The god and the human

di LadyStark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Anomalie ***
Capitolo 3: *** 2. Paradossi ***
Capitolo 4: *** Una rigida stringa di causa ed effetto ***
Capitolo 5: *** 4. Ma un punto di vista non lineare non soggettivo è una bolla, cosa di tempo ***
Capitolo 6: *** 5. Potrei anche essere dalla parte degli angeli ***
Capitolo 7: *** La Paura è un superpotere ***
Capitolo 8: *** 7. Elementare Dottore ***
Capitolo 9: *** 8. Sociopatico ad alto rendimento, con una cabina blu ***
Capitolo 10: *** 9. Il gioco è iniziato ***
Capitolo 11: *** 10. Cosa diciamo noi riguardo alle coincidenze? ***
Capitolo 12: *** 11. In pratica, scappa se vuoi salvarti ***
Capitolo 13: *** 12. Quello che fa di noi Esseri Umani ***
Capitolo 14: *** 13. La Storia può essere riscritta ***
Capitolo 15: *** 14. Punti Fissi nello Spazio-Tempo ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Bene, brevissima intro: sono anni che non scrivevo, né pubblicavo una fan fiction, quindi mi sento un tantino arrugginita, ma spero di non aver perso la capacità (anzi spero sia migliorata in realtà).
Questa è una mia idea che mi frullava in testa da un po’. Adoro il 12 Dottore e avevo la tentazione di scrivere qualcosa su di lui da tempo. Guardando poi quel genio malefico di Moffat e la serie Sherlock, non ho potuto fare a meno di lasciare che la mia mente vagasse pensando a come il 12 Dottore reagirebbe nel trovarsi davanti Sherlock Holmes.
Il cross – over partirà un po’ più avanti del primo capitolo, ma siate pazienti,non avevo voglia di concentrare tutto in poche righe rischiando di far su un pasticcio!
Ah ultima cosa, io stravedo per la coppia SherlockxMolly, indi, anche se non sono ancora certa di ciò, è probabile che qua e là butti dei riferimenti al paring.
 
Bene. Datemi il bentornata e buona lettura.
 
 
 
Prologo
 
- Oh, andiamo, cosa ho fatto questa volta di sbagliato?- esclamò il Dottore rivolgendosi al pannello di controllo della Tardis, probabilmente aspettandosi una risposta al comportamento anomalo della sua nave, che non ne voleva sapere di ripartire da Londra. Era passato dalla città in un momento di solitudine,  e quasi senza motivo era andato sotto casa sua. Non riusciva bene a comprendere il perché lo avesse fatto, ma si sentiva come spinto da una forza che non era in grado di controllare. Non ricordava molto, ma quando era arrivato davanti al palazzo non aveva potuto fare a meno di sospirare e mormorare poche parole- Clara, Clara, la mia Clara – sentendo i suoi due cuori provare un dolore sordo allo stesso tempo. Ci era abituato in realtà, a perdere le persone a cui teneva, ma ogni volta che succedeva si chiedeva il motivo per il quale continuava a scegliere compagni di viaggio della razza umana.

Stava valutando quindi di andare alla ricerca di qualche altra razza tra cui scovare qualcuno che lo potesse accompagnare nei suoi viaggi - di sicuro si ricordava che vicino a Betelgeuse* gli abitanti erano più resistenti degli umani, più acculturati riguardo lo spazio e sicuramente non avrebbero dato di matto ogni volta che varcavano la soglia della Tardis -  quando azionò i motori della nave spaziale, o meglio quando cercò di farlo, perché dopo pochi secondi in cui sembrava che tutto andasse secondo i suoi piani, i motori si spensero, le luci si abbassarono e i rumori tipici della cabina blu cessarono. Diamine! Come era possibile? Per fortuna, pensò tra sé e sé non senza una nuova piccola fitta ai due cuori, River non era lì presente a guardarlo, lei avrebbe sicuramente saputo cosa non andava.

- D’accordo, è colpa mia, c’è qualcosa che non va, almeno puoi farmi capire cosa?  - urlò alzando il volto  e iniziando a muovere nervosamente gli schermi della nave. Premette qualche tasto e solo dopo il decimo tentativo gli schermi della Tardis si accesero, mostrando al Dottore diversi schemi, che subito lo fecero rabbuiare. Prese il telefono di cui aveva dotato la nave spaziale e compose velocemente un numero, dopo pochi squilli sorrise esclamando  - Artù! Vecchio mio, è un piacere sentirti! Sì, voce diversa, corpo diverso, poi ti racconto, che ne dici di prendere insieme un buon the inglese? Dimmi quando vuoi, ho tutto il tempo a disposizione -  disse, anche se in quel momento la frase non si atteneva del tutto alla verità. Prese nota mentalmente dell’indirizzo che gli veniva dato e concluse la telefonata con la frase – Perfetto, ma certo che sarò puntuale! Non arrivo quasi mai in ritardo! –
 
 
*Si, è una citazione da Guida Galattica per gli Autostoppisti. Non credo sarà l’unica, ma è come se fosse un modo per cui una piccola piccola umana voglia rendere omaggio e ringraziare mr Adams per averci regalato non solo la guida ma anche alcuni episodi della serie classica del Dottor Who.

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Capitolo 2
*** 1. Anomalie ***


Ok, eccoci, si inizia. Spero solo di aver avuto abbastanza ordine per riuscire a trascrivere tutto dalla mia testa al foglio Word!
Buona lettura!

 
1.Anomalie
 
Il Dottore stava per richiudere la porta della Tardis per andare all’appuntamento. Per questa volta pensò fosse meglio evitare gli spostamenti rischiando di precipitare su una stella nana in una galassia lontana qualche migliaio di anni luce, ma non fece a tempo a finire di formulare il pensiero. Venne travolto da un’ombra che urlava disperatamente e gli correva incontro. Solo dopo un secondo si rese conto che l’ombra e le urla appartenevano a una ragazza che, rossa in viso, i capelli scompigliati e la giacca aperta che quasi le cadeva dalle spalle, lo aveva raggiunto e cercando di tenere a freno il fiato corto per la corsa stava cercando di mettere insieme una frase di senso compiuto.
- Quel tizio, la borsa…. là! …. Denuncia! -  biascicò aggrappandosi a un braccio del Dottore per riprendere fiato. Il Dottore incarnò le sopracciglia, donando uno sguardo a metà tra il confuso e il “oh mi spiace, vai ad aggrapparti a quell’albero laggiù in fondo” alla malcapitata. La stava per cacciare quando lei, tirando indietro i suoi capelli ricci e rossi, riprese a parlare con un sospiro.  – Mi hanno appena rubato la borsa. Era un uomo alto, l’ha presa ed è corso via. Devo fare una denuncia per furto! Posso usare la sua cabina, agente? -  chiese. Il Dottore la guardò come se fosse un dalek in procinto di sterminare un’intera legione elfi silvani, ma non rispose. Fissò la mano della ragazza sul suo braccio, poi lei, che non capiva cosa avesse di strano quell’uomo. Ritrasse la mano, notando l’insistenza e la rigidità di lui, fece un cenno di scusa e poi timidamente indicò l’insegna della cabina blu. Ma certo! Ecco perché quella sottospecie di furia gli era corsa incontro. Bei capelli, una bella tonalità di rosso, freddo ma uniforme, pensò il Signore del Tempo con una punta di invidia.  – Allora? – chiese la ragazza, decisamente spazientita, continuando a gettare occhiate al fondo della via dove aveva visto scappare il ladro della sua borsa. Il Dottore tornò alla realtà, pensando rapidamente a una scusa per allontanarsi; rovistò nelle sue tasche fino a trovare la sua carta psichica  - Cabina rotta, ragazza, non posso aiutarti, sono un tecnico, visto?  Ci vediamo -  disse velocemente prima di procedere, ma nel giro di due passi sentì nuovamente la pressione sul suo braccio.  – Scusa tanto, ma mi hai appena fatto vedere un biglietto con un insulto seguito da “Sono di fretta”. Fammi entrare -  protestò lei, non guardando più nella direzione presa dal ladro della sua borsa, ma determinata a non farsi prendere in giro per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

Il Dottore con un rapido gesto si liberò dalla stretta della ragazza dai capelli rossi, davvero dei bei capelli rossi, e continuò a camminare  - Ma io sono davvero di fretta, non ti posso aiutare. – Aveva problemi ben più grossi e ben più urgenti da sistemare. In fin dei conti una borsa rubata valeva decisamente meno di una possibile distorsione dello spazio – tempo.  – Se esci da una cabina con scritto “polizia” non puoi usare questa scusa, bello. Sei obbligato ad aiutarmi, che tu sia un poliziotto o meno! -  urlò lei disperata, prima di accasciarsi a terra, mentre sentiva gli occhi farsi gonfi e la speranza di ritrovare la sua borsa abbandonarla. 

A quelle parole il Dottore si fermò, chiuse gli occhi e maledisse mentalmente il senso di umanità che la razza autoctona della Terra riusciva a usare per far leva sul suo senso di colpa e sulla sua identità. “Sono il Dottore e salvo le persone!” non poteva dire qualcosa tipo “Sono un autista di navi spaziali e trasporto la gente qua e là nello spazio tempo”? Sarebbe stato sicuramente più facile.   – Va bene, ti aiuto. -  disse voltandosi -  basta che non fai quella cosa con gli occhi e l’acqua -  gesticolò imitando le lacrime mentre si spiegava e si avvicinava alla giovane. Lei prontamente si alzò e si avvicinò a lui, allungando la mano e cercando di recuperare la forza di fare un sorriso di circostanza – Grazie – disse – io sono Linda Dent*, vengo da Dublino e mi hanno appena rubato la borsa. Me l’ha rubata un uomo, alto, credo con i capelli neri, ma non ne sono certa, ero in coda alla cassa di un grande magazzino, stavo per pagare e lui mi è corso incontro, ha strattonato il mio braccio, ha preso la borsa ed è corso via, è andato da quella parte. Ho provato a rincorrerlo ma l’ho perso di vista nella folla. Poi ho visto la cabina, c’è scritto polizia e mi serve aiuto… dentro la borsa avevo il mio portafoglio con i miei documenti, i soldi e, oddio! Le chiavi dell’albergo! E la carta d’imbarco! Come faccio a tornare a casa?   - aveva detto tutte quelle parole di fretta, come se si fosse preparata il discorso e solo alla fine aveva dato segni di cedimento di fiato e, a giudicare dai suoi occhi, che tornavano a essere gonfi di pianto, di emotività.

- No no no no, niente cosa con gli occhi e acqua ti ho detto!  - replicò velocemente il Dottore agitando le mani davanti al volto della ragazza – Non ti posso aiutare a ritrovare la tua borsa, ma se sei d’accordo ti accompagno alla prima stazione di polizia, d’accordo? Io sono davvero di fretta -  tese la mano e l’aiutò a calmarsi mentre lei si ricomponeva, riavviando con una mano i fantastici e morbidi riccioli rossi che le erano finiti davanti al volto. – Chi sei tu? Non mi sembri inglese  - chiese prima di seguirlo – perché non posso entrare nella cabina a chiedere aiuto? E perché mi fissi i capelli? – l’ultima domanda che aveva posto le era sembrata così strana e fuori luogo, che per un attimo si dimenticò del furto subito e si mise a osservare l’uomo: capelli brizzolati, folte sopracciglia, magro, pantaloni con una fantasia a quadri che non invidiava e una giacca che le ricordava tanto quelle dei maghi agli spettacoli amatoriali, nei giardini del quartiere. Ma la cosa che l’aveva colpita era lo sguardo di quell’uomo, completamente in distonia con il suo modo di fare: uno sguardo grave, di una persona che ha visto tanto, forse troppo. Forse per questo si comportava in quel modo per niente ospitale e decisamente per niente inglese!

-Sono il Dottore, in questa rigenerazione preferisco gli Scozzesi, non puoi entrare nella cabina perché le ultime in funzione appartengono agli anni 50, quella ormai è un pezzo da museo, per non parlare che per il momento è davvero fuori uso e mi piacciono i tuoi capelli, bel rosso, tonalità “Tiziano”giusto? Un vero burlone Tiziano.. – replicò il Signore del Tempo, abbozzando un sorriso come gli aveva insegnato Clara. Ovviamente fu un sorriso spezzato, bastò il ricordo della giovane a provocargli un dolore sordo nel petto.  – Possiamo andare? -  chiese per distogliere l’attenzione che la giovane gli stava dando. Lo fissava in quel modo orribile in cui gli umani a cui si era affezionato lo fissavano le prime volte: un misto di curiosità, impossibilità di trovare un nesso logico nelle parole che diceva e un sorriso che equivaleva alla frase “pensavo di essere io quello strano, ma grazie al cielo qualcuno sta peggio di me”.  – Sono Irlandese, in vacanza, mai stata a Londra, cerco aiuto, perdona se non mi sono studiata tutta la storia della città -  sbuffò lei standogli dietro mentre il Dottore aveva cominciato a camminare con passo sicuro. – E poi scusa un secondo – iniziò Linda mentre lo fermava mettendogli una mano sulla spalla – hai detto che sei scozzese in questa rige…cosa? E soprattutto, Dottore…Chi?-

Oh ecco, tutti glielo chiedevano: tutti, arrivati al momento delle presentazioni non riuscivano a capacitarsi del fatto che non dicesse il suo nome di battesimo. Come se avessero potuto capire e comprendere il Gallifreyano! In ogni caso, aveva deciso lui il suo nome e il suo nome era Dottore, perché nessuno nell’universo aveva intenzione di accertare la cosa, senza scatenare guerre per sapere con quale nome era stato dotato alla nascita!

- Il Dottore. Semplicemente il Dottore. Ora, vuoi davvero che ti aiuti o vuoi solo farmi perdere tempo a fare domande? – Linda cercò di seguirlo, ma poi, d’impulso si fermò, sparendo dalla visione periferica del Dottore. Poco male pensò lui, era riuscito a togliersi dai piedi una seccatura senza neanche doversi impegnare troppo. Sospirò, voltandosi per un attimo, si girò di nuovo per procedere, poi la sua mente elaborò l’immagine che i suoi occhi avevano registrato: quella ragazza da quei fantastici capelli rossi stava tornando indietro alla Tardis e stava cercando di aprirla, risultando anche alquanto buffa nel tirare e spingere alternativamente la porta della cabina blu.

- Ehi! – urlò il Dottore raggiungendola con un paio di ampie falcate – cosa fai alla mia cabina? –
- Ah ora è la tua cabina? Chi sei? Perché sicuramente non sei un dottore, vestito così poi.. forza Paul dimmi, chi sei veramente e cosa diamine è questa scatola!- 
- Paul?- chiese il Dottore, mentre cercava di fermarle le mani che continuavano ad armeggiare cercando un punto di apertura della cabina blu
– Sì, Paul, il mago, veniva sempre alle mie feste quando ero bambina, era vestito uguale a te. Quindi finché non mi dici come ti chiami, perché hai una tessera che insulta le persone e  cosa diamine è questa scatola, ti chiamerò Paul. – rispose risoluta lei, riavviandosi i capelli dietro le orecchie e continuando a spingere la porta.
Ci fu un momento di silenzio e di stupore quando la porta della Tardis si aprì, poi le reazioni dell’umana e del Signore del Tempo furono esattamente all’opposto. Lei sorrise di un sorriso di sfida  e spinse la porta più forte, determinata a capire perché quel giorno l’universo aveva deciso di privarla della sua borsa e della facoltà di capitare in situazioni sensate. Il Dottore  invece si sorprese di come avesse fatto quella ragazza ad aprire la sua nave, sarà stato il fascino dei capelli? Subito dopo però un velo di preoccupazione si dipinse sul suo volto, quella specie di petulante chioma rossa stava per entrare nella Tardis! Cercò di fermarla ma quando riuscì a farfugliare qualcosa lei era già dentro, sul volto l’espressione di stupore tipica di tutti gli umani che mettevano piede per la prima volta là dentro.

La cosa che però stupì anche il Dottore era notare come le luci della sua nave spaziale si fossero accese, e in sottofondo si udiva il suono dei motori, pronti a partire. Corse al pannello di comando, avvicinandosi allo schermo che poco prima gli aveva mostrato l’anomalia che lo aveva preoccupato; quell’anomalia era scomparsa, al suo posto era presente una mappa della galassia di Andromeda. Linda dal canto suo era rimasta ferma, cercando di trovare una spiegazione logica a quello che i suoi occhi le stavano facendo vedere. Quando riprese  possesso della parola l’unica frase che riuscì a dire fu : - Sei davvero un mago allora -. Il Dottore, ricordandosi della sua presenza, si diresse verso di lei studiandola attentamente: non sembrava avere niente di diverso dagli altri umani, eccezione fatta per i capelli di quel colore così magnifico.  Andò con calma a chiudere la porta della cabina blu, che una persona l’avesse forzata e fosse riuscita a entrare era un conto, ma  lasciare la porta aperta in modo che tutta Londra entrasse era un po’  oltre i programmi che si era prefissato.  Nel momento in cui chiuse la porta sentì i motori della Tardis mettersi in funzione e subito dopo sentì un grido provenire dalla bocca della nuova ospite. Dannazione! Che cosa stava succedendo alla sua cabina? La stessa domanda nel frattempo era stata formulata anche da Linda, che cercando di trovare un punto di appoggio per rimanere in piedi, esclamò preoccupata: - Si può sapere che cosa stai facendo? Fammi uscire! -.
Il Dottore corse al pannello di controllo, prendendo il controllo della nave, cercando di raccapezzarsi.  – Non so cosa tu abbia fatto Glenda, ma siamo in viaggio! -  disse, sorridendo.
- Mi chiamo Linda! – disse lei avvicinandosi, dopo aver riacquistato l’equilibrio -  e cosa intendi per viaggio? Diamine, possibile che non risponda a nessuna delle mie domande, Paul?
- Sono il Dottore – replicò il Signore del Tempo  girando intorno ai comandi – e se fossi in grado di leggere capiresti che stiamo viaggiando  nella linea temporale della Terra, andando indietro di circa un migliaio di anni -. Corrugò la fronte per un secondo poi, quando con un nuovo strattone la sua nave gli diede il segnale di essere atterrata  - Camelot! -  esclamò infine, facendo una piroetta e preparandosi per uscire. Fu la voce di Linda che lo fermò: - Mi vuoi spiegare cosa diavolo sta succedendo? – chiese a pieni polmoni, raggiungendo con passo marziale il Dottore, fissandolo cercando di trovare la pazienza di non prenderlo a schiaffi per ottenere delle risposte.  Fu un duello di sguardi, quelli di lei, verdi e limpidi, erano infiammati di quella rabbia che gli umani brillanti hanno quando qualcuno cerca di nascondere loro qualcosa – un vero peccato di quegli umani fossero sempre più rari nell’epoca della ragazza, quelli di lui, profondi come lo spazio stesso, indagavano la figura che aveva davanti, incerto se credere che fosse un nemico o un qualsiasi tipo di problema da risolvere. Alla fine le sue deduzioni lo avevano convinto che quella che si trovava davanti era una semplice umana, tra i 20 e i 30 anni probabilmente, poco più che una neonata essenzialmente, e, almeno per il momento, non trovava niente di strano o anomalo in lei, a parte i suoi fantastici boccoli rossi. Con un sospiro alzò le braccia al cielo, si girò e mentre apriva la porta della Tardis iniziò a spiegare: - Sono Il Dottore, un Signore del Tempo, questa è la mia nave, Tardis, si è più grande dentro, tecnologia gallifreyana, il mio pianeta di origine. Ho due cuori, 2000 anni, e mi piace viaggiare nel tempo e nello spazio. Ora, carissima Brinda… -
- Linda! –
- Quello che è. Ora, stai per incontrare il regno più conosciuto sul pianeta terra -  aprì la porta della cabina blu, poi invitò la ragazza a uscire – Benvenuta a Camelot! -  finì esclamando con un sorriso.

Linda strabuzzò gli occhi, non riuscendo a capacitarsi di quello che vedeva: fino a due minuti prima c’erano case, strade, macchine, ora invece, quello che le si mostrava era un bosco fitto, da cui si poteva scorgere una piccola cittadina medievale, con un castello al massimo del suo splendore. Sentì il sangue defluirle dal viso e il campo visivo ridursi. L’ultima cosa che riuscì a dire prima di sentirsi cadere fu qualcosa che somigliava molto a : - Ora credo che tu possa mettere in pratica la tua professione allora, Dottore - .


*Si, Dent, come il protagonista della Guida. No nessun collegamento "parentale", solo, come dicevo, una piccola citazione.
 

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Capitolo 3
*** 2. Paradossi ***


E rieccoci qui, nuovo capitolo: ho scoperto che è dannatamente dura cercare di tenere un personaggio come il Dottore bhe, nel personaggio! Ho fatto del mio meglio e spero di essere riuscita a delineare almeno i tratti maggiori della personalità, mentre per il nuovo personaggio, Linda, sto lavorando a un suo profilo psicologico e di conseguenza caratteriale, cercherò di rivelare un pezzettino per volta la sua personalità senza farla risultare una cosina senza spina dorsale, ma allo stesso tempo che non oscuri il Dottore. Bhe, fatemi sapere cosane pensate!
 
Buona lettura!
2. Paradossi
 
Ci vollero alcuni minuti perché Linda riprendesse conoscenza, fortunatamente il Dottore era riuscito ad afferrarla prima che crollasse a terra. L’aveva fatta sedere su una radice di un grande albero, aspettando che si riprendesse. Lui intanto, aveva chiuso la porta della Tardis, tirato fuori dalla tasca della giacca il suo nuovo cacciavite sonico e aveva scansionato qualche pianta, giusto per essere sicuro che si trovasse davvero a Camelot e che il suo nuovo dispositivo funzionasse correttamente.
C’era qualcosa che non tornava: prima la Tardis gli aveva segnalato un’anomalia temporale e aveva spento i motori, poi quella ragazza gli era capitata davanti e non solo era riuscita ad entrare nella cabina blu, ma, in qualche modo la sua presenza era collegata al fatto che la nave avesse ripreso a funzionare e li avesse portati direttamente a Camelot, proprio nel tempo in cui Artù era il re. Lo stesso re Artù che il Dottore aveva chiamato e doveva incontrare in un bar londinese. Sì, qualcosa decisamente non andava, ma ancora non riusciva a capire del tutto cosa e soprattutto non riusciva a capire il collegamento con quell’umana.

La guardò per qualche secondo mentre era ancora semi – cosciente : non gli sembrava una persona intrinsecamente cattiva, anzi, forse se l’avesse incontrata in un altro momento gli sarebbe piaciuta la sua compagnia, ma ora no. Anche se non si ricordava il suo volto, non riusciva ancora ad accettare il fatto che Clara, la sua Clara, non ci fosse più, che non fosse più accanto a lui, a rimproverarlo e a insegnargli i comportamenti sociali degli umani.
Eppure quella ragazza con quei fantastici capelli rossi che stava lentamente riaprendo gli occhi, aveva qualcosa che evidentemente lui non aveva notato, non ancora, mentre invece la sua Tardis sì. Tanto valeva scoprire cosa fosse, portandola con sé a Camelot, fare un rapido saluto ad Artù per poi andarlo a incontrare nella Londra del 2016, davanti a una tazza di caffè.

Linda cercò di mettere a fuoco il più rapidamente possibile quello che aveva intorno, speranzosa di trovarsi nella city, ma quando al posto dell’odore di smog  avvertì chiaramente il dolce profumo della natura, un profumo che neanche nelle campagne della sua Irlanda era così forte. Il castello era ancora lì, sulla collina, la cabina blu e quell’uomo vestito da mago delle feste erano ancora alla sua sinistra. Forse stava impazzendo, pensò, forse il ladro le aveva rubato la borsa e per non farsi seguire le aveva dato una forte botta in testa, tanto da lasciarla in uno stato incosciente che l’aveva indotta  a immaginarsi tutto quello che pensava di aver vissuto. Certo, non c’era altra spiegazione logica. Si tirò in piedi, determinata a svegliarsi da quell’illusione che la sua mente aveva creato, anche se ciò significava svegliarsi in una camera d’ospedale.
Il Dottore, vedendo la giovane riprendere conoscenza fece un passo nella sua direzione, sorridendo al meglio delle sue capacità: - Ben svegliata! Pronta a far visita al re? – chiese. Alzò la mano, come per darle una pacca sulla spalla, ma si fermò a mezz’aria, incerto se fosse la mossa giusta da fare, soprattutto notando lo sguardo pieno di incredulità di lei. Fece cadere il braccio, si sistemò la giacca e iniziò a camminare.  – Forza, Gilda! Prima andiamo, prima torniamo, prima tu puoi recuperare la tua borsa e la tua vita di tutti i giorni! -  disse a voce alta, mentre procedeva a passo sicuro su un sentiero sterrato.
 – Io mi chiamo Linda, Paul! – esclamò lei, estremamente infastidita.
– E io. Sono. Il. Dottore! – replicò lui voltandosi, ma senza smettere di camminare – Tu continui a chiamarmi in quel modo e io continuerò a sbagliare il tuo nome! Giochiamo a chi si stanca prima?  -

Linda si toccò la testa, sorprendendosi di non trovare  bernoccoli o ferite. O stava scivolando verso un coma irreversibile o quell’uomo sapeva utilizzare qualcosa di più grande dell’illusionismo. Rincorse il Dottore parandoglisi davanti: - Ok, va bene. Dottore, hai vinto. Ma devi rispondere ancora a un bel po’ di domande. Io ti seguo e faccio finta che questo non sia frutto della mia immaginazione e tu mi rispondi, ci stai?  - disse tendendogli la mano. Qualsiasi cosa stesse vivendo, aveva pensato fosse meglio godersela finché era in grado di razionalizzare qualcosa.
Il dottore fissò la mano di lei, cercando di intuire cosa volesse dire quel gesto, poi alzò lo sguardo, incrociando quello di lei, fiero e determinato anche se con una sfumatura di paura infondo agli occhi. Annuì e poi riprese a camminare: - Forza, prima domanda – disse con noncuranza.

– Sei un mago? – chiese Linda mettendoglisi accanto e tenendo il passo – o un mentalista? Perché non può essere vero tutto questo, insomma, io sono, ero..a Londra. E quella tua cabina… è grande. Più grande all’interno! E questa non è Camelot, insomma non può esserlo, sarebbe totalmente…. -  
- No, non sono un mago. Sei fissata con i maghi! La mia cabina è una nave spaziale, io sono un Signore del Tempo, sono Il Dottore e per quanto tu possa continuare a non crederci, questa è Camelot! Il regno più conosciuto di tutta la storia! –  
Linda prese un profondo respiro. Probabilmente era davvero in punto di morte e la sua immaginazione stava cercando di trovare un modo confortevole di farle affrontare la cosa. – Sei un…alieno? Per questo il tuo tesserino mi ha insultato? – domandò. Il Dottore annuì, tendendo la mano, ma senza guardarla    – Carta psichica. Mostra alle persone quello che io voglio che vedano. Probabilmente con te mi è sfuggita un’imprecazione, mea culpa. Altre domande? –

 - Sto per morire? – chiese la ragazza, lottando contro se stessa per trovare il coraggio di formulare a voce alta quelle parole. La domanda fece fermare il Dottore che si fermò a guardarla di nuovo; ora negli occhi di lei la paura aveva preso il sopravvento, ma non vedeva lacrime. Era terrorizzata ma non piangeva. Forse non ci riusciva, pensò. Lei abbozzò un sorriso cercando di sdrammatizzare la situazione – insomma, incontrare un alieno che viaggia nel tempo un una cabina che in realtà è un’astronave più grande dentro. Si insomma… è uno scherzo della mia mente no? –
Il dottore sfilò dalla tasca della giacca il suo cacciavite sonico e lo puntò contro Linda, che se possibile rimase ancora più stupefatta di quanto già non fosse. – Sei perfettamente sana ragazza. Ma se proprio vuoi una prova – disse il Dottore prima di tirarle una ciocca di capelli. Lei si lasciò sfuggire un’imprecazione per il dolore ma non reagì in altro modo – Visto – disse lui – se stessi sognando, o immaginando, non sentiresti dolore. Ora, vuoi continuare a pensare di stare per morire, cosa che dato il colore dei tuoi capelli in questo periodo storico potrebbe accadere, o vuoi renderti utile? –

In quel momento un rumore in lontananza li fece alzare il livello di guardia; dopo pochi secondi, in lontananza i due viaggiatori, videro apparire delle sagome di uomini a cavallo che galoppavano dritti dritti nella loro direzione. Erano proprio come venivano raffigurati nei libri di storia di Linda, con l’armatura che rifletteva i raggi del sole, in groppa a dei cavalli bardati con drappi colorati. Per un momento si fece cogliere dal panico vedendo le lance e le spade nel fodero  - Che cosa facciamo, Dottore? -  chiese mentre il gruppo di cavalieri si faceva sempre più vicino e, accorgendosi di loro, rallentava e si disponeva a cerchio, circondandoli.

Il Dottore alzò le mani in segno di resa  - Ci presentiamo e ci facciamo catturare se serve. Devo parlare con il re – sibilò alla ragazza. Lei, ricordandosi delle parole di lui sui suoi capelli e sul rischio che correvano le donne rosse di essere scambiate per streghe, prontamente tirò su il cappuccio della sua giacca, nascondendo il meglio possibile la sua chioma.
Linda nel frattempo aveva contato gli uomini a cavallo, erano cinque: non tantissimi, ma decisamente troppi da poter affrontare in un qualsiasi tipo di duello. Quello in sella al cavallo più alto, che puntava la lancia proprio davanti al volto del Dottore scese dalla sua cavalcatura, lasciò la lancia al cavaliere alla sua destra e si avvicinò al Signore del Tempo: - Cosa ci fanno due forestieri vestiti di stracci a vagabondare nel regno di re Artù?  - chiese da dentro l’elmo che gli distorceva la voce. Linda poté comunque notare che, nonostante l’ingombrante armatura che aveva addosso, quell’uomo sembrava possedere un fisico snello e ben strutturato, anche piuttosto alto per la media dell’epoca – si ricordava che in passato gli uomini erano più bassi di statura, anche se continuava a dimenticarsi la motivazione.
– Chiedono di poter essere ammessi alla corte del sovrano – rispose prontamente il Dottore abbozzando un inchino.
– Chi è la schiava che ti accompagna? – domandò di rimando il cavaliere.  Linda fu sul punto di intervenire ma il Dottore l’anticipò  - Una nuova compagna, un dono, da parte di un umile vecchio per il suo sovrano – rispose, facendo crescere la rabbia della giovane. Fece un passo in avanti, pronta a far tacere chiunque si trovasse dietro quell’elmo lucente, ma si sentì strattonare la manica della giacca: il Dottore la fissava, facendole dei piccoli cenni di abbassare il capo e inginocchiarsi. Lei, stizzita, strattonò il braccio e acconsentì solo a un breve cenno del capo, rialzando lo sguardo subito dopo. Fu allora che vide l’uomo togliersi l’elmo e sorridere.

