Il lupo e la pantera

di goccia_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 L'incontro ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 l'inizio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tutti i personaggi, tranne quello da me creato appartengono al mondo di bleach e pertanto sono esclusiva proprietà di Tite Kubo.
 
 
Prologo
 
 
Successe tutto in pochi secondi, non ebbi nemmeno il tempo di rendermene conto, un dolore lancinante, il peggiore che avessi mai provato mi percorse tutto il corpo facendomi urlare dalla paura e dalla disperazione più nera. Quell’uomo che adesso torreggiava sopra di me, aveva aperto uno squarcio nella mia carne che partiva dalla spalla destra fino ad arrivare al centro del petto. Mentre urlavo mi portai le mani alla ferita che vennero subito investite dal sangue rosso e caldo che sgorgava a fiotti dal mio esile corpo di bambina. Riuscivo solo a provare dolore, un insopportabile dolore. Mentre guardavo l’uomo che rideva follemente e mi scrutava come se fossi un opera ben riuscita sentii arrivare il freddo, un freddo crudele che nulla aveva a che fare con la vita. Con la vista annebbiata lo vidi sollevare ancora una volta il pugnale per colpirmi, desideravo solo che qualcuno lo fermasse, che qualcuno mi salvasse e facesse sparire il male lancinante che stavo provando.


Aiuto.


Chiusi gli occhi e tutto il mondo divenne nero.
 

Quando li riaprii, ogni traccia di dolore era scomparsa, mi sollevai di scatto mettendomi seduta sul futon e guardai la spalla, nessuna cicatrice. Come poteva essere?
In quel momento si spalancò una porta a scorrimento che dava su un giardino costellato di piccoli fiori blu e viola  che si aprivano come campanule e il cui profumo pervase la stanza, genziane. La donna, anzi la shinigami che vidi entrare aveva una lunga treccia mora intrecciata sul petto e mi sorrideva gentile.
 
*
 
Dovevo tutto al capitano Unohana, lei mi aveva salvato da morte certa, lei aveva scoperto il mio potenziale e mi aveva insegnato le arti mediche. Ero grata a quella donna, si era presa cura di me come una madre e io avevo deciso che la sua fiducia nei miei confronti non sarebbe andata sprecata, volevo renderla orgogliosa di me e fu così che divenni una shinigami della quarta compagnia.
Sin da quando ho iniziato l’accademia, ho sempre avuto una carriera impeccabile: massimi voti in tutti gli esami, eccellenza nel kido, impeccabile nelle tecniche di spada, ottima conoscenza del combattimento corpo a corpo, abilissima nelle arti mediche, tutte le missioni portate a compimento con successo, non una nota di demerito, non una macchia sul mio curriculum. Tutti questi risultati non erano merito di chissà quale genialità, avevo sudato ogni battaglia, pianto lacrime e sputato sangue per ogni singolo successo, ma non mi pesava, perché la cosa più importante per me era non deluderla e  non avrei mai permesso a nessuno di rimproverare il mio capitano per aver preso con se una bambina del Rukongai, la zona più povera e malfamata della Soul Society.
Fino a quel momento, dopo che Unohana-san mi aveva presa con sé, il mio mondo era stato un susseguirsi di impegni, battaglie e successi, ma piuttosto tranquillo e lineare. Si, Aizen aveva gettato la Soul Society nel caos più totale, ma non ero stata coinvolta direttamente poiché il compito assegnatomi come membro delle 4° brigata era soccorrere i feriti più gravi trasportati d’urgenza nel Gotei 13. Di espada e arrancar avevo solo sentito parlare e avevo constatato quanto potessero essere forti e temibili in base alle ferite inflitte agli shinigami, ma non ero mai venuta a contatto con uno di loro fino a quel momento, il momento che cambiò per sempre la mia vita.
 

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Capitolo 2
*** capitolo 1 L'incontro ***


Capitolo 1 L’incontro


La luce argentea della luna perenne dell’Hueco Mundo illuminava il paesaggio notturno conferendo al deserto un colore biancastro fatiscente.
Il panorama era completamente piatto e anonimo, un saliscendi di dune spazzate dal vento dalle quali, di tanto intanto, si ergeva qua e là un albero spoglio che sembrava avesse voluto sfidare l’ostilità di questo mondo rimanendo pietrificato e conferendo un aspetto ancor più spettrale allo scenario.

