70esimi Hunger Games e possa la fortuna sempre essere a vostro favore

di Lily97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Lapidazione ***
Capitolo 3: *** L'innocenza dei bambini -Glauco ed Eliah ***
Capitolo 4: *** Non sei di mia proprietà ***
Capitolo 5: *** Ignorare il dolore ***
Capitolo 6: *** A te che vendi il corpo ad ore ***
Capitolo 7: *** Un "grazie" al tramonto ***
Capitolo 8: *** Sessione di combattimento ***
Capitolo 9: *** Domenica nel Distretto 4 ***
Capitolo 10: *** Tributi del Distretto 4 ***
Capitolo 11: *** Addio ***
Capitolo 12: *** Una promessa per la morte ***
Capitolo 13: *** Come animali da circo ***
Capitolo 14: *** Typhlos ***
Capitolo 15: *** Come l'aria che respiro ***
Capitolo 16: *** Promesse ***
Capitolo 17: *** La prova dei coltelli ***
Capitolo 18: *** Please ***
Capitolo 19: *** Part of me ***
Capitolo 20: *** Princess and beast ***
Capitolo 21: *** L'arena ***
Capitolo 22: *** Alleanze tra tributi ***
Capitolo 23: *** Complicazioni ***
Capitolo 24: *** La pantera di ghiaccio ***
Capitolo 25: *** Ciò che siamo ***
Capitolo 26: *** Caduta libera ***
Capitolo 27: *** Treacherous Waters ***
Capitolo 28: *** Un passo avanti ***
Capitolo 29: *** Una vita per una vita ***
Capitolo 30: *** Game Over ***
Capitolo 31: *** Return home ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Capitolo 1
-L'inizio-


Settant'anni prima, tra Capitol City -la capitale di Panem- ed i tredici distretti che la circondavano, era scoppiata una guerra sanguinosa, perché i territori volevano rivendicare la loro indipendenza dalla città che li sfruttava ed in cambio non dava loro nulla.
Nonostante fossero in maggioranza, non disponevano delle armi di Capitol City: dopo lunga resistenza, caddero in mano del grande nemico.
Da quel giorno, la capitale impose gli Hunger Games, i cosiddetti“giochi della fame”: ogni anno, i Distretti avrebbe dovuto inviare alla capitale un ragazzo e una ragazza scelti per sorte, di età dai 12 ai 18 anni, che si sarebbero affrontati in una sfida all'ultimo sangue in un'arena interamente progettata dagli strateghi di Capitol City.
L'ultimo sopravvissuto sarebbe stato investito dell'onorificenza di Vincitore e sarebbe ritornato a casa dai famigliare per fare, l'anno successivo, da mentore ai due ragazzi che sarebbero stati sorteggiati.
Era un destino crudele ed ingiusto, ma i Distretti non potevano far altro che abbassare il capo ed obbedire ad una forza più grande di loro.

 
•••••••••••


Per tutto l'anno, da quando ne aveva compiuti 12, Annie Cresta cercava di non pensare alla Mietitura e di vivere come se fossero un distretto qualunque, indipendente e libero e non i succubi di Capitol City.
Eppure, qualche settimana prima della data, iniziava ad avere incubi frequenti, la fame passava, le sue mani venivano scosse da tremiti d'ansia e finiva per chiudersi in se stessa, in cerca di silenzio.
Al termine di quella settimana si sarebbe svolta la Mietitura e questo significava che avrebbe avuto a disposizione ancora qualche giorno per sé.
Uscì di casa quando ancora il cielo non era illuminato dal sole e si incamminò verso il molo.
Il Distretto 4 era noto a Panem per la pesca. Erano poche le persone che non amassero l'acqua e non padroneggiassero perfettamente l'arte del nuoto.
Annie adorava camminare a lungo sulla spiaggia, immergendo i piedi nella sabbia sempre calda e respirando la brezza salmastra.
Quella mattina i suoi pensieri erano rivolti ai suoi genitori, alle sue amiche e a sua sorella, Ocean.
Aveva sempre pensato che quel nome non le si addicesse, poiché era l'unica ragazza del Distretto ad avere gli occhi grigio scuro ed i capelli neri come l'ossidiana.
Non aveva nulla del mare, della sua gente. Anzi, somigliava molto più agli abitanti del Distretto 12.
Ovviamente né Annie, né Ocean li avevano mai visti, ma la madre della loro nonna ci aveva vissuto per molto tempo, sposando uno degli abitanti, prima che iniziasse la guerra.
Il “gene del carbone” non si era rivelato fino alla nascita della sorella minore.
Da quando la gente si era accorta della sua stranezza -ovvero quando aveva messo piede fuori casa- non si era fatto altro che parlare di lei. Venivano a vederla, a portare doni: era l'unico modo di entrare in contatto con un altro Distretto, rapporto che Capitol City aveva annientato con misure di sicurezza e repressione.
Quell'anno, la sorella aveva compiuto sedici anni ed era entrata da quattro nell'età per gli Hunger Games.
Anche se cercava di non darlo a vedere, Annie era davvero preoccupata: i giochi non lasciavano scampo e in pochi, nel loro distretto, avevano vinto. Ancora in vita solo due: Mags e Finnick Odair.
Non era troppo strano l'esiguo numero di Mentori: nonostante il loro Distretto non fosse malandato e sottosviluppato come il 12, i Tributi di certo non potevano essere paragonati a quelli dell'1, del 2 e del 3.
I Favoriti.
Annie trovava disgustosa la sete di sangue e di potere che assaliva i ragazzi, che arrivavano a darsi volontari dopo anni di allenamenti.
Mags era una donna sulla settantina, dai capelli argento e gli occhi tipici del Distretto 4: verdi, striati di blu. Era piccola, magra e ricurva su sé stessa, ma sotto uno strato di rughe e di pelle ormai in decadenza, si poteva intravedere la donna che, anni prima, era uscita vincitrice dall'Arena.
Si diceva fosse molto intelligente e saggia, ma ciò nonostante, usava comunicare poco o niente con i propri tributi e far fare a loro il grande sforzo di capire ciò che lei voleva. Perché era così che si parlava nell'Arena: non avevi nessuno che ti sussurrasse all'orecchio come agire o chi uccidere; eri da solo e potevi contare esclusivamente su te stesso.
Finnick Odair, invece, aveva vinto gli Hunger Games cinque anni prima, all'età di 14 anni. Un grande record per il Distretto.
Ormai non si poteva nascondere, anche perché tutti ne erano a conoscenza: il giovane aveva vinto soprattutto grazie alla sua innata bellezza, che lo aveva reso appetibile a tutti gli sponsor. Durante i giochi non gli erano mai mancati armi, cibo e vestiti e questo aveva significato un netto vantaggio rispetto agli altri.
Ma ciò che realmente lo aveva portato alla vittoria era stato un tridente dorato, maneggevole e comodo. Per un ragazzo che aveva vissuto tutta la vita pescando, quello aveva significato la svolta della competizione. Si era rivelato un abile combattente. Nessuno era riuscito a sopravvivere contro Finnick Odair. In pochi giorni aveva conquistato il titolo di vincitore ed era stato acclamato come una star a Capitol City.
Non era passato molto, che il giovane del Distretto 4 aveva iniziato a godere della fama, trasformandosi in un divo della capitale. Nuotava nei privilegi e gongolava della sua ricchezza. Questo era il motivo principale per cui Annie, in lui, non vedeva altro che un arrogante ragazzo plagiato da Capitol City.
Erano passati cinque anni dalla sua vittoria, aveva diciannove anni lei diciassette, ma ancora l'idea della ragazza era rimasta la stessa.

Guardava il cielo, che a poco a poco stava perdendo le sue ultime stelle, quando con un piede colpì un sassolino.
Si chinò a raccoglierlo e, in un moto di curiosità, si mise a studiarlo. Era bello: nero e lucido. Al centro, da un puntino bianco come la luna, partivano diramazioni sottilissime che si arrampicavano per tutta la faccia superiore.
Con un lieve sorriso, Annie lo girò e rimase colpita nel notare che le ramificazioni si facevano via via più fitte fino a ricoprirlo completamente.
Era così attenta a studiare il piccolo sasso, da non accorgersi che qualcuno le si era avvicinato da dietro. Solo quando un respiro caldo le carezzò il collo, sobbalzò e si voltò, con gli occhi spalancati.
Davanti a lei era arrivato Finnick Odair, le labbra arricciate nel suo tipico sorriso sghembo, colpevole di aver fatto cadere ai suoi piedi l'intera popolazione femminile di Capitol City.
“Odair!” esclamò lei.
“Ti ho spaventata?” domandò divertito. Era evidente che la stesse prendendo in giro, poiché non vi era dubbio che fosse scossa.
Annie lo guardò male e decise di non rispondere. Fece per girarsi e proseguire la sua camminata, ma una mano del ragazzo le avvolse il polso, costringendola a fermarsi.
“Non andartene, dai. Ti metto per caso in imbarazzo con..?” disse e fece un gesto eloquente verso il suo corpo.
Solo allora, Annie si accorse che Finnick non vestiva altro che una salvietta azzurra allacciata ingegnosamente all'altezza del pube.
Avvampò, imbarazzata e distolse lo sguardo, facendosi cadere davanti al viso una cascata di capelli ramati.
“Non.. io..” balbettò non sapendo bene dove guardare.
Finnick esibì un sorriso sornione, compiaciuto dell'effetto che stava avendo sulla giovane. Non che solitamente ottenesse risultati diversi, comunque.
“Suvvia, non c'è bisogno di arrossire per me, anche se la cosa mi lusinga, Annie”.
Come sapesse il suo nome, lei non se lo seppe spiegare. Da quanto si ricordava, non avevano mai parlato prima.
“Non sono arrossita per te!” sbottò, divincolandosi dalla stretta di Finnick con forza ed ostinandosi a fissare un punto impreciso all'orizzonte.
“Mi puoi guardare. Non sono mica nudo!” esclamò il giovane. Era chiaro che la situazione lo stesse divertendo un mondo.
“Anche se fossi vestito ed infilato da testa a piedi in un tonno non ti guarderei comunque” rispose la ragazza, finalmente riuscendo a liberare il polso dalla stretta.
Sospettò che lui le avesse permesso di riuscirci.
“Cedi al mio fascino, eh?”
Le parole di Finnick la riscossero: infine, i suoi occhi verdi si erano posati su di lui.
“Stavo calcolando quante probabilità avrei avuto a tirarti un pugno, farti male ed evitare di rompermi la mano” replicò fredda.
Finnick scoppiò a ridere. Le riprese il bracciò e l'attirò vicino a sé. “Mi piaci, Cresta” le sussurrò ad un soffio dalle labbra.
Annie divenne viola per l'imbarazzo e l'indignazione. Si allontanò di scatto, guardandolo male. “Non pensare di riuscirci anche con me, Odair. Non sono un'altra bambola di Capitol City” esclamò.
Vide l'espressione boriosa di Finnick incrinarsi e i suoi occhi verde mare venir attraversati da un'ombra scura.
Gli lanciò il sassolino, che fino a quel momento aveva tenuto in mano; lo colpì sulla guancia e lo ferì all'altezza dello zigomo.
Per un attimo, rimase scioccata dalla semplicità con cui l'aveva graffiato: Finnick era noto per i suoi infallibili riflessi e l'agilità felina. Eppure, lei era riuscita a tracciare un solco vermiglio sulla sua guancia con facilità disarmante.
Dopo avergli rifilato un'occhiata furente, si allontanò dal Vincitore e, a grandi passi, tornò verso casa.

 

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Capitolo 2
*** Lapidazione ***


Capitolo 2
-Lapidazione-



Tornò a casa irritata per il pessimo incontro.
Immaginò che quasi tutte le ragazze del suo Distretto avrebbero pagato oro per trovarsi da sole sulla spiaggia con Finnick Odair mezzo nudo. Pure sua sorella, quando il nome usciva in quale discorso, si interessava e gli occhioni grigi spalancati s'illuminavano di una luce sospetta.
Annie no. Non avrebbe mai apprezzato una persona a cui interessava solo della sua immagine riflessa, di Capitol City e del suo stupido tridente d'oro.
Allungò la strada diretta a casa passando per una via secondaria, che la portò a costeggiare un tratto di mare.
Restò ferma, con la brezza soffice che le accarezzava la pelle e le faceva ondeggiare i capelli ramati. Si perse nello splendido colore arancio del sole nel mare: era più che sicura che non sarebbe mai esistito nulla di più bello di quella visione.
Le sarebbe piaciuto poter rimanere là in eterno, ma consapevole di aver tirato per le lunghe, si affrettò verso casa.
Al tavolo, dietro ad una fetta di pane imburrato e una tazza di latte fumante, l'aspettavano sua madre e suo padre, mentre Ocean era comodamente acciambellata in un angolo, leccando la sua fetta colma di marmellata di prugne.
“Ciao” li salutò con un sorriso mesto, sedendosi e afferrando un coltello.
“Hai di recente attaccato qualcuno a suon di sassi?” chiese innocentemente sua sorella.
Annie la guardò male. La voce era arrivata in casa e non solo ad Ocean.
“Hai preso a sassate Finnick Odair!?” la interrogò pungente sua madre.
“A sassate!” ripeté Annie esterrefatta. Non poteva credere che il ragazzo avesse davvero messo in giro una voce così banale e piuttosto idiota.
“Allora?!”. Suo padre la guardò con cipiglio severo.
Davvero credevano che lei avrebbe potuto fare una cosa simile? Certo, le era passato per la mente, ma solo ed esclusivamente per un millesimo di secondo, quindi si sarebbe potuto affermare che fosse innocente.
“Assolutamente no! Ci ho solo parlato”. 
Il sopracciglio di Ocean si alzò lentamente. “Immagino che si diverta a tagliarsi lo zigomo da solo”.
La maggiore sbuffò. “Possibile. E comunque, avrebbe potuto benissimo prenderlo al volo. Se si è fatto male è solamente colpa sua” sbottò "Potrebbe nascondere anche un lato masochista che nessuno conosce".
Quando il padre fece per ribattere, scattò in piedi. “Non ho intenzione di stare qui a discutere su Finnick Odair!” e sputò quel nome come se fosse veleno “Vado a cercare le perle.. se vuoi venire Ocean muoviti. Non ho voglia di aspettare tre anni solo per te” e detto questo uscì di casa.
Si sedette sui gradini e appoggiò il mento sui palmi. Nei giorni vicini alla Mietitura, in casa tutti diventavano più irritabili, quindi non poteva dare la colpa a nessuno. Forse solo a sua sorella, ma esclusivamente perché si divertiva a farlo.
Mentre l'aspettava, le passò accanto Nereyde. Era abbastanza bella, con i capelli biondo miele ricci e gli occhi azzurri.
“Ehi Annie! È vero che hai picchiato Finnick Odair?” sogghignò.
La ragazza non poté che alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa. “Cerca solo attenzione”.
L'amica rise “Beh, c'è riuscito perfettamente” disse “a Distretto ormai tutti non fanno che parlarne”
Annie rimase a bocca aperta. “Che cosa?!!” esclamò incredula.
Non poteva essere stato così idiota da farlo sapere a tutti. Evidentemente -ancora una volta- aveva sottovalutato il quoziente intellettivo del biondo.
Nereyde annuì. “Se il mio nome fosse stato nella bocca di Odair come il tuo in questo momento, sarei la ragazza più felice di Panem!” sogghignò.
“Ti assicuro che non è così” commentò l'altra, alzandosi quando finalmente la sorella si degnò ad uscire di casa.
Ocean vide Nereyde e le sorrise. “Hai sentito?!” squittì.
La ragazza annuì. “Ti conviene tenertela stretta e soprattutto proteggerla dalle mille ragazze che troverete alla Piattaforma” l'avvisò prima di andarsene.
Ocean ghignò sotto i baffi.
“Non è divertente questo. Per niente” sibilò Annie.

 
<>

La Piattaforma in realtà non lo era affatto.
Più che altro assomigliava ad un lunghissimo pontile di legno, largo al massimo tre metri, che si estendeva due o tre chilometri dalla costa.
I ragazzi del Distretto 4 che finivano la scuola -appena raggiunti i diciassette anni- erano indirizzati là, dove li attendevano due anni di raccolta di perle e conchiglie, finché non raggiungevano i diciannove anni, dopo i quali sarebbero potuti andare a fare il lavoro che desideravano.
In base alla loro bravura e alla loro padronanza dell'apnea, venivano affidati a diverse sezioni della Piattaforma.
Il pontile era diviso in ventisette settori. Il primo partiva dalla costa e comprendeva qualche metro del pontile. Là erano assegnati i nuovi arrivati che non riuscivano a trattenere per molto tempo il respiro e quindi non potevano avventurarsi in profondità. A loro era affidata la ricerca di paguri o piccole conchiglie che si trovavano a riva.
Il secondo andava dal metro 3 al metro 6 e così via.
Nonostante fosse arrivata da poco, le sue straordinarie abilità di nuotatrice le avevano fatto scalare velocemente vari settori della Piattaforma, fino a raggiungere il ventiseiesimo. Era una piccola vittoria personale che si portava orgogliosamente dietro.
Quando le due sorelle Cresta arrivarono sulla spiaggia, tutte le ragazze presenti si voltarono nella loro direzione, scambiandosi gomitate poco celate.
“Che sguardi di fuoco..” commentò la piccola, sorridendo.
“Sta zitta” ringhiò Annie. Si sforzò di avanzare senza dar peso alle occhiatacce e, soprattutto, senza voltarsi ed incenerirle una ad una.
Lasciò sua sorella vicino ad alcuni giovani e si incamminò verso la sua postazione.
Prima che riuscisse a raggiungerlo, una voce fin troppo nota la riscosse dai suoi pensieri: Finnick Odair, circondato da uno stormo di ragazze, esibiva il minuscolo taglietto sullo zigomo.
“..e poi le ho detto che non sarei potuto uscire con lei. A quel punto ha preso un sasso grande come un mio pugno e..”
“Odair!!” esclamò Annie ferocemente, avvicinandosi.
Fortunatamente era riuscita a bloccarlo prima che iniziasse a descrivere la sua furia animalesca nel colpilo ripetutamente con il fantomatico macigno.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione e le sorrise, per nulla spaventato dal timbro pericoloso del suo ringhio.
“Annie che piacere..” soffiò.
Lei lo ignorò. “Vai in giro a dire che ti ho lapidato?” gli chiese a bruciapelo, con i palmi che pizzicavano. Aveva una voglia matta di tirargli un pugno su quel naso perfetto ma si controllò, constatando che sarebbe stato alquanto controproducente, poiché non era molto piacevole prendere a manate qualcuno senza riportare il minimo danno.
Finnick esibì un sorriso angelico, ma Annie trovò il tentativo decisamente patetico: gli sarebbe servito ben altro per entrare nelle grazie della Cresta.
“Ma tesoro, non so di cosa tu stia parlando” le rispose candidamente.
Annie sbuffò. “Ovviamente. E non sono il tuo tesoro” e se ne andò.
Non impiegò molto per sentire i passi svelti di qualcuno che la seguiva.
“Non mi aspetti?” le domandò lui, affiancandola.
“No”.
Non capiva perché sentisse l'impellente bisogno di stressarla anche mentre lavorava.
Capendo che la giovane non si sarebbe mai bloccata, le scivolò davanti. Il sorriso sghembo era ancora dipinto sul suo volto angelico, contornato da perfetti boccoli biondo miele.
“Ce l'hai con me?” chiese.
Annie era esterrefatta. "Scusa?! Dovrei fartela io questa domanda! Non è colpa mia se le ragazze del Distretto mi odiano per colpa di quel.. quel graffietto che hai sulla guancia!!"
Finnick sorrise. “Non ti odiano” cercò di rassicurarla “sono solo gelose. Come non esserlo?” domandò tronfio.
La ragazza scosse il capo, chiudendo gli occhi per evitare di stringergli le mani intorno al collo.
"Ecco perché mi irriti" commentò e se ne andò, camminando ancora più velocemente di prima -con pochi risultati dato che il giovane la raggiunse senza sforzo.
“Tu dove lavori?” le chiese.
Ad Annie sembrava un bambino che faceva tante domande e non aspettava risposte.
“Al ventisei”
“Al ventisei? Davvero? Accidenti, devi essere proprio brava. Io non ho avuto l'opportunità di venire alla Piattaforma” commentò.
Un po' le dispiacque per come si stava comportando. A volte dimenticava che era stato strappato alla famiglia per partecipare agli Hunger Games a soli quattordici anni. Sicuramente dopo l'Arena, la vita dei vincitori cambiava radicalmente.
“Non ti sei perso niente di che, in realtà” replicò "Se vuoi puoi sempre farlo oggi, se non hai altri impegni" sottolineò l'ultima parola con un po' di cattiveria. Mai abbassare la guardia con Finnick Odair.
Il volto del ragazzo si illuminò . “Perfetto! Allora ci immergiamo insieme!”
Cosa?
Le ci volle qualche attimo per rielaborare la frase nel cervello. Non voleva assolutamente lavorare con Finnick Odair. Il suo consiglio si estendeva a tutti i settori eccetto il suo.
“Non dovresti partire da qualcosa di più semplice?”.
Finnick mangiò la foglia e sogghignò. “Non serve. Sono un eccellente nuotatore”.
Sconfitta, si avvicinò al suo settore. Non voleva cambiarsi davanti a lui, ma non vide altre alternative.
Tenendogli rigorosamente la schiena, si tolse il vestito azzurro che le scivolò lungo le gambe snelle senza rumore.
Rimase in un costume scuro, aderente: la parte sopra le circondava il seno dolcemente, sottolineandone le curve perfette. Per tutta la cucitura erano poste piccole conchiglie argentee. La parte sotto era più pratica. Nessuna conchiglia o perlina. Solo, sul davanti, un nastro che la stringeva sui fianchi e ricadeva in un fiocco semplice.
Si voltò verso Finnick e lo colse ad osservarla.
Avvampò e gli tirò una pacca su un braccio. “Stupido!” esclamò, imbarazzatissima. “Non ti cambi?”.
Accennò col capo ai pantaloni del ragazzo.
Lui fece spallucce. "Se li togliessi non mi rimarrebbe nulla sotto e non sarebbe nemmeno una brutta visuale! Se tanto ci tieni.." e iniziò ad armeggiare con i bottoni.
"NO!" gridò Annie, bloccandogli le mani e portandole in alto. Facendo ciò, però, i loro corpi si accostarono pericolosamente, tanto che la ragazza riuscì a percepirne il calore.
D'altra parte, Finnick, alzando lo sguardo, scoprì che l'intera pelle del naso e delle guance della giovane era cosparsa da minuscole efelidi spruzzate qua e là.
"Non c'era bisogno di urlare" le soffiò sulle labbra.
Annie si scostò, turbata e rossa in volto e si tuffò in mare.










 

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Capitolo 3
*** L'innocenza dei bambini -Glauco ed Eliah ***


Capitolo 3
-L'innocenza dei bambini -Glauco ed Eliah-

Fortunatamente l'acqua fresca la riscosse da pensieri inopportuni.
Per un istante, quando erano stati vicini tanto da percepire il calore del corpo dell'altro, aveva incrociato lo sguardo di Finnick e si era sentita risucchiare dalle due iridi blu come il mare e un brivido le era corso lungo la spina dorsale
Aspettò un attimo prima di riemergere. Con bracciate sinuose ma possenti, si avvicinò al pontile e si tirò fuori fino a metà busto.
Si guardò intorno, attenta, ma non vide nessuno. Sogghignò tra sé e sé.. magari aveva capito che l'unico modo per farla contenta era proprio lasciarla stare. Non aveva ancora finito di formulare il pensiero, che un braccio le avvolse la vita.
“Allora è così che lavori?” le domandò beffardo Finnick.
Annie digrignò i denti e si girò, premurandosi prima di staccarsi dal corpo bollente del sex-simbol di Capitol City e di mettere tra i due una bella distanza di sicurezza. “Non avevo ancora iniziato” precisò. “Ora vado. Se non mi stai dietro: cavoli tuoi. Se ti perdi: cavoli tuoi. Se affoghi: cavoli-tuoi”. Voleva evitare fraintendimenti
Il ragazzo rise ed alzò le mani, in segno di resa. “Ho capito”.
Tanto ci sarebbero state pochissime possibilità di annegamento, pensò tra sé Annie.
Si immerse prendendo un bel respiro e, una volta sott'acqua, aprì gli occhi.
Una delle cose migliori del far parte del Distretto 4 era che gli occhi degli abitanti si erano ormai abituati all'acqua salata e tenerli aperti sott'acqua non era più un problema.
Il fondale le apparì bellissimo come al solito e non poté impedire che un sorriso le piegasse in alto gli angoli della bocca.
Si voltò verso il punto in cui si trovava Finnick e un po' dell'aria che stava trattenendo le uscì di colpo per la sorpresa.
Lo vide nuotare intorno alla barriera corallina, con movimenti aggraziati e perfetti. Dai suoi gesti e movimenti era chiaramente intuibile che nuotare non rientrasse nelle prime dieci attività di un Vincitore a Capitol City.
La ragazza fu costretta a risalire in superficie perché un singhiozzo a tradimento le consumò tutto l'ossigeno nei polmoni.
Uscì e si voltò, in modo che se fosse risalito, non avrebbe notato la sua espressione. Nonostante la pelle bagnata, sentì una lacrima scorrerle lungo guancia.
Non capiva perchè stesse piangendo.. forse perché i gesti la riportavano agli Hunger Games; a quello che sarebbe successo se l'avessero chiamata; probabilmente non avrebbe mai più visto il mare, l'unica cosa che la facesse sentire davvero viva. Oppure perché si rendeva conto che il ragazzo che si ostinava a cercarla e prenderla in giro, non si era mai ripreso dai Giochi di quattro anni prima.
“Annie?”.
La voce di Finnick le fece capire che il suo momento di solitudine era finito.
“Annie, tutto a posto?”.
“Dobbiamo tornare giù” disse solo e si tuffò nuovamente.
Dopo quasi tre ore di ricerche, Annie non aveva trovato nulla. Frustrata ed infastidita tornò a galla, seguita da Finnick. Era stato un ottimo compagno; non aveva mai chiesto di risalire prima di lei, mai l'aveva infastidita e non l'aveva più toccata.
Quando arrivarono alla Piattaforma, uscì per primo. Le tese la mano e la ragazza non rifiutò: era troppo stanca per ricominciare a tenergli il muso.
“Annie Cresta, la miglior cercatrice di perle, leggera come una piuma” scherzò.
“Finnick Odair, il peggior casanova del mondo che si lagnava per un graffietto sullo zigomo” rispose, con un sorrisetto di scherno.
Ormai la Piattaforma era vuota e tutti erano andati a mangiare.
“Non mi ero accorta che fosse passato così tanto” disse Annie, guardando in giro. “I miei mi uccideranno” sospirò.
Il ragazzo la raggiunse e le mise sulle spalle un tessuto.
Lei lo guardò interrogativa.
“E' la mia maglia. Differentemente da quello che credi, non vado sempre in giro a petto nudo” le sorrise.
“Già, lo fai solo con me”.
Finnick rise. “Certo. Se no come potrei farti cadere ai miei piedi?”.
Annie lo guardò male. “Ecco come demolire un
armistizio” replicò.
Si incamminarono fino alla spiaggia.
“Dato che i tuoi ti uccideranno, consuma l'ultimo pasto con me” le propose il biondo, passandosi una mano tra i capelli ricci.
La ragazza non sapeva se la stesse prendendo in giro o meno. Probabilmente sì e, di certo, non voleva fare la figura dell'ennesima stupida accompagnatrice del Vincitore.
"Grazie mille, ma è davvero il caso che torni a casa" si mordicchiò un labbro.
Non seppe interpretare il fiume di emozioni negli occhi di Finnick: amarezza? Solitudine? Tristezza?
“Allora ti accompagno a casa” disse lui, riprendendo il suo sorriso smagliante.
“Va bene”.
Percorsero per le vie in perfetto silenzio.
Annie sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, perché quel silenzio era diventato decisamente imbarazzante, ma era come se qualcuno le avesse staccato la spina dal cervello.
“Immagino che tutta la popolazione femminile vorrebbe essere al tuo posto, in questo momento” fece il ragazzo dopo un po'.
Annie alzò un sopracciglio. Avrebbe di gran lunga preferito il silenzio che quell'uscita pietosa.
“Probabilmente” commentò.
Arrivarono davanti alla porta di casa e scattò il classico momento imbarazzante di chi non sa come salutarsi.
La ragazza optò per un rapido cenno del capo e si dileguò in fretta, non dandogli il tempo di dirle nulla.
Una volta che la porta si fu chiusa, Finnick ghignò, divertito.
“Ciao anche a te, Annie Cresta”.
 
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“Era la lentezza in persona che ti ha portato a casa?!” domandò scettica sua madre, quando si sedette al tavolo.
“Era Finnick Odair, ma se preferisci puoi anche chiamarlo così” borbottò, afferrando una pagnotta verde salmastra molto salata. La spezzettò a gesti bruschi ed incominciò a ficcarseli in bocca tutti insieme.
"Finnick Odair ti ha riaccompagnato a casa?!!” esclamò Ocean, sporgendosi verso di lei. “Ma proprio quel Finnick?!”
Annie sbuffò. “Sì, quel Finnick.. e vorrei anche esprimere la mia gratitudine per il fatto che ne esista solo uno” .
La sorellina si rimise composta, mugugnando qualcosa di losco.
“Non borbottare, sai bene che non è educato” la redarguì la madre, scoccandole un'occhiata fiammeggiante.
Annie non capiva come mai non si sarebbe dovuta sorbire la ramanzina solo perché Finnick Odair aveva avuto la premura di riaccompagnarla a casa.
Si stava già per lamentare che pretendeva una lavata di capo, quando la madre sollevò di scatto lo sguardo dal piatto e nei suoi occhi aleggiò un'ombra di tristezza. “Vi ho comprato dei nuovi vestiti per la.. Mietitura”.
Anche se aveva cercato di non farlo trasparire, l'ultima parola le uscì dalla bocca con fatica.
“Oh mamma, lo sai che non avresti dovuto. In questo modo papà non porterà a casa lo stipendio per due settimane”.
“Non dire sciocchezze, An. E poi, sai meglio di me che è un'occasione particolare in cui bisogna fare bella figura” fu la risposta.
La ragazza avvampò, indignata. "Bella figura? Noi non dovremmo sottometterci a questo regime oligarchico! Non ho intenzione di vestirmi bene solo per le telecamere di Capitol City!" scattò in piedi "Fosse almeno qualcosa di cui andar fieri.. Ci mandano al macello! Preferirei andare coperta di pece che con un abito che non ci garantirà un pasto per le prossime settimane" nel caso io non fossi scelta. La conclusione la tenne per sé, perché sapeva che sua madre non avrebbe retto.
Già in quel momento la stava guardando con gli occhi che parevano bocce da spiaggia.
Non passò molto prima che riprendesse il suo cipiglio severo. “E' grazie a Capitol City se le nostre condizioni di vita sono di gran lunga di volte migliori degli abitanti del Distretto 12. Non ammetto capricci per queste cose. Ci sono ragazzi che non possono nemmeno permettersi un vestito nuovo!” abbaiò.
Annie si morse l'interno della guancia. “Bene” disse con tutto l'orgoglio che le restava.
Finì il suo misero pasto e si diresse in camera, dove trovò il vestito per la mietitura accuratamente piegato sul letto.
Era davvero bello, di una fattura morbida e così leggera che pareva d'acqua.
Era della stessa tonalità del colore dei suoi occhi e sicuramente su di lei sarebbe stato magnificamente. Non che qualcosa le stesse male; Annie era una delle ragazze più belle del suo Distretto.
Non perché fosse sensuale o accattivante, per quello ce n'erano molte altre. Per il suo modo di fare, deciso ma dolce. Inoltre, molte delle sue coetanee le invidiavano il fisico alto e snello. Eppure, a differenza della maggior parte di loro, possedeva anche muscoli abbastanza sviluppati, che le permettevano di nuotare quasi sei ore al giorno senza affaticarsi troppo.
Si distese sul letto, consapevole che le rimaneva solamente mezz'ora per riposarsi, prima di fare il secondo turno di lavoro.
Decise che, se avesse nuovamente incontrato Odair, non se lo sarebbe portato dietro. Insieme a lui non era riuscita a combinare nulla e quello, nel campo di lavoro, non era accettabile.
Era ad un passo dall'addormentarsi, ma il grido stridulo di Ocean la fece balzare in piedi.
Scese le scale rapidamente, fino a trovarsi nello stretto corridoio della sua casa.
La ritrovò in ginocchio, che le dava le spalle.
“Ocean! Cosa succede?” domandò allarmata.
La sorellina si voltò e Annie vide il sorriso smagliante che le pitturava il viso.
Senza dirle nulla le passò un biglietto azzurro, scritto evidentemente a mano.
 
<
Ad onorarla, per il primo anno, saranno presenti anche i due vincitori del Distretto 4: Finnick Odair e Mags.>>

“Dimmi che è uno scherzo” commentò Annie guardando di sbieco la sorella.
“Ah hm..” scosse il capo.
La ragazza si impose di non strozzarla, sentendo la venuzza sulla fronte pulsarle in modo forsennato. “Mi hai fatto scendere con la paura che ti fossi fatta male -perché dal tuo grido si poteva pensare solo quello- e mi vieni a dire che hai urlato per una stupida festa, che tra l'altro facciamo tutti gli anni?!”
“Ma quest'anno ci sarà anche Finnick!” osservò Ocean.
“Oh cielo” fece Annie, passandosi una mano davanti agli occhi “Non ti uccido solo perché sono troppo stanca per farlo”.
“Tra l'altro, ho sentito Nereyde mentre diceva ad una sua amica che Eliah vorrebbe chiederti di andare insieme a lui” la informò Ocean con noncuranza.
“Mmh interessante. E dimmi: hai sentito o hai origliato?”.
Ocean assunse un'aria offesa. “Io NON origlio.. semmai sono loro che parlano a voce troppo alta”.
Annie sorrise.
“Allora, hai intenzione di accettare l'invito di Eliah?” chiese la sorellina minore, affacciandosi alla cucina, gli occhi che trasudavano curiosità.
“Ma che impicciona!” esclamò l'altra. “Fatti gli affari tuoi”
Ocean fece un sorrisetto furbo “Certo, se vuoi c'è sempre Finnick..” sibilò beffarda.
Annie chiuse gli occhi e respirò a fondo prima di rispondere. “Andrò con Eliah, d'accordo?! Ora levati dai piedi, marmocchia, che devo tornare a lavorare” disse alzandosi e afferrando la borsa.
Uscì di casa ancora maledicendo mentalmente Ocean, perché le aveva fatto promettere una cosa che non voleva. Non aveva nessuna intenzione di andare con Eliah. Certo, era un bel ragazzo, persino simpatico, ma lei non era minimamente intenzionata a trovarsi un fidanzato.
Pensò ai diversi modi per rifiutare l'invito gentilmente, ma nessuna le parve adeguata.
Arrivata in spiaggia, si avvicinò alla Piattaforma. Nel farlo, si imbatté in due bambini, che stavano combattendo con due pezzi di legno.
“Non mi sfuggirai, tributo” esclamò uno, rincorrendo l'altro.
Annie rimase paralizzata dalle parole del bambino. I due stavano giocando agli Hunger Games.
Era una cosa rivoltante. Probabilmente era proprio così che si divertivano i bambini dei Distretti favoriti.
Proseguì con un brivido ed una smorfia sulle labbra ed affiancò un ragazzo piazzato, con i capelli biondo scuro e gli occhi blu.
“Terribili eh?” le disse.
Sulla spalla teneva un sacco pieno di conchiglie di madreperla e nell'altra mano una piccola pala.
Indicò con un cenno del capo la lotta tra i due ragazzini e Annie non poté che annuire.
Si sentì a disagio a parlare con Glauco: suo fratello minore era rimasto ucciso negli Hunger Games tre anni prima.
La ragazza si limitò a guardare il terreno.
“Tranquilla, Annie. Non ho intenzione di mettermi a piangere” scherzò lui, mostrando i denti bianchissimi.
Nonostante la battuta, una scintilla di tristezza e di vuoto balenarono nelle iridi marine, per poi scomparire con la stessa rapidità.
L'accompagnò alla Piattaforma continuando a chiacchierare del più e del meno.
Il sollievo che la ragazza provava a stare con lui era incommensurabile: Glauco aveva superato i diciott'anni, quindi era fuori dall'età necessaria per gli Hunger Games. Non si sarebbe dovuta preoccupare di legarsi a lui con il continuo terrore di poterlo perdere da un giorno all'altro.
“Allora che hai risposto?” le chiese ad un certo punto.
Lei si riscosse dai suoi pensieri. “Ho risposto a cosa?” ripeté senza capire.
“A Eliah.. gira voce che accetterai” sogghignò lui.
Annie avvampò. Giurò che sua sorella non sarebbe arrivata a casa sana e salva. A volte non si capacitava di come riuscisse ad avvisare tutto il Distretto in così poco tempo.
“Io..” balbettò imbarazzata.
Sapeva che Glauco era un grande amico del ragazzo e si sentiva a disagio ad esprimere ciò che realmente pensava.
“Dimmi che a lui non è arrivata la voce” implorò, anche se sapeva già la risposta.
L'amico si limitò a sorridere mestamente.
“Perfetto” sbuffò Annie. “Ora vado, ma grazie di avermelo detto. Avrò più tempo per prepararmi psicologicamente” e fece una smorfia.
Prima di andarsene, notò con la coda dell'occhio che Finnick era presente e la stava guardando di sbieco.
Lo ignorò e continuò a camminare, facendogli capire con una sola occhiata che non aveva nessuna intenzione che la seguisse.
Lui non lo fece.

 

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Capitolo 4
*** Non sei di mia proprietà ***


Capitolo 4
-"Non sei di mia proprietà”-

Per tutta la durata di mercoledì, Annie non aveva fatto altro che pensare all'arrivo di Eliah.
Tra l'altro, quasi nessuno chiedeva alle ragazze di far loro da dame ad una festa del genere e ciò l'agitava ancor di più.
Sapeva che si sarebbe sentita in imbarazzo davanti a tutto il Distretto che si divertiva a vociferare che, oltre ad aver accettato l'invito di Eliah, passasse molto tempo in compagnia di Finnick.

La sera del giorno prima, dopo il turno di lavoro, l'aveva raggiunta per strada e si era offerto di riaccompagnarla a casa, con la scusa del buio.
“Non ho quattro anni”.
Il ragazzo aveva sorriso, beffardo “Sei ancora comunque piccola per camminare da sola la sera”.
A quel commento le guance di Annie si erano colorate di rosso per la rabbia. “Abbiamo solo due anni di differenza!”.
Non sopportava quel comportamento iperprotettivo da parte di Odair. “Inoltre mi so difendere benissimo da sola!” aveva continuato col naso per aria ed un'espressione orgogliosa.
Al che, Finnick era scoppiato a ridere di gusto. Ci aveva messo un minuto buono per calmarsi, ma aveva gli occhi che luccicavano sia per le lacrime che per il divertimento.
Annie si era offesa per quella mancata fiducia e, senza preavviso, aveva iniziato ferocemente a prenderlo a pugni sulle spalle. Nemmeno a dirlo, dopo trenta secondi si era stancata ed i muscoli le avevano chiesto pietà.
Il ragazzo aveva esibito un ghigno, apparentemente senza provare il minimo dolore.
Quel punto, Annie si era arresa e aveva messo il broncio. “Solo perché hai dei muscoli di ferro. Ad un qualsiasi altro ragazzo avrei fatto male” aveva commentato altezzosa.
“Certo, saresti stata letale” aveva annuito lui, ridacchiando. Poi il volto gli si era illuminato. “Muscoli di ferro, eh?”.
La ragazza era avvampata di nuovo. Arrossiva troppo frequentemente con lui, non andava bene. Per niente.
“Non vantarti e frena il tuo ego spropositato”.
“Ah ecco, mi pareva strano”.
La ragazza aveva sbuffato. “Fammi andare a casa, Odair. Quando ci sei tu faccio più tardi io del vecchio Gededia in stampelle”.
“Tutto quello che vuoi, raggio di sole” le aveva detto, accarezzandole velocemente la guancia.
Davanti a casa, la stavano aspettando i suoi genitori.
“Fantastico, sei un genio” aveva sussurrato lei.
Sua madre, appena l'aveva vista col ragazzo, aveva rilassato impercettibilmente le spalle e aveva pronunciato le fatidiche parole: “Vuoi fermarti a cena, caro?”.
Il volto della figlia era sbiancato e si era voltata verso di lui con gli occhi spalancati, scuotendo il capo.
Finnick aveva sorriso gentilmente e leggermente divertito dalla reazione di Annie. Per un momento, il più orribile della sua vita, la ragazza aveva seriamente pensato che avrebbe accettato.
Poi, con un cenno della mano, aveva rifiutato. “Mi scusi, signora. Ma Mags mi aspetta per la cena e non credo sarebbe molto felice di mangiare da sola”.
La risposta aveva riportato i battiti cardiaci della ragazza alla normalità.

 
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Annie aveva cominciato a prendere in considerazione la possibilità che Finnick si nascondesse in giro per il Distretto 4 e che -quando passava lei-sbucasse fuori con quel suo sorrisetto sghembo sul viso.
Poi, immancabilmente trovava la scusa per avvicinarsi o per passarle un braccio intorno alle spalle.
Ormai, aveva anche smesso di provare a svincolarsi, ben conscia che lei, contro i muscoli forti di Odair, non avrebbe mai vinto.
Come volevasi dimostrare, quel giorno, mentre tornava dalla Piattaforma, una voce troppo conosciuta la fece sbuffare.
“Ehi bellezza!” la chiamò Finnick raggiungendola, con il suo solito sorrisetto sensuale dipinto in volto.
Su quella faccia, Annie avrebbe con piacere stampato la suola della sua scarpa. Invece si fermò e aspettò che lui la raggiungesse.
“Come siamo gentili” la salutò.
“Odair” rispose Annie, alzando gli occhi al cielo.
Il ragazzo ridacchiò “Ho anche un nome, sai?”.
“Certo, ma non fa lo stesso effetto” replicò lei.
Come al solito ricevevano occhiate stupite da ogni dove; la stavano facendo diventare parecchio paranoica.
“Lo penso pure io. Odair ha qualcosa di cattivo mentre Finnick è davvero molto sexy”.
Questa volta fu il turno di Annie, a ridere.
“No, davvero!” protestò il ragazzo. “Ora ti faccio vedere” disse, parandosele davanti.
Il sex-simbol le si avvicinò pericolosamente e la bloccò, poggiandole le mani grandi sulle spalle ed arrivò ad una distanza minima dal suo volto.
Annie avvampò d'imbarazzo e subito cercò di allontanarsi, ma lui la tenne stretta e, con espressione seria disse: "Odair".
Tra di loro aleggiò il silenzio per qualche istante, prima che la ragazza scoppiasse a ridere.
Capì, dal sorriso del ragazzo, che era divertito dalla sua reazione.
Quando smise di ridacchiare, annuì per fargli capire di proseguire.
A quel punto, lui la riavvicinò a sé, ma al posto di parlarle davanti, accostò la sua bocca all'orecchio della ragazza e poi: "Finnick" sussurrò con voce calda.
Senza un apparente motivo, Annie rabbrividì e mille scosse gelide le scivolarono lungo la spina dorsale.
Alzò gli occhi verdi fino ad incontrare quelli di Odair, che intanto si era ritratto leggermente. Si guardarono per istanti interminabili. Il sorrisetto di Finnick era scomparso, sostituito da un'espressione indecifrabile.
Quando ormai mancava solo un soffio tra di loro, qualcuno si schiarì la voce.
Si allontanarono di scatto.
Con orrore, la ragazza constatò che, esattamente a qualche metro da loro, stava Eliah, che li fissava perplesso.
“Ho interrotto qualcosa?” domandò.
Lei si lisciò la gonna e sistemò i capelli con apparente noncuranza, anche se le gambe avevano incominciato a tremarle. Il momento più atteso -e meno desiderato- del giorno era arrivato.
“No, no. Figurati” sorrise gentile.
Il volto di Eliah si distese in un'espressione più tranquilla. “Sono venuto per domani. È tutto confermato?”.
Cosa avrebbe potuto dirgli, se non 'sì'?
“Ehm.. si, tutto confermato”.
Il ragazzo rilassò le spalle, poi salutò Annie, fece un cenno a Finnick e se ne andò con un sorriso soddisfatto in volto.
Per tutto il tempo, Finnick era rimasto in silenzio, con le mani affondate nelle tasche dei suoi pantaloncini color sabbia.
Quando Eliah se ne fu andato, guardò Annie con un sopracciglio inarcato.
La ragazza scoprì di non avere alcuna intenzione di fargli sapere dell'invito. Era un pensiero stupido, ma l'agitava ancora di più dell'idea della festa con Eliah.
“Nulla di che” sviò, sperando che l'accettasse come spiegazione.
Con un'alzata di spalle, Finnick le fece capire che non aveva mangiato la foglia.
Sospirò di sollievo e continuò a camminare verso casa.
Arrivati davanti alla porta, si salutarono -lui con un magnifico sorriso seducente ed una carezza sulla guancia. Lei con un piccolo schiaffo alla mano di Finnick e una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorrisetto.
Appena mise la mano sul pomello, questa si aprì, rivelando Ocean.
La ragazzina la fissò per un decimo di secondo, poi il suo sguardo passò a Finnick, e gli occhi le si illuminarono.
“Ciaaao” salutò, esibendo il miglior sorriso del suo repertorio.
Si lesse sul volto del ragazzo, dapprima sorpresa, poi sconcerto ed infine dolcezza.
“Ehi!” rispose, con voce calda e sensuale.
Le guance di Ocean andarono a fuoco.
Annie si voltò per incenerirlo con lo sguardo. “Non anche con lei” sibilò.
Fece per entrare, ma la voce della sorella la impalò al suolo, ghiacciandola. “Allora hai accettato l'invito di Eliah per la festa del raccolto di domani”.
Non era una domanda.
La ragazza si voltò in tempo per notare gli occhi di Finnick spalancarsi leggermente solcati da un'ombra. Ma in un attimo il volto del Vincitore tornò quello di sempre e lei si chiese se non se lo fosse immaginata.
Le parole le si riversarono dalle labbra come un fiume in piena. Non sapeva nemmeno perché gli stesse dando una spiegazione, ma voleva che capisse che non era stato intenzionale.
“Stai tranquilla Cresta! Non sei mica di mia proprietà. Puoi andare alle feste con chi vuoi” esclamò Finnick con un sorriso.
Il cuore di Annie perse il battito. Sentì appena la voce di Ocean che rivolgeva la parola al ragazzo e poi questo si voltò e scomparve tra le vie.
Annie si diresse in cucina, si sedette al tavolo e iniziò a pulire il pesce per la cena.
Un ronzio si propagò per la sua mente, rendendola incapace di ragionare.
Improvvisamente le parole di Finnick le
rimbombarono nella testa:
<>
 

Stai tranquilla, Cresta! Non sei mica di mia proprietà. Puoi andare alle feste con chi vuoi.
C'era qualcosa di tremendamente sbagliato. Qualcosa che stonava nel tutto.
L'aveva chiamata per cognome.
Da quando si erano incontrati, o da quanto ricordasse, non l'aveva mai fatto.
Aveva usato il suo nome, l'aveva storpiato fino a renderlo quasi irriconoscibile, ma era sempre stato Annie.
Mai Cresta.



 

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Capitolo 5
*** Ignorare il dolore ***


Capitolo 5
-Ignorare il dolore-


Finnick tornò a casa sua, nel Villaggio dei Vincitori.
Non la usava mai, durante l'anno. Ci andava solamente il giorno prima della Mietitura per scortare i due tributi fino a Capitol City.
Invece quell'anno aveva deciso di tornare una settimana nel suo Distretto con Mags, la sua Mentore, nonché unico membro della sua famiglia.
Spalancò la porta ed entrò.
Sentì il profumo invitante della carne messa sul fuoco, ma scoprì di non aver fame..
Prima che potesse anche solo poggiare un piede sulla scala, la piccola figura di Mags gli si parò davanti, a braccia conserte.
Lo guardò con severità, indicandogli con gli occhi la cucina.
“Davvero Mags, non ho fame” tentò.
La donna non si lasciò ingannare: lo prese per un braccio e lo trascinò di peso sulla sedia e dopo servì un ottimo piatto di carne con contorno di piselli e carote.
Il bello dell'essere due Vincitori era quello di disporre di qualsiasi genere di cibo si volesse.
Finnick lanciò uno sguardo implorante alla donna. Era probabile che avrebbe vomitato tutto se avesse inforchettato anche solo una carota.
Mags si sedette dall'altro capo della tavola e cominciò a mangiare lentamente, senza però mai perderlo di vista.
Per farla contenta, il ragazzo iniziò a spiluccare qualcosa, costringendo il cibo nello stomaco e sperando che il malessere fosse solo passeggero.
Dopo qualche minuto, Finnick allontanò il proprio piatto, ancora mezzo pieno. “Non ce la faccio, Mags. Mi dispiace 
La vecchia lo guardò ed una scintilla di comprensione le baluginò nelle iridi chiare.
Gli si avvicinò piano, andando a sedersi accanto. Gli posò una mano sulla guancia e l'accarezzò con amore.
Finnick si beò di quella sensazione: era da tanto tempo che nessuno lo trattava più in quel modo.
“Tu stai male” disse Mags.
Il ragazzo non poté trattenere un'espressione sorpresa: era da almeno un anno che non sentiva la voce della donna.
“Non è nulla, davvero” la rassicurò.
Mags tese una mano e gli toccò il petto all'altezza del cuore, poi inarcò le sopracciglia.
Ti fa male qui, vero?
Finnick sorrise amaramente. “Ho imparato a non soffrire più” rispose.
Era vero.
Era stato male per troppo tempo, finché aveva deciso di non prestare più attenzione al dolore del proprio corpo; l'aveva confinato in una parte di sé così lontana e remota che, a volte, davvero credeva di riuscire ad ingannarsi, ma non era abbastanza bravo da fare lo stesso con lei.
La vecchia circondò il volto tra le mani e gli diede un lieve bacio in fronte.
Io ci sono sempre.
“Lo so”.
Si alzò e si incamminò verso la camera, ma prima che potesse appoggiare il piede sul primo gradino, squillò il telefono.
Solitamente lo lasciavano suonare, ma quella volta, spinto da un gesto automatico, sollevò la cornetta.
Una voce trillante, di Capitol City, lo fece rabbrividire.
Fu una conversazione veloce, gelida da parte sua. Una volta riattaccato, si passò una mano sugli occhi.
Ecco perché avrebbe voluto evitare il cibo.
Sentì che il poco che aveva mangiato stava facendo a pugni per tornare su e gli ci volle tutta la forza di volontà per non vomitare sul pavimento.
Con il maggior contegno che riuscì a trovare, si diresse in camera, dove prese il suo zaino e ci infilò dei vestiti nuovi, della crema e un olio alla lavanda.
Poi afferrò il cappotto e scese le scale. Avrebbe dovuto affrontare Mags e non gli sarebbe piaciuto, ma non aveva scelta.
“Devo andare” disse.
Mags uscì rapidamente dalla cucina, guardandolo interrogativa.
Era quello sguardo che Finnick era in grado di sopportare. Si voltò verso il calorifero e ci appoggiò le mani. Nonostante fosse ancora molto presto, già emanavano calore. Mentre negli altri Distretti si moriva di freddo e di fame, i Vincitori erano serviti e riveriti.
“Ho un impegno” spiegò in risposta all'occhiata della donna.
“Capitol?” domandò lei.
Un record! Due frasi nella stessa serata. Doveva essere davvero preoccupata.
Avrebbe voluto fingere e negare, ma a quella domanda spiazzante non seppe mentire.
“Devo”.
Mags scosse la testa con vigore, un'espressione severa in volto. Gli picchiettò con un dito sul cuore.
Non importa a nessuno quello che provo. A nessuno! Nemmeno più a me” esclamò con rabbia ed uscì.
Andò incontro al treno che l'avrebbe portato dalla donna di Capitol City; in grembo ad una persona che da lui bramava solo piacere, che gli avrebbe strappato in brandelli l'anima; che lo avrebbe reso ancor più una persona peggiore.

 
<>

Era bello assistere ai preparativi della Festa del Raccolto.
Ognuno si dava da fare per addobbare, per rendere migliore una zona, per aiutare chi aveva qualche difficoltà.
Nonostante Annie ancora fosse arrabbiata con la sorella per la sera prima, non si fecero attendere quando Nereyde le chiamò per uscire.
Il loro compito era di decorare la piazza centrale, davanti al municipio, con ghirlande e vari nastri colorati.
Appena arrivate, Ocean si unì al gruppo di sue amiche mentre Annie e Nereyde si avvicinarono alla casa di Theti, la figlia del sindaco.
La trovarono in cucina, intenta a seguire uno dei programmi di gossip di Capitol City. Non che lei amasse la capitale, ma era davvero divertente osservare le banalità che entusiasmavano gli abitanti della metropoli..
Anche Annie e Nereyde si fermarono un secondo per assistere alla sceneggiata assurda di una signora con i capelli verde acido che accusava il marito di averle comprato un pesce giallo e non rosso. In questo modo non le stava dimostrando il suo amore.
Le tre ragazze non poterono che scoppiare a ridere.
Stavano per andarsene, quando Nereyde indicò lo schermo.
“Ehi! Ma quello è Finnick!!”.
Annie si voltò verso il televisore.
Non c'erano dubbi. Il ragazzo inquadrato, altissimo, biondissimo e bello da mozzare il fiato, era proprio Finnick Odair.
“Perché diavolo..?” fece Theti, risedendosi sulla sedia.
La conduttrice, una signora sui trent'anni, venne inquadrata, mentre la foto di Finnick ancora si stagliava sullo sfondo.
“..e così il bel Finnick Odair è stato immortalato mentre usciva, non troppo furtivamente, dalla casa di Kandra Salux” disse ed in seguito alle parole, apparve la fotografia del ragazzo sul portone di una casa, intento a sistemarsi la camicia ancora spiegazzata e i capelli tutti in disordine. Da una finestra in alto, una ragazza di ventitré anni circa lo salutava, con indosso solamente un lenzuolo.
Le amiche di Annie si girarono di scatto verso di lei, che però se ne accorse appena. Aveva gli occhi incollati allo schermo, più precisamente al viso di Finnick che esibiva quel suo sorriso sghembo per le telecamere, probabilmente fiero del proprio operato.
Non seppe perché, ma quel volto, se prima ormai familiare, quasi simpatico, in quel momento le infuse una sensazione di nausea, tanto che dovette distogliere gli occhi dalla fotografia.
Si sentiva arrabbiata.. ma per cosa, esattamente?
Lui era liberissimo di fare ciò che voleva, di andare a letto con chi voleva. Aveva diciannove anni e il pieno controllo della propria vita. Inoltre, come le aveva ricordato la sera prima, non si poteva obbligare qualcuno a non uscire con chi preferiva.
Era andato a divertirsi una notte a Capitol City? Non c’era da stupirsi, poiché sembrava essere il suo intrattenimento preferito.
Annie sarebbe andata alla festa con Eliah e si sarebbe divertita.
“Che cos’avete da guardare?! Se sperate che cada in ginocchio in preda ad una scenata isterica, ve lo scordate. Saranno affari suoi quello che fa in giro” rispose alle occhiate delle altre due.
Uscirono con le mani cariche di decorazioni ed iniziarono ad appenderle agli stipiti delle porte, vicino alle bancarelle, sui vasi che ornavano la piazza e così via.
La Festa del Raccolto era stata pianificata proprio in quei giorni per distogliere i ragazzi dall’idea della Mietitura. Inutile dire che non servisse a nulla. Il Distretto 4 era uno dei Favoriti a Panem. Questo significava che molti ragazzi, ma non tutti, venivano addestrati al combattimento; alcuni anni vi erano stati addirittura dei volontari! Invece, quelli che decidevano di ignorare l'addestramento, potevano proseguire con una vita tranquilla, nella speranza di non essere scelti.
Su quell’aspetto, il Distretto 4 era molto permissivo.
Ciononostante, durante la scuola, ai ragazzi veniva insegnata una tecnica di combattimento base a scelta, che poteva essere spada, arco, lancio dei pugnali, tridente, fionda, dardi e via dicendo.
In questo modo, la fama di Favorito non era scomparsa dal Distretto e, agli occhi di Panem era rimasto controllabile.
Ocean si avvicinò alla sorella, sorreggendo una ghirlanda un po’ malridotta. “Annie, non riesco a sciogliere il nodo” gliela allungò.
“Hai sentito che..?” iniziò Ocean.
Annie alzò gli occhi al cielo. Lo sapeva! “Per l'amor di Dio, Ocean! Ti sei già dimenticata di ieri sera o hai bisogno che ti rispolveri la memoria?” sibilò.
“Tecnicamente, non ho fatto nulla che ti dovrebbe interessare, dato che ripeti in continuazione quanto Finnick sia una vera scocciatura” la incalzò la sorella seppur seria.
“Non mi interessa! Tu devi imparare a farti gli affari tuoi!!” ringhiò.
“Ti sei comportata da vera stupida. Se non avessi reagito in quel modo, nessuno avrebbe fatto caso a ciò che ho detto”.
“Se tu non avessi aperto la bocca, probabilmente non l’avrei fatto!”.
Ocean incrociò le braccia la petto. “Ma che ti importa di aver fatto una brutta figura con Finnick?! Non lo detesti?”.
La sorella rimase spiazzata dalle sue parole. “Non.. non lo detesto”.
“Allora ti piace. Non c’è altra spiegazione al tuo comportamento”
“Non mi piace nessuno, Ocean!! Vattene a sistemare questa stupida ghirlanda!” esclamò, tirandogliela dietro, sfinita.
“Magari non vuoi che ti piaccia per via di ciò che hai visto” alluse al programma di gossip.
Almeno ebbe la decenza di non dirlo ad alta voce.
Annie si voltò per finire il proprio lavoro, con un diavolo per capello. Non riuscì a fare praticamente nulla senza che le mani le tremassero per la rabbia e più volte fu costretta a chiudere gli occhi e respirare a fondo, prima di ricominciare.

 
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Verso le sette, finirono ogni dettaglio e ad ognuno fu concesso di tornare a casa per prepararsi.
Annie scoprì di non essere più arrabbiata con la sorella, anche se non poteva dimenticare le frecciatine velenose e i pasticci che aveva combinato in un arco di tempo così ridotto.
Verso le otto sarebbe passato Eliah e aveva intenzione di presentarsi contenta di essere accompagnata da lui.
Scelse uno dei suoi pochi vestiti abbastanza carini, lasciando volutamente schiacciato sul fondo dell'armadio quello per la Mietitura.
L'abito era verde acqua, di seta leggera, a canottiera, con una scollatura abbastanza gentile, ma non volgare. Si chiudeva sotto il seno con una fascia più scura e da lì, cadeva morbido fino a coprire le ginocchia. Sulle spalle si sistemò uno scialle blu notte e ai piedi dei semplicissimi sandali intrecciati fino alla caviglia, come da tradizione.
Si mise una collana molto pratica, con un filo argentato che prima aveva racchiuso nelle sue morbide spirali una perla. Poi era andata persa ma il motivo del filo le era piaciuto e aveva deciso di conservarla.
Quando Ocean entrò per farsi sistemare i capelli, spalancò gli occhi grigi per la sorpresa.
“Sei bellissima”.
Annie arrossì, compiaciuta. Sapeva che con quella semplice frase sincera, Ocean stava tentando di chiederle scusa.
“Vieni qui” le disse affettuosa, facendola sedere sul letto e cominciando ad intrecciarle i capelli neri.
Quando bussarono alla porta, lo stomaco di Annie fece una capriola per l’ansia. Si impose di rimanere tranquilla e concentrata.
È solamente Eliah, si disse, ma non sortì alcun effetto calmante. Anzi! La consapevolezza che tra lei ed il ragazzo ci fosse solo la porta di legno l'agitò ulteriormente.
Ocean guizzò alla porta come un cavalluccio marino e la spalancò con un caloroso “Ciaaao!”.
Annie sentì la risposta del ragazzo e un fruscio abbastanza sospetto.
“Non mi dire che sono..” mormorò.
FIORI!” trillò Ocean, trotterellando contenta in salotto.
Erano stupendi, Annie dovette ammetterlo. Un bouquet di rose bianche e violette. Lo prese tra le mani e ne saggiò il profumo. Delizioso.
Sorrise timidamente ad Eliah, che sembrava ancora più a disagio di lei.
“Non dovevi” disse gentilmente.
“Era d’obbligo”.
Era davvero bello con la maglia attillata grigia e i pantaloni neri. I capelli chiari e corti erano ben ordinati e gli occhi blu.. beh, Annie era consapevole che molte delle sue amiche avevano perso la testa a causa dei suoi sguardi.
“Andiamo?” le chiese, porgendole il braccio.
Lei annuì e poggiò la mano sul suo avambraccio, sentendo i muscoli del ragazzo guizzare sotto pelle. Non poté non compararli a quelli ferrei di Finnick. Subito scacciò il pensiero e rivolse un’occhiata alla sorella, ancora alla porta.
Ocean gli fece due pollici alti e le strizzò l’occhio con fare incoraggiante ed Annie prese un bel respiro, prima di avvicinarsi alla piazza in festa con Eliah.

 

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Capitolo 6
*** A te che vendi il corpo ad ore ***


EHI RAGAZZI!!
CHE RAPIDITA'! (':

LA MIA VITA FINISCE OGGI, PERCHE' HO SCOPERTO CHE L'ATTORE DI FINNICK è SPOSATO. 
.....
A PARTE GLI SCHERZI (PURTROPPO NON LO ERA) SONO CONTENTA CHE LA STORIA PIACCIA! E SONO CONTENTA DI RIUSCIRE A SCRIVERE COSI' SPESSO.. CI STO METTENDO ANIMA E CORPO! 
MI PIACE TROPPO!
SPERO LO TROVERETE INTERESSANTE! FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

(Nome del capitolo preso da una frase della canzone di Nek, Stanza 26) A pensarci è davvero una canzone adatta alla situazione! 

 

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

A te che vendi il corpo ad ore

 





Mags bussò alla sua porta e Finnick si morse la lingua per evitare di rispondere in malo modo alla donna che non aveva nessuna intenzione di andare alla Festa del Raccolto.
D'accordo, era uno degli invitati speciali, ma non riusciva a muoversi dal letto.
I muscoli gli dolevano come se migliaia di spilli infuocati gli si conficcassero ad intervalli regolari.
Quella notte non era stata una delle migliori della sua vita, ma ne aveva passate di peggio.
Kandra era una delle donne che lui chiamava dominatrici, perché provavano piacere a dirigere loro i giochi.
L'aveva accolto con addosso solamente l'intimo di pizzo nero, che non le stava nemmeno male, visto il corpo da modella che possedeva.
A rovinarla, i centinaia di tatuaggi sparsi per tutto il corpo, ognuno raffigurante una scena diversa dei precedenti Hunger Games, evidentemente quelle che l'avevano emozionata di più.
L'aveva portata alla gioia più e più volte ma lei chiedeva sempre di più.
Quando infine aveva preso lei le redini dei giochi, a Finnick non era bastato che rimanere inerte sul letto, gli occhi che vagavano sui tatuaggi impressi a vita sulla pelle della donna.
Sulla spalla sinistra, erano raffigurati due ragazzi durante un combattimento corpo a corpo. Se non si ricordava male, erano stati le perle dei giochi di due anni prima, nel quale la ragazza bionda, aveva pugnalato al petto il ragazzino dodicenne per poi affondargli la mano nella cassa toracica fino ad arrivare al cuore, che aveva letteralmente strappato.
Lungo tutto il braccio destro, invece, era stagliata l'esecuzione in piena regola di Malia, una ragazza di diciassette anni che lottò duramente contro il suo compagno di Distretto finché questo, dopo averla sopraffatta, le aveva tagliato la gola con una pietra appuntita.
Intorno al seno, come un serpente, erano raffigurate le varie scene di un duello tra altri due tributi.
Infine, su tutta la pancia, era tatuato Finnick che trafiggeva da parte a parte uno dei ventitré tributi con cui aveva avuto a che fare.
Quell'immagine lo accompagnò fino alla fine della nottata.
Quando finalmente Kandra gli aveva aperto il cuore, rivelandogli alcuni segreti davvero interessati, il ragazzo se n'era potuto andare, distrutto sia fisicamente che psicologicamente.
Quindi, quando Mags bussò alla sua porta, gemette.
“Arrivo” grugnì facendo leva sugli avambracci per alzarsi almeno a metà dal letto.
Si alzò lentamente, misurando ogni movimento per evitare di farsi più male del dovuto.
Si spostò fino all'armadio, pieno di camice e abiti eleganti. Optò per una camicia grigio slavato che chiuse fino all'ultimo bottone, dal momento che non aveva nessuna maglietta che coprisse i segni della nottata.
Srotolò pure le maniche, che solitamente teneva ingegnosamente sollevate per mostrare i muscoli delle braccia, in modo tale da evitare sguardi curiosi, soprattutto indagatori e severi da parte di Mags.
I pantaloni potevano essere anche corti, perché i segni non andavano più in giù delle cosce. Infine si spostò davanti allo specchio per sistemarsi e darsi qualche contegno.
Il viso non era proprio messo male, solamente sotto gli occhi si intravedevano due occhiaie lievi e uno zigomo, quello destro, era un po' più rosso del solito, colpa di Kandra.
Una solitaria lacrima gli inumidì un occhio verde.

 

Se le lacrime ti aiutassero, 
butteresti via il dolore che ora c'è, 
dentro di te

 

Si arruffò i capelli bronzei ricci e poi scese.
Mags lo aspettava sul divano e apparentemente non si accorse della sua presenza.
Quando però lui tossicchiò, la donna sollevò lo sguardo e lo fissò con gli occhi verdi ostili.
Finnick si sentì male. Lei sapeva cosa andava a fare a Capitol City. Per il momento era riuscito a tenerlo abbastanza segreto, ma le voci giravano e non sarebbe riuscito a nascondersi per sempre.

Dove vendi il corpo ad ore, 
dove amarsi non è amore, 

e sdraiandoti vai via da te. 


La donna si alzò e si passò uno scialle di seta attorno le spalle e si incamminò verso la porta, senza degnarlo più nemmeno di un'occhiata.
Il ragazzo sospirò e si affrettò ad aprirle la porta e successivamente a seguirla attraverso il Villaggio dei Vincitori.
Per tutto il tragitto, fino quasi all'inizio delle vie che avrebbero portato alla piazza, Mags non lo guardò. Anzi, faceva letteralmente finta che non esistesse.
Dopo qualche minuto di silenzio, Finnick scoppiò. “Non puoi fare così tutte le volte che succede!!” esclamò esausto.
Ancora la donna non fece cenni di sentirlo.
Le si piazzò davanti, col volto rosso. “Non mi puoi chiudere fuori dal mondo, non anche tu! Già l'ho fatto io, con me stesso, troppo tempo fa. Ho bisogno di qualcuno che mi conosca per quello che realmente sono. Non per quel.. quello schifo che mostro a Capitol City!”.

 

Dove incontri sempre un altro addio,
che ferisce il tuo bisogno d'affetto
in quel breve contatto, che non c'è

 

Mags lo fissò seria, ma nulla nel suo viso dava cenno di cedere alla preghiera del ragazzo.
“Tu pensi che io non sappia di essere disgustoso? Credi davvero che io non mi disprezzi? Che non mi ripugni quello che sono diventato?! Beh, ti sbagli. Non hai idea di quello che sto.. che provo quando mi trovo sotto ad un corpo che non conosco. E quando mi toccano.. con le loro mani..” la voce gli si ruppe e si stupì di sentire una lacrima scorrere sulla sua guancia “..mi sporco di qualcosa che non voglio essere. Fa male tutto..”.
Mags lo abbracciò come una madre e nonostante fosse nettamente più bassa del ragazzo, lo cullò al petto e gli accarezzò i capelli.
“Basta” gli sussurrò all'orecchio.

 

Come rondini, imprendibili
vanno liberi da un corpo stanco ormai, 
i pensieri che hai


I singhiozzi strozzati del ragazzo si acquietarono, finché non riacquistò il completo controllo delle proprie emozioni.
“Grazie” le disse con affetto.
Mags era l'unica persona che lo amasse davvero per quello che era. Sapeva che sotto quella maschera si nascondeva il vero Finnick Odair.
Fecero un ulteriore giro per le vie, anche se non lo dissero era per far calmare completamente il ragazzo e poi si avvicinarono alla piazza, dalla quale proveniva musica e voci.
“Ricordami ancora perché abbiamo accettato di partecipare” brontolò lui.
La donna sorrise e poi si toccò il cuore con una mano e lo indicò.
Perché ci tieni.
Finnick la guardò di sbieco. “Non direi. Avrei in agenda qualche migliaio di altre cose da fare diverse da queste, come per esempio dormire, dormire e dormire ancora” disse.
Mags alzò il sopracciglio, scettica.
Entrarono in piazza e, quando lo fecero, il volto di tutte le persone presenti si aprì in un sorriso cordiale e felice, e li accolsero calorosamente, scortandoli fino al loro tavolo, posto leggermente più in alto rispetto agli altri, su un rialzamento del terreno.
Si sedettero e aspettarono che il sindaco desse il benvenuto a tutti ed annunciasse l'inizio della cena.
Le portate furono ricche, rispetto al solito, piene di pesce, frutti di mare e verdure prodotte solamente dal Distretto 4.
Quella mattina, inoltre, erano arrivate tre ceste enormi contenenti prelibatezze dalla capitale e, anche se nessuno lo poteva sapere, erano stati i due mentori ad ordinarle, per rendere la serata ancora più allettante.
Mentre mangiava, Finnick ebbe modo di studiare a fondo i ragazzi del proprio Distretto, pensando amaramente che quattro giorni più tardi, due tra quelli sarebbero stati sorteggiati per andare nell'arena e, se non abbastanza preparati, morire.
Passò in rassegna diversi volti di ragazzi che aveva visto allenarsi spesso, molto promettenti.
In quel momento nessuno sembrava un potenziale assassino ma d'altro canto, nemmeno lui lo sembrava prima della mietitura e poi si era dimostrato spietato.
Alla fine di un tavolo verso al centro della piazza, Finnick scorse una testa bionda, con capelli corti, molto più alto rispetto ai suoi compari.
Pensò che quel ragazzo avrebbe avuto più probabilità di vincere a giudicare anche dai muscoli che guizzavano da sotto la maglia attillata.
Ciò che non si aspettava, però, fu di riconoscere all'istante la ragazza che sedeva esattamente di fianco al tipo.
Capelli ramati, sciolti a parte che per una ciocca, pelle delicata, occhi verde mare, labbra rosee e un sorriso bianchissimo.
Se quella era Annie Cresta, allora il giovane accanto a lei doveva essere Eliah.
Qualcosa gli si mosse in fondo allo stomaco e dovette concentrarsi per reprimere un conato di vomito. Il trauma della sera prima non gli era ancora passato.
La osservò incuriosito mentre rideva alla battuta di Eliah, portandosi la mano davanti alla bocca per non essere maleducata.
Si soffermò sui suoi occhi, che si riducevano ad una fessura esprimente gioia quando sorrideva. Sulle guance più rosse che si alzavano, sottolineando gli zigomi delicati.
Ad un certo punto il ragazzo disse qualcosa che la fece arrossire e scandalizzare, però qualcosa di divertente. La trasse a sé, circondandole le spalle con un braccio e la tenne lì, ridendo pure lui, per qualche secondo.
Poi Finnick fu quasi sollevato nel vedere che Annie si allontanava, seppur sorridendo.
Perchè quando lo faceva lui, la ragazza si ritraeva quasi con fastidio? Non gli sembrava di essere così antipatico né sgarbato.
Passò la sera ad innervosirsi per nulla e a rimuginare sui suoi comportamenti con Annie.
Infine, dopo l'ennesimo dolce, l'ennesimo semi-abbraccio da parte di Eliah e l'ennesimo conato, si alzò dal tavolo con la scusa di essere troppo pieno per star seduto e se ne andò dalla piazza, camminando verso la spiaggia dove, sapeva, avrebbe trovato un po' di calma.


Se ti affacci vedi il mare,
ricominci a respirare,
e ti perdi nella sua armonia
e hai il copraggio di andar via,
via da un mondo sporco che non vuoi.
Via da un bacio che non ha tenerezze,
che non sa di carezze.

E cammini lungo il mare,
nel suo lento respirare, 
tu sei parte di quel tutto ormai.



 

 

Annie non capiva come mai Odair non guardasse da un'altra parte della piazza.
Ormai era un'ora che, ad intervalli regolari, i suoi occhi verde mare, così simili ai suoi, cadevano al suo tavolo, ispezionandolo e fermandosi su lei ed Eliah.
Cercò di fare l'indifferente e di seguire i discorsi del suo accompagnatore.
Era davvero simpatico, ma mancava di qualcosa che non seppe spiegarsi.
Probabilmente Finnick la stava osservando perché trovava strano che anche lei uscisse con qualche ragazzo.
Che diritto aveva di pensarla in quel modo?! Lui poi! Andava a letto con persone a caso di Capitol City di cui, probabilmente non sapeva nemmeno il nome, e poi andava a farle la predica?!
Assurdo.
Si stupì nel ritrovarsi a pensare che, alla fine, l'idea di Finnick le stava rovinando la sera.
Si impose di non farci più caso e cercò di cenare in modo del tutto normale.
Quando però lo vide alzarsi e sparire per una via, il suo cervello iniziò a lavorare vorticosamente.
Dove sta andando? Da un'altra delle sue amiche di Capitol City?
Dopo qualche minuto che aveva sconnesso completamente il cervello da quello che le stava dicendo Eliah, si rese conto che era come un insulto al ragazzo se continuava a stare lì con lui senza prestargli ascolto.
“Eliah, devo andare un attimo a casa” mentì, alzandosi.
Lui la guardò con un sorriso e Annie si sentì un verme per avergli detto una tale bugia. In fin dei conti era stato così gentile con lei quella sera.
“Posso accompagnarti..?” chiese.
“No no. Non ce n'è bisogno, ma avrò bisogno di un attimo” rispose.
Lo vide annuire ed immergersi in una conversazione con un suo amico, proprio lì di fianco.
Sicura di non averlo abbandonato nella noia più totale, si avvicinò all'uscita imboccata da Finnick e si immerse nelle vie buie.
Mentre camminava si chiedeva mentalmente perché lo stesse facendo? Che le importava di Finnick Odair?!
Vuoi sapere il perché di tutto, le suggerì una vocetta nella sua testa.
Il perché del comportamento del ragazzo nei suoi confronti. Il perché delle sue scappatelle a Capitol City. Persino il perché di quella fuga dalla festa.
Eppure, dopo un minuto buono che proseguiva a passo spedito, non trovò nessuno.
“Pensa, Annie” si disse. Dove potrebbe mai andare Odair tutto da solo?
Si ricordò di due giorni prima, quando si era immerso con lei nell'acqua e aveva visto sul suo volto una gioia indescrivibile.
Certamente!
Finnick Odair era alla spiaggia.