Era l’uomo più bello avesse mai incontrato fino a quel momento: i capelli biondi, leggermente mossi, incorniciavano un viso dai lineamenti gentili, ma ben definiti e per niente effeminati. Gli occhi, scuri così tanto da sembrare neri, fissavano fieri lei e il Dottore e infine il sorriso era caldo, per nulla affettato, ma trasudava sicurezza e sincerità in una volta sola. Un lieve accenno di barba bionda sulla guance completava il quadro.
Linda non poté fare a meno di trattenere il fiato e portarsi una mano alla bocca per evitare di lasciar trapelare i suoi pensieri a voce alta e la dovette premere ancora più forte quando l’uomo si avvicinò al Dottore dandogli un’amichevole pacca sulla spalla
- Per un attimo ho pensato ti fossi dimenticato il mio compleanno, Merlino – disse, facendo così rispondere il Dottore :– Non me lo perderei per niente al mondo Artù!  -
 
Erano stati scortati dai cavalieri di Camelot fino al castello, dove quello che Linda aveva sentito chiamare dal Dottore Artù, aveva provveduto a consegnare loro degli “abiti consoni al palazzo”. Il Dottore aveva rifiutato con un gesto della mano, ma Linda, che fino ad ora aveva accuratamente tenuto il cappuccio sul capo, aveva accettato gli abiti, seguendo quello che era diventato il suo unico punto di riferimento al momento. Dopo aver seguito tutte le etichette previste, il Dottore si congedò e indicò alla ragazza una stanza dove potersi cambiare, quando fu pronta e uscì, si sentiva parte di una commedia in costume. – Se sei Merlino – disse rivolta al Dottore – sei un mago e se sei un mago mi hai preso in giro e me la paghi!  -

Il Dottore la guardò – Artù mi chiama così, storia vecchia, l’ho aiutato quando era giovane contro un alieno e da quel momento pensa io sia un mago e mi chiama Merlino. In realtà si chiamava così l’alieno, ma poco importa. Quello che importa è che non dovrebbe trovarsi qui  - disse pensieroso. Linda, ormai arresa all’idea di trovare del senso logico in quella situazione, si sistemò con cura una ciocca di capelli che fuoriusciva dal velo che aveva provveduto a sistemarsi in testa.
- Cosa intendi? – chiese – e soprattutto come ne usciamo? Insomma, come torniamo alla tua nave e di conseguenza a Londra? –
Il Dottore ignorò l’ultima domanda : - Intendo Linda, che il re oggi compie 32 anni ed è strano che durante l’ingresso a palazzo non ci fosse la regina ad accoglierlo.  Dovrebbe essersi già sposato,e se non vado errato, dovrebbe anche essere già stato tradito. Il regno dovrebbe essere al suo stadio finale! - 
- A me non sembra proprio. – replicò Linda guardando fuori dalla finestra della stanza. In quel momento dei colpi alla porta avvertirono i due della presenza di un’ancella che li avrebbe scortati alla sala da pranzo, per prendere parte al banchetto del re. 

- Proprio per questo c’è qualcosa che non va – bisbigliò il Dottore – Ti va di scoprire cosa? – le chiese porgendole la mano all’uso medievale, stesa con il palmo all’ingiù. Linda lo scrutò per un instante, poi lo raggiunse, mettendo la propria mano pochi centimetri sopra quella di lui – sarà pericoloso? – fu la replica di lei.

Il Dottore sorrise: - Bhe dipende, in tua opinione, per la tua specie quanto può essere pericolo un paradosso temporale? -
 
 
 
Bene, ora l’introduzione alla storia è finita, dal prossimo capitolo si entra nel vivo. Ditemi pure cosa ne pensate,mi fa davvero piacere ricevere le vostre opinioni e tutte sono ben accette, altrimenti non si può migliorare! 

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Capitolo 4
*** Una rigida stringa di causa ed effetto ***


Bene! Rieccomi: dunque, la storia inizia a entrare nel vivo, finalmente si inizia a capire cosa c’è che non va - vi chiedo scusa se l’inizio sembra lento, ma ho solo cercato di non rendere i personaggi delle semplici marionette, ma dei veri e propri umani (umani?)con un percorso e dei pensieri di sottofondo. Btw, la parte di cross – over si avvicina, siate pazienti ancora per poco!
Vi ringrazio tantissimo per le visualizzazioni e i messaggi e vi invito sempre a farmi sapere cosa ne pensate, mi aiutate davvero a capire se è una storia chiara solo nella mia testa o meno!
Detto questo, buona lettura!
 
 
3. Una rigida stringa di causa ed effetto*
 
Linda, avendo abbandonato, almeno per il momento, l’idea di essere intrappolata in una sua fantasia, prese posto accanto al Dottore a quella che, non senza stupore, riconobbe essere la Tavola Rotonda: era semplice, poco più rande di come l’aveva immaginata da bambina, semplice, di legno scuro con uno stemma inciso al centro.  – Questa è davvero la tavola Rotonda?  - chiese al Signore del Tempo, con la stessa incredulità di una bambina. Il Dottore annuì, prendendo posto tra lei e Artù, che li stava aspettando circondato dai suoi cavalieri.

Il re, vestito con preziose stoffe dai colori blu e verdi, la corona dorata  - un semplice anello con incastonate alcune pietre preziose - che gli cingeva delicatamente la fronte e il mantello di un rosso brillante, fu prodigo di sorrisi per il Dottore e anche per lei stessa, notò con stupore; presentò ai due ospiti tutti i suoi cavalieri, ma solo di alcuni Linda ricordò il nome. Fu proprio la memoria che aveva delle vecchie storie su Camelot e re Artù che la portò a sussurrare al Dottore, in un momento in cui l’attenzione non era concentrata su di loro : -  Dottore, non mi sembra di aver sentito nominare Lancillotto. Non era il cavaliere più fidato del re? –
Il Dottore staccò un morso di selvaggina dal piatto che aveva e annuì, si alzò e la condusse alla finestra, proprio nel momento in cui una piccola compagnia di musicanti entrava nella sala, insieme a un piccolo drappello di quelle che sembravano nobildonne e dame di corte e le danze per festeggiare il sovrano iniziavano. 
- Brava, Linda – le rispose lui a mezza voce – cosa altro riesci a notare di strano in questa stanza?  - le domandò facendola voltare. Entrambi osservarono la stanza: tutti i cavalieri avevano una dama con la quale stavano danzando, tutti tranne il re, che stava seduto con in mano un prezioso calice dal quale sorseggiava di tanto in tanto del vino rosso. La ragazza si fermò a osservare la figura del sovrano un secondo più a lungo del necessario, tanto che il Dottore le passò una mano davanti agli occhi, credendola in uno stato di trance. Linda sbatté le palpebre  e poi a mezza voce si lasciò sfuggire : - Il re è triste –

Il Dottore rimase sorpreso da quell’affermazione, soprattutto dal fatto che la ragazza accanto a lui lo avesse notato dopo così poco tempo e nessun discorso diretto tra i due umani; ecco un’altra cosa che lo incuriosiva di quella chioma rossa con sotto una ragazza umana. Era riuscita a comprendere a distanza le emozioni di un perfetto sconosciuto. Lui non era stato così perspicace, emotivamente parlando almeno. – Dici? Sarà la musica, non può apprezzare gli ACDC.  – sentenziò il Dottore, riuscendo a catturare l’attenzione di Linda -  In ogni caso, se fosse triste, riesci a spiegarmi il perché? –
Linda si obbligò a guardare il resto della sala e non soffermarsi di nuovo sul re, e solo dopo qualche secondo esclamò: - Ginevra!  Non vedo Ginevra! –
Il Dottore applaudì, iniziando a girovagare per la sala, fingendo di accennare qualche passo di danza di tanto in tanto. Linda, prese a stargli dietro, sforzandosi di non inciampare nella lunghissima gonna che indossava. – Ma, non può essere…. Insomma, se tu qui sei conosciuto come Merlino – dichiarò – non c’è la possibilità che anche le figura di Lancillotto e Ginevra sian, come dire, artefatte?  O credi che la regina abbia già tradito il re? – la domanda venne proferita senza quasi che lei se ne rendesse conto. Non riusciva a capire se provava gioia o rabbia mentre le parole uscivano dalla sua bocca. Forse era solo soddisfatta di se stessa per le conoscenze storiche che aveva conservato dall’infanzia, niente di più. Anzi, era sicura che fosse quello il motivo, non poteva, non doveva esserci altro motivo.

 – Buona domanda. Vai a fare qualche domanda e scoprilo. Ci vediamo qui tra circa tre balli – replicò il Dottore prima di volteggiare e uscire dalla stanza.
Linda si ritrovò sperduta e per qualche istante rimase immobile, assalita dal panico, con la testa che girava e un vago senso di vertigine. Bene, pensò, se quello era il segno che l’allucinazione stava per finire avrebbe fatto in modo di evitare di farla terminare con uno svenimento davanti a tutta la corte di Camelot. Si trascinò accanto alla Tavola Rotonda, dove prese un paio di respiri profondi, notando con piacere che la sensazione di svenimento stava scemando. Fece giusto in tempo a gioire di quella sensazione per pochi istanti, prima di sentirsi invadere il viso da una vampata di calore, accorgendosi di trovarsi a un paio di sedie di distanza dal sovrano di Camelot. Dal sovrano di Camelot che la stava fissando. Chiuse gli occhi, sperando di sfruttare il vecchio trucco dei bambini “ se non lo vedo non mi vede” ma realizzò subito la stupidità di quell’idea. Sospirò nuovamente, aprendo gli occhi e avanzando, prendendo poso nella sedia accanto a quella del re. – Non ballate, Altezza? – domandò sorridendo imbarazzata.

Artù strabuzzò gli occhi incredulo: - Non vi hanno insegnato le buone maniere,lady…?-
- Linda – rispose prontamente la ragazza tendendogli la mano – Linda…oh! – si portò la mano che non aveva teso alla bocca, ragionando che, se anche solo una minima parte di tutta quella situazione era reale, aveva infranto almeno una decina di regole di etichetta medievale. Aveva testo la mano e parlato a re Artù come se fosse un ragazzo qualsiasi.  – Sono… mortificata, Artù…Altezza, perdonatemi io… non sono solita assistere a questo genere di….feste – biascicò mentre sentiva le guance in fiamme. Il sovrano la scrutò gli occhi scuri sembravano soffermarsi su ogni possibile particolare da notare. Poi prese delicatamente la mano che Linda gli stava porgendo, portandola alle labbra e sfiorandola appena, senza distogliere lo sguardo dal viso di lei :- Questo – disse poi con voce calda controllata – è un modo consono di salutare - .
 

Il Dottore, allontanatosi dalla sala da ballo si dirigeva tra i grandi corridoi del castello cercando una pista da seguire. Di tanto in tanto, quando nessuno nelle vicinanze lo osservava, puntava il suo cacciavite sonico contro le pareti, alla ricerca di una traccia, di un indizio. Quasi non si accorse delle scale che lo portarono in cima a una torre, dove poteva avvertire da se che l’aria era diversa; riusciva a percepire la distorsione dello spazio tempo mano a mano che saliva i gradini. Rise di soddisfazione al pensiero che c’era qualcosa ad attenderlo, probabilmente qualcosa di pericoloso.
Giunto in cima, si soffermò a guardare dritto davanti a sé, avanzando di qualche passo: sembrava tutto normale, la brezza che gli sfiorava il volto, il sole che gli scaldava la pelle e l’ombra di una sagoma umanoide che si proiettava accanto a lui  - Oh no, siamo seri? – disse prima di voltarsi imprecando in qualche lingua aliena.

 
- Ditemi, Linda – chiese il sovrano, dopo averle offerto del vino e aver aspettato che lei ne bevesse almeno un sorso per far scemare l’imbarazzo  – da dove venite? – Linda stirò la stoffa della gonna con i palmi delle mani: non era una risposta semplice da dare, non se quello che stava vivendo era reale. Decise di mettere a tacere la voce della ragione, almeno per un po’.
 – Dall’altro lato del mare. – rispose – ma ho sentito molto parlare di Voi. Di voi e del vostro regno –
- E cosa si dice del mio regno nella tua terra? – domandò allora Artù incatenando il proprio sguardo a quello di lei. Linda sentì le guance farsi di nuovo caldee si affrettò a bere un altro sorso di vino, se non altro per trovare un fattore a cui dare la colpa del suo modo di fare.
– Si dice che re Artù sia il più grande sovrano che sia mai esistito – esordì – e che esisterà per molto tempo. Dicono che il vostro regno sia un posto dove regna la pace e la giustizia. E che siete leale e corretto. E di buon cuore. Circondato da cavalieri fedeli, amici, quasi fratelli, che vi seguono in ogni battaglia e che sono i più nobili cavalieri che si possano incontrare. – Prese un profondo respiro prima di aggiungere -  E che la regina Ginevra sia la più bella donna mai vissuta - .
Si pentì subito di aver pronunciato quella frase. Artù, che fino a qualche istante prima stava sorridendo con un calce di vino in mano, rabbuiò lo sguardo, posando violentemente il calice sul tavolo, facendolo sbattere. – Strega – sibilò cercando di mantenere il controllo -  ecco cosa sei. Avrei dovuto notarlo dai tuoi capelli. Sparisci dalla mia vista! –
Linda, colta di sorpresa da quel repentino cambio d’umore del Sovrano e sentendosi insultata, cercò di riportare al suo posto una ciocca ribelle che le era caduta sulla fronte, con un rapido gesto.  – Non sono una strega -  ribatté -  e il massimo che posso fare è scusarmi se ho detto qualcosa che Vi ha offeso – poi fece per alzarsi – quello che mi sarei aspettata da uno con la Vostra fama però, sarebbe stata una spiegazione, o quando mento una risposta. Evidentemente tutte le voci sul famoso re Artù sono menzogne. Con permesso – voltò le spalle e iniziò a cercare di ritrovare il Dottore e con lui la via per tornare a casa.
 

Il Dottore guardò prima l’ombra, non voltandosi, puntando il suo cacciavite sonico direttamente alle sue spalle. – Oh, lo sapevo! Le cose si fanno divertenti -  rise -  sai, non mi spiaceva la vostra mancanza. Tua e dei tuoi amici, ma mi fa piacere rivedervi qui. La mia domanda è: sei collegato vero? Ovviamente sei collegato al paradosso, ma come? Oh no no non me lo dire. Facciamo così, tu torni da dove sei venuto e io…bhe io torno a Londra! – disse, voltandosi, ma di tutto quello che aveva detto di fare, l’unica cosa che riuscì a compiere fu correre verso le scale e cercare di ritornare il più velocemente possibile alla sala da ballo. 

 
- Solo una lo è – mormorò Artù, alzatosi a sua volta, afferrando il polso di Linda. La sua presa era salda, ma nella presa non vi era una forza violenta, notò la ragazza, che lo guardò dura, ancora offesa dal comportamento. Il re lasciò il polso invitandola con un gesto della mano a risedersi. Linda però, non riprese posto, ma fece per allontanarsi maggiormente. Forse per la manca dei rifiuti che riceveva o forse per il modo di fare decisamente anacronistico per quella giovane lo spinsero a rinunciare ad accomodarsi ma anzi, a seguirla nel mezzo della sala, riuscendo a fermarla poco prima che arrivasse alla porta dall’altro capo della stanza. Le prese nuovamente il braccio, all’altezza del gomito, questa volta con un poco più di forza rispetto a prima, per costringerla a fermarsi.
– Siete soliti usare sempre questi metodi poco diplomatici in quest’epoca? – non poté fare a meno di lamentarsi Linda prima di voltarsi verso il re. Pensava di ritrovarsi davanti di nuovo lo sguardo truce di poco prima, ma la sorpresa fu evidente sul suo volto quando al posto di due occhi accusatori vide due occhi tristi, su un volto che non aveva decisamente l’aria di sfida.  – Accompagnatemi fuori, damigella Linda -  disse semplicemente.

 
Il Dottore correva velocemente, sentendo minacciata non solo la sua persona ma l’intero universo. Ancora non riusciva a collegare tutti i pezzi, ma era sicuro che doveva esserci un collegamento tra la sua Tardis che riprendeva a funzionare solo quando quei bellissimi capelli rossi con insieme la ragazza irlandese apriva la porta della cabina, l’essere finiti a Camelot in un periodo storico che non dovrebbe esistere e infine di nuovo la consapevolezza di dover salvare la Terra e l’Universo circostante. C’era un collegamento, ma non riusciva a capire ancora quale fosse e la cosa lo infastidiva terribilmente. Svoltò a sinistra in un corridoio, fermandosi qualche secondo per riprendere fiato: nella prossima rigenerazione avrebbe provveduto a un fisico degno da maratoneta, si riprometteva, mentre voltandosi e trovandosi davanti al pericolo esclamava un’imprecazione, correndo dapprima all’indietro per poi aprire una porta e sbattersela alle spalle con furia. Doveva decisamente tornare alla Tardis per cercare di capire cosa stesse succedendo.


– Come sarebbe a dire non esiste una regina?  - esclamò Linda, forse con un po’ troppa sorpresa nella voce. Artù la fissò come si fissa un bambino che  si sorprende di una cosa ovvia, ripetuta troppe volte: con un misto di pietà e fastidio.  Lui si sforzò di sorridere mentre l’accompagnava lungo uno dei lunghi corridoi del castello, passeggiando lentamente.
– No, Linda non esiste alcuna regina. Le notizie che ti sono giunte sono errate. La Ginevra di cui senti parlare è una bambina, figlia di uno dei cavalieri, Lord Mordred. –
- Mordred? È uno dei vostri cavalieri?- Dalle storie che aveva letto, Mordrded era il cavaliere che avrebbe portato Camelot alla rovina e Artù alla morte. Le leggende posso sbagliare esistevano molte versioni della storia di Artù, ma sulla sua fine quasi tutte concordavano. 
– Lord Mordred e Lord Bedivere sono i cavalieri che sono stati con me fin dall’inizio, mi hanno salvato la vita in più occasioni. La piccola Ginevra ha avuto l’onore di essere stata portata alla mia presenza appena nata, subito dopo la morte della madre. Ma ha solo qualche mese di vita.  -  sospirò il re – tutta la corte preme perché trovi una regina, ma la verità è che non vi sono donne all’altezza di essere la regina di Camelot, sia per rango sociale troppo poco elevato, sia per, come dire, scarso temperamento -  Artù si ritrovò a fermarsi e incrociare lo sguardo di Linda: gli occhi verdi di lei erano grandi, pieni di decisione e, stranamente per lui,privi di un qualsiasi segno di pudore che le altre donne della corte mostravano. Quella giovane non abbassava lo sguardo, al contrario, sosteneva il suo, alzando il mento, quasi in segno di sfida. In alcune occasioni, da qualche nobile, questo sarebbe stato considerato alto tradimento.
 – Mordred e Bedivere avete detto – cercò di sviare l’attenzione la ragazza, riprendendo a camminare, mentre sentiva nuovamente le guance riscaldarsi – tra i vostri cavalieri non c’è Lancillotto? –
Il re scosse la testa, stava per fornire una spiegazione maggiore quando dal fondo del corridoio si udirono dei passi, passi di corsa, seguiti poco dopo dalla figura di un uomo magro, con i capelli riccioli e grigi, pantaloni a quadri e una giacca nera, foderata  di rosso, che correva incontro a loro. 
– Merlino! - - Dottore!- esclamarono i due. Linda fece qualche passo per andargli incontro, cercando di capire cosa gli fosse successo: aveva il fiatone, quindi aveva corso, ma la cosa che la spaventava era lo sguardo di lui, uno sguardo spaventato. Bene, pensò, se è spaventato lui che mi ha trascinato qui dicendo di essere un alieno, chissà come devo reagire io, che sono solo un’umana!
La luce che filtrava dalla finestra conferiva un po’ di colore al volto del Signore del Tempo che era incredibilmente pallido. Aveva visto qualcosa, qualcosa di pericoloso e doveva tornare assolutamente alla sua cabina blu per cercare di mettere le cose a posto .
 – Dottore stai bene? – chiese Linda posandogli una mano sulla spalla, cercando di capire cosa preoccupasse così tanto il suo compagno di viaggio.  Il Dottore fece un respiro profondo, poi cercò di sistemarsi. Ora sembrava visibilmente più tranquillo  
- Si, si, ho corso -  disse – perché ho corso? Oh, si siamo in pericolo in un grande pericolo! Tu hai scoperto qualcosa? – chiese – Niente Ginevra, né Lancillotto. Mordred è uno dei buoni. Le leggende sul regno di Camelot che ci insegnano sono tutte sbagliate -  rispose Linda, voltandosi leggermente indietro per indicare Artù, il quale però continuava a osservare fuori dalla finestra, con un’aria dubbiosa. Il Dottore notò la cosa, con un gesto del braccio scostò la ragazza che gli impediva la visuale e lentamente fece un paio di passi in direzione del sovrano.  
– Artù che cosa avete visto? – chiese preoccupato. Senza distogliere lo sguardo dalla finestra il re alzò un dito indicando fuori
– Quella statua, Merlino. Quella statua a forma di angelo non è mai stata presente a Camelot!-
 
 
 
*Il titolo del capitolo è la traduzione che viene fatta nel doppiaggio nella 3x10, sicuramente l’avete colta, ma per spirito di diligenza, ho messo l’annotazione!
 
Bene, finito anche questo capitolo.  Il prossimo si prevede essere decisamente più attivo e meno discorsivo, ma questi discorsi erano funzionali alla trama, quindi scusate la prolissità e, di nuovo, fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 5
*** 4. Ma un punto di vista non lineare non soggettivo è una bolla, cosa di tempo ***


Ed eccoci al nouvo capitolo, pochissima introduzione, anzi direi nulla: sappiamo che c'è un Angelo Piangente  in giro per Camelot.... cosa può fare un Angelo a Camelot, con il Dottore presente? nel capitolo la risposta! Buona lettura!

 

4. Ma un punto di vista non lineare non soggettivo è una bolla, cosa di  tempo

Il Dottore si precipitò accanto al re, guardando nella sua stessa direzione, vedendo anche lui una delle creature più pericolose che avesse mai incontrato nello spazio e nel tempo: una statua di una donna, con una lunga veste, i capelli mossi raccolti, due grosse ali sulle spalle e  le mani che le coprivano il viso si ergeva sulla torre che il Dottore riconobbe essere quella da dove era scappato pochi minuti prima.
Linda, mettendo a tacere nuovamente la parte del suo cervello che le suggeriva di svegliarsi da quel sogno, o almeno di considerare l’idea di aver assunto sostanze stupefacenti di scarsa,  oppure ottima doveva ancora deciderlo, qualità,  si avvicinò al Dottore, guardando fuori dalla finestra e notando la statua.

 – E quindi? È  una statua, con un castello così grande magari ti è sfuggita…Vi, vi è sfuggita Artù – disse guardando il re. Il Dottore, senza staccare gli occhi dalla finestra le afferrò una spalla saldamente
– Non distogliere lo sguardo – disse e nella sua voce traspariva più preoccupazione di quanta la ragazza riteneva necessaria.
In quel momento, al posto di fare come indicato dal Dottore, Linda guardò l’uomo che si era dichiarato un Signore del Tempo, mettendo una mano sulla sua, costringendolo così a guardarla – E’ una statua, Dottore. Una statua di un angelo triste, che piange. Un po’ macabra magari, non adatta del tutto a Camelot forse, ma una statua – cercò di spiegare .

Oh ecco, la solita umana che cercava di portare le cose a un livello di comprensione accessibile alla sua mente decisamente primordiale, almeno dal punto di vista di un Signore del Tempo. E cosa più importante, nessuno dei due stava fissando la statua. Per fortuna Artù era un uomo saggio e non aveva distolto lo sguardo.
– Merlin…Dottore, perché sembri così preoccupato? -   Cosa? Nessuno stava fissando l’Angelo? Perché nessuno fissava l’Angelo?  - Voi due siete una coppia di…umani! – esclamò il Dottore mettendo le proprie mani sulle teste dei due, girando i loro volti. Artù strabuzzò gli occhi sorpreso mentre Linda si lasciava sfuggire un piccolo urlo: la statua non era più al suo posto sulla torre. Nessuno dei tre riusciva a scorgerla, anche se per quanto riguardava tutti, la voglia di cercare non era ai massimi storici. Qualsiasi fosse la cosa che avessero visto, aveva lasciato loro addosso una paura atavica, che difficilmente riuscivano a ignorare.
Il Dottore afferrò le braccia di Artù e Linda, trascinandoli lontano dalla finestra mentre iniziava a confabulare tra sé e sé.
– Qualcuno mi vuole spiegare cosa sta succedendo? – domandò Linda facendo resistenza alla presa del Dottore sul suo braccio. Il Signore del Tempo si voltò distrattamente a osservarla per rispondere con un laconico – Tardis, entrambi ora. –

- No! – esclamò lei divincolandosi dalla stretta fermandosi nel mezzo del corridoio – no tu ora mi dici cosa mi sta succedendo! Sei un alieno che viaggia nel tempo? Sei Serio? Provalo! Se davvero fossimo nel Medioevo non dovrei capire una parola di quello che lui mi dice – indicò Artù – invece comprendo ogni singola parola. E la statua? Cosa diamine è, uno scherzo? Una magia? Provami che non è una grossa messa in scena, perché davvero, per ora mi sembra solo di essere impazzita e dar corda a uno più pazzo di me! – aveva finito con l’urlare, incurante di rischiare di attirare l’attenzione di qualche guardia, che sicuramente sarebbe giunta e avrebbe aggiunto altre preoccupazioni, nonché anche la propria persona, nella lista di cose di cui il Dottore si sarebbe dovuto occupare.
Artù fissò Linda, leggermente offeso dall’affermazione della ragazza: insomma come poteva quella giovane parlare di lui come se fosse un comune contadino? Rischiava la vità ogni minuto con quella chioma rossa che si ritrovava, mettersi a urlare era decisamente una confessione di stregoneria! Se solo non fosse avvezzo alle stranezze di Merlino, o del Dottore, come cercava di farsi chiamare, l’avrebbe sicuramente fatta mettere al rogo nel giro di pochi minuti, nonostante la trovasse interessante. Anzi, soprattutto perché la trovava interessante; una donna che non rispettava alcuna regola non poteva fargli una buona impressione, c’era sicuramente qualche stregoneria di mezzo. 
– Va bene -  sospirò il Dottore afferrando la mano destra della ragazza e poggiandosela sul petto – lo senti il mio cuore battere?  - Linda annuì, sbuffando con rabbia. Perché diamine doveva controllare il cuore di un uomo o presunto tale mentre, sempre a parere dell’uomo o presunto tale, erano tutti in pericolo? – Bene – sorrise il Dottore, spostando la mano della giovane sul lato destro del petto – e adesso? – Gli occhi della ragazza si spalancarono per la sorpresa: sentiva due cuori, due battiti distinti, due cuori. Una cosa decisamente aliena, bisognava ammetterlo.

– Sì sono due. Riesci a capire le parole di Artù perché la Tardis traduce tutte le lingue nella tua testa rendendole comprensibili per te. Ora, capisco che questo possa sembrare un tantino insolito per la tua noiosa routine umana, ma ti assicuro tutto quello che ti sta succedendo è vero, il pericolo che stiamo correndo è vero e ti prometto che se riusciremo a uscire vivi da questa storia non solo ti riporterò a Londra, ma ti darò la possibilità di viaggiare di nuovo nel tempo. Adesso però devi cercare di darmi retta e obbedirmi, ok? -  replicò il Dottore accennando un sorriso.  – Credo che la parola “fidarsi” sarebbe stata più attinente -  balbettò lei.
Entrambi si voltarono verso Artù che li fissava, ignaro della fortuna che lo aveva protetto proprio facendo sì che Il Dottore e Linda lo guardassero. La ragazza urlò spaventata vedendo a meno di un metro di distanza dal re, la statua, la stessa statua che pochi minuti prima era sulla torre. Artù si voltò  a sua volta, indietreggiando per lo spavento, ma inciampando nel lungo mantello. Il Dottore lo guardò brevemente, Linda allungò le braccia aiutandolo a non cadere, guardandolo e sorridendogli. Artù ricambiò lo sguardo abbozzando un sorriso imbarazzato, poi entrambi tornarono a guardare la statua. Un nuovo piccolo urlo uscì dalle labbra della ragazza: la statua era avvicinata nuovamente a loro, ma le mani non erano più davanti al volto ma erano protese verso di loro, rivelando il volto senza espressione dell’angelo.  

– Non distogliete lo sguardo – Disse il Dottore, aiutando i due ad alzarsi, senza smettere di fissare l’Angelo. Con una lentezza che era in netta opposizione alla voglia di scappare il più lontano possibile, Linda indietreggiò di qualche passo, arrivando ad afferrare la mano del Dottore. Il Signore del Tempo si irrigidì per quel contatto, forzandosi di mantenere i suoi occhi fissi sull’Angelo Piangente. La mano della giovane era fredda, probabilmente a causa della paura, ma la presa era salda; il Dottore apprezzò la cosa, una mano salda in un momento di pericolo significava poter contare su una persona che cercava di non farsi prendere dal panico. Forse, se la sua Tardis si era fidata di quella chioma rossa facendola entrare e rimettendosi in moto, forse anche lui poteva farlo, almeno fino a quando non avrebbe risolto il problema di lei e dell’anomalia temporale in cui si trovavano.

La cosa più urgente da fare al momento era però cercare di scappare dall’Assassino Solitario e raggiungere la cabina blu, lasciata tra gli alberi fuori dalle mura di Camelot. Il Dottore stava elaborando un piano, ma la voce di Linda interruppe i suoi pensieri
– Togliti il mantello Artù -  disse con voce incredibilmente ferma, tanto che anche lei se ne sorprese. Il re la fissò ma non vide ricambiato il suo sguardo. La giovane, visibilmente terrorizzata, continuava a fissare quel mostro davanti a loro. In ogni caso nessuno dava ordini al re, men che meno una giovane conosciuta poco prima! – Come osa… -   si affrettò a dire, venendo prontamente interrotto dalla ragazza - Non c’è tempo per i convenevoli Artù, sei inciampato e questa statua è inquietante. Togliti quel mantello e poi slacciami i bottoni del vestito, io continuo a fissare questa…cosa -  Al silenzio imbarazzato che seguì si affrettò poi ad aggiungere -  non sono nuda sotto, porto pantaloni! –  
- Dalle retta, e in fretta -  aggiunse il Dottore. Il re,  slacciò il proprio mantello facendolo cadere a terra, per poi, non senza un certo imbarazzo a iniziare a districarsi nella lunga fila di bottoni presenti sul retro del vestito di Linda, che si divincolò con sollievo dalla stoffa pregiata, sempre mentre fissava quella spaventosa creatura.
Il Dottore ricominciò a indietreggiare lentamente, afferrando la mano della ragazza, invitandola silenziosamente a fare lo stesso. Lei obbedì, mentre sentiva un impulso quasi impossibile da contrastare di chiudere gli occhi, almeno per un secondo. Istintivamente cercò con l’altra sua mano quella di Artù e quando la trovò, non si preoccupò minimamente di stringerla con decisione. Il Dottore aumentò leggermente il passo, fino a far indietreggiare tutti e tre infondo al corridoio. 

-  Al mio segnale, giratevi e correte come se da questo dipendesse la vostra vita. Bhe, in realtà è così. Pronti? – chiese sentendo la maniglia di una porta contro la sua schiena.  – Sì – rispose Artù.  – Fallo in fretta -  sussurrò Linda, con la voce ora sì tremante. Aveva un disperato bisogno di chiudere gli occhi, almeno per un secondo. L’angelo appariva ormai distante ma la minaccia che riusciva a incutere riusciva ad attraversare i metri che lo separavano dai tre sventurati.
Il Dottore lasciò la mano di Linda, sentendo lei trattenere istintivamente il fiato  e irrigidire i muscoli. Aprì la grossa porta di legno,posizionandosi dall’altra parte, per non perdere la visuale dell’Angelo         – Ora! -  esclamò. Artù e Linda scattarono oltre la porta. Il Dottore fissò nuovamente l’Angelo mentre richiudeva dietro di sé la porta di legno sigillandola con il suo cacciavite sonico.
Linda, con il fiatone guardò il Dottore -  Che cosa diamine era quello? -  domandò lasciando che le sue gambe tremassero, incapace di mantenere la calma ora che si sentiva al sicuro.

