i will not let you die

di AnnVicious
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** rovine celate ***
Capitolo 2: *** Segreti e illusioni. ***
Capitolo 3: *** Leoni e agnelli. ***
Capitolo 4: *** Caduta libera. ***
Capitolo 5: *** Mio dolce principe. ***
Capitolo 6: *** Rave. ***
Capitolo 7: *** Amore e altre droghe. ***
Capitolo 8: *** Dipendenza dal dolore. ***
Capitolo 9: *** Parla. ***
Capitolo 10: *** Cinque parole. ***
Capitolo 11: *** Esplosioni interne parte 1. ***
Capitolo 12: *** Esplosioni interne parte 2. ***
Capitolo 13: *** Astinenza e dipendenza. ***
Capitolo 14: *** Fuga dal nido. ***
Capitolo 15: *** Le notti di Londra. ***
Capitolo 16: *** Sarò con te fino alla fine. ***
Capitolo 17: *** C'è qualcuno qui? Parte 1. ***
Capitolo 18: *** C'è qualcuno qui? Parte 2. ***
Capitolo 19: *** L'ultima notte. ***



Capitolo 1
*** rovine celate ***


Rovine celate.

Iniziò tutto alla fabbrica abbandonata.

Era un pomeriggio di Ottobre, il fottuto 1977.

Come al solito, io e Steven eravamo intenti ad imbrattare i muri di quell'inutile ammasso di macerie che era quell'edificio, di cui sapevamo solo che in passato, era una fabbrica di detersivi da quattro soldi, di quelli che si possono comprare in offerta in ogni discount, poi un giorno, qualche anno fa, nello stabilimento scoppiò un incendio e da allora quella fabbrica fu dimenticata dalla società, persino dal comune, nessuno ne sapeva nulla, o almeno non ne voleva sapere. Era come un fantasma nonostante una parte si affacciasse su una strada principale, semi nascosta dagli alberi e da delle case nuove, da poco costruite.

Dimenticata da tutti, tranne che da me, Steven e qualche nostro amico.

Era il nostro punto di ritrovo, la nostra fuga dalla realtà.

Stavo disegnando su un pezzo di muro non ancora imbrattato, una radio tridimensionale, quando mi sentii spingere e all'antenna della radio si aggiunse un'estensione laterale. "Guarda che bel graffito!". Steven, alto poco più di me, mi aveva appena rovinato l'opera e aveva anche il coraggio di parlare. Sbuffai e risposi in tono decisamente acido "Era bello". Voltai la testa per guardarlo negli occhi azzurri ed assottigliai lo sguardo. "Poi il signor Whitlock rovinò tutto". Steven fece uno dei suoi sorrisetti che gli venivano meglio, ovvero quello sfacciato, che spesso mi invogliava a dargli un pugno in faccia. "Si può sempre abbellire, guarda qua". Steven mi rubò la bomboletta nera dalla mano e coprì il pezzo di antenna che avevo sbagliato con una saggia ed intelligente forma fallica, cosa che però mi fece sorridere: era un talento di Steven quello di farmi ridere subito dopo avermi fatto arrabbiare, ecco perché non gli avevo mai dato un pugno in faccia, o forse perché a differenza mia, lui non era magro come un chiodo ma aveva un abbozzo di massa muscolare. "Questa si che è arte, altro che Van Gogh". Steven rise, gettò la bomboletta nera a terra e poi si sedette vicino al graffito della radio, dando le spalle al muro, così si accese una sigaretta e subito feci per rubargliela, ma mi beccai un ceffone sulla mano. "Aspetta almeno di essere maggiorenne, Michelangelo". Lo guardai di nuovo male e con uno sbuffo, mi sedetti di fronte a lui "Ma se le altre volte mi hai sempre offerto le sigarette". Steven mi lanciò il pacchetto ed io entusiasta, feci per sfilarne una, ma la scatolina era vuota, così gliela tirai addosso. "Per un attimo ho quasi creduto che ci tenessi ai miei polmoni". Steven ridacchiò, poi fece un tiro dalla sigaretta e mi soffiò addosso dei piccoli e perfetti cerchi di fumo. "Ci tengo solo quando sto per finire o finisco le sigarette". Spuntò un'altro di quei suoi fastidiosi sorrisini sul suo volto, così detti un piccolo calcio al suo piede e lui ridaccchiò ancora. Cazzo, come era fastidioso quando faceva così. "Solo le ragazze picchiano in questo modo, lo sai?". Guardai male Steven per l'ennesima volta, poi mi alzai e presi la bomboletta di vernice in mano, puntandola sulla sua felpa rossa, un pò scolorita. "E questa è una tattica che usano i bambini". Mi fece la linguaccia e posò la sua mano sulla mia, per poi fregarmi con rapidità la bomboletta e farmi una bella macchia nera sui jeans, all'altezza del ginocchio, così gli tolsi quell'arnese infernale dalle mani e lo gettai dall'altra parte dello stanzone. Steven scosse la testa bionda, come segno di esasperazione e sospirò. "Questo anche è un comportamento da bambini. Si vede proprio che hai sedici anni". Posò quegli occhi azzurri e sfacciati sui miei, in attesa di una mia reazione, così lo accontentai e feci per saltare addosso a lui, ma non me ne dette il tempo che agilmete, si alzò e prendendomi per le spalle, mi sbattè con la schiena contro il muro, ma senza farmi molto male, sapeva che ero fragile come un bicchiere di vetro. "Ehi combattente, non tutti sono come te" . Mi morsi forte il labbro inferiore, cercando di fare qualcolsa mentre lui, con la sua voce roca e fastidiosamente decisa, diceva: "Dovresti imparare a difenderti per il verso. Lo sai". Lo guardai negli occhi, come ad intimargli di stare zitto, così approfittai di un suo momento di distrazione per fargli lo sgambetto e farlo finire col culo per terra. "Ma bravo, bel modo da coglione che hai di combattere. Vieni qui". Mi fece segno di sedermi di fianco a lui, così un po titubante, lo feci, avevo paura che volesse prendermi alla sprovvista, ma sbuffai quando appena posai il culo di fianco al suo, mi abbassò la maglia, in modo da scoprire solo la spalla, dove nascondevo un livido violaceo, fresco di qualche ora prima. "Questo non te l'ho fatto io". Il tono di voce di Steven si era fatto serio, accusatorio, così spostai la sua mano dalla mia spalla con poca delicatezza e mi alzai dicendo. "Te li fai i cazzi tuoi ogni tanto?".

Ma era come se non mi avesse sentito affatto, infatti proseguì come se non avessi proprio parlato. "E' stato di nuovo quello stronzo di Ethan?". Sbuffai: non volevo parlarne, il pomeriggio andavo alla fabbrica abbandonata proprio per non pensare a tutto il resto, invece Steven era sempre pronto a farmi parlare di cose che preferivo tenere per me, ma non capiva, era testardo come un mulo. "Jimmy". Risposi con voce secca mentre mi infilavo la giacca di jeans. "Jimmy testa di cazzo Bensen, immagino. Di solito colpisce in faccia da ciò che ho visto". Mi voltai verso Steven e scossi la testa, dicendo con voce acida. "Sono riuscito a schivare il colpo".

"Che ti è finito sulla spalla". Concluse Steven e mentre io mi dirigevo verso l'uscita dalla fabbrica, ovvero la metà di un grande portone, sentendo i suoi passi dietro di me, sbuffai e quando mi fermai per raccogliere lo zaino accanto al portone, mi voltai verso di lui dicendo a voce alta. "Che cazzo vuoi? Dirmi quanto sono bambino? Farmi sentire ancora peggio?". Lui si fermò e scosse la testa, un ciuffo biondo grano gli finì davanti ad un occhio. "Siamo amici da un anno, Nick. Perché non ti fai aiutare da me?"

Per un attimo, lo guardai negli occhi, sembrava quasi una supplica. La sua espressione, come al solito, era decisa, ma c'era qualcosa di molto vicino ad un'implorazione nei suoi occhi. "Vaffanculo". Gli risposi semplicemente ed affrettai il passo per non farmi raggiungere da lui, ma non sentivo i suoi passi dietro di me, solo un "Ci vediamo domani" in lontananza, sapevo che mi voleva bene ed io ne volevo a Steven, ma io non ero come lui, non ero capace di andarmene in giro con strafottenza come lui, non sapevo ignorare le persone. Lui si ed era una cosa che da sempre gli invidiavo.

Oltretutto non gli volevo solo bene, lo amavo a sua insaputa dal primo giorno in cui ci conoscemmo a scuola.

 

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Capitolo 2
*** Segreti e illusioni. ***


Era più o meno ora di cena quando tornai a casa, la quale non era di certo un appartamento di lusso: io e mia madre ci trasferimmo lí quando mio padre morì in un incidente, qualche anno fa. Quella casa, anche se era piccola, mi piaceva: li mi sentivo al sicuro, protetto. Io non volevo vestiti di marca, l'ultimo modello di tv o paghette da sputtanare: mi bastava tornare a casa e abbracciare mia madre, parlare della nostra giornata e darle una mano con le faccende, insomma desideravo solo un piccolo rifugio felice. Lei era seduta su una sedia della piccola cucina subito dopo il corridoio di ingresso, che mi aspettava per mangiare. Era sempre così premurosa con me, non voleva perdersi nemmeno un' occasione per starmi vicino e da quando morì mio padre, di tempo da trascorrere assieme, ne avevamo davvero poco. Mia madre faceva tre lavori per poter pagare le spese, le bollette ed i miei studi, tornava sempre stanchissima solo per me ed io non mi sentivo mai all'altezza di tanto amore. Ogni sera, prima di andare a dormire, desideravo sempre di poterle comprare una bella villa, con una piscina, un laghetto e degli animali. Avrei voluto che si rilassasse per sempre, nessuna bolletta da pagare, nessun lavandino rotto e soprattutto nessun figlio a cui dover pagare gli studi. Mi sedetti a tavola con lei dopo aver posato lo zaino a terra e con un sorriso la salutai "Ciao mamma, scusa il ritardo". Lei mi sorrise, il suo volto era stanco, le occhiaie ben visibili, i capelli neri e sfibrati che le arrivavano al seno, anche essi sfiniti come lei. Era sempre stata una bella donna, a volte le imploravo di uscire e trovare qualcuno che potesse renderla felice, ma lei ogni volta rifiutava con gentilezza, spiegandomi che nessuno avrebbe mai potuto sostituire mio padre. "Sei stato alla fabbrica anche oggi?". Chiese in toni gentile e mentre mangiavo, annuii con un piccolo sorriso, in segno di risposta. "Prima mi ha chiamata Jenna, questo fine settimana ospiteremo lei e Will". Si passò una mano tra i capelli, poi continuò a mangiare. "Bene, ormai sono più di sei mesi che non li vediamo". Risposi con tranquillità, ma lei pareva quasi seccata, infatti rispose con un semplice "Già". Mia madre non sopportava sua sorella, era troppo frivola per i suoi gusti ed era per questo che vedevamo lei e sui figlio solo due o tre volte all'anno. Alzai per un attimo gli occhi sui suoi e dissi "Mamma, ci aiutano economicamente, il minimo che possiamo fare è ospitarli per un paio di giorni". Mi alzai per sciacquare il mio piatto mentre lei disse in tono quasi scocciato "Lo so, lo so... ". Sorrisi a quella risposta e dopo essermi asciugato le mani, le posai un bacio tra i capelli lisci. "Sono solo un paio di giorni, puoi farcela". Sentii la sua risata stanca e sciacquai anche il suo piatto quando ebbe finito. Tra noi era sempre così: quando io ero giù di morale, lei cercava di risollevarmi e viceversa, eravamo l'uno il porto sicuro dell'altra. In camera, mi impegnai nello studio solo per mezz'ora, proprio non riuscivo a concentrarmi, avevo in testa troppi pensieri che si affollavano, così presi dal comodino di fianco al letto a castello un foglio bianco e le matite, così cercai quindi di farmi trasportare dal sottofondo musicale che usciva dalla piccola radio posta sul cassettone dove tenevo gli indumenti, ma non riuscivo neanche nel disegno, quindi mi arresi e spensi tutto mettendomi poi nel letto con i pensieri che ancora mi frullavano per la testa. In realtà, erano quasi tutti sensi di colpa perchè anche se mia madre si ammazzava tutto il giorno di lavoro per me, io non riuscivo ad essere un genio, semplicemente non lo ero. Non volevo fare l'avvocato, il commercialista o dirigere un azienda, non ero portato per questo: ciò in cui ero portato, era l'arte. Quando disegnavo, dipingevo o facevo graffiti, mi sentivo realizzato, felice e sicuro di me. L'arte mi trasportava in altri mondi, mi faceva sognare, mi faceva ridere, mi faceva sentire vivo. Ma l'arte non mi avrebbe portato ad avere subito un lavoro pagato bene come fare l'avvocato e in quel momento sentii una profonda agonia dentro di me: non volevo rinunciare all'arte per una cosa che non volevo fare, sentivo che quella mi avrebbe reso felice per tutta la vita, ma allo stesso tempo volevo rendere orgogliosa mia madre, la quale più di tutti, meritava ciò. Strinsi il cuscino sotto la mia testa e mi morsi le labbra un paio di volte: ero confuso e triste, non sapevo come rendere felici entrambi, per di più mi ero steso sul lato dove avevo il livido, quindi sospirai e cambiai posizione, sdraiandomi sulla spalla sinistra, quella che non mi faceva male e pensai alle parole di Steven: avrei dovuto davvero imparare a difendermi, ma per cosa? Per farmi sospendere e far esasperare mia madre? Non volevo che lei fosse sottoposta ad altro stress, quindi per me, era meglio continuare a tenere un atteggiamento passivo ed in un certo senso, fare la vittima ma saltando la parte nella quale mi sarei andato a lamentare com chiunque; finché un giorno, quel branco di idioti non si sarebbe scordato della mia esistenza. Steven abitava a tre fermate del pullman più avanti, dove le case non erano scolorite, ma dai colori vividi e con dei piccoli giardini curati, i recinti, i garage e tante altre piccole cose che faceva credere a quella gente di essere migliore rispetto agli altri. Steven non si era mai sentito superiore a nessuno, non era mai stato come i suoi vicini, i quali si vantavano delle loro vacanze o delle loro proprietà: lui aveva da sempre i piedi per terra, spaventosamente realistico, sempre in guardia, pronto a difendersi e nonostante questa barriera che si creava di solito, riusciva a divertirsi come nessun altro, prendeva la vita come veniva e forse era proprio questa parte del suo carattere che mi aveva fatto innamorare di lui a sua insaputa. Ma non sapevo cosa lo aspettava tutte le sere, al suo ritorno a casa. Infilò la chiave nella serratura della porta in legno massiccio e già sentì i suoi genitori urlare, così aprì e chiuse di corsa la porta, per poi fiondarsi subito nel grande salotto, dove provenivano le urla. Suo padre, James Whitlock era un uomo muscoloso, ma anche sovrappeso, con la maggior parte dei capelli grigi e il vizio di bere, infatti anche quella sera era ubriaco fradicio mentre urlava contro sua moglie, Claire, bionda e bellissima agli occhi di molti uomini di Londra, con un fisico slanciato ed un carattere forte, che quella sera come tante altre, non bastava a tenere testa a James. "Che cazzo succede qui?!". Urlo Steven per farsi sentire da entrambi, i quali posarono lo sguardo su di lui: Claire con un'espressione di scuse dipinta in viso, mentre James con il suo solito sguardo da menefreghista. "Guarda chi è tornato da un'altra giornata di duro lavoro". Steven capì che suo padre era in vena di attaccare briga e lui di certo non si sarebbe tirato indietro, così fece qualche passo verso di lui, dando una pacca sulla spalla a sua madre, come per salutarla, la quale nel vederli quasi di fronte disse: "Finiamola qui. Steven, va a cena". James subito rise alle parole della moglie, come se avesse detto una barzelletta. "Questo qui si merita anche di mangiare il cibo che io porto a casa?". Steven senti sua madre dietro di lui sbuffare, ma lui proprio non sapeva rinunciare ad una sfida, quindi guardò suo padre negli occhi i quali erano più scuri dei propri, e disse con aria di sfida "davvero solo tu porti i soldi, qui? La mamma non fa un cazzo tutto il giorno?" Steven vide suo padre colto nel segno, così fece il gesto di prenderlo per la giacca, ma il figlio con abilità lo scansò. "Tua madre fa la troia in giro come presto farai anche tu se non ti darai una mossa!". Steven rise di gusto, scuotendo la testa, mentre sua madre subito fece un passo avanti per difendere il figlio. "James, smettila o questa è la volta buona che ti sbatto fuori di casa". Non riuscì a terminare che lui le si avvicinò furente, tanto da farla rabbrividire e strinse forte il polso della donna. "Che cazzo hai detto? Questa è casa MIA". Steven nel vederlo stringere così forte sua madre, subito spintonò l'uomo, intimandogli di non toccare ancora in quel modo sua madre, ma James reagì dando un pugno in pieno viso a Steven, il quale sentì sua madre urlare e poi sparire in cucina. Il ragazzo fece un passo indietro, cercando di non perdere i sensi, poi quasi ruggì e proprio quando stava per sferrare un pugno a suo padre, comparve Claire sulla soglia della porta con una padella grande come la sua faccia, tra le mani. "James, toccalo di nuovo e ti giuro su mia madre che domani non vedrai l'alba". Claire in quel momento sembrava una tigre, quasi ringhiava e la sua espressione aggressiva, felina e lucida la rendevano ancora più spaventosa. James sapeva bene che lei non scherzava così si limitò a spingere suo figlio mentre usciva dalla stanza, facendogli perdere per un attimo l'equilibrio, quindi Claire chiuse la porta e sospirò mentre poggiava la padella sul divano, poi si avvicinò a Steven e gli accarezzò la guancia livida per il pugno, sospirando e dopo qualche secondo di silenzio da parte di entrambi, sussurrò con voce stanca ma dolce "mangia qualcosa, poi mettiti il ghiaccio sul livido e va a dormire". Steven rise appena, era bello vedere come lei si preoccupasse per lui. La porta di ingresso venne sbattuta violentemente, di sicuro James era uscito e non lo avrebbero rivisto fino al giorno successivo, così entrambi si rilassarono e chiacchierarono. Dopo che Steven ebbe cenato, aiutò sua madre a lavare i piatti e poi bevvero un bicchiere di vino insieme, davanti ad una fiction da due soldi che si divertivano a prendere in giro. Tra di loro era sempre così e lo sarebbe stato finché Claire non avrebbe trovato lavoro visto che qualche giorno prima il suo socio in affari l'aveva licenziata. Né Steven e né Claire volevano rimanere per strada, quindi era solo questione di tempo, soprattutto di fortuna. Quando verso mezzanotte Steven si mise a letto, restò per un pò a guardare il soffitto, quella notte aveva una strana sensazione che non voleva svanire, ma decise di mandare tutto a fanculo e mettersi infine a letto. Qualche ora dopo, risvegliatosi da un brutto incubo, Steven si affacciò a guardare il sole sorgere e tra se e se pensò - ecco che inizia un'altra giornata del cazzo -.

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Capitolo 3
*** Leoni e agnelli. ***


Dominick odiava camminare per i corridoi della scuola ogni mattina perché sapeva che avrebbe trovato sempre loro ad aspettarlo, quei bulletti da quattro soldi che riuscivano a rendergli la vita scolastica impossibile, ma lui prontamente, incassava sempre i colpi, i loro scherzi stupidi e a volte i loro pugni.
Dominick non era un debole, ma non voleva creare altri problemi a Sheila, sua madre la quale faceva ogni giorno di tutto pur di mantenere un tetto sulle loro teste ed un futuro sicuro per lui. Per questa ragione Dominick preferiva non reagire, comportandosi in modo passivo e indifferente. Lui era convinto del fatto che facendo in questo modo, prima o poi avrebbero smesso di infastidirlo e annoiati, avrebbero cercato un'altra vittima da importunare.
Ma non quel giorno.
"Ehi frocio". Dominick posò gli occhi indifferenti su quelli del muscoloso ma senza cervello, di Ethan Cross, il quale gli si avvicinò col suo solito fare presuntuoso, mettendosi proprio davanti a Dominick.
La campanella era già suonata da un paio di minuti, perciò tutti tranne qualche ritardatario, si trovavano in classe, per cui il corridoio si presentava quasi deserto.
"Non ti sei ancora scocciato di darmi fastidio?" disse Dominick lasciandosi sfuggire uno sbuffo seccato per poi aggiungere: "devo andare a lezione".
Ethan subito reagì spingendo Dominick di petto, il quale fece un passo indietro, barcollando appena ma tenendo comunque lo sguardo fisso sul suo. "Sei proprio una mezza sega". Disse Ethan in modo sprezzante nel vedere Dominick barcollare un pò. "Sono quello che vuoi, ma dovrei proprio entrare in classe ora". Il tono di voce di Dominick ora, era infastidito, provò a passare sulla destra, ma Ethan si spostò in modo da bloccargli la strada.
"Tu non vai da nessuna parte, frocio".
Ethan spinse di nuovo il ragazzo, stavolta con la mano, ma Dominick non si mosse di un millimetro, o almeno ci provò. Dominick, stanco della situazione, decise di reagire, così per passare diede una spallata ad Ethan e accellerò il passo. "Brutto pezzo di merda, come ti permetti?".
Sentì la voce di Ethan seguirlo ma ormai era già arrivato davanti alla porta della sua classe e prima di entrare, riuscì a sentirlo urlare: "attento a quando esci da scuola!".
Dominick fece un sospiro ed entrò in classe.
Fortunatamente, i suoi professori (almeno una buona parte) sapevano cosa lui stesse passando e quindi capivano se a volte Dominick si presentava in ritardo a lezione o con qualche livido. Purtroppo nemmeno i professori potevano fare nulla. Avevano le mani legate dato che molti di quei bulli erano figli di genitori che facevano donazioni per la scuola e quindi intoccabili.
Finché si trovava in aula, Dominick si sentiva al sicuro, non gli piaceva molto lo studio ma almeno, nella sua classe non c'era nessuno che lo odiasse o infastidisse.
Lui stava studiando per diventare ragioniere, ma nella sua mente sognava di poter riuscire a fare successo con la propria arte: si sentiva così bene quando dipingeva o disegnava, come se fosse assuefatto, quando era nervoso, a volte disegnava fino ad avere i crampi alla mano.
Senza accorgersene, completamente immerso nei suoi pensieri, passò il tempo a scarabocchiare sui libri ed i quaderni, il volto di Steven, ma cancellò tutto, non voleva che nessuno vedesse quei disegni.
Fremeva dalla voglia di vederlo, di bere una birra insieme, di parlare con lui... Ma soprattutto di guardare i suoi lineamenti perfetti, di perdersi in quegli occhi azzurri e limpidi come i cieli di maggio, di poter sentire l'odore dei suoi capelli color miele lunghi e sempre spettinati, di sentirlo parlare con la sua voce roca e profonda mentre avrebbe fissato le sue labbra piene e rosee...
Nel sentire l'ultima campanella trillare, Dominick sbattè un paio di volte le palpebre.
Aveva passato tutte le cinque ore di scuola a pensare a lui e Debbie, la sua amica e compagna di banco, se ne era accorta, così quando si alzarono, subito ne approfittò per chiedergli con la sua voce squillante e vivace "A chi hai pensato per tutto questo tempo, mh?". Dominick rise e scosse la testa. "Perché non ti fai i cazzi tuoi?". Anche Debbie rise e gli dette una spinta, quindi gli sussurrò all'orecchio "per caso è Susan, quella che ti fissa sempre?". La ragazza a cui si riferiva Debbie, era una graziosa biondina diligente e con una buona famiglia. Lei l'aveva data in pratica a tutta la classe ed era sorprendente come non fosse rimasta ancora incinta. "Susan la zoccola? Ma dai". Disse Dominick scherzosamente, ma dentro di sé era sollevato del fatto che Debbie non avesse visto i suoi disegni, non voleva che nessuno oltre sua madre, venisse a conoscenza della propria omosessualità: sapeva che la voce si sarebbe sparsa e i bulli sarebbero aumentati fino a diventare insopportabili.
Sentì Debbie ridere, poi diede al ragazzo una seconda spallata amichevole. "Beh a qualcuno, di sicuro stavi pensando".
Dominick rise, Debbie era più pettegola di un branco di vecchiette ottantenni.
"Pensavo a quanto sei rompipalle oggi". Sentì di nuovo Debbie ridere e arrivati nel giardino fuori dalla scuola, lei si mise davanti a lui e disse "e va bene, non me lo vuoi dire. Ci riproverò domani, dopodomani e tra un mese, finché non tirerai fuori il rospo".
Il sorrisetto minaccioso di Debbie, si fece largo sul suo piccolo viso tondo e vivace, così Dominick divertito, le arruffò i capelli neri come l'ebano e le dette un veloce abbraccio. "Dopo ci sei alla fabbrica?". Lei fece no con la testa e rispose guardandolo "se mia madre quest'anno non vede dei buoni voti sulla pagella, ha detto che per tutta l'estate vedrò solo le mura della mia stanza. Quindi oggi mi tocca studiare".
Il ragazzo ridacchiò nel vedere l'espressione imbronciata di Debbie e lei in risposta, gli pizzicò un fianco "ehi, non ridere delle mie disgrazie!". Dominick le rispose con una linguaccia, poi le si avvicinò e sussurrò al suo orecchio: "allora impegnati perchè domani c'è la verifica di algebra" . "Cazzo, l'avevo dimenticata!". Rispose Debbie spingendo nuovamente Dominick, il quale se la rideva di gusto, poi nel vedere l'auto dei suoi genitori, salutò l'amico e andò via.
Dominick si trovò da solo ed anche se era stato tutto il tempo tra le nuvole, non si era scordato di ciò che gli aveva detto Ethan al mattino, perciò si affrettò ad andare alla fermata dell'autobus, ma fu proprio li che vide Ethan e Jimmy Bensen.
Dominick si trovava proprio di fronte a loro, dall'altra parte della strada, quindi si ritrovò a pensare in fretta: casa sua distava quattro chilometri, mentre la fabbrica abbandonata due, quindi facendo finta di nulla, iniziò a camminare in direzione della fabbrica, ma i due bulli lo avevano già visto e gli urlavano di fermarsi. Lui finse di non sentirli e continuò a camminare deciso, ma quando anche loro iniziarono a stargli dietro, Dom accellerò il passo, fino ad iniziare a correre, cosa che non scoraggiò Jimmy ed Ethan.
Dominick maledisse diverse volte il suo zaino che quel giorno era particolarmente pesante e cercò di essere più veloce di loro, i quali essendo entrambi atletici, non faticavano tanto a stargli dietro.
Riconosceva da lontano la struttura malconcia della fabbrica abbandonata, ma non voleva portarli lì dentro, ci mancava solo che scoprissero il luogo dove si rilassava, quindi svoltò in un vicolo stretto, ma alla fine di esso si trovò di fronte un cancello basso che decise di scavalcare, così senza pensarci due volte, gettò lo zaino dall'altra parte e cercò di arrampicarsi in fretta, scivolò un paio di volte coi piedi ma riuscì ad arrampicarsi facilmente, purtroppo non era la prima volta in cui era costretto a scappare.
Vide che sotto di se c'era un cespuglio e vi ci saltò dentro senza preoccuparsi delle conseguenze.
"Cristo!" imprecò a bassa voce perché un attimo dopo essere atterrato, si accorse che in quel cespuglio c'erano delle ortiche e qualcuna gli si era impigliata ad una gamba, così visto che sentiva le voci dei due ragazzi nelle vicinanze, cercò di togliersele senza fare dei versi di dolore, poi aspettò una decina di minuti e quando non sentì più le loro voci, lentamente e un pò zoppo, riuscì ad arrivare alla struttura abbandonata.
Dominick lasciò lo zaino all'entrata, gettandolo accanto ad un muro, poi nel vedere che Steven era già li, sorrise tra se e se, felice di poterlo vedere, poi tornò serio e nel raggiungerlo, disse: "Stai sempre seduto a fumare sigarette tu?". Andò a sedersi di fianco a lui, il quale soffiò del fumo sul suo viso "è una canna, ne vuoi?". Senza nemmeno aspettare la risposta di Dominick, gliela passò e lui la accettò volentieri, facendo un paio di tiri.
"Mi serviva proprio".
"Lo vedo". Sussurrò Steven al ragazzo, posandogli il pollice su una guancia per asciugaregli una goccia di sangue, Dominick si maledì mentalmente per non essersi controllato meglio dopo il tuffo nelle ortiche, ma guardando il viso di Steven, si accorse di un livido sulla sua guancia, così mentre gli passava la canna, disse: "anche per te non è una bella giornata, mh?".
Entrambi si lasciarono andare ad una breve risata.
Quel mondo era perfido, crudele per entrambi.
Nessuno dei due sapeva dove sarebbero andati a finire, ma entrambi provavano a sopravvivere.

 

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Capitolo 4
*** Caduta libera. ***


Il giorno dopo, quando Dominick tornò a casa ad ora di cena, si ricordò improvvisamente che era arrivato il weekend: la casa era completamente pulita e in ordine come non lo era mai stata, delle voci vagamente familiari e l'odore di carne e spezie gli ricordarono del fatto che sua zia e il suo cugino quattordicenne erano lí, quindi si preparò un bel sorriso sul volto e attraversò la soglia della cucina salutando e dando un bacio sulla guancia a Jenna, sua zia, ed un abbraccio a William, suo cugino, quindi aiutò sua madre a servire i piatti in tavola, dandole di nascosto una pacca d'incoraggiamento sulla spalla: sapeva quanto lei si stesse sforzando di apparire felice e voleva cercare di esserle di sostegno.
A cena, parlarono del più e del meno, come al solito: William andava benissimo a scuola, rendendo molto orgogliosa sua madre, la quale ora lavorava come massaggiatrice in un centro benessere; il ragazzo si vantava continuamente di tutti i cd che aveva di vari artisti che tra un paio di anni, probabilmente, sarebbero scomparsi nel nulla e di come i suoi professori lo adulavano di continuo.
Alla domanda di Jenna, però Dominick rimase per qualche secondo in silenzio: "e tu Dom, cosa vorresti fare da grande?".
Era la solita domanda che facevano i parenti, ma lui non sapeva come rispondere, da piccolo poteva dire di voler fare il pittore o lo scultore, ma ora aveva quasi diciassette anni e da lui si aspettavano una risposta più matura, quindi rispose con una strana amarezza nella voce "vorrei diventare ragioniere ed avere un mio ufficio". Sheila gli rivolse un timido sorriso ed anche sua zia sembrava felice della risposta di Dominick. Sembravano tutti felici di quella risposta tranne lui. Poi mentre continuarono la cena, Dom notò delle strane occhiate di Will, quasi come se volesse in qualche modo le sue attenzioni e dopo qualche minuto, quando si alzò per posare il piatto nel lavello e toccò di proposito il fondoschiena di Dominick, quest' ultimo capì che ci stava provando spudoratamente. Lui non si sarebbe mai aspettato che suo cugino fosse gay, perché era sempre stato agli ordini di sua madre, come un bravo cagnolino e Jenna era il tipo di persona che rimane chiusa nelle proprie convinzioni senza mai andare avanti, galleggiando nella propria ignoranza senza mai mettere il naso fuori dalla finestra e deridendo chiunque sia in qualche modo diverso dagli stereotipi.
Dopo l'abbondante cena, mentre le due sorelle erano intente ad aggiornarsi l'una con l'altra sulle cose che erano successe, i due cugini erano in camera insieme: Dominick aveva portato la tv in camera la quale era sintonizzata sul programma preferito di Will, forse Top of the Pops. A Dominick non importava molto, era poggiato coi gomiti sul davanzale della finestra, intento a prepararsi una canna, stava chiudendo la cartina lunga e trasparente quando sentì la voce di Will accanto a sé dire: "cos'è quella?" . Dom ridacchiò appena e gli rispose:  "non stavi guardando quel programma?".
"Ci sono le pubblicità". Rispose prontamente.
Dominick chiuse la canna con la saliva e con la stessa prontezza rispose: "lo scoprirai quando sarà il momento". Sentì Will poggiare la testa sulla propria spalla, così sospirò silenziosamente mentre si accese lo spinello. "E quando sarà il momento?". Dom sputò lentamente il fumo fuori dalla finestra e rispose con la voce leggermente roca, un po stanca: "Questo lo sceglierai tu. Ora chiudi la porta a chiave prima che tua madre mi scopra".
Will obbedì e chiuse la porta a chiave per poi tornare vicino a Dominick, davanti alla finestra dalla quale si poteva ammirare un appartamento proprio di fronte, con la triste vernice grigia che si staccava poco per volta,  ed un pezzo di asfalto sulla loro destra.
"Ho deciso che è ora il momento". Rispose Will, in tono divertito, come se fosse un gioco. Dominick tossì un paio di volte, sia per la risposta del cugino e sia perchè aveva tirato troppo forte dal filtro ricavato da un biglietto dell'autobus. Vista la risposta, decise di passare la canna a Will, il quale trepidante, la prese in mano: sembrava un bambino che entrava per la prima volta in un negozio di caramelle e l'espressione del ragazzo gli ricordò sé stesso, quando l'anno prima, incitato da Steven, provò la prima canna. Will fece due tiri e tossì un paio di volte, poi visto che si spense, passò la canna a Dominick, il quale la riaccese e riprese a fumare. "Si è spenta, ne voglio ancora". Dom scosse la testa e rise, dando poi una pacca amichevole sulla spalla del ragazzo. "Se si è spenta, va bene così. Devi diventare un dottore, lascia stare i tuoi neuroni che ti servono".
Will ridacchiò ed appoggiò di nuovo la testa sulla spalla del ragazzo. "Hai ragione. È la prima volta che fumo uno spinello" . "Me ne sono accorto". Rispose Dom mentre soffiava il fumo fuori dalla finestra, creando una piccola nebbiolina la quale svanì nel nulla in meno di un minuto.
"Però qualche volta fumo delle sigarette". Disse Will, in tono orgoglioso, così Dominick spostò il viso verso il suo, il quale era poggiato sulla propria spalla magra. "Guarda che non è una cosa di cui andare orgogliosi". Will rispose in modo dolce, quasi provocante "ma smettila di ammonirmi". Dom si accorse del fatto che Will si stava avvicinando troppo al proprio viso, così si scansò prima che lo baciasse, arretrando di un passo: "ehi ma che fai?". Will riprese la canna che era caduta a terra e la ridette a Dominick.
"Non ti piacciono i baci?". Gli occhi scuri del cugino erano puntati su quelli azzurri di Dominick il quale fece 'no' con la testa, così Will avvicinò il bacino a quello di Dominick senza esitare, poi prese la sua mano e se la infilò nei jeans firmati facendogli accarezzare l'elastico dei boxer, Dom si morse il labbro inferiore più volte, sapeva che era suo cugino e quindi doveva respingerlo, ma era anche molto eccitato. Will inoltre, non era affatto un brutto ragazzo: aveva i capelli ricci e folti, gli occhi di un castano scuro, intenso e penetrante, le labbra sottili e rosee, il fisico slanciato e snello... Non sapeva cosa fare, ma visto che aveva iniziato lui decise di lasciarlo fare, rispondendo a bassa voce: "Sei sicuro di quello che stai facendo?".
William, in tutta risposta, spostò la mano di Dominick dall'elastico dei boxer a fargli accarezzare la forma della sua virilità indurita, contenuta dall'intimo. La mano di Dom strinse appena il rigonfiamento dei boxer del ragazzo, sentendo che anche dentro i propri iniziava a nascere un rigonfiamento, così buttò la canna quasi finita dalla finestra e con la mano libera strinse il sedere del cugino, cosa che a lui piacque molto vista la sua espressione compiaciuta.
Will trascinò Dominick sul letto ed una volta che si furono sdraiati entrambi, subito Will attirò il cugino a sé stringendo con una mano i suoi glutei, così Dom gli dette un morso sul collo e cominciò a fargli un succhiotto, stringendo e succhiando piano dei piccoli lembi della sua pelle.
"Mia madre lo vedrà...". Sussurrò Will ansimando di piacere mentre infilava una gamba tra quelle di Dominick. "Ti presto una sciarpa" sussurrò in risposta lui affannato, per poi continuare a fargli il succhiotto, Will prese a strusciare le sue parti intime con quelle di Dom, entrambi erano vestiti, quindi Will si tolse le scarpe firmate e si abbassò i jeans, rimanendo in intimo. Dominick fece lo stesso e quando finì il succhiotto, abbassò velocemente la biancheria intima del suo cugino fino alle ginocchia, poi guardandolo negli occhi, strinse nella mano il suo membro, iniziando a fare dei movimenti su e giù, godendosi la sua espressione di piacere sul volto dai lineamenti marcati. "Continua.." sussurrò sulle labbra di Dominick, il quale col consenso del cugino iniziò a muovere la mano più velocemente. Will aveva le labbra spalancate, era in preda alla goduria del momento, ma non restò fermo, infatti abbassò in fretta i boxer di Dominick, quel tanto da scoprire la sua virilità dura che subito prese a maneggiare con una certa disinvoltura, ciò fece capire a Dom che probabilmente non era la prima volta di Will,  oppure poteva essere l'effetto dello spinello.
Will fu il primo a venire, macchiando le lenzuola pulite di Dominick, il quale non se ne accorse nemmeno vista la sensazione di forte piacere che provava in quel momento grazie alla mano del cugino che si muoveva rapida sulla propria virilità e poco prima di venire, Will abbassò la testa fino al membro di Dom che succhiò fino a farlo venire suscitandogli un piccolo e volutamente contenuto urlo roco di piacere.
Will andò in bagno a lavarsi i denti e Dominick si mise le mani tra i capelli, pensando a cosa diavolo avesse appena combinato, non era da lui comportarsi in modo così avventato, ma d'altronde il ragazzo ci stava provando con lui da tutta la sera. Decise quindi che si sarebbe fermato lí, non voleva proseguire onde evitare un casino irreparabile, così si mise in silenzio dei pantaloni da ginnastica che usava come pigiama, poi salì lo scaletto del letto a castello e si mise a dormire nel letto di sopra, dando le spalle alla porta.
Dopo un paio di minuti sentì la porta della stanza aprirsi per poi richiudersi, Will chiamò sottovoce Dom un paio di volte. Egli non gli rispose facendogli credere di dormire e per un attimo anche Dominick credette che si era messo a dormire, poi lo sentì salire lo scaletto e fece un sospiro inudibile mentre strinse gli occhi. Will si era sdraiato accanto a lui, sentiva le sue parti intime strusciarsi sul proprio fondoschiena.
"Dom, stai già dormendo?". Will non ebbe risposta nemmeno dopo averlo palpato per qualche minuto, quindi sbuffò e si mise a dormire.
Dominick invece, faticò ad addormentarsi: aveva la strana e vivida sensazione che l'indomani fosse accaduto qualcosa di brutto, di irreparabile.

