Made of Ice

di clepp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


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(1)

 
Kamila si sciolse i lunghi capelli bagnati  dalla stretta coda che si era fatta dopo una meritata doccia: un premio per l’impegno durante il pomeridiano allenamento con il Capitano. Una volta terminato, Kamila era rientrata nel suo alloggio, si era levata i vestiti sporchi e reduci di un intenso pomeriggio di lotta, si era lavata e aveva deciso di uscire fuori dall’enorme struttura, posta lontana dalla civiltà, immersa nella fitta giungla del Wakanda.
Un numero spropositato di agenti e guardie giravano vicino e nei pressi dell’entrata dell’edificio. Kamila alzò gli occhi al cielo: era lì da un paio di giorni e non si era ancora abituata a tutta quella sicurezza.
I suoi stivali pesanti camminavano sul terreno umido che T’Challa non si era ancora deciso a ricoprire con del cemento.
Kamila si diresse verso l’unico punto all’esterno dell’edificio adibito allo svago.
Si sedette su una delle quattro panchine e aprì il libro che si era portata dietro da camera sua. Fece in tempo a leggere solo qualche pagina, perché una voce squillante la interruppe dal suo passatempo preferito.
Sua sorella Tanka stava correndo verso di lei con quel suo solito sorriso spensierato stampato sul giovane viso felice. Le sedette accanto, gettandole le mani attorno al collo.
«Cosa ti ho detto Tanka? Il Capitano non vuole vederti scorrazzare in giro per il rifugio. Devi rimanere in camera tua.» la rimproverò ma con ben poca convinzione. Entrambe conoscevano bene il debole che il grande e grosso Steve serbava nei confronti della piccola Tanka. Lei avrebbe persino potuto piombare urlando e correndo nel bel mezzo di un meeting internazionale, che Steve avrebbe semplicemente riso e scrollato le spalle, com’era abituato a fare quando c’entrava la bambina.
«Scusami Kamila.» replicò la piccola eccitata, incapace di rimanere ferma. «Ma questo posto è davvero triste. Mi annoio in camera mia. Non c’è nulla da fare!»
L’espressione di Kamila si addolcì per un momento, consapevole di essere proprio lei la causa della noia della sorella. Facendo parte della squadra speciale messa in campo dal Capitano, e non avendo altri parenti a cui affidare la piccola, la maggiore era stata obbligata a portarla dietro ovunque andasse, incurante del livello di pericolosità della missione. Si sentiva in colpa ogni volta che doveva dirle di rimanere in camera – cosa che succedeva quasi tutti i giorni – perché per una bambina di 9 anni era davvero difficile stare rinchiusa all’interno di quattro mura.
«Lo so, Tank. Ma è pericoloso girovagare in questi posti, soprattutto perché potresti perderti.» le scompigliò i lunghi capelli biondi così simili ai suoi, tranne per il fatto che quelli della maggiore avevano una sfumatura ancora più chiara.
«Steve mi troverebbe subito.» replicò lei innocentemente.
Kamila alzò gli occhi al cielo e chiuse il libro che aveva tenuto aperto speranzosamente sulle sue ginocchia.
«Posso farti una treccia Kam?» la sorellina la implorò fino a che Kamila non dovette cedere per l’esasperazione. Tanka sorrise soddisfatta e salì con i piedi sulla panchina, mentre la maggiore le dava le spalle.
Cominciò a passarle le piccole dita tra i folti capelli ancora umidi, setacciandoli e sciogliendone i nodi. Mentre le divideva i capelli in tre grossi gruppi, Tanka cominciò a raccontarle della lezione privata di quella mattina con la sua nuova insegnante, una giovane donna dal sorriso amichevole e la pelle lucida come quella di un bambino. Non potendo lei avere una vita normale per diversi motivi, Kamila si era sentita in obbligo di rendere quella della sorella il più felice possibile, senza farle mancare niente. Per questo aveva chiesto a Steve molti favori che lui non aveva esitato ad esaudire.
«Quel signore mi spaventa.» Tanka si era bloccata proprio mentre le raccontava ciò che aveva imparato durante la lezione di geografia. Kamila aggrottò la fronte e aprì gli occhi che aveva momentaneamente chiuso per godersi meglio le coccole della sorella. Sbattè più volte le palpebre e cercò il soggetto della sua frase.
Presunse che stesse parlando dell’uomo appena uscito dalla grossa porta a vetri dell’edificio. Socchiuse gli occhi per vederlo meglio contro la luce del sole.
Era James Barnes, soprannominato Bucky dal Capitano Steve e Soldato d’Inverno dal resto del mondo.
Kamila non ci aveva mai parlato, nonostante avesse combattuto contro e con lui più di un paio di volte. Si erano scambiati qualche occhiata, le tipiche occhiate diffidenti e inquisitorie di chi è costretto a lavorare insieme. Aveva letto il suo fascicolo e ascoltato le mille storie di Steve sul migliore amico Bucky Barnes, ma non aveva mai avuto il piacere – o dispiacere – di conoscerlo direttamente.
L’uomo si incamminò verso il punto di svago dove si trovavano le due ragazze, ma quando si rese conto che questo era occupato, fece dietrofront senza preoccuparsi di risultare maleducato, e si diresse verso il limitare della giungla. Si fermò a pochi passi dalla folta foresta, in contemplazione.
«Ha soltanto una storia difficile dietro le spalle, Tank.» le disse. Negli anni aveva cercato di insegnarle quante più lezioni di vita possibili, e la più importante era proprio quella di non giudicare le persone dal primo impatto. Lei, per esempio, non l’aveva fatto. Aveva letto il suo fascicolo, ascoltato Steve, analizzato i suoi comportamenti e i suoi modi di fare, ma, a parte un giudizio come combattente, non si era lasciata andare ad altri pensieri su di lui. Non lo conosceva, perciò non aveva il diritto di giudicarlo.
«Lo so. Ma mi fa paura comunque.»
James Barnes indossava una semplice maglietta bianca a maniche corte, un paio di pantaloni larghi di un verde spento e stivali pesanti. Era vestito esattamente come lei e come molti altri lì dentro, eppure era completamente diverso da tutti loro.
Da sotto l’orlo della manica della maglietta, la protesi in metallo del suo braccio sinistro spiccava tra il fogliame degli alberi. Avesse avuto anche lei 9 anni, Kamila avrebbe avuto paura.
«Ti ricordo che hai una sorella che spara ghiaccio, perciò sei l’ultima persona che può avere paura qui.»
Tanka scoppiò in una fragorosa risata mentre con l’elastico fissava la lunga treccia.
James Barnes venne attirato da quel gran trambusto. Si voltò con il capo verso le due ragazze. Nonostante fosse parecchio lontano, Kamila riusciva a vedere i suoi occhi azzurri come il ghiaccio puntati su di lei. S’irrigidì e perse il sorriso.
«Torniamo dentro.» prese Tanka per mano e insieme rientrarono nel rifugio di 6 piani.
Non era stata una reazione dettata da un pregiudizio: ma Kamila era cresciuta con la diffidenza impiantata nelle ossa.
 
*
 
Kamila continuò a rigirarsi e rigirarsi nel letto, incapace di trovare una posizione abbastanza comoda per potersi addormentare. Si guardò in giro, cercando di figurarsi gli oggetti della sua camera racchiusa nel buio. Vide la sagoma della sedia, dell’armadio, degli scaffali, dei suoi libri e dei vestiti per il giorno dopo ma nonostante avesse tutto completamente sotto controllo, non riuscì a distendere i nervi.
Accese la luce e si alzò dal letto. Sua sorella dormiva nella camera accanto: non aveva mai avuto problemi di insonnia o paura del buio, per questo aveva una camera tutta per sé.
Kamila indossò la sua vestaglia da notte in seta e, a piedi scalzi, uscì da camera sua. Gli alloggi erano posti al penultimo piano dell’edificio, così come la mensa e la cucina in comune. Passò davanti a qualche guardia notturna che le fece un cenno di saluto prima di tornare a concentrarsi sul proprio lavoro.
Kamila aprì la porta della cucina e rimase sorpresa di trovare la luce già accesa.
Seduto su uno sgabello vicino al bancone, scorse una figura china sulla superficie in marmo. Non appena si accorse del rumore, la figura che si rivelò essere quella di un uomo, si alzò di scatto stringendo con forza i pugni in una posizione di difesa.
Kamila scrollò le spalle. «A riposo.» mormorò, dirigendosi passivamente verso i fornelli.
Mentre si muoveva stancamente tra i mobili della cucina, sentiva gli occhi di James Barnes addosso. Non poteva biasimarlo, anche Kamila ogni qualvolta ne avesse avuto  la possibilità non perdeva mai occasione di studiare le persone che le stavano attorno.
«Vuoi del tè?» chiese per cortesia. «E’ ottimo per chi ha problemi di insonnia.»
Rendendosi conto che lui non aveva ancora aperto bocca, Kamila si girò con un sopracciglio alzato.
«Non ti hanno insegnato l’educazione?» mormorò, accigliata.
Il “soldato d’inverno”, che ora era seduto con la schiena retta e gli occhi vigili, scosse la testa. «No grazie.» aggiunse.
Kamila riscaldò l’acqua in un pentolino e una volta calda lasciò cadere la bustina di tè. Prese la tazza e si diresse verso il bancone.
«Posso?» domandò, indicando lo sgabello di fronte all’uomo. Lui annuì semplicemente, mentre con gli occhi non smetteva di fissarla. A Kamila non dava fastidio il suo sguardo insistente. Il suo aspetto fisico aveva destato molta curiosità e parecchie occhiate indiscrete in tutti i suoi 22 anni di vita: ormai ci aveva fatto l’abitudine da non accorgersene neanche più.
Per i primi minuti rimasero in silenzio. Era un silenzio teso, timoroso.
Kamila soffiava lentamente sul tè perché questo si raffreddasse mentre Barnes stringeva ritmicamente i pugni, senza rendersene veramente conto.
«Comunque io sono Kamila.» irruppe lei, alzando gli occhi verso il viso stanco del suo interlocutore. «Mi sembra doveroso che io mi presenti in quanto tu sei l’artefice di questa – si indicò una lunga cicatrice che le attraversava il collo – e di questo.» si toccò il sopracciglio destro, tagliato a metà da un piccolo graffio. Frammenti della dura lotta fra le strade di New York un giovedì di qualche mese prima le riaffiorarono distrattamente nella mente. Ricordava quasi tutto di quella giornata. Ricordava il viso dell’uomo che le stava di fronte in quel momento, allora coperto da una maschera, avvicinarsi verso di lei e colpirla con quel suo arto di metallo, scaraventandola lontano. Ricordava il suo tentativo di rialzarsi per combattere e il colpo finale che l’aveva definitivamente buttata al tappeto. Ricordava ben poco, eppure il suo viso se lo ricordava molto bene.
Barnes non sembrò scosso da quella rivelazione, probabilmente non era la prima volta che qualcuno gli rinfacciava ciò che aveva compiuto con le sue azioni.
Scrollò le spalle e si passò la mano fatta di carne tra i lunghi capelli castani. «Mi dispiace.»
Kamila sentì che le sue scuse erano sentite. Nonostante fosse abituato a sentirsi rinfacciare i suoi errori, era evidente che gli dispiaceva davvero per tutti i crimini che aveva commesso a causa dell’HYDRA.
Kamila abbozzò un sorriso. «Ho innumerevoli cicatrici, due ferite d’arma da fuoco e segni di percosse su tutto il corpo. E tu sei il primo a scusarti per due di queste.» bevve un sorso di tè.
«Accetto le tue scuse, dopotutto mi hai anche salvato la vita.»
Ricordò come lui l’avesse afferrata in tempo prima che un palo le cadesse addosso durante lo scontro contro Iron Man e i suoi alleati, qualche giorno prima.
Lui annuì brevemente. «Io sono...» cominciò deciso, ma poi il dubbio e l’insicurezza pervasero il suo sguardo, obbligandolo ad aggrottare la fronte e ad abbassare il capo.
Chi era lui? Un rinomato assassino e criminale, o una vittima di un sistema più grande e forte di lui? Era ancora il ragazzo di 27 anni che aveva vissuto durante la seconda guerra mondiale o di lui era rimasto solo il suo stupido soprannome?
Kamila lo lesse nel pensiero. Distrattamente, come se nulla fosse, bevve un altro sorso di tè. «Sei James Buchanan Barnes, soprannominato Bucky da quel simpaticone di Steve.» abbozzò un sorriso dietro la tazza del tè.
James prese a giocherellare con le dita. «Si,» annuì, più per convincere se stesso che lei. «Sono James.»
Kamila spostò i lunghi capelli sulla spalla destra e inclinò la testa, osservandolo. «Siamo qui da tre giorni e io non ti ho ancora visto nella stanza degli allenamenti.» constatò.
James stirò le labbra. Parve innervosirsi. I muscoli delle spalle si irrigidirono così come quelli del viso. Gli occhi parvero perdere per un momento colore.
«Non credo… non credo sia il caso.» replicò, cauto.
Kamila non riusciva a capire cos’avesse detto di tanto sconvolgente da causare un drastico cambiamento del suo umore. Non che inizialmente fosse la persona più amichevole e vivace del mondo, ma in quel momento poteva percepire la tensione nell’aria.
«Beh, io credo sia un ottimo modo per sfogarsi. E soprattutto è l’unico passatempo divertente in questo buco dimenticato da Dio.» sorrise per cercare di allentare la tensione. Bucky la fissò senza dire niente, perciò lei riprese a parlare.
«Inoltre, è davvero gratificante riempire di calci il bel faccino di Steve.»
La battuta parve farlo rilassare, persino sorridere. Tuttavia l’uomo si alzò in piedi e le lanciò un’occhiata di congedo.
«E’ meglio che io vada.» disse.
Kamila annuì mestamente. «Buonanotte.»
«Buonanotte.»
Lei lo osservò da dietro la tazza di tè mentre lui si dirigeva lentamente verso la porta. Non era troppo alto, forse gli arrivava alle spalle, ma il suo fisico era possente e capace di incutere la giusta dose di timore.
Kamila bevve un altro sorso di intruglio e chiuse gli occhi: sentì il solito mal di testa fare capolino da chissà dove e lei sapeva già che anche quella notte non avrebbe chiuso occhio.





Buongiorno a tutti! :)
            Allora faccio subito una piccola premessa: non ho mai pubblicato nulla su questo fandom, nè su altri fandom riguardanti film/libri, perciò sono un po' agitata ahahah
            In più non ho mai scritto una fanfiction il cui genere è quello di azione/fantascienza. Spero davvero quindi che non esca una grande stronzata, ma che la mia idea vi possa piacere.
            Allora come avrete ben capito, per tutti quelli che l'hanno già visto, questa ff è ambientata subito dopo Captain America: Civil War. Voglio subito dirvi che io non sono molto brava con i dettagli, le date e le tempistiche, perciò se ci sarà qualche contrapposizione con i vari film non me ne vogliate male.
            Comunque dopo aver visto il film ho deciso di approfondire un po' il personaggio di Bucky di cui, si lo ammetto, mi sono profondamente innamorata ahahah ho 20 anni e sembra che io sia tornata indietro a quando ne avevo 15. Ma a parte questo, il suo personaggio mi attira molto proprio per le sue mille sfumature che spero di cogliere in questa storia.
            Non so più cosa dire, se non che spero davvero che la storia vi piaccia e spero che vi invogli a lasciarmi qualche vostro pensiero!
            Cercherò di aggiornare puntualmente ma non vi garantisco nulla ahahah
            Grazie dell'attenzione e di essere arrivati fino a qui.
            Un bacio,
            clepp


 
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Capitolo 2
*** 2 ***


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(2)


