You'll be in my heart

di eleCorti
(/viewuser.php?uid=843387)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Once upon a time... a wonderful ship ***
Capitolo 2: *** Saving me ***
Capitolo 3: *** Fallin' in love ***
Capitolo 4: *** Lovers ***
Capitolo 5: *** The ship is sinkin... ***
Capitolo 6: *** My heart will go on ***



Capitolo 1
*** Once upon a time... a wonderful ship ***


Once upon a time... a wonderful ship




 
Ottantacinque anni... erano già passati ottantacinque anni da quel fatidico giorno. Aveva quasi rischiato di perderlo... pensò l’anziana signora di nome Sana Hayama.
Prese la foto sua e di suo marito - scomparso tragicamente – erano così felici, felici come se non fosse successo niente quel giorno.
“Nonna...” l’anziana signora – ormai molto avanti con l’età, sfiorava i cento anni – si girò. Era la sua bellissima nipote, Eri, la primogenita della sua prima figlia.
La giovane era bionda – proprio come suo nonno – ma gli occhi erano di un bellissimo color cioccolato – proprio come quelli della nonna – aveva circa trent’anni, anche di meno.
L’anziana Sana da anni viveva con lei – da quando suo marito l’aveva lasciata – poiché entrambe si facevano compagnia – la giovane, infatti, non era impegnata con nessuno.
“Eri cara...” le sorrise amorevolmente, mentre si sedeva sulla sedia a dondolo accanto al camino. Aveva preso la foto. Per lei era assai importante.
“Nonna... a che pensi?” non poté fare a meno di domandarle. Aveva capito che sua nonna fosse pensierosa.
“Sai...  come ho conosciuto tuo nonno” sorrise, poiché se lo ricordava in modo così chiaro che sembrava che l’evento fosse accaduto ieri.
“Non... me l’hai mai raccontata questa storia” le fece notare, mentre si sedeva sul pavimento – ricoperto da un tappeto persiano – con le gambe incrociate; proprio come quando era bambina.
“Nessuno la sa, neanche tua madre e tuo zio” le rivelò. Ed era vero, mai aveva raccontato quella storia a nessuno.
“Io... posso saperla?” e all’improvviso la bambina che c’era ancora dentro di lei rinacque.
“Certo...” le sorrise. Per lei era ancora la sua adorata nipotina che – quando era bambina – veniva sempre a casa sua per sentire fantastici racconti sulla sua vita.
“Sono passati ottantacinque anni...” prese una pausa. Quelle dolorose scene erano riapparse nella sua mente come flash.
“Nonna...” le mise la mano sulla sua. Preoccupata? Sì.
“Ce la faccio!” la rassicurò, stringendole la mano.
“Sono passati ottantacinque anni ed ancora ricordo tutto alla perfezione...” si fece trasportare dai ricordi...





 
****




 
Liverpool. Una città molto importante per l’Inghilterra... perché? Il porto che garantiva proficui scambi commerciali con l’America.
Quel giorno di aprile era ricolmo di gente. Il motivo di cotanta curiosità era l’inaugurazione della più grande nave da crociera: il Titanium, considerata dal suo costruttore la nave inaffondabile.
Molte persone erano dei passeggeri – di prima o seconda o terza classe – che si accalcavano all’ingresso della nave – che altro non era che un ponte levatoio – quelli di prima classe – i nobili – passarono subito (avevano la precedenza d’altronde) gli altri no: prima dovevano subire un controllo sanitario – in caso covassero qualche strana malattia.
Tra la folla – però – spiccò un’auto lussuosa, cui nessuno fece caso, poiché troppo impegnati a osservare il maestoso mezzo navale.
Da essa scesero due donne: la prima, di mezza età, aveva i capelli raccolti in un'acconciatura buffa dalla quale spuntava uno scoiattolo, la seconda, di diciassette anni, aveva i capelli rossi lunghi e lisci, indossava un vestito stretto e rosso – doveva essere una delle tante figlie di un ricco viziata – ma chi la conoscesse poteva affermare che non lo fosse per niente.
Un uomo: un uomo dai capelli castani, vestito in giacca e cravatta e con indosso degli occhiali – l’aiutò a scendere dall’auto. Quello doveva essere il suo maggiordomo – chi la conoscesse sapeva che non fosse così.
Infine dall’altro lato dello sportello scese un altro uomo – molto più giovane rispetto all’altro – dai capelli viola e gli occhi azzurri. Quello era un ricco finanziere, molto famoso nell’Inghilterra dei primi del ‘900.
“E così questo sarebbe il Titanium...” la giovane ragazza osservò la maestosa nave con aria di sufficienza. Lei non voleva venirci.
“Il Mongomery è molto più grande...” l’uomo dai capelli viola le diede man forte. Lui era salito a bordo di navi ben più grosse.
“Signore non si faccia ingannare dalle dimensioni. Il Titanium è molto veloce” il capitano della nave – un uomo sulla quarantina – si era avvicinato a loro per dare loro il giusto benvenuto. Quelli erano i suoi clienti più importanti.
“Sì... vedremo...” si lasciò convincere.
“è un piacere averla a bordo signor Kamura” strinse la mano al suo cliente più importante.
“Il piacere è mio. Vorrei presentarle la mia fidanzata Sana... ” indicò la giovane accanto a lui – che si fece baciare la mano dal capitano.
“E la signora Kurata, la madre di Sana...” indicò anche l’altra donna, la quale fece una piccola riverenza.
“Bene... se volete seguirmi...” fece strada loro verso la nave denominata dei sogni. E lo era per davvero.
“Mi raccomando stia attento ai bagagli!” Sana poté sentire il loro autista – Rei – che dava ordini ai facchini su come disporre i bagagli.






 
****




 
Un bar… poco distante dal porto. Esso era pieno di tante persone – di basso rango – molte mangiavano, molte si ubriacavano, molte giocavano a carte.
In particolare in un tavolo posto al centro del locale vi erano quattro persone occupate a disputare una partita di poker.
Il primo uomo – di origine tedesca – passò il turno – il secondo uomo – dai capelli castani, gli occhi marrone e con indosso due paia di occhiali rotondi e molto spessi – passò il turno – il terzo – anche lui di origine tedesca – mise sul tavolo una doppia coppia – l’ultimo – biondo e dagli occhi miele – vinse tutto.
“Mi dispiace Tsu...” era un bluff e il suo amico non lo capì.
“Come? Ho scommesso tutto?” il suo amico perse la calma.
“Mi dispiace Tsu, ma sarai costretto a non vedere Aya per un po’. Andiamo sul Titanium!” mise sul tavolo le sue carte vincenti. Il suo amico lo abbracciò: per un attimo aveva temuto il peggio.
L’uomo prese per il colletto il giovane – il cui nome era Akito – stringendo il pugno. Chiuse gli occhi, capendo le intensioni del giovane, ma niente accadde: l’uomo aveva colpito il suo amico.
Il suo migliore amico prese dal tavolo i biglietti, e li baciò. Sì era decisamente l’uomo più felice di Liverpool.
“Andiamo sul Titanium!” urlò il giovane Akito. Si sentiva potente come un leone.
“No, se non ti sbrighi, lo perdi!” il barista gli indicò l’orologio: tra pochi minuti la nave sarebbe partita, dovevano sbrigarsi.
Uscirono correndo come forsennati da quel piccolo, squallido locale. Fortuna che il porto fosse poco distante, sennò avrebbero perso la nave per sempre.
Giunsero. Il ponte levatoio era stato appena sollevato, ma i due inseparabili amici riuscirono a salire lo stesso.
“Avete fatto il controllo sanitario?” l’ufficiale di bordo, prima di farli entrare, pose loro quella fatidica domanda.
“Sì, sì... ma non abbiamo niente, siamo inglesi!” rispose Akito. Loro avevano fretta e quel ufficiale li bloccava.
“D’accordo. Entrate!” dopo una prima esitazione li fece entrare. Si fidava? No, ma doveva chiudere il portello.
Entrarono correndo, felici perché erano a bordo di una delle navi più lussuose di sempre – ma loro di quel lusso avrebbero visto poco e niente... forse.




 
****


 
Finalmente era giunta nella sua stanza – posta nella prima classe – più che una stanza era una vera e propria suite con il salotto annesso, ed era anche da sola, poiché sua madre dormiva nella stanza accanto, mentre il suo fidanzato alloggiava nella stanza accanto alla sua.
Finalmente le sue valigie le furono restituite; erano davvero numerose, si era portata tutto – lei non viaggiava mai senza le sue cose – inclusi i suoi quadri di Picasso, che lei amava tanto.
“Questo dove lo metto signorina Kurata?” una delle tante cameriere di bordo, che le erano state affidate, le domandò.
“Per terra, signorina Fuka” le rispose la giovane, mentre prendeva un altro quadro.
“Finalmente anche questa stanza ha un tocco di colore!” girò su se stessa per osservare il piccolo salotto, ricoperto da quadri variopinti.
“Mmm... abbiamo speso una fortuna per queste... chiamiamole opere!” il suo ragazzo Naozumi fece il suo ingresso. Loro due avevano gusti assai diversi.
“Sì... caro la differenza tra me e te è che io il gusto dell’arte ce l’ho” non poté fare a meno di lanciargli quella piccola frecciatina. Ma non doveva: era il suo promesso sposo, dopotutto. Voleva sposarlo? No, ma che poteva fare?
“Mi farai spendere un capitale!” ribatté, mentre la stanza veniva invasa dai facchini che posavano i numerosi bagagli.
“Nel guardaroba va questo! Ed anche quello!” Rei dava indicazioni a tutti i facchini. Quello era il suo lavoro e doveva rispettarlo.






 
****




 
Avevano percorso tutta la nave, ma alla fine avevano trovato il loro alloggio. Esso era posto in un buio e stretto corridoio anonimo e non era di certo lussuoso, anzi era peggio di una vera e propria topaia. Eppure poco prima erano immersi in un sogno... ora invece erano ripiombati nella dura e cruda realtà.
Quando aprirono la porta, si ritrovarono all’interno di una piccola stanza con due letti a castello, in uno – su quello di destra – vi era un ragazzo della loro età dai capelli corvini.
“Piacere Akito” il giovane biondo si avvicinò al suo compagno di stanza e gli tese la mano.
“Piacere Gomi” ricambiò la stretta. Eppure pensava che i suoi compagni di stanza fossero tedeschi. Meglio così, si disse.
“Piacere Tsuyoshi” il castano si avvicinò al giovane e si presentò anche lui.
Quella sarebbe stata l’inizio di una grande amicizia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: è la prima long su Kodocha che scrivo (non è la prima fic, una già l’avevo scritta quest’estate) e niente è ispirata al film Titanic – che, spero, voi conosciate, andate a vedervelo sennò – e niente spero vi piaccia.
Scusate la brevità di questo primo capitolo. Ma era solo una piccola introduzione, giusto per introdurre la vicenda.
  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Saving me ***


Saving me




 
Quella storia la incuriosiva sempre più, non pensava che i suoi nonni si fossero conosciuti in una nave da crociera... che bello, pensò, anche lei voleva incontrare l’amore della sua vita in quel modo... invece... invece aveva avuto tante delusioni: per questo era... sola.
“Come vi siete incontrati?” domandò, interrompendo il racconto dell’anziana donna.
“Eri...” sospirò, soffocando una risatina.
“Sei proprio come tuo nonno: vuoi arrivare subito al sodo...” sorrise ripensando a lui... le mancava tanto.
“Scusa è che sono troppo curiosa di sapere!” adorava quando la sua dolce nipotina tornava a essere la bambina gioiosa ed esuberante, le ricordava molto lei da bimba.
“Aahaha, capisco...” si fece sfuggire quella piccola risata. Infondo la capiva, ma che ci poteva fare se amava perdersi nei suoi ricordi?
“Dai ricomincia, non t'interrompo più!” le giurò, alzando il dito mignolo, come faceva da bimba, quando sanciva una promessa.
“Va bene. Dunque...” di nuovo l’anziana Sana si fece trasportare dai dolci ricordi, come una melodia.





