Come nessuno m'ha guardato mai

di Adeia Di Elferas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domani è un altro giorno, si vedrà... ***
Capitolo 2: *** Come fossi una bambola ***
Capitolo 3: *** Un segno che non passa mai ***
Capitolo 4: *** Un bacio sulla fronte e dopo sulle labbra ***



Capitolo 1
*** Domani è un altro giorno, si vedrà... ***


~~ “È inutile che provi a scusarti!” stava inveendo Rika, precedendo la sorella di alcuni metri: “La verità è che hai la testa da un'altra parte!”
 Nika, la sorella minore, seguiva la maggiore a fatica, tenendo tra le braccia le borse della spesa, piene all'inverosimile di ogni genere di cose.
 “Ma si può sapere cosa succede?!” domandò Chizuru Tamiya, guardando le figlie che stavano rincasando: “Sembrate due furie!”
 “Chiedilo a lei!” sbottò Rika, indicando Nika con l'indice, mentre i capelli raccolti in piccoli ciuffi ondeggiavano rabbiosi.
 “Che succede?” indagò allora la madre, guardando la figlia più giovane.
 Nika, dopo aver appoggiato sul pavimento della cucina i borsoni, strinse i denti e, sistemandosi gli occhiali finiti di traverso, rispose, di malavoglia: “Rika ce l'ha con me solo perché secondo lei non ho approfittato di tutte le offerte che c'erano oggi al supermercato.”
 Chizuru diede una rapida occhiata alle borse delle spesa: “Ed è così?”
 Nika sospirò: “Forse...”
 “E allora tua sorella ha ragione a essere arrabbiata!” fece Chizuru: “Da quando sei nata ho cercato di passarti la nobile arte di far la spesa con il mio metodo sopraffino e ora mi vieni a dire che non hai approfittato di tutte le offerte?!”
 “Nemmeno del tre per due ai casalinghi!” si intromise Rika, ricomparendo sulla porta della cucina, gli occhi arrossati, come se stesse per mettersi a piangere.
 Chizuru scosse piano il capo e decretò: “Nika, vai in camera tua a riflettere.”
 La ragazza abbassò la testa e si diresse verso la sua stanza, riuscendo appena a sentire la madre e la sorella che parlottavano indispettite alle sue spalle.

 Qualcuno bussò alla porta della camera di Nika un paio di volte. La giovane finse di non sentire, stringendo a sé il cuscino con un braccio, mentre con l'altra mano prendeva qualche seppiolina sotto sale da una confezione quasi vuota.
 “Nika, sono io...” era la voce di sua sorella e sembrava molto meno combattiva di prima: “Posso entrare?”
 Con un sospiro, Nika si mise a sedere sul letto e, dopo aver inghiottito l'ultima seppiolina, concesse: “Avanti.”
 Rika entrò con un album fotografico sotto al braccio. Nika lo riconobbe subito, perché lei stessa aveva colorato la copertina, quando era più piccola.
 “Cosa vuoi?” chiese, senza guardare la sorella, che se ne stava vicino alla porta, un po' in imbarazzo.
 “Ecco... Forse prima ho esagerato ad arrabbiarmi così...” iniziò Rika, tenendo l'album con entrambe le braccia, stretto al petto come fosse uno scudo: “Sono stanca, in questi giorni e so che tu sei un po' soprappensiero per la storia di Arata...”
 Nika guardava un punto indefinito del muro, senza dare alcuna soddisfazione alla sorella, che invece avrebbe voluto incrociare il suo sguardo almeno per u istante.
 “Stavo pensando, nella mia camera, quando mi è tornato in mente questo.” proseguì Rika, facendosi forza e andandosi a sedere accanto a Nika, che non si diede pena a lasciare un po' di spazio in più per la sorella, restando perfettamente immobile.
 Sorvolando sulla cocciutaggine di Nika, Rika aprì l'album e cominciò a indicare le varie foto, mentre i ricordi le riaffioravano uno dopo l'altro nella mente: “Guarda! Qui eravamo ai giardinetti... Ma com'eri vestita?” ridacchiò, alludendo a uno scatto in cui una Nika di circa cinque anni indossava una salopette a fiori gialli e blu.
 “E qui?” proseguì Rika, con una risatina carica di malinconia: “Guarda che codini ti aveva fatto la mamma!” e stavolta il suo dito si era posato su una Nika di circa otto anni con due ciuffi ai lati della testa, più simile a un disegno, che non a una bambina vera.
 “Perché, sarai bella tu. Guardati!” reagì, finalmente, Nika, indicando con un cenno del capo la foto accanto, in cui una piccola Rika sfoggiava una sobria gonna viola a righe verdi.
 Sciolto quel ghiaccio iniziale, le due cominciarono a commentare in modo sprezzante e ironico ogni singola fotografia, seguendo le tappe della loro vita, dei momenti che avevano condiviso. Le pagine mescolavano ricordi più recenti e più antichi, scatto dopo scatto, passando da loro due bambine a loro due ragazzine e poi adolescenti. L'accostamento casuale di quelle fotografie dava loro il giusto metro di valutazione di quella che era stata fino a quel momento la loro vita assieme.
 Due sorelle, che avevano condiviso tutto, nel bene e nel male, ridendo assieme, scontrandosi, a volte litigando, ma sempre facendo alla fine la pace.
 Arrivate alle ultime fotografie, le due ragazze si guardarono un momento e Rika disse: “Qui c'è ancora un bel po' di spazio da riempire con nuove foto.”
 “Chissà che accadrà... Chissà che ricordi nuovi ci finiranno, in questo album...” sussurrò Nika, improvvisamente rapita dalla significato profondo di quel collage di memorie.
 Rika alzò le spalle e, chiudendo l'album, buttò lì: “Domani è un altro giorno, si vedrà...”
 Nika le sorrise e, mentre la sorella appoggiava accanto a sé l'album, allargò le braccia. Rika fece altrettanto e si strinsero in un lunghissimo abbraccio che sottintendeva la più semplice e la più impegnativa delle promesse.