 
Kamila osservava con velato disinteresse l’allenamento fra Wanda e Sam che, con indosso la sua armatura non faceva altro che svolazzare per tutto il salone.
Steve le si avvicinò con passo deciso, avvolto da una maglia attillata e un paio di pantaloni larghi.
«Tanka è la bambina più carina che io conosca.» esordì, sorridendo affettuosamente verso la sorella maggiore, sedendole accanto senza chiederle il permesso.
Kamila roteò gli occhi verso di lui. «Steve, è minorenne.» scherzò lei, conoscendo perfettamente quale sarebbe stata la sua reazione.
Come aveva previsto nella sua testa, il Capitano si voltò di scatto verso di lei con un’espressione oltremodo oltraggiata e offesa. «Ma cosa stai... io non potrei mai pensare che... ma cosa diamine vai a pensare, Kamila Metanova?» replicò scioccato dalla sua stupida insinuazione.
Kamila trattenne una risatina. «Stavo scherzando, Cap. Respira.» mormorò divertita. «Lo so che mia sorella è la bambina più tenera di questo mondo. Dovevi vedere me alla sua età però, erano tutti follemente innamorati, soprattutto della mia capacità di poterli congelare sul posto.» aggiunse sarcasticamente, allungando le gambe dopo averle tenute incrociate per troppo tempo.
«Immagino che tesoro di ragazza che eri. Proprio come adesso, d’altronde.» Steve le colpì scherzosamente la spalla, facendole l’occhiolino.
«Per quanto dovremo stare in questo posto?» chiese poi Kamila, ritornando seria per un momento. Il capitano sospirò rumorosamente.
«Non so darti una risposta, Kam. Ma per quanto ne so, dovremo starci per parecchio tempo. O perlomeno, finchè non ci troveranno. Siamo dei criminali, ricordi?»
Kamila sbuffò. Era una dannata criminale perché aveva fatto la cosa giusta, per se stessa e per il mondo intero. Era costretta a rimanere confinata in quell’enorme blocco di città triste e desolata, lei che non riusciva a rimanere ferma in un posto per più di un giorno intero.
«Beh, se dobbiamo rimanere rinchiusi qua dentro a combattere tra di noi, vorrei almeno confrontarmi con qualcuno al mio livello.» ovviamente, era ironica.
Si era già scontrata con Wanda, così come con il Capitano, ed entrambi erano stati degni avversari. Ma non era mai stata buttata al tappeto dopo neanche un minuto di scontro.
L’incontro diretto con il Soldato d’Inverno l’aveva completamente scombussolata, costringendola persino a ripensare alle sue capacità nel combattimento. Per questo da quando l’aveva incontrato a New York, Kamila non aveva fatto altro che allenarsi tutti i giorni per migliorare sempre di più e per poter confrontarsi con nemici sempre più forti.
Ora che poteva considerare James un “alleato”, era davvero curiosa di scontrarsi con lui nella stanza di addestramento senza alcuna ripercussione. Voleva sapere se lui era ancora in grado di batterla dopo un minuto, oppure se dopo tutto il suo impegno lei era finalmente in grado di sbatterlo al tappeto.
«Intendi Bucky?» replicò Steve mentre osservava concentrato la sostanza rossa che avvolgeva le mani di Wanda. «Non credo che in questo momento sia propenso a battersi con uno di noi, anche solo per svago. La sua mente gli gioca ancora brutti scherzi. Non se la sente di rischiare.»
«Rischiare?» replicò lei, aggrottando le sopracciglia. «Crede davvero di essere così forte da battere tutti noi? Sappiamo difenderci.»
Cap si aprì in un sorrisetto. «Kamila ti conosco. Non farti prendere dalla foga. Sai cosa volevo dire. La mente di Bucky è ancora profondamente compromessa, e tu lo sai. Non ho intenzione di metterlo alla prova. Non ora.»
Kamila sbuffò rumorosamente e si alzò dalla sedia con uno scatto. «Che noia che sei Steve.» puntò l’indice contro il suo petto. «Posso garantirti che entro la fine della settimana riuscirò a convincere il tuo prezioso Bucky a farsi un giro qui dent-»
Kamila venne distratta dal rumore della porta che sbatteva contro la parete. Si voltò di scatto verso l’entrata e scorse James Barnes sull’uscio, incerto se entrare o meno.
«E’ stato più facile di quanto immaginassi.» mormorò sorpresa, girandosi verso Steve per mostrargli il suo sorriso da “te l’avevo detto”.
Il Capitano sembrava sconcertato. Si alzò dalla sedia e si diresse a passo deciso verso l’amico, ancora fermo davanti alla porta.
«Bucky» lo richiamò. «Cosa hai intenzione di fare?» gli chiese con un’espressione sorpresa e allo stesso tempo contrariata.
Il Soldato non rispose subito, bensì si guardò attorno e fece qualche passo in avanti. Kamila li raggiunse.
«Felice di vedere una faccia nuova qui dentro.» gli sorrise, più entusiasta di potersi scontrare con lui che vederlo veramente fare qualcosa.
«Bucky, non sei ancora in grado di controllare le tue azioni. L’hai detto tu proprio ieri.»
James spostò lo sguardo prima dal viso contratto di Steve e successivamente su quello di Kamila. I suoi occhi azzurri indugiarono un po’ troppo a lungo su di lei.
«Mi hanno detto che questo è l’unico modo per sfogarsi qui dentro.» disse semplicemente, come se quella spiegazione bastasse.
Kamila si raccolse i capelli in una coda stretta. Era contenta di aver indossato abiti comodi quella mattina e di aver messo i suoi guanti speciali.
«Sei sicuro di quello che stai per fare?» gli chiese Steve, quasi sussurrando in modo che solo lui potesse sentire.
«Andiamo Cap.» rispose Kamila al suo posto. «E’ una noia mortale qui dentro. Lascia che si diverta.»
Kamila gli fece segno di seguirla e insieme si diressero verso il tappeto circolare posto in mezzo alla stanza. Sam e Wanda si stavano allenando sul secondo punto di incontro, perciò non avevano alcun problema di spazio.
«D’accordo,» esordì lei mentre entrambi si posizionavano all’interno del cerchio. «Cerca di non limitarti. Dopotutto, HYDRA o no, tu rimani un soldato.» gli fece l’occhiolino prima di piegarsi in una posizione di attacco.
Bucky la osservò con intensità, assottigliando gli occhi per vederla meglio. Non si ricordava di aver mai conosciuto una ragazza così in contrasto con se stessa. L’aspetto esteriore, così angelico e delicato, era in netta contrapposizione con il suo animo combattente  e deciso.
«Non esagerate.» esclamò Steve che era tornato a sedersi sulle sedie poste lungo le pareti. «James, Kamila può essere davvero fastidiosa.»
Kamila sorrise.
Bucky non seppe come iniziare. Era abituato a combattere perché doveva farlo e perché glielo imponevano le circostanze, e non perché era lui a decidere di farlo.
Immerso per un momento nei suoi pensieri non si rese conto della lastra di ghiaccio puntata verso il suo volto. Riuscì a schivarla per un pelo, ma sentì la pelle lacerarsi sotto l’occhio. Si toccò la guancia e sentì il sangue colare e sporcargli le dita.
«E’ un graffietto.» mormorò Kamila dall’altra parte del cerchio.
Bucky si fece avanti. Fece per colpirla con il braccio di metallo ma lei riuscì a schizzare dietro di lui e a bloccargli i movimenti con uno spruzzo di ghiaccio. Le mani erano completamente congelate, ma in pochi secondi riuscì a spaccare la lastra e a liberarsi dalla pressa. Fu davanti a lei in due passi: la colpì con il braccio umano che lei riuscì a bloccare con un contraccolpo ben assestato. Cominciarono a combattere a mani nude e Bucky si sorprese di quanta forza avesse quella ragazza.
Kamila aveva avuto ragione: quell’uomo era decisamente l’avversario più forte con cui avesse mai avuto a che fare. Ma lei era più veloce, e decisamente più agile.
All’improvviso riuscì a schivare il pugno di ferro e a scivolare sotto le sue braccia, ritrovandosi dietro di lui. Lo spintonò in avanti facendogli perdere l’equilibrio.
James dovette abbandonare per qualche secondo la sua posizione di attacco per riprendere stabilità, perciò lei ne approfittò per colpirlo con un calcio sulle ginocchia che lo fece andare al tappeto. Bucky colpì la testa con forza contro il pavimento ma le sue doti di Soldato gli permisero di riprendersi in un batter d’occhio.
Ancora a terra, si allungò rapidamente verso le gambe della ragazza e prima che questa riuscisse a spostarsi, lui la tirò giù assieme a lui. Le saltò addosso e le bloccò qualsiasi movimento.
Le afferrò le mani e le tenne alzate sopra la sua testa mentre Kamila cercava disperatamente di liberarsi da quella morsa. La sua mano di metallo le stava stritolando le ossa.
Bucky tenne strette le gambe attorno alla vita della ragazza e cercò di immobilizzare le sue.
Kamila pensò in fretta ad una via d’uscita. Con un colpo di reni colpì con forza le parte intime di Bucky che, inaspettatamente, rimase lì dov’era.
«Sei insensibile al dolore, ora ne sono più che certa.» ironizzò, smettendo finalmente di dimenarsi.
James alzò un sopracciglio. «Non si parla durante un combattimento.» rimarcò accigliato, senza perdere tuttavia il controllo dei loro corpi.
«Sicuro?» domandò lei, sorridendo mestamente. «Peccato, il parlare potrebbe avvantaggiarti molto, se sai sfruttare questa capacità.» capì di avere la sua più totale attenzione, perciò andò avanti. «Il problema è che tu non sei un gran chiacchierone, giusto? A differenza tua, io so come distrarre qualcuno. Non ricordi le parole del Capitano? So essere molto fastidiosa a volte, e questo molto spesso mi aiuta a guadagnare tempo.»
«Tempo per cosa?» mormorò Bucky, ma ormai era troppo tardi. Si rese conto solo in quel momento del blocco di ghiaccio attorno alle sue mani, ora bloccate alle braccia di Kamila. Lei non perse altro tempo e approfittò di quel momento di confusione per colpire nuovamente le parti basse di Bucky. Questa volta sortì l’effetto desiderato, infatti lui mollò di poco la presa alle sue gambe ma questo le bastò per fare leva e invertire le posizioni.
Kamila troneggiava sul corpo possente di Bucky, miseramente buttato a terra da una ragazzina di 21 anni. Le loro braccia e mani erano ancora attaccate, per questo Kamila aveva il viso a due centimetri da quello del Soldato.
Era abituata a stare a contatto con uomini affascinanti, dal gran carisma e dal fisico ben delineato. Non ne era mai stata intimidita più di tanto, perché sapeva di essere al loro stesso livello sia per quanto riguardava il carattere che la prestazione fisica.
Ma in quel momento, premuta contro quel corpo caldo e sudato Kamila si sentì avvampare. Non perse tuttavia il suo autocontrollo.
Bucky sbuffò rumorosamente mentre di sottofondo sentiva le risate di Steve. Si sentiva colpito – annientato – nell’orgoglio. La rabbia cominciò a montargli dentro fino ad annebbiargli la vista.
«Sono il Soldato d’Inverno, ricordi?» mormorò debolmente, ma il suo tono di voce allarmò Kamila che, d’istinto, allontanò la sua faccia da quello dell’uomo, per quanto la loro posizione glielo potesse permettere.
«Bucky!» la voce di Steve arrivò in ritardo.
James aveva già invertito le posizioni e distrutto la lastra di ghiaccio con un colpo secco delle mani. Il vetro andò a infliggere un profondo taglio nel braccio di Kamila, la quale urlò dal dolore e dalla sorpresa. Era avvenuto tutto talmente in fretta che non si era neanche resa conto di essere di nuovo in piedi, il braccio sano a sostenere quello ferito. Prima che lui le venisse addosso come una furia cieca, Kamila vide i suoi occhi cambiare di tonalità. Se prima potevano ricordare le sfumature chiare della ragazza, adesso ricordavano soltanto un paio di pozzi neri.
James la colpì in faccia e il colpo le mozzò il respiro in gola. Cadde per la seconda volta a terra e automaticamente si portò le mani davanti al viso in una posizione di autodifesa.
Ma l’attacco non arrivò.
Kamila aprì gli occhi e vide che Steve e Sam stavano trattenendo il Soldato per le spalle. Lui si stava dimenando con forza, ma era chiaro che si stesse riprendendo, altrimenti si sarebbe liberato di loro in poco tempo.
Kamila era spaventata. Per fortuna, grazie ai suoi anni di esperienza, aveva imparato a controllare la paura durante i combattimenti. Sperava di non doverlo fare anche durante gli allenamenti, ma evidentemente il Capitano aveva ragione: la mente di Bucky era ancora decisamente compromessa.
Si alzò da terra: guardò prima il profondo taglio sul braccio e in seguito i tre uomini che si stavano dirigendo verso l’uscita.
Bucky aveva gli occhi puntati su di lei. Non era in grado di capire se l’espressione sul suo viso fosse di dispiacere per averle fatto male o per non avergliene fatto di più.
 
*
 
Wanda le stava medicando il taglio quando Steve Rogers aprì la porta dell’infermeria con espressione irata. Sam gli era subito dietro.
«Te l’avevo o non te l’avevo detto?» Steve Rogers non urlava mai, nemmeno quando era furioso, ma in quei casi il suo tono pacato esprimeva perfettamente ciò che stava provando.
Kamila, dal canto suo, non aveva nessuna voglia di litigare con lui.
«Non starai insinuando che la colpa sia mia.» ringhiò, fulminandolo con un’occhiata. Si era persino fatta male, e la colpa adesso doveva essere sua?
Steve incrociò le braccia e cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, sospirando rumorosamente ad intervalli regolari.
«Ti avevo avvertito che la sua mente è ancora compromessa, e tu hai comunque cercato di convincerlo!» la puntò con un dito. Kamila conosceva perfettamente il profondo affetto che lo legava a James Barnes. L’aveva letto nei suoi occhi quando lui le aveva raccontato le storie di quando erano dei giovani soldati negli anni ’40. Sapeva che Bucky era stato un amico fedele per il Capitano, ma in quel momento non aveva alcuna intenzione di farsi trattare in quel modo.
Inarcò le sopracciglia e quel gesto le causò una fitta al volto: proprio sotto l’occhio destro un livido bluastro stava cominciando a prendere forma.
«La colpa non è mia, Steve. E tu lo sai benissimo! La mente di James può giocargli ancora brutti scherzi, ma quando è entrato in quella stanza era perfettamente cosciente di ciò che stava per fare. Nessuno l’ha costretto con una pistola puntata alla testa, men che meno io.»
Si sfidarono per un momento in un gioco di sguardi. Kamila non aveva intenzione di cedere, soprattutto perché sapeva di non essere nel torto. Certo, sapeva perfettamente di essere stata lei ad aver innescato una scintilla di desiderio nella mente di Bucky la sera prima, ma non era stata lei ad obbligarlo ad entrare in quella stanza.
«Sta di fatto,» riprese il Capitano, questa volta con un tono meno accusatorio. «Che Bucky si sente in colpa per ciò che ha fatto.»
Kamila roteò gli occhi: «Si certo.»
«Tu non lo conosci, Kamila. Non lo conoscevi prima e non lo conosci adesso. Delle persone hanno ucciso il mio migliore amico sostituendolo con un vero e proprio omicida. Insieme stiamo cercando di uscirne fuori, e lui ora conosce il peso delle sue azioni.»
Kamila spostò lo sguardo dal viso del Capitano alla parete alla loro destra. Quell’uomo aveva la capacità di farla sentire piccola come un insetto con una sola frase. 
Era vero, lei conosceva la storia di Bucky, ma non sapeva cosa significava viverci davvero dentro, essere torturati e costretti a compiere delle azioni malvagie senza avere la possibilità di potersi opporre. Sbuffò rumorosamente. Wanda finì di fissare gli ultimi punti di sutura.
«Ecco fatto, nuova di pacca. Nessuno lo noterà più tra qualche settimana.» stava mentendo e lo sapevano tutti. Kamila aveva subito ferite meno serie di quella che erano ancora fisse sul suo corpo, ma non le importava. In quel momento voleva soltanto rimanere sola a pensare.
«Ti chiedo...» cominciò Steve con più calma, cercando il suo sguardo, come se la compassione avesse preso il posto della rabbia. «Ti chiedo di andare a parlargli, e fargli capire che lui non ha colpe e che non hai nulla contro di lui. Lui non farà mai il primo passo e il senso di colpa finirà per logorarlo.» Steve la stava pregando di fare qualcosa che lei non era propensa a fare con così tanta facilità. Il suo senso dell’orgoglio era troppo forte.
«Le stai chiedendo l’impossibile.» scherzò Sam che conosceva benissimo il carattere della bionda.
«Ci penserò.» replicò lei, rimettendosi la felpa facendo attenzione a non prendere dentro i punti.
Steve la pregò con lo sguardo.
«Pensaci.»
E uscì dalla stanza.





Buongiorno a tutti! 
Allora, prima di tutto vorrei subito ringraziare tutte le persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite / preferite / ricordate e anche la persona che ha recensito il mio primissimo capitolo. Siete stati davvero molto gentili, e soprattutto, mi avete reso felicissima! Sinceramente non pensavo che la storia potesse suscitare molto interesse e sono stata felice di essermi sbagliata!
Comunque, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento ahaha io mi sono divertita molto a scriverlo, forse perchè è la prima interazione importante fra Bucky e Kamila. Lascio a voi i commenti!
Io ripeto che non sono una che sta molto attenta ai dettagli e alle tempistiche, perciò se ci sono alcune differenze con i film non odiatemi ahahah
Detto questo, vi lascio andare :))
Nel prossimo capitolo, che ho quasi già finito di scrivere, ci sarà un passo importante. 
Una buona giornata a tutti!
un bacio,
clepp



 
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Capitolo 3
*** 3 ***


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(3)

 
Erano passati cinque giorni da quello sfortunato pomeriggio nella stanza degli allenamentiKamila non aveva parlato quasi con nessuno, fatta eccezione per sua sorella Tanka e per la sua, se così poteva definirla, amica Wanda. Aveva deliberatamente evitato il Capitano, T’Challa, Sam e chiunque altro potesse starle con il fiato sul collo.
James Barnes non si vedeva più da tempo ormai. Aveva sentito dire da una delle guardie che usciva dai suoi alloggi soltanto per andare a mangiare, e comunque solo ed esclusivamente fuori dall’orario dei pasti comuni.
Kamila non aveva ancora deciso che cosa fare e sinceramente non aveva voglia di sprecare più di tante energie in quella faccenda. Con il passare dei giorni aveva riflettuto su ciò che era successo e su quanto potesse essere difficile la vita di Bucky in quel momento: al confine tra la disperazione e la sopravvivenza, tra il suo io passato e il suo io attuale.
«Io mi annoio Kamila!» la voce di sua sorella la riportò indietro nella realtà. Kamila le sorrise teneramente e la invitò a sedersi sul suo letto, accanto a lei.
«Lo so, Tank, ma come ben sai non c’è molto da fare in questo posto per una bambina di nove anni.» le scompigliò giocosamente i capelli, cercando di infonderle un po’ di vivacità.
La bambina sospirò rumorosamente e guardò in giro per la stanza, alla ricerca di qualche passatempo.
«Ho già fatto tutti i compiti della maestra. Non so cos’altro fare!» esclamò alzando le mani al cielo in un gesto molto teatrale che per un momento le ricordò il Capitano. Trattenne una risatina e prese un libro dal comodino.
«Potresti leggere qualcosa. Così ti alleni.» le passò un suo libro ma si rese conto che per lei poteva risultare troppo difficile. In effetti, sua sorella aveva ragione. Era davvero dura trovare qualcosa da fare lì dentro. Lei in qualche modo riusciva a passare il tempo tra allenamenti e riunioni, ma si rendeva conto che per Tanka era diverso. Si sentì ancora di più in colpa.
«Vorrei giocare a qualcosa.» continuò la minore, «per esempio ad acchiappar ella, o a nascondino!» esclamò, d’un tratto entusiasta.
Kamila sospirò: quello non era esattamente un posto dove giocare ad acchiaperlla o a nascondino, ma non poteva dirle di no per la millesima volta.
«D’accordo. Giochiamo a nascondino, ma solo una partita. E soprattutto non dobbiamo essere di intralcio a nessuno, altrimenti Steve ci butterà fuori a calci.» la guardò con sguardo serio per farle capire che non c’era da scherzare. «Rimaniamo su questo piano. Tanto è abbastanza grande da poterci nascondere un centinaio di persone tranquillamente.»
Tanka saltò giù dal letto, felice di poter finalmente occupare il suo tempo. «Conto io!» esclamò dirigendosi verso il muro e appoggiandovisi la testa. Cominciò a contare.
Kamila alzò gli occhi al cielo, ma anche lei in fondo in fondo era felice di poter passare un po’ di tempo a giocare con la sorella. Nell’ultimo periodo era stata completamente assorbita dal suo lavoro e, senza volerlo, l’aveva trascurata.
Uscì dalla stanza e fece un breve percorso mentale per identificare le varie stanze in quel piano: c’erano gli alloggi della squadra e del personale, la cucina, la mensa, i bagni comuni, le sale di svago, una biblioteca e la sala per le riunioni speciali.
Kamila svoltò a destra e proseguì lungo il corridoio degli alloggi. Le numerose porte erano contrassegnate dal nome e dal cognome dei diversi proprietari.
Girò nuovamente a destra: quel posto era davvero infinito. Continuò a camminare velocemente, alla ricerca di qualche porta aperta di qualche sgabuzzino dove avrebbe potuto intrufolar visi dentro. Era sicura di conoscere la sorella. Non avrebbe mai guardato come primo posto l’area degli alloggi, ma uscita dalla sua stanza sarebbe subito corsa verso la biblioteca o la mensa dove conosceva molto bene i posti più nascosti.
Kamila scorse una porta socchiusa e si avvicinò per aprirla. Non appena fu davanti tuttavia lesse il cartellino che identificava la porta come la camera di James Barnes. Si bloccò all’istante.
Dalla stanza provenivano delle voci concitate. Quella di Steve, capì, era forzatamente bassa.
«…on puoi pensare che io te lo lasci fare. La tua mente è ancora compromessa, ma sbagli a credere che questa sia la decisione giusta da prendere.» Kamila dovette avvicinarsi di qualche passo per sentire meglio la conversazione. Non avrebbe voluto farlo, ma la curiosità ebbe la meglio su di lei.
«E’ proprio ciò che voglio fare, invece. Non... non siete al sicuro con me qui dentro.» dal piccolo spiraglio aperto Kamila riusciva a scrutare James seduto di spalle sul letto. Il capo era chino e le spalle ricurve, come se dovesse sopportare il peso di chissà quale responsabilità.
«E’ per quello che è successo l’altro pomeriggio con Kamila?» replicò Steve, la cui voce si era alzata di qualche tono. «Se è per quello, non ti devi preoccupare. Ho parlato con Kamila e ti posso assicurare che non ha nulla contro di te, anzi, è persino convinta a venirti a parlare...» il tono delle sue parole risultava falso persino da lì fuori. Kamila si morse un labbro.
«Sono passati più di cinque giorni ormai. Non credo che lei voglia venire a parlarmi.» la voce di Bucky non tradiva alcuna emozione, eppure lei sentiva la delusione trasparire tra le righe. «E comunque, non è per questo che ho preso questa decisione.»
Kamila voleva sapere di quale decisione stessero parlando. Bucky voleva forse andarsene da lì? Sparire? Non capiva. Tutto per colpa sua?
«Continuo a pensare che tu stia sbagliando.» riprese il Capitano. «Ci sono altre soluzioni. Posso aiutarti a ricordare chi eri. Posso aiutarti a ritornare la persona che eri prima degli esperimenti. Devi solo avere pazienza e impegnarti. Non sarà facile, certo, ma-»
Bucky lo interruppe alzandosi di scatto in piedi. «Pensi che io non voglia tornare ad essere quella persona? Lo voglio più di ogni altra cosa, anche se non ricordo nulla di com’ero prima di tutto questo.» la sua voce era intensa, profonda e carica di rabbia repressa. «Ci vorrà tempo, non è così? E hai idea di quanti danni potrei causare nell’arco di questo tempo? Non ci hai pensato?»
Kamila non aveva mai sentito parlare James così tanto. Era la conversazione più lunga che gli avesse mai visto sostenere, e soprattutto quella più carica di sentimento. Per la prima volta lo vide provare qualcosa: non sapeva bene cosa, ma era già un grande passo avanti.
«E pensi che prendere la decisione di congelarsi possa risolvere tutti i tuoi problemi?»
Quelle parole la colpirono come acqua ghiacciata. Bucky voleva tornare dentro ad una macchina congelatrice a causa di quello che era successo qualche giorno prima?
Tutto ciò non aveva alcun senso. Kamila dovette appoggiarsi allo stipite della porta. Si sentiva terribilmente in colpa adesso, più di quanto l’avesse fatta sentire Steve con le sue parole il pomeriggio dopo l’incidente. 
Non era sua intenzione causare tutto quel trambusto. Non era stata colpa sua, accidenti! Non pensava di certo che l’invito a partecipare ad un addestramento potesse portare a conseguenze così drastiche.
Sentiva l’impulso di irrompere nella stanza e fermare tutta quella situazione, ma non voleva far sapere loro  che per tutto quel tempo aveva origliato questioni private.
Strinse i pugni.
«Si, credo che sia la decisione più giusta per tutti.» e con questo, Bucky decretò la fine della discussione. Kamila sentì Steve sbuffare. Sapeva quanto quella situazione lo stesse facendo sentire male. Bucky era il suo migliore amico, e Kamila sapeva che dopo averlo avuto lontano per tutto quel tempo non aveva intenzione di lasciarlo di nuovo.
«Almeno, pensaci.» detto questo il Capitano si diresse verso la porta.
Kamila fece appena in tempo a girare l’angolo e a nascondersi. Passò qualche minuto prima che lei decidesse di ritornare sui suoi passi. Appena svoltò di nuovo, andò a sbattere contro qualcuno.
Bucky era di fronte a lei, impassibile, come se si trovasse lì, proprio davanti a lei, per un ragione ben precisa. Kamila irrigidì i muscoli.
«Scusami, non ti avevo visto.» gli disse, cercando di abbozzare un sorriso di circostanza.
James la guardò fissa negli occhi. Per un momento Kamila temette che la stesse accusando in qualche modo di qualcosa. E aveva ragione.
«Pensi davvero che io non ti abbia sentita fuori dalla porta?» la sua voce era infastidita. Tutto nella postura stava ad indicare che era molto contrariato.
Kamila incrociò le braccia in una posizione di autodifesa. «Volevi che io sentissi, allora.» replicò, alzando un sopracciglio.
Se l’aveva sentita, perché non si era alzato e non l’ aveva mandata via a calci, invece di portare avanti la conversazione con il Capitano, come se nulla fosse?
Bucky assottigliò le palpebre.
«No.»
«Allora dovevi tapparti la bocca.» sbottò lei, sorpassandolo rapidamente. Bucky le afferrò il polso con la mano umana e la obbligò a fermarsi. Kamila si voltò verso di lui intimandogli di lasciare la presa. Lui non lo fece.
«Hai voluto che io sentissi la tua decisione definitiva in modo tale da farmi sentire in colpa? E forse, da spingermi a venire a parlarti. Non è così? In questo modo avresti potuto lavare la tua bella coscienza da ogni senso di colpa e decidere di non congelare più il tuo bel corpicino e la tua mente malata.» non era quella la direzione che voleva dare alla conversazione, ma Kamila era troppo impulsiva e troppo  diffidente per potersi regolare.
Bucky non fece una piega. Il suo volto non tradiva alcuna emozione. Rimase a fissarla con le palpebre assottigliate e un’espressione concentrata. Lei stava cominciando a perdere la pazienza.
«Lasciami.» ringhiò, strattonando il polso ancora stretto nella sua presa. «Impara a parlare in maniera civile con qualcuno prima di poter pretendere qualcosa dagli altri.»
Come aveva fatto durante il loro ultimo allenamento insieme, Kamila afferrò con la mano il polso di James e con una leggera pressione cominciò a congelarlo. Lui oppose resistenza, guardandola con due occhi testardi e carichi di decisione.
«Giuro che te lo spezzo.» rincarò lei.
James strinse i denti perché la pressione sul braccio stava diventando insopportabile persino per un super soldato come lui. Alla fine, mollò la presa sul polso di Kamila e lei fece lo stesso.
«Io non sono una delle tue stupide “obiettivi” che puoi trattare come diavolo ti pare.» si stava sforzando di mantenere la calma e la voce ad un livello civile, ma in quel momento le risultava particolarmente difficile. «Se ancora non ti ricordi come vanno trattate le persone che cercano di essere gentili con te, allora ti consiglio di seguire il tuo istinto e portare il tuo culo dentro una di quelle camere di ghiaccio.»
James sentì la rabbia montargli dentro assieme ad altri sentimenti contrastanti: amarezza, delusione e vergogna di se stesso, ma soprattutto, paura di non essere più in grado di tornare quello di una volta. Stava per replicare e dare così via ad un’ennesima discussione, quando una voce lo fermò da qualsiasi intenzione.
«Trovata!» una bambina dai lunghi capelli biondi e dagli occhi blu si stava avvicinando verso di loro e Bucky notò subito la somiglianza tra lei e la ragazza che le stava di fronte.
«Tanka,» sospirò Kamila, piegandosi allo stesso livello della bambina. «Scusami, non mi sono nascosta molto bene.» le accarezzò i capelli e le diede un buffetto sulla guancia mentre lei le regalava un sorriso contento.
«Non preoccuparti, Kamila. Mi sono divertita lo stesso a cercarti.» mentre l’abbracciava Kamila si tirò in piedi, tenendo la sorella in braccio. Tanka parve accorgersi solo in quel momento della presenza di qualcun altro in quel corridoio e quando capì chi fosse i suoi muscoli si irrigidirono.
«Ciao.»mormorò timidamente ma Kamila non diede il tempo a James di rispondere. Con un’ultima occhiata al Soldato, si voltò e si diresse a passo deciso verso la fine del corridoio.
Bucky rimase fermo dov’era, incapace di muoversi. Aveva osservato la scena con una strana sensazione impressa dentro di lui. Era quella la normalità? Era quello il significato di famiglia?
Era quello, quindi, tutto quello che durante gli anni si era perso?
Nel profondo, conosceva la risposta. E conosceva anche la soluzione a tutte quelle sofferenze.
 
