Titanic

di Sammy_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 10 aprile 1912 ***
Capitolo 2: *** 11-12 aprile 1912 ***
Capitolo 3: *** 12-13 aprile 1912 ***
Capitolo 4: *** 13 aprile 1912 - pomeriggio ***
Capitolo 5: *** 13 aprile 1912 - La cena ***
Capitolo 6: *** 13 aprile 1912 - la festa ***
Capitolo 7: *** 14 aprile 1912 - giorno ***
Capitolo 8: *** 14 aprile 1912 - sera ***
Capitolo 9: *** 14 aprile 1912 - Underwater ***
Capitolo 10: *** 15 aprile 1912 - Staring at the sun ***
Capitolo 11: *** 1914-1920 ***
Capitolo 12: *** Giugno 1920 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 10 aprile 1912 ***


Federico aveva fatto molta strada da quando, poco più che quattordicenne, era scappato da Milano per vagabondare in giro per l’Europa. Aveva sentito molto parlare dell'America, la grande, ricca America, e nella sua testa si era pian piano insinuata l’idea di cambiare totalmente vita. Aveva raccolto un po' di soldi ed era partito per Southampton, consapevole che la nave dei suoi sogni sarebbe partita dal porto di quella cittadina.
Una volta arrivato, aveva però avuto problemi a trovare un lavoro e non aveva potuto comprare nemmeno un biglietto di terza classe.
Aveva compiuto da pochi mesi diciotto anni ma lo sconforto era tale da fargli perdere in fretta qualsiasi speranza: ora che la costruzione della nave era ultimata, da quelle parti non serviva più molta manodopera e lui non aveva intenzione di fare un lavoro che mettesse a rischio la propria vita in cambio di una misera paga che non gli avrebbe mai permesso di comprare un biglietto nemmeno per i prossimi viaggi.
 
 
Il Titanic era ancorato nel porto, bello e fiero come non mai. 
I primi passeggeri si stavano mettendo in fila per salire a bordo. Erano ammucchiati davanti alle zone di imbarco e c’era un piccolo caos piacevole. Nell’aria una festosa atmosfera di gioia ed eccitazione per la partenza rendeva tutto più roseo.
Federico osservava quell'imponente creatura metallica come se fosse la cosa più bella del mondo.
Si sentiva ancora l’odore di vernice fresca e a lui piaceva quel profumo, nonostante non potesse salire a bordo, sapeva di stare guardando un pezzo importante di storia dell’uomo.
Quella nave era perfetta, o almeno così dicevano tutti i giornali.
 
 
Dalle prime macchine del secolo iniziarono a scendere aristocratici, grandi imprenditori e più in generale la creme de la creme della società, ovviamente avevano tutti tra le mani un biglietto per la prima classe.
I colori dei loro vestiti erano ancora più accentuati dal caldo sole primaverile di quella mattina.
Da una di quelle belle e costose auto uscì un alto ragazzo dai capelli ricci e castani. Indossava un completo bianco a righe blu che lo slanciavano e lo facevano sembrare più alto di quanto già non fosse. Aveva ventiquattro anni ma sembrava molto più giovane.
Si guardava attorno con occhi vispi e sorrideva. Lo affiancarono presto tre ragazze e un ragazzino di quindici anni che avrebbe potuto essere suo gemello, talmente i due si somigliavano.
I due ricci presero alcune valigie e si incamminarono verso la zona di imbarco ma furono prontamente fermati da degli addetti ai bagagli: era loro compito portare le valigie nelle suite.
Una signora più bassa e formosa seguiva il gruppetto di ragazzi con un velo di preoccupazione.
Si ripeteva fra sé che lo stava facendo per il marito e questo in qualche modo le dava la forza per andare avanti.
 
Michael, così si chiamava il ragazzo più grande, salutava con entusiasmo dal ponte della nave i curiosi e i parenti dei viaggiatori e lo stesso facevano Zuleika e Fortuné, i suoi fratelli minori.
Yasmine e Paloma invece, le sorelle maggiori, fissavano la madre, aspettandosi che riprendesse i tre ma la donna non sembrava voler intervenire: non voleva privare i figli di quel piccolo momento di gioia.
Il perfetto istante venne però interrotto da una innocua frase che ebbe un effetto devastante in Michael.
-Tesoro, sei qui!-
Il giovane si voltò lentamente. Sapeva benissimo a chi appartenesse quella voce e fu proprio quello il motivo della perdita della sua aria spensierata.
-Ida. Mia cara.- Forzò un sorriso di cortesia. I genitori della donna che aveva parlato lo fissarono, altezzosi.
Non erano mai stati troppo convinti di quel fidanzamento ma la famiglia Penniman era molto ricca e aveva già una base stabile in America, in più Ida era profondamente innamorata di quel ragazzo, che sembrava avere tutte le credenziali per essere un ottimo marito, il fatto che non fosse un aristocratico ma solo un nuovo ricco una volta sbarcati nel nuovo continente non avrebbe influito più di tanto.
La ragazza sorrise e si sporse a dargli un leggero quanto veloce bacio sulla guancia, come se fosse qualcosa di proibito.
Per Michael improvvisamente il Titanic divenne una nave carica di schiavi, che lo portava in America in catene.
 
 
Federico, sigaretta fra le labbra ed aria assorta, stava giocando a carte con due tedeschi e il suo migliore amico in una locanda davanti al porto quando uno di loro estrasse un paio di foglietti sgualciti dalla tasca, sfoderando un sorriso beffardo.
Ci fu un attimo di silenzio.
I quattro ragazzi si fissarono e scese un alone di tensione fra di loro.
Si trattava di due biglietti per l'Inaffondabile.
Due biglietti di terza classe di sola andata per una nuova vita.
 Federico li fissò così tanto che credette di poterli consumare solo con lo sguardo.
Impulsivamente, decise di puntare tutti i soldi che lui e l’amico possedevano.
Quei biglietti dovevano essere suoi.
Un lieve sorriso gli si dipinse sulle labbra, le carte da gioco ancora in mano.
-Bene, la vita di qualcuno qui sta per cambiare…-.
 
La nave stava finalmente per salpare, ormai carica, quando due ragazzi Italiani corsero al luogo di imbarco per la terza classe.
-Siamo due perfetti damerini! Siamo praticamente dei fottuti reali, cazzo!- Esclamò Federico, zigzagando fra la gente con un sacco alle spalle, gli unici suoi averi.
Alle sue calcagna Fabio rideva e gridava a tutti di stare andando in America a diventare miliardario.
Federico non aveva esitato nemmeno per un istante a porgere il secondo biglietto al suo fedele amico, più piccolo di lui di un paio di anni, con il quale era partito da Milano tempo prima. Tenevano stretti fra le mani i loro lasciapassare per il nuovo mondo, ansiosi di arrivare, pregustando già le meraviglie di quella terra lontana.
-Siamo i figli di puttana più fortunati del mondo, lo sai??-Rise il maggiore mentre correva sul ponte per sbracciarsi a salutare la folla rimasta a terra.
Non c’era nessuno a dire loro addio ma poco importava.
In America potevano contare sull’appoggio di un loro amico: Alessandro, che si era trasferito là appena qualche anno prima ma che a quanto pare aveva fatto davvero fortuna.
La terza classe era tutto meno che accogliente ma a nessuno dei due sembrava importare davvero molto mentre ne percorrevano i corridoio, alla ricerca della loro cabina: erano troppo felici, troppo eccitati per badare alle cuccette che sembravano già fatiscenti.
Il Titanic era chiamato “la nave dei sogni” e, in quel momento per Federico e Fabio, lo era davvero.
 
 
Molto più su, in prima classe, Michael perlustrava la propria suite presidenziale, a disagio.
Il lusso era davvero sfarzoso, degno di una reggia, ed era proprio quello sfarzo a soffocare il ragazzo: la sua famiglia non navigava nell’oro, quello non era il tenore di vita a cui era abituato.
La loro sorte era cambiata quando il padre era diventato proprietario di una miniera d’oro in America.
Era partito prima di loro proprio per cercare di mettere su un patrimonio, in modo da dare alla moglie e ai figli una vita più che agiata e ci era riuscito, per questo ora la famiglia lo stava raggiungendo.
Anche il marito di Paloma e il fidanzato di Yasmine li attendevano dall’altra parte dell’oceano.
La primogenita Penniman aveva dovuto rimandare le nozze a causa di una serie di sfortunati eventi che “il caso” aveva riservato al promesso sposo.
Michael invece era fidanzato con Ida da sei mesi. Voleva bene a quella ragazza ma non la amava.
A nulla erano valsi i suoi tentativi di spiegarlo alla propria madre: Ida era figlia di due importanti aristocratici Inglesi, era quanto di meglio potessero sperare e di certo i Penniman non si sarebbero lasciati sfuggire una ragazza simile.
L’iniziale entusiasmo del ragazzo nel poter finalmente raggiungere il padre era man mano scemato in uno stato di depressione durante quei mesi di attesa.
Sempre più spesso saltava i pasti e passava notti insonni.
Non era quello il futuro che desiderava.
L’idea di diventare il dispiacere della propria famiglia però lo faceva restare ancorato a quella prospettiva di vita odiata: già in passato era stato motivo di disonore e non voleva deluderli ancora: aveva l’opportunità di lasciarsi alle spalle i fallimenti e di ricostruirsi una reputazione ora.
Sapeva bene di non poter comunque essere libero di essere se stesso, per questo motivo avrebbe almeno provato ad essere il figlio che i Penniman tanto desideravano fosse.
Si lasciò cadere sulla poltroncina foderata di una preziosa stoffa rossa e scoppiò in lacrime.
In quel momento avrebbe soltanto voluto che quella dannata nave affondasse e lo liberasse da quella trappola che era la sua esistenza.

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Capitolo 2
*** 11-12 aprile 1912 ***


Il giorno dopo il Titanic aveva fatto porto a Queenstown ed erano saliti altri passeggeri.

Michael aveva evitato di uscire dalla propria suite, dandosi per malato. Sua madre non credeva che il figlio potesse soffrire di mal di mare viste le numerose gite in barca che avevano spesso fatto ma il ragazzo aveva davvero un aspetto terribile e la donna lo aveva lasciato riposare.

Il motivo del malessere di Michael però era in realtà dovuto all'imbarco del cugino di Ida: Andreas.

Per quanto nemmeno lui fosse un pieno aristocratico, la famiglia della ragazza lo adorava, aveva origini Greche ma era tutto quello che ci si sarebbe aspettati da un nobile Inglese e Michael odiava la sua perfezione, specialmente perché sapeva che non era davvero il ragazzo immacolato che tutti credevano.

Si erano conosciuti quasi un anno prima, a casa di Ida.

Andreas passava spesso a trovare la cugina e in più aveva saputo dello spasimante che molto probabilmente l’avrebbe sposata ed era curioso di vedere che tipo fosse. 

Lui e Michael avevano intrecciato da subito una strana relazione amorosa, ben attenti a tenerla nascosta a tutti però. Non si vedevano spesso e non potevano permettersi di attirare troppo l’attenzione quindi quelle poche volte che riuscivano a stare insieme, erano completamente persi nel loro piccolo mondo di amanti ed erano davvero felici insieme. Le cose cambiarono quando, con il matrimonio sempre più alle porte, Andy iniziò ad interessarsi più alla cugina che al ragazzo. Inizialmente Michael non capì cosa Andy avesse in mente, pensò che fosse per depistare i pensieri di qualcuno che potesse averli sentiti ma la cruda verità era che per quanto il giovane si divertisse tra le lenzuola dell’Americano, non aveva alcuna intenzione di rimanere con lui. 

Quello fu troppo per Michael: per quanto fosse innamorato di lui, gli disse che era finita e iniziò a corteggiare davvero Ida.

Andreas non l'aveva presa molto bene e aveva giurato che non lo avrebbe lasciato andare così facilmente.

Non era una cattiva persona e molto probabilmente lo aveva detto solo perché guidato dall’ira del momento ma a Michael si era gelato il sangue.

Sarebbe bastata un’accusa da parte dell’ex amante e lui sarebbe stato condannato a morte.

Non aveva idea del perché Andy ora si trovasse a bordo del Titanic ma se già appena imbarcato aveva desiderato morire, adesso stava seriamente riflettendo su come togliersi la vita: lo avrebbe preferito alla vergogna che avrebbe provato se Andreas avesse parlato davanti a sua madre e alla sua promessa sposa.

Eppure quella sera, a cena, Andreas chiacchierava tranquillamente con i parenti e con lui. Era stato sistemato al loro tavolo e i fratelli Penniman erano stati fatti accomodare in un tavolo accanto, tutti tranne Michael ovviamente. L’Americano era confuso da quel comportamento ma pensò davvero che Andy non ce l’avesse più con lui: dopotutto era stato proprio l’Inglese dalle origini Greche a rovinare tutto.

La serata era trascorsa abbastanza piacevolmente, il Titanic aveva ripreso la sua rotta verso New York e la mattina dopo si prospettava un’altra bella giornata soleggiata.

L’umore di Michael era però dei più neri. Aveva avuto molti incubi ed era riuscito a malapena a dormire un paio d’ore.

Erano seduti a tavola per fare colazione ma tutto quello che lui desiderava era tornare a letto anche se Joanie non gli avrebbe permesso un altro giorno di isolamento quindi chiederlo era inutile.

Come se già le cose non andassero abbastanza male per l’Americano, al loro tavolo si era unito anche il signor Ismay, il direttore della White Star Line, il quale non faceva che vantarsi della grandiosità della propria nave. Michael iniziò ad avere la nausea.

-Chi ha scelto il nome “Titanic”?- Chiese ad un certo punto Joanie, curiosa.

Sembrava fosse davvero rilassata adesso, probabilmente l’ansia per la partenza stava lasciando il posto alla gioia di poter ricongiungersi al marito.

Ismay sorrise, spavaldo, prima di rispondere.

- Beh, a dire il vero sono stato io! Volevo trasmettere grandezza pura e grandezza significa stabilità, lusso ma soprattutto forza!-

Michael alzò gli occhi al cielo, esasperato e decise di prendere parola.
-Ha mai sentito parlare del dottor Freud, signor Ismay? Le sue teorie sulla preoccupazione del maschio riguardo alla grandezza potrebbero risultare particolarmente interessanti per lei.- Sorrise alla fine, un sorriso più tagliente della parole appena pronunciate.

In quel momento non gli importava di aver attirato tutta l’attenzione dei commensali al tavolo su di sé, non ne poteva semplicemente più.

- Ma che ti prende..?- Gli chiese la madre in un soffio, basita.

Lui la fissò per qualche secondo, colpevole, dispiaciuto forse, ma ancora troppo fuori di sé.

-Con permesso.- mormorò e si alzò, raggiungendo a grandi passi l’uscita della sala da pranzo.

Ismay, rimasto senza parole, si sistemò meglio a sedere e fece una lieve smorfia.

-Freud? Chi è? Un passeggero?-.

La sua fortuna fu che Michael ormai fosse troppo lontano per sentirlo.