Il vento sferzava incessante scuotendo il mantello grigio che faticava a ripararmi dai granelli di sabbia spostati dalle folate di aria ghiacciata che mi graffiavano la pelle. Procedevo affondando i piedi nelle dune desertiche diretta verso ciò che rimaneva di Las Noches.

Erano passati tre giorni dalla cattura di Aizen e la dodicesima brigata aveva rilevato per pochi minuti una debole reiatsu all’interno della fortezza costruita dallo shinigami traditore. Così era stata organizzata una spedizione per conoscere l’origine di quella energia spirituale dato che il comandante Yamamoto non voleva rischiare di avere una altra simpatica sorpresina organizzata da Aizen.
Per la missione eravamo stati scelti io, Nanami Itou, ovvero il terzo seggio della quarta brigata, il terzo seggio delle dodicesima divisione Akon e un membro dell’undicesima brigata Sōjirō Kusaka*.

Conoscevo Kusaka dai tempi dell’accademia e contrariamente a molti dei membri dell’undicesima brigata, sempre pronti a fare a botte come ragazzini per una qualsiasi scemenza, lui si era sempre dimostrato relativamente tranquillo, socievole e anche gentile nei miei confronti, ma distruttivo, frenetico e senza pietà nella lotta contro gli hollow.
Potevamo quasi definirci amici, quando ci incontravamo parlavamo spesso e a volte scherzavamo pure, ma c’era sempre un certo distacco, una sorta di muro invisibile che ci separava, anzi che separava praticamente tutti da me.
Unohana-san mi ripeteva spesso che ero troppo ligia al dovere, troppo rigida e che non mi divertivo mai, che dovevo lasciarmi andare.
Forse in parte era vero.
Non che non mi interessasse avere degli amici, solo che mettevo al primo posto pratica e allenamenti per diventare una shinigami di cui potessi rendere fiera la mia madre adottiva.
Pensandoci bene era l’unica cosa che mi interessasse veramente, era quello che potevo definire lo scopo della mia esistenza. Alla fine non mi importava nemmeno troppo che gli altri mi vedessero come una sorta di automa, anche se non la ero…

Il mio flusso di pensieri si arrestò improvvisamente poiché venimmo salutati da un ex shinigami. Anzi dall’ex capitano della dodicesima divisione, Urahara Kisuke: un uomo di mezza età avvolto in un haori marrone con uno strano cappello a righe bianche e verdi che copriva in parte i capelli biondicci.
«Ben arrivati, avete fatto un buon viaggio?»

Ci stava aspettando?
Come faceva a sapere che saremmo venuti qui?
E cosa ci fa lui qui???


«Visto che non abbiamo incontrato ancora nessun hollow direi di si» rispose secco Kusaka, era evidentemente a disagio, trovarsi in quel luogo doveva irritarlo parecchio. Era teso, il viso contratto in una smorfia di disgusto per il mondo degli hollow.

«Ma quanto siamo seri…tu invece devi essere Nanami-san, dico bene?» rivolgendosi a me.

«mi conosce?»

«ho sentito tanto parlare di te…» nascondendo il sorriso dietro a un ventaglio

«Come mai si trova qui?» volevo cercare di capire cosa ci facesse da solo nell’Hueco Mundo

«Anche io come voi ho sentito quella reiatsu e sono venuto a controllare...»
«Da solo?»

«No, c’è lei con me» indicando con un cenno del capo un piccolo gatto nero che si stava strusciando contro le sue caviglie.

«Un gatto?» ero decisamente perplessa…

«Magari non è solo un gatto»

Rinunciai definitivamente a cavargli fuori qualche informazione, le sue risposte vaghe ed enigmatiche iniziavano decisamente a irritarmi, essere dei pazzi strampalati doveva essere una caratteristica dei capitani della dodicesima.

«Vediamo di non rimanere troppo qui fuori, non voglio attirare tutti gli hollow della zona..» Kusaka ci riprese da quella conversazione che aveva preso una piega totalmente inutile e ci riportò al motivo della missione.