Il Dottore riprese a camminare a passo svelto, scuro in volto, muovendosi tra i corridoi del castello di Camelot mentre cercava l’uscita. La ragazza gli trotterellava dietro, seguita a ruota da Artù. Nessuno dei due, forse per l’adrenalina ancora in circolo, si era accorto di camminare mano nella mano.  -  Quello è un Angelo Piangente – spiegò il Dottore mentre guadagnava l’uscita  del castello e si incamminava sul sentiero dal quale lui e Linda erano giunti a palazzo – o un Assassino Solitario. È una creatura antica, si nutre di deformazioni temporali. –
- Quindi come ti uccide? E come si uccide? -  domandò Artù.
- Oh, non puoi amico mio.  Non puoi uccidere un Angelo Piangente, non puoi uccidere la pietra. E non ti uccide, non sempre, fa molto peggio  - rispose il Dottore  - Ah! Eccola!  -  esclamò poi quando riconobbe il profilo della sua Tardis.  – Vi spiegherò il resto quando saremo al sicuro, su su, avete duemila anni meno di me, fate andare quelle gambe! –
- Dottore, quanto veloce può essere un Angelo? – domandò Linda stringendo inavvertitamente la mano di Artù  - Più veloce di quanto tu creda.  – Oh, fantastico – ironizzò la giovane -  e possono fare quello che fanno anche alle cose, oltre che alle persone? –
- Probabile, non ho ancora avuto prove. Perché? – Ormai erano a pochi metri dalla cabina blu, una decina di passi massimo e sarebbero stati al sicuro. Mentre il Dottore allungava una mano per aprire la porta della sua nave spaziale gli giunse la risposta, la peggiore che temeva – Perché se entriamo nella cabina smettiamo di guardarlo e lui la tocca –

Poi accadde tutto in meno di un secondo: una folata di vento alzò alcune foglie che erano cadute a terra, una delle quali si posò sulla faccia di Linda. Artù con la mano libera cercò di liberare la visuale della ragazza, il Dottore strinse il braccio di lei con una mano e con l’altra la maniglia della porta della Tardis. Tutti e tre avevano perso il contatto visivo con l’Angelo; sentirono una forte sensazione di vertigine. Linda urlò, Artù sentì mancare la presa della mano di lei e il Dottore sentì venir meno il freddo della maniglia della Tardis.
Poi sentì qualcosa di duro sul suo volto e un peso sopra la sua schiena. Riuscì a mettere a fuoco Linda, che caduta sopra di lui, boccheggiava in cerca di ossigeno e il profilo della Londra che aveva lasciato con la ragazza prima che tutta questa storia iniziasse. Comprese che il duro sul suo viso non era la sua nave spaziale ma  cemento e lanciò un’imprecazione. Linda, visibilmente sotto shock, cercò di puntare le gambe per terra, rialzandosi con fatica. Non era un sogno, ora ne era certa: le girava la testa, era terrorizzata ed era sicura di aver rischiato la vita. Nei sogni in circostanze simili ci si sveglia e se a lei non era ancora successo significava che quel giorno l’intero Universo aveva deciso di giocare con lei a un gioco di cui ignorava le regole.

– Cosa. Cosa è successo? – chiese mentre prendeva dei respiri profondi. Il Dottore rimase sdraiato per terra, pieno di rabbia: quella creatura malefica lo aveva in qualche modo separato dalla sua Tardis, di nuovo*! Doveva elaborare un piano, capire dove era finita la sua nave e come recuperarla. Inoltre doveva ancora cercare di capire il problema di Artù e Linda. A proposito, dove era finito Artù?  - Che hai detto? – domandò Linda sentendo biasciare il Dottore
-Dove è Artù? – ripeté lui alzandosi svogliatamente. Linda sbiancò: - Gli stavo tenendo la mano… io… io, oh no! È colpa mia! – Il Dottore le ripeté qualcosa riguardo i suoi occhi che si stavano inumidendo e solo quando comprese non sarebbe stato possibile parlare con lei finché sovrastata dalle emozioni le chiese di capire che giorno fosse. Lei deglutì sonoramente, poi si affrettò ad avvicinarsi a un’edicola, leggendo la data riportata sui giornali: era la stessa data del furto della sua borsa, in pratica era come se non se ne fosse mai andata in giro nel Medioevo rischiando ancora non aveva capito cosa, tenendo per mano re Artù.
Indicando al Dottore  il giornale per segnalare la data, si soffermò a leggere un trafiletto, parlava di un caso di scomparse di cui la polizia si stava con  l’aiuto di un detective privato. Il Dottore annusò l’aria  -  Manca un’ora al tramonto. In pratica è come se fossimo stati via per 6 ore circa -  Disse mentre iniziava a camminare in tondo -  Linda, se tu fossi una nave spaziale con l’aspetto di una cabina blu dove andresti per sfuggire a un Angelo Piangente?  -  le chiese fissandola. Lei si riavviò i boccoli rossi dietro le orecchie -  Dottore, credo di aver appena elaborato il fatto che tu abbia due cuori, non ho idea di dove possa essere la tua nave. Né dove sia finito Artù: dannazione è un re medievale catapultato nel 2016! Farà sicuramente dei danni! -  esclamò -  Dobbiamo trovarlo Dottore! - -Sì sì ma da dove partiamo?-
Linda allora abbozzò un timido sorriso indicando il giornale -  Dal chiedere aiuto? –  

-  Linda, ti credevo un poco più sveglia, non possiamo andare alla polizia -  cercò di spiegare pacatamente il Dottore. – Dalla polizia no -  replicò lei – ma abbiamo una persona scomparsa, un caso simile a cui qualcuno sta lavorando - 
- Va bene -  sospirò lui -  dove andiamo allora? –

Linda lo fissò, poi sospirò abbozzando un tenue sorriso  - Da quanto c’è scritto sul giornale, siamo diretti al 221B di Baker Street -  
 

*Di nuovo sì, come succede in "Don't Blink" dove il Dottore si ritrova "intrappolato" nel tempo, senza Tardis, sempre a causa di un Angelo Piangente.



Bene! Siamo entrati nel vivo: abbiamo un Angelo Piangente, un Dottore senza Tardis, un re catapultato mille anni avanti e un ignaro Consulente Investigativo che sta per essere travolto fagli eventi! 
Come sempre, commenti ben accetti! :)

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Capitolo 6
*** 5. Potrei anche essere dalla parte degli angeli ***


Eccomi! Dunque nuovo capitolo, finalmente arriva l’atteso incontro tra le due menti più folli e geniali dell’universo!
Non mi dilungo troppo nella prefazione, come al solito vi ringrazio per visualizzazioni, messaggi e affini e vi invito di nuovo a commentare, davvero mi fa piacere sapere cosa ne pensate e se soprattutto quello che scrivo ha un filo logico conduttore! Bene buona lettura!
 

 
5. Potrei anche essere dalla parte degli angeli*
 
Mentre Linda chiedeva informazioni a una signora su come raggiungere il più velocemente possibile Baker Street , il Dottore cercava di elaborare una spiegazione a tutto quello che era successo. Per prima cosa bisognava elencare i fatti: innanzitutto la sua Tardis aveva notato un’anomalia temporale non appena era arrivato a Londra, un’anomalia legata ad Artù. Lo aveva chiamato, doveva capire, ma poi quella ragazza, quella Linda, era apparsa dal nulla e in qualche modo era riuscita a far riattivare la Tardis che li aveva trasportati a Camelot, al cospetto di Artù, dell’Artù medievale almeno. Niente di strano per i suoi standard, se non fosse che quella Camelot in cui erano finiti non doveva esistere: una Camelot  al massimo dello splendore, senza una regina che tradisce il suo re e soprattutto con un Angelo Piangente che sembrava aver preso di mira proprio il sovrano. Bhe, non che un Angelo facesse differenza e scegliesse le sue vittime come una ragazzina schizzinosa sceglieva qualcosa da mangiare da un menu del ristorante, ma quell’Angelo li aveva raggiunti, proprio quando erano così vicini al mettersi in salvo e li aveva toccati, o meglio aveva toccato la Tardis, ma anche questo era strano: come poteva un solo Angelo Piangente avere l’energia necessaria per poter dislocare nel tempo non solo lui e i due umani, ma anche la sua nave spaziale?

Il Dottore era inquieto, i suoi occhi cercavano di trovare un filo conduttore, una ragione che univa tutti quegli episodi, perché doveva esserci! Eppure non riusciva a trovarla, facendolo sentire estremamente stupido e lui non era stupido: aveva un cervello che riusciva a elaborare calcoli che nessuno su quel pianeta sarebbe stato in grado di fare se non nel corso di almeno due secoli eppure non riusciva a capire! E poi c’era la torre di Camelot: quando era su quella torre aveva visto qualcosa di estremamente pericoloso, per questo era corso giù, doveva tornare ad avvisare Artù e Linda. 

– Dottore? Mi stai ascoltando? – gli chiese la ragazza. Lui si ridestò dai suoi pensieri annuendo e fissandola. Quella ragazza, con quei magnifici boccoli rossi che le ricadevano sulle spalle, non era una semplice ragazza irlandese, di questo ne era certo. Aveva un collegamento con quanto stava succedendo e prima sarebbe riuscito a scoprirlo, prima avrebbe trovato la sua Tardis e Artù e ovviamente avrebbe salvato lo spazio-tempo. 
– Stando alle informazioni di quella signora, non siamo molto distanti da Baker Street, se giriamo a sinistra arriviamo in circa cinque minuti di camminata -  disse sorridendo, ma tradendo un certo nervosismo. Ancora non riusciva a capire se quello che era successo era frutto di uno scherzo ben riuscito o della sua immaginazione.  Camminava accanto a quell’alieno con due cuori senza capire appieno il perché, ma allo stesso tempo non voleva allontanarsi da lui: stare vicino a lui, al Dottore, la faceva sentire carica di adrenalina, con tutti i sensi all’erta, ma non aveva paura. Era strano  ma non aveva paura, nonostante fosse consapevole che non avere paura di camminare per le strade di Londra con un alieno che viaggia nel tempo non fosse nelle attività consigliate ai turisti.

Camminavano in silenzio, un silenzio che a Linda stava diventando difficile da mantenere, prese coraggio e decise di romperlo con qualche domanda, sperando di non risultare banale:
 -  Così... tu sei un alieno? -  chiese mordendosi la lingua, per fortuna non doveva essere banale! 
- Già – rispose laconico il Dottore mentre rimuginava sui suoi pensieri.
- Di quale pianeta? Marte? O dalla Galassia di Andromeda? –
- Gallifrey. È il mio pianeta. Non un gran pianeta in realtà, una volta l’ho distrutto – altra risposta laconica.

- Ascolta probabilmente non ti sto simpatica, ma dobbiamo collaborare – sentenziò Linda fissando il terreno – insomma, non è che dobbiamo, per forza, ma ormai ci siamo dentro no? Intendo in questa storia,  intendo, ormai ci sono dentro anche io. Non vorrai fare tutto da solo e lasciarmi sperduta senza borsa e da sola in una città che non conosco giusto?  - cercò di sorridere, ma riuscì solo a stendere le labbra in una smorfia nervosa. 

Il Dottore si fermò a osservarla : - Perché sorridi se sei triste?  - le domandò ingenuamente, sperando in una risposta sensata. Linda fu colta di sorpresa da quella domanda e rispose lasciando trasparire tutta la sua tensione: - Perché un sorriso è ben accetto tra sconosciuti, un pianto decisamente no.  – disse meccanicamente – Non bazzichi molto su questo pianeta se me lo chiedi – cercò di scherzare ma il Dottore continuava a fissarla serio, le folte sopracciglia inarcate nel tentativo di scrutare qualche particolare che nessun altro umano aveva e che lei doveva avere.
- Parlami un po’ di te, Linda -  esclamò infine il Signore del Tempo riprendendo a camminare – Tu mi dici qualcosa di te e io ti dico qualcosa sugli alieni, ti va?  -
- Cosa vuoi sapere? –
- Perché se qui da sola? – la domanda che poteva sembrare innocua aveva uno scopo ben preciso; d’altronde, il Dottore stava imparando che si solito gli umani non viaggiano da soli, hanno bisogno di qualcuno con cui condividere quello che succede. Ripensò a Clara e prima di lei a Amy, Donna, Rose e Sarah Jane e a tutte le altre persone che aveva avuto accanto a lui. Persone che gli erano servite non solo per condividere, ma per rendere meno straziante la solitudine che si portava dentro, persone che, nei momenti più inaspettati gli avevano salvato la vita, ognuna di esse a modo suo.

Linda alzò gli occhi al cielo sbuffando, cercando di trovare le parole adatte a una spiegazione, poi riprendendo a camminare, iniziò a parlare, non senza una certa fatica a mantenere la voce ferma, notò il Dottore: - Oh bhe, doveva essere un viaggio di vacanza dopo il mio Master, dovevo venire a Londra con mio fratello e i miei genitori ma sai, nessuna famiglia è perfetta, i genitori talvolta litigano e io e mio fratello non avevamo voglia di essere spensierati. Lui non aveva voglia a dire il vero. Hanno disdetto, ma io mi sono rifiutata, insomma ho quasi trent’anni e voglio godermi una vacanza. Ho fatto le valigie e sono partita. Tanto nessuno ha fatto molti problemi riguardo la mia mancanza -  finì con il mormorare. Non era tutta la verità, lo sapevano entrambi, ma erano consapevoli che, almeno per il momento, non Linda non avrebbe dato altre informazioni in merito, né il Dottore ne avrebbe chieste. Per quanto ancora piuttosto in difficoltà nel comprendere la sfera emotiva umana, aveva imparato che non era saggio far soffrire una donna.  – E tu invece? -  riprese lei dopo qualche secondo – tocca a te  parlare –

- Signore del Tempo. Una razza antica, io sono scappato via con la mia nave, Tardis – Tempo e Relativa Dimensione Interna allo Spazio -  mi piace viaggiare  nello spazio  e nel tempo, spesso mi capitano guai e può capitare che qualcuno viaggi con me, anche se ultimamente sono da solo – Linda intuì dal tono della voce che anche per lui esisteva un tasto dolente ed era la compagnia.
- Siamo due persone sole che si stanno facendo compagnia allora -  mormorò la giovane guardandolo e sorridendo, questa volta con più serenità. – Dimmi però, cosa è successo nella mia vita nelle ultime ore?  -
Il Dottore sorrise, adorava quando gli chiedevano spiegazioni, era un momento in cui poteva mettersi in mostra e osservare sulle facce di chi gli stava di fronte lo stupore comparire i maniera sempre maggiore – La mia Tardis ha subito un’anomalia e pare tu sia in qualche modo collegata a ciò. Aveva smesso di funzionare, ma appena sei entrata ci ha portato a Camelot, il problema è che quella Camelot e quell’Artù non dovrebbero esistere. Poi l’Angelo ci ha toccato e siamo finiti di nuovo qui. È come se fossimo in un paradosso temporale che non ha ancora dato conseguenze, anzi, è come se l’Angelo Stesso avesse risolto un paradosso temporale, ma ci sono ancora un paio di punti oscuri: vedi un Angelo ti spedisce indietro nel tempo di solito, noi siamo tornati avanti. In più Artù…. Strano ho provveduto io stesso a portarlo qui quando Camelot crollava –

- TU cosa???? -   eccolo lo stupore, ad un volume un po’ troppo elevato forse, ma era arrivato.

-  Pensa Linda! Artù combatte per Camelot, ma Camelot cade. È un punto fisso nella storia, non può essere cambiato, deve succedere. Ma il cadavere di Artù non viene ritrovato, nessuna delle storie su di lui menziona un funerale. Dicono tutte la stessa cosa, il corpo non venne ritrovato, si pensa che Artù si sia ritirato ad Avalon per… -
- Per tornare quando il regno avrebbe avuto bisogno di lui! – esclamò lei ridendo – tu hai salvato re Artù! In pratica hai fatto nascere il mito! – poi diventando pensierosa chiese – ma perché lo hai portato in quest’epoca allora? –

- Non lo so di preciso. Non mi piace non sapere** , la Tardis ha scelto quest’epoca, io l’ho solo  assecondata – rispose.
Linda annuì – Quindi siamo in un paradosso, tipo in “Ritorno al Futuro” – poi voltò la testa ed esclamò indicando il numero 221 su una porta- siamo arrivati, pare. Bussiamo o facciamo un’entrata teatrale? –
- Facciamo? Ritorno al Futuro? –
- Dottore, se, come hai detto io sono collegata al tuo paradosso, non me starò con le mani in mano mentre tu salvi il continuum del tempo. E se non hai mai visto ritorno al futuro ti sei perso una pietra miliare della cultura umana, fidati! -  replicò riavviandosi i capelli dietro le orecchie con un gesto e suonando il  citofono, dove compariva il nome “Sherlock Holmes”.
 
 
Li aveva notati mentre era intento a suonare il violino alla finestra: una strana coppia, anzi probabilmente non una vera e propria coppia, da come gesticolavano e dalla distanza che tenevano l’uno dall’altra era probabile si fossero appena incontrati. Suonò un nuovo accordo mentre escludeva le ipotesi più ovvie, cercando di dedurre quale fosse invece quella che li aveva condotti da lui, perché sapeva che era da lui che stavano andando.
 - Sherlock, dannazione, puoi evitare di suonare mentre cerco di concentrarmi? – il tono di voce dell’amico, il medico John Watson era acuto, aveva pronunciato la frase di fretta, probabilmente era davvero infastidito.
L’uomo alla finestra si girò di scatto, lasciando il violino sul divano: - Stavo suonando per evitare di sentire i tuoi sforzi, è terribilmente frustrante osservare un comune mortale cercare di concentrarsi per arrivare all’ovvio – con un gesto si tolse la vestaglia e si infilò una giacca, rendendo perfetto il completo che indossava – questo questo e questo non si ricollegano al ritorno di Moriarty, puoi buttare, questo no, questo? Assolutamente no e questo, no, no neanche. Puoi fare un po’ d’ordine ora? Stiamo per ricevere dei clienti –
Si accomodò sulla poltrona accanto al camino, accavallando le lunghe gambe, senza curarsi del misto di rabbia e stupore dipinto sul volto dell’amico, che non fece a tempo a replicare per le rime, venendo interrotto ancor prima di cominciare da miss Hudson che introduceva i clienti.
John si alzò andando alla porta ad accoglierli: un uomo sulla cinquantina e una ragazza, di almeno vent’anni in meno, avanzarono circospetti nella stanza. L’uomo fece un cenno alla ragazza, come se la volesse mandare avanti nella presentazione, forse perché non era stato lui a voler venire, o forse perché voleva fare altro. John prese un appunto mentale per tenerlo d’occhio.
- Salve, sono Linda Dent, lui è il Dottore, stiamo cercando il signor Holmes, è lei? – Linda tese la mano, stringendo quella di John che sorrise ricambiando la stretta. Doveva essere a Londra da poco quella ragazza se scambiava lui per il suo amico, l’unico Consulente Investigativo al mondo.
Il Dottore nel frattempo aveva fatto un giro su se stesso memorizzando tutto quello che poteva sulla stanza, alla ricerca di anomalie aliene. Per il momento non ne avvertiva, ma se avesse potuto usare il suo cacciavite sonico ne sarebbe stato sicuramente rassicurato. 

- Irlandese, di Dublino, hai smarrito qualcosa, ma non è il principale motivo per cui sei qui, legata alla famiglia, in particolar modo a tuo padre, praticavi uno sport, ciclismo probabilmente, smesso in seguito all’intervento al ginocchio destro, studi appena finiti, conseguiti con il massimo dei voti e non comprendi ancora bene il perché quello accanto a te si comporti in modo strano, non tu John ovviamente. Ma soprattutto, Dottore Chi? –
Sherlock Holmes si era alzato dalla poltrona avvicinandosi ai due clienti, fissandoli con superiorità, senza poter fare a meno di analizzare la ragazza che si trovava di fronte, incurante delle reazioni che si erano scatenate: il Dottore puntò il cacciavite sonico contro di lui, esclamando a mezza voce – Meraviglioso!  -.
Linda invece trasalì,  per un attimo rimase a fissare l’uomo davanti a lei, poi, dimentica di stringere ancora la mano di Watson, iniziò a urlare, facendo per andargli incontro, piena di rabbia

 – Tu! Bastardo, sei tu! – ringhiò nella direzione di Sherlock. Fu solo la prontezza del medico militare, che bloccò prontamente il gomito della ragazza, a salvare Sherlock da un sonoro schiaffo. Il Dottore guardò strabiliato la reazione della ragazza: quella che fino a un secondo prima sembrava una giovane donna indifesa si era trasformata in una furia rossa che continuava a tirare scossoni all’uomo che lottava per tenerla ferma e lontana da quello che il Dottore aveva classificato come umano ma che di umano sembrava non possedere nulla se non l’anatomia, almeno stando al responso del suo cacciavite sonico.

- Linda, lo conosci? – le si avvicinò il Dottore
- E’ Lui Dottore! È il ladro! E quella -  disse indicando una borsa rossa abbandonata accanto al camino  - è la mia borsa! – John a quel punto lasciò il braccio della ragazza

- Hai rubato la borsa Sherlock? – domandò all’amico.
Linda, libera prese aria e fece partire la sua mani destra, mirando al volto del Consulente Investigativo, che però si scansò con un passo, afferrando poi il polso della giovane  e rivolgendosi al Dottore: - Dottore Chi?  Non conosco nessuno che si scelga come nome Dottore, vuoi tenere segreta la tua identità quindi devi essere una figura importante, non certamente un nobile, i nobili sono riconoscibili, potresti essere uno dei servizi segreti, ma nessuno sano di mente sceglierebbe uno scozzese come agente dei servizi segreti britannici, indi, chi sei?  -
John, i muscoli in tensione per un eventuale attacco guardava Sherlock in attesa di un cenno da parte sua. Il Dottore  invece, incurante del medico militare, si avvicinò all’uomo dai capelli neri, cercando di ignorare Linda che, fumante di rabbia, continuava a insultare l’uomo.

Il Signore del Tempo si avvicinò al Consulente Investigativo, fissandolo cercando di leggere negli occhi di lui. Sherlock, d’altra parte, sosteneva lo sguardo, accumulando particolari nella sua testa: vestiti cuciti a mano, tecnologia avanzata, scarpe ultimo modello, ma consumate. Un uomo da una vita intensa quindi.
- Sicuro di essere umano? -  chiese il Dottore, continuando a fissarlo.
- Purtroppo -  fu la risposta di Sherlock, mentre con l’altra mano bloccava il braccio sinistro di Linda che non aveva smesso un secondo di insultarlo, cercando di divincolarsi.

Lo stallo della situazione fu sbloccato dal suono di un cellulare che Linda riconobbe come proprio: con un ulteriore insulto all’indirizzo di Sherlock indicò la sua borsa. Il Dottore fece un passo indietro, mentre, cercando di non essere visto puntava di nuovo il cacciavite sonico contro l’uomo. Sherlock decise di correre il rischio, seppur lieve dato il trillare del telefono, di riceve uno schiaffo e lasciò i polsi della ragazza che, come aveva previsto, lo superò andando a rovistare nervosamente nella sua
ritrovata borsa, estraendo il cellulare.

- Non conosco questo numero – disse senza pensare, mentre osservava lo schermo illuminato. In meno di un secondo sia Sherlock che il Dottore le furono accanto, ma solo il secondo ebbe una reazione di sorpresa e non una di quelle piacevoli.

- Questo è il numero della Tardis – disse con voce grave.
 

*Questa è una libera traduzione ( utile solo ai miei scopi, nel capitolo)  della frase di Sherlock, “I maybe on the side of the angels, but don’t think for a second I’m one of them”
** Altra citazione di Sherlock, mala frase mi è sembrata adatta anche al Dottore, anche per iniziare a delineare le similitudini che ci sono tra i due personaggi
 
Ed eccoci  alla fine anche di questo capitolo. Si inizia a entrare nel vivo e non temete se le cose vi sembrano scollegate e senza senso, in realtà lo hanno, ma non posso svelarvelo ancora! Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate! Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 7
*** La Paura è un superpotere ***


Bene! Eccoci! Innanzitutto mi scuso per il ritardo, è stata una settimana faticosa, spero di recuperare la puntualità con il prossimo capitolo.
In secondo luogo volevo ringraziare tantissimi chi ha aggiunto la storia alle preferite/ricordate/seguite. Davvero, mi fa estremamente piacere.
Senza indugiare oltre eccovi il nuovo capitolo. Buona Lettura!
 
 
 
6. La paura è un superpotere*
 
- Io non ho mai dato il mio numero alla tua Tardis, o a te. Rispondi! – Disse Linda, con il volto teso, una sensazione di paura che si faceva largo dentro di lei, senza che riuscisse a razionalizzarla o almeno a comprendere il perché continuasse a crescere.
- Telefono tuo -  rispose laconico il Dottore mentre puntava il suo cacciavite sonico contro lo smartphone della ragazza.
- Tua la Tardis! – ribatté Linda.
- Tuo il fidanzato! – replicò il Dottore con naturalezza, riponendo il suo cacciavite sonico nel taschino. Linda per un momento arrossì violentemente  - Non è… - stava cercando di dire, quando sentì meno la presa del telefono: alzò lo sguardo e una nuova ondata di rabbia la percorse nel vedere Sherlock Holmes rubarle il telefono di mano e con un gesto fluido portarlo all’orecchio e rispondere. John, intuendo la reazione della giovane al gesto dell’amico e intuendo anche  che questa volta la sua mano non avrebbe mancato la faccia di Sherlock si avvicinò e tese la mano: - Ridaglielo, Sherlock – mormorò serio.  Sherlock sostenne lo sguardo del medico, come un bambino che non vuole restituire il giocattolo, per poi sospirare e lasciare il telefono in mano a lui, che prontamente lo restituì a Linda, non senza aver prima attivato il vivavoce. Era un gentiluomo ma era anche estremamente curioso di scoprire cosa stava succedendo in quell’appartamento e poteva scommettere che anche Sherlock lo era, lo intuiva da come stava scrutando il Dottore e la ragazza, cercando di dedurre chi fossero, evidentemente senza tutto il successo che si era prefigurato.

- C’è qualcuno? Qualcuno mi sente? Merlino? – la voce di re Artù, dall’altro capo della linea telefonica era spaventata, ma non tremava. Linda capiva da questo che era un vero sovrano: aveva paura, ma non lasciava che questa prendesse il controllo su di lui.
- Se mi chiami ancora una volta Merlino, giuro di finire tutte le scorte di vino di Camelot e istituire lo Ius Primae Noctis valido per le donne!  Sono il Dottore – esclama il Signore del Tempo provocando  l’ilarità di Linda e l’incredulità di Sherlock e John.  La ragazza decise di prendere in mano la situazione, capiva la paura di Artù, lei era svenuta trovandosi in un epoca non sua con un alieno e una specie di astronave a forma di cabina della polizia.
- Artù, mi riconosci? Sono io, Linda -  disse portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Sì, sì, mi ricordo di voi, Merli…il Dottore è lì con voi? Dove sono io?  -  chiese, cercando di mantenere una parvenza di autorevolezza nel tono di voce.  
- Artù dimmi cosa vedi. Il Dottore è qui con me, veniamo a prenderti ma ci devi dire esattamente cosa vedi. Riesci a descrivere dove ti trovi? – rispose Linda di fretta.

Era preoccupata, tutti gli altri presenti lo avevano intuito o dedotto: protendeva il viso in avanti, come se cercasse di far avvertire a chi era dall’altro capo del telefono che lei era lì, che era come se fosse accanto a lui, che non c’era niente di cui avere paura, non troppa almeno.
“Carina e determinata” pensò John.
“Strani gli umani” pensò il Dottore.
“Totalmente illogico e stupido” pensò Sherlock.
Artù dopo qualche secondo di silenzio, decise di alzarsi in piedi e guardarsi intorno: iniziò a studiare quella che sembrava una stanza dentro la quale era finito -  Sono in una specie di grande sala -  disse  - è…luminosa, chiara,le pareti sono chiare, ci sono dei cerchi. In mezzo c’è qualcosa, una specie di tronco, ma è trasparente –
- La Tardis!  Sei nella Tardis – la voce del Dottore risuonò nella sala ma Artù non capiva da dove venisse.
- Dove sei? Dottore, non so dove sono. Cosa sta succedendo? – forse era sotto un potente incantesimo. Forse era stata quella ragazza, d’altronde aveva i capelli rossi, e tutte le streghe hanno i capelli di quel colore. Ecco, si, doveva essere stato vittima di un incantesimo fatto da quell’incantevole strega che si accompagnava al Dottore. Ma il Dottore, non lo avrebbe certo tradito in questo modo, lui lo aveva salvato in diverse occasioni, aveva avuto modo di conoscerlo, anche se sotto diversi volti, ed era giunto alla conclusione che per nessun motivo Merlino o il Dottor, come voleva essere chiamato, lo avrebbe tradito o gli avrebbe fatto del male. E poi quel mostro di pietra, quell’angelo che li aveva seguiti, che fine aveva fatto? Persino il Dottore era spaventato da quella creatura.

Perso nei suoi pensieri realizzò di essere chiamato per nome solo dopo qualche secondo. Si voltò su se stesso, finalmente riusciva a capire da dove veniva il suono delle voci,rimanendo per un momento ancora più disorientato di quanto non fosse nel vedere i volti del Dottore, di Linda e di due sconosciuti racchiusi in uno schermo sopra la sua testa.
- Per tutti i draghi! Siete là dentro? Che cosa succede? – domandò mentre sollevava le spalle, cercando di presentarsi al meglio, almeno davanti a quei due uomini dietro il Dottore che lo  osservavano.
- Ho connesso il circuito della Tardis al telefono di Linda, è come se avessi aperto un portale, ma non possiamo attraversarlo, ma almeno ci possiamo parlare no? – rispose il Dottore. Linda vide attraverso lo schermo l’incomprensione sul volto di Artù e prese la parola
- Artù siamo in una terra straniera per te. Ma il posto in cui sei è sicuro, è diciamo una specie di fortino. È del Dottore, è sicura. Tu ti fidi di lui giusto? – attese un cenno del capo prima di continuare -  ora, noi stiamo per venire a prenderti, ma ci serve sapere esattamente dove ti trovi. In questo momento sei all’interno del fortino, ma abbiamo bisogno di vedere cosa c’è fuori. Devi fare come dice il Dottore ora, ma non devi avere paura. Me lo prometti, Artù? – Linda concluse la domanda con un sorriso di incoraggiamento. – Fantastica -  sussurrò John, alle sue spalle, ammirando la forza della ragazza nel trasmettere calma, quando le sue gambe mostravano segni di nervosismo.  Sherlock  guardò torvo l’amico – Ha mentito e neanche in maniera adeguata, in cosa sarebbe fantastica? -  disse, attirando su di sé l’attenzione di Linda e di Artù.

- Chi è quell’uomo dietro di voi, Linda – domandò il re di Camelot. La ragazza chiuse gli occhi sospirando, sforzandosi per trovare le parole adatte per descrivere Sherlock Holmes anche se al momento le uniche che le venivano in mente erano “ ladro” e “bastardo”.
- Lui è  una specie di….sceriffo, ci aiuterà a venire a prenderti -  disse. Sherlock stava per rispondere indignato, se non fosse stato per una rapida gomitata datagli dall’amico che lo mise a tacere.

Il Dottore prese la parola : - Artù, mi serve che tu ti concentri, pensa a voler vedere quello che c’è fuori dalla Tardis. Chiudi gli occhi e pensa, io collegherò i tuoi circuiti mentali con quelli della nave, poi collegherò il tutto allo schermo, vedremo dove sei e saremo da te in men che non si dica! –

Linda cedette il telefono al Signore del Tempo, mentre si girava infuriata verso l’uomo che continuava a borbottare dietro di lei : - Cosa c’è? – sussurrò infervorata.
John Watson la guardò terrorizzato: nessuno aveva osato rivolgersi a Sherlock in quel modo, non che lui ricordasse almeno, e data la tensione che il consulente investigativo stava accumulando, quella ragazza rischiava di ritrovarsi con almeno la metà delle ossa del suo corpo rotte. La metà perché era una donna e Sherlock dopotutto stava imparando a essere se non galante, perlomeno “socialmente accettabile”, anche se definire socialmente accettabile il pestaggio di una persona lo faceva sentire un barbaro ai tempi dell’Impero Romano.
Sherlock, dal canto suo, sentendosi preso in contropiede da una domanda posta in maniera così diretta e aggressiva tacque per un secondo. Poi rispose sempre a voce bassa: - Non sono uno sceriffo, sono un Consulente Investigativo. L’unico al mondo per essere precisi – fissò nuovamente gli occhi della ragazza, sorreggendo lo sguardo di lei con il proprio. Freddo, senza una nota di emotività, se non per quella luce rabbiosa che sembrava scurire le sue iridi azzurre.

