Demons di Kano_chan (/viewuser.php?uid=4134)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buio ***
Capitolo 2: *** 2. Risveglio ***
Capitolo 3: *** 3. Cicerone ***
Capitolo 4: *** 4.Cielo ***
Capitolo 5: *** 5. Preoccupazione ***
Capitolo 6: *** 6. Mutazione ***
Capitolo 7: *** 7.Veglia ***
Capitolo 8: *** 8. Lucciole ***
Capitolo 9: *** 9. Lucciole ***
Capitolo 10: *** 10.Finestra ***
Capitolo 11: *** 11. Assalto ***
Capitolo 12: *** 12. Perdita ***
Capitolo 13: *** 13. Vuoto ***
Capitolo 14: *** 14. Perchè ***
Capitolo 15: *** 15. Solitudine ***
Capitolo 16: *** 16.Muro ***
Capitolo 17: *** 17. Piano ***
Capitolo 18: *** 18. Ritrovarsi ***
Capitolo 19: *** 19. Verità ***
Capitolo 20: *** 20. Tuoni ***
Capitolo 21: *** 21. Voci ***
Capitolo 22: *** 22. Bugiarda ***
Capitolo 23: *** 23.Giuramento ***
Capitolo 24: *** 24.Ira ***
Capitolo 25: *** 25. Rapimento ***
Capitolo 26: *** 26. Porto sicuro(?) ***
Capitolo 27: *** 27. Noi ***
Capitolo 28: *** 28.Sofferenza ***
Capitolo 29: *** 29.Immunità ***
Capitolo 30: *** 30. Ricordi ***
Capitolo 31: *** 31. Rabbia ***
Capitolo 32: *** 32.Capire ***
Capitolo 33: *** 33. Abbandono ***
Capitolo 34: *** 34.Odio ***
Capitolo 35: *** 35. Decisione ***
Capitolo 36: *** 36. Uccidere ***
Capitolo 37: *** 37. Speranza ***
Capitolo 38: *** 38. Inizio? ***
Capitolo 1 *** Buio ***
1. Buio
Demons
1. Buio
La prima cosa che vidi al mio risveglio fu
oscurità: fitta, densa, impenetrabile,
permeata
dallo spaesamento. Spaesamento dovuto al fatto di trovarmi seduta
scompostamente all’interno di qualcosa; un qualcosa in
movimento, a sentire il rumore che produceva. Meccanicamente iniziai a
tastare la superficie intorno a me nel tentativo di carpire qualche
segno che aprisse uno spiraglio di conoscenza, ma sentendo sotto le
dita nient’altro che metallo freddo e graffiato
dall’uso.
Lottando contro quella
strana stanchezza che continuava ad avvolgere le mie membra, e
proseguendo nel sondare lo spazio circostante, mi sforzai di pensare:
Dov’ero? Cosa
mi era successo? Che cosa avevo fatto prima di addormentarmi? Chi ero?
Nessuna di queste
domande trovò risposta nei miei ricordi, mi sentivo come una
lavagna appena cancellata; le scritte si vedono ancora, ma pian piano
scompaiono ad ogni passata. L’oscurità, pareva
così aver inghiottito anche ogni mio ricordo.
Il terrore
iniziò ad assalirmi, lambendo la mia ragione con nuove
ondate di panico che crebbero quando le mie dita sfiorarono qualcosa
che non era più di metallo, bensì di carne: un
braccio.
Con un grido mi
addossai contro quella che ormai era chiaro essere una specie di
scatola, o ascensore, o gabbia, o un’infinità di
altre cose che tanto non avrebbero avuto alcun senso per me.
-
Fatemi uscire!! - urlai con tutto il fiato che avevo, sentendo la testa
farsi di nuovo pesante, il bisogno impellente di dormire, di chiudere
gli occhi.
Le mie parole furono
ascoltate e con uno stridio di cardini male oliati, il tetto della
scatola si aprì. Venni investita da un’inondazione
di luce, che mi fece lacrimare gli occhi mentre mi riparavo dietro
l’avambraccio. Sulle prime ci fu silenzio, poi un coro di
voci concitate mi accolse, seguito da un tonfo secco di qualcosa che si
era gettato all’interno della mia prigione. Atterrita e
ancora accecata scivolai su di un fianco, finendo per sdraiarmi sul
pavimento freddo. Non riuscivo più a stare sveglia.
Qualsiasi cosa fosse, poteva avermi. All’improvviso, un paio
di scarpe da ginnastica solide ma piuttosto vissute, comparì
davanti ai miei occhi. Con fatica alzai il viso fino a far rientrare
nel mio campo visivo, non un mostro, un alieno o un pazzo assassino, ma
un semplice ragazzo.
Occhi scuri, capelli
biondi, un bel viso… per dirla tutta, un viso famigliare.
Il ragazzo si
chinò verso di me mettendomi una mano calda sulla spalla.
-
Ehi, tutto bene? -
La sua voce me lo rese
ancora più conosciuto…
Alzai un braccio
tremante e appoggiai il palmo della mano sulla sua guancia.
Un’immagine
si era formata nella mia mente, troppo sfocata perché
riuscissi a decifrarla, troppo sfuggente perché la potessi
afferrare. Ma d’altronde, si possono afferrare i sogni?
-
Tu… - esalai prima di svenire definitivamente.
E il buio
l’ebbe vinta ancora una volta.
La
stanza delle mappe:
Giorno a todos!
Per non farvi scappare
tutti al primo capitolo, sarò breve ^^" (Dannazione... sono
una frana con le presentazioni...)
Questa fan fiction
è nata mentre leggevo il terzo volume della saga de "Il
labirinto" (sì, perchè io l'ho letta quando
ancora non si chiamava "Maze runner"), il resto è semplice:
la mia fantasia ha messo insieme i pezzi e questo è il
risultato.
E' una storia d'amore
con protagonista Newt, palesemente voluta, per cui prendetela come
viene ^^" anche se sarà mia premura non diventare troppo
sdolcinata in modo da mantenermi nel contesto. Il titolo è
preso dalla omonima canzone degli Imagine Dragons "Demons" appunto, la
scelta è dovuta sia dal fatto che ascoltavo questa canzone
mentre ho scritto il primo capitolo sia perchè
secondo me in alcuni passaggi rispecchia Newt.
Vi avverto, i capitoli
saranno di lunghezza variabile, per questo motivo ho preferito
inserirla come raccolta. Non ripercorrerò infatti tutto
l'arco narrativo, ma estrapolerò solo determinate scene
riadattandole secondo le mie esigenze.
Per ultimo
seguirò prettamente la trama dei libri, solo in alcuni punti
prenderò spunto dal film.
Spero davvero possa
piacervi quindi ^^
Ora vado a cercare di
farmi venire in mente un nome per la protagonista...
Alla
prossima,
Marta
|
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Capitolo 2 *** 2. Risveglio ***
2. Risveglio
La seconda volta che mi svegliai ero sempre sdraiata, ma questa volta
su qualcosa di molto più morbido del fondo della scatola.
Aprii gli occhi nella
penombra di una sorta di capanna rustica fatta in legno. Ero coricata
su di un pagliericcio con una grezza coperta a ripararmi
dall’eventuale freddo, anche se, a dirla tutta, il clima era
piuttosto mite se non addirittura caldo.
Intorno a me c’era un arredamento scarno, fatto
più che
altro di letti simili al mio e bassi tavolini occupati da bende,
barattoli e qualsivoglia rudimentale attrezzo destinato alle cure.
Ragionai che probabilmente dovevo trovarmi in un’infermeria.
La stanchezza sembrava
essere passata del tutto e mi sentivo piuttosto bene. Forse qualcuno mi
aveva curata?
La cosa che al momento, quindi, mi attirava
maggiormente, era sapere
dove fossi finita. Approffittando del fatto che non ci fosse nessuno
nel locale mi affrettai ad uscire.
All'esterno il tramonto
era
prossimo. Il cielo tinto di rosso capeggiava sopra di me e, qua e
là, fiaccole accese si apprestavano a rischiarare la notte
che
sarebbe sopraggiunta da lì a non molto. Ad una prima
occhiata
sembravo finita in un villaggio di qualche sorta.
La cosa che
però mi disturbò, fu
l'assenza di rumori.. senza contare che in giro non sembrava esserci
nessuno.
Che avessi solo sognato quel vociare e quel ragazzo davanti a
me?
La prospettiva di essere realmente da sola in quel luogo sconosciuto,
mi
gettò nel panico. Camminai per scostarmi dall'edificio che
avevo
identificato come l'infermeria, finchè non notai in
lontananza
un folto gruppo di persone. Con cautela decisi di dirigermi verso la
loro direzione.
Sulle prime mi sembrò che stessero cercando di cacciare
qualcosa
e man mano che mi avvicinavo nuovi dettagli prendettero forma.
Erano tutti ragazzi, questa fu la prima cosa che notai. La seconda,
è che alcuni di loro erano effettivamente intenti a spingere
qualcuno...
Quando quel qualcuno iniziò ad urlare in modo disumano, mi
arrestai.
Il mio cervello elaborò quello che stavo guardando con
lentezza,
non tanto perché non mi fosse chiaro, quanto più
perché mi appariva mostruoso.
Un gruppo di quegli sconosciuti stava tenendo un’asta in
ferro alla cui
estremità un cappio era stretto attorno al collo di un
ragazzo.
Spingendo tutti assieme lo stavano dirigendo verso l’apertura
di
un altissimo muro di cemento, che con un possente fragore, tale da far
tremare lievemente il terreno, aveva iniziato a chiudersi. Continuarono
a spingerlo finchè non fu dall'altra parte della porta e il
passaggio non risultò troppo stretto perché
riuscisse a
passarvi.
L’ultima cosa che sentii fu il suo grido di pure terrore,
prima
che il muro si serrasse del tutto lasciandolo fuori e inghiottendo
l'urlo.
Ero
pietrificata…. In che
razza di posto ero finita?! Chi diamine erano quei tipi?! E
perché avevano compiuto un gesto tanto orribile?
E…
La mia mente si
bloccò di colpo, sconvolta da una nuova consapevolezza.
Non sapevo chi ero, né da dove venivo. Niente…
non mi ricordavo niente.
Ero ancora congelata sul posto ad affrontare quella scoperta, quando
una voce ruppe i miei pensieri facendomi focalizzare di nuovo
l’ambiente circostante.
-
Ehi, si è svegliata! - esclamò
qualcuno.
Si erano accorti della mia presenza.
Vidi un ragazzo ben
piazzato dirigersi subito verso di me con un’aria minacciosa,
seguito da molti degli altri.
Istintivamente arretrai e, quando furono a non più di una
decina
di metri da me, mi misi decisamente a correre ignorando le loro grida.
Mentre correvo, con la
coda
dell'occhio, notai un campo di granturco. Il mio cervello lo
catalogò subito come un buon posto dove nascondersi e far
perdere le proprie tracce, quindi puntai direttamente lì.
Dietro di me, alcuni ragazzi si erano messi a inseguirmi e stavano
ormai guadagnando terreno.
Ero ad un metro circa dall’inizio delle pannocchie quando,
esattamente da lì, sbucò una figura contro la
quale mi
scontrai.
Cercai subito di
discostarmi da essa, ma quella non me lo permise...
La stanza
delle mappe:
E siamo al secondo
capitolo, sempre di transizione ma abbiate pazienza. In
realtà ho molto poco da dirvi perchè non
è successo nulla, nel vero senso del termine ^^"
Posso solo rassicurarvi che nel prossimo (stimato per il venturo fine
settimana) conosceremo qualche dettaglio in più sulla
protagonista. Nel frattempo vi lascio ad interrogarvi su chi possa
essere la misteriosa figura apparsa dal campo di gran turco...
domandona eh? *sarcasmo*
Finisco con il
ringraziare tutti coloro che si sono attardati a leggere il primo
capitolo ^^
Alla
prossima,
Marta
|
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Capitolo 3 *** 3. Cicerone ***
3.
3. Cicerone
Senza alcuna possibilità di fuga, mi scontrai contro la
figura uscita
dal folto delle pannocchie. Questa mi afferrò saldamente per
i
polsi vanificando così ogni mio tentativo di divincolarmi.
- Ehi, ehi, tranquilla! -
Se non avessi
riconosciuto subito il tono
di voce, probabilmente avrei attuato quello che stavo pensando, ovvero
di assestare un calcio come si deve negli attributi di chi avevo di
fronte. Invece
di perpetuare il mio piano, mi bloccai sollevando lo sguardo.
Lo stesso ragazzo che avevo visto la prima volta mi squadrava, cercando
probabilmente di capire le mie intenzioni.
-
Sei più
tranquilla o appena ti lascio mi prendi a calci? –
domandò, quasi leggendomi nel pensiero.
Senza rispondergli mi
volta indietro, notando che i suoi amici si stavano di nuovo
avvicinando.
-
Ah non ti
preoccupare per quei rincaspiati, non ti faranno niente. Penso che tu
abbia visto una scena poco gradevole per una fagio appena arrivata e
che non sa chi
è, o cosa ci fa qui, ma prima
di prendere posizione in merito ti prego di lasciarmi spiegare - disse leggendomi
di nuovo nel
pensiero – ragazzi lasciate pure, mi occupo io di lei! -
gridò poi al loro indirizzo senza aspettare una mia risposta.
Quelli si fermarono e,
scuotendo la
testa come se non credessero che fosse successo di nuovo un simile
episodio, tornarono sui propri passi.
-
Posso lasciarti allora? - mi chiese di nuovo il ragazzo che
mi stava ancora trattenendo per i polsi.
C’era
qualcosa nel suo
tranquillo modo di fare di rassicurante... senza contare che non
riuscivo a
togliermi dalla testa l’idea che mi fosse maledettamente
famigliare.
Per cui annuii e lui mollò la presa.
-
Ma sai parlare anche? - domandò, leggermente
irritato dal mio prolungato silenzio.
-
Sì..
certo, scusa.. è che... sono un po’
frastornata… -
replicai sbattendo le palpebre.
-
È comprensibile.. io sono Newt - si
presentò allungandomi una mano dalle dita sottili.
-
Carys - mi
presentai di riflesso, stringendogliela e rimanendo di stucco nel
constatare di ricordare il mio nome. Solo quello ovviamente...
Anche Newt mi
guardò decisamente sorpreso.
-
Non… non dovrei ricordarmelo? - chiesi ancor
più confusa di prima.
Lui ritrasse la mano
– In realtà sì, ma non così
presto... – rispose dubbioso.
-
Anche le altre... -
-
No. E'
l’unica cosa che ti ricorderai - mi bloccò lui
immediatamente - senti, vieni e sediamoci a parlarne - aggiunse vedendo
la mia espressione spaesata.
Mi prese delicatamente
una mano
tirandomi dietro di lui. Nonostante l’immane confusione che
regnava nella mia testa, registrai quasi subito che zoppicava
leggermente.
Aveva una fisionomia quanto mai esile, quasi femminile, accentuata dal
viso affilato. Però, nella sua stretta di poco prima, avevo
percepito qualcosa di molto forte...
Mi era parso che non stesse cercando di calmare soltanto me, ma anche
sè stesso.
Ci avvicinammo così ad una serie di tronchi abbattuti,
lì, Newt si
sedette, appoggiando la schiena contro uno di essi e invitandomi a fare
altrettanto.
-
Preferisci bombardarmi di domande o vuoi che parli io?
– chiese prendendo la parola.
-
Meglio se parli
tu.. al momento non riesco nemmeno ad organizzare mentalmente quello
che vorrei chiederti – risposi sinceramente, strappandogli un
sorriso che gli
illuminò i tratti del volto.
-
Il luogo in cui
ci troviamo viene chiamato Radura.
Viviamo qui tutti insieme,
lavoriamo, cooperiamo, ci aiutiamo a vicenda etc… Ognuno di
noi
si è svegliato in quell’ascensore proprio come hai
fatto
tu e nessuno di noi si ricorda nulla a parte il proprio nome.
È
cominciato tutto tre anni fa, io sono giunto qui per secondo. Ogni mese
la scatola arriva quassù e porta un nuovo membro e dei
rifornimenti. Non abbiamo idea di chi caspio ci abbia rinchiuso qui
dentro o del perché. Siamo confinati in questa radura e
basta.
– spiegò sinteticamente, e dal tono che
usò per raccontarlo, fui certa
che non fosse la prima volta che faceva da cicerone ai nuovi arrivati.
-
Hai detto "confinati", giusto? – domandai
elaborando le informazioni appena ricevute.
-
Sì -
assentì lui, poi con l’indice fece un gesto
circolare per indicare la Radura
– tutto questo è delimitato dalle mura del Labirinto
–
-
Labirinto? – se prima qualcosa poteva essermi
chiaro, adesso non lo era più.
-
La Radura
è protetta da spesse mura di cemento, di giorno restano
aperti dei passaggi che danno su un intricato
labirinto. Da quando siamo qui un gruppo di ragazzi, detti Velocisti,
si
addentra all’interno per esplorarlo e trovare una via di
fuga...
sempre che esista ovviamente. – mi
informò.
-
Ma cosa diamine
siamo? Topi da laboratorio?! – esclamai frustrata non
trovando un
senso a tutto quello che mi era stato detto.
Per tutta risposta Newt
alzò le spalle – per quanto ne sappiamo potrebbe
essere –
Irritata dalla sua
calma, mi passai le mani sul viso inspirando profondamente.
-
Quel ragazzo di prima? Perché lo avete trattato
così? – domandai a bruciapelo.
-
Si chiamava Ben,
era uno dei Velocisti ma… si è ammalato ed
è
impazzito.. ha cercato di uccidere uno di noi. Abbiamo delle regole in
questo posto e se vengono infrante per ognuna c’è
una
conseguenza.. Ben è stato bandito dalla Radura per quello
che ha
fatto e lasciato fuori, nel Labirinto – mi spiegò.
-
Però tu
mi hai detto che ogni giorno si riaprono le porte.. quel ragazzo non
può semplicemente tornare domattina? – chiesi
confusa.
Newt restò per un attimo in silenzio fissandosi le dita
delle mani intrecciate tra di loro.
- No… non
può - rispose alla fine - ma per adesso ti
risparmio di saperne il motivo –
replicò Newt serio e senza alcuna voglia di scherzare o di
continuare l’argomento.
Nell’istante
in cui calò di nuovo il silenzio tra di noi, tornai a dare
un’occhiata intorno a me. Gli altri
ragazzi si erano messi ad occuparsi delle proprie mansioni e solo in
quel momento, osservandoli, mi accorsi di una cosa che in
realtà avevo già
notato in precedenza.
-
Ma… siete davvero tutti maschi? – chiesi
stupita.
-
Lo eravamo fino a qualche giorno fa, finchè tu e
la tua amica non…-
-
Quale amica?! – esclamai sconcertata.
Newt mi
guardò –
c’era un’altra ragazza, assieme a te, nella
scatola. Vi siete
svegliate per una manciata di secondi prima di ricadere addormentate.
Lei non si è ancora ripresa, la stiamo curando come abbiamo
fatto con te – mi disse indicando la struttura da dove ero
uscita
io.
-
Un’altra ragazza… non ricordo
niente… - mormorai aggrottando le sopracciglia.
-
Già, lo
immaginavo. In mano aveva un biglietto sul quale c’era
scritto
che voi eravate le ultime – aggiunse.
"Non basta essermi svegliata in un posto sconosciuto, ora devo anche
scoprire che sono arrivata assieme ad un'altra ragazza che non so chi
sia. Ma allora.. quel braccio che ho toccato nell'ascensore era il
suo... " Mossa dal ricordo rabbrividii impercettibilmente " Qualcuno ci
ha spedite qui... ma perchè? Non ci capisco più
niente.. E per di più siamo le ultime.. le ultime..."
-
Newt - mi
risvegliai dai miei pensieri richiamando l'attezione del ragazzo,
rimasto in silenzio probabilmente per permettermi di ragionare - Ma se
noi siamo
le ultime… hai appena detto
che con i nuovi arrivati venivate riforniti di provviste.. se non ce ne
saranno altri… - lasciai la frase in sospeso, la faccia cupa
di
Newt raccontava già tutto.
-
Per quanto mi
riguarda la tua amica potrebbe anche chiamarsi catastrofe –
esalò con tono sprezzante.
-
Teresa non è mia amica! Nemmeno la co...
– replicai bloccandomi a metà della frase.
Io e Newt ci guardammo.
-
Hai appena detto che si chiama Teresa? –
domandò lui sorpreso.
-
Io… non..
non so chi sia.. conosco il suo nome, ma non so chi lei sia..- risposi
tenendomi la testa con una mano – mi sembra di scoppiare,
cosa
sta succedendo?- mormorai.
-
Ehi, stai
tranquilla – mi rassicurò Newt appoggiandomi una
mano sul
braccio – si risolverà tutto. Da quando
è arrivato
Thomas le cose stanno cambiando, pare che lui si ricordi di
com’erano le cose prima. E adesso siete arrivate voi due
fagio,
qualcosa si muove. Magari è l’occasione giusta per
uscire
di qui – disse con tono rassicurante.
Nonostante tutto alle
sue parole mi
sentii davvero più sicura. Quel ragazzo riusciva a
trasmettermi
una sensazione di tranquillità quasi innaturale e
più lo
guardavo, più mi sembrava che la sua faccia non
fosse nuova per me.
-
Ti sei incantata? –
La sua voce mi riscosse
dai miei pensieri e mi accorsi di starlo davvero fissando.
-
Scusami! – mi affrettai a dirgli sentendomi
arrossire.
-
Nessun problema,
devi ancora metabolizzare tutto, è normale –
replicò lui con un sorriso – ora scusami, ma devo
andare a
controllare la situazione. Resti qui? – aggiunse alzandosi da
terra e spazzolandosi i pantaloni dalla polvere.
-
Sì..
penso di aver bisogno di stare un po’ da sola –
risposi
sorridendogli per fargli capire che avevo comunque apprezzato la sua
compagnia.
-
Ok allora. A dopo – assentì lui
allontanandosi.
-
Newt! – lo fermai.
Il ragazzo si
voltò, inarcando le sopracciglia per esortarmi a parlare.
-
Hai detto che le
porte del labirinto si chiudono alla sera… lo fanno per
lasciare
fuori qualcosa, vero? È per questo che Ben non
tornerà
domattina – domandai.
-
Sì, ed
è per questo che la prima regola, qui, è di non
entrare in
quella splof di Labirinto – rispose.
Io per tutta risposta
feci un cenno
col capo e mentre guardavo la sua figura allontanarsi, pensai che
l’unica cosa di famigliare e di non confuso in mezzo a tutto
quel
groviglio di avvenimenti, era un ragazzo che non avevo mai conosciuto.
La stanza
delle mappe:
Buon
pomeriggio a Todos!
Dopo molte riflessioni
e un buon numero di siti visitati, ho scelto il nome della
protagonista! E se ve lo state chiedendo, no, non appartiene a nessuna
scienziata di nessun tipo ^^"
Mi sembrava troppo
forzato volerle mettere il nome di qualche luminare di cui io,
personalmente, so bene poco.. così ho preferito sceglierne
uno con un significato che mi piacesse ed è uscito Carys,
che in Gallese significa "amare".
Passando a parlare di
Newt vi prometto che farò tutto il possibile per mantenerlo
nel personaggio originale, per adesso litigo ancora con i termini dei
Radurai (nel senso che mi devo ricordare di inserirli ogni tanto nella
parlata).. questo perchè, anche leggendo libro, avevo fatto
una fatica immane ad abituarmici ^^"
Sperando che la storia
sia di vostro gradimento, vi saluto e rinnovo il nostro incontro a
venerdì prossimo!
Con
affetto,
Marta
|
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Capitolo 4 *** 4.Cielo ***
4.
4. Cielo
Dopo essermi presa del tempo per meditare sul mucchio di
informazioni che Newt mi aveva passato, mi ero lentamente incamminata
verso il grande falò che era stato allestito nel mezzo
dell’accampamento. Il sole era ormai definitivamente calato e
il
cielo si era tinto di blu intenso.
Non appena fui a
portata di vista,
sull’intero gruppo riunito attorno al fuoco calò
il
silenzio. Titubante mi avvicinai a tutti quei ragazzi senza sapere cosa
dire, e alla fine, fu
di nuovo Newt a tirarmi fuori dall’imbarazzo presentandomi ai
suoi compagni.
Passato un primo momento di spaesamento, venni bombardata dalle
più svariate domande, finchè Alby
(il capo dei Radurai) non intimò loro di chiudere il becco e
di
non
confondermi ulteriormente le idee. Quando sentii parlare il ragazzo per
la prima volta, non mi
stupì che lo avessero scelto come leader; aveva davvero un
talento naturale.
Successivamente mi vennero presentati
alcuni degli Intendenti,
ovvero i capi di ogni sezione di lavoratori.
Conobbi così Minho, Intendente dei Velocisti dei quali
mi aveva già parlato Newt, Frypan dei Cuochi, Winston
degli Squartatori,
e Zart degli Scavatori.
Finito il veloce giro di presentazioni, Alby mi
accompagnò in giro per la radura facendomi vedere le diverse
aree in cui era divisa.
Dopo aver
conosciuto anche Thomas, il ragazzo che Newt mi aveva detto ricordarsi
del "prima", mi portarono a vedere Teresa.
Nonostante io mi ricordassi il
suo nome, niente in lei mi suscitava il benché minimo
ricordo e
nemmeno la famigliarità che era scaturita subito con
Newt…
Gally, il ragazzo corpulento che mi si era fatto incontro per primo,
nonchè Intendente dei Costruttori,
sostenne a gran voce di non credere a ciò che affermavo.
Secondo lui, se ero stata
mandata lì con lei era perché la conoscevo; io
continuai
a dire ciò che sapevo, o meglio... ciò che non
sapevo, e alla fine con
un grugnito di frustrazione (e qualche parola di minaccia da parte di
Alby e Newt) anche lui lasciò perdere.
Alla fine,
Alby mi consiglio di godermi la festa, concludendo che
l’indomani avremmo pensato a trovarmi un'occupazione tra le
varie
attività giornaliere degli abitanti della Radura.
In tutta onestà feci una gran fatica a concentrarmi su quei
discorsi... Man mano che il tempo passava, era cresciuto
in me un senso di oppressione.. mi sentivo come un uccello chiuso in
gabbia e la mole di informazioni passatemi, poi, contribuì
solo
a stordirmi ulteriormente.
Quando non riuscii più a tollerare quella sensazione,
abbandonai
il gruppo, e lasciatami alle spalle la luce delle torce mi addentrai
nell’ombra.
Mi diressi a passo spedito verso la torretta di
guardia, una costruzione di assi che si inerpicava lungo un vecchio
albero morto. Salii rapida la scala a pioli arrivando così
in cima. Lì,
mi appoggiai al parapetto in legno e
osservai la Radura dall'alto. Anche se ormai era calata la notte,
riuscivo a vedere distintamente il profilo dei muri che
circondavano la Radura e che la separavano dal Labirinto. Quella
vista fece crollare quella poca speranza che ancora conservavo
e
il senso di oppressione crebbe
nuovamente. La consapevolezza di sapere che in qualsiasi direzione mi
fossi diretta sarei comunque rimasta prigioniera era
scioccante...
Mi lasciai scivolare
fino a terra,
incapace di guardare quella gabbia di cemento un minuto di
più. Mi mancava l’aria.
Finii per sdraiarmi sulla piattaforma di legno a guardare il cielo. Era
trapuntato da una miriade di
stelle e, anche se non ricordavo nulla, ero quasi certa di non aver mai
visto un tale spettacolo nella mia vita, ma allo stesso tempo, ero
certa che avessi
fissato il cielo molto a lungo in passato.
Forse il mio corpo aveva
cercato l’unica cosa in grado di farmi sentire ancora
libera...
Rimasi distesa, respirando piano e fissando il cielo,
finchè non persi completamente coscienza di dove fossi.
La riacquistai solo
quando una voce non mi richiamò al presente.
-
Allora è qui che ti sei rintanata –
Voltando la testa di
lato vidi il viso di Newt spuntare dalla botola che conduceva alle
scale.
-
Mi spiace aver abbandonato la festa, ma avevo bisogno di
vedere con i miei occhi... - mi scusai.
-
Di vedere cosa? – domandò lui emergendo
completamente dal pavimento.
-
Le mura - risposi
-
E il verdetto? –
-
Mi fanno sentire
prigioniera. Ho dovuto smettere di guardarle per non rischiare di
sentirmi male… - dissi con un sospiro.
Anche Newt
sospirò prima di sdraiarsi accanto a me.
-
A tanti fagio ha dato
la stessa sensazione, ad alcuni si è quasi rincaspiato il
cervello per davvero - disse - Quindi è per questo che
sei stesa qui?
Hai rischiato di svenire? –
-
No…
è per il cielo – replicai, avvertendo il calore
della pelle
del suo braccio a poca distanza dal mio.
-
Il cielo? - chiese stupito.
-
Guardalo. Non
c’è niente a limitarlo… non ti fa
sentire
immensamente libero? – spiegai voltando la testa verso di
lui.
Vidi il suo profilo
scrutare la volta e i suoi lineamenti distendersi.
-
Sei proprio strana – sentenziò lui,
sorridendo e girandosi a fissarmi.
-
Come complimento non è male.. molto meglio di catastrofe in
effetti – risi e lui con me.
-
Adesso stai meglio? – mi domandò dopo un
attimo.
Io corrugai la fronte
prima di rispondergli.
-
Starei bene solo
se mi dimenticassi di tutto questo… se potessi anche solo
per un
istante staccare la mente da ciò che vedo... - sospirai
frustrata.
-
Mi dispiace che
tu ti senta così.. se c’è qualcosa che
posso
fare…- replicò Newt.
-
La tua presenza
è già abbastanza – lo
rassicurai.
Poi, per non so quale gesto
folle, gli afferrai la mano che sostava accanto alla mia. Chiusi le dita intorno al suo
palmo
avvertendo di riflesso serrarsi anche le sue.
Restammo in silenzio a
guardare il cielo, ognuno immerso nei propri pensieri,
finchè non
fu lui a parlare.
-
Meglio se torniamo all’accampamento –
disse.
-
Mh mh – assentii io.
Newt si
alzò, continuando a
tenermi la mano per aiutarmi ad alzarmi. Quando fu in piedi la
lasciò, accingendosi a scendere dalle scale.
-
Carys, sicura di
non ricordarti proprio nulla del "prima"? –
domandò,
fermandosi improvvisamente.
Io lo guardai di
rimando leggermente stupita.
-
No, perché? –
-
Quando abbiamo
aperto la scatola e io sono sceso dentro a vedere chi ci
fosse… tu
mi hai guardato per un momento.. e ho avuto la strana sensazione che mi
riconoscessi – spiegò.
Vidi nei suoi occhi la
curiosità e la speranza che io sapessi qualcosa sul suo
conto,
ma dovetti mio malgrado scuotere la testa.
-
Non so chi tu
sia Newt.. ho solo una vaga sensazione a riguardo che non so proprio
spiegarmi… - ammisi.
-
Che tipo di sensazione? – s'informò.
Restai un attimo a
guardarlo, mentre quella strana emozione faceva di nuovo
capolino in me.
-
La sensazione che io sia qui esclusivamente per te - dissi.
Newt non
replicò,
aggrottò solo le sopracciglia prima di riprendere a scendere
le
scale.
Con una punta di soddisfazione, però, notai che era
leggermente arrossito.
Stanza
delle Mappe:
Vi ho
già detto che è una Newt x Nuovo personaggio
vero? xD
No, a parte gli
scherzi, tutte le
interazioni tra Carys e gli altri protagonisti verranno scritte in
forma descrittiva e in sintesi, come all'inizio del capitolo. Tutto il
resto sarà composto o da momenti di introspezione, o da
dialoghi
e scene con Newt. Questo per dirvi che è una Newt centric e
che
praticamente tutti gli altri non avranno un ruolo attivo nella storia.
Quindi spero che fosse
quello che volevate leggere!
Ringrazio tutti quelli
che si sono attardati a leggere e in particolare Hikaru_angelic e Isis_Ithil_Morwen
per avermi aggiunta tra le seguite.
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 5 *** 5. Preoccupazione ***
5.
5.
Preoccupazione
La mattina
successiva,
contrariamente a quanto mi aspettassi, venne a
prendermi Newt. Mi disse che Alby era uscito nel labirinto con Minho e
che in sua assenza, il comando passava a lui. Non mi stupii
granchè di scoprire che lui era il vice, gli sguardi che
avevano
gli altri ragazzi quando lui diceva qualcosa, erano più che
eloquenti. Quando però mi avvisò
dell’assenza di
Alby, un lampo di preoccupazione gli oscurò il viso...
-
Allora? Cosa ti
piacerebbe fare? – mi interrogò mentre uscivamo
dalla mensa dove
Frypan ci aveva appena servito la colazione.
-
Non pensavo di
aver diritto di scelta... - risposi io rammentando la lezione
impartitami il giorno precedente.
-
Non credo che qualcuno storcerà il naso se faccio scegliere
un’attività all’unica fagio femmina
della Radura
– replicò lui con una scrollata di spalle.
-
Non so di nuovo se prenderlo come un complimento o meno... - dissi io.
-
Allora, scegli o no? – chiese lui spazientito.
-
Cosa mi
consigli? – ribattei con un sorriso.