*
 
Kamila non avrebbe voluto discutere con lui in quel modo. Sfortunatamente, lei si rendeva conto dei suoi errori troppo tardi. Non era una persona che saltava a conclusioni affrettate, ma era una di quelle che si faceva prendere troppo spesso dalla sua natura impulsiva. Per quel motivo, poteva considerarsi un controsenso vivente.
Nemmeno quella volta era riuscita a mettere da parte l’orgoglio e la sua testardaggine per potersi scusare con il Soldato e fargli capire che lui non era il colpevole. Lo aveva aggredito accusandolo di non essere in grado di affrontare una conversazione in maniera civile, ma lei cos’aveva fatto?
Perlomeno lui aveva una scusante, ovvero quella di essere stato vittima di un lavaggio di cervello durato anni e anni. Lei invece era solo una ragazzina arrogante che non sapeva chiudere la bocca e farsi gli affaracci suoi.
«Agente Kamila Metanova.» dichiarò all’uomo seduto dietro al vetro che stava sfogliando distrattamente una rivista. Le lanciò un’occhiata annoiata prima di schiacciare un pulsante sulla sua tastiera e aprire la porta dell’archivio.
Kamila entrò nella stanza e venne sommersa dalle dozzine di scaffali contenenti tutte le informazioni di cui aveva bisogno.
Prese a muoversi all’interno della camera, tra la miriade di scartoffie che la riempivano fino al soffitto. Raggiunse lo scaffale nominato con una grossa B e si mise a cercare il fascicolo di James Barnes: aveva bisogno di leggere ancora una volta la sua storia, di modo tale da potersi convincere che quella in torto in realtà era lei.
Lo trovò. Si sedette per terra e cominciò a sfogliare il numeroso plico di fogli e documenti.
In testa, c’era una foto in bianco e nero del Soldato, prima di quella famosa caduta dal treno e del conseguente periodo all’HYDRA. La divisa militare era l’unica cosa che poteva collegarlo allo stesso James Barnes che in quel momento si trovava in quell’edificio. Kamila notò immediatamente la differenza fra il Bucky di quella foto e il Soldato con cui aveva discusso quella mattina.
Nella foto i capelli erano più corti e coperti da un berretto militare. L’espressione fiera e quasi ammiccante era completamente diversa da quella totalmente inespressiva del Soldato d’Inverno.
Era come se in tutti quegli anni lui avesse perso la capacità di provare emozioni al di fuori dell’apatia. Kamila si rattristò. Lei non poteva immaginare come sarebbe stata la sua vita se qualcuno avesse oppresso il suo modo di essere. La sua tenacia, la sua arroganza e caparbietà erano parte di lei, non poteva pensare che qualcuno un giorno avrebbe potuto portasi via tutto.
Si chiese che tipo di persona fosse Bucky prima di tutto ciò. A giudicare dalla foto, doveva essere un tipo furbo, spiritoso, divertente e parecchio popolare tra le donne.
Erano la stessa persona, ma allo stesso tempo era chiaro che in realtà erano due persone ben diverse.
Lesse i documenti, gli articoli di giornale, i racconti e le testimonianze... James Barnes era stato vittima di numerosi esperimenti. Gli avevano rubato la sua identità, strappandogli ciò che lo rendeva Bucky e impiantandogli nel corpo le fattezze di un assassino. Tutto ciò, contro la sua volontà.
Kamila si sentiva in colpa per averlo fatto sentire un mostro. Si rendeva conto che in realtà lui non aveva idea di come comportarsi ora che era libero di poter controllare le proprie azioni.
Avrebbe voluto aiutarlo, ma era chiaro che non poteva fare molto dato che non era in grado di fargli ricordare chi fosse il vero Bucky.
Tuttavia, poteva comunque fare qualcosa.
Controllò l’ora sull’orologio da polso e, una volta in piedi, risistemò il fascicolo sullo scaffale. A passo deciso corse fuori, diretta verso il secondo piano: sperava solo di arrivare in tempo.
 
*
 
L’orologio sulla parete segnava le 10.39 di sera. Bucky era seduto sulla barella nel laboratorio al terzo piano. Tutto era tranquillo.
Steve era in piedi accanto a lui, vicino alla finestra in vetro che rifletteva la luce della luna. Sam era in fondo alla stanza, semicoperto da un grosso aggeggio in acciaio che occupava il centro della camera. Intento a smanettare con i pulsanti di un computer c’era l’uomo che l’avrebbe richiuso in una di quelle capsule che l’avevano accompagnato in tutti quegli anni.
James si passò una mano tra i lunghi capelli castani, facendola ricadere sulle sue ginocchia, inerme.
Non era sicuro di ciò che stava per fare ora che mancava così poco. Non era più circondato da persone che volevano usarlo per scopi militari, bensì da persone che, a detta loro, volevano soltanto aiutarlo.
Eppure lui non si sentiva a suo agio in quel posto così grande ma anche così isolato. Se avesse perso di nuovo il controllo, che cosa sarebbe successo? Chi avrebbe colpito quella volta?
«Te lo chiederò un’ultima volta, Bucky.» la voce perentoria di Steve spezzò quel silenzio assordante. «Sei sicuro di quello che stai per fare?»
James si tirò su dalla barella e si mise in piedi. Guardò Steve, Sam e poi la capsula.
Annuì soltanto, incapace di trovare le parole giuste per esprimere ciò che stava provando. Perché lui stava provando qualcosa. Non era in grado di definire bene cosa fosse, ma era perfettamente cosciente di quel macigno enorme bloccato nel suo stomaco.
«Ci sono altre alternative...» ricominciò Steve per l’ennesima volta ma lo sguardo dell’amico gli fece cambiare idea. «D’accordo. Dottor Mendes, proceda pure.» il Capitano si appoggiò alla finestra e mantenne lo sguardo fisso verso una macchia del pavimento.
Bucky lanciò un’ultima occhiata all’amico e a Sam, poi seguì le indicazioni del Dottore e si andò a posizionare all’interno della macchina. Lo spazio era ristretto. Riusciva a malapena a muovere gli arti ma doveva ammettere che era stato abituato a situazione ben peggiori.
Nel momento in cui la porta si chiuse, ghiaccio secco cominciò a fuoriuscire dai molteplici tubi all’interno della capsula. Bucky sentì i muscoli  irrigidirsi mentre lentamente  cominciava a perdere sensibilità alle estremità degli arti.
Non era in grado di capire quanto tempo stesse passando, ma era quasi sicuro che fosse passata solo una manciata di minuti quando cominciò a sentirsi stranamente rintontito.
Stava per perdere completamente coscienza, quando delle voci lontane si sprigionarono nel suo campo uditivo. Erano distanti e attutite, ma erano chiaramente delle voci umane.
Bucky spalancò gli occhi come se qualcosa lo avesse colpito di soprassalto durante il sonno. L’uscio della capsula era aperto e il ghiaccio si stava dissolvendo.
Sbatté le palpebre con forza, completamente disorientato. Di fronte a lui il viso di una ragazza gli si stagliò davanti. I lunghi capelli biondi gli ricordarono Kamila.
Era Kamila.





Buonasera a tutti!
Non posso credere a quanto io sia puntuale nell'aggiornare ahahah forse perchè i primi tre capitoli erano già scritti, mentre da adesso in poi non ho ancora nulla di pronto perciò molto probabilmente dopo questo dovrete aspettare un po' :(
Comunque, non ho molto da dire. Volevo ringraziare di cuore tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Ogni giorno siete sempre di più e sono davvero contentissima! 
Volevo anche ringraziare la persona che ha recensito i primi due capitoli, sei stata davvero gentilissima!
In questo capitolo le cose cominciano a muoversi un pochino per i nostri due protagonisti.  Cominciano ad uscire i lati dei rispettivi caratteri, e spero davvero di riuscire a definirli al meglio nel corso della storia. Cosa ne pensate della decisione di Bucky di congelarsi? e di quella di Kamila di aiutarlo?
Farò di tutto per non cadere nel clichè. 
Grazie ancora a tutti, vi chiedo genitlmente di lasciarmi un vostro pensiero, se vi va ovviamente :) sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate!
un bacio,
clepp



 
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Capitolo 4
*** 4 ***


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(4)


 
Kamila afferrò le braccia di Bucky e prese ad assorbire il ghiaccio che aveva cominciato a congelare il suo corpo. Fortunatamente aveva fatto in fretta a risalire dall’archivio fino al laboratorio, grazie alle scorciatoie che aveva scoperto i primi giorni in quel posto, perciò ci mise solo qualche secondo a scongelare il Soldato.
Bucky tossì con forza mentre le sue gambe cedevano a causa dell’improvviso cambiamento di temperatura. L’impatto delle sue ginocchia contro il pavimento lo fece gemere con forza.
Kamila ignorò le intimidazioni del Dottor Mendes e aiutò James a mettersi seduto mentre Steve, ripresosi dalla sorpresa iniziale, cercava di collegare i mille pensieri che gli giravano in testa.
«Signorina Metanova tutto questo è oltraggioso! Il paziente potrebbe riportare grav-»
«Zitto,» sbottò la ragazza, voltandosi di scatto verso l’uomo in camice che non aveva fatto altro che urlarle addosso dal momento in cui aveva varcato la porta del laboratorio. «Crede di conoscere meglio di me le controindicazioni di un corpo congelato?» lo guardò con un’espressione tra l’indignato e lo strafottente, incapace di mantenere la calma di fronte a quell’uomo.
Il Dottore sbuffò rumorosamente e si rivolse al Capitano. «Lei è d’accordo?» gli chiese nella speranza di trovare supporto, ma Steve si era riscosso dal suo stato catatonico iniziale e si era velocemente avvicinato al suo amico, sollevato di rivederlo fuori da quell’aggeggio infernale.
«Qualunque cosa questa donna stia facendo, sono d’accordo.» replicò, guardando prima Kamila e poi l’uomo in camice. Quest’ultimo parve colpito da quella risposta e senza aggiungere altro uscì dal laboratorio.
Bucky appoggiò il braccio di metallo sul bordo della brandina mentre con l’altro si teneva lo stomaco. La testa gli girava vorticosamente perciò fu costretto a chiudere gli occhi e strizzare con forza le palpebre. Sentì un tocco delicato poggiarsi sulle sue spalle e d’istinto il suo corpo si ritrasse bruscamente.
«James...» la voce di Kamila era quasi un sussurro lontano che gli entrò dentro come una lama nel cuore. «James tra pochi secondi starai meglio.» lo rassicurò e per la seconda volta posò le sue mani sopra le spalle di Bucky. Questa volta, lui non si mosse.
«Bucky,» intervenne Steve. «Te l’avevo detto di non farlo.» scherzò amichevolmente.
Il Soldato respirò affannosamente per qualche secondo, prima di riuscire a riprendere il controllo dei suoi polmoni. Prese qualche profondo respiro e incanalò quanta aria possibile.
Aprì gli occhi. Le luci al neon lo colpirono in pieno ma perlomeno il giramento di testa era svanito quasi completamente. Il viso naturale e genuino di Kamila era di fronte a lui, troppo vicino per potergli dare la possibilità di concentrarsi su ciò che lei gli stava dicendo.
«James, mi stai ascoltando?» lo riprese lei, sventolandogli una mano davanti alla faccia. Lui annuì debolmente e abbassò lo sguardo sulle sue gambe.
«Bene,» gli sorrise. «Ti ho chiesto se posso parlarti.»
James aggrottò la fronte: l’aveva appena tirato fuori da una capsula di ghiaccio scongelando il suo corpo senza alcun problema e adesso gli stava chiedendo il permesso di parlare?
Lui annuì di nuovo, incapace di trovare la voce per rispondere.
«Io e Sam usciamo un attimo, allora.» Steve sorrise ad entrambi, la sua felicità e il riconoscimento nei confronti di Kamila erano evidenti. Quando le passò accanto per dirigersi verso l’uscita le strinse affettuosamente il braccio.
Rimasero da soli e in silenzio. Kamila prese uno sgabello e lo posizionò esattamente di fronte al Soldato, seduto scompostamente sulla barella. Lei lo osservò per qualche secondo prima di schiarirsi la voce e cominciare a parlare.
«A quanto pare ho scombussolato i tuoi piani,» esordì, incrociando le braccia al petto. «Spero che non ti arrabbierai con me per questo.» continuò abbozzando un sorriso.
James alzò finalmente lo sguardo e puntò i suoi due occhi azzurri in quelli altrettanto chiari di Kamila. Scosse la testa per farle capire che non era arrabbiato con lei e che poteva andare avanti. Per la prima volta dopo tanto tempo provava curiosità e interesse nei confronti di qualcosa, o meglio, qualcuno. Si chiedeva per quale motivo si fosse data tanta pena per tirarlo fuori da lì. Si stupiva anche di non aver provato altro che sollievo quando aveva aperto quella porta invece di rabbia o rancore nei suoi confronti per non aver rispettato il suo volere. Forse, Steve aveva ragione e quella non era stata la decisione giusta per lui.
«Inizio col dirti che non mi scuserò con te per averti tirato fuori da lì perché, detto da una che il ghiaccio lo crea, è stata l’idea peggiore che tu abbia mai avuto da quando ti conosco.» ironizzò sul fatto che loro due si conoscevano soltanto da uno o due mesi e per di più non avevano mai avuto chissà quali scambi di idee durante tutto il periodo. «Credo che tu sia un idiota e un codardo per aver preso questa decisione.»
James assottigliò le palpebre. «Mi hai tirato fuori per insultarmi?» aggrottò la fronte mentre la voce gli usciva fuori più roca di quanto pensasse. Kamila sospirò rumorosamente e roteò gli occhi. «Beh,» mormorò «sono contenta di vedere che sei ancora in grado di ironizzare. Ma comunque, no. Ti ho tirato fuori per parlarti, come ti ho già fatto notare.» Kamila si alzò di scatto incapace di rimanere ferma anche solo qualche minuto. Cominciò a girare intorno alla stanza e a giocherellare con i vari aggeggi del Dottore, sotto lo sguardo attento del Soldato.
Al momento giusto, prese a parlare. «Sai il fatto che tu non sia infuriato con me per averti tirato fuori mi dice già tutto quello che voglio sapere.» gli lanciò un’occhiata fugace prima di ricominciare a girare per la stanza. «Ho letto il tuo fascicolo poco fa e ho cercato di capire cosa tu possa aver provato, o cosa tu stia provando, per colpa dell’HYDRA.» Kamila stava cercando di trovare le giuste parole per esprimere ciò che voleva fargli capire.
Bucky sentì i muscoli della schiena contrarsi e il suo animo diffidente cominciò a farsi spazio nel suo inconscio.
«Ho cercato di capire le tue sofferenze e ho cercato di immaginare la mia vita senza tutto ciò che loro ti hanno tolto.» Kamila si fermò a pochi passi dalla capsula dove la porta ancora aperta lasciava fuoriuscire un’aria fredda. Rabbrividì, ma non per la temperatura. «E ci sono riuscita... o perlomeno, ci sono quasi riuscita. Sai, io e te abbiamo una storia abbastanza simile ma ciò che ci contraddistingue è che io ho sempre avuto qualcuno che mi ama e che amo, mentre tu... eri da solo.»
James ascoltava attentamente il discorso che la ragazza le stava facendo, cercando di comprendere dove volesse andare a parare, percependo i suoi movimenti lenti intorno alla stanza, il suo toccare qualsiasi cosa, il suo curiosare e il suo tono pacato e caldo.
«E credo che sia stato questo pensiero a convincermi a fare questo, a venirti a parlare. A fermare ciò che stavi facendo.»
James sentì una punta di commiserazione nella voce della ragazza e la sua mascella si incrinò: detestava fare pena alle persone per ciò che aveva dovuto affrontare e per ciò che ancora stava affrontando, ma in quel momento per la prima volta si rese conto che era quasi confortante trovare qualcuno che lo capisse e che lo trattasse in quel modo così… umano.
«Quello che sto cercando di dirti è che non avrei dovuto giudicarti come ho fatto e trattarti in quel modo, soprattutto inducendoti a entrare qui dentro.» indicò la macchina infernale. «Credo di essermi arrabbiata tanto con te proprio perché in un certo senso mi ricordi molto... la mia vita passata e questo mi spaventa. Ma allo stesso tempo mi obbliga ad aiutarti perché so per certo che sei spaventato anche tu.» lo guardò con due occhi pieni di compassione nella speranza che lui capisse quanto lei in quel momento fosse sincera nei suoi confronti. Bucky mantenne gli occhi fissi su di lei per una manciata di secondi per poi spostare l’attenzione su un punto indefinito dietro le spalle della ragazza.
«Io non ho paura.» replicò semplicemente, la voce pacata e apatica, priva di qualsiasi inclinazione. Kamila sospirò rumorosamente, abbassando gli occhi sulle sue dita intrecciate.
«James, reprimere le proprie emozioni non è il miglior modo di ricordare chi eri.» gli disse, seria. «Devi lasciarti andare se davvero vuoi ritornare ad essere la persona che eri un tempo. Steve ti conosceva come conosce se stesso, e ti vuole aiutare. Tutti qui dentro vogliono cercare di starti vicino, ma se tu ti rinchiudi in una cella frigorifera per noi sarà un po’ difficile.» cercò di abbozzare un sorriso per ammorbidire il significato delle sue parole. Non sapeva per quale motivo gli stesse facendo quel discorso, forse perché dopotutto le faceva pena sapere che un uomo della sua stazza si ritrovava completamente spaesato in un mondo che non aveva fatto altro che usarlo a suo piacimento. O forse gli ricordava la sua storia, la sua infanzia e il motivo per il quale ora lei era per sempre incatenata alla sua capacità di creare il ghiaccio. Entrambi erano stati costretti a cambiare la propria natura a causa del volere di altre persone, ed entrambi erano costretti a convivere con quella condizione imposta.
«Non credo di essere in grado di tornare ad essere la persona che ero prima.» ribatté James perentorio.
«Vorrà dire che ti impegnerai a diventare una persona nuova e a lasciarti alle spalle il tuo passato nell’HYDRA.»
A quelle parole il viso di James si oscurò repentinamente. Kamila capì che la sua frase doveva aver fatto affiorare chissà quali ricordi passati che avevano segnato la sua vita di Soldato d’Inverno. Gli lasciò il suo tempo prima di avvicinarsi di qualche passo e invitarlo ad uscire dalla stanza.
«Quello che ti serve adesso è una doccia calda e una bella dormita perché come noi due ben sappiamo domani dovremo sopportare l’interrogatorio di Steve.»
James si alzò lentamente dalla brandina cercando di riprendere il controllo del suo corpo. Sentiva le ossa indolenzite ma il suo viso non cedette ad una sola smorfia di dolore o fastidio. Indugiò qualche secondo prima di uscire dalla porta, indeciso su cosa fare e cosa dire a Kamila. Lei gli sorrise gentilmente.
«Domani è un nuovo giorno.»
 
