Oltre i confini del mio mare

di G_Moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Gabbianella ***
Capitolo 2: *** La nostra Speranza ***
Capitolo 3: *** Kalón Taxídi ***
Capitolo 4: *** La Perla Nera ***



Capitolo 1
*** La Gabbianella ***


 Il mio nome è Daphne Iglesias, ho 22 anni e sto per partire alla volta di un'avventura che mi cambierà di certo la vita.

Come si può intuire dal mio nome sono per metà greca e per metà spagnola, tuttavia sono cresciuta tra le onde dell'Egeo insieme ai miei nonni materni: Alexandros Pagonis e Daphne Makris; ebbene ho preso il nome e anche la testardaggine proprio da lei.

Per tutto il resto mi hanno sempre detto che assomiglio in tutto e per tutto ai miei genitori: ho lunghi capelli ricci di un colore castano rossiccio, il naso piccolo e delicato e il sorriso di mia madre; occhi grandi e scuri, la fierezza nello sguardo e la pelle abbronzata di mio padre.

Questo è quello che mi raccontano, poiché io i miei genitori non li ho mai conosciuti.

Mi hanno sempre detto che erano sempre in giro per affari, navigando a spola tra Spagna, Italia e Grecia ed è proprio in questi viaggi che si sono conosciuti e innamorati, ed è proprio in questi viaggi in cui sono scomparsi inghiottiti dal mare in tempesta dopo poco più di un anno dalla mia nascita, nessuno ha mai riportato a galla i loro corpi.

Non ricordo neppure i loro nomi e non so perché nessuno osa mai nominarli in mia presenza, l'unica cosa che mi è rimasta da loro è un ciondolo d'oro con inciso sul fronte un gabbiano stilizzato mentre sul retro vi è la seguente scritta: “Segui sempre la tua rotta e non sbaglierai” e grazie a questo ciondolo che porto al collo da quando sono una bambina mi hanno affibbiato un simpatico soprannome “La Gabbianella”.

Ora voi vi chiederete che cosa mi manca, all'alba dei miei 22 anni, in una terra tranquilla e speciale nella quale sono cresciuta, accolta dall'amore dei miei nonni e dall'affetto dei miei coetanei; vi domanderete la causa del mio viaggio improvviso; vi starete chiedendo cosa mi spinge oltre i confini del mio mare, nella quale sono nata e cresciuta, grazie al quale sono diventata una delle più abili governatrici di barche dell'intero Egeo.

Ebbene io sento dentro di me la voglia di scoprire la verità sui miei genitori: mi sono stati tenuti nascosti troppi segreti ed io ho modo di credere che ci sia qualcosa che non mi è stato detto su di loro, oltre ai loro nomi.

Non ho molti indizi, anzi non ne ho affatto per cui questo viaggio è un tuffo nell'ignoto per me.

L'unica rotta che ho è seguire il mio istinto e il mio cuore, qualsiasi cosa accada io so che non avrò sbagliato.

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Capitolo 2
*** La nostra Speranza ***


«Ehi Daph! Che stai combinando lì sola?» mi sopraggiunse una voce da dietro le spalle; senza neanche voltarmi sapevo esattamente chi fosse, avrei riconosciuto il suo timbro profondo tra mille: quella era la voce di Nikolaos Theodorou, il mio migliore amico d'infanzia. Eravamo praticamente cresciuti insieme come fratello e sorella e spesso i suoi genitori hanno colmato in parte il mio vuoto. Chiusi velocemente il diario su cui stavo scrivendo e girai lo sguardo per salutarlo e fargli spazio sullo scalino di pietra su cui ero seduta. - Oh niente di particolare – risposi con un sorriso teso infilandomi la penna ancora intrisa d'inchiostro tra i capelli.