Il mattino seguente, Dominick fu svegliato da dei piccoli buffetti sulla spalla così si stropicciò gli occhi e vide Sheila, sua madre, sullo scaletto del letto, un'espressione preoccupata sul volto fece agitare il ragazzo, il quale si mise a sedere. "Sei sveglio?" chiese lei. "Tu che dici?". Dominick le accennò un sorriso, ma lei non sembrava essere in vena di scherzare, così lui aggiunse: "che cazzo è successo?".
Sospirò e si passò una mano tra i capelli.
"Ehm.. C'è un problema in salotto, pare che tu sia accusato di stupro"
"Porca merda". Furono le prime parole che pronunciò il ragazzo abbassando lo sguardo e scuotendo la testa, poi sentì la mano di sua madre accarezzargli i capelli e sentì la sua voce sussurrare: "tranquillo, so che non lo faresti mai, perciò alzati e poni fine a questa stronzata". Sheila posò un bacio tra i capelli scuri del figlio, poi scese dalla piccola scala e andò di nuovo in salotto.
A Dominick scese una lacrima silenziosa, che subito asciugò: perchè il mondo intero sembrava avercela con lui? Non era bastata la morte di suo padre e i bulli che ogni giorno lo infastidivano a scuola?
A volte Dominick avrebbe voluto semplicemente sparire per un po.
Ma non è così che funziona la vita.
La vita non accetta giustificazioni.
Dominick si strofinò gli occhi, scosse la testa e saltò giù dal letto, così si mise in fretta una camicia a quadri rossa che trovò gettata sul cassettone sopra al quale teneva alcuni dei suoi disegni e dipinti per poi andare di corsa in salotto dove vide William che piangeva fingendo alla grande e Jenna che lo stringeva forte tra le braccia.
"Fottuto stronzo". Disse Dominick a bassa voce.
"Brutto schifoso che hai fatto a mio figlio?!". Jenna mollò Will tutta infuriata e si avvicinò al ragazzo tanto da riuscire a sentire il suo odore. "Dai toccami, magari ti infetto strane malattie". Disse Dominick con tono provocatorio sfidando con lo sguardo sua zia. "Dimmi che diavolo hai fatto a mio figlio". Dom sospirò e rivolse lo sguardo a sua madre, la quale era in piedi, appoggiata al tavolo e con una mano sul viso: sembrava così stanca...
Tornò con gli occhi su quelli di Jenna e disse: "dovreste dirmelo voi, di sicuro si sarà inventato le peggiori stronzate data la situazione". Dominick cercava di guardare negli occhi Will, il quale era qualche passo dietro sua madre, con lo sguardo basso di chi sa di stare mentendo, così Dom schivò sua zia e una volta di fronte a Will, poggiò le mani sulle sue spalle. "Perché ti sei inventato tutto? Perchè mi fai passare per il cattivo?" Will non rispose a quelle domande, ma dette uno spintone sul petto a Dominick, il quale indietreggiò. "Non toccarmi! Non voglio vederti mai più!". Corse ancora da sua madre, la quale mollò uno schiaffo a Dominick urlando: "io non so cosa tu gli abbia fatto, ma potete star certi che non vedrete più un soldo da parte mia!". Sheila si mise tra sua sorella e suo figlio ed in tono aggressivo, ringhiò: "I tuoi soldi metteteli in quel posto, ma non ti azzardare più a toccare mio figlio. Adesso andatevene da quì, io so chi è Nick e di certo non farebbe mai una cosa simile"."Allora non conosci abbastanza quel mostro!" Urlò la sorella, quindi Sheila arrabbiata come mai prima d'ora, prese la valigia della donna e la gettò fuori dalla porta di ingresso. "Ti prego, vattene prima che chiami la polizia". Will non perse tempo e senza voltarsi, raggiunse la valigia fuori, invece Jenna disse acida "sono io che dovrei chiamare la polizia visto il tuo figlio maniaco!". Sheila sospirò e indicò la porta a Jenna dicendo solo: "esci di quì".

Un'ora dopo, la casa era tornata calma e silenziosa, Dominick si sedette a peso morto sul divano, erano appena le undici del mattino e già si sentiva esausto. Sua madre, Sheila, andò a sedersi di fianco a lui.
"Grazie per avermi difeso, mamma". Posò la testa sulla spalla della madre, la quale gli accarezzò affettuosamente i capelli folti.
"Non sei uno stupratore, vero?". Entrambi risero e il ragazzo disse a voce bassa, quasi esausto: "No. Era da ieri sera a cena che ci provava con me ed in camera mi ha messo una mano nei suoi pantaloni".
Si sentiva già meglio a parlarne con sua madre, la quale esclamò: "ah, quindi avevano già pianificato tutto! Scommetto che quella stronza di Jenna si era stancata di aiutarci e ha messo in scena questo teatrino da due soldi". Dominick si ricordò dell'aiuto economico che avevano appena perso e sospirò piano, si sentiva in colpa ancora una volta, quella sensazione nello stomaco, quel peso era riapparso e sentendo nascere un groppo in gola, salutò sua madre dicendole che sarebbe tornato per cena, prese i suoi soldi e le sigarette, poi uscì recandosi verso la fabbrica abbandonata. Era domenica e di solito non c'era nessuno in quella struttura, Dominick desiderava solo restare da solo in quel momento, per potersi sfogare, urlare, piangere e prendere a pugni il muro, anche probabilmente sarebbe caduto sbriciolato ai propri piedi. Quando raggiunse la fabbrica e vide che era totalmente vuota, Dom quasi esultò di gioia, quindi andò a sedersi vicino al suo muro preferito, dove Steven aveva scritto qualche mese prima con una bomboletta blu S&D.
Si accese una sigaretta, poi fece un piccolo sorriso nel ricordarsi di quanto fosse bello Steven e subito dopo scoppiò in lacrime: come aveva potuto toccare un altro quando aveva sempre amato lui?
Perchè avrebbe tanto voluto che fosse Steven.
Forse non lo avrebbe mai baciato, non gli avrebbe mai detto di amarlo più di ogni altra cosa al mondo, non lo avrebbe mai guardato come se fosse l'unico al mondo.
Dominick desiderava così tanto che Steven lo amasse, ma Dom era anche una persona timida e fin troppo altruista, gli bastava vedere il sorriso del biondo, sapere che era felice contava più di ogni altra cosa per Dominick.

 

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Capitolo 5
*** Mio dolce principe. ***


Dominick stava ancora piangendo.
Era nella fabbrica abbandonata già da un'ora e non aveva fatto altro che piangere.
D'un tratto, sentì un rumore di passi che si avvicinava al grande stanzone prefabbricato, quindi cercò di asciugarsi in fretta gli occhi umidi e colmi di lacrime, ma quando vide che era Steven, sospirò di sollievo: non voleva che lo vedesse piangere, ma sarebbe stato molto peggio se fossero entrati i bulli che vedendolo in quelle condizioni, di sicuro si sarebbero divertiti un mondo a fracassarlo di botte.
"Ehilà, anche di domenica su cazzeggia?". Chiese Steven in tono ironico mentre si avvicinava al ragazzo con una sigaretta mezza consumata tra le labbra, Dominick col cappuccio della felpa si coprì la testa, sperando di camuffare anche gli occhi gonfi di lacrime. "Si. E tu che cazzo ci fai qui?"
Steven notò il tono di voce acido dell'amico e nel passargli di fronte, rispose nello stesso tono: "ma che cazzo vuoi?Sono solo passato a prendere dell'erba che avevo nascosto, tranquillo".
Dominick si pentì subito di aver trattato male il ragazzo, così mentre lui era chinato per terra, farfugliò uno "scusa", Steven sentì forte e chiaro, così dopo aver preso l'erba che aveva nascosto sotto ad una mattonella mezza distrutta, si avvicinò a Dominick il quale cercò di coprirsi ancora di più col cappuccio.
"Scuse accettate. Hai il ciclo, per caso?". Una volta di fronte a lui, si piegò ed abbassò il cappuccio di Dominick e nel vedere i suoi occhi gonfi, sospirò.
"Hai pianto. Oppure sei sballato. Ma visto che sei girato male, direi che è la prima". Si sedette accanto a lui e gettò il mozzicone di sigaretta per terra.
"Fuori il rospo".
In risposta, Dominick girò la testa dall'altro lato.
"Coglione, almeno hai mangiato?"
Dominick fece 'no' con la testa, così Steven si alzò dicendo: "perfetto, ho lasciato lo zaino al portone, se non sbaglio dovrei avere un panino". Detto ciò, Steven attraversò lo stanzone per raggiungere il portone vecchio della fabbrica.
Dominick si asciugò un'altra lacrima che gli era appena scesa, non voleva che Steven restasse lì con lui, ma sapeva che quando si trattava di amici, era disposto anche a fare una settimana di digiuno. Si voltò verso il portone e lo vide tornare, bello come il sole, con uno zaino rosso sulle spalle.
Steven si risedette di fianco al moro e si mise lo zaino sulle gambe, così lo aprì ed estrasse un panino coperto da un involucro di alluminio, poi lo passò a Dom dicendo "tieni, ci sono formaggio e prosciutto cotto".
Vista l'espressione seria con cui lo guardava Steven, Dominick non provò nemmeno a rifiutarlo, perciò lo accettò e mentre scartava il panino, sussurrò "grazie".
"Ti è ricresciuta la lingua finalmente". Disse Steven ridendo e dette una pacca sulla spalla all'amico che aveva iniziato a mangiare. "Tua mamma sa che sei qui?". Visto che aveva la bocca piena, Dominick si limitò ad annuire con un cenno del capo e quando ebbe finito di mangiare sotto lo sguardo severo di Steven, si voltò verso di lui e accennò un sorriso, ma prima che potesse iniziare a parlare, Steven disse "basta ringraziarmi, voglio sapere perchè stai così o non me ne vado più. Me lo devi visto che ti sei divorato metà della mia cena". Dominick alzò un sopracciglio, confuso.
"Ma se è solo mezzogiorno..."
"Non volevo tornare a casa stasera". Chiarì Steven.
"Perchè?". Chiese Dom a voce bassa.
"Perchè altrimenti litigherò ancora con mio padre e sono stanco di sentire sempre le stesse cose".
Dominick notò un livido sulla mano destra di Steven, ma non disse nulla: sapeva già chi glielo aveva fatto.
"Quindi è meglio stare a sentire i miei stupidi capricci?"
Steven scosse la testa e rise con la sua solita voce roca e profonda che Dom adorava.
"Non sono capricci e non sono stupidi, di sicuro hai i tuoi motivi per stare così". Arruffò i capelli a Dominick, il quale fece una smorfia divertita, poi dallo zaino Steven prese le sigarette e ne offrì una al ragazzo, il quale respinse l'offerta. "No, le ho".
"Che mi frega. Fuma una delle mie e zitto".
Entrambi risero e si accesero le sigarette.
Dominick sputò lentamente il fumo dalla propria bocca e disse a bassa voce: "non so da dove cominciare...".
"Comincia da dove vuoi, io sono qui e non me ne vado". Dominick adorava Steven quando era così premuroso, era una cosa che non nascondeva, soprattutto con le persone che più gli stavano a cuore.
"Innanzitutto devo dirti una cosa che fino ad ora sapeva solo mia madre, quindi ti prego, non dirla a nessuno". Steven era in ascolto, aspettava solo che l'amico gli dicesse ciò che aveva da dire, così Dom fece un lungo sospiro, non sapeva come Steven avrebbe reagito, ma ormai aveva deciso di dirglielo, quindi si schiarì appena la voce e tenendo lo sguardo basso, disse con voce non troppo alta.
"Io sono gay".
Rialzò lentamente lo sguardo su Steven, il quale continuava a fumare rilassato, la notizia sembrava non averlo sconvolto per nulla.
"Questo già lo sapevo".
Dominick assunse subito un'espressione preoccupata: di sua madre si fidava più di ogni altra persona al mondo e di certo non era andata a dire in giro una cosa per lui così importante, quindi chi lo aveva detto a Steven?
"Nick, ti sta per cadere la cenere sulla scarpa".
Dominick scosse la testa e gettò la cenere della sigaretta, poi fece qualche tiro e guardò Steven.
"Chi.."
Steven non gli dette il tempo di parlare.
"Nessuno. Non me lo ha detto nessuno. Cristo Nick, ci conosciamo da un anno e ci vediamo quasi tutti i giorni, l'ho capito da solo". Steven scosse la testa e ridacchiò, ma vedendo Dominick restare serio, aggrottò le sopracciglia e chiese: "che c'è?".
Lui rispose abbassando di nuovo lo sguardo.
"Perché non sei ancora scappato o non mi hai ancora pestato?". Steven in risposta, sbuffò e gli dette una lieve spinta. "Smettila di essere così pessimista, cazzo. Che mi importa se ti piace la figa o il cazzo? Ti voglio bene per ciò che sei qui dentro".
Diede un colpetto con la mano sul suo petto, dove si trovava il cuore, poi proseguì: "Le persone che oseranno giudicarti in base alla tua sessualità erano, sono e saranno degli ignoranti e da tali li dovrai trattare, chiaro?"
Il moro alzò lo sguardo verso il biondo e gli sorrise.
"Se tutti la penserebbero come te, il mondo sarebbe un luogo migliore".
"Vieni qui, scemo". Steven gettò il mozzicone a terra e strinse a se Dominick, il quale poggiò il capo sulla sua spalla e finalmente, riuscì a sfogarsi. "Ieri sera a cena, sono venuti a trovarci mia zia con mio cugino Will, dovevano restare fino a stasera, ma sono andati via prima a causa mia...".
Steven ascoltava il ragazzo, mentre la mano che lo stringeva, accarezzava il suo fianco, per rincuorarlo.
"Continua, sono qui". Disse a bassa voce.
Sorrise a Dominick, il quale dopo un singhiozzo, proseguì: "dopo cena io e Will siamo andati in camera, lui ci provava con me già a tavola e ha continuato nella mia stanza dove ha iniziato a flirtare e a toccarmi, a quel punto non ho resistito più e ci siamo messi sul letto dove ci siamo toccati. Ero imbarazzato e avevo paura di ciò che sarebbe successo, quindi ho fatto finta di essermi addormentato e stamattina mia zia e Will mi davano del maniaco, così sono andati via dicendo che non avremmo più visto aiuti economici da parte loro".
Le lacrime avevano ripreso a scorrere sul viso di Dominick, aveva di nuovo lo sguardo basso.
Sentì poi la mano di Steven sul viso che gli asciugava le lacrime, non aveva mai fatto così, non era mai stato così dolce...
La mano di Steven si soffermò sotto al mento di Dominick, facendogli alzare con delicatezza il viso, per poter far incrociare i loro occhi, poi il biondo sussurrò: "Ti ha baciato?"
Dominick alzò un sopracciglio, non aveva mai baciato nessuno e Steven lo sapeva, allora perché ora voleva sapere se Will lo avesse baciato o meno?
Scosse la testa in risposta, troppo preso dall'azzurro glaciale dei suoi occhi per dargli una risposta vagamente sensata.
Sembravano così belli quel pomeriggio...
"Bene". Sussurrò Steven.
"Perchè vorrei essere io il primo a baciare le labbra del mio dolce principe".
Dominick non ebbe il tempo di fiatare che sentì le labbra piene e calde di Steven incontrare le proprie, le quali presero ad accarezzare piano le sue.
Entrambi avevano gli occhi chiusi.
Entrambi sfioravano appena le loro lingue.
Ad entrambi sembrava solo un sogno.
Ma per una volta, i sogni di entrambi si erano realizzati.
"Il mio dolce principe". Sussurrò Steven staccandosi solo di un paio di millimetri dalle labbra rosa di Dominick.

 

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Capitolo 6
*** Rave. ***


Steven e Dominick erano ancora alla fabbrica abbandonata, erano le sei del pomeriggio, entrambi erano sdraiati a terra, con le teste posate sullo zaino rosso di Steven, a fumare erba.
"Sai cosa dobbiamo fare per dimenticarci almeno per un giorno dei nostri problemi?"
Chiese Steven, sapendo già la risposta, Dominick si voltò verso di lui, mettendosi su un fianco e sussurrò ridendo.
"Cosa, rapinare una banca e fuggire in America?". Steven rise e poi scosse la testa, diede un piccolo pugno sul petto del ragazzo e disse: "no, molto meglio. Andiamo ad un rave".
Dominick, il quale era ancora sconvolto per il bacio di qualche ora prima, ora era ancora più scioccato: sapeva che Steven spesso andava ai rave, a volte quando dopo scuola andava alla fabbrica abbandonata, lo trovava a dormire nello stanzone accanto, sul vecchio materasso che avevano trascinato li l'anno prima, ancora in fase di ripresa dalla sera precedente. Non aveva mai invitato Dominick ad una di quelle feste ed ora lo stava invitando, poco prima lo aveva baciato, che diavolo stava succedendo a Steven?
"Per me va bene". Disse infine il moro con un'alzata di spalle per poi aggiungere "non mi avevi mai invitato, lo sai?". Steven rise, ma che ci trovava di così divertente? Arruffò i capelli del ragazzo e rispose: "eri troppo piccolo, lo sei anche ora, ma voglio portarti con me se ti va".
Dominick scosse appena la testa, poi guardando Steven, sussurrò: "domani ho scuola, non è di mattina, vero?". Steven scosse la testa ed accarezzò una spalla al moro. "Inizia nel tardo pomeriggio, quindi la mattina puoi fingere di essere un bravo studente".
"Ehi, guarda che non ho nemmeno un quattro, modestamente". Ribattè in fretta Dom, poi d'un tratto si ritrovò Steven sopra di sé, il quale posò il dito indice sulle sue labbra sussurrandogli uno "sh...". Posò le labbra sulle sue, per dargli un bacio dolce ed allo stesso tempo sensuale, Dominick sentiva la sua lingua che sfiorava appena le proprie labbra, in una carezza la quale gli ricordava una goccia di rugiada che scivolava lentamente su un filo d'erba fresca.
Dominick per la prima volta nella sua vita, si sentiva totalmente preso ed innamorato di qualcuno, voluto, desiderato... Aveva sempre aspettato di poter condividere quei momenti con Steven ed ora gli sembrava un sogno, un bellissimo sogno dal cui non voleva più risvegliarsi.
Posò le mani sui suoi fianchi ed accarezzò le sue labbra con la lingua, come lui faceva con le proprie, scese con le mani ad accarezzare i glutei di Steven, il quale ebbe un piccolo fremito nel sentirle.
"Ti danno fastidio?". Sussurrò Dominick sulle sue labbra calde, Steven rispose facendo un segno di dissenso col capo, così Dom posò una mano tra i capelli color grano del ragazzo, spostandogli una lunga ciocca dal viso e baciò ancora il ragazzo, poi riportò la mano sul suo fondoschiena che premeva appena verso il proprio corpo, così Steven si mise seduto a cavalcioni su Dominick, il quale si mise seduto per incrociare ancora le sue labbra.
Il biondo iniziava a strusciarsi mentre i loro baci si facevano sempre più profondi e personali.
Entrambi in quel momento non desideravano altro, erano così felici insieme che si sentivano in un'altro posto, in un mondo tutto loro, senza guerre, né urla, né violenza, né infami... Erano nella loro dimensione.

Verso le otto di sera, decisero di rimanere li alla fabbrica a dormire, Steven aveva sempre una coperta nello zaino, nel quale teneva un po di tutto per essere sempre pronto ad ogni evenienza, così dopo aver mangiato una pizza in una pizzeria a poco prezzo, si trovarono in autobus, per tornare di nuovo alla fabbrica abbandonata.
Erano seduti l'uno di fianco all'altro nei posti in fondo, l'autobus era quasi pieno, e la maggior parte delle persone presenti facevano parte della work class, persone che sgobbavano dalla mattina alla sera per mantenere le loro famiglie che non riuscivano a permettersi una macchina.
Dominick aveva la testa posata sulla spalla di Steven, il quale a sua volta era appoggiato al finestrino.
"Lo sai, non pensavo tu fossi gay". Sussurrò Dominick, il quale si prese una spinta da Steven.
"Stai zitto, sono appena entrati degli skinheads, lo sai che amano prendersela con i gay ed io non lo sono, credo". Dominick li vide entrare e subito si mise dritto sul sedile, staccandosi dalla spalla di Steven. "Beh, di certo non sei eterosessuale."
Sussurrò Dom lanciando un'occhiata a Steven, il quale gli dette un piccolo pugno di fianco al ginocchio.
"Shh, si stanno venendo a sedere davanti a noi".
Videro il gruppo di quattro avvicinarsi, due di loro si sedettero negli unici posti liberi, mentre gli altri due rimasero in piedi, buttando un'occhiata su Dominick e Steven, quest'ultimo riconobbe uno di loro, così si voltò verso il finestrino e suonò il tasto per prenotare l fermata, Dom si alzò con lui un po confuso, mancava ancora una fermata per la fabbrica, ma decise di non dire nulla, così quando scesero, borbottò: "adesso dobbiamo farci un chilometro a piedi e ho un freddo cane".
Steven si tolse la giacca nera e la diede al ragazzo. "Scusa. Ho visto Paul e una volta gli diedi dello speed di merda, in cambio mi fece un occhio nero".
"Ah... Non lo sapevo". Disse Dom in risposta mentre si infilava la giacca. "Gli skinheads sono sempre incazzati con tutti e se non trovano una vittima da picchiare, se la prendono coi loro spacciatori". Sputò a terra, poi posò un braccio sulle spalle di Nick, tirandolo a se. "Hai ancora freddo?".
Dom rispose di no e Steven sorrise, rincuorato: aveva sempre trattato il moro come il fratello che non aveva mai avuto e per Dominick quei gesti di Steven significavano molto.
Arrivarono di nuovo alla fabbrica e Steven si mise a sedere, intento a preparare una canna, intanto Dom fece un rutto che rimbombò in tutta la decadente struttura e poi si sedette accanto al ragazzo, il quale rideva mentre mescolava il tabacco con l'erba.
"Cazzo, per poco non buttavi giù tutta la fabbrica!"
Dominick scompigliò i capelli lunghi e spettinati del ragazzo. "Ehi, non prendere in giro i miei rutti!".
"Hai ragione, sono così sexy" rispose Steven divertito mentre chiudeva la canna.
"Non come te mentre lecchi cartine". Disse Dom per poi bagnarsi le labbra, immaginandosi quelle di Steven sulla propria pelle che scorrevano lentamente ad accarezzare ogni più piccola parte del proprio corpo... D'improvviso ebbe dei brividi d'eccitazione, piacevoli ed allo stesso tempo spaventosi, perchè ciò stava a significare che Dom aveva sempre più voglia di quel biondo seduto accanto a lui, il quale si stava accendendo la canna.
"Vieni qui invece di pensare a me che lecco cartine lunghe".
Disse Steven facendogli segno di sedersi, così Dom lo ascoltò e si mise di fianco a lui posando la testa sulla sua spalla, Steven gli poggiò la canna tra le labbra e il moro fece un paio di tiri.
"Penso a cose più oscene, magari?". Disse Dom ridendo.
"Tipo le mie labbra sulle tue?". Sussurrò Steven dopo aver fatto un tiro, poi avvicinò il viso a quello di Dominick e gettò il fumo lentamente sulle labbra del ragazzo, concludendo poi con un dolce bacio su di esse.
Dominick gli sorrise come un idiota, il tipico sorriso di chi sa di avere una bella cotta.
Dopo aver fumato ed essersi rilassati tra momenti di silenzio e momenti in cui le risate rimbombavano nella fabbrica, andarono a dormire sul materasso, avvolti dalla coperta che Steven aveva portato nello zaino.
Dominick aveva passato uno dei giorni più belli della sua vita e ora dormiva con la fronte che sfiorava quella calda di Steven, le loro mani strette le une alle altre e i loro respiri caldi che si incontravano.

Musica.
Persone.
Caos.
Dominick si guardava intorno, il rave si stava svolgendo in un bosco, erano più o meno le cinque del pomeriggio e già c'era gente attaccata a delle bottiglie di vari superalcolici.
"Ehi. Tu sei l'amico di Steven, vero?Buon compleanno".
Un ragazzo biondo platino e con gli si era avvicinato, con una canna in mano che Dom prese con gentilezza.
"Ci stiamo frequentando" .
Una voce familiare fece illuminare il volto di Dom, il quale voltandosi, vide Steven ed un sorriso si fece largo tra i loro visi.
Si abbracciarono, poi Dom lo spinse: "dov'eri finito?".
"Ero andato a prenderti un regalo di compleanno".
Disse Steven mentre si sbottonava la giacca di pelle dove aveva nascosto qualcosa.
Dominick si sentì subito in colpa e fece una smorfia "dai, non dovevi disturbarti..."
"Zitto moccioso". Disse il biondo ridendo, poi dette al ragazzo un cd dalla copertina gialla ed aggiunse: "non ho fatto in tempo ad incartarlo, quindi niente stor-...". Non fece in tempo a finire che Dominick già stava saltando per la gioia nel vedere il nome della band sulla custodia.
"Cazzo, l'album dei sex pistols!".
Steven sorrise nel vederlo così felice ed aggiunse: "se vuoi, un pomeriggio lo ascoltiamo insieme".
Dominick subito fece si con la testa, poi si mise il cd nello zaino ed abbracciò forte il ragazzo, il quale sembrava deciso a farlo esplodere di felicità quel giorno.
"Ehi sposini, quando avete finito, ci sono altre trenta persone a cui unirvi'". Disse il ragazzo che prima si era avvicinato a Dominick.
"Vaffanculo Daniel". Disse Steven ridendo.
Daniel lo prese alla lettera e dopo essersi acceso uno spinello, andò ad aggregarsi ad un gruppo di cinque persone che ballavano i Doors sotto effetto di acidi.
"Ti piace il posto?" chiese Steven a Dom una volta staccatosi dall'abbraccio, lui rispose ancora felice per il regalo: "si, non ero mai stato ad un rave in un bosco"."Ma stai zitto". Disse Steven ridendo, dandogli una spallata amichevole. "Non sei mai stato ad un rave, quindi ti ho fatto un doppio regalo". Aggiunse pavoneggiandosi, Dominick gli si avvicinò per sussurrargli all'orecchio: "grazie, non me ne dimenticherò". Steven nel sentire il corpo del moro così vicino, sentì il cuore aumentare velocemente i battiti e strani borbottii nello stomaco, così si allontanò di un passo, sperando che Dom non se ne accorgesse.
"Mi ricompenserai con una statua d'oro per il mio compleanno". Disse Steven sorridendo, Dom si era fatto serio per un secondo, poi tornò a ridere e disse: "vedremo. Adesso divertiamoci, dai!".
Dom era bravo a nascondere i suoi sentimenti e parte delle sue reazioni, ma aveva notato che ogni volta in cui provava ad avvicinarsi troppo a Steven lui subito si spostava e lo allontanava discretamente.
La cosa lo infastidiva, perché Steven non gli spiegava il motivo di quei comportamenti, ma aveva già fatto tanto per Dom e lui non voleva soffermarsi su quelle piccolezze che si sarebbero risolte a tempo debito.
Raggiunto il resto del gruppo, Dominick fu presentato ad una trentina di persone delle quali tre quarti erano sballate: in quel rave girava di tutto, tra coca della quale Steven tirò una riga, acidi, erba e chissà cos'altro.
Dom si era seduto sotto ad un albero a fumare la canna che gli aveva regalato Daniel il quale era in piedi di fianco a lui.
"Guarda come si scatena il tuo tipo sotto effetto di coca". Disse Daniel sghignazzando, indicando con un cenno Steven che ballava qualche metro più in là,vicino ad un amplificatore, con delle sue amiche.
"Non è ancora il mio ragazzo". Disse Dom passando la canna a Daniel, il quale fece un sorriso ambiguo. "Infatti ho detto il tuo tipo, non il tuo ragazzo".
Dominick rise ed alzò le spalle. "C'è differenza?"
"Piccola ma c'è". Concluse Daniel, ridando la canna a Dom dopo aver fatto un paio di tiri, poi si sedette accanto a lui e iniziò ad ondeggiare la testa da un lato all'altro, godendosi la musica.
"Ne vuoi ancora?" chiese Dom dopo aver fatto qualche tiro, allungandola al ragazzo il quale la respinse. "Naah, tanto non mi fa effetto".
Dominick non capì il senso di quelle parole, lui si sentiva più che bene, rilassato e pronto a perdersi in un trip.
Restò per qualche secondo ad osservarlo, era molto bello, ma fin troppo magro, delle profonde occhiaie livide segnavano il suo viso e Dom non capiva come facesse a non avere freddo con solo quella t-shirt bucherellata che indossava, poi vide dei buchi sulle sue braccia scarne e capì.
-Parte aggiuntiva-
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Daniel si accorse di Dominick che lo fissava, così prese un biglietto stropicciato dalla tasca e lo infilò nei jeans di Dominick, il quale, perplesso chiese: "che cos'è?".
Daniel ridacchiò e disse a voce bassa: "la via dove abito ed il mio numero. Nel caso ti venisse voglia di ero".
Dom aggrottò le sopracciglia, capì solo in un secondo momento che ero stava per eroina.
Non ebbe il tempo di rispondergli che udì la voce di Steven.
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Fine parte aggiuntiva.
"Nick!".
Il moro alzò lo sguardo e vide Steven che stava per sedersi su di lui, così distese le ginocchia e lo fece sedere, sorridendogli.
"Ti sei stancato?".
"No, voglio che venga anche tu, dai". Dette un bacio a Dom, il quale sorridendogli, rispose: "sono troppo sballato per alzarmi...". Fece un altro tiro dalla canna poi Steven gliela fregò dalla mano e fece l'ultimo tiro per pio gettarla via. "Dai, solo una canzone".
Sentì che Steven si stava strisciando su di se, così rise e posò le mani sui suoi glutei, Steven sotto l'effetto della cocaina, reagì istintivamente e dette un pugno nello stomaco a Dominick, il quale lo spinse subito via. "Che cazzo, sei impazzito?". Guardò Steven, il quale sembrava più furente di Dominick. "Dom, non devi toccarmi così!"
Il moro si alzò, tenendosi la mano sullo stomaco.
"Vaffanculo, tu sei fuori di testa.". Tossì un paio di volte, poi vide Steven avvicinarsi dicendo: "ti ho fatto male?".
Dominick sentiva lo stomaco bruciare, in più gli era venuta la nausea. Si teneva con un braccio al tronco dell'albero, prossimo al rigetto.
"Steven, basta. Fatti una camminata e lascia stare il ragazzo". Era la voce di Daniel, si era alzato e stava cercando di far calmare Steven, era troppo agitato e se ne era accorto lui stesso, così non fece storie e si allontanò con gli occhi di metà delle persone presenti, su di lui.
"Grazie Daniel". Disse con voce flebile Dominick un attimo prima di vomitare tutto il pranzo di qualche ora prima.
Un paio di persone gli si avvicinarono per aiutarlo, bevve dei piccoli sorsi d'acqua da una bottiglia che gli avevano offerto, poi sentì Daniel dire con gli altri: "è strano, non è da Steven un comportamento del genere".
Gli altri lo confermarono ed una ragazza con gli occhiali e una gonna a fiori, gli chiese: "in che rapporti siete tu e Steven?".
Dominick si passò una mano tra i capelli che gli ricaddero davanti agli occhi, riflettendo ed amareggiato, rispose guardando negli occhi la ragazza: "non lo so, davvero. Ma non ci siamo mai odiati e non abbiamo mai litigato seriamente". Dom abbassò lo sguardo, era molto confuso, ma soprattutto arrabbiato con lui, aveva voglia di urlare, di rompere qualcosa, di chiedergli che cazzo di problema avesse con lui.
"Forse è stata semplicemente troppa coca". Concluse la ragazza, accendendosi una sigaretta.
"No, Lana. Ha tirato solo una striscia, l'ho visto in condizioni peggiori e non ha mai reagito così".
La ragazza con la gonna a fiori, Lana, guardò Daniel e gli fece un cenno, così si alzò e andò a parlare con lei qualche metro più avanti.
Dominick si sentiva come un pugile dopo un incontro di boxe, voleva andare a casa, era esausto, così tenendo una mano sulla pancia, si alzò e fece qualche passo, notò che c'era una piccola capanna ad una cinquantina di metri, prima non ci aveva fatto caso, così iniziò a camminare verso di essa.

