You, me & Bali

di NorthStar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non exiguum temporis habemus ***
Capitolo 2: *** Sed ***
Capitolo 3: *** Multum perdidimus ***



Capitolo 1
*** Non exiguum temporis habemus ***


Ragazze/i, non temete, A Lexark story NON è abbandonata.

Devo solo togliermi dalla testa questa storia prima che diventi pazza.

 

Non so se saranno due o tre parti, vedremo.

Spero davvero tanto che vi piaccia, erano anni che non mi succedeva di dover a tutti i costi scrivere una storia sorta dal nulla nella mia testa.


Insomma, buona lettura e non dimenticate che si tratta di un AU ambientata ai nostri giorni.

Northstar.

 

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La prima volta che la vedi hai l’impressione di averla già vista.

 

E’ già successo, innumerevoli volte, di imbatterti di nuovo con gente che hai conosciuto in giro per il sud est asiatico.

C’è una strana tendenza a ritrovarsi continuamente, anche a distanza di mesi, come con quella Monique che continuavi a incontrare ovunque andassi e quasi pensavi fosse un segno del destino.


Ti sbagliavi, perché questo lo è.

 

Stai inseguendo il tuo cappello, volato via con un colpo di vento, che rotola inarrestabile tra mille e mille gambe lungo la strada.

Non riesci a smettere di ridere perché, per qualche strano motivo, continui ad immaginare come possano vederti dall’esterno e sai esattamente quanto appari ridicola agli occhi della gente.


Una goffa ragazza bionda che ride inseguendo un cappello.

Non riesci a fermarti e, sinceramente, non ti interessa.


Finalmente il tuo cappello si ferma, grazie alle mani veloci di un bambino che ride, divertito, come te.

Lo ringrazi e gli regali uno dei tuoi braccialetti.

Ed è in quel momento che succede.

 

Alzi gli occhi e nella notte affollata di Denpasar riesci appena a cogliere il suo sguardo.

Ma la vedi, ed è già un miracolo.


Tra la gente affaccendata, le nuvole di fumo dolce delle sigarette balinesi e il vapore di mille cucine mobili per la strada.

Vedi Lei.

E’ un istante, è un lampo, è tutto quello di cui hai bisogno.

 

Cominci a dirti che non puoi averla già vista, semplicemente perché… Beh… ti ricorderesti di lei.
Ne sei sicura.

 

Cerchi di seguirla, di farti strada fra la folla, ma come la gente si dirada e si avvicinano le prime case di Lei non c’è più traccia.

Cammini avanti e indietro, sulle punte dei piedi per guardare oltre la coltre di turisti.

Cammini per almeno venti minuti, ma Lei non c’è più.

 

Ti siedi su un marciapiede e sbuffi.

Chissà.


Forse dopotutto non era destino.

 

 

La seconda volta che la vedi non può sfuggirti, pensi.

 

E’ un afosissimo tardo pomeriggio sulla spiaggia di Seminiyak e le nuvole minacciose hanno fatto fuggire la maggior parte dei turisti.

E’ seduta sulla sabbia, guarda concentrata l’orizzonte disegnato dalle onde.

E’ imbronciata.

Esattamente come l’ultima volta che l’hai vista.

Gli occhiali le nascondono gli occhi e una canotta verde copre il costume che indossa.

I capelli, sciolti, ondeggiano al vento.

Lo stesso vento che sfoglia un libro poggiato al suo fianco.

 

Stavolta non può sfuggirti.

 

Prendi un lungo respiro, lasci lo zaino sotto il tuo ombrello di vimini, e ti avvicini.

 

“Ciao.” Cominci con un sorriso.

 

Alza il volto verso di te e devi prendere l’ennesimo, profondo, respiro.

 

Ti guarda per qualche istante, poi mormora un “Ciao.”.

 

“Ti dispiace se- se mi siedo qui?”

“Prego.” Risponde semplicemente, facendo cenno di accomodarti al suo fianco.

Ma non sposta il libro.

Lo lascia fra di voi, come una sorta di barriera.

 

Resti in silenzio per diversi minuti.

Non sai cosa dire e non vuoi dire qualcosa di banale e passare subito per l’idiota che non sei.

Poi realizzi.

 

Non vi siete presentate.

 

“Mi spiace, non mi sono nemmeno presentata.” Cominci e ti guarda con quell’espressione impassibile che hai tutte le intenzioni di toglierle dal volto “Clarke Griffin.”.

“Lexa.” Replica subito dopo, tornando a guardare il mare.

 

Di nuovo, rispetti il suo silenzio.

L’occhio ti cade sul libro aperto.


E’ una lingua che sicuramente non conosci.

Pieghi la testa per cercare di leggere qualche parola e, prima che possa afferrare di quale lingua si tratti Lexa ti parla.

“E’ latino.”

“Latino?!” replichi stupefatta.

“Latino.” Ripete.

“Oh.” sospiri “Wow…”.

La guardi incredula perché, insomma, non è da tutti conoscere una lingua morta, figuriamoci leggerla come fosse nulla…

“Hai studiato… latino?” domandi curiosa.

“No.”

“Hai imparato da sola?”

“No.”

La guardi confusa.

Si volta e con l’espressione più seria che tu abbia mai visto, dice “Guardo soltanto le figure”.

Afferri il libro e scorri velocemente le pagine prima di osservare “Non ci sono figure.”.

Non risponde, ma noti che comincia a far fatica a mantenere quell’espressione riflessiva e distaccata.

“Mi prendi in giro.”

“Chiaramente.” Replica accennando un sorriso, poi prende il libro e ti fa vedere “C’è la traduzione a fine testo.”.

Prende la sua penna e scarabocchia qualcosa fra le pagine, mentre leggi lentamente il titolo del libro.

“De brevitate vitae…”

“A proposito della brevità della vita.” Traduce per te, poggiando nuovamente il libro fra di voi.

“Wow… sembra… uhm… allegro…”

“Ti sorprenderebbe, invece…” risponde sorridendo.

“Cosa ci fai qui, a Bali, a leggere un libro latino sulla brevità della vita?”

“Cosa ci fai qui, a Bali, a chiedermi di un libro latino sulla brevità della vita?”

 

Stai per rispondere quando un tuono fa letteralmente tremare la terra e, qualche secondo dopo, la pioggia comincia a cadere a goccioloni, fitti e pesanti.

La vedi raccogliere in fretta e furia le sue cose e pensi che il tuo zaino è sotto un ombrello di vimini che ripara a malapena dal sole.

Ti alzi e corri a recuperarlo cercando di non perderla di vista.

Ma non è sufficiente.

Come afferri il tuo zaino e chiudi l’ombrello, di nuovo, di lei non c’è traccia.

 

O forse sì.

 

Sorridi più di quanto dovresti quando vedi il suo libro conficcato in malo modo nella sabbia.

Nella fretta, deve esserle caduto.

 

 

Quella sera, nella tua minuscola stanzetta in affitto, separi pazientemente pagina per pagina con dei bastoncini.

Non puoi restituire un libro rovinato.

 

 

 

Passano un paio di giorni.

Ovunque vai ti guardi attorno.

Lo fai istintivamente.


Ti fermi a dipingere ai piedi di un tempio.