 
****




 
Erano trascorsi solo pochi giorni da quando il Titanium era partito da Liverpool e già aveva circumnavigato quasi tutta l’Inghilterra e ora si stava dirigendo ad ovest. Era davvero una nave veloce, ma nessuno sapeva che sotto tutto quella tecnologia c’erano degli uomini che azionavano i vari macchinari.
Era davvero la nave dei sogni... le grandi sale lussuose – della prima classe ovviamente – i grandi ponti, le grandi sale... sì era tutto meraviglioso.
Ma non serviva essere ricchi per godersi quello splendido viaggio: due giovani, infatti, erano andati a prua a vedere le acque che scorrevano sotto di loro.
Entrambi erano incantati nell’osservare le onde che s'increspavano contro la nave, entrambi si erano persi in quelle azzurre acque.
“Ehi Tsu guarda!” il giovane Akito si sporse un poco, indicando un delfino che nuotava nell’acqua. Il suo amico, curioso, lo imitò.
“Eccone un altro!” indicò anche un altro delfino, che nuotava accanto al suo compagno.
Due, tre, quattro i mammiferi marini si moltiplicarono, provocando lo stupore del giovane Hayama, gli piaceva vedere i delfini; voleva essere come loro: libero.
Esultò come un giocatore che segna goal, era felice per loro, anzi no, si sentiva come loro: libero e senza preoccupazioni.
Il capitano osservò quei due ragazzi. Sorrise: gli ricordavano lui, quando era – a suo tempo – giovane e libero.
Salì sulla ringhiera il giovane Akito ed esultò ancora, sì gli piaceva essere libero.
“Non vedo l’ora di arrivare a New York!” esclamò Tsu, immaginando di vedere la statua della libertà.
“Sono il re del mondo!” urlò Akito, facendosi accarezzare dalla brezza primaverile.
Il capitano sorrise: adorava quel ragazzo, gli ricordava molto se stesso.






 
****





 
Quanto odiava partecipare alle cene dell’alta società, si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Non capiva ciò di cui parlassero quegli uomini vestiti tutti allo stesso modo: con giacca e cravatta. O meglio capiva l’argomento, ma lo trovava noioso.
Ecco: si stava innervosendo e non andava bene, pensò. Prese il pacchetto delle sue Marlboro, lo aprì ed estrasse una sigaretta. La portò alla bocca, prese l’accendino e la accese, aspirando il fumo, facendolo arrivare ai polmoni per poi buttarlo fuori.
“Lo sai che non mi piace...” sua madre, sottovoce, le fece notare il suo dissenso.
Per tutta risposa la fanciulla buttò in faccia alla madre il fumo, facendole fare una smorfia di dissenso.
“Ha ragione!” il suo fidanzato – odioso come non mai – senza chiederle il permesso le levò la sigaretta dalla bocca e la spense nel posacenere bianco appoggiato sulla tavola imbandita da un lussuoso servizio.
“Signori che cosa volete ordinare?” il cameriere – in piedi di fronte a loro – attirò l’attenzione del ricco imprenditore.
“Prendiamo un filetto per due, al sangue e con un filo di menta sopra” rispose il giovane, senza consultare la sua fidanzata.
Quanto lo odiava quando prendeva le decisioni anche per lei. Come se lei non ne fosse in grado! Era stufa! Era stufa del suo atteggiamento.
“Ti piace il filetto, vero pasticcino?” si rivolse alla fidanzata, come se si fosse ricordato che il suo parere contasse.
Annui, fingendo un sorriso, mentre dentro si sé ardeva come le fiamme dell’inferno. Lo voleva picchiare.
“Hai intenzione anche di imboccarla Naozumi?” una signora, seduta di fronte a loro – con indosso un buffo cappello – si prese gioco di lui, provocandogli una smorfia sul viso.
Ecco di nuovo che ricominciarono a parlare del Titanium, ma stavolta la giovane Sana prestò attenzione al discorso: si stava parlando della grandezza della nave, argomento che le interessava molto, poiché la affascinava.
Però, notando la piega che stesse prendendo il discorso, s’infastidì. No, non poteva starsene zitta, doveva dare una lezione a tutti quei ricchi.
“Ha mai sentito parlare di Freud (il padre della psicoanalisi nda)? Ha una teoria su voi maschi e sulla vostra preoccupazione delle dimensioni!” obbiettò, il suo tono era duro.
Sua madre la guardò con uno sguardo di rimprovero, come per dire che cavolo stai dicendo? Certe volte non capiva sua figlia.
“Ma che ti prende?” si rivolse, difatti, alla giovane figlia.
Basta! Non ce la faceva più decise di andarsene. Si sentiva soffocare, come stretta da una morsa, dalla quale non si potesse facilmente liberare.
“Scusate...” posò il tovagliolo sul tavolo e si alzò, provocando lo stupore generale.
Nessuno la seguì: né sua madre né colui che fosse il suo ragazzo.
“Mi dispiace, ma mia figlia ha la lingua lunga” sua madre prese il suo calice ricolmo di un alcolico e si scusò.
“Però... la sua fidanzata è un tipetto a modo suo... chissà se lei ne è all’altezza?” s’intromise la signora dal buffo capello il cui nome era Mary.
Se non fosse stato un gentiluomo, il giovane dai capelli lilla le avrebbe risposto male. Perché? Semplice: la irritava e parecchio.
“Lo so fare stia tranquilla! Ma pare che dovrò prestare attenzione a ciò che legge!” la sfidò, non le faceva paura quella lì.







 
****






 
Erano su uno dei tanti ponti della terza classe, Tsu stava parlando con Gomi, mentre il giovane Akito si era seduto su una delle tante panchine, mettendosi a disegnare.
Si era ispirato a un padre e a una figlia, perché lui era così: disegnava scene quotidiane, disegnava soggetti sconosciuti che mai più avrebbe rivisto, ma che avrebbero rappresentato un ricordo di quel viaggio.
“Quindi questa nave è inglese...” chiese il giovane dai capelli castani.
“No irlandese!” lo corresse Gomi.
“Davvero? Non lo sapevo!” era stupito, eppure sapeva che fosse stata costruita a Liverpool.
“No i materiali sono irlandesi, la manodopera anche ed è stata provata in Irlanda” gli spiegò molto tranquillamente.
“Ecco, come sempre i cani vengono qua nella terza classe a fare i bisogni!” il giovane Gomi si lamentò, mentre aspirava il fumo dalla sua sigaretta.
“Beh ci fa capire com’è il mondo!” odiava quell’ordine insensato delle classi.
“E chi se lo scorda!” il suo nuovo amico, mentre buttava fuori il fumo, gli diede man forte. Lui la pensava come il biondino.
“Bei disegni...” afferrò lo schizzo di Akito e lo osservò. Gli piaceva molto.
“Riesci a guadagnare?” gli domandò.
Ma il giovane dai capelli dorati non gli prestò attenzione. Un angelo. Un angelo dai capelli rossi attirò la sua attenzione come una calamita. Era stupenda, anzi divina. Ma chi era? Non poté fare a meno di chiedersi.
Il giovane dai capelli corvini, vedendo che il suo amico non gli rispondesse, si voltò, notando anche lui la misteriosa ragazza appoggiata alla ringhiera del ponte soprastante.
“Lascia perdere. Lei non fa per te” gli consigliò, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla.
Ma il giovane Hayama – ancora una volta – non gli diede ascolto: era troppo impegnato a fissare quella celestiale e soave visione. Chi era?
Si girò: i loro sguardi s’incrociarono. All’interno del giovane pittore si scatenò una tempesta... quegli occhi, così... belli, intensi... profondi come l’oceano, un oceano di cioccolato, in cui avrebbe tanto voluto navigare. Nemmeno Tsu che gli passava la mano davanti agli occhi, lo fece distaccare da quell'incantevole donna.
Se ne andò: un uomo, probabilmente poco più grande di lei, la portò via e sembrava arrabbiato.
Si rattristò il giovane Akito: la voleva rivedere di questo era assai certo.







 
****






 
“Quindi è avvenuto così il vostro primo incontro?” la giovane Eri – ancora una volta – interruppe il racconto della nonna. I suoi occhi luccicavano. Anche lei avrebbe tanto voluto incontrare il suo vero amore in quel modo.
“Sì... anche se non ci siamo parlati, ci siamo parlati solo dopo...” le sorrise calorosamente. Adorava quando faceva in quel modo. Le ricordava lei.
“Va avanti!” la incitò la giovane, sedendosi meglio sul tappeto persiano. Le si erano addormentate le gambe.
“Sì. Allora dov’ero rimasta?” fece mente locale e si perse di nuovo nei magnifici ricordi.







 
****






 
Erano diciassette anni... diciassette anni che partecipava a quelle cene, così... uguali e noiose. Nessuno... nessuno la calcolava, nessuno capiva il suo dissenso, il suo dolore, la sua disapprovazione. Si sentiva sola... soffocare... come se fosse in un precipizio e stesse per cadere, ma nessuno voleva salvarla. Ma c’era davvero qualcuno che volesse salvarla? Non poté fare a meno di chiedersi.
Si alzò con una scusa, disse che doveva andare alla toilette. Corse, corse, veloce, nonostante i tacchi. Dove andava? Non lo sapeva. Purché fosse lontano da quel mondo che non le apparteneva.
Non si curò delle persone che le passavano davanti che la guardavano preoccupati, domandandosi che cosa affiggesse quella giovane ragazza. Anzi ne urtò parecchie: l’unica cosa che le interessasse era fuggire, fuggire il più lontano possibile.
Attraversò il desolato ponte, cercava un luogo in cui non ci fosse nessuno, voleva stare sola.
Un ragazzo... era Akito disteso su una panchina che si fumava una sigaretta, la notò. Si alzò, riconoscendola, osservandola mentre spariva dall’altro lato del ponte. Che cosa le era successo? Non poté fare a meno di chiedersi.
Si fermò, la giovane Kurata, le lacrime solcavano il suo viso, donandole un aspetto disperato, ma lei lo era davvero. Un’idea... un’idea attraversò la sua mente: farla finita, buttarsi da quel famoso precipizio.
Si avvicinò alla ringhiera della nave, lentamente, come se fosse consapevole che fosse giunta la sua ora. Ci mise il piede sopra, arrampicandosi, per poi saltare dall’altra parte, la parte in cui sotto vi erano le acque gelide dell’Atlantico.
Ecco... le fissò, il respiro affannato, come se avesse paura, si distese in avanti, pronta per buttarsi in quel tanto temuto precipizio.
“Ferma!” trasalì, sentendo quella secca esclamazione. Si voltò notando un ragazzo biondo e dagli occhi color miele.
“Stai indietro! Non muoverti!” cercò di minacciarlo, ma – evidentemente – il suo tono doveva essere poco convinto, poiché il giovane, invece, avanzò verso di lei.
“Dammi la mano...” avanzò ancora, tendendole la mano. Voleva aiutarla.
“Ti aiuto a tornare a bordo” il suo tono era – stranamente – dolce.
“No! Non ti muovere! O mi butto!” replicò la giovane. Ma il suo tono era ancora poco convinto.
Avanzò, mentre si toglieva dalla bocca la sigaretta per gettarla in mare. Una scusa? Sì. Si era, infatti, avvinato alla giovane dai capelli rossi.
“Non lo farai!” ribatté sicuro di sé. Sapeva quando una persona facesse sul serio oppure no.
“Che vuoi dire? Scusa?” riprese la sua spavalderia di sempre.
“Tu non mi conosci!” tuttavia, l’insicurezza s’impossessò di lei, come se fosse il demonio in persona.
“Se così fosse, l’avrebbe già fatto!” ribatté, mentre sul suo volto si dipinse un ghigno di vittoria. Sapeva di avere ragione.
“Vattene!” quel ragazzo le dava sui nervi.
“Non posso!” fu la sua secca risposta. Perché?
“Perché... se ti butti, dovrò tuffarmi per salvarti” spiegò, mentre si slacciava gli scarponi.
La sorprese quella rivelazione. Perché? Si domandò. Eppure non la conosceva neanche.
“Per favore! Morirebbe!” ribatté. Era convinta che fosse una bugia.
“Non m’importa!” replicò lui, mentre si toglieva la camicia.
“Non dire sciocchezze!” si fece sfuggire una smorfia, come faceva da bambina quando faceva i capricci.
“Oh sì sono serio!” se la rise il giovane. Adorava farla arrabbiare.
“E poi dovresti preoccuparti dell’acqua gelida!” continuò il suo discorso. Voleva provare a convincerla a non commettere una tale sciocchezza.
“Quanto?” voleva saperla.
“Sotto lo zero!” se la rise. Aveva vinto, lo sentiva.
“Fidati ti me...” proseguì. Voleva convincerla.
“Io ci sono caduto una volta. E non è bello, sembra di essere dentro il freezer!” la fissò negli occhi. Poté leggere la sua paura. Sì l’aveva convinta ormai.
“Dai su, prendi la mia mano. Non vorrai mica commettere una tale sciocchezza?” si avvicinò alla giovane e le tese la mano.
La afferrò, lasciandosi convincere da quello strano ragazzo. Si voltò, lentamente, incrociando – ancora una volta – quello sguardo color miele. Stavolta si perse anche lei... le piaceva molto quello sguardo, lo trovava così intenso... era come incantata. Lui le sorrise, stavolta grato per averlo ascoltato.
“Mi chiamo Akito Hayama...” si presentò. Ancora lei non era dall'altro lato della prua.
“Sana... Sana Kurata” anche lei gli sorrise. Fu ammaliata dal suo sorriso smagliante.
“è un nome strano...” constatò. Ma la ragazza non si arrabbiò, anzi rise di gusto.
“Forza!” la incitò a scavalcare la ringhiera.
Quel vestito... così lungo, fu la sua rovina. C’inciampò, cadendo per davvero. Urlò, conscia ormai che fosse finita. Fu presa. Lui... era lui che la doveva salvare?





