celeste, come solo
le stelle possiedono, e dolci, serene, ricordavano angelici canti che
i bambini sussurrano fa sé, prima di addormentarsi.
Fra
gli ampi archi del salone, il suono si disperdeva, infrangendosi
negli aspri angoli ricamati di ragnatele, cadendo giù quasi
con violenza, come se una nuova forza di gravità li
schiacciasse sui pavimenti marmorei; questa eco deforme, questo
distorto lamento accompagnò i passi delicati di Stephan lungo
lo scalone centrale, il quale coglieva ogni incertezza nel suono,
ogni mancanza, seppur impossibile da percepire, compiacendosi dei
miglioramenti e dei cambiamenti stilistici che cominciavano a
modificare la fredda tecnica della ragazza.
Senza
fretta, un passo dopo l'altro lungo la gradinata, Stephan lasciò
che la melodia lo pervadesse: che la musica, anima stessa della
fanciulla, entrasse come fiume in piena nello specchio liquido del
suo spirito, mescolandosi ad esso, in un ricongiungimento anelato da
secoli, in una unione che aveva trasceso il tempo e la morte.
Alle
ultime note, l'aria vibrò di un fremito estatico; Liliane
sospirò, chiudendo gli occhi per qualche istante, a
controllare quello sconvolgimento che le causava il suonare con
abbandono; poi, voltandosi, incrociò lo sguardo di Stephan,
appoggiato allo stipite della porta, inclinò un poco la testa,
sorridendo cortesemente: “Buona sera.”
Stephan
sollevò un poco gli angoli della bocca in un impercettibile
sorriso, che soltanto con l'abitudine si imparava a cogliere
nell'oscurità; Liliane se ne avvide, contenta d'essersi
dimostrata all'altezza del brano.
Con un
delicato gesto della mano, Stephan la invitò a seguirlo in
sala da pranzo, affinché cenassero; Liliane si alzò,
chiuse il pianoforte e lo seguì.
*
Raushana li
attendeva nel salone da pranzo, seduta a capotavola.
Magnifica, fasciata di rosso brunito, si alzò rispettosamente
all'ingresso di Stephan, inchinandosi brevemente per salutarlo.
Poi, abbandonò i pesanti scialli per correre incontro alla
fanciulla vestita di bianco, abbracciandola amorevolmente.
“Mia cara, come sei cresciuta.”
Le passò una mano brunita fra i capelli lunghi, baciandole la
fronte, e invitò entrambi a prendere posto accanto a lei.
“Avrei voluto tornare da voi prima, ma ci sono stati dei problemi a
nord. I piccoli clan siberiani continuano a non rispettare le regole,
cacciando selvaggiamente, arrivando quasi a sterminare le tribù
nomadi. Evgenij, antico e forte, è deciso a contrastarmi in
ogni modo, calpestando la mia autorità ogni qual volta gli è
materialmente possibile. Il prossimo inverno, se le cose non
miglioreranno, attaccheremo, anche se mi duole essere costretta
all'uso della violenza contro miei simili.”
“Sono quasi delle bestie, non farti troppi problemi.” Interruppe
bruscamente Stephan, giocando con noncuranza con un calice di
cristallo traslucido.
“Sono sotto la nostra giuristizione. Abbiamo il dovere di
occuparcene.” Il tono della sua voce s'incrinò
impercettibilmente, “Vanno educati e civilizzati. Non possiamo
abbandonarli a loro stessi, e tu lo sai.”
“Se loro non vogliono essere aiutati, e non mi sembra che lo
vogliano, non è il caso di insistere. Avresti dovuto liberarci
da quella piaga sociale secoli fa.”
Raushana lo guardò corrucciata, appoggiandosi contro lo
schienale morbido della sedia; prese dalla tavola il suo calice,
portandoselo elegantemente alla bocca: la rugiada rossa, densa e
calda, le lambì le labbra con dolcezza, suggerendo il sapore
ferroso e dolce del succo.
Liliane rimaneva in silenzio, spiando pensieri e sentimenti che
entrambi lasciavano affiorare sui visi levigati, immaginando le
creature selvagge di cui Raushana parlava.
Rabbrividendo, all'idea di vederla combattere, nonostante sapesse che
le era spesso necessario imbracciare le armi per difendere la sua
Famiglia.
Raushana era a capo del Clan più antico, il primo fondato
dalla sua gente: il Clan Orientale, le cui Famiglie possedevano
lignaggi aristocratici e antichi. Ma soprattutto, era anche il Clan
che comprendeva alcuni degli individui più forti e
conseguentemente pericolosi, ragione per cui non era raro che
si trovasse ad imbracciare le armi.