Steven si era fumato una canna per rilassarsi e scaricare la tensione nervosa, non sapeva nemmeno lui perchè aveva reagito in quel modo, qualcosa in lui era scattato nel momento in cui Dominick lo aveva toccato in quel modo. Frammenti di ricordi, flash improvvisi nella sua mente che odiava e una sensazione terribile si era fatta largo nel proprio corpo.
Ma ora stava meglio, era pronto a chiedere scusa a Dominick, anche cento volte se necessario, così tornò dov'erano prima, ma trovò solo Daniel e Lana che stavano parlando di qualcosa, probabilmente di lui visto che tacquero entrambi non appena si avvicinò abbastanza da poter sentire le loro voci.
"Ti sei ripreso, Steven?". Chiese Lana, a giudicare dalla faccia, Daniel stava per fargli la stessa domanda, così Steven rispose: "si si, ma dov'è Dom? Gli devo almeno due mesi di scuse".
Lana e Daniel si guardarono, poi il secondo rispose.
"L'abbiamo visto andarsi a fare un giro, forse se ne è tornato a casa".
Steven scosse la testa. "Lo escludo, da quì alla fermata c'è un chilometro di distanza e lui non si ricordava la strada".
"Allora sarà al capanno, lo abbiamo visto andare li".
Disse Lana abbozzando un sorriso timido, Steven le dette una pacca sulla spalla. "Grazie. Devo delle scuse anche a voi".
Detto ciò, Steven si incamminò verso la capanna, aveva ancora quella strana sensazione addosso. Di solito andavano tutti li quando era ora di cena, visto che era li dove di solito tenevano spuntini e bibite.
Steven sperava con tutto il cuore che Dom fosse riuscito a perdonarlo, non voleva perderlo per una propria cazzata dopo tutto il coraggio che ci aveva messo per dargli il primo bacio.

Una volta davanti al capanno, aprì piano la porta socchiusa, ormai era sera ed anche li dentro la luce non era tanta, ma Steven vide chiaramente un buco. Quel buco sulla pelle pallida di Dominick sul braccio destro,appena dopo la mano.
Accanto a lui c'erano un ragazzo ed una ragazza che Steven conosceva solo di vista, lei era sdraiata a terra, mentre l'altro era seduto, con gli occhi appannati e perso nel suo mondo.
"Stai meglio?". Chiese Steven, improvvisamente lucido.
Dominick era poggiato con la schiena ad un mobile, la sua faccia era pallida, come se fosse malata.
"Si... Credo di aver visto il paradiso, Steven".
Si voltò appena verso il biondo, il quale restava come paralizzato sul ciglio della porta.

 

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Capitolo 7
*** Amore e altre droghe. ***


"Fammi capire un attimo come funziona la tua testa, perchè forse sono io che sono strano e non capisco. Dunque, io perdo un attimo, per un fottuto attimo il controllo, vado a fare un giro per riprendermi e tu ti fai ritrovare strafatto di eroina sparando cazzate sul paradiso?".
Steven era a dir poco furente, erano appena tornati alla fabbrica, la mezz'ora di pullman non era bastata per far sbollire la rabbia al ragazzo, il quale ora avrebbe mollato volentieri un cazzotto a Dominick.
Era ancora strafatto e guardava Steven con un'espressione da ritardato.
"Mi stai ascoltando, porca troia?"
Dominick sbuffò in risposta e si mise con le spalle appoggiate al muro, guardando da un'altro lato, con lo sguardo perso nel vuoto. Steven gli si avvicinò, aspettando una sua risposta che non arrivava, così sbuffò anche lui e si sedette per terra e quindi accendersi una sigaretta.
"Parli tu che mi hai dato un pugno dopo una striscia di cocaina". Disse Dominick con voce quasi inudibile, si sedette e Steven si rialzò, lanciò a terra la sigaretta che aveva appena acceso e disse a voce alta.
"Ho perso il controllo per un solo istante, vuoi rinfacciarmelo per sempre?"
Steven sentiva il proprio corpo tremare appena, scosso ancora una volta da quei fastidiosi flashback.
Tre scene si ripetevano nella sua mente: i suoi passi che gli si avvicinavano, pesanti e minacciosi, una goccia di sangue che dal suo viso scivolava sul proprio, le sue mani che lo tenevano fermo...
Dominick gli aveva risposto qualcosa, ma Steven non riusciva a capire nulla, aveva la sensazione che tantissimi martelli battessero nella propria testa, arrancò fino al muro, vi si poggiò con la schiena e si lasciò scivolare fino a sedersi, poi posò le mani sulla propria fronte che prese a massaggiare appena.
Chiuse gli occhi.
Contò mentalmente.
Uno, due, tre, quattro...
"Steven...?"
Cinque, sei, sette, otto...
"Ti senti bene?"
Nove... Dieci...
Fece un lungo respiro profondo, poi riaprì gli occhi.
Dominick era strafatto di eroina e doveva prendersene cura, non avrebbe lasciato che Sheila lo avesse visto in quelle condizioni.
Si rialzò in piedi e si avvicinò a lui, gli dette un bacio tra i capelli e lo sentì dire: "Ehi, che ti è preso?"
"Nulla". Rispose lui. "Va tutto bene".
"Meglio così, mi stavo preoccupando...". Dominick aveva la voce assonnata e stava per sdraiarsi a terra, così Steven con uno sforzo, lo prese in braccio e lo portò nell'altro stanzone, dove c'era il materasso, quindi scrollò la coperta e poi gliela mise addosso.
Lo sentì farfugliare un "grazie", quindi sorrise e gli accarezzò il viso, poi sussurrò in tono dolce al suo orecchio: "torno subito, resta qui".

In meno di un'ora, Steven aveva trovato una cabina telefonica, detto a Sheila che Dominick avrebbe passato la notte da lui, preso un paio di coperte in più da casa sua e dei tranci di pizza da asporto visto che erano le nove passate di sera e non avevano ancora mangiato.
Tornò alla fabbrica contento di essersi reso utile, ma l'entusiasmo durò poco: Dominick si era spostato nello stanzone principale, il suo vomito colava su una parete e lui era sdraiato a terra, vicino ad essa.
"Cazzo, Dom!".
Gettò lo zaino a terra e corse verso il ragazzo, si piegò vicino a lui e gli accarezzò piano la schiena, aveva già avuto a che fare con persone imbottite di eroina e sapeva come comportarsi.
"Ehi torniamo a dormire, ti va?". Sussurrò Steven con voce dolce, continuando ad accarezzarlo, lui annuì con la testa, così Steven sospirò e lo prese in braccio, portandolo di nuovo sul materasso.
"Scusa". Mormorò Dominick.
"Va tutto bene, non hai fame?". Chiese Steven con gentilezza, il ragazzo pallido in volto come un cadavere, annuì ancora, si sollevò la coperta fino al collo e sussurrò: "ho freddo, resti con me?".
Steven gli accarezzò una spalla e sussurrò: "certo, prendo lo zaino e arrivo subito, resta qui".
Dominick lo trattenne, tirandolo per la giacca e lo fece avvicinare a se, gli dette un bacio e lo lasciò andare. Steven corse nell'altro stanzone a recuperare lo zaino, detestava vedere Dom in quelle condizioni e sperava che non si fosse mai più bucato in vita sua, ma non poteva impedirglielo, era la sua vita ed avrebbe scelto lui cosa farne.
Tornato da lui, gli si sedette accanto e prese dallo zaino un plaid a quadri di lana, che stese sul corpo tremolante del ragazzo, poi prese il vassoio ricoperto da della carta con dentro i tranci di pizza, lo aprì e ne dette uno a Dominick, il quale sembrava stare un poco meglio.
"Mettiti seduto o vomiterai ancora". Suggerì Steven, l'altro gli dette ascolto e con uno sforzo, si mise a sedere, iniziando poi a mangiare la prima fetta di pizza.
"Quanto hai speso?". Chiese Dominick mentre mangiava.
"Non ti interessa". Rispose Steven sapendo già che Dom voleva pagare la sua parte, lui sorrise e rispose: "un giorno ti ripagherò per tutto ciò che fai per me".
Steven sbuffò divertito e gli dette un bacio sulla guancia.
"Ora stai meglio mi hai già ripagato mille volte".
Vide una lacrima scendere sul viso del ragazzo e sorrise dolce, era questo che amava in lui: la sua sensibilità, la sua bontà, il suo fingere di stare bene anche quando tutto il mondo gli si rivoltava contro.
"Perchè piangi?". Chiese mentre gli passava il secondo trancio di pizza visto che il primo lo aveva finito, lui lo prese e si voltò verso Steven. "Perché non ho mai visto una persona più dolce e nobile di te, e sono felice che siamo amici, che ci stiamo frequentando o qualunque cosa siamo in questo momento..."
Steven si voltò verso di lui e gli dette un bacio a fior di labbra, poi posando la fronte sulla sua, sussurrò: "stiamo insieme".
Dominick fece un sorriso a trentadue denti, spontaneo e stupendo, il più bello che Steven avesse mai visto e si promise mentalmente che lo avrebbe fatto ridere ancora a lungo, fino alla fine.

Dopo aver mangiato, Steven aveva aggiunto anche la terza coperta, lui fumava una sigaretta, mentre l'altro era abbracciato al ragazzo.
"Ehi, siamo entrambi d'accordo sul fatto che l'eroina faccia male, vero?".
Dominick mormorò un 'si' e strinse le proprie gambe con quella di Steven. "Cosa hai raccontato a mia mamma?".
"Che passavi la notte da me. E che domani saresti andato comunque a scuola". Rispose Steven, deciso.
"Ma non ho i libri dietro..."mugugnò Dom.
"Ti metti accanto a qualcuno che li ha".
"E non ho nemmeno i quaderni e le penne...". Replicò lui.
Steven sbuffò e scompigliò i capelli scuri del ragazzo.
"Piccoletto, tua mamma conta su di te, dimostrale che si può fidare di suo figlio". Rispose gettando a terra la sigaretta.
Questa volta fu Dominick a sbuffare e brontolò: "È ancora il mio compleanno, possiamo non parlarne ora?"
Steven alzò le spalle in segno di resa. "Come vuoi, festeggiato".
"Sai cosa mi piacerebbe ricevere per regalo, ora?". Sussurrò Dominick mettendosi a cavalcioni sul biondo, lui ridacchiò ed accarezzò il viso del suo ragazzo.
"Cosa, principino?". Chiese a voce bassa Steven, guardandolo negli occhi.
"Voglio te, Steven Whitlock".
Steven gli sorrise, chiuse un attimo gli occhi: stava faticando molto per cercare di non far apparire quelle orribili immagini nella propria mente, anche lui desiderava avere rapporti con Dominick e quello sembrava il momento giusto, non voleva farlo soffrire o peggio ancora, deluderlo, non lo avrebbe sopportato, quindi riaprì gli occhi e guardò quelli blu del suo ragazzo, così belli da incantarlo, e rispose: "dunque sarò tuo, Dominick Clayton".
"Sei sicuro?". Chiese Dom.
"Certo. Voglio che tu sia felice". Sussurrò lui.
Dominick alzò un sopracciglio e con un mezzo sorriso, mormorò. "E tu? Anche tu devi esserlo".
"Lo sono ogni volta in cui ti vedo sorridere". Rispose lui.
A Dominick venne spontaneo ridacchiare, poi Steven posò una mano sulla sua nuca calda e attirò il ragazzo a se, dandogli un bacio sensuale, dolce e profondo al contempo, la propria lingua danzava con la sua, la mano libera di Steven scese a stringere il fianco di Dominick, il quale stringeva le sue gambe con le proprie, la sua lingua non voleva saperne di staccarsi da quella di Steven, così calda e confortevole. Le loro labbra emettevano dei piccoli suoni piacevoli ogni volta in cui si incontravano.
Poi iniziarono a svestirsi l'uno con l'altro, fino a rimanere completamente nudi sotto le coperte, le loro parti intime si sfioravano a vicenda ed i loro corpi danzavano insieme.
Steven allungò una mano nella tasca del proprio zaino ai piedi del materasso fino a prendere un preservativo che dette a Dominick, il quale lo indossò dopo un paio di tentativi, poi Steven allargò appena le gambe, stringendole così attorno alla vita di Dominick, il quale capì che era pronto per farlo.
Dominick accarezzò i capelli biondi e fluenti di Steven, poi posò le labbra rosee sulla sua pelle, baciando il suo collo, il suo petto magro... La sua pelle, il suo odore, le sue labbra erano come una cura magica per Dominick.
Steven lo riportò sulle proprie labbra e gli sorrise, dolce e sensuale al contempo, poi nel sentirsi penetrare, schiuse le proprie labbra e si lasciò sfuggire dei gemiti misti a dolore e piacere.
"Vuoi che continui?". Sussurrò Dominick dolcemente sulle sue labbra.
"Si". Rispose lui. "Ti voglio dentro di me".

Anche quella notte, i due dormirono abbracciati, ma quella non era stata come le altre notti, quella notte entrambi avevano perso la loro verginità fisica ed entrambi erano innamorati l'uno dell'altro.

Il mattino dopo, Steven svegliò con dolcezza Dom, il quale si era appropriato della sua spalla, con dei piccoli baci sul viso e sui suoi capelli, lo sentiva borbottare qualcosa di intraducibile, così iniziò a baciare lentamente il suo collo e sentì la sua voce roca dire "non vale".
Lui rise e gli accarezzò la spalla.
"Dai splendore, devi andare a scuola".
Dom stiracchiò le braccia, poi strinse Steven a se e guardandolo negli occhi, disse ridendo "sai, sei proprio fastidioso a volte".
Steven rise e si lasciò stringere, poi con voce persuasiva, sussurrò sul suo viso "dai, fallo per me".
"Va bene". Rispose Dominick, con l'espressione di chi aveva appena avuto un'idea. "Anzi, ci vado se tu mi dici una cosa".
"Ah, devo farmi pure ricattare per la tua istruzione?". Disse Steven ridendo, poi fece spallucce. "Cosa vuoi sapere?".
Il moro si bagnò appena le labbra, poi si mise a sedere e accarezzò la spalla del ragazzo.
"Perchè a parte stanotte, quando faccio movimenti un pò spinti, tu ti allontani i perdi il controllo?".
Steven subito si mise sulla difensiva a quella domanda.
"Ho perso il controllo solo perchè ero sotto l'effetto della cocaina". Si mise seduto anche lui, le braccia incrociate e lo sguardo basso, Dominick non aveva intenzione di accusarlo, così accarezzò piano la sua spalla e si avvinghiò a lui, in un tentativo di infondergli sicurezza.
"No". Rispose Steven. "Tu hai il diritto di sapere più di chiunque altro, però promettimi di non dirlo mai a nessuno, è una cosa strettamente personale che voglio condividere solo con te".
Dominick sapeva che gli stava chiedendo un grande sforzo, Steven era quello che sorrideva sempre, quello che non si stancava mai, lui sarebbe stato capace di divertirsi anche nel bel mezzo di una guerra e ped comportarsi in quel modo così strano ed un pò ambiguo, di sicuro nascondeva qualcosa di importante, qualcosa che in qualche modo, aveva modificato quel suo lato.
Lui stava ancora raccogliendo le forze per dire quel segreto a Dominick, il quale stretto a lui, aspettava con calma.
Steven fece un profondo sospiro, si schiarì la voce e disse con la voce più bassa del solito: "Te ko dico senza giri di parole. Che tu ci creda o no, un anno fa mio padre ha abusato di me. Era fradicio, come quasi tutte le sere da tre anni, ma credo sapesse benissimo ciò che faceva quella sera.
Tu non hai idea, Dom...". La voce di Steven si interruppe e Dominick si accorse di quanto il ragazzo stesse stringendo le mani a pugno, aveva le nocche bianche per lo sforzo. Dominick non si aspettava una confessione del genere, ma sapeva benissimo che James, il padre del suo partner, non era affatto uno stinco di santo.
Accarezzò la spalla di Steven e gli posò un bacio dolce sul collo.
"Ora è tutto finito, lui pagherà per quello che ha fatto, ne sono certo". Sfiorò la sua mano, la quale strinse forte la propria.
"Lo voglio vedere morto". Ringhiò tra i denti Steven, poi Dom sentì dei piccoli sussulti provenire dal petto del biondo e capì che era sul punto di piangere. "Ehi, ora sei qui con me, ci proteggeremo a vicenda e ti assicuro che non ti metterà più quelle viscide mani addosso finché ci sarò io al tuo fianco".
Strinse forte a se il suo ragazzo, entrambi erano ancora nudi, coperti solo per metà, ma poco importava per loro in quel momento.
Dominick senti qualcosa di caldo ed umido bagnargli appena il collo e capì che Steven stava piangendo, così lo strinse di più, mentre una mano gli accarezzava i capelli; era raro vedere Steven piangere e quando lo faceva, era solo per situazioni davvero critiche. Lui era sempre stato accanto a tutti, lui non aveva mai giudicato nessuno.
Steven conservava una sorta di purezza infantile, la quale non era stata ancora intaccata dal mondo reale.
E Dominick si promise che nessuno avrebbe mai più fatto del male a Steven, il suo angelo.

Arrivarono alla fermata dell'autobus la quale si trovava davanti alla struttura abbandonata, dopo essersi vestiti e aver mangiato degli avanzi della sera prima.
"Sai che cosa sento in questo momento?". Chiese Dom rivolgendo un sorriso al suo ragazzo, il quale rispose: "che sta per arrivare il pullman...?"
Dominick rise e fece no con la testa.
"No, idiota". Accarezzò il viso di Steven per poi continuare a voce più bassa: "sento di essere più vicino a te, in tutti i sensi. Come se ora ti conoscessi davvero".
Steven non rispose a parole, ma con un bacio che avrebbe potuto far sciogliere il ghiacciaio più freddo al mondo.
Proprio in quel momento, senza che nessuno dei due se ne accorgesse, così presi l'uno dall'altro, James, il padre di Steven diretto al lavoro ed alla guida della sua vettura, vide i due baciarsi.

 

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Capitolo 8
*** Dipendenza dal dolore. ***


Steven non avrebbe mai voluto tornare a casa. In quella casetta borghese dove viveva, c'era sempre un'atmosfera di ansia, paranoie, disagio e lui non voleva saperne, soprattutto non in quel momento. Aveva ancora l'odore di Dominick addosso, il sapore delle sue labbra sulle proprie ed ora lui era a conoscenza del proprio segreto, quel segreto che non aveva mai detto a nessuno, perchè per Steven era sempre stato meglio tenere il dolore nascosto, seppellito da qualche parte nella memoria ed ora finalmente si sentiva libero da quel peso.
Lui non aveva bisogno di raccontarlo a secondi e a terzi, non si fidava di nessuno, così lo aveva detto all'unica persona al mondo di cui si fidava.
Steven camminava, semplicemente mettendo un piede davanti all'altro, non sapeva dove si stava dirigendo e non voleva saperlo.
Qualunque luogo sarebbe andato bene purché non fosse casa sua.
Sapeva che entro sera sarebbe dovuto tornare a casa, erano giorni che non vi faceva ritorno e sapeva che Claire, sua madre, di sicuro era molto preoccupata per lui. James, suo padre, invece non si era mai preoccupato per lui, anzi forse avrebbe anche stappato una costosa bottiglia di vino se un giorno fosse venuto a sapere della morte di suo figlio.
A volte Steven desiderava con tutte le sue forze che James morisse tra atroci agonie, ma non accadeva mai.
Steven si fermò, ma solo per accendersi una sigaretta, poi riprese a camminare; guardandosi intorno, si accorse di essere vicino a casa di Dominick, così decise di passare a fare un saluto a Sheila.
Proprio mentre stava per bussare, la porta si aprì e vide uscire la donna con tre buste della spazzatura tra le mani.
"Ehi Sheila, sempre indaffarata, eh?". Disse il ragazzo ridendo, lei presa alla sprovvista, si passò una mano tra i capelli spettinati per sistemarli e gettò la sigaretta che aveva in bocca, per la strada, poi rivolse un sorriso al ragazzo e rispose: "già. Invece di stare lì impalato, dammi una mano".
"Così tratti gli ospiti?". Disse Steven ridendo mentre prendeva due sacchi dell'immondizia. "Non ho tempo per gli ospiti, devo andare a lavoro". Disse avviandosi verso il bidone dell'organico a pochi metri di distanza, Steven la seguì a ruota e dopo aver buttato la spazzatura, disse: "a quale dei tanti lavori devi andare?". Lui e Sheila erano sempre andati d'accordo, lei lo trattava quasi come un secondo figlio e nonostante la situazione economica precaria, invitava sempre il ragazzo a pranzo o a cena.
"Ho il turno alla tavola calda dalle 10 alle 14, spero che Dominick per cucinarsi un piatto di pasta, non mi dia fuoco alla cucina. A proposito, è a scuola, vero?". Guardò Steven con occhi minacciosi, lui rise e rispose: "certo, altrimenti avresti ucciso prima me e poi lui".
Entrambi ridacchiarono, poi andarono a sedersi su un gradino del pianerottolo e si accesero una sigaretta.
"Allora, dove lo hai portato per il suo compleanno?" chiese curiosa Sheila e Steven si inventò una bugia sul momento "siamo andati ad una festa con degli amici e poi è venuto a dormire da me".
Lei sorrise e fece un tiro dalla Marlboro.
"Avete fumato?". Si strinse nella giacca della tuta, ormai ottobre era finito e il freddo pungente dell'inverno non attendeva a farsi sentire.
Steven annuì alla domanda della donna e prese il portafogli da una tasca, tirò fuori mezzo grammo di erba chiuso in una bustina di plastica e lo dette a Sheila.
"Questo è per te, non lo dare a tuo figlio".
Lei rise e dopo essersi messa con un gesto veloce la bustina nel reggiseno, disse: "col cazzo. Ho proprio bisogno di rilassarmi".
"È di prima qualità, l'ho raccolta dalla piantina che tengo segretamente nella soffitta". Spiegò lui mentre fumava rilassato la propria sigaretta.
"E i tuoi non se ne sono accorti?".
Chiese perplessa Sheila.
Lui scosse la testa e gettò la sigaretta ormai finita, in mezzo alla strada. "Sono troppo impegnati a litigare tra loro".
"Ancora quella situazione di merda in famiglia?". Chiese lei turbata, aggrottando le sopracciglia scure.
"Eh già". Rispose Steven con un sospiro. "Ma l'importante è andare avanti, no?"
Sheila si alzò e gettò la sigaretta. "Certo, per quanto faccia schifo la vita, almeno proviamoci ad andare avanti". Si alzò anche Steven, il quale venne abbracciato dalla donna, così premurosa con lui.
"Ora devo andare, altrimenti perdo anche questo lavoro". Disse lei staccandosi, Steven assunse un'espressione confusa e Sheila si morse un labbro. "Quale dei tanti?". Chiese lui.
"Cameriera al nuovo ristorante in centro. Tagli al personale".
Lei fece spallucce, Steven sputò a terra ed imprecò.
"Cazzo. Ti serve qualche soldo?". Lei diede un buffetto sulla spalla del ragazzo, poi chiuse la porta di casa a chiave e disse: "no, ho un pò di liquidazione in arrivo. Per favore, non dirlo a Dominick".
Steven annuì e la salutò.
Riprese a camminare, il suo umore non era cambiato, anzi dopo aver saputo del lavoro che aveva perso Sheila, era peggiorato, quindi decise di andare in un supermarket a prendersi tre bottiglie di birra, quelle a lui necessarie per sbronzarsi, poi andò nel parchetto malfamato del quartiere dove viveva Dominick, si sedette su una panchina qualunque e stappò la prima birra con l'aiuto dell'accendino.
Iniziò a bere.
In quel parconon c'era mai anima viva fino alle nove di sera, da quell'orario in poi, diventava un centro di spaccio di qualsiasi tipo di droga sintetica e non.
Quel posto aveva un qualcosa di malato, forse per via di alcune siringhe usate e lacci emostatici, gettati vicino allo scivolo.
A Steven venne in mente il buco sul braccio di Dominick che aveva visto la sera prima ed all'improvviso gli venne voglia di tracannarsi la birra
Lo fece, finendola in una decina di sorsi, poi lanciò la bottiglia vuota addosso ad un albero, fracassandosi e cadendo a terra in forma di tanti cocci di vetro.
Ne stappò un'altra, quasi freneticamente e ricominciò a bere. Sapeva perchè lo stava facendo, di solito preferiva uno spinello ad una birra, ma l'alcool offuscava il cervello, indeboliva i pensieri per lasciare spazio agli istinti primordiali, come la rabbia, la tristezza o la felicità, IB base allo stato umorale della persona prima che inizi a bere.
Ma chi beveva birra scadente in un parco per tossici ad ora di pranzo? Di certo non chi era felice. Steven aveva accumulato di nuovo le proprie emozioni negative come il rimorso per essersi comportato male con Dominick al rave, il non essergli stato accanto per poi averlo trovato con quel cazzo di buco nel braccio, strafatto di quella sostanza omicida.
Steven non aveva mai osato pregare, per lui la religione era un modo dei credenti di incolpare qualcuno quando la loro vita andava male e di protrarsi a loro quando erano in difficoltà. Non aveva nemmeno mai sperato in qualcosa, sapeva che sperare non serviva a nulla, era solo un modo per illudersi.
Ma in quel momento davvero sperava con tutto il cuore che Dominick non iniziasse con l'eroina, aveva visto gli effetti che aveva sulla gente e ne aveva paura.

Erano le 15 .00 del pomeriggio e Dominick era appena uscito da scuola, ma quella volta non aveva preso l'autobus per tornare a casa, aveva un biglietto tra le mani con un numero e un indirizzo, così arrivato alla cabina telefonica, facendo ben attenzione a non essere seguito dai bulli che lo stressavano, compose il numero ed attese una risposta che arrivò dopo pochi squilli.
"Con chi parlo?". Rispose dall'altra parte una voce assonnata.
"Ciao... Sono Dominick, parlo con Daniel?"
D'un tratto la voce del ragazzo si fece assai più socievole, rispondendo: "ehi, ciao!Ti serve qualcosa?Immagino di si visto come hai concluso il rave". Ridacchiò, ma Dom non era in vena di scherzare.
"D-davvero? Chi te lo ha detto?".
"Un amico di Lana". Rispose lui. "Quello che era strafatto con te".
"Ah". Rispose Dominick, non sapeva cosa stava facendo, ma voleva ancora quella droga, anche se una parte di lui, continuava a dirgli che stava sbagliando.
Dominick non aveva mai potuto scegliere di testa sua cosa fare e cosa non fare: quando suo padre morì qualche tempo fa, sua madre decise di trasferirsi e decise chr il ragazzo doveva avere un futuro brillante, iscrivendolo ad una scuola che odiava, dove ogni giorno era preso di mira da idioti che credevano di essere i migliori di tutti, rubando la dignità altrui. Inoltre, Sheila non gli aveva mai permesso di aiutarla economicamente, magari trovandosi un lavoro part-time. Per Dominick era stato già tutto programmato, ma lui non aveva scritto nemmeno una riga della sua vita.
"Dominick, sei ancora li?". Chiese la voce dall'altro lato.
"Si". Rispose lui deciso. "Vorrei una dose di quella roba".
"Bene, è appena arrivato un carico dall'Afghanistan, ci vediamo stasera alle dieci all'indirizzo che ti ho dato".
Disse Daniel in tono deciso, per poi aggiungere con la voce leggermente più bassa.
"Se un giorno ti abbandoneranno e succederà, lo so per esperienza, ti basterà chiamare me".
"Ok, ci penserò". Rispose Dom per poi riattaccare.

Verso le sette di sera, Steven si trovava per strada, diretto verso casa. Aveva smaltito abbastanza la sbronza insultando chiunque mettesse piede in quel parco da quattro soldi e se fosse rimasto li, si sarebbe di sicuro trovato un labbro spaccato o un occhio nero.
Arrivato a casa, sua madre lo soffocò con un abbraccio, lui le diede qualche pacca sulla spalla, poi lei gli dette un ceffone in pieno viso.
"Hai idea di quanto mi hai fatto preoccupare?! Dove diavolo sei stato?". Lui rise mentre si massaggiava la guancia, poi si fece serio mentre andava a sedersi sul divano un pelle bianco. "Lo sai, meno sto qui e meglio è per me". Su guardò intorno per vedere se quello stronzo di suo padre era in giro, ma non vedendolo, si rilassò. "È ancora in cantiere?". Chiese guardando sua madre, la quale annuì mentre si sedeva accanto a lui. "Si, spero si sia rotto qualcosa, così tornerà tardi".
Lui si voltò verso di lei, aveva il viso stanco, ma comunque bellissimo, i suoi capelli sembravano supplicare una tinta ed era ancora più magra di prima, Steven non ce la faceva a vederla così, faceva più male di un pugno in pieno viso.
"Ma che aspetti a mollarlo?". Chiese continuando a tenere lo sguardo su Claire, la quale si voltò verso di lui, gli prese la mano e la accarezzò.
"Io ho perso il lavoro, se lo mollo finiremo in mezzo alla strada". Disse per poi sospirare, stanca di tutto.
"Sempre meglio che vivere in questo modo". Disse lui stringendole la mano, anch'essa scarna e debole.
"Potrei trovarmi io un lavoro, non faccio un cazzo tutto il giorno". "Buona fortuna". Rispose lei. "Non riesco io, figuriamoci tu".
Anche Steven sospirò e poggiò poi i piedi sul tavolino basso in vetro che si trovava davanti al divano.
"Qualcosa dobbiamo fare, io sono stanco di vivere così".
Claire non ebbe il tempo di rispondere, sentì le chiavi girare nella serratura della porta e subito scattò in piedi con un gesto automatico, dirigendosi in cucina e facendo segno a Steven che avrebbero continuato poi la conversazione.
James entrò in casa col suo solito fare spavaldo e minaccioso.
"Ciao, papino". Disse Steven in tono spudoratamente sarcastico, restando nella posizione in cui si trovava un momento prima.
"Leva quei piedi da li, stronzetto". Disse lui lanciando il mazzo di chiavi sul tavolino dove Steven teneva i piedi.
"È casa mia, faccio quello che mi pare. Come fai tu, no?". Rispose il ragazzo in tono tranquillo ed indifferente.
"L'ho pagato io quello, quindi leva quei cazzo di piedi".
Steven sbuffò e tolse i piedi dal tavolino con uno sbuffo. "Ti girano le palle stasera, mh?". Chiese sarcastico, voltandosi verso il padre, il quale era in piedi di fronte a Steven.
"A te invece piace succhiarle le palle, eh?". Ribattè James con un sorriso maligno tra le labbra, Steven alzò un sopracciglio, incredulo a quelle parole.
"Ti ho visto stamattina. Mentre io andavo a sgobbare, tu eri alla fermata dell'autobus a sbaciucchiarti quella piccola merdina".
Steven per un attimo vide solo rosso davanti a sé.
Con uno scatto furente, si alzò dal divano e prese suo padre per il collo del maglione, pronto a sferrargli un pugno in volto con tutta la rabbia che aveva in corpo.
"Che c'è, sei diventato troppo finocchio per colpirmi?".Urlò James spintonando suo figlio, il quale barcollò qualche passo indietro.
"Come hai chiamato Dominick?". Disse Steven con voce alta, sentiva sua madre che faceva casino con le pentole per cercare di non sentirli, per un momento la vide affacciarsi dall'ampia cucina, supplicandolo con lo sguardo di smetterla, spaventata come una gazzella in un covo sdi leoni.
"Merdina". Rispose James, impettendosi e facendo qualche passo verso Steven. "È quello che siete entrambi".
Steven respirò profondamente, per cercare di mantenere il controllo, sapeva che sua madre era terrorizzata da situazioni del genere e non voleva che fosse così agitata.
Guardò negli occhi suo padre e ci vide solo odio, era già pronto a stuzzicare ancora Steven, il quale stava faticando molto per mantenere il controllo.
"Vattene, James". Rispose Steven stringendo forte i pugni.
"Altrimenti che fai?". Disse subito lui, togliendosi la giacca che gettò per terra, fece un'altro passo verso Steven, il quale si ritrovò il padre faccia a faccia.
"Altrimenti ti spacco la faccia". Ringhiò il ragazzo tra i denti, sempre più desideroso di mettergli le mani addosso, ma non ne ebbe il tempo, James lo spinse facendolo sbattere con la schiena contro il muro e gli urlò in faccia: "Questa è la mia fottuta casa, tu non mi ordini di fare un cazzo, finocchio che non sei altro!".
Steven in tutta risposta, accumulò saliva nella bocca e gli sputò in pieno viso.
"Saliva di checca. Attento all'aids".
James non ci vide più dalla rabbia e sferrò un pugno che prontamente, Steven schivò. James aveva sfondato la parete, le sue nocche sanguinavano, così Steven ne approfittò per sfuggire alla sua presa e dargli un pugno in faccia con tutta la rabbia, la furia che in quel momento aveva in corpo; sentiva sua madre urlare mentre James cadeva a terra perdendo i sensi, il ragazzo era accecato dalla rabbia e continuava a prendere a calci il corpo del padre privo di sensi.
Fu Claire a fermarlo, tirandolo per un braccio verso di se e stringendolo forte.
"Basta, basta!".
"Fottutissimo stronzo, spero che sia crepato". Borbottò Steven, lasciandosi stringere dalla madre mentre guardava suo padre svenuto a terra.
"Dobbiamo chiamare l'ospedale". Disse Claire mentre piangeva disperata.
Steven si staccò dal suo abbraccio e si passò una mano fra i capelli, guardandosi intorno.
"Chiama chi vuoi. Io me ne vado da qui".
"Steven, che stai dicendo?". Chiese Claire seguendolo e accarezzandogli la spalla con una mani che lui prontamente, spostò. Si voltò verso di lei, con una lacrima che rigava il proprio volto.
"Io non ce la faccio più a vivere così, mamma".
Si diresse poi a passo veloce nella sua stanza, prese il primo zaino che gli capitò davanti ed iniziò a riempirlo con i primi vestiti che trovava nell'armadio in legno. Steven non avrebbe resistito un minuto in più in quella casa, non sapeva dove sarebbe andato, non sapeva cosa avrebbe fatto, ma sapeva che non voleva più vivere li, in quell'inferno.
Quando ebbe finito di riempire freneticamente lo zaino, prese un coltello che teneva in un cassetto della scrivania, squarciò il materasso e prese la pistola che vi aveva nascosto dentro, la mise nello zaino, nascosta bene dagli indumenti e uscì dalla stanza, dette un bacio a Claire, poi uscì da quella casa che odiava.

