Verità nascoste

di kbonny
(/viewuser.php?uid=113229)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rompere il ghiaccio ***
Capitolo 2: *** Castelli di carta ***
Capitolo 3: *** Tormenti e perplessità ***
Capitolo 4: *** Caso chiuso ***
Capitolo 5: *** Sconvolgimenti ***
Capitolo 6: *** Pelle d'oca ***
Capitolo 7: *** Segreti e bugie ***
Capitolo 8: *** Conferme ***
Capitolo 9: *** Lacrime e abbracci ***
Capitolo 10: *** Fiori per la tua tomba ***
Capitolo 11: *** Il bisogno di sapere ***
Capitolo 12: *** Troppe cose da sapere ***
Capitolo 13: *** Teneri pensieri ***
Capitolo 14: *** Confidenze ***
Capitolo 15: *** Flash ***
Capitolo 16: *** Resa ***



Capitolo 1
*** Rompere il ghiaccio ***


Premessa
L'idea di quasta storia è nata un po' di tempo fa, ma non trovavo l'ispirazione per iniziare a pubblicarla (anche perchè effettivamnete un'idea per il finale ancora non ce l'ho.... ) essendo anche la mia prima long.
Almeno per il momento non ho inserito elementi temporali, ma diciamo che potrebbe essere collocata a metà della IV stagione.
Alcuni elementi sono puramente inventanti e senza alcun riferimento veritiero (es. nomi di vie e loro posizione)
Buona lettura






Il sole era ancora nascosto all’orizzonte quando uscì di casa quel mattino. L’aria fredda colpiva pigramente il suo viso ancora assonnato. Si, decisamente qualche ora in più fra le calde coperte del letto non le sarebbero dispiaciute.
Camminava spedita verso la 54th avvolta nella sciarpa e con le mani affondate nelle tasche del pesante cappotto. Le strade erano semideserte a quel’ora, il tutto avvolto da un silenzio quasi surreale per una città come la grande mela. In dieci minuti svoltò nel viottolo nascosto all’incrocio di St George Street e Rooswelt Avenue.
Infilò la chiave nella toppa della porta ed entrando accese la luce. Il laboratorio luccicava e profumava di pulito.
-Oggi è il grande giorno- mormorò Emily fra se stessa rendendo un respiro.
 Fece qualche passo verso l’armadio alla sua destra levando sciapa e cappotto ed indossando un lungo grembiule blu con un ricamo bianco al cento. Attorcigliò i capelli sulla nuca fermandoli con un mollettone. In quel momento una voce alle sue spalle la salutò:
 - Buongiorno Emily.-
- Ehi Micky, buongiorno! - esclamò lei voltandosi verso un basso signore sulla cinquantina con delle braccia robuste, i capelli brizzolati, i baffi folti e un’espressione cordale ed amichevole. Alzò che occhi all’orologio  appeso ala parete: le 4.30.
- Come mai sei già qui?- domandò la ragazza.
- Olga mi ha chiesto di venire a darti una mano, visto che poi per il resto del giorno non ci sei, e quindi eccomi qua - rispese allegro indossando un grembiule simile a quello di Emily.
- Oh, mi dispiace. Non volevo creare problemi.- disse dispiaciuta Emily.
- Ma che problemi!- rise Micky -Un paio d’ore che saranno mai, e poi ti dirò, qualche straordinario mi fa sicuramente comodo- sussurrò facendole l’occhiolino.
La ragazza gli sorrise grata –Grazie-
- Su, forza iniziamo, i nostri forni reclamano prelibatezze- E così si misero al lavoro.
Erano da poco passate le 10.00 quando si levò il grembiule e salutando i colleghi uscì in strada.
Le strade si erano riempite ed ovunque il caos e la vitalità della città si era svegliato dilagando in ogni angolo. Passò per casa giusto il tempo di prendere una busta gialla che aveva lasciato sul comodino accanto al letto.
Arrivata al marciapiede fermò un taxi e indicò all’autista l’indirizzo a cui recarsi. Durante il tragitto tenne lo sguardo puntato sulle ginocchia e pensava al modo migliore per effettuare quell’incontro: era agitata, nervosa e la tensione era a mille.
Aveva rimandato quel giorno per settimane, tanto che Jack le aveva ripetuto fino allo sfinimento -Vuoi mollare proprio adesso che probabilmente sei arrivata ad un passo dal traguardo?-
In effetti però quella era la sua paura più grande, tante sofferenze e sacrifici, e alla fine? Se fosse stato tutto un buco sull’acqua? Se invece era sulla strada giusta ma la conclusione fosse stata una delusione? Se…
- Mi scusi signorina- la ridestò il taxista - Purtroppo qui la strada è bloccata da alcune volanti della polizia. La sua destinazione è proprio dietro quel palazzo- le disse indicando di fronte a lui. -Posso fare il giro dell’isolato, ma ci vorranno almeno 10 minuti-
-  La ringrazio. Si fermi pure qui. Faccio volentieri due passi- rispose Emily porgendo il denaro.
- Guardi, segua l’area pedonale qui a destra- aggiunse premuroso l’uomo.
- Grazie mille, buona giornata- lo salutò riconoscente la ragazza.
Seguì la via superando un gruppetto di curiosi che osservavano degli agenti che perlustravano parte della strada che era stata transennata da un nastro giallo, e al centro un lenzuolo bianco che sicuramente “nascondeva” un cadavere.
“La criminalità non ha mai fine” pensò Emily  distogliendo lo sguardo verso la sua strada.
In quell’istante andò però a sbattere contro un uomo che a passo svelto seguiva una bella donna mora con dei tacchi alti.
- Oh, mi scusi! - si scusò lui – Non l’avevo vista-
- Non è niente si figuri- disse Emily allontanandosi voltandosi poi un attimo sentendo i due litigare in modo strano, quasi allegro.
- Sei sempre il solito sbadato – lo stava punzecchiando la donna.
- Andiamo Kate, quante storie. A proposito, qualcuno di nostra conoscenza abita da queste parti, magari ha visto qualcosa-
- Castle, ma non la smetti mai di volare con la fantasia?-
- Mai, tesoro-
- NON chiamarmi, tesoro!-
- Va bene…tesorino-
Emily sorrise scuotendo la testa riprendendo il cammino.
 
Giunta al palazzo scorse l’elenco dei nomi trovando quello di suo interesse: quarto piano, corridoio destro.
Nonostante l’ascensore fosse libero e aperto al piano terra, preferì prendere le scale nella speranza di attutire almeno in parte l’ansia che la stava logorando.
Giunta alla porta rimase lunghi minuti a contemplare la porte in noce marrone.
“Oh, al diavolo!” si maledisse mentalmente premendo il bottone del campanello. L’uomo che dopo qualche istante venne ad aprire, era parecchio simile a come lo immaginava: media statura, capelli brizzolati, occhi chiari e bel portamento.
- Si desidera?- chiese l’uomo.
- Eh, io…lei, lei il signor Jim? - chiese Emily balbettando
- Si, sono io. In cosa posso esserle utile?-
- Eh, salve, mi…mi chiamo Emily. Ecco, mi scusi se piombo così all’improvviso.  Io…io do..dovrei…avrei bisogno di parlarle…è una cosa un po’….un po’ delicata.-  aggiunse la ragazza tentando malamente di controllare il tono le sue emozioni.
Jim la guardò stupito. Pareva timida ma determinata , ma non le sembrava una persona cattiva; probabilmente aveva bisogno di un consulto legale.
- Certo.- Rispose con un sorriso sincero -Vieni accomodati- disse spostandosi dall’ingresso e facendole cenno di entrare.
La condusse nel suo studio e la invitò a sedersi alla scrivani di fronte a lui.
- Bene - iniziò poggiando le mani giunte sul ripiano -Come posso aiutarti?-
- Ecco..io non so da dove cominciare- disse Emily imbarazzata muovendosi a disagio sulla sedia -E’ solo che vorrei alcune risposte, ma non voglio assolutamente creare problemi e disagi a lei o alla sua famiglia-
- Beh, non vedo come questo possa accadere, comunque se non mi dici di cosa si tratta, non concluderemo nulla, ti pare?-  disse Jim gentilmente tentando un approccio di fiducia con la ragazza.
Emily annuì poco convinta, ed esitando un po’ disse: -Vede,io…io credo di essere sua figlia-








Spero vi sia piaciuto questo inizio, e di aver suscitato un po' di curiosità
Ringrazio in anticipo chi recensirà
Ci vediamo al prossimo capito
Bonny  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Castelli di carta ***


Questo capitolo è piccino piccino, ma mi serviva come ponte per il prossimo.
Grazie a che sta seguendo la storia
Buona lettura
B.






Jim sbiancò di colpo e si affrettò a dire: -Stai sicuramente sbagliando persona. E se questo è uno scherzo o un modo per…-
-No!- lo interruppe Emily agitata –Senta, come le ho detto non voglio creare alcun problema, non pretendo nulla. Voglio solo sapere chi sono-
Per un attimo l’uomo parve rabbonirsi appena ed Emily ne approfittò per continuare. -Sono orfana dalla nascita, mia madre mi ha abbandonato appena mi ha messa al mondo e l’unica cosa che desidero è poter sapere da dove vengo, chi sono. Sono anni che faccio ricerche di ogni genere e alla fine sono giunta a lei-
- Probabilmente hai sbagliato qualcosa nei tuoi calcoli!- rispose acido Jim.
La ragazza prese un respiro e non si diede per vinta: -Ho…ho recuperato una lettera, o meglio, una busta. Penso sia stata lasciata da mia madre. Se mi desse la possibilità di fargliela vedere, forse potrei avere delle risposte-
-Non voglio vedere nulla!- aggiunse Jim –Anzi, penso che questa conversazione sia durata fin troppo-
Emily abbassò tristemente lo sguardo. Era abbastanza sicura delle prove che aveva.
-Ascolta- esordì l’uomo in tono gentile ma comunque severo –Mi dispiace per quello che hai passato, ma io non ho mai avuto altri figli. Non sono io la persona che cerchi-
Emily lo osservò un istante, poi si alzò con un piccolo segno di sconfitta -Capisco la sua reazione, una notizia così data all’improvviso non è piacevole. Comunque, se per caso dovesse cambiare idea - mise una mano in tasca posò di fronte a lui un piccolo cartoncino colorato – mi può trovare qui. Grazie del tempo che mi ha dedicato- e detto ciò uscì dall’appartamento, lasciando un esterrefatto Jim a fissare la porta chiusa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tormenti e perplessità ***


Ed ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia
Buona lettura
B.






Kate e Castle cominciarono ad esaminare la scena del delitto. Non era molto diversa dagli standard: uomo, sulla quarantina, ben vestito che dai documenti addosso risultava essere il dirigente di una piccola ditta di mobili.
-Signori, alla buon’ora!- li salutò il dottor Perlmutter avvicinandosi ai due che osservavano il cadavere assieme a Ryan e Esposito.
-Dottore, è sempre un piacere averla fra noi- esordì Castle.
- La cosa non è certo reciproca signor Castle- puntualizzò l’altro.
- Ok, se dovete battibeccare vediamo di farlo più tardi- tagliò corto la detective –Che ci puoi dire del cadavere?-
- Ferita d’arma da fuoco sul collo- li informò Perlmutte indicando loro un piccolo foro con una penna appena sotto al mento - Calibro nove, ha perso molto sangue e quasi certamente e la causa del decesso-
- Sai dirci quando è stato ucciso?- chiese Kate
- Da una prima analisi direi fra le 2 e le 3 di questa mattina, ma ne saprò di più dopo l’autopsia. Tuttavia la cosa più singolare è che….-
- E’ qui da stanotte e l’hanno ritrovato solo ora?- lo interruppe Castle.
Perlmutte lo guardò malissimo –Signor Castle! Se la smettesse di interrompermi forse capirebbe molte più cose! Stavo infatti dicendo che il corpo è stato sicuramente spostato, e che questa non è la scena del crimine. Se così fosse mezzo marciapiede sarebbe imbrattato di sangue-
- Chiediamo in giro se qualcuno ha visto qualcosa - disse Kate rivolta ai due colleghi.
- Abbiamo già sentito i commercianti qui intorno, ma per ora nessuno ha visto niente-  la informò Esposito –Ci mancano ancora alcuni negozi, appena spostano il corpo, finiamo il giro-
- Anche se sarà un bel problema capire dove è stato ucciso- rifletté la detective – Ok, voi due continuate qua, io e Castle andiamo a parlare coi famigliari. Ah, dottore, quando ha terminato l’autopsia…-
- Vi faccio sapere, come sempre del resto!-
 
-Castle, ti scoccia se facciamo una piccola deviazione?- chiese la donna mentre si allontanavano dalla scena del crimine.
- Beh, dipende….se ciò riguarda un posticino appartato con solo noi due…- bisbigliò malizioso.
- Smettila di fare lo scemo.- lo rimbeccò la detective dandogli una leggera pacca sul braccio mentre l’uomo rideva sotto i baffi seguendo comunque la sua musa all’auto. Fecero giusto due minuti di strada e Kate parcheggiò davanti al palazzo.
-Aspettami qui Castle, ci metto un attimo.- disse allo scrittore uscendo dalla macchina.
-Salutami tuo padre!-rispose lui .
 
Jim era ancora scosso da quella strana visita. Una ragazza si presenta da lui dicendo di essere sua figlia. Prese un respiro passandosi rumorosamente le mani sul viso, quasi a sincerarsi di essere sveglio e non nel bel mezzo di un sogno assurdo. Rifletté un attimo: insomma, quanti anni poteva avere quella giovane? 18, forse 19 anni? Scosse la testa. No…. No…Non poteva ess…
Il trillo del campanello lo riportò al presente. Si diresse ancora avvolto dai sui pensieri alla porta, trovandosi di fronte l’ultima persona che si aspettava in quel momento.
- Katie?-
- Ciao papà- lo salutò sorridente con un breve abbraccio -….tutto bene?- gli chiese sentendo il suo corpo rigido e notando il suo sguardo strano.
- Eh?  Cosa? Si…perché? -
- Niente, e che hai una faccia!-
- No, scusami e che…non ti aspettavo- borbottò preso alla sprovvista. – Come mai da queste parti?-
- Ero in zona e ne ho approfittato per passare a prendere il vestito-
Jim la guardò come se non capisse di cosa stava parlando.
- Papà? Ci sei?-
- Di che…di che vestito parli?-
- Quello per l’anniversario della zia Theresa.- esclamò Kate come se fosse una cosa ovvia.
- Il ….vestito?-  domandò perplesso tentando di ricordare. Ma la mente era altrove.
- Ma come non ti ricordi? Sono almeno due settimane che mi ripeti di portartelo a sistemare- gli fece presente Kate osservando però al contempo lo strano comportamento del padre.
- Ah, si…quel vestito- cercò di ricomporsi Jim, tentando di sopprimere la sua “svista” –Ehmmm,ehmmm, non l’ho preparato. -
- Papà, sei sicuro che vada tutto bene?-
- Ma si, si, è che…. sono un po’ preso col lavoro, e avevo dimenticato questa cosa.-
Kate lo scrutò ancora più dubbiosa. – Va bene, senti, ora non posso fermarmi- disse guardando l’orologio- ho un omicidio da risolvere. Vedi di prepararlo, al massimo entro giovedì ripasso. Ciao- si congedò lasciandogli con un bacio sulla guancia.
- Grazie tesoro. Ci sentiamo. Stai attenta- la salutò l’uomo richiudendo la porta.
Doveva ammetterlo, per essere un avvocato in quel momento aveva fatto proprio pena. Sperò soltanto che Kate si fosse bevuta quella bugia recitata in modo penoso.   
 
Kate salì in macchina accolta da un gradevole profumo di caffè.
- Mentre aspettavo ho pensato di prendere un po’ di ricarica. - disse allegramente Castle porgendole un bicchierone fumante. Kate lo accettò di buon grado con un piccolo sorriso, ma Castle vedendo pensierosa non riuscì a tenere a freno la sua curiosità.
- Hai litigato con tuo padre?-
- No, perché?- chiese Kate bevendo un sorso.
- Ti vedo molto con la testa altrove.-
- Hai ragione, scusami. E che…non so, mio padre era strano, sembrava sconvolto per qualcosa, ma quando gliel’ho fatto presente, ha troncato subito il discorso-
-Ahhh! Lo sapevo!- esclamò Castle tutto elettrizzato. Kate lo guardò interrogativa alzando un sopracciglio.
- Tuo padre ha visto qualcosa del nostro delitto!-
- Castle , ti prego non ricominciare.- Sbuffò Kate esasperata dalle continue teorie dello scrittore.
- Ma certo è così logico!- continuò lui senza badarle – Abita dietro l’angolo dal luogo del ritrovamento, è un possibile testimone. Magari passeggiando stamane…-
-Castle!- lo bloccò la detective alzando le mani –Per favore. Non siamo in un tuo libro. E poi se, come dici tu, avesse visto qualcosa, non pensi che avendo una figlia poliziotta, mi avrebbe già informato?-
Castle in silenzio ci pensò un po’ su e alla fine concordò con lei: -Si, forse hai ragione.-
- Grazie- sospirò Kate sollevata. –Però su una cosa hai ragione. Qualcosa di strano è accaduto. Non l’avevo mai visto così. Mi sa che domani ci faremo un bella chiacchierata- e dettò ciò avviò il motore riprendendo il lavoro.
 
 
Emily rientrò a casa sfinita, sia fisicamente che mentalmente. Aveva assolutamente bisogno di dormire ma era allo stesso tempo con la testa trasbordante di pensieri. Si fece una doccia sperando che l’acqua la rigenerasse un po’. Indossò una tuta comoda, accese un cd di musica e con una tazza di the bollente si sedette sul divano. Mentre si riscaldava le mani sulla tazza di ceramica, osservò la busta gialla che aveva posato sul tavolino del soggiorno. Temeva che quell’incontro si sarebbe concluso in quel modo, però nel profondo un po’ di speranza sperava ci fosse.
Tornò a chiedersi se aveva preso la giusta decisione. “In fondo era così  sbagliato voler sapere perché tua madre ti ha abbandonato? Era così sbagliato sapere perché non ti ha affidato a tuo padre?”  Percepì lo stomaco chiudersi per l’angoscia e gli occhi inumidirsi “Era così sbagliato cercare di capire chi sei, da dove vieni? In questi casi bisogna lasciare le cose così come stanno? Era così sbagliato tentare di cambiare il destino?”  Prese un profondo respiro per ricomporsi.
 “No” si disse mentalmente “Le cose non resteranno così. Soffrirò? Resterò ferita e delusa? Dovrò pazientare per tanto tempo? Le risposte che troverò non mi piaceranno? Non importa, pur di arrivare alla verità sono disposta a correre il rischio”.
 Bevve un sorso di the, prese il cellulare e digitò un breve messaggio:
“Non è andata come speravo. Ma avevi ragione, da una sconfitta esci più motivato e forte di prima. Non mollerò.” Selezionò il nome del destinatario e premette Invio.
Posò la tazza e allungò le gambe sdraiandosi sul divano coprendosi poi con una coperta. Dopo un paio di minuti un bip le annunciò l’arrivo di un sms: “Le cose si sistemeranno vedrai. Sono e sarò sempre con te”
Sorrise riconoscente e scrisse un nuovo messaggio: “Grazie. Ti amo”
La risposta non si fece attendere.
“Ti amo anch’io <3.”
E cullata da quelle semplici parole si accucciò meglio nel suo morbido giaciglio lasciandosi accogliere fra le braccia di Morfeo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Caso chiuso ***


