L'altra faccia dell'oscurità

di Ilovethegreenofyoureyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maledettissimo verde ***
Capitolo 2: *** Mio padre ***
Capitolo 3: *** Help Me.. ***
Capitolo 4: *** Faccia a Faccia ***
Capitolo 5: *** Segreti ***
Capitolo 6: *** Debolezze. ***
Capitolo 7: *** Jane ***
Capitolo 8: *** Intrappola ***
Capitolo 9: *** Love the way you lie ***



Capitolo 1
*** Maledettissimo verde ***


L'inferno.
Lo immaginate un posto caldo, avvolto dalle fiamme, con il "diavolo" che punzecchia con il suo tridente gli sventurati che vi finiscono.
Niente di più sbagliato.
L'inferno come più essere caldo essendo la casa del male, del odio, e di tutto ciò che di atroce c'è al mondo.
Un posto freddo, come la lama di un coltello, tagliente come le parole d'odio dette da chi amiamo.
Un posto dove il dolore inflitto alle anime, il dolore che voi conoscete, supera ogni vostra immaginazione.
L'inferno, quel posto da dove provengo.

Sono passati tanti anni, troppi per la mia mente per ricordare il giorno in cui fù "creata".
Il tempo li è soggettivo.
Mi sono sempre spostata vagavo da un ospite ad un'altro a seconda degli ordini, non importava chi fosse, uno valeva l'altro per dar noie ai Winchester.
Beh...si, li sotto quei due sono l'argomento principale.
Hanno distrutto ben tre di quei miei "vestiti" umani, poi arrivò questo corpo, questa donna, ed iniziò la mia tortura.

Ricordo vagamente il giorno del possesso, giá questa cosa non era normale.
La casa dove abitava, i due cacciatori con cui lavorava.
Si, con mia sorpresa scopri in seguito che era una cacciatrice.
Ironia della sorte.
Passai mesi nel buio, fra flash di ricordi non miei e vuoti di memoria inspiegabili.
Il mio superiore aveva un altro lavoro per me. 
Un altro caso dei fratelli Winchester.

"Prima o poi mi dirai quello che voglio sapere..?"

A quelle ultime righe mi soffermo a pensare fermando la penna sul foglio. Mi chiedo se faccio bene ad alimentare questa cosa, parlare con lei, con questa voce nella mia testa, attraverso un diario.
Ero stanca e gli occhi mi bruciavano, lasciai cadere la penna sul tavolo e mi stiracchiai, avevo appuntato abbastanza per stanotte.
Mi alzai di scatto dalla sedia passandomi una mano sul viso.

"Devo bere....."

Dissi fra me e me diretta in cucina, aprì l'anta del mobiletto e presi una bottiglia di Jack, era diventata un abitudine ormai.
Richiusi il mobile dopo aver preso anche un bicchiere e mi sedetti al tavolo, mentre svitavo il tappo lo sguardo si posò sulla parete, una parete piena di ritagli di giornale, tutti i casi risolti da quei due. 
Scossi il capo distogliendo lo sguardo e riempì il bicchiere buttando giù d'un fiato il contenuto subito dopo.

Brrr...

Strinsi gli occhi emettendo quel verso e riabbassai il bicchiere poggiandolo sul tavolo.

"Il prossimo lavoro consiste nel togliere di mezzo il Winchester maggiore. Ci serve il bestione. Fai quel che vuoi, ma toglilo dai coglioni."

Mi ritornarono in mente quelle parole, un lavoro come un altro, ed era stato facile fino ad allora eliminare gli ostacoli per me. 
Fino ad allora.
Mentre nella mia mente riaffiorarono quei ricordi, riempì di nuovo il bicchiere e lo feci ondeggiare tornando a ricordare.
Schiocchiai le dita materializzando il diario e la penna sul tavolo e ripresi a scrivere.

"C'era quella casa sul fiume, penso avessero a che fare con un fantasma, io avevo preso il posto della barista in cittá.
Ricordo perfettamente quel giorno.
Ero li dietro al bancone e in serata entrarono, tutti e due con quei vestiti e il distintivo dell F.BI.
Li studiavo da settimane, sapevo giá le loro abitudini.
Li osservai senza dare nell'occhio mentre asciugavo un bicchiere, Sam si fermò ad "interrogare" dei clienti mentre lui..Dean avanzò verso il bancone, si beh, da quel che avevo capito lui era il modesto della situazione.

Con fare plateare si tolse gli occhiali da sole sistemandoli nel taschino, da dove tirò fuori il distintivo che mi mostrò poco dopo guardandomi negli occhi.

"Agente..bla..bla..bla.."

Non capì nemmeno il nome falso che mi disse quando incrociai il suo sguardo, quegli occhi, non avevo mai visto un verde cosi profondo. 
Scossi il capo per distogliere lo sguardo, poggiai il bicchiere sul bancone e sorrisi come da copione.

"Buona sera agente... in cosa posso esserle utile?"

Chiesi voltandomi verso le mensole degli alcolici, presi una bottiglia e tornai a guardarlo riempiendo il bicchiere
Che spinsi sul bancone porgendoglielo.

"Questo lo offre la casa..."

Dissi sistemando delle cose.
Scambiammo due parole giusto il tempo del suo "interrogatorio", fatto da sorrisi sfacciati e battutine.
Ed io ero ancora li a fissare i suoi occhi.
Mi passò il suo biglietto da visita accompagnato da un occhiolino, il classico tizio che sa di essere bello e ne approfitta.
Afferrai il biglietto ed annuì guardandoli andare via."

Portai la penna alle labbra mordicchiandola pensierosa, e sbuffai riempiendo un'altro bicchiere.
La notte pian piano stava passando, ne sorseggiai un pò e ripresi a scrivere.

"Passarono i giorni, loro avevono risolto il caso ed erano pronti per ripartire per unaltra cittá, mi materializzai nei pressi del motel dove alloggiavano, dovevo fare il mio lavoro, dovevo.
Uscirono dal motel alle prime luci dell'alba, li osservai mentre sistemavano il porta bagagli, quella fù la prima volta che ebbi un flash.
Ero fuori davanti ad una casa di campagna in mano avevo un fucile che stavo caricando con il sale.
Pochi secondi e ritornai alla realtá, loro erano giá seduti sul veicolo.
Mi avvicinai attirando la loro attenzione, poggiai la mano sul bordo del finestrino e mi abbassai per guardare all'interno

"Buongiorno agenti...avete risolto il caso?"

Chiesi come se m'importasse, loro annuirono inventando quattro cazzate, avrei potuto colpirli in quel momento ma ero troppo esposta, c'era gente.

Li salutai augurandogli buon viaggio di ritorno, li avrei colpiti durante il tragitto."

Ricordare i fallimenti non è proprio un buon metodo per stare bene, pensai sorridendo sarcastica, stavo riempiendo di nuovo il bicchiere, poi optaì per il bere direttamente dalla bottiglia, un lungo sorso che passò lungo l'esofago lasciando quella sensazione di calore lungo il percorso. 
La ri poggiai giocherellando con la penna, scrivendo di tanto in tanto altre schegge di passato, presente, flash.

"Si, diciamo che quel agguato fu un disastro, mi materializzai dentro la vettura sui sedili posteriori poco dopo che furono fuori cittá.
Dean frenò di colpo imprecando, finimmo fuori strada, uscì dalla macchina e cercai di colpirlo, uno scontro che avrei potuto far finire diversamente se non fosse stato per quei maledettissimi occhi.

Ero riuscita a bloccarlo contro il cofano della macchina, finchè non mi guardò, che diavolo avevano quegli occhi da riuscire a bloccarmi, distrarmi al punto da dagli la meglio, costringendomi a ritirarmi.
Prima di sparire usai il mio potere di annullamento, avrei cancellato quello scontro, non si sarebbero ricordati di me.
Dovevo rimediare.

Una, due, tre fallimenti, ai piani bassi decisero che erano troppi, mi serviva una punizione.
Il mio cari paparino aveva molto senso dell'umorismo."

"Una sola cosa dovevi fare Isabelle!
Mettere fuori gioco Dean. 
Non ti ho dato questo corpo per sprecarlo inutilmente signorina!"

Odiavo quando mi parlava cosi, questa volta non mi rinchiuse, fece di peggio, aprì la linea di confine fra il demone e l'umano.
Nella mia mente iniziai a sentire delle urla strazianti anche se con noi non c'era nessuno.
Portai le mani contro le tempie e lo guardai, lui sogghignava compiaciuto.

"Le senti? Senti che melodia soave?
Sono le urla delle tue vittime, tutte le vite e le anime che negli anni qui sotto hai strappato alla vita e torturato"

Disse muovendo la mano sinistra a mezz'aria come per disegnare il suono.
La mia punizione.
Poi mi caccio via, se volevo che quelle urla smettessero, dovevo portare a termine il mio lavoro.
Portagli Dean Winchester.

Continuai a scrivere, non so bene perchè, forse volevo che lei, lei la cacciatrice leggendo quando prende il sopravvento su di me, trovasse una soluzione per far smettere le urla.

Bevvì un'altro sorso sospirando, da quel incontro erano passati anni, anni che passai da fuggitiva, perchè alla fine non portai a termine il mio compito, mi ribellai alla mia "famiglia", e divenni anch'io una nemica, nemica anche di me stessa.

"Le urla rendono tutto un pò contorto nella mia testa, sai?
Ti va bene se ti chiamo Jane?"

Ripresi a scrivere parlando a lei, forse era frutto della mia immaginazione, un alter ego creato nei momenti di disperazione, che allevio affogandola nel fondo di un bicchiere.

"Mi ha fottuto, quel maledetto sguardo, quei maledetti occhi, quel verde.
Ho passato gli ultimi anni ad osservarli, a volte aiutarli senza farmi scoprire.
E più passava il tempo più non riuscivo a vederli come nemici.
Nel seguirlo per trovare il momento giusto per eliminarlo, mi ritrovai ad un punto che avrei fatto qualsiasi cosa pur di salvarlo."

Muovo la penna che fa capricci e non vuole scrivere, ma dopo tutto questa parte è inrilevante per le ricerche.
La mia mente vacillava a volte, in lotta con me, con il mondo, con le urla, con le emozioni.
Quelle fottono sempre.
Passai più volte la penna contro l'angolo del foglio finchè ripartì.

"Come fai ad entrare nella vita di una persona che ha fatto tabula rasa intorno a sè?
Come fai ad avvicinare qualcuno se per prima ti costruisci muri attorno, cosi spessi che nemmeno tu ricordi come uscirne.
Quando le tue parole dicono il contrario di quello che pensi il più delle volte.
E non guardi mai negli occhi perchè li dentro ci sei tu, quella vera, e loro non sono bravi a mentirti come le parole.
Non lo fai, rimani li ad osservare, vai avanti da sola, perchè sai che starti accanto è distruttivo per gli altri, mi consola pensare che questo è tenerli al sicuro.
Al sicuro da quello che sono, dagli sbagli che faccio.
Al sicuro da me.
O forse la veritá è sono io a volermi tenere al sicuro dalla vita.

I mesi passano, da un bar ad un altro, cittá in cittá, mi sposto seguendoli, sto cercando il momento più adatto per chiedere il loro aiuto, se mani ne avrò il coraggio.
La notte è finita Jane....
Cos'altro potrei scriverti?
La domanda che mi pongo ogni giorno è sempre la stessa.
Perchè ho mandato tutto a puttane per quegli occhi?
.....
Anni che me lo chiedo, e non ho ancora la risposta, o semplicemente non mi piace.
A volte lo odio con tutta me stessa, me ne sto seduta al bancone osservando ogni sua mossa, cercando di leggergli dentro.
Ma ha un muro ben costruito, ma cosa pretendo, io abito in una casa dove la mia solo compagnia sono le bottiglie di Jack, e la parete con con i loro casi, l'unico contatto con il mondo.
Riprendiamo un'altra volta Jane...."

Conclusi, lanciando la penna contro la parete scocciata, ripresi la bottiglia e mi alzai lasciando li il diario aperto, che cosa umana tenerne uno, questa donna mi sta cambiando, pensai.
Bevo il mio Jack mentre cammino verso il divano, sul tavolo una foto scattata qualche giorno prima, una foto in bianco e nero del cacciatore che tanto, odiavo.
La presi buttandomi sul divano, e la guardai per svariati minuti, buttandola di nuovo sul tavolo, bevvi ancora portando il braccio destro contro il viso e chiusi gli occhi, l'altra mano penzolava al lato del divano stringendo la bottiglia.

"Maledetto....maledettissimo verde....."

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Capitolo 2
*** Mio padre ***


Inferno.
Il mio inferno.

La giornata è passata come le altre nel fondo di un bicchiere, o dovrei dire fondi di bottiglie.
Camminando per la casa, sto consumando il corridoio.
Decido di riprendere il "diario", mancano poche pagine ed è quasi finito, lui..ma non il caos nella mia mente, no quello non va via.
Raggiunsi quasi trascinando i passi il salotto e mi buttai sul divano, aveva la mia forma ormai.
Schioccai le dita per materializzare una penna che puntualmente portai alle labbra mordicchiandola, era diventata un abitudine ormai.
Feci un gesto veloce con il capo che scricchiolò appena, respirai profondamente e aprì il quaderno rileggendo le ultime righe.

-Bene...rieccomi Jane!-

Dissi fra me e me scuotendo il capo, incrociai le gambe e poggiai il quaderno su esse iniziando a scrivere.

"....Sai Jane, questa parte è affiorata nella mia mente cosi violentemente da togliermi il fiato, fa farmi inginocchiare per terra, da farmi sentire il dolore di quel momento, forte, lancinante, come se stesse ancora affondando la lama nella mia carne.
Lui, mio "padre"...ha quel senso dell'umorismo sottile e macabro.
Dopo il mio "tradimento" passarono anni, l'ultima volta che l'avevo visto è stato quando mi ha fatto dono delle urla strazianti nella mia mente, poi niente, per settimane, mesi, anni.
Mi ero illusa di essere stata abbastanza brava nel nascondermi, illusa infatti, lui aspetta, in silenzio, nell'ombra con pazienza il momento giusto per fare il suo ingresso."

Soffermai la penna rabbrividendo al pensiero di quello che stavo per scrivere, no, questo corpo mi sta cambiando, io che rabbrividisco?
Io che ho torturato e ucciso cosi tante persone da non ricordarne il numero, senza batter ciglio, provando piacere nel farlo, come posso rabbrividire adesso?
Scossi il capo cercando con la mano la bottiglia si Jack che avevo per terra vicino al divano, la portai alle labbra bevendone un lungo sorso, strinsi gli occhi sentendo bruciare la gola, e man mano avvertire calore su tutto il torace, abbassai la bottiglia e scossi di nuovo il capo veloce, gli occhi si erano arrossati appena, presi un'altro respiro profondo passandomi la mano sul viso.

-Su..coraggio Isabelle!
Sono solo ricordi, solo ricordi...-

Lo ripetei un pò di volte mentre la mente si immerse in quei ricordi, la mano scriveva quasi in automatico, andava sul foglio leggera, ma di leggero non rimaneva niente nella mia anima, se mai ne avessi una, se ne restasse qualcosa.

"Avevo seguito i Winchester li dove lui li voleva, dove voleva Sam, "il posto dove avrebbe detto si".
Erano mesi che li metteva alla prova, era riuscito a separarli ed insinuarsi nella mente di Sam.
Quella notte, dopo settimane di riflessioni, pensieri, domande a cui mi rispondevo da sola, domande senza risposta, quella notte avevo deciso di andare da Dean, volevo dirgli cosa Lucifero aveva in mente, volevo fare qualcosa, ma questa volta non potevo farlo stando nell'ombra come in passato.
Volevo.
Ma tra il volere e il fare, c'è di mezzo il "male".

Mi materializzai nei pressi del motel dove alloggiava, dopo aver seguito i suoi ultimi spostamenti, l'incontro con Bobby, aspettai fosse solo per parlare con lui.
A passi incerti mi avvicinai alla porta, stavo per tradire ancora una volta mio padre, che razza di figlia ero?
Ma dopo tutto per lui ero solo un mezzo per i suoi scopi, ne più ne meno.
Mi avrebbe uccisa?
No, lui adora far soffrire, avrebbe pensato a qualcosa di diverso, qualcosa di degno del suo nome.
Scossi il capo tornando alla realtá e guardai la porta, pochi centimetri di legno mi separavano dal quel maledettissimo verde.
Alzai il braccio chiudendo la mano a pugno per bussare, ma ancor prima che le mie nocche toccassero la superficie della porta qualcosa mi colpì, non ebbi il tempo di capire niente, tutto divenne buio, il nero assoluto, il nulla."

Fermai la mano trattenendo un attimo il respiro, mi guardai attorno come se sentissi qualcuno spiarmi, scossi più volte il capo e tornai a guardare quaderno.

"Jane...a volte mi chiedo se esisti davvero, o se sei frutto della mia solitudine e dei miei deliri dovuti al Jack, a queste urla nella mia mente, poi però vivo ricordi non miei, ho visto chiaramente un esorcismo praticato da te su un mio fratello....e beh quella non ero io di certo.

Si, scusa sto divagando, torniamo al motel, a Dean, al buio prima di riuscire a bussare.

Aprì lentamente gli occhi, non so quanto tempo fosse passato, c'era poca luce, cercai di muovermi, ma con sconcertante sorpresa mi ritrovai nuda e legata.

"-Bentornata a casa...Isabelle!-"

Una voce dal fondo della stanza, voce inconfondibile, come la sua espressione di compiacimento, e il suo sorriso maligno.
Si avvicinò a me sogghignando, scuotendo il capo come a dire "ed eccoci qui piccola, lurida traditrice".

Lo guardai inerme, perchè? 
Perchè mi sentivo cosi maledettamente sconfitta?
Fece qualche altro passo verso me mettendomi anche un bavaglio alla bocca.

"-Uccidimi pure! Non avrai mai i Winchester!-"

Riuscì ad urlare prima che stringesse il cuoio contro la mia bocca.
Con quel suo ghigno e lo sguardo superiore prese una lama, e lentamente la fece scorrere sul mio addome.

"-Vedi Isabelle.....non sai quanto di sbagli..
Hai puntato sui cavalli sbagliati figlia mia...-"

Disse con tono fra l'ironico ed il sarcastico, trattenevo il respiro avvertendo fastidio al tocco della lama, lama contro i demoni. 
Ascoltai le sue parole stringendo i pugni, muovendo le braccia, anche se sapevo benissimo che non sarei riuscita a liberarmi.
Lui continuava a parlare, poi di colpo un dolore atroce, strinsi forte gli occhi urlando, urla soffocate dal cuoio che bloccava la mia bocca.
Aveva affondato la lama nel mio addome, con forza, girandola dentro la ferita.
Riaprì gli occhi che erano diventati neri, ero li bloccata, e lui rise vedendomi sofferente, mi mostrò il coltello sporco del mio sangue, sangue che leccò sogghignando.

"-Come ti ho detto Isabelle, hai sbagliato a tradirmi!-"

Urlò ancora, poi riprese, ancora e ancora, con tagli, affondi, e ancora tagli.
Lo guardai con odio finche il dolore non prese il sopravvento e persi i sensi.
Nel buio dei miei pensieri in quel momento pensai che era finita, non avevo scampo, mi abbandonai a quella sensazione di vuoto, amarezza.
Avevo solo un rimpianto, ma ormai era tardi per pensarci. Avevo perso.

Di colpo mi svegliai, scossi il capo, avevo il viso bagnato, era stato lui a svegliarmi.

"-Eeh no!! No, tesoro non è questo il momento di dormire! 
Allora, dimmi...cosa si prova ad essere la vittima e non il carnefice?
Mh? Ti stai divertendo quanto me?-"

Disse ancora guardandomi negli occhi, con un'espressione di sfottimento.
Le sue parole risuonavano nella stanza.
No, non era divertente essere la vittima, ed oltre al dolore sentivo le urla forti e chiare nella mia mente.
Oddio avrei voluto il mio Jack in quel momento.

Mentre ero distratta dai miei pensieri ecco di nuovo, lanciante, ricominciava ad affondare la lama, si era cosi che funzionava, tortura fino a che non rimane niente.
Di nuovo il buio.
Quasi speravo di non risvegliarmi.
Speranza svanita un'attimo dopo, riaprì di nuovo gli occhi e lo guardai dritto nei suoi.

"-falla finita!!-"

Cercai di dire, lui allungò una mano verso il mio viso e lo sfiorò sporcandomi con il mio stesso sangue.
E quel ghigno, quel maledetto ghigno non spariva dalle sue labbra.

"-Voglio essere buono con te, prima di mettere fine alla tua inutile esistenza ti farò vedere cosa accadrá al Winchester per il quale mi hai tradito. Ti faccio questo regalo tesoro. Chiudi gli occhi.-"

Quel suo tono tranquillo, sicuro, mi fece rabbrividire.
Strinsi i pugni mormorando "fottiti" da dietro quel maledetto cuoio.
Lui spostò la mano dalla guancia sulla mia fronte, chiusi gli occhi e come dei flash, immagini, frammenti riempirono la mia testa.
Sam, Sam era in bilico, aveva discusso con Dean, era tutto confuso, una parola di troppo una in meno, si erano allontanati, no, no Dean, ripetevo, era quello che voleva, dividervi.
Poi confusione, ancora flash, Sam aveva detto si, non potevo crederci, era il futuro questo?
Poi un giardino, Dean di fronte a Sam, un Sam che non ha sentimenti nello sguardo. No, no, non può finire cosi, non voglio sapere, no, un altro flash, Dean a terra, Sam che gli spezza il collo.
Riapro gli occhi di colpo.

"-Noo!!-"

Questo urlo si sente anche se soffocato dal cuoio.
Mi agito cercando di liberarmi, no, non può finire cosi. Non potevo, non volevo crederci.
Mi afferrò il mento con forza guardandomi serio, e riaffondo la lama nella mia carne, la girò più volte, sentivo il sangue colare sulla mia pelle, diventò poco dopo appannato, fino a sparire, e di nuovo il buio.
Basta.
Basta, basta, sentivo la mia voce nel buio, basta, basta, ripeteva ininterrottamente.
Buio, solo buio, non era servito a niente tradirlo, lui era sempre un passo avanti, una vita avanti.

......Mi ero arresa in quel momento sai Jane?
Aspettavo solo che mettesse la parola fine."

Allontanai un attimo il quaderno portando la penna alle labbra, lo sguardo si sposto verso il polso dalla manica si intravedeva un pezzo di tatuaggio, distolsi lo sguardo e presi di nuovo la bottiglia.

-Parlare con te Jane.....a volte è logorante, rivivo cose che preferirei dimenticare...-

Sussurrai all'aria bevendo poi un sorso dalla bottiglia, la poggiai fra le gambe e ripresi il quaderno, rimaneva l'ultimo foglio, magari era meglio cosi, avrei ripreso un'altra volta.

"Durò più a lungo il buio questa volta, mi lasciai cadere in quel silenzio, poi vidi un bagliore, qualcosa, il mare, quei due occhi, che ironia vedere come ultima cosa gli occhi del mio nemico.
Sorrisi senza accorgermene, e di colpo riaprì gli occhi.
Lucifero era seduto alla mia sinistra e mi guardava, sembrava aspettasse il mio risveglio senza forzarlo, era li con mezzo sorriso compiaciuto sulle labbra.
Non capivo, abbassai lo sguardo sul mio corpo, ero vestita.
Tornai a guardarlo cercando risposte nel suo sguardo.

"-Sai qual'è la peggior punizione che puoi dare ad un demone?
No, non è la morte, no, quello è liberarlo.
È bloccarlo nel corpo di un umano, hai presente il sigillo anti possessione, tesoro?-"

Lui ruppe il silenzio iniziando quella spiegazione, cosa centra il sigillo adesso?
Seguì il suo sguardo che si posò sul mio braccio, cosa mi aveva fatto?
Che ci faceva sul mio braccio il sigillo anti possesso?
Tornai a guardarlo sgranando gli occhi, pensavo fosse un modo per distruggermi del tutto.