 

Lo vide in piedi nella sabbia, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni che guardava il tramonto.
Con quella luce arancione caldo che gli accendeva di riflessi i capelli e il viso che risplendeva del colore delle nuvole rosee, Annie ammise a sé stessa che era davvero bellissimo.
Gli si avvicinò, affondando con i piedi nella sabbia ancora calda.
“Ehi!” chiamò.
Lo vide girarsi e fissarla con un'espressione sorpresa. Normale. D'altronde che cosa poteva volere Annie da lui?
“Che ci fai qui?” le chiese infatti, quando lo ebbe raggiunto.
La ragazza scrollò le spalle. Non poteva spiattellargli in faccia che esigeva delle risposte.
Al che Finnick fece spallucce e si voltò nuovamente verso il sole rosso, ignorandola completamente.
Senza un motivo apparente, Annie si irritò per il comportamento.
“Perché te ne sei andato?” gli domandò, un po' troppo brusca.
“Perché hai lasciato Eliah da solo?” fece lui di rimando.
La ragazza arrossì. “Non sono affari tuoi” scattò. “E poi non si risponde ad una domanda con un'altra domanda” concluse.
“Ci sono delle domande a cui semplicemente non si vuole rispondere” disse Finnick, ancora dandole le spalle.
“Sono così terribili?” domandò lei con una punta di sarcasmo. Il ragazzo non rispose.
Annie era arrabbiata, ma con chi? Con lui? Con lei? Con Eliah?!
Decise egoisticamente che voleva essere guardata mentre gli parlava, quindi gli afferrò il braccio e fece per voltarlo.
Nel farlo, però, il suo indice rimase incastrato in un piccolo buco su una manica del ragazzo e il gesto troppo brusco portò alla rottura del tessuto.
“Oddio!” esclamò dispiaciuta.
Glielo scostò, per controllare il danno, ma nel farlo, s'imbatté nella vista della pelle del ragazzo.
O avrebbe dovuto dire, quello che rimaneva della pelle del ragazzo.
Il braccio scoperto dal tessuto era completamente graffiato, tagliato, livido e gonfio, come se qualcuno lo avesse tagliuzzato con un coltello, picchiato e alla fine uno sciame d'api l'avesse punto.
“Finnick ma che cosa..?!” domandò spaventata.
Il ragazzo, che non si era accorto di nulla, fissò Annie con gli occhi sbarrati, poi la sua pelle ed infine di nuovo Annie.
Se lo coprì con foga fino a far sparire del tutto il braccio dalla vista di lei.
“Non è nulla” rispose.
Annie gli si piazzò davanti. “Non è vero che non è nulla” esclamò. “Tu hai.. qualcosa sul braccio che..”
“Non è niente!” gridò Finnick superandola.
Ma la ragazza non si diede per vinto. Qualcosa le si era smosso nel petto alla vista della pelle martoriata del giovane. Preoccupazione?
Gli corse dietro, lo anticipò e gli poggiò le mani sul petto per fermarlo, ma appena l'ebbe fatto, Finnick gemette di nuovo.
A quel punto, una verità nauseabonda si fece strada tra la mente di Annie.
“Apriti la camicia” ordinò perentoria.
Il ragazzo la guardò un attimo, per capire se avrebbe avuto qualche possibilità di aggirarla. Ma lo guardo di Annie era duro, quindi fece quello che gli era stato detto.
Partì dal primo bottone e, man mano che la camicia si allargava, scoprendogli il petto scolpito e martoriato, il colore dalla pelle della ragazza si faceva via via più tenue.
Davanti a lei, stava in piedi un Finnick Odair completamente livido.

 

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Capitolo 7
*** Un "grazie" al tramonto ***


CIAO RAGAZZI! 
AAAAHHH UN ALTRO CAPITOLO! :)
DOMANI HO LA VERIFICA DI TEDESCO, QUINDI SE PRENDERO' UN BRUTTO VOTO, MI GIUSTIFICHERO' DICENDO CHE SONO RIMASTA TROPPO IMPEGNATA A SCRIVERE PER VOI, PERCHE' VI VOGLIO TROOOOPPO BENE!! :D
BEH, PRIMA DI TUTTO VORREI RINGRAZIARE OGNUNO DI VOI: CHI LEGGE, CHI LEGGE E RECENSISCE E CHI LEGGE, RECENSISCE E POI CI PENSA SU ANCHE DOPO. 

MI FATE VENIRE LA VOGLIA DI SCRIVERE ANCORA E ANCORA E ANCORA...
OKEY, ABBIAMO LASCIATO UN FINNICK LIVIDO E UN'ANNIE SCONVOLTA!
CHE ASPETTATE A LEGGERE?!!!

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE. 

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
 
Un grazie al tramonto



Il petto di Finnick era di un colore rosso malsano nella fascia dei pettorali. Mano a mano che si scendeva verso il basso, la pelle iniziava ad assumere sfumature violacee e, in certi punti, anche verdognole.
Nella zona sopra le costole inoltre era gonfia, come se lo avessero usato come punchingball per delle ore intere.
Sul fianco destro era impresso un livido molto simile a quello che potevano lasciare delle dita quando stringevano con foga.
Il collo, miracolosamente salvo, presentava solo lievissime chiazze più scure.
Ma la cosa che fece rabbrividire Annie, nonostante tutto ciò l'aveva letteralmente nauseata, erano i graffi che solcavano la pelle abbronzata del ragazzo: lunghi e profondi squarci che si diramavano in ogni direzione, dallo sterno fino al ventre e probabilmente proseguivano anche sotto i pantaloni.
Intorno ai segni rossi, curati malamente, si erano iniziate a formare sottili crosticine,   che si sarebbero presto infettate se non fossero state pulite bene.
Annie, come stregata da quei graffi animaleschi, allungò la mano lentamente, con il polpastrello a qualche millimetro dalla pelle, iniziò a ripassare le direzioni che assumevano.
Arrivata all'altezza del cuore, dove si trovava il livido più grosso e scuro, posò la mano delicatamente.
A quel contatto, Finnick si ritrasse rabbrividendo. Era qualcosa di insopportabile sentire le mani di qualcuno che lo accarezzavano e si appoggiavano su di lui come quelle delle donne di Capitol City.
A parte Mags, non si faceva sfiorare da nessuno, perché ogni singolo contato significava un conato e una sensazione terribile che lo avrebbe accompagnato fino al giorno dopo.
La ragazza, d'altro canto, alzò di scatto gli occhi sul suo volto, spalancandoli e
temendo di avergli fatto male. 
Appena aveva visto la condizione pietosa del petto di Finnick, si era dimenticata di tutto; della festa, di Eliah. Persino il pensiero assiduo della mietitura era diventato qualcosa di lontano e sfuocato a confronto di ciò che aveva davanti.
Non era una ragazza stupida, quindi non le ci volle molto per fare due più due, ma c'era qualcosa nel suo cervello che le impediva di arrivare alla conclusione.
Ci doveva essere un'altra spiegazione. Non era possibile che davvero..
“Scusami” gli disse, ritraendo la mano, intimorita.
Non voleva che lui la paragonasse alle donne di Capitol City. Primo perché l'idea la ripugnava, secondo perché lei non gli avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Il pensiero la turbò.
Non avrebbe mai voluto il male di Finnick.. in fondo sapeva chi era in realtà: un ragazzo buono, gentile ma impaurito dal vero mondo.
Fissò i suoi occhi verde mare, così simili ai suoi.
Quella volta non si limitò a studiare solo quella parte di viso, ma proseguì, incontrando un naso perfettamente dritto e, se ci si faceva attenzione, anche cosparso di minuscole e leggerissime efelidi chiare.
Scese alle labbra, piene e rosee.
Calde, avrebbe detto se qualcuno le avesse chiesto di descriverle.
Infine, la sua analisi terminò sul suo zigomo, più rosso, segno di un livido appena marcato.
Presa da un desiderio irrefrenabile di sfiorare quella pelle bollente per attenuare il dolore e dimentica della reazione precedente, accarezzò l'ematoma con le dita, delicatamente.
Il ragazzo le bloccò il polso con un gesto fulmineo ed altrettanto rapidamente serrò gli occhi, con un'espressione sofferente in volto.
“Non..” disse tra i denti.
Annie capì che stava facendo il possibile per non urlarle contro o per non attaccarla, quindi si fece piccola piccola e non oppose resistenza.
“Scusami!” esclamò desolata.
Involontariamente gli occhi le si riempirono di lacrime. Forse fu quello a bloccare Finnick.
La guardò incerto, quasi stupito.
Non si aspettava una reazione del genere, era ovvio.
Buttò fuori l'aria dai polmoni lentamente e poi, sempre tenendo gli occhi su quelli di Annie, le posò la mano sul suo petto.
Era sconcertata e meravigliata per il fatto che Finnick le avesse permesso di toccarlo.
La ragazza sentì i brividi che percorrevano la pelle, seppur bollente, del ragazzo e quelli che le correvano lungo la spina dorsale si unirono ai suoi, creando una scarica unica.
La mano che le bloccava il polso si allargò e la liberò, così Annie fu libera di muovere di pochissimo i palmi.
Seguì, ora a contatto con la pelle del ragazzo, tutte le strisce rosse e disegnò i contorni di ogni livido, come creando con quell'abominio di crudeltà, un disegno astratto.
Sentì il gonfiore della pelle, le pulsazioni dei graffi ed infine, il battito frenetico del cuore del ragazzo.
Le infondeva una sensazione di pace, di calma. Sentire che, nel corpo di un ragazzo così sfruttato e ormai inerme al mondo, ci fosse ancora qualcosa che vivesse di vita propria era bello.
Le sue mani salirono il collo e andarono a cercare il livido sullo zigomo. Dopodiché, intrappolarono il volto di Finnick, costringendolo a guardarla.
Il ragazzo, grande e grosso ma in realtà ancora eterno quattordicenne ed indifeso, la fissò senza fiatare, incantato dalla forza degli occhi verdi di Annie e attirato dalla preoccupazione che emanavano.
“Cosa ti hanno fatto?” gli chiese.
Non poteva dirglielo. Come avrebbe avuto il coraggio di guardarla ancora in faccia, sapendo che lei era a conoscenza del lato peggiore di sé.
Scosse la testa. “Senti Annie..” iniziò.
“No, Finnick, ascoltami tu! Questo non è niente. Tutto questo è grave! Ti hanno picchiato?” domandò, ancora tenendogli il volto tra le mani.
Un sorriso sghembo, ma che non arrivò agli occhi, si stiracchiò sul volto del ragazzo.
“Picchiato direi proprio di no” replicò.
In effetti per Kandra quel genere di intrattenimento non poteva essere paragonato ad una violenza.
Le scostò le mani dal viso, senza però lasciargliele andare.
Era una cosa naturale per entrambi. Nessuno dei due si sentiva minimamente imbarazzato o a disagio per quell’intimità che si era creata in pochi minuti.
Finnick ancora riusciva a sentire il tocco delicato delle mani di Annie sulla sua pelle.
“Non è giusto quello che ti fa” mormorò la ragazza, con un groppo in gola.
Era così scorretto quello che aveva passato Finnick che le veniva da piangere. Si sentiva male ed era come se sentisse sulle spalle tutto il peso di quell’azione disgustosa.
Finnick distolse lo sguardo dal suo, fissando il mare.
Ormai il sole era tramontato, ma ancora in lontananza, si stagliava una strisciolina rosso fuoco.
Doveva dirle la verità? Tanto non avrebbe avuto nulla da perdere. Ci aveva già rimesso tutto.
Fece per risponderle, quando Annie si scostò da lui. “Quei.. graffi vanno curati, se no rischieranno di fare infezione” disse seria. “Se mi aspetti vado a casa e prendo qualcosa”
“Ma non c’è problema. Posso benissimo..” tentò lui. Il pensiero di dirle tutto fece marcia indietro e si rintanò dentro di lui, nel profondo, nascondendosi e mimetizzandosi perfettamente con altri sentimenti.
Annie però lo zittì alzando un dito. “Non accetto no come risposta. Quindi stai qui buono”.
Il legame che si era formato tra di loro si ruppe appena le mani si staccarono, lasciando ad ognuno dei due un vuoto dentro.
Annie se ne andò in fretta, avviandosi verso casa che non distava più di due minuti a piedi.
Era ancora scossa, ma nel profondo sentiva un’energia che la rigenerava e la teneva più viva che mai.
Stava facendo qualcosa di buono per Finnick Odair. Non il Finnick presuntuoso che conoscevano tutti, ma quello gentile e dolce che vedeva solo lei.
Una parte del suo cervello pensò che Eliah ancora l’aspettava in piazza. Non aveva né tempo né voglia di tornare. Le dispiacque, in fondo era un bravo ragazzo.
Aveva scelto la serata sbagliata.
 
 
Finnick si lasciò cadere sulla sabbia, affondando le mani nei capelli biondi.
Non era riuscito a dire ad Annie tutta la verità. Ora probabilmente lo vedeva come un pulcino bagnato, violentato da una donna di Capitol City.
Come avrebbe fatto a dirle che, in realtà, lui andava da loro di sua volontà? Magari un po’ obbligato, ma ci aveva fatto l’abitudine.
Se la ragazza avesse saputo tutta la storia, probabilmente non gli avrebbe mai più rivolto la parola e avrebbe avuto ragione!
Come si faceva a guardare una persona in faccia dopo essere entrati a conoscenza del fatto che si vendeva alle persone in cambio di segreti?
Perché era questo che Finnick chiedeva a coloro che sfruttavano del suo tempo.
Segreti.
Il ragazzo sapeva bene che una delle armi più letali non era una spada, un tridente d’oro e nemmeno una pistola. Bensì l’essere a conoscenza di qualcosa che poteva distruggere l’intera vita di un altro.
Ne aveva così tanti in testa che, ad occhio e croce, avrebbe potuto far andare in bancarotta, se non in totale rovina, una buona parte di Capitol City.
Si guardò il petto.
Solitamente non si curava, per far si che ogni volta che si guardasse, ricordasse a sé stesso lo schifo che si faceva. Inizialmente aveva pensato che, in quel modo, avrebbe potuto smettere.
Invece era diventata routine, quasi pigrizia.
Dopo una nottata tornava a casa e si buttava a letto, incurante del dolore e del sangue.
Il giorno dopo si lavava senza però curarsi sperando, magari, che se la notte dopo avesse dovuto prestare il corpo ad una qualsiasi altra persona, questa ne sarebbe rimasta impietosita. Succedeva di rado, quasi mai.
Pensò ad Annie, che aveva pianto per i suoi lividi.
Era stata una reazione che l’aveva scioccato.
La ragazza non aveva pianto per eccitazione, per pietà o per un altro sentimento che gli riservavano le persone della capitale.
No, lei aveva pianto per tristezza. Aveva letto nei suoi occhi l’angoscia nel vederlo ridotto in quello stato.
La ragazza cocciuta, testarda, non incline a cedere alle sue avance, era corsa a casa per procurarsi qualcosa per guarirlo.
Sorrise nel tenue chiarore del sole appena tramontato.
 
Si accorse dei passi di Annie dietro di lui, ma non si voltò.
Rimase con lo sguardo fisso sul cielo ancora chiaro.
Nonostante il cole fosse tramontato, si vedeva perfettamente, senza bisogno di qualsiasi luce.
Inoltre faceva caldo. Uno dei periodi più caldi negli ultimi dieci anni, avevano detto.
La ragazza gli si sedette di fianco con un sorriso gentile.
In una borsa a tracolla marrone, con piccole frangette e perline che sbatacchiavano di qua e di là, erano stipati degli oli curativi, una bottiglia vuota e una garza.
“Spero di aver preso tutto” gli disse, estraendo tutto il contenuto e adagiandolo su un panno, per non farlo venire a contatto con i granelli di arenaria.
Si avvicinò al mare e riempì la bottiglietta con l’acqua.
Finnick la guardò interrogativo.
”L’acqua salata disinfetta e cicatrizza” spiegò lei. “Togliti la camicia”.
Lui fece come le era stato detto e osservò attentamente il volto della ragazza, per scorgere un qualsiasi sentimento.
A parte la concentrazione, non trapelava nulla.
Sentì l’acqua tiepida scorrergli sul petto e dopo un millesimo di secondi, fu come se mille Aghi Inseguitori li avessero punto in contemporanea.
Balzò in piedi, rovesciando il tutto sul terreno.
”Ehi!!” protestò Annie, allargando le braccia.
“Brucia!” si lamentò, toccandosi quel poco di pelle che era stata a contatto col sale.
La ragazza fece un’espressione scocciata “Certo che brucia, scemo! È normale” spiegò pazientemente.
“E’ barbaro!!” brontolò, guardandola truce.
Annie sbuffò divertita. “Ma quanto la meni? Vuoi che ti passino in fretta?!” chiese, alzando un sopracciglio.
Finnick fece finta di ragionarci un po’. Allora esibì un sorrisone e si stiracchiò con nonchalance, mettendo in evidenza i muscoli.
“Se sei tu l’infermiera..”
“Che scemo”
Provarono ancora tre volte, ma appena una minuscola goccia sfiorava la pelle del ragazzo, questo saltava per aria, urlando come un forsennato.
Pensò che se lo meritava, in fin dei conti.
Al che, Annie si sedette a gambe incrociate, esausta. “Sei pessimo, Odair” gli disse.
Lui scrollò le spalle. “Lo so”
“Se vuoi davvero che si disinfettino e puliscano, devi lavarle. Ma non ce la faccio a bagnartele con un centilitro di acqua e sprecarne tutto il resto a terra. Ora tu entri nel mare e ti sciacqui” disse.
“Stai scherzano?!” fece lui, allibito.
“Assolutamente no! Sei tu quello che ha vinto gli Hunger Games cinque anni fa! Non credo che un po’ d’acqua possa metterti ko”
Finnick pensò che era stato più semplice scappare da uno stormo di gabbiani carnivori e famelici che farsi detergere.
Ma non poteva fare la figura della donnicciola quindi si alzò e mugugnando qualcosa entrò nell’acqua, fortunatamente ancora calda.
Solo per le proteste di Annie non si tolse i calzoni, ma questo non lo aiutò a parare l’acqua; il bruciore gli attanagliò le gambe.
Serrò i denti e si immerse fino alla vita.
“Basta, non ce la faccio” ammise.
Dal ventre in su partivano così tante diramazioni che sarebbe potuto morire sul colpo se le avesse immerse tutte contemporaneamente.
Annie si alzò dalla spiaggia e gli si avvicinò.
”Aspetta” disse “ti aiuto io”.
Camminò nell’acqua sicura, ma aveva appena il mare a metà polpaccio che lui la fermò.
“Ma non ti rovini il vestito?” le chiese.
Aveva sentito da qualche parte che l’acqua di mare aveva un brutto effetto sulla seta.
La ragazza storse le labbra in una smorfia meditabonda, poi uscì e si tolse l’abito.
Finnick rimase a bocca aperta, primo perché non si aspettava che lo prendesse alla lettera e secondo perché gli era rimasta davanti in intimo.
Lei non sembrò curarsene. Infatti dopo un attimo si infilò la camicia che lui si era tolto per farle controllare i tagli e se l’abbottonò, in modo tale che la coprisse strategicamente proprio qualche centimetro sotto le mutandine.
“Non ti dispiace, vero?”
Al momento, il biondo non capì a che cosa si stesse riferendo. Certo che gli dispiaceva che si fosse coperta!!
Ma forse non era riferita a quella, la domanda.
Scosse il capo ed Annie lo raggiunse.
Se l’acqua a lui arrivava pressappoco al ventre, lei era immersa già fino all’ombelico.
“Girati, inizio dalla schiena” lo informò.
Obbedì senza fiatare e per i seguenti minuti cercò di non emettere nessun gemito mentre l’acqua gli scorreva come fuoco sulle ferite.
Alla fine si accorse che non gli faceva più male. Capirono che era ora di passare al petto.
Notò un’incertezza sul volto di Annie e sorrise sotto i baffi. “Se vuoi faccio io” le disse e provò a sciacquarsi un taglio all’altezza del bacino.
Era così in sintonia col suo corpo che la sua mano a coppa, contenente l’acqua, si rovesciò ancora prima di arrivare sulla pelle.
Ridacchiò. “Non sono masochista” commentò.
Annie fece una smorfia divertita e iniziò a bagnarlo, molto lentamente.
Sul fronte era molto più sfregiato e doveva davvero far male perché molte volte dovettero fermarsi.
Poi ricominciarono.
Annie cercava di concentrarsi su quello che stava facendo e non sul Finnick mezzo nudo e bagnato che aveva davanti.
Passò piano la mano sulla ferita sullo sterno, che procurò un leggero spasmo nel ragazzo, che si contenne piuttosto dignitosamente.
Infine, con una piccola quantità d’acqua salata, bagnò il graffio all’altezza del cuore. Si dedicò con più attenzione a quel taglio.
Non sapeva il perché, ma lo stare proprio sopra al cuore la spingeva a curarlo meglio.
Improvvisamente una mano calda di Finnick si sovrappose alla sua ed Annie smise di disinfettarlo, alzando lo sguardo.
Era più buio, ma comunque riusciva a vedergli gli occhi brillare.
“Grazie Annie” le disse serio.
Sotto il palmo sentiva i battiti del cuore vigorosi del ragazzo. Non erano più affannati, veloci come prima.
Ora pompavano lenti, rassicuranti, caldi. Come i suoi occhi, che la scrutavano incuriositi da questa sua nuova faccia.
La ragazza si lasciò andare in un sorriso. “Prego” rispose in un soffio. Poi, spinta da un istinto del tutto irrazionale, che l’aveva accompagnata dal momento in cui si era alzata dal tavolo in piazza per seguirlo, lo abbracciò.
Non fu un abbraccio strappalacrime, romantico e sentimentale.
Solamente.. un abbraccio tra due persone che, quella sera, avevano condiviso qualcosa di più.
Era una stretta nella quale si ringraziavano a vicenda.
 
Grazie Finnick per avermi dimostrato che non sei il ragazzo che tutti pensano. Grazie per esserti fidato di me e per avermi fatto capire che c’è sempre dell’altro.
 

Grazie Annie per ogni cosa. 

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Capitolo 8
*** Sessione di combattimento ***


HOLA GUYS!! 
SARETE CONTENTI NEL SAPERE CHE LA VERIFICA è ANDATA BENE DAI! 
PURTROPPO DOMANI HO QUELLA DI FISICA.. DELLA SERIE: SE NON MI SONO ANCORA BUTTATA GIU' DALLA FINESTRA ERA SOLO PER FINIRE QUESTO CAPITOLO!
COME PROMESSO, HO POSTATO IL NUOVO ENTRO DUE GIORNI! 
VI GIURO, NON VEDO L'ORA DI ARRIVARE ALLA MIETITURA! :D ....SONO UNA SADICA D: AIUTO
BEH, LEGGETE E COMMENTATE! SPERO CHE VI PIACCIA! <3

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 
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Sessione di combattimento





I due giorni dopo quella sera furono normalissimi, frammentati solamente dalle visite di Finnick a casa della ragazza e dalle loro uscite nel Distretto, solamente la sera.
Lui passava per farsi vedere le ferite, anche se entrambi sapevano che non era solo per quello; Mags sarebbe stata capacissima di guarirle con l'uso di qualche medicinale proveniente da Capitol City, ma il ragazzo usava qualsiasi momento libero per andare da Annie, in quanto il lunedì successivo si sarebbe svolta la mietitura e i due si sarebbero dovuti dividere per un anno intero, fino alla settimana precedente alla seguente mietitura.
Con Annie si sentiva libero, poteva essere il Finnick Odair che era stato prima degli Hunger Games.
Le parlava di qualsiasi cosa e lei ascoltava interessata, rispondeva e si apriva, raccontandogli cose che non aveva mai detto a nessuno.
La mattina di sabato Annie avrebbe avuto il turno di lavoro dalle undici alle sette di sera, ma era uso, per i Favoriti del Distretto 4, di spendere almeno due ore e mezza del sabato prima della mietitura, per allenarsi in una qualsiasi disciplina combattiva. 
Non prestò molta attenzione al rumore che veniva da sotto, ma quando si sentì chiaramente il suono di qualcosa che si rompeva, sbuffò e si alzò di scatto, maledicendo mentalmente sua sorella e la sua maldestria.
Era convintissima che lo stesse facendo apposta per farla irritare.
Andando ancora a scuola, Ocean non aveva lezioni al sabato e poteva fare quello che voleva tutto il giorno.
“Ocean! Che diavolo..?!!” urlò entrando in cucina.
Avrebbe voluto non averlo mai fatto.
La sorella era seduta sul tavolo avvinghiata a Euer, un ragazzo dell'età di Annie, che la teneva stretta tra le braccia.
Si stavano baciando, non con molta dolcezza. Anzi, sembrava proprio che non avessero altro tempo per farlo.
Appena la ragazza entrò nel locale, i due si staccarono di botto, lei impallidendo e lui arrossendo furiosamente.
Ma la reazione peggiore fu quella della sorella che, assolutamente traumatizzata, resto a bocca aperta e, alzando le mani davanti a sé, fece retro-front allontanandosi nel corridoio.
Okey. Respira.
A volte si dimenticava che Ocean aveva quindici anni e quindi era liberissima di farsi una vita sentimentale.
Ma rimaneva sempre la sua sorellina e averla colta mentre pomiciava col suo ragazzo, era troppo anche per Annie.
“Annie!” la chiamò Ocean rincorrendola.
Vederla con metà maglietta alzata e i capelli in disordine fece scandalizzare l’altra. Avrebbe tanto voluto prendere a pungi Euer, ma in realtà il ragazzo le stava davvero simpatico, quindi sarebbe stato controproducente.
“Prometti di non dirlo alla mamma” la supplicò Ocean, sistemandosi.
“Tanto lo sa che state insieme” rispose Annie non guardandola.
“Si ma non sa che noi.. che facciamo..” balbettò, rossa in viso.
Anche la sorella avvampò e le tappò la bocca. “Okey ho capito! Non ripetermelo” la pregò.
Poi rabbrividì.
Ocean la guardò male. “Ma ti prego! Smettila.. è normale. Non mi scandalizzerei se mi dicessi che tu e Finnick..” frecciò, con un’occhiata furbetta.
“Io e Finnick cosa?” domandò Annie esterrefatta.
Non pensava che davvero lei e il ragazzo stessero insieme!!?
”Perché tu e lui non..?!!” esclamò Ocean.
“NO! NO! Assolutamente NO!” ribatté Annie rossa in volto.
Ci mancava altro che si sarebbe innamorata di uno come lui!
Euer fece capolino dalla cucina, ancora un po’ imbarazzato. “Ehi Annie” la salutò, passandosi una mano nei capelli.
Lei lo salutò con un sorrisone.
Euer era un ragazzo d’oro, l’angelo del Distretto 4.
Annie era davvero contenta che Ocean si fosse innamorata di lui, e che il ragazzo ricambiasse.
Aveva l’età di Annie ma non lavorava alla Piattaforma. Aiutava sua madre, una maestra della scuola, con i ragazzi.
Era lì che aveva conosciuto Ocean.
All’inizio le faceva solamente alcune ripetizioni, dato che la ragazzina aveva la testa dura come il marmo. Poi, piano piano, avevano incominciato ad uscire e mancava loro davvero poco per fare un anno.
All’inizio Annie era stata un po’ restia. Non le andava che la sorella uscisse con qualcuno più grande di due anni. Inoltre, quando si erano messi insieme lei aveva ancora quattordici anni!
Poi però, aveva capito quanto buono fosse Euer e l’aveva accolto come parte della famiglia a braccia aperte.
Era un ragazzo alto più di lei, moro, con gli occhi azzurri come il cielo in primavera.
La carnagione abbronzata rivelava quanto fosse amante del mare e quanto tempo passasse in spiaggia, quando la scuola lo permetteva.
La cosa più affascinante di Euer, però, erano le mani. Non sapeva perché, ma Annie era rimasta colpita da quelle due mani grandi e calde.
“Beh, io allora.. vado” disse, indicando la porta.
Rivolse alla sorella un’occhiata di ammonimento, che aveva tutta l’aria di significare Non fate idiozie.
Vide appena il ghigno sul volto della sorella e poi uscì.
Dato che aveva sei ore di lavoro continuo, per bilanciare con le sessioni di combattimento al pomeriggio, si affrettò a prendere posto sulla Piattaforma, in cerca di perle.
 
 
 
 
 
 
“Ma ciao bella sirenetta”.
La voce di Finnick la fece voltare, mentre si strizzava i capelli, appena uscita dall’acqua.
Era stato abbastanza faticoso; aveva i muscoli delle gambe che andavano a fuoco e le spalle che le dolevano.
“Ciao Finnick” risposte, senza guardarlo.
Lui le passò un asciugamano sulle spalle e le frizionò bene, sballottandola a destra e a manca, come un burattino.
”Ehi!!” protestò ridacchiando.
Non c’era nulla di divertente, ma una strana euforia l’aveva impossessata e in quel momento le stava permettendo di farsi sbatacchiare dal ragazzo.
“Fermati, o vomito” esclamò ridendo.
Finnick fece come gli era stato detto, con un ghignò sulle labbra.
“Giornata dura?” le chiese.
Si girò, abbastanza restio, per permetterle di cambiarsi e si sorprese a trovarla con indosso una canottiera bianca, dei pantaloni neri elastici e degli scarponcini scuri.
“Ho le sessioni di combattimento” spiegò lei, allacciandosi la cintura.
Essendo i suoi occhi rivolti verso il basso, non si accorse dell’espressione preoccupata del ragazzo.
La mietitura era vicina e Annie aveva la stessa possibilità di essere estratta di qualsiasi altra persona lì nel Distretto.
Si ricordava perfettamente ciò che aveva provato quando Milly Botuline –il nome, tra l’altro le si addiceva davvero molto- aveva pronunciato il suo nome davanti a tutti.
All’inizio aveva provato un vuoto all’altezza dello stomaco.
Oh mio Dio. Ha detto davvero il mio nome, aveva pensato, fissando gli altri ragazzi intorno a lui.
Successivamente la calma era scesa sul suo corpo come un liquido rinfrescante.
Aveva guardato sua mamma, che lo scrutava spaventata e le aveva sorriso.
Era malata, lo sapevano entrambi.
Quanto le sarebbe rimasto da vivere? Un mese? Due?
Non gli importava ciò che avrebbe dovuto affrontare; lui sarebbe tornato perché aveva voglia di vivere e doveva curare sua madre.
Con i soldi della vincita, avrebbe trovato un rimedio per il male che attanagliava il cervello della donna a cui teneva più al mondo.
Invece lei era morta, il giorno prima che venisse incoronato vincitore.
Glielo comunicarono dopo che si fu ripreso, a Capitol City.
Aveva colpito uno specchio, ripetutamente, facendosi sanguinare le nocche.
Era furioso. “Dovevo vincere per lei!!” aveva urlato “Avrei preferito morire!!!”.
Guardando Annie, invece, non vedeva una ragazza disposta a uccidere per salvarsi la vita.
Non avrebbe mai fatto male a nessuno e glielo aveva dimostrato due giorni prima, quando gli aveva medicato le ferite.
Annie Cresta era una ragazza una ragazza che cercava le perle, non un’assassina.
Era pura, splendente, innocua.
“Ti accompagno, così ti mostro quanto sono bravo” si vantò, gonfiando il petto.
“Ma smettila! Scommetto che riesco a batterti” rispose lei, guardandolo di sbieco, con una luce malandrina negli occhi verdi.
Finnick dubitava fortemente nell’affermazione della ragazza, ma comunque finse di stare al gioco.
Le tese la mano per suggellare la scommessa.
La mano di Annie si chiuse sulla sua, decisa e insieme si diressero verso il campo allenamenti.
 
Non era una zona molto tranquilla.
Era sempre popolata da tantissimi ragazzi che si allenavano dalla mattina alla sera in ogni tipo di combattimento: spada, tiro con l’arco, lancia, pugnali, pesi, corpo a corpo.
Non erano solamente ragazzi, come ci si poteva aspettare.
Molte ragazze, alcune anche grandi amiche di Annie, si battevano con una grinta sorprendente.
Quando arrivarono, quasi nessuno si voltò verso di loro a vociferare. Ormai la notizia di Annie e Finnick, seppur non vera, era diventata soggetto di pettegolezzi appena sussurrati. Sempre in vigore, ma più tenue.
“Allora, da cosa vuoi partire? Collanine di margherite? Cupcakes? Spazzolare i cani?” la sbeffeggiò Finnick.
Annie gli riservò un’occhiata truce e si avvicinò al settore dei pugnali.
Nonostante non si fosse mai allenata duramente come altri, durante la scuola aveva seguito con vigore le lezioni obbligatorie, con un solo pensiero in testa: se mai l’avessero scelta per gli Hunger Games, allora avrebbe fatto il possibile per tornare. Non poteva lasciare Ocean da sola.
Odair la guardò divertito.
Aveva capito che l’orgoglio della ragazza superava di gran lunga la sua razionalità, ma seriamente, cosa credeva di ottenere?
Annie soppesò dei coltelli, passandoseli da una mano all’altra con dimestichezza.
Erano abbastanza maneggevoli per coprire una distanza di lancio di quasi dieci metri? Probabile, ma non ne era del tutto sicura.
Fissò il bersaglio in lontananza, successivamente Finnick, lanciandogli uno sguardo altezzoso.
Guarda e impara, dicevano i suoi occhi.
Lui ghignò, preparandosi allo spettacolo.
La ragazza si preparò al lanciò, tirò indietro il braccio e guardò l’obiettivo.
Dato che non era certa che il pugnale avrebbe sopportato una distanza tale con una normale forza, decise di aggiungerne altra, solo per essere completamente sicura che sarebbe andato a buon fine.
Con un movimento fulmineo, fece scattare il braccio avanti e il pugnale si conficcò fino all’elsa nel cerchio rosso del bersaglio.
Esultò dentro di sé come una pazza, felicissima di aver fatto capire a Finnick che non era una stupida che sapeva solo nuotare.
Si voltò e si compiacque nel vedere un’espressione sconcertata sul volto tanto bello del ragazzo.
Gli di avvicinò, col mento alzato.
Quando gli fu praticamente ad un filo dalle labbra, sussurrò: “Sai fare di meglio, Odair?”.
Passarono le due ore successive a provare qualsiasi cosa, dalle spade alle asce, a volte con risultati strepitosi, altri invece che finivano con loro due a terra, in preda alle risate.
Alla fine decisero di darsi anche alla lotta libera, senza colpirsi veramente, ma mettendosi in difficoltà.
Finnick era alto, forte e aveva una tecnica incredibile. D’altro canto, Annie era piccola, veloce e agile, cosa che li rendeva quasi allo stesso livello, anche se la ragazza, per tutta la giornata, aveva continuato a pensare che lui la stesse lasciando vincere.
Finnick fece un affondo con un braccio, indirizzato alle costole di lei che si scansò con un balzo felino. Gli girò intorno velocemente, piegandosi a terra e facendo roteare una gamba, puntando alle caviglie di lui, per farlo cadere.
Ma il ragazzo non era uno sprovveduto e saltò un attimo prima che la sua caviglia si potesse infrangere su quella di lui.
Finnick, accucciato, afferrò un piede di Annie, facendole perdere l’equilibrio e facendola cadere.
Prontamente però lei scansò la mano con un agile colpo di reni e ruotò su sé stessa. Facendolo, il suo piede si scontrò con il polpaccio di Finnick e cadde sopra di lui, rovinosamente.
Scoppiarono a ridere, sudati e stanchi.
Annie si puntellò sulle mani, sollevandosi quel che bastava per riuscire a guardarlo negli occhi.
“Allora?” ansimò sorridendo “direi che ho vinto io”.
Il ragazzo si scandalizzò. “Ma nemmeno per sogno!! Io ti ho battuta ad arrampicata, nei nodi e con il tridente” riepilogò, ancora rimanendo sdraiato.
“Okey, ma io ti ho superato nelle spade, nei coltelli, nell’arco e ora” ribatté.
“Ora?! Guardaci! Ti pare che tu mi abbia battuto?” esclamò.
In effetti, solo in quel momento la ragazza si accorse della loro posizione. Abbastanza equivoca per qualcuno che li stava guardando.
Avvampò e fece per scostarsi, ma le mani grandi di lui l’avvolsero completamente.
“Ma che stai..?” iniziò, ma scoppiò a ridere come una folle.
Finnick aveva incominciato a farle il solletico sui fianchi ed era una cosa a cui lei non sapeva resistere.
“Bastaa!!” strillò con le lacrime agli occhi.
Anche il ragazzo rideva. L’aveva fatto solamente per impedirle di scostarsi, ma si stava sbellicando a vederla in quello stato.
“Ammetti che ho vinto io” la ricattò.
Annie ululò, sghignazzando. “Maii!!”
“Allora continuerò finché non lo dirai!” disse deciso lui, pizzicandola ovunque.
“Ti prego!!!” supplicò, piangendo dal tanto ridere. “Per favore!! AHAHAHAHAH”
“Dillo”
“No.. Ahahahahahahah.. smettila!!!”
“Non mi fermo se non…”
“OKEY HAI VINTO!” urlò Annie.
Le mani di Finnick si fermarono, lasciandole il tempo per respirare.
Sorrise soddisfatto. “Quanto mi piace la verità” ghignò.
Annie lo guardò male, cosa che risultò abbastanza ridicola visto le lacrime e il sorriso ancora stampato in volto.
“Me la paghi Odair” ringhiò alzandosi di scatto.
Finnick capì che era tempo di filarsela.
Senza farselo ripetere partì di corsa, seguito da lei, spettinata e affannata.
Non andarono molto lontano, visto il fatto che erano stremati.
“Sei uno stupido! Un imbecille patentato! Idiota cosmico, cretino imbalsamato, sciocco presuntuoso arrogante..”
”Ti va di mangiare in spiaggia, stasera?”.
La domanda di Finnick le fece bloccare il torrente di insulti che le ribollivano in testa.
“Come?” chiese scioccamente.
“Ti va di mangiare in spiaggia, stasera, insieme?” ripeté lui.
Annie si fece pensierosa. “Non credo che sarà un problema” rispose sorridendo. “A che ora?”
“Verso le otto? Così ci godiamo il tramonto”
“D’accordo. Ognuno cucina qualcosa?” propose Annie.
Il volto di Finnick si fece imbarazzato. Si passò una mano tra i capelli, a disagio, e si guardò i piedi. “Sarebbe un’ottima idea.. se sapessi cucinare” ammise.
La ragazza strabuzzò gli occhi verdi. “Scusami?!!” esclamò esterrefatta.
Le guance di lui si colorarono di un delizioso rosa pesca.
“Non sono molto bravo a cucinare”.
“E cosa mangi?” si volle informare Annie, con un sorrisetto.
“Beh, solitamente cucina Mags..” borbottò il ragazzo.
Lei scoppiò a ridere, intenerita. “Il grande Finnick Odair terrorizzato dal cibo” lo sbeffeggiò.
Non ci poteva credere.
Era una cosa talmente ridicola che non si contenne nel prenderlo in giro in ogni modo.
”Non mi interessa” disse “Porterai qualcosa da mangiare” e poi lo salutò, sulla soglia di casa.
 
 
 
 
 
Annie aveva cucinato del riso freddo, con un po’ idi frutti di mare e qualche gamberetto e non vedeva l’ora di assaggiare quello che avrebbe preparato Finnick.
Lo aspettò sulla sabbia, dopo aver steso un telo per evitare di sporcarsi.
Il sole brillava ancora e le infondeva un calore tranquillizzante.
Non si accorse di cadere lentamente nel sonno.
Si svegliò di soprassalto, ricordandosi della cena.
”Finnick!!” esclamò, alzandosi di scatto.
“Ehi Annie, sono qui” rispose lui sorridendole.
Le si era seduto di fianco e la circondava con nonchalance con un braccio.
Annie lo fissò, accigliata.
Le rispose con un’alzata di spalle, come per significare: ti sei avvinghiata tu a me, io non ho fatto nulla.
Certo, come se ci credesse.
“Scusami, mi sono addormentata e io..” farfugliò “da quanto sei qui?”
“Abbastanza da sentirti pronunciare il mio nome almeno tre volte” ghignò Finnick.
Annie avvampò imbarazzata e si scostò.
“Ma dai, scherzavo! Da poco.. circa dieci minuti” rise il ragazzo divertito.
“Non era spiritosa” borbottò lei.
“Comunque ho dato un’occhiata alla tua cena. Sembra proprio deliziosa” le disse, passandosi la lingua sul labbro superiore.
Annie alzò gli occhi al cielo. “Non mi sedurrai così” lo informò, alzandosi ed afferrando la ciotola.
“Ecco qui” esclamò orgogliosa, porgendogliela.
Finnick l’assaggiò, si finse meditabondo per un attimo e poi fece finta di soffocare.
“Smettila!!” urlò lei, tirandogli una pacca sulla spalla.
Il ragazzo scoppiò a ridere. “E’ buonissima, davvero!” annunciò, annuendo soddisfatta.
Annie sorrise, lusingata e soddisfatta.
“Ora assaggia questa” fece lui, allungandogli un piatto, coperto da una pellicola.
Era della pasta con l’uovo e del formaggio. Aveva un ottimo profumo.
La inforchettò e la mise in bocca, gustandola.
Era squisita.
“L’ha fatta Mags, ammettilo” osservò.
Finnick fece un’espressione fintamente ferita. “Assolutamente no! Tutta farina del mio sacco” protestò all’accusa.
Annie alzò un sopracciglio, scettica.
“Io l’ho fatta e Mags l’ha controllata” ammise. “Ma solo controllata!!”
“Tipo che tu l’hai pesata e il resto l’ha fatto lei?”
“E’ molto difficile pesare della pasta” rivelò il biondo, facendola ridere.
“Sei un brutto imbroglione!” esclamò.
Però finì tutta la pasta perché era una meraviglia. Non aveva mai mangiato nulla di simile.
Mentre Finnick mangiava, lei lo osservò di sottecchi.
Aveva un’espressione rilassata, felice che la rendeva serena.
Perché quando stava con lui, si trovava così bene?
Finirono di mangiare e si sedettero più comodi, per ammirare il tramonto rosso fuoco.
Ad un certo punto, un braccio del ragazzo le accarezzò un fianco e, dolcemente, la cinse in vita, portandosela più vicina.
Stranamente Annie non obiettò e posò la sua testa sul petto del ragazzo e con l’orecchio ascoltò i battiti calmi di lui mentre, con gli occhi, ammirava il cielo tra il rosa e il rosso.
Sentì un dito di Finnick tracciarle disegni immaginari sulla schiena, provocandole brividi di piacere.
Si rilassò completamente, cullata dal calore e dal respiro del ragazzo.
 
Finnick la sentì posargli la testa sul petto, docilmente e sorrise felice.
Dopo tanto tempo, forse da quando aveva vinto gli Hunger Games, si sentiva a casa.
Con Annie era tutto diverso, tutto più divertente.
Rimasero fermi, abbracciati, a fissare il tramonto fino a che anche l’ultimo spiraglio di sole non si tuffò nel mare.
A quel punto si sdraiarono, sempre stretti, e contemplarono le stelle che, quella notte, sembravano rilucere ancora di più, solo per loro. 

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Capitolo 9
*** Domenica nel Distretto 4 ***


CIAU RAGAZZI!
PRIMA DI TUTTO, BUONA FESTA DELL'IMMACOLATA. LOGICAMENTE CADE LA DOMENICA, IN MODO TALE DA NON FARE NESSUN GIORNO DI VACANZA. MI SEMBRA GIUSTO, NO? 
SECONDO.. MI DISPIACE PER TUTTI QUELLI CHE SI ASPETTAVANO UNA BELLA MIETITUROZZA PER QUESTO CAPITOLO, MA NO. OGGI SI PARLA DELLA DOMENICA NEL DISTRETTO 4 PERCHE' IO ADORO LA DOMENICA E AVEVO BISOGNO DI DESCRIVERE ALCUNE COSE. SPERO NON MI AMMAZZERETE. 

AD ALCUNI L'HO SCRITTO NELLA RISPOSTA ALLA RECENSIONE, AGLI ALTRI LO SCRIVO QUI: IL NOME EUER (SI LEGGE ALLA TEDESCA *OIER*) VIENE DAL MITO GRECO DI EURIDICE. ANDATE A LEGGERLO, SE VOLETE, PERCHE' NON è MALE (: 
INOLTRE IL GIGLIO TIGRE, LILIUM TIGRINUM, è IL MIO PREFERITO MA SI ADDICE PERFETTAMENTE AD ANNIE. 
BEH, CHE ALTRO?

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 

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Domenica nel Distretto 4


Domenica.
Domenica.
Domenica.



E dopo domenica, lunedì.
Dopo il giorno del Signore, la Mietitura.
Era quasi ironico come qualcuno potesse accostare due giorni così importanti, grandi, ma allo stesso tempo diversi.
Di domenica gli adulti potevano riposare.
Il fornaio sfornava pane nuovo e il profumo si diffondeva per le vie.
Le donne anziane, dopo essersi riunite per le preghiere, passavano di casa in casa per posare, davanti alle porte, un cestino con alcuni dolci fatti in casa durante la notte.
Di domenica, il mare appariva più calmo, quasi come se volesse immedesimarsi in un nonno amorevole che accoglie tra le sue braccia i bambini che, durante quel giorno, giocavano nell'acqua.
Di domenica le famiglie mangiavano insieme, da mezzogiorno alle quattro, pranzi di varie portate.
Ma quella domenica tutto appariva sbiadito, sfuocato, come se qualcuno avesse posto una pellicola semitrasparente su ogni cosa.
Quella domenica il fornaio sfornò meno pagnotte, le donne anziane passarono con meno dolci e qualche bigliettino in più, ognuno che recitava la stessa frase: possa la fortuna sempre essere a vostro favore.
Il mare era mosso, infuriato dall'ingiustizia della mietitura. Egoisticamente non avrebbe accolto i bambini che, tra l'altro non si vedevano per le strade; i genitori volevano passare ogni istante con i propri figli.
Il pranzo era ricco, ma triste.
Come si poteva pensare di accostare un giorno festoso con il più triste dell'anno?
Durante la Mietitura due famiglie erano costrette a cedere un figlio per l'intrattenimento degli abitanti di Capitol City. Delle bestie, in poche parole.




In quel giorno, quella domenica, Annie uscì a prendere il pane nuovo, salato, verdastro, tipico del Distretto 4.
Passò anche in pasticceria per prendere sei pasticcini: quattro per ognuna persona della sua famiglia e due per Finnick e Mags.
Sapeva, anzi poteva intuire, che per i due, la Mietitura era ugualmente sconvolgente.
Quel giorno avrebbero visto salire sul palco due persone che avevano pochissime possibilità di vincere e loro non ci avrebbero potuto fare nulla.
Quindi, avvolta in uno scialle color pervinca e indossando un vestito da festa violetto, in seta leggera che la lambiva fino alle ginocchia, si incamminò verso il Villaggio dei Vincitori, verso l'unica casa abitata.
Tecnicamente, le case assegnate ai vincitori erano sue, ma entrambi avevano deciso che vivere nella stessa, come una famiglia, sarebbe stato più comodo e più bello.
Salì i pochi gradini ed, inconsciamente, si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Bussò tre volte ed aspettò.
Inizialmente non rispose nessuno e agghiacciò nel pensare che probabilmente stavano dormendo e li aveva disturbati.
Poi però sentì lenti e un secondo dopo la porta si aprì.
L'espressione di Annie fu incomparabile e degna da oscar.
Di fatti, la porta fu aperta da un Finnick decisamente più scoperto che coperto, l'unico indumento una salvietta legata intorno alla vita.
Aveva appena finito la doccia, intuibile dal fatto che i capelli erano fradici, spettinati in riccioli chiari e infinite goccioline scorrevano gli scorrevano sul petto, tracciavano gli addominali fino a sparire sotto la salvietta.
“Ehi Annie” salutò lui, apparentemente non accorgendosi di nulla.
“Finnick!” squittì, imbarazzatissima, coprendosi il viso con le mani per non vedere e per evitare di luccicare come una lampadina.
A quel gesto, il ragazzo si guardò e poi risollevò lo sguardo, con un sorrisino ironico.
“Ti metto in imbarazzo?” domandò sibillino.
Annie allungò alla cieca il sacchetto di pasticcini in avanti. “Tieni, sono passata a prenderli prima. Ciao” salutò e fece marcia indietro.
“No aspetta! D'accordo, mi vesto” esclamò lui, afferrando dall'attaccapanni il primo indumento possibile.
Lo indossò, con una certa difficoltà.
“Sono vestito” le disse “puoi guardare”
Lentamente e cautamente, Annie aprì un occhio verde e.. scoppiò a ridere.
Finnick indossava una vestaglia fucsia di Mags, lunga fino al polpaccio, con roselline sul colletto e sulle maniche.
Inoltre, un fiore enorme spiccava sul petto.
“Oddio sei inguardabile!” ansimò, scossa dai singhiozzi.
“Smettila” bofonchiò lui “L'ho fatto per te, quindi abbi un po' di rispetto”.
La ragazza annuì, ancora ridacchiando.
“Vi ho portato dei pasticcini” disse quando si fu ripresa “Per te e per Mags” aggiunse.
Finnick guardò la scatola che gli stava porgendo e poi sorrise.
“Grazie!” esclamò contento, prendendola.
In quel momento, alle sue spalle, apparve Mags.
Di fianco a lui, la donna sembrava davvero minuscola, magra ed indifesa.
Sorrise alla ragazza che rispose, con gentilezza.
“Salve, ho portato dei dolcetti” le disse, indicando il sacchetto in mano a Finnick.
Sapeva che Mags non parlava mai e quindi cercò di simulare la difficoltà che aveva nel capire ciò che le diceva.
Fortunatamente c'era il figlioccio della donna che tradusse senza sforzi.
“Oggi Mags va a mangiare da alcune sue amiche, per pranzo” le disse Finnick, dopo che la donna si fu ritirata.
“E tu che cosa fai? Mangi da solo?”. L'idea, per Annie, che il pranzo della domenica non fosse fatto in famiglia, era qualcosa di assurdo.
“Si, è così terribile?” domandò lui, colpito dall'incredulità della ragazza.
“Assolutamente sì! Vuoi venire a mangiare da noi?” lo invitò.
Notò un attimo di sorpresa sul viso di Finnick. “Da voi?” ripeté.
Da quanto non era ospite a casa di qualcuno che realmente lo desiderasse.
“Sì, da noi” sorrise Annie.
“D'accordo, se non sono di disturbo”.
“Tranquillo, tu disturbi sempre! Poi ci sarà anche Euer, il ragazzo di mia sorella, quindi sono sarai l'unico ospite” lo informò.
Finnick le fece una smorfia e la invitò ad entrare.
“No, scusa. Devo ancora tornare a casa. Mia mamma si starà chiedendo perché non sono ancora là” rispose.
Si voltò e scese le scale, con ancora un sorriso sulle labbra.
“Annie” la chiamò il ragazzo.
Lei si voltò.
“Perché?”
La parola aleggiò nell'aria.
“Perché la domenica si sta in famiglia” replicò Annie, prima di andarsene.










“Finnick Odair sarà nostro ospite a pranzo?!” urlò Ocean con gli occhi grigi strabuzzati. “Oh mio Dio, ma allora mi devo preparare! Devo mettere un vestito super sexy!!”.
Euer la guardò male. “E' uno sbruffone” borbottò, cercando di nascondere la gelosia.
Annie scoppiò a ridere, tirandogli un cuscino. “Hai perfettamente ragione!”.
Ocean trotterellò fino al suo ragazzo e lo baciò dolcemente, facendogli una carezza. “Ma lo sai che io ho occhi solo per te” disse.
“Sì, certo. E cinque secondi fa non stavi praticamente sbavando quando Annie ti ha detto che si sarebbe fermato a pranzo” mugugnò, anche se compiaciuto delle coccole che stava ricevendo.
“Ma fingevo. Mi piace così tanto quando fai il geloso” ridacchiò la ragazza.
“Vi prego, non così smielati. Mi verrà il diabete” si lamentò Annie, sorridendo.
Erano così belli insieme.
Non poteva immaginare un ragazzo migliore di Euer.
“Ehi Euer!” chiamò “Non hai portato nulla per scusare la tua perenne presenza in casa nostra?”.
Ricevette una linguaccia dal ragazzo. “Logicamente, ma sono in cucina” rispose.
A quelle parole, Annie scattò in piedi, con occhi famelici.
Si diresse nell'altra stanza e vi trovò, sul tavolo già apparecchiato, almeno una ventina di brioches salate con dentro di tutto.
“Ti amo Euer!!” urlò, dato che erano le sue preferite.
“Giù le zampe, cocca. Sono arrivata prima io” le arrivò la voce di sua sorella, seppur divertita.
Suonarono alla porta.
“Vado io” disse Ocean, facendo per alzarsi.
Ma Annie fu più veloce e la placcò come un vero duro.
“No, tesoro. È Finnick. Non vorrai sporcargli le scarpe di bava, giusto?” la prese in giro.
La sorella le fece una smorfia ed Euer sorrise, prendendosela in braccio e stringendola.
Sarebbe potuto passare come un gesto amorevole, invece era dettato dall'istinto primitivo degli uomini nel marcare il proprio territorio.
La madre e il padre di Annie sbucarono dal salotto, per accogliere il nuovo invitato.
“Non ce ne bastava uno, di pretendente” borbottò il signor Cresta.
La moglie gli tirò una gomitata. “Non fargli scenate inutili!” lo redarguì. Poi si sistemò i capelli e si guardò allo specchio, per essere sicura di non aver nulla fuori posto.
“Mamma, arrivi tardi. Annie lo ha conquistato” rise Ocean.
La donna arrossì e bofonchiò qualcosa, mentre il padre scoccò un'occhiataccia alla figlia.
“Smettetela!!” sibilò la sorella maggiore, dirigendosi verso la porta.
L'aprì, con un sorrisone e davanti si trovò un Finnick splendente: si era messo una camicia bianca, sotto una canottiera nera.
I pantaloni color sabbia, sbiaditi, gli circondavano le gambe largamente e una cintura li stringeva ai fianchi.
Delle scarpe da ginnastica, molto semplici e bianche.
Sulla caviglia era annodato un braccialetto di conchiglie; era la prima volta che Annie lo notava.
Ma lo spettacolo lo facevano i capelli: ancora più ricci, spettinati ma in modo perfetto. Gli occhi verdi che brillavano e un sorriso bianchissimo.
“Ciao Annie” la salutò.
In mano portava un mazzo di fiori, che porse ad una signora Cresta tutta gongolante, sotto lo sguardo attento del marito. “Salve” disse, porgendogli la mano.
Dopo qualche attimo, l'uomo la strinse ed Annie poté lasciar andare l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento.
Mentre gli altri andavano in cucina, parlottando del più e del meno, Annie e Finnick rimasero indietro, nel corridoio.
“Mi vuole morto, lo so” le disse, facendola sorridere.
“Ma no. È solo un po'.. protettivo” rispose lei.
Non capì come, ma in un secondo, Finnick fece comparire nella sua mano un fiore arancione, con piccoli puntini scuri all'interno dei petali.
“Magari poi ti arrabbiavi, dato che il mazzo di fiori non era per te” spiegò con un ghignò.
Annie fece una smorfia divertita. Non si era aspettata nulla, in realtà, e quel piccolo regalo, seppur così semplice, l'aveva quasi commossa.
“E' bellissimo” commentò, scrutandolo “non l'ho mai visto”.
Il ragazzo accarezzò i petali tanto delicati e lei ebbe paura che si potessero staccare da un momento all'altro.
“E' un Giglio Tigre. Non l'hai mai visto perché non fiorisce nel Distretto 4. Lo coltivano a Capitol City, ma ce ne sono pochi. Vengono da fuori Panem, molto lontano, a Est” spiegò.
Annie lo fissò a lungo, pensierosa. “Perché mi hai regalato un fiore così raro?” gli chiese.
“Beh, per il suo significato” fece lui. Si fece coraggio e le prese una mano alzandola all'altezza del viso. “Simboleggia la nobiltà e la fierezza d'animo. È il fiore ideale da regalare ad una donna fiera, onesta e di classe, per dirle che la si considera.. una regina” disse, sempre senza staccare i suoi occhi da quelli verde mare di lei.
Un sorriso illuminò il volto di Annie; un sorriso dolce, che sapeva di miele.
Si alzò sulle punte e sfiorò con le labbra la guancia di lui, col cuore che batteva a mille.
“Grazie. Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere” ammise, con gli occhi lucidi e le guance rosse.
Finnick pensò che, semmai fosse esistita la dea della bellezza, sarebbe stata la ragazza che aveva davanti.
“A tavola!” chiamò la madre di Annie, riportandoli alla realtà.
Si diressero verso la cucina, ancora tenendosi per mano e si staccarono solamente quando varcarono la soglia per poi riallacciarsi appena seduti a tavola.
Passarono una giornata fantastica, insieme, dimenticandosi che il giorno dopo non ci sarebbe stato nulla da festeggiare, semmai piangere un amico, un famigliare o un amante che veniva strappato loro con un artiglio di ferro. 

 

 

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Capitolo 10
*** Tributi del Distretto 4 ***


EHI RAGAZZI!!!
CAVOLO, I SALTI MORTALI PER VOI. 
DOMANI SUPERMEGA VERIFICOZZA DI STORIA DELL'ARTE QUINDI TRA POCO VADO A STUDIARE E POI RECUPERO DI QUELLA DI FISICA. MMM CHE GIORNATA ALLETTANTE! 
FORTUNA CHE C'è FINNICK <3
AVVISO.. NON MI UCCIDETE PER QUELLO CHE HO SCRITTO, PRIMA DI TUTTO PERCHE' SAREBBE CONTROPRODUCENTE, VISTO CHE POI NON AVRESTE PIU' CHI VI SCRIVE LA STORIA.
INOLTRE, IMPORTANTE, TUTTO CIO' CHE SUCCEDE A FINNICK DI STRANO IN QUESTO CAPITOLO, SARA' SPIEGATO NEL PROSSIMO!! NON MANGIATEMI! E' UNA BRUTTA FORMA DI OMICIDIO.. CHIAMATO CANNIBALISMO. INOLTRE LA CARNE UMANA NON è NEMMENO MOLTO BUONA E VI ASSICURO CHE MI TROVERESTE UN PO' ACIDELLA! ;)
BEH, CHE DIRE.. LACRIME A PALATE! (IO NE HO VERSATE TANTISSIMEEEEEE) 

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUTA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE. 

 
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Tributi del Distretto 4




Il primo pensiero di Annie, appena aprì gli occhi fu: è lunedì. Oggi c'è la mietitura.
Rimase immobile nel letto, le mani intrecciate dietro alla testa, ad osservare le centinaia di venatura sul soffitto.
Non poteva far a meno di chiedersi chi sarebbero stati quell'anno.
Eliah? Nereyde? La figlia del panettiere? Ocean? Lei?..
Tutti quei pensieri la sconvolgevano; aveva assolutamente bisogno di una buona doccia calda.
Si infilò sotto il getto bollente e rimase a fissare le piastrelle davanti al suo naso per quasi mezz'ora, quando la voce di Ocean la fece sobbalzare.
“Muoviti, che devo farla anche io” le disse da dietro la porta.
Evidentemente la sorella aveva avuto la sua stessa idea.
Quando uscì, si guardarono per alcuni istanti e vide riflessa la sua stessa paura nelle iridi argentee di Ocean.
Poi si separarono ed Annie scese in cucina, dove l'aspettavano i suoi genitori, entrambi seduti al tavolo, con le mani che circondavano delle tazze fumanti.
“Ben svegliata, tesoro” l'accolse sua madre, sorridendole dolcemente.
Non disse nulla, la figlia, a quel sorriso tirato e così finto. Si limitò a sorridere a sua volta, accomodandosi e prendendo una tazza di te.
Era tutto così freddo, irreale, spaventoso.
“Ho preparato un dolce per Mags, da portare con sé a Capitol City” continuò la donna, per smorzare la tensione.
“Che pensiero.. gentile” fece Annie, fissando il pacchetto rosa sulla mensola.
Non disse Finnick, non ci fece nemmeno caso.
Entrambe sapevano che quello era l'ultimo giorno che i due ragazzi avevano per stare insieme, fino alla prossima Mietitura.
“Vuoi portarglielo? Oggi ho così tanto da fare” chiese la madre.
Annie la guadò, con un espressione interrogativa sul volto. La donna non aveva mai niente da fare il giorno della Mietitura.
Quelle poche ore erano sfruttate al massimo dalla famiglia Cresta. Praticamente non uscivano di casa per non perdersi nemmeno un minuto.
“Ma..?”
“Non fare storie, Annie. Non è molto lontano” intervenne il padre.
A quel punto la ragazza capì, e sorrise grata ai suoi genitori.
Le stavano dando una scusa per poter passare il poco tempo che le rimaneva insieme a Finnick!
Si alzò e andò a prepararsi in camera, mettendo un vestito blu notte e pettinandosi i capelli in una treccia di lato, abbastanza semplice ma molto bella.
Il vestito per il pomeriggio la scrutava con perfidia, dalla sedia su cui era appoggiato, come per dirle: puoi vestirti come vuoi, ma alla fine ci sarò io.. e ti scorterò fino al palco, quando chiameranno il tuo nome.
Scosse la testa per cacciar via i brutti pensieri e uscì di casa.
Come da copione, le strade erano quasi tutte deserte. Solo alcuni vecchi, che non avevano nessuno da piangere in caso fossero stati scelti, camminavano lentamente sul ciottolato, ma anche sulle loro espressioni si poteva leggere chiaramente la paura.
Percorse la distanza con la torta stretta al petto e il cuore a mille. Era euforica, perché avrebbe rivisto Finnick, ma agitata perché era consapevole che sarebbe stata l'ultima giornata passata con lui fino alla Mietitura successiva.
Si chiese se sarebbe mai potuto esistere un amore -se quello era amore, non ci aveva ancora riflettuto- più sfortunato di così.
Bussò alla porta e non aspettò molto prima che Finnick spalancasse la porta.
Si fissarono per attimi nei quali l'unica cosa che si muoveva, erano i capelli della ragazza, accarezzati dal vento.
Gli occhi del ragazzo erano cerchiati di nero, segno che aveva dormito ben poco quella notte o, se lo aveva fatto, aveva avuto terribili incubi.
La guardava con un'espressione che le gelò il sangue: era neutra.
Lo sguardo che riservava alle cose superflue, che non lo colpivano. Uno sguardo che aveva rivolto alle altre ragazze, quando stava con lei.
Inoltre, anche se la camicia era ben stretta, Annie giurò di aver scorto dei graffi alla base del collo. Rabbrividì, sperando di sbagliarsi.
“Ciao” lo salutò, con un mezzo sorriso.
Era arrivata, gli era davanti, ma non sapeva cosa dire. Tutte le frasi che le erano vorticate per la mente fino a qualche istante prima, si erano polverizzate, volate via sulla scia del lieve vento del lunedì mattina.
D'altronde nessuna di quelle parole sarebbe andata bene.
Era un brutto giorno per entrambi.
Lei aveva il peso della Mietitura che le incombeva sulle spalle. Lui il dovere di prendersi cura di un ragazzo o una ragazza che probabilmente sarebbe morto nelle settimane successive. Entrambi dovevano dirsi addio per un anno intero. O almeno così pensava.
Dato che lui non accennava a salutarlo, lei tese il pacchetto davanti a sé. “E' per Mags” spiegò all'occhiata interrogativa di Finnick.
Come se l'avesse chiamata, la donna apparì da dietro un corridoio, ancora in vestaglia.
Ma certo, che stupida.
Era il loro ultimo giorno nel Distretto 4. Logicamente l'avrebbero passato in tranquillità, senza che qualcuno venisse a disturbarli.
Arrossì lievemente, imbarazzata per l'intrusione.
Mags la raggiunse e prese il sacchetto tra le mani, guardandola intensamente, tanto che la ragazza si sentì a disagio.
Aveva capito perfettamente quello che le stava dicendo.
Vai a casa. Passa il tuo tempo con i genitori.
La poteva capire, era giusto. Ma comunque le salì un nodo in gola, facendole pizzicare gli occhi.
“Allora.. io vado” disse, cercando di non far tremare la voce.
Scese le piccole scalette e si affrettò ad allontanarsi dalla casa, con le lacrime bollenti che le offuscavano la vista e un dolore acuto alla gola.
“Annie” la chiamò Finnick.
Ma era lontana, la voce. Segno che non si era mosso da casa.
Non si voltò, per non fargli vedere le lacrime che le rigavano le guance e anche perché lui non aveva fatto nulla.
Niente.
Come poteva essere stata così stupida? Come poteva essersi illusa di piacergli veramente?!
Era Finnick Odair, il play-boy, il Casanova. Quello che giocava con le persone, che si divertiva a Capitol City. Che non si affezionava a nessuno.
Le scappò un singhiozzo strozzato dalle labbra e dovette fermarsi, appoggiarsi ad un tronco.
È uno stronzo, pensò. Non avrebbe dovuto avvicinarsi a lui, da quel giorno in spiaggia, quando gli aveva ferito lo zigomo con un sassolino.
Perché mentre lui si era divertito, lei si era innamorata. E non le piaceva questo. Non voleva star male.
Star male significava essere deboli. Lui l'aveva indebolita.
Non avrebbe dovuto fidarsi, conoscerlo ed affezionarsi.
Chissà quante bugie le aveva raccontato.
Avrebbe voluto strapparsi il cervello, le viscere e tutti gli organi che la facevano stare così male.
L'aveva invitato a casa sua, la sera prima, come se fosse uno di famiglia.
Famiglia..
La parola ebbe la forza di farla smettere di piangere.
Era lunedì, il giorno della Mietitura e doveva passarlo con la sua famiglia, la vera famiglia.
Si asciugò le lacrime con rabbia e tornò a casa, dove l'aspettavano delle persone che non l'avrebbero mai fatta soffrire.














“Il tuo vestito è più bello del mio” disse Ocean, guardandosi allo specchio.
Annie la fissò, senza rispondere.
Era la cosa più stupida che aveva sentito in tutta la sua vita.
Sua sorella era nata per portare l'abito che aveva indosso.
Rosa pesca, a canottiera, con spalline spesse.
Un nastro dello stesso colore la chiudeva in vita e da lì la gonna scendeva a balze morbide fino alle ginocchia.
“Sembro un bombolone” sbuffò, per la centesima volta.
“Ma smettila!” esclamò Annie, allacciandosi il nastro sotto il seno.
Tutto, nel suo vestito, la soffocava.
Non le piaceva, avrebbe solamente voluto bruciarlo.
“Ma guarda le maniche..” fece di nuovo la sorella.
La maggiore le si fiondò di fianco, con gli occhi fiammeggianti e si mise accanto, davanti allo specchio.
Entrambe erano riflesse ed era ovvio quale delle due fosse la più carina.
“Sei bellissima, Ocean. Guardati” indicò Annie.
Finalmente l'altra si acquietò un poco.
Le fece una bella acconciatura, che le partiva dall'attaccatura dei capelli e si diramava in tante treccioline nere.
Annie decise che li avrebbe lasciati sciolti, con una sola treccia che le tirava indietro la ciocca davanti.
“Ho fatto uno strano sogno, stanotte” disse ad un certo punto Ocean, guardando un punto fisso davanti a sé.
Le mani della sorella tremarono leggermente.
Non era una novità. La notte prima dell mietitura, Ocean sognava di essere pescata e di andare agli Hunger Games.
“E' solo un sogno” rispose tranquillamente Annie.
Nonostante ci credesse davvero, il solo pensiero che la sorella potesse essere scelta come tributo, le faceva venire la nausea.
Non poteva.
Si era ripromessa che si sarebbe data volontaria, qualora fosse successo.
In quel momento, suonò la campana.
Una.. due.. tre volte.
Era il segnale.
Tutti i ragazzi si sarebbero dovuto dirigere fuori dalle loro case e si sarebbero dovuti dirigere verso il centro della piazza, per la Mietitura.
“Annie” gemette Ocean, ora impaurita.
La sorella maggiore la prese per mano e le sorrise. “Tranquilla. Ci sono io”.
Ed era una promessa.










Erano tantissimi, radunati davanti ad un palco di legno, sul quale Milly Botuline avrebbe estratto i nomi dei due tributi.
A fianco, un grosso schermo, sul quale si proiettava il filmato usuale degli Hunger Games.
Dopo averlo visto, la piazza piombò nel silenzio.
Prima, il rumore dei ragazzini al loro primo anno che piangevano, i grandi che cercavano di tranquillizzarli, le mamme che, ansiose, stringevano al petto i figli.
Ocean che si avvicinava ad Euer e lo baciava con amore. Eliah che salutava Annie e le sfiorava un braccio con la mano per rassicurarla.
Nereyde e sua sorella che procedevano mano nella mano, gemelle, con la stessa paura dipinta in volto.
Glauco, che da fuori, li guardava con ansia, le braccia conserte e la fronte corrugata.
Tutto ciò era passato davanti agli occhi di Annie, mentre i battiti del cuore si sostituivano al resto del rumore.
Nella mente rivedeva una scena, che si ripeteva all'infinito.
Chiamavano Ocean. Lei si metteva a piangere. Annie scavalcava le file, usciva allo scoperto e urlava di essere presa come tributo. Sentiva la voce assordante e squillante di Milly Botuline che scandiva il nome della sorella.
Sempre la stessa storia, ogni anno.


“Prima le signore” fece Milly, saltellando verso la boccia contenente i nomi delle ragazze.
Ora chiama Ocean. Devi stare attenta. Ti devi dare volontaria. Non hai due possibilità, si ripeteva Annie, in una lenta litania.
Niente paura. Prima la famiglia.



La mano di Milly frugò tra le tesserine.
Il cuore di Annie iniziò a battete freneticamente. Una parte del suo cervello vide Finnick seduto sul palco, con le gambe incrociate, che fissava la donna.


Non ho paura. Ocean deve vivere. Io sarò volontaria.


Ne afferrò una, estraendola lentamente.
Ormai le pulsazioni le invadevano le orecchie e temette che il cuore potesse uscirle dal petto, tanto pompava. Aveva paura che non avrebbe sentito


Volontaria.. volontaria. “Mi offro come tributo”.


Si avvicinò al microfono e sfoderò un sorriso luminoso.
Il dolore al petto era quasi insopportabile.


Non Ocean Cresta. Non Ocean Cresta. Non Ocean Cresta.



“Annie Cresta”.


Rilasciò tutta l'aria che aveva trattenuto, quando Milly Botuline aveva aperto la bocca per parlare.
Si concesse un sorrisino di sollievo, quando appurò che il nome non era stato quello di sua sorella.
Ricollegò il tutto, quando il grido di sua sorella la fece tornare alla realtà.
Non avevano detto Ocean Cresta, no.
Quindi perché stava urlando?
Avevano chiamato qualcuno che conosceva?
Si concentrò alle parole della sorella, che le urlava da un'altra fila.
Le orecchie le ronzavano, quindi ci mise un attimo a capire ciò che le stava dicendo.
“NO! Annie no!!”.
Annie.
Non stava chiamando il nome di qualcun altro. Stava dicendo il suo nome.
La voce squittente di Milly, fece tornare completamente alla realtà la ragazza.
“Annie Cresta? Dove sei bambina?” la chiamò nuovamente.
Era lei.
Avevano chiamato lei.
Il nome sul foglietto di carta nelle mani della donna di Capitol City era il suo, non quello di Ocean.
La cosa avrebbe dovuto spaventarla, nausearla.
Invece tutto ciò che provò, fu un senso di sollievo.
Avevano chiamato un'altra persona, non Ocean.
Camminò tra le file con naturalezza, come se avesse aspettato quel momento per tutta la vita. Le sue gambe procedevano meccanicamente.. non le stava controllando.
Stupidamente una parte del suo cervello ripensò al pensiero che aveva fatto sul vestito, su quello che le aveva detto.


Puoi vestirti come vuoi, ma alla fine ci sarò io.. e ti scorterò fino al palco, quando chiameranno il tuo nome.


Il primo pensiero che fece dopo che l'ebbero chiamata, fu rivolto al suo vestito azzurro.
Era uno stronzo pure lui.
Doveva ricordarsi di dirlo ad Ocean. Non doveva mettere i vestiti azzurri. Erano stronzi.
Si riscosse quando una mano le accarezzò il braccio.
Incrociò lo sguardo addolorato di Nereyde. “Mi dispiace” le disse.
Annie abbozzò un sorriso. Le fece una carezza e proseguì verso il palco.
Alle sue spalle Ocean ancora gridava.
Salì le scalinate con la testa alta. Se Capitol City la stava guardando, allora avrebbe visto una donna forte.
Finnick la stava fissando, con gli occhi spalancati e le mani strette sui braccioli della sedia. Accanto a lui, Mags le rivolse un'occhiata dispiaciuta.
Sapeva che non sarebbe tornata? L'avrebbe fatto, per dimostrarle che non era una ragazza comune del Distretto 4.
Si avvicinò a Milly Botuline che le diede una pacca solidale sulla spalla.
“Un bell'applauso per il tributo femmina del Distretto 4!” esultò al microfono.
I ragazzi batterono le mani fiaccamente.
Tutti la conoscevano e tutti le volevano bene.
Fu in quel momento che vide Ocean: avvinghiata alla gemella di Nereyde, che le sussurrava qualcosa all'orecchio.
“Ora, il tributo maschio” fece la donna, estraendo il biglietto.
“Euer Kramp”.