Kate e Castle erano intenti ad esaminare la lavagna del delitto. Avevano parlato coi familiari della vittima, i colleghi e i dipendenti ma non era emerso nulla che potesse aiutare le indagini.
- Continuo a non capire come sia possibile che nessuno abbia visto nulla- disse la detective pensando ad alta voce.
- Sono d’accordo.  Se riconsideriamo poi il luogo del ritrovo, è ancora più strano- aggiunse lo scrittore.
- Vero. Ma abbiamo novità- gli informò Ryan giungendo verso di loro con un post-it in mano –Esposito ha parlato proprio un attimo fa con una signora, certa Margaret Green. E’ una specie di veggente. Ha un negozio di oggetti contro il malocchio e la sfortuna grande come uno sgabuzzino lungo la strada. Pensate che l’informazione gli è costata 50 $ in una bambola voodoo.- ridacchiò –Comunque ne è valsa la pena-
- Davvero? E cosa ci ha svelato la vecchia signora che legge dalle sfere di cristallo?- chiese incuriosito Castle.
- Pare che la signora abbia visto un furgone bianco aggirarsi lungo la via e restare parcheggiato qualche ora, con il conducente a bordo, proprio vicino a dove  stato rinvenuto il corpo.-
- Come mai si è fatta viva solo adesso?- domandò la detective un po’ scettica.
- Dice che lei non parla volentieri con la polizia-
- Oppure doveva leggere sulle carte magiche se il suo gesto le avrebbe portato sfortuna- sghignazzò lo scrittore.
- E’ riuscita a vedere che guidava?- si informò Kate ignorando quell’uscita.
- No, ma abbiamo qualcosa di meglio. Ha trascritto la targa del mezzo-
- Perspicace la vecchia strega- commentò Castle.
In quel momento il cellulare di Beckett emise un lieve bip, segno dell’arrivo di un messaggio.
-Già. Comunque ho già detto tutto a Tori, sta facendo una ricerca per capire a chi è intestato il mezzo, e sta anche controllando le telecamere del traffico. Forse riusciamo a recuperare parte del tragitto percorso.-
- Ok Ryan. Con Esposito continuate su questa pista. Io e Castle scendiamo in obitorio, Permatter ha qualcosa per noi-
 
- Come vi accennavo la ferita sul collo è la causa della morte.- disse il medico legale- Aveva bevuto parecchio, nel sangue gli ho trovato un tasso alcolico piuttosto elevato-
- Guarda qua.- notò lo scrittore indicando alcuni piccoli lividi sul corpo – Il nostro amico deve anche aver fatto lezioni di boxe con qualcuno-
- Fa sempre lo spiritoso lei, eh? In effetti, lezioni o meno, ha sicuramente tentato di difendersi, ma invano, visto che era praticamente ubriaco.- Aggiunse Permatter.
- Scusi, ma ci ha chiamato solo per questo?- si fece sfuggire lo scrittore.
- Castle!- lo rimproverò la detective.
- No, per la sua gioia c’è dell’altro Signor Castle! Ho trovato alcune tracce di terra sotto la suola delle scarpe, e per precauzione le ho fatte analizzare dalla scientifica. Dagli esami risulta proveniente da una zona ricca d’erba e parzialmente paludosa-
- Hanno qualche idea di dove possa trovarsi un terreno simile?- Gli domandò Kate.
- Abbiamo di meglio- disse il dottore- Ecco il luogo esatto in cui si è recato il nostro defunto Sig.Gibbs-  concluse porgendo alla donna una foto satellitare di un angolo di Central Park.-
 
Dopo aver esaminato il punto indicato da Permatter, Kate e la sua squadra riuscirono a stabilire che quello era il luogo del delitto: numerose chiazze di sangue erano sparse un po’ ovunque nel raggio di alcuni metri, ed erano state malamente coperte con foglie e terriccio. Inoltre avevano anche riscontrato delle tracce di pneumatici che corrispondevano al furgone indicato dalla testimone-veggente.
-Esposito, Tori  ha qualche novità sul furgone?- domandò la detective in serata mentre controllava alcuni tabulati telefonici.
- Non molto: il mezzo apparteneva a una ditta di noleggio che l’ha poi venduto tre anni fa quando la società è andata in bancarotta. Da allora ha cambiato diversi proprietari. L’ultimo è un certo Sig. Talder, che però è deceduto per infarto sei mesi fa. Non aveva moglie ne figli,e da allora il furgone vaga indisturbato con un proprietario anonimo.-
-Ragazzi, per oggi può bastare così- intervenne il capitano Gates che aveva silenziosamente assistito alla conversazione. – Andate a casa a riposare, e chissà che domattina venga fuori qualcosa di nuovo-
 
 
Dopo una movimentata giornata di lavoro, quella sera Emily era intenta a fare il bucato quando il cellulare le squillò.
-Ciao sono io- disse una gentile voce maschile.
- Ehi, da quando ti lasciano telefonare?- domandò Emily con un sorriso a 32 denti.
 - In effetti non potrei. Mi sono imboscato nell’ufficio del capo. Brian mi sta facendo da palo, ma ho solo un minutino-ino..-
- Stai attento, non vorrei che ti spedissero indietro per una bravata- lo ammonì dolcemente la ragazza.
- No, stai tranquilla. Avevo solo voglia di sentirti. Ieri mi sembravi parecchio giù-
- Si, non ero al top. Spero solo che accada qualcosa, anche se ci vorrebbe un miracolo-
- Si è poi fatto sentire?-
- Purtroppo no, Ma in un certo senso lo capisco.-
Il ragazzo annuì come se Emily potesse vederlo.- Ok. Senti piccola, devo andare. Se ci sono novità scrivimi. Appena posso poi, mi faccio vivo io.-
-Va bene. Ci sentiamo. Stai attento-
- Sempre. Un bacio-
-Anche a te.- Lo salutò Emily riattaccando il telefono.
 
 
Al distretto, il giorno seguente,la tarda mattinata effettivamente portò dei risultati.
-Signori, ci sono novità!- esordì Esposito avvicinandosi alla scrivania di Kate. – Incrociando i filmati delle telecamere del traffico abbiamo scoperto che ultimamente il furgone è guidato da questa donna, Allison Carter - disse appendendo la foto sulla lavagna.
- Sbaglio o quel nome mi ricorda qualcosa?- domandò Castle.
-Già, è una delle dipendenti di Gibbs.- concordò Kate. – Com’è entrata in possesso di quel mezzo?-
-Il Sig. Talder glielo ha ceduto a titolo gratuito poco prima di morire. Peccato che non hanno mai fatto il passaggio di proprietà-
- Ok. Esposito andate a prenderla, e vediamo cos’ha di nuovo da raccontarci-
 
-Ve l’ho già detto, non ho ucciso io il Gibbs!- ripeté per l’ennesima volta la signora Carter.
- Allison, abbiamo trovato tracce di sangue sul suo furgone, che appartengono al suo capo. - fece notare la detective. – Come lo spiega?-
- Non lo so!- esclamò la donna esasperata.
- Dove si trovava lunedì fra mezzanotte e le tre?-
La donna sbuffò nuovamente - A casa. A dormire. Avevo il turno delle nove.-
- Qualcuno può confermare?-
- Sono single, quindi no, non può confermarlo nessuno-
-Qualcun altro ha accesso al furgone oltre a lei- chiese Kate.
- No, lo uso qualche volta per consegnare dei lavori che termino a casa, ma nulla di più. Anche se…
- Anche se?- la incoraggiò Castle a continuare.
- Un paio di volte l’ho prestato a Jason.- mormorò pensierosa.
- Chi è Jason?- domandò la detective.
- Il mio coinquilino.-
 
- Jason Foster. 35 anni, qualche precedente per furto e rissa. Da cinque anni la sua fedina è immacolata.- Elencò Ryan leggendo il fascicolo dell’uomo, mentre con la detective e lo scrittore scrutavano il sospettato al di la del vetro della sala interrogatori.
- Avete trovato qualcosa che lo colleghi alla vittima?- si informò Kate.
- Esposito sta controllando. Appena sappiamo qualcosa ti avvisiamo-
 
L’interrogatorio durò più del previsto e l’uomo oltre ad aver ammesso di aver talvolta fatto uso del furgone, si riteneva estraneo ai fatti.
- La sua inquilina dice di non aver usato il mezzo la notte di lunedì perché dormiva. Può confermare o smentire?- continuò Beckett.
- Non saprei, sa non dormo nel suo stesso letto- rispose con ghignando Foster.
Un discreto toc-toc fece voltare a detective.
-Tieni, abbiamo qualcosa- mormorò Esposito lasciandole un fascicolo.
Kate lo esaminò e senza batter ciglia si rivolse al sospettato.
-Suo fratello Alan ha lavorato nella ditta di Gibbs, non è vero?-
Il sorriso beffardo di Foster si spense.
-Qua c’è scritto che ha avuto un incidente sul lavoro, e che è deceduto a seguito delle ferite riportate dopo qualche giorno.-
- Non si azzardi a parlare di Alan- disse furioso l’uomo.
- Un difetto del macchinario, ma a quanto pare Gibbs, ha messo tutto a tacere. Immagino debba essere stato un duro colpo per lei-
- Quel bastardo meritava di morire!- esplose l’uomo.
- Cos’è successo due giorno fa?-
Foster sbuffò capendo di essere ormai giunto al traguardo della sua farsa. – Ho provato più volte a parlare con Gibbs. Avevo scoperto che l’incidente di Alan, era stato causato da una sua negligenza. Quel macchinario dava problemi da molto tempo, ma Gibbs se n’era sempre fregato. Così quando ho scoperto la verità mi sono avvicinato a lui. Prima abitando con una sua dipendente e tastando il terreno, poi agendo.  Gli ho dato appuntamento a Central Park, proponendogli uno scambio: il mio silenzio sulla verità in cambio di un posto di lavoro nella ditta-
- A quanto pare non ha accettato- constatò la detective.
Foster scosse la testa.- Si è presentato ubriaco marcio e poi ha detto che di mio fratello non gliene era mai fregato nulla. Non ci ho più visto, abbiamo iniziato a litigare e alla fine gli ho sparato quel colpo alla gola.
Ho caricato il corpo sul furgone di Allison e sono andato a quel vicolo. Ho atteso alcune ore, e poi ho gettato il corpo a terra, mentre passava un camion dei rifiuti. Mi sono affiancato a lui e sono andato via.-   
 
-Sai, nonostante il caso sia concluso, ancora non capisco come mai hanno trovato il corpo così tardi.- osservò lo scrittore mentre aiutava la detective a svuotare la lavagna e a riporre il tutto in uno scatolone.
- Oh, ma lo sappiamo- sorrise la detective.
- Mi prendi in giro?-
- No. I ragazzi hanno fatto una nuova chiacchierata con la signora Margaret. Ha visto il corpo verso le sei del mattino, ma lo ha coperto con una busta nera della spazzatura, per poi levarla qualche ora dopo. E,  trovandosi il corpo vicino ai cassonetti, imbustato ovviamente non ha destato alcun sospetto ai passanti .- lo informò Kate.
- E perché l’avrebbe fatto?-
- A suo dire, perché doveva controllare che gli astri non le procurassero sfortuna per quel malaugurato ritrovamento-
- Caspita…lo ammetto, io ne dico tante di fesserie, e stavolta la vecchia strega mi ha eguagliato.-
 
 
Il mattino seguente Kate iniziò a stilare il rapporto del caso, ma un improvviso pensiero le attraversò la mente: suo padre. Non l’aveva più sentito da quel suo strano incontro, e decise che era giunto il momento di chiarire con lui.






Salve a tutti!
Scusate il ritardo, il lavoro mi ha un po' tagliato i tempi.
Questo capitolo è un po' di passaggio, giusto per chiudere il capitolo omicidio ( cavoli, che giri di parole), perchè mi sembrava brutto lasciarlo in sospeso.
Comunque sia, dal prossimo tornerò a concntrare l'attenzione sulla storia di Emily.
A resto
B.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sconvolgimenti ***


- No Luis, non ha minacciato nulla. Ha solo chiesto di farmi vivo se avessi cambiato idea- ripeté Jim mentre al telefono parlava con un suo collega avvocato.
- Capisco. Senti Jim, io allo stato delle cose, lascerei passare qualche giorno. Vediamo che succede. Nel frattempo, se vuoi posso fare qualche ricerca su di lei- disse l’interlocutore.
- No, non mi sembra il caso; magari come dici tu è solo una sfuriata temporanea. Se qualcosa dovesse cambiare, ti faccio sapere.
-Ok, attendo tue notizie. Ciao Jim-
- Ciao, Luis. Grazie-
Jim posò la cornetta sospirando. Si alzò per prendere un bicchiere d’acqua quando il campanello di casa suonò a gran voce.
-Katie!- esclamo Jim –Già qui?-
-Beh. Sono in pausa pranzo e poi ti avevo detto che sarei venuta entro due giorni. Perché, ti dispiace?-
-Ma no, che dici. Dai entra. -
Entrarono in soggiorno e Jim si allontanò verso la zona notte.- Prendo il vestito e arrivo-.
Kate nel frattempo contemplò la stanza quasi a cercare qualcosa di diverso.
-Ecco qua- disse l’uomo posando l’abito sullo schienale del divano.- Ehmm, ti va un caffè?-
- Si grazie, volentieri-
Mentre bevevano, Kate cominciò cautamente il suo “interrogatorio”.
-Papà, come va il lavoro?-
- Bene, grazie- sorrise Jim – Insomma, i soliti casi, niente di nuovo-
- Sicuro?-
Jim si mosse a disagio sulla sedia non capendo bene dove la figlia volesse arrivare. – Certo! Ma perché è successo qualcosa?- le domandò ingenuamente senza rendersi conto di essersi chiuso in trappola da solo.
- A me no…..ma a te sicuramente si!-
L’uomo sbiancò appena - Che vuoi dire?-
Kate sospirò e decise di arrivare al dunque - Cosa ti è successo l’altro giorno? E non dirmi “niente” perché ho capito che qualcosa non andava. E non dirmi nemmeno che si trattava di lavoro, perché so che era una bugia-.
Suo padre la fissò con la bocca aperta. Non poteva dirle la verità, nella maniera più assoluta. Optò quindi ad un giro di parole e ad una mezza verità- Ok, hai ragione, è successa una cosa, ma niente di grave. -
- Se dici così, significa che è esattamente l’opposto!-
- Senti Katie, sai che ti voglio bene, ma non voglio coinvolgerti nei miei problemi.-
- Papà, i problemi si risolvono. Sembravi sconvolto, e lasciatelo dire, anche ora sei schivo e tenti di sviare l’argomento. Non ti ho mai visto così! Che diavolo ti sta succedendo?-
Jim distolse lo sguardo tacendo.
-Ecco. Lo vedi? Anche questo non è un comportamento da te? Mi vuoi dire cos’hai?- lo supplicò Kate prendendogli le mani. Silenzio. –Papà- aggiunse stringendo la presa sulle mani –Anche io ti voglio bene. Ed è proprio per questo che non me ne andrò da qui finché non mi parlerai-.
Jim si sentì con le spalle al muro. Non voleva raccontarle nulla, sperava il tempo risolvesse tutto. Ma non aveva scelta: conosceva Kate e sapeva che non si sarebbe arresa.
- E’ una cosa forte. E anche io sto cercando di capirci qualcosa- Cominciò Jim tentennante.
- Ti ascolto-
-Ecco…., poco prima che arrivassi tu, l’altro giorno, mi ha fatto visita una ragazza, una certa Emily- si fermò un attimo muovendo gli occhi su e giù per la stanza –Pensavo fosse qui per un consulto legale, invece la sua, chiamiamola richiesta, è stata una cosa alquanto inaspettata-
- E cioè?-
- Si è presentata dicendo che…. che io sono suo padre- sputò fuori Jim puntando lo sguardo su Kate.
La detective sbarrò gli occhi ritirando le mani. Ok, questa proprio l’aveva spiazzata.
- Come scusa?- chiese alzando un po’ la voce.
- E’ la stessa reazione che ho avuto io- si giustificò suo padre osservando il volto della figlia irrigidirsi e diventare più rosso.
- Gli ho detto che era impossibile, ma lei ha voluto tirar fuori il fatto che sua madre ha lasciato una lettera per me!- continuò Jim
- Hai tradito la mamma???- Esplose Kate alzandosi in piedi.
- No, Katie…..te lo giuro!- rispose l’uomo alzandosi di fronte a lei
Kate scrutò il padre cercando si capire se fosse sincero o meno – Come fa a dire una cosa del genere allora? Com’è arrivata a te? E cosa c’era scritto in quella lettera?- lo bombardò di domande con uno sguardo carico di rabbia.
-Non lo so! Le ho detto che ha sicuramente sbagliato persona, ma non demordeva!-.
- E la lettera?- insistette Kate.
- Non so cosa contenesse-
- Come sarebbe a dire che non lo sai???-
-Non l’ho voluta vedere! Le ho detto di andarsene e che non volevo più sapere nulla di questa storia-.
- Papà, ma sei impazzito??? Ma come cavolo ragioni???- andò su tutte le furie Kate quasi urlando –Avevi la possibilità di schiodarti di dosso questo enorme malinteso, e tu non hai fatto niente per difenderti???-
Jim tacque di nuovo riprendendo poi con fermezza - Forse hai ragione, un chiarimento ci voleva, ma in quel momento non lo volevo-.
Kate prese a camminare su e giù per la stanza come tentando di calmarsi -Cosa ti ha detto quando se ne’andata? -gli domandò in tono che sembrava meno arrabbiato continuando a muoversi.
- Che non voleva creare problemi, ma solo sapere chi fosse. Mi ha lasciato un numero di telefono a cui contattarla in caso avessi cambiato idea-.
Kate tornò a sedersi passandosi le mani fra i capelli. Prese un profondo respiro per calmarsi – Va bene. Dammi questo numero. Voglio andare a parlaci-.
 - Tesoro, non mi sembra il caso- tentò di protestare suo padre.
- Papà senti, non è che questa può piombare qui all’improvviso e uscirne con questa trovata!- .
- Kate, per favore, me ne occuperò personalmente. Ho discusso con Luis poco fa, e vedremo assieme con gestire il tutto. Non è il caso di coinvolgere anche te-.
- Sono già coinvolta papà-.
- Kate, davvero. Sistemerò tutto-.
Kate scrutò il padre per bene – Sembra quasi che tu voglia tenermi all’oscuro di qualcosa-
Jim spalancò gli occhi –No, non è così. Solo che sono abbastanza scosso anche io, e almeno per ora, finchè non ci avrò visto chiaro, voglio vedermela da me-.
Kate annuì poco convinta e in quel pesante silenzio, in soccorso a Jim arrivò il suono del cellulare della detective.
-Beckett. Si, arrivo fra 10 minuti-.
Si alzò prendendo il vestito e dirigendosi alla porta – Va bene papà, fammi sapere come va a finire questa storia-.
-Ciao tesoro-.
E dopo un breve abbraccio se ne andò.
 
