Cos'hai desiderato? Te.

di Leilani54
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tramonti ***
Capitolo 2: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 3: *** Notti insonni ***
Capitolo 4: *** Lettere. ***
Capitolo 5: *** Atlantide?? ***
Capitolo 6: *** Visite nel buio ***
Capitolo 7: *** Notti stellate ***
Capitolo 8: *** Trovata ***
Capitolo 9: *** Tesori e tesori ***
Capitolo 10: *** Ricatti ***
Capitolo 11: *** Piccole luci (e mega capitolo) ***
Capitolo 12: *** Pessima giornata ***
Capitolo 13: *** Lacrime e poker ***
Capitolo 14: *** Menzogne ***
Capitolo 15: *** Torture ***
Capitolo 16: *** E adesso che si fa? ***
Capitolo 17: *** Armiamoci ***
Capitolo 18: *** Let's go kick some asses ***



Capitolo 1
*** Tramonti ***


~~Capitolo 1
Il mare era limpido e colorato di rosso, lo specchio del cielo al tramonto. Le onde si infrangevano sugli scogli e accarezzavano la spiaggia con un tranquillo sospirare. In mezzo a quell’aria infiammata, spiccava una figura snella, una donna, vestita in drappi bluacei, intenta a osservare l’orizzonte. Attraverso le lenti scure degli occhiali da sole vedeva la grande distesa d’acqua, mentre piano piano un senso di pace la pervadeva. Inspirò l’odore così familiare di salsedine… ed ecco che fu messa in allerta. L’odore del mare era differente… ora era accompagnato da un terribile puzzo di bruciato. In lontananza vide una sottile linea nerastra alzarsi elegantemente dalla superficie piatta dell’oceano. “Che diamine…?” fece in tempo a pensare, poi una sagoma scura fuoriuscì dai flutti come un mostro marino. Istintivamente portò una mano al coltello che teneva sempre legato alla coscia. Era in controluce e fece fatica a metterla a fuoco, poi vide chiaramente: dalle onde erano spuntati due uomini, uno dalla giacca rossa e l’altro nera, entrambi dall’aspetto stravolto e malconcio. Quello dalla giacca nera tirava per il kimono un samurai dall’aria altrettanto malridotta e non fece quasi in tempo ad appoggiarlo a terra che crollò sulle ginocchia, finendo lungo disteso sulla battigia. L’altro, dalla giacca rossa, invece, non si era ancora arreso alla fatica e aveva posato una donna vicino agli altri due, guardandola teneramente. L’uomo alzò lo sguardo scorgendo la figura, rimasta impassibile. Improvvisamente, perse le forze e cadde sulla spiaggia, svenendo anche lui. La donna vestita di blu, avvicinandosi solo quando fu certa che non si sarebbe rialzato, gli vide un sorriso tranquillo e un po’ sfacciato stampato sul viso. Tutti e quattro erano ridotti decisamente male. Tuttavia non era dell’idea di curarli. Avevano tutto l’aspetto di essere persone scomode. Li avrebbe lasciati lì, in pasto ai gabbiani. Un po’ le dispiaceva, però era convinta che altrimenti le avrebbero sicuramente portato solo problemi. Si accucciò vicino al tipo dalla giacca rossa e iniziò a frugargli nelle tasche, in cerca di qualcosa di prezioso. Toccò qualcosa di duro e quando lo portò alla luce vide che si trattava di un diamante. Intagliato a forma di una sfera perfetta, liscia, immacolata, al cui centro pareva brillasse un piccolo sole. Le sue mani sottili lo avvolgevano completamente, ma quelle più grandi di un uomo avrebbero potuto nasconderlo fra le dita senza problemi. “Il diamante di Itzamnà.” Pensò, ricordando di averlo visto fra le notizie di pochi giorni fa: stava per essere spostato dal Messico, trovato nella tomba di un imperatore Maya, all’Arabia, acquistato da uno sceicco probabilmente. Se lo mise in tasca. Trovò una pistola bagnata, al momento inutilizzabile, e una serie di gadget strambi. La maggior parte li lasciò sulla sabbia. Quando fece per muoversi verso il corpo successivo, una mano forte la trattenne, facendola sobbalzare. Velocissima, estrasse il coltello e lo puntò alla gola dell’uomo dalla giacca rossa, improvvisamente sveglio. Aveva ancora quel sorriso sfacciato che gli tagliava la bocca.
-Non puntare un’arma, se non la vuoi usare.- disse con un filo di voce. Lei, scioccata, rimase immobile per qualche secondo prima di rilassare il braccio. In effetti, che male le avrebbe potuto fare? Non riusciva nemmeno a mettersi seduto. Le stava praticamente offrendo la schiena e il collo, non avrebbe neppure potuto morire da uomo. Le sorrise.
-Aiutaci.- lei assottigliò gli occhi, decisamente contraria. Però quando lui ebbe un attacco di tosse, lo girò subito a pancia insù, per farlo respirare meglio. Lui rise, nei pochi attimi di respiro che aveva.
-Visto? So che non ci lascerai morire.- disse fissandola negli occhi. –Sei una brava ragazza. Si vede…- poi perse definitivamente conoscenza. La donna in blu gli sentì le pulsazioni: deboli. All’improvviso la inondò un senso di urgenza. Aveva ragione lui, non su tutto, però aveva ragione. Lei non era una brava ragazza, ma di certo non li avrebbe lasciati lì. Quando era diventata così mostruosa?  Come aveva anche solo potuto pensare di abbandonarli in quel modo?  E, ormai a notte calata, non senza fatica, li portò alla Villa.

***

Il tesoro. L’isola. Un ricordo odiato. La polizia. L’esplosione. L’acqua che gli entra nel naso, nella bocca con le sua dita invisibili, comprimendogli il petto, tentando di soffocarlo. Goemon sta annegando, trascinato sul fondo del mare dal pesante kimono di cotone. Lo afferra e lo porta fuori, sotto un cielo tinto di rosso. Lo costringe a sputare un po’ dell’acqua che ha ingoiato e gli tiene la testa sopra la superficie. Lupin regge Fujiko. Lui lo segue. Lo segue dappertutto. Si fida di lui come di nessuno, è il suo migliore amico, suo fratello. Poi toccano la sabbia, camminano stravolti. L’aria gli schiaffeggia le guance, il suo cappello per poco non vola via… e l’ultima cosa che vede è la schiena di Lupin. Piomba nel buio.

 Jigen si svegliò, avvolto da un lieve torpore, disturbato da un raggio di sole che gli colpiva gli occhi. Provò a continuare a dormire, il profumo di sapone e i muscoli finalmente rilassati erano un richiamo molto invitante al riposo. Il sole però sembrava volergli perforare le palpebre. Mosse un braccio e raggiunse il cappello sul comodino, anche se le fasciature glielo resero più complicato del previsto, mettendoselo sul viso. Un momento… Fasciature?? Comodino?? Ora Jigen era completamente sveglio. Si tirò a sedere, forse un po’ troppo velocemente, visto che una fitta dolorosa gli trapassò il fianco. Per fortuna gli passò rapidamente, anche perché per uno come lui che aveva combattuto migliaia di battaglie e duelli non era poi così insopportabile, ci era abituato. Si guardò intorno e vide Lupin e Goemon che dormivano pacifici nei loro letti, anche loro medicati premurosamente. Fujiko non c’era. Probabilmente era stata medicata in una stanza differente. Sentì il bisogno di fumare una sigaretta. Si mise a frugare nei cassetti e nelle tasche dei vestiti, puliti, ricuciti e ben piegati su una sedia. Scovò solo una bussola, rotta, visto che l’ago continuava a ruotare senza logica. Non trovando né sigarette né accendino, fregandosene delle ferite, si alzò dal letto e si vestì, evitando di mettersi la giacca: faceva già caldo anche se l’orologio alla parete segnava che erano solo le nove di mattina. Non trovò la propria Magnum. Questo lo preoccupò di più. Era indeciso se lasciare soli i propri compagni e andare ad esplorare il posto, o rimanere a vegliare su di loro. Poi pensò che nulla in quel posto sembrava minaccioso o pericoloso. Se li avevano curati, voleva dire che li volevano vivi. Almeno per il momento. Scalzo (Che fine avranno fatto le scarpe, hanno fatto una passeggiata?), uscì dalla stanza calandosi il cappello sugli occhi per ritrovarsi in un lungo corridoio. Passò in mezzo a quadri che ritraevano paesaggi e scene di opere teatrali, prima che la stanza si aprisse sulla destra, facendolo finire in un salotto degno di un re: due delle pareti erano in vetro, davano sulla spiaggia bianchissima, aperte, e il vento leggero che entrava muoveva piano le delicate tende di lino bianco; tre divani circondavano un tavolino rotondo al cui centro si ergeva un palo di legno su cui erano cresciute delle piante rampicanti che ora creavano una meravigliosa cascata di fiori viola e violetti; il parquet era lucido e levigato, in alcuni punti recava dei simboli che a Jigen ricordarono subito le lettere indiane. Sul tavolino trovò un pacchetto di sigarette, non le sue Pall Mall, erano Lucky Strike, ma poco gli importava in quel momento. Purtroppo, niente accendino. Le prese comunque e se ne ficcò una in bocca.
-Oh, e cosa abbiamo qui?- commentò sottovoce. Aveva notato un luccichio venire da una scatola tenuta nel ripiano inferiore del tavolo. Sperava di trovarci qualcosa di utile, magari la propria pistola, ma quando l’aprì vide solo cacciaviti, chiavi inglesi di varie dimensioni, chiodi e un martello. Prese il martello, per sicurezza, si disse. Poi rimise le cose a posto e si incamminò sulla spiaggia, mordendo il filtro rigido della sigaretta, nervoso. Stava seguendo delle impronte sulla sabbia levigata dal vento, che sperava lo portassero a qualcuno che gli potesse dare delle spiegazioni. Camminò per un quarto d’ora fino ad arrivare ad una spiaggetta più riparata dalle altre. Un asciugamano era abbandonato su degli scogli. Gli andò vicino, stringendo il martello, i sensi tesi a captare ogni possibile avviso di pericolo. Poi uno scroscio d’acqua lo fece voltare verso il mare. Allora, vide uscire dalla spuma, come una Venere nascente, una delle donne più belle che avesse mai visto. Era in costume da bagno e i morbidi capelli biondo-scuro le ricadevano sulla schiena, gocciolando un po’; il fisico era atletico e slanciato, la pelle bianca non sembrava nemmeno essere stata sfiorata dall’ardente sole di quell’isola tropicale e i suoi due grandi occhi azzurri lo guardavano tra lo stupito e il divertito. La sua voce dolce e composta interruppe il silenzio e Jigen quasi non si rese conto che gli si era avvicinata:
 -Quando hai finito di ammirare, signor Jigen Daisuke, mi passeresti l’asciugamano?- Meccanicamente Jigen ubbidì, accorgendosi solo in quel momento di aver lasciato cadere il martello per lo stupore. Incantato, ma diffidente, ebbe così il primo incontro con quella donna misteriosa.

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Capitolo 2
*** Nuove conoscenze ***


~~Capitolo 2

–E così lei ci avrebbe salvato, signora. Posso chiederle il motivo?- La donna gli rivolse un sorrisetto beffardo mentre si avvolgeva nell’asciugamano:
–Innanzitutto sono ancora signorina. Secondo: dammi del tu, sono più giovane di te e non intendo dovermi sentire vecchia. In ultimo, non è questo quello che vuoi veramente sapere, adesso.- Jigen non capì, forse perché ancora folgorato per la visione che aveva davanti, forse perché aveva preso troppe botte in testa. Soprattutto perché tutto ciò non aveva senso. Lei sospirò, fingendosi contrariata:
–Di solito si chiede il nome a una persona sconosciuta, o perlomeno si fanno domande come: “Dove sono finito? Che posto è questo? Come conosce il mio nome?” eccetera. Comprendi?- Jigen si irritò un po’, ma capì che se non fosse stato al gioco, non avrebbe cavato un ragno dal buco:
–Bene, allora posso sapere come si chiama signorina?- Lei gli tese la mano:
–Azura Moony, molto piacere. E ti ho detto di darmi del tu.- Lui, ignorando l’ultima frase, le strinse le dita delicate, accorgendosi di quanto la presa di lei fosse salda. Quando le lasciò andare la mano, si ritrovò sul palmo della propria, l’accendino d’argento che gli apparteneva.
-Quello è tuo. È molto bello, è antico?- gli chiese, incamminandosi verso la Villa.
–Era di mio nonno. Prima mi ha chiamato col mio nome. Come fa a conoscermi?- Azura ignorò la domanda vedendolo accingersi ad accendere la sigaretta:
–Fumare fa male, soprattutto a uno ridotto come te!- Jigen la guardò storto da sotto la tesa del cappello:
-Sappia che non ho intenzione di seguire il consiglio.- Azura non aggiunse niente, ma dopo parecchi tentativi, Jigen si accorse di non riuscire a dare vita alla fiamma. “Strano. Dovrebbe essere impermeabile…” pensò, aprendolo. Non vi trovò neanche una goccia di benzina. Alzò la testa e vide che Azura aveva allungato il passo, con calma, ridendo. “Ma certo. Ha pensato a tutto” pensò l’uomo. Non seppe se essere irritato o divertito. Alla fine, un mezzo sorriso gli si aprì sul viso.

***

–Fujiko! Jigen! Goemon!- Lupin si svegliò col suo stesso grido e si tirò su di scatto, sbattendo la fronte contro una mensolina.
–Ahiahiahiahiahi! Chemalechedolorechemaaaale!!-
–Fa’ un po’ di silenzio!- la voce tranquilla, pacata e un po’ seccata di Goemon, lo zittì. Quando vide il suo amico samurai vivo e in (quasi) buona salute, gli venne (quasi) da piangere:
–Goemon! Stai bene!!- Lupin notò subito che era nervoso. E il motivo era che non aveva con sé la propria spada. Chissà dov’era finita. In effetti, mentre si rivestiva, vide che anche le sue armi erano sparite. Sulla sedia vicina al terzo letto sfatto rimaneva solo la giacca nera del suo amico pistolero. Si accorse in quel momento di essere in boxer e si affrettò a rivestirsi.
-Ehi, ma dove sono Jigen e Fujiko?- Lo spadaccino aprì un solo occhio:
–Non ho idea di dove sia Jigen, ma Fujiko è dietro la porta- l’udito finissimo di Goemon l’aveva sentita arrivare molto prima che la porta venisse quasi sfondata da quella furia bruna. La donna si era letteralmente catapultata in camera e si stava dirigendo a passo di marcia verso Lupin che la stava accogliendo con un: –Cherie!-. La gatta ladra, senza pensarci due volte, lo schiaffeggiò, urlandogli quanto fosse  idiota prima di cadergli letteralmente tra le braccia:
–Oh Lupin, ho avuto tanta, tanta paura!- Lupin, come al solito, non resistette alle sue lacrime (di coccodrillo?):
–Oh, mia povera, dolce Fujiko, mi dispiace tanto! Ma sta’ tranquilla, adesso c’è Lupin III  a proteggerti.-
–Oh mon cher!- Lupin la strinse a sé, consolandola (anche se sapeva meglio di tutti che Fujiko Mine non ne aveva bisogno, era tutta scena, lei era forte. Solo un po’ capricciosa). Era preoccupato più che altro perché non aveva ricordi dopo l’esplosione: tutto era un gorgo scuro di voci confuse e non aveva la più pallida idea di come fosse finito lì. La priorità però, in quel momento, era riunire la banda.
–Fujiko cara, ora calmati e dimmi se per caso hai visto Jigen.- Lei si asciugò gli occhi e gli disse di averlo visto dalla finestra sulla spiaggia con una donna sulla ventina. “Chi sarà?” Lupin strinse a sé la sua cara Fujiko mentre Goemon si girava dall’altra parte, bloccato (anche a causa della gamba completamente fasciata) nella situazione imbarazzante del terzo incomodo. Lupin intanto continuava a riflettere “Questa casa dev’essere immensa. Se ha delle stanze così grandi solo per gli ospiti, deve abitare qui con qualcuno. Cosa ci farebbe una giovane da sola su un’isola? E poi sarà davvero un’isola o siamo in terre continentali?” La porta venne nuovamente aperta poco dopo e Jigen entrò nella camera, seguitò da una donna bionda. Lei, che portava un pareo rosso sopra un costume da bagno, si presentò cordialmente e Lupin, da vero dongiovanni, le fece il baciamano (-Arsenio detto Lupin III, al suo servizio.-) facendo stizzire i suoi tre amici, in particolare Fujiko, dimenticata momentaneamente sul letto. Dopo le brevi presentazioni, inutili, visto che Azura dimostrò di conoscere già i loro nomi, Goemon prese la parola:
–Dove ci troviamo?- Azura gli sorrise dolcemente:
–Non ne ho idea.- Goemon non riuscì a trattenere la faccia stupita:
–Come?? I-in che senso, scusa??- lei rise di gusto, poi si spiegò meglio.
–Nel senso che quest’isola non è segnata sulle cartine geografiche.- Lupin spalancò gli occhi:
–È impossibile! I nuovi satelliti vedono tutto dallo spazio, com’è possibile che un’isola non venga notata?- Azura allora estrasse una bussola dal cassetto.
-Quella cosa è rotta.- disse Jigen, ricordandosi di averla vista mentre cercava le sigarette. La donna scosse la testa.
–No, non è rotta. Vedi che l’ago sembra impazzito? Ecco, su quest’isola avviene lo stesso fenomeno elettromagnetico del Triangolo delle Bermuda, solo in una maniera più potente e che forma una specie di specchio attorno all’isola che riflette le immagini e che fa impazzire gli strumenti di navigazione fino a cinquanta chilometri di distanza. Per questo motivo nessuno è mai riuscito a vederla, finché non si supera il confine del campo l’isola è invisibile. A parte me e voi, non una persona è a conoscenza di questo posto. Io sono stata sfacciatamente fortunata a trovarla.- qui un grillo iniziò a frinire nell’orecchio di Lupin. Qualcosa non gli tornava nel racconto. Chiese:
–Lei è un’ereditiera, per caso? Dev’essere molto ricca per poter vivere qui, in una casa così lussuosa nonostante sia lontana chilometri dalla civiltà del resto del mondo.- il sorriso di Azura si rabbuiò un poco, ma lei rispose con la solita gentilezza:
–Sono una specie di consulente, ma ho studiato anche un po’ di medicina e psicologia. E per l’ultima volta, datemi del tu! Non sono un ufficiale del governo!- ci fu un attimo di silenzio, in cui tutti riflettevano: Fujiko era aggrappata a Lupin, che adesso teneva lo sguardo perso nel vuoto; Jigen scrutava gli amici ed Azura da sotto il cappello e Goemon aveva di nuovo chiuso gli occhi. Azura, notando l’atmosfera pesante, si alzò e uscì dalla stanza per tornare poco dopo con whisky, vino rosso e sakè, appoggiandoli su un comodino.
–Credo che ora vogliate restare da soli. Se volete bere, state attenti: l’alcol è vaso-dilatatore e se ne bevete troppo rischiate di far riaprire le vostre ferite. Vi avviserò quando sarà pronta la cena. –

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Capitolo 3
*** Notti insonni ***


 ~~Capitolo 3

Dobbiamo andarcene, dobbiamo lasciare questo posto prima che la polizia o quelli che hanno tentato di farci saltare in aria ci trovino. Questa notte cercheremo le nostre armi, il diamante e ce ne andremo. Azura è stata gentile, ma rimanendo qui a lungo non faremmo altro che mettere in pericolo anche lei. Se ci troveranno, nelle condizioni in cui siamo, dubito che avremo molte speranze.

Le parole di Lupin gli vorticavano ancora nella testa. Speranze… lui l’aveva persa già da tempo, la speranza. Non aveva mai avuto modo, nella vita, di poter ambire a diventare qualcuno di importante, tipo un boss mafioso. Non era mai stato abbastanza crudele. Mai abbastanza cinico. Si era limitato a mettersi nelle mani di altri, come killer, guardia del corpo, mercenario dell’esercito. Poi aveva incontrato Lupin. E Goemon. E ne aveva ritrovata una piccola parte. Gli era parso di poter finalmente essere sé stesso, non solo una pistola e una mano veloce. Non che non avesse mai fatto di testa sua, prima. Per la verità, anzi, lui era un lupo solitario, non aveva mai legato con una particolare fazione, e probabilmente per quello aveva tanti nemici. Ma con Lupin e Goemon era alla pari. Era un membro fondamentale di qualcosa, di quella che dopo tanto tempo aveva potuto chiamare famiglia. Scrollò la testa e si mise a sedere. Quando Lupin gli aveva chiesto di lavorare con lui… e non PER lui… non aveva visto paura o disprezzo nei suoi occhi, al contrario di tutti quelli che lo avevano guardato fino ad allora. Lui e Goemon… erano dei veri amici. E lui li aveva ripagati con un bel botto: poco prima dell’esplosione del loro motoscafo, aveva trovato la bomba a orologeria decorata con un “bel” nastro rosso con un simbolo giallo. Erano quel nastro rosso con quel simbolo giallo. Di quella stupida mafia che aveva servito come killer per circa cinque anni e che ora, a quanto pareva, gli dava la caccia. Quando aveva visto quel nastro, si era maledetto mille volte e aveva trascinato in acqua gli altri, riuscendo a evitare il peggio. Povero Zazà, probabilmente li stava ancora cercando negli abissi. Che uomo d’onore. Buffo, ma d’onore: non esitava a gettarsi in situazioni anche più grandi di lui pur di riuscire a catturare Lupin, lo odiava quando gli sfuggiva, gli sparava, mirava al cuore. Eppure, se lo credeva morto, lo piangeva come se fosse stato il suo più caro amico. Jigen tornò indietro coi pensieri: tentò di ricostruire i ricordi dopo l’esplosione, dopo essere arrivato alla spiaggia, ma nella sua mente c’era solo nebbia e buio. E nel buio, evanescente come un fantasma, appariva il viso candido di Azura. “Devo finirla di pensare a lei”. E naturalmente, come ogni volta che ci si fa il proposito di non pensare a qualcuno, all’improvviso diventa impossibile smettere di vederne il volto nella mente. Jigen si accese una sigaretta (aveva trovato dei fiammiferi che facevano proprio al caso suo) per cercare di prendere sonno. “Chissà perché ha deciso di aiutarci. Una ragazza sola e così bella… Maledizione, ma a cosa penso?! Jigen Daisuke” disse a sé stesso “so dove andrà a finire questa cosa, e non mi piace per niente!” Eppure quella donna gli occupava prepotentemente i pensieri. Lo affascinava. La sirena aveva cantato, e lui era lo sciocco marinaio che si era fatto ingannare. No, non si sarebbe lasciato abbindolare, come gli era accaduto troppo spesso col gentil sesso. Perché era ovvio che quella donna portava rogne. Aveva verificato, e anche Lupin pensava qualcosa del genere, c’erano un po’ troppi buchi nella storia di Azura. Uno dei tanti era per esempio come potesse esser stata costruita una villa di tale magnificenza su un’isola praticamente sconosciuta senza che il mondo lo sapesse. Tuttavia Lupin si era fidato di lei, alla spiaggia, l’aveva reputata una ragazza buona che li avrebbe aiutati e, infatti, raramente si sbagliava con le persone. Jigen scrollò di nuovo la testa per scacciar via tutti quei pensieri negativi e, non riuscendoci, uscì dalla stanza accendendosi a catena l’ennesima sigaretta. Sperava di poter iniziare la ricerca delle armi, visto che Goemon e Lupin, nonostante il proposito, erano caduti in un sonno profondo. In effetti le loro ferite erano più gravi delle sue, avevano bisogno di un lungo riposo. La luna piena illuminava il salotto a giorno. “Perfetto, non avrò nemmeno bisogno di accendere le luci” pensò, prima di notare che proprio Azura era seduta su uno dei divanetti, intenta a leggere qualcosa. Stette in silenzio, le mani in tasca, guardando la bella figura immersa nei raggi lunari, sperando che non lo notasse e che andasse a dormire presto.