Di lei, Liliane sapeva poco: che era molto antica, che era molto
forte, e che per questo era stata scelta per detenere una scomoda
carica. Sapeva, per deduzione, che un legame forte la univa a
Stephan, anche se non sapeva esattamente che tipo di legame
fosse; spesso si recava a trovarli, e spesso si chiudevano in
conversazioni private a cui lei non poteva partecipare, e per cui
soffriva di una strana gelosia che toccava i due lati, e che non
avrebbe mai ammesso.
Stephan bevve lentamente dal suo calice, lasciando che il rosso
pastoso gli scivolasse lungo la gola, attenuando il solletico della
sete; al lento scorrere, la trachea rispose con un piacere sinuoso e
fresco, palpitando brevemente al ritmo del bisogno placato.
“Domani” disse, rivolto a Liliane, “Partiremo per Londra. Come
ogni anno, assisteremo al debutto in società dei nuovi membri
della Famiglia. Pare che siano numerosi, quest'anno, per sopperire
alle perdite avute l'anno precedente.”
“Ci sono state molte perdite?” Liliane ne fu sorpresa; nonostante
non parlassero molto dei fatti che accadevano, era sempre al corrente
degli avvenimenti di rilievo.
“Molte.” Prese la parola Raushana, “Scontri tra clan. Il
debutto sarà anche una occasione per ristabilire la pace. I
genocidi inutili sono l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno, in questo
momento.”
“Le cose non vanno bene?”
“No, mia cara, temo di no. Oltre alle tribù siberiane, ci
sono le incursioni in Sudamerica, che Santiago non riesce a sedare.
E, ovviamente, i francesi che vogliono assolutamente rimanere
neutrali, e ignorano le richieste di soccorso.
Ma non devi preoccuparti di ciò. Abbiamo avuto momenti
peggiori.”Raushana sorrise dolcemente allo sguardo corrucciato di
Liliane, “Ora, in particolare, devi essere felice: se sei
d'accordo, Stephan ed io crediamo che sia giunto il momento di
presentarti in società.”
“Dici davvero? Ma io non..”
“Non importa. Per quello, si dovrà ancora attendere qualche
anno. Mi auguro che tu non abbia eccessiva fretta.”
“Niente affatto.”
Stephan guardava le due donne con apparente distrazione; che non
amasse quel genere di cerimonie non ne faceva mistero, ma da quando
Liliane aveva compiuto un'età accettabile per partecipare a
quel genere di feste, solertemente si era sempre presentato al
meglio, per riallacciare quelle relazioni che un tempo giudicava
essenziali sia per buona educazione, sia per fini personali.
C'era stato un tempo, in cui partecipare a quel genere di eventi era
addirittura un piacere: forse trecento anni fa, forse di più,
quando ancora poteva presentarsi con accanto, appoggiata al suo
braccio, quella creatura vestita di bianco che aveva il volto di una
santa, e che sola aveva avuto la forza di guidare un popolo
avviluppato nelle tenebre dell'oscurantismo, relegato nelle pieghe
della notte a vagare senza sapere per quale motivo esistesse, che
posto avesse nella collocazione divina delle cose, senza avere un
senso che giustificasse la loro esistenza e l'orrore del
sostentamento che era loro necessario.
E ricordando quella creatura, Stephan ebbe l'impressione di scorgere
nel fondo degli occhi di Liliane la luminosa saggezza che per secoli
lo aveva rassicurato, quella dolce luce antica che lo aveva cullato
nelle notti che sembravano velluto sopra di loro.
Il ricordo gli inumidì gli occhi, ma lasciarsi andare ai
sentimentalismi era una cosa inutile.
Aspettò che fosse Liliane a lasciarli soli, e puntualmente la
fanciulla intese, e con dolcezza si congedò da entrambi
ritirandosi nella sua stanza.
“Non ne sei convinto, non è così?” Raushana lo
guardò con una vena di sarcasmo, immaginando la risposta.
“Quello che penso io, evidentemente, conta poco.”
“Smettila di fare il bambino. Non puoi tenerla qui per sempre.”
“Credi che non lo sappia? Eppure non credevo fossi così
impaziente di trovare ancora una volta la sua testa su un
vassoio d'argento.”
“Santo cielo, Stephan! Ne abbiamo discusso all'infinito, dal giorno
in cui ti ho portato quella creatura in braccio, e il tuo egoismo è
esasperante! Pensi che io voglia penderla di nuovo? Pensi che l'abbia
sottratta ai suoi genitori e ad una vita normale per poterla
tenere rinchiusa nel tuo castello sperduto in Transilvania a suonare
il piano per l'eternità? Lei è la nostra guida,
Stephan, apri gli occhi: senza di lei la nostra specie è
destinata ad estinguersi.”
“Si estingua! Si estinguano pure tutti quei miserabili!”
Stephan si era alzato violentemente in piedi, rosso in volto, e
tremando aveva urlato le ultime frasi; il tuono della sua voce si era
amplificato negli alti soffitti, percorrendo le mura in pietra fino a
giungere a Liliane, che con un brivido di timore si chiese cosa
stesse succedendo.