- Abbiamo un re medievale, che ha appena conosciuta una ragazza del 2016, è stato inseguito da un alieno e si ritrova in una specie di astronave mille anni dopo quella che dovrebbe essere la sua morte. Se vuoi destabilizzarlo e far si che ti creda uno stregone e chieda di metterti al rogo, magari immaginando di essere sotto incantesimo e così non fidarsi più di nessuno di noi accomodati, ma io credo che forse sarebbe il caso di tranquillizzarlo, o no? – ribatté d’un fiato Linda mentre cercava di controllare la rabbia e l’impulso di tirare un pugno sui denti di mr. unico consulente investigativo al mondo.

Sherlock la stava fissando incerto se risponderle a tono o semplicemente mettersi a ridere per la quantità di illogicità storiche e fisiche che aveva pronunciato in una sola frase. Eppure non sembrava mostrare segni di instabilità mentale, emotiva sicuramente, bastava notare come il collo di lei pulsava e di come  il petto le si alzava e abbassava rapidamente. Le mani chiuse a pugno poi, strette tanto da far sbiancare le nocche erano il chiaro segnale di rabbia che a giudicare dalla vasodilatazione dei capillari del volto di lei sarebbe stata repressa per non più di circa 2 minuti e 34 secondi.
John si intromise, certo che se non avesse fatto qualcosa quei due avrebbero potuto scatenare un incidente diplomatico tra Irlanda e Inghilterra. Fece per schiarirsi la voce ma sia lui sia i due litiganti vennero interrotti da un urlo del Dottore.

- Artù, non uscire dalla Tardis!  Non uscire per nessuna ragione al mondo! – riuscì ad esclamare. In un attimo i tre si precipitarono accanto al Dottore per cercare di vedere cosa stesse succedendo dall’altro capo del video, ma la comunicazione si interruppe.
Calò il silenzio: il Dottore fissava lo schermo del telefono con uno sguardo indecifrabile, con le mani ancora tese, perfettamente immobile.
Fu John a interrompere il silenzio poggiando delicatamente una mano sulla spazza del Dottore, per riportarlo gentilmente alla realtà : - Ehm… signore… sta bene? -  chiese

- Ovvio che non sta bene! – si ritrovarono a dire in coro Linda e Sherlock. La giovane roteò gli occhi al cielo arrabbiandosi con il Destino o qualsiasi altra forza fisica o meno che le aveva fatto dire le stesse parole di quell’uomo. Il suo silenzio fu  colto subito da Sherlock che prontamente ricominciò a parlare, dando le spalle a Linda e avvicinandosi al Dottore – ha gli occhi sbarrati, segno di sorpresa, probabilmente con una leggera paura di fondo, la mascella serrata indica rabbia e il fatto che non si sia ancora mosso indica che probabilmente si è trovato a osservare qualcosa di grave, tipo un’aggressione o simili. Direi quindi che ha visto qualcosa o meglio qualcuno che non vedeva da tempo e che pensasva di non dover rivedere. Giusto? –

Il Dottore, ancora fermo a fissare un punto vuoto, dovette essere scosso leggermente da Linda prima di fare una piroetta su se stesso e osservare di nuovo Sherlock. Era uno strano umano. Decisamente intelligente, più degli altri umani con cui aveva avuto a che fare. E sembrava anche non amare troppo la sua condizione umana, anche questo era un punto a favore. Se non fosse stato per quell’accento così inglese gli avrebbe proposto di fare un giro nella Tardis, ma oh la sua Tardis era scomparsa. Stava per dire qualcosa quando il telefono, questa volta quello di Sherlock, squillò. Lui rispose, rimase in attesa poi, dopo aver premuto il tasto di fine chiamata guardò John dicendo solo : - Al Bart’s - . Prese il cappotto e fece per uscire.

- Oh no! – disse Linda, con un tono così freddo e calmo che per un attimo lei stessa si spaventò di se stessa -  Hai intenzione di lasciarci qui? – domandò avvicinandosi a Sherlock, ignorando una ciocca di capelli che le ricadeva sulla fronte -  Hai davvero intenzione di lasciarci qui, andando via,senza dare una sola spiegazione su come e perché tu abbia rubato la mia borsa, indagato sulla mia vita e rovinato la mia giornata? –
Sherlock la fissò con un velo di sorpresa, poi alzò le spalle, senza nemmeno degnarla di una vera risposta. Fece un passo in direzione della porta. Il Dottore rise di quel comportamento, gli piaceva. Quel comportamento  sarebbe stato un comportamento che lui avrebbe avuto, o che forse aveva già avuto, in qualche altra occasione.
Peccato che Linda non comprendesse appieno quel gesto, pensò il Dottore vedendola partire come una furia e afferrare un gomito del Consulente Investigativo e fissarlo con ira: - Non osare andartene da qui senza parlarmi, Sherlock Holmes. Sono una persona, che è venuta qui chiedendo il tuo aiuto per aiutare degli amici. Lo vedi quell’uomo?  Ha perso qualcosa di prezioso e tu lo aiuterai a ritrovarlo e non solo perché è il tuo mestiere, ma perché c’è in gioco la vita di una persona, che in questo momento si trova nel bel mezzo del nulla, capisci? Devi salvare una persona –

- E anche l’intera storia dell’Universo probabilmente  -  aggiunse il Dottore a mezza voce. Linda lo ignorò continuando a fissare Sherlock

- Inoltre, tu mi hai rubato la borsa. Ora ti do una possibilità, o ci aiuti smettendo di avere quell’aria da snob che ti ritrovi o giuro che aiuterò da sola il Dottore e una volta trovata la Tardis lo costringerò a tornare indietro nel tempo fino a risalire alla tua infanzia e diventare uno dei tuoi incubi peggiori, seguendoti giorno dopo giorno. Sono stata abbastanza chiara? – disse scandendo le parole con una lentezza estenuante.
Per alcuni secondi i due si fissarono in silenzio: un duello di sguardi, in cui il primo che sbatteva le palpebre ammetteva la sconfitta. Il Dottore si avvicinò a John mormorando: - Lei ha incontrato un angelo piangente, a questo gioco vince, ci scommetto -. Il medico militare, dal canto suo era incredulo: l’ultima persona che aveva parlato in quel tono, osando toccare Sherlock era  stato suo fratello Mycroft e anzi, suo fratello non aveva la stessa furia di quella giovane donna. Eppure lei era lì, a fronteggiare quello che era l’uomo dalla risposta sempre pronta, quello che doveva avere l’ultima parola e sicuramente l’uomo che doveva slogarti un’articolazione per lasciarti un avvertimento di non avvicinarti a lui.

- Succede spesso questa cosa? -  chiese nuovamente il Dottore a Watson.

- No, di solito nessuno riesce a fissarlo così a lungo. O cercano di ucciderlo o si innamorano di lui  -  rispose

- Non ti preoccupare, appartengo al primo tipo -  sibilò Linda a denti stretti.

Sherlock sospirò  -  Bene allora. Accetto il caso. Prendete un taxi e raggiungetemi al Bart’s. – disse prima di liberarsi dalla stretta della ragazza e scendere rapidamente le scale.
- Oh neanche per idea – disse Linda prima di inseguirlo. John rise e fece cenno al Dottore di seguirlo, prima di scendere le scale.
 
Stavano stretti nel taxi, ma soprattutto notò Sherlock, quei due e John continuavano a parlare di alieni, tempo e affini. Era disgustoso per lui vedere due menti così semplici parlottare di alieni. Il Dottore sembrava diverso. Sembrava essere mentalmente superiore a loro, ma per qualche strana ragione non voleva farlo notare. Ingenuo. E stolto.

- Allora? – disse Linda. Oh ancora. Ma quella ragazza stava zitta per cinque minuti?
- Allora cosa? Vi stavo ignorando – rispose lui con un abbozzo di sorriso, decisamente malriuscito anche per gli standard del Dottore.
- Come sai tutte queste cose di me? – domandò lei  - e perché hai rubato la mia borsa? –

-Niente di più facile. Quando sei entrata nella stanza, hai salutato con la mano destra prima di tenderla, segno inequivocabile che tu sia destrorsa, ma poi hai piegato il ginocchio spostando il peso sulla gamba sinistra, segno che quello destro ha subito un trauma importante. I tuoi polpacci sono molto sviluppati al contrario delle braccia, ma le mani presentano dei calli, tipico di chi stringe un manubrio di bicicletta per lunghi periodi.
Al collo porti una catenina d’oro con un anello, segno che ci tieni, ma l’anello è vecchio graffiato e decisamente troppo spesso per essere adatto a una donna, quindi è di un uomo, di tuoi padre probabilmente. Data l’età che hai e la capienza della tua borsa direi che hai appena terminato gli studi. Questo lo posso dire perché nella tua borsa non c’era traccia di libri, ma c’è appallottolato sul fondo un vecchio orario delle lezioni.  Permettimi di dire che psicologia non è un esame così difficile oltre che inutile.  E la tua borsa l’ho presa perché era indispensabile per un’indagine. –

Il Dottore lo fissò esterrefatto, chiedendogli ancora una volta se fosse sicuro di essere un umano.
Scesero dal taxi e mentre Sherlock quasi correva per lasciare della strada tra lui e quegli insoliti clienti, Linda si avvicinò a John : -  Lei è suo amico giusto? -  domandò. Il medico militare annuì  - Non lo lasci solo troppo a lungo – disse -  sa, ho studiato cinesica, il linguaggio non verbale. Il suo amico è intelligente e spocchioso ma tradisce delle microespressioni segno di tristezza –
John la guardò , stupendosi per un momento.

- Questo non toglie il fatto che se osa rispondermi nuovamente in maniera poco appropriata non mancherò dall’usare la sua faccia come bersaglio per le freccette.  – aggiunse lei per poi avvicinarsi al Dottore e chiedergli cosa avesse visto. La risposta la terrorizzò.
- Non mi ricordo Linda. E c’è solo un pericolo così grande se non mi ricordo di lui - .
 
- Il corpo arrivato qui mezz’ora fa grazie – disse Sherlock irrompendo nel laboratorio dove una Molly Hooper china su un microscopio era intenta a studiare un campione di tessuto. L’ingresso dell’uomo l’aveva spaventata, facendola sobbalzare un poco, ma sembrava che lui non se ne fosse accorto, come sempre d’altronde.
- Ciao, Sherlock, è sul tavolo puoi osservarlo – rispose lei guardandolo velocemente. Doveva fare ancora i conti con quanto aveva appreso sul suo conto nelle ultime ore. Sherlock Holmes aveva ucciso un uomo, era stato mandato in esilio, richiamato cinque minuti dopo e andato in overdose nel mentre. E lei credeva di aver sofferto più nel giro di due giorni che in tutti gli altri giorni della sua vita.
Lasciò che l’uomo osservasse il corpo e facesse le sue solite osservazioni, per poi interromperlo con timore :- Vorrei farti vedere il campione che stavo analizzando, era sotto le unghie della vittima, ma pare non appartenga alle fibre comuni di vegetali né tantomeno è carne umana –
Quando si voltò per indicare il microscopio lanciò un piccolo grido nel vedere un uomo sulla cinquantina chino a osservare il campione, con accanto a lui una ragazza sui trent’anni e John Watson. Quest’ultimo salutò Molly con un sorriso mentre Linda subito si avvicinava tendendole la mano – Io sono Linda, lui è il Dottore. Mi dispiace averti spaventato –
- Linda guarda – disse il Dottore alzando il volto  - è assolutamente alieno! – esclamò ridendo mentre incrociava lo sguardo confuso di Molly – Oh buongiorno, io sono il Dottore. È stata lei a trovare quel campione? –
Molly annuì confusa, cercando lo sguardo di Sherlock nella vana speranza di una spiegazione, che però non arrivò.

- Brillante!  - Sentenziò il Dottore – Un lavoro brillante!  Lei è –
- Molly Hooper e  lei, non credo di aver capito, Dottore….?? –
- Solo il Dottore-
Fece per sorridere ma il sorriso gli morì in gola una volta messo a fuoco quello che c’era alle spalle di Molly – Linda, ti ricordi come ci si comporta con gli Angeli piangenti vero? – disse serio. La rosse annuì mettendosi prontamente accanto a lui, ma sobbalzando quando vide tutto tranne che un Angelo Piangente.
- Bene. Qui funzione in modo simile. Solo che lui si può muovere anche se lo fissi e se non lo fissi ti dimentichi di lui -  disse il Dottore.
Molly sentì la mano di Linda afferrarla e tirarla dietro di sé, mentre sentiva le gambe cederle per lo spavento – Sherlock, John! – esclamò. I  due fissarono l’umanoide davanti a loro con la testa enorme che avanzava minaccioso verso di loro.
- Dottore – chiamò Linda – prima di sapere chi è lui, posso chiederti, cosa dobbiamo fare?-
Il Signore del Tempo sorrise e poi disse : - Correte! –
 
*Altra cit del Dottore, che oltretutto trovo estremamente veritiera e saggia!

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Capitolo 8
*** 7. Elementare Dottore ***


7.  Elementare, Dottore
 
Il Dottore si voltò rapidamente, pronto a correre il più lontano possibile da quella creatura, ma si fermò ancora prima di compiere il primo passo. Davanti a lui, a circa due metri di distanza l’Angelo Piangete, probabilmente lo stesso che avevano incontrato a Camelot, con un braccio proteso scrutava l’insolito gruppo con i suoi occhi vuoti. Nella sua testa si mescolarono diversi pensieri: perché si era girato? Perché quell’Angelo sembrava seguirli? E le fibre che la ragazza col camice aveva analizzato in che modo si collegavano?

- Linda ho bisogno che mi dia un aiuto qui – chiamò il Dottore.
- Dottore, c’è una specie di Man in Black con la testa enorme e un modo di fare non proprio amichevole che si avvicina a noi, se  non è una questione di vita o di morte più grande di questa direi che siamo noi ad avere bisogno di te! – replicò Linda mentre con una mano stringeva ancora quella di  una Molly terrorizzata e con l’altra cercava quella del Signore del Tempo.

John Watson osservava quella strana creatura indietreggiando, fino ad arrivare accanto a Molly – Se questo è uno scherzo per vendicarti di Sherlock, ci sei riuscita in pieno, ora puoi farlo finire – le sussurrò  il medico, avendo però in risposta un silenzio carico di terrore da parte della ragazza.
Il Dottore elaborò velocemente quello che gli aveva detto Linda ed esclamò:  - Ma certo! Linda, devi fare esattamente come ti dico! Prendi il tuo telefono, metti un promemoria o un allarme tra circa cinque minuti. Poi filma quello che vedi,  e tieniti pronta. Mentre quella con il camice, vorrei si girasse e venisse accanto a me -  Il tono del Dottore non ammetteva repliche, Molly guardò rapidamente Linda che per filmare l’alieno davanti a lei aveva lasciato la sua mano. Linda ricambiò lo sguardo e per un attimo la paura le abbandonò, si sorrisero brevemente e poi Molly le diede le spalle urlando nel vedere una statua nel suo laboratorio.

- Cosa è stato? – chiese Sherlock Holmes mentre, distaccato dagli altri, continuava ad osservare quello che per lui poteva essere tutto tranne che un alieno; sarebbe stato del tutto illogico, gli alieni non esistono, pensava. Certo, a volte suo fratello Mycroft sembrava provenire da un altro pianeta, ma era piuttosto sicuro che appartenessero alla stessa razza, inoltre tutte le teorie sull’esistenza di alieni erano prive di qualsiasi fondamento scientifico e logico, gli alieni non esistevano. Eppure quella cosa davanti a lui non sembrava un semplice umano travestito. Che avesse assunto una dose maggiore di una delle droghe che aveva assunto, avendo una distorsione della realtà era del tutto improbabile, aveva calcolato perfettamente le dosi. Dunque, cosa era quella cosa? E perché Molly aveva urlato?

- Nulla, un Angelo Piangente – la risposta arrivò dal Dottore, che parlava calmo, quasi allegro. Come se volesse minimizzare la situazione, o come se si stesse divertendo nel trovarsi nel bel mezzo di un attacco alieno -  non devi distogliere lo sguardo da lui, capito… come hai detto di chiamarti? Fa nulla, per ora sarai la scienziata –

- Sherlock allontanati da lì – esclamò John mentre osservava l’amico fermo, a pochi passi di distanza dall’alieno che aveva iniziato ad avanzare, le dita incredibilmente lunghe tese e degli inquietanti piccoli lampi che si formavano attorno ad esse.

- Cosa sta succedendo? – domandò Molly, lottando per non distogliere lo sguardo dall’Angelo. Dannazione, nonostante la rabbia che provava per quell’uomo in quel momento, l’idea che Sherlock fosse in pericolo la turbava più di quanto fosse disposta ad ammettere.

- Dottore sta per attaccare -  Disse con voce tremula Linda cercando la mano del Signore del Tempo e stringendola, nella speranza di trovare un briciolo di calma.
- Linda, attira la sua attenzione, fallo avvicinare a te. Tenetevi per mano e state all’erta – disse semplicemente, ricambiando la stretta di Linda e afferrando la mano di Molly. Stava tremando.
John afferrò la spalla di Linda, mentre lei continuava a filmare quella che pensava si sarebbe trasformata nella diretta della morte di Sherlock Holmes. Doveva cercare di far allontanare quella cosa da lui e farla avvicinare a lei. Ottimo, in effetti alla sua giornata mancava rischiare la vita per cercare di salvarla alla persona più supponente presente sulla Terra.
- Ehi tu, alieno! – disse guardandolo attraverso lo schermo del telefono – sono qui, oh andiamo, mica vorrai uccidere lui? Lui non è nessuno, invece io qui, dietro di me ho il Dottore!  Non vorresti uccidere lui? –
- Ti do un dieci per l’iniziativa, Linda, ma meno diecimila per lo stile*, sto già rischiando abbastanza! – intervenne il Dottore.
La frase di Linda sembrò avere effetto – Si avvicina, Dottore – disse con voce acuta, mentre si ordinava di rimanere ferma, la sua mano ormai stritolava quella del
Signore del Tempo, cercando di rimanere lucida e non lasciare che il terrore prendesse il controllo. Sherlock, osservò attentamente la ceratura avanzare verso John e gli altri, seguendola a distanza di sicurezza, fino a quando non sentì la presa dell’amico sul suo braccio e un’imprecazione lanciata a mezza voce nei suoi confronti.
La creatura era ormai a pochi passi da Linda, che riusciva ad avvertire l’elettricità e quella che sembrava essere la voce della creatura stessa, più simile a un sussurro registrato su un vecchio nastro e disturbato da un rumore di fondo che a una vera e propria voce.
Molly aveva gli occhi che le bruciavano, aveva bisogno di girarsi, di distogliere lo sguardo e soprattutto di sapere che Sherlock stava bene. Stava per farlo quando sentì
l’urlo del Dottore : - Ora! – aveva gridato prima di trascinarla verso il basso.

Linda fermò la registrazione video e fece lo stesso, trascinando con se John e Sherlock: poi accadde tutto rapidamente: il Dottore rotolò di lato all’angelo, imitato dagli altri che gli corsero dietro, fino a superare la statua alata e trovare rifugio nella stanza accanto.
Sherlock fu il primo a prendere parola: - Cosa ci fa una statua nel tuo laboratorio, Molly? – chiese lanciandole uno sguardo obliquo.
- Hai rischiato la vita e ti preoccupi della statua? – rispose lei. La faccia dubbiosa del Consulente Investigativo la confuse. Come era possibile che non ricordasse? Cercò aiuto in John, ma anche il suo viso era quello di una persona disorientata più che quello di una persona impaurita. Persino la ragazza dai capelli rossi sembrava non essere in grado di aiutarla. Il Dottore però le mise una mano sulla spalla, guardandola serio -  Tu ti ricordi – le disse semplicemente, prima di rivolgersi a Linda – il tuo telefono, fai partire l’ultima registrazione -  Linda obbedì mentre tutti e cinque guardavano quello che era stato ripreso.

-Come è possibile che non ci ricordiamo quello che è successo? – chiese Linda mentre si metteva una mano tra i capelli, riavviandoli dietro le orecchie.

- Quelle cose sono nella stanza accanto? – domandò John incredulo

- Questo è totalmente illogico, deve esserci un’altra spiegazione -  mormorò Sherlock, incapace però di distogliere lo sguardo dallo schermo del telefono di Linda.
Una volta finita la registrazione, Il Dottore fece capolino nella stanza da dove erano scappati: non c’era traccia dei due alieni. Il Signore del Tempo puntò il cacciavite sonico nel punto in cui erano prima i due alieni. Linda si avvicinò a lui, incerta. – Come sospettavo – disse lui analizzando il suo cacciavite – l’ Angelo ha fatto il suo dovere, dovremmo essere tranquilli ora. –

Sherlock rientrò come una furia mentre blaterava qualcosa su come fosse assolutamente impossibile che non si ricordasse nulla di quello che aveva vissuto.

- Probabilmente hai assunto più eroina del dovuto -  si lasciò fuggire a mezza voce Molly, pentendosi subito dopo di quello che aveva detto. Il Consulente Investigativo si fermò in mezzo alla stanza, voltandosi lentamente per osservarla, con una freddezza che lei mai si era vista riservare.

- Grazie per l’acuta osservazione dottoressa Hooper – disse, voltandosi di scatto poi per cercare il Dottore – è possibile avere una spiegazione logica e sensata su cosa stia succedendo? – esclamò.
Il Dottore lo fissò, quell’umano era decisamente atipico pensò :- Elementare: due alieni si sono scontrati, uno ha avuto la peggio. E un terzo alieno ha lasciato un campione che la ragazza che hai appena portato sull’orlo del pianto ha brillantemente isolato -.

Linda guardò Molly: il Dottore aveva ragione, gli occhi della ragazza erano lucidi, le labbra tremavano e le guance le si stavano colorendo. Stava imparando che il Dottore non aveva ben chiare le dinamiche sociali degli umani, ma non poteva sapere che anche quello spilungone che si divertiva a giocare a Cluedo dal vivo avesse quel tipo di problemi. Aveva sentito bene poi, era un eroinomane?  Prima che la ragazza scoppiasse in lacrime davanti a lui e agli altri, vergognandosi e scappando, Linda decise di intervenire, distogliendo l’attenzione da Molly

- Sì Dottore, vorremmo tutti una spiegazione, ma non qui. Torniamo nell’altra stanza…e….Molly, giusto? Mi accompagneresti a cercare qualcosa da bere? Credo di aver bisogno di un caffè – disse sorridendole avvicinandosi a lei, posandole delicatamente una mano sulla spalla.
Molly annuì, incapace di proferire parola senza farsi sfuggire un singhiozzo. – Dottore saremo di ritorno tra pochi minuti. Se senti gridare, bhe sai che fine avrà fatto l’Angelo – facendogli l’occhiolino, pregando che lui cogliesse il segnale d’intesa e non facesse collassare l’Universo nel tempo di un caffè.
Quando furono davanti alla macchinetta del caffè e Molly riacquistò un respiro regolare, Linda si permise di passarle il bicchierino di plastica chiedendole senza troppi mezzi termini: - Che cosa ti ha fatto Holmes? –
La patologa sgranò gli occhi per un secondo, ma Linda le sorrise continuando: - Hai avuto per tutto il tempo i pugni serrati in sua presenza, segno di rabbia. Ti ha fatto qualcosa che ti ha fatto arrabbiare. Però non appena avevi l’occasione cercavi di guardare nella sua direzione. E quando lui ha detto quella frase stavi per scoppiare a piangere… ti stavi vergognando, ma eri, sei triste. A causa sua -.

Molly bevve un sorso di caffè. Aveva ragione : quella ragazza aveva in una domanda centrato il punto. Cosa le aveva fatto Sherlock Holmes? Era semplicemente entrato nella sua vita.  – Sei anche tu una specie di detective? – chiese cercando di sviare l’argomento.
- Oh no. Ho studiato il linguaggio non verbale. E non sono così spocchiosa – tentò di sdrammatizzare. Molly sorrise un poco di rimando.
- Non dovresti permetterglielo. Non che lui ti risponda così, risponderebbe male anche alla Regina credo – aggiunse Linda – non dovresti permettergli di piombare nella tua vita, ferirti o lasciarti un contentino, perché lo ha fatto almeno una volta a giudicare dalla tua preoccupazione per lui , e poi sparire nel nulla -.
Molly sorrise triste, se solo fosse così facile, pensò. – Dobbiamo tornare indietro  - disse buttando il suo bicchierino da caffè
Linda la osservò -  Non permettergli di farti soffrire ancora. Non per oggi almeno – le disse.

Rientrarono nella stanza dove insieme al Dottore Sherlock e John, ora li attendeva un altro uomo, aveva un distintivo e si presentò a Linda come Ispettore Lestrade. Linda si avvicinò al Dottore: - Sappi che se è un altro alieno sei obbligato a offrirmi la cena – sussurrò.
 


*Citazione della Guida Galattica per gli Autostoppisti. Quanto Trillian informa che la nave ha caricato due autostoppisti, il fantastico (XD) Presidente della Galassia le
risponde con questa frase!!!
 
Eccoci! Perdonate il capitolo breve, il prossimo sarà un po’ più calmo e finalmente verranno spiegate un po’ di cose! Grazie ancora a tutti quelli che hanno letto, aggiunto alle preferite, alle seguite ecc. Davvero, Grazie mille! 

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Capitolo 9
*** 8. Sociopatico ad alto rendimento, con una cabina blu ***


Ed eccoci di nuovo qua. I pezzi iniziano a mettersi insieme, ma ammetto che in questo capitolo ho fatto parecchia fatica a gestire tutti i personaggi, spero di aver tenuto le fila.
Grazie ancora a tutti quelli che seguono/aggiungono ai preferiti la storia, davvero, mi fa un immenso piacere!
Vi lascio alla lettura, ci vediamo a fine capitolo!
 
 
8. Sociopatico ad alto rendimento, con una Cabina Blu
 
- Gim –
- Greg! –
- Fa lo stesso. Puoi spiegare perché sei qui evidentemente di corsa quando potevi benissimo farti portare da una voltante? – domandò Sherlock in un tono fin troppo seccato anche per i suoi standard. Non riusciva a comprendere tutto quello che stava succedendo, e non capire lo infastidiva. Come se non bastasse sentiva una leggera sensazione impadronirsi di lui: lo stomaco sembrava contorcersi e i suoi battiti aumentavano, allo stesso tempo sentiva il sangue defluire dalle sue estremità e la bocca sembrava aver perso la facoltà di secernere saliva.  Imprecò ad alta voce, attirando l’attenzione dei presenti su di lui. Molly lo fissò, ricordandosi solo dopo un secondo che era ancora arrabbiata con lui per il modo in cui l’aveva trattata poco fa -  o negli ultimi anni, pensò tristemente, imponendo a se stessa di voltarsi verso Lestrade.

Il Dottore continuò a osservare Sherlock, incuriosito dal comportamento a dir poco curioso di quell’uomo. Se non lo avesse passato al setaccio del suo cacciavite sonico avrebbe giurato fosse una nuova versione di Cyberman, decisamente migliorato per poter confondersi con la razza umana e ucciderla. Sherlock Holmes sembrava non avere emozioni, nemmeno quando si erano trovati in pericolo pochi minuti prima, mentre ora aveva appena urlato contro il nulla, senza una motivazione apparentemente logica, almeno per quanto aveva imparato dagli umani, anche se ogni volta questa razza così strana e fragile riusciva a sorprenderlo.
John fu l’unico che si avvicinò all’amico e riuscì a riportarlo alla realtà sussurrandogli qualcosa.
Linda, impaziente, tenne gli occhi fissi su Lestrade, cercando di ordinare al suo cervello di sospendere ancora per qualche ora l’incredulità nei confronti dell’Universo e la rabbia nei confronti dell’uomo alto e vestito in maniera impeccabile che le aveva rubato la borsa.

Molly fu la prima a rompere il silenzio, rivolgendosi all’Ispettore: - Greg, gli esami sul corpo che mi hai portato non saranno pronti prima di domani. C’è altro posso fare per te? – chiese gentile.
Lestrade le sorrise di rimando,poi quando vide Sherlock nuovamente voltarsi nella sua direzione per prestare attenzione al caso iniziò a parlare: - No, non mi servono, ma è proprio per quel corpo che sono qui. È stato visto, cioè, la vittima è stata vista rincasare poco fa dalla moglie. Ha chiamato il dipartimento accusandoci di averle fatto credere che il marito fosse morto. –

Il Dottore si avvicinò con un’ampia falcata all’Ispettore, le sopracciglia aggrottate: - Quindi c’è un morto qui che in realtà non è morto? – chiese. Senza aspettare la risposta si voltò verso Linda, sorridendole -  Siamo vicini Linda! Questa potrebbe essere un’anomalia temporale. Capisci cosa significa? – mormorò.
- Che siamo in pericolo? – rispose lei in un sussurro.  Una mano sulla sua spalla fece voltare nuovamente il Dottore, ritrovando di fronte a se un sospettoso Lestrade.
- Non credo di conoscerla, lei è….?- chiese
- Il Dottore – rispose naturalmente il Signore del Tempo. L’Ispettore lo fissò dubbioso, ma prima che potesse porgli l’ormai canonica domanda che gli veniva sempre posta, Linda si intromise, tendendo la mano all’uomo, distogliendo l’attenzione dal suo bizzarro amico
- Io sono Linda, Linda Dent. Siamo qui con il signor Holmes -  disse, terminando la frase con un po’ troppa rabbia rispetto a quella che voleva mostrare, nel nominare il nome di Sherlock
- Non sono qui con me, sono clienti  - intervenne prontamente l’uomo sentendosi chiamato in causa – Dunque, George, sei sicuro di quello che ti è stato riferito? Molly mostraci nuovamente il corpo, John seguimi e rispondi all’sms di Mary dicendo che farai tardi a cena, Tipo strano smettila di fissarmi e Ragazza, smettila di fare quello che stai facendo –
- Sto respirando – esclamò Linda esasperata
- Mi riferivo al tuo far finta di pensare. Mi disturba – replicò Sherlock avviandosi verso il corpo esamine, senza dare a Linda la possibilità di rispondere.
 

Dopo qualche minuto passato in osservazione del corpo, Sherlock alzò la testa, circondato da fin troppe persone per i suoi gusti. Inoltre ognuna di quelle persone aveva un’espressione diversa, cosa che non lo aiutava a concentrarsi: Lestrade aveva i lineamenti tesi, lo sguardo cupo e guardava in continuazione il cellulare, nella speranza di avere aggiornamenti dalla centrale. Molly lo fissava con un’espressione indecifrabile, almeno per lui : i muscoli del colo erano tesi, le mani strette a pugno, ma nei suoi occhi non riusciva a vedere rabbia, quella la vedeva perfettamente nella ragazza di nome Linda. Sosteneva il suo sguardo con un odio che trovava quasi ammirevole, in pochi riuscivano ad incanalare così tanta malcelata insofferenza verso una persona in un modo così costante. Quell’uomo che si faceva chiamare il Dottore invece lo guardava come Sherlock guardava tutte le altre persone: cercava di studiarlo, di capire qualcosa di lui, incuriosito, perplesso, forse confuso riguardo i suoi comportamenti. L’unico che non gli riservava sguardi sospettosi, rabbiosi o pieni d’ansia era John, se solo fosse stato lì.

- Dove è John? – chiese Sherlock  riponendo la sua lente di ingrandimento nella tasca del suo cappotto.
- Mary è entrata in travaglio. Ti ha detto più volte che doveva andare. L’sms che gli era arrivato si riferiva a quello. – rispose Molly. Lui la guardò, accorgendosi di non ricevere il solito sguardo di lei in risposta. La donna fissava un punto oltre il Consulente, non voleva incrociare il proprio sguardo con il suo. Sherlock si sorprese per un attimo, prima ancora di assimilarla notizia che John non ci sarebbe stato.