***

Lo sentiva alle spalle, aveva il respiro rumoroso dei fumatori e lo sguardo che bruciava. Ne poteva percepire la sua stessa essenza: malinconica e dolce, sigillata in un cuore di pietra. Siccome quello non sembrava aver intenzione di muoversi, piegò la lettera che aveva in mano e parlò:
–Vieni pure avanti, mica ti mangio.- lo sentì sussultare:
–Da quanto sapevi che ero qui?-
–Da adesso.- Azura si voltò e lo vide avvicinarsi a una parete di vetro soffiando fumo. La donna lo rimproverò, indispettita del fatto che avesse trovato il modo di accendere:
–Mi sembrava di averti già detto che fumare, soprattutto nel tuo stato, ti fa male!- lui sorrise guardando fuori:
–E a me sembrava di averti detto che non intendo ascoltarti.- lei cambiò espressione, diventando all’improvviso un tenero angioletto dispettoso:
–Ah sì?- “Bene, allora eccoti servito”. Spostò furbescamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in modo da mettere in mostra il proprio decolleté:
–E se io…- gli si avvicinò. Jigen deglutì. Aveva la gola improvvisamente secca.
–…facessi…- lo tirò per la cravatta e gli poggiò una mano sul petto:
–…così?- si mise in punta di piedi per averlo perfettamente di fronte, con i loro nasi che quasi si toccavano. Gli poteva vedere gli occhi scuri sempre nascosti dalla tesa del cappello. Jigen le afferrò la mano con cui lo teneva per la cravatta per bloccarla. Lei, sorridendo sardonicamente, mosse lentamente le labbra in un sussurro:
-“Ti distruggerò nel modo più meraviglioso che esista e quando me ne andrò tu capirai perché i cicloni portano i nomi di donne”.- Jigen provò a indietreggiare, ma andò a sbattere contro un mobiletto.
-E…eh?- disse confuso. Azura approfittò del suo disorientamento per togliergli la sigaretta di bocca e buttarla in un portacenere di cristallo sul tavolino lì vicino. “Che buon profumo. Sa di tabacco, frutta, polvere da sparo e… di buono” pensò, godendosi ancora qualche secondo della loro vicinanza. Poi, Azura lo spinse via delicatamente, come se stesse allontanando il proprio pensiero inopportuno invece che l’uomo, e si andò a sedere sul divano. “Odio dover fare la civetta, ma è  troppo divertente”.
-Era solo una piccola citazione.- Accavallò le gambe e lo invitò a seguirla sul sofà. Lui rifiutò.
-Quindi, cosa ti tiene sveglio?- gli chiese allora, diretta. Sperava di risolvere abbastanza velocemente la situazione, in modo da spingerlo ad andare a letto. Aveva delle questioni in sospeso da risolvere, non aveva tempo per giocare ancora con lui. Già, aveva subito intuito che con il bel gangster tenebroso si sarebbe divertita un mondo, tuttavia quello non era il momento. Jigen si spostò dal mobiletto e si appoggiò al muro con la schiena.
-Volevo fumarmi l’ultima sigaretta, mi concilia il sonno. Ma a quanto pare dovrò rimanere sveglio tutta notte.- mentre parlava, il fumo inspirato poco prima gli uscì dai denti stretti, come se fino ad allora avesse trattenuto il fiato. In quel momento aveva qualcosa di bestiale nell’aspetto, di demoniaco. Ma Azura era ben conscia che Jigen Daisuke, un po’ demone, lo era.
-Se fumi sempre così spesso, avrai i polmoni neri, a quest’ora.- commentò la donna, arricciando il naso. Jigen digrignò un po’ i denti: il fatto che sembrasse preoccupata per lui gli aveva procurato un moto di orgoglioso piacere, ma sembrava che volesse continuare a dargli degli ordini. E lui non prendeva ordini. Soprattutto, non da una donna.
-La mia salute non è una cosa che ti riguarda.- disse, stizzito.
-Per la verità sì, dato che tu e i tuoi amici siete sotto le mie cure, al momento.-
-Sappiamo badare a noi stessi.- Azura sollevò un sopracciglio.
-Si vede. Vuoi che ti descriva come eravate ridotti quando vi ho trovato?- Jigen ora si stava seriamente irritando.
-I sensi di colpa non funzionano con me.-
-Allora chiedimi quello che vuoi realmente chiedermi e smettila di girarci intorno.- gli rispose a tono Azura. Jigen non si tirò indietro.
-Innanzitutto vorrei che tu ci ridessi ciò che ci hai rubato.- Azura corrugò la fronte.
-Io non vi ho rubato proprio niente.- Jigen sollevò appena la tesa del cappello perché lei potesse vedere appena i suoi occhi fiammeggianti.
-Le nostre armi. Ridaccele.- Azura scosse la testa.
-Non credo proprio. Le ho prese in custodia. Sono pericolose. Non mi dirai che avrei dovuto accogliere e curare dei potenziali assassini e lasciar loro le armi!- Jigen incrociò le braccia.
-Se pensavi che fossimo potenziali assassini, perché ci hai aiutati? Eravamo in sovrannumero, quattro, (di cui tre uomini) contro una donna. Ti avremmo potuto fare del male in qualunque momento, anche da feriti.-
-Non lo avete fatto.-
-Non è questo il punto.-
-E quale sarebbe? Senti, ho deciso di fidarmi, fine. Ho solo voluto prendere comunque delle misure di sicurezza. Avresti preferito che vi lasciassi morire sulla spiaggia? - Jigen non trovò nulla da ribattere, non era ancora convinto, ma decise di lasciar cadere quella richiesta. Aveva l’occasione di raccogliere informazioni, non poteva sprecarla.
-Va bene, allora come facevi a conoscere i nostri nomi?- Azura lo guardò con un’espressione che diceva “Davvero me lo stai chiedendo?” tuttavia rispose:
-Siete famosi, insomma, la banda di Lupin III non passa esattamente inosservata. Apparite spesso sui media. Mi è bastato fare una piccola ricerca per capire chi eravate.- Jigen insisté.
-Come fai a ricevere informazioni dall’esterno? Quest’isola è sconosciuta e isolata!- Azura indicò un computer portatile.
-Quello è collegato ad un satellite privato che…-
-Un satellite privato?!?!- ora Jigen era stupefatto –Non è possibile tutto ciò. Come… è… possibile! Non può essere che nessuno sappia che esiste un intero satellite impiegato nella connessione col resto del mondo di un singolo computer su un’isola sperduta… in una villa arrivata chissà come!- Azura rise della sua espressione esasperata.
-Ti stupiresti nel sapere quante situazioni simili a questa esistono, nel mondo. Praticamente tutti gli scienziati che svolgono ricerche ritenute particolarmente importanti hanno questi privilegi. Noi siamo solo un po’ più particolari.-
-Aspetta, noi? C’è qualcun altro qui? Siete scienziati?-
-Oh no, solo mio padre lo è. È un fisico. Svolge ricerche sui buchi neri e la materia oscura. Io ve l’ho detto, sono solo una consulente.-
-E dove si trova ora, tuo padre?- lo sguardo di Azura sembrò oscurarsi di nostalgia, ma solo per un attimo.
-È via.- scese qualche secondo di silenzio. Poi Jigen chiese ancora:
-Noi… intendo io e i miei amici… quando e come ci lascerai andare.- Azura sollevò di nuovo il sopracciglio.
-Non mi pare di avervi legato od obbligato a rimanere. Potrete andarvene quando vorrete e come riterrete necessario (dispongo di qualche moto d’acqua che potrebbero interessarvi). L’isola civilizzata più vicina è solo un paio di giorni più a est. Vi darò cibo e acqua a sufficienza per il viaggio. Vi chiedo solo di non rivelare a nessuno l’esistenza di questo posto.- fece una pausa per vedere la reazione dell’altro, che però aveva un’espressione impassibile. Riprese:
-Purtroppo, per quanto riguarda le armi, deciderò sul momento se darvele o meno.- a quelle parole un’espressione cattiva apparse sul volto del moro. Lui era legato per la vita alla sua Magnum, tanto quanto Goemon alla sua katana: quella pistola era il suo passato, la sua vita intera. Si avvicinò al divano.
-Non credo che avrai molta scelta, donna.- sputò l’ultima parola come fosse il peggiore degli insulti. Azura, che ne aveva percepito tutto l’odio, gli fece il medio. Jigen allora la prese per il polso.
-Potrei costringerti a ridarcele ora.- Azura a questo punto si alzò e lo fronteggiò, liberando la mano.
-Sono qui, fallo, se vuoi.- Jigen drizzò la schiena, sovrastandola con la sua altezza. I suoi occhi scuri erano estremamente minacciosi. Il suo tono di voce, quando parlò, era gelido.
-Ridacci le nostre cose. E sai bene che non mi riferisco solo alle armi.- Per non doverlo guardare dal basso verso l’alto, Azura si trovò costretta ad indietreggiare di un passo. Un passo, non di più.
-Non so a cosa ti riferisci.- sibilò.
-Allora dovrò rinfrescarti la memoria…- disse lui.
 

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Capitolo 4
*** Lettere. ***


~~Capitolo 4

Fujiko apparve dal corridoio. Quando si era resa conto che Azura era in salotto, occupata con le sue carte, era sgattaiolata in camera sua nella speranza di trovare le loro armi. Aveva fatto tutto il più silenziosamente possibile: aveva cercato nei cassetti, sotto il letto, nelle fodere dei cuscini, nell’armadio e persino in mezzo alla terra del vaso di un ibisco giallo, senza risultati. Trovò solo il dipinto di un paesaggio fiabesco nascosto dietro un comodino che doveva essere ancora appeso sull’unica parete vuota della stanza (vi era un chiodo fissato al centro). Esausta, si era arresa e si era convinta a tornare in camera a dormire. Prima di uscire dalla camera, però aveva notato una cornice rivolta a faccia ingiù sul comodino. “Strano che non l’abbia notata prima” si era detta. Lei che era sempre così minuziosamente perfezionista… aveva sollevato il quadretto. Vi era una foto. Una famigliola, probabilmente, genitori e due figli, un maschio e una femmina. Era vecchia e non era riuscita a vedere bene i volti. Aveva provato a pulirla con un lembo della propria maglietta, quando un riflesso nel vetro del quadretto l’aveva deconcentrata. Il riflesso era stato provocato da qualcosa alle sue spalle. Eppure c’era solo la parete vuota, alle sue spalle. Possibile che la sua vista felina fosse stata ingannata? Aveva rimesso la foto a posto e si era concentrata sul muro. Vi aveva passato sopra le dita leggere. “Ma qui non c’è intonaco…” aveva pensato. E mettendosi in controluce, le fu chiaro che in quel punto vi era una sezione in vetro, colorata perfettamente come il resto del muro. Era poco sotto il chiodo. Le era scappato un sorrisetto furbo: “Avresti dovuto nasconderlo subito, ci hai sottovalutato eh?” Con le unghie era riuscita a tirare via la placca di vetro che nascondeva un piccolo buco nel muro, grande più o meno quanto un dizionario (???). Dentro aveva visto subito il diamante di Itzamnà che brillava come una stella caduta lì per sbaglio. Lo aveva preso per poterlo finalmente rimirare fra le proprie mani. Dopo averlo baciato, se lo era infilato fra i seni, mentre da una tasca estraeva una copia di cristallo identica e la metteva al posto dell’originale. Il suo piano iniziale era di darla a Lupin per fuggire con il diamante autentico, ma il destino le era stato avverso. Fino quel momento. Dentro la fessura nel muro era certa che ci fossero anche le loro armi, ma aveva sentito delle voci provenire dal salotto. Sembravano arrabbiate. Dopo aver messo a posto la placca di vetro alla meglio, sperando che Azura non si accorgesse di nulla, era uscita. E si era immobilizzata nel vedere Jigen che minacciava, torvo, Azura. Si fissavano negli occhi come due cani rabbiosi pronti a saltarsi addosso. Una cosa che lui non poteva notare, però, era un brillio metallico che proveniva dalla mano destra di Azura, nascosta dietro il suo corpo. Era armata.
-Che sta succedendo?!- esclamò Fujiko, temendo il peggio. I due sfidanti si voltarono contemporaneamente verso di lei per poi prendere le distanze l’una dall’altro. Azura sollevò una mano in segno di saluto. Aveva cambiato umore repentinamente. Ma la cosa che rese Fujiko più inquieta, fu che il luccichio che aveva visto poco prima era sparito.
–Fujiko! Anche tu non riesci a dormire?- Fujiko, si ricompose, spostò il peso sull’anca destra e tirò  i capelli dietro le spalle con un gesto seccato:
–Non è un po’ tardi per chiacchierare? Mi avete svegliato.- Azura le sorrise:
–Oh, la luna è così bella stasera che sarebbe stato un vero peccato non poterla ammirare. Ma se ti ho disturbato ti chiedo scusa.- Fujiko sbuffò. Guardò Jigen con rimprovero, ma lui aveva girato la testa verso il mare, all’esterno. Siccome non aveva intenzione di destare sospetti, sbadigliò rumorosamente.
–Yawn! Credo che andrò a letto. Quanto a te, –indicò l’uomo -gli altri ti stavano cercando, quindi muoviti.- detto ciò Fujiko se ne andò, seguita da Jigen.

***

Ciao bimba. Spero che tu ti stia divertendo in compagnia dei nostri ospiti. Sono così geloso… Gioca bene le tue carte e ricordati quello che devi fare. Tra tre giorni ti verrà scossa la memoria, nel caso che tu ne fossi dimenticata. Farai meglio a spicciarti bella, sai che non mi piace aspettare. A presto piccola… A.

Azura si tenne la testa fra le mani, sconsolata. Come tutte le volte in cui si trattava di lui, la sua mente si era annebbiata. Ogni volta le sembrava di trovarsi in balia di una corrente troppo forte per lei, come quando da bambina si era persa in mezzo ad una folla. Era stata spintonata, schiacciata, impossibilitata a muoversi. Poi una mano gentile e ferma aveva afferrato la sua e prima che se potesse accorgersene, si era ritrovata sulle spalle forti di suo padre. Lui l’aveva fatta sentire protetta, in cima al mondo. Ecco. In quel momento si sentiva come se fosse sempre rimasta in mezzo alla folla. Inerme, indifesa. Ed era sempre lui a farla sentire così: era assolutamente imprevedibile e incredibilmente astuto. La lettera non era altro che uno dei suoi stratagemmi di tortura psicologica: gliel’aveva lasciata sul letto, per farla sentire il più vulnerabile possibile. Azura si rendeva perfettamente conto di quanto la mente di quell’uomo fosse distorta, eppure rimaneva sempre affascinata della sua lucidità, l’abilità nel confondere gli ideali delle persone con semplici constatazioni… Si rannicchiò in una poltrona, cingendosi le ginocchia con le braccia, e rimase così anche quando si fu addormentata, fino all’alba del giorno dopo.
Fu svegliata dal passo baldanzoso e deciso di Lupin che, sbadigliando, si era diretto verso la cucina  aveva iniziato a preparare il caffè, perfettamente a suo agio. Pareva abitasse lì da sempre:
–Nottataccia, signorina Moony?- Azura si stropicciò gli occhi e si sistemò gli abiti stropicciati come meglio poté:
–Ne ho passate di peggiori. E per favore chiamami Azura, non sopporto tutte queste formalità inutili. Vedo che siamo mattinieri…- Lupin sbadigliò e le rivolse un grande sorriso:
–I sogni mi avevano stancato, meglio la colazione.- lei lo raggiunse in cucina e si appoggiò a una sedia bianca. Nel farlo, delle fitte le attraversarono le spalle e i fianchi, provocandole una smorfia: dormire accucciata in quella posizione le aveva indolenzito i muscoli. Lupin le sorrise, intuendo il suo stato.
–Concordo. Scusa se te lo chiedo, sei libero di non rispondere: ma come avete fatto a finire su quest’isola?- gli chiese lei. Il sorriso si spense e Lupin fissò la caffettiera che gorgogliava
–Un’esplosione. Avevamo… beh, eravamo inseguiti dalla polizia. Stavamo fuggendo a bordo del nostro motoscafo, quando qualcosa lo ha fatto saltare in aria. Jigen ci ha buttato in acqua in tempo e ci siamo salvati. Io e lui abbiamo trascinato gli altri, svenuti, per un’eternità, finché non ci è praticamente apparsa davanti la spiaggia.-
–Oh, adesso è chiaro.- Le dispiaceva sapere che avevano passato tanto. Ma purtroppo non aveva scelta, doveva fare ciò che andava fatto: il diamante serviva a lui e glielo avrebbe portato, avesse dovuto uccidere un bimbo. C’era tanto, troppo in gioco. Ora le mancava solo una cosa, e sperava di riuscire ad ottenerla nei tre giorni successivi. Prima che lui potesse fare qualcosa di pericoloso. Guardò fuori, verso la boscaglia tropicale che confinava con la spiaggia. Le sembrò di vedere alcune ombre muoversi, e ciò non fece altro che aumentare la sua preoccupazione. Lupin notò la sua agitazione:
–Qualcosa non va? Sembri nervosa.- Lei sorrise di nuovo e scosse la testa, dicendo che era ancora persa nel mondo dei sogni. Come se il destino volesse smentirla, un improvviso baccano proveniente dalla camera degli uomini li fece sobbalzare, in particolare Azura, che sbiancò. Si precipitò a vedere cosa fosse successo e tirò un sospiro di sollievo quando vide che si trattava solo di Goemon.  Era inciampato, probabilmente nel tentativo di alzarsi per venire in salotto: la sua gamba fasciata gli aveva giocato un brutto scherzo e ora era a terra con i cocci di un vaso di porcellana . Azura gli corse accanto per aiutarlo ad alzarsi, ma lui la respinse malamente e si mise in piedi appoggiandosi a una sedia. Lei decise di non far caso alla sua scortesia.
–Tutto bene? Ti sei fatto male?- Goemon si risedette sul letto e le diede le spalle.
-No, sto benissimo.-  Azura voleva provare ad aggiungere qualcosa, ma quel silenzio glaciale appena sceso la dissuase da ogni tentativo. Prese una ciotola d’acqua fresca e la mise sul comodino, poi, con una pezza bagnata pulì i tagli che il samurai si era fatto sulle mani. Lui sembrava una statua, tanto si era immobilizzato. Azura finì in fretta per evitargli altro imbarazzo, ma si dovette comunque fermare a pulire il pavimento. Dopo un po’, Goemon borbottò qualcosa. Azura non capì.
-Grazie.- ripeté il giapponese. Azura gli sorrise.
-Dovere. - e, senza aspettare altro, tornò da Lupin e che si era appoggiato al tavolo ridacchiando. Probabilmente aveva assistito alla scena dalla sala. Azura si versò una tazza di caffè e ne bevve metà in un sorso: “Buonissimo”. Peccato che avrebbe dovuto calmarsi anziché farsi un pieno di caffeina.  
-Gli piaci.- Azura rivolse uno sguardo interrogativo a Lupin.
-A chi? Al tuo amico samurai?- il francese annuì.
-Non lo ammetterà mai, ma apprezza molto quello che hai fatto per noi.- Azura storse la bocca, per niente convinta.
-Non fare quella faccia.- disse Lupin, ridendo. –Davvero, dico sul serio. È solo arrabbiato perché gli hai portato via la sua spada.- lei alzò gli occhi al cielo.
-Giusto, un samurai è legato per la vita alla sua arma. Beh, mi dispiace, ma per ora non intendo ridarvi niente. Vedremo più avanti.- Lupin annuì.
-È comprensibile. Ti voglio chiedere un’altra cosa, allora: il diamante (è inutile che lo neghi, so che me lo devi aver trovato in tasca), invece, quello potresti restituirlo?- Azura sollevò le sopracciglia.
-Diamante? Oh, intendi quella sfera luccicante? Per la verità mi sembrava solo un pezzo di vetro e l’ho buttato.- Lupin per poco non si slogò la mascella per quanto spalancò la bocca. Azura assunse un’aria dispiaciutissima.
-Sono mortificata! Non pensavo fosse una cosa di così grande valore!- il francese si grattò la nuca, preoccupato più che altro del modo in cui avrebbero reagito gli altri quando lo avessero saputo. Soprattutto, era preoccupato per quello che avrebbe potuto fare Fujiko.
-Se posso aiutarvi in qualsiasi cosa, lo farò. Ti chiedo scusa…- disse Azura, chinando la testa. L’altro sospirò. Poi sorrise.
-Non ti dispiacere troppo, era solo un diamante. Se era quello il prezzo da pagare per la mia vita e quella dei miei amici, beh, lo pago molto volentieri.- detto ciò filò in bagno, appena lasciato libero da Jigen. Il moro, attraversando la cucina per prendere una tazza di caffè, le lanciò un’occhiata indecifrabile.
-Ciao.- lo salutò. Lui grugnì un saluto in risposta.
-Dormito bene?- Azura voleva ricominciare da capo. Si era pentita di aver reagito male, la sera prima, ma quando aveva visto la lettera aveva smesso di ragionare razionalmente. Jigen, però, era di tutt’altra idea.
-Senti, piantala di fare la gentile. Piantala con questa farsa.- le si avvicinò minacciosamente –So che nascondi qualcosa. Ti ho vista leggere quella lettera. E ho visto che avevi un tagliacarte nascosto nella manica. Se non fosse arrivata Fujiko me l’avresti piantato nello stomaco, senza pensarci. Probabilmente sei in combutta con qualcuno, polizia o chissà chi altri. Non. Mi fido. Di te. E non credo che…- qui lui si interruppe. Azura aveva gli occhi lucidi e gli aveva sfiorato un braccio con le dita.
-Io… ti chiedo scusa. Quella lettera… era di mio padre e mi aveva sconvolta perché portava brutte notizie. È vero, avevo in mano un tagliacarte, ma giuro che non ti avrei fatto niente a meno che tu non mi avessi aggredita… mi dispiace… ero confusa e spaventata. Ti prego… possiamo fingere che non sia successo nulla, ieri sera?- Jigen non rispose subito. La guardava negli occhi supplicanti e si vedeva che era indeciso se crederle o meno. Disse, scandendo bene le parole:
-Immagino… di aver frainteso alcune cose… e forse scordare tutto è la scelta migliore.- lei gli rivolse un sorriso grato.
-Ma sia chiaro- continuò lui, con voce baritonale –non vuol dire che io mi fidi di te.- Azura annuì. Jigen si allontanò premendosi il cappello sugli occhi e si defilò in camera.
–La banda di Lupin- Sussurrò fra sé e sé Azura, rimasta sola. “Che uomini fenomenali. Altro che quel farabutto di… lasciamo perdere.” Il cuore le si stringeva in una morsa al pensiero di cosa stava per fare e alle bugie che continuava a dire. Poi si ricordò cosa c’era in ballo e ogni dubbio fu cancellato.

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Capitolo 5
*** Atlantide?? ***


 ~~Capitolo 5

Sì. Sì. Sì. Sì. Esattamente. Era un completo imbecille. Precisamente. Si sarebbe volentieri preso a calci fino ad arrivare a Tokyo. Ovviamente. Avrebbe voluto abitare su Marte. Certamente. Non sulla Terra. Non su un’isola sperduta. Non in una villa da sogno. Non con una donna. Non con quella donna. “Maledizione!” Jigen scalciò le coperte e si tirò a sedere, a testa bassa, sul letto. All’improvviso aveva un caldo insopportabile: buttò in malo modo camicia e cravatta sulla sedia, mentre perle di sudore gli fiorivano sulla pelle olivastra. Dio, il solo pensiero della notte prima lo stava facendo impazzire. Quando si erano scontrati ed erano arrivati a tanto così dallo scannarsi, aveva provato un istinto di distruzione che si univa a qualcosa di più sottile. Aveva avuto voglia di morderle le labbra fino a farle uscire sangue. Aveva avuto voglia di stringerle i fianchi con forza, fino a farle male. E anche quella mattina, quando lo aveva guardato con quegli occhi blu, aveva avuto voglia di… si spense la sigaretta che stava fumando sul dorso della mano. Il dolore bastò a farlo tornare in sé. Quella giornata era passata veloce, la banda l’aveva passata riposandosi e recuperando le forze e fortunatamente avevano constatato che le ferite non erano troppo gravi; Jigen aveva evitato di parlare con Azura per tutta la giornata. Non aveva ancora capito come porsi con lei, chi fosse quella bionda che li stava aiutando: dopo la breve chiacchierata di quella mattina era in dubbio se fidarsi di lei o meno. Adesso, a sera inoltrata, non intendeva parlare con nessuno, meno che mai con Lupin, che poteva capire cosa stesse pensando solo guardandolo. Forse era ancora troppo stanco. Si passò le mani tra i capelli nerissimi e sbuffò. L’aria fresca entrata dalla finestra gli carezzò piacevolmente la schiena. Cercò con la mano il pacchetto di sigarette e quello dei fiammiferi, senza trovarli. “Ma dove…?” Quando sentì quella voce, per poco non gli venne un colpo:
–Cerchi questi?- a pochi centimetri da lui, sul davanzale della finestra, stava beatamente appollaiata Azura che faceva roteare in aria il pacchetto di sigarette, i fiammiferi e un posacenere. “Dannazione. Non è possibile!”
–Cosa ci fai qui? Chi ti ha dato il permesso di entrare? E COME hai fatto a entrare?!- disse, scattando in piedi. Lei rise e gli lanciò gli oggetti. Jigen li prese al volo e, dopo essersi acceso una sigaretta, li appoggiò sul comodino. Quando si voltò vide la donna che si sedeva sul suo letto. Subito gli tornarono in mente le scene a luci rosse che lo avevano tormentato poco prima, ma vide chiaramente che Azura aveva ben altre intenzioni: guardava il soffitto con un mezzo sorriso e sembrava voler stare lì, consapevole dell’imbarazzo che gli stava facendo provare e altresì decisa a non uscire da quella stanza. La donna si stiracchiò e Jigen si voltò per evitare di guardare i muscoli flessuosi di quel corpo stendersi sensualmente. Strinse i pugni nelle tasche dei pantaloni, senza poter evitare di pensare quanto avrebbe voluto intrappolarla sotto il suo peso e assaggiarle ogni centimetro di pelle. Immaginò come sarebbe potuta essere lei, a letto: magari era passionale e gli avrebbe graffiato la schiena, avrebbe chiamato il suo nome tante volte e lui avrebbe dovuto morderle le labbra per evitare che gli altri sentissero; oppure era timida e all’inizio avrebbe fatto fatica a lasciarsi andare, ma lui l’avrebbe baciata sul collo, sui seni, sul ventre piatto e ancora giù… “Non scopo da troppo tempo” pensò. Solo quando lei si sdraiò a pancia ingiù, col busto sollevato come un serpente, si obbligò a riprendere il controllo e si azzardò a voltarsi nella sua direzione.
–Numero uno: sono qui perché ti devo parlare;- gli disse la donna alzando l’indice. Gli fece segno di avvicinarsi e gli indicò la sedia, in un invito a sedersi. Jigen non si mosse. Azura, per nulla turbata, sollevò anche il medio:
–Numero due: questa è casa mia ed entro come e quando voglio in qualsiasi stanza;- infine alzò anche il pollice:
–Numero tre: siamo al piano terra e la finestra era aperta.- Dato che lui ancora non accennava a muoversi, Azura sospirò.
-Senti, so che non siamo partiti esattamente col piede giusto. Sono venuta qui per sotterrare l’ascia di guerra. Insomma, per provare a ricominciare. Ma vorrei poterti parlare senza urlare da una parte all’altra della stanza. E poi… vorrei evitare che gli altri sentissero. È una cosa di cui voglio parlare prima con te.- Jigen, diffidente ma anche leggermente lusingato, chiese:
-Perché prima con me?- Azura socchiuse gli occhi.
-Perché si tratta di qualcosa a cui Fujiko direbbe sicuramente di sì, Goemon sicuramente di no, e Lupin sicuramente forse. Tu sei l’ago che fa pendere la bilancia. E poi…- gli indicò nuovamente la sedia.
-Tu hai qualcosa… non so perché, ma sento di poter parlare apertamente con te.- disse, e da dietro la schiena estrasse la Magnum di Jigen, porgendogliela, come in segno di pace. Jigen, scioccato, la prese fra le mani, smontandola per vedere in che stato fosse e si sorprese nel trovarla addirittura col caricatore pieno. Questa volta, nonostante il gesto lo fosse sicuramente stato, la frase non sembrava studiata. C’era una sincerità splendente in quelle parole. E fu questo, più di tutto, a convincere Jigen a sedersi sulla dannata sedia per ascoltare cosa aveva da dire quella strana bionda. Infilò la pistola nella sua fondina, che lasciò sul comodino, e guardò di scorcio la donna, soffiando fumo verso la finestra.
–Quindi? Cosa mi dovresti dire?- Azura si mise seduta sul letto, in modo da averlo perfettamente di fronte.
–La prenderò un po’ alla lontana… Quando avete deciso di partire?- Jigen si agitò, innervosito:
–Ci hai spiato?!- Azura  scosse la mano, in segno di diniego:
–No, ho semplicemente visto Fujiko iniziare a mettere qualcosa in valigia, quindi…- Jigen si calmò un po’, anche se non capì perché mai Fujiko si stesse preparando in modo così indiscreto. Avevano deciso di fare tutto in assoluta segretezza… Jigen pensò che ormai non aveva senso tenerlo nascosto.
–Tra due, tre giorni al massimo. Come mai t’interessa?- Azura sembrò fare dei calcoli a mente:
–Diciamo che avevo in mente qualcosa per voi.- Jigen alzò il cappello, incuriosito. Azura fece ricadere i capelli in avanti in modo che lui non potesse vederla in viso:
-Immagino che Lupin ti abbia detto del diamante…- a Jigen sorse spontaneamente un ghigno sul volto.
-Sì. Ma non intendo commentare, credo che Fujiko ti abbia fatto abbastanza.- e in quel momento fu grato di non aver partecipato alla cena. Sapeva quanto poteva diventare odiosa Fujiko, infatti Azura gli rivolse un sorriso grato.
–Beh, voglio trovare il modo di ripagarvi. Mai sentito parlare della città di Vineta?- Jigen non rispose.
–Ecco… Vineta può essere considerata come una gemella di Atlantide. Era una città fiorente usata dai vichinghi, che per primi navigarono questi mari, per i loro scambi commerciali. La leggenda narra che divenne una città così peccaminosa che Dio la fece sommergere dalle acque. E io credo di aver tra le mani una mappa che indica la sua posizione.- Lui sbuffò fumo:
–Tantissima gente credeva lo stesso di Atlantide, ma poi si è sempre rivelata una farsa.- Azura tirò fuori un foglio di pergamena che doveva aver vissuto tempi migliori e lo sventolò in aria:
–Non vuoi nemmeno dargli una sbirciatina?-
–Sinceramente, no.-
–Nemmeno se ti dicessi che in  questa città potrebbero nascondersi tesori di valore pari o addirittura superiore a quelli di cui si dice sia piena Atlantide? L’attrezzatura la pagherò io, e poi- aggiunse con un sorrisetto furbo-…non vorrai dirmi che sei troppo vecchio per queste cose.- Jigen sospirò rassegnato. “Mi chiedo come riescano le donne a farci fare sempre quello che vogliono.”
 