Sul ponte della nave intanto Federico se ne stava seduto ad ammirare il panorama e a scrivere.

Non si definiva un poeta ma gli piaceva creare rime. Nonostante non fosse mai andato a scuola, aveva imparato a leggere e a scrivere da autodidatta.

Al suo fianco Fabio suonava qualche motivetto con l’armonica e a nessuno sembrava dispiacere.

Una bella ragazza, sicuramente Irlandese, dai capelli rossi, lunghi fino a metà schiena, acconciati in una morbida treccia, e il viso pieno di lentiggini li raggiunse con un sorrisetto sulle labbra.

- Sei uno scrittore?- Chiese a Federico, sporgendosi per vedere cosa stesse appuntando sul foglio.

Federico alzò lo sguardo e sfoderò un gran sorriso… Che si affievolì mentre i suoi occhi si posarono su una figura più in lontananza, sul ponte superiore, quello di prima classe.

Un bellissimo ragazzo alto, con i capelli ricci pettinati all’indietro e un fisico snello si era appena poggiato con le braccia al parapetto e avevo lo sguardo perso nel vuoto.

La rossa seguì lo sguardo dell’Italiano e storse la bocca non appena si accorse chi stava guardando.

-Quello l’ho fatto inciampare ieri, spero che non mi riconosca o potrebbe pure farmi arrestare, cazzo!- Federico mentì alla svelta, per salvarsi da quella situazione.

La ragazza scoppiò a ridere e così fece anche lui. Fabio rimase in silenzio, limitandosi a sorridere.

Venne richiamata da quella che probabilmente era la madre e si ricompose, sbuffando in disappunto.

- Ci vediamo, scrittore! Attento a non infastidire nessun altro della prima classe!- Si raccomandò, scherzosa. Federico annuì e poi tornò a guardare il ragazzo.

Fabio fissava l’amico, preoccupato.

- Toglietelo dalla testa, Fede. Non sai nemmeno se è…- Iniziò a sussurrare ma si interruppe al vedere un sorrisetto sulle labbra di Federico. Seguì il suo sguardo e notò che il riccio lo stava fissando.

Federico poteva giurare di averlo visto arrossire, anche se da quella distanza.

Lo vide allontanarsi in fretta e sparire dalla sua portata visiva.

Adesso l’Italiano stava quasi gongolando, vittorioso.

-Lo è, Fabio. Lo è…-.

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Capitolo 3
*** 12-13 aprile 1912 ***


Federico non si era mai posto troppi problemi ad avere una relazione con un uomo così come con una donna, certo, stava ben attento a nascondere la sua bisessualità agli occhi della società e l'unico a saperlo era Fabio, che una sera lo aveva scoperto a baciare un ragazzo che aveva portato nella camera che condividevano.
Non si era scandalizzato più di tanto visto che in più di un'occasione Federico aveva tentato di baciarlo e lui lo aveva dovuto respingere. Fabio non aveva mai pensato di denunciare il proprio amico perché semplicemente non erano affari suoi cosa piacesse al ragazzo e perciò Federico viveva la sua sessualità con una sfacciata disinvoltura davanti ai suoi occhi.
Il ragazzo aveva impiegato anni a capire di non essere solo un enorme errore della natura e adesso, nonostante avesse il mondo contro, non si sentiva sbagliato.
 
Per Michael la situazione era ben diversa.
Il ragazzo fissava la propria zuppa con astio, come se avesse davanti il suo peggior nemico. Quel liquido caldo non ne voleva sapere di scendere in gola.
Più quella cena andava avanti, più sentiva il peso di una vita già programmata sulle spalle e lo stava soffocando lentamente. Aveva dovuto ascoltare discorsi privi di anima e di vero spessore, erano vuoti quanto le persone a quel tavolo. Non ce l’aveva né con sua madre né con Ida ma loro non bastavano a farlo stare bene.
I fratelli avevano tentato più volte di parlare con lui ma Michael li allontanava, era scontroso e facilmente irascibile. Voleva che sentissero il meno possibile la sua mancanza forse e trattarli male avrebbe semplificato le cose. Aveva preso la sua decisione: non avrebbe mai raggiunto New York.
Era arrivato al limite e fu per questo che dopo l’ennesima parola di troppo, si alzò di scatto e corse via, sul ponte della nave, deciso a mettere fine alla propria agonia. Voleva solo chiudere gli occhi e non aprirli mai più. Corse a più non posso verso il parapetto del ponte, le guance già bagnate dalle lacrime che non era riuscito a trattenere. In fondo cosa gli importava? Ormai non aveva senso trattenersi.
 
Federico aveva fatto cena presto ed era salito sul ponte a fumare una sigaretta. Fabio era rimasto a suonare qualcosa per i passeggeri della terza classe. Fede si era steso su una panchina e lì si era perso ad ammirare le stelle. Era una di quelle cose che faceva fin da bambino e lo faceva stare bene. Si accorse solo dopo qualche momento che gli era appena passato accanto il bel ragazzo di quella mattina. Lo sentì singhiozzare e fu questo particolare a destare la sua attenzione.
 
Michael arrivò all’estremità della nave e scavalcò il parapetto per poi sporgersi verso il vuoto davanti a sé.
Doveva solo lasciare la presa, lasciarsi scivolare giù, in mare.
Sarebbe stato semplice e veloce. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
-Che cazzo stai facendo??-
Una voce maschile lo fece sussultare. Sgranò gli occhi e voltò il capo.
Si trattava del ragazzo che quella mattina era stato così sfacciato da fissarlo per quasi un minuto.
-Non ti avvicinare! Non ti avvicinare o mi butto!!- urlò, tenendosi però ben stretto al parapetto.
Non voleva finire facendo la figura dell’idiota che era scivolato ed era morto.
Federico alzò le mani in segno di resa. Lentamente, tolse la sigaretta dalle labbra e si avvicinò col permesso del ragazzo per gettarla in mare.
Michael lo guardava con gli occhi strabuzzati, stava tremando di paura e il vento gli stava gelando la faccia.
-Sicuro di non volerci ripensare? È un po' freddo per un bagno...- mormorò Federico, guadagnandosi un'occhiata prima sconvolta e poi stizzita.
-Io voglio suicidarmi, non fare un bagno, stronzo!- ringhiò l'americano.
Federico si accigliò: per essere un damerino, parlava sporco. Sorrise istintivamente e continuò ad avere un comportamento molto tranquillo. 
Iniziò a sfilarsi la giacca e le scarpe sotto lo sguardo perplesso del riccio.
-Che stai facendo...?-chiese in un soffio. L'Italiano gli sorrise e si avvicinò al parapetto con l'intenzione di scavalcarlo.
-Mi butto anch'io! Non ho altro da fare questa sera!- rispose, sfoderando un gran sorriso.
Michael avvampò per la rabbia.
-Sei pazzo?? Tu non hai motivo di morire! Questo non è un gioco!- gli fece notare, fuori di sé.
Quello doveva essere solo il suo momento, non voleva che nessuno si intromettesse.
-Salti tu, salto io.- Rispose semplicemente Federico,  un sorriso costantemente sulle labbra.
L'americano era sempre più confuso.
- Ma perché...? Tu nemmeno mi conosci..- gli fece notare.  Qualche riccio gli svolazzava ribelle davanti agli occhi. Le lacrime avevano smesso di scorrere ma aveva un aspetto sfinito.
-Perché se un ragazzo così decide di farla finita, questo mondo ha davvero toccato il fondo.- mormorò l’Italiano, adesso serio, con gli occhi fissi su quelli del riccio.
Quella frase stordì Michael come un pugno sul naso. Lentamente provò a scavalcare di nuovo il parapetto.  Federico gli sorrideva rassicurante e ad un tratto la sua vita sembrò essere stata illuminata da una stella cometa.
Sfortunatamente non era mai stato molto coordinato e le suole erano troppo lisce, fu per questo che perse l'equilibrio e scivolò.
Il suo viso divenne bianco come il latte mentre la presa si allentava.  Aveva paura di morire, si ritrovò a pensare. Credeva di essere pronto e invece ora tentava disperatamente di appigliarsi a qualsiasi cosa pur di non cadere nell’oceano.
La mano di Federico gli strinse forte un polso fino a fargli male ma Michael non era capace di pensarci ora.
Iniziò ad urlare aiuto e presto alcuni uomini si allertarono.
Federico, nonostante fosse molto più basso di lui, riuscì a reggerlo e a fargli scavalcare la ringhiera.
L'americano cadde rovinosamente e trascinò sopra di sé Federico.  Stettero in silenzio per qualche secondo prima che Michael scoppiasse a ridere tra le lacrime. Nessuno dei due si era mosso. Michael si riprese un po’ e abbozzò un sorriso timido, aprì la bocca per parlare quando un paio di steward arrivarono di corsa.
-Che sta succedendo??- sbottò uno, incredulo. Davanti agli occhi dell’uomo si prospettava una scena di dubbia moralità: un ragazzo di terza classe in parte svestito, steso su uno di prima classe che fino a qualche minuto prima invocava aiuto come una donnetta. Federico si alzò velocemente e prese a sistemarsi.
- Mi sono sporto per vedere le eliche e sono scivolato ma questo gentile signore mi ha salvato! – Spiegò Michael, indicando Federico mentre parlava.
L'italiano si stava rimettendo gli indumenti lasciati sparsi a terra, in imbarazzo quanto il riccio, che faticava a reggersi sulle proprie gambe, ancora impaurito.
Nel frattempo era arrivata anche Joanie, chiamata da uno steward, con il cuore in gola.
-Suo figlio dovrebbe stare più attento... Buona serata! Signora! Signori...- salutò in fretta Federico e si avviò quasi di corsa alla propria cabina. Non voleva stare lì un secondo di più.
Non notò lo sguardo colmo di sospetto che gli rivolse Andy, arrivato subito dopo Joanie, con Ida al proprio fianco.
La ragazza si era tuffata fra le braccia del fidanzato, preoccupatissima per la sua salute ma lui aveva la mente decisamente altrove ed era riuscito solo ad appoggiare una mano sulla sua schiena.
Aveva scoperto di temere la morte più di quanto credesse e quel ragazzo aveva scombussolato tutta la sua vita nel giro di qualche minuto appena.
Doveva rivederlo.
Per questo motivo decise che lo avrebbe cercato e lo avrebbe invitato a cena la sera dopo, ufficialmente per sdebitarsi anche se in verità voleva semplicemente la sua compagnia.
 
Il mattino dopo Michael si era svegliato molto presto ed era corso a cercare quel giovane sconosciuto.
Federico si stupì di vederlo in quella sezione della nave ma ne fu più che felice, felicità condivisa da Michael: incredibilmente si sentiva molto meglio con lui nel ponte dedicato alla terza e seconda classe che con i ricconi della propria.
Camminarono su e giù per il ponte fino a percorrere quasi un miglio. Federico gli aveva raccontato la sua vita, avevano chiacchierato del tempo e di altre cose più o meno inutili ma ad un certo punto l'Italiano aveva chiesto al nuovo amico di parlargli di lui e Michael aveva esitato troppo.
Non sapeva cosa raccontargli, quanto potesse fidarsi. Aveva paura di poterlo allontanare e ora come ora aveva invece un disperato bisogno della sua amicizia.
Federico gli sorrise, consapevole di quello che stesse pensando in quel momento il riccio.
-Sai che non ti giudicherò, no? Insomma non sono così scemo da non capire che qualcosa non va...-.
Michael arrossì lievemente.
-Non c'è nulla che non vada in me!- sbottò,  ferito.
Federico lo fissò con un sopracciglio alzato.
-Lo so questo. – mormorò, portandosi una sigaretta alle labbra.
 Michael avrebbe potuto credere che si stesse prendendo gioco di lui ma la sincerità con cui Fede parlò lo convinse che lo stava dicendo sul serio.
- Io... So che tu pensi che io sia un ragazzo viziato, che non apprezza quello che ha ma non sono così! È che... Noi, la mia famiglia, non è sempre stata così! Non voglio questa vita ma non ho alcuna possibilità di sfuggirle..-
Michael strinse i pugni per non piangere. Quelle cose non le aveva mai potute dire a nessuno.
-C'è sempre una via di fuga... Michael, giusto? Ho sentito tua madre ieri sera chiamarti così..- sussurrò l’Italiano, lasciando uscire una nuvoletta di fumo dalla propria bocca.
L'americano annuì distrattamente.
-Noi non dovremmo darci tutta questa confidenza come se fossimo due amici di vecchia data...- mormorò,  in imbarazzo. Parlare lo faceva sentire stranamente meglio e non voleva ingannarsi, non voleva sperare ancora di poter trovare un po’ di pace in un modo che non fosse definitivo.
Federico aggrottò la fronte prima di scoppiare in una fragorosa risata.
- Noi siamo amici! Ti sono caduto addosso e ti ho salvato la vita: vale come dieci anni di amicizia! Io mi chiamo Federico comunque...- si presentò, sorridente.
Per la prima volta vide il riccio sorridere sinceramente e pensò che quello fosse un panorama infinitamente migliore del cielo stellato e lo avrebbe difeso a tutti i costi, dopotutto non aveva altro da fare per il resto della vita.

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Capitolo 4
*** 13 aprile 1912 - pomeriggio ***


Le ore passarono velocemente e né Michael né Federico si resero conto di aver saltato il pranzo, presi com’erano a scherzare tra di loro. Federico aveva mostrato all’Americano le proprie poesie e quello si era sentito profondamente in imbarazzo per non riuscire a leggerle velocemente. L’Italiano se ne era accorto e senza dirgli nulla, aveva preso a leggergliele lui stesso, con la scusa di canticchiargliele perché nella sua testa quelle parole erano accompagnate dalla musica. Michael gli aveva rivolto uno sguardo colmo di gratitudine perché non lo aveva deriso, non gli aveva fatto pesare quel suo problema di non riuscire a riconoscere delle semplicissime lettere in fila che lo aveva invece torturato durante tutta l’infanzia e l’adolescenza.
Michael, aveva scoperto Federico, aveva una voce divina quando cantava ed era riuscito a convincerlo a fargli sentire qualcosa.
L’Americano non lo avrebbe mai fatto, se si fosse trattato di qualcun altro ma davanti a Federico non aveva motivo di fingere di essere un’altra persona.
 