Euer Kramp.
Fu in quel momento che Annie fu attraversata da una fitta di dolore che le mozzò il fiato.
Lei conosceva quel nome.
Lo aveva sentito per quasi un anno, ripetuto dalla voce di sua sorella.
Era il ragazzo che stava sempre a casa loro, che le portava i dolci e che la faceva ridere, imitando le varie professoresse.
Era il ragazzo dalle mani tanto grandi che aveva stregato Annie.
No.
No. No. No. NO.
“NO!!” urlò.
Qualcuno l'afferrò da dietro e la tenne stretta, per evitare che facesse qualche assurdità.
Un Pacificatore?
“NO! NO VI PREGO! NO” gridò, con le lacrime agli occhi.
Addio al buon proposito di fare buona figura con Capitol City.
Vide il ragazzo che si staccava dalla folla e procedeva verso di lei, il volto pallido.
“PER FAVORE! EUER NO!!”.
Strattonò la persona che aveva dietro, ma le braccia erano troppo forti, quasi come quelle di.. Finnick.
“FINNICK LASCIAMI! VI PREGO!!” ringhiò “QUALCUNO SI DIA VOLONTARIO!!!”.
Al suo urlo, si sovrappose quello della sorella.
Le due ragazze Cresta.
I ragazzi del Distretto 4 si guardarono, ma nessuno aprì la bocca.
Euer salì le scale, con il volto che aveva ripreso il suo normale contegno.
Annie scoppiò a piangere ed il tributo l'abbracciò, scansando Finnick che si ritrasse.


“Signore e signori, i due tributi del Distretto 4. Annie Cresta e Euer Kramp” 
 

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Capitolo 11
*** Addio ***


CIAO RAGAZZI! 
GIURO, I SALTI MORTALI STO FACENDO PER PUBBLICARE QUESTI CAPITOLI! 
COMUNQUE 8 IN TEDESCO MUAHAHAH E FISICA NON ME LA VUOLE FAR FARE, QUINDI PACE EH!
DOMANI TEMAAAA YEAAH! FEEL LIKE A ROWLING <3
VABBE'.. SCUSATE SE POSTO COSI' IN RITARDO, MA HO FATTO TANTO OGGI! :D
BEH, CI SIAMO LASCIATI CON LA MIETITURA!

COMUNQUE VORREI FARE UNA CONSIDERAZIONE.. NEL FILM DELLA RAGAZZA DI FUOCO, FANNO VEDERE ANNIE PER POCHI SECONDI. DITEMI CHE è UNO SCHERZO.. NON è MICA BELLA! NON MI PIACE ASSOLUTAMENTE!!! 
IN PIU'... VI DICO CHE HO BUTTATO LO SCHIZZO DELL'ABITO CHE ANNIE INDOSSERA' DURANTE LA SFILATA DEI CARRI!! :D 

SE RIESCO VE LO POSTERO'! 

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE. 

 
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Addio 





“Annie Cresta”.
Quando Milly Botuline chiamò il nome della ragazza, Finnick si sentì mancare.
Non era possibile. Ci doveva essere un errore.
Quando però la donna lo ripeté, la verità lo schiaffeggiò con prepotenza.
Tutto vero: Annie Cresta era il tributo femmina per i 70esimi Hunger Games.
La vide salire sul palco, con il mento alzato e lo sguardo orgoglioso, fiero. Degno del giglio che le aveva regalato.
Ocean urlava, dalle file, ma una ragazza la tratteneva, per impedirle di correre dalla sorella.
Annie lo fissò. Gli occhi non trasmettevano altro che rigidità e.. sollievo?
Possibile che la ragazza fosse sollevata in un momento del genere.
Non lo fissò impaurita. No, lei non l'avrebbe mai fatto. Non con le telecamere che riprendevano ogni suo gesto.
Si sentì un verme, per averla trattata male, la mattina.
Ora che sarebbe andata a Capitol City con lui, non sapeva cosa fare.
Poteva concederle una settimana felice, stando con lei e amandola, ma ne sarebbe uscito folle se lei fosse morta. Oppure avrebbe potuto evitare, lasciandola concentrare solamente sugli Hunger Games e magari farla vincere.
Mags gli strinse la mano tra la sua, rugosa, calda.
Si guardarono.
Gli occhi della donna non potevano essere più chiari.
Mi dispiace.
Lo so, dicevano quelli di Finnick. Dispiaceva anche a lui.
Restituì la stretta, stringendo i denti.
Ripensò alla conversazione che avevano avuto prima che Annie arrivasse.


Si era alzato dal letto, decisamente più allegro del normale.
Il giorno prima aveva passato tutta la giornata con la persona con cui si sentiva davvero sé stesso.
Aveva sceso le scale a due a due ed era piombato esattamente davanti a Mags, che lo aveva guardato interrogativa.
“Buongiorno!” l'aveva salutata, dandole un bacio sulla guancia.
Era sfrecciato in cucina e si era messo a preparare la colazione, fischiettando.
La donna lo aveva seguito, picchiettandogli sulla spalla sempre più insistentemente, finché non si era girato a guardarla.
“Cosa c'è?” le aveva chiesto.
Finnick era tornato serio, quando aveva visto l'espressione sul volto di Mags.
“E' successo qualcosa?” aveva voluto sapere. Si disinteressò della colazione e le prese le mani.
Mags gli aveva posato le sue sul petto.
Sta succedendo qualcosa a te.
Il ragazzo aveva fatto un sorrisetto. Certo che gli stava succedendo qualcosa!
“Annie è una splendida ragazza” aveva spiegato, scompigliandosi i capelli. “Con lei mi sento bene. Posso essere davvero il vecchio Finnick Odair. È un po' strano, perché non ho mai provato nulla così. Ogni volta che cerco di.. capirne di più, lei mi sorprende ed è qualcosa di..”.
Si era interrotto, quando la donna gli aveva appoggiato due dita sulle labbra, scuotendo la testa.
“Non è questo?” aveva chiesto, alzando le spalle, interrogativo.
Mags aveva annuito.
È proprio questo, invece.
“Allora non capisco” aveva ammesso.
Lei lo aveva fatto sedere e gli si era posta davanti.
Gli aveva messo una mano sul cuore, scuotendo il capo. Poi si era toccata il suo, facendo un gesto verso l'esterno della casa.
Non puoi volerle bene come intendi tu, se non vuoi farla soffrire.
Finnick aveva corrugato la fronte.
“Non capisco, Mags. Non mi sembra di..”
Lo aveva interrotto di nuovo, accarezzandogli la guancia e posandogli una mano sulla spalla, continuando a negare. Aveva indicato qualcosa di astratto e poi aveva fatto un gesto, per inglobare il tutto.
Non dipende da te, ma da Capitol City.
“Mags, non ti seguo più” aveva detto il ragazzo, passandosi le mani tra i capelli.
Allora la donna si era alzata, aveva acceso la televisione e l'aveva impostata su un canale che trasmetteva gli Hunger Games.
Nello schermo erano raffigurati dei quadrati, con all'interno un punto di domanda che lampeggiava.
Simboleggiavano i tributi. Appena dopo la Mietitura tutti i quadratini sarebbero stati riempiti con la foto dei ragazzi.
Mags aveva indicato quello che avrebbe ospitato il tributo femmina del Distretto 4.
“Pensi che Annie sarà il prossimo tributo?!” aveva esclamato, d'un tratto furioso.
Come poteva dirgli una cosa del genere?
Ma lei aveva negato.
“Allora cosa?! Mags ti prego, spiegati!!” aveva iniziato a gridare, allargando le braccia.
La donna aveva preso un lungo respiro. “Da quando sei stato scelto per gli Hunger Games, è cambiato tutto intorno a te. Non sarai mai lo stesso, ma un sopravvissuto alle regole di Capitol City e, in quanto tale, sei suo debitore. Non puoi permetterti di provare qualcosa per qualcuno, non con il presidente Snow che ti controlla. Sei un Vincitore importante, lo sappiamo entrambi. Come pensi che reagirà, se scoprisse che provi per Annie qualcosa di profondo?”.
La frase più lunga che Mags avesse detto da quando Finnick la conosceva.
Era rimasto zitto, immobile.
Le parole della donna erano state terribili, funeste. Sapeva che aveva ragione, ma negava. Era sbagliato.. lui era un vincitore. Aveva il diritto di scegliere della sua vita, glielo avevano promesso, quando era uscito da quella maledetta Arena.
Non c'era stato bisogno che Mags continuasse il suo discorso; era fin troppo ovvio quello che sarebbe successo alla ragazza. Il Presidente aveva preso l'abitudine a vendere il suo corpo agli abitanti di Capitol City e ognuno di questi pensava che il ragazzo fosse follemente innamorato di lui. Ma come avrebbero reagito tutti quanti sapendo dell'amore che nutriva per Annie? Se fosse uscito allo scoperto, dichiarandosi, cosa le avrebbero fatto per mantenere viva la sua immagine di giocattolo del sesso?
Non ci aveva nemmeno voluto pensarci, perché le opzioni erano tutte terribili.
Aveva stretto i pugni, serrato i denti, con una rabbia furiosa che gli scorreva nelle vene, come acido corrosivo.
Odiava Capitol City. Odiava i suoi abitanti. Odiava Snow.
Se mai avesse potuto, si era ripromesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa, in un futuro, per ribaltare l'oligarchia di Panem.
Mags gli aveva stretto la mano e l'aveva portata alle labbra, posandoci un bacio.
Mi dispiace.
“Ho bisogno di stare da solo”


Chiamarono Euer.
Finnick scattò in piedi, già sapendo quello che sarebbe successo. Strattonò la mano di Mags che lo teneva fermo e corse da Annie.
Lei iniziò ad urlare, a dimenarsi alla sua stretta.
“NO! NO VI PREGO! NO!!”
Le sussurrò all'orecchio di stare calma, ma lei probabilmente non sentì, tanto urlava.
Poi capì che era lui.
Si scrollò più forte e tentò di tirargli un calcio sugli stinchi.
“FINNICK LASCIAMI! VI PREGO! QUALCUNO SI DIA VOLONTARIO!!” urlò, in lacrime.
“Calma Annie, calma”.
Poi arrivò Euer, che gliela strappò dalle mani.
Inizialmente la voglia di spaccargli la faccia a pugni fu altissima, ma pensò che già quel ragazzo era stato condannato ad un destino peggiore della morte.
Si fece da parte, mentre l'abbracciava.
Tornò a sedersi e la voce di Milly Botuline annunciò: “Signore e signori, i due tributi del Distretto 4. Annie Cresta ed Euer Kramp”.
Quello fu l'inizio dell'inferno.





Annie fu portata dentro ad una stanza, per i saluti della famiglia.
Si sedette meccanicamente su una sedia e respirò a lungo.
“Calma” si disse.
Si passò le mani tra i capelli e chiuse gli occhi.
Cercò di riordinare le idee, anche se le erano perfettamente chiare.
Era stata scelta come tributo. Stava andando a Capitol City. Tra una settimana sarebbe probabilmente morta.
La porta si spalancò e lei scattò in piedi.
Entrò Ocean, con gli occhi pieni di lacrime, che le si gettò al collo, singhiozzando.
“Non puoi andare! Non puoi” gemette tra i suoi capelli.
“No, ssst. Non fare così Ocean” le bisbigliò all'orecchio.
La sorella continuò a singhiozzare, ma avevano pochi minuti.
“Ocean! Ocean” la chiamò. Lei si ostinava a non guardarla.
“Ocean, guardami, ti prego!” ordinò, prendendola per le spalle e allontanandola. “Guardami” ripeté fermamente.
Finalmente la ragazza alzò lo sguardo sulla sorella, placando i singhiozzi.
“Non abbiamo molto tempo, quindi mi devi ascoltare. Ti voglio bene, te ne vorrò per sempre. Ma sappiamo che non posso vincere, con Euer nell'arena con me. Prometto che farò di tutto per farlo uscire vivo” disse, deglutendo.
Era tanto quello che stava promettendo.
Non sarebbe sopravvissuta e nemmeno lo voleva.
Ocean spalancò gli occhi, inorridita da quella proposta.
“No.. no. Non mi puoi chiedere una cosa..” balbettò, le lacrime che le rigavano silenziose le guance.
“Non te lo sto chiedendo, Ocean. Solo uno esce vivo da quell'arena. Non possiamo tornare a casa entrambi” spiegò.
La sorella annuì.
“Ti devi prendere cura di mamma e di papà” aggiunse.
Mancava pochissimo.
“Non devi perdere la testa. Hai capito?”.
Ocean annuì di nuovo.
La sorella pensò che lo stesse facendo solamente come riflesso incondizionato.
“Ocean!” la riscosse “Guardami! Mi devi promettere che, qualunque cosa accada, non perderai la testa!”.
Finalmente vide una luce di risposta negli occhi grigi della ragazza.
“Okey, Annie. Ma prometti che farai di tutto per stare viva, anche se alla fine..” non riuscì a completare la frase.
Annie annuì. “Te lo giuro, Ocean. Ti voglio bene! Ti voglio un bene dell'anima” le sussurrò tra i capelli, abbracciandola.
Rimasero strette finché un Pacificatore entrò, annunciando la fine dei minuti.
“Stai bene Ocean! Ti voglio bene!!” le urlò, quando la sorella uscì.
Rimase nuovamente da sola, finché non entrarono i suoi genitori.
A loro non disse nulla della promessa, si limitò ad abbracciarli.
Poi di nuovo sola.
Tre colpi alla porta.
Si alzò. Era ora.
Aprì la porta, ma invece di un Pacificatore, Glauco entrò, insieme a Nereyde.
La abbracciarono, in silenzio.
Poi la ragazza fu presa da un attacco di pianto e uscì, dopo averla abbracciata di nuovo.
Glauco la prese per le spalle.
“Devi stare tranquilla. Hai delle buone possibilità. Devi solamente.. restare viva” e la voce gli si affievolì.
Annie lo abbracciò, non sopportando il suo sguardo.
Aveva già perso un fratello. Come poteva reggere se anche lei fosse morta?
“Promettimi che tornerai” le sussurrò.
Il groppo in gola le si fece ancora più pesante, ma si sforzò di non piangere.
Non poteva promettere.
Ma non poteva non farlo.
“Glauco.. prometto che proverò a vincere” gli disse.
E poi anche lui se ne andò.
Un Pacificatore entrò e le fece cenno di andare.
Probabilmente quelli erano gli ultimi minuti che passava nel Distretto 4.




 

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Capitolo 12
*** Una promessa per la morte ***


CIAO RAGAZZI!! 
SCUSATEMI.. SONO IMPERDONABILE! :(
MI SONO FATTA ATENDERE PER UN SACCO!
PERO' MI SONO FATTA PERDONARE.. DOVETE SOLAMENTE LEGGERE! 
DOMANI INTERROGAZIONE DI INGLESE SU CULTURA, QUINDI IL COMMENTO QUI SARA' BELLO BREVE! 
SPERO VIVAMENTE CHE VI PIACCIA E CHE RECENSIRETE IN MOLTI, COME AL SOLITO! 
VI VOGLIO UN SACCO DI BENE PERCHE' CI SIETE SEMPREEE!! 
BACIONI, LILY

BUONA LTTURA DEI 79esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTR FAVORE.

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Una promessa per la morte





Due Pacificatori la scortarono fuori dall'edificio e si ritrovò davanti ad Euer, che aveva dipinta in volto un'espressione indecifrabile.
Lo prese per mano, non avendo parole per descrivere quello che stava provando e, insieme a lui, si diresse verso il treno per Capitol City.
Milly Botuline li aspettava davanti alla porta, con un sorriso radioso che le tendeva le labbra stupidamente colorate di arancione.
“Andiamo ragazzi! Non vorrete fare notte” squittì, facendoli salire e chiudendosi lo sportello alle spalle.
I due, ancora senza lasciarsi, s'incamminarono per un corridoio illuminato, sotto i piedi una moquette porpora.
Arrivarono in una sala abbastanza grande e rimasero a bocca aperta.
Ovunque, in ogni centimetro quadrato, erano appoggiati vassoi di cibo: dolce, salato, frutta, verdura.
Le bevande erano allineate su una mensola sulla destra e a sinistra si allungava un tavolo argento.
Annie guardò il ragazzo che ancora teneva in mano, mentre sentiva un languorino nello stomaco.
Non aveva intenzione di mangiare, non ciò che le offriva Capitol City.
Li consideravano come degli animali da ingrasso?
Con la poca dignità che ancora le rimaneva, fece per passare lo scompartimento, ma Euer la trattenne.
“Dovremmo mangiare, An” le disse, indicandole le cibarie.
La ragazza lo fissò basita. “Non ho fame” rispose, rigida. Quando lui fece per ribattere, lo anticipò. “Ho bisogno di un bagno caldo” aggiunse, guardando Milly.
La donna si aprì in un sorriso splendente. “Ma certo, cara!” esclamò radiosa, guidandola tra i corridoi.
In realtà Annie non aveva nessuna intenzione di fare un bagno, ma le sarebbe andato bene tutto che non fosse stato rimanere nella stessa stanza con Milly, Euer e oggetti di Capitol City.
Arrivarono davanti alla sua cabina e poi la donna la lasciò.
Finalmente la ragazza poteva stare da sola a riflettere.
Non aveva nessuna intenzione di vincere gli Hunger Games. Si sarebbe limitata a parteciparvi.
Il suo vero obiettivo era quello di tenere in vita Euer, farlo vincere.
Si sarebbe dovuta allenare, una volta arrivata a Capitol City. Avrebbe dovuto sfruttare qualsiasi momento per studiare gli avversari, per prepararsi.
Si sedette a bordo del letto e rimase immobile per un tempo infinito con la testa piena di pensieri confusionari: varie tattiche di combattimento, il volto di sua sorella, Finnick che la respingeva.
Era tutto troppo compresso. Le sembrava quasi impossibile che una singola persona potesse racchiudere tante preoccupazioni.
Fu solamente quando l'orologio-sveglia che aveva di fianco che iniziò a trillare le due, che si alzò e si decise di uscire.
Per poter aiutare il ragazzo, aveva bisogno di cibo, per irrobustirsi e non poteva assolutamente permettersi di mancare di rispetto a Capitol City.
Uscì e si chiuse la porta alle spalle. Fece qualche passo ma andò a sbattere contro qualcuno che era uscito da una stanza all'angolo.
“Mi scusi!” esclamò.
Poi ogni suo muscolo si paralizzò, realizzando chi era la persona che aveva urtato.
Finnick Odair la guardò, interrogativo.
“Annie, che ci fai qui?” le domandò.
“Avevo bisogno di un bagno” rispose rigidamente, tenendo una buona distanza tra il suo corpo e quello del ragazzo.
Capì, osservando le iridi verdi di Finnick, che aveva notato la sua freddezza. Ma non poteva continuare questo capriccio, non con gli Hunger Games alle porte.
Aveva bisogno dei suoi due mentori per aiutare Euer.
Finnick si girò e fece qualche passo verso la cabina ristorante.
“Finnick!” lo chiamò Annie.
Lui si girò e la guardò interrogativo.
“Ti devo parlare” gli disse raggiungendolo. Ormai era fatta, non poteva più tirarsi indietro.
Il ragazzo capì che doveva essere qualcosa di importante, quindi la scortò fino alla sua stanza e chiuse la porta, per evitare che qualche strana telecamera o microfono potesse incastrarla.
Annie fece qualche passo avanti e indietro, torcendosi le mani e mordendosi il labbro inferiore.
“Ho bisogno del tuo aiuto” affermò, avvicinandosi ad un finestrino.
“Beh, logico. Sei stata sorteggiata per gli Hunger Games. È normale aver bisogno di una mano per vincere” replicò Finnick, fissandole la schiena.
“Questo è il problema. Io non voglio vincere”.
Al ragazzo servirono alcuni secondi per capire esattamente la frase che gli aveva appena detto e quando ci fu riuscito, il cuore perse qualche battito.
“Come?!” esclamò.
Finalmente Annie si voltò per guardarlo, ma non c'erano lacrime nei suoi occhi, solo determinazione e un'infinita tristezza.
“Euer deve uscire vivo dall'arena. Ho fatto una promessa” gli spiegò.
Era consapevole che non fosse l'idea dell'anno ed era logico che un mentore avesse il compito di tenere in vita un proprio tributo, ma se questo chiedeva di morire.. beh, non poteva fare nulla per impedirlo.
Il volto di Finnick andò a fuoco per la collera. Sbatté una mano sul tavolo e le si avvicinò, con un'espressione furiosa sul volto. “Una promessa?! Non esistono promesse negli Hunger Games! Oppure non si fanno!!” esclamò.
“E' una mia scelta!!”. Anche Annie alzò la voce. Non gli doveva importare quello che pensava.
“Ogni tributo deve pensare a rimanere in vita! L'obiettivo è quello di uscire vivi dall'arena!” gridò lui.
“Ogni tributo deve pensare per e io ho scelto così! Ma non posso fare da sola. Ho bisogno di un aiuto”. Ora la voce era diventata implorante.
Non era sicura che, se l'avesse chiesto a Mags, lei le avrebbe detto di si.
“Non posso, Annie” disse Finnick, guardandola con un'espressione indecifrabile.
La ragazza spalancò gli occhi. Aveva bisogno di quell'aiuto.
“Ti prego, Finnick! Mi devi aiutare!!” esclamò, afferrandogli un braccio. “Ti prego”
“Annie, non posso farlo” ripeté lui, rifiutandosi di guardala ancora.
Non poteva chiedergli questo. Tutto, ma non di morire nell'arena.
La ragazza si arrabbiò, divenne davvero furiosa. Perché non voleva aiutarla?! Sarebbe stato anche più semplice! Non avrebbe nemmeno dovuto seguirla più di tanto, sapendo che non avrebbe vinto.
“Odair!” ringhiò “Me lo devi! Per tutto quello che ho fatto!!” gridò, frustrata.
Ma il ragazzo continuava a scuotere la testa, ripetendo che non poteva.
La rabbia montò nel petto di Annie alla velocità della luce. Non poteva credere che fosse così egoista!
“PERCHE' NON PUOI?! PERCHE'?? SEI UNO STUPIDO, UN IDIOTA. NON TI IMPORTA DI NESSUNO A PARTE CHE TE STESSO! IO CI HO PROVATO, HO PROVATO A CAPIRTI E TUTTO CIO' CHE HO RICEVUTO E' STATA UNA PORTA IN FACCIA! PERCHE'?? TI ODIO, TI O...”
Ma il fiume di parole velenose venne bloccato di colpo quando il ragazzo prese il volto di Annie tra le mani e le labbra sulle sue.
Lei spalancò gli occhi, colta di sorpresa, ma non si mosse, col cuore che batteva a mille.
Quando Finnick si allontanò leggermente dalle sue labbra, Annie sentì un vuoto alla bocca dello stomaco.
“Ecco perché non posso lasciarti morire nell'arena” le sussurrò sulle labbra, ancora stringendola
Il cervello di Annie urlava a pieni polmoni di staccarsi, tirargli uno schiaffo e poi andarsene, sbattendo la porta.
Il cuore, invece, prese il sopravvento e le comandò di passargli una mano dietro il collo e attirarlo nuovamente sulle sue labbra.
Finnick, che già si aspettava una reazione sconvolta e rabbiosa, rimase spiazzato quando si ritrovò nuovamente a baciare la ragazza.
Aveva delle labbra così calde, morbide. Come se fossero fatte esattamente per posarsi sulle sue.
Fece scendere le mani sui suoi fianchi, avvicinandole il corpo al suo, sentendone il tepore e lasciando che il profumo gli inebriasse la mente.
Sentì le mani fresche della ragazza allacciarsi dietro il suo collo, affondare nei capelli, tirargli qualche ciocca.
Era tutto così spontaneo e dolce che impiegò qualche minuto per ricordarsi delle parole di Mags.
Si staccò all'istante, improvvisamente arrabbiato con sé stesso, con Snow e pure con Annie, che aveva risposto al bacio, al poso di andarsene e fargli capire che non ricambiava.
Così era tutto più difficile.
La ragazza lo guardò interrogativa, ancora troppo vicina per fargli tornare la completa lucidità in mente.
L'unica cosa che Finnick voleva in quel momento, era riprendere a baciarla, sollevarla, prenderla in braccio, accarezzarla, baciarla di nuovo.
“Non.. Annie..” disse, chiudendo gli occhi “..noi non.. possiamo” concluse in un soffio.
Vide ogni singola espressione cambiare nel volto della ragazza: sorpresa, confusione, tristezza e rabbia.
Annie si staccò con forza, mettendo una distanza notevole tra i due. Lo guardò indignata, con i pungi serrati.
“Sono venuta a chiederti un favore e non hai accettato. Mi hai fatto più male tu in una settimana che qualsiasi altra persona in tutta la vita” gli sputò addosso, prima di andarsene.
“Annie!!” urlò Finnick, ormai alla porta.
Tirò un calcio alla sedia, rovesciandola. Afferrò un vaso sul tavolino e lo scagliò a terra, mandandolo in mille pezzi.
Gridò alla sua immagine riflessa nello specchio.
Lo stava facendo per lei, la stava salvando e lei gli urlava addosso.
Pensò che se ci fosse mai stato un amore più difficile del mondo, allora era il suo.






Annie entrò nella cabina-ristorante, trovandoci Euer che mangiava un panino farcito.
“Ehi” la salutò. Non gli bastò molto per capire che c'era qualcosa che non andava.
“Annie, tutto okey?” chiese, alzandosi e andandole incontro.
La ragazza annuì, distrattamente, e si avvicinò al buffet, riempiendosi il piatto di cibo.
“No, non va tutto bene” commentò il ragazzo, mettendole una mano sulla sua.
Annie lo fissò. “Ho litigato” spiegò “Con Finnick”
Che cos'avrebbe guadagnato a mentirgli? Non gli avrebbe detto della promessa, ma del resto si. Non potevano allontanarsi proprio in quel momento.
“Mmh.. e perché?” volle sapere lui, addentando anche l'ultimo pezzo del tramezzino.
Le labbra erano increspate in un sorrisetto, cosa che fece scandalizzare la ragazza. “Mi ha baciata” replicò lei, guardandolo truce.
Euer ridacchiò sotto i baffi, quasi strozzandosi col pane.
Annie rimase letteralmente basita ed indignata. Si aspettava una qualsiasi altra reazione, ma non quella!
“Non ridere! Ti ho appena detto che mi ha baciata!” ripeté.
Euer allora scoppiò a ridere, divertito dal suo comportamento.
“Smettila!! Non è per niente divertente!” esclamò Annie.
“Sì, invece” annuì lui, sogghignando “Mezzo Distretto aveva fatto una scommessa su di voi. Se fosse successo anche solo qualche ora fa, sarei ricco!” spiegò.
La ragazza registrò le parole poco per volta. “Stai.. scherzando, vero?” domandò scandalizzata.
“No, per niente! Non scherzerei mai sui soldi” rispose seriamente, scuotendo il capo. “Devi assolutamente provare queste.. olive, credo. Sono buonissime!” le disse, porgendogliene una.
La ragazza la fissò come se fosse uno scarabeo particolarmente brutto. Poi l'afferrò e la mise in bocca tutta piena. “L'ho fatto solo perché ho fame. Non perché me l'hai detto tu” borbottò.
Scoprì che con Euer era riuscita a dimenticarsi per un attimo di Finnick, cosa che per il momento rappresentava la cosa più importante per Annie.
Si erano comportati esattamente come avrebbero fatto a Distretto, al diavolo gli Hunger Games!


 

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Capitolo 13
*** Come animali da circo ***


SCIAU BELII!
ECCOMI COL NUOVO CAPITOLO E LA LARINGITE.
E' PAZZESCA COME SITUAZIONE. SONO UNA RAGAZZA CHE, VI GIURO, NON SMETTE MAI MAI MAI MAI DI PARLARE E ORA MI RITROVO COMPLETAMENTE AFONA?!!!
E' UNA DELLE COSE PEGGIORI CHE MI POSSANO CAPITARE. 
INOLTRE HO APPENA FINITO (SONO LE 00:06 {AUGURI A UNA MIA AMICAAAAAA}) DI FARE DELLE CIOCCORANE COME REGALO DI NATALE PER DUE MIE COMPAGNE DI CLASSE. DOMANI è L'ULTIMO GIORNO CHE LE VEDO. 
HO FATTO LA SCATOLINA E PURE LE RANE, CON LA PASTA DI ZUCCHERO!! MI SENTO TROPPO MICHELANGELO.. ORA MI DO ALLA SCULTURA. MAGARI FANNO ANCHE SCHIFO, MA SONO TROPPO GASATA AHAHAHAHAHAH 
COMUNQUE, TORNANDO AL CAPITOLO.. EHEHE, MI SPIACE PER LA MIA AMICA BEBA, MA ANCHE QUESTO SI CONCLUDE COSI' DI BOTTO. NON AMMAZZARMI, TVTB AHAHAHAH 
GRAZIE MILLE ALLE 70 PERSONE CHE L'HANNO MESSA TRA LE SEGUITE E A TUTTE LE ATRE (SCUSATE, NON SONO STATA A CONTARLE) CHE L'HANNO AGGIUNTA TRA LE PREFERITE. INOLTRE GRAZISSIMO A TUTTI QUELLI CHE RECENSISCONO, SOPRATTUTTO AASIL!!! <3

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE!!

 
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Come animali da circo





 
Arrivarono a Capitol City prima di quanto la ragazza si fosse mai aspettata.
L'aggettivo che primeggiava nella testa di Annie, per descrivere la capitale, era uno solo: pazzesca.
Ma non era un “pazzesca” nel senso positivo della parola. No, era un “pazzesca” che prendeva il significato dalla radice: pazzo.
Perché tutto poteva essere Capitol City, ma soprattutto era una città di pazzi.
In primo luogo per via degli Hunger Games.
Quale persona con un briciolo di amor proprio e di senno avrebbe spinto dei ragazzini, perché era di questo che si stava parlando, verso una lotta all'ultimo sangue, nella quale questi perdevano la ragione e si tramutavano in animali?
Come potevano non pensare a cosa avrebbero provato se nell'Arena ci fossero stati i loro, di figli.
In secondo luogo, per la festa assolutamente inadeguata per il momento.
I tributi arrivavano, consci della loro probabile morte, e li accoglievano festeggiando e stappando spumante, come se si aspettassero l'evento più importante dell'anno?
In fondo, erano quelli gli Hunger Games: il miglior intrattenimento della popolazione di Capitol City.
Per tutto l'anno non facevano che parlare dei grandi Giochi, di come si sarebbero svolti, di quanto avrebbero puntato per le scommesse.
Per due settimane avrebbero assistito 24 ore su 24 agli Hunger Games, decisamente in fibrillazione ed infine, quando sarebbero finiti, avrebbero ricominciato a parlarne, non vedendo l'ora dei prossimi.
Era così, nella capitale. Ormai i giochi erano diventati un'ossessione febbrile per gli abitanti. Come si poteva sperare in un futuro libero dalla carneficina, se questa rimaneva la maggior attrazione per il Distretto più potente di tutti?
Guardando fuori dai grandi finestrini, Annie scorgeva persone abbigliate nei modi più stupidi del pianeta.
Scorse una donna con la pelle blu, i capelli per aria, argento e le ciglia lunghe quasi trenta centimetri.
Più in là, ecco che si stagliava la figura di un uomo corpulento, con il rossetto verde, i denti a colori alterni, un completo assurdo: la parte sinistra gialla e quella destra fucsia.
Accanto a lui, probabilmente la moglie, una donnina piccola con le palpebre pesantemente truccate di lilla, dei tatuaggi sulla faccia, a forma di fiori e unghie lunghe almeno un metro.
In braccio sorreggeva un bambino, con la pelle a pois neri.
La ragazza scosse la testa, con un moto di repulsione.
Là fuori, la gente la acclamava. La accoglieva come un animale da circo, probabilmente già pregustandosi la sua morte atroce.
“Mi fanno ribrezzo” commentò Euer tra i denti, salutando con una mano ed esibendo un sorriso fintissimo.
“Allora smettila di agitare la mano come uno spastico” replicò acidamente Annie.
Lui si girò a guardarla per qualche istante, con un sorrisetto.
“Quelle persone fuori potrebbero diventare i nostri sponsor e magari aiutarci a sopravvivere nell'Arena” disse.
Giusto, i giochi.
Euer doveva rimanere in vita. Lei lo doveva aiutare.
Si alzò meccanica dalla poltrona e si avvicinò al finestrino.
Mordendosi l'interno della guancia e con la voce interiore che le gridava di non farlo, alzò il braccio e iniziò a salutare amichevolmente.
Era terribile.
Si sentiva una completa idiota.
Fortunatamente non aveva nessuno specchio di fianco, perché sarebbe scoppiata o a ridere o a piangere per la smorfia che doveva avere in volto.
Rimase a salutare una folla di macellai al di fuori del finestrino, ringraziando Dio che esistesse quella flebile barriera che li separava.
Fosse stata più forte, li avrebbe uccisi tutti, all'istante.
Subito si accigliò a quel pensiero. Gli Hunger Games già iniziavano a cambiarla. Non se ne rammaricò. Una volta nell'Arena, non c'era spazio per commiserazione, pietà o rimorso: solamente istinto di sopravvivenza puro. Nel suo caso, sopravvivenza per garantire la sopravvivenza del suo compagno.
“Ragazzi bellissimi. Siamo arrivati!” trillò Milly, entrando nello scompartimento, battendo le mani.
I due si voltarono a guardarla. Cosa ci trovasse di entusiasmante in tutto quello, lo sapeva solamente lei.
Dietro, comparvero Mags e Finnick.
Appena il ragazzo varcò la soglia, Annie si agitò leggermente, sentendo la furia montare.
La mano di Euer, intorno alla sua, la fece tornare abbastanza calma. Tanto quanto bastava per non afferrare un coltello e conficcarglielo nella gola.
No, non sarebbe mai riuscita a farlo.
In primo luogo perché aveva già avuto la conferma che non avrebbe mai potuto far del male a Finnick. Era qualcosa contro la sua natura.
Secondo, perché dopo il sangue l'avrebbe sporcata e a le avrebbe dato solamente molto fastidio.
Si accorse che gli occhi verde mare di Finnick ebbero un guizzo nella direzione della sua mano serrata a quella dell'amico, ma se provò qualcosa, fu abile nel mascherarlo.
“Bene, bene, bene. Non siete eccitati??!” strillò Milly, sistemandosi l'acconciatura.
“No” risposero all'unisono i due, con i volti inespressivi.
Ricevettero un'occhiataccia dalla donna che si trasformò quasi subito in un sorriso esagerato. “Beh, lo sono io per entrambi!” esclamò.
Li condusse all'uscita e, solo quando le porte si aprirono, Annie si decise a lasciare la mano di Euer: non voleva che qualcuno ritenesse uno dei due un debole.
S'incamminarono sul tappeto rosso che li avrebbe condotti fino alla loro residenza.
A separarli dalla calca urlante ed eccitata, solo una catena di metallo che, la ragazza intuì, doveva in qualche modo essere leggermente pericolosa per le persone che si tenevano cautamente lontane.
A parte questo, tutti erano in fibrillazione per il loro arrivo.
Centinaia di mani si sporgevano per toccarli, accarezzarli, porger loro qualcosa.
Annie ricevette una rosa rossa, una primula e un'orchidea blu, geneticamente modificata, sicuro.
Le persone gridavano i loro nomi, incessantemente.
Sulle labbra di tutte le donne, ragazze e bambine, era stampato il nome di Euer, che fu accolto da un boato eccezionale.
La sua bellezza, certamente notevole e fuori dal comune, evidentemente aveva già conquistato molti cuori.
Con un sorriso gentile, il ragazzo accettava fiori e fotografie. Non diceva mai di no. Aveva una parola buona per ognuno.
In confronto Annie si sentiva una spregiudicata. Appena un ragazzo poco più grande di lei aveva provato a sfiorarla, si era ritratta, come scottata, guardandolo in cagnesco.
Lui probabilmente non se n'era neppure accorto, perché aveva continuato a strillare il suo nome.
Invece Finnick, appena dietro di lei -la ragazza riusciva a sentire il calore del suo corpo- si era teso in avanti, in un gesto automatico, come per difenderla.
“Lasciami stare” aveva sibilato piccata. “So badare a me stessa senza l'aiuto di una badante”.
Il ragazzo non aveva detto nulla e aveva ritratto la mano.
“Sorridete, ragazzi. Respirate quest'aria.. divina” disse loro Milly, chiudendo gli occhi e facendo un profondissimo respiro.
“Sento una paralisi facciale alle porte” commentò Annie sarcastica, digrignando apposta i denti in una smorfia davanti a Milly, che la fulminò con lo sguardo.
“Non è divertente. Questa è una cosa seria” la riprese.
Ma gli angoli della bocca erano leggermente sollevati, mentre Euer era proprio scoppiato a ridere.
Finalmente varcarono la soglia dell'edificio e tutto il rumore sparì alle spalle.
“Grazie al cielo” sbuffò Euer.
“Giovanotto” si accigliò Milly “quelle persone sono lì fuori per te. È meglio che entrambi impariate a contenervi, prima dell'intervista” disse. “Ora avete la sessione con i vostri preparatori. Poi ci troveremo per la cena. Non fate tardi! Avete la sfilata, dopotutto” e se ne andò.
Annie ed Euer si guardarono in silenzio. Già, la sfilata.
Nella quale i due sarebbero apparsi davanti all'intera Capitol City.
Non voleva fare la Sfilata. Voleva solamente andare a casa, con Ocean. Non aveva intenzione di sfilare per persone che poi avrebbero tifato per la sua morte.
“Stai tranquilla, Annie. Andrà tutto bene” la rassicurò l'amico, come leggendole nella mente.
La ragazza annuì e si avviò verso la sala nella quale avrebbe incontrato la propria o il proprio stilista.
Venne mandata in una stanzetta illuminata da una luce artificiale abbastanza accecante.
Fu fatta stendere su un lettino e in pochi minuti fu raggiunta da tre persone: i suoi preparatori.
Due uomini e una donna. Tutti quanti strani all'inverosimile.
Il primo uomo, Jean-Claude, era alto, slanciato e probabilmente anche abbastanza attraente. Purtroppo il suo volto, dall'attaccatura dei capelli alla base del collo, era dipinto con migliaia di tatuaggi tribali. Partivano dal centro della fronte, a morbide volute che si diramavano fino alle tempie, dove segnavano il contorno delicato degli occhi neri come la pece. Coloravano tutte le palpebre. All'inizio Annie pensò che tutta la pelle dell'occhio fosse colorata da un'unica linea scura. Invece, se si concentrava, riusciva a scorgere piccoli ricami eseguiti eccezionalmente.
Dalla parte dell'occhio interna, i tatuaggi assumevano forme più grandi, percorrendo il naso dritto, fino alle labbra, gentilmente risparmiate dalla pittura nera, ma ugualmente evidenziate da una matita marrone che le contornava.
I tatuaggi proseguivano fino al mento, con riccioli che sarebbero potuti sembrare di barba, se non si guardava bene.
Infine si allungavano sul collo in modo delicato, per poi sparire, ad effetto sfumato, sotto l'abito.
I capelli, corvini, erano tirati indietro da uno strato illegale di brillantina, che li divideva in ciocche ben distinte.
All'orecchio sinistro, pendevano vari orecchini dorati e un anellino adornava il sopracciglio destro.
Il secondo uomo, o meglio ragazzo, Marcus, era molto più “umano”.
Non aveva nessun tatuaggio, almeno non in faccia.
Gli occhi erano azzurro chiarissimo, nascosti da lunghe ciglia nere, troppo lunghe per essere naturali.
Le sopracciglia, finemente curate, si aprivano in arcate ben rifinite. La pelle era lattea, senza nessun difetto, distesa e.. morbida, avrebbe detto Annie.
Le labbra, piccole ma piene, erano colorate di arancione metallico, così come le palpebre e i capelli, scompigliati per il gel e di natura.
Indossava una maglietta a maniche corte, diversamente dagli altri due, il che gli scopriva i bicipiti muscolosi.
Su quello sinistro, era impresso un tatuaggio di una tartaruga, anch'essa tribale, che sembrava muoversi ogni qualvolta che tendeva il muscolo.
La ragazza lo avrebbe anche reputato carino, se non fosse sembrato un'arancia.
Infine, la donna, Katherine.
Era davvero bellissima.
Gli occhi erano verdi quasi come quelli di Finnick. Grandi, splendenti, brillanti e vivi, come quelli di una qualsiasi altra persona nel Distretto 4.
Contornati da ciglia nere, finte ma non imbarazzanti.
Le labbra erano rosse, piene, gonfie, belle.
Gli zigomi rifatti, rifiniti, evidenziati da un trucco che verteva sul rosa-arancione.
Il naso, all'insù, da perenne bambina, era ben truccato, così come la sua pelle, bianca al punto giusto, per farla sembrare a una nobildonna d'altri tempi.
Proprio all'estremità due occhi, truccati perfettamente e pesantemente, conferendole un aspetto sexy da impazzire, partivano due volute tatuate di nero.
Non le stavano male, anzi.
Davano allo sguardo una forza e una sensualità che avrebbero messo a disagio qualsiasi uomo, forse persino Snow in persona.
I denti, bianchissimi, drittissimi, lucidissimi.
Il seno pompatissimo, sodissimo.
Era la tipica “donna -issima” come le definiva Annie.
Belle da far svenire, ma vuote.
Iniziarono a spogliarla, lavarla, depilarla, finché al posto della pelle non sentì un bruciore lieve ma continuo.
La lasciarono sul lettino, nuda, a fissare la luce sopra di sé, ancora un po' tutta dolorante.
Che cosa sarebbe successo adesso? Sarebbero ritornati con una cesoia enorme e l'avrebbero uccisa, consapevoli che sarebbe stato un grande favore all'umanità e agli Hunger Games.
Per tutta la seduta non avevano fatto che parlare di lei, o meglio, criticarla.
“O cielo, ma che sopracciglia denaturate. Sembra appena uscita da una giungla!” aveva strillato Jean-Claude, appena l'aveva vista.
Annie era arrossita fino alle orecchie. Non le sembrava di avere delle sopracciglia inguardabili. Era stata attenta alla sua figura. Aveva sempre cercato di apparire carina. Per questo se le sistemava a volte.
Eppure l'uomo aveva afferrato delle pinzette ed era stato ben un'ora a tartassagliele, finché non si era reputato soddisfatto.
Annie aveva pensato che, dopo tutto quel lavoro di strappa e ristrappa, non ci doveva essere più attaccato nulla.
Ma non era finita lì. Infatti nemmeno Marcus si era risparmiato qualche commentino acido sul suo conto.
Lui era l'addetto alla depilazione del corpo. Completa.
Con le gambe non c'era stato problema; la ragazza si depilava già da prima, in quanto arrivava da un Distretto nel quale si stava in costume quasi tutto il giorno.
Nessun commento finché non era arrivato in una zona che Annie non aveva mai nemmeno preso in considerazione di depilare.
Che cosa le serviva? Stava sempre coperta, quindi il ragionamento era “occhio non vede, cuore non duole”.
Eppure al suo preparatore era dovuta sembrare una disgrazia divina.
Appena l'aveva vista, si era coperto gli occhi e aveva scosso la testa, desolato.
“Ragazza” le aveva detto, avvicinandosi “o ti depili tutta o lasci perdere. Che senso ha fare un 50-50?”
Lì per lì, ad Annie era venuto da ridere. Ma le era passato presto, subito dopo il primo strappo.
“Ecco perché non l'ho mai fatto” aveva sibilato tra i denti, trattenendo le lacrime dal dolore.
Infine era subentrata anche Katherine, con un suo commentino tagliente riguardante la scarsa taglia di reggiseno della ragazza.
Annie si era un po' offesa.
Non tutti avevano l'opportunità di rifarsi il seno mille volte fino ad ottenerne uno che ti avrebbe soffocato!
Gliel'avrebbe tanto voluto dire, ma si contenne, incassando stoicamente tutte le frecciatine maligne.
Finalmente i tre se n'erano andati e lei aveva potuto rilassarsi.
Comunque pensò che non sarebbero mai entrati con una cesoia o una sega elettrica, per ucciderla. La volevano intera per gli Hunger Games.
E poi doveva ancora arrivare il suo Stilista.
Anche se avrebbe preferito scegliersi i vestiti da sola, lo Stilista era la persona più importante per un Tributo.
Era suo il compito di farla apparire bella davanti all'intera Capitol City.
Tecnicamente la figura più importante per un tributo sarebbe dovuta essere quella del Mentore, ma dato che con i suoi non aveva un buon rapporto, sperò che almeno con lo Stilista la cosa sarebbe andata meglio.
Dopo quasi mezz'ora di attesa, la porta della camera si aprì ed Annie, ad occhi chiusi, sentì i passi lievi di qualcuno che la raggiungeva.
Socchiuse un occhio verde mare e, da sotto le ciglia, vide la figura di una donna.
Eppure fu solo quando li ebbe aperti entrambi totalmente che si accorse di quanto fosse strana la sua Stilista.
O avrebbe dovuto dire “normale”.
In un ambiente come quello di Capitol City, la donna sarebbe stata etichettata come una strana, ma nel Distretto si sarebbe potuta scambiare perfettamente per una cittadina a parte per dei bizzarri occhiali da sole che le coprivano interamente gli occhi.
Era bella, giovane.
I capelli rosso fuoco, ricci ed indomabili, lunghissimi, fino alla fine della schiena.
Una pelle cosparsa di lentiggini di ogni forma e dimensione.
Le guance erano piene e rosee, contratte per via del sorriso gentile che le piegava le labbra chiare, scoprendole una dentatura bianca.
Era magra, alta forse quanto Annie, se non poco di meno.
Poteva avere, ad occhio e croce, una trentina d'anni, ma ne dimostrava sicuramente di meno.
La ragazza era curiosa di sapere il colore degli occhi, ma non riusciva a vedere nulla oltre le lenti nere come la pece.
“Finita la analisi?” domandò la donna, sempre senza smettere di sorridere. Le prese una mano tra le sue e si sedette di fianco a lei.
Annie arrossì, imbarazzata.
Non le dava fastidio il contatto. Di sicuro l'avrebbe messa a disagio la presenza di Marcus o di Jean-Claude.
“Non sentirti in imbarazzo, né agitata” commentò la sua Stilista.
La ragazza inarcò le sopracciglia, sorpresa. Non pensava di aver avuto una reazione così evidente.
Si accorse che la donna fissava un punto preciso da quando era entrata. Aveva visto poche volte un comportamento del genere, solitamente nelle persone..
La sua Stilista era cieca.

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Capitolo 14
*** Typhlos ***


CIAO RAGAZZI! 
SI VEDE CHE NON C'E' PIU' IL PROBLEMA SCUOLA! AHAHAHAH ADESSO CAPITOLI A GOGO.. A CASO COMPLETAMENTE! ;D
COMUNQUE OGGI è IL COMPLEANNO DI TRE MIEI AMICI E VORREI FAR LORO GLI AUGURI PURE QUI! <3<3
TORNANDO ALLA STORIA.. QUESTO è IL CAPITOLO PRE-SFILATA, DEL VESTITO, IN POCHE PAROLE.
AVEVO PROMESSO LA FOTO E LA FOTO CI SARA', MA PROMETTETE CHE NON ANDRETE A GUARDARLA ORA, MA A FINE CAPITOLO! SE NO LA DESCRIZIONE SARA' UN  PO' INUTILE :)
SPERO CHE VI PIACCIA,  PERCHE' CI HO MESSO DUE ORE A FINIRLO. MI DISPIACE PER LA FACCIA, MA NON HO AVUTO TEMPO. POI E' SOLAMENTE UN MODELLO! (:
P.S IL NOME DELLA STILISTA è TYPHLOS, CHE IN GRECO SIGNIFICA EFFETTIVAMENTE "CIECA".
LEGGETE E FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! 
BACIONI, LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE
 
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Typhlos




Inizialmente Annie pensò si trattasse di un qualche stupido scherzo ideato dai suoi Preparatori per stuzzicarla o farla innervosire maggiormente.
Eppure la sua Stilista sembrava realmente cieca.
La teneva ancora per mano e fu lì che l'occhio verde della ragazza cadde. In effetti non aveva prestato attenzione alla particolare posizione delle dita della donna, che le circondavano il polso.
Aveva sentito dire che i ciechi, per meglio interpretare le emozioni altrui, percepivano le pulsazioni sul polso delle persone.
Quindi, pazzesco o no, era davvero cieca.
Annie si trovò un po' a disagio e molto disorientata. Come pensavano che avrebbe potuto aiutarla? Sarebbe stata capace di confezionarsi un abito da sola migliore di quello della donna.
Aveva bisogno di fare bella figura alla sfilata e di certo, con lei, non ci sarebbe riuscita.
“Immagino che tu abbia già fatto due più due” disse improvvisamente la Stilista, sempre senza abbandonare quel sorriso gentile.
“Già” rispose Annie, titubante. Non voleva essere troppo scortese.
“Ti starai chiedendo come mai ti abbiano assegnato una Stilista cieca. Non sei la prima che se lo domanda. È perfettamente normale, lo farei anche io, al posto tuo”.
Si passò le mani tra i capelli, riavviandoseli.
“Hai voglia di sentire la mia storia, o sei in fibrillazione per la Sfilata?” le chiese.
La ragazza rifletté un attimo. Era ovvio che fosse agitata per la sera, ma non le sembrava una tipa potenzialmente pazza, come tutti a Capitol City e le sarebbe piaciuto ascoltare una storia, cosa che l'avrebbe riportata a suo Distretto.
“Mi piacciono le storie” commentò, mettendosi più comoda e chiudendo gli occhi.
“Mi chiamo Typhlos, ma tutti hanno incominciato ad abbreviarlo in Ty in un tempo che non ricordo neppure più. Non sono nata cieca. Vivevo con la mia famiglia a Capitol City, in un quartiere alla periferia, dove ancora non c'erano grattacieli, palazzi enormi, fabbriche e strade infinite.
La mia casa era ai margini di un prato immenso, probabilmente ora si sarà trasformato in un centro commerciale, in una zona palaziale, o non so.
Mi piaceva camminare nell'erba e contare tutti i fiori, ognuno con colore differente.
Avevo meno della tua età, quando capii di amare il mondo della moda.
Passavo giornate intere a tagliare, cucire e colorare stoffe per le mie bambole. Ne avevo più di cento e ogni giorno tutte quante cambiavano vestito, per partecipare a passerelle immaginarie nella mia mente.
Fui assunta, ancora sedicenne, da un'agenzia di moda molto prestigiosa, che era venuta a conoscenza del mio talento attraverso i racconti delle persone a me vicine.
Ero al settimo cielo, non avrei mai potuto immaginare qualcosa di meglio. Ero raggiante.
Appena dopo due mesi dalla mia assunzione, iniziarono a propormi sfilate, ricevimenti. Ogni persona di alto rango chiedeva di me, dei miei vestiti.
Non erano come quelli di Capitol City, come si vedono ora” fece una pausa, con un sorrisetto. “Come li vedi tu” si corresse “A me piacevano per la loro semplicità, per il loro tocco di purezza che sempre mi avevano trasmesso i fiori.
Fu un periodo stupendo per me, ma l'entusiasmo durò poco, perché appena un anno dopo la mia assunzione, mi ritrovai a constatare che c'era qualcosa che non andava in me.
Mi faceva male la testa, gli occhi mi si facevano pesanti dopo appena tre ore di lavoro e un senso di spossatezza mi attanagliava come una morsa.
All'inizio pensai fosse dovuto al troppo lavoro, e non me ne preoccupai. Anzi, in quel tempo mi venivano fatte sempre più richieste e sempre mi tuffavo nei miei vestiti con passione, senza curarmi del mio malessere.
Avrei dovuto. Infatti nemmeno un mese dopo, il mio occhi sinistro iniziò a non funzionare bene.
Mi svegliai una mattina, aprì gli occhi e.. non vidi nulla dalla parte sinistra.
Battei le palpebre e dopo poco la vista tornò, sfocata, lieve, flebile.
Mi spaventai e corsi da un dottore, da qualcuno che avrebbe potuto dirmi cosa mi stava succedendo.
La prognosi fu spaventosa: stavo diventando cieca.
Ero completamente terrorizzata dall'idea. Passai da chirurgo a chirurgo, ma ogni volta, seduta sul lettino, mi veniva detto che era un male incurabile.
La mia vista sarebbe scomparsa lentamente, finché non mi sarei trovata a guardare solamente il nulla.
Passai un mese chiusa in casa, a piangere e a disperarmi.
La vista, i colori, i vestiti, erano il mio mondo. Non potevo immaginarmi senza essi.
Intanto nella mia cassetta postale le richieste aumentavano, ma non ci facevo caso.
Che cosa serviva continuare, se avrei dovuto smettere una volta per tutte?
Un giorno, però, mi resi conto che la mia vita non era finita.
Avrei continuato a vivere per molto tempo, dopo la mia completa perdita della vista.
La vita sarebbe andata avanti e non potevo permettermi di essere lasciata dietro.
Avevo bisogno di ricominciare ad esistere.
Iniziai a studiare attentamente tutte le stoffe, ad occhi chiusi, preparandomi all'inevitabile.
Imparai a distinguere il velluto dalla seta, la lana dal cotone. I fili spessi da quelli minuti. Mi esercitai, insieme a delle mie amiche, a cucire senza l'aiuto della vista, a tagliare dritto.
Elaborai dei sistemi di lavoro rigidi, difficili, ma che mi avrebbero aiutato nel momento in cui la mia vista si sarebbe completamente spenta.
Alla fine di quel periodo, ero in grado di confezionare un vestito magnifico, senza l'aiuto dei miei occhi.
Certo, sempre avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse, ma potevo considerarmi quasi completamente autosufficiente.
E poi arrivò il fatidico giorno in cui mi svegliai e aprii gli occhi, trovando solamente il buio. Ma avevo fatto l'abitudine al nero, ormai era diventato un mio compagno di esistenza. Lo accolsi quasi con amore, perché sapevo che sarebbe stato l'unico che sarebbe rimasto per sempre.
La notizia della mia sciagura corse ben presto di bocca in bocca, ma ancora più veloce, quella della mia nuova e innata abilità nel creare vestiti senza l'aiuto della vista.
Rimasi famosa, molto. I miei vestiti andavano a ruba.
Non mi serviva guardare per elaborare un vestito. Mi si creavano in testa. Là io avevo i miei occhi, quelli interiori.
Descrivevo il vestito alle mie colleghe e loro tracciavano lo schizzo. Mi facevano sapere i loro pareri se qualcosa si sarebbe dovuto perfezionare e poi io iniziavo il lavoro.
L'anno scorso, il presidente Snow, mi ha offerto il posto di nuova Stilista e ho accettato” concluse.
Annie l'aveva ascoltata, pendente dalle sue labbra.
Era una storia magnifica, quasi impossibile da credere se non ce l'avesse avuta davanti, come prova tangibile della verità.
Un sentimento crebbe dentro di lei, qualcosa che aveva sempre riservato per poche persone: ammirazione.
Ammirava quella donna per la sua ostinazione a rimanere viva, mentre le veniva tolto il suo bene più grande.
Aveva imparato a fare di quell'impedimento, un suo vanto, un suo talento.
Non poteva nemmeno pensare lontanamente che fosse come tutti gli altri. A Capitol City, ne era certa, le persone non erano così.
Typhlos era unica. Una donna che Annie sarebbe molto voluta diventare.
“Ora, per preparare il tuo vestito, avrò bisogno del tuo aiuto. Sono brava a fabbricare, ma non posso sapere come sei fatta fuori e dentro” le disse, avvicinandosele.
La ragazza annuì.
Ho bisogno di toccarti, per rendermi conto delle tue proporzioni, ma sento la necessità di alcune tue descrizioni, per esempio nei colori”.
“Certamente” rispose Annie, tirandosi in piedi.
Typhlos iniziò a passare le mani esperte sul suo corpo, seguendo ogni curva con cura, modellandole la carne e studiandola, con un'espressione concentrata in volto, che le faceva formare una rughetta sottile sulla fronte.
“Sei alta, un poco più di me. Magra, molto. Hai dei fianchi dolci, proporzionati con le spalle. La pancia piatta, magra, allenata. Il seno..” Annie trattenne il respiro, ricordando le parole di Katherine “..giusto. Tonico. Spalle affusolate e braccia muscolose, ma non troppo. Schiena dritta, senza imperfezioni, al tatto. Si sentono le costole appena sotto la pelle. Dovresti mangiare di più! Il sedere.. grazie a Dio c'è! Solitamente persone così magre non ne hanno, ed è davvero una cosa assurda! Le gambe sono lunghe, lisce, magre. Hai quattro dita tra una e l'altra. Non sono storte, molto bene. Piedi piccoli.” passò al volto e Annie chiuse gli occhi “Viso ovale, un po' allungato. Magro, liscio. Zigomi non accentuati ma ci sono. Naso dritto, piccolo. Labbra sottili ma piene. Occhi grandi e ciglia molto lunghe. Mi piace questa cosa. Fronte normale, né troppo alta, né troppo bassa” concluse, sorridendo.
“Ho gli occhi verde mare, un colore un po' strano. Vicino alla pupilla sono più verdi, con delle scaglie dorate irregolari. Più ci si allontana, sfumano verso l'azzurro finché, alla fine, sono cerchiati da un contorno blu scuro” spiegò Annie ad una domanda muta di Typhlos.
La donna l'ascoltò interessata, annuendo. “Molto belli e decisamente particolari. Ho incontrato solamente un'altra persona con degli occhi simili ai tuoi” le disse “Finnick Odair, l'anno scorso. Immagino che tu lo conosca, in quanto è tuo mentore”.
La ragazza si irrigidì, impercettibilmente.
Sapeva che gli occhi delle persone del Distretto 4 erano simili, ma non avrebbe mai pensato di averli così uguali. Non le piaceva avere qualcosa in comune con lui, anche se una strana sensazione alla bocca dello stomaco le urlava il contrario.
Typhlos si accorse del suo turbamento ed inarcò le sopracciglia “Lui non ti piace?” le domandò, con molto tatto.
Annie avvampò e ringraziò il cielo che non potesse vederla.
“Sì.. cioè no. È un po'.. strano..” balbettò, presa in contropiede.
“Beh, le cose sono due. O ti piace o non ti piace” commentò la donna, sorridendo.
La ragazza inspirò profondamente. Poteva fidarsi?
“E' difficile da spiegare” concluse, alla fine.
Typhlos le si avvicinò finché i loro nasi quasi non si sfiorarono. “Profumi di lui” le fece notare.
Annie spalancò gli occhi, imbarazzata. Chissà cosa stava pensando.
Il fatto era che le era stato praticamente appiccicato per tutta la durata della camminata per arrivare, nemmeno fosse la sua guardia del corpo. Per non parlare del momento nel treno..
“Mette sempre troppo profumo. Si impregna qualsiasi cosa” mentì Annie.
La donna annuì e iniziò ad accarezzarle i capelli.
“Sono ramati. Al sole quasi rossi, ma all'ombra sembrano più castani. Sono lunghi fino a metà schiena, mossi ma non ricci. Spero vivamente non rovinati” spiegò.
“Capisco. Bene, passiamo al carattere. Ho bisogno di sapere qualsiasi cosa su di te”.
La ragazza parlò per quasi un'ora intera, descrivendosi come non aveva mai fatto con nessuno.
Alla fine, Typhlos si alzò dalla seda e lo stesso fece Annie.
“Ho il tuo vestito, nella mente” disse, indicandosi una tempia. “Sarà molto semplice. Dato che ami il mare, dobbiamo mostrarlo a tutti”.
“Me lo dici adesso?” domandò la ragazza, incuriosita.
“No, voglio che sia una sorpresa. Lo vedrai stasera. Spero che tu ti fidi di me”
Rimasero in silenzio alcuni istanti. “Si, mi fido di te” annunciò Annie.
Ed era vero.




Tornò giusto in tempo un'ora prima della cena.
Non ne poteva più. Voleva solo dormire.
I suoi preparatori, ne era certa, la odiavano e avrebbero strillato dalla gioia quando sarebbe morta nell'arena.
Invece Typhlos le stava simpatica. Era molto schietta e semplice. Se doveva dirle qualcosa, beh, non avrebbe esitato.
Inoltre si era resa conto che c'era qualcosa che non andava tra lei e Finnick. Era stata molto gentile a far finta di non aver capito e di aver creduto alle parole di Annie, ma la ragazza era certa che ne sapeva molto di più di quello che voleva dire.
Non poteva, però, raccontarle la verità. Non dopo così poco che si conoscevano.
Aveva bisogno di parlarne, ma non ora.
Doveva prima pensarci da sola, nella sua stanza.
Si sedette sul suo letto morbido, si sdraiò e allacciò le mani dietro alla testa.
Perché ogni volta che sentiva il nome di Finnick, le sembrava di avere un masso nello stomaco?
La risposta era una sola, e la sapeva, ma non era pronta ad accettarla.
In fondo lui l'aveva usata, come era solito a fare con tutte le ragazze.
Non riusciva a capire il comportamento, però.
Prima passava del tempo con lei, poi non le rivolgeva la parola, la baciava ed infine le diceva che non potevano e di dimenticare?!
Era sicura che ci fosse qualcosa che non quadrava in tutto ciò.
L'unica cosa su cui il suo cervello e il suo cuore erano d'accordo, era di concentrarsi sugli Hunger Games.
Non ci sarebbe stato spazio per nient'altro al di fuori di essi.
Doveva essere pronta, agile, scattate. Niente per la testa se non il suo obiettivo.
Sì, si disse decisa. Devo concentrarmi solo su quello. Nessuna distrazione.
Si alzò e si cambiò, indossando dei pantaloni morbidi e una maglia leggera.
Andò a mangiare, trovando già seduti Euer, Milly, Finnick, Mags, Typhlos e un uomo che non aveva mai visto: il preparatore del suo amico.
Era sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e la barba.
Abbastanza rotondetto e basso. Gli occhi neri luccicavano, sembravano simpatici e la sua bocca era arricciata in un sorriso divertito.
“Ciao!” salutò, sedendosi.
Tutti le risposero con enfasi, a parte Finnick che continuò a spiluccare il suo salmone senza nemmeno guardarla.
La cosa la infastidì, ma decise di non badarci.
Mangiò tantissimo, ricordando l'avvertimento celato della sua Stilista: doveva mettere su qualche chilo, se voleva riuscire a combinare qualcosa nell'Arena.
Alla fine, implorò Euer di portarla in camera perché era sicura che se l'avesse fatto da sola, ci sarebbe arrivata rotolando.
Ridendo, lui la caricò in spalletta e la condusse fino al letto, sul quale la fece cadere
con poca grazia.
“Ehi!” si lamentò lei, ridacchiando.
“Quanto sei delicata!” ribatté il ragazzo, dandole una leggera spinta che la fece abbattere sul materasso. La guardò allibito, sinceramente preoccupato.
“Potrei vomitare” commentò Annie, non sapendo se ridere o piangere.
“Ci credo! Eri davvero poco femminile a tavola, quando ti ficcavi in bocca i pezzi di carne” rise Euer, imitandola.
La ragazza sperò vivamente che stesse un po' esagerando, se no non sarebbe mai uscita dalla stanza per la vergogna.
“Ragazzi, muovetevi. Avete bisogno di almeno un'ora di trucco per la Sfilata!” urlò Milly dal piano di sotto.
“Oh la Sfilata” gemette Annie, rotolando fino all'estremità del letto e mettendosi in piedi.
“Basta che non mi vomiterai addosso, quando saremo sul carro” la minacciò lui, uscendo dall porta.
“Potrei anche farlo” infierì Annie, sorridendo perfidamente.
Scesero le scale e piombarono esattamente davanti ai loro mentori e Stilisti. “Davvero ci metteremo un'ora?” domandò Annie a Typhlos.
La donna sorrise. “Lui di sicuro molto di meno. Tu anche di più”.
La mascella della ragazza rischiò di cadere a terra. Lei non aveva tutta quella pazienza!!
Stava per ribattere, quando Euer indicò qualcosa sul divano. “Ehi Finnick! Quello è il tridente?!” esclamò.
Sui cuscini, infatti, era poggiato un tridente dorato, bellissimo agli occhi di Annie.
Inconsciamente si avvicinò e lo sfiorò con la punta delle dita. “E' magnifico” mormorò nell'istante in cui Finnick rispose “si”.
La voce la scosse e si allontanò, ritraendo la mano di scatto e voltandosi.
Si sentiva quasi in colpa, anche se non ne capiva il motivo.
Incrociò gli occhi del mentore, che la fissavano leggermente socchiusi, ed arrossì, ritornando accanto ad Euer, come per usarlo da scudo.
Notò che lo Stilista dell'amico, stava sussurrando all'orecchio di Typhlos qualcosa.
“Bene, ragazzi. È ora”.












La preparazione fu lunga, moltissimo.
Annie non ne poteva più di stare stesa su un lettino a farsi truccare dai suoi preparatori.
Erano insolitamente silenziosi, concentrati sul lavoro che stavano facendo.
L'avevano spogliata quasi completamente, lasciandole solo le mutandine addosso.
A differenza di quello che si aspettava, non avevano cominciato con il viso, ma con i piedi.
Con alcuni pennellini e una strana tinta nera, le avevano tracciato strani simboli su tutto il corpo: sulle gambe, sul busto, sulla schiena e sulle braccia.
Poi, Katherine aveva cambiato colore, prendendone uno identico a quello dei suoi occhi e le aveva disegnato qualcosa che partiva dal ventre fino a metà pancia.
Infine erano passati al volto, marcandole gli occhi con uno strato di nero, non troppo duro, per farle risaltare il colore dell'iride.
All'estremità degli occhi, avevano posto dei brillantini argento, che brillavano alla luce, creando un forte contrasto col nero delle sue palpebre.
Le avevano affilato un po' gli zigomi e coperto le labbra con un sottile strato di rossetto rosa. Per il resto, era rimasta l'Annie di sempre.
O almeno era quello che pensava. Non si era ancora vista allo specchio; glielo avevano rigidamente vietato.
Successivamente entrò Typhlos, con un grande sorriso. Le si avvicinò con l'aiuto di un bastone.
“Allora, come andiamo?” domandò alla ragazza.
Lei si puntellò sui gomiti per sollevare almeno il busto.
“Mi sento un po' pesante. Mi hanno colorata per un'eternità!” si lamentò.
“Sarai stupenda. Ora lasciati mettere il vestito” disse Ty, afferrando da una busta una scatola enorme.
I suoi preparatori si fecero avanti, per aiutala ad infilare l'abito.
Abito.
Annie aveva promesso di non guardare e sentì le mani che le infilavano una gonna di un tessuto tintinnante, freddo.
A giudicare da quel che sentiva, le arrivava nemmeno a metà coscia sul davanti, mentre dietro cadeva a strascico.
Alzò le braccia per permetter loro di farle indossare il corpetto, ma una mano fredda, probabilmente di Katherine, le diede un buffetto. “Non scè bisonio” ridacchiò la donna.
Il suo accento francese infastidì Annie.
“Cosa vuol dire che non c'è bisogno?! Ho la parte sopra, vero?” domandò, un po' confusa.
Non potevano farla uscire col seno scoperto!.. o forse si.
“No, cara. Non proprio” asserì Jean-Claude.
“Che cosa?!! No, io non esco mezza nuda..!” iniziò a farfugliare la ragazza, rossa come un peperone.
“Ma smètila, sciochina!” sbuffò Katherine “como puoi ponsare che Typhlos te avrebbe fato uscire mezza nuda?”.
“No, Annie. Ho pensato ad altro.. e dovrai pazientare ancora un po'” intervenne la Stilista.
“Okey” annuì la ragazza.
La fecero sedere e iniziarono ad applicarle strane pietruzze, molto simili a scaglie, sul seno, fino a coprirlo quasi tutto.
Dopo mezz'ora di lavoro, le ritoccarono i capelli velocemente e poi la portarono davanti ad uno specchio coperto.
“Sei pronta per vederti?” le domandarono insieme.
Annie annuì, curiosissima.
Si sarebbe aspettata di tutto, ma di certo non quello.
Appena levarono il lenzuolo davanti allo specchio, pensò che la persona riflessa dovesse essere un'altra persona, la sua gemella cattiva.
Cattiva, ma bellissima.
Indossava una gonna fatta di finissime catene intrecciate, come quelle delle collane che tanto le piacevano.
I due lembi di catene partivano dai fianchi opposti, per poi sovrapporsi uno all'altro e circondarle le cosce morbidamente e cadevano dietro in uno strascico lungo, che toccava terra.
Ai piedi indossava dei sandali molto semplici, intrecciati sul davanti.
Per il resto, poteva considerarsi nuda.
Il seno non era propriamente coperto: le scaglie, che aveva sentito mettersi, del colore dei suoi occhi, erano poste sopra il seno, coprendolo completamente. Al solco, in mezzo, si aprivano due sottili volute di scaglie che si arricciavano sotto le clavicole. Inoltre, proprio alla fine del solco, le scaglie si assottigliavano, percorrendole in una striscia metà pancia finché non terminavano esattamente davanti ad un disegno della stessa tonalità.
Solo allora si accorse cosa significavano!
Il disegno, che le partiva dal basso ventre fino a metà pancia, rappresentava il muso di un drago marino, una delle tante leggende del suo Distretto. Dalle sue narici, era emesso del fumo che era simboleggiato dalle scaglie.
Ma non era finita lì. Ogni parte del suo corpo era stata tatuata di nero, con disegni tribali, che si arricciavano, si scontravano. Ogni figura era in relazione alle altre. Ogni segno nero risaltava sulla pelle candida di Annie.
La facevano sembrare una dea vendicativa.
La furia che esprimevano i tatuaggi era descrivibile con un solo elemento, che lei amava e che la rappresentava: il mare.
Typhlos aveva fatto un lavoro eccellente.
Non si era limitata a farle indossare qualcosa di perfetto, ma l'aveva trasformata in una dea del mare, vendicativa ma sensuale.
E quell'immagine, riflessa nello specchio, non era più la gemella cattiva di Annie, ma lei.
Avrebbero dovuto temerla. Nessuno avrebbe ignorato il nome di Annie Cresta.




 
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Capitolo 15
*** Come l'aria che respiro ***


CIAO RAGAZZI!
HO ATTESO DI PUBBLICARE IL CAPITOLO PROPRIO OGGI PERCHE'.. BEH, BUON NATALE!!!
ECCO IL  MIO REGALO PER VOI! 

ANCHE SE NON VI CONOSCO, NON SO CHI SIETE, UNA COSA HO PER CERTA: TENETE A QUESTA STORIA QUANTO CI TENGO IO. QUINDI, VI FACCIO UN REGALO! IL CAPITOLO..
SPERO VI PIACERA'.. MI SONO IMPEGNATA! E' ANCHE PIU' LUNGO DEI PRECEDENTI!! :)
VI MANDO UN BACIONE ENORME E VI AUGURO UN FELICISSIMO NATALE!!

PER ORA è TUTTO.. ANDRO' A LETTO SPERANDO CHE BABBO NATALE MI CONSEGNERA' IL REGALO CHE ASPETTO DA MOLTO! <3<3<3
BUONANOTTE A TUTTI! SOGNI D'ORO E BUON APERTURA DEI REGALI PER DOMANI! 
VI FARO' SAPERE SE B.N. MI HA ACCONTENTATO, ALMENO QUEST'ANNO! 
BACIONI ENORMI! 
LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE! 