"-Cosa c'è tesoro? Beh, visto che ti sei affezionata cosi tanto a questo corpo, tanto da diventare una rammollita umana piena di sentimenti e debolezze!!
Bene! Divertiti li dentro!
Continuerai ad avere i tuoi poteri, oh si, e la sete di sangue, ma dovrai convivere con la coscenza dell'umana ed i sensi di colpa. Vedi....ti voglio bene.-"

"-Proseguì il suo discorso, che ascoltai non sapendo bene cosa provare, forse distruggermi sarebbe stato meglio, dovevo sentirmi in trappola?
Ero stordita da tutta quella sensazione, rimasi a fissarlo con lo sguardo perso nel vuoto, senza proferire alcuna parola.

"- Per il momento ho finito.-"

Disse infine, si alzò e schiocchiò le dita, un'istante dopo mi ritrovai di nuovo dietro la porta del motel.
La vista si appannò, ero ferita, maledetto, dovevo allontanarmi.
Sentì dei passi avvicinarsi ad essa, era Dean, parlava al cellulare con Bobby.

"-Il tempo di una birra e sono da te.-"

Dovevo rimandare, portai la mano contro la ferita e mi materializzai altrove.
Un altro tentativo di parlargli fallito.
Entrai dentro la casa....

-La tua sai Jane...-

Entrai, e raggiunsi la cucina, presi la cassetta del pronto soccorso e la riposi sul tavolo, dall'anta presi una bottiglia di Jack, sorrisi ironica soffocando le lacrime che sentivo premere, scossi il capo per scacciarle, non posso, non ne ho il tempo.
Mi sedetti vicino al tavolo e tolsi la maglietta buttandola per terra, presi la bottiglia e la aprì con le labbra, sputai il tappo e bevvi un sorso, poi stringendo i denti ne versai un pò sul taglio chiudendo gli occhi, mi morsi forte il labbro per non urlare, e facendomi coraggio iniziai a cucire la ferita.
Stremata da tutto, alla fine afferrai la bottiglia e mi materializzai al piano di sopra, sul letto, al buio, in silenzio.
E li versai alcune lacrime amare, bevendo, fino a crollare."

Fermai la penna due righe prima che finisse l'ultimo foglio, alzai il braccio spostando la manica della maglietta e guardai il tatuaggio anti possesso, sospirai appena ricoprendolo e finì il foglio.

"Non volevo dirtelo cosi Jane...ma sono intrappolata dentro te, e tu dentro me.
Siamo fottute entrambe?
O fottutamente forti da uscirne insieme?
Alla prossima Jane...."

Chiusi il quaderno e mi alzai dal divano andando in cucina, la notte è lunga, Jack mi aspetta.

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Capitolo 3
*** Help Me.. ***


Era da mesi che non prendevo il quaderno.
Mesi in cui mi ero allontanata da Jane, non volevo più sentirmi debole.
Dopo quella sera, dopo quello che avevo scritto nell'ultimo foglio avevo capito che mi ero arresa al volere di Lucifero, a quel suo giocare con me come un gatto con il topo. 
Ero solo questo per lui, un insignificante pedina del suo gioco.
Iniziavo a perdere la cognizione del tempo, quelle maledette urla nella mia testa mi tormentavano sempre di più... E bevevo, bevevo, bevevo.

-Il fegato Isabelle!-

Urlai entrando in casa sbattendo la porta dietro me, avevo detto "Isabelle" per la prima volta dopo anni, mi ero riferita a me stessa. 
Buttai la giacca sulla poltrona che stava all'entrata della casa e mi guardai attorno, la solita solitudine riempiva la casa, silenzio ovunque, in ogni angolo, stanza.
Come avrei voluto quel silenzio anche nella testa.
Attraversai velocemente il salotto diretta in cucina, Jack mi aspettava come sempre, aprii l'anta del mobile prendendo la solita bottiglia e un bicchiere.

-Andiamo....stasera ci rilassiamo io e te e tante bolle...-

Sussurrai richiudendo l'anta, mi girai dando un'occhiata veloce al "muro dei Winchester", era così pieno, e confuso, le ultime settimane non avevo badato troppo a sistemare le informazioni.
Mi avvicinai soffermandomi sull'ultimo ritaglio di giornale, scossi il capo sbuffando.

-Cazzo! Sono mesi che non aggiorno. ..-

Mi lamentai fra me e me svitando il tappo della bottiglia, sospirai lasciando la cucina e bevvi un sorso intanto che salivo le scale.
Lungo il corridoio una foto bloccò i miei passi, abitavo li da anni ormai, ma mi ero ben guardata dal rovistare fra le cose...giá vivere dentro il suo corpo era più che sufficiente come punizione, mi rendeva abbastanza difficile vivere con le sue maledette emozioni umane che venivano fuori nei momenti meno opportuni.

Rimasi ferma davanti quel tratto di corridoio al buio, bloccata davanti a quella foto, sentii il viso bagnarsi e quella sensazione, quella maledetta sensazione di pugno allo stomaco che mi toglieva il respiro.

-Maledizione, non adesso Jane!-

Urlai contro la foto, la afferrai e corsi verso la camera entrando senza chiudere la porta mi fermai davanti al comò aprendo il primo cassetto riposi la foto al suo interno nascondendola con la biancheria. 
Quando alzai lo sguardo incrociai il mio riflesso, stavo piangendo, quei maledetti sentimenti umani stavano prevalendo ancora una volta.
Portai le mani contro il viso asciugando le guance, spostando lo sguardo verso una foto di Jane posta sul mobile.

-Dovevano essere importanti per te...
Ma lasciami in pace Jane...lasciami in pace!!-

Urlai disperata contro la foto, contro il riflesso nello specchio, lanciandovi contro la bottiglia di Jack che lo mandò in frantumi.
La foto che avevo nascosto ritraeva lei e quei due cacciatori con cui lavorava, quelli uccisi da Lucifero quando ha scelto questo maledetto corpo per me.
La sua famiglia.

-Lasciami in pace Jane...-

Ripetei con le mani che mi tremavano, il riflesso nello specchio era distorto, mi lasciai cadere a terra poggiando le mani sul pavimento, i capelli scivolarono ai lati del mio viso, persi lo sguardo nel vuoto per qualche minuto, per quanto cerchi di ignorarla lei é dentro me, e lentamente mi distrugge.
Mi alzai raccogliendo i cocci dei vetri della bottiglia procurandomi un taglio sul palmo della mano, scossi il capo sorridendo sarcastica e li poggiai sul mobile, il sangue gocciolava sul pavimento, non gli diedi importanza avevo avuto ferite ben più gravi, profonde, e il dolore che stavo provando in quel momento per via di quella maledetta foto, andava ben oltre un insignificante taglio.
Mi pulii la mano contro la maglietta dirigendomi verso il bagno dove aprii il rubinetto della vasca, ora più di prima mi serviva un bagno caldo e il mio Jack.

-Se mi distruggi così...come posso aiutarti Jane?
...aiutami...-

L'ultima parola la mormorai, iniziai a svestirmi lasciando cadere i vestiti per terra, la vasca era ormai piena, le bolle bianche e voluminose coprivano la superficie dell'acqua..
Entrai lentamente lasciandomi sprofondare fra quelle bolle, poggiai il capo contro il bordo della vasca dopo aver messo un asciugamano arrotolato, socchiusi gli occhi respirando profondamente, mancava solo Jack adesso, schioccai le dita facendo apparire una bottiglia nella mia mano svitandone subito il tappo la portai alle labbra, dovevo far tacere quel tormento almeno qualche ora, almeno per un momento..da un lato quelle urla strazianti, dall'altro lei e la sua umanità, e per ultimo, io... e la voglia di uccidere che si faceva sempre più forte.
Bevvì un lungo sorso di quel liquido pungente, ma ormai non lo sentivo più bruciare, il palato ci aveva fatto l'abitudine, scossi il capo per scacciare i pensieri ancora troppo insistenti mentre la mano penzolava verso l'esterno della vasca tenendo la bottiglia.
Passai li un paio d'ore finché l'acqua non divenne quasi fredda costringendomi ad uscire, lasciai la presa della bottiglia ormai vuota, mi alzai poggiando prima il piede sinistro poi il destro sul tappetino, allungai la mano e presi l'accappatoio avvolgendomi in esso uscendo dal bagno.
Le voci risuonavano in lontananza ma erano ancora lì serviva altro Jack.. 
Mi tremavano stranamente le mani, ero ancora tesa, raggiunsi il letto sedendomi sul bordo del lato sinistro e dal cassetto del comodino presi il quaderno.., lo strinsi fra le mani qualche minuto prima di aprirlo e fermarmi all'ultima pagina.

"Non volevo dirtelo cosi Jane...ma sono intrappolata dentro te, e tu dentro me.
Siamo fottute entrambe?
O fottutamente forti da uscirne insieme?
Alla prossima Jane...."

Quelle le ultime parole scritte il 26 ottobre. 
Lo richiusi riponendolo nel cassetto e ne tirai fuori uno nuovo, sospirai appena ripensando agli ultimi due mesi, a quello che avevo fatto, rovistai nel cassetto cercando una penna sistemandomi sul letto con la schiena poggiata alla testata..raccolsi le gambe e vi poggiai il quaderno sopra, era un'azione automatica che avevo ripetuto per mesi e che forse non dovevo interrompere. 
Mi passai la mano sul viso prima di poggiare penna su quel foglio bianco che presto si sarebbe macchiato con il nero non solo dell'inchiostro, ma con quello della mia anima.

"Ciao...Jane...
Wow, un inizio stupido vero?
Ci siamo perse di vista in questi mesi... o forse semplicemente volevo ignorarti e vivere, vorrei vivere Jane, lo capisci?
Ma non posso! Tu sei sempre qui dentro, sei qui ad opprimermi con la tua umanità, tu, loro, quelle maledette voci, ed ancora tu con la tua debolezza.
Io...sento il bisogno di liberarmi da questa prigione...non ce la faccio Jane... o tu, o io."

Scrissi quelle parole senza nemmeno rendermi conto, provavo rabbia, ma era più una rabbia alimentata dal trattenermi, io ero un demone, avevo sete di sangue, voglia di sentire la vita lasciare il corpo di qualcuno sotto le mie mani, ero morte, dove finita questa me?
Perché la reprimere da anni?
Mi stavo torturando, per cosa? Per chi?
Mentre pensavo mi ritrovai a scrivere di nuovo.

"...poi c'è quel verde che mi tormenta più di te, più delle voci, più di tutto...."

Fermai la penna rileggendo quel rigo, e lo cancellai passandoci sopra più volte, borbottando infastidita.."almeno tu lasciami in pace...", spostai la penna e ricominciai.

"Jane non posso continuare così, sento che non ho più le forze per lottare contro me stessa, contro quello che sono...e non c'è nessuno che può impedirmelo._______"

Lasciai scorrere la punta della penna sul rigo per poi chiudere di colpo il quaderno e buttarlo sul letto, mi alzai velocemente sistemando l'accappatoio ed uscì dalla stanza percorrendo il corridoio fino alle scale, le scesi a passo svelto arrivando in cucina, un'altra bottiglia di Jack, si mi serviva assolutamente. 
La presi aprendola subito e riempì il bicchiere che si trovava sul tavolo, tirai la sedia sedendomi quasi di peso iniziando a muovere il bicchiere e far ondeggiare il liquido al suo interno osservando come ipnotizzata, scossi il capo buttandolo giù d'un fiato, uno, due, tre...quattro...senza rendermi conto passai la notte li crollando con il viso poggiato sul braccio con ancora il bicchiere in mano.
Alle prime luci dell'alba di svegliai di sopra salto quando la radio si accese come ogni mattina, lasciai il bicchiere e scossi il capo passandomi la mano sugli occhi per svegliarmi del tutto.

-Maledizione Isabelle...un'altra notte in cucina..per quanto continuerai così?-

Dissi a denti stretti fra me e me alzandomi dalla sedia, chiusi l'accappatoio rabbrividendo e mi diressi si sopra per vestirmi velocemente, dovevo uscire, dovevo fare qualcosa per distrarmi.
Finii di vestirmi ed afferrai la giacca uscendo dalla camera da letto, scesi per l'ennesima volta le scale ed aprii la porta chiudendola dietro me.
Il sole mi dava fastidio, ero annebbiata ormai, dentro me sentivo un vuoto che cresceva ogni giorno sempre di più, non ero più niente, intrappolata fra due mondi, l'umano e il demoniaco.

-Cosa stai facendo Isabelle...torna a casa...non sei abbastanza forte..-

Mormorai chiudendo la giacca, dopo ore di girovagare mi ritrovai al parco, camminando si erano fatte le 11:00, persone che correvano, chi portava a spasso il cane, chi si godeva il relax sul prato sotto un albero leggendo, coppie felici.
La vita intorno a me.
Senza rendermi conto mi ritrovai a seguire un ragazzo, non si rese conto di me era impegnato a fare jogging con le cuffie alle orecchie.
Ero come assuefatta, presa dal battito del suo cuore, dal suo respirare, cosi tanto che non sentì più le voci in quel frangente.
Continuai a seguirlo fin che non imboccò una stradina più isolata, e di li a poco gli bloccai la strada materializzandomi davanti a lui, un istante, mi guardò sussultando nel vedersi apparire dal nulla una donna, il tempo di togliersi una cuffia e dire.

"-Ma che cazz....."

Lo afferrai per il braccio e sparì da li insieme a lui materializzando entrambi in un posto abbandonato, si agitò, ma fu invano, ormai non ero più in me il lato oscuro aveva preso il sopravvento.
Lo spinsi contro la parete di quella casa ridotta in macerie, e guardandolo negli occhi gli tappai la bocca, sorrisi avvicinandomi al suo viso spostandomi verso il collo respirandovi contro.

-Tranquillo non sentirai niente te lo prometto...-

Sussurrai tornando a guardarlo mentre nello stesso momento con la mano gli strappai il cuore.
Pochi istanti e tutto finì, avevo mantenuto la promessa dopo tutto.
Lentamente lasciai cadere il suo corpo per terra inginocchiandomi al suo fianco, lo guardai con lo sguardo perso, freddo, ritrovandomi a mangiare le sue interiora.
La parte peggiore di me aveva preso il controllo e in quel momento mi sentivo libera.

Aprì gli occhi lentamente cercando di mettere a fuoco, pensavo di essere crollata un ennesima volta per il troppo Whishy, con una mano li stropicciai sporcandomi, a quella sensazione di viscido li spalancai notando il sangue, mi guardai attorno scoprendo con orrore quello che avevo fatto.
Mi alzai velocemente da terra indietreggiando verso la parete dove mi poggiai portando le mani davanti la bocca, ero inorridita da quello scenario eppure era una cosa che avevo giá fatto migliaia di volte provando piacere nel farlo...dovevo andare via da li, guardai l'ora, erano le 21:30, avevo dormito per 8, 9 ore, calcolai dall'ultimo ricordo che avevo del parco.
Scossi il capo cercando di rimanere lucida e mi materializzai via da li riapparendo a casa mia.
Mi tremavano le mani, che guardavo ancora sconvolta, sporche di quel sangue cosi rosso e denso.
Corsi verso la cucina e aprì velocemente il mobile dei liquori prendendo una bottiglia di Jack, la aprì bevendo direttamente da essa, le voci piombarono più assordanti di prima, e potevo sentire indistinta anche quella del ragazzo che avevo ucciso qualche ora prima.
Rimasi li poggiata contro la cucina scivolando contro il ripiano mi sedetti per terra portando le gambe contro il petto.
Qualche minuto dopo sentì il rumore della radio che usavo per intercettare la polizia e le chiamate dei Winchester, era Bobby che chiamava Sam, avevano trovato un ragazzo con il cuore strappato e il corpo mutilato, la polizia pensava a qualche pazzo serial killer, ma lui non era convinto cosi stava chiedendo a Sam di dare un occhiata.
Sospirai ascoltando quella conversazione.
Volevo parlare con loro, ma non come protagonista di un loro caso.
Dopo aver bevuto un'altro lungo sorso, strinsi la bottiglia chiudendo gli occhi cercando di pensare a cosa avrei fatto.

-Che cosa hai fatto Isabelle.....cosa hai fatto...-

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Capitolo 4
*** Faccia a Faccia ***


Tre settimane, sono passate tre settimane da quel orribile giorno.
Sentivo ancora l'odore del sangue di quel ragazzo, avevo ancora il suo sguardo di terrore impresso nella mia mente, e la sua voce a gridare insieme alle altre, a darmi il tormento.
Jane...sono crollata, ho ceduto...ho macchiato le nostre mani con il sangue di un innocente..."

Scrissi quelle parole senza fermarmi, quello che avevo fatto non mi dava pace, eppure non doveva essere cosi, non era di certo la prima volta che spegnevo una vita, avevo fatto di peggio in passato.
Ma qualcosa era cambiato in me.
Il senso di colpa mi schiacciava.

"Io non sono così...non dovrei provare nulla.
Jane...perché mi fai questo?
Sono debole...ho bisogno di nutrirmi...di anime. E per quanto forte sia il senso di colpa ed il disprezzo che provo verso me stessa.
Io sono questo.
...Io sono un mostro."

Che diavolo stavo facendo, scrivere questo maledetto diario. 
Con un gesto nervoso lo lanciai lontano da me facendolo finite contro la porta poi per terra, portai la mano contro il viso scuotendo lentamente il capo, sospirai alzandomi dal letto e raggiunsi il bagno sbattendo la porta dietro me.
Ero sempre più tesa, i nervi a fior di pelle, pronta ad esplodere.
Mi avvicinai alla doccia aprendo il rubinetto, lasciando l'acqua scorrere mentre mi toglievo i vestiti, schioccai le dita e li feci sparire, ne avevo abbastanza di umanità in quel momento..
Entrai sotto il getto alzando il viso verso esso, l'acqua porta via ogni cosa, almeno in quel momento.
Chiusi gli occhi abbandonandomi a lei, che scorreva come una carezza sulla mia pelle..
Persi la cognizione del tempo, d'un tratto qualcosa mi riportò alla realtá. 
Il cellulare suonava, chiusi l'acqua ed uscii di fretta afferrando l'asciugamano grande, lo avvolsi attorno alla vita e raggiunsi la mia camera.

-No...non ora...-

Mormorai guardando il display, era ragazzo che avevo incontrato qualche volta al bar.
Buttai il cellulare sul letto e tornai in bagno, presi un altro asciugamano e iniziai ad asciugarmi i capelli.
Per come stavo non ero in grado di controllarmi, rispondendogli lo avrei messo in pericolo.
Finii si vestirmi e scesi di sotto, un altra serata passata a reprimermi, e distruggermi.

-Questa casa è così grande Jane....-

Sussurrai mentre percorrevo il corridoio che portava alle scale, non avevo mai aperto le altre stanze, eppure abitavo li da ormai sei anni...
Arrivai in cucina e aprii il frigo prendendo una birra, per il Jack c'era tempo la notte è giovane.
Stappai la bottiglia dirigendomi verso la parete con i ritagli, l'avevo risistemata...ed aggiornata con l'ultimo caso al quale stavano lavorando. 
Il mio.
Nelle ultime settimane li avevo depistati in ogni modo possibile, con false piste, sacrificando qualche mio "fratello", ma loro non sono stupidi e anche se hanno trovato altri demoni, mostri, qualcosa non li convince. 
Bevvì un altro sorso di birra più lungo che svuotó per metà la bottiglia, ed osservavo quei ritagli, mi soffermai sull'articolo del ragazzo che avevo ucciso e sospirai sentendo un nodo allo stomaco.

-Aveva solo 18 anni...Jane...-

Mormorai stringendo il pugno, mi assaliva quella sensazione di soffocamento, un nodo alla gola, come un masso sul petto, e le lacrime che stanno sempre li, li pronte a far capolino, provavo quello che avrebbe provato un umana.
Non capisco più se sono io a possedere Jane, o lei me.
Mi allontanai dalla parete e riposi la bottiglia nel lavapiatti prendendo quella del Jack dall'anta sopra, la richiusi spostandomi verso il salotto, mi sentivo strana, frastornata, e per quanto in colpa mi sentissi...la parte oscura aveva "sete".

-Isabelle resisti...
Ci sono i Winchester in città, non sprecare questa opportunità...-

Me lo ripetevo mentalmente buttandomi sul divano, poggiai la bottiglia fra le gambe mentre mi legavo i capelli.
Eccomi qui un altra serata rinchiusa in casa per non commettere errori, per non macchiarmi le mani, l'anima di altro sangue.
Aprì la bottiglia giocando con il tappo, non avevi preso nemmeno il bicchiere, la alzai avvicinandola alle labbra e scossi appena il capo.

-....alla fine...-

Mormorai bevendone un lungo sorso, scendeva caldo, mi chiedevo se quel calore somigliasse a quello che provano gli umani quando sono in preda ai loro sentimenti. 
Sospirai amaramente e mi alzai dal divano raggiungendo le scale, le salii piano, avevo deciso di superare il limite che mi ero imposta.
Conoscere Jane, guardare fra le sue cose, entrare nelle altre stanze.
Un altro terribile errore.
Arrivai di sopra guardando prima a destra poi a sinistra...poi prendendo un respiro profondo feci dei passi più decisi e mi fermai davanti ad una delle porte, afferrai la maniglia stringendola ed aprii lentamente la porta...ero sulla difensiva, come se dentro ci fosse qualcuno pronto ad aggredirmi.

-Coraggio Isabelle affronta le tue paure..-

Dissi fra me e me spalancando la porta, entrai guardandomi attorno, c'era buio, mi incamminai nella stanza cercando l'interruttore ed accesi la luce, i mobili erano ricoperti da lenzuola... davvero volevo entrare nella sua vita?
Mi avvicinai ad uno dei mobili e tirai via con un gesto il lenzuolo, voló della polvere che mi fece tossire, era un baule, lasciai cadere il lenzuolo per terra concentrandomi su quell'oggetto.
Lo guardavo come se fosse il vaso di Pandora.
Mi inginocchiai di fronte a quel oggetto e dopo qualche minuto di esitazione lo aprì, c'erano delle armi dentro, pistole, coltelli, amuleti, e un album... Afferrai quest'ultimo richiudendo il coperchio e mi alzai, diedi un ultimo sguardo alla stanza, due poltrone, un divano, ed una scrivania il resto dei mobili.
Stringendo l'album contro il petto uscì dalla stanza chiudendola dietro me.
Credo che quello fosse lo studio dove svolgevano le ricerche, camminai lungo il corridoio per raggiungere la mia stanza osservando quel album ormai ricoperto di polvere.

-Davvero vuoi farlo Isabelle?
Sei sicura di riuscire a reggere quello che potrebbe esserci qui dentro?-

Le domande mi risuonavano in testa immersa nel silenzio di quel corridoio, di quella casa, raggiunsi la stanza ed entrai lasciando cadere l'album sul letto, spostandomi verso il comò per prendere il quaderno, non mi resi conto che dal centro uscì una busta che cadde per terra finendo nelle spazio tra comodino e letto.
Sedendomi lo spostai con la mano, dovevo trovare "il coraggio" per sfogliarlo prima.
Aprii il quaderno rileggendo le ultime righe, un modo per ricordarmi, non perdere la nozione del tempo, perché alcuni giorni scorrono senza che io ne tenga il conto.

"Jane non posso continuare così, sento che non ho più le forze per lottare contro me stessa, contro quello che sono...e non c'è nessuno che può impedirmelo._______"

Rileggere quelle parole mi fece mancare l'aria come se mi avessero colpito con un pugno allo stomaco, in pochi secondi mi balenarono nella mente gli ultimi istanti di quel ragazzo, i suoi occhi.