Erano quasi le cinque del pomeriggio quando l’Italiano decise di mostrargli alcuni suoi disegni. Alcuni erano astratti, altri erano ritratti di persone, sotto ad ognuno c’era una piccola didascalia e Federico raccontava al nuovo amico la loro storia con talmente tanta passione che all’Americano sembrava di aver vissuto quei momenti con lui. I ritratti erano più che altro di Parigine e Michael non poté fare a meno di sorridere perché anche per lui Parigi era significata molto.
-Allora, questa era la tua fidanzata? L’hai disegnata molte volte…- Mormorò ad un certo punto, indicando una giovane donna ritratta senza veli.
Federico scosse il capo.
-Era una prostituta! Con delle mani fantastiche!- rispose sinceramente, aspettandosi uno sguardo disgustato, come ogni volta che ne parlava, invece ottenne un’occhiata curiosa.
- Quando abitavo a Parigi… Qualche volta scappavo di casa di notte…- Iniziò a raccontare il riccio e rise piano, lo sguardo puntato sul foglio.
- C’era una prostituta che incontravo sempre, si chiamava Caroline… Lei era bellissima… Ti sarebbe piaciuta: aveva le mani anche più belle di queste!- Gli sorrise e Federico scoppiò a ridere.
Era quello il bello di Michael: era completamente fuori dall’ordinario.
-Magari potremmo tornare insieme a Parigi per farle visita!- propose Federico, alzandosi dalla panchina su cui si erano accomodati e andando ad appoggiarsi al parapetto.
Durante l’arco della giornata si erano spostati al ponte di prima classe e lì c’erano panchine e sdraio a volontà per i passeggeri.
Michael fissò il giovane ad occhi sgranati.
-Noi due? A Parigi?- Gli uscì solo un sussurro strozzato. Sentiva il cuore che all’improvviso sembrava volesse scoppiargli nel petto.
-Sì, perché no? Oppure potremmo vedere come sono le mani delle prostitute Americane!- Rise Federico, disinvolto. Una coppia di distinti signori si voltò a lanciargli un’occhiata di disprezzo ma il ragazzo non se ne curò. Non gli importava nulla di nessuno all’infuori di Michael, il quale era sempre più sconvolto.
Sorrise così tanto da mettere in mostra le fossette sulle guance e l’Italiano si rese conto di voler disegnare quel viso prima o poi.
 
 
Nella mente di Michael intanto si diffondeva l’idea di poter avere un futuro diverso da quello di bravo marito e padre, non innamorato né della propria moglie, né della propria vita. Era solo un pensiero placebo naturalmente. Credere di poter scappare con un uomo era assurdo ma perché tornare alla realtà ora?
-Va bene! E poi andiamo a mangiare lo zucchero filato! E andiamo sulle montagne russe! E Mangiamo le mele caramellate! Così tante da stare male! E cantiamo insieme!- disse tutto velocemente, preso dall’entusiasmo. Poi si fece un po’ più serio e malinconico.
-Promettimelo, Federico. Anche se rimarranno solo parole… Promettimi che lo faremo.- Lo pregò, con uno sguardo da cucciolo indifeso che fece sciogliere tutte le difese dell’Italiano.
-Te lo prometto, Michael.- Gli rispose e annuì lievemente col capo. Si morse il labbro per resistere alla tentazione di baciare quel ragazzo davanti a tutti. Avrebbe decretato la loro fine ancora prima che potesse nascere qualcosa di reale tra di loro. Si guardò intorno e sorrise al vedere lo stanzino con le sdraio e le varie attrezzature lì vicino a loro, aperto ma privo di luce ad illuminarne l’interno. Fece cenno a Michael di seguirlo e, con molta cautela, entrò nello stanzino senza farsi notare. Così fece l’Americano, divertito. Una volta entrambi dentro, Federico chiuse a chiave la porta.
-Che fai? E’ buio pesto qui dentro! Non vedo neppure dove sei!- Rise Michael ma un secondo dopo si ritrovò la bocca premuta contro quella al sapore di sigaretta di Federico. Il panico gli si insinuò nel cervello in una manciata di secondi. Scostò bruscamente il ragazzo afferrandolo per le spalle e spingendolo via.
-S-sei un… Depravato!-Sbottò, cercando di mettere più spazio possibile tra loro. Si sentiva soffocare.
-E’ quello che siamo..? Lo pensi davvero..? Io penso semplicemente di essere innamorato..- Sussurrò Federico, tranquillo. Si aspettava una reazione del genere, era normale.
Sapeva di essere stato troppo avventato e che quella mossa poteva costargli molto cara ma non riusciva più a resistere. Un bel pomeriggio insieme non sarebbe bastato al riccio per smettere di odiarsi e Federico lo sapeva bene, per questo voleva che cambiasse idea su se stesso il più in fretta possibile.
Michael stava tremando per l’agitazione. Andy non gli aveva mai detto davvero di essere innamorato di lui eppure era certo che si fossero amati e invece quel ragazzo appena conosciuto si era dichiarato con una semplicità così disarmante che fece boccheggiare il riccio.
Come se per quelli come loro la vita potesse davvero essere così normale. Come se non fossero uno scherzo della natura. Michael si ritrovò in lacrime prima ancora di rendersene conto a quei pensieri dolorosi e si accasciò a terra, prendendosi il viso tra le mani. Federico si chinò e lo abbracciò più forte di quanto potesse.
-Lo so come ti senti ma ti aiuterò io, d’ora in poi. Te lo prometto e te lo giuro sul mio nome.- Gli assicurò, accarezzandogli i capelli. Non era solito essere così dolce ma sapeva che quel ragazzone di un metro e novantuno adesso aveva bisogno di essere rassicurato e coccolato.
Anche se Federico stava bene con se stesso, i brutti periodi li aveva passati all’inizio e non c’era stato nessuno a confortarlo in quel modo quando invece sarebbe stato tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno per evitarsi anni di sofferenza.
Michael alzò piano lo sguardo su di lui. Era impaurito ma si fidava di quell’Italiano. Si sporse lentamente a baciarlo, scacciando dalla mente la possibilità di essere respinto in malo modo, pestato a sangue e poi smascherato davanti a tutti.
Federico non lo avrebbe mai fatto, ne era certo.
 
Infatti tutto quello che accadde fu un bacio corrisposto, un lungo bacio privo di malizia nel quale Michael si sciolse di nuovo in lacrime ma senza ritirarsi. Si rese conto così che anche lui si era innamorato e, per una volta in vita sua, non si sentiva sbagliato.

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Capitolo 5
*** 13 aprile 1912 - La cena ***


Le campanelle annunciarono l’imminente ora di cena e i due ragazzi dovettero separarsi. Una volta usciti dallo stanzino avevano ripreso a parlare come nulla fosse ma stavano un po’ più vicini, si permettevano un po’ più di confidenza. D’improvviso era come se davvero si conoscessero da una vita.
Federico aveva convinto il riccio addirittura ad intraprendere una gara di sputi e per quanto a Michael facesse abbastanza ribrezzo, non si era tirato indietro, divertito solo al pensiero di fare qualcosa assolutamente poco da aristocratico.
La sfortuna volle che nel preciso istante in cui Federico stava per sputare, la madre di Michael, accompagnata da quella di Ida e dalla figlia Paloma stessero passando proprio a pochi passi da loro.
-Michael..?- Joanie chiamò il figlio, la fronte corrugata e un’aria perplessa in viso.
Il ragazzo le sfoderò un sorriso luminoso e sia sua madre che sua sorella rimasero di stucco. Finalmente il loro piccolo Mika era tornato?
Al contrario loro, la madre di Ida non sembrava affatto felice e stava squadrando Federico come se fosse un insetto da schiacciare.
Joanie fece cenno al ragazzo di pulirsi un lato della bocca: aveva un po’ di bavetta. L’Italiano si pulì in fretta, in imbarazzo.
-Signora Winland, questo è Federico Lucia, il signore che ieri sera mi ha salvato!- Michael lo presentò alla futura suocera. La donna continuava a fissarlo in malo modo.
-Incantata.- sibilò e passò oltre.
Sia Joanie che Paloma rivolsero ai ragazzi un’occhiata dispiaciuta e furono costrette a seguire la donna.
La Winland si fermò qualche passo più avanti e si voltò appena.
-Mia figlia si sta già preparando per la cena, dovrebbe farlo anche lei, signor Penniman.- Gli suggerì.
Federico fece una lieve smorfia.
-Devo andare… Ci vediamo dopo!- Mormorò Michael, con un sorrisetto sulle labbra, prima di seguire il consiglio della suocera e correre a prepararsi.
L’Italiano sospirò profondamente e spostò lo sguardo sull’oceano.
-Tu cosa metti per stasera?- gli chiese una giovane voce maschile. Federico si voltò di scatto e si stupì di trovarsi davanti la copia di Michael, di qualche anno più giovane. Era affiancato da una bellissima ragazza che il ragazzo riconobbe come sorella di Michael: a quanto pareva i Penniman si assomigliavano tutti.
Alzò le spalle: non aveva vestiti eleganti con sé. I due giovani Americani si scambiarono uno sguardo complice.
-Ci pensiamo noi!- Esclamarono in coro e lo trascinarono nella suite di Fortunè.
Lì il ragazzino fece lavare Federico e intanto Zuleika sistemò uno dei completi eleganti del fratello per far sì che gli stesse bene. Joanie aveva insegnato a tutte e tre le figlie a cucire nonostante potessero permettersi una sarta, era sempre bene saper usare ago e filo secondo la donna.
L’Italiano si vestì in fretta e poi si fece spalmare un qualche prodotto in testa, non era certo di cosa fosse ma gli lucidava i capelli e li teneva ben fermi all’indietro. Si piaceva molto, conciato così, poteva passare davvero per un aristocratico. Uscì in fretta dalla suite e corse verso il salone adibito a ristorante.
Sperava sinceramente di non agitarsi troppo perché non voleva sudare come un matto davanti a tutti quei ricconi, avevano già abbastanza motivi per poterlo prendere in giro.
Scese in fretta la scalinata che antecedeva l’ingresso al ristorante e lì si fermò ad aspettare Michael: avevano decretato quello come luogo di incontro.
Nel frattempo vide passargli accanto Andreas con la signora Winland al braccio. Nessuno dei due lo avevano riconosciuto e se in un primo momento gli era venuto in mente di salutarli, decise poi di lasciar stare, magari lo avevano evitato di proposito.
Con tutta la buona volontà che aveva, Federico non poté comunque evitare di fissare Michael che scendeva lentamente le scale.
Indossava un elegante frac che sarebbe potuto passare per uno delle tante copie indossate dagli uomini di prima classe in quella nave, perfino Federico ne stava indossando uno ma quello di Michael non era nero: era di una tonalità di blu molto scuro e creava un interessante gioco di colori in base alla luce. I ricci erano stati domati e pettinati proprio come i capelli dell’Italiano.
Sul suo viso troneggiava quell’espressione di felicità che tanto aveva stupito Joanie e Paloma.
Federico fece qualche passo verso di lui e Michael finalmente si accorse della sua presenza. Gli sorrise, schiudendo leggermente le labbra per la sorpresa: non si aspettava di vederlo vestito così.
Si appuntò mentalmente di dover ringraziare i fratelli perché ai suoi occhi era chiaro che ci fosse il loro zampino.
Quei due in un modo o nell’altro erano sempre pronti a proteggerlo e ad aiutarlo, incuranti di tutto e dannatamente testardi.
 
I due ragazzi trascorsero una trentina di secondi a fissarsi, sorridenti, quindi decisero di avviarsi al tavolo, fianco a fianco.
-Tenteranno di distruggerti. Non dar loro questa soddisfazione. Non mostrarti debole…- Gli sussurrò Michael e Federico sorrise al percepire che anche il ragazzo stesse in ansia.
-Me la caverò, tranquillo.- Gli fece un sorrisetto di sfida.
L’Italiano di gente come quella ne aveva conosciuta fin troppa ed aveva imparato a tenerla a bada a suon di parole educate ma taglienti quanto lame.
 
-Signor Lucia! Che cambiamento! Stentavamo a riconoscerla! Vestito così potrebbe quasi passare per uno di noi!-
Eccolo lì, il primo attacco velenoso della serata.
Federico sorrise ad Andreas, visto che era stato lui a parlare.
-Quasi, sì.- annuì.
Si misero a sedere e nemmeno il tempo di bere un bicchiere di champagne che arrivò il secondo attacco, stavolta da parte della madre di Ida, la quale se ne stava in silenzio, seduta al fianco del fidanzato.
-Ci dica, signor Lucia, come sono gli alloggi di terza classe? Abbiamo sentito dire che sono molto confortevoli…-
Michael si lasciò sfuggire un sospiro irritato: era un gioco crudele, quello.
Tutta l’attenzione dei commensali al tavolo fu spostata su Federico, il quale sorrideva educatamente.
-I migliori alloggi che abbia mai visto, signora! Solo qualche topo qui e là…-
Le sue parole suscitarono una risata generale. Ovviamente la signora Winland e Andreas furono gli unici a non mostrare nemmeno un po’ di apprezzamento per la risposta.
-Ho scoperto che il signor Lucia è un promettente artista! Oggi è stato così gentile da mostrarmi alcuni dei suoi disegni e delle sue poesie!- Esclamò Michael, sperando di poter riprendere in mano la situazione.
Andy gli lanciò un’occhiataccia.
-Il nostro Michael ha un’idea molto particolare di belle arti… Ovviamente non voglio criticare le sue opere, signor Lucia!- Sibilò tra i denti.
Federico iniziò a pensare di vederci gelosia in quel comportamento.
-Dov’è che vive esattamente signor Lucia?- gli chiese ancora la madre di Ida, la quale supplicò con lo sguardo la madre di smetterla.
- Al momento il mio indirizzo è la terza classe del Titanic, dopodiché si vedrà! Mi sposto di luogo in luogo lavorando! Il biglietto per il Titanic l’ho vinto con una mano fortunata a Poker… Una mano molto fortunata…- lanciò un’occhiatina a Michael, che abbassò subito lo sguardo, facendo finta di nulla.
-La vita non è che è una partita a poker!- Concordò un anziano signore grassoccio.
Al loro tavolo era riunita l’élite dell’aristocrazia presente in quella nave ma fortunatamente alcuni di quegli uomini sembravano avere ancora un lato umano.
-Un vero uomo si costruisce la sua fortuna da solo.- ribatté invece Andy.
A quanto pareva lui e la madre di Ida avevano deciso di allearsi contro Federico.
-E a lei piace questa esistenza priva di radici?- gli chiese ancora la donna. Questa volta perfino Joanie sembrò dispiaciuta da tutta quella cattiveria gratuita. Il ragazzo chinò appena il capo e prese il proprio bicchiere. Bevve un sorso di champagne e annuì.
-Beh, sì signora, mi piace! Insomma, ho tutto quello che mi occorre proprio qui! Ho aria nei polmoni e qualche foglio immacolato! Mi piace svegliarmi la mattina e non sapere cosa mi capiterà, dove andrò o chi incontrerò..- spostò di nuovo lo sguardo su Michael per un istante -secondo me la vita è un dono e non ho intenzione di sprecarla, non sai mai quali carte ti capiteranno nella prossima mano, impari ad accettare la vita come viene, così ogni singolo giorno ha il suo valore.- Era un discorso serio e Federico aveva omesso il fatto che in realtà un po’ di ansia quella vita gliela metteva ma mai sanguinare davanti agli squali…
Michael ora lo stava ammirando come se fosse un dio e Federico sorrise, vittorioso.
-Al valore di ogni singolo giorno.- Esclamò il riccio, alzando la propria coppa di champagne. Tutti i commensali fecero lo stesso e brindarono, anche Andy fu costretto a farlo.
Il resto della serata trascorse in tranquillità, Joanie raccontò di storielle divertenti di vita quotidiana, di quando si trovava col marito e i figli in qualche viaggio e cose simili. Erano tutti divertiti e il giovane Italiano era felice di non dover più combattere.
Lo invitarono ad unirsi nella sala fumatori per il brandy ma lui rifiutò educatamente e lo stesso fece Michael, dicendo di non sentirsi molto bene.
Andy aveva di nuovo fissato quei due con l’aria di un lupo che sta puntando la preda ma era semplicemente andato via.
-E’ stato un piacere, Michael. Grazie per la splendida serata.- Federico sorrise al riccio e gli strinse la mano.
Michael non aveva alcuna voglia di separarsi da lui ma a malincuore lo salutò.
Si accorse però di essersi ritrovato in mano un bigliettino. Si accertò che nessuno lo stesse guardando e lo aprì velocemente. Le poche parole erano scritte in grande, ben distanziate tra loro ed erano accompagnate da qualche disegnino. Il messaggio diceva: “TI VA DI ANDARE AD UN’ALTRA FESTA? ALL’OROLOGIO TRA 10 MIN.”. Mika sorrise come un bambino.
Federico intanto aveva appena regalato un paio di sigarette ai fratelli minori Penniman, che gli avevano passato carta e penna durante un momento di confusione a cena. Iniziava ad adorare quei due.