 

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Capitolo 9
*** Parla. ***


Erano ormai le dieci e mezza di sera, Steven aveva deciso di cercare ospitalità da Sheila e Dominick, prima di andare li, si era fermato per qualche ora in un bar, a fare qualche partita a biliardo, per schiarirsi le idee, ma non aveva ancora stabilito nulla.
Ormai di fronte a casa Clayton, vide Dominick che proprio in quel momento stava aprendo la porta di casa.
"Ehi". Lo chiamò Steven, il ragazzo si girò e sorrise nel vedere il biondo. "Ciao Steven, vuoi entrare?".
Steven si accorse solo in quel momento dell'effetto che aveva Dominick sul proprio corpo: sentiva lo stomaco in subbuglio e le mani tremolare appena, un sorriso idiota stampato suo volto che confermava quanto avesse perso la testa per il ragazzo.
Tossì un paio di volte per togliersi quel sorriso stupido dalla faccia, poi prese le sigarette dalla tasca e si avvicinò al ragazzo, salendo i tre gradini della piccola e vecchia veranda. "Ti va una sigaretta?Offro io".
Dom sollevò le sopracciglia e rise, accettando la sigaretta che posò tra le labbra. "Di solito devo chiedertele sempre io, qual'è l'occasione speciale? Hai ingravidato la regina?".
Steven rise e passò l'accendino al ragazzo, il quale si accese la sigaretta. "Che schifo, preferirei farlo con un animale". Dom ridacchiò, poi abbracciò Steven e si sedette su un gradino della veranda.
"Dai, cerca di fare in fretta, sto morendo di freddo".
Sorrise al biondo, il quale si sedette accanto a lui, Dom prese la sua mano per stringerla, ma notando che era livida, si preoccupò. "Chi è stato?". Si voltò verso il ragazzo, con espressione turbata, Steven fece una smorfia.
"È colpa mia stavolta, ho dato un pugno a mio padre". Dominick continuava ad accarezzare la sua mano, come se fosse guarita agendo in quel modo.
"Se lo meritava?". Chiese poi.
"Si. È venuto a sapere di noi".
Dominick si voltò di scatto verso Steven, facendo cadere la propria sigaretta a terra. "Come?".
"Ci ha visti stamattina, ma stai tranquillo, prima col pugno ha perso i sensi e probabilmente mia mamma l'avrà portato all'ospedale per assicurarsi che stia bene".
Dominick ascoltava attentamente ogni parola di Steven, stringendo piano la sua mano infortunata.
"Ma... Hai lasciato tua mamma da sola con lui?".
Steven si voltò dall'altra parte s tenendo lo sguardo basso, disse: "si, non ce l'avrei fatta a stare ancora in quella casa...". Sembrava che volesse dire altro, ma per qualche ragione, si era fermato, così Dominick gli spostò con delicatezza dei capelli che gli nascondevano il viso e vide che delle lacrime lo bagnavano lentamente.
Posò un bacio sulla sua guancia umida e strinse il ragazzo a se, aveva ancora la sigaretta accesa tra le mani dalla quale non aveva fatto nemmeno un tiro.
"Secondo te ho sbagliato?". Chiese Steven tirando su col naso, gettò la sigaretta a terra e si asciugò le lacrime, lasciando che il calore di Dominick lo scaldasse.
"Hai fatto quello che sentivi di fare". Rispose lui.
"Magari tua madre ora capirà che deve liberarsi di lui". Steven posò la testa sulla sua spalla e Dominick lasciò dei baci tra i suoi capelli morbidi, poi fece una smorfia. "Puzzi come una distilleria, lo sai?". Steven ridacchiò, la sua voce era roca e stanca, Dom accarezzò la sua spalla e sussurrò al suo orecchio: "che ne dici di entrare, farti una doccia e dormire con me?".
"E tua mamma?". Chiese preoccupato Steven.
"Per lei sei il benvenuto qui, lo sai. Ed anche per me".
Steven alzò per un attimo lo sguardo su quello del suo ragazzo, sembrava avere occhi solo per lui, come se fosse l'unico al mondo, si avvicinò alle sue labbra e gli dette un bacio semplice, caldo e delicato, sentì la mano di Nick che gli sfiorava la guancia e sorrise appena sul suo viso.
"Grazie per tutto ciò che fai per me".
Dominick rise, per poi rispondergli: "Tu mi ringrazi?Io ti devo almeno un polmone per tutte le volte in cui ci sei stato per me". Steven sorrise e non poté fare a meno di baciarlo ancora, poi sussurrò: "i tuoi polmoni non li voglio, grazie".
Dom gli dette un piccolo morso sul collo in risposta, poi sussurrò: "fa freddo qui, dai andiamo dentro".

Appena Steven entrò in bagno, Dominick si diresse subito nella propria stanza che chiuse a chiave, poi prese dalla tasca del proprio giaccone verde, la bustina trasparente che conteneva quella droga marrone scuro comunemente chiamata eroina e la nascose dentro il proprio armadio, nella tasca di un giubbotto che non metteva da un pò, visto che era ormai vecchio.
Aveva speso quasi tutti i suoi risparmi per quella dose, Daniel diceva di avergli fatto un 'prezzo da amico' ma non sapeva se credergli. Uscì dalla stanza e preparò un panino a Steven, non sapeva se avesse cenato o no, ma i suoi sensi di colpa in quel momento, gli avrebbero fatto preparare anche dieci panini.
"Dominick, dove eri a quest'ora?". La voce della madre fece sobbalzare il ragazzo. Si voltò verso di lei, era avvolta nella sua vestaglia bianca che usava per dormire.
"Ero fuori con Steven, ora è in bagno. Ti dispiace se sta per qualche giorno da noi?". Mise il panino sul tavolo poi si sedette, Sheila fece lo stese, poi chiese preoccupata: "è successo qualcosa? E certo, può stare quanto vuole".
Dominick le sorrise, poi fece una smorfia. "Ha litigato con suo padre, si sono messi le mani addosso e lui ha deciso di andarsene da casa sua". Sospirarono entrambi, Sheila stava per dire qualcosa, ma vedendo Steven entrare nella piccola cucina, si alzò e lo stritolò in un abbraccio.
"Puoi stare quanto vuoi da noi, chiaro?". Disse lei staccandosi per lasciarlo respirare, lui le sorrise e disse: "grazie Sheila, ovviamente troverò un modi per ripagarti, detesto approfittarmi delle persone"
"Ma non ti stai approfittando di nulla, imbecille. Ora pensa solo a te, prenditi i tuoi giorni per rilassarti e riflettere".
Lui le sorrise e la strinse per qualche secondo in un abbraccio. "Grazie, ma voglio comunque darti qualcosa o mi sentirei in colpa a vita". Sheila rise e gli dette una piccola spinta sul petto nudo. "Oh, allora fa come ti pare".
"Ehm, ti ho preparato un panino se hai fame". Disse Dominick sorridendo ad entrambi, Steven gli si avvicinò e gli dette un piccolo e fugace bacio sulle labbra, poi si sedette ed iniziò a mangiare.
Dominick lo stava uccidendo con lo sguardo, ma Steven non capiva, poi alzò lo sguardo su Sheila, la quale era sconvolta e cominciò a balbettare: "ah, l-lei non lo sapeva che n-noi...scusa".
Dominick continuava a trafiggerlo con lo sguardo.
"Carogne che non siete altro! State insieme e non mi dite nulla?". Per un momento, Dominick si preoccupò dell'espressione arrabbiata che Sheila aveva, poi abbracciò prima Steven e poi suo figlio, felicissima della notizia.
"Sono così contenta per voi, da quanto state assieme?".
Dom stava pwe rispondere, ma Steven lo fece per primo.
"Ufficialmente da ieri, mi fa piacere che tu l'abbia presa bene". Le sorrise, lei si sedette, ancora sorridente.
"E tu Dom, quando pensavi di dirmelo?".
"Te lo avrei detto". Brontolò lui, alzando gli occhi al soffitto.
"Non ti offendere, Steven ma non pensavo tu fossi gay...".
Disse Sheila con gli occhi puntati su di lui.
"Mamma...". La ammonì Dominick.
"Non lo sapevo nemmeno io". Rispose Steven con sincerità. "Forse è stato proprio Dominick a portarmi dal lato oscuro". Dom rise e lo fece anche Sheila, la quale poi si avvicinò alla porta della cucina.
"Io ora torno a dormire ragazzi, domani devo alzarmi presto. Buonanotte".
La salutarono entrambi e quando Steven finì di mangiare, andarono in camera di Dom.
Si stava svestendo per mettersi i soliti pantaloni di una vecchia tuta che usava per dormire, quando sentì le braccia calde di Steven circondargli il bacino, il suo petto caldo era schiacciato contro la propria schiena.
"Andiamo già a nanna?". Sussurrò con voce calda e penetrante, Dom sentiva brividi di eccitazione percorrere ogni singola terminazione nervosa del proprio corpo, era incredibile l'effetto che Steven aveva su di lui.
"Domani ho la scuola..." sussurrò Dom poco convinto, le mani di Steven scivolavano piano ad accarezzare la biancheria del ragazzo, il quale faceva sempre più fatica a mantenere un minimo di controllo.
"E mia mamma sta dormendo...". Aggiunse con la voce tremolante. Steven baciò con sensualità la sua nuca, più volte e sussurrò al suo orecchio: "allora faremo piano..."
"Mh-mh..". Fu tutto ciò chr riuscì a dire Dominick, l'eccitazione aveva preso il sopravvento su di lui e Steven, accortosene, ridacchiò appena, così fece stendere piano Dominick sul lato inferiore del letto a castello, poi cominciarono a baciarsi, mentre Nick slacciava i jeans del suo ragazzo. Erano di nuovo nel loro mondo, intrappolati in quella inevitabile frenesia dei loro corpi che si cercavano e si volevano, si spogliavano, si baciavano, si amavano.
In quel momento, nessuno dei due voleva pensare alla realtà, al pessimismo, alla vita che si rivoltava contro di loro.
Erano insieme, uniti, nel loro mondo, dove non c'era sofferenza, dove il suono dei loro baci poteva sentirsi come un eco all'infinito.
Dominick prese in preservativo da sotto al materasso, dove li nascondeva di solito, Steven glielo rubò dalle mani, lo aprì e lo fece indossare al partner, poi si coprirono con le soffici coperte di lana e restarono nel loro mondo finché una manciata di minuti dopo, non si addormentarono abbracciati l'uno con l'altro, come la sera prima alla fabbrica abbandonata.

Passarono circa tre giorni da quando Steven era andato a stare a casa di Sheila e Dominick, sua madre, Claire, non si era fatta viva, così come nemmeno suo padre, ma per Steven era meglio così: voleva lasciarsi alle spalle tutta l'ansia, l'agitazione e la rabbia che gli procurava quella situazione ormai da anni. Claire ci teneva troppo a ciò che pensava la gente di lei ed al suo stato da borghese per decidersi a lasciare una volta per tutte James, aveva paura di finire sul lastrico e di ciò che avrebbero detto amici e parenti, Steven aveva cercato di farle capire diverse volte che da soli avrebbero vissuto una vita migliore, lei lo sapeva, eppure non prendeva mai una decisione, così era stato Steven a prenderla ed ora da Dominick era molto più felice.
Almeno fino a quel momento.
Era più o meno ora di pranzo, Sheila era a lavoro, e mentre Steven aveva sul fuoco della pasta che stava preparando per Dominick, stava sistemando i suoi vestiti, una vecchia giacca cadde per terra e nel rimetterla sulla gruccia, una bustina trasparente cadde a terra.
Steven mise la giacca al suo posto, poi prese la bustina tra le mani e vide che all'interno vi erano una siringa sterilizzata e dell'eroina. Poggiò la droga sul letto e si mise le mani tra i capelli: Steven provava tante emozioni allo stesso tempo, tutte negative, ma soprattutto era arrabbiato con Dominick, avrebbe preferito che lo tradisse davanti ai suoi occhi, piuttosto che trovare quella maledetta droga nascosta nell'armadio.
Decise di concentrarsi su altro, quindi andò nella cucina,ma anche mentre cucinava, aveva solo quel pensiero in testa e più passava il tempo, più si innervosiva.
Aveva appena finito di mangiare e stava sciacquando il piatto quando sentì la porta aprirsi.
Sentì la voce squillante di Dominick chiamare il suo nome, ma lui non rispondeva, poi nel sentire le sue braccia stringerlo, si spostò e lanciò un'occhiataccia al ragazzo.
"Non ti va di farlo? Dai, mia mamma torna alle quattro".
"Ficcatelo nel culo da solo, stronzo". Steven gli passò accanto, dandogli una spallata.
"Ehi, che cazzo hai?". Chiese Dom, turbato.
Steven si voltò per guardare Dominick, poi lo prese per il braccio e lo portò nella sua stanza.
Dom vide l'eroina sul letto ed in quel momento capì.
Avrebbe voluto sprofondare per cento metri sottoterra.
Aprì la bocca, cercando di spiegare, ma Steven non ebbe pietà
"Ripetimi che cazzo mi avevi detto al tuo compleanno".
La voce severa del biondo colpì Dominick come un violento schiaffo, abbassò la testa e sussurrò con voce smorta.
"Che non mi sarei più bucato".
Steven era rosso in viso per la rabbia, ma non si sarebbe mai azzardato a sfiorare nemmeno un capello di Dominick. Prese la bustina trasparente dal letto e la mostrò al ragazzo.
"Quindi come la spieghi questa? La stavi tenendo ad un amico?".
Dom si morse le labbra e gettò lo zaino a terra, poi alzò lentamente gli occhi su quelli azzurri di Steven.
"Ho sentito il bisogno fi prenderla. Scusa...".
Riabbassò lo sguardo, aspettandosi le urla di Steven.
"Hai idea delle merdate che ti escono dalla bocca?". Urlò il biondo, gettando la droga per terra.
"Quella roba ti fotte, Dominick. Come cazzo fai a sentire il bisogno di qualcosa che ti uccide?".
Dominick rialzò lo sguardo, aveva già gli occhi lucidi, ma la voce ancora ferma. "Tu bevi sempre, l'alcool non uccide per caso?". Steven rimase a bocca aperta, non poteva credere a ciò che aveva detto Dom.
"Ti si è già fottuto il cervello?Magari non arriverò ai settant'anni, ma l'eroina non ti darà il tempo di compiere diciotto anni, stupido".
Dom si morse di nuovo le labbra. "Fumi anche un sacco d'erba e sigarette...". Sapeva che si stava arrampicando sugli specchi, ma odiava quando Steven lo faceva sentire in quel modo e l'istinto gli diceva dj ribattere.
"Hai mai sentito qualcuno che è morto per overdose di marijuana, Dominick?". Steven fece un passo verso di lui, aggiungendo: "lo sai quanto costano i centri di disintossicazione? E tua,madre ha perso un lavoro, forse è il caso che tu apra gli occhi".
Dominick nel sentire della notizia, rimase bloccato per qualche secondo, mente Steven sospirò nell'essersi accorto di aver detto una cosa che non doveva dire.
"Perchè lo ha detto a te e a me no?". L'atmosfera tra i due si faceva sempre più tesa e pesante, Steven si avvicinò ancora a Dom e disse: "perché vuole che tu non ti stia a preoccupare per lei. Vuole che tu finisca la scuola, ti diplomi e trovi un lavoro che vi faccia andare vis da questo buco di merda. E lo voglio anche io".
Ora era Dominick ad essere arrabbiato, non ne poteva più di sentirsi dire ciò che poteva o non poteva fare..
In uno scatto d'ira, dette un calcio al vecchio mobile di fianco a lui, dove teneva i suoi disegni e dipinti che caddero rovinosamente per terra assieme al materiale da disegno.
"Voglio decidere io che cosa fare della mia cazzo di vita!"
Passò di fianco a Steven, dandogli una spallata che lo fece barcollare per qualche secondo, Dom prese quella busta di eroina e se la mise in tasca, poi si rimise lo zaino in spalla.
"Che cazzo stai facendo?". Urlò Steven, ma non ricevette risposta, Dominick si tirò su la zip della giacca ed uscì dalla stanza, poi di casa, sbattendo forte la porta come non aveva mai fatto prima.
"Dominick!". Steven aveva aperto la porta d'ingresso e urlava il nome del ragazzo che se ne stava andando.
"Parlami, cazzo!".
"Vaffanculo". Rispose lui.
Steven iniziò a seguirlo, ma Dominick fermò in tempo il taxi che passava di li in quel momento e mentre stava per entrare, sentì Steven dire: "dove te ne vai ora? Torna qui!".
Dominick guardò il ragazzo negli occhi per un paio di secondi, era immobile sul ciglio della strada, lo stava supplicando di tornare.
"Parla..." Sussurrò Steven.
Dominick non disse nulla, tornò con lo sguardo sul taxi e vi entrò dentro, dei piccoli fiocchi di neve iniziarono a cadere delicati dal cielo, accarezzando l'asfalto, per poi sciogliersi subito.
Steven rimase immobile, anche mentre il taxi gli sfrecciò di fianco, con la neve che si posava su di lui.

Dominick si fece lasciare a piedi dopo 500 metri, non poteva permettersi di spendere quel poco che aveva con delle costose gite in taxi, quindi dette i soldi che doveva all'autista, poi iniziò a camminare verso la fabbrica abbandonata.
Una volta arrivato li, andò nello stanzone del materasso e vedendo che c'era solo un plaid di lana, sbuffò: probabilmente Steven aveva portato via le sue coperte, lasciando solo quel vecchio plaid verde scuro
"Pazienza, me la caverò". Si disse Dom, poi si sedette sul materasso e rovistò nello zaino, quindi tirò fuori un laccio emostatico, un cucchiaio, un accendino ed un paio di cerotti. Sapeva esattamente cosa stava facendo.
Lo sapeva mentre scaldava l'eroina nel cucchiaio.
Lo sapeva mentre alzava lo stantuffo della siringa per prelevare la droga diventata liquida del cucchiaio riscaldato.
Lo sapeva mentre si legava al braccio il laccio di gomma e sapeva cosa stava facendo quando l'ago perforò lentamente la sua pelle, anche mentre abbassava lo stantuffo.
Poi chiuse gli occhi, gettando la siringa vuota a terra e si sdraiò sul materasso col laccio emostatico ancora legato al braccio.
Dominick era in estasi, raggiungeva più e più volte l'orgasmo, i muscoli si rilassavano e la propria mente si era addormentata per un pò, lasciando spazio a quel piacere così intenso e forte.
A cosa serviva la vita quando aveva l'eroina?

 

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Capitolo 10
*** Cinque parole. ***


I primi freddi erano arrivati e con loro anche Novembre.
Dominick aprì gli occhi e vide le prime luci dell'alba filtrare attraverso i buchi nel soffitto di quella struttura decadente ove aveva passato la notte, a giudicare dal sottile strato di neve che si trovava per terra, nei piccoli punti dove il soffitto non c'era, aveva nevicato per forse un'ora nella notte. In quel momento cadevano dei piccoli fiocchi di neve, quasi invisibili agli occhi che si confondevano nei piccoli mucchi bianchi in giro per lo stanzone.
Dominick si sedette, mettendosi il cappuccio della felpa calda che indossava sotto la giacca scura e si scaldò le mani, alitandovi dentro per un paio di volte, poi stiracchiò le braccia, sentiva di aver riposato per una vita intera e aveva voglia di riposare ancora.
Si alzò ed uscì fuori dalla fabbrica, allargò le braccia e fece una giravolta su se stesso.
"Buongiorno Londra!".
Rise di se stesso, poi si recò in un bar vicino a fare colazione, quel bar era grande e frequentato da un sacco di gente, ma Dom si sentiva continuamente osservato da chiunque: l'uomo che leggeva il giornale al tavolino, la donna che lavava le tazze dietro al bancone, le ragazze che chiaccheravano in gruppo ad un tavolino...
Scosse la testa e mentre prendeva un pacco di sigarette, il barista gli chiese: "ti senti bene ragazzo?".
Dominick alzò un sopracciglio scuro. "Si, perchè?".
"Beh, non sembri in forma e scusa se lo dico, ma puzzi di vomito".
Una volta fuori dal bar, Dominick tornò alla fabbrica e finalmente capì: il materasso era sporco di vomito, si guardò addosso e vide che anche i propri jeans erano sporchi. Si mise a ridere da solo, poi con un pò di forza, girò il materasso e cercò di ripulirlo come meglio poteva.
Era abbandonato a se stesso, eppure era felice da solo, senza nessuno che gli desse ordini, nessuno che gli diceva cosa fare e cosa non fare. Si sentiva libero.
Quella sensazione però, non durò per molto.
Dopo aver pranzato con un pacco di merende comprate in un minimarket, stava bevendo una birra quando sentì dei passi, ma non erano quelli di Steven, li avrebbe riconosciuti subito.
"Nick, sei qui?".
Il ragazzo riconobbe la voce femminile e sorrise, così uscì dallo stanzone per andare in quello principale e vide che era Debbie
"Ciao, bellezza!". La salutò con affetto lui.
Lei si lasciò abbracciare, poi guardò il ragazzo dalla testa ai piedi. "Come mai non sei venuto a scuola stamattina? E... Cos'è questa puzza?". Fece una smorfia e si tappò il naso, lui rise e fece un rutto dovuto alla birra. "Uhm... Mi sono vomitato sui jeans per sbaglio".
"Hai il raffreddore? Non ri conviene stare qui al freddo". Si allungò sulla punta dei piedi per poter toccare la fronte del ragazzo, ms sembrava solo tiepida, nella norma.
"Lo terrò a mente, seconda mamma". Disse lui scherzando, poi bevve qualche sorso di birra e notò qualcosa di strano.
"Come mai sei venuta da sola? Di solito sei con gli altri perchè sei una fifona". Lei rise, a Dominick parve un sorriso leggermente forzato.
"Volevo farmi un giro e poi so che tu e Steven siete sempre qui". A Dominick la cosa iniziava a puzzare di menzogna, ma non lo dette a vedere. "Capito, vuoi una birra? Ne ho un paio nella stanza del materasso".
Lei scosse subito la testa e rispose prontamente: "no grazie, devo studiare diritto ed algebra, domani abbiamo le verifiche se ti interessa"
Dominick si finì la birra e gettò la la lattina vuota per terra, poi disse: "no, non voglio più venirci a scuola".
Debbie spalancò gli occhi e disse: "e poi cosa farai? Il muratore? Il traslocatore? Lavorerai dieci ore al giorno in fabbrica?È questo che vuoi?".
Lui sospirò, cercando di mantenere la calma. "Non lo so, ci devo ancora pensare".
"E nel frattempo che ci pensi, non potresti finire la scuola?".
Dominick sospirò ancora e fece qualche passo indietro.
"Senti, non lo si cosa farò, ma non voglio andare a scuola".
Debbie aveva un'espressione dispiaciuta e rassegnata sul viso, non era brava ad imporsi sulle persone ed era per il libero arbitrio, così vuotò il sacco, aprendo appena le braccia.
"Fa quello che ti pare, tesoro. Mi ha mandata qui Steven e prima che tu possa dire qualcosa, sappi che ci tiene molto a te e vorrebbe che tu tornassi a casa, tua mamma è molto preoccupata..."
Dominick non la lasciò finire.
"Io non mi muovo da qui. Perchè vi aspettate tutti qualcosa da me? Perchè volete programmare a tutti i costi la mia vita?".
Entrambi sospirarono, poi Debbie si sistemò la cartella in spalla e disse: "vuoi stare qui a perdere tempo? Fa come ti pare, io vado a casa a studiare".
Dominick stava per dire qualcosa, ma Debbie si stava già allontanando e lui la lasciò andare, non voleva costringerla a rimanere li.
Tornò nella stanza del materasso, si tolse la giacca e si sedette, poi si alzò la manica della felpa e osservò i due buchi  che aveva sul braccio, stonavano con la sua pelle magra e chiara.
Decise di aggiungerne un terzo, che differenza avrebbe fatto, dopotutto?
E rieccolo di nuovo strafatto, sdraiato sul vecchio materasso alle tre del pomeriggio, nel suo paradiso personale, dove per qualche ora gli era concesso di essere chi voleva, dove nessuno cercava di fare piani per la sua vita e spezzargli le ali.
Aveva ancora la siringa infilata al braccio ed era a petto nudo nonostante ci fossero a malapena un paio di gradi.
Dominick non sentiva nulla di esterno, solo ciò che era dentro di se sembrava amplificato e stupendo, sentiva la lingua, i muscoli e le ossa intorpidite, ma non gli importava, era come se fosse uscito da quella inutile carcassa di carne e ossa che era il suo corpo e vivesse solo il suo spirito.
Li, in quell'oscuro paradiso, sembrava che qualunque forma di vita lo amasse e lo rispettasse per ciò che era, in poche volte nella sua vita si era sentito così voluto, così connesso con se stesso ed il mondo allo stesso istante.
Il tempo iniziò a passare in modo strano per il ragazzo, i minuti sembravano ore e le ore sembravano giorni, perciò quando si svegliò e vomitò ai piedi del materasso, non aveva idea di che ora fosse, guardò il cielo attraverso i buchi nel soffitto il quale sembrava voler cadere a pezzi da un momento all'altro.
Era notte fonda o solo le undici di sera.
Scosse la testa e sbadigliò.
Che gli importava di che ore fossero?
Che gli importava di saperlo?
Dominick non sentiva nemmeno il bisogno di respirare.
Passò la notte sveglio, ad esplorare la fabbrica abbandonata che la notte sembrava ancora più inquietante, ma allo stesso tempo tremendamente affascinante.
Al mattino si rimise a dormire e si risvegliò verso le due del pomeriggio a causa della tosse forte che gli era venuta.
Capì che era perchè era stato per quasi tutto il tempo a petto nudo, così si rivestí e una volta indossata la giacca, andò nel bar vicino a mangiare un paio di panini già pronti e a bere un caffè.
Gli sembrava di aver perso mesi di vita, si sentiva così vuoto e freddo dentro, come se gli mancasse qualcosa.
Tornato alla fabbrica, vide una ragazza di spalle, così sorrise e disse con entusiasmo: "Debbie!Scusami per..."
Si avvicinò e capì che non era lei, la ragazza alta, con dei capelli neri, lunghi e lucidi come le ali di un corvo, si voltò ed un sorriso si stampò sul volto di Dominick.
"R-Rachel!". Le corse incontro per abbracciarla, lei gli sorrise, i suoi denti bianchissimi erano di enorme risalto sulla sua pelle di colore.
"Ciao, Dommy!". Si strinsero forte per un minuto intero, Rachel aveva diciannove anni e conosceva Dominick da quando era nato.
Quando il padre del ragazzo morì, lui e sua madre si trasferirono e in un anno, Dominick e Rachel erano riusciti a vedersi solo un paio di volte, erano cinque mesi dall'ultima volta in cui si erano visti.
"Che ci fai qui? Ti devi stare ad Hollywood, non in questo buco di Londra".
Lei rise e gli dette una spinta, nonostante fosse magra, era sempre stata più forte di Dominick.
"Sono venuta in questa fogna per te, stronzo!"
"Davvero? Ne sono onorato". Scherzò lui facendo un inchino, lei non sembrava molto divertita, si guardò intorno e disse: "C'è un posto comodo dove sedersi in questo schifo?".
Dom rise e la prese per mano, accompagnandola dal materasso.
"Uhm... Okay, resto in piedi". Disse vedendo che era sporco e sopra c'era un laccio emostatico, lui rise ancora, adorava i modi di fare schietti e sarcastici di Rachel.
"Come sta tua mamma?". Chissà il ragazzo, sedendosi sul materasso.
Rachel sospirò ed abbozzò un sorriso.
"Ancora ubriaca. E la tua?".
Dominick si passò una mano tra i capelli sporchi, rabbuiandosi.
"Non la vedo da un paio di giorni, ma spero bene".
Rachel finse di non vedere le siringhe usate ed il cucchiaio sporco ai suoi piedi, i quali erano ricoperti da lunghi stivali neri con i tacchi.
"Lavora ancora come una matta?".
Dom annuì e vedendolo giù di morale, Rachel decise si sedersi al suo fianco. "Sei scappato di casa, vero?".
Lui annuì di nuovo, poi si voltò verso di lei abbozzando un sorriso.
"Come te ne sei accorta?".
"Uhm, vediamo...". Finse di pensarci, per poi continuare. "Innanzitutto sei lurido come un operaio delle fogne, i tuoi vestiti puzzano di qualcosa di indefinito e con te hai uno zaino. Ah.. E non hai notizie di tua madre da due giorni, devo proseguire?".
Il tono di voce della ragazza da amichevole era diventato serio e a Dominick non era sfuggito, si appoggiò con la testa sulla sua spalla per addolcirla. "Hai indovinato, Sherlock".
Rachel aveva davanti agli occhi quelle siringhe e dei dubbi che voleva assolutamente togliersi, le attanagliavano la mente, così alzò di scatto la felpa del ragazzo e scoprì tre buchi sulla sua pelle candida.
Questo bastò a farla scattare.
Si alzò in piedi e diede un ceffone in pieno volto al ragazzo.
"Ahi! Che stai facendo?". Dominick la guardò, perplesso.
"Mi prendi per il culo? Ti lascio da solo per qualche mese e ti ritrovo con dei cazzo di buchi sulle braccia?! E non provare a fingere con me. Tu sei meglio di un fottuto tossico, Dominick!".
Rachel si asciugò una lacrima che le era uscita per il nervoso e ciò bastò per far scoppiare in lacrime anche Dominick, il quale urlò.
"Non so che cazzo sto facendo, Rachel!".
Lei lo colpì di nuovo in faccia, stavolta con meno forza ma con la voce più alta.
"Ti stai drogando, stronzo!"
"Lo so...". Mugolò lui, asciugandosi le lacrime come un gatto ferito.
"Perchè?".
Rachel si inginocchiò davanti a lui ed accarezzò il viso del ragazzo.
"Non lo so, non so più niente..."
Lui abbassò lo sguardo, ma Rachel gli fece posare gli occhi sui propri, per farsi guardare in viso.
"Te lo dico io. Tu sei molto più di un tossico che scappa di casa per venirsi a bucare in questo derelitto di edificio. Sei Dominick Clayton, quello che ce la fa sempre. Hai sopportato la morte di tuo padre, i bulli, il trasferimento e chissà cos'altro in mia assenza.
Torna a casa tesoro, dimostra a tutti che ce la puoi fare".
Dominick sorrise ed asciugò una lacrima dal viso tondo della ragazza.
"Grazie di essere qui, Rach. Solo tu potevi aiutarmi ora".
Lei sorrise e pianse di nuovo, strinse le guance di Dominick e sussurrò decisa: "tu non ci devi abbandonare, chiaro?".
"Io sono immortale". Rispose lui tra i singhiozzi, scherzando.
Stando attenta a non graffiarlo con le lunghe unghie laccate di bianco, Rachel asciugò decisa le lacrime di Dominick.
"Che ne dici, si torna a casa?". Sussurrò lei.
"Tu vieni?". Gli occhi di Dominick si illuminarono di speranze.
"Purtroppo no, amore mio. Sono solo di passaggio, mia madre da i numeri in questi giorni e devo starle accanto".
Dominick annuì e le accarezzò i capelli. "Certo, la famiglia viene prima di tutto. Ti farai sentire, vero?".
Lei sorrise e gli baciò la fronte, poi prese un biglietto dal corsetto nero e aderente che indossava. "Questo è il mio nuovo numero di casa, quella matta di mia mamma ha lanciato il telefono dalla finestra l'ultima volta che ha bevuto il gin".
Dom fece una risata amara poi entrambi si alzarono e si strinsero in un forte abbraccio, uno di quegli abbracci che sembravano dire 'spero di rivederti' .
Rachel aiutò Dominick a raccattare le sue cose ed una volta arrivati alla fermata dell'autobus, lei disse:
"Ti ricordi quando alle elementari, dei bambini mi presero il pranzo e tu spendesti tutti i soldi che avevi per comprarmene uno ancora più buono?".
Lui rise e disse: "certo, ti presi la pizza con le patatine fritte e la coca-cola".
Rachel si voltò verso il ragazzo e gli spostò un ciuffo scuro dagli occhi. "Da quel momento capii di avere l'amico più gentile al mondo". Vide una lacrima scendere sul volto del ragazzo e gliela asciugò, poi gli posò un bacio sulla guancia.
"Ti vorrò per sempre bene, Dommy. Qualsiasi cosa accada".
Si strinsero  ancora, poi Rachel se ne andò con l'autobus che portava alla stazione e di lei rimase solo il profumo nell'aria.
Dominick era pronto a tornare.

Quando si ritrovò davanti alla porta di casa, dopo un breve tragitto di autobus, sentì il cuore battergli forte in petto, come se fosse stato via un anno.
Chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprí, bussò alla porta.
Fu Sheila ad aprirgli, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, lui fu immediatamente soffocato dal suo abbraccio. "Dove sei stato piccolo mio? Avevo intenzione di chiamare la polizia...".
Dominick si inventò una cosa su due piedi. "In.. In giro, avevo bisogno di schiarirmi le idee su una cosa personale..."
Lei si staccò e con la voce tremolante, disse: "Avvisami la prossima volta, non immagini quanto sia stata in pensiero".
Lo fece entrare in casa e dopo essersi fatto la doccia, Sheila lo tempestò di domande alle quali Dominick fu costretto a rispondere bugie: non poteva certo dirle che era andato alla fabbrica abbandonata a farsi di eroina.
"Per caso hai litigato con Steven?. Chiese d'un tratto Sheila, erano entrambi seduti a tavola, con la tv accesa che faceva da sottofondo alla conversazione.
"Più o meno... Perché?". Chiese preoccupato Dominick.
"Beh, è strano. È sempre rinchiuso nella tua stanza, prima non è nemmeno venuto a salutarti..."
"Aspetta, è qui in casa?" Chiese Dominick spalancandi gli occhi, Sheila annuì, così Dom su alzò e le sussurrò all'orecchio.
"Vado a parlargli, allora".
Lei si voltò verso di lui. "Hai cenato per strada? Sono le nove passate".
Dom le disse di si anche se non era vero, le dette un bacio sulla fronte, poi entrò nella propria stanza: era di nuovo tutto in ordine, i propri disegni ordinati sul mobile accanto alla porta, le lenzuola pulite e l'odore di detersivo inebriava l'olfatto del ragazzo. Steven era seduto nel piano inferiore del letto a castello a leggere un libro che mise sul cuscino appena vide Dominick sulla soglia.
"Steven...". Sussurrò il moro.
"Dominick". Disse il biondo, serio e deciso.
"Siediti, devo parlarti un momento". Aggiunse con lo stesso tono di voce, Dom era spaventato, ma decise di restare impassibile, di affrontare la situazione da adulto, così alle spalle e si sedette accanto al ragazzo, poggiando lo zaino a terra.
"La nostra relazione finisce qui".
Cinque parole. Bastarono cinque parole per distruggere Dominick e la cosa peggiore era la voce fredda, calma e spietata di Steven che lo guardava freddo negli occhi.
Dominick sentiva un terremoto dentro di se, ma riuscì a restare impassibile e a sostenere lo sguardo del ragazzo che amava.
Steven continuò il suo discorso: "Io non volevo stare con un drogato, non mi fido di loro. Credevo di essermi messo con un ragazzo dolce, divertente, sensibile, intelligente, ma mi sono sbagliato.
Ho creduto di potermi fidare di te, di essermi messo con una persona responsabile, ma tu sei innamorato dell'eroina ed io non voglio essere preso per il culo da uno che un giorno mi dice una cosa ed il giorno dopo ne fa un altra."
Quelle parole avevano fatto a fettine il cuore di Dominick il quale non era riuscito a trattenere le lacrime che scivolavano sul proprio volto impassibile.
" Mi stai lasciando, okay. Ora posso dormire? Sono stanco".
La voce di Dominick era roca per la tristezza che provava in quel momento. Guardava gli occhi bellissimi e glaciali di Steven, si chiedeva come facesse a rimanere così insofferente.
"Certo, dormo qui sopra. Buonanotte".
Steven si alzò e Dominick non riuscì a trattenere un "Vaffanculo" sottovoce che di sicuro il biondo aveva sentito chiaramente.
Dominick si spogliò con gesti meccanici, le proprie mani non la smettevano di tremare, anche sotto le coperte continuava a tremare e non per il freddo, aveva un terribile bisogno di piangere .
Aspettò qualche minuto, Steven il quale dormiva nel letto sopra al proprio iniziò a russare leggermente.
Dominick soffoccò la faccia nel cuscino ed iniziò a piangere come non aveva mai fatto prima.
La cosa peggiore era che Steven aveva ragione.
Dominick desiderava tanto farsi un buco nel braccio in quel momento.