 
Kate giunse all’ingresso della pasticceria osservando attenta oltre la vetrina. Aveva promesso al padre di non interferire, ma la sua titubanza e lo strano senso di timore e paura che gli aveva letto negli occhi, l’aveva fatta insospettire ancora di più. Uscendo dalla casa di Jim aveva visto il bigliettino appeso nella lavagna della cucina e aveva discretamente letto il nome “Emily” ed un indirizzo.
Quindi dopo ore a rimuginare al distretto mentre compilava il rapporto del caso appena concluso, aveva deciso di agire da sola, prendendo un’ora di permesso ed abbandonando il distretto. Aveva bisogno di sapere.
Il locale non era molto affollato ed entrando prese posto ad un tavolino in disparte. Ordinò un caffè pensando al miglior approccio da usare.
Quando il cameriere tornò con l’ordinazione, Kate si fece avanti – Senta,scusi, avrei bisogno di parlare Emily. E’ possibile?- chiese non sapendo se la ragazza fosse presente e che faccia avesse.
- Si certo. E’ giù al laboratorio- la informò il gentile cameriere –Se attende un istante, la vado a chiamare-
- La ringrazio, sarebbe molto gentile-
Sorseggiando il caffè sfogliò un giornale posato nella sedia accanto, più per sbollire la tensione dell’attesa che per interesse. Quando ebbe finito di bere, alzando lo sguardo vide la figura di una ragazza venirle incontro. Era molto carina, avrà avuto al massimo vent’anni, coi capelli nocciola raccolti in un mollettone sulla nuca, gli occhi grigio-verde e un’aria gentile.
- Salve- disse Emily avvicinandosi con un dolce e sincero sorriso sulle lebbra – Mi hanno detto che mi cercava.-
Kate la scrutò un istante e da un primo impatto restò piacevolmente sorpresa non immaginandosi una persona così. Pensava sarebbe andata su tute le furie sputandogli in faccia tutto ciò che voleva dirle, ma il volto timido, dolce, gentile e disponibile della giovane la fece ricredere
- Si- rispose Kate alzandosi e porgendole la mano –Mi chiamo Kate-
Emily rispose gentilmente al gesto e la sua stretta, allo stesso tempo forte e delicata, fece addolcire ulteriormente l’irritazione della detective. – Molto piacere. Emily. Come posso aiutarla?-
- Ecco, avrei bisogno di parlare con te, e volevo chiederti se hai un po’ di tempo da dedicarmi.-
L’espressione sorpresa di Emily fece chiaramente intendere alla detective, che la giovane non capiva il motivo di una chiacchierata con una perfetta sconosciuta, ma solo che si trattava di qualcosa di importante.
-Si, certo…ehmm, venga andiamo in un posto un po’ più tranquillo- disse saggiamente invitandola con un cenno di mano a seguirla.
Arrivarono in un piccolo salottino sul retro del locale, e preso posto una di fronte all’altra Emily le chiese - Mi dica, cosa posso fare per lei?-
- Sono qui per parlarti di Jim Beckett-
Emily sbiancò di colpo non aspettandosi quel colpo basso. – Lei…lei è il suo avvocato?- domandò agitata alzandosi in piedi – le…. le posso spiegare tutto. Io non voglio creare problemi, non pretendo nulla dal signor Beckett. Cerco solo risposte.. io…io.. ero andata solo per parlagli…- farfugliò balbettando completamente fuori controllo. Kate si alzò fermandole le braccia e tentando si calmarla – Ehi, ehi, per favore calmati-
-Non voglio che ci siano disagi, le posso spiegare tutto…- continuava intanto Emily-
-Non sono il suo avvocato!- disse Kate risoluta facendo bloccare il monologo della ragazza che restò comunque tesa e tremante al suo tatto.
- Non sono il suo avvocato- ripeté la detective come a sincerarsi che avesse capito.
- Allora lei chi è?- sussurrò Emily puntando gli occhi dentro quelli della detective.
Kate si sentì quasi morire da quello sguardo così penetrante.
-Vieni, sediamoci- disse accompagnandola ai divanetti.
Il silenzio avvolse la stanza e quando la detective notò che la ragazza si era leggermente calmata, rispose alla sua precedente domanda.
- Io sono la figlia di Jim- disse quindi Kate.
Emily abbassò lo sguardo mortificata – Oddio….non si doveva arrivare a questo punto-
- Che vuoi dire?-
Emily rialzò gli occhi –Quando mi sono presentata dal signor Beckett gli ho detto fin da subito che non volevo creare disagi con la sua famiglia, al di la di ciò che la nostra conversazione avrebbe portato.-
Kate annuì. – Si, me lo ha riferito. Ma non sono qui per questo. Voglio sapere perché ti sei presentata da lui dicendogli di essere sua figlia.-
Emily prese un respiro –Senza offesa, ma perché ha mandato un portavoce a chiedermelo e non è venuto di persona?-
- Lui non sa che sono qui- disse Kate. – Ho saputo di questa cosa quasi per caso, ma se quello che affermi è vero, credo di avere tutte le carte in regola per venirne a conoscenza anche io.-
Emily indugiò alcuni istanti combattuta se fare un passo avanti o pure no.
- Sono….sono abbastanza sicura di quello che detto, e credo anche di averne le prove.-
- Ti va di raccontarmi tutto dal principio?- chiese Kate. Si stupì quasi di se stessa a quella richiesta. Non era una che si lasciava abbindolare, col suo lavoro e il suo passato aveva imparato ad essere rigida e distaccata, ma inspiegabilmente la vicinanza ad Emily e i suoi occhi la stavano letteralmente stregando. Aveva visto centinaia di persone durante gli interrogatori, abbastanza da capire chi mentiva o nascondeva qualcosa, ma nel volto di Emily riusciva a leggerci solo tristezza, speranza e…sincerità.
Alla fine la giovane cedette – E’ una lunga storia. Io stacco dal lavoro fra un paio d’ore. Le va bene se ci vediamo più tardi da qualche parte?-
- D’accordo- assentì la detective – Tieni, questo è il mio numero. Quando hai finito mandami un messaggio -
- Ok, grazie- sussurrò timidamente Emily.
- A più tardi- la salutò Kate con un piccolo sorriso uscendo dalla stanza.
Rimasta sola Emily sospirò non sapendo se quella decisione fosse stata buona o cattiva.
 
 
-Bentornata fra noi!- esordì Castle vedendola uscire dall’ascensore.
- Castle, non sei solo tu quello che può andare e venire come gli pare- lo rimbeccò la donna.
- Giusto, ma io tecnicamente non lavoro qua. Allora dove sei stata di bello?-
- Non sono affari tuoi-
- Ah, ho capito sfogo fra donne su scabrosi incontri con personale di sesso maschile.- ridacchiò lo scrittore bloccandosi di colpo- Beh….sperando che la parte degli uomini riguardi solo Lanie-
Kate non disse nulla ma restò con lo sguardo perso nel vuoto come se Castle non esistesse.
Lui se ne accorse e le sfiorò la mano –Dai stavo scherzando!- ma l’impassibilità di Kate lo fece preoccupare. Le afferrò in polso poggiato a fianco della tastiera stringendolo appena –Ehi …è tutto a posto?- domandò in un sussurro.
La detective scosse la testa – Ho bisogno di un altro caffè- disse andando alla sala relax e invitando tacitamente Castle a seguirla.
 
-Cioè, fammi capire. Una ragazza si è presenta da Jim dicendo di esse sua figlia?- chiese Castle per l’ennesima volta dopo che Kate gli ebbe svelato il motivo del suo umore.
- Si. Così pare-
- Questa notizia è una vera bomba! Credi che dica la verità?- domandò titubante lo scrittore.
- Non lo so Castle. È che…ho visto i suoi occhi e non mi sembrava stesse mentendo. E poi quando ci siamo strette la mano e quando ho cercato di calmarla, ho sentito qualcosa di …di…familiare- confessò la donna cercando di trovare le giuste parole.
- Pensi che tuo padre...- Castle lasciò la frase in sospeso e Kate sospirò combattuta.
- Lui mi ha detto che non ne sa nulla. Non avrebbe mai tradito la mamma, si amavano troppo, però alla luce dei fatti, al momento non riesco a darmi altre spiegazioni.-
-Kate scusami- li interruppe Ryan sbucando con la testa dentro la sala –La Gates mi ha detto che vuole il rapporto del caso Gibbs entro stasera-
-Grazie Kevin, ora vado a terminarlo- Kate prese la tazza sua e di Castle posandole nel lavello – Bene. Pausa finita-
- Con Emily che farai?- domandò lo scrittore
- Entro stasera saprò la verità-
 
 
 
 
Questo capitolo mi ha dato parecchio filo da torcere e francamente non sono proprio soddisfatta, perchè non so se sono riuscita bene ad esprimere la reazione e i sentimenti di Kate.
Grazie a chi continua a seguire la storia.
A presto 
B.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Pelle d'oca ***


Kate terminò di scrivere il rapporto, prese il capotto e le chiavi dell’auto e uscì dal distretto. Con Emily si era sentita al telefono qualche minuto prima e si erano date appuntamento ad una delle entrate di Central Park. Fu lei la prima ad arrivare,e quando notò da lontano la ragazza avvicinarsi, alzò appena un braccio per attirare la sua attenzione. Emily intercettò la donna e la raggiunse. Aveva un sorriso speranzoso e gli occhi lucidi.
-Buon pomeriggio- la salutò timida Emily.
- Anche a te- ricambiò sincera la detective.
- Le…le va se facciamo due passi?- le chiese la ragazza.
-Certo volentieri-
Emily la condusse all’interno di Central Park e Kate decise di iniziare quella conversazione in modo leggero.
- Quindi, sei un pasticcere?-
-Già- sorrise Emily- Vivo in un mondo dolce e goloso. Credo di non potermi lamentare-
Anche Kate sorrise. – E’ da molto che sei lì?-
-No, poco meno di tre mesi, però mi piace e mi trovo molto bene anche con i colleghi-
Raggiunsero un prato semideserto. Emily si accomodò a gambe incrociate sull’erba vicino il tronco di una grossa quercia imitata poco dopo da Kate.  Nel silenzio che si era venuto a creare, la detective  la fissò qualche istante con un’espressione che diceva “quando te la senti, comincia a raccontare”. Emily sentì quello sguardo magnetico e confortante e iniziò.
-Sono nata a Miami, nel 1991. Non ho mai conosciuto i miei genitori: non ho mai saputo nulla di loro, solo che mia madre mi ha abbandonato dopo avermi messa al mondo. Ho vissuto in una orfanotrofio con molti altri ragazzini. Quando sono diventata un po’ più grande, ho iniziato a bombardare di domande quelli dell’istituto;  volevo sapere chi era mia madre, perché mi aveva abbandonato, se l’avrei mai rivista. Mentre frequentavo il liceo ho capito che avrei dovuto rimboccarmi le maniche e cercarmela da sola mia madre. Purtroppo non avevo i mezzi per poterlo fare, ma ho conosciuto un paio di persone che mi hanno aiutato molto quando ho poi iniziato l’università- Emily si fermò un istante.
- Come hai svolto le tue ricerche?- le domandò Kate .
-Purtroppo, gli istituti non sono autorizzati a dirti le generalità d chi ti ha abbandonato. Oltre a questo sembrava che i miei documenti fossero sparito dal nulla. E su questo non mentivano.-
-Che vuoi dire?-
-Un giorno sono riuscita a sgaiottolare negli archivi ed era così: la mia pratica non c’era.-
Emily si fermò giocherellando con un filo d’erba che aveva tolto dal terreno.
- Quindi cosa hai fatto?- domandò la detective.
-All’università ho conosciuto una ragazza che stava per entrare in polizia e siamo diventate molto amiche. Grazie ad alcuni colleghi del distretto in cui faceva il tirocinio ho saputo qualcosa di più. Il St. Stephen, l’istituto in cui ero cresciuta, in realtà mi aveva accolto alcuni anni dopo la mia nascita. Prima, io e altri ragazzi eravamo in una casa famiglia. Questa era stata distrutta da un incendio e li c’erano rimaste solo le suore che a suo tempo lo gestivano.-
-Immagino tu sia riuscita a parlare con una di loro- commentò Kate con un sorriso.
-Si, ma non è stato semplice. Di quel periodo ne era rimasta solo una che era in Asia per una missione umanitaria. Quindi non avendo i mezzi e la possibilità di parlarci, ho dovuto attendere il suo rientro e organizzare un incontro- concluse Emily.
 
 
 
 
Flash back (quattro mesi prima)
 
Emily bussò trepidante alla porta del convento. Venne ad aprirle una giovane suora allegra e pimpante.
-Buonasera, desidera?-
-Salve, ho un appuntamento con suor Agnes.- disse Emily
-Ah, si, prego di accomodi. La sta aspettando alla biblioteca-
Emily si fece condurre attraverso i lunghi corridoi del convento finché si fermarono all’entrata di una stanza tappezzata di scaffali colmi di libri.
-Eccola, è laggiù a quel divanetto- la informò la suona indicando un’anziana signora curva con degli occhiali molto spessi intenta a leggere un grosso volume.
Emily la ringraziò con un sorriso e si avviò verso la sua interlocutrice.
Quando la vecchia suora alzò gli occhi dalla lettura, Emily vide il suo viso illuminarsi.
-Tua madre diceva che un giorno saresti arrivata. Aveva ragione- La sua voce era un po’ stridula ma allo stesso tempo dolce.
Emily sentì un nodo in gola a quelle parole. Si sedette a fianco a lei e cercando di controllare l’emozione disse:- Sono Emily-
-So bene chi sei, cara. Tu probabilmente non sai nemmeno chi sono, ma io non scordo mai i bambini che ho tenuto fra le braccia almeno una volta-
Emily scosse la testa.
-Immagino che tua si qui per un motivo ben preciso, vero?-
Questa volta la ragazza annuì:-Sto cercando la mia famiglia. Dalle ricerche che ho fatto, non sono riuscita a cogliere nulla. Ma ora lei è l’unico spiraglio di luce che mi si è aperto davanti-
-Dimmi, piccola Emily, raccontami quello che sai-
E così Emily raccontò la sua storia, non sapendo che qualche mese più tardi l’avrebbe inaspettatamente ripetuta ad una dolce donna piombata all’improvviso davanti a lei, di nome Kate.
Suor Agnes ascoltò paziente le parole di Emily, e quando la ragazza terminò, diede la sua integrazione dei fatti.
-Vedi Emily, il giorno della tua nascita, tua madre si presentò alla nostra casa famiglia con le doglie. Era notte fonda, fuori c’era un fortissimo temporale, lei era bagnata fradicia, sofferente e coi vestiti impolverati. Ci chiese di aiutarla, che non voleva andare in ospedale, che qualcuna minacciava di farle del male. Così io e una consorella ci siamo improvvisate infermiere e ti abbiamo fatto nascere. Eri uno splendore- Emily sorrise appena imbarazzata –Tua madre disse che non ti poteva tenere. Ne valeva della tua vita. Ci chiese di tenerti con noi, facendo credere di averti trovato abbandonata all’ingresso. Tecnicamente non potevamo farlo, ma tua madre ci supplicò in lacrime mentre ti stringeva al petto. Era disperata, e non ce la siamo sentita di rifiutare. Seguendo la sua volontà ti abbiamo dato il nome Emily.-
La ragazza deglutì con gli occhi lucidi.
- Quando avevi circa due anni la casa famiglia prese fuoco, distruggendo tutti gli archivi e gran parte dello stabile-
-Mi è stato riferito, ma io non ne ho alcun ricordo- la interruppe per un attimo Emily.
- E’comprensibile. Eri molto piccola. Fu un vero miracolo che nessuno rimase ucciso. Noi non avevamo abbastanza risorse per rimettere in piedi la struttura, così tu e gli altri bambini siete stati trasferito al St. Stephen, un istituto per ragazzini orfani.
Io e le altre 4 suore della casa famiglia siamo rimaste nell’unica parte salvata dalle fiamme. Alcuni anni dopo questo fatto però, ricevetti una visita molto particolare. Era tua madre-
-Come mai era tornata da lei?- chiese Emily ansiosa.
-Mi disse che ti aveva seguito da lontano, ti aveva visto crescere osservandoti di nascosto. Disse che in quegli anni aveva cercato in tutti i modi di poterti riaccogliere con lei, ma che si erano presentati numerosi problemi. Non era sicura di riuscire a “controllarti” come prima. Mi lasciò una cosa da consegnarti quando tu fossi giunta da me-
- Come….come sapeva che sarei arrivata qui?-
-Non lo sapeva, ma credeva in te. Ti vuole un mondo di bene, ha un gran cuore, e credimi non avrebbe mai voluto abbandonarti-
- Senta…come…come si chiama mia madre?- balbettò insicura Emily.
Suor Agnes abbassò lo sguardo aspettandosi quella domanda, da un lato anche perplessa che non fosse giunta molto prima.
- Mi dispisce Emily, purtroppo non lo so. L’ho vista solo in quelle due occasioni e non me lo ha mai rivelato. L’unica che potrebbe saperlo è Suor Giselle, la consorella che era con me quella notte.-
Emily la guardò più intensamente non capendo.
- Nei due anni che sei rimasta con noi, Suor Giselle mi riferiva di alcune donazioni che arrivavano da una signora indirizzate a te. Lei gestiva la contabilità, quindi sicuramente conosceva il nome. Con l’incendio però tutti i documenti sono andati in fumo.-
-E non posso parlare con lei?- domando Emily come se fosse un’ovvia richiesta.
-Purtroppo no, è andata alla casa del Signore tre anni dopo quel fatto-
- E lei non le ha mai chiesto il nome di questa donatrice?-
Suor Agnes scosse dispiaciuta la testa: - Sarebbe bastato un’occhiata agli archivi, nel caso. E poi non avrei mai immaginato che tua madre si sarebbe fatta viva un giorno.-
Emily sospirò abbattuta posandosi pesantemente allo schienale del divano. Era giunta ad un altro vicolo cieco? Poi però le si accese una lampadina, e scattò su.
-Cosa le ha lasciato mia madre?-
La suora si allungò appena sul lato sinistro della poltrona; prese una borsa di paglia intrecciata e ne tirò fuori una grossa busta gialla.
-Questa e per te- disse Suor Agnes porgendole il pacco.
Emily la prese con mani tremanti, leggendo le due parole scritte con una bella grafia sopra di essa : “A Jim”
Emily aggrottò la fronte: -Chi è Jim?- chiese dubbiosa.
-Tua madre non l’ha detto apertamente, ma sono abbastanza sicura che sia tuo padre-
-Come fa a dirlo?-
- Mentre parlavamo le è sfuggito il fatto che guardandoti ti riconosceva in un uomo “papà Jim”. Se è stato un modo volontario o meno per farmi tenere a mente questa cosa, non lo so.-
- Le…le ha detto altro, su questo signore?-
La suora alzò le spalle: -Solo che lo aveva conosciuto a New York e che voleva fare l’avvocato-
-Quindi, lui…non sa nulla di me. Oppure non mi ha mai voluto- concluse Emily in un sussurro.
La suora la osservò senza proferir parola.
- Ma se…ma se….se mia madre voleva che in qualche modo tornassi da lei….perchè non mi ha lasciato detto dove la posso trovare? Perché lasciarmi una busta per il mio presunto padre?- sputò fuori Emily esasperata.
-Non so dirti piccola- sospirò suor Agnes –Forse trovando tuo padre, troverai anche lei-
- E come? Come lo trovo un tizio che si chiama così? Chissà quanti ce ne saranno in tutta New York! Sempre se abita ancora li e che effettivamente sia un avvocato!-
-Ricordo di aver visto una foto nel suo taccuino quel giorno.- disse la suora.
- E sarebbe in grado di riconoscerlo?- chiese Emily speranzosa a quella nuova notizia.
-Forse. Tu continua a cercare. Sono sicura che riuscirai a trovarla-
 
(Fine Flash Back)
 
 
 
 
Kate aveva ascoltato il racconto in religioso silenzio. Ma ora veniva forse la parte più importante.
-E così ho iniziato nuovamente le ricerche e sono venuta qui a New York.- continuò Emily- Ho controllato tutti gli studi legali in cerca di qualche Jim-
- Devi averne trovati parecchi!- commentò Kate.
Emily annuì:- Più di 50. Ho scemato la lista in base all’età, agli anni di servizio, al luogo in cui hanno esercitato, alla carriera che hanno avuto, e sono arrivata a 5. Sono tornata da suor Agnes con le foto di queste persone per vedere se ne riconosceva qualcuna. E’ stato abbastanza difficile, anche perché erano passati quasi vent’anni, sia per lei, sia per questo Jim. All’inizio non riconosceva nessuno di loro, ma poi grazie ad un amico ho modificato i volti delle persone con il programma sul PC che ringiovanisce le foto. E così in Jim Beckett ha riconosciuto la foto vista nel taccuino di mia madre. Ed eccomi qui.-
Kate aveva ancora la mente che elaborava tutti quei fatti, ma voleva comunque sapere qualcosa di più di quella ragazza.
- Emily, tu, hai sempre vissuto in orfanotrofio? Voglio dire, non sei mai stata affidata a qualche famiglia?-
-No, anche se ce n’è stata l’occasione-
-Che vuoi dire?-
Emily indugiò : -Mi scusi…è che… è una cosa un po’…personale, e al momento non sono pronta per parlarne con qualcuno-
Kate annuì comprensiva, in fondo anche lei era così.
- So che può essere una domanda un po’ forte, ma secondo te, perché tua madre ti ha abbandonato?-
Emily abbassò lo sguardo. Lo rialzò poco dopo fissando Kate:- Anche la mi risposta è un po’ forte…. Ecco…io…credo che abbia avuto una storia con tuo padre. Probabilmente non poteva mantenermi. Penso però che sia una persona sensibile ed abbastanza umile tanto da non presentarsi con questo, diciamo, problema, da un uomo sposato, rischiando di mandare allo sfascio una famiglia.-
Kate apprezzò la sua sincerità, anche se quelle parole doveva ammetterlo, una pugnalata al petto gliela avevano data.
-Emily….cosa c’era dentro alla busta?-
- Non lo so, per questo ho bisogno di parlare con tuo padre- sussurrò la ragazza.
Kate la guardò stupita e un po’ confusa, sicura di aver perso qualche passaggio.
-Cioè, fammi capire: tu non l’hai aperta???-
-No, perché non era indirizzata a me e poi…-
-E poi?-
-Ho paura di sapere cosa contiene- ammise Emily con un filo di voce.
-Senta….-proseguì un istante dopo –Suo padre mi ha dato bene da intendere che non mi vuole ne vedere ne parlare….se…se dessi a lei quella busta, gliela potrebbe consegnare da parte mia?-
Kate aprì e chiuse la bocca come a cercare una risposta a quella richiesta che certamente non si aspettava.
-Quando l’ho incontrato non ho avuto la forza di lasciargliela, non dopo la reazione che ha avuto. E in questo momento non ce la faccio a ripresentarmi da lui. Però mi creda quella busta sopra il comodino diventa ogni giorno un macigno sempre più pesante da sostenere.  Forse a lei darebbe ascolto-
Kate meditò ancora qualche istante. Voleva anche lei delle risposte, così cedette : -D’accordo, gliela farò avere. Però, per il tuo bene, non farti troppe illusioni. Almeno finché non sarà tutto chiarito- Il suo tono però non era di rimprovero, voleva solo evitare a quella ragazzina l’ennesima delusione.
Emily la ringraziò annuendo con un timido sorriso: - Grazie. Venga, andiamo-
 
L’appartamento di Emily era piuttosto piccolo: un semplice trilocale ben sistemato e molto illuminato.
-Non è un gran che, ma ci sto bene, e per il momento non posso permettermi di più- disse Emily notando l’espressione un po’ meravigliata della detective. – Arrivo tra un istante- aggiunse dirigendosi in camera.
Kate osservò il piccolo soggiorno, e la cosa che più la incuriosì fu quella di non vedere alcuna fotografia appesa o appoggiata su qualche ripiano.
-Le posso offrire un caffè?- chiese la ragazza giungendo alle sue spalle-
-Ti ringrazio, ma sono a posto così. Anzi si è fatto tardi e dovrei andare- dichiarò la detective.
-Ok. Ecco tenga-  Emily le porse la busta.
Nel momento in cui la prese fra le mani e puntò l’occhio sulla scritta, Kate si sentì gelare il sangue. Un capogiro la invase; sentiva che sarebbe svenuta da un momento all’altro. Stava per crollare, aveva bisogno di prendere una boccata d’aria. Cercò di ricomposi per non dare a vedere la sua preoccupazione:- Emily, ti farò sapere.- la informò con voce leggermente tremante.
-Va bene. Grazie mille-
La detective uscì dalla casa dopo una breve stretta di mano, sentendo alle spalle il leggero tonfo della porta che si chiudeva.
 