*
 
Erano passati due giorni da quando James era uscito dalla capsula e durante quell’arco di tempo aveva cercato di socializzare con quanta più gente possibile all’interno del rifugio. Certo, il suo socializzare si limitava a qualche saluto o cenno del capo, ma stava cercando di impegnarsi a fare sempre di più. Passava più tempo assieme al Capitano e agli altri membri della squadra nonostante la sua presenza passasse quasi sempre inosservata. Parlava di tanto in tanto con Kamila, o meglio, lei parlava mentre lui tendeva ad annuire o a scuotere la testa nei momenti che riteneva opportuni.
Si stava impegnando, nonostante tutti i suoi sforzi gli sembrassero completamente inutili, ma lo doveva a tutte le persone che stavano cercando di aiutarlo.
Entrò nella mensa comune del rifugio e cercò velocemente qualcuno che conoscesse. Vide Kamila seduta su una sedia in fondo alla stanza, intenta a tagliare a spicchi una mela verde e a leggere chissà quale libro. Senza avere il tempo di decidere cosa fare, James vide la ragazza alzare lo sguardo e puntarlo verso di lui. Gli sorrise calorosamente e lo invitò a sedersi al suo tavolo già occupato da lei e dalla bambina che aveva visto qualche giorno prima.
Bucky non si scompose: prese un piatto con dentro del cibo che non sapeva identificare del tutto e le raggiunse con calma, dosando i passi e i movimenti per raggiungerle.
Si sedette davanti a lei e aspettò che fosse Kamila a dire qualcosa.
«Sono contenta di vederti qui durante l’orario dei pasti.» esordì, chiudendo il libro dalla copertina importante e continuando a tagliare la mela. La liberò dalla buccia e dai semi all’interno prima di mangiarne un pezzo con estrema naturalezza. James la osservò intensamente, cercando di capire come riuscisse ad apparire così tranquilla e spensierata quando lui non era in grado nemmeno di mangiare senza sentirsi perennemente sotto pressione.
«Ho pensato che fosse un buon modo per cominciare a creare una routine.» mormorò e spostò l’attenzione sul suo piatto. Mangiare non gli trasmetteva alcuna emozione da molto tempo, era soltanto un’azione meccanica che era obbligato a compiere per poter sopravvivere, perciò non gli interessava molto sapere cosa stesse per ingerire.
«Hai fatto benissimo. Sono davvero colpita dal tuo impegno.» replicò con la bocca piena di mela. Gli sorrise. «Lei è mia sorella Tanka.» gli presentò la bambina che in silenzio stava mangiando la stessa cosa che aveva lui nel piatto. Lei lo osservò per qualche secondo, e lui non seppe decifrare il suo sguardo: sembrava timorosa ma allo stesso tempo curiosa.
Alla fine gli regalò un sorriso titubante ma con quell’accenno di gentilezza che distingueva l’espressione della sorella.
«Tanka lui è James.»
Bucky si aspettò che la bambina facesse qualche accenno sulla nomenclatura affidatagli dall’HYDRA, ma ciò che gli disse in realtà lo sorprese.
«So chi sei,» rispose la bambina continuando a mangiucchiare, «Steve parla sempre di te con tutti. Dice che sei il suo migliore amico e che ti chiami Bucky.»
Kamila ridacchiò da dietro lo spicchio di mela che teneva tra le mani e guardò l’uomo per cogliere la sua reazione. James rimase in silenzio per qualche secondo ad osservare la naturalezza e l’ingenuità della bambina che aveva di fronte, poi abbozzò un sorriso.
«Si,» ribatté «sono proprio io.»
Kamila era contenta di vedere quanto impegno ci stesse mettendo nel cercare di essere una persona quantomeno normale. Era soddisfatta di averlo aiutato, anche solo in parte, a cambiare il suo modo di pensare e il suo stile di vita.
Vederlo sorridere, cercare di interagire con gli altri e provare delle emozioni era gratificante.
Lui spostò lo sguardo verso di lei e i loro occhi si incatenarono per una manciata di secondi prima che la voce di un uomo li distrasse entrambi.
«Signorina Metanova?» Kamila spostò l’attenzione verso l’uomo che si era avvicinato al suo tavolo. Era più alto di lei di una decina di centimetri e la sua corporatura non passava di certo inosservata. Aveva grandi occhi verdi, penetranti, folti capelli brizzolati, una barba incolta e un mezzo sorriso stampato sul viso. La sua voce era calda e il suo accento particolare le fece chiedere di dove fosse.
Nonostante il suo bell’aspetto e il suo atteggiamento cordiale, Kamila provò una strana sensazione nel profondo, in fondo allo stomaco. Non sapeva bene cosa fosse, né se potesse considerarla negativa o positiva, ma i suoi sensi rimasero allerta.
«Si, sono io.» rispose e la sua spensieratezza di qualche minuto prima venne spazzata via da un’espressione seria e composta.
«Buongiorno. È un piacere conoscerla, il Capitano Rogers mi ha parlato molto di lei.» disse l’uomo. Kamila era colpita dalla sua impeccabilità. «Sapevo di trovarmi di fronte ad una bella donna, ma lei va ben oltre ogni mia aspettativa.»
Kamila non riuscì a trattenere un’alzata di sopracciglio e un’espressione dubbiosa stampata in faccia. Non aveva alcuna intenzione di assecondare le frecciatine di un quarantenne perciò, pulitasi la bocca e ingoiato l’ultimo pezzo di mela, gli chiese direttamente che cosa volesse da lei.
«Sono il nuovo insegnante di sua sorella Tanka.» ribatté l’uomo senza perdere il suo sorriso impeccabile nemmeno di fronte all’arroganza della ragazza. «La signorina Peterson purtroppo è dovuta partire per risolvere alcune problematiche familiari, e il signor Rogers ha contattato personalmente la nostra agenzia per poterla rimpiazzare quanto subito e permettere alla signorina Tanka di non interrompere i suoi studi.»
Kamila era davvero confusa: per quale motivo Steve non le aveva parlato personalmente di quel problema prima di decidere di chiamare un altro insegnante per sua sorella? Non riusciva a capire. Steve la contattava per problemi anche ben inferiori di quelli, perché invece quella volta non le aveva detto nulla? Si trattata dell’educazione di sua sorella, dopotutto.
Kamila si voltò verso Tanka. «Tu ne sapevi qualcosa?» le domandò conoscendo già la risposta. La bambina scosse timidamente la testa, improvvisamente timorosa.
«Il Capitano Rogers la rassicurerà, signorina Metanova. Le posso assicurare che io sono perfett-»
«Il Capitano Rogers non ha alcun diritto di decidere sull’educazione di mia sorella.» lo interruppe prontamente lei, impiantando i suoi occhi in quelli dell’uomo. «Se permette, vorrei esaminare i suoi dati prima di lasciarle in custodia Tanka.» si alzò dalla sedia e invitò la sorella a fare altrettanto.
L’uomo le sorrise amabilmente. «Molto bene, allora. C’è un posto dove possiamo parlare in privato?» domandò e lei annuì mestamente.
«Mi segua.»
Kamila parve ricordarsi solo in quel momento della presenza di James che, come sapeva fare meglio, era rimasto zitto, in ascolto.
«Scusami James, ci vediamo più tardi magari.» gli sorrise frettolosamente e si diresse verso l’uscita della mensa seguita dalla sorella e dall’uomo.
Bucky lasciò cadere la forchetta sul piatto e si massaggiò il collo con la mano umana. Era come se qualcosa di invisibile gli avesse stretto i muscoli fino a farglieli scoppiare. Si sentiva stanco e spossato e pareva quasi che un masso l’avesse colpito dritto in testa.
Senza finire di mangiare si alzò dal tavolo e si diresse verso l’uscita. Ignorò completamente i saluti delle persone attorno a lui e continuò a camminare verso la sua stanza: l’unica cosa che voleva fare in quel momento era chiudere gli occhi e riposare.
 
 




Buonasera a tutti, cari lettori!
Inizio subito con lo scusarmi per il ritardo nel postare il quarto capitolo, ma purtroppo settimana scorsa ho cominciato a scriverlo e sono riuscita a finirlo solo stasera. Allora, inanzitutto cosa ne pensate del discorso che Kamila fa a Bucky all'inizio del capitolo? E soprattutto, siete curiosi di sapere qual è la storia di Kamila e di Tanka? ahahah non so ancora bene quando salterà fuori, ma prima o poi succederà, lo prometto!
E cosa ne pensate della seconda parte? Secondo voi chi è questo uomo misterioso apparso così dal nulla? A voi i commenti.
Comunque, volevo ringraziarvi davvero di cuore per le bellissime parole che mi avete lasciato per lo scorso capitolo e per le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite-ricordate-seguite. Mi riempite il cuore di gioia e mi spronate ad andare avanti!
Spero davvero che questa storia vi piaccia e che in qualche modo io riesca a comunicare con voi chi è per me Bucky, che ripeto è un personaggio che adoro proprio per le sue mille sfumature. Detto questo, la smetto di parlare, e vi chiedo di lasciarmi qualche pensiero riguardo il capitolo, se vi va!
Un bacio a tutti,
clepp




 
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Capitolo 5
*** 5 ***


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(5)



 
Kamila aveva appena finito di discutere – litigare – con il Capitano Rogers per la faccenda della sorella quando Wanda era entrata nella sala di ritrovo con un sorriso largo quanto la sua faccia e una proposta decisamente fuori luogo in quel momento. Sfortunatamente aveva esaminato il curriculum e le abilità del nuovo insegnante di Tanka, il signor Milicevic, e non aveva trovato alcun difetto evidente che potesse spiattellare in faccia a Steve. Ma nonostante questo, non si era comunque limitata nel dirgli tutto ciò che pensava riguardo al fatto che lui avesse preso una decisione su sua sorella senza prima consultarla personalmente.
Avevano discusso circa mezzora nell’ufficio del Capitano senza un’apparente motivo logico dato che entrambi riconoscevano che l’insegnante fosse un valido professionista  e che Steve si era scusato per non averle detto nulla. Kamila, ovviamente, non si era accontentata delle sue scuse ma aveva fatto di testa sua e aveva continuato ad inveire contro di lui. Una volta stufa, se n’era andata sbattendo la porta, proprio come piaceva fare a lei, e si era rintanata nella sala di ritrovo della squadra con uno dei suoi libri preferiti, nella speranza che nessuno venisse ad infastidirla. Aveva calcolato tutto perfettamente: a quell’ora i suoi compagni erano impegnati negli allenamenti perciò la sala sarebbe stata completamente deserta e dopo quella litigata Steve non avrebbe di certo preteso che lei partecipasse.
Eppure, dopo una decina di minuti, la porta in legno si era aperta e la voce di Wanda l’aveva distratta dalla sua lettura.
«Tu vuoi fare cosa?» mormorò Kamila, storcendo il naso e allo stesso tempo alzando un sopracciglio. Wanda prese posto nella poltrona di fronte all’amica e con un sorriso entusiasta le ripeté la sua idea.
«Una festa!» disse, «una festa per Steve. È il suo compleanno tra poco, e dati gli ultimi avvenimenti credo che faccia bene a tutti festeggiare qualcosa.» abbassò improvvisamente lo sguardo, in imbarazzo, e riprese a parlare. «Quando ho manipolato la sua mente... ho visto una sala piena di persone vestite in maniera molto vintage.»
«Intendi da vecchi.» ironizzò la bionda appoggiando il mento sul palmo della mano aspettando che arrivasse la parte interessante della storia.
«Ad ogni modo, credo che sia un’idea carina quella di ricreare un tema del genere per il suo compleanno. Ho già parlato con T’Challa e lui è d’accordo con me. Ha già inviato degli agenti a recuperare il necessario per organizzare tutto quant-»
«Per quale motivo allora mi stai dicendo tutto questo se hai già deciso tutto?» la interruppe Kamila, chiedendosi per quale motivo Wanda si stesse dando tanta pena per organizzare qualcosa a Steve. Era forse nato qualcosa tra i due? impossibile, sarebbe stata la prima a saperlo.
Forse perché Steve si era sempre comportato in maniera gentile e cordiale con Wanda e lei si sentiva in qualche modo in debito con lui.
«Perché tu sei la sua migliore amica,» replicò la ragazza, «mi sembrava giusto che lo sapessi e che mi dessi un tuo parere.»
Kamila riprese in mano il libro che aveva temporaneamente accantonato e lo riaprì alla pagina 139. «In questo momento io e il Capitano siamo in una zona di guerra, perciò puoi fare quello che vuoi, a me non importa.» mormorò riprendendo la lettura e sancendo in tale modo la fine della conversazione.
Wanda sospirò rassegnata e si alzò dalla poltrona, dirigendosi verso l’uscita: ormai in tutto quel tempo assieme a loro si era talmente abituata ai continui battibecchi trai due che ormai non ci faceva quasi più caso.
«Niente di troppo appariscente, comunque.» riprese Kamila indifferente con gli occhi fissi sul suo libro, «altrimenti ci odierà fino alla morte. E nessuna candelina sulla torta, se ci teniamo alla nostra vita.»
Wanda sorrise di sottecchi e si chiuse la porta alle spalle: le sembrava di vedere lei e suo fratello, quando ancora ne aveva uno.
 
*
 
Tanka continuava a girare nel suo vestito rosa e nelle sue ballerine bianche, incapace di trattenere il sorriso. Kamila era felice di vedere che finalmente si divertiva, e che finalmente aveva qualcosa da fare.
Indossava il vestito per il compleanno di Steve da quando le era arrivato quella mattina. Kamila non era riuscita a convincerla a toglierlo neanche durante il pranzo, perciò era stata costretta a coprirla di tovaglioli per impedire che si sporcasse.
«Tanka, io devo andare. Ci vediamo dopo, d’accordo? Fai attenzione.» le lasciò un bacio sulla guancia e uscì dalla porta di camera sua.
Si stava dirigendo verso la biblioteva dove, nascosti dagli alti scaffali colmi di libri, Wanda aveva organizzato una riunione segreta per mettere a punto gli ultimi dettagli per quella sera. Il salone principale era stato addobbato a tema, le cucine avevano preparato una grande torta priva di candeline e gli invitati erano entusiasti di poter cambiare la propria routine.
Era stato difficile nascondere tutti i preparativi al Capitano, ma l’ottimo lavoro di squadra li aveva premiati.
Kamila comparve da dietro uno degli scaffali. Salutò con un cenno del capo i presenti e si andò a sistemare accanto a Sam.
Nascosto in un angolo scorse lo scintillio di un braccio di metallo e fu felice di vedere il viso serio e composto di James. Lo salutò con la mano e portò l’attenzione su Wanda. Questa spiegò il piano della serata e come fare a portare Steve nella sala senza che lui si accorgesse di niente. Chiese nuovamente a tutti di fare grande attenzione e di seguire il Capitano in ogni suo movimento. Infine ripeté tutto per l’ennesima volta.
Terminato l’incontro Kamila scese dal tavolo su cui si era seduta e si diresse verso James, ancora fermo immobile nell’ombra di uno scaffale. Solo in quel momento, presa com’era stata dai mille impegni, si era resa conto di averlo visto davvero poco durante quei giorni. Si stupì nel pensare che in qualche modo quell’atteggiamento restio gli era mancato.
«Sei pronto per stasera?» gli chiese mentre si avvicinava lentamente: ormai aveva imparato che con lui qualsiasi approccio doveva essere ponderato e minuziosamente calcolato.
James annuì, ma nella sua espressione c’era qualcosa che Kamila non riusciva a decifrare del tutto. Pareva più nervoso del solito, come se qualcosa lo stesse facendo preoccupare e lui stesse cercando di non darlo a vedere in nessun modo.
«C’è qualcosa che non va?» gli domandò con tono studiato. Bucky aggrottò la fronte, scosse la testa e spostò lo sguardo verso un punto indefinito della stanza.
Kamila scorse delle profonde occhiaie accerchiare i suoi occhi così chiari e limpidi. «Sei sicuro? Sembri nervoso. C’è qualche problema per stasera?»
Bucky scosse di nuovo la testa e Kamila lo vide serrare i pugni in un gesto infastidito. Si irritò anche lei.
«Ti do così tanto fastidio?»
«No.» la sua risposta secca le suggerì tutto il contrario.
«Mi pare che negli ultimi giorni tu ti sia rintanato di nuovo nella tua stanza. Nessuno ti ha più visto. Io non ti ho più visto.» era decisa a scoprire quale fosse il problema di James in quel momento, quali delle sue tante preoccupazioni lo stessero affliggendo.
In risposta lui voltò il viso da un’altra parte e si girò completamente. Senza dire una parola si allontanò da Kamila a passo deciso, incapace di sostenere ancora quella conversazione.
Kamila serrò le palpebre.
A passo ancora più deciso e testardo lo seguì tra gli scaffali della biblioteca che si era ormai svuotata del tutto.
«Qual è il tuo problema?» gli urlò dietro, nella speranza che lui si fermasse e continuasse a parlarle. Invece James continuò a camminare a passo spedito, ignorandola completamente e facendola infuriare ancora di più.
«Puoi parlarmi in maniera civile?» quando non ottenne ancora risposta, Kamila alzò il braccio e con un movimento secco della mano fece comparire una piccola lastra di ghiaccio sul pavimento, a pochi passi da James. Questo, attento a guardare solo davanti a se, non si accorse dell’improvviso ostacolo. Quando ci mise sopra il piede destro, perse improvvisamente l’equilibrio ma i suoi sensi da Soldato d’Inverno gli permisero di aggrapparsi velocemente agli appilli attorno a lui. Le sue grandi mani si attaccarono agli scaffali ai suoi lati e in pochi secondi riguadagnò la stabilità.
Ma Kamila aveva approfittato di quel momento e gli era sgusciata davanti.
«Ora puoi parl-» non ebbe il tempo di finire la frase che le sue spalle vennero afferrate con forza dalle stesse mani che poco tempo prima le avevano procurato un livido sotto l’occhio. Il colpo alla schiena le fece mancare per un momento il respiro.
Bucky l’aveva spinta contro la parete di destra, e ora le teneva la mano umana stretta attorno al braccio e quella di metallo contro la parete a pochi centimetri dalla sua testa.
«E’ sempre un piacere parlare con te.» mormorò debolmente Kamila, obbligando i suoi polmoni ad inalare quanta più aria possibile.
James le coprì la bocca con la mano meccanica, emettendo un lamento simile ad un rantolio soffocato. Kamila represse il suo animo impulsivo e l’istinto di ribellarsi perché sapeva che se l’avesse lasciato sfogarsi avrebbe scoperto qual era il motivo di tanta rabbia.
«Stai zitta, zitta.» il suo tono di voce era quasi un sussurro ma la sua presa era ferrea e decisa, in una rappresentazione del perfetto contrasto che aleggiava in lui tra il Soldato d’Inverno e l’uomo di nome Bucky che stava cercando disperatamente di riemergere. Kamila rimase immobile in attesa che lui facesse qualcosa, qualsiasi cosa, in modo tale che lei potesse capire cosa ci fosse dentro di lui.
«Tu non capisci, la mia testa...» esordì James ma le sue parole erano confuse così come i suoi occhi e i suoi movimenti. Kamila scorse una grande stanchezza nascosta tra i segni del suo viso, nascosto per metà da un ciuffo di capelli.
«No... no tu non capisci... questa volta è diverso… io non... la mia testa...» Kamila scorse un misto di sentimenti in quei due pozzi azzurri e per la prima volta nella sua vita si ritrovò incapace di mantenere il controllo della situazione. Era completamente disarmata di fronte a quel viso, a quell’espressione, a quelle parole.
Senza neanche pensarci alzò una mano e posò le sue dita sopra la mano di Bucky, quella umana stretta attorno al suo  braccio.
James osservò quel gesto rimanendo immobile.
Nella biblioteca calò un silenzio glaciale, carico di tensione e di aspettative a cui nessuno dei due sapeva dare risposta. Kamila aveva lo sguardo fisso sul viso di Bucky e lui stava ancora guardando la sua mano coperta da quella di lei.
Poi tutto accadde all’improvviso, spezzando quell’attimo di attesa.
James afferrò la mano di Kamila e prima che lui la scaraventasse a terra lei vide la follia attraversare come un lampo il suo viso.
Il colpo le spezzò il respiro. La testa cozzò con forza contro il pavimento e per qualche secondo la sua visuale fu disturbata da decine di puntini bianchi. Completamente spaesata e disorientata da quell’improvviso cambiamento di atmosfera, Kamila rimase immobile sul pavimento, incapace di tirarsi su e difendersi.
Ma il secondo attacco non arrivò. Quando riacquistò pieno controllo del suo corpo, scorse Bucky in piedi davanti a lei con i capelli arruffati, il respiro pesante e le spalle ricurve.
«Non posso essere aiutato.» disse, e il suo tono era incolore, secco e deciso: non ammetteva repliche.
Mentre le dava le spalle e si dirigeva velocemente verso l’uscita, Kamila pensava tra se e se che nessuno – nessuno – poteva credere di essere più deciso e testardo di quanto lo fosse lei.
 