 

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Capitolo 11
*** Esplosioni interne parte 1. ***


La sveglia, svegliò bruscamente Dominick, il quale la spense quasi con violenza, si alzò e senza controllare che Steven si fosse svegliato o meno, andò in bagno a sciacquarsi la faccia, poi andò in cucina: eccolo li, stupendo come un raggio di sole a mangiare una brioches al tavolo mentre chiacchierava con Sheila. Dominick prese una brioches e si mise a sedere di fronte a lui. "Buongiorno, Dom. Se oggi non ti va di andare a scuola, resta pure qui a casa". Disse premurosa sua madre mentre sorseggiava il suo thè. "No, ci vado, non preoccuparti. Almeno mi distraggo un pò". Rispose lui sorridendole. "Distrarti da cosa, da me?". Chiese Steven con voce acida. "No, stupido. Ho un sacco di cose per la testa, la scuola mi serve per distrarmi". Disse Dom, guardando male Steven, poi continuò a mangiare, cercando di far finta di nulla, come aveva sempre fatto. In quel momento sembrava così difficile nascondere le proprie emozioni: come mai? Solo perchè il ragazzo che aveva sempre amato, ora lo aveva scaricato? C'era anche sua madre seduta con loro e non voleva si preoccupasse, quindi fece un sospiro silenzioso e si mise a guardare la propria brioches ripiena di marmellata che veniva lentamente divorata. "Uhm... Immagino quanti pensieri possa avere un diciassettenne che dovrebbe solo pensare a studiare". Disse Steven, guardando in faccia Dom come per cercare qualche traccia di approvazione sul suo viso che non trovò. "Chiamami quando decidi di farti i cazzi tuoi". Sbottò Dominick il quale aveva appena finito di mangiare, bevve un sorso d'acqua e poi andò in camera a vestirsi per la scuola. Sheila non aveva proferito parola, ma aveva osservato il comportamento dei ragazzi, lasciandoli interagire tra loro. Quando Dominick uscì dalla propria stanza con lo zaino in spalla, lei era già andata a lavoro e Steven stava prendendo un caffè. "Fa come se fossi a casa tua". Disse acido Dominick mentre gli passò accanto, spingendolo quel tanto che bastava a fargli rovesciare addosso il caffè. Sentì Steven imprecare, poi la sua mano stringere la propria spalla. "La smetti di fare lo stronzo?". Dominick si voltò verso di lui nel sentire la sua presa e gli rispose: "ieri sera mi hai trattato come una merda. Ti sto solo restituendo il favore. Ora lasciami, devo andare a scuola". Riuscì a vedere uno sprazzo di autocommiserazione negli occhi del ragazzo, poi lo lasciò andare e Dominick uscì finalmente da quella casa. Non vedeva l'ora che Steven se ne andasse da li, ma d'altronde, dove altro sarebbe potuto andare? Dominick iniziò a mordersi il labbro inferiore per il nervoso, una cosa che faceva sempre quando era sotto stress, sapeva che da una parte si meritava ciò che gli aveva detto Steven la sera prima, ma allora perchè si sentiva così offeso, tradito? Perché avrebbe tanto voluto che lui gli fosse stato accanto, che almeno lui lo avrebbe sostenuto, o almeno sopportato. Entrò a scuola ancora più nervoso di prima, con la testa piena di domande ed il cuore che voleva solo le attenzioni di Steven. Ne era ancora innamorato, lo sarebbe stato sempre. Entrò in classe e si sedette nel solito posto, accanto a Debbie, la quale però non lo salutò nemmeno. "Ciao, Debs". Sussurrò lui prima che entrasse il professore di diritto. Lei si voltò verso il muro e sospirò, quindi Dom decise di lasciarla stare, ma gli faceva così male vederla in quello stato ed era solo a causa propria. Le prime due ore trascorsero ed i due ancora non si erano rivolti una parola; a lezione di arte, lei a malapena gli chiese in prestito una matita che lui le cedette volentieri, con un sorrisone a trentadue denti stampato tra le labbra, che lei non ricambiò. Stavolta fu Dominick a sospirare. Per fortuna, in quelle due ore potevano fare un disegno libero e Dom sfogò parte della sua tristezza disegnando un temporale in un bosco che la professoressa valutò con un nove, mostrando con orgoglio il disegno del ragazzo alla classe. Ma lui non era affatto felice. Avrebbe voluto bruciare quel disegno che smascherava tutta l'agonia e la tristezza celate dentro di se. Anche all'intervallo, le labbra di Debbie non si mossero, o almeno non per parlare con lui. Finite le lezioni, Dominick percorreva a sguardo basso il lungo corridoio di quella scuola che aveva sempre odiato, da solo, senza nessuno accanto che gli facesse sfuggire dei piccoli sorrisi, si sentiva così solo, così vulnerabile. Fuori dalla scuola, alla fermata dell'autobus, era da solo, quindi si accese una sigaretta per distrarsi, per cercare di buttare fuori dal proprio corpo quei tristi pensieri che gli soffocavano l'anima. Sentì qualcuno rubargli la sigaretta e si voltò, sperando che fosse Debbie, ma erano Ethan e Paul, i due bullo che lo perseguitavano, così sospirò e guardò i due energumeni. "Che cazzo volete oggi? Non ho soldo con me". Disse con voce dura e secca. "Uh, hai visto Paul? La fighetta è girata male oggi". Esclamò Ethan dando un colpetto sulla spalla a Paul, il quale fumava la sigaretta di Dominick. "Povero finocchio non l'avrà preso in culo oggi". Dominick decise di ignorarli, quei due erano dei semplici parassiti della società, creati solo per importunare il prossimo, quindi si sedette sulla panchina della fermata, aspettando l'autobus e restando indifferente. "Ti credi più furbo di noi ad ignorareci, mh?". Disse Ethan, sprezzante. Paul prese la mano di Dom e vi spense sopra la sigaretta, il ragazzo si morse forte il labbro inferiore per non urlare di dolore, per non darla vinta a Paul. Quindi, Paul prese Dom per il colletto della maglia che indossava sotto alla giacca nera, costringendolo a farlo alzare e a guardare la sua brutta faccia. "Guardami, stronzo. Sei solo una merda". Dominick guardò gli occhi scuri del suo aguzzino, colmi di stupidità e ignoranza, ma restò indifferente. Paul lo scosse, dicendo a voce alta: "Che hai fighetta? Sei depresso?". Ethan si mise a spintonare Dom, il quale era ancora sotto la presa dell'altro. "Fai l'indifferente oggi? Ti faccio vedere io!". Ethan sferrò un pugno che finì dritto sulla guancia di Dominick, lui emise solo un piccolo verso di dolore, ma ormai ci era abituato. "Avanti, parla!". Disse Paul spingendo Dom, il quale finì contro la panchina, dove si lasciò scivolare fino a sedersi. "Dai, andiamo a vedere se Leonard ha qualche soldo, di questo rincoglionito non ce ne facciamo niente". Disse Ethan spingendo Paul, il quale annuì. Prima di andersene, Paul sputò ai piedi di Dominick, insultandolo ancora, poi quando se ne furono andati, Dom sputò un fiotto di sangue per terra. La giornata poteva andargli peggio di così? Decise di prendere l'autobus che sarebbe passato mezz'ora dopo, aveva bisogno di chiamare Daniel, sentiva che non avrebbe più sorretto quella giornata per un altro istante, non senza farsi un buco sul braccio. Prese degli spiccioli dalla tasca e mentre il telefono della cabina squillava, si massaggiò la guancia sinistra, dove aveva preso il pugno ed i propri occhi osservavano bruciatura di sigaretta sul dorso della mano. "Pronto?". Rispose la voce di Daniel. "Ehi, sono Dominick. Hai qualcosa per me?". "Poca roba, vengo a casa tua?". Dominick rispose di si, sua madre sarebbe tornata per cena, se non dopo. "Va bene". Rispose Daniel per poi aggiungere: "stai bene? Ti sento un pò strano oggi". "Beh, non ti chiamerei se stessi bene, no?". Rispose lui, strappando un'amara risata a Daniel, il quale rispose in un sospiro. "Hai ragione. Passo verso le cinque, a più tardi". FINE PRIMA PARTE.

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Capitolo 12
*** Esplosioni interne parte 2. ***


Arrivato a casa, Dominick controllò nelle poche stanze che non ci fosse Steven e dopo che ne ebbe avuto la conferma, lanciò lo zaino accanto al letto, nella propria stanza, poi si sedette per terra, poggiato con la schiena al letto e si mise le mani tra i capelli scuri, iniziando a piangere. Aveva ragione Steven. Dominick non era altro che un drogato. Non meritava una persona come lui. Prese un foglio e mentre continuavano a scivolare le lacrime dal proprio viso pallido, disegnava il volto del ragazzo che amava in varie espressioni: felice, arrabbiato, esaltato, ma solo un disegno gli venne meglio e Steven aveva dipinta in volto l'espressione che Dominick non si sarebbe mai scordato: quell'espressione calma, fredda ed indifferente che aveva la sera prima mentre lasciava Dom e con quelle cinque parole, semplici e distruttive come una bomba. Il foglio era inzuppato dalle lacrime, così lo accartocciò e lo gettò in un angolo della stanza, si asciugò le lacrime ma fu inutile, continuavano a scendere imperterrite, come una disperata corazza, umida, invisibile, sofferente. Si sentiva così dannatamente solo in quel momento, aveva tanta voglia di mandare a fanculo tutto e tutti, andare in un posto lontano e non tornare mai più. Ma così non avrebbe più visto le due persone che amava di più al mondo: Steven e Sheila. Voleva smettere con l'eroina, in fondo aveva iniziato da poco, ma ne sentiva il bisogno. Con quella droga tutto sembrava andare meglio. Si alzò e fece qualche passo, arrivando al cassettone vicino alla porta, dove teneva tutti i propri disegni e qualche dipinto fatto nelle uniche due ore di arte a settimana che gli concedevano a scuola. Un disegno fatto col carboncino attirò la propria attenzione e lo prese tra le mani per poterlo osservare meglio: raffigurava un uccellino bianco, in una gabbia nera come pece, l'uccellino guardava la luce del sole che gli scaldava il corpicino dalla finestra di fronte, aveva uno sguardo affranto, così malinconico... Dominick si sentiva come quel volatile, incastrato a forza in quel luogo ed incapace di uscirne, in trappola. Gettò il disegno per terra e non poté fare a meno di piangere ancora, non sapeva cosa fare della propria vita e che senso aveva vivere senza un obiettivo, uno scopo? Salì lo scaletto del letto a castello e si sdraiò, posando la testa sul soffice cuscino e nel sentire l'odore di Steven su di esso, strinse forte gli occhi per non piangere ancora, poi abbracciò il cuscino a se e stanco del dolore che provava in quel momento, si addormentò senza nemmeno accorgersene, ma con un piccolo sorriso sulle labbra perchè l'odore del ragazzo che amava, gli inebriava l'olfatto. Fu svegliato un'ora dopo, dal campanello. Andò ad aprire e si ritrovò davanti Daniel. "Ciao Dominick, come va?". "Uhm... Una merda". Ammise. "Ma ci sto facendo l'abitudine, entra pure". Si spostò per far entrare il ragazzo, poi chiuse la porta ed andò a sedersi su una sedia del tavolo nella piccola cucina. "Sembri a pezzi". Commentò Daniel. "Mi sono svegliato adesso, scusa se devi vedermi in queste condizioni, immagino di non essere un bello spettacolo". Disse sospirando, tenendo lo sguardo basso sul tavolo in finto legno. Daniel si sedette davanti a lui, dandogli un buffetto sulla spalla. "Ehi, non preoccuparti. È il tuo morale che mi preoccupa, non il tuo aspetto". Dominick si stropicciò una palpebra, poi posò gli occhi su quelli di Daniel. "Avanti, io ti do i soldi, tu la droga, poi te ne vai. È così che funziona, no?". La voce del ragazzo non era molto amichevole e Daniel se ne era accorto. "Abbassa la cresta, piccoletto". Disse lui rimproverandolo, poi aggiunse: "Sono venuto fin qui per te, quindi non trattarmi come una merda". Dominick ridacchiò: "ma stai zitto, sei qui solo perché ti pago, quindi smettila di fingere di preoccuparti". Daniel sbuffò, poi mise sul tavolo una bustina trasparente con la droga all'interno. "Questa te la offro io, ma cerca di fumartela. In vena sei cinque volte più a rischio di overdose". Il moro sospirò e si mise in tasca la bustina, non si aspettava tanta gentilezza da una persona che a malapena conosceva. "Grazie. Sei sicuro che non vuoi nulla?". Daniel scosse la testa e con voce seria, disse: "aspetta a ringraziarmi. L'eroina distruggerà te e tutto ciò che è il tuo mondo. Fa attenzione, Dominick. Non sai mai quale dose sarà mortale". Gli occhi verde chiaro di Daniel non erano mai stati così seri, di sicuro nr aveva passate molte e non voleva che succedesse lo stesso a Dominick, il quale lo stava a sentire. "Anche tu te la sei fatta in vena, no?". Ricordava al rave che aveva qualche buco sul braccio. "Si". Ammise Daniel. "Fumo eroina da troppo, ormai non mi fa più l'effetto di prima e ora devo sparmela in vena per sentire il suo effetto. Tu a quanti buchi sei?". Chiese Daniel mentre dalla tasca della giacca tirava fuori diverse pillole contenute in diversi barattolini che si potevano trovare in farmacia. "Sono a tre. A volte mi capita di...". Daniel lo interruppe. "Volerti bucare spesso? Tremare? Bene, ti do il benvenuto nel mondo della dipendenza dall'eroina". Ovviamente lo disse in modo sarcastico. Dominick guardava quei piccoli barattolini cilindrici sul tavolo, un pò curioso. Dominick gliene indicò uno bianco: "questa è morfina, poi c'è il metadone. Se li hai in casa, potresti anche prenderti Valium, Tylenol, marijuana... Qualunque cosa che addormenti il corpo o i sensi andrà bene. Tieniti preparato perchè una crisi d'astinenza dall'eroina è una delle cose più brutte al mondo". Gli occhi di Daniel erano severi, Dominick lo aveva ascoltato con attenzione e sapeva di essergli debitore, così prese una ventina di sterline dal portafogli "accetta questi, per favore. Sono per il disturbo...E per le indicazioni che mi stai dando". Daniel fece no con la testa, respingendo il denaro "Credimi, mon mi devi nulla. Meglio che tieni per te quei soldi perchè quando avrai la tua prima crisi l'astinenza, vorrai vendere anche tua madre pur di fumare e bucarti ancora". Dominick lo ascoltò e si rimise i soldi in tasca, poi mentre Daniel gli dava alcune di quelle pillole, Dom vide Steven entrare a casa, il quale vedendo cosa stavano facendo i due, disse: "oh, ecco Sid e Nancy". Era palesemente sarcastico e a Dom sembrava che avesse bevuto. "Lo sto aiutando, Steven". Lo ammonì Daniel. "Certo, dandogli altra droga". Posò le mani sulle spalle di Daniel, il quale sbuffò nel sentirle. "Di solito i drogati non dovrebbero andare in centri di disintossicazione per essere aiutati?". "Steven, basta...". Sbuffò Dominick. "Puzzi di alcool". Borbottò Daniel. "E voi puzzate di buchi sulle braccia". Ribattè Steven, appoggiandosi col gomito ad un bancone della cucina, dietro al tavolo. Dominick non avrebbe nemmeno voluto vedere Steven in quel momento, invece era li, in casa sua, a ricordargli che stava facendo la cosa sbagliata, che non era altro che un tossico. Si alzò e si diresse verso Steven, era stanco di lasciarsi sottomettere, di accettare ogni cosa come un cane obbediente. "Perchè non vai a farti un giro invece di rompere le palle? Ti ricordo che questa è casa mia". Aveva la voce calma, non so sentiva agitato per lui, ma era parecchio irritabile, Dom aveva bisogno della droga, sentiva il suo corpo che la richieda in continuazione. "Wow. Ti serviva l'eroina per farti cacciare le palle?". Lo sbeffeggiò Steven, il quale lo sfidava con lo sguardo. "Sono d'accordo con Dom". Disse Daniel. "va a smaltire la sbronza, Steven". Il biondo guardò entrambi, sapeva che si stava mettendo in una brutta situazione, così si diresse verso la porta d'ingresso dicendo: "dovreste disintossicarvi invece di buttare le vostre vite così, coglioni". "Dacci tu i soldi per entrare in una clinica, sbronzo viziato". Disse Daniel un attimo prima che uscisse fuori. Una volta rimasti soli, Dominick aveva nascosto le pillole e la dose nella propria stanza e stava fumando una sigaretta com Daniel . "Grazie ancora per non avermi fatto pagare nulla". Disse Dom, spuntando fuori il fumo della sigaretta dalla finestra della propria stanza. "Quelle pillole potrebbero aiutarti e farti smettere, mentre la dose ri trascinerà nell'abisso della tossicodipendenza. La scelta sta a te, Nick". Daniel guardò per un momento il ragazzo accanto a se negli occhi, sapeva che lui poteva farcela, era forte abbastanza, ma si arrendeva facilmente. Dominick aveva bisogno di persone che lo aiutassero, che gli stessero vicino. "Probabilmente farò la scelta sbagliata" sospirò Dom. Daniel non gli rispose, si limitò a fare un tiro dalla sigaretta, sospirando nel cacciare fuori il fumo, lasciando cadere il discorso. "Senti, ma tu e Steven non stavate insieme?" "Mi ha lasciato ieri". Disse Dominick con un timbro di voce chiaramente triste. "Ero scappato per qualche giorno di casa e lui non me lo ha perdonato. Oltre al fatto che ai suoi occhi, ora sono solo un drogato del cazzo". Dom gettò il mozzicone dalla finestra, Daniel lo osservava, cercando di vedere cosa si celava dietro quegli occhi blu, ma ci vedeva solo tanta, troppa tristezza. "Ora ci parlo e poi vado via. Credo sia sul pianerottolo, prima l'ho sentito urlare con qualcuno". Dom si voltò verso Daniel e un piccolo sorriso spuntò sul suo volto magro. "Lo faresti davvero?" era emozionato, ma non lo dava a vedere, come se non volesse sperare troppo. Daniel ricambiò il sorriso "certo. Non voglio che tu finisca da solo come me, Nick. A volte qualcuno che ti abbraccia nei momenti peggiori, può rendere anche la morte piacevole". Daniel era uscito dalla casa di Dominick e come sospettava, trovò Steven seduto su un gradino malandato del pianerottolo, così si sedette accanto a lui, il quale non aspettò a tirargli una frecciatina. "Mi spiace, non ho sostanze letali con me". Daniel sbuffò. Conosceva Steven da anni e ormai sapeva come era fatto, quindi non gli dette corda e passò subito al punto. "È un bravo ragazzo, Steven. Ritorna con lui, ha bisogno di te". Steven guardò Daniel come se fosse un alieno, poi sputò per terra. "Ma chi sei tu, la mia mammina?". "No, brutto coglione. Smettila di fare la parte dell'adolescente che si ubriaca perchè gli è morto il cazzo di pesce rosso. Tu non sei diverso da me e Dominick, Steven: sei esattamente uguale a noi. Fai vedere che non ti importa ma appena giri l'angolo, inizi a bere per stordirti, per liberarti dai tuoi sensi di colpa e per scegliere di essere chi cazzo ti pare". Steven, incredibilmente stava ad ascoltare Daniel e lui sapeva che Steven si era pentito di aver lasciato Dominick, ecco perchè era tornato ubriaco, ecco perchè perché se la stava prendendo con lui. "Steven, non lasciare che Dominick si distrugga con quella roba. Sappiamo entrambi come riduce le persone, io continuo a smettere e a ricominciare, credo che non riuscirò mai a liberarmene. Un giorno mi addormenterò e sarò morto. Vuoi lasciare che Dominick faccia la fine che farò io? Dimostragli che ci sei per lui, che non lo abbandonerai e dagli la forza che a lui manca. E soprattutto, Steven, dimostra a te stesso che non sei un rinunciatario, che scegli la vita all'autodistruzione". Daniel riprese fiato, poi si passò una mano tra i capelli spettinati, tinti di un biondo molto chiaro, quasi bianco. "Da quanto sei così profondo, Dan?" chiese Steven guardandolo, accennando un sorriso. Il ragazzo si alzò e ingoiò un paio di pillole di morfina. "Da quando ho capito che per me non c'è più speranza, Steven". Anche lui si alzò e abbracciò forte il suo amico. "Scusa se prima ho fatto lo stronzo. Ci sono sempre per te, lo sai". Daniel sospirò e si lasciò stringere, poi una volta salutatisi, Steven tornò dentro e quando aprì la porta della stanza di Dominick, lo vide sdraiato sul letto, c'era uno strano odore nella stanza, ma sapeva già di cosa si trattava. "Perchè sei quì?" chiese Dominick, gli occhi lucidi, strafatti dall'eroina che il ragazzo aveva appena fumato. Steven detestava vederlo in quel modo, nella sua spirale personale di autodistruzione, ma si era promesso che gli sarebbe stato vicino. Drogato o no, era sempre il ragazzo che amava e non voleva più abbandonarlo. "Ho parlato con Daniel...". Sentirono il telefono squillare e Dominick non era in condizioni di rispondere, così Steven andò in cucina e rispose al posto suo. "Salve, casa Clayton". Dall'altra parte, una voce femminile e professionale: "salve, sto parlando con il signor Whitlock?". Steven era confuso, chi sapeva oltre a Dominick e a Sheila che lui al momento, viveva li? "S-si, con chi parlo?". "Mi chiamo Anne Gerald, la chiamo per avvisarla del fatto che sua madre Claire Whitlock si trova in ospedale, ha una frattura alla gamba e chiede espressamente di lei".

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Capitolo 13
*** Astinenza e dipendenza. ***


Steven correva. Pensava solo a correre, più veloce del vento, più veloce dei propri pensieri, i quali non facevano altro che creare e ricreare immagini di come sarebbe potuto essere l'incidente di sua madre Claire, perciò pensava a correre, perchè quei pensieri lo spaventano. Non aveva avvisato nessuno, solo a Dominick aveva detto un velocissimo: "devo andare subito da mia madre, a dopo". Probabilmente si sarebbe preoccupato, ma ora nella testa del ragazzo c'era solo sua madre. Arrivato all'ospedale, il ragazzo fu accompagnato da un'infermiera nella stanza dive era ricoverata sua madre, lui le rivolse un enorme sorriso nel vederla e quando furono lasciati soli, lui corse subito al suo capezzale e baciò una guancia della donna, la quale anche senza trucco, i capelli fuori posto e il camice per i pazienti, risultava sempre bellissima. "Mamma... Cosa è successo?". Chiese lui, poi si sedette su una scomoda sedia pieghevole che si trovava li vicino e strinse la mano di Claire, la quale ricambiò la stretta. "La prima cosa che devi sapere è che hanno arrestato James, è stato lui a spingermi dalle scale e l'anziana donna che vive di fianco a noi con le sue sorelle ha visto tutto". Mentre lei riprendeva fiato, Steven si prese qualche secondo per assimilare la notizia che gli era appena stata data. "Non so quando uscirà...". Sussurrò Claire credendo che la notizia avesse dato dispiacere a Steven, il quale rise, quasi isterico. "Spero mai. Merda, doveva andarci molto prima in prigione, mi sarei goduto di più la vita". Claire ridacchiò e si sporse appena per accarezzare la guancia del figlio. "Perché non mi hai mai detto che hai un ragazzo, piccolo mio?". Steven fece una smorfia e si spostò una lunga ciocca bionda dietro all'orecchio. "Mamma... Non è il momento giusto. Quando ti fanno uscire da questo buco degradato? Ti trattano bene?". Lei rise ancora ed annuì. "Certo che mi trattano bene, credo mi dimettano tra una settimana o meno". "Ti verrò a trovare ogni giorno". Disse subito Steven. "Basta che mi porti dei fiori profumati. Non sopporto quest'odore di stanza sterilizzata, è così noioso". Lui rise appena, poi le baciò una guancia. "Domani ti porterò dei bellissimi girasoli, tulipani, margherite, tutto ciò che vuoi". "Steven". Sussurrò lei guardandolo negli occhi, poi continuò: "io so che ti senti in colpa per essertene andato senza di me. Credo sia giusto così, forse è una lezione, la quale cerca di dirmi che la prossima volta dovrò darti ascolto". Lui la guardò negli occhi del suo stesso colore e le accarezzò il viso. "Mamma, qualunque sia la ragione, ho sbagliato nel lasciarti da sola con lui". "Sapevo a cosa andavo incontro, quindi basta scuse". Sussurrò lei, accarezzando il bel viso di suo figlio. "C'è una cosa che devo dirti e non so se ti piacerà". Steven non sapeva cosa aspettarsi da lei, la sua voce si era fatta molto seria, gli occhi erano puntati sui propri. Si sistemò meglio sulla sedia e strinse la mano della madre. "Dimmi pure, sono in ascolto". Sussurrò lui. Lei abbassò lo sguardo e riflettè su ciò che doveva dire al ragazzo per qualche secondo, nella stanza si respirava una strana atmosfera di ansia ed attesa. "Avrei dovuto dirtelo molto prima, tesoro ma questo è il momento giusto". Si prese una pausa per poi finire il discorso, Steven continuava a fissarla, aspettando che finisse. "James non è il tuo vero padre, Steven. Ecco perché ti ha sempre trattato male. A diciannove anni, quando partorii te, ero innamorata di lui, ma anchedi Raymond, il tuo vero padre". Steven rimase per qualche secondo pietrificato dalla notizia, non ce l'aveva con sua madre, anzi era ben felice di non essere figlio di quello stronzo che si era spacciato per suo padre in quei lunghi diciannove anni. "Steven...?". Sussurrò Claire, preoccupata Lui scosse per un momento la testa, poi sorrise alla madre. "Mamma, potevi darmela a Natale una notizia così bella!". Disse accennando un sincero sorriso, anche lei rise. "Il mio nuovo padre non è stronzo come James, vero?". Claire sorrise di nuovo, rincuorata dal fatto che a suo figlio faceva più che piacere ricevere una notizia del genere. Scosse appena la testa, in segno di dissenso e sussurrò: "no... A meno che non lo sia diventato negli ultimi mesi. Ci vediamo una volta all'anno, per aggiornarci sulle nostre vite, a tuo padre dico sempre che vado a una cena di lavoro". Steven la ascoltava, non giudicava affatto sua madre, ma c'era una cosa che non capiva e stava per chiederlo a lei, ma non fece in tempo ad aprire bocca che venne interrotto. "Prima che tu me lo chieda, sono sei anni che non ci vado a letto, ora ha una famiglia". Lui rise e scosse la testa. "Beh, avresti potuto continuare. Il mio patrigno di merda se le è sempre meritate le corna. Ciò che volevo chiederti è come mai tu abbia scelto James invece di Raymond". Lei sospirò, forse si stava ponendo la stessa domanda. "Semplicemente la vita, credo". Fece spallucce, poi proseguì. "I miei genitori volevano che mi sposassi con un uomo che avesse un buon lavoro ed una buona famiglia. Raymond ai tempi, a malapena riusciva a pagarsi l'università, non lo vedevo quasi mai perchè era sempre a lavoro per pagarsi gli studi. Quindi scelsi James, il quale anche se ora non sembra, ai tempi si comportava da fidanzato perfetto. Dopo esserci sposati, io partorii e lui scoprì che tu non eri suo. All'inizio voleva darti ad un orfanotrofio, sai? Poi io gli feci cambiare idea, ma vedevo che lui ti trattava sempre con odio e disprezzo...". Steven accennò una risata. "Avrei spaccato il culo a tutti in orfanotrofio". Anche Claire rise, poi accarezzò la guancia a Steven con fare amorevole e disse: "sono contenta di averti cresciuto. Sei diventato un ragazzo intelligente e bellissimo, che sa come cavarsela nelle situazioni difficili". Lui si lasciò accarezzare, stringendo la mano della madre. "Credo di non poterti mai dare dei nipotini, però". "Beh, meglio, così invece di dare soldi a Natale ai nipoti, potrò spenderli per un profumo di Chanel". Disse lei ridendo, poi si inumidì le labbra e continuò: "ti vedo bene con Dominick, è un bravo ragazzo, premuroso. Tienitelo stretto, tesoro" Steven le sorrise, poi le posò un bacio sulla fronte. Erano ormai le nove passate di sera Steven camminava per la strada, diretto a casa, o meglio in quella di Dominick e Sheila. Aveva nella mano un'indirizzo, era quello dell'abitazione di Raymond, il suo vero padre. Voleva conoscerlo, scambiarci almeno quattro parole e si promise che lo avrebbe fatto o che almeno avrebbe visto come era fatto il suo vero padre. Una volta in casa, mentre mangiava, raccontava ciò che era successo a sua madre, tenendo per se ciò che gli aveva rivelato Claire, mentre Sheila e suo figlio ascoltavano, preoccupati. Dopo aver mangiato, Steven chiese a Dominick di fare una passeggiata con lui, il quale accettò ed ora eccoli a passeggiare fianco a fianco in quel decadente quartiere, entrambi con le mani in tasca e a debita distanza. "Riprendendo il discorso di qualche ora fa, Dom... Volevo dirti...". Vedeva che Dominick era rassegnato, abbattuto. Camminava con la testa bassa, col cappuccio in testa per mascherare parte del viso. "Dimmi, hai detto che hai parlato con Daniel". Sussurrò Dom. "Si". Ammise Steven. Il biondo smise di camminare, fermandosi sul marciapiede, Dominick si voltò verso di lui, con la faccia confusa. "Ho sbagliato a mollarti in quel modo". Disse in un sospiro Steven. "Avrei potuto restarti accanto e invece me ne sono lavato le mani, oltre ad averti trattato come una merda". Sospirò, stavolta era lui ad abbassare lo sguardo. "Steven, non fartene una colpa. Da una parte me lo sono meritato, dai". Dom fece un piccolo sorriso e Steven ricambiò: era bello vedere anche solo uno sprazzo di felicità sul volto del ragazzo che amava. "Il punto è che ho fottutamente sbagliato". Disse Steven facendo un passo verso Dom, il quale lo guardava con attenzione. "Vorrei dimostrarti che ci tengo a te, più di ogni altra cosa in questo mondo di merda. Voglio starti vicino, nel bene e nel male. Scusa se ci ho messo tanto a capirlo". Dominick, il quale in tutta la sua vita era sempre stato timido, incapace di fare il primo passo in qualunque cosa, decise di avvicinarsi a Steven, poggiare entrambe le mani sulle sue guance e di baciarlo non gli importava delle conseguenze, aveva sempre amato Steven. Steven posò una mano su un fianco del ragazzo e l'altra sulla sua nuca poi ricambiò il suo bacio e proprio in quel momento ricominciò a nevicare. Piccoli fiocchi di neve si posavano sulle loro teste, umidi e delicati. Si trovavano sotto ad un lampione mezzo rotto, che illuminava a scatti l'ambiente, il clima era freddo, ma a loro non importava perché si erano appena ritrovati. Quella notte dormirono insieme, nel piccolo letto, abbracciati l'uno con l'altro, come per paura di perdersi e di non ritrovarsi il giorno dopo, Steven col mento poggiato sulla testa di Dominick, mentre esso era stretto a lui come un koala. Al mattino dopo Steven si svegliò presto, sulle sei del mattino. Dominick dormiva ancora, la sua sveglia per la scuola sarebbe scattata alle sette in punto. Si prese un caffè, poi scrisse un biglietto: 'Ciao principino. Starò via per un giorno o due, devo risolvere un casino di famiglia. Tornerò il più presto possibile. -Steven'. Lasciò il biglietto sul cuscino, accanto al tenero viso di Dominick perso ancora nei suoi sogni. Prese il proprio zaino che riempì con giusto un cambio di vestiti e dei viver, poi una volta fuori dalla casa, si frugò in tasca fino a trovare il biglietto con su scritto l'indirizzo che cercò di tenersi a mente. Mentre era sul pullman, diretto a Liverpool, dove abitava il suo vero padre, Steven non faceva altro che pensare. Avrebbe voluto bere molto volentieri un superalcolico fino a crollare fradicio sul sedile del pullman, ma Daniel lo aveva fatto ragionare ed ora Steven stava cercando di fare a meno dell'alcool. Sapeva che non gli serviva, eppure lo bramava. Aveva troppe domande alle quali non trovava risposta nella testa. Cosa avrebbe detto a suo padre una volta incontrato? Lo avrebbe ripudiato o abbracciato? E Steven avrebbe trovato il coraggio di bussare alla sua porta? Come avrebbe aiutato Dominick a smettere con l'eroina? L'ultima domanda non c'entrava nulla con cio che stava per fare, ovvero conoscere il suo vero padre, ma Dominick era sempre nei suoi pensieri, aveva visto un paio di anni prima il fratello di un suo ormai ex amico morire di overdose e non voleva succedesse lo stesso anche al ragazzo che amava. Ma ora doveva concentrarsi su altri, quindi decise di recuperare le forze schiacciando un pisolino. Una volta nei pressi della città, scese dal pullman, Raymond abitava in periferia, ad un paio di chilometri da Liverpool. Nevicava ancora, ma erano dei piccoli fiocchi di neve che si sarebbero sciolti prima di arrivare al suolo. Visto che erano ancora le nove del mattino e a quell'ora di sicuro Raymond era a lavoro, decise di far arrivare almeno l'ora di pranzo, ma dopo che fu entrato in un bar nei dintorni, seppe dentro di se che avrebbe fatto molto più tardi. Doveva smettere di bere, lo sapeva, ma non riusciva a farne a meno, era più forte di lui e sapeva anche che non era affatto un buon segno se iniziava a bere già dal mattino. D'altronde, la figura paterna che aveva avuto in quegli anni, non gli aveva insegnato nulla di buono. James aveva sempre preteso che Steven sapesse tutto senza insegnargli nulla era sempre stata dolce ed apprensiva con lui, non gli aveva mai indicato il padre come un nemico, una persona da odiare, ma Steven era sempre stato sveglio ed un buon osservatore, quindi capì da solo che doveva difendersi da James e soprattutto difendere sua madre. Erano circa le cinque del pomeriggio, Steven si era appena seduto su una panchina in pietra, proprio di fronte al vialetto che portava alla villetta di Raymond, il suo vero padre. Era molto bella, accanto ad essa vi erano altre due villette, anche esse con un bel giardino e le mura cge sembravano fresche di pittura. Non c'era dubbio, suo padre se la passava bene e Steven era felice per lui. La villetta sembrava avere due piani ed una soffitta, accanto vi era il garage mentre dall'altra parte si trovava un grazioso gazebo verniciato di bianco. Un cucciolo di Golden Retriever stava giocando nella parte di giardino riservata a lui con una pallina da tennis. Sembrava tutto così idilliaco, perfetto. Steven si sentiva un estraneo in quel posto, lui non era cresciuto in un ghetto, anzi si riteneva benestante, ma quella villetta era di certo una spanna superiore alla propria abitazione Vide un'auto nera, costosa e lucida, entrare in quella villetta, diretta al garage, di sicuro era Raymond, quindi Steven si alzò e si passò una mano tra i capelli per sistemarli, controllò che l'alito non gli puzzasse ancora di birra e fece qualche passo verso il cancello della casa, ma si bloccò quando vide tutta la famiglia scendere da quella lucidissima auto nera. C'era suo padre, Raymond vestito con abiti eleganti, era biondo come lui, aveva anche lui una corporatura magra ed alta, come quella di Steven. Poi c'era quella che probabilmente era sua moglie, portava i rosso rame raccolti in una coda ed aveva in mano una valigetta nera, probabilmente si occupava di affari. Un bambino di circa sei anni uscì dal sedile posteriore e subito corse verso il cucciolo che scodinzolava felice. Raymond e sua moglie si scambiarono un bacio, poi raggiunsero il figlio per giocare con il cane. Sembravano così felici, perchè rovinare tutto? Perchè Steven doveva sentirsi in dovere di sconvolgere le loro vite? Perchè nulla era facile per Steven? Non se la sentiva. Non voleva rovinare la vita altrui. Vide che stavano per entrare in casa, Raymond fu l'ultimo, il quale prima di entrare, rivolse un'occhiata a Steven, il quale era in piedi davanti alla panchina. Steven si mise lo zaino in spalla e andò alla fermata del pullman. Che cosa gli era saltato in mente? Perchè aveva deciso di andare a trovarlo, dando per scontato che gli importasse qualcosa di lui? Aveva desiderato così tante volte che James non fosse stato il suo vero padre e finalmente ora ne aveva avuto la conferma. Questo gli bastava per quel momento, per un anno, per tutta la vita. Era già sollevato del fatto che non fosse stato il suo vero padre ad abusare di lui, appena un anno prima. Una volta tornato a Londra, Steven scese dal pullman e fece quei pochi passi che restavano di distanza per andare a casa propria. Quella notte voleva dormire li, aveva bisogno di stare un pò da solo. L'indomani avrebbe fatto una sorpresa a Dominick, andandolo a prendere all'uscita da scuola. Era stato distante da lui solo per un giorno e già ne sentiva la mancanza; anche se non lo dimostrava spesso, dentro di se Steven teneva molto a quella piccola testa di legno di nome Dominick. Quella sera decise di passarla senza bere, ne aveva avuto già abbastanza al mattino e si promise che almeno per un paio di giorni non avrebbe toccato qualunque genere di alcolico. Al mattino dopo, si lavò, poi fece colazione cercando di non pensare al fatto che probabilmente aveva sprecato l'unica opportunità della propria vita di conoscere il suo vero padre Alle due precise del pomeriggio, Steven si trovava fuori dalla scuola del suo ragazzo a fumarsi una sigaretta Allo scoccare della campanella che annunciava la fine delle lezioni, il piccolo cortile si riempì di studenti e Steven tra la folla di ragazzini, non riusciva a vedere Dominick, così iniziò a spintonare chiunque si trovasse davanti per entrare nella scuola. Ed eccolo li, era uno degli ultimi ad uscire, sembrava ancora più pallido del solito e a Steven dava l'impressione che stesse tremando, sembrava che fosse disorientato, stringeva le bretelle del suo zaino, come se dovesse scaraventarlo addosso a qualcuno da un momento alll'altro. "Ehi Dom, sono qui!". Steven alzò una mano per farsi vedere ed il ragazzo sorrise appena nel vederlo. "Ribelle, sei entrato con la sigaretta?". Chiese a fatica il moro, come se parlare gli costasse uno sforzo molto grande. "Ops, che sbadato". Disse Steven ridendo, lanciando con nonchalance il mozzicone nel corridoio, poi strinse a se Dominick un abbraccio forte. "Vuoi che ti tenga lo zaino? Sembri stanco". Posò una mano sulla fronte di Dom per vedere se aveva la febbre, ma l'altro la spostò subito. "Steven... Non qui, ti prego". Sussurrò lui a fatica. "Ma sei bollente, ti senti bene?". Le gambe di Dominick cedettero ed il ragazzo fu costretto a sedersi per terra, il suo corpo sembrava avere le convulsioni per quanto tremava. Steven finalmente capì: Dominick era in crisi di astinenza e sembrava anche sul punto di vomitare visto come gonfiava le guance. Siccome non era rimasto più nessuno nel corridoio, Steven si chinò e sussurrò all'orecchio di Dom: "resta qui, ti vado a prendere della morfina nella prima farmacia che trovo, okay?". Dom poté solo annuire poiché l'attimo dopo rigettò di lato, ai piedi di un armadietto. Steven gli posò un bacio sulla fronte e sussurrò: "ok, ok. Arrivo subito, resisti". Steven uscì dalla scuola in tutta corsa, non si aspettava di trovare Dominick in quelle condizioni, ma non lo avrebbe abbandonato, mai più in vita sua. La farmacia distava poco più di cinquecento metri che Steven si fece di corsa, sia all'andata che al ritorno. Si fermò solo quando si ritrovò davanti alla scuola per riprendere fiato, ma alzando lo sguardo, vide una scena che si sarebbe ricordato a lungo: i tre bulli che perseguitavano di solito Dominick. Tutti e tre ad approfittarsi di lui, uno lo spingeva, l'altro lo trascinava fuori dalla scuola mentre il terzo lo sbeffeggiava. Steven si avvicinò a loro, con passo deciso dicendo loro diverse volte di lasciar stare Dominick, ma visto che non lo ascoltavano, Steven si aprì la giacca di pelle nera e dalla tasca interna, tirò fuori la sua pistola che puntò in aria. "Lasciate stare il mio ragazzo, figli di puttana!". Tolse la sicura all'arma, poi sparò un colpo al cielo facendo scappare i tre a gambe levate.