-Come se l’essere accanto a una donna  che sta sgravando possa alleviare le sofferenze di quest’ultima. Illogico – disse agitando una mano, come per allontanare il fastidio di essere stato lasciato solo in balia di tutte quelle persone che volevano qualcosa da lui: risposte, vendetta o il segno di uno schiaffo sul suo volto.

- Atletico, ma in passato aveva sofferto di obesità – iniziò ad elencare Sherlock prima che chiunque potesse avere da ridire.  Sposato da poco, ma fidanzato a lungo. Non un usuale traditore, ma nell’ultimo periodo è stato infedele. Aveva ripreso a correre dopo un periodo di inattività, probabilmente non gli piaceva il ritmo che la vita matrimoniale gli stava imponendo. Abituato a vestirsi elegante, aveva avuto da poco una promozione, lavoro da ufficio, probabilmente un agente immobiliare, o un venditore. Delitto passionale. Ha conosciuto una ragazza al parco, il fidanzato di lei li ha scoperti e lo ha ucciso.  Caso chiuso. Chiamo John. – disse.

Linda lo fissò. Come aveva fatto a capire tutte quelle cose da un cadavere? E come faceva un ispettore della polizia a fidarsi ciecamente di lui?
Il Dottore si avvicinò a Sherlock, decisamente impressionato dalla velocità con cui il Consulente Investigativo aveva parlato, illustrando la sua teoria sulla morte dell’uomo. Chiese a Molly di ricoprire il cadavere, come segno di rispetto, poi si fermò a leggere il nome della vittima sulla cartella medica: l’uomo si chiamava Marvin, Marvin Perfect*. Il Dottore sorrise amaramente, probabilmente quell’uomo stava solo cercando di rendere la sua vita come il suo cognome, non riuscendoci.
- Come potrebbe essere stato ucciso se non ci sono segni di lotta o di ferite? – chiese il Signore del Tempo. Sherlock lo fissò irritato: nessuno osava sfidarlo nel campo delle deduzioni. Nessuno, se non suo fratello Mycoft, che infatti si era guadagnato una fetta d’odio considerevole da parte di Sherlock.
- Per non parlare di quello che Greg ha detto appena entrato. La moglie dice di averlo in casa, vivo e vegeto – disse Linda – inoltre come diamine è possibile affermare tutte queste cose semplicemente guardando un corpo? –

Lestrade alzò gli occhi al cielo, consapevole che quella ragazza aveva appena offerto su un piatto d’argento a Sherlock la possibilità di far vedere quanto lui fosse intelligente e furbo, rispetto a tutti gli altri.

- I fianchi hanno segni di smagliature, segno che la pelle si era tesa molto in passato, essendo un uomo non ha avuto gravidanze, indi ha sofferto di obesità. Il suo anulare destro è leggermente più sottile sotto la prima falange, segno che ha portato un anello a lungo, questo indica che ha avuto una relazione lunga. L’anulare sinistro non presenta le stesse caratteristiche ma la pelle è leggermente arrossata, come se sfregasse in continuazione contro qualcosa. Portava la fede da poco ed è del tutto probabile la togliesse per non far sapere di essere sposato.  Vestiva elegante, probabilmente con abiti classici, calzini lunghi e pantaloni di un buon tessuto, lo si vede da come gli stinchi presentino meno peluria rispetto al resto della gamba. Le vene in leggero rilievo indicano anche un lavoro che lo costringeva in piedi per lunghi periodi, suppongo un venditore o un agente immobiliare. Il collo presenta un leggero rossore circolare, segno che si ha quando si inizia a indossare una camicia allacciando anche l’ultimo bottone, con una cravatta. Era stato promosso quindi e questo lo portava a condurre una vita più sedentaria, cosa che lo ha spinto a comprare delle nuove scarpe da corsa, che gli hanno procurato vesciche e calli ai piedi. Le vesciche sono molte, probabilmente gli causavano fastidio ma ha continuato a fare attività fisica. Perché? Perché probabilmente ha conosciuto qualcuno mentre correva. Una ragazza e da qui si ritorna alla mia tesi iniziale: delitto passionale, marito fedifrago ucciso. Indagate la moglie, non è vero lo ha visto in casa, sta solo creandosi una storia -  disse Sherlock tutto in un fiato mentre si avvicinava a Linda,  fino a finire a pochi passi da lei, guardandola dall’alto in basso, quasi deridendola per non essere stata in grado di intuire da se quelle cose.

Lei sostenne lo sguardo anche se si sentiva umiliata dal modo di fare di quell’uomo. Si accorse di trattenere il respiro solo quando riprese a espirare sentendo la voce del Dottore.

- Rimane il fatto che non sappiamo come sia stato ucciso – disse avvicinandosi a Molly – e il campione che lei ha trovato e analizzato ci dice solo una cosa: alieni! –
Lestrade cercò lo sguardo di Molly, nella speranza di trovare una spiegazione da parte della donna ma l’unica risposta che ottenne fu quella del Dottore: -  Tu della polizia, chiama la UNIT, di che il Dottore è qui e ha bisogno di loro, su su. Ti pagano per spalancare la bocca tutto il tempo?  -

- Dottore, la UNIT non esiste più da almeno vent’anni -  disse Molly, cercando di riportare un minimo di equilibrio in quella situazione. Il Signore del tempo si bloccò, paralizzato dalla notizia.
Linda gli si avvicinò, aveva bisogno che il Dottore avesse in mano la situazione. Non poteva permettere che l’unica persona che sembrava avere in mano il bandolo della matassa di quell’enorme confusione rimanesse spiazzato. Lo scosse, chiedendogli il motivo del suo stupore. Quando il Dottore le spiegò brevemente la situazione fu lei stessa a sbiancare.

-  La storia è cambiata? -  chiese terrorizzata. Se la storia cambiava, quali sarebbero state le conseguenze?
- No scusate, hai detto “alieni”?- domandò Lestrade all’indirizzo del Dottore.
- Si, alieni come E.T., gli X- Files, i Vogon! Alieni! – esclamò Linda, sentendo cresce l’angoscia: c’era un alieno che andava in giro a uccidere? E Artù? Era salvo?
- Conosci i Vogon? – domandò il Dottore
- Mio fratello mi ha fatto vedere un film**. Esistono davvero i Vogon? –

- Sherlock, vado in centrale. Farò controllare la moglie di Perfect. Avvisami quando i tuoi amici tornano al manicomio. – disse Lestrade uscendo dalla stanza scuotendo la testa. Alieni! Questa era bella.
 

Molly si avvicinò al Dottore, chiedendo cosa stesse accadendo. Sherlock la fissò con risentimento: era a lui che si rivolgeva chiedendo delucidazioni di solito, non a un uomo di mezza età con evidenti problemi di gusto nel vestiario.
- Quello che ci è successo, l’Angelo, il Silenzio… fa tutto parte di un piano più grande. Qualcuno ha rubato la mia Tardis e sta cambiando la storia. Dobbiamo trovare la mia Tardis e il responsabile o ci saranno conseguenze disastrose per tutto il pianeta e la sua storia – spiegò il Dottore dopo aver riassunto, aiutato da Linda, la sua identità.
Molly annuì seria, come a cercare di mettere insieme tutti i pezzi : - Quindi i resti che ho trovato… -
- …sono alieni? – chiese Linda concludendo la frase della donna.  Il Dottore annuì : - Zygon per l’esattezza. Una specie mutaforma, ma vivono in pace da un po’ con gli uomini. Deve esserci qualcosa, qualcuno che si sta servendo di loro! –

Sherlock non riuscì a trattenersi: - Illogico, totalmente illogico. Alieni! C’è un cadavere qui e un tessuto che Molly non ha ancora individuato -  disse  mentre si avvicinava ai tre.
- Ma la moglie  dice di averlo visto rincasare – replicò Molly con tono piccato. Si era sentita dire che non aveva fatto il suo dovere, si era sentita umiliata, ancora, da Sherlock Holmes, l’unica persona in grado di influenzare la sua vita così pesantemente.
- Sarà cecità al cambiamento – ribatté lui osservandola e sorridendo. Per cosa? Perché era riuscito ad avere l’ultima parola, o perché finalmente lei si degnava di guardarlo negli occhi?

- Sbagliato -  la voce di Linda interruppe i suoi pensieri – la cecità al cambiamento funziona in maniera diversa, non ti accorgi che qualcuno cambia qualcosa, tipo la giacca, o addirittura la persona stessa, mentre tu stai parlando e vieni distratto da qualcosa.  Non è cecità al cambiamento, ma da una persona affetta da sociopatia che fa uso di stupefacenti e deruba le persone non mi aspetto niente di che. –
- Sociopatico ad alto rendimento, per la precisione e non sono un drogato, saltuariamente uso sostanze per accrescere le funzioni celebrali – rispose Sherlock senza però distogliere lo sguardo da Molly. Tra le due, l’anatomopatologa era una figura decisamente meno stressante con cui parlare e da osservare.
- Ad alto che? Sei disonesto, irritabile, irascibile manipolatore e non provi rimorso per avermi derubato, sei un sociopatico. Un sociopatico con problemi di dipendenza, che dovrebbe aiutarci a trovare re Artù, invece di andare in giro a far vedere al mondo che sei intelligente perché riesci a leggere le vesciche dei piedi dei cadaveri! –

Il Dottore rise, gli piaceva Linda: era irruenta e non riusciva a tenere a freno la lingua, ma era decisa e tenace. Non sarebbe stato male fare un viaggio con lei, una volta riavuta la sua Tardis.

Fece appena in tempo a formulare il pensiero, quando tutti si voltarono verso Linda. Il suo telefono aveva ripreso a squillare. Lei lo tirò rapidamente fuori dalla tasca e fissò il Dottore:

- Il numero della Tardis. È Artù! –
 
* Yess, altra citazione dalla Guida Galattica, Mavin è il robot, Perfect è il cognome di Ford, l’alieno amico di Arthur (nel film oltretutto Arthur è interpretato da Martin FreemanJ)
** si i Vogon. Potevo non citare i Vogon? Si potevo, ma è stato più forte di me! Ovviamente il film è Guida galattica per autostoppisti J
 
Bene anche questo capitolo è andato. Meno d’azione rispetto al precedente, ma dal prossimo le cose diventano decisamente movimentate! Ora si hanno tutte le pedine per poter far iniziare la partita! Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 10
*** 9. Il gioco è iniziato ***


Eccoci! Dunque, finalmente le cose iniziano a prendere forma e le risposte attese iniziano ad arrivare!
Non anticipo altro, ci vediamo in fondo al capitolo!
Buona Pasqua a tutti!
9. Il gioco è iniziato
 
Linda rispose al telefono impulsivamente, e quando la fotocamera si accese facendo partire la video chiamata sentì chiaramente il calore defluire dalle sue guance. Dall’altro capo del telefono con c’era Artù, ma  un altro uomo. Sembrava un uomo distinto, ma il suo sorriso incuteva timore nella ragazza. Il Dottore comparì alle spalle di Linda, salutando cordialmente quello che sembrava essere un vecchio amico: - Conte Scarlioni*! Ti fai ancora chiamare così o fa molto 196….9? giusto?  -
- 1979, Dottore. Sei invecchiato -  rispose l’uomo sorridendo, un sorriso freddo, per niente naturale che non coinvolgeva gli occhi, dai quali chiunque poteva leggere l’odio che ne usciva.  – Invece la tua amica porta molto bene i suoi anni. Quanto sono ora, 500?  - Linda fece per aprire bocca ma il Dottore la fissò severamente, facendole capire di non dover rispondere, per il momento.

Sherlock, incuriosito e allo stesso tempo infastidito dalla situazione che non era sotto il suo controllo, si avvicinò alle spalle del Dottore, ma tenendosi fuori dalla portata della piccola videocamera del telefono. Nel farlo però, urtò Molly, che fece un passo avanti, finendo proprio alle spalle del Dottore.

- Oh, ora fai i viaggi comitiva dunque? – domandò sarcasticamente Scarlioni. Il Consulente Investigativo, piccato per essere considerato come una persona qualunque, anzi, per non essere proprio considerato, si voltò di scatto imprecando a bassa voce, per poi chiudere gli occhi e trovare qualche secondo di pace nel suo Mind Palace, dove poteva riordinare le idee.

Il Dottore studiò a lungo il volto dell’uomo, come a cercare dei dettagli, degli indizi che potessero aiutarlo, o semplicemente non aveva voglia di parlare per primo. Alla fine, forse perché voleva riappropriarsi della sua Tardis, forse perché Linda continuava a tirargli gomitate sui fianchi, ruppe il silenzio: -  Hai la mia astronave. Dove? – chiese

- Dove è Artù? – aggiunse subito la rossa, ricevendo in tutta risposta un’occhiataccia da parte del Dottore.

- Ho un gioco per voi – fu la risposta. Al suono di quelle parole tutti, anche Sherlock, si fecero attenti, in silenzio.  Molly, osservava preoccupata la scena spostando il suo sguardo prima sul Dottore dopo su Sherlock. Un gioco? Sherlock sicuramente si sarebbe fiondato nel caso, mettendo a rischio più di quanto poteva, questa volta. Dannazione erano stati aggrediti da alieni  statue e chissà cosa altro!

Il Dottore annuì, serio. Era la prima volta che Linda lo vedeva non ridere davanti a un nemico, o possibile tale.
- Il Dottore e la sua amica mi conoscono, non sarà un problema introdurmi alla vostra nuova compagna di viaggio. Sapete di cosa sono capace. Sapete cosa ho già fatto. Ho disseminato degli indizi in questa città. Trovateli. Se lo fate tutti e quattro, compreso il caro re, potrete continuare a vivere. Ma se così non sarà credo che possiate iniziare a fare testamento, anche se dubito vi sarà di qualche utilità. Ah, avete due giorni a partire da mezz’ora fa – poi la chiamata fu interrotta. Linda urlò una cascata di insulti all’indirizzo dell’uomo, mentre Molly al contrario, rimaneva paralizzata dal terrore. Non era la prima volta che doveva fronteggiare dei grossi pericoli, ne era consapevole, ma questo pericolo le sembrava decisamente fuori dalla sua portata. Sherlock guardò il Dottore,  che fissava ancora lo schermo del telefono, poi gli si parò davanti: - Spiega – disse solamente.

Aveva bisogno di capire e non sopportava l’idea che qualcuno potesse comprendere la situazione meglio di lui. Il Dottore lo fissò, poi iniziò a saltellare : - Oh sì! Ora ho capito! Furbo!  Linda, hai capito? Ecco perché tu! Oh sì! – la sua mente calcolava veloce tutte le variabili mentre lui usciva distrattamente dal laboratorio, seguito da uno Sherlock visibilmente infastidito.

- Dottore, dove vai? – domandò Linda, cercando di stargli dietro.

 -  Baker Street. - La risposta le arrivò dal Consulente Investigativo. Linda e Molly annuirono e fecero per seguirli, ma mentre la folta chioma di capelli rossi passò inosservata davanti agli occhi di Sherlock, la figura di Molly non lo fece.

Sherlock tese un braccio a sbarrarle la strada : - Tu non vieni – disse l’uomo semplicemente. Molly lo fissò, gli occhi pieni di rabbia e di risentimento. Sentiva un grosso nodo in gola e aveva una voglia matta di scappare. – Perché? – domandò in risposta, con la voce acuta, persino Sherlock Holmes, l’uomo che ignora le emozioni
avrebbe capito che era sul punto di mettersi a piangere. La cosa non sfuggì a Linda che mise una mano sulla spalla del Dottore per fermarlo e distoglierlo dai suo pensieri per qualche minuto, facendogli portare l’attenzione sui due dietro di loro.

- Bhe, hai del lavoro da concludere qui, vorrei mi avvisassi quando tutte le analisi saranno ultimate – rispose Sherlock – e poi – ricambiò lo sguardo di Molly, sentendosi vagamente in difficoltà a completare la frase – deduco ci sia un’alta percentuale di pericolo -.
Grandioso, pensò Molly, non solo lui voleva relegarla a segretaria degli esami di laboratorio ma non la reputava neanche all’altezza della situazione. “Io mi sono sempre fidato di te” certo, come no. In passato forse, ma ora no di certo.

- Lui l’ha vista. Lei fa parte della storia ora – intervenne il Dottore. Sherlock si voltò e Linda fu certa che se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe fulminato con il pensiero il Signore del Tempo.
- Presumo che questo implichi che tu sia più al sicuro se rimani con noi piuttosto che da sola. Può essere logico dal momento che stai chiedendo aiuto alla mente più sviluppata della stanza. – sentenzò Sherlock, guardando Molly con quello che poteva sembrare un abbozzo di sorriso.
- Oh grazie! – disse il Dottore prima di riprendere a camminare, lasciando di stucco il Consulente Investigativo.  Molly superò quest’ultimo a mento alto, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
 

Artù aprì gli occhi lentamente, aveva ricevuto una forte botta in testa ma non riusciva a ricordarsi la dinamica. Forse qualcuno aveva bussato alla porta della Tardis? Si forse. O forse era uscito, terrorizzato dai rumori che sentiva provenire da fuori? Fece per portarsi una mano alla testa ma realizzò di averla legata dietro la schiena.  Era sdraiato, con le mani legate, dentro una specie di gabbia. Lui! Un re! In una gabbia! Chiunque avesse osato tanto l’avrebbe pagata, ne era certo. Decise di cercare altri particolari ma era in una gabbia, all’interno di una stanza, spoglia se non per una grossa clessidra davanti a lui, ancora piena quasi del tutto.
- Quello è il tempo che ti rimane da vivere se il Dottore e la sua amica non ti trovano – disse una voce. Artù cercò di mettersi a sedere per vedere a chi appartenesse la voce, ma una fitta alla testa lo costrinse a rimanere a terra. Il Dottore dunque lo stava cercando. E non da solo! Il re sorrise al pensiero  ma una violenta fitta alla testa gli smorzò il sorriso, rendendolo incosciente.
 

- Quello che avete visto è Scaroth, anche se si fa chiamare conte Carlos Scarlioni,  l’ultimo esemplare dei Jagaroth, una razza aliena estinta. La sua astronave precipitò sulla Terra bilioni di anni fa e il suo essere, diciamo così, venne suddiviso e scagliato in diverse parti del tempo della Terra. L’ho incontrato il secolo scorso a Parigi, cercava di cambiare la storia, la sua storia e di conseguenza quella del pianeta, in pratica facendolo implodere. Credevo di averlo sistemato, ma evidentemente è tornato. E ha deciso di portare a termine il suo piano – spiegava il Dottore vagando per il salotto di Baker Street, mentre Linda e Molly lo ascoltavano attente. Sherlock, seduto sulla sua poltrona sembrava dormire: gli occhi chiusi e le mani giunte appoggiate al mento.

- Perché mi conosce? – domandò Linda

- Ti ha scambiato per un’altra persona. Una persona che viaggiava con me tempo fa – rispose il Signore del Tempo con una malcelata tristezza nella voce al ricordo di Romana – e noi glielo faremo credere! Ora, il suo piano è quello di ritornare indietro nel tempo, ecco perché gli serve la mia Tardis, probabilmente Artù è stato un incidente di percorso. Ha aspettato. Ha creato una pista usando gli Zygon e il Silenzio e probabilmente anche gli Angeli Piangenti, per portarmi a lui. Sta cambiando la storia sotto i miei occhi, convinto che questa volta riuscirà nel suo intento. Dobbiamo trovarlo e fermarlo prima di vedere implodere la storia. –

- Dottore chi? – la domanda pronunciata da Sherlock risuonò, spiazzando tutti.  Molly lo guardò rapidamente, imponendosi di non osservare troppo a lungo la figura perfetta di quell’uomo. Si alzò e si diresse in cucina, non perché avesse fame, nonostante l’ora di cena fosse passata da un po’, ma perché non voleva dargli un nuovo pretesto per sentirgli dire qualche altra cattiveria sul suo conto. Linda notò il comportamento della donna e decise di seguirla, lasciando a fronteggiarsi i due uomini in uno scontro ben peggiore di quello con Scarlioni, temeva.
- Il Dottore e basta –
- Il Dottore non è un nome. Chi sei? –
- Un alieno. Signore del Tempo per la precisione. Ho due cuori, vuoi sentirli? –
- Sei un matto –
- E tu una specie di robot mal funzionante dall’aspetto umano a cui funziona solo il controllo superego. Potremmo essere amici –

 
- Hai fame? – domandò Linda a mezza voce. Molly scosse la testa dandole le spalle, sospirò e solo dopo riuscì a voltarsi e sorridere alla ragazza. – Sei stata l’unica persona che gli ha tenuto testa. A Sherlock intendo. Nessuno confuta una sua deduzione – disse l’anatomopatologa.
- Non me ne farò un vanto. Ho studiato i comportamenti sociali e il linguaggio non verbale delle persone. In più nutro una malcelata antipatia nei suoi confronti e non riesco mai a tenere a freno la lingua, perdonami – esclamò Linda nel vedere il volto di Molly rattristarsi. Quella donna provava qualcosa nei confronti di Holmes e lei aveva appena detto di trovarlo antipatico. Grandioso!


- Leonardo da Vinci – disse Sherlock.
- Umano –
- Mozart –
- Alieno! –
- Perché dovrei fidarmi di te e delle tue fantasie? –
- Perché sai che non puoi risolvere la cosa da solo. E sai che hai visto qualcosa di alieno. Accettalo. Sii umano. Io non dirò niente a nessuno. –

 
Quando Molly e Linda tornarono in salotto si trovarono davanti Sherlock e il Dottore seduti, davanti a una scacchiera, in silenzio. Sherlock fu il primo a romperlo: - Dannazione! Voglio la rivincita! – esclamò mentre il Dottore esultava.
Linda guardò perplessa il Signore del Tempo, che si alzò sorridendole: - Linda, Molly, ora possiamo metterci al lavoro –

- Cosa dobbiamo fare? – domandò Molly
- Cercare indizi. La morte del signor Perfect è sicuramente un indizio, partiamo da quella -  disse Sherlock.

- No aspettate un momento -  interruppe Linda – da quando voi due siete amici? – disse indicando il Dottore e il Consulente Investigativo
- Da quando ho capito che non è un Cyberman! Ora dividiamoci il lavoro, sarà più semplice – rispose il Dottore.

Fu spiegato alle ragazze il metodo di lavoro brevemente. Avrebbero cercato su internet e sui giornali. Cronaca, necrologi, annunci: qualsiasi cosa che potesse ricondurli a Scarlioni e ad Artù.

- Io e Linda useremo i computer – Disse il Dottore mentre puntava il cacciavite sonico sui dispositivi, forse per installare qualche software alieno pensò la rossa.

- Bene, Molly ed io sfoglieremo i quotidiani. Tra due ore faremo il punto. -  Sentenziò Sherlock avvicinandosi alla dottoressa e porgendole una pila di giornali. Lei si sedette e lui prese posto accanto a lei. Molly diventò un fascio di muscoli, dimenticandosi quasi di respirare per l’agitazione.
- Non c’è bisogno di avere paura di questa faccenda, è solo un caso come un altro. Tu leggi la pagina di sinistra io quella di destra, saremo più veloci. Se noti qualcosa di intelligente indicala, chiaro? – domandò Sherlock aprendo la prima pagina di un giornale.

Linda iniziò a navigare in rete, ricercando le parole chiave che il Dottore le suggeriva, mentre guardando di tanto in tanto Molly e Sherlock immersi nella lettura, scuoteva la testa, ora ghignando, ora sospirando sconsolata.
 
 
 
*Conte Scarlioni – Scaroth: dunque, lui è un personaggio che in nessun modo mi appartiene, ma anzi nasce dalla mente geniale di Douglas Adams, che ha scritto qualche episodio per la serie Classica di Dottor Who. Il caro conte in questione, appare nell’episodio (da cui hanno anche tratto un racconto, disponibile anche in italiano) “La città della Morte” in cui il Dottore è alla sua  4 rigenerazione, accompagnato da Romana, una Signora del Tempo.
 
 
Ed eccoci. As usual, ringrazio davvero di cuore chi legge, scrive, aggiunge ai preferiti e segue la storia. E come al solito vi invito a farmi sapere cosa ne pensate.  Ancora buona Pasqua a tutti! 

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Capitolo 11
*** 10. Cosa diciamo noi riguardo alle coincidenze? ***


Eccoci! Dunque, come al solito, grazie mille a chi segue la storia, non ve lo dirò mai abbastanza quanto mi fa piacere!
Questo è un capitolo leggermente più introspettivo e meno d’azione, ma grazie a una specie chiasmo delle coppie iniziamo a capire meglio alcuni aspetti psicologici dei personaggi. Vi avviso anche che non manca ormai molto alla fine. Dal prossimo capitolo gli eventi saranno decisamente incalzanti. Come sempre, fatemi sapere se i miei deliri sono comprensibili e buona lettura!
 
10. Cosa diciamo noi riguardo alle coincidenze?
 
Molly lottava contro i suoi occhi che cercavano di chiudersi e contro la sua mente, che non registrava neanche una parola di quello che leggeva. Per non parlare dei muscoli del suo collo, tesi da ore nella speranza di risultare il più naturale possibile; un ossimoro vivente, pensò di se stessa. Si stropicciò gli occhi e passo una mano sul collo, massaggiandolo mentre girava la testa per osservare Linda e il Dottore che continuavano a confabulare strani discorsi su alieni, Unit e Maestri. Erano completamente immersi nella ricerca, anche se sul volto della ragazza si potevano intuire i primi segni di stanchezza. Decise di voltare il capo con quanta più disinvoltura possibile dall’altro lato, già pronta a sostenere lo sguardo di Sherlock, ma rimase quasi più turbata nel trovarlo con gli occhi chiusi, le mani appoggiate al mento, sicuramente intento a risolvere il caso nella sua testa. Si concesse qualche secondo per osservarlo e poter finalmente fare i conti con i suoi sentimenti: era furiosa con lui, ne era certa. Era anche innamorata di lui e anche di questo ne era certa. Ma soprattutto, in quel preciso momento era delusa. Era delusa da lui, l’uomo che si ergeva sopra gli altri uomini per il suo straordinario intelletto e le sue capacità investigative, l’uomo che, in fondo, le aveva fatto capire di non essere del tutto avulso ai sentimenti umani, sia pure se non rivolti verso di lei. Era delusa dall’uomo che aveva sempre visto come solido e fermo nelle sue decisioni, per quanto strane e discutibili queste fossero,e che ora si era mescolato agli altri. Non lo biasimava per aver ucciso un uomo, no; forse, se si fosse trovata nella stessa situazione, anche lei avrebbe agito allo stesso modo. Lui aveva deciso di salvare un suo, anzi il suo amico.

Era delusa dalla droga. “ Come osi buttare via i meravigliosi doni che la natura ti ha donato? e come osi tradire l’amore dei tuoi amici?” come poteva lui, Sherlock Holmes procurarsi “overdose controllate”, rischiando la vita, solo per poter accrescere le sue doti cognitive? Ecco. Era questo il punto:  era delusa da quanto poco Sherlock Holmes tenesse alla sua vita. Non riusciva a perdonarglielo: si ricordava ancora di quanto fosse stato straziante partecipare al suo finto funerale, come poteva anche solo immaginare di poter sopportare un funerale vero?

Sospirò, rimettendosi all’opera, appuntando di tanto in tanto le notizie che le sembravano attinenti.

Nella sua testa, Sherlock Holmes  era riuscito a isolarsi alla bell’e meglio da quel fastidioso brusio che producevano i suoi due ospiti. Iniziò a fare mente locale su tutti gli indizi che aveva raccolto.

Uomo morto, agente immobiliare. Sposato.
Uomo in casa sua. Dottore.
Ragazza fastidiosa. Iralndese.
Borsa.
Shampoo alla camomilla.

Sospirò scuotendo brevemente la testa. Gli servivano informazioni utili.

John irraggiungibile.
Dottore chi? UNIT .
Invasione aliena. O schizofrenia?
Dottore, alcuni scrivono di lui, qualche blogger,ma non lo descrivono mai così. Quando?
“Sherlock, è il giorno più importante della mia vita e lo voglio passare con le due persone a cui tengo di più al mondo. Sherlock? Dannazione, sembri come quel Dottore. Sii umano!”
Ammorbidente neutro.
Alieno. Conosciuto come Dottore.
Balsamo alla camomilla.

- Smettila – sibilò ad occhi chiusi.
Molly sgranò gli occhi, voltandosi di scatto: non era sicura di aver sentito bene, ma non avrebbe tollerato uno screzio. Non ora.  Si limitò a fissarlo, trattenendo il fiato per un secondo.
- Smettila, Molly – sussurrò ancora Sherlock, aprendo gli occhi, puntandoli su di lei.
Il sangue affluì alle guance della donna che imprecò con se stessa per non riuscire a controllarsi. – Cosa devo smettere? -  domandò cercando di mantenere la calma. Sherlock si sporse leggermente verso di lei, continuando a fissarla. Lei non poté fare a meno di sentirsi avvampare, rischiando di perdersi in quegli occhi di giada. Impose a se stessa di respirare regolarmente, ignorando gli occhi dell’uomo, i suoi riccioli, il suo profumo, tabacco e biancheria appena lavata mischiati insieme.  Nonostante la fame e la stanchezza avrebbe pagato per rimanere in quella posizione per ore.

Sherlock rimase in silenzio,  osservando la donna davanti a sé. Ecco perché pensava da solo, tutte quelle distrazioni erano uno svantaggio notevole per le sue deduzioni. Pulsazioni accelerate, pupille dilatate, guance rosse: Molly non cambiava, poteva schiaffeggiarlo ed essere in collera con lui, ma per quanto si sforzasse di  non farlo notare, l’ascendente di Sherlock su di lei rimaneva comunque potente. Un giorno questo l’avrebbe distrutta, ne era certo. L’amore è sempre uno svantaggio.

Chiuse nuovamente gli occhi, per qualche secondo, poi lì riaprì, questa volta soddisfatto. Ebbe solo una leggera punta di fastidio quanto sentì la voce del Dottore unirsi alla sua nell’esclamare:
- Brillante! –
Le due ragazze sussultarono a quell’esclamazione, poi Linda guardò il Dottore : - Hai capito qualcosa? -  domandò, ignorando deliberatamente Sherlock, il quale però iniziò a sciolinare la sua spiegazione dei fatti:
- Il morto, era un agente immobiliare. Ci sarà un evento nelle prossime ore, un evento non troppo grosso, ci sarebbe sicurezza e polizia ovunque, non che questo impedisca al nostro pazzo criminale di fare il suo lavoro. In ogni caso si tratta di un evento di piccole o medie dimensioni, più medie, quindi una casa o un loft da affittare. Ci sono due eventi in questi giorni a Londra, uno è un flash mob all’aperto, mentre l’altro è una rappresentazione teatrale che coinvolge il pubblico in una cena con delitto ambientata nei primi anni Venti. Abbiamo il nostro uomo!  -

Il Dottore si alzò e si avvicinò al Consulente Investigativo, indubbiamente affascinato dalle deduzioni dell’uomo. – Gli servirà una copertura, in più abbiamo un mutaforma ribelle e un Angelo Piangente liberi, siamo completamente in balia di un paradosso temporale, ma sì, Scaroth è abbastanza prima donna da amare questo genere di cose. Linda – disse voltandosi – cerca nei cimiteri qualcuno morto che abbia lo stesso nome di qualcuno che sarà presente all’evento! – si voltò di nuovo verso Sherlock – davvero sei un essere umano? Non un Dalek? Cyborg? –

Linda annuì, l’adrenalina la teneva sveglia, ma iniziava a sentire i morsi della fame.  -  Dottore non possiamo fare una pausa? Noi umani abbiamo bisogno di mangiare -  chiese mentre cercava di far passare in secondo piano i rumori che il suo stomaco emetteva, quasi reclamasse del cibo come un’entità diversa dall’apparato digerente.
- Vado a racimolare qualcosa io – si offrì Molly. Sherlock la fissò truce per un secondo, ma fu abbastanza perché lei si mettesse frettolosamente la giacca e iniziasse a uscire dalla porta.
- Dottore accompagnala – disse Linda – non guardarmi come se ti stessi chiedendo di portarmi nel bel mezzo di una tempesta solare, ti sto chiedendo di accompagnare una ragazza  che sta uscendo da sola nel cuore della notte. Lo farei io ma tu sei decisamente il più indicato in caso di attacchi alieni o cambiamenti della storia. Io rimarrò qui a fare la guardia al ladro di borse che si dimentica di essere umano e finirò la ricerca. –

Il Dottore fissò Linda incredulo: quando quella ragazza era passata da  miss-cosa sta succedendo-questa è tutta un’illusione- a miss-diamo ordini a un Signore del Tempo-? La sua indole si stava mostrando o anche lei stava cambiando per via del conte Scarlioni e del paradosso? Scese rapidamente le scale raggiungendo Molly, mentre ragionava su diversi fattori legati alla sua Tardis, ad Artù e a Linda.