Si sedette accanto a me, Nik era un ragazzone di 24 anni molto alto per essere greco, con folti capelli neri come la pece, costantemente in disordine e spettinati dal vento, la pelle abbronzata dal sole e due grandi occhi verdi con cui mi guardava sempre cercando di leggere dentro i miei pensieri, spesso riuscendosi. Purtroppo non potevo nascondere nulla a Nik, era come se fosse sempre nella mia testa. «Non sarà ancora con quella storia del viaggio! Quante volte ti ho ammonito e ti ho detto di lasciar perdere, che non ne vale la pena... Daph i tuoi genitori...» - Sono morti in mare e i loro cadaveri non sono mai stati ritrovati.. - conclusi in fretta e sbuffando. - Ma chi mi assicura che non siano stati rapiti? O magari hanno perso la memoria e vagano senza meta per il mondo? - «Se fossero stati rapiti avrebbero certo chiesto un riscatto per riportarli indietro, per quanto riguarda la seconda... mi sembra onestamente improbabile.»

Ci furono minuti di silenzio che parvero ore. Nik era sempre stato contrario a questo folle viaggio, era molto razionale e credeva che se davvero fossero stati vivi da qualche parte del mondo avrebbero trovato il modo di mettersi in contatto con me o con i miei nonni o con qualsiasi persona che li conosceva abbastanza bene. Ma ciò non era mai accaduto. Eppure io sentivo dentro di me il bisogno di partire, come se fino ad ora avessi sempre cercato la verità nelle acque sbagliate. - Nik, non mi puoi fermare, lo sai benissimo. Partirò, che tu lo voglia o no. Lo vedi questo ciondolo, è l'unica cosa che mi da conforto e che mi dice che sto facendo la cosa giusta. Magari non troverò nulla, è vero, ma saprò di aver provato. Non puoi costringermi a restare con le mani in mano.. Se mi vuoi davvero bene non puoi rinchiudermi qui. - Sapevo di aver colpito nel punto più profondo del suo cuore con quelle parole, poiché non c'era persona in tutta la Grecia che poteva dire di volermi bene quanto Nikolaos. «Allora verrò con te.» rispose stringendomi delicatamente i polsi tra le sue ruvide mani piene di salsedine e di sicurezza. Scattai in piedi liberandomi dalla sua presa, in un moto di rabbia e preoccupazione, alzai la voce senza neanche rendermene conto: - No! Non se ne parla, questo è il mio viaggio. I tuoi genitori, i miei nonni... Non posso permetterti questo. Tu devi restare. Ne abbiamo già parlato, non verrai con me. Devi badare a te stesso, alle navi, agli affari, alla tua famiglia e a ciò che resta della mia. Alexandros e Daphne... loro sanno che voglio partire e sono d'accordo, ma ho promesso loro che saresti stato tu qui in caso di necessità. Mi devi sempre informare su di loro. Io ti scriverò, ogni volta che posso. «E come faremo? Non puoi puoi mica costringere qualcuno a fare la spola avanti e indietro e ritrovarti sempre e comunque. Non esiste una persona che possa individuarti in mezzo a chissà quale mare.» anche Nik aveva alzato la voce e gesticolava come aveva fatto solo in poche occasioni prima, lo faceva sempre quando si arrabbiava molto.

Fu a quelle parole che ebbi un'idea, forse era folle, ma era l'unica nostra alternativa. Appoggiai i due indici tra le labbra e fischiai forte, per tre volte ad intermittenza; Nik mi guardò perplesso ma non disse una parola. Entro pochi minuti dal cielo iniziò a girare formando grandi cerchi un uccello piccolo, fino a quando non planò in cima alla mia testa, che presto divenne il suo comodo nido: quel fischio era il richiamo per quella gabbianella, l'avevamo trovata io e Nik intrappolata in una rete da pesca, era solo un pulcino e ci aveva scambiato per i suoi padroncini affezionandosi a noi, decidemmo di adottarla, con il nome di Speranza e quando poi si riprese e iniziò a volare ci seguiva sempre in ogni uscita in mare, quando a me e Nikolaos capitava di dividerci e perderci di vista interveniva lei per rimetterci in contatto. Nonostante di gabbiani in cielo ce ne fossero molti Speranza era l'unica che riconosceva quel richiamo. Strappai un pezzo di foglio dal mio diario, scrissi velocemente e consegnai il biglietto alla gabbianella, sussurrandole – Portalo a Nik. - Lei spiccò il volo dalla mia testa, fece pochi metri, si poggiò alla sua spalla e consegnò il biglietto al ragazzo; Nik lo aprì e con un sospiro disse solo «Tu sei matta Daph. Non ha mai fatto viaggi così lunghi, eravamo sempre nello stesso mare, a poche isole di distanza.»