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Capitolo 2
*** Come fossi una bambola ***


~~
 Eccolo là, che parlava di nuovo con Nika Tamiya. Ah, che tribolazione! Ah, che tormento!
 Occhialaido non riusciva a farsene una ragione.
 Sapeva benissimo che un ragazzo bello, intelligente e generoso come Arata Kamiyama per lui era troppo. Non sarebbe mai stato alla sua altezza, era la dura verità.
 Eppure non riusciva a togliersi dalla mente quell'immagine, così crudele e così indelebile. Arata Kamiyama che rideva e chiacchierava amabilmente con Nika Tamiya. Con la ragazza più popolare e più graziosa della scuola.
 Che poteva fare lui, un povero occhialuto secchione dai capelli insulsi e coi denti prominenti, contro una giovane donna dall'aspetto incantevole, dalla parlantina spigliata e piena di ammiratori?
 Occhialaido, senza rendersene conto, se la stava prendendo con il suo quaderno degli appunti. Lo stava quasi stritolando, stingendoselo al petto con le mani contratte a sembrare artigli.
 Arata Kamiyama era ancora là, con quel suo sorriso perfetto, quella sua chioma lucente e liscia, quelle sue spalle larghe e quella sua aurea, così... Così...
 “Occhialaido, che hai da fissare?” chiese improvvisamente Nika Tamiya, guardandolo come se fosse preoccupata per lui.
 In effetti chiunque avesse guardato Occhialaido in quel momento avrebbe pensato che il ragazzo si stava sentendo male.
 Era pallido, la fronte imperlata di sudore, il quaderno tragicamente accartocciato tra le mani e la mascella contratta all'inverosimile.
 “Niente...” riuscì a soffiare Occhialaido, senza però distogliere lo sguardo.
 Anche Arata Kamiyama lo fissava come se fosse in pena per lui, ma Occhialaido non riusciva a rilassarsi.
 Solo quando il fascinoso compagno di classe mosse un paio di passi verso di lui, Occhialaido sentì qualcosa agitarsi dentro di sé e così trovò la forza di lasciare almeno il quaderno.
 Le pagine stropicciate parvero riconoscenti nei confronti di Arata Kamiyama, mentre Occhialaido era diventato ancora più pallido.
 “Stai bene?” chiese Arata Kamiyama, guardando attraverso gli occhiali finti che, secondo Occhialaido, non bastavano comunque a celare il vivido luccichio dei suoi occhi.
 “S... Sì.” balbettò, chinando un po' il capo.
 “Meno male.” fece Arata Kamiyama: “Mi raccomando, riguardati. Cerca di stare bene.”
 Occhialaido risollevò lo sguardo, pronto a ringraziare l'altro per la gentilezza, per l'interessamento, ma, quando cercò il viso di Arata Kamiyama, vide che il ragazzo era già tornato alla sua occupazione preferita.
 Parlare, ridere e scherzare con Nika Tamiya, la ragazza più attraente e popolare della scuola. Una rivale che Occhialaido era cosciente di non poter battere.
 Guardò un momento il suo povero quaderno per gli appunti, devastato e irriconoscibile.
 Arata Kamiyama gli aveva appena consigliato di riguardarsi, di stare bene. Dunque doveva impegnarsi al massimo per seguire quelle parole. Voleva che Arata Kamiyama fosse fiero di lui, che lo approvasse. Dunque, per prima cosa, doveva scacciare quella insensata tensione da sé.
 'Oh, Arata...' pensò Occhialaido, mentre cercava di calmarsi: 'Tu mi fai fare tutto quello che vuoi, come fossi una bambola...'
 