Penetrammo nella fortezza di Las Noches attraverso un’ enorme voragine nel muro principale che probabilmente era crollata a causa dei combattimenti di qualche giorno prima e iniziammo l’esplorazione di quello strano luogo.
Una serie infinita di corridoi e camere che si ripetevano quasi all’infinito, sempre uguali e tutte bianche.Sembrava una sorta di ospedale psichiatrico fatto apposta per far impazzire la gente, ma molto più probabilmente era stato studiato per disorientare i probabili invasori e direi che ci riusciva piuttosto bene.
Ero decisamente confusa e anche i miei compagni si guardavano attorno con l’aria di chi non ha la più pallida idea di dove stia andando, di cosa stia cercando, se quella stanza è la stessa o una nuova, se quel corridoio è già stato percorso. L’unico che camminava deciso e a passo sicuro era Kisuke che sembrava esattamente sapere quale strada, svincolo e direzione prendere ogni volta.
Beato lui.

Proseguendo nella ricerca arrivammo in una stanza che, a giudicare dal suo aspetto, doveva essere una sorta di laboratorio scientifico. Moltissimi strumenti erano caduti e si erano rovesciati a terra, i vetri dei vari utensili erano sparpagliati qua e là e il contenuto liquido di quelli che probabilmente erano beute e becher di laboratorio si era rovesciato creando uno strato appiccicaticcio sul pavimento.
Mi avvicinai al tavolo di acciaio del laboratorio e vidi la mia immagine riflessa sulla superficie liscia e metallica del bancone: la frangia pettinata di lato e lievemente disordinata incorniciava assieme ai capelli mossi, lunghi e biondi il mio volto ovale. Gli occhi verdi profondi brillavano dietro a lunghe ciglia nere, le labbra rosee sottili e il naso fine e lievemente all’insù completavano il mio viso.
Facendo scivolare lo sguardo lungo il piano mi accorsi di una macchia di sangue situata sull’angolo del tavolo e vidi alcune gocce sul pavimento che si susseguivano regolari verso una stanza adiacente e decisi di seguirle.
Diedi prima un’occhiata ai miei compagni: Akon e Urahara erano incantati ad osservare gli strumenti, le sostanze, gli strani esseri conservati in liquidi maleodoranti; sembravano bambini al parco giochi, mentre Kusaka se ne stava solo in un angolo ad osservare la camera con un’espressione imperscrutabile sul volto.
Non appena feci un passo per scavalcare l’uscio delle porta e dirigermi verso la sala adiacente sentii provenire da essa una debole reiatsu e mi precipitai a controllare.

C’era una persona a terra.

Anzi un ragazzo dai capelli azzurri.

Corsi nella sua direzione il più in fretta possibile e mi gettai a terra per controllare che fosse ancora vivo.
Era a pancia in giù e respirava a malapena, immerso in una pozza di sangue rappreso.
Facendo attenzione lo misi supino scoprendo così il volto: sulla guancia destra era attaccato un frammento di maschera di hollow, una mascella felina.
Era un arrancar.
Teneva gli occhi chiusi, probabilmente era talmente debole da non riuscire nemmeno a tenerli aperti, era letteralmente coperto di sangue e ferite da taglio, una più profonda dell’altra. Era già un miracolo che fosse vivo.

«non hai intenzione di curarlo vero?» Kusaka era comparso dietro di me mentre mi facevo su le maniche del kimono per prepararmi a lavorare.

«sono un membro della 4 brigata, il mio compito è garantire supporto medico ai feriti, ed è quello che ho intenzione di fare» replicai fredda senza battere ciglio.

«non è uno shinigami!» protestò mentre anche gli altri ci raggiungevano.

«per quanto mi riguarda non fa alcuna differenza» inginocchiata a lato dell’arrancar iniziai a recitare un potente canto di kido curativo insegnatomi da Unohana e il corpo dell’hollow venne avvolto da una piramide di luce rossa dal cui vertice cadevano dei piccoli fiocchi di luce verde che penetravano nei tagli iniziando a rimarginarli.