Un occhio sempre sui pennelli (le scimmie, hai imparato, li adorano per qualche misterioso motivo e in un'ora ne hai già persi due), l’altro sui passanti.

Dev’esserci la minuscola probabilità di incontrarla.

 

Hai quasi finito il disegno del tempio quando ti sembra di vederla tra la gente.

Ti alzi di getto e dimentichi degli acquerelli in equilibrio sulle tue ginocchia che finiscono diretti sul tuo preziosissimo foglio di cotone artistico.

Spalanchi gli occhi di fronte al caos che hai combinato e ti sfugge un poco delicato “Merda!”, che fa voltare un gruppo di turisti curiosi.

 

“E’ più bello così.”

Senti alle tue spalle.

E’ una voce che conosci e che hai risentito mille volte nella tua testa.

E’ lei.

 

“Dici?” replichi prima ancora di voltarti.

“Mmhmh.  Ora ha qualcosa di vero, di vissuto.”

“A me sembra solo un bel casino.” Rispondi, e ti volti.

“Che c’è di male in un bel casino?”


E seduta comodamente su un muretto.

Il suo zaino poggiato lì per terra, la macchina fotografica al collo.

Chissà da quanto è lì.


“Da quanto tempo sei lì a guardare?”

“Chi ti dice stessi guardando te?  Il panorama è mozzafiato.”

La guardi e sollevi le sopracciglia.

“Mi sono seduta quando la scimmia ti ha portato via il pennello. Il primo pennello.”

“Sei li da più di due ore?!”

“Si. Come ho detto, il panorama è mozzafiato.”

Non rispondi, ma ti sfugge un sorriso.

“Quindi credi che dovrei lasciarlo così?” domandi indicando il tuo disegno.

“Indubbiamente.”

 

Le ti siedi vicino, sul muretto.

Non ti guarda, continua a guardare dritta davanti a sé non sai se il tuo acquerello o il tempio alle sue spalle.

 

Restate in silenzio per diversi minuti.

E’ strano come questo silenzio fra voi non sia mai imbarazzante, anzi.

Ha qualcosa di stranamente calmante.

 

La vedi guardare l’orologio, poi fa per alzarsi.

 

“E’ stato bello rivederti. Ora devo andare.” Replica raccogliendo velocemente le sue cose.


Resti per un attimo basita e non sai cosa dire, poi ti colpisce un fatto.

 

“Ho qualcosa di tuo, lo sai?” cominci.

“Davvero?” si ferma, ma senza girarsi.

“Si.”

“Si tratta per caso del mio libro?” domanda e si volta a guardarti.

“Si.”

“Lo hai letto?”

“No.”

“Beh, avresti dovuto. Posso riaverlo?”

“Dipende…” cominci.

“Ah si? Da cosa?”

“Vieni a cena con me.”

“E’ un po’ vaga come proposta…”

“Domani sera, per cena. Ci vediamo all’entrata del Potato Head.”

“Seriamente?” replica scettica “Il Potato Head?”

“Non ho detto al Potato Head, ma all’entrata del Potato Head…” spieghi “Ci sarai?”

“Questo dovrai scoprirlo…” sorride e si allontana di nuovo.

 

 

 

In una notte leggi tutto il libro.

Quando volti l’ultima pagina, noti la scritta.

 

“Spero di vederti di nuovo, Clarke Griffin.”

 

Non l’ha perso.

Lo ha lasciato perché tu lo trovassi.

 

Sorridi come una bambina.

 


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Devi essere sincera.

Non è con poca agitazione che la aspetti fuori dal Potato Head.

Potrebbe sempre non presentarsi, ti dici, e cerchi di prepararti anche a questa evenienza.

 

Giocherelli nervosamente con le maniche della tua camicia e ti guardi intorno.

Poi la vedi farsi strada, con un enorme zaino in spalla, fra un gruppo di turisti tedeschi chiaramente ubriachi.

E’ diversa.

 

L’hai sempre vista in costume, coperta da una magliettona o da una camicia.

Stasera indossa degli shorts di Jeans, chiarissimi, una canotta nera e delle converse che, un tempo, dovevano essere bianche.

C’è qualcos’altro però che ti colpisce più dell’abbigliamento.

Sono i suoi capelli.
Non più sciolti, in balia del vento, ma legati in un meticoloso ordito di trecce.

C’è qualcosa di regale, di solenne, noti, in Lei.

 

“Allora? Dov’è che vuoi andare?”


Andate ovunque e da nessuna parte.

Girate lentamente tutte le bancarelle, tutti i piccoli cucinini sparsi per le vie della città.

Mangiate qua e là facendo felici un po’ tutti i venditori ambulanti e vi fermate a comprare qualche bracciale e orecchino, sfoggiando il vostro balinese appena comprensibile.

 

Parlate del più e del meno.

Scopri che Lexa (insiste nel non volerti dire il suo cognome) ha due anni più di te.

Scopri che è americana, come te.

Scopri che è enormemente intelligente e acculturata.

Scopri che ha una strana ossessione per le candele, che compra in ogni, singola, bancarella.

Scopri che non le piace parlare di sé e, ad ogni occasione, riporta il discorso su di te.

 

E ti ascolta, sempre, con estremo interesse.

Fa domande, osservazioni e (non con poca sorpresa) fa anche battute e di un certo livello.

Quando parli, noti, non è sfuggente come è di solito: ti guarda, ti scruta, come se non le bastasse ascoltarti e volesse leggerti nel pensiero.

Quando parli, noti, più di una volta il suo sguardo scende sulle tue labbra.

 

 

Intorno alle due del mattino le bancarelle cominciano a chiudere e vi ritrovate a passeggiare lungo la spiaggia.

Sta per sorgere il sole e siete ancora lungo il bagnasciuga a fare lentamente su e giù.

“Ora che sai praticamente tutto di me, c’è qualcosa che vorresti condividere di te?”

“Parto fra poco più di un’ora.” Sospira, continuando a camminare, lo sguardo puntato di fronte a lei.

“Oh…” rimani un momento senza parole.

Senza respiro, ad essere sincera.

“Non era esattamente quello che mi aspettavo.”

“Mi dispiace.”

“No, non- Non dispiacerti.”

Continuate a camminare e cerchi di ignorare quella sensazione di angoscia che ti preme sulla bocca dello stomaco.

“Sono a Bali, a leggere un libro latino sulla brevità della vita, perché ho dimenticato come ci si sente ad essere felici.”

“Senza offesa, ma un libro sulla brevità della vita non mi sembra un’ottima idea per ricordare come ci si sente ad essere felici.”

“Hai letto il libro, poi?”

“Si.”

“Forse dovresti leggerlo di nuovo. Hai totalmente mancato il punto."                                                                             

“Quello in cui diceva… -Spero di vederti di nuovo- ?  O un altro?” domandi divertita.

"Un altro, chiaramente."

Ti sorride, ma c’è un velo di malinconia nei suoi occhi.


“Parto fra poco più di un’ora.” ripete.

“Si, me lo hai già detto.”

“Ti va di venire al porto con me?”

“Molto volentieri.” Sorridi.

 

Camminate nel totale silenzio fino al porto.

Lexa individua il suo battello, fa il biglietto e chiede di poter lasciare il suo mega-zaino a bordo.