Vedendolo accasciarsi sulla sedia e passarsi una mano sugli occhi,
Raushana non ebbe in coraggio di ribattere: gli incubi che correvano
dietro le palpebre di Stephan erano troppo tangibili anche per lei.
“La proteggeremo. E lei potrà tornare ad essere la nostra
regina. E tu..” gli si avvicinò, inginocchiandosi
accanto alla sua sedia, prendendogli una mano pallida fra le sue,
“..tu tornerai al suo fianco. Come è sempre stato e
sarà.”.
*
Stephan entrò nella stanza di Liliane poche ore prima
dell'alba, mentre la fanciulla finiva di preparare la sua valigia
Si era legata i capelli in una pesante treccia, e aveva messo la
camicia da notte.
“Cos'hai messo in valigia?”
Stephan si appoggiò allo stipite della porta, guardando
benevolo la piccola valigia che conteneva forse tre o quattro abiti
appena, ricordando quella stessa semplicità di gusto che
secoli prima era appartenuta a una donna con le medesime sembianze
della ragazza.
“Lo stretto indispensabile, non temere.” Sorrise lei, mostrando i
tre abiti bianchi da giorno e i due avorio da notte, e le scarpine di
seta che aveva riposte in uno scomparto
“A Londra dovremo andare a fare spese. Ti serve un vestito nuovo
per il debutto.” Osservò, attraversando la stanza fino a
giungere accanto alla fanciulla, per prendere fra le mani uno dei
leggerissimi abiti avorio per squadrarlo constatandone il taglio
antiquato e l'eccessiva austerità.
“Raushana mi ha portato delle stoffe nuove, sono molto belle. Ne
cucirò uno io.”
“Ma basterà il tempo”
“Voi mi sottovalutate.” Liliane ripose l'abito che Stephan aveva
preso fra le mani, con un gesto aggraziato e delicato.
E sorrise ancora.
Il suo sorriso aveva una dolcezza particolare, di seta e latte.
E vaniglia mista a camomilla.
Stephan non poteva fare a meno di ricordare Venezia, e le acque
chiare dei bagni illuminati a giorno, i mosaici azzurri e blu, e le
tende di seta finissima, a celare la pelle nuda, morbida, che lambiva
i petali rosati delle camelie profumate, e i capelli nerissimi, che
come fiumi d'inchiostro galleggiavano sul pelo dell'acqua, lucidi,
setosi, magnifici.
In un gesto dolce, che non poté e non volle trattenere,
Stephan passò le dita fra quegli stessi capelli, morbidi e
folti, e Liliane arrossì quasi violentemente al tocco, in
quanto erano così rari i gesti più semplici fra loro,
che ogni volta l'emozione che la coglieva era destabilizzante.
Con naturalezza, Stephan ristabilì le distanze fra se stesso e
la sua pupilla, chiedendo con garbo congedo.
“Stephan.”
“Si?”
“Andrete fuori?”
“Si.”
Liliane deglutì a vuoto.
Stephan si voltò e uscendo chiuse la porta dietro di sé.
Andava a caccia.
E Liliane provava un senso strano di esaltazione e paura, quando
sapeva che Stephan avrebbe cacciato.
La coglievano immagini fumose di un passato che non aveva realmente
vissuto, sensazioni che non aveva realmente provato, e la bocca le si
seccava violentemente a pensiero della caccia, della preda,
e infine del pasto.
Quando Stephan tornava dalla caccia, il suo volto era più
carnoso e scuro, e i capelli sembravano più doppi, meno
serici, e il suo odore cambiava, ogni volta in una fragranza diversa,
a volte dolcissima e ammaliante, e in quelle occasioni doveva stare
molto attenta a tenersi a distanza, perché Stephan non amava
che lei lo sfiorasse, o peggio che lo accarezzasse, e quell'unica
volta che, in preda ad un'estasi irrefrenabile, aveva cercato le sue
mani per stringerle al petto, egli non le aveva rivolto la parola per
mesi, nei quali l'aveva mandata a Madrid, da Santiago e Raushana, per
non doverla avere fra i piedi.
Altre volte invece, l'odore era sgradevole, volgare, o peggio era
acre e nauseante.
Allora era lui che non la cercava, nascondendosi nelle sue stanze, e
solo la scia odorifera lasciava intuire la sua presenza.
*
Raushana era rimasta nel salone da pranzo, col calice fra le dita e
la fronte corrucciata.
La verità era che tutto ciò la inquietava non meno che
a Stephan.
Lancelot, non le era mai piaciuto.
Inglesi,
pensò, come se quello fosse il peggior insulto possibile,
immaginando i confratelli di quelle terre slavate e umide, sgradevoli
tanto ai vivi quanto ai morti, pessime
per qualsiasi tipo di attività, in special modo la caccia.