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Capitolo 3
*** Un segno che non passa mai ***


~~ La Scimmiaccia stava attraversando uno dei corridoi della Shuei, più immersa che mai nei suoi pensieri.
 Non vedeva nemmeno quelli che le stavano passando accanto, né sentiva i loro discorsi, così infantili e insulsi.
 Da quando aveva visto per la prima volta il nobile Someya, nulla le era più sembrato come prima. Ogni altra cosa che non fosse il nobile Someya, per lei non aveva più alcuna importanza. Il mondo era diventato grigio, spento, inutile. L'unico colore, l'unico sapore era lui, il nobile Someya. Quando c'era lui, il grigio scompariva, la luce tornava prepotente e il vento ricominciava a profumare di fiori e libertà.
 Così la Scimmiaccia camminava a testa bassa, tenendo la borsa a tracolla, le mani strette attorno alla cinghia.
 Stava passando distrattamente davanti alla porta di un'aula, non avrebbe saputo bene dire quale, quando proprio da lì uscì l'unico uomo sulla faccia della terra in grado di suscitare il suo interesse.
 Il professor Someya restò immobile un istante, quel tanto che bastava per far capire alla Scimmiaccia che anche lui non le era indifferente. Non quanto volesse far credere al resto del mondo.
 Trattenendosi a stento, lottando contro la tentazione di fermarsi lì e di prendergli una mano, o almeno dirgli qualcosa, anche solo salutarlo, la Scimmiaccia riprese a camminare, il cuore in subbuglio e la mente confusa.