L’uomo sorride e lo carica.

 Poi torna da te.


“Il battello parte alle sette.”

Guardi l’orologio, sono le sei e venti.

“Ok.”

“Vuoi mangiare qualcosa?”

“Va bene.”


Entrate in un minuscolo bar dove, incredibilmente, fa già caldo.
Lexa ordina qualcosa, poi ti raggiunge al tavolo.

Portano del caffè ancora più annacquato del solito e delle sottospecie di pancakes, che però apprezzi.

Lexa non ha ordinato niente per sé, dice che teme di soffrire il viaggio nella battello stracolmo di gente.

Non la biasimi, ma la forzi a mangiare qualcosa della tua colazione.

 

Continuate a non parlare per tutto il pasto.

 

Insiste nel pagare per te e le lasci coprire i 25 centesimi di dollaro che devi al barista e la aspetti fuori.



Sedete lungo il pontile, i piedi a penzoloni sull’acqua limpida.


Poi, all’improvviso, la vedi sporgersi a guardare in acqua.
La guardi con aria confusa.

Dopodiché si volta, ti sorride, e si lancia in mare.


“Lexa?!” esclami quando la vedi riemergere “Cosa fai!? La barca parte fra un quarto d’ora!”

 “Buttati, Clarke!” esclama e, per la primissima volta, vedi una Lexa spensierata.


Chissenefrega.

Lasci lo zaino e senza nemmeno toglierti le scarpe la raggiungi.

 

L’acqua è, nemmeno troppo sorprendentemente, già calda.

Le braccia di Lexa attorno alla tua vita la rendono ancora più calda.


Ti trascina dove l’acqua è più bassa, sempre sotto il pontile.

Poi ti guarda dritta negli occhi e non sai più come si respira.


Ti bacia, poi.

E nulla è mai stato così.

Nulla, temi, sarà mai cosi.

Sa di sale e latte di cocco e tabacco dolce.

Sa di un ricordo lontano, di familiarità e sicurezza.

Sa di amore.

Ed è troppo presto che si allontana dalle tue labbra.


“Grazie.” Comincia, gli occhi chiusi e le mani attorno al tuo viso “Grazie per questo spiraglio di felicità.”.

“Cosa?”

“Grazie.” Ripete e stavolta lascia cadere le braccia e si volta, allontanandosi verso riva e verso il pontile dove il suo battello è già in moto.

“Lexa?!” provi ma non si volta.

Provi a fare qualche passo ma le tue maledettissime scarpe ti rallentano terribilmente.

“Lexa!?” insisti e ti viene in mente “Ho ancora il tuo libro!”

“Tenilo.” Replica voltandosi “Me lo restituirai un’altra volta.”

 

L’ultima cosa che ricordi di Lexa sono i suoi occhi colmi di lacrime.

 

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Torni a casa due settimane dopo.

 

Sistemi i tuoi ricordi in un cassetto.

Bracciali, orecchini, biglietti, conchiglie e persino qualche candela.


Quel libro finisce tra i tuoi preferiti, subito sotto il comodino.

 

Torni cambiata e con una nuova voglia di fare.

Hai raccolto abbastanza energia ed emozioni, soprattutto, per dipingere ore e ore, sette giorni su sette.

Non sei mai stata così produttiva ed apprezzata e ben presto cominci ad essere un nome conosciuto.

 

Conosci Finn un paio di mesi dopo.

E’ lui che si occupa di organizzare la tua prima, vera, mostra.

E’ simpatico, dolce, ingenuo ed è straordinariamente abile a distrarti dalle mille ansie che porta la tua prima mostra.

 

Comincia un po’ per gioco con Lui, poi prima che te ne accorga la cosa si fa seria.

Un anno e mezzo dopo ti trasferisci da lui.


Non avevi mai avuto dubbi su Finn.

Eri felice con Finn.

 

Almeno fino a quando, durante il trasloco, quel libro ti cade tra i piedi e, come un fulmine in piena notte, ti domandi se sei veramente felice con lui o se la felicità ha il sapore di sale, latte di cocco e tabacco dolce.

 

Una settimana dopo prenoti un biglietto di sola andata per la Tailandia.

Nella valigia, oltre a qualche vestito, ai fogli da disegno e agli acquerelli, getti anche il quel libro.





Non si sa mai.


 

 

 

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Capitolo 2
*** Sed ***


Passi i primi dieci giorni nell’interno, tra le foreste, i templi e le colline lussureggianti.

Hai bisogno di ritrovarti.

Di schiarirti le idee.


Fai lunghissime passeggiate ogni giorno.

Pensi a Finn, sì.

Ma soprattutto pensi a Lei.

 

Tieni quel libro sempre nel tuo zaino, di tanto in tanto ti siedi a leggerlo.

Lo hai imparato a memoria, ormai.

 

Quando sei stanca delle foreste, scendi lungo le coste e raggiungi le città affollate e le spiagge da sogno.

 

Non hai dipinto molto, ma non fa niente.

Non è per dipingere che sei tornata.


Cerchi di assorbire colori e profumi e rumori.

Cerchi di assorbire la gente, la vita, che ti scorre attorno.


Cerchi sempre qualcosa.

 

Qualcuno.

 

Forse.

 

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Durante la tua penultima sera in Thailandia, quando a malincuore stai per ritornare a casa, conosci un gruppo di ragazze Neozelandesi.

 

Sono ubriache, rumorose e assolutamente spensierate.

Sono assuefacenti.


Ti sembra di rivederti.

Libera e felice.

Felice, soprattutto.

 

Ti convincono a fermarti a bere con loro e accetti perché, che diavolo, che male può farti?

Tra una chiacchiera e l’altra, non sai nemmeno come dato che non sei assolutamente ubriaca, decidi di stracciare il biglietto aereo di ritorno.

La mattina dopo ti imbarchi con loro.

Non sai nemmeno dove sono dirette.

 

Quando atterri e riconosci l’aeroporto Ngurah Rai, di Densapar, quando respiri quell’aria familiare, così densa di ricordi, capisci che non eri assolutamente pronta per tornare a casa.

 

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Bali ti sembra diversa.

La gente, la spiaggia, le bancarelle.

Persino le scimmie sembrano aver perso interesse nei tuoi pennelli.

 

Forse sei solo tu ad essere diversa, ma non riesci più a godere delle piccole cose.

 

Ciò nonostante, esci tutte le sere.

Non riesci a privarti della dolce illusione di vederla tra la gente.

Come quella prima volta.

Esci solamente per il brivido di quei centinaia di volti che si accalcano per le vie, per l’abbaglio che possono darti dei capelli castani al vento, un viso scolpito fra la folla, degli occhi più verdi della foresta di prima mattina.

Qualche volta riesci quasi ad ingannarti.

 

 

 E per un po’ ti basta.

 

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Ogni sera Finn ti chiama.

E’ gentile, è paziente, ti dice di prenderti il tuo tempo.

Chiude sempre la telefonata con un “ti amo” e un “mi manchi”.

 

Ti cominci a domandare perché sei a Bali.


Cosa ci fai a Bali?

 

Dentro di te conosci la risposta.

Ma ti sembra di essere in cerca di un fantasma e lo sai: non è più tempo per sperare l’impossibile.