Avevo già capito che
fargli perdere la pazienza mi divertiva da matti, cosa che
andò
ad alimentare quel senso di familiarità. Avrei quasi detto
di
averlo preso in giro a questo modo da sempre.
- Beh.. di sicuro eviterei
di farti fare la Spalatrice o l’Insaccatrice –
rispose,
dandomi una lunga occhiata da capo a piedi – non mi sembri
molto
prestante – aggiunse con un ghigno.
-
Sei una testa di sploff – sbuffai io dandogli una spinta con
la spalla.
-
Impari in fretta – notò lui, riferendosi al gergo
della Radura.
Io feci spallucce
– devo inserirmi – risposi semplicemente.
-
Che ne dici allora
della cucina? – propose, indicando con il pollice dietro di
sé verso la mensa dalla quale eravamo appena usciti.
Io gli lanciai
un’occhiata eloquente. Anche se ero donna non per forza la
cucina doveva essere il mio posto!
-
Ok ok! - esclamò sconsolato
alzando le mani in segno di resa – caspio che ragazza
difficile!
Che ne dici di provare con gli Scavatori? Si occupano... -
-
Dell’orto,
lo so – lo anticipai io – sì, potrebbe
essere
un’idea – concordai.
Stare all'aria aperta mi rendeva
già più allettante l'idea di dovermi abituare a
stare
chiusa lì dentro.
Newt allora mi fece un sorriso, poi si
inchinò e con la testa mi indicò un gruppo di
ragazzi
già intenti a lavorare.
-
Molto spiritoso – replicai io dirigendomi verso di loro,
mentre Newt si metteva a ridere.
A quando pareva, quel
giorno non ero
l’unica novellina a provare a lavorare con Zart;
l’Intendente degli Scavatori. Anche Thomas infatti era stato
destinato a
quel ruolo.
Ci mettemmo a
chiacchierare del
più e del meno, finchè il fiato venne a mancare e
la
schiena a dolere.
Thomas era un ragazzo simpatico, un pò ingenuo a volte nei
suoi ragionamenti, ma con cui mi trovavo bene a discorrere.
All'ora del pranzo staccammo, dirigendoci
verso la mensa. Durante la mattinata avevo visto Newt passare
più volte dall’orto a dare un’occhiata,
o meglio, a
controllare che nessuno dei ragazzi mi stesse dando fastidio. Un
pensiero del tutto normale, considerato il fatto di essere
l’unica ragazza (sveglia) che circolasse per la radura
dall’inizio dei tempi. Una volta recuperata la mia
razione di cibo mi misi alla ricerca di Newt.
Lo trovai seduto ad un tavolo solitario in
uno stato di estrema tensione. Aveva lo sguardo perso e si mangiava le
unghie con voracità. Non si accorse di me, finchè
non mi
sedetti esattamente davanti a lui.
-
Com’è andata? – mi chiese distratto, ma
si capiva
perfettamente che era solo una domanda di cortesia.
-
Bene.. ma non sono convinta che sia il mio lavoro… - risposi.
Newt fece appena un
cenno con la testa,
prima di tornare nel suo stato di apprensione.
Mi stavo arrovellando
il cervello alla ricerca di un modo non troppo diretto per chiedergli
cosa gli stesse succedendo, quando
Thomas e Chuck mi tolsero dall’impiccio facendosi sentire da
Newt mentre si ponevano la mia stessa domanda.
Alla fine si scoprii che a
preoccupare Newt, era il ritardo di Minho e Alby ancora nel Labirinto.
Ritardo che proseguì per tutto il pomeriggio,
finchè, ormai
quasi sera, gli altri Velocisti tornarono.. tutti tranne Alby e Minho.
Io avevo impiegato le
ore
pomeridiane ancora nell’orto, ma ero stata distratta per
tutto il
tempo. Per lo più
ero preoccupata per Newt... andava da una porta all’altra in
preda
ad un’agitazione così profonda, da essere quasi
palpabile
e chiunque gli si avvicinasse veniva rimandato indietro in malo modo.
Non
sapevo perché, ma ero sicura che avesse bisogno di un
momento per
sé stesso. Ero convinta che cercare di calmarlo ora, sarebbe
stato un pessimo tentativo.
Quando spedì
tutti quanti a
mangiare senza deroghe, io presi la mia razione dall’ormai
"mastro
chef" Frypan, e mi diressi verso Newt seduto davanti alla porta
occidentale.
Senza dire una parola
mi misi vicino a lui, incrociando le gambe per poter appoggiare
più comodamente il vassoio.
-
Avevo detto ai ragazzi di andare a mangiare, te compresa, anche se sei
una ragazza in
questo caso – borbottò senza staccare gli occhi
dalla porta.
-
Hai detto di
andare a mangiare, ma non hai precisato dove – replicai
addentando un pezzo di pane dolce.
Newt non
replicò, era troppo agitato perfino per una delle sue
frecciatine in risposta.
-
E poi non potevo lasciarti qui da solo... – aggiunsi quando
deglutii il boccone.
-
Perché? – domandò lui concedendomi
finalmente uno sguardo.
-
Perché mi
fa male vederti in questo stato – risposi con
semplicità, portandomi il bicchiere d'acqua alle labbra.
-
Fa come credi… - replicò lui.
Non mi offesi per
quella risposta, in una situazione del genere reputai che fosse del
tutto normale.
-
Torneranno.. - dissi soltanto appoggiando la mia spalla contro la sua.
Newt non rispose e non si ritrasse.
Appena dopo aver finito la cena, venimmo raggiunti anche da Thomas e
Chuck, entrambi in pensiero sia per il loro vice, che per la sorte
degli altri due ragazzi. Thomas, agitato e non abituato alle regole
della Radura,
cominciò a insistere nel voler mandare un paio di squadre a
cercarli,
finchè
Newt non andò in collera. Fu impressionante vederlo
arrabbiarsi;
nonostante il suo comportamento solitamente tranquillo, si
incendiò
all’istante, per poi calmarsi altrettanto rapidamente.
Anche
Thomas capì che quell’ira improvvisa era tutta
frustrazione e preoccupazione. Vedere gli occhi di Newt farsi lucidi e
il suo sguardo desolato fu per me terribile.
Sapere di non poter fare niente,
anche peggio…
Le speranze, intanto, si assottigliarono con lo scorrere del tempo e il
calare
inesorabile del sole. Alla fine, quando Newt voltò le spalle
alla porta che
iniziava a chiudersi per tornare verso il casolare, evitò
apposta di
incrociare il mio sguardo.
Contrariamente al mio desiderio, non lo
seguii, restando a fissare assieme
a Thomas la chiusura dell'uscita.
Quando ormai fu certo che era inutile continuare ad aspettare, Thomas
cacciò un urlo improvviso, indicando un paio di figure che
ci si
stavano facendo incontro al di là delle mura. Minho e Alby,
a
rilento e
zoppicando, stavano arrivando.. ma era chiaro che non sarebbero mai
passati in tempo.
Vidi Thomas vicino a me tentennare sul posto, nel suo sguardo potevo
leggere chiaro il desiderio ardente di
corrergli incontro.
Sentii Newt urlargli di stare fermo mentre correva
zoppicando verso di noi.
-
Rys fermalo! - gridò al mio indirizzo.
Thomas mi
guardò.
-
Vai – gli
dissi e lui partì di corsa, proprio un attimo prima che
fosse
impossibile uscire da lì.
Quando Newt
arrivò, le immense pareti di pietra si erano
già richiuse.
-
Perché non lo hai fermato? – mi
aggredì.
Io non risposi e Newt
ruggendo esasperato, si allontanò di nuovo rispondendo
malamente agli altri
Radurai che gli chiedevano cosa fosse accaduto.
Non sapendo cosa fare,
rimasi seduta
davanti alla porta mentre la notte si infittiva. Stupidamente,
forse, speravo di vedere magicamente riaprirsi la porta e di vedere
Alby, Minho e Thomas in perfetta salute fare il loro ingresso nella
Radura.
Quando trovai
insostenibile restare lì a chiedermi se avessi fatto bene o
no a
lasciare andare Thomas, mi diressi verso la solita torretta di guardia,
decisa a starmene per i fatti miei. Solo che il mio nascondiglio era
già occupato...
Quando
sbucai
con la testa dalla scala, gli occhi neri di Newt mi
sorpresero.
-
Scusami..- dissi, ricordandomi il tono furente con il quale mi si era
rivolto poco tempo prima.
Feci per tornare sui
miei passi ma la sua voce mi bloccò.
-
Resta se vuoi, non mi dai fastidio… - disse
Io allora mi andai a
sedere vicino a lui, appoggiandomi con la schiena contro il bordo di
legno della torretta.
-
Mi spiace di
averti urlato contro prima… è... è una
situazione di sploff, ma
caspio se anche tu hai la testa dura! – disse.
-
Mi avevi detto
di fermare Thomas e non l’ho fatto, è giusto che
tu ti sia arrabbiato –
replicai io intrecciando le dita tra loro.
-
Sapevo che quel
fagio non mi avrebbe dato retta maledizione! Così ne abbiamo
persi tre stanotte - disse frustrato.
-
Cosa c’è in quel labirinto quando fa buio?
– domandai.
Prima di rispondere,
Newt sospirò profondamente e si passò una mano
tra i capelli biondi.
-
Li chiamiamo Dolenti..
sono dei mostri, a metà tra un essere vivente simile ad
una lumaca e ad una macchina. Hanno protuberanze metalliche piene di
ogni sorta di arnese pericoloso, tipo lame e spuntoni. Hanno anche
delle
siringhe con le quali ti iniettano un veleno... - spiegò in
soldoni.
-
Un veleno? - esclamai scioccata.
-
Sì, ti fa
venire una sorta di febbre... l’abbiamo chiamata Mutazione..
chi ci
manda le scorte ci procura anche l’antidoto, ma
durante la
Mutazione si soffre terribilmente e si arriva ad uno stato febbrile..
quando passa non ci si riprende mai del tutto – disse con
sguardo
serio e triste al tempo stesso.
-
È quello che è successo a Ben vero? –
dissi
Newt
annuì.
-
Ho fatto male a lasciarlo andare secondo te? – chiesi
titubante.
-
Nessuno è
mai sopravvissuto lì dentro… - rispose Newt.
Restai qualche momento in silenzio in preda a mille dubbi, osservando
il ragazzo massaggiarsi distrattamente la caviglia destra; quella che
lo faceva zoppicare
- Se vuoi
saperlo sì… - disse all'improvviso.
-
Cosa? – domandai senza capire, poi vidi che guardava anche
lui la sua caviglia.
-
È stato
per un Dolente se zoppico… ero nel labirinto con Alby quando
ci
hanno attaccato un paio di mesi fa e sono rimasto ferito. È
stato lui a riportarmi qui sano e salvo – rispose alla mia
domanda inespressa.
Newt tornò a
guardare di fronte a sé la Radura illuminata dalle torce e
il via vai dei Radurai ancora svegli.
-
Ci tieni molto ad Alby… - la mia non era una
domanda ma una constatazione.
-
Già… - rispose lui.
Lasciai scivolare la
testa sulla sua
spalla e dopo un attimo anche quella di Newt si posò sulla
mia.
Restammo in silenzio a guardare la porta occidentale finchè
il cielo non si
rischiarò.
La
stanza delle mappe:
Ed
eccoci qui con il quinto capitolo! Del quale, come al solito,
ho poco
da dire ^^" Spero solo che il personaggio di Carys, inteso come
personalità, vi stia piacendo. Il particolare di non aver
mai fatto
menzione del suo aspetto fisico è del tutto voluto,
preferisco che
ognuno se la immagini come preferisce. Sarei molto curiosa di sapere
come ve la siete immaginata in effetti ^^
Grazie a tutti i lettori
che mi seguono, a Baddbblood
per aver recensito lo scorso capitolo e a
Kat_A2 per
averla aggiunta tra le seguite.
Alla
prossima,
Marta
|
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Capitolo 6 *** 6. Mutazione ***
5. Mutazione
6. Mutazione
Il giorno dopo, all’alba, non ci fu nemmeno bisogno che i
Velocisti partissero alla ricerca dei dispersi, perché Minho
e
Thomas comparvero in fondo al corridoio della porta occidentale
trascinandosi dietro Alby. Immediatamente tutti i Radurai si
mossero per aiutare
i loro compagni e,
nonostante il mio desiderio di unirmi a loro, Newt mi impose di
rimanere
all’interno della Radura mentre loro si addentravano nel
Labirinto.
In questo caso non protestai, limitandomi a fare quando mi aveva detto
e rimanendo quindi buona ad aspettare. Lo feci non tanto
perché
me lo avesse ordinato lui, quanto più perché mi
sembrava
che la cosa lo risollevasse un po’ da tutta la preoccupazione
che
gli era franata addosso.
Quando finalmente vidi
entrare nella
radura Minho e Thomas, gli andai incontro. Entrambi riportavano
brutte abrasioni, qualche taglio e alcune contusione, ma erano vivi ed
era quello l'importante.
Li seguii all’interno del Casolare e, mentre un paio di
Medicali
si occupavano per primo dell'Intendente, io mi avvicinai a Thomas per
chiedergli cosa fosse successo nottetempo. Così il ragazzo
mi
raccontò le vicissitudini di cui erano stati protagonisti,
di
come erano riusciti a nascondere Alby svenuto in mezzo ad una parete di
edera e di come erano scappati poi ai Dolenti. Thomas mi
descrisse quella
creatura pressappoco allo stesso modo di Newt, e in entrambi i casi, mi
venne spontaneo desiderare di non trovarmene mai uno davanti...
Mentre ascoltavo il ragazzo raccontare della loro fuga, quasi
non
mi accorsi di aver afferrato nel frattempo gli strumenti medici posati
sul tavolo lì vicino e di stargli applicando unguenti e
bende.
-
Da quando sei una Medicale? –
Sia io che Thomas
trasalimmo nel
sentire la voce improvvisa di Newt. Io feci scattare lo sguardo da lui
alle bende che avevo in mano e poi alzai le spalle.
-
Non te lo so dire… mi è venuto
spontaneo… - dissi.
Newt si
limitò a sospirare, ordinando a Thomas di andarsi a riposare
non appena avessi finito di curarlo.
-
Come sta Alby? – m'informai non appena il
ragazzo se ne fu andato
lasciandomi da sola con Newt.
-
Possiamo dire che è ancora vivo… -
rispose Newt con tono lugubre.
-
C'è qualche problema? – chiesi
preoccupata.
-
È stato
punto da un Dolente.. inizierà la mutazione tra
poco…-
disse e senza aggiungere altro si allontanò.
Se non mi rendevo
ancora conto di
cosa volesse dire intraprendere la Mutazione, lo scoprii qualche ora
più tardi, quando le urla di Alby riempirono il Casolare. Riuscii a sentirle
distintamente nonostante in quel preciso momento fossi in mensa.
Mi precipitai subito in infermeria, trovandoci l’Intendente
dei
Medicali e Newt. Su uno dei tanti lettini che componevano l'arredamento
della stanza, Alby si dimenava senza controllo, gridando come
un
ossesso mentre i ragazzi cercavano di farlo stare fermo. Al contrario
di quello che mi sarei aspettata, riuscii a mantenere il sangue freddo
e la mente lucida.
-
Dov’è il siero? – urlai per
sovrastare il rumore.
-
Là! - urlò Jeff, indicandomi con un
cenno del capo uno scaffale.
Individuai subito una
fialetta piena di liquido blu con sopra riportata la dicitura WCKD e mi affrettai
a prenderla.
-
Pensi di
riuscire ad iniettargliela? – mi chiese Newt mentre
ricacciava
Alby sul lettino per l'ennesima volta.
-
Certo – risposi io senza alcun barlume di
indecisione.
Afferrai una siringa
sterile e
infilai l’ago dentro il boccettino, tirai lo stantuffo
aspirando
il liquido e poi lo premetti appena per togliere l’eventuale
aria
all’interno.
"Gesti usuali, niente di strano" mi ritrovai a pensare.
-
Tenetelo fermo
– mi rivolsi ai due ragazzi, ai quali nel frattempo si erano
aggiunte un altro paio di braccia.
-
Più facile a dirsi che a farsi caspio! –
replicò Newt affannato.
Finalmente riuscirono a
bloccare
Alby abbastanza da permettermi di infilargli l’ago nella vena
sporgete dell’interno gomito. Spinsi lo stantuffo fino in
fondo
con rapidità. Il capo dei Radurai ebbe ancora un paio di
spasmi
prima di ricadere inerte sul lettino.
-
Sbrigatevi, prendete delle funi! –
esclamò Jeff un secondo dopo.
-
Come delle funi? – chiesi confusa a Newt.
-
Penserai mica
che se ne resterà così tranquillo fino alla fine?
–
replicò lui sarcastico mentre aiutava gli altri ragazzi a
legare
Alby al letto.
-
Lo speravo... forse... – replicai confusa
appoggiando una mano sulla fronte del malato. Scottava.
-
Qui ci pensiamo noi, per adesso tu va a riposarti e
niente "ma" -
Così Newt mi
spinse letteralmente fuori
dalla porta prima che potessi controbattere. Controvoglia mi diressi
quindi fuori dal casolare.
Non appena fui a metà strada dagli alloggi, le urla di Alby
tornarono a levarsi più
alte di prima.
Stanza
delle mappe:
Chi si
aspettava che Carys
avesse affinità con i medicali? La scelta è stata
frutto
di stagioni su stagioni di Grey's anatomy? No, l'ho scelta a caso
quando ho scritto il capitolo!
Mentre lo buttavo
giù ho
trovato che fosse una buona occasione per introdurlo quasi come se
fosse una cosa naturale. Questa sua affinità
farà
parte del suo passato?
Eh no, questo non ve
lo svelo u.u
Comunque non vi preoccupate che i momenti con Newt torneranno ;) solo
che non posso proprio eliminare tutto il resto xD
Detto questo passo a
ringraziare i
miei fedeli lettori che ancora non si sono lasciati scoraggiare dalla
sottoscritta, chi mi ha recensita Hikaru_angelic
in particolar modo e chi mi ha aggiunta tra le preferite,seguite e
ricordate. Thanks to all of you!
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 7 *** 7.Veglia ***
7.
7. Veglia
Era
incessante... a pomeriggio inoltrato Alby urlava ancora
come se lo stessero torturando senza sosta.
Come mi aveva intimato Newt,
restai lontana dal Casolare.. almeno finchè non venni a
sapere da Chuck
che
l'interessato, per vegliare l'amico, non si era ancora riposato nemmeno
un secondo. Quando entrai nella stanza di Alby, il ragazzo biondo era
seduto su una
sedia con la testa tra le mani. Gli posai una mano sulla spalla e lui
sobbalzò.
-
Che ci fai qui? – esclamò contrariato
con occhi cerchiati dalla stanchezza.
-
Vatti a riposare – gli intimai.
-
Non sei tu il capo qui, fagio –
-
Newt, non ho la
benchè minima intenzione di battibeccare con te, quindi vai
a
riposarti. Sto io con Alby, credo di essere portata per fare la
Medicale – insistei con un sorriso e un tono che non
ammetteva
repliche.
Senza aspettare
risposta andai a
prendermi un’altra sedia e mi misi di fianco al malato. Newt
mi
guardò ancora per qualche istante, poi scuotendo la testa se
ne
andò.
Scoprii di essermi
offerta spontaneamente ad un supplizio ben peggiore di quello che
potessi immaginare.
Alby si contorceva
senza tregua,
inarcando la schiena fin dove gli era possibile; così tanto,
che
in certi momenti temetti che gli si spezzasse la colonna vertebrale.
Le corde avevano lasciato profondi segni rossi laddove lo stringevano,
e
le vene gonfie pulsavano ad un ritmo incessante. Gli occhi del ragazzo
saettavano in giro, senza posarsi su niente in particolare. Ogni tanto
gridava frasi sconnesse che, a parte lasciarmi raggelata, non mi
dicevano nulla.
Ogni mio tentativo di
distrarmi da quella agonia non portava risultati...
Erano passate appena tre ore dall'inizio della mia assistenza, quando
Newt tornò, e in quel preciso istante Alby
ammutolì,
smettendo di agitarsi.
Io balzai in piedi,
controllandogli la reazione pupillare e auscultandogli il battito
cardiaco dal polso.
-
Sembra essersi calmato – dissi a Newt e a Jeff
arrivato nel frattempo.
-
È
così per tutti.. dovrebbe dormire qualche giorno e poi
svegliarsi – spiegò il ragazzo biondo.
-
Mh... - assentii
io, posandogli una mano sulla fronte e sentendola ancora bollente
– avete della melissa e della salvia? – domandai.
Entrambi i ragazzi mi fissarono stupiti.
-
Fargli un infuso
lo aiuterebbe per la febbre. Temo che somministrargli altri farmaci non
migliorerebbe la situazione, il suo corpo è già
allo
stremo così com'è – spiegai.
Il silenzio
proseguì
finchè l’Intendente dei Medicali non disse a Newt
che
sarei stata un ottimo acquisto per la sua squadra. Newt si
limitò a rispondere che avrebbe preso in considerazione la
cosa
e così lasciammo Alby alle cure di Jeff.
-
Come sai tutte quelle cose mediche? –
domandò Newt mentre attraversavamo la radura.
Alla luce delle torce
il suo viso appariva ancora più spossato.
-
Non lo so… le conosco e basta credo…-
risposi leggermente confusa anche io.
-
Bene così – replicò Newt con
un alzata di spalle proseguendo dritto davanti a sè.
Io a quel punto lo
afferrai per un braccio costringendolo a fermarsi.
-
Che c’è? - domandò lui
leggermente seccato.
-
Newt, Alby sta bene… ok? – gli dissi.
Quella sua continua preoccupazione stampata in volto mi rendeva
piuttosto nervosa.
- Non… - cominciò
per poi interrompersi
subito e sospirare – non penso che sarà mai
più
quello di prima, nessuno lo è stato dopo la Mutazione.
Quello
che ricordano li spaventa più di tutto il resto.. -
confessò il suo timore con voce flebile e stanca.
-
Non posso dirti
se sarà il vecchio Alby o uno nuovo. Però
è vivo;
questo deve pur contare qualcosa.. no? – controbattei io.
-
Lo
spero…- rispose lui – domani ho indetto
un'Adunanza con
gli Intendenti per decidere se punire Thomas per aver infranto le
regole o meno. Ci vediamo. – aggiunse proseguendo per la sua
strada.
Io sospirai. Speravo
ardentemente
che non prendessero decisioni del caspio. Non sapevo perché,
ma
la consapevolezza che fossero tutti maschi non mi faceva stare
tranquilla.
La mattina
seguente, visto che erano tutti all’Adunanza, io raggiunsi il
Casolare.
Diedi un’occhiata a Teresa, che non dava segni di ripresa
alcuna e
continuava a dormire, poi andai nella stanza di Alby. Uno dei medicali
gli stava facendo bere un po’ dell’infuso che gli
avevo
detto io, dicendomi che la febbre gli sembrava calata dalla sera prima.
Confortata da quella notizia, mi sedetti di nuovo al capezzale del capo
dei Radurai. Lo avevano sciolto dalle funi che lo inchiodavano al letto
e i segni rossi erano quasi scomparsi dalla sua pelle. Con un panno
bagnato cominciai a pulirgli il viso.
Tutte quelle azioni
continuavano a
sembrarmi famigliari, come se fossero state fatte molte altre volte.
L’ambiente medico mi era famigliare tanto quanto lo era
inspiegabilmente Newt. Sentivo di avere un legame profondo con quel
ragazzo e ogni volta che lo vedevo o che stavo in sua compagnia, il mio
cuore si risollevava un po’ da quella situazione assurda. Se
però la cosa fosse reciproca, non mi era dato di saperlo.
Non mi aveva mai rivelato di provare la stessa cosa per me in
realtà...
Se mi…
-
Thomas –
Quel sussurro roco mi
strappò dai miei pensieri. Proveniva da Alby.
Quando stupita mi chinai per sentire meglio, il ragazzo si
animò
improvvisamente, spalancando gli occhi e afferrandomi saldamente per un
polso.
-
Thomas! Devo parlare con Thomas! – gridò
fuori di sé.
Ogni mio tentativo di
calmarlo fu
vano, Alby proseguiva nel chiedere di Thomas e non accennava a
lasciarmi andare, strattonandomi a più riprese.
Dissi al Medicale che era con me, di correre a chiamare
l’interessato prima che il mio polso venisse compromesso del
tutto.
Nel frattempo Alby
tornò a
coricarsi, richiudendo gli occhi ma sempre tenendomi stretto il
braccio,
che ormai mi faceva piuttosto male. Per fortuna Thomas non
tardò
ad arrivare e con lui Newt. Non appena Alby li vide, grazie
al cielo mi mollò. Io indietreggiai massaggiandomi il polso.
-
Tutto bene?
– domandò Newt, io annuii e lui fisso il polso
arrossato
che tenevo tra le dita – vai da Frypan e fatti dare qualcosa
di
freddo da metterci su – mi consigliò –
poi ti
raggiungo – aggiunse vedendo che non mi muovevo.
Convinta da quelle
ultime parole li
lasciai. Alla mensa prelevai un panetto di ghiaccio e mi sedetti ad uno
dei tavoli aspettando che Newt si palesasse come mi aveva detto. Lo
fece, ma molto più tardi di quanto pensassi e sembrandomi
ancora più stanco di prima.
-
Cos’è successo? – gli chiesi
con una punta di ansia.
-
Alby ha cercato
di soffocarsi con le sue stesse mani – rispose, prendendo a
mangiare con lentezza dal piatto che si era portato al tavolo.
-
Cosa?! - esclamai.
-
Sta bene fagio,
non c’è da agitarsi tanto –
ribattè lui
sventolando la forchetta con fare fintamente disinteressato, in
realtà si vedeva lontano un miglio che la cosa lo aveva
turbato
profondamente.
-
Com’è successo? – lo incalzai.
-
Non lo so.. lui
dice che una forza si è impossessata di lui mentre parlava
con
Thomas – spiegò masticando un boccone di pasta.
Quella notizia mi mise
parecchio in allarme.
-
E con Thomas
com’è finita? – gli chiesi, ansiosa di
cambiare
discorso riferendomi all'Adunanza.
-
Minho lo ha candidato come Intendente dei Velocisti al suo
posto – mi informò.
-
Sono sicura che sia stata una decisione controversa
–
-
Puoi dirlo
forte… come se tutta questa sploff di situazione generale
non
bastasse già a creare casini – replicò
Newt
stancamente.
-
Quindi? –
-
Quindi il pive si farà una giornata in Gattabuia e domani
andrà nel Labirinto con Minho – concluse Newt.
-
Gally
l’avrà presa benissimo.. – commentai
sarcastica
conoscendo le idee del ragazzo su noi "nuovi venuti".
-
Così bene
da minacciarlo di morte e andarsene – rispose Newt scuotendo
la
testa - su una cosa però ha ragione. Sta cambiando tutto e
molto
in fretta anche… -
Non seppi dire se
quella verità mi facesse piacere o meno.
Stanza
delle mappe:
Sfortunatamente
sono molto di fretta; per fortuna avevo già preparato il
capitolo ieri!
Ringrazio vivamente
tutti i lettori
in continua crescita, chi mi ha recensito e chi mi ha inserita tra le
storie preferite,seguite,ricordate.
Scusate davvero se non
mi fermo più a lungo.
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 8 *** 8. Lucciole ***
8.
8. Lucciole
Il giorno seguente tornai nel Casolare per dare una mano ai Medicali.
Jeff mi
spiegò come usare le medicine che gli venivano fornite
regolarmente dalla scatola, o meglio, che fino a quel momento gli erano
state fornite.
Mi fece vedere dove erano riposti i kit di
emergenza e quali aghi usare per ricucire le ferite in base alla loro
profondità. Dal canto mio,
cercai di attingere alle mie spontanee conoscenze riguardo la medicina.
A quanto pareva, sapevo molto sulle erbe e sui loro usi, cosa che si
rivelò molto utile grazie alle coltivazioni della Radura.
Con i Medicali mi trovavo a mio agio, erano tutti ragazzi tranquilli e
per niente
avversi ad avere una ragazza tra di loro.
Non vidi Newt praticamente
per tutto il giorno, nemmeno in mensa; Alby invece, se n’era
andato di prima mattina per riprendere il suo ruolo di capo. Dovetti
mio malgrado ammettere che c’era davvero qualcosa di diverso
nel
suo sguardo, anche se per il resto sembrava lo stesso di sempre.
Verso sera uscii a
prendere una boccata d'aria e passeggiai per un
po’ nella Radura. Mi fermai vicino al laghetto a
ridosso del bosco e lì mi sedetti sulla sponda, a pensare.
Il mio cervello, alla
continua ricerca di un "perchè", non
si fermava mai. Mi sentivo quasi consumata da tutti quei pensieri
vorticosi che incessantemente
mi si affacciavano alla mente. Il fatto, poi, che ogni ora
che
passava succedesse qualcosa di nuovo non aiutava di certo...
Per
esempio ero venuta a sapere che Gally si era addentrato nel Labirinto
ed era sparito. Le porte ormai erano in procinto di chiudersi, ma di
lui
nessuna traccia.
Quel ragazzo mi aveva sempre messo a disagio, ma di
sicuro non gli auguravo di finire in pasto ai Dolenti. Thomas invece
era stato
portato in Gattabuia quel mattino, ma la sua punizione era quasi volta
al termine. Alby era passato poco fa dirigendosi, appunto, verso la
prigione. Quando mi
aveva salutata, improvvisamente mi era venuto in mente quello che Newt
mi aveva detto essergli successo. Come avesse detto di essere stato
controllato da
qualcosa…
A quel pensiero rabbrividii istintivamente.
-
Hai freddo? –
Sorpresa alzai lo
sguardo, andando ad incrociare gli occhi scuri di Newt.
-
No, non era un brivido di freddo – risposi, senza
riuscire a nascondere la preoccupazione.
-
Ehi, che ti
succede? – mi domandò indovinando il mio stato
d'animo e
inginocchiandosi sui talloni.
-
Stavo pensando a quello che ha detto Alby riguardo
all’essere controllato – dissi nervosamente.
-
Quindi? –
-
Stavo
pensando… e se chiunque ci abbia messo qui ci stesse
controllando
sul serio? – dissi spiegando il mio pensiero.
-
Com’è che ti vengono queste belle idee
di sploff? – ribattè lui sconcertato.
-
Non lo so!- esclamai io prendendomi la testa tra le mani
– è che il
mio cervello non riesce a smettere di pensare! Si aggiungono sempre
più problemi e vorrei dare a ciascuno una soluzione, ma non
ci
riesco – dissi sconfortata – vorrei potermi
scordare di
tutto questo anche solo per un secondo – aggiunsi, per poi
mettermi a
ridere.
-
E adesso cosa c’è? – chiese
stupito Newt.
-
Sembro una di quelli che voi chiamereste fagio piagnoni
– dissi.
Newt rimase a guardarmi
dondolandosi per un attimo sui talloni.
-
Vieni con me,
devo farti vedere una cosa – esordì di punto
in bianco senza darmi la possibilità di replicare e
dirigendosi
verso sud.
-
Ehi aspetta!- esclamai affrettandomi a seguirlo.
Ci addentrammo in un
campo di erba
alta fin sopra la testa, seguendo uno stretto sentiero che
sbucò
in un piccolo spazio circolare dove l’erba era stata piegata
a
terra. Guardando il cielo scuro pensai che Thomas e Minho sarebbero
stati di ritorno a breve. Sperai che fossero riusciti a trovare Gally;
poi mi rivolsi a Newt fermo vicino a me.
-
Perché mi hai portato qui? - domandai curiosa.
-
Aspetta e vedrai – replicò lui
misterioso.
Raccolse da terra una
lunga canna e
portandosela sopra la testa la fece roteare, passandola sulla cima
delle
piante intorno a noi. Non appena la punta le toccò facendole
ondeggiare, una miriade di puntini luminosi si levò nel
cielo e
invase lo spiazzo dov’eravamo.
Erano lucciole.
Io le guardai affascinata circondarmi e inondare tutto di una calda
luce
intermittente. Mi misi a ridere; era uno spettacolo talmente bello da
farmi salire le
lacrime agli occhi. Newt mi guardava sorridendo roteare con le
braccia spalancate, finchè le lucciole non sparino nel cielo
confondendosi con le prime stelle della sera.
-
Oh caspio – dissi con il fiato mozzo asciugandomi
gli angoli degli occhi.
-
Ti è piaciuto? - domandò Newt.
-
È stato… incredibile! - esclamai
estasiata.
-
Quindi ti sei dimenticata per un attimo dove fossi?
–
Fissai interdetta il
ragazzo davanti a me. Ora era chiaro… lo aveva fatto per
distrarmi, per farmi stare bene.
-
Sì… mi sono dimenticata di tutto
– risposi con tono dolce.
-
Ottimo! –
replicò lui con un sorriso soddisfatto –
adesso
però torniamo indietro; Thomas e Minho dovrebbero
già
essere qui – disse
voltandosi per riprendere il sentiero.
-
Newt? –
-
Sì?-
Mentre il ragazzo si
voltava
nuovamente verso di me, io lo afferrai per una manica tirandolo
più vicino. Mi alzai sulle punte dei piedi, accostai la mia
bocca alla sua e lo
baciai. Probabilmente,
più per la sorpresa che per altro, l’altra sua
mano corse alla mia vita stringendola.