E
il fatto che proprio lì
doveva avere luogo il debutto dei nuovi membri, la nauseava
profondamente.
Ogni anno, infatti, per il volere di quelle leggi stabilite quando
ancora con piedi umani passeggiava per le fertili terre di Persia,
era possibile accogliere un limitato numero di membri, valeva a dire
che era possibile far dono di quella immortalità pagata col
sangue a pochissimi eletti, coloro che con le loro azioni e doti
naturali dimostravano di esserne all'altezza, di essere meritevoli.
A
scegliere gli esseri umani candidati, i capi famiglia più
importanti dei clan: Lancelot, a capo del Clan del Nord, ovvero delle
famiglie del nord Europa, che prediligeva ragazzi molto giovani, con
i capelli rossi e gli occhi chiari, belli di una bellezza quasi
sacrale, e di conseguenza sacrilega;
Florent, capo del Clan francese, che amava invece le donne pallide e
brune, bellezze flaubertiane dalle voci cristalline di soprano,
intelligenti e sinuose; Marcus, il secondo in linea di successione
alla carica di reggente
dopo Raushana, a capo del Clan Italiano: era raro che proponesse
candidati, perché la sua famiglia – più antica delle
altre, più aristocratica e più austera – non amava
allargare di troppo la cerchia dei suoi accoliti; poi Santiago, che
dalla Spagna aveva colonizzato con le sue famiglie più nobili
le terre selvagge della Patagonia: la sua scelta cadeva fra i più
forti, i più intelligenti, quelli che già per selezione
naturale erano stati baciati dalla fortuna. In assoluto, i migliori
guerrieri provenivano da quel Clan.
Infine
Raushana.
Lei
preferiva pochi giovani, forti, saggi per inclinazione di spirito,
discreti.
Quindi,
spesso succedeva che non riuscisse a trovare nessuno,
per quanto credesse fermamente nell'idea di rinnovare la specie.
Posando
il calice sul tavolo, si diresse verso il salone, pensando che anche
quest'anno non avrebbe avuto nessun erede da presentare.
O
meglio, qualcuno
c'era.
Pensare
all'effetto che avrebbe avuto, presentare in società la
presunta reincarnazione di Lilith, le provocò una emicrania
lancinante; sapeva perfettamente quale sarebbe stata la reazione –
violenta – che i capi famiglia avrebbero avuto.
E
sapeva anche che era del tutto irrazionale pretendere che quelle
genti che non l'avevano mai conosciuta, la vera Regina, non avrebbero
potuto riconoscerla il ogni caso.
Forse
era un errore.
Forse
avrebbe dovuto aspettare che Stephan la rendesse forte, la rendesse
immortale.
Forse
non avrebbe dovuto avere tutta questa fretta.
“Raushana..”
Liliane,
con discrezione, stava sulla soglia del salone.
Con
il passo impercettibile che aveva imparato a imitare da Stephan, si
avvicinò, e inclinando un poco la testa da un lato, parlò
a bassa voce.
“Tu
hai paura. E anche Stephan. Ma credete che presentarmi ora
sia la cosa migliore, perché gli altri mi accolgano, e mi
amino come mi amate voi.”
“E
tu? Temi la tua gente?”
“Non
la temo. Ma so che possono farmi del male.”
“Possono.”
“Ma
non succederà.”
Raushana
alzò un sopracciglio: “Non succederà?”
“No.
Ieri notte ho iniziato a ricordare. Mi avevi detto, una volta, che
prima o poi avrei ricordato. Tu ricordi Damasco?”
Gli
occhi le si riempirono di lacrime, nel sentir pronunciare da quella
voce il nome della tanto amata città.
“Si.
Ma tu cosa ricordi?”
“Ricordo
te, ricordo che mi volevi bene. E i tuoi abiti, l'oro di cui amavi
caricarti, i tuoi amanti, la tua avventatezza. Perdonami, se parlo
così liberamente, non vorrei offenderti..”
“Non
mi offendi.”
Liliane
respirò a fondo, chiudendo gli occhi per rievocare il sogno
bruciante e scuro, le mura alte della città, i fuochi, i
volti.
“Sono
ancora pochi i dettagli.”
“Non
importa.”
Raushana
sorrise con dolcezza, allungando un braccio per cingere la fanciulla;
riscoprire nel suo odore quella stessa fragranza di secoli passati fu
un brivido che alterò la percezione delle cose, affogando il
mondo in un nodo di tristezza e languore.
I morti non
tornano, continuò a
ripetere dopo che Lilith era morta.
I morti non
tornano, eppure noi siamo qui.
La
vampira persiana sorrise alla luce della luna, e i magnifici denti,
bianchi come avorio e alabastro, brillarono con fulgore nella
penombra delle candele.