-Nessuno me lo ha impedito...n-nessuno...-

Mormorai cercando di respirare, portai la mano sinistra contra fronte e la passai sul viso, presi un respiro profondo, ma l'aria sembrava bloccarsi in gola. 
Mi sentivo soffocare.
Senso di colpa, di nuovo, quel soffocante senso di colpa.
Lasciai cadere il quaderno sul letto e mi alzai portando le mani contro le tempie, la mia espressione non era delle più tranquille, strinsi i capelli fra le mani piegandomi su me stessa.

-Smettila Jane...ti prego basta...basta...smettila. ..-

Farfugliavo devastata da quella sensazione, in quelle condizioni diventava difficile controllarmi, il cellulare che era sul letto riprese a suonare, ero come in trans, mi avvicinai e risposi senza pensare.
Era di nuovo quel ragazzo, da giorni insisteva per vederci, lui parlava ma io riuscivo solo a sentire dei suoni distorti.
"Ci vediamo al solito bar? Che dici... ti offro una birra."
Mentre ascoltavo quello che diceva mi ero lasciata cadere per terra, seduta ai piedi del letto, respiravo a fatica, chiusi gli occhi per mettere a fuoco la stanza che vedevo appannata.

-Okay...-

Replicai annuendo al suo invito, okay? 
No, perché avevo accettato.
Non sono in grado di gestirmi quando sono così.
Poggiai il cellulare per terra e mi alzai diretta verso il guardaroba, che aprii, afferrai una gonna in Jeans, una maglietta nera e il giubino bianco.
"Pessima idea Isabelle"...
Mi sussurrava una vocina nella mia mente.
Vocina che non ascoltai.
Mi cambiai velocemente, sistemai il trucco, i capelli e uscii dalla stanza, non guardai più nemmeno l'album, e non scrissi nulla, dovevo uscire, avevo di nuovo quel impulso che mi spingeva a cercare di sopravvivere, far sopravvivere quello che ero un tempo.
La sete si sangue nei momenti di debolezza diventava forte, maledettamente forte, tanto da controllarmi.
Ero al limite, debole, e quei sentimenti tiravano fuori qualcosa che io reprimevo dentro. 
Scesi le scale velocemente, mi avvicinai alla poltrona afferrando la borsa e con un sorriso quasi diabolico svanii.

"Nessuno mi ha fermato...nessuno."

Quelle parole risuonavano nella mia mente, mi materializzai sul retro del bar guardandomi attorno, non c'era nessuno, sistemandomi il giubino mi diressi verso l'ingresso, dentro me mi dicevo di non andare oltre, sapevo cosa sarebbe successo se mi fossi avvicinata a lui.
Non bene. Non per lui.
Entrai dando un occhiata veloce in giro, il mio sguardo in fine si fermò verso il bancone del bar, lui era li seduto su uno dei sgabelli, percorsi il locale raggiungendolo e mi fermai accanto a lui poggiando il gomito sinistro sul bancone e la mano sotto il mento, sorrisi guardandolo negli occhi, aveva gli occhi di un marrone scuro molto espressivi.

-Eccoci qui...Jackson...
Vedi, non sono poi così cattiva. 
Ti avevo promesso che avrei bevuto con te prima o poi.-

Dissi senza smettere di sorridere, distolsi un'attimo lo sguardo ed avvicinai a me uno sgabello sedendomi, accavallai le gambe sistemando una ciocca di capelli, e tornai a guardarlo.
Sapevo benissimo cosa si aspettava da me, ma lui non sapeva cosa io avessi in mente di fare a lui. 
Anche se niente è come sembra, e quella sera ne avrei avuto la prova.
Lui mi guardava, scrutava, aveva quel sorriso malizioso di chi pensa, "c'è lo fatta, stasera mi diverto."

"Finalmente sono riuscito a farti capitolare piccola."

Il suo tono calmo e deciso.
Piccola? 
Come odio gli uomini così sicuri di sé, ma non era importante in quel momento, qualsiasi cosa avesse detto o fatto, era irrilevante per me.
L'unica cosa che sentivo era il suo cuore pulsare, e nella mia mente immaginavo quello che sarebbe successo di li a poco.
Con un cenno della mano chiamai il barista, non avevo bisogno di ordinare, lui sapeva cosa portami.
Sorrisi fingendomi interessata a quello che stava dicendo, mentre giocavo con una sigaretta spenta...passandola fra le dita.

"-Jack doppio liscio come piace a te, Isabelle.-"

Disse Mick poggiando i due bicchieri davanti a noi. Gli sorrisi per ringraziarlo prendendo il mio, tornai con lo sguardo verso Jackson con il bicchiere a mezz'aria aspettavo alzasse il suo, li fecimo tintinnare fra loro in un brindisi.

"A questa serata!"

Disse lui sorridendo ancora, annuii portando il bicchiere alle labbra e lo buttai giù d'un sorso.
Continuammo per un paio d'ore, un bicchiere dopo l'altro, credo che entrambi avessimo pensato di far ubriacare l'altro, ognuno per uno scopo diverso.
Avevo in mano l'ennesimo bicchiere con il quale giocavo, avevamo parlato del più e del meno, guardai l'orologio che segnava le 23:15..
Lui da una trentina di minuti controllava in continuazione il cellulare, mi alzai dallo sgabello e chiamai il barista con un cenno del capo, poggiai i soldi che bastavano sia per giri già bevuti, che per una bottiglia di Jack.

-Per stasera offro io. 
Mick, dammi una bottiglia..grazie.-

Dissi mentre mi sistemavo i capelli, mi avvicinai a Jackson mettendogli il braccio attorno al collo lo guardai negli occhi. 
La vocina dentro me stava urlando di andava via, via finché ero in tempo..."fermati Isabelle. ..non c'è nessuno che mi ferma."
Mi avvicinai al suo orecchio e sussurrai.

-...vuoi stare qui a controllare il cellulare...o ci spostiamo in un posto più tranquillo?-

Presi la bottiglia guardandolo, lui mise via il cellulare dopo aver mandato una l'ennesimo messaggio e mi sorrise alzandosi anche lui dallo sgabello, si sistemó la giacca e guardandomi negli occhi afferrò la mia mano per andare via di li.
Raggiungemmo la sua auto, il parcheggio era isolato, mentre aspettavo che aprisse gli sportelli mi si avvicinò spingendomi contro quello del passeggero, ecco aveva fatto la sua mossa, strinse i miei fianchi baciandomi, si strusciava...ricambia senza provare niente, era solo un modo per distrarlo, fargli abbassare la guardia, renderlo debole, ma non potevo agire li, il locale era troppo vicino, avrebbero sentito le sue urla.
Gli morsi il labbro e sorridendo gli dissi di spostarci da li, lui suggerì il bosco.

-Il bosco è perfetto..-

Sussurrai contro le sue labbra, "perfetto per ucciderti"..pensai, "Fermati Isabelle. ." ....ancora quella vocina, lo spinsi piano facendogli fretta, ed entrai in auto, lui fece lo stesso, mise poi in moto e ci avviammo verso il bosco.
Stranamente riprese a controllare il cellulare, un pò scocciata aprii la bottiglia bevendone un lungo sorso, guardavo fiori dal finestrino aspettando di arrivare, le voci erano li che mi offuscavano i pensieri, spostai lo sguardo verso di lui che sorrise portando la sua mano sulla mia coscia, che strinse.

"Siamo quasi arrivati piccola..-

Disse con quel tono fastidioso per me.
Portai la mano sulla sua stringendola e sorrisi ancora.
Mancava poco e potevo smettere di fingere.
Qualche minuto dopo fermò la macchina, spense il motore e mi guardò con mezzo sorriso malizioso sulle labbra, si avvicinò a me per baciarmi...in quel momento mi scansai e aprendo lo sportello e scesi..

-Prima devi prendermi!-

Dissi andando verso il bosco, volevo farlo allontanare dalla macchina, dalla strada, sono io, lui, il mostro dentro me, ma, c'è sempre un ma.
Non avevo idea che anche un semplice umano potesse avere un lato oscuro da tirare fuori. 
Dopo poco lo vidi arrivare, si avvicinò a me con fare provocante e mi spinse contro il tronco di un albero che c'era dietro me, sorrisi guardandolo e con uno scatto invertii la situazione, lo bloccai contro l'albero premendo il corpo contro il suo, lo guardai negli occhi avvicinandomi al suo viso, era un pò come giocare a preda e predatore.
Già preda, predatore. 
Avevo fatto male i conti però. 
Sorrise ancora, era un sorriso diverso, perfido, meglio, quella sua faccia poco innocente mi rendeva tutto più semplice, di colpo prese a baciarmi, chiusi gli occhi sentendo di nuovo quella sensazione che mi devastata prima di perdere il controllo. 
Lo spinsi con più forza spostando le labbra contro il suo collo, il suo cuore batteva, un ghigno mi sfuggì, stavo per dare il peggio di me, quando senti un colpo, un dolore sordo.
D'istinto mi allontanai da lui portando le mani contro il capo, qualcuno alle mie spalle mi aveva colpita.
Divenne tutto confuso, Jackson rideva indicandomi, indietreggiai guardandomi attorno, c'erano altre tre persone.
Che diavolo avevano in mente.

"Questo è quello che succede a chi mi ignora Isabelle! 
Sono settimane che mi respingi!
Cosa c'è non avevi da fare stasera!?!?"

Iniziò a urlarmi contro, poi il suo amico gli lancio il bastone e mi colpì, alzai le braccia per difendermi, ma ero debole, non mi nutrivo di ciò che alimentata i miei poteri, e questo mi rendeva "vulnerabile".
Finii per terra, sul terreno, alzai lo sguardo su di lui, uno sguardo pieno d'odio e feci per rialzarmi, e un altro colpo mi arrivò da dietro.
Urlai contro di loro, ma invano, avevo scelto il bosco proprio perché nessuno poteva sentire.
Perché era li che avevo mandato i miei "fratelli" per depistare i Winchester.

-S-sei un bastardo! -

Gridai a denti stretti, la rabbia cresceva, cercai di nuovo di alzarmi ma questo maledetto corpo è debole.
"Jane....maledizione...guarda cosa mi hai fatto."
Pensavo provando odio anche verso lei, me.
Di colpo il buio.
Riaprii gli occhi dopo non so quanto, ero di nuovo per terra, mi ritrovai con un bavaglio alla bocca, mani e piedi legati.
Non credevo ai miei occhi, ero io la preda adesso.
Loro ridevano di gusto stringendo nelle mani quei bastoni con uno sguardo di godimento, Jackson si avvicinò a me dandomi un calcio, poi un altro, e un altro, e invitò gli altri a seguirlo. 
Iniziai a urlare con tutto il fiato che avevo in corpo, il dolore ad ogni colpo era indescrivibile, le lacrime percorrevano i lati dei miei occhi, le mie guance, mi dimenavo cercando di sfuggire, e mi sentii inerme, ripensai a quel ragazzo...e che anche tutte le persone che avevo torturato e ucciso, avevano provato quello che stavo provando ora io.

"Dove credi di andare, stonza! "

Urlò Jackson afferrandomi per la caviglia, mi tiro verso di loro e ripresero avevo colpirmi. 
Non riuscivo a reagire, le mie urla erano l'unica cosa che sentivo.
Poi uno sparo in lontananza. 
L'amico di Jackson lasciò cadere il bastone, e scappò, gli altri due lo guardarono e dissero che non volevano problemi con la polizia, e seguirono l'altro. 
Lui si avvicinò a me dandomi un altro calcio contro l'addome, urlai ancora mordendo qual bavaglio.
Un altro sparo, più vicino, pregai che tutto finisce.
Jackson si voltò nella direzione da dove venivano i colpi, cercai di mettere a fuoco l'immagine in mezzo alle lacrime.
Chi era?

"Metti giù quel bastone e nessuno si fa male."

Una voce, una voce familiare, senti i passi farsi più vicini.
Jackson mi passo accanto mormorando "Stewart ringrazia la tua buona stella."
Sentii i suoi passi allontanarsi velocemente, strinsi gli occhi per poi riaprirli e guardare chi mi aveva salvata, guardo le scarpe, spostando lentamente lo sguardo verso l'altro, questi ultimo di abbasso slegandomi le braccia che avevo legate dietro.
Quella voce..mi alzai aiutata da lui girandomi, e lo sguardo guardai. 
Mi sentii mancare quando scoprii chi era.

"Cosa diavolo è successo qui?"

Mi chiese guardandomi negli occhi, era lui..
Era Dean.
Ero faccia a faccia con lui, e l'unica cosa che riuscivo a pensare era, "no, non tu, non così, non qui."
Lo guardai cercando di rimanere tranquilla, infondo lui non sapeva cos'ero, chi ero.
Stringendo il braccio contro l'addome dolente.

-Una serata finita male...
Grazie, chiunque tu sia.-

Risposi alla sua domanda, avrei solo voluto sparire da li.
Cosa dovevo fare?
Dire, pensare.
Dopo anni e anni ero faccia a faccia con quel maledettissimo verde.
Ma....posto sbagliato, momento sbagliato.


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Capitolo 5
*** Segreti ***


Segreti.

Il problema dei segreti è che non restano nascosti per sempre, per quanto ti sforzi, per quanto attenta tu stia, i segreti vengono a galla, inaspettati, violenti, spietati, arrivano come una tempesta e sconvolgono tutto il tuo mondo.

Ero faccia a faccia con lui, pochi minuti che mi sembrarono eterni, in quel bosco ora silenzioso.
Dopo che Jackson e i suoi amici erano corsi via, lui si avvicinò controllando se stessi bene.

"Serata finita male...
Grazie, chiunque tu sia. ."

Avevo risposto senza pensare troppo, che altro avrei potuto dire?
Volevo mangiarlo, ma lui aveva altri piani?
Sono il mostro che cerchi?
No, dovevo mantenere la calma e continuare a fingere.

"Ehi, come ti senti?!"

Disse lui avvicinandosi a me, controllò la ferita che avevo alla testa, sussultai quando sfiorò la mia fronte, lo osservavo quasi trattenendo il respiro, Dio non mi ero mai sentita così a disagio, sulle spine, con la paura che un minimo errore mi avrebbe tradita.

"-Sto bene, non è niente..solo un graffio. Voglio andare a casa.-"

Replicai scuotendo il capo lentamente, chiusi il giubino tornando a guardarlo.

"Ti devo portare all'ospedale, non puoi andare a casa in queste condizioni." 

Era li ancora in veste da lavoro, "il federale", mi mostrò poco dopo il suo distintivo con quel suo fare sicuro, lo ricordavo bene, come se gli ultimi 6 anni non fossero passati, come se fossi tornata in quel bar dove vidi per la prima volta quegli occhi, quella faccia da schiaffi.
Lo guardavo stringendo le braccia contro l'addome, lui parlava, credo mi stesse spiegando cosa ci faceva li.

"Il bosco non è un luogo molto accogliente, specialmente se c'è un assassino a piede libero..Dovrei domandarti alcune cose."

Parlava, ma non riuscivo a sentirlo, ero troppo presa a mantenere la calma, annui un paio di volte per dargli l'impressione che lo stessi ascoltando, poi mi passai una mano sul viso, ero sporca di terra e sangue, lo guardai interrompendo il suo discorso con un gesto della mano.

"-Agente, se non le dispiace ora vorrei solo tornare a casa. Domani risponderò a tutte le sue domande..-"

Le parole uscirono di getto, volevo solo andare via da li, e da lui, ero fuori di me, non lucida, dovevo "fuggire." 
E poi, andare in ospedale? No.
Mi guardò spostando la mano sinistra che aveva sul suo fianco e la portò sotto il mento corrugando un pò la fronte guardandomi, mi chiedevo a cosa stesse pensando, poi si sistemò la giacca ed annui alla mia richiesta.
Senza perdere tempo si guardò attorno passandomi davanti, indicandomi la direzione da seguire.

"- Non se ne parla proprio.. Devi andare in ospedale.
Non vorrei avere il tuo cadavere sulla coscienza.
Nemmeno so il tuo nome..-"

Disse serio mentre camminava, sembrava diverso da come lo ricordavo, forse meno idiota.
Ma i miei ricordi dopo tutto erano deliri misti a voci, pensieri, urla. 
Camminai dietro di lui con lo sguardo basso, provavo dolore su tutto il corpo, la testa mi scoppiata, una voce continuava a ripetere, "non sono pronta..non sono pronta.."
Dopo qualche minuto il bosco finì, uscimmo verso la strada dove c'era la sua macchina, quello splendore di macchina, si fermò portando una mano in tasca per prendere le chiavi, ed io tornai ad osservarlo e mi chiedevo cosa ci facevo ancora li. 
Sarei potuta sparire mentre era distratto, ma no, ero li inerme e confusa.

"-Isabelle...mi chiamo Isabelle-"

Interruppi il silenzio, rispondendo alla sua frase di prima.
Aprì la portiera del lato passeggero facendosi da parte per farmi entrare e si spostò nel lato giuda, lo seguii con lo sguardo entrando in macchina e chiusi lo sportello, lui entrò poco dopo e mise in moto, quel suono, l'odore degli interni, era così familiare, portai lo sguardo verso il finestrino guardando fuori mentre il veicolo partì.

"-Isabelle..
Domani, appena ti rimetterai in sesto magari anche con una bella dormita, verrò a trovarti in ospedale.. Dovrò chiederti un paio di cose riguardo quello che è successo stanotte."

Interruppe il silenzio, il suo tono di voce era così calmo, tranquillo, distolse un'attimo lo sguardo dalla strada guardandomi, rivolgendomi mezzo sorriso, quel sorriso che per anni avevo spiato.
Insisteva con il voler l'andare in ospedale, non sapevo nemmeno se le analisi sarebbero state alterate, non potevo rischiare, anche perché guarivo più in fretta di un normale umano, avrei destato sospetti.
Scossi ancora il capo distogliendo nuovamente lo sguardo dal suo, quegli occhi erano ipnotizzanti, sorrisi per convincerlo che stavo bene.

"-No davvero, sto bene...agente.
Mi serve solo una dormita. 
..Dovrebbe svoltare a destra adesso..-"

Cercai di rassicurarlo, volevo andare a casa e dimenticare quella serata, alzai il braccio indicando la strada che portava alla villa fuori città di Jane.
Mancava poco e sarebbe finita quella tortura, almeno per il momento.
Stringendo il volante scosse lievemente il capo tenendo gli occhi, che erano tornati a guardare la strada, ben vigili, come se cercasse qualcosa.
Forse...quel mostro che aveva ucciso il ragazzo, me.
Rimasi in silenzio quegli ultimi minuti che ci sparavano dalla casa, quando si fermò tirai un sospiro si sollievo, portai la mano sulla maniglia aprendo lo sportello, scesi velocemente e lo richiusi spostandomi dal suo lato per impedirgli di scendere, mandarlo via.

"-La ringrazio per il passaggio, e per avermi salvata da quei... quegli stronzi. 
Spero di esserle utile domani per la sua indagine.
Ora vado a riposare.-"

Buttai la frase parola dopo parola tutto senza prendere fiato, alla fine abbozzai un sorriso inclinando il capo leggermente di lato, strinsi le braccia contro il petto aspettando che rimettesse in moto per andare via.

"-Non ho fatto niente che non avrebbe fatto chiunque altro.
Comunque intuisco che mi stai cacciando in modo gentile, disinfetta bene quelle ferite, come ti ho detto.. Non ho intenzione di avere il tuo cadavere sulla coscienza. 
Tornerò a vedere come stai domani..A presto Isabelle.-"

Replicò lui, con il braccio poggiato sul bordo dello sportello, l'altra mano sul volante, con quell'espressione da "sono sexy e lo so" e quel mezzo sorriso sulle labbra.
Annuì alle sue parole dandogli le spalle poco dopo, correndo verso casa senza guardarlo andare via, chiusi la porta dietro me poggiandomi contro ad essa chiudendo gli occhi. 
Ero al sicuro adesso, da Jackson, da i suoi amici, da me, da Dean.
Lasciai cadere la borsa per terra sfilandomi il giubino che raggiunse la borsa, un secondo dopo ero di sopra nel bagno davanti allo specchio. 
Avevo dei piccoli graffi sul viso, un taglio alla testa, e varie contusioni sul corpo, ma ero abituata al dolore, le lame di Lucifero mi avevano tagliata, lacerata, distrutta così tante volte il dolore fisico era l'ultimo dei miei pensieri. 
Dean, avevo incontrato Dean, questo era il mio pensiero al momento.
Il pensiero di dover rispondere alle sue domande mi faceva mancare l'aria.
Dovevo bere, mi serviva Jack, ma prima dovevo lavare via quello che era rimasto su di me di quella serata.
Passai un'ora abbondante sotto l'acqua, passando la spugna quasi con forza sul corpo, sul viso, sulle labbra, mi sentivo sporca, non solo letteralmente, ma dentro, per quello che avrei fatto se Jackson non avrebbe agito per primo.
Chiusi l'acqua ed uscì coprendomi con l'asciugamano, ero al punto di partenza, come se non fossi ancora uscita, mi spostai nella mia camera cercando con lo sguardo la bottiglia di Jack, ne avevo una sempre a portata di mano, infatti era li sul comodino.
Percorrendo la stanza andai a prenderla sedendomi sul bordo del letto, aprii la bottiglia portandola alle labbra sussurrando un "alla salute Jane"..fra me e me prima di berne un lungo sorso, poggiai l'altra mano sul letto e la mia attenzione su spostata su qualcosa che toccai, era l'album che avevo trovato prima che l'oscuro mi spingesse a cedere.
Era li, l'avevo completamente dimenticato, abbassai la bottiglia mettendola fra le gambe e affetti l'oggetto, quasi avevo paura ad aprirlo, sfogliare quelle foto voleva dire avere a che fare con i sentimenti di Jane, ed ero abbastanza devastata al momento, ma le mani agivano sole mentre io pensavo ai pro e i contro lo stavo già sfogliando.
Foto...foto di Jane insieme ad un uomo, dal calore al petto intuisco che sia importante, poi il senso di essere lì per lì per piangere.

"-Papà...-"

Mormorai con un filo di voce, mi tremava la mano con cui stringevo la bottiglia, cosa avevo appena detto?
Era il padre di Jane?
Erano foto di famiglia? 
Continuai a sfogliarlo un pò offuscata dal dolore alla testa, dalle voci che anche se cercavo di ignorare erano più forti di me, mi fermai guardando un altra foto, in questa era con i due cacciatori che avevo già visto nel corridoio, quella che mi aveva fatta crollare e perdere il controllo settimane prima. 
Alzai di nuovo la bottiglia bevendo ancora mentre con l'altra mano chiusi bruscamente l'album buttandolo per terra lontano da me, conoscere Jane era una pessima idea, pessima.
Mi buttai all'indietro lasciandomi cadere sul letto, stando attenta a non versare il Jack, allungai la mano per rimetterlo sul comodino, ma la bottiglia cade per terra versando il contenuto sul tappeto.

"-Al diavolo! Non va niente per il verso giusto oggi maledizione!"

Urlai rigirandomi sul letto per raccoglierla, mentre la prendevo lo sguardo si posò su un pezzo di carta che si intravedeva al lato nel mobile.
Lasciai perdere la bottiglia e presi quel foglio, era una busta, come finita li?
Ritornai stesa alzando la busta davanti a me, la guardavo, osservavo, poi abbassai il braccio stringendola, portai l'altro braccio contro il viso e chiusi gli occhi.
Ero combattuta, sarei riuscita a gestire altre informazioni? Altri sentimenti? 
Sospirai ripensando a Dean, non avrei mai pensato di incontrarlo in quella situazione, la cosa non mi piaceva per niente.
Cercai di distogliere i pensieri da lui, spostai il braccio tornando a guardare la busta.