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Capitolo 14
*** Fuga dal nido. ***


"Ehi Dom, siamo a casa, prendi la morfina". Steven e Dominick erano arrivati a casa di quest'ultimo, il quale era steso sul letto, sul quale lo aveva appena fatto stendere Steven che era intento ad aprire il piccolo barattolo con dentro le pillole di morfina che servivano ad attenuare la crisi d'astinenza del suo ragazzo. "N-non faranno effetto...". Sussurrò Dom in preda ai tremori che scuotevano tutto il suo corpo. Per fortuna, Sheila non era in casa "Almeno provaci a prenderle, dai". Diceva Steven deciso ma mantenendo un tono di voce calmo per non agitare il ragazzo. "Merda... Va bene". Sospirò Dominick, il quale non sopportava più tutti quei dolori nel corpo, era come se ogni sua terminazione nervosa, muscolo e osso fremessero dalla voglia di avere quantità industriali di eroina nel corpo. Era insopportabile. Steven si sedette sul letto, accanto a lui e gli dette due pillole che Dom strinse nel palmo della mano, poi gli passò una bottiglia d'acqua naturale. Dominick sentiva che se avesse ingerito anche solo un sorso d'acqua, avrebbe rigettato il cibo di una settimana intera, ma in quella situazione valeva la pena provare, così con qualche sorso riuscì ad inghiottire le pillole mentre Steven accarezzava i suoi capelli, per dargli conforto, per fargli capire che c'era ed era pronto a sorreggerlo. "Dai, principino. Tra poco passerà tutto, te lo prometto". Sussurrò Steven al suo orecchio, poi posò un bacio sulla sua guancia mentre la sua mano si muoveva rassicurante sulla sua schiena. "Voglio l'eroina...". Sussurrò in risposta Dominick con voce flebile, ormai anche incapace di parlare. Steven continuava ad accarezzare il suo corpo scosso da tremori continui, poi si alzò e prese un plaid dal letto soprastante che usò per coprire il corpo del suo ragazzo fino alle spalle, il quale sembrò apprezzare il gesto. Si rimise accanto a lui continuando ad accarezzarlo, finché una ventina di minuti dopo non si addormentò, così Steven prese una bacinella dal bagno che riempì d'acqua, assieme ad una spugna ed iniziò a lavare delicatamente le sue labbra ed il mento insanguinato, poi una sua mano, anche essa sporca, di terra e sangue. Odiava a morte quei ragazzi che gli avevano fatto del male e mentre sciacquava il suo viso, i suoi occhi lividi ed il suo labbro spaccato, si ripromise che l'avrebbero pagata cara. Dopo aver lavato le sue ferite, lo asciugò e notò che delirava nel sonno, borbottando frasi impronunciabili, di dubbio linguaggio. A Steven scese una lacrima. Detestava vederlo ridotto in quel modo ed essere consapevole del fatto del fatto che l'unica cosa che poteva far stare meglio Dominick, era anche ciò che gli avrebbe tolto la vita. Ma Steven non lo avrebbe lasciato morire. Si ritagliò uno spazio accanto a Dominick e decise di dormire un pò con lui, perchè restare li a pensare, lo avrebbe fatto uscire fuori di senno, quindi posò una mano sul suo fianco e posò la testa tra i suoi capelli, infine si addormentò, scollegando per un pò i pensieri dal resto del mondo. La sera, dopo aver cenato, Dominick prese altre due pillole di morfina, poi raggiunse Steven nella sua stanza, il quale come lui aveva appena finito di cenare e stava fumando una sigaretta davanti alla finestra. "Ehi, tutto bene?". Sussurrò Dom raggiungendo Steven, per poi posargli una mano sulla spalla. Steven si voltò verso di lui ed abbozzò un sorriso. "Piu o meno. E tu hai preso la morfina?". Dominick annuì e diede un bacio sulla guancia al suo ragazzo. "Grazie per oggi. senza di te, non so cosa avrei fatto". Steven ridacchió e fece un tiro dalla sigaretta. "Non avresti fatto un bel niente viste le condizioni in cui ti trovavi". Dominick rise appena. "Hai ragione. Ti faccio preoccupare un sacco". Dominick guardò per qualche secondo fuori dalla finestra, osservava il muro della casa di fronte, pensieroso. "Ehi, vuoi un tiro dalla sigaretta?". Disse Steven vedendo il ragazzo assorto nei suoi pensieri, il quale con un movimento della testa, respinse l'offerta. "Sto diventando un fottuto problema. Una causa persa". Steven gettó la sigaretta, poi guardò Dominick. "Non sei un problema. Ti sei solo smarrito. E ti aiuterò a farcela". "Ad uscire dall'eroina?". Chiese Dom voltandosi verso di lui. "Non sai quanto desideri farmi un buco in vena in questo momento, Steven". Il biondo si morse le labbra, non sapendo come rispondere, quindi andò a sedersi sul letto del moro, il quale fece lo stesso, sedendosi accanto a lui. "Scusami, non dovevo dirlo". "E perché ti scusi?". Chiese Steven voltandosi verso di lui, poi aggiunse: "hai detto semplicemente ciò che pensi, non devi vergognartene". "Non me ne vergogno, ma so che non ti fa piacere sentire queste cose". Puntualizzò Dominick. Steven lo strinse a se, poi posò un bacio tra i suoi capelli. "Ti starò vicino, piccolino. Che tu lo voglia o no". "Uhm... Suona tanto si minaccia". Sussurrò Dom posando la testa sulla spalla del suo ragazzo. Steven ridacchió. "Beh, forse lo è". Dominick ridacchió ancora, poi alzò lo sguardo su di lui. "Piuttosto, dove hai preso quella pistola?" Steven si prese qualche attimo prima di rispondere, poi disse: "l'ho fregata a mii padre qualche mese fa. Ho pensato: meglio che la tenga io piuttosto che lui, il quale di certo non ne avrebbe fatto l'uso che ne ho fatto io oggi". Dominick posò diversi baci sul collo di Steven, mentre con una mano accarezzava i suoi capelli folti. "Mi hai eccitato molto, lo sai?". Steven alzò un sopracciglio, lasciandosi coccolare da lui e sussurrò: "non ti sei spaventato?". Dominick ridacchió a quella domanda mentre continuava a posare dei baci sul collo del suo ragazzo. "Tu tu saresti spaventato se io ti avessi difeso in quel modo?". Steven fece finta di pensarci, poi fece 'no' con la testa, troppo preso dal piacere che gli provocavano i baci del ragazzo per potergli rispondere, così si voltò verso di lui ed accarezzò il suo viso pallido per poi baciarlo, Dom si strinse a lui, insinuando la lingua tra le sue labbra e lentamente, fece sdraiare Steven sotto di se, il quale staccandosi per un momento, sussurrò: "te la senti di farlo?". Ogni volta in cui guardava Dominick negli occhi, sentiva dentro di se che non avrebbe mai trovato nulla di più bello al mondo. "Con te me la sento anche si scalare l'Everest". Sussurrò Dom in risposta, accennando un piccolo e dolce sorriso. Steven gli accarezzò il viso e non poté fare a meno di chiedergli: "quindi per me smetteresti anche con l'eroina?". Entrambi distolsero gli occhi gli uni dagli altri, sospirando. Ma Dominick restava sopra di Steven, poi posò un bacio sul suo petto. "Posso prometterti che ci proverò". Per Steven quella promessa contava molto ed era felice che Dom gli avesse risposto in quel modo, stava a significare che sapeva cosa stava facendo e che era sbagliato ed estremamente dannoso, così si girò verso di lui, stavolta deciso, appassionato ed incredibilmente romantico. Ormai erano entrambi uniti, pronti ad affrontare qualunque cosa l'uno per l'altro, ma in quei momenti, tutti i pensieri e le preoccupazioni si prendevano una pausa, lasciando spazio ai loro corpi, i quali si desideravano a vicenda. Il giorno dopo, Dominick disse a Sheila che sarebbe rimasto a casa, dicendole che aveva la febbre, così una volta andata a lavoro, Dominick cercò di alzarsi dal letto, ma non ce la faceva: il suo corpo tremava come impazzito ed il malessere interiore cresceva. Le proprie pillole di morfina erano sul mobile dove teneva i disegni, le fissava, come se guardandole, si fossero spostate verso di lui, ma non accadde nulla. Non ce la faceva nemmeno ad alzarsi dal letto e purtroppo Steven non c'era, era uscito poco prima per andare a trovare sua madre in ospedale. Qualche minuto dopo, preso dalla disperazione, decise di alzarsi e barcollando, arrivò al mobile, inghiottí tre pillole di morfina senza nemmeno usare dell'acqua e poi si sedette a terra, con la schiena contro il mobile. Non poteva continuare in quel modo. Si sentiva fiacco, estremamente debole, come se tutto il mondo stesse schiacciando il suo corpo. Aveva bisogno dell'eroina, quella lo avrebbe fatto stare molto meglio. A fatica, raggiunse la cucina, dove c'era il telefono di casa e digitò un numero di un albergo che Daniele gli aveva dato la volta scorsa. Uno, due, tre, quattro squilli... Dominick stava iniziando a perdere le speranze, quando al quinto squillo sentì la voce so Daniel rispondere e subito Dom sussurrò con voce tremolante: "e-ehi... Ciao, sono i-in una brutta situazione, avresti q-qualcosa per me?". Dominick si mordeva forte le labbra, per trattenere i tremori che lo scuotevano in tutto il corpo. "Dominick, merda se continui così, finirai come me...". Dom diede un calcio al frigo che si trovava di fianco a lui, non era in vena di discutere, voleva solo iniettarsi quella roba in vena al piú presto possibile, era il suo unico desiderio in quel momento. "Cazzo! Vieni qui e dammi quella merda, i soldi li ho". "Ehi non scaldarti, principessina". Disse Daniel dall'altro capo del telefono con voce sarcastica per poi aggiungere: "tra mezz'ora sono li, fatti trovare fuori". Dominick non ebbe il tempo di rispondergli che Daniel gli attaccò il telefono in faccia, così riattaccò con violenza e tornò in camera, prese quei pochi risparmi che gli erano rimasti e contò e ricontò quei soldi almeno dieci volte. Erano sufficienti per una dose, forse due. Si aggirava per casa, in cerca di un modo per fare soldi velocemente e per un attimo posò lo sguardo sulla stanza di sua madre, ma si allontanò subito mettendo la giacca ed uscendo di fretta: non avrebbe mai derubato sua madre, nemmeno di una sola sterlina. Fare quel gesto, per lui avrebbe significato perdere ogni traccia di dignità. Si fumò tre sigarette di fila prima dell'arrivo di Daniel, girando nervosamente sul marciapiede più e più volte, il tempo passava, i suoi dolori aumentavano. Quando getto la terza sigaretta per la strada, finalmente vide Daniel scendere dal pullman alla fermata vicina, così sorridendo, gli andò incontro e fece per abbracciarlo, ma si beccò uno spintone da parte sua. "Che cazzo fai, stronzo?". Daniel sembrava furioso. "Volevo solo salutarti, calmati". Disse Dominick, vedeva che Daniel si guardava intorno, come in cerca di qualcuno. "Dov'è Steven?". Chiese Daniel, ma Dom era confuso, riusciva solo a tenere lo sguardo fisso sulla busta di plastica che Daniel aveva con se. "Penso... Da sua mamma all'ospedale, ti deve dei soldi?" Daniel vide che Dom fissava la busta, cosí gliela dette, sospirando. "No, volevo dirgli di starti vicino, ma anche lui ha i suoi cazzi a cui pensare. Dominick...". Guardò il ragazzo negli occhi, ma Dom già sapeva cosa stava per dirgli e gli rispose: "lo so che stai per farmi una ramanzina del cazzo, quindi tieni i soldi e levati dai coglioni". Prese i soldi da una tasca e li lanciò addosso al ragazzo, poi gli voltò le spalle e si incamminò verso la casa vicina. "Hai diciassette anni, Dominick. Non buttare la tua vita nel cesso!". Urlò Daniel prima che Dominick entrasse in casa, il quale finse di non sentirlo. Una volta dentro la propria stanza, Dominick rovesciò il contenuto della busta sul letto, c'erano la droga ed un paio si siringhe nuove, sterili. Dopo aver scaldato l'eroina e averla messa nella siringa, si alzò la manica della maglia, scoprendo il braccio magro e pallido, i buchi delle altre volte erano quasi del tutto spariti. Prese un pano dalla cucina e lo avvolse per poi legarselo al braccio, in modo da fungere da laccio emostatico. Già si sentiva meglio a sapere che in meno di un minuto sarebbe stato in estasi e stava per iniettarsi l'eroina in vena quando sentì la porta d'ingresso aprirsi e qualche secondo dopo, si ritrovò Steven davanti, sulla soglia della propria stanza. "Ehi... Che stai facendo?". Chiese Steven con calma apparente, come se stesse cercando di mantenere la calma davanti ad un leone. "Non lo vedi con i tuoi occhi?". Sussurrò Dominick per poi aggiungere: "arrabbiati quanto vuoi, ma sto di merda, ne ho bisogno". "Non mi arrabbio". Promise Steven, facendo un paio di passi verso Dom, il quale era seduto sul suo letto. Dominick, stupito dalla risposta di Steven, alzò lo sguardo su di lui: era stupendo come al solito, ma aveva un'espressione stanca, non per dieci ore di lavoro, semplicemente... Stanco della vita. Ma non stava giudicando Dominick, stava solo cercando si stargli accanto in qualche modo. Dominick sospirò e posò la siringa con all'interno quella mortale sostanza marrone, per terra: non poteva bucarsi davanti a lui. Steven andò a sedersi accanto al ragazzo senza dire nulla, fissando il muro davanti a se, ma si voltò poco dopo sentendo dei singhiozzi di Dominick, il quale aveva preso a piangere silenziosamente, cosí posò un braccio sulle sue spalle e lo attirò a sé. "Perché piangi, principino?". Posò un bacio tra i suoi capelli e Dom si strinse di piú a lui, senza trattenere le lacrime. "Non... Non voglio deluderti... Sto malissimo, Steven...". Parlava col fiatone, quasi biascicava le parole. Steven lo strinse forte a se, accarezzandogli la schiena. "Tu puoi fare quello che ti pare, ma apprezzo il fatto che tu stia resistendo in questo momento per me. Forse è la prova che puoi farcela ad uscirne fuori, che ne dici?". Le parole di Steven erano dolci e calme e Dominick in cuor suo, era davvero grato a lui per non avergli urlato contro. Alzò per un attimo gli occhi su quelli azzurri di Steven, tirando su col naso. "Sono un caso perso. Appena andrai via da questa stanza, anche solo per pisciare... Io mi farò l'ennesimo buco...". Steven accarezzò il viso fin troppo magro di Dominick per asciugargli le lacrime, poi disse guardandolo. "Non mi allontano da te nemmeno per un secondo". Steven era riuscito a non far bucare il suo ragazzo. Prima di tornare a casa, era passato in farmacia a prendere del metadone ed ora Dominick aveva in corpo sia quello che qualche pillola di morfina. Erano le due del mattino e Steven non riusciva a dormire nonostante fosse a pezzi, soprattutto psicologicamente. Era sdraiato accanto al suo ragazzo e lo guardava dormire: in cuor suo, sapeva che non era stato scritto nessun lieto fine per Dominick, ma voleva credere almeno per qualche giorno che sarebbe riuscito a farlo disintossicare. Lui non lo chiamava 'illudersi', ma 'pensare positivo o si finisce per impazzire'. Era così che si sentiva Steven, sull'orlo del baratro, come se quell'angelo che dormiva al suo fianco, presto sarebbe tornato nel paradiso dove meritava di stare. E Steven sapeva che sarebbe uscito fuori di testa se avesse perso Dominick. Il mattino seguente, visto che era domenica, Dom si alzò sulle undici e dopo una doccia veloce, prese subito la propria dose di metadone, il quale serviva a rilassare il corpo e a non fargli sentire gli atroci dolori dell'astinenza dall'eroina. Trovò un biglietto di Steven in cucina, il quale diceva che quel giorno avrebbero dimesso Claire dall' ospedale e che quindi sarebbe tornato a casa per stare vicino a sua madre. Dominick tornò nella propria stanza: c'erano ancora le cose di Steven, quindi sarebbe tornato a riprendersele, Dom era felice per lui ma gli sarebbe mancato molto visto che si stava abituando a dormire con lui. Vide che la siringa di eroina, era finita sotto al mobile dove teneva i propri disegni, era ancora intera, senza nemmeno un graffio... Scosse la testa e sospirò, poi prese alcuni libri di scuola e andò in cucina, cercando di studiare qualcosa, ma la sua testa non faceva altro che pensare all'eroina, alla siringa sotto al mobile, a quanto sarebbe stato meglio dopo essersi fatto un piccolo buco... Il metadone e la morfina erano una merda, cercavano inutilmente di non fargli sentire i crampi alle ossa, ma toglievano l'appetito e dopo aver pranzato solo con qualche boccone di mozzarella, vomitò tutto nel bagno. Provò di nuovo a concentrarsi sullo studio, ma non riusciva nemmeno a capire se stesse studiando letteratura oppure aritmetica, si era scordato persino che giorno fosse; sentiva la testa fargli male, come le ossa che non smettevano di tormentarlo, iniziò anche a sentire freddo nonostante al mattino avesse acceso i riscaldamenti, così andò in camera per mettersi una felpa, poi si sdraiò sul letto perche sentiva la propria fronte scottare, probabilmente aveva la febbre. Ma ecco che il suo sguardo si posò ancora sotto al mobile, dove si trovava quella puntura che lo avrebbe fatto subito sentire meglio, al settimo cielo... Il su sguardo si muoveva tra la droga ed i vestiti di Steven che sbucavano fuori dallo zaino accanto al mobile. Dominick sapeva che non doveva farlo, eppure in quel momento, la scelta sbagliata gli sembrava l'unica da fare. Con un buco avrebbe detto addio all'agonia, addio a tutti quei dolori, addio alla sua sofferenza... Si alzò a fatica, il suo corpo tremava di nuovo come una foglia, non sarebbe riuscito a sopportare un secondo di più senza l'eroina, così prese quella maledetta siringa e poi i laccio emostatico che teneva nello zaino, il quale venne subito legato al suo braccio. Pulì l'ago diverse volte e poi lentamente, si bucò la pelle proprio a metà del braccio che teneva ben disteso ed abbassò lo stantuffo, finché della dose non rimase altro che una siringa vuota, con all'interno qualche goccia di sangue, ancora infilata nel braccio mentre Dominick si sdraiava sul letto, in preda di un'estasi che solo l'eroina sapeva dare, così forte e così intensa, così... Indescrivibile. Sentì la porta d'ingresso aprirsi, ma non gli importava, ne di quello, ne del resto del mondo, era nel suo mondo e non contava altro per lui. La porta della sua stanza, dopo qualche minuto, si aprì. "Ehi tesoro, ieri sera ti avevo stirato dei panni, dove te li...". Era la voce di Sheila, sua madre, la quale non era riuscita a terminare la frase: davanti a lei c'era Dominick sdraiato sul letto, con una siringa conficcata nel braccio, completamente strafatto, io quale aprì lentamente gli occhi ed accorgendosi di sua madre, improvvisamente tornò lucido come non mai. Gettò la siringa a terra e si alzò di scatto, sussurrando "mamma...". Non disse altro, si mise subito a riempire il suo zaino con i primi indumenti che trovava nell'armadio, fino a riempirlo, poi si infilò di corsa le scarpe e la giacca, non voleva vedere l'espressione di Sheila. Sapeva che lo avrebbe perseguitato per tutta la vita, ma dovette affrontarla quando dopo essersi messo lo zaino in spalla, si voltò verso di lei. Sheila aveva lasciato cadere i panni accuratamente stirati per terra, scioccata e paralizzata da ciò che aveva appena visto. Dominick riuscí solo a dire: "m-mi dispiace, mamma... Sono solo una delusione per te". Le passò accanto, lei stava per dire qualcosa, ma Dominick era già uscito in fretta di casa e correva senza sapere dove andare, ne quando fermarsi. Si frigo in tasca e trovò l'indirizzo dell'albergo dove alloggiava Daniel. Correva e piangeva, mentre dei fiocchi di neve danzavano attorno a lui. Aveva deluso tutte le persone che amava. Voleva solo andare via da li.

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Capitolo 15
*** Le notti di Londra. ***


Dominick era arrivato.

Davanti a se non c'era un hotel, ma un motel malandato che sembrava essere più un centro di accoglienza, ma a Dominick andava bene: gli sarebbe andato bene tutto purché fosse lontano da Steven e Sheila.

La propria mente non avrebbe mai cancellato l'espressione sconvolta di sua madre, la quale lo aveva beccato poco prima di farsi di eroina. Nemmeno un milione di successivi ricordi felici avrebbero potuto seppellire la delusine di entrambe le persone che amava.

Fece un enorme sospiro.

Non sapeva cosa stava per fare della propria vita, ma qualcosa dentro di lui, gli diceva che non era nulla di buono.

Entrò in quel sudicio motel da quattro soldi e raggiunse la stanza numero 17, dove alloggiava Daniel, ma non ci fu bisogno di bussare visto che la porta era già aperta: un ragazzo magrissimo stava urlando con una ragazza che indossava solo reggiseno e mutande, anch'essa magrissima, la pelle così chiara che poteva farla assomigliare ad un vampiro.

Dominick non le sentiva nemmeno le loro urla, era stordito dall'eroina e voleva solo gettarsi su un letto per riposarsi.

"Ehi". Disse il ragazzo voltandosi verso Dom. "Sei lo spacciatore?". Dominick scosse la testa e si appoggiò con una spalla al muro malandato.

"Sono... Un'amico di Daniel". Sussurrò Dominick, i suoi occhi sembravano volersi chiudere da un momento all'altro.

"Non hai proprio nulla?". Chiese la ragazza bionda e mezza nuda, avvicinandosi a lui con occhi supplichevoli.

Dom scosse la testa ed l ragazzo sbuffò.

"Che cazzo ci fai tu qui?". Una voce familiare fece voltare di scatto Dominick: era Daniel di ritorno da chissà dove con due buste della spesa tra le mani e delle occhiaie che facevano paura.

"Mia madre l'ha scoperto". Borbottò Dominick mentre Daniel gli passava accanto, il quale poi guardò severo il ragazzo e la ragazza

"Voi che merda ci fate qui fuori? Non possiamo farci cacciare anche da questo buco del cazzo".

Fece cenno a tutti di entrare, così Dominick seguì i ragazzi e chiuse la porta dietro di sé una volta dentro. La stanza non era niente di che: un letto matrimoniale posto sotto ad una piccola finestra, un armadio malandato a sinistra della porta di ingresso che occupava gran parte dello spazio, un tavolino sulla destra ed un materasso rovinato, rubato chissà dove, posto davanti al letto matrimoniale, il tutto pieno di vestiti ovunque e scatolette di tonno e fagioli gettate sotto al letto. Sul tavolino, oltre ad una candela e delle chiavi, spiccavano delle siringhe vuote e\o rotte, alcune con ancora del sangue dentro: di certo nessuno di loro nascondeva la propria dipendenza dall'eroina.

Daniel si sedette sul materasso e si mise le mani tra i capelli argentei, sospirando, poi guardò i ragazzi e disse: "Beh? Che cazzo mi guardate? Fate amicizia col vstro nuovo compagno di stanza".

Fu la ragazza a voltarsi per prima verso Dominick, allungando la mano che lui strinse con una presa fiacca e debole. "Ciao, io sono Samantha, ma va bene Sam. Lui è Vicktor, il mio ragazzo". Indicò il ragazzo accanto a lei col quale stava urlando fino ad un attimo prima e Dom strinse la mano anche a lui. "Io sono Dominick, piacere".

"Dove cazzo lo facciamo dormire?". Chiese Vicktor a Daniel, il quale rispose: "con voi visto che avete l letto matrimoniale".

Samantha stava per lamentarsi, ma Dominick rimediò: "Non preoccupatevi... Daniel, dormo con te se non è un problema".

Daniel sospirò ancora. "E va bene. Non disturbiamo i piccioncini isterici che vogliono dormire assieme".

Prese una delle due buste della spesa e la lanciò a Vicktor che la prese al volo. "Lasciatemi una dose. Icordatevi che domai tocca a voi".

Vicktor e Sam andarono a sedersi sul letto, iniziando subito a prepararsi le loro dosi. "Anche lui dovrà farlo?" chiese Samantha indicando Dom, come se fosse dispiaciuta.

"Fare cosa?". Chiese Dominick, confuso.

"Prostituirti". Rispose Daniel con un tono così indifferente ed ovvio da mettere paura. "Se vuoi continuare a farti come un fegatello. Oppure puoi sempre fare la scelta giusta e smettere di drogarti".

Daniel guardava Dominick negli occhi, sembrava volesse sfidarlo, ma Dom annuì. "Okay. Lo farò".

"Codardo. Non ci provi nemmeno a smettere". Disse freddo Daniel. "Daniel non iniziare a fare lo stronzo. Lo ammonì Sam mentre scaldava il cucchiaio con dentro la droga.

"Se lo merita. Mi ha trattato come una pezza da culo". Rispose Daniel alzando a voce.

"Beh, allora tu non migliori le cose". Disse Vicktor mentre si sparava la dose in vena.

Daniel sbuffò e prese dalla tasca della giacca bagnata dalla neve, una piccola bustina trasparente con dentro della polverina giallastra che mise sul dorso della propria mano per poi sniffarla.

"Che cos'è?". Chiese Dominick.

"Speed. No posso permettermi la coca". Rispose freddamente Daniel, poi si alzò e si mise un cappello di lana che si trovava sul materasso.

"Forza, vieni con me. Ti insegno il mestiere". Prese Dominick per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza, il quale fece appena in tempo a gettare il proprio zaino accanto al materasso. Prima di chiudere la porta, Daniel disse a Vicktor e Sam: "vedete di non fare casino mentre non ci sono e fatevi trovare qui". Chiuse la porta e indicò a Dominick un'altra porta alla fine del lungo corridoio rovinato.

"Quello è il bagno in comune. L'acqua calda c'è solo al mattino, quindi alzati presto se vuoi farti la doccia". Dominick annuì e una volta fuori da motel, si accorse di quanto fosse degradato quel quartiere di Londra: la maggior parte delle persone in giro erano tossici o senzatetto o entrambe le cose. La strada puzzava di rifiuti, piscio e di qualcosa di cui non riconosceva l'odore; i lampioni erano quasi tutti rotti, quindi la luce scarseggiava. Continuava a nevicare.

Dominick seguiva Daniel, il quale finalmente gli aveva mollato il braccio, impegnato a fumare una sigaretta.

"Ascoltami bene perché mi scoccia ripetermi". Disse Daniel in un tono che non lasciava spazio ad obiezioni, poi proseguì dopo ver fatto un tiro dalla sigaretta, mentre continuava a camminare, veloce.

"I clienti sono soprattutto uomini d'affari sposati vecchi o sulla mezza età che non vedono l'ora di scoparsi bei ragazzi giovani come te. Non dire che hai diciassette anni, alcuni potrebbero avere paura che li denunci e perderesti clienti".

Dominick annuiva, mentre Daniel continuava il proprio discorso.

"Di solito, non si azzardano a scendere dalle loro belle auto di lusso, quindi se rallentano, è un segnale, se danno qualche colpo di clacson, è un segnale, se fanno qualche verso o segno di apprezzamento, è un segnale. Claro?". Daniel si volò verso Dominick, il quale continuava ad annuire. "Si, ho capito".

"Bene". Rispose freddo Daniel. Fece qualche tiro dalla sigaretta e poi continuò, come se avesse fatto quel discorso troppe volte.

"Questo tipo di uomini, sono gli unici con cui devi andare. Non fidarti mai di nessuno ed usa sempre protezioni se non vuoi malattie, anche se ti offrono di più per scopare senza il cappuccio. Alcuni ti porteranno in albergo, altri a casa loro, altri ancora, in auto. Non restare mai con loro per più di una notte e cerca di coccolarli poco, altrimenti si affezionano e non te li togli più dalle palle. Se vedi anche in lontananza la polizia, dattela a gambe. Hai capito tutto?".

Dominick annuì.

Avrebbe voluto fare delle domande a Daniel, ma non se la sentiva visto come era freddo nei suoi confronti, quindi si limitò a dire: "grazie".

Daniel gettò il resto della sigaretta in strada, incurante del ringraziamento di Dominick e svoltò in un vicolo che portava ad un parcheggio di un minimarket accanto ad un benzinaio, seguito da Dom.

"Qui di solito c'è poca attività. Il minimarket ha subito diverse rapine e una settimana fa hanno accoltellato un tizio nel parcheggio, ma questo i ricconi che vengono a cercare ragazzini da scopare, non lo sanno".

Si fermarono, sedendosi su un muretto di cemento davanti l minimarket.

"C'è altro che devo sapere?". Chiese Dom, il quale ormai aveva rinunciato a cercare di essere gentile on Daniel.

"Per ora no, poi ti aggiorno se mi viene in mente qualcosa".

"Okay... Quindi ora che ci facciamo qui?". Chiese Dom, il quale iniziava a tremare per il freddo.

Daniel alzò gli occhi al cielo e disse in tono sarcastico: "giochiamo con le palle di neve".

Dominick guardò altrove, sbuffando mentre cercava di scaldarsi le mani, ma Daniel non gli dava tregua. "Secondo te che cazzo facciamo? Le statue? Ti aiuto a rimorchiarne uno, devi pagartela tu la roba. Come facciamo tutti. Io non voglio diventare un entro d'accoglienza del cazzo".