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Capitolo 6
*** Visite nel buio ***


~~Capitolo 6

La sera procedeva calda e tranquilla. Tutto sembrava immobile, le foglie si piegavano appena alla lieve brezza notturna. Nulla poteva turbare quella quiete. Tranne che… forse…
-No, no e no! Non se ne parla neanche! Lupin, cerca di ragionare per una volta!- ma Lupin nemmeno sentiva le lamentele di Goemon, soprattutto dopo che Fujiko gli aveva chiesto di portarle i gioielli che si credevano affondati con Vineta. Azura era in disparte che si godeva la scena.
–Lupin! Quella città è solo una delle tante leggende! Finiscila, sarà sicuramente una mappa falsa!-
-E dai, Goemon! Abbiamo la possibilità di scoprire una città perduta! Non è fantastico?!-
-No, non lo è!!-
-Per favore! Goemon! E dai! Pensa che così potremmo rifarci di tutto quello che abbiamo speso e perso in questi tempi!- Azura trattenne un risolino. Goemon lanciò un’occhiata a Jigen, come a chiedergli sostegno, ma non trovandone nessuno andò a sedersi sul divanetto, fulminando Azura. Jigen, invece, si accese la decima sigaretta della serata.
-Tranquilli ragazzi, sarà un successone!- concluse Lupin. Fujiko sorrise soddisfatta e si rifugiò in camera, lanciando un ultimo sguardo malizioso al francese che se la ghignava come un matto. Jigen si sedette sul divano vicino allo spadaccino, entrambi scuri in viso. Lupin si sedette sulla poltrona di fronte a loro, al settimo cielo.
–Quando cominceremo le ricerche?- chiese Azura. Aveva notato benissimo la tensione nell’aria, ma il tempo a loro disposizione stava per esaurirsi. Forse era già tardi. Lupin, ignaro dei pensieri cupi della donna, era euforico, quasi saltellava sulla poltrona:
–Domani, tanto ci siamo già ripresi alla grande. Hai delle mute da sub in casa?- Azura annuì, indicando insù con l’indice. La soffitta di quella villa era piena di tutto e di più.
–Benissimo! Allora domani mattina!- Goemon inspirò profondamente. Azura s’incamminò verso camera sua, percependo la tensione. Non volendo far scatenare litigi di alcun genere li salutò così
–Beh, vi lascio. Buona notte a tutti.- e prima che qualcuno tentasse di fermarla, aveva già chiuso la porta della sua stanza. Sospirò profondamente. Poi, quando alzò la testa, spalancò gli occhi e per poco non cacciò un urlo: il suo cuscino era squarciato e macchiato di sangue. Le lenzuola erano a brandelli come le tende e il tavolino era rovesciato.
-Oddio…- mormorò andando a ficcare la faccia sul cuscino. Aveva il terrore di riconoscerne il proprietario. “Ti prego, ti prego, ti prego dimmi che non è di…”
-No, tranquilla, Ricky e tuo padre stanno bene, non è loro quel sangue.- Azura si voltò di scatto e vide una figura alta e muscolosa piazzata davanti alla porta in modo da bloccarle la via di fuga, nascosta nella penombra. Era slanciata, agile, flessuosa, e le ricordò il fisico di un leone. Un leone bellissimo. E pericolosissimo. Astuto e malefico da far vomitare.
–Cosa ci fai da queste parti? Sua Altezza ha deciso di unirsi ai mortali?- Azura si morse la lingua non appena quelle parole le uscirono di bocca. La figura scoppiò in una risata composta, tranquilla, sadica, come un gatto che gioca con il topo. Le ombre notturne gli nascondevano il volto, tranne i denti, bianchissimi, che brillavano come zanne nell’oscurità. La figura le si avvicinò, portandosi a circa un metro da lei. La luna illuminò l’uomo: aveva la pelle color nocciola, i capelli neri, il profilo greco. Si sarebbe potuto dire bello e affascinante, ma qualcosa di orrendo, qualcosa dentro di lui ne distorceva i lineamenti facendoli apparire mostruosi.
–Sempre simpatica, cara signorina Moony, sempre in ottima forma- disse, inclinando il capo.
–Comunque ho deciso di venire a trovarti, come da scritto. Hai trovato la letterina, no? Sono venuto a portarti un… promemoria, se ti piace il termine. So di essere in anticipo…- sorrise sadicamente
-…ma io odio aspettare.- e sventolò una piccola radiolina. La accese e il pianto di un bambino riempì le orecchie di Azura.
–Ehi marmocchietto! Saluta la tua cara sorellona! Di “Ciao Azura!” Forza piccoletto!-  la piccola voce era interrotta dai singhiozzi:
–C-ciao A-Azura.-
–Ricky!- la donna accennò un passo in avanti: voleva prendere quella radiolina, stapparla dalle mani di quel mostro, tranquillizzare il suo adorato fratellino, farsi dire dove si trovasse, spaccare la radiolina sulla sua testa, graffiarlo, morderlo, riempirlo di pugni e calci e raggiungere suo fratello e ritrovare con lui il loro papà e andarsene a vivere insieme da qualche parte, via, lontano da lì. Ma lui stese un braccio e fece “no” con l’indice. Poi se lo portò alla bocca e le indicò la radio.
-Dicci, dicci, piccolo ometto, cosa ti stanno facendo?- un gemito arrivò dalla radiolina e ad Azura si strappò una corda del cuore. Ma non poteva fare niente. Era spinta, schiacciata, una bambina in mezzo ad una massa di persone indifferenti.
–Azura, ho paura! Qui c’è buio, un tizio mi tiene una pistola alla testa. Non vedo papà da quasi una settimana, Azura! T-tu sai se sta bene?- lei si portò una mano alla gola per evitare di singhiozzare:
-Sto bene Ricky. Ti hanno fatto del male? Io non so…- “…non so dove sia papà, spero come te che stia bene. No, non posso dirgli questo. Lui non deve perdere la speranza” pensò Azura prima di respirare profondamente:
-Papà sta bene, tranquillo.- Lui  fece finta di applaudire. Si divertiva. Lo spettacolo lo divertiva.
–Io sto bene, sorellona. Credo che…- Algol premette il tasto di spegnimento bloccando la frase del bimbo a metà. La guardò con un sorriso arrogante:
–Tempo scaduto, dolcezza.- mise la radio nella tasca dei pantaloni e si passò una mano nei morbidi capelli neri, intrecciati con perline e conchiglie.
-Eh, insomma, cosa si deve fare al giorno d’oggi per chiacchierare un po’.- Azura lo guardò con odio puro. Lui diventò all’improvviso serissimo, gli occhi neri fiammeggianti. Le venne vicino in un lampo e le afferrò i polsi con violenza:
-Cos’è quello sguardo cattivo? Non ti piace il mio trattamento? Posso cambiare se vuoi…- Azura rimase immobile. Rabbrividì di Paura, quella vera, quando lui avvicinò le labbra al suo orecchio:
-Ricordati che tu sei mia.- la sbatté sul letto, lui a cavalcioni su di lei. Azura non osava muoversi, non doveva fare rumore. Se avesse attirato l’attenzione degli altri, sarebbe stata la fine, per tutti loro. Ma anche lui sapeva di rischiare troppo. Gli servivano tutti vivi.
-Ringrazia di essere in compagnia dei tuoi nuovi amichetti.- le accarezzò i capelli e se li portò al naso, inspirando profondamente.
–Ah, Azura, sapessi quanto sei bella… vorrei restare a farti cose che nemmeno immagini, urleresti il mio nome tutta la notte… ma immagino di dover aspettare.- emise un verso simile ad un ringhio e le morse una clavicola, come a sfogare le proprie pulsioni, poi si alzò in piedi e uscì dalla finestra. Silenzioso e distruttivo com’era arrivato, scomparve. Azura rimase distesa sul letto. Sentì ancora le sporche mani di quell’uomo che le toccavano i capelli ed ebbe l’impulso di strapparseli. Voleva lacerarsi la spalla per non dover sentire ancora le labbra di quell’uomo sulla propria pelle… “Immagino di dover aspettare”, aveva detto. Non sarebbe finita. Non sarebbe mai finita. E lei lo sapeva. Morse il cuscino soffocandoci le proprie urla, finché non iniziarono a farle male i denti. Non ce la faceva più, quell’uomo l’avrebbe uccisa, lentamente, togliendole la vita cellula per cellula “Algol…”
 

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Capitolo 7
*** Notti stellate ***


~~Capitolo 7

Il giorno seguente tutti e cinque i giovani, lo passarono sulla quantità infinitesimale di libri e vecchi diari che Azura aveva nella biblioteca della villa. Spesso, vicino a delle immagini di dipinti di Vineta, vi era anche raffigurato il simbolo di un tridente:
-Credo sia quello di Poseidone.- disse a un certo punto Lupin: -Atlante, suo figlio, è stato considerato il primo re di Atlantide. Che possa essere in qualche modo collegato a Vineta? In fondo hanno storie simili.- Goemon sbuffò, sommerso da una pila di quaderni:
-Ripetimi perché stiamo facendo tutte queste ricerche. Non basterebbe andare a esplorare il fondale marino?-
-E secondo te cos’hanno fatto fino adesso tutti gli storici, gli studiosi e i ladri che ci avranno messo sopra gli occhi?- Lupin aveva la mappa davanti e la stava confrontando con mappamondi e cartine da due ore buone:
-Azura, sei sicura che Vineta si trovi in queste zone? Non vedo alcun punto di riferimento! E la mappa è molto confusa. Indica un tratto di mare e poi ci sono segnati degli scarabocchi: delle statue, un arco di pietra, due linee che dovevano essere di due colori diversi… Cielo, credo di poter impazzire!- Azura alzò a malapena gli occhi dall’enorme manoscritto che stava leggendo:
-Sì, sono sicura. Quando ho trovato la mappa, poco tempo fa, era insieme a una fotografia di almeno quarant’anni che mostrava chiaramente quest’isola. Credo che certi miei avi abbiano trovato la posizione della città perduta, e che abbiano conservato la cartina in attesa di potervi andare, o tornare, in un futuro che non avrebbe dovuto essere troppo lontano. Cosa che poi non è accaduta, come possiamo vedere.- Jigen spuntò da dietro uno scaffale:
-Ma non avevi detto di averla scoperta tu, quest’isola? Hai trovato la foto e la mappa e ti sei messa a cercarla, per caso?-
-Beh, sì, diciamo che l’abbiamo scelta in questo modo.- “Più o meno.” Tornò al librone che aveva in mano.
-Mm, questo è interessante: “Il Toro delle Pleiadi fa la guardia a Vineta”. Il toro delle Pleiadi? - Fujiko cacciò un urlo quando un ragno uscì da un buchetto nascosto da varie enciclopedie. Azura vide Lupin accorrere subito per lei mentre gli altri due sbuffavano, divertiti. Quel quartetto era veramente speciale. “Ma cosa sto facendo?”

***

Cos’hai fatto… Che tu sia maledetta… Scappa e non tornare… Vattene, porti solo rogne… Questo, è solo tutta colpa tua!!

-No, no, no! Non è vero!!- Azura si ritrovò sudata nel letto. Ansimava e il cuore le batteva a mille. Scalciò le coperte e si tirò in piedi, nonostante la testa le girasse moltissimo. Si appoggiò con la schiena al muro e si asciugò il sudore della fronte con il dorso della mano. Non si era ancora calmata. Proprio no. “Non ce la posso fare. Ce la DEVO fare”. A fare cosa poi? Rubare pietre preziose e gioielli? Portare armi da un paese all’altro? Era questo il prezzo bassissimo di due vite umane? Dei sassi più lucenti di altri e degli oggetti usato per uccidere? Si morse le nocche per soffocare il dolore dei ricordi. Che, tirannicamente, governavano i suoi pensieri e i suoi sogni:

-Mamma? Mamma?! Mamma ti prego alzati, dobbiamo scappare!!- le lacrime le offuscavano la vista e il fumo la stava strozzando. La donna che le stava distesa davanti era magra ed emaciata. Pallida, nonostante il colore vermiglio delle fiamme e del sangue. Sangue?! Ora che la guardava bene lo vedeva: una chiazza rossa si allargava lentamente dal torace della donna che la guardava, sorridente. Lei era in ginocchio, non la voleva lasciare. La mano di quella creatura, che un tempo le era sembrata giovane e piena di vita, le carezzò una guancia con immenso affetto:
-Vai, piccola mia. Ricky e papà hanno bisogno di te.- La mano cadde nella fuliggine. Ma lo sguardo rimaneva vivo: due fiamme nere che bruciavano ancor di più del fuoco che le circondava. La ragazzina rimase immobile. Poi venne afferrata per i capelli da qualcuno che non vide, ma non oppose resistenza e si lasciò portare via. Dietro di lei ancora una voce si sentiva nelle lingue di fuoco:
 -Ti voglio bene.-


"Ora basta". Azura riprese il controllo della propria mente. Si tirò un pugno, forte, nella pancia, facendo uscire tutta l’aria dai polmoni. Dovette reggersi al davanzale per recuperare fiato. Girando la testa, verso la finestra, vide Goemon, , che se ne stava seduto sulla sabbia. Azura si appoggiò al muro con una spalla, e lo stette a guardare: “Come vorrei essere come lui: chiaro e trasparente, non così confusa. Bah, rimuginare in questo modo non mi porterà a nulla. E se gli andassi a parlare?” Bocciò l’idea. Se era lì, probabilmente non voleva essere disturbato. Ma lei non lo avrebbe disturbato, sarebbe solo andata lì al suo fianco, a godersi la calma zen che quel giovane emanava. Dandosi da sola della stupida egoista, si raccolse i capelli, si mise in pantaloncini e maglietta e fece per uscire. Però si bloccò sulla porta. Un pensiero le ronzava in testa. Tornò indietro, prese qualcosa da uno scompartimento segreto nella testata del letto e uscì. Quando raggiunse Goemon alla spiaggia, era ancora come lo aveva visto: immobile, simile a una statua di marmo. Evitando di far rumore gli si inginocchiò alla sua destra. Quando lui aprì un occhio per fulminarla, lei strinse automaticamente a sé la custodia che aveva in mano. Poi, prendendo coraggio, chinò la testa in segno di rispetto e gli porse la custodia. Rimase in quella posizione finché lui non accettò l’offerta e prese l’oggetto con mani sottili. Azura si sedette a gambe incrociate a distanza di qualche metro, a guardare le stelle. Vide la stella Polare, il Drago, Cassiopea, il Leone minore… e Algol. La “Testa del Demonio”. Gli si addiceva perfettamente, come nome. Sentì la rabbia premere nella gola, ma la ricacciò indietro. Con la coda dell’occhio vide che Goemon aveva aperto la custodia da cui estrasse la preziosa Zantentsuken. Era stupito.
-Ho pensato che non aveste più motivo di uccidermi… e che ci potrebbe essere utile, nel caso in cui trovassimo Vineta…- si giustificò lei. Goemon chiuse gli occhi. Come se avesse ubbidito ad un suo comando, si alzò il vento. Una foglia volò davanti a loro. In un attimo, la foglia venne ridotta a striscioline sottilissime. L’uomo ripose l’arma nella custodia con uno scatto:
-Ti ringrazio.-  disse. Azura rise e buttò la testa all’indietro, lasciando che i lunghi capelli le accarezzassero la schiena. Passarono alcuni minuti di silenzio.
–Goemon, tu sei un amico di Lupin, giusto?- l’altro socchiuse un occhio:
-Certamente.-
-Da tanto tempo?-
-Quanto basta.-
-Per cosa?-
-Immagino… per fidarmi di lui.- disse Goemon con un sospiro. Azura si girò nella sua direzione:
-E lo tradiresti mai? Cioè, tradiresti mai un amico? Per soldi, amore, gloria…-
-No. Mai. Credi che se non fossi stato un suo amico sarei arrivato fin qui a rischiare la vita? Che gloria ci sarebbe nell’aver ucciso un amico? Con che coraggio potrei mostrare il mio volto?- Goemon si stava alterando, lo si vedeva dalla mano che stringeva la katana che tremava:
-Ok, ok, perdonami. Non volevo dire niente di male.- Azura stava girando attorno a quel nodo che aveva in gola: voleva chiedere il loro aiuto. Ma, nonostante la risposta del samurai, non sapeva se poteva fidarsi, non aveva il coraggio di chiedere loro di correre un rischio simile. Con che diritto poi? Li aveva curati, tutto lì. E adesso li stava usando. Non avevano nessun motivo per restare. Dopo aver trovato il tesoro sarebbero fuggiti, tornati alle loro vite. Erano guariti, erano liberi. Si ricordò quello che l’aveva spinta a raggiungerlo e decise di mettere a tacere tutti quei pensieri:
–Senti, scusa se ti ho messo a disagio con i miei comportamenti. Non era nelle mie intenzioni, davvero.- lui, stupito dall’ennesimo cambiamento di argomento, non troppo dispiaciuto, ma un po’ imbarazzato di quelle scuse, rispose:
-Nessun problema, grazie.- Azura gli sorrise, e tornò a stendersi sulla sabbia. Sentiva un’energia positiva scorrere in lei e ringraziò mentalmente Goemon per quella sua purezza morale. Sentì un barlume di speranza rendere le stelle più lucenti del solito. Quando fu sicura di essersi calmata, si tirò su e tornò alla villa, lasciando Goemon alla meditazione. Camminava a passo sostenuto, scalciando la sabbia di tanto in tanto. Le sembrava di avvertire lo sguardo del samurai puntato sulla schiena, ma non si girò a verificarlo. Era davanti alla porta della villa, quando le venne l’illuminazione: Pleiadi… Toro… guardò in cielo e risolse il mistero.

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Capitolo 8
*** Trovata ***


 ~~Capitolo 8

-Bene, ecco il piano…-
-Lupin, ce lo hai ripetuto un milione di volte, il piano. E non ne abbiamo bisogno! Goemon e Fujiko rimarranno qui mentre…- Fujiko sbuffò per l’ennesima volta:
-Ma perché devo rimanere IO qui? Voglio vedere anch’io Vineta e i suoi tesori.- Goemon non la guardò neppure:
-SOPRATTUTTO i suoi tesori. Donna, mettiti in testa che nemmeno io sprizzo felicità all’idea di essere bloccato qui con te.-
-Ragazzi,- riprese Lupin – Io ho imparato a memoria le mappe e so perfettamente come orientarmi là sotto, Azura ha il diritto di venire laggiù, visto che la mappa era sua, e Jigen è l’unico che ha idea di come funzionino queste apparecchiature vecchie di cinquant’anni. Voi mi servite qui sopra, come cavalleria, a fare la guardia. Mi spiace ma non ne vale la pena di lamentarsi. Se troveremo qualcosa vi avviseremo attraverso la radio. Altrimenti ci rivediamo qui. D’accordo??- silenzio glaciale. Non che si aspettasse una ola, ma un minimo di entusiasmo gli sembrava d’obbligo. Si strinse nelle spalle. Peggio per loro. Il ladro finì di sistemare bombole e boccaglio, poi si tuffò nel mare, seguito da Azura e Jigen. Aveva imparato la mappa che Azura gli aveva mostrato e la cartina delle stelle a memoria e ora sapeva che davanti a loro, esattamente nel punto segnato dalla costellazione del Toro, si sarebbe dovuta stagliare una specie di enorme roccia. Infatti. Era più un monte sottomarino la cui superficie era crivellata da varie grotte. Per arrivare alla città, bastava scegliere quella giusta. Niente di più facile, no? Guardò il radar che aveva al polso.
–Lupin!- lo chiamò Jigen, dietro di lui: -il segnale è fortemente disturbato! Rischiamo di perderci se entriamo in una di quelle caverne!- Lupin si girò e gli sorrise:
-Dimentichi che sono l’uomo più fortunato del mondo!- Azura sbarrò gli occhi e gli nuotò più vicino:
-Ma è una follia! Jigen ha ragione, torniamo in superficie, troveremo un’altra entrata!- Ma Lupin,  testardo, non si fece convincere e, dando un’ultima occhiata al radar, imboccò una di quelle buie gallerie. Gli altri due si lanciarono uno sguardo d’intesa e gli nuotarono dietro: non avrebbero rischiato che quella testa quadrata si perdesse nei meandri di una montagna sommersa.

***

“Quell’idiota, bacato nel cervello, casanova, stupido, incosciente del mio fidanzato!” Arrossì al solo pensiero di quella parola e si conficcò le unghie nei palmi delle mani. Appoggiò il viso su un pugno, sospirando, e si perse a guardare le onde del mare. Oh sì, lei e Lupin un tempo erano stati insieme  “ufficialmente”, ma ora erano solo amici. “Certo cherie, continua a ripetertelo”. Le mormorò una vocina nella testa, tanto simile a quella di Lupin. Lui gliel’aveva detto chiaro e tondo: “Lo sai anche tu che noi due non saremo mai una coppia delle favole, non saremo mai l’uno dell’altra: io non ti porterò con me in nessun castello magico con un cavallo bianco, e tu non hai intenzione di farti rinchiudere in una torre per essere salvata. Ma sappiamo entrambi che il nostro amore è eterno. Tu che non sei di nessuno, e io che possiedo ogni cosa.  Siamo fatti l’uno per l’altra, cherie.”  A Fujiko sfuggì un sorriso. Sapeva essere così dannatamente romantico lui…Perché Fujiko, in fondo, sapeva di amare Lupin. E lui di certo non nascondeva di essere ancora innamorato perdutamente di lei. Cos’era allora che la bloccava, che tutte le volte la costringeva a trattarlo duramente, andarsene, per poi tornare da lui, chiedergli favori e sedurlo solo per fregarlo di nuovo, mettere alla prova quel suo stupido, eterno, cieco amore? Era un amore di vanità, un amore intrigante, un continuo tiro alla fune, ecco cosa le piaceva, un amore facile eppure così deliziosamente complesso.  E cos’era che impediva a Lupin di innamorarsi di un’altra donna, che lo faceva rimanere fedele solo a lei? Stupidità? No, lui era in grado di risolvere i dilemmi più intricati. Certo, era un incorreggibile dongiovanni, ma nessuna cotta passeggiera poteva essere paragonata a lei. Avrebbe forse dovuto sentirsi lusingata per questo? Certo che no! Lui è libero di fare quello che vuole! Eppure… eppure era gelosa, anche adesso, solo a pensare che lui era là sotto, da qualche parte, in compagnia di quell’Azura… il filo dei suoi pensieri venne interrotto da Goemon che ridacchiava. Lo guardò, truce:
-Che cosa c’è che ti fa tanto divertire, di me?- il samurai riprese il solito contegno:
-Niente, è che si vede lontano un miglio che vorresti essere là, con i tesori.- Fujiko si stizzì parecchio. Non poté ribattere, visto che veramente voleva trovarsi lì sotto, ma non poteva certamente dirgli che non erano solo i gioielli che le interessavano in quel momento. Se l’era costruita lei l’immagine di quella attaccata solo al denaro, non aveva il diritto di lamentarsi. Quel silenzio scocciato venne rotto da un rumore soffocato che veniva dalla radio. Goemon premette il pulsante verde e la voce, seppur gracchiante, di Lupin uscì dalle casse:
-Ehi! Sono io! Mi sentite? Voi due state zitti! Non riesco a capire se dicono qualcosa!- Fujiko si avvicinò all’aggeggio:
-Lupin, sei tu? Stai bene?-
-Cherie! Che bello, sei preoccupata per me?- Fujiko riprese il solito tono capriccioso.
-Ma che dici? Piuttosto dimmi perché hai chiamato.-
-Beh, ci siamo. E non hai idea di quello che abbiamo davanti!-
-Cosa? Oro? Gioielli? Tutt’e due?- Lupin rise, euforico.
–No, quelli non ancora. C’è Vineta, cherie, l’abbiamo trovata!
 

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Capitolo 9
*** Tesori e tesori ***


 ~~Capitolo 9

-Lupin! Come facevi a sapere qual era l’entrata giusta?- Azura si guardava attorno, ammirando i ricchi fregi che ornavano i palazzi di marmo e giada. L’uomo si girò verso di lei e ammiccò:
-Semplice, non lo sapevo!- Azura lo avrebbe volentieri strangolato, ma il paesaggio era troppo affascinante e non riusciva a staccare gli occhi da tutte quelle meraviglie: l’acqua era smeraldina, molto più chiara e cristallina rispetto al resto del mare; la luce del sole arrivava fino a quella profondità creando giochi di luce con le onde;
-Com’è possibile che non si veda nulla di tutto ciò dall’alto?- chiese Jigen. Lupin aveva la risposta pronta.
-Ecco, è qui che vi volevo. Come l’isola in cui abiti, Azura, questo posto è schermato da un particolare campo magnetico che riflette le immagini e rende invisibile la città dall’esterno. Per trovarla non serviva scegliere un’entrata, erano tutte giuste, ma quella che abbiamo percorso era una delle più lunghe e ci ha portato dentro la città. Se ne avessimo presa un’altra saremmo arrivati più indietro e non avremmo potuto vederla, ma ci sarebbe comunque bastato andare dritti per trovarla.- Azura non poté credere alle proprie orecchie: come era arrivato a capire tutte quelle cose da solo, senza informazioni? “Incredibile” pensò. Intanto pesciolini esotici e variopinti nuotavano tra le alghe, nascondendosi nelle crepe delle mura al passaggio dei tre giovani; bellissime statue raffiguranti divinità e guerrieri nordici dalla bellezza indescrivibile erano sommerse per metà nella sabbia e dappertutto vi erano segni di quella meravigliosa città che doveva essere stata un tempo Vineta. Azura nuotava a destra e a manca, inseguendo i pesciolini, e trovando statue e ornamenti ovunque, sempre più belli. Si fermò solo dopo che ebbe placato, almeno in minima parte, la sua infinita curiosità e si trovò a osservare gli altri due che erano con lei. Lupin si guardava attorno ammirando e, probabilmente, cercando il nascondiglio dei tesori sepolti, forse pensando a come trasportali in superficie. D’altra parte, erano circondati da statuine in giada e fregi in oro! Guizzava da una statua all’altra e lasciando dietro di sé migliaia di bollicine e pesci spaventati. Jigen nuotava calmo, sfiorando con le dita i blocchi di marmo delle mura e nuotando in una direzione imprecisata spostando la sabbia. Elisa gli si avvicinò per chiedere spiegazioni:
-Cosa stai facendo? Che cos’hai visto?- lui le lanciò un’occhiata come se non la stesse veramente guardando, ma fissasse un punto oltre a lei. Si riprese quasi subito e le mostrò quello che aveva notato: spostò della sabbia dal fondale facendo venire alla luce quella che doveva essere stata una strada, fatta di un materiale non identificabile. La cosa strabiliante era che la strada era percorsa da due file di pietre preziose, una di zaffiri, l’altra di smeraldi. Jigen stava seguendo quella di zaffiri. Lei gli fece segno dell’ ok e iniziò a seguire l’altra pista. Gli smeraldi (avrebbero dovuto trovare il modo di portare anche quelli in superficie) la condussero nei meandri della città, nella parte in cui la maggior parte delle case erano ancora pressoché intatte. La pista si districava in infiniti viali e piccolissime viuzze. Finì in un’enorme piazza davanti ad un colossale edificio. Forse era stato il palazzo della città. L’enorme portone, anche questo riccamente intarsiato, era semi aperto. Azura sporse la testa, e vide l’interno della reggia: era una sala enorme col soffitto di cristallo, una grande fontana di conchiglie al centro e tende di tessuti finissimi, ormai ricoperti da una patina di alghe. Dal soffitto pendevano delle sfere di vetro che creavano ulteriori giochi di luce, facendo sembrare la sala grande il doppio. “Assomigliano al diamante di Itzamnà” non poté fare a meno di notare Azura: “Chissà cosa mai potrebbero aver avuto in comune… che i vichinghi abbiano addirittura incontrato il popolo Maya?” Due rampe di scale salivano a un piano superiore, in direzioni opposte. Azura optò per la scalinata di destra, quella meno rovinata, ma più buia. Non trovò granché, solo in una stanza, probabilmente appartenuta alle varie regine, aveva trovato pochi gioielli, anche se di grande valore. Li infilò nel sacco che aveva con sé e si concesse un minuto di stupidità allo specchio ovale del comodino mettendosi in testa un diadema che aveva trovato. “Mi dona proprio! Anche se devo dire che la muta da sub mi fa perdere molto in fascino…” pensò, ridacchiando fra sé e sé (per quanto le fosse concesso dal boccaglio). Si diresse verso la rampa di sinistra e vide che Lupin e Jigen l’avevano raggiunta. Lei gli nuotò accanto:
-Trovato niente?- Jigen scosse la testa:
-Solo una specie di chiesa, ma era fatta interamente in pietra. Anche le decorazioni, che sembravano di marmo, alla fine erano solo sassi meravigliosamente intagliati.- Azura sorrise:
-Ah, allora questa volta la fortunata sono io! Guardate qui!- gli mostrò le collane e i bracciali.
–Credo che il resto si trovi di là!- disse indicando l’altra scalinata. I tre si diressero verso l’ala ovest del palazzo e, passato un corridoio di vetro arrivarono a una parete, completamente dorata.