Il sole stava scendendo e l'aria diventava più fredda, iniziai ad arrampicarmi su per le scale di pietra, dirigendomi verso casa; Nikolaos mi seguì a pochi passi di distanza. Quando ci ritrovammo davanti alla porta azzurra della mia piccola abitazione mi avvicinai al mio migliore amico, guardandolo con fare dolce dritto negli occhi, gli presi le mani tra le mie e sorrisi. - Funzionerà Nikolaos, lei è la nostra Speranza. - Solo dopo svariati minuti ci salutammo, sapevamo entrambi che nulla mi avrebbe fermato e che quelli erano gli ultimi momenti che avremmo passato insieme.Mi alzai sulla punta dei piedi, lo trassi vicino al mio viso e gli lasciai un bacio sulla fronte prima di rientrare a casa.

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Capitolo 3
*** Kalón Taxídi ***


Mi svegliai all'alba quella mattina di metà giugno; dalla finestra vedevo la metà cielo ancora intrisa di notte, non riuscivo a dormire: era il giorno stabilito per la partenza. Avevo accatastato ai piedi del mio letto una sacca in pelle piuttosto grande, con all'interno alcuni vestiti di ricambio e un solo paio di scarpe. Non sapevo perché le stavo portando con me le scarpe, data la mia abitudine a girare costantemente a piedi nudi. Forse le avrei usate per un'occasione speciale, ad esempio se mai avessi incontrato i miei genitori. Mi girai sul fianco indecisa se cercare di dormire ancora un po' o alzarmi definitivamente, i pensieri che scorrevano veloci nella mia testa però non mi aiutavano affatto. “Una rete per la pesca forse mi servirebbe, dovrò procurarmi del cibo in mare in qualche modo..” scattai in piedi al pensiero, abbandonando le lenzuola aggrovigliate ed estrassi da un baule una delle reti meno malmesse che avevo, cacciandola poi velocemente nel mio bagaglio. Decisi di vestirmi, rendendomi conto che oramai il sole si stava alzando sempre più: mi infilai una tunica azzurrina, rimborsata in vita per non risultare eccessivamente lunga, con ampie maniche che si fermavano poco dopo i gomiti e un paio di pantaloni di un bianco sporco talmente larghi sulle gambe da sembrare a prima vista una gonna, con l'unica differenza che si richiudevano alle caviglie con stretti lacci. Raccolsi la mia borsa e la misi su di una spalla, lentamente scivolai verso la porta della camera e la aprii senza fare rumore; scesi delle strette scale a chiocciola, ritrovandomi immediatamente nella sala-cucina ma quando feci un passo avanti mi accorsi che non ero l'unica sveglia.

- Nonna Daphne... - sussurrai appena – sei sveglia pure tu. - Lei mi guardò con i suoi occhietti scuri contornati da vistose rughe che la facevano apparire simile ad una tartaruga marina e fece cenno di avvicinarmi. Mi sedetti su una instabile sedia, a gambe incrociate e la guardai con dolcezza senza dire una parola; anche lei mi guardò a lungo, avvicinò la mano grinzosa al ciondolo che portavo al collo e si alzò di scatto, come se le fosse venuto in mente qualcosa, velocemente fece alcuni passi ed aprì un cassetto che non avevo mai visto prima o a cui non avevo mai fatto particolarmente caso e ne estrasse uno straccio consunto, che sembrava contenere qualcosa di indefinito. Ritornando verso il tavolo lo srotolò e davanti ai miei occhi vidi il luccichio di una lama ben affilata poi con una voce lontana e remota, tipica delle persone anziane, disse solo questo: «Tienilo ben saldo e nascosto, Ninì, ci sono i pirati in mare e creature che neanche immagini. Servirà più a te che a me.» e con un rumoroso bacio sulla guancia mi lasciò tra le mani quel coltello e risalì nella sua camera stancamente. Nascosi il coltello al sicuro, in una tasca segreta dei pantaloni, mi guardai attorno e camminai all'indietro fino alla porta, memorizzai in quell'istante ogni singolo particolare: la tavola con i fiori e le tazzine sporche della sera prima; la luce che iniziava ad accarezzare il muro bianco; l'odore di legno antico che bucava le narici. Mi voltai di scatto, verso la porta un po' sghemba e rigorosamente dipinta di un blu scrostato, presi un grosso respiro e senza neanche rendermene conto mi ritrovai con la porta chiusa alle mie spalle. Era quello il mio arrivederci alla casa in cui avevo vissuto per tutta la vita.