*
 
Kamila si sistemò le pieghe del vestito blu corallo mentre assieme a Tanka scendeva le scalinate del secondo piano. Le sorrise incoraggiante e le porse la mano che la bambina prese titubante. Era un po’ agitata di far parte di una festa dove ci sarebbero stati solo adulti, ma era anche felice di poter fare qualcosa di diverso dal solito.
Era venuta a conoscenza che il piano per portare Steve nel salone senza destare sospetti era riuscito e le dispiaceva un po’ di non essere riuscita a godersi la sua faccia una volta scoperta la sorpresa, nonostante fossero ancora in zona di guerra. Sfortunatamente Kamila, da buona ritardataria, aveva trovato delle faccende da sbrigare giusto all’ultimo minuto, perciò aveva tardato di una buona mezzora e si era dovuta cambiare di tutta fretta. Non sapeva nemmeno come diamine fossero conciati i suoi capelli, dato che li aveva lasciati semplicemente sciolti lungo la schiena per fare più in fretta. L’unica cosa che ricordava il fatto che stesse per partecipare ad una festa stile anni ’40 era il suo vestito di un blu corallo, stretto sul corpetto e poco più largo dalla vita in giù, fino alle ginocchia, e  un paio di tacchi non troppo alti.
Una volta raggiunta la porta del salone principale Kamila si fermò sulla soglia. Appoggiato allo stipite di una finestra con la schiena rivolta verso di lei e lo sguardo verso il panorama fuori, c’era James.
Kamila era sorpresa di vederlo lì: quel pomeriggio aveva dato segni di forte squilibrio mentale e di un gran crollo emotivo, eppure quella sera si trovava lì, per la festa di compleanno del suo migliore amico.
Kamila non l’aveva perdonato del tutto per ciò che le aveva fatto poche ore prima ma aveva cercato di capirlo ancora una volta. C’era qualcosa che non andava in lui ma non riusciva a capire che cosa dato che da quando gli aveva parlato con il cuore in mano lui aveva cercato in ogni modo di impegnarsi a migliorare e a far parte del mondo reale. Doveva essere successo qualcosa, ma che cosa?
Kamila era una persona fin troppo curiosa ed impulsiva. Decisa e molto testarda.
Proprio per quel motivo invitò sua sorella ad entrare nella sala rassicurandola che lei l’avrebbe raggiunto tra qualche minuto.
Una volta soli e avvolti da una lieve musichetta attutita dalla porta del salone, Kamila si avvicinò a James. Illuminato dalla luce del tramonto, vide che indossava un paio di pantaloni, una giacca e scarpe eleganti, tutto di colore marrone scuro. Rimase ancora più stupita. Scorse anche il colletto di una camicia da dietro i suoi lunghi capelli.
«James.» lo richiamò con calma, avvicinandosi  verso di lui.
Questo si girò di scatto, rendendosi solo conto in quel momento della presenza di qualcun altro nella stanza. In mano aveva un bicchiere con del liquido trasparente. Dall’odore sembrava vodka liscia.
La guardò stupito, incapace di spiegarsi per quale motivo lei gli stesse parlando dopo ciò che era successo.
«Kamila.» il suo nome gli uscì automaticamente, come spinto fuori da qualcosa di forte nascosto dentro di lui.
«Ciao,» lei gli sorrise rassicurante e gli si fermò ad un passo di distanza. «Non credevo di vederti qui stasera.»
Quando James si girò completamente verso di lei, Kamila rimase senza fiato. Di fronte a lei c’era un uomo affascinante, stretto in un completo elegantemente rifinito e perfettamente aderente al suo corpo delineato. Il braccio di metallo era nascosto dalla giacca, i suoi capelli erano tirati dietro le orecchie e il suo viso era libero da qualsiasi ombra. Era come vederlo veramente per la prima volta.
«Ed io non credevo di vedere te qui con me.» disse, riferendosi a ciò che era successo quel pomeriggio.
Kamila si strinse nelle spalle: nonostante il rammarico per l’accaduto, era grata di vedere che lui in quel momento stava un po’ meglio. Sembrava essersi ripreso quasi del tutto, come se quella mattina si fosse alzato di luna storta, si fosse sfogato con lei, e ora tutto era tornato al suo posto. Sorrise nel pensare che aveva trovato qualcuno ancora più lunatico di lei.
«Che cosa è successo oggi in biblioteca?» gli chiese schietta, con il desiderio di capire qualcosa in più.
James abbassò lo sguardo sul suo bicchiere. Il liquido all’interno gli serviva a dimenticare ciò che aveva fatto, ma i due occhi che in quel momento lo stavano guardando annientavano l’effetto di quella bevanda.
Ne bevve un sorso comunque.
«E’ da qualche giorno che mi sento... confuso e molto stanco. Insomma, è una sensanzione che va e viene. Sto cercando di controllarmi.» si spiegò, gustando il forte sapore della vodka giù lungo la sua gola.
«Ed io ti ho messo a dura prova.» replicò Kamila, trattenendo una smorfia. «Steve lo dice spesso, che sono insopportabile.»
James abbozzò l’ombra di quello che sembrava un sorriso. «Non era mia intenzione trattarti in quel modo.» aggrottò la fronte, scettico, come se ripensare a ciò che aveva fatto aumentasse ancora di più il suo senso di colpa. «E’ solo che tu sai essere parecchio... frustrante.»
Kamila annuì e fece un passo verso di lui e verso la luce della finestra.
James la vide meglio sotto il riflesso del sole che stava tramontando. Rimase in silenzio, a fissarla. A fissare quel viso magnetico e quegli occhi intensi. A fissare quel corpo stretto in un vestito elegante e quei capelli lunghi fino alla schiena. Ma soprattutto, a fissare quella donna dalla postura fiera e dall’atteggiamento gentile ma pur sempre sicuro di sé.
Non sapeva cosa dire, o cosa fare. Voleva guardarla in quel modo per altri dieci minuti, ma non poteva di certo farlo senza risultare un pazzo. Abbassò lo sguardo per la seconda volta.
Sentiva premere dentro di sé il desiderio di avvicinarsi a lei. Il suo stomaco era in subbuglio e tutte quelle sensazioni insieme lo rendevano nervoso ed eccitato al tempo stesso. Era una situazione di cui voleva liberarsi in fretta ma allo stesso tempo rimanerci dentro fino al collo.
«Andiamo?» gli chiese lei, spezzando il filo dei suoi pensieri sconnessi.
James annuì bevendo in un sorso il suo cocktail. «Andiamo.»




Buongiorno a tutti! Incredibile, eh? Direi che ho aggiornato in tempo record! Non so nemmeno io il perchè sinceramente, forse perchè appena ho fnito di scrivere il capitolo ho sentito l'impulso di pubblicarlo subito! E così, eccomi qui :DDD
Allora, come sempre ringrazio voi lettori che mi spronate ad andare sempre avanti e a migliorarmi di giorno in giorno, grazie mille con tutto il cuore, siete la ragione per cui ogni volta che apro efp sorrido!
Come vi è sembrato questo capitolo? Devo ammettere che è un po' strano, lo so. C'è una litigata fra i due, e anche bella tosta, e subito dopo tornano a parlare come se nulla fosse successo. Ma il motivo penso sia evidente. Kamila ormai capisce perfettamente l'animo tormentato di Bucky e cerca di aiutarlo senza farlo sentire troppo in colpa! James, dal canto suo, è un po' fuori di testa in questo periodo ahahah il motivo ovviamente lo scopriremo più avanti!
Inizialmente avevo pensato di incentrare il quinto capitolo sulla festa, ma poi ho deciso di dividere il racconto in due capitolo, perciò nel prossimo verrà raccontata la festa a sorpresa del nostro Cap. 
Spero che vi sia piaciuto il capitolo, vi ringrazio ancora una volta per il vostro supporto!
Un bacio, clepp



 
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Capitolo 6
*** 6 ***


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6


Il salone principale era quasi del tutto irriconoscibile. Kamila doveva ammettere che Wanda aveva fatto davvero un ottimo lavoro con le decorazioni, la musica, il cibo e l’abbigliamento degli invitati. Sembrava davvero di essere ad una festa ambientata negli anni ’40, se non si faceva caso alle guardie ferme davanti ad ogni entrata vestite con delle tute sintetiche e con in mano dei mitra di ultima generazione. A parte quel piccolo dettaglio, Kamila percepiva l’atmosfera di ilarità e serenità che per qualche ora avrebbe circondato l’intera struttura.
Con in mano un cocktail di un rosso acceso, Kamila fece un giro intorno alla sala per ammirare l’impegno di Wanda. Di tanto in tanto sorrideva a qualcuno e salutava qualcun altro, ben consapevole degli sguardi un po’ troppo audaci di qualche suo collega. Dopo aver indossato per tanto tempo larghi pantaloni mimetici e canotte altrettanto casual, era felice di poter finalmente indossare vestiti femminili, nonostante non fosse più abituata a portare un abbigliamento così scomodo. Kamila era sempre stata sicura di sé, sia per il suo carattere che per il suo aspetto fisico, ma dopo tutti quegli anni passati a far parte di quella squadra si era calata fin troppo nella parte di un soldato. Era una donna, dopotutto, e ricevere certi complimenti e certe attenzioni le faceva ancora piacere.
Scorse una lunga treccia bionda poco distante da lei, accompagnata da un paio di scarpette bianche e un vestito a pois rosa. Sua sorella Tanka era seduta con le gambe a penzoloni su uno sgabello davanti ad un tavolino, in mano teneva un bicchiere di quello che doveva essere tè freddo.  Accanto a lei Steve e Sam erano concentrati in una fitta conversazione.
Kamila si avvicinò al terzetto. Non appena i due uomini si accorsero della sua presenza, Steve le sorrise affettuosamente, dimentico per un momento della loro zona di guerra, mentre Sam le rifilò un’occhiata ben poco innocente.
«Sei meravigliosa stasera, Kamila.» si complimentò il Capitano, sporgendosi verso di lei per regalargli un bacio sulla guancia. Sam fece lo stesso, accompagnando il gesto con un sorriso sornione.
«Anche voi siete davvero affascinanti questa sera,» replicò Kamila, osservando il loro abbigliamento. Erano entrambi vestiti con uno smoking elegante di un marrone per Steve e grigio scuro per Sam. Il Capitano doveva essersi cambiato subito dopo essere entrato nel salone ed essersi accorto della sorpresa. Wanda aveva pianificato tutto e aveva persino scoperto quali fossero le misure di Steve per potergli fare un vestito su misura.
«Buon compleanno, Capitano.» Kamila mise da parte il rancore nei confronti dell’uomo e lo abbracciò come fosse suo fratello. In effetti, non ricordava nemmeno qual era stato il motivo del loro battibecco.
«Grazie.» mormorò lui, in imbarazzo. «Devo dire di essere contento di questa festa, nonostante il motivo per cui è stata fatta.»
Kamila roteò gli occhi: sapeva quanto detestasse festeggiare il suo compleanno perché anno dopo anno diventava sempre più vecchio.
«Andiamo, non si festeggiano mica tutti i gior... aspetta, quanti anni hai esattamente?» lo prese in giro dandogli una spintarella amichevole che non lo spostò di un centimetro. Steve parve seccato dalla battuta, ma l’accenno di un sorriso gli comparve sul viso.
«Non giocare col fuoco.» la avvisò, scherzosamente. 
«E questa piccola principessa?» Kamila si rivolse alla sorella, seduta sullo sgabello e intenta a sorseggiare il suo tè. «Cosa ci fa qui tutta sola?» le domandò avvicinandosi.
«Io e Steve stiamo facendo una pausa.»
Kamila spostò lo sguardo verso il Capitano, chiedendo spiegazioni.
«La tua sorellina è un’instancabile ballerina. Ma io purtroppo ho una certa età...» il suo tono ironico e il fatto che stesse finalmente facendo qualche battuta sui suoi anni la fecero ridere di gusto. Persino Sam scoppiò in una fragorosa risata mentre cercava di nascondere il ghigno dietro il suo cocktail azzurro.
«Voi due non siete affatto simpatici.» replicò Steve. Appoggiò il suo bicchiere ancora pieno sul tavolino e porse la mano a Tanka. «Vieni, bellissima. Torniamo in pista.» il viso della bambina parve illuminarsi di entusiasmo mentre faticosamente cercava di scendere da quello sgabello così alto. Insieme si avvicinarono alla pista da ballo dove ben poche persone avevano trovato il coraggio di ballare un lento e cominciarono a muoversi in maniera impacciata e scoordinata.
Kamila li osservò dal bordo pista, con un sorriso di gioia stampato in faccia. Era così contenta di vedere sua sorella divertirsi. Vivendo in uno spazio così ristretto con così tanti adulti, era difficile per Tanka svagarsi e fare attività consone ad una bambina di nove anni.
Ma soprattutto, era grata a Steve di essere così gentile e disponibile con lei.
Sam le si avvicinò. «Noto una certa complicità...» esordì, appoggiando un gomito sul tavolino e guardandola con uno sguardo eloquente e un sorrisetto equivoco.
Kamila aggrottò la fronte. «Cosa vorresti dire?» disse assottigliando gli occhi in un’espressione glaciale.
«Ho visto qualcosa in questi ultimi giorni... una certa sintonia tra voi due. chissà che...»
«Sam, stai sbagliando strada.» lo interruppe lei, passandosi una mano tra i capelli per nascondere la tensione. «Io e Steve siamo amici, quasi fratelli da tantissimo tempo. Non c’è alcuna complicità o sintonia tra di noi... è assurdo.»
Fu il momento  di Sam di aggrottare la fronte e guardarla di traverso. «Tu e Steve? Lo so che siete amici, non succederebbe mai niente tra voi due neanche tra mille anni.» spiegò, conciso. «Io stavo parlando di te e il tizio nuovo, Bucky.»
Kamila rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva. «Che stai dicendo?» sbottò automaticamente, guardando l’amico come se fosse impazzito. Sam trattenne una risata e si godette la scena.
«Proprio quello che hai sentito. C’è qualcosa tra voi due, credo sia evidente.» replicò, soddisfatto di aver ottenuto quella reazione. «La donna di ghiaccio e il Soldato d’inverno. Sareste perfetti insieme.»
Kamila non sapeva proprio come rispondere a quelle insinuazioni. Evidente? Che cosa era evidente? Che lei aveva cercato di aiutarlo facendo in modo che si integrasse all’interno della squadra? Era per quello forse che Sam si era fatto strane idee?
«Non so quale film tu ti sia creato nella tua testa bacata, ma tra me e James non c’è alcuna complicità. Niente di niente. Sto solo cercando di aiutarlo a stare al mondo, tutto qui.» replicò, decisa. Rimase sorpresa nello scoprire che le sue guance, così come il suo collo, avevano preso una strana tinta di un rosso acceso. La sua faccia stava andando a fuoco.
«Certo.» proseguì Sam, ed era evidente il suo sforzo per trattenere l’euforia. «Allora mi sto immaginando anche gli occhi di James fissi su di te da quando siete entrati, casualmente, insieme nella sala.»
L’attenzione di Kamila si spostò automaticamente a perlustrare ogni centimetro quadrato della stanza, alla ricerca di quei  due pozzi azzurri che secondo Sam erano fissi su di lei. Li trovò, rannicchiati in un angolo semibuio nascosti da una folla di persone, ma ben visibili a lei.
«Oh...» sussurrò debolmente e i loro sguardi si incatenarono l’uno all’altro, entrambi incapaci di lasciarsi andare.
«Già, oh...» la schernì Sam e, afferrato il suo cocktail, si allontanò dalla ragazza.
Kamila si ritrovò da sola, inerme, e incapace di spostare l’attenzione da quel campo magnetico che sembrava non volerla lasciare andare. Bucky la stava guardando con la stessa espressione con cui l’avevano guardata gli altri uomini nella stanza, ma i suoi occhi avevano qualcosa di ben diverso dai loro.
Erano magnetici e la loro intensità era capace di ingabbiarla in un vortice di sensazioni diverse e nuove.
 Si ritrovò ad osservare di nuovo la sua postura, il suo atteggiamento e i suoi movimenti. Stretto in quel completo elegante, James stava ritto in piedi con la schiena dritta, le mani nascoste in tasca, i capelli sistemati dietro le orecchie e gli occhi socchiusi fissi sempre sullo stesso punto.
Kamila si stava quasi convincendo a muoversi verso di lui quando la voce di Steve interruppe il flusso dei suoi pensieri e la obbligò a spostare l’attenzione.
«Kamila,» la richiamò e lei scorse un accenno di affanno. «Dammi il cambio, ti prego. Tua sorella è instancabile e io non sono in grado di reggere un altro ballo.»
Kamila ridacchiò e si avvicinò verso la sorella, prendendola per mano e facendosi trasportare verso il centro della pista.
«Tanka, lo sai che io non so ballare.» la avvisò mentre cercava di muoversi senza sembrare troppo ridicola.
Sua sorella le sorrise e alzò le spalle. «Non puoi di certo fare peggio di Steve.»
Insieme scoppiarono a ridere e andarono avanti a muoversi scompostamente e a fare battute sulle capacità di Steve nel ballo.
Kamila cercava di seguire i movimenti della sorella che se la cavava meglio di tutti i ballerini lì intorno, ma non era mai stata molto brava quando si trattava di coordinare braccia e gambe. Era in grado di combattere contro nemici spaventosi, ma quando si trattava di muoversi su una pista da ballo in un vestito così stretto, si trovava in grande difficoltà.
Sua sorella invece, era diversa. Sapeva essere brava in tutto ciò che faceva e Kamila era sicura che una volta cresciuta, sarebbe stata una grande donna. Le piaceva pensare che in quel processo avesse una piccola parte di merito.
Mentre Tanka le faceva vedere come muovere i piedi in sincronia, qualcuno picchiettò sulla spalla di Kamila.
Lei si girò di scatto, improvvisamente preoccupata. Quando vide chi aveva attirato la sua attenzione, rimase disorientata. Forse perché si aspettava qualcun altro, o forse perché tra tutti gli uomini che c’erano lì, non si aspettava proprio lui.
Il signor Milicevic, l’insegnante privato di sua sorella, era retto di fronte a lei in tutta la sua compostezza e perfezione. Kamila lo fissò per qualche secondo, inebetita, e si accorse di quanto fosse inquietante in tutto quel fascino. Indossava un completo nero, perfettamente aderente al suo fisico statuario, e i suoi capelli erano ingellati in una perfetta onda stile anni ’40.
Le sorrise: «Posso avere il piacere di ballare con lei?»
Kamila non sapeva cosa dire. Si ritrovò per la prima volta incapace di formulare una frase di senso compiuto.
Automaticamente il suo sguardo superò le spalle dell’uomo, alla ricerca di quei due pozzi azzurri come il cielo nascosti in un angolino. Bucky era sparito.
«Io ballo solo con mia sorella.» replicò lei, voltandosi completamente verso l’uomo.
«Credo che per questo tipo di ballo sia necessario un partner maschile, signorina Metanova.» ribatté l’uomo, senza perdere la sua compostezza.
Kamila strinse i pugni. «Per cose molto più importanti di un ballo è necessario un partner maschile, eppure noi ce la caviamo perfettamente anche da sole.» puntigliò, seccata.
Il signor Milicevic ampliò il suo sorriso. «Non ne dubito, ma non c’è bisogno di tirare fuori la femminista che c’è in lei soltanto per uno stupido ballo.»
Kamila stava per replicare ma Tanka la interruppe prima del tempo. «Balla pure con il signor Milicevic, Kamila. Io vado a sedermi perché sono un po’ stanca.» la bambina si alzò sulle punte per darle un bacio sulla guancia e come se niente fosse sparì tra la folla di persone stipate nella sala, alla ricerca di una sedia libera.
Kamila strinse i denti: non aveva alcuna intenzione di ballare con quell’uomo, ma cercò di trasformare quella situazione in un’opportunità per conoscere meglio la persona che trascorreva gran parte della giornata con sua sorella.
«D’accordo.»
«Chiamami pure Clark.»
Clark le prese una mano tra la sua mentre posizionava l’altra sulla sua vita. Kamila si sentiva terribilmente a disagio perciò faticò a sciogliere i muscoli e a muoversi in maniera quantomeno decente.
«Sua sorella è una bambina molto intelligente.» esordì l’uomo. La sua vicinanza le metteva la nausea. Non poteva credere che Steve avesse permesso a quell’uomo di insegnare a sua sorella. Cercò comunque di non farsi prendere troppo dal panico e dalle sue paranoie. Non voleva giudicarlo prima del tempo, ma cercare di capire come fosse in realtà.
Tanka aveva ammesso di trovarsi bene con lui, perciò Kamila mise da parte i suoi pregiudizi nei confronti del genere maschile, e cercò di intavolare una conversazione.
«Lo so.» replicò, «Tanka mi ha raccontato di quanto si trovi bene con lei.»
«Ne sono contento. Comunque, puoi darmi del tu.»
Kamila trattenne l’istinto di vomitare. «Manteniamo il nostro rapporto su un piano formale.» replicò nell’intento di fargli capire che lei non aveva alcuna intenzione di andare oltre quel ballo.
Clark sorrise. «Mi piace molto il suo carattere così schietto.» le disse. «Per non parlare poi di quanto sia bella questa sera.»
Kamila non rifiutava mai un complimento, ma quell’uomo non le ispirava alcuna fiducia. Le era difficile credere alle sue parole.
«Manteniamo il nostro rapporto su un piano formale.» ripetè e il suo tono parve più deciso e irritato di quanto non lo fosse pochi secondi prima. Clark rise.
«Non avevo intenzione di mancarle di rispetto.»
Kamila rimase in silenzio, sperando che in quel modo quello strazio finisse prima del dovuto. Detestava sentire le sue mani così vicine al suo corpo e detestava avere la sua faccia a pochi centimetri dalla sua.
Più stava con quell’uomo, meno simpatia provava nei suoi confronti.
«Kamila.» la voce di Sam parve una luce in fondo ad un tunnel buio ed oscuro. Si liberò velocemente dalla stretta di Clark e si voltò verso la fonte della voce.  
«Kamila.» Sam si aprì un varco tra le coppie di ballerini e riuscì ad arrivare fino a lei. «Ascoltami in silenzio, annuisci e sorridi, non mostrarti ansiosa o preoccupata.» Sam la prese per mano. «Bucky sta avendo una crisi di nervi. Non ho intenzione di rovinare la festa a Steve e tu sei l’unica persona oltre lui che può essere in grado di aiutarlo. Annuisci e sorridi. Bene, allora seguimi ma senza destare alcun sospetto.»
Sam la trascinò fuori dalla pista da ballo, lontano da occhi e orecchie indiscrete.
«C’è qualche problema?» la voce del signor Milicevic li bloccò a pochi passi dall’uscita della sala. Kamila si voltò verso l’uomo cercando di mantenere la calma. Tuttavia, fu Sam a rispondere.
«Assolutamente no, ma ho bisogno di Kamila per qualche minuto.» si stupì del tono tranquillo e pacato che aveva utilizzato.
«Io posso aiutarvi,» replicò Clark mantenendo la voce ferma e decisa. «Sono abituato a gestire questo tipo di situazioni.»
Kamila gli stava per rispondere che non avevano assolutamente bisogno delle doti di un insegnante privato, ma Sam la interruppe prima che lei potesse aprire bocca.
«D’accordo, potrebbe esserci d’aiuto.» senza lasciare il tempo a nessuno dei due di riflettere su ciò che aveva detto, Sam si fiondò verso l’uscita richiamandoli con un gesto secco della mano. Passarono davanti alla sorveglianza che li lasciò uscire senza battere ciglio. Oltrepassarono la porta del salone e l’improvviso cambio d’atmosfera la disorientò un attimo.
«Dove si trova?» chiese Kamila e si sorprese nel rendersi conto di quanto la sua voce risultasse malferma.
«Fuori,» rispose lui mentre si dirigeva frettolosamente verso l’uscita. «Stavo andando a parlargli qualche minuto fa ma non ho fatto in tempo a dirgli ciao che lui era già fuori dalla stanza.»
Proseguirono in silenzio lungo il corridoio che portava all’uscita posteriore del piano terra. Due guardie aprirono la porta e l’aria fresca la colpì in pieno, rinfrescandole il viso e il corpo sudati.
Vide subito la figura di Bucky seduta a terra con la testa tra le mani e le ginocchia piegate in una posizione di autodifesa. Kamila si tolse i tacchi e corse verso di lui. Non appena fu a qualche centimetro di distanza diminuì il passo e con calma annunciò la sua presenza.
«Bucky...»
Lui non parve sentirla. Continuò a tenere le mani ferme sul suo viso.
«Bucky... che succede?» Kamila si avvicinò lentamente, sentendo i piedi nudi affondare nella terra fresca. Appoggiò i tacchi sul terreno e si piegò verso di lui. Allungò una mano in avanti, sfiorando con delicatezza quelle di Bucky.
«Ehi...» vide che i vestiti di James si erano sporcati di terra e fango e le sue scarpe erano ormai da buttare. Persino le sue mani erano sporche e i capelli avevano ormai perso qualsiasi forma. Erano tornati ad essere una massa informe e disordinata. Era ritornato il paranoico Soldato d’inverno.
Kamila si infilò i capelli dietro le orecchie e lanciò un’occhiata a Sam. Gli fece capire di allontanarsi ma di rimanere comunque nei paraggi.
Quando vide che l’amico assieme al professore si erano ormai avvicinati alla porta d’ingresso, Kamila ritentò l’approccio.
«James, cosa c’è che non va?»
«Vai via.» quelle due parole la fecero bloccare per un momento. Kamila rimase immobile, cercando di capire cosa fare e cosa dire per non rivivere la situazione di quel pomeriggio.
«James stava andando tutto bene. Cos’è successo?» lo vide stringere con forza i pugni attorno ai capelli. Kamila si sedette di fronte a lui, rimanendo distante, ma non troppo. Sentiva la terra fresca e umida sotto il tessuto del suo vestito. Rabbrividì.
«Vattene.» ringhiò. I suoi occhi si alzarono e incatenarono quelli di Kamila in una gabbia ardente. «Vai via da qui.»
Entrambi sapevano che lei non se ne sarebbe andata. Kamila si indicò l’orlo del vestito. «Sono piena di terra a causa tua. Il minimo che tu possa fare è dirmi cosa diavolo ti sia passato nella testa.»
James colpì il terreno con un pugno che fece schizzare terriccio ovunque. Si alzò in piedi di scatto e emerse in tutta la sua statura.
«Non voglio metterti le mani addosso. Vai via.» cominciò a camminare avanti e indietro per scaricare la tensione. Il suo viso era un misto di emozioni contrastanti che Kamila non riusciva a decifrare, non quella volta.
«Sai bene che non me ne andrò.» replicò lei, mantenendo la calma. «James, so che è stato difficile per te indossare un vestito del genere e prendere parte ad una festa piena di persone ma io credo che tu sia in grado di sopportare tutto questo.» il suo tono era deciso ma pieno di compassione.
«Kamila non ne sono in grado. Non ce la faccio. Queste continue crisi mi stanno uccidendo... non ce la faccio più.» si strinse di nuovo i capelli in un pugno, in un gesto che esprimeva completamente la sua frustrazione.
Kamila non aveva idea di come aiutarlo a superare tutta quella situazione, soprattutto se lui non era in grado di collaborare, ma era decisa a trovare un modo.
«James,» si alzò in piedi e si ripulì alla bell’e meglio. Cercò di avvicinarsi lentamente verso di lui ma ogni passo che lei faceva in avanti ne riceveva uno indietro in risposta.
«Non allontanarti.» lo pregò. «So che è difficile, ma qui nessuno vuole farti del male.»
Poi successe tutto in un attimo. James si bloccò di colpo con le gambe affondate nella terra e l’attenzione rivolta verso un punto che Kamila non era in grado di vedere. In pochi secondi, qualcosa nel cervello di Bucky scattò come una molla e il suo corpo si scaraventò in avanti, rapido e carico di furia omicida.
Kamila non ebbe il tempo di capire quello che stava succedendo. Vide Sam e altre due guardie spostarsi frettolosamente verso la porta come a difendere qualcosa. O qualcuno.
Poi capì. Kamila cominciò a correre dietro a James il quale sembrava spinto in avanti da una forza sovrannaturale.
«James!» lo richiamò ma lui non diede alcun segno di averla sentita. «James fermati!»
Kamila racchiuse le mani a coppa e concentrò la sua forza nel creare una piccola lastra di ghiaccio. La lanciò contro la schiena di Bucky ma la sua velocità e i suoi movimenti fluidi riuscirono a schivarla. Tentò un altro paio di volte, senza successo.
James si scaraventò contro le due guardie. Afferrò una di loro per la canna della pistola e la fece girare su se stessa. L’uomo tentò di riappropriarsi dell’arma, cercando di mantenere la presa ferma sul grilletto.
Con un gesto secco delle dita, Kamila congelò la mano dell’uomo impedendogli qualsiasi movimento. L’ultima cosa che voleva era una pallottola conficcata nel corpo di Bucky.
Quest’ultimo prese a colpire con forza il viso dell’uomo e il suono secco del metallo sulle ossa era straziante.
«James!» Kamila riuscì a raggiungerlo e con forza gli afferrò un braccio. Lui interruppe ciò che stava facendo, sorpreso da quell’improvviso contatto.
Kamila ne approfittò per creare una barriera di ghiaccio spesso davanti alla guardia che, inerme, cadde a terra. La barriera si materializzò dal terreno e in fretta si allungò fin sopra la testa dei presenti. James fu costretto a indietreggiare in fretta per non rimanere conficcato nel ghiaccio.
«Bucky fermati subito.» la voce di Kamila era decisa ma nascondeva tra le righe un tono pieno di suppliche.
Sam afferrò James per le braccia, da dietro, e lo mantenne fermo per qualche secondo. Kamila lanciò uno spruzzo di ghiaccio verso le gambe di Bucky, immobilizzandogli i piedi e le ginocchia.
James prese a muoversi convulsamente cercando disperatamente di liberarsi da tutte quelle catene. Il suo viso diventò rosso per lo sforzo e i suoi lamenti divennero sempre più affannosi.
«Bucky...» Kamila si avvicinò a lui con calma, tenendo le mani all’altezza del suo busto, nel caso in cui avesse dovuto difendersi da un’eventuale attacco. «Bucky, devi calmarti.»
Quando i suoi occhi azzurri incontrarono quelli di Kamila, i suoi movimenti convulsi cessarono all’istante. Si guardarono per qualche secondo e quando lei fu certa che la crisi fosse passata del tutto riassorbì il ghiaccio che bloccava i suoi arti inferiori. Sam lo lasciò andare.
«Respira...» Kamila allungò le mani verso il suo viso. Quando sfiorò le sue guance si stupì di percepire tutto quel calore e quel tumulto interiore. Nessuno poteva di certo negare che il Soldato d’Inverno non provasse mille e forse più emozioni diverse.
«Bucky, respira.»
Il suo respiro era affannoso e la sua pelle era ancora rossa, ma quando le mani di Kamila aderirono completamente al suo viso, James perse qualsiasi traccia di nervosismo. Kamila gli sorrise e si avvicinò ancora di più.
«Bravo, così.» cominciò a inspirare ed espirare lentamente insieme a lui, accompagnando la respirazione con delle piccole carezze sul viso.
Mentre lui cercava di calmarsi, Kamila fece segno a Sam di andare via da lì e lasciarli da soli. Rimase sorpresa nel constatare che lì intorno c’ereano solo loro cinque. Non c’era alcuna traccia del professore.
Che si fosse spaventato a causa della reazione così forte e improvvisa di Bucky? Ma non era stato proprio lui ad affermare id essere in grado di far fronte a quelle crisi?
Kamila pensò che dopotutto chiunque sarebbe scappato di fronte ad una situazione del genere, soprattutto una persona non addestrata come lui.
Quando rimasero soli, Kamila accompagnò James all’interno della struttura, verso l’ascensore. Era il caso che entrambi si togliessero quei vestiti e andassero a riposare: la festa era ormai finita.
In ascensore Bucky rimase in silenzio, appoggiato alla parete e incapace di formulare un suono. Raggiunto il piano degli alloggi, si diressero insieme verso la stanza di James, rimanendo in religioso silenzio.
Kamila non vedeva l’ora di farsi una doccia, togliersi quei vestiti e andare a dormire, ma prima doveva assicurarsi che James stesse bene e doveva tornare alla festa a recuperare la sorella.
Mentre pensava a quali potesse essere stato il motivo di una tale reazione da parte di Bucky, questo le afferrò le braccia e la bloccò contro la parete. Kamila trattenne il fiato, ma c’era qualcosa di diverso rispetto a quel pomeriggio, dove l’aveva presa e sbattuta violentemente contro il pavimento.
Il suo tocco in quel momento era leggero, delicato, quasi inesistente  e il suo sguardo era vuoto ma pieno di significato.
I loro corpi erano così vicini da sfiorarsi al minimo respiro. Rimasero in silenzio per più di un minuto, mentre Kamila cercava di trattenere la sorpresa e Bucky capiva cosa fare.
Alla fine, lui le strinse un fianco con la mano e appoggiò la fronte sopra la sua spalla, contro la parete. Le labbra di James erano a qualche centimetro dall’orecchio di Kamila. La schiena fu pervasa da una scossa incontrollabile.
«Mi dispiace.» sussurrò debolmente. 
Senza neanche darle il tempo di comprendere il significato di quelle scuse, Bucky si era già staccato e allontanato dal suo corpo, lasciandole una sensazione di vuoto tutt’attorno.
Kamila lo osservò mentre si dirigeva a passo deciso verso la sua stanza.
Era rimasta senza parole, lei, che di parole ne aveva così tante.
 