 
- Ho letto qualcosa su di te -  sentenziò Linda alzandosi e dirigendosi verso Sherlock. L’uomo finse di non averla sentita, dirigendosi in camera sua. Imprecò a denti stretti quando sentì i passi di lei dietro i suoi.
- Questa è camera mia, sarebbe cortese evitare di invadere la privacy altrui, ma suppongo non ti sia stata insegnata l’educazione tra i verdi pascoli irlandesi –  ribatté Sherlock.
- Ho condiviso la stanza con un fratello adolescente, i tuoi insulti  non attaccano – disse Linda ingoiando la rabbia che invece provava nei confronti di quell’uomo –  e non c’è nulla che potrebbe turbar….. – lascò la frase in sospeso nello stesso momento in cui i suoi occhi incapparono in una siringa usata appoggiata al comodino. – Allora è vero – disse. Sherlock si voltò, prendendo rapidamente la siringa e la gettò nel cestino accanto al letto.

- Tuo fratello non le usa? – chiese l’uomo mentre tornava a darle le spalle, aprendo l’armadio.
- Tuo fratello non ti biasima? – domandò di rimando la ragazza, lasciando per un preziosissimo secondo senza parole Sherlock Holmes.
 

 
Artù aprì nuovamente gli occhi. Notò con piacere che le sua mani erano libere e la sua testa fasciata, segno che qualcuno lo aveva curato, ma si trovava ancora dentro una gabbia in uno scantinato: davanti a lui la grossa clessidra, faceva scorrere il tempo. Non cercò di alzarsi, sapeva di essere ancora troppo debole per cercare di fuggire, ma si concentrò su tutti i possibili suoni che lo circondavano. Dalla parete proveniva il rumore di acqua che scorreva, ma sopra di lui provenivano delle voci. Una di queste era la stessa che gli aveva parlato prima, l’altra però non era di nessuno che conoscesse.  La voce dello sconosciuto era alta, stava urlando, si lamentava, diceva che non voleva morti sulla coscienza. Artù cercò di seguire la conversazione ma capì solamente di una specie di furto di identità e di un piano per catturare il Dottore e riavere un pianeta.
 

 
Mentre erano in fila davanti a un piccolo baracchino aperto tutta la notte, Molly guardò il Dottore:          - Dunque, alieno eh? Me li immaginavo diversi gli alieni, non che tu sia brutto o strano, bhe strano si ma non intendevo… -
- Grazie, anche tu non sei male – rispose il Dottore. Molly lo fissò stralunata. Cosa c’era di strano in quella conversazione? Non gli aveva forse fatto un complimento? Perché tutti gli umani con cui interagiva avevano quell’espressione in faccia? Erano una razza difettosa per caso? – si deve aspettare sempre così tanto per avere del cibo qui? – domandò mentre tirava fuori dal taschino la tua carta psichica. Molly la fissò, assumendo se possibile un’aria ancora più interrogativa. Il Dottore gliela porse, secondo quel poco che si ricordava gli umani che volevano essere amici condividevano esperienze e facevano scherzi.
- Possiamo saltare la fila e avere un pasto gratis, devi solo pensare. Questa carta mostra alla gente quello che vuoi essi vedano. Se pensi di essere la regina su questa carta apparirà che tu sei la regina! Forza, prova. Pensa e fammi vedere – disse il Dottore. Molly sorrise, tenendo tra le mani la carta psichica come se fosse un oggetto di valore estremamente fragile, quando la mostrò al Dottore, lui le sorrise tristemente. -  Per questa volta meglio che faccia io -  mormorò. Molly lesse rapidamente quello che era comparso sulla carta psichica e arrossì violentemente “Molly Hooper – scienziata, innamorata senza speranza”.
 
 

Sherlock si voltò, ponendosi di fronte a Linda che stava tranquillamente  appoggiata con la spalla allo stipite della porta della camera. Sembrava sorridere. Maledetta, pensò Sherlock, non solo era petulante, ma aveva anche intuito cosa potesse dargli fastidio e ci si era buttata a capofitto. Prima che potesse aprire bocca per risponderle a tono lei continuò
- Non scorre buon sangue tra voi due giusto? Bhè, con un fratello come te anche io avrei degli istinti omicidi – disse lei.
- Potrei ucciderti in sette modi diversi e credimi ne metterò in atto uno se continui a sprecare ossigeno – fu la risposta dell’uomo.
- Ma ti vuole bene alla fine no? Nonostante professi di odiarti. – la voce di lei perse un poco di quella superbia con cui aveva iniziato il discorso.
- Solo perché hai sostenuto un paio di esami sulla psicologia non hai il diritto di sputare sentenze. Davvero non capisco cosa abbiate che non va voi piccoli leprecauni saltellanti –  rispose Sherlock guardandola con sufficienza.
- Ti ha difeso. Sempre. Magari a suo modo. Ogni fratello maggiore fa così. Il più piccolo va difeso. Gli va insegnato come va il mondo, ferendolo se necessario. Ma alla fine, non importa quando veleno ci sia, uno aiuterà sempre l’altro. Non mi stupirei se sia stata un’opera di tuo fratello quella di far ritornare indietro l’aereo, sapendo che stavi andando in overdose. Non incolpare me è il tuo amico che scrive tutto sul suo blog! – esclamò alla fine Linda notando come gli occhi di lui si fossero accesi d’ira.

Sherlock decise di non macchiarsi di un altro omicidio, nonostante la voglia di mettere a tacere quella ragazza in maniera definitiva lo allettasse più di quanto non volesse ammettere. Respirò profondamente, prima di prendere parola: -  Non stento a credere che anche tuo fratello non ti sopporti. Avere te come sorella maggiore deve essere una piaga –
Linda sorrise amaramente, prima di tornare davanti al computer e riprendere le ricerche. Non poté fare a meno di porre una nuova domanda al Consulente Investigativo, ben conscia di scatenare ulteriormente il suo fastidio:
- Perché la mia borsa, Holmes? –
Passarono diversi minuti prima che lui le rispondesse, tornando in salotto – Una mia fonte ti ha collegato a un caso. Era più facile scipparti che chiederti di collaborare, nel caso fossi una criminale.  - 
Linda trattenne a fatica un nuovo carico di insulti, concentrandosi sul fatto di aver ricevuto una risposta. Una risposta totalmente senza senso,  ma almeno una risposta.

- Tu mi trovi insopportabile giusto? – le chiese d’improvviso Sherlock. Linda lo fissò stupita: tutta la superbia e l’ego di quell’uomo nel dedurre indizi e risolvere crimini erano spariti davanti a una domanda che riguardava in qualche modo la sfera sociale.
- Abbastanza. Trovo insopportabile la tua spocchia e la tua boria per non parlare del modo di trattare le persone e soprattutto del fatto che tu le devi una risposta -  replicò Linda. Sherlock strabuzzò gli occhi, era una delle prime volte che non comprendeva appieno una frase pronunciata da qualcuno decisamente meno intelligente di lui.
- Prego? –
- Molly. Hai presente quella ragazza che è qui, che adori trattare male e che nonostante tutto non ti ha ancora insultato o lasciato perdere?  Le devi una risposta. –
In quel momento Molly e il Dottore rientrarono in casa, tenendo in mano quattro coni di patatine fritte fumanti.

I quattro videro sorgere il sole e accolsero la nuova giornata con un sorriso. Linda aveva trovato il nome di una donna, Stacy Mills, che risultava tra le protagoniste di uno spettacolo di una cena con delitto che si sarebbe tenuto quella sera in un loft affittato in centro Londra, ma anche nel registro delle morti risalenti al secolo scorso. Il Dottore sorrise mentre iniziava, nella sua testa a mettere insieme i pezzi.
- Non potrebbe essere una coincidenza? – biascicò Molly, chiaramente bisognosa di qualche ora di sonno.
- Raramente l’universo è così pigro – sentenziò Sherlock, porgendole distrattamente un cuscino e una coperta – puoi usare il divano, non sei di aiuto con ore di sonno arretrato - .
Molly le afferrò con lo sguardo basso. Si aveva bisogni di dormire ma non lo avrebbe fatto ora. Non certo perché altrimenti non era d’aiuto.
- Dottore è una festa su invito e c’è un dress code. Come faremo a entrare? E sei sicuro che Artù si trovi lì? – chiese Linda.
Il Signore del Tempo sventolò la sua carta psichica in risposta alla domanda di Linda. Nel frattempo Sherlock, dopo aver composto un rapido messaggio  comunicò la disponibilità di abiti a tema disponibili nel giro di un’ora, recapitati a Baker Street. Molly si dimenticò per un attimo del suo bisogni di dormire. Abiti? Sherlock permetteva a qualcuno che non fosse John Watson di investigare con lui?
- Quanti? – chiese.
- Quattro ovviamente, Molly. Non fare domande stupide. Come ha detto il Dottore, sei stata vista da questo conte Scarlioni. Sei più al sicuro con noi che non da sola. E dato che il Dottore porterà con sé quella fanciulla irritante non posso fare a meno che affittare quattro abiti. – rispose Sherlock.
- Sherlock, John non ti ha chiamato? – domandò nuovamente Molly, preoccupata. Il medico militare li aveva lasciati la sera prima correndo dalla moglie che era appena entrata in travaglio.

Sherlock la fissò decisamente incredulo: - Molly Hooper, hai irrimediabilmente bisogno di dormire dato che inizi a farneticare. John Watson non mi chiama da anni -.
La stanza si riempì di un silenzio innaturale. Molly e Sherlock si guardavano, incapaci di capire chi dei due stesse scherzando.  Linda afferrò la manica del Dottore: -  La storia sta cambiando di nuovo vero? – chiese preoccupata.
Il Dottore annuì cupo.
 
 
 
Bene, come vi dicevo alla fine non manca molto, anche perché la storia sta cambiando pericolosamente e l’intero continuum spazio tempo della Terra sta per implodere. Probabilmente alcuni personaggi iniziano a essere OOC, cercherò di tenerli in riga il più possibile, evitando che prendano loro il controllo della storia. Come di rito grazie mille a chi legge/aggiunge ai preferiti/ segue la storia, al prossimo capitolo! 

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Capitolo 12
*** 11. In pratica, scappa se vuoi salvarti ***


Eccomi! Scusate l’assenza di settimana scorsa, ma sono stati giorni pieni di impegni e non ho trovato un momento per finire il capitolo in tempo. Spero di farmi perdonare ora, con un capitolo un po’ più lungo del solito, in cui si può dire “Inizia la Fine”. Ho previsto ancora due/tre capitoli, quindi diciamo che ormai ci siamo!
Bene, niente preamboli aggiuntivi, buona lettura!

 
 
11. In pratica, scappa se vuoi salvarti*
 
Sentiva le urla. Non erano più nella sua testa come era stato la prima volta che ci aveva provato. Questa volta la sua mente era libera, pronta solo a rifinire i dettagli del suo piano. Questa volta il Dottore non avrebbe vinto. Questa volta l’umanità non avrebbe vinto. Si versò un bicchiere di gin che sorseggiò davanti alla spessa porta di legno. Lui era Sraroth, l’ultimo dei Jagaroth e preso gli umani si sarebbero inginocchiati implorando la sua pietà, prima di essere miseramente spazzati via dall’intero universo. Picchiò un pugno contro la porta, quelle urla lo stavano infastidendo. Erano così ripetitive e noiose per di più. “ Dottore” “Chiunque tu sia fammi uscire!” “Io sono re Artù!”. Finì il suo gin e si allontanò dalla porta. Davvero non sopportava quelle urla.

- Fammi uscire! Sono il re, non puoi tenermi qui!! – la voce di Artù era ormai roca per le continue urla. Davanti a lui, la grossa clessidra si era svuotata per metà e soprattutto, non aveva notizie ne dal Dottore né da Linda. Doveva uscire da quella gabbia, doveva uscire da quella stanza, doveva trovarli e doveva tornare a Camelot! Tirò un violento calcio contro le sbarre, accorgendosi di come tutte vibrassero, tutte tranne una. Si avvicinò alla sbarra, la toccò e finalmente sorrise: quel pezzo non era metallo, ma legno! Abilmente dipinto, certo, ma legno. Tirò ancora qualche calcio, fino a quando non riuscì a spezzare l’asse. Non ci poteva credere era libero! Impugno il pezzo di legno spezzato come una spada e si diresse alla porta. Nessuno poteva tenere re Artù prigioniero!
 

- Non ho la minima intenzione di vestirmi in questo modo, e questo laccio? Serve a tenere insieme il cervello?- domandò Linda. Si era addormentata sulla sedia, appoggiando il volto sulle braccia, poco dopo aver preso atto di un nuovo cambiamento della storia. Avrebbe voluto svegliarsi e scoprire di aver fatto uno strano brutto sogno, ma la voce del Dottore che la svegliava neanche troppo gentilmente l’aveva riportata alla realtà. Il Signore del Tempo si era categoricamente rifiutato di indossare “qualcosa che non sia cucito da me. Non prendono mail le misure giuste” e Linda non aveva ancora superato del tutto il trauma della scomodità degli abiti medievali.
Sherlock Holmes, esasperato dalla voce di quella ragazza,  prese un completo scuro a tinta unita e si diresse in bagno sbattendo la porta.
-In effetti un paio di aliene lo usavano per quello – disse il Dottore. Linda rise alle parole del Signore del Tempo, per poi infilare in testa uno di quei laccetti, facendo una smorfia. Anche il Dottore sorrise vedendola, o perlomeno provò a sorridere: stirò le labbra come se pronunciasse una lunghissima “i”, per poi tornare a osservare i vestiti, anche se non li guardava davvero.

- Perché Dottore? – chiese d’improvviso Linda, sedendosi acconto a lui, sul divano dell’appartamento. Il Signore del Tempo la fissò per un attimo. Questa era una domanda interessante, finalmente! – Perché non “Super alieno” o “Eroe spaziale”? Non sarai mica un personaggio dei fumetti*? –
Il Dottore prese un profondo respiro prima di risponderle – No, Linda. Non sono un eroe. Essere un eroe è facile. Si uccidono i cattivi e si salvano i buoni. Io sono il Dottore. Io salvo le persone. Non mi interessa che siano buone o cattive. Io le salvo. - 
Ci fu un momento di silenzio tra i due, poi, cautamente Linda riprese: - e questo Scarlioni? Hai cercato di salvare anche lui?-
Il Dottore annuì senza rispodere. Linda gli mise una mano sulla spalla, delicatamente, quasi temesse il contatto con lui, perché fosse un alieno o perché semplicemente si vedeva stava soffrendo e lei non sapeva come aiutarlo.

- Da chi cerchi di salvare tutti, Dottore? – chiese in un sussurro.
- Da voi stessi – rispose lui riscuotendosi e alzandosi – ti sei mai chiesta cosa saresti se avessi dato retta a te stessa ogni volta?  Suppongo una pazza omicida a giudicare dalla forza che hai nello scalpitare contro le persone- piegò le labbra un poco in una smorfia, che però Linda riconobbe essere un sorriso.

- Mi dispiace per la tua perdita – disse infine, mentre sceglieva una camicia e dei pantaloni da indossare. Il Dottore si fermò, fissandola. Come lo sapeva? Aliena! Ma certo: ovviamente era un’aliena. Come poteva d’altronde una tonalità così bella di capelli essere umana?  Ma no no che non era aliena. Era anzi proprio questo il pregio degli esseri umani: capire le emozioni altrui, essere empatici verso chi soffre. Per questo a lui piacevano, gli esseri umani. – La persona che viaggiava con te. Quella per cui mi ha scambiato Scarlioni, o qualcosa del genere. Tu non viaggi in compagnia e sei triste.  Io ecco, non voglio essere invadente, qundi… mi dispiace -  l’imbarazzo nella sua voce era palese perfino per il Signore del Tempo che le si avvicinò, la mano a mezz’aria, indeciso se ricambiare in con.tatto fisico di poco prima o meno.

- Sono due persone diverse – mormorò fissando il terreno.

Linda ci mise qualche secondo prima di trovare le parole giuste. – E’ sempre così pericoloso? Viaggiare con te intendo. Tutte le persone che viaggiano con te….muoiono? – una lieve nota di apprensione nella sua voce tradì la sua facciata di spensierata sicurezza che voleva dare a vedere.
- Non tutti, Linda. Alcuni. Alcuni se ne vanno, alcuni dimenticano – le parole del Dottore erano sofferenti, riusciva a ricordare i nomi di tutti quelli che avevano viaggiato con lui e ogni nome era come una pugnalata. Era colpa sua se Amy e Rory erano morti, se Donna non poteva ricordare niente di lui e se Clara non c’era più. Gli umani si fidavano di lui e lui in cambio cosa faceva? Rovinava loro la vita.

- Bretelle o no? – domandò Linda, cercando di distoglierlo dai suoi pensieri.
- Bretelle. Sono cool. Non come me ovviamente – rispose il dottore mentre si avvicinava al violino di Sherlock abbandonato sul tavolo e impugnandolo come se fosse una chitarra in miniatura -  dici che con questo ci posso suonare gli ACDC? - 
I due si guardarono complici e scoppiarono a ridere.

Mentre finiva di vestirsi in bagno, Sherlock sentiva le risate dei suoi inattesi e certamente non voluti ospiti ridere mentre il suono delle corde pizzicate del suo violino lo raggiungeva. Uscì rapido dal bagno, in uno scatto di rabbia si avvicinò al Dottore che stava suonando lo strumento, strappandoglielo di mano. Linda fissò il consulente investigativo cercando di trattenersi dal ridere nel vedere il suo volto sfigurato dalla rabbia simile a quella che provano i bambini quando qualcuno tocca i loro giocattoli.

Il Dottore alzò le mani in segno di resa mentre lo superava, andandosi a sedere su quella che aveva individuato come la sua poltrona.
- Ti stiamo infastidendo? Ottimo, così sei reattivo. Dobbiamo formulare un piano – disse il Dottore mentre si sfregava le mani.  Sherlock chiuse gli occhi facendo dei profondi respiri. Doveva imporsi di non uccidere quella strana coppia. Guardò il Dottore porgendogli uno dei suoi sorrisi più affettati per poi rispondergli: - Certamente. Puoi aspettare qualche secondo il tempo che Molly ci raggiunga? Forza Molly, puoi fare un the se vuoi per svegliarti, cucina, terza mensola a destra. – disse guardando il Signore del Tempo ma rivolgendosi alla ragazza che, leggermente stranita avanzava dalla camera da letto verso la sala. Stava per chiedere cosa fosse successo ma fu anticipata dal Dottore

- Molly! – esclamò allegro – hai dormito bene? Mi sono preoccupato un poco quando ho visto il tuo amico portarti a letto addormentata, avevo chiesto a Linda di controllare non ti avesse abbandonato sul letto aspettando un nuovo cambiamento della storia. Vieni abbiamo i vestiti per te –
Molly  sgranò gli occhi alle parole del Dottore: si era addormentata? Si si era addormentata mentre Linda e il Dottore mettevano insieme i pezzi di una specie di attacco alieno, ma la cosa su cui si era soffermata era un’altra: Sherlock l’aveva portata a letto? In braccio? Nel suo letto? Si impose di darsi un contegno e pensare molto più razionalmente. Probabilmente lo aveva fatto perché era la scelta più logica. Linda le si avvicinò offrendosi di aiutarla a vestirsi, accompagnandola in bagno con i vestiti che Sherlock aveva noleggiato in mano.
 

- Hai delle armi? – domandò Il Dottore serio.
- Sai che le ho. Sai anche che ho tutte le intenzioni di portarle con me. – rispose Sherlock sedendosi davanti al Signore del Tempo. “Scomoda” fu il pensiero che attraversò la sua mente non appena si sedette sulla poltrona davanti a quella momentaneamente occupata.
- Non le ragazze. –
- Nessuna delle due ha mai tenuti una pistola in mano, ferirebbero più sé stesse che non la loro potenziale vittima. Inoltre sono decisamente volubili e schiave delle loro emozioni, rischierebbero di sparare alla prima donna che abbia  il vestito uguale al loro, soprattutto la tua amica. Anzi, lei lo farebbe sicuramente –
- Sei misogino o misantropo o semplicemente non hai il filtro tra pensiero e parole? – sorrise il Dottore. Gli piaceva una persona che parlava in modo così schietto, spesso anche lui. Sherlock parve comprendere il tono astioso, sebbene duro e concesse al Dottore un abbozzo di sorriso.
- Constato semplicemente che le emozioni portano più danni che benefici. Usare la logica e la deduzione invece porta considerevoli vantaggi. –
- Certo certo – mormorò il Dottore, triste per un attimo – sicuro di non essere un Cyberman? –

In quel momento le due ragazze, uscirono dal bagno: Linda con un completo gessato di taglio maschile, i folti capelli raccolti in una treccia, Molly in un vestito charleston, visibilmente in imbarazzo nel sentirsi così scoperta, i capelli raccolti in uno chignon basso.
- Allora, qual è il piano, Dottore? – chiese Linda mentre cercava di sistemare la camicia dentro i pantaloni.
- Il piano giusto! – esclamò il Dottore alzandosi – C’è un mutaforma in giro, potrebbe prendere le sembianze di ciascuno di noi, quindi non dobbiamo mai perderci di vista! –
- Tutto qui? – domandò Molly, dubbiosa.
- Facile no? Ora avviamoci, prima arriviamo, prima troviamo la mia Tardis e Scarlioni e salviamo l’Universo e re Artù – replicò il Dottore accompagnando Molly giù per le scale.

- Lo so – disse ad un tratto Sherlock alzandosi e voltandosi verso Linda, che lo stava aspettando guardandolo sospettosa dallo stipite della porta.
- Sai cosa? Che sei l’uomo più intelligente in questa stanza, per il semplice fatto che tu sei un uomo io  e Molly due donne e il Dottore un Signore del Tempo? – ribatté secca la rossa.
- Non ripeto l’ovvio. So che devo darle una risposta. – disse il consulente investigativo mentre si infilava il suo cappotto – anche se non mi è stata posta una domanda specifica –
Linda roteò gli occhi al cielo: - Sei serio? Quella ragazza ha mandato all’aria tutta la sua vita per te. Ti ha aiutato a fingere la tua morte! E se, come ho letto, la minaccia del ritorno di questo Morty..-
- Moriarty-
- Fa lo stesso. Se lui fosse tornato davvero, o chi per lui, non pensi lei sarebbe la prima a essere in pericolo, questa volta? Non credi questa sia una domanda abbastanza chiara? Non credi di doverle almeno questo? –
- Ma tu taci almeno qualche ora al giorno? – domandò Sherlock mentre scendeva rapidamente le scale del 221B, odiando il primo ragionamento logico che quella ragazza aveva fatto.
 

La strana compagnia arrivò al posto in orario. Il Dottore avanzò sicuro verso l’ingresso affiancato da una Linda con i lineamenti del volto tesi, ma con il passo sicuro. Dietro di loro Sherlock Holmes avanzava non curandosi del mondo circostante mentre Molly gli camminava accanto, evitando accuratamente di guardarlo. Si provava qualcosa per lui, ma questo non cambiava il fatto che era arrabbiata con lui, anche per il trattamento che le aveva riservato in quelle ultime ore. Si maledisse mentalmente per non essere in grado di lasciare andare i sentimenti per quell’uomo ma si promise almeno di metterli a tacere fino a quando non sarebbero tutti usciti da quella situazione surreale in cui si erano ritrovati.

Il consulente investigativo sbuffò leggermente quando all’ingresso della casa  adibita come location per l’evento vide l’agente Donovan. Molly si accorse della reazione dell’uomo, ma non fece in tempo ad avvertire il Dottore che era già stato bloccato dalla donna.
- Il vostro invit...oh, lo Stambo. Non mi pare di averti visto nella lista degli ospiti – disse la poliziotta spostando lo sguardo dal Signore del Tempo all’umano.
Il Dottore mostrò rapidamente la sua carta psichica sulla quale l’agente Donovan lesse i nomi dei quattro. Nonostante questo non si arrese. Fermò con un braccio teso il Dottore, che cercava di entrare nella stanza.  – Innanzi tutto, lei non è vestito a tema, signore. E non mi è stato spiegato perché siete in compagnia con lo Strambo psicopatico –
- Sociopatico ad alto rendimento – replicò annoiato Sherlock – agente Donovan probabilmente non ha visto i nostri nomi sulla sua lista a causa della nottata passata davanti al computer. Stava cercando informazioni su un caso o si dilettava su siti di incontri? A giudicare dalle continue vibrazioni di notifica del suo cellulare deduco la seconda, lungi da me giudicarla ovviamente, dopo la storia con Anderson finita così male  sarebbe pienamente comprensibile. Ora se non le dispiace, vorremmo prendere parte alla festa – terminò la sua dissertazione esplicata a voce bassa, ma assai rapidamente, con uno dei suoi finti sorrisi. Né il Dottore, né le due ragazze riuscirono a trattenere una smorfia, che fosse ilarità, imbarazzo o ammirazione. 

Sally Donovan incassò il colpo inferto dall’uomo, decisa ora più che mai a non far entrare quella strana combriccola. – E da quando tu hai degli amici e una fidanzata? – domandò alzando il mento. Il Dottore sospirò pensando a un metodo per poter dissuadere quell’umana dall’intrattenere una conversazione sociale. Molly arrossì leggermente ma di costrinse a tenere alto lo sguardo sostenendo quello della poliziotta. Sherlock Holmes per un secondo parve non sapere come rispondere. In effetti non sapeva davvero come ribattere, non in un campo come quello della socialità.

- Ira passiva. Possiamo andare?  – intervenne Linda, visibilmente tesa e decisa a chiudere nel più breve tempo possibile quel siparietto per andare a cercare Artù. Sally Donovan girò il capo prestando attenzione alla ragazza.
- Prego? –
- La sua, agente è ira passiva. – sospirò allora Linda avanzando di un passo verso la poliziotta. – lei è arrabbiata, verosimilmente con il signor Holmes. La prego però di farci passare ora, troverà un altro momento in cui fare i conti con lui -  spiegò frettolosamente.
- Non so chi è lei ma io non sono arrabbiata – ribatté Donovan.
- Sopracciglia abbassate e ravvicinate, sorrisi falsi e labbra serrate. Tutti segnali che indicano rabbia. Con una certa nota di disgusto aggiungerei. E ora ha abbassato leggermente gli occhi vede? Questo è sintomo di vergogna**. Lei è arrabbiata con Holmes e si vergogna per qualcosa. Ora, ci fa passare così da poterci godere ognuno questa splendida giornata o rimaniamo qui finché non scopro le motivazioni, che evidentemente vuole tenere per se stessa, della sua vergogna davanti alla persona che odia e dei perfetti estranei? – le mani di Linda erano chiuse a pugno, la sua voce era acuta. Voleva entrare, voleva trovare Artù, voleva aiutare il Dottore, voleva capire cosa l’Universo aveva combinato con la sua vita nelle ultime ore e quella donna certamente non stava dando loro una mano.

Donovan pensò che avrebbe potuto arrestare quella ragazza per oltraggio a pubblico ufficiale ma sapeva che poi quell’Holmes avrebbe  fatto qualcosa di ancora più irritante. Abbassò il braccio con riluttanza: - Se succede qualcosa, sarete i primi sospettati che fermerò – disse.
Linda sorrise affettata mentre entrava.
- Non male -  le disse a mezza voce Sherlock.
- Solo perché trovo insopportabile qualcuno che anche tu reputi un’idiota. Sei in debito con me – rispose lei, concedendo all’uomo uno sguardo frettoloso e un mezzo sorriso.
 

Era riuscito ad uscire da quella gabbia che lo teneva prigioniero. La testa gli faceva male,  la fasciatura gli oscurava parzialmente la vista, ma era fuori dalla gabbia. Si avvicinò alla grossa clessidra, la sabbia all’interno scorreva verso il basso lasciando intravedere nella parte alta qualcosa. Artù si avvicinò: era Excalibur! Strappò una manica della sua tunica e l’avvolse attorno alla sua mano destra prima di tirare un pugno al vetro della clessidra, che cedette rompendosi e lasciando cadere sul pavimento la sabbia.
Artù afferrò prontamente la sua spada, ritrovando il vigore e la forza che sembrava averlo abbandonato. Si fiondò contro la porta di legno, deciso a uscire e a trovare il Dottore e perché no, a vendicarsi di chi lo aveva rinchiuso.
 

Il Dottore studiò la sala: tavolini apparecchiati di tutto punto: un piccolo palchetto dove gli attori stavano cominciando la loro rappresentazione.  Nella compagna c’era solo una donna. Il Dottore non ebbe difficoltà nell’individuarla come uno Zygon. Per un attimo parve che anche lei lo riconobbe. Fissò dritto nella sua direzione con una certa sorpresa, poi tornò al suo ruolo, di umana e di vittima designata per la rappresentazione. Il Signore del Tempo estrasse il suo cacciavite sonico e lo puntò verso le pareti della stanza, mentre Linda controllava che nessuno lo stesse osservando. Quando lo vide sorridere intuì che finalmente le cose potevano iniziare ad assumere una piega a loro favore.
- Oltre il giardino, c’è qualcosa – disse. Linda annuì, tesa come prima di una gara importante, ma concentrata e determina a non deludere il Dottore.
- Bene, godetevi lo spettacolo – sentenziò Sherlock mentre con ampie falcate si dirigeva nel giardino, superando gli altri. Molly guardò Linda, Linda fissò il Dottore e il Dottore si ritrovò a sperare di essere circondato da Dalek su Magrathea*** piuttosto che dover assistere a quello che prevedeva.

Le due donne rincorsero Sherlock e lui si trovò a doverle seguire, imprecando in gallifreyano antico. In alcune parti dell’Universo, alcune popolazioni aliene tecnologicamente evolute ma estremamente superstiziose, captarono la voce del Dottore, interpretandola come un segnale nefasto e bruciarono tutti i loro trattati scientifici per riappacificarsi con le loro divinità.

- Holmes! – esclamò Linda. Non ottenendo risposta si avvicinò di più fino ad afferrare un braccio dell’uomo.
Sherlock si voltò di scatto, il fastidio volutamente malcelato era dipinto sul suo volto.
- Sherlock, il Dottore ha detto dobbiamo restare uniti! Possibile non riesca a non fare di testa tua? – chiese Molly esasperata dalla nuova follia del consulente investigativo.
- Oltre il giardino c’è qualcosa ha detto. Dato che lui sembra voler chiarire la faccenda con l’attrice che pare averlo riconosciuto e voi due cadreste preda di emozioni come paura o rabbia agendo impulsivamente, la scelta più logica è che io ritrovi quella sua grossa cabina blu e il tuo amico, Artù – disse lentamente Sherlock, mentre toglieva la mano di Linda dal suo braccio, come se fosse un insetto di cui aveva disgusto.
Non aveva previsto però la reazione repentina della ragazza e della sua mano destra, cosa che per fortuna fece il Dottore, correndo a bloccarle il polso a mezz’aria. – Niente violenza Linda. – disse in tono autoritario il Dottore. Linda chiuse gli occhi e prese dei respiri profondi.

- Ok, scusami. Scusami – disse sentendo la presa del Signore del Tempo allentarsi -  Scusa Molly – ripeté prima di cogliere di sorpresa il Dottore, far prendere aria alla sua mano e farla atterrare con un sonoro schiaffo sulla faccia di Sherlock. Il Dottore aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma cambiò idea quando vide lo sguardo furente della ragazza.