 

 

Prenoti un biglietto.

Ti restano dieci giorni a Bali.

 

Cerchi di farli valere.
Ti svegli presto, ogni mattina, inforchi la tua bicicletta e vai a cercare un bel punto d’osservazione dove dipingere.

Ma continui a non riuscire a dipingere..

Nulla.

 

Non ce la fai.


E sai perché.

 

 

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Meno sei giorni.

 

E’ una giornata piovosa e non esci di casa prima del pomeriggio.

Raccogli lo zaino e ti aggiri confusa per una Densapar inspiegabilmente silenziosa e desolata.

Non ti era mai successo prima e ti addentri fino ai quartieri più popolari per cercare di capire cosa stia succedendo.

 

C’è un'unica vetrina aperta nel centro di Denpasar.

Una mostra fotografica, apparentemente, intitolata “Breathtaking landscapes”, “Panorami mozzafiato”.

Ti incuriosisce ed entri a osservare gli scatti appesi con una perfetta simmetria sulle pareti.

 

Sono delle belle foto.

Tutte scattate a Bali.

Tutti posti che conosci.

 

Sei arrivata quasi alla fine del percorso quando noti un particolare.

 

Ci sei tu.

 

Tu.

In una foto.

 

 

Di fronte ad un tempio che conosci fin troppo bene.

Un pennello in bocca e lo sguardo concentrato su un disegno molto familiare.

 

Tu, sei un panorama mozzafiato.

 

 

“Salve, posso aiutarl-” senti alle tue spalle e ti pietrifichi.

 

Riconosci immediatamente la sua voce.

Come non potresti?

L’hai fatta risuonare infinite volte nella tua testa.

 

 

Non riesci a rispondere, non riesci a respirare, non riesci a credere sia possibile.

Vorresti prenderti a schiaffi e svegliarti subito perché non puoi, non puoi, sopportare un altro sogno con lei.


“Clarke?” prova appena.

 

“Oh mio dio-” sospiri.

E’ davvero Lei.

 

E dopo tanto sperare è a qualche passo da te.

 

Ti volti lentamente e per un attimo dimentichi come si respira.

Non è cambiata per niente.

E’ solo vestita diversamente.


E’ più posata, più seria, più donna.

Non è più la ragazza che hai conosciuto un anno e mezzo fa e ti domandi se le fai lo stesso effetto.

 

 

Ti guarda come se potessi sparire da un momento all’altro.

 

Vorresti dire tante cose, vorresti dire qualcosa di arguto ma la tua mente è sovraccarica di pensieri.

 

“Come- come stai?” domandi.

“Uhm… Sto bene.” Risponde e fa qualche passo verso di te “Tu?”

“Bene, anch’io.”

Cala il silenzio e non riesci a sopportare la tensione che c’è fra di voi.

“Io ho il tuo libro.”

Dici la prima cosa che ti viene in mente e subito dopo vorresti sotterrarti dalla vergogna.

 “Oh…” sospira e lentamente la vedi sorridere.

Sorride talmente tanto che gli occhi le si chiudono ed è adorabile.

Scoppi in una risata e abbassi lo sguardo perché è troppo.

E’ semplicemente troppo.

Troppo.


Restate a guardarvi, a sorridervi, per qualche lungo secondo.

 

“Stavo per chiudere. Avevo dimenticato che oggi è il Nyepi day, non verrà nessuno.  Beh, nessun altro.” Sorride.

“Nyepi day?” domandi confusa.

“Mai sentito?”

“No.”

“E’ l’ultimo dell’anno. Il giorno del silenzio e della meditazione. E’ usato per riflettere sulla propria vita e su quel che se ne vuole fare. ”

“Quanto mai appropriato.” Sospiri appena.

“Sono stupita che nessuno ti abbia fermato per strada, non dovresti nemmeno essere in giro.”

“Davvero?”

“C’è una sorta di coprifuoco dalle sei della mattina alle sei della mattina dopo. Non si può lavorare, uscire, guardare la tv o accendere la radio.  Non si può nemmeno fare sesso.  E i vigilantes hanno il compito di scortare in commissariato chiunque violi le leggi della festa. L’unica eccezione sono i centri turistici dai quali non si può uscire, comunque.”

 

Bene, pensi fra te e te.
Come torni a casa ora senza rischiare di essere arrestata?

“Puoi stare qui.” Propone Lexa, come se ti avesse letto nel pensiero “Insomma, in un certo senso devi restare qui, ma volevo essere educata.”

“Vivi qui?”

“Al piano di sopra.”

“Oh, ok.” Annuisci.

“Vieni, andiamo.” Ti sorride e ti guida nel retro del locale, verso delle scale sgangherate.

 

L’appartamento è semplicissimo.

C’è chiaramente il tocco di Lexa nell’arredamento, che però mantiene un piacevole equilibrio tra occidente e oriente. 
Ci sono piante e foto, ovunque.
Su ogni superficie.


Dalla piccola sala da pranzo noti immediatamente l’immensa finestra che si apre verso il mare, in quella che dev’essere la camera da letto.

“Non è niente di ché, lo so-”

“E’ bellissimo, qui.”

Cominciate a parlare nello stesso istante, vi guardate e sorridete.


“Hai una casa molto bella.” Ricominci.

“Lo dici solo perché ti sto ospitando…”

“E tua? L’hai comprata?”

“Si.”

“Quando?”

“Un anno e mezzo fa.” Replica abbassando lo sguardo.

“Oh.”

“Già…” annuisce per poi domandarti.

“Quindi ora vivi qui?”

“No, non proprio.”

“Devo farti proprio tutte le domande o riuscirai finalmente a dirmi qualcosa di te?”

“Ci vorrà un po’.”

“Abbiamo fino alle sei di domattina, ricordi?”

 

 

Stavolta ti parla di lei, davvero.

E’ un fiume in piena e vorresti che non smettesse mai di parlare.

 

Ti racconta di tutto.

Tutto.

Della sua infanzia, della sua famiglia, dei suoi amici.

Dei suoi studi e dei suoi viaggi.

Ti racconta del suo lavoro e dei suoi progetti, ti racconta cosa ha fatto in quest’ultimo anno e mezzo.

Soprattutto, ti racconta di come si è ritrovata a Bali, con te.

Aveva accettato un servizio fotografico per una rivista di viaggi e lo aveva preso come un segno del destino.

Un viaggio per guarire dalla depressione in cui era caduta dopo la morte della sua fidanzata, un paio d’anni prima.

 

Non fai domande in proposito, non ne hai coraggio.

Ripensi a tutti i momenti con lei e tante cose, ora, hanno un nuovo e chiaro significato.

Ma non dici nulla, non osi.

 

“E tu?” domanda “Cosa hai fatto in quest’anno e mezzo.”

“Io-… Io ho lavorato tanto.  Ho dipinto davvero tanto e ho organizzato diverse mostre. Sono tornata perché sto attraversando una crisi artistica.”

“Ovvero?”

“Non riesco più a dipingere.”

“Cavolo, mi spiace.” Replica sinceramente dispiaciuta “E le mostre che hai fatto… quelle sono andate bene?”

“Molto.”

“Hai esposto il quadro del tempio?”