Note dell'autrice
Bene. Con immensa soddisfazione, sono arrivata alla fine di questo
primo, sudato capitolo. Nonostante detesti a morte le note, qui vale
la pena di lasciarne una, breve e concisa. Numero uno, perché
ho deciso di scrivere una storia sui vampiri? Beh, c'hanno sputtanato
su un po tutti, più di tanto non potevo nuocere. E, a mio
parere, il vampiro è una delle creature di fantasia più
affascinanti. Non tanto perché generalmente ha il dolce visino
di Brad Pitt o Robert Pattinson (non è che mi dispiaccia, per
l'amor di dio ò_ò), ma perché succhia il
sangue. Il che è
una cosa terribilmente affascinante. Ci si potrebbero trovare
miliardi di significati allegorici e reconditi, in questo atto, e in
una bellissima introduzione a Dracula di Bram Stoker (il libro, non
il film) c'è una spiegazione molto ben articolata
sull'argomento, che in parte mi ha ispirato. E, a proposito di
ispirazione, i miei modelli sono principalmente proprio Mr Stoker e
la dolcissima, cara, meravigliosa e angelica Anne Rice, mammina di
una delle collane meglio riuscite sul genere. Cioè, di alcuni
libri si poteva tranquillamente farne a meno, ma noi amiamo lo stesso
questa donna perché ci ha regalato Armand ^^
In ultimo, ci tengo a specificare
che i miei vampiri non brilleranno come lampadine né
si innamoreranno di piccole e dolci Mary Sue di sorta.
Detto questo (mi sento meglio
ù_ù) spero tanto, ma tanto tanto tanto che vi sia
piaciuto (se avete avuto il coraggio di arrivare qui deve esservi
piaciuto per forza, oppure siete masochisti, oppure mi odiate, ok, la
smetto ò_ò) , e siate buoni, abbiate
pietà di me e lasciatemi una piccola, minuscola,
insignificante recensione. Anche per dirmi che vi ha fatto
profondamente schifo. Anche per dirmi che mi odiate. Per
favoooooreeeeeee.
Grazie a tutti per l'attenzione, e mi auguro di ritrovarvi al
prossimo capitolo!
Valentina
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Lilium2
Capitolo
Secondo
La notte in cui Cassandra finì i suoi giorni alla luce del
sole, mentre Hansel le appoggiava con delicatezza la bocca al collo,
ebbe una visione come era raro che le capitasse, tanto vivida e tanto
sconvolgente che passò attraverso il sangue da lei ad Hansel,
che si trovò scaraventato contro una parete, in preda alle
convulsioni.
Quello che Cassandra vide fu il caos più assoluto, un nero
tanto penetrante che affondava nelle ossa, e occhi rossi, invasati, e
sangue cattivo, di Hansel e dei suoi simili, che istoriava pareti
nere col suo rosso accecante, tanto violento che sembrava emanasse
luce propria; sentì l'aria morirgli in gola, e cellula dopo
cellula, sentì il suo organismo rigettare quella
trasformazione che non poteva essere interrotta se non con la morte,
fino a quando una luce, al centro dell'oscurità, squarciò
il sangue, il dolore, squarciò quel caos di natura malata, e
irrorandola di nuova vita, le concesse quella immortalità pura
che lottava contro la sua umanità, semplicemente,
armonizzando con se stessa.
Al centro di quella luce, bella come una santa, stava una donna
vestita di bianco, con una aureola dorata a coronarle la testa, e i
suoi occhi dolci, il sorriso rassicurante, scacciavano il caos come
un morbo contagioso, lasciando solo una purezza commovente.
Si ritrovò in ginocchio, piangente, con le mani giunte come in
preghiera, e così rimase per un tempo lunghissimo, fino a
quando non si scosse per cercare con lo sguardo Hansel, ancora privo
di coscienza, che giaceva nell'angolo del giardino dove aveva avuto
luogo il rito.
Quando Cassandra vide per la prima volta Hansel, riconobbe nei suoi
lineamenti il giovane pallido dai tratti delicati che tante volte,
sin da bambina, era apparso nei suoi sogni.
Cassandra non aveva famiglia.
L'avevano trovata – gente caritatevole e semplice – sulla riva
del mare, in una isoletta greca tanto piccola da non rientrare nelle
carte geografiche.
Aveva forse pochi anni, e non parlava, passeggiava cantando una neina
in una lingua sconosciuta a piedi nudi sulla sabbia, coperta appena
da quello che poteva sembrare un peplo.
Ma era una visione così incantevole, quella creatura onirica,
che un pastore si fermò ad ascoltarla, e con la gentilezza
delle persone di buon cuore, la accolse nella sua casa fra i suoi
figli e la moglie, che di femmine in tanti parti non ne aveva mai
avute, e che subito si commosse all'idea che quella bambina scendesse
dal paradiso, tanto limpidi erano i suoi occhi neri.