 La sera stava scendendo e presto la scuola sarebbe stata deserta.
 La Scimmiaccia aveva fatto tardi senza nemmeno accorgersene. Radunò in fretta tutte le sue cose, buttandole nella borsa alla rinfusa.
 Non le piaceva la scuola, quando restava vuota. Un ambiente tanto grande era spettrale, quando non c'era più dentro nessuno e fuori il sole tramontava.
 Quel pomeriggio, poi, il cielo si era annuvolato sempre più e ora la luce che filtrava dalle finestre era veramente poca. Se non fosse stato per gli ultimi neon rimasti accesi, la Shuei non sarebbe stata dissimile da una location per un film horror.
 La Scimmiaccia camminava rapida per i corridoi. Scese la prima rampa di scale quasi di corsa. Sapeva che qualcuno doveva ancora essere nell'edificio, ma potevano essere al massimo tre o quattro persone in tutto. La cosa le metteva i brividi. Anche se razionalmente sapeva di non dover temere nulla, il suo sesto senso la portava a temere di imbattersi in un fantasma da un momento all'altro.
 Quando finalmente fu al piano terra, si impose di non correre verso gli armadietti. Metteva un piede avanti all'altro con moderata rapidità, guardandosi in giro con aria circospetta e il cuore in gola.
 Un'ombra, all'angolo opposto del grande ingresso, attrasse la sua attenzione. Quasi decisa a gettare alle ortiche la studiata calma della sua andatura, la Scimmiaccia aumentò il ritmo del passo.
 Improvvisamente, appena fu sotto la luce del neon, l'ombra prese forma. Era il nobile Someya.
 Come sotto un incantesimo, la Scimmiaccia tornò a passeggiare con una lentezza esasperante e anche Someya fece altrettanto.
 Forse quella volta si sarebbero parlati. Praticamente erano soli. Era la loro occasione. Potevano parlarsi, dirsi tutto quello che nascondevano nel profondo della loro anima...
 Ormai Someya e la Scimmiaccia erano vicini, tanto vicini che in un paio di passi si sarebbero trovati esattamente l'uno di fronte all'altra.
 “Ehi, Someya! Ancora qui?!” la voce di un professore che la Scimmiaccia non conosce, le risuono alle spalle.
 Someya distolse lo sguardo da lei e si rivolse al collega: “Già! Giornataccia...”
 “Già che sei qui, vieni un momento che devo farti vedere una cosa...” fece il collega di Someya, agitando un registro.
 “Arrivo.” annuì Someya, rimettendosi a camminare.
 Anche la Scimmiaccia ricominciò a fare un passo dopo l'altro. Non si era accorta di essersi fermata.
 Quando furono alla stessa altezza, Someya allargò impercettibilmente le dita di una mano e così fece anche la Scimmiaccia. Si sfiorarono appena, per la frazione di un secondo, per messo battito di cuore.
 La Scimmiaccia era senza fiato, avrebbe voluto afferrarlo, per quelle dita, e tirarlo a sé e baciarlo, anche con un altro che li guardava. Ma non lo fece.
 Someya raggiunse il suo collega e, appena prima di dedicare la sua attenzione a lui, lanciò un'occhiata di sguincio alla Scimmiaccia, che stava raggiungendo gli armadietti a passo di marcia.
 Quando le aveva sfiorato la mano con le punte delle dita, il suo cuore aveva perso un colpo, il suo stomaco si era contratto e la sua gola si era chiusa. Possibile che una ragazza come lei avesse un tale potere su un uomo come lui?
 Quando fu agli armadietti, la Scimmiaccia si voltò appena, con discrezione, appena in tempo per vedere il nobile Someya seguire il suo collega in una delle aule.
 Mentre si cambiava le scarpe, la Scimmiaccia non faceva altro che ripensare al calore della pelle di lui sulle sue dita. Quel gesto, così piccolo e innocente, le aveva scatenato una tempesta.
 Il nobile Someya per lei era una condanna e una gioia al tempo stesso, era una crudeltà e una dolcezza, era il suo destino.
 “Un segno che non passa mai...” sussurrò tra sé, mentre andava all'uscita, stringendo il pugno, come a voler tenere stretta a sé ancor di più quella straordinaria sensazione.

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Capitolo 4
*** Un bacio sulla fronte e dopo sulle labbra ***