 
****




 
“E ti salvò?” sua nipote interruppe. Si era emozionata, come quando leggi un libro e vuoi sapere come va a finire.
“Ora... cara Eri ci arrivo” tuttavia l’anziana signora non si arrabbiò. Come poteva?
“Dunque...” ancora una volta si perse nei suoi ricordi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: allora eccomi qui con un altro capito XD l’ho interrotto sul più bello perché volevo lasciare la suspense XD anche se tutte voi sapete come va a finire.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito – vi citerò alla fine della storia – e chi ha messo la storia tra le seguite – citerò anche voi alla fine della storia.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Fallin' in love ***


Fallin’ in love




 
La teneva. La teneva stretta, mentre quella bellissima fanciulla urlava a squarcia gola.
“Aiuto!” gridò, difatti, la giovane Sana.
“Tranquilla. Non ti lascio andare. Tieniti stretta a me” lui la rassicurò. Non lo aveva mai fatto. Mai.
Eppure quella soave fanciulla gli faceva uno strano effetto e nemmeno la conosceva. Che fosse stato un colpo di fulmine? Può darsi.
Qualcuno, dei marinai, sentirono le grida strazianti di una fanciulla. La paura s’impossessò di loro. Possibile che ci fosse qualcuno in pericolo? Si chiesero. Dovevano scoprirlo.
Si diressero, perciò, verso il luogo in cui avevano sentito quelle strazianti grida. Forse ancora non era tutto perduto.
“Forza coraggio! Aggrappati alla ringhiera!” le urlò, mentre con un grandissimo sforzo la tirava su.
Lo ascoltò. Cercò con il piede di aggrapparsi alla ringhiera. Ce la fece, mentre lui la tirava su. I marinai stavano giungendo. Forse niente sarebbe stato perduto.
“Ecco! Ti ho preso!” esclamò, mentre la giovane lo raggiungeva.
La afferrò, ma nel farlo cadde con lei all’indietro, finendo per terra. Almeno era in salvo.
I marinai giunsero. Ciò che videro, però, non gli piacque. Possibile che avessero frainteso? Sì e parecchio.
“Che cosa è successo?” domandò il più anziano tra loro. Si soffermò a osservare la scena. Lei distesa per terra, lui sopra di lei, il lungo vestito alzato. Lei con il respiro affannato. Sì aveva frainteso.
“Alzati subito! Non osare muoverti!” si rivolse con tono sgarbato al giovane Hayama, che gli obbedì.
“Chiamate il commissario di bordo!” si rivolse ai due colleghi, che corsero subito in cerca dell’agente.
Neanche due minuti dopo, che il giovane Akito si ritrovò ammanettato e la giovane Kurata avvolta in una soffice coperta di lana, accanto al commissario che si sincerava delle sue condizioni.




 
****


 
“E l’hanno arrestato?” ancora una volta la giovane Eri interruppe il racconto dell’anziana nonna.
Rise, poiché la adorava. Come poteva arrabbiarsi con la sua unica nipote femmina? No, non poteva: le faceva troppa tenerezza, nonostante ormai fosse una donna e non più una bambina.
“Ora Eri...” soffocò una piccola risatina. In sua nipote, ci vedeva se stessa da giovane.
“Ok... scusa...” e, infatti, la giovane era come la nonna: un’eterna bambina.
“Dunque? Dov’ero rimasta?” mise il dito sul mento, riperdendosi nei suoi ricordi.



 
****



 
“Ehi tu!” eccolo quell’arrogante di Naozumi Kamura che si avvicinò al nemico. Sì per lui era un nemico.
“Chi ti ha detto di mettere le mani addosso alla mia fidanzata?” lo squadrò dalla testa ai piedi. Per lui era un pezzente, di certo non alla sua altezza.
E il giovane Hayama lo sfidò con lo sguardo. Azzurro e miele s’incontrarono. La tempesta era incominciata. Non è facile essere rivali in amore.
“E rispondimi brutta feccia!” lo afferrò per il colletto della camicia. Quel silenzio lo aveva irritato.
“Nao!” la giovane Sana, da seduta, lo richiamò. Perché doveva agire in quel modo. Perché?
“Allora perché l’hai fatto?” non sentendo alcuna risposta, il giovane dai capelli azzurri, intensificò la presa.
“Nao!” stavolta la fanciulla si alzò in piedi. Avvicinandosi al fidanzato. Doveva fermarlo, prima che commettesse qualche sciocchezza.
“Fermo! È stato un incidente!” lo afferrò per la manica della nera giacca, scostandolo dal giovane Akito.
“Un incidente?” ammorbidì il tono. Non capiva.
“Credimi. È stato uno stupido incidente. Mi ero sporta troppo e sono scivolata” improvvisò quella balla.
Akito la guardava sorpreso. Non capiva che cosa stesse dicendo. Forse doveva stare al gioco.
“ Mi ero sporta per vedere le aliche e sono scivolata” inventò ancora. Forse non lo aveva convinto.
“Volevi dire le eliche!” ruotò gli occhi al cielo. Certo che la sua fidanzata fosse davvero stupida, a volte.
“ E se non fosse stato per Hayama, sarei precipitata in mare!” finì il suo racconto indicando il giovane dai capelli dorati.
“Non ci credo!” non riusciva proprio a capirla a volte.
“è la verità?” s’intromise il commissario di bordo – un uomo pelato dai buffi baffi – rivolgendosi al giovane ammanettato.
La fissò prima di rispondere. Dal suo sguardo capì che doveva stare al suo gioco, se voleva avere salva la vita.
“Sì” rispose, con un tono molto deciso.
“Oh bene, allora lei giovanotto è un eroe!” esclamò, sorridente, mentre il suo assistente liberava l’ostaggio.
“ Bene, direi che possiamo andare!” si rivolse agli altri. Per fortuna era finita bene, si disse.
“Stai morendo di freddo!” il giovane Naozumi cercò di riscaldare la sua fidanzata.
“Meglio rientrare...” si girò con lei dall’altro lato. Non voleva farla ammalare.
“Non sarebbe meglio dare una ricompensa al ragazzo?” il commissario fece voltare la coppia verso di sé. Gli sembrava giusto che il giovane Hayama venisse ricompensato per la sua buona azione.
“Sì...” rispose il giovane, dopo aver fissato la fidanzata infreddolita.
“Certo. Signor Sagami...” si rivolse alla sua guardia del corpo, attirando la sua attenzione.
“Un biglietto da venti dollari è più che sufficiente” disse tutto convinto.
Lei rise. Ma davvero valeva così poco per lui? Non importava, ormai. Voleva rivedere quello splendido ragazzo. L’unico che la potesse capire.
“Valgo così poco per te?” fece la finta offesa. Sapeva che avrebbe vinto.
“Mmm... e così sei scontenta? Vediamo che cosa facciamo?” finse di pensarci su.
“Domani sera...” si avvicinò al giovane Akito.
“Le andrebbe di venire a cena da noi, così ci racconta la sua eroica impresa?” domandò, dandogli dei lei e non del tu.
“Sì. Sarò dei vostri” rispose, guardandolo con uno sguardo deciso.
“Bene. A domani” e lui lo sfidò. Quello era solo l’inizio.
Raggiunse la sua fidanzata, posandole un braccio attorno alla spalla. Poi se ne andò.
Il giovane Hayama li fissò. Era geloso? Forse, lui non era tipo. All’improvviso gli venne voglia di fumare.
Attirò l’attenzione della guardia del corpo, facendogli un fischio. Voleva chiedergli una sigaretta.
Con un solo gesto della mano lo fece avvicinare a sé.
“Posso chiederti una sigaretta?” lo guardò in modo serio. Il suo sguardo era magnetico.
Il giovane Rei, per tutta risposta, gli porse il pacchetto, permettendo al giovane di prendere la sigaretta, anzi due. Una se la mise nell’orecchio e l’altra la portò alla bocca.
“Ha le scarpe slacciate” il giovane Hayama si fissò gli scarponi. Era vero, erano slacciati.
“è curioso che lei abbia avuto il tempo di spogliarsi, mentre la signorina scivolava all’improvviso, non le pare?” insinuò. Che avesse capito? Forse. Il giovane Akito stette zitto.






 
****





 
“Certo che Naozumi era un vero e proprio antipatico!” non poteva non dirlo la giovane Eri.
“Già...” asserì. Aveva proprio ragione, pensò.
“Come ci sei finita con lui?” doveva saperlo. Era troppo curiosa.
“Eri, erano tempi diversi. All’epoca nell’alta società non potevi decidere con chi sposarti...” le rivelò.
“Capisco...” s’intristì: lei era un tipo che credeva nel vero amore.
“Anche quel Rei era antipatico!” si riprese, tuttavia, poco dopo.
“No, ti sbagli. Dopo qualche tempo mi ha aiutata molto qui a New York...” era vero. Si erano rincontrati poco dopo il naufragio. Le aveva chiesto scusa per essersi comportato male nei confronti suoi e di Akito e lei la perdonò. La aiutò molto nella sua carriera di attrice.
“Va avanti nonna. Non ti interrompo più!” la incoraggiò ad andare avanti.
“Sì. Allora...” ancora si perse nei suoi ricordi.