 

 


Here we are my friends!
Eccomi qui! Allora, ho davvero poco tempo perciò sarò più breve del solito. Ringrazio come sempre di cuore le bellissime persone che hanno lasciato un commento al capitolo precedente e anche chi sta seguendo la storia o l'ha appena aggiunta tra le preferite-ricordate-seguite! State diventando davvero tanti, e ciò mi riempie di gioia perchè non credevo di riuscire ad ottenere così tanti lettori!
Comunque, il capitolo è davvero lungo ahahah me ne sono resa conto solo quando l'ho copiato, ma spero che questo sia un punto in più ahahah 
Purtroppo sono un po' delusa da come è uscito, ma anche cercando di modificare qualcosa, il risultato non mi convince ancora del tutto. Per questo sto pubblicando adesso e così di fretta, almeno non mi farò assalire ancora da mille dubbi  ahahaha
spero che a differenza mia voi siate rimasti soddisfatti del capitolo! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, e soprattutto se vi è piaciuta l'interazione fra i nostri due bei protagonisti!
Ora devo proprio andare, un bacio a tutti quanti !
clepp

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Capitolo 7
*** 7 ***


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(7)


 
«Un, dos, tres, cu...cu… ehm...»    Tanka alzò gli occhi al cielo in un’espressione di completa concentrazione mentre sua sorella Kamila spostava lo sguardo da lei al libro ogni cinque secondi. Stava cercando di aiutarla a ripassare le regole basi dello spagnolo, dato che di lì a poco avrebbe avuto una verifica. Il problema era che Kamila non aveva mai studiato né tantomeno letto qualcosa in spagnolo, perciò non era in grado di correggerla su eventuali errori di pronuncia o di grammatica.
«Cuatro...» cercò di sillabare in un pessimo tentativo di pronunciare il numero quattro in maniera corretta.
«Giusto, si... cuatro, cinco... se... ehm» di nuovo Tanka alzò lo sguardo per riflettere come se la soluzione fosse scritta sul soffitto della biblioteca.
«Questo non ci provo neanche a leggerlo.» replicò Kamila, decisa, e le passò il libro per farle vedere come doveva essere pronunciato correttamente.
«Seìs.» le due ragazze sussultarono di colpo sulla loro sedia nell’udire quell’improvvisa voce maschile comparire da chissà dove. Erano rimaste da sole rinchiuse in biblioteca per l’intero pomeriggio, perciò quell’intrusione le fece spaventare più del dovuto.
Kamila si girò di scatto e, esattamente a pochi passi dall’uscio della porta, scorse il luccichio del sole sul metallo lucido. James era fermo a qualche tavolo da loro, con le mani nelle tasche dei pantaloni e i capelli sistemati dietro le orecchie.
«Bucky, ci hai fatto spaventare.» mormorò Kamila, trasformando lo spavento in sorpresa. «Che ci fai qui?» gli chiese, e con l’abbozzo di un sorriso lo invitò a raggiungerle.
«Non sapevo cosa fare, e ho pensato di venire qui a leggere qualcosa.» rispose lui, rimanendo sempre rinchiuso nella sua compostezza e serietà. Con calma si diresse verso di loro, zigzagando fra i tavoli della biblioteca e fermandosi a pochi passi dalla sedia di Kamila.
«Noi stiamo studiando... o meglio, Tanka sta studiando. Io sto cercando di darle una mano, come posso insomma.» all’improvviso, il viso di Kamila si accese di entusiasmo. «Bucky, tu conosci trenta lingue, l’ho letto nel tuo fascicolo! Non guardarmi così, l’ho fatto per cercare di aiutarti. Comunque, conoscerai di certo lo spagnolo.»
James annuì, incerto di dove sarebbe andata a parare. «Si, lo conosco.» mormorò sospettoso.
Kamila si alzò di scatto e si sporse verso di lui. Gli posò le mani sulle spalle e lo trascinò con forza verso la sedia dove pochi secondi prima c’era seduta lei. Lo obbligò a sedersi e lo ringraziò mentalmente per non essersi opposto perché sapevano entrambi che se lui non l’avesse voluto, lei non l’avrebbe mosso nemmeno di un centimetro.
«Io sono una vera frana in spagnolo, ma mia sorella ha una verifica tra qualche giorno. Sono conoscenze base, perciò sono sicura che ci metterai solo qualche minuto per aiutarla.»
James aggrottò la fronte: non era molto propenso ad aiutare, o meglio, a stare a contatto con una bambina di nove anni, ma allo stesso tempo sentiva dentro di sé il desiderio di accontentare la ragazza dagli occhi color ghiaccio che gli stava di fronte. Annuì titubante.
«Cosa devo fare?» chiese  cercando di rilassare i muscoli facciali.
Tanka gli porse gentilmente il libro alla pagina giusta e gli indicò la tabella che doveva studiare. «Devi leggere queste parole, solo una volta, così posso sentire la pronuncia e impararla correttamente.» la bambina gli sorrise cercando di alleviare la tensione che traspariva dal viso dell’uomo.
James prese il libro e lesse nella sua mente i vocaboli, dando un’intonazione giusta a ciò che stava ripetendo.
«Facciamo così,» esordì facendo scivolare il libro sotto gli occhi di Tanka. «Leggili tu, e se sbagli ti fermerò e correggerò la pronuncia.» gli pareva un modo più efficace per memorizzare quei vocaboli, poiché la bambina avrebbe compreso maggiormente i suoi errori e sarebbe riuscita a correggerli più velocemente.
«D’accordo.» Tanka annuì e con un’espressione decisa, che a James ricordò molto quella della sorella, cominciò a leggere i vocaboli in uno spagnolo titubante. James la fermò una decina di volte per correggere gli errori di pronuncia e farle capire i vari accenti e la loro giusta intonazione.
«Mantequilla, la “qui” deve essere letta come se ci fosse una k al suo posto.» la incoraggiò a scrivere accanto alla parola la giusta pronuncia di modo tale che avrebbe potuto ripassare da sola senza fare errori.
Kamila osservava la scena dalla sua sedia posta accanto a quella di James. Aveva osservato come la tensione che traspariva dal corpo di Bucky fosse via via scemata col passare dei minuti e come i suoi modi composti avessero fatto spazio ad una gentilezza inaspettata. Kamila sapeva che il Soldato d’Inverno nel suo profondo nascondesse ancora un carattere umano ed era contenta di vederlo trasparire di tanto in tanto.
Era passato qualche giorno dalla festa a sorpresa in onore di Steve e Kamila aveva cercato di non pensare a ciò che era successo a fine serata, quando lei e James si erano diretti verso i loro alloggi. Si era chiesta più volte per quale motivo lui si fosse scusato e anche come avesse fatto a far cadere il muro di cemento che aveva innalzato per lasciare fuori il resto del mondo.
Il momento in cui il viso di Bucky si era spaventosamente avvicinato al suo e la sua mano si era attraccata al suo fianco, erano stati i motivi per cui l’insonnia di Kamila era peggiorata enormemente in quei giorni. Aveva cercato disperatamente di non pensare a ciò che era successo, ma vedere il viso di James tutti i giorni ed essere a stretto contatto con lui avevano reso l’impresa più difficile del previsto. Entrambi avevano fatto in modo che tra loro non aleggiasse un’atmosfera carica di imbarazzo per l’accaduto, e avevano fatto finta di niente, ma entrambi ricordavano bene le sensazioni che avevano provato a stare così vicini.
Kamila sentiva di provare ancora più compassione nei confronti di un uomo che non era in grado di mantenere il controllo delle proprie azioni e che per questo soffriva per ciò che combinava quando la sua mente gli giocava brutti scherzi.
«Sei molto brava.» i pensieri di Kamila vennero interrotti dall’improvviso cambio di atmosfera. James stava sorridendo e sembrava decisamente più tranquillo rispetto a quando era entrato in quella biblioteca. Il suo viso pareva come avvolto da una luce diversa e vederlo sorridere in quella maniera così naturale le strinse il cuore.
«Ha preso tutto dalla sorella.» esordì lei, scherzando. James voltò lo sguardo verso Kamila e scosse la testa.
«Forse si, ma di certo non lo spagnolo.»
Tanka scoppiò a ridere e la sua risata coinvolse anche i due adulti. Kamila accompagnò la sorella non tanto per la battuta in sé ma per il fatto che James avesse davvero imparato a scherzare e a cogliere il lato divertente delle cose. Bucky si limitò ad ampliare il suo sorriso e ad abbassare lo sguardo, visibilmente in imbarazzo.
«Credo che tu abbia ragione. Non sono molto brava nelle lingue.» replicò, appoggiandosi contro lo schienale della sedia. «Conosco il russo, la mia lingua madre, e l’inglese. E qualcosa di francese, ma giusto perché sono stata costretta a parlarlo.» roteò gli occhi ricordando gli anni in cui era stata obbligata a vivere in Francia.
James osservò il viso della ragazza mutare completamente, trasformando la sua aria serena in un’espressione tetra. Si chiese cosa le stesse passando per la testa e si stupì nel rendersi conto che avrebbe voluto conoscere la storia di quella ragazza più di ogni altra cosa.
«A proposito di lingua russa,» esclamò Tanka all’improvviso, cominciando a rovistare nel suo zaino alla ricerca di chissà che cosa. «Il signor Milicevic l’altro giorno mi ha dato un indovinello russo, ma io non sono riuscita a capirlo. Magari potreste darmi una mano!»
Tirò fuori una cartelletta blu contenente dei fogli spiegazzati. Ne prese uno e rimise nello zaino la cartelletta. Sul foglio c’era una lista di parole in lingua russa che Bucky non riuscì a vedere bene: le mani cominciarono a sudargli senza un apparente motivo logico.
«Mi ha detto di trovare un collegamento fra tutte queste parole, ma credo sia impossibile!» stirò il foglio sulla superficie del tavolo prima di riprenderlo in mano e osservarlo con attenzione.
«Leggile, forza.» la incitò Kamila, tenendo le orecchie ben aperte per capire quale fosse il trucco. James si sentiva inspiegabilmente strano; aveva perso l’aria serena e tranquilla di poco prima e aveva riacquistato la sua espressione nervosa.
«La prima è желание.» scandì Tanka in una perfetta cadenza russa.
Gli occhi di James  si bloccarono sul foglio. I suoi muscoli si tesero come corde di violino e la sua bocca si assottigliò in una linea quasi invisibile. La sorpresa e l’incredulità gli impedirono qualsiasi movimento.
«Ржaвый, Семнадцать, РассветПечь, Дев-»
James la interruppe bruscamente. Le strappò via il foglio dalle mani così violentemente da procurarle un taglio profondo sull’indice. Tanka sobbalzò per quell’improvviso scatto d’ira.
«Chi te l’ha dato?» la sua voce sembrava un tuono, forte e carico di rabbia. Si era alzato dalla sedia talmente in fretta da farla cadere a terra con un tonfo. Il suo metro e ottanta e i suoi muscoli tesi e gonfi d’ira sovrastavano con imponenza la bambina.
«James!» anche Kamila si era alzata automaticamente dopo quell’improvvisa reazione. «Cosa diavolo stai facendo?»
«Chi te l’ha dato?» ripeté James senza distogliere lo sguardo impetuoso dall’innocente viso di Tanka. La bambina scoppiò a piangere e le sue spalle presero a tremare seguendo i movimenti dei suoi singhiozzii.
«James!» Kamila fece il giro del tavolo e si frappose fra la sorella e l’uomo.
«Chi te l’ha dato?» ringhiò James, mentre le puntava addosso il foglio.
«James smettila!» Kamila cercò di spintonarlo lontano dalla sorella, ma la sua forza venne annientata dalla muscolatura di Bucky. Questo rimase immobile dov’era, fermo a fissare con occhi pieni di collera quella bambina di nove anni.
Il pianto di Tanka divenne insostenibile.
«Vai via James!» Kamila lo fissava con occhi di ghiaccio e un’espressione che non ammetteva alcuna replica. Era sconvolta, confusa e arrabbiata per ciò che stava succedendo. James non doveva permettersi di trattare sua sorella in quel modo.
«No!» finalmente lo sguardo di Bucky si spostò dal viso della bambina a quello di Kamila. «Non finchè non mi dirà chi gliel’ha dato e cosa le ha detto di farci.»
«Ha già detto che gliel’ha dato il suo insegnante. Ora te ne puoi andare.» ribatté vigorosamente.
«Cosa ti ha detto?» continuò James rivolgendosi ancora una volta a Tanka. «Cosa ti ha detto di farci?»
Kamila cominciò a perdere la pazienza: strinse i pugni e rilasciò le dita in un colpo secco che fece comparire una lunga lastra di ghiaccio indirizzata verso James. Questo dovette spostarsi con uno scatto veloce per evitare che quel pezzo di ghiaccio appuntito gli perforasse il petto. Si costrinse a non rispondere alla provocazione.
«Potrei congelarti il cuore fino a far diventare insostenibile il dolore e pregarmi di toglierti la vita. Ora vai via da qui.» la minaccia di Kamila gli arrivò forte e chiara. Qualsiasi muscolo del suo corpo e del suo viso gli dicevano che non stava affatto scherzando e che le sue parole non erano da prendere alla leggera. Ma James sapeva di essere più forte di lei, nonostante non avesse le sue stesse capacità, ma entrambi erano decisamente troppo infuriati per poter lasciar perdere.
«Quelle parole sono le parole che innescano in me una furia omicida. Se avesse continuato a leggerle probabilmente ora il corpo di tua sorella sarebbe steso, inerme sul pavimento.» la serietà del suo sguardo la fece allarmare. Kamila afferrò il foglio dalle mani di James e si mise a dare una rapida occhiata alla lista di parole scritte su quel pezzo di carta. Sapeva, come tutti in quell’edificio, che esisteva una combinazione di parole capace di scatenare la furia e l’ira del Soldato d’Inverno, ma non aveva alcuna idea di come quella bomba a mano fosse finita nelle mani di sua sorella minore.
La mente vagò verso il professor Milicevic. I pensieri negativi che si era fatta su di lui, il suo sesto senso e la brutta sensazione che aveva provato quando l’aveva visto per la prima volta, diventarono ancora più reali.
«Per quale motivo Clark avrebbe dovuto dare questo foglio a Tanka?» Kamila si girò verso la sorella che aveva ancora il viso rigato di lacrime ma il respiro le era tornato regolare. Si inginocchiò davanti a lei e l’abbracciò per confortarla.
«Va tutto bene, Tanka. Non è successo niente.» le disse, cercando di tranquillizzarla. «James ha reagito in quel modo perché questo foglio contiene qualcosa di davvero molto pericoloso.»
Bucky rimase immobile dietro di loro, incapace di proferire parola. Avrebbe voluto scusarsi con quella bambina, e magari anche abbracciarla, ma la sua insensibilità non gli permise di farlo.
«Devi dirmi cosa ti ha detto esattamente il signor Milicevic, tesoro.» continuò Kamila, cominciando a far passare la mano tra i capelli della sorella. Tanka si asciugò le guance rigate di lacrime e tirò su col naso.
«Io non... non mi ricordo.» mormorò debolmente, abbassando la testa sotto lo sguardo pressante del Soldato d’Inverno.
«Tesoro devi cercare di ricordarti. Fai uno sforzo, ti prego.» tentò Kamila, guardandola con uno sguardo pieno di compassione e di preoccupazione.
Tanka scosse la testa. «Ricordo solo che me l’ha dato qualche giorno fa, dopo la festa per Steve. Mi ha detto di cercare di risolverlo e di chiedere aiuto a te o a chiunque sapesse il russo.»
James afferrò lo schienale della sua sedia con forza e la tirò su, scaraventandola contro uno scaffale pieno di libri. Questi cominciarono a cadere uno ad uno, riempiendo la biblioteca di un rumore costante.
«Ci sono solo tre persone qui dentro che conoscono il russo, e sono tutte in questa stanza.» sbottò frustrato, prendendo a fare avanti e indietro per la stanza.
Kamila cercò di collegare quelle poche informazioni che aveva ricevuto dalla sorella per capirci qualcosa in più.
«Quindi il signor Milicevic ha dato il foglio a Tanka perché sapeva che gli unici a conoscere il russo siamo noi tre  e che lei non sarebbe riuscita a risolvere l’indovinello da sola, proprio perché non è un indovinello. Voleva scatenare il Soldato d’Inverno per qualche motivo.»
«Quell’uomo è un infiltrato ed io non posso credere che Steve sia stato così stupido da lasciarlo entrare così facilmente!» con la mano di metallo stretta a pugno colpì con forza la parete della biblioteca che tremò facendo cadere un grosso quadro.
«James!» lo richiamò Kamila dopo aver visto la sorella sussultare nuovamente.
«Devo andare a parlare con Steve.» James si diresse velocemente verso la porta.
«Tesoro, comincia a ritirare le tue cose, io arrivo subito.»
Kamila seguì Bucky verso l’uscita. Una volta fuori dalla biblioteca Kamila lo richiamò con decisione mentre lo raggiungeva a passo svelto.
«Non ti permetterò di trattare un’altra volta così mia sorella.» anche se sapeva di non fargli niente, Kamila lo colpì sul petto con quanta più forza avesse in corpo, in modo tale da scaricare un po’ di rabbia accumulata.
«Non credo sia il momento adatto per parlare di queste stronzate.» replicò James ignorandola e riprendendo a camminare svelto.
«Stronzate? Stiamo parlando di mia sorella che se non hai ben capito ha solo nove anni. Non puoi inveirle contro come hai fatto poco fa.» gli urlò dietro, mantenendo il suo passo.
Bucky si fermò di colpo e si girò verso di lei. Senza lasciarle il tempo di accorgersi di quel movimento improvviso, Kamila si scontrò con il suo petto, duro e forte come l’acciaio del suo braccio.
«Se non l’hai capito lo spavento che le ho fatto prendere è il minimo rispetto a quello che sarebbe potuto succedere veramente se lei avesse continuato a leggere quel foglio. Ora sarebbe potuta essere morta e tu mi odieresti fino alla fine dei miei giorni. Perciò, mi dispiace di essere stato così brusco ma era necessario.» l’intensità dei suoi occhi e la serietà nel suo tono di voce le fecero tremare le gambe. Kamila aveva il brutto difetto di non ragionare mai prima di compiere determinate azioni, ed inveire contro di lui per quel motivo era stato stupido. Aveva appurato ormai che lui era solo una vittima in quel circolo vizioso, eppure non faceva altro che farlo sentire ancora più in colpa per qualcosa che lui non era in grado di controllare.
«James...» mormorò Kamila, senza essere capace di trovare le parole per andare avanti.
«Vado da Steve.» tagliò corto lui, voltandosi imperterrito e procedendo verso la sua destinazione. Kamila si infilò le mani nei lunghi capelli biondi: prima di tornare ad occuparsi di sua sorella, prese un profondo respiro.
 