 
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“Sono.. bellissima” esalò Annie.
Bellissima.
Era l’unica parola che le si addiceva in quel momento. le sarebbe piaciuto fare la modesta. Anzi, stava facendo la modesta. ‘Bellissima’ era ancora troppo poco come aggettivo.
“Sei un’artista Ty” disse, voltandosi verso la Stilista ed abbracciandola.
Sentì le esili braccia della donna circondarla, dopo un attimo di stupore.
“No, tu sei l’artista. L’unica che avrebbe potuto indossarlo” fu la risposta, mormorata tra i suoi capelli.
Annie sentì alle sue spalle un rumore strano. Si girò e trovò i suoi tre preparatori sull’orlo delle lacrime.
Jean-Claude si tamponava le guance con un fazzolettino rosa, mettendosi una mano davanti alla bocca per non singhiozzare forte.
Katherine, nonostante non avesse perso lo sguardo truce di superiorità che le riservava sempre, aveva gli occhi leggermente lucidi.
Marcus era quello che si era contenuto di più. Esibiva un sorriso orgoglioso.
”Sei stupenda, Annie” le disse, gentilmente.
La ragazza non poté far a meno di sorridergli. In fondo, era il più simpatico tra i tre… e anche il più umano.
“Grazie anche a te, Marcus. Se no, sarei ancora depilata 50 e 50!” rispose Annie, facendogli l’occhiolino.
Il ragazzo scoppiò a ridere, scuotendo il capo.
Con la coda dell’occhio, Annie poté vedere una smorfia di disapprovazione da parte di Katherine e non si risparmiò a restituirle uno sguardo infuocato: quella donna non le piaceva per niente.
Jean-Claude, invece, continuava a piangere senza ritegno.
La ragazza prese seriamente in considerazione la possibilità che l’uomo non fosse molto.. dalla sponda giusta.
Le venne da sorridere involontariamente. Tutta la maschera del duro si era sciolta davanti ad una ragazzina di diciassette anni.
Ogni suo dubbio venne polverizzato, quando nel camerino entrò un secondo uomo, decisamente attraente e muscoloso, che si diresse verso Jean-Claude e lo abbracciò.
“Oh Dio, è stupenda!” esclamò, indicandola.
Annie arrossì.
Non poté fare a meno di pensare che fossero davvero dolci insieme. L’uomo iniziò a tamponare le lacrime di Jean con un fazzolettino di lino e ad elogiarlo per il suo lavoro.
“Phinias! Lo sai che non devi entrare qui!! Nessuno può vederla prima della sfilata!” ruggì Katherine, fissandoli con astio.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Ma come si permetteva quella donna di dare ordini a destra e a manca?!
”Non c’è nessun problema, Phinias! Se vuoi sfilo solo per te” intervenne Annie, con un sorriso, rivolgendo un’occhiata di sfida alla sua preparatrice.
L’uomo rise di gusto. “Grazie per l’offerta, ma credo mi godrò lo spettacolo tra il pubblico. Ti aspetto là” disse a Jean-Claude, baciandolo delicatamente sulla guancia.
Appena fu uscito, Katherine sbuffò. “Almeno potrebbe evitare di farlo davanti a noi!”.
Jean-Claude abbassò lo sguardo.
“Ma come ti permetti?!” esclamò Annie, indignata. “Chi sei tu per giudicare le persone?! Che diritto hai in più di Jean-Claude per poter criticare le sue scelte?!”.
Era davvero sconvolta dall’affermazione della donna.
Nel suo Distretto aveva visto alcune volte dei ragazzi con preferenze.. leggermente diverse dal normale.
Ma cosa c’era effettivamente di diverso?
Non conta chi ami, se è maschio o femmina, ma l’intensità del sentimento. Se è così puro e forte, allora chi sono le persone per poter giudicare?
Allora ci si dovrebbe mettere a criticare tutti per le loro scelte?! Decisamente Annie pensava di no.
Katherine s’irrigidì. “Come osi..?”
“Non è questione di osare, ma di schierarsi dalla parte del giusto. Non ti vergogni di te stessa per quello che hai detto?” le domandò.
Le girava la testa per la sfuriata, ma non aveva nessuna intenzione di cedere.
Intanto il suo preparatore la guardava con un’espressione di sorpresa mista ad ammirazione.
La ragazza stava per ricominciare a parlare, ma la mano sulla spalla di Typhlos la bloccò appena in tempo.
”E’ ora, Annie” le disse, indicandole con un gesto del capo la porta.
All’improvviso si dimenticò di qualsiasi altra cosa: Jean-Claude, Phinias, Katherine.
C’era solo lei, Euer e la loro Sfilata.
E stava tremando dalla paura.
Si incamminò, ma dovette fermarsi quasi subito, perché notò di aver un sandalo slacciato.
“Aspetta” disse e si piegò.
Fu in quel momento che si accorse di un ulteriore tatuaggio, sulla caviglia: un tridente, così simile a quello di..
“Typhlos” chiamò, interdetta “Perché ho un Tridente tatuato sulla caviglia?!” domandò.
La donna stortò la bocca, per nascondere un sorrisetto. “Stava bene. Se no saresti stata vuota alla fine della gamba” rispose.
“Mmh”.
Non gliela stava raccontando giusta, Annie ne era certa.
Uscì dalla stanzina e si incamminò verso lo spiazzo nel quale era collocato il suo carro,. Scortando Typhlos per un braccio.
Individuò senza problemi Euer ed arrossì come un pomodoro maturo, quando lo vide strabuzzare gli occhi.
“Oddio Annie sei uno schianto!!” esclamò, venendole incontro.
Lei sorrise timidamente, anche abbastanza compiaciuta.
“Beh, tu invece sei bellissimo!” ribatté, ed era vero.
Il ragazzo era una favola e rappresentava in tutto e per tutto il Dio del Mare.
Il petto era nudo, scolpito, con gli addominali in bella vista, da far perdere qualche battito cardiaco.
Alla cintola era chiusa una sorta di gonnella di catenelle, quasi come quelle della ragazza, ma più spesse. Aveva visto un abbigliamento simile quando aveva letto degli antichi greci su un libro di scuola.
La gonnella era chiusa con una cintura spessa, in oro massiccio, alla quale era appesa una spada d’argento, lucente.
Aveva dei sandali, con delle allacciature alte, che finivano sui polpacci muscolosi. A lato di una era attaccato un pugnale ben lavorato.
Al collo, una collana di conchiglie bianche.
I capelli non erano stati ritoccati, se non spettinati ed arricciati e gli occhi, Annie non aveva idea di come, erano stati fatti risaltare ancora di più.
Davanti a lei si trovava il Dio del mare e lei era la sua Dea.
Insieme, erano i magnifici Tributi del Distretto 4.
Fu il turno di Euer per arrossire. “Direi che hanno fatto uno splendido lavoro” commentarono insieme.
Poi il ragazzo fu fermato a parlare dal suo stilista ed Annie andò ad accarezzare i cavalli.
Prima di vederlo, sentì la voce di Finnick che parlava con Milly degli Hunger Games.
Continuò ad accarezzare imperterrita gli animali, forse con un po’ più di foga, cercando di concentrarsi interamente sul loro pelo.
Ma non poté far finta di nulla, quando Milly la chiamò.
”Annie! Vieni qui, bambina. Facci vedere il tuo abito!”.
Svogliata, la ragazza si girò e andò loro incontro, fissando un punto impreciso della collana della donna.
“Ciao” mormorò, ostentandosi di non guardare Finnick, che invece aveva strabuzzato gli occhi, preso in contropiede ed era arrossito di botto.
“Che diavolo è quella.. cosa?!” esalò, indicandola con una mano.
Annie si indignò, osservandolo, mentre la studiava tra il famelico e il terrorizzato.
“Quella cosa è il mio vestito per la Parata” ringhiò sulla difensiva.
Si fece cadere dei capelli davanti al petto, ad un tratto in imbarazzo per tutta la pelle scoperta, soprattutto davanti a lui.
“No, quello non è un vestito!! È una.. un.. completo per prostitute!” ribatté il ragazzo, scocciato.
Le guance di Annie andarono a fuoco e la gola le si seccò. “Come?! Cos’hai detto?!!” la sua voce salì di un’ottava.
Finnick capì di essersi spinto troppo oltre, ma era troppo orgoglioso per tornare sui suoi passi. “Non..  tu non puoi andare vestita, anzi svestita così!” abbaiò.
“Scusami?! Io posso andare in giro come mi pare e piace!! Potrei anche sfilare nuda, se volessi!! Tra l’altro il vestito è stupendo!” esclamò irata.
Le guance del ragazzo divennero ancora più rosse, quasi viola melanzana.
”Tu.. non te lo permetterei..” balbettò, piccato.
“Per.. Permettermi?!! Non sono di tua proprietà, Odair!” ruggì,  tremante dalla rabbia.
Il ragazzo la fissò a bocca spalancata per qualche attimo, poi la richiuse di botto, serrando la mascella e marciò verso Typhlos.
“Ty! Non puoi mandare Annie nuda alla Parata!!” esclamò alla donna, che si voltò nella sua direzione, sorridendo angelicamente.
“NUDA!! Sono vestita, Finnick!” gridò Annie, andandogli dietro.
Gli afferrò il polso, costringendolo a girarsi a guardarla.
“Se fossi nuda, probabilmente non sarei uscita dalla porta!!” continuò, acida.
“Ha ragione, Finnick. Comunque non avrei permesso che sfilasse nuda” aggiunse la Stilista.
Il ragazzo chiuse gli occhi, un secondo, per non urlare. “Comunque non è un abbigliamento da Parata” ribatté.
“Ma cosa ti importa!? La bella figura la devo fare io, non tu!” s’intromise nuovamente Annie.
“A me.. non.. non mi interessa! Cavoli tuoi!!” esclamò prima di girasi ed andarsene. “Stupida” borbottò infastidita.
“TI HO SENTITO!!” urlò la ragazza.
Euer arrivò appena in tempo e le mise le mani sulle spalle, per trattenerla.
”Lasciami andare, Euer!! Lasciami! Devo picchiarlo!!” ringhiò lei, dimenandosi, schiumante dalla rabbia.
L’amico ridacchiava, trattenendola.
“Stai tranquilla, Annie. Stai dando spettacolo” le sussurrò all’orecchio.
All’improvviso, tutta la rabbia della ragazza scemò e si guardò in giro. I Tributi degli altri Distretti erano arrivati e la stavano osservando, chi curioso, chi divertito e chi scocciato.
”Ah” fece, prima di nascondersi nel petto di Euer. “Ti prego uccidimi. Non so se riuscirò a reggere l’umiliazione” mugugnò.
“Ma smettila! Una volta che avranno capito con chi hanno a che fare, beh.. cambieranno idea” la rassicurò.
Mancava poco all’uscita, quindi si prepararono sul loro carro.
Dietro di loro, Typhlos e Finnick stavano discutendo.
Alla fine, dopo aver ricevuto un’occhiataccia dal ragazzo, la donna riuscì a convincerlo ad avvicinarsi ai due tributi.
Annie serrò i denti, stringendo il carro tra le mani, per evitare di saltargli al collo e staccargli la testa a morsi.
“Finnick” salutò Euer, sorridendo.
Lui fece un cenno del capo, sempre evitando di guardare nella direzione di Annie.
Si frugò nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori qualcosa.
“Questa è per te” borbottò, rivolto alla ragazza, porgendogliela.
“Qualsiasi cosa sia, puoi mangiartela e soffocarci” sibilò lei, guardando davanti a sé.
“Typhlos ha detto che la devi mettere” insisté lui.
A quel punto, Annie abbassò lo sguardo verso l’oggetto che le tendeva il mentore: la sua collanina, quella alla quale mancava la perla, che aveva messo il giorno in cui lei e Finnick si erano trovati sulla spiaggia.
A differenza, ora la perla c’era e luccicava, bellissima, tra le spirali argentate che la supportavano.
Inarcò le sopracciglia, sorpresa e compiaciuta.
“Euer, me.. me la metteresti?” domandò.
Ma il suo Stilista si era intromesso di nuovo e gli  stava sussurrando qualcosa.
“Mettimela tu, ma stai attento” disse fredda a Finnick, che stiracchiò un sorriso.
Lei si voltò e sentì il freddo della catenina d’argento sul collo e il calore delle mani di Finnick sulla sua pelle.
Il tocco lievissimo del ragazzo le fece diventare le gambe molli e si beò di quell’istante, finché non sentì nuovamente freddo. Si era staccato.
“Ricordatevi ragazzi” asserì Typhlos, sorridendo “siete gli Dèi del mare. Siatelo per davvero”.
“Siete bellissimi” singhiozzò Milly, tamponandosi gli occhi con un fazzolettino.
Improvvisamente la paura e l’agitazione assalirono Annie, che strinse con foga il carro.
I battiti del suo cuore iniziarono a rimbombarle nella mente come colpi di cannone. Le mani le si gelarono, ricoprendosi di sudore freddo e non riusciva a deglutire, con la gola secca.
Abbassò lo sguardo verso Finnick, che non le aveva tolto mai gli occhi di dosso. Cercò qualcosa nel suo sguardo, una qualsiasi emozione.
Trovò i suoi occhi verdi, identici ai suoi, nei quali scorse sé stessa.
Il ragazzo le fece cenno di toccarsi la collana e così Annie fece.
Non capì il motivo, ma appena la sua mano sfiorò la perla, gli occhi verde mare di Finnick si illuminarono e gli spuntò un sorriso dolcissimo sulle labbra. Parallelamente, il cuore di Annie, guardandolo, si fermò, si ristabilizzò e batté calmo per tutto il tempo della parata, nella quale gli abitanti di Capitol City, appena ebbero fatto il loro ingresso, iniziarono a scandire i loro nomi con foga.
Le buttarono rose bianche, rosse, perfino una blu che Annie pensò la rappresentasse in quel momento.
Quindi se l’appuntò nei capelli e risollevò lo sguardo, duro e vendicativo, della dea che era.
 
 
 
 
 
 
Alla fine della Parata, Annie si sentiva euforica, potente e per niente spaventata.
L’adrenalina del momento, le pompava ancora nelle vene, quindi non guardò male Finnick, quando gli si affiancò nella strada per il loro piano.
“Alla fine il tuo vestito ha fatto scalpore” le disse, senza salutarla, un po’ brusco.
Lei annuì. “Già, come pensavamo”.
“Senti, mi dispiace per la sceneggiata di prima. Io non so.. mi sembrava un abbigliamento un po’ estremo per una Sfilata” ammise lui, tormentandosi le mani.
A quel punto, la ragazza si fermò per poterlo guardare.
“Si, l’hai fatto capire a tutti con quella sfuriata”. Annie non aveva nessuna intenzione di fargliela passare liscia. Le aveva dato indirettamente della prostituta!
“Ti ho detto che mi dispiace! Non volevo scoppiare in quel modo”.
“Però l’hai fatto! Hai attirato l’attenzione di tutti” sbottò lei, incrociando le braccia al petto.
“Non era mia intenzione!” il ragazzo iniziò ad irritarsi. “Stavo solo esprimendo.. la mia opinione”
Annie fece uno sbuffo, tra lo scettico e l’esasperato. “E secondo te, vestita in questo modo, sembrerei una prostituta!” ribatté fredda.
“Sì.. no! Non.. sembri una prostituta, anzi!” fece lui spiccio, allargando le braccia.
“Eppure l’hai detto! Ti hanno sentito pure i tributi del 12 che erano all’altro capo della stanza!!” esclamò Annie, rossa in volto. “Non puoi continuare a negare di aver detto qualcosa che in realtà hai detto!”
“Si, ma..”
“non puoi cercare scusanti! Sei stato davvero maleducato e mi hai fatto passare per una poco di buono, che cerca di attirare l’attenzione del pubblico vestendosi da battona!”
“Annie, fammi..”
“No! Non ti faccio parlare per permetterti di arrampicarti sugli specchi, per poi ritorcermi contro le mie parole e farmi passare dalla parte del torto! Sei stato davvero bravo!!”
“Annie, io non volevo che uscissi perché eri troppo bella!!” urlò Finnick, con le guance in fiamme “Ti avrebbero guardato tutti e sapere che.. l’intera popolazione di Capitol City ti avrebbe vista vestita in questo modo, era qualcosa che non potevo accettare!!”
Tra i due cadde il silenzio.
Lui, dopo aver urlato le parole, rimase a fissarla con gli occhi spalancati e dei brividi che gli correvano lungo la spina dorsale.
Annie, d’altro canto, si era ghiacciata al posto, colpita dalle parole.
Il suo cervello iniziò ad analizzarle una per una, cercando di scovare qualche tranello, ma non ne trovò.
Quello che le aveva appena detto Finnick era qualcosa che non si aspettava.
Non riusciva più a capirlo, anche se le sue parole facevano intendere benissimo che l’interesse non era più esercitato solamente da una sola persona.
“Annie, cerco di dirti che..” iniziò il ragazzo, facendo un passo verso di lei.
istintivamente Annie indietreggiò, alzando un braccio in avanti, come a cercare una barriera tra i due corpi.
”Ho capito” disse, con una voce così fredda che sussultò dentro di sé.
Non ebbe tempo di fare altro, perché Finnick le avvolse il volto tra le mani ed appoggiò le labbra sulle sue.
Non fu un bacio come quello sul treno, passionale.
Fu delicato, timido, che fece sciogliere il blocco gelido nello stomaco di Annie. Le labbra di Finnick erano calde, a contatto con le sue e le mani che le carezzavano le guance, le lasciavano scie bollenti che scottavano anche dopo che le aveva tolte.
Appena Annie sentì la lingua del ragazzo che chiedeva il permesso, si riscosse, posandogli le mani sulle spalle ed allontanandolo con tutta la forza che aveva.
Sentì le lacrime bagnarle gli occhi e si detestò per quello, ma aveva preso una decisione, e quella decisione, le imponeva di non aver debolezze e baciare Finnick Odair era considerata una di quelle.
Si staccò da lui e si sentì morire sotto lo sguardo confuso del ragazzo.
“Finnick, non posso. Non possiamo. Io sto per morire” gli disse con un filo di voce, tentando di non scoppiare a piangere.
Il volto del mentore si contrasse in una smorfia di dolore e scosse il capo. “Annie, tu potresti vincere..” mormorò.
Lei gli prese il volto tra le mani, chiudendo un attimo gli occhi per impedire alle lacrime di rigarle le guance. “Io non tornerò dall’arena” sussurrò con voce spezzata e il cuore pesante.
“Annie, io mi sono innamorato di te” le confidò, tremando sotto le sue mani.
 
Ed era la verità.
Lui si era davvero innamorato di Annie. Lo sapeva da quando lei lo aveva aiutato sulla spiaggia.
Si era innamorato del suo sorriso, della sua rabbia, della sua grinta. Della fossetta che le si creava su una guancia quando sorrideva. Del suo profumo di fresco. Si era innamorato dei suoi respiri veloci, quando le si avvicinava troppo. Dei suoi occhi verdi come il mare, che si spalancavano ogni volta che litigavano.
Si era innamorato delle sue mani, che avevano il potere di calmarlo quando non ce la faceva più. E si era innamorato della sua voce, musica per le sue orecchie, che lo accompagnava durante i giorni più difficili.
L’immagine della ragazza era l’ultima che vedeva la notte e la prima che gli dava il buongiorno.
Il suo essere piccata, ribattere, urlargli addosso, erano aspetti che semplicemente adorava. Non riusciva più a pensare ad un giorno senza di lei.
Schernirla, prendersi gioco di Annie, erano ormai una sua essenza. Come poteva continuare a vivere senza di lei?
Quando era uscita per la Parata, vederla così vestita, gli aveva fatto salire il sangue al cervello. Nessuno poteva vedere la sua Annie, vestita così.
Era bella, bella, bellissima. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, perché semplicemente la sua immagine era parte della sua vita.
Dirlo, ad alta voce, lo aveva liberato di un peso che aveva confidato solamente a Mags.
Non gli importava di Snow, di Capitol City. Lui voleva Annie. La desiderava.. ne aveva bisogno come l’aria che respirava. Senza di lei il suo mondo non aveva senso.
Doveva almeno farglielo sapere. Sarebbe impazzito se lei fosse entrata nell’Arena senza saperlo. Senza essere a conoscenza che, là fuori, qualcuno viveva, dipendeva da lei.
 
A quelle parole, il mondo della ragazza si fermò.
Finnick Odair, il play-boy dell’intera Capitol City, aveva ammesso di amarla.
Non stava mentendo, glielo poteva leggere negli occhi.
Ma non c’era spazio, nella vita di Annie, per l’amore. Aveva preso la decisione di morire, per salvare Euer dall’Arena.
Non era certa che sarebbe riuscita a sopportarlo e soprattutto non poteva fare una cosa del genere a Finnick.
Se davvero l’amava come le stava dicendo, allora era meglio allontanarlo prima che fosse tardi, anche se tardi lo era già.
Gli accarezzò una guancia. Una lacrima le rigò la pelle e cadde tra i suoi capelli portati avanti sul petto.
“Non puoi permetterlo. Non ti puoi innamorare di me” gli disse, deglutendo.
Finnick sorrise, tristemente. “Non ci posso fare nulla. Ormai è successo” mormorò guardandola come se fosse la sua luce.
“Ne usciresti folle, non posso sopportarlo. Ti distruggerò” continuò Annie, senza smettere di accarezzarlo.
Come poteva fargli cambiare idea?
Non poteva e basta.
Al cuore non si comanda, un detto così ingiusto ed egoista.
“Tu mi hai salvato. Ogni cosa che fai, che dici, mi allontanano dalla mia vita che odio. Tutte le volte che ti guardo, mi sento rinascere. Non posso cambiare le cose. Mi sono innamorato di te da quando ti ho vista, la prima volta, al Distretto. Non lo sapevo, o non volevo accettarlo. La mia vita fa schifo, ma tu sei in gradi di darle un senso. Senza di te, non sono nessuno” le disse, serio, col cuore a mille.
Gli occhi di Annie si spalancarono a quella rivelazione e le lacrime iniziarono a scendere copiosamente.
Come poteva sopportare una cosa del genere?
Non poteva promettere anche a lui che sarebbe tornata. Sarebbe impazzita prima.
Una parte di sé, voleva far vincere Euer, per Ocean e per se stessa, ma un’altra le urlava di lottare per la vita, per Finnick che, sapeva, era l’unico uomo che avrebbe mai amato in tutta la sua vita.
Si allontanò dal ragazzo, singhiozzando e corse nella sua stanza, sbattendo la porta.
Non si struccò, non si cambiò.
Semplicemente si lasciò cadere sul letto, distrutta emotivamente e fisicamente.
Pianse tutte le sue lacrime e quando furono finite, ne trovò altre.
Un mal di testa feroce le attaccò la mente, impedendole di pensare. Forse era meglio così. Non voleva ragionare. Aveva bisogno del nulla.
Si trovava spaccata in due. Non era umano, non ce l’avrebbe fatta.
Dopo un tempo che le sembrò infinito, sentì la serratura della porta saltare e qualcuno si fece avanti, camminando piano, per non far rumore.
Rimase ancorata al cuscino, singhiozzando sommessamente, con la testa rigidamente girata verso la parete.
Non voleva parlare con nessuno.
La persona le si avvicinò e, delicatamente, le spostò una ciocca di capelli dall’orecchio,al quale avvicinò le labbra.
“Non piangere, Annie” sussurrò Finnick, scatenandole scosse di piacere, col fiato caldo che carezzava la sua pelle.
”Vattene via!” singhiozzò lei, con voce spezzata.
La mano del ragazzo la sfiorò sulla testa, dolcemente e in quel punto, il dolore svanì, come per magia.
“Non posso, Annie. Non posso andarmene. Non più” ribatté piano lui.
Le di sedette accanto, continuando ad accarezzarla leggermente.
Dopo qualche minuto, dopo essersi calmata, lo sentì alzarsi ed avvicinarsi alla porta.
Il panico l’assalì. La paura di rimanere da sola l’avrebbe soffocata.
“Finnick!” chiamò, tremante. I passi si fermarono. “Rimani con me, questa notte” sussurrò poi.
Il ragazzo ripercorse la strada e si inginocchiò di fianco a lei, per terra, prendendole una mano.
“No, ti prego. Vieni qui” mormorò Annie, facendogli spazio.
Sentì il respiro di Finnick fermarsi, per poi ricominciare.
Il materasso si inclinò quando lui le si stese accanto, sotto le coperte.
Inizialmente rimasero fermi, ognuno dalla propria parte.
Poi il senso di solitudine accecò Annie e la costrinse a voltarsi verso il petto del ragazzo.
Gli artigliò la maglietta, avvicinandosi più che poté con il volto e ricominciando a piangere.
Non voleva mostrarsi così debole, ma doveva buttare fuori tutta la paura, l’ansia e gli altri sentimenti che l’attanagliavano da quando erano partiti.
Le braccia muscolose di Finnick la circondarono e presero a cullarla dolcemente, mentre le canticchiava all’orecchio una strana ninnananna che ebbe il potere di farla tranquillizzare.
“Grazie” sussurrò sul suo petto.
“Ci sarò per sempre” rispose lui, stringendola di più e depositandole un bacio lieve sui capelli.
Dopo quello, Annie riuscì finalmente ad addormentarsi.
Fu una notte insolitamente calma. 

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Capitolo 16
*** Promesse ***


CIAO RAGAZZI! 
SCUSATEMI MA SONO STATA IN VACANZA.. COMUNQUE IMPERDONABILE. 
FARO' ANCHE UNO SPAZIO DELL'AUTORE BREVE PERCHE' è PRONTO E MIA MAMMA POTREBBE UCCIDERMI! D:
SONO CONTENTA CHE ABBIATE RECENSITO IN TANTI E MI SCUSO PER IL FATTO CHE NON ABBIA ANCORA RISPOSTO!! 
MI SPIACEEEE
IN COMPENSO VI HO FATTO UN BELLLL CAPITOLO LUNGO LUNGO! 
RINGRAZIO ANCORA TUTTI E AUGURO UNA BUONA BEFANA, ALLE RAGAZZE...... E UN "BUON" RIENTRO A SCUOLA... 
BACIONI, LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE.

 
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Promesse





Quando Annie si svegliò, non trovò Finnick al suo fianco e una fitta di solitudine la colpì in pieno petto come una martellata.
Allungò una mano dalla parte sulla quale aveva dormito il ragazzo e riuscì a percepirne il tenue calore corporeo, quindi dedusse che non se ne fosse andato da molto.
Quello era il suo primo giorno di addestramento.
La realtà la schiaffeggiò violentemente.
Stava per morire.
Finché non aveva saputo dei sentimenti di Finnick, la triste verità non l’aveva nemmeno sfiorata, ma la consapevolezza che avrebbe fatto del male anche a lui, questo non riusciva a sopportarlo.
Speriamo che sia una cosa veloce ed indolore, pensò.
Si alzò dal letto e arrancò verso il bagno, sempre rimuginando sull’arena.
Se fosse rimasta da sola con Euer, era certa che il ragazzo non le avrebbe permesso di sacrificarsi per lui. Aveva bisogno di un piano B, qualcosa che l’avrebbe potuta uccidere senza farla soffrire.
Non era una masochista, in fin dei conti.
Veleno, fu la prima cosa che le venne in mente.
Non sapeva dove trovarlo, come procurarselo.
Magari delle erbe, dei frutti, se ce ne fossero stati.
La ragazza sapeva quale sarebbe stata la sua tappa iniziale, durante l’addestramento di quella mattina: piante velenose.
Si vestì come da regolamento, con un paio di pantaloni della tuta neri, una maglietta a maniche corte, anch’essa nera e antisudore e una felpa sulla quale era inciso a caratteri cubitali il numero del suo Distretto.
Scese in cucina, dove trovò tutti a parte Finnick.  Qualcosa non andava, ne era sicura. Non poté far a meno di pensare che la colpa fosse sua.
 
“Giorno” la salutò Euer, con un gran sorrisone, scostandole una sedia.
“Ciao! Come stai?” domandò con foce allegra, per alleggerire un po’ la tensione e l’ansia per l’allenamento.
“Abbastanza bene. Il letto era troppo comodo rispetto ai nostri e mi sento la schiena di burro” scherzò il ragazzo, affondando una fetta di pane, così diverso dal loro verde salmastro, in una tazza colma di latte.
Annie lanciò un’occhiata a Mags, con la quale non aveva più parlato dalla Mietitura e la ritrovò che la fissava intensamente.
Arrossì, ma non distolse lo sguardo. Anzi, esibì un’espressione accigliata come per chiederle che cosa stesse succedendo.
Le sembrò davvero, per un attimo, che gli occhi verdemare della donna fossero guizzati in direzione della sedia vuota di Finnick, ma probabilmente se l’era solamente immaginato.
“Abbiamo deciso i gruppi, Annie” disse Typhlos, sorridendo nella sua direzione. Aveva ancora su gli occhiali. “Mags sarà la tua Mentore, con la quale passerai ogni istante di questa settimana ed Euer starà con Finnick.. che ora non c’è”.
Con uno sbuffo di sollievo, i polmoni della ragazza si svuotarono.
Sarebbe stato molto più facile dire addio a Finnick se l’avesse visto il meno possibile. Un po’ le dispiaceva, ma era sicura che quella fosse la soluzione migliore.
“D’accordo, perfetto” disse, annuendo e immergendo un biscotto nel suo  caffè.
Giurò di aver colto un attimo di perplessità in Mags, ma non aveva voglia di chiederle cosa stesse succedendo, quindi si limitò ad ignorarla.
Si sentiva uno schifo per il modo in cui stava trattando la donna, ma non voleva affezionarsi a nessuno. Meno addii avrebbe dato, meglio sarebbe stato per tutti.
Finita la colazione, Mags li scortò fino al Centro di Addestramento.
”Dov’è Finnick?” chiese Euer, una domanda che avrebbe tanto voluto fare Annie, ma si era morsa la lingua. Improvvisamente si scoprì di non volerlo sapere.
Mags li guardò a lungo, poi alzò gli occhi al cielo ed indicò il soffitto.
“Va beh, non ho capito” rispose il ragazzo, entrando.
Invece Annie socchiuse gli occhi, pensierosa. Cosa poteva voler significare quel gesto? Era nei piani superiori? Doveva svolgere un compito importante ed elevato?
Si riscosse quando si ritrovò catapultata davanti ad altri 22 Tributi, che la fissavano tra il curioso e l’arcigno.
Certo, tutti dovevano averla notata alla Parata. Ma cos’era rimasto di quella Dea vendicativa del male?
Una ragazzina impaurita e timida, che si nascondeva dietro alla schiena del suo Tributo maschio per non affrontarli.
Una ragazza del gruppo, biondissima e bella da mozzare il fiato, fece una smorfia di sdegno indirizzata a lei e poi sussurrò qualcosa nell’orecchio della sua vicina, anche lei stupenda, con lunghi capelli neri come la pece e gli occhi azzurri come il ghiaccio. Entrambe scoppiarono a ridere sommessamente ed Annie si sentì le guance andare in fiamme.
Euer, accortosi della disputa silenziosa, le appoggiò una mano sulla spalla e la fece avanzare, fino ad arrivare al semicerchio che formavano i corpi degli altri Tributi.
La donna incaricata a spiegar loro in cosa consistessero gli Hunger Games, iniziò a parlare e andò avanti per una buona mezz’ora. Poi li congedò e i ragazzi iniziarono a spostarsi verso le varie zone.
“Andiamo a tirare le lance?” domandò Euer, incamminandosi.
“in realtà” ammise Annie “io pensavo di iniziare dalle piante velenose” spiegò, indicandogli la postazione con un dito.
Il sopracciglio del ragazzo si sollevò, interdetto.
“Tu vai, io ti raggiungo” aggiunse lei, sorridendo.
Euer ricambiò e si avvicinò alle lance. Invece Annie si diresse a passo spedito verso le Piante Velenose.
L’istruttore era molto paziente e le spiegò molto bene quali fossero le bacche velenose più frequenti nelle Arene, le piante curative, i sonniferi, gli allucinogeni.
Fu un’ora intensa, ma le piacque molto. Forse non troppo, dato che quelle conoscenze le sarebbero servite per togliersi la vita.
Mentre stava osservando da vicino un baccello di qualche strana pianta curativa, la sua attenzione volò ad Euer, che si allenava con le lance.
Si era arrotolato le maniche sopra alle spalle, scoprendo i possenti muscoli. Il sudore gli imperlava la pronte e goccioline gli cadevano davanti agli occhi.
La maggior parte delle ragazze degli altri Distretti, lo guardava ammaliata.
Non era molto difficile non cadere ai suoi piedi. Sembrava un Adone e forse lo era davvero.
Era un miracolo, pensò Annie. Almeno qualcuno lo avrebbe aiutato, una volta iniziati i giochi.
Notò anche che dei ragazzi, quelli più corpulenti, sicuramente dei Favoriti, lo guardavano arcigni, incupiti. Probabilmente avevano deciso che sarebbe stato uno dei primi da eliminare.
La paura attanagliò lo stomaco di Annie e le sue gambe scattarono automaticamente, facendola alzare e portandola alla zona dei coltelli.
Doveva attirare l’attenzione, sempre che non fosse troppo tardi.
Non sondò nemmeno il peso delle armi, ma iniziò a lanciarle, concentrandosi al massimo ed esibendosi in numeri mai provati, che grazie all’adrenalina che le scorreva nelle vene, stavano andando magnificamente.
In meno di due minuti, aveva lanciato quasi trenta coltelli di varie lunghezze, tutti perfettamente conficcati fino all’elsa nel centro dei bersagli.
L’ultimo, il più grosso, che si sarebbe potuto benissimo scambiare per una piccola spada, lo conficcò nel petto di uno dei manichini, che cadde a terra con un tonfo sordo.
L’eco che produsse, le fece intuire che aveva gli occhi di tutti puntati sulla schiena.
Fece un sorrisetto divertito, prima di girarsi ed allontanarsi, verso l’arco.
I passi di Euer non si fecero attendere.
”Ma che diavolo ti è preso?!! Ti sei dimenticata quello che ci hanno detto?! Non dobbiamo mostrar loro quanto siamo forti, altrimenti diventeremo i primi bersagli!” le sibilò, schiumante di rabbia.
Annie si era aspettata una reazione del genere, quindi non si fece spaventare né intimorire.
“Ti avevano adocchiato, mentre tiravi le lance. Almeno così sanno che devono temere qualcuno in più, oltre a te” gli disse, impugnando l’arco e saggiandone la corda.
“Grazie! Così ora prenderanno di mira te!” esclamò.
A quel punto la ragazza si voltò. “Non mi importa. Possono pensare qualsiasi cosa di me, ma quando saremo nell’Arena, faranno bene a tenersi alla larga da me o te, perché quella” disse indicando il manichino a terra “è la fine che faranno” concluse, per poi allontanarsi.
Non voleva essere cattiva o scortese.. era spaventata. Non le era permesso di pensare a sé stessa durante quei giochi. Doveva proteggere Euer e se per farlo avesse dovuto combattere contro di tutti, beh, è quello che avrebbe fatto.
Non c’era spazio per due persone, negli Hunger Games. Incoccò la freccia, con precisione chirurgica e aprì le dita, lasciandola andare e beandosi della vista della punta che si conficcava senza rumore, nel centro del bersaglio.
Ripensò alle parole che aveva detto ad Euer: non era sicura che sarebbe riuscita a di uccidere qualcuno, o per lo meno, non senza stare male.
Lanciò un’occhiata al manichino steso a terra, col pugnale ancora ben conficcato nell’imbottitura.
Non sarebbe diventata un mostro per il piacere di uccidere, mai. Se l’avrebbe fatto, solamente per proteggere qualcuno.
Un rumore di sottofondo la distrasse e la freccia appena scoccata, si impiantò nella clavicola di un altro manichino.
Si voltò, curiosa e vide uno dei ragazzi più corpulenti, tirare dei pugni ad un sacco blu che pendeva dal soffitto.
Gli si avvicinò, attratta e affascinata dal guizzo dei muscoli ogni volta che colpiva e si ritraeva, come in una danza spietata.
Lui si accorse della sua presenza, lo capì dall’impercettibile movimento delle sopracciglia, ma non smise finché non arrivò fino a trecento. Dopodiché si lasciò cadere a terra, con un sorriso sghembo.
“Giuro che ne ho fatti trecento. Non ero a trenta e quando ti sei avvicinata ho alzato la cifra” le disse scherzoso, ansimando.
Annie non poté far a meno di sorridere a sua volta.
“Posso?” domandò, allungando la mano per prendere i guantoni.
“Come vuoi” rispose lui, alzando le spalle.
La ragazza si piazzò davanti al sacco, indecisa sul da farsi.
Al Distretto aveva visto molte volte i ragazzi farlo, durante la scuola, ma si era sempre tenuta alla larga. Non le piaceva perché si sudava troppo e poi non l’aveva mai attirata il combattimento ravvicinato.
“Devi tirargli i pugni” le consigliò il ragazzo, in un sussurro “non si sente da solo”.
Lei gli rispose con una smorfia e, dopo qualche secondo ancora, si decise a colpire il sacco.
Il primo pensiero che le passò per la testa, fu quello che era stato come colpire una lastra di cemento.
I guantoni imbottiti non servivano a nulla. La voglia matta di strapparseli dalle mani e scoppiare a frignare per il male era così tanta che dovette mordersi la guancia interna per non cedere davvero.
Invece rivolse uno sguardo di sfida al sacco e riprese a colpirlo con furia. Dopo qualche minuto, non sentiva più dolore per il semplice fatto che non si sentiva le mani.
“Ehi, ferma!” esclamò lui, dopo un po’. “Vuoi romperti tutte le nocche prima ancora di arrivare all’Arena!?” le domandò, afferrandola per i polsi e slacciandole i guantoni.
Meglio, pensò Annie, lei non sarebbe riuscita comunque.
Appena le sfilò i guanti, non ebbe il coraggio di guardarsi le mani. “Non è niente di terribile” fece lui, ridacchiando.
In effetti le sue mani stavano benone, se non fosse per un lieve livido che andava dalla prima nocca all’ultima.
Già ricominciava a scorrere il sangue.
“Decisamente la box non fa per me” affermò, fissandosi attentamente le mani. Poi gli rivolse uno sguardo. “Perché mi hai fermata? Nel senso, potevi farmi andare avanti e farmi rompere le mani, così sarei stata più facile da uccidere”. Si sorprese pure lei della schiettezza con cui l’aveva detto.
Per la prima volta, aveva ammesso la sua possibile morte, che fino a quel momento aveva solamente immaginato.
Il ragazzo rimase zitto, pensieroso. “Non voglio partire avvantaggiato. Non in questo macello ingiusto” rispose serio, prima di riprendersi i guantoni ed allontanarsi.
Appena se ne fu andato, Euer si fiondò da lei, con sguardo diffidente.
“Cosa voleva?! Ti ha insultata in qualche modo?” indagò, fissandolo truce.
Annie sbuffò, divertita. “Ha evitato che mi rompessi una mano” spiegò, mostrandogli il livido.
“Ha fatto.. cosa?!”. Anche per lui il concetto suonava un po’ strano.
“Mi ha detto che non vuole partire avvantaggiato, non in una carneficina ingiusta come questa” ripeté.
I due si fissarono un attimo, indecisi sul da farsi.
Era un po’ strano il comportamento del ragazzo, ma non troppo. Ce n’erano di peggio.
In quel momento, Annie si rese conto di non avergli nemmeno chiesto il nome.
 
Finita la sessione di allenamento, andarono in mesa a mangiare. Come normale, ognuno, a parte il gruppetto già format dei Favoriti, era seduto in disparte.
Quando lei ed Euer entrarono, il gruppetto più numeroso si girò verso di loro e una ragazza, quella che l’aveva sbeffeggiata all’inizio, gli fece un cenno.
“Venite qui a mangiare. Possiamo discutere con voi l’alleanza”. Niente giri di parole.
Li volevano nel gruppo.
Un’irritazione mista a rabbia fece capolino un Annie che la fissò come si guarda uno sputo a terra e tirò dritto, fino ad andarsi a sedere in un tavolo già occupato da una ragazzina magrettina, della quale non vedeva la faccia perché coperta dai capelli scuri.
Euer la seguì, non dopo averle scoccato un’occhiataccia. “Ci uccideranno per primi, grazie tante” le mormorò.
“Potevi benissimo sederti con loro” fece lei, spiluccando il suo pranzo.
Il ragazzo strinse le labbra, prima di rispondere, per evitare di iniziare ad urlare. “E ti lasciavo qui, mentre discutevano dei vari modi per farti fuori. No grazie. Non sono così sadico come pensi” commentò.
Gli angoli della bocca di Annie si sollevarono in un sorrisetto. “Ho sempre pensato che fossi un tenerone” lo prese in giro.
Lui fece finta di scandalizzarsi. “Non mi trattare come un gay!” rise, tirandole una pacca sulla spalla.
“Allora, come ti è andato l’allenamento?” gli chiese.
Passarono un bel po’ di tempo a raccontarsi dell’allenamento e ad analizzare i vari Tributi.
I due dell’1 erano spaventosi.
Il ragazzo, alto e possente, aveva i muscoli delle braccia che potevano essere paragonati alle cosce di Annie. Il torace muscoloso, asciutto e tonico.
Era un bel ragazzo, non contando il fatto che fosse un pazzo assassino con tendenze omicide all’inverosimile. La ragazza era ancora peggio: aveva il volto da angelo, capelli biondissimi, occhi azzurro mare, labbra rosse, guance piene e un fisico da modella. Eppure, appena toccava una spada o un’altra arma, diventava una macchina da guerra.
I Tributi del 2, anche loro Favoritissimi, erano già più normali, anche se avevano una capacità di ucciderti allucinante.
Lui era alto, magro e scattante. La faccia, da furetto, mostrava un’intelligenza fuori dalla norma e gli occhi da falco facevano venir paura.
Lei, la ragazza mora mozzafiato, era più cattiva. Occhi azzurro ghiaccio, perfidi e senza amore –Annie pensò che se si fossero ritrovati come finalisti i due del 2, lei sicuramente non avrebbe esitato a piantargli un palo nel cuore-, agile, lunghi capelli neri, ciglia lunghissime e nere. Se le avessero fatto indossare un vestito nero, chiunque l’avrebbe scambiata per la versione ultra sexy della morte.
I due Tributi del Distretto 3, erano seduti ad un altro tavolo e discutevano animatamente riguardo uno strano filo di metallo che la ragazza teneva in mano.
Non sembravano molto pericolosi, a detta di Euer, ma ad Annie mettevano a disagio e aveva uno strano presentimento sui due. Entrambi portavano gli occhiali e non erano per niente attraenti. Lei, con i capelli corti a baschetto e una frangia drittissima e rigidissima, sembrava un soldato. Lui, invece, aveva i capelli rosso fuoco e uno spazio tra i due denti davanti che faceva scoppiare a ridere i due ogni volta che lo vedevano.
I due ragazzi dei 5 sembravano del tutto normali, ma avevano un’espressione troppo intelligente per scacciare ogni dubbio. Identici in tutto e per tutto: capelli castani, occhi neri e carnagione pallida.
Euer ed Annie erano d’accordo nel pensare che dovevano tenersi assolutamente alla larga da due che riuscivano a fare qualsiasi cosa con qualsiasi oggetto.
Li avevano spiati, nelle ore precedenti. Stavano intorno a delle cose comuni, come boccette d’acqua, delle foglie, bacche e legni. Ad un certo punto avevano preso un topo bianco, con gli occhi rossi, che si dimenava e lo avevano immerso in una miscela naturale. In meno di cinque secondi, l’animale era morto e dopo dieci aveva iniziato a corrodersi.
I Tributi del 6 davano l’idea di due scaricatori di porto. La ragazza, almeno il doppio, se non il triplo di Annie, era piazzata e i due erano totalmente certi che se avesse avuto un tributo sotto le mani, lo avrebbe spezzato di netto.
Non era nemmeno brutta, capelli scuri, occhi scuri e carnagione rosea. Ma faceva davvero paura e decisero unanimi di girarci alla larga.
Lui invece era già più normale. Più grande della media, muscoloso ma non troppo. Superava di una spanna Euer, ma in un combattimento corpo a corpo era lampante chi sarebbe stato il vincitore. Inoltre entrambi avevano un’aria persa nel loro mondo.
I Tributi del Distretto 7 erano seduti insieme ai Favoriti.
Annie non ci mise molto a scorgere il ragazzo della box, che mangiava taciturno, mentre la bella dell’1 gli si strusciava contro, come una gatta in calore.
Era bello, bello, bello.
Annie sentì sulla punta della lingua l’amarezza che le scese lentamente fino allo stomaco, trasformandosi in delusione.
Aveva pensato che almeno lui potesse far squadra. Ovviamente no.
Lei con i Favoriti non voleva aver a che fare!
La ragazza era graziosa, non bellissima, ma aveva un’aura delicata che la lambiva e la rendeva intoccabile. Lo capirono dagli sguardi di sottile venerazione che tutti le rivolgevano.
Sembrava piccola, eppure doveva avere l’età di Annie, forse un anno di meno.
Dato che provenivano dal Distretto della legna, avevano una muscolatura piuttosto sviluppata, molto di più lui.
Sembrava che la ragazza non fosse uscita mai di casa, forse poche volte. La pelle era diafana. Sembrava quasi malata.
I suoi modi pacati e gentili fecero sciogliere qualcosa nel petto di Annie.
Se mai avesse voluto un’alleata, beh era proprio la ragazza del 7.
Il Distretto 8 aveva sorteggiato due ragazzi piccoli, troppo piccoli per partecipare ad una simile competizione.
Forse avevano 12 anni, 13 massimo.
Troppo giovani, troppo indifesi, troppo puri.
Tristemente Euer osservò che sarebbero stati i primi a morire.
Un istinto materno ruggì nel petto di Annie che avrebbe dovuto proteggerli, ma non poteva. Non poteva proteggere tutti.
Solo uno.
La ragazzina era una bambola, bellissima e delicata. Capelli ricci, ordinati, castano chiaro e gli occhi enormi, blu come il mare che tanto amava.
Era piccolina, le arrivava all’incirca al seno.
Il ragazzino sembrava più spigliato, ma sconsolato. Probabilmente sapeva di non aver nessuna possibilità contro i giganti degli altri distretti.
Castano scuro, occhi verdi e i denti grossi davanti, dolcissimi.
Con che cuore gli altri ragazzi li avrebbero uccisi? Annie sperò vivamente in una morte veloce ed indolore.
I Tributi del 9 erano in fondo alla mensa, non riuscì a vederli perfettamente. Sembravano in buono stato, forse un po’ magri.
Quelli del 10 sembravano dei pastori, e lo erano davvero.
Non avevano idea di cosa fare. Durante la preparazione non avevano toccato nulla. Solamente si erano esercitati ad accendere un fuoco senza i fiammiferi e avevano provato a fare qualche trappola, inutilmente.
Certo, se nell’arena ci fosse stata la possibilità di allevare delle bestie feroci, forse avrebbero avuto qualche possibilità, salvo che poi i mostri non si fossero rivoltati contro di loro e li avessero trasformati nel loro pranzo.
L’11 aveva mandato due ragazzi spaventosi: il ragazzo era alto, piazzato e muscoloso. I suoi occhi mandavano scintille di ira tutte le volte che fissava qualcuno ed era davvero bravo a dilaniare i manichini.
Promemoria: starci lontano.
La ragazza aveva la pelle nerissima, cosa molto utile di notte. I capelli erano morbidi sulla schiena, a treccine tutte colorate, ma niente nel suo essere poteva risultare amichevole.
Soprattutto partendo dal presupposto che aveva gli occhi azzurri.
Se no si fossero dovute scannare a distanza di qualche giorno, ad Annie sarebbe piaciuto tanto sapere come fosse possibile.
Infine, il Distretto 12.
Tutti sapevano che chi veniva sorteggiato da quel Distretto, non faceva più ritorno.
Erano sempre i più denutriti, i più deboli, i primi a cadere.
Il ragazzo era rannicchiato in un angolo, troppo magro per sembrare vero. Le fece troppa pena, quasi Annie scoppiò a piangere.
Invece la ragazzina, forse 13enne, era seduta accanto a loro, ma la tenda dei capelli le cadeva sul viso e impedì loro di vederle l’espressione.
Sembrava meglio messa del compagno, ma un suo polso non era nemmeno metà di quello di Annie.
Alla fine di quell’analisi accurata, ai ragazzi venne dato il permesso di tornare negli alloggi.
Stavano per entrare, quando Finnick fece capolino da una porta.
Lui ed Annie si fermarono a fissarsi, come incantati.
Il tempo intorno a loro si fermò, inframmentato solo dai battiti frenetici del cuore della ragazza, che temette potesse uscirle dal petto.
Euer approfittò di quel momento per sgusciar via e lasciarli da soli.
Gli occhi di Finnick, erano cupi, non felici come nel Distretto.
Uno scricchiolio di qualche porta nell’appartamento ruppe il momento di magia e il ragazzo si voltò, per andarsene.
Nella stanza rimase solamente Annie, a bocca aperta, incapace di ragionare.
Okey, non si aspettava un abbraccio, un bacio passionale o qualsiasi altra cosa, ma almeno due parole.
Avevano dormito insieme!
La consapevolezza le fece salire il sangue alle guance e lo seguì, ferita e delusa.
Lo vide in fondo ad un corridoio, con la mano appoggiata alla maniglia della sua porta.
“Finnick!” chiamò e la voce le uscì strozzata, si maledisse per quello.
Gli si piazzò davanti. “Annie” la salutò con voce troppo formale. “Ti serve qualcosa?” le domandò, inarcando le sopracciglia.
“La vuoi smettere di parlare come se fossimo alla corte marziale?!” esclamò lei.
“Cosa vuoi?” chiese allora Finnick, incrociando le braccia.
“Cosa voglio?!! Vorrei una spiegazione! Ieri mi hai detto di essere innamorato di me, abbiamo dormito insieme e ora mi tratti come se fossi un’estranea!?” esalò.
La maschera di ghiaccio del ragazzo si incrinò leggermente, ma non rispose, serrando la mascella.
“Non dici nulla?” domandò Annie, trattenendo le lacrime.
Le sembrava di piangere e basta, in quei giorni. Era diventata una stupidissima fontana!
Il ragazzo scosse il capo, meccanicamente.
“Beh, potevi anche risparmiarti il disturbo di parlarmi al Distretto, di passare del tempo con me, di farmi innamorare di te. Tutto questo è uno schifo, tu sei uno schifo. Posso anche mettermi ad insultarti qui, urlarti addosso e prenderti a schiaffi, ma una volta che sarò arrivata nella mia stanza, non potrei ripetere nulla. Anche se mi sforzassi non riuscirei a volerti del male. E la cosa più schifosa di tutto questo è il fatto che non ti odio. Nemmeno un poco, nemmeno quasi, nemmeno nulla” ringhiò amareggiata e con un groppo in gola.
Le lacrime era inutile trattenerle.
Poteva andarsene, ora, Finnick.
Voleva che se ne andasse, lei non avrebbe fatto un passo. Non ce l’avrebbe fatta.
Voleva appartenere a qualcosa, a qualcuno.. ma non ce la faceva.
Si era accorta di essere innamorata di lui quando le avevano comunicato che sarebbe morta. Desiderava ardentemente odiarlo, ma non ce la faceva.
Il sentimento si trasformava in rabbia, che alimentava la sua voglia di una spiegazione.
Rimasero fermi, occhi negli occhi, lei con i pugni serrati e lui con le braccia lungo i fianchi.
Dopo quella che le sembrò un’eternità, una mano di Finnick le andò ad accarezzare la guancia, con dolcezza, asciugandole le lacrime.
Perché non riusciva ad urlargli di non toccarla?
Semplice, non voleva.
Aveva bisogno di lui.
Che verità di merda.
In un attimo, si ritrovò premuta sul petto del ragazzo, sentì le sue mani calde che le accarezzavano la schiena, che le pettinavano i capelli e la sua voce calma che le diceva di non piangere, di respirare.
Per quanto poteva sforzarsi di restarle lontano, Finnick non sarebbe mai riuscito nel suo intento.
Ormai la sua vita era legata a quella ragazzina.
Alla ragazzina che lo aveva stregato, lo aveva intrappolato nelle braccia del suo profumo, che lo aveva portato a galla dal mare orrendo nel quale era sprofondato.
Erano legati da un sentimento che andava al di là del semplice amore.
Era la vita.
Erano legati per la vita. Se stava male uno, così l’altro. Se moriva uno.. così anche l’altro.
“Vorrei poterti spiegare” le sussurrò all’orecchio.
Annie lo guardò. “Ti prego, dimmi” rispose.
Era troppo vicina a lui. Come poteva controllarsi quando lei, pura come la rugiada, gli si avvicinava tanto da poterle contare le efelidi sul naso dritto.
Azzerò quasi tutta la distanza dal volto di Annie, per poi fermarsi ad un millimetro dalle sue labbra, percependone il calore.
Invece posare le labbra sopra quelle di Annie, le depositò un bacio all’angolo della bocca, così leggero che quasi non sentì il contatto con la pelle.
Gliene diede altri tre, sempre senza baciarla davvero.
Quando stava per posare il quarto, la ragazza voltò il viso nella sua direzione e poggiò le sue labbra piccole su quelle di Finnick, senza baciarlo.
Solo appoggiare e sentire il calore reciproco dell’altro.
Non sarebbe durato a lungo. Entrambi sentirono un calore propagarsi dal basso ventre fino a riempire ogni vena del corpo.
Le braccia di Finnick si allacciarono dietro la schiena di lei, delicatamente, attirandola più vicina e facendo aderire i corpi.
Annie, d’altro canto, allungò la mano verso la maniglia ed aprì la porta, facendoli entrare nella stanza.
Non si stavano ancora baciando, ma godevano di quel momento così intimo.
E non potevano farlo. Lo sapevano entrambi.
Rimasero nella posizione finché la ragazza non si scostò, con delicatezza.
”Spiegami, Finnick” gli disse, guardandolo negli occhi.
Lo vide deglutire e scuotere la testa.
“Ho il diritto di sapere. Non sei solo più te”.
Allora il ragazzo le spiegò quello che gli aveva detto Mags, le sue paure e il Presidente Snow, omettendo volontariamente, però, la parte del suo vendersi alle persone.
Alla fine del racconto, Annie stava con gli occhi spalancati.
“Significa che se stiamo insieme, sarà come appendermi un cartello luminoso, nell’Arena, con su scritto ‘uccidetemi’?” domandò lei.
Finnick annuì, incapace di guardarla.
“Potrebbero prendere di mira anche i miei famigliari?” volle sapere.
Il ragazzo annuì di nuovo.
Lei gli si avvicinò di nuovo e gli accarezzò una guancia. “Tu mi piaci, Finnick. Mi piaci in un modo che non è nemmeno concepibile. E questo mio sentimento.. mi distrugge dentro. Ho bisogno di te, in questi giorni. Non come mentore, non come amico. Ma non voglio ferire te e non voglio ferire la mia famiglia. Quando sarò nell’Arena, non ci sarà posto per te, per i miei cari o.. per me. Sai quello che voglio fare, sono intenzionata a far vincere Euer. Ma ho bisogno del tuo aiuto” sussurrò, senza mai staccare gli occhi dai suoi.
Era come se Finnick fosse incantato, come se pendesse dalle sue labbra.
Eppure aveva registrato ogni singola lettera, sillaba, suono, e alla fine del discorso avrebbe voluto solamente ricominciare a baciarla e dirle che sarebbe tutto finito.
Ma non era così; lei voleva morire e gli stava chiedendo di aiutarlo a farlo.
“Non posso, Annie. Non posso aiutare a morire la persona che..”. venne interrotto dalla ragazza, che gli posò due dita sulle labbra.
“Non ti sto chiedendo di aiutarmi a morire, ma di aiutarmi a tenere in vita Euer, fino alla fine” spiegò.
“Ma come..?”
“Con gli sponsor. Manda tutto a lui, non fargli mancare nulla. So che ne sei capace e non avrai problemi” replicò, ancora senza distogliere lo sguardo.
Finnick deglutì di nuovo. Non poteva chiedergli una cosa del genere. Aveva rigirato la frase in modo che fosse più vantaggiosa per lei, ma ancora era tremenda da sentire.
“Non posso lasciarti morire di fame. O lasciarti fare a pezzi da un altro Tributo” ribatté.
“A questo ho pensato io” spiegò Annie, accarezzandolo.
“Annie, io non posso. Chiedi a Mags, lei magari sarà dalla tua parte” ammise alla fine lui, abbassando lo sguardo e fissando terra.
La ragazza non rimase troppo delusa. Si era aspettata una risposta del genere.
In fondo era troppo assurda la sua richiesta.
Sorrise mestamente e si allontanò.
“Annie.. io non lo faccio perché non voglia fare quello che desideri. Annie, io ti..”.
“Stt, non dirlo” lo bloccò “Se non si dice, fa meno male quando si perde” e poi se ne andò.
 

 

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Capitolo 17
*** La prova dei coltelli ***


EHI CIAO RAGAZZI!
ODDIO CHE VERGOGNA.. NON AGGIORNO DA UN SACCO! 
DOVRO' ANDARE IN GIRO CON UN SACCHETTO SULLA TESTA :(

SONO CONTENTA, PERO', CHE MOLTI DI VOI MI ABBIANO SCRITTO DI AGGIORNARE PRESTO E, COME VEDETE, MI SONO DATA DA FARE E SONO QUI! 
IL PROBLEMA, COME SAPETE, è LA SCUOLA. 
DATO CHE NON SONO UN GENIO, DEVO STUDIARE UN SACCO... FILOSOFIA.. MANNAGGIA A QUELLA MATERIA SCHIFOSA. 
DEVO DIRVI SOLO UNA COSA SUL CAPITOLO, ANZI DUE. 
LA PRIMA FORGIVE ME PER IL MIO ORRIDO RITARDO. 
LA SECONDA: I COLTELLI DI ANNIE (POI CAPIRETE) LI HO MESSI IN ORDINE PRECISO. VISTO CHE NON VOGLIO TOGLIERVI LA SORPRESA, VE LO SCRIVERO' ALLA FINE! 
GRAZIE MILLE A TUTTI QUELLI CHE L'HANNO AGGIUNTA NELLE PREFERITE E NELLE SEGUITE! VI ADORO.. INOLTRE, SCRIVETEMI DI MUOVERMI AD AGGIORNARE SE NO FINISCE CHE MI DIMENTICO! (SCHERZAVO, NON POTREI MAI!!!) ♥
ADESSO CHE HO IMPARATO A FARE I CUORI, LI METTO OVUNQUE!! :D 
P.P.P.P.S ANDATE A LEGGERE LA SAGA "SHADOWHUNTERS", DAVVERO NON VE NE PENTIRETE. SONO QUEI LIBRI CHE NON VORRESTE MAI SMETTERE DI LEGGERE. 
ME NE VAAAADO

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE. 

 
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La prova dei coltelli
 
 

I giorni dopo il primo allenamento dei ragazzi, furono pesantissimi.
Annie ormai non pensava che agli Hunger Games e la cosa la stava lentamente corrodendo dentro.
Migliaia di domande le esplodevano in testa a ritmo incessante: come poteva proteggere Euer? Se lo avesse perso, come lo avrebbe ritrovato? Sarebbe stata in grado di uccidere a sangue freddo? Se il Tributo maschio del 12 si fosse fatto avanti per far del male ad Euer, lei avrebbe davvero avuto il coraggio di colpirlo?
Per di più, ad ogni allenamento, i Favoriti cercavano sempre di metterla fuori gioco, con qualche sgambetto o mirando accidentalmente a lei durante alcune sessioni.
Era risaputo fosse severamente vietato far del male ad un altro Tributo, ma finché veniva fatto in maniera “involontaria” allora erano al sicuro.
La ragazza era diventata paranoica; vedeva minacce ovunque e il solo pensiero che avesse potuto rimanere invalida, la faceva tremare.
Euer si era accorto dello stato d’animo dell’amica e cercava in continuazione di rassicurarla. Le stava vicino in ogni occasione.
Quando i Favoriti sembravano voler attaccar briga, lui subito era pronto a mettersi in mezzo e scoccar loro occhiate di avviso.
Era ormai chiaro che i nemici dell’1, 2 e 7, sarebbero stati loro.
Il problema non era tanto nel saperlo e dover guardare ogni giorno in faccia la persona che moriva dalla voglia di conficcarti un pugnale in gola, ma la consapevolezza che si sarebbero dovuti difendere e dallo scontro ne sarebbe uscito solo un vincitore.
Finnick, dopo la loro discussione in camera sua, non si era fatto più vivo.
Per lo meno con Annie.
Euer lo incontrava puntualmente ogni mattina, si scambiavano quattro chiacchiere e poi iniziavano l’addestramento.
Mags prendeva la ragazza e insieme facevano lo stesso.
Ad Annie non dispiaceva più di tanto il fatto che Finnick non la volesse nemmeno guardare.
Aveva scoperto che era innamorato di lei, quindi sarebbe stato meglio per entrambi –e soprattutto per lui- che non si frequentassero. Non se le probabilità di morte di Annie erano al 100%.
D’altra parte non poteva negare di provare quello che le urlava il suo cuore. Aveva capito, ormai da tempo, di essere inesorabilmente, sfortunatamente e eccessivamente attratta da lui.
Ogni attimo senza di lui era una pena per Annie.
Dopo la notte che avevano passato insieme, la mancanza del suo corpo diventava dolore fisico, che si moltiplicava man mano che i giorni passavano.
 
Mancavano due giorni agli Hunger Games.
Annie aprì gli occhi, lasciando che la luce del sole le illuminasse gli occhi verde mare.
Rimase a letto ancora un attimo, gustandosi a fondo il piacere delle lenzuola calde e del cuscino soffice.
Non aveva voglia di alzarsi, non per affrontare un altro giorno di quell’immensa tortura.
A volte sperava con tutto il cuore che quei dannati giochi arrivassero e finissero con altrettanta velocità.
Era l’attesa che uccideva.
Si alzò e si vestì come da regolamento. Quel giorno avrebbe dovuto mostrare agli Strateghi ciò che sapeva fare e loro le avrebbero assegnato un punteggio, da 1 a 12.
Rifletté sul da farsi: avrebbe potuto fare la finta incompetente, in modo tale da ottenere un punteggio basso ed essere lasciata stare.
L’ipotesi venne subito scartata dalla sua immagine, coperta di tatuaggi, da Dea vendicativa.
Le Dee non erano delle smidollate. Inoltre tutti l’avevano vista lanciare i pugnali. Una cretina non sarebbe stata in grado di farlo.
Quindi decise di puntare il tutto per tutto sul fare una bella figura.
Se devo morire, si disse, meglio farlo con stile.
Incontrò come suo solito Euer, seduto al tavolo, che spiluccava una brioche alla marmellata.
Non sembrava molto in vena di parlare. Aveva il volto pallido, quasi verde, cosa che fece preoccupare ed insospettire la ragazza.
“Tutto a posto?” domandò, allungando un braccio verso la tazza colma di latte e afferrandola.
Lui annuì, evitando il suo sguardo.
No, non andava tutto bene.
Ma non replicò. Non aveva voglia di infastidirlo ulteriormente. Doveva essere già agitato di suo.
Non sapeva che tecnica avrebbe usato, ma sperò vivamente che non fosse così stupido da rivelare il suo potenziale.
Scesero i due Mentori, che si sedettero in silenzio.
Finnick, notò Annie, scoccò un’occhiata breve a Euer, che impallidì ancora di più e si affettò ad ingoiare un boccone.
La ragazza socchiuse gli occhi. Se le stavano nascondendo qualcosa, allora dovevano smetterla.
Magari Finnick aveva detto ad Euer il suo piano!
La sola idea la fece ribollire di rabbia. Non ne avrebbe avuto nessun motivo. Era una sua scelta e tale doveva rimanere!
“Novità?” domandò, più in direzione del Mentore, che le scoccò un’occhiata interrogativa.
Annie non distolse lo sguardo. Forse riusciva a leggere da solo quello che gli stava dicendo con gli occhi.
Il sopracciglio di Finnick scattò verso l’alto, poi fece spallucce e bevve il caffè.
“Nessuna, a quanto pare” rispose Euer, sforzandosi di cancellare dal volto l’espressione provata.
Ci riuscì alla perfezione, le labbra che si distendevano in un sorriso sereno.
Beh, non era l’unico bravo nella recitazione.
Anche Annie sorrise dolcemente. “Dov’è Typhlos?” chiese.
“Da quello che ho capito, stanno lavorando ai nostri vestiti per l’intervista di domani” fece nuovamente l’amico.
“Speriamo in bene”. Aveva una completa fiducia nella sua stilista, ma non voleva attirare l’attenzione più di tanto. O forse si.
Forse sarebbe stato meglio se i riflettori fossero stati puntati solamente su di lei.
Idea sbagliata.
I riflettori degli sponsor dovevano brillare unicamente per Euer.
Quando si alzarono, Annie seguì Finnick mentre andava in camera sua.
“Ehi” lo chiamò, con la voce un po’ tremante.
Non aveva ancora dimenticato il sapore delle labbra sulle sue.
Lui si voltò, sorpreso. Un’espressione addolorata gli solcò il volto, prima di essere sostituita dalla sua solita maschera neutra.
“Volevo chiederti del.. vestito” iniziò “Dovete farne uno ad Euer che gli Sponsor non dimenticheranno. Deve essere il migliore”.
Il ragazzo la fissò senza parlare.
Anche senza aprirgli la testa, Annie poteva ben immaginarsi gli ingranaggi del suo cervello che lavoravano freneticamente per elaborare una risposta decente.
“Okey” fu quello che disse.
In effetti, la ragazza si sarebbe aspettata una scenata rabbiosa da parte di Finnick. Quell’unica parola la spiazzò.
“Bene” fece e se ne andò.
La mano di lui si serrò sul suo polso, obbligandola a girarsi. “Alla sessione..” iniziò. Annie sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “..ottieni il punteggio maggiore. Te li attirerai tutti addosso” finì tra i denti, prima di sparire nella sua camera.
La ragazza rimase ferma al centro del corridoio, con gli occhi spalancati.
Non si sarebbe aspettata un simile consiglio, non da Finnick per lo meno.
Le aveva appena dato un consiglio per attirare l’attenzione su di sé.
Avrebbe voluto ringraziarlo, ma il buon senso le disse di non entrare nella stanza e di lasciarlo da solo.
Aveva bisogno dei suoi spazi.
Sospirando se ne andò.
 
 
 
Finnick richiuse la porta dietro di sé.
Che diavolo gli era venuto in mente?!
Alla sessione ottieni il punteggio migliore?!!
Che razza di consiglio era? Lui era il suo mentore, diavolo, non l’aguzzino.
Non poteva ancora credere di averle dato una mano nella sua folle impresa.
Eppure, nonostante tutto questo lo ferisse, non poteva non provare ammirazione per una ragazza così giovane che decideva di sacrificarsi per l’amico.
Negli Hunger Games non esistevano vincitori, solo sopravvissuti. Lei lo sapeva, ma non demordeva. Voleva combattere contro le regole.
Magari per quell’anno, i giochi avrebbero davvero avuto un Vincitore.
Si sedette sul letto, tenendosi la testa tra le mani.
Si odiava per la sua debolezza.
Che cosa gli aveva fatto?! L’aveva trasformato nell’ombra di se stesso.
Ciononostante non era dispiaciuto del “nuovo Finnick”.
Almeno era sicuro che qualcun altro, oltre Mags, lo vedeva per quello che era realmente.
 
 
Annie ed Euer arrivarono nella sala dove tutti i Tributi avrebbero dovuto aspettare per poi entrare nella stanza in cui avrebbero dimostrato la loro bravura agli Strateghi.
Non c’era nessuno, a parte i due del 3.
La ragazza ancora teneva tra le mani lo stesso filo di qualche giorno prima. Forse si trattava di un portafortuna, oppure di un’arma.
Stava parlando da sola, a bassa voce. Le si muovevano solamente le labbra chiare.
Euer sussurrò nell’orecchio dell’amica che probabilmente stava pregando, ma Annie scosse la testa.
Era abbastanza vicina da distinguere dei numeri: stava facendo calcoli.
Si sedettero su una panca, lontano dai due, in perfetto silenzio.
Per la prima volta, nessuno dei due aveva voglia di far conversazione; troppo agitati, nervosi e spaventati.
Dopo circa dieci minuti, la porta si era spalancata cinque volte, presentando i Tributi del 11, 12, 6, 8 e 9.
Il silenzio della saletta non mutò, anzi, divenne se possibile ancora più opprimente.
Passarono ancora cinque minuti e fece capolino, dall’entrata, la ragazza diafana del 7, che si guardò intorno con gli occhi spalancati e le labbra tese in un sorriso.
Fece qualche passo verso l’interno, leggera come una ballerina e si voltò, incrociando lo sguardo del ragazzo della Box, che le sorrise di rimando.
A differenza della compagna, lui entrò deciso, determinato, avvolto da un’aura di potenza e calore.
Fece scorrere velocemente gli occhi sulle persone, finché non incontrò quelli di Annie e abbozzò un sorriso veloce, alzando la mano in segno di saluto.
Lei gli fece un cenno del capo, non dimentica della sua alleanza con i Favoriti, letteralmente le persone che la volevano morta.
Evidentemente al ragazzo non importava nulla, perché marciò con decisione verso Annie e le si sedette davanti, dopo aver preso uno sgabello per sé e la compagna, che lo seguì aggraziata.
“Nervosa?” le domandò, guardandola di traverso.
Annie annuì brevemente. Si asciugò i palmi delle mani sui pantaloni. “Tu?”.
Gli occhi verde muschio di lui guizzarono in direzione della compagna, intenta a fissare Euer con un sorriso gentile.
“Un po’”.
La ragazza dovette sforzarsi molto per non coprirsi la faccia con le mani e sospirare. Anche lui aveva qualcuno da salvare.
Quello significava solo una cosa: erano rivali. Più che i Favoriti.
Entrambi volevano che il compagno vincesse, ma negli Hunger Games non c’erano due campioni, solo uno.
“Comunque non ci siamo presentati prima. Sono Jace” disse, allungando la mano.
Annie la strinse, stiracchiando un sorriso. Non doveva fargli capire il suo intento, altrimenti sarebbe diventata il suo primo obiettivo e, per quanto fosse brava, non era certa che sarebbe riuscita a vincere contro di lui.
“Annie” rispose.
La ragazza del 7 si sporse in avanti, per stringerle la mano. “Io sono Lily” commentò, con voce chiara.
Anche Euer si allungò, afferrando la mano di Jace e stringendola con vigore, guardandolo negli occhi, a mo’ di avvertimento. “Euer”.
Jace sogghignò sotto i baffi ed Annie si sentì morire dalla vergogna. Era come se fosse lei la bimba da proteggere.
Euer stava per aggiungere altro, ma dal corridoio arrivarono le voci dei Favoriti e, in un lampo, Jace scattò in piedi, afferrò Lily per una mano e si allontanò da loro.
Euer rimase con la bocca semiaperta per la domanda che stava per formulare.
“Chiudi immediatamente la bocca” gli sibilò Annie, mordicchiandosi l’interno della guancia.
Era ovvio.
Non potevano farsi vedere con loro, se no i Favoriti non li avrebbero accettati nel gruppo.
Il ragazzo la serrò di scatto, facendo battere i denti tanto forte che Annie si domandò come avesse fatto a non rompersene uno.
Piano piano, iniziarono a chiamare i nomi dei Tributi.
Euer andò per primo e Annie rimase sola nella stanzetta, almeno senza Favoriti che non la smettevano di lanciarle occhiate di fuoco.
Jace le scivolò accanto, tenendo però ancora un metro di distanza.
La ragazza aveva tanto voglia di rinfacciargli il comportamento di prima, ma non sarebbe servito a nulla, quindi si accontentò di non aprir bocca, ma lo fece lui al posto suo.
“Scusa per prima” le disse, sorridendole.
Lei gli scoccò un’occhiata di traverso. “Lascia stare” rispose.
La conversazione terminò lì, perché la porta della sala degli Strateghi si aprì e comparve Euer e una voce metallica scandì il nome Annie Cresta.
La ragazza scattò in piedi, improvvisamente terrorizzata.
Doveva mantenere la calma per poter dare il meglio di sé, ma tutto ciò le riusciva impossibile, in quanto quando incrociò lo sguardo dell’amico, aveva stampata in volto un’espressione più che soddisfatta.
Avrebbe dovuto fare meglio di lui.
Entrò nell’enorme sala, allestita di tutto ciò che poteva servire ad un Tributo.
Subito individuò i coltelli, alla sinistra, poco distanti dalla postazione degli Strateghi che, entrata, avevano smesso di parlare e si erano girati tutti verso di lei, fissandola con sguardo curioso.
Annie si sentì contorcere le viscere dall’ansia, ma si impose di scacciare via tutto: doveva dare il meglio di sé.
Avanzò sicura verso il tavolo con i coltelli e passò lentamente la mano su ognuno, saggiandone l’impugnatura e il peso.
Tutto ciò, nell’assoluto silenzio.
Ne sollevò uno e alzò lo sguardo verso il manichino, che aspettava solo di essere trafitto dai suoi colpi letali.
Voleva dar spettacolo, quindi ne prese altri cinque e li appuntò alla cintura, dopodiché prese un gran respiro e chiuse gli occhi.
L’elsa del primo pugnale le scivolò in mano, adattandosi perfettamente al palmo caldo, come se fosse stato creato solamente per lei.
Fletté il braccio all’indietro, concentrandosi sul manichino bianco.
Questo è per Ocean, che voi siate maledetti, sibilò nella mente, mentre l’arma le sfrecciava via dal corpo, andandosi a piantare nel punto in cui una persona normale avrebbe avuto l’occhio destro.
Subito afferrò il secondo, uguale per peso e lunghezza a quello precedente.
Questo è per i miei genitori, che voi siate maledetti.
Con precisione chirurgica, anche quello si conficcò fino all’elsa nel posto dell’occhio sinistro.
Sfilò il terzo dalla cintura, lungo e seghettato. questo è per Euer, che voi siate maledetti.
Con un sibilo, il pugnale si conficcò nel punto esatto della bocca.
Il penultimo pugnale era cosparso di spuntoni, in tutti i punti della lama. Con quello, sfondò la trachea del manichino, che rimase immobile, in piedi, senza emettere nessun gemito. Questo è per Glauco, che voi siate maledetti.
Infine, il coltello più grande e più pericoloso, lo soppesò bene, studiandolo attentamente.
Si vide riflessa nella lama argento, ma c’era qualcosa che stonava nella sua immagine: gli occhi erano cupi, scuri, non più verdi splendenti.
Quella non era più l’Annie che viveva nel Distretto 4, ma l’assassina che sarebbe entrata nell’Arena.
Strinse i denti e lanciò il coltello.
La traiettoria fu perfetta, lineare.
Tagliò l’aria senza un suono, senza incertezze e andò a conficcarsi nel petto del manichino, nel cuore.
Questo è per me, per Finnick, per i bambini del Distretto 12, quelli del 10 e tutti quelli che devono affrontare questo sterminio ogni anno.
Il silenzio che accompagnò la sua esibizione era così opprimente, che faceva più rumore di un tamburo.
Annie alzò lo sguardo verso gli Strateghi, con espressione di sfida.
Tutti la stavano guardando, non uno fiatava. Forse si aspettavano di più da lei.
Notò che il manichino ondeggiava lievemente: i colpi dei suoi pugnali lo avevano destabilizzato dal suo sostegno.
Annullò la distanza in pochi passi e, con un unico colpo secco, estrasse il pugnale dalla gola e gli taglio la testa di netto, per poi atterrarlo con un calcio.
Lunga vita al presidente Snow.
Dopodiché si girò nuovamente verso gli Strateghi e uno, probabilmente il Capo, le fece cenno di uscire.
“Annie Cresta” disse, a voce alta, accortasi di non averlo fatto prima.
Uscì a passi veloci.
 

 
 
 ECCOMI QUI VELOCE VELOCE. 
I PRIMI DUE COLTELLI PER OCEAN E I GENITORI: NEGLI OCCHI. QUESTO PERCHE' ANNIE PENSA DI NON RIVEDERLI MAI PIU'. 
IL TERZO, PER EUER: NELLA BOCCA. LEI NON PUO' DIRGLI CIO' CHE STA PROGETTANDO DI FARE NELL'ARENA. 
QUARTO, PER GLAUCO: NELLA TRACHEA. IL FRATELLINO ERA STATO UCCISO CON LO STESSO PUGNALE NELLO STESSO MODO, QUATTRO ANNI PRIMA
ULTIMO, PER FINNICK, PER LEI E PER GLI ALTRI TRIBUTI: NEL CUORE. SOFFRONO PIU' DI CHIUNQUE ALTRO.
SPERO CHE VI SIA PIACIUTO COME CAPITOLO! 
SEE YOU SOON ♥♥♥
 
 
 

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Capitolo 18
*** Please ***


CIAO RAGAZZI...
CHE VERGOGNA AGGIORNARE DOPO MILLEDUECENTOSESSANTAMILIARDI DI GIORNI.. PERDONATEMI SE POTETE! D: 
HO UNA MISERA SPIEGAZIONE.. UNA GIUSTIFICAZIONE CHE RICOPRE UNA SETTIMANA E BASTA: SONO  ANDATA A VALENCIA CON LA SCUOLA, QUINDI PER QUELLA ESIIIIGUA SETTIMANA NON HO POTOTO SCRIVERE. 
VI CHIEDERETE: "E TUTTI GLI ALTRI GIORNI, COCCA?" ...EH.. PER QUELLI NON HO GIUSTIFICAZIONE!
POTETE TIRARMI POMODORI, UOVA (CIPOLLE NO, GRAZIE) E ALTRA VERDURA.
SONO CONTENTA, PERO', DI ESSERE RIUSCITA A RITAGLIARMI UN PO' DI TEMPO IN QUESTE SETTIMANE DEL CAVOLO DI SCUOLA PER VOI. CHE ASPETTATE DA UN BOTTO QUESTO DANNATO CAPITOLO........ AAAH SCUUUUSATE! <3
SPERO VI PIACCIA E CHE RECENSIATE IN MOLTI! ANDATE LEGGERI CON GLI INSULTI PER IL MIO RITARDO! 
GRACIAS <3<3 
P.S QUALCUNO DI VOI HA INSTAGRAM? ...CHE DOMANDA DEL CAVOLO
BACI RAGAZZI! STO MORENDO DI SONNO! ALMENO DOMANI LA PRIMA ORA è BUCAAAAA

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 
. . . . . . . . . . . . . . . . .