 
****



 
Si era rinchiusa nella sua stanza. Da sola. Voleva restare da sola con i suoi pensieri. E per rilassarsi aveva azionato il piccolo carillon, regalatole da suo padre.
Si era seduta davanti alla specchiera. Aveva preso il piccolo specchio, per guardarsi meglio in viso. Il riflesso non le piaceva. Perché? Semplice: non era il riflesso di una ragazza felice.
La porta bussò. Sussultò. Eppure aveva chiesto esplicitamente a Fuka che non voleva vedere nessuno. Posò il piccolo specchio, guardando in quello grande: era Naozumi.
“So che sei triste...” si fermò sulla soglia della porta. Lei non rispose.
“Io... non voglio sapere il perché...” continuò il discorso. Lei non rispose. Si limitò a fissarlo dallo specchio.
“Sai... avevo pensato di dartelo settimana prossima al galà per il nostro fidanzamento...” si avvicinò alla giovane, sedendosi sopra la specchiera e chiudendo il carillon.
“Ma... stasera...” aprì la grande scatola. Conteneva uno smeraldo a forma di cuore.
“Oh mio Dio...” fu tutto ciò che riuscì a dire, mentre toccava quel raro gioiello. L’aveva riconosciuto.
“Che ne dici? È sufficiente a dimostrare i sentimenti che provo per te?” le sorrise, mentre lei lo guardava basita.
“è un...” riuscì a balbettare.
“Diamante? Sì” finì la frase per lei, mentre prendeva il prezioso gioiello e si metteva dietro la giovane.
“56 carati...” le mise il prezioso gioiello attorno al collo. Lei era shockata. Perché?
“L’ha indossato Hiroiko, l’imperatore del Giappone. E lo chiamarono...” fissò il riflesso della sua futura sposa. Era un incanto, pensò.
“Il cuore delle acque...” dissero all’unisono. Lei si toccò il diamante. Era ancora shockata. Perché proprio lei? Ne era davvero degna?
“è... è magnifico” finalmente riuscì a dire una frase sensata. Ma ancora era sotto shock.
“Da veri reali” si vantò lui per lei.
“E noi siamo reali Sana...” continuò a parlare. Lei era ancora più basita.
“Io... ti posso dare tutto. Non respingermi” s’inginocchiò al suo livello. Lei, come risvegliata, si voltò verso di lui.
“Dai, aprimi il tuo cuore Sana...” a modo suo la implorò. Lei, per tutta risposta, si voltò dall’altro lato.
In silenzio. Rimase in silenzio, mentre lui si osservava. Si toccò – ancora una volta – quel prezioso e raro diamante. Non sapeva che dire.





 
*****



 
Un altro giorno era appena iniziato, la nave aveva preso vita; infatti, i vari ponti erano tutti affollati.
In mezzo alla coltre di persone – nel ponte della prima classe – vi erano due giovani che parlavano tra di loro.
“Vivo da solo da quando ho quindici anni, da quando i miei sono morti e mia sorella mi ha abbandonato. Non avevo nessuno, così decisi di lasciare il paese” raccontò il giovane Akito, mentre passeggiava con quella fanciulla che – ormai ne era certo – gli aveva rubato il cuore.
“Bene abbiamo percorso varie volte il ponte e abbiamo sempre parlato di me, ma immagino tu non sia qui per questo vero?” la face fermare. Voleva sapere tutto.
“Signor Hayama...” iniziò a parlare, ma lui la interruppe.
“Chiamami Akito” le disse con molta gentilezza.
“Akito, io ti vorrei ringraziare per quello che hai fatto...” riprese a camminare, aprendo il suo cuore a quello sconosciuto.
“Non solo per avermi salvata, ma... anche per essere stato al mio gioco” si voltò verso di lui. Voleva guardarlo in volto.
“Figurati...” rispose con molta discrezione e con un’aria apparentemente fredda.
“Io... lo so a cosa stai pensando: ma che ne sa questa ragazzina ricca della miseria?” si fissò i piedi, sapeva di avere indovinato.
“No” lui, invece, negò. Era vero.
“No. Io pensavo a cosa fosse successo... per arrivare a credere che non ci fosse una via d’uscita” la fece voltare verso di sé. Forse non se lo aspettava? Probabile.
“Io... tutto! Tutto nella mia vita è sbagliato! Mia madre, Nao...” si mise la mani ai capelli. Esasperata? Sì.
“Wow! Gli deve essere costato un occhio della testa!” si fece sfuggire quella piccola esclamazione, non appena vide l’anello.
“500 inviti! 500 inviti sono stati mandati! Tutta l’alta società di Philadelphia è stata invitata. Ed io... ed io mi sento come oppressa. Sola. E se urlo, nessuno mi sente!” buttò fuori tutte le sue paure. Sentiva che con lui potesse farlo.
“Lo ami?” ecco la secca domanda.
Alzò la testa. Aveva sentito male, vero?
“Cosa?” lo fissò stupita.
“Lo ami?” e lui ripeté la domanda pungente.
“Io... ma come ti permetti? Non si dovrebbero fare queste domande!” si alterò e parecchio. Tirò fuori, addirittura un martelletto di plastica per picchiarlo.
“Beh è una semplice domanda. Allora lo ami o no?” e lui non demorse. Porse di nuovo quella domanda, dopo essersi ripreso dall’aggressione.
“Questa conversazione è senza senso!” gonfiò le guancie indispettita.
“Che ti costa rispondere alla domanda?” non la capiva, ma gli piaceva provocarla.
“Io... ma è assurdo! Noi non ci conosciamo nemmeno! Questa conversazione non può esistere! Tu sei un maniaco, un maleducato, un presuntuoso! Bene, me ne vado! È stato un piacere conoscerti!” fu interrotta.
“Ma se mi hai anche insultato!” replicò, mentre le stringeva la mano.
“Beh te lo sei meritato!” ribatté, non lasciando la sua mano.
“Sì...” non poté fare a meno di ridere.
“Sì!” affermò lei decisa. Non aveva ancora lasciato la sua mano.
“Credevo te ne stessi andando...” le fece notare.
“Infatti!” lasciò la sua mano, voltandosi dall’altro lato.
“Sei insopportabile!” si rivoltò verso di lui, per poi girarsi di nuovo.
“Un momento! Questo è il mio settore! Tu ne devi andare!” lo aggredì.
“Bene, bene, e ora chi è il maleducato?” e lui se la rise. Sì gli piaceva stuzzicarla.
“Che cos’è quella cosa che hai in mano?” gli strappò dalle mani il suo piccolo quaderno, aprendolo.
“Sei una specie di artista?” domandò, mentre sfogliava le pagine del quaderno.
“Sono abbastanza belli...” non poté fare a meno di dire, mentre si sedeva su una sdraio di legno.
“Sì... sono molto belli...” affermò, mentre prendeva un foglio con disegnato sopra una donna che allattava il proprio bimbo.
“Akito, sono molto belli!” si complimentò con lui – che si era seduto accanto a lei.
“Non hanno avuto molto successo a Parigi...” rivelò, guardando il vuoto.
“Parigi?” non ci poteva credere.
“Wow hai viaggiato molto per essere povero!” esclamò, non accorgendosi di avere pronunciato la parola sbagliata.
“Beh... volevo dire... una persona non... molto agiata” si corresse quasi subito.
“Sì un poveraccio, lo so” non era per niente offeso.
Sfogliò ancora quel piccolo quaderno, finendo su una pagina con disegnato sopra una donna... mezza nuda.
“Bene, bene...” girò pagina, trovando un disegno simile.
“E... insomma gli hai fatti dal vivo?” ebbe il coraggio di domandare.
“Beh sì. È questa la cosa bella di Parigi...” se la rise.
“Questa donna ti piaceva... l’hai usata diverse volte...” notò. Non la riconobbe, per fortuna.
“ Le mani... mi piacevano le sue mani” le indicò le mani disegnate della giovane donna.
“Secondo me, siete stati insieme...” insinuò.
“No, solo con le sue mani” e lui negò, sorridendole.
“Una prostituta. Era una prostituta con una sola gamba” le rivelò. Lei lo guardò stupita.
Le fece vedere ogni suo disegno, raccontandole la storia che ci fosse dietro. Lei, per tutto il tempo, lo stette ad ascoltare. Perché? Semplice: era davvero molto interessata a tutte quelle storie. O forse perché lui gliele raccontava.
 “Sento lei...” finito il racconto, disse quella frase.
“ E quindi?” gli sorrise in modo dolce.
“Non si sarebbe buttata” affermò con un tono molto deciso. Perché? Semplice: ne era assai certo.
Non rispose. Quel ragazzo... la incuriosiva sempre di più.  
Forse, quello era l’inizio di una lunga storia. D’amore? Di amicizia? Ancora non si sapeva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: perdonate l’immensa attesa, ma ho avuto dei problemi, per cui non mi sono potuta mettere a scrivere. Per fortuna ho trovato questo piccolo momento per farlo.
Spero che la lunga attesa sia valsa la pena, cercherò comunque la prossima volta di non farvi attendere molto.
Vorrei, comunque, precisare due cose: quando Sana dice aliche, ho deciso di sbagliare volontariamente la frase, perché nel manga lei molto spesso sbaglia parole o modi di dire; la seconda è Hiroiko, ora non so se sia esistito veramente un imperatore con questo nome, ma facciamo finta di sì.
Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lovers ***


Lovers



 
La sala da the. La signora Kurata – la madre di Sana – quel pomeriggio aveva deciso di trascorrerlo proprio lì, in compagnia delle sue cosiddette amiche, anche se erano di tutto tranne che quello.
Stavano discutendo sull’importanza – a quel tempo – per le giovani fanciulle dell’alta società di trovare un buon partito per garantirsi un futuro solido e la giovane donna non poteva essere più che soddisfatta. Perché? Sua figlia era apposto sotto quel punto di vista.
“Sì, lei ha ragione marchesa. Almeno mia figlia ha tutto questo garantito” disse, dopo aver bevuto una tazza fumante di the e sorridendo soddisfatta.
“Guardate sta arrivando quell’insopportabile della signora Mary” la marchesa di San George – una delle donne più ricche di Londra – una donna dai capelli castani, indicò la donna che stava venendo incontro loro.
“Presto, andiamocene prima che ci noti!” esclamò la signora Kurata. Lei non sopportava quella donna, colei che lei definiva nuovi ricchi non degni di far parte dell’alta società.
“Buonasera signore, posso unirmi a voi per un the?” sorrise loro, fingendo di non capire che la volessero evitare.
“No... veramente stavamo andando sul ponte per prendere un po’ d’aria” la signora Kurata capì che doveva inventarsi qualcosa pur di sbarazzarsi di quella donna.
“Oh bene! È quello che ci vuole!” Mary, invece, si unì a loro.





 
****


 
“Certo che la bisnonna era così diversa da te...” Eri, come consuetudine, interruppe il lungo racconto della nonna.
“Già...” era vero: lei e sua mamma erano l’una l’opposto dell’altra.
“Che fine ha fatto?” lei non ne aveva mai sentito parlare ed era curiosa.
“Sai...” s’interruppe. La tristezza s’impossessò di lei. La verità era che dopo il naufragio sua madre non si era mai preoccupata di sapere che fine avesse fatto.
“Io... non lo so. Da quando sono arrivata qua a New York, non ho più avuto notizie di lei...” le rivelò. Ed era vero.
“Dunque...” decise di non indugiare oltre e proseguì con la sua storia.