«Nanami, se non lo lasci morire… lo ammazzo io» Mi voltai pronta a ribattere ma le parole mi morirono in bocca quando vidi il lato destro del viso di Kusaka illuminato dai bagliori rossastri del kido.
Guardai la sua cicatrice, appena nascosta dalla frangia, che si estendeva dalla fronte e attraversava l’occhio destro fino ad arrivare a metà guancia e mi diedi della stupida. Quella ferita gliel’aveva inferta un’hollow tanti anni prima dopo aver massacrato tutti i suoi compagni di missione.
Lui si era salvato per il rotto della cuffia, era normale che fosse risentito del mio comportamento, era colpa di uno di quegli esseri senza anima se molti dei suoi commilitoni e amici ora non c’erano più, era colpa di uno di loro se portava un segno permanente che gli ricordava tutti i giorni cosa era accaduto, non avevo preso minimamente in considerazione i suoi sentimenti…

«su calma ragazzi» Urahara aveva parlato giusto in tempo per spezzare la tensione

«Nanami-san continua pure quello che stai facendo»

«si certo e quando questo si risveglia ci ammazza tutti come cani» ribatté duro Kusaka.

«se sono riuscito a mettere un sigillo ad Aizen credo di poter riuscire a fermare uno dei suoi scagnozzi malconcio»

«s…s-shini..gami non m-mi sotto…valutare»

Mi girai all’istante, l’arrancar aveva aperto gli occhi azzurro ghiaccio e ci stava fissando.
Si stava già riprendendo.

Era impossibile, il kido guaritivo non era così potente!

Eppure le ferite miglioravano di secondo in secondo a vista d’occhio, l’unica spiegazione al fatto che fosse sopravvissuto e che stesse guarendo a quella velocità, era che possedeva una capacità rigenerativa decisamente superiore a quella di un qualsiasi shinigami.
Annullai il kido avanzato per passare a un metodo più tradizionale, dovevo avere maggiore controllo sui progressi di guarigione, non avevo intenzione di farci ammazzare.
Con le mani illuminate da una luce verde iniziai a passarle lungo il corpo dell’arrancar, soffermandomi più a lungo sui tagli più profondi.

«d-donna…smetti di guarirmi….non voglio la pietà…di uno shinigami»

«non lo faccio per pietà. Tu hai bisogno di cure e io posso dartele, è tutto quello che mi serve sapere»

«tsk, stai sprecando energie. I tuoi amichetti muoiono dalla voglia di farmi fuori»

Diedi una alzata di spalle «vorrà dire che farò un po’ di pratica»

«mi stai prendendo per il culo? Donna faccio fuori te e i tuoi amichetti!»

«ridotto così? In questo momento hai una reiatsu appena percettibile ma non sei ancora in grado di muoverti...vedi di non fare minacce a vanvera. Sta zitto e fatti guarire!»
Passai lentamente le mani sull’enorme torace martoriato rigenerando a poco a poco i tessuti. I graffi avevano lascito il posto alla pelle sana e tonica, i tagli più profondi a ferite granuleggianti in via di riparazione, le costole fratturate ritornavano progressivamente al loro posto saldandosi e lasciando ai polmoni la possibilità di rigenerarsi.
Man mano che sfioravo la pelle di quello che era inizialmente un corpo martirizzato lo vedevo ritemprare e prendere vita sotto le mie lunghe dita affusolate, quasi lo stessi ricreando, il kido guaritivo era quasi un miracolo, la vera manifestazione dell’energia spirituale.
Feci scorrere le mani sull’addome scolpito dell’arrancar aggirando il foro, al contatto la pelle non era più fredda e pallida, ma tiepida e rosea, stava veramente progredendo a una velocità sensazionale, esitai arrivata alla cinta dell’ hakama, dovevo stare attenta, presto sarebbe stato in grado di muoversi.

«tranquilla tesoro, vai pure un po’ più giù»

Lo fissai sconcertata mentre mi rivolgeva ghigno beffardo, tolsi in una frazione di secondo le mani imbarazzata e rosso in volto «ma come diavolo ti viene in mente?» strillai a mezza voce.

«allora sei ancora una signorina…non preoccuparti, se non sai come fare, ti guido io» sbattendomi praticamente in faccia un sorrisetto malizioso che in quel momento gli avrei strappato via a unghiate tanto ero furente.

«tu…maledetto hollow» Kusaka si avvicinò estraendo lentamente la katana, determinato a finirlo in un colpo solo.