Lo baciai una prima
volta
delicatamente, poi una seconda mentre la sua bocca si schiudeva e la
mia mano correva alla sua guancia e infine una terza, profonda volta,
dove le sue dita mi accarezzarono il collo.
Poi si staccò; rosso
in viso, con il fiatone e le pupille leggermente dilatate. Mi
guardò spaesato per un secondo prima di girarsi e
incamminarsi.
Io gli andai dietro
fiancheggiandolo.
-
Grazie… - mormorai incerta sul da farsi.
Per tutta risposta la
mano di Newt trovò la mia, le nostre dita si intrecciarono e
la sua presa si intensificò.
Stanza
delle mappe:
Premetto,
non ho idea se
nella radura ci potessero essere delle lucciole, in realtà
non
mi ricordo nemmeno che fossero citati insetti di qualunque genere... se
non erano vere, facciamo finta che fossero meccaniche! Tanto, se hanno
inventato i Dolenti e un intero ecosistema possono aver fatto anche
delle banali lucciole, no?
E voi mi direte "e
chissene frega!" Avete ragione ma volevo puntualizzare ^^"
Chissà che
il primo bacio
non vi sia piaciuto =) spero di sì! Ditemi che Newt non
è
andato in OOC vi prego!
E con queste
sconclusionate righe vi saluto e ringrazio tutti i miei lettori,
recensori, preferitori con particolare menzione a Catnip Carstairs,
ricordatari e seguitori!
Alla
prossima,
Marta
|
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Capitolo 9 *** 9. Lucciole ***
9.
9. Soffitto
Quella mattina, quando mi svegliai, ebbi già il
presentimento che
qualcosa non quadrasse, anche solo per il fatto che nel dormitorio non
ci fosse più nessuno.
Due furono le novità ad accogliermi quella mattina:
l’assenza dei consueti rifornimenti portati dalla scatola e
l’assenza del cielo.
Ebbene sì, al posto della volta
celeste rischiarata dalla luce dorata dell’alba,
c’era un
soffitto completamente grigio. Abbracciava tutta la Radura e diffondeva
una luce bianca e asettica. Ammetto che, delle due cose,
quest’ultima fu quella che mi sconvolse maggiormente...
L’idea, che perfino il cielo fosse stato tutta un'illusione
dei creatori mi metteva
una profonda angoscia. Quel grigiume uniforme era innaturale,
grottesco,
e mi faceva sentire ulteriormente in trappola.
La radura e i suoi abitanti erano in
uno stato di agitazione febbrile e nessuno più si dedicava
alle
proprie mansioni. La prospettiva di restare per davvero senza viveri e
senza
sostegno, aveva completamente rotto la routine quotidiana di ciascuno.
Io ero subito andata
alla ricerca di Newt,
riuscendo a scorgerlo solo il tempo necessario per fargli un
breve cenno mentre cercava,
assieme ad Alby, di tranquillizzare la massa di radurai terrorizzati.
Vederlo mi aveva parzialmente rassicurata, ma per parlare con lui
sapevo che avrei
dovuto pazientare che le acque si calmassero.
Al che non mi rimase altro che dirigermi al Casolare. Lì, ci
trovai solo Jeff e come al solito Teresa.
L’intendente mi accolse seccato dal fatto che oltre a me non
si
fosse presentato nessuno. “Solo perché il cielo
è
scomparso” affermò. Mi offrii quindi di occuparmi
io per
quel giorno della ragazza, alimentandola con un po’ di zuppa
e
per il resto restando in silenzio a rimuginare.
Ogni tanto mi
affacciavo fuori per vedere come si stesse evolvendo la situazione, ma
nonostante il passare delle ore tutto appariva immutato.
A metà pomeriggio Jeff mi
mandò via, dicendomi che, visto che nessuno sembrava
necessitare
di cure, se la sarebbe cavato anche da solo; così lo lasciai
e
mi
diressi alla solita torretta di guardia. Ormai era diventato il mio
posto preferito quando avevo bisogno di un attimo per me... e quello
era
proprio il momento.
Mi sdraiai quindi sulle assi di legno che componevano
la piattaforma e rimasi a fissare il soffitto grigio, nella segreta
speranza che il cielo azzurro ricomparisse al suo posto. Ovviamente il
mio desiderio non fu esaudito...
Le cose stavano cambiando e non esattamente per il
meglio a quanto pareva.... Fortunatamente l’unica cosa che il
quel
momento poteva darmi un po’ di sollievo non tardò
ad
arrivare.
-
Ero sicuro di trovarti qui – esordì Newt
affiancandomi.
-
E io ero sicura
che mi avresti trovata – replicai con un sorriso, tirandomi a
sedere
vicino a lui - Tutto questo caos mi rende nervosa… come se
questo non bastasse – risposi indicando con un gesto della
mano
il soffitto.
-
È un bel
mucchio di sploff… niente viveri e niente sole per
coltivare.
Sembra quasi che ci stiano dicendo che il nostro tempo qui è
finito – ribattè lui passandosi una mano sul viso
tirato.
-
So di sembrare
catastrofica come al solito, ma temo che sia esattamente quello lo
scopo. Non riesco a vedere un altro motivo – dissi, grattando
con
la suola delle scarpe la piattaforma in legno.
-
Se è come
dici, allora è una fortuna che Minho e Thomas abbiano
trovato
qualcosa mentre erano fuori – replicò
Newt.
-
Cosa?! – esclamai io sorpresa.
Il ragazzo
annuì – Sono
tornati con parecchio ritardo perché hanno seguito un
Dolente
senza farsi vedere. Hanno raggiunto il punto più esterno,
quello che noi chiamiamo Scarpata,
ma del Dolente non c’era
improvvisamente più traccia.. così hanno scoperto
che c’è un buco
invisibile dal quale quelle sploff di creature passano per andare e
venire dal Labirinto. Una specie di "tana dei Dolenti" –
spiegò in soldoni.
-
Una tana dei Dolenti… sembra una cosa molto poco
allettante... - commentai io sarcastica.
-
Puoi dirlo forte...
– replicò tetro Newt – per la prima
volta non so
davvero cosa fare… sta accadendo tutto troppo in fretta.
Non siamo pronti... eppure ci siamo preparati a questo per anni!
–
aggiunse frustrato prendendosi la testa tra le mani - senza
contare che Alby non è più lo stesso, sembra
ancora
più agitato degli altri. Invece di darmi una mano sembra che
cerchi solo di remarmi contro, quasi che io non sia altro che un
rincaspiato del cavolo! – spiegò.
-
Non credo che
lui pensi questo di te... - replicai io, prendendogli la mano che aveva
lasciato cadere sul fianco.
-
Gli leggi nel pensiero adesso? –
commentò sarcastico mentre intrecciava le sue dita con le
mie.
-
No, ma quando si
è svegliato dalla Mutazione ha detto una cosa che mi ha
lasciato intendere
che tenga molto a te – dissi.
-
E cosa ti ha detto? – domandò Newt
curioso tirandomi la mano per incitarmi.
-
Mi ha fatto
promettere che ti avrei tenuto d’occhio, che ti avrei
impedito di
buttarti di nuovo giù – spiegai
osservando il soffitto
– penso che ti conosca molto bene, a quanto pare sapeva
già che ti saresti demoralizzato – aggiunsi
tornando a
guardarlo.
Sul viso di Newt stava
scivolando
via un’espressione terrorizzata che non capii da cosa essere
nata. Alla fine rise scuotendo la testa.
-
Vaffancaspio
Alby – mormorò con un ghigno – quindi mi
faresti da
guardiana adesso? – chiese poi, fissandomi divertito.
-
Una
specie… ti da fastidio? – controbattei io con
un’alzata di spalle.
-
Direi di no – disse Newt con un mezzo sorriso.
Tra di noi cadde il
silenzio e io
osservai i Radurai aggirarsi senza sapere bene cosa fare
tra un capanno e l’altro.
Alla fine presi coraggio e feci quella domanda che da giorni mi ronzava
in testa senza pace.
-
Newt? –
-
Mh? –
Il ragazzo
voltò la testa verso di me per guardarmi.
-
Senti.. volevo
sapere una cosa.. – esordii impacciata – ti ho
già
detto che
fin dalla prima volta che ti ho visto ho avvertito un senso di
famigliarità nei tuoi confronti… ma non ho mai
capito se per te è
stato lo
stesso – dissi trattenendo il fiato senza nemmeno
accorgermene.
Newt rimase a fissarmi
per un lunghissimo momento, prima di sporgersi verso di me a lasciarmi
un leggero bacio sulle labbra.
-
Direi di sì – rispose.
Sorridendo, un
po’ per quello
che aveva detto e un po’ perché era arrossito nel
farlo, gli
appoggiai la testa sul petto mentre lasciavo che le sue braccia mi
avvolgessero.
Un porto sicuro in
mezzo a tutto quello scompiglio e a quel lugubre cielo plumbeo. Quello
era Newt per me.
Mentre il mio sguardo
ricadeva sulla
porta orientale poco distante da noi, venni colta da un pensiero che mi
fece
tirare su la testa di scatto.
-
Che succede? – chiese allarmato Newt.
-
Newt… mi hai detto che Minho e Thomas sono tornati
vero? In ritardo per giunta.. – dissi.
-
Sì, perché? –
-
Perché le porte non si sono ancora
chiuse… - risposi con un brivido di paura.
Non so di quel giorno
cosa mi
turbò maggiormente, se il blocco delle scorte, il cielo
grigio,
le porte aperte, o il risveglio di Teresa.
Stanza
delle mappe:
Ed ecco a
voi il nuovo capitolo!
Non so se si
è capito, ma
quest'idea di potermi svegliare, un giorno, e trovare al posto del
cielo un soffitto grigio cemento, mi manda leggermente in ansia...
spero che tramite Carys di avervene fatta provare un pò ;)
Forse qualcuno se lo
è
chiesto (o magari anche no) ma non sono andata a vedere Scorch Trials;
perchè? Perchè non avevo voglia di spendere i
soldi per
vedere un film di un libro che non è stato ancora scritto,
in
quanto della trama originale ci sono giusto due cose. Magari
più avanti lo visionerò con calma, preparandomi
mentalmente a non criticare ogni cosa omessa o ogni dettaglio mandato a
pu... ^^"
Per ultimo ho giocato
un pò con la frase "ti avrei impedito di
buttarti di nuovo giù", Carys l'ha intesa
moralmente, ma Alby ovviamente si
riferiva al tentato suicidio di Newt. Thumbs up per il mio arguto piano
xD
Per il resto ringrazio
tutti i magnifici lettori, le recensiste e in particolare la new entry Catnip Carstairs,
tutti coloro che mi hanno inserita tra le preferite, ricordate o
seguite.
All the best!
Marta
|
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Capitolo 10 *** 10.Finestra ***
10.
10. Finestra
La prima volta che vidi Teresa restai amaramente delusa...
Ero andata a trovarla alla Gattabuia, dove Alby e Newt avevano deciso
di confinarla dopo che lei stessa aveva ammesso di essere la
responsabile degli ultimi eventi. Cielo e porte aperte
comprese. Rimasi
delusa perchè ero andata a vederla con il cuore a mille, e
la
speranza di riconoscere qualcosa in lei che mi suscitasse anche solo un
briciolo della stessa famigliarità che avevo con Newt... e
invece
niente.
Nemmeno lei disse di avermi riconosciuta, si ricordava di Thomas, ma
non di me. Eppure eravamo state mandate assieme dentro la scatola,
qualcosa doveva pur significare!
Ma anche del perchè fossimo state trovate assieme, non
sapeva dare
una spiegazione.... per lei ero una sconosciuta, al pari di uno
qualunque
degli altri Radurai.
Frustrata, ero quindi
tornata
indietro, aggregandomi agli altri ragazzi intenti a trasformare il
Casolare in un fortino vero e proprio, con tanto di scorte di viveri e
di armi e di sbarramento ad ogni finestra. Alla fine ci ritrovammo
tutti
stipati dentro l’edificio, con una paura talmente palpabile,
da
essere quasi presente fisicamente in mezzo a noi. Per quanto mi
riguarda, mi era stato dato il permesso di sistemarmi al primo piano
assieme a Newt, Minho, Thomas e Alby; prima che quest’ultimo
decidesse di andarsene. Quando il capo dei Radurai, ridendo sarcastico,
si era rivolto a
Newt commentando poco garbatamente l'offerta dell'amico di inoltrarsi
con loro nel Labirinto, poco ci mancò che non lo prendessi a
pugni.
In sostanza, come avrebbe detto chiunque sapesse usare il gergo della
Radura, era veramente una situazione di sploff!
Quella stessa notte Gally fece ritorno e, completamente
sfigurato dalla follia, ci annunciò che i Dolenti avrebbero
rapito un Raduraio per sera fino a quando non ne sarebbe rimasto
nessuno. Ironia della sorte, fu proprio lui il primo ad essere
catturato..
Inoltre, prima che potesse spuntare il sole, vennero anche
bruciati tutti i bauli contenenti le mappe disegnate negli anni dai
Velocisti, e Alby venne trovato svenuto fuori dalla stanza nella quale
erano contenute.
La sera successiva
avrei dovuto essere stremata, avevo passato gran parte della
giornata a lavorare con Newt e Teresa.
A Thomas era infatti venuta un'idea sulle famose mappe, che a quanto
pareva, erano state fortunatamente nascoste prima
dell’incendio.
Ricalcando i disegni di ogni sezione dalla 1 alla 8 su carta oleata, e
quindi impilandole poi una sopra a l’altra, si formavano
delle
lettere.
Era stato quindi deciso che, mentre i due velocisti sarebbero tornati
nel Labirinto, io,
Newt e Teresa saremmo rimasti a decifrare il "codice". Dalla mattina
fino all'ora del coprifuoco non ci fermammo neppure un momento,
tornando al
Casolare solo quando ormai era quasi buio.
Mentre
tutti i Radurai si sistemavano per la notte, io rimasi sveglia.
Guardando tra le fessure delle assi inchiodate, cercavo tracce di un
qualche movimento, sperando che appartenesse a Minho e
Thomas di ritorno dal Labirinto.
-
Faresti meglio a dormire –
La voce di Newt mi
raggiunse
dall’unico letto disponibile in quella stanza. Pensavo stesse
dormendo da un pezzo, in realtà.
-
Non ci riesco – risposi, girandomi a dargli
un’occhiata veloce.
Newt si era voltato
verso di me appoggiandosi ad un gomito. Grazie alla fioca luce che
filtrava tra le assi, vidi che
aveva i capelli scarmigliati e lo sguardo vigile su di me. Entrambe
cose che mi fecero partire un brivido non ben identificato lungo la
schiena.
-
È inutile
che tu stia lì in piedi a fissare fuori. Ti
logorerà solo
di più i nervi – replicò lui mettendosi
a sedere,
ma io lo ignorai tornando a guardare nel buio.
-
Ho paura Newt... – mormorai invece, appoggiando la
fronte sul legno inchiodato.
-
L’abbiamo
tutti. Ognuna di quelle teste di caspio qui dentro ne ha, e per quanto
risultasse folle Gally, aveva ragione suppongo.. è normale
avere
paura che un Dolente possa portarti via – disse.
-
Non ho paura che un Dolente mi porti via –
controbattei io.
-
Ah no? E di cosa allora? – domandò Newt
con tono confuso.
Sentendo la sua voce
più vicina, mi girai per guardarlo in piedi dietro di me.
-
Che portino via
te.. non penso che potrei sopportarlo – risposi, tornando poi
a
voltarmi verso la finestra.
-
Ti vengono
proprio delle idee di sploff come al solito... –
sospirò lui
– quindi, pensi che restare in piedi a fissare nel nulla
servirà a salvarmi? – aggiunse.
-
Non lo so… -
-
No, te lo dico
io. Anzi, rischi di essere tu quella che verrà presa, se uno
di
quei caspio di Dolenti decide di attaccare la finestra. Quindi adesso,
ti prego.. verresti via da lì? – il tono di Newt
voleva
essere canzonatorio, ma risultò solo preoccupato. Seriamente
preoccupato che potesse avverarsi quello che aveva appena detto.
-
Hai ragione – ammisi alla fine.
Non appena mi girai per
andare a
dormire, un rumore famigliare mi bloccò. Quel suono umido,
appiccicoso, di qualcosa che rotolava sul selciato, mi
paralizzò.
Tornai a voltarmi verso la finestra. Al piano di sotto cominciarono dei
mormorii e qualche urlo soffocato.
-
Vieni via! - sibilò Newt tirandomi per un braccio,
ma io non mi mossi, non ci riuscivo.
La paura, mista alla consapevolezza di non poter impedire
l'inevitabile, mi aveva paralizzata sul posto.
Sentii Newt imprecare,
prima di venire sollevata di peso e mollata poi sul
materasso. Newt mi coprì
con il lenzuolo infilandosi anche lui nel letto.
-
Va tutto bene Rys, sono qui – disse poi con tono
dolce.
Solo quando le sue
braccia mi
avvolsero la schiena, mi accorsi di tremare.
Il primo singhiozzo che uscì
dalla mia bocca venne attutito dalla stoffa della sua maglietta.
Gli
altri, dalle urla dell’ennesimo Raduraio che veniva rapito
dai Dolenti... Si chiamava Adam.
Stanza
delle mappe:
Il
capitolo è corto,
lo so.. ma a inizio storia avevo fatto presente che la lunghezza
sarebbe variata. Essendo una storia incentrata sulla coppia Newt/Carys
e condensando tutto il resto in una semplice descrizione è
quasi
inevitabile. Mi auguro che i contenuti, seppur brevi, vi abbiano fatto
trascorrere 5 minuti di buona lettura.
Ringrazio come di
consueto tutti i
lettori che aumentano sempre di più con mia somma gioia, le
recensiste e chi mi ha aggiunta tra i preferiti (Piccolodivano),
seguiti (Gulab)
e ricordati (EvePotter14
e Vallery_96)
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 11 *** 11. Assalto ***
11.Assalto
11. Assalto
Il giorno seguente concludemmo finalmente il
nostro lavoro di trascrizione; anche se il risultato non fu proprio
quello sperato...
Fluttua, piglia, sanguina, morte, rigido, premi.
Queste parole non
avevano alcun senso per nessuno di noi e non fecero altro che gettarci
ancora più nello sconforto. In particolare Thomas. Il
ragazzo
infatti, a seguito della (non) scoperta, non si fece vedere per tutto
il giorno, asserendo di non sentirsi bene e di doversi riposare.
Nel suo comportamento c’era sicuramente qualcosa di strano,
qualcosa di più della semplice frustrazione, ma
nessuno di noi poteva immaginare il piano che stava progettando,
nè tanto meno cosa sarebbe successo da lì a poche
ore...
Se fino a quel
momento avevo avuto la fortuna di non dovermi mai confrontare con i
Dolenti, dovevo immaginare che ci sarebbe stata una prima volta anche
per me.
Quando attaccarono il
Casolare,
com'è prevedibile, si scatenò il panico. La loro
non era
più una caccia silenziosa, era un tentativo di dirci "ora
basta
giocare, si fa sul serio".
Durante l'assalto, Thomas, non si sa bene con quale scopo, corse fuori
dall’edificio e io feci il grossolano errore di corrergli
dietro
per cercare di riportarlo dentro.
Fu un errore perchè, spinti dal mio esempio e da quello di
Thomas, anche altri ragazzi
uscirono dal Casolare cercando di scappare Dio solo sa
dove.
I Dolenti, che ormai a quel punto erano già in ritirata,
attratti
probabilmente da quella confusione, ci si fecero nuovamente incontro.
Quando li misi a fuoco, rimasi congelata sul posto. Erano davvero
creature grottesche.. delle enormi palle di muco e membrane
appiccicose, dalle quali spuntavano ogni sorta di attrezzo metallico
dall’aria letale: seghe, coltelli, punteruoli e siringhe.
Ero talmente raccapricciata da quella visione, che quando uno
di essi
mi si fece incontro io non mossi un passo per allontanarti,
finchè qualcosa non mi strattonò. Voltandomi vidi
Newt,
più pallido del normale e decisamente arrabbiato.
-
Cosa ti è saltato in mente? –
esclamò.
Newt,
senza darmi il tempo di proferire parola, si guardò
nervosamente
attorno prima di mettersi a correre tenendomi per mano.
L'unica
cosa certa era che non potevamo tornare indietro.. Intorno a noi
l’aria era piena di urla, e con orrore notai i Dolenti
avventarsi
sui ragazzi in fuga.
Avevo già
capito che
l’unico modo per sopravvivere a quei mostri era di
nascondersi e
sperare di non essere trovati; Newt, pensandola come me, si stava
infatti dirigendo verso il
bosco.
Eravamo quasi arrivati
al bordo
della foresta, quando da essa, improvvisamente, sbucò fuori
un
Dolente. Newt non appena lo vide cambiò direzione, ma ormai
il
mostro ci aveva visti e si era messo al nostro inseguimento.
Non ce la potevamo
fare… il
Dolente era troppo veloce sia per me che per la gamba di Newt.
Probabilmente se ne accorse anche lui, perché si
fermò
lasciandomi andare e piazzandosi davanti a me.
-
Corri, vattene! - mi gridò.
-
Cosa? - esclamai allibita.
-
Io non posso
andare più veloce di così. Mentre lo distraggo tu
scappa
– mi ordinò mentre il Dolente si faceva sempre
più
vicino.
-
No! Io non ti lascio! – urlai di rimando.
Newt si girò
a guardarmi con un'espressione disperata, ma io scossi la testa.
In quel momento a
metà strada
tra noi e il nostro inseguitore, un ragazzo sbucò
dal
folto andando a sbattere contro quest'ultimo, il quale
arrestò la sua
corsa per voltarsi verso di lui. Il ragazzo finito a terra,
raccolse il macete che gli era scivolato di mano menando fendenti verso
il mostro.
-
Andiamo! – esclamò Newt afferrandomi un
braccio e mettendosi a correre.
Il ragazzo aveva
distratto il Dolente, ma per quanto sarebbe durato?
Sforzandomi di non
voltarmi indietro,
seguii Newt. Il ragazzo si diresse verso una catasta di tronchi appena
tagliati e legati saldamente tra di loro in attesa di un trasporto che
non sarebbe mai avvenuto. Non appena li raggiungemmo si
chinò strisciandovi sotto, nello spazio lasciato libero
tra l’erba e il legno. Io mi affrettai a seguirlo, ma proprio
mentre mi abbassavo per poter passare, un grido straziante mi fece
voltare.
Il Dolente aveva
atterrato il
ragazzo e si stava avventando su di lui con qualsiasi cosa avesse a
disposizione; vidi un ampio spruzzo di sangue descrivere un arco
nell’aria che fece cessare completamente le urla. Rimasi
atterrita a fissare il mostro, non mi ero nemmeno accorta di aver
urlato.
Qualcosa più in basso di me mi afferrò il polso
tirandomi a terra e in quel momento mi ricordai di Newt.
Strisciai velocemente al suo fianco.
-
Newt.. quel ragazzo… - mormorai con voce rotta.
-
Shhhh – mi ammonì lui.
Lo sferragliare del
Dolente si fece
sempre più vicino e io presi a tremare incontrollabilmente.
Newt
mi passò le braccia attorno alla schiena, premendomi
più
che poteva contro il suo corpo e allontanandomi dall’uscita
del
nostro nascondiglio.
Io gli artigliai la
stoffa della
maglietta leggera che aveva addosso, nascondendo il viso nel suo collo.
Sentivo il suo respiro sulla testa e il suo cuore battere furioso
contro il mio. Il
Dolente ormai era a pochi metri
da noi; ansimava con un risucchio umido, mentre la zampe metalliche
producevano un suono strano a contatto con il suolo erboso. Poi il
rumore si
fermò. Per un lungo istante non si udì
più niente,
solo le grida lontane degli altri ragazzi.
Successivamente
qualcosa si
abbattè sopra di noi; il colpo mi
spaventò a morte
e io pigolai terrorizzata capendo che il Dolente si stava arrampicando
sull’ammasso di tronchi. Newt si scostò da me quel
che
bastava per prendermi il viso tra le mani.
Nei suoi occhi
c’era
l’avvertimento di non fare rumore mentre le mie lacrime gli
scivolavano tra le dita. Un altro colpo. Strizzai gli occhi serrando le
labbra.
Il pollice che mi
accarezzò
la guancia mi fece riaprire le palpebre. Newt mi guardava fisso negli
occhi, la sua bocca era a un centimetro dalla mia, il suo fiato caldo
si infrangeva contro il mio. Ma io ero presa dagli occhi, lì
c’era chiaramente scritto di stare calma, che lui era
lì
con me. Al terzo colpo strinsi la presa sulla sua maglia, restando
perfettamente in silenzio e continuando a guardarlo. Poi
sopraggiunse un altro grido, questa volta più vicino, e il
Dolente finalmente ci lasciò.
Stanza delle mappe:
Il
periodo di quiete
è finito ed è arrivato il momento di cominciare a
correre. Spero che la mia piccola variante degli eventi accaduti
all'interno del libro vi sia piaciuto!
Personalmente ho
scritto molto volentieri l'ultimo pezzo... chissà come mai..
*faccia da furbetta*
Grazie mille a tutti i
lettori, i recensori e a chi mi ha aggiunta tra le preferite, ricordate
e seguite (Blurred lines
e Gulab)!
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 12 *** 12. Perdita ***
12.Perdita
12. Perdita
Prima che osassimo uscire dal nostro nascondiglio passarono diversi
interminabili minuti, durante i quali dovetti fare appello a tutto il
mio self control per non dare di matto.
Quando finalmente Newt
mi fece un
cenno di
assenso, strisciai fuori. Mi guardai subito intorno per essere certa
che non ci fosse nessun Dolente in vista, ma nonostante non ce ne
fossero, capii
che anche se la nostra zona era tranquilla restavamo comunque sotto
attacco.
-
Dobbiamo raggiungere il Casolare – disse Newt
affiancandosi a me.
Guardai verso la
costruzione in questione. Ci separava un bel tratto di strada allo
scoperto prima di poterla raggiungere, ma non esitai.
Questa volta fui io ad
afferrare la sua mano.
-
Andiamo – dissi.
Newt mi sorrise
brevemente e poi
entrambi ci lanciammo in corsa. Continuammo ad andare avanti, anche
quando nuove urla si levarono nell'aria intorno a noi.
Quando il Casolare fu
in vista
vedemmo sulla porta Minho incitarci ad
entrare. Non appena lo raggiungemmo, ci buttammo praticamente dentro
l’ingresso e una volta che fummo tutti al sicuro
l’uscita
venne sbarrata. Rimanemmo in silenzio mentre il primo
Dolente raggiungeva il nostro nascondiglio e si lanciava contro la
porta in legno che grazie al cielo resistette. Restai
ferma immobile e posai delicatamente una
mano
sulla schiena di Newt fermo davanti a me, non so se per dargli
sicurezza o riceverne. I radurai
rimasti erano tutti addossati alle pareti, nel tentativo di tenersi il
più
lontano possibile dalle finestre.
Quando il vetro e le assi
inchiodate di una delle finestre vennero fatte letteralmente esplodere
le urla di levarono unanime e chiunque avesse in mano un’arma
si
lanciò contro le zampe del Dolente nel tentativo di
farlo
retrocedere. Io che ero disarmata, non potei fare altro che ritrarmi
affiancandomi a Chuck.
Stavo per dirgli qualcosa di
rassicurante sul fatto che fossimo al sicuro, quando, con un
urlo, venne trascinato via. Mi voltai appena in tempo per
afferrarlo per
un braccio prima che venisse portato via.
-
Aiutatemi! - gridai agli altri.
Teresa e Thomas, che
erano i più vicini a noi, mi si affiancarono,
afferrando anche loro il povero Chuck. Il Dolente però era
troppo forte e sembrava non voler mollare la sua preda. Ogni secondo
che passava, guadagnava qualche centimetro
che noi perdevamo inesorabilmente. Ero quasi sul punto di cedere,
quando la
lama di un macete si abbattè con forza sul braccio
metallico.
L’arma, impugnata da Alby, colpì ripetutamente il
mostro,
finchè quando fu quasi mozzata, mollò la presa.
Chuck
ricadde al suolo e noi venimmo sbalzati all’indietro per il
contraccolpo.
Per un breve istante regnò il
silenzio, sembrava che i Dolenti si fossero ritirati decidendo di
lasciarci in pace. Ma sbagliavamo.... all'improvviso, dalla stessa
apertura di prima, sbucò un’altra zampa che
afferrò
Alby. Il tentativo di Thomas di
salvare l’amico fu vano e quando la sua presa cedette, il
ragazzo
venne portato via.
Restammo tutti
impietriti, fermi ai
nostri posti senza sapere cosa fare, mentre la consapevolezza della
perdita appena subita, si faceva strada in noi come un verme in una
mela. Mi voltai a vedere dove fosse Newt, ma non potei decifrarne
l’espressione, il suo volto rimaneva in ombra. Fu solo quando
dall’esterno non provenne più alcun rumore, che a
fatica
uscimmo dal Casolare. Altri radurai ci raggiunsero: alcuni
feriti, altri senza un graffio ma con una gran paura negli occhi.
Il mio primo pensiero
fu andare a
cercare gli altri possibili superstiti, ma Frypan mi bloccò
facendomi notare
che anche io avevo bisogno di cure.
Portandomi una mano
dietro la
schiena, sentii che la maglietta si era lacerata, lasciando la pelle
ferita scoperta. Fortunatamente si trattava di una cosa superficiale.
Quando ero caduta per salvare Chuck, uno dei vetri a terra doveva
avermi tagliato. Così, quando mi
fui rimessa in sesto ed ebbi aiutato gli altri a medicarsi, andai a
cercare Newt che nel frattempo era sparito.
Lo trovai vicino al
laghetto. Era
seduto sulla riva, con le gambe distese e le ginocchia flesse sulle
quali aveva appoggiato gli avambracci. In mano aveva un lungo
stelo d’erba che spezzettava con rabbia. Quando fui alle sue
spalle non si girò. Non potevo dire come si sentisse, ma
vidi i suoi pugni
serrarsi con forza mentre si piantava le unghie nel palmo della mano. Non avevo parole di conforto da
dirgli. Era morto il suo più caro amico. Non
c’erano
parole per alleviare una sofferenza del genere. Così mi
inginocchiai dietro di lui, facendo passare le braccia attorno al suo
busto e appoggiando la fronte sulla sua schiena.
Le sue mani corsero
alle mie braccia,
stringendole, mentre si piegava in avanti e veniva percorso dai
singhiozzi di un pianto trattenuto.
Restammo lì,
stretti, fino a
quando i singulti non si ridussero per poi sparire del tutto. A quel
punto lo
lasciai andare, sdraiandomi sull’erba in attesa che si
ricomponesse. Dopo
un istante anche lui si coricò di fianco a me.
-
E adesso cosa facciamo? – mi azzardai a domandare.
-
Non lo
so…- rispose lui con voce roca – non riesco a
pensare a
niente di buono al momento…- aggiunse amareggiato.
-
Siamo vivi Newt. Noi siamo vivi…
questo è buono – replicai mentre
guardavo i pennacchi di fumo velare il cielo sopra di noi.
Newt a quel punto
rotolò su
di un fianco finchè non fu a carponi sopra di me e la volta
venne oscurata dal suo viso.
Aveva
un’espressione strana. Gli
occhi erano rossi, il volto tirato, sembrava sul punto di andare in
pezzi e allo stesso tempo sembrava più saldo di prima.
Non disse una parola,
ma si coricò sopra di me nascondendo il viso
nell’incavo del mio collo.
Ad ogni respiro i
nostri corpi si
sollevavano per poi riadagiarsi. Era una sensazione di completezza in
mezzo a tutte quelle vite spezzate.
-
Newt? – lo chiamai, preoccupata dal suo
comportamento.
-
Lasciami stare qui un paio di minuti, ti prego – mi
pregò lui con voce infinitamente stanca.
Non aggiunsi altro,
capendo
il suo bisogno e limitandomi ad accarezzargli i capelli biondi della
nuca. Newt, nonostante la sua tranquillità, aveva un animo
complesso; ogni volta che lo guardavo negli occhi ci leggevo un
profondo malessere… come se ci fosse stato qualcosa che
continuava ostinatamente a tormentarlo.
Poi, così come si era
coricato si alzò, e senza dire una parola mi
offrì una
mano per aiutarmi.
Quando fui in piedi e
lui fece per girarsi lo trattenni.
-
Newt… non
so assolutamente chi o cosa fossi prima, se, come Thomas e Teresa,
aiutassi la Wicked, o se sono solo una delle tante cavie come voi. Ma
ho una consapevolezza... non so da dove essa arrivi, però..
sono sicura
nel poter dire di essere qui per te – spiegai –
qualsiasi cosa..
voglio dirti che con me puoi condividere qualsiasi cosa, qualsiasi
pensiero, paura, incertezza. Tutto. – conclusi un
po’
imbarazzata.
Newt mi
squadrò per un
momento buono, prima di farmi un sorriso mesto. Avvicinandosi mi
scostò un ciuffo di capelli dal viso e poi mi diede un
leggero
bacio sulla fronte.
-
Lo so – asserì semplicemente. mente a tormentarlo.
Stanza
delle mappe:
Bah....
non sono per nulla
convinta di questo capitolo e della sua impostazione.. sarà
lo
stress del lavoro, chissà!
Se non vi
piacerà lo capisco perfettamente =/ scusatemi.