 
****


 
Ormai il Sole stava quasi tramontando – il cielo, infatti, si era tinto di un rosso intenso – ma, nonostante ciò, i due giovani erano ancora affacciati alla ringhiera del ponte a chiacchierare tra di loro.
“Mmm... vediamo... sono stato su un peschereccio, poi a LA, lì ho frequentato le medie e poi...” lei lo ascoltava rapita. Sorrideva come non mai. Tutti quei racconti la affascinavano, o forse era colui che parlava che le mozzava il fiato.
“Io... vorrei essere come te Akito: libera e senza pensieri. Libera di poter fare ciò che voglio...” si toccò l’anello mentre lo diceva. Quel piccolo gioiello rappresentava la sua prigionia. Prigionia in una vita che non le apparteneva. Mai.
“Un giorno, magari, potremo andare a Santa Monica... chissà...” iniziò a fantasticare.
“No! Lo faremo!” lui, invece, ne era sicuro. Perché?
“Faremo ciò che vogliamo! Andremo al luna Park, cavalcheremo le onde, berremmo birra!” si fece prendere dall’emozione. Lei era con lui: rideva.
“Io... però non so come si fa. mi insegni?” si riferiva a cavalcare.
“Sì! Poi t’insegnerò a masticare il tabacco!” si fece ancora prendere da quell’entusiasmo che non gli apparteneva. Lei gli faceva quell’effetto.
“E a sputare!” e lei era ancora più frenetica di lui.
“Non sai sputare? Non te l’hanno insegnato quei damerini?” sapeva che non si sarebbe offesa per quella definizione.
“No...” lei negò, divertita.
“Vieni ti faccio vedere!” fece qualche passo in avanti, tendendole la mano.
“Eh?” non capiva.
“Ti faccio vedere come si fa!” afferrò la sua mano e la trascinò con sé.
“Akito! No aspetta!” lei cercò di opporsi, ma invano. Sapeva dove fossero e temeva che qualche occhio indiscreto la potesse vedere.
“Bene...” si fermarono in un’altra parte del ponte, più coperta.
“Guarda bene ciò che faccio!” le intimò. Poi inspirò profondamente e liberò la saliva nelle acque marine.
“Ma è... che schifo!” non poté fare a meno di dire.
“Fallo tu!” le intimò. Lei ripeté – più o meno – gli stessi movimenti del giovane, ma il risultato fu molto diverso.
“No! Faceva schifo!” fece anche un’espressione contrariata.
“No devi fare leva sui polmoni. Usa anche le braccia per aiutarti!” le fece vedere ciò che aveva appena spiegato. Lei cercò di imitarlo.
“Riprova!” le intimò. Lei, intanto, prendeva aria dai polmoni. Non si accorse, però, che dietro di loro stava arrivando qualcuno.
“Così va già meglio!” si complimentò con la giovane, una volta che ebbe eseguito l’esercizio.
“Certo devi migliorare ancora...” aggiunse, di certo senza volere demoralizzarla.
Stava per mostrarle un’altra dimostrazione, quando – con la coda dell’occhio – vide una donna che lo guardava con l’aria contrariata. Si girò di scatto. Quella doveva essere la madre di Sana.
La signora Kurata, infatti, li guardava con uno sguardo truce. Arrabbiata? Sì e molto.
“Mamma...” la giovane Sana finse di essere sorpresa. O forse lo era.
“Lui è Akito Hayama...” avanzò verso la genitrice, indicandogli il ragazzo. Voleva cercare di limitare i danni.
“Incantata...” si girò verso Akito, guardandolo con uno sguardo di sufficienza e nel suo tono vi era il disprezzo. Poi si rigirò verso la figlia.
La giovane Sana raccontò a sua madre e alle sue amiche come si era incontrata con Akito, menzionando, perciò, la storia del salvataggio. Si accorse, con molto rammarico, che sua madre guardava il ragazzo con uno sguardo di disprezzo come se fosse un insetto da schiacciare. Un insetto pericoloso.
“Akito allora è sempre meglio averla a portata di mano!” scherzò la signora Mary.
Il suono di una tromba interruppe la discussione: era giunta l’ora di cena.
“Vieni mamma andiamo a prepararci!” la giovane Kurata prese sottobraccio sua madre, portandola via.
“Ci vediamo dopo Akito” prima di andarsene non poté fare a meno di salutarlo.
Lui le sventolò la mano, seguendola con lo sguardo. Si stava innamorando. Non si accorse, dunque, che l’unica donna rimasta lì volesse parlargli.
“Ragazzo... ragazzo!” attirò la sua attenzione. Il giovane, infatti, ruotò la testa verso la sua interlocutrice.
“Sai in che guaio ti stai cacciando?” cercò di ammonirlo. Lei non era come le altre e si vedeva. Perché? Lo stava aiutando, semplice.
“No...” le rispose, sorridendo come un ebete. Era ancora estasiato da quella soave visione, qual era quella bellissima fanciulla.
“Beh sappi che stai per entrare nel loro regno...” lo avvertì ancora.
“Che cosa vuoi indossare?” gli domandò, mentre squadrava quei vestiti. Non andavano bene e Mary lo sapeva.
Il giovane Hayama indicò i suoi vestiti, come per dire perché questo non va bene? La signora, dunque, lo prese sottobraccio, mimando un’espressione contrariata.
“Lo sapevo! Seguimi!” lo trascinò via con sé.




 
****



 
Nella sua stanza. Lo aveva portato nella sua stanza. Ma non aveva timore che potesse rubarle qualche gioiello? No. Perché? Si fidava.
“Avevo ragione!” esclamò con un tono vittorioso, mentre lo aiutava a mettersi la giacca nera, che donava ad Akito un aspetto di un nobile giovane.
“Tu e mio figlio portate la stessa taglia!” aggiunse poi. Il figlio della signora si chiamava Ishida e non era lì con lei, poiché gestiva l’azienda di famiglia.
“Più o meno” rispose il giovane, mentre si osservava allo specchio e si aggiustava il colletto.
Si soffermò ancora una volta a osservarsi in quello specchio. Quasi non si riconosceva. Neanche sua madre lo avrebbe riconosciuto, pensò.
“Sei splendente come una scarpa appena lucidata!” esclamò la donna – dietro di lui – ridendo, ancora una volta vittoriosa.




 
****




 
Ecco. Era giunto il suo momento. Era emozionato e parecchio il giovane Akito. Perché? Perché quella era un’esperienza totalmente nuova per lui. Ormai, però, era troppo tardi per tirarsi indietro.
Si ritrovò davanti alla lussuosa porta in oro della vasta sala da pranzo, che gli fu gentilmente aperta dall’usciere che, sorridente, gli disse un buonasera. Il giovane si limitò a sorridere, per la prima volta in vita sua, impacciato.
Non appena varcò la soglia della porta, rimase estasiato da ciò che aveva davanti: una vasta sala circolare a due piani, il cui tetto era in vetro. Era come un bambino all’interno di un enorme parco giochi: incantato.
Si diresse verso le scale – doppie per la precisione – non smettendo di osservare quel luogo – ai suoi occhi – paradisiaco.
Le scese. Si fermò accanto ad uno stipite osservando dei nobili e cercando di apprendere ciò che facevano. Perché? Non voleva deludere Sana.
Ora non restava che aspettarla con impazienza, si disse.
Sentì delle voci. Si girò: erano Naozumi e la signora Kurata che, parlando, stavano scendendo le scale. Sana non c’era.
“Ma dov’è Sana?” domandò, alla fine, la signora Kurata.
“Eccola...” non si girò neanche: sapeva che fosse dietro di loro.
Eccola: la giovane Sana indossava un lungo vestito bordò in perline, leggermente scollato, che le metteva in risalto il decolté. Akito rimase estasiato da quella visione: era come se di fronte a lui ci fosse una dea scesa in terra.
Si fermò a osservarlo mentre imitava i gesti dei nobili. Sorrise. Lui, come attratto da lei, si voltò. I loro sguardi s’incrociarono.
Iniziò a scendere le scale, lentamente, non smettendo di guardarlo, non smettendo di perdersi in quelle pozze color miele.
Lui si avvicinò a lei, come incatenato da quel mare di cioccolato. Stupenda, si disse.
Si fermarono. L’uno di fronte all’altra. Nessuno ancora aveva tolto lo sguardo dall’altro.
La mano destra. Le afferrò la mano destra e la baciò, non staccandole gli occhi di dosso. Magnifica, pensò.
“L’ho visto fare una volta e non vedevo l’ora di farlo” le sorrise. Lei fece lo stesso.
Le porse il braccio, lei – sempre sorridendo – accettò la proposta. Akito sembrava proprio un nobile, con la differenza che era magnifico sotto quella veste. La giovane, infatti, non aveva smesso di osservarlo.
“Tesoro...” si avvicinò a Naozumi, facendolo voltare.
“Ti ricordi del signor Hayama, vero?” gli indicò il giovane che aveva sottobraccio.
“Hayama?” si finse meravigliato. Lo stava prendendo in giro? Sì.
“Potrebbe quasi, quasi essere scambiato per uno di noi!” non mancò di farglielo notare. Ovviamente il giovane Kamura sapeva benissimo che non sarebbe mai stato così.
“Quasi!” il giovane Akito lo sfidò. Lui, di certo, non aveva paura di quel damerino.
“è straordinario!” aggiunse ancora. Poi prese sottobraccio la futura suocera e s’incamminò con lei.
Scesero ancora un piano, arrivando finalmente alla sala da pranzo, ancora più lussuosa delle altre.
Per tutto il tempo, i due giovani rimasero a braccetto. La giovane Sana gli indicò tutti gli ospiti, fornendo delle piccole descrizioni su chi fossero e che cosa facessero, descrizioni che ad Akito parvero divertenti. Difatti, rideva.
Tutti. Tutti ridevano, non rendendosi conto che il giovane accompagnatore della signorina Kurata non fosse uno di loro. Di ciò, Sana se ne compiacque. Era la dimostrazione che non esistesse la differenza di classe sociale.
Era nervoso il giovane Akito, ma non lo diede a vedere. Tutti, tutti coloro che lo incrociarono, pensarono che fosse uno di loro, magari l’erede di qualche ricca azienda, un nuovo ricco, di certo degno di appartenere alla loro classe.
Era giunto, così, il momento della cena, tutti gli ospiti, perciò, si erano riuniti a tavola.
“Signor Hayama, perché non ci parla degli alloggi di terza classe?” la signora Kurata non mancò di rivangare la provenienza del giovane. Sul suo volto era dipinto un sorriso di soddisfazione.
“I migliori che abbia mai visto. Solo qualche topo qui e là!” le rispose a tono il giovane. Tutti risero.
“Ho invitato io il signor Hayama. Ieri sera ha salvato la mia fidanzata” spiegò Naozumi. Gli sembrava giusto farlo, poiché era strano che un uomo di una differente classe sociale fosse lì con loro.
“Sapete, il signor Hayama è un artista. Oggi mi ha mostrato alcuni suoi disegni” Sana, invece, cercò di mettere in buona luce il suo ospite. Non voleva che gli altri si facessero un’idea sbagliata su di lui.
“Sana ed io abbiamo gusti diversi per quanto riguarda l’arte. Con questo non voglio criticare i suoi lavori” si rivolse ad Akito, fingendo di non pensarlo. La verità era che lo pensava. Lo odiava. Sapeva che fosse un pericolo.
Gli fece cenno di non preoccuparsi, mentre la cena veniva servita dalla servitù. Fu allora che il giovane Akito si soffermò a osservare i piatti e le posate. Si sentiva, ora più che mai, un pesce fuori d’acqua. Lui era abituato a usare solo due posate.
“Le devo usare tutte?” si rivolse alla signora Mary – seduta accanto a lui.
“Comincia sempre dell’esterno” gli bisbigliò. Perché? Non voleva che gli altri la sentissero.
“Dov’è che vive esattamente signor Hayama?” la madre di Sana tornò di nuovo alla carica. Gli aveva, infatti, porto quella domanda, dopo aver addentato una fetta del suo pane con caviale.
“Al momento nella terza classe del Titanium. Poi... beh chi lo sa” rispose con molta calma. La verità era che non temeva quella donna.
“E come fa a viaggiare?” non demorse. Voleva che rivelasse la sua vera natura. Perché? Voleva che la figlia gli stesse il più lontano possibile.
“Di solito mi sposto su navi da carico o su furgoni. Il biglietto per il Titanium l’ho vinto con una mano fortunata a poker” rivelò con la massima naturalezza.
“Una mano molto fortunata” aggiunse, guardando la giovane Sana che beveva un bicchiere di champagne. Era vero: se non avesse vinto, non l’avrebbe mai incontrata e non se ne sarebbe mai innamorato.
“Un vero uomo la fortuna se la crea da solo. Giusto Hayama?” si rivolse al nemico, che non poté fare a meno di annuire.
“E a lei piace la sua vita?” era di nuovo tornata alla carica la signora Kurata.
“Sì, mi piace...” ci pensò su prima di rispondere.
“Ho tutto ciò che conta: sono in salute” proseguì. Era, di certo, per lui la cosa più importante.
“Mi piace essere libero, non sapere cosa mi capiterà... chi incontrerò...” guardò Sana.
“Pensate fino a pochi giorni fa ho dormito per strada ed ho ora sono qui!” per lui era un’enorme fortuna. Tutti risero.
“Per me la vita è un dono...” disse, prima di bere un sorso di champagne.
“Non sai mai ciò che ti capita. E devi accettare ciò che ti succede” disse, per poi passare dei fiammiferi a Naozumi che aveva una sigaretta in bocca.
“Vorrei brindare al valore della vita e di ogni momento!” la giovane Sana levò il calice in alto. Nel farlo incrociò lo sguardo di Akito.
Tutti la imitarono, ripetendo la sua frase e brindando a quell'insolita serata.
Dopo cena, Akito fu invitato nell’altra sala a bere un bicchiere di brandy. Rifiutò. Perché? Aveva in mente qualcos’altro. Disse, ovviamente, che doveva tornare ai suoi alloggi.
“Sa forse è meglio così. Non è adatto a lei, si parlerà di affari” gli fece notare, con poco garbo, Naozumi.
“Ah Hayama, grazie per la serata!”gli sorrise. Quanto lo odiava! Pensò Akito.
“Devi proprio andare, Akito?” la giovane Kurata voleva che restasse.
“Devo tornare tra i topi” la fece ridere.
“Buonanotte Sana” le afferrò la mano destra e gliela baciò.
Subito la giovane si accorse che vi aveva lasciato qualcosa: un biglietto. Senza farsi vedere – soprattutto da sua madre – Sana aprì il biglietto.
Vediamoci all’orologio. C’era scritto. Subito il suo cuore iniziò a battere. Che fare? Sì, ci sarebbe andata, pensò, mentre inventava una scusa alla madre.
Eccolo: lui era lì, girato verso l’orologio. Inspirò, cercando di fermare il suo cuore impazzito. Salì le scale. Lui si girò. Le sorrise.
“Allora vuoi andare a una vera festa?” le porse la mano, guardandola con uno sguardo serio.