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Capitolo 6
*** 13 aprile 1912 - la festa ***


Ad ogni passo Michael sentiva l’eccitazione crescere nel suo petto. Federico lo stava guidando lungo i corridoi della terza classe e lui non riusciva a smettere di ridere. Poteva già sentire la musica festosa che proveniva da una sala lì vicino. Erano ritmi vivi, carichi di passione e Michael si ritrovò a pensare a quanto fossero belli.
All’interno della stanza molte persone stavano ballando, altre sedevano ai tavolini sparsi in giro e bevevano birra. Entrambi i ragazzi avevano tolto le giacche ed erano rimasti in camicia e bretelle. Bevvero un paio di boccali di birra e poi Federico sorrise all’Americano.
-Vieni con me!- esclamò e non gli diede neanche il tempo di rispondere che lo stava già trascinando in mezzo alla pista. Non erano gli unici due uomini a ballare insieme e questo rassicurò un po’ Michael e poi quello era tutto meno che un ballo romantico.
L’Americano lo adorava, gli ricordava i tempi in cui erano quelle il tipo di festa a cui prendeva parte con la famiglia.
Alcuni ragazzi stavano ballano su quello che assomigliava ad un palchetto, il riccio ci salì con un salto e iniziò a cantare sulle note di quella melodia Irlandese. Federico lo guardava con un sorriso stampato sulle labbra. Sudato, con i ricci ricaduti davanti alla fronte e la camicia stropicciata, Michael sembrava trovarsi nel suo ambiente naturale, lì. L’Italiano si lasciò sfuggire un sospiro: iniziava a capire quanto dovesse essere dura per il riccio dover sottostare a tutto un altro stile di vita.
Michael adesso stava ballando sul palco con diverse bambine, a turno si alternavano per avere le attenzioni di quell’alto ragazzo che non avevano mai visto nei giorni precedenti. Anche Federico andò a ballare con le piccole per la loro gioia: avevano ben due cavalieri ora. Ad un certo punto Michael si voltò e prese entrambe le mani di Federico, tenendo le braccia tese.
-Che vuoi fare??- Chiese l’Italiano, ridendo ed assecondandolo.

Michael gli rivolse un sorrisetto malizioso.
-Una cosa che non faccio da tanto tempo.- rispose ed iniziò a girare in tondo con le mani del ragazzo ben strette nelle proprie. Federico faticava a stargli dietro ma sapeva che se avesse lasciato la presa, sarebbe caduto chissà dove per quanto giravano velocemente. Risero così tanto da sentire dolore alla pancia.
Quando si separarono, decisero di concedersi un altro bicchiere di birra. Federico si accese una sigaretta e bevve un piccolo sorso dal proprio bicchiere. Michael invece bevve più della metà della propria birra in un solo sorso e poi gli rubò la sigaretta dalle labbra.
Non era la prima volta che fumava, una volta suo padre aveva offerto una sigaretta a lui e una a suo fratello come regalo per Natale. Joanie era andata su tutte le furie e aveva messo in punizione Michael e Fortunè, che però ancora ricordavano quell’esperienza con allegria.
Federico osservava con interesse le labbra fini dell’amico, come incantato. A risvegliarlo fu una birra che arrivò in faccia al riccio: un ragazzo ne aveva urtato un altro che teneva un bicchiere pieno in mano e quello si era svuotato in testa all’Americano, che scoppiò a ridere e scosse il capo per sgrullarsi. Gettò quel poco che rimaneva della sigaretta e prese a togliersi le scarpe.
-Adesso ti faccio vedere… Cosa ho imparato… Da una delle mie cinque… Quattro…- Si fermò a riflettere per qualche momento – Tre sorelle!- Esclamò alla fine, soddisfatto di essere riuscito in quel difficile calcolo.
Naturalmente la birra gli aveva già dato alla testa.
Federico rise e lo guardò con curiosità, così come le bambine che erano tornate vicino a loro.
Michael si mise bene in piedi e lentamente si tirò sulle punte come il migliore dei ballerini, salvo poi cadere rovinosamente con il sedere a terra. Scoppiò a ridere di gusto e lo stesso fece Federico mentre le bimbe battevano le mani, molto colpite. Provarono ad imitarlo e lui spiegò loro qualche passo di danza. Le madri fissavano quel ragazzo con occhi languidi e Federico glielo fece notare mordendosi un labbro ed indicandole appena col capo.


-Fai strage di cuori, spilungone…- mormorò.
Michael si sporse verso il gruppetto di madri e sorrise loro, salutandole con la mano. Le donne ridacchiarono e poi spostarono solo sguardo, solo un paio ricambiarono il saluto.
Nessuno dei due ragazzi si accorse di Andy sulle scale che li stava spiando.
Un’ora più tardi Michael dovette chiedere all’amico di accompagnarlo almeno fino a metà strada perché non si ricordava assolutamente come tornare al proprio alloggio. Erano entrambi ubriachi fradici e girarono a vuoto per una buona mezz’ora. Sfiniti, si fermarono in un corridoio ma il loro riposo durò solo pochi minuti perché poi Mika, così aveva chiesto di essere chiamato l’Americano, aveva preso per mano Federico e lo aveva trascinato nel ripostiglio delle lenzuola pulite che aveva adocchiato prima, mentre camminavano.
-Stavolta sei tu quello depravato…- Sghignazzò l’Italiano. Il riccio lo fissò con un sorriso inquietante sul volto.
Per un attimo Federico credette di avere a che fare con uno psicopatico, ma solo per un attimo, il tempo di ritrovarsi con i pantaloni calati che quella stupida idea era già dimenticata.
Michael era in ginocchio davanti a lui e dimostrava di avere una certa esperienza con quel tipo di rapporti. Federico cercava disperatamente di tenersi in piedi ma le gambe diventavano sempre più molli e le labbra erano martoriate dai propri morsi per trattenere i gemiti. L’Americano, con ben poca grazia, gli lanciò un asciugamani in faccia.
-Stai un po’zitto!- Borbottò e poi scoppiò a ridere.

Federico dovette supplicarlo per fargli riprendere quella lenta e deliziosa tortura, anche se non lo avrebbe mai ammesso, tutta quella situazione lo eccitava ancora di più.
Michael, disinibito dall’alcool, fissava spesso il volto del ragazzo per captarne ogni reazione. Si slacciò i pantaloni con una mano e la infilò al loro interno, prendendo a massaggiarsi con lo stesso ritmo utilizzato con la bocca sull’erezione dell’Italiano.
Con Andy non si era mai permesso di fare quel genere di cose perché al ragazzo non piacevano e lui non voleva passare per una donnaccia mancata, quindi lo assecondava e reprimeva le proprie fantasie.
La visione di Mika così impegnato a dargli e darsi piacere, fu troppo per Federico.
Si strinse con forza l’asciugamani sulla bocca, soffocandovi un forte gemito e raggiunse l’orgasmo così intensamente da rimanerne stordito.
Mika si leccò le labbra, si rimise in piedi, si pulì la bocca e la mano con l’asciugamani che Federico, lasciatosi scivolare a terra, ancora teneva stretto in una mano e si riallacciò i pantaloni nonostante la propria erezione fosse ancora insoddisfatta.
L’Italiano strattonò una mano dell’amante e quello quasi gli cadde addosso, si fiondò subito sulle sue labbra. Ci furono baci umidi e piccoli morsi. L’odore di birra era talmente forte da ubriacare ulteriormente entrambi.
Michael si sistemò a cavalcioni sulla vita di Federico e iniziò a strusciarglisi addosso, emettendo solo dei piccoli sospiri e fingendo di fare le fusa.
Il ragazzo aggrottò la fronte e rise piano.
-Cosa sei? Un cazzo di gatto?- Ridacchiò mentre con le mani stringeva possessivamente i fianchi del riccio, che sorrise di nuovo come uno psicopatico e scosse lentamente il capo.

- Di cavallo.- Asserì, convinto. – Sono un unicorno!- Scoppiò a ridere da solo e Federico stette a fissarlo per due minuti prima di capire.
- No, tu sei un maniaco depravato, che fa battute di merda!- Sbottò, ridendo con lui.
Mika si accigliò. – Tu sei uno stronzo di merda!-.
Si insultarono amorevolmente per altri cinque minuti poi Federico decise che fosse giusto ricambiare il favore e gli slacciò nuovamente i pantaloni, finendo quello che il riccio aveva iniziato.
Con grande sorpresa di quest’ultimo, l’Italiano sostituì la mano con le labbra quando sentì l’altro prossimo all’apice del piacere, più per evitare che entrambi si sporcassero, in un attimo di lucidità, che per altro. Michael gli strinse così forte i capelli con una mano da fargli venire le lacrime agli occhi. Deglutì, cercando di ricacciare un conato di vomito, non era abituato a fare quelle cose.
Recuperò il solito asciugamani e ci si pulì anche lui. Mika iniziò a ridere piano e Federico lo seguì a ruota. Sentendo dei passi in lontananza però, si ammutolirono e, quando furono certi che non ci fosse più nessuno, si costrinsero ad uscire. Si scambiarono un’occhiata innamorata prima di allontanarsi.
Michael alla fine riuscì a trovare la propria suite e, dopo aver litigato per un po’ con la serratura della porta, entrò e si gettò subito sul letto senza badare a cambiarsi e lavarsi, troppo stanco, privo di alcuna voglia di togliersi l’odore di Federico dal proprio corpo e con un’espressione di pura beatitudine in viso.
Il giorno dopo non avrebbe avuto più il coraggio di guardare in faccia nessuno e avrebbe avuto un mal di testa terribile ma erano preoccupazioni inconsistenti per quella notte.
Si addormentò con un “Ti amo” sussurrato alla luna, che splendeva alta in cielo e lo illuminava dolcemente.

 
 

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Capitolo 7
*** 14 aprile 1912 - giorno ***


Quel mattino a colazione Michael non aveva alcuna voglia di parlare.
Davanti a lui era seduta Ida, che lo scrutava con sguardo indagatore.
-Sono venuta nella tua stanza, ieri sera. Avevi detto di stare male, volevo accertarmi che andasse tutto bene…- Iniziò a parlare, ostentando una calma che non aveva.
Il ragazzo continuava a girare lo zucchero nella propria tazza di the, evitando di alzare lo sguardo.
-Andy vi ha visti. Tu e quel… Quel ragazzo di terza classe!- Sbottò ad un certo punto, ricacciando a stento le lacrime che cercavano prepotentemente di uscire.
Michael posò il cucchiaino. Le mani avevano iniziato a tremare. Era stanco, in pessime condizioni e l’ultima cosa che voleva era litigare.
-Mi aveva invitato a visitare..- iniziò a dire ma venne interrotto da un singhiozzo di Ida.
-Lo so quello che fai con gli uomini! Andy mi ha detto cosa sei!-
L’Americano iniziò a sudare freddo, gli occhi sgranati e un’espressione di puro terrore sul volto.
Andy lo aveva davvero tradito? Per quale motivo? Gelosia?
-Io posso sopportarlo, Michael! Posso sopportarlo davvero! Santo cielo, io ti amo! Noi… Noi ci sposeremo ed avremo dei figli! E nessuno saprà mai delle tue perversioni… Il tuo segreto morirà con me. Te lo giuro sul mio onore. Ma non rivedrai mai più quel ragazzo. Tu devi giurarmi questo, tesoro mio!- la ragazza puntò i suoi occhi chiari su quelli scuri del promesso sposo, incurante delle lacrime che le bagnavano il viso.
Lei lo amava davvero e fu questo a colpire di più Michael. Lui aveva avuto la sua notte di follia, si era divertito e si era sentito di nuovo vivo ma ormai era tempo di tornare alla realtà. Si ritrovò a pensare a quanto volesse urlare contro alla donna che lui non era perverso, era semplicemente innamorato di un uomo. Federico ne avrebbe avuto il coraggio, ne era sicuro. Ma lui non era Federico.
Lui aveva troppa paura delle conseguenze e quindi annuì e strinse entrambe le mani della fidanzata senza dire nulla.
Ad Ida bastò.
Sapeva che il suo futuro marito era diverso e lo sapeva perché era dotato di una sensibilità che non aveva mai trovato in nessun altro. Se il prezzo da pagare per averlo al suo fianco era il silenzio, lei avrebbe mantenuto la parola: non voleva che il ragazzo fosse incarcerato, non voleva sentirsi un mostro anche lei.
Una volta finita la colazione, andarono entrambi a riordinarsi prima della messa, non volevano far vedere ai genitori che avevano pianto, si sarebbero insospettiti tutti e avrebbero dovuto inventare scuse.
 