“No, quello è un pezzo che ho tenuto per me.” Sorridi “E’ stato appeso nella mia camera da letto per molto tempo.”

“E dov’è ora?”

“Nella mia nuova camera da letto.”

“Ti sei trasferita?”

“Convivo col mio fidanzato.”

“Beh… Congratulazioni!” Risponde con falso entusiasmo e abbassa lo sguardo.

Non sai cosa dire.

 

Ci pensa Lei a salvare la situazione.

 

“Hai fame?”

Nemmeno un po’, in verità, ma faresti qualunque cosa per saltare l’argomento Finn ora come ora..

“Si.” Replichi cercando di abbozzare un sorriso.

“Vieni, prepariamoci qualcosa.”

 

La segui in cucina cercando di dimenticarti di tutto.
Chi sei, cosa fai, con chi vivi.


Cerchi di vivere questo momento come lo avresti vissuto un anno e mezzo fa.

Inutilmente.

Lexa fa del suo meglio per non far mai cadere l’argomento ed è così strano.
Proprio Lei che riusciva a stare zitta per ore.

Proprio Lei che centellinava le sue parole come fossero un regalo da fare a pochi.

E’ la stessa che ora parla del tempo e dell’economia e di un gruppo di cantanti inglesi a te sconosciuti come se le interessasse davvero qualcosa.

 

Erano così piacevoli i vostri silenzi, pensi.

Cosa è cambiato?

 

Avete finito di cenare e la notte è ormai scesa su Densapar quando il tuo telefono squilla.

Finn, mostra il display.

“Perdonami, devo rispondere. E’ il mio fidanzato.” Spieghi, alzandoti.

“Fa pure, ti aspetto di là.” Replica.

“Non c’è bisogno-” provi, ma ti interrompe con un sorriso malinconico e con un “Si, ce n’è bisogno.”


“Hey Finn.” Rispondi con un sorriso istintivo.


Non ascolti una sola parola di quel che dice Finn.

Continui a guardare Lexa con la coda dell’occhio.

 

E’ seduta sul divano, lo sguardo rivolto a terra.

Scioglie i capelli e per un attimo la rivedi nella folla di Densapar, zaino in spalla, shorts e costume che si intravede sotto la canotta.

 

“Si, si.  Ti sto ascoltando ma devono esserci dei problemi con la linea.” Menti “Mhmh, si.  Ok.  Anch’io.  Buonanotte Finn.”

Chiudi la telefonata e prendi un lungo respiro cercando di ricomporti prima di tornare da Lexa.

 

“Eccomi.” Esordisci con un sorriso, ma Lexa non alza lo sguardo.

“Lexa?” provi.

Aspetta ancora qualche secondo prima di alzare lo sguardo, poi scuote la testa, come se volesse dimenticare qualcosa, e ti dice “Vuoi vedere Bali come non l’hai mai vista prima?”.

“Assolutamente.”

“Vieni con me.” Sorride e la segui verso la camera da letto.

Lo sguardo ti cade istintivamente sulla finestra, ma Lexa ti dice subito “No aspetta, voltati, non guardare.”

 

La senti chiudere le persiane, poi ti sussurra appena “Chiudi gli occhi.”.

Obbedisci e ti prende per mano.
E’ la prima volta che vi toccate da quando vi siete rincontrate e la tua pelle brucia.

 

“Ok, ora puoi aprirli.”

 

Bali nella tua testa è sempre stato un agglomerato di rumori assordanti, luci abbacinanti, colori cangianti.

Bali, oggi, sembra il dipinta con la tecnica del puntinismo.

 

Milioni e milioni di piccolissime luci fluttuanti che illuminano appena le silhouettes delle case, delle strade, delle spiagge.

Solo la luna è visibile, col suo riflesso sul mare.

 

“E’ bellissimo.”

E’ l’unica cosa che riesci a dire, con un filo sottilissimo di voce.

 

“Sapevo che lo avresti apprezzato.” Replica con un sorriso, avvicinandosi a te.

 

Restate in silenzio per qualche minuto e ti dici che forse la Lexa che conoscevi c’è ancora da qualche parte.

 

“Lo ami?”

Domanda all’improvviso, ma non ti volti a guardarla.

“Si.”

Rispondi dopo qualche secondo di silenzio.

“E sei felice?”

Aggrotti le sopracciglia e la guardi, quasi ti avesse offesa.

“Lo amo.” Ripeti.

“Le cose non sempre coincidono.” spiega.

 

Scuoti la testa, incredula.

Incredula del fatto che proprio Lei ti stia facendo questa domanda.

 

“Quindi è un no?”

“Non sono affari tuoi.”

“Si, invece.” Insiste “Voglio saperti felice, Clarke.”.

“Tu lo sei?” replichi veloce.

“Da quando ti ho incontrato.” Replica in un battito “Per tanto tempo ho creduto che fossi uscita dalla depressione grazie al De brevitate vitae.  Per tanto tempo mi sono detta e ripetuta che era tutto merito di quel libro.  Poi ho dato il merito a Bali. Il viaggio miracoloso che mi ha salvato la vita. Solo poco tempo fa ho capito la realtà delle cose.”

“Lexa, ti prego, non-”

“Il merito è tuo.” Sospira appena avvicinandosi.

Chiudi gli occhi e cerchi di non lasciarti influenzare dalla sua vicinanza, dal calore del suo corpo così vicino al tuo.

“Lexa- Lexa non posso-”

Ti ignora e si avvicina ancora un po’.

Senti il suo respiro sul tuo volto, ma lì si ferma.

“Ti prego, ti prego, permettimi di baciarti.”

“Lexa-”

“Ti prego, non chiedo altro.”

 

Lo sai che è sincera.

Sai che si limiterebbe davvero a baciarti.

Il problema non è lei, infatti.

Il problema sei tu.

Tu non saresti in grado di fermarti.

 

La decisione è nelle tue mani.

 
E non sei disposta a torturarti per il resto della tua vita con un nuovo “cosa sarebbe stato se-?”.

 

Quindi sei tu che finisci per baciare Lexa.

E questo bacio non ha nulla a che vedere con quello sotto il pontile.

Nulla.

Non il sapore, non la dolcezza.

 

E’ rimpianto.

E’ istinto.

E’ desiderio.


E’ tutto quello di cui avevi bisogno e non ne avevi idea.

 

Non sai chi delle due trascina l’altra sul letto.

Sai solo che senti il tessuto della tua maglietta strapparsi e finire in terra e non te ne importa assolutamente nulla.

 

Aiuti Lexa a sfilarsi la camicia e i vostri sguardi si incontrano: in tanti anni a studiare arte ed estetica, non avresti mai pensato che un paio di occhi lucidi e un sorriso sulle labbra potessero essere l’emblema della vera bellezza.

 

Lexa è ovunque.

E’ tutto quello che riesci a sentire, vedere, toccare.

Sulla tua pelle, sulle coperte che hanno il suo profumo, nelle tue orecchie, nella tua testa.

Lexa è ovunque e non è abbastanza.

 

Vuoi perderti dentro di lei e dimenticare tutto il resto.

Vuoi morire per opera delle sue mani, delle sue labbra.


Vuoi avere tutto di Lei e darle tutto di te.