 
****




 
A una festa. L’aveva portata a una festa, ma non una festa cui lei era solita andare. No, una festa del popolo, in cui c’era musica movimentata, in cui la gente ballava un ballo movimentato. Era un posto nuovo per lei.
Akito, stava ballando con una bambina, mentre lei era seduta al tavolo che parlava con un tedesco, mentre Gomi – un amico che Akito le aveva fatto conoscere – le portava da bere. Birra, si disse che era. La bevve, comunque, senza indugiare.
Si divertita. E molto. Batteva le mani e sorrideva come non mai. In quel luogo sentiva che poteva essere se stessa, senza alcuna costrizione, senza una maschera da dovere indossare.
La musica finì e il giovane Akito, insieme alla bambina, si avvicinò a lei.
“Ora ballo con lei, ok?” si rivolse alla piccola bambina di nome Mariko.
“Va bene” rispose, sorridente la bimba dai capelli rossi.
“Vieni con me!” tese la mano verso Sana che lo guardava incredula.
“Cosa?” riuscì a dire.
“Forza!” la alzò di peso dalla sedia e la trascinò sulla pista.
“Non sono capace” gli rivelò.
“Avvicinati di più” le posò una mano sulla schiena e la avvicinò a sé. Il cuore di Sana batteva all’impazzata. Doveva contenersi.
“Non conosco i passi” disse, mentre volteggiavano.
“Neanche io” le rivelò, non smettendo di volteggiare.
“Segui il ritmo!” le consigliò. Ancora non si erano fermati.
Passarono tutta la serata a ballare uno strano ballo, ma che alla giovane piacque tanto. Mai in diciassette anni si era divertita in quel modo. La verità era che con Akito si sentiva a suo agio. Sì ne era innamorata. Perché negarlo?
Passarono il resto della serata insieme; Akito le offrì da bere, nonostante non fossero più nella prima classe si dimostrò lo stesso un gentiluomo.
E non smisero mai di ballare. Mai. Le piaceva molto quel ballo, così diverso da... da quel noioso valzer che lei odiava.
All’ultima nota dell’insolita melodia, si fissarono negli occhi. Cioccolato e miele erano in contatto. Ognuno era perso nel proprio oceano.
Fu un attimo. Le loro labbra s’incrociarono in un piccolo bacio, che il giovane pensò bene di approfondire, ottenendo il consenso della ragazza.
Qualcuno, però, gli stava osservando: Rei. Chi l’aveva mandato?




 
****


 
“Che bello...” la giovane Eri aveva gli occhi sognanti. Il suo primo bacio non era stato per niente magico, anzi non era stato per niente come lo desiderava.
“Sì, fu bellissimo...” anche l’anziana Sana aveva gli occhi sognanti. Ricordare le faceva quell’effetto.
“Dunque, tornando a noi...” riprese il suo racconto, perdendosi – ancora una volta – nei ricordi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: salve! Eccomi di nuovo tornata con un nuovo capitolo. Stavolta non vi ho fatto attendere tanto, spero.
Comunque spero vi sia piaciuto. Non so quando aggiornerò, ma spero presto.
Ecco se volete sapere quando aggiornerò, cliccate mi piace alla mia pagina d’autrice facebook. La trovate nel mio account in alto a destra accanto all’icona del messaggio – è l’icona con la f.
A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** The ship is sinkin... ***


The ship is sinkin...




 
Colazione. I due giovani stavano facendo colazione nella loro piccola sala privata. In silenzio. Nao non smetteva di fissare Sana – che beveva una tazza di caffè – perché? Sapeva tutto: Rei gli aveva detto ogni cosa. E sperava che la giovane fidanzata gli dicesse dove era stata e il suo silenzio gli faceva pensare che avesse avuto una scappatella con quello sguattero.
“Caffè, signore?” Fuka – la cameriera – interruppe il silenzio. Nao le fece cenno di no con la mano.
Poi tornò a fissare la giovane Sana. Lei cercava di evitare il suo sguardo.
Basta! Si disse, le avrebbe parlato. Non tollerava quelle menzogne.
“Pensavo che stanotte saresti venuta da me...” le disse, non smettendo di guardala con quello sguardo serio e penetrante.
“Ero stanca” rispose in maniera fredda. Nao boccheggiò. Era evidente che stava mentendo.
“Il ballo e la birra di ieri sera ti avranno sicuramente stancata!” le fece notare. Il cuore di Sana perse un battito. Come? Come faceva a saperlo?
“Vedo che mi hai fatto pedinare da quel leccapiedi di Rei!” Rei... doveva pensarci prima. Quanto lo odiava!
“Guai a te se lo rifai!” quella era una minaccia. Ma chi si credeva di essere? Pensò la giovane.
“Non puoi comandarmi come se fossi una dei tuoi dipendenti!” dopo un breve silenzio si prese di coraggio.
“Sono la tua fidanzata!” il suo tono, tuttavia, era pacato. Nao la guardò perplesso. Non se lo aspettava.
“La mia fidanzata... la mia fidanzata... la mia fidanzata!” alzò la voce. Era arrabbiato. Con il solo gesto della mano scaraventò sul pavimento tutto ciò che c’era sul tavolo. Sana lo guardava impietrita.
“Sì sei la mia fidanzata, certo non per legge, ma tecnicamente lo sei! Quindi mi devi rispettare come una moglie rispetta il marito!” si avvicinò alla giovane, che lo guardava con dipinto in volto la paura.
“è tutto chiaro?” abbassò di un’ottava il tono.
“Sì...” era ancora spaventata.
“Bene...” e lui se ne andò. Lasciandola lì, ancora sconvolta.
Pianse. Mentre si accasciava sul pavimento raccogliendo i cocci di vetro. Fuka – che aveva osservato la scena – si avvicinò alla sua padrona. Lei si sentiva in colpa.
“Oh signorina Sana...” si inginocchiò accanto a lei, la quale continuava a piangere.
“Mi perdoni... sono stata io ad avvisare il signorino Naozumi...” era tremendamente dispiaciuta e la giovane lo notò. Tuttavia, non rispose.





 
****



 
Alla cappella. Era finito alla piccola cappella. Perché? Lei era lì e lui la voleva rivedere, semplice.
Era domenica e, come consuetudine, la famiglia Kurata andava a messa; la loro era una famiglia molto religiosa e per loro era sacro la domenica andare in chiesa.
Il giovane Akito, dopo aver salutato il capitano di bordo, si avvicinò alle porte in vetro della piccola cappella, attratto dalle voci che cantavano. Si fermò lì davanti in attesa di vederla.
“Signore lei non può stare qui!” un membro dell’equipaggiò tento di scacciarlo via.
“La prego... io devo solo...” tentò di mantenere la calma, ma era assai difficile visto che lo continuavano a spingere.
“Signor Hayama, i signori Kamura e Kurata la ringraziano per ieri sera e le offrono questo...” Rei – uscito fuori –  tirò fuori un biglietto da venti dollari.
“Per i suoi servigi...” anche lui lo allontanò.
“La prego io voglio solo vederla” era disperato.
“E la pregano di tornare nella terza classe” e lui lo ignorò.
“Signori potete accompagnare il signor Hayama nella terza classe?” si rivolse ai due ufficiali.
“Certo signore!” i due, ricevendo a testa un biglietto da venti dollari, non se lo fecero ripetere due volte.
“Tu vieni con noi!” presero uno sconvolto Akito e lo trascinarono via.
La giovane Sana – purtroppo non si era accorta di lui – perciò non smise mai di cantare.





 
****




 
Non si arrese. Avrebbe parlato con quella bellissima ragazza dai capelli color rosso che gli aveva rubato il cuore.
La prima classe. Era tornato sul ponte della prima classe. Per non farsi scoprire, prese da una sdraio un cappello a cilindro e una giacca, indossandoli.
Eccola: stava parlando con il costruttore della nave, sua madre e quell’odioso del suo fidanzato erano con lei. Era evidente che dovesse prenderla da parte per parlarci.
Aspettò che rimanesse indietro, poi – in maniera furtiva – si avvicinò a lei, prendendola per un braccio.
“Vieni con me!” le sussurrò. Lei lo seguì. Entrarono, perciò, in una sala deserta.
“Akito...” ripensando a ciò che fosse successo quella mattina e alle parole di sua madre – ovvero che se non si fosse sposata, sarebbero finite in mezzo ad una strada – decise di parlargli e mettere le cose in chiaro.
“Io... io... non posso!” stava per andarsene, ma lui la intrappolò contro la parete.
“Devo parlarti!” i suoi occhi... cercò di non guardarli.
“No Akito!” cercò di rimanere ferma sulle sue decisioni.
“Akito... sono fidanzata... sto per sposarmi... amo Naozumi...” cercò di essere il più credibile possibile. Lui sospirò.
“Sana... ascolta... lo so, non sei una tipa che fa per me, ma in questa nave sei la creatura più angelica che abbia mai visto!” le stava aprendo il suo cuore.
“Akito...” cercò di andarsene, ma lui la bloccò.
“Ascolta, non sono un’idiota. Non ho niente da offrirti, ma ormai, ormai ci sono troppo dentro...” ormai era troppo tardi. La amava.
“Non posso lasciarti andare, senza avere la certezza che tu stia bene. Desidero solo questo” ed era vero: lui voleva che lei fosse felice.
“Sto bene... davvero...” si era commossa per quelle parole, ma non poteva.
“Davvero?” e lui non le credé.
“No! Non è vero! E lo sai pure tu! Ti tengono in trappola, ti fanno indossare una maschera! Quella non sei tu! E prima o poi la Sana che conosco scomparirà!” si avvicinò a lei e le posò una mano sulla guancia. Lei era ancora più commossa.
“Non devi essere tu a salvarmi Akito...” tuttavia, non demorse, anche se le risultava assai difficile.
“Hai ragione. Solo tu puoi farlo” nonostante fosse rimasto colpito da quelle parole, doveva ammettere che avesse ragione.
“Adesso vado. Lasciami in pace!” stava per cedere. Lo sentiva. Akito cercava di baciarla e lei avrebbe ceduto. Non doveva. Se ne andò, liberandosi dalla salda presa del giovane.
E Akito rimase lì, con il cuore a pezzi. Aveva perso, forse sì o forse no.