Grazie di cuore a
tutti i lettori,
a chi mi ha lasciato un commento e a chi ha cliccato per inserirmi tra
le storie seguite, preferite o ricordate.
All the best!.
Marta
|
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Capitolo 13 *** 13. Vuoto ***
13. Vuoto
13. Vuoto
Vuota. Mi sentivo completamente vuota.
Molte cose erano
successe da quando
i Dolenti avevano attaccato la Radura quella notte...
Il giorno successivo, Thomas si era iniettato
volontariamente il siero dei Dolenti e aveva passato tre giorni
incosciente. Quando si era svegliato, aveva subito chiesto di indire
un’adunanza, durante la quale ci disse di ricordare il
motivo per il quale fossimo lì e che dovevamo assolutamente
lasciare la Radura una volta per tutte.
La maggior parte di noi si trovò d’accordo
nell'abbandonare quel posto e così i preparativi si erano
svolti
in fretta. Armi alle mani, quaranta di noi si erano inoltrati nel
Labirinto. Non avrei mai immaginato che potesse essere così
intricato e ammirai ancora di più il lavoro svolto dai
Velocisti
nel corso degli anni.
Andò quasi tutto liscio, o almeno finchè non
arrivammo
alla Scarpata. Lì, fummo obbligati a combattere contro i
Dolenti,
del tutto intenzionati a non lasciarci passare. Alla fine, non senza
vittime, riuscimmo ad avere la meglio e ad entrate nella loro tana.
Scoprimmo che le parole apparentemente senza senso trovate
nello schema del Labirinto, non erano altro la chiave per aprire
l’uscita. Imboccammo così una serie di corridoi
illuminati
da lampade
alogene, fino a raggiungere una sala piena di monitor e computer. Ad
aspettarci c'era
una donna, una scienziata, che ci spiegò esattamente le
stesse
identiche cose che aveva detto di
ricordarsi Thomas.
Tutti noi eravamo stati monitorati, valutati. Fin dall'inizio.
L'organizzazione dietro tutto questo e di cui lei faceva le veci, si
chiamava Wickd, e noi eravamo il frutto di un esperimento. I
più intelligenti tra di noi erano stati mandati
lì in
tenera età e cresciuti nei loro laboratori.
Nonostante io non
avessi ricordi della mia infanzia, mi pareva impossibile che avessi
vissuto tutta la vita dentro un ecosistema progettato e controllato da
adulti.
Doveva esserci più di questo....
Ma questo fu solo l'inizio del disastro... Non appena la
scienziata smise di parlare, le cose precipitarono molto in fretta.
Decisi ad andarcene da quel posto, senza curarci del perchè
o per
come fossimo stati scelti, ci apprestammo ad uscire, e fu in quel
momento che Gally ricomparve...
Completamente fuori di sè ci si parò davanti,
estraendo
una pistola e puntandola contro Thomas, ritenendolo il colpevole di
tutto quello che era successo.
Quella scena la rivedo ancora con molta chiarezza: le accuse di Gally,
le suppliche dei ragazzi volte a farlo ragionare, il dito che preme il
grilletto, il boato dello sparo, Chuck che si lancia verso Thomas e
viene colpito, il sangue che schizza sul monitor lì vicino
e Thomas che si scaglia contro Gally pestandolo a morte.
Non
avevo mai visto tanta violenza tutta in una volta.
A fermare Thomas fu
solo l'entrata in scena di un
commando armato, che, fatta irruzione nella sala, uccise la donna
della Wckd e ci portò via. Una volta fuori, la pioggia
torrenziale che ci accolse mi impedì di capire che cosa ci
fosse
intorno a me e l’istante dopo fui caricata su di un pulmino
ammaccato. Quando salii non mi restò altro che trascinarmi
stordita per il corridoio costeggiato di sedili. Come in uno stato di
ubriachezza, urtavo gli altri ragazzi che prendevano posto, incapace di
razionalizzare cosa fare; finchè una mano
non sbucò dal lato e mi tirò a sedere. Caddi su uno dei seggiolini.
Ovviamente, era stato Newt a prendermi, era sempre lui.
Non parlò,
limitandosi ad appoggiarsi con la fronte contro il finestrino che dava
sul nero
più cupo, dandomi parzialmente le spalle. Non mi offesi, ero
talmente confusa che riuscivo a malapena a rendermi conto, che tutto
ciò che era successo nelle ore precedenti, era realmente
accaduto.
Quando il pullman si
mise in moto,
rimasi a far vagare lo sguardo per l’abitacolo,
finchè la
mia attenzione non venne catturata dalla conversazione che si stava
svolgendo tra Thomas, Teresa e una delle donne che ci aveva tratti in
salvo.
Quest’ultima
stava spiegando
loro, che gli esperimenti a cui eravamo stati sottoposti, avevano avuto
lo
scopo di valutare la reazione dei nostri cervelli a determinati
stimoli. La Radura, i Dolenti, il Labirinto e tutto il resto, erano
stati programmati
fin nei minimi particolari. Tutto questo per trovare una cura alla
malattia causata dalle eruzioni solari che avevano distrutto quello che
era una volta il nostro pianeta.
L’Eruzione, così veniva
chiamato il morbo, era contagioso, impossibile da debellare e portava
pian piano alla pazzia... una violenta pazzia.
Il loro gruppo
combatteva la Wckd e
i suoi orribili esperimenti, in attesa di riuscire ad attraversare la
“Zona bruciata” e raggiungere le Ande dove si
vociferava di
una probabile soluzione al problema.
Per riassumere efficacemente, il mondo non era
altro che un enorme palla bruciata e i suoi abitanti stavano
progressivamente e lentamente impazzendo; noi probabilmente potevamo
essere la panacea dei loro mali.
Ciò che
sentii non mi
risollevò per nulla l’umore, rendendomi anzi,
ancora
più stanca. Quando ne ebbi abbastanza di quelle parole,
ricaddi
all’indietro sul sedile, passandomi entrambe le mani sulla
faccia.
Newt aveva cambiato posizione, ora si teneva la testa con il gomito
appoggiato sul bordo di plastica del finestrino e continuava a guardare
fuori. Se avesse sentito tutto non potevo saperlo, ma era decisamente
probabile.
Avevo poca voglia di parlare quanto lui, quindi mi accucciai
sul sedile, tirando su le gambe e appoggiando il capo sulla sua spalla.
Newt si mosse, il suo braccio passò dietro alle mie spalle
attirandomi di più verso di lui.
Nella sua stretta c’era
tutto ciò di cui avevo bisogno.
Stanza
delle mappe:
My bad
per il capitolo corto
e prettamente descrittivo.La mia storia vuole prendere solo i momenti
salienti tra i due protagonisti e non è mia intenzione
ripercorrere quindi tutto il libro; al che devo sintetizzare in certi
punti.
Prometto che con il
prossimo capitolo mi faccio perdonare *sguardo furbo*.
Ah, ho visto "La
fuga".... ma è meglio che io non mi esprima...
Grazie a todos i miei
lettori, a chi recensisce e a chi mi ha aggiunta tra preferiti, seguiti
(Amika_Chan) e ricordati.
Best
to all,
Marta
|
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Capitolo 14 *** 14. Perchè ***
14.
14.
Perchè
Il viaggio durò poco meno di due ore e terminò in
un anonimo capannone.
Scoprimmo che l'edificio era stato adibito a dormitorio, con stanze
contenenti diversi letti a castello e cassettiere.
Nel giro di quello che
mi parve un
battito di ciglia, mi ritrovai dentro una doccia con dei vestiti puliti
ad aspettarmi una volta conclusa.
Quando il getto di
acqua calda
colpì le mie spalle e i miei muscoli doloranti, ebbi la
sensazione di non essere realmente io ad essere lì in quel
momento.
Riuscivo quasi a vedermi, dall’esterno, mentre il sapone si
portava via la polvere e la sporcizia accumulata e i miei capelli
tornavano ad avere un aspetto sano.
Potevo essere la stessa persona che era arrivata dentro un ascensore
nella Radura? La risposta ovviamente era no.
Perché quella ragazza non sapeva cosa fosse la morte.
Non l’aveva mai vista con i suoi occhi.
Non aveva mai sentito
l’odore
della polvere da sparo, né udito mai una pallottola
conficcarsi
nella carne di qualcuno portandogli via la vita in un istante.
Non aveva mai sentito
dei lamenti e
delle grida così strazianti provenire da un altro essere
umano.
Le urla di chi ha perso un amico e del dolore che lo sta logorando
dentro.
Mentre pensavo a queste
cose, mi
ritrovai con i pugni contro la parete in piastrelle della doccia e la
testa china, scossa da singhiozzi che lo scrosciare
dell’acqua attutiva appena. Mi sentii
sopraffatta, inutile, senza niente....
Newt.
Cercai di ricompormi. Rivolsi il viso verso l’alto, in modo
che
venisse inondato e le lacrime sparissero. Avevo Newt. Ero lì
per
lui, non per me.
Quando, per eliminare
l’eccesso di acqua, mi passai le mani sulla faccia, assieme a
quella erano scivolate via anche le mie incertezze. Indossati i vestiti puliti e
con ancora i capelli umidi, raggiunsi la sala da pranzo. Lunghe file di tavoli erano
già state occupate da molti dei Radurai sopravvissuti. Vidi Minho alzare una mano per
indicarmi dove fossero lui e gli altri. Quando
raggiunsi il tavolo, lui, Thomas, Teresa e Newt avevano già
preso posto, tutti lindi e puliti, tranne che per quell’ombra
dentro agli occhi.
La stessa che avevamo tutti...
Qualcuno mi
sorrise, divertito
dalla mia espressione quando vidi che per cena c'era una succulenta
pizza; sulla quale, non mi vergogno a dire che mi avventai senza
ritegno. Fu strano mangiarla… ero estasiata dal sentire di
nuovo
quel sapore sulla lingua, ma allo stesso tempo non sapevo quando era
stata l’ultima volta che l’avessi mangiata.. o la
prima.
Una volta sazia iniziai a guardarmi intorno.
A sorvegliarci, vicino
alle porte,
c'erano alcuni uomini in uniforme e altri con dei
camici. L’unico arredamento presente nella sala,
oltre ai
tavoli e alle sedie, erano delle spesse tende rosse, dietro alle quali
immaginai ci fossero delle finestre.
Con circospezione decisi di alzarmi. Mi avvicinai alla tenda
più vicina e quando vidi che nessuno sembrava
infastidito dal mio procedere, la scostai sparendoci dietro.
Capii immediatamente
perché
non si fossero minimamente preoccupati... le finestre erano sbarrate da
spesse inferriate, oltre le quali, il buio inghiottiva ogni cosa.
Con un sospiro dovetti constatare che guardando fuori da esse non avrei
ricavato alcuna informazione utile.
Dopo qualche minuto la tenda si scostò nuovamente e Newt si
fermò al mio fianco.
-
Anche io ho provato a dare un’occhiata
prima… - disse con tono pratico.
-
Sembra che
dovremo continuare a brancolare nel buio finchè qualcuno non
si
prenderà la briga di spiegarci... - commentai infastidita.
-
Come stai? –
Il mio corpo, che fino
a quel momento si era dondolato nervosamente, smise di muoversi non
appena toccò quello di Newt.
-
Se ti
rispondessi che adesso che ci sei tu va meglio sarebbe troppo
sdolcinato? – replicai con un ghigno, al quale Newt risposte
arricciando il naso – non so dirti come sto, in
realtà… un momento prima, bene, un momento dopo,
male.
Dipende da quante volte il ricordo della morte di Chuck e degli altri
ragazzi mi riaffiora alla mente – risposi.
-
Capisco benissimo.. - replicò lui.
-
E tu? Come stai? -
Newt si
voltò verso di me, facendo spallucce e sollevando un angolo
della bocca in un sorriso sarcastico.
-
Sono stato peggio – disse laconico, cercando di
sdrammatizzare.
-
Sul serio Newt… cos’è che ti
tormenta? – lo incalzai.
In quel breve scambio
di sguardi avevo di nuovo notato quell’oscurità
addensarsi nei suoi occhi. Newt mi guardò per
un interminabile istante prima di rivolgersi al buio oltre la finestra.
-
Quando sono
andato nel Labirinto con Alby.. e ho avuto
quell’incidente… non è accaduto per
caso e i
Dolenti non c’entrano un caspio di nulla.. Mi sono
semplicemente
arrampicato su di un muro di edera e poi mi sono lasciato cadere. Non
volevo più vivere, ho odiato ogni singolo istante dentro
quel
posto – sputò con rabbia.
La sua confessione
ricadde nel
silenzio più totale, reso ancora più forte dalla
spessa
tenda che ci escludeva dal resto della sala, quasi creando un mondo a
parte.
-
Lo sapevo... – mi limitai a rispondere.
Newt mi
fissò allibito.
-
Quando siamo
entrati in quella sala monitor.. qualcosa è scattato in me,
come
è accaduto a Teresa e Thomas. Mi sono ricordata…
di
alcune cose – dissi – Ho un paio di immagini di noi
da
bambini.. poi di noi da grandi nei laboratori.. Ricordo della
scena di te che salti nel vuoto mentre io la guardo dal
monitor…
- spiegai.
Newt continuava a
fissarmi con gli occhi sgranati.
-
Quando ti ho
detto che sentivo di essere qui per te, era vero. Non so in che modo,
ma sono stata io a voler essere inserita nel Labirinto.. –
-
Perché? – mormorò lui
attonito.
-
Perché
quando hai cercato di suicidarti non potevo più restare a
guardare. Dovevo, volevo raggiungerti… volevo stare di nuovo
con
te. Volevo… - mi bloccai portandomi una mano alla testa
–
è tutto così confuso! Io vivo per te,
è come se
fosse sempre stato il mio scopo… non volevo più
vederti
soffrire, volevo che smettessi, volevo condividere la tua sofferenza
perché… perché non voglio che tu
muoia, voglio che
tu sopravviva! – spiegai sentendo gli occhi farsi lucidi.
Avevo appena concluso
la frase, che Newt mi prese il viso fra le mani e mi baciò.
C’era
così tanto
bisogno, così tanto desiderio in quel gesto, che lo strinsi
a me
più che potevo, mentre le sue mani sul collo e sulla nuca
approfondivano il bacio. Ci baciammo con un impeto disperato. Tanto che
mi ritrovai contro le sbarre della finestra, con i polsi inchiodati ai
lati della testa dalle sue mani mentre continuava a baciarmi.
Il suo corpo premeva
contro il mio e sembrava non bastare mai.
Quando l’ossigeno venne a mancare, Newt si
allontanò,
restando con le labbra a un paio di centimetri dalle mie a fissarmi
negli occhi.
Io, ansante, mi liberai
dalla sua
presa afferrandogli la maglietta pulita; andando a sfiorare con le dita
la pelle sotto di essa.
-
Non so dirti se
tu sia qui per me… ma so per certo che io sono ancora qui
grazie
a te. Se non mi sono lasciato morire nel Labirinto quando siamo fuggiti
è per te – disse con la voce che gli tremava.
Aveva gli occhi lucidi
e la pelle, normalmente serica, aveva un tono più caldo.
Non mi era mai sembrato più bello. Mi sporsi per baciarlo
delicatamente ancora una volta. Newt chiuse gli occhi.
Mi allontanai ancora,
per poi baciarlo di nuovo... e avrei continuato, forse all'infinito, se
la tenda non fosse stata scostata.
Uno degli uomini con il
camice mi disse che dovevo seguirlo, che io e Teresa saremmo state
messe in un dormitorio solo nostro.
Ebbi appena il tempo di
incrociare ancora una volta gli occhi di Newt prima di essere portata
via.
Stanza delle mappe:
Chissà che con questo capitolo non mi sia fatta perdonare lo
scorso! E i prossimi che verranno... *si schiarisce la gola*
E con un "viva le tende rosse" vi saluto!
Grazie come sempre ai lettori, a chi recensisce, a chi mi ha aggiunta
tra le preferite, seguite (Selenagomezlover99) e ricordate
<3
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 15 *** 15. Solitudine ***
15. Solitudine
15. Solitudine
Io e Teresa venimmo portate in una stanza con un unico letto a
castello, un bagno e una cassettiera. Nessuna delle due aveva molta
voglia di parlare e quindi ci mettemmo subito a letto. Non ci
addormentammo subito, io pensavo alla
conversazione avuta con Newt poco prima, e lei con tutta
probabilità parlava con Thomas nel loro modo speciale.
Provai
una fitta di gelosia nei suoi confronti, nella sua capacità
di
poter
comunicare con lui sempre, ovunque fossero.
Il sonno alla fine mi
colse, facendomi chiudere gli occhi con la stupida certezza
che il mattino seguente avrei potuto rivedere gli occhi di Newt.
Quanta
ingenuità…
quanta meravigliosa ingenuità faceva ancora da padrona
dentro di
me a quel tempo! Non avrei rivisto i suoi occhi per molto
tempo…
Ad un tratto venni
svegliata improvvisamente da
Teresa. Non so quante ore fossero passate, ma lei mi
tirò letteralmente giù dal letto, dicendo che non
riusciva più a parlare con Thomas; che c'era qualcosa che
non andava. Non appena mi disse quello, mi
precipitai alla porta provando ad aprirla.
Inutile, era chiusa. La
nostra camera non aveva finestre, né prese d’aria,
né tanto meno grate. Eravamo in trappola.
Dopo alcuni istanti di
terrore irrazionale, non ci restò altro che sederci sul
letto in attesa.
Teresa passò
tutto il tempo cercando di contattare Thomas con il pensiero, ma dalla
sua faccia
tirata, capii che i suoi tentativi non stavano dando l’esito
sperato.
Parecchio tempo dopo,
quando
l’attesa stava diventando insostenibile, pur di fare qualcosa
decisi di andare in bagno a sciacquarmi la faccia. Ma non appena mi
alzai
dal letto, la porta venne spalancata di botto. Un gruppo di ragazze mai
viste prima piombò all’interno.
Ci osservarono con gli
occhi sgranati, prima che una di loro si facesse avanti per chiederci
dove fosse un certo Aris.
Mi ero aspettata che le
stranezze fossero finite, ma mi sbagliavo di grosso…
Scoprimmo che la Wicked
non aveva
creato un solo Labirinto, ma bensì due: uno popolato solo da
ragazzi
l’altro solo da ragazze. In entrambi, negli ultimi giorni,
era
stato mandato l’ascensore con, rispettivamente, Teresa e
Aris.
Ciò che ne era seguito era stato pressoché
identico da
entrambi il lati: l’attacco dei Dolenti,
la fuga attraverso la loro tana, la sala con i monitor,
l’uccisione di uno di loro da parte di un membro impazzito,
l’irruzione dei ribelli e la fuga verso quel rifugio.
Quando mi dissero che
nel dormitorio
a parte loro non c’era nessun altro e che probabilmente le
camere
nostre e di questo Aris erano state scambiate, non ci credetti.
Non
poteva essere. Poteva
esserci qualcosa di più assurdo?
Di più
assurdo del sentirsi
dire che la sala da pranzo era piena di cadaveri impiccati al soffitto
e di scoprire che nel giro di venti minuti di essi non c’era
più alcuna traccia?
Di scoprire che sul
collo di ognuno c’era un tatuaggio con una sigla differente?
Di sapere che il gruppo
B,
perché così si chiamavano, era stato attaccato da
figure umane sfigurate che avevano cercato di fare irruzione nel
dormitorio e che si facevano chiamare Spaccati? E infine
di trovare dei
muri a chiudere ogni singola finestra?
Mentre le ragazze del
gruppo B
ispezionavano ogni singolo centimetro delle sale, io mi diressi verso
la
finestra da cui avevo cercato di guardare fuori la sera precedente.
Ovviamente dietro la spessa tenda non trovai altro che
l’ennesimo
muro di mattoni.
Newt non c’era, non era da nessuna parte...
Una
nuova emozione, violenta quando improvvisa, si fece strada in me....
L’abbandono.
Mi sentii sola, la consapevolezza della presenza
delle altre ragazze o di Teresa non mi era del minimo conforto. Poggiai
entrambi i palmi aperti sul muro che mi stava di fronte, mentre brutali
singhiozzi sembravano portarsi via interi pezzi di me.
Mentre le immagini del
viso di Newt esplodevano della mia memoria, mi lasciai cadere in
ginocchio e lì rimasi.
Ero terrorizzata...
Non per me.... Ma per lui.
Stanza
delle mappe:
Dovete
scusarmi ma per un altro paio di capitoli, forse tre, sarà
più Carys centric! Chissà che non mi dia
l'opportunità di approfondire questo personaggio.
Dovrei postare la
prossima settimana prima di Natale però, se riesco ^^" Stay
tuned!
Un grazie sentito ai
lettori e a chi ha cliccato per inserirmi tra le storie preferite,
seguite e ricordate!
Besos,
Marta
|
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Capitolo 16 *** 16.Muro ***
16. Muro
16. Muro
Passarono tre giorni. Tre giorni senza che succedesse
alcunché. Niente cibo, solo acqua.
Se avevo già
provato la fame
in passato, evidentemente non me ne ricordavo. Perché quella
sensazione di vuoto, di bruciore, come se avessi un deserto incendiato
nello stomaco mi aveva sorpresa e sconvolta. Passavo le giornate seduta
dietro la tenda rossa della sala da pranzo, con la testa affondata
nelle ginocchia o, quando non riuscivo più a stare seduta,
sdraiata sul pavimento. Teresa venne più volte a parlarmi,
cercando di farmi ragionare e di farmi almeno stare nel dormitorio, su
un letto. Ma io fui irremovibile. Ogni volta che incrociavo il
suo sguardo ci leggevo una nuova durezza. I suoi occhi
avevano
una lucentezza propria, di chi sa di avere uno scopo, ma
l’unica
volta in cui le chiesi se si fosse ricordata qualcosa, o se fosse
riuscita a contattare Thomas, la risposta fu un secco no, permeato da
un tale gelo nel tono, che mi spaventò.
La notte del secondo
giorno mi
addormentai al solito posto, finchè non fui svegliata da un
odore. Sembrava profumo di frutta…
Quando non senza una certa fatica scostai la tenda, credetti di stare
ancora dormendo. In mezzo alla sala da pranzo era comparso un enorme
mucchio di cibo, ma quello che mi sconvolse maggiormente fu la presenza
di una figura completamente vestita di bianco appartenente ad un uomo.
Tale individuo stava seduto comodamente su di una sedia, con le
caviglie incrociate sul piano della scrivania ed era intento nella
lettura di un libro. Quando mi avvicinai a lui, ignorando completamente
il cibo, quello non sollevò nemmeno gli occhi, limitandosi a
dirmi che avremmo dovuto aspettare 3 ore prima che potesse dirci come
si sarebbe svolta la fase
due.
Mentre nella mia testa rimbombava la frase “fase
due”, mi
scontrai contro un muro. Fortunatamente, visto che stavo solo
camminando e non correndo, non mi feci male, ma ancor più
sorpresa allargai una mano sulla parete totalmente invisibile. Il tipo
con la faccia da ratto non era scemo; probabilmente pazzo e
completamente inutile, ma non scemo.
Mi sedetti per terra
praticamente
davanti a lui. Avevo esaurito le poche forze che mi avevano permesso di
fare il tragitto dal mio nascondiglio fino a lì.
Dopo una manciata di
minuti, del
movimento alle mie spalle mi avvisò che anche il resto del
gruppo si era accorto della novità. Teresa e un paio di
altre
ragazze vennero subito a chiedermi cosa fosse successo. Io risposi che
non era successo nulla, mi ero svegliata e avevo trovato la stessa
scena che potevano vedere con i loro occhi. Qualcuna di loro
provò a parlare con il tipo, ad insultarlo, ad abbattere il
muro
invisibile, ma l’unica risposta che ebbero fu la stessa data
a
me.
Il resto del gruppo invece si era avventato sul cibo. Dopo un digiuno
di tre giorni era una cosa del tutto normale.
I miei morsi della fame
non si erano
di sicuro placati, anzi, con quel profumino di cibo erano diventati
ancora più violenti, ma il mio cervello stava elaborando
tutt’altro tipo di informazioni. Se non fosse stato per
Teresa,
che si premurò di lasciarmi qualcosa da mettere sotto i
denti,
forse sarei svenuta senza provare nemmeno a mangiare.
Fase due.
C’era una fase due…. Pensai mentre mordevo una
mela rossa.
Non era bastata la
prima? Toglierci
la memoria, buttarci in un quadrato di alberi e prati, farci aggredire
da mostri con artigli meccanici, far morire dei ragazzi innocenti,
portarci a desiderare di morire piuttosto che vivere in quel modo?
Ci avevano illuso con
l’idea di essere finalmente al sicuro e adesso questo?! Sul
serio?!
La seconda mela a cui
avevo appena
dato un morso la scagliai con violenza contro la barriera invisibile;
quella cadde con un tonfo sul pavimento lasciando una macchia umida e
gocciolante ad un paio di metri dal suolo. Ovviamente il tipo non si
scomodò a guardare, limitandosi a umettarsi le dita per
sfogliare un’altra pagina.
Continuai a mangiare in
attesa. Non
staccai per un millesimo di secondo gli occhi dal tizio/ratto. Per
tutto il tempo sperai che crepasse nel modo più orribile che
riuscissi ad immaginare.
Stanza
delle mappe:
Con questo
capitolo vi faccio i migliori auguri di un buon Natale! Carys
tornerà prima di Capodanno ;)
Grazie a voi lettori,
recensori e a voi che mi avete aggiunta tra le preferite, ricordate e
seguite!
Con
affetto,
Marta
|
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Capitolo 17 *** 17. Piano ***
17. Piano
17. Piano
Quando il mio orologio digitale
(gentile concessione della Wicked) segnò finalmente che le
tre
ore promesse erano scadute, l’uomo topo chiuse il suo libro
con
uno schiocco secco, tirò giù i piedi dalla
scrivania,
aprì un cassetto e ne tirò fuori un raccoglitore
pieno di
schede. Dopo
di che iniziò a parlare.
Per prima cosa ci
spiegò che
entrambi i gruppi erano formati all’inizio da sessanta
elementi e
quindi si "complimentò" con quanti di noi erano
sopravvissuti.
Il viso di Chuck
tornò
prepotentemente a farsi vivo mentre serravo i pugni e immaginavo la
testa di quel calmo personaggio che ci stava di fronte, esplodere
schizzando di rosso il suo bel muro invisibile.Poi
ci disse ciò che già sapevamo, ovvero che lo
scopo di
tutto quello era di valutare le nostre reazioni. Aggiunse
però,
che il vero scopo era stato di ricavare una cianografia del nostro
cervello;
studiare le conseguenze specifiche della violenza. Ogni singola,
orribile cosa che
ci era stata inflitta, era stata studiata e realizzata a puntino e
veniva chiamata
variabile. Se noi rispondevamo in modo corretto ad esse, potevamo
andare
avanti, in caso contrario... beh, il succo era che, se non ci facevamo
uccidere, avevamo la
possibilità di salvare noi stessi e di conseguenza il
genere umano.
Anche se continuava a dirci che le azione della Wicked erano nel
più totale interesse dell’umanità, io
faticavo a
crederci. Faticavo ad accettare di dover sopportare tutto quel dolore
per la promessa di un futuro migliore. E faticai ancora di
più a
crederlo, sentendogli dire che loro potevano manipolare il nostro
cervello, rendendoci del tutto insicuri di ciò che vedevamo:
come i muri alle finestre o i corpi impiccati che io peraltro non avevo
visto.
“ So che
questo vi confonde e un po’ vi spaventa” ci disse.
Un po’ vi
spaventa?!
Non so chi sono! Siamo
stati
torturati psicologicamente per giorni e altri per anni! Siamo cavie di
un esperimento che non abbiamo chiesto! Per salvare
un’umanità che a momenti non sappiamo che fine
abbia
fatto! Mi avete strappato alla persona che amo; non so dove sia o se
sia
ancora vivo! Mi avete tolto ogni libertà e pensate che
questo mi
confonda e mi spaventi solo un po’?! Mi terrorizza
maledizione!
Avrei voluto urlargli
tutte queste
cose, ma mi imposi di restare calma... sperai solo che quelli
della Wicked stessero monitorando il mio cervello e che potessero
capire a che livello di odio mi stavano portando nei loro confronti.
Come se non bastasse,
ci venne a
dire
che i dati raccolti non erano nemmeno lontanamente sufficienti al loro
scopo e per questo motivo sarebbe iniziata una fase due, molto
più difficile della prima. La mia mente si impose di non
ragionare sulle possibili conseguenze future di questa affermazione.
Credo per puro spirito di sopravvivenza.
L’uomo
proseguì
nell’elencarci come, a seguito delle macchie solari, si fosse
diffusa l'epidemia chiamata Eruzione
e di come le grandi nazioni si
fossero bla bla bla…
Per qualche strana
ragione non mi
colpì sapere che avevamo tutti contratto il virus,
nè che la
nostra ricompensa alla fine dei test sarebbe stata proprio una cura.
C’era qualcosa di famigliare in quello che diceva, come se io
ne
fossi già stata a conoscenza dal principio.
Fu la parte finale che,
finalmente,
suscitò in me una qualche reazione e non proprio delle
più
calme. La fase due del nostro gruppo infatti era semplice: muoverci
attraverso i tunnel che percorrevano l’intera zona bruciata,
per raggiungere un solo scopo: uccidere Thomas.
Non appena
l’uomo concluse la frase scattai in piedi.
-
No! - urlai.
Il tizio smise di
parlare per rivolgermi un'occhiata di disapprovazione, poi mi
ricordò che se non avessi fatto tutto
quello che ci stava dicendo saremmo morte.
-
Non ucciderò un amico solo per salvarmi la pelle!
Teresa diglielo! -
Ma teresa non rispose.
Non lo fece nemmeno
quando la incitai voltandomi a guardarla. Rimase fredda, distaccata.
Mi
disse di rimettermi a sedere, che dovevamo ascoltare quello che aveva
da
dirci e che se quella era l’unica strada, avremmo dovuto
percorrerla.
A quel punto non ci
vidi più. Se un paio
di ragazze non mi avessero afferrata, mi sarei lanciata su Teresa, la
quale per altro, non battè ciglio, limitandosi a ordinare di
chiudermi da qualche parte finchè non si fosse conclusa la
discussione.
E così non
seppi mai quale fosse il piano per uccidere Thomas.
Stanza
delle mappe:
Ennesimo
capitolo di
transizione, abbiate pazienza ma vi prometto che Newt
tornerà
presto! Nel frattempo ho cercato di rendere chiaro il cambiamento
subito da Teresa, che non so bene per quale ragione non mi è
mai
stata simpatica, nemmeno all'inizio ^^"
Colgo l'occassione per
augurare a tutti voi un buon inizio 2016! Spero davvero che sia per voi
meraviglioso.
Grazie a chi mi legge,
recensisce e a chi mi mette tra le preferite (Martinajsd), seguite
(Effe_46) e
ricordate!
Ci
vediamo il prossimo anno ;)
Marta
|
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Capitolo 18 *** 18. Ritrovarsi ***
18. Ritrovarsi
18. Ritrovarsi
Trentasette minuti
più tardi,
la porta del bagno nel quale ero stata rinchiusa venne aperta
nuovamente. Teresa, Harriet e Sonya si fecero avanti, mentre io dal
pavimento sul quale ero seduta le squadravo. Mi spiegarono che avevo la
possibilità di fare una scelta: o andavo con loro e le
aiutavo a
fare quel che c’era da fare, o restavo lì e morivo
alla
chiusura del pass verticale (qualsiasi cosa esso fosse).
Messa in questi termini non ebbi più dubbi. Sarei andata con
loro... e
alla prima occasione le avrei lasciate per andare in cerca del gruppo
A.
Sfortunatamente, quando chiesi quali fossero le istruzioni lasciate
dall'uomo topo, mi venne risposto che a tempo debito le
avrei sapute. Alla
fine della fiera nessuna di noi era così stupida.. ma almeno
avevo fatto un tentativo.
Durante il
restante tempo che ci separava delle sei, ci adoperammo per
fabbricare alcuni pratici zaini con lenzuola
e federe. Io ne approfittai per
costruirmi anche un sacco a tracolla, dove riposi un paio di sacchetti
pieni di acqua.
Quando mancavano dieci
minuti
all’ora X, eravamo già tutte pronte davanti ad
un grande muro scintillante. Allo scoccare delle 6, il muro
invisibile che ci impediva il passaggio venne rimosso, e ad una ad una
passammo tutte attraverso il pass verticale.
Ci ritrovammo
improvvisamente al buio, e non quel
tipo di buio al quale dopo un po’ gli occhi si abituano...
L’oscurità più assoluta regnava
sovrana, non si
distingueva nessun profilo, niente di niente, era come essere ciechi.
Capimmo ben presto di trovarci un una specie di labirinto sotterraneo e
pensammo subito che la difficoltà stesse tutta nel
ritrovarci al buio,
ma ovviamente non era così semplice… prima di
riuscire
ad abbandonarlo, tre delle ragazze del nostro gruppo furono uccise.
Da che cosa ancora adesso non l’ho capito... ogni
volta c’era un suono liquido, come di una grossa goccia che
cadeva dall’alto, poi venivano le grida strazianti e infine
un
tonfo morbido di un corpo che si accasciava al suolo. Alla fine,
riuscimmo a raggiungere
una pesante porta di metallo che, non appena aperta, ci condusse in
nuovi corridoi di pietra, questa volta rischiarati da una luce
azzurrina che correva lungo tutto il bordo inferiore dei muri.