*
 
Un leggero venticello le soffiava delicato sul viso. Kamila si raccolse i capelli in una coda e si infilò le mani nei pantaloncini.
Era tardo pomeriggio e dopo aver parlato con la sorella e averla calmata, aveva deciso di uscire dal rifugio per respirare aria pulita e pensare. Di tanto in tanto, sentiva il bisogno impellente di rimanere da sola, lontana da chiunque, persino da Tanka. Rimanere rinchiusa ventiquattrore su ventiquattro in un posto che, per quanto potesse essere grande, la opprimeva, non era facile.
Kamila camminava all’interno della fitta distesa di alberi, assicurandosi di mantenere il rifugio nel suo campo visivo. Non voleva allontanarsi troppo, soprattutto per non far preoccupare nessuno, ma anche perché dopo aver scoperto la vera identità del professore non si sentiva più al sicuro. Non riusciva a capire perché quell’uomo avesse usato sua sorella per arrivare al Soldato d’Inverno. Come faceva ad essere sicuro che lei avrebbe letto quella combinazione in sua presenza? E per quale motivo voleva scatenare la sua furia? Tutto ciò non aveva senso. Loro tre erano sì gli unici a sapere il russo, ma nessuno poteva garantirgli che la bambina sarebbe andata a leggere l’indovinello proprio a James. C’era un motivo ben più radicato per cui lui aveva scelto proprio Tanka, ma Kamila non capiva quale potesse essere.
Il flusso dei suoi pensieri  venne spezzato all’improvviso da dei passi dietro di lei.
«Kamila...» la voce roca di Bucky la sorprese. Kamila si voltò verso di lui e la sua presenza la irritò: voleva stare da sola.
«Lasciami sola.» rispose scocciata, tornando ad osservare il panorama davanti a sé.
«Volevo solo dirti che mi dispiace... per tua sorella.» mormorò James e Kamila immaginava il suo sguardo imbarazzato vagare dappertutto pur di non incontrare la sua figura.
«Anche a me dispiace.»
«Lei è solo una bambina. Non sarebbe dovuta entrare in questa situazione.»
Kamila si decise a voltarsi di nuovo. Incrociò le braccia al petto e osservò il viso di Bucky. La luce del giorno illuminava l’imponenza del suo corpo e del suo viso che pareva esser stato scolpito in un’espressione di perenne agonia.
«In realtà, è colpa mia.» sospirò lei lasciandosi cadere per terra e incrociando le gambe. «Quando ho accettato di lavorare per Fury sapevo esattamente in che cosa mi stavo cacciando e che pericoli avrebbe corso Tanka.»
«Eppure l’hai fatto lo stesso.» commentò James e, quasi automaticamente, fece qualche passo in avanti nel tentativo di tagliare quell’atmosfera di tensione.
Kamila cominciò a giocherellare con le punte dei suoi lunghi capelli biondi, sovrappensiero. «Non potevo non farlo. Non sarei stata in grado di crescere una bambina da sola, soprattutto in quel periodo, quando non ero capace a tenere sotto controllo i miei poteri. Far parte dello SHIELD mi ha aiutata moltissimo e per quanto Tanka possa essere in pericolo qui, sono certa della scelta che ho fatto.» concluse sbuffando un sospiro di rassegnazione, come se quella fosse l’unica via che a quei tempi Kamila avrebbe dovuto prendere. James cominciò a domandarsi come avesse vissuto la sua vita, cosa le fosse successo e perché dietro quella corazza di ragazza forte si celasse un dolore costante. Eppure, non aveva il coraggio di fare un passo tanto grande, e comunque era sicuro che lei non si sarebbe confidata così facilmente.
«Hai delle capacità incredibili.» mormorò lui, appoggiandosi al tronco di un albero poco più distante dalla ragazza. «Riesci a rendere un elemento così freddo, pieno di calore.»
Kamila abbozzò un debole sorriso mentre con lo sguardo osservava distrattamente le sue scarpe. Come se qualcosa in lei l’avesse spinta a farlo, alzò una mano e con un movimento secco delle dita fece comparire un grosso cubo di ghiaccio che prese a fluttuare nel piccolo spiazzo in mezzo a loro.
«Da bambina mi divertivo molto a sperimentare,» esordì mentre con le dita eseguiva dei piccoli movimenti eleganti ed ipnotici. «Ho rischiato molte volte di farmi male sul serio, ma nonostante questo adoravo giocare con i miei poteri.»
Solo quando sentì uno scricchiolio, James si rese conto che i movimenti delle sue dita erano collegati al cubo. Scorse dei piccoli tagli all’interno del blocco che si formavano via via che lei proseguiva con quei gesti.
Bucky rimase a fissare ipnotizzato i cambiamenti all’interno del cubo per qualche secondo, poi  spostò l’attenzione verso la ragazza. Kamila osservava l’oggetto davanti a lei con occhi velati di tristezza e allo stesso tempo serenità. James non le tolse gli occhi di dosso neanche un secondo. Non aveva intenzione di perdersi neanche un respiro o un battito di ciglia.
«Ti piace?» chiese lei all’improvviso, risvegliandolo dal suo stato di trance. Bucky volse lo sguardo verso il cubo di ghiaccio. All’interno era apparsa come per magia una piccola rosa, sdraiata orizzontalmente, dando l’idea di essere morta. Bucky provò una sensazione di malinconia e tranquillità e non seppe per quale motivo.
«E’ meravigliosa.» rispose, con sincerità. Kamila sorrise di rimando.
«Già,» replicò. «La mia meravigliosa condanna.»
James avrebbe voluto chiederle cosa volesse dire con quel termine, ma qualcosa non glielo permise.
Un boato seguito da un rumore sordo li distrasse immediatamente. La terra tremò sotto ai loro piedi.
«Cos’è stato?» chiese Kamila, il suo tono di voce era allarmato e il suo primo pensiero andò a Tanka.
«Non lo so.» rispose Bucky, allerta. In quei minuti con Kamila era riuscito a rilassarsi, a lasciarsi andare e a sciogliere un po’ la tensione che aleggiava perennemente nella sua testa, ma subito dopo quell’improvviso rumore, gli istinti del Soldato d’Inverno erano tornati a galla.
«Arriva dal rifugio.» disse secco, facendo qualche passo in avanti nel tentativo di avere una visuale migliore sull’edificio. Riuscì a scorgere solo un fumo denso fuoriuscire dal tetto e qualche uomo munito di mitra correre qua e là. Era chiaramente un attacco.
Non appena voltò la testa per chiarire la situazione con Kamila, questa l’aveva già superato e di corsa si stava dirigendosi verso l’edificio.
James sbiancò. Cominciò a rincorrerla e a richiamarla a gran voce: il panico gli strinse le membra.
«Kamila, fermati!» urlò con forza, velocizzando il passo nel tentativo di raggiungerla prima che qualcuno si accorgesse della loro presenza.
«C’è Tanka là dentro!» replicò lei in risposta e James poteva sentire la punta di terrore nascosta nella sua voce.
In un attimo le fu dietro. Riuscì ad afferrarle il braccio e a spintonarla verso di lui, ma, come aveva pensato, Kamila oppose resistenza. Cercò di scrollarsi di dosso le sue mani forti e a spingere in avanti per raggiungere il prima possibile l’edificio, ma James non era intenzionato ad aiutarla.
«Lasciami andare!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola. «Lasciami andare, Tanka è là dentro!»
Bucky le afferrò entrambe le braccia per tenerla ferma ma lei continuò a divincolarsi dalla sua presa. «Tu non capisci, lei è là dentro da sola!»
«Kamila non puoi tornare indietro, è troppo pericoloso.» replicò lui in risposta, pregandola con gli occhi di fermarsi a ragionare.
«E’ mia sorella!» il suo tentativo di sfuggirgli di mano diventò più pressante e Bucky dovette lasciarla andare tanto era ingestibile. Kamila non ci pensò due volte ad afferrare l’occasione e a lanciarsi in avanti di corsa.
James tuttavia fu più svelto di lei e l’afferrò da dietro, circondandole il busto e la vita con entrambe le braccia. «Non urlare.» le sussurrò nell’orecchio.
«Ti prego ascoltami,» continuò, «Tua sorella starà bene, Kamila. Devi fidarti di me.»
«Stanno attaccando il rifugio, lei non starà bene!» le fu inevitabile urlare dal panico. Nel momento in cui James le tappò la bocca con una mano lei sentì le lacrime premere per uscire. Era completamente e inevitabilmente sconvolta, incapace di formulare un pensiero razionale se non quello di dover salvare sua sorella.
«Kamila, respira. Ragiona.» riprese James, «Quelli del governo non tratteranno mai male una bambina di nove anni. Non lo faranno. So che lei sarà spaventata, ma ci sarà Steve a proteggerla. Se tu ora torni lì dentro, finirai in prigione con lei, con tutti loro. E non avrai la possibilità di salvarla e tirarla fuori di lì, come ha fatto Steve con voi prima di portarvi qui.» il suo tono era pratico, secco, con l’unico obiettivo di farla ragionare il prima possibile.
Kamila strinse le mani in un pugno. Non poteva lasciare la sua sorellina lì da sola, ma non poteva neanche eliminare qualsiasi possibilità di poterla tirare fuori.
James sentì la mano che le copriva la bocca inumidirsi e si rese conto solo in quel momento che Kamila aveva iniziato a piangere. Lentamente le girò il corpo verso di lui e le lasciò libera la bocca.
«Kamila devi credermi e fidarti di me. Sono in grado di farli uscire tutti, vivi. Devi solo fidarti e venire con me.» cercò di risultare il più sincero e convincente possibile, anche se sapeva di non star dicendo la verità al completo. Ma doveva farlo, per lei. Non poteva rischiare di metterla in pericolo.
«E’ mia sorella...» ripeté Kamila, questa volta in un sussurro quasi inudibile.
«Lo so, ma ti prego. È la scelta migliore.» disse e aspettò impaziente una conferma da parte sua.
Kamila aspettò qualche secondo, incapace di muoversi o di pensare. Poi, finalmente, annuì col capo.
James non aspettò oltre, le afferrò una mano e cominciò a correre dalla parte opposta rispetto a quella del rifugio, dal quale provenivano urla e spari. Correva come mai aveva corso in vita sua, correva come se ora avesse un motivo valido per farlo.
«Dobbiamo muoverci.» disse e nella sua mente continuava a ripensare alla scena che gli si era presentata davanti.
Voleva non esserlo, ma era sicuro di averlo visto sulla divisa di uno di quegli uomini: il disegno di un teschio nero con sei tentacoli tutt’attorno. Il simbolo dei suoi incubi.
Il simbolo dell’HYDRA.
 
 





Buongiorno a tutti!
Sono davvero felicissima di poter aggiornare finalmente! Ho scritto questo capitolo a pezzi, nei momenti in cui avevo del tempo libero, perciò mi scuso se vi ho fatto aspettare così tanto! Ho davvero poco tempo anche adesso, perchè tra un'ora devo prendere un aereo (yey) ma ci tenevo a postare il capitolo prima di partire.
Prima di tutto ringrazio ancora una volta le bellissime persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite-preferite-ricordate, mi rendete orgogliosa ogni giorno di più. Inoltre ringrazio di cuore le lettrici che si prendono un minuto di tempo per recensire ogni capitolo, appena riuscirò vi rispoderò lo prometto!
Comunque, torniamo al capitolo. Spero di non aver deluso le vostre aspettative. Adoro sempre di più raccontare il rapporto che si sta creando fra i due protagonisti che adesso passeranno molto tempo assieme. Devo ancora decidere come evolvere bene la storia, ma vi prometto che cercherò di essere il più puntuale posibile.
Il professore si è rivelato per quello che è, un nemico. Molti di voi l'avevano già sospettato, così come Kamila!
Beh, ora devo proprio andare, spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto ciò che ho scritto!
un bacio,

clepp

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Capitolo 8
*** 8 ***


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(8)