***

L’avevano setacciata palmo a palmo, ma neanche l’ombra di una serratura o di un passaggio segreto. Quella parete di pirite, l’oro dei matti, era quindi una fregatura? Si girò verso Lupin ed Azura. Quest’ultima sembrava una sirena con tutti i morbidi capelli castani che le volteggiavano intorno al viso. Jigen si costrinse a spostare lo sguardo e chiese al suo socio cosa fosse meglio fare. Lupin assunse quella sua solita aria da pensatore idiota e si grattò la testa. Sembrava un po’ una scimmia. Un pesce-scimmia.
–Potremmo farla saltare in aria, ma rischieremmo di danneggiare quello che si trova dall’altra parte, oltre al fatto che potremmo demolire per sbaglio l’edificio.- commentò il francese, sconsolato. Jigen, stufo di giocare a quella caccia al tesoro, si guardò intorno e notò che la stanza era completamente vuota rispetto alle altre, non vi erano neanche delle colonne, solo quel muro di pirite che non voleva aprirsi. Uno scintillio attrasse la sua attenzione: alla parete di fronte era attaccato uno specchio quadrato ricoperto di alghe. Jigen gli andò davanti e lo pulì un po’: lo specchio rifletteva un angolo della stanza, vicino alla parete. Gli nuotò vicino e vide un’immagine stilizzata che sembrava una stella con accanto una mucca sbilenca. Le Pleiadi e il Toro. Ci siamo. Premette la piastrella e un raggio di luce partì dal punto in cui aveva tenuto le dita per andare a colpire lo specchio. Un rombo cupo fece vibrare la stanza.
-Cosa succede?!- gridò Azura nei trasmettitori. La parete di pirite si ritirò ai lati mostrando un cunicolo di ottone che andava verso l’alto. Non c’erano gradini o appigli, ma per fortuna l’acqua permise ai tre di risalire quel passaggio. Le pareti del cunicolo erano state decorate con sculture di quelli che dovevano essere stati i grandi re della città, ora eternamente intarsiati nell’oro. Arrivati in cima, i tre avventurieri, dovettero aspettare qualche secondo prima di poter vedere, dato che un’improvvisa luce li aveva abbagliati. Qualche secondo dopo lo videro; ciò che li aveva spinti a immergersi: il grande tesoro di Vineta. Una grotta dalle pareti azzurrine era lì, ad attenderli, con uno spiazzo di ossidiana ricoperto da tonnellate e tonnellate d’oro e gioielli. La grotta non era piena d’acqua, si poteva respirare senza bombole. Lupin tentò di salire della piattaforma, ma un rombo scosse le pareti e il soffitto da cui si staccò una stalattite che lo avrebbe infilzato se Jigen e Azura non l’avessero prontamente afferrato per le gambe e ritrascinato in acqua.  Il tremore cessò.
–Cavolo, ci dev’essere un meccanismo a pressione che alla minima variazione di peso fa crollare tutto. E ora che si fa?- Azura aveva sollevato un giusto dubbio.
–Mm, dobbiamo trovare il collegamento del dispositivo alla piattaforma e interromperlo. Jigen, hai con te l’esplosivo?- Jigen annuì mostrando un sacco e la donna sbiancò:
–E-esplosivo?! Volete far saltare in aria le pareti?! Avete qualche istinto suicida inconscio?! È la stessa questione di prima, rischiamo di…- Lupin scoppiò a ridere:
-Tranquilla! È uno speciale miscuglio di mia invenzione: crea esplosioni capaci di far saltare in aria di tutto, dalle serrature a una porta blindata. Dipende dalla quantità. E funziona anche sott’acqua. Prima poteva trattarsi di una parete portante, ma in questo caso si tratterà solo di distruggere l’ingranaggio giusto. Azura, dovresti vedere la tua faccia, è impagabile!-
–Ha parlato il bello!- disse sogghignando Jigen.
-Ma che spiritosone, cecchino dei miei stivali, anzi, delle mie pinne.- i due uomini s’immersero. Cercavano una porta, una leva, o una qualsiasi cosa che avrebbe potuto rivelare uno scomparto segreto. Notarono quasi immediatamente che la piattaforma sembrava creare un gradino sul fondale sabbioso. Nuotarono verso il fondo, per poi accorgersi che l’ossidiana era sostenuta da quattro grandi catene alla parete della grotta. Con un po’ di fatica si infilarono sotto la piattaforma (che scoprirono essere cava e riempita di un gas, forse elio) e videro che l’unico collegamento della piattaforma col fondale era… un filo. Un minuscolo e sottilissimo filo dorato collegava con una levetta la piattaforma a un ingranaggio dentato che, azionato dalla più piccola tensione o allentamento del filo, avrebbe iniziato a girare, colpendo violentemente le fiancate circostanti e provocando i crolli e il terremoto come poco prima. Era una grandissima opera d’ingegneria e furbizia: per evitare di azionare l’ingranaggio, Lupin posizionò il suo esplosivo intorno alla base della levetta: delle bolle di fumo iniziarono a uscire dal miscuglio grigiastro di sua invenzione e poco dopo la leva si staccò dal meccanismo senza azionare nulla. I due riemersero dove Azura li aspettava, trepidante. Niente scossoni, nessun terremoto, nessun crollo. Tempo di uno sguardo e Lupin iniziò subito a fare l’idiota. Uscì dall’acqua a tempo record e si tuffò nel mare di monete dorate, uscendone con una corona tempestata di brillanti e uno scettro di rubini. Si atteggiò da sovrano facendo ridere a crepapelle sia Azura che Jigen. Quest’ultimo si diresse verso delle spade di acciaio dall’elsa riccamente decorata. Trovò persino una pistola a pietra focaia d’argento e ottone. Lanciò in aria due monete e, notando con piacere che la pistola funzionava ancora a meraviglia, le bucò esattamente nel centro. Osservò le effigi su delle tavole d’argento, ormai più simili a scarabocchi che ritratti, ma che conservavano ancora buona parte di un antico splendore. S’incamminò tra i vari cumuli di tesori e vide Azura inginocchiata davanti a qualcosa: sembrava una stele e dalla sua base era stata appena rimossa una sezione rettangolare. Azura teneva in mano una scatola di metallo. All’interno c’era una bambola, piccola, di legno, povera. Gli occhi erano due opali perfettamente rotondi. Non era niente di speciale, ma la donna non aveva occhi che per quella, a dispetto di tutti quei tesori dorati.
–Cos’è?-
–Una  bambola?- disse Azura, sarcastica.
–Perché t’interessa tanto?- lei non rispose. Si alzò in piedi, tenendo la bambola stretta al petto. Gli si avvicinò:
–Come avete intenzione di trasportare tutto questo?- fece un gesto ampio col braccio. Jigen guardò Lupin che stava già tirando fuori da un borsone che si era portato dei grossi tubi di plastica dura. Lì vicino c’era anche un bocchino, simile a quelli delle aspirapolveri, ma molto, molto più grande. E lì, anche loro capirono ciò che quel matto aveva in mente.
 

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Capitolo 10
*** Ricatti ***


~~Capitolo 10

L’aspirazione durò più a lungo del previsto. La macchina si inceppava di continuo, per via dei frequenti banchi di pesci che la urtavano, danneggiandola. Ad un certo punto, mentre Fujiko controllava la situazione dalla barca, i tre uomini e Azura si posizionarono in diversi punti con l’intento di evitare ulteriori guasti. Azura controllava la situazione appena fuori dal palazzo. Per la verità si stava annoiando, perché da lì non passavano pesci abbastanza grandi da essere pericolosi. Sentiva la presenza morbida della bambola stretta fra i suoi seni, ben nascosta. Se l’era infilata lì in un momento di distrazione di Lupin e Jigen. Non poteva rischiare che uno di loro se ne impossessasse o che andasse perduta nel trasporto. Era fondamentale. Lo stomaco le si contrasse al pensiero di cosa… un gracchiare nel ricevitore interruppe i suoi pensieri.
-Ragazzi?! Mi sentite?- era Fujiko.
-Forte e chiaro cherie.- rispose la voce di Lupin.
-Bene. La macchina non sta aspirando più, andate a controllare che non ci sia più nulla.-
-Io ho quasi finito l’ossigeno. Jigen, Goemon, andate voi.- disse Lupin.
-Ma io sono davanti al palazzo! Ci vado io.- replicò Azura.
-Aspetta i rinforzi.- comandò il francese. Lei lo ignorò ed entrò a palazzo. Nuotò velocemente fino alla grotta dove notò che, in effetti, ormai era stato aspirato tutto. Un luccichio attirò la sua attenzione. Salì sulla piattaforma vuota. Una piccola moneta d’oro su la cui faccia si poteva vedere intagliata la lettera “V” era sfuggita all’aspirazione. La prese. Nel momento in cui la moneta si staccò dall’ossidiana, il rumore di uno squarcio nella terra esplose nella grotta. Le pareti iniziarono a collassare su se stesse.
-Merda!- gridò la donna prima di buttarsi in acqua.
-Che succede?! Dove sei, Azura?- lei non capì chi le stesse parlando e non ebbe nemmeno il tempo per rispondere. Nuotò più veloce che poté per fuggire da quel cunicolo, e quando le parve di avercela fatta, si accorse che la valanga di massi non si era bloccata. E allora non fu più in tempo: una roccia la colpì in piena schiena, distruggendole le bombole e facendole quasi sputare anche l’ossigeno che le rimaneva nei polmoni. In un attimo di estrema lucidità le passarono per la mente tantissimi pensieri: che era stata fortunata che le bombole le avessero protetto la spina dorsale, che non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungere la superficie senza ossigeno, che sarebbe stata seppellita nel mare assieme a grandi re vichinghi e che la sua vita, tutta la sua vita… non era valsa che una monetina d’oro. L’istinto di sopravvivenza le mosse le gambe e le braccia: riuscì a raggiungere l’esterno del palazzo, ma già la vista le si era già oscurata. I polmoni bruciavano. Si tappò naso e bocca con le mani, continuando a muoversi con i piedi. Poi le sembrò di diventare cieca. Non sentiva nemmeno più di essere immersa nell’acqua. “Io non voglio morire!” questo pensiero le arrivò come un fulmine nel cervello. Lei non voleva morire, lei voleva continuare a combattere! A vivere, a fare tutto ciò che fosse stato in suo potere per avere di nuovo l’opportunità di riabbracciare la sua famiglia. “Io non voglio morire!!!” Era troppo tardi.


All’improvviso… aria, fu in grado di respirare. I polmoni non bruciavano più e l’ossigeno le entrava in gola. Aprì gli occhi e si ritrovò fra le braccia di Jigen. Lui, con le guance gonfie d’aria, la stringeva a sé, nuotando verso l’alto e tenendole premuto sulle labbra il proprio boccaglio. Lei fece un paio di respiri profondi, poi trattenne il fiato in modo da poter permettere anche a lui di poter respirare. E così fecero per tutto il tragitto, si scambiarono il respiratore alternativamente in modo da poter nuotare fino in superficie. Jigen e Azura, l’una abbracciata all’altro, inspirarono profondamente appena il sole tornò a baciar loro i capelli. Il moro dovette aiutarla a stare a galla: era debole e non si sentiva più le gambe.
-Dai, Azura, va tutto bene, siamo in salvo… riprenditi, riprenditi…- le scostò i capelli dal viso per schiaffeggiarle piano le guance. Lei, esausta, socchiuse a malapena gli occhi.
-Come… come mi hai trovato?- l’americano, un po’ turbato nel vederla in quel modo, le permise di appoggiare la testa sulla sua spalla, in modo da non correre il pericolo che finisse con la testa sott’acqua.
-Eri appena fuori dal Palazzo. Avevi il viso pallidissimo, sembravi morta… per fortuna sono arrivato prima che ti entrasse acqua nei polmoni.- lei sollevò lievemente il capo e gli sfiorò una guancia con le labbra in un debole bacio.
-Grazie… per avermi salvata.- gli disse, sorridendo a fatica.
-D-di niente.- rispose lui, stringendola piano. Poi il rumore di un motore rivelò l’arrivo del motoscafo con a bordo Lupin, Goemon e Fujiko.

***

Non appena Azura fu di nuovo in sesto, e per la verità ci vollero solo quattro ore di sonno ristoratore, iniziò la parte più difficile del lavoro: la spartizione. Fujiko chiedeva quasi il 60% di tutti i gioielli più un bel po’ di oro, cosa che a nessuno (a parte naturalmente Lupin) andava a genio. Alla fine trovarono il modo di dividere il tesoro in parti quasi uguali. Azura prese solo buona parte dei lingotti d’oro. E la bambola, naturalmente.  “Finalmente l’ho trovata. La formula.” Tutto questo accadeva per una serie di numeri e simboli. Tutto quel dolore, quella sofferenza, quella prigionia per un’equazione. Azura si era ritirata in camera subito dopo aver servito la cena con la scusa di sentirsi ancora un po’ debole. Ora era seduta a gambe incrociate sul letto, in una mano la bambolina, nell’altra una forbice. Tagliò con decisione la schiena al pupazzo e ne vide l’interno: ovatta, ovatta, ancora ovatta, sempre ovatta, solo ovatta e infine un foglietto. Lo spiegò delicatamente e vi vide scritta una formula intricatissima scarabocchiata in modo illeggibile da una mano che doveva tremare, forse di emozione, forse di paura. Azura lo tenne fra le dita sottili. Come un automa, prese un accendino da un cassetto e lo accese. La tentazione di bruciare quella formula era grande. Di mandare in fumo con essa i suoi piani. Poi pensò che quella era stata la sua ultima richiesta. Glielo aveva promesso. Il diamante e la formula astrale. Poi sarebbe tutto finito. E tutto sarebbe stato  cancellato, bruciato via dalla memoria…

-Papà, ma perché ci fanno questo! Noi non abbiamo fatto niente di male!- la ragazzina di circa quattordici anni era tra le braccia del padre e stringeva nelle sue un bambino che doveva avere circa sei anni. L’uomo li abbracciò più stretti:
-Non lo so piccoli miei, so che forse è colpa mia.- la ragazzina corrugò la fronte:
-Tua? Papà, ma tu sei buono!-


*cambio di ricordo*

Erano l’uno di fronte all’altra, entrambi con qualche lacrima da versare. Lui le posò una mano sulla spalla della ragazzina che doveva crescere in fretta per sopravvivere:
-Algol non ti farà del male, ma ti darà dei compiti da fare, compiti orribili. Ti potrebbe chiedere di uccidere delle persone. Lo sai questo?- lei deglutì e annuì.
–Non lo devi fare se non vuoi.- lei alzò lo sguardo, pieno di rabbia:
-Che alternative abbiamo? Che alternative HO? Mandare un vecchio zoppo come te a fare missioni in cui serve velocità e agilità? O magari spedire Ricky a prendere le pallottole?! No grazie, sono abbastanza forte per farlo da sola. Io ce la farò.- suo padre si portò una mano alla fronte. Dio, quanto avrebbe voluto che lei non fosse costretta a fare tutto questo. Cosa dovrà sopportare? Una lacrima gli solcò la guancia ruvida di barba. La ragazzina si pentì di aver parlato in modo così insensibile e lo abbracciò. Lui le posò una mano sulla testa e la cullò dolcemente, come quando era piccolina.
–Tesoro mio, so che ti chiedo tanto, ma ti devo dare anch’io un compito.- lei alzò la testa e lui sospirò:
-Devi trovare la formula che ho creato. E una volta trovata… distruggila.- la ragazzina annuì e si lasciò scaldare da quell’abbraccio di cui avrebbe d’ora in poi dovuto far a meno.


Distruggere quella formula… se solo suo padre avesse saputo. Lei purtroppo non sapeva in cosa consisteva, quella serie di numeri, non lo aveva mai scoperto, ma se era ciò che le avrebbe permesso di riavere la sua vita, l’avrebbe data a lui. Ad Algol. Ricucì la bambolina con mille attenzioni e se la portò al petto. Si accoccolò nelle coperte, tenendosi stretta la bambola, in attesa che i sonniferi facessero effetto.

***

Un paio d’ore dopo andò in salotto. Lupin e Fujiko dormivano abbracciati. Jigen si era sdraiato sul divanetto e ronfava della grossa, mentre Goemon riposava seduto a gambe incrociate in un angolo. Andò a pizzicare un braccio ad ognuno di loro, per verificare che i sonniferi avevano fatto effetto. Con non poca fatica li portò ciascuno nel proprio letto. Tornò in sala, prese una sedia e attese. Algol non si fece aspettare. Il suo profilo leonino apparve presto di fronte a lei.
-Tre giorni, bimba. Tre giorni. Hai quello che volevo? - Azura annuì. Con un movimento fluido porse all’uomo il diamante di Itzamnà. Lui lo rimirò, affascinato dai giochi di luce che creava.
-E la formula?- chiese lui, impaziente.
-Prima lascia andare mio fratello. Ti prego. Solo Ricky.- anche se ne aveva paura, sorresse lo sguardo del leone. Lui si avvicinò. Sorrise. Poi menò uno schiaffo così potente che fece cadere Azura dalla sedia.
-Come ti permetti di darmi ordini, pedina?! Come osi?!- Azura, allora, prese l’accendino e vi mise sopra il foglietto: lo mostrava ad Algol, usandoli come scudo.
-Azura, non fare cose di cui poi ti pentirai.- lei non sembrava voler ascoltare. Per la prima volta non era succube della sua influenza. “Io non voglio morire!” quel grido disperato che aveva udito nella propria mente nei fondali oceanici, le aveva dato una forza che mai aveva creduto di poter avere.
-Lascia. Andare. Ricky. – Algol rimase gelido
-La formula. ORA.-
-Mio padre la conosce! Chiedilo a lui, no?- questa volta Algol fu più violento. Con un calcio poderoso colpì Azura in pieno stomaco e fece volare via l’accendino. Mentre la donna ansimava per terra, frastornata, lui recuperò il foglietto.
-Vedi di non essere mai più così insolente o farò in modo che il dolore che provi adesso ti sembri il paradiso.- con un sospiro di chi riprende il controllo di sé, si voltò verso l’uscita.
-Tu…- gemette Azura, facendolo bloccare -…avevi promesso… avevi… promesso.- lui nemmeno si voltò
-Non credo proprio, bimba..- le vennero le lacrime agli occhi, ma chiese:
-Adesso cosa succederà?-
-Tu, tuo fratello e tuo padre mi servite ancora. Non ucciderò nessuno. Fatti una vacanza. Te la meriti, puttana dell’amore mio.- e se ne andò. Azura aveva una nausea terribile. Si trascinò in bagno e vomitò anche quel poco che aveva buttato giù a cena. Lo stomaco le si continuava a contrarre in dolorosi spasmi, nonostante non ci fosse più nulla da buttare fuori. Quando, una buona mezz’ora dopo, sembrò stare meglio, si rese conto di essere completamente svuotata, come se avesse rimesso anche l’anima. Si rannicchiò sotto il lavandino e vi rimase finché non si addormentò.




Angolo (aiuto) dell'autrice
Ehm, qui iniziano le vere e proprie modifiche che ho apportato. Mi dispiace, lo so che è una tortura, giuro che troverò il modo di farmi perdonare.
Per adesso spero che vi piaccia. Au revoir!!!!

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Capitolo 11
*** Piccole luci (e mega capitolo) ***