Finalmente, venni a sapere la prima parte del piano.
L’uomo in bianco aveva detto che avremmo dovuto proseguire
fino a
trovare la
botola giusta che ci avrebbe condotte ad una piccola costruzione.
Lì, Teresa avrebbe dovuto attirare Thomas inscenando di
essere
controllata dalla Wicked, poi avrebbe dovuto fingere un momento di
lucidità dove gli avrebbe dovuto dire di scappare.
Inutile dire che a
sentire quelle
parole mi si rivoltò lo stomaco, non tanto per la
cattiveria,
quanto perché fu proprio Teresa a spiegarmelo e con una
naturalezza e calma, che me la fece odiare… lei voleva
uccidere Thomas, lo desiderava!
Quando le chiesi il motivo di tutto
quell’astio, lei mi rispose che era per ciò che le
aveva
fatto, ma di più non riuscii a capire. Ad
intervalli regolari, quindi, sulle nostre teste si aprivano delle
botole. Alcune
portavano all’esterno, che scoprimmo essere un deserto
arroventato. Il sole bruciava talmente tanto, che se si usciva senza
essere coperti, la pelle si copriva di bolle da ustione. Altre botole
invece erano un inganno, nascondevano trappole, ma lo capimmo solo
quando una di noi venne afferrata da una mano putrida e fatta sparire.
Rimanemmo atterrite nel sentire le sue grida spargersi per tutto
il labirinto. Così decidemmo di aprirne una a turno. Fui
quindi
io a scoprire la botola che conduceva all’edificio menzionato
dall’uomo topo e colsi al volo l'occasione di esplorarla. Non
so
dire se la cosa fosse stata
studiata o meno, ma mi accorsi di un’intercapedine nel muro
che,
aprendosi, dava su una strettissima rientranza. Provai ad aprirla e poi
a
chiuderla del tutto; sigillata era pressochè
invisibile…
Non dovetti pensarci nemmeno un minuto, mi
ci infilai dentro serrando la porta.
Dopo qualche minuto sentii arrivare le altre ragazze preoccupate dal
mio silenzio.
-
Se n'é andata, maledizione!!! –
esclamò una di esse.
-
Non
importa… là fuori c’è solo
il deserto, ha
lasciato il suo lenzuolo a noi, non può sopravvivere, non
arriverà mai all’altro gruppo –
Le parole di Teresa mi
lasciarono
l’amaro in bocca. Ogni traccia della ragazza che avevo
conosciuto
tempo addietro, era svanita. Restava quel freddo involucro che ben
poco aveva a che fare con lei, eppure non c'erano dubbi... Al momento però
avevo cose
più urgenti a cui pensare. Con me avevo solo la
tracolla, all'interno
della quale c'era solamente una busta di acqua e non avevo idea di
quando avrebbero attirato lì Thomas. Però ero fermamente
decisa a resistere fino ad allora.
Dalla mattina
successiva, da fuori, iniziai a sentire il pianto amplificato di una
ragazza. Era un ululato straziante, che non cessava mai, ed era
talmente
forte che iniziai a sentire la testa intorpidita. Messa alle strette
dovetti fabbricarmi
un paio di tappi con la stoffa della mia maglietta per poterlo
sopportare, ma anche così non riuscii ad
evitare il mal di testa martellante che mi provocò. Verso le
sette di sera finalmente smise e il silenzio improvviso mi diede
fastidio tanto quanto quel rumore. Ragionai su quel fatto…
perché amplificare quella voce in modo così
forte?
Chiunque avrebbe capito che era trasmessa da altoparlanti e non da una
persona vera.. a meno che gli ascoltatori non fossero stati molto
distanti.. Mentre
ragionavo su quanto appreso, all’esterno avvertii del
movimento.
-
Voi aspettate di sotto, ormai sono qui vicini, il piano ha
funzionato –
Teresa. Di nuovo.
Sentii la botola
richiudersi e poi la porta della baracca aprirsi, dopo di che
calò nuovamente il silenzio. Finalmente mi era chiaro lo
scopo
di quell'ululato: serviva semplicemente ad attirare Thomas...
-
Teresa? Teresa cosa sta succedendo? –
Proprio la voce del
ragazza in questione mi sorprese chiusa nel mio spazio. C’era
ansia nel timbro di
Thomas e quel che peggio... speranza. Alle sue continue richieste
di spiegazione, Teresa gli urlò solo di restare lontano. Mi
pareva che lei stesse
piangendo..
Mi sentivo male per
Thomas.. Lui che
credeva di averla ritrovata, che si stava dando una spiegazione del
tutto logica del suo comportamento, quando di logico non
c’era un
bel niente invece.
-
Teresa, ho pensato a te ogni secondo da quando ti hanno
portato via. Tu... –
La voce di Thomas venne
bruscamente
interrotta, non sapevo per quale motivo, ma non potevo accertarmene.
Infine la ragazza tornò a
parlare, intimando a Thomas di stare lontano da lei e di andarsene
immediatamente. Lui, prima di fare come gli aveva detto, le promise che
l’avrebbe
ritrovata.
Quando la porta della
baracca si
chiuse, calò di nuovo il silenzio. Io però non mi
mossi,
non avevo sentito aprirsi la botola, quindi Teresa
era ancora all’interno.
Dentro di me fremevo, se
non me ne fossi andata in fretta avrei perso le tracce di
Thomas
e con lui le speranze di ricongiungermi al gruppo.
Con sollievo sentii
finalmente il cigolio dei
cardini e il tonfo di uno sportello che si chiudeva. Restai ancora
immobile per qualche secondo, prima di iniziare a spingere la porta
davanti a me. Purtroppo
questa non si mosse di un millimetro, gettandomi nel panico. Non
potevano avermi sigillata lì dentro...
Spinsi con tutta la
forza che avevo
in quello spazio ridotto mentre, involontariamente, iniziavo a
singhiozzare terrorizzata. Presi una pausa cercando di prendere fiato e
calmarmi, ma non riuscendoci ricominciai a spingere disperatamente.
Nessuno mi avrebbe
salvata. Nessuno
avrebbe mai saputo più niente di me. Sarei morta incastrata
dietro una parete di roccia. Non avrei mai più
rivisto Newt...
Pensando a lui
diedi una spinta ancora più violenta, appoggiando la schiena
contro il muro dietro e puntando un piede contro quello davanti.
Improvvisamente mi ritrovai stordita e dolorante a fissare un cielo
stracolmo di stelle.
Confusa, guardai di
fronte a me la
parete che fino ad un momento prima era alle mie spalle. Si era aperta
di botto facendomi cadere
all’esterno della baracca. Ancora con il fiatone iniziai a
guardarmi in giro. In
lontananza vidi un gruppo di persone allontanarsi. Con il cuore in gola
mi alzai.
Sulle prime le gambe mi cedettero; ero rimasta una giornata intera in
piedi senza la possibilità di riposarmi e solo ora capivo
quanto
fossi stanca. Mi
sforzai di proseguire, di correre, prima che il gruppo scomparisse
all’orizzonte.
Mi avvicinai sempre di
più,
finchè non vidi qualcuno voltarsi verso di me e indicarmi.
Si
formò subito un gruppo compatto e quando fui ad una
quindicina
di metri da esso, una voce mi bloccò.
-
Fermati! Chi caspio sei?! - esclamò la voce di
Minho.
Io cercavo di
riprendere fiato, appoggiando le mani sulle ginocchia tremanti e
sorridendo.
-
Minho.. - lo chiamai tra un ansito e l'altro.
-
El? – esclamò lui scioccato.
Mezzo secondo dopo aver
pronunciato
il mio nome, dal gruppo si staccò una figura.. Avrei
riconosciuto
quel profilo fra mille altri.
Newt mi venne incontro,
ignorando gli avvertimenti dei suoi compagni.
-
Newt – mormorai correndogli incontro.
Non smisi
finchè il mio corpo non si scontrò con il suo e
cademmo entrambi sulla sabbia.
Newt mi stringeva
così forte,
che quel poco di fiato rimastomi se ne stava andando, ma non mi
importava. Affondai felice il viso nel suo collo.
-
Newt - singhiozzai.
-
Pensavo di non rivederti più… -
sussurrò lui contro il mio orecchio.
Restammo lì
abbracciati a terra, ignorando Minho che ci diceva di alzarci, che
dovevamo raggiungere Thomas.
Per noi non c’era nessun altro.
Stanza
delle mappe:
Immagino
che dal titolo del capitolo siate stati molto sorpresi che Carys e Newt
alla fine si siano ritrovati!
Il 2016 porta quindi
un nuovo capitolo e la ricomparsa del nostro raduraio preferito ;)
Ammetto che l'idea
della nicchia nascosta nella baracca è parecchio azzardata,
così come il colpo di fortuna di aver trovato lei stessa la
botola giusta... abbiate pietà e prendetemela per buona ^^"
non avrei assolutamente saputo come farla fuggire..
Ringrazio tutti i
lettori, i recensori e chi mi ha aggiunta tra i preferiti, seguiti (Rossylocat e Sputafuoco) e
ricordati per avermi accompagnata fino a questo nuovo anno!
Un
bacio,
Marta
|
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Capitolo 19 *** 19. Verità ***
19. Verità
19.
Verità
Alla
fine, ovviamente,
dovemmo alzarci e raggiungere gli altri. Spazientito Minho ci
indicò un puntino che ballonzolava qualche miglia
più
avanti. Thomas.
Non aveva dato nessuna
spiegazione, limitandosi a dire loro che si sarebbero dovuti
allontanare il
più in fretta possibile da quel punto e che poi avrebbe
raccontato tutto.
Io mi attenni alla sua
stessa logica: parlare e correre erano due cose che non avrei avuto la
forza di fare.
Quando lo raggiungemmo, sembrava
aver ancora meno voglia di parlare e potevo capirne il motivo.
Non appena mi vide spalancò gli occhi, rianimandosi e
tempestandomi di domande, finchè Newt non si fece avanti
dicendogli chiaro e tondo che prima avrebbe dovuto dare una spiegazioni
per le sue di azioni e che poi avremmo discusso anche con me. Thomas
mi diede così la possibilità di abbinare delle
immagini a ciò che io avevo potuto solo
udire. Disse di come Teresa tremasse e cercasse in qualche modo di
contenersi, come sembrasse lottare contro una volontà non
sua,
finchè non gli aveva intimato di andarsene. Se sentire
quelle cose mi mise a disagio, dover raccontare la mia
versione fu
ancora peggio.
-
Menti! –
Thomas ebbe uno scatto
d’ira
non appena gli feci capire che Teresa non era sotto
l’influenza
di nessuno. Di come fosse stata sempre piuttosto fredda e ben
determinata
nello scopo che la Wicked aveva dato al gruppo B. Cercai di
convincerlo, ma lui fu irremovibile, disse che ci avrebbe creduto solo
quando lo avrebbe visto con i suoi stessi occhi. Minho, molto più
pratico, mi
chiese se potevo dar loro dei dettagli riguardo al piano per uccidere
Thomas. Mi rincrebbe non potergliene dare, visto e considerato che ero
stata rinchiusa in un bagno quando la discussione era arrivata a quel
punto. Così come mi dispiacque non potergli fornire
l’indicazione per una delle tante botole che si affacciavano
sul
deserto. Non avevo la benché minima idea della loro
posizione,
tranne che per quella nella casetta dov'era chiaro che non potessimo
tornare.
Non insistei oltre con Thomas per fargli comprendere
il pericolo che correva, era già abbastanza provato
così.
Per cui accolsi con gioia il consiglio di Minho di provare a dormire un
po’ nonostante il sole stesse sorgendo. Newt mi condusse in
disparte rispetto agli altri radurai, stese a terra un lenzuolo e
quando fummo entrambi sopra di esso, ne usò un altro per
coprirci
dalla testa ai piedi. Mi ritrovai così in un ambiente
chiaro,
tinto di oro nei punti dove il sole lambiva il tessuto.
Mi ero fatta il
più vicino possibile a lui e i nostri nasi quasi si
sfioravano mentre io lo guardavo.
I capelli biondi erano
arruffati e
sporchi, così come lo era il viso. Occhiaie avevano preso
piede
sotto ai suoi occhi, che però mentre mi osservavano,
restarono
caldi e accoglienti.
-
Mi sei mancato
così tanto…- dissi mentre con le dita gli segnavo
un lungo graffio sotto lo zigomo.
-
Non so davvero
come ho fatto a non andare fuori di testa quando ho scoperto che non
eri più nella tua camera – replicò lui
afferrandomi
la mano e baciandola.
-
Minho ti avrebbe
fatto rinsavire a suon di schiaffi in tutti i casi – sorrisi
io e
Newt si concesse una breve risata.
-
Davvero pensi che Teresa non sia controllata dalla Wicked?
– domandò lui tornando serio.
Io sospirai –
Sì… ma non so darmi una spiegazione; è
qualcosa
nei suoi occhi che mi fa pensare che non lo sia. Sembrava quasi che
l’idea fosse venuta da lei e continuava a ripetere che era
per
ciò che Thomas le aveva fatto. Ma continuo ad ignorare cosa
voglia dire – risposi.
-
Spero davvero che tu ti stia sbagliando… -
replicò Newt chiudendo brevemente gli occhi.
-
Anche io…
se penso che poteva succedere la stessa cosa a noi due, io…
- mi
interruppi perché mi si era fermato un grosso nodo alla
gola.
-
Shhhh –
mormorò Newt accarezzandomi una guancia – siamo di
nuovo
insieme, ce la caveremo… - mi rassicurò.
Io mi sporsi per
lasciargli un bacio sulle labbra riarse.
-
Ora dormi – mi consigliò.
Io mi rannicchiai
ancora di più contro di lui mentre il suo mento si
appoggiava sulla mia testa.
Ero felice di averlo
ritrovato… ma per quanto tempo sarebbe durata questa volta?
Probabilmente era la
stessa cosa che si chiedeva Newt mentre osservava pensieroso il sole
sorgere.
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Capitolo 20 *** 20. Tuoni ***
20.Tuoni
20. Tuoni
Il sole: era sempre stato così?
Mi ricordavo del sole
della radura; era piacevole, delicato.
Ma questo che cos'era?
Che cos’era questa enorme palla che sospesa in cielo batteva
implacabile su di noi?
Ero coperta dalla testa
ai piedi da
uno dei lenzuoli del dormitorio eppure la mia pelle bruciava e i miei
occhi venivano accecati dalla troppa luce, lacrimando costantemente.
Ogni boccata d’aria ti seccata il palato e la lingua, ed era
per
quello che probabilmente nessuno fiatava mentre proseguivamo camminando
verso la città davanti a noi.
Guardavo i volti dei
ragazzi e ci
leggevo una fatica indicibile. Mi chiesi come avessero potuto fare
tutta quella strada… era.. era una cosa disumana. In tutti i
sensi.
A confronto loro, il
gruppo B
aveva avuto vita facile nelle gallerie.. la goccia e le botole erano
acqua fresca sotto i ponti.
Che avessero voluto
farlo apposta?
La Wicked era
così
determinata a portare a termine l’uccisione di Thomas, dal
garantire un trattamento di “favore”? Per quanto
sulle
prime l’idea mi potesse sembrare assurda, ragionandola da
diversi
punti di vista, alla fine, non lo era poi così
tanto… Ogni
tanto gettavo un’occhiata
a Newt che mi camminava a fianco, vedevo il suo viso sporco di polvere
e la rabbia mi invadeva. Perché tutto questo?
Perché
proprio a noi?Su
tutto il pianeta ero sicura che
ci fossero ancora ragazzi normali, che potevano stare insieme
normalmente e normalmente essere innamorati. Perché non
potevamo
essere così?
A mezzanotte, con la città ormai alle porte, Minho
decise
di concederci qualche ora di sonno. Passai anche quella notte
raggomitolata vicino a Newt e mi addormentai con la speranza
che l’indomani il sole non ci fosse più, e fui
accontentata...
La mattina successiva
il vento scuoteva l’aria e il suolo in modo disordinato e
potente. Era
così forte che faticavamo a stare in piedi mentre marciavamo
verso la nostra meta ormai prossima. Quando
trovammo quello strano
vecchio raggomitolato in un cumulo di coperte c’eravamo
quasi, e
mentre Thomas cercava di parlargli, io iniziai a scrutare il
cielo. Un
denso strato di nubi
plumbee vorticavano, si scontravano e si compattavano.
Cambiavano
colore di continuo, assumendo tonalità sempre più
scure
che non rassicuravano nessuno. Mentre le osservavo fui colta
dal panico. Non so per quale motivo, ma quelle nuvole mi sapevano di
morte.
-
Andiamo via! – gridai agli altri, ma le mie parole
furono portare via dal ruggito del vento.
Mi guardai intorno
senza sapere cosa fare... dovevamo andarcene, subito.
Una mano mi
afferrò per un braccio e io mi voltai di scatto. Newt mi
fissava con le sopracciglia aggrottate.
-
Dobbiamo fuggire. Quelle nuvole… - gli dissi
accostandomi al suo orecchio.
Come se avessi detto
una parola
magica, il vento aumentò esponenzialmente di
intensità,
tanto che dovetti aggrapparmi alle braccia di Newt per reggermi in
piedi.
Finalmente anche gli
altri capirono
che le cose si stavano mettendo male e, dopo che Minho ci riebbe
organizzati, partimmo di corsa alla volta della città.
Furono momenti caotici,
fatti di un
terrore che nasceva dalla confusione data dalla scarsa
visibilità per la sabbia nell’aria e per le
raffiche
implacabili e fuori controllo.
Poi arrivarono i
fulmini... Le
scariche si abbattevano sul suolo con violenza inaudita, il rombo
prodotto mi fece fischiare le orecchie e mi stordì,
finchè non udii nient’altro che il battito del mio
cuore.
Ero scappata con Newt, il mio polso stretto nella sua presa
ferrea, ma era durato poco. Lo persi di vista nel giro di un istante.
Una scarica colpì il terreno davanti a me; ne avvertii il
calore
sulla pelle come una vampata di fuoco, e l’onda
d’urto mi
mandò schiena all’aria. Il colpo e lo shock mi
lasciarono
stordita e dolorante al suolo, mentre intorno a me imperversava la
furia
della tempesta. Per la seconda volta qualcuno mi afferrò per
un
braccio cercando di tirarmi in piedi. Quando alzai lo sguardo vidi che
questa volta non era Newt, ma un altro ragazzo. Sam mi pareva si
chiamasse.
Sam mi aiutò ad alzarmi e insieme proseguimmo la nostra
corsa.
La città era vicinissima, dovevamo solo resistere ancora un
altro
po’...
Tenevo la mano del ragazzo che mi aveva aiutata. Non ci eravamo mai
parlati prima, ma quel contatto riusciva a dare ad entrambi un
po’ di forza. Un
altro fulmine a poca distanza dietro di noi mi sbalzò in
avanti,
persi la presa sulla mano di Sam e rotolai in avanti per diversi metri
prima di riuscire a fermarmi. Quando riuscii a riprendermi e a girarmi
alla ricerca del ragazzo, una saetta scese dal cielo e lo
colpì.
Lo scoppio di luce mi fece chiudere gli occhi e proteggere il viso con
le braccia.
Quando li riaprii, vidi
una scena che non mi sarei mai più tolta dalla testa.
Sam era riverso a
terra, la gamba
sinistra scomparsa, la destra carbonizzata al livello della coscia. La
pelle di un rosso acceso, suppurava sangue e qualche altro liquido;
peli e
capelli non c’erano più e le dita erano nere e
fumanti.
Gli occhi… le orbite vuote colavano rosso. Il viso sfigurato
era
contratto in una smorfia di terrore e dolore mentre si muoveva a
scatti. Istintivamente
arretrai, inciampando più volte prima di riuscire a mettermi
in
piedi. Quando ce la feci ricominciai a correre e non mi fermai
più. A qualche metro dal primo edificio della
città venni
investita da una secchiata d’acqua che quasi non avvertii.
Mi fermai solo quando
fui al riparo.
Lì ritrovai Newt. Fry pan lo teneva per un braccio, sembrava
gli
volesse impedire di uscire da lì, com’era probabilmente sua intenzione.
Non sentivo nulla, se
non un brusio costante dentro al cervello, ma dai gesti capii che si
stavano domandando se stessi bene.
Con i sensi
completamenti annientati
gli feci un vago segno con la mano, prima di incamminarmi verso il muro
più vicino e lasciarmi scivolare a terra con le gambe tese
davanti a me. Rimasi a fissare la cortina di quella che era pioggia, ma
che appariva più come un muro grigio argento.
Per cosa stavamo
sopportando tutto questo? Facevo fatica a ricordarmelo…
“Per
l’umanità, per la cura” disse una voce
estranea alla mia mente.
L’umanità?
Quella che non mi ricordavo nemmeno che esistesse?!
La cura? Quella che non
sapevo nemmeno mi servisse?!
Che andassero in malora
il genere
umano e i suoi problemi! Un ragazzo era stato letteralmente sciolto
davanti ai miei occhi da un fulmine!
Dovevo assistere a
tutto quel dolore per l’umanità!? Sul serio?!
“No…
non per l'umanità, ma per lui….”
Il mio campo visivo
focalizzò un paio di gambe che mi stavano di fronte
interrompendo il contatto con il muro di acqua.
Alzai gli occhi su Newt
e capii,
finalmente ricordai… mentre parte della mia storia si
dipanava
davanti a me, Newt mi si affiancò, coricandosi per terra e
appoggiando la testa sulle mie gambe con il viso rivolto verso
l’esterno.
Appoggiai una mano sui
suoi capelli iniziando ad accarezzarli, mentre sul mio volto scorrevano
le lacrime.
Sapevo
perché ero andata lì.. ora me lo
ricordavo…
Fui contenta che i
tuoni ci avessero
tolto l’udito, perché in questo modo Newt non si
poteva
accorgere delle urla che stavano uscendo dalla mia bocca.
Stanza
delle mappe:
Credo che
la tempesta di
fulmini sia una delle scene che più mi ha deluso del film...
insomma, quando l'ho letta nel romanzo ero ad un passo dal cardiopalma!
Il vero "scoop" del
capitolo
comunque è l'improvvisa memoria ritrovata di Carys,
chissà cosa si è ricordata...
Un grazie a tutti
coloro che continuano a leggere la mia storia e che l'hanno aggiunta
tra preferiti, seguiti (Everlarkhayffie)
e ricordati.
Marta
|
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Capitolo 21 *** 21. Voci ***
21.Voci
21. Voci
Avrei potuto dormire per giorni, anzi, per sempre… Il sonno
è così piacevole quando la realtà
è
così brutta, ti permette di tenere lontano gli incubi del
giorno, e se sei abbastanza stanco, anche quelli della notte ti stanno
alla larga. E io ero molto stanca, come se nelle ultime settimane
avessi vissuto dieci vite diverse, tutte insieme.
Ma il mio subconscio,
scusate il
gioco di parole, era ben conscio della situazione in cui ci trovavamo e
il mio corpo sapeva di doversi svegliare, di doversi organizzare, di
dover sopravvivere un altro giorno. Così, quando il peso che
avevo sulle gambe scomparve, mi svegliai.
Newt si era alzato e si
stava
sgranchendo gli arti intorpiditi dal sonno. Non mi sfuggì la
smorfia di dolore quando mosse la gamba ferita.
Io lo imitai, alzandomi
e venendo
colta da un crampo allo stomaco così forte da
togliermi il
fiato. A quanto pareva la fame era una fedele compagna, restia ad
abbandonarmi.
-
Stai bene? –
La voce di Newt era
roca e molto,
molto più stanca di come la ricordassi all’inizio.
Pensai
che la Radura si era già portata via molto di lui e che
questa
situazione continuava a farlo.
-
Scusa per ieri..
ma.. non riuscivo a capire quasi nulla. Ho visto.. ho visto Sam colpito
da un fulmine – dissi chiudendo gli occhi al ricordo
– Newt
non hai idea… - mormorai.
Lui mi guardava con una
strana
comprensione mista ad un indicibile amarezza. I suoi occhi…
li
avevo sempre trovati bellissimi, così scuri in
contrapposizione
con i capelli biondi. Erano bellissimi quando rideva e lo erano anche
adesso, ombrati di preoccupazione.
-
Andiamo
avanti… questo posto non ci ha ancora rincaspiato del tutto
il
cervello per fortuna – rispose lui tirandomi dentro un breve
abbraccio.
Quando lo lasciai
andare verso Minho
e
Thomas, guardai verso l’alto tra i buchi nel soffitto.
L'azzurro
di un cielo limpido faceva capolino inondando l'ambiente di luce
soffusa. Rivedere il sole non mi sorprese, con gli eventi del giorno
prima avevo
capito che lì qualsiasi cosa era imprevedibile. Si fosse
messo a
nevicare
tra cinque minuti non avrei battuto ciglio probabilmente. Poi feci quello che
in realtà
non avevo per nulla voglia di fare: capire in quanti ce
l’avevano
fatta.
Quando finii di contarci sospirai penosamente.. eravamo solo in...
-
Siamo solo in undici –
Mi voltai verso Newt
che aveva
parlato, non si stava rivolgendo a me, ma a Thomas e Minho. Guardai la
gravità della consapevolezza farsi strada nel suo sguardo,
segnando una profonda ruga sulla sua fronte. Ruga che si
trasformò
in disappunto quando sentì Minho fare il conto di
quanti erano morti con nonchalance.
Riuscivo a capire il moto di stizza che Newt aveva
nei suoi confronti e che non centrava nulla con il fatto che non fosse
più lui il capo dopo Alby. Minho sembrava distaccato, in
certi
casi sembrava quasi che si divertisse. Non riuscivo a capire se fosse
stata la sua nuova posizione a cambiarlo, o se fosse semplicemente il
suo modo
di mascherare i suoi reali sentimenti.
“Il potere cambia tutti prima a poi”
Il mio cuore perse un battito e mi
voltai indietro per vedere se ci fosse qualcuno. Quella
voce…
quella voce era nella mia testa ed era la stessa della sera precedente,
quando avevo ricordato...
“Sono qui da
molto.. solo che non te ne sei mai accorta”
Mi imposi di stare
calma. Che avessi anche io lo stesso potere di Thomas e Teresa?
No… era
qualcos’altro.. qualcosa di più profondo che stava
pian piano emergendo.
Come se avessi
azzeccato quella..
quell’entità annuì. Non potevo vederla,
ma sapevo
che approvava quello che avevo appena pensato.
-
E tu chi sei?! -
Persa nei miei pensieri
mi ero
distratta troppo, tanto da non sentire che sopra di me c’era
qualcuno.
Fu così che conoscemmo Jorge. Il capo degli spaccati
della città.
Stanza
delle mappe:
Ogni
tanto mi diverto a inserire qualche scoop che puntualmente mi pianta
nei casini perchè devo poi gestire il tutto in modo che
abbia un senso... ma, ehi, ci vuole un pò di pepe in questa
storia! Forse, spero, che Dio mi aiuti.... ^^"
Ringrazio di cuore gli
affezionati lettori e i buoni di cuore che mi hanno aggiunta tra le
peferite, seguite (Principessa_luxa)
e ricordate.
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 22 *** 22. Bugiarda ***
22.Bugiarda
22. Bugiarda
Se potevo avere qualche dubbio della somma deficienza di quella
testa di sploff di Minho, quando decise di attaccare Jorge non ne ebbi
più alcuno. Fu esattamente così che ci ritrovammo
circondati da un gruppo di spaccati armati fino ai denti e che non
vedevano nulla di male nell’ucciderci tutti.
A salvarci in extremis fu
Thomas, anche se non lo seppi fino a quando
non tornò dal suo colloquio con Jorge. Era riuscito a
convincerlo che potevamo essergli utili
usando l’unica arma a nostra disposizione e l'unica cosa che
poteva fare da baratto con le nostre vite: la cura.
La collaborazione con
lui e Brenda,
una ragazza del suo gruppo, cominciò con un'offerta di
cibo. Non mi vergogno a dire che mangiai la mia porzione di salsiccia e
fagioli quasi trangugiandola, leccando anche i bordi della latta una
volta
che ebbi finito. La fame può essere una brutta bestia quando
ci si mette.
Evidentemente
però, il solo
fatto che fossimo riusciti a mangiare finalmente qualcosa doveva aver
scatenato l’ennesimo reazione uguale e contraria.
Un'esplosione non
meglio
identificata, fece crollare parte del soffitto della galleria dove ci
eravamo rifugiati per mangiare. Con il risultato di separare il nostro
gruppo da Brenda e Thomas. Quando ce ne rendemmo conto
iniziò una dura
lotta verbale fatta di “caspio”,
“sploff” ed
“Hermano”, durante la quale Minho asseriva di voler
andare a
cercare Thomas, mentre Jorge asseriva che il ragazzo era con Brenda e
che lei
era brava quanto lui a muoversi in città. Quindi avremmo
dovuto
proseguire e sicuramente prima o poi ci saremmo incontrati. Alla fine intervenne
Newt, che facendo ragionare il Velocista riuscì a sbloccare
la situazione.
Le priorità
erano di evitare
gli spaccati e recuperare del cibo. Visto e considerato che noi non
sapevamo assolutamente dove andare, ci affidammo del tutto a Jorge, che
nonostante ci avesse minacciato di morte più volte, a me non
dispiaceva, soprattutto da quando condividevamo l’idea che
Minho
fosse un rincaspiato.
Così lo
seguimmo per i tunnel che si
diramavano per tutto il sottosuolo. Sapeva quali corridoi prendere,
quali posti evitare e così via. Nel frattempo ci
aggiornò
sulla situazione globale. A quanto pareva l’Eruzione si era
diffusa in modo violento e improvviso, costringendo le nazioni a misure
drastiche ed urgenti. Che alla fine erano sfociate in una deportazione
di tutti coloro che erano infetti nella zona bruciata, la quale
comprendeva
più o meno tutto il tropico del cancro e del capricorno. In
sostanza era una specie di prigione a cielo aperto, mentre chi stava
bene si confinava nelle poche città ancora intatte e
salubri.
Più Jorge
parlava e meno
potevo credere che la Wicked fosse buona... però era utile.
A me,
era utile.
Uscimmo dalle gallerie solo quando fu notte; Jorge ci
portò sul tetto di uno dei palazzi per poter riposare. A
quanto diceva lui la parte peggiore era passata, ora
dovevamo solo aguzzare la vista e ritrovare i nostri amici. Per tal
motivo il mattino successivo avremmo dovuto iniziare a fare qualche
giro di
ricognizione.
Non appena fu
l’ora di andare
a dormire raggiunsi Newt, mi sdraiai al suo fianco
e appoggiai la schiena contro al suo petto, ignorando i tentativi di
avance di Minho.
-
Non riesco a
capire se lo faccia apposta a provocarti – borbottai a Newt
dopo
che ebbi mandato a stendere il Velocista, che si mise a dormire
ghignando.
-
È Minho – rispose Newt come se quello
bastasse a spiegare tutto, ed in effetti era così.
Sospirai, accarezzando
con il pollice
il braccio di Newt che mi circondava il petto. Il suo fiato mi
solleticava la nuca e il battito del suo cuore risuonava sulla mia
schiena.
-
Credi che abbia fatto bene ad appoggiare Jorge? –
mi domandò d’un tratto Newt.
Io mi girai quel che
bastava poterlo guardare negli occhi. Era preoccupato per Thomas,
glielo si leggeva apertamente in faccia.
-
La galleria era
crollata… tornare indietro non sarebbe servito a niente e
perdere Jorge nemmeno – risposi sinceramente.
-
È quello che continuo a ripetermi –
mormorò lui.
-
Newt, ascoltami.
Hai fatto la scelta giusta, punto. E se ancora hai dei dubbi su questo,
domandati perché Alby ti ha nominato come vice. E non
rispondermi che lo ha fatto perché sei stato il secondo ad
arrivare alla Radura! – lo anticipai, interrompendo la sua
probabile
risposta.
-
Ti credo –
Io lo guardai confusa,
non capendo a cosa si riferisse.
-
Su cosa? – domandai aggrottando le sopracciglia.
-
Sul fatto che tu
mi conoscessi già da prima. Ho come la sensazione di essere
stato rimproverato da te più d’una volta in
passato – rispose
accennando un sorriso.
-
Puoi giurarci, è perché sei una testa
del caspio! – replicai.
Lui si sporse a darmi
un bacio e io tornai a girarmi godendomi il calore del suo corpo.
Sembrava tutto
così normale
eppure non lo era. Per un istante mi sembrò di essere solo
una
spettatrice esterna, di star guardando quella scena attraverso gli
occhi di qualcun'altro. Fu una sensazione che
durò solo un istante, ma che mi lasciò un vago
senso di disagio.
Cosa mi stava succedendo? Non lo riuscivo proprio a capire…
“Tu conosci
il perché.. sei una bugiarda mia cara Carys”
Ignorai quella voce
sorridente seppellendomi ancora di più contro Newt.
Stanza delle mappe:
Mi fermo giusto il
tempo per ringraziarvi tutti! Chi legge, recensisce e mi inserisce tra
le seguite (Hikari mari),
ricordate e preferite.
Scusate la fretta.
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 23 *** 23.Giuramento ***
23. Giuramento
23. Giuramento
La
mattina successiva,
non appena spuntò l’alba, iniziammo il giro di
ricognizione. Una squadra si inoltrò nei vicoli della
città mentre l’altra rimase sui tetti.