Cassandra la chiamarono, quando scoprirono che poteva vedere quello
che gli uomini non possono vedere, e le insegnarono a leggere e a
scrivere e le altre scarse nozioni che possedevano, fino a quando non
fu lei a lasciarli, per andare incontro al suo avvenire.
Fu con dolore che si separò dalla gente che l'aveva amata, ma
senza rimpianti abbracciò l'incertezza di un destino che la
chiamava prepotentemente a sé, perché una cosa di cui
Cassandra era certa, era che niente succede per caso.
Fu sulla strada per Alessandropoli che incontrò per la prima
volta Hansel.
Si riconobbero nella notte, come si riconoscono soltanto le anime che
si cercano attraverso i secoli, con un senso di smarrimento e di
nostalgia, con rabbia e con rassegnazione per un qualcosa più
grande di loro.
Hansel aveva i capelli quasi bianchi alla luce della luna, e il viso
adolescente strideva con i suoi occhi antichi, stanchi, pregni di una
malinconia che raccontava solitudine; si muoveva lentamente, con una
grazia straniera agli abitanti di quella terra, e sembrava che la sua
voce fosse il canto del vento tra le foglie.
Sparì come era arrivato, senza rumore, lasciando che Cassandra
procedesse per il suo cammino, per tornare soltanto la primavera
successiva, quando lei già viveva a Costantinopoli, e la gente
la conosceva come una creatura saggia, fuori dal tempo, e a lei si
rivolgeva quando soffriva e non riusciva ad affrontare i crucci,
portandole in dono le offerte che si tributavano agli idoli, cibo,
frutta, oro e oli profumati, che lei per educazione non rifiutava
mai.
Poco dopo il tramonto, Hansel bussò alla sua porta senza
inutili pretenziosità, chiedendole con garbo se volesse
accompagnarlo per la città.
Costantinopoli, di notte, è un regno incantato che trascende
qualsiasi dimensione; il profumo dei gelsomini, la dolcezza del
vento, le luci dorate, donano alle strade un'aria sacrale che impone
silenzio e rispetto.
Cassandra, cosciente a metà di cosa fosse la creatura che le
camminava accanto, non osava parlare.
Hansel cercava nella sua mente le parole più dolci per dirle
che cosa voleva, e che cosa avrebbe ottenuto ad ogni costo.
Poteva sentire l'anima di Cassandra espandersi come luce, e il suo
calore denso che cercava di toccarlo; e una inebriante sensazione di
familiarità, quasi di euforia gli annebbiava i sensi,
impedendogli di mettere un piede davanti all'altro.
E la sensazione di averla cercata per tutta la vita, Cassandra, con i
suoi occhi neri e la sua voce sensualmente graffiata, era tanto forte
da abbattere ogni tentennamento, ogni paura, e ogni rimpianto.
Lei lo sapeva – come sempre, meglio di Hansel – che cosa sarebbe
successo.
E sapeva anche che era inevitabile così come è
inevitabile la morte.
Si fermò, e voltandosi incrociò i suoi occhi.
E porse il collo.
*
Hansel e Cassandra furono tra i primi ad arrivare per la cerimonia di
debutto.
Trovarono il palazzo di Lancelot, quell'elegante miscuglio di stili
architettonici e etnici, in perfetta armonia british, nel più
elettrico fermento: un eccesso inaudito di fiori, panneggi in
broccato, cristalli e argenteria assediava il salone centrale, dove
la cerimonia avrebbe avuto luogo, e in perfetta sintonia con
l'ambiente, Christian.
Nessuno dei due era cambiato, dalla prima volta che si erano visti,
nessuno dei due era maturato abbastanza da dimenticare le vecchie
divergenze.
Christian, che voleva essere il preferito di Marcus, e che per questo
gli aveva strappato con le unghie quel brandello di felicità
che gli era stata concessa.
Hansel, che lo aveva quasi ucciso, per ricompensare l'onore
calpestato da un giovane presuntuoso, marchiandolo per sempre con la
cicatrice dei suoi denti.
E infine Marcus, che si era visto costretto ad allontanare entrambi,
per il bene di un Clan già incrinato dalle lotte interne.
In un momento tornarono vivi e pulsanti i ricordi della sua vita
passata, prima dell'arrivo di Cassandra: Marcus che lo aveva creato,
suggellando col suo sangue un legame indissolubile, Venezia, bella e
incantata sotto la luce della luna turca, e l'incoscienza dionisiaca
di anni sempre a metà fra il reale e l'irreale, dove tutto era
odore e sensazione, e la vita stillava dalle sorgenti bionde dai
colli nobili a fiotti lenti, tragici, di una bellezza sconvolgente.
Cassandra, accanto a lui, lo sentiva tremare.
E un fastidio leggero, inconfessabile, acuì la sensazione di
estraneità a quel luogo, abituata com'era ai deserti
orientali.