Vuoi fermare il tempo e ignorare la primissime, vacue, luci del crepuscolo che appaiono sull’orizzonte alla finestra.

 

Vorresti non aver perso tanto tempo.

 

_______________________________________________________________________________________

 

Quando apri gli occhi non è ancora davvero giorno.

Ti allunghi fino a guardare l’orologio sul comodino e Lexa ti tira nuovamente a sé, stringendoti forte, baciandoti la spalla.

“Non ci pensare nemmeno.”

“A cosa?”

“Ad andartene.”

“Non volevo andarmene. E anche volendo, non potrei ancora farlo.  Sono le cinque e trenta, violerei la legge del Nyepi day…”

“Legge che mi hai tra l’altro fatto violare…” sospira ad occhi chiusi con un sorriso che senti sulla tua pelle

“E aggiungerei ripetutamente.”

Sorridi e ti volti tra le sue braccia.

Apre gli occhi quando sente un tuo bacio sul naso e sorride, sorride, sorride ancora.

 

Ha qualcosa di miracoloso vederla sorridere così tanto.

Non ti stancheresti mai.

 

“Per quanto mi dispiaccia dovermi privare della tua presenza, sento l’obbligo di avvertirti che stai per assistere alla più bella alba della tua vita e dovresti approfittarne…”.

“Credi che dovrei dipingere?”

“Magari potrebbe essere la soluzione al tuo blocco creativo…” suggerisce.

 

E ha ragione.

 

Ti alzi e fissi velocemente il cavalletto ai piedi del letto.

Ti siedi e cominci a disegnare.

 

Ritrai l’alba, mentre Lexa dipinge carezze sulla tua schiena e ti guarda in un reverente e adorante silenzio.

 

 

Passi due ore ancora a dipingere.
Disegni, tutto quello che ti passa per la testa che, due volte su tre, significa Lexa ma va bene così.


Tornate sotto le coperte, proprio quando Denpasar riprende vita.

E non solo Denpasar.

 

______________________________________________________________________________________

 

Non parlate molto.

E non solo perché siete occupate la stragrande maggioranza del tempo a recuperare quello perduto.

 

E’ come se ci fosse un implicito accordo tra di voi.

Lasciate che i giorni passino senza mai farvi domande troppo ingombranti e spaventose.

 

 

Il momento però arriva e, ovviamente, non sei preparata.


E’ il tuo penultimo giorno a Bali.

L’ultimo tramonto.

 

“Non dovremmo vedere il tramonto da qui, sai?”

“Perché?”

“Perché questa spiaggia è maledetta.  O forse era il tempio… Non ricordo, ma ad ogni modo non dovremmo vedere il tramonto da qui.”

“Di cosa stai parlando?” sorridi divertita.

“C’è una maledizione su questa spiaggia.  Le coppie che guardano in tramonto da qui finiscono sempre per lasciarsi entro poco tempo.”

“Noi non siamo una coppia…” osservi amaramente.

“Lo so questo, ma non sono disposta a rischiare.” Insiste prendendoti per le mani e tirandoti in piedi.

“Rischiare cosa?!” sorridi divertita lasciandoti trascinare verso l’interno.

“Non rischio di compromettere un futuro insieme per un tramonto nella spiaggia sbagliata…” sbuffa ma lo dice con più serietà di quanto vorresti.

 

“Non c’è un futuro insieme.”

“Questo non puoi saperlo.”

“No, Lexa-”

 

Ti fermi e Lexa si ferma con te.

 

“Che c’è?”

“Lexa, torno a casa domani.”

“Lo so.”

“Torno alla mia vita, domani.”

 

Rimane in silenzio e ti lascia le mani.

 

“Non sei felice? Non sei felice con me?”

“Lexa, hai portato via con te la mia felicità un anno e mezzo fa su quel vaporetto…”

“Allora, resta… Resta con me-”

“Non posso restare, non-”

“Perché no?”

“Perché- perché non è la cosa giusta da fare… Ho la mia vita, il mio lavoro e Finn, -”

“Fanculo, Finn!”

 “Lexa…”

“Quindi te ne andrai come nulla fosse?”

“Tu lo hai fatto.”

“Era diverso.”

“Lo era davvero?”

 

Si volta e si passa le mani fra i capelli.

“Lexa-“

“No.” Ti interrompe con la voce rotta dal pianto e ti fa cenno di aspettare.

 

Non sai cosa dire.

 

Ma sai cosa fare.

 

Apri la borsa e tiri fuori quel libro.

 

Lo ficchi nella sabbia e ti allontani.

 

 

 

Una volta per tutte.

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Capitolo 3
*** Multum perdidimus ***


E’ sempre strano riprendere la routine al ritorno da un lungo viaggio.

 

Stavolta è impossibile.

 

 

Finn ti aspetta in aeroporto con un mazzo di gerbere.

Odi le gerbere e Finn dovrebbe anche sapere il perché.

Evidentemente non è così.

 

Eppure, quando ti abbraccia, ti bacia, ti dice quanto gli sei mancata, gli credi.

Gli credi e ti dici che è tutto come prima e che non avete alcun problema.

Tutto è perfetto.

 

A parte quel quadro in camera da letto.

Lì non può più restare.

 

______________________________________________________________________________________

 

 

Le cose vanno bene per un po’.

Decentemente, se devi essere sincera.

 

Ricominci a dipingere, ma non sei la solita.

Se ne accorgono tutti.


Solo Finn sembra essere assolutamente ignaro della tua diversità.

 

Ti cominci a domandare se ti conosce davvero.

Se in un anno e mezzo è riuscito a conoscerti come qualcun altro ha fatto in qualche giorno.

 

Scacci velocemente il pensiero dalla tua testa.

 

______________________________________________________________________________________

 

Le cose tra te e Finn cominciano a cambiare qualche mese più tardi.

 


Lui non nota la tua diversità ma tu certamente noti la sua.


E’ distante, sempre impegnato, disinteressato.

Ti dice che è per lavoro ma non ci credi.

Fai finta di niente perché, sotto sotto, ti fa comodo.


Ti permette di essere altrettanto distante.

 

E’ la distanza che hai lentamente posto fra voi che ti impedisce di dare di matto quando le tue migliori amiche ti chiamano per dirti d’aver visto Finn (in atteggiamenti inequivocabili) in compagnia di un’altra donna.

 

Lo affronti a muso duro e ha persino il coraggio di chiederti di perdonarlo.

 

Non puoi.

Non potresti mai.

 


Non per il tradimento in sé.
Un tradimento a volte non è tutto.

 


Non puoi perdonarlo per quello cui hai rinunciato nello scegliere Lui.

 

 

Quella stessa sera svuoti l’armadio dai suoi vestiti e lasci tutte le sue cose fuori dal “vostro” appartamento, pagato con i tuoi soldi.

Quella stessa sera Finn esce dalla tua camera da letto e immediatamente rientra il tuo quadro.

 

 

_______________________________________________________________________________________



E’ piuttosto facile superare la storia con Finn.
Questo ti fa capire quanto sia stato davvero importante per te...

Più d’ogni altra cosa ti fa capire quanto tu sia stata miope e stupida, stupida, stupida.

 

Cerchi di andare avanti a testa alta, comunque.