Gli edifici di quella
zona erano
quasi tutti collegati tra loro da una rete di travi e ponti sospesi,
Jorge ci disse che probabilmente era stata costruita dai primi spaccati
arrivati in quel posto. Era
molto comoda, si poteva andare avanti e indietro da un tetto
all’altro controllando dall'alto ogni strada senza doversi
per
forza nascondere.
Peccato che la nostra
ricerca non
stesse dando molti frutti...
Dopo aver passato ore sotto il sole
cocente senza trovare la minima traccia di Thomas, mi concessi una
pausa e, seduta comodamente su di una trave che sovrastava un'ampia
strada, iniziai a mangiare qualcosa e a bere un po’
d’acqua. Da
quel punto
potevo vedere oltre la città. Osservando l'orizzonte notai
che,
appena dopo il centro abitato, si estendeva una zona brulla e che
ancora più in là si innalzava una catena
montuosa. Non sembravano
essere abitate, ma solo imponenti e minacciose. Guardandole ebbi la
sgradevole sensazione che sarebbero state la nostra prossima meta.
-
Non potevi scegliere un posto più comodo per
riposarti? –
Smisi di osservare il
panorama e mi
voltai a guardare Newt cercare di raggiungermi tentando di mantenere
l’equilibrio sulla trave.
-
Acqua? – gli offrii quando si fu seduto vicino a
me, porgendogli la mia borraccia.
Lui ne bevve un paio di
sorsi riconoscente, poi guardò preoccupato in basso. Eravamo
parecchio in alto effettivamente.
-
No, seriamente, perché caspio ti sei fermata qui?
– chiese, dubbioso sulla mia salute mentale.
Io feci spallucce
– perché amo l’altezza credo…
- risposi e lui scosse la testa desolato.
-
Voi ragazze non dovreste soffrire di vertigini? –
replicò lui divertito.
-
E voi ragazzi allora? – ribattei io e vidi il suo
sguardo adombrarsi.
Avevo parlato senza
riflettere.
Sapevo esattamente a cosa stesse pensando. All’ultima volta
che
era stato così in alto…
-
Newt perché hai deciso proprio di buttarti nel
Labirinto? – mi azzardai a domandare.
Lui sospirò,
prima di alzare lo sguardo verso l’orizzonte.
-
Non volevo farlo nella Radura.. mi avrebbero soccorso subito
e poi... onestamente mi vergognavo - rispose.
-
E Alby ? Non hai pensato che lui ti avrebbe aiutato?
– replicai io ignorando l’ultima frase.
-
Certo… ma
pensavo che con i Dolenti in giro e lo scarso tempo a disposizione per
rientrare, mi avrebbe lasciato indietro –
Questa sua
sincerità fu disarmante e mi salì una strana
rabbia.
-
Spero che ti abbia mandato almeno a quel paese
– sbottai a denti stretti.
Newt si girò
stupito dal mio tono e poi sorrise mesto.
-
Oh sì, non mi ha parlato per giorni –
rispose e io mi sentii un'idiota.
-
Scusa…
solo che se ci penso mi viene la rabbia. Perché se fossi
stata
lì te lo avrei impedito ad ogni costo… e invece
non c'ero
- dissi appoggiando la testa sulla
sua spalla.
-
Era troppo per
me… e a volte mi sembra che lo sia ancora adesso –
replicò
lui con voce sommessa e distante.
A quella frase rialzai
la testa e lo guardai negli occhi.
-
Giuralo! - gli
intimai infuocandomi di nuovo - giurami che non proverai mai
più a suicidarti! –
esclamai con fervore.
Newt abbassò
per un istante
gli occhi verso il suolo, come a ripensare al gesto che aveva compiuto,
poi tornò a guardarmi.
-
Te lo giuro – mi disse –
finchè saremo insieme, te lo giuro – aggiunse.
Volevo ribattere, ma da
uno dei
tetti comparve Jorge che ci avvisò che Thomas e Brenda erano
stati avvistati e ne seguì una lunga spiegazione,
alla
fine della quale non fui per nulla soddisfatta.
-
Non ci avevi detto che questa parte della città
era
sicura? – commentai risentita guardando con astio Jorge
mentre
andavamo a salvare Thomas e Brenda.
I due ragazzi erano
stati visti da Fry che aveva assistito alla scena del loro rapimento da
parte di un terzetto di spaccati.
L’ispanico si rabbuiò,
mentre mi rispondeva che quel gruppo non si era mai messo contro
nessuno. L’unica cosa che interessava loro, era di sballarsi
tutto il
giorno al ritmo di una musica assordante. Musica che, adesso che eravamo
più vicini al loro covo, rimbombava tra le vie.
Avevamo aspettato tutto
il giorno
tenendo sotto controllo gli spaccati. Il piano era semplice: aspettare
l’alba, circondarli e attaccare. Bevevano e si facevano dal
giorno prima, per cui a quell’ora sarebbero stati
più di
là che di qua per poter contrattaccare.
Più passava
il tempo e
più fremevo, stringendo la presa sulla lancia che mi era
stata
data (anche se lancia era una definizione un po’ forte per un
bastone con legata in cima la lama di un coltello). Odiavo
restare ferma ad attendere e per una volta capii come doveva sentirsi
Minho. Il Velocista aveva fin da subito suggerito di attaccare senza
spettare. Ovviamente
erano stati Jorge e Newt a fargli cambiare idea, facendogli capire che
buttarsi a capofitto in un’arena piena di pazzi non sarebbe
stata
una buona idea. Dopo un tempo interminabile, finalmente Jorge con un
cenno del capo ci diede il via
libera.
In poco tempo accerchiammo il posto, dal quale ormai non si levava
più alcun rumore. Come avevamo previsto, al
momento
dell’irruzione, la maggior parte degli spaccati stava
dormendo
annebbiata dai fumi dell’alcol e di chissà di
cos’altro. Alcuni
di loro provarono comunque ad opporre resistenza.
Un energumeno dagli occhi pesti mi si fece incontro, ma non appena fu abbastanza
vicino, con
l’estremità disarmata del bastone gli colpii con
violenza
le caviglie facendolo crollare a terra e poi gli puntai la
parte con il coltello alla gola. Quello pigolò qualcosa
prima di
svenire a seguito di un calcio secco in testa datogli da Minho, il
quale mi fece sinceramente i complimenti.
“Sei proprio una femmina con le palle tu”
Non sono sicura fosse proprio un complimento…
Mentre lui andava a recuperare gli
ostaggi noi tenemmo gli a bada gli Spaccati, ma nessuno di essi
creò
ancora problemi. Nonostante negli ultimi tempi non avessimo
più
avuto occasione di parlare,
fui felice di rivedere Thomas. Probabilmente lui
pensò lo
stesso e quando lo salutai mi abbracciò senza
esitazioni.
Sapevo che non aveva ancora accettato quello che gli avevo
detto su Teresa, ma restare ancorati a simili rancori, in una
situazione
come quella, sarebbe stato da vere teste di sploff. Quindi, una volta
che
fummo sicuri che gli spaccati avessero capito di non doverci seguire,
uscimmo da quel posto lurido e maleodorante.
Ero ad appena due
gradini dietro Newt, quando alle nostre spalle qualcuno
gridò.
Successe tutto molto in
fretta.
Quando mi
voltai, vidi un tizio biondo con in mano una pistola fare fuoco verso
Thomas che venne sbalzato indietro tra le braccia di un attonito Jorge.
A quel punto il mio corpo si mosse da solo, scesi di corsa i gradini
che mi separavano dallo spaccato e con la lancia ben stretta nel pugno
gli trapassai la gola con la lama appuntita. La spinsi fin quasi a
fargliela
spuntare dall’altra parte tenendolo inchiodato alla parete
dietro
di lui che si macchiò di sangue scarlatto. Mantenni la presa
accecata da un'ira che sembrava estranea al mio essere,
finchè
qualcuno
non mi fece lasciare la presa.
Non capii chi.. ero troppo sconvolta,
sconvolta dalla rabbia e dall’odio che quell’uomo
mi
avevano suscitato.
“Non sei
affascinata dal sangue Carys?”
Volevo gridare a
chiunque fosse di
smetterla di entrare nella mia testa, ma stordita mi lasciai condurre
su per le scale mentre le grida di Thomas riecheggiavano tutto intorno.
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Capitolo 24 *** 24.Ira ***
24.Ira
24. Ira
Prima di poterci fermare e adagiare Thomas al suolo, dovemmo uscire
fuori dalla galleria, attraversare la
città e fare un paio di chilometri fuori da essa.
Thomas per
fortuna, ad un certo punto, era svenuto
per il dolore e mi duole dire che
ne fui molto felice. In tutta onestà non avrei potuto
sopportare le
sue urla un minuto di più. Erano disumane e, soprattutto,
appartenevano ad un mio amico.
Il sangue aveva ormai
imbrattato
completamente la maglietta che era stata usata per tamponargli la
ferita e Jorge
disse che non si poteva
più attendere, che si doveva dare un’occhiata. Non
appena
la ferita fu scoperta, il sangue ricominciò a sgorgare
seppure
con meno violenza di prima.
Girandolo su di un
fianco, capimmo
con rammarico che il proiettile non era uscito e che lo si doveva di
conseguenza estrarre al più presto.
-
Come caspio
facciamo?! Non abbiamo niente per medicarlo! - esclamò Newt
quando Jorge avanzò quell’idea.
Potevo capire il suo
timore. Non
avevamo medici, bende, anestetizzanti o disinfettanti. Avremmo potuto
certamente estrarre il proiettile usando un coltello, ma era il resto
che
mi preoccupava. Ma alla fine, che scelta avevamo?
Pulimmo la lama con
un po’ d’acqua e la passammo sul fuoco che era
stato prontamente
acceso. Cicatrizzammo
il foro nella spalla
arroventando di nuovo la lama, lo pulimmo con altra acqua e facemmo un
bendaggio di fortuna, ma ormai in quella ferita era sicuramente entrato
di tutto.
Abbattuti e ormai
arrivati al
tramonto di quel giorno, ci accampammo fuori
città in una baracca di legno fatiscente. Nessuno aveva
voglia
di parlare e il morale nei giorni seguenti non migliorò di
certo. Ogni
tanto Thomas riprendeva
conoscenza, per poi essere assalito dal dolore e dalla febbre e
addormentarsi di nuovo.
Come tutti avevano
previsto, benché nessuno avesse espresso quella
consapevolezza ad
alta voce, la ferita si era infettata. Se fosse continuato
così, Thomas non sarebbe
sopravvissuto... La tristezza si poteva leggere negli occhi di tutti e
soprattutto in quelli di Newt.
Si faceva sempre
più pallido
e sotto gli occhi gli erano comparse larghe occhiaie che gli spegnevano
lo
sguardo. Non parlava, neppure con me, mantenendo le distanze in un
dolore che non riuscivo a raggiungere.
La terza notte da
quando avevano sparato al suo amico lo vidi allontanarsi
dall’accampamento e preoccupata lo seguii.
Lo raggiunsi mentre si
chinava verso
terra a raccogliere un grosso masso, che scagliò lontano
mettendosi a gridare. Continuò a gridare anche dopo,
maledicendo
tutto quanto, afferrando sassi e lanciandoli. Non lo avevo mai visto
ridotto così.
-
Newt! - lo chiamai spaventata.
Lui si
voltò, il volto rosso di collera, gli occhi lucidi e i pugni
serrati lungo i fianchi.
-
Torna dagli altri El! – esclamò nella
mia direzione senza guardarmi.
-
No, non ci torno dagli altri – ribattei.
-
El, torna indietro e lasciami solo! –
replicò lui con tono duro.
-
Non puoi dirmi cosa fare! – continuai imperterrita.
-
El, caspio! Vattene! – gridò.
-
No! Non finchè tu sei in queste condizioni
– urlai a mia volta – devi calmarmi! -
-
Devo calmarmi?
– mi chiese di nuovo con tono normale e alzando finalmente
gli occhi verso di me
– calmarmi El? Hanno sparato al mio migliore amico! Sta
morendo
in un caspio di deserto e tu mi dici di calmarmi!? – disse
con
tono tremante di collera – perché dovrei
calmarmi?!
– tornò a gridare.
-
Perché mi fai paura!- gli urlai contro mettendomi
a piangere e dandogli uno spintone sulle spalle.
Newt arretrò
di qualche passo e rimase fermo a fissarmi, dagli occhi lucidi presero
a scendere lente delle lacrime.
-
Mi
dispiace…- mormorò – mi dispiace tanto
–
disse con la voce che si spezzava e mentre io gli passavo le braccia
attorno al collo esile.
Lui mi strinse a
sé trascinandomi in ginocchio con lui e scoppiando a
piangere.
In quel momento si
concentrò
tutto il dolore di giorni e giorni di preoccupazioni e ansie. Di anni
di
tormenti e speranze.
Perché quello eravamo: dolore e speranza.
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Capitolo 25 *** 25. Rapimento ***
25.Rapimento
25.Rapimento
Eravamo ancora abbracciati, quando qualcosa si
profilò nel cielo sopra di noi. Increduli osservammo un
enorme
dirigibile, che aveva visto giorni migliori, scendere lentamente
proprio sopra al campo che avevamo improvvisato. Ci mettemmo subito a correre
per tornare dai nostri amici.
Arrivammo in
tempo solo per vedere un
paio di uomini con una strana tuta verde e un paio di maschere antigas
portare via Thomas.
-
Ehi! – gridò Newt al loro indirizzo
cercando di fermarli.
Jorge però
lo intercettò, immobilizzandolo quando iniziò ad
agitarsi con furia. L'uomo
gli urlò di smetterla, che probabilmente quegli uomini erano
lì per aiutare Thomas.
Chiesi a Jorge come
poteva esserne sicuro, ma fu Brenda a rispondermi.
-
Non possiamo esserlo.. ma è l’unica
possibilità che abbiamo –
Newt sembrò
accettare quella
risposta, smettendo di dimenarsi e limitandosi ad osservare il
suo amico venire caricato sopra al dirigibile, che con un rombo
terribile si alzò nuovamente in volo scomparendo ben presto
all’orizzonte.
Iniziò
così un nuovo, estenuante
periodo di attesa, fatto di parole scarne e di una strana
solidarietà espressa attraverso i gesti e gli sguardi.
Newt sembrò
calmarsi
definitivamente, anche se la preoccupazione continuava a solcargli
profonde rughe in viso. Cercavo di stargli vicina il più
possibile, speravo che la mia presenza un po’ lo
rinfrancasse.
Non so se fu effettivamente così.
Di sicuro quando la
Berga
(così disse Jorge chiamarsi il dirigibile) riapparve nel
cielo e da esso venne calata una barella con sopra Thomas, il morale si
rialzò nettamente.
Il nostro amico
sembrava stare bene,
un po’ confuso forse, ma pareva godere di ottima salute. Del
profondo dolore che gli aveva scolpito i tratti negli ultimi giorni non
vi era più traccia. Dopo averlo liberato dalla barella,
tornammo tutti a sederci sotto la capanna di legna. Lì,
Thomas ci
raccontò di essere stato preso in cura dai medici della
Wicked,
disse che avevano fatto un’eccezione nel curarlo
perché la
pistola non era stata prevista. Si trattava di un errore nelle
variabili. Il resto però era tutto piuttosto confuso, si
parlava di schemi
e di candidati. La cosa certa, è che fossimo costantemente
osservati e la cosa non ci faceva granchè piacere.
Niente di
ciò che ci aveva detto Thomas poteva esserci utile per
raggiungere il famoso punto sicuro, quindi il nostro piano rimase lo
stesso di sempre: aspettare il calare del sole e iniziare a correre
verso le montagne.
Fu all’alba,
quando oramai
avevamo raggiunto le pendici di quei monti seccati dal sole,
che il mio ex gruppo si fece vivo.
Dapprima in lontananza
si vedeva
solo Teresa, ma quando ci raggiunse era in compagnia di tutto il
resto della truppa.
Ci circondarono su ogni lato, armate
fino ai denti. Io ero preparata all’evento, sapevo che
sarebbe
successo, ma gli altri speravano ancora che mi
sbagliassi. Se anche loro avessero visto lo sguardo di Teresa e
ascoltato le sue parole di allora, non avrebbero avuto alcun dubbio
sulla serietà del mio racconto. Ma ebbero modo di scoprirlo.
Il concetto che Teresa
espresse con voce
glaciale era semplice: Thomas doveva andare con loro, se si fosse
rifiutato
ci avrebbero infilzati tutti con le frecce; frecce che Dio solo sapeva
dove avessero trovato. Ogni volta che Thomas provava a parlarle, Teresa
lo
colpiva. Minho e Newt fremevano, lo vedevo dai gesti nervosi del primo
e dallo sguardo infuocato del secondo. Ma nulla valse.. alla fine
Thomas fece come gli era stato detto e fu chiuso in un logoro sacco di
tela.
-
Non sto
scherzando! – ci avvertì lei – Se ci
seguirete le frecce
cominceranno a volare! – rincarò mentre
passava tra di noi.
Newt a quel punto la afferrò per un braccio.
-
Teresa, è una pazzia e tu lo sai! – le
disse cercando di farla rinsavire.
Il movimento fulmineo
che seguì,
quasi non si vide. Teresa colpì Newt alla gamba facendolo
rovinare a
terra. Lui gridò di dolore tenendosi lo stinco con entrambe
le
mani.
Mi buttai in ginocchio
al suo fianco mentre sentivo quella rabbia cieca invadere ogni singola
vena del mio
corpo. Ma, come se le ragazze avessero intuito il mio stato d'animo, mi
ritrovai con almeno tre archi puntati dritti contro di me. Fremendo mi
voltai a
guardare Teresa dal basso.
-
Toccalo un'altra volta… e giuro che ti ammazzo -
sibilai tra i denti.
Teresa mi
fissò per un lungo momento prima di sorridere –
Come lo spaccato biondo? Non lo dubito.. - asserì.
Nonostante quelle
parole mi
avessero turbata più del dovuto, sperai di non lasciar
trapelare
niente dal mio sguardo.
A quel punto, il
gruppo, sempre
tenendoci sotto tiro, riprese la marcia raggiungendo ben presto le
montagne e scomparendo alla nostra vista.
Appena non
fu
più visibile ci mettemmo a correre anche noi verso in quella
direzione,
sperando di riuscire a seguire le loro tracce. Purtroppo, quando arrivammo
alle pendici scoscese, non vi era più alcuna traccia di
loro..
Dopo un momento di
spaesamento
decidemmo che l’unica cosa da fare era quella di proseguire
verso il porto
sicuro. Se avessimo avuto una qualsiasi avvisaglia delle ragazze,
avremmo pensato al da farsi sul momento.
Mentre ci inoltravamo in un varco
che sembrava valicare l’altopiano, pensai a come dovevano
essere state belle quelle montagne un tempo, ricoperte di erba, pini e
faggi,
anziché essere solo l’ennesima zona bruciata dal
sole.
Quel paesaggio era ancora più desolante del deserto che
avevamo
lasciato, perché lasciava capire com'era prima.
Possibile che ci
fossimo davvero ridotti così? A vivere su un pianeta corroso
dalla malattia e con
l’unica speranza di salvezza risposta in un gruppo di ragazzi
che venivano
torturati un po’ per giorno. Se ci si fermava a pensare a
come sarebbe
potuta essere la vita senza la Wicked e l’eruzione ti
sembrava di impazzire...
Continuavo a chiedermi perché fosse successo a noi. E me
lo continuavo a chiedere ogni volta che vedevo lo sconforto
sul
viso dei miei amici e su quello di Newt.
Vivere in un mondo nel quale
non vi era la certezza di poter stare assieme alle persone care ci
stava lentamente uccidendo.
Questi ben poco allegri
pensieri mi
fecero compagnia per tutto il giorno fino a notte, quando ci accampammo
per
riposare. Mentre i Radurai si sistemavano per dormire, io mi discostai
da loro, lasciando dietro di me le chiacchiere sussurrate e i piani per
il giorno seguente.
Andai a sedermi contro
un tronco
annerito e ormai fossilizzato di un albero non bene identificato, e
rimasi a guardare in lontananza la città degli spaccati
stagliarsi sotto un cielo stracolmo di stelle. La vista della
città mi fece tornare in mente l’episodio della
pistola.
“Come il tizio biondo? Non lo dubito”
Mi presi la testa tra le mani sospirando rumorosamente.
-
Ehi -
Sobbalzai spaventata
dalla voce improvvisa, ma era solo Newt... era sempre lui. Mi si sedette a fianco
appoggiando come me le spalle contro il tronco.
-
Ehi – risposi – come va la gamba? –
domandai, toccandogliela con la mia.
-
Bene, stai tranquilla. Tu piuttosto? Sei stata pensierosa tutto il
giorno – osservò.
-
Niente di che..
solo che tra Thomas e il resto, il mio cervello non smette mai di
ragionare – risposi con un sorriso, riprendendo a guardare
verso
la città.
-
È per quello che ti ha detto Teresa? – disse Newt
dopo un momento di silenzio.
Sospirai di nuovo.
Ovviamente non poteva essergli sfuggito.
-
Più o meno – risposi laconica.
-
Ti senti in colpa? – domandò.
Aveva esattamente
centrato il punto.
-
È quello
il problema.. no! – esclamai frustrata – ho
piantato una
caspio di lancia nella gola di un uomo, uccidendolo, e non provo
niente! Dovrei essere sconvolta, sognarlo la notte, ma niente! Non mi
ha minimamente toccato! – proseguii senza riuscire a
fermarmi.
Mi presi di nuovo la
testa tra le mani.
-
Non so cosa mi stia succedendo… - mormorai afflitta.
-
È questo posto… -
Sollevai la testa per
guardare Newt.
-
È quello
che ci sta accadendo. Ogni giorno che passiamo in questo modo si porta
via un pezzo di noi facendoci dimenticare chi siamo… -
spiegò mentre faceva a pezzettini un residuo di corteccia.
-
Allora dovremo solo ricordarci ogni giorno chi siamo a vicenda
– dissi io.
Newt mi
circondò le spalle con un braccio, attirandomi sul suo petto
e baciandomi il capo.
“Posso
ricordarti io chi sei…”
Più il tempo
passava e più quella voce diventava maligna.
Stanza
delle mappe:
Chiedo
scusa se a volte non mi fermo a scrivervi due righe "off story" ma sono
sempre di corsa e ho anche molto poco da dire sui capitoli ^^" Vedo che
continuate a seguirmi in molti e sono molto contenta della cosa! =)
Un grazie quindi a
tutti i lettori e a coloro che mi hanno aggiunta tra le storie
preferite (M a r t s), ricordate e seguite.
Un
abbraccio,
Marta
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Capitolo 26 *** 26. Porto sicuro(?) ***
26. Porto sicuro
26. Porto
sicuro(?)
Se pensavo che le emozioni non facessero più parte di me,
dovetti ricredermi quando raggiungemmo il porto sicuro.
Nonostante l'infausto
incontro in
un gruppo di spaccati, alla fine eravamo riusciti ad raggiungere il
versante opposto della catena montuosa e, arrivati al
deserto che si stendeva dopo di essa, avevamo individuato qualche
chilometro più avanti il gruppo B. Avevamo
proseguito
nella loro direzione finchè non lo avevamo visto fermarsi in
un punto ben preciso nel bel mezzo del nulla. Avevano trovato
qualcosa.
Le raggiungemmo in poco
tempo e mi
sarebbero dovute bastare le loro espressioni per capire che qualcosa
non andava. Nessuna di loro ci disse nulla, facendosi semplicemente da
parte per darci
modo di vedere cosa avessero scoperto.
L’emozione
che mi assicurò di essere ancora capace di provarne, fu lo
sconcerto.
Sconcerto nel vedere un
semplice bastone piantato nel terreno, riportante su di un nastro la
dicitura: Porto Sicuro.
Scambiai
un’occhiata con Newt,
ma nel suo sguardo vi lessi solo stanchezza, una profonda e assoluta
stanchezza.
Giustamente in cosa speravamo? In una qualche sorta
di grosso edificio
con un plotone di soldati a difenderlo e cibo e riparo per tutti?
Stavamo parlando della Wicked dopotutto... "Prima della salvezza ancora
una prova
ragazzi! Ancora una, forza!!!"
Mi sembrava di sentirli
incitarci… quei grandiosi pezzi di sploff!
Mi lasciai cadere a
qualche metro
dal bastone e rimasi lì. Non mi alzai nemmeno quando
arrivarono
Teresa, Thomas e Aris. Dando una veloce occhiata a
Teresa
mi sembrò tornata quella di prima, c’era tristezza
e
rammarico nei suoi occhi, specialmente ogni volta che guardava verso
Thomas. Ma la fiducia è una brutta bestia da dover
riconquistare…
Con il passare del
tempo, vicino a me si sedettero
anche Fry pan, Minho, Newt e infine Thomas, desideroso di passare un
po’ di tempo con i suoi amici.
Mentre lo ascoltavo
parlare e
spiegare cosa fosse successo, mi misi ad osservare il cielo. Man mano
che la storia raccontata si faceva più gravosa e dolorosa,
la
volta cambiò colore, passando dall’azzurro al
grigio cupo, come
a voler esprimere il proprio parere sulla vicenda.
-
Mi dispiace -
Abbassai gli occhi su
Thomas e ci
vidi una profonda delusione. Si scusò con me per non avermi
creduto prima. Io
cercai di rassicurarlo in qualche
modo, mitigando l’astio che si era venuto a creare nei
confronti
della ragazza; non tanto perché le credessi, ma
quanto meno per dare un po’ di speranza a Thomas.
Le nubi nel frattempo
continuavano ad addensarsi e a scurirsi. Ormai era chiaro che ci
aspettava un’altra tempesta.
Oltre al ruggito del
vento, ben
presto, si unì un altro rumore. Con un enorme fracasso,
intere sezioni
di deserto si capovolsero su loro stesse, creando una scacchiera di
rettangoli neri e lucidi. Sopra di essi c’erano delle
scatole… le stesse scatole che contenevano i Dolenti.
La battaglia che
seguì fu veloce e violenta.
Dalle scatole non
uscirono dei
Dolenti come ci eravamo aspettati, ma esseri dalla forma umanoide, che
di umano però, non avevano
nulla. Lame gli spuntavano dalle dita ed escrescenze a
forma di lampadina lampeggiavano inquietantemente di arancione. Il nostro obiettivo era chiaro:
ucciderle.
Ne avevamo più o meno uno a testa, per cui
ognuno scelse il proprio avversario.
In realtà una volta scoperto il loro punto debole non fu
difficile, terribile certo,
ma più facile di quanto ci aspettassimo. Bastava colpire
proprio quelle strane
lampadine fino a distruggerle tutte, che la creatura di accasciava
inerte al suolo.
Rimediai diversi tagli,
tra i quali
uno piuttosto profondo alla clavicola, ma riuscii ad abbattere il mio
in poco tempo. A preoccuparmi maggiormente, invece, fu la
tempesta. Si scatenò esattamente come la prima volta, con
fulmini che si abbattevano al suolo con violenza inaudita.
Nel rivedere quello spettacolo, brutti ricordi riaffiorarono alla mia
mente e più cercavo di non pensare alla figura di Sam
incenerito
e
più quella acquisiva concretezza. Mi ritrovai nel panico,
senza
sapere cosa fare o dove rifugiarmi.
Mi stavo
guardando intorno spaesata per vedere cosa facessero gli altri, quando
qualcosa
mi afferrò il braccio trascinandomi via con sé.
Quando riacquistai
l’equilibrio, scoprii che era stato Minho ad afferrarmi e che
mi
stava conducendo verso Newt. Il ragazzo era vicino ad una di quelle
bare bianche e ci stava
facendo segno di sbrigarci. Quando lo raggiungemmo mi aiutò
ad entrare nella scatola lasciando a Minho il compito di raccogliere il
coperchio.
Quando la bara fu
sigillata restammo al buio, con il fragore
della tempesta fuori e l’odore maleodorante di quelle
creature a
pervadere l’aria. Con il cuore ad esplodermi nel petto,
restai immobile trattenendo il respiro. Dopo qualche istante, un
fulmine colpì il nostro
rifugio facendomi gridare per il frastuono e lo spavento. Newt mi
circondò le spalle con un braccio attirandomi contro il suo
fianco. Mentre il fischio alle
orecchie si attenuava, vidi sopra di me filtrare della luce nel punto
in cui la scarica elettrica aveva bruciato il coperchio. Mancavano ormai solo tre
minuti all’ora
stabilita. Era chiaro che se fossimo rimasti lì dentro e un
fulmine ci avesse colpito di nuovo, non sarebbe servito a
nulla arrivare
fin lì.
-
Qualsiasi cosa accada tra tre minuti noi usciamo di qui, ok?
–
Sia io che Minho
rispondemmo di
sì alla proposta di Newt. Fuori, i suoni si mescolavano. Il
vento, il rombo dei tuoni e un altro tipo di rumore, ritmico simile ad
un potente ronzio.
Più passavano i secondi e
più cresceva la tensione. Cercai d'istinto la mano di Newt,
la quale si
intrecciò subito alla mia. C’era una specie di
promessa in
quella stretta... nel bene o nel male saremmo stati assieme.
Quando il tempo scadde,
tutti e tre
spingemmo nello stesso istante, contro il tetto del coperchio,
facendolo
cadere alle nostre spalle. La pioggia ci investì
presentandoci
il responsabile di tutto quel rumore. Una Berga stava atterrando a
poca distanza proprio sopra il punto indicatoci dal bastone.
Il nostro porto sicuro
era appena arrivato.
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Capitolo 27 *** 27. Noi ***
27. Noi
27. Noi
Adesso mi appariva tutto lontano: l’arrivo
della Berga, la salita sul dirigibile e l’ultimo test di
prova a
cui era stato sottoposto Thomas nel dover scegliere tra la vita di
Jorge o
quella di Brenda. Appoggiata
con una spalla al
rivestimento interno del nostro mezzo, osservavo fuori. Il cielo era
così cupo da non permettermi di vedere niente come al
solito.
Non avevamo nessuna indicazione di dove fossimo diretti, o di che cosa
sarebbe successo da lì in avanti.
Uno degli uomini armati
che ci
avevano accolto sulla Berga, un certo David, ci aveva assicurato che
fosse tutto finito per davvero. L’unica cosa che ci si
chiedeva
ancora, era di ascoltare la spiegazione che avevano da darci una volta
raggiunta la nostra misteriosa meta. La notizia venne accolta con
un'indifferenza diffusa; ormai eravamo stati abituati ad aspettarci di
tutto dalla Wicked e non eravamo affatto sicuri di poterci fidare delle
loro parole.
Spinta da quei
pensieri, sospirai
appannando il vetro dell’oblò e strinsi
distrattamente i
lembi dell’accappatoio che avevo addosso. Ci avevano dato da
mangiare e
ci era stato
fornito un primo soccorso; oltre alla possibilità di poterci
fare una doccia. Non volevo farla assieme a tutte le ragazze, avevo
bisogno di stare per conto mio, e quindi stavo aspettando che finissero
tutte prima di occuparla.
Mentre continuavo ad
osservare il
nulla fuori dal finestrino, qualcuno mi si affiancò. Pensai
fosse
Newt tornato dalle docce, invece, quando mi girai, Minho mi
fissava con un'espressione stranamente seria.
-
È rimasto
solo Newt.. - esordì - se andassi a parlargli… -
lasciò la frase in sospeso, quasi fosse imbarazzato di quel
consiglio e poi, facendomi un cenno, se ne andò.
Leggermente confusa da
quello che mi
aveva appena detto, mi diressi verso i bagni usati dai ragazzi. Mentre
raggiungevo la porte guardai verso gli uomini della Wicked,
aspettandomi forse una qualche razione, ma non si curarono minimamente
di me.
Afferrai quindi una
pila di
indumenti puliti da quelli che ci erano stati messi a disposizione e mi
infilai nella stanza chiudendo la porta dietro di me.
Newt era là,
con la testa
china, appoggiato con le mani ai bordi del lavandino.
L’accappatoio gli era scivolato dalle spalle rimanendogli
solo
legato in vita. Quando alzò la testa, mi guardò
attraverso
lo specchio e poi tornò ad abbassarla. Io, appoggiati i
vestiti
sul ripiano più vicino, mi avvicinai a lui. I muscoli della
sua
schiena erano tesi, quasi stesse lottando contro qualcosa dentro di
sè.
Senza parlare passai la punta delle dita sulle linee rosse delle ferite
da poco curate, sulle ecchimosi e sui lividi che solcavano la sua
pelle. Nonostante
tutti questi segni, mi sembrava bellissimo ed era bellissimo poter
stare ancora assieme.
Gli
baciai un punto imprecisato in mezzo alle scapole mentre gli avvolgevo
il torace con le braccia. Newt sospirò e io mi sporsi oltre
la
sua spalla per guardarlo dallo specchio. I suoi stanchi occhi
incrociarono i miei.
-
El… cosa siamo diventati? Cosa sono
diventato? – domandò con infinita tristezza.
Vederlo così
mi spezzò
il cuore, ancor più perché non sapevo cosa
rispondergli.
Perfino io mi sentivo un’altra persona rispetto a
prima…
Erano successe troppe, tante cose, che si erano accumulate una
sull'altra fino a formare una montagna. Talmente alta da darmi un senso
di vertigine. Ero
così stanca di pensare...