 
****



 
A prua. Era a prua che osservava il mare. Non aveva, però, quell’entusiasmo che lo caratterizzava, il suo sguardo era, difatti, spento. Perché? Aveva il cuore spezzato, semplice.
Lei. Era lì dietro di lui. Perché? Durante il the pomeridiano aveva avuto un ripensamento. Akito aveva ragione. Lei doveva salvarsi.
“Ciao Akito” il giovane, sentendo quella voce, si girò di scatto. Non stava sognando. Lei era lì, di fronte a lui.
“Ho cambiato idea...” lui sorrise. Allora nulla era perduto.
“Mi hanno detto che...” disse, mentre si avvicinava. Lui la interruppe, facendole cenno di rimanere in silenzio.
“Dammi la mano...” le tese la mano. Lei la afferrò. I loro sguardi s'incrociarono. La magia era di nuovo sorta.
“Adesso chiudi gli occhi...” le suggerì. La sua voce era calda e suadente.
“Forza...” le intimò, notando che non gli avesse dato ascolto. Lei, allora, li chiuse.
La fece salire sulla ringhiera, facendola aggrappare con le braccia, intimandole sempre di non aprire gli occhi.
“Ti fidi di me?” le sussurrò a un orecchio.
“Sì” fu la sua immediata risposta.
Si mise dietro di lei, le afferrò le braccia e le dispiegò, come se stesse per volare. Poi le afferrò la vita e le intimò di aprire gli occhi. Lei sorrise, estasiata.
“Sto voltando!” era come essere in un sogno. Il più bel sogno che avesse mai fatto, per giunta!
Stese le braccia anche lui, intrecciando le sue dita con quelle della sua amata. Poi le piegò facendole appoggiare all’addome. Girò la testa verso di lui. I loro sguardi s’incrociarono.
Fu un attimo e le loro labbra si toccarono per la seconda volta, incontrandosi in un bacio travolgente. Quel bacio fu più bello del primo.




 
****


 
“Ma che cosa romantica...” la giovane Eri interruppe il racconto della nonna. Il suo sguardo era sognante. Per lei era come una scena di un film.
“Sì... quello è stato l’inizio di tutto...” anche lo sguardo dell’anziana donna era sognante. Rinsavì, ora veniva la parte più tragica della storia. Sì, perché anche se erano sopravvissuti, per loro era stata una tragedia.
“Dunque...” riprese, perciò, a raccontare.





 
****



 
In camera sua. Sì lo aveva portato in camera sua. Al diavolo le convenzioni. Ormai per lei nulla aveva più importanza, sennò quel giovane di nome Akito.
“Tranquillo non è disonorevole!” lo tranquillizzò, mentre entravano nella stanza. Akito prima aveva mostrato tutte le sue preoccupazioni.
“La luce ti va bene?” la giovane richiamò l’attenzione del ragazzo, intento a osservare il camino.
“Che c’entra?” non capiva.
“Voi artisti non lavorate con la luce?” aveva messo una coperta sopra il divano.
“Sì, ma di solito non lavoro in topaie come queste!” la fece ridere.
“Naozumi non dovrebbe tornare da un momento all’altro?” non aveva paura di quello sciocco damerino, ma non voleva farsi beccare in quella situazione. Sapeva che fosse potente.
“No, almeno fino a quando c’è fumo e alcool” gli porse un gioiello, quello che Nao le aveva regalato, spiegandogli che cosa fosse.
“Akito voglio che tu mi ritragga con questo addosso” gli disse, senza peli sulla lingua.
“Ok” rispose, non smettendo di osservare quel diamante.
“Con solo questo addosso” proseguì. Il giovane si girò di scatto. Aveva capito male, vero?
Nuda. Poco dopo, la giovane Kurata si ritrovò nuda sul suo divano, con solo indosso quel raro diamante.
Il giovane Akito quando la vide, fu assalito da un ondata di calore, avvertendo subito che il suo amico lì sotto si fosse svegliato. Avrebbe voluto possederla lì, ma non poteva. Dopotutto era un professionista. Per tutto il ritratto, perciò, cercò di contenersi, sebbene gli risultasse assai difficile.
Un tamburo. Per tutto il tempo, il cuore della giovane Sana batté forte come un tamburo. Quello sarebbe stato il giorno più eccitante della sua vita.
Poco dopo, si rivestì e il giovane Akito le consegnò il disegno. Lo baciò a fior di labbra, per ringraziarlo.
Una lettera. Stava scrivendo una lettera. Indirizzata a chi? A Nao, semplice. Non poteva andarsene senza lasciargli una sorpresa.




 
****



 
La porta bussò. Rei! E ora? Erano in trappola. No, c’era la porta di servizio, si disse la giovane Sana. Afferrò Akito per un braccio e lo trascinò via con sé. Appena in tempo, subito dopo Rei entrò nella stanza.
Non convinto, la guardia del corpo ispezionò la stanza. Nessuno. Uscì anche lui dalla porta di servizio. Lì vide. Loro se ne accorsero. Presero, difatti, a correre.
Attraversarono la sala da pranzo, giungendo all’ascensore che li portò al piano di sotto, Rei prese le scale. Una volta giù, entrarono in una porta scorrevole che li portò al ponte E. Rei, intanto, non li aveva visti una volta arrivato di sotto. Forse lo avevano seminato.
No. Li aveva visti. Corsero ancora, attraversando uno stretto corridoio, giungendo davanti ad una porticina. La aprirono ed entrarono nella sala macchine. Rei li aveva raggiunti, ma la porta era chiusa a chiave.
La attraversarono, sotto gli occhi sorpresi degli operai, che si chiedevano perché due passeggeri fossero lì. Poi – attraverso un’altra porta- giunsero in un’altra sala.
Era il parcheggio delle auto. Si avvicinarono a una piccola auto – sicuramente di qualche ricco – ed Akito, da bravo gentiluomo, le aprì la portiera. Poi si mise al posto guida.
“Dove la porto signorina?” assunse l’accento di un autista inglese.
“Su una stella” gli sussurrò a un orecchio. Lui sgranò gli occhi.
Con la forza della braccia, lo trascinò dietro con sé. I loro occhi s'incrociarono di nuovo, perdendosi a vicenda in quei mari così innavigabili.
E in un attimo le loro labbra s’incontrarono avide di riassaggiarsi, le loro braccia presero a esplorare i loro corpi. Si stavano amando per la prima volta.
Nudi. Sudati. Stanchi, ma felici. Lui sopra e lei sotto. Lui – una volta venuto – si accasciò sopra di lei.
Presto, però, fuggirono. Qualcuno si stava avvicinando. Capirono che fosse o Rei o qualcuno mandato da Nao.
Sul ponte. Finirono sul ponte. Ridevano come dei bambini. Era tutto così romantico.
“Quando la nave attraccherà, io scenderò con te” si fece seria.
“è da pazzi!” lui non smise di ridere.
“No...” e lei riprese a ridere.
“Io ci credo” ancora e ancora, la baciò. Lei non si oppose. Si amavano e tanto.
Tremare. Udirono tremare. Si staccarono, non capendo che cosa stesse accadendo.
“Attenta!” Akito la spostò. Un iceberg era appena caduto sul ponte.
Si sporsero al bordo della nave per vedere un iceberg grande quanto una casa colpire la nave. Che cosa stava accadendo? Si chiesero.
Poco dopo, udirono che la nave stesse affondando. E ora?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: salve! Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Beh siamo arrivati alla parte “tragica” e beh vi annunciò che il prossimo sarà l’ultimo capitolo.
Spero di aggiornare presto.
Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** My heart will go on ***


My heart will go on






 
Fermata. La nave si era arrestata nel bel mezzo dell’oceano Atlantico. Ogni passeggero, avvertendo i tremendi scossoni, era uscito dalla loro stanza, finendo sul ponte.
Tra loro vi erano due passeggeri mano nella mano: Sana e Akito. Tutto. Avevano sentito tutto della conversazione tra il capitano e i suoi uomini. Sconvolti. Erano entrambi sconvolti.
“è terribile...” si fece sfuggire il giovane Hayama.
“Dobbiamo subito avvertire mia madre e Nao” era giusto così, pensò la giovane Sana.
Ecco. Erano quasi arrivati. Videro Rei – in fondo al corridoio – che li aspettava. Stranamente, sorrideva.
“Ti stavamo cercando” non calcolò minimamente Akito. Anzi sorrise a entrambi.
In tasca. Rei aveva infilato qualcosa in tasca ad Akito. Il cuore dei mari. Il giovane non se ne accorse, né tantomeno Sana. Continuarono a camminare, fino a entrare nella stanza della giovane. La signora Kurata e Nao li guardarono sorpresi.
Si fermarono. Mano nella mano. Nao li guardava con uno sguardo serissimo. Che aveva in mente?
“è successa una cosa gravissima...” iniziò il suo discorso la giovane Sana. Non lasciò, tuttavia, la mano del suo amato.
“Esatto...” asserì il giovane Kamura. Guardò Rei complice. Capì che il piano avesse funzionato.
“Questa sera, mi sono state rubate due cose a me care...” guardò Sana. Si stava riferendo a lei.
“Ora che una l’ho ritrovata, so per certo dov’è l’altra!” poi guardò Akito. Che aveva in mente?
“Perquisitelo!” ordinò ai due uomini della polizia, che si avvicinarono ad Akito, toccandolo dappertutto.
“Ma che state facendo?” non capiva. Perché?
Gli tolsero la giacca, mentre un ufficiale lo toccava in qualsiasi punto, come se fosse un criminale. Sana era indignata.
“Ma che state facendo! Noi siamo nel bel mezzo di un’emergenza!” tuonò. Era vero la nave stava affondando e loro stavano perdendo tempo.
“è questo?” l’uomo tirò fuori un diamante dalla tasca della giacca del giovane e lo mostrò a Naozumi.
“Sì” affermò. Sana guardò la scena shockata.
“No, ma è un’idiozia!” lui negò. Non lo aveva preso quel gioiello.
“Non credergli Sana! Ti stanno mentendo!” guardò la sua amata. Sana lo fissò shockata.
“No... non può essere” cercò di convincersi.
“Certo che poteva... è un gioco da ragazzi” intervenne Nao. Aveva vinto.
“Ma io sono stata sempre con lui! È assurdo!” gli credeva. Tentò di convincere, infatti, gli altri.
“Forse l’ha fatto mentre ti stavi vestendo...” Nao le passò dietro e le sussurrò quella frase. Il sapore della vittoria era fantastico.
“Non gli credere! Loro me l’hanno messo in tasca!” tentò di avvicinarsi a lei, ma gli ufficiali lo tenevano fermo.
“Zitto!” lo zittì Nao.
“Nemmeno la giacca è sua. È di un certo Ishida” intervenne Rei. Avevano vinto.
“Oggi è stato denunciato il furto di questa giacca!” si ricordò l’ufficiale di bordo.
“No! L’ho solo presa in prestito!” si giustificò. Lei lo guardava basita.
“Lo sai che non sono stato io!” si avvicinò a lei. Era zitta.
“Sana, Sana!” lo portarono via. Lei non proferì parola.
“Lo sai che non sono stato io! Mi conosci!” urlò, ormai fuori dalla stanza. Lei non proferì alcuna parola.