~~Capitolo 11

-Una… gita?- chiese Jigen. Azura annuì.
-Sì beh… ho pensato che, visto che tra poco ve ne andrete, vi avrebbe fatto piacere vedere un posticino carino dell’isola. Nella foresta ci sono delle cascate incantevoli! Quando ci saremo tutti rilassati un po’, torneremo e partirete con il vostro tesoro. Che ne dite?- La proposta saltata fuori dal nulla di Azura stupì i quattro che si guardarono e tutti, tranne Lupin, fecero spallucce. Lui socchiuse gli occhi per qualche secondo. Quando li riaprì li puntò su Azura e sorrise allegramente:
-D’accordo, non vedo nulla di male nel fare una piccola vacanza. A te non dispiace doverci avere intorno ancora per qualche giorno, giusto?- Azura gli sorrise di rimando:
-Per me è un piacere e un onore.- Così prepararono l’occorrente e si diressero di buon passo verso la foresta. Faceva un gran caldo, ma tra gli alberi soffiava un venticello fresco che rendeva gradevole ogni rovente raggio di sole. Jigen camminava senza fatica tra le radici contorte degli alberi e scostando di tanto in tanto qualche ramo basso. Davanti a lui c’era Lupin, dietro Fujiko e Goemon. In testa al gruppo c’era Azura che sembrava a suo agio come un uccellino nel nido. Era baldanzosa e a volte li faceva fermare per far loro ammirare qualche paesaggio o un fiore esotico dai colori vistosi. Riuscirono ad avvistare qualche scimmia, un paio di colibrì e forse l’ombra di una pantera. Ma nessun animale sembrava ostile o deciso ad aggredirli. “Bah, sarà che hanno già mangiato anche le bestie”. Jigen strinse la sigaretta spenta tra le labbra. Era distratto. Pensava a quella mattina. Si era svegliato praticamente all’alba. Ed era stato lui a trovare Azura in bagno, mezza addormentata. L’aveva scossa leggermente per una spalla, e lei si era svegliata di soprassalto.
-Ehi, calma! Sono io. Da quanto tempo sei qui?- Jigen stesso doveva ancora fare i conti con la propria concezione del tempo: i ricordi della sera precedente erano offuscati, non riusciva a riportare alla memoria il momento in cui era andato a letto. Forse aveva bevuto troppo. Lei gli aveva rivolto dapprima uno sguardo perso, poi un sorriso malinconico e gli aveva detto di essere stata un po’ male quella notte.
-Ora stai bene?- chiese lui, chinandosi per avere gli occhi ad altezza uguale.
-Sì, meglio, grazie.- e mentre lo diceva, era impallidita. Si era buttata sul gabinetto appena in tempo, prima di vomitare l’acqua che doveva aver bevuto poco prima. Jigen le aveva tenuto indietro i capelli.
-Si vede quanto stai meglio.-
-Oh, sta’ zitto.- aveva risposto lei, brusca, prima di un altro attacco. Quando le contrazioni furono finite, si alzò in piedi con l’aiuto dell’uomo e si lavò i denti. Si sciacquò a lungo la bocca col collutorio e si rinfrescò il viso. Jigen aveva passato il tempo osservandola, pronto ad intervenire nel caso in cui si fosse sentita di nuovo male. Infatti, quando si fu staccata dal lavandino ebbe un mancamento e se non ci fosse stato lui a reggerla, sarebbe piombata a terra come un sacco vuoto. L’aveva aiutata a sedersi con la schiena appoggiata al muro. Si era seduto accanto a lei, riflettendo su quanto fosse strano che non si fosse svegliato nel sentirla vomitare, di solito aveva il sonno molto leggero. “A quanto pare non si era ripresa completamente, ieri. Che sia stata qui tutta notte?” si era domandato.
-Jigen…- il sussurro gli era arrivato come una fucilata. A parte quando si erano presentati, lei non aveva mai detto il suo nome ad alta voce.
-Sì?-
-Hai mai avuto paura per qualcuno a cui vuoi bene?- Era stata una domanda completamente improvvisa e fuori contesto. Jigen ci mise qualche secondo a metabolizzarla.
-Quasi ogni giorno.-
-Davvero?-
-Sì, ma ho imparato a fidarmi di loro, so di cosa sono capaci e so che se gioco bene, loro non saranno mai in pericolo.-
-Ma ti riferisci solo a Lupin e Goemon e Fujiko. Non hai mai dovuto proteggere qualcun altro?-
-Ho lavorato come guardia del corpo, quindi sì.-
-Intendevo qualcuno che ami.-
-Ho amato alcune donne che ho dovuto proteggere.- Azura ammutolì.
-Tutto bene?- le aveva  chiesto. Lei si era stretta nelle spalle e aveva appoggiato la testa all’indietro, mostrando il collo pallido pieno di lividi violacei. Jigen non riuscì a non domandarsi come avesse fatto a procurarseli, visto che era andata a letto prima di tutti.
-Stavo solo pensando se ci fosse una differenza tra proteggere chi ami e odiare chi proteggi. Scusa,-aveva aggiunto con un sorriso quando aveva visto la sua espressione attonita –mi gira ancora la testa e non so quello che dico.- lui aveva capito che non stava dicendo tutto. Sperando che la debolezza fisica la rendesse più loquace (e sentendosi un po’ meschino per questo), le aveva chiesto chiarimenti. Azura si era passata una mano sul viso, con espressione stanca.
-Proteggo una persona. Non la amo. Anzi, la odio. E la odierò per sempre.-
-Immagino che da questa persona dipendano altri a te cari.- Azura aveva annuito con gli occhi lucidi. “Forse ha la febbre” aveva pensato Jigen, e senza pensarci le aveva messo una mano sulla fronte per sentirle la temperatura. No, era fresca. Anzi, fredda. In effetti Azura aveva sospirato di piacere al contatto con la sua mano calda. Lo aveva guardato con le perle blu che aveva al posto degli occhi e si era appoggiata con la testa alla sua spalla.
-Azura…- lei gli aveva sfiorato la bocca con la punta delle dita per zittirlo.
-Solo un minuto.- aveva mormorato, sollevando un poco la testa. I loro visi erano vicinissimi. Ed erano rimasti immobili per un tempo infinito che parve comunque troppo breve. Forse lei si addormentò anche, per un po’. Si erano separati nel sentire gli altri che si svegliavano e andavano in cucina. Azura lo aveva salutato con un gesto timido che lo spiazzò. Poi, dopo un paio d’ore che si era rinchiusa in camera, Azura ne uscì con l’aspetto riposato di una rosa e con quella bizzarra proposta. Per ciò Jigen aveva pensato quanto fosse strano, se non addirittura sospetto. Ma aveva già potuto constatare quanto fosse forte quella donna, nonostante le fragili apparenze. Tornando alla realtà, si accorse che qualcosa non andava: Azura era sparita tra il fogliame e tutti, anche Lupin, erano piuttosto disorientati.
-Ma come diamine ha fatto a sparire senza che ce ne accorgessimo?! Era qui, davanti a me, solo pochi attimi fa!- borbottava il francese. Jigen si mise a spostare con l’amico alcuni rami finché, scostando le fronde di una muraglia di felci, sbucò in una specie di paradiso: il fiume che avevano seguito fino a quel momento si allargava creando un piccolo laghetto nel cui mezzo sorgeva un isolotto pieno di fiori e piante dai colori vivacissimi, la luce dorata del sole filtrava attraverso le chiome degli alberi creando un’atmosfera di familiarità mentre un dolce profumo di frutta inebriava l’aria. In lontananza si udiva il rumore di una cascata.  Ora erano tutti e quattro nella radura che si guardavano attorno con occhi e bocca spalancati. Una voce divertita li fece sobbalzare:
-Ehi voi! Esploratori intrepidi! Ce ne avete messo ad arrivare!- Azura era seduta con le gambe a penzoloni sul ramo di un albero. Jigen si passò una mano tra i capelli e trasalì, non trovando il cappello. Com’era possibile che lo avesse perso? Si guardò intorno e alzò gli occhi su Azura quando la sentì ridere. Lei gli rivolse un’occhiata maliziosa e agitò la mano che teneva stretto il suo cappello:
-Cercavi questo?- Lui prima sbuffò, poi sorrise e afferrò il cappello che gli venne lanciato. La donna si appese al ramo per la mani, si dondolò e si lasciò cadere, atterrando delicatamente, meglio di un’acrobata.
–Questo posto è quello che preferisco, un prodigio della natura. Tra Vineta e questa specie di Eden, non so se questa isola sia il paradiso o il paradiso in terra.- Lupin era entusiasta. Goemon era rimasto zitto, ma l’espressione che aveva lo tradiva in tutto e per tutto. Fujiko era semplicemente ammaliata. Azura appoggiò una mano sull’avambraccio di Jigen, facendolo irrigidire un po’:
-Allora, chi vuole farsi un bagno?- l’invito venne accolto volentieri da tutti, faceva un caldo torrido e l’acqua fresca era un richiamo invitante. Disse a Fujiko di seguirla, in modo da potersi cambiare in pace. Jigen seguì Azura con lo sguardo, ipnotizzato dall’ondeggiare dei suoi fianchi, finché non sparì nella foresta. Lupin, a cui non sfuggiva nulla, gli si avvicinò e gli diede una gomitata:
-Ti piace, non è vero?- Jigen arrossì e abbassò la tesa del cappello sul viso:
-Che cosa?! No, certo che no!- Lupin scoppiò a ridere:
-Amico, sei un pessimo bugiardo!- Jigen strinse i denti, e si sedette su un masso, togliendosi le scarpe,  imbarazzato:
-Deficiente… Non è vero, io non… Lei… insomma, no! - adesso anche Goemon s’era incuriosito:
-Aspetta, non ho capito bene… lei ti piace o no?- Jigen guardò nervosamente il punto in cui erano sparite le due donne:
-No.- disse sicuro, per poi aggiungere, meno deciso  –Lo sapete che odio le donne… - Lupin gli diede un’altra gomitata:
-Ti piace eh? Ti ha proprio cotto a puntino.- Jigen arrossì violentemente e si tirò il cappello ancora di più sugli occhi.
-Taci.-
–Ehi! Non ci vedo proprio nulla di male!-
-Perché tu non sei come Jigen. Quando vedi una donna, non capisci più niente.-
 -Ah, sta’ zitto Goemon! E tu non gli dar retta!- Jigen li guardò entrambi e sospirò, sconsolato. Sapeva che da quella conversazione non sarebbe uscito nulla di buono.
-Devi dirglielo subito, chiaro e tondo!- gli disse Lupin.
-Eh?? Guarda… io e lei non siamo partiti col piede giusto, ci stavamo per mettere le mani addosso dalla prima sera. Non nel senso buono, Lupin- si corresse, nel vedere l’espressione maliziosa del francese -Non credo proprio che saremmo una bella coppia.- Lupin gli rivolse un’occhiata furba.
-Eppure qualcosa è cambiato da allora… mentre ci spartivamo i tesori non le toglievi gli occhi di dosso e lei ti gira sempre intorno.  Provare non costa nulla.- Jigen non poté evitare di ripensare alle sensazioni che aveva provato durante le loro chiacchierate. O il gelo della paura che gli aveva percorso la spina dorsale quando l’aveva vista bianca come il latte sul fondo del mare. O il brivido che aveva sentito quando per sbaglio, quella mattina le loro labbra si erano sfiorate. Lui si era di certo preso una bella sbandata. Non l’amava. Quello non poteva ancora dirlo. Ma anche se fosse, quali erano i sentimenti di lei? Era sempre così mutevole, lunatica, cambiava da una dolce sensualità ad una crudele furia in pochi secondi. A tratti era la donna più forte del mondo e la più vulnerabile. Aveva una maschera? O era realmente lei? Lo disorientava. Molto. Forse troppo. Eppure ogni volta che erano soli, Jigen non riusciva a resistere al suo influsso, all’improvviso si sentiva come se avesse messo un dito in una presa elettrica. Sentiva il bisogno di proteggerla.
-Ha ragione Lupin, ma ricordati che lei è una donna. Potrebbe essere solo un’ottima attrice.- concluse Goemon. Jigen appoggiò la testa su una mano e annuì, pensieroso. E sempre più confuso. Forse avrebbe dovuto lasciare che le cose andassero per il loro corso, senza pressioni. Anche perché entro pochi giorni sarebbe andato via da quell’isola, probabilmente non ne valeva nemmeno la pena di tormentarsi per poi essere comunque destinati a soffrire una separazione imminente. A quel pensiero, però, si sentì morire un po’ dentro. Forse stava invecchiando. Lui e Lupin si misero in costume mentre Goemon si sedette in un angolo a meditare. Jigen ebbe il sospetto che lo stesse facendo in modo che, se Lupin avesse tenuto occupata Fujiko, lui si sarebbe trovato incastrato con Azura. “Begli amici che ho…” pensò, sbuffando il fumo dell’ultimo tiro di sigaretta. In quel momento le due donne arrivarono, ridacchiando fra loro, bellissime. Lupin scattò immediatamente vicino alla sua adorata, prendendola in braccio. Lei urlava, divertita, anche se si fingeva scocciata. I due finirono in acqua e Fujiko dovette iniziare a scappare per evitare di essere abbracciata dal francese invasivo. Jigen rimase immobile, ancora più in difficoltà. Azura gli evitò la tortura di iniziare a parlare. Gli prese la mano:
-Vieni anche tu, dai!- lo trascinò in acqua che era fresca al punto giusto. Azura s’immerse e sbucò dietro di lui, spruzzandolo d’acqua. Lui si girò, irritato e lei gli rivolse il suo sorriso smagliante. Jigen rilassò le spalle, ma le fece un sorriso malvagio. Le si avvicinò e la prese per le spalle. Lei, stupita di quel gesto repentino, non si mosse. Per un attimo rimasero uno di fronte all’altra. Azura pareva così stupita che quasi non si accorse che lui la sollevava delicatamente e la buttava in acqua a testa in giù. Azura si dimenò tra le sue braccia e lui la tirò fuori:
-Ma sei matto?!- assunse un’espressione estremamente irritata e lui, pentendosi e pensando di aver esagerato, la lasciò andare. Azura gli voltò le spalle, per questo Jigen non poté vedere l’ondata seguente che lo colpì in pieno. Riemergendo la sentì ridere con voce cristallina e la guardò tra lo stupefatto e lo stordito.
-Sei così tenero, ti preoccupi per me!!!- rise lei, calandogli il cappello fin sopra il naso. Jigen si riprese in fretta e iniziò a ridere anche lui. Risero a lungo e poi ingaggiarono una lotta a furia di spruzzi coinvolgendo anche Lupin e Fujiko. Sembravano tutti tornati bambini, nessuno si curava più di quanto fosse surreale quella situazione. Conoscevano Azura da poco tempo, eppure avevano abbassato le difese, ormai. Era un momento pacifico, così normale, così semplice… Azura, all’ora di pranzo, si arrampicò su un albero dell’isolotto con grande agilità e un cestino in vimini appeso a un braccio. Quando scese aveva il cesto pieno di papaye e ananas. Pranzarono con quella frutta deliziosa per poi buttarsi tutti di nuovo in acqua. Nel tardo pomeriggio (Goemon non si era mosso, anche se un sorrisetto beffardo gli tagliava il viso) uscirono e si stesero al sole. Jigen non poté impedirsi di ammirare la figura snella di Azura che brillava nel rosa del tramonto. Aveva gli occhi chiusi, le lunghe ciglia nere le sfioravano gli zigomi e la piccola bocca rossa era distesa in un minuscolo sorriso. I capelli bagnati cadevano morbidi sull’erba e le incorniciavano l’ovale perfetto del volto. Però, quei lividi sul collo rompevano quell’armonia. Come se li era procurati? Sembrava fosse stata picchiata, ma era certo che nessuno di loro aveva alzato le mani. Era caduta? Se li era fatti da sola? Aveva notato che durante il giorno lei aveva fatto in modo che i capelli glieli coprissero sempre, infatti nessuno sembrò essersene accorto. La bionda probabilmente sentì di essere osservata, perché si voltò verso nella sua direzione.
-Cosa c’è, Jigen?- lui sorrise.
-Niente, sono felice che tu stia meglio.- lei rispose al sorriso. Sospirò.
-Mi ci voleva proprio, era da tanto che non mi divertivo così.-
-Davvero?- chiese Fujiko. –Abiti su un’isola da sogno e non ti diverti?-
-Beh, non mi capita spesso di avere ospiti.- si giustificò l’altra.
-E cosa fai tutto il giorno?- intervenne Lupin, incuriosito.
-Di solito lavoro al computer… o leggo, o passeggio… non lo so, faccio un po’ i tutto.- “Ma sei sempre sola, vero?” finì Jigen, nella sua mente. Gli uomini si diedero da fare per creare un bel falò dove cenarono con pesce e ananas affumicato. Intanto la discussione continuava.
-Voi invece? Come passate le vostre giornate?- Chiese la bionda, e da lì partirono i racconti delle loro imprese. A turno le raccontarono alcune delle loro avventure. Passarono dal Giappone alla Francia, dall’Italia all’Egitto, dall’Australia all’America. Azura ascoltava affascinata, con le fiamme che le accarezzavano il volto con giochi di ombre. Nel vederla così, ingenuamente immersa nell’ascolto come una bambina a cui viene letta la favola della buonanotte, Jigen senti l’impulso di abbracciarla e proteggerla da tutto e da tutti. Guardò il cielo che iniziava a scurire e incrociò le braccia dietro la nuca. Chiuse gli occhi.
… un rumore lo destò. La notte era scesa da un pezzo e tutti ormai dormivano. Pensò di star ancora sognando, soprattutto quando vide che Azura era chinata su di lui e gli premeva una mano sulla bocca. Lo guardava con occhi grandi, facendogli segno di seguirla. Fu immediatamente sveglio, ma per sicurezza di fece un pizzicotto sul braccio. Quando fu certo di essere nella realtà si alzò e la seguì il più silenziosamente possibile, evitando di svegliare i suoi tre amici. Azura lo fece camminare per un bel po’, in mezzo alla boscaglia. Avevano fatto già parecchia strada, quando Jigen si azzardò a parlare:
-Dove stiamo a…- Azura si portò l’indice alle labbra per dirgli di pazientare ancora un po’. Disorientato, seguì la candida figura della donna. Non era diffidente, forse perché era ancora un po’ immerso nel torpore del sonno, forse perché ormai aveva deciso di fidarsi di lei. Si accorse che il rumore di acqua scrosciante stava diminuendo. Azura sparì fra le foglie, come aveva fatto quella mattina, ma questa volta Jigen si preoccupò parecchio: era notte, non aveva la più pallida idea di dove si trovasse e di come tornare indietro. Le sue paure sparirono quando da un muro di liane e fiori apparve la mano di Azura, tesa verso di lui. Un po’ stranito la afferrò e venne condotto in un’altra radura, più piccola e dal cielo scoperto. Le stelle e la luna illuminavano quasi a giorno lo spiazzo. Vide persino una stella cadente. No, due. Aspetta, le stelle ora stavano tornando indietro. “Ma che diavolo…?” Poi le vide chiaramente: erano lucciole, migliaia e migliaia di lucciole che svolazzavano sul prato. Lui era rimasto immobile ad ammirarle, mentre Azura si era avvicinata con calma e si era seduta nel mezzo della radura. Si voltò verso di lui e lo invitò con gli occhi a sederglisi di fronte. Invito che lui accettò, ma mentre camminava le lucciole sembrarono ritirarsi nel bosco. Lei ridacchiò nel vedere il disappunto sul volto di Jigen.
-Tranquillo,- lo rassicurò –torneranno fra poco. Si sono solo spaventate.- Infatti, passati due minuti di silenzio, le lucciole erano tornate a riempire la radura. Azura sospirò.
–Bello, vero?- lui la guardò mentre giocava con quei lumini con le dita:
-Molto.- lei, quando vide che la stava fissando, arrossì. Jigen sentì il cuore che perdeva un colpo a quella manifestazione d’innocenza. Tuttavia, quando la luce delle lucciole illuminò di nuovo i lividi di Azura, non poté più ignorarli. Molto lentamente, per non spaventare le lucciole, le scostò i capelli dalla gola. Lei, come se si fosse ricordata solo in quel momento di quei segni scuri, gli bloccò la mano velocemente. Lo sciame di lucciole sembrò gonfiarsi come una vela al vento, creando uno spazio vuoto intorno a loro.
-Cosa ti è successo?- le chiese Jigen, ritraendo la mano, con sguardo indagatore. Lei cercò una scusa.
-Ehm, credo sia accaduto quando sono andata a raccogliere la frutta. Un ramo mi ha colpita e…-
-Bugiarda. Li avevi anche questa mattina, in bagno.- lei sbarrò gli occhi. Con la coda dell’occhio, Jigen vide che si pizzicava forte una gamba: si stava dando della stupida per non essere stata più attenta, probabilmente. Stava nascondendo qualcosa.
-Io… non lo so… forse me lo sono fatta di notte, mentre stavo male.- lui non le credette. Gli stava mentendo ancora. Però non volle portare avanti il discorso, sapeva che lei non gli avrebbe detto più nulla. E non poteva smentire quello che gli aveva appena riferito perché non aveva prove contrarie, quindi lasciò correre.
-A chi ti riferivi quando eravamo in bagno?- Azura sobbalzò a quella domanda. Era grata che avesse lasciato cadere il discorso precedente, ma quella era un’altra cosa di cui non aveva voglia di parlare. Glielo si leggeva in faccia. Parlò lentamente, scegliendo con cura le parole.
-Ero stravolta, Jigen. Non so cosa ho detto.- lui insisté.
-Riguardo alle persone che vuoi proteggere.-
-In questo momento vorrei seriamente non dover proteggere nessuno.- disse con un sorriso ironico. C’era un che di profondamente malinconico e turbato in quella frase. Ma non era la risposta che voleva l’americano.
-Piantala, sai cosa intendo.- Azura lo guardò negli occhi: sì, lo sapeva, sapeva perfettamente cosa avrebbe voluto sentire. Invece gli prese una mano fra le proprie.
-Non posso dirtelo. - disse avvicinandosi di qualche centimetro –Mi dispiace. Cerca di capire.-
-Cosa devo capire? Tu non mi dici la verità su niente, come faccio a capire?- replicò lui in un ringhio sommesso. Tuttavia, la sua rabbia sfumò immediatamente quando lei gli accarezzò una guancia.
-Perdonami, Jigen. Non posso parlare. Lo farei. Davvero. Ma non posso.- lei si era protesa verso il moro.
-Perché no?- chiese lui sottovoce. La distanza fra loro continuò a diminuire.
-Perché... perché…- lui infilò una mano fra i suoi capelli, dietro la nuca. Le sfiorò i lividi. Tornò a guardarla negli occhi. Mancava poco che i loro visi si toccassero. All’ultimo, però, lei esitò e abbassò la testa.
-Cristo.- mormorò, appoggiando la propria fronte alla sua. Jigen non si mosse, la vide tornare a distanza di sicurezza senza aver la minima idea di cosa fosse appena successo. Non parlarono più. Rimasero in silenzio nella notte, avvolti da quel magico turbine luccicante.




Qualche sciocchezza dell'autrice
Ok, è l'una di notte, dovrei studiare e invece mi dedico ai personaggi del mio mondo sulle nuvole...
Capita anche a voi? Insomma, di perdervi nella vostra immaginazione...

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Capitolo 12
*** Pessima giornata ***


~~Capitolo 12

-Ah, che dormita!- Lupin si stiracchiò vistosamente mentre Fujiko e Goemon si alzavano. Tutti si erano resi conto dei due assenti, ma nessuno aveva sollevato la questione. Anche quando li videro arrivare insieme evitarono di fare domande, nonostante la curiosità fosse palpabile. Stavano recuperando le loro cose quando Lupin non ne poté più e, con la scusa di dover cercare “una cosa”, si avvicinò a Jigen rivolgendogli l’occhiata di chi la sa lunga:
-Allora, tu e Azura? Eh? Cos’avete combinato, rubacuori?- gli sussurrò. Jigen guardò oltre l’amico, verso Azura che, con espressione allegra, si metteva a chiacchierare con Fujiko. Mantenne la faccia neutra, tornando a rivolgersi al francese.
-Nulla di quello che pensi, se è questo che vuoi sapere.- Lupin non si lasciò scoraggiare:
-Forse, ma qualcosa avrete pur fatto, no? E di certo non siete andati a fare jogging.- disse, dandogli una gomitata amichevole. Jigen, esasperato, gli rispose bruscamente, a denti stretti:
-Non è successo niente. Lei si è tirata indietro, punto.- Lupin capì che era meglio lasciarlo stare. Non era mai saggio punzecchiarlo quando il suo orgoglio era stato ferito. Inoltre era chiaro che stesse riflettendo su qualcosa. Azura li richiamò all’ordine. Nonostante fosse stata una bella giornata quella precedente, era arrivato il momento di tornare alla spiaggia. Così, di buona lena, i cinque s’incamminarono. Azura, che ancora li guidava, sembra conoscere la foresta a memoria. “Ma come fa? Gli alberi sono tutti uguali!” pensò Lupin, piuttosto disorientato.
-Allora, per quanto pensate di trattenervi ancora sulla mia isola?- chiese Azura. Lo aveva detto in tono amichevole, non era infastidita dalla loro presenza, come se considerasse la propria isola una specie di resort.
-Il prima possibile, per la verità. Senza offesa.- aggiunse Fujiko appena si accorse di essere stata un po’ scortese. Azura sorrise per tranquillizzarla.
-Figurati. Immagino vi serviranno le moto d’acqua e qualche scorta, ma quelle non saranno un problema.- propose. Lupin la ringraziò.
Alleggiava un’atmosfera strana, come se le piante fossero diventate all’improvviso delle presenze minacciose. Più di una volta al francese parve di vedere delle foglie muoversi e degli occhi che sparivano nella boscaglia. Si diede dello sciocco. Ma poi vide Azura bloccarsi in mezzo al sentiero. Aveva le orecchie tese e gli occhi sbarrati. Lupin si guardò alle spalle e vide che Jigen e Fujiko avevano la sua stessa espressione perplessa. Mentre Goemon… lui aveva una mano posata sulla katana, pronto a sguainarla. Fujiko chiese, con un filo di voce:
-Cosa sta succedendo?- non aveva finito di parlare che dieci uomini in divisa militare e dal viso coperto, li avevano circondati. Lupin e Jigen estrassero le pistole, Fujiko si preparò a usare la sua, Goemon aveva la spada pronta. “Azura…” Lupin la guardò con la coda dell’occhio, e ciò che vide lo sbalordì: invece di tremare o essere spaventata, come si sarebbe aspettato di vederla, era tranquilla. Ritta con la schiena e le braccia rilassate. Lo sguardo era fermo e non vi si leggeva la minima esitazione. Guardò Jigen con la coda dell’occhio, per cercare spiegazioni, ma vide che anche lui era stupito. Erano cinque (quattro se si toglieva Azura che non era armata) contro dieci… sleale oltre i limiti del possibile. “Cosa m’invento ora?” poi si accorse della fascia che portavano al braccio. Una fascia rossa con un vortice giallo tagliato a metà. Erano loro. Gli stessi che avevano provato a farli saltare in aria.
-Guarda un po’ chi ha deciso di farsi vedere… voi ragazzi siete qui da parte del vostro capo?- nessuno gli rispose, ma molti di loro lanciarono un’occhiata veloce all’unico uomo che non impugnava un’arma da fuoco ma due sciabole. Lupin si rivolse direttamente a lui.
-Sei tu? No, non lo sei,- disse ghignando –il vostro capo non è il tipo che si mischia ai comuni mortali, vero? Tu devi essere un suo amichetto.- il tizio, che aveva due occhi rossi fiammeggianti, fece un passo in avanti, putando la lama di una sciabola sotto il mento del francese.
-Non osare parlare del Master in questo modo.- disse, con un accento inglese. Lupin allargò il proprio ghigno.
-Ah, non sei un suo amichetto, sei un discepolo.-
-Shut your mouth, brat.- sibilò lui nella propria lingua.
-Leave him alone.- disse Azura, muovendosi nella su direzione. Nove fucili le vennero puntati contro.
-Stay back princess. I do not want to hurt ya. Well,- aggiunse lui, girandosi nella sua direzione: -actually… maybe a little.- Lupin approfittò di quel momento di distrazione: velocissimo afferrò per il collo il tizio e gli puntò la pistola alla testa, obbligandolo a far cadere le lame.
-Ora voglio che tutti voi lasciate a terra le armi,- disse con calma.- e che ve ne andiate prima che il vostro capo faccia una brutta fine!- gli altri nove sembrarono esitare. Uno di loro si chinò per obbedirgli…
-NO!- gridò l’ostaggio, zittendo anche il vento. –SE UNO DI VOI MOLLA IL FUCILE GIURO CHE LO AMMAZZO!- Jigen scattò vicino a Lupin puntando la Magnum allo stomaco del tizio mentre Goemon estraeva la propria spada appoggiandogliela nell’incavo del ginocchio.
-Voglio proprio vedere come farai, con i tendini della gamba tagliati.- gli disse il samurai.
-If you say so…- disse il tizio.
-ATTENTI!!- gridò Azura. Il tizio sollevò le gambe e colpì in faccia Jigen e Goemon, mentre con una gomitata, si liberava di Lupin. Nel movimento perse la propria maschera, mostrando una pelle bianchissima e dei capelli dello stesso colore della neve. “Albino?” pensò Lupin. Il tizio recuperò le spade e andò a nascondersi dietro una roccia, appena prima che il proiettile sparato da Jigen lo prendesse. Invece finì per abbattere uno degli altri che si accasciò a terra con un grido di dolore. Quello fu il segnale: Jigen sparò altri colpi contro i tizi che aveva dietro e li ferì alle gambe, Goemon riuscì a deviare i proiettili che i criminali gli spararono mentre Lupin e Fujiko atterravano altri due uomini.  I cinque si ripararono dietro dei massi mentre quei delinquenti si nascondevano dall’altro lato del sentiero. Jigen urlò a Lupin:
-E ora che facciamo?!-
-Li dobbiamo stanare da là dietro. Goemon,- si rivolse allo spadaccino –riusciresti a tagliare quell’albero?- il samurai annuì, ma come mise la testa fuori, un proiettile gli sfiorò la testa.
-Il fuoco è troppo fitto, mi serve copertura.- In quel momento Fujiko strillò:
-Dove vai,  Azura?!- Lupin si accorse ora della sua mancanza. Udirono delle urla e si sporsero dalle rocce: la donna era riuscita ad evitare la fuga di due tizi. Uno aveva un pugnale conficcato nella gamba destra e sembrava svenuto contro una roccia, l’altro lo aveva appena colpito alla gola con le nocche. Con un calcio ben piazzato, gli slogò la mascella, buttandolo a terra. Una pallottola le tagliò la fronte. Lei si voltò verso chi le aveva sparato che fu costretto ad arretrare: lei aveva uno sguardo terribilmente furioso e sembrava pronta a ucciderlo a sangue freddo. “Possibile che sia la stessa Azura??” si chiese Lupin. Dietro di lei arrivò l’albino che la costrinse a voltarsi. Con una forza incredibile la prese per la gola, sollevandola da terra  e cercando di soffocarla. Jigen e Lupin, quando tentarono di aiutarla vennero respinti da un’ondata di proiettili. L’albino sogghignò, divertito nel vedere i tentativi della donna di liberarsi. La spinse contro un tronco e le leccò il sangue dalla ferita che aveva sulla fronte. Azura, con un urlo rabbioso, riuscì a liberarsi: estraendo da sotto i pantaloncini un altro pugnale glielo conficcò nell’avambraccio. Lo costrinse così ad indietreggiare e a finire sotto un raggio di luce. Immediatamente lui la lasciò andare con un urlo bestiale e cadde a terra coprendosi gli occhi, come in preda a dolori atroci. Grazie a quella distrazione, Goemon riuscì a saltare ed avvicinarsi all’albero che venne subito tagliato alla base. Cadendo, obbligò i nemici a uscire allo scoperto. Jigen, con mira sovrannaturale, riuscì a far esplodere tre dei loro fucili sparando delle pallottole direttamente all’interno delle loro canne. Goemon rese inutilizzabili gli altri tagliuzzandoli in mille pezzi. L’albino, aiutato da un suo compagno, gridò:
-My name is Nixon, the White Vampire! Do not forget my name, ‘cause I am gonna kill you all!!- e scagliò a terra un fumogeno. Quando il gas si diradò, loro non c’erano più. Rimaneva solo il pugnale di Azura, conficcato nel terreno. Ci furono degli attimi di pesante immobilità. Azura non degnò nessuno di uno sguardo. Recuperò la sua lama in silenzio e si pulì alla bell’e meglio dal sangue e dalla terra. Non diede la possibilità a nessuno di fare domande o dire qualcosa: s’incamminò a passo di marcia senza controllare se la stessero seguendo.