«Kusaka, lascai perd..! »

L’intera facciata del muro adiacente venne sfondata in un istante facendo esplodere calcinacci che volarono per tutta la stanza.
Un boato terrificante e un enorme braccio viola comparvero dalla voragine aperta nella parete, seguiti da una gigantesca maschera da hollow bianca caratterizzata da una mascella smisurata e due piccole corna.
L’essere si voltò immediatamente verso l’arrancar ferito come se non stesse cercando altro. Probabilmente la reiatsu instabile e debole del suo simile doveva averlo attirato per nutrirsi di lui.
Tutti i miei compagni sfoderarono immediatamente le loro katane e si prepararono a combattere.

Un ombra.
Fu l’unica cosa che vidi.







Sōjirō Kusaka*: hai fini della storia ho recuperato nome e caratteristiche fisiche dell’antagonista del film “the diamonddust rebellion” inserendolo nel contesto del racconto.

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Capitolo 3
*** capitolo 2 l'inizio ***


Capitolo 2 L’inizio


Un ombra.
Una piccola ombra nera, rapida e veloce schizzò fuori alle spalle dell’hollow andando a colpire duramente il piccolo gatto nero facendolo sbattere contro il muro freddo e bianco della stanza.

Un fruscio.
Un fruscio e subito dopo un urlo straziante.
Akon era appena stato colpito alla spalla destra da qualcosa di evidentemente affilato che gli aveva inferto un colpo tale da passalo da parte a parte.

I due esseri che avevano appena messo fuori combattimento due membri della squadra (o meglio uno più il gatto) emersero minacciosi dalla coltre formata dalla polvere dei calcinacci esplosi. Due specie di mantidi religiose umanoidi con tanto di maschera bianca bislunga decorata con semplici segni tribali rosso fuoco si schierarono in posizione d’attacco verso i miei compagni. Gli arti superiori formati da due falci scintillavano avide di sangue nell’oscurità.

Pensai che dovevamo mettere fuori combattimento i tre hollow alla svelta e tornare alla soul society per metterci in salvo. Quel luogo era un campo minato pronto a esplodere e i feriti erano già troppi.

«non mi preoccuperei così tanto per loro» Una voce bassa e roca che proveniva dal mostro gigantesco di fronte a me mi parlò. «Oggi farò un bel pranzetto. Grimmjow tu sarai il mio piatto principale e la ragazzina il dessert…»

«non ci contare. Non esiste che venga mangiato da una mezza sega come te» l’arrancar mosse prima una mano, poi un braccio.
Tremando per lo sforzo e la fatica riuscì a girarsi sul fianco e issarsi sulle braccia per accasciarsi seduto contro il muro. Il suo corpo affaticato venne scosso dai colpi di tosse che gli fecero sputare una piccola quantità di sangue.
Ne apprezzai la determinazione.
Era solo grazie a quella se era riuscito a muoversi. Da quel punto di vista eravamo molto simili.

«non riesci nemmeno a stare in piedi, hai finito di fare il gradasso ora. Sarà un piacere farti a pezzi!»
Tutti e tre gli hollow attaccarono contemporaneamente, i due tirapiedi fendendo con gli arti superiori per lacerare i loro avversari e quello che sembrava essere il capo scagliò un pugno nella nostra direzione.

«Danku»

Una parete luminosa si frappose tra me e l’avversario bloccando l’attacco che si infranse contro il kido.
Mi alzai compostamente in piedi mentre il mostro dinanzi a me cercava, con tutte le sue forze, di buttare giù il muro luminoso che avevo eretto colpendolo ripetutamente.

«Donna» Mi voltai a guardare l’espada dritto negli occhi. Erano glaciali, di un azzurro accecante.

«Finisci di curarmi»

«Non posso»

«Vuoi farmi mangiare per salvare i tuoi amichetti?»

Rimasi perplessa. Quell’idea non mia aveva nemmeno sfiorato il cervello.
Non potevo curarlo perché non potevo fidarmi di lui. Non potevo rimetterlo in forze e sperare che una volta ammazzati quegli hollow lui ci lasciasse semplicemente andare. Magari con una bella stretta di mano. Dovevo valutare attentamente cosa fare. Ma occhio e croce potevamo farcela tranquillamente anche senza di lui.