Se Kamila non avesse ricevuto un addestramento da super soldato, a quest’ora sarebbe svenuta dalla fatica. Non avevano fatto altro che correre e correre per ore infinite con lo scopo di allontanarsi il più possibile dal rifugio sotto attacco e avvicinarsi alla città più vicina. Le era risultato difficile stare al passo con Bucky che non sembrava essere mai stanco o non aver mai bisogno di fermarsi a prendere aria. Avevano fatto solo una pausa di cinque minuti, durante i quali James era rimasto allerta e pronto a ripartire se ci fossero state delle complicazioni.
Il sole era calato da parecchie ore quando Bucky si fermò di colpo per guardarsi attorno. Kamila non si rese conto di quell’improvvisa decisione fino a quando non gli finì addosso, sbattendo la faccia contro la sua schiena.
«Ci fermeremo qui per la notte.» disse lui, pratico, ignorando il fatto che lei gli fosse appena caduta addosso.
Kamila non l’aveva mai visto così serio e deciso come in quel momento. Aveva capito che quella era ormai la sua missione e la indole da Soldato d’Inverno era tornata a galla.
«Grazie a Dio.» mormorò Kamila senza più fiato in corpo. Si appoggiò al tronco di un albero e inalò quanta più aria possibile. Le facevano male i muscoli delle gambe e la testa cominciò a girarle vorticosamente: l’adrenalina che l’aveva spinta a correre come mai in vita sua stava scomparendo piano piano.
«Vado a prendere della legna per il fuoco che terremo acceso giusto il tempo di riscaldarci. Tu riposati.» ordinò Bucky, lanciandole un’occhiata veloce prima di scomparire nel buio della foresta.
Kamila non aveva la forza di aprire bocca, sia per la stanchezza, sia per la preoccupazione. Ora che era ferma e aveva la possibilità di pensare, il panico cominciò a stringerle le viscere e mille dubbi presero a vorticarle nella testa.
Era stata la decisione giusta quella di abbandonare sua sorella e scappare con un uomo affetto da squilibrio mentale?
Come stava Tanka? Era spaventata? La odiava per averla lasciata da sola ad affrontare una prova del genere?
Kamila appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani. Le lacrime cominciarono a premere sui suoi occhi chiusi, desiderose di uscire e bagnarle le guance rosse.
«Cosa ho fatto...» sussurrò tra sé e sé mentre lentamente faceva scivolare la schiena contro il tronco così da sedersi a terra.
Intorno a lei c’erano solo buio e silenzio, due cose di cui lei non aveva bisogno in quel momento. Le servivano rumore, distrazioni, qualsiasi cosa per non pensare a ciò che aveva fatto. Al viso di sua sorella.
Cominciò a dubitare anche della decisione che aveva preso qualche anno prima di entrare a far parte di quella squadra e di portarsi dietro anche Tanka. Non era mai stata in pericolo come in quel momento, e Kamila non era con lei. Era colpa sua. Se le fosse successo qualcosa, Kamila non se lo sarebbe mai perdonato.
Sentiva il panico, la tensione e il senso di colpa affiorare dentro di lei e agguantare ogni singola cellula del suo corpo. Le si annebbiò la mente e, incapace di controllare i suoi impulsi, le mani cominciarono ad assumere un colorito sempre più pallido, fino a diventare completamente bianche.
Un alone di un azzurro limpido prese a volteggiare attorno alle sue dita ma prima che questo potesse allargarsi ancora di più e congelare qualsiasi cosa attorno a lei, qualcosa di caldo bloccò le sue mani.
«Kamila...» la voce di Bucky era un sussurro lontano e distante che lei riuscì a sentire sopra i mille pensieri che vorticavano nella sua testa.
«Respira...»
Kamila cercò di inalare ancora più aria nei polmoni. Aprì gli occhi e scorse quelli di James davanti a lei. Con quel buio non riusciva a vedere nulla, ma percepiva la sua figura china e vicina a lei, le dita della mano umana strette sulle sue.
«Scusami...» mormorò Kamila cercando di riprendere il controllo del suo corpo. Le mani riacquistarono lentamente colore e la tensione stretta attorno ai suoi muscoli scemò quasi del tutto.
«Non riesco a controllare i miei poteri quando sono nel panico.» spiegò, stringendo le dita di James ancora agganciate alle sue.
«Cerca di non esserlo allora,» replicò lui abbozzando un debole sorriso che sapeva nessuno avrebbe visto.
Si alzò da terra e raggruppò in un mucchietto i rami che era riuscito a trovare. In pochi secondi la luce di un piccolo fuocherello illuminò i volti di entrambi e Kamila si sentì meglio. D’un tratto, la stanchezza le assalì qualsiasi parte del corpo: desiderava dormire e mettere un freno ai suoi pensieri.
«Dovremmo mangiare qualcosa.» disse Bucky, indaffarato a sistemare tutt’attorno.
«Non ho fame.» rispose lei, la voce era un debole sussurro.
James si voltò verso di lei, nascondendo la preoccupazione attraverso un’espressione apatica.
«Dobbiamo mangiare, altrimenti domani non riusciremo a raggiungere la città.» la sua voce doveva risultare dura e decisa, ma James si rese conto che vedendo Kamila in quello stato non era in grado di trattarla come se fosse un qualsiasi altro soldato.
«Ce la farò. Ho bisogno solo di dormire.» replicò senza alcuna particolare inclinazione. Raggruppò un piccolo mucchio di foglie umide, si stese sul terriccio e appoggiò la testa sul cuscino di fortuna, pregando che il sonno la portasse via da quel posto e dal caos nella sua testa.
James si sedette a qualche metro di distanza da lei senza distogliere lo sguardo dal suo corpo raggomitolato in se stesso. Si sentiva in colpa. Per tutto.
Era colpa sua se quelli dell’HYDRA avevano attaccato il rifugio. Il loro obiettivo era lui e adesso avevano tutti fuorché l’uomo che volevano. Aveva messo in pericolo Steve, Sam e la sorella di Kamila.
Eppure, si sentiva sollevato ad avere lei lì, a pochi passi di distanza. Il solo pensiero di averla in una loro cella lo rendeva stranamente nervoso.
Il sonno prese il sopravvento anche per lui. Nonostante la sua natura da super soldato, quell’evasione lo aveva stancato fisicamente e mentalmente. Con calma appoggiò la testa contro il tronco e chiuse gli occhi.
I suoi sensi da soldato d’inverno tuttavia rimasero perfettamente svegli.
 
*
 
Kamila aveva raccolto i lunghi capelli biondi in una crocchia disordinata che aveva cercato di nascondere sotto un cappello di paglia dalla grande visiera. Fortunatamente, nella capitale del Wakanda quel tipo di indumento andava molto di moda tra la popolazione femminile, perciò Kamila riuscì a mimetizzarsi bene tra la folla. Il problema era Bucky. Il suo fisico massiccio, i suoi lunghi capelli e il suo braccio di metallo erano particolarmente difficili da nascondere in mezzo alla gente.
«Prova questi.» Kamila gli porse un paio di occhiali da sole dalla forma arrotondata, una maglietta rossa a maniche lunghe, un paio di pantaloni neri e delle scarpe da ginnastica comuni. Non potevano di certo andare in giro con la loro divisa monocolore e i loro scarponi pesanti ancora sporchi dopo la notte passata a dormire sul terriccio. Anche Kamila si era dovuta cambiare: aveva indossato un vestito leggero dai motivi floreali e un paio di scarpe da ginnastiche bianche.
Non appena erano riusciti a raggiungere la capitale alle prime luci dell’alba, James l’aveva guidata fino ad un centro commerciale dove avevano preso qualcosa da mangiare, si erano rintanati in bagno a rinfrescarsi e ora erano intenti a scegliere qualcosa con cui vestirsi per passare inosservati.
«Vado a cambiarmi. Stai attenta e se ti sembra di vedere qualcosa di strano non esitare a chiamarmi.» la avvertì James e senza esitare si avviò verso i camerini.
Kamila si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da fare mentre aspettava che James si cambiasse. Il centro commerciale era ancora quasi del tutto vuoto. I due avevano dormito solo qualche ora e si erano svegliati nel cuore della notte per riprendere il loro cammino. Kamila vide che erano solo le otto del mattino. Avrebbe voluto essere in un letto comodo, con un buon libro e sua sorella accanto. Invece si trovava a scappare come criminale dal governo delle Nazioni Unite senza possibilità di sapere come stesse in quel momento Tanka.
Nessuna delle due si meritava niente di ciò che stava succedendo.  Kamila era sicura di aver già sofferto abbastanza durante i suoi 22 anni, ma la vita non sembrava essere d’accordo con lei.
Mentre camminava fra la fila di vestiti, Kamila scorse uno specchio appeso al muro che la specchiava interamente. Con quel vestito corto riusciva a intravedere i lividi, i tagli e le cicatrici di tutti i combattimenti che aveva dovuto affrontare nel corso degli anni. Erano così tanti che non era neanche in grado di ricordarseli tutti. Notò dei tagli freschi che si era procurata durante la notte, a causa della moltitudine di rami che sbucavano ovunque nella fitta foresta.
Rimase interdetta a fissare il suo viso, stravolto dalla stanchezza e dalla preoccupazione. Nella sua vita aveva sempre cercato di usare quanto meno trucco possibile, ma in quel momento desiderava avere un fondotinta o qualsiasi cosa che potesse coprirle quelle occhiaie profonde.
Mentre era impegnata con i suoi mille pensieri si accorse solo in ultimo della figura imponente di un uomo a pochi passi dietro di lei. 
Non fece in tempo a voltarsi e a capire cosa stesse succedendo che questo le afferrò con forza le braccia, bloccandole qualsiasi tentativo di movimento. Presa alla sprovvista, Kamila urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Urlò il nome di James prima che l’uomo le tappasse la bocca con una mano ricoperta da un guanto nero. Kamila cercò di divincolarsi con quanta forza le fosse possibile o perlomeno tentò di creare del ghiaccio dalle sue mani, ma era troppo stanca per riuscire a concentrarsi abbastanza.
«L’abbiamo presa.» disse l’uomo, probabilmente a qualcuno al di là del suo auricolare.
Kamila rimase senza fiato. L’uomo non aveva parlato in inglese, eppure lei lo aveva capito. Non parlava il russo da parecchi anni, ma era ancora perfettamente in grado di comprenderlo. Perché diamine una guardia del governo delle Nazioni Unite doveva parlare in russo, e non in inglese?
Non ebbe il tempo di pensare ad una risposta che l’uomo cominciò a trascinarla verso l’uscita del negozio, davanti agli sguardi attoniti delle commesse. Kamila prese a muovere convulsamente mani e piedi, in un disperato tentativo di liberarsi da quella morsa letale. L’uomo era troppo forte.
D’un tratto, proprio mentre stava per svenire per lo sforzo e per la mancanza d’aria, la presa si allentò velocemente e lei ricadde a terra con un tonfo sordo. Inalò quanta più aria possibile prima di voltarsi e alzarsi in piedi, in una posizione di attacco. Bucky era comparso dal nulla con addosso i vestiti che lei gli aveva dato pochi minuti prima. Aveva afferrato l’uomo dal collo e lo stava strangolando con forza, con occhi pieni di furia omicida.
«Bucky dobbiamo andarcene.» urlò Kamila, guardandosi attorno allarmata. «Ce ne sono altri, dobbiamo andare via!»
James non riusciva a sentirla. Il desiderio di uccidere quell’uomo era troppo forte, il delicato suono delle ossa che si spezzavano sotto le sue mani era troppo eccitante per potersi fermare.
«Bucky!» Kamila lanciò una lastra di ghiaccio contro l’uomo, immobilizzando i suoi piedi al pavimento e un’altra contro James con l’intento di allontanarlo dal corpo ormai esanime dell’uomo. Lui scosse la testa e ci mise qualche secondo prima di riprendersi.
«Andiamo.» James la afferrò per un braccio e la trascinò lungo i corridoi del centro commerciale, veloce come il vento. Nella foga Kamila perse il cappello e l’elastico che le legava i capelli si sciolse completamente, facendole scivolare la folta chioma lungo la schiena.
«Avranno circondato il centro commerciale.» esclamò Kamila senza fiato. «Non possiamo uscire senza essere braccati.»
James rimase in silenzio ma continuò ad avanzare alla ricerca di una via d’uscita. Scansò una coppia di anziani senza farci troppo caso e voltò l’angolo, diretto verso chissà dove.
«James fermati, dobbiamo capire cosa fare!» Kamila cercò di fermare la sua corsa, ma la presa di Bucky era ferrea e le toglieva qualsiasi possibilità di movimento.
«Ci sono delle tubature che collegano l’intera città. L’ho letto in un libro. Se siamo fortunati non verranno a cercarci là sotto.» disse sbrigativo, continuando a correre. Kamila si guardò attorno e vide gli sguardi di tutti i presenti puntati su di loro: il loro andamento e il loro aspetto fisico erano certamente inusuali in quel posto così tranquillo. Kamila desiderò avere delle forbici per tagliarsi quei capelli e risultare quantomeno una ragazza comune.
«Come fai ad essere sicuro che anche qui ci siano queste tubature?» domandò Kamila mentre entrambi si fiondavano giù per le scale mobile e lungo il corridoio che collegava l’atrio principale ai servizi.
«Non lo sono.» rispose lui schiettamente e Kamila si rese conto che non era più il caso di parlare. Aveva capito che in quelle situazioni quella fioca luce umana nell’anima di James si spegneva completamente lasciando spazio all’impetuoso fuoco del Soldato d’Inverno.
«Entra.» James aprì con una spallata la porta di quella che doveva essere una stanza addetta al personale. Kamila entrò e aspettò la mossa successiva.
Bucky la seguì e si richiuse la porta alle spalle.
«Congela la serratura.» le ordinò facendo qualche passo indietro per sicurezza.
Kamila lo guardò ironica e si voltò verso la porta. Concentrò le sue restanti forze per creare una spessa barriera di ghiaccio lungo tutta la superficie in legno. Una volta finito, James le afferrò di nuovo la mano e prese a correre a perdifiato lungo uno stretto corridoio. Questo divenne sempre più buio ed angusto, quasi come se volesse tenerli lontani da chissà che cosa.
James le strinse ancor di più il polso e quel gesto le diede sicurezza: nonostante lui fosse in modalità missione, Kamila si sentiva sollevata a sapere che c’era ancora qualcosa di Bucky in lui.
«James dove stiamo andando?» sussurrò strizzando gli occhi nel disperato tentativo di scrutare qualcosa nel buio. Bucky si fermò di colpo e allungò un piede in avanti per tastare la superficie.
«C’è una scala. Tieniti a me.» esordì lui, avanzando con più calma.
Kamila lo seguì rimanendo ad un passo di distanza dal suo corpo: nonostante la sua presenza le infondesse una certa sicurezza, non aveva intenzione di fare la figura della povera donzella impaurita.
Scesero per una lunga rampa di scale illuminata soltanto da uno sprazzo di luce proveniente dal fondo.
Kamila sentiva l’adrenalina scorrerle nelle vene e ne sarebbe stata anche entusiasta se soltanto si fosse trovata in un contesto differente. Per esempio, non in quello dove dovevano fuggire dalle persone che avevano preso sua sorella minore.
Una volta raggiunto lo scantinato, Bucky riuscì a trovare l’interruttore di una luce al neon che illuminò una piccola stanzetta arredata con dei semplici scaffali, qualche scatolone e un grosso tombino posto in mezzo alla stanza.
«Perciò le tubature sarebbero le fogne.» commentò Kamila trattenendo a malapena una nota di disgusto nella voce. James si chinò sul tombino e tolse il coperchio.
«Se avessi usato quel termine, non saresti voluta venire.» replicò lui pratico, mentre ispezionava con una rapida occhiata ciò che li aspettava una volta scesi.
«Mi credi così schizzinosa?» gli chiese lei, alzando un sopracciglio.
«Non credo sia il momento adatto.»
James spense di nuovo la luce e si avvicinò a tentoni verso il tombino aperto.
«Scendo prima io per controllare il perimetro. Seguimi appena ti chiamo.» le ordinò, allungando le gambe nel buco e lasciandosi cadere all’interno. Il tonfo fu attutito dall’acqua sporca e maleodorante.
Kamila non era mai stata schizzinosa, ma doveva ammettere che camminare per chissà quanto tempo dentro ad uno spazio così angusto, buio, puzzolente e persino bagnato non era la sua definizione di passatempo preferito.
Dovette aspettare cinque minuti buoni prima che Bucky la chiamasse. Kamila si sedette sul bordo del buco e chiuse gli occhi prima di lasciarsi andare.
Aveva previsto di atterrare in una pozza d’acqua sporca e poltigliosa ma l’impatto fu completamente diverso. Quando aprì gli occhi rimase sorpresa nel constatare che James era riuscito a prenderla al volo prima che finisse con il sedere nell’acqua. Il suo braccio di metallo la teneva sotto la schiena e quello umano invece era a contatto con la pelle delle sue gambe.
Si guardarono per qualche istante prima che Bucky facesse qualche passo e la poggiasse sullo stretto pavimento in cemento che costeggiava il flusso delle fogne.
«Grazie James.» mormorò abbozzando un sorriso e sistemandosi alla bell’e meglio il vestito.
Bucky annuì col capo e tornò ad osservare il luogo intorno a sè.
«Dobbiamo seguire la direzione dell’acqua, così riusciremo a raggiungere il porto senza alcun problema.» senza aspettare risposta, prese a camminare nella direzione dell’acqua.
Kamila lo seguì cercando di rimanere il più attaccata al muro possibile. Se c’era una cosa che più detestava al mondo era una concentrazione così elevata e rapida di acqua: adorava il ghiaccio, ma non andava molto d’accordo con il suo stato liquido.
 
*
 
Kamila uscì dal vicolo in cui si era per un momento rintanata con un viso pallido e le labbra screpolate. Non osava immaginare come fosse ridotta la sua faccia, per non parlare dei suoi vestiti e del suo odore. Avevano camminato nelle fogne per un tempo quasi interminabile e non appena erano usciti, Kamila era corsa in una stradina chiusa e aveva rimesso l’intera colazione. Non sopportava la puzza di quel posto e il movimento incessante dell’acqua le aveva fatto salire un forte senso di nausea.
James le andò incontro con le braccia conserte ed un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.
«Stai meglio?» le chiese subito, senza neanche darle qualche secondo di respiro. Lei annuì semplicemente e senza dire una parola, lo sorpassò e continuò a camminare verso il porto, a qualche metro di distanza.
Bucky rispettò il suo silenzio e la seguì a passo svelto. «Dobbiamo raggiungere una di quelle navi.» disse, indicando una grossa imbarcazione mercantile. Kamila si sentì mancare la terra sotto i piedi. Il solo pensiero di dover affrontare un viaggio su una nave del genere, nel bel mezzo del mare, con tutta quell’acqua, quelle onde, e quel movimento incessante la spaventava a morte. Ma Kamila Metanova era un’agente dello SHIELD e in quanto tale non aveva il permesso di potersi lamentare.
«E dove andremo?» gli chiese mentre cercava di accantonare per un momento il pensiero di ciò che stava per affrontare. James si piegò dietro ad un bancale su cui erano posti due grandi scatoloni e lei fece lo stesso. Il porto era semideserto, fatta eccezione per qualche pescatore intento a sistemare le proprie reti da pesca.
«Dobbiamo raggiungere la meta più vicina. Dobbiamo sbarazzarci di quelli dell’H... dei tizi che ci stanno inseguendo il prima possibile e rimanere troppo tempo chiusi in una nave non è esattamente la scelta migliore.» spiegò lui, pratico mentre perlustrava minuziosamente ogni tipo di imbarcazione.
«Dobbiamo andare in Francia.» replicò Kamila. «Ho una casa a Parigi. Un piccolo appartamento di cui nessuno conosce l’esistenza, nemmeno lo SHIELD.»
Bucky annuì e represse l’impulso di chiederle per quale motivo avesse una casa a Parigi. Da quando l’aveva conosciuta, sentiva il bisogno di sapere qualsiasi cosa riguardo la sua vita, il suo passato e tutto ciò che l’aveva portata a far parte dello SHIELD. Voleva conoscere ogni suo aspetto e ogni suo particolare, ma il suo animo non glielo permetteva.
«Rimarremo lì qualche giorno, giusto il tempo di organizzare un piano d’attacco.» disse James, guardandosi attorno con aria circospetta.
«Per quanto dovrò stare lontana da mia sorella?» domandò Kamila sentendo lo stomaco di nuovo sottosopra. Bucky sentì una punta di amarezza nella sua voce e automaticamente portò l’attenzione sul suo viso stravolto.
«Il tempo necessario, Kamila.» rispose, guardandola dritta negli occhi con decisione. «Ma ti prometto che la riprenderemo, fosse l’ultima cosa che faccio.»
Kamila sentì di nuovo le lacrime spingere per uscire. In quei due giorni non riusciva a tenere a bada le sue emozioni né tantomeno ci provava. Voleva buttare fuori tutta la frustrazione e la tensione che aveva accumulato durante gli anni e dopo quello che era successo, non era per niente in grado di tenersi tutto dentro.
«Kamila...» sussurrò James, notando i suoi occhi lucidi, ma prima che avesse tempo di aggiungere altro, Kamila si sporse verso di lui e allacciò le sue braccia attorno al suo collo, lasciando che il peso dell’intera situazione crollasse assieme a lei.
Bucky rimase immobile, incapace di proferire un suono o di fare qualsiasi movimento. Non aveva idea di come comportarsi o di cosa fare per consolarla.
Alzò il braccio umano e lo posò semplicemente sulla sua schiena e quello a Kamila bastò. Perché lei sapeva che non avrebbe ottenuto più di quello e le andava bene, le andava bene perché in quel momento voleva soltanto sapere che lui per lei c’era, che non era sola.
Bucky avrebbe voluto dirglielo, ma non lo fece. Avrebbe voluto dire tante cose, ma lasciò che il silenzio vagasse tra di loro e rispondesse a tutte le loro domande.
 
 




Ciao bellissimi!
Vi starete chiedendo per quale motivo io sia su efp il venerdì sera, e posso assicurarvi che me lo sto chiedendo anche io. Purtroppo domani mattina lavoro, perciò dopo aver postato questo capitolo me ne andrò dritta nel mio lettino.
Allora, che dire? Prima di tutto ringrazio come sempre tutti voi, cari lettori, che mi seguite in ogni mio aggiornamento. Ringrazio di cuore chi ha aggiunto la storia fra le preferite-ricordate-seguite e anche le bellissime persone che ad ogni capitolo lasciano una recensione (vi prometto che risponderò alle ultime domani pomeriggio)! Vi giuro che non mi aspettavo di ricevere così tanto feedback, ed è una cosa che mi fa immensamente piacere.
Comunque, passiamo al capitolo. Allora, in questo aggiornamento abbiamo una Kamila un po' diversa dal solito, meno arrogante e schietta e più triste e fragile. La ragione credo sia abbastanza evidente. Credo di aver spiegato molto bene il legame che unisce le due sorelle nei capitoli precedenti, perciò capirete anche voi che per Kamila è davvero uno strazio abbandonare in questo modo la sorella.
E James? Bhe, il nostro caro vecchio James è un bugiardo insomma. Ha deciso bene di non dire a Kamila che le persone che hanno rapito sua sorella non sono agenti del governo, bensì dell'HYDRA. Come la prenderà Kamila quando verrà a saperlo? 
Devo ammettere che questo capitolo non mi piace per niente, me lo immaginavo completamente diverso ma anche provando a cambiarlo non rimango comunque soddisfatta, perciò l'unica è pubblicarlo così com'è e sperare ache almeno a voi possa piacere.
Dal prossimo inizierà il viaggio dei nostri due protagonisti, fra alti e bassi e fra bugie e verità! Spero di riuscire ad aggiornare in maniera costante e puntuale, ce la metterà tutta!
Ancora un grazie di cuore a tutti voi,
un bacio,
clepp
 
 



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