Iniziai a scendere attraverso le strade tortuose che conoscevo da sempre ma che in quel momento mi sembrava di vedere per la prima volta, i pescatori si stavano svegliando e in parecchi mi salutarono facendomi benedizioni, auguri e raccomandazioni di ogni genere: almeno metà isola sapeva che stavo partendo, ma non tutti conoscevano il vero motivo. Ma la vera sorpresa la trovai arrivata al porticciolo, dove avevo attraccato la barca con la quale sarei partita: nonostante fosse prestissimo per i più mi ritrovai letteralmente immersa dai miei amici più vicini e anche da parenti alla lontana che mi avevano vista “fin da quando ero un groviglio di capelli grande come un batuffolo”. - Nonno, Zia Ifigenia, Marcurios e Sebastian, Leonor, Iris! - elencai con sorpresa i primi che vidi e salutai tutti quanti con un ampio sorriso mentre a passi lenti mi avvicinavo sempre di più alla mia barca, immersa da abbracci e baci di buon auspicio, qualcuno piangeva commosso dandomi pacche sulle spalle e augurandomi buona fortuna. Quando salii sulla barca notai che però non ero sola, come temevo trovai a pochi passi da me in tutta la sua altezza il mio migliore amico; incrociai le braccia al petto rabbuiandomi e feci per rimproverarlo: - Nikolaos Theodorou! Oxi, no io ti avevo de... - ma non feci in tempo a finire la frase che lui mi porse il suo dito indice sulle labbra e mi guardò intensamente. « Non verrò con te, se non lo vuoi. Semplicemente volevo solo salutarti per bene. » e rimase lì a fissarmi con i suoi profondi occhi verdi, prendendomi le mani. Il pubblicò si ammutolì fissando quella scena come se si aspettasse qualcosa di preciso, arrossii violentemente e scrollando la testa come se mi fossi risvegliata da un sogno mi schiarii la voce e dissi solo: - Devo partire. - e, staccandomi dalla presa, iniziai a disfare i nodi d'ormeggio. Nikolaos scese al porto e tutti i presenti in coro iniziarono ad urlare: "Kalón Taxídi, Kalón Taxídi Dáfni! Buon viaggio!" mentre con la leggerezza di una ballerina io e la mia barca ci allontanavamo dalla terraferma in un mare azzurro e calmo, puntando senza indugi verso ovest.

***

Per alcuni giorni navigai nel mare Egeo, di tanto in tanto intravedevo in lontananza le terre greche, lo sentivo dal profumo del mare di essere ancora come a casa. Fui fortunata con il tempo atmosferico che mi permetteva di viaggiare senza problemi e con il vento favorevole e durante il giorno macinavo svariate leghe; la notte riuscivo a stento a dormire, il mio pensiero fisso di voler uscire dal mio mare era più forte della stanchezza. Una mezzogiorno lo sentii, mi arrivò un profumo di mare che mi riempì i polmoni: era diverso, fresco e frizzante come un agrume appena colto, mi guardai attorno e non vidi altro che un enorme distesa d'acqua salata, consultai le mie carte piena di gioia e con svariati calcoli mi resi conto che tra circa una settimana di viaggio avrei visto un porto nuovo: la Sicilia. Avevo programmato di fermarmi in un porto di quell'isola appartenente ad uno stato chiamato Italia, giusto il tempo di reperire informazioni utili e concrete sul mio percorso e magari aggregarmi a qualche mercante per qualche tempo. Mi gettai sul legno umido della nave, sfinita ma felice di essere arrivata fino a quel punto, quel giorno mi sarei data al rifornimento di viveri e a un po' di sano riposo sotto al sole. - E' tutto incredibilmente meraviglioso! - dissi a voce alta soddisfatta.