«Donna, se mi assorbe, voi da qui non uscite vivi»

Guardai Kusaka, era in difficoltà, quell’hollow era estremamente veloce e anche utilizzando lo shumpo faticava a stargli dietro e difendere contemporaneamente Akon. La velocità non era mai stata il suo forte.
Kisuke invece aveva raccolto il suo amico felino e lo difendeva senza difficoltà mentre mi spiava di sottecchi.
Stava aspettando una mia mossa.
Era incredibile come quell’uomo sfruttasse ogni singolo momento per studiare chi aveva di fronte. Ecco perché non muoveva un dito più del necessario. Con le sue capacità poteva sbarazzarsi dei nostri tre nemici in un batter d’occhio. Ma evidentemente non era il suo scopo.
Voleva dire che, se era ciò di cui ero in grado di fare quello che voleva vedere, glielo avrei mostrato.
Ero piuttosto allergica ai trucchetti psicologici.

«Nekutai o yaburimasu, Fenrir*!» (infrangi i legami, Fenrir!)

In un lampo la zanpakuto assunse la sua vera forma rilasciando il suo potere.
La lama bianca e affilata scintillava prepotente alla luce lunare dell’Hueco Mundo che filtrava delle finestre dimesse e dai buchi delle pareti diroccate. La guardia si apriva come un fiore attorno alla lama con sei cristalli color topazio romboidali uniti tra loro per la diagonale minore. L’impugnatura, color bianco puro, formata da sottili fili di cuoio candidi sapientemente intrecciati, terminava con un piccolo foro dal quale dipartivano tre nastri nivei di diversa lunghezza al cui ciascun capo si trovava un piccolo cristallo che richiamava la medesima fantasia dell’elsa.

«Kori shin kaze» (vento di morte gelato)

fendetti l’aria in direzione dell’hollow e dalla lama si sprigionò una falce di luce bianca che tagliò di netto in due il braccio destro del mostro congelando il moncone da un lato, mentre dall’altro il ghiaccio iniziò a formarsi e risalire lungo l’arto amputato. Lo avrebbe gelato completamente nel giro di qualche secondo facendolo morire assiderato.
Come una sorta di falce rotante uno dei due piccoli hollow staccò la parte rimanente del braccio del compagno colpito all’altezza della spalla per impedire che il suo comandante venisse ghiacciato del tutto.
No me lo aspettavo, dovetti ammettere che sarebbe stata più dura del previsto. Quei due piccoli insetti erano anche piuttosto intelligenti, oltre che veloci.
Una parte di me sorrise, erano forti.

Ma non abbastanza.

Con lo shumpo mi trovai improvvisamente alle spalle della mantide che mi aveva appena giocato quel brutto tiro.
Inspirai a fondo e con un unico movimento rotatorio portai prima la lama sopra la mia testa poi la abbattei in diagonale verso il suolo attraversando le carni e staccando la parte superiore da quella inferiore del piccoletto.
Scartai di lato evitando il pugno sinistro dell’imponente compagno.
Mi voltai e vidi quell’altra specie di insetto alle mie spalle.
Era dannatamente veloce.
Schivai a malapena il fendente dell’arto destro che lacerò una manica del kimono nero.
Indietreggiai di un passo, presi la spinta e salti verso il soffitto. Impugnai saldamente Fenrir con entrambe la mani e con tutta la mia forza fendetti il nemico dall’alto verso il basso trapassandolo.

Fuori due, manca il terzo.

«Siete bravi shinigami…» il mostro cornuto si rivolse a noi con un ghigno malefico «ma avreste dovuto preoccuparvi molto di più, di non farmi assorbire l’espada!»
Vidi l’hollow lanciarsi verso Grimmjow a tutta velocità spalancando le fauci.

No, non glielo avrei permesso.

«Ban…!»
«Sakebimasu, Kukulcan**» (strepita, Kukulcan)
Un imponente spada dorata a doppia lama comparve tra le mani di Kusaka recidendo l’arto superiore sinistro dell’hollow che si era scansato appena in tempo per non ricevere un colpo mortale.
L’azione mi diede il tempo di pararmi di fronte all’arrancar e trapassare la maschera bianca del nemico in mezzo agli occhi rossi assetati di sangue.