Kate fece appena in tempo ad entrare in auto che scoppiò in un pianto straziante. Non poteva essere. Non voleva crederci. Questo stravolgeva tutto. Tutto ciò che aveva pensato era sbagliato. Ma allora, suo padre sapeva? Perché non le aveva detto niente? Com’era possibile tutto quello?
Respirò a fondo tentando di calmarsi. Dopo più di mezz’ora trovò la forza e la lucidità di partire e dirigersi alla casa di suo padre.
Quando le aprì, Jim fu abbastanza sorpreso di vedere la figlia.
- Katie…che succede?- la accolse preoccupato notando il volto scioccato della donna.
-Dobbiamo parlare!- disse secca entrando a lunghe falcate.
Jim la seguì basito. Senza giro di parole Kate arrivò subito al dunque.
- Sono appena stata a parlare con Emily- iniziò decisa.
-Cosa hai fatto?- domandò suo padre con un tono di disappunto. –Ti avevo chie…-
-Lasciamo finire!- la interruppe la donna. Jim si zittì. –Ho detto, sono andata a parlare con Emily, e sai, penso proprio che abbia ragione! Penso sia tua figlia!-
Jim la guardò con occhi duri:- Katie, come ti ho detto è impossibile! Ti giuro che non ho mai tradito Johanna!-
-Io non ho detto questo!- continuò Kate reggendo il suo sguardo.
Jim sembrò vacillare e il suo viso si dipinse di stupore -Ma..ma…hai detto che..- balbettò senza capire.
- Papà- lo interrupe nuovamente la detective con voce un po’ traballante – Io penso che lei sia figlia tua…e della mamma-

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Segreti e bugie ***


Jim, se possibile, spalancò ancora di più gli occhi.- Cosa…come puoi dire questo?-balbettò incerto.
Kate aprì la borsa tirando fuori la busta e sventolandogliela davanti agli occhi- Per questo!- ribattè lei –Ti dice niente?-
L’uomo boccheggiò osservando qui pochi caratteri.-E’…è….la scri…scrittura di Johanna-
-Appunto!- insistette Kate – Come te lo spieghi?-
-L’hai letta?-
-No, e non l’ha fatto neppure Emily…visto che è indirizzata a te!-
Ancora incredulo Jim prese la lettera e di sedette sul divano. Kate lo imitò subito dopo attendendo una risposta dal padre che al momento però non arrivò. Jim strappò con cura un lato della busta e aprì il foglio ripiegato in essa, lentamente come se temesse di sapere il suo contenuto.
 
Caro Jim,
se stai leggendo questa lettera significa che io non ci sono più e hai conosciuto il mio più grande segreto, così come la mia più grande bugia.
Mi dispiace di non averti mai rivelato dell’esistenza di Emily, mi dispiace di avertela tenuta nascosta, di averla abbandonata, mi dispiace che non abbia vissuto con noi, mi dispiace di essere rimasta lontana da te e di averti mentito su di lei.
Probabilmente sarai furioso, ne hai tutte le ragioni, ma se ho sempre taciuto sulla sua esistenza è stato solo per proteggerla.
Credimi questa decisione mi ha straziato il cuore, ma non avevo scelta.
Speravo di riuscire a riprenderla, che un giorno questo incubo sarebbe finito, ma oggi mi sono resa conto che le cose sono peggiorate. Non posso gettarla allo scoperto proprio adesso, perché questo momento è ancora più delicato e pericoloso di quando è nata.
Spero che un giorno Emily riuscirà a raggiungervi, anzi sono sicura che ce la farà, quei pochi attimi che l’ho vista mi sono stati sufficienti per capire che la sua forza e la sua determinazione sono enormi, proprio come la nostra Kate.
Kate, spero riuscirai a perdonarmi, tu che di questa sorella non hai mai saputo assolutamente nulla, nemmeno quello che poteva sembrare un inizio.
So che dopo aver fatto tutto questo non merito nulla, ma vi chiedo comunque una cosa: quando verrà il momento, accogliete Emily con voi, non abbiate astio nei suoi confronti perché non ne ha nessuna colpa, dategli l’amore e l’affetto che non ho mai potuto darle, recuperate il tempo perduto.
Vi voglio bene
Johannna
 
Al termine della lettura Kate era ancora più sconvolta e confusa. Si girò verso Jim. L’uomo doveva aver concluso prima di lei perché era chinato in avanti con entrambe le mani a coprire il viso mentre fra i singhiozzi bisbigliava frasi del tipo –Non è possibile… mi ha mentito-
-Papà- lo richiamò Kate, questa volta dolcemente posando una mano sulla sua spalla.
Lui tentò di ricomporsi, alzando la testa e asciugandosi gli occhi –Scusami tesoro…..è che… mi sembra impossibile. Non riesco a credere che tua madre mi abbia fatto questo.-
Kate prese un profondo respiro – Puoi piegarmi?-
Jim acconsentì, solo dopo esseri alzato e aver bevuto un paio di bicchieri d’acqua.
-Tutto è cominciato mentre eri in Russia, quando hai vinto quella borsa di studio.-
La donna annuì. All’epoca aveva 13 anni. Aveva partecipato ad un concorso a scuola ed era giunta fra i primi classificati, ai quali, come premio, veniva offerta l’opportunità di trascorrere sei mesi in un paese, a scelta fra quelli disponibili, ospitati da una famiglia locale e terminando lì il ciclo di studi annuale. Kate era stata entusiasta di quella esperienza, in cui aveva acquisito fra l’altro una buona conoscenza della lingua russa che, ironia della sorte, era tornata molto utile nel suo lavoro di detective.
-Quando sei partita tua madre era incinta di 14 settimane- continuò Jim osservando lo sguardo stupito di Kate. –Lo sapevamo solo noi, e non ne abbiamo mai fatto parola con nessuno-
-Perché non avete voluto dirmelo?- chiese la detective in un sussurro.
-Perché sin da subito la gravidanza era a rischio. Abbiamo visto te così felice per quel viaggio, e non volevamo rischiare di darti una notizia meravigliosa, che ti avrebbe sicuramente fatto saltare di gioia,ma che allo stesso tempo era così insicura.-
-Cos’è successo poi?-
- Beh, io e tua madre abbiamo passato un brutto momento. Un giorno stavamo passeggiando al parco ed ha avuto un malore. L’ho accompagnata dal medico, ed è stata subito ricoverata. Mi hanno concesso di vederla solo diverse ore dopo. Era sdraiata sul letto ,pallida e purtroppo ho ricevuto la notizia che fino all’ultimo pregavo di non avere: il bambino non ce l’aveva fatta.- Jim si interruppe passandosi una mano sul viso chiaramente scosso per quell’improvviso tuffo nel passato. –Quando è stata dimessa era sconvolta, tesa, triste. Lo eravamo entrambi, così l’ho convinta a prenderci qualche giorno per andare in montagna. Speravo di riuscire a risollevarla da quel tunnel in cui sembrava essere precipitata.-
-Ed è servito?-
Jim scosse la testa:- Solo all’apparenza. Tornati in città si è buttata a capofitto nel lavoro: partiva all’alba e tornava a notte inoltrata, a malapena riuscivo a vederla. E’ durata una settimana, ma poi ha preso una decisione che mi ha letteralmente spiazzato. Mi disse di aver ottenuto un importante incarico a Miami che l’avrebbe tenuta impiegata per parecchio tempo.-
-E tu l’hai lasciata andare così?- domandò Kate, che a poco a poco stava cominciando a unire e collegare alcuni pezzi di quell’intricato puzzle.
-Mi sono offerto di seguirla- precisò stancamente Jim- ma lei non ha voluto. Disse che aveva bisogno di stare da sola per un po’, lontana da tutto e da tutti, ed io ingenuamente l’ho preso come un suo modo di superare quella disgrazia. Da allora e per i mesi successivi non ci siamo più visti, ma solo sentiti al telefono.-
-Per questo quando chiamavo a casa, dicevi che era ancora al lavoro e che mi avresti fatto richiamare!- constatò Kate capendo solo ora alcune incongruenze a cui in passato non aveva dato molto credito.
-Già- confermò Jim –tua madre non era qui-.
-Però, papà,quando io ho terminato quel viaggio…non l’ho vista diversa dal solito.-
-Sai- riprese l’uomo- quando è tornata da Miami, era rilassata, allegra, felice, la Johanna di sempre. Sembrava che quel periodo di allontanamento l’avesse proprio rinvigorita…..Ma allo stato delle cose, è chiaro che nulla di ciò che avevo visto era reale. Quel bambino è nato eccome! E tutta la storia dell’incarico a Miami, atro non era che una scusa per mandare avanti la gravidanza a mia…nostra insaputa- terminò Jim amareggiato.
Kate riprese la lettera fra le mani e ancora incredula per tutta quella faccenda sussurrò –Ho una sorella……Papà…..secondo te, perché la mamma ce l’ha tenuto nascosto?-
Jim alzò le spalle tristemente- Non lo so tesoro. Da quel che si deduce dalla lettera doveva essere un motivo serio, ma non saprei proprio cosa……ma perché ha volto fare di testa sua??? Perché non chiedermi aiuto???- commentò con un pizzico di rabbia alzando impercettibilmente la voce e sbattendo un pugno sul bracciolo imbottito del divano.
La detective lasciò passare qualche istante di silenzio rispettando lo sfogo del padre.
-Papà…vorrei che facessimo il test del DNA- riprese Kate – perché se le cose stanno così….dobbiamo parlarne con Emily. Ha il diritto di sapere.-
-Katie….io…io non so se sono pronto….almeno non lo sono in questo momento.- bisbigliò Jim con un pizzico di timore e imbarazzo.
Kate annuì comprensiva: - Ok, io intanto chiedo a Lanie di fare le analisi e quando avremi i risultati decideremo come muoverci. Va bene?-
Suo padre concordo con un cenno di capo. Allungò poi le braccia per stringere la figlia a se, cercando in quel gesto forza e consolazione, mentre nella sua testa il pensiero delle gesta di Johanna lo martellava senza pietà.
 
Era sdraiata sul divano, sfogliando alcune foto di sua madre, e ancora si domandava se tutto quello che era successo quel giorno fosse vero. Emily doveva sapere come stavano le cose, ma non sapeva proprio come muoversi: da un lato voleva essere diretta e sincera, dall’altro però non voleva farla ulteriormente soffrire. Senza rifletterci toppo, prese il telefono digitando un numero che conosceva a memoria.
-Pronto-
-Ciao, sono io. Scusa se ti disturbo a quest’ora-
-Oh, non preoccuparti, stavo finendo una partita con il videogioco che ho comparto in quel negozietto all’angolo che….lasciamo perdere sto divagando… che posso fare per te?-
Silenzio.
-Kate?-
-Si, scusami…ecco,ho…ho bisogno di te- balbettò la donna con voce tesa.
-Le hai parlato?- chiese l’uomo, con tono serio, intuendo il motivo di quella chiamata.
-Si…-
-Cinque minuti e sono da te- le rispose dolcemente.
-Grazie Rick- e chiuse la chiamata.
Erano le 23.30 quando la detective aprì la porta di casa,lasciando entrare lo scrittore. Castle vide i suoi occhi spenti e il viso stanco. La prese per mano fino a raggiungere il divano dove si sedette trascinandosela accanto e abbracciandola. Kate si stinse a lui appoggiando la testa sulla sua spalla e si lasciò cullare per lunghi minuti da quelle dolci carezze.
-Cosa hai scoperto? - le domandò Castle in un sussurro dolcissimo massaggiandole un braccio e la schiena. Come un fiume in piena la donna le raccontò ogni cosa: come Emily aveva vissuto, le sue ricerche, l’incontro con suor Agnes, l’arrivo a New York, la lettera, la reazione e la storia di suo padre. Castle l’aveva ascoltata pazientemente tutto il tempo senza interrompere le carezze e stringendola più forte quando sentiva la voce di Kate vacillare.
-Forse…il pericolo di cui palava tua madre, potrebbe in qualche modo essere collegato al suo omicidio- esordì l’uomo dopo un po’.
-E’ la stessa cosa che ho pensato anche io. Ma se così fosse, Emily potrebbe essere ancora in pericolo Rick-la donna alzò leggermente la testa per poterlo guardare negli occhi – Già trovo inconcepibile e assurdo che mia madre ci abbia tenuto nascosto Emily. Come facciamo a dirle una cosa del genere! Ha vissuto senza una famiglia, domandandosi ogni giorno perché sua madre non l’ha voluta, ed ora che è arrivata in fondo a quel tunnel deve sentirsi dire che sua madre non c’è più, che nessuno sapeva della sua esistenza e che probabilmente ha una taglia sul collo da quasi vent’anni!- si bloccò prendendo una boccata d’aria per calmarsi.
Castle sospirò – Tuo padre che dice?-
-Forse è più sotto shock di me. Almeno io di Emily non sapevo nulla, lui invece ha sempre creduto che quella figlia fosse morta ancora prima di nascere.-
-Cosa avete intenzione di fare ora?- chiese lo scrittore fissando gli occhi di Kate.
- Domani vedrò di fare il test del DNA, e poi ci muoveremo di conseguenza, anche se…..-sbuffò sfinita- Non so davvero come comportarmi Rick. Mi sembra tutto così assurdo. Non so se riuscirò a superare anche questo.-
Castle la strinse ancora a se, poggiandole un bacio sulla fonte -Non temere. Io ci sono-
-Always?-
-Always-  e riscaldati da quel’abbraccio si addormentarono.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Conferme ***



Salve a tutti.
Ecco un altro capitoletto. Sinceramente non mi convince molto, ma spero possa comunque piacere
Buona lettura.Alla prossima
B.




La mattina seguente detective e scrittore si recarono alla pasticceria. C’era parecchia gente e, vedendo Emily alquanto indaffarata dietro al bancone, decisero di prendere posto ad un tavolino aspettando che il flusso si calmasse un po’. Furono alquanto sorpresi quando, pochi istanti dopo si avvicinò un cameriere con un vassoio.
-Questi ve li manda Emily-  esordì – Mi ha detto di dirvi che arriva da voi fra una decina di minuti-
Quando si fu allontanato Castle non riuscì a reprimere il suo compiacimento. –Però! Niente male la tua sorellina, che tra parentesi è anche molto carina. Cappuccino e cornetto:guarda, sembra davvero invitante. Vuoi favorire?- domandò alla detective allungandole il piattino con le brioches.
Kate sorrise prendendone una.
-Dio…sono una bontà!- disse Castle addentando un morso –Dovremmo venire più spesso qui.-
-Si, sai mi piacerebbe molto-
-Davvero?-
-Mmmhh  mmhhh…- annuì lei pulendosi con un dito la crema che era sfuggita dal suo cornetto e le aveva sporcato le labbra, e portandoselo alla bocca con furbizia, sotto lo sguardo esterrefatto dello scrittore.
-Fantastico! Domani offri tu!- puntualizzò lui con un sorrisetto.
-Non direi proprio. Tua la proposta, tuoi i soldi da spendere- chiarì Kate con sguardo di sfida.
- Ah, è così?- rispose Castle a tono con lo stessa espressione sugli occhi.
- Beh, io direi che se ci venite ancora, potrei offrire io, così evitiamo uno scontro fra titani. Che dite?-  si intromise divertita Emily sorprendendo entrambi.
Detective e scrittore la guardarono con sguardo perso.
-Ehmmm….ho…interrotto qualcosa?- domandò Emily notando la loro strana espressione
-Si!- -Certo che no!- risposero all’unisono, per poi tornare a guardarsi.
Emily fu ancora più perplessa  -Oookkk….probabilmente fate sempre così….- commentò beccandosi un’occhiataccia da tutti e due.
Sorrise imbarazzata e sbattendo le ciglia in modo angelico propose – Ho capito, abbiamo iniziato male….facciamo un piccolo replay? Buongiorno Kate. Come stai? –
-Ehmm…bene grazie.- la rincuorò Kate tornado in se stessa –Scusaci….eravamo…sovrappensiero…. Oh, lui è Richard Castle- lo presentò.
-Molto piacere-  disse Emily. –Allora?.... Hai parlato con tuo padre?-
- No, mi dispiace. Era impegnato in una cena di lavoro ieri sera quindi non l’ho visto- mentì Kate con voce gentile. Qualche ora prima con Castle aveva deciso di raggirare un po’ la cosa per avere qualche chiarimento i più.
- Oh, capisco- mormorò Emily abbassando lo sguardo imbarazzata e dandosi mentalmente della stupida. Insomma che pretendeva, tutto e subito?
-Emily- iniziò Kate con tono serio, notando la sua delusione -Ti…ti volevo chiedere se saresti disposta a fare il test del DNA-
Emily annuì decisa e senza incertezze -Si, certo. Anzi ne sarei felice. Almeno avrei qualche risposta in più….e non mi farei illusioni- aggiunse in un sussurro fissando il pavimento.
Kate e Castle si scambiarono uno sguardo di compassione. L’uomo prese per la prima volta la parola –Ehi- mormorò sfiorando il braccio di Emily e facendole rialzare gli occhi - Posso immaginare quello che stai passando, e credimi,so cosa si prova. Ma sappi che se le cose non dovessero andare come speri, noi ti aiuteremo e faremo di tutto per ritrovare la tua famiglia-
Kate si ritrovò commossa dal gesto e dalle parole di Castle, e le fece un sorriso quando Emily la osservò tacitamente in cerca di conferme.
- A patto che tu ci tenga sempre a disposizione dei cornetti alla crema!- aggiunse allegramente lo scrittore.
-Castle!- lo rimproverò la detective roteando gli occhi.
-Che c’è? Cercavo solo di sdrammatizzare un po’. E poi li hai mangiati anche tu… sono la fine del mondo- concluse con un sorriso sognante contagiando anche le due donne.
-Emily, a che ora finisci oggi?-
-Se non ci sono problemi, per l’una.-
-Ok. Ce la fai a venire al distretto, diciamo, per le tre?- si informò la detective prendendo il telefono fra le mani.
-Ehmmm….al distretto?- chiese Emily.
-Si, al dodicesimo. Il mio ufficio è li- disse Kate come se fosse una cosa ovvia leggendo un messaggio che le aveva appena inviato Ryan.
-Lei sa che lavoro fai, vero?- le bisbigliò Castle all’orecchio, intuendo il motivo della domanda di Emily.
Kate alzò di scatto la testa, maledicendosi mentalmente – Scusami, non te l’ho detto… sono una detective della polizia. –
-Ah,beh, si , questo spiega diverse cose….-
-Emily!- la chiamò una voce alle loro spalle.
- Scusate. Devo andare. Ci vediamo più tardi allora?- disse alzandosi.
-Certo. Ti aspetto-
-Buona giornata- e si congedò.
-Non credo servirà fare le analisi. E’ tua sorella, senza ombra di dubbio.- la informò convinto Castle bevendo il cappuccino, osservando Emily che si allontanava.
Kate alzò gli occhi al cielo per quella sparata da “so tutto io” tipica dell’uomo. Ne era abbastanza convinta anche lei, ma voleva comunque sapere la sua teoria –Hai usato qualche tuo super potere che non conosco, per arrivare a questa conclusione?-
- Tralasciando il fatto che ti farei vedere volentieri i miei super poteri, se solo me lo consentissi…-sussurrò malizioso alzando un sopraciglio -…. comunque, no. Nessun potere. Mi è bastato guardala negli occhi-
-E….????-
-E, forse tu non ci hai fatto caso, ma sono praticamente la tua fotocopia. E sai com’è, gli occhi non mentono mai.- concluse lasciando Kate a bocca aperta e letteralmente senza parole.
 