"-Coraggio Isabelle affronta le tue paure...-"

Me lo ripetevo ogni volta.
Mi misi seduta al centro del letto con le gambe incrociate e prendendo un respiro profondo la aprii.
Conteneva delle foto, foto che mi fecero perdere qualche battito.
Sentii di nuovo quella sensazione di calore al petto.

"-No...-"

Sussurrai pensando a quanto debole mi renda Jane.
Avevo fra le mani quelle foto, le guardavo e riguardavo con mille domande che riempivano la mia testa.
"Chi è quel bambino? Cosa ci fa John Winchester con Jane?"
Strinsi la busta continuando a guardare quelle foto, quelle immagini, un senso di vuoto mi attraversò, un nodo allo stomaco, la voglia di piangere, tristezza, nostalgia.

-Jane...fammi capire...-

Mormorai mentre delle gocce si posavano sulle foto, stavo piangendo, ormai non riuscivo più a controllare le sue emozioni, stringendo la busta mi accorsi che c'era qualcos'altro dentro, controllai, un foglio...una lettera.
Dovevo leggerla? Volevo davvero sapere?
Prima di trovare risposta alle mie domande avevo già il foglio aperto in mano.
Presi un'altro respiro profondo scorrendo con gli occhi su quelle parole, parole rese appannate dalle lacrime involontarie, lacrime che non avrei capito fino a qualche anno prima.

"Dovrei chiederti perdono... 
Si dovrei iniziare questa lettera chiedendoti perdono...perdonami Dean.
Non avrei dovuto tenerti allo scuro.
Decidere per entrambi.
Ma l'ho fatto.
Non potevo dirtelo.
Come avrei potuto?
So...sappiamo che non c'è posto per il normale nella nostra vita di cacciatori.
Ora sono qui a scrivere questa lettera confusa, come confuso sarai tu quando la leggerai, ho aspettato, ci ho pensato molto, mi sono tormentata, ho parlato con...tuo padre, e alla fine eccomi qui."

Mi fermai un attimo cercando di dare un senso a quelle parole, avevo il terrore nel prosegue, Jane conosceva Dean? 
Quelle foto...
Cosa gli aveva nascosto?
Iniziai ad agitarmi, mi alzai dal letto senza lasciare ne la busta ne le foto e scesi in cucina, Jack mi serviva Jack, misi le cose sul tavolo prendendo un'altra bottiglia e spostai la sedia sedendomi.

"-Maledizione Jane.-"

Dissi bevendo un sorso, poggiai la bottiglia sul tavolo e ripresi la lettera portando lo sguardo sulle parole di prima, leggendo attentamente ciò che c'era scritto dopo.

"..e alla fine eccomi qui.
Dovremmo smettere di bere fino a perderci, dopo una caccia.
Ma per te una bella donna in un bar, rimane una bella donna in un bar, un diversivo per i pensieri, niente di più, niente di meno, tu l'uomo che scappa da se stesso, io quella che fuggiva da una vita che mio padre mi aveva nascosto.
Poi l'alcool, un sorriso, ancora alcool....
Le tue mani, le tue labbra, tu, noi.
Una notte di sesso, una stupida notte di sesso per distrarci dalle nostre vite.
Sono passati 15 mesi da quel giorno, mesi in cui mi sono chiesta se avessi preso le scelte sbagliate.
Alcuni giorni dopo ho perso mio padre, ero distrutta, Smith e Peter si sono presi cura di me, sono diventati la mia famiglia, e c'è John, lui..
Si, sto parlando di tuo padre, lui ha avuto una parte fondamentale nella mia vita, quando ho perso mio padre ed ero distrutta, devastata, lui era li, mi ha salvata, ci ha salvati, mi ha istruita, resa forte, mi ha insegnato a non mollare, e mi ha dato speranza la dove non ne vedevo più.
Ora però....devo parlarti di Jonh, il mio John, il mio sbaglio più grande...chiamalo sbaglio, chiamalo errore...chiamalo come vuoi..
Lui è la a cosa più importante che ho."

Mentre leggevo spostai il braccio colpendo la bottiglia che cadde per terra frantumandosi, non me ne accorsi nemmeno, quelle parole, spostai lo sguardo verso le foto sul tavolo dividendole, John, i cacciatori, quel bambino, il viso di Jane, quel sorriso spontaneo, lo sguardo di chi guarda quello che è tutto il suo mondo.
"la cosa più importante che ho."
No..non è possibile, mi alzai di scatto facendo cadere la sedia per terra, strinsi il foglio nella mano e mi spostai verso il salotto, andavo avanti e indietro nervosa, era troppo, non dovevo entrare nella sua vita.
"Tutto questo ha uno scopo, figlia mia. Tutto ha uno scopo."
La voce subdola di Lucifero attraverso la mia mente con quella frase che mi ripeteva ogni volta che si divertiva a torturarmi.
Non era un caso, questo corpo, lei.
Non riuscivo a pensare lucidamente, mi fermai di colpo al centro della stanza ai piedi delle scale cercando di calmarmi, dovevo concentrarmi, anche se avevo la sensazione che se avessi continuato a leggere il mondo mi sarebbe crollato addosso.
Mi passai una mano sul viso sedendomi sugli ultimi gradini della scala, guardavo il foglio stretto nella mia mano sinistra, mi bruciavano gli occhi, poggiai i gomiti sulle gambe e lo riaprii, le mani mi tremavano, respirai profondamente e ripresi a leggere.

"Lui è la cosa più importante che ho.
Non odiarmi...
O odiami...come mi sono odiata io in questi mesi, quella notte ha cambiato, stravolto tutta mia vita.
Non volevo stravolgere anche la tua, non era giusto, e forse non dovrei nemmeno adesso.
Sto perdendo tempo, sto tergiversando, sto rimandando, evitando di scrivere.
Scrivere..ho sbagliato a non dirtelo, a scegliere anche per te, ma lui è tutto il mio mondo, lui sorride e tutto il resto sparisce.
Lui, John..il bambino che vedrai nelle foto..
E' mio figlio, tuo figlio.
Non odiarmi..
Ho iniziato la lettera chiedendoti perdono.. e la finirò cosi...
Perdonami Dean."

Arrivai alla fine della lettera sconvolta, le parole che avevo appena letto risuonavano nella mia testa.
Accartocciai il foglio buttandolo lontano da me, ero confusa, stordita, arrabbiata, fuori controllo, strinsi i pugni ed iniziai a urlare contro il nulla, a buttare le cose per aria, colpii la poltrona con dei calci, la spinsi ribaltandola.
Il cuore sembrava volesse uscirmi dal petto per quanto batteva forte, ed urlavo disperata, sopraffatta da sentimenti contrastanti.

"-Maledizione Jane! Maledizione!-"

Urlai ancora sentendo la gola bruciare, mi sentii mancare, d'un tratto la stanza girava, mi guardavo attorno frastornata ed indietreggiai fino a poggiarmi contro la parete, portai le mani sul viso cercando di riprendere il controllo, le spostai ai lati della testa respirando con affanno.
Non riuscivo a calmarmi, dovevo andare via da li, da quella casa, dalla vita di Jane.
Chiusi gli occhi svanendo poco dopo, materializzandomi nell'unico posto dove mi sentivo al sicuro.
Il Canyon.
Davanti a me quella distesa immensa, isolata, il buio, il silenzio.
Guardai davanti a me e ripresi ad urlare senza rendermi conto.

"Non è possibile..
Non è possibile...
Non è possibile!!-"

Ripetei più volte, mi inginocchiai per terra, portando le mani contro il terreno, abbassai la testa, lo sguardo perso, quella lettera mi aveva attraversato come una violenta, spietata tempesta...lasciandomi li per terra, stravolta, a pezzi, come le macerie delle case subito dopo.

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Capitolo 6
*** Debolezze. ***


Debolezze.

"Anche il più temibile degli uomini o dei mostri ne ha una.
Una piccola crepa che fa crollare la fortezza. 
Quella notte crollò la mia.
Si Jane, anch'io sono fragile....."
 

Passai la notte su quel pezzo di terreno, qui su questa roccia da cui potevi sentirti minuscolo. 
Alle prime luci dell'alba alcuni raggi di sole colpirono il mio viso, portai una mano davanti ed aprii lentamente gli occhi, mi bruciavano, avevo pianto sopraffatta da tutto quello che era successo in quelle poche ore, pianto fino a crollare.
Mi alzai passandomi una mano sul viso spostando alcuni capelli dal viso, mi sentivo confusa, Jackson, Dean, Jane....sarei voluta restare qui per sempre lontana da quello che era successo, dalle domande che doveva farmi Dean, dalla tempesta di Jane...
Dean, dovevo rispondere alle sue domande, come diavolo avrei fatto a guardarlo dopo aver letto quella lettera? Era giá abbastanza difficile per me.
Guardai l'orologio, le 08:20, sospirando chiusi gli occhi e mi materializzai a casa, in camera mia, percorsi la stanza diretta verso il bagno, c'era l'album per terra..lo guardai proseguendo, entrata in bagno lo sguardo cadde sui vestiti sporchi di sangue e terra che erano li dalla sera prima...
Mi guardai allo specchio odiando quello che vedevo, non avevo più i graffi, e la ferita alla testa era quasi sparita, come gli avrei spiegato questo?
Scossi il capo cercando di non pensarci ed entrai nella doccia aprendo l'acqua, avevo ancora i vestiti addosso...il getto li bagnò subito facendoli aderire al mio corpo..chiusi gli occhi portando le mani sul viso e rimasi li qualche minuto prima di far sparire gli indumenti. 
Stare sotto l'acqua mi rilassava, tanto che non badavo al tempo che passava.

Quella mattina, come promesso, lui tornò a trovarmi.
Arrivò per le 10:30, probabilmente per darmi tutto il tempo di rilassarmi e svegliarmi tranquillamente data la serata che avevo avuto la scorsa notte.
Non poteva immaginare che era andata anche peggio dopo...
Da sotto la doccia sentii il rumore della macchina nel vialetto, uscii velocemente e per non perdere tempo usai i poteri per vestirmi.
Parcheggiò la sua bambina davanti il vialetto, per poi andare verso la porta suonando due volte il campanello.
Scesi in fretta le scale fermandomi dietro la porta, 10 centimetri di legno mi separavano da quel maledetto verde.

-Puoi farcela Isabelle....
Questa umanità fa schifo..-

Mormorai portando la mano sulla maniglia girandola.
Una volta che aprii la porta mi porse davanti al suo viso il caffè e la busta dei cornetti, li allargò sorridendo appena alzando un lato delle labbra.
Lo guardai accennando un sorriso mentre mi spostavo davanti la porta.
 

"- Ho pensato che avessi fame..Così, da bravo agente, ti ho portato la colazione. -"
 

Disse abbozzando ancora quel flebile e rassicurante sorriso mentre io lo invitavo ad entrare in casa spostandomi verso la cucina, chiuse la porta alle sue spalle raggiungendomi li.
Ero nervosa ma non volevo darlo a vedere, spostai la sedia e mi sedetti poggiando le mani sul tavolo, lui si accomodò su una delle sedie poggiando caffè e cornetti sul tavolo, togliendosi la giacca di pelle, sedendosi accanto a me.
 

"Non doveva disturbarsi agente..."
 

Dissi indicando la colazione, gli avevo dato del lei..era un modo per mantenere le distanze. 
Presi il caffè bevendone un sorso, ringraziandolo del pensiero. 
Aspettò che finissi di fare colazione, parlammo del più e del meno, mi disse che ricordava perfettamente la mia via di casa, e che quando uscii era troppo presto per venire da me.
Decise di fermarsi in un bar per prendere la colazione. 
Caffè normale e due cornetti, uno con la crema e uno semplice.
Non sapendo i miei gusti li prese entrambi, per poi montare di nuovo in macchina diretto qui.. Continuavo a mantenere la calma mentre mi osservava attentamente, la sua espressione era chiara... era quella di uno che si chiede come mai sembrassi essere in gran forma, non avevo un graffio in viso. Si sarebbe chiesto come fosse possibile, o se si era confuso.
Dopotutto in quel bosco non vi era una fottuta luce.
 

"- Vedo che stai meglio.. - "
 

Interruppe i miei pensieri con quella frase, alzai lo sguardo verso di lui poggiando il caffè sul tavolo.
Ormai aveva deciso di darmi completamente del tu, era anche una cosa per farmi sentire più a mio agio in sua presenza, pensai, ma non poteva immaginare che la sua presenza era come una tortura per me.
Dopo qualche chiacchiera in più riguardo il posto dal quale venivo, come andava il suo lavoro e cose varie, decise di dedicarsi a domande riguardanti la sera prima.
La sera prima.... avrei voluto cancellarla all'istante.
 

"- ..Ieri notte ti avevo detto che sarei passato a farti qualche domanda riguardo quello che è successo nel bosco.
Mi dispiace farti rivivere tutto quello che ti hanno fatto, ma purtroppo è la prassi... -"
 

Disse con quel tono di voce calmo, ed io li che dentro mi sentivo cadere a pezzi.
Mi guardò negli occhi con un velo di dispiacere, da quello sguardo capii che mi avrebbe evitato volentieri questa manfrina ma doveva sapere cosa fosse successo.
Annuii con il capo alle sue parole sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio, mi stavo torturando l'interno della guancia con i denti per il nervoso, strinsi le mani fra loro tirando la manica della maglietta, avevo messo le maniche lunghe per nascondere le braccia ed evitare che vedesse che non avevo lividi.
 

"-Capisco...farò del mio meglio per aiutarti...-"
 

Replicai con un tono di voce basso, ero passata a dargli del tu senza rendermi conto, ero come ipnotizzata dai suoi occhi, per un istante mi estraniai, ripensai a Jackson, a quello che volevo fare, al bosco, i suoi amici, la voglia di uccidere, il dolore, lui, li faccia a faccia, il verde, Jane, Jane..."Perdonami Dean..." quelle parole riecheggiavano nella mia mente.
 

"- ..Metterò anima e corpo in questo caso.
Quei figli di puttana non sanno con chi hanno a che fare. -"
 

Disse lui con tono serio e deciso accennando un leggero sorriso sfiorando appena la mia mano in modo da farmi tranquillizzare, mi riportò alla realtà, evidentemente non ero brava abbastanza a nascondere la mia agitazione, ma la sua mano sulla mia non fece altro che farmi agitare di più, la allontanò qualche istante dopo, come avevo fatto io con la mia ritraendola, troppo vicino.
Sii schiarii la voce decidendosi, finalmente, di cominciare.
Scossi il capo tornando a guardalo, le sue labbra, come dei flash nella mia mente, lui, lei...avevo bisogno del mio Jack, ne avevo decisamente bisogno, altro che caffè.
 

"- ..Hai visto quanti erano? -"
 

Proseguì lui iniziando con le domande, cercai di fare mente locale, di ricordare, mi alzai dalla sedia, dandogli le spalle diretta verso il mobile dove tenevo gli alcolici, aprii l'anta afferrando la bottiglia di Jack, ne avevo bisogno o non avrei potuto sostenere un'altro minuto di quella conversazione.
Presi due bicchieri da sopra il ripiano della cucina e tornai a sedermi.
 

"-...Credo fossero tre, ma non ne sono certa...ridevano, non ho distinto le loro voci chiaramente..
So che in servizio non bevete... non lo dirò a nessuno.."
 

Risposi alla sua domanda un pò confusa, mentre riempivo i bicchieri a metà, con l'indice ne spinsi uno verso di lui prendendo il mio che portai immediatamente alle labbra bevendo un lungo sorso, poco mi importava se avesse pensato che ero un alcolista in quel momento.
Ascoltò la mia risposta annuendo ad ogni mia parola, spostando lo sguardo sul bicchiere che gli avevo offerto, portò una mano su esso tornando poi a guardami proseguendo con le domande.
 

"- In qualche parte del mondo sono le sei del pomeriggio.
Dove li hai conosciuti? - "
 

Sorrise continuando a parlare, abbassai il bicchiere tenendolo fra le mani, muovendolo in modo da far girare il liquido all'interno, che dovevo dire? Non li conoscevo affatto, conoscevo a malapena Jackson.
Fermai le mani stringendo il bicchiere mantenendo lo sguardo basso pensando a cosa dire.
 

"-Non li conoscevo... Ero al bar con uno di loro, e...credevo di piacergli.
Poi...beh...il resto lo sai..-"
 

Dissi velocemente, ero terribilmente a disagio, alzai di nuovo il bicchiere bevendo il resto del contenuto poggiandolo poi sul tavolo, lui non aveva ancora bevuto il suo, teneva la mano sul bicchiere passando il dito sul bordo, facendo ondeggiare il liquido piano sulle pareti di vetro.
Soffermai lo sguardo su quel movimento ascoltando la domanda seguente.
Alzai lo sguardo verso di lui trattenendo il respiro per quello che c'era alle sue spalle, oddio avevo dimenticato di togliere il pannello con gli articoli degli ultimi sei anni che riguardavano loro, lui. 
Dovevo impedire che lo vedesse.
 

"- Ricordi il volto di alcuni di loro?"
 

"-..Jackon, ricordo Jackson. Vividamente.-"

 

Risposi alla domanda portando una mano sul viso sentendomi quasi mancare, dovevo distrarlo per far sparire quel pannello. Mi alzai di scatto, mi guardò confuso, lasciando il bicchiere si alzò subito dopo portando una mano sul mio braccio, troppo vicino, era troppo vicino.
 

"-Troppo vicino...-"
 

Pensai, o lo avevo detto? 
Mentre era intendo a capire cosa mi prendesse mi concentrai facendo sparire il pannello, che materializzai di sopra nella mia camera, tirai un sospiro di sollievo, per qualche istante, ma il problema era ancora li, intanto mi ero allontanata dalla cucina andando verso il salotto che si trovava all'ingresso.
Strinse il mio braccio per attirare la mia attenzione, non ero in me, mi sentivo come un castello di carte che sarebbe crollato alla prima folata di vento.
 

"-Isabbelle? ..Isabelle, stai bene?-"
 

Mi chiese lui continuando a guardarmi, portai la mano sulla sua spostandola lentamente dal mio braccio e lo guardai negli occhi, no, non stavo bene, non stavo affatto bene.
Annuii distogliendo lo sguardo, sedendomi poi sulla poltrona poggiando le mani sulle gambe, lui rimase li in piedi di fianco a me osservandomi perplesso, probabilmente stava pensando che doveva insistere con il portarmi l'ospedale.
Gli indicai il divano con la mano destra accennando un sorriso, dovevo mostrargli che andava tutto bene.
 

"-Sto bene... è questa storia, vorrei solo dimenticare tutto...-"
 

Dissi sorridendo ancora, pensando ad una scusa per mandarlo via, fortunatamente la suoneria del suo cellulare interruppe quel momento. 
Si allontanò di poco da me rispondendo, annuii un paio di volte poi riattaccò tornando da me.
 

-Era il mio collega, adesso devo andare. Riprenderemo il discorso Isabelle.
Prenderò quei figli di puttana, è una promessa.-
 

Disse rimettendo nella tasca interna della giacca il cellulare. 
Mi alzai dal divano ed annuii avvicinandomi a lui, per un secondo, che mi sembrò eterno, incrociai il suo sguardo, era come se sprofondassi, lo distolsi andando verso la porta.
 

-Spero di essere stata d'aiuto.
E grazie per la colazione agen...Dean..-
 

Replicai mostrandomi più calma possibile.
Lui prese un biglietto da visita dalla tasca porgendomelo, con quel mezzo sorriso sulle labbra, sorriso che mi rassicurava e confondeva allo stesso tempo.
 

"-Per qualsiasi cosa chiamami.-"
 

Disse senza aggiungere altro uscendo dalla porta, che chiusi quasi subito tirando un sospiro di sollievo. 
Quella tortura era finita finalmente.
Nell'aria sentivo ancora il suo profumo, lentamente mi allontanai dalla porta raggiungendo le scale, alzai lo sguardo verso l'alto, sembravano cosi alte, salii i gradini velocemente diretta in camera dove avevo materializzato il pannello prima.
Era sul pavimento, alcuni articoli sparsi qua e là, mi avvicinai piegando le ginocchia per raccoglierli, ne afferrai alcuni rialzandomi e sospirai andando verso il letto dove mi sedetti sul bordo lasciandomi cadere all'indietro, portai le mani sul petto stringendo quei fogli mentre fissavo il soffitto con lo sguardo assente.
 

-Sei nei guai Isabelle. 
Stiamo parlando di Dean, dei Winchester.
Non di Agenti qualunque...
Si, sono decisamente nei guai.-
 

Mormorai chiudendo gli occhi per un momento. Pochi istanti, i suoi occhi, il suo sorriso, le sue labbra.
"Alcool, un sorriso, ancora alcool, tu, io, noi..." e quei flash, i suoi baci, la sua schiena. 
Riaprii gli occhi e scossi il capo per far sparire quella scena dalla mia mente, sentivo il viso andare a fuoco, mi alzai lasciando i fogli sul letto diretta verso il bagno.
Vedere Jane e lui in quel contesto non mi aiutava minimamente a mantenere la calma, aprii il rubinetto lasciando scorrere l'acqua mentre guardavo la mia immagine riflessa nello specchio, la mia immagine..
Quella non ero io, non era la mia vita, eppure sentivo che per quanto orribile fosse vivere in quel modo, non volevo rinunciarci, anche se questo comportava compromettere la vita di Jane o quello che ne rimaneva.
Mi passai la mano sul viso spostando lo sguardo verso l'acqua che scorreva limpida dentro il lavabo, quante volte l'avevo vista impura, sporca, macchiata dei miei sbagli.
Riempii le mani che avevo unito bagnandomi il viso più volte, quelle immagini non volevano andare via, afferrai l'asciugamano che era alla mia sinistra e lo portai contro il viso, rimasi cosi alcuni secondi, con gli occhi chiusi, davanti ad essi quell'immagine nitida del viso di Jane che sorrideva mentre portava alle labbra il bicchiere e lui, li davanti a lei, quel solito sorriso da uomo vissuto, quella naturalezza. 
Una notte, una stupida notte.
Mi tornarono in mette quelle parole, scossi il capo spostando l'asciugamano che riposi al suo posto, alzai lo sguardo tornando a guardare la mia immagine riflessa, quel sorriso spontaneo, semplice, non era più li.
 

-Proprio lui...tra un mondo di persone Jane...proprio lui...-
 

Dissi distogliendo lo sguardo, uscii dal bagno tornando in camera, avevo perso la cognizione del tempo, guardai l'orologio, erano già le 17:00, quelle ore erano passate senza che mi rendessi conto. 
Presi il pannello dal pavimento e lo nascosi sotto il letto, gli articoli e letto foto che si erano staccate le riposi nel cassetto del comò, mentre le sistemavo sotto gli indumenti rividi lettera che avevo messo lì la mattina tornata dal canyon. 
Era stropicciata, la osservavo come se fosse un arma, e lo era, un arma a doppio taglio. 
La spinsi in fondo al cassetto chiudendolo di colpo, mi girai poggiando la schiena contro il mobile lasciandomi sfuggire un sospiro.
 

-Non è arrivata a destinazione Jane...
Perché?
Ti sei pentita? 
Cos'è successo..-
 

Mormorai tra me e me spostando lo sguardo verso la foto di Jane che era lì, la presi tenendola fra le mani, sembrava che niente potesse scalfire quel suo sorriso.
Avevo passato gli ultimi sei lunghi anni cercando di sfuggirle, scappando da lei, dalle sue emozioni, dalla sua umanità, ed ora mi trovavo a voler sapere, voler entrare nella sua vita.
Riposi la foto al suo posto e senza pensare uscii dalla camera diretta in quella stanza, la stanza dove che avevo evitato fino al giorno prima, dovevo scavare più affondo, e la mia più grande paura era non riuscire più a risalire da quel fondo alla fine. 
Mi fermai dietro la porta afferrando la maniglia ed entrai.
 