Federico non smetteva di sorridere. Fabio stava seriamente pensando di gettarlo in mare. Non faceva che blaterare di quanto si sentisse il re del mondo e di come non vedesse l’ora di arrivare a New York per iniziare la sua nuova vita con il suo grande amore. Le ragazze lo trovavano molto romantico, Fabio invece, che sapeva di chi stesse parlando, trovava che fosse una follia ma non erano affari suoi, si ripeteva. Lui aveva altro a cui pensare: la bella rossa che aveva provato ad entrare nelle grazie di Federico qualche giorno prima aveva ripiegato su di lui poi e quindi Fabio aveva la sua bella da corteggiare e non poteva pensare all’amante di Federico. Il giovane si lavò con cura e mise dei vestiti puliti, i migliori che avesse e poi si avviò in prima classe. Era l’ora della messa ed era certo che Michael fosse nel salone adibito a chiesa.
Quando arrivò davanti alle porte in vetro, riconobbe l’alto profilo del riccio ma due steward lo fermarono.
-Signore, lei non dovrebbe essere qui.- Gli fece notare uno, guardandolo dall’alto in basso.
Andy si accorse della presenza del ragazzo e, sorridente, uscì dal salone.
-Signor Lucia! Il signor Penniman mi ha incaricato di darle questi, come ricompensa per avergli salvato la vita!- Porse a Federico una banconota da venti dollari ma il ragazzo non la prese.
Fissò quel denaro, profondamente ferito.
-Non sono venuto ad elemosinare. Può tenersi il suo denaro. Io vorrei solo parlargli un momen..-
-Il signor Penniman ha anche detto che gradirebbe che si ricordasse la classe scritta sul suo biglietto e che quindi smettesse di importunare lui e la sua fidanzata. Addio, signor Lucia.- Andy gli infilò i soldi nel colletto della camicia e se ne tornò a pregare, soddisfatto della vendetta attuata.
Federico arrossì per la rabbia e l’imbarazzo di essere stato trattato come una donnetta di facili costumi. Ebbe l’impulso di stracciare i soldi e andarsene ma si trattenne e decise invece di mettere in tasca quei soldi.
Quelle non potevano essere parole di Michael, non poteva credere che il ragazzo che la notte prima gli stringeva i capelli, in preda al piacere, ora avesse deciso di dirgli addio così brutalmente. Certo, rifletté l’Italiano, non sarebbe stata la prima volta che un uomo avesse approfittato di lui per poi fingere di non conoscerlo il giorno dopo ma sentiva che con Michael era diverso.
Armato di questa convinzione, si appostò sul ponte per attenderlo: la giornata era magnifica, il sole splendeva e il cielo era di un azzurro intenso, l’Americano sarebbe di certo uscito.
 
Poco tempo dopo Michael, accompagnato dalla propria famiglia e da quella di Ida ma camminando in fondo al gruppo, stava infatti passeggiando proprio sul ponte. Non sorrideva più. Era tornata quell’espressine esasperata, sfinita dalla vita. Federico ebbe un brivido. Che avesse davvero deciso di farla finita comunque per paura e avesse quindi dato ordine di allontanare lui..?
In un gesto rapido, lo prese sottobraccio e lo spinse all’interno della palestra, vuota a quell’ora del mattino.
Michael sgranò gli occhi e boccheggiò per la sorpresa.
-Cosa fai?? Tu sei pazzo? Andreas non ti ha detto di lasciarmi in pace??- Sbottò a pugni stretti, tenendosi lontano da lui. Federico schiuse le labbra, stupito.
-Quindi hai davvero deciso di mollarmi così..? Cosa sono per te, Michael? Una puttana da venti dollari?? Tu.. Tu sei davvero così a corto di palle da non avere nemmeno il coraggio di dirmi di persona che non vuoi più vedermi?? Cosa vorresti fare, mh? Sposare la tua fidanzata, avere bambini e scomparire dietro all’immagine del marito perfetto e del padre affettuoso? E’ questa la vita che vuoi, Michael? Perché credevo che tentare di ucciderti fosse un moto di ribellione proprio nei confronti di questa prospettiva di vita!- Lo spinse contro il muro e Michael non oppose resistenza, non fiatò, nemmeno quando l’Italiano prese a baciarlo con foga, mordendogli le labbra fino a fargli male. Poteva fare a meno di essere se stesso per tutta la vita…?
Scoppiò in lacrime e sentì Federico stringerlo a sé con tutta la forza che aveva in corpo. Un po’ lo odiava per questo, per la sensazione di protezione che riusciva a fargli provare.
-Senti… So di non poterti offrire niente… So che agli occhi della legge siamo da galera ma… Potremmo scappare insieme.. Per davvero! Solo noi due… Andremo ovunque vorremo, vivremo come vorremo! Tu hai l’aspetto di un gentiluomo, io posso passare facilmente per il tuo maggiordomo personale o… Per la tua guardia del corpo, qualcosa così! Possiamo farcela…- Federico stava parlando a cuore aperto e Michael questo lo poteva capire bene.
Quel piano gli sembrava totalmente assurdo ma cosa aveva da perdere..? Sarebbe morto comunque se avesse dovuto sposare Ida e gli dispiaceva per lei ma meritava qualcuno che la amasse davvero, lui non poteva farlo, neppure per finta.
Si asciugò le lacrime con il dorso della manica e annuì.
-Va bene…- Sussurrò, schiarendosi la voce con un colpetto di tosse. – Va bene. Facciamolo.- Ripeté, più convinto e sorrise.
Federico si sciolse e non riuscì a trattenersi dal baciarlo ancora una volta.
Decisero di non pensare a tutte le conseguenze a cui sarebbero andati incontro perché no, nulla era più importante del loro amore.
 
Ora nella propria suite, Yasmine si lasciava stringere il corsetto dalla madre. Avevano coperto la fuga di Michael ed erano state convincenti. Adesso si stavano preparando per il pranzo ed erano entrambe in ansia.
-Credi che tornerà..?- chiese in un lieve sussurro la ragazza a Joanie, la quale sospirò pesantemente.
-Lo spero, tesoro… Michael non può far saltare il matrimonio, lo sa…-mormorò, sconsolata.
-Io penso che sia innamorato, mamma. Penso che questa volta sia davvero innamorato..-
-Non dire sciocchezze, Yasmine! Non può esserlo! Non lo è! Lui non…-trattenne un singhiozzo e si ritrovò in lacrime. La figlia la abbracciò forte. Non avevano mai detto nulla a Michael ma sapevano bene che il ragazzo preferisse gli uomini alle donne. Per quanto potesse essere moralmente sbagliato, loro gli volevano bene comunque, non riuscivano a dirgli che fosse malato perché il loro piccolo Mika non era pazzo.
 
Fu un pranzo difficile da gestire, Michael non si fece vedere e i genitori di Ida iniziarono a criticare quel suo comportamento. Fortuné si sedette al posto del fratello e spiegò di essere stato a trovarlo e di aver dovuto chiedere al medico di bordo di somministrargli qualcosa per la nausea perché aveva rimesso tutta la colazione. Il ragazzo era più che consapevole di far venire il voltastomaco a tutti ma fu proprio per questo che lo disse: cambiarono subito discorso e credettero al malessere di Mika. Fortuné parlò con Ida per tutto il resto del pranzo. I due avevano solo qualche anno di differenza e sembravano andare molto d’accordo.
 
Il sole aveva iniziato ormai a tramontare.
Michael e Federico avevano passato l’intera giornata insieme, nascosti da travestimenti arrangiati alla meglio tra una risata e un bacio. Avevano rubato una parrucca dal camerino degli artisti nel piccolo teatro a bordo e Federico si era infilato dentro uno dei vestiti da donna che avevano trovato.
Con la parrucca e un cappello in testa, il vestito lungo e molto trucco, il ragazzo poteva davvero passare per una donna da lontano, soprattutto grazie alle labbra carnose e alla bassa statura. Michael si era limitato a nascondere i capelli sotto ad un cappello e a mettere una sciarpa a coprirgli in parte il viso. Faticavano a non ridere, conciati così ma era divertente vedere come riuscissero ad ingannare i passeggeri.
Si trovavano all’estrema prua della nave e l’Americano fu improvvisamente colto da un’altra brillante idea.
-Vieni!- Prese per mano Federico e si avvicinò alla ringhiera. Il vento si infrangeva contro i loro visi ed era una sensazione piacevole.
-Adesso chiudi gli occhi!- Gli ordinò, con quel sorriso che Federico amava tanto.
Il ragazzo obbedì e si lasciò guidare.
Michael lo fece salire sulla ringhiera e, pur non tirandosi indietro, Federico iniziò ad avere un po’ d’ansia di scivolare. L’americano percepì quella paura e si avvicinò con le labbra all’orecchio destro del giovane.
-Ti fidi di me..?- Gli chiese in un soffio. Federico abbozzò un sorriso.
- Mi fido di te.- Rispose senza esitazione. Era anche pronto a venire spinto in mare pur di vivere quel momento, con il vento in faccia, l’oceano sotto di sé e il corpo caldo di Michael dietro, premuto contro il proprio. L’Americano gli prese entrambe le mani e gli fece aprire le braccia.
-Mi sento un coglione così…- ammise Federico, ridacchiando e cerando così di smorzare quell’atmosfera prima di rischiare di saltare addosso al ragazzo lì sul ponte.
-Non è una parola da fanciulle per bene, sei troppo volgare!- Rise Michael al suo orecchio e spostò le mani sulla vita dell’Italiano.
-Apri gli occhi adesso!- Esclamò, entusiasta.
Federico si ritrovò senza parole mentre ammirava il panorama che aveva di fronte. Era uno spettacolo incredibile e, sebbene sapesse che era solo una questione di prospettiva, aveva l’impressione di stare volando.
-Io ho capito, sai? Tu mi hai aiutato.. Adesso so che la vita fa schifo ma..-
- Ma il panorama è bellissimo.- Concluse per lui Federico, gli occhi puntati sull’orizzonte.
Michael sorrise sul suo collo prima di baciarlo dolcemente. L’Italiano si tranquillizzò, ora era certo che il giovane non volesse più morire prima del tempo.
-Penso che sia così, volare…- Federico non riuscì a trattenersi dal condividere con lui quel pensiero. Ma non ottenne una risata divertita, così come si era aspettato.
-Tu, Josephine, sulla macchina vieni con me, più su, vola via con me…- Iniziò a canticchiare Michael e Federico rise piano.
Presero a baciarsi lentamente ma senza alcun freno. Agli occhi di chi li avesse visti, sarebbero sembrati una sfacciata coppietta di innamorati e dopotutto loro erano quello. Prolungarono il bacio fino a quando non ebbero più fiato, per imprimere bene nelle loro menti quell’attimo di vita.
Né loro, né gli altri passeggeri a bordo immaginarono che quella fosse l’ultima volta che il Titanic vedeva la luce del sole.

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Capitolo 8
*** 14 aprile 1912 - sera ***


Michael e Federico entrarono nella suite del primo di corsa, ridendo come matti. Era ormai sera e loro si erano giusto fermati nella sala ristorante della terza classe per prendere un paio di panini per poi correre via. Michael aveva chiesto a Federico di fargli un ritratto e per questo l'Italiano aveva recuperato il proprio blocco dei fogli e l'astuccio con il materiale per disegnare.

-Benvenuto!-Esclamò Mika, una volta chiusa a chiave la porta. Federico si guardò intorno ad occhi sgranati.

Non riusciva a credere che potesse esserci così tanto lusso in una cabina. Notò subito dei quadri e ci si avvicinò con entusiasmo, riconoscendo ogni pittore. Michael ne rimase colpito e per una buona decina di minuti parlarono esclusivamente di arte.

-Vorrei che mi facessi un ritratto.- Gli ripeté poi il riccio, mordendosi piano il labbro inferiore ed abbozzando un sorrisetto. Federico annuì distrattamente.

-Sono qui apposta, no? O volevi solo approfittarti di una povera ragazza?- Fece una faccia scandalizzata e Michael scoppiò a ridere.

-Non sei più una ragazza, sei un uomo, adesso!- Gli fece notare.

Federico aveva abbandonato il proprio travestimento solo poco prima e il rossetto non ne voleva sapere di scomparire del tutto dalle labbra.

-Ah. Quindi sei tu la ragazza!- Ridacchiò e si prese una cuscinata in faccia da parte del riccio.

-Io voglio... Che mi disegni come una delle tue ragazze Francesi.- Ammise, abbassando lo sguardo, in lieve imbarazzo per quella richiesta. Federico lo fissò senza aprire bocca.

-Nei ritratti che ho, sembro già morto! Non mi piacciono! Non mi piace il mio viso, non mi piace la mia espressione, non mi piace niente.- fece una lieve smorfia –Nei tuoi ritratti quelle ragazze sono vive, hanno sentimenti... Amore, paura, sofferenza, gioia... Loro parlano. Voglio che tu mi faccia parlare sulla carta.- spiegò Michael, trovando il coraggio di alzare gli occhi su quelli scuri dell'amante.

L'Italiano annuì e sospirò. –Ok, ho capito!- Assicurò ed iniziò a spostare il divano e la poltroncina.

Mentre lui si preoccupava di preparare la stanza, Michael iniziò a spogliarsi, a disagio ma deciso ad andare avanti in quell'ennesima follia. Non gli piaceva il proprio corpo ed era sicuro che a nessuno potesse piacere, aveva qualche dubbio che nemmeno ad Andy piacesse davvero ma Federico lo rassicurava e lui semplicemente aveva deciso di credergli e di mettere da parte le proprie insicurezze.

L'Italiano fissò Mika per una trentina di secondi, gli occhi che vagavano ovunque e il respiro che accelerava appena.

No, doveva rimanere concentrato sul proprio lavoro. Sorrise al riccio e gli fece cenno di sedersi sul divanetto. Lo istruì sulla posizione da mantenere e poi andò a sedersi sulla poltroncina di fronte al divano, spostata abbastanza lontano da poter vedere interamente Michael.

Entrambi piombarono in un religioso silenzio. A poco a poco Mika si sentì meno in imbarazzo. Federico alternava lo sguardo tra il foglio e lui e sembrava un vero professionista. Al riccio piaceva quella sua qualità: poteva essere il più infantile degli uomini ma nel lavoro metteva tutto se stesso con grande serietà e dedizione.

Lo vide arrossire appena solo quando lo sguardo si posò tra le sue gambe. Michael si morse di nuovo il labbro.

-Forse potremmo... Metterci davanti un cuscino! Saltare questa parte...- Propose, ora rosso in viso più di Federico, il quale scosse il capo.

-No. No, fa parte di te. Resta fermo e lasciami fare. E non ti eccitare o mi rovini tutto!- Si raccomandò, scherzoso. Michael fece una risata nervosa e chiuse gli occhi, provando ad immaginare il signor Ismay che baciava la nonna. L'immagine lo fece calmare all'istante e tirò un lieve sospiro di sollievo. Non voleva passare per il ragazzino che si eccita per nulla, voleva essere un modello serio.

Una volta finito il ritratto, Federico sorrise, soddisfatto. Voltò il foglio e Michael corse ad ammirarlo da vicino. Ne rimase completamente sbalordito perché Federico era davvero riuscito a farlo vivere sulla carta: gli occhi del disegno trasmettevano tutto quello che il riccio si era sempre tenuto dentro, tutti i lineamenti del suo corpo sussurravano emozioni.

Gli occhi del Mika in carne ed ossa divennero lucidi.

-E' magnifico... M-ma io non sono così...- Riuscì solo a sussurrare. L'Italiano sorrise e scosse il capo.

-Hai ragione: tu lo sei di più.- Gli soffiò sulle labbra, prima di catturarle in un bacio tanto agognato.

Non si resero conto di come finirono entrambi sdraiati sul divano, a baciarsi ed esplorarsi con le mani. Michael non sembrava più quel timido ragazzo che arrossiva durante un ritratto senza veli: era fin troppo intraprendente e aveva preso il controllo della situazione. Federico, da parte sua, si lasciava guidare ben volentieri, alla completa mercé del riccio. I due erano nudi, Michael a cavalcioni sulla vita dell'Italiano, entrambi già col cuore che minacciava di scoppiar loro in petto anche se stavano facendo tutto molto gradatamente, volevano che quel momento fosse speciale.