«Togoku to hitto» (imprigiona e mordi)

Al comando i sei cristalli dell’elsa si trasformarono in sei nastri che si avvolsero intorno all’avversario stringendolo in una morsa sempre più potente fino a trapassare il corpo tagliandolo e riducendolo a brandelli.
Fine della battaglia.

Mentre rinfoderavo Fenrir che tornava ad essere un anomala katana dall’aria anche un po’ consunta incrociai i miei occhi con quelli dall’arrancar, aveva uno sguardo strano. Stupore, ammirazione, sfida, smania di combattere, tutto racchiuso in quei due occhi felini azzurri accecanti.
Non seppi decifrarlo chiaramente.

«Io te lo avevo detto!» Sbottò Kusaka «dovevamo ucciderlo subito!»

«La nostra missione era scoprire da dove provenisse la fonte di energia» replicai compostamente
«Si ma non vuol dire tenerla in vita!»

«Nemmeno ucciderla»

«Ci hai quasi fatto ammazzare!» Kusaka era veramente fuori di sé

«Ti ripeto che la nostra missione era scoprire da dove provenisse l’energia, cosa farne sarà il comandante supremo a deciderlo. Né io né tu.»

«Adesso ne arriveranno altri!»

«Allora al posto di discutere contattiamo chi di dovere alla svelta»

«se lo avessimo ucciso prima…»

«sarebbero venuti lo stesso, attirati dalla nostra energia spirituale!»

«Akon non sarebbe ridotto così»

Mi voltai e vidi Urahara armeggiare con il kido attorno alla ferita del nostro commilitone, aveva già fermato l’emorragia, e anche il suo gatto si era già ripreso. Evidentemente sapeva quello che faceva.

«Forse.…ma se non avessero preso di mira l’espada magari ci avrebbero attaccato diversamente, magari quei due insetti avrebbero attaccato prima noi. Magari saremmo anche morti tutti a quest’ora.»

«Ehi shinigami….la signorina ti fa il culo anche a parole oltre che sul campo di battaglia! Ma che uomo sei?» Grimmjow ridacchiava sotto i baffi. Era un provocatore nato.

Kusaka si voltò, scuro in volto, i denti stretti e una smorfia di puro odio sul viso. Fece un passo in avanti e alzò la spada in direzione dell’arrancar.

«Molto bene! Avete trovato la fonte di energia! Akon mi ha avvisato. Un espada! Potrei farci qualche esperimento!» il capitano della 12° divisione era comparso in una sorta di schermo quadrato, i capitani ci stavano contattando dalla Soul Society attraverso il tenteikura, intravidi immediatamente Unohana tra di loro e mi sentii subito più tranquilla.

Kusaka rimase immobile al suo posto con la spada a mezz’aria. Tremante di rabbia.

«Oggi non è esattamente la tua giornata fortunata shinigami»

«Lurido bastardo» sibilò a denti stretti «ora che sappiamo che si tratta di un espada possiamo anche ucciderlo…» Kusaka si era voltato verso il kido per parlare direttamente con il comando e avere il via libera per la sua vendetta.

«Kusaka!» Zaraki aveva appena spinto via il capitano della dodicesima per piazzarsi di fronte allo schermo e invadere completamente la visuale. «portalo qui! L’ultimo espada voglio eliminarlo io!»

Tipico di quello scimmione…

«Se ci tenevi così tanto dovevi partire tu!» Si mise a sbraitare Mayuri «voglio dissezionarlo!»

«scordatelo, voglio battermi con lui, se lo vuoi battimi in uno scontro»

Ecco che iniziava la solita tiritera tra i due…
 

…frush…

Un rumore impercettibile in quella confusione di gente che continuava a parlare uno sopra l’altro.
«posso ammazzarti ad occhi chiusi»
«io con un braccio solo»