***

Come avevo previsto mi ci volle una settimana piena per raggiungere di nuovo la terraferma, attraccai la barca una notte serena, piena di stelle e con le luci di una piccola cittadina che tremolavano di tanto in tanto accarezzate da una lieve brezza. Chiesi ospitalità in una bettola consunta, nella quale finalmente mi addormentai di un sonno profondissimo e privo di sogni. Mi risvegliai la mattina seguente sentendo il frastuono di alcuni pescatori che si stavano lamentando per il tempo; aprii gli occhi e mi resi conto del perché di quei borbottii che non capivo: pioveva forte attraverso la finestra impolverata. Scesi dal letto amareggiata, ma solo poco dopo mi resi conto che, per lo meno, non ero in mare aperto ma sotto uno scricchiolante tetto. Decisi quel giorno di darmi allo studio delle mie carte e alla ricerca di qualche viaggiatore esperto che mi aiutasse a scegliere la rotta migliore. Trovai un simpatico lupo di mare dall'aria antica che, a gesti, mi diede degli utilissimi consigli e mi regalò un intero barile di vino rosso. Anche i due giorni successivi la pioggia non volle smettere di cadere dal cielo, così mi diedi alle compere di viveri per permettermi di avere una dieta che non fosse puramente a base di pesce appena pescato: mi buttai su vasi di sottolio, sottaceti e sotto-sale: la migliore merce a lunga conservazione per un viaggio inaspettato. Finalmente, il quarto giorno, il tempo si riprese e decisi di riprendere il mio viaggio all'alba, seguii i consigli del vecchio e mi ritrovai di nuovo sola in mare, attraversando una rotta conosciuta solo da alcuni isolani, che mi salutavano bonariamente con fischi amichevoli quando ci trovavamo sulla stessa scia.

***

Io, il mare e come unico punto di riferimento una bussola, le carte nautiche e una lieve striscia di terra che tenevo alla mia sinistra: vedevo di tanto in tanto grandi navi passare cariche di casse probabilmente contenenti generi alimentari costosissimi e dal fitto mercato. Non potevo perdere altro tempo dopo aver passato 3 giorni senza poter navigare, oramai non mi curavo più del susseguirsi tra giorno e notte, navigavo senza sosta e le poche ore che dormivo tenevo sempre un occhio aperto, temendo di ritrovarmi in rotta con i pirati: non che avessi un grande bottino con me, ma tutti sanno che ai pirati piacciono le donne sole e indifese. Faticai molto per settimane: il vento caldo si alternava alla bonaccia, e in quei momenti ero io a dover tirare avanti una barca con le mie sole forze.

Fu quando oramai giunsi a metà strada con la Sicilia che era un ricordo remotissimo e la Spagna che ancora aveva timore a farsi vedere che iniziai a sentire l'odore del mare e lo strepitio degli uccelli cambiare: non era affatto un buon segno. Di giorno in giorno il cielo divenne sempre più uniformemente grigio e l'acqua sempre più torbida e irrequieta nel sottofondo, i gabbiani sembravano essere irrequieti e fuggivano in fretta al riparo subito dopo aver acchiappato il loro magro bottino. Mi stavo dirigendo verso una tempesta in mare aperto, sola e senza punti di riferimento, lo sentivo nell'aria che presto mi sarei scontrata con la vera forza del mare.