***

Azura, come era arrivata in villa si era rinchiusa in camera sua e non ne era uscita fino a tardo pomeriggio, quando si rifugiò  in bagno prima che qualcuno potesse anche solo rivolgerle la parola. Si era buttata subito sotto la doccia e si era fregata il corpo con una spugna: si sentiva dannatamente sporca “Stupida, stupida, stupida!” si disse, tirandosi una sberla. Lasciò che l’acqua tiepida le scorresse addosso. “Adesso cosa penseranno di te?” Si sfregò i capelli con lo shampoo. “Hai messo tutti in pericolo” Si sciacquò. “Ma cosa volevano gli uomini di Algol?” Chiuse l’acqua. “Era per quello che mi aveva detto di fare una vacanza? Aveva pensato di prendermi alla sprovvista?” Si avvolse nell’asciugamano. “Per lo meno stiamo tutti bene.” Sospirò e si pettinò i capelli. Si era calmata. Stava per uscire dal bagno, ma la porta venne aperta da Jigen. Azura arrossì violentemente:
-Oh, scusa, non pensavo… non ho sentito nessun rumore e…- Si giustificò lui, provando a richiudere la porta. Lei la bloccò con una mano.
-Tranquillo, stavo per uscire.- silenzio imbarazzato. Azura abbassò la testa e si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Senti…- avevano parlato insieme. Si sorrisero.
-Prima tu.- disse Azura.
-Okay ehm… volevo solo sapere… se stavi bene.- disse, guardandole la fronte. Lei annuì.
-Sì. Era solo un graffio, per fortuna.-
-Non ci avevi detto che sapevi fare quelle cose.- c’era una punta di sospetto nella voce, ma le sue intenzioni erano gentili.
-Beh, ora sai perché non ero preoccupata nell’ospitarvi a casa.- disse lei con un sorriso timido. Poi aggiunse:
-Conoscete quei tipi?-
-No. Forse, in un certo senso… è a causa loro che ci troviamo qui. Sono membri della mafia che ci ha fatto saltare in aria.- Azura preferì non commentare.
-Non ti preoccupare, ce ne andremo domani mattina, in modo che tu non corra più pericoli.- a quelle parole Azura sentì una fitta al cuore. “Se solo sapesse…”
–Oh. Okay. Sì, insomma ecco… ora io vado.- lo sorpassò velocemente e ancor più rapidamente si dileguò nel corridoio. Si sentì al sicuro solo una volta che raggiunse camera sua. Sospirando aprì le ante dell’armadio per decidere cosa mettersi. Puntò un vestito blu. Mm, perché no? Forse era troppo elegante. Ma in fondo sarebbe stata l’ultima sera con loro, quindi, perché no? Lo indossò. Si accorse che le spalline si erano smollate un po’ troppo. In silenzio si diresse verso la stanza di Fujiko dove teneva il necessario per cucire. Stava per bussare, quando sentì che Fujiko non era sola, si sentivano le voci di Lupin e Goemon:
-Che ci faceva il Vampiro Bianco qui? Pensavo che si fosse ritirato…- stava esclamando Fujiko
-E io credevo che non uscisse mai dalla sua amata Inghilterra…- commentò Lupin.
-Chi è questo Vampiro Bianco? Non l’ho mai sentito nominare.- chiese Goemon. La spiegazione gli arrivò dal francese:
-È un sicario londinese affetto dal morbo di Gunther. Sembra che abbia trovato dei medicinali per sopravvivere abbastanza bene in zone soleggiate, anche se abbiamo visto che non può andare sotto la luce diretta del Sole. Uno psicopatico a cui piace bere il sangue delle sue vittime e abile sia nell’uso di armi bianche, sia in quelle da fuoco.-
-A proposito di psicopatici,- continuò Fujiko. –avete visto anche voi Azura?- calò il silenzio. La mano di Azura, ancora sollevata nell’atto di bussare, tremò e scivolò pesantemente al suo fianco.
-Credo che tu sia ingiusta Fujiko. In fondo ci ha dato una mano.- la riprese Lupin.
-È vero,- s’inserì Goemon. –ma non so se possiamo fidarci di lei.- Azura si morse il labbro inferiore. -L’ho osservata, Lupin. Quella ragazza ci porterà altri problemi.- l’altro lo mandò al diavolo.
–Ragazzi, Azura ci ha curato, ci ha fatto scoprire i tesori di Vineta e di quest’isola. L’attacco di oggi non è stato colpa sua, quei tizi ci stavano già cercando.-
-Non è questo il punto!- Fujiko stava alzando la voce, infatti venne ammonita dai due uomini di darsi una calmata.
-Invece lo è! Sei solo stressata, cherie.- Si sentì il rumore di uno schiaffo:
-Tu parli così perché sei convinto di non sbagliare mai quando giudichi le persone, ma non è così! Lei ci ha nascosto e ci sta nascondendo troppe cose. La sua storia che non sta in piedi, la sua vita intera che non ha senso e adesso… questo!  Il mio sesto senso mi dice che dovremmo partire subito. Non mi fido di lei, non mi fido di chi si finge chi non è. Di chi finge di essere forte.- Azura si allontanò dalla porta e strinse i pugni. Dietro di sé sentì arrivare Jigen. Si voltò e ignorò completamente il suo saluto sorridente. Si diresse in camera sua e sbatté la porta in faccia al pistolero, che l’aveva seguita. Si lanciò sul letto e tempestò di pugni il suo cuscino, mordendolo e soffocandovi dentro le urla che le nascevano in gola
 

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Capitolo 13
*** Lacrime e poker ***


~~Capitolo 13

Erano tutti riuniti in sala: stavano seduti comodamente sui divani, sorseggiando vino. Le valigie con qualche scorta di cibo e i tesori di Vineta pronte in un angolo. L’aria era pesante. Azura non era nemmeno venuta a cena. “Decisamente qualcosa non va”, pensò Jigen. Tirò una boccata di fumo e lo soffiò verso il soffitto.. Sapeva che sarebbe dovuto andare a parlarle, in fondo aveva saputo da Goemon che l’avevano offesa. Fece cadere la cenere dalla sigaretta. Chiuse gli occhi sospirando.
–Allora, chi si fa una partita a Poker texano col maestro?- Esclamò il francese, rompendo il silenzio. Tuttavia nessuno rispose.
-Oh, andiamo ragazzi, basta con questo broncio, che vi prende?- Fujiko, ancora arrabbiata con lui, fece un verso sprezzante e sorseggiò il proprio vino. Goemon disse:
-Mi spiace, ma odio giocare a carte. Soprattutto con un imbroglione come te.- Lupin mise su un broncio infantile, e borbottò che lui non imbrogliava mai. Poi rivolse uno sguardo speranzoso verso Jigen, che di solito accettava sempre una partitina. Quella sera, però, nemmeno l’americano sembrava aver voglia di giocare.
-E dai, Jigen! Non mi puoi abbandonare così!- il moro scosse la testa, lanciando il mozzicone nel portacenere.
-Non mi va proprio, Lupin. E poi giocare solo contro di te sarebbe troppo facile per un professionista come me.- disse con un accenno di sorriso. Lupin, come vide quel piccolo ghigno, s’illuminò come un bambino, grato. Poi scoppiò a ridere.
-Un professionista? Posso metterti in mutande ad occhi chiusi.- lo provocò. Jigen, che stava provando ad accendersi un’altra sigaretta, rispose:
-È uno spreco di tempo, vincerei dopo cinque minuti!- Lupin non si fece prendere alla sprovvista:
-Allora vai a chiamare Azura se sei convinto di essere tanto bravo.-
-Sfidi una donna?- lo prese in giro Jigen, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Fujiko.
-No, ma almeno se ci sarà anche lei ci andrai piano, giusto? Valla a chiamare!- Jigen stava per chiedere perché doveva andare proprio lui, ma la domanda gli morì sulle labbra. Si accorse di non avere scampo: “Se non vado, dirà che ho paura di lei, o chissà che altre fesserie! Mm, quanto lo detesto!” Inoltre l’accendino, si ricordò in quel momento, aveva finito la benzina e non riusciva quindi ad accendersi la sigaretta. All’improvviso di pessimo umore, grugnì e si alzò in piedi, andandosene poco convinto. Arrivò davanti alla porta e si chiese se lei lo avesse sentito arrivare. Attese qualche secondo, sperando che lei facesse qualcosa, ma non accadde nulla. Rassegnato, bussò. Zero risposte. Provò di nuovo. Niente. Si spazientì e fece per andarsene.
–Jigen?- la porta era stata socchiusa e un’iride azzurra come il cielo lo fissava. Jigen si bloccò subito.
–Entra.- non era il tono che ammetteva obiezioni. Jigen entrò nella stanza: sembrava vi fosse passato un uragano. L’unica parte ancora in ordine era il letto, su cui era abbandonato un abito da sera blu scuro. Azura gli passò di fianco e si sedette sul letto. Indossava una canottiera lunga che lasciava libere le gambe slanciate. Gli parve che non portasse il reggiseno. Ancora una volta, Jigen dovette distogliere lo sguardo per non fare strani pensieri. Si appoggiò al muro. Vide una fotografia sul comodino, ma venne subito messa a faccia in giù appena Azura si accorse della direzione del suo sguardo.
–Cosa mi devi chiedere?- gli chiese con voce rotta. Solo allora si accorse che lei aveva gli occhi e le guance arrossati.
–Hai pianto?- lei si passò il dorso della mano sulla fronte e sorrise:
-Sono certa che non era questo il motivo per cui hai bussato.-
-No, hai ragione. Ma credo che questo sia più importante.- Azura gli rivolse uno sguardo che diceva : “Lo pensi per davvero?” poi si ricompose, asciugandosi il volto.
-Oh, no, sono solo un po’ scossa.-
-Per via di oggi?- Lo sguardo di lei si fece vacuo.
-Sì. Per oggi.-
-Stai diventando una pessima bugiarda.- rise Jigen, andandole di fronte. Azura gli rivolse un sorriso triste. Dio, cosa avrebbe dato Jigen per toglierglielo dalla faccia quel sorriso. Tutte le volte era un doloroso pugno allo stomaco.
-Mi dici cos’hai, una buona volta?- le chiese.
-Non credo ti possa interessare.-
-Mi hai sbattuto una porta in faccia in modo molto maleducato. Credo di meritare delle spiegazioni.- Concluse, con un sorriso ironico. Voleva alleggerire l’atmosfera e allo stesso tempo essere categorico: voleva capire cosa stesse succedendo. Azura deglutì.
-Ecco… è che… la mia vita è sempre stata controllata da altri. È così… vuota. Senza senso. Lotto per una causa che non è la mia e non so per quanto dovrò andare avanti. Non ho il controllo sulla mia esistenza. Non posso nemmeno amare chi voglio, come voglio.- la voce le si ruppe di nuovo. Si mise una mano davanti alla bocca per trattenere un singhiozzo, ma non pianse. Jigen temeva che farle altre domande l’avrebbe ferita ulteriormente, così tacque, aspettando che si rimettesse insieme. Infatti, poco dopo lei riprese:
-Quando ho sentito Fujiko che diceva che fingevo di essere forte… mi sono infuriata. Avrei voluto prenderla a schiaffi perché lei non aveva il diritto di giudicarmi. Non sa niente di me. Non lo sa. Poi mi sono resa conto che la colpa, in fondo era mia. Siamo noi a costruirci la nostra vita e se io l’ho messa in mano di altri, non ho il diritto di lamentarmi. Non posso, non devo chiedere aiuto. Devo tirarmi su da sola. Ecco,- finì, alzando la testa e abbozzando un mezzo sorriso. –sei soddisfatto di questa manfrina noiosa?- Jigen si sedette al suo fianco con le mani ancora in tasca.
-Perlomeno adesso sono sicuro che sei stata sincera.- disse, sorridendole. –Ti posso solo dire di non essere troppo severa con te stessa. Ognuno ha le sue colpe, io le mie, tu le tue. O ci si convive o si prova a rimediarvi. E il fatto che tu abbia scelto la seconda strada (credo di aver capito questo, almeno) non può che renderti onore. – Azura sospirò, felice che lui la pensasse così. Jigen avrebbe anche voluto dirle che non doveva fare tutto da sola, che loro, che lui, ci sarebbe stato per aiutarla. Ma, dato che sarebbero partiti l’indomani, preferì tacere. Tuttavia tirò fuori dalla tasca il proprio accendino d’argento. Era stata lei a svuotarglielo, prima del suo risveglio il primo giorno sull’isola: glielo aveva ridato un po’ per gentilezza e un po’ per prenderlo in giro. Ora Jigen glielo porgeva. Come pegno.
-Hai detto che non puoi chiedere aiuto. Ma se mai avrai bisogno di noi,- “…di me”  avrebbe voluto aggiungere, ma si fermò in tempo. - sappi che basterà chiamare. – concluse. Azura prese l’accendino come se fosse un cristallo fragilissimo e se lo portò al cuore.
-Grazie, Jigen. Non sai cosa significhi per me.- disse. Jigen non aprì bocca mentre la guardava sistemare l’oggettino in un cassetto.
-Allora, cosa mi dovevi dire, alla fine?- chiese Azura, pettinandosi la chioma con le dita. Lui si ricordò solo in quel momento il motivo della sua visita.
-Oh, giusto, Lupin vorrebbe giocare a poker, vuoi venire?- lei sollevò un sopracciglio con fare sarcastico.
-Mm, quante chances ho contro di voi?- Jigen ghignò.
-Dipende, quanto sei brava?- Azura avvicinò il suo viso a quello di Jigen e sorrise, sorniona.
-Molto, molto brava.- Profumava di sale e di fiori. Jigen rimase immobile qualche secondo prima di scattare in piedi, provocando una risata a stento trattenuta della bionda.
-Bene,- disse calcandosi il cappello in testa. –ti aspettiamo di là, allora.- e fece per uscire. Sentì un fruscio di stoffe.
-Jigen…- quella voce gli provocò un brivido, fermandolo. –Non voltarti, ma aspetta un attimo.- Lui si girò quando lei glielo disse, giusto in tempo per vederla sistemarsi una spallina dell’abito blu.
-Mi aiuteresti con la zip?- gli chiese dandogli le spalle e spostando in avanti i lunghi capelli. “Dio, così mi uccide…” La stoffa lasciava intravedere la pelle perfettamente liscia della schiena. Non si era sbagliato: non portava il reggiseno. Jigen si avvicinò, esitante. Un lampo gli passò davanti gli occhi e si vide mentre la baciava per tutta la lunghezza della spina dorsale e faceva scivolare le mani sulla pancia piatta e più su... Scosse la testa per riprendersi e con mani sudate le chiuse la cerniera. Si passò una mano tra i capelli ed indietreggiò:
-Fatto.- disse, tossendo. –Ma perché ti vesti così elegante?- aggiunse. Azura si voltò. Era bella come una stella cometa.
-Siccome è l’ultima sera che passeremo insieme, volevo… rendervi onore. Tra l’altro ho dello champagne che credo gradirete. Come sto?- Jigen evitò di trattenere troppo lo sguardo sulle sue curve in evidenza.
-Bene. Stai molto bene.- lei ridacchiò. Che avesse intuito i suoi pensieri? Jigen sbuffò, voltando la testa. Azura gli andò vicino e, appoggiandosi alle sue spalle, gli scoccò un bacio sulla guancia. Poi gli sussurrò all’orecchio:
-Sai cosa dicono degli abiti? Che non hanno senso a meno che ispirino gli uomini a volerteli togliere di dosso.- lui si irrigidì. Aveva una gran voglia di afferrarla e prenderla lì, al diavolo tutto. In fondo lei continuava a proporsi, a farsi avanti… non capiva perché dopo averlo rifiutato adesso lo ritraeva a sé. Alla fine disse, girando la testa e allontanandola per le spalle:
-Ci stanno aspettando.- Azura sorrise “Quell’ombra sul suo viso… è delusione?” si chiese l’americano. La bionda gli prese una mano.
-Hai ragione. Andiamo.-

***

-Ah, finalmente! Iniziavo a chiedermi se per caso non vi foste ammazzati a vicenda!- Il francese vide Azura e si alzò in piedi.
-Wow, quanta eleganza! Siete bellissima, mademoiselle!- Azura sorrise e fece una piroetta felice. Lupin le andò a fare il baciamano, provocando uno sbuffo di gelosia sia da parte di Fujiko che da quella di un certo americano scontroso. Sorridendo imbarazzato, il ladro si sfregò le mani.
-Forza! S’inizia a giocare! Vediamo chi batterà Arsenio L’Invincibile!-
-Arsenio l’Invincibile?- Azura si girò con perplessità divertita verso Jigen che, freddo, si strinse nelle spalle. Si sedettero davanti al francese, seguiti a ruota da Fujiko, che si inserì fra Lupin e Azura, chiusa in un silenzio… tra il nobile e lo sdegnoso. Azura guardò sottecchi il francese e ridacchiò. Finalmente iniziarono a giocare. Passarono poche mani che Lupin si trovò in netto svantaggio.
-Invincibile? Credo proprio che tu stia per essere detronizzato.- rise Fujiko a vedere l’espressione disperata di Lupin. Lei aveva vinto quasi sempre e ormai la tensione con Azura si era allentata. L’atmosfera sembrava delle migliori, le due donne erano in netto vantaggio rispetto ai due amici che, poveretti, stavano perdendo tutto. Alle risate si aggiunse anche quella di Goemon, a cui era impossibile rimanere impassibile.
-Fujiko! Quello era il quinto asso che tiri fuori! Non è possibile!-
-Ah-ah, mon amour, è solo il terzo, impara a contare.-
-Uffa, esco!- si lamentò Azura, abbandonando le proprie carte e dando una sbirciata a quelle della giapponesina.
-Accidenti! Con queste vinci subito!-
-Azura!- la bionda si tappò la bocca, colpevole. Jigen e Lupin si lanciarono un’occhiata e gettarono con rabbia le carte sul tavolo. Azura guardò con aria abbattuta Fujiko.
-Scusa.- la mora fece spallucce.
-Nessun problema.- e buttò sul tavolo una serie di carte talmente basse che insieme non formavano che una misera coppia di tre.
-Oh, ma andiamo!!- fece Lupin, buttandosi all’indietro sulla sedia in segno di esasperazione. –Se vi mettete pure in combutta non ce la faremo mai!- le due donne su guardarono e scoppiarono a ridere. Lupin, sconsolato si voltò verso Goemon per una consolazione, ma c’era qualcosa di strano. Il samurai, in piedi dietro di lui, era diventato di colpo pallidissimo.
-Goemon… ti senti bene?-
-Qualcosa non va… la testa… mi fa male…- Un tonfo distolse anche gli altri dal gioco: Goemon era appena caduto a terra. Si guardarono l’un l’altro, perplessi, poi il samurai iniziò a contorcersi in spasmi violenti sul pavimento. I quattro si raccolsero attorno a lui.
–Goemon! Cos’hai?!- Lupin non riuscì a dire o fare altro che sentì un pizzicore sulla nuca e poi stramazzò anche lui lungo disteso. Dal collo reclinato, brillò un ago, conficcato nell’arteria. Fujiko si chinò su di lui, estraendo l’ago con le unghie:
-Lupin!- poco dopo si accasciò accanto al francese con un gemito. Jigen estrasse la pistola, rendendosi conto che Goemon aveva fatto da esca e che, con tutti loro riuniti in un unico punto, chiunque li stesse attaccando aveva lavoro facile:
-Azura, stai giù!- ma sentì un colpo fortissimo alla nuca e crollò  anche lui. Nella nebbia dello stordimento vide una figura alta e scura avvicinarsi ad Azura e prenderla per i capelli. Provò ad allungare una mano, provò a chiamarla, provò a non cedere al buio… provò… ma fu inutile.




TANTANTAAAAAAAN
Ora iniziano i casini ;)

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Capitolo 14
*** Menzogne ***


~~Capitolo 14

Una ventina di uomini con una fascia rossa e gialla al braccio avevano invaso la casa, ispezionandola da cima a fondo e distruggendo ciò che reputavano inutile. Un uomo bloccava Azura, impedendole di difendere casa sua e i suoi amici.
-Ma che brava la mia bambina! Sei stata eccezionale, anzi, incredibile! Finisco sempre per stupirmi delle tue abilità di attrice.- Algol le prese le guance con la mano, tappandole la bocca. Azura era infuriata. Cercò di allontanarlo:
-Cosa stai facendo? Questo non era parte di alcun piano! Avevi detto che avevi finito qui!- urlò, liberandosi per qualche secondo. Algol giocò con una ciocca dei suoi capelli:
-Ehi, io sono il capo, faccio quello che mi pare! Potrei anche decidere di tenere questi qui per un po’ con me… sai, per divertirmi. Ah,- aggiunse scurendosi in volto –e qui non ho finito.- la spinse contro un muro ed estrasse da una tasca il diamante di Itzamnà. “Cosa lo ha portato a fare, quello?” si chiese, Azura. Algol lo sollevò sopra la testa e lo scagliò per terra. Il diamante andò in mille pezzi.
-Perché l’hai fatto?!- gridò Azura. Poi guardò il pavimento e il cuore le saltò un battito: il parquet era intonso. Nessun graffio. Un diamante che non scalfisce il legno?
-Esatto Azura. Era un falso.- lei iniziò a tremare dalla testa ai piedi, incontrollabilmente. Guardò Algol che ora la sovrastava.
-Credevi d’ingannarmi, piccola stupida?- le strappò l’abito, lasciandola mezza nuda. La sbatté contro la parete e le bloccò le mani sopra la testa.
-Credevi che non me ne sarei accorto?! Eh?! Ora t’insegno io a prendermi per il culo, puttanella.- Azura gridò, cercando di liberarsi, ma non riusciva a muoversi. Algol le tappò la bocca con un bacio soffocante e violento, che le fece uscire sangue dalla lingua. La mano che non gli teneva le braccia era scivolata giù, e stava per passare sotto le mutandine, quando…
-Signore…- una voce dall’accento inglese interruppe quella tortura. Algol si voltò verso Nixon (che aveva una nuova cicatrice lungo il viso), furioso, notando solo in quel momento che tutti i suoi uomini lo stavano guardando.
-Che avete da fissare, voi?! Tornate a lavorare e trovatemi quel fottuto diamante! Dev’essere qui, da qualche parte.-
-Actually…- lo interruppe Nixon, estraendo dalla tasca il vero diamante di Itzamnà. –Lo abbiamo trovato addosso alla donna di là.- e indicò Fujiko. Azura, che si era rannicchiata per terra e cercava di coprire il corpo praticamente nudo dagli sguardi avidi da lupi famelici di tutti quegli uomini, rimase scioccata. “Fujiko ha… mi ha ingannato…” Ecco… i suoi cosiddetti amici si erano rivelati per quello che erano: solo dei ladri. Degli schifosi ladri. Esattamente come lei, d’altra parte. Come aveva potuto pensare che le volessero bene? L’avevano solo usata e si erano finti gentili quando lei aveva offerto loro l’occasione di arricchirsi. Quindi anche Jigen… le vennero le lacrime agli occhi. Algol, decisamente soddisfatto, sembrò ricordarsi solo in quel momento di lei:
-Allora, bimba, si vede che mi sono sbagliato, in fondo non è stata colpa tua. Dimmi, ti vorrai vendicare no? Cosa ne faccio di questi quattro ladruncoli? Li faccio frustare o li faccio dissanguare dai piedi? Magari li metto in una gabbia di serpenti! Anzi no, di formiche rosse! Ricoperti di miele, ovviamente. Le piccolette fanno male quando mordono, sai?- Azura lo guardò con odio. Lui scoppiò a ridere.
 -Che paura mi fai! Mi è venuta la pelle d’oca, sai? Ascolta piccola…- la sua voce divenne più calma e minacciosa allo stesso tempo:
- Sai che sono una persona ragionevole: ultimamente tu mi hai deluso troppe volte. Una punizione la meriti. E la meritano loro per aver provato a portarmi via questo splendore.- disse facendo brillare il diamante nelle sue mani. –Tuttavia, se tu mi prometterai che d’ora in avanti mi ubbidirai in tutto e per tutto potrei lasciarli vivere, e magari liberare qualcuno della tua famiglia. Ma sappi che quando dico tutto… intendo ogni singola cosa: se ti dovessi chiedere di leccare merda di mucca tu lo farai e lo dovrai fare con piacere.- Algol s’inginocchiò davanti a lei per avere gli occhi alla stessa altezza.
-Allora, che ne dici? Smetti di soffrire così, lasciami scegliere per te, annullati per me: tante persone ne usciranno bene, te lo prometto.- Azura si ricordò di quello che aveva detto Jigen, mentre erano in camera sua: lei avrebbe dovuto lottare per non mettere la propria vita in mano agli altri. Ma era sola. Jigen, tutti loro, si erano rivelati per essere falsi, come tutti gli altri nel mondo. E lei si era trovata di nuovo sola. Non gli avrebbe dato più retta. Avrebbe accettato. Li avrebbe fatti sopravvivere in quel modo, e non era sicura di volerlo, ma era sicura di voler che altre due persone rimanessero in vita. Erano le uniche persone a cui sarebbe importato che lei mantenesse la sua dignità non accettando quel patto col diavolo, ma se non l’avesse fatto, sarebbero morte. Quindi, perché no? Strisciando, andò in camera sua a testa bassa e buttò dentro una borsa da palestra qualche vestito alla rinfusa. Aprì un cassetto per prendere i pugnali e lo sguardo le cadde su un piccolo oggettino d’argento. L’accendino di Jigen. Lo prese tra due dita. Lo buttò nella borsa insieme alle armi: le avrebbe ricordato ciò che non avrebbe nemmeno più dovuto sognare. Tornò in sala. Andò vicino e guardò Algol negli occhi.
-Mi prometti che li lascerai andare tutti quanti? Vivi?- lui sorrise dolcemente.
-Lo giuro su questo diamante. Lo sai no, - disse, facendole l’occhiolino –un diamante è per sempre.- e scoppiò a ridere.