-Avanti Jane dimmi tutto.-
 

Dissi guardandomi attorno una volta dentro la stanza.
Questa volta non mi limitai a un pezzo per volta, ad uno ad uno liberai tutti i mobili presenti dalle lenzuola che che li coprivano, scaffali in legno pieni di libri, la scrivania, le scatole, e due bauli grandi.
Quando finii rimasi al centro della stanza mentre il mio sguardo percorreva ogni minima cosa, lento, come se volessi, con quello sguardo catturare la vita passata tra quelle pareti.
Mi avvicinai ad uno degli scaffali con i libri passando la mano su essi mentre camminavo li accanto, c'era ogni genere di libro sull'occulto, su incantesimi, su demoni, e quant'altro.
Me presi uno sfogliandolo, scossi il capo mentre le mie labbra si muovevano in un sorriso sarcastico.
 

-Una cacciatrice papà...
Ho sempre amato il tuo senso dell'umorismo.
Che bastardo.-
 

Mormorai fra me e me provando rabbia, lo richiusi di colpo riponendolo al suo posto.
Mi spostai verso gli scatoloni, sedendomi per terra e ne aprii uno, dentro c'erano talismani, pergamene, sacchetti di sale, ampolle, niente che non avessi già visto, o provato in prima persona, sospirai ripensando al motivo per il quale ero li inizialmente, uccidere Dean. 
Uccidere Dean, un lavoro che non ho mai portato a termine, e che ha ucciso me.
Mi ha uccisa come demone, mi ha resa debole, incapace di agire, di essere quell'assassino spietato che sono, che ero.
 

-Non hai fatto bene i conti vero, papà? No!
Non avevi previsto che lei mi cambiasse! 
Che in quel tentativo andato a puttane di eseguire i tuoi ordini cancellassi il ricordo di lei dalla mente di Dean! No, non hai fatto bene i conti papà!
Chi, chi ha puntato sul cavallo sbagliato!!?? Papà....chi?...
Tu.-
 

Urlai contro il nulla allontanando lo scatolone da me, portai le mani contro il viso respirando lentamente per riprendere il controllo, le feci scorrere abbassandole e e allungai le braccia tirando verso me l'altro scatolone, lo aprii e richiusi subito, no, non ero pronta ad affrontare questa parte della sua vita.
Mi alzai dal pavimento spostandomi verso la scrivania, era vecchia, e sopra avevano inciso quel simbolo, istintivamente portai la mano sul braccio nel punto dove avevo il tatuaggio, quel dolce regalo che mi aveva fatto Lucifero.
Poggiai la mano su essa spostandomi lentamente e ne sfiorai la superficie fino ad arrivare alla parte opposta, mi sedetti lasciando le mani li sopra, aperte, presi un respiro profondo provando una strana, inspiegabile sensazione, come se non fosse la prima volta che mi sedessi li, e mentre cercavo si capire quella sensazione, in un gesto quasi impulsivo, senza controllo, mi ritrovai ad aprire uno dei cassetti, sollevarne il fondo e prendere da li un quaderno.
Lo poggiai sulla scrivania richiudendo il cassetto, osservandolo, era vecchio, copertina di cuoio, pagine ingiallite, una sorta di diario, avevo già visto qualcosa di simile ma in quel momento non avevo tempo di fare mente locale.
Lo presi tra le mani stringendolo appena, sentii come un nodo alla gola, avevo evitato lo scatolone, ero scappata ancora, non potevo più permettermelo.
Lo aprii passando la mano sul foglio, passai lo sguardo sulle parole ma senza leggere, avevo paura, paura di quello che avrei provato leggendo quelle parole, mi alzai dalla sedia portando il diario con me ed uscii dalla stanza chiudendo la porta dietro me dirigendomi nella mia camera, entrai chiudendo anche questa porta, come se mi sentissi più al sicuro cosi, mi avvicinai al comodino dove c'era una bottiglia di Jack con il bicchiere mezzo pieno accanto.
Presi il bicchiere bevendo tutto il contenuto scuotendo il capo con una smorfia sul viso, lo riposi per poi sedermi sul letto spostandomi verso il centro, mi misi comoda, incrociai le gambe poggiando i gomiti su esse e aprii il diario, la prima pagina, mi passai la mano sulla bocca prendendo un'altro respiro profondo, portai delle ciocche di capelli dietro l'orecchio destro portando infine lo sguardo su quelle righe, su quelle parole che inevitabilmente mi avrebbero cambiata ancora.
 

"Non sono brava con le parole, e crescendo imparerai a conoscermi, e spero non mi odierai, come io ho odiato mio padre quando mi ha parlato della sua vita, vita che sarebbe diventata la mia, vita che nessun genitore vorrebbe per il proprio figlio, ma questo comporta non avere una famiglia, non avere nessuno, isolarsi per non mettere in pericolo chi ami, ed io ti amo. Sei tutto per me, John...questo non dovrai mai metterlo in dubbio, non è stata una decisione facile il decidere di averti, ma eri li, e tutto accade per una ragione, c'è cosi tanto male li fuori, e tu sei stato come una luce in fondo al tunnel.
Sfogliando questo diario troverai informazioni che riguardano il nostro mondo, si John, noi abbiamo un mondo a parte, è sempre questo, solo che i nostri occhi vedono oltre.
Sai le favole dove i cattivi sono solo fantasia, i mostri sotto il letto, i fantasmi, le streghe, i demoni...per noi è la realtà di ogni giorno.
Quando leggerai queste mie parole spero di essere ancora in vita e poterti spiegare tutto.
Mi ha aiutato a mettere insieme questo diario una persona molto importante, ha il suo stesso nome, il tuo stesso sangue...troverai una sua foto nel centro, lui è John Winchester, tuo nonno, e quel bambino che ha in braccio è, è...tuo padre, ma di questo parlerò più avanti.
Porterò questo diario sempre con me, scriverò ogni informazione nuova, e ti parlerò di lui e di come più volte ha salvato il mondo.
Il foglio è quasi finito...
Gira la pagina, leggi, impara.
Sei forte come lui...e come ho scritto anche a lui..
Perdonami John...per tutto."
 

Lessi tutto d'un fiato, mi tremavano le mani, e sentivo il cuore far male, un dolore che non avevo mai provato prima, peggio di una ferita fisica, non ero ferita, ma il cuore sanguinava.
Quel diario, ora avevo chiaro cosa mi ricordava.
Lo chiusi poggiandolo sul cuscino alla mia destra, mi sdraiai sul letto, schioccai le dita e spensi la luce, fissando davanti a me.
Mi sentivo devastata da quella situazione, dov'era quel bambino?
Non ricordo niente del giorno che abbiamo attaccato la casa di Jane, che ne è stato di lui?
Non potevo permettere che qualcun'altro venisse a conoscenza della sua esistenza, dovevo mantenere quel segreto, a qualunque costo.

Avevo incontrato Dean nel modo peggiore, in tutti quegli anni a stare attenta, a controllarmi, a seguire i loro casi, e a volte mandarli nella giusta direzione, era entrato nella mia vita nel momento più sbagliato, proprio quando avevo toccato il fondo.
Ma fargli del male era l'ultima della mie intenzioni.
Portai la mano in tasca dove avevo messo il suo biglietto da visita e lo strinsi nella mano, chiusi poi gli occhi pregando che tutto fosse solo un orribile incubo.






[Un ringraziamento va ad una persona speciale che mi ha aiutato nel mettere su le parti che riguardano Dean, dialoghi e riflessioni.
Grazie Hunter.]

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Capitolo 7
*** Jane ***


Jane.

Ci sono cose che vorremmo dimenticare ma che la nostra mente mantiene vivide, li a tormentarci, e altre che cerchiamo di riportare a galla, ma lei seppellisce nel più profondo di noi.
Una vita, una famiglia, amici, persone, tutto sparisce, non lascia traccia, né dentro, né intorno a te.
Nulla, nulla a parte il vuoto dentro che ti logora.
Un vuoto che non ti spieghi, che non capisci, ma sai che è li perchè vuole dirti qualcosa, dirti chi sei.
Percorri strade, incontri volti, sorrisi, sguardi, che ti sembrano familiari. 
Vivi momenti come un deja vu, sensazioni che ti lasciano domande, interrogativi che non sempre hanno una risposta. 
Inizi a chiederti, a voler sapere, ad avvicinarti a confini che non dovresti varcare, e ti ritrovi li ancora una volta davanti al vaso di Pandora, quella scatola che per anni hai ignorato, tenuto lontano da te, ora è lì, l'hai aperta, i segreti sono stati svelati.
Ma la parte più difficile dei segreti quando vengono svelati è affrontarli, guardarli negli occhi e riuscire a restare in piedi.
Sono trascorse tre settimane, ventuno giorni da quella maledetta notte, da quelle rivelazioni, da quel faccia a faccia.
Dal crollo della mia corazza.

Dopo "l'interrogatorio" con Dean, dopo aver affrontato un'altro tassello della vita Jane, un'altro pezzo di me era andato distrutto.
Inizio a chiedermi che resterà di me alla fine. 
Si dice che la speranza sia l'ultima a morire, ma forse è una convinzione degli umani, un appiglio al quale aggrapparsi, e così feci anch'io, mi aggrappai alla speranza che qualcosa sarebbe andato nel verso giusto. 
Avevo passato quelle ultime settimane fuori casa, non dovevo farmi trovare, se c'era una cosa che lui era bravo a fare era il suo lavoro. 
Trovare i mostri.
Che alternativa avevo? 
Dovevo guadagnare tempo, trovare un modo per uscirne pulita, non poteva finire così, alla fine quel mio risparmiargli la vita si sarebbe ritorto contro di me.
Seguivo le sue tracce, e lui le mie, dovevo dargli quello che voleva, un assassino, una pedina che prendesse il mio posto, ma Jane interferisce con i suoi maledetti sentimenti umani, odiavo il il senso di colpa, usare qualcuno per salvarmi. 
Ma dovevo.
Mi materializzai di sotto, nell'inferno, chiamarlo così mi fa strano, un tempo era la mia "casa" , ormai lo facevo solo se costretta, cercai dei vecchi demoni che mi dovevano dei favori, e ogni debito si paga prima o poi.
Spostandomi nelle varia stanze, quante ore, giorni, anni, ho passato fra quelle mura piene di sangue e peccati, piene di urla e sogghigni, piene di sensi di colpa e sconfitte, dove ogni anima alla fine stanca delle continue torture inflitte, crolla e da vittima diventa carnefice. 
E' cosi che distruggiamo la fede, quando sei nelle nostre mani, in trappola, che gridi con tutto il fiato che hai in corpo, disperato, invocando il suo aiuto, invano, è cosi che vi distruggiamo.
Ora quelle urla distruggono me.
Li incontrai Paul, un demone di basso livello a cui avevo salvato "la vita" qualche tempo prima, gli spiegai la situazione, mi serviva un sacrificio, ma non avevo calcolato bene i contro della situazione. 
Mentre parlavamo mi resi conto che in quel momento anch'io, come gli umani, avrei dato l'anima, se ne avessi avuta una, per avere più tempo. 
Che cosa ironica.
Disse che ci avrebbe pensato lui, una stretta di mano e mi materializzai altrove, in casa, delle luci provenienti dal vialetto attirarono la mia attenzione entrando attraverso il vetro della finestra, mi avvicinai spostando la tenda e guardai fuori, era Dean. 
Settimane ad evitarlo e lo ritrovo li appena metto piede in casa, spostai lo sguardo dandomi un occhiata attorno, era tutto sottosopra dall'ultima volta che vi avevo messo piede, non poteva vedere quel casino, avrebbe fatto domande, altre ancora. 
Prima che bussasse aprii la porta uscendo e la socchiusi dietro me, aveva il braccio ancora a mezz'aria con il pugno chiuso, e assunze un espressione sorpresa vedendomi.


-Finalmente, stavo iniziando a pensare che la terra ti avesse inghiottita.-


Disse con tono sarcastico abbassando il braccio, portò le mani nelle tasche dei pantaloni spostando la giacca aperta.
Accennai un sorriso scuotendo il capo chiudendo del tutto la porta, il mio sparire forse non era stata una buona idea, ma quando mai le mie idee lo sono. 
Mi spostai di qualche passo indicando sulla veranda una panca, dove andai a sedermi, dovevo inventare qualcosa e alla svelta.


-Come vede non ho lasciato la città, agente. 
Anch'io ho un lavoro, un lavoro che conosce bene. 
Come vanno le indagini? -


Okay, forse non era stata una buona idea, ma d'altronde nemmeno lui era un vero agente non ne avrebbe avuto la certezza se mentivo, ed io in effetti non mentivo, Jane, quella donna era una continua sorpresa. 
Ascoltando le mie parole mi raggiunse, mi scrutava, sembrava sospettoso, si fermò davanti a me senza smettere di guardarmi, quel suo sguardo forse era l'unica cosa che riusciva a farmi vacillare.


-Un lavoro che conosco bene..? 
Comunque in questi giorni ero passato per dirti che ho perso le tracce di Jackson.
È scomparso.. Sono bravo a trovare le persone, ma lui sembra essere un fantasma.-


Replicò inumidendosi infine le labbra.
Mi alzai trovandomi ad un palmo dalla sua faccia, incrociando ancora il suo sguardo, cercai di sostenerlo, Dio ero cosi vicina.
"Concentrati Isabelle"...mi ripetei mentalmente, dovevo giocare le mie carte, o meglio quelle di Jane, portai una mano in tasca e presi un biglietto, "investigatrice privata e collaboratrice alla centrale", era questo che faceva. 
Una copertura, o un modo per avere le informazioni della polizia sui casi, ora non era rilevante.


-Scusa avrei dovuto dirtelo subito...
Ma non mi sono mai ritrovata dalla parte della "vittima".
Quel bastardo...-



Dissi continuando a guardarlo, mentre gli mostravo quel biglietto, sperando di essere abbastanza convincente. 
Distolsi lo sguardo poco dopo passandogli accanto oltrepassandolo, mi fermai davanti i gradini e tornai a guardarlo.


-Potremmo risolverlo insieme questo caso.-


Proseguì la frase aspettando la sua reazione a quello che gli avevo appena detto.
Mi guardò per qualche istante con stupore misto ad un espressione compiaciuta, come se la cosa non gli dispiacesse affatto, alzò il lato del labbro in mezzo sorriso togliendo le mani dalle tasche, mi raggiunse annuendo e prese il biglietto dalla mia mano dandogli un occhiata.


-Sei una donna piena di sorprese Jane.. 
Ti ho fatto una promessa, ed io mantengo le promesse. 
Puoi metterci la mano sul fuoco.-



Replicò con tono molto serio guardandomi negli occhi, abbozzò un sorriso mettendo il mio biglietto nella tasca interna della giacca. 
Seguii attentamente i suoi movimenti cercando di capire se davvero mi avesse creduta o ci stavamo mentendo a vicenda, solo il tempo mi avrebbe dato una risposta, ora dovevo solo sperare che le indagini si allontanassero da me.
Quel attimo di silenzio che si era creato fu interrotto dalla suoneria del suo cellulare, ringraziai mentalmente chiunque ci fosse dall'altro capo, che fosse Sam, o Bobby, non avrei sostenuto un'altro secondo quel verde. 
Distolse lo sguardo per rispondere, ed io ripresi a respirare normalmente, si allontanò di qualche passo da me mentre parlava, ero curiosa, e in ansia allo stesso tempo.
Mi poggiai alla porta osservando la sua espressione che non prometteva nulla di buono.



-Era il mio collega, hanno trovato un altro cadavere nel bosco. 
Devo andare.-



Disse mentre metteva via il cellulare, non poteva immaginare la verità su quegli omicidi, o per lo meno sul primo, ed io non mi spiegavo quest'ultimo.
Scese i gradini velocemente poi si voltò verso di me indicandomi e prima di entrare in macchina proseguì.


-Ci vediamo presto....... Collega. -


Sorrise alzando un lato delle labbra guardandomi con fare malizioso, lo guardai salire in macchina ed andare via subito dopo.
Rimasi davanti la porta finché non lo vidi sparire nel vialetto, poi entrai dentro chiudendo la porta, di fronte a me di nuovo quel disordine, avevo buttato tutto per aria, ma non era quello che mi preoccupava al momento.
Avevo usato Jane per salvarmi, un umana, questa umana che ogni giorno mi rende la vita "un'inferno", che mi trattiene, mi aveva dato tempo, una speranza.
Avevo bisogno di lei più di quanto pensassi.
Mi ha dato speranza o non ho più speranza senza di lei?
Salii di sopra ed entrai nella mia camera, ero in trappola, l'inferno, i cacciatori, Dean, lei.
Camminando verso il letto intravidi il mio riflesso nello specchio sopra il comò mi avvicinai, poggiai le mani sul mobile e un senso di rabbia mi assalii.
Con il braccio colpii gli oggetti che erano lì sopra buttandoli per terra, ed urlai contro lo specchio, che rifletteva il "mio" riflesso.


-I need you hopeless!-


Con quel urlo lo specchio si incrinò, abbassai lo guardo respirando irregolarmente, strinsi i pugni provando rabbia, avevo dei poteri straordinari, e non mi erano di nessun aiuto, ero con le spalle al muro.


-Non abbiamo ancora finito...-


Mormorai andando verso il bagno, mi sciacquai il viso per calmarmi un pò, dovevo andare di nuovo di sotto, dovevo controllare che tutto andasse bene, e poi andare a controllare le indagini di Dean, cosa fosse successo, il perché di quel altro cadavere.
Decisi di tornare a "casa", senza nascondermi, sapevo che non sarebbe stato facile, specie ora che Lucifero non c'era più, non ero più di famiglia li, scossi il capo pensando a quella parola che prima non comprendevo, ma mi servivano informazioni, dovevo scoprire se di sotto conoscevano Jane, e la sua vita.
Ero riuscita a passare inosservata per i primi giorni, senza però ottenere risposte, poi qualcosa è andato storto e per non essere scoperta ritornai sui miei passi.

Ricordo che ero tornata in superficie, cercando di non farmi seguire mi materializzai davanti casa, sembrava tutto tranquillo, la luna era alta nel cielo, sentivo dei grilli in lontananza, il vento soffiava leggero sfiorando le mie braccia. 
Portai la mano sulla maniglia della porta stringendola quando qualcosa attirò la mia attenzione, una voce, un sussurro che pronunciava il mio nome....il suo nome.


-Jane....-


Mi girai di scatto, quella voce mi sembrava di conoscerla, un secondo, non vidi nessuno, sentii solo un dolore lancinante, e qualcosa che colava lungo il mio addome.


"No..no, no."


Mormorai, abbassai lo sguardo portando d'impulso le mani contro il ventre, era il mio sangue, rosso, denso, caldo. 
Toccavo la ferita, mi tremavano le mani, la vista lentamente si appannava, cercai con lo sguardo davanti a me colui che mi aveva colpito, una figura scusa che si allontanava per poi svanire, aveva chiamato lei, lei non me, conosceva Jane, chi diavolo era?
Indietreggiai fino alla porta, afferrai la maniglia aprendola, ed entrai barcollando.


-Era la mia camicia preferita....-


Mormorai sarcastica cercando di raggiungere a stendo un appoggio, invano...ritrovandomi per terra.
Respiravo lentamente, sbattei le palpebre un paio di volte prima di perdere i sensi e ritrovarmi in quel buio, buio che conoscevo fin troppo bene. 
Non so di preciso quanto tempo ho passato li sul pavimento, il sangue aveva formato una pozza accanto al mio corpo.
Sentii delle voci, una risata, aprii di colpo gli occhi, avevo la vista offuscata e la testa mi girava, abbassai di colpo lo sguardo verso la ferita, ferita di cui non c'era traccia, alzai la camicia confusa, poi dei passi attirarono la mia attenzione.


-Calma Isabelle....-


Bisbigliai a me stessa mentre mi alzavo, mi nascosi dietro l'angolo della parete che dava verso le scale, gli occhi fissi verso la direzione da cui provenivano i passi, trattenni il respiro sentendoli sempre più vicini.
Di colpo qualcuno alle mie spalle.


-Mamma, mamma!-


Una vocina dolce e squillante, il suono di quella parola mi fece irrigidire, mi mancò l'aria, non riuscivo a girarmi, un attimo dopo un'altra voce si aggiunse a quella.


-Eccoti qui Jane, ti abbiamo cercata per tutta casa, questo ometto vuole la sua mamma.-


Disse come se fosse la cosa più normale del mondo, chi era? 
Cosa stava succedendo? 
Lentamente mi girai cercando di non apparire confusa, l'immagine che mi si presentò davanti fu una delle più belle che avessi mai visto, o per lo meno quello che stavo provando, lo era. quei sentimenti, era come essere investita da un treno.


-Mamma, mamma! -


Esclamò ancora quella piccola creatura, mi guardava sorridendo, allungando le braccia verso me, mi tremavano le gambe, e il cuore sembrava volesse esplodere.
L'uomo che teneva in braccio il bambino lo avvicinò a me.


-Tieni devo andare a controllare il retro manca poco.-


Disse porgendomelo, fu così naturale, lei era lì, lei ero io.
Presi il piccolo fra le mie braccia e senza rendermi conto lo strinsi, come se non avessi fatto altro in vita mia.


-Mamma è qui John, nessuno ti farà del male.-


Sussurrai quelle parole mentre posavo un bacio sulla sua fronte. 
Lo sistemai meglio spostando lo sguardo verso l'uomo, uno sguardo più calmo, deciso.


-Okay, sta attento papà.-


Papà? Papà....
Non capivo cosa stava succedendo, ma se ero lì doveva esserci un motivo. 
Stringendo il piccolo a me salii le sale diretta nella sua cameretta, sapevo esattamente dove si trovava.


-Ciao ometto, Dio sei così bello...
Ora la mamma deve capire cosa succede-


Gli parlavo come se lui potesse capirmi, o forse era così, lo sistemai dentro il suo lettino, lui era così felice, sorrideva, in quel momento pensai che avrei fatto di tutto per tenerlo al sicuro.


-Jane...dove sono Jane?
Non giocare con me...
Cosa devo fare?-


Parlavo al vuoto in cerca di risposte, mentre parlavo il mio corpo iniziò ad agire come se non fossi più io a controllarlo.
Ripresi il bambino di fretta e corsi nell'altra stanza, la stanza con i libri, adagiai John sul tappeto che c'era al centro della stanza rassicurandolo con un sorriso, che lui ricambiò.


-Hai gli occhi di tuo padre..-


Sussurrai mentre mi spostavo, andai poi svelta verso la scrivania e aprii il cassetto, qualcosa non andava, ero troppo tesa, agitata, frugai nel cassetto tirando fuori due collane con due ciondoli identici sopra, cosa stavo facendo? 
Jane, che fai?
Jane, che succede?
Iniziò a scrivere qualcosa su un pezzo di foglio, iniziavo a sentirmi strana, la vista appannata, mi spostai di nuovo dalla scrivania raggiungendo John che ripresi in braccio tornando in camera sua, mi sedetti sul letto, o meglio lei lo fece, ero lì ma non avevo controllo di quelle azioni, potevo solo vedere tramite i suoi occhi, forse anche lei viveva così da quando io avevo il controllo.


-Ti prego Jane fammi capire.-


Continuavo a ripetere, nel frattempo avevo messo una delle due collane al piccolo e l'altra era al mio collo, sorridevo guardandolo mentre lui con le manine stringeva la mia, pronunciai delle parole in latino, parole che non capii in quel momento, una lieve luce azzurra colpì i due ciondoli per poi sparire.
Maledizione Jane che diavolo stai facendo? Mi senti!!!
Mi alzai tenendo il piccolo fra le braccia, lui giocava con delle ciocche dei miei capelli, uscii dalla stanza chiudendo la porta dietro me, percorsi il corridoio, scesi le scale, osservavo in trappola i suoi spostamenti, senza smettere di stringere John arrivammo in cucina, i due cacciatori che l'avevano cresciuta erano insieme a suo padre li che parlavano, i loro volti seri, e sul tavolo c'erano armi, sale, polvere nera.
Erano pronti per una caccia?
Guardai "mio" padre negli occhi, lui fece cenno con il capo verso il retro, dove andai, portando con me il bambino. 
Iniziai a provare un senso d'angoscia, cosa aveva fatto?