- Ma chi ti credi di essere tu, eh? Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo al mondo? Credi questo sia sufficiente per trattare il resto del mondo come fai? Con quella sufficienza che hai? Credi di essere intelligente? Bhe non lo sei. Sei solo un bambino viziato nel corpo di un adulto, che crede di ottenere l’attenzione delle persone spiattellando loro in faccia la propria bravura e non accettando il fatto che ci possa essere qualcuno che possa rubarti il centro della scena! Non mi interessa starti simpatica, né mi interessa per quale motivo tu sia diventato in questo modo. Mi interessa salvare una persona prigioniera di un alieno che sta cercando di far implodere la storia del mio pianeta! Quindi, se proprio vuoi fare qualcosa di logico e giusto, smettila di fare i capricci e inizia a crescere! –

Aveva finito per urlare. Era arrabbiata e aveva urlato. Il Dottore la fissava con un’espressione indecifrabile, mentre Molly dietro di lei non sapeva come agire:avrebbe voluto far sapere a Sherlock che lo capiva e non lo giudicava, ma allo stesso tempo ammirava il temperamento di Linda che aveva osato vomitargli addosso tutto quello che la gente pensava di lui e non gli aveva mai detto.
Sherlock fissava stupito la ragazza, una mano sulla guancia che aveva ricevuto lo schiaffo, incapace di trovare una frase adatta per ribattere. Linda, dal canto suo sentiva gli occhi inumidirsi e riempirsi di lacrime. – Scusatemi – disse prima di voltarsi e correre nuovamente all’interno dell’appartamento.
 

Il Conte Scarlioni tamburellò le dita sopra la porta della Tardis. Mancava poco alla realizzazione del suo piano. Aveva previsto tutto. Tutto tranne la lama fredda di una spada, puntata alla sua gola e la voce ferma di re Artù che gli ordinava di voltarsi lentamente.
 

Linda si era rifugiata nel bagno della casa. Sentiva gli ospiti divertirsi e successivamente la maniglia aprirsi.
- Dottore mi dispiace aver usato la violenza, ma mi aveva esasperato e sappi che lo rifarei. Perdonami – disse spalle alla porta
- A tuo favore posso dire era uno schiaffo ben assestato -  fu la risposta, ma la voce che aveva pronunciato la frase non era quella del Dottore.
- Holmes? – domandò Linda sorpresa.
 

Molly era rientrata in casa nella speranza di ritrovare Linda e riportarla dal Dottore e Sherlock. Si ritrovò in un corridoio pieno di stanze, stava per aprire quella che le sembrava la porta del bagno, la stanza rifugio di qualsiasi ragazza in lacrime in mancanza della sua camera, quando sentì una mano sulla sua spalla. Sussultò leggermente prima di riconoscere la persona accanto a lei.
- Sherlock – disse abbozzando un sorriso.
- Non credo la troveremo qui – le disse lui spingendola dolcemente lontano dalla porta.
 

- Non volevo dire proprio tutto quello che ho detto – bofonchiò Linda. Sherlock rise
- Invece sì, ma non fa niente. In tanti lo pensano, tu lo hai solo detto a voce decisamente alta –
- Perché sei qui? Dobbiamo tornare dal Dottore, ha bisogno di me! - esclamò Linda come se qualcuno l’avesse ridestata da un torpore.
- Hai detto che ero in debito con te, sono qui per sdebitarmi e porgerti le mie scuse –
 

- Sherlock dobbiamo trovare Linda, dobbiamo restare uniti – disse Molly, stringendosi nelle spalle.
- Hai freddo – constatò lui togliendosi la giacca e poggiandola sulle spalle nude di lei, con un gesto fluido, circondandola con le braccia. 
- Grazie – sussurrò Molly, beandosi per un secondo di quel momento, di quel gesto gentile dopo innumerevoli gesti umilianti.  Alzò lo sguardo quanto sentì il contatto di lui sulle sue spalle farsi lungo più della norma, ritrovandosi a pochi centimetri dal volto dell’uomo. Pregò che lui non si accorgesse dei battiti del suo cuore che acceleravano.
- Molly, mi dispiace, io sono… io – sussurrò Sherlock avvicinandosi ancora un poco. Lei chiuse gli occhi, cercando di imprimere nella memoria quel momento. La voce di lui, i suoi occhi, il suo profumo. Aprì gli occhi a gli poggiò una mano sul volto.
- Sei tu – disse.
 

- Ti ho fatto male? – chiese Linda incerta
- Discretamente. Mi ha fatto più male vedere te umiliare Donovan al posto mio, ma ammetto è stato uno spettacolo…singolare -
I due si fissarono per qualche secondo per poi far cadere la tensione accumulata con una risata.
- Questo non cambia il fatto che ti trovi logorroica e irritante – disse il consulente investigativo.
- La cosa è reciproca – replicò Linda.  
Ad un tratto un urlo attirò l’attenzione dei due. Il sorriso morì sul volto di Sherlock. Linda lo guardò, poi entrambi in coro esclamarono – Molly! –
 

Quando i due raggiunsero il luogo da cui proveniva l’urlo, trovarono Molly in piedi accanto al Dottore che puntava il suo cacciavite sonico contro quello che sembrava un perfetto sosia di Sherlock, seduto a terra che stringeva il ginocchio tra le mani.
- Molly, stai bene? – domandò Sherlock con una nota di preoccupazione avvicinandosi alla donna. Lei annuì senza guardarlo, tenendo gli occhi puntati sullo Zygon.
- Piano riuscito? – domandò Linda avvicinandosi al Dottore.
- Alla perfezione. Complimenti ragazze – replicò lui.
- Avete pianificato lo schiaffo e la scenata per far venire allo scoperto, lui? – domandò Sherlock.
-  L’ho spiegato a Linda mentre suonavo il tuo violino e mentre lei ti tratteneva nel tuo appartamento ho allineato anche Molly. In effetti lo schiaffo è stato improvvisato, ma unicamente per questa volta potrei chiudere un occhio. La scena era davvero bella – rispose il Dottore – ora, veniamo a noi Zygon Sherlock, dicci chi sei e i piani di Scarlioni ti va? –
- Come ha fatto lei a riconoscermi? Ero uguale a lui – domandò l’alieno guardando Molly

- Bhe, in effetti ci sei andato vicino ma hai finto di avere qualcosa che lui non ha –
- Cosa? –
- Sentimenti umani – disse amaramente Molly.
A quel punto lo Zygon abbandonò l’aspetto del consulente investigativo, mostrandosi nella sua forma naturale, causando la sorpresa di Molly e Linda e una reazione di curiosità sul volto di Sherlock.
Il Dottore gli tese una mano, aiutandolo ad alzarsi – Scarlioni. È qui? Cosa ti ha promesso? - 

Lo sguardo dell’alieno lasciò trasparire il terrore, indicando un punto alle spalle del Dottore: - Salvarmi da quello! – disse.
Linda si voltò prontamente e alla domanda del Dottore: - Fammi indovinare, l’Angelo Piangente? – lei non poté fare altro che rispondere con un sarcastico: - Iniziava a mancarmi in effetti -.
 
 
 
*Ho cercato di tradurre la frase con cui il Nono Dottore si presenta a Rose (frase che adoro detta da un meraviglioso Dottore, a mio avviso)  che è “Run for Your Life”. Ho visto la serie in lingua originale, quindi non so se è la traduzione corretta quella che gli ho dato, ma era quella che mi sembrava la meno cacofonica
** Piccola precisazione per quanto riguarda Linda, per chi se lo chiedesse e me lo avesse chiesto:  sì, per lei e per i suoi studi di cinesica ho preso ispirazione dalla serie Lie to me, dove il protagonista è in grado di leggere le micro espressioni del viso e la prossemica ( in pratica tutto il linguaggio non verbale)
*** Esatto, altra piccola citazione della Guida Galattica per Autostoppisti.
 
Bene! Capitolo fiume lo ammetto, ma non volevo dividerlo a metà, ho cercato di tenere le fila del racconto e ho cercato di dare un poco di spazio in più anche ad Artù che era stato relegato a una particina. Ammetto anche di aver trattato malino il personaggio di Sally Donovan, ma credo che sia un personaggio che proprio non sopporto. Avevo cercato di non renderla così scialba antipatica ma è stato più forte di me! Detto questo, come sempre ringrazio tantissimo chi segue la storia, chi l’aggiunge ai preferiti, chi mi scrive, di nuovo: grazie davvero!  Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 13
*** 12. Quello che fa di noi Esseri Umani ***


Eccoci! Scusate il ritardo, ma il ponte ha portato più impegni che relax. Niente preamboli questa volta. Ci vediamo direttamente a fine capitolo (mi scuso solo se i personaggi iniziano a risultare un po’ OCC, sto facendo il possibile per evitare che prendano il sopravvento sulle mie mani mentre scrivo :) )
 

 
12. Quello che fa di noi esseri umani
 
Alieno.
Mutaforma.
Pericolo.
Scarlioni responsabile.
Dottore.
Angelo
Rumore dei passi preoccupati.
Dentifricio alla salvia.

- Sherlock? Hai sentito? – domandò Molly. Il Consulente Investigativo si ridestò dai suoi pensieri, osservando Molly, il Dottore, Linda e l’alieno fissare fuori dalla finestra, verso il basso. L’Angelo Piangente. L’Angelo Piangente accanto a una grossa cabina blu, nel mezzo del cortile interno.

Il Dottore distolse lo sguardo per un momento dall’alieno, per posarlo su quello che alieno poteva sembrare. Sherlock Holmes sentì di essere osservato e rispose contrariato : - Qualsiasi cosa sia uscita dalla bocca della tua amica irlandese deve essere sicuramente una follia, a meno che non abbia detto qualcosa tipo “Sherlock dicci cosa dobbiamo fare”, in tal caso chiedo perdono, ma per preservare la mia sanità mentale cerco di non ascoltare quello viene detto da lei, senza offesa Leprecauna. –
- La cosa è reciproca – fu la risposta che diede la ragazza, continuando a fissare la statua in giardino.

- Dobbiamo dividerci, voi rimanete qui a fissare l’Angelo, io scendo a recuperare la Tardis – disse il Dottore.

- E’ una trappola – sentenziò Molly. Aveva sentito Linda  riconoscere quella cabina come l’astronave del Dottore ed era certa che non ci volesse l’acume di Sherlock Holmes per riconoscere che qualcuno stava preparando una trappola al Signore del Tempo.

- Scendo io – disse Linda con voce ferma – non distogliere lo sguardo Dottore. Molly ha ragione.  È sicuramente una trappola, Scarlioni si aspetta di vedere te correre laggiù. Ci andrò io –
Il Dottore, disobbedendo alle parole della giovane, le si fece vicino – Linda no. Quello laggiù è uno dei peggiori alieni dell’intero Cosmo, al servizio di un alieno ultimo della sua stirpe che vuole vendicarsi di voi e di me. Credi che ti inviterà a prendere un the? –

- Dottore non puoi scendere tu. Tu devi trovare il modo di salvare Artù e l’Universo - 
- Stai andando incontro a morte altamente probabile! – strepitò il Dottore passandosi una mano tra i capelli.
- Io non sono importante per l’Universo. Tu sì –
- Voi umani! Credete di poter ingannare chiunque e credete di non poter essere ingannati da nessuno. Coraggiosi ma stupidi, per questo morite quando potreste evitarlo*. Fidati di me, io non incontro persone non importanti. - 
Linda sorrise e anche se non avvezzo ai comportamenti umani, il Dottore sembrò vedere gli occhi di lei inumidirsi.

- Verrò io con te – intervenne Molly. Il Dottore la fissò, a metà tra il sollevato e il basito, ma fu la reazione di Sherlock a stupire tutti i presenti-
- Non esiste, Molly Hooper – esclamò con un tono più duro di quanto avrebbe voluto far trasparire.  Molly prese un respiro profondo prima di replicare.
- Perché non mi reputi all’altezza del compito o perché non potrei esserti utile in futuro? – domandò risentita. 

Erano in una situazione di perfetto empasse: le due donne non avrebbero ceduto sulla loro posizione e i due uomini non sapevano a quali argomenti aggrapparsi per far cambiare loro idea. Il Dottore sospirò, poi si mise accanto a Linda, riprendendo a fissare fuori dalla finestra.
- Puoi andare solo se mi recuperi uno specchio – disse con voce grave.
Fu Molly a porgergli un piccolo specchietto estraendolo dalla borsa. Linda si voltò verso la donna e successivamente verso lo Zygon, che dietro di loro era rimasto ancora immobile terrorizzato dall’apparizione dell’Angelo Piangente. La rossa gli si avvicinò tendendogli la mano – Io sono Linda, tu come ti chiami? –
Il mutaforma strabuzzò gli occhi sorpreso dal comportamento di quell’umana.  – Karl – rispose incerto.

- Karl, tu conosci il piano di Scarlioni. Ti va di aiutarci a riportare le cose al loro posto? – chiese Linda speranzosa. Il cuore le batteva veloce tanto che temeva potesse cederle. Lo Zygon tese a sua volta la mano

- Il Dottore si fida di te? – chiese dubbioso. Linda trattenne il fiato. Non lo sapeva. In effetti aveva agito d’impulso, come era solita fare, senza considerare le conseguenze del suo gesto. Davvero stava andando incontro a morte certa? Davvero aveva teso la mano a un alieno mutaforma probabilmente in grado di ucciderla in un secondo?

- Ha in tasca le chiavi della Tardis – cantilenò il Signore del Tempo in risposta alla domanda posta. Linda infilò la mano nella tasca dei pantaloni, sorridendo e dimenticando per un momento la tensione. Lo Zygon strinse la mano  della giovane e seguì lei e Molly allontanarsi dal corridoio.

Sherlock, le mani dietro la schiena, manifestando sicurezza fissava la statua, ma anche se non poteva girarsi sentiva chiaramente il Dottore armeggiare con lo specchietto che gli aveva dato Molly, a pochi passi da lui.

- Non siamo uguali – disse il Signore del Tempo a mezza voce, il cacciavite sonico puntato contro lo specchietto.
- Ovviamente. Io non ho due cuori – replicò il Consulente Investigativo mentre osservava giungere nel giardino Linda seguita da Molly. Dove era finito l’altro alieno?

- Fingere di non possederne nessuno non fa di te bhe…me – si avvicinò alla tenda iniziando a strapparne un lembo e fare alcuni nodi – anche perché, per quanto non riesca a capire i vostri comportamenti, so perfettamente che sono le emozioni che vi salvano. –
Sherlock sbuffò: un altro incompetente che cercava di dirgli che le emozioni sono importanti e come ci si senta migliori nel farsi divorare l’anima da angoscia, paura e dolore.
- Stare da soli può essere utile. In effetti sì, le emozioni uccidono; guarda me, io sono la prova vivente che le emozioni di tistruggono** e ho viaggiato da solo per un po’. Non affezionarsi, è per te che lo fai. È per gli altri. Cerchi di proteggerli da te, dal dolore che tu stesso hai provato. Oh funziona per un po’ sai? Giocare a essere un dio, lontano da tutti, adorato e temuto. Ma tu non sei un dio. Tu sei un umano e non puoi passare la tua vita a cercare di non provare sentimenti. Altrimenti imploderai, o sterminerai il tuo pianeta, dipende da  quanto sarai in grado di gestire la situazione. È la conditio sine qua non di voi esseri umani. E fidati, è invidiata in tutto l’Universo -  il Dottore terminò il discorso  con un’esclamazione di soddisfazione nel vedere la sua strana creazione: legato a un lembo di tenda e tenuto in posizione da un altro pezzo di stoffa lo specchietto rifletteva l’immagine dell’Angelo Piangente in giardino.
Sherlock Holmes non rispose, né diede segno di una qualche reazione, se non per la sua mascella serrata. Il Dottore gli toccò una spalla, facendogli un cenno col capo  - Su, credi davvero che l’Universo non abbia bisogno di me? –
 

- Si muove? – chiese Linda  mentre apriva la porta della Tardis.  Molly diede una rapida occhiata  alla statua sospirando di sollievo nel trovarla nella stessa posizione di prima.
- Una volta dentro saremo in grado di fermare tutto questo? – chiese la patologa.

Linda si voltò, stava per replicare che non lo sapeva, che ci sperava e che voleva fidarsi del Dottore, ma le parole le morirono in gola: in fondo al giardino, una fascia sulla testa, una manica strappata, la spada puntata alla gola di un uomo, c’era il re di Camelot
- Artù! – esclamò Linda alzando un braccio per farsi notare. Il re, sentendosi chiamato si fermò  e sorrise.  Il conte Scarlioni approfittò di quel momento in cui il sovrano aveva abbassato la guardia per sferrare un colpo ben assestato alla bocca dello stomaco del sovrano, facendolo piegare e riuscendo a liberarsi facilmente.
Linda fece per correre nella sua direzione ma avvertì la presa del Dottore sulla sua spalla.  
- Jagaroth!  Che piacere rivederti – esclamò allora il Signore del Tempo – come va con la tua idea di distruggere il pianeta? –
Molly, defilandosi passò dietro la statua dell’Angelo, cercando di raggiungere Artù e prestargli le prime cure.

Il conte Scarlioni sorrise al Dottore, affabilmente : - Stai meglio senza sciarpa, sei cresciuto Dottore – disse – prima di infilare una mano nella tasca interna della giacca, estrarne una pistola e puntare nella direzione di Molly, sparando un colpo che volutamente la mancò di pochi centimetri, costringendola a fermarsi.
- Molly! – esclamò Sherlock Holmes avvicinandosi a lei.  Era pallida, i capelli le si stavano spettinando e il trucco iniziava a dare segni di cedimento. Le afferrò un polso e le si avvicinò, sussurrandole in un orecchio  in modo tale che solo lei potesse sentirlo – Lei dov’è? -

Linda fece un passo in avanti e solo allora si accorse di aver appena evitato che il Tardis venisse toccato dall’Angelo Piangente.
- Ottima mira – sentenziò il Dottore, rendendosi conto che il proiettile sparato aveva centrato lo specchio fissato da lui poco prima, liberando quindi la statua dal riflesso che le veniva fornito.

- Grazie, ora Dottore,  dicevamo riguardo il mio piano: va splendidamente. Forse la tua deliziosa compagna di viaggio non si è accorta di cosa c’è sopra l’ingresso della tua cabina. E certamente l’omuncolo del medioevo qui accanto a me non ha minimante intuito che nel liberare la sua spada, frantumando quello che per lui era del semplice vetro, ha attivato la mia macchina del tempo personale. -  rispose Scarlioni puntando la pistola contro Linda – Ho una domanda per te ora: se sparo alla testa di una Signora del Tempo, quest’ultima è in grado di rigenerarsi? –

 
* Questa è una citazione di un racconto della Signora del Giallo, Agatha Christie. Per la precisione è una frase che fa pronunciare a Poirot
 
** Chiedo venia per la traduzione un po’ libera. Questa è una citazione che ho preso da Doomsday, quando uno dei Cyberman, avvicinandosi al Dottore gli fa notare come lui sia l’incarnazione di come le emozioni umane possano essere dolorose.

 
Perdonate il capitolo breve, ma non sapevo dove tagliare la storia e farlo più in là sarebbe stato peggio. Come vi dicevo, non manca molto al finale, anzi, siamo davvero in dirittura d’arrivo. Come al solito, grazie mille per seguire la storia, mi fa davvero piacere e ancora una volta vi invito a farmi sapere quanto le mie intenzioni siano state comprensibili! Grazie davvero  e al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** 13. La Storia può essere riscritta ***


Eccomi di ritorno! Chiedo ancora perdono per il capitolo breve della scorsa volta, spero con questo di riuscire a farmi perdonare.
Spero di aver reso tutto il più scorrevole possibile e di aver tenuto i personaggi il più fedeli agli originali possibili.
Bhè, ormai manca poco alla fine e nel capitolo precedente ho lasciato tutto in sospeso nel mezzo della vicenda. Indi bando alle ciance, buona lettura!

 
13. La storia può essere riscritta
 
Linda sentì un brivido percorrerle la schiena. Era in trappola. Il Dottore si avvicinò e le tese una mano facendole capire che non la stava sacrificando, che stava provando a trovare una soluzione.

- In realtà se volessi avere una risposta dovresti provare a sparare a me – con una pistola puntata alla nuca di Scarlioni, Molly, un’altra Molly, sorrideva al Dottore, facendogli un occhiolino d’intesa.

Il Dottore ci mise un secondo intero per ricordare cosa significasse strizzare l’occhio, mentre invece Sherlock metteva rapidamente insieme i pezzi. Aveva accanto a sé Molly, ma era Molly anche quella donna che a pochi metri di distanza puntava una pistola alla testa di un uomo. Si era cambiata il vestito, indossando un maglione e dei pantaloni lunghi, decisamente più nel suo stile, i capelli, raccolti in una semplice coda, rispecchiavano l’immagine che il consulente investigativo aveva di lei. Tutto lo portava a vedere in lei la Molly che per anni era rimasta nell’ombra, amando il ruolo di operativa dietro le quinte, tutto tranne la pistola. Stava minacciando un uomo, nonostante questo fosse un alieno? Lo avrebbe ucciso? Il suo polso tremava leggermente ma la presa sulla pistola era salda e i piedi erano ben piantati a terra. Non voleva premere il grilletto ma lo avrebbe fatto se costretta. Di questo era consapevole.

Artù, inginocchiato a terra si portò una mano alla testa. Le tempie gli dolevano e vedeva la sua vista offuscarsi.
- Dottore – biascicò cercando di rialzarsi.
Il Dottore fece un passo verso il sovrano ma Scarlioni caricò la sua pistola, prendendo la mira sulla testa di Linda. Il Signore del Tempo alzò le mani. – Oh andiamo, Jagaroth, sai che non mi piacciono le armi. Perché non possiamo sederci e discutere di questo tuo capriccio di voler distruggere la Terra? Ci hai già provato d’altronde, dovresti sapere non andrà bene -  disse spostandosi di lato, lanciando un’occhiata fugace in direzione di Sherlock.
- Ma questa volta ho un piano migliore – fu la risposta tranquilla del conte.

- E quale? Spararmi e poi farti saltare le cervella? – domandò Linda, gli occhi che iniziavano a seccarsi e a richiederle di distogliere lo sguardo dalla statua dell’Assassino Solitario.

- Ha attivato un meccanismo di alterazione temporale – intervenne allora Sherlock, portando l’attenzione su di sé – ha parlato di qualcosa sulla porta della cabina blu, ha un mutaforma e una statua capace di dislocare temporalemente le persone e che necessita di essere fissata in continuazione. Probabilmente ha installato un dispositivo che riconosce le forme di vita presenti  all’interno della cabina, in modo tale da poter entrare, con il Dottore che gli serve per poterla far funzionare, costringendo invece noi a rimanere qui mentre i suoi due alieni si occuperanno di noi uccidendoci probabilmente. Ma non è tutto vero? Ha probabilmente innescato una bomba o qualcosa di simile, per renderci più difficoltoso il compito e metterci fretta, costringendoci quindi a scelte sbagliate, in pratica un suicidio. Un buon piano, melodrammatico il giusto, ma con una falla enorme che lo farà fallire miseramente –

Il Dottore e Scarlioni si voltarono verso il Consulente investigativo, che stava in piedi, le mani dietro la schiena a osservare la scena con aria di superiorità. Il Dottore decise di cogliere quel momento di disattenzione di Jagaroth e con un’ampia falcata corse verso di lui, mentre Molly che aveva ricevuto dal Signore del Tempo  un segno di intesa un istante prima, tese una mano verso Artù aiutandolo ad alzarsi, mentre continuava a tenere sotto tiro il conte alieno.

Scarlioni, ripresosi dallo stupore puntò la sua pistola contro il Dottore ma il rumore di quella puntata alla sua nuca che veniva caricata gli bloccò il braccio a mezz’aria.
Sherlock avanzò sicuro verso l’alieno, prendendogli l’arma dalla mano senza difficoltà, mentre Molly, la Molly che era accanto a lui correva da Linda, poggiandole amichevolmente una mano sulla spalla – Lo fisso io – le disse calma.

Scarlioni rise: - Deduzioni ottime, per un umano. Ma dimmi, quale sarebbe l’errore che ho commesso? – sembrava non curarsi di essere in trappola.

- Hai pensato che tutti lavorassero per te. E se una statua non ha emozioni può attenersi alle tue condizioni… un mutaforma che vive con gli umani ti deluderà sicuramente – intervenne il Dottore – Artù è stato curato, probabilmente anche aiutato a trovare la via di fuga,chi credi l0abbia aiutato? Uno Zygon non è un alieno inferiore. Uno Zygon è una creatura che pensa, prova sentimenti ed è capace di riconoscere un pazzo. Non è uno schiavo! Non tuo, non mio, di nessuno! Gli Zygon, come ogni creatura dell’universo, deve essere libera di vivere la propria vita, in pace!  –

Linda si voltò verso Molly: la vide con gli occhi lucidi e le strinse una mano. Questa si trasformò sotto i suoi occhi, rivelandosi il mutaforma Karl, commosso per le parole del Dottore. Linda, sempre tendo stretta la mano dell’alieno tornò a guardare l’Angelo. Si sentiva un po’ più sicura rispetto a poche ore prima. Sentiva che se vedere un mutaforma cambiare sotto i suoi occhi non le provocava più l’idea di essere impazzita, poteva accettare di affidare la sua vita nelle mani di un alieno umanoide che viaggiava in una grossa cabina blu.

Scarlioni non si scompose nel vedere quella che tutti consideravano come la sua sconfitta. Fece un breve conto alla rovescia e poi sorrise, vittorioso.

Da quel momento accadde tutto rapidamente.
Un boato e un tremore del terreno costrinsero tutti a cercare un appoggio. Molly con la coda dell’occhio vide i vetri delle finestre andare in frantumi e delle fiamme alzarsi dalla cantina.
Artù, strinse l’elsa di Excalibur e affondò la lama nel fianco del conte. Il Dottore urlò – NO! – correndo in direzione dei due.
Molly lasciò cadere la pistola, grata per non aver dovuto premere il grilletto, ma preoccupata dal vedere Artù cadere a terra, gli occhi rivolti all’indietro.
Sherlock mise la pistola in tasca e fermò la caduta dell’uomo, afferrandolo per una spalla. Guardò Molly, come per avere conferma della diagnosi che aveva effettuato. Re Artù stava morendo.

- Dottore cosa succede? – Chiese Linda con voce acuta, piena di tensione e preoccupazione.
- Sai cosa mi da soddisfazione, Dottore? – rantolò Scarlioni, riverso su un fianco, il sangue che sgorgava copioso – che voi siete in sei, ma nella tua amata astronave possono entrare solo quattro forme di vita. Chi scegli di uccidere questa volta, Signore del Tempo? –
- Dimmi come sbloccare il meccanismo, dimmi come toglierlo! Dimmelo, ti prego! – ribattè concitato il Dottore mentre si inginocchiava accanto al conte, sorreggendogli il capo e cercando di tamponare la ferita, inutilmente. Scarlioni rise per un ultima volta, poi chiuse gli occhi e sospirò, per l’ultima volta.

Il Dottore urlò, scuotendo il cadavere, come se così facendo riuscisse a riportarlo in vita. Sherlock lo osservava stranito: stava davvero dispiacendosi per la morte di un nemico? O perché non sapeva come risolvere la situazione?

Molly gli si avvicinò, aiutandolo nel sorreggere il peso di Artù, ormai incosciente, il respiro irregolare e le pulsazioni più lente del dovuto.
- Dottore!  - Chiamò ancora Linda.
- Dottore dobbiamo andarcene da qui – disse Molly.
Nessuna risposta le venne data.
- Se tu vuoi morire non è un problema mio – intervenne allora Sherlock – ma questo posto sta andando a fuoco. Ci terrei a tornare a casa per cena questa sera, senza dover passare dall’obitorio, da morto intendo –  Molly fu incapace di trattenere un sorriso alle ultime parole dell’uomo. Si sentiva una persona veramente orribile, ma che male c’era nel cercare di stemperare la tensione che si stava accumulando?

- Dottore! – urlò allora Linda. Il Signore del Tempo si riscosse dai propri pensieri e si alzò, allontanandosi dal cadavere di Scarlioni. Si avvicinò alla rossa e allo Zygon, puntando il cacciavite contro l’Angelo prima e contro la Tardis dopo. Il conte non sbagliava. C’era davvero un meccanismo che impediva l’accesso se non solamente a quattro forme di vita.

- Dottore salvaci – mormorò la ragazza.
- Cosa? – il Dottore la fissò, incredulo.
- Sei un dottore no? Sei Il Dottore. I dottori salvano le persone*. Ti prego, salvaci. Tutti noi. – una lacrima scese sulla guancia della rossa che fu grata di avere accanto a lei Karl, che fissava l’Angelo Piangente. In quel momento la sua vista era totalmente annebbiata dalle lacrime.
- Non so se posso –
- Non puoi – replicò Karl – anche se riuscissi a disattivare quel meccanismo non potremmo salire a bordo. Se saliamo tutti, nessuno guarderà più l’Angelo –
- E se nessuno guarda l’Angelo, lui si muove – continuò il Dottore
- E sarebbe tutto inutile – terminò Sherlock.

- No – singhiozzò Linda – no, Dottore, tu ci salvi. Dottore, io mi fido di te. Tu ci salvi.  – ripeteva quelle parole come una litania.  Il Dottore puntò allora il cacciavite sonico contro la scatola posta sopra la porta della Tardis.

Una fiammata più alta delle altre fece esplodere altri vetri, sopra le teste di Molly, Artù e Sherlock. La donna chinò la testa chiudendo gli occhi ponendo una mano sulla testa di Artù, pronta a sentire i frammenti di vetro caderle addosso quando avvertì qualcosa coprirle il capo. Non poté fare a meno di trattenere il fiato per un momento, quando realizzò di avere sopra la testa l’interno del cappotto di Sherlock, che aveva prontamente aperto per evitare che lei e Artù si ferissero.

- Dottore! – esclamò ancora una volta Linda, questa volta con tono imperioso. Se dovevano morire lì, che almeno si degnasse di parlarle!
- Voi umani e la vostra fretta – brontolò il Dottore -  ci sto lavorando! È un meccanismo che si autodistrugge non appena la Tardis si mette in viaggio, ma è impossibile da rimuovere prima. – fece scorrere il cacciavite sonico lungo tutta la superficie della scatolina – quello che posso fare è cercare di cambiare le impostazioni, al posto di quattro forme di vita, posso inserire quattro ingressi.  Ecco!  - esclamò infine, solo parzialmente soddisfatto.

- Questo significa che, se entriamo insieme…più persone in una volta, riusciamo a mettere fine a questa storia? – domandò Linda speranzosa.
- Sì, abbiamo poco tempo però, dobbiamo muoverci – replicò il Dottore, aprendo la porta della Tardis
- Ma come facciamo con l’Angelo? – Domandò allora Molly mentre insieme a Sherlock, si avvicinava all’astronave, sorreggendo Artù.

Il Dottore si bloccò e Linda capì solo quando non avvertì più la presa dello Zygon sulla sua mano. Le fu impossibile non girarsi – No! No Karl, cosa vuoi fare? -  urlò
- Gli Angeli Piangenti si muovo solo se nessuno li osserva. Ma se invece qualcuno continua a guardarli loro rimangono niente più che pietra. Giusto Dottore? – domandò lo Zygon. Sherlock avanzò costringendo Molly a seguirlo. Se quello che quell’alieno rosa voleva fare sarebbe andato a buon fine, forse era meglio evitare che Molly lo vedesse. Diventava fin troppo ematica alle volte per i suoi gusti. Un momento, perché aveva formulato questo pensiero? Scosse la testa, come per allontanarlo, arrivando davanti alla porta della Tardis.

- Karl no! Se ti trasformi in un Angelo, se diventi come lui, bhe non puoi tornare indietro, no? Se diventi un Angelo, che fissa un Angelo…diventi pietra! Non puoi! – pianse Linda. Non era giusto. Lui aveva aiutato Artù, aveva aiutato loro,non poteva morire, non in quel modo!