Liberandolo dal mio abbraccio, mi tolsi l'accappatoio e
mi diressi verso la doccia più vicina. Prima di metterci
piede
dentro mi voltai verso Newt rimasto al lavabo.
-
Vieni? - gli chiesi, allungando una mano nella sua direzione.
Newt rimase fermo a
fissarmi per un istante, poi si tolse anche lui l’accappatoio
e mi raggiunse.
Io aprii l’acqua e regolai la temperatura.
-
Ma tu la doccia la fai all’inferno? – mi
domandò girando la leva verso il blu.
-
Esagerato – lo rimbeccai - girati che ti lavo la
schiena -
-
Sì signora! - rispose lui, voltandosi con un
sorriso divertito.
Per un po’
restammo zitti
mentre il sapone si portava via tutto il sudore e la polvere accumulata
in quelle settimane di viaggio. Avevo fatto un gesto ardito, ne ero
consapevole, ma oltre al fatto che non mi sentivo minimamente
imbarazzata con Newt, come ho detto poco prima, ero stanca di pensare.
-
El? -
Non appena mi voltai,
Newt mi puntò il getto della cornetta in faccia.
-
Hey! – protestai mentre lui si metteva a ridere.
Per ripicca gli tirai
addosso la
spugna zuppa, che cadde poi sul piatto della doccia con un rumore
umido. Ci mettemmo a ridere entrambi per quel gesto infantile. Passata
l'ilarità,
iniziai a togliermi l'acqua in eccesso dai capelli mentre Newt
riappendeva la cornetta e chiudeva l’acqua.
Girata di schiena,
sentii la sua
presenza dietro di me ancor prima che le sue labbra si posassero sulla
mia clavicola e iniziassero a segnare tutto l’arco delle
spalle.
Mi voltai, affondando una mano nei suoi capelli bagnati baciandolo
con trasporto. In quel momento i nostri corpi vennero inevitabilmente a
contatto e io fui percorsa da un brivido che non centrava niente con la
temperatura esterna.
La mano di Newt
risalì la mia
gamba, passando sul gluteo e seguendo la curvatura della schiena. Io
avevo entrambe le mani impegnate ad esplorare il suo addome teso, a
sentire sotto i polpastrelli ogni increspatura della pelle, ogni
muscolo, ogni cicatrice. Quando mi sporsi per baciargli un punto
sensibile appena sotto il lobo, mi afferrò per i polsi
portandomeli dietro la schiena e facendomi finire contro la parete
fredda della doccia. D’istinto inarcai la schiena chiudendo
le
scapole. Newt mi baciò il collo, seguendo lentamente un
percorso
immaginario che andava dallo sterno, al seno, fino
all’ombelico.
-
Newt… - mormorai, appagata e insoddisfatta allo
stesso tempo.
Lui tornò a
fissarmi negli occhi. Non gli avevo mai visto uno sguardo
così lucido.
-
Questo... non è il
posto migliore – asserì con voce roca, e
prendendomi per
mano mi condusse fuori dalla doccia.
Mi distesi
sull'accappatoio
che avevo lasciato per terra e lui si posizionò tra le mie
gambe. Non ci furono richieste di permessi o tentennamenti. Con
un’unica
spinta Newt entrò in me. Non provai nemmeno dolore. Non
era la mia
prima volta e, stranamente, qualcosa mi suggeriva che fosse stato
sempre lui ad essersela presa.
Gli artigliai la
schiena gemendo,
mentre Newt affondò il viso contro la mia spalla concentrato
nelle spinte. Quando raggiunsi l'apice, per pochi, brevi e meravigliosi
secondi sparì tutto. La Radura, il Labirinto, i Dolenti,
Chuck,
gli spaccati, la zona bruciata, la tempesta, le bare bianche, la Berga,
la Wicked.
Eravamo soli. Due
esistenze nuove che si completavano a vicenda. La consapevolezza sua di
me e mia di lui. Newt e me.
Quando
l’oblio passò,
Newt alzò la testa, appoggiando la fronte contro la mia
mentre i
nostri respiri affannati di scontravano tra di loro. Poi mi diede un
leggero bacio scivolandomi a fianco. Girai la testa per guardarlo e lui
fece la stessa cosa. Restammo ad osservarci, ognuno immerso nei propri
pensieri. Pian piano quella momentanea libertà stava
scomparendo, mentre la preoccupazione tornava a far capolino spegnendo
quel brillio negli occhi di Newt.
Prima che questo
succedesse, mi
tirai in piedi, e allungate entrambe le mani verso Newt, lo invitai a
prenderle. Quando le afferrò lo feci alzare e lo piazzai
davanti al lavandino.
Io mi misi esattamente di fronte a lui, scostandomi di quel poco
perché potesse vedersi in viso.
-
Ecco cosa siamo,
ecco cosa sei. Noi e nient’altro – dissi portandomi
le sue
braccia attorno al torace.
Gli occhi di Newt
divennero lucidi mentre ci guardava. Abbassò la testa e la
nascose tra i miei capelli.
-
Ti amo –
-
Anche io –
Quando ritornammo dagli
altri,
nessuno disse niente sulla nostra prolungata assenza. Feci un breve
cenno con il capo a Minho per ringraziarlo e con Newt mi andai a
distendere in un angolino della Berga con una coperta di pile a
proteggerci dal freddo.
Appoggiai la testa sul
petto di Newt, e cullata dal suo respiro, in breve tempo caddi in un
sonno profondo.
“Non
durerà e lo sai”
|
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Capitolo 28 *** 28.Sofferenza ***
28.Sofferenza
28. Sofferenza
Non so assolutamente chi fosse ad infilarsi continuamente nella mia
mente, ma aveva maledettamente ragione.
Mi svegliai sopra una
superficie morbida e al buio. Mi drizzai immediatamente a sedere e allo
stesso tempo le luci si
accesero come se avessero registrato il mio risveglio.
Mi ritrovai in una
camera, modesta ma graziosa, il che non mi rassicurò per
nulla.
Quando mi alzai, provai
ad aprire
una
delle due porte che spezzavano la continuità del muro, la
quale
mi condusse ad un piccolo bagno. La richiusi e provai con la seconda.
Proprio mentre l’aprivo, qualcun altro stava entrando. Mi
fermai con la porta aperta e gli occhi sulla figura che avevo di
fronte: l’uomo topo.
-
Vedo che ti sei…-
-
Dove sono?! Dove sono i miei amici?! - esclamai furiosa senza
aspettare che finisse la frase.
L’uomo fece
un lungo sospiro,
facendomi cenno di entrare e chiedendomi se potessimo parlare. Mi
spiegò
che tutti i miei amici stavano affrontando la fase 3.
Seppi che era una prova
individuale, ma non riuscii a farmi dire di cosa si trattasse nello
specifico.
Quando gli chiesi come
mai io non
fossi sotto test, mi rispose che per me non c’era alcun
bisogno di
alcun test. Mi spiegò che non appena tutti i ragazzi
avessero
finito la propria fase, ci avrebbero radunati e spiegato ogni cosa, ma
che per il momento dovevo pazientare. Mi disse che potevo girare tutto
il piano dove mi trovavo e che se avessi mai avuto bisogno di qualcosa
di chiederlo. I pasti sarebbero stati tre al giorno e in
caso di fame fuori orario, nella mia camera c’era un piccolo
frigo bar da cui
attingere. Nonostante tutti i miei tentativi di farmi dire qualcosa in
più, l’uomo fu irremovibile: dovevo aspettare gli
altri.
Mi
lasciò nella confusione più totale e nella
più
profonda angoscia. Non
sapevo a cosa stessero
sottoponendo i miei amici e l’assenza di Newt mi stava
scavando
un solco dentro l’anima. Era una sensazione uguale a quella
della prima
volta che ci separammo, eppure era estremamente diversa...
Perché quella volta avevo un piano;
scappare e trovarli, ma ora non avevo niente.
Dopo aver fatto passare
un lasso di tempo sufficiente per non ritrovarmi l’uomo topo
tra
i piedi, uscii dalla mia camera. Scoprii che si affacciava su un lungo
corridoio pieno di porte identiche tra loro. Ognuna portava
ad una stanza uguale alla mia, con uno o più posti letto.
Un’altra ancora dentro un auditorium piuttosto capiente.
Quella
che probabilmente conduceva agli altri piani, ovviamente non si muoveva
di un millimetro. Quindi, nonostante tutte le rassicurazioni, ero di
nuovo in trappola.
I giorni che seguirono
furono una
vera e propria agonia. Dei tre pasti al giorno concessi, ne consumavo
appena due. Ogni giorno che passava, un membro del gruppo A o B
riappariva,
ma con qualcosa di diverso. Non era un cambiamento fisico, ma stava
tutto negli
occhi... era un qualche cosa di più profondo e
più
terribile.
Nessuno volle parlare di ciò che gli era stato fatto,
né
Minho, né Teresa, né Fry pan.. e intanto io
attendevo.
Ogni
volta che scoprivo che il nuovo arrivato non era Newt, mi sentivo
sprofondare sempre di più.
Il diciassettesimo
giorno di
permanenza, quando rientrai nella mia camera, scoprii che non era vuota
come l’avevo lasciata. La figura bionda di Newt sostava
vicino
alla porta del bagno. Stavo per esclamare il suo nome quando
ciò
che lessi nei suoi occhi mi bloccò.
Dolore intenso e
rabbia… tanta rabbia. Si mordeva la pellicina del pollice
senza parlare.
-
Newt.. - mormorai titubante avvicinandomi.
Quando allungai una
mano per toccargli un braccio si scostò, abbassando le
braccia lungo i fianchi.
-
Cosa ti hanno fatto? – sussurrai spaventata.
Lui scosse la testa
chiudendo gli occhi.
-
Non ne voglio parlare… - rispose con voce roca.
-
Dimmelo per favo.. -
-
Non ne voglio parlare! - gridò incollerito.
Mi bloccai sul posto,
smettendo di
avvicinarmi a lui ferita dalle sue parole. Newt si portò una
mano tra i capelli facendo guizzare gli occhi sul pavimento frustrato.
Poi,
improvvisamente, con un paio di falcate mi raggiunse intrappolandomi in
un abbraccio. Il suo corpo tremava mentre mi stringeva con tutte le
forze.
-
Ti prego non
chiedermi cosa mi abbiano fatto.. desidero solo dimenticare.. ti prego
El – gracchiò.
-
Non te lo chiederò più Newt.. giuro
– lo rassicurai.
Lui allentò
un po’ le braccia appoggiando la fronte contro la mia e
chiudendo gli occhi.
-
Sei stata l’unica cosa che… -
cominciò per poi interrompersi sopraffatto.
Io gli presi il viso
tra le mani e
lo baciai. Newt risposte quasi immediatamente, con forza e ferocia. Nel
giro di qualche secondo mi trovai sdraiata sul letto. Qualche minuto
dopo eravamo entrambi senza vestiti e nell’ora successiva
ansimi
e gemiti era l’unica cosa di udibile nella stanza.
Feci l’amore
con Newt una, due volte; con un’intensità tale da
annullare qualsiasi pensiero. Con un’adorazione e una
concentrazione che ci lasciò distrutti e ansanti.
Mi girai sul fianco
guardandolo
negli occhi. Come per tutti gli altri vi era qualcosa di diverso.
Allungai una mano poggiandogliela sulla guancia.
-
Se solo
potessi…- mormorai - se solo potessi cancellare tutta quella
sofferenza dai
tuoi occhi – gli dissi mentre sentivo gli occhi farsi lucidi.
Nell’espressione
di Newt
qualcosa si infranse, come una perfetta e calma pozza nella quale cade
una goccia. Si avvicinò, rannicchiandosi contro di me e
appoggiando la
fronte contro il mio petto. Potevo capire che stava piangendo solo dal
tremito delle sue spalle.
Quella notte molte
lacrime furono
spese da entrambi. Abbracciati cercavamo di
farci carico della reciproca sofferenza.
|
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Capitolo 29 *** 29.Immunità ***
29.Immunità
29.
Immunità
Solo al ventiseiesimo giorno, anche l’ultimo del gruppo,
ovvero
Thomas, ci raggiunse.
I giorni precedenti erano trascorsi nella
più completa omertà. Nessuno parlava di cosa era
successo e nessuno parlava di cosa sarebbe successo. Ognuno cercava di
prendersi più tempo possibile per tenere la mente libera.
Newt passava da stati
di
normalità, nei quali parlava con tutti e si comportava come
niente fosse, a stati di profonda irritazione. Era spesso ombroso e
scostante; perfino con me. Quando
non ne poteva più si eclissava, e nove volte su dieci lo
ritrovavo in camera mia, sdraiato sul letto con gli occhi spalancati a
guardare il soffitto. Non potendo chiedergli nulla, mi limitavo a
sdraiarmi vicino a lui, spalla contro spalla in perfetto silenzio. Speravo solo che quello
bastasse….
Fui quindi felice di
rivedere Thomas, anche
se mi accorsi che, come chiunque in quella stanza, portava i segni
della terza prova, che per lui era stata più lunga di
qualsiasi
altra.
Eravamo tutti riuniti nell’auditorium, quando
l’uomo topo iniziò a spiegarci cosa sarebbe
accaduto.
Oltre a fare incazzare
la
metà di noi, dicendo che ogni sofferenza e ogni sacrificio
sarebbero stati ricompensati dalla mappatura della zona della violenza,
ci disse che avrebbero rimosso il filtro che ci impediva di ricordare
il nostro passato, così come ogni altro dispositivo che ci
teneva sotto controllo (tranne quello della mappatura ovviamente). Alle diffuse
obiezioni che ci furono riguardo al recupero della
memoria, disse che saremmo stati liberi di scegliere se recuperarla o
meno;
ma che rifiutando, non avremmo compreso appieno tutto quello che
avevamo
fatto e soprattutto il perché lo avevamo fatto.
Mentre seguivamo
l’uomo verso
il laboratorio dove sarebbe stata fatta l’operazione, mi
trovai
d’accordo con Minho, Thomas e Newt, di non farmi rimuovere il
filtro. Avevo già recuperato parte della memoria senza
bisogno
di nessun operazione e tutto ciò che avevo bisogno di sapere
lo
sapevo.
Nel laboratorio trovammo ad attenderci una serie di letti, sopra ai
quali penzolava una maschera inquietante fatta di tubi e fili
meccanici.
Era il famoso
dispositivo di
rimozione, e non appena lo vidi, nonostante le rassicurazioni che non
ci
avrebbe fatto alcun male sotto sedativi, fui certa ancor più
di
prima di non voler nessuna caspio di operazione. Per ultimo, prima di
procedere, l’uomo ratto ci disse che era suo compito
elencarci i
nomi di coloro che non erano immuni all’eruzione.
Cercò di
menare un po’
il can per l’aia, dicendoci che era stato inevitabile il
contagio
per quanto si fossero prodigati di tenerci al sicuro, ma Minho lo
mandò presto a quel paese. Per quanto mi riguarda, di
fretta o con calma, ciò che fu detto dopo non potevo in
alcun modo accettarlo....
-
Ora vi dirò l’elenco dei non immuni:
Newt… -
-
NO! -
Non lo feci andare
avanti. Non mi ero nemmeno accorta di aver urlato e quasi non mi
rendevo conto di continuare a farlo.
Ogni mia certezza era
andata in
frantumi, ogni mio passo, ogni mia azione era stata resa vana da una
singola frase. E non potevo accettarlo.
Sentii la rabbia montare in me
come l’onda di uno Tsunami, feci per avvicinarmi
all’uomo
ratto ignorando chiunque. Ero completamente distaccata dalla
realtà. Per me c’era solo quella notizia e
ciò che
stava scatenando in me. Fu allora che la vista diventò
completamente sfocata, e prima di poter capire cosa stesse succedendo,
caddi a peso morto per terra. Svenni e mi risvegliai solo diverso tempo
dopo in camera mia.
Quando riaprii gli occhi non mi mossi neppure di un millimetro. Non
perché non potessi, ma perché
non ci riuscivo. Mi sembrava di non averne più
motivo…
Ogni volta che
inspiravo il mio
cervello pensava a Newt, e ogni volta che espiravo, al fatto che non
fosse immune.
Newt, non immune, Newt, non immune, Newt, non immune.
Mentre le lacrime
rotolavano
giù lungo le mie tempie, mi diedi della stupida. Non avevo
mai avuto
certezze; nessuno mi aveva assicurato che lui fosse tra gli immuni,
nemmeno all’inizio da quel che ricordavo. Mi ero messa in
gioco
sapendo fin dall’inizio che era un "50 e 50", o
sì, o no.
Però avevo dimenticato.. e quando mi ero ricordata, la
speranza
aveva preso il sopravvento. Quell’incrollabile sicurezza che
il ragazzo che amavo fosse immune a prescindere.
“Uccidili
tutti”
Stavo per rispondere ad
alta voce al
mio interlocutore misterioso, quando scattò un allarme. Era
talmente forte che sulle prime mi stordì. Con le mani sulle
orecchie andai verso la porta della mia camera e la aprii. Nel
corridoio le luci si erano spente e il passaggio era illuminato di
rosso. Se aggiungevamo il fatto che in giro non ci fosse assolutamente
nessuno, era chiaro che stesse di sicuro succedendo qualcosa di strano.
Dovevo trovare i
miei amici.
Corsi fino all’auditorium trovandolo vuoto. Tutte le
porte che davano alle stanze erano aperte e vuote. A rigor di logica
pensai che quelle
che conducevano agli altri piani fossero sbarrate, ma
mi sbagliavo. Imboccai quindi quella che conduceva al laboratorio che
ci aveva mostrato l’uomo ratto. Niente, nessuno nemmeno
lì.
Non sapevo assolutamente dove andare, per cui imboccai con
circospezione
un corridoio a caso.
Svoltai un paio di
angoli
finchè non mi fermai di colpo. L’ultima sirena
suonò e poi l’allarme si spense. A terra, davanti
a me,
c’erano tre uomini in divisa nera; due donne e un ragazzo.
Sembravano morte, ma avvicinandomi vidi che respiravano ancora. Vicino
a loro c'era lanciagranate elettrico. Il mio cervello
registrò
da solo
quel nome, collegandolo ad uno dei brevi ricordi ottenuti. Mi
armai proseguendo per la mia strada e se avessi incontrato qualcuno,
non avrei esitato a sparare.
La cosa più
inquietante fu di
non trovare nessuno da nessuna parte. Dopo quel rumore assordante, mi
sentivo ancor più schiacciata da quel silenzio. Per non
perdere
la concentrazione ascoltavo il rumore dei miei passi, contandoli e
andando avanti alla cieca, con la speranza di raggiungere prima o poi
qualcuno dei miei.
Stavo per imboccare l’ennesima diramazione,
quando un suono inconfondibile di spari mi arrivò dalla
direzione che non stavo prendendo. Rimasi un attimo interdetta..
Proseguire nel silenzio? O dirigermi verso quella che sembrava essere
una battaglia?
Ma battaglia voleva dire forze contrapposte, quindi
maggior possibilità di trovare chi stavo cercando.
Feci di volata il
corridoio. Avevo
l’adrenalina così alta, che sbucai alla fine senza
quasi
rendermene conto. Mi trovai in un enorme capannone con soffitti
altissimi.
A
una decina di metri da me c’era uno di quegli affari
volanti, la Berga, con il portellone aperto. Un gruppo armato
sparava contro di esso.
Nella confusione vidi una figura cadere a terra colpita da una
granata: Thomas.
L’adrenalina salì nuovamente. Corsi verso
il mio amico cominciando a sparare contro il nemico. Riuscii a
centrare un paio di soldati, prima di dovermi riparare dietro una casa
in legno mentre
loro rispondevano al fuoco.
-
Corri, ti copriamo noi! –
La voce di Jorge mi
raggiunse mentre
aspettavo il momento giusto per uscire alla scoperto. Fidandomi del
consiglio, abbandonai il riparo riprendendo a correre verso
Thomas. Newt, Minho e Jorge stavano trattenendo le guardie.
Io raggiunsi il ragazzo
a terra
cercando di trascinarlo sulla Berga, un proiettile mi sfrisò
una
spalla lasciandomi una lunga bruciatura. Thomas era dannatamente
pesante e se non fosse arrivato Newt ad aiutarmi, non sarei mai
riuscita
a spostarlo.
Una volta sul
portellone questo venne chiuso mentre, ansante, mi lasciavo cadere per
terra a riprendere fiato.
|
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Capitolo 30 *** 30. Ricordi ***
30.Ricordi
30. Ricordi
-
Ma che fine avevi fatto? –
Minho mi guardava
dall’alto mentre Newt mi porgeva una mano per aiutarmi ad
alzare.
Aveva le nocche gonfie
e coperte di
sangue ma sembrò non farci caso. A quanto pareva aveva
combattuto con le unghie e con i denti.
-
Vediamo di
mettere prima questi pive da qualche parte, poi parleremo –
replicò Newt dopo che lo ebbi stretto in un breve abbraccio.
Scoprii che anche
Brenda, come
Thomas, era stata
colpita da una granata e ora giaceva svenuta sul pavimento di metallo.
Con l’aiuto di Jorge li mettemmo entrambi su un paio di
divani logori, dopo di che, mentre l’ispanico andava in
cabina di
pilotaggio, io Minho e Newt ci scambiammo le ultime vicende. A quanto
pareva, dopo la mia crisi ero stata portata via e l’uomo
ratto
aveva proseguito il suo elenco come se nulla fosse stato.
Sulle prime aveva
acconsentito alla
richiesta di Minho, Newt e Thomas di non forzarli a recuperare la
memoria, per poi rimangiarsela il mattino seguente obbligandoli a
farlo. Fortunatamente, Brenda si era scoperta dalla loro parte e li
aveva aiutati a fuggire. Il piano era stato quello di recuperare tutti
gli altri, dirigersi all’hangar, trovare Jorge e fuggire con
una
Berga. La cosa più sorprendente fu di sentirsi dire che
Teresa
aveva capeggiato un altro gruppo di Radurai, mettendo fuori gioco tutte
le
guardie in servizio e andandosene via con uno dei dirigibili.
-
Ci hanno lasciato qui?!- chiesi sconvolta e Minho
annuì.
-
Quando siamo venuti
nella tua stanza tu non c’eri… e quindi abbiamo
pensato che
fossi fuggita con gli altri - spiegò Newt.
Per puro caso, quando
loro avevano
raggiunto la mia camera, io dovevo essere già andata via.
Quando
mi accorsi che il fatto di esserci ricongiunti, era stato solo frutto
della
fortuna, un brivido freddo mi percorsa la colonna vertebrale. Sarei
potuta rimanere da sola nel quartier generale della Wicked…
Dal canto mio, gli raccontai brevemente quello che mi era successo, che
ovviamente non era nulla
di paragonabile alla loro rocambolesca fuga. Quando Minho raggiunse
quota 26 sbadigli, se ne andò a raggomitolarsi su uno dei
divani.
Io controllai le condizioni di Brenda e Thomas che sembravano dormire
tranquilli, poi chiesi a Jorge se aveva bisogno di qualcosa. Mi rispose
che doveva solo dormire e che per questo avrebbe inserito il pilota
automatico. Quindi lo
salutai e tornai dagli altri.
Minho russava già della grossa
mentre Newt era seduto su una delle poltrone, lo sguardo perso in
chissà quali pensieri.
-
Fammi vedere – dissi indicandogli la mano
martoriata.
-
Pensavo che ci
avessero di nuovo separato – disse Newt mentre mi sedevo
davanti
a lui e prendevo a pulirgli delicatamente le nocche devastate con un
po’ di disinfettante che avevo chiesto a Jorge.
-
Questa volta a quanto pare ci è andata bene
– risposi facendogli un sorriso mesto.
Lui sospirò.
-
Mi sono spaventato da morire quando sei svenuta…-
mormorò.
-
Scusami –
dissi leggermente imbarazzata al ricordo – è che
sono
andata fuori di testa, non…. – mi interruppi senza
saper
esprimere a parole ciò che avevo provato in quel preciso
momento. Era qualcosa che ancora mi spaventava.
-
Se ti consola non sei l’unica –
replicò Newt tranquillo.
Io lo guardai
preoccupata.
-
Mi sento
diverso.. non saprei spiegarti come.. ho attacchi d’ira
improvvisi, qualsiasi cosa mi irrita..- rispose stancamente –
ho
picchiato Minho mentre eravamo in fuga – aggiunse, prendendo
a
massaggiarsi la fronte con una mano.
-
Newt io…-
-
Lascia stare
– mi interruppe lui – c’è poco
da fare..
impazzirò lentamente e ciao ciao – disse
amaramente
fissando il pavimento – ma sono contento che tu sia immune.
Il
tizio ratto non ti ha nominata – aggiunse alzando un angolo
della
bocca.
Io non sapevo
assolutamente cosa
dire. Non avevo rassicurazioni da dargli… perché
non
c’è n’erano. L’eruzione si
sarebbe espansa
sempre di più portandogli via ciò che era.
-
Per questo non hai voluto recuperare la memoria? –
chiesi senza dar peso alla mia immunità.
Nessuno mi aveva mai
chiesto nulla
della mia fase 3 e io avevo deliberatamente tenuto nascosto che per me
non ne era stata prevista nessuna. Non c’era bisogno di dirlo.
Newt si
limitò a guardarmi, alzando un sopracciglio con fare
interrogativo.
-
Ricordarti e poi dimenticare di nuovo….
– spiegai tornando a fissare la sua mano.
Lui fece un ghigno.
-
Sembra quasi
che tu mi legga nella mente – disse con una punta di
preoccupazione della voce che sparì in un istante
– e tu?
Avresti voluto recuperarla? –
Io scossi la testa
– no, non mi sarei fatta di sicuro mettere le mani addosso –
risposi convinta.
Tra di noi ricadde il
silenzio.
Mille pensieri affollavano la mia mente e non riuscivo a ordinarne
neppure mezzo. Eravamo precipitati da un incubo in uno ancora peggiore.
-
Non riesco
nemmeno a pensare a cosa fare d’ora in avanti.. –
disse
d’un tratto Newt spezzando il silenzio.
Qualcosa mi si contorse
dentro.
Quella orribile sensazione di impotenza si fece largo in me, cercando
di
strapparmi la carne per aprirsi un varco. La questione era, che non
avevo una soluzione per il suo problema. Non c’era
assolutamente
niente che io potessi fare per eliminare la sua malattia. E se a me il
pensiero di vederlo impazzire poco a poco mi dilaniava, non riuscivo a
immaginare come fosse per lui in quel momento….
-
Siamo cresciuti
in una città di montagna. C’erano neve e terribili
tormente
per nove mesi all’anno; per i restanti tre c'erano
temperature tropicali
e acquazzoni. Però in quel periodo la natura era
così
rigogliosa e bella da far venire le lacrime agli occhi –
dissi.
Newt mi
guardò con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
-
Hai detto che siamo cresciuti assieme.. quando hai...?
– domandò con un filo di voce.
-
Negli ultimi tempi ho recuperato un
po’ della mia memoria.. credo sia dovuto alle numerose
sollecitazioni ricevute..
– spiegai – sono per lo più sprazzi
della mia infanzia in cui ci sei
anche tu – aggiunsi con un mezzo sorriso.
Newt rimase a fissarmi
per un attimo con la bocca leggermente dischiusa, poi si riprese.
-
Raccontami di più –
-
Non
c’è molto altro… mi ricordo di noi due
intenti a parlare
vicino ad un lago o davanti al fuoco che brucia d’inverno.
Siamo
finiti entrambi alla Wicked più o meno quando avevamo 10
anni, credo… poi tu sei stato mandato nella Radura mentre io
ti seguivo dai
monitor. Sono rimasta con loro finchè non hai… -
lasciai la frase a metà
sicura che lui avesse capito – e in quel momento mi sono
fatta inserire
nel programma. Tutto qui, non ricordo altro – mentii.
In realtà
ricordavo molto di
più... forse la cosa più importante di tutte: il
motivo per
il quale ero stata spinta a fare tutto quello che avevo fatto. Lo
stesso motivo che si era rivelato del tutto insignificante di fronte
alla non immunità di Newt, quello che mi aveva fatto avere
quella reazione in auditorium.
-
E così
siamo cresciuti assieme – disse Newt dopo un momento di
silenzio
quando ormai avevo finito di medicarlo.
-
E poi probabilmente ci siamo innamorati, sì
– confermai io.
-
Questa è
una delle cose che mi dispiacerà di più
dimenticare
quando impazzirò… dimenticarmi di te
sarà la parte
peggiore – disse con un sorriso tetro.
Non seppi di nuovo cosa
dire, sentendo dentro solo una gran voglia di piangere. Non avevamo
alcun futuro.. non in questa vita.
Stanza
delle mappe:
Giuro non
sono sparita!
Chissà se
in questi capitoli
qualcuno di voi si è fatto un'idea su come andrà
la
vicenda.. soprattutto ora che si è scoperto che Newt e Carys
sono cresciuti assieme.
Ovviamente l'origine
di provenienza
me la sono dovuta inventare di sana pianta, non c'è alcun
riferimento in nessun libro su dove i Radurai abbiano vissuto prima
della Wicked (tranne per Thomas). Spero che la trama si stia
sviluppando come voi speravate che fosse.
Ringrazio tutti coloro
che proseguono a leggere settimanalmente, Nami93_calypso per aver recensito lo scorso
capitolo e Luciaventurini per avermi aggiunto tra le
preferite!
Grazie
a tutti,
Marta
|
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Capitolo 31 *** 31. Rabbia ***
31
31. Rabbia
Dormii per quasi dodici ore filate, ma quando mi svegliai
e ricordai tutto quello che era successo fino a quel
momento, mi sentii più stanca di prima. Quando Minho venne a
chiamarmi per dirmi che ci sarebbe stata un’adunanza, mi fece
fare un
sorriso nostalgico. Sembravano passati secoli dal mio arrivo alla
Radura...
Quando fummo tutti riuniti facemmo il punto della
situazione e Jorge ci spiegò quello che lui e Brenda avevano
pensato di fare.
L’ispanico
era riuscito a rintracciare gli altri nostri compagni, che a quanto
pareva si stavano dirigendo
verso una città di immuni chiamata Denver. L'idea era di
raggiungerli, sia per avere spiegazioni della loro
fuga e sia perché in quella città viveva un ex
scienziato della Wicked di nome Hans, che aveva tutte le conoscenze e
gli strumenti per poterci finalmente togliere quel maledetto
dispositivo di controllo. Se per disgrazia la Wicked fosse riuscita a
scovarci e ad essere abbastanza vicina da attivarlo, non sarebbe stato
un bel momento…
Ovviamente non riuscimmo subito a metterci
d’accordo; Minho sembrava piuttosto restio a seguire questo
piano, mentre Newt si limitava a fissare un punto imprecisato della
Berga con sguardo truce.
Dal canto mio dovevo
dire che
l’idea aveva molti punti deboli. Il rischio di essere
scoperti
non era da escludere… arrivare all’aeroporto
privato della
città e superare i controlli per l’infezione in
modo da
accedere all’interno, non era uno scherzo. Soprattutto
l’ultimo punto mi creava non poca agitazione, contando anche
il
fatto che Newt non avrebbe potuto accompagnarci.
Una volta finita
l’adunanza, mangiammo e ci riposammo ancora un po’.
Fu qualche ora
più tardi, di
nuovo seduti a discutere, che Thomas ci fece partecipi dei sogni
che da un po’ di tempo popolavano le sue notti.
Erano tutti
ambientati nel suo passato, esattamente com'era successo a me in
più occasioni. Fino a quel momento non ne avevo
mai parlato con nessuno se non con Newt.
Thomas sembrò molto sollevato di non essere
l’unico a farli, e il discorso
proseguì fino a raggiungere finalmente la decisione
definitiva
di andare a Denver.
Jorge e Brenda
ovviamente erano
già d’accordo, così come Thomas e alla
fine anche
Minho acconsentì. Newt invece non fece che aumentare la mia
paura.
Quando Brenda gli disse
che potevano trovare un modo per farlo entrare lo stesso in
città
evitando i controlli, si alzò di scatto mollando un pugno
sul
muro.
-
Non mi importa
un accidente se ho quel cacchio di affare nella testa! –
esclamò riferendosi al dispositivo di controllo –
tanto
tra non molto supererò l’andata e non intendo
morire
sapendo di aver contagiato un’intera città di
gente sana!
–
Ma fu la frase seguente
a ferirmi di più...
-
Sapete tutti che
la miracolosa cura della Wicked non funzionerà, e nemmeno la
voglio! Tanto non c’è molto per cui vivere in
questo mondo
di sploff –
Stava per aggiungere
qualcosa,
quando fui io ad alzarmi di scatto. Tutti gli occhi si puntarono su di
me, compresi quelli di Newt.
-
Pensavo di valere un po’ di più per
te… - dissi tremando di rabbia.
Non aspettai risposta,
ma girai i
tacchi e me ne andai. Raggiunsi il bagno e mi ci chiusi dentro,
sedendomi sul pavimento di metallo freddo e piangendo frustrata.
Odiavo tutta quella
situazione;
odiavo la Wicked per quello che ci aveva fatto e che ancora ci stava
facendo. Avrei preferito che non ci avesse mai accolto…
Avrei
preferito mille volte morire con Newt a casa nostra. Magari in una di
quelle bellissime e rare giornate estive.