 

Il problema è che c’è sempre quella cosa nella tua testa, quel pensiero, che ogni sera ti fa andare a dormire con un nodo in gola.

 

Il problema è che non riesci a perdonarti l’aver scelto Finn invece che Lei.

Non riesci a perdonarti perché non meriti il perdono.


Meriti l’angoscia e il rimpianto.

Meriti la malinconia e l’amarezza.

Meriti di rivivere ogni notte, impotentemente, infinite parole e immagini.

 

Sei infelice e ti convinci di meritarlo.

 

___________________________________________________________________________________

 

 

Una afosa giornata d’agosto ricevi un pacco.

 

Lo scuoti e riscuoti cercando di capire cosa sia prima ancora di leggere il nome del mittente.

Proviene dalla redazione di una rivista apparentemente.

Il – oh…

 

“Breathtaking Landscapes”.

Leggi.

 

Lo sai.

Lo sai che non può essere altri che Lei.

 

Rabbrividisci e scatti in piedi.

 

Non apri il pacco.

Lo poggi sul tavolinetto del salone e ti alzi.


Passeggi per il tuo appartamento.

Apri una bottiglia di vino alle 11 del mattino.

Rispondi a duecento e più email ignorate.

Pulisci il frigorifero e vai persino a trovare tua madre.

 

Non sei pronta per aprire quel pacco.

 

Il problema è che quando torni, in piena notte e anche abbastanza alticcia, il pacco è ancora lì.

 

“Basta.” Sospiri.

Prendi un coltello dalla cucina e apri il cartone.

 

Ti sfugge qualcosa a metà fra una risata e un singhiozzo quando ne estrai quel libro.

Sempre più gonfio e rovinato.

Sempre più vissuto.

 

Lo sfogli e tra le pagine trovi una lettera.

E’ stampata su una carta di grammatura pesante, color avorio, liscissima e terribilmente elegante.

 

“Gentilissima signorina Clarke Griffin,

la redazione del “Breathtaking landscapes” vorrebbe avere l’onore della sua partecipazione alla mostra inaugurale del periodico, intitolata “La felicità”, che si terrà il giorno 21 settembre presso i nostri uffici.

Nel caso decidesse di partecipare le sarà riservato il pezzo centrale.

 

RSVP.

 

Il direttore e fondatore

 

Alexandria Woods.”

 

Sorridi.
Per un milione di motivi.

 

Perché Lexa ha una sua rivista, apparentemente.

Perché sei invitata a partecipare.

Perché ti ha riservato il pezzo centrale.

 


Perché potrai rivederla.

 

 

Ti ritrovi a sfogliare il libro per la milionesima volta.

Leggi qua e là, lo annusi, accarezzi le pagine.

Stai quasi per addormentarti quando arrivi all’ultima pagina, al foglio di guardia posteriore, e scopri che qualcosa è cambiato.

C’è una nuova frase.

 

“Spero di vederti di nuovo, Clarke Griffin.

 

Lo spererò per sempre.

 

 

Quella notte dormi con il libro stretto al tuo cuore.

 

_______________________________________________________________________________________

 

 

Il giorno seguente rispondi immediatamente con una mail al “Breathtaking Landscapes” e confermi la tua partecipazione.

 

Da lì parte una minuziosa ricerca del pezzo da portare.


Dipingi con la gioia nel cuore.

Dipingi quadri su quadri.

Olio, acquerello, tempera, acrilico.

Pennello, spatola, matita, dita.

 

Paesaggi, persone, momenti.



Eppure niente ti soddisfa.

 

 

Ricevi l’illuminazione in una notte di inizio settembre (quando i tempi cominciano davvero a stringere), affacciata al balcone, guardando la città e le sue mille luci.

 

L’immagine ti fa scattare qualcosa in testa e all’improvviso sai cos’è la felicità.

 

La felicità è trovarsi tra milioni di persone nel luogo giusto, nel momento giusto.

La felicità è un silenzio condiviso con confortevolezza.

La felicità è un lungo bacio sotto un pontile.

La felicità è ritrovarsi, insperatamente e contro ogni possibilità.

 

La felicità è un’alba condivisa con l’amore della tua vita, in una minuscola camera da letto a Bali.

 

D’un tratto sai quale sarà il pezzo centrale.


Prendi il telefono e comunichi immediatamente agli organizzatori le dimensioni del quadro.

_____________________________________________________________________________________

 

Il giorno dell’apertura della mostra arriva prima che te ne accorga.

Non ricordi d’esser mai stata così agitata.

 

Passi l’intero pomeriggio a provare vestiti.

Alla fine opti per un semplicissimo vestito bianco che ritocchi con una cinta di camoscio poco sotto il seno, cui abbinare gli stivali.

Lasci i capelli sciolti, opti per un filo di trucco e scegli i gioielli più sobri che possiedi.

 

Ti guardi e ti riguardi mille volte e la tua insicurezza ti fa sorridere perché non sei mai stata così ed ora, tutto d’un tratto, ti senti una quindicenne alla sua prima festa.

 

Passi il tragitto in taxi a sfogliare e risfogliare il libro, incapace di stare calma.

Ma come potresti star calma?

 

 

Arrivi alla redazione (un non proprio modesto palazzo) e sei subito accolta all’ingresso.

Sanno benissimo chi sei, Lexa deve aver dato delle indicazioni precise.


Ti guidano fino alla sala dove si tiene la mostra.

I pezzi sono ancora tutti coperti e non riesci a capire dove si trovi il tuo.

 

Ti guardi attorno nervosamente e scruti i volti della gente che passa nella sala.

Quasi ti sembra di esser tornata a quella notte a Densapar, a cercarla fra la folla.

 

Quando le luci si abbassano e rimane un unico faro puntato su un podio, ti manca il respiro.


Eccola là.

Sale sul con il microfono in mano e un bicchiere nell’altra.


“Signori e signore, grazie per la vostra presenza in questa serata di nuovi inizi.”

Comincia col suo discorso e, devi essere sincera, non riesci a comprendere una parola nello stato in cui ti ritrovi.


Lexa indossa un vestito.

Non l’hai mai vista con un vestito e qualcosa fa corto circuito nella tua mente.


Cerchi di concentrarti sulle parole ma tutto quel che senti è la sua voce, la sua posatissima e controllatissima voce.

 

Quando senti partire un applauso capisci che deve aver finito il discorso e non ti interessa minimamente dei pezzi che vengono scoperti, nemmeno del tuo.


Sei così concentrata nel seguire con lo sguardo ogni singolo movimento di Lexa che per poco non fai cadere un povero cameriere con tutto il suo vassoio di tartine.

 

Ti avvicini ed hai la fortuna di poterla osservare, a sua insaputa, da vicino.

Non ti ha ancora visto fra le decine di persone che la circondano e le stringono la mano e continua a guardarsi attorno, con discrezione, cercando di non apparire disinteressata alle chiacchiere dei suoi ospiti.

 

Ti fermi ad aspettare alle sue spalle.

Lasci che la gente finisca di assillarla e solo quando comincia nervosamente a giocherellare col bicchiere di champagne che ha in mano decidi che è il momento di palesarti.


“Dovresti saperlo che, delle due, quella brava a trovare l’altra sono io.”.