- Posso trovare un altro metodo – disse il Dottore allegro – se sei in grado di resistere per un po’ posso tornare indietro e salvarti, eh Karl, che ne dici?-
- Tutto l’Universo conosce la regola uno del Dottore**.  – rise lo Zygon – non vi preoccupate per me. Mi basta che ogni tanto vi ricordiate di me. E che vi sono stato d’aiuto. Grazie Dottore – disse, prima di avviare il processo di cambiamento e trasformarsi lentamente in una statua di pietra, dalle sembianze di un Angelo, che fissava la statua di fronte a lui. Linda urlò mentre il Dottore, in silenzio, la afferrava per una spalla e la portava via. Voltandosi gli sembrò che dagli occhi di quello che una volta era stato Karl lo Zygon, uscisse una lacrima.

Il Dottore ordinò a Sherlock di affidargli Artù mentre lui e Molly entravano nella Tardis. Il Consulente investigativo obbedì, afferrando poi la mano della donna per darle la giusta coordinazione mentre varcavano la soglia dell’astronave. Molly credette di aver perso il senno, Sherlock iniziò a considerare l’idea di abbandonare l’uso di droghe.

- Linda, Linda ascoltami ora.  – disse il Dottore – Linda se non mi ascolti morirà un sacco di altra gente, compreso Artù. Mi capici? –
Linda smise di singhiozzare, ma non riusciva a fermare le lacrime. Fissò il Dottore, poi Artù e sentì una nuova ondata di lacrime invaderla. Si impose di conservare un barlume di lucidità, lottando contro se stessa. Annuì e prima che se ne rendesse conto, Il Dottore l’aveva spinta nella Tardis, entrando subito dopo, adagiando sul pavimento il corpo di Artù. Chiuse la porta rapidamente e si precipitò al pannello di controllo.

- C’è una qualche distorsione spaziale o devo rivalutare tutte le mie conoscenze geometriche e fisiche? – domandò Sherlock, incuriosito da quello che i suoi occhi registravano.
- Tecnologia Gallifreyana. Ti presto un paio di libri quando atterriamo – rispose il Dottore.
- Atterriamo dove? – chiese Molly
- Dove è iniziata questa storia. A Camelot – poi alzando la leva del pannello di controllo e dando il via ai motori esclamò – andiamo sistemare la Storia! -
 

*Si, è una citazione del Dottore stesso, quando afferma “I’m the Doctor, I save people”
** Avete capito tutti a quele regola faccio riferimento, ma per dovere di cronaca è la numero uno, “Doctor lies”. Mi è sembrato fosse adattato far mentire il Dottore in una situazione del genere. Non perché sia spietato anzi, proprio per cercare di dare speranza, anche dove non ce n’è più.
 
Eccoci! Bene questo era il penultimo capitolo. Il prossimo vedrà una conclusione, (evviva! )forse anche un epilogo ma questo dipenderà da quanto sarò prolissa nel concludere la storia.
Come sempre, grazie a tutti quelli che seguono, leggono, aggiungono ai preferiti e sopportano le mie elucubrazioni.
Grazie a tutti! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 15
*** 14. Punti Fissi nello Spazio-Tempo ***


Salve a tutti! Eccomi tornata con quello che si può definire il capitolo conclusivo della storia, anche se la storia non finisce. Come è possibile? Ho previsto un epilogo per spiegare bene alcuni punti e per prendermi qualche licenza (come se invece per ora fossi stata ligia ai personaggi in ogni riga). Ammetto che concludere la storia è sempre un po’ una gioia e un dispiacere. Sono soddisfatta di essere riuscita a portare a termine questa cosa, dopo un po’ di tempo di mia assenza dal sito, ma ormai mi ero affezionata ai personaggi e alla storia in sé e un po’ mi dispiace essere arrivata alla fine.  Bene, basta sproloquiare, vi lascio al capitolo, buona lettura! ;)
 

 
14. Punti Fissi nello Spazio-Tempo
 
Linda era china su Artù, gli occhi velati di lacrime. Continuava a chiamarlo, accarezzandogli il viso. Dietro di lei, Molly la guardava cercando di distaccarsi almeno un poco dalla sofferenza che capiva la rossa stava provando.  Accanto a lei, Sherlock incarnava la quintessenza del distacco, o almeno così sembrava: continuava a far vagare lo sguardo all’interno della Tardis, immagazzinando tutte le informazioni che poteva raccogliere. Guardava ovunque, tranne che nella direzione di Linda.
Il Dottore le dava le spalle, continuando a premere pulsanti e azionare leve sul pannello di controllo. I suoi movimenti erano inutili e lui ne era consapevole, ma non voleva girarsi e assistere a una morte, non ad un’altra morte. Non a un altro amico che se ne andava.
- Artù, ti prego svegliati – pianse Linda.

Il Dottore chiuse gli occhi. Aveva sentito troppe volte quel tono nella voce delle persone. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per non sentire più quelle suppliche, ma era consapevole che il suo era un desiderio utopico.
Con uno strattone, la Tardis atterrò e subito il Signore del Tempo superò Linda, aprendo la porta e rivolgendosi a Sherlock mormorò con voce grave – Aiutami a portare il re fuori di qua –
Linda iniziò a singhiozzare rumorosamente quando il consulente investigativo si avvicinò a lei, la superò e si chinò per poter afferrare il corpo di Artù.

- Dottore, no, ti prego! Non puoi lasciarlo morire! – singhiozzò la rossa – non ti ricordi cosa mi avevi detto? Tu hai creato la leggenda di Artù, non può morire – si alzò, avvicinandosi al Signore del Tempo, cercando di asciugarsi le lacrime con una mano – se lui muore la Storia cambia! Me lo hai insegnato tu no? Non possiamo… -  le parole le morirono in gola quando spostò lo sguardo dal Dottore al paesaggio.

La Camelot che aveva visto la prima volta, rigogliosa e al culmine del suo splendore, non esisteva più: al suo posto vedeva il castello di Camelot in quella che era un’evidente guerriglia interna. Da più punti del palazzo vedeva fiamme e fumo innalzarsi al cielo e ovunque soldati impegnati a combattere. Alcuni invocavano il nome di re Artù, altri invece sembravano maledirlo.

Linda allora capì, smettendo di piangere all’istante. Guardò il Dottore nella speranza di ricevere uno sguardo d’intesa, ma lui fissava il vuoto, il volto teso e le sopracciglia aggrottate.

- Dottore – sussurrò lei – tu puoi tornare indietro giusto? Puoi cambiare le cose. Puoi riscrivere la storia, vero? –
- Esistono dei Punti Fissi all’interno della Storia. Fatti che è necessario si compiano. La caduta di Camelot è un punto fisso – replicò lui.
- La morte di Artù invece no – completò lei la frase. Il Dottore avrebbe voluto cercare di farle capire che alcuni avvenimenti erano al di sopra delle sue facoltà, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu dirle di rientrare nella Tardis. Lei rimase in silenzio, immobile, incapace di trovare una reazione alle parole dell’uomo. Poi una voce la fece voltare.

Era poco più che un sussurro, ma fu sufficiente per riaccendere la speranza di Linda; un braccio attorno alle spalle di Sherlock, le gambe che a malapena lo sorreggevano, re Artù aveva aperto gli occhi.
- Artù! – esclamò Linda avvicinandosi a lui.
Il re sembrò faticare a mettere a fuoco l’immagine della ragazza ma quando la riconobbe, sorrise.
– Linda, la ragazza che viene dal futuro – mormorò con fatica – mi piacerebbe insegnarti le usanze di Camelot –
La rossa si sforzò di sorridere – Ne sarei onorata – mormorò in risposta.

- Artù, credo che Camelot abbia bisogno di Voi ancora una volta – disse il Dottore tenendo un braccio in direzione del sovrano. Sherlock aiutò il re ad avvicinarsi alla porta della Tardis, mentre Linda, si dirigeva dalla parte opposta, premendo una mano sulla bocca per impedirsi di far sentire i suoi singhiozzi. Molly le si avvicinò cauta, poggiandole una mano sulla spalla, sorprendendosi un poco nel vedere la reazione della giovane, che si buttò tra le sue braccia, scoppiando a piangere. Non vide Artù uscire, né il Dottore e Sherlock rientrare, né si accorse dei motori della Tardis rimettersi in moto.
 


Quando rientrarono a Londra, Il Dottore chiese a Sherlock di verificare la storia si fosse rimessa a correre sui binari giusti. Lui chiuse gli occhi per qualche secondo, per poi annuire. Linda non riusciva a capire come poteva la Storia essere di nuovo a posto: re Artù era morto. Probabilmente il suo cadavere era stato trovato, il suo mito non era mai nato, come poteva la Storia essere a posto?
- Bene,  suppongo possiamo salutarci – disse il Dottore allungando una mano in direzione di Sherlock. Lui la fissò, studiandola per qualche istante prima di ricambiare la stretta
- C’è un punto che non riesco a comprendere – disse e tutti intuirono quanta fatica gli fosse costata quella frase.
- Pensaci, quando avrai capito chiamami pure, se sono su una galassia vicina passo a prendere un the. – disse il Dottore, per poi guardare Molly avvicinandosi a lei, passandole un bigliettino in maniera furtiva – chiamami se scopri che è un alieno – le sussurrò. Molly  rise, abbassando lo sguardo e, dopo aver ricambiato il saluto e aver stretto le spalle di Linda brevemente, si voltò incamminandosi verso casa sua, senza guardare indietro. Una parte di lei voleva aspettare Sherlock, chiedergli di tornare a casa insieme e parlare di quello che avevano appena vissuto, ma non voleva subire una nuova delusione. Per un poco, voleva nutrirsi ancora dei ricordi che aveva provveduto a collezionare. Aveva bisogno di metabolizzare tutti gli avvenimenti e le glaciali deduzioni di Sherlock Holmes che riportava tutto a una rigida stringa di successione di eventi* era l’ultima cosa che voleva sentire.

- Holmes – chiamò Linda, gli occhi rossi, ma asciutti e la voce roca, ma ferma. Sherlock si girò leggermente nella sua direzione.
- Prego – rispose lui educatamente, ma con una lieve nota di impazienza nella voce. Il Dottore fece un passo indietro, preparandosi a scappare nel caso quell’umana avesse avuto una reazione incontrollabile. Non sapeva cosa aspettarsi in generale dagli umani, figurarsi con lei che era in preda alle sue emozioni in ogni momento della giornata.
- Tu non sei come il Dottore – iniziò Linda – lui ci prova a essere umano. Non lo vedi forse, ma anche lui sta soffrendo. Tu invece pensi che avere emozioni sia meglio. Pensi che ti renda forte. Pensi che “sentire” sia una debolezza. Ma tu ci hai mai provato? Hai mai provato a sentire quello che sentiamo tutti e restare in piedi? Perché è quella la vera forza. Riuscire a rimanere in piedi nonostante tutto. Quindi ti chiedo un favore. Anche se ti terrorizza, anche se è contrario a tutto ciò che ti sei ripromesso di fare. Almeno qualche volta: sii umano. – lo guardò, notando con sorpresa che lui era ancora lì, davanti a lei, attento a quello che stava dicendo. Forse la storia non era tornata a posto. Se Sherlock Holmes la trovava insopportabile come era possibile che ora lui ascoltasse i suoi sproloqui sull’umanità? Provò ad abbozzare un sorriso – pensa alle emozioni come una droga se ti aiuta – lui si irrigidì, punto sul vivo e pronto ad andarsene da un momento all’altro – troppa ti uccide. Insomma, guarda me: sono la prova vivente che farsi governare dalle emozioni porta all’implosione di se stessi. Ma un poco alla volta, per te, credo che potrebbe essere come dici tu “stimolante”. Quindi per favore, giusto ogni tanto, sii umano – terminò allungando la mano lasciando Sherlock indeciso se quel gesto fosse un saluto o il suggellare di un patto.
Alla fine si concesse di annuire e un breve – Cercherò di considerare la cosa, ripensando a queste parole ma dette da una voce meno tediosa della tua – .

Sorrisero entrambi, poi Sherlock si voltò e  incamminandosi prese dalla tasca il suo telefono e iniziò a digitare un messaggio “Baker Street. Urgente. Probabilmente ci vorrà tempo. Porta la cena”  e premette invio.

Linda chiuse gli occhi e sospirando si voltò verso il Dottore. Cercò di sorridere ma l’espressione dubbiosa di lui riguardo la sua espressione la convinse a desistere. – Manca una cosa da fare – gli disse mentre gli spiegava il perché la sua borsa aveva dato il via a tutta quella storia.
Il Dottore batté le mani trascinandola all’interno del Tardis – Giusto! Ottimo Linda. Dobbiamo fare in modo che Sherlock Holmes rubi la tua borsa. Solo allora avremo risolto il paradosso - 
- E potrete aiutarmi a capire come funziona questo aggeggio – disse una voce che Linda riconobbe. Si voltò e non poté fare a meno di urlare di gioia nel vedere Artù, vestito con una camicia bianca, dei jeans e una giacca scura, dietro di lei, intento a far scorrere il pollice sullo schermo di uno smartphone.

- Artù! – chiamò Linda saltandogli al collo. Il re accolse volentieri l’abbraccio della ragazza. – Ma tu hai detto che era inevitabile che morisse – esclamò lei rivolta al Dottore – come hai..?-

- Linda, impara la regola numero uno: il Dottore mente. – ribatté il Signore del Tempo, regalando un sorriso di soddisfazione alla ragazza – ora, se volete evitare una nuova anomalia, salite a bordo e andiamo a far rubare la borsa di Linda da Sherlock Holmes –
La porta della Tardis si chiuse mentre i tre, ridendo, si preparavano alla messa in moto dei motori.
 
 
*Piccola citazione del Dottore (una stringa causa-effetto) affidata a Sherlock. Certo è solo un pensiero di Molly, ma mi piaceva l’idea di accostare questo pensiero alla rigida razionalità di Sherlock.
 
Eccoci! Bene, posso dire che questo era l’ultimo capitolo! Ci sarà un epilogo,  giusto per dare una conclusione precisa a tutto e per rispondere a tutte le domande fatte a cui non sono state date risposte, o almeno non in modo completo o esaustivo.
Che dire, come sempre ringrazio che legge, chi segue, chi apre per sbaglio e chi mi fa avere le sue opinioni.  Vi ringrazio davvero tantissimo. Vi do appuntamento all’epilogo della storia!
LS

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
- Sei sicuro  abbiamo viaggiato correttamente? – domandò Linda mentre si avviava verso la porta della Tardis. Sentiva la stanchezza delle ultime ore - o giorni? Non se lo ricordava più ma non le importava – aumentare mentre l’adrenalina a poco a poco scendeva.
- Ti ho mai messa in qualche guaio? – domandò il Dottore mentre la superava uscendo dalla cabina blu e respirando l’aria londinese.

*

No. Puoi ordinare la cena anche senza il mio aiuto
Aveva premuto invio senza pensarci troppo, stanca e ancora troppo confusa per poter rinunciare all’idea di una doccia calda e un buon libro a casa. Prima che riuscisse a riporre il suo telefono in tasca questo vibrò nuovamente

Per me le patatine fritte. Non farle freddare.”
Molly sbuffò irritata, ignorando il messaggio. Se Sherlock Holmes aveva fame poteva ordinare la cena da solo o chiedere a qualcun altro di fare il suo cameriere personale.  Un nuovo messaggio sul suo telefono la fece sbuffare, prima ancora di leggerlo

Non dimenticare il dolce”
Alzando gli occhi al cielo, Molly si fermò a rispondere
Il taxi per riportarmi a casa lo paghi tu”

E poi, arresasi, fece dietrofront in direzione Baker Street

*

Linda guardò fugacemente il giornale di un uomo seduto su una panchina: la data era quella dell’incontro con il Dottore. Pensò per un attimo che nel giro di poco più di ventiquattrore aveva vissuto più di quanto non si sarebbe immaginata di fare in un’intera vita e si chiese cosa sarebbe successo quando avrebbe messo fine a questa storia. Sarebbe tornata a casa? Avrebbe raccontato a qualcuno quello che le era capitato? Le avrebbero creduto?
- Linda, è tutto a posto? – chiese Artù,avvicinandosi alla giovane. Lei si riscosse dai suoi pensieri, perdendosi però negli occhi del re. Fu il Dottore a riportarla alla realtà, intromettendosi mentre gesticolava, borbottando frasi sul fatto che ogni secondo era prezioso e che avrebbe avuto tempo per fare quella cosa con la faccia quando tutto sarebbe stato sistemato. Linda si portò una mano al volto e si accorse di stare sorridendo.
 

*
 
Molly  salutò cordialmente la signora Hudson, che le aveva aperto la porta con un sorriso smagliante, in preda all’eccitazione. – Oh sei arrivata finalmente! Saranno qui tra poco, che meraviglia una nuova vita! Spero solo che Sherlock non faccia vedere alla piccola qualche foto dei suoi casi, oh inizia a salire pure tu cara, io vi raggiungo – disse lasciando Molly  da sola ai piedi delle scale.  “John! Mary! La bambina!” pensò. In effetti John si era allontanato dal Bart’s dopo aver ricevuto un sms che lo avvisava dell’inizio del travaglio della moglie. Si era completamente dimenticata di scrivergli per avere informazioni, ma a sua difesa chiunque avesse affrontato alieni che volevano distruggere il pianeta e paradossi temporali avrebbe avuto qualche difficoltà nel tenere a mente gli appuntamenti, si disse. Salì le scale e si sorprese un poco nel trovare la porta aperta e Sherlock seduto sul divano, intento a leggere un libro.
 
*

- Signor Holmes – disse a mezza voce Linda, appoggiata a un muro lungo la strada, quando il consulente investigativo passò. Aveva avuto cura nello scegliere, all’interno dell’immenso guardaroba della Tardis, vestiti che non permettessero il suo riconoscimento: una felpa sformata, con un cappuccio, una lunga sciarpa colorata* e dei pantaloni strappati sulle ginocchia. Aveva accettato di buongrado di essere lei a fermare Sherlock, perché chi meglio di lei poteva fornire all’uomo delle indicazioni accurate su se stessa? Aveva letto che Sherlock Holmes si affidava a una specie di rete di senzatetto per avere le informazioni che voleva. Doveva quindi avvicinarlo come se fosse una di loro se voleva risultare credibile e far funzionare il piano.
Lui la guardò per un secondo, continuando a camminare – Sei nuova e vuoi qualcosa da me – disse. Non era una domanda, lo sapeva e Linda per un attimo pensò che tutto il piano sarebbe saltato. Il Dottore la guardava dall’altro lato della strada, controllando la situazione e Artù, che spaesato non  comprendeva appieno lo spirito d’iniziativa della ragazza, né l’assenso che le aveva dato il Dottore.

- Moriarty – sussurrò in fretta la rossa. Dalle informazioni che aveva letto su di lui aveva intuito che tale Moriarty era una delle poche persone che potevano distogliere Sherlock Holmes dalle sue attività. La reazione dell’uomo le diede conferma della sua teoria.
Sherlock si voltò, le mani nelle tasche del suo cappotto scuro, cercando di scrutarla figura che aveva davanti. – Cosa sai? – disse con impazienza nella voce?
 

*
 
- Lo sai che una neonata non può mangiare le patatine fritte, vero? – domandò Molly cercando di risultare spontanea e attirare l’attenzione su di sé. Sherlock, al contrario delle aspettative della donna, posò il libro sul tavolino, alzandosi  e accogliendola
- Puoi toglierti la giacca, lascia pure qui il sacchetto con la cena. E ovvio che lo so, le patatine fritte sono per me e per te se sei stata abbastanza previdente da prendere una porzione per te – disse l’uomo con una nota di evidente disagio nella voce.
Molly la notò e non poté trattenersi dal sorridere. Si sedette sul divano mentre tirava fuori dal sacchetto la cena, porgendola a Sherlock, aspettando che lui iniziasse a mangiare.

- Sei in debito con me -  disse con noncuranza, ottenendo però come risposta l’immobilità dell’uomo, che fissò il vuoto, con la mano a mezz’aria nell’atto di afferrare una patatina fritta.
 

*

Linda chiuse gli occhi, nascondendo il viso nel cappuccio e nella sciarpa, cercando di non farsi riconoscere.
- Attraversa la strada. Nel centro commerciale. Ragazza coi capelli rossi, riccia. Giacca verde e borsa nera, grande. Nella sua borsa c’è qualcosa che può tornarti utile -  disse in tono meccanico, cercando di non far trasparire la tensione
- Cosa? –
- Tu prendile la borsa e scoprilo. Ti conviene correre quando lo hai fatto – ribatté Linda per poi incamminarsi nella direzione opposta a quella dell’uomo. Sospirò quando sul suo telefono vide comparire la notifica della ricezione di una foto del Dottore che cercava di sorridere, rassicurandola di aver avuto successo.
 

*
 
- Sherlock? -  chiamò Molly, rinunciando all’idea di consumare un pasto completo in Baker Street. L’uomo sembrò riscuotersi dai pensieri, alzandosi, posizionandosi davanti alla finestra.

- Domanda -

- Prego? – i comportamenti di Sherlock erano strani, di questo Molly era ormai consapevole e aveva imparato a riconoscerli e reagire di conseguenza, ma questo comportamento esulava da tutti quelli che aveva imparato a riconoscere.

- Hai detto che sono in debito con te, cosa che corrisponde a verità quindi puoi chiedermi quello che vuoi chiedermi, in modo tale da avere una risposta ed essere soddisfatta o chiedere delucidazioni se non sarò esauriente – replicò Sherlock in un sussurro, continuando a dare le spalle alla donna. 
Molly si alzò, rinunciando all’idea di mangiare, avvicinandosi al consulente investigativo, ma fermandosi a pochi passi da lui. Chiuse gli occhi e cercò di richiamare a sé le idee: era stanca, ma sentiva il nervosismo e la tensione salire. Cercò le parole più adatte a quella situazione ma quando riuscì a trovare il coraggio per parlare, l’unica parola che uscì dalle sue labbra fu: - Perché? –

Sherlock si voltò bruscamente, lo sguardo severo e la bocca leggermente aperta. – Perché, cosa? - . Aveva immaginato dodici possibili domande che Molly avrebbe potuto porgli. Nessuna di queste rispondeva alla domanda che gli era stata fatta.
 

*
 
La Tardis atterrò in un vicolo, facendo uscire un Dottore soddisfatto,  un Artù spaesato ma impaziente di scoprire come funzionava il mondo che per lui era il futuro e una Linda dallo sguardo basso.
- Ecco fatto Linda, nella Londra del presente – disse il Dottore, guardandola e accorgendosi della reazione della ragazza. Registrò la sua espressione e si accorse di come questa non corrispondesse ai canoni delle espressioni che le persone hanno dopo aver salvato miliardi di vite. – Dove volevi tornare, no? – aggiunse.

Linda ricacciò in gola nodo che sentiva e guardò il cielo uggioso, nella speranza di non far vedere la sua espressione. Chiunque, persino il Dottore avrebbe letto la tristezza sul suo volto. – Già, bhe, grazie di tutto Dottore, quando racconterò questa avventura a casa nessuno ci crederà, forse solo la vecchia zia Susan – disse facendo per allontanarsi ma il Signore del Tempo la fermò prontamente. La sua espressione era nuovamente seria, ma non c’era rabbia o severità nel suo sguardo, solo una profonda curiosità.

- Susan..?  hai detto Susan? – le chiese  con una nota di impazienza.

 
*

- Perché tutto, Sherlock. -  soffiò Molly visibilmente tesa – credo sia giunto il momento perché tu mi dia tutti i perché. Non dopo quello che è successo, non con quello che può ancora succedere –
Sherlock fece un passo verso di lei, ma si ritrovò nuovamente bloccato. Non sapeva cosa doveva fare: quello che stava succedendo usciva dai suoi schemi e lui, di questo erano tutti consapevoli, non era proprio il classico esempio di duttilità sociale.
Sospirò – Immagino tu voglia sapere il perché ho cercato di tenerti fuori riservandoti un comportamento discutibile secondo le normali regole dei rapporti interpersonali delle persone – iniziò.
Stava facendo il giro lungo, ne era consapevole. Ma era l’unico giro che la sua mente gli consentiva di fare senza cadere in uno stato di panico sociale.
Molly annuì, i muscoli del collo tesi.

- Sai che odio ripetermi, Molly. Inoltre pensavo lo avessi imparato: mi sono sempre fidato di te e sei sempre stata importante. – disse in fretta e a bassa voce il consulente investigativo.  Molly sentì gli occhi pizzicarle e si maledisse mentalmente. Li richiuse: ormai stava giocando, doveva continuare e arrivare fino in fondo. Se doveva piangere, che fosse per qualcosa di detto, non per l’ennesima frase lasciata a metà.

- Come? – domandò riaprendo gli occhi, determinata a resistere alla sua indole che la voleva far correre a casa.
 

*
 
- Zia Susan…. – balbettò Linda – non è propriamente mia zia, è la moglie di un mio prozio, lo ha conosciuto quando era giovane, in viaggio. È sempre stata cara con me quando ero piccola. Mi portava sempre a vedere gli spettacoli di un mago che faceva spettacoli per bambini nei cortili: Paul il mago, quello vestito come te, lei ogni tanto mi portava fuori a… -
- Susan!!!! – esclamò il Dottore stringendo le spalle della rossa, destando la sorpresa nella ragazza e in Artù. Nessuno dei due capiva cosa stava succedendo, ma il Dottore iniziò a ridere e per un attimo a Linda parve di vederlo alleggerito da un grosso fardello.

- Dottore, Dottore!  - disse cercando di calmarlo – io devo andare –

Calò il silenzio. Tutti e tre fissarono il terreno, fermi, in attesa di qualcosa.  Il Dottore annuì – Certo, bhe, si, giusto devi andare… oppure…. –
- Oppure? – chiesero in coro Linda e Artù, la speranza nella loro voce.

Il Dottore aprì la porta della Tardis – Bhè, Artù non conosce nulla di quello che è accaduto tra la caduta di Camelot e oggi, forse, per aiutarlo ad ambientarsi, potrei… sfruttare la tua compagnia per aiutarlo a capire la storia umana. Io fatico sempre a relazionarmi con Napoleone, un tale permaloso… -
Linda sentì il volto illuminarsi di gioia: si voltò verso Artù che le sorrise annuendo e tendendole la mano. Lei l’afferrò e corse insieme a lui nella cabina blu, raggiungendo il Dottore.
 

*

 
- Non è una domanda posta bene –
- Non è vero Sherlock e lo sai bene. Ti sei sempre fidato di me e io conto per te. Bene: come, in che modo? Perché, perdonami ma il tuo comportamento è stato alquanto scostante negli ultimi tempi. Non sappiamo se Moriarty sia vivo o se qualcuno agisca per lui, ma… -
- Non è la domanda corretta –

- Sherlock, smettila! – sbottò Molly – la domanda è corretta: è esattamente quella che volevo porti e tu mi hai promesso avresti risposto. Ora sii coerente e rispondimi. –
Sherlock la osservò per secondi interminabili, poi si avvicinò a lei, incatenando il suo sguardo al proprio. Molly deglutì: Sherlock era vicino, troppo vicino. Sentiva il suo profumo, riusciva a specchiarsi negli occhi di lui, avvertiva il suo respiro sul suo volto.
Sherlock chiuse gli occhi, per poi voltarsi trattenendo a stento un urlo – Non è come immagini, dannazione! Non può essere come immagini, Molly.  – poi sussurrò - Io non sono come immagini, Molly Hooper –

Molly avvertì le lacrime velarle gli occhi e offuscarle la vista. – E allora dimmi come è – ribatté con voce ferma, ma leggermente più acuta del solito – perché al momento quello che vedo è un uomo che si diverte a giocare a essere un dio e disporre della vita delle persone che lo amano, senza curarsi di ringraziarli o di far sapere che il loro affetto è ricambiato o meno! – aveva finito con l’urlare, ma non appena ebbe finito la frase si portò le mani alla bocca, sentendo le guance avvampare. Ebbe la conferma di essere stata ingannata quando vide uno Sherlock sorridente e vittorioso  voltarsi verso di lei, avvicinandosi fino a sfiorarle al fronte con i suoi riccioli.

- Non sono un dio, ma sono un umano incredibilmente intelligente – mormorò Sherlock.  Molly trattenne il fiato, incapace di muovere un singolo muscolo, in attesa di una qualsiasi azione dell’uomo. Avvertì il suo profumo circondarla, il suono della stoffa della sua camicia che sfregava sulla pelle, la pressione della sua mano destra sulla sua schiena e le labbra di lui contro le proprie.
Il cuore le batteva all’impazzata, quasi da sovrastare tutti gli altri suoni nella casa. Tutti tranne un vagito di una bambina. Non era Sherlock Holmes, ma dedurre che la famiglia Watson era sulla soglia dell’appartamento da qualche minuto non era difficile.
 


Due mesi dopo                                  
- Voi umani – rise il Dottore – riconoscervi dal profumo che avete. Ecco come hai fatto a individuare la Molly Zygon. Furbo, brillante! –
- Scarlioni era tornato per cercare di creare un paradosso temporale, per questo aveva bisogno della tua cabina blu. Artù era probabilmente un incidente di percorso, per questo lo ha imprigionato -  disse Sherlock
- Ma non aveva fatto i conti con i sentimenti di Karl – intervenne Artù – mi ha aiutato a sfuggire, sabotando una sbarra della gabbia in cui stavo –
- E la mia borsa l’hai rubata su mia richiesta, per chiudere il cerchio temporale – concluse Linda.
- La Tardis non partiva perché aveva avvertito la presenza dell’anomalia, di un’altra se stessa, di un altro me – continuò il Dottore.
- Dottore quell’alieno – chiese timidamente Molly – quello di cui nessuno si ricordava, mi hai guardato in maniera sorpresa –
- Gli umani si dimenticano di lui. A meno che non ci sia un avvenimento indimenticabile che lo riporti alla memoria. Evidentemente vedere qualcuno di caro rischiare la vita lo era per te – rispose il Dottore.

Lo strano gruppo che si era ritrovato accanto a una panchina di un parco anonimo  si stava scambiando gli ultimi convenevoli davanti alla Tardis.
- Dove andate ora? – domandò Molly sorridendo
- Bè, Linda continua a parlarmi di questo tale, Freddie.. pare sia un sovrano anche lui – rispose Artù. Il dottore e Linda risero, prima di salutare ed entrare nella Tardis. Linda, ultima della fila si voltò verso Sherlock e Molly rivolgendo alla donna un caldo sorriso.
- Alla fine l’umanità non è così male vero? – domandò poi rivolta a Sherlock.
- Saltuariamente – ribatté l’uomo.  Linda rise ed entrò nella Tardis, che scomparve poco dopo, lasciando il consulente investigativo e Molly soli.

Lui riprese a camminare, le mani in tasca e il colletto del cappotto alzato. Non si curò di avvisare Molly, ma si lasciò sfuggire un breve e impercettibile sorriso, poco più di una smorfia quando lei gli si fece accanto.

- Saltuariamente umano – disse lei.

- Non dirlo a Mycroft – fu la risposta. Molly sorrise e sentì le guance scaldarsi nell’avvertire la mano di lui spostarle una ciocca di capelli dal viso, poco prima di attraversare la strada.
 
 
Fine.
 
 
Oh mamma, eccoci dunque! Sono riuscita a finire questa storia che continuava a girarmi in testa.  Ho voluto inserire una piccola citazione del personagigo di Susan, la nipote del Dottore (per chi non se ne ricordasse, serie classica, prima stagione ;))
Che dire, ringrazio davvero di cuore tutti voi che vi siete fermati a leggerla, non sembra, ma è stato un bello stimolo sapere di avere qualcuno che aspettava il seguito della storia mano a mano che questa andava avanti. Spero di non aver deluso (troppo) le aspettative ed essere riuscita a trasmettere qualcosa, anche solo una minima parte, di quello che volevo fare.
Vi ringrazio davvero per avermi seguito con pazienza fino a qui e non posso che augurarmi e augurarvi di risentirvi alla prossima storia.
LD ;)

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