"Si va bene, ho capito". Rispose Dominick scocciato, guardando altrove, così Daniel si alzò e poi si piegò sulle ginocchia, davanti al ragazzo in modo da avere i propri occhi sui suoi.

"Piccolo stronzetto viziato, guarda che ti ci sei messo tu in questo guaio ed è già tanto che ti stia dicendo come fare a bucarti ogni vena che hai in corpo. Ti sto anche offrendo un posto dove vivere, quindi mostrami un po' di fottuta gratitudine o torna da dove sei venuto.

Qu non c'è spazio per le fighette, quindi o ti dai da fare, o muori. E fidati, a nessuno frega niente se crepa un tossico in più. Questo è il fantastico mondo dove viviamo". Fece una risata amaro - sarcastica, poi si alzò e sputò in un mucchietto di neve.

A Dominick era servito quello schiaffo morale che gli aveva appena dato Daniel, gli aveva fatto capire che non c'era più chi si prendeva cura di lui: era solo e quindi doveva cavarsela con le proprie forze.

"Scusa per come mi sono comportato". Disse Dominick alzandosi, reggendo lo sguardo di Daniel. I suoi occhi azzurro ghiaccio sembrarono scaldarsi appena.

Sentirono un clacson e poi un'auto nera e lucidissima avvicinarsi a loro, nel parcheggio. Un finestrino si abbassò e videro un uomo sulla sessantina, col viso curato e un elegante cappotto grigio.

"Ehi, vi va di divertirvi un po', ragazzi?".

Daniel rispose prima di Nick. "Io ho già dato per stasera, ma lui è disponibile per cento sterline con la protezione".

L'uomo ridacchiò, rispondendo: "chi sei tu, il suo pappone?"

"Ti piacerebbe". Rispose freddo Daniel, poi dette una chiave a Dominick, il quale se la infilò in tasca.

"È la chiave della stanza, non la perdere. Ci vediamo più tardi".

"O- okay...". Rispose titubante il moro.

Mentre Daniel andava via, disse ad alta voce: "Ricordati quello che ti ho detto prima!". Dom fece per rispondere a Daniel, ma si era già voltato e camminava veloce verso il motel.

"Dolcezza, sali oppure no?". Chiese l'uomo, allungandosi per aprire la portiera al ragazzo, il quale rispose timido. "S- si, eccomi".

Entrò nell'auto nera che odorava di pelle e deodorante per auto, di quelli che si appendono allo specchietto; si mise la cintura e mentre l'uomo guidava, Dominick guardava dal finestrino il cielo notturno, dal quale cadevano dei fiocchi di neve quasi invisibili, cercando di non pensare a cosa stava per fare.

D'un tratto, l'uomo ruppe il silenzio.

"Stai tremando, hai freddo?".

Dominick si accorse solo in quel momento del proprio corpo che tremava come una foglia, ma in quella macchina non aveva freddo: stava tremando di paura.

"U-un poco...". Riuscì a sussurrare tenendo lo sguardo fisso sul paesaggio. Si fermarono ad un semaforo rosso e l'uomo ne approfittò per toccare la gamba del ragazzo, sfregandola piano su di essa.

"Adesso ci penso io a scaldarti, dolcezza".

Dominick continuava a fissare il finestrino con sguardo vacuo, assente.

Una manciata di minuti dopo, l'uomo parcheggiò l'auto davanti ad un hotel di lusso, nel centro di Londra.

Dominick continuava a tremare, anche se l'uomo lo stringeva a sé, come fosse un oggetto da mostrare a tutti, diretti nella sua suite.

Restò impassibile anche davanti alla lussuosa stanza che gli si presentava davanti: uno spazioso letto matrimoniale con le lenzuola rosso cremisi, la moquette nera e morbida, l'odore di incenso, le candele accese, le tende di seta anche esse dello stesso colore delle lenzuola che coprivano in parte l'ampi balcone illuminato, il sottofondo di musica jazz romantica e sensuale al contempo...

Dominick avrebbe voluto che ci fosse stato Steven lì con lui.

"E' arrivato il momento di scaldarti per bene...". Sussurrò l'uomo vicino all' orecchio del ragazzo per poi sfilargli con dolcezza la giacca che con un tonfo, cadde sulla moquette.

Dominick restava fermo, guardando l'uomo negli occhi, il quale mentre abbassava la cerniera della felpa di Dom, baciava voglioso il suo collo.

Dominick chiuse gli occhi mentre lui continuava a svestirlo.

Immaginava che fosse Steven a toccarlo in quel modo.

"Hai un corpo bellissimo". Sussurrò l'uomo, il quale aveva appena sfilato la felpa a Dom, mentre accarezzava il su fisico magro e snello.

Dominick riaprì gli occhi e dopo un sospiro, disse: "allora, scopiamo o no?".

Voleva solo che quella cosa finisse il più presto possibile, così si tolse in fretta le scarpe e si sbottonò i jeans stretti.

"Vedo che ti sei riscaldato, finalmente". Disse l'uomo con un sorriso trionfante sul volto, convinto che fosse stato merito suo per la reazione di Nick.

Prese il ragazzo per mano e lo fece sdraiare sul letto e mentre iniziava a togliersi gli indumenti, Dom si tolse i jeans, rimanendo in boxer.

"Li hai diciotto anni, vero?".

Dominick si ricordò delle parole di Daniel ed annuì all'uomo sopra di sé che lo fissava, il quale aprì un cassetto del comodino in legno accanto al letto, prendendo una bustina con dentro della polvere bianca che mise sopra al comodino, separandola con il dito mignolo in tre strisce.

Lui si allungò per tirarne una riga col naso e poi disse: "se vuoi favorire...".

Il ragazzo sul momento, scosse la testa e poi sussurrò: "p- pagami adesso, per favore".

L'uomo accennò una risata. "Hai paura che non lo faccia? Ecco a te".

Si slacciò la cintura dei pantaloni eleganti color cachi che indossava e poi prese il portafoglio dalla tasca, dando poi le cento sterline che spettavano a Dominick, il quale le osservò per qualche secondo, riflettendo: per quello schifoso pezzo di carta, stava vendendo il suo corpo e il perché era semplice.

Era un tossico.

"Allora, che aspettiamo?". Disse l'uomo.

Dom scosse la testa e posò la banconota sul comodino, intanto l'uomo sopra di sé, ora era a torso nudo e si stava sfilando i pantaloni.

Più l'uomo si svestiva, più Dominick si sentiva sporco dentro, umiliato dalle sue stesse azioni. Si vergognava di ciò che stava facendo e se ne sarebbe vergognato almeno altre cento volte, ma preferiva quello piuttosto che rivedere ancora quell'espressione sul viso di sua madre.

L'uomo si era tolto anche i boxer e si stava mettendo il preservativo, quindi il ragazzo si voltò sdraiandosi di schiena.

"Scusa, preferisco che tu stia a gattoni, non so se mi spiego..."

"Certo, non preoccuparti". Rispose Dom mettendosi nella posizione richiesta.

Sentì la virilità dell'uomo entrare piano dentro di se ed una lacrima rigò il viso del ragazzo, il quale si accorse improvvisamente di aver bisogno di quella polvere bianca, così mentre l'uomo spingeva dentro di sé, Dom arrotolò la banconota sul comodino e tirò una riga di cocaina.

Dalla sua bocca uscì un verso di agonia che l'uomo scambiò per piacere e di conseguenza, iniziò a spingere più forte, tenendo stretti i fianchi del ragazzo e le gambe strette alle sue, come per tenerlo fermo.

Dominick, col naso sporco di polvere bianca e il proprio corpo venduto per una notte a cento sterline, aveva lo sguardo fisso sulla testiera del letto ad un paio di centimetri dal suo viso e sapeva che più in basso di così non sarebbe potuto cadere.

Sentiva i gemiti acuti di piacere che lanciava quell'uomo sulla mezza età e ad ogni suo affondo, una lacrima scendeva dagli occhi blu di Dominick.

Era riuscito a deludere tutti.

Persino sè stesso.

 

 

 

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Capitolo 16
*** Sarò con te fino alla fine. ***


 

 

Erano passati circa tre giorni da quando Dominick era scappato.

Non sapeva nemmeno se fosse martedì o sabato, se fosse dicembre o erano già nel '78. Non gli importava.

Non gli interessava più di nulla.

Perché era così che lui si sentiva: vuoto, inesistente, nullo.

Scorgeva dalla finestra posta sopra al letto matrimoniale sul quale era steso, una mezza luna perfettamente divisa a metà, il rumore delle auto era diminuito, quindi immaginò che fosse notte fonda, perché solo in quel piccolo lasso di tempo dall' una di notte alle cinque del mattino le auto nn erano così tante.

Gettò la sigaretta che aveva appena finito di fumare, fuori dalla piccola finestra che era aperta per metà.

Non sentiva nemmeno la puzza di fumo o la secchezza nella gola che di solito gli causavano troppe sigarette fumate una dopo l'altra.

Era diventato apatico, indifferente.

"Sei strano". Sussurrò Daniel che era sdraiato accanto a Dominick, strafatto almeno quanto lui.

"Non mi sento trano, mi sento un guscio vuoto". Sospirò Dominick, come se si sforzasse persino di parlare.

"Ti senti come se volessi solo morire? Anche a me capita". Disse Daniel.

"No...". Sussurrò Dom. "Sento di non essere nulla. Il vuoto più totale. Quindi non mi importa nemmeno di vivere o morire".

Daniel gli accarezzò una spalla.

Dominick sbadigliò.

"È il lavoro che fai a farti sentire così. Passerà".

Dom teneva gli occhi fissi sul soffitto ammuffito e marcio.

Accennò appena un segno di dissenso con la testa e rispose.

"No... Quello è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Vedi Daniel, io non sono stato mai niente d che: non sono troppo bello, né troppo brutto, non sono troppo intelligente, né troppo stupido. A scuola non ho mai fatto schifo, ma non sono mai stavo il migliore. Ora mi sto rendendo conto del fatto che non ha importanza che io viva o muoia. In due giorni, verrei dimenticato e a nessuno fregherebbe niente".

Chiuse gli occhi. Se in quel momento fosse scomparso, non gli sarebbe importato.

Qualche secondo dopo, sentì le labbra di Daniel sulle proprie e riaprì gli occhi, guardandolo con indifferenza.

"Cosa fai?". Sussurrò appena con un filo di voce.

"Niente, volevo darti un bacio".

"Okay". Rispose Dom, richiudendo gli occhi.

Sapeva benissimo che il ragazzo non si sarebbe fermato al bacio, ma non gli importava. Non aveva più nessuno a cui essere fedele e oltretutto, non possedeva più l'autostima o un minimo di amor proprio da impedire a Daniel di fargli ciò che voleva.

Infatti non si era fermato: sentiva le sue labbra scorrere sul proprio petto nudo, le sue mani sbottonargli piano i jeans e poi abbassargli gli slip, giusto per scoprire il suo membro.

Sentiva le sue labbra su di esso, delicate e calde, mentre la sua mano accarezzava il suo petto divenuto scheletrico.

Le labbra carnose del ragazzo sfioravano e baciavano di continuo la virilità di Dominick, la lingua di Daniel prese a leccare le parti intime del ragazzo. Nick sentiva piacere, ma non gli importava nemmeno di quello, così qualche minuto dopo, quando Daniel terminò, Dominick si addormentò.

Un paio di giorni dopo, la mezzanotte era appena passata e Dominick si trovava nel parcheggio del minimarket, dove un vecchio uomo con cui era stato, lo aveva appena accompagnato.

Aveva comprato proprio in quel momento due dosi di eroina visto che il cliente lo aveva pagato profumatamente, c'era un'alta probabilità che si fosse preso una cotta per lui, ma a Dominick non importava.

Per lui, l'unica cosa che importava, era l'eroina della quale non riusciva più a fare a meno. Aveva iniziato a bucarsi negli spazi tra un dito e l'altro visto che su un braccio aveva le vene quasi del tutto ostruite. Di fumarsi quella droga, non se ne parlava nemmeno.

Avrebbe sentito molto meno l'effetto e per lui fumarsela, era come uno spreco di soldi.

Stava fumando una sigaretta ne parcheggio, anche se il freddo si faceva sentire sempre di più: in quei giorni aveva nevicato ancora ed ora la neve era diventata ghiaccio, facendo si che la temperatura scendesse di qualche grado sotto lo zero.

Dominick si guardava intorno mentre fumava, con sguardo vigile e freddo. Era stanco, ma se gli si sarebbe presentato un altro cliente, avrebbe accettato volentieri.

Sembrava che i soldi per l'eroina non fossero mai abbastanza.

"Ehi, tu".

Dominick si voltò verso la provenienza della voce e vide un ragazzo sulla ventina che era appena uscito dal minimarket, avvicinarsi a lui.

"Che vuoi?". Rispose scocciato Dom mentre continuava a fumare, non muovendosi di un millimetro. "Ce l'ai una sigaretta?". Chiese il ragazzo con voce roca, stressata.

Dominick finse di frugarsi nelle tasche dei pantaloni e con indifferenza, rispose. "Mi spiace, sto fumando l'ultima che ho".

"Stronzate". Rispose il ragazzo che si fermò ad un metro da Dom.

"È l'ultima, che cazzo vuoi?" disse Dom sempre più scocciato, sputando fuori dalle labbra il fumo della sigaretta.

"Ti si vede il pacchetto in tasca da un chilometro di distanza".

Il tizio sputò a terra e fece per avvicinarsi a Dominick, il quale indietreggiò di un passo.

"Sono mie. Voglio fumarmele io, va bene?" disse Dom gettando il mozzicone su un cumulo mezzo ghiacciato di neve.

Notò che il ragazzo aveva un aspetto strano: tremava ed aveva una pessima cera. Sapeva che non tremava per il freddo.

Quando si ha a che fare con una dipendenza da droghe pesanti e con drogati, si riconosce quando una persona è in astinenza.

E quel tipo lo era.

"Dai... dammene una e mi levo dai coglioni". Anche la sua voce ora che era più vicino sembrava strana.

Così Dominick decise di non mettersi nei casini per una sigaretta e posò per un attimo a terra la busta della spesa con dentro l'eroina e alcune scatolette di pesce e sottaceti, quindi si sfilò il pacchetto dalla tasca e prese una sigaretta, passandola cautamente al ragazzo, come se stesse per accarezzare una tigre del Bengala.

Il tizio si avvicinò tanto da permettergli di prendere la sigaretta e quando la prese, Dominick tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Sapeva che era meglio non mettersi mai contro drogati con crisi d'astinenza.

Stava per riprendere la busta per terra, quando sentì il tipo dire: "Avresti mica un accendino? Il mio l'ho perso, merda".

Per Dom, il peggio sembrava passato, così non si fece problemi a dare il proprio accendino blu al ragazzo. "Tienilo pure se vuoi".

Il ragazzo, però invece di prendere l'accendino, afferrò la mano di Dominick e lo attirò a sé per poi sferrargli una gomitata nello stomaco, susseguita poi da una testata che fece cadere Dominick per terra, nel freddo ghiaccio.

"Così impari a fregarmi i clienti, brutto bastardo".

Il ragazzo prese la busta per terra e prima di darsela a gambe sputò a terra, qualche centimetro di fianco a Dominick.

"Non farti più vedere da queste parti". Disse in tono minaccioso e aggressivo per poi correre via.

Dominick si asciugò del sangue che gli usciva dal naso e alzatosi a fatica, ne sputò un fiotto che macchiò la neve già sporcata dalle svariate impronte di scarpe.

In quel momento Dominick era davvero furente.

Non sapeva se ridere o piangere della situazione.

L'unica cosa di cui gli importava, gli era appena stata soffiata via e sentiva anche che avrebbe vomitato da un momento all'altro a causa del pugno nello stomaco che aveva ricevuto, così andò verso il muretto che scavalcò e vomitò in un cespuglio.

Dominick, dolente, maleodorante e stanchissimo, decise di tornarsene alla stanza numero diciassette con la coda fra le gambe.

Mentre camminava un po' zoppicante e con una mano sullo stomaco, rifletteva: sperava che Daniel avesse fatto a metà con lui con la sua dose.

Gli sarebbe bastato anche solo uno schizzo di quella sostanza letale.

Decise che da quel giorno in poi, sarebbe andato in giro armato almeno di un coltello e che quel tizio l'avrebbe pagata cara.

Arrivato davanti a quel motel che sembrava uscito da una fogna o un film Horror, si accorse di alcune siringhe usate per terra e di un tavolino distrutto, il quale somigliava a quello che avevano nella stanza-topaia. Guardandolo meglio, Dominick si accorse che era proprio quello, così sentendo anche delle urla rabbiose provenire da dentro, entrò di fretta nel motel e la prima cosa che vide, fu il responsabile discutere con dei dipendenti, i quali cercavano di impedirgli di chiamare la polizia. Dom, preso dall'agitazione e con il corpo ancora scombussolato dai colpi ricevuti poco prima, salì le scale cercando di non dare nell'occhio, diretto nella stanza diciassette.

Nel corridoio, c'erano delle persone che protestavano per il rumore, Dominick vide Samantha, ma non fece in tempo a chiamarla che si chiuse in camera sbattendo forte la porta.

Provò ad aprirla ma era chiusa a chiave, così prese la propria chiave dalla tasca e dopo qualche tentativo, riuscì ad aprire la porta.

"Falli stare zitti. Domani devo lavorare!" Si lamentò una donna prima che Dom chiudesse la porta.

Una volta dentro, visto che Vicktor, Sam e Daniel urlavano, Dominick sovrastò le loro voci sbraitando: "Che cazzo sta succedendo?!".

Ci fu un attimo di silenzio, poi Daniel indicò Vicktor, il quale si teneva un panno sul braccio. Il letto era pieno di schizzi di sangue che avevano sporcato anche il materasso dove dormivano Daniel e Nick.

"Questo pazzo ha tentato di ammazzarsi. Sam ha preso a strillare come una pazza rompendo tutto ed io non ho più voce per cercare di farli smettere".

"Forse dovevi farti i cazzi tuoi" Disse acida Samantha.

"Sono cazzi di tutti se questo coglione muore!" Urlò Daniel.

"Lui si stava per ammazzare perché tu, pezzo di merda hai venduto la collana di sua madre. L'unica cosa che gli è rimasta di lei, cristo!".

Gli occhi scuri di Samantha ardevano di rabbia e mentre Vicktor dietro, si tamponava la ferita, Daniel rimase per qualche secondo a bocca aperta. Dominick decise di prendere la parola prima che avessero ricominciato ancora a gridare.

"Sentite, di sotto vogliono chiamare la polizia...".

"Possono anche chiamare le forze armate, non me ne frega un cazzo". Disse Samantha, la quale si avvicinava pericolosamente a Daniel, il quale stava appoggiato al muro, dove fino a qualche ora prima c'era il tavolino.

"Dai, dimostrami di essere migliore mettendomi le mani addosso".

La incitò Daniel in tono sarcastico, sfidandola.

Dominick si lasciò scivolare contro la parete della porta. Aveva ancora il voltastomaco e voleva solo riposare, cercando di non pensare all'eroina, ma di sicuro quella lunga giornata sembrava non avere intenzione di finire.

"Allora lo sai di essere un lurido verme!" disse Sam urlando.

"E tu sei solo una puttana drogata". Rispose Daniel, il quale subito dopo si beccò uno schiaffo in pieno viso da Sam.

Vicktor si avvicinò alla ragazza bionda. "Sam... ho bisogno di cure. Te la vedrai dopo con quello stronzo". A malapena si reggeva in piedi, era strafatto e davvero troppo pallido in volto.

"Fatti aiutare da Dominck, io voglio fare a pezzi questa merda". Disse ringhiando tra i denti mentre guardava con rabbia Daniel.

Vicktor si sedette accanto a Dominick, il quale legò per bene il panno sulla ferita del ragazzo, arrestandola.

"Devi farti vedere da un dottore..." disse Dom, cercando di farsi sentire visto che Daniel e Sam continuavano ad urlare come pazzi.

Uno dei due gettò una lampada contro l'unica piccola finestra della quale i vetri si sgretolarono, così Dominick sentendo anche le sirene della polizia, decise di andarsene da quella stanza, ma una volta fuori, fu costretto a fermarsi per rigettare ancora proprio nel bel mezzo del corridoio.

Alzò lo sguardo mentre si puliva le labbra con la manica della giacca e vide un uomo in uniforme da poliziotto andargli incontro e poi bloccargli le mani dietro la schiena.

"Ehi, perché cazzo mi arrestate?".

"Disturbo della quiete pubblica". Disse severo l'uomo mentre ammanettava il ragazzo che ormai non ce la faceva nemmeno a reggersi in piedi.

Sopraggiunsero altri due poliziotti mentre l'altro entrava nella stanza diciassette ed uno dei due, portò Dominck fuori dal motel.

"Aspetta qui e vedi di non fare stronzate o ci marcirai in prigione, chiaro?".

Dominick guardava con occhi assenti quel poliziotto, annuendo piano con la testa. L'uomo capì che Dom non si sarebbe mosso da lì in quelle condizioni e tornò nel motel dove regnava il caos totale.

Il viso del ragazzo illuminato incessantemente dalle luci rosse e blu della volante della polizia parcheggiata di fronte a lui.

Sentiva che stava per svenire, ma qualcosa gli impedì di farlo.

Una figura alta e familiare camminava dall'altro lato del marciapiede, diretta verso Dominick.

Più si avvicinava a lui e più il cuore di Dominick accelerava i battiti, così tanto da rischiare un infarto.

Era lui.

Lo avrebbe riconosciuto ovunque.

"Steven!" urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

Si avvicinò a passo veloce, incredulo e quando riconobbe Dominick, iniziò a correre a perdifiato, più veloce che poteva, fermandosi solo quando si ritrovò di fronte a lui, il ragazzo che amava più di ogni altra cosa al mondo.

"Ti...ti ho cercato ovunque, perché sei ammanettato?".

Steven aveva il fiatone, ma sembrava non importargli.

Dominick lo guardò in viso e perse le parole, restando a bocca aperta.

"Ti...amo" riuscì a dire.

Steven non rispose, semplicemente strinse forte Dominick a sé, come se fosse la cosa più preziosa al mondo, come se la sua vita in qualche modo, fosse collegata a quella di Dominick.

E a Dominick faceva male il cuore perché non poteva abbracciarlo, tenerlo stretto a sé per sempre.

Steven smise di abbracciarlo e prese ad accarezzare il viso fin troppo magro di Dominick, vedeva che era ferito, ma non disse nulla, continuava ad accarezzarlo.

"Perché sei scappato, principe mio?". Sussurrò infine con una voce così dolce da sciogliere il cuore di Dominick in un istante.

"Ho deluso te. Ho deluso mia madre. Ho deluso persino me stesso". Rispose Dominick con voce rotta e le lacrime che gli bagnavano il viso che Steven prontamente, gli asciugava con i pollici.

"Io non ti merito... Non merito mia madre, non merito... nulla...".

Dominick parlava con voce smorzata, tenendo gli occhi sui suoi, azzurri e luccicanti come un bellissimo mare d'estate.

"Io ti amo, Dominick". Sussurrò Steven sulle sue labbra.

"E lo giuro, sarò con te fino alla fine".

La sua voce era decisa ed il suo viso straziato dalle lacrime, come quello di Dominick.

Steven guardava Dominick.

Lo guardava e si accorgeva che era troppo magro, che la sua pelle era pallida come quella di un cadavere.

Lo spaventava vederlo ridotto in quel modo.

Ma non si rassegnava.

Accarezzò ancora il volto di Dominick e poi chiuse gli occhi, dandogli un bacio mentre la sua mano libera stringeva piano un fianco del ragazzo che amava.

Fu un bacio semplice e pieno d'amore, di quelli che nelle favole, spezzano gli incantesimi e resuscitano persone morte.

Le luci rosse e blu della volante della polizia, li illuminava, come a ricordar loro che presto sarebbero stati di nuovo divisi. "Torna a casa..." sussurrò Steven sulle labbra di Dominick.

"Non posso..." disse Dom con voce rotta.

Proprio in quel momento, i poliziotti uscirono dal motel caricando Daniel e Samantha in macchina, mentre un'ambulanza appena arrivata, caricò Vicktor a bordo per poi ripartire subito.

Un poliziotto prese Dominick per un braccio.

"Su, non fare storie o sarò costretto a passare alle maniere forti".

Dominck restava fermo, con i piedi piantati a terra.

"Ehi, lascialo stare". Ringhiò Steven.

L'uomo non lo stette a sentire e strattonò Dominick fino alla macchina, il quale si voltò verso il biondo.

"Steven..."

Una lacrima rigò il viso di Dominick.

Steven fece per avvicinarsi, ma il poliziotto chiuse la portiera della volante e spintonò Steven, minacciandolo di stare fermo.

L'uomo si mise alla guida e Steven restò immobile a guardare l'auto della polizia che si portava via il ragazzo che amava.

 

 

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Capitolo 17
*** C'è qualcuno qui? Parte 1. ***


Dominick aveva passato il resto della notte e metà del mattino nel carcere e solo da un'ora era tornato in libertà.

Stava aspettando Daniel, seduto in un tavolino fuori da un bar, il quale era andato in farmacia a comprare chissà cosa.

Dominick gettò il mozzicone della sigaretta che aveva appena finito con un sonoro sbuffo.

Forse aveva fatto un errore a sperare che fuori dalla stazione di polizia avrebbe trovato Steven ad apettarlo.

"Ehi, come mai sei imbronciato?" Dominick si voltò e nel vedere che era Daniel, sospirò silenziosamente e si alzò.

"Niente, stavo pensando".

I ragazzi presero a camminare lungo il marciapiede.

"Non pensare. Le cose vanno meglio quando spegni il cervello".

Dominick fece una risata amara nel sentire le parole del ragazzo. "Già, infatti non ho pensato quando al rave mi sono fatto il primo buco".

Daniel rise, ma Dom non ci trovava nulla di divertente.

Anche perché iniziava a stare male a causa dell'astinenza da Eroina. Tremava come una foglia e sentiva una costante nausea che tutte le sigarette le quali si era fumato appena uscito dalla prigione, non avevano certo migliorato la situazione.

"La troviamo un'po' di ero?". Guardò Daniel quasi supplichevole.

"Prima devo capire dove andremo a dormire stanotte".

Disse Daniel serio, mentre si guardava intorno alla ricerca di un rifugio. "Un motel come quello da cui ci hanno cacciati?" Propose Dominick. Daniel scosse subito la testa per poi borbottare.

"Quello era l'ultimo in giro a basso costo. Questo è tutto a causa di Vic e Sam, se non avessero polemizzato e fatto casino per una stupida collana che nemmeno valeva niente, a quest'ora...".

Dominick non lo stava più a sentire; il suo corpo tremava da capo a piedi e le ossa iniziavano a fargli male.

E soprattutto, continuava a farsi la stessa domanda, così interruppe il monologo/sfogo di Daniel, chiedendogli: "Secondo te, perché Steven non è venuto alla stazione di polizia?".

Guardava Daniel, in cerca di risposte e lui si limitò a sputare a terra mentre continuavano a camminare.

"Che cazzo ne so? È un codardo come tutti gli altri, Dom. Non ti fissare".

Dominick sapeva benissimo che Steven non era certo il tipo che fuggiva, non importa quanto difficile fosse la situazione e gli faceva male sentire che Daniel pensava questo di lui, così gli chiese: "Perché pensi questo di Steven?".

Daniel si passò una mano tra i capelli che gli ricaddero sugli occhi, accennando una risatina.

"Steven non è una cattiva persona. Ma chiunque scapperebbe piuttosto che tentare di salvare un tossicodipendente, una causa persa".

Dominick non si arrese.

"Steven non è fatto così".

Daniel rise e guardò Dominick mentre camminavano.

"Allora perché ora non c'è?".

Dominick si morse forte il labbro inferiore e calciò un sasso per terra.

"Vai a fanculo".

Daniel accennò un sorriso compiaciuto, di chi sa di avere ragione.

"Il mondo è composto da due tipi di persone: quelli che se ne fregano di tutto e quelli che fingono che di te gli importi qualcosa. Impara a sopravvivere con le tue forze e vedrai che del resto non ti fregherà più niente".

Dominick non sapeva perché stesse ancora dando ascolto a Daniel.

"Allora dovrebbe essere un mondo di stronzi se tutti la penserebbero come te".

"Infatti questo è un mondo di stronzi". Lo rimbeccò Daniel.

Dominick sbuffò ed alzò gli occhi al cielo, stringendosi nella propria giacca.

"Invece di pensare al tuo amato Romeo, perché non ti fai venire un'idea su dove stare per qualche notte?".

Dominick si fermò per sedersi su una panchina rispondendo: "non lo so... fammi riposare un momento, mi fanno male le ossa".

Daniel si sedette accanto a lui e prese dalla tasca interna della propria giacca nera un piccolo barattolo cilidrico contenente delle pillole, se ne mise un paio in una mano e le passò a Dom, il quale chiese confuso: "che roba è?". Daniel rispose mettend le pillole nella mano del ragazzo: "morfina".

Dominick le inghiottì all'istante, anche se aveva la gola secca per il freddo. Poi guardò il ragazzo con circospezione. "Me le dai solo adesso?".

Daniel si rimise le pillole nella giacca e sbuffò.

"Le avevo prese per me".

"E che ti costava darmene una prima al bar?" chiese Dominick innervosito.

"Speravo che i dolori ti sarebbero passati. Ora non farne una questione di stato, mh?" si allungò per dargli un bacio, ma Dom si scansò mettendosi sulla difensiva.

"Che cazzo fai?" Dominick era sempre più arrabbiato con Daniel, il quale fece spallucce. "Oh giusto, ora che hai rivisto il tuo amore perduto, ti tieni casto e puro per lui. Come sei romantico".

Dominick non poteva credere a ciò che sentiva.

"Ehi, io Steven non ci siamo lasciati quando sono venuto in quel mot..."

"Ma falla finita". Disse Daniel alzandosi ed accendendosi una sigaretta.

"Ti sei fatto baciare da me e se non ricordo male, non ti sei opposto nemmeno quando ti ho fatto un pompino".

Dominick era così nervoso da non riuscire a stare seduto un secondo di più, così si alzò anche lui, ribattendo. "Ero strafatto, Daniel. Non rinfacciarmelo".

"I fatti, però non si cambiano". Rispose il ragazzo mentre fumava la propria sigaretta, completamente a suo agio.

"Ero a malapena lucido, stronzo". Ringhiò Dom.

"Davvero?" Daniel si voltò verso di lui, gettandogli il fumo in faccia con un sorrisetto: "a me è sembrato che il tuo cazzo fosse bello sveglio, sai?".

Dominick accecato dalla rabbia, sferrò un pugno a Daniel.

Lui continuava a ridere, come se avesse previsto quel pugno da parte sua.

"Questo dimostra ciò che ho detto prima". Disse massaggiandosi la guancia livida per poi proseguire: "strafatto o no, se uno vuole farti un pompino, la prima cosa che dovresti fare se hai una relazione, è rifiutare. Invece in quel momento te ne sei fregato e hai pensato solo a te stesso. Sei stato un egoista, come tutti".

Si asciugò con la manica della giacca un paio di gocce di sangue che gli erano uscite dal naso.

"Hai ragione. Sono un debole". Sussurrò Dominick mettendosi le mani in tasca e scalciando qualcosa per terra.

"Sei umano". Disse Daniel dandogli una pacca sulla spalla per poi riprendere a camminare, seguito da Nick.

"Te lo hanno mai detto che picchi come una femminuccia?". Disse Daniel ridendo.

Dom accennò una risata. "Qualche volta...".

Alla fine, decisero di andare alla fabbrica abbandonata.

Lì c'era ancora quel grande e vecchio materasso impolverato ed in assenza di dimora, ad entrambi andava più che bene come rifugio temporaneo.

Visto che entrambi ne avevano bisogno, Daniel era andato a procurarsi dell'eroina e dei viveri, mentre Dominick si recava alla fabbrica con tre pillole di morfina in tasca che gli aveva dato il ragazzo per alleviare il dolore dell'astinenza.

Una volta sceso dall'autobus, Dominick fece il familiare pezzo di strada che mancava per arrivare alla fabbrica abbandonata.

Dei ricordi, passo dopo passo, iniziavano a palesarsi dinanzi a lui, sempre più nitidi ad ogni passo che faceva: quel giorno in cui fuggiva dai bulli e saltando, era finito tra le ortiche, i giorni d'estate nei quali faceva a gara con Steven, Bonnie ed altri amici per vedere chi sarebbe arrivato per primo in quell'edificio diroccato che era diventato una sorta di rifugio felice dove ridere e scherzare in tutti i pomeriggi della calda estate; Steven che arrivava sempre ultimo perché ai tempi fumava troppo e Dom che al contrario, vinceva quasi sempre, ma che puntualmente veniva sconfitto ogni volta in cui lui e Steven si azzuffavano.

Erano tempi diversi, sebbene fosse passato poco tempo: Dominick in quel periodo, era felice e stracotto di Steven. Ogni giorno era come una nuova avventura, erano sempre impegnati a fare stupide gare come chi riusciva a bere più birra o chi riusciva ad arrampicarsi nei piani superiori della vecchia fabbrica.

Arrivato davanti al piccolo pezzo di strada sterrata che portava all'ingresso per metà distrutto, della fabbrica riuscì a vedere un'ombra luminosa di se stesso che correva ridendo, seguito da altre sagome luminose che erano i suoi amici di una volta. Ed ecco per ultimo, Steven, bellissimo come sempre ed il suo sorriso che illuminava il mondo intero.

Quelle ombre luminose sparirono nella fabbrica e Dom sbattè diverse volte le palpebre, confuso da quella strana allucinazione che forse era dovuta all'astinenza dall'eroina.

Una volta dento l'edificio, nonostante fosse stato lontano per poco, Dominick sentì un tuffo al cuore, come se fosse passato troppo tempo.

Lì, in quel posto, i ricordi diventavano più dolci.

Si avvicinò ad un graffito in particolare, che più che un graffito, era un semplice scarabocchhio, ma troppo importante per Dom.

Posò la mano sulla vernice verde che ormai il vecchio muro aveva assorbito quasi del tutto e sorrise: erano due lettere "S+D" ma per lui significavano così tanto. Le aveva fatte Steven con la sua calligrafia da gallina, quando erano ancora dei semplici amici e Dominick ogni volta in cui andava in quell posto e Steven non c'era, si sedeva sempre sotto a quel semplice scarabocchio, sperando che un giorno avrebbe rappresentato loro due come coppia e non come migliori amici.

Poi quel desiderio si era avverato e quel graffito verde scolorito, aveva perso il suo valore iniziale.

Un paio di metri più avanti, quasi in fondo, c'era un graffito che invece, aveva fatto Dominick, ovvero quella famosa radio la cui antenna era diventata una forma fallica, accennò un sorriso nel vederlo.

Quel posto era come un museo dei ricordi.

Voltandosi, vide una mattonella sporgere dal terreno più delle altre e si ricordò che sotto di essa, Steven ci nascondeva l'erba che a volte spacciava.

di fronte a quella mattonella, c'era il piccolo pezzo di muro dove lui e Steven si erano baciati per la prima volta ed in fondo alla stanza, si collegava un'altra stanza più piccola in cui c'era quel materasso dove fecero l'amore per la prima volta.

E Dominick era stato felice quella notte...

Si appoggiò con la schiena al muro e si lasciò scivolare fino a sedersi per terra.

Cosa ne era stato di quei semplici momenti felici?

Perchè aveva deciso di rovinare tutto con la droga?