Con un gesto nervoso lasciò il braccio di Hansel, mentre
Christian si voltava, sorridendo con tutta la dolcezza del suo viso
perfetto.
“Hansel, fratello” E venendogli incontro lo abbracciò con
foga, sincero e appassionato come era sempre stato nei suoi affetti.
In un certo qual modo, aveva sempre amato Hansel, al di là
delle rivalità e delle incomprensioni: per tanti anni avevano
convissuto insieme a Venezia, alla corte di Marcus, dove Hansel
stesso lo aveva guidato attraverso quel mondo oscuro, per insegnargli
a vivere, a sopravvivere, ed avevano condiviso l'intimità
fatale delle notti di caccia.
Christian aveva sempre ricordato con un misto di dolcezza e invidia
Hansel così come i secondogeniti guardano con ammirazione
inconfessabile i fratelli maggiori, con il desiderio di guadagnarsene
l'affetto e la tentazione di scavalcarli.
Con l'eleganza umana dei più giovani della loro specie, si
sciolse dall'abbraccio per osservare Cassandra, per sorriderle
fiducioso.
“Sorella.. gli anni accrescono la tua grazia.”
Lei lo abbracciò maternamente, lasciando che lui affondasse il
naso nell'incavo del suo collo, per assorbire il suo profumo, l'odore
di rose damascee della sua pelle.
“Caro Christian..”
Per un attimo sentì dissiparsi la sensazione di estraneità,
e l'angoscia che le opprimeva l'anima dall'inizio del viaggio si
acquietò un poco: non c'erano solo nemici, intorno a lei.
“La prossima notte ci sarà la cerimonia, Lancelot ha
ordinato che tutto fosse pronto entro oggi. Immaginate il subbuglio
che sta creando, tra fiori e mobilia, lo conoscete: l'ostentazione è
la sua passione, senza non vive..”
“Immaginate quanto Stephan vedrà tutto questo?”
“E' proprio perché Stephan veda tutto questo, che
Lancelot si sta impegnando a sradicare le rose di tutta
l'Inghilterra.”
“E' molto irrispettoso, da parte sua.”
“Hansel, Stephan ci ha abbandonati di sua spontanea volontà.
Non ha diritto di irritarsi se non seguiamo i suoi gusti.”
“La questione è molto più complicata di così.”
“Non c'è niente di complicato, nel fatto che non ha avuto la
forza di guidarci quando ne avevamo più bisogno.”
“Non c'eri. Non sai come stanno le cose. E non dovresti pendere
così scioccamente dalle labbra di Lancelot. Come hai detto tu,
lui ama l'ostentazione.”
Christian s'incupì, ma non essendo nel suo temperamento dare
troppo credito alle divergenze, sorrise nuovamente pochi attimi dopo,
proponendosi come guida per far loro strada verso le stanze degli
ospiti.
Li portò al piano di sopra lungo la scalinata in marmo rosa,
altra ostentazione di dubbio gusto da parte del mecenate, e mostrò
loro una stanza ampia, riccamente arredata, che avrebbero potuto
occupare durante i festeggiamenti.
“Sono felice che siate arrivati.” Sorrise ancora Christian, con
la dolcezza infantile dei suoi occhi, “Mi farebbe tanto piacere,
che voi poteste rimanere qualche giorno qui.”
Hansel sorrise senza sbilanciarsi, salutando infine Christian e
richiudendo la porta dietro di lui; gli costava fatica, non cedere a
quei sorrisi fiduciosi, che per tanti anni si era sforzato –
vanamente – di odiare.
La luce della luna illuminava il volto di Cassandra, che guardava con
preoccupazione Hansel.
“C'è qualcosa che non va.”
“Non capisco..”
“E' nell'aria.”
Hansel chiuse gli occhi, come per mettersi in ascolto.
Una inquietudine leggera, come un velo trasparente, gli si era
poggiato sulla mente, allertandone i sensi; sapeva che Cassandra non
poteva sbagliarsi, ma il desiderio che questa fosse soltanto una
rimpatriata per tutti, che fosse solo un modo di ritrovarsi dopo
secoli di buio, gli impediva di valutare la situazione lucidamente.
Per un momento, il viso di Stephan gli passò sotto le
palpebre, fulmineo e doloroso, per ricordargli tutta la sofferenza
della separazione.
Mi ricorda?
Si chiese scioccamente, per poi
scacciare il pensiero così come era venuto.
Cassandra lo guardava ancora, seria, impassibile, come la statua di
una Athena vergine, scrutando i suoi pensieri con circospezione.
“C'è qualcosa di preciso che senti?”
“Non saprei.”
“Potrebbe essere soltanto stanchezza?”
“No.”
Hansel sospirò, venendole incontro.
Le tese le braccia, ma lei non si mosse: lo guardò ancora, con
tutta la forza dei suoi occhi scuri, sforzandosi di di riporre tutta
la sua fiducia nei suoi sensi, come sempre aveva fatto e come sempre
era stato provvidenziale.