Ad interromperli fu però l'insistente bussare di qualcuno alla porta.

-Michael, apri subito!- Sbraitò Andy, chiaramente infuriato. Il riccio sgranò gli occhi e si spostò bruscamente da Federico. Infilò in fretta camicia e pantaloni mentre l'amante faceva lo stesso.

-So che ti stai intrattenendo con quella sgualdrina di terza classe! Apri!-.

Le parole dell'uomo non fecero che far agitare ancora di più Michael. Prese Federico per mano e lo guidò fuori dalla cabina, usando la porta di servizio. Non si curò di prendere il ritratto, lasciato sopra il tavolinetto.

Andy chiese ad uno steward di aprire la porta della suite e una volta dentro, fece una smorfia disgustata: il solo pensiero del suo Michael con quello scarto della società lì, sul divano dove avrebbero dovuto fare l'amore loro due era troppo per lui. Ebbe l'impulso di strappare il disegno quando lo notò ma si fermò giusto un istante prima e sorrise malignamente. L'avrebbe fatta pagare ad entrambi.

Michael e Federico correvano a più non posso, braccati da alcuni uomini a cui Andreas aveva affidato il compito di seguirli ed arrestarli. Loro erano riusciti a seminarli e si erano ritrovati nell'enorme magazzino riservato alle auto e ai grandi carichi. Si avvicinarono ad una macchina dal fiammante colore rosso.

Federico la ammirò con occhi sognanti e Mika arricciò appena il naso, scontento di non ricevere più le attenzioni dell'amante. Si schiarì la voce e si mise in attesa accanto alla portiera, deciso a distrarlo. L'italiano si voltò verso di lui e capì dopo qualche istante. Sorrise ed aprì la portiera, lasciando salire il riccio.

-Mi scusi, Signore! Non l'avevo notata!- Ridacchiò ed ottenne uno sguardo offeso.

-Ti licenzio!- Esclamò Michael, con una certa solennità.

-Se mi licenzi, chi ti porta in giro..? Non c'è nessuno, qui...- Gli fece notare Federico, divertito.

Il riccio sbuffò pesantemente. –Va bene, ti licenzio dopo!-.

L'Italiano rise e finse di mettersi alla guida, sedendosi sul seggiolino posto fuori dalla cabina per i passeggeri.

Mika abbassò il vetro che li separava in modo da poter stare vicino al ragazzo.

-Dove la porto, signore?- Chiese Federico, sfoggiando un accento inglese molto marcato.

Michael rise e si avvicinò al suo orecchio. – Su una stella.- rispose e un attimo dopo aveva preso di peso Federico dalle spalle e lo stava trascinando dietro, nella cabina. Federico rise e si aiutò con i piedi per spingersi oltre il finestrino aperto. Si sedettero entrambi sui sedili e si fissarono in silenzio.

Il riccio poi prese delicatamente una mano del giovane e ne baciò con dedizione due dita, facendo fremere l'altro, che aveva afferrato la sua intenzione. Si tolsero nuovamente i vestiti e questa volta Federico non attese nemmeno uno sguardo di consenso per iniziare a dedicarsi all'erezione del ragazzo con una mano, mentre con due dita dell'altra mano, bagnate di saliva, lo preparava con lentezza, attento a non fargli male.

Michael serrò gli occhi non appena sentì l'intrusione delle dita di Federico e soffocò un lamento con un morso sulla spalla di quest'ultimo. Il dolore durò giusto un attimo, rimpiazzato dal piacere crescente dovuto alla mano con cui il ragazzo lo stava massaggiando. Quando l'Italiano si interruppe, gli occhi languidi di Mika si spalancarono e supplicarono l'altro di riprendere. Federico sorrise e in tutta risposta si sistemò meglio tra le gambe dell'Americano e sostituì le dita con la propria erezione. Mika non riuscì a trattenere un gemito di dolore che fece preoccupare il più giovane. Si tranquillizzò solo quando il riccio iniziò a dettare il ritmo e si sciolse in versi compiaciuti. Chi li stava cercando avrebbe potuto trovarli facilmente sentendo i loro ansimi e i loro gemiti ma ai due interessava solo vivere appieno quella passione e quando raggiunsero l'orgasmo insieme, rimasero stretti uno all'altro per un tempo indefinito, completamente appagati e in pace sia nella mente che nel corpo.

Quando gli uomini che li cercarono giunsero al magazzino, trovarono solo i vetri appannati di una macchina e l'impronta di una mano che aveva tentato di aggrapparcisi.

I due (ancora inconsapevolmente sfortunati) amanti erano tornati sul ponte, deserto vista l'ora e il freddo pungente di quella notte. Ridevano e si baciavano senza preoccuparsi di chi potesse vederli, troppo inebriati dall'amore.

Intanto i due uomini in servizio di vedetta si sfregavano le mani e le braccia, infreddoliti e stanchi.

-Sto gelando! Ho il naso gelato, le orecchie gelate..- Iniziò a lamentarsi uno, facendo sbuffare sonoramente l'altro.

-Anche io ho freddo!- borbottò. Sentì una risata in lontananza e si porse per vedere da chi venisse. Fu così che notò due ragazzi sul ponte. Erano abbracciati e il più basso si stava mettendo sulle punte per raggiungere le labbra dell'altro.

L'uomo ridacchiò fra sé e cercò lo sguardo del collega.

-Quelli hanno trovato il modo per riscaldarsi...-Mormorò con tono malizioso. L'altro arrossì nonostante il freddo.

-Beh, se dobbiamo scaldarci anche noi così, preferisco continuare a gelare!- borbottò, voltandosi di spalle.
Il primo uomo lo abbracciò da dietro e aprì la bocca per parlare ma quella frase non uscì mai dalle sue labbra.

La nave tremò, si inclinò lievemente su un lato per una decina di secondi e un gracchiare metallico si espanse nell'aria.

Erano le 23.40 e il Titanic era appena entrato in collisione con un iceberg.

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Capitolo 9
*** 14 aprile 1912 - Underwater ***


Tutti avevano sentito la nave fremere e tutti si erano resi conto che i motori erano stati spenti.

Duemiladuecento persone erano a bordo.

Il signor Ismay alternava nervosamente lo sguardo tra l'ingegnere e il capitano e non poteva credere a quello che stava sentendo: in meno di un paio d'ore il Titanic, l'Inaffondabile, sarebbe colato a picco nei gelidi abissi dell'Atlantico.

Il capitano fissò il vuoto mentre nella sua testa il numero dei passeggeri gli urlava la cruda realtà.

-Ho l'impressione che la sua nave finirà in prima pagina comunque...- Sussurrò ad Ismay, che avrebbe tanto voluto finire sul giornale per essere il proprietario del transatlantico più veloce mai costruito.

Avevano scialuppe solo per la metà delle persone, Ismay stesso aveva insistito per diminuirne il numero perché sfiguravano sul ponte, lo rendevano meno elegante.

Il capitano e gli ufficiali rimasero in silenzio per qualche istante: la morte aveva dato appuntamento a tutti loro e non potevano fare nulla per evitarlo.

Michael e Federico, scioccati da quello che avevano appena visto sul ponte, corsero mano nella mano alle cabine di prima classe. Mika doveva avvisare la sua famiglia di quello che stava accadendo.

Ad attenderli c'erano però delle guardie ed Andy.

L'uomo sorrise e diede l'ordine di arrestarli per reato di omosessualità.

Michael sentì l'intero mondo crollargli addosso e le gambe gli cedettero. Federico restò impassibile mentre veniva ammanettato, sicuro di non voler dare all'uomo nessuna soddisfazione. Dalla suite di Michael proveniva il pianto delle sorelle e della madre. Michael le fissò mentre passava e si sentì morire ancora una volta. Federico serrò la mascella.

-Siamo andati contro un iceberg!-sbraitò per farsi sentire dalla famiglia dell'Americano. Zuleika e Paloma sgranarono gli occhi. Altri passeggeri si allarmarono e si creò confusione nel corridoio, prontamente placata dagli steward che però iniziarono a raccomandare a tutti i passeggeri di indossare i salvagente.

Lo stesso fecero per la seconda classe, alcune persone di terza invece erano state allertate dall'acqua che aveva iniziato ad allagare cabine e corridoi.

Iniziarono a preparare le scialuppe. Il freddo era talmente pungente da convincere i passeggeri a rimanere all'interno dei saloni mentre aspettavano.

Ma il tempo scorreva troppo in fretta.

L'ingegnere entrò nel ristorante e vagò a bocca aperta tra i tavoli. Le persone erano rilassate, dannatamente rilassate. I musicisti suonavano allegre melodie. Tutto ciò era surreale.

Yasmine, che dopo aver sentito Federico, era corsa via, lo vide e lo raggiunse in fretta.

-Signor Andrews, so dell'icerberg. Mi dica la verità.- mormorò, seria come non mai.

Non le sarebbe servita una risposte perché gli occhi dell'uomo già parlavano abbastanza.

-Tra poco più di un'ora la nave affonderà. Si cerchi una scialuppa e avvisi solo i suoi cari. Non voglio essere il responsabili di una generale crisi di panico.- sussurrò Andrews, atono e assente. Era un morto che camminava.

Federico e Michael erano stati ammanettati ad un palo in seconda classe. L'Americano piangeva silenziosamente mentre Federico fissava il mare dall'oblò. Stavano affondando, ne era sicuro. La nave si stava inclinando sempre di più.

Ida, in lacrime, sconvolta dai troppi avvenimenti, si era appena seduta su una scialuppa, accanto alla madre. Gli uomini ancora non potevano salire a bordo e lei pensò a Michael, al suo amante, a Fortunè, che la fissava con gli occhi di chi sta dicendo addio all'amore della sua vita.

-Ricordati di me se... Se dovesse andare male...- Le sussurrò e lei scoppiò in singhiozzi convulsi, sotto lo sguardo disgustato della madre.

-Non avrete mai più a che fare con la nostra famiglia!-Sbottò, indignata.

Zuleika, Paloma e Joanie stavano salendo su un'altra scialuppa. Erano state condotte lì da uno steward, incapaci di ragionare da sole. Joanie si strinse nella propria coperta e porse la mano a Yasmine, ultima rimasta a dover salire.

-Avanti, Yasmine, Sali sulla scialuppa.- Le disse ma la figlia non si mosse.

-Vuoi lasciare qui Michael e Fortunè?- La voce le tremava ma non stava piangendo.

La madre la fissò come se le avesse appena sparato. –Non abbiamo scelta!-Le fece notare, con una nota di disperazione.

Yasmine chinò il capo, annuì lievemente e sorrise.

-C'è sempre una scelta. Addio, mamma.- Furono le sue ultime parole prima di correre via, lontano da quella scialuppa, lontano dalle espressioni esterrefatte delle sorelle e di Joanie.

La famiglia Penniman aveva appena perso tre componenti. Comunque sarebbe andata, erano una famiglia distrutta.

La ragazza iniziò a vagare all'interno della nave, che poco a poco diveniva deserta. Cercò il corridoio dell'equipaggio e vi si addentrò. L'acqua le arrivava già quasi alla vita.

-Michael! Michael!- Iniziò a chiamare ad alta voce.

I due ragazzi incatenati la sentirono ma Michael non rispose. Federico aveva voglia di dargli un pugno in faccia. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e nel giro di un minuto Yasmine era lì, davanti a loro.

-La seconda chiave, è argentata! Laggiù, nello stipetto!-Federico le indicò subito dove cercare e per sua fortuna, la ragazza sembrava essere molto più lucida del fratello.

Ma la chiave non c'era.

Yasmine iniziò a boccheggiare per l'ansia. Prima che l'Italiano potesse dirle qualsiasi cosa, la ragazza stava già correndo nel corridoio. Quando tornò con un'accetta, il ragazzo sbiancò.

-Ok, sai usarla..?- Chiese, preoccupato.

-Fidatevi di me.- Sussurrò solamente Yasmine, lo sguardo concentrato su un punto preciso.

Diede due colpi secchi alle catene delle manette e liberò entrambi. Federico stava tremando di paura ma era ben contento di avere ancora entrambe le mani. Notò solo allora la chiave sopra la scrivania.

-Oh, ti pareva!- Sbottò e si tolse le manette dai polsi poi fece lo stesso con Mika.

-Fede.. Federico, che.. Che facciamo..?- Chiese in un mormorio il riccio, come se si fosse appena svegliato. Yasmine gli strinse forte una mano e gli rispose: -Corriamo.-.

Adesso sui ponti della nave regnava il caos più totale. Le scialuppe erano state riempite per la maggior parte e la gente si accalcava nel disperato tentativo di trovare un posto. Andy iniziò ad essere in preda all'ansia di dover rimanere a bordo. Aveva provato a corrompere un ufficiale per avere un posto ma non era servito a nulla. Fabio era riuscito ad arrivare sul ponte, stava correndo accanto alla sua bella rossa.

Passarono davanti al gruppo di musicisti che si era spostato sul ponte a suonare.

-Forse si annega meglio con la musica.. Almeno so che sto in prima classe!- Esclamò.

Erano tutti completamente folli a causa della paura.

I due riuscirono a raggiungere Federico che intanto, con Michael e Yasmine, aveva raggiunto il ponte.

Trovarono una scialuppa con un paio di posti e spinsero davanti la ragazza Irlandese e Yasmine.

-Va, noi prenderemo la prossima!- Promise Michael alla sorella. Lei scosse il capo, permettendosi ora di piangere.

-Ti voglio bene, Mumu...-Le sussurrò ancora il ragazzo e lasciò la sua mano. Federico la ringraziò con lo sguardo e poi vennero spinti lontano.

Andy era salito a bordo di una scialuppa prendendo con sé una bimba che sul ponte aveva perso di vista la mamma. Si era finto suo padre e lo avevano lasciato salire vista la tenera età della piccola, che non smetteva di piangere.

La prua della nave iniziò lentamente ad affondare.

Alcuni passeggeri pregavano, altri urlavano e piangevano. Federico aveva perso Fabio ma teneva ben stretta la mano di Michael.

Poi tutto accadde in fretta.

La prua sprofondò, la poppa si innalzò e la nave si spezzò in due.

La parte posteriore della nave prese ad affondare in verticale.

Michael e Federico si tenevano aggrappati alla ringhiera. Vedevano persone cadere in mare, scomparire per sempre.

Dalle scialuppe i naufraghi sentivano le urla di quella povera gente che fino a qualche ora prima rideva e scherzava con loro.

Mika iniziò a sussurrare una canzoncina per non pensare, aveva già chiuso gli occhi, pronto a morire.

Federico si aggrappò ad una sua spalla. -Ascoltami! La nave ci trascinerà in fondo! Quando te lo dico io, trattieni più aria che puoi, hai capito??- Gli urlò per farsi sentire.

Michael lo fissò, incredulo. Nonostante tutto, Federico aveva ancora la voglia di combattere, aveva voglia di vivere. Lui doveva fare altrettanto per amore suo. Annuì e si preparò.