Quel pomeriggio Emily si presentò al distretto e venne condotta nel laboratorio da Lanie.
-Lei è la dottoressa Parish- la presentò Kate -è la mia migliore amica e l’ho ingaggiata per farmi questo piccolo favore-.
Emily strinse la mano di Lanie con gratitudine:  -Vi ringrazio tantissimo per quello che state facendo per me-
- Tranquilla tesoro, per gli amici questo ed atro. Però sai, mi è giunta voce che sei un pasticcere: un vassoio di dolcetti sarebbe una buonissima ricompensa!- disse scherzosa strizzandole l’occhio.
-Lanie, ma che dici!-
-Oh, andiamo Kate, non è colpa mia se il tuo scrittore si mette a fare pubblicità culinaria per tutto il distretto-
-Il tuo scrittore, eh?- domandò maliziosa Emily non riuscendo a reprimere un sorrisetto.
-E’ solo un amico- puntualizzò Kate non aspettandosi una reazione simile da parte di Emily.
 -Si, certo certo…-concluse la giovane sogghignando.
-Mi piaci proprio ragazza- esordì trionfante Lanie  -Vieni con me dai, lasciamo questa detective a rimuginare sui suoi sentimenti- concluse la dottoressa trascinandola con il suo fare gioviale nella sala prelievi.
-Quanto tempo ci vorrà per avere i risultati?- chiese Emily mentre Lanie le metteva un cerottino sul braccio dove aveva infilato l’ago.
-Una volta che la nostra bella addormentata mi porterà il campione da confrontare, sarà questione di qualche ora-
 
Il telefono di Kate prese a squillare.
-Dimmi Lanie-
-Kate scendi da me, ho i risultati delle analisi-
La detective non aveva raccontato alla dottoressa il motivo di quella richiesta. L’aveva semplicemente pregata di confrontare il DNA di tre persone per capire se c’era qualche legame fra loro, e Lanie da brava amica, le aveva concesso il favore senza fare domande.
-Finalmente ci vediamo Castle. Cominciavo a sentire la tua mancanza oggi- esordì ironica Lanie quando l’ascensore si aprì lasciando uscire detective e scrittore.
-Dovresti esserne lusingata. Nessuno dei tuoi amici dentro quei frigoriferi potrà mai battere il mio fascino a il mio sensazionale umorismo- ribatté l’uomo con un sorriso.
-Bambini, finite di farvi i dispetti- decise la detective -Allora Lanie, che mi puoi dire?-
-Ho fatto il test e risulta che tutti e tre i campioni sono compatibili fra di loro-
-In che modo?-
-Sono parenti: il DNA maschile è presente in entrambi quelli femminili, che fra di loro sono praticamente uguali. Il che tradotto, significa che sono padre e figlie. Le due donne sono sorelle consanguinee: stesso padre, stessa madre- terminò allungando i referti.
Detective e scrittore ne sfogliarono le pagine.
-Avevamo ragione- mormorò Castle.
-Già. È tutto vero- aggiunse Kate in un sussurro. Non aveva avuto dubbi fino a quel momento, ma avere il referto sotto mano, rendeva tutto assolutamente reale e concreto.
-Chiedo scusa? Potete rendere partecipe anche la sottoscritta? Che sta succedendo?- domandò Lanie vedendo i due lanciarsi occhiate sollevate e preoccupate al tempo stesso.
-E’ una lunga storia, Lanie. Prima sistemo questa cosa e prima potrò parlane anche con te-  la informò Kate, scusandosi silenziosamente con l’amica per non poter condividere con lei quel momentaneo “segreto”.
 
-Hai pensato a cosa fare?- le domandò Castle distogliendola dai suoi pensieri. Kate era seduta davanti al PC e rigirava nervosa una penna fa le mani. Aveva finito il turno da una buona mezz’ora, ma non riusciva a schiodarsi dalla sedia.
-Devo parlare con mio padre…. Verresti con me?-
-Kate….per me non c’è nessun problema, solo….sei sicura che tuo padre non si troverà in difficoltà a discutere di questa cosa con qualcuno estraneo dalla sua famiglia?- chiese titubante lo scrittore.
Kate sospirò. Non aveva valutato questa possibilità e si ritrovò a domandarsi come Castle riuscisse ad essere sempre così sensibile e capire le piccole cose. Ma nonostante tutto non aveva dubbi –Tu sei parte della mia famiglia Rick- disse sicura penetrando gli occhi blu dello scrittore.
Castle annuì sorridendole sincero ed emozionato. Prese la sua giacca e quella di Kate, porgendole poi la mano –Andiamo?-
Kate si alzò stringendola a se –Andiamo-
 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Lacrime e abbracci ***


Ciao a tutti.
Chiedo scusa per il ritardo, visto che è da un bel po’ che non aggiorno questa storia. Tempo e ispirazione permettendo, confido di riuscire ad essere più puntuale con l’aggiornamento dei capitoli successivi.
Per chi non ricordasse lo svolgimento e non avesse voglia di leggere i capitoli precedenti, riassumo giusto in due righe quel che è successo finora:
Una ragazza, Emily, si presenta da Jim Beckett sostenendo di essere sua figlia. Kate lo viene a sapere e, a differenza del padre che non crede a tale fatto, comincia a venire incontro alle giovane, ascoltando la sua storia e la sua tesi. Da una lettera lasciata ad Emily si scoprirà che la ragazza è veramente figlia di Jim e Johanna . Kate invita quindi Emily a casa di Jim, per raccontarle la verità….o quasi.
 
Grazie a chi continua a seguire la storia e….buona lettura.
 
 
 
Jim continuava a rileggere quei risultati, come se sperasse che in quel modo tutte le sue domande potessero improvvisamente trovare risposta. Di fronte a lui, Kate gli esponeva i fatti, talvolta supportata da Castle.
-Le hai già parlato?-
-Non ancora, mi sembrava giusto che ci fossi anche tu.-
-Ok- iniziò, massaggiandosi le tempie e rivolgendosi a Kate  – Ma come la mettiamo con Johanna? Che gli diciamo?-
-Ecco…pensavo di dirle solo che si è trattato di un incidente, e che per quanto riguarda la lettera, non sappiamo cosa volesse dirci- propose la donna.
-Pensi che capirà?-
Kate sospirò –Lo spero-
-Scusatemi, se posso dire la mia- intervenne Castle dopo un lungo minuto di silenzio, indeciso se esporre la sua teoria o starsene zitto. Però,in fondo, era stata Kate ad invitarlo, quindi si sentì un po’più tranquillo su quell’aspetto. –Ci ho parlato solo qualche istante, ma Emily mi sembra una ragazza molto disponibile e alla mano. Concordo sulla vostra scelta di volerle raccontare solo il minimo indispensabile, ma dovete tenere comunque presente che prima o poi scoprirà cosa è effetti veramente successo a Johanna. Oltre a tutto l’insieme, non sappiamo come reagirà a questa notizia che, a mio avviso, è quella più delicata.-
-Quindi che proponi?- s’informò Kate.
Castle la guardò intensamente –Di dirle la verità,tutta la verità, ma in modo graduale-
 
Il mattino seguente, Kate fece recapitare ad Emily un messaggio in cui riferiva di recarsi all’appartamento del padre quella sera stessa, dopo cena. Alla fine con Jim aveva deciso di seguire il consiglio dello scrittore. Giusta o sbagliata che fosse quella decisione, l’unica cosa che voleva evitare era un crollo emotivo e psicologico di Emily. Sperava tanto di riuscirci.
Emily fissò nervosamente la porta. Sembrava che allo stesso modo fossero passati secoli o secondi da quando si era trovata davanti la prima volta. Stinse il pugno e bussò con cautela. Ad aprirle si presentò stranamente Kate.
-Ciao- la accolse con un sorriso teso –Vieni, ti stavamo aspettando-
Emily le passò affianco con ancora più ansia, e attese che la donna le fece strada per poi seguirla.
Pensava che quell’incontro si sarebbe svolto in maniera molto distaccata, e fu pertanto leggermente sorpresa di vedere Jim seduto sulla poltrona del soggiorno, a cui si aggiunse Kate che con un cenno di mano le indicò di fare altrettanto. Davanti a loro un tavolino di legno una bottiglia d’acqua e dei bicchieri,  una teiera di ceramica fumante e delle graziose tazze. E infine il calore del camino acceso all’angolo della stanza rendeva l’atmosfera così rassicurante e  familiare.
Emily abbassò lo sguardo, torturandosi le mani , per l’imbarazzante silenzio che aleggiava nell’aria.
-Mi dispiace per come mi sono comportato l’altro giorno- esordì all’improvviso Jim, facendo alzare immediatamente gli occhi della ragazza su di lui –Non avrei dovuto reagire così in malo modo, senza nemmeno darti la possibilità di spiegarmi il tutto come si deve- la sua voce e il suo volto erano la conferma di tutto il dispiacere che quelle parole stavano a significare.
-Non si preoccupi….la capisco…ormai è passato- lo rassicurò Emily.
-Ecco…noi ti abbiamo chiamato per via di quella lettera che mi avevi consegnato- continuò ora Kate.
-Quindi?-
– Avevi ragione tu…sono tuo padre- sputò fuori di getto Jim.
Kate vide gli occhi di Emily scurirsi in un millesimo di secondo.
-Perché…..-deglutì- Perché allora l’altro giorno mi ha cacciato via così?-domandò timidamente la ragazza.
-Perché non sapevo nulla di te- rispose semplicemente l’uomo –Johanna non mi aveva mai detto niente, ti ha sempre tenuto nascosta-
Emily ebbe un tuffo al cuore nel sentir pronunciare quel nome- Si…si chiama Johanna? Dove la posso trovare? Voglio conoscerla-
Kate e Jim si guardarono consapevoli di quanto le parole che avrebbero a breve pronunciato avrebbero avuto un impatto violento sulla ragazza.
-Emily- la richiamò Kate –Ora ti raccontiamo tutto. Però sarà difficile e doloroso-
Emily annuì, più per avere le informazioni che voleva che per ciò che aveva appena detto Kate.
- Ecco…Johanna è anche mia madre-cominciò Kate con cautela e un po’ di tensione. Emily spalancò gli occhi sorpresa.
-Tu..noi…..siamo sorelle?- bisbigliò.
Kate le fece un segno di assenso. –Purtroppo ….. lei non c’è più-
-No- disse Emily scuotendo la testa, improvvisamente colta dalla consapevolezza di ciò che significava.  –Lei….lei è…-si bloccò boccheggiando con gli occhi pieni di lacrime.
Questa volta fu Jim ad annuire tristemente- Mi dispiace-
-Ho…ho bisogno d’aria- si scusò Emily balzando in piedi ed uscendo a passo svelto fuori dalla porta.
-Papà- lo fermò Kate posandogli una mano sulla spalla, quando vide l’uomo intento ad imitare la figlia minore- Sta tranquillo, ci penso io-
-Grazie Kate. Vi aspetto-
-Certo. Lasciale il tempo di sfogarsi- e detto ciò uscì anche lei.
 
Fuori era buio e la strada pressoché deserta. Kate giunse al marciapiede in tempo per vedere Emily dal lato opposto della strada correre verso il piccolo parco del quartiere. Allungò la falcata per raggiungerla, fin quando la vide crollare in ginocchio in mezzo all’erba umida, mettendosi le mani fra i capelli e scuotendo il busto avanti e indietro. Kate si avvicinò con calma, si piegò sulle gambe per essere alla sua altezza e senza dire nulla, dolcemente le accarezzò la schiena. A quel gesto Emily singhiozzò più forte tentando invano di trattenere le lacrime.
-Vieni qui- la invitò Kate accogliendola fra le sue braccia, stringendola forte a se. Avvertì la rigidità di Emily sciogliersi dopo qualche secondo, quando con un forte sospiro si lasciò andare ad un pianto disperato. Kate continuò a cullarla e consolarla, non smettendo un attimo di massaggiarle le spalle, il capo e la schiena, tentando di essere il più forte possibile, nonostante quel groppo in gola che pure lei sentiva.
Passò quasi mezz’ora prima che Emily si calmasse. Kate frugò nelle tasche estraendo un fazzolettino che porse poi alla sorella, in modo che si asciugasse il viso madido di lacrime. Emily si ripulì un po’ e, come una bambina in braccio alla madre, si sistemò meglio contro di Kate, posando il capo fra la spalla e il collo e avvinghiandole il bacino con maggio decisione.
-Kate? Com’è se ne andata?- riuscì a chiederle con voce roca e il naso tappato.
Kate deglutì. Non poteva mentirle completamente, non su quello.- E’…è stato un incidente….era nel posto sbagliato al momento sbagliato-
-Oddio…è stata uccisa?- Emily si staccò di colpo fissandola. Kate si sentì morire davanti a quegli occhi rossi e gonfi, le guance ancora un po’ impastate di lacrime e i capelli spettinati. –Come?-
-Un…un proiettile vagante, in un rissa fra gang- Emily la guardava quasi a capire se stesse mentendo, e Kate sperò vivamente che, non essendo una grande attrice, i consigli che aveva captato dell’esuberante Martha Rogers avessero portato i suoi frutti. Allungò una mano e con delicatezza le sistemò una ciocca di capelli che era rimasta appiccicata alla fronte- Mi dispiace per come sono andate le cose, e che tu l’abbia saputo così-
-Kate, perché mi ha abbandonato?-
-Non lo sappiamo. Quando sei nata lei e papà avevano dei problemi fra loro, hanno vissuto separati per un po’. Forse non voleva farti soffrire per un’eventuale separazione, ma non potremmo mai saperlo-  “Mezza verità” pensò fra se’ Kate.
-E la storia che ero in pericolo? Tutto quello che mi ha raccontato suor Agnes? Era tutta una farsa per potersi liberare di me?-
-No Emily. Questo sicuramente no. Mamma era una persona molto buona.-
Emily sospirò, spossata, tornando alla posizione precedente.
-Ehi- la richiamò Kate scompigliandole i capelli.-Ti prometto che scopriremo cosa c’è dietro. Ricordati però che io e papà siamo qui, e qualunque cosa l’affronteremo insieme.-
-Kate….mi porti da lei?- domandò alzando appena gli occhi per guardarla.
Altra domanda bomba, pensò la donna –Certo. Ma non stasera. Per oggi è abbastanza così-
Emily annuì senza ribattere e Kate tirò in modo impercettibile un respiro di sollievo.
-Ora, che ne dici di una tazza di the dal nostro vecchio?- propose Kate -Siamo via da un po’ e francamente con quest’erba umida il mio di dietro si sta congelando ed è a sensibilità zero.-
Emily sorrise. Si alzarono e tenendosi strette l’una all’altra tornarono insieme a casa del padre.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Fiori per la tua tomba ***


Ciao a tutti. Ecco un nuovo capitolo....con un po' di ritardo. Chiedo scusa per l'attesa, anche perchè ho già pronti i capitoli successivi,... ma sono scritti sul block notes,e copiarli sul pc mi è sempre un'agonia...Spero intanto che questo possa piacere. Buona lettura.




Col passare dei giorni le visite di Emily a suo padre divennero frequenti. Erano entrambi consapevoli che recuperare, o meglio, creare dal nulla un rapporto era impegnativo e difficoltoso, ma la volontà e la determinazione che avevano, era senz’altro un punto a loro favore. Trascorrevano molto tempo seduti sul divano a raccontarsi le proprie vite, combattendo l’inevitabile disagio ed imbarazzo che talvolta si veniva a creare. Jim aveva avuto l’accortezza di lasciare un album sopra il tavolino: era pieno di foto, molte delle quali di Johanna. La prima volta che Emily aveva visto il volto della madre, era rimasta senza fiato: la somiglianza, almeno fisica, con Kate era palese, e per alcuni aspetti erano addirittura due fotocopie.
Se con Jim le cose si muovevano bene, con Kate, doveva ammetterlo, andavano a gonfie vele. Sorvolando lo shock iniziale, Kate si stava dimostrando una persona straordinaria, ed Emily quasi la venerava, vedendo riflessa in lei quella figura femminile che non aveva mai avuto come riferimento.
Per intessere ancora meglio quel legame, Kate cercava, quando possibile, di staccarsi dal lavoro per trascorrere la pausa pranzo assieme alla sorella. Quando inizialmente aveva valutato quell’ipotesi, lo aveva accennato a Castle.
-Sai, pensavo una cosa- aveva iniziato la detective, osservando la lavagna del caso che stavano seguendo.
- Dell’omicidio?- aveva quindi ribattuto lo scrittore.
Kate scosse la testa – Emily….Secondo te, se le chiedessi di vederci a pranzo ogni tanto, sarebbe una cattiva idea?-
-Assolutamente no. Anzi, francamente mi chiedo per quale motivo tu non l’abbia ancora fatto-
-E’ solo che… non vorrei essere troppo invadente- confessò la detective.
-Invece credo che sia proprio ciò di cui avete bisogno- affermò sicuro Castle –Voglio dire…. non credo basti incontrarsi la sera seduti su un divano come se fosse un incontro di consuetudine con lo psicologo. Dovete andare fuori da quella routine, trovare altri spunti, fare qualcosa che vada oltre quelle quattro parole gettate a tavolino, soprattutto ora che il vostro legame si sta intensificando.-
Kate sorrise: incredibile come quell’uomo avesse sempre le parole giuste al momento opportuno.
-Ok. Ti va di unirti a noi?-
-A pranzo con due donne? E me lo chiedi?- aveva scimmiottato lui balzando in piedi e afferrando la giacca.
Così dopo aver rotto il ghiaccio, quelli furono alcuni dei momenti migliori che Kate trascorse con Emily.
 
Una cosa che però Kate ancora temeva, era la richiesta di Emily di andare alla tomba della madre. La sorella non gliene aveva più fatto menzione, tanto che Kate era arriva a pensare che l’avesse chiesto a Jim. Ma quando, l’uomo aveva negato, un dubbio cominciò ad aleggiare nella mente della donna: in fondo erano trascorsi quasi due mesi “dall’ingresso ufficiale” di Emily nella famiglia Beckett, perché dunque Emily non glielo aveva più chiesto?
Fu così che un pomeriggio, divorata da quella strana angoscia, decise di fare lei il passo avanti. Approfittando del momento di tranquillità del distretto, fortunatamente nessun omicidio, ma solo scartoffie e burocrazia, andò alla pasticceria. Entrando nel negozio semivuoto, vide Emily posare un vassoio di pasticcini nel bancone, e si avvicinò.
-Hai finito di preparare bombe ipercaloriche?- domandò Kate scherzosamente.
 -Ehi, ciao sbirra! Che cosa ci fai da queste parti?- rispose a tono la ragazza.
-Passavo di qua, se ti va un passaggio- disse vaga –Fra quanto finisci?-
-Mezz’ora fa-
-Straordinari?-
-Nah….e che Olga è dovuta andare a prendere il figlio a scuola perché non stava bene, così l’ho lasciata un attimo tranquilla di là. Il tempo di cambiarmi e me ne vado. Mi aspetti?-
-Certo, intanto mi prendo un caffè.-
-E un cornetto-aggiunse Emily recuperandone uno dal bancone, per poi porgerlo a Kate.
-Mi farei diventare una balena, se tutte le volte che vengo a prenderti mi imbottisci di dolci- si lamentò Kate, addentando comunque la pasta fragrante.
-Forse hai ragione, ma agli occhi del tuo scrittore rimarrai sempre uno schianto- affermò maliziosa Emily sparendo nella cucina, mentre Kate a momenti si faceva andare per traverso quella squisitezza. Ma perché tutti ci prendevano gusto a stuzzicarla?
 