-John, tu sei tutto per me, mamma ti ama, tu sei un ometto speciale, diventerai forte come il tuo papà, fai il bravo bambino..-


Jane....che dici? Jane...
Sembrava un addio, sentii il cuore stringersi in una morsa, e gli occhi inumidirsi, vedevo appannata, lo strinsi di più, mentre mi dirigevo sul retro, uscii fuori dove c'era una macchina parcheggiata, era buio, non vedevo bene, poi si avvicinò fermandosi davanti a me, non credevo ai miei occhi, John. 
Era John Winchester, aveva un espressione che non avevo mai visto, guardava il piccolo giocando con le sue manine, gli sorrideva, e a lui piaceva.


-Speravo non saremmo mai arrivati a questo, ma è per il il suo bene. 
È per il suo bene vero...-


Interruppi il silenzio, e quel momento cosi "normale", il tono serio...e l'ultima frase sussurrata in cerca di conferma.
Cosa stava succedendo? 
John portò una mano sul mio braccio stringendolo appena, mi guardò negli occhi ed annuì alle mie parole prima di prendere il piccolo fra le sue braccia. Quella scena mi commosse, dio queste emozioni, questi sentimenti che mi entrano sotto pelle, li osservavo con mezzo sorriso sulle labbra, era involontario, non controllabile, vederlo sorridere mi ricordava Dean, tutti e due mi ricordavano lui.
Scossi il capo tornando a guardarli.


-È per il suo bene. 
Non devi mai dubitare di questo Jane.-
Non temere, sarà al sicuro, darei la vita per lui.-


Replicò lui mentre giocava con John junior, che intanto si era poggiato alla sua spalla addormentandosi. 
Sospirai sentendo ancora quella sensazione di angoscia attraversarmi, le sue parole anche se rassicuranti non mi fecero sentire meglio. 
Portai la mano sul capo del piccolo muovendola in una carezza, e assistevo inerme a quello che stava succedendo, che lei mi stava facendo vivere.


-Proteggilo, è tutto quello ho.-


Quelle parole dette con tono fermo, ma il cuore che batteva forte, mi avvicinai al viso così tranquillo e innocente di quel dolcissimo bambino, il suo bambino, il mio bambino...poggiai le labbra sulla sua fronte in un bacio, un lungo bacio pieno d'amore, mentre sentivo il cuore andare in pezzi. 
Deglutii a vuoto allontanandomi da loro e mi avvicinai alla porta prendendo una sacca, tornai indietro diretta verso la macchina e la sistemai sul sedile posteriore, poi tornai a guardare John, uno sguardo che voleva sembrare duro, ma che celava un dolore indescrivibile.


-Sei pronta? -


Mi riportò lui alla realtà con quella domanda.
Ero pronta a fare cosa?
Jane che stai facendo? 
Continuavo a chiederle. Annuii appena mentre la mia mano stringeva quella del piccolo.
Non aggiunsi altro, ci scambiammo un lungo sguardo poi lui si diresse verso la macchina, sistemò il piccolo davanti con il sedile abbassato, gli allacciò la cintura.
Seguivo i suoi movimenti stringendo le mani fra di loro, quella sensazione non mi abbandonata, entrò in macchina anche lui è dopo aver chiuso lo sportello abbassò il finestrino mi fece cenno con il capo.


-Andrà tutto bene Jane.-


Disse ancora, con tono serio, mise in moto allontanandosi, portando via con se il mio cuore.
[..]

Nel frattempo era scesa la notte, Dean tornò, forse aveva altri indirizzi, o aveva trovato Jackson, qualcosa lo aveva riportato a casa mia.
Dopo aver spento il motore della macchina si avviò verso l'ingresso, le luci accese attirarono la sua attenzione, vista l'ora era strano, si avvicinò alla finestra che si trovava alla destra della porta osservando dietro, intravide il mio copro li per terra, evidentemente qualcosa non andava, si spostò velocemente verso la porta, fece per bussare ma era aperta, non avevo fatto in tempo fatto a chiuderla, la spinse spalancandola del tutto precipitandosi verso me.
Era tutto surreale, ero lì per terra, o ero fuori che guardavo John andare via con una parte di me..

Mi raccolse dal pavimento, tenendomi tra le sue braccia, con la mano libera prese il mio viso, cercava di svegliarmi, poi il sangue attirò la sua attenzione, fece scivolare la mano subito sulla ferita.
Era ironico più volevo tenerlo lontano dalla mia vita, più ne faceva parte. 
Iniziò a premere la mano con forza cercando di fermare il sangue, e capire se se fosse profonda o meno, e guardando il sangue che c'era per terra concluse che non sarei arrivata in tempo all'ospedale. 
Doveva agire in fretta.
Riuscivo a percepire quello accadeva ma in quel momento ero io quella che, in trappola, urlava nella sua mente, ero io una delle voci.
[..]

Ero lì, braccia strette contro al petto, il vuoto dentro, John era andato via con uno dei pezzi più importanti del mio cuore. 
Rimasi li a lungo ad osservare quella stradina di campagna, strinsi di più le braccia voltandomi per rientrare in casa.
Chiusi la porta dietro me diretta in cucina dove avevo lasciato Peter, Smith e "mio" padre, la stanza era vuota, non c'erano più le armi sul tavolo, un nodo mi si strinse alla gola, mi avvicinai alla dispensa e la aprii, dentro era pieno di armi, affermando uno dei fucili la richiusi, qualcosa non andava.
Arma in pugno andai verso il salotto, c'era odore di odore di zolfo.


-Jane vai via, vattene!-


Gridavo invano nella sua testa, mentre proseguivamo, di colpo uno sparo, poi un altro, vetri frantumarsi, corsi verso la direzione degli spari senza abbassare la guardia, ai piedi delle scale Peter e Smith ricoperti di sangue, mantenendo la calma mi chinai controllando se fossero vivi, un ombra attirò la mia attenzione, alzando lo guardo verso la cima delle scale mi si gelò il sangue. 
Lucifero.
Era lì sulle scale, la sua mano stringeva il collo di mio padre, ero come paralizzata. 
"-Jane voglio svegliarmi, Jane maledizione.-"
La mia voce rimbombava dentro la mia testa.


-Lascialo stare maledetto!-


Urlai salendo le scale, lui sogghignava e rideva, continuando a stringere la mano sollevandolo dal pavimento. 
Arrivata in cima lo spinsi con tutta la mia forza, cosa inutile con lui. 
Scaraventò mio padre contro la parete e si voltò verso me, aveva quel sorriso compiaciuto stampato sulle labbra.
Ed io conoscevo bene quell'espressione. 
Alzai il fucile contro di lui anche se sapevo non servisse a niente.


-No, no, no Jane, non fare la ribelle!
Ho grandi progetti per te.
Ma prima....
Dii addio papá.-


Non capii le sue parole, lo vidi svanire per poi riapparire accanto a mio padre, alzò la mano verso di lui e guardandomi negli occhi chiuse il pugno spezzandogli il collo con il solo gesto della mano.
Li davanti a me, il cuore mi si fermò in quel istante. 
Strinsi le mani sul fucile, sapevo di non avere speranze, ma senza pensarci iniziai a sparare, e sparare, e sparare, mentre gli urlavo contro il mio odio.
Ma lui se ne stava lì davanti a me, ridendo di me.


-Mossa sbagliata Jane!-


Soggiornò ancora svanendo, in un battito di ciglia era a pochi millimetri dal mio viso, trattenni il respiro, indietreggiai, ma di qualche passo, mi fermai giunta sul bordo delle scale. 
"Jane....perché mi stai facendo questo."
Pensai mentre fissavo gli occhi di Lucifero.


-Ops, sei al capolinea cacciatrice!-


Sorrise ancora, aveva quell'espressione di goduria sul viso, con un gesto della mano mi spinse giù per le scale.
Sgranai gli occhi cadendo all'indietro, pochi istanti, istanti in cui rivissi tutto, poi un tonfo e mi ritrovai li per terra...
Li ai piedi delle scale, li dove avevo perso i sensi sprofondando nel buio...buio che mi aveva portata qui.


-No..no....Jane...-


Mormorai fissando davanti a me con la faccia contro il pavimento, sentii il calore di una lacrima bagnarmi la guancia che era contro il pavimento, e pian piano la vista appannarsi, sentivo delle voci, ma erano ovattate, contorte, era Lucifero che parlava con qualcuno, chi, chi era....
"Jane..."....mormorai ancora, cercavo di non chiudere gli occhi, ma ero già sprofondato nel buio.
[..]


- Jane! Jane! -


Una voce, un altra, mi chiamava, urlava il mio nome, sentivo una mano accarezzarmi il viso, qualcuno che mi scuoteva, di colpo aprii gli occhi respirando intensamente, come se mi fossi svegliata dalla morte, il cuore martellava nel mio petto impazzito, ero frastornata, confusa, aprii e chiusi un paio di volte gli occhi per mettere a fuoco, per capire dove fossi.


-Ehi, calma, stai calma sei ferita, Jane guardami, non muoverti.-


Ancora quella voce, le mani che mi bloccavano, cercai di calmarmi, chiusi nuovamente gli occhi regolarizzando i battiti, poi lentamente li riaprii guardando verso il basso, sangue, ero ricoperta di sangue, stringevo la mano a qualcuno, alzai lo sguardo ritrovandomi il suo viso davanti, Dean, che ci faceva li? 
Lo guardai disorientata, lasciando la sua mano, portai la mia contro il viso passandola sugli occhi, non stavo bene, tornai a guardarlo ma la sua immagine divenne appannata subito dopo.


-Non....mi sent...-


Bene.....pensai l'ultima parola perdendo di nuovo i sensi.
Buio, di nuovo buio, anche se non ero cosciente sentivo la sua voce come in lontananza.


- No no no.. Resta con me, resta con me! -



Disse ancora cercando di svegliarmi, si guardò attorno, doveva fare qualcosa e il più in fretta possibile per non lasciarmi morire, non poteva sapere che sarei guarita senza problemi. 
Dopo aver dato un'occhiata veloce alla stanza mi prese in braccio poggiandomi delicatamente sul divano, non aveva scelta dovevo agire da cacciatore, era abituato a queste cose, era la sua vita, corse fuori dalla casa diretto verso la sua macchina, dopo aver aperto il bagagliaio tirò fuori una bottiglia, dell'ago, filo interdentale, garze e del nastro adesivo dalla sacca.
Sapeva esattamente cosa fare, e lo fece.
Prese il tutto richiedendo il bagagliaio, tornando velocemente dentro casa, avvicinò una sedia mettendosi accanto a me, era come essere al di fuori del corpo e potessi vedere quello succedeva, ma non riuscissi a rientrare.
Intanto lui si prendeva cura di me, alzò la maglietta, poi stappò la bottiglia di whisky con i denti e sputò il tappo a terra, approfittò del fatto che fossi svenuta e priva di sensi, così che non sentissi dolore.

Versò l'alcool sulla ferita, disinfettandola, per poi tamponarla con delle garze, tirò fuori l'accendino dalla tasca dei jeans iniziando a bruciare l'ago per disinfettare anche quest'ultimo, infine prese il filo interdentale e si mise all'opera....
Passarono una ventina di minuti, se non mezz'ora prima che riuscisse a ricucire il tutto.
Posizionando due garze sulla ferita, le bloccò con del nastro adesivo, per poi riabbassare la maglietta.
Tutto eseguito con calma, era una delle cose che amavo di lui, quella calma, calma a volte apparente, calma quando calmo non era.
Il suo autocontrollo.

Si allontanò per buttare il tutto tornando a sedersi accanto a me sulla sedia.
Nel buio iniziai ad intravedere una luce, mossi appena il capo, lui mi osserva, in silenzio, accarezzando appena il mio viso per poi prendere la mia mano nella sua, rimanendomi accanto.


- Svegliati.... -


Sussurrò appena sospirando, strinsi la sua mano in un gesto involontario, aprendo lentamente gli occhi. 
Ero ancora confusa, e devastata più per quello che avevo vissuto che per la ferita, ferita che probabilmente era già guarita.
Feci per alzare la mano e mi accorsi che stavo stringendo la sua, incrociai il suo sguardo, sguardo preoccupato, che pian piano si tranquillizzò.


-Salvarmi la vita....sta diventando un vizio...-


Mormorai accennando un lieve sorriso, lasciai la sua mano poco dopo, cosa era successo mentre non ero cosciente? 
D'istinto portai la mano sulla ferita, alzai la mano maglietta trovando le garze, mi aveva ricucita, sistemai la maglietta portando lo sguardo su di lui, guardarlo in quel momento richiedeva molto autocontrollo. 
Lui sorrise appena alzando un lato delle labbra mentre il suo sguardo era fisso sul mio.


- ..Te l'ho detto, è il mio lavoro salvare donne in pericolo.
Ma a volte mi diletto anche a fare da chirurgo. 
Fortunatamente non è una ferita profonda.. Tre giorni e ti rimetterai.-


Mi sorrise ancora cercando di sdrammatizzare il momento.
Quel mezzo sorriso da uomo vissuto, per un'attimo mi sembrò sorridessero anche i suoi occhi. 
Cercai di alzarmi dal divano, ma lui mi sembra bloccò subito ordinandomi di stare ferma, a volte dimenticavo che dovevo comportarmi da umana, e quella ferita per un umano sarebbe stata mortale se non presa in tempo.


-Non ci provare o ti porto in ospedale.-


Disse con tono serio, e quello sguardo che mi paralizza. 
Scossi il capo distogliendo lo sguardo dal suo e quel mi poggiai contro lo schienale del divano, avevo bisogno di allontanarmi da lui, avevo quel dolore nel cuore, Jane, quello che aveva fatto, la morte di suo padre.
Deglutii a vuoto chiudendo per un attimo gli occhi.



-Voglio solo andare in camera.. Ce la faccio, sono più forte di quanto pensi.-



Mormorai riaprendo gli occhi, mi alzai lentamente tornando a guardarlo, ero di nuovo in debito con lui.


-Grazie per quello che hai fatto.. Sono in debito con te....
Puoi tornare a ora..-


Proseguì ringraziandolo, lui si alzò
subito dopo di me portando la mano come per fermarmi, trattenni il respiro a quel tocco, non capiva che la sua presenza mi rendeva incapace di ragionare lucidamente. 
Guardai la sua mano, poi ancora lui.


-Non vado da nessuna parte, eri praticamente in fin di vita. Resto qui stanotte.-


Disse guardandomi dritta negli occhi, come potevo contra battere? 
Mi morsi l'interno della guancia leggermente nervosa, annuii appena con il capo indicando con un cenno della mano il divano. 
Non aggiunsi altro, non gli diedi il tempo di replicare, mi voltai dirigendomi verso la cucina. 
Dopo tutto quello che era successo, quello che adesso sapevo, stare in questa casa, in questo corpo, era straziante, ma non avevo scelta.
Questo era l'unico posto dove i seguaci di Crowley non mi avrebbero trovata.
Gli anni passati in questo corpo erano serviti a qualcosa almeno. 
Ma qualcuno aveva cercato di ucciderla, dovevo scoprire chi, ma non stanotte.


-Ora so Jane...-


Mormorai fra me e me, entrai in cucina e come un gesto automatico aprii l'anta affermando una bottiglia di Jack, ed un bicchiere, la richiusi, riempii il bicchiere spostandomi di nuovo nell'altra stanza, cercai con lo sguardo Dean, che era alla finestra, probabilmente stava controllando che non ci fosse nessuno, fuori era tutto buio, silenzioso, era un peccato non poter godere di quel silenzio.
Mi avvicinai al tavolino che c'era davanti al divano e poggiai li il bicchiere. 
Portai la mano libera contro la tempia socchiudendo gli occhi.

-Sshh....-

Sussurrai, come se fosse così facile zittirli. Scossi il capo emettendo un sospiro amaro, spostai lo sguardo di nuovo verso la finestra, ma nel frattempo Dean si era spostato, me lo ritrovai davanti, quasi sussultai appena, poi presi il bicchiere 
che avevo poggiato porgendoglielo.



-Questo lo offre la casa.....-



Mormorai ricordando la prima volta che lo vidi al bar. Quel giorno lontano, quel maledettissimo verde.
Aspettai che prendesse il bicchiere, accennai un sorriso per poi allontanarmi, senza farlo parlare, mi seguì con lo sguardo, poi scosse il capo e bevve un sorso dal bicchiere, raggiunsi le scale dirigendomi di sopra.
Mi fermai sulla rampa fissando il corridoio, le porte li davanti a me, porte che per me non erano semplici porte, ma finestre su una vita non mia, squarci di vita che squarciavano me ogni volta che decideva di varcarne una.
Strinsi nella mano il collo della bottiglia muovendo dei passi incerti verso una delle porte, non quella della mia camera, l'unica porta che in sei anni non avevo mai varcato, come se inconsciamente sapessi che ciò che vi era dietro fosse più grande di me da gestire.
Non lo feci fino ad ora, mentre pensavo agli ultimi mesi la mano stringeva già la maniglia, era sigillata, sentivo l'energia, l'incantesimo che l'avvolgeva, Jane l'aveva resa inaccessibile, custodita.
Chiusi gli occhi aprendo la mano che lentamente poggiai contro il legno della porta, potevo sentire le emozioni che erano state vissute dentro quelle quattro mura. 
Brividi attraversarono la mia schiena, ma questa volta non fuggì, mi lasciai andare a quei sentimenti, una lacrima calda rigò la mia guancia...


-"Proteggilo...."


Un sussurro, una voce più chiara, distinta, dolce...che mi fece tremare, sentii la porta allontanarsi dal palmo della mia mano, aprii gli occhi ed abbassai lentamente la mano, trovando con mia sorpresa la porta aperta.
Presi un respiro profondo ed entrai, senza pensarci, mantenni lo sguardo basso, non ero pronta ad affrontare tutto.
Sul pavimento c'era un grande tappeto, bianco e morbido, mi sedetti poggiando la bottiglia davanti a me, portai le mani ai lati dei miei fianchi stringendo fra le dita il pelo soffice di quel tappeto, lo sguardo era perso.


-Ad ogni costo Jane...-


Mormorai, una risposta a quel sussurro, una promessa che avrei mantenuto a costo della vita.
Presi la bottiglia e ne svitai il tappo velocemente, la portai alle labbra bevendone un lungo sorso, poi un altro, poi un altro ancora.
Mi stesi li per terra, pensando a lui li di sotto, a pochi metri da me. 
Sospirai ancora, poi chiusi gli occhi pronta a passare un altra notte li...io Jack....un altro pezzo di Jane, e con il pensiero, la paura, che l'uomo che amavo sarebbe potuto diventare il mio peggior nemico.

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Capitolo 8
*** Intrappola ***


In trappola.
 

Mi sentivo sempre più debole ogni giorno che passava, intrappolata in quella gabbia fredda e gelida da quando lei mi aveva posseduta, ero forte, oh si lo ero, lottavo ogni secondo per non farla prevalere, per mantenere se pur con un filo sottile quel legame con il mio corpo. 
Un legame indissolubile, rafforzato suo mal grado da il gesto di "punizione" inflittole da Lucifero, quel essere indegno. L'unica mia consolazione era che lui non aveva "vinto", aveva distrutto la mia vita nel giro di pochi istanti, il mio J, mio padre, me, ogni cosa con quel ghigno di soddisfazione dipinto sulle labbra.
Ricordo vividamente l'istante in cui la macchina di John lasciò il vialetto sul retro, le sue parole, "è per il suo bene." Ed ora? Ora dov'è? 
Potrei trovarlo se solo avessi il controllo, maledizione Jane, avevo fatto un incantesimo, dovevo proteggerlo a qualunque costo, non sapere dove lo stava portando era uno dei modi migliori per farlo, così aveva detto lui. E mi perdevo, mi perdevo nei ricordi, forse era quello che mi teneva "viva" li dentro.
John... quante ore passate a parlare dei suoi figli, nel suo sguardo si leggeva il dolore, il senso di colpa, la tristezza e il rimpianto. Aveva preso molte scelte con la consapevolezza che loro lo avrebbero odiato, non capito, scelte non sempre facili da gestire, scelte che le circostanze ti impongono di prendere, e che tu prendi per il bene di chi ami sapendo che per questo non verrai capito. 
Mi ha insegnato molto, soprattutto ad accettare quello che siamo, lui che si è ritrovato nel nostro mondo per caso, per amore, un amore che si è visto strappare via in un soffio, un istante ed era tutto distrutto, in cenere.

"Non cercare mai vendetta Jane, ti logora e perdi il senso del giusto, ti perdi, e perdi le cose che davvero contano."

Mi ripeteva quelle parole mentre teneva fra le braccia il mio John, lo guardava con amore e in quei momenti mi sembrava di rivedere le foto che mi mostrava dei pochi momenti felici avuti. La malinconia mi attraversava, cercavo di cogliere ogni significato delle sue parole, dei suoi sguardi, delle sue espressioni, era diventato un secondo padre anche se ci vedevano quei pochi istanti quando passava per lasciarmi altre informazioni da scrivere sul mio diario. Appunti di casi, nomi di mostri, segreti da cacciatore, e notizie su di lui, racconti da inserire così che il mio J avesse conosciuto ogni cosa si suo padre. 
In quei momenti i dubbi e i sensi di colpa mi soffocavano, ero sempre combattuta con la mia scelta, ma dopo tutto cosa avrei dovuto dire ad uno sconosciuto? Perché era quello che era per me, un uomo affascinante incontrato in un bar dopo aver scoperto che la vita che conoscevo non esisteva, che non siamo soli al mondo. Eravamo uno sconosciuto ed una sconosciuta al bar con una vita da dimenticare almeno per qualche ora. Che avrei potuto dire?
"Ehi ciao, sai quella notte trascorsa insieme con Jack che cancellava le nostre vite, ne abbiamo creata una." ? 
Mi sentii morire quando lo scoprii, un bambino con quella vita che facevo, sempre in pericolo, ma allo stesso tempo mi sentii viva, era come una luce in fondo ad un tunnel di oscuritá. 
Man mano cresceva dentro me, il senso di colpa si attenuava, non del tutto, avevo forse sbagliato a tenerlo all'oscuro, ero stata egoista, e tante volte avevo scritto lettere su lettere per dirglielo, lettere che poi bruciavo, tranne una, quel giorno John era venuto da me a dirmi che dovevo stare attenta, che di sotto stava succedendo qualcosa di grave.
"Stai attenta Jane, molto attenta, studia quei libri che ti ho lasciato, appunta tutto, qualcosa non va, quel bastardo ha qualcosa in mente."
La sua voce era preoccupata e piena d'odio allo stesso tempo, e lo sguardo, non dimenticherò mai quello sguardo, mi abbracciò, non l'aveva mai fatto prima, trattenni il respiro e lo strinsi, in quei mesi si era creato un legame che solo con mio padre avevo.
-"Tornerò appena posso per conoscere questo ometto-", mormorò con un tono di voce che voleva far apparire tranquillo per non farmi stare in pensiero, la sua mano si posò lentamente sulla pancia, mi sfuggii un lieve sorriso a quel gesto, portai la mia mano sulla sua e la strinsi appena. 
-"E lui sarà qui ad aspettare di conoscere suo nonno.-" pronunciare quella parole rese il tutto più reale, nessuno dei due diceva mai nulla a riguardo, in quel momento come per rispondere si mosse, un leggero colpetto sotto la sua mano, un segno, un saluto. Inevitabilmente mi commossi ed una lacrima rigò la mia guancia, alzai lo sguardo su di lui e la sua espressione era quella di un padre a cui mancano i suoi figli. Nostalgia nei suoi occhi, abbozzò un sorriso amaro e mi guardò lasciandosi sfuggire un sospiro mentre lentamente toglieva la mano. 
-"Mary era così bella, avrei voluto più tempo, se solo mi avesse detto, se solo avessi saputo. A volte passando davanti la porta della cameretta la vedevo li seduta ad osservare Dean che dormiva nel suo letto, mentre si accarezzava la pancia in attesa di Sam.-

Sì interruppe un momento distogliendo lo sguardo, poi proseguii.