***

Non riuscì subito a ricordare cosa fosse successo e a capire dove si trovasse. La prima cosa che sentì fu un mal di testa tremendo, seguito a nausea e giramenti. Si mise a sedere a fatica, cercando di non vomitare. Era disteso per terra in una cella. Non c’erano finestre e dalla fessura sbarrata della porta di legno proveniva un unico, flebile, raggio di luce. Vide il suo cappello per terra: lo spolverò e se lo calcò in testa. Accanto a sé vide Goemon e Lupin che non avevano ancora ripreso i sensi. “LEI dov’è?!” Pensò, già con un pizzico di panico. Sentì un tonfo e una voce femminile venire dalla cella di fronte:
-Fujiko! Sei tu?- risposta affermativa.
–Jigen! Sì, sono io, Lupin e Goemon sono con te?-
-Sì. A…-
-No. Azura non è con me.- Jigen sentì la paura congelargli il respiro. Si sforzò di restare calmo:
-Sai dove ci troviamo?- sentì dei colpi di tosse venire da dietro di lui. Si precipitò dai suoi amici che stavano riprendendo conoscenza:
-Tutto bene ragazzi?- Lupin si massaggiò la testa:
-Sì, mi sento così bene che, ah!- gemette, appoggiandosi alla parete.
-Ti prego, non gridare, mi sta scoppiando la testa!- Goemon sembrava essere quello messo peggio di tutti. Doveva aver ricevuto una maggior quantità di veleno o qualunque cosa fosse la sostanza che li aveva addormentati. Infatti si diresse verso il buco che fungeva da bagno e buttò fuori anche l’anima. Si sentì di nuovo la voce di Fujiko:
-Che succede? Lupin sta male?-
-Cherie! Ti sei preoccupata per me!- probabilmente Fujiko era arrossita perché strillò:
-No, non è assolutamente vero!-
-Ti prego abbassa la voce…- si lamentò Goemon, prima di dare di nuovo di stomaco. Lupin si aggrappò alla finestrella della porta per guardare fuori. Purtroppo riuscì a vedere solo un lungo corridoio illuminato da una luce bianca e malsana. Vide delle scale che salivano e delle barre di ferro a da cui pendevano catene appese ad una parete-
-Okay, qualcuno di voi sa dove siamo?- chiese
-Speravo che lo sapeste voi!- rispose Fujiko. La voce debole di Goemon li fece zittire tutti:
-Siamo su una base galleggiante.-
-E tu come lo sai?-
-Donna, se tacessi per pochi minuti, sentiresti il rumore delle onde da tutt’intorno a noi, ma noteresti anche che non dondoliamo come se fossimo su una barca.-
-Senti tu, spadaccino dei miei stivali, perché non vai a farti una nuotata nel…- Aveva alzato ancora troppo la voce e Goemon si dovette buttare di nuovo sul gabinetto. Jigen cercava di aiutarlo come meglio poteva  mentre Lupin studiava un piano per evadere. Un cigolio li interruppe. Dal corridoio provenivano dei passi pesanti. Un uomo dai capelli bianchi che ormai conoscevano bene con una nuova cicatrice che scendeva fino al collo, batté sulle porte blindate delle celle con un piede di porco. Poi, dopo essersi assicurato e i quattro fossero tutti svegli, smanettò con le chiavi e aprì la porta della loro prigione:
-Master Algol vuole vedervi.- senza tanti complimenti li legò insieme a una lunga asta di ferro a cui era attaccato un peso. Costrinse Goemon, ancora debolissimo, ad alzarsi. Jigen dovette aiutarlo a reggersi in piedi. Nixon prese anche Fujiko e la legò con loro. Poi prese per un braccio Lupin e li condusse per varie scalinate. Sbucarono in un vasto salone, abbastanza vuoto, tranne che per una poltrona riccamente decorata e semi nascosta dall’ombra di due tende purpuree. Su di essa sedeva una figura alta e muscolosa: teneva una gamba appoggiata a un bracciolo, la testa era sostenuta da una mano mentre con l’altra giocherellava con il diamante di Itzamnà. Tutti, eccetto Fujiko, che pensò con rabbia a quali luride mani le potessero aver controllato il reggiseno, si chiesero come ne fosse entrato in possesso. E purtroppo, i loro pensieri corsero ad Azura. Aveva mentito? Era questo ciò che nascondeva? No, lei non era lì, ovunque fosse non era lì. Forse era stata catturata, o peggio, uccisa. Ad ogni modo, quell’uomo che li guardava con occhi ferini doveva essere “Master” Algol perchè Nixon spinse a terra Lupin che, legato, trascinò giù anche gli altri. Ora erano inginocchiati davanti a quella presenza inquietante. Jigen si guardò intorno, cercando una via d’uscita: la fortuna volle che non ce ne fosse neanche una, tranne quella sorvegliata da altri due uomini con i mitra da cui erano appena entrati.
-Benvenuti, carissimi amici. Io sono Algol. –
-Quindi sei tu il capo di questa mafia…- uno sparo colpì la spalla di Lupin.
–Lupin!- Algol se la rideva:
-Che bel coretto che avete fatto, voi altri! Siete disponibili per matrimoni e compleanni?- Lupin si sollevò, dolorante. Algol ghignò.
-Prima regola per quando sarete al mio cospetto: voi non parlate, rispondete alle mie domande e basta.-
-Lupin, sta’ fermo, perdi sangue!-  gli mormorò Fujiko, aiutandolo a rimettersi in ginocchio. Per fortuna la ferita sembrava superficiale. Algol sembrò stupirsi:
–Oh-oh, Arsenio! Hai un’ammiratrice!- si avvicinò alla donna, chinandosi di fronte a lei:
-E che ammiratrice…- Lupin digrignò i denti e provò ad alzarsi in piedi.
-Stalle… lontano!- Nixon lo colpì alla nuca con il calcio del fucile:
-Stay down! Porta più rispetto per il Master!-
-Tranquillo Nixon, è del tutto normale che reagiscano così, sono ancora scombussolati. Vedrai che un po’ di digiuno li metterà in riga.- si tirò in piedi e voltò loro le spalle.
–Portali via.- ordinò. L’albino stava per tirarli di nuovo su con la forza quando Algol puntualizzò:
-Ah, non tutti, tenente. Quello col cappello e l’aria depressa lascialo qui. Ci voglio chiacchierare un po’. E lasciateci soli.- Mentre i suoi amici venivano trascinati via e la porta veniva sprangata, Jigen si ritrovò di nuovo in ginocchio davanti ad Algol. Quell’uomo dai tratti leonini iniziò a girargli intorno. Sembrava esaminarlo con cura: gli sfiorò i capelli, gli tastò le braccia e lo osservò da ogni angolazione. Ma che vuole? Algol gli si mise davanti e inclinò la testa, come un bambino che non capisce:
-Bah, non vedo nulla di speciale in te. Cos’hai di diverso?- Jigen si limitò a fissarlo.
–Mm… capelli neri, occhi neri, carnagione olivastra… potremmo essere gemelli!- Algol fece un sorriso ironico.
–Ti piacerebbe avere un po’ del mio sangue nelle vene. Purtroppo non tutti sono fortunati come me. Però non capisco cosa ci trovi di così interessante in uno come te…- Jigen si confuse ancora di più. Algol ricominciò il giro:
-Intendo Azura.- il cuore di Jigen perse un colpo. Algol si accorse di aver fatto centro. Gli appoggiò le mani sulle spalle e iniziò a sussurrargli all’orecchio:
-Ho toccato un tasto delicato? È bella, vero? È combattiva! Ma anche molto dolce, giusto? Vi ho visti in camera sua, devo dire di essere geloso… ma credo che tu dentro le mutande non sia così uomo, visto che non hai combinato niente alla fine. Ho dovuto soddisfarla io da quel punto di vista…- Jigen a quel punto scattò in avanti, colpendolo in pancia con una spallata:
-LEI DOV’È?! E COSA LE HAI FATTO FIGLIO DI…- Algol rise, senza essere minimamente turbato, e con un piede lo spinse a faccia in giù sul pavimento. Gli tenne la testa attaccata alle piastrelle come se stesse spegnendo un mozzicone di sigaretta.
–Sta bene, non ti agitare.- si chinò e si avvicinò al suo orecchio, la voce diventata rabbiosa.
-Dovresti preoccuparti più per te stesso. Tu credi che io non sappia, che non ricordi chi sei tu e quello che hai fatto a mio fratello?!- con un gesto rapido gli prese un braccio mettendolo in leva e rischiando di slogargli le spalle. Jigen strinse i denti per non farsi sfuggire un lamento.
–Non te lo ricordi? Aspetta che ti rinfreschi la memoria!- lo fece alzare e lo sbatté contro il muro:
-Otto anni fa, vero? Mio fratello, io, tu e quell’idiota del tuo amico con la giacca rossa.- lasciò libero Jigen che scivolò a terra. Con un calcio lo fece scivolare pochi passi più in là. “Quant’è forte…” Jigen aveva la vista appannata. Algol lo stava raggiungendo con la follia che gli distorceva i lineamenti in un ghigno terrificante. Sembrava strafatto di coca.
–Ancora niente?- lo sollevò per il colletto: -Bene!- lo lanciò al centro del salone.
–Allora ti dico anche cosa: un rubino, grande poco più di una noce. Ah, e la tua dannata pistola. Ora ti è tornato in mente?- gli strinse la gola con una mano.
–Quindi? Sto aspettando una risposta!!- Jigen sentì il sapore del sangue in bocca.
–Allora?!- Algol strinse di più la presa. Jigen riuscì a muovere una gamba e calciarlo via. Riprese fiato a grandi boccate. Algol lo sollevò per i capelli.
-Ci avete rubato un gioiello prezioso. Mi avete ucciso il fratello. E adesso state di nuovo interferendo. Il vostro culo flaccido non potevate tenerlo a casa, vero?- lo girò pancia a terra e si sedette a gambe incrociate sulla sua schiena, togliendogli il respiro.
-Il diamante di Itzamnà è mio. Ci avevo messo gli occhi sopra molto prima di voi e me lo avete soffiato. E poi nemmeno il tritolo basta a farvi morire, dovete per forza salvarvi e continuare a rompere le palle.- Algol si alzò, mollò un pestone alla schiena di Jigen e, soddisfatto, tornò a sedersi sulla poltrona. Suonò un campanello e appoggiò la testa a una mano.
–Ma la fortuna gira. E siete capitati nelle mani di una delle migliori. Sai Daisuke…- Jigen lo guardò con odio, ma Algol non ci fece caso.
–Azura… quella donna… Dio quanto mi eccita. L’ho studiata a lungo. È straordinaria, è… perfetta per ciò che ho in mente.- Jigen si pulì il graffio sulla guancia strusciandosela sulla spalla. Provava una furia omicida che non gli apparteneva.
–Io la conosco bene, meglio di quanto nessuno l’abbia mai conosciuta.- Nixon rientrò nella sala. Jigen fece per scagliarsi di nuovo contro Algol: arrivò vicino pochi millimetri da lui prima che l’albino lo prendesse per i capelli, costringendolo in ginocchio.
–Perché devi sapere, caro Jigen, che lei non ha sentimenti… o almeno, non ne ha più.- le catene scattarono legandolo alla sbarra di ferro.
–Ha solo uno scopo, che non t’interessa sapere. Ma la cosa migliore è un'altra, sai quale? Non voglio rompere il tuo cuoricino, ma una volta qualcuno aveva detto che è meglio essere feriti dalla verità che consolati da una menzogna.-
-Vai al diavolo! Sei un pazzo! Dimmi cosa le hai fatto!- gli gridò l’americano. Nixon gli sferrò una ginocchiata nello stomaco per farlo smettere di dimenarsi.
-Tranquillo, morirò a mio tempo, ma solo dopo di te, Daisuke.- Algol gli venne vicino in un istante
–Lei vi ha preso in giro dall’inizio alla fine.- Jigen non capì, o non volle capire. Algol fece un gesto con le dita e dall’ombra avanzò una figura sottile che Jigen conosceva troppo bene. “No… non può essere…” Doveva essere il ritratto dello stupito e del disperato, perché Algol si stava divertendo.
-Proprio così, non ti appartiene, non ti è mai appartenuta, perché lei lavora per me.- Jigen, ferito nel corpo, nel cuore e nell’orgoglio, si lasciò portare dal carceriere nelle tenebre della sua prigione.




Quattro chiacchiere
Altro mega capitolo. Spero sia di vostro gradimento. Ditemi che ne pensate, tutto quello che dite mi è utile per migliorare. Grazie a tutti :)

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Capitolo 15
*** Torture ***


~~Capitolo 15

“Da quanto tempo siamo qui?” Due, tre, quattro giorni? Ormai l’unico modo per sapere lo scandire del tempo era contare le gocce d’acqua che da qualche parte cadevano in una pozzanghera. Lupin guardò il suo socio: se ne stava in un angolo a testa china. Da quando era tornato dalla chiacchierata con Algol, pieno di lividi, sputando sangue, aveva parlato solo per dirgli quello che aveva saputo su Azura e sull’identità di Algol stesso. Poi non aveva più aperto bocca. Se ne stava lì, seduto. Non lo aveva mai visto in quello stato. Non aveva mai reagito così, nemmeno quando la furba di turno approfittava del suo cuore tenero. Non aveva reagito né alle sue battute tremende sull’umidità, né ai goffi tentativi di Goemon di tirarlo su di morale. Volle fare un altro tentativo: il samurai si era addormentato e anche Fujiko, che quella volta era stata messa nella loro stessa cella, sembrava dormire. Era il momento ideale. Gli si sedette affianco, in silenzio. Aspettò per molto tempo, per circa centoundici gocce d’acqua. Alla centododicesima, Jigen socchiuse le labbra:
-Io… dicevo che non mi fidavo di lei. Non era vero: le credevo. Ogni singola parola che ha detto… per me era vera.-
-Le credevamo tutti, non ti incolpare di ciò che è successo.- Jigen scosse la testa:
-Se avessi ascoltato Fujiko e non vi avessi chiesto di… magari adesso saremmo in Australia a prendere il sole. Se non avessi dato retta a quella… donna, se non avessi creduto ai suoi modi gentili… se non mi fossi fatto convincere come un idiota a darle ascolto…- buttò la testa all’indietro, colpendo la roccia con la nuca. Lupin stette in silenzio, aspettando il continuo:
-…e se non avessi sparato quel maledetto giorno… Algol non si sarebbe nemmeno mai messo sulle nostre tracce. Magari non sarebbe nemmeno arrivato a fare tutto questo.- Lupin sospirò.
–Ti stai pentendo di avermi salvato, quel giorno? Se veramente non avessi sparato, io probabilmente non sarei qui. - Jigen scosse la testa e si portò una mano al viso.
–No Lupin, no. Scusami, tu sei un vero amico. Ringrazio ogni giorno di averti incontrato.-
-Lo stesso vale per me.- rimasero così, seduti in silenzio, un po’ in imbarazzo per quelle frasi sdolcinate che non si addicevano ai loro caratteri.
-Cosa facciamo ora?- chiese Jigen.
-Cerchiamo il modo di andarcene.- disse Lupin.
-Hai già un’idea?-
-Nove, per la verità.- Jigen sorrise. Il suo amico era per davvero un genio. Duecentosettanta gocce d’acqua più tardi la porta venne aperta, svegliando Goemon. Nessuno poté reagire: Nixon afferrò Lupin per la spalla ferita e lo trascinò fuori.
–Lupin!- Fujiko aveva perso tutto il colore in viso e si aggrappò alla finestrella della porta già chiusa. Lupin si voltò verso i suoi tre amici:
-Tranquilli, starò bene!- “Beh, più facile a dirsi che a farsi”, pensò quando l’albino gli spinse in avanti la testa. Gli fece percorrere una strada diversa da quella che conduceva al salone, questa non saliva fin sopra la superficie dell’acqua. Mentre camminavano incontrarono un piccolo convoglio formato da un paio di sentinelle che scortavano un ragazzino. “Avrà al massimo tredici anni… cosa ci fa qui?” I suoi occhi e quelli del ragazzino si incrociarono per un attimo, poi Nixon gli spinse la testa di nuovo in avanti, per farlo accelerare. Arrivarono in una stanza completamente vuota, fatta eccezione di un tavolo e di un pannello di comandi. Nixon costrinse Lupin a stendersi sul tavolo da cui uscirono dei lacci. Legò Lupin bello stretto, a pancia in giù. Il ladro non riusciva a vedere cosa stesse facendo, ma sentì il sibilo del metallo e del fuoco. Degli altri passi gli fecero capire che Algol era arrivato.
–Sono venuto a iniziare lo spettacolo.- Il viso folle dell’uomo gli occupò il campo visivo:
-Vediamo quanto ci vuole per farti urlare di dolore… ti avverto: i tuoi amichetti sono a pochi muri di distanza, potrebbero sentirti, non li vorrai far preoccupare, vero? Comunque, finché non morirai o non perderai conoscenza, la tortura andrà avanti. Ti piace questo gioco? Scommetto di sì.- gli tirò in su la fronte per poterlo guardare meglio:
-In fondo mi capisci vero? Sai quanto sia facile annoiarsi per una mente geniale… in fondo noi due siamo uguali…-
-Non credo proprio, tu sei uno psicopatico.- Ad Algol non piacque la risposta. Afferrò una lama incandescente e gliela fece passare davanti agli occhi. Poi gli girò attorno e Lupin poté solo vedere il muro illuminato di verde. L’ombra del braccio di Algol calò su di lui. Un dolore lancinante gli percorse la schiena mentre sentiva il sangue che gli colava sui fianchi e non riuscì a trattenere un urlo. Sentì un risolino sadico e di nuovo il coltello infuocato gli ustionò le spalle. Emise un piccolo ringhio e Algol gli fu davanti:
-Cosa? Scusa, non ho sentito bene, hai detto qualcosa?- Lupin lo guardò con odio:
-Ok, allora continuo…- mentre parlava, gli passò la lama per tutta la lunghezza del braccio.
–Come ti senti?- Lupin sorrise, beffardo:
-Beh, mi sembra di starmi facendo fare un tatuaggio tribale.- Algol emise un ringhio di rabbia: con un fluido movimento del braccio disegnò due enormi tagli sulla sua schiena. Lupin era sul punto di gridare, così premette la bocca sul metallo del lettino, costringendo la voce a tornare indietro.
–Oh, non mi deludi mai. Ti va ancora di fare lo spiritoso?- Lupin socchiuse gli occhi:
-Amico, io sono spiritoso. E bello e intelligente e furbo e…- strinse i denti per non urlare quando Algol gli fece un altro taglio, più piccolo, ma molto più profondo. Ora Algol sembrava scocciato.
-Uffa, che noia, e strilla un po’! Mm, ehi, a proposito di strilli… e se portassimo qui la tua ammiratrice? Cosa ne dici?- Lupin ora era una maschera di terrore:
-Non farlo!- Algol recuperò sadismo ed entusiasmo:
-E perché no? Cosa mi potresti fare?- Lupin sostenne con fierezza il suo sguardo:
-Meglio non conoscere i miei desideri.- Algol scoppiò in una risata:
-Sei proprio divertente, uno spasso, lo sai?- altra risata.
–Insomma, cosa vuoi da noi?!- Algol assunse l’espressione di un bimbo capriccioso:
-Voglio giocare un po’ con voi. D’altra parte,- gli si avvicinò –ho sete di vendetta.- e con un’altra, folle risata, affondò nuovamente la lama nella pelle di Lupin. “Starò bene. Starò bene. STARO’ BENE.”

***

Dopo di lui venne il turno di Goemon, poi di Jigen. Poi il ciclo ricominciava. A volte venivano portati a coppie e venivano costretti a vedersi soffrire a vicenda. Ma mai nessuno gridò. Niente che non fossero piccoli gemiti, scappò dalle loro gole. Venivano curati giornalmente: Algol voleva giocare con loro a lungo e a Fujiko era stato dato un kit di pronto soccorso allo scopo di aiutarli nella guarigione. Avevano cercato in mille modi di fuggire, almeno due volte al giorno, ma nessuna tecnica sembrava funzionare. Lupin aveva finito le idee. Lentamente, ma inesorabilmente, la rassegnazione a un futuro breve segnato solo dal dolore fisico, si stava insinuando nelle menti di tutti. Quel giorno nessuno venne portato alla sala delle torture. Furono informati del tempo che era trascorso: avevano sopportato nove giorni di frustate e ferite varie. Fujiko stava fasciando alcune pugnalate sul braccio di Goemon, che era ancora dolorante per l’ultimo giro sui tizzoni, quando Nixon spalancò la porta. Lupin alzò la testa, pronto ad essere di nuovo frustato o chissà cos’altro, ma il boia aveva progetti diversi quella volta. Deboli e incapaci di reagire, Lupin e Jigen si fecero sollevare. Non opposero resistenza neanche quando l’inglese legò i loro polsi a delle catene appese al muro. Vennero loro bloccati anche le caviglie. Lo stesso procedimento venne seguito con Goemon, privo di sensi, e Fujiko che si dimostrò la più difficile da convincere (anche se la superiorità fisica dell’albino era netta). L’uomo bofonchiò qualcosa in una radiolina e il muro a cui erano stati agganciati i quattro iniziò a scorrere verso l’alto. Come un ascensore, la parete arrivò al salone. Questa volta, però, vennero nascosti dal resto della sala con un tendone.
–Cosa vogliono farci?- chiese Fujiko, sull’orlo di una crisi isterica. Lupin tentò di tranquillizzarla:
-Non ne ho idea, ma non credo che ci vogliano fare del male.- “Purtroppo credo che sarà solo estremamente umiliante” pensò Lupin che stava piano piano mettendo insieme le tessere del puzzle. Passarono pochi minuti che udì due voci entrare nella sala. Una maschile, forte e aggressiva che conosceva benissimo ormai, e una femminile, remissiva e bassa. Sbarrò gli occhi quando capì di chi si trattasse:
-Non può essere lei.- Jigen, che l’aveva riconosciuta subito, aveva l’espressione di chi ha il cuore pronto ad andare in frantumi, ma ora tutto divenne più reale e lucido nella sua mente: Azura era dietro quel tendone.

***

Algol le circondava le spalle con un braccio. La obbligò a sedersi sulle sue gambe quando lui si accomodò sul proprio trono.
-Sei stata molto brava, Azura, molto, molto brava. Impari in fretta.- lei mantenne lo sguardo basso. Non guardava nulla. Non pensava nulla. Non… sentiva più nulla. Algol l’aveva trasformata nella sua bambola, poteva dire, fare, guardare, provare solo quello che voleva lui. Ora le curava anche il cibo che doveva mangiare e gli abiti da indossare. In quel momento, ad esempio, lei indossava un abito nero corto e molto scollato, delle autoreggenti e dei tacchi a spillo vertiginosi. I suoi capelli erano raccolti in un elegante chignon e in viso portava un leggero trucco dark. Quel giorno Algol voleva al suo fianco una ribelle. Un corvo senza più ali.
-Ora che abbiamo finito col tuo addestramento… e ora che sei definitivamente mia…- mormorò lui, sfiorando con l’indice il tatuaggio a forma di spirale spezzata che Azura aveva sullo sterno.
-…sappi che non ci separeremo mai più. Tu starai sempre e solo al mio fianco.- lei ancora non ebbe reazioni.
-Alza la testa, Azura.- lei obbedì. Lui le morse il collo e il mento e le guance. Azura si lasciò sfuggire un respiro più lungo degli altri.
-Chi ti ha detto di sospirare?- Azura si pietrificò.
-Vi chiedo scusa, grande maestro. Sono indegna di essere al vostro fianco.- disse, ripetendo la formula che le era stata insegnata. Algol aveva uno sguardo terribile, ma sorrise.
-Sì, lo sei. Ma per questa volta passi. Ti devo mostrare una cosa. Sei una brava bimba in fondo, e le brave bimbe meritano di divertirsi. Meriti uno spettacolo di burattini! Ragazzi! Sollevate il sipario!- Azura non girò nemmeno la testa. Nemmeno quando sentì che chi era stato nascosto dietro il velluto non erano altri che i suoi ex amici.
-Guardali, Azura.- lei obbedì. Fujiko che era l’unica con abbastanza energie da urlare, la stava insultando in modi irripetibili. Goemon era svenuto. Lupin la osservava, stupito. Jigen sembrava distrutto, nel corpo e nell’anima. Tutti portavano in bella vista i segni delle torture subite. Azura non sentì nulla. Il suo stomaco si contrasse un po’ a quella visione, ma nulla di più. Azura non esisteva più. Le era rimasto solo il nome. E lo usava solo il maestro. Algol si gustò la scena come un bambino quando vede uno spettacolo divertente: inclinò leggermente la testa e sgranò gli occhi, sempre con il suo sorriso strafottente stampato sulla faccia. Presto, visto che Azura non aveva nessuna reazione, anche Fujiko si zittì. Algol allora ordinò:
-Salutali, Azura.- la donna si tirò in piedi e fece un perfetto inchino da dama vittoriana. Non li guardava negli occhi, aveva lo sguardo vacuo puntato sul muro dietro di loro, e parlò:
-Piacere di incontrarvi, banda di Lupin.- un silenzio affilato tagliò la sala.
-Azura, cosa stai facendo?!- le gridò il francese, che non capiva. Si rivolse ad Algol.
-Cosa le hai fatto?!- Nixon fece per andare a zittirlo a suon di pugni, ma Algol gli fece segno di fermarsi.
-Caro Lupin,- iniziò, con un ghigno divertito. –io non ho fatto proprio niente. È stata Azura a donarsi completamente a me. Ora sono io a comandarla, in tutto e per tutto. Dio, sono io che le dico di vivere.- con una mano invadente le andò vicino e le accarezzò le cosce, fin sotto la gonna. Azura non reagiva. Jigen non ce la fece a trattenersi.
-FERMO BASTARDO! NON OSARE TOCCARLA!- L’urlo che aveva tirato sembrò congelare l’aria. Azura, sempre con espressione impassibile, si limitò a spostare lo sguardo dal vuoto al suo volto sfigurato dalla rabbia. Durò pochi secondi, e nemmeno in quel brevissimo lasso di tempo i loro occhi si incrociarono. Algol ora faceva guizzare gli occhi dall’uno all’altra e sogghignò:
-Ah… allora è proprio questo… l’Amore… un grande, grandissimo errore.- prese violentemente il viso di Azura e la baciò, a lungo. Lei non si mosse. Sentiva che lo sguardo di Jigen non li lasciava un attimo, ma non provò nulla che non fosse un pizzico di rimpianto.
-Baciami, Azura, fagli vedere cosa si è perso.- ringhiò Algol a bassa voce. Azura chiuse gli occhi e gli circondò il collo con le braccia, rispondendo ai suoi movimenti con le labbra. Jigen distolse lo sguardo. Gli faceva male la mascella da tanto stava stringendo i denti. Algol se ne accorse e smise di baciarla.
-Cosa succede, Jigen? Non ti piace quello che vedi? Avresti dovuto farti furbo e fare ciò che ho fatto io. Ora lei risponde solo ai miei ordini. Azura,- disse, ghignando.- lecca il pavimento.- lei, con la grazia di una ballerina fece un paio di passi avanti per non disturbare Algol, andò a carponi e ubbidì. Ora quella più stupita era Fujiko che di certo non avrebbe mai creduto che una donna potesse spezzarsi così. Letteralmente. Lupin gridò:
-Azura! Non devi farlo! La tua dignità non ha un prezzo così basso!- Azura ora era in ginocchio sul pavimento, a testa bassa, in attesa di nuovi ordini.
-Mi avevi detto, - proseguì Jigen, sull’onda della foga dell’amico –che avresti lottato per riprendere la tua vita in mano!- qualcosa brillò dietro quegli occhi azzurri. C’era ancora qualcuno disposto a combattere lì dentro. Solo non voleva uscire. Chi o cosa stava proteggendo per essere disposta ad annullarsi così ? Lupin lo capì subito.
-Azura! Cosa credi che direbbe tuo padre, se ti vedesse così?- quella frase fece raddrizzare immediatamente la testa alla donna. Aveva fatto centro. E anche Algol se ne era accorto.
-Azura, non ti azzardare. Vieni qui.-
-No Azura, liberaci. Noi ti possiamo aiutare.- la donna era bloccata in mezzo alla stanza. Il suo volto era il ritratto di un mondo che crolla.
-Azura! Vieni subito qui! Ricordati quali conseguenze potrebbero avere le tue azioni.- ed ecco che la luce si spense. Azura, instabile sulle gambe, andò al fianco di Algol.
-Brava piccola. Ora voglio che tu prenda i tuoi amichetti, uno alla volta e che li pesti per benino. Poi legali laggiù. Li getteremo in mare. Sono un uomo di parola, ti avevo promesso che li avrei liberati.- Azura obbedì. Prese Fujiko e la colpì allo stomaco. E ancora. E ancora. Andò avanti finché l’altra non svenne. La legò ad una piattaforma di legno. Poi andò da Goemon, che però era già svenuto, quindi si limitò a trascinarlo e legarlo affianco a Fujiko. Fece per andare a prendere Lupin, ma venne interrotta.
-Ah, Azura, prima fai una cosa.- Algol le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei non fece una piega. Si avvicinò al francese, gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Ora a Jigen sfuggì un gemito. Azura si voltò verso di lui e disse:
-Quale donna preferirebbe un cane come te ad un genio come lui?- e detto ciò colpì Lupin (che non era riuscito a reagire) dritto alla nuca mandandolo nel paese dei sogni. Quando fu di nuovo da Jigen, lui aveva un’espressione ferita. Azura non fece una piega. Lo prese per la giacca e gli tirò un pugno in viso, poi un calcio nella schiena. Non lo fece svenire, ma lo lasciò inerte, con la vista appannata e le orecchie che fischiavano. Lo mise insieme agli altri. Algol premette un pulsante nella parete. Il pavimento si aprì sotto di loro e caddero nel mare.