Si volta di scatto, con un sorriso sulle labbra e replica “Potrei contestare questa affermazione...”

“No, non puoi.  Sono stata io a trovarti.  Sulla spiaggia, prima; alla tua mostra, poi.” Spieghi “E non era la prima volta che ti vedevo quella in spiaggia.”

“Ah si?” domanda.

“Già…” replichi fiera “Ti avevo visto qualche giorno prima tra la gente di Densapar.  Ti ho cercata per giorni.”

“E chi è che ti ha trovata a dipingere al tempio?”

“Mpf! Una volta contro quante?” replichi sollevando un sopracciglio a mo’ di sfida.

 

Lexa non risponde.

Sorride e basta.

 

“Come stai?” domanda, avvicinandosi a te.

“Me la cavo.” Replichi “E tu?”

“In questo momento benissimo.” Replica guardandoti negli occhi.

Non sai che dire perché è tutto davvero troppo.

 

“Posso accompagnarti nel giro della mostra?” propone.

“Con molto piacere.” Accetti.

 

Non parlate.

O meglio, parlate dei pezzi, commentate qualche dettaglio qua e là.

 

Arrivate al tuo pezzo, al vostro pezzo dovresti dire, e Lexa ti guarda.

Ti guarda come può guardarti solo chi conosce tutto quel che c’è dietro quel brandello di tela.

Ti guarda e sorride.

 

“Questa è la felicità, per te?” Domanda, lo sguardo rivolto al pezzo.

“Si.” Replichi con sicurezza.

“Un’alba…”

“E tutto quel che racchiude.” Aggiungi sorridendo.

“Ottima scelta.” Osserva, rispondendo al tuo sorriso.

“Ti ringrazio.”

 

Restate in silenzio a guardare, o meglio, a rivivere il quadro.

 

“E tu, Lexa?”

“Cosa?”

“Non hai esposto la tua idea di felicità?”

“Ovviamente.”

“E dov’è il tuo pezzo?”

“Qualcosa mi dice che te ne accorgerai quando ci passeremo davanti.”

 

La guardi confusa e cerchi di immaginare cosa possa essere.

Ripassi velocemente tutti i vostri momenti insieme, inutilmente, perché Lexa aveva sempre con sé la sua macchina fotografica.

E, anche se fosse, potresti non essertene accorta come nella foto del tempio.

 

Acceleri inconsapevolmente il passo, dedicando sempre meno tempo agli altri lavori.

 

E Lexa, nemmeno troppo sorprendentemente, aveva ragione.

 

Ti trovi di fronte ad una composizione composta da una serie di dodici foto.

Disposte su quattro file.

 

Il soggetto delle foto sei tu.

 

Tu che insegui il tuo cappello per le vie polverose di Densapar.

Tu che ridi a crepapelle, inseguendo il tuo cappello per le vie polverose di Densapar.

Tu che recuperi il cappello da un bambino, che sorride con te.

Tu che ti rificchi il cappello in testa, ancora con un sorriso sulle labbra.

 

 

Resti a bocca aperta e ti volti verso Lexa.

 

“Tu mi hai trovata per prima...” Sospiri appena.

Sorride, e annuisce con un pizzico d’orgoglio.

“Quella notte sei scomparsa e pensavo non ti avrei mai più rivista, e invece…”

“Apparentemente è tipico di noi.  Pensare che non ci rivedremo mai più per poi ritrovarci ancora e ancora.”

“Questa è la tua felicità, Lexa?”

Annuisce e dopo qualche istante specifica “Tu lo sei.”.

“Tu sei la mia.” Replichi per poi aggiungere “Perché non lo abbiamo da capito subito? Perché abbiamo perso così tanto tempo? Cosa stiamo aspettando?”

“Io aspettavo solo te.” Replica con un sorriso.

 

Prendi un lungo respiro e decidi di calare l’asso nella manica.

 

“Sto per farti una proposta e, per l’amor del cielo, Lexa: non dire di no.”

“Aspetta, stai per chiedermi di sposarti!?” ti domanda a metà fra il serio e il faceto.

“No, no…” replichi “Non ancora, comunque…”

Frughi nella tua borsa ed estrai velocemente il suo libro.

Glielo offri e ti guarda confusa.

“Non credo di capire la proposta…”

“Aprilo.” Sorridi.

 

Quando trova la busta da lettere ti guarda curiosamente.

“Avanti. Cosa aspetti?” domandi ansiosamente.

Lexa apre la busta con mani insolitamente tremanti, noti.

Quando capisce cosa ha in mano ti guarda meravigliata.

 

“Sei seria?”

“Mai stata così seria.”

“Quando?”

“Quando vuoi, Lexa.”

“In qualunque momento?”

“Si.” Sorridi.

“Stanotte.” Replica.

“E stanotte, sia.”

 

 

 

 

 

Quella notte, alle 3 e 25 del mattino, partite per Bali.

 

Insieme, per la prima volta.

 

 

 

 

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EPILOGO

 

 

E un pomeriggio cupo e piovoso a Denpasar.

La gente è chiusa in casa e l’unico rumore nella vostra stanza è il ritmico gocciolare dell’acqua dal tetto.

 

Siete sdraiate sul vostro letto.

Lexa è a pancia in giu, poggiata sui gomiti, a sfogliare distrattamente una rivista.

Le accarezzi la schiena, mentre continui a spostare lo sguardo fra il soffitto e la finestra.

“Lexa?”

“Mh…” replica distrattamente.

“Ci pensi mai a noi?”

“Clarke…” chiude la rivista e ti guarda con un sorriso “Noi è praticamente tutto quello cui penso da quasi due anni…”

“No…” cominci “Intendevo, ci pensi mai che… Non so, dopo tutto quello che è successo… ora siamo qui?”

“Certo, che ci penso.”

“E non credi sia assurdo?”

“No…” ci pensa un po’ su e aggiunge “Magari un po’, ecco.”

“Un po’?” domandi sollevando le sopracciglia.

“Ok, sì, è abbastanza assurdo.”

“Non credi che la nostra storia sia… No, lascia stare.”

“Cosa?”

“No, niente… è una cosa stupida…”

“Clarke…” sbuffa poggiandoti il mento sulla spalla “Sono pronta per qualsiasi cosa sdolcinata tu stia per dire…”

“Come fai a sapere sempre cosa sto per dirti?!”

“E’ un dono…” sorride “Avanti, dimmi.”

“Mi piace pensare che in un modo o nell’altro noi ci ritroveremmo sempre, come ci sia un qualcosa di voluto dal destino. Se le cose non fossero andate così, ci saremmo comunque ritrovate prima o poi. Se tu domani partissi senza lasciare traccia, sono sicura che finiremmo per ritrovarci in qualche modo.”

“Vuoi testare questa tua teoria?” sorride divertita “Perché se vuoi domani posso sparire e-”

“Non dirlo nemmeno per scherzo!” sorridi colpendole la spalla “Non voglio mai più lasciare Bali senza di te.  Non voglio mai più stare senza di te.”

Si avvicina a baciarti poi continua a guardarti e sai che sta per dire qualcosa.

“Sei felice, Clarke?”

“Con te, sempre.” Sorridi “E tu? Sei felice, Lexa?”

 

“Con te, sempre.”

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