Ma lui quel rumore lo conosceva bene, lo aveva sentito tante volte nel deserto dell’Hueco Mundo, aveva imparato a riconoscerlo in centinaia di anni passati in quelle lande. Quell’affare ne aveva uccisi talmente tanti che era impossibile contarli.
Piccolo e meschino, come il suo modo di uccidere. Nessuno si era accorto di lui, troppo impercettibile quel fruscio per le orecchie degli shinigami.
Nemmeno il vecchio col cappello che aveva tutta l’aria di sapere qualsiasi cosa se ne era accorto, forse troppo concentrato a guarire la spalla del suo compagno e a seguire la lite. Nemmeno il suo piccolo gatto nero che si era già ripreso e si strusciava tra le caviglie dell’accompagnatore emettendo piccole fusa.
Quell’essere ne avrebbe ucciso uno solo doveva solo sceglierlo. Lui non lo avrebbe considerato, in quel momento era troppo privo della linfa vitale di cui si nutriva quella cosa.

Si guardò intorno per individuarlo.

Dove sei piccolo bastardo?


Cercò con lo sguardo negli angoli più bui, nelle crepe e sul soffitto, dove poteva nascondersi?

Poi lo vide, anzi vide il riflesso del suo occhio.
Chi stava puntando?
Iniziò ad andare per esclusione. Da quella maledetta crepa nel muro dove si trovava il vecchio col cappello era fuori dal suo raggio di azione insieme allo shinigami ferito, lui era escluso a priori.
Chi stava guardando tra i due rimasti? Chi sarebbe stata la vittima?
Magari quello shinigami col ciuffo nero, era odioso con tutte quelle castronerie di cui stava blaterando sulla malvagità degli hollow che andava annientata, patetico.
Vide spuntare le zampette, quel tanto che bastava per darsi la spinta verso la vittima designata, una angolazione quasi impercettibile.
Era lei. Era lei che puntava.
Un moto di rabbia gli salì alla testa.
Quella shinigami era troppo abile per fare una fine come quella.
Lui voleva combattere contro di lei, voleva assaporare appieno il gusto della lotta all’ultimo sangue contro quella ragazza.
Lui poteva essere il solo predatore e lei la sua unica preda. Quel mostriciattolo non gliela avrebbe portata via così.



Con la coda dell’occhio feci a malapena in tempo a vedere una grande mano che si chiudeva intorno a qualcosa, un braccio muscoloso teso fino allo spasmo che la seguiva e una folta zazzera azzurra che mi sfrecciò di lato abbattendosi al suolo.

La mano era chiusa attorno a un piccolo essere, forse un piccolo hollow o un’altra minuscola creatura di quel mondo sconosciuto.
Ormai era difficile dirlo, spappolata tra le dita serrate dell’arrancar.
Si riusciva solo a distinguere qualche tratto di quell’essere. Sottili e lunghissime zampe aracnoidi e una specie di ago di cinque-sei centimetri.
Erano le uniche cose distinguibili, il resto era sconquassato e un liquido violaceo fluiva sul pavimento.

Sentii una goccia colarmi lungo la guancia destra e mi toccai ritrovandomi la mano sporca del sangue vischioso della creatura che era schizzato nel momento in cui la mano dell’arrancar si era chiusa. Che schifo.

«mmm...deve essere una sanguisuga saltatrice» commentò Urahara.

«una che?»

«Il nome me lo sono inventato al momento!»

«…»

«È una piccola creatura che vive qui nell’Hueco Mundo e che si nutre di energia vitale. Se ti prende assorbe tutta la tua energia in pochi minuti. Non sono molti a poter raccontare di essere sopravvissuti a un suo attacco. È anche per questo che si conosce così poco!»

Dopo la spiegazione da documentario alla Piero Angela gentilmente offertami riguardai la mia mano e successivamente il ragazzo ai miei piedi, svenuto nello sforzo di sopprimere quella creatura. Mi aveva appena salvato la vita.

Fenrir ebbe un sussulto di energia.
Strinsi l’impugnatura della katana come a rassicurarla di aver capito la sua volontà, presi coraggio e mi feci avanti a parlare.


 
*

Lo vedi? L’oscurità sta chiamando. Pian paino il male divorerà tutto ciò che è sano...







*Fenrir: lupo divino gigantesco della mitologia norrena
**Kukulkan: divinità dalle sembianze di serpente piumato delle civiltà Maya Entrambe le mitologie verranno spiegate più avanti e in parte riadattate ai fini della storia. Se siete troppo curiosi potete invece cercare i loro miti ;)

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