-"Aveva lo sguardo triste, l'espressione di chi sa che perderà qualcuno e non può fare nulla per impedirlo. Poi entravo e lei mi sorrideva, aveva quel sorriso che in un istante cancellava ogni cosa, e Dean si alzava e mi correva incontro saltandomi in braccio. Non sono stato un buon padre, avrei dovuto scegliere loro, avrei dovuto costringere lei a lasciare quel mondo, ma non puoi scappare da stesso. E non lo fai, ma rimani senza niente, con i rimorsi, i sensi di colpa, i rimpianti, e l'odio delle persone che ami.-"

Ascoltai le sue parole provando un nodo alla gola, pensai a mio padre, alle volte che non c'era per settimane, ai litigi al suo ritorno, alle cose non dette che ci allontanavano, alla mia reazione quando mi rivelò ogni cosa, mi sentii un egoista, vedevo solo il mio lato della medaglia e non avevo mai pensato a cosa provasse lui. Presi un respiro profondo e mi avvicinai abbracciandolo forte, vederlo così afflitto mi strinse il cuore.

-"Tu sei un buon padre John, i tuoi figli sono dei cacciatori unici, e degli uomini leali, hai fatto tutto quello che hai dovuto fare. E io ti rispetto per il coraggio delle tue scelte anche se ognuna di esse ti ha portato via un pezzo di te hai avuto la forza di prenderle. -

Gli sussurrai quelle parole con calma e sentendole davvero, non avrei mai pensato che un giorno anch'io avrei dovuto fare delle scelte che mi avrebbero portato a perdere pezzi di me.
Andò via dopo quel incontro, il primo dove non avevano parlato solo di caccia ma di noi come esseri umani... chiusi la porta dopo averlo seguito con lo sguardo fino alla fine del vialetto.

I mesi passarono, John era nato, l'emozione che ho provato quel giorno credo che nessun altro cosa al mondo potrà trasmettermela. 
La mia vita era cambiata, avevo qualcuno da proteggere di più della mia stessa vita, qualcuno da cui tornare, qualcuno che dava un senso a tutto. Quando cacciavo pensare a lui mi dava la forza per non arrendermi.

Ero sulla strada del ritorno quando il cellulare suonò, un messaggio, era anonimo ma sapevo chi era. 
"Solito posto tra 10 minuti."
Svoltai a sinistra cambiando strada, visto che ero già fuori ero vicina, raggiunsi il fast food dove ogni tanto ci vedevamo, quel giorno prima di andare aveva detto che finché non era sicuro era meglio stare lontano da casa per vederci. Ed io ascoltavo sempre i suoi consigli.

Parcheggiai li davanti e scesi raggiungendo il locale, entrai cercandolo con lo sguardo per poi andare a sedermi al tavolo dove c'era lui.

-Due hamburger, patatine e birra... capisco da chi ha preso adesso. Ti trovo in forma.

Dissi interrompendo il silenzio accennando un sorriso mentre prendevo una patatina, il tempo che passava tra un incontro e l'altro non era rilevante per noi. Mi guardava con l'aria curiosa e impaziente e capii, dalla tasca presi una foto e glie la porsi, era una foto divisa in quattro miniature di J, lui non sapeva ancora il nome, lo guardai negli occhi con quel mezzo sorriso che era inevitabile parlando di lui.

-"È un birbandello, vivace, allegro, lui è John...-

Dissi con un tono di voce non molto alto porgendogliela, poggiai un braccio sul tavolo e con l'altra mano presi un altra patatina portandola in bocca.
Per alcuni secondi ci fu silenzio, il suo sguardo era fisso sulla foto, mi chiedevo cosa stesse pensando, poi alzò lo guardo su di me, i suoi occhi sorridevano, erano lucidi, guardò di nuovo la foto poi me.

-"È come tornare indietro nel passato. Ha il suo sorrisetto furbo. Verrò a trovarlo la prossima volta. -

Disse riprendendo poi a mangiare, annuii alle sue parole facendo lo stesso, il resto del tempo parlammo di caccia e di quello che lo preoccupava, mi parlò di occhi gialli, di quello che aveva fatto a Sam, provai angoscia ascoltando quelle cose. Passarono un paio d'ore poi tornai a casa, il solito saluto "ci si vede figliola", quella parola mi infondeva calore, gli sorrisi e ci separavamo senza avere mai la certezza che ci saremmo rivisti.

-"ISABELLE TI PREGO ASCOLTAMI! TI PREGO...-

Urlavo a squarciagola dentro la mia testa, si, la mia testa, ma lei mi ignorava, cercava di farlo, e la osservavo mentre viveva la mia vita, o meglio non ne viveva nessuna nessuna delle due, come avrebbe potuto? Il buio mi circondava, il gelo mi avvolgeva in una morsa che mi toglieva il fiato, la sua essenza era oscura, piena d'odio, male, sofferenza. Mi stava spegnendo, dovevo aggrapparmi a qualcosa per non perdermi in quel inferno. 
Non ascoltava la mia voce ma non poteva evitare i miei sentimenti, quando ho scoperto questo legame per via del sigillo creato da quell'infame di suo padre, ne approfittai. La colpivo con l'unica cosa che lei non conosceva e che quindi non riusciva a combattere, la mia umanità.

-Isabelle non farlo....-

Quante volte gliel'ho sussurrato, ho imparato con il tempo che urlare era inutile, le mie urla finivano soffocate insieme alle altre nel fondo di quelle bottiglie. 
"IL MIO FEGATO ISABELLE! "
Ogni tanto urlavo ma parlavo sola, i sussurri li sentiva invece, la stordivano, come le mie emozioni, quando le percepiva cercava di combatterle, la rendevo debole, incapace di uccidere, e finché funzionava mi sentivo al sicuro.

-"Papà perdonami per le volte che ti ho urlato contro che non mi davi abbastanza... Che ti odiavo per la tua mancanza, perdonami per le volte che non ti ho detto quanto fossi importante, che per me eri tutto..-

Mormorai immersa in quel buio, le lacrime iniziarono a scendere incontrollate, in quel gelo le uniche cose calde. Mi strinsi su me stessa sentendo lei che urlava di fuori, il mio dolore la stava invadendo, 
"mi dispiace Isabelle è l'unico modo per restare viva qui dentro, l'unico modo..."
Attaccarmi a loro, i miei ricordi, le mie persone care, la mia ragione per lottare, il mio appiglio alla vita. 
E poi lentamente affogava il tutto ancora in quel limbo tra persa e lucida che le dava quel liquido, ed assopiva anche me che mi immergevo in quei ricordi.

-"Ometto dove sei? Joohn....ma dove sarà mai il mio ometto..-"

Lo chiamavo entrando in camera sua, di ritorno da una caccia durata due giorni, mi mancava come l'aria sotto l'acqua, e in quei momenti pensavo a mio padre e a John, sospirai a quel pensiero e togliendo la giacca andai verso il letto, si nascondeva li ogni volta per poi uscire e spaventarmi.

-"Buuuh"

Urlò saltandomi al collo, io mi lasciavo cadere all'indietro e lo stringevo a me, e sorridevo perché lui mi abbracciava e rideva felice. In quei momenti il mondo non esisteva, svaniva ogni cosa, con lui tra tale braccia mi spostavo sul letto dove con lui rotolavo, e giocavo fino ad addormentarci.

Da l'ultimo incontro con John erano passati altri sei mesi, J aveva compiuto un anno da una settimana, in quei mesi mi aveva scritto, ma era avvilente non poter rispondere. 
Stavo sistemando le armi in macchina sul retro della casa quando sentii il rumore inconfondibile della sua macchina, mi girai di scatto lasciando cadere il sacco che avevo in mano, lo raggiunsi ed appena uscì dalla vettura lo abbracciai, era come rivedere mio padre dopo una caccia non svolta insieme. Lo strinsi, fu una cosa naturale, lui ricambiò e senza perdere tempo mi disse.
"Portami da lui, voglio conoscere il tuo ometto."
Annuii afferrai la sua mano sciogliendo l'abbraccio e lo portai dentro, salimmo le scale fino ad accompagnarlo nella sua cameretta, aprii la porta e lo invitai ad entrare.
Lui era dentro il lettino che giocava con i lego di gomma, John lo guardava in silenzio avvicinandosi piano, come se fosse la cosa più difficile che avesse mai fatto, lui, che combatte ormai da una vita cose di ogni genere, sembrava aver paura di quel momento. 
Gli passai accanto e presi il piccolo in braccio indicando lui con un sorriso, volevo non si sentisse a disagio, era difficile lo capivo.

-"Lui è...lui è nonno John, amore..-"

Sussurrai giocando con la sua manina muovendola come per salutare.
Feci qualche passo porgendoglielo, "vi lascio soli" mormorai uscendo poi dalla stanza socchiudendo la porta tornando di sotto a sistemare le cose per la prossima caccia.
Tornai dentro restando però in cucina con mio padre e Smith uno di famiglia, da quando cacciavo anche io il nostro rapporto era un pò cambiato, soprattutto dopo l'arrivo di John, ma ero troppo orgogliosa per ammettere i miei errori, e mi sarei pentita per sempre di questo.

Mi risveglia di colpo li in quella mia prigione fatta d'odio e annazione, la notte era passata, un'altra notte sul canyon, provavo dispiace per lei, ormai era distrutta dalla continua lotta, sentivo che anche lei lottava da qualche anno contro se stessa, si aggrappava a me, io a lei, e pensavo a quelle parole che lei scrisse in uno dei suoi deliri, facendo quello che facciamo noi umani, sfogarsi, lei inizò a farlo con me, in quel diario, e più scriveva più mi rendevo conto che, si, eravamo fottutamente legate da qualcosa. E quel sentimento sarebbe stato il punto fermo su cui ruotava la sua esistenza.

-"Isabelle non puoi continuare così... lasciami uno spiraglio..chiedi il mio aiuto ma alzi barriere contro di me, come posso darti le risposte che vuoi!! Maledizione! -

Fremetti alzandomi, era estenuante rimanere lucida, essendo li, intrappolata le voci le avvertivo anch'io in lontananza, ed era già un tormento, non osavo immaginare cose provasse lei. Mi poggiai alla parete scivolandovi contro sedendomi nuovamente, stava provando rabbia, la sentivo, mi invadeva l'anima, distruggeva cose, forse la placava, 
"la mia casa Isabelle, mi distruggi la casa..." mormorai stringendomi le gambe al petto, alla sua rabbia rispondevo con il senso di vuoto, la mancanza, chiusi gli occhi e mi concentrai sui miei pensieri, i miei ricordi, focalizzandomi sulla mia ragione di lotta, e tornai li.

-"Jane io e Smith abbiamo un caso, per questa volta passa, stai un pò a casa, recupera.-"

Mi disse mio padre accarezzandomi la guancia, poggiò un bacio sulla mia testa per poi uscire dal retro. 
Era passata un'oretta da quando avevo lasciato John di sopra, decisi di raggiungerlo, mentre raggiungevo la stanza dal corridoio sentii ridere J, mi sfuggii un sorriso e mi soffermai fuori dalla porta, mi commosse vederli insieme.

-"Sai il tuo papà è l'uomo più in gamba che io abbia mai conosciuto, è forte, è leale, ama suo fratello più della sua vita, è testardo, orgoglioso, e non dice niente di no quando si tratta di salvare qualcuno. Sam, lui è lo zio secchione.... un giorno te li farò conoscere. Sei così piccolo, indifeso, come loro....
La mamma ti ama John non dubitarne mai...-

Ascoltai quelle parole trattenendo le lacrime, scossi il capo ed entrai, lui si alzò appena mi vide e strinse il piccolo in un abbraccio, mi guardò di nuovo con quello sguardo di mesi prima al fast food, era uno sguardo che sorrideva misto alla tristezza, alla malinconia. Il rimpianto.
Lo mise nel lettino dopo avergli dato un bacio sulla fronte e mi raggiunse, sorrisi a J per rassicuralo e poi uscì dalla stanza, avremmo parlato di quella sua preoccupazione, del piano, dovevo concentrarmi, ricordare bene ogni sua sua parola.

-I NEED YOU HOPELESS! !-"

Sussultai a quel urlo ritrovandomi sbattuta con prepotenza nel buio, nel gelo, pervasa dalla rabbia. 
"NO ISABELLE! ERO LI, C'ERO QUASI!"
Urlai nervosa, mentre lei di nuovo distruggeva ogni cosa, distruggeva se, distruggeva me. 
Il suo cuore batteva come impazzito, dolore, pentimento, senso di colpa, confusione, cos'era successo? Cercai di capire, si spostava, poi entrò in bagno, respirava a fatica, mi preoccupai, un attimo dopo il riflesso allo specchio, era fuori controllo, sporca di sangue, l'oscurità negli occhi, mi persi in quel nero, e fu come se quel istante ci stessimo guardando, occhi negli occhi.

-Ho bisogno di te Jane!"

Urlò di nuovo dritta contro lo specchio, quelle emozioni la stavano facendo impazzire. 
"Ho bisogno di te..."
In quel momento l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu John, avevo bisogno di lui. Rimasi a guardare quel riflesso, in quegli occhi ancora qualche secondo, poi mi sedetti per terra, portai la mano sul collo stringendo fra le dita il ciondolo della collana, chiusi gli occhi e respirai profondamente pensando a lui, ad ogni momento felice, ad ogni suo sorriso, e provai pace, sollievo, amore, mi lasciai andare a quei ricordi sperando che quei sentimenti e quelle sensazioni alleviassero quella tempesta di megativitá che la stava travolgendo.

-"Sono qui Isabelle...non combattermi almeno questa volta...-

Mormorai stendendomi in quel buio. 
Lei si guardava in quello specchio provando odio per ciò che vedeva, i suoi occhi tornarono normali, la sua espressione cambiò, lentamente anche lei si stese per terra, si strinse su se stessa lasciandosi andare ai sentimenti che gli stavo trasmettendo.

-"Fottutamente unite da farcela insieme.."

Mormorammo entrambe. Ancora una volta, in quel intreccio tra bene e male.
"A qualunque costo....Jane .."
Mormorò lei, "si, a qualunque costo...Isabelle..." sussurra io restando li a darle ciò di cui ha più bisogno. L'umanità.

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Capitolo 9
*** Love the way you lie ***


Gli ultimi mesi erano passati troppo lentamente, mi sentivo come chiusa in una bolla che solo io riuscivo a vedere. I rumori del mondo ovattati mentre le urla si facevano strada dentro la mia testa incessanti, certi momenti mi sembrava di impazzire. 
Dovevo nascondere la verità a lui, affogare l'oscurità, zittire le voci, gestire Jane... tutto insieme. Diventava ogni giorno sempre più difficile, più devastante, più doloroso, ed io più debole. 
Le ricerche per mantenere la promessa fatta a lei, non mi portavano da nessuna parte. Promessa fatta li in quella stanza, quella stessa notte passata con la paura che il mio incubo peggiore diventasse realtà. Lui di sotto sul divano a una rampa di scale da me. John, era stato fin troppo attento, e lei ancora di più proteggendo la sua mente da invasioni esterne. Ma non capivo che in quel caso ero io a tenere lontano lei. 
Non mi sarei arresa, avrei trovato quello che cercavo a qualunque costo. Quella notte cambiò tutto, dovevo scoprire chi mi aveva attaccata, o chi aveva attaccato Jane.
Poi mi restava l'ultima cosa da fare, affrontare Dean. Faccia a faccia, ma davvero ci sarei riuscita?

Dopo l'incontro nel bosco, l'avermi salvata da Jackson e i suoi amici, da quella notte che si era improvvisato chirurgo salvandomi, ignaro della mia vera natura, i nostri rapporti cambiarono mio mal grado, nonostante volessi tenermi lontana da lui, lo vedevo più spesso, per via dell'identità di Jane, il suo lavoro, le indagini, le scuse.
Le settimane passavano, una dopo l'altra diventando mesi, ogni tanto collaboravamo nei casi "strani", non poteva sapere cosa ci fosse davvero dietro, o almeno era quello che speravo. Con la consapevolezza che lui era il migliore nel suo campo e sarei potuta finire spalle contro al muro contro la verità. 
Quegli anni a seguire i loro casi, loro, era come se io lo conoscessi già da una vita, solo che lui vedeva solo quella maschera che portavo. Dovevo toglierla prima che fosse troppo tardi, prima che lo scoprisse in altri modi, prima di diventare nemici. Ma non ora. 

Ed eccomi qui, dovevo combattere un altro nemico, me stessa, allontanarmi dal rumore della vita, urla troppo, l'oscurità vuole uscire e zittirla. 
Uscii fuori dalla porta guardandomi attorno, una serata tranquilla, il canyon era il posto migliore. Chiusi la giacca e mi materializzai li sulla mia roccia sedendomi, portai le braccia attorno alle gambe e mi concentrai sulla vasta vista di fronte a me.
La notte passò lenta, ne osservai tutte le sue sfaccettature, prima del alba mi materializzai a casa, dovevo arrivare prima cosi da nascondere i vari ritagli di giornale, i libri di Jane, le bottiglie di Jack, o sistemare casa da eventuali miei sfoghi, nel caso passasse a prendermi. Stavo perdendo il conto di tutte la menzogne che stavo accumulando. Sistemai il pannello sotto il letto come al solito e dopo una doccia veloce mi cambiai, indossai "la divisa" pantalone nero, canotta nera sotto una giacca di pelle, distintivo alla cintura, ero pronta ad un altra giornata di lotta. Scesi di sotto diretta in cucina, prima di uscire dovevo ricaricarmi con una dose del mio liquido preferito. Presi la bottiglia che stava già sul tavolo e riempii il bicchiere a metà, non volevo esagerare, specie nei giorni che sapevo dovevo incontrare lui. Dovevo mantenere la lucidità per quanto possibile, e per perdere quella bastavano le voci e il verde. 
Socchiusi gli occhi mandando giù d'un fiato il liquido rimasto lasciando il bicchiere sul tavolo, come da abitudine stavo per materializzarmi sul posto che mi interessava, ma il suono del cellulare mi bloccò. 

"-Ho una pista per il tuo caso, e uno nuovo io. Ci vediamo sulla scena del crimine, non sarà difficile per te trovarla. Ti aspettiamo-"

Una frase molto formale, tono serio di voce, pronunciò quelle parole per poi riattaccare, probabilmente era con altri agenti e possibili testimoni. Misi via il cellulare e uscii dalla porta, niente poteri per questa volta. Chiusi la porta raggiungendo la vettura sovrappensiero, era snervante comportarmi da umana, essere Jane dopo che per sei anni l'avevo evitata, essere lei adesso che sapevo, con lui sempre nei paraggi, oltre al terrore che mi scoprisse temevo si ricordasse lei, o dei ricordi del mio attacco che gli avevo rimosso.
Misi in moto scuotendo il capo per scacciare ogni pensiero e lo raggiunsi.

Quando ci incontravamo sulle scene del "crimine", o su qualche caso, non si rendeva conto che per tutto il tempo quasi non respiravo. 
Ascoltavo le sue parole come se da esse dipendesse la mia vita, ed effettivamente a volte era così. 
Quello sguardo, i movimenti delle labbra, gli occhi, la sua mimica facciale mi rapiva alcune volte, tanto che dovevo scuotere il capo per tornare lucida, concentrata su quello che stavamo facendo.

-Odio questa parte Jane. Lo sai vero..-

Ripetevo sempre ogni volta che scendevo dalla mia vettura e lo raggiungevo sul posto. 
Odiavo quel umanità che tanto mi stava insegnando degli umani.
Diamo loro dei deboli, ma non lo sono per niente. Come si può convivere ogni giorno con tutto questo e restare in piedi? 
Sono forti. Sono fottutamente forti.
Giunta sul posto parcheggiai poco distante e scesi avvicinandomi a lui, a loro, a piedi, questa volta c'era anche Sam con lui, li salutai con un cenno della testa spostando lo sguardo sugli altri due agenti mostrando il mio distintivo, mi presentai chiedendo poi a loro i dettagli. 
Ascoltai i discorsi mentre ci spostavamo da li diretti verso un locale vicino, mi chiedevo come facesse a mangiare a qualsiasi ora quelle schifezze. Scossi il capo e tornai tornai guardare davanti a me entrando nel locale, ordinai un caffè che "truccai" con un leggero schiocco delle dita, osservai lui ed il fratello spostarsi al tavolo mentre discutevano del caso, e di quanto poco salutare fossero gli Hamburger, due discorsi opposti che per loro sembrava normale mettere insieme.

-Vai, chiederglielo Isabelle. -

Mormorai portando il bicchiere di carta alle labbra, sentii l'aroma del caffè inebriarmi le narici, bevvi un sorso spostandomi dal bancone e li raggiunsi sedendomi di fronte a loro, quella scena mi procurò un flash, Jane, John, il fast food. Per un momento lo sguardo apparve perso, la mano di Sam che si agitava davanti alla mia faccia mi riportò li, mano che poi allungò verso me, quella era la prima volta che ci incontravamo io e lui, afferrai la sua mano stringendola per qualche secondo mentre pronunciavo il mio nome, lui il suo, provai una strana sensazione, un brivido attraverso la mia schiena, mi ero presentata come Jane, era come rinnegare me stessa ogni volta.
Dopo quella presentazione poggiai la mano sul tavolo bevendo un altro sorso di caffè mentre portavo lo sguardo su di lui che stava addentando il panino, masticò il boccone mandandolo giù farfugliado qualcosa, "come avrai capito lui è il mio collega", ammetto che quella scena mi fece sfuggire un lieve sorriso, che nascosi subito.

-Allora, dimmi delle novità sul caso...sul mio caso.-

Replicai al suo farfugliare con la bocca piena, le immagini della sua espressione compiaciuta mentre mi picchiava, i suoi occhi, le risate, ricordare quella notte faceva salire la mia voglia di strappargli il cuore. Senza rendermi conto presa da quel pensiero strinsi il bicchiere del caffè nella mano fino a incrinarlo, ero come assente, le urla nella mia testa, l'odio che saliva, cercai di rimanere più calma possibile e ricordarmi che non ero sola.
Il tocco di una mano contro la mia mi fece sussultare, portai lo sguardo verso essa seguendo l'altra fino al suo volto, quegli occhi, prese il bicchiere che avevo schiacciato in quella stretta, senza distogliere lo sguardo dal mio, tornai in me in quel momento.

-Calmati. Nessuno ti fará più del male. Okay? Ti ho fatto una promessa, e intendo mantenerla.
Ho trovato uno di loro. Dopo andiamo in centrale e lo interrogo.-

Disse lui con quel tono di voce che mi rassicurava in un istante, mi lasciai sfuggire un lieve sospiro per poi respirare profondamente, annuii a quelle parole distogliendo lo sguardo dal suo alzandomi poco dopo, dovevo allontanarmi un momento, mi serviva aria. Con la scusa di andare a rinfrescarmi andai in bagno, entrai chiudendo la porta dietro me, poggiai la schiena contro essa socchiudendo gli occhi e mi materializzai lontano da li, un posto a caso in mezzo al nulla. Strinsi i pugni e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, aprii gli occhi completamente neri, respiro irregolare, avrei voluto farli a pezzi, sentirli urlare, avere la mia vendetta. 
Passò qualche minuti e tornai li in quel bagno, nel locale, una rinfrescata al viso ed uscii di li tornando da loro, espressione calma mossi le labbra in un semi sorriso e gli feci un cenno con il capo come a fargli fretta.