Piccoli avvisi
Chi ha già letto la storia, prima delle modifiche, sa che Azura all'inizio si chiamava Elisa. Ci tengo a sottolinearlo nel caso in cui in alcuni punti mi sia scappato di correggere il nome e sia rimasto quello vecchio.
Adieu :)

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Capitolo 16
*** E adesso che si fa? ***


~~Capitolo 16

Azura si stese nel lato del letto che le aveva assegnato Algol e chiuse gli occhi. Non ne era sicura, ma forse era felice: in fondo aveva permesso a delle persone di fuggire dalla follia del suo padrone, magari non mancava troppo perché toccasse a suo fratello.  Ripensò a quello che aveva detto Lupin: “Cosa direbbe tuo padre se ti vedesse così?!” lei lo sapeva. Lo aveva incontrato, giusto pochi giorni prima…

-Dormi, dormi… mio tesoro… dormi dolce e serena… dormi cara, dormi amor… le stelle sognano con te! Dormi tu… dormo io… dormono tutti oramai… ma tesoro, ricorda sai, io non ti lascerò mai.- “Questa voce… la riconosco…” Riconosceva anche l’odore di arance, il ritmo del respiro, il battito del cuore, la sensazione di sicurezza in quell’abbraccio. Azura socchiuse gli occhi, sperando che non si trattasse di un sogno. Quando vide la barba candida incolta, gli occhi così simili ai suoi, le braccia, ancora forti nonostante la vecchiaia, Azura dovette trattenere le lacrime. Allungò una mano per accarezzare la guancia ruvida:
-Papà, dimmi che siamo soli…- lui annuì. Azura ora piangeva.
-Dimmi che domani non c’è scuola e non mi dovrò alzare presto…- l’uomo rise con un vocione indebolito dagli stenti:
-Piccola mia, finché ci verrà concesso, ti giuro che potrai dormire fino a tardi.- padre e figlia si abbracciarono stretti, per recuperare il tempo che non avevano mai passato insieme e perché così evitarono di vedersi piangere.
–Stai bene, stai bene! Oh Azura!-
-Papà, mi sei mancato tantissimo.-

-Anche tu, tesoro mio.-
-Però non hai ancora imparato a cantare, sei stonato come una campana!- il vecchio arrossì.
–Non ho avuto molto tempo e voglia di esercitarmi.- Azura si allontanò da lui per osservarlo meglio: la pelle scura era segnata dalle rughe e da lividi. Gli abiti erano poco più degli stracci, mentre le mani erano screpolate e piene di graffi. Il viso squadrato aveva ancora i lineamenti rigidi dell’uomo forte di un tempo, solo un po’ ammorbiditi. Gli occhi erano circondati da occhiaie, ma avevano ancora la stessa luce vitale di sempre.
–Sei diventata una bellissima ragazza, Azura. Assomigli tantissimo a…-
-…alla mamma, lo so. Però, ho gli occhi come te.- lui sorrise tristemente.
–Hai visto Ricky in questo periodo?- L’uomo scosse la testa:
-Credo che stiano cercando di insegnargli a usare una pistola.-

-Ma… ha solo dodici anni! Come possono…?-
-Algol è pazzo. E come tutti i pazzi sa quello che vuole e come ottenerlo.- Azura lo fissò:
-E lui cosa vuole? La sottomissione del mondo intero? Devo dire molto originale.- l’uomo le prese la mano e la strinse tra le sue:
-No, ad Algol non interessa possedere qualcosa. Lui vuole solo il potere. Il potere più terribile: quello di decidere della vita e della morte delle persone.- Annullamento totale dell’intera esistenza. Azura, ripensando a quello in cui si doveva trasformare quando Algol era con lei, liberò la mano e, strappando la stoffa dalle maniche della sua maglia, iniziò a fasciare una ferita sul braccio del padre. Eseguì l’operazione nel silenzio assoluto. Quand’ebbe terminato aiutò suo padre a sollevarsi e lo portò alla brandina appesa al muro:
-Non sia mai che io dorma sul letto mentre tu congeli sul pavimento!- Azura lo fece sedere a forza:
-Papà, per quanto possa essere felice di stare con te, so per certo che Algol non mi lascerà qui a lungo. - capì di aver detto troppo:
-Perchè? Cosa succede- Azura si aggrappò alla grata della porta:

-Ho fatto un patto con lui.- suo padre si stava alterando:
-E in cosa consiste?- Azura cercò di non farlo sembrare terribile.
-Devo essere la sua… marionetta.- lui capì poco, ma intuì tutto.
-Perché lo fai?-
-Perché è l’unico modo che ho per mandarvi fuori di qui.-
-Mi stai dicendo che io e Ricky verremo liberati mentre tu dovrai rimanere al suo fianco????-
-Sì. È l’unico modo.- suo padre non voleva crederci. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di dire:
- Avrei voluto solo che tu e Ricky foste felici.- chinò la testa e scoppiò a piangere. Azura lo abbracciò per consolarlo. In quel momento la porta venne aperta e il carceriere afferrò Azura per le braccia. Dietro di lui, Algol fece la sua comparsa, bello e terribile. Vide il padre di Azura tentare di liberarla dalla presa di Nixon e finire a terra con la gamba dolorante. Gli si avvicinò:

-Frederich Moony, una tale figura non si addice a uno scienziato della vostra levatura.-
-LASCIALO STARE! NON C’ENTRA NIENTE!- Algol voltò appena la testa, l’espressione severa:
-Con te farò i conti presto. Anzi, sai cosa?- si voltò verso il vecchio –Tu non mi servi più. Mi basta una persona per legarla a me. Nixon.- ordinò. Prese Azura per il viso, immobilizzandola mentre l’albino si diresse verso l’uomo. In mano gli apparve un pugnale che, velocissimo, conficcò nello stomaco del professore.
-PAPA’!!!!!- gridò Azura mentre le spoglie dell’uomo cadevano a terra in una pozza di sangue. Nixon leccò con gusto il sangue che sporcava il pugnale. Azura sentì le lacrime scenderle senza controllo lungo le guance. Algol le sussurrò.
-Visto cosa ottieni se non fai la brava? Non vorremo che succeda lo stesso a Ricky, vero?- Azura non aveva più forza nelle gambe. Algol la sorresse, prendendola in braccio.
-Forza piccola, è ora del tuo addestramento.-

Azura tornò nel presente. Algol l’aveva raggiunta a letto.
-Girati.- lei obbedì. Lui le carezzò la silhouette con un dito.
-Eri così bella quando mi resistevi, eri come una tigre in gabbia. Ora… sei addirittura di un incanto struggente. Donne come te non ne potranno mai esistere.- Algol le tirò i capelli, portandola a sé. Azura rimase passiva, gli lasciò fare ciò che voleva e poi, immobile, attese il mattino, con gli occhi socchiusi delle bambole di porcellana.

***

Per la seconda volta si accasciò sulla sabbia dorata di quella spiaggia con i suoi amici. Solo che questa volta, nessuna ragazza sarebbe arrivata ad accoglierli in casa. Sentì le ferite alla schiena bruciare, ma nulla equivaleva a ciò che gli ardeva nelle vene, negli occhi, nella testa. Si sollevò, aiutando Goemon a fare altrettanto. Lupin era sorretto da Fujiko. A fatica raggiunsero la casa sul mare che ormai conoscevano bene. All’interno tutto era a soqquadro.
–Cosa facciamo adesso?- chiese Fujiko aiutando Lupin a stendersi su un fianco. Jigen si sedette pesantemente su un divanetto, esausto. Non ce la faceva più.
-Ce ne andiamo?- disse, frustrato e col cuore sanguinante. Goemon, che era crollato al suo fianco, mormorò:
-Forse è la cosa più saggia. Ma anche la meno felice.-
-Concordo.- disse Lupin. –Avete notato anche voi la sua reazione… ci ho visto giusto, lei sta proteggendo suo padre.-
-Ma che senso ha tornare?  Avremmo contro un esercito, ci faremmo ammazzare. E lei ha reso abbastanza chiaramente l’idea di non volerci vedere più.- disse Fujiko, strappando le federe dei cuscini per farne bende. Jigen si chinò in avanti, prendendosi la testa fra le mani. Sentiva le tempie che gli scoppiavano. Nel gesto qualcosa scivolò fuori dalla sua giacca e cadde per terra con un tintinnio. Era qualcosa di rettangolare, piccolo e luccicante. Aveva ancora la vista appannata, lo dovette prendere in mano e avvicinare al viso per poterlo vedere bene: era un accendino d’argento. Il suo accendino d’argento. Come in un flash rivide Azura che lo afferrava per la giacca prima di colpirlo: glielo aveva messo lì lei? “Sta… chiedendo aiuto…” L’americano si alzò di scatto per poi ricadere all’indietro, debole. Gli altri tre lo guardarono scioccati mentre lui, testardo, si alzava e con passo incerto si fiondava nella camera di Azura. Lì andò al comodino, aprì il cassetto e vide che l’accendino, effettivamente, aveva lasciato il posto dove aveva visto che Azura lo metteva. Era il suo, senza alcun dubbio. Spinto da una febbre improvvisa, sollevò la foto che gli era stata nascosta: un bimbo che poteva avere solo pochi giorni, era in braccio a un uomo dalla pelle scura. Vicino a loro sorrideva una donna bellissima, dall’aspetto stanco, molto simile ad Azura, ma dagli occhi completamente neri, e una ragazzina dalla pelle perlacea come la madre e gli occhi blu come il padre. Sul retro una dedica. Jigen portò la foto agli amici:
-C’è ancora speranza per lei.- disse mostrando la frase in bella grafia.
-La andiamo a salvare.-


Mentre la mamma veglierà su di voi dai cieli, io vi proteggerò da qui. Azura.

 

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Capitolo 17
*** Armiamoci ***


~~Capitolo 17

-Ahia, mi fai male così!- Fujiko si scusò bruscamente. Lupin sorrise:
-Sii più gentile, io voglio una moglie dolce e affettuosa.- Fujiko restò indifferente:
-Dovrai faticare di più se vuoi portarmi all’altare, mon cher.- Lupin sospirò, drammatico:
-Oh povero me, costretto a subire le tue angherie. Aaaaaaahia! Ok, la smetto, la smetto!- da due giorni erano lì e si stavano curando quel minimo che consentisse loro abbastanza probabilità di sopravvivere una volta dentro il quartier generale di Algol. Alla fine quella mafia, lui lo sapeva, sarebbe dovuta riapparire nella sua vita. Doveva accadere, e ora, era arrivato il momento di lottare. Lupin rifletteva: l’unico modo per far tornare in sé Azura era salvare coloro che lei stava proteggendo. Dalla dedica della foto era chiaro che sua madre era morta, quindi gli ostaggi dovevano essere suo padre e suo fratello. Probabilmente, se erano prigionieri, voleva dire che erano imprigionati nelle celle dove anche loro erano stati tenuti. Come le avrebbero potute raggiungere? E c’era un altro problema: le loro armi erano state sequestrate.  Di nuovo. Chissà ora dove si trovavano…
-Fujiko, mi serve il disinfettante.- Jigen si era avvicinato. Si teneva la guancia dove Azura lo aveva colpito: aveva un bel taglio, colpa dell’anello che la bionda portava in quel momento.
-Ecco, prendi.- il moro afferrò la bottiglietta, bagnò appena un fazzoletto con il contenuto e si pulì la guancia.
-Cazzo, brucia… sei sicura che non sia aceto e sale, ‘sta roba?- Fujiko lo fissava, come incantata. Ridacchiò, tornando a occuparsi del francese.
-Che c’è di divertente?- la donna sorrideva fra sé.
-Ti ha fatto un grosso favore Azura.- disse, mentre Jigen la guardava perplesso. –Anch’io avrei evitato il naso, se avessi dovuto colpire Lupin.- Jigen, che non ci aveva pensato, si limitò a spostare lo sguardo fuori, verso l’orizzonte, mentre il francese sembrò illuminarsi.
-Questa è la cosa più vicina a una dichiarazione d’amore che tu mi abbia mai fatto, cherie!- lei non fece in tempo a ribattere, perché l’attenzione di tutti (anche di Goemon, che fino a quel momento se ne era stato in un angolo a sonnecchiare) venne attirata da Jigen che era uscito lasciando la porta aperta e stava correndo sulla spiaggia. I tre si lanciarono sguardi confusi. Poi Fujiko strillò:
-C’è qualcosa sulla spiaggia! – gli uomini seguirono Jigen. Raggiunsero quello che sembrava un sacco nero afflosciato. Mano a mano che si avvicinavano, capirono che si trattava di un corpo. Il corpo di un uomo che da giovane doveva essere stato un gigante e che ora, senza vita e rannicchiato su un fianco, pareva solo quello di un vecchio stanco. Con un po’ di fatica lo girarono supino. Jigen lo riconobbe immediatamente, nonostante fosse invecchiato molto rispetto la foto.
-È suo padre. Il padre di Azura.- Fujiko, che li aveva raggiunti, si coprì la bocca. Lei, prima del viso, aveva notato il torace dell’uomo, sfigurato da tagli furiosi. Non c’era sangue rappreso attorno ad essi.
-Sono stati fatti dopo la sua morte…- dedusse Lupin, disgustato da quell’atto di sadismo insensato. “Immagino che tu non ci possa dire nulla, vero?” Si chinò e chiuse gli occhi azzurri vuoti del vecchio.
-Mi spiace amico. Ti prometto che faremo di tutto per aiutare tua figlia.- disse il francese. Poi iniziò a frugare nei suoi vestiti. Jigen, invece, fece un cenno a Goemon. I due recuperarono due vanghe e scavarono una fossa dietro la Villa, dove il terreno era morbido ma non sabbioso. Quando Lupin ebbe finito con la sua perquisizione, aiutò i suoi amici a portare il corpo alla tomba che ricoprirono senza cerimonie. Solo un fiore, portato da Fujiko, decorava la sua morte. Rimasero qualche momento in silenzio, nel rispetto di un morto per cui una donna aveva dato e stava dando tutto.
-Allora, cos’hai trovato, Lupin?- chiese Jigen. Il francese mostrò un foglietto. Su di un lato c’era una breve lettera. Sul retro c’erano tre parole: “Armi- muro – cristallo”, come se all’improvviso il mittente non avesse avuto più tempo per scrivere.
-Cosa significano quelle parole?- chiese Goemon. Né Lupin né Jigen seppero rispondere.
-Lo so io.- disse Fujiko. Li condusse nella Villa, fino alla stanza di Azura. Lì spostò bruscamente il quadro appeso sulla parete spoglia e rivelò il nascondiglio segreto dove aveva trovato il diamante di Itzamnà.
-Credo intendesse questo.- nessuno volle chiederle come facesse a saperlo. Jigen, senza pensarci, prese il martello abbandonato per terra e colpì forte il muro. L’intonaco e il vetro si ruppero immediatamente, e con un paio di altri colpi ben assestati davanti a loro si aprì una capsula di bronzo alta un paio di metri e larga mezzo, dove erano tenuti oggetti di ogni tipo: la bambola da Vineta, gioielli vari, libri in pelle dall’aria vissuta ma soprattutto… armi. C’era un armamentario niente male: un fucile da cecchino, un paio di mitragliette leggere, un fucile a pompa, pistole di diverso calibro e varie armi da taglio. Goemon prese un’alabarda e la osservò con occhi che brillavano.
-Ora possiamo affrontare gli uomini di Algol.- Lupin, però, non prestava più attenzione, era occupato a leggere la lettera. Fujiko gli chiese di farlo ad alta voce mentre prendeva una delle mitragliette, in modo che anche loro potessero sentire.
-“Banda di Lupin, spero che stiate bene. Immagino cosa abbiate passato negli ultimi giorni e vi chiedo scusa per non aver potuto fare nulla. Tuttavia, vi devo chiedere di andarvene il prima possibile: nascosta in un’insenatura a nord ci sono moto d’acqua e scorte di cibo a sufficienza da permettervi di raggiungere la prossima isola. Troverete anche una mappa che vi indicherà la strada. Scappate e nascondetevi dove Algol non potrà trovarvi, almeno per un po’. Le armi che troverete vi serviranno. Non sono in grado di proteggervi. E voi non potete fare nulla per me, quindi niente ripensamenti. Jigen, il tuo accendino. Te lo rendo perché non voglio che ci siano più legami tra noi. Addio, amici.”- calò un silenzio pesante. Goemon fu il primo ad interromperlo.
-Quella ragazza è più testarda di un mulo.- Lupin scoppiò a ridere, accese un fiammifero e diede fuoco al biglietto:
-Che peccato, non abbiamo ricevuto questo messaggio, si dev’essere perso in acqua.- disse. Jigen sbuffò, accendendosi una sigaretta su quel fuoco:
-Ma cosa crede, che siamo dei marmocchi? Ci sottovaluta parecchio…- Goemon si legò alla schiena l’alabarda.
-Un samurai non fugge mai davanti al nemico.-
-Nemmeno io ho intenzione di andarmene. Rivoglio il diamante di Itzamnà.- disse Fujiko con un sorriso sornione. Lupin prese una pistola e l’ultima mitraglietta, lanciando i due fucili a Jigen.
-Non vedo l’ora di fargliela pagare a quel pallone gonfiato di Algol.- concluse Lupin con una fiamma negli occhi. –E credo proprio di avere un piano.-




Quattro paroline:
Amo immaginare Lupin arrabbiato <3
 

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Capitolo 18
*** Let's go kick some asses ***


~~Capitolo 18

-Pronto, mi ricevi? Sono in posizione Lupin, aspetto il tuo segnale.- Jigen aveva il fucile di precisione carico e pronto a sparare.
–Benissimo, da lassù vedi Goemon?- gracchiò il ricevitore. Jigen spostò la lente più in alto e vide chiaramente la figura bianca del samurai che saltava giù da un tetto.
–Ti sta raggiungendo.-
-E Fujiko? È in posizione?- Jigen guardò più a sinistra: la rossa aveva la via bloccata da una guardia. Jigen cambiò frequenza per mettersi in contatto con lei:
-Ce la fai a passare?- Fujiko guardò nella sua direzione scuotendo la testa. L’americano spostò la visuale sull’uomo e trattenne il fiato per stabilizzare la mira: lo colpì in mezzo agli occhi.
-Libera.- le comunicò. Fujiko recuperò dalla cintura della guardia un tesserino e trascinò il cadavere in una zona oscura. Poi entrò in quella che doveva essere una centrale di comando.
Jigen sentì la voce gracchiante di Lupin che diceva:
-Le porte si sono aperte! Le telecamere?- Fujiko fece un segnale di luce con lo specchietto al cecchino che rispose al francese.
-Potete andare.- disse e scese dalla propria postazione,  aveva appena finito di parlare che vide un movimento sospetto.
-Fujiko, un uomo viene da te!-
-E seccalo, ora non posso tenerlo!- Jigen prese la mira. Uno spostamento d’aria alle sue spalle, però, lo distrasse. Rotolò sul fianco appena in tempo: una katana trafisse senza difficoltà il cemento dove era sdraiato poco prima. “La… spada di Goemon?!?”
-Oh, cazzo…! - una figura bianca come un fantasma aleggiava sopra di lui. Riconobbe subito l’albino Nixon. Senza esitazioni sparò un colpo, ma il proiettile venne prontamente deviato dalla lama della spada.
-C’mon, is tha’ all ya got?!- Gli urlò Nixon, menando un fendente che per poco non gli tagliò una mano. Jigen fece una capriola all’indietro, riuscendo a mettersi in piedi, ma quando tentò di sparare, l’arma gli venne fatta a fette tra le dita. Estrasse il fucile a pompa, ma non fece in tempo a sparare, dovette ripararsi dietro un blocco di cemento per non essere tagliato a metà. Nelle orecchie ora sentiva Fujiko che gridava e uno sparo: era stata aggredita dall’uomo di prima! Doveva raggiungerla, o con le telecamere in funzione non ce l’avrebbero fatta a mettere in atto il piano. Provò a muoversi per saltare sul ponte principale. La lama della Zantetsuken letteralmente gli tagliò la strada, costringendolo di nuovo a correre ai ripari. Si appoggiò ad un muro, accorgendosi in quel momento che Nixon era riuscito a graffiargli un avambraccio. “Fantastico, la mia camicia buona è rovinata” pensò. Si sporse dall’angolo e vide Nixon pulire la lama dal sangue con un pollice che si mise in bocca subito dopo.
-You are really tasty, mate. Voi yankee avete il sangue pulsante di sesso, droga e rock and roll.- Jigen tirò fuori due proiettili creati con le sue mani e caricò il fucile. Non aveva tempo per questi giochi.
-Sai cos’altro mi rende così saporito?!- gli urlò.
-Let me guess… It’s because you are a thief?- Jigen rise.
-No… è perché ho l’AIDS.- gridò scandendo bene le parole. Sporgendosi appena, vide Nixon che perdeva quel poco di colore che aveva sulle guance e faceva cadere la katana.
-COSA?!- iniziò a sputare e a cercare di indursi il vomito. –YOU! YOU BASTARD!!!!- Jigen camminò tranquillamente fuori dal suo nascondiglio, imbracciando il fucile.
-Se vuoi vendicarti, prego, io sono qui.- Nixon, con occhi demoniaci, sfoderò le proprie sciabole e si scagliò contro di lui con un ululato. Jigen sparò, e l’albino si mosse per deviare i proiettili con le lame. Tuttavia, con stupore, si accorse che quando tagliò pallottole, gli arrivarono addosso gocce di un liquido grigiastro. Si bloccò sul posto e guardò il moro.
-What did you…?- non finì la frase che prese fuoco. Lanciò un urlo disumano e si accasciò a terra, rotolando per spegnere le fiamme.
-Quelle che hai tagliato erano proiettili pieni di un liquido… speciale. Brucia all’immediato contatto con l’ossigeno. Sei stato fin troppo abile, con le spade. Mi spiace, ma tu e il tuo capo dovete essere fermati.- Il corpo bruciato di Nixon si contorceva ancora sul bordo della piattaforma. Jigen lo guardava con indifferenza mentre si rialzava in piedi a fatica. Un puzzo di carne bruciata aleggiava tutt’intorno.
-Ah, e comunque non ho l’AIDS.- disse, sferrandogli un calcio in pieno petto. –Come vampiro non vali granché.- concluse mentre i due occhi rubino circondati dalle fiamme precipitavano nelle acque scure.

***

-Identificati, donna.- esclamò una voce alle sue spalle. “Dannazione, Jigen! Non dovevi prendertene cura tu?!” pensò Fujiko, voltandosi lentamente verso la guardia. Con fare civettuolo fece ciao con la mano.
-Ehi, omaccione! Mi hanno comunicato un problema alla centralina e sono venuta a controllare. In effetti non c’è nessuno qui…-
-Esatto, nessuno tranne te. Identificati donna, voglio il tuo numero di agente operativo.- Fujiko sorrise.
-Oh, andiamo, non sarai veramente così fiscale! In fondo non sto facendo nulla di male.- mentre parlava si avvicinò all’uomo e si mise a disegnare cerchi sul suo petto muscoloso.
-Che ne dici se invece… non ce la spassiamo un po’, io e te? Solo un po’…- si mise in punta di piedi per baciarlo, ma lui la bloccò per le spalle.
-Fujiko Mine.- disse, facendola pietrificare. Iniziò a sudare freddo. –Esatto, ti ho riconosciuto. E ci tengo a farti sapere… - le puntò una pistola alla fronte. -…che sono gay.- Fujiko alzò le mani in segno di resa.
-Ehi… vacci piano, tesoro… dai… te l’ho detto, non ho fatto nulla di male…-
-Ma lo stavi per fare… sei qui per un motivo. E questo motivo non può che essere un male per noi. E per il Master. – mise il colpo in canna e il dito sul grilletto.
-Lasciami andare… ti prometto che non mi farò mai più vedere.- mormorò lei. L’uomo ghignò.
-Ecco un motivo per cui sono grato di essere gay: voi donne siete delle bugiarde malefiche.-
-Essere omossessuale non significa disprezzare le donne: sei solo pazzo.- ribatté la giapponese. Lui si strinse nelle spalle, senza smettere di ghignare. Fujiko gli lanciò un’occhiata di odio, poi chiuse gli occhi. Con la mente percorse il proprio corpo sinuoso dalla punta delle dita dei piedi alla punta del naso. Regolò il battito cardiaco e trattenne il respiro.
-Addio, donna.- nello stesso momento in cui ci fu lo sparo, Fujiko lanciò un grido: mosse il corpo verso il basso mentre con le mani spingeva la pistola verso l’alto. Fulminea, menò un calcio potente alle parti basse dell’uomo. La presa sulla pistola s’indebolì e le permise di sfilargliela dalle dita e di picchiargliela forte sulla nuca, spedendolo nel mondo dei sogni. Le ci volle qualche secondo per riprendersi.
-Uff… non sottovalutare una donna… soprattutto se conosce il Krav maga.- sospirò, sistemandosi i capelli. Mentre disattivava le telecamere, contattò gli altri.
-Jigen, non ti avevo detto di prenderti cura del tizio che veniva verso di me?- la voce del cecchino ritardò qualche secondo a rispondere.
-Ero occupato. E mi sembra che comunque te la sia cavata.- Fujiko sbuffò e avvertì che la via era libera.

***

Lupin e Goemon erano bloccati dietro l’angolo di un corridoio. Due guardie bloccavano l’ingresso alla sala successiva
-Jigen non doveva raggiungerci? Solo lui ha il silenziatore…- mormorò Lupin. Si voltò verso il samurai:
-Io non posso sparare, o ci saranno addosso da ogni direzione. Ce la fai da solo?- Goemon annuì.
-Per questi non avrò nemmeno bisogno di impugnare l’alabarda.- prima che Lupin potesse fermarlo, il giapponese avanzò, piazzandosi in mezzo al corridoio.
-Altolà! Identificati!- il samurai non rispose all’urlo della guardia. Incrociò le braccia e attese. I due agenti, spararono, senza farsi troppi crucci. Goemon mosse le mani e girò su se stesso: le guardie caddero a terra, con i loro stessi proiettili ficcati in fronte. Lupin uscì dal nascondiglio, stupefatto.
-Questa è nuova. Hai cambiato la direzione e la traiettoria delle pallottole… con le sole mani?- Goemon fece un mezzo sorriso.
-C’è un motivo, per cui sono amico dei monaci tibetani: loro deviavano le frecce con le dita, io faccio la stessa cosa, solo… meglio.-
-Ma davvero? Allora il regalo che ti ho portato non ti serve?- Lupin e Goemon si voltarono verso quello che aveva appena parlato. Jigen era apparso alle loro spalle con in mano la preziosa Zantetsuken. Il samurai s’illuminò.
-La mia spada!- la prese in mano e ne scrutò la lama. -È come riavere indietro la propria anima.- Lupin invece andò a dare una pacca sulla spalla all’americano.
-Ben arrivato. Perché ci hai messo tanto?-
-Diciamo che ho fatto in modo che Nixon non dia più problemi.- il trio riunito avanzò sicuro attraverso le stanze. Trovarono senza difficoltà le scale che portavano ai sotterranei e le seguirono. Sulla destra intravidero la sala dove erano stati torturati per giorni e non poterono evitare di scambiarsi un’occhiata. Andarono avanti. L’ambiente era tetro e umido esattamente come lo ricordavano, forse anche di più. Finalmente raggiunsero le celle.
-Bene ragazzi, ora dobbiamo trovare il fratello di Azura.-
-Come fai a essere certo che sia qui, Lupin?- chiese Goemon. L’altro rispose:
-Perché io l’ho visto. Quando eravamo qui, io l’ho visto. Solo non sapevo chi fosse prima che Jigen ci mostrasse quella foto.- Lupin ripensò al ragazzino che aveva incrociato sulle scale: sì, non aveva dubbi, era il fratello di Azura. Era lo stesso bimbo della foto, solo con i lineamenti già più affilati di chi sta crescendo e di chi ne ha passate tante. I loro sguardi si erano incrociati per pochi secondi, e quel poco tempo era bastato a Lupin per marchiarsi nella mente ogni particolare del suo viso. Forse perché era l’unico che gli era sembrato vivo, persino innocente, in quel posto disgustoso.
-Vado io.- disse Goemon, interrompendo il filo dei pensieri di Lupin. –Voi andate a cercare Azura.-
-Sei sicuro?- chiese Lupin.
-Ha appena deviato delle pallottole con le mani, direi che se la caverà.- rispose Jigen, lanciando un sorriso d’intesa al samurai. Il trio si separò.




Angolo autrice
Beeeeene. Molto bene. Non so quando potrò aggiornare ancora (anche perchè non ho ancora finito di aggiustare la storia originale) ma per adesso va tutto bene. W Goemon e i samurai comunque. Addioooo *lancia una bomba fumogena e sparisce*

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