 
****





 
Soli. Erano soli. L’uno di fronte all’altro. In silenzio. Nao la guardò seriamente. Uno schiaffo. Le diede uno schiaffo. Forte.
“Sei una sgualdrina... “ disse, lei aveva la testa girata dall’altro lato.
“Guardami quando ti parlo!” la afferrò per le spalle, facendola voltare verso di sé. La porta bussò. Lui la lasciò andare.
“Signor Kamura...” un ufficiale di bordo entrò nella stanza.
“Non ora! Siamo occupati!” rispose bruscamente,
“è stato dato l’ordine di indossare il salvagente di sicurezza” continuò il suo discorso, non curandosi delle parole dell’uomo.
“Non adesso, ho detto!” si dimostrò ancora più sgarbato.
“Mi dispiace disturbarla signor Kamura, ma sono ordini del capitano!”lui si dimostrò sempre educato.
“Ora vi prego indossate vestiti pesanti, fa molto freddo stasera!” uscì dalla stanza. Nao si voltò verso la sua ormai ex e rise.
“Tutto ciò è ridicolo!” sussurrò. Era davvero odioso.
L’ufficiale, intanto, rientrò nella stanza, con i salvagente. Uno lo porse a Sana.
“Non si preoccupi, si tratta solo di una semplice esercitazione” la rassicurò, pensando che fosse preoccupata per quell’invasione. Si sbagliava.






 
****





 
Nella sala da pranzo. Alla fine erano finiti nella sala da pranzo. Nessuno. Nessuno sapeva il motivo per quale fossero tutti riuniti lì. Nessuno tranne Sana. Lei aveva visto tutto.
Il costruttore della nave. Lo trovò. Lo fermò. Le disse tutta la verità: la nave sarebbe affondata tra massimo un’ora. Lei doveva mettersi in salvo. Anche Nao aveva ascoltato la conversazione. Anche lui era incredulo.
Sconvolta. Era sconvolta. Il suo pensiero volò ad Akito. Doveva trovarlo.




 
****


 
Legato. Si ritrovò legato a una trave in una piccola stanza – probabilmente l’ufficio dell’ufficiale, si disse.
Solo. Anzi no, con Rei. Era rimasto con lui in quella piccola stanza. Aveva una pistola e lo osservava seduto dalla sua sedia. Quell’uomo metteva ansia.



 
****


 
Alle scialuppe. Erano alle scialuppe. Erano solo i passeggeri di prima classe. L’ufficiale di bordo aveva ordinato di far salire solo donne e bambini. La prima scialuppa – perciò – fu gettata in mare. Sana doveva ancora salire.
I fuochi d’artificio. La giovane Sana li osservò mentre venivano sparati nel nero cielo. Servivano per farsi notare da qualcuno, si disse.
Rei e Akito, intanto, erano sempre lì. La guardia del corpo giocava con i colpi della pistola. Akito era preoccupato. Sapeva che la nave stava per affondare.
“Sai, penso che questa nave affonderà...” voleva incuterli paura Rei.
“Mi è stato chiesto di darti un ringraziamento per la tua riconoscenza...” all’addome. Lo colpì forte all’addome, facendolo piegare in due dal dolore.
“Un omaggio di Naozumi Kamura” prese la chiave delle manette e se ne andò.





 
****




 
Il loro turno. Ecco era appena giunto il loro turno. Erano in fila lei e sua madre. Nao non lo fecero salire.
“Scusate, ma le scialuppe sono divise per classe, vero?” fu la signora Kurata a porre quella domanda. La figlia la guardò sconvolta.
“Mamma che dici! Sta zitta!” inveì contro di lei. Non la capiva.
“Non capisci? Le scialuppe non bastano per tutti!” le urlò contro. La madre la guardò stupita.
“Molta gente morirà!” la afferrò per il colletto della giacca.
“Non la metà che conta!” la apostrofò Nao. Lui ascoltava sempre le loro conversazioni.
“Forza Sana! Sali!” sua madre la incoraggiò. Sana guardò Nao.
“è un peccato che Akito non sia qui con noi!” quanto lo odiava, pensò.
“Sei un bastardo!” gli disse, senza alcun rimpianto. Tanto che importanza aveva?
“Sana avanti sali!” la incoraggiò la madre. La giovane rimase lì immobile. Non sapeva che fare.
“Sana sali sulla scialuppa!” basta non ce la faceva più. Perché non si muoveva? Perché?
“Addio mamma...” era convinta. Akito...
“Sana!” sua madre gridò dalla scialuppa. Nao la seguì.
“Dove stai andando?” chiese. Lei non si voltò neanche. La raggiunse. La afferrò per un braccio e la voltò verso di sé.
“Cosa da lui! Per fare la sua puttanella?” era adirato.
“Preferisco essere la sua puttana, piuttosto che tua moglie!” gli ringhiò in faccia. Lui non rispose. Shockato? Sì.
“No!” la tirò a sé con violenza. Lei gli sputò in faccia e scappò via.




 
****



 
Solo. Era solo lì sotto. Vedeva dal finestrino che ormai era sott’acqua. Doveva andarsene da lì. Ma come?
“Aiuto!” gridò, sperando che qualcuno lo sentisse.
“C’è nessuno? Aiuto!” sbatté le manette sulla sbarra per attirare l’attenzione. Nessuno. Il corridoio era vuoto.
Sana, intanto, aveva raggiunto l’ufficiale di bordo. Perché? Così avrebbe scoperto dove avevano portato Akito. Si fece dare le indicazioni – non subito, ma dopo aver insistito un po’ – e decise, perciò, di andare dal suo uomo.
Niente. Nessuno era venuto. Era in trappola, pensò. L’acqua stava iniziando a filtrare da sotto la porta. Imprecò il giovane Akito, mentre si arrampicava lungo la trave per non affogare.
Filtrava. L’acqua filtrava. Il giovane cercò di togliersi le manette, ma invano. Era in trappola.
Ecco era giunta al piano. Allagato. Era tutto allagato. Lei, però, non si scoraggiò. Si fece largo tra quelle acque.
“Akito! Akito!” iniziò a chiamarlo per nome. La luce, intanto, andava e veniva.
“Akito!” continuò a farsi largo tra quelle acque.
“Sana!” l’aveva sentita. Lei era venuto a salvarlo. La amava.
“Akito?” si voltò.
“Sono qui!” lui gridò e sbatté le manette sulla sbarra. Lei avanzò verso il rumore.
“Akito!” eccola. Era entrata.
“Mi dispiace!” avanzò verso di lui. Era dispiaciuta. Lo baciò.
“è stato quel Rei!” esclamò. Non ce l’aveva con lei.
“Lo so!” lo abbracciò. Si sentiva una sciocca per non avergli creduto.
“Devi trovare la chiave!” era giunto il momento di andarsene.
La cercò. Aprì l’armadietto appeso al muro, ma di essa non c’era traccia. Continuò a cercare. Non si sarebbe arresa.
Niente non c’era e ora? “Devi andare a cercare aiuto!” le aveva detto. Lei non se l’era sentita dapprima, ma alla fine uscì da quella stanza, ormai sommersa dalle acque, ritrovandosi nel sommerso corridoio.
Niente. Nessuno. Era salita anche di un piano ma niente. Aveva trovato due uomini, che, però, non la aiutarono. Un martello d’emergenza. Ruppe il vetro e lo prese. Ecco come avrebbe aiutato Akito.





 
***




 
Ritornò giù. Ora l’acqua le arrivava fin sopra la vita. Questo non la scoraggiò. Ancora una volta avanzò in quelle acque, fino a giungere da Akito.
“Akito!” era ancora vivo.
“Sana!” era felice di vederla lì.
Non perse tempo. Colpì con un solo colpo le manette, spezzandole. Risero. Akito la abbracciò.
“Brava!” le disse, una volta sciolto l’abbraccio. Lei sorrideva. Felice? Sì.
“Andiamo!” non potevano indugiare. Presto sarebbero affogati.





 
****



 
“E poi?” Eri interruppe il racconto della nonna. Era in ansia e parecchio.
“Eri sei proprio impaziente!” non poté fare a meno di ridere l’anziana nonna.
“Beh comunque ormai si è fatto tardi è meglio accorciare!” aveva notato il piccolo orologio appeso al camino. Segnava le undici di sera. Sì, doveva accorciare.
“Beh fu una tragedia. La nave si spezzò in due. Io e tuo nonno finimmo in mare. Riuscimmo ad aggrapparci a un asse. Faceva freddo. Ero gelata” una lacrima le scappò. Quell’esperienza l’aveva segnata.
“I soccorsi arrivarono dopo quattro ore. Ci trovammo. Io e tuo nonno sopravvivemmo. Su mille e cinquecento! Due su mille e cinquecento!” pianse. Erano morti anche gli amici di Akito – Gomi e Tsuyoshi. Ed anche Fuka e Hisae, le sue cameriere.
“Oh nonna... mi dispiace...” le strinse la mano. Anche lei era triste.
“Ad ogni modo. Arrivammo pochi giorni dopo a New York...” pioveva quella sera. Lei e Akito si erano finti sposati. Perché? Non volevano che Nao li trovasse.
“Decidemmo di vivere là e ci sposammo. Il resto lo sai” le sorrise. Avevano avuto due figli: un maschio e una femmina. Avevano anche quattro nipoti. Avevano vissuto una vita magnifica. Poi, un giorno, di venti anni fa Akito... Akito morì. Perché? Un tumore ai polmoni. Era un giorno di dicembre – la vigilia di Natale per essere precisi – quando la malattia lo portò via. Per Sana tutto si fermò. Nulla aveva più senso, nulla.
“Oh nonna, io non sapevo di tutto ciò. È stata una storia avvincente! La più bella che tu mi abbia raccontato!” la giovane si alzò, aiutando la nonna ad alzarsi. Poco dopo, andarono a letto.
Akito... poco dopo lo vide a letto. Era durante il loro primo appuntamento sulla nave. Era esattamente dove lo vide la prima volta: davanti all’orologio. Le tendeva la mano.
Eccomi amore mio, arrivo! Pensò, mentre afferrava la mano. Ecco il suo paradiso: Akito, senza di lui il paradiso non esisteva.





 
****




 
Il Sole era appena sorto, svegliando la giovane Eri. Era andata in cucina a preparare la colazione per la sua nonna, poi decise di andare a svegliarla. Bussò. Nessuna risposta. Strano, si disse, di solito sua nonna all’alba era già sveglia.
“Nonna...” entrò avvicinandosi al letto. Nessuna risposta. Il panico. Il panico la assalì.
L’anziana donna non dava segno di vita. Morta. Era morta. Pianse quel giorno la giovane Eri.
Il funerale. Pochi giorni dopo fu celebrato il funerale. Eri era a pezzi. Era legata a sua nonna. Si sentiva come se le avessero tolto una parte di sé.
Ma, in un giorno cupo, tetro, uggioso e di pioggia, il Sole si può fare largo. Un ricercatore. Poco dopo un ricercatore la avvicinò. Lei voleva mandarlo via, ma fu estasiata da quella visione: sembrava suo nonno da giovane solo che aveva gli occhi verdi. Si chiamava Heric ed era americano. Stava cercando il famoso cuore dei mari che aveva sua nonna. Non lo trovarono mai. Ma da quel giorno tutto per Eri cambiò. Aveva trovato anche lei l’amore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: salve! Anche questa storia è finita! L’avevo detto che il finale sarebbe stato diverso e così è stato. Certo Akito è morto lo stesso, ma almeno si sono sposati! Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita.
SoloAmore, Francesca91, marta4, carmenkodocha400, kodocha, stellinA003 che hanno recensito la storia.
Francesca91 che l’ha messa tra le preferite.
Joxfover e Saralovex che l’hanno messa tra le ricordate.
Cassandrablake, danysanafr e Francesca91 che l’hanno messa tra le seguite.
E ovviamente ringrazio anche i miei lettori silenziosi.
Tornerò con un’altra storia? Non lo so. Spero di sì.
A presto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3402697