-Su, andiamo ad interrogarlo, e risolvere questo caso...-

Dissi dandogli poi le spalle diretta verso l'ingresso, uscii raggiungendo la mia vettura sulla quale salii mettendo in moto, ci saremmo visti direttamente in centrale. 
Per tutto il tragitto non feci altro che pensare a come uscirne, da un lato speravo che chiudesse in fretta il caso per sentirmi "al sicuro", dall'altro non volevo, sapendo che a quel punto sarebbe andato via. Presa da quei pensieri non mi resi conto di essere già arrivata, ero ferma davanti la centrale mani strette al volante, dei colpi contro il finestrino mi fecero sussultare, mi girai trovando lui a picchiettare contro il vetro, spensi il motore, scesi e dopo aver chiuso portai lo sguardo su di lui.

-"Il mio collega si dedica a l'altro caso per ora."-

-Voglio entrare nella stanza anch'io. -

Disse lui, io lo interruppi con quella frase guardandolo dritto negli occhi, poteva chiaramente leggere nei miei cosa stavo provando, non replicò, annuii invitandomi a seguirlo con il cenno del capo. Entrammo diretti nella stanza degli interrogatori, pochi minuti dopo uno degli agenti accompagnò il ragazzo, nell'istante in cui mi passò accanto mi ci volle un autocontrollo smisurato per non afferrarlo per il collo e sparire da li, Dean si avvicinò a me, sentii la sua mano che afferrò il mio polso, si sporse verso me, che strinsi il pugno della mano.

"-Mantieni la calma, Jane.-

Lo disse a bassa voce, quasi in un sussurro, mi lasciò il polso senza aggiungere altro, deglutii a vuoto ed annuii, a volte mi spaventava il suo capire come mi sentivo e intervenire, indietreggiai per poi poggiarmi alla parete della stanza. Lui si sistemò la giacca con fare da "agente" e raggiunse lui sedendosi di fronte.
Seguivo ogni movimento, anche il più impercettibile della sua espressione mentre lo "interrogava", Mark, uno degli amici di Jackson, quel bastardo avrebbe pagato, ogni calcio, ogni pugno, ogni singola bastonata. 
Speravo davvero che fosse lui a trovarlo per prima, la rabbia che covavo nei suoi confronti si accumulava, veniva alimentata da quel'oscuro con cui combatto ogni giorno. Non sarebbe rimasto vivo faccia a faccia con me.
L'interrogatorio andò avanti per ore, lasciai fare a lui senza intervenire, poggiata contro quella parete, incrociai le braccia al petto e cercai di mantenere la calma, una calma apparente, lavorare a stretto contatto con il "nemico" non era una passeggiata, non lo era affatto.
Dovevo stare attenta ad ogni mia mossa sbagliata, ogni passo falso, attenta alle trappole che piazzava per quel "mostro" del bosco che stava cercando, per me.
Ogni giorno mi chiedevo come avrebbe reagito, cosa avrebbe fatto se in una delle sue indagini, se alla fine, cacciando si sarebbe ritrovato sulle mie tracce faccia a faccia con me. Con il "mostro".
In quei mesi avevamo instaurato un rapporto di fiducia, come membri delle forze dall'ordine, copertura dietro la quale ci nascondevamo entrambi, era ben diverso quello che nascondevamo però, da un lato il cacciatore lui, da l'altro il demone io. 
Le due facce diverse della stessa medaglia. 
Non ero pronta al confronto, non senza maschere, e avrei dovuto stare attenta anche alla vita di Jane. I suoi segreti. 
Camminavo sui carboni ardenti, ad ogni passo rischiavo di bruciarmi.

"-Basta giocare! Dimmi dov'è si trova!-"

Urlò contro quel ragazzo battendo la mano sul tavolo, riportandomi alla realtà, in quella stanza, a torchiare l'amico di quel pezzente. Mi spostai dalla parete alla quale ero poggiata e mi avvicinai a lui, ci dividevamo i ruoli, agente buono agente cattivo, e lui era molto bravo a fare il cattivo, nonostante la "cattiva" tra i due ero io, tanto bravo che non avrei mai voluto trovarmi faccia a faccia con lui in quelle vesti. 
Mi fermai alla sua destra chinandomi fino a raggiungere il suo orecchio.

-Lasciamolo andare e poi lo seguiamo.-

Sussurrai tornando dritta subito dopo, braccia incrociate, espressione seria, ma calma, guardai il ragazzo negli occhi serrando le labbra tra loro dalla rabbia nel ricordare i suoi calci contro l'addome, inclinai il capo e sciolsi le braccia indicandogli con la mano la porta.

-Vai adesso, e vedi di non sparire, ti contatteremo noi.-

Dissi con tono tranquillo. Lui si alzò senza farselo ripetere due volte e a passo svelto andò via, appena chiuse la porta Dean si alzò dalla sedia, era al quanto adirato, quella caccia stava durando troppo, troppi giorni, troppi mesi, andava via per raggiungere il fratello, risolvere i loro casi, i loro casini, e nei buchi tra un caso ed un altro si faceva vivo. Mi aveva fatto una promessa, e lui mantiene le promesse. Era il suo lavoro, scovare mostri ed ucciderli, la sua vita. Ed era bravo, fottutamente bravo in questo. Se avesse sospettato, se si fosse avvicinato troppo, non avrei avuto scampo. 
Questo pensiero mi logorava, mi chiedevo spesso cosa avrebbe fatto. Io avevo mandato a puttane tutto il mio mondo per quel maledettissimo verde. E lui? Lui di fronte alla verità cosa avrebbe fatto? 

-Lo troveremo.-

Dissi interrompendo quel silenzio che si era creato nella stanza, mi guardò un istante serrando le mascelle, annuì sistemandosi la giacca e distolse lo sguardo andando verso la porta, afferrò la maniglia e la strinse girando di poco il capo verso me.

-"Devo raggiungere Sam adesso per l'altro caso. Ci sentiamo dopo. Per qualsiasi cosa, chiamami."-

Disse con tono apparentemente tranquillo, poi aprì la porta ed uscì dalla stanza, lo seguii subito dopo chiudendo la porta dietro me, giunti fuori dalla centrale ci separammo ognuno diretto nella vettura propria vettura, andando ognuno per la propria strada quel giorno. Ma una volta intraprese certe strade sono destinate a incrociarsi, ancora, e ancora. 

Tornai a casa con la sola voglia di affogare ogni cosa, scesi dalla vettura sbattendo lo sportello con forza, la tensione accumulata mi stava schiacciando, appena varcai la porta di casa le luci iniziarono a lampeggiare, esplodere, ne avevo accumulato troppa. Andai dritta in cucina afferrando quella bottiglia che stava sul tavolo, quella che avevo cercato di evitare la mattina, non lo versai nel bicchiere, in un gesto veloce alzai il braccio portandola alle labbra, socchiusi gli occhi e lascia scorrere quel liquido giù per la gola, un lungo sorso, lungo come quelle ore passate a combattete la mia natura, passate fianco a fianco a lui, la mia debolezza più grande. 

-Ti stai divertendo, vero Jane?

Sbuffai alzando lo sguardo verso il soffitto, dopo aver mandato giù quel sorso, strinsi gli occhi scuotendo il capo e mi spostai diretta al piano di sopra, un sorso non sarebbe bastato, e nemmeno quella mezza bottiglia per far sparire ogni cosa.
Entrai in camera bevendo ancora per poi poggiarla sul comodino, il mal di testa aumentava ogni minuto sempre di più, mi lasciai cadere sul letto perdendo lo sguardo verso il soffitto, ripercorrendo tutto il giorno coi pensieri...allungai la mano insinuandola sotto il cuscino ed afferrai quel sottile foglio lucido, una delle foto trovate in quella busta mesi prima, quello squarcio verso una vita non mia, ma che sentivo mia fino al midollo.
Deglutii a vuoto alzandola fino a portarla davanti agli occhi, le avevo chiesto aiuto una di quelle volte che in preda all'oscurità mi ero sporcata ancora le mani, e lei come risposta mi invase con quei sentimenti che tanto odiavo, l'amore per quel bambino che io nemmeno conoscevo, un amore immenso, incondizionato, puro.
Mi abbandonai a quella sensazione quella notte, accettai la sua "umanità" senza combatterla, e per un momento non sentii nulla, ne tormento, ne voci, ne urla, nient'altro che pace. Mi aggrappai a questo pensiero, ricordo non mio, come fa lei li nella sua "trappola" che è la mia mente, ed ogni tanto quando tutto era troppo da gestire, cercavo rifugio in quel umanità. Guardavo quella foto, quel sorriso dolcissimo e la sua espressione felice nello specchiarsi in quegli occhi. Un amore che avevo scoperto anch'io di poter provare, un amore che mi consumava, che nascondevo, ma che non potevo rinnegare. 

-Perché.....-

Mornorai girandomi su di un fianco stringendo a me il cuscino, in quel momento mi sentii cosi umana da averne paura, chiusi gli occhi cercando di non ascoltare le urla, di concentrarmi solo sul sussurro, era notte fonda ormai, quasi l'alba, mi abbandonai pian piano a quello stato di dormiveglia, senza alcuna barriera tra me e Jane. 

Poche ore e il sole entrò dalla finestra svegliandomi quasi in modo violento, portai d'istinto la mano davanti agli occhi e mi alzai passando quest'ultima sul viso per svegliarmi del tutto. Dovevo uscire alla svelta, prima che passasse, avevo lasciato un lavoro in sospeso ai piani bassi, dopo l'attacco a Jane stavo cercando di capire chi la volesse morta. Anche se scendere di sotto non era mai una buona idea, troppe tentazioni, troppe urla amplificate a stordirmi, tanto da non rendermi conto del tempo che effettivamente stavo passando li. 
Poi il buio, quel buio che mi inghiottiva, dove profondavo, quel buio che avevo dentro e che in quei momenti usciva lasciando che il peggio di me prendesse il controllo. I risvegli erano sempre un trauma, il vuoto nella mente, altro sangue sulle mani, urla nella testa, sensi di colpa sulla coscienza. Ore immersa in quel oscurità, quel torpore, poi una luce infondo. Un attimo prima il nulla, l'attimo dopo il verde.

Guardare in quegli occhi in cui mi ero specchiata più volte, in quel maledetto verde in cui mi perdevo, con i miei neri come la pece, mi spezzò. 
Il suo sguardo sorpreso dapprima, incredulo, deluso, che pian piano mutò in qualcosa che non avrei mai voluto vedere, sentire su di me. Uno sguardo pieno d'odio.Tradimento. 
L'aria sembrava essere cessata nella stanza, in un secondo avevo distrutto ogni cosa, ogni muro, me. 
Ero immobile, mano contro in suo collo, lui spalle al muro, un silenzio agghiacciante ci circondava, il tempo sembrava essersi fermato, ed io ero tornata in me. Ed ora? Non riuscivo a muovermi, allentai la presa dal suo collo, respirare era presso che impossibile. Il mio peggior incubo era appena diventato reale. 

-Isabelle! Ehi...Isabelle??

Una voce chiamava il mio nome, la sua voce, ma le sue labbra non si muovevano, mi specchiavo nei suoi occhi vedendoci un mostro. Indietreggiai sentendo la vista appannarsi, il suo silenzio mi uccideva più di mille coltelli, esorcismi, poi ancora quella voce, la testa che sembrava volesse esplodere, portai le mani contro le tempie nel tentativo di fermare ogni cosa, la sua immagine era sempre più contorta, sfocata, e fu buio, ancora.

-Isabelle!-

Di nuovo la sua voce, poi avvertii un calore alle guance, uno schiaffo, poi un altro, non forti, aprii di colpo gli occhi respirando con affanno, battiti irregolari, cercai di focalizzare il posto dove mi trovavo, la sagoma davanti a me, misi a fuoco quel viso ritrovandomi davanti a lui, i suoi occhi, come era possibile? Cos'era successo? 
Mi passai la mano sul viso distogliendo lo sguardo dal suo e mi guardai attorno, ero spalle al muro, non riuscivo a distinguere cosa era vero e cosa no. La realtà e le visioni si accavallavano, mi ero esposta? L'avevo attaccato? Tornai a guardarlo per cercare di capire, la sua, era un espressione normale, più preoccupata che piena d'odio e delusione come quella di qualche minuto prima.

-Cos'è successo? Dove siamo? -

Chiesi occhi nei suoi come se volessi leggere i suoi pensieri. Portò una mano sulla mia spalla stringendola appena, e con un cenno del capo mi indicò alla sua destra, spostai lo sguardo in quella direzione, eravamo davanti ad un motel, uno di quelli dove di solito si fermavano, tornai a guardare lui confusa, cosa ci facevo li? 

-Sicura di stare bene? Siamo al motel dove alloggio, ricordi il caso che stavo seguendo con Sam? È da ieri che ci lavoriamo, abbiano studiato il caso tutta la notte. Siamo usciti dalla stanza per andare a prendere un caffè ma di colpo sei diventata strana.
Andiamo il caffè ti serve doppio.-

Disse lui assumendo un espressione perplessa, spostò la mano dalla mia spalla indicandola sua vettura, si fermò dal lato del guidatore poggiando le mani sul tetto guardandomi, mi fece cenno di raggiungerlo poi aprì la portiera salendo a bordo e mise in moto, rimasi a guardarlo ancora confusa da quello che era successo. Non ricordavo nulla delle ore precedenti, di come ero arrivata li, della notte passata con lui a studiare il caso, l'ultimo ricordo era di me che andavo di sotto, poi le voci, il buio, e adesso il vuoto nella mente. Scossi il capo avvicinandomi alla vettura ed aprii chinandomi per guardarlo.

-Ti seguo con la mia, non posso lasciarla qui.-

Dissi mostrando una calma apparente, la verità era che volevo allontanarmi da lui. Ma non si trovò d'accordo, battè la mano sul sedile del passeggero muovendo ancora il capo in un cenno, "-forza sali, hai una pessima cera, non ti laccio guidare"- replicò con quel tono serio che esce ogni volta che voglio fare una sciocchezza. Sospirai e senza aggiungere altro salii in auto, chiusi la portiera e spostai lo sguardo fuori dal finestrino, il mio corpo era li, ma la mente era persa, rivivevo la scena di prima, quel suo sguardo deluso, deglutii a vuoto provando una stretta allo stomaco, poi guardai lui, tranquillo, sguardo fisso sulla strada, mi guardò un istante, poi tornò vigile, mentre ci allontanavamo dal motel diretti in un bar. Avevo altro ancora sul quale lavorare, questo buco di due giorni, azioni che non ricordavo, che diavolo mi stava succedendo? Altre domande. Dubbi. Tormenti da affrontare. 

Passarono giorni, tre settimane da quel evento inspiegabile, il caso al quale lavoravano fu risolto, e loro partiti per tornare alle loro faccende, ci tenevamo in contatto tramite e-mail, con messaggi, chiamate, per aggiornarlo sui sviluppi del mio caso. 
Tornammo alle nostre vite ognuno nella sua città, lui a caccia dei suoi demoni, io dei miei. Della vita dei cacciatori alcune cose mi sfuggivano, come il fatto che tra di loro si conoscono, o in generale se cacci da molto, o appartieni a generazioni di cacciatori la fama ti precede, e Jane, doveva essere una cacciatrice ingamba. In alcuni casi, usarla mi era stata utile con altri cacciatori. 
Non molto tardi scoprii che lui era al corrente che "ero" una cacciatrice, ma non mi disse nulla, e nemmeno io, per farlo doveva scoprire anche lui le sue carte. Invece ci mentivamo a vicenda. Ma non potevo più rischiare che arrivasse a l'altro segteto, cosi presi la decisione di usare ancora Jane per avere altro tempo. Mi esposi. 
Cercai un caso irrisolto, qualche morte sospetta, poi contattai loro. Avrei messo in mezzo la cacciatrice, detto che conoscevo il mondo sovrannaturale, così da avere una scusa per le mie sparizioni, per quando mi perdevo dentro quel oscurità. Sperando che funzionasse. 

Più il tempo passava più mi sentivo in trappola.
Tornai a casa aspettando che mi contatasse dopo aver ascoltato il mio messaggio in segreteria. Probabilmente aveva il cellullare spento per via di qualche caso che stavano seguendo.
Mi resi conto ben presto che stavo giocando con il fuoco. 
Che quel limite che stavo varcando era pericoloso. 
I castelli di carta sono fragili, la minima folata di vento e crollano. Ed era così la mia vita al momento. Carte, su carte, segreti, tasselli, bugie e verità nascoste, cresceva sempre di più, ed ogni cosa girava intorno ad un unica vita. La sua.
Mai far diventare qualcuno il pezzo che tiene tutto in piedi... il destino è un sadico bastardo e si diverte a giocare, se per suo divertimento quel pezzo viene a mancare....
Volano le carte, vacilla la torre, cade il castello, crolla tutto.. e la vita che conoscevi potrebbe cambiare per sempre.
Sei disposta a correre il rischio?

-Jane. Lasciami in pace.-

Mormorai dando un colpo con la mano alle carte sul tavolo e afferrando la bottiglia, mi materializzai via da li, lontano, li nel nulla, sulla mia roccia di fronte a quella immensa distesa che in qualche modo riusciva a riempire quel vuoto che mi logorava da dentro.

Qualche giorno dopo mentre ero nella stanza delle ricerche, per cercare una via d'uscita dalla mia gabbia umana, il suono del cellulare attirò la mia attenzione, misi via il libro che avevo davanti e risposi alla chiamata, ormai mi veniva quasi automatico. Non guardai nemmeno il display, "Jane Stewart, detective, in cosa posso esserle utile?"
Dall'altro capo lui, per qualche istante il silenzio, poi la sua voce, aveva ascoltato il messaggio. 
"-Dobbiamo parlare, ti aspetto al motel-" disse quella frase con un tono serio, non riuscii a capire il suo stato d'animo, la sua reazione a quella rivelazione. -"Sono nei paraggi, ci vediamo.-" replicai riattaccando subito dopo. Non era vero che ero nei paraggi, ma mi sarei materializzata poco distante. Mi alzai dalla sedia ed uscii dalla stanza scendendo le scale velocemente, presi la giacca, la borsa e mi materializzai sul retro del motel. Odiavo mentirgli, ma non avevo altra scelta, dovevo avere la sua completa fiducia prima di togliere la maschera.
Raggiunsi la sua camera e alzai la mano chiusa a pugno per bussare, in quel momento ripensai a quel giorno, il giorno in cui avevo deciso di andare da lui, il giorno che Lucifero mi portò via, che iniziò il mio inferno. Presi un respiro profondo e bussai, poco dopo la porta si aprì, incrociai il suo sguardo subito, non disse nulla, si scansò lasciandomi entrare richiudendo la porta dietro se. Quel silenzio mi inquietava, mi fermai nel centro della stanza, piccola, troppo piccola pensai, l'unico mio pensiero era andare via prima possibile. Si spostò verso il mobiletto e riempì il bicchiere, osservavo la sua espressione, ogni sfumatura, si inumidì le labbra portando il bicchiere contro queste ultime, bevve un sorso, poi passò la lingua su esse e spostò lo sguardo su di me, io immobile, trattenevo il respiro. 

"-Cosi, sei una cacciatrice. Perché tenerlo nascosto per tutto questo tempo. Sono mesi che lavoriamo insieme, e non hai detto una parola. Cos'è cambiato?-"

Disse quelle parole agitando la mano in segno di disappunto, guardandomi negli occhi come se cercasse in essi le risposte, la verità. Bevve un altro sorso visibilmente contrariato. Scossi il capo sospirando appena.

"-Nemmeno tu ti sei esposto. È quello che facciamo no? Nascondiamo chi siamo per proteggere gli altri e noi stessi. È cambiato, che mi fido di te.-"

Replicai con tono calmo, sostenendo il suo sguardo, nonostante quel verde mi destabilizzasse. Poteva capire che non stavo mentendo, non mentivo, nascondevo ogni giorno la mia natura, per non far del male, per trovare una scappatoia. Ascoltò le mie parole serrando le labbra, infondo sapeva che avevo ragione, bevve un altro sorso finendo il contenuto e lentamente si girò dandomi le spalle, tornò vicino al mobiletto poggiando su esso il bicchiere, ed io li con mille pensieri nella testa, che facevano a pugni con le voci.

"-È pericoloso. Hai ragione. Non avviciniamo nessuno. Viviamo per proteggere gli altri, e quando non ci riusciamo...-"

Lasciò la frase in completa e prese la sua giacca da federale che stava appesa allo schienale della sedia, non si voltò a guardarmi, spostò il corpo in direzione della porta e la aprì uscendo. Lo raggiunsi subito dopo, e chiusi la porta che aveva lasciato aperta per me. Non sapevo come decifrare quella sua reazione. Mi fermai dietro di lui che si stava sistemando la giacca, poi aprì il cofano della sua baby controllando che ci fosse tutto.

"-Il peso di quelle perdite, quei fallimenti, ci schiacciano... Non sono una persona da proteggere. Siamo colleghi. So badare a me stessa.-"

Dissi interrompendo quel silenzio, lui si fermò da ciò che stava facendo, portò le mani sul cofano e lo chiuse, il rumore mi fece sussultare. Avevo detto che non ero una persona da proteggere, ma in quei mesi mi aveva "salvata" due volte. E continuava a seguire il caso di Jackoson. Mi sentii debole in quel momento, pensai alle parole che Jane mi sussurrava incessanti. 
Si girò verso me guardandomi in quel modo, con quello sguardo duro, severo, ed io trattenevo il respiro senza batter ciglio, senza replicare, io che con il solo movimento di una mano avevo spezzato più colli di quanti riesco a contarne, di fronte a quello sguardo, quel espressione, perdevo ogni potere. Perdevo me.
Serrai le labbra tra loro distogliendo lo sguardo dal suo chiudendo li, cosi ogni mia protesta, o pensiero.

-"Non sarai un altro senso di colpa sulla mia coscienza, Jane. Non te lo permetterò."

Chiuse li il discorso. Tornai a guardarlo a quelle parole. Nei suoi occhi potevo leggere ogni male, dolore, perdita che aveva sopportato nella sua vita, e quello che sentivo mi stringeva la gola in una morsa.
-"Nemmeno tu il mio, Dean."
Pensai. Più collaboravamo, più quel "legame" diventava una lama a doppio taglio.
Non puoi cambiare ciò che sei, puoi nasconderlo, a te, agli altri, ma è li dentro, pronto a uscire e distruggerti. Ed io mi nascondevo dietro una vita non mia, farlo ogni maledetto giorno era estenuante, il suo istinto da cacciatore prima o poi avrebbe prevalso su l'uomo, l'amico, avrebbe capito, e mi avrebbe odiata con tutto se stesso.
Entrammo entrambi in macchina senza aggiungere altro, mise in moto ed andammo via da li per raggiungere Sam da Bobby, e risolvere il caso.

[..]

Alla fine di ogni giorno tornavo a casa, in quella casa grande, vuota, silenziosa, ma piena di urla nello stesso tempo. Emozioni impresse in quelle mura, che mi tenevano sveglia, notte dopo notte. Passai dalla cucina prendendo una bottiglia e mi diressi di sopra, potevo materializzarmi ma non lo feci, salii le scale, gradino dopo gradino, uno dopo l'altro cercando di lasciare la pesantezza di quel giorno scivolare dietro me. Entrai in camera e mi distesi direttamente, sospirando stanca. Schioccai le dita facendo apparire quel quaderno, ogni tanto lo evitavo, ma mi serviva per mantenere il contatto con la realtà. 
Era l'unico modo per non perdermi del tutto. Appuntare ogni cosa in quel maledetto diario. Anni di vita, tormenti, di me, di lei, dei miei sbagli più grandi. Ogni sera in quella stanza, su quel letto, mettevo nero su bianco pezzi di me.

-Non è ironico Jane? 
Sei la mia peggior nemica e la mia unica amica. -

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