Ed eccolo infatti, il vento iniziò a essermi contro e il cielo divenne nero e minaccioso, sentivo l'ira di Zeus riscaldarsi come un enorme pentolone pronto ad esplodere, era un inizio lento e rumoroso, senza una goccia di pioggia e per questo sapevo che si sarebbe scatenato in un inferno che mai avevo visto prima. Avrei voluto compagnia, con il tempo che andava peggiorando iniziavo ad avere timore di non farcela, dovevo rimanere calma e conservare le forze che avevo per quando si sarebbe scatenata la lotta tra cielo e mare. Ed io oramai ero sempre più sola, su quella barca che sembrava una formica in confronto a tanta immensità e tanto potere. Fu in piena notte che le divinità cominciarono la loro battaglia: acqua sopra e sotto, il mare incontrollabile e il cielo carico di pioggia, vento e fulmini. Non sapevo neanche più se stavo davvero andando avanti o tornando indietro, non si vedeva la fine, non si riconosceva alcun contorno: era tutto nero e violento, il cielo che si buttava nel mare e il mare che risaliva nel cielo, andavo avanti contro quella furia inaudita, cercando di non colare a picco e di arrivare alla fine del giorno dopo. Ma in realtà non capivo neppure quando iniziava il giorno o la notte, non sapevo se fossero passate ore o settimane. Le vele strappate e pesanti, i muscoli indolenziti, la stanchezza sempre più forte, le onde; improvvisamente si abbatté un fulmine sull'albero maestro, come l'ascia del tristo mietitore e il mare risucchiò il legno come un mostro affamato, la barca oscillò colpita dal vento, ingovernabile, un'onda nera si alzò minacciosa sopra la mia testa e si richiuse poco dopo divorando il mio mondo.

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Capitolo 4
*** La Perla Nera ***


Ricordo solo poche cose: lo sciabordio delle onde, un gran trambusto di voci lontane e un odore pungente di legno e di rum. Forse ero finita nel limbo, insieme ad altre anime dannate a non trovare né pace né dolore. Aprii gli occhi senza sapere quanto tempo fosse passato e mi resi conto che quel limbo assomigliava terribilmente alla stiva di una nave, ma non era la mia nave. Quella, ne ero certa, era colata a picco. Mi tastai la faccia, le braccia, il collo... avevo ancora la mia collana e trassi un profondo sospiro di sollievo. Avevo anche il pugnale nascosto nei pantaloni... ma non c'era il mio diario. Mi sentivo piuttosto viva, il cuore batteva ancora e sentivo ancora il sapore di sale nella gola. Forse non ero finita nel limbo, forse quella era una nave della marina spagnola e mi avevano tratto in salvo. « Finalmente la principessina si è svegliata!» disse una voce femminile non lontana da me, strabuzzai gli occhi per mettere a fuoco chi avesse parlato e quando la vidi rimasi completamente senza parole: a qualche passo da me si ergeva una donna dalla carnagione bianchissima, come fatta di madreperla; lunghi capelli scuri e lisci le scendevano elegantemente oltre le spalle, due occhi verdi e magnetici mi fissavano come se cercassero di perforarmi dentro; il corpo sottile, quasi etereo. Indossava un abito di un bel color corallo, lungo fino ai piedi e portava un bracciale dello stesso colore, anzi probabilmente fatto di veri coralli. Con quella luce che le si stagliava contro sembrava una ninfa appena uscita dall'acqua, completamente fuori luogo su quella nave. Mi alzai avvicinandomi verso quella ragazza, ancora un po' stordita e meravigliata, era di poco più alta di me: -Io...dove mi trovo? La mia nave... pensavo di non farcela. - « Siete stata fortunata, Capitan Jack Sparrow non accoglie volentieri ospiti sconosciuti sulla sua Perla Nera. Avrà molte domande da farvi. Andiamo.» disse frettolosamente, con un tono particolarmente aspro e severo; poi mi strinse il braccio e mi trascinò velocemente in coperta. Era un'immensa nave, di come non se ne vedono spesso, dalle vele scure e un po' logore, viaggiavamo ad una velocità che poche navi di quella dimensione possono permettersi; a parte me e la ragazza-ninfa, il resto della ciurma era fatta da disparati uomini dall'aspetto trasandato e a tratti inquietante. Salendo le scale per raggiungere la cabina del capitano vidi qualcosa che mi fece risvegliare dal mio torpore e sgretolò le mie più positive ipotesi: in cima all'albero maestro veleggiava possente una bandiera scura come la pece, con disegnato un brillante teschio: ero in trappola su una nave di pirati. Ma prima ancora che potessi rendermene conto, che potessi cercare di scivolare dalla presa fredda, prima che potessi elaborare anche il più stupido piano di fuga, una porta di legno si richiuse dietro le mie spalle e mi ritrovai faccia a faccia con il capitano. Si scambiò brevi parole che non capii con la ragazza, si alzò e mi girò attorno, camminando in modo assai buffo e squadrandomi da capo a piedi; quando ritornò di fronte a me iniziò a parlarmi nella stessa lingua incomprensibile, in modo molto veloce. Strizzai gli occhi confusa e scossi la testa facendo cenno di no, guardai poi la mia accompagnatrice con fare perplesso.