Il tragitto verso il cimitero non era molto lungo, ma attraversare la città nell’ora di punta, rendeva qualunque breve percorso un’agonia.
-Grandi progetti per me oggi?- chiese Emily ferme all’ennesimo semaforo rosso.
Kate ci pensò su- Beh direi di si. Ti porto in un…posto particolare-
Emily si limitò ad annuire, probabilmente intuendo la meta, visto che non proferì più parola fino a che Kate non parcheggiò l’auto nei pressi del cimitero.
-Perché mi hai portato qui?- riuscì a dire Emily con un filo di voce.
-Perché te lo avevo promesso- rispose Kate –E perché penso sia giusto che tua possa….vederla.
Emily annuì appena senza però staccare gli occhi dai suoi piedi.
-Ehi- la chiamo la detective prendendole una mano fra le sue –Non vuoi entrare?-
-Io..non lo so….è che, quando quella sera mi hai detto che mi ci avresti portato, dentro di me mi sono detta che, dopo tutto quel che era successo, di mamma avrei avuto almeno la sua tomba su cui piangere. Poi però, i giorni passavano, e sentivo te e papà parlare di lei in modo così…così…intenso, profondo che…che non ho più avuto il coraggio di chiederlo. Dai vostri racconti ho capito che la sua scomparsa vi ha provato molto, e ho creduto che chiedervi di venire qui vi avrebbe turbato, perché è come se, dopo tanti anni, la ferita fosse ancora aperta-
Kate abbassò il capo col groppo in gola; probabilmente Emily aveva capito molto più di quanto faceva vedere.
-Vieni- la invitò scendendo dall’auto.
Prima di attraversare la cancellata d’ingresso, Emily si fermò alla fioreria li vicino: non voleva presentarsi a mani vuote da sua madre.
-Kate….che fiori piacevano alla mamma?- domandò alla detective osservando i mazzi colorati.
-Adorava le margherite- le rispose nostalgica con un lieve sorriso.
-E a te invece?-
-Le calle-
Emily alzò un sopracciglio quasi con divertimento- Le calle? Davvero?-
-Si…perché?-affermò perplessa la detective.
-No niente, e che….non so, le calle mi sanno molto da matrimonio-
-Si, è vero- sorrise anche Kate - Però mi danno un senso di…bontà, come se tutto ciò che circondano sia felice, senza cattiverie, ingiustizie…insomma un mondo pulito,migliore.-
-E’ bello- confermò Emily.
-Posso aiutarvi- le interruppe gentilmente la commessa.
-Si, grazie- rispose Emily- Vorrei un mazzo di margherite, con una calla e un girasole.-
 
Attraversarono le lunghe file di lapidi camminando lente una accanto all’altra. Quando vide Kate svoltare a sinistra, Emily capì che erano giunte a destinazione,e si bloccò di colpo. Non sapeva quale forza invisibile le stesse impedendo di muoversi,e per un attimo si pentì di trovarsi in quel luogo.
Kate comprese la sua difficoltà, così le tornò incontro prendendola per mano.
-Te la senti?-
Emily strinse maggiormente la presa annuendo: quel contatto con Kate le diede forza e sicurezza. Ancora due passi e la tomba di Johanna le si mostrò davanti. Ne scrutò il nome, e quella insolita frase incisa “veritas omnia vincit”. Lasciò la mano della detective e si inginocchiò posando il mazzo lì, davanti a quel marmo bianco. Sentiva un forte vuoto dentro, e gli occhi umidi. Sospirò forte attirando l’attenzione di Kate, che le si mise nuovamente accanto, nella sua stessa posizione. Emily spostò appena la testa fino a toccare quella della sorella, e in risposta Kate le passò un braccio sulle spalle.
-Manca tanto anche a te,vero? – le domandò Emily con un filo di voce.
-Si- rispose l’altra in un sussurro. Calò il silenzio per qualche altro minuto. –Perché il girasole?- chiese Kate con un pizzico di curiosità.
-Quando ero piccola mi raccontarono una storia- iniziò Emily allungando una mano ad accarezzarne i petali –Non ricordo bene com’era, solo che questo fiore seguiva il sole come se fosse il suo unico punto di riferimento, come se fosse una fonte d’amore che lo avrebbe condotto nel corso della sua vita, sebbene fra i due ci fosse una distanza irraggiungibile e incolmabile. E un po’ mi rivedevo in lui: io volevo mia madre, ma sentivo che nonostante fosse lontano e non fisicamente presente, la sua forza era con me.-
Kate si trovò a corto di parole e si limitò quindi a massaggiarle la spalla in segno di conforto.
-Kate? Possiamo andare?- le domandò dopo un lungo istante.
-Certo. Vieni.- acconsentì rialzandosi.
Emily lasciò un bacio e una lunga occhiata alla lapide,e, nuovamente stretta a Kate, lasciò il prato verde del cimitero.
 
Facendo ritorno in città Emily, fece una domanda che Kate sia aspettava.
-Perché c’è quella scritta sulla tomba?-
La detective la guardò di sfuggita cercando le parole giuste.
-C’è qualcosa che non mi hai detto, vero?- la anticipò Emily.
Erano nel frattempo giunte davanti al palazzo di Kate. La donna parcheggiò lungo il marciapiede, spense la macchina e si voltò verso Emily.
-Si, c’è una cosa che non sai e che devi sapere- confermò Kate con un po’ di timore- E non ti piacerà-

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Il bisogno di sapere ***


Fu così che si ritrovarono sedute sul tappeto del soggiorno, come ultimamente molto spesso accadeva.
Kate prese un profondo respiro:- Emily…ti ho taciuto quello che sto per dirti perché pensavo fosse troppo da sopportare. Hai avuto così tante scosse emotive, che non mi sembrava il caso di aggravare. Ora le circostanze mi pongono nella condizione di raccontartelo, ma non te l’avrei tenuto nascosto…pian piano…avresti saputo-
Emily la osservava con sguardo attento, l’espressione seria e concentrata, tanto che Kate, per una frazione di secondo, si sentì quasi a disagio.
- Quando…quando ti ho detto che la mamma è stata….è stata uccisa per caso….beh…ecco…non è andata proprio così-
- Che vuoi dire?- domandò subito la sorella.
Kate cercò un contatto con lei,unendo le loro mani: - E’ stata uccisa…volutamente - confessò non riuscendo a guardarla negli occhi- Quando l’hanno trovata, sembrava davvero fosse stata vittima innocente di una rissa fra gang, per cui il caso è stato archiviato per mancanza di prove, e il colpevole non è mai stato trovato.-
- E’ per questo che sei diventata un poliziotto?- domandò ancora Emily.-Volevi sapere com’erano andate veramente le cose?-
La detective annuì. –Non ho mai creduto a quella storia. Ho mollato gli studi in legge e ho fatto domanda per l’accademia. Sapevo che l’unico modo per poter esaminare i fascicoli e le prove del caso, era averne accesso diretto. Quando ho messo piede al distretto con la divisa ho, in un certo senso, avuto carta bianca. Ho seguito alcune piste, indagando per i fatti miei, e come sospettavo, dietro il suo omicidio c’è qualcosa di più grosso.-
- Ma non ne sei mai venuta a capo- concluse Emily.
Kate scosse la testa – No, non ancora. Sai, quando segui un caso di omicidio, non è come nei film che il colpevole lo si trova in un battibaleno nel giro due o tre giorni. Sono anni che ci lavoro, e non ho ancora chiuso il cerchio.-
-Come…come hai fatto ad andare avanti?- le domandò Emily- Voglio dire, avere ogni mezzo a tua disposizione, e non concludere niente-
-E’ il senso di giustizia- spiegò Kate. –Quando seguo un caso, mi metto sempre dalla parte di chi ha subito la perdita. Spesso verrebbe voglia di trovare il colpevole e massacrarlo di botte, farlo penare finchè non esala l’ultimo respiro. Io credo però che chiuderlo in cella e gettare la chiave, sia la giusta conclusione. Questa è la vera giustizia, così la penso io, e così credeva anche la mamma.-
Ci furono alcuni istanti di silenzio.
-Kate…vorrei vedere le tue ricerche.-
-Come scusa?- si stupì Kate  alzando la testa di scatto, colta in contropiede.
-Si…insomma…le indagini che hai fatto sull’omicidio della mamma. Vorrei sapere cos’hai scoperto e capire anche io perché è stata uccisa-
Kate scosse la testa con energia –No, Emily. Mi dispiace. Non posso-
-Non puoi…o non vuoi?-
La detective non rispose esitando.
-Avanti Kate, potrei esserti utile. Potrei aiutarti ad indagare, come fa Rick con te. Forse un cervello in più ci aiuterà a trovare il colpevole-
-Emily, no. Non voglio coinvolgerti in questa storia- chiarì categorica Kate alzandosi in piedi.
-Sono già coinvolta! Ti prego, permettimi di darti una mano- insistette Emily seguendo i suoi movimenti.
-No!-
Emily la osservò -Mi stai nascondendo qualcos’altro, vero?-
-Emy, ascolta- tentò di farla ragionare la detective posandole le mani sulle spalle e addolcendo il dono –E’ troppo pericoloso. Stanne fuori.-
La giovane sbuffò irritata, levandosi di dosso le mani di Kate: -Perché continuate a trattarmi così?- chiese esasperata. –Non ce la faccio più. Tutti queste bugie, questi silenzi, questi…questi  segreti. Sto impazzendo- confessò passandosi le dita fra i capelli tentando allo stesso modo di calmarsi ed esprimersi come voleva –Lo so che tu, papà e chi mi sta attorno, lo state facendo per me, per non mettermi psicologicamente ko. Lo capisco e lo apprezzo, e vi adoro per questo e per tutte le premure che avete nei miei confronti…..però Kate….mettiti nei miei panni! …tu cosa…cosa faresti al posto mio?- sputò fuori tutto d’un fiato.
La detective deglutì “Probabilmente, farei molto di peggio” si trovò a pensare. Passarono alcuni interminabili minuti a fissarsi, finchè Kate si voltò appena dirigendosi verso lo studio. Emily, fu assalita dalla collera, e stava per ribattere al suo comportamento, quando la detective si voltò di scatto.
-Promettimi solo che non agirai, farai o prenderai iniziative senza di me- disse in tono serio e pacato concentrata sui suoi occhi.
-Ma cosa…?- obiettò Emily aggrottando la fronte stupita senza capire.
-Emily, PROMETTIMELO!- le ordinò Kate- Altrimenti, quella è la porta- pronunciò dura indicando l’uscita.
Emily quasi si pentì di aver insistito tanto, perché se Kate le aveva posto quella condizione, significava che le cose erano molto più gravi di quanto potesse minimamente immaginare.
Sostenne lo sguardo della sorella maggiore, e annuì altrettanto seria –Te lo prometto!-
Kate attese un paio di secondi come ad accertarsi da un lato che quel che stava per fare era la cosa giusta, e dall'altro che Emily mantenesse la parola data.
Confidando in ciò allungò le braccia alla finestra e aprì le ante di legno della sua bacheca personale. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Troppe cose da sapere ***


Quello che Emily si trovò davanti, le spezzò il respiro: le ante di legno erano cariche di foto, appunti, post-it.
Lentamente si avvicinò scrutando tutti quegli elementi, allungando di tanto in tanto una mano per raddrizzare alcuni appunti appesi con uno spillo. La reazione di Kate fu altrettanto silenziosa. Con sguardo indagatore osservava la sorella tentando invano di capire quali emozioni la stessero attraversando.
L’immagine più raccapricciante, sebbene piccola e scolorita, era senza dubbio quella in basso a destra: rappresentava il muro di un vicolo sporco e disseminato di rifiuti e sporcizia, coperto di macchie rosse, indubbiamente sangue.
-E’ quello che penso?- chiese con un filo di voce allungando impercettibilmente il dito nella direzione dell’immagine.
Kate annuì tristemente.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. La detective si avvicinò alla scrivania e dopo aver preso un foglio ripiegato da un cassetto, lo allungò ad Emily: era la lettera di Johanna. In un impeto improvviso, Kate aveva deciso che una volta iniziato era giusto che Emily conoscesse tutto, niente più segreti. La ragazza prese la lettera con mani tremanti tornando a sedersi sul divano, seguita da Kate. Lesse quelle righe con lentezza e attenzione, facendo scorrere gli occhi in maniera decisa. Ebbe il coraggio di alzare lo sguardo dopo molti minuti. Quando Kate le vide gli occhi si sentì morire: erano gonfi di lacrime, che stava tentando in tutti i modi di trattenere, e un’espressione carica di dolore.
-C’è altro che devi dirmi, vero?- riuscì a sussurrare Emily in un mezzo sussurro. La detective fece un triste sorriso, doveva ammettere che la sorella aveva fiuto.
Con molta calma Kate aggiunse a parole quello che non era presente sulla sua “lavagna personale”.
-Quindi quando ti sei presa quella pallottola,era perché ti eri avvicinata troppo alla verità?- Cercò di capire Emily, dopo aver ascoltato l’episodio del funerale di Montgomery.
-Probabilmente- confermò la detective integrando il racconto fino ad arrivare allo scontro avuto con Castle tempo prima, dovuto a quel signor Smith.
-Kate….cosa voleva dire la mamma con questa?- le chiese Emily indicando la lettera e ricacciando indietro le lacrime.
-Non lo so, Emy, questo davvero non lo so. Stava seguendo un caso quando l’hanno uccisa, ma cosa tu possa centrale, non l’ho capito.- ammise la detective.
Emily sospirò pesantemente poggiandosi allo schienale del divano. – Papà è a conoscenza di questo?- domandò indicando la bacheca con un cenno di capo.
-Emmm….non esattamente- confessò Kate – Diciamo che non credo ne sarebbe molto contento-
-Beh, lo credo bene! Ricordami un attimo…quante volte hai rischiato di lasciarci le penne? Quattro, cinque?- domandò Emily con tono stranamente ironico, quasi a voler stemperare la tensione.
Kate sorrise appena annuendo col capo –Si…più o meno-
-Ok…quindi, come posso aiutarti?- esordì Emily in un modo talmente carico di determinazione che per un attimo turbò Kate.
- Tutto quello che volevi sapere è davanti a te. Quando vuoi puoi venire a “studiarti” il tutto- la informò suscitando nella sorella in un certo senso entusiasmo –Però Emily…non fare il mio stesso errore….non fossilizzarti tu questa cosa. Continua a vivere la tua vita, se e quando ci saranno sviluppi o novità ci strizzeremo il cervello. E ti prego, non fare nulla da sola.-rimarcò nuovamente Kate.
Emily annuì seria e protendendosi verso di lei la abbracciò, e stringendola la forte le bisbigliò un grazie all’orecchio. Kate ricambiò il gesto con calore, massaggiandole la schiena con dolcezza materna. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Teneri pensieri ***