Ma
nel buio gli occhi di Hansel si erano fatti più bambini, più
innocenti, e non c'era altro nelle sue iridi chiare che il desiderio
di pace, di felicità.
Sospirò.
E, infine, sorrise con dolcezza.
“Aspetterai Stephan?”
“Con te, se non ti da noia farmi compagnia.”
*
Si erano messi in viaggio poco dopo il tramonto.
Raushana, con loro, aveva predisposto un viaggio lento, per potersi
fermare di giorno, e perché Liliane non s'affaticasse.
Attraversarono l'antica Europa che Stephan aveva ormai dimenticato,
rievocando quei luoghi dell'anima dove avevano vissuto, amato, dove
si erano abbandonati a quella natura crudele che, in certi casi,
sapeva ripagare della sventura d'esser relegati alle ombre.
Stephan non guardava mai fuori, limitandosi a fissare asetticamente
la strada davanti a lui.
Raushana, accanto a Liliane, intratteneva la fanciulla con le storie
del passato, quelle favole delle sue terre che erano tanto antiche
quanto le mura di Babilonia, raccontandole delle gesta di Gilgamesh,
degli dèi crudeli, delle regine bellissime, e dell'oro che era
fonte di vita e di potere.
“Con il tempo, gli uomini si sono fatti volgari: prima era l'oro
lucente il loro scopo, la gioia più grande per il loro cuore
cupido, ora corrono dietro ai composti puzzolenti che fermentano
sottoterra. Che non sia fosse l'ancestrale fascino del putridume, a
spingerli così fortemente verso il petrolio.”
Liliane rise, come se tutto ciò non la toccasse: umana che
fosse, non era mai appartenuta alla sua specie, e non sentiva nessun
attaccamento a quelle creature lontane, quasi fantastiche.
Un tempo, Stephan aveva amato gli uomini, li aveva guardati con
benevolenza, a volte si era adoperato per il loro bene.
Poi, la più grande disgrazia aveva incrinato il suo spirito, e
gli uomini non erano stati più che una razza abbietta ai suoi
occhi, animali provvisti di pollici opponibili votati alla
distruzione, incapaci del benché minimo sentimento altro fra
di loro.
Non li odiava: si limitava a disprezzarli, cercandoli qualora ci
fosse da placare la sua fame.
Per questo, non aveva voluto che Liliane fosse inquinata da una razza
tanto meschina; aveva lasciato che crescesse fra le creature del suo
rango, che Raushana per prima si occupasse di quelle esigenze
educative laddove lui non poteva agire, che Cassandra del Deserto le
portasse la conoscenza e la saggezza, e che da lei imparasse quanto
nella sua vita precedente aveva già acquisito e tramandato a
sua volta proprio a queste creature.
Sin dal primo momento, l'avevano amata: per i suoi occhi, per il suo
viso, per quelle fattezze così familiari, ma soprattutto per
quella saggezza che dimorava nel suo spirito antico.
Stephan aveva voluto che fra i primi, potesse vederla Cassandra.
Fu da lei che attese quel verdetto che tanto avrebbe influito sulla
sua vita.
Voltandosi un poco, diede uno sguardo a Liliane: come sempre vestita
di bianco, le mani posate sul grembo, come una Vergine Maria in tutta
la sua dolcezza di donna, riluceva di una bellezza antica, possente,
e Stephan sentì una lacrima pungergli l'angolo dell'occhio, al
ricordo di quelle medesime forme, in un era più antica, in un
tempo che ormai era stato dimenticato.
Ringraziamenti
Miss
Gwen:
Sono felicissima che la storia ti risulti appassionante, e
soprattutto che i personaggi ti piacciano, perché io li adoro
^^ Mi raccomando, fammi sapere che ne pensi anche di questo, un
bacio, ciao!
Treatsterischi:
innanzitutto, scusami se ho sbagliato a scrivere il tuo nome, ma è
uno scioglilingua ^^ ad ogni modo, ti ringrazio per il commento e
per la solidarietà verso i brutali massacri al genere, che
insomma, io non sono proprio appassionatissima, ma ho amato alla
follia quasi tutta la prima saga della Rice, ed è
principalmente per questo che sono accorsa gioiosamente anche
all'arrivo di Twilight, la quale autrice è osannata come
l'erede della cara Anne. Da chi, non chiedermelo, perché sto
ancora cercando quell'idiota per pestarlo a sangue.
Comunque,
ti confesso che l'idea della divisione in famiglie viene proprio da
Underworld, che ok, non era questo gran capolavoro (no, decisamente
non lo era), ma mi era piaciuta l'aria aristocratica dei vampiri.
Spero
che continuerai a seguirmi, e a darmi buoni consigli magari ^^ ci
tengo a sapere che ne pensi. Un bacio, ciao!
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