Si mise le mani tra i capelli scuri e guardò le sue lacrime scivolare a terra.

Dominick non si sarebbe mai perdonato di aver rovinato tutto, in primis se stesso e sapeva che non avrebbe vissuto ancora a lungo.

La cosa che gli faceva più male, non era la morte. Quella lo spaventava, certo. A chi non faceva paura la morte?

Aveva trascinato Steven con sè, in quella situazione e non se lo sarebbe mai perdonato. Lo aveva costretto a cambiare, ad accettarlo.

E per lui, quella era la forma di egoismo più grande al mondo.

Proprio mentre si lasciava andare in un pianto isterico, Dominick sentì un rumore di passi provenire dallo stanzone accanto.

Una donna vecchia, tra i sessanta e i settanta anni, si avvicinò al ragazzo.

"Ehi, sei tu che stai piangendo, vero?" La voce della donna era così dolce da ricordare a Dominick la voce di sua madre...

 

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Capitolo 18
*** C'è qualcuno qui? Parte 2. ***


Annuì mentre si asciugava gli occhi umidi col braccio, poi si alzò.
"Scusa, non mi sono presentata. Mi chiamo Elizabeth, come la regina".
Fece un largo sorriso ed offrì la sua mano sporca al ragazzo, che strinse.
"Io... Sono Dominick, piacere mio".
Quella anziana signora era ricoperta di stracci e portava addosso una coperta di lana che non emetteva un odore piacevole. Aveva lunghi capelli bianchi che le arrivavano fino al bacino, bianchi come la neve e degli occhi grigi e circondati dalle rughe che davano l'impressione di aver visto fin troppo in quella lunga vita.
Tuttavia, quegli occhi avevano una strana scintilla che emanava calore.
Era molto magra, almeno quanto Dominick ed era scalza: i suoi piedi avevano vesciche che spuntavano ovunque ed erano sudici, ma a lei sembrava non importare.
"Perché stai piangendo, figliolo?". Chiese lei con voce roca ma dolce.
"É una storia lunga". Sussurrò lui, accennando un breve sorriso.
"Beh di tempo ne ho tesoro. Tutto il tempo che ti serve".
Dominick sentì in sé una sensazione strana, ma piacevole. Sembrava che Elizabeth gli stesse facendo il regalo più bello al mondo: condividere il suo tempo con quello del ragazzo, il quale sorpreso da tanta dolcezza, rispose.
"Credo... Di aver date per scontate le uniche due persone che amo. Sono stato molto egoista con loro e soprattutto, le ho deluse profondamente".
Lei sorrise, in modo gentile.
"Queste persone ti avevano ferito?".
Dominick scosse la testa. "É questo il punto. Non mi hanno fatto nulla di male, ma io ne ho fatto così tanto a loro..."
Sentì che stava per ricominciare a piangere, così cercò di inghiottire le lacrime, deglutendo diverse volte la saliva.
"Dominick, perché non dai sfogo al tuo dolore?". Chiese lei quasi stupita dal fatto che lui stesse trattenendo le lacrime.
"Perché ho già pianto troppo... Sono stanco di piangere, mi sento debole quando la tristezza prende il sopravvento su di me".
Elizabeth sorrise e prese tra le sue mani sporche, quella liscia e chiara di Dom.
"Anche io sono stata come te, lo sai? Giovane e debole. E non voglio offenderti dandoti del debole, ma la verità è questa: tutti da ragazzi lo siamo, poi quando passa il tempo, diventiamo delle rocce e soprattutto saggi. Il problema è che i vecchi nessuno li ascolta mai".
Dominick sentì un velo di tristezza nella voce della signora, così posò la mano che fino ad un attimo prima lei teneva tra le sue, sulla sua spalla.
"Io ti sto ascoltando".
Quelle parole riuscirono a commuovere Elizabeth, la quale rispose: "se anche le mie due figlie la pensassero come te, ora le cose sarebbero diverse. Tu sei un eroinomane come me, vero?".
Dominick spalancò gli occhi alla domanda/affermazione di Elizabeth, ma le rispose di si, senza aggiungere altro.
"Io ho provato di tutto nella mia vita: meth, cocaina, acidi, allucinogeni, crack... Tutto ciò che è considerato stupefacente ed illegale, passava nel mio corpo. Se mi avessero spacciato della candeggina, me la sarei fumata col bong. Poi ho scoperto l'eroina quando Mary, la mia figlia più grande, aveva appena compiuto diciott'anni e da allora è stata una lunga e rapida discesa. Ai tempi qui a Londra non c'era ancora l'eroina, io vivevo in America, negli Stati Uniti e li se avevi le tu conoscenze losche, potevi averne quanta ne volevi".

Dominick la ascoltava attentamente, concentrato solo su d lei. "Non hai mai provato a smettere?" chiese, acceso da speranza e curiosità.

"Troppe volte. E sono andata almeno quattro volte in centri di disintossicazione, ma non facevo in tempo a far sparire i buchi dalle braccia che me ne facevo altri. Quella maledetta eroina è mortalmente piacevole. La cosa che più mi fa riflettere di questa droga è vedere come sia riuscita a distruggere la mia vita e quella delle persone che mi circondavano, ma nonostante ciò, ogni volta fremevo dalla voglia di farmi un nuovo buco. Nemmeno i sesso mi soddisfaceva più, perchè l'eroina era molto meglio".

Dominick capiva benissimo di cosa parlava Elisabeth "si... e tutto perde di significato. Faresti di tutto pur di avere anche solo uno schizzo di eroina, per poter rivivere ancora quelle sensazioni ed alienarti completamente dal mondo".

Elisabeth annuì, poi si bagnò le labbra rugose e secche per poi proseguire.

"Ho perso Mary e Lucy per colpa dell'eroina. Persino mio marito il quale mi era rimasto accanto anche nelle situazioni più disperate".

Dominick si sedette, continuando ad ascoltarla e lei fece lo stesso.

"Ora raccontarti di come sono arrivata fino a qui, non avrebbe senso. Tu sei il primo da molto tempo che mi permette di parlargli, quindi voglio rivelarti una cosa: non ha importanza quanti soldi tu abbia e di quante persone tu ti circondi, se hai una carriera grandiosa o se sei un semplice impiegato. Il punto è che queste cose sono superflue, non valgono nulla confrontandole col valore che ha una vita. Tu sei giovane, hai la possibilità di essere ascoltato, di diventare qualunque cosa tu voglia e soprattutto di dimostrare agli altri che non contano i beni materiali, le case, i vestiti e tutte le stronzate che si sono inventati gli uomini per vivere nella loro illusione".

Dominick la ascoltava interessato, ispirato dalle sue parole dolci e al contempo veritiere.

"Io l'ho capito troppo tardi" sussurrò lei affranta. "Ma tu, con un animo così profondo, onesto e gentile, potresti rendere il mondo un posto migliore, ma prima dovresti rispettare te stesso".

Si guardarono per un momento interminabile negli occhi.

Dominick non sapeva come avesse fatto Elisabeth, in così poco tempo a leggere la sua anima. Forse era sensitiva o qualcosa del genere. Lei sorrideva, in pace con se stessa per aver detto al ragazzo ciò che voleva dirgli.

"C... Come hai fatto a capire tutto questo su di me?".

Elisabeth continuava a sorridere.

"E' un segreto, tesoro".

Accarezzò una guancia scarna del ragazzo: la sua mano era fresca, quasi fredda e dove non era sporca, si riusciva a vederne i colore bianco latteo. Poi Elisabeth si alzò, guardando attraverso una vetrata rotta per metà.

"Ora devo andare, spero che fuori non faccia troppo freddo".

Dominick si alzò e fece per togliersi la giacca, ma lei fece un cenno di dissenso con la mano. "Tranquillo, Dominick. Domani sarà una bella giornata di sole ed io potrò scaldarmi per bene. Ah, il tuo ragazzo non è arrabbiato con te". Si voltò verso Dom, sorridendogli e poi si incamminò verso l'uscita della fabbrica mentre Dominick restava a bocca spalancata a chiedersi come avesse fatto a capire che aveva un ragazzo.

Quando quell'anziana signora arrivò al vecchio portone, a Dom sembrò che la donna fosse sparita nel nulla, ma dette la colpa all'astinenza dal'eroina, anche se non gli era mai successo prima, ma sembrava essere l'unica risposta plausibile.

Dominick si prese le pillole di morfina che Daniel gli aveva lasciato e passò un'ora a riflettere, mentre camminava piano in quel grande stanzone.

Voleva ricominciare daccapo, smettere con l'eroina una volta per tutte e ritornare a scuola, a dipingere e soprattutto ritornare a casa, da sua madre che voleva fosse orgogliosa di lui.

Voleva renderla felice e rilassata, perché non lo era mai stata e lei lo meritava più di ogni altra persona al mondo.

Si fermò a guardare fuori da una di quelle grandi finestre e finalmente, dopo tanto tempo, riuscì a vederci speranza, un futuro.

Sentiva che avrebbe fatto di meglio, anche con Steven che si era sforzato così tanto per cercare di capire Dominick.

Dopo quell'ora passata a riflettere e a sperare, Dom si voltò perché aveva udito dei passi e vide Daniel entrare nella fabbrica con un'aria agitata.

"Ehi, Dom. E' tua quella coperta qui fuori?"

Dominick aggrottò le sopracciglia e gli si avvicinò. "Quando sono entrato io, non c'era nessuna coperta. Prima che me ne dimentichi, hai visto una donna anziana con una cop..."

Non terminò la domanda, perché sapeva a chi apparteneva quella coperta.

"Che stavi dicendo?Beh, comunque ho la roba".

Gli mostrò due buste di un supermercato e sorrise soddisfatto.

"E' tutta eroina quella?" chiese stupito il moro dato che entrambe le buste sembravano piene.

"No, sei pazzo? Ne ho abbastanza con me, nascosta nei vestiti".

Sembrava fiero di ciò, ma Dom non era entusiasta quanto lui.

"Tu sei pazzo. Se ti beccano, marcirai in galera".

Daniel alzò un sopracciglio ed accennò un sorriso quasi speranzoso. "Che fai, ti preoccupi per me?".

Dominick voltò la testa verso la finestra, sospirando "siamo amici, giusto?"

Daniel esitò prima di rispondere "si, anche se a volte mi dimostri affetto con dei pugni".

"Te lo sei meritato". Rispose serio Dom per poi voltarsi verso di lui ed accennare un sorriso. Daniel ricambiò, poi prese da una busta una confezione da tre scatolette di tonno, un paio di ciambelle avvolte da un involucro di plastica e due piccole bottiglie d'acqua che posò a terra.

"Allora, amico mio hai sessanta sterline? Ti do due dosi".

Dominick aggrottò le sopracciglia mentre prendeva i soldi dal portafogli. Era stupito del fatto che costassero così poco, ma era probabile che Daniel gli stesse facendo quello sconto perché erano amici, quindi non parlò e gli dette i soldi che aveva chiesto.

Daniel se li mise in tasca, poi tirò fuori una busta più piccola dalla giacca, di quelle che davano in farmacia o in profumeria e la dette a Dom.

"Dentro ci sono un paio di siringhe nuove, un cucchiaio ed un laccio emostatico".

"Il kit dell'eroinomane professionista". Disse Dom, ridendo.

Sentiva che le sue ossa incominciavano a fargli male e solo a vedere il cibo che aveva portato il ragazzo, sentiva salirgli un senso di nausea in gola.

"Sai, ho intenzione di smettere con l'eroina" aggiunse felice Dom.

Daniel gli dette una pacca sulla spalla e fece un sorriso incoraggiante.

"Buon per te, amico. Spero che al contrario mio, tu possa farcela".

Dominick sorrise di cuore. "Lo spero anche io "

Daniel ricambiò il sorriso, ma si continuava a guardare intorno e a tamburellare le dita sul davanzale impolverato della finestra, agitato.

"Che c'è?" chiese Dom vedendolo agitato.

"Oh, niente..." Daniel sembrò preso alla sprovvista ed alternando lo sguardo tra l'uscita della fabbrica e Dominick, gesticolando disse: "Io... devo sbrigare delle cose, ci vediamo stasera okay?" .  Anche la sua voce si era fatta estremamente agitata, ma Dom non riusciva a spiegarselo e con una scrollata di spalle rispose: " Certo, come vuoi".

Daniel fece un mezzo passo avanti, come per abbracciarlo, ma poi sembrò ripensarci e con passo veloce, si allontanò da lui.

"Allora...ci vediamo più tardi, stai attento".

Dominick lo salutò annuendo, cercando di capire cosa gli fosse preso tutto ad un tratto.

 

"Questa sarà l'ultima dose". Sussurrò Dominick a se stesso qualche minuto dopo, mentre scaldava l'eroina nel cucchiaio. Era molto scura, quasi nera, ma sapeva che ce n'erano diversi tipi in circolazione.

Essendosi già tolto prima la giacca, si alzò una manica del maglione grigio che aveva fatto sua madre per lui il natale scorso e si levò il laccio emostatico a metà del braccio, poi assorbi con la siringa, la scura sostanza nel cucchiaio e restò per qualche secondo a fissare quella siringa, riflettendo: avrebbe potuto risparmiarsi un sacco di guai se quella droga non fosse mai entrata nella propria vita.

Ma c'era ancora tempo per rimediare.

Aveva solo diciassette anni, una vita davanti a se che desiderava più che mai vivere a pieno.

Quel grosso errore non l'avrebbe ripetuto mai più.

Si bucò una vena appena sotto al polso, dall'aspetto ancora verdognolo, lentamente, facendo una smorfia per il piccolo dolore.

Abbassò poi lentamente lo stantuffo, chiudendo gli occhi per godersi a pieno quell'intenso piacere chimico per l'ultima volta.

Fu un piacere diverso, molto più basso rispetto a quello delle altre volte e molto fastidioso al contempo, perchè il suo corpo e la sua mente erano abituate a sentire un piacere molto più profondo di quello.

Dominick gettò la siringa per terra e mise un cerotto sul buco che aveva appena fatto, quindi iniziò a guardarsi intorno, scocciato, attendendo per minuti interi che l'eroina facesse effetto, ma non accadde.

Passò mezzora, ma ancora niente. I tremori e la sudorazione sembravano aumentati, sentiva il corpo venire scosso di tanto in tanto, come piccole convulsioni e quei dannati dolori in tutto il corpo, non accennavano a fermarsi. Sempre più nervoso ed agitato, Dominick si alzò e prese a camminare per lo stanzone diverse volte, fumandosi un paio di sigarette e quando le finì, gettato il pacchetto vuoto a terra con rabbia, decise di sfogarsi sul cibo, mangiando entrambe le ciambelle e due su tre scatolette di tonno che era stanco di mangiare, ormai era arrivato sul punto di odiarlo.

 

Il suo sguardo poi, finì pericoloso, sull'altra dose di eroina.

Sapeva che quello che si era fatto, sarebbe dovuto essere l'ultimo buco, ma non lo aveva soddisfatto per niente, anzi, sembrava solo aver peggiorato le cose e Dominick ne aveva così bisogno in quel momento...

Si ritrovò così a scaldarsi altra eroina, si era già legato il laccio emostatico al braccio e si stava maledicendo un centinaio di volte per non essere riuscito a resistere alla tentazione.

Passò nuovamente l'eroina dal cucchiaio alla siringa, sperando che quella volta sarebbe arrivato il flash che tanto desiderava.

Fu costretto a farsi un buco tra i diti indice e medio visto che sul braccio era pieno di buchi e stavolta, non fece in tempo a gettare a terra la siringa che fu preso da un estasi così forte che sentì il cuore battere all'impazzata.

Si era sdraiato per terra senza nemmeno accorgersene ed avvertì una sensazione strana agli occhi, come se le pupille gli si stessero restringendo.

Sentiva di aver avuto un sacco di orgasmi in una volta, troppi per contarli e se prima il cuore sembrava voler scoppiare, ora stava rallentando, fin troppo.

Dominick chiuse gli occhi ed avvertì una sensazione così profonda e reale da rabbrividire dalla punta dei capelli alle dita dei piedi.

Era in overdose.

II suo cuore rallentava troppo velocemente.

Stava per morire.

 

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Capitolo 19
*** L'ultima notte. ***


 

Dei passi in lontananza cullavano il delirante sonno di Dominick.

Aprì appena gli occhi, giusto quel tanto che bastava per riuscire a mettere a fuoco il portone distrutto dell'ingresso a quella struttura decadente dimenticata da tutti.

Le palpebre pesavano così tanto...

Desiderava solo dormire in eterno.

Fuori si era scatenata una bufera di neve e Dominick non riuscì a distinguere i lineamenti di una sagoma alta che gli si avvicinava.

Aveva dei capelli, lunghi, biondi come un bellissimo campo di grano ad inizio estate, degli occhi di un azzurro così bello da far invidia ad un dio, le labbra che sembravano scolpite direttamente da Michelangelo.

Forse era un angelo.

Era venuto a prenderlo?

"Dominick".

Quella voce roca, ma allo stesso tempo dolce, portò il ragazzo alla realtà. Spalancò gli occhi e nel vedere Steven davanti a sè offrirgli una mano per alzarsi, sorrise e pianse al contempo.

Quel ragazzo non si stancava mai di salvarlo.

Afferrò la sua mano calda e si alzò in piedi con il suo aiuto.

"Ancora una volta, eccoti qui". sussurrò Dominick con un sorriso a trentadue denti che contagiò anche Steven.

"Sei il mio principe, ricordatelo".

I due si commossero e si scambiarono un bacio appassionato, stringendosi forte l'uno all'altro.

In quel bacio Dominick impiegò le poche forze che aveva in corpo.

Sentiva che non avrebbe resistito ancora a lungo, si sentiva sempre più debole e decise che non avrebbe detto nulla a Steven.

Non voleva essere la sua preoccupazione ancora una volta, non voleva più chiedergli aiuto.

Spesso, soprattutto nell'ultimo periodo, si era comportato da egoista con lui e per una volta non voleva che Steven non guardasse lui come un malato bisognoso di cure, ma come il ragazzo che amava.

Dopo il bacio, lo guardò negli occhi e ci si perse per la millesima volta: voleva essere sicuro di ricordare i suoi occhi così belli per altri mille anni. Steven non aveva una sola imperfezione e Dominick si era sentito così perfido da averlo messo alla prova.

"Scusa..." sussurrò.

Steven accennò un sorriso che abbagliò Dominick e sussurrò sulle sue labbra.

"Per cosa?"

"Per Tutto". Sussurrò Dominick in risposta, mentre quasi poteva vedere negli occhi del suo eroe scorrere tutte le paure e le ansie che gli aveva dato Dominick.

Steven poi, posò una mano sul suo viso e sussurrò: "Ora sei qui con me". Dominick stava per piangere, ma si trattenne e strinse ancora le braccia attorno a lui, come se avesse paura che quell'angelo sparisse.

"Resti qui con me, vero?" sussurrò tra i suoi capelli biondi.

"Sempre" fu la risposta di Steven.

Si sedettero per terra e a Steven sfuggì una breve risata.

"Che c'è?" chise Dominick con un filo di voce.

"Guarda il muro".

Dom si voltò e vide che le loro schiene era appoggiate su della vernice verde scuro: S+D. Sorrise e si strinse all'amore della sua vita. Steven accarrezzò le spalle del ragazzo e posò dei baci sulla sua testa: era così premuroso, così dolce che Dominick poteva quasi riuscire a sentire quell'energia, quell'amore impagabile che Steven sentiva per lui.

"Ti va di tornare a casa tua?" chiese dolce.

Dominick socchiuse gli occhi. "Si...ma prima restiamo ancora qui per un pò, ti va?".

Sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare a casa vivo date le sue condizioni, ma non voleva che Steven si preoccupasse per lui ancora una volta.

"Vorrei tornare a scuola, prendere il diploma, iscrivermi all'università e rendere felici te e mia madre. Siete le uniche persone che davvero contano per me".

Steven non si aspettava quelle parole.

Aveva sempre saputo che Dominick odiava quella scuola, che avrebbe voluto altro nella sua vita, avere successo successo con la sua arte, i suoi dipinti e quelle parole per lui, erano una sorta di rinuncia quindi sussurrò: "Piccolo, devi fare ciò che ti rende felice. L'amore non deve essere sacrificio".

Dominick alzò gli occhi su quelli azzurri di Steven e gli accarezzò il viso, le proprie mani scorrevano piano su di esso, coccolandolo e facendolo addolcire in un sorriso che avrebbe sciolto il ghiaccio più solido ed annaffiato il deserto più arido.

"Sei tu che mi rendi felice e farò qualunque cosa pur di farti sorridere come stai facendo ora". Detto ciò, Dominick asciugò una lacrima che scorreva sulla guancia del biondo.

"Sai, avrei voluto avere il coraggio di mettermi con te mesi fa" rispose con voce roca.

"Non fa niente". Disse Dom.

"Siamo qui ora. E' tutto ciò che conta, no?".

Steven annuì in sienzio, incapace di esprimersi a parole, così accarezzò anche lui il suo viso pallido, poi gli si avvicinò per dargli un bacio che lui ricambiò, dolce ed appassionato, senza usare la lingua, non ce ne era bisogno.

Bastava un semplice sfiorarsi di labbra e quele carezze così dolci.

"Ti amo, Dominick" sussurrò poi Steven.

"Anche io". Sussurrò semplicemente lui.

Steven aprì le gambe e fece spostare Dominick, in modo da averlo tra le suue braccia e poi sussurrò a voce bassissima, quasi inudibile, al suo orecchio.

"Ti amo".

Dominick sorrise e si strinse tra le sue braccia, lasciando scivolare la testa sul suo petto coperto dalla giacca chiusa.

"Perché stai sussurrando? Ci siamo solo noi qui..."

"Perché voglio che lo senta solo tu, mio dolce principe. Ti amo e ti amerò per sempre, oltre lo spazio, oltre il tempo, oltre la memoria. Sei l'unico che abbia mai amato, l'unico che mi abbia fatto sentire vivo davvero, l'unico per cui sarei disposto a fare e ad essere qualsiasi cosa pur di vedere un sorriso sulle tue labbra.

Vorrei poter aver fatto di più.

Sono stato debole con te..."

Ora, entrambi piangevano.

I loro singhiozzi erano gli unici suoni che si sentivano in quella fabbrica abbandonata, così lontana dalla realtà, così surreale...

"N-non importa cosa sei stato prima, ma ciò che sei adesso" sussurrò Dom tra i singhiozzi mentre con la sua manica della giacca, si asciugava le lacrime calde che gli scendevano sul viso come piccole cascate.

Steven lo stringeva forte tra le sue braccia, aveva una tremenda paur che fosse scomparso ancora una volta il suo piccolo e dolce principe.

"Se si potesse tornare indietro nel tempo, non ti avrei mai lasciato in quel modo, Dominick".

Il moro sapeva a cosa si riferiva: delle immagini nitide e chiare si facevano largo nella propria mente. Dominick che dopo essere scappato, aveva fatto ritorno a casa e aveva trovato Steven nella propria stanza, il quale con quelle cinque e semplici parole, lo aveva lasciato. Ma non era stata colpa sua.

"Ho chiesto troppo da te. E tu avevi già trope cose a cui pensare, avrei dovuto aspettarmi una reazione del genere da parte tua e invece ho pensato solo a me in quel momento, incolpandoti e facendoti stare ancora peggio..."

Ora sembrava tutto più chiaro per Dominick e non capiva perché ci avesse messocosì tanto a capire tutte quelle cose che prima non gli erano chiare".

"Stai diventando molto profondo, sai?" sussurrò Steven mentre accarezzava i suoi capelli scuri.

Dominick ridacchiò per poi essere scosso da una tosse secca che sembrava non volersi arrestare.

"Ehi, sta bene?" chiese Steven, spaventato.

Dom annuì e si voltò mentre continuava a tossire, poi cercando di non fasi vedere da Steven, sputò qualche fiotto di sangue che mascherò con altra tosse.

Quando smise di tossire, posò di nuovo la testa sul petto di Steven, il quale gli posò un bacio sulla fronte, poi gli indicò una siringa.

"E' tua quella, vero?".

"Si... Daniel mi ha venduto un paio di dosi". Sussurrò lui sperando con tutto il cuore che Steven non si fosse arrabbiato.

Steven, infatti si limitò ad annuire.

"Era l'ultima, voglio smettere con l'eroina. Non ne ho bisogno se ho te".

Dominick sentiva che la propria voce si faceva sempre più fioca ed il respiro sempre più debole.

Sperava solo che Steven non se ne accorgesse.

"Ce la farai. Io ti starò vicino in ogni attimo". Sussurrò Steven con voce dolce, poi cambiando discorso, disse: "qui sono racchiusi tutti i nostri momenti più belli, lo sai? Deve essere una sorta di posto incantato, sebbene non sia esattamente uno di quei castelli che si vedono nelle favole". Ridacchiò restando stretto al suo amato.

"Hai ragione. Venivamo sempre qui ogni pomeriggio questa estate, ricordi?"

"Si... il nostro primo bacio..." proseguì Steven.

"La prima volta in cui abbiamo fatto l'amore..." sussurrò Dom.

"E soprattutto ora che ti ho ritrovato, non ti lascerò andare mai più".

Concluse Steven, spostando il viso per baciare le labbra di Dominick, il quale si era commosso ancora una volta.

Fece il solletico a Dominick, il quale si spostò appena, ridendo e facendo qualche altro colpo di tosse che sembrava volergli lacerare i polmoni ogni volta.

"Scusa..." sussurrò Steven sentendosi in colpa.

"Non è colpa tua". Disse Dominick quando la tosse si arrestò.

"Ti va di andarmi a prendere una pizza? Sono affamato ed ho mangiato solo tonno e fagioli ultimamente..."

Dominick sentiva che il suo momento era arrivato.

"Certo" rispose Steven alzandosi cautamente.

Dom non voleva assolutamente che Steven lo vedesse morire, sarebbe stato troppo straziante per lui e voleva evitargli almeno quel dolore, visto quanti gliene aveva procurati ultimamente.

"Grazie. Poi andiamo a casa mia. Devi ancora sentire il cd che mi avevi regalato per il mio compleanno, ricordi?"

Steven sorrise e si abbassò a dargli un bacio sulla fronte.

"Certo che me ne ricordo. Tu resta qui, io torno prestissimo amore mio".

Dominick gli sorrise e posò una mano sul suo viso, fissandolo per un momento che gli sembrò eterno.

Voleva ricordare ogni dettaglio del suo volto: i suoi occhi, le sue labbra, i suoi capelli, il suo profumo, la sua espressione felice e gioiosa che aveva in quel momento e quel sorriso che avrebbe voluto non si spegnesse mai.

"Che fai?" sussurrò dolce Steven.

"Osservo il tuo sorriso. Voglio che resti dentro di me per sempre".

Steven, ancora una volta senza parole, baciò Dominick.

Lui lo strinse a sè con le ultime forze che gli restavano, così forte da rischiare di fargli male.

Non voleva lasciarlo andare, ma dentro di sè, sapeva che era la scelta giusta da fare.

"Torno presto". Sussurrò Steven quando lentamente, si staccarono.

Lasciò un bacio tenero sulla fronte del ragazzo, poi si allontanò da lui ed una volta che fu uscito dalla fabbrica, Dominick si lasciò andare, sdraiandosi a terra.

Ora era completamente solo.

E stava morendo.

Il silenzio in quel posto si fece stranamente assordante per Dominick.

Era consapevole del fatto di essersi scelto lui quel destino, sapeva dentro di sè che prima o poi, sarebbe andata in quel modo ed anche se per molte altre persone, morire da sole sarebbe stata come un'ultima coltellata al cuore, un'ultima sofferenza, per lui andava più che bene restare da solo con sè stesso. D'altronde, anche se aveva sbagliato tutto, anche se aveva fallito miseramente venendo ricordato dalla società come niente di più che un tossicodipendente, almeno nell'ultimo breve periodo di vita, aveva potuto scegliere di agire a modo suo, di fare come meglio credeva.

E ciò non significava per lui, che aveva fatto la cosa giusta, sapeva bene di aver toppato alla grande, ma aveva sbagliato perché lui aveva scelto di sbagliare e su questo non aveva rimpianti.

Chiuse gli occhi, respirando sempre più a fatica e stese le braccia per terra.

Non aveva mai creduto nel paradiso e nell'inferno, nello Shan-gri-là qualunque altra cosa s'inventavano le persone per illudersi del fatto che una volta morte, sarebbero state meglio o peggio in base alle loro azioni sulla Terra.

Tutte quelle religioni forse racchiudevano un fondo di verità, ma nella società erano utilizzate soprattutto per mettere le persone le une contro le altre, per fare loro il lavaggio del cervello, per dare loro la falsa speranza che un buon Dio avrebbe perdonato i loro squallidi peccati e che avrebbe mandato all'inferno persone che odiavano.

E Dominick ad occhi chiusi, non riusciva ad immaginare nulla che somigliasse vagamente ad un luogo bellissimo e spensierato.

Forse dall'altro lato, c'era semplicemente il nulla.

A lui andava bene così.

"Scusa mamma". Sussurrò con voce talmente bassa e debole che anche una persona fosse stata di fianco a lui, non lo avrebbe sentito.

"Non ti ho dato quello che ti ho promesso. Sono stato solo una delusione e tu, invece hai sempre fatto così tanto per me. Avrei... Avrei tanto voluto vederti un'ultima volta, m-ma forse è meglio così...

Ridott in queste condizioni, non avrei fatto altro che deluderti un'ultima volta prima di andarmene... Spero tu viva una vita lunga... E serena...".

Le parole inudibili gli si spensero tra le labbra.

Delle ultime lacrime calde scorrevano sui suoi zigomi, accarezzandoli, per poi scivolare per terra.

"Ti amo, mamma, ti amo Steven..." sussurrò con un ultimo sforzo.

Il cuore di Dominick, lentamente cessò di battere.

Tutto il suo corpo si arrestò piano, senza fretta, come se stesse scivolando in un sonno beato e pacifico.

Il silenzio regnava ora sovrano nella fabbrica abbandonata.

Steven era in un fast-food aperto fino a tardi, ad un paio di chilometri dall'edificio abbandonato.

Era lo stesso dove quella volta dopo il rave, aveva preso quei tranci di pizza che a Dominick erano sempre piaciuti molto.

Steven era felice, ma al contempo agitato ed un pò nervoso.

Non vedeva l'ora di tornare da Dominick, fargli mangiare la pizza e tornare a casa con lui.

In quei giorni, era stato molto vicino a sua madre, Sheila, la quale si chiedeva continuamente dove avesse sbagliato con Dom, ma lei ovviamente, non aveva sbagliato nulla, era semplicemente andata in quel modo.

D'altronde, lei non era mai venuta a sapere di quei bulli che tormentavano il figlio, delle sue vere aspirazioni, di quanto ci tenesse a soddisfare a pieno la madre, di quanto lui si sentisse incapace di aiutarla o fare qualcosa per lei quando la sera tornava stremata dal lavoro, dalla vita.

Per Steven, ora era finalmente tutto più chiaro perchè era riuscito finalmente a capire cosa realmente volesse Dominick e non vedeva l'ora di essere felice con lui e di prendersene cura, di farlo felice in ogni attimo...

Mentre tornava a piedi alla fabbrica con in mano una busta contenente la pizza calda e fumante ed una sigaretta tra le labbra, Steven rifletteva sul comportamento di Dominick: aveva una strana sensazione su di lui, si era comportato in modo strano, ma forse era semplicemente troppo strafatto e lui si stava agitando per niente, ma non poteva farci nulla: c'erano delle preoccupazioni e dei pensieri che non volevano lasciare il suo cervello.

E se un giorno fosse morto per Overdose?

Magari avrebbe smesso e poi ricominciato con una dose eccessiva e quindi letale?

La mente di Steven continuava a mostrargli Dominick nel suo letto morto, come se stesse dormendo, oppure all'angolo della strada, in bagno con una siringa nel braccio...

Gettò la sigaretta a terra, nella neve e sbuffò.

Era troppo agitato.

Percorreva il sentiero sterrato che portava alla fabbrica, dove doveva solo camminare e fare un sospiro di sollievo nel vedere l'amore della sua vita ancora vivo.

Solo questo.

Steven in quei giorni, aveva desiderato così tanto che Dominick tornasse e di avere una vita serena con lui che ora non poteva credere di avere la propria felicità a qualche passo da se e ad ogni passo nella neve, si sentiva più sollevato, speranzoso...

Entrò nella fabbrica abbandonata e vide Dominick steso per terra, così accennò un sorriso pensando che si fosse addormentato e si accovaccio di fianco a lui posando la busta per terra, per poi spostargli con tanta dolcezza un ciuffo di capelli dalla guancia pallida.

"Ehi, piccolo, ti sei addormentato? Su, si torna a casa". Sussurrò premuroso il ragazzo che accarezzava il viso caldo del moro.

Non ricevendo risposta, strinse la sua mano fin troppo bianca e scarna e disse a voce bassa: "Dai principino, ti ho portato la pizza margherita, la tua preferita". Accennò un piccolo sorriso e sfiorò una sua guancia con le proprie labbra.

Lasciò scorrere la propria mano sul suo polso e fu allora che si accorse del fatto che non c'erano pulsazioni.

Incredulo, posò la mano sul suo petto, poi sul suo collo e poi di nuovo sul suo petto, lì dove c'era un cuore che ormai non batteva più.

"Dominick, no... ti prego..." La voce di Steven non era mai stata così intrisa di paura ed una profonda agonia.

Si spostò sopra di lui, mettendo rapidamente le proprie mani sul suo petto, una sopra l'altra e con gli occhi spalancati, che si rifiutavano di far scendere una sola lacrima, iniziò a dare colpi forti e secchi sul suo sterno privo di vita cercando di farlo riprendere.

"Non puoi abbandonarmi così..." disse sempre più spaventato mentre spingeva le mani sul suo petto diverse volte ad un ritmo preciso.

A scuola una volta avevano distribuito un fascicolo il quale spiegava le regole in casi di terremoti, incendi o di primo soccorso ed ora a Steven era tornato tutto alla mente, rapido come una tempesta.

" Tu devi vivere, Dominick!" Urlò con voce aggressiva, ma piena di tristezza.

"Devi salvarti, amore mio. Devi vivere ancora, devi essere il ragazzo più felice della terra, ti prego..."

Le sue mani continuavano a spingere, incontrastabili.

Decise di provare con la respirazione bocca a bocca, anche se sapeva che era meno efficace di un massaggio cardiaco, così velocemente, senza rimurginarci troppo, tappò il naso di Dominick e cominciò a soffiare nel suo corpo tutta l'aria che aveva nei polmoni, più di una ventina di volte, sperando fervidamente che qualcosa che in quel corpo così magro e scarno, si muovesse appena, gli bastava un piccolo tremolio della mano.

Ma il silenzio in quella fabbrica, era tale da togliere il fiato.

"Dominick..." sussurrò Steven ormai senza respiro, fermandosi un momento ad accarezzare la sua pelle morbida che stava diventando fredda.

Steven fece un urlo così forte, così pieno di dolore da ammutolire per qualche secondo, quel silenzio il quale lo soffocava.

Era finita, lui ne era consapevole.

Dominick era morto.

La persona per la quale non aveva mai smesso di combattere, era morta.

La persona che più amava al mondo era morta.

Il suo futuro con lui era morto.

Steven versava lacrime su lacrime sul corpo senza vita di Dominick.

Ora sentiva che anche la speranza, lentamente moriva dentro di sè.


 

FINE.

 

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