Mi resi conto solo in quel momento che con lei avevo parlato in greco, che lei conosceva la mia lingua. - Signorina, non capisco cosa mi sta dicendo il capitano. - dissi un po' imbarazzata; e anche lui in quel momento non capì cosa avevo appena detto. Fu tutto molto strano e veloce, lui fece cenno di uscire e di nuovo mi ritrovai sul ponte della nave, trascinata da quella strana persona che conosceva la mia lingua, ma anche quella del capitano. « Voi parlate solo greco? Non potevate dirmelo prima?» fece scrollandomi le spalle con fare irritato. «Va bene, perfetto. Vi insegnerò io quello che basta per rispondere alle domande di Jack Sparrow. Per il resto dovrete cavartela da sola.» Ci chiudemmo nella stiva per una settimana, nella quale non erano concesse pause o lamentele, la ragazza vestita di corallo mi diceva prima frasi in greco e poi in inglese e io dovevo ripeterle così come me le diceva. Non era granché ma iniziai a capire alcune frasi che venivano dalla ciurma al piano di sopra e, dopo una settimana mi ripresentai nella cabina del capitano insieme alla mia insegnante. “Come vi chiamate?” -Daphne, Daphne Iglesias.- “Iglesias? Ho già sentito questo cognome..Siete un'infiltrata della marina spagnola?” -No, Capitano. - “Cosa ci facevate sulla rotta della Perla Nera? Vorreste catturarmi?” -No, è stata una coincidenza.- “Cosa state cercando? Oro? Ricchezze? Tesori sconosciuti?” -Nulla di tutto ciò, Capitano.- Silenzio, si avvicinò al mio viso e lo prese in malo modo con una delle sue luride mani piene di anelli. Cercai di liberarmi invano. Puzzava di rum, era uno sporco pirata e non sopportavo quel trattamento da un fuorilegge. “Buttatela in mare Sara. Mi è completamente inutile.” La ragazza, di cui solo in quel momento appresi il nome però non si mosse, come se avesse avuto un'illuminazione. « Capitano, vi sbagliate. E' per metà greca. Potrebbe avere informazioni utili per la vostra ricerca.» rispose senza tono, come se le importasse relativamente la sorte di quella ricerca. Di nuovo silenzio. Poi Jack Sparrow corse velocemente all'altro lato della stanza, gettò all'aria svariate carte e ne ritornò con un piccolo foglio macchiato e consunto, me lo porse sotto al naso e mi disse: “Traducete questo...” Mi ritrovai su foglio alcune lettere che sembravano di origine ellenica, ma completamente prive di senso logico o di significato. - Capitano queste lettere sono greche, ma sono prive di senso. Sembra quasi un codice da decifrare, ma non ho alcun elemento che possa aiutare in questa impresa. - risposi con fare perplesso. “Dalme... o... come vi chiamate. Siete ufficialmente parte della ciurma della Perla Nera.” improvvisò con fare quasi annoiato congedandosi e cacciandoci fuori in malo modo dalla sua cabina.