Invece niente! Non
c’era stato dato modo di scegliere…
Quando la porta del
bagno si aprì ed entrò Brenda, le comunicai la
mia decisione:
Non avrei lasciato quella testa di
sploff di Newt da solo.
Nonostante il mondo facesse schifo e la
situazione nella quale ci trovavamo ancora di più, volevo
trascorrere quanto più tempo fosse possibile assieme, che
lui mi volesse o meno.
Sapevo che Newt non avrebbe preso bene la mia decisione e anche Thomas
me lo fece presente, mentre Minho asserì che sarebbe stato
come buttare
benzina sul fuoco.
Difatti non tardò molto a precipitarsi nella cabina di
pilotaggio dove mi ero rifugiata. Eravamo atterrati da poco, gli altri
avevano raccolto tutto il necessario ed erano scesi a terra. Avevo dato
una sbirciatina di fuori sperando di vedere come fosse fatta la
città, ma ero rimasta delusa nel vedere che era protetta da
un
altissimo muro.
Cosa mi aspettavo? Una viva e allegra metropoli senza traccia di
difesa?
Quando Newt irruppe nella cabina, stavo cercando di ricordarmi come
fosse la nostra vecchia città.
- Sei andata fuori di testa!?
L’eruzione ce
l’ho io, non tu, da quanto ricordo! –
esclamò,
piazzandomisi davanti con fare minaccioso.
Io sospirai, restando seduta sulla poltrona di Jorge e fissandolo
stancamente. Non so se fosse peggio quando non parlava, o quando lo
faceva per citare con naturalezza la sua malattia.
- Sono nelle mie piene facoltà
mentali Newt, ho solo preso una decisione – replicai.
- Una decisione del cacchio!-
replicò furibondo.
- Scusami ma il tuo parere non mi
farà cambiare idea – risposi.
- Tu devi andare! Subito! Puoi ancora
raggiungerli
– replicò lui afferrandomi una mano.
- Newt io non vado da nessuna parte
– sentenziai liberandomi dalla sua presa.
Lui mi guardò scioccato.
- Perché diam..-
iniziò a dire per poi
fermarsi – lo fai per me… - mormorò,
quasi non
credesse alle sue stesse parole.
Io mi ritrassi dal suo sguardo posando il mio sul pavimento.
- Tu lo fai per me! Preferisci non farti
togliere
quel cacchio di dispositivo per stare qui con il pazzo! –
esclamò.
C’era rabbia nella sua voce.
- O magari te lo hanno chiesto gli altri
perché avevano paura che dessi di matto dentro la Berga e la
facessi esplodere! Resti qui a controllare che io non cerchi di farmi
fuori di nuovo, vero? – snocciolò tutte queste
considerazioni in fretta, quasi in modo febbricitante, e non ne
azzeccò nemmeno una.
Io continuai a tenere gli occhi
bassi e questo lo fece alterare ancora di più.
- Guardami quando ti parlo!-
urlò, tirandomi per un braccio e facendomi quasi cadere
dalla poltrona.
- Lasciami! – gridai di rimando
fissandolo finalmente negli occhi.
Newt si ritrasse come scottato, o come si fosse reso conto che la sua
furia fosse eccessiva. Restammo qualche istante in silenzio, entrambi
con il fiato grosso.
- Tu hai paura di me… -
sentenziò lui
con un tremito ben diverso dalla quello provocato dalla rabbia.
- Paura di te?! – esclamai
irata, alzandomi in piedi e
fronteggiandolo – non sono rimasta qui perché me
lo hanno
chiesto gli altri! Non sono rimasta qui perché avessi paura
che
ti suicidassi, e non sono qui perché non volevo lasciarti
solo
con la malattia che avanza! – gridai – sono qui
perché ti amo! E perché voglio trascorrere ogni
singolo
istante che ci rimane assieme! Non mi interessa di restare con il
dispositivo!! Voglio stare con te perché nessuno merita di
rimanere solo in un momento come questo! Né te,
né
tantomeno me! –
Mi fermai ansante mentre Newt mi osservava inebetito dalle mie parole.
- Perché non lo capisci Newt?
– mormorai
affranta prima di superarlo e lasciarlo solo con i suoi pensieri.
Stanza
delle mappe:
Non sono
tutte rose e fiori. Questo potrebbe essere un titolo alternativo al
capitolo!
Dopotutto Newt e Carys
sono dei
comuni ragazzi e la loro situazione non è per niente
facile..
è normale che sbrocchino, senza contare l'aiuto che
l'eruzione
sta dando.
Chissà come
andrà a finire.. soprattutto a questo punto della storia!
Grazie mille a tutti i
lettori silenziosi che continuano a seguirmi!!
Un
abbraccio,
Marta
|
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Capitolo 32 *** 32.Capire ***
32.
32. Capire
Percorsi rapida l'ormai famigliare interno della Berga e mi fermai solo
quando arrivai alla stanza
dov’eravamo soliti dormire. Fosse stato in mio potere avrei
aperto il portellone e avrei continuato a camminare senza meta fin
quando mi fossi lasciata tutto alle spalle, compresa me stessa.
-
Fermati, per favore! -
Newt era stato
sorprendentemente
veloce nel raggiungermi. Chiusi gli occhi dandogli le spalle e cercando
di dare un senso a tutto quello che mi stava passando per la mente. Lui
rimase in silenzio, capendo forse che era proprio quello di cui avevo
bisogno. Alla fine, prendendo fiato, mi girai. Newt era fermo a qualche
metro
da me, con la spalla appoggiata alla struttura in ferro del velivolo e
le braccia incrociate. Quella scena mi
ricordò i primi tempi alla Radura e mi fece salire la
nostalgia. Era sempre stata la sua
tipica posa di quando doveva fermarsi a pensare. Alla fine, lentamente,
posò lo
sguardo su di me e ritornò ad essere il Newt tormentato
degli
ultimi tempi.
-
Non capisco
Newt.. - dissi – non capisco perché tu voglia
così
disperatamente stare solo e non capisco perché tu stia
cercando
in continuazione di allontanarmi… so per certo che non
è
l’eruzione a fartelo fare, ma so che è per quella
che lo
fai. Pensi che così io possa affrontare la cosa in modo
migliore? Che io smetta di avere paura e impari a fregarmene di te?
Pensi davvero di rendermi le cose più facili allontanandomi?
– gli chiesi con voce tremante.
Non mi importava
più di fare
finta di niente, di tacere per non turbarlo ulteriormente.
L’intera nostra esistenza stava andando a rotoli e io ero
stanca
di accantonare le domande inespresse. Non c’era
più niente
da perdere...
Newt prima di rispondermi chiuse brevemente gli occhi.
-
Non lo sto
facendo per rendere le cose più semplici a te, ma a me.
Perché sono io quello che ha paura di non farcela, di
soffrire
troppo. L’idea di perderti è orribile e il
pensiero di
poterti fare del male non lo posso
tollerare – spiegò senza giri di parole e senza
abbassare
lo sguardo.
Io mi avvicinai e con
le dita gli
scostai un ciuffo di capelli biondi. Erano cresciuti davvero molto da
quando avevamo lasciato la Radura…
-
L’egoismo
non è una caratteristica che ti si addice..- replicai,
abbassando
la mano mentre lui faceva spallucce. – Newt… non
mi
interessa quanto sia difficile, io non me ne vado. Ovunque tu andrai io
ti seguirò, anche se ci stiamo dirigendo verso una sicura
sconfitta – replicai.
Newt scosse la testa
con l’ombra di un sorriso sulle labbra.
-
Perché caspio devi avere la testa così
dura? – chiese.
-
Perché ti amo – gli risposi, facendomi
più vicina per baciarlo.
Forse la sensazione
della sua bocca
era l’unica cosa a non essere cambiata. Accendeva come al
solito
quel calore che pian piano si irradiava in tutto il corpo.
Dopo un attimo,
afferrai il bordo
della sua maglietta e gliela tolsi. Feci finta di non vedere i nuovi
lividi che gli erano spuntati mentre facevo scorrere le mani su di lui
e ignorai le ossa che sporgevano più del dovuto sul suo
fisico asciutto.
-
Sei sicura di volerlo fare? – mi chiese quando fui
io a levarmi la maglietta.
Lo guardai stranita
facendo per rispondergli, ma lui proseguì.
-
Sesso selvaggio con uno spaccato –
precisò con un ghigno.
-
Sei veramente una testa di sploff degna di Minho! –
replicai mollandogli una manata sul petto.
Newt rise e questo mi
fece ricordare quanto fosse meraviglioso. Lo baciai di nuovo con ancora
il sorriso sulle labbra.
Qualche ora
più tardi fissavo
il volto di Newt. Si era addormentato quasi subito dopo che avevamo
finito, ma io non ero ancora riuscita a chiudere occhio.
Mentre facevo
l’amore con lui
e nonostante tutti i miei sforzi per scacciarlo, il pensiero che quella
poteva essere l’ultima volta per noi mi aveva tormentata.
Anche adesso, mentre
dormiva, il suo
viso non era disteso, ma increspato da un’ombra di
preoccupazione. Sembrava non esserci pace in lui..
L’impotenza
della situazione
crebbe in me fino a livelli mai provati e, nascondendo il viso contro
il
suo collo, in silenzio per non svegliarlo, piansi la mia
inutilità.
|
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Capitolo 33 *** 33. Abbandono ***
33.Abbandono
33. Abbandono
- El? El svegliati –
Con molta lentezza
riemersi dal sonno profondo che finalmente mi aveva accolto.
Focalizzai il viso di
Newt davanti a me, mentre, chinato sulle ginocchia, si era abbassato al
livello del divano.
-
Cosa succede? – domandai con voce impastata.
-
Dai vieni! – mi incalzò lui prendendomi
per un braccio.
Io ancora intontita mi
alzai, infilandomi di nuovo scarpe, pantaloni, maglietta e seguii Newt.
-
Ma dove stai andando? – gli chiesi.
Lui non rispose,
proseguendo a salire
alcune scale a pioli che ci condussero nella parte più alta
della Berga. Lì, Newt tenne socchiusa una piccola porta di
metallo.
-
Chiudi gli occhi – mi disse.
-
Newt.. - protestai
-
Chiudi gli occhi e basta – insistè lui
con un tono che non ammetteva repliche.
Sospirando feci come mi
aveva detto.
Lo sentii aprire completamente la porta e poi per mano mi condusse
oltre ad essa. Un leggero vento mi scompigliò i
capelli.
-
Aprili – mi disse e io obbedii.
Eravamo su di un
piccolo
terrazzo, che probabilmente veniva usato per la manutenzione esterna
del velivolo. Fuori era notte fonda, davanti a me
c’era l’orizzonte nero e piatto e sopra di esso lo
spettacolo più bello che avessi mai visto. La volta celeste
era
tempestata di stelle, non c’era un singolo punto libero.
Mi tolse
il fiato.
-
A
quest’ora spengono tutte le luci, forse per risparmiare
energia.
So che non sono lucciole ma… -
Mi voltai verso Newt
che nel
frattempo si era seduto contro la parete della Berga, non riuscivo a
vederlo bene in viso a causa del buio, ma ero certa che sorridesse.
-
È… meraviglioso Newt.. - mormorai senza
trovare parole più adatte.
-
Vieni a sederti – mi invitò.
Io lo raggiunsi,
appoggiando la schiena contro il suo petto e beandomi del calore che
irradiava.
Restammo in silenzio a
guardare il
cielo. Non c’erano discorsi da fare e non servivano parole.
Newt
lo aveva fatto perché si era reso conto che il tempo non era
dalla nostra e che quando gli altri sarebbero tornati, saremmo stati di
nuovo in fuga…
Trascorsero un paio
d’ore e
mentre il sole iniziava a fare capolino ad est, sentimmo un forte
rumore
provenire da sotto. Ci alzammo in piedi di scatto. I rumori
proseguirono.. sembrava quasi che qualcuno stesse cercando di aprire il
portellone della Berga con la forza.
Newt mi fece cenno di
stare in
silenzio e, una volta rientrati all’interno, ci avvicinammo
alla
parte posteriore del dirigibile. I colpi si erano fatti ancora
più forti e ormai non c'erano dubbi: stavano cercando di
buttare giù la porta.
-
La Wicked
è qui! – sussurrai io spaventata voltandomi verso
Newt
– Ci hanno trovati! –
Lui mi
guardò, sobbalzando nel sentire l’ennesimo colpo.
Poi si riscosse.
-
Vieni! – mi prese per mano e si mise a correre.
Lo seguii senza sapere
dove stesse
andando, fino ad arrivare agli alloggi del capitano dov’era
solito
dormire Jorge. Newt mi condusse in fondo alla cabina, esattamente
davanti ad un muro spoglio. Lì, fece passare una mano sulla
superficie di metallo finchè le sue dita non trovarono una
qualche scanalatura e davanti a noi si aprì una porta.
Dentro non c’era niente, era un rettangolo spoglio adatto per
tre o quattro persone adulte.
-
Entra, forza!- mi disse mentre in lontananza risuonava uno
scalpiccio frettoloso.
-
Newt cosa…? - chiesi.
-
È una
stanza che ha costruito Jorge, non esiste sulle altre Berghe. La porta
si chiude automaticamente e si riapre solo dopo tre ore; da fuori non
è
possibile vederla e la può aprire solo Jorge una volta
chiusa – mi
spiegò velocemente – se stiamo qui non ci
troveranno mai!
– aggiunse.
-
Ok.. - dissi spaventata entrando.
Quando mi voltai, Newt
era ancora all’esterno e mi stava guardando.
-
Ti amo – disse semplicemente.
Mi ci volle qualche
secondo per
interpretare il suo sguardo, che a lui bastò per chiudere la
porta. Un rumore di serrature mi disse che era stata bloccata.
Incurante di quello che
mi aveva appena detto riguardo quella stanza, mi fiondai contro la
porta cozzando sul metallo.
-
NEWT! – urlai battendo i pugni contro la parete
– NEWT!!! –
La strana cacofonia, e
l’assenza di suoni, mi fece capire che la stanza era
insonorizzata.
Continua a battere
contro la porta
finchè le mani non diventarono livide e il dolore
lancinante.
Allora barcollai all’indietro fino a finire contro
l’angolo
opposto.
Lì, mi lasciai scivolare al suolo, rannicchiandomi su me
stessa completamente annientata.
Newt aveva deciso di
andarsene… da solo.
Stanza
delle mappe:
In questo
capitolo mi sono
presa delle libertà, come per la stanza segreta ideata da
Jorge
o per la terrazza esterna. Avevo bisogno di un motivo che spingesse
Carys a dividersi da Newt, visto e considerato che quest'ultimo sarebbe
dovuto arrivare nella zona degli spaccati. Ovviamente la ragazza non lo
avrebbe mai lasciato e quindi ho optato per un abbandono più
drastico. Posso affermare che questo sarà l'inizio del
declino... ma come finirà la loro storia?
Grazie a tutti coloro
che continuano a seguirmi, a chi mi ha recensita e a chi mi ha inserita
tra le storie preferite (Mikoto_Suo), ricordate e seguite (Alishemmings).
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 34 *** 34.Odio ***
34.Odio
34. Odio
Per la prima volta nella mia vita desiderai di star vivendo l'ennesimo
test per la mappatura del cervello. Era troppo brutto, troppo orribile,
concepire che fosse tutto vero, tutto reale. Newt si era fatto portare
via dalla Wicked e non mi aveva permesso di seguirlo… mi
aveva
lasciata sola, per proteggermi da quello che sarebbe diventato in un
futuro non troppo distante.
Se solo gli avessi parlato... se solo gli avessi raccontato tutto
subito! Ho sperato troppo e non dovevo.
I miei pensieri vennero interrotti dal cigolio della serratura in
apertura. Non erano passate nemmeno due ore da quando ero stata chiusa
lì dentro, ma non alzai la testa per vedere chi stesse
entrando.
Non poteva essere Newt e questo mi bastava perché tutto il
resto
perdesse importanza. La mia stessa esistenza era giunta ad un punto
morto. Avevo fatto tutto quello per niente…
-
El? –
La voce di Thomas, alla
quale si aggiunsero subito dopo quelle di Minho, Brenda e Jorge, mi
chiamò.
Io non risposi. Non lo
feci nemmeno
quando il ragazzo si inginocchio vicino a me chiedendomi cosa fosse
successo, se stessi bene. Minho si infuriò quando proseguii
nel
mio silenzio e Brenda lo redarguì, consigliando a tutti
quanti
di lasciarmi in pace.
La mano di Thomas abbandonò la mia spalla e restai di nuovo
sola. Dopo che se ne furono andati tutti, alzai la testa e guardai
verso la porta aperta.
L’immagina di Newt fermo davanti ad essa mentre mi diceva che
mi
amava, si fece spazio nella mia mente. Mi mancò il fiato
tanto
era vivida.
Non volevo più uscire.. non volevo più fare
niente.
“Brava, resta
qui e lascialo morire”
Era da un po’
che la voce non mi infastidiva, ma per la prima volta la accolsi senza
quasi rendermene conto.
-
Non lo sto lasciando morire – risposi a voce alta.
“No, certo.
Quello lo sta facendo l’eruzione in effetti.. Tu lo stai
più semplicemente lasciando solo.”
-
Chi sei?! Esci dalla mia testa! – esclamai,
portandomi le mani sulle orecchie.
“Tu lo sai
chi sono El…
Lo vuoi un consiglio? Resta pure qui finchè non torneranno e
poi
uccidili tutti!”
A quelle parole,
l’odio per la
Wicked si riaccese in me travolgendomi. Quasi la voce avesse
schiacciato in me un interruttore.
Mi alzai e raggiunsi gli altri. Li trovai tutti seduti a fissare un
pezzo di carta appoggiato su un tavolino. Quando lo presi tra le mani
sapevo di avere tutti gli occhi puntati su di me. Probabilmente si
aspettavano che dessi di matto com’era già
successo. Su
quel pezzettino di carta c’erano poche righe lasciate da Newt
in
cui diceva addio.
Riappoggiai il messaggio sul tavolo.
-
Andiamo a riprenderci Newt. – dissi
“Non gli
permetterò di morire da solo” pensai.
“Oh El, sei
così altruista” ghignò la voce.
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Capitolo 35 *** 35. Decisione ***
35.
35. Decisione
Leggevo così bene negli occhi di Newt che, a differenza
degli altri,
mi bastò solo mezzo secondo per capire che non sarebbe
tornato con
noi.
Non appena si era
girato
imbracciando il lanciagranate, avevo già capito quale fosse
la
sua decisione. Eppure non ero preparata…
Avevo percorso miglia e
miglia a
piedi, lottato, ucciso, sofferto e sofferto ancora. Ero stata messa
alla prova da tutta la vita, sempre; e niente, niente,
mi aveva
preparato a questo.
Una volta che tutti
fummo d'accordo nel tornare a prendere Newt, Jorge aveva diretto la sua
Berga
verso il palazzo degli Spaccati; una fatiscenze struttura dimenticata
da Dio e sicuramente dal resto dell’umanità.
Lì, ci
avevano accolto un paio di muni che facevano la guardia e dietro la
promessa di un pagamento, prima avevano acconsentito
di chiedere notizie
di Newt e dopo di accompagnarci da lui.
Così avevamo raggiunto
quella che una volta era stato un bowling, ma che adesso fungeva
più da ritrovo e da dormitorio per gli Spaccati.
Da quando la
discussione era
iniziata mi ero come disconnessa, le urla dei miei amici nel tentativo
di far ragionare Newt, mi arrivavano come un brusio indistinto mentre
il
mio cervello cercava una soluzione che non esisteva…
Improvvisamente
scoppiò un tafferuglio e uno Spaccato aggredì
Minho. Fortunatamente non
ci furono conseguenze, tranne che l’uomo si prese un colpo di
lanciagranate da parte di Newt.
-
Vuoi davvero
spararmi vecchio mio? – disse Minho, alzando le mani quando
Newt
indirizzò l'arma verso di lui.
Newt lo
guardò furioso.
-
Ve l’ho detto con le buone, ora ve lo dico con le
cattive.. Andatevene o sparo –
A quel punto mi misi
davanti a Minho.
-
Newt io rest… –
-
No! – mi interruppe senza lasciarmi neppure finire
la frase.
-
Ascoltami, c’è una cosa che devo dirti!
– proseguii ignorandolo.
-
Non c’è niente da dire, tu te ne vai con
loro! – replicò.
Stavo per riaprire
bocca, quando
tutto successe molto velocemente. Uno degli spaccati, che non
so per
quale motivo rantolasse a terra, mi afferrò per un polso
cercando
di tirarmi giù. Io persi
l’equilibrio e caddi a bocconi, cercando di liberarmi dalla
presa. Urlavano tutti.
Riuscii a liberarmi
proprio mentre Newt esplodeva un altro colpo di granata, il
problema fu che lo spaccato mi riafferrò quasi subito.
Quando le scariche di
elettricità esplosero su di lui, io ne rimasi coinvolta.
Il mondo
divenne improvvisamente costellato di lampi di luce, mentre un dolore
sordo e bruciante si propagava dal mio polso. Caddi a terra
pesantemente, non riuscendo più a controllare i muscoli. Le
orecchie mi fischiavano da impazzire, ma ero quasi sicura che Newt
stesse gridando.
Mi sentii trascinare
via e, non
ancora incosciente, cercai di opporre resistenza… dovevo
parlare
con Newt, dovevo restare con lui. Loro non capivano! Ma la mia
volontà non bastò a tenermi sveglia.
Quando riaprii gli
occhi ero ormai
lontana da Newt. Mi alzai sulla solita poltrona della Berga, misi i
piedi a terra e mi guardai attorno.
Brenda si accorse che
ero sveglia e
si premurò di chiedermi se avessi bisogno di qualcosa. Mi
era sempre piaciuta quella ragazza, era sveglia.
Mi costrinsi a dirle di
no e poi mi
alzai. La sensazione fu quella di galleggiare in uno spazio vuoto; ero
talmente intontita da quello che era successo, da non rendermi quasi
conto di camminare. Brenda mi avvisò che eravamo dovuti
scappare
perché un gruppo di spaccati aveva iniziato a darci la
caccia.
Avevano deciso di provare a cercare Gally, ma avremmo discusso dei
dettagli l’indomani. Per ultimo, mi disse che mi avevano
lasciato
qualcosa da mangiare. Io la ringraziai ma non mi avvicinai al cibo,
prendendo invece a vagare per il dirigibile.
Salii le scale a pioli
per
raggiungere il piccolo terrazzo. L’ultimo posto dove ero
riuscita
ad avere un momento tranquillo con Newt; ma quando arrivai la porta era
già
aperta.
Fuori trovai Minho,
seduto con le
gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro intento a guardare il
nulla
davanti a sé.
Io mi sedetti vicino a lui in silenzio.
Davanti a noi
c’era di nuovo
un mare di stelle luminose, ma a me ormai sembravano solo tante
lampadine prive di significato, che richiamavano solo un fugace istante
devastato per sempre. Non mi accorsi di essermi messa a piangere,
finchè
Minho non mi passò un braccio attorno alle spalle e io mi
ritrovai sconquassata dai singhiozzi contro la sua spalla.
Mi dispiacque non poco,
che la prima cosa che ci accomunasse davvero in quel mondo, fosse il
dolore per la perdita di qualcuno.
Stanza
delle mappe:
Buongiorno
a tutti!
Siamo quasi giunti
alla conclusione
di questa storia e perdonatemi gli ultimi capitoli un pò
più brevi. Come finirà l'intera vicenda? Carys
riuscirà a ritrovare Newt e a confessargli ciò
che
doveva? Per sapere tutto questo manca davvero poco!
Ringrazio tutti i
lettori, chi mi ha commentata e chi mi ha aggiunta tra le storie
preferite, seguite e ricordate.
Un
abbraccio,
Marta
|
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Capitolo 36 *** 36. Uccidere ***
36.
36. Uccidere
Passarono altri due giorni, durante i quali non si parlò che
lo
stretto necessario e più nello specifico di come ritrovare
Gally.
Alla fine decidemmo
di entrare di nuovo in città e di recarci
nell’appartamento
dove era stato visto il ragazzo l’ultima volta. Ma questo era il loro
piano... il mio era
completamente diverso. Per me non ci sarebbe stato nessun braccio
destro e nessun tentativo di
capirci qualcosa sugli esperimenti della Wicked.
Io sarei entrata a
Denver con loro e poi sarei sparita. Non mi ero dimenticata della
promessa fatta a Newt e l'avrei mantenuta a qualsiasi costo. Lui non
avrebbe potuto opporsi,
perché mi avrebbe capita…
Era una decisione che
avevo preso
non appena mi ero svegliata sulla Berga. Gli altri non mi
avrebbero mai lasciata andare, ed era per quella ragione che lo avrei
dovuto fare senza dire niente a nessuno di loro.
Ovviamente, le cose
all’apparenza più semplici non lo sono mai, e
avrei dovuto
già essere abituata agli imprevisti... ma, quando finalmente
pronti
all’azione, fummo catturati da tre cacciatori di taglie non
appena
messo piede fuori dalla Berga, un lieve senso di panico mi colse.
Lì per lì fui tentata di scappare, ma non
sarei mai arrivata viva nemmeno alle porte di Denver e poi avrei
messo in pericolo i miei amici. Per quanto amassi Newt non era un
sacrificio che fossi disposta a fare. Avevo ancora la convinzione
che, in
un modo o nell’altro, sarei riuscita a fuggire. E per una
volta
non fui delusa dalle aspettative.
I cacciatori di taglie
ci portarono
in un enorme capannone stipato di gente, lì ritrovammo il
gruppo
B, anche se dimezzato, Teresa e Aris. La cosa che più
mi mise a disagio, fu che non provai nulla nel vederli.
Perché la loro gioia nell’essersi ritrovati, non
mi
toccava
minimamente; a me continuava a mancare l’unica cosa di cui
avessi
bisogno.
La mia occasione, per fortuna,
arrivò presto. Minho e Thomas riuscirono a prendere il
sopravvento, aiutati dagli altri prigionieri, sui cacciatori di taglie,
che non si dimostrarono null’altro che agenti del Braccio
Destro.
Dissero che c’era un piano dietro a quei rapimenti di Muni, e
Thomas li convinse a farsi portare dal loro capo.
Uno degli uomini che
ci aveva aggredito (Lawrence) si candidò per portarci al
quartier generale dell’organizzazione. Avremmo solo dovuto
attraversare la città.
Ottimo.
Thomas era convinto nel
voler
portare solo Brenda, ma quando lo scongiurai di farmi andare con loro,
accettò. Dissi di aver bisogno di tenere la mente lontana da
Newt e lui se la bevve. Mi vergognai di quella bugia,
ma era
necessaria.
Così salutai Minho,
non ero sicura che lo avrei mai rivisto. Non eravamo mai andati molto
d’accordo, ma la perdita di Newt era un punto in comune
più forte delle similitudini caratteriali o degli stessi
gusti.
Forse fu l’unico ad intuire qualcosa sulle mie reali
intenzioni;
mi abbracciò dicendomi di stare attenta, ma dal suo sguardo
sembrava voler dire ben altro…
Il viaggio fu
movimentato fin
dall’inizio. Non appena saliti sul furgone, una spaccata era
saltata sopra il tetto cercando poi di spaccare il parabrezza a mani
nude. Fortunatamente, quando la macchina inchiodò, la donna
cadde
e non provò più ad attaccarci, come se si fosse
resa
conto di essere solo una persona contro quintali di ferro in movimento.
C’erano
diversi gruppi di
spaccati intenti a picchiarsi o a rovistare tra la spazzatura. Dal
retro del furgone cercavo di guardarmi il più possibile in
giro,
nella speranza di vedere tra di loro Newt. Nel frattempo ragionavo su
come scendere dal furgone.. Lawrence andava troppo veloce per poter
abbandonarlo in corsa; avrei dovuto quindi approfittare della prima
occasione.
Che non tardò ad arrivare, per altro.
Non eravamo in movimento da
molto, quando il furgone passò sopra qualcosa che gli rimase
attaccato. Mi proposi di scendere per guardare cosa fosse, ma dovetti
insistere perché il nostro guidatore mi ascoltasse. Quando
però fu chiaro, che non potevamo fare tutta la strada a
quella
velocità e con quel fracasso infernale, decise di fermarsi.
Io aprii il portellone
dietro, dando
un’occhiata che non ci fosse nessuno spaccato nelle vicinanze
e poi
saltai giù. Vidi subito che il problema era un paraurti di
una
macchina, incastrato nel retro del nostro mezzo. Mi ci volle solo
qualche minuto per staccarlo.
-
Ottimo lavoro,
salta su adesso! – disse Lawrence, facendomi segno con il
pollice
dallo specchietto retrovisore.
Io rimasi a fissare
Thomas e Brenda e sorrisi.
-
El spicciati, dobbiamo andare!- mi incalzò il ragazzo.
-
Mi dispiace…- risposi.
Tutti e tre mi
guardarono confusi,
poi io sbattei il portellone e corsi via. Alle mie spalle le urla dei
miei amici mi rincorsero per un pezzo, finchè non le udii
più.
Mi fermai
all’angolo di un
vicolo, con il fiatone e una strana voglia di piangere nonostante che
il
mio piano fosse andato alla perfezione. Respirai profondamente
sistemandomi meglio la pistola nella cintura e poi mi incamminai.
Il cielo si era
oscurato in fretta e
sapevo che non era saggio girare di notte, avrei dovuto cercare una
sistemazione per dormire e solo la mattina mi sarei messa a cercare
Newt.
Proseguii lentamente e
con le orecchie
tese, finchè l’oscurità fu troppa per
distinguere perfino
le sagome. Quando imboccai l’ennesimo vicolo, vidi una scala
antincendio che portava al primo piano di una palazzina tutto sommato
ancora in buone condizioni. Decisi che mi sarei fermata lì.
Ero
quasi arrivata alla scala, quando inciampai su qualcosa steso a terra.
Caddi in avanti proteggendomi con le braccia per attutire la caduta.
L’impatto con l’asfalto fu duro, sentii la pelle
dell’avambraccio riempirsi di graffi. Passato lo stordimento
iniziale, mi girai a pancia in su per prendere fiato, ma qualcosa si
gettò su di me.
Una ragazza pressappoco
della mia
età, mi si era avventata contro con ferocia. Aveva i capelli
corti e lo sguardo iniettato di sangue; un profondo taglio le solcava
la fronte e la pelle distaccatasi, pendeva lasciando intravedere il
bianco dell’osso occipitale.
Riuscii a portarmi un
braccio
davanti alla gola prima che facesse presa sul mio collo, mentre con
l’altra mano mi afferrò i capelli tenendomi
inchiodata al
suolo. Io cercai di raggiungere la pistola che avevo alla cintura e
quando ci riuscii, abbattei il calcio contro la sua tempia. Al primo
colpo non mollò la presa, al secondo vacillò e al
terzo
si ritrasse crollando a terra. Mi rimisi in piedi ansante con il cuore
a mille. La spaccata gemeva a terra e io feci per andarmene, ma
all'improvviso si
riscosse lanciandomisi addosso di nuovo. Mi
schiacciò contrò il muro della casa; nella mia
testa
esplosero una serie di lampi quando colpii la parete con la nuca. Per
quanto io non volessi usare la pistola, gliela puntai addosso e feci
fuoco. La spaccata barcollò all’indietro
accasciandosi al
suolo, mentre una pozza di sangue luccicante si spargeva sul
selciato.
La guardai per un lungo
momento,
prima di sollevare lo sguardo e vedermi riflessa nella vetrina del
negozio davanti. Per un attimo mi spaventai, pensando che vicino a me
ci
fosse un’altra spaccata... e poi capii che ero io.
I capelli
arruffati, il viso sporco di sangue.
L’avambraccio colava rosso e la manica era completamente
strappata, così come i pantaloni. Lo sguardo terrorizzato.
Restai ferma a fissarmi
finchè non scoppiai a ridere. Risi fin quando non ebbi male
ai
muscoli dell’addome. Dio, sembravo davvero una spaccata.
Meglio
così, sarebbe stato più facile attraversare la
città l’indomani. Con un’ultima occhiata
alla
ragazza morta ai miei piedi, raggiunsi la scala antincendio e mi
infilai
nella prima finestra. Mi sistemai nell’appartamento vuoto
controllando che non ci fosse nessuno.
Stranamente mi
addormentai quasi
subito e l’ultima cosa che mi accompagnò nel sonno
fu la
solita voce, che ormai mi era più famigliare di tante altre
cose.
“Congratulazioni! Hai ucciso il tuo primo essere umano. Non
è eccitante?”
Stanza
delle mappe:
Stiamo entrando nel
rush finale, manca poco per vedere la conclusione di questa storia.
Nel frattempo Carys ha
deciso di
abbandonare tutto e tutti per ritrovare Newt, riuscirà nella
sua
impresa? Ma soprattutto, cosa accadrà una vola che lo
avrà trovato? Ha qualcosa di importante da dirgli, che
addirittura potrebbe fargli cambiare idea sul fatto di cacciarla...
Se siete curiosi
dovete solo attendere i prossimi capitoli!
Grazie mille a tutti
voi che continuate a leggere!
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 37 *** 37. Speranza ***
37.Speranza
37. Speranza
Mi svegliai a mattina inoltrata, raccolsi in fretta le poche cose
che
avevo con me e, dopo aver dato un'occhiata che all'esterno tutto fosse
tranquillo, mi misi in