La settimana successiva la detective e la sua squadra erano al lavoro per un nuovo caso. Avevano passato la notte al distretto tentando di unire i pezzi di un puzzle che sembrava impossibile da risolvere.
Castle uscì dall’ascensore con due bicchieri fumanti -Buongiorno mia musa-esordì con un sorriso prendendo posto alla sua sedia e porgendo una bevanda alla donna.
-Ciao Rick. Grazie. Ne avevo proprio bisogno- le rispose deglutendo un generoso sorso di caffè. -Ryan ed Esposito?-le domandò lo scrittore notando la loro assenza.-Li ho mandati a casa un’ora fa. Avevano bisogno di staccare- lo informò lasciandosi sfuggire uno sbadiglio.
 -Anche tu dovresti riposare. Hai bisogno di una pausa- stranamente la donna se ne stette in silenzio senza ribattere.
-Kate. Tutto a posto?-lei annuì stancamente -Si…, è solo che sono ancora un po’ in subbuglio per tutto quello che è successo in questo periodo-
-Emily come sta?-  -Bene… credo…è da qualche giorno che non la sento- Kate aveva raccontato a Rick che dopo essere state al cimitero,l’aveva portata a casa sua e le aveva raccontato tutta la verità.
Emily era stata molto riconoscente, ma le aveva anche detto che voleva stare da sola per un po’. “Ok, se hai bisogno di qualcosa,qualunque cosa, chiamami” l’aveva raccomandata la detective.
Castle cercò allora di distrarla un po’ -Allora..hai scoperto qualcosa di nuovo?- domandò indicando a lavagna del delitto Kate stava per rispondergli quando un fattorino le si avvicinò.
-La detective Beckett?- chiese sicuro. -Si, sono io- -Questo è per lei- disse poggiando sulla scrivania una scatola quadrata con un nastro giallo.
-Hai un ammiratore segreto?- le chiese scherzosamente lo scrittore.
-Può darsi- sorrise Kate tagliando il fiocco e aprendo il bigliettino che prima non aveva notato.
-Questo pacco profuma di buono-sussurrò deliziato Castle aprendo il coperchio -Castle, giù le zampe!- lo ammonì Kate schiaffeggiandoli la mano, ma ormai era troppo tardi. Un profumo di crema invase le loro narici , mente osservavano deliziati e meravigliati un vassoio con dei cornetti ripieni di crema e un numero indefinito di pasticcini di ogni genere.
-Wow…adoro tua sorella- esclamò Castle estasiato da ciò che vedeva -Che ti ha scritto?-
-Oh, insomma Rick, fatti gli affari tuoi- lo rimproverò la detective senza cattiveria. Castle le penetrò lo sguardo con la sua espressione da cucciolo. -E va bene- cedette Kate avvicinandosi e leggendo insieme a lui il bigliettino:
Buongiorno Kate. Visto che hai sicuramente trascorso la notte al lavoro, ho pensato che avessi bisogno di un po’ di ricarica, così come i tuoi colleghi. Mi raccomando, non vi abbuffate (parlo soprattutto del TUO scrittoreJ …mi sembra di buona forchetta..)
 un bacio
 ti voglio bene
Emy
Kate era diventata paonazza per quella misera frasetta fra parentesi, o meglio, per quel TUO sottolineato a caratteri cubitali. Dal canto suo, Castle era più concentrato sul “buona forchetta”, o almeno così sembrava -Che diamine le hai raccontato su di me?- la interrogò puntando il dito su quelle due parole.
-Assolutamente niente- si affrettò a rispondere Kate richiudendo il bigliettino e riponendolo in un cassetto della scrivania. -Probabilmente lo ha capito da sola quando l’abbiamo incontrata le prime volte. Avanti prendi quello che ti pare, sento già il tuo stomaco fare i salti di gioia.- Concluse sorridendogli e prendendo in mano il telefono.
-Detective, così mi ferisci- rispose lui fingendosi offeso.
Dopo qualche squillo Emily rispose -Non dirmi che avete già finito tutto?-
Kate ridacchiò -No, tranquilla ti volevo solo ringraziare. Come stai?-
-Ciao Kate. Abbastanza bene grazie. Scusa che non mi sono fatta più sentire, ma avevo bisogno di un po’ di tempo-
-Non preoccuparti, ti capisco. Come sapevi che sono rimasta al distretto?-
-Ieri sera sono passata a casa tua e non c’eri...quindi ho fatto due più due. Avevo solo voglia di fare due chiacchiere-
-Emily, mi potevi telefonare-
-No, non fa niente, immaginavo fossi incasinata col lavoro e non volevo esserti di peso.- terminò la ragazza in un sussurro.
-Ehi, Emy non lo sei, Ok-  la tranquillizzò Kate. -Facciamo una cosa. Stasera usciamo assieme, ho voglia di un po’ di compagnia. Ci sentiamo verso le 19. Ti va?-
-Direi che…si,  ok si può fare- -Emily, c’è bisogno al bancone-Kate sentì in lontananza una voce che chiamava la sorella.
-Arrivo. Ok, Kate, devo andare. Ci sentiamo dopo. Salutami Lanie e anche il tuo scrittore- concluse Emily.
-Eh,si a tal proposito dovremo parlare anche di questo piccolo malin…- tu-tu-tu-tu Emily aveva riagganciato -..teso- sbuffò Kate chiudendo il telefono.
-Posso farti compagnia anche io stasera?- chiese Castle con la bocca piena di crema. Gli sorrise e addentò una pasta fumante che l’uomo le stava porgendo.
Il caso continuava ad essere intricato, nonostante alcuni nuovi elementi che Ryan ed Esposito avevano scoperto, perciò alle 19.00 erano ancora al lavoro al distretto. Kate, che durante il pomeriggio era riuscita a riposare qualche ora, era alla sua scrivania che verificava dei tabulati telefonici. Gli uomini della squadra, erano usciti una mezz’ora prima a ritirare dei referti alla scientifica e Castle era dovuto scappare dal suo editore per risolvere una questione sull’ultima bozza consegnata del suo romanzo. Mentre sfogliava quel fascicolo la voce del capitano la fece sobbalzare.
-Detective, a che punto sono le indagini?-
-A parte quello che abbiamo scoperto dal sig. Tonf, niente di nuovo. Ryan ed Esposito dovrebbero tornare a breve con il responso della scientifica- le rispose Kate con tono stanco.
-Li ho sentiti poco fa. Al centro analisi hanno avuto dei problemi tecnici. Dobbiamo aspettare almeno fino domani in tarda mattinata.- La informò la Gates.
-Capisco-
-Ho detto loro di andare a casa a riposarsi- concluse il capitano. -Quanto a lei Beckett, sto ancora aspettando il rapporto del caso Ronx.-
Kate sospirò -Signore, potrei terminarlo domani?-
-No- rispose secca il capitano –Lo stiamo mandando avanti da settimane, lo voglio fra un’ora sulla mia scrivania. Poi quando ha finito può andarsene a casa. Ci vediamo domattina alle 10.00- e si allontanò.
La detective sbuffò silenziosamente, e iniziò a picchiettare il rapporto sul computer. Dopo quelli che parvero lunghi minuti vide un’ombra avvicinarsi.
-Ciao Kate-  La detective al sentire quella voce alzò lo sguardo sconvolta.
-Emily…oddio- disse dandosi una pacca sulla fronte guardando solo ora l’orologio.
-Scusami, scusami….ho perso la cognizione del tempo..avevo il rapporto da finire….e il caso che..-
-Ehi,ehi, Kate,calmati- le disse Emily sorridendo divertita per il suo modo impacciato -Stai tranquilla è tutto a posto. Sarà per un’altra volta-
- Sono un’idiota, non ti ho nemmeno avvisato che avevo un po’ di cose da terminare- si scusò ancora Kate.
-Quanto ti manca per finire?-  -Non molto.-
-Va bene. Ora mi siedo qui buona buona. Tu finisci il tuo lavoro e poi con calma ordiniamo una pizza e facciamo una cena al salto. Mmm?-
Kate sospirò di nuovo -Come dici tu. Ma ti prometto che mi farò perdonare-e riprese a scrivere. Dopo un po’ Emily prese la parola guardandosi intorno -Ma...lui dov’è?-  la detective sentì le guance avvampare e fingendo di non capire la guardò sorpresa -Lui…chi?- -Andiamo Kate. Sai benissimo di chi sto parlando. Alto..- iniziò ad elencare con voce maliziosa -Simpatico, gentile, occhi azzurri…affascinante- le fece l’occhiolino.
-Affascinante? Non è che state parlando di me?- una voce maschile alle loro spalle le fece trasalire.
-No- rispose subito la detective.
-Ehi, ciao Rick- lo salutò invece Emily con un sorriso immenso. Kate aveva ancora il viso rosso e fissava la sorella con uno sguardo di fuoco. Possibile che avesse capito cosa provava per quell’uomo? Sentì distrattamente lo scrittore che ricambiava il saluto poggiando delle borse di carta di cibo take away sulla scrivania della sua musa.
-Oh, oh, quello sguardo non promette niente di buono- sussurrò Castle a Emily indicando la detective -Che le hai detto per sconvolgerla cosi?-
-Niente, le ho solo chiesto dove….-
 -Dove volevo andare a mangiare!- la interruppe Kate risvegliandosi da quel momentaneo shock guardando supplicante la sorella sperando che le avrebbe dato corda. Emily la capì al volo e decise di stare al gioco…almeno per il momento.
-Eh, si sai, sto..morendo di fame- tagliò corto alzando le spalle a mo’ di scusa.
-Fantastico. Sono arrivato al momento giusto allora- esultò lo scrittore aprendo le buste.
-Castle, devo finire un rapporto. Puoi andare di la a preparare? E comunque siamo solo noi tre. I due compari sono già andati a casa- le disse Kate tornado al PC.
-Ma certo mia musa-
-Castle!-
-Vado- e si allontanò. -Eh…ti do una mano- si offrì Emily alzandosi per seguirlo. -Poi ne riparliamo- bisbigliò a Kate sparendo nella sala relax. Kate scosse la testa con un sorriso fra le labbra.
Raggiunto lo scrittore, Emily osservò il contenuto delle varie scatole.
-Ma che roba è?- domandò non riuscendo a decifrare ciò che vedeva.
-Thailandese ovviamente- la informò Castle . -Ah…interessante- commentò la ragazza con espressione poco convinta.
-Che c’è? Non ti piace?-
-Beh, ecco, diciamo che non è tra le cose che preferisco, e se posso cerco di evitare. Comunque non preoccupati per oggi farò un’eccezione- bugia, le faceva proprio ribrezzo quella robaccia, probabilmente si sarebbe tenuta la fame. – Poi un giorno mi dovrete spiegare come fate a sopravvivere mangiando questa roba, con tutta le cose buone e genuine che circolano nel mercato-
Quindici minuti più tardi la detective entrò nella stanza sorprendendoli a chiacchierare allegramente.
-Ehi, hai finito?- le chiese Emily speranzosa.
-Si, e sto crepando di fame- aggiunse unendosi a loro. Per tutta la serata chiacchierarono del più e del meno,mangiando quello che Emily continuava a definire schifezze fritte. All’ennesimo sbadiglio di Kate, Castle le parlò -Kate, sei distrutta. Che ne dici di andare a casa?-
-Dico che è una splendida idea- -Si, concordo anche io-annuì decisa Emily pensando alla giornata bomba che la attendeva l’indomani. Una volta sistemato la saletta , presero i cappotti e uscirono dal distretto. Kate si offrì di accompagnare a casa la sorella.
-Castle, se vuoi puoi stare a casa domani. Non abbiamo niente di nuovo, e comunque arrivo alle 10.00. In caso se ci sono novità ti chiamo-
-D’accordo allora ci vediamo domani alle 10.00- le disse lo scrittore ignorando le sue parole e avvicinandosi pericolosamente alla detective, le posò un veloce bacio sulla guancia. -Cerca di riposare. Ah Emily…ci conto-
- Si tranquillo-annuì Emily facendogli l’occhiolino.
-Buona notte- le salutò lo scrittore . –Notte-
Emily guardò la sorella sorridendo teneramente. -Di solito i baci servono a svegliare le principesse. Tu che fai, vai controcorrente?-  Kate si girò a guardarla ricambiando un sorriso imbarazzato. Il tocco di Castle l’aveva pietrificata, le sembrava di essere in paradiso, quanto amava quell’uomo.
-Sai mi chiedo, se ti fa questo effetto quando ti sfora con le labbra, non oso immaginare cosa succede quando…-
-Emily!- Kate la richiamò con grazia guardandola supplicante -Vedi noi….io…ecco…-balbettò ma stavolta fu Emily ad interromperla.
-Kate, stavo scherzando prima. Non voglio costringerti a parlare dei tuo sotterfugi amorosi con lo scrittore; se e quando lo vorrai, sarò qui ad ascoltarti-
La detective la ringraziò con un sorriso e insieme si avviarono verso casa. - Su cos’è che contava Castle?-
-Lo scoprirai-

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Confidenze ***


Dopo quella sera, i giorni passavano e le due donne si stavano unendo sempre di più. A Kate sembrava che dopo averle raccontato tutta la verità, e qualche giorno di pausa, Emily si comportasse in modo ancora più spontaneo, come se sapere quelle cose le avesse levato un macigno di dosso. Inoltre le sembrava di aver trovato la copia al femminile di Castle, tanto che si chiese come mai non lo avesse notato nei due mesi precedenti. Ogni mattina Castle arrivava oltre che con il solito caffè, anche con un sacchettino di brioches che gli procurava Emily. Era stata un’idea che era venuta allo scrittore quella sera che avevano cenato assieme al distretto, ed Emily fu felice di cogliere al volo quella proposta. Era un po’ il suo modo per dare il buongiorno a Kate. Qualche volta Emily andava al distretto e come lo scrittore guardava la lavagna del delitto ed esponeva le sue teorie strampalate, quasi stile Castle. Per di più quando Emily e Castle facevano comunella, erano peggio di Ryan, Lenie ed Esposito messi assieme.
Le “indagini” sul caso di mamma Beckett, erano sempre stabili, e da quella famosa sera raramente ne avevano riparlato, ma Kate fu molto felice e rincuorata di constatare che Emily aveva preso alla lettera le sue implorazioni e raccomandazioni, standosene al suo posto senza fare cose strane e pericolose.
 
Un pomeriggio Kate aveva avuto una breve discussione con lo scrittore. Era uscita dal distretto e schiarirsi un po’ le idee, e mentre camminava per le vie affollate della città si ritrovò, quasi senza accorgersene sotto l’appartamento di Emily. A quell’ora era sicuramente a casa, così decise di salire a salutarla. Quando bussò fu stupita di vedersi aprire la porta da un ragazzo. Aveva i capelli scuri e corti, una barba sottile e ben curata, gli occhi azzurrissimi come il ghiaccio. Era a torso nudo, con solo un asciugamano bianco attorno ai fianchi. Kate non poté fare a meno di notare il suo bel fisico.
-Salve. Posso aiutarti?- le domandò con fare cordiale il giovane.
-Si, cercavo Emily- rispose Kate con un po’ di imbarazzo sicura di aver interrotto qualcosa.
-Sta facendo la doccia-
-Beh, torno più tardi-
-No, scherzi vieni accomodati- replicò lui simpaticamente invitandola ad entrare. -Tu devi essere Kate, vero?- la donna si stupì della domanda.-Si, sono io-
-Emily mi ha parlato tanto di te. È un vero piacere conoscerti- aggiunse il ragazzo allungando una mano in segno di saluto. La detective ricambiò il gesto “Di te invece non mi ha detto niente” pensò ma poi disse –E’un piacere anche per me..e tu sei?-
-Nicholas- Kate non si aspettava certo quel nome: Nicholas…quel Nicholas?
-Cucciolo, chi è?- Kate sentì la voce della sorella e si riscosse dai suoi pensieri vedendola comparire con un accappatoio viola e i capelli bagnati.
-Kate!- esclamò radiosa e sorpresa avvicinandosi -Che ci fai qui?-
-Ecco, avevo un paio d’ore libere, passavo di qua e quindi …- lasciò sospesa la frase.
-Hai fatto bene, ogni tanto pure tu devi muoverti- sorrise Emily.
-Emm..tesoro, io vado a vestirmi- esordì Nicholas sentendosi improvvisamente di troppo.
-Si, vengo anche io. Kate ci vuoi scusare due minuti?-
-Certo, vai tranquilla- Vedendo i due allontanarsi Kate sentì una stretta allo stomaco: in Emily e Nicholas vedeva quello che lei e Castle non erano ancora riusciti ad essere.
-Ora vado alla base. Devo sistemare un paio di faccende. Appena finisco ti chiamo- la informò Nicholas appoggiando la mano sulla maniglia della porta della camera dopo essersi vestiti.- Mi accompagni poi stasera?-
Emily annui -Nick…quando tornerai?- Emily lo guardava con sguardo serio e triste. Nick si avvicinò accarezzandole uno zigomo. -Non lo so piccola- mormorò -Non dipende da me-
-Si, lo so- sospirò lei –E’ solo che … non ce la faccio più a vederti partire così ogni volta. Vorrei averti un po’ più tempo con me.-
-Lo vorrei anche io. Però ti dico una cosa, anche se non dovrei…..è un segreto….se questa esercitazione va bene e al corso arrivo fra i primi sette, poi avrò carta bianca- E incatenati i suoi occhi, si abbassò per lasciarle un caldo bacio sulle labbra. – Ma ricorda… è un segreto- le bisbigliò a un orecchio facendola ridacchiare.
Kate li vide tornare dopo un po’. Nick aveva uno zaino alle spalle e una lieve sfumatura di tristezza nel volto. -Kate, sono contento di averti conosciuto.-  Iniziò il giovane rivolto alla detective  -Purtroppo il lavoro chiama e non posso trattenermi oltre. Sono sicuro che presto ci rivedremo.-
-E’ stato un piacere-
-Hai dimenticato la sciarpa- disse Emily tornando alla camera. Approfittando della sua momentanea assenza Nick tornò a rivolgersi a Kate. -Kate, ti devo chiedere un favore- la donna fece un leggero cenno con il capo – E’ un po’ giù in questi giorni, ti prego, stalle vicino. Ne ha un tremendo bisogno, anche se è testarda come un mulo e non lo ammetterà mai-
-Lo farò- gli promise un attimo prima che Emily tornasse all’ingresso.
-Tieni. Allora passo dopo- Mormorò Emily. Nick annuì -Ti aspetto. Ciao Kate-
-Ciao Nick-
-Ciao piccola- sussurrò ad Emily lasciandole in bacio e una carezza sulla guancia.
Emily restò a fissare la porta chiusa mentre la stanza veniva avvolta da un acuto silenzio.
-Sorellina mi sconvolgi- disse Kate interrompendo quel silenzio e cercando di smorzate la tensione che leggeva nel corpo della ragazza . Emily si voltò guardandola interrogativa -Quando pensavi di dirmi che quel Nick, è anche il tuo principe azzurro?-
Kate sapeva che Nick era il migliore amico di Emily. Anche lui come la sorella aveva vissuto in istituto, ma a differenza di lei, era orfano. I genitori erano deceduti in un incidente stradale quando aveva solo quattro anni. La macchina era sbandata fuori strada durante un forte acquazzone, andando a sbattere addosso ad un albero. Nick si era salvato per miracolo, ma per i genitori non c’era stato nulla a fare. Aveva conosciuto Emily, e da allora non si erano più separati, anche se crescendo avevano preso strade diverse: Emily aveva una profonda passione per la cucina, mentre Nick decise di dedicarsi a qualcosa che gli permettesse di aiutare il prossimo ed entrò nel corpo dei marines. Emily le aveva raccontato che era stato lui a convincerla ed aiutarla a ritrovare le sue origini. Si tenevano sempre in contatto, ma la detective non aveva minimamente pensato che fra di loro ci potesse essere qualcosa che andava oltre una fortissima amicizia. Da quel che aveva visto però, si rese conto di essersi sbagliata di grosso.
Emily abbozzò un sorriso e andò a sedersi nel divano, invitando tacitamente Kate a seguirla.
-Ti va di parlarne?- le chiese timidamente Kate - E a te?- domandò in risposta Emily. La detective alzò un sopracciglio dubbiosa. -Kate, non mi bevo la storia che sei qui perché avevi una pausa. E poi l’ho capito dalla tua faccia quando sei entrata.-
Kate sospirò -Non ti si può nascondere niente vero?-
-Tu no. Mi dispiace dirtelo ma non sei affatto brava a mentire- la informò con un sorrisetto la ragazza –Ma io sono peggio di te- Kate sorrise. -Allora..come mai sei qui?-iniziò Emily.
-Ho litigato con Castle- sputò fuori la detective. -Che è successo?-
-Al momento non sto seguendo alcun caso. Da tre giorni ho una marea di rapporti da terminare. E lui continua a fantasticare a distrarmi. È un lavoro che mi massacra quello della burocrazia. E per di più c’è la Gates che continua ad assillarmi per la consegna di quei documenti. Prima Rick mi ha chiesto di uscire con lui stasera per distrarmi un po’ e io gli ho risposto in modo arrogante che la doveva smettere di assillarmi. C’è rimasto malissimo, ha preso il cappotto ed è uscito senza dire una parola-
-Beh…Forse hai un po’ esagerato- le fece notare Emily. Kate appoggiò completamente la schiena al divano alzando la testa al soffitto e chiudendo gli occhi -Lo so…è che sono davvero stanca. L’unica cosa che vorrei è staccare la spina per qualche giorno e…-  silenzio -….Lasciarti abbracciare e coccolare dall’uomo che ami?- azzardò la ragazza. Kate aprì gli occhi, la guardò e annuì senza imbarazzo.
-Sai Kate…un po’ ti invidio- La detective cercò di capire cosa la sorella intendesse -Nick è tornato solo ieri, e stasera deve ripartire. Stiamo insieme da due anni, ma negli ultimi mesi l’ho visto pochissimo. È sempre via a fare addestramenti, e a volte anche operazioni sotto copertura. Non so mai dove va e per quanto tempo. Quando torna a casa ci rimane solo qualche giorno. E credimi se ti dico che è doloroso vederlo entrare in casa, abbracciarlo, fare gli scemi,parlare, ridere  e fare l’amore con lui come se fosse la prima volta, e col terrore che quella potrebbe essere anche l’ultima- disse le ultime parole quasi sussurrandole -Kate. Tu hai accanto un uomo meraviglioso che ti ama, e che anche tu ami. Cosa aspetti a dirglielo? Perché continui a reprimere i tuoi sentimenti?-
-Emily,non è così semplice-
-Kate, la vita va avanti, il tempo scorre. Mi hai raccontato di lui, ne avete passate tante insieme. Lasciati andare per una volta-
-Se lo facessi … cambierebbe tutto. Emily, è vero io lo amo…e che…ho paura-
-Di cosa? Di non potertelo più tenere al distretto?-
-Non è solo quello ….è che…è complicato-
-Sai…penso siate voi a renderlo, come dici tu, complicato- le fece notare saggiamente Emily.
Il telefono di Kate squillò l’arrivo di un messaggio. Lo lesse velocemente sbuffando. –Lavoro?- domandò Emily.
-Si…mi dispiace devo andare- disse la detective alzandosi di malavoglia.
-Ok….Kate…pensaci-
Kate annuì riconoscente, e la salutò con un veloce abbraccio. –Grazie, ci sentiamo. Buona giornata-
-Anche a te-