Mi ritrovai faccia a faccia con Sara e in quel momento affiorò nella mia mente un dubbio: -Voi...Siete la moglie del Capitano? - e dopo quella domanda per la prima volta la vidi ridere di una risata bassa. « Non sapete proprio nulla, vero? Jack Sparrow non prova amore per alcuna donna, è un noto sciupa-femmine e sfruttatore di occasioni. Se siete qui è perché ha capito che probabilmente servirete per completare la sua missione; ed io come voi non sono altro che una delle sue pedine. Quando non gli serviremo più saremo libere. Mettetevi bene in mente una cosa, ragazzina: scordatevi qualsiasi piano o missione avevate per la mente, è fallito appena avete messo piede su questa nave e non vi consiglio di intralciare un pirata. Ora siete al servizio di Capitan Jack Sparrow, fino a quando non sarete davvero inutile.>> Dopo questa discussione sparì in direzione della stiva, senza farsi più vedere nei giorni successivi.

Per quanto mi riguarda invece, cercai di ambientarmi al meglio nella ciurma, nonostante dovessi sopportare sguardi fin troppo audaci da parte di vecchi lupi di mare trovai il modo di far smettere loro la fastidiosa abitudine di ammiccare e fischiarmi in modo eloquente grazie ad un'antica canzone greca, che loro pensavano attirasse la malasorte poiché non ne capivano le parole. Fu in un giorno particolarmente caldo che mi ritrovai inaspettatamente da sola insieme al Capitano: era sbucato dal nulla, non avevo sentito i suoi passi e feci un salto estraendo d'istinto il coltello e puntandoglielo dritto in faccia. - Capitano! Mi avete fatto spaventare, dekára! - dissi in tono di scusa riponendo l'arma al suo posto. Era la prima volta che lo vedevo alla luce del sole e per intero: capivo perfettamente la fama di sciupa-femmine che si era meritato; era un uomo assai affascinante ma allo stesso tempo bizzarro e particolare. Jack era molto alto, gli arrivavo a malapena all'altezza della spalla e dovevo allungare il collo ogni volta per poterlo vedere chiaramente in volto; portava spesso una bandana sopra la testa, dalla quale ne spuntavano lunghi capelli scuri raccolti in treccine alla cui estremità vi erano incastonate perline colorate o ciondoli dall'aspetto esotico; i suoi grandi occhi scuri erano vividi e magnetici, la pelle scottata dal sole, il sorriso furbo eppure a tratti nascondeva una sorta di misteriosa ombra di chi sta probabilmente portando dentro di sé un segreto inestimabile.

“Noi non abbiamo incominciato molto bene.. Inoltre, cara Dalme, non mi avete detto che cosa stavate cercando prima di finire sulla mia Perla.” iniziò a parlare con tono calmo e suadente. - Daphne, mi chiamo Daphne. - lo corressi con una punta di fastidio. - Comunque, abbiamo già avuto questa discussione nella vostra cabina, è stata una coincidenza. - cercai di allontanarmi in fretta da quell'uomo, dovevo ricordare a me stessa che quello era un pirata ed un fuorilegge ed io ero a tutti gli effetti una sua prigioniera; ma lui fu più veloce di me e mi bloccò tenendomi per il braccio. Lentamente estrasse dalla sua tasca un vecchio diario, il mio diario, sventolandomelo sotto il naso e portandolo fuori dalla mia portata non appena reagii e cercai di riprendermelo. “Quindi questo diario è ufficialmente vostro, come immaginavo. Bene, se lo volete indietro mi direte la verità.” mi guardò a lungo con un sorriso beffardo attendendo la mia risposta. - Cerco informazioni sui miei genitori, continuano a ripetermi che sono morti ma ho molti dubbi. I corpi non sono mai stati ritrovati e io... - persi una pausa sentendo il peso delle parole che stavo per pronunciare fermarsi in gola. - non so neppure come si chiamino o che aspetto avessero. In Grecia non c'è traccia di loro, quindi ero partita per la Spagna. - un pensiero mi frullò vorticosamente ed improvviso nel cervello; io non sapevo neppure in che parte del mondo fossi diretta. Come se mi avesse letto nel pensiero Jack rispose alla mia domanda “Temo che oramai siate molto lontana dalla vostra meta, Dampe. Ci stiamo dirigendo a Tortuga, verso i Caraibi.” e con questa dichiarazione mi lasciò il diario, aprì una bussola frettolosamente e con aria sconsolata marciò verso il ponte di comando.

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