~~ Masamune non credeva possibile di esserci finalmente riuscito. Nino gli aveva detto di sì. Aveva accettato una volta per tutte il suo amore, la sua dichiarazione e ora...
 Il ragazzo era così agitato da sentire le gambe molli e le mani malferme. Aveva atteso quel momento per così tanto tempo che non riusciva a mantenere la calma.
 Nino lo stava guardando coi suoi occhi irriducibili e fieri, stava aspettando che fosse lui a prendere l'iniziativa, perché tra i due era lui quello che si vantava di essere esperto in quelle cose.
 Eppure Masamune si sentiva paralizzato. Era incredulo, semplicemente. Il sogno si stava realizzando e lui non riusciva a fare altro che starsene lì a guardarla.
 Nino credeva che Masamune stesse fermo davanti a lei solo perché non voleva metterle fretta. Non aveva colto la trepidazione e la tensione del ragazzo.
 Per contro, nemmeno Nino riusciva a fare alcunché. Anche se non l'aveva sbandierato tanto quanto Masamune, anche lei lo desiderava. Aveva combattuto una dura lotta con sé stessa, prima di cedere all'evidenza.
 Quel ragazzo così scarmigliato e fanfarone le aveva rubato il cuore e non avrebbe potuto trovare nessun altro come lui.
 Con lentezza, Masamune alzò una mano, per sfiorarle una guancia. Nino sapeva che avrebbe dovuto reagire in qualche modo, ma non ci riusciva. Per quanto, prima di quella sera, avessero spesso scherzato su quell'argomento – seguendo sempre il solito copione, con lui che ci provava e lei che lo prendeva in giro – ora che si trovavano a fronteggiare quel momento, entrambi erano intimiditi.
 Deglutendo rumorosamente, Masamune alla fine si decise a fare il primo passo. Le si avvicinò e, cominciando a baciarla con una dolcezza che raramente aveva usato in precedenza, insinuò le sue mani sotto la maglia di Nino, cercando di sollevarla.
 La ragazza non si oppose e tentò di dimostrarsi altrettanto intraprendente, facendo lo stesso con la maglia di lui.
 Nino sentiva una morsa nello stomaco, come una mano invisibile che le comprimeva l'anima. Era una sensazione che non aveva mai provato e non riusciva a capire se fosse positiva o negativa.
 Non voleva ammetterlo neppure con sé stessa, ma quella era paura. Una paura folle e incondizionata, di quelle che fanno perdere lucidità e tremare le mani.
 Quando furono entrambi senza maglietta, Nino avvertì la pelle rovente di Masamune sfiorare la sua. Stretti l'uno all'altra per baciarsi, stavano abbattendo le barriere che li dividevano.
 Masamune passava le mani sulla schiena di lei, mentre Nino, non sapendo cosa fare, teneva le sue sui fianchi di lui.
 Dopo qualche minuto, quando sentì il respiro di Nino farsi più irregolare, Masamune osò di più. Le slacciò i pantaloni, facendoli scivolare lungo le sue gambe.
 Nino ebbe un brivido e per qualche secondo non rispose più ai suoi baci. Quella reazione bloccò Masamune, ripiombandolo nell'agitazione che l'aveva paralizzato poco prima.
 Nino fece correre le mani verso la cintura dei jeans del ragazzo. Non si era nemmeno accorta del tentennamento di Masamune, presa com'era dalla paura che le si agitava nel petto.
 Appena riuscì a sbloccare la fibbia, Masamune poggiò entrambe le mani sulle sue, come a volerla fermare.
 “Cosa c'è?” sussurrò Nino, senza guardarlo.
 Arrivava appena il suo collo. Avvertiva l'odore della sua pelle e il suo calore. Non voleva allontanarsi da lui per nessuno motivo, anche se ne era terrorizzata.
 Perché lui l'aveva fatta fermare? Aveva colto le sue inquietudini? Non la voleva più?
 Masamune stava scuotendo lentamente il capo. Schiuse un po' le labbra, come se volesse iniziare a spiegarsi, ma la voce gli moriva nella gola ogni volta che provava a parlare.
 Finalmente Nino comprese ogni cosa: anche lui aveva paura.
 Quella improvvisa consapevolezza, sapere che un ragazzo che aveva avuto altre esperienze e che mostrava al mondo un carattere sprezzante e da spaccone era in realtà impaurito quanto lei, le diede un coraggio che non immaginava di poter avere.
 Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi corrucciati di Masamune. Le bastò quel breve contatto per aver conferma della sua intuizione.
 In silenzio, con una naturalezza che sorprese molto il ragazzo, Nino lo prese per mano e lo fece sedere sul letto.
 Lei indossava ormai solo l'intimo, mentre lui portava ancora i pantaloni. Già il fatto che Nino si lasciasse vedere così indifesa era per Masamune una prova d'amore imbattibile.
 Nino ebbe un ultimo fremito di incertezza, ma poi agì in fretta, senza più ragionarci. Lo prese per le spalle e gli diede una piccola spinta, mandandolo con la schiena contro il materasso. Si mise sopra di lui e, in un bisbiglio, gli disse: “La tua paura fa passare la mia.”
 Masamune era senza fiato. Con quelle poche parole Nino gli stava dando una nuova forza. Gli stava dicendo che anche lei era tesa e che aveva capito quanto anche lui fosse agitato. E così gli ricordava che insieme potevano abbattere quella paura e amarsi senza temere nulla.
 Nino gli diede un bacio in fronte, e dopo sulle labbra. Masamune si sentì un leone. Ricambiò il bacio con decisione, e più si dimostrava sicuro, più anche Nino acquistava fermezza nel suo modo di muoversi e di rispondere a quello che faceva lui.
 Con un'urgenza nuova, ardente e travolgente, finirono di svestirsi l'un l'altra e, senza più bisogno di dirsi altro, si lasciarono prendere dalla passione.
 

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