-Spingi verso l'alto e non lasciare la mia mano. Ce la faremo, Michael.- Federico fissò il suo bel riccio negli occhi un ultima volta.

-Mi fido!- Rispose l'americano e abbozzò un ultimo sorriso.

Trattennero il respiro, si strinsero la mano e chiusero gli occhi. Poi ci fu solo gelida acqua, le loro mani che non riuscivano più a tenersi, i loro colpi che venivano sbalzati da una parte all'altra e la pressione che schiacciava il petto.

Quando Michael riuscì e riemergere, di Federico non c'era traccia.

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Capitolo 10
*** 15 aprile 1912 - Staring at the sun ***


Michael credeva di essere già morto e di essere finito all'inferno.

Centinaia di persone attorno a lui si agitavano e tentavano di aggrapparsi a qualsiasi cosa e di Federico non c'era nemmeno l'ombra. Iniziò ad urlare il suo nome a squarciagola ma la voce faticava ad uscire a causa della gelida temperatura dell'acqua. Alcuni passeggeri galleggiavano già in superficie, privi di vita.

All'improvviso l'Americano fu afferrato da qualcuno alle spalle, che lo spinse con la testa sotto l'acqua per far leva su di lui nel folle tentativo di sopravvivere. Michael non riusciva a liberarsi e l'acqua gli gelava la faccia, era come essere trafitti da migliaia di piccolissime lame.

-Lascialo stare!-

Quella voce scaldò immediatamente il cuore del riccio. Federico aveva dato un pugno in faccia all'uomo che stava bloccando Michael e adesso stava trascinando l'amante lontano da lì.

-Nuota, Michael! Nuota!- Lo spronò, gli occhi che vagavano in cerca di una zattera di fortuna.

-Federico, fa troppo freddo...- Si lamentò il ragazzo più grande, certo che non sarebbero sopravvissuti in ogni caso.

L'Italiano lo fissò per una decina di secondi.

-Noi dobbiamo fare delle cose, insieme.- Gli ricordò, serissimo.

Nuotarono fino a quella che un tempo doveva essere una porta e costrinse il riccio a stendercisi sopra.

Provò a salire anche lui ma quel pezzo di legno per poco non si ribaltò. Si morse forte il labbro.

-Ok...- sospirò e fece il giro, salendo dall'altro lato, in modo da bilanciare il peso.

Una volta sopra, si strinse a Michael e lo baciò. – Andrà tutto bene..-Gli sussurrò, rassicurante.

Il riccio stava piangendo e non rispose.

Poco più in là un ufficiale stava usando il fischietto per richiamare le scialuppe, che si erano allontanate per non venire risucchiate dalla nave che si inabissava.

Gli ufficiali a comando delle scialuppe sentirono il fischietto ma non si mossero.

Joanie sgranò gli occhi, incredula.

-Non andiamo a salvarli? Abbiamo ancora posto qui!- Fece notare ma non ottenne risposta.

-Che vi prende..?? Sono i vostri uomini, quelli! I vostri figli!!- Sbottò, rivolgendosi alle altre passeggere della scialuppa. L'ufficiale le rivolse uno sguardo truce.

-Se non tappa quella boccaccia, avremo un posto in più.- La minacciò. La donna si zittì e chinò il capo. Il solo pensiero che tra quelle urla potessero esserci anche quelle dei propri figli e lei non poteva salvarli la annientò. Zuleika era svenuta fra le braccia di Paloma già da un quarto d'ora.

Fortunatamente però, un ufficiale ritrovò un po' d'umanità nel proprio cuore. Fece trasferire alcuni naufraghi su una scialuppa per liberarne il più possibile un'altra, con cui tornare indietro a recuperare persone.

Intanto le urla stavano diventando sempre più flebili.

Michael alzò lo sguardo e quello che vide fu solo morte.

-Si sta acquietando...- mormorò e nella sua voce c'era sollievo. Federico scosse piano il capo. –Tranquillo, arriveranno... Si stanno solo organizzando...- Soffiò sulle sue labbra.

- Non so tu ma io ho intenzione di scrivere una vibrante lettera di protesta alla White Star riguardo all'accaduto..- Trovò il coraggio di scherzare l'Italiano, sperando in un sorriso. Michael però continuava a fissare il vuoto con l'espressione di chi sa di non avere più di un'altra decina di minuti da vivere.

-Ti amo, Federico.- Gli confessò ad un tratto, bisognoso di dirglielo. L'Italiano schiuse le labbra e lo guardò dapprima sconvolto, poi quasi infuriato. – Non farlo. Non dire addio. Non ancora! Mi hai capito??- Trovò il coraggio di urlare e non importava se la gola gli facesse male o se stesse sprecando le ultime energie.

Il riccio scrollò lievemente le spalle. –Fa tanto freddo..- Gli fece notare, come se non lo avesse sentito.

-Senti, Michael..-Ringhiò Federico e trovò la forza di sdraiarsi sopra al ragazzo, attento a non far ribaltare la porta.

-Tu te la caverai, ok? Andrai avanti, con la tua vita, farai canzoni! Diverrai famoso.. Morirari quando sarai vecchio, al calduccio, nel tuo letto. Non qui, non stanotte. Non così. Sono stato chiaro?- ringhiò, la voce tradita solo dalla disperazione. Michael chiuse gli occhi. – Non sento più il mio corpo... Non ti sento..-Si limitò a rispondere.

Federico deglutì e riprese a parlare. -Vincere quel biglietto è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, mi ha portato a te. Ne sono grato per questo, Michael. Ma se mi lasci qui, giuro che ti seguo per riempirti di botte, brutto stronzo egoista!-

Questo finalmente fece increspare le labbra del riccio in un lieve sorriso ma adesso Federico era serio. Poggiò le labbra sul collo del ragazzo. –Devi promettermi che sopravvivrai. Che non ti arrenderai, qualunque cosa accada, per quanto disperata sia la situazione. Promettimelo adesso. E non dimenticare mai questa promessa.- Si sforzò ancora di parlare. Michael riuscì a muovere un braccio e ad accarezzargli debolmente i capelli. –Sei tu a dirmi addio adesso... Sei uno stronzo di merda.- Gli fece notare e ridacchiarono entrambi, esausti. –Te lo prometto.- Aggiunse il riccio e strinse a sé il ragazzo con le ultime forze rimaste.

Solo una scialuppa tornò indietro. Arrancarò in mezzo ai cadaveri dei naufraghi, tenuti bene a galla dai salvagenti bianchi. L'ufficiale e i marinai a bordo aguzzarono la vista in cerca di un qualche movimento ma perfino il mare era piatto. L'uomo a comando della scialuppa iniziò a gridare, la voce incrinata dal dolore per ciò che vedeva. Puntò la torcia su una donna che teneva in braccio un neonato, erano entrambi morti.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. –Abbiamo aspettato troppo..- sussurrò più a se stesso che a qualcuno. –Continuate a controllarli! Controllate!- Sbottò poi, con rinnovata forza. Avrebbe fatto il giro più e più volte pur di trovare qualche superstite.

Michael teneva gli occhi aperti, puntati sul cielo stellato, stava canticchiando di nuovo, cercando di rimanere cosciente. Federico era silenzioso ma sentiva il suo battito. Corpo contro corpo, il freddo si era un po' attutito e aveva donato loro un po' di tempo in più.

L'ufficiale con il fischietto era morto da molto e adesso erano immersi nel silenzio.

Fu per questo motivo che a Michael ci volle un po' prima di rendersi conto che qualcuno stesse gridando.

Scosse piano Federico, incredulo. –Fede! Fede, li senti?? Sono arrivati!- esclamò, con quel filo di voce che aveva. Ma l'Italiano non rispose.

Michael prese a scuoterlo. –Federico! Federico, per favore! C'è una scialuppa!- singhiozzò, mentre il panico si faceva strada in lui a causa della mancata reazione dell'amante.

-Non rompere, ho sentito..-Borbottò il ragazzo e Michael riuscì a mettersi a sedere, tenendolo ben stretto a sé. –Sei un coglione! Io credevo che tu eri morto!- Ringhiò e lo strinse ancora più forte. Federico rise piano.

-Non sono il tipo che se ne va dopo appena una notte... Preferisco le relazioni lunghe, sai...?- scherzò e sentì il riccio singhiozzare contro la sua spalla.

La luce della torcia che li illuminò ferì i loro occhi.

Li avevano trovati.

Solo sei persone su millecinquecento furono salvate dall'acqua.

Michael e Federico erano due di quelle.

In seguito ci fu una lunga attesa.
Nessuno si fece domande sul perché quei due ragazzi continuassero a rimanere abbracciati anche sotto le coperte che avevano steso su di loro. Nessuno aveva semplicemente voglia di aprire bocca.

Quando Federico schiuse gli occhi, era mattino. Davanti a loro c'era la Carpathia, una nave che doveva aver avvistato le scialuppe ed ora le attendeva per recuperare i naufraghi.

A bordo furono costretti a separarsi dal loro abbraccio ma rimasero seduti accanto, con le teste nascoste sotto le coperte. Michael notò Andy vagare tra i sopravvissuti.

Chinò il capo e si coprì di più. Federico sospirò e, ben coperto anche lui, poggiò il capo sulla sua spalla.

Quella fu l'ultima volta che video Andreas. Non provarono a cercare la famiglia di Michael, rimasero là, con i passeggeri di terza classe perché Mika aveva troppa paura di scoprire chi fosse morto.

Durante il tragitto, una bambina di tre anni circa finì fra le braccia del riccio. La piccola era sola, raccontò a modo suo che un signore l'aveva portata lì e poi l'aveva abbandonata. All'Americano non occorse sentire altro. La prese con sé e la fece rannicchiare contro il suo petto mentre la teneva al caldo con la propria coperta. L'Italiano stette al loro fianco e giocò con la piccina per tutta la tratta.

Molto spesso Michael si fermava a guardare il sole, sorridente. Ad un certo punto il compagno gli chiese il perché ma il giovane si limitò ad alzare le spalle.

Tra i superstiti della prima classe Joanie faceva lo stesso. A Zuleika, Paloma e il ritrovato Fortunè non serviva chiederne il motivo però.

La statua della libertà si ergeva davanti agli occhi di Federico, Michael e Suzie in tutta la sua bellezza. Un uomo si avvicinò loro e chiese i nomi per registrarli. I giovani uomini si sorrisero appena e si guardarono.

-Mika, Fedez e Suzie Brown. Lei è mia figlia e lui mio fratello.- Rispose Michael.

L'uomo annotò tutto e fece un lieve sorriso rassicurante.

-Signori, signorina... Benvenuti in America.-.

 

THE END

?

 

__________________

Eeee la storia si conclude qui... Ma anche no :D 

Ci saranno dei capitoli extra... Ci sono troppe cose lasciate in sospeso, da spiegare... ;)

Ps. il "the end ?" è una citazione al finale del film Sherlock Holmes, che non c'entra niente con la trama  ma io l'ho adorato e quindi l'ho messa visto che è perfetta! ( a proposito: tutti i capitoli contengono piccole citazioni a canzoni dei patati, telefilm o cartoni XD)

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Capitolo 11
*** 1914-1920 ***


1914

Andy aveva faticato a riprendersi ma, a distanza di due anni dal Titanic, era riuscito a trovare un lavoro redditizio e una moglie benestante. Alcune notti sognava ancora i ricci del suo passato amante, li sognava sparsi sul cuscino, appiccicati sulla fronte e, nelle notti peggiori, sulla superficie dell'acqua, in netto contrasto di colore con il freddo viso del suo proprietario.

Ida era finalmente diventata una Penniman. Aveva deciso di farsi rinnegare dalla famiglia pur di stare con Fortunè perché, sebbene credesse di amare Michael, il fratello minore del ragazzo le aveva fatto capire cosa fosse l'amore vero e non voleva privarsene, non dopo essere scampata alla morte per miracolo.

Il ragazzo aveva trovato un posto su una delle ultime scialuppe perché un anziano duca gli aveva lasciato il proprio. Frotunè non ne aveva ben chiaro il motivo, il vecchio gli disse soltanto "Non fare i miei errori" prima di scendere ed allontanarsi con passo sicuro.

Quando il giovane vide Ida a bordo della Carpathia, non esitò a raggiungerla e baciarla davanti ai genitori di lei. La ragazza fu accolta nella famiglia Penniman a braccia aperte perché erano già affezionati a lei e non avevano intenzione di chiedere anche a Fortunè di rinunciare all'amore sincero per un matrimonio combinato. I Winland fecero finta di aver perso la propria figlia nel naufragio.

Fortunè e Ida avevano fatto una bella festa perle nozze, si erano divertiti anche se nei loro cuori aleggiava ancora la tristezza per la perdita di Michael e Yasmine.

Paloma aveva avuto un bambino un anno dopo la tragedia e questo riportò un po' di luce in una famiglia che sentiva di aver perso un'enorme parte di felicità.

Zuleika non era più tornata quella ragazzina scherzosa e spensierata che era prima del naufragio. Passava intere giornate chiusa in camera, parlava poco e mangiava ancor meno. I genitori erano molto preoccupati ma non c'era modo di riuscire a sbloccarla. Di notte si svegliava con le grida dei naufraghi nelle orecchie e la sensazione di trovarsi in una barca. Viveva in un incubo costante.

Al matrimonio c'era anche lei, nel suo bel vestito, seduta in un angolo a fissare il vuoto. Non ce la faceva più.

 

1920

Michael non credeva che fare il genitore fosse così stancante ma a quanto pareva, Suzie aveva un caratterino a dir poco vivace e lui faticava a starle dietro, anche se si stava rivelando sempre più un ottimo padre. La piccola aveva imparato correttamente il francese e sapeva anche un po' di Italiano. Era l'orgoglio dei suoi papà.

Il riccio e Federico erano riusciti ad aprire un piccolo locale grazie all'aiuto di Alessandro, amico ricco dell'Italiano che gli aveva promesso aiuto se il giovane fosse andato in America. Fabio andò a lavorare per loro. Scoprirono che era ancora vivo proprio grazie ad Alessandro e furono molto felici di sapere che anche la sua bella rossa si era salvata, si erano sposati e avevano già tre figli.

Michael cantava spesso, quasi ogni sera e Federico adorava quei momenti. Suzie ogni tanto aveva il permesso di stare sveglia a guardare l'esibizione del padre e ne era felicissima.

Lei aveva completamente rimosso tutta la sua vita prima di sbarcare negli Stati Uniti. Era certa di essere la figlia di Michael Brown e chiamava Federico zio ma al ragazzo stava bene così.

Erano una famiglia, nonostante avessero contro la società. Avevano conosciuto due ragazze quasi per caso, una coppietta molto innamorata e avevano deciso di comune accordo di fingere di essere fidanzati. Erano ottimi amici e quello era un perfetto piano per tenere a bada le voci che potevano circolare, in più Suzie le considerava una parte fondamentale della propria vita.

Era pomeriggio quel giorno, quando una figura familiare entrò nel pub. Aveva lunghi capelli scuri e un sorriso furbo appena accennato.