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Flash ***


Il mattino seguente Kate arrivò al distretto decisamente tardi rispetto il suo solito. Aveva riflettuto a lungo quella notte e si era decisa: avrebbe parlato con Castle, le avrebbe detto quello che provava una volta per tutte. Mentre si avvicinava alla scrivania, vide che lo scrittore era già seduto alla sua sedia, e un po’ se ne meravigliò. Non pensava sarebbe tornato dopo la sceneggiata del pomeriggio prima.
-Ciao- lo salutò timidamente.
-Buongiorno- rispose lui con un sorriso sincero, porgendole il suo caffè. Sembrava che la discussione fra loro non fosse mai avvenuta.
-Castle….-lo scrittore la guardò mentre lei si sedeva -senti…..io….mi dispiace per ieri. Non avrei dovuto trattarti in quel modo. Volevi solo alleggerire un po’ il clima, e io ho pensato solo a me stessa. Mi dispiace.-
Rick non smise un secondo di fissarla, ma non disse nulla, non lasciando trasparire alcun tipo di emozione. Kate si trovò ancora più imbarazzata e decise di continuare. -Io….ti devo dire una cosa- disse quasi in un sussurro -C’è l’ho dentro da troppo tempo, e sono stanca di soffocarla….io –
-BECKETT!!- la voce acuta del capitano fece sobbalzare entrambi -Abbiamo novità sul caso Forten.-
-Signore, il caso è stato archiviato più di 3 settimane fa- fece notare la detective.
-Lo so bene detective.- Rispose dura -Solo che l’uomo che ha arrestato, durante il processo di ieri, ha affermato di aver avuto un complice. Ha fornito nome e cognome, e quest’uomo in questo momento è barricato in un negozio della 47th. Ci sono 4 ostaggi, ha aperto il fuoco e non sappiamo se sono vivi. Chiami subito la sua squadra e vada immediatamente laggiù.-  Ordinò con decisione la donna allontanandosi. Kate prese cappotto e pistola correndo poi verso l’ascensore. Castle la seguì. Mentre si muovevano per le strade con le sirene a palla, la detective avvertì i due colleghi di raggiungerla. Castle non aveva proferito parola. Quando giunsero sul posto c’erano già alcune pattuglie ferme a far sicurezza.  Kate indossò il giubbotto antiproiettile e si diresse verso il centro mobile di coordinamento. Ryan ed Esposito arrivarono in quel momento. Kate spiegò loro la situazione. -Come ci muoviamo?- domandò Ryan.
-Questo è l’uomo. Bobby Shoult- disse un agente mostrando loro una foto del sequestratore –E questa è la mappa dell’edificio. Ci sono tre uscite- aggiunse indicandole -Sono già sotto tiro dai miei uomini. All’interno non ci sono telecamere. Presumiamo sia solo, ma un’irruzione sarebbe rischiosa per gli ostaggi.
-Ok….abbiamo modo di comunicare con lui?- domandò Beckett.
-Il negozio ha un telefono, abbiamo provato a telefonare, ma al momento ha detto che non vuole trattare.- -Lo richiami. Voglio parlarci-
-Certo, venga- Stavano per entrare nel furgone radio quando la porta del negozio si aprì sbattendo. Tre donne ed un uomo uscirono correndo dall’edificio con fare spaventato.  Alcuni agenti li recuperarono senza perdere di mira l’entrata.
-Che è successo?- chiese subito la detective avvicinandosi a loro.
-Ci ha lasciati liberi, e poi è uscito-  farfugliò una delle donne con la voce terrorizzata. In quel momento videro una macchina uscire dal seminterrato del palazzo e allontanarsi a tutta velocità. Mentre svoltava a destra, Kate riconobbe il loro uomo.
-Come diavolo ha fatto ad uscire- urlò correndo alla macchina.
-Ryan, Esposito inseguiamolo. Castle tieniti forte- lo avvisò Kate partendo in quarta.
-Oh, tranquilla, mi piace la velocità. È una scarica di adrenalina e rende tutto più eccitante- ridacchiò reggendosi alle maniglie dell’auto. L’inseguimento proseguì fino un vecchio magazzino nella zona del porto. La macchina di Shoult era abbandonata e l’uomo correva su di una scala, verso i piani superiori.
- E’ in trappola! Vuoi due salite dal retro, io lo seguo da davanti- ordinò la donna ai due agenti,dirigendosi verso le scale. Castle era sceso dalla macchina e la stava seguendo.
-No, Castle. Tu rimani qui-
-Ma Kate...- tentò di protestare lui ma la donna lo bloccò.
-E’ troppo pericoloso e non ci sono rinforzi al momento,ti prego. Non voglio che ti succeda qualcosa, sei troppo importate per me- E senza lasciargli il tempo di ribattere rincorse il malvivente. Aveva adocchiato l’uomo dirigersi verso un piano abbandonato e pericolante zeppo di rifiuti e lamiere, probabilmente nell’intento di nascondendosi fra qualche ammasso di ferraglie e porte dismesse. Muovendosi silenziosamente lungo le pareti del capannone si accorse solo in quell’istante che Castle l’aveva seguita muovendosi nella direzione opposta, quel testardo, ma comunque sufficientemente riparata. Solo pochi metri di distanza separavano detective e scrittore. La donna imprecò con una smorfia lanciandogli un’occhiataccia facendogli capire di stare attento. Un piede messo male però giocò a sfavore della detective che toccò di striscio un vetro rotto suscitando l’immediata reazione di Shoult che si mosse cominciando a sparate. Nonostante la posizione esposta che poteva crearle parecchi problemi, Castle iniziò a correre in direzione della donna finchè si buttò su di lei spingendola con forza contro il muro.
Kate iniziò a sparare a raffica contro l’aguzzino quando un colpo le passò di striscio accanto all’orecchio. D’istinto lo scrittore si gettò a terra trascinandosi dietro Kate. Un improvviso flash la invase, ma non si trattava di luce, era un ricordo. Rivide a rallentatore una scena di diversi mesi prima, solo che stavolta era limpida, nitida e completa: era a terra in un prato, sentiva un dolore indefinito al petto, Castle era sopra di lei che le parlava e le diceva qualcosa, qualcosa che ora decifrava. Si senti gli arti che si immobilizzavano e sudore freddo che le scendeva dalla fronte. Castle la scosse leggermente riportandola al presente. Si ritrovò li a terra con la pistola fra le mani: solo in quel momento ricordò in che situazione era in quel momento e il fatto che le rimaneva un solo colpo. Rimase ferma in attesa, quando sentì dei passi lenti giungere dalla sua sinistra -Non ti muovere- sussurrò all’orecchio di Castle che era ancora accanto a lei. Si rialzò con calma seguendo il lieve rumore allontanandosi da lui. Ma fu un attimo: l’assassino si scagliò contro lo scrittore, che tentò di proteggersi, ma non ne ebbe il tempo che un pugno gli arrivo alla mascella e sentì la pistola sulla tempia.
-Non osare toccarlo- urlò di rabbia Kate prendendo l’aguzzino per le spalle scostandolo dallo scrittore. Voleva sparargli ma rischiava di colpire Castle. Alla detective non bastò destargli questa sorpresa, perché l’uomo, perse di mano la pistola, ma non fu colto del tutto alla sprovvista e si girò di scatto colpendola in pieno petto facendola finire a terra, mentre anche la sua pistola volava via. Kate boccheggiò, ma si riprese subito. Iniziò un corpo a corpo violento contro l’uomo e alla fine riuscì ad atterrarlo e ammanettarlo. Si appoggiò alla parete sfinita e dolorante, quando vide Castle, ancora un po’ stordito, correrle incontro a sorreggerla con le sue forti braccia. Kate lo abbracciò forte sussurrandogli in un filo di voce –Sei un incosciente. Avresti potuto farti ammazzare-
Si staccò da lui solo quando arrivarono i rinforzi. Non si scambiarono più una parola, nemmeno quando furono sottoposti ad un breve controllo di un paramedico, e tantomeno quando Kate fece ritorno al distretto. Castle fu costretto a lasciarla sola a causa di un improvviso impegno con la casa editrice, che dopo una telefonata richiedeva la sua immediata presenza, ma lo sguardo che lasciò alla donna mentre si allontanava richiudeva in se mille emozioni e domande.
Dopo aver aggiornato il rapporto, Kate si mise a fatica la giacca dirigendosi a passo stanco verso casa con la nota positiva era che il capitano le aveva lasciato libero il giorno successivo. Ma troppi  pensieri le attraversavano la mente quando risalendo le scale di casa, si trovò Emily davanti la porta di casa.
-Emy…- esordì Kate guardandola confusa- Cosa…cosa ci fai qui?-
-Ti aspettavo- le rispose la ragazza alzandosi da terra- Oggi è giovedì, serata pizza-
Kate si passò una mano fra i capelli scuotendo la testa. – Io…scusami. L’avevo dimenticato-
-Come l’hai dimenticato?- si stupì Emily –Ma se mi hai chiamato questa mattina!-
Kate era allibita. Quel flash improvviso l’aveva mandata completamente in black out. Continuava a pensare a Castle e alle sue parole. Possibile che quel piccolo ricordo avesse preso il sopravvento a tutti i fatti della giornata?
-Kate?- la chiamò cauta Emily vedendo il suo sguardo perso e la postura rigida – Va tutto bene?-
No, non andava tutto bene. Solo ora stava realizzando la cosa. Castle la amava, glielo aveva detto davvero. Ma era solo un atto di disperazione dettato dal momento o lo pensava davvero? Perché non le aveva mai accennato quella cosa? Stava andando in panico, aveva bisogno di sdraiarsi, di calmarsi.
Emily doveva averlo capito perché si afferrò a strapparle le chiavi dalle mani, ad aprire la porta e a trascinarla verso il divano. Nonostante fosse seduta, la sua espressione non era cambiata, anzi era impallidita e cominciava a sudare freddo. –Kate….mi stai preoccupando- la riprese Emily spaventata scuotendola leggermente.
-Emy….lui…lui…- balbettò la detective aggrappandosi alle braccia della sorella. 
-Lui chi?- domandò Emily –Kate, cos’è successo?-
-Non è possibile- ansimò la donna poggiando la fronte sulla spalla di Emily.
-Kate,ascoltami… ora calmati…..respira, ok? Respira. Bene così-
Kate seguì e ascoltò diligentemente le istruzioni di Emily, e solo quando la respirazione e i battiti si furono regolarizzati, si staccò dalla sorella allungando il peso del corpo sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi. Emily vide che si era calmata, ma era comunque pallida in volto. Si alzò con cautela raggiungendo la cucina. Trafficò un po’ fra cassetti e sportelli, e ritornò a fianco di Kate.
-Ehi- la chiamò accarezzandole la mano. Kate riaprì gli occhi lucidi –Tieni- continuò Emily porgendole un bicchiere di spremuta d’arancia e un piccolo cioccolatino. Kate sorrise debolmente, ma declinò l’offerta -Grazie, ma non mi va-
- Non m’importa. Sei bianca come un lenzuolo, quindi ora fai la brava e mangia tutto: il succo ti farà bene e la cioccolata ti tirerà su il morale-
-Emily…-
-Non discutere!- l’ammonì alzando un dito.
Kate sbuffò –Ok- cedette in fine prendendo fra le mani il bicchiere. Emily la osservò trionfante mentre terminava il tutto. Rimasero poi a guardarsi.
-Scusami- ruppe il silenzio Kate abbassando gli occhi- Non so cosa mi sia preso-
-Beh…non ne sono sicura, ma credo tu abbia avuto un attacco di panico-
La detective annuì. –Ti va di dirmi cosa è successo?- Domandò cauta Emily.
Kate respirò forte annuendo – Circa un anno fa, mi hanno sparato al petto, durante il funerale del capitano Montgomery-
Emily corrugò la fronte. Sapeva di quell’episodio, Kate glielo aveva raccontato e giusto qualche settimana prima l’aveva anche accompagnata ad una visita di controllo, ma non capiva il nesso.
-Ho sempre avuto dei ricordi confusi su quello che era successo- continuò la donna –Poco fa c’è stata una sparatoria mentre stavamo per arrestare un criminale, e… per farmi schivare un colpo, Castle mi si è buttato addosso- le ultime parole le aveva quasi sussurrate.
-Hai avuto paura perché ti sei rivista in quel giorno?-
Kate scosse la testa –No, cioè…non solo. Mentre mi guardava ho avuto una specie di flash: ero io quel giorno, a terra con Castle che mi guardava implorandomi di restare con lui, di non mollare e…-
-E…???-
-Ha detto che mi ama- concluse con voce appena udibile.
Emily spalancò gli occhi –Glielo hai detto? Che ti è tornato questo ricordo intendo-
-No-
-E pensi di farlo?-
-Io…non lo so- ammise Kate sconsolata.
-Credevo che dopo la nostra chiacchierata di eri, avessi avuto un po’ più di sicurezza nell’affrontarlo- le disse Emily, con un tono che però non voleva essere di rimprovero. –Mi hai detto che sei innamorata di lui, e se ti serviva una prova da parte sua, al di la del fatto che sembra che tutto il mondo le percepisca tranne te…beh, adesso ce l’hai. Parlatevi, chiaritevi- la spronò.
- Forse hai ragione- bisbigliò Kate.
-Certo che ho ragione, altrimenti non starei qui a stressarti l’anima- Kate sorrise ringraziandola tacitamente.
- Comunque non credere che quel sorrisetto basti a tenermi buona. Sono venuta qui per mangiare, e le tue paranoie amorose mi hanno fatto venire ancora più fare- scherzò Emily facendole l’occhiolino e cambiando volutamente discorso.
-Ok…non ho molta voglia di uscire, ma te lo devo: dove vuoi andare?-
-Andare? Chi ha parlato di andare da qualche parte? Ora tu alzi il tuo bel culetto, vai a farti una bella doccia, mentre io mi occupo del cibo. Poi seguirà una bella serata di pizza, divano, musica, chiacchiere e abbracci. E non ammetto repliche!- puntualizzò Emily.
-D’accordo, come vuoi.- concordò Kate alzandosi dal divano e andando verso la sua camera.
Emily sorrise furba,e accertandosi che la sorella fosse nella zona notte, prese fra le mani il telefono digitando freneticamente un messaggio. Attese impaziente la risposta mentre apparecchiava la tavola, posando bicchieri, bibite e tovaglioli. Il bip richiamò la sua attenzione, ed esultò silenziosamente leggendo sullo schermo.”Speriamo vada tutto bene” pensò fra se.
Ritornata in soggiorno, Kate trovò il piccolo tavolo di fronte al divano apparecchiato.
-Allora, mia bella addormentata, il bagno è stato sufficientemente rigenerante?- le chiese Emily avvicinandosi con un flute di aperitivo.
-Si, grazie- rispose la detective avvicinandosi a prendendo il bicchiere. Bussarono alla porta. “Finalmente” pensò Emily. –Vai tu, saranno le pizze- disse alla sorella maggiore rubandole il flute dalle mani. Kate annuì, ma quando aprì la porta rimase di stucco: davanti a lei c’era Castle con tre cartoni di pizza in mano. –Castle? Cosa ci fai qui?- domandò stupita sentendo il cuore battere forte.
-Io,…beh, ho portato la cena.- rispose lui alzando appena i cartoni.
-E giusto in tempo, stavo morendo di fame!-si intromise Emily prendendo le pizze per posarle sul tavolo. Recuperò gli aperitivi e ne lasciò uno allo scrittore, l’altro alla detective. I due erano ancora persi a fissarsi reciprocamente.
-Bene, io vado, vuoi vedete di sistemare le cose- li informò aprendo la porta con la sua pizza in mano.
-Emy…- la richiamò Kate con tono supplichevole. Lei si avvicinò abbracciandola brevemente –Stai tranquilla, andrà tutto bene- le bisbigliò all’orecchio. –Ciao Rick, ci vediamo- disse sbrigativamente uscendo dall’appartamento.
Rimasti soli, i due tornarono a guardarsi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Resa ***


Kate fu la prima distogliere lo sguardo. Castle invece, per rompere quel pesante silenzio disse –Beh…. proporrei un brindisi- alzando il bicchiere –Ad un altro malvivente finito dietro le sbarre, e al nostro lavoro di squadra?-
Kate sorrise debolmente apprezzando il suo gesto.- A noi- concordò facendo tintinnare i cristalli. Ne sorseggiarono il contenuto e poi Castle la prese per mano conducendola al divano. –E’ il caso di mangiare prima che si raffreddi. Che dici?-
-Si, va bene- bisbigliò Kate ancora in agitazione. Si rese conto solo in quel momento della dolce musica di sottofondo che avvolgeva la stanza. Emily aveva pensato anche a quello. La cosa che più la tormentava però, era il non sapere cosa la sorella avesse riferito allo scrittore. E questo pensiero la perseguitò per tutta la cena.
-Allora- iniziò Castle dopo che la donna ebbe terminato l’ultima fetta di pizza. – Cosa è successo?-
Kate si pietrificò –Come scusa?-
-Beh, Emily mi ha chiamato per qualche motivo- restò vago lo scrittore.
- Cosa…cosa ti ha riferito?-  si azzardò a chiedergli.
- Non molto a dire il vero. Ha detto che ti ha vista molto strana e provata, cosa che fra l’altro ho notato anche io oggi, e che forse avevi bisogno di qualche persona amica per riprenderti. E io, modestamente, sono il prescelto- si pavoneggiò con l’intento di farla sorridere.
Stranamente però, Kate non proferì entusiasmo, anzi si tirò le gambe al petto rannicchiandosi come un riccio. Castle tornò serio e le si avvicinò di più. –Kate, cosa c’è?- le domandò posando una mano sul suo ginocchio.
La donna aprì la bocca un paio di volte, ma le parole sembravano essersi bloccante in gola. –E’ per la sparatoria di oggi?- L’aiutò.
Kate annuì –Rick…-disse in un sussurro –Quello che mi hai detto quel giorno….quel giorno al cimitero…-
-Tu…tu, ricordi?- la bloccò l’uomo con un filo di agitazione.
Kate annuì di nuovo. – Cosa…lo hai sempre saputo?- chiese ancora Castle alzandosi in piedi, improvvisamente colto dal dubbio che Kate avesse sempre ricordato, ma gli avesse mentito.
-No!- si affrettò a rispondere la donna che, spaventata, era a sua volta balzata in piedi. Castle la squadrò dubbioso. –No, Castle…io…ho sempre avuto una specie di vuoto. Ma oggi quando ti sei buttato addosso a me è…è come se mi si fosse aperta la mente…e ho rivissuto tutto, ogni singolo istante che nemmeno sapevo esistere- continuò Kate con voce tremante.
Lo scrittore era spiazzato.
-Rick…era vero...o…o mi hai detto che… che mi ami solo perché stavo per morire?-
A quel punto Castle non riuscì più a trattenersi. Fece un passo deciso verso la donna, le prese il viso fra le mani e annullando la distanza fra loro le catturò le labbra in un dolce bacio, un bacio vero questa volta. Kate si sentì travolta dalle emozioni, ricambiò il bacio ma rimase comunque rigida. Si staccarono dopo qualche secondo unendo le loro fronti.
-Ti basta questo come risposta?- chiese Castle in un sussurro passando un pollice su e giù per la guancia.
-Rick…perché non mi hai detto più nulla? Se davvero non avessi più ricordato le tue parole…-
Lui sospirò allontanando appena la testa in modo da poterla guardare negli occhi. –Perché non eri pronta a sentirtelo dire di nuovo- spiegò semplicemente- Hai passato due mesi lontano senza mai farti sentire, e quando sei tornata eri comunque fredda, rigida, spaventata. Mi sono detto che avevi bisogno di tempo per tornare alla normalità. Poi il tempo passava e…e non sono più riuscito a dirtelo apertamente. Ho aspettato e lo avrei fatto per tutta la vita se fosse stato necessario-
Kate lo fissava con gli occhi lucidi, e dopo un attimo di esitazione si lasciò andare abbracciandolo in vita e infossando il viso fra il suo collo e la spalla. Castle rispose al gesto stingendola forte, ondeggiando appena.
-Mi dispiace- mormorò Kate.
-Per cosa?-
-Per averti fatto aspettare così tanto- rispose tornando a guardarlo. Occhi negli occhi, persi nel loro mondo, fu questa volta Kate a muoversi allungandosi per baciarlo.
Non ci fu bisogno di altre parole, entrambi indietreggiarono lentamente fino a raggiungere la camera di Kate. Rick la fece sdraiare posandosi leggermente sopra di lei. Le accarezzò il collo continuando a baciarla. Poi si scostò per guardarla: delle lacrime d’emozione erano scese sulle sue guance e l’uomo gliele asciugò baciandole. Kate sorrise debolmente allungando una mano al viso di Rick e accarezzandogli lo zigomo sussurrò -Ti amo Rick, e mi maledico per non avertelo detto prima –
Castle si alzò un po’ sui gomiti per guardarla meglio negli occhi -Ripetilo,ti prego- le chiese in un sussurro.
-Ti amo Rick, ti amo- le rispose Kate, stavolta senza esitazione. Lo scrittore le prese nuovamente il viso fra le mani e la avvicinò a se catturando le sue labbra nelle proprie. Fu un bacio lento e leggero. Quando si trovarono senza ossigeno, Castle iniziò a spogliarla mentre i suoi baci si spostavano lungo il corpo man mano che ne scopriva la pelle. Arrivato alla cicatrice si fermò. La guardò toccandola con cura e baciandola. Quando la detective ebbe con solo l’intimo addosso, cominciò a sfilare i vestiti dello scrittore. Fra baci e carezze si ritrovarono nudi sotto al lenzuolo. Con dolcezza Rick la penetrò sentendola sussultare e gemere. Si guardarono intensamente scambiandosi un altro bacio. –Mio- mormorò  Kate prendendogli una mano ed intrecciando le loro dita –Tuo- rispose lui iniziando a muoversi dentro di lei. Fecero l’amore nel modo più dolce possibile. Rick si muoveva piano con spinte profonde ed entrambi gemevano di piacere sussurrando i loro nomi. All’ennesima spinta Kate si lasciò andare stingendosi forte a lui e dopo un attimo anche Castle venne liberandosi dentro di lei. Una volta uscito si spostò di lato catturandola fra le sue braccia e posandole baci leggeri sulla fronte.
-Ti amo Kate-
 -Anche io, Rick- rispose lei e cullati dal contatto dei propri corpi, si addormentarono.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2705007