Please

 


Tornò nel suo appartamento con le mani in tasca, davanti agli occhi l’immagine di una ragazza identica a lei che sferrava colpi micidiali ad un manichino.
Fu come assistere ad un film insonorizzato, nel quale la prima attrice era lei, distruttiva e impassibile, che trafiggeva la carne del manichino varie volte senza esitazione, finché lo abbatteva al suolo con un calcio alla cassa toracica.
Chi era lei?
Si era lasciata alle spalle la dolce Annie Cresta del Distretto 4, facendo emergere dal profondo del suo cuore il lato crudele e gelido della sua personalità.
Quello era il mondo.
La vita all’interno del Distretto era solo una simulazione, una finzione. La vita vera era a Capitol City, nelle Arene, nelle quali dei ragazzini venivano gettati come animali da circo, per ammazzarsi a vicenda, rivelando il loro lato più oscuro.
Quando aprì la porta dell’appartamento, tutti erano seduti sui divanetti davanti alla televisione ancora spenta.
Appena comparve sulla soglia, i due Mentori, Euer e gli Stilisti si girarono di colpo, sorridendole.
Si sforzò di ricambiare e si avvicinò al compagno, sedendosi accanto.
“Com’è andata?” le chiese Euer, prendendole la mano.
Annie lo fissò un secondo, riflettendo sulle parole. “Abbastanza bene, spero. A te invece?”
Lui scrollò le spalle. “Non credo poi così male” rispose. “Beh, immagino che lo scopriremo dopo cena”.
Tutti quanti, nell’appartamento, nel campo d’addestramento, ovunque non riuscirono a pensare ad altro che ai risultati che sarebbero stati annunciati solamente la sera.
Finnick sparì dalla circolazione fino alle sette, un’ora prima della cena.
Annie stava uscendo dalla propria stanza quando sentì lui parlare con Mags, dietro l’angolo.
“Non posso continuare così, lo sai bene” disse alla donna. Dal tono di voce sembrava irritato, ma la ragazza colse una sfumatura di stanchezza.
Ovviamente non arrivò la risposta della donna, che gesticolava solamente, ma udì quello che Finnick disse: “Non puoi capire. C’è bisogno che io lo faccia.. è quello che vuole lei”.
La ragazza si bloccò sul posto.
Stavano parlando di lei?
Tese le orecchie il più possibile.
“Non è più una questione se voglio farlo o non voglio farlo. Devo e basta”.
Stavano discutendo sulla sua decisione?!
così lui gliel’aveva detto!
Lo aveva pregato di non farlo. Mags sicuramente avrebbe intralciato i suoi piani. Anche se risultava un po’ strano: Finnick, innamorato di lei, la aiutava nella sua impresa suicida mentre Mags, che non aveva nessun legame di parentela con Annie, si sarebbe opposta?
“Mags, non ti mettere in mezzo! È già difficile senza che tu mi faccia la predica. Come credi che mi senta io?!” esclamò, con voce più alta.
Annie si sporse per vedere qualcosa e scorse il ragazzo piazzato davanti alla donna, con le braccia larghe e il volto scuro.
Si morse il labbro, tremendamente in colpa.
Era vero. Non aveva nemmeno pensato a come si sarebbe potuto sentire lui, in tutta quella faccenda.
Il suo cervello si era impostato sulla frequenza “io, io, io” e mai una volta aveva riflettuto su quanto potesse essere difficile per Finnick dover assecondare le sue stupide richieste.
Silenziosamente aprì la porta e la richiuse forte, in modo che capissero che qualcuno stava arrivando e avrebbero smesso di parlare in segreto.
Infatti le voci cessarono e quando svoltò l’angolo, entrambi guardavano nella sua direzione.
“Ho interrotto qualcosa?” chiese.
I due fecero cenno negativo con la testa e poi si spostarono verso la cucina, nella quale i cuochi avevano già finito di cucinare e stavano servendo a tavola.
Un minuto più tardi arrivò Euer con il suo stilista.
Cenarono in silenzio, ognuno troppo concentrato sui propri pensieri per iniziare una conversazione.
La cena consisteva in un risotto ai funghi, delizioso. Come secondo stufato di agnello con le carote e le patate e come dolce una torta di panna.
Annie sospettò che qualcuno avesse ordinato ai loro cuochi di farli ingrassare per render loro più difficile qualsiasi movimento nell’Arena. Evitò di mangiare la torta e al posto di quella, optò per una mela.
Finito di cenare si sedettero tutti sul divano e accesero la televisione, aspettando di vedere i loro risultati.
I Tributi dell’1, come volevasi dimostrare, ricevettero entrambi 9.
Quelli del 2, la ragazza 9 e il ragazzo 8.
Annie poté svuotare i polmoni di tutta l’aria quando Euer ricevette un 8 –sempre un buon punteggio, ma non così notevole- mentre a lei venne assegnato un 10.
Tutti si girarono a fissarla.
“Non ho fatto nulla di che, giuro!” esclamò, ma dentro era pienamente soddisfatta del proprio operato.
Dopo aver visto il suo punteggio, Finnick uscì dall’appartamento, sbattendo la porta.
La ragazza fece per seguirlo, ma Euer la trattenne per il polso. “Lascialo da solo” le consigliò.
Jace prese 10 come Annie mentre Lily 7.
I due ragazzini del 12 entrambi 6.
Nel vedere i due voti dei piccoli, Annie sospirò. Era insieme una fortuna e una sfortuna.
Fortuna se li avrebbero ignorati, per uccidere prima quelli più forti. Sfortuna, invece, se li avrebbero presi di mira, in quanto non rappresentassero una minaccia.
“Poveretti” fu il commento di Milly, quando i due volti comparvero sullo schermo.
Allora anche la donna di Capitol City aveva dei sentimenti umani, a volte.
Cosa che invece non possedeva Katherine, perché al commento fatto sbuffò e mugugnò qualcosa molto simile a: “tanto sono del 12”.
Annie avrebbe tanto voluto prendere il vassoio di biscotti sopra al tavolo e sbatterglielo ripetutamente sui denti bianchi come l’avorio.
Si trattenne solo per il fatto che la sera dopo avrebbero avuto le interviste e la donna, perfida com’era, si sarebbe benissimo potuta vendicare facendole capitare qualcosa di spiacevole.
Verso le nove Euer annunciò di volersi ritirare nella sua stanza e Annie lo seguì.
Si sedettero per terra nell’appartamento del ragazzo e rimasero in silenzio per un po’, a guardare l’oscurità fuori dalla finestra enorme.
“Ti ricordi quel giorno, quando eravamo al mare e un granchio ti ha punto il piede” ruppe il ghiaccio lui, sempre senza distogliere gli occhi dal cielo stellato.
Annie rimase in silenzio, facendo vagare la mente e i ricordi, fino a quel giorno di sole di qualche anno prima.
Sorrise divertita e annuì. “Continuavo a urlare come una folle. Poi quando ho visto la striscia di sangue è stata l’apocalisse. Credo di non aver mai gridato più di quel giorno”.
Euer rise, affondando la mano nei capelli e scompigliandoseli. “Ero come fuori di senno! Come se non avessi mai visto del sangue”.
“Pensavo mi avesse staccato il dito!” si difese la ragazza, senza smettere di sorridere al ricordo.
“Era grande come un pollice e le chele facevano pena tanto erano piccole..” le fece notare.
Annie si morse il labbro e lo fissò risentita. “Ero piccola” aggiunse.
“Piccola? Sarà stato due anni fa, massimo tre” esclamò lui.
“Tre? Ma sei impazzito?! Almeno cinque!” ribatté la ragazza.
L’amico si coprì la faccia con le mani, scuotendo il capo. “Sapevo che non fossi brava coi numeri, ma non pensavo fossi in una situazione così disperata” ammise.
Annie spalancò la bocca, fingendosi offesa. “La mia matematica è a posto, grazie” commentò, facendo schioccare la lingua.
“Certo!” fece subito lui “matematica D.O.C, tanto che un giorno la professoressa ti fece usare l’abaco per fare un calcolo semplicissimo” sghignazzò.
Le guance di Annie avvamparono, colpita sul vivo. “Ma è possibile che tu ricorda ogni singola cosa imbarazzante che io abbia mai fatto in tutta la mia vita? Pensa a te, piuttosto. La prima volta che sei venuto a prendere Ocean sotto casa le hai portato un mazzo di fiori praticamente appassiti”.
Si accorse di aver parlato troppo appena ebbe finito la frase.
Si diede mentalmente della scema per aver tirato in ballo la sorella in una situazione del genere. Chissà quanto ci stava pensando l’amico. Forse non riusciva a non farlo.
E lei glielo sbatteva in faccia con così poco tatto.
Prima che potesse scusarsi, Euer sorrise dolcemente. “Hai ragione, che imbecille” poi si coprì la faccia con le mani, nuovamente “Dio, che figura da demente” esclamò, imbarazzatissimo.
Annie rimase colpita dalla capacità del ragazzo di non abbattersi mai.
“Si, in effetti un po’ una figura del cavolo” aggiunse.
In quel preciso istante non sapeva se scoppiare a piangere o a ridere. Il risultato fu una risatina strozzata da psicopatica che le fece guadagnare un’occhiata perplessa dall’amico.
“Scusa, ho l’agnello sullo stomaco”.
Bugia del secolo top.
Probabilmente l’aveva capito anche lui, ma non obiettò. “Già, anche io faccio fatica a digerirlo” disse.
Calò un silenzio pressante, finché Annie non si alzò.
“E’ meglio che io vada. Buonanotte Euer” gli disse, dandogli un bacio sulla guancia.
Uscì dalla porta ed entrò in camera sua, senza però chiudere la porta.
Il riscaldamento non andava o non era acceso, ma non sapeva come si facesse quindi preferì che il calore della sala entrasse anche nel suo piccolo appartamento.
Si distese sul letto senza nemmeno cambiarsi e di lì a poco si addormentò.
 
 
La svegliarono dei rumori soffocati provenienti dal corridoio, dei passi di due persone e delle voci sussurrate.
Ancora impastata del torpore del sonno, Annie si tirò a sedere, cercando di uscire dal groviglio di lenzuola nel quale era intrappolata.
Stava facendo un incubo e fu felice di essersi svegliata. Aveva i capelli attaccati al volto completamente fradicio di sudore e il respiro irregolare.
La gola le bruciava ed era secca, come se fosse rimasta nel deserto per troppo tempo senza acqua e senza parlare.
Non senza difficoltà si alzò e si diresse verso la cucina, dove prese un bicchiere e lo riempì di acqua fino all’orlo e tornò verso la sua stanza, con l’intenzione di berlo a letto.
Imboccò il corridoio ed ebbe qualche secondo di tempo per registrare l’immagine di Finnick accasciato a terra, con la schiena appoggiata al muro, palesemente in stato incosciente, prima che il bicchiere si rompesse al suolo e la moquette rossa si inzuppasse di acqua fredda.
“Finnick!” esclamò, correndogli incontro e inginocchiandosi di fianco al ragazzo.
Aveva i capelli bagnati e gli occhi chiusi. Respirava a fatica e il volto era cereo.
La camicia era slacciata ed Annie poté facilmente vedere i lividi blu e viola sulla sua pelle.
“Oddio..” mormorò col cuore che batteva a mille.
Gli prese il volto tra le mani e gli schiaffeggiò piano una guancia, per svegliarlo. “Finnick, rispondi!” lo chiamò in completa ansia.
Al terzo schiaffetto, le palpebre del ragazzo ebbero un fremito e successivamente si spalancarono, rivelando le iridi chiare.
“Finnick!” fece lei, tirando un sospiro di sollievo.
“Annie..” mormorò il ragazzo, alzando un braccio e posandogli la mano sulla sua. Tremava.
“Ti porto in camera” gli disse, passandosi un sul braccio muscoloso intorno alle spalle e tirandolo in piedi con uno sforzo immane.
“No..” biascicò lui “..bagno…
fecero in tempo a varcare la soglia che Finnick vomitò l’anima nel lavandino.
Annie, che aveva sempre provato una certa repulsione, distolse lo sguardo imponendosi di non vomitare pure lei e gli tenne una mano sulla schiena, accarezzandolo, finché lui non si accasciò al suolo, con il respiro mozzato e i brividi che lo scuotevano come scossa.
“Ti porto un bicchiere d’acqua” gli disse, dirigendosi in cucina.
Lo ritrovò bianco come un lenzuolo, appoggiato alla parete, con gli occhi serrati, così come i pugni.
”Ecco” mormorò, tendendoglielo.
Finnick lo prese con mani tremanti. “Scusa” bisbigliò.
Lei lo fissò per qualche istante, poi gli si inginocchiò di fronte e lo aiutò a bere, accarezzandogli dolcemente i capelli biondi.
“Cos’è successo?” gli domandò.
Il ragazzo scosse la testa, serrando le labbra e distogliendo lo sguardo. Non poteva dirglielo, anche se ormai lei avrebbe già dovuto aver capito.
“Non puoi continuare a dirmi bugie” disse.
Finnick si morse il labbro e si passò una mano sul volto, per asciugare il sudore rimasto. “Non mi guarderesti più in faccia. Ho paura che se ti dicessi la verità, poi ti farei troppo ribrezzo” ammise.
Ed era la verità.
Quanto avrebbe potuto reggere la realtà dei fatti? Ogni sera lui andava a letto con una donna o un uomo di Capitol City da quasi tre anni. Non erano cose che si potevano superare semplicemente.
Annie gli si accucciò davanti e gli prese il volto tra le mani.
“Finnick, qualsiasi cosa sia non potrebbe mai portarmi a disprezzarti. Mai” sussurrò, incatenando lo sguardo col suo.
Il ragazzo sentì che, dalle mani della ragazza, piano piano il suo corpo riacquistava calore e un senso di pace lo invadeva.
Sospirò e chiuse gli occhi. “Da quando ho compiuto sedici anni, il presidente Snow ha capito che la mia immagine non era più sufficiente per le persone di Capitol City. Loro volevano di più dal Tributo del Distretto 4. Così ha iniziato a..” si interruppe e deglutì “..a vendermi alla gente della città”. Sentì chiaramente Annie trattenere il respiro, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Aveva chiuso gli occhi proprio per non vedere l’espressione di disgusto sul volto della ragazza. Sarebbe stato troppo per lui.
“Le donne e.. anche gli uomini, mi chiamano e mi dicono il luogo e io vado. Per una notte solo loro e poi non torno più. Se non lo facessi, probabilmente Snow minaccerebbe Mags, la persona più vicina che io abbia e non posso permetterlo” concluse, con un filo di voce.
Non si era mai vergognato di più in vita sua.
Tutti i suoi segreti erano stati liberati. Il muro che ergeva tra sé e le altre persone, abbattuto.
Tra Annie e lui non esisteva nient’altro che l’aria.
Rimasero in silenzio, lui con gli occhi serrati e lei con ancora le mani a stringere delicatamente il suo viso.
“Guardami, Finnick” disse Annie, accarezzandogli lo zigomo col pollice.
Lui scosse la testa impercettibilmente. Non aveva il coraggio nemmeno di parlarle.
“Guardami” ripeté la ragazza, avvicinandosi.
Il calore del respiro sul suo volto convinse Finnick ad aprire lentamente gli occhi, col cuore in gola.
La vide lì, davanti a sé, bellissima anche alle tre di notte, spettinata, con i vestiti del giorno prima.
Lo stava guardando come una persona guarda qualcosa di bello, senza espressioni di disgusto o di ribrezzo.
Lo stava guardando e stava vedendo lui, il vero Finnick.
“Quello che ti hanno obbligato a fare è disgustoso, non tu. Tu rimarrai per sempre la persona che ho conosciuto al Distretto, che mi ha fatto ridere, che mi ha fatto arrabbiare, che mi ha.. baciato. Non mi importa dell’opinione degli altri. non mi importa della tua opinione. Sei Finnick Odair e a me basta” sussurrò senza staccare gli occhi dai suoi verde mare.
Finnick la guardò senza fiatare e senza parole.
Il suo sogno irrealizzabile si era avverato. Qualcuno aveva guardato dentro di lui e aveva visto quello che era realmente, senza pregiudizi, senza insulti.
“Non.. ti importa quello che faccio?” le chiese.
“Certo che mi importa. Ma in un modo diverso da quello che pensi tu. Mi importa perché è qualcosa che ti fa soffrire e che non dovresti provare. Sei un bravo ragazzo, Finnick e non ti meriti questo. Io so che tu non sei così. Non sei come dice la gente” replicò.
Il ragazzo alzò un braccio e le accarezzò delicatamente la guancia e lei chiuse gli occhi, beandosi del tocco.
Erano passati due giorni da quando si erano baciati, ma era come se fosse passato un anno.
Il suo corpo aveva bisogno di quelle carezze. Le reclamava con forza.
Finnick le passò la mano dietro la nuca e le avvicinò il viso al suo, finché le fronti non si toccarono.
I respiri si intrecciarono, i battiti divennero quelli di un unico cuore e quando tra le due labbra non rimanevano che pochi millimetri, Annie scosse la testa, lievemente.
“Non possiamo, Finnick” sussurrò, mordendosi il labbro.
Lui scosse la testa insistentemente, guardandola. “Ti prego, Annie. Non ce la faccio” mormorò.
“Finnick..”
“Per favore..”.
Allora Annie riappoggiò le labbra sulle sue, colmando il vuoto che si era formato tra di loro e che reclamava di essere riempito.
 

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Part of me ***


CIAO RAGAZZI!
ECCOMI QUI.. AVREI MILLE SCUSE DA PRESENTARE PER LA MIA ASSENZA, MA SAREBBERO PENOSE. QUINDI VI DICO SOLO CHE IL MIO COMPUTER è ANDATO IN RIPARAZIONE PER UN SACCO DI TEMPO E L'HO RIAVUTO OGGI. :)
QUINDI A QUELLE PERSONE A CUI AVEVO SCRITTO "SISI, QUASI FINITO IL CAPITOLO" NON HO MENTITO, DAVVERO! :D 
BEH, DOPO MILLE RICHIESTE DI AGGIORNARE, SONO QUI CON IOL NUOVO CAPITOLO! 
SPERO CHE VI PIACCIA COME GLI ALTRI! 
VI VOGLIO UN MONDO DI BENE E GRAZIE PER APPOGGIARMI TUTTE LE VOLTE IN CUI NON CI SONO, O SCRIVO UNO SCHIFO-CAPITOLO O CHE SO IO! 
SIETE IMPORTANTI! 
BACIONI, LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE. 

 
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Part of me

L’ultimo giorno prima degli Hunger Games si presentò in tutta la sua atrocità, la mattina, quando Annie si svegliò e non riconobbe la propria camera.
Inoltre non aveva mai dormito sul bordo del letto e quasi rischiò di cadere, quando allungò un braccio verso l’esterno.
Solo però quando sentì un respiro lieve accanto a sé si rese conto di essere nel letto di un estraneo.. che le dormiva di fianco.
I battiti cardiaci che erano schizzati a mille si acquietarono appena intravide il volto di Finnick che riposava beatamente a qualche centimetro da lei, senza maglietta.
Senza maglietta..
Gli occhi verde mare saettarono sul proprio corpo e tirò un sospiro di sollievo, constatando che ancora indossava i vestiti.
Fece per svegliarlo, ma ritrasse la mano a qualche millimetro dalla guancia del ragazzo, curiosa di spiralo nel sonno.
Si sporse tanto quanto bastava per poter fissarlo in una posizione comoda.
Analizzò ogni centimetro del suo volto: il naso dritto, leggermente all’insù. Le sopracciglia chiare e arcuate, i capelli biondi che cadevano a ciocche sugli occhi chiusi che, sapeva ormai fin troppo bene, erano del colore del mare, con pagliuzze dorate vicino alla pupilla. Le ciglia nere gli accarezzavano gli zigomi rosei, a parte quello sinistro, sul quale si intravedeva un lieve livido che stava ormai sparendo.
Le labbra erano socchiuse ed emettevano respiri caldi ad intervalli regolari.
Lo sguardo della ragazza proseguì per il corpo di Finnick, soffermandosi sui muscoli delle braccia, posate sulle lenzuola delicatamente e sugli addominali scolpiti, lasciati scoperti dalla trapunta leggera.
Il petto si alzava e si abbassava lentamente, trasmettendo tranquillità alla ragazza.
Quello che stonava, nella visione paradisiaca che stava avendo, erano i segni scuri sulla sua pelle, di ogni sfumatura di colore, che gettavano un tono macabro alla scena.
Annie prese a tracciare molto lievemente, con l’indice, i contorni di ogni singolo livido, facendo molta attenzione a non svegliarlo.
Quello sul collo, poi sullo sterno, uno sul pettorale sinistro –sopra al cuore-, un altro sul fianco destro, piuttosto lungo e poi un altro ancora sull’addome.
Quando ebbe finito, alzò gli occhi in direzione del volto di Finnick ed incontrò i suoi grandi occhi acqua marina che la scrutavano interessati.
Staccò subito la mano dal suo petto e si ritrasse involontariamente di qualche centimetro.
“Scusa, non volevo svegliarti” gli disse.
Lui sorrise calorosamente, appoggiando una mano sulla sua guancia e facendole una carezza. “Preferisco svegliarmi e trovarti qui con me, che continuare a dormire da solo” rispose.
Le guance di Annie avvamparono, ma le parole le scaldarono il cuore.
Un formicolio le avvolse le membra e le fu spontaneo riavvicinarsi al corpo del ragazzo.
Lui le prese la mano e se la posò sul petto, sopra al cuore.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, lei appoggiata a lui e Finnick con il mento appoggiato alla sua testa.
“Vorrei che non finisse mai” mormorò ad un tratto il ragazzo, sospirando.
Anche Annie fece lo stesso, mentre una sensazione di vuoto le attanagliava lo stomaco. Il giorno dopo sarebbe entrata nell’Arena e sarebbe morta. Avrebbe lasciato Finnick, Euer, Ocean, i suoi genitori, Glauco, Nereyde..
Non voleva sprecare l’ultimo giorno che aveva piangendosi addosso, ma non poteva nemmeno spingere Finnick troppo in là. Sarebbe rimasto straziato dalla perdita.
Si sollevò dal petto e si mise seduta. Lui la fissò, accigliato.
“Abbiamo passato già troppo tempo insieme. Più di quello che ci è concesso” spiegò Annie allo sguardo interdetto del ragazzo.
Un’espressione di dolore gli attraversò il volto. “Annie..”
“Io domani sarò nell’Arena e tu qui. Non ci sarà nessuna speranza che io torni, lo sai” continuò, con gli occhi colmi di lacrime.
Com’era ingiusta la vita a volte. Ti faceva legare immensamente ed indissolubilmente ad una persona e poi ti negava il permesso di starci insieme.
Il ragazzo la prese per i fianchi e la tirò sopra di sé, in modo tale che i corpi combaciassero perfettamente.
“Questo è un buon motivo per passare tutto il tempo che ci rimane insieme” le sussurrò sulle labbra, scatenandole dei brividi che le corsero per tutta la spina dorsale.
L’istinto fu nuovamente più forte della ragione ed Annie si ritrovò a baciare Finnick.
I loro respiri si fusero insieme così come le loro lingue, che si scontravano e si allontanavano in una strana lotta dalla quale nessuna sarebbe uscita vincitrice.
La ragazza affondò le mani tra i capelli di Finnick, tirandoli dolcemente e lo sentì gemere nella sua bocca, cosa che le mandò in tilt qualsiasi cellula che ancora le stava urlando di smetterla.
Si capovolsero le situazioni e si ritrovò con la schiena appoggiata al materasso e il corpo di Finnick sopra di sé, che ancora la baciava e la accarezzava con una delicatezza sconcertante, come se fosse il più prezioso e fragile degli oggetti.
Le mani di Annie scesero dai capelli al collo del ragazzo, successivamente sulla schiena sulla quale sentì guizzare tutti i muscoli possenti, per poi passare al petto, accarezzando gli addominali scolpiti, scatenandogli brividi di piacere.
I loro bacini si scontrarono e i respiri dei due ragazzi accelerarono.
Le mani di Finnick, che fino a quel momento avevano solo accarezzato le braccia di Annie, si fecero più coraggiose e si posarono sui suoi fianchi, stringendoli e accarezzandoli, per poi posarsi sul bordo della maglietta, sollevandola, potendo così mettere a contatto le due pelli, bollenti e ghiacciate al tempo stesso.
La ragazza boccheggiò, a quella vicinanza. Nel punto esatto in cui le dita di Finnick le premevano sulla vita, si diramavano mille scariche di piacere che la avvolgevano e la scaldavano, portandola a staccarsi dalle labbra di lui per riprendere fiato e introdurre dell’aria fresca nei polmoni, ormai di fuoco.
La brevissima pausa in cui Annie si allontanò da Finnick, gli fece aggrottare le sopracciglia, ma bastò una mano sulla nuca di lei per riavvicinarlo e ricominciare a baciarlo, con un ardore e un coraggio che non aveva mai avuto, almeno non nelle questioni di cuore.
Le mani bollenti dei ragazzo ripresero a salire sul suo ventre, finché arrivarono alle costole, tracciandone di ognuna la forma e premendo la pelle con delicatezza e al contempo con bramosia.
Annie gli allacciò le gambe ai fianchi per avvicinarlo e così fu: i due corpi si ritrovarono l’uno premuto sull’altro.
Quando quasi Finnick era arrivato al reggiseno della ragazza, qualcuno bussò alla porta e i due, per lo spavento, si staccarono violentemente e si tirarono seduti, entrambi rossi come pomodori.
“Finnick, per l’amor del cielo, sai che ore sono?” strillò Milly dall’altro lato della porta, continuando imperterrita a bussare.
Il ragazzo si infilò velocemente una camicia, mentre Annie cercava di sprofondare nelle coperte dalla vergogna. Non era sicura che avrebbe retto lo sguardo accusatore che la donna le avrebbe lanciato, vedendola mezza nuda nel letto del suo mentore.
“Nell’armadio!” le sibilò lui, indicandoglielo con un cenno del capo, infilandosi i pantaloni e lisciandosi i capelli in testa.
Annie fece come le aveva detto e schizzò senza una parola tra i vestiti di Finnick. Appena fu sparita, lui aprì la porta.
“Sono le nove! Le NOVE!! Dovresti essere già giù per la colazione! Sai che giorno è oggi? Dovremmo prepararci per l’intervista e provare i costumi. Per non parlare delle ultime raccomandazioni da dare ai ragazzi. A proposito.. passa a chiamare anche Annie. Non si è ancora svegliata! Quelli del Distretto 4 sono tutti uguali” borbottò la donna, agitando una mano in aria e scomparendo per le scale.
Tirando un sospiro, Finnick si appoggiò alla porta con la spalla e Annie sbucò da tutte le sue camicie con un’espressione mista tra sollievo e divertimento.
“Meglio che vada” disse, abbozzando un sorriso.
Quando gli fu esattamente di fianco, lui la prese per la vita e la fece ruotare verso di se, appoggiando le labbra sulle sue e scaldandola con la sola forza di un abbraccio.
“Mi piaceva così tanto quello che stavamo facendo” le soffiò sull’orecchio, mandandola in estasi.
Nel ricordare in cosa comportasse quello, Annie avvampò e si rese conto di quanto erano andati vicini a farlo.
Si staccò a malavoglia dalle sue labbra, che intanto erano scese a baciarle il collo e mordicchiarle il lobo dell’orecchio. Se non l’avesse fatto, le sue gambe si sarebbero trasformate in due budini e sarebbe crollata a terra.
“Devo andare” insisté, ridacchiando e staccandosi da lui.
Finnick le rivolse un sorriso radioso e per la prima volta, quasi, erano riusciti a dimenticare gli Hunger Games.
 
 
 
 
 
“Stai ferma, per l’amor del cielo!” strillò per l’ottava volta Katherine, un ghiandole –probabilmente apposta- la spalla.
Annie le rifilò un’occhiata gelida, ma smise di tremare.
Era troppo agitata per l’intervista che le sarebbe stata fatta.
Non aveva la più pallida idea di cosa dire, di come comportarsi o di come presentarsi al pubblico.
I suoi tre preparatori la stavano truccando e sistemando, prima che Typhlos le mostrasse e la aiutasse ad indossare il suo abito.
Le mani esperte di Jean-Claude le iniziarono a modellare le sopracciglia, mentre Marcus le depilava le gambe (senza nemmeno un pelo) e le passava un olio profumato sulla pelle e Katherine le truccava il volto.
Non le rimase che stare docile in balia dei tre abitanti di Capitol City, sperando che, qualunque cosa le stessero facendo, non esagerassero.
Quando nessuno la toccò più, aprì un occhi e sbirciò i suoi tre preparatori che se ne andavano parlottando fitto fitto.
Si alzò dal lettino e l’istinto fu quello di coprirsi il petto nudo con le braccia, ma lì non sarebbe entrato nessuno, solo Typhlos, quindi non aveva di che vergognarsi.
Iniziò ad immaginare che vestito le avevano preparato, ma la verità era che non aveva la più pallida idea di quello che avrebbe indossato.
Un abito da dea del mare, di nuovo? Aveva riscosso un bel successo effettivamente. Oppure un sobrio vestito da sera? Magari dei pantaloni eleganti e una camicetta, molto semplice ed estivo?
Sentì la porta aprirsi e vide Typhlos entrare, accompagnata da due persone che sorreggevano, in un pacco, quello che avrebbe dovuto essere il suo vestito.
La curiosità saltò alle stelle e le ci volle tutta la sua buona volontà per non saltare in piedi e scartare il pacchetto, finalmente potendo vedere il proprio abito.
Invece rimase buona a sedere e osservò in silenzio i due che appoggiavano la scatola su una sedia e poi uscivano, lasciandola sola con la sua Stilista.
Nemmeno due secondi più tardi, la porta si aprì nuovamente e comparve Katherine, con un insolito sorriso benevolo sulle labbra.
Annie socchiuse gli occhi, sospetta. Cosa ci faceva quella strega lì con loro?
“Kath si è offerta di aiutarti ad infilare il vestito” spiegò la donna.
“Ce la faccio anche da sola” rispose la ragazza, cercando di non apparire maleducata.
Qualcosa le suggerì che era riuscita ad essere scortese comunque, ma non se ne curò. Quella pazza svitata le aveva piantato le sue unghie chilometriche nella carne della spalla solamente perché aveva tremato per un secondo!
“Non voglio che tu ti veda prima del necessario, quindi preferirei che ti aiutasse qualcuno ad infilarlo” continuò pacata Typhlos, con un sorriso.
La ragazza si arrese e si alzò dal letto, mentre Katherine scartava il pacco.
“Girati” le disse prima che riuscisse a vedere il vestito.
Annie alzò le braccia al cielo, per facilitare le cose alla donna e sentì un tessuto liscio come l’acqua e fresco come la brezza di primavera, accarezzarle la pelle, prima di scivolare a terra in un soffio.
Era quasi come non averlo addosso. Come essere ricoperta da un velo di rugiada.
Sentì le mani esperte di Katherine che le allacciavano qualcosa di più pesante alla vita e quando guardò si ritrovò una cintura d’oro, lunga almeno sette centimetri, che la circondava appena sotto il seno. Non era per niente scomoda, dovette ammettere.
Poi le fece indossare un bracciale, sul polso sinistro, dello stesso materiale della cintura, più corta e davvero semplice. Non trovò nessuna iscrizione o disegno.
Non le mise nessuna collana né orecchini, solamente una cavigliera fatta di conchiglie bianche e madreperla, molto graziosa e sobria.
Infine, le sciolse quello che le avevano fatto in testa e i capelli lunghi le ricaddero ad onde ben delineate sulle spalle e sulla schiena. Le prese la ciocca di capelli che le cadeva davanti agli occhi e gliela fissò in alto con una strana treccia veloce.
“Ecco fatto” annunciò infine, allontanandosi e ammirando il risultato. “Stai molto bene” le disse. Annie abbozzò un sorriso. Probabilmente quello era il massimo di cortesia che avrebbe mai potuto rivolgerle, quindi non disse nulla e si mosse verso lo specchio.
Appena ci si ritrovò di fronte, rimase senza fiato.
Non c’era più traccia della Dea del Mare vendicativa, coperta di tatuaggi e spirali, vestita solo di squame di drago e una gonna di rete metallica.
Al suo posto si era presentata un’altra Dea, della stessa incomparabile bellezza, ma pura, casta.
La pelle lattea, senza una minima imperfezione, i capelli bronzei che le accarezzavano i fianchi, le labbra rosse ma non volgari e gli occhi così lucenti e profondi da smuovere anche il più duro dei cuori di pietra.
L’abito era bianco panna, di un tessuto ancora più leggero dell’aria stessa. Le maniche erano a canottiera, arricciate, e lo scollo a V era chiuso dalla cintura dorata, lasciando una buona visuale dell’incavo dei seni. Dalla cintura l’abito cadeva sui suoi fianchi e sulle gambe dritto, formando mille pieghe morbide e delicate, che ondeggiavano come vera spuma di mare ad ogni suo minimo passo. Sulla gamba destra, da poco più sotto dell’inguine, si apriva uno spacco che lasciava intravedere la gamba magra della ragazza, scoprendosi ad ogni movimento.
Era come riconoscersi e non farlo allo stesso tempo.
Annie vedeva nello specchio una ragazza che ricopiava ogni suoi singolo gesto, così uguale a lei, ma allo stesso tempo così bella e piena di pacatezza e fiducia che non poteva essere davvero lei.
Senza farsi vedere sbirciò alle sue spalle, un inconsapevole gesto per assicurarsi che quella che stava rimirando fosse davvero Annie Cresta. Poi sfiorò la superficie dello specchio e rimase in silenzio a contemplare ogni minimo dettaglio che fino a quel momento non aveva nemmeno notato e che adesso le sembrava il più bello del mondo.
“Stai in silenzio perché ti piace o perché è orribile?” le domandò Typhlos.
Sussultò, Annie, a quella voce. Si era dimenticata di aver compagnia.
“No” rispose, con un sorriso “è il vestito più bello che una persona potrebbe mai immaginarsi di indossare” disse.
La donna annuì, soddisfatta.
“Le tue scarpe sono dietro lo specchio” le comunicò.
Erano delle zeppe con un tacco non molto alto, molto semplici e decisamente perfette per quell’abito magnifico.
”Grazie mille” sussurrò Annie, infilandosele. Non poteva dire altro, se non quello. Sperò di aver messo nelle parole tutto ciò che stava provando: gratitudine, affetto, felicità, tristezza..
Le sembrò che la donna capì, perché le fece un segno di assenso e poi le disse di andare, perché le interviste sarebbero incominciate dopo poco.
 
 
 
Come previsto, i ragazzi dell’1 non fecero che parlare di come avrebbero dominato sugli altri e di quanto erano pronti ad entrare nell’Arena, così come quelli del 2 e gli altri favoriti.
Quando chiamarono il nome di Annie, il suo cuore perse qualche battito.
Si incamminò, sentendo il tessuto del vestito scivolarle sulla pelle come acqua e comparve sul palco.
Appena salì, il pubblicò trattenne il fiato e poi esplose in un grande applauso. Qualcuno urlò dagli spalti “Annie Cresta sii mia moglie”.
Caesar, il più bravo conduttore degli Hunger Games di sempre la fece sedere sulla poltroncina e le strinse una mano, con un sorriso benevolo in volto.
Quell’anno i capelli erano di una strana sfumatura arancione, così come le sopracciglia e le ciglia.
“Annie Cresta” iniziò “la bellissima Dea del Mare”.
La ragazza annuì, avvampando.
“Raccontaci come sono riusciti a realizzare quel magnifico vestito” la spronò, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
“So solo che sono stati molto pazienti ad applicarmi quelle quattrocentosessantadue scaglie di drago” disse con un sorrisino. In realtà non aveva la benché minima idea di quante scaglie le avessero applicato e sperò che nessuno si fosse andato a documentare.
Ma evidentemente nessuno lo aveva fatto, perché appena ebbe finito di parlare un brusio di sorpresa e ammirazione si levò dagli spalti.
“Vuoi dire che ti hanno applicato quelle scaglie una ad una? Ma è pazzesco gente!!” urlò nel microfono.
“Ma torniamo a discorsi seri: tutti qui sappiamo il rischio che i 24 tributi dovranno affrontare, una volta lasciati nell’Arena. Sei spaventata?”
Annie rimase in silenzio a pensare ad una risposta. Avrebbe dovuto mentire? O dire la verità?
“Non sono spaventata da ciò che incontrerò nell’Arena, ma più da quello che dovrò fare per..” ebbe un’incertezza nella voce “..vincere”
Caesar sembrò aver notato la sua titubanza, ma non ci fece caso. “E c’è qualcuno che vorresti salutare a casa?”.
Le si formò un nodo in gola così doloroso che non riuscì a deglutire, per qualche istante.
Certo che voleva salutare qualcuno a casa. Avrebbe voluto dire tutto quello che provava, urlare alle telecamere che razza di giochi stavano mettendo in atto, strappando dei figli a delle famiglie.
Invece si limitò a voltarsi verso una telecamera, in modo che la riprendessero appieno.
“Vorrei salutare la mia famiglia, in particolare mia sorella che sicuramente è attaccata alla televisione per non perdersi nemmeno un secondo della mia immagine” sussurrò, trattenendo le lacrime.
Se chiudeva gli occhi poteva immaginarsela, seduta davanti allo schermo, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, che la fissava con un espressione di dolore mista a felicità.
“E dicci.. com’è tua sorella?” le domandò l’uomo, capendo di aver trovato un tasto molto caro alla ragazza.
Annie deglutì e si girò a guardarlo. “Ocean è la ragazzina più testarda del mondo e la più insopportabile a volte, ma è la persona migliore che io conosca. Quando sorride è come se il mondo iniziasse a brillare di luce propria. Come se prendesse vita e ti ancorasse, anzi ti legasse a sé con mille catene. Se Ocean è nella stanza, non serve il sole per illuminarla. È già troppo luminosa di suo” rispose, continuando a fissarlo.
Aveva parlato senza ragionare e ora l’intera Capitol City conosceva la parte fondamentale di Ocean.
Stava per dire altro, aggiungere qualcosa per rimediare, ma si accorse che l’intera sala era piombata nel più profondo dei silenzi. Tutti l’avevano ascoltata e si erano immaginati quella ragazzina, così brillante da poter illuminare il mondo intero.
Ogni abitante si era affezionato ad una minuscola parte dell’affascinante sorellina di Annie Cresta, la Dea del Mare.
In quel momento suonò il campanello e Annie lasciò il palco, col cuore a mille.
L’attendeva Euer con gli occhi colmi di lacrime. L’abbracciò e la tenne stretta, finché non gli intimarono di salire a sua volta.
Jace fece qualche battuta davvero divertente che fece sbellicare Caesar, tanto che che, quando si udì il suono per cambiare persona, fece una faccia sinceramente dispiaciuta.
Lily cantò una canzone. Annie non aveva idea che potesse esistere una persona con una voce tanto intonata e delicata. Più di una volta dovette asciugarsi una lacrima solitaria che sorprendeva scorrere sulla sua guancia.
Il testo raccontava di un addio tra due persone. Non erano infelici di questo momento di lontananza, perché sapevano che si sarebbero ricongiunti e sarebbero rimasti insieme per tutto il resto della vita.
I due bambini del 12 non riuscì ad ascoltarli. Si allontanò prima che la ragazzina potesse salire sul palco.
Non poteva accettare una cosa simile.
Stava per tornare nel suo appartamento, quando incontrò Finnick nel corridoio.
Rimasero in silenzio a fissarsi, lo sguardo del ragazzo che vagava sul suo corpo.
Lei proseguì verso la sua stanza e sentì i passi del ragazzo dietro di sé.
Quando furono dentro, chiusero la porta e si godettero il silenzio.
Non riuscirono a stare lontani per molto. Era la loro ultima giornata insieme, notte insieme.
Sempre baciandosi, si sdraiarono sul letto di Annie.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Princess and beast ***


SALVE RAGAZZI. 
NON MI FERMERO' TROPPO A SCRIVERE SU QUANTO SIA STATA SCHIFOSAMENTE ANTIPATICA IN QUEST'ULTIMO PERIODO PER VIA DELLA SCUOLA E DI QUANTO IO SIA DISPIACIUTA PER NON AVER POSTATO, PERCHE' SAREBBE LA SOLITA FRASE CHE METTO IN TUTTI I CAPITOLI. 
CI TENEVO SOLO A DIRE CHE QUESTO è UN CAPITOLO AL QUALE SONO MOLTE LEGATA, DAL QUALE SONO RIMASTA DAVVERO TOCCATA, METRE LO SCRIVEVO. 
ERA COME SE I PERSONAGGI MI SUSSURRASSERO LE PAROLE DA DIRE, I SENTIMENTI CHE PROVAVAO. COME SE MI PREGASSERO DI DAR VOCE A PERSONE IMMAGINARIE. 
SPERO CHE LO APPREZZERETE. NON VI TRATTENGO OLTRE! 
BACIONI!! ♥

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE. 

 
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Princess and beast






Si dice che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Annie Cresta, il giorno di inizio degli Hunger Games, non ne era così sicura.
Era stata sorteggiata al posto di sua sorella Ocean per prendere parte ai giochi più cruenti che Panem avesse mai ospitato e questo aveva implicato una grande sfortuna per la ragazza.
Ma, seduta davanti allo specchio, mentre i preparatori le facevano una treccia alta, fissando il proprio volto riflesso, doveva considerare che non sarebbe mai arrivata la reazione “contraria”.
Qual’era la fortuna in tutto ciò?
Morire per la patria? Morire in modo tale da non dover più tornare sotto l’oligarchia di Capitol City?
Annie, in cuor suo, sapeva che avrebbe di gran lunga preferito continuare a vivere, godersi la vita, stare con la propria famiglia, avere una famiglia..
Gli occhi le pizzicarono, ma riuscì a scacciare le lacrime che premevano per uscire. Si sfiorò velocemente le labbra, nel ricordare la notte che avevano passato lei e Finnick.
Non avrebbe mai potuto sperare di viverla in un modo migliore, abbracciata al ragazzo di cui era perdutamente innamorata, sentendo il suo profumo nelle narici e tastando, con le mani piccole, la pelle calda sotto i polpastrelli.
Non c’era stato più nessuno, dopo che avevano varcato la soglia della camera del ragazzo.
In quella piccola stanza, erano rimasti a baciarsi, nell’abbagliante splendore del loro primo amore, due ragazzi, così grandi, ma allo stesso tempo così piccoli, così immaturi, ancora giovani per provare tali emozioni tutte insieme.
Cosa c’era stato da dire, se non tutto ciò che già sapevano?
I segni scuri sotto i suoi occhi dimostravano quanto poco avevano dormito, ma non c’era stato il tempo di fare tutto.
La notte, il loro ultimo frammento di tempo insieme, l’avevano passato abbracciati, storditi dall’assordante suono dei loro cuori, che battevano in sincronia, raccontandosi qualunque cosa, dalla più stupida alla più importante, diventando l’uno parte dell’altro.
Le chiacchiere dei suoi preparatori le scivolavano addosso come l’acqua. Annie non parlava, non ascoltava, non rideva alle battute buttate giù per alleggerire la tensione.
Con la testa era già nell’arena, i muscoli guizzavano sotto la tuta che le avevano consegnato: sottile, leggera. Pantaloni di cuoio, resistenti ma molto elastici, scarponcini alti.
Era molto strano che l’avessero abbigliata in quel modo. Solitamente si tendeva a far indossare una sola tipologia di vestito ai tributi, invece quell’anno ne avevano unite molte insieme. Quindi Annie non sarebbe partita nemmeno un briciolo avvantaggiata nel sapere in quale luogo si sarebbe trovata.
La colazione l’aveva fatta in camera, dopo che Finnick era uscito, chiamato da Mags.
In realtà non aveva mangiato; tutto il cibo era scivolato, sotto il suo sguardo impassibile, nel gabinetto.
Solo dopo se n’era pentita, in quanto si sarebbe dovuta mantenere al massimo delle forze per adempiere al suo compito.
Quindi era sgattaiolata in cucina e aveva afferrato diverse cose insieme, per poi tornarsene in camera.
Non aveva visto Euer.
 
 
 
 
A mezzogiorno preciso, lei, Euer, Milly, Typhlos, Finnick e Mags, stavano seduti sul divano del soggiorno.
L’agitazione che la ragazza aveva rifiutato di provare in quei giorni, l’assalì con prepotenza, con la forza di un carro armato e l’avrebbe abbattuta, se Finnick, nascondendosi dagli occhi di chiunque altro, non le avesse preso la mano tra le sue e non avesse iniziato ad accarezzarle il dorso con il pollice, delicatamente, come se si trattasse dell’oggetto più prezioso e fragile del mondo.
Due pacificatori entrarono nel salotto, le armi in mano come era di uso fare, ed annunciarono ai due Tributi che era ora di andare.
Euer scattò in piedi, meccanicamente, la mascella contratta ed il respiro irregolare.
Lui ed Annie si abbracciarono a lungo, inebriandosi del calore dell’altro, stringendosi disperatamente in una stretta che sarebbe potuta essere l’ultima.
Finnick si alzò per andare con lui ed Annie si sentì morire, quando lo vide attraversare la porta senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Strinse i denti così forte che temette di poterli rompere e scacciò le lacrime dagli occhi grandi con una forza che non pensava nemmeno di avere.
Bene, se era quello che voleva..
Voleva cosa? Preferiva non salutare la ragazza che amava e vederla andare al patibolo?
Non l’aveva salutata perché sarebbe crollato e non sarebbe riuscito a sopportare il fatto che quella era l’ultima volta che l’avrebbe vista.
Ma Annie non ci stava.
Non voleva pensare che sarebbe entrata nell’Arena senza averlo sentito suo fino alla fine.
Scattò in piedi e si fiondò fuori dalla porta, riconoscendo le spalle larghe e possenti di Finnick in fondo al corridoio.
“Finnick!” chiamò, con voce strozzata.
Le faceva così male la gola, che sarebbe potuta impazzire. Le lacrime iniziarono a scenderle sulle guance, bollenti, lasciando scie umide e salate.
“Finnick!!” urlò.
Finalmente il ragazzo si girò, sorpreso, con la bocca semi aperta.
Non fece in tempo ad articolare una frase, un gesto, che Annie gli si gettò al collo, stringendolo con foga, inspirando il suo profumo, per imprimerselo nella mente a vita.
“Annie..” mormorò lui, tra i suoi capelli, allacciandole le braccia in vita e tirandosela più vicina, sempre di più.
Era come se non ne avesse mai abbastanza.. erano comunque così maledettamente lontani.
Un pacificatore tossicchiò, per far capir loro che il tempo per gli addii era finito, ma Annie non accennava a voler separarsi dal ragazzo.
Allora questo la scostò con dolcezza e si frugò nella tasca dei pantaloni, tirando fuori uno strano sasso, bianco e nero all’apparenza, molto semplice.
Solo quando lo posò sul palmo e glielo avvicinò al viso, Annie poté constatare che il sassolino nero, al centro, portava un puntino bianco come la luna piena e da quello partivano venuzze sottilissime che si arrampicavano come edera per tutta la superficie.
Annie spalancò gli occhi, stupefatta e un ricordo le affiorò nella mente, riportandola al passato, nel distretto 4.
 
 
Guardava il cielo, che a poco a poco stava perdendo le sue ultime stelle, quando un suo piede colpì lievemente un sassolino.
Si chinò a raccoglierlo e, in un moto di curiosità, si mise a studiarlo.
Era bello, particolare. Nero, lucido. Al centro, da un puntino bianco come la luna, partivano delle diramazioni sottilissime che si arrampicavano per tutta la faccia superiore del sassolino.
Con un lieve sorriso che le increspava le labbra, Annie lo girò e rimase colpita -per quanto un sasso possa sorprendere una persona- nel notare che le diramazioni si facevano sempre più fitte fino a colorarlo completamente di bianco e farlo splendere.
Era così attenta a studiare quel piccolo sasso che non si accorse che qualcuno le sue era avvicinato da dietro.
Solo quando un respiro caldo le carezzò il collo, sobbalzò e si voltò, con gli occhi spalancati.
Davanti a lei stava Finnick Odair, con il suo tipico sorriso sghembo che aveva fatto innamorare mezza Capitol City, se non tutta.
Odair!” esclamò lei, ancora spaventata per quella sottospecie di agguato, sentendosi il cuore battere nelle orecchie.
 
Non ho intenzione di essere un'altra tua bambola di Capitol City” esclamò.
Vide l'espressione boriosa di Finnick ghiacciarsi completamente e i suoi occhi verde mare venir risucchiati in un baratro oscuro.
Gli lanciò il sassolino che fino a quel momento aveva tenuto in mano; lo colpì sulla guancia, ferendolo all'altezza dello zigomo.
Rimase scioccata qualche secondo -Finnick era noto per i suo riflessi infallibili-, prima di riscuotersi ed allontanarsi dalla spiaggia.
 
 
“E’..” iniziò. Non aveva parole. Cosa ci faceva quel sasso nella tasca dei pantaloni di Finnick Odair.
Lui sorrise e gli occhi si illuminarono di una strana luce. “E’ proprio il sassolino che stavi ammirando con così tanta curiosità, il primo giorno in cui ci siamo parlati. Tra l’altro è quello con il quale hai quasi iniziato una lapidazione contro il sottoscritto..” aggiunse, scoccandole un’occhiata di sbieco.
Annie spalancò la bocca, tra il divertito e lo scocciato, dimentica del suo stato d’umore di poco prima.
Lui le impedì di commentare, perché cominciò a parlare, questa volta fissandola seriamente, occhi negli occhi, mare nel mare.
“Dopo che te ne sei andata, l’ho raccolto e l’ho guardato. Mi sembrava un sasso come qualsiasi altro, uno tra i tanti. Solo dopo ho realizzato che, il sassolino, era speciale perché lo stavi osservando tu. Tra tutti le pietre sulla spiaggia, da quelle verdi a quelle violette, nessuna aveva riscosso il tuo interesse, fuorché questo piccolo sassolino bianco e nero, all’apparenza così banale.
Poi abbiamo iniziato a parlare e la sera, quando tornavo a casa, rimanevo sul letto a fissarlo, cercando di capire che cosa esattamente avesse attirato la tua attenzione a tal punto da averlo raccolto da terra.
Quando siamo venuti qui e hai scoperto il mio segreto, non mi hai guardato con gli occhi di una qualsiasi persona. Mi hai guardato con i tuoi occhi, facendomi capire che non ti importava cosa facessi, cosa fossi. Tu tenevi a Finnick Odair, il vero Finnick Odair. Non il cittadino di Capitol City, il play-boy, il casanova. Ma il ragazzo del distretto 4, al quale sono morti i genitori, che è stato scelto per gli Hunger Games, dai quali è tornato vittorioso e allo stesso tempo perdente.
Mi hai fatto rinascere, un po’ come questo sassolino.
Prima ero nero, io. Completamente e maledettamente nero. Tutto ciò che riguardava me, era considerata disgustosa. Non riuscivo più a guardarmi nello specchio senza vedere il ragazzino viziato e venduto a Capitol City. La verità è che non mi importava più di me stesso. Avrebbero potuto farmi qualsiasi cosa, non mi avrebbe segnato. Ero stato troppo ferito per provare ancora dolore.
Poi sei arrivata tu, il puntino bianco.
All’inizio eri solamente una ragazza bella, particolare soprattutto per il fatto che non riuscivo a farti cadere ai miei piedi, come ero abituato che succedesse.
Piano piano, però, la tua purezza -il bianco- ha iniziato a sciogliere qualcosa dentro di me, ho iniziato ad aprirmi con te. Non potevo più comportarmi come qualcuno che non ero, nei confronti di una persona così.. splendente.
Non volevo che tu vedessi il Finnick Odair finto, ma quello vero. Avevo un bisogno disperato che tu mi capissi.
E l’hai fatto. Non ti sei ritratta disgustata, nel vedere l’immagine di un ragazzo tutt’altro che perfetto.
Ero uno tra i tanti, ma quando tu mi hai guardato, quando mi hai scelto, quando mi hai sondato l’anima con quei tuoi maledetti occhi verdi, allora non sono più stato solamente Finnick Odair, il ragazzo vincitore degli Hunger Games. No.
Sono diventato Finnick Odair, il ragazzo che Annie Cresta ha scelto tra i tanti. La principessa che ha mandato al diavolo qualsiasi altro principe che sia mai arrivato al suo cospetto, innamorandosi della bestia.
Sembrerà assurdo, ma tutto ciò che provo, tutto ciò che sono è racchiuso in questo insignificante sassolino e vorrei che lo tenessi tu.” concluse, porgendoglielo.
Annie lo fissava, con la bocca semi aperta, senza parole.
Non le aveva mai detto nulla del genere. Non si era mai aperto così tanto.
Con quelle parole aveva messo nero su bianco i suoi sentimenti per lei, il suo sacrificio e tutto ciò che rappresentava.
E con quel palmo rivolto verso di lei, con sopra un sasso bianco e nero, le stava donando il suo cuore. La sua vita.
Gli regalò il sorriso più bello del mondo, che lo scaldò fin dentro le ossa.
Con la mano piccola, Annie prese il sassolino, rigirandoselo tra le mani, senza permettere alle labbra di perdere quella loro curva affascinante e dolce.
“E’ stata una fortuna che io te l’abbia tirato addosso” commentò, sfiorandogli con le dita lo zigomo abbronzato, sul quale si notava una lievissima cicatrice bianca.
Finnick sovrappose la mano a quella di Annie e sorrise. “Una vera fortuna, Annie” rispose.
La tirò a sé e le posò le labbra sulla fronte cercando, con quel gesto, di trasmetterle tutto l’amore che aveva in corpo.
Poi si staccò e le carezzò per l’ultima volta la guancia pallida, beandosi della morbidezza della sua pelle.
“Ci si vede, principessa” le sussurrò, gli occhi colmi di dolore e il cuore a pezzi.
Scese un silenzio innaturale, che pure i Pacificatori non spezzarono, per timore di poter rompere l’incantesimo che li aveva avvolti.
Se si fossero concentrati tutti, si sarebbe potuto sentire il suono drammatico di due cuori che vanno a pezzi, crollando come la più fragile delle strutture, frantumandosi al suolo come due cristalli di ghiaccio.
“Addio Finnick” sussurrò in risposta Annie, trattenendo le lacrime.
Con le sue parole, il momento incantato venne rotto e tutti furono riportati alla dura realtà.
I due pacificatori affiancarono Euer e Finnick, intimando loro di camminare e i ragazzi scomparirono dietro l’angolo, mentre gli occhi di Annie seguivano il profilo della sua bestia che non sarebbe mai diventata un principe, se la principessa non fosse tornata.
 
 

 

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Capitolo 21
*** L'arena ***


WEI RAGAZZI BELLISSIMIII! 
NON UCCIDETEMI, OKEY? SONO TREMENDAMENTE IN IMBARAZZO E A DISAGIO. 
NON HO AGGIORNATO PRATICAMENTE PER UN'ERA GLACIALE. 
MA ORA SONO QUI. COL CAPITOLO DELL'ARENA. 
SPERO CHE VI POSSA PIACERE. 
MI DISPIACE TANTISSIMO, E CONTINUERO' A RIPETERLO! :(
SIATE BUONI CON UNA POVERA RAGAZZA AHAHAHAHAHA 
COMUNQUE.. BUONA FINE DELLA SCUOLA A TUTTI! VI AMO UN SACCO UHUHUHUH (SONO COSI' EUFORICA PERCHE' POTRO' AGGIORNARE PIU' FREQUENTEMENTE SENZA CHE MIA MAMMA PIOMBI IN CAMERA MIA E MI DICA "MA CHE STAI FACENDOOOO?! HAI FINITO DI STUDIAAAARE?!!")
bEH, BUONA LETTURA A TUTTI!

GRAZIE ANCORA PER IL VOSTRO SOSTEGNO. SENZA DI VOI, QUESTA STORIA NON SAREBBE NULLA. SIETE VOI CHE LA RENDETE SPECIALE CON I VOSTRI COMMENTI! 
BACIONI, LILY ♥

 
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L'arena





Il cuore le batteva all’impazzata. Poteva sentirlo nelle orecchie, nel petto, nelle dita, nelle gambe.
L’ansia e la paura di quello che sarebbe successo la stava attanagliando, mentre due Pacificatori la scortavano verso l’Overcraft.
Salì, affiancata da Euer e li fecero sedere su delle poltroncine. Allacciarono loro la cintura e si assicurarono che fossero comodi, nemmeno fossero bestie da macello.
Annie scorse le occhiate ostili che lanciò la ragazza dell’uno, dalla quale si sarebbe dovuta tenere alla larga.
Incrociò gli occhi verdi di Lily, la ragazza del 7, che le sorrise pacata, come per tranquillizzarla. Non poté non ricambiare.
Venne distratta dai suoi pensieri, quando qualcosa le punse il braccio. Sobbalzò, sorpresa, fissando il localizzatore che brillava nel suo avambraccio.
Non avrebbe più potuto fare la furba, con quello. Era braccata, constatò con amarezza.
Scesero tutti all’arena e ognuno fu scortato in un luogo dal quale poi sarebbe stato fatto entrare.
Quando varcò la porta della stanza, Typhlos si voltò verso di lei e le tese le braccia, invitandola ad abbracciarla.
Annie non se lo fece ripetere due volte e si lanciò verso di lei, immergendo il volto tra i suoi capelli profumati.
“Stai tranquilla, Annie. Andrà tutto bene” le sussurrò la donna, accarezzandole la testa dolcemente.
Lei annuì, meccanicamente.
Si accorse di aver iniziato a tremare e a battere i denti per l’agitazione. Non era pronta per entrare nell’Arena. Non era pronta per morire. Non ancora.
Typhlos le sfiorò la guancia con la punta delle dita, cercando di sorriderle, cosa che non le riuscì affatto bene.
Non era mai stata una donna sentimentalista, ma sentire Annie così agitata –dopotutto si era affezionata a lei- le fece pizzicare gli occhi, tanto che dovette sfilarsi gli occhiali e sbatterli più volte, per impedire alle lacrime di scenderle sulle guance.
“Ricorda” le disse, sistemandole i capelli “Non ti muovere fino allo scadere del minuto iniziale. Non correre a prendere le armi, se non sei assolutamente sicura di riuscire ad arrivare in tempo e scappare prima che qualcuno ti raggiunga. Capito? Non devi entrare nello spargimento iniziale. Non sei..” ma non concluse la frase, cosa che fece Annie al suo posto.
Non sono il tributo che muore all’inizio. Il primo giorno solo i più deboli.
Annuì, deglutendo.
Una voce metallica annunciò che era arrivata l’ora di salutarsi e di entrare nel tubo di vetro.
“Typhlos” disse Annie, con voce incerta. La donna la fissò, nonostante non potesse vederla. “Se qualcosa dovesse.. andare male, ti prego. Dì a mia sorella che le ho voluto bene. Per favore” le chiese, trattenendo le lacrime.
La Stilista rimase in silenzio, poi abbozzò un sorriso.
“Annie, sono certa che potrai dirglielo a voce, quando tutto questo sarà finito”.
E poi il tubo iniziò a salire.
 
 
 
Il sole l’accecò per qualche istante, tanto che dovette ripararsi gli occhi con una mano.
Piano piano, le sue iridi color mare si abituarono all’ambiente circostante e, dopo aver battuto gli occhi un paio di volte, riuscì a vedere ciò che la circondava.
Si sarebbe potuto considerare l’Eden, se mai fosse esistito.
Erano in un prato, un magnifico prato, pieno di fiori di ogni genere. Primule, margherite, denti di leone.. centinaia di specie differenti, proveniente da ogni distretto. L’ebra era verde come lo smeraldo più puro e lucida, come se qualcuno si fosse premurato di bagnarla, prima che arrivassero i ventiquattro ragazzi. Annie poteva scorgere addirittura ogni goccia di rugiada su ogni singolo stelo d’erba.
A circondare il prato sui tre lati, c’era una foresta rigogliosa, dalla quale saettavano dentro e fuori diversi uccelli, che cinguettavano armoniosi dai rami alti e bassi. Nell’ultimo spicchio di prato, ad est, si apriva un lago dalle acque cristalline, che invitava i tributi a tuffarcisi dentro.
In lontananza, oltre le cime più alte del più alto degli alberi, si stagliava il profilo di una montagna dalla cima innevata e da un lato di questa cadeva una cascata di dimensioni spropositate, probabilmente che alimentava le acque del lago stesso.
Ogni cosa sembrava essere al proprio posto: il sole caldo ma non cocente, il profumo dei fiori inebriante ma non fastidioso, lo scrosciare calmo dell’acqua del lago, il cinguettare degli uccellini in lontananza.. Annie si domandò come avessero potuto, gli Strateghi, poter concepire l’idea di un massacro in quel paradiso terrestre.
Guardandosi intorno, notò che tutti erano rimasti sorpresi dall’ambientazione dell’arena, tanto che, quando iniziò a battere il minuto, alcuni nemmeno si accorsero.
Invece la ragazza drizzò le orecchie: era finito il tempo di rimirare il paesaggio. Da quel momento in poi sarebbe stata solo lei contro tutti.
Cercò Euer e lo trovò a pochi tributi alla sua sinistra, che la fissava con le sopracciglia aggrottate. Le stava domandando con gli occhi che fare.
Annie ispezionò la Cornucopia, in mezzo al semicerchio formato dai tributi.
Un ascia, una spada, vari archi, coltelli di ogni genere..
La cosa più importante da prendere, in quel momento, erano le provviste con l’acqua.
Gli indicò con lo sguardo la foresta: voleva che lui scappasse, mentre lei si lanciava verso il bottino.
Sentì le parole di Typhlos nelle orecchie, ma le scacciò con forza.
Se non era davvero una ragazza che moriva il primo giorno , allora l’avrebbe dimostrato.
Quando il cannone sparò il colpo d’inizio, le sue gambe scattarono verso il centro del prato, come tutti gli altri Tributi.
Sentiva l’aria che le saettava ai lati della faccia e l’erba morbida sotto le scarpe.
Un gemito alla sua destra, un urlo appena dietro di lei; un tonfo da qualche altra parte: il macello aveva avuto inizio.
Col cuore che le batteva in tutto il corpo e la gola secca, non si fermò per guardarsi intorno.
La distanza si stava accorciando notevolmente, aveva notato lo zaino che avrebbe preso: blu notte, dal quale pendeva un coltello.
Non avrebbe potuto sperare in meglio.
Prima, però, che la sua mano si chiudesse intorno ad una spallina, qualcosa di caldo le cadde addosso e la schiacciò a terra, bloccandola al posto.
Sono spacciata, si disse.
Non erano ancora passati cinque minuti e lei sarebbe stata una delle prime a morire.
Cercò di divincolarsi, facendo leva con le mani. Incontrò qualcosa di molle e appiccicoso, mentre spingeva.
Ancora un altro po’, ringhiò a se stessa, sforzando ancora la massa informe che le era caduta sul petto.
Quando riuscì finalmente a sollevarla di qualche centimetro da sé, qualcosa ciondolò esattamente di fianco al suo orecchio.
Successivamente desiderò di non averlo mai fatto, ma in quel momento, la sua testa si mosse da sola e i suoi occhi incontrarono quelli inespressivi del Tributo maschio del Distretto 6, lo “scaricatore di porto”.
Annie soffocò un urlo e realizzò che la cosa appiccicosa sulla quale era scivolata la sua mano, non era altro che il suo sangue denso e caldo.. probabilmente aveva infilato tutta la mano nella ferita gigantesca che gli si apriva sul petto.
Un conato di vomito la scosse da capo a piedi, ma si impose di non perdere il controllo.
Con calma chirurgica e con le lacrime agli occhi, si sfilò da sotto il corpo del bisonte, lasciandolo cadere a terra con un tonfo.
Avrebbe voluto chiudergli gli occhi o dire qualcosa per lui, ma tutto ciò che fu capace di fare, fu afferrare lo zaino e portarselo al petto, ormai completamente zuppo del sangue del ragazzo.
Era in una posizione critica: i Favoriti stavano combattendo contro alcuni ragazzi, mentre altri scomparvero nella foresta appena lei li fissò.
Il suo istinto di sopravvivenza la fece scattare in piedi. Scattò in direzione degli alberi, correndo più velocemente possibile e sperando che Euer fosse riuscito a salvare.
Ormai i colpi mortali dei Favoriti si facevano sempre più tenui, man mano che si allontanava. Forse davvero qualcuno stava vegliando su di lei, si disse, quando riuscì ad addentrarsi nella foresta sana e salva.
Prima cosa: armarsi.
Sfilò il coltello dalla protezione e lo strinse forte, deglutendo.
Durante l’allenamento le era sembrata la cosa più normale del pianeta, ma in quel preciso istante, avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per non essere nell’arena, come tributo femmina del Distretto 4.
Seconda cosa: trovare Euer.
Poteva essere andato da qualsiasi parte. Poteva essere anche morto, per quel che ne sapeva Annie.
Scacciò brutalmente il pensiero dalla mente e si impose di correre, per mettere distanza dai Favoriti, che sicuramente avrebbero iniziato a setacciare qualsiasi parte dell’Arena per trovarla.
I muscoli delle cosce già le facevano male dopo nemmeno dieci minuti che correva e le sembrava di non andare mai avanti. Non c’era uno straccio di indizio che le suggerisse da che parte andare. Non poteva tornare al lago, siccome sarebbe stata la meta ambita da qualsiasi Tributo che non fosse riuscito a recuperare uno zaino.
L’acqua era l’elemento più importante negli Hunger Games. Potevi morire accoltellato, bruciato, sventrato.. ma niente sarebbe stato peggio del finire l’acqua e morire di sete.
Quando pensò di aver distanziato parecchio il prato con gli assassini macellai, inizio a camminare veloce, dedicandosi al contenuto del suo zaino.
Una bottiglia d’acqua, diverse fette di pane, carne essiccata, della frutta, degli occhiali per la notte, un sacco a pelo, dei rampini e dei guanti.
Non male come contenuto dello zaino. Anzi, decisamente uno zaino ottimo. Forse il migliore che poteva sperare di ricevere nell’Arena.
L’unica cosa che le mancava era un’arma, anche se poteva contare abbastanza sul coltello che aveva in mano. Non un granché, ma era qualcosa.
Seguì un sentiero immaginario, che stava tracciando con la mente.
Intanto i suoi pensieri erano altrove: non doveva dimostrarsi in ansia per la mancanza di Euer. Se sua sorella la stava guardando, cosa molto probabile, allora non voleva farle capire che non aveva la più pallida idea se il suo amico fosse ancora vivo.
Pensa come Euer, si disse, allontanandosi un ramo dal viso. Pensa come Euer.
Il problema era che non sapeva minimamente come il ragazzo avrebbe ragionato.
Avrebbe cercato acqua? Un riparo per la notte? Cibo?
E se non fosse riuscito a prendere uno zaino? La temperatura notturna sarebbe stata gelida? Sarebbe morto ibernato al calar del sole?!
Decise che non avrebbe toccato cibo, o almeno non ne avrebbe abusato, finché non l’avesse trovato.
Poteva essergli successa qualsiasi cosa.. doveva restare all’erta.
Dopo qualche ora che vagava alla cieca, decise di fermarsi a riposare.
Si sedette su una pietra ed aspettò.
Aspettare cosa, poi?
Aspettare che Euer comparisse da dietro un albero? Che qualcuno la trovasse e la uccidesse?
Scosse la testa, con fermezza.
Quegli Hunger Games l’avrebbero tirata pazza se avesse continuato a farsi domande senza risposta. E tutte senza un lieto fine.
Sorseggiò un po’ di acqua dalla bottiglia, attenta a non razziarla subito.
Non aveva idea di che ore potevano essere. Ad occhio e croce le sei, avrebbe detto al distretto. Ma in un’Arena, tutto era possibile. Sarebbero potute essere anche le nove del mattino.
Avrebbe fatto molto comodo un orologio.
Proprio mentre stava formulando quel pensiero, uno scricchiolio la fece sobbalzare, seguito da un rumore di vari passi in corsa.
Scattò in piedi, col cuore in gola, estraendo velocemente il pugnale dalla fodera e stringendolo nella mano sudata.
Non era pronta psicologicamente per affrontare qualcuno.
Vide due figure scure saettare davanti a lei, a qualche centinaio di metri dalla sua postazione.
Si rannicchiò dietro al pioppo che le faceva da rifugio, senza mai perderle di vista, aguzzando l’udito.
Erano alti, sicuramente ragazzi.
Il più alto dei due riuscì ad atterrare l’altro, con un’agile mossa del piede e quello cadde a carponi.
Si dimenò un po’, cercando di sfuggire alla presa solida dell’atro tributo.
Il cuore le rimbombava nelle orecchie, avrebbe dovuto allontanarsi, non voleva assistere alla morte di nessuno.
Ma non voleva nemmeno rimanere impotente.
Sapeva che era sbagliato. Quell’omicidio sarebbe stato un vantaggio per lei. Un Tributo in meno. Un nemico in meno da sconfiggere.
Invece le sue gambe –ed il suo senso di protezione- la fecero scattare avanti, ringhiandole nel petto di muoversi.
Con passi felpati, rincorse i due, piazzandosi a qualche metro da loro, in perfetto silenzio.
Ogni movimento era un insulto da parte del suo cervello, che le gridava di scappare finché era in tempo.
Stava quasi per darli retta, voltarsi ed andarsene, quando riconobbe la chioma del Tributo-predatore.
Non poteva che essere Jace.
La gola le si seccò e quasi il coltello non le cadde dalla mano scivolosa.
L’altro ragazzo era coperto dal corpo robusto di lui, ma non appena parlò, la terra le si aprì sotto i piedi.
“Jace, vuoi veramente uccidermi?”
 
Euer stava a terra, sollevato solo sui gomiti, fissando l’altro senza nessun’espressione di supplica. Solamente sorpreso.
Non aveva nemmeno pensato una volta che sarebbe potuta finire in quel modo: ucciso dall’unico ragazzo di cui Annie si fidava.
L’unica rabbia che aveva in corpo, era quella di non poter dirlo alla ragazza. Non poterla avvisare che in realtà, il ragazzo di cui si fidava tanto, era un assassino spietato.
Si erano conosciuti. Eppure mai avrebbe immaginato di poter diventare la sua prima vittima, ammesso che non ne avesse uccisi altri, prima di lui.
“Non.. posso lasciati qui. Non capisci?” gli disse Jace, inspirando rumorosamente.
Invece capiva eccome.
Se l’avesse ucciso, il numero di avversari sarebbe calato e le sue probabilità di vincere aumentate.
Eppure, c’era qualcosa nell’espressione del tributo del 7 che lo lasciava lievemente in dubbio.
Probabilmente voleva salvarsi, ma Euer intuì che non lo stava facendo per se stesso.
“Jace, se devi fallo” rispose.
Il ragazzo si fece avanti, col coltello ricurvo stretto in mano e pericolosamente puntato alla sua gola.
Lo fissò per istanti interminabili, poi lo sollevò, stringendogli una mano intorno al collo e si preparò a colpire.
Euer chiuse gli occhi e sospirò.
Addio Ocean. Addio Annie. Addio Distretto 4.
“Devo farlo” gli disse Jace, a mo’ di scusa.
Si preparò ad essere ucciso, ma la stoccata non arrivò.
Una voce interruppe l’assassinio.
 
“Se lo tocchi, lei muore”
 
 

 
 
 

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Capitolo 22
*** Alleanze tra tributi ***


EHILA' RAGAZZI! 
ECCO IL NUOVO CAPITOLO.. MMMM DICIAMO CHE POTETE PURE SPARAMI.. AVEVO DETTO "SISI TRANQUILLI, ALTRO CAPITOLO QUASI IN ARRIVO" E POI BAAAMM.. SPARISCO PER DODICIMILA MESI! D:
NON VOLETEMI MALE, PER FAVORE. 
ORA CHE NON C'E' NEMMENO PIù LA SCUOLA, NON POSSO USARLA COME SCUSA. :( 
SONO STATA TERRIBILMENTE IMPEGNATA AD OZIARE E INCICCIONIRMI SUL DIVANO, SNOBBANDO I COMPITI DELLE VACANZE E CERCANDO DI GODERMI L'ESTATE (CHE TANTO ESTATE NON SEMBRA, VISTO CHE SIAMO SOMMERSI D'ACQUA, NEANCHE FOSSIMO TORNATI AL DILUVIO UNIVERSALE). VABBE' CHE ODIO QUESTA STAGIONE. 
CHE TRA L'ALTRO ASPETTIAMO L'ESTATE COME INDEMONIATI, E QUANDO ARRIVA CI TOCCA LA PIOGGIA.. CIOE', PARLIAMONE.. 

NON HO GUARDATO IL TG ULTIMAMENTE, QUINDI NON HO IDEA SE QUALCHE CITTA' SIA STATA ALLAGATA DA FAR PAURA. SE NEL CASO VI FOSSE SUCCESSO, SAPPIATE CHE MI DISPIACE UN SACCO! NOI STUDENTI NON CI MERITIAMO UN'ESTATE COSì! PROTESTO ANIMATAMENTE!! 
DOPO QUESTO MONOLOGO IMBARAZZANTE, VI LASCEREI ANCHE ALLA LETTURA! 
QUINDI.. 

BACIONI, LILY ♥

BUONA LETTURA DEL 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 
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Alleanze tra Tributi






Se lo tocchi, lei muore”.




Non avrebbe mai pensato di riuscire a pronunciare delle parole con tanta cattiveria, ma non aveva avuto scelta.
Appena aveva sentito Euer parlare –quello stupido altruista- non aveva più ragionato.
Nel suo cervello era come scesa una patina opaca, che aveva desensibilizzato qualsiasi azione logica, ed aveva iniziato a meditare da solo, lasciandola in disparte.
Sicuramente, Jace non avrebbe mai lasciato Lily da sola, da quello che aveva capito guardandoli durante la settimana.
C’era qualcosa che li legava. un che di profondo.. non avrebbe saputo dirlo con sicurezza. Era possibile che Jace fosse innamorato, ma Annie non ne era convinta. Sapeva bene come ci si sentiva e decisamente il ragazzo non si era comportato a modo, nei giorni precedenti.
Ma allora cosa?
Scarto all’istante l’idea che fossero fratelli. Non si assomigliavano e non avevano lo stesso cognome.
Parenti? Probabile.
Ma non era il momento per riflettere.
Si guardò in giro, furtivamente, aguzzando la vista tra gli alberi e i cespugli, finché non individuò una chioma castano chiaro, che volteggiò dietro ad un tronco poco distante da lei. Successivamente uno scricchiolio di un ramo calpestato ed un lieve grattare della corteccia.
Le si avvicinò, con il senso di colpa che le bruciava il petto. Aggirò gli alberi, in modo da colpirla da dietro e rigirò il coltello tra le dita. Non avrebbe sbagliato il colpo.
Con passo felpato, le andò incontro, guardandole la schiena, attenta a non fare il benché minimo rumore. La vide sporgersi oltre l’albero, per spiare il combattimento dei due.
Povera ingenua. Era così presa dall’incolumità di Jace, che non pensava alla propria.
Annie aggrottò le sopracciglia, sorpresa. Non era stato un suo pensiero quello. Era arrivato dalla sua parte nell’Arena. Dall’assassina.
Non poteva permettersi di lasciarla trapelare. Non l’avrebbe avuta vinta lei. Non voleva diventare ciò che non era.
Appena fu abbastanza vicina da riuscire a distinguerle ogni singolo capello, scattò.
Le mise una mano davanti alla bocca, per evitare che gridasse e l’altra l’avvolse intorno al suo collo, reggendo sempre il coltello.
Lily cercò di divincolarsi, senza successo. Era troppo piccola, troppo debole..
L’immagine di quello che stava facendo la colpì come un pugno nello stomaco e quasi fu tentata di lasciarla andare, ma Euer non poteva morire. non doveva morire.
“Stai calma e non ti succederà nulla” le sibilò in un orecchio, abbastanza forte perché potesse sentirla.
Appena Lily riconobbe la sua voce, cessò di dibattersi. Rilassò addirittura le spalle, senza però staccare le mani dal braccio che le serrava la gola. Annie dovette battere le palpebre, per impedire che le lacrime le cadessero sulle guance. Nel preciso momento in cui aveva capito che quella che la minacciava era lei, non aveva esitato a seguire il suo consiglio. Si era fidata completamente.. Di una persona che avrebbe dovuto considerare nemica.
“Non ti succederà nulla, se Jace fa quello che dico” le ripeté, scortandola attraverso il bosco.
Quando furono abbastanza vicine, le puntò il coltello alla gola, facendo aderire la lama alla pelle diafana di Lily.
Lei ebbe uno spasmo, un brivido, ma non emise un fiato. Continuò a camminare, scortata da Annie.
Le voci dei due ragazzi si facevano sempre più alte. O meglio, quella di Jace rompeva il silenzio della foresta. Al contrario, Euer tendeva a parlare più piano, per non destare la curiosità degli altri tributi.
“Devo farlo” disse Jace, e suonò come una scusa, mentre puntava il coltello ricurvo contro Euer, sollevato dalla presa ferrea intorno al suo corpo del Tributo del 7.




“Se lo tocchi, lei muore” ringhiò Annie, puntando con più forza, il coltello contro la gola di Lily.
Aveva parlato forte, in modo che non si percepisse il tremito nella sua voce.
Non era brava a minacciare le persone e nemmeno a tenere la vita di qualcuno nel palmo della mano.
Jace si voltò di scatto, preso alla sprovvista, ma quando realizzò che Annie stava minacciando Lily, qualcosa cambiò nei suoi occhi.
“Stai bluffando” le disse in un sussurro, senza però mollare Euer.
È chiaro come il sole che stai bluffando, disse la sua vocina interna.
“Vogliamo scommettere?” lo sbeffeggiò, non seppe mai con quale coraggio.
Eppure sembrò abbastanza convincente, perché il colorito di Jace impallidì notevolmente. Intanto le varie gradazioni di rosso e viola, sfilavano sul volto di un Euer boccheggiante, in carenza di ossigeno.
“Mettilo giù!” gli intimò Annie, iniziando a preoccuparsi seriamente per l’amico. Probabilmente aveva ottenuto che Jace non lo uccidesse con il coltello, ma da lì a poco sarebbe soffocato.
Il braccio del Tributo del 7 non si abbassò di un centimetro.
“Ho detto.. mettilo giù” ripeté con voce affilata, scalfendo, seppur di poco, la pelle bianca di Lily, dalla quale sgorgarono alcune gocce di sangue vermiglio.
Decisamente Jace non era nella posizione per fare il gradasso.
Stava per rispondere, quando la terra iniziò a tremare con tanta violenza, ma fu costretto a lasciar andare Euer, che cadde al suolo con un tonfo, tossendo per recuperare l’ossigeno carente.
Ad Annie sembrava che il mondo stesse cadendo a pezzi: ogni cosa si muoveva innaturalmente. Gli alberi ondeggiavano, emettendo strani scricchiolii poco promettenti; i sassi rotolavano ovunque; gli animaletti del sottobosco zampettavano in ogni direzione, scappando da quell’improvviso terremoto.
I tre ragazzi si compattarono vicini, dimentichi della rivalità, schiena contro schiena.
“Che diavolo è?!” urlò Jace per sovrastare il frastuono della natura.
“Capitol City” disse solo Annie, tenendo saldamente Euer per il braccio. Ci mancava solo che qualcosa lo colpisse e che morisse in quel modo stupido.
Ovviamente ci sarebbe stata da aspettarsela: gli abitanti della capitale non guardavano gli Hunger Games per assistere a scenette compassionevoli di ragazzini. Loro volevano azione, sangue, morte..
quindi inscenare un perfetto terremoto era sembrato il modo giusto per cominciare il tutto.
“Dobbiamo andarcene!” gridò Euer. Si riparò gli occhi con una mano perché nel preciso istante in cui disse la frase, un albero cadde molto vicino dalla loro posizione, sollevano schegge e polvere.
“Sono d'accordo” assentì Jace, stringendo Lily tra le braccia ed iniziando a correre verso un punto a caso. I due tributi del 4 non poterono che seguirlo; sarebbe stato un suicidio rimanere fermi.
Eppure, più si allontanavano, più il terremoto non sembrava propenso a cedere. Infatti, ad ogni passo, Annie pregava di non stortarsi una caviglia o che la terra non le si aprisse sotto i piedi, data l'intensità delle scosse.
Si dovevano davvero divertire gli Strateghi, nel vederli arrancare a tentoni tra la vegetazione, come povere prede indifese. Probabilmente li stavano pure spingendo verso i Tributi più vicini, magari quelli dell'1 o del 2, che erano sembrati molto allettati dall'idea di stringere le mani intorno al collo ad Annie.
Improvvisamente un ramo dalle dimensioni notevoli si staccò dal tronco di un albero abbastanza alto e cadde con un boato che fece tremare, se possibile, ancora di più la terra. Si schiantò al suolo così vicino ai ragazzi, che dovettero fare un balzo indietro, mentre un'infinità di minuscole schegge acuminare volava ovunque.
Annie alzò le braccia davanti al viso, per riparare gli occhi da quell'attacco aereo e sentì perfettamente ogni singola puntura dovuta al legno bruciare come fuoco vivo.
Più avanti, udì un gemito e qualcuno che tossiva.
Cercò di appoggiarsi a qualche pietra vicino a lei, per far leva ed alzarsi, ma la terra tremava così violentemente che per tre volte le mancò l'appiglio e altrettante volte cadde al suolo.
Non era più lei a controllare il suo corpo, ma gli strateghi, che probabilmente stavano sghignazzando dietro ai display, scommettendo sulla sua sorte.
L'idea che qualcuno potesse avere il controllo del suo corpo o delle sue azioni le invase la test violentemente. Non era il burattino di nessuno.
Stringendo i denti, fece leva sugli avambracci e si tirò in piedi.
Dire che la testa le girava le sembrava davvero riduttivo. Ogni cosa girava. E ogni parte del suo corpo le faceva male, in particolare le braccia e i palmi delle mani.
L'amico la imitò subito, con evidente successo, in quanto balzò in piedi al primo tentativo.
Lo vide socchiudere gli occhi e trasalire ad ogni boato di albero che cadeva.
“Andiamo!” gli disse, afferrandogli il braccio ed iniziando a strattonarlo.
Ma il ragazzo non voleva spostarsi da dove stava. “Annie, dobbiamo aiutarli” disse, indicando gli altri due Tributi a terra.
Lily era a terra, sdraiata e chiunque l'avrebbe scambiata per addormentata, se non fosse stato per la ferita sulla tempia ed il sangue che scorreva copioso, fino a macchiarle i capelli. Jace le stava accanto, la chiamava, la scuoteva dolcemente.
Non era morta: il petto tradiva il respiro irregolare.
Non potevano portarseli dietro. Lily sarebbe stato solamente un ostacolo in meno. Tra l'altro, lasciandola morire così nessuno dei due si sarebbe sentito responsabile. Sarebbe stata colpa degli strateghi in tutto e per tutto.
Spostò lo sguardo su Euer, che la fissava perplesso. Poteva leggere nei suoi occhi tutta la sua incredulità per il fatto che non si fosse già gettata accanto alla ragazzina per aiutarla. Eppure non poteva non aver fatto gli stessi ragionamenti di Annie!
La ragazza era davvero combattuta. Si passò una mano sulla faccia, per rimuovere la terra, il sudore e delle gocce di sangue, dovute alle ferite provocate dalle schegge.
Non potevano aiutarla. Dovevano andarsene. Ora.
Fece per voltarsi, ma qualcosa richiamò la sua attenzione. Un movimento quasi impercettibile proveniente dal ramo di fianco alla sua testa. Poteva anche essere stata colpa del terremoto, in quanto la terra tremava ancora, molto meno di prima. Gli strateghi avevano ottenuto almeno un po' di sangue.
Scrutò tra la corteccia, finché non notò un innesto artificiale. Qualcosa che assomigliava molto ad una.. telecamera. E di sicuro li stavano riprendendo. Tutta Capitol City avrebbe voluto sapere parola per parola ciò che avrebbe deciso la Dea del Mare.
Ma ad Annie non interessava della capitale. A lei interessava di una sola unica persona. Dai capelli neri e gli occhi grigi, come quelli degli abitanti del Distretto 12. una ragazzina che probabilmente non si sarebbe staccata dal televisore nessun secondo di quegli Hunger Games. E che avrebbe visto ogni qualsiasi suo movimento.. e qualsiasi sua azione.
Non poteva non salvare Lily. Non poteva scappare e lasciala morire davanti a Ocean.
Sospirando tra i denti tornò sui suoi passi e si inginocchiò di fianco a Jace.
“Dobbiamo portarla via” gli disse, posandogli una mano sulla spalla “qui non è sicuro. Potrebbero riattivare le scosse tra poco.. e sarebbe un bel guaio portarla in spalla”.
Il ragazzo si voltò a guardarla sorpreso, ma a poco a poco l'espressione lasciò il passò alla gratitudine e subito dopo alla speranza.
Lo aiutò a caricarsi la ragazzina sulle spalle, che in quel momento appariva ancora più piccola ed indifesa del normale e poi iniziarono a correre per allontanarsi da quel punto.
Euer davanti, tagliava i rami e le piante che ostacolavano il loro sentiero improvvisato, Jace subito dopo, con Lily sulle spalle, una spada in mano e un coltello ben assicurato alla coscia, ed infine Annie, a chiudere la fila, due pugnali in mano, vigile, scoccando occhiate dietro di sé, per essere sicura di non esser seguiti.
Alternarono la corsa al passo per quasi due ore, o forse di più.. finché non raggiunsero un fiume. Sembrava abbastanza lontano dal punto di partenza, ma non c'era bisogno di rischiare di essere visti.
Cercarono un'insenatura nella roccia, lontana dall'acqua ma abbastanza riparata dagli sguardi indiscreti. Anzi, decisamente ottimale per essere protetti.
Era una piccola rientranza nella roccia leggermente in pendenza verso l'interno; l'entrata dava alle pendici della montagna, quindi nessuno avrebbe potuto vederli, a meno che non avesse fatto il giro completo delle rocce. C'era anche un piccolo foro, dato da due massi appoggiati l'uni all'altro, che dava una parziale visuale del fiume e del bosco, in modo tale da spiare eventuali nemici.
Euer posò Lily a terra -avevano fatto cambio durante il tragitto- vicino al fiume e le scostò i capelli dalla ferita, appurandole la gravità.
“Non è preoccupante, ma non bisogna prenderla alla leggera” disse. Le bagnò la tempia con l'acqua, lavando vari residui di terra e pulendola. “Non si trova nemmeno in un punto pericoloso.. ovviamente servirebbe ago e filo per ricucirla, o qualcosa per evitare varie infezioni.”
“Controllate il contenuto dei vostri zaini” propose Annie.
Jace prese ad estrarre tutto ciò che aveva. Niente male nemmeno per lui: un sacco a pelo, fiammiferi, acqua, pane, qualche cibo in scatola, una torcia e dei guanti.
Euer invece trovò una corda, degli occhiali per vedere al buio, due bottigliette d'acqua, delle pastiglie per la febbre, una saponetta, dei fagioli in scatola e dei fiammiferi.
“Potremmo provare a lavarle la ferita col sapone..?” chiese Annie.
Non era molto esperta di ferite. Se si fosse ferita e fosse stata sola, probabilmente sarebbe morta.
“Si potrebbe provare” assentì Jace.
Appena poggiarono le mani insaponate sulla ferita della ragazza, questa aprì gli occhi e cercò di urlare, ma venne prontamente zittita da Annie.
“Silenzio!” l'ammonì.
Poi fissò Euer interrogativa. “Il sapone è artigianale. È acido, quindi brucia. È come mettere il limone su una ferita” spiegò.
Il tributo del distretto 7 lo fissò truce. “Non potevi dirlo prima?”.
“Certo, ma l'effetto è comunque buono. La ferita è pulita. Si sarebbe infettata più in fretta.”
Le parole lasciavano intendere che comunque sarebbe andata, il taglio si sarebbe infettato in qualche giorno, se non avessero fatto la massima attenzione.
“Lily, stai bene?” le chiese dolcemente Jace, aiutandola a mettersi seduta.
Lei annuì e cercò di toccarsi la tempia, ma Annie le bloccò il braccio. “Ti sei ferita, è meglio se non lo fai”.
Il giorno ormai era agli sgoccioli e l'idea di rimanere fuori anche la notte metteva tutti i quattro i ragazzi in agitazione. Quindi si ritirarono dentro alla grotta, riparati dal freddo, ma non dagli animali che potevano pullulare la zona.
“Dovremmo mettere qualcosa che blocchi l'entrata” propose Jace, seduto di spalle all'entrata, davanti al fuocherello.
Non potevano rischiare che la sua luce rivelasse agli altri tributi la loro posizione.
“Sì, così siete più comodi nell'ucciderci. Hai presente.. niente uscite, niente salvezza” commentò sarcastico Euer, anche se non troppo.
A quelle parole i muscoli di Jace si irrigidirono e di riflesso Annie portò la mano all'elsa del pugnale.
Fu Lily a tranquillizzare tutti. “Avete deciso di aiutarmi, quindi ora è il nostro turno per rendervi il favore. Creiamo un alleanza, no?”.
Le sue parole furono seguite dal silenzio più totale.
Certo, Jace era un buon partito, di sicuro avrebbero fatto buona squadra e sarebbe stata un'altra persona su cui contare, ma Lily? Era una ragazzina troppo minuta e troppo dolce per poter essere di aiuto. Ma non potevano allearsi solo con uno dei due.
Era chiaro come il sole che anche Jace ci stesse pensando. Alla fine non trovò nessuna complicazione, perché annuì.
“Per me è okey” disse infatti.
Anche Euer fece un cenno d'assenso con il capo.
“Anche io non ho nulla da dire in contrario” aggiunse Annie.
Era una bella sensazione, sapere di poter contare su qualcuno. Sapere che ci sarebbe stato qualcuno che sarebbe corso in tuo aiuto, se ce ne fosse stato il bisogno.
Partì il motivetto stupido di Capitol City, seguito dai volti dei Tributi morti: la ragazza del distretto 3; i due del 5; il ragazzo del 6; la ragazza dell'8; entrambi i tributi de 9; la ragazza del 10, e il bambino del distretto 12. In tutto nove ragazzi.
Nel vedere il volto del povero Tributo-bambino, ad Annie si strinse il cuore. Tropp giovane, troppo piccolo, troppo innocente..
Non sapeva se essere felice del fatto che la ragazzina fosse ancora viva, oppure disperata: l'avrebbero sicuramente trovata, e non sarebbe stata una morte molto lenta ed indolore.
Decise che avrebbe fatto il primo turno di guardia. Aveva bisogno di stare in silenzio.. e di avere del tempo per sé.
Si sedette davanti all'imboccatura della grotta, con il pugnale in mano, portandosi le ginocchia al petto. Alzò lo sguardo verso le stelle. Chissà se Finnick stava guardando le sue stesse stelle? Chissà se nell'Arena le stelle erano le stesse che a Panem?
Le mancava da morire tutto. Le mancava il suo Distretto, le mancava Ocean, le mancava la sua famiglia, le mancava Finnick.
Lo voleva lì, con lei, a stringerle la mano e a sussurrarle nell'orecchio che era l'unica, la più bella. Invece si trovava in un campo di sterminio. E lui l'avrebbe vista morire, in diretta.
Con l'indice tracciò sulla sabbia un cerchio e al suo interno tante piccole diramazioni. “Mi manchi” sussurrò. La gola le bruciò e il groppo in gola quasi le impedì di deglutire.
Magari lui l'aveva sentita.
Rimase a fissare le stelle, nella speranza di incontraci gli occhi di colui che le aveva rubato il cuore.




















 

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Capitolo 23
*** Complicazioni ***


CIAO RAGAZZI!
NEMMENO CI CREDO DI ESSERE RIUSCITA AD AGGIORNARE. COSI LENTA.. MAMMA MIA CHE SFACELO. 
ALLORA, RIASSUMENDO LA MIA VITA PRIVATA, DUE DEI MIEI MIGLIORI AMICI SE NE SONO ANDATI IN AMERICA PER UN ANNO E SONO RIMASTA LEGGERMENTE SCONVOLTA. I COMPITI STANNO ANDANDO DI SCHIFO. NON NE STO FACENDO NEMMENO UNO. L'ALTRO GIORNO è STATO IL COMPLEANNO DI MIO FRATELLO, AL QUALE DEDICHEREI IL CAPITOLO ♥. FINALMENTE è DIVENTATO MAGGIORENNE E TRA POCO AVRA' LA MACCHINA, COSI POTRO' SFRUTTARLO SEMPRE MUAHAHAHAHAHAHAHA
PER IL RESTO.. QUEST'ESTATE MI FA PIANGERE.. NON C'è UN MINIMO DI SOLE. IERI ERO IN GIRO CON JEANS, MAGLIETTA E FELPA PENSANTE (INVERNALE, CHIARIAMO).
E SI, NON HO AGGIORNATO PER UN SACCO. MI DISPIACE.
SONO ANDATA AL MARE, A SANTA MARGHERITA LIGURE CON DELLE MIE AMICHE E POI IN GIRO! :D
STO LAVORANDO SU UN NUOVO DISEGNO DA TIPO TRE MESI E NON NE POSSO PIU.. MALEFICA MI TA UCCIDENDO. TROPPO NERA, TROPPE MATITE DA USARE E TROPPO TROPPO TROPPO POCO TEMPO. POI DOVREI ANCHE STUDIARE, MA AHAHAHAHAHAHAHAHAAHAHAHAHAHAH BELLA QUESTA. 
OKEY, ORA CHE HO INTASATO EFP DELLE MIE ASSURDE VICENDE PERSONALI, VI AUGURO UNA BUONA LETTURA! 
UN BACIO ENORME
LILY ♥♥


BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE
 
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Complicazioni



“Svegliati Annie”.
Qualcuno le stava scuotendo il braccio con forza. Cercò di dire qualcosa, ma tutto ciò che riuscì ad articolare fu un mugugno poco comprensibile.
“Annie! C'è qualcuno qua vicino!”.
L'Arena.
La ragazza si mise a sedere di scatto, tanto velocemente che il cambio di posizione le fece vedere tutto nero per qualche istante.
Come aveva potuto addormentarsi come una sciocca?!
“Cosa succede?” domandò rivolta a Jace, che spiava attraverso la fessura della grotta.
Lui non la fissò quando rispose. “Qualcuno è passato di qui poco fa. Non ho capito chi”.
“In quanti erano?”.
“Non lo so, forse cinque. Potevano essere i Favoriti, ma non ne sono sicuro. È appena l'alba, quindi non li ho visti in faccia.”
“Dobbiamo andarcene?” chiese Lily, stringendosi una fascia intorno alla fronte.
Per quello che era riuscita a vedere, la ferita si era rimarginata abbastanza bene, anche se intorno aleggiava il rossore tipico di una ferita che si sta per infettare. Decise di non dire nulla, non per cattiveria, bensì per non dare altre preoccupazioni a Jace.
Invece intercettò gli occhi della ragazza e capì che anche lei era consapevole del fatto che, se non avessero ricevuto in tempo delle medicine adatte, la sua ferita sarebbe diventata grave.
“E' meglio uscire in ricognizione e cacciare qualcosa. Non serve che andiamo tutti” rispose Annie, afferrando il proprio pugnale e infilandoselo nello stivale.
“Ma gli altri saranno qui in giro. Se ci trovano in minoranza avremo di sicuro la peggio” fece notare l'amico.
“Non possiamo rimanere chiusi qua dentro per tutti i giochi. Capitol City vuole sangue, e se non diamo loro qualcosa per cui entusiasmarsi, ci penseranno gli strateghi. Non hai già dimenticato il terremoto, vero?” domandò Annie, fissando di sfuggita Lily.
“Esco io per prima. Lily tu rimani qui. È meglio che non ti sforzi, se vuoi rimetterti completamente”.
Euer fece per alzarsi ed affiancarla, ma Jace lo anticipò. “Vengo con te” disse risoluto, brandendo la spada e allacciandosi alla cintura vari tipi di armi.
“Hai fatto tutto l'ultimo turno di guardia..” provò a protestare Euer, ma quello gli rivolse un'occhiata distratta.
“Sto bene, non ho bisogno di risposare” tagliò corto.
Lily lo guardò, un'ombra di preoccupazione sul volto. “State attenti” mormorò.
E poi i due uscirono.




“Non ho bisogno di qualcuno che mi rallenti” furono le prime parole che Annie gli rivolse, una volta usciti dalla grotta.
“Farai meglio a non darti strane preoccupazioni, dato che sto benissimo” fece l'altro.
Ed era vero: non sembrava minimamente fiaccato dalla notte insonne. Teneva senza problemi il suo passo, anzi, era la ragazza a dover fare i passi lunghi. Inoltre, la spada che teneva in mano non doveva essere molto leggera, ma Jace la brandiva come se fosse fatta di cartone.
“Va bene..” sospirò il Tributo del 4.
Non riusciva del tutto a fidarsi del ragazzo, nonostante fosse stato il primo ad attirare la sua attenzione in positivo. Certo, con Lily non c'erano problemi: era così minuta e fragile, che l'avrebbe potuta uccidere a mani nude. E poi non era la tipica ragazza da Hunger Games. Ci era finita per caso, per disgrazia. Non aveva mai incontrato una persona più buona di lei.
Si inoltrarono nella boscaglia, attenti a non fare rumore. Davanti Jace, la spada in mano e dietro Annie, china, con la mano a sfiorare il pugnale nello stivale.
“Ci servirebbe un'arma più comoda per cacciare” sussurrò il ragazzo, schivando un albero.
In effetti aveva ragione. Una spada non era molto alla mano per catturare prede. Un arco, forse. O una lancia avrebbero fatto la differenza.
“Non troveremo nulla del genere qui. Dovremmo arrivare alla Cornucopia..” osservò la ragazza.
“La Cornucopia è il luogo preferito dei Favoriti” fece Jace, spostandosi un ciuffo sbarazzino di capelli dagli occhi.
“Lo so”.




“Ti fa tanto male?” domandò Euer a Lily, sedendosi accanto a lei ed ammiccando alla sua tempia.
“Non molto. Lo sento pulsare ma non è doloroso” rispose lei.
Erano nella caverna da ore e di Jace ed Annie nemmeno l'ombra. Cercavano di non far trasparire il nervosismo, ma il tempo sembrava essersi fermato e l'aria addensata dentro quel buco di pietra.
“Forse dovresti rinfrescarlo”.
Lily gli sorrise. Le sembrava tanto Jace quando la fissava in modo così fraterno. Non avrebbero dovuto legare, non nell'Arena. Probabilmente le sarebbe piaciuto come ragazzo, nel Distretto. Era gentile, e decisamente bello. Non come Jace, certo. Lui era tutta un'altra storia: quella bellezza che toglie il fiato, che fa accapponare la pelle, che ti fa dimenticare le cose. Quella persona di cui ci si innamora a prima vista.. ma era ovviamente tutto un sogno per lei. Non sarebbe mai stato possibile, per ovvie ragioni.
Scacciò i pensieri con una scrollata di spalle. “Credi che se usciamo per andare al fiume corriamo pericoli?” gli domandò.
Gli occhi del ragazzo si adombrarono per pensare. “Non lo so, ma ne dubito. Forse è meglio che vado solo io. Tu rimani qui a riposare. Se Annie torna e scopre che ti ho fatta camminare mi scuoia.. per non parlare di Jace” le fece l'occhiolino.
Lily trasalì impercettibilmente. Poteva aver capito qualcosa? Ma nel modo in cui le sorrise, fu quasi certa che l'avesse detto più per gentilezza e per tranquillizzarla che per altro.
“Prendi questo” gli porse un piccolo corno di ottone, che aveva trovato nel bosco mentre correva col suo compagno. Piccolo, nero e opaco, il corno stava perfettamente nel palmo pallido della ragazza, che lo offriva a Euer. “Nel caso potesse succedere qualcosa, soffiaci dentro. Jace sa cos'è. Arriverebbero in un secondo”. Poi abbozzò un sorriso di scuse, per non aver accennato al fatto che sarebbe accorsa pure lei. Non era la tipica ragazza da Hunger Games. Non avrebbe avuto la minima speranza nemmeno contro una pietra inanimata.
“Va bene, grazie” disse lui, riconoscente, prima di infilare l'apertura e sparire di fuori.
Lily si trascinò fino al piccolo buco che dava al fiume e spiò Euer che camminava sulle pietre. I suoi capelli mori venivano accarezzati dal vento tiepido dell'Arena e sapeva che gli occhi azzurro cielo stavano ispezionando la zona. In mano teneva una spada, che col suo peso faceva guizzare i muscoli possenti del suo braccio. Immaginò quanto fosse semplice innamorarsi di lui, quante ragazzine nel suo distretto lo mangiavano con gli occhi. Probabilmente aveva anche una fidanzata, anzi ne era quasi certa. Inizialmente, quando aveva visto la Mietitura in televisione, aveva pensato che Annie ed Euer fossero una coppia. La preoccupazione sul viso della ragazza, il loro abbraccio disperato. Gli sfortunati amanti di Capitol City. Poi però era stato chiaro che ad unirli era solo una fortissima amicizia ed un senso di appartenenza quasi famigliare.
Euer si tolse la maglia per gettarla nel fiume e lavarla, sedendosi su una pietra ed immergendo le gambe. Le sembrò che stesse parlando. Colse qualche parola leggendo il labiale. Mancanza e Oceano..
Forse non erano giuste, forse davvero gli mancava il mare. Le fece tenerezza. Si accorse che aveva lasciato le bende da bagnare sul letto improvvisato vicino all'entrata nascosta. Fece per prenderle e portargliele -non voleva rimanere ancora da sola- quando uscì un suono di passi felpati.
Il cuore le martellò nel petto e si schiacciò contro la parete, cercando di avere la maggiore visibilità dal buco. Qualcuno stava arrivando.




“Dobbiamo raggiungerla prima di mezzogiorno. Immagino che a quell'ora chiunque soggiorni qui ritorni per pranzare” fece Jace.
Avevano camminato per un bel po' dalla loro caverna. Erano stati attenti e all'erta, ma non avevano incontrato nessuno. Sembrava che tutti i Tributi si fossero volatilizzati.
Ad un certo punto, separata da loro da un ramo del fiume, si intravide il retro della Cornucopia in tutta la sua lucentezza e magnificenza.
Annie fece per scattare, ma Jace la fermò appena in tempo, mettendole un braccio davanti al petto, contro il quale andò brutalmente a sbattere.
“Ehi!” sibilò.
Lui le fece cenno con un dito di guardare: sotto i loro piedi, a qualche centimetro, la terra si inabissava, fino a raggiungere il fiume sottostante, con acque nere che ribollivano in modo inquietante. Non c'era modo di raggiungere la Cornucopia senza costeggiare per tutta la sua lunghezza il fiume nero.
“Maledizione!” imprecò il ragazzo “non ce la faremo ad arrivare prima di mezzogiorno”.
Era vero.
Avevano sprecato la mattinata per nulla.
Gli occhi verde mare di Annie ispezionarlo la zona, spostandosi dal fiume, agli alberi dall'altra parte del guado, fino allo zaino del compagno.
“Mi è venuta un'idea.. che non ti piacerà”.

“E' un'idea del cazzo, ecco che cos'è!” ringhiò per l'ennesima volta Jace, con le braccia incrociate, scoccandole un'occhiata di traverso.
“Te l'avevo detto che non ti sarebbe piaciuta” fece lei.
Fece un ultimo nodo sull'impugnatura della spada più grossa di Jace, dentellata alla fine, con due spuntoni che uscivano verso l'esterno. Tecnicamente sarebbero serviti per sventrare l'avversario e sbudellarlo, ma a loro serviva per tutt'altra cosa.
“Spero che tu abbia una mira decente” gli disse, controllando la resistenza della corda intorno alla spada.
Reggeva. Non si sarebbe snodata ne sfilata. Erano stati fortunati ad aver ricevuto uno zaino con dentro una corda lunga più di venti metri. Solitamente il tributo non sapeva che farsene, ma loro avevano usato la lunghezza a loro favore. Ripiegandola su sé stessa per qualche volta, avevano ottenuto un fascio di corde resistenti e lunghe quel tanto che serviva per colmare la distanza tra loro e la Cornucopia.
Jace, con l'ultima occhiata storta, afferrò l'elsa della spada, la saggiò, passandosela da una mano all'altra, portò indietro il braccio e la scagliò di punta in avanti. Questa, con un sibilo mentre tagliava l'aria, si andò a piantare nel troncò di una quercia sulla sponda opposta ed i due spuntoni affilati penetrarono la corteccia, serrandosi nel cuore dell'albero.
L'altra estremità era tenuta da Annie che quasi rischiò di volare in acqua, colpa del contraccolpo.
“Bel tiro” ammise, passando i fasci di corda al ragazzo.
“Cerca di sbrigarti” le disse solo.
Annie annuì. Si sfregò nervosamente le mani sui pantaloni, per azzerare il sudore sui palmi, anche se sembrava che fossero fatte d'acqua. Respirò più volte a lungo e poi, con un movimento agile, si appese alla corda intrecciando le gambe e le mani, rimanendo quindi con la schiena rivolta al fiume sottostante.
Sentì provenire uno sbuffo da parte di Jace. Aveva fatto passare la corsa intorno ad un albero vicino e la tirava con entrambe le mani, per contrastare il peso della ragazza. Il volto già iniziava a dipingersi di chiazze rosse.
Il Tributo del Distretto 4 si mosse agilmente sulla corda, facendo la massima attenzione a non dondolarsi troppo, per non rendere il lavoro del compagno impossibile. Centimetro dopo centimetro, col cuore che batteva all'impazzata e un pugnale del suoi stretto tra i denti, si diresse verso la Cornucopia.
Fino a qualche giorno prima non si sarebbe mai immaginata in quella situazione. Non era mai stata il tipo da sport estremi. Invece ora era appena a diversi metri dal suolo, con acqua nera e gorgogliante sotto di sé e forse un manipolo di assassini psicopatici che l'attendevano dall'altra parte.
Guardami, Finnick. Guarda cosa sono capace di fare. Pensava, sapendo che da qualche parte là fuori, il ragazzo fissala uno schermo gigante che la stava riprendendo. Il pensiero che potesse non risultare bella, in quell'istante, appena a testa ingiù, con la faccia rossa e un pugnale tra le labbra, la sconvolse. Si imbarazzò. Chissà quante altre persone la stavano guardando.
Però poi un secondo gemito da parte dell'amico la riscosse e si decise ad andare più veloce.
In poco tempo si lasciò cadere a terra di schiena con uno sbuffò. Udì appena il sospiro di gioia di Jace dall'altra parte. Sogghignò. Non avrebbe mai ammesso di essersi stancato così tanto, non davanti a Lily ed Euer.
Prese il pugnale e lo strinse convulsamente. Da lì sarebbe stata sola.
Proseguì in perfetto silenzio, tra i cespugli e l'erba, finché non riuscì a toccare con il palmo della mano il metallo lucente e caldo della Cornucopia.
Le girò attorno, controllando qualsiasi angolazione e finalmente arrivò all'entrata.
Non c'era nessuno.
Con un sospiro di sollievo scivolò all'interno, tenendo d'occhio l'esterno. Si girò, con un piccolo sorriso sulle labbra. Che stupidi.
Non riuscì nemmeno a finire di articolare il pensiero, perché si accorse che nella Cornucopia c'era qualcun altro. E quel qualcuno la stava aspettando.

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Capitolo 24
*** La pantera di ghiaccio ***


CIAO A TUTTI...
OMMIODDIO CON CHE FACCIA MI RIPRESENTO QUI DOPO TRE MESI CHE NON AGGIORNO. MI SENTO UN VERME ORRIBILE E SCHIFOSO, STRISCIANTE NELLE PALUDI PIU' PUTRIDE E MELMOSE. SPERO CHE CON QUESTA DESCRIZIONE MOLTO BRUTTA VOI POSSIATE PERDONARMI IN PARTE. 
SI, PERCHE' NON SOPO SPARITA! SONO QUI................CON MOLTO RITARDO............. MA SONO SEMPRE QUI. 
NON SO SE STARE QUI A RACCONTARVI LA MIA VITA O LASCIARVI LEGGERE IL CAPITOLO. 
BEH, ALCUNE COSE DEVO DIRLE. QUESTO PERIODO E' STATO ESTENUANTE E KWEGFACTGAVJHGVAGV BASTA SCUOLA! SO CHE MI POTETE CAPIRE.. LO SENTO NELL'ANIMA
SI, OKEY.. MI STO DIPINGENDO DI RIDICOLO. 
HO RICOMINCIATO A SCRIVERE QUESTA STORIA PERCHE' MI MANCAVA.. E MI MANCAVATE TUTTI VOI CHE COMMENTATE! NON ESISTONO ANNIE E FINNICK SENZA DI VOI. E VI VOGLIO RINGRAZIARE. 
GRAZIE DI TUTTO. ♥♥
SPERO CHE IL CAPITOLO VI POSSA PIACERE!
BUONA LETTURA A TUTTI! 

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE


 

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La pantera di ghiaccio 





Come non riconoscere al volo la cascata di capelli biondo argenteo? O gli occhi azzurri come il cielo in primavera?
Davanti ad Annie si stagliava la figura magra della ragazza del distretto 1.
“Non capisco se il tuo sia coraggio o stupidità” le disse l'avversaria, con voce dolce e un sorriso amorevole sulla labbra. Non assomigliava in tutto e per tutto ad una letale assassina.
Si appoggiò alla parete metallica con un fianco ed incrociò le braccia, senza nemmeno prendersi la briga di nascondere il coltello che teneva in mano.
Annie non rispose e fece un piccolo passo indietro, trovando con la punta delle dita i suoi due pugnali e sentendo il terzo -nello stivale- bruciarle la pelle come fiamma viva.
La ragazza gettò il capo indietro, facendo mulinare i suoi capelli oro e scoppiò a ridere.
“Non vuoi giocare con me?” le domandò .
“No grazie” rispose meccanicamente l'altra.
Avrebbe potuto tentare una fuga, ma non sarebbe mai stata abbastanza veloce e tra l'altro non si sarebbe mai permessa di darle la schiena, non quando nelle mani teneva due coltelli maledettamente affilati.
“Che peccato. Sai, non ho voglia di ucciderti subito, anche se questo mi toglierà tempo prezioso per stanare gli altri tuoi amici” continuò con la sua voce pacata e quasi infantile, iniziando a camminarle a debita distanza, senza però mai staccare gli occhi dal suo viso, come un serpente che osserva la preda per carpirne ogni informazioni.
E io sono il topo, pensò Annie stringendo i denti.
“La ragazza del 7 sarà sicuramente la più semplice da fare fuori. Sinceramente” e le rivolse un sorrisetto d'intesa, come se si conoscessero da una vita e stessero spettegolando di una ragazza qualunque “non so nemmeno come sia riuscita a sopravvivere al suo distretto. Ma l'hai vista? Probabilmente potrebbe morire anche solo stortando una caviglia” e ridacchiò tra sé e sé.
Continuò a spostarsi, avvicinandosi piano piano ad Annie. La ragazza avvolse l'elsa di uno dei pugnali con la mano e deglutì', sentendo una gocciolina di sudore scenderle sulla schiena. Non poteva perdere la testa in quel momento.
“L'altro del Distretto 7 non sarà così semplice. È molto alto e muscoloso..” le strizzò l'occhio “ma tecnicamente non credo sia un grande combattente”.
“Ti sbagli” si lasciò scappare Annie, pentendosene subito.
Non doveva risponderle, non doveva darle soddisfazioni. Ma evidentemente il commento aveva compiaciuto la combattente, perché sogghignò.
“Infine il ragazzo del tuo distretto, il pescatore” e dicendolo, si morse un labbro. Forse cercava di distrarla, ma Annie notò il coltello che passava velocemente da una mano all'altra, quasi come un'ombra.
Respirò velocemente ed estrasse il suo pugnale da dietro la schiena, cercando di minimizzare i movimenti del braccio. Se l'avversaria l'aveva vista, era stata brava a mascherarlo.
“Con lui sarò davvero cattiva” miagolò, passandosi la lingua sul labbro superiore. “Anche se mi dispiacerà molto dover deturpare quel suo bel faccino” mugugnò zuccherina. “Mi sono sempre piaciuti i ragazzi dagli occhi chiari e con un bel fisico... e lui ha davvero un ottimo fisico”.
Se avesse teso l'orecchio, Annie avrebbe potuto sentire il ringhio possessivo di sua sorella, a quasi mezzo mondo di distanza.
“Non credo si sarebbe mai interessato a te” le soffiò perfidamente. Avrebbe difeso sua sorella con la vita. “Sai, lui non vuole le bionde stupide”.
Le spuntò un sorrisetto di vittoria quando notò il gelo che scese sul volto dell'avversaria, che sguainò apertamente il pugnale e scoprì i denti, come un felino pronto ad attaccare.
“Pessima mossa, Quattro” sibilò.
Annie non si fece trovare impreparata e la imitò, accucciandosi in posizione di attacco. Eppure non riuscì a reprimere un ghignò quasi selvaggio. Era il momento della verità. Nei seguenti minuti si sarebbe giocata la vita delle combattenti e nessuna delle due avrebbe accettato una sconfitta come risultato.
La ragazza del distretto 1 mosse qualche passo alla sua sinistra, gli occhi gelidi che non la perdevano un secondo.
C'era qualcosa di strano in quei due pezzi di cielo, qualcosa di troppo cristallizzato, troppo profondo e troppo gelido per essere umano. Era come se due pezzi di ghiaccio si fossero conficcati al posto delle iridi, facendole splendere di sfumature glaciali e pericolose. Perché, come si sa, il ghiaccio è un amico molto pericoloso: bellissimo ed affascinante, finché non ci si specchia dentro, trovandoci il proprio immagine deformata dalla fredda verità. Ed Annie non aveva il coraggio di guardare che cosa stava diventando. Non aveva la forza di accettare la dura realtà: si sarebbe trasformata in un'assassina, durante quel duello, o per lo meno avrebbe colpito per uccidere.
“La ragazzina del sette sarà la più divertente da sventrare. Appena le avrò rotto le gambe, la squarterò lentamente, guardandola morire dissanguata molto lentamente, godendomi le sue suppliche di ucciderla. Ma non lo farò. E sai perché?”. Annie non rispose, sentendo brividi ghiacciati correrle lungo la schiena. Cercò di controllarsi, ma la mano che reggeva il pugnale si strinse intorno all'elsa e la ragazza iniziò a vedere rosso.
La prima cosa che non bisogna perdere, si disse mentalmente, è la consapevolezza di se stessi.
“Io adoro vedere la trasformazione delle persone, da coraggiose a codarde. Implorare la morte? Che vigliacchi.. e non pensare che esista qualcuno di diverso. Tutti hanno paura di morire, ma ancora di più si teme la sofferenza ed il dolore. Sapere di avere in pugno la vita di qualcuno mi eccita da morire” continuò mielosa.
Se si fosse leccata le labbra, sarebbe assomigliata in tutto e per tutto ad un felino, uno molto pericoloso.. una pantera dal manto argenteo e gli occhi di ghiaccio.
“Poi passerei al ragazzo.. Jace.” sporse scioccamente in fuori il labbro inferiore “Che spreco di carne fresca.” commentò con un ghigno famelico.
“Stai zitta” ringhiò d'istinto Annie, le mani che prudevano ed i denti serrati.
Lei fece come se non avesse sentito. “Con lui sarei più caritatevole. Forse lo annegherei, ma potrei pensare anche ad una morte più.. allettante. Che ne dici di tagliargli la gola? Oppure conficcargli un'ascia nel cranio... no, no, aspetta.. ci sono!” trillò estasiata e sorrise.
In quel momento, ad Annie non sembrò che una diciassettenne bellissima e terribile. Le fossette che le si crearono sulle guance diafane la portarono ad un grado ancora più elevato di qualsiasi creatura esistente. Se fossero esistite le fate, sicuramente lei sarebbe stata una di loro.. la più malvagia delle fate.
“Credo che la mia spada nella sua gola sarebbe l'ideale” concluse.
“STAI ZITTA!” ruggì Annie. Per un secondo non vide che rosso, come il sangue più cupo, quelle che avrebbe felicemente fatto colare dal corpo di quella strega.
Si riscosse appena ebbe formulato il pensiero.
no.
Lei non era una macchina assassina. Lei non avrebbe mai trovato felicità nell'uccidere un'altra persona.
Lei non era parte degli Hunger Games. Non ne era protagonista.
Lei era una vittima.
Respirò profondamente. Era questione di minuti, forse secondi. L'elettricità nell'aria era palpabile. Se avessero teso le orecchie, forse avrebbero sentito anche gli schiocchi provocati dalle correnti elettriche ed energiche che si disperdevano da ogni loro terminazione nervosa.
“Non una parola di più” le intimò. Forse non sarebbe stata alla sua altezza, forse sarebbe morta disonorevolmente -trafitta da uno dei suoi pugnali neri-, ma non avrebbe permesso che questa insinuasse la morte dei suoi amici.
In quel momento non si parlava nemmeno più di alleati o si membri di una squadra. In quel preciso istante l'obiettivo di Annie era di battere la ragazza del distretto 1 non più per difendere la sua vita e quella di Euer, ma di tutta la sua piccola famiglia che si era creata all'interno dell'arena.
Sapeva benissimo che era un pensiero sciocco e che le sarebbe costato caro, in seguito.
L'avversaria la ignorò e ridacchiò stupidamente. “Infine quel bel pezzo di ragazzo.. il tuo amico.. Euer? Credo che a lui si addica un pugnale conficcato nel cuore, di quelli corti, in modo tale da scorgere la vita scivolargli dagli...”
“ORA BASTA!!!”.
Annie urlò le parole con furore, scagliandosi contro la ragazza, accecata dall'odio e dal desiderio di porre fine a quel fiume di parole.
I due pugnali si scontrarono all'altezza del petto di entrambe, dando origine a qualche scintilla perlacea che schizzò nello spazio vuoto tra le combattenti.
“Io ti ucciderò” le sibilò la ragazza del distretto 1 a qualche centimetro dal viso. Il respiro freddo che le arrivò sul viso le confermò che quella ragazza non poteva che essere costituita interamente di ghiaccio.
“Non se prima lo faccio io” rispose lei, con un ghigno sulle labbra candide.
Si separarono con forza, barcollando a causa della potenza della spinta.
“Non hai speranze, cercatrice di perle!” urlò Catherinne.
“Vedremo” sussurrò Annie, ripartendo alla carica.
Cercò di tracciarle un taglio sul costato, facendo passare velocemente il pugnale da una mano all'altra, ma l'avversaria aveva occhi ovunque e scartò di lato, rotolando su se stessa e balzando in piedi, agile come il felino che era.
Si arrampicò su un barile di metallo e le si buttò contro, sguainando la spada che teneva a tracolla dietro alla schiena e mulinandola sopra alla testa.
Annie fu costretta ad abbassarsi di scatto ed indietreggiare. Finì di schiena contro la parete sulla quale erano appoggiate le armi, ormai tutte andate, ed uno spuntone le colpì forte il rene. Il contraccolpo le mozzò il fiato in gola e la obbligò a rimanere piegata per qualche frazione di secondo, necessarie a Catherinne per avvicinarsi e mirare al cuore della ragazza.
All'ultimo istante, Annie riprese conoscenza del luogo in cui era e scivolò tra le gambe dell'avversaria con una lunga ed agile scivolata, arrivando all'apertura della Cornucopia.
Il sole brillava ancora sopra agli alberi e la temperatura sembrava salire ogni minuto di più. Probabilmente era una trovata degli strateghi, per togliere loro le forze.
Decise che non avrebbe dato la schiena a Catherinne, l'orgoglio di affrontare faccia a faccia l'assassina e soprattutto l'ansia che questa potesse conficcarle un pugnale nella schiena.
Aspettò che la ragazza le fosse abbastanza vicina, per sfilare il secondo pugnale dallo stivale e ruotarlo davanti a sé, tracciando un lungo solco rosso cupo sulla guancia di Catherinne.
La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa ed aprì la bocca in un urlo di frustrazione e dolore. Da ottima combattente che era, però, non si distrasse più del necessario e colpì fortemente Annie alla mascella con il ginocchio.
Alla ragazza del Distretto 4 si appannò la vista ed il dolore le attraversò l'intero corpo a stilettate bollenti e poi gelate.
Era così bruciante il male, che singhiozzò istintivamente. Lacrime amare le scesero sulle guance e le solleticarono fastidiosamente il collo.
Non voleva piangere, ma fu la reazione del suo corpo. Non era mai stata colpita così forte.
In realtà non era mai stata colpita e basta.
Durante gli allenamenti al Distretto nessuno osava spingersi così tanto oltre.
Poteva arrendersi.. non rialzarsi più. Avrebbe soltanto lasciato che la punta acuminata del pugnale di Catherinne le perforasse la carotide.
Poi sarebbe finito tutto.
Gli Hunger Games non erano altro che uno spargimento di sangue e lei non avrebbe mai vinto.
Euer.. lui era con Jace e probabilmente il ragazzo aveva capito le sue intenzioni.
Non l'avrebbe mai aiutato a vincere, certo, ma probabilmente l'avrebbe lasciato andare. Non l'avrebbe ucciso personalmente.
Euer era forte, ce l'avrebbe fatta anche da solo.
Era lei quella debole. Non era stata in grado di dire addio in modo decente alla sorella, né ai suoi genitori. Non aveva salutato Mags come si sarebbe meritata e, soprattutto, non aveva avuto il coraggio di esprimere realmente a Finnick ciò che provava. Cos'era stato quell'ultimo saluto, prima di partire?
Forse la relazione tra Tributo e Mentore non era mai stata così forte come la loro, ma non era stato un saluto di una persona innamorata.


Ci si vede, principessa”


La voce di Finnick le rimbombò nella testa, elettrizzandola fino alla punta delle dita.
Odair..
Era come se lui fosse stato vicino a lei, di fianco al suo orecchio,a sussurrarle quelle parole.
Non si voltò da nessuna parte, sapendo che non avrebbe trovato nessuno accucciato con lei, eppure la forza di continuare a combattere, di non arrendersi, la pervase come fiamma viva.
Non poteva morire in quel modo.. non con la consapevolezza che Finnick avrebbe visto qualsiasi cosa.
L'avrebbe vista arrendersi, con la debolezza di una foglia che si arrende all'arrivo dell'autunno. Come il ghiaccio che si scioglie con il calore o la luna che cede il posto al sole.
No.
Non in quel modo. Non in quel momento. Non con la coscienza che lui avrebbe visto la sua vita scivolarle via dal corpo di cui era innamorato.
Perché aveva capito, adesso. Proprio quando stava sdraiata sull'erba, con la faccia in fiamme e la schiena dolente, quando la spada dell'avversaria era ad un metro da lei, quando tutto si era fermato intorno a loro, quando nemmeno il vento osava rompere l'incantesimo maligno della morte, lei aveva compreso che il sentimento che infiammava il petto di Finnick se la toccava, la guardava o la pensava, era lo stesso che sentiva lei nelle stesse situazioni.
Basta bugie. Basta stupide spiegazioni campate per aria per nascondersi dalla realtà. Basta tutto quanto.
Finalmente, in quel momento astratto ma così maledettamente concreto, quando la morte ormai aveva bussato alla sua porta pretendendo la sua ricompensa, si specchiò nel ghiaccio davanti a sé, dentro il quale prima non aveva avuto il coraggio di guardare, negli occhi gelidi dell'avversaria.
Avrebbe visto ciò di cui aveva avuto più paura, ma non era più la consapevolezza di diventare un'assassina, bensì l'immagine di una ragazza semplicemente ed ingenuamente... innamorata.
Il sapere di ciò la fece sorridere dolcemente e fissò, in pace con se stessa, la spada di Catherinne fendere l'aria davanti a sé.
Nel mentre, pronunciò il nome di Finnick Odair.










Annie era caduta, colpita dalla ginocchiata feroce del tributo del distretto 1.
“No!”.
Finnick balzò in piedi, dal divanetto della sua camera. Sentì ogni singolo battito del suo cuore rimbombargli ovunque: nelle dita, nelle orecchie... nel petto.
Era stata una mossa sleale e sapeva quanto potesse essere doloroso riceverne una, per questo il sangue nelle sue vene, al pensiero, si ghiacciò.
La vide puntellarsi con i palmi delle mani sull'erba verde.
Perfidamente gli strateghi fecero lo zoom sul viso bellissimo e storto in una smorfia di dolore di Annie ed il ragazzo poté contare ogni singola lentiggine sul suo naso, le ciglia nere lunghissime, che sfioravano gli zigomi con dolcezza e, persino, le lacrime cristalline che ne percorrevano la lunghezza. Stille argentate che correvano, fuggivano dai suoi occhi che -ormai sapeva a memoria- brillavano di luce propria, dando loro sfumature mozzafiato.
Era come se qualcuno avesse azionato il rallentatore sia nell'Arena, che sullo schermo, che ne piccolo mondo che circondava il mentore.
Perché non si rialzava? Perché non aveva già afferrato il coltello per disarmare l'avversaria e magari ucciderla?
Perché, maledizione, stava così arrendevole a terra??!
“Alzati, Annie! Alzati maledizione!!!” urlò allo schermo, come se da lì, lei potesse sentirlo.
Nulla successe, se non che la posizione dell'avversaria spostò tutto il suo pesò all'indietro, alzando la spada sulla testa, per dare più forza al colpo.
Tutto non ebbe più senso.
Quale potrebbe essere il significato della vita di una persona? Il suo fine ultimo?
Alcuni avrebbero detto il sopravvivere, altri il raggiungere i propri scopi.
No.
La vita di Finnick non avrebbe mai avuto uno scopo senza Annie. Nessuno avrebbe più potuto salvarlo come aveva fatto lei. Farlo sentire umano.
Cosa sarebbe stato lui, senza la sua principessa? Una bestia non può essere felice, nel suo essere, senza la sua donna, colei che la fa sentire speciale nonostante il suo orribile aspetto.
“Ti prego, Annie, prendi quel pugnale” la pregò, stringendo i pugni e mordendosi l'interno della guancia.
Era inutile, lo sapeva. Sperava che il suo amore avrebbe potuto salvarla.
Eppure lei rimase stesa a terra, come un pulcino bagnato sotto ad un terribile uragano, incapace di pensare, incapace di muoversi ed incapace di salvarsi.
Fece per girarsi -non avrebbe mai guardato uno spettacolo del genere-, quando vide i suoi occhi illuminarsi di un verde ancora più splendente degli smeraldi e più profondo degli oceani più vasti.
Le sue labbra, quelle che avrebbe baciato all'infinito, senza stancarsi di toccarle, accarezzarle e mordere, si mossero piano, quasi con timidezza e, da quelle, venne pronunciato un nome, che solo il diretto interessati, in tutta Panem, riuscì a comprendere.


Finnick


“No” mormorò.
Perché lui sapeva.
Non era stata un'invocazione disperata, o una parola strappata con la forza da quella bocca venerabile. Era stato un saluto colmo di.. amore.
Annie lo amava.
E gli diceva addio. Per la seconda volta. E sarebbe stato per sempre.
Si avvicinò allo schermo, come se in quel modo lei avrebbe potuto sentire la sua presenza.
“Ti prego, Annie, non farlo.. non mollare..” la pregò, gli occhi umidi e la gola che pulsava.
Ogni cellula del suo corpo stava urlando. Avrebbe voluto dilaniarsi con le sue stesse mani e, probabilmente, l'avrebbe anche fatto se solo fosse riuscito a muoversi.
Invece rimase appoggiato allo schermo, stringendolo disperatamente.
“Annie.. per favore...” implorò.
Una lacrima gli solcò il viso, bollente e gelata.
“Alzati.. ti prego..” sussurrò.
Lei rimase distesa a sorridere e la lama si stava avvicinando alla sua testa.
“..per favore...”
Era questione di attimi e poi la sua Annie gli sarebbe scivolata dalle dita come sabbia e sarebbe rimasto solo, ancora una volta.
“Per favore!!” ringhiò. La rabbia gli pervase il corpo.
Non poteva morire così! Non poteva arrendersi.. non poteva abbandonarlo.
“Alzati, maledizione! Alzati!!!” gridò.
Ormai non faceva più caso al fiume che gli bagnava le guance, sicuramente arrossate. Non faceva più caso a niente, da quando lei era entrata nell'Arena. L'unica cosa che aveva un senso, era Annie.
“NON MI PUOI LASCIARE QUI, HAI CAPITO!!?”.
Finnick stava bruciando, come un vulcano. Il suo sangue scorreva nelle vene come lava liquida ed il cuore pulsava infuocato ed inferocito. Con la sua morte, si sarebbe trasformato in carta e sarebbe stato consumato dal suo stesso essere incandescente.
Tanto, senza di lei, a che cosa sarebbe servito tutto? Lui, di sicuro, a niente.
“NON TI PUOI ARRENDERE! NON PUOI! ME L'HAI PROMESSO!!”. Il televisore sbalzava ad ogni suo movimento. Lo stava scuotendo con troppa forza.. si sarebbe rotto. Non importava. Non avrebbe più visto i restanti Hunger Games. Non avrebbe più avuto senso.
“NON MI PUOI LASCIARE DA SOLO!!” urlò “PERCHE'....” deglutì e calde lacrime amare urtarono il terreno, creando una piccola macchia argentea.
In quella minuscola goccia, più piccola di qualsiasi altra cosa, così piccola da passare inosservata, Finnick si specchiò. Non fisicamente, sapeva purtroppo troppo bene la sua fisionomia. Lui vide la sua anima e, grazie a ciò, riuscì a comprendere fino in fondo il suo ruolo in tutta quella storia.
“...perché... io senza di te non sono nulla..” sussurrò, con la fronte appoggiata allo schermo, a toccare quella di Annie. “..non vivrei un giorno senza di te. Ho bisogno di te per andare avanti. Devo.. devo sapere che ci sei perché...” il cuore batté così forte che temette che sarebbe uscito dal petto “...perché io ti amo, Annie Cresta.. ed esisto solo se esisti anche tu.
La verità delle parole lo colpì come un pugno.. ma era diverso. Quello non faceva male, anzi.. era qualcosa di così bello e piacevole che ne avrebbe voluti molti altri. Avrebbe pagato per riceverne altri.
Amava Annie. Lo sapeva da quando, la prima volta, aveva incontrato i suoi occhi verdi sulla spiaggia.
Chiuse i suoi. Sapeva cosa sarebbe successo, non avrebbe avuto bisogno di guardarlo.
La spada fendette l'aria ed il suono di una collisione rimbombò nel silenzio della radura.










Il suono della spada di Catherinne rimbombò ovunque, nella radura.
Strano, però.
Non aveva sentito dolore. Non pensava che un calcio alla mandibola fosse più doloroso che morire.
Forse era morta così in fretta che non aveva percepito nulla. Meglio così.. magari Catherinne aveva ragione. Le persone, tutte, hanno paura del dolore, più che della morte in sé.
Eppure Annie poteva toccare i fili d'erba sotto le sue dita e, sfortunatamente, in un attimo la schiena riprese a pulsare.
Ma che diavolo di morte era stata?!
Si rese conto di avere gli occhi chiusi e li aprì. Ciò che le si presentò davanti la lasciò senza fiato.
La lama della spada era andata a cozzare contro un'altra arma, molto simile ad un'ascia.
Era retta da qualcuno, sicuramente e la ragazza era molto curiosa di scoprire a chi appartenesse quella mano così piccola e pallida.
Impossibile.
La bambina del Distretto 12, così magra e fragile, aveva interposto tra le due sfidanti la sua arma.
Forse l'aveva fatto perché pensava che avrebbe potuto uccidere da sola Catherinne, ma Annie ne dubitava molto. La piccola l'aveva fatto solo per salvare lei.
Catherinne sibilò pericolosamente e, in una frazione di secondo, il suo pugnale d'oro era impiantato nel petto piccolo della bambina.
Questa, più stupita che accecata dal dolore, spalancò gli occhi enormi.
Ed Annie li vide.
Incastonati nel viso magro e denutrito della ragazzina del 12, stavano due occhi grigi e profondi, difficili da dimenticare.. soprattutto se identici a quelli di Ocean.
Davanti a lei non stava più la piccola carbonaia, bensì sua sorella più piccola, dalla quale usciva un rivoletto di sangue sia dal petto che dalle labbra diafane.
“NO!” esclamò terrorizzata, balzando in piedi.
La afferrò al volo prima che questa potesse schiantarsi al suolo e l'appoggiò sul prato, che iniziò a macchiarsi rapidamente di rosso cremisi.
“Ma guarda come sei tenera.. Mamma-Annie, alla quale quella birichina di Catherinne ha appena ucciso la figlia” la canzonò la ragazza dell'1, ridacchiando.
Forse fu la frase, oppure il senso di vuoto che l'avvolse.. ma Annie si incendiò di fuoco vivo e balzò in piedi.
Si scagliò contro il mostro e prese a tempestarla di pugni in qualsiasi superficie che riusciva a raggiungere.
Catherinne, impreparata, cadde a terra, sovrastata da Annie.
Il pugno di questa colpì lo zigomo perfetto della fata malvagia, poi l'occhio ed il naso, e di nuovo lo zigomo. La pancia, il fianco.
Il furore e la rabbia le bruciavano il sangue nelle vene, anestetizzando qualsiasi altro senso. Non sentiva più dolore alla schiena o alla mandibola.
L'unica cosa che voleva era colpirla e colpirla, e colpirla ancora. Finché lei non avrebbe implorato pietà, terrorizzata dal dolore, ma Annie non sarebbe stata misericordiosa, non quella volta.
Catherinne non aveva ucciso solo la ragazzina del 12, ma pure sua sorella. E per questo non ci sarebbe stata nessuna scusa.
Nessuno sarebbe venuto ad aiutare Catherinne.
Poi, come una doccia d'acqua gelata, Annie si riscosse e vide veramente ciò che aveva fatto.
La ragazza stava sotto di sé, coperta di sangue, tumefatta e gonfia, in fin di vita.. ma ancora respirava.
Probabilmente le aveva sfondato lo zigomo, lussato la mascella e rotto qualche costola.
Del sangue cupo colò dalle labbra bianche di Catherinne, mescolandosi a quello della bimba del 12.
Annie si tirò in piedi, terrorizzata e schifata da se stessa. Che cos'aveva fatto?
Si fissò le mani, anche quelle gonfie e blu, che pulsavano sporche del suo sangue e di quello dell'avversaria.
Spostò lo sguardo sulla fata malvagia e la vide boccheggiante, alla ricerca di aria che non arrivava ai suoi polmoni. Una stretta al cuore le mozzò il respiro. Forse le aveva sfondato la cassa toracica e una costola aveva bucato il polmone.
Per quanto sarebbe sopravvissuta, si chiese?
Magari il suo compagno di Distretto l'avrebbe aiutata.
Non ci credeva nemmeno lei. Le ferite erano troppo profonde ed irreparabili.
Cerea, prese il pugnale che era finito nell'erba e, respirando a fondo, lo affondò nel cuore di Catherinne.
Alla fine la tigre dagli occhi verdi aveva vinto la pantera di ghiaccio.






 

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Capitolo 25
*** Ciò che siamo ***


CIAO A TUTTI RAGAZZI. 
SONO CONTENTA DI ESSERE RIUSCITA AD AGGIORNARE COSI' VELOCEMENTE, SOPRATTUTTO UN CAPITOLO ABBASTANZA LUNGO ED INTENSO, A MIO AVVISO. 
HO DECISO DI INSERIRE UN PICCOLO PUNTO DI VISTA DI CAESAR RIGUARDO LA MORTE DI SHANA, LA RAGAZZINA DEL DISTRETTO 12. SPERO CHE QUESTO PICCOLO APPROFONDIMENTO VI POSSA PIACERE. 
INOLTRE AVREI VOLUTO DAVVERO MOLTO AGGIUNGERE MìUNA PARTE DI DIALOGO TRA FINNICK E IL PRESIDENTE SNOW, MA NON RIUSCIVO DAVVERO A FARLA ENTRARE IN MODO LOGICO ALL'INTERNO DEI CONTENUTI DI QUESTO CAPITOLO. 
HO DECISO DI CONCENTRARMI SULLE DUE SCENE PRINCIPALI: ANNIE ED EUER E LILY, CHE AVEVO LASCIATO IN SOSPESO DUE CAPITOLI FA. 
INOLTRE SONO MOLTO INDECISA SUL TITOLO DEL CAPITOLO E LA SCELTA LA SCRIVERò ALLA FINE. 
MI E' PIACIUTO SCRIVERE QUESTO CAPITOLO, NONOSTANTE MI ABBIA FATTO DAVVERO RATTRISTARE. MI AUGURO DI ESSERE RIUSCITA A TRASMETTERVI OGNI SINGOLA SENSAZIONE DEI PERSONAGGI. 
DATEMI I VOSTRI PARERI, RAGAZZI. 
GRAZIE ANCORA AD OGNUNO DI VOI, CHE SEGUE LA MIA STORIA CON ATTENZIONE. 
SPERO DI NON DELUDERVI MAI. 
UN ABBRACCIO E UN BACIO
LILY ♥


 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Ciò che siamo





“Colpo di scena, gente! Colpo di scena!!” strillò al microfono Caesar, balzando sulla sedia e facendo fuoriuscire alcune ciocche arancioni dal codino. “La piccola Shana ha parato il colpo di Catherinne e...” si bloccò con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite.
In quel preciso istante, sul mega-schermo, venne inquadrato il pugnale d'oro impiantarsi nel petto della bambina.
Gli abitanti di Capitol City, dopo qualche attimo di silenzio, scoppiarono in grida di giubilo. Un nuovo assassinio! Era morto un altro Tributo!
Il conduttore non disse nulla, osservando gli occhi della piccola ragazzina velarsi della temibile patina della morte, prima di barcollare lievemente e cadere tra le braccia di Annie Cresta.
Così piccola.. così innocente.
Un'altra vita strappata dalle braccia della famiglia, soprattutto se questa rappresentava due mani in più per lavorare e guadagnare soldi.
Chissà se aveva già chiesto la tessera, la povera Shana. Chissà quante volte il suo nome era comparso nell'urna per poter assicurare del cibo ai suoi famigliari.
Chissà cosa stava provando la madre, obbligata a fissare uno schermo e a trovarsi il volto della figlia morente.
Chissà..
Sentì su di sé uno sguardo penetrante, glaciale.. paragonabile solo alla bufera ghiacciata dell'alto Nord. Come poteva non alzare gli occhi? Non avrebbe potuto ignorarlo.. d'altronde era lui.
Il presidente Snow lo fissò dall'alto del palco sul quale sedeva, le braccia incrociate al petto e una mano che reggeva un bicchiere di champagne. Tutto poteva sembrare tranquillo, se non fosse stato per l'espressione e per lo sguardo d'ammonimento minaccioso che gli rivolse.
Continua a parlare.
Fu come se glielo avesse urlato nelle orecchie a qualche centimetro di distanza. Non osò disubbidire. Purtroppo sapeva fin troppo bene cosa succedeva alle persone che osavano mettersi contro di lui. Per esempio quella povera ragazza, Johanna Mason. Una bellissima ragazza dai tratti duri ed affilati, con profondi occhi neri e capelli corti e sbarazzini. 64Esimi Hunger Games.
Non si sarebbe dimenticato facilmente la ragazzina appena quindicenne, vestita con un semplicissimo vestito marrone e verde, aggressiva e determinata che, durante l'intervista aveva osato qualche battutina non troppo gentile nei confronti dello stesso presidente.
Bella quanto micidiale nell'Arena. Una settimana di giochi, poi fu proclamata vincitrice a tutti gli effetti.
Succede, quando un tributo avvenente e desiderato vince, che la gente lo pretenda e lo voglia per sé, per un'ora, un giorno, una settimana, e che Snow lo inviti -quasi lo obblighi- a godere della compagnia degli uomini e delle donne di Capitol City.
Beh, Johanna non era una ragazza che avrebbe ceduto, Caesar glielo lesse negli occhi neri come il carbone.
In poco tempo la famiglia del Tributo vincitore era morta in circostanze misteriose.
Quindi il conduttore afferrò il microfono e si schiarì la gola, cercando di asciugare il sudore di nascosto, picchiettandosi la fronte con il polso e facendolo passare come un gesto di togliersi i capelli dagli occhi.
“Spettacolare! Un gesto davvero nobile per la piccola Shana! Che la sua anima riposi in pace” disse sorridendo, anche più del necessario.
Vide il Presidente Snow stiracchiare un sorriso felino e tirò un sospiro di sollievo. Ci teneva alla vita, Caesar.






Sono viva....

Fu il primo pensiero di Annie, a cavalcioni sul corpo senza vita di Catherinne, pugnalato all'altezza del cuore, da dove sgorgava pigramente un rivolo di sangue.
Sentiva a malapena i suoni intorno a sé. Era come se tutto fosse immerso in uno strato di gelatina: il canto degli uccelli, lo scrosciare del fiume vicino, il rumore della foresta.. tutto sembrava come trasmesso su una frequenza radio sbagliata.
Aveva il fiatone che le sconquassava il petto.. o forse erano i singhiozzi disperati di chi è consapevole di aver avuto nelle mani il cuore di una persona e di aver stretto troppo i pugni.
Le girava la testa.. l'odore della morte impregnava l'aria circostante, misto a quello del sangue. Era tutto rosso, così rosso da sembrare vivo. O forse erano fiamme? Si era persa nella lava di un vulcano? ...così gelido fluido, allo stesso tempo denso e caldo, imbrattava qualsiasi superficie Annie potesse vedere: le guance sfondate di Catherinne, le sue labbra ceree, il suo petto, le sue braccia... il petto di Shana.. i vestiti..
Gli occhi delle due erano così terribilmente spalancati, sui quali aleggiava l'ombra della sofferenza, come se, anche dopo la morte queste non potessero trovare pace.
Fece per allungarsi verso la piccola ragazzina del Distretto 12, ma quando mosse i muscoli delle gambe, il mostruoso suono dei pantaloni che si staccano da qualcosa di appiccicaticcio e caldo le fece rivoltare lo stomaco. Fortunatamente si sporse sul prato appena in tempo, per evitare di vomitare in faccia a Catherinne.
Ad ogni conato, sperava di poter buttare fuori anche i ricordi e le sensazioni che stava provando, che la stavano corrodendo dall'interno, ma queste, perfide, si aggrapparono alla sua anima e si insinuarono prepotentemente nella sua mente.
Il suo stomaco non riusciva a smettere di rivoltarsi.. iniziò a mancarle il fiato, mentre lacrime bollenti le rigavano le guance.
“Basta.. ti prego..” sussurrò, la testa appoggiata al braccio.
Sordo alla sua preghiera, il suo corpo si ribellò nuovamente alla vista di quello scempio, finché Annie non si ritrovò a vomitare pure bile, accasciata a terra.
Sudata e provata, la ragazza riprese a respirare lentamente, tremando di brividi gelidi che le pervasero il corpo magro. Ponderando ogni movimento, si mosse verso Shana ed allungò la mano per chiuderle gli occhi grigi.. così simili a quelli di Ocean, che le ci volle tutta la forza che aveva in corpo per non ricominciare a vomitare.
Quando li ebbe chiusi, si accorse che, sulle palpebre diafane della bambina, erano impressi due segni rossi. Due cerchi perfettamente uguali, fatti evidentemente con accuratezza.
Si chiese come mai qualcuno si sarebbe dovuto tatuare dei puntini sulla pelle e li analizzò da vicino. Erano di un rosso vivido e splendente e avrebbe giurato che, alla luce del sole, questi avessero brillato.
Anzi, poteva metterci una mano sul fuoco. Era perfettamente visibile la luce del sole in uno dei due.
Ma quale diavolo di pittura poteva lasciare un effetto tanto speciale?
A meno che...
Annie urlò con tutto il fiato che aveva in gola, prima di ricordarsi che non era sola nell'arena, ma che c'erano ancora delle persone che, se l'avessero trovata, l'avrebbero uccisa. Morse il tessuto della propria manica, noncurante del fatto che si fosse presa anche un lembo di pelle. Non smise di gridare orripilata, ma almeno in quel modo il suono uscì ovattato.
Le sue mani, ogni centimetro delle sue mani, fino ai gomiti, era rosso carminio. E non era pittura.
In quel momento si rese conto di essere appiccicaticcia e calda, ricoperta dal sangue delle due ragazze.
Si alzò di scatto, barcollando lontano e piangendo disgustata, terrorizzata e nauseata. Non era dai corpi morti delle due che proveniva l'odore di sangue, ma da sé stessa.
Che cos'era diventata?
Arrancò brancolando verso la cornucopia, cadendo ogni cinque passi e facendo leva sugli steli verde smeraldo sul terreno. Non si guardò dietro.. sapeva che avrebbe trovato la scia rossa lasciata dal suo corpo.
In quel momento, l'unica cosa che doveva fare, era afferrare più armi possibili ed andarsene, ma il dolore alla schiena e alla mascella rendevano tutto più difficile. C'era qualcosa che non andava, ne era abbastanza sicura.
La paura la paralizzò a terra. Che cosa le aveva fatto Catherinne?! Magari l'aveva avvelenata e non se n'era accorta.
“Annie!”.
Una voce la chiamò da lontano.
Non ebbe tempo di ragionare, di analizzare a chi appartenesse. Si accucciò a terra, afferrò un pugnale e lo lanciò alla cieca dietro di sé. Seppe di aver mancato il bersaglio, quando qualcuno l'afferrò per le spalle e la scosse vigorosamente.
“Annie!” ripeté la voce.
La ragazza era troppo stanca per rispondere o per difendersi. Semplicemente si accasciò a terra. Non le importava più niente. Ormai era diventata un mostro, proprio ciò che voleva Capitol City.
Con l'amarezza e la consapevolezza che Finnick l'aveva vista avventarsi come un animale sul corpo di Catherinne, si lasciò afferrare dalle dita gelide dell'oblio.






I passi si facevano sempre più vicini, considerò Lily, col cuore che batteva a mille.
Cosa doveva fare?
Se avesse incominciato ad urlare, probabilmente avrebbe avvertito Euer della loro presenza, in quanto pareva completamente ignaro, ma li avrebbe condotti al nascondiglio e il rifugio non sarebbe più stato l'ideale per gli Hunger Games.
D'altra parte, se si fosse limitata ad osservare la scena, al cento per cento Euer sarebbe morto e Annie non gliel'avrebbe mai perdonata.

Sii sincera con te stessa., le disse una voce proveniente dalla sua testa. In realtà non vuoi rimanere da sola. Sai perfettamente che non saresti in grado di proteggerti. Senza Jace e, soprattutto, senza Euer -se morisse-, non sopravviveresti un minuto.

Scosse la testa, gli occhi spalancati.
Sentiva il suo cuore battere contro il petto così forte che quasi faceva male, le mozzava il respiro. La sensazione di nausea si faceva via via più accentuata e la tempia iniziò a pulsarle violentemente.
Non era vero. Non sarebbe mai stata così egoista.

Ma tu sei egoista. Sempre stata e sempre lo sarai. Pensavi che la gente non l'avrebbe notato solo per quella maschera di dolcezza ed innocenza che ti dipingi in viso ogni giorno? O per quel gesto tanto caritatevole, nel tuo Distretto? Svegliati, Lily! Le persone nonsono stupide come credi. Loro sanno leggere bene gli altri.. sanno leggere bene te. 

Non era vero! Jace sapeva che lei non era meschina, che non pensava solo alla sua salvezza nell'Arena. Lui la stava proteggendo perché le voleva bene.

Lui è un idiota. Pensa di aver interpretato male la tua maschera. Pensa di aver sbagliato. Ti rendi conto? È convinto di essere in errore, che l'espressione che ti legge in volto ogni giorno, sia solo l'ennesima maschera, per celare il tuo tentativo si sembrare egoista. Pensa che tu sia buona.
...buona.. che aggettivo così scontato per le persone. Si pensa che tutti siano per natura buoni.

Io sono buona. Per questo devo avvertire Euer delle persone che stanno arrivando! Io devo.. devo..

Devi fare cosa? Alzarti? Non ce la faresti mai.. 

Provò a far leva sulle braccia, ma era come se un macigno la schiacciasse a terra.
Non sentiva più le gambe, ne le braccia.. come se tutti i suoi muscoli si fossero atrofizzati.
Voleva urlare, ma non riusciva. Voleva piangere, ma non poteva. Voleva correre da Euer... ma non voleva.
Lasciami andare! Urlò disperata alla voce che rideva nella sua testa. Smettila di controllarmi! Io non sono così!
Vattene via!
Quella rise di nuovo e Lily gelò nel sentire le sue labbra sollevarsi in un sorrisetto involontario.
Che le stava succedendo?

Quanto sei ingenua, la sbeffeggiò ancora, nemmeno ti accorgi che, in realtà, io non posso fare nulla. Stai facendo tutto da sola. 
Io... sono te.

NO!
Non era vero. Lei non avrebbe mai lasciato Euer morire. Non sarebbe mai rimasta rannicchiata nella caverna per sfuggire al pericolo.

Tu non hai nessuna intenzione di dire al ragazzo che sta arrivando qualcuno. Sei troppo codarda.. troppo debole. Troppo spaventata. Cosa potrebbe essere una morte in più? Tanto dovranno essere uccisi 23 ragazzi.. cosa cambia se muore ora, o muore poi? 

Forse.. forse aveva ragione.
No! 
Forse davvero lei non voleva alzarsi per aiutarlo. Era qualcosa di inevitabile la morte di Euer. Sarebbe successa e basta..
No!
..perché esporsi ad un rischio così probabile ed inevitabile. Avrebbe fatto finta di non aver sentito nulla, di essersi addormentata, quando sarebbero tornati Annie e Jace.
..no..
...in fondo alle persone veniva naturale crederle..


I passi si avvicinavano. Avrebbe anche potuto essere sicura di quanti fossero. Forse due, o tre.
Non mancava molto. Avrebbero visto Euer tra qualche secondo e il ragazzo sarebbe morto. Magari non avrebbe sofferto. Forse era quello il suo destino.
I Tributi erano solo tante vittime di un gioco mortale. Nessuno si salvava veramente. Si arrancava faticosamente alla vittoria e, solitamente, finiva sempre con un colpo di fortuna. Nessuno viveva.. chi vinceva, moriva dentro.
Era meglio essere morti, quasi.

In fondo, sei una codarda. Il tuo egoismo di farti tenere in vita da qualcuno è stato superato dalla tua paura di morire. Siamo come qualsiasi altro animale. Nient'altro che bestie. 






Euer si stava ancora lavando la faccia nel fiume. Il rumore dell'acqua agiva come tranquillante sul suo corpo. Gli ricordava lo scrosciare delle onde del suo mare, del suo oceano.. gli ricordavano Ocean.
Se chiudeva gli occhi, lei era lì, davanti a lui, che gli sorrideva in quel modo così malandrino e furbo che lo faceva innamorare sempre di più.
I suoi capelli che cadevano a boccoli sulle spalle, color dell'ebano più pregiato; i suoi occhi così profondamente grigi e privi di ombre; il suo corpo così morbido, delicato, dolce, sensuale, giovane e allo stesso tempo maturo; le sue labbra piene e rosee; le guance abbronzate.
Dio, quanto gli mancava.
E quanto gli sarebbe mancata dopo. 
Perché sapeva che non avrebbe mai vinto. Come avrebbe potuto? Non era un ragazzo violento e nell'Arena c'erano combattenti molto più validi di lui.
E poi c'era lei.. Annie.
Sua amica, sua confidente.. sua sorella.
Con che faccia sarebbe tornato al Distretto, senza la ragazza?
Il Distretto 4 non esisteva senza Annie Cresta. Perché, inconsapevolmente, la ragazza era speciale. Era così impegnata ad essere se stessa, che non aveva idea di quanto fosse assolutamente unica.*
Non era stato il solo ad accorgersene.
Ma per il momento non dovevano pensare a quello. Avevano davanti ancora molti giorni di Hunger Games e se avessero incominciato a farsi paranoie del genere, non sarebbero usciti sicuramente vivi.
Finì di sciacquarsi le braccia e la faccia e si mise a sedere sul sasso, tendendo le orecchie per captare qualche suono sospetto.
Uno scricchiolio nel bosco lo allarmò e si tirò in piedi di scatto, brandendo il piccolo pugnale che si era portato dietro.
Fu in quel momento, che si accorse della presenza dietro di sé e qualcosa lo urtò, facendogli perdere l'equilibrio.
Si voltò di scatto, gli occhi spalancati, per vedere il volto del ragazzo del 3 contratto in una smorfia di dolore, cadere a peso morto contro di lui. Non si capacitò del fatto, finché non vide una delle spade di Jace conficcata fino all'elsa della schiena del Tributo, dalla quale zampillava sangue vermiglio.
Alzò lo sguardo, perdendo qualche battito per il sollievo. Annie e Jace erano tornati!
Quello che vide lo ghiacciò.
A due metri da lui era in piedi Lily, ansante per la corsa fatta, le braccia ancora sollevate nel gesto di conficcare la spada nel corpo del nemico.
Che cosa ci faceva fuori dal rifugio?! Doveva stare dentro, al sicuro!
“Lily!” gridò, in un miscuglio di sensazioni che andavano dal terrorizzato al sollevato. Gli aveva appena salvato la vita.
Lei lo fissò, facendo splendere i suoi occhi alla luce del giorno e gli rivolse un mezzo sorriso. Poi le sue labbra pallide, si socchiusero leggermente, in una muta esclamazione di sorpresa e il suo piccolo corpo magro venne sollevato di qualche centimetro da terra.
Entrambi i tributi spostarono lo sguardo sulla lama argentea che, in quel momento, aveva bucato il petto della ragazza e sporgeva quasi prepotentemente dal suo sterno.
“NO!” urlò Euer.
Jeremia, il tributo del 2, sogghignò malignamente e sfilò l'arma in modo brutale dalla ragazza, che cadde a terra come una marionetta a cui avevano tagliato i fili. Senza un rumore.
Senza un gemito.
Con la stessa grazia con cui una goccia precipita da una foglia dopo un acquazzone.
Euer, schiumante di rabbia e pieno di adrenalina per il dolore, la sorpresa e la paura, si scagliò contro l'avversario, colpendolo al petto con il suo intero corpo e ruzzolando a terra insieme, in un groviglio di braccia e gambe.
Gli assestò un pugno in faccia, forse colpendo il naso. Portò il pugnale davanti alla gola di Jeremia, ma questi lo bloccò con le braccia, stringendo il suo avambraccio.
Rimasero a combattere per avere l'egemonia sul coltello, ringhiando come lupi affamati.
Euer, però, era nettamente più forte del ragazzo e riuscì a segnargli il collo con un graffio superficiale.
Jeremia lo scalciò lontano ed il tributo del Distretto 4 rotolò sulle rocce, quasi fino al fiume. Riuscì a fermarsi piantando la punta del pugnale nella crepa tra due massi. In quel modo, però, si ritrovò senza un'arma.
Jeremia avanzò, un ghigno folle che gli piegava le labbra ed il sangue che gocciolava dal taglietto fin dentro la tuta.
Euer, intanto, cominciò a strattonare il pugnale forsennatamente, per liberarlo dalla presa malvagia dei due sassi. Jeremia saltò verso di lui, mulinando la spada sopra la testa.
Sono morto, pensò Euer.
Come se la natura dell'Arena avesse sentito il suo pensiero sconfitto, il coltello scivolò fuori dall'insenatura e, in un gesto disperato e alla cieca, si piantò nell'addome del tributo avversario.
Euer rimase a guardare, basito ed ansimante, il corpo di Jeremia barcollare davanti a sé, le braccia che si abbassavano, ormai prive di forza contro di lui, per tentare un ultimo disperato affondo prima della morte.
Non ce la fece.
Il ragazzo cadde con un tonfo nel fiume. L'acqua di colorò di rosso e lui fu portato via dalla corrente.
Euer si alzò con fatica e corse verso Lily, ormai grigia, che sbatteva i denti come una bambina. Forse nel piccolo corpo magro della ragazza, c'era ancora quel poco sangue che bastava per colorarle tenuemente le labbra.
“Lily” balbettò, fissandola sgomento.
La ferita non era curabile: l'aveva trafitta da parte a parte. La sua fine era scritta in qualsiasi suo movimento o sguardo.
Invece di darsi per vinto ed accettare la dura verità, Euer posò entrambe le sue mani sul taglio slabbrato sullo sterno di Lily e fece pressione.
Lei tossì e sputò sangue sulle braccia del ragazzo.
“Scu.. scusa...” sussurrò.
“Non fa niente.. non fa niente. Ora stai calma.. ti cureremo..” riuscì ad articolare il moretto. Le parole gli uscivano strozzate dalla gola, faceva troppo male. Sentì gli occhi pizzicargli e una lacrima cadde sulla guancia esangue di Lily.
Nonostante fosse chiaro che non sarebbe sopravvissuta nemmeno qualche minuto, lei annuì, forse per rassicurare lui più che sé stessa.
“Mi.. dispiace..” continuò.
“No, no. Tu mi hai salvato. Ti sarò per sempre grato..” singhiozzò. Ormai tenere la ferita premuta non gli sembrava nemmeno più il caso. Forse le faceva solo male. Le accarezzò i capelli con dolcezza, mentre lei scuoteva il capo.
“..no.. io ho avuto paura.. sono solo..” tossì “..una codarda..”. L'ultima parola le uscì in un soffio appena udibile.
“Lily, tu mi hai salvato la vita! Non sei stata codarda.. sei stata immensamente coraggiosa” le disse Euer, cercando di controllare il tremito della voce.
Lui non capiva.
Lui non aveva sentito la voce nella sua testa.
“..avevo paura di morire.. non volevo.. uscire dalla.. grotta... volevo solo scappare...” sussurrò. Una lacrima le rigò la guancia, perdendosi nei suoi capelli sudati.
Il respiro le si fece roco, un rantolo.
Ebbe paura.
“Ma sei restata. Tu sei restata per me. Sei venuta a salvarmi”
“..lei diceva che... ero egoista..” continuò. Non le rimaneva molto tempo per spiegare. Doveva fargli capire la verità.
“Chiunque fosse si sbagliava. Ora stai tranquilla..” la pregò lui, senza smettere di passarle le mani sul viso.
“...che portavo una... maschera per.. ingannare tutti...”. sputò sangue, ancora.
“Lily..”
“...non sono.. una... una persona buona... Euer...”
“Lily ascoltami! Tu mi hai salvato la vita. Sei uscita da quella grotta, anche se avevi paura. Anche se lei diceva che fossi una codarda!” non sapeva chi fosse la persona di cui stava parlando Lily. La assecondò e basta. “Tu l'hai sconfitta. Le hai dimostrato che sei di più di ciò che riteneva. Le persone sono ciò che scelgono di essere, e tu, oggi, hai scelto di essere coraggiosa e di difendere ciò che ritenevi giusto.” concluse con enfasi.
Non si era accorto di aver alzato la voce, né di aver stretto le mani sulle spalle di Lily.
Gli occhi velati da lacrime e morte di Lily si illuminarono e, finalmente, un sorriso vero le piegò le labbra, ormai bianche.
“...io ho scelto... di essere coraggiosa...” ripeté e, ancora con un'ombra di sorriso sul volto, chiuse gli occhi per sempre.
In quel momento, Euer poté lasciarsi andare e piegarsi sul corpo piccolo della ragazza a cui doveva la vita, singhiozzando al cielo l'ingiustizia degli Hunger Games.
Rimase in quella posizione, imbrattandosi i vestiti del sangue denso di Lily, finché non udì dei passi avvicinarsi.
“NON LA TOCCATE!” ringhiò, mettendosi in posizione di difesa, come la mamma lupo che difende il corpicino senza vita di uno dei suoi cuccioli.
Non distinse nemmeno i volti delle persone, dallo strato di lacrime che gli appannava gli occhi verdi, finché non avvertì il profumo di Annie e le sue braccia calde intorno al suo collo.
“E' tutto finito...” gli sussurrò all'orecchio, accarezzandolo dolcemente.
Euer singhiozzò ancora più forte e i suoi lamenti di dolore si mescolarono a quelli di Jace, inginocchiato di fianco alla sua amica, tenendole una mano diafana e fredda vicino al cuore.
“Mi dispiace....” pianse, come se Lily potesse ancora sentirlo. “Mi dispiace così tanto... scusami...” le spalle sconquassate dai singhiozzi. “..avrei dovuto proteggerti... e sei morta. Sei stata forte fino alla fine...” concluse, prima che la sua voce si trasformasse in un gemito prolungato.
E così si venne a conoscenza della storia della piccola Lily, che per tanto tempo aveva combattuto contro una malattia, fino ad arrivare a darsi volontaria per una ragazza qualsiasi del suo distretto. Non sapeva se sarebbe morta o no, nell'Arena, ma se ne sarebbe andata comunque e aveva voluto farlo regalando un anno in più ad un'altra persona, che forse lo avrebbe sfruttato più di lei.

Quindi.. Amen, per la piccola Lily, che aveva combattuto contro una malattia.
Amen, per la giovane Lily, che non aveva ceduto di fronte alla sua stessa mente che le aveva suggerito di scappare.
Ed infine.. Amen, per Lily, la ragazza coraggiosa del Distretto 7.




*Frase presa dal libro "Colpa delle Stelle". 

MINI ANGOLO DELL'AUTRICE ANCHE QUA SOTTO.. 
VORREI SOLO AGGIUNGERE CHE LA MORTE DI LILY MI HA LASCIATA DAVVERO SENZA FORZE. HO SCRITTO CON IL CUORE IN GOLA PERCHE' ERA UN PERSONAGGIO CHE MI PIACEVA DESCRIVERE E CHE, NEL SUO PICCOLO, HA AVUTO UNA SUA STORIA. 
HO ADORATO DESCRIVERE IL SUO CONFLITTO INTERIORE E, SOPRATTUTTO, SONO STATA ORGOGLIOSA DELLA SUA SCELTA FINALE. 

SECONDO APPUNTO.. IL CAPITOLO, INIZIALMENTE, AVREBBE DOVUTO INTITOLARSI "WHAT I'VE BECOME" (COSA SONO DIVENTATA), RIGUARDO ANNIE. 
POI, SUCCESSIVAMENTE, HO DECISO DI DEDICARLO INTERAMENTE A LILY, PERCHE' CREDO CHE SE LO SIA MERITATO. 
A VOI I COMMENTI. GRAZIE ANCORA PER IL SUPPORTO ♥

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Capitolo 26
*** Caduta libera ***


CIAO RAGAZZI!
CHE VERGOGNA.. SE VOLETE VI DO LìINDIRIZZO DI CASA MIA E VENITE A PRENDERMI A RANDELLATE COME UNA FOCA FINCHE' NON VI SENTIRETE MEGLIO. ORMAI LO SAPETE CHE FACCIO DEI RITARDI CHE FANNO SCHIFO! E MI DISPIACE, NON NE AVETE IDEA!
H SCRITTO QUESTO CAPITOLO STAMATTINA, PRESA BENISSIMO PERCHE' MI SONO ARRIVATI DEI MESSAGGI IN CUI PERSONE MI CHIEDEVANO PER FAVORE DI CONTINUARE. E IO HO VOLUTO, ANZI MI SONO SENTITA IN DOVERE DI METTERMI A SCRIVERE!
VORREI ANNUNCIARE CHE NON  MANCA MOLTO ALLA FINE DI QUESTA STORIA E MI STA QUASI VENENDO DA PIANGERE, PERHE' POI NON SAPREI DAVVERO COME FARE A NON PENSARCI! MAGARI SCRIVERO' ALTRE STORIE COME QUESTA, NON SO. SPERO CHE MI SEGUIRETE LO STESSO, ANCHE SE I MIEI RITARDI SARANNO LAMPANTI. CREDO CHE LA SCRIVERO' PRIMA TUTTA E POI PUBBLICHERO', COSI' NON DOVRO' SPENDERE TEMPO ANCHE A SCRIVERE NUOVI CAPITOLI QUANDO NON HO TEMPO! D:
VI LASCIO AL CAPITOLO!

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE



 
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Caduta libera






 
Il polso si stortava e le dita si socchiudevano dalla morsa in cui imprigionavano il pugnale e questo partiva veloce e dritto, fino ad impalarsi nel centro esatto del petto della ragazzina.
Avrebbe potuto fermarla. Avrebbe potuto aiutarla, magari facendole perdere l'equilibrio e facendola cadere, in modo che l'arma la sfiorasse.
Avrebbe potuto fare tante cose, Annie Cresta, in quel preciso momento.
Non poteva negare di non aver visto con la coda dell'occhio il Tributo femmina così micidiale, scagliare il pugnale. E soprattutto non avrebbe mai potuto negare di non averci pensato. Perché era ovvio che quella sarebbe stata la mossa successiva in quella danza di morte.
Invece era rimasta a terra a guardare, ancora stordita dal dolore. A guardare la piccola accasciarsi su se stessa. Vedere la vita scomparirle dagli occhi più veloce del fulmine che illumina il cielo nero e carico di pioggia.
Se solo le fosse venuto in mente di afferrare la bambina e ripararla col suo corpo.. se solo avesse intuito le intenzioni di Catherinne.
Tutto quel sangue.. rosso ovunque... sulle sue mani, sulle sue braccia. A sporcarle il viso e ad entrarle prepotentemente nelle narici, invadendo la sua testa.
Il rumore della carne colpita, dilaniata dalle sue stesse mani. Il crack delle ossa che si rompono.. tutto sempre più rosso..
“Annie?”.
La voce di Euer la fece tornare nella realtà.
La ragazza fissò il compagno con gli occhi spalancati, mentre mille domande preoccupanti le ronzavano in testa.
Che le stava succedendo?
Lei era seduta con la schiena contro la parete rocciosa.. non era nel prato insieme a Shana e a Catherinne. Nessuno le stava uccidendo... non lei...
Erano già morte.
Si guardò le mani, alzandole al livello del viso e le esaminò col cuore in gola. Il respiro non era affatto regolare: il petto le si alzava così velocemente che quasi l'aria non riusciva ad arrivarle nei polmoni. Si sentiva soffocare.. e non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine delle sue mani completamente rosse di sangue.
Un lampo carminio le saettò davanti agli occhi. E lei era di nuovo là, con le due ragazze morte, ricoperta di sangue... l'odore di morte così forte che le provocò un brivido ed un conato di vomito.
E le sue mani... erano rosse... come il sangue più puro... quello che schizza a getto fuori da una ferita. Come quando miri al cuore... o al petto di una ragazzina...
“No!!” gridò Annie, singhiozzando.
“Annie! Annie!”. Euer provò a chiamare l'amica, ma questa sembrava sconnessa dal mondo, rifugiata in una realtà costruita alla base di incubi e sofferenza.
“Annie! Guardami! Sei qui con me... con Euer. È tutto finito! Non è colpa tua”. Non sapeva nemmeno quello che stava dicendo. Qualsiasi cosa pur di far calmare la ragazza.
Non riusciva a riconoscerla.
Dov'era l'Annie Cresta del Distretto 4? La ragazza spensierata e piena di vita, grintosa come poche e assolutamente indistruttibile?
Capitol City non poteva prendersela. Aveva rubato fin troppo ai Distretti, era il momento di dire basta.
“Annie, respira. Sei al sicuro” ripeté con voce profonda.
Finalmente gli occhi verdi della ragazza si illuminarono della solita luce familiare e calda di sempre e la vide respirare a fondo. “Ci sono..” sussurrò. “E' solo che è.. difficile. Io non.. ho solamente voluto difenderla..”.
“Sssst. Lo so. L'hai fatto per lei” mormorò Euer abbracciandola, avvicinandosela al petto e cullandola. Aveva abbandonato una delle due ragazze Cresta, forse per sempre, non avrebbe mai permesso che anche l'altra si allontanasse da lui.
In quel momento entrò nella grotta Jace, i capelli scompigliati e la spada sguainata. “Non c'è in giro nessuno, per il momento. Non possiamo rimanere qui troppo a lungo. I Favoriti ci troveranno.. o gli Strateghi faranno in modo che succeda. Credo sia meglio spostarci verso la montagna”.
“La montagna? È lontana ore.. forse uno o due giorni” protestò Euer, lasciando andare Annie e permettendole di sistemarsi.
Gliene fu molto grata; prese un profondo respiro e si tirò in piedi.
“Ha ragione Jace” assentì. “Non possiamo rimanere qui per molto. Faremmo una fine più tragica per mano degli Strateghi che per quella di altri Tributi.”.
Raccolse il proprio zaino e si appuntò i vari pugnali alla cintura, passandosi un arco intorno alle spalle, bottino dell'ultimo tremendo incontro con i Favoriti.
Erano passati solo tre o quattro giorni e già la ragazza era stanca di tutto ciò. Come poteva vivere Capitol City di un simile spettacolo da 70 anni?
Si misero in cammino, saltando agilmente da una pietra all'altra per attraversare il fiume, che pareva molto più pieno dei giorni precedenti. L'acqua sfiorava dolcemente gli scarponi dei tre tributi e produceva un suono molto simile a quello che Annie aveva sentito quando aveva ucciso Catherinne.
Il pensiero le mozzò il respiro in gola e le immagine della ragazza, completamente livida e deturpata dai suoi colpi, le sfilarono malignamente davanti ai bei occhi verdi.
Sono un mostro, pensò disgustata, fissando con ribrezzo la propria immagine riflessa nell'acqua limpida.
Come l'avrebbe guardata Finnick dopo quello che aveva fatto e che avrebbe continuato a fare? Era solo una sporca assassina...
“Annie?” la chiamò Euer con voce calma.
Lei si riscosse dai suoi pensieri e gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Tutto bene?”
“Si.. grazie” rispose meccanicamente.
Jace, da dietro, sbuffò sonoramente e lasciò cadere a terra il proprio zaino. La afferrò per le spalle non molto gentilmente e la scrollò, mentre Euer esclamava con disappunto.
“Annie! Non puoi lasciare che ti accada quello che ti macchina nella testa in questo momento” le disse risoluto, a qualche centimetro dal suo volto. “Ho visto quello che è successo nella radura..” continuò “..sangue ovunque: sui due corpi, a terra, su di te...”
“Jace smettila!” si divincolò Annie, scuotendo il capo.
Non le serviva qualcuno che le rendesse le immagini ancora più vivide nel cervello.
“Non puoi continuare ad addossarti la colpa di quello che hai dovuto fare. Ti sta facendo perdere la testa”
“Io non.. sto perdendo la testa”. Ora la ragazza aveva alzato le difese e affilato lo sguardo. Lei stava benissimo..
Jace scoppiò a ridere ed il tono, freddo e ironico, la fece rabbrividire.
“Pensi che non ci siamo accorti dei tuoi momenti di completa apatia? O delle tue reazioni ad un rumore improvviso? Annie, questo non è stare bene”.
“Ma tu che ne vuoi sapere di star bene?! Hai picchiato una ragazza così tanto da avergli sfondato la cassa toracica e quindi deciso di ucciderla per non farla soffrire? Sei tu quello che è stato ricoperto del suo sangue da capo a piedi?!”. Ormai anche cercare di trattenere la propria rabbia se sembrava impossibile.
Notò fugacemente lo sguardo scioccato di Euer. Lui non sapeva che cos'era successo nella radura. Non era venuto a salvarla, come Jace. Era rimasto alla grotta con Lily.
Non le importava che cos'avrebbe pensato. Sicuramente sarebbe stato fin troppo buono con lei, cosa che il suo io interiore non stava facendo affatto.
“E ti senti in colpa per averlo fatto?” le domandò Jace. I suoi occhi, sempre così pacati, ardevano di un fuoco del quale non riusciva a riconoscere l'origine.
“Non dovrei? Ho ucciso una ragazza!”.
“Ti sei solo difesa! Ti avrebbe ammazzato! Anzi, credo che tu sia stata fin troppo clemente nell'averla pugnalata, per farla smettere di soffrire. Fossi stato io, quella bastarda sarebbe rimasta a terra per ore”.
Ma ti senti quando parli?!!!” urlò Annie. “Era una persona e aveva una famiglia che l'aspettava nel suo Distretto. E io l'ho uccisa! Ho portato via loro una figlia! E tu sei contento di questo?!”.
Non aveva mai pensato che Jace potesse essere così crudele.
In quel momento risuonò nell'aria il suono di un cannone, segno che un altro tributo era stato ucciso.
Quando sento il suono del cannone” disse il ragazzo tra i denti “è musica per le mie orecchie”.
Annie affilò lo sguardo e sguainò il coltello. “Credo che il pazzo qui sia tu” sibilò. “Euer, allontanati da lui” intimò all'amico, ancora spettatore della disputa.
“Annie, stai tranquilla. Jace non mi farebbe del male” la tranquillizzò il fidanzato della sorella, senza sortire l'effetto desiderato.
“Ma non vedi quello che sta succedendo?!” gli domandò lei. “Ha detto che è felice quando qualcuno muore!”.
“Annie, per forza deve esserlo!” tentò Euer “Nessun partecipante degli Hunger Games ne esce con le mani pulite. Sono tutti qui per uccidere e se non si vuole morire, per forza bisogna diventare assassini” le spiegò, con le mani alzate in segno di pace.
“Ma sei diventato pazzo? Vuoi uccidere una persona?!”. Dovette soffocare la voce mordendosi le labbra, per non strillare e non fare altri danni.
“Non ho detto che voglio, ma che se voglio rimanere in vita dovrò farlo. Ascolta Annie, ho meno voglia di te di diventare un assassino e capisco il tuo sconvolgimento per aver ucciso quella ragazza, ma preferiresti essere morta tu? Mi avresti lasciato da solo, solamente per non diventare un'assassina? Il nostro destino da.. da mostri è stato scritto appena i nostri nomi hanno sfiorato le dita di Milly!” concluse quasi con il fiatone.
Annie rimase in silenzio a fissarlo, le parole del ragazzo che le passavano nel cervello a velocità inaudita, tutte accompagnate da un'immagine precisa.
E poi.. la promessa, quella che l'avrebbe riportato a casa. Come avrebbe potuto salvarlo e farlo vincere se non avesse iniziato a proteggerlo seriamente? Non si riconosceva più. Dov'era finita l'Annie Cresta pronta a lottare a costo di farlo uscire vincitore?
“Avete ragione” disse, stringendo i pugni. Poi strinse il pugnale tra le mani e passò in testa al piccolo gruppo. “Dobbiamo muoverci, prima che qualcuno ci trovi. Camminate con gli scarponi nell'acqua, non lasceremo impronte”.
Euer sorrise lievemente; la sua Annie aveva vinto ancora.
“Una volta arrivati sulla montagna cosa faremo?”
“Il piano d'attacco” rispose Jace ed Annie non ribatté, sapendo che quella era la pura verità.




Camminavano da quasi due giorni e avevano sentito il cannone tuonare quattro volte. I volti dei Tributi morti si presentavano tutte le sere al calar del sole e, ormai, i due ragazzi del Distretto 4 sapevano a memoria i loro nomi.
L'ultimo ad essere ucciso fu il ragazzo dell'11, nel bel mezzo della prima notte ed il rumore fu così assordante e maledettamente vicino che i tre si erano svegliati convinti di essere loro i prossimi.
Eppure, fino a quel momento, nessuno si era presentato nel loro cammino.
“Sono tutti ad ammazzarsi nella radura” aveva detto Jace, mentre riposavano. “E' il luogo perfetto per attaccare. A nessuno verrebbe in mente di rifugiarsi lontano. Negli Hunger Games nessuno pianifica; tutti partono spediti con la scure in mano, per staccare la testa ad altri.”
Euer, tutte le volte che sentiva queste considerazioni, rabbrividiva, ma non poteva far a meno di essere d'accordo. Stavano solo cercando di rimanere in vita il più possibile.
Finalmente al terzo giorno arrivarono su una sporgenza della montagna ideale per spiare tutto il resto dell'Arena.
“Qui avremo la visuale perfetta” disse Jace, sedendosi sulla roccia fredda. Sfilò dallo stivale un piccolo pugnale, con il quale iniziò a tracciare i confini visibili dell'Arena e i vari particolari significativi.
“Qui c'è la foresta” lo aiutò Euer, puntando il dito sullo spazio vuoto.
“E questo è la valle a V sotto di noi” aggiunse Annie. Quel canalone che stava sotto ai loro occhi era davvero qualcosa di spaventoso: pareva una grande ciotola di roccia impermeabile, dalla quale non si poteva scappare. Le vennero i brividi su tutta la schiena e preferì andare in ricognizione.
“Vengo con te” propose Euer.
“No, tu servi qui” replicò spiccio Jace. “Mi devi aiutare a finire questa bozza di cartina. Sei intuitivo e sicuramente vedi più lontano di me. Annie sa cavarsela da sola, non è così?” domandò, guardandola con le sopracciglia alzate.
Lei annuì e, per rassicurare l'amico, sfilò dalle spalline del suo zaino anche l'arco, oltre che i tre pugnali.
“Torno prima che faccia buio” promise, poi si mise in marcia verso la cima della montagna.
Non essendoci sentieri, fu più difficile del previsto: in molti punti dovette arrampicarsi letteralmente, aiutata da alcune sporgenze di roccia levigata, che le permisero di far leva e portarsi più in alto.
Non faceva freddo, anzi, si sentiva quasi troppo accaldata. Colpa ovviamente degli strateghi. Chissà che avrebbero inventato quella volta per stanarli tutti.
Il sole stava incominciando a calare ed alcuni raggi avevano già sfiorato dolcemente i rami più alti degli alberi più lontani, colorando il tutto di un acceso arancione. Era uno spettacolo mozzafiato e sicuramente sarebbe rimasta a bocca aperta, se non si fosse trovata nell'Arena.
Tutto quello le fece pensare Finnick. Chissà cosa stava facendo? Sperò vivamente che fosse tutto a posto a casa. E Ocean? Stava guardando anche lei gli Hunger Games?
Come un lampo a ciel sereno, il volto di Shana le comparve davanti agli occhi, seguito da quello di Catherinne. Si mozzò in gola e fu più istinto di sopravvivenza che altro, che le impedirono di cadere.
Strinse gli occhi con forza, tanto che iniziò a vedere alcune luci verdine davanti alle palpebre.
Non poteva succederle in quel momento. Non ancora..
Respirò a lungo, prima di tornare a rivolgere gli occhi al paesaggio.
Erano morte, ormai. Non ci avrebbe più potuto far niente.
Erano morte, ripeté mentalmente. Erano morte.
Morte.
Morte.
Morte.
Le scappò un gemito dalle labbra e una delle due mani perse l'appiglio dalla roccia e, per lo spavento, i piedi scivolarono. Lanciò un urlo strozzato, quando si ritrovò aggrappata alla pietra con solo una mano, a guardare lo strapiombo sotto di sé e calcolare mentalmente le probabilità di atterrare viva.
Ovviamente meno di zero.
“Tranquilla, Annie..” sussurrò tra i denti.
Fece per sollevare il braccio per aggrapparsi nuovamente, quando sentì un piccolo oggetto scivolarle sull'orlo della tasca dei pantaloni.
Abbassò gli occhi e, con orrore, constatò che la pietra che le aveva regalato Finnick le sarebbe caduta a momenti.
Non ci avrebbe potuto fare nulla, ma non poteva perderla. Era l'unica cosa che la teneva ancora legata al ragazzo. L'unico oggetto che l'avrebbe accompagnata lungo il percorso spaventoso che avrebbe intrapreso.
Con il più grande sforzo della sua vita, anziché spostare la mano sulla pietra, lentamente, la diresse verso la sua tasca, consapevole che al primo minimo cambio di equilibrio, sarebbe caduta.
Dai, dai, ti prego... sibilò mentalmente. Non poteva non farcela. Era arrivata fino a lì, non poteva arrendersi proprio in quel momento.
Con la punta dell'indice sfiorò la superficie del sassolino e sorrise trionfante, ricacciandolo dentro, ma, a causa del sudore, l'altra mano perse l'appiglio ed Annie Cresta si ritrovò a cadere.













 
 

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Capitolo 27
*** Treacherous Waters ***


CIAO A TUTTI RAGAZZI!
MI SENTO IL PEGGIOR VERME DELLA STORIA DI TUTTI I VERMI! ...
AVETE TUTTE LE RAGIONI DI ODIARMI, SICOME SONO SPARITA PER QUASI TRE EPOCHE SENZA FARMI SENTIRE!

NONOSTANTE NON IMPORTI, NON HO DEBITI ☺☺☺
SPERO DAVVERO CON TUTTO IL CUORE DI RIUSCIRE A POSTARE ALTRI CAPITOLI ABBASTANZA VELOCEMENTE!
DAL 16/06 AL !6/07 SARò IN INGHILTERRA, QUINDI IN QUEL PERIODO SPARIRO.. NON CHE SIA UNA NOVITA'!
SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA!
UN BACIONIE, LILY ♥♥♥

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 
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Treacherous Waters





Si dice che, qualche istante prima di morire, una persona possa vedere la propria vita passarle davanti agli occhi, avvenimento dopo avvenimento, senza tralasciare nessun particolare.
Come un veloce riassunto di ciò che è stato fatto, per constatare se realmente quello che si è vissuto, sia stato degno del il soggetto.

In quei brevi secondi che la separavano dalle rocce e dallo strapiombo, però, Annie Cresta non vide nulla. Nessun flash, nessun ricordo, nessuna immagine che potesse riportarle davanti agli occhi la sua vita.
Per quanto folle sarebbre potuto sembrare, la ragazza sperava in qualcosa. Non voleva morire senza aver ricordato nulla: sua sorella, il Distretto, Finnick, Euer, Jace, Lily...
Al momento, però, erano solo nomi senza volto perché, crudelmente, il suo cervello si stava rifiutando di fare un qualsiasi collegamento.
Non avrebbe mai pensato che sarebbe finita in quel modo: Annie Cresta, tributo del Distretto 4, morta nell'Arena dei 70esimi Hunger Games, caduta da un crepaccio.
Il sasso di Finnick le bruciava a contatto con i pantaloni, sulla coscia. Avrebbe tanto voluto prenderlo per ammirarlo ancora un'ultima volta, ma sapeva che non avrebbe avuto tempo. L'aria le fischiava nelle orecchie e, per la prima volta nella sua vita, Annie si trovò a pregare.
Fu quasi buffo come la preghiera le si formulò nella mente, nitida come se l'avesse ripetuta centinaia di volte, quando in realtà non era stato così.
Annie non aveva mai pregato. Nonostante i suoi genitori l'avessero spinta a farlo molte volte, la ragazza fin da piccola non ne aveva trovato il senso pratico. Come avrebbe potuto credere a un Dio che permetteva tutto quello? Che permetteva il massacro annuale di 23 ragazzi?
Ancora più buffo fu che la preghiera le venne in mente ancora più velocemente del volto di Finnick.

Ti prego, a qualsiasi costo, salvali.

La caduta durò meno di quanto si era aspettata, perché dopo un attimo la schiena di Annie sbatté contro il suolo roccioso.
L'impatto non fu devastante, ma le conseguenze non furono così salutari per il suo corpo: non aspettandosi una discesa così breve, non aveva nemmeno pensato di espellere tutta l'aria dai polmoni, come le avevano insegnato durante le lezioni precedenti agli Hunger Games. Quindi questa le rimase nella cassa toracica e le fece da rinculo non appena si schiantò a terra.
La testa le esplose e la vista le si oscurò immediatamente.
Un dolore lancinante le spaccò la testa e iniziò a sentire un liquido caldo e denso colarle nelle pieghe del collo della sua maglia e scivolarle sulla pelle della schiena.

Sangue.

L'odore di sangue iniziò ad impregnarle le narici e i conati di vomito si presentarono prepotentemente, sconquassandole lo stomaco e puntellandole la testa di fitte sempre più aggressive.
Sapeva che se fosse rimasta sdraiata supina, avrebbe potuto morire asfissiata o soffocata dal suo stesso vomito.
Reprimendo un gemito di dolore fece leva sul gomito sinistro, che le permise di sollevare parzialmente il busto, per poi lasciarsi cadere su un fianco, senza fiato.
Non si sarebbe potuta alzare velocemente, perché sul piano fisico sapeva che non ne avrebbe avuto la forza, quindi si mise a controllare che la caduta non le avesse provocato danni irreversibili.
Siccome aveva fatto leva su quello, sapeva che il braccio sinistro non aveva subito grossi danni, ciononostante mosse lentamente le dita della mano e quando fu sicura che tutte e cinque rispondevano ai suoi comandi passò al braccio destro.
Si accorse subito che era messo peggio dell'altro, perché anche tenendolo fermo lo percepiva bollente e pulsava in maniera inquietante. Era come se qualcuno lo avesse circondato con un panno bollente e stretto ben saldo.
Ciò che preoccupava maggiormente la ragazza erano le gambe. La frattura di una di queste avrebbe rappresentato una morte pressoché sicura per lei, se avesse dovuto affrontare uno scontro corpo a corpo.
Mosse lentamente le dita dei piedi e successivamente le caviglie, respirando affannosamente tra i denti serrati, terrorizzata dal ricevere altre stilettate di dolore.
Questo non si presentò, nemmeno quando, con molta calma, sollevò prima una e poi l'altra gamba da terra.
Nonostante fare quei movimenti rappresentasse una fatica fisica quasi insostenibile, Annie tirò un sospiro di sollievo nel constatare che, per essere caduta da un'altezza rilevante, ne fosse uscita solo con un braccio fratturato.
Non aveva ancora tenuto conto della botta alla testa, che avrebbe esaminato una volta in piedi.
Devo alzarmi.., pensò, sbattendo le palpebre più e più volte, per mettere a fuoco ciò che la circondava.
Il primo tentativo per mettersi seduta fu fallimentare: non riuscì a sopportare i giramenti di testa e le macchie scure davanti agli occhi.
Dopo qualche prova, finalmente si sedette abbastanza stabilmente, ancorando le mani sul suolo.
Si concesse qualche respiro profondo, non riuscendo a trattenere una smorfia di dolore quando strinse. Cercò di scacciare il male alla nuca e sollevò la testa, per constatare quanto tempo ci avrebbe rimesso per la salita: non era molta come distanza, ma dopo un colpo alla testa aveva meno probabilità di scalare senza nessun problema.
Annie sapeva perfettamente che si sarebbe dovuta ristabilire per poter tornare, ma negli Hunger Games non esisteva il lusso del riposo. In quel momento le sarebbero potuti piombare addosso tutti i tributi avversari e lei non sarebbe stata in grado di reagire.
Fece leva sulla mano sana e, aggrappandosi alla parete della roccia, si sollevò.
Non riuscì a reprimere un sospiro di sollievo quando notò che le sue gambe l'avevano retta e probabilmente avrebbero continuato a farlo.
Iniziò a scalare la parete rocciosa, mentre il dolore sordo alla nuca le picchiava contro il cervello e il sole del tramonto stranamente caldo e battente non le dava tregua. Con un braccio rotto, poi, l'impresa le appariva quasi paradossale e di fatti non passarono due minuti che dovette abbandonare l'idea.
Se ci fossero stati Jace o Euer sicuramente avrebbero saputo cosa fare, come medicarla.
Rifletti Annie, si disse, pensa come loro.
“Devo steccare il braccio” mormorò tra sé e sé.
Ovviamente non c'era niente in quel posto, se non un mucchio di sassolini e macerie; non spuntava nemmeno un filo d'erba e neanche un legnetto.
Stava quasi per abbandonare l'idea che il suo occhio cadde sull'arco, caduto poco più in là con lei.
Non aveva mai fatto nulla del genere; non si era nemmeno mai presa la briga di cimentarsi in infermieristica al Distretto 4. D'altronde chi potrebbe pensare che negli Hunger Games qualcuno abbia bisogno di un'infermiera. In quei giochi spietati e tirannici esisteva solo la morte e chi era troppo debole per sopravviverle.
Prese il manico dell'arma, ben conscia che non avrebbe più avuto nulla con cui difendersi, in caso di attacco e staccò la corda. Questa vibrò nell'aria, schioccando rumorosamente quando venne liberata.
Si appoggiò la parte in legno sotto il braccio ed iniziò, con qualche difficoltà, ad avvolgerle intorno il filo, facendo ben attenzione a non stringere troppo, finché non si ritrovò un braccio rozzamente steccato.
La difficoltà sarebbe stata aggrapparsi alla pietra nuda con la mano, che iniziava a gonfiarsi e ad assumere un malsano colorito blu.
Stringendo i denti, Annie ricominciò la salita.
Decise di puntellarsi facendo leva sul gomito del braccio fratturato, per non peggiorare troppo le condizioni, scoprendosi abbastanza agile per avere un braccio rotto.
Centimetro dopo centimetro si arrampicò tra le insenature della parete rocciosa.
Salì sempre di più, fermandosi brevi secondi per controllare la steccatura e per riprendere fiato.
La testa le martellava ed il senso di nausea non l'aveva mai abbandonata, ma non poteva mollare proprio in quel momento, non quando aveva promesso ad Euer che sarebbe tornata.
Finalmente raggiunse uno spiazzo piano, su cui si issò per riposare. Affacciandosi, poté constatare che di aver guadagnato parecchia distanza dal punto in cui era caduta.
Fu in quel momento, mentre stava fissando l'orizzonte e il panorama dell'arena, che al suo orecchio giunse un suono nuovo, un rumore soffocato, non molto lontano da dove si trovava.

Acqua.


Riprese a camminare e ben presto i suoi stivali iniziarono a calpestare sassolini bagnati, che scricchiolavano sommessamente sotto i suoi piedi. Anche l'aria si impregnò dell'umidità tipica di quando si è nei paraggi di una distesa d'acqua.
Eppure Annie, per quanto si guardasse intorno non riusciva a scorgere nessun bacino, nessun fiume né ruscello e neppure una flebile sorgente di montagna.
Non è possibile, pensò facendo scorrere gli occhi verde mare intorno a sé. Il rumore era aumentato notevolmente e, si accorse la ragazza, gli animali che popolavano il sottobosco che aveva intravisto nell'Arena erano scomparsi.
Addirittura gli uccelli sui rami avevano smesso di cantare e la osservavano curiosi, scuotendo le piccole teste colorate, come ad avvertirla di non spingersi oltre.
Annie iniziò a sentire il suo cuore battere veloce e prepotentemente. Nonostante cercasse di concentrarsi, il suo cervello rimaneva come avvolto da una una coltre di nebbia.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione: un rivolo d'acqua cristallina zampillava da una spaccatura di una parete rocciosa alta quasi dieci metri.
La ragazza si avvicinò alla sorgente, che non mostrava nulla di minaccioso o terrificante. Anzi, l'acqua appariva decisamente fresca e pura, esattamente ciò che ci si aspetta di incontrare in alta montagna.
Annie bevve avidamente e si bagnò i capelli e il taglio sulla nuca, toccandolo per la prima volta.
Subito le sue mani e l'acqua si macchiarono di sangue rosso carminio, che iniziò a gocciolarle lungo il collo e sotto il mento, mentre lei si fregava delicatamente la ferita: al tatto non sembrava molto profonda, ma era probabile che il colpo le avesse causato un trauma cranico, seppur lieve.
Dopo aver bevuto ed essersi rinfrescata, un dubbio iniziò a consolidarsi nella sua mente: com'era possibile che dell'acqua fuoriuscisse da una parete rocciosa?
Scartò immediatamente l'idea della falda acquifera, perché in tal caso sarebbe stata leggermente calda e non così pulita.
Alzò lo sguardo verso la cima della parete: non era affatto una buona idea e il tempo stringeva, ma dentro di sé sentì che era fondamentale salire.
Questa volta, per sua fortuna, trovò molto più semplice la scalata, siccome la parete era costellata di prese e appigli comodi e larghi, che le facilitarono anche l'uso del braccio rotto.
Più saliva, più percepiva sulla pelle leggere e delicate gocce d'acqua posarsi sulla pelle ed il suono farsi via via più forte.
Si issò sulla cima della parete e subito si coprì gli occhi con una mano, accecata da un improvviso bagliore dorato.
Levò lentamente le dita dal volto e si rese conto che ciò che aveva scambiato per una distesa dorata, in realtà era il riflesso del sole sull'acqua.
Il cuore le fece una capriola nel petto e il fiato le si mozzò in gola: davanti a lei, per chilometri interi, si stendeva un'immensa distesa d'acqua furiosa e agitata.
Ciò che più la terrorizzò di quello scenario, fu constatare che quel mare o lago premeva prepotentemente contro la parete rocciosa, così sottile e fragile rispetto al gigante maligno che cercava di contenere.
Mentre gli occhi di Annie osservavano sgomenti la roccia, si udì un crack sinistro e una minuscola crepa si aprì nella pietra, segno che non avrebbe retto ancora per molto.





Non reggerà molto.
Fu il primo pensiero di Annie.
A occhio e croce, contro la parete stavano battendo qualche migliaia di tonnellate d'acqua e queste non davano l'impressione di voler abbandonare l'impresa.
Quando ci avrebbero impiegato a sfondare la roccia? Mezz'ora? Un'ora massimo?
Sarebbe stata spacciata in qualunque caso.
Un sentimento bruciante ed intenso le ribollì nel petto: non sarebbe morta per mano dell'acqua, il suo elemento. Non avrebbe mai dato la soddisfazione agli abitanti di Capitol City di ridere alle spalle del suo Distretto.
Il terrore le schiarì la mente ed il suo corpo le dettò ciò che doveva fare, senza che il cervello inviasse l'ordine.
Annie iniziò a scendere, senza preoccuparsi degli appigli o del braccio rotto: il dolore le sembrava qualcosa di lontano ed insignificante, mentre l'adrenalina le ribolliva nelle vene, dandole la forza necessaria per correre al rifugio di Euer e Jace.
Alle sue spalle sentiva gli scricchiolii sinistri della parete, che gemeva disperata nel tentativo di contenere la distesa d'acqua.
Ad ogni cigolio, il cuore della ragazza si stringeva e le martellava assordante nelle orecchie, come se le stesse urlando di correre più velocemente.
Nonostante sapesse gli effetti quasi miracolosi dell'adrenalina, non avrebbe mai pesato che le avrebbe cancellato qualsiasi percezione del dolore.
Dovette sforzarsi per ricordare il dolore alla nuca.
Iniziò ad urlare ancora prima di vedere i due ragazzi.
“L'ACQUA! LA DIGA SI STA ROMPENDO!! SCAPPATE!!”.
Vide Euer voltarsi di scatto e sguainare la spada e Jace balzare in piedi.
“CORRETE! LA DIGA SI ROMPE! AFFOGHEREMO!!” strillò.
Jace si voltò completamente verso di lei e dall'espressione che si dipinse sul volto del ragazzo, Annie seppe che aveva capito. Gli occhi del tributo scattarono verso l'alto, in direzione della lontana parete rocciosa.
Prima che qualcuno potesse muovere un dito, una freccia si conficcò nel ventre di Jace.

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Capitolo 28
*** Un passo avanti ***


CIAO A TUTTI RAGAZZI!
MI RENDO CONTO CHE E' UNA VITA CHE NON AGGIORNO QUESTA STORIA E MI DISPIACE. MI SPIACE AMMETTERE DI NON AVERE QUASI PIU' TEMPO PER SCRIVERE, NONOSTANTE SIA UN CHIODO FISSO NELLA MENTE.
VORREI AVERE DELLO SPAZIO DA RITAGLIARMI, MA HO GRANDI DIFFICOLTA'.
VI LASCIO QUESTO CAPITOLO COME BANDIERA BIANCA, SPERO VI PIACERA'.

LILY♥

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE.


 
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Un passo avanti


 
Conoscevo un uomo che una volta mi disse:
“la morte sorride a tutti, un uomo non può far altro che sorriderle di rimando”





In quell'istante, non c'era nessuno che sorridesse davanti agli occhi agghiacciati di Annie ed Euer, che fissarono la sottile freccia nera piantata nella carne del ragazzo.
Jace non emise un gemito; cadde stoicamente in ginocchio sulla roccia dura, osservando quasi stupito l'oggetto che gli spuntava dalla pancia e la macchia rosso vermiglio che andava allargandosi sulla tuta scura.
Non bastò nemmeno un battito di ciglia.. l'aria non fece in tempo ad uscire dai polmoni di Annie, che il compagno si accasciò sul terreno, esanime, gli occhi chiusi e una striscia di sangue che gli usciva da un lato della bocca.
La ragazza non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal corpo di Jace, che fino a qualche momento prima stava parlando amichevolmente con Euer.
Lily se n'era andata.. Jace era morto..
Venne come avvolta da una bolla di ghiaccio, dentro la quale si ritrovò come isolata dal mondo esterno.
Chiuse gli occhi.


“Annie!”.
Una voce la chiamava, ma era lontana, flebile.. a stento riusciva a sentirla se non si concentrava abbastanza.
Lei voleva solo dormire, chiudere gli occhi per un po' di tempo. Quel che bastava per riposarsi.. era tanto stanca.
Aveva male al braccio e alla testa, un pulsare lento ma fastidioso. Non se ne capacitava. Che cos'aveva fatto per procurarselo?
Aprì gli occhi lentamente e subito fu inondata da un mare di luce accecante.
Dovette ripararsi il volto con una mano per riuscire a scorgere qualcosa.
Si controllò il braccio che le doleva, ma non riuscì a notare nulla di strano. Mosse le dita e queste risposero al comando senza esitare.
Solo in quel momento, si accorse di non aver indosso niente, se non una leggerissima vestaglia semitrasparente, un po' troppo corta.
Ebbe l'istinto di coprirsi, ma non c'era nessuno lì a parte lei.
Eppure la voce..?
Un suono secondario le arrivò all'orecchio, dapprima ignorato. Era come se non fosse mai finito, un sottofondo rilassante.
Era decisamente il rumore delle onde del mare.
Appena ebbe formulato il pensiero, i suoi occhi verdi incontrarono l'immensa distesa d'acqua, ad una ventina di metri da lei.
Luccicava, come solo può luccicare un mare a mezzogiorno, baciato dai raggi dorati del sole estivo.
Ora che ci pensava, riusciva a percepirne anche l'odore salmastro, quasi pungente che avrebbe distinto tra mille altri profumi, perché sapeva di casa.
Di nuovo la voce la chiamò ed in quel momento le fu chiaro che la persona che la stava cercando era Ocean.
Si alzò in piedi e fece qualche passo verso le onde, tra quali distinse chiaramente una figura magra e slanciata, dai lunghi capelli neri come il carbone. Sapeva, dentro di lei, che se si fosse avvicinata ancora di più, avrebbe potuto riconoscere gli occhi grigi di sua sorella scintillare allegri.
“Ocean” sussurrò.
Dato il fragore del mare che si dibatteva gioiosamente sulla costa, era quasi impossibile che la ragazza l'avesse sentita, eppure questa si girò nella sua direzione e la salutò con la mano, facendole cenno di avvicinarsi.
“Perché hai su quella vestaglia? Ti si vede tutto” fu la prima cosa che le disse, indicando le visibili forme generose che modellavano la tunica.
“Ho caldo” rispose. In realtà il sole non era così bruciante sulla pelle, però in quel momento le era sembrata la cosa più logica da dire.
“Esistono i costumi.” la rimproverò Ocean, indicando il suo, nero. “E poi, se avessi voluto attirare l'attenzione di Finnick avresti potuto anche solo metterti un vestitino carino e non spogliarti completamente. Che esempio mi vuoi dare?”.
“C'è Finnick?!” chiese Annie, sentendo una vampa infuocata allargarsi su tutta il volto. Si portò le mani tra i capelli, cercando di lisciarseli.
“Ma certo, sistemiamoci i capelli e non pensiamo ad aver il seno completamente all'aria, per non dire altro...” mugugnò la sorellina, lanciandole un'occhiataccia.
“Fatti gli affari tuoi. E poi non sono nuda” borbottò Annie.
Senza un apparente motivo si tuffò in acqua e quando riemerse era vestita con un abito che aveva già visto in precedenza, ma che non riusciva a ricollegare ad un evento preciso.
“Se prima sembravi una nudista, ora assomigli ad una disperata che non sa che altro fare nella vita se non tatuarsi il corpo con strani pasticci asimmetrici. Ma guarda che strano!” esclamò, avvicinando il volto alla pancia di Annie. “Queste pietruzze sembrano davvero disposte a forma di testa di drago!”.
“Le ho pescate tutte io” asserì Finnick, comparendo da dietro le loro spalle.
“Tutte tu?” esclamarono in coro le sorelle Cresta.
“Ma saranno almeno trecento!”.
“Solo trecento?!”.
“Mi sono fatto aiutare da un granchio” annuì il ragazzo.
Annie lo fissò, in silenzio, mentre Ocean continuava a discutere sul fatto che non era possibile che un animale l'avesse aiutato, siccome non era dotato di pollici prensili.
C'era qualcosa che non andava.
Non era mai stata in quel posto, sicuramente non con Ocean o Finnick. E non aveva mai avuto nell'armadio un vestito come quello, o dei tatuaggi tanto spaventosi su braccia e gambe.
Un suo piede, scalzo, sfiorò una superficie fredda e dura: di fianco a lei erano ammassati cinque pugnali di diverse forme e dimensioni.

..e poi gli ho detto di ridarmela..”
Ma è strepitoso!!”

Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle armi semicoperte dalla sabbia della spiaggia, ognuna di queste portava un'incisione particolare, che era certa di aver già visto.
Non poteva essere un caso.
Improvvisamente, nello spazio vuoto tra i suoi piedi, cadde un piccolo sassolino di colore strano: nero, o era forse porpora..?
Ne seguì un altro ancora e poi il terzo e il quarto.
Formarono una figura distorta, senza un senso apparentemente.

Non è stato difficile. Tutti amano i muffin..”
A me fanno schifo”

Annie si piegò per prenderne uno, ma appena le sue dita cercarono di chiudersi attorno ad esso, questo sprofondò e scomparve nella sabbia e lo stesso fecero gli altri, lasciandole un tepore particolare sulla punta delle dita.
Ormai il cervello stava lavorando da solo. Non provò neppure ad impedire la mossa successiva, nonostante una sensazione di terrore e nausea le bloccò lo stomaco.
Si fissò le mani e le vide sporche.
“Sangue” mormorò in un soffio.
La discussione tra Ocean e Finnick si interruppe di colpo e sulla spiaggia cadde il silenzio.
“Si” disse la sorella, inginocchiandosi fino ad arrivare al livello degli occhi della ragazza.
Non aveva più indosso il costume, ma un abito nero, accollato e lungo fino ai piedi; la tipica veste del Distretto 4 per i funerali.
“Perché ho del sangue sulle dita?” domandò Annie.
Finnick allungò una mano verso la sua fronte e le passò il pollice sulla testa, mostrandoglielo sporco di rosso cupo.
“Ti sanguina la testa” le disse calmo, come se fosse la notizia più normale del mondo.
“No.. io.. non.. sto bene, non mi fa male..” balbettò lei, confusa.
Ocean le sorrise tristemente, accarezzandole la guancia. Il tocco fu più leggero di un alito di vento.
“Sei morta” disse.
Annie spalancò gli occhi. Si guardò intorno, spaesata, cercando di capire.
“No.. io sono viva..” mormorò.
“Un Tributo ti ha uccisa con un colpo alla testa, dopo aver strappato il cuore dal petto di Euer” spiegò Finnick, indicando qualcosa dietro le spalle della ragazza.
Il cuore di Annie sprofondò nel petto e smise di battere per qualche secondo. Sapeva cos'avrebbe visto.
Non voleva voltarsi, ma il suo corpo si mosse automaticamente e lei si trovò a fissare il corpo senza vita del secondo Tributo del distretto 4, riverso nella sabbia a pancia in su, il petto squarciato brutalmente, smembrato e privato di ogni contegno che bisognerebbe riservare ad un morto.
“no..” gemette lei.
Strisciò sulla sabbia, incapace di alzarsi in piedi, ben conscia che le gambe non l'avrebbero sostenuta.
Si gettò su Euer, senza preoccuparsi del sangue che aveva iniziato ad imbrattarle il vestito e la pelle.
Avrebbe voluto piangere, ma era come se il dolore le si fosse bloccato in gola, una sfera infuocata che si rifiutava di spostarsi. Il dolore divenne soffocante e solo dopo che ebbe sofferto quasi da morire lei stessa, riuscì a scoppiare in un pianto disperato.
“Non sarebbe dovuta andare così!” singhiozzò, accarezzando le guance ceree dell'amico. “Cos'ho fatto..?”.
Lisciò i capelli di Euer, con l'affetto che non gli aveva mai dimostrato in tutti gli anni precedenti.
In quel momento, voleva solo cullarlo e urlare, polverizzarsi le corde vocali e continuare a soffrire; e non sarebbe ancora stato abbastanza, perché il senso di colpa l'avrebbe consumata giorno per giorno.
“Mi dispiace..” sussurrò a Ocean, che osservava con amore il corpo del defunto fidanzato, gli occhi velati di un'infinita tristezza, ma il volto disteso in un'espressione beata.
“E' morto per proteggerti” le spiegò. “Si è parato davanti a mia sorella e di questo gli sarà per sempre grata”.
Finnick strinse con affetto la mano alla più giovane delle sorelle Cresta e fu un gesto così strano e sbagliato che Annie, per un istante, si dimenticò cosa stava accadendo.
Ocean intercettò il suo sguardo. “Noi rappresentiamo chi è rimasto, chi ancora vive. Chi avrà una vita dopo questa vicenda. Chi andrà avanti non dovrà rimanere ancorato al passato; guarderemo avanti, insieme” e sorrise a Finnick.
“Ma tu sei innamorata di Euer”. Annie non riusciva a distogliere gli occhi dalle loro dita intrecciate.
“Amerò per sempre Euer, ma in modo diverso. Lui è morto e non potrò mai più stare con lui. Non voglio diventare la mia stessa ombra, Annie. So che tu rimarrai sempre al suo fianco e che veglierai su di noi.”.
La ragazza fece per ribattere, ma un urlo lontano la fece voltare.
Lontano, tra la sabbia, incominciarono ad apparire delle figure.
“Cosa succede?” domandò ai due.
“Puoi andare a controllare” le propose Ocean.
Annie si alzò in piedi, lanciò un'ultima occhiata al corpo dell'amico e si incamminò verso il luogo in cui, in quel momento, sembrava si stesse svolgendo una riunione.
Appena fu abbastanza vicina, non poté non riconoscere la zazzera di capelli scompigliati di Euer, inspiegabilmente vivo, inginocchiato su un terreno roccioso, a fissare qualcosa poco distante.
“Euer!” gridò Annie, senza aria nei polmoni. “Com'è possibile?! Lui era morto.. era steso nella sabbia..”.
“Quello che hai visto era ciò che potrebbe accadere” rispose Finnick, stringendo un braccio intorno alla vita di Ocean.
“Che.. che potrebbe..? Io sono morta! Euer pure! Cosa potrebbe accadere in più?” esclamò, confusa. Si guardò intorno: la spiaggia era scomparsa e si trovavano tutti in un posto disperso su una montagna. “Dove mi trovo?”.
“Lì”. Ocean indicò una posizione sul terreno e Annie si vide, inginocchiata esattamente come Euer, gli occhi spalancati e il volto contratto in un'espressione di dolore.
“Sei ancora in gioco, Annie. In questo momento potresti voltare le spalle a quello” ed indicò lo scenario cruento al quale stavano assistendo “e tornare sulla spiaggia, definitivamente, insieme ad Euer e Lily. Oppure puoi semplicemente.. fare un passo in avanti e afferrare quel pugnale che sta di fianco a te. Continuerai a lottare nell'Arena. Guardati. Sta arrivando un ragazzo da dietro quello spuntone, riesci a vederlo? Quello che tiene in mano l'arco.”.
Si, lo vedeva perfettamente.
“Cosa dovrei fare?” domandò.
L'idea di ritornare sulla spiaggia, sotto il sole e perennemente a contatto col mare l'ammaliava, eppure non riusciva a voltare le spalle all'Arena.
Aveva fatto una promessa.
“Ho fatto una promessa” disse.
Finnick sorrise nello stesso istante in cui lo fece la sorella e Annie capì che non c'era altra risposta al mondo che avrebbe potuto dare.
Finalmente il ragazzo si staccò dal fianco della Ocean e le venne incontro, sfiorandole la fronte con le labbra. “Ti amo, Annie Cresta”.
“Ti amo anche io, Finnick e ti prometto che tornerò” gli sussurrò.
Si allontanarono e la ragazza osservò la scena cruenta e disperata degli Hunger Games. “Solo, non so come fare..”
Ocean le si avvicinò e l'abbracciò forte.

“Devi solo aprire gli occhi”.



Gli occhi verde mare di Annie Cresta si spalancarono e la sua mano scese ad afferrare il coltello nello stivale.
Con un'unica agile ed aggraziata mossa, ruotò su sé stessa e l'arma prese il volo, sibilando nell'aria. Si conficcò nella gola del Tributo con l'arco in mano, che cadde a terra, riverso in una pozza di sangue.

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Capitolo 29
*** Una vita per una vita ***


CIAO A TUTTI RAGAZZI!
UNA PERSONA DAVVERO ANTIPATICA (♥) MI HA FATTO NOTARE CHE AD OGNI CAPITOLO MI INVENTO LE PEGGIORI SCUSE PER GIUSTIFICARE I MIEI (INGIUSTIFICATI) RITARDI. QUINDI OGGI EVITO!
DOPO UNA LUNGA ATTESA (SCUSATE) E UN RAGGIUNGIMENTO DI MAGGIOR ETA' (EVVAI!), FINALMENTE HO PUBBLICATO UN ALTRO CAPITOLO.
NON DICO NULLA. E' UN CAPITOLO IMPORTANTE.
SPERO VI PIACERA' QUANTO E' PIACIUTO A ME SCRIVERLO.
VI VOGLIO BENE!
BACI, LILY ♥♥

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 
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Una vita per una vita




Gli occhi verde mare di Annie Cresta si spalancarono e la sua mano scese ad afferrare il coltello nello stivale.


“Annie!” urlò Euer e nello stesso istante la mano della ragazza lanciò il pugnale nero, che andò a conficcarsi nella gola dell'avversario responsabile della morte di Jace. Gli altri due tributi avanzarono aggraziati e letali come pantere verso di loro.
Erano gli ultimi due, pensò Annie. Dopo di loro, non sarebbero rimasti che lei ed Euer. Le labbra si incresparono in un sorriso amaro, mentre sfoderava due coltelli e ne stringeva l'elsa. Era finalmente arrivato il momento della verità, in cui avrebbe dovuto lottare fino alla fine, per mantenere la propria promessa.
Scoccò un'occhiata in direzione dell'amico, che rispose con un cenno del capo: era pronto. Non ci sarebbero state altre possibilità, non sarebbero potuti scappare, non quella volta. Era il tempo di combattere per la vita; di diventare gli animali che Capitol City acclamava tanto; di immergere la lama fino all'elsa e fissare la luce negli occhi dell'avversario affievolirsi.
Il gioco era iniziato.


Non poté non riconoscere al volo il ragazzo del distretto 3, dalla fiammeggiante chioma rosso fuoco e i denti leggermente distanziati tra loro.
L'immagine delle risate tra lei ed Euer le sfrecciò davanti agli occhi verdi. Le sembravano dei momenti così lontani, eppure così vicini, perché non potevano essere più di dieci giorni che erano entrati nell'Arena.
Si ricordava perfettamente gli esperimenti sadici del Tributo durante gli allenamenti: aveva una strana e disgustosa predilezione per le reazioni chimiche e per le morti lente e dolorose. Forse il suo compagno, del Distretto 1, non lo aveva scelto a caso come alleato. Molto meglio tenersi i nemici peggiori vicini che come avversari annunciati.
Si era creato un momento di calma surreale intorno a loro, interrotto solo dagli scricchiolii della montagna; solo i due ragazzi del Distretto 4 sapevano l'origine dei mormorii della montagna e questo non aiutava a tranquillizzarli.
Il Tributo del distretto 1 si avvicinò al cadavere di Jace, la freccia ancora conficcata nel ventre e gli occhi spalancati verso un cielo che non avrebbero mai visto.
“Che povero idiota” ghignò ed un sorrisetto perfido gli sfigurò il volto “come ha potuto pensare che con due incapaci come voi sarebbe riuscito a sopravvivere?”.
“L'avreste ucciso in ogni caso” sibilò lei.
“Probabile. Era un vero stupido. Portarsi in giro quella sciacquetta per tutta l'Arena, credendo che l'avrebbe davvero salvata. Non sarebbe riuscita a vincere nemmeno se fossimo morti tutti dopo due secondi, tanto era ritardata”.
I due scoppiarono a ridere sguaiatamente.
Il volto Euer avvampò per la collera “Non lo ripeterei, se fossi in te” ringhiò ed alzò la spada verso il ragazzo biondo.
L'avversario lo sondò con lo sguardo, arricciando gli angoli delle labbra e piegando leggermente la testa da un lato, come un predatore fissa la preda un attimo prima di sbranarla.
“Chi l'avrebbe voluta indietro?” continuò, come se non l'avesse neppure sentito. “Se fossi stato nella sua famiglia, avrei sperato la sua morte dall'inizio. Se la vedi così...”.
Non riuscì a terminare la frase, perché Euer si era lanciato contro di lui, infuriato, ferito ed in cerca di vendetta per Lily.
Ovviamente l'altro non si fece trovare impreparato.. anzi, fu proprio come se l'aspettasse, perché il suo braccio salì velocemente a deviare la spada di Euer. Questi, allora, menò un fendente verso il suo fianco, che scartò agilmente, rotolando a terra e rialzandosi veloce come un felino. Affondò a sua volta la lama, in cerca del petto di Euer, che fu veloce a balzare indietro e parare l'assalto con la propria spada.
Annie assisteva alla scena col fiato sospeso. Non poteva fare nulla se non fissare i due combattenti e sperare che il colpo che sarebbe andato a centro fosse quello dell'amico. Avrebbe voluto scagliarsi contro il tributo, ma il ragazzo dai capelli rossi la teneva sotto tiro, apparentemente immobile, mentre si godeva la scena.
“E' questo che vi insegnano nel Distretto 4? Pescare ed agitare le braccia a caso?” abbaiò il biondo sorridendo, col fiato corto. La sua fronte si imperlò di sudore in poco tempo: le stoccate di Euer erano precise e veloci e se non fosse stato per i suoi ottimi riflessi, sarebbero già andate a segno tempo prima.
All'improvviso, un rumore sorso fece tremare il terreno sotto i loro piedi e questo bastò per distrarre di poco il tributo del Distretto 1: Euer, conscio di ciò che stava accadendo alla montagna, approfittò del momento di confusione dell'altro; scattò elegantemente in avanti e squarciò l'aria con la spada, a qualche centimetro dal volto angelico dell'avversario, procurandogli una ferita slabbrata che gli attraversava tutta la guancia e divideva in due il sopracciglio.
Questo gridò di dolore e di sorpresa, portandosi una mano al volto e tastandosi le ferite. Il sangue iniziò a colargli copiosamente sulla pelle e tra le dita.
“Sei morto” sibilò tra i denti.
Si lanciò con tutto il peso in avanti, mirando al cuore di Euer.
Il giovane si abbassò appena in tempo, quasi sdraiandosi a terra, ma il gesto repentino gli fece sfuggire la presa sull'elsa della spada, che volò a qualche metro da lui. Dalla posizione accucciata, lo colpì al ventre con calcio. Il tributo boccheggiò, spalancando gli occhi. Euer fu veloce ad afferrare il polso del biondo e storcerglielo, finché non lo obbligò a mollare la presa.
Preso dal movimento, non vide in tempo il braccio dell'altro, che salì in un lampo e lo colpì su una tempia, stordendolo.
“EUER!” urlò Annie.
Fece qualche passo avanti, stringendo l'elsa dei pugnali, ma il ragazzo dai capelli rossi le si parò davanti.
“Non con così tanta fretta” mormorò ed estrasse una lama dalla cintura.
“Non ti conviene” lo ammonì, muovendo lentamente i polsi e facendo scintillare i pugnali alla luce del sole.
“Si sono divertiti troppo da soli, quasi mi annoiavo. Vediamo quanto sei forte”.
“Avanti” lo invitò Annie.
Il rosso avanzò, levando il braccio armato e calandolo sulla testa di Annie. La ragazza, molto agilmente, scartò di lato, parando il colpo con il pugnale di destra, mentre con l'altra mano disegnò un ampio arco verso il ventre del ragazzo, un colpo a sorpresa che solitamente risultava letale.
Ma i due avversari avevano riflessi davvero acuti. Con una sorprendente agilità, si liberò dalla posizione scomoda e fece un passo indietro, senza mai smettere di sorridere. “Pensavi davvero che ci sarei cascato?” rise arrogantemente. “Banale..”
“Dicono sia molto difficile parlare con una lama conficcata in gola” sibilò lei, saltando avanti per un nuovo attacco.
Non sarebbe mai riuscita a batterlo con la forza: nonostante sembrasse un ragazzo mingherlino e poco propenso alla lotta, si era rivelato troppo violento ed aggressivo e quindi decise di cambiare tattica: a pochi metri dal tributo, spostò tutto il peso indietro e compì una lunga scivolata, passando sotto al nemico. A quel punto mosse i polsi e tracciò due righe rosso fuoco sulle caviglie del ragazzo.
Questi cadde in ginocchio. Alle sue spalle, Annie si rialzò e gli puntò la lama al collo. “Credo ti sia passata la voglia di fare l'arrogante”.
Gli stava fissando la schiena e si accorse subito del tremolio che aveva incominciato ad agitarla. Pensò stesse piangendo, ma non le sembrava di avergli inferto una ferita troppo profonda. Solo dopo capì che quelli che aveva scambiato per singhiozzi, non erano altro che una risata.
Il rosso si girò a fissarla e solo il suo sguardo bastò per gelarle il sangue nelle vene: i suoi occhi brillavano di eccitazione, furia e follia, il tipico sguardo del soldato impazzito dopo numerose guerre.
Lo vide portarsi il sangue delle sue stesse ferite alle labbra e leccare avidamente. E poi ancora; e ancora un'altra volta.
Annie fece due passi indietro, disgustata dalla bestia che le stava davanti. Sentiva il cuore pomparle nelle orecchie a ritmo smisurato, eppure non aveva mai avuto tanto freddo in tutta la sua vita. Riuscì di fortuna a reprimere i conati di vomito.. le labbra, stirate in un sorriso folle, scoprivano i denti rossi ed sangue gli gocciolava dalle labbra al mento.
Si tirò a sedere con sorprendente agilità per uno a cui erano state appena inferte due ferite. E poi.. canticchiava.
Canticchiava qualcosa.
Agli occhi della giovane, rappresentava l'esempio evidente della follia degli Hunger Games, che si infiltrava nel cervello dell'uomo, lenta e letale, silenziosa, conquistando e imputridendo il pensiero.
Senza preavviso, come risvegliatosi da una trance, le lanciò il pugnale contro, esplodendo in una risata.
Fu una grande fortuna che una parte del cervello della ragazza era rimasto all'erta tutto il tempo. Si scansò prima che il coltello le si conficcasse in testa.
Fu il turno di un altro coltello, e di un altro ancora. Il tributo iniziò a lanciarle addosso pugnali come se fossero sassi e Annie non ebbe nemmeno il tempo di pensare da dove li stesse prendendo. Le sembrava di averne già scansati decine, ma dopo l'ultimo ecco che arrivava quello dopo, seguito dal successivo, come un'incessante pioggia mortale.
Non ci volle molto prima che Annie Cresta iniziasse a percepire i segni della stanchezza: il fiato corto, il cuore a mille ed il braccio ormai insensibile che le pendeva inerme sul fianco. Probabilmente se le avesse colpito l'arto, non se ne sarebbe nemmeno accorta e sarebbe morta in qualche secondo per dissanguamento.
Le orecchie incominciarono a ronzarle fastidiosamente e percepì chiaramente il cuore che saltava qualche battito: ancora qualche pugnale e si sarebbe accasciata a terra.
D'improvviso udì un rombo spaventoso e i pugnali cessarono la loro danza mortale.
Annie si piegò sulle gambe, molli come gelatina e sollevò lo sguardo: il tributo era scomparso. Controllò dietro di sé, ma era come se si fosse volatilizzato.
Un secondo rumore la obbligò ad alzare gli occhi e vide un masso rotolare a una decina di metri da lei fino a valle.
Era possibile che il rosso fosse stato travolto da una roccia mentre si divertiva con lei?
Non ebbe tempo di pensare, perché un gemito attirò la sua attenzione.
Era stata così impegnata con l'avversario, che non era più riuscita a controllare la situazione degli altri due combattenti: Euer era intento in un corpo a corpo con il tributo del Distretto 1, che gli premeva un braccio sulla gola. Il viso del giovane amico iniziò ad assumere una malsana sfumatura viola e probabilmente non sarebbe sopravvissuto ancora per molto.
Senza nemmeno ragionare, si lanciò di peso sull'avversario ed entrambi rotolarono per qualche metro, lontani da Euer, in un ammasso di gambe e braccia e coltelli. Nel mentre, il ragazzo tirò in ginocchio, tossendo e scuotendo il capo per riprendere lucidità.
Per Annie, al contrario, non ci fu tempo per pensare o respirare. Era atterrata sopra al tributo biondo, in una posizione fatale se non si fosse spostata.
Si alzò di lampo e tentò di correre verso l'amico, ma la mano grossa del rivale le si strinse intorno ad una caviglia e la tirò indietro. Cadde a peso morto a terra; tentò di portare il braccio sotto al viso per riparasi, ma nella foga del momento cercò appoggio nel braccio ferito, che non obbedì all'ordine. Il dolore fu lancinante ed immediato, quando lo zigomo batté contro la roccia nuda. Anche senza tastare, era consapevole di essersi aperta la pelle e l'ormai famigliare calore del sangue le bagnò la guancia.
Euer le fu accanto in un lampo e la tirò via dalle mani del biondo prima che questi potesse fare qualsiasi cosa.
“Stai bene?” le domandò frenetico.
“Tutto okey” articolò con fatica lei, alzandosi.
“Dov'è l'altro?” chiese l'amico, guardandosi intorno. Annie scosse la testa “Credo che un masso l'abbia colpito. Dobbiamo andarcene, la montagna crollerà a momenti” disse tra i denti, perché muovere il volto le faceva troppo male.
Il ragazzo annuì, prese la spada e marciò verso il tributo a terra.
“Che fai?” gli domandò la compagna, confusa.
D'un tratto quella scena non aveva senso. Non era Euer l'assassino.. era lei. Lei avrebbe dovuto uccidere tutti, per tenerlo al sicuro. Lui era il ragazzo di sua sorella.. non sarebbe nemmeno dovuto entrare nell'Arena.
“Non ci avrebbe mai risparmiati.” rispose lui, cupo.
In realtà, davanti agli occhi blu del bel tributo venuto dal mare non vi era altro che l'immagine del volto di Lily.
Lily, la piccola e dolce Lily, che era morta davanti a lui senza fare rumore, leggera e silenziosa come la neve d'inverno. Lei, la cui ultima immagine prima di morire era stato il volto di Euer, che la teneva tra le braccia, mentre la sentiva spegnersi piano, mentre la vedeva morire senza poter far nulla.
E lui, il nemico, che aveva offeso il suo ricordo; che non aveva avuto rispetto per la ragazza che aveva ucciso a sangue freddo.
Furono quasi balsamiche le suppliche che iniziò a piagnucolare pateticamente, quando lo vide avvicinarsi con la lama in mano. Suppliche per le quali avrebbe riso perfidamente, se i ruoli fossero stati capovolti. Ma era arrivata la fine. La fine dell'arroganza, la fine della prepotenza e la fine per un essere che si riteneva superiore alle leggi della natura.
Euer mirò al collo, osservando la carotide pulsante che avrebbe portato al dissanguamento.
“Per Lily e Jace” sussurrò.
Fendette il colpo, che però non arrivò mai a destinazione.
Vide gli occhi azzurro ghiaccio del biondo tributo del Distretto 1 spalancarsi e subito offuscarsi della patina gelida della morte: una freccia era conficcata in mezzo ai due occhi.
Euer si voltò e ancora Annie stava in posizione, con l'arco teso davanti a sé, la corda vibrante e le dita socchiuse.
Non ebbe bisogno di conferme, ma comunque spostò lo sguardo sul cadavere di Jace, riverso a terra, col petto libero dalla freccia che l'aveva ucciso.
“Avrei dovuto finirlo io” le disse, non avendo però il coraggio di fissarla.
“No, invece” rispose. “Non te lo meriti” aggiunse poi, sottovoce.
Avrebbe ribattuto, se non fosse stato per un cigolio sinistro che provenne da un lato della montagna, seguito dalla caduta di un altro macigno.
“Dobbiamo andarcene!” sentenziò Annie, raccogliendo l'arma del ragazzo biondo morto a terra.
“Non possiamo lasciare Jace qui” obiettò Euer, mentre si avvicinava al cadavere dell'amico.
La mano di Annie gli si chiuse attorno al polso. “Non abbiamo tempo. Se non ce ne andiamo in fretta, la montagna ci crollerà addosso e tonnellate di acqua ci sommergeranno. Arriverà l'Hovercraft per lui”.
Anche lei si sentiva terribilmente in colpa a lasciarlo lì, riverso a terra, senza una degna sepoltura, senza avergli dato un vero addio.
Però al momento la priorità era allontanarsi il più possibile dal torrente che li avrebbe travolti. Nessuno dei due nutriva tante speranze di salvarsi, nel vedere come un'enorme montagna si stava sgretolando sotto la forza devastante dell'acqua.
Sarebbe stato buffo se entrambi fossero morti annegati.
Iniziarono a correre, saltando rocce e ripercorrendo la strada dell'andata.
Non c'era più tempo per nulla ormai, solo correre e sperare di essere più veloci dell'erosione accelerata che stava colpendo la pietra sopra di loro.
Ai loro lati, rotolavano sassi di qualsiasi dimensione. Ormai il rombo delle pietre era diventato incessante, un sottofondo inquietante che sapeva di morte.
“Veloce!!” spronò Annie.
Vedeva la foresta che si avvicinava sempre di più, eppure le sembrava sempre eternamente lontana. Magari se fossero riusciti ad arrivarci in tempo, si sarebbero potuti arrampicare su un albero, sperando che questo avrebbe retto all'impatto con l'acqua.
La mente della ragazza lavorava febbrilmente per trovare una soluzione, una via di sopravvivenza alla catastrofe incombente.
Non riusciva a capire, però, come mai gli strateghi non avessero preferito un combattimento all'ultimo sangue tra lei ed Euer, siccome erano rimasti solo loro in tutta l'Arena.
Eppure..
Un pensiero le attraversò la mente come un lampo e si fermò per questo, mentre l'immagine di Euer che la guardava allarmato le passò davanti agli occhi, come in secondo piano.
Lei non aveva sentito il cannone, dopo che il tributo del Distretto 3 era rotolato giù dalla montagna, colpito da un masso.
Non aveva visto cadaveri, o sangue.
Ci arrivò troppo tardi.
Sollevò gli occhi verde mare sull'amico: aveva le labbra schiuse, le stava per domandare qualcosa.
Successe come a rallentatore, ma fu così veloce che non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo.
Due mani bianche saettarono fuori dall'ombra, come serpenti famelici, dietro la schiena di Euer. Una reggeva un coltello.
Il ragazzo si accorse un secondo più tardi e sbarrò gli occhi, guardando Annie. Le avrebbe voluto dire qualcosa, probabilmente. Forse sarebbe stato uno “Scappa!”, ma Annie non poté mai saperlo.
Prima che potesse anche solo muovere un muscolo, ancora più veloce di un battito di ciglia, la lama tracciò un arco elegante davanti a sé.. e la testa di Euer rotolò a terra, ai piedi di Annie.




 

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Capitolo 30
*** Game Over ***


CIAO A TUTTI!
BEH, POSSO DIRE CHE, DOPO MILLENNI, QUESTO CAPITOLO CHIUDE I GIOCHI. LETTERALMENTE. 
LA STORIA NON FINIRA' QUI, PERCHE' HO BISOGNO DI SPIEGARE ALCUNE COSE DOPO L'USCITA DI ANNIE DAGLI HUNGER GAMES. 
FINALMENTE, ARRIVATI AL CAPITOLO 30, I GIOCHI SONO CONCLUSI.
DEVO RINGRAZIARE ALCUNE PERSONE CHE HANNO FATTO SI CHE IO RIPRENDESSI A SCRIVERE QUESTA STORIA PER DARLE (E DARVI) UN FINALE. 
CHE DIRE? 
BUONA LETTURA!
UN BACIO, 
LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE


 
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Game over







Annie non riuscì a staccare gli occhi verdi dalla testa mozzata dell'amico, che le rotolò fino ai piedi, immersa in una pozzanghera di sangue carminio.
Nonostante ogni cellula del suo il suo corpo le stesse urlando di voltarsi e scappare da quella scena, le gambe non rispondevano ai comandi e fu obbligata da se stessa ad osservare il corpo mutilato di una delle persone che più aveva amato nella sua vita.
Avrebbe voluto urlare e piangere. Forse l'avebbe aiutata. Forse sarebbe riuscita ad espellere dal corpo il disgusto, il terrore ed il dolore che la stavano soffocando. 
Gli occhi azzurri di Euer la fissavano dal capo reciso, così vacui.. così spenti. 
Il viso dell'amico si sovrappose a quello di Shana e successivamente a quello di Christine. 
Tutte sue vittime
Era lei la responsabile delle loro morti. Il loro sangue l'avrebbe macchiata a vita.
Fu l'istinto di sopravvivenza a farle compiere un passo in avanti, evitando di un soffio la coltellata del tributo dai capelli rossi, che si era lanciato nella sua direzione con foga. 
Cosa le importava di vivere? Erano morti tutti.. 
Cadde a terra, inciampando in una roccia, sbucciandosi i gomiti. 
Non sentì dolore: era morta dentro. Non avrebbe fatto differenza essere uccisa. Anzi, forse desiderava solo che quel maledettissimo pugnale la colpisse al cuore. Sarebbe stata una benedizione. Non avrebbe avuto più sulle spalle il peso della morte di Euer, o sulle mani il sangue di Catherinne. Nessuno l'avrebbe guardata come un'assassina. Sarebbe stata solo una delle tante vittime degli Hunger Games. 
Una lacrima, unica stilla argentata, le rigò il volto sporco di terra. 
"Mi dispiace" sussurrò tra i denti, stringendo forte la ghiaia sotto le dita. 
Tutta Capitol City aveva gli occhi proiettati su quella scena, sul suo volto. 
Era sicura che Finnick la stesse guardando, da qualche parte là fuori. Avrebbe voluto morire con dignità, magari combattendo per sopravvivere, per fargli credere che ancora ci sperava. 
La verità era che era stanca. Stanca di lottare per la propria vita, dal momento in cui questa le era stata strappata via quando aveva ucciso Catherinne. 
Voleva solo chiudere gli occhi e lasciarsi andare. 
Le dispiaceva, certo. Pianse per l'unico ragazzo che mai aveva amato e che non avrebbe più rivisto. Pianse per l'ingiustizia della sorte, che l'aveva fatta innamorare senza concederle l'opportunità di vivere quel sentimento. Pianse per Ocean, per i suoi genitori, per Glauco e anche per Eliah. Tutte persone che, era sicura, l'avrebbero ricordata con un sorriso. 
Vide gli occhi del tributo illuminarsi di luce famelica e folle, quando alzò il braccio che impugnava il coltello. 
Riuscì a contare ogni singola ruga d'espressione sul suo volto, ogni lentiggine sul naso dritto. 
Il mondo si muoveva a rallentatore: non esisteva altro che lei ed il suo cuore che, paradossalmente, non aveva mai battuto così freneticamente prima di quel momento.. un istante prima di morire. 
La lama si abbassò lentamente, mirando alla sua testa.
Improvvisamente, gli occhi verdi di Annie furono attratti da qualcosa alle spalle del suo futuro assassino: la roccia nera si frantumò sotto il suo sguardo, sbriciolandosi come sabbia contro la furia dirompente delle tonnellate d'acqua che si riversarono lungo i pendii, dirigendosi in corsa folle verso i due tributi. 
Riuscì a contare solo due battiti del suo cuore, prima che l'onda travolgesse lei ed il rosso, strappandola ancora una volta alla morte tanto desiderata.
 
Fu come se l'acqua avesse risvegliato in Annie lo spirito marino del Distretto 4. 
Venne spinta violentemente indietro, mentre alberi, sassi e qualsiasi forma di vita veniva strappata dal luogo d'origine per essere rivoltata su se stessa più e più volte. 
L'acqua le filtrò all'interno del corpo trasformandosi in adrenalina pura, che le donò la forza di reagire a contatto con il suo elemento. 
Non era più la morte che cercava: lei voleva aria. Voleva la vita.. il suo Distretto la stava chiamando, attraverso le onde. 
Aprì gli occhi e i volti dei suoi amici le comparvero davanti, tendendole le mani. 
"Non mollare, Annie" le sussurrò Ocean, seriamente. 
"Torna da me". La voce di Finnick le rimbombò nelle orecchie, o forse fu il frastuono del mare intorno a lei. 
Non faceva differenza. Amava il mare, così come amava Finnick. La voce del ragazzo era il suono del mare, la melodia più dolce che avrebbe mai voluto ascoltare.
Vide l'Arena sfrecciarle di fianco: alberi, oggetti, massi, animali.. tutto le scorreva di fianco senza riuscire ad opporsi alla forza distruttrice dell'acqua. 
Si accorse di star rotolando su sè stessa, cosa molto pericolosa in un momento simile: era fondamentale riuscire ad individuare la superficie, per evitare di nuotare inutilmente e stancarsi. 
Si guardò intorno ed iniziò a percepire la spiacevole sensazione di bruciore al petto, segno che l'ossigeno stava per finire. 
Quando ormai stava per rinunciare, un luccichio dorato attirò il suo sguardo: il sole! 
Con le poche energie che le rimanevano, nuotò faticosamente verso l'alto, tenendo ben fisso il suo obiettivo. 
Ringraziò mentalmente le interminabili giornate passate alla Piattaforma a cercare perle. Molte volte le era capitato di immergersi durante il mare-mosso. La situazione era molto più drastica, ma almeno sapeva cosa fare per risparmiare energie. 
A qualche metro dalla sua salvezza -o quelli che le sembrarono pochi- cominciò a boccheggiare e l'ultima bolla d'aria le scappò perfida dalle labbra serrate. 
Quella era la fine.
Si accorse, nell'intorpidimento dell'affogare, che l'acqua aveva smesso di tuffarsi su se stessa, probabilmente perché aveva finalmente raggiunto una pianura. 
Distingueva ancora la superficie, ma la sua vista cominciò a riempirsi di macchie più o meno grandi. Diede ancora qualche bracciata, stringendo i denti e pregando che mancasse poco.
A sorpresa, dal suono ovattato dell'acqua che le premeva contro i timpani, si levò un rumore diverso, molto simile a...
Lo sparo di un cannone.
Annie si guardò freneticamente intorno, annaspando, con la vista sempre più offuscata e confusa. 
In lontananza, distinse una strana macchia rossa, che fluttuava sempre più in profondità, trasportata con delicatezza dalle onde del mare.
Quando questa fu più vicina, la ragazza non poté che sgranare gli occhi: davanti a lei stava affondando l'ultimo Tributo dell'Arena. 
Come se qualcuno avesse aperto lo scarico di una vasca da bagno, il livello del mare cominciò a scendere drasticamente, ritirandosi con la stessa velocità con la quale aveva invaso l'Arena. 
I polmoni di Annie si riempirono d'ossigeno ancora prima che lei potesse comandare al cervello di respirare e fece male. 
L'aria venne spinta prepotentemente nel suo corpo, graffiandole la gola e bruciandole la cassa toracica. 
Rimase sdraiata a terra, bagnata fino alle ossa, ad osservare il cielo limpido senza una nuvola e ad ingerire famelicamente tutto l'ossigeno che le era mancato in quei pochi minuti. 
Non si mosse. Non osò muoversi. 
Non aveva idea di quello che sarebbe successo da lì a poco. 
Iniziò a ripetere a bassa voce sempre la stessa frase, che divenne pian piano una cantilena distorta ed inquietante. 
"Ho vinto". 


 
 
"Forza Annie" sibilò Finnick tra i denti, seduto sul divano.
Osservò la ragazza nuotare tra le onde, con la stessa eleganza che l'aveva colpito uno dei primi giorni che l'aveva vista.
I suoi capelli ramati ondeggiarono intorno al viso pallido, intorno agli occhi verde mare così profondi e così determinati. 
Aveva seriamente pensato di assistere alla sua morte di diretta, qualche istante prima. Aveva letto in quelle iridi la voglia di arrendersi ed il desiderio di morte. 
Non l'avrebbe mai lasciato da solo. Non l'avrebbe mai abbandonato senza prima dirgli addio. 
"Ti prego, continua a nuotare".
La sua diventò una litania disperata, credendo che in quel modo Annie avrebbe avuto la forza di non mollare, nonostante fosse sommersa da troppo tempo per riuscire effettivamente a raggiungere la superficie. 
Era troppo lontana. 
L'unica opportunità che aveva, era che l'altro tributo morisse in quei pochi attimi.
Le telecamere lo stavano inquadrando, concentrandosi sul volto paonazzo del ragazzo che agitava freneticamente le braccia intorno a sé per sbucare in superficie. 
Inaspettatamente, ci riuscì.
Finnick fissò senza parole il tributo che qualche minuto prima avrebbe potuto uccidere Annie, uscire con la testa e prendere una profonda boccata.
Non aveva senso. Non poteva sopravvivere.
L'acqua era l'elemento di Annie.. quella era una prova. Era lei che doveva uscirne vincitrice. 
"No!" urlò fuori di sé, afferrando il televisore con entrambe le mani, iniziando a scuoterlo. 
"Finnick!" gridò Typhlos.
Mags si precipitò alle sue spalle, accarezzandogli una guancia per tranquillizzarlo. 
"Non può farlo!!" ringhiò. "Non può vincere!". 
Come se qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere, osservò il volto del rosso contorcersi in una smorfia di dolore. Il corpo venne immediatamente circondato da un alone rosso vermiglio. Sangue. 
L'inquadratura riprese ciò che stava accadendo sott'acqua: un tronco spezzato aveva perforato il buso del tributo, squartandolo in due. 
Nella sala piombò il silenzio più assoluto. 
Lo schermo mostro l'Arena svuotarsi di colpo e subito dopo la telecamera si spostò sul corpo di Annie Cresta, distesa a terra a braccia aperte, che respirava affannosamente.
Successivi battiti di Finnick furono dolorosi: cannonate nel petto, che lo scaldavano come lava bollente e al tempo stesso lo scuotevano di brividi. 
Ci impiegò qualche secondo a realizzare l'accaduto. 
Era morto il 23esimo tributo nell'Arena e Annie respirava ancora, davanti ai suoi occhi. 
"Ce la fatta" sussurrò, con voce spezzata. 
Non si preoccupò di nascondere le lacrime che iniziarono a scorrergli lungo le guance o dei singhiozzi che gli scossero la schiena. 
Rimase davanti allo schermo a piangere come un bambino, ringraziando il cielo di aver risparmiato la sua unica ragione d'esistenza. 
Mags gli toccò delicatamente la schiena, per avvertirlo che sarebbero dovuti partire da lì a poco per andare a recuperare la ragazza.
Non se lo fece ripetere due volte. 
Salirono sull'hovercraft che si diresse fin troppo lentamente verso l'Arena.
Quando gli intimarono di rimanere a bordo, il Vincitore non volle sentire ragioni: nessuno gli avrebbe impedito di recuperare la sua donna. 
Scese con un salto agile e si mosse velocemente verso il corpo di Annie, quasi come se da un momento all'altro sarebbe potuta scomparire da davanti ai suoi occhi. 
Si chinò su di lei, accarezzandole le guance con amore.
"Annie" la chiamò piano. L'emozione gli si fermò in gola e fece male. Ma era un dolore piacevole.. il dolore di chi sa che è tutto finito. 
Lei sbatté le palpebre qualche volta, prima di aprirle ed incatenare i suoi occhi con quelli di Finnick. 
"Ehi" sussurrò, piegando le labbra in un sorriso. 
"Ehi" rispose lui. 
 
Annie scoppiò in lacrime di gioia e di dolore, di sconfitta, di liberazione e di sollievo tutto in una volta. 
Non riusciva nemmeno a capire cosa stesse provando in quel momento: aveva vinto. 
Finnick era davanti ai suoi occhi, ancora più bello di quanto ricordava. 
Così reale. 
Sollevò il braccio sano, affondando le dita magre nei capelli di grano del ragazzo, che chiuse gli occhi, assaporando fino in fondo quel contatto così desiderato. 
"Ho vinto" sussurrò con voce rauca, ignorando il dolore alla gola. 
"Sì, hai vinto" rispose lui, sorridendo. 
Annie si tastò i pantaloni, cercando di estrarne qualcosa dalla tasca. 
Con difficoltà, toccò un oggetto rotondo e liscio, bagnato e freddo. Lo estrasse e lo porse a Finnick. 
"Siamo noi" disse.
Era la schiacciante verità. 
Quel sassolino non rappresentava più solo Finnick, che da persona insensibile era rinato grazie ad Annie. 
Il sasso era la spiegazione della loro essenza, dell'essenza di ogni tributo uscito vivo dall'Arena. Nessuno entrava bianco e ne usciva dello stesso colore. 
Durante i giochi, la personalità delle persone veniva distorta e macchiata irrimediabilmente. Non esistevano degli innocenti
Erano menzogne, quelle che venivano raccontate; non esistevano vincitori, ma solo sopravvissuti, lasciati annegare nella dannazione delle loro colpe. 
Ma loro erano insieme, come dimostrava quel piccolo ed apparentemente banale sassolino: le loro due metà, buona e dannata, avrebbero dovuto convivere per l'eternità.. supportandosi però.
Finnick lesse negli occhi di Annie il suo stesso dolore, la sua identica colpa che non l'aveva più abbandonato da quando era uscito vivo dall'Arena. 
Non si trattenne più; pianse lacrime amare, perché mai avrebbe voluto condividere con lei quella sofferenza. 
"Sshhh" mormorò la ragazza, posandogli delicatamente un dito sulle labbra. 
Il Mentore sollevò il corpo martoriato e fin troppo magro della sopravvissuta, stringendola al petto come se fosse l'oggetto più prezioso al mondo. 
Quando dei soldati si avvicinarono per dargli una mano, si scostò. 
"Ce la faccio" disse. 
Nessuno l'avrebbe più toccata. Lui l'avrebbe protetta costantemente, a costo della sua stessa vita. 
La depositò dolcemente sul lettino, spostandole le ciocche di capelli ramati dal viso. 
Annie lo fissò ancora per qualche istante, prima di crollare nel sonno causato dalla morfina. 

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Capitolo 31
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CARO LETTORE, AMICO O SCONOSCIUTO, 

DOPO TRE ANNI DI SCRITTURA, SIAMO GIUNTI ALLA FINE. 
LA STORIA DEGLI HUNGER GAMES DI ANNIE CRESTA SI CONCLUDE IN QUESTO MODO. 
E' STATA LUNGA, LO AMMETTO. ERO PARTITA CARICA ED ENTUSIASTA DI UNA NUOVA STORIA DELLA QUALE AVEVO CENTINAIA DI IDEE: SCRIVEVO DUE CAPITOLI AL GIORNO, AVEVO TANTISSIME PERSONE CHE MI SEGUIVANO E CONTAVANO SU DI ME. UNA FAVOLA, IN POCHE PAROLE. 
DOPO UN PO', COME NORMALE CHE SIA, L'ENTUSIASMO HA INIZIATO A SCEMARE E SONO ENTRATA IN UN PERIODO DI RASSEGNAZIONE, BLOCCO DELLO SCRITTORE, PROBLEMI VARI.. CHE NON MI HANNO PIU' PERMESSO DI DEDICARMI COME AVREI VOLUTO ALLA MIA STORIA. 
HO LASCIATO CHE PASSASSE DAVVERO TROPPO TEMPO TRA UNA PUBBLICAZIONE E L'ALTRA E QUESTO E' RICADUTO SU DI ME E NE HO ASSAGGIATO TUTTE LE AMARE CONSEGUENZE. 
AMMETTO CHE AD UN CERTO PUNTO SCRIVERE CAPITOLI ERA DIVENTATO QUASI UN PESO. DOVEVO SEDERMI ALLA SCRIVANIA E REALIZZARNE UNO, ALTRIMENTI MI SAREBBE RIMASTO UN PESO SULLO STOMACO. 
NONOSTANTE LE MIE RARE PUBBLICAZIONI, VI ASSICURO CHE MAI PER UN SOLO ISTANTE MI E' USCITA DALLA MENTE QUESTA STORIA. ERA SEMPRE LI', IN UN ANGOLO, CHE ASPETTAVA IL MOMENTO GIUSTO PER RICORDARMI CHE ANCORA ESISTEVA E CHE ANCORA ESISTEVATE VOI. 

MI MANCHERA'? DA MORIRE. 
HO AVUTO IL MAGONE, QUANDO HO DOVUTO CLICCARE SUL TASTO CONCLUSA PERCHE' NON VOGLIO ASSOLUTAMENTE DIRE ADDIO AI MIEI PERSONAGGI. 
ANNIE E FINNICK, COME OCEAN E GLAUCO.. EUER SOPRATTUTTO, SONO DIVENTATI UNA PARTE DI ME. 
DOPO TRE ANNI AD INVENTARE AVVENIMENTI E DIALOGHI E AD IMPERSONIFICARMI IN LORO PER RENDERE CREDIBILI LE SITUAZIONI, NON E' FACILE LASCIAR ANDARE TUTTO. 
VORREI POTER DIRE CHE MI METTERO' DI IMPEGNO A SCRIVERE UN SEQUEL O UNA STORIA IN CUI RACCONTO QUELLO CHE E' ACCADUTO AD OCEAN DURANTE GLI HUNGER GAMES DI SUA SORELLA, MA PER IL MOMENTO SO DI VOLER SOLO PRENDERE UNA PAUSA. UN MOMENTO PER ELABORARE NUOVE IDEE. MAGARI SU UN ALTRO RACCONTO TOTALMENTE DIFFERENTE. CHI LO SA. 

ARRIVATA A QUESTO PUNTO, VORREI RINGRAZIARVI. VOGLIO RINGRAZIARE LA PERSONA CHE LEGGE E RECENSISCE, QUELLA CHE METTE LA STORIA NELLE PREFERITE O NELLE SEGUITE, QUELLA CHE ASPETTA CON ANSIA IL CAPITOLO SUCCESSIVO E QUELLA CHE RIMANE COME SPETTATRICE NASCOSTA. TANTO SO CHE LA LEGGI EHEHE. 
VORREI RINGRAZIARE TUTTI VOI, PERCHE' SIETE VOI CHE MI AVETE SPINTO A CONCLUDERE IL RACCONTO.
SE NON AVESSI AVUTO L'APPOGGIO DI COSI' TANTE PERSONE NON CREDO CHE LA STORIA SAREBBE MAI DECOLLATA.
VI MERITATE TUTTI MOLTO PIU' CHE UN BACIO O UN ABBRACCIO. VI MERITERESTE DI ESSERE TUTTI AUTORI DI QUESTA INCREDIBILE STORIA. 
E SOPRATTUTTO AMMIREVOLE CHI E' ANCORA QUI CHE LEGGE QUESTO MONOLOGO STRAPPALACRIME. 
COMPLIMENTI DAVVERO! :) 
UN BACIO ENORME, 
LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE

 
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La fase di recupero di Annie fu particolarmente lunga rispetto al normale. 
Finnick non aveva mai avuto la possibilità di assistere ad un Tributo Vincitore, ma la consapevolezza che la sua Annie era dentro ad una stanza piena di medici di Capitol City era qualcosa che lo faceva rabbrividire. Era passata più di una settimana e mezza e ancora non volevano farla risvegliare. 
Dissero che la ragazza aveva riportato varie fratture al braccio e a qualche costola. Inoltre aveva subito un trauma cranico abbastanza importante, che aveva interessato l'ippocampo, la sezione del cervello in cui risiede la memoria. 
"Una volta sveglia, la signorina Cresta sarà nelle migliori condizioni fisiche ed il coma farmacologico che abbiamo indotto è solo una misura precauzionale, siccome è possibile che, una volta sveglia, riporti amnesie di breve o lunga durata" gli disse un medico, uscendo dalla stanza e levandosi la cuffia medica. 
Amnesie?
"Quanto potrebbe rimanere senza memoria?" domandò Finnick, percependo una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco. 
L'uomo scrollò le spalle. "Non si può dire con esattezza. Potrebbe essere anche solo per qualche giorno, oppure per mesi interi". 
"Mesi?!".
Il ragazzo si lasciò cadere su una sedia lì vicino. Non riusciva a crederci. 
Forse però sarebbe stato meglio: non avrebbe ricordato gli avvenimenti dell'Arena. Sarebbe stato più semplice per lei. 
Chissà quanto tempo di ricordi avrebbe attaccato l'amnesia. Solo l'Arena o anche prima, la loro storia, le giornate nel Distretto..
Si strinse la faccia tra le mani, affondando le dita nei capelli biondi come il grano. 
"Maledizione" sussurrò tra i denti. "MALEDIZIONE!" urlò, sbattendo le mani sulla sedia. 
Quando sollevò lo sguardo, incontrò gli occhi verdi e colmi di preoccupazione di Mags, in piedi a qualche metro da lui, con una tazza di caffé stretta tra le mani rugose. 
Rimasero in silenzio ad osservarsi. Non servivano le parole per esprimere quello che entrambi stavano provando al momento. 
La donna si sedette lentamente al suo fianco, passandogli dolcemente un braccio intorno alle spalle. 
"Hanno detto che ci potrebbe essere la possibilità di un'amnesia" spiegò Finnick, lo sguardo perso nel vuoto. 
Mags annuì tristemente. 
Gli passò una mano sulla guancia, costringendolo a guardarla. 
Andrà tutto bene. 
Il ragazzo stiracchiò un sorriso mesto, scuotendo la testa. "Non so cosa sia meglio. Che lei dimentichi qualsiasi cosa: l'Arena, Euer e.. me. Ma non riesco a pensare una vita senza di lei" ammise. 
La vecchia gli sfiorò il petto all'altezza del cuore, ammiccando con lo sguardo alla porta della stanza di Annie. 
Lei sceglierebbe comunque te.
"Lo so". 
In quell'istante, Typhlos uscì dalla camera della ragazza, col volto illuminato da un sorriso di sollievo. "E' sveglia" annunciò.
I due scattarono in piedi e si diressero a passi veloci verso il letto sul quale era adagiata Annie.
 
 
 
Un bip lento e fastidioso svegliò Annie. 
Percepì di essere sdraiata su qualcosa morbido, profumato e fresco, e subito le sensazioni la riportarono alla sua camera nel Distretto 4, quando d'estate amava rigirarsi nel letto di prima mattina, ad ascoltare il rumore del mare in sottofondo. 
Tentò di aprire gli occhi, ma era come se le palpebre non volessero rispondere ai suoi comandi. 
Il suono si ripresentò, forse ancora più forte di prima, cosa che la innervosì. Voleva capire da dove provenisse per farlo tacere. Era come se, ad ogni bip, la sua testa rimbombasse come una campana, provocandole fastidiose fitte alle tempie e alla nuca. 
"Annie" la chiamò una voce e lei fu sicura di averla già sentita prima di allora. 
Typhlos, le suggerì la sua mente. 
Impegò qualche momento per visualizzare l'immagine della donna dai capelli rossi, cieca, che le aveva realizzato il vestito più bello che la ragazza avesse mai visto.
Girò la testa nella direzione della voce e subito due mani piccole e fresche si avvolsero intorno alle sue.
"Sono qui" le disse dolcemente. 
Lentamente, Annie aprì gli occhi ed il mondo le apparve davanti come una macchia sfuocata e luminosa. Dovette battere le palpebre più e più volte per incominciare a distinguere le forme.
Tentò di parlare, ma dalla gola uscì un suono gruttuale che la sorprese.
La Stilista le sorrise. "Non ti preoccupare. Sei stata a letto per una settimana intera, diciamo che le tue corde vocali sono un po' arrugginite".
Finalmente i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco la stanza bianca e spoglia. 
Dove si trovava? 
"Sei in una delle sale mediche di Capitol City. Ti hanno dovuta ricostruire per bene" le spiegò pazientemente Typhlos, senza mai lasciarle la mano. "Ho chiamato Mags e Finnick, dovrebbero arrivare a momenti" continuò.
Finnick
Il Vincitore, il ragazzo violentato da Capitol City, il Mentore, l'amico.. chi era Finnick Odair per lei? L'avrebbe ancora amata, con tutti i demoni che sarebbero arrivati a perseguitarla? Le parole che le aveva detto appena fuori dall'Arena sarebbero state ancora valide? Lei gli avrebbe permesso di amarla, così distrutta?
Li vide entrare dalla porta, entrambi con dipinta in volto un'espressione preoccupata e spaventata.
Mags le si avvicinò e le accarezzò dolcemente una guancia, gli occhi luccicanti di lacrime. 
Annie percepì la mano morbida e rugosa disegnarle cerchi immaginari sulle guance e non riuscì a non sorriderle di rimando.
Sono felice che tu sia viva, le dissero gli occhi verde mare. 
"Anche io, Mags" sussurrò. 
Quando la ragazza spostò lo sguardo verso Finnick, lo vide sussultare impercettibilmente, senza che nessun'emozione permeasse dall'espressione neutrale sul volto del Mentore. 
"Ciao Annie" la salutò.
Rimasero ad osservarsi per interminabili secondi e l'unico suono ad eccezione del bip dei macchinari era quello dei respiri lenti dei presenti nella stanza. 
"Ciao Finnick" rispose lei.
Appena ebbe pronunciato il nome del ragazzo, questi rilassò le spalle contratte e distese le labbra in un sorriso che non aveva bisogno di parole per essere spiegato. 
"Cosa mi sono persa?" domandò.
"Sei stata in coma farmacologico per più di una settimana, ma ti hanno sistemata bene" le spiegò il ragazzo, sedendosi accanto a lei sul letto. "Avevi un braccio e qualche costola rotta ed un trauma cranico nella zona dell'ippocampo" concluse gravemente.
Annie aggrottò le sopracciglia. "Mi devo preoccupare?" chiese. 
Mags e Finnick si scambiarono un breve sguardo, prima che quest'ultimo riprendesse. "L'ippocampo è la zona del cervello in cui risiede la memoria. E' possibile che tu possa essere affetta da amnesie di breve.. o luna durata".
La ragazza spalancò gli occhi, improvvisamente spaventata dalla prospettiva. "Significa che potrei aver rimosso dalla mente alcuni ricordi? Quali? Non mi ricorderò della mia infanzia? Di Ocean? Che cosa succederà?". "Per ora non possiamo sapere nulla di certo. Potrebbe anche essere che non si manifesti nessun tipo di amnesia. Al momento, per esempio, non sembra che tu stia dimenticando nulla" tentò di rassicurarla Typhlos.
La Vincitrice prese un lungo respiro. "Quando potrò uscire da qui?" domandò. 
"Anche subito, se desideri" affermò una voce alle loro spalle. 
Tutti i presenti si voltarono di colpo. 
Un uomo sulla trentina molto affascinante li scrutò con un sorriso appena accennato. Aveva i capelli neri come la pece e così anche la barba, tagliata in modo egregio ed accurato, che creava eleganti ghirigori sul volto e terminava appena sotto il mento. Era vestito in maniera impeccabile: camicia rossa, giacca e pantaloni di seta neri e una rosa rossa appuntata al taschino. 
"Crane" salutò Finnick con voce piatta.
"Odair" rispose l'altro, lanciandogli uno sguardo di sufficienza. 
Il Mentore alzò gli occhi verdi al cielo e si girò verso Annie. "Lui è Seneca Crane, il capo degli Strateghi" presentò. 
L'uomo abbozzò un inchino educato nei confronti della ragazza. "Un grande piacere, signorina Cresta" le disse. 
D'altro canto, la ragazza lo osservò guardinga. "Non l'ho mai vista" commentò, invece di rispondere al saluto.
La cosa sembrò infastidire il capo degli Strateghi, ma nonostante questo non perse il sorriso mellifluo ed avanzò verso il letto per andare a posare la rosa rossa del suo taschino sulle gambe della Vincitrice.
"Il presidente Snow voleva che lei ricevesse questo omaggio, in quanto Vincitrice" le spiegò. 
Beh, il presidente Snow avrebbe benissimo potuto strozzarsi con questa rosa, della quale non me ne faccio proprio un bel nulla, avrebbe voluto rispondere lei, ma si limitò a lanciare un'occhiata noncurante al fiore, prima di tornare sul volto di Seneca. 
"Me ne posso andare, ha detto?".
Per la seconda volta, la mancata risposta di Annie lo infastidì, ma ancora riuscì a contenersi, nonostante un tic nervoso gli fece arricciare un angolo della bocca. 
"Ma certo" sorrise Crane. 
"Bene". 
Annie scostò le coperte che le avvolgevano il corpo e gettò le gambe giù dal letto. La pelle dei piedi, a contatto con il pavimento freddo, venne attravesata da brividi e pelle d'oca. 
"Aspetta, Annie" la fermò Finnick. "Sei sicura di star bene?".
La ragazza lo fissò. "Sono stata qui per più di una settimana, senza che nessuno sapesse nulla delle mie condizioni. I miei genitori, Ocean.." fece una pausa, perché l'immagine della sorellina venne subito rimpiazzata prepotentemente da quella di Euer, deceduto nell'Arena qualche minuto prima che la proclamassero Vincitrice. 
La sua testa che rotolava.. il sangue...
Annie scosse la testa e scacciò il pensiero, almeno per il momento. "Devo tornare" affermò, forse più a se stessa che agli altri. 
"Fantastico!" esclamò Seneca Crane.  Se possibile, il suo sorriso divenne ancora più ampio e spalancò la porta della stanza. "Stasera si terrà la Cerimonia per incoronare la Vincitrice" dichiarò soddisfatto, prima di voltarsi e sparire. 
La ragazza venne accompagnata da Mags e Typhlos, perché Finnick avrebbe dovuto comunicare a tutto lo staff e al Presidente Snow che finalmente la Vincitrice si era svegliata e sarebbe stata pronta per presentarsi all'intera capitale. 
Appena Annie aprì la porta d'ingresso, un paio di mani l'afferrarono per le braccia e la sollevarono da terra con impeto.
D'improvviso, tornò nell'Arena. Davanti ai suoi occhi scomparve l'appartamento ed il volto rubicondo di Jean-Claude, che venne sostituito da alberi e volti di Tributi che la osservavano famelici, puntandole contro armi insanguinate. 
La morsa divenne troppo forte ed abbassando lo sguardo lungo le sue braccia, vide del sangue stillare fuori dalla pelle, perché quello che la stringeva non erano mani, ma lacci di pelle spessa, nella quale erano inseriti degli spuntoni di metallo che le si conficcavano nella carne. 
Urlò, dimenandosi, finché la voce di Typhlos la richiamò alla realtà. 
Batté le palpebre più volte, col fiato grosso e le lacrime che ancora le solcavano le guance paonazze. 
Jean-Claude la osservò dispiaciuto, mentre Marcus la scrutò attento senza parlare, stringendo al petto Katherine che, a differenza degli altri due gridava e piangeva senza ritegno, anche se per un momento Annie pensò che tutta quella scena le servisse solo per farsi abbracciare dal ragazzo. 
"Scu..scusatemi" balbettò, tentando di darsi un contegno. "I gesti improvvisi mi destabilizzano ancora" si giustificò con Jean-Claude. 
L'uomo abbozzò un sorriso lieve, ma si mantenne ancora a distanza, tamponandosi la fronte con un fazzolettino lilla.
"Bentornata Annie" la salutò Marcus, unico ad aver mantenuto la calma ed il solo che non sembrava minimamente preoccupato dal cambiamento improvviso della Vincitrice. 
"Grazie" rispose lei, finalmente sentendo una sensazione di piacevole calore al petto. 
Aveva perso Euer, Jace, Lily, forse anche Ocean.. e sicuramente aveva perso se stessa, ma in quel momento era come se si sentisse di nuovo a casa. 
 
Dovettero prepararla per la serata, stabilendosi in una camera affianco a quella di Euer e la cosa mise a disagio la ragazza. 
Non voleva pensare all'amico, perché se l'avesse fatto avrebbe incominciato a piangere e non era sicura che sarebbe riuscita a smettere. 
Voleva essere forte, ma sapeva perfettamente di non esserlo mai stata.. o di non esserlo più. L'unico modo per non cedere nuovamente era quello di non pensare, ma non aveva idea che la cosa le sarebbe risultata più difficile del previsto. 
Non appena i suoi preparatori incominciarono a toccarla, un infinito numero di sensazioni l'assalirono, mandandola nel panico più assoluto. 
Non voleva essere toccata. Non poteva essere toccata: il suo corpo rispondeva al contatto con la paura e con la sottrazione. 
Ogni pressione le mozzava il respiro in gola; ogni unguento che le spalmavano sulla pelle le ricordava il sangue della bambina del Distrtto 12. 
Ogni strappo alle gambe la riportava alla montagna, quando le pietre appuntite le avevano lacerato la carne. 
Era come se i suoi ricordi si riattivassero solo se indotti, mentre rimanevano latenti se nessuno dava loro il pretesto di riaffiorare. 
Forse era quella l'amnesia di cui aveva parlato Finnick.
Alla fine, per poter continuare indisturbati, dovettero somministrarle un tranquillante che acquietò i demoni dell'Arena. 
Col medicinale in corpo, poté addirittura fare conversazione con i tre preparatori, che le raccontarono per filo e per segno tutto ciò che era successo nella Capitale da quando erano incominciati gli Hunger Games. 
"Hanno intervistato tua sorella quando siete rimasti in otto" le disse Jean-Claude, spazzolandole dolcemente i capelli. "E' molto carina e molto particolare, con gli occhi grigi e i capelli neri".
Annie sorrise. "Sì, è sempre stata la più bella della famiglia" annuì e gli occhi le si appannarono di lacrime. 
"Per l'amor del cielo! Non piangere, bambina" esclamò l'uomo, porgendole il proprio fazzolettino. "Anche tu sei bellissima" la rincuorò, certo che fosse per quello che la Vincitrice fosse scoppiata a piangere. "Anzi, ti dico di più: sei la più bella di tutte le ragazze del mondo!".
Marcus sbuffò, strappandole una striscia depilatoria dal braccio. "Non stava piangendo per quello Jean" dichiarò. "Le manca".
L'uomo osservò Annie in silenzio e poi iniziò a singhiozzare commosso. "E' una cosa così dolce" balbettò.
"Sarebbe più dolsce se tu guardassi cosa stai fascendo, al posto di piangér" lo rimbeccò Katherine, impegnata a ritoccare le sopracciglia della Vincitrice. 
 
Dopo qualche ora, Annie era nuda in una stanza, sdraiata su un tavolo di metallo ad osservare il soffitto illuminato. 
Sentiva il corpo pizzicare e bruciare, ma non le dava fastidio. Non da quando aveva affrontato l'Arena.. 
Serrò i pugni con forza. Non doveva pensare all'Arena. Non doveva ritornare con la mente a.. 
Vuoto
Aprì gli occhi, tirandosi a sedere di scatto. 
Non ricordava. Non ricordava nulla. Aveva vinto gli Hunger Games ma non si ricordava come. Eppure era sicura che, qualche istante prima, stava pensando a quello che era successo all'interno dell'Arena.
Avevano dovuto sedarla, mentre era stata con i preparatori, perché il trattamento la rimandava a quello che le avevano fatto.. ed in que lmomento non aveva idea di come avesse fatto ad arrivare viva alla fine degli Hunger Games. 
Nella testa aveva solo nomi e volti che si susseguivano velocemente: Euer, il ragazzo di sua sorella. Jace, il tributo del Distretto 7 e Lily, la sua compagna. Il tributo con i capelli rossi e lo sguardo folle; la ragazza dagli occhi azzurro come il ghiaccio.. 
Di loro, in relazione agli Hunger Games, sapeva solo una cosa: erano tutti morti perché lei era viva. 
Il rumore della porta che si apriva la distolse da quei pensieri. 
Typhlos avanzò piano e le si sedette di fianco, prendendole una mano tra le proprie. 
Annie scacciò la nausea causata dal contatto.
"Sei agitata?" le domandò. 
"Non mi ricordo nulla". 
Vide l'espressione preoccupata della Stilista comparire e svanire in un battito di ciglia. 
"E' normale. Hai subito un trauma cranico". 
"Non ricordo le cose finché qualcosa non induce la mia mente ad un certo pensiero. Come faccio a raccontare dell'Arena se non mi ricordo nemmeno quello che ho fatto?!" le spiegò. Aveva bisogno che qualcuno sapesse. "Mi hanno dovuto somministrare un tranquillante perché non riuscivo a permettere ai preparatori di aiutarmi".
Senza capire perché, scoppiò a piangere. 
"E non voglio piangere!" gemette "Non so perché sto piangendo" si giustificò, mentre il corpo veniva sconquassato da singulti violenti. "E' così imbarazzante..". 
Improvvisamente, l'idea di aver perso la testa davanti a Typhlos le sembrò la cosa più assurda che le fosse successa in molto tempo e, senza poterlo impedire, il pianto si tramutò in una risata isterica, accompagnata da lacrime salate. 
La Stilista rimase in silenzio, permettendole di tranquillizzarsi. "Hai subito tanti traumi uno dopo l'altro, Annie. E' normale che il tuo corpo reagisca in maniera così inaspettata" le disse. 
"Io voglio avere il controllo del mio corpo! Non posso permettere che gli Hunger Games mi portino via l'unica cosa che mi avevano promesso sarebbe stata salva!!" urlò la ragazza, con le guance rosse. "Hanno ucciso tutte le persone che amavo! Euer, Jace, Lily! Chissà se Ocean mi guarderà come una sorella o come l'assassina del suo ragazzo! Io volevo solo essere normale e sono diventata un mostro!" gridò fuori di sé. 
Afferrò brutalmente il vaso di fiori poggiato su un mobile e lo scagliò a terra, godendo nel sentire la ceramica rompersi. Non soddisfatta, colpì il ripiano stesso con un calcio, che cedette con un colpo secco. 
"Voglio solo che la mia testa stia zitta!!" strillò, accasciandosi a terra ed afferrandosi il piede dolorante. Singhiozzò disperata, ma tra le lacrime si accendevano piccole risate, scaturite dall'ironia della sorte che la voleva come la Vincitrice perdente dei 70esimi Hunger Games. 
La mano di Typhlos le accarezzò i capelli e la sentì inginocchiarsi davanti a lei. 
"Devi essere forte, Annie. Forte per quelli che sono ancora vivi". 
Nel sentire quelle parole, la mente della ragazza tornò all'Arena, quando aveva avuto una visione di sua sorella e Finnick che le dicevano di tornare, per quelli che avrebbero continuato a vivere dopo quei giochi. 
"Finnick" sussurrò flebilmente. 
"Esatto, Annie. Per Finnick, per Ocean e per i tuo genitori. Per i tuoi amici nel Distretto e per me".
La Vincitrice sollevò la testa ed osservò la Stilista sorriderle, fiduciosa. 
"Ho paura di me" le rivelò, in un bisbiglio.
"Anche io ho paura di me; ognuno ha paura della propria parte oscura. Il problema sta nel lottare per impedirle di dominare le nostre azioni. Sono le persone a decidere chi vogliono essere". 
Rimasero in silenzio e le parole della donna aleggiarono nella stanza per minuti interminabili. 
Poi, Typhlos si alzò in piedi e si spazzolò la gonna. "Il tuo vestito è pronto. Se te la senti possiamo andare a provarlo" le disse, tendendole la mano. 
Annie si asciugò le lacrime dalle guance e sorrise. "Andiamo".
 
La preparazione insieme a Typhlos fu molto più tranquilla della precedente, probabilmente perché era riuscita a sfogarsi del mare di emozioni che la stavano invadendo.
Il vestito per il più bello che le aveva confezionato dall'inizio degli Hunger Games ed esprimeva appieno quello che avrebbe voluto far emergere davanti a tutta Capitol City: il suo furore, il lutto per la perdita di Euer e la volontà di apparire ancora forte e sicura. 
La gonna era lunga oltre i piedi, nera come le ali di un corvo e si apriva in uno spacco mozzafiato venti centimetri sotto il fianco destro, lasciando che la gamba venisse scoperta ad ogni passo. 
Sul ventre, il tessuto scuro iniziava a diventare sempre più trasparente, fino a coprire la pelle del petto solo con un sottilissimo strato che permetteva di vedere completamente la pelle. Sopra a questo, erano stati ricamati centinaia di ghigirori di pizzo elegantissimi , che si avvolgevano tra loro e si infittivano per coprire i seni. 
La scollatura a cuore permetteva di lasciar libere spalle e collo, al quale era stata allaciata una collana che aveva come ciondolo il sassolino di Finnick ed Annie. 
La schiena era completamente libera ed il vestito riprendeva a livello dell'osso sacro. 
I capelli di Annie erano stati scuriti ed acconciati in una treccia laterale molto gonfia, alla quale erano state appuntate vere perle, che luccicavano alla luce. 
I preparatori avevano insistito molto sul trucco: deciso, che facesse risaltare gli zigomi, ma non volgare, senza eccedere con colori troppo scuri sugli occhi e sulle labbra. 
A lavoro completo, Annie, osservandosi allo specchio, pensò che apparisse spaventosamente bella e al contempo terribilmente triste. 
Inoltre, il nero era il colore di lutto nel Distretto 4 e si commosse nel pensare che, in quel modo, avrebbe onorato la memoria dell'amico. 
"E' bellissimo come sempre" disse a Typhlos. 
La Stilista sorrise, compiaciuta "Tu sei stupenda, quindi il vestito ti calza a pennello. Ora devi essere forte, perché là fuori ti aspetta l'intera Capitol City, che gioirà per la morte degli altri 23 tributi".
Annie strinse le labbra. "Lo sarò" affermò.
Fece per uscire, quando Katherinne la rincorse e le afferrò il braccio sinistro. 
Nel sentire il contatto, la ragazza trasalì e ricacciò indietro una delle tante immagini degli Hunger Games. 
"Mi sono dimenticata una cosa" le disse la donna e tese una mano, in modo che Annie appoggiasse il braccio.
Dopo alcuni istanti ad osservarla, acconsentì.
Con gesti veloci e precisi, le tracciò sulla parte interna dell'avambraccio un tridente stilizzato e molto bello. "Evidentemònte ti porta fortuna". Le strizzò l'occhio, prima di scomparire dietro una tenda. 
La ragazza osservò il disegno. Non riusciva a capire quella donna, ma le era grata per quello che aveva fatto. Il tridente rappresentava Finnick e sapere di poterlo portare sul palco le infondeva calma. 
Appena udì il segnale per uscire, andò a sbattere contro una schiena muscolosa e, sollevando lo sguardo, non poté non riconoscere l'ammasso di capelli biondi e ricci del Mentore. 
Lui si voltò e spalancò gli occhi, senza parole. "Sei.. bellissima" sussurrò.
"Ho bisogno di te sul palco" gli disse concisa. Sapeva che avrebbe perso il controllo durante la Cerimonia. Tutti gli occhi degli abitanti l'avrebbero solo agitata e le avrebbero fatto ricordare dei momenti spiacevoli nell'Arena. Se non ci fosse stato qualcuno ad infonderle coraggio, avrebbe rovinato qualsiasi cosa. 
Il ragazzo sospirò. "Vorrei evitare di dare un pretesto a Snow per dividerci" rispose.
Gli occhi della Vincitrice luccicarono di lacrime e dovette mordersi forte il labbro inferiore per obbligarsi a non piangere. 
"Annie, cosa c'è?!" chiese Finnick allarmato, prendendole il volto tra le mani e constringendola a guardarlo. 
Lei sobbalzò e si dibatté, finché il Mentore non si staccò dal suo viso. Sorrise amaramente "Questo è quello che succede ai Vincitori che perdono" sussurrò. "Non ricordo i miei Hunger Games" ammise "Ho un vuoto nella mente e..".
"E' l'amnesia, Annie".
"No! Non è amnesia! Sono io. Io, solo io. La mia mente non vuole ricordare. E quando ricorda io.. non riesco a farmi toccare. Nemmeno da te! Appena qualcuno mi sfiora io ritorno nell'Arena e.. c'è sangue.." balbettò.
Il ragazzo l'afferrò per le braccia, ignorando i suo tentativi per sottrarsi. "No, Annie. Sono io. Sono Finnick. Non ti faccio del male e lo sai. Non sei più nell'Arena, tu hai vinto. Sei con me e sei al sicuro. Ho promesso che nulla ti avrebbe più fatto male d'ora in avanti ed intendo mantenere la parola. Tu sei una delle persone più forti che io conosca. Non devi farti spaventare da quello che sei diventata dopo gli Hunger Games. Lo sapevamo entrambi: non esistono vincitori, ma solo sopravvissuti. Ma siamo insieme anche in questo. Io mi prenderò cura di te per sempre. Ora devi andare su quel palco e dimostrare che non hai paura. Io sarò qui ad aspettarti" concluse, senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi verde mare di Annie. 
Lentamente, la ragazza si avvicinò a lui ed appoggiò la testa al suo petto, respirando profondamente. 
Rimasero abbracciati per qualche istante, finché il segnale acustico non si fece risentire. 
"Devo andare". 
"Ti guarderò da qui". 
 
 
 
"Signori e signore! Ma che spettacolo!" urlò Caesan nel microfondo, indicando Annie. "Una vera regina d'eleganza!".
La ragazza si sedette sulla poltrona e cercò di calmare i battiti del cuore. 
"Ti vedo in forma smagliante, nonostante siano quasi due settimane che ti celi alle telecamere. Mi hanno detto che sei stata tenuta a riposo dai medici. Racconta".
"Beh.. ho subito un forte trauma cranico abbastanza pericoloso e hanno deciso di mantenermi in coma farmacologico per qualche tempo. Ora sto bene, anche se hanno detto che potrei riportare qualche amnesia" spiegò, imponendosi di sorridere. 
"Amnesie? Signori ma è sconvolgente!! E dimmi, Annie, ti sei dimenticata qualcosa degli Hunger Games?". 
Lei annuì e dal pubblico si alzò un coro dispiaciuto. "Non è niente di tragico" aggiunse a bassa voce. 
"Ma certo che è tragico! Non lo pensate anche voi?!" e gli abitanti di Capitol City urlarono la loro approvazione. 
Poi l'uomo tornò serio. "Abbiamo visto tutti come tu ti sia separata drammaticamente dal tuo compagno di distretto, Euer".
Nel sentire il nome dell'amico, Annie chiuse istintivamente gli occhi. 
Una serie di immagini si presentarono prepotentemente nella sua mente e, senza che potesse impedirlo, dovette assistere per la seconda volta alla decapitazione del fidanzato della sorella. 
Sapeva che sarebbe successo.. era sicura che Caesar avrebbe detto qualcosa che l'avrebbe indotta a ricordare. 
Tentò di scacciare il pensiero, nascondendolo al pubblico con il gesto di sistemarsi i capelli sulla fronte, ma questo, se possibile, si impiantò nella sua testa ancora più ferocemente, facendola gemere. 
"Annie, tutto okey?".
La voce del conduttore le risuonò ovattata nelle orecchie, poiché il rumore nauseabondo della lama che lacerava la carne del collo dell'amico avvolse tutto il resto. 
Davanti a sé non c'era più il pubblico, ma l'espressione folle del tributo dai capelli rossi che decapitava Euer. 
La testa dell'amico cadeva a terra con un tonfo sordo e poi le rotolava tra i piedi, gli occhi ancora spalancati a guardare un cielo che non avrebbero mai visto. 
Istintivamente, Annie si alzò ed indietreggiò, per schivare la testa mozzata, ma nel farlo si accorse di essere sul palco e non nell'Arena ed urtò la poltrona dietro di sé, cadendo a terra.
Caesar accorse in suo aiuto, afferrandola per un braccio e la mente della ragazza fu invasa dall'ennesimo ricordo di Katherinne che la colpiva in volto. 
Si dimenò, osservando il viso concertato dell'uomo che tentava di capire cosa stesse succedendo senza preoccupare troppo il pubblico. 
Altre due mani l'avvolsero da dietro, rimettendola in piedi. 
Prima che potesse urlare di lasciarla, la voce calma di Finnick le accarezzò l'orecchio. "Sono io" le disse. "Stai tranquilla". 
Come tutto era incominciato, finì ed Annie si trovò a fissare centomila paia di occhi spalancati, che non capivano cosa stesse succedendo alla Vincitrice. 
"Dovete scusarla" intervenne Finnick, prendendo il microfono di Annie e sfoggiando il sorriso più affascinante del suo repertorio. "Una cosa che non vi è mai stata detta sulla nostra bella Vincitrice, Annie Cresta, è che è terribilmente aracnofobica e questo" continuò, indicando la ragazza "è quello che succede quando un aracnofobico vede un ragnetto grande come un'unghia" sorrise. 
Si piegò sulle ginocchia e fece finta di prendere in mano un ragno immaginario, ben sapendo che il pubblico si sarebbe bevuto qualsiasi cosa fosse uscita dalle sue labbra. 
"Come potete vedere, signori e signore, c'è sempre bisogno di Finnick a Capitol City" concluse sarcastico.
Gli abitanti proruppero in urla di giubilio, acclamando il grande Finnick Odair con risate e baci volanti, tirando rose e altri oggetti. Alcune donne addirittura gli chiesero di sposarlo, soffrendo anche loro di aracnofobia. 
Annie intercettò uno sguardo d'intesa tra il Mentore e Caesar, che fu abile nel riportare l'attenzione del pubblico su altri argomenti senza più far parlare la Vincitrice, se non per chiederle pareri banali che comunque andavano a soddisfare il gusto del pubblico. 
"Signore e signori, un bell'applauso per la nostra giovane e bellissima Vincitrice, Annie Cresta!!" urlò l'uomo dai capelli arancio nel microfondo, fingendo di avvolgere la mano in quella della ragazza, nonostante non ci fu nessun contatto.
Lei gli sorrise grata e poté giurare di aver visto Caesar farle l'occhiolino. 
Dopo i saluti ed una marea di rose, Annie poté abbandonare i riflettori e rifugiarsi dietro al palco. 
Si appoggiò ad una parete, respirando profondamente e toccando il ciondolo della collana. 
Dopo l'attacco di panico, la sua mente si era come svuotata di ogni pensiero e di ogni ricordo. Non sapeva se esserne felice o disperata: sarebbe andata avanti così per tutta la vita? A fuggire dal contatto con le persone ed urlare in pubblico, in preda a momenti di pura follia? 
La sola idea la terrorizzava. 
"Annie" la chiamò Finnick, comparendole accanto. 
"Grazie per la storia del ragno" mormorò, abbozzando un sorriso.
L'altro rispose al sorriso e si passò una mano tra i capelli. "Bisogna sempre avere la situazione in pungo.. e poi è la prima cosa che mi è venuta in mente" si giustificò.
"Direi che ha funzionato più che bene".
Si incamminarono verso gli appartamenti. Finnick non osava passarle un braccio intorno alle spalle o prenderla per mano, anche se sapeva che lei avrebbe sopportato quel genere di contatto con lui. 
Arrivati davanti alla porta della camera della ragazza, si bloccarono, non sapendo bene cosa dire o cosa fare. 
"Io.." incominciò Annie. "Volevo solo ringraziarti per prima. Mi hai davvero aiutata a mantenere la calma" disse, senza riuscire a guardarlo. 
Si vergognava della propria debolezza ed odiava il fatto che lui l'avesse vita in un momento del genere. Per Finnick avrebbe voluto essere la ragazza forte e spensierata che era stata prima degli Hunger Games. Non avrebbe voluto tramutarsi nel fantasma della vera sé. 
"Lo rifarei altre cento volte se servisse. Lo sai che io per te ci sarò sempre" rispose lui, allungando una mano per accarezzarle il volto.
D'istinto, Annie si spostò, evitando il contatto. 
Vide un'ombra passare negli occhi del Mentore e si odiò per la sua fragilità, soprattutto se questa implicava allontanarsi da lui. 
"Allora, buonanotte Annie. Ci vediamo domani. Si torna a casa" sorrise lui mesto.
La ragazza ricambiò debolmente. "Buonanotte". 
Si obbligò a sporgersi verso di lui, per dargli un bacio su una guancia, ma a qualche centimetro dalla sua pelle si bloccò, assalita dai soliti ricordi macabri e violenti. 
"Scusami" sussurrò.
"Non ti preoccupare". Finnick le sorrise un'ultima volta e se ne andò nella sua camera, lasciandola sola nel corridoio ad osservare la porta chiudersi. 
Entrò in camera e si sedette sul letto, ad osservare il nulla davanti ai suoi occhi e risendendo nelle orecchie la voce di Finnick. 
Perché non poteva avere una vita normale insieme a lui? Sarebbe stato molto difficile lasciarsi toccare da lui? Era quello che più voleva, giusto? Una vita insieme a Finnick. 
Eppure, non riuscivano neppure a guardarsi negli occhi.
Si distese, sempre tenendo gli occhi ben aperti. Aveva paura di quello che avrebbe ricordato, se avesse ceduto all'oscurità.
Rimase in quella posizione per qualche ora, finché la testa non le fece così male per l'assenza di sonno, che decise che non avrebbe potuto continuare così.
Si alzò ed uscì dalla camera. Le sue gambe si mossero automaticamente ed in poco tempo si trovò davanti alla porta di Finnick. 
Avrebbe dovuto bussare, oppure sarebbe potuta andare nella stanza di Typhlos a raccontarle quello che stava provando. 
Forse quella sarebbe stata la soluzione migliore. Si incamminò, ma a metà corridoio decise che non era giusto. 
Fece retrofront e, prendendo un profondo respiro e molto coraggio, bussò alla porta di Finnick. 
Non passarono due secondi, che il ragazzo le comparve davanti agli occhi, spettinato e scompigliato. 
"Annie, cosa c'è? Stai bene?" domandò preoccupato. 
Lei annuì. "Non riesco a dormire.. ogni volta che chiudo gli occhi c'è l'Arena" spiegò. 
Il ragazzo sospirò. "Ti capisco. Vieni" la invitò ad entrare. 
Entrambi rimasero ad osservare il letto in piedi.
Il Mentore si grattò la testa, indeciso sul da farsi. "Io posso dormire per terra, prendi pure il letto".
Annie si sedette sul bordo, appoggiando le mani sulle ginocchia. 
"Non voglio che tu dorma scomodo. Possiamo.. cioé.. possiamo dormirci entrambi".
Scorse un'espressione sorpresa comparire sul volto di Finnick. "Per me non è un problema" ripeté lui. 
"Nemmeno per me".
Il Mentore si sedette di fianco a lei e tra loro cadde il silenzio. 
"Perché ci comportiamo così?" ruppe il ghiacco Annie dopo un po'.
"Come ci dovremmo comportare?".
"Non lo so. Prima non ci sopportiamo, poi ci parliamo, dopo mi baci e mi dici che sei innamorato di me, poi io me ne vado per gli Hunger Games e quando torno non ci guardiamo nemmeno in faccia. Non so più cosa pensare!".
Finnick si voltò verso di lei. "Tu non sai cosa pensare? Hai paura di baciarmi e mi schivi se tento di toccarti!" ribatté.
"Non pensare che mi diverta ad allontanarmi da te! Pensi che mi piaccia sentirmi in questo modo?!". Ora Annie stava urlando, alzata in piedi ad osservarlo. 
Non le importava che qualcuno potesse sentirla. L'unica cosa davvero importante era che Finnick capisse. 
"Allora non farlo! Non andartene da me, Annie! Tu puoi combattere questa cosa, come abbiamo fatto tutti noi Vincitori". 
"Come puoi pensare che sia facile? Hai visto il tuo migliore amico essere decapitato da un folle all'interno dell'Arena? Dimmelo! L'hai visto?! Perché io si e la cosa mi uccide, giorno e notte. Non c'è momento in cui io non pensi all'immagine della testa di Euer che mi rotola sui piedi! Dimmi, tu l'hai visto?!". 
Aveva gli occhi intrisi di lacrime, che non volevano però scorrerle sulle guance ed il mondo le pareva così distorto e confuso. 
Anche Finnick si alzò e le si avvicinò lentamente. "No, non ho mai assistito alla morte del mio migliore amico. Però ho visto quasi morire la ragazza di cui sono innamorato per due volte e ti assicuro che, quando il tuo viso compariva sullo schermo, pregavo Dio di non vederti uccisa. Quindi si, so come ci si sente" ruggì.
Si guardarono agguerriti senza aggiungere altro, perché le parole che si erano detti avrebbero colmato qualsiasi altro silenzio. 
Entrambi aspettavano una reazione dall'altro. 
Un altro litigio? Una fuga? Uno schiaffo? Chi sarebbe stato il primo a ricominciare a parlare? Finnick non voleva saperlo, perché era così vicino ad Annie che poteva contarle le ciglia e distinguere ogni singola lentiggine sul suo naso e non voleva ricominciare a discutere perché gli era mancata e percepiva questa mancanza in ogni centimetro della sua pelle. 
"Al diavolo" ringhiò.
Circondò il volto della ragazza tra le mani e l'avvicinò al suo, baciandola. 
Percepì la sorpresa di Annie ed il tentaivo di respingerlo. Non cedette e continuò a stringerla, cercando di farle sentire la sua protezione, di farle capire che non l'avrebbe mai lasciata e che aveva bisogno di lei. 
Dopo un attimo, si accorse che le difese di Annie iniziavano a cedere.  
Le avvolse la vita con un braccio, costringendola ad avvicinarsi a lui, a farla sbattere contro il proprio petto. 
Sentì le mani piccole della ragazza risalire sul suo viso e stringerlo e poi affondare nei suoi capelli, tirarli e rigirarseli tra le dita. 
Non era un bacio dolce; era un bacio irruento, rabbioso, disperato e famelico, che sarebbe servito molto più di cento parole. 
Finnick assaporò il gusto salato delle lacrime della ragazza, che avevano ricominciato a bagnarle il viso.
Le dita di Annie arrivarono al primo bottone della sua camicia e lo slacciarono, passando al secondo e al terzo. L'indumento cadde a terra senza rumore, seguito dal vestito di lei, che rimase in intimo.
Continuarono a baciarsi anche quando si spostarono sul letto, senza lasciarsi, senza separarsi di un centimetro. 
Annie circondò il bacino di Finnick con le proprie gambe ed iniziò a passare le mani su tutto il petto del ragazzo, seguendone ogni muscolo e ogni cicatrice. 
Finnick non fece una piega: si sarebbe fatto toccare sempre e solo da lei. Non gli procurava più disgusto il proprio corpo e non si vergognava a farlo vedere com'era veramente.
Anche i pantaloni del ragazzo furono lanciati al di là del letto e, finalmente i due smisero di baciarsi, guardandosi negli occhi. 
"Non mi interessa cosa succede, Annie. Io vorrò sempre e solo te, così come sei. Ti amerò nei momenti migliori e in quelli peggiori" le sussurrò, col fiato corto. 
Annie si alzò quel poco per unire nuovamente le loro labbra. "Ti amo, Finnick" rispose a mezza voce. 
Ricominciarono a baciarsi, questa volta più lentamente, assaporandone ogni istante. 
Le mani di Finnick iniziarono ad accarezzare il corpo della ragazza ed ogni tocco generava scosse di piacere in entrambi. 
Sapevano cosa stava per accadere ed erano consapevoli che sarebbe successo comunque, ma Finnick cercò lo sguardo di Annie per essere sicuro che lei fosse d'accordo.
La ragazza annuì e gli diede un bacio a fior di labbra. 
"Solo fai piano" disse, per poi stendersi sul letto e chiudere gli occhi.
 
 
 
La mattina dopo, Annie osservava il paesaggio scorrere velocemente dal finestrino del treno e pensava a quello che l'avrebbe aspettata al Distretto. 
Odio? Rancore? Felicità?
Sentì la mano di Finnick appoggiarsi sulla sua e sorrise nel constatare che il contatto non le creava nessun disturbo. Gli permise di intrecciare le dita alle sue e stringerle. 
Forse quello era l'inizio di una sua lenta rinascita.
"Come stai?" le chiese, spostandole una ciocca di capelli da davanti al viso. 
"Agitata".
"Anche io lo ero. Andrà tutto per il meglio, Annie. Fidati di me". 
"Mi fido di te. Non mi fido di me".
Il ragazzo sospirò e si spostò verso di lei. La fece sedere sulle sue gambe ed incominciò a lasciarle lenti baci sul collo. "Io mi fido di entrambi e questo basta". 
In quel momento entrò Milly Botuline, che alzò un sopracciglio. 
"Non potete contenervi almeno finché non saremo arrivati?" domandò stizzita, afferrando un dolcetto e ficcandoselo in bocca. 
Finnick le fece il verso, ma Annie si alzò e si sedette su una poltrona, sotto sentite proteste del Mentore. 
"E preparatevi, perché tra qualche minuto arriveremo al Distretto". 
La ragazza percepì una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco e non riuscì più a scollare lo sguardo dal finestrino. 
"Cosa dirò ad Ocean?" mormorò "Mi odierà".
"Non può odiarti, Annie. Sei sua sorella. Capirà e ti vorrà bene come sempre" la rassicurò Finnick. 
Mags entrò dalla porta, seguita da Typhlos, che aveva deciso di accompagnarli per conoscere la famiglia della Vincitrice. 
"Abbiamo fatto le ore piccole stanotte, eh?" li canzonò la Stilista, con un ghigno beffardo in volto. 
Finnick scoppiò a ridere, mentre il volto di Annie si colorò di un delizioso rosso pomodoro. "Non.. non.. come..?". 
"Sono cieca ma ci sento ancora benissimo" rispose la donna e anche Mags abbozzò un sorriso. 
L'unica davvero scandalizzata era Milly, che dopo aver mimato molto elegantemente un conato di vomito, se ne andò, avvisandoli di stare pronti. 
"Sei pronta, Annie?" le chiese Typhlos. 
La ragazza posò lo sguardo su ognuno di loro e si fermò sul volto di Finnick, ancorando gli occhi con i suoi.
"Sono pronta". 
 
"Signore e signori, la Vincitrice dei 70esimi Hunger Games: Annie Cresta!".
La voce metallica di Milly Botuline echeggiò per tutta la piazza, amplificata dal microfono. 
Dietro di lei, si incominciò ad aprire una porta di legno, che rivelò ai cittadini del Distretto 4, la Vincitrice ed il suo Mentore.
Con le gambe che tremavano, Annie fece il primo passo, seguito dal secondo, sempre reggendosi al braccio di Finnick, che le aveva promesso che non l'avrebbe mai lasciata cadere. 
Respirò profondamente e poi uscì. 
Il sole caldo l'accecò per qualche istante e dovette socchiudere gli occhi verdi per intravedere qualcosa. 
Piano piano, si abituò alla luce ed incominciò a distinguere le sagome delle persone. 
A lei, però, non interessava la figlia del panettiere, o la moglie del sindaco. 
Lasciò vagare il suo sguardo finché un paio di occhi grigi come il metallo non incontrarono le sue iridi smeraldine.
"Ocean" sussurrò.
La sorella non assomigliava più alla ragazzina di quindici anni che aveva lasciato qualche mese prima. Ora, davanti a sé, aveva una giovane donna, provata dagli avvenimenti che avevano devastato la sua vita: aveva perso il fidanzato e aveva rischiato di veder uccisa anche la sorella. 
Accanto a lei, Glauco le avvolgeva le spalle con un braccio, mentre i due genitori, alla sua sinistra, piangevano di gioia. 
Ocean non disse una parola, si limitò a staccarsi dal gruppo ed avanzare lentamente, con la stessa cadenza dettata dai battiti del cuore della Vincitrice. 
Ogni passo era una coltellata nella schiena di Annie. 
Non aveva mai avuto più paura in vita sua. 
In quel momento, l'unica cosa che desiderava davvero era scappare il più lontano possibile da quei due occhi grigi, che l'avrebbero tormentata per tutta la vita. 
Quando le due sorelle Cresta furono l'una davanti all'altra, nel Distretto cadde il silenzio più totale. 
"Mi dispiace, Ocean. Ti avevo promesso che l'avrei salvato e non ce l'ho fatta. Puoi odiarmi, disprezzarmi, urlarmi contro e avresti ragione perché.." iniziò Annie di fretta, cercando di dare un senso al mare di parole che aveva in testa. 
La sorella non la fece continuare. Si sporse in avanti e la circondò con le braccia, tirandola a sé.
L'altra trattenne il fiato, aspettandosi l'ennesima crisi e con la coda dell'occhio vide Finnick fare un passo avanti. 
L'unica cosa che percepì, però, fu il calore del corpo di Ocean ed un immenso sollievo che si impossessava di lei. 
Ricambiò l'abbraccio con foga, affondando il volto nei capelli della sorella e scoppiando in lacrime.
"Mi dispiace" singhiozzò.
"Non piangere. Ti voglio bene, Annie! Sono contenta che tu sia viva" le sussurrò la sorella nell'orecchio. 
I signori Cresta corsero sul palco, unendosi all'abbraccio delle sorelle.
Appena, però, le mani della madre si posarono sulla schiena della ragazza, questa scattò come una molla, allontanandosi dalla famiglia col fiato grosso. 
"Non.." balbettò, serrando gli occhi e pregando di non ricordare nessun'immagine dell'Arena. 
Questa, invece, si presentò malignamente sottoforma di una mano insanguinata che conficcava un pugnale fino all'elsa nel corpo di una vittima. 
Annie si coprì gli occhi, incominciando ad urlare. 
Altre mani si appoggiarono sul suo corpo, questa volta grandi e calde. 
"Annie, va tutto bene. Tranquilla. Ci sono qui io" mormorò il Mentore. 
"Finnick" singhiozzò lei, aggrappandosi alla sua maglietta e lasciandosi tirare in piedi. 
Osservò Ocean piangere ed i genitori guardarla spaventati. 
La sorella si avvicinò. "Non possiamo più toccarti?" le domandò.
"Il contatto le fa ricordare gli Hunger Games. Ha subito un trauma cranico molto importante ed è come se la sua mente avesse cancellato i ricordi dell'Arena, che riemergono solo quando qualcuno la tocca. Con te no, però, Ocean." spiegò Finnick. 
La madre di Annie scoppiò nuovamente in lacrime, abbracciando il marito che serrò le labbra. 
L'avrebbero disprezzata, ne era sicura.
Chi avrebbe mai voluto una pazza in famiglia?
"Non mi importa" affermò il padre, attirando l'attenzione della figlia. "Non ci importa, Annie. Sarai sempre la nostra bambina, qualsiasi cosa succeda. Se l'alternativa è non rivederti più, allora preferisco mille volte non abbracciarti più. Ti vogliamo con noi. Sei stata via fin troppo tempo" concluse.
Gli occhi verdi della ragazza si riempirono di lacrime e scoppiò a piangere sommessamente.
"Andiamo a casa" disse Ocean, porgendole la mano. 
I cittadini del Distretto 4 aprirono un passaggio, quando la famiglia e Finnick passarono in mezzo a loro. 
Piano piano, qualcuno iniziò a battere le mani, forse Glauco, finché tutti non si unirono all'applauso, che li condusse fino alla porta di casa. 
Il Mentore si fermò sulla soglia ed Annie si voltò a fissarlo, interrogativa. 
"Io non entro" la informò. "E' giusto che tu passi del tempo con la tua famiglia".
La ragazza annuì. 
Si sporse verso di lui e lo baciò lievemente. "Grazie".
"Ci vediamo, Annie". 
 
 
 
 
Il sole stava tramontando davanti ai loro occhi. 
L'arancione, misto al rosa delle nuvole e all'azzurro del mare creava un contrasto mozzafiato che sapeva di casa. 
Annie osservò le propie dita intrecciate a quelle di Finnick e sorrise, sentendo il petto del ragazzo contro la propria schiena. 
"A che pensi?" gli domandò.
"Credo che questo sia il momento migliore della mia vita". 
"Forse lo è sul serio".
"Non sono sicuro. Sai, domani sarà un altro giorno e chissà che succederà qualcosa di straordinario insieme a te. Quindi non voglio essere troppo frettoloso per tirare le somme".
"Perché pensi che gli attimi migliori saranno quelli vissuti con me?" gli domandò, voltandosi a guardarlo e perdendosi nella profondità dei suoi occhi verde mare. 
Finnick le sorrise. "Perchè tu sei la cosa più bella della mia vita"
 
 
THE END
 

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