Federico fece frantumare a terra un piatto per lo shock. Davanti a sé c'era Zuleika Penniman, bellissima, ora con i tratti più maturi di quando l'aveva conosciuta, da donna.

La ragazza gli sorrise dolcemente e calde lacrime iniziarono a scendere lungo le sue guance.

Michael ebbe la sua stessa reazione. I due fratelli si strinsero per un tempo che parve infinito, in un silenzio che raccontava nei minimi dettagli quegli otto anni passati lontani l'uno dall'altra.

Zuleika aveva tentato il suicidio pochi giorni dopo il matrimonio di Fortunè. Era stata salvata per miracolo, ancora una volta, e la ragazza si convinse che doveva esserci un motivo per questo. Iniziò così a fare le sue ricerche per ritrovare i fratelli scomparsi, certa che fosse ancora viva per svolgere quel compito. Alla fine scoprì che un certo Mika Brown era stato registrato nel 1912. Ci erano voluti sei anni ma era riuscita a trovarlo. Di Yasmine invece non c'era alcuna traccia.

Suzie sembrava adorare la nuova zia. Parlarono fino a notte fonda e dormirono insieme.

Michael invece non riusciva a prendere sonno. Era felice di sapere che Fortunè si fosse salvato e avesse sposato Ida, era felice anche per la nascita del nipotino e ringraziava che sua madre stesse bene ma ricordare la propria famiglia gli stava facendo male.

Federico lo raggiunse alla finestra e lo strinse da dietro, immaginando i pensieri del proprio compagno.

-Potremmo andare a trovarli...- gli sussurrò e lo sentì irrigidirsi.

-Pensi che ci accetteranno, adesso..?-gli chiese, mordendosi piano il labbro inferiore per non piangere ancora.

Federico abbozzò un sorriso e lo strinse più forte.

-Possiamo scoprirlo.-. 

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Capitolo 12
*** Giugno 1920 ***


Giugno 1920
 
La famiglia Penniman abitava in una bella villetta immersa nel verde. Nella stessa casa vivevano Paloma, suo marito e il figlioletto e Ida, Fortunè e la bambina che avevano avuto. Era un posto molto tranquillo, un piccolo angolo di paradiso.
 
Zuleika stringeva forte la mano di Michael mentre si avvicinavano al grande portone in legno massiccio. Suzie e Federico li seguivano appena qualche passo più indietro.
 
La coppia aveva lasciato il pub nelle mani di Fabio ed era partita il giorno dopo l'arrivo di Zuleika.
 
Mika non era affatto convinto che la sua famiglia ora potesse accettarli ma doveva vederli almeno un'ultima volta per essere sicuro che stessero bene, sperava di ritrovare quei volti spensierati di anni ed anni prima nonostante tutto.
 
Fu Fortunè ad aprire la porta. Aveva un gran sorriso sulle labbra e i ricci scompigliati. Era diventato il sosia perfetto di Michael, era alto solo un paio di centimetri più di lui. Il fratello maggiore non ricordava quel particolare ma forse era cresciuto in quegli anni, dopotutto era ancora un ragazzino ai tempi della sciagura.
 
Quando il più giovane mise a fuoco chi aveva davanti, impallidì e fece un passo indietro. Cacciò un urlo che fece allertare tutti. Paloma, Ida e Joanie accorsero, spaventate.
 
-Buongiorno...- Sussurrò Michael, con lo sguardo basso. Si sentiva terribilmente a disagio. Aveva ancora il diritto di presentarsi lì? Aveva perfino cambiato il cognome per non farsi trovare e adesso se ne stava davanti alla sua famiglia, sperando di essere accolto. Zuleika gli strinse di più la mano.
 
-Ve lo avevo detto che ce l'avrei fatta.- La ragazza sorrise alla madre, che aveva occhi solo per Mika in quel momento. Spostò lo sguardo solo quando notò Federico dietro di lui. Paloma era scoppiata in lacrime, Ida si era rifugiata fra le braccia del marito, che era ancora sotto shock.
 
-Mamma...- Iniziò Michael ma venne interrotto dal forte schiaffo che gli diede proprio la donna. Gli occhi gli divennero immediatamente lucidi e sentì un lancinante dolore al petto, come se il cuore gli si fosse frantumato in mille pezzi. Doveva aspettarselo, pensò, sul punto di piangere.
 
-Non fare male a mio papà!- Urlò Suzie, cercando di liberarsi dalla stretta di Federico.
 
I Penniman sgranarono gli occhi. Joanie singhiozzò e scosse il capo, abbracciando il figlio ritrovato. 
 
-Tuo papà mi ha fatto prendere una grande paura, tesoro. Per molti anni...-Spiegò dolcemente alla bimba. Michael si sciolse in un pianto liberatorio fra le braccia materne. Era confuso e non capiva bene cosa stesse succedendo ma in quel momento non gli importava. In pochi istanti venne coinvolto in un abbraccio di famiglia. Federico guardava soddisfatto mentre accarezzava i capelli della figlia, più tranquilla ma sospettosa. Joanie gli fece cenno di avvicinarsi e il ragazzo avanzò come un uomo che sa di stare andando incontro alla morte ma quello ricevette non fu un colpo letale bensì un caloroso abbraccio.
 
-Grazie per aver salvato il mio bambino ed averlo amato..- Gli sussurrò con sincerità. Federico rimase spiazzato, di certo non si aspettava un'accoglienza simile.
 
-Io... L'ho amato fin dalla prima volta che l'ho visto su quel ponte.- Ammise, cercando lo sguardo del compagno. -E mi creda, signora, è stato lui a salvare entrambi...- Continuò. La donna scosse debolmente il capo e gli baciò la fronte.
 
-Conosco il mio piccolo. Grazie, Federico.- Lo chiamò per nome. Non lo aveva mai dimenticato, in quegli anni aveva sperato tante volte che quello scapestrato passeggero di terza classe fosse riuscito a liberare Michael e fossero sopravvissuti perché sapeva bene che il figlio da solo non sarebbe riuscito nemmeno a riflettere su cosa fare.
 
-E' stata Yasmine a salvarci, mamma.- Ammise Mika dopo un minuto di silenzio. Parlare di lei gli riempiva il cuore di dolore ma voleva che tutti sapessero che eroina fosse stata la sorella maggiore.
 
La moglie di Fabio aveva raccontato che Yasmine era scesa dalla scialuppa per far salire una ragazzina di terza classe e poi non l'aveva più vista. Michael era quindi giunto alla conclusione che la sorella fosse morta quella notte.
 
Decisero di spostarsi tutti nel salone e, approfittando del fatto che Suzie fosse andata a giocare fuori con i figli di Ida e Paloma, Michael e Federico raccontarono la loro storia e cosa era successo nella loro vita in quegli otto anni. Gli altri raccontarono ognuno la propria storia e piano piano tutti erano più tranquilli, più rilassati.
 
Pranzarono tutti insieme e si unirono a loro anche il marito di Paloma e Michael senior. Il primo non fece domande sulla coppia: la moglie era entusiasta e a lui non importava nulla dei gusti sessuali del suo fratello ritrovato, gli bastava vedere lei felice. Il padre invece stette a lungo in silenzio a fissare Michael Jr. Non sembrava essere particolarmente entusiasta di rivedere il suo primogenito maschio ma tutti i Penniman lo conoscevano bene: sapevano che quello era il suo modo per metabolizzare le grandi notizie.
 
A fine pasto, lui e Mika andarono in giardino a parlare.
 
Quando Michael tornò con il sorriso più luminoso che Joanie gli avesse mai visto in viso, fu chiaro a tutti che perfino il padre lo aveva accettato.
 
Per troppo tempo lui e la moglie avevano pianto la morte del ragazzo e si erano incolpati di non essergli stati accanto, di non aver nemmeno tentato di capirlo pur sapendo della sua "diversità".
 
Il resto della giornata trascorse in una gioiosa aria di festa tra balli, canti e buon cibo.
 
Michael e Federico decisero di rimanere nella villetta dei Penniman per tutta l'estate. Suzie perfezionava le sue doti al pianoforte grazie alle lezioni delle zie e imparava ad andare a cavallo. Zuleika si era completamente ripresa e lo spettro del Titanic aveva ormai abbandonato i suoi sogni.
 
Ma la vita sembrava non voler dare troppa tregua ai Penniman. 
 
Fu il primo giorno dell'anno 1921 che qualcuno bussò al portone della villetta, pronto a sconvolgere tutti i presenti, riuniti ancora una volta per passare insieme le feste.
 

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


1 gennaio 1921
 
Quando Fortunè corse ad aprire la porta, pensò di stare vivendo un dejà vu: di nuovo gli si presentava davanti un fantasma.
 
Fasciata in un cappottino pesante c'era Yasmine, bella e con lo sguardo fiero che il fratello ben ricordava. Dimostrava meno anni di quelli che aveva ma allo stesso tempo i suoi occhi parlavano di anni ed anni di avventure.
 
Questa volta Joanie credette di stare per avere un infarto, così come Michael senior.
 
Nessuno si aspettava più una sorpresa simile, non dopo tutto quel tempo.
 
Quando la donna tolse il cappello e la sciarpa, tutti si accorsero di una lieve cicatrice sullo zigomo sinistro.
 
Non era vistosa ma i Penniman sapevano che non l'aveva mai avuta prima del Titanic.
 
Fu così che iniziò a raccontare quella che a tutti gli effetti era una storia sensazionale. 
 
Aveva viaggiato per tutto quel tempo e aveva esplorato il mondo, non si era mai fermata e ora conosceva molte lingue e culture differenti. Raccontò che non sapeva bene come fosse sopravvissuta, si era semplicemente risvegliata a bordo di una nave merci con quella ferita in faccia e aveva deciso di fornire una falsa identità perché mai avrebbe voluto sposare il suo promesso sposo. Era per questo che non aveva abbandonato Michael e Federico quella notte: sapeva cosa il fratello dovesse star vivendo e sapeva anche che non era giusto condannarlo solo perché aveva avuto il coraggio di amare.
 
Fu uno strano inizio dell'anno, il più bello degli ultimi anni.
 
Se ne susseguirono molti, con la famiglia sempre riunita, che man mano si allargava.
 
Suzie cresceva bellissima e ricca di cultura: i suoi genitori avevano insistito perché Yasmine le insegnasse tutte le lingue che lei stessa aveva imparato durante i suoi viaggi. Michael riusciva ad ottenere un pubblico sempre maggiore durante le sue serate di canto e il pub andava a gonfie vele.
 
Qualche volta capitava che l'Americano sognasse di essere sulla zattera e di non vedere più Federico. Il compagno sapeva di quegli incubi e si limitava a stringere forte il riccio e fargli capire che era lì con lui, che ce l'avevano fatta e che stavano insieme.
 
 
 
1929
 
Fu quello l'anno in cui Michael lesse il nome di Andreas sul giornale. Il crollo della borsa aveva colpito duramente l'Inglese di origini Greche, il quale perciò decise di infilarsi una pistola in bocca. 
 
L'articolo alludeva anche al presunto vizio dell'uomo di passare molto tempo in compagnia di giovani ragazzi, per i quali spendeva cifre esagerate. Mika smise di leggere quasi subito. Non voleva sapere altro.
 
Non parlò per tutta la giornata e Federico iniziò a provare un po' di irritazione per quel comportamento.
 
-Non dovrebbe importartene così tanto..- gli fece notare quella sera, mentre erano in camera a mettersi il pigiama. Michael aveva alzato le spalle come unica risposta.
 
Quel gesto fece infuriare il più piccolo.
 
-Michael! Ti sei scordato cosa ci ha fatto??- chiese, incredulo.
 
Il riccio finalmente spostò lo sguardo sugli occhi dell'Italiano.
 
-No, non ho dimenticato niente! Né i momenti brutti né quelli belli! Ero innamorato di lui, non lo odiavo così tanto da volere che si suicidasse!!- Sbottò e le guance iniziarono a rigarglisi di lacrime. Federico si maledisse mentalmente per la sua insensata gelosia. La sua espressione si addolcì.
 
-Hai... Hai ragione, era parte della tua vita... Non posso dirti che mi dispiace perché di lui non me ne frega un cazzo ma rispetto i tuoi sentimenti.- gli assicurò, sincero. 
 
Michael era molto sensibile e lui doveva immaginare che quella notizia non fosse semplice da lasciar passare.
 
L'americano lo fissò in silenzio a lungo con occhi da cucciolo impaurito poi, lentamente, abbozzò un tenue sorriso e si riparò fra le braccia del compagno.
 
In quel momento era più che certo di aver fatto la scelta giusta quel giorno, sull'Inaffondabile e che, nonostante Andreas fosse stato importante per lui, spariva nella grandezza dell'amore che provava per Federico.
 
 
 
Salti tu, salto io
 
Non parlarono mai più di Andy e perfino gli sporadici incubi di Michael sulla nave scomparvero del tutto. Lui e Federico non si separarono mai. Videro la propria figlia diventare una donna e fare carriera. La videro combattere per i giusti diritti, sposarsi e diventare madre. Nonostante il destino continuasse a piazzare imprevisti e sorprese nella loro vita, Mika e Fedez rimasero sempre insieme.
 
Raccontarono la loro storia a bordo del transatlantico solo verso la fine degli anni '70, quando ormai erano talmente vecchi da non avere più timore di poter riversarsi contro l'odio delle persone. C'era anche Suzie, che non li aveva mai lasciati soli perun periodo troppo lungo. La donna aveva saputo all'età di quindici anni di essere stata adottata dai due ragazzi subito dopo la tragedia. I genitori erano molto in ansia dopo quella rivelazione ma lei aveva semplicemente sorriso e scosso il capo, assicurando che quel fatto non cambiava l'amore incondizionato che provava per loro in quanto suoi papà. L'intervistatore, inizialmente a caccia solo di una storia scandalosa, rimase totalmente affascinato dal resoconto fatto dalla coppia e alla fine ringraziò i due e promise che avrebbe riportato quella storia esattamente come loro gliel'avevano raccontata.
 
Quella notte entrambi andarono a dormire con il cuore più leggero. Si sorrisero e si stesero a letto. Si addormentarono uno fra le braccia dell'altro, con i raggi della luna ad illuminare loro i visi.
 
Si spensero insieme nel sonno, nello stesso momento, con un'espressione beata sulle labbra perché in fondo Federico lo aveva promesso a Michael molti anni prima e aveva tenuto semplicemente fede alle sue parole fino alla fine.
 
"Salti tu, salto io".
 
FINE
 
 
 
 
 
__________________________
 
E siamo arrivati al vero finale!
 
Vorrei ringraziare la mia adorata soul mate per avermi convinto a scrivere questa fanfiction e tutti quelli che l'hanno cuoricinata(??), recensita o semplicemente seguita! 
 
Mi avete motivata a portarla a termine e ad impegnarmici davvero tanto!
 
Da grande fan di Titanic, avevo paura di creare una ff stupida e che cadesse nel banale per quanto le scene del film fossero famose ma sono soddisfatta del mio lavoro!
 
Grazie mille ancora a tutti!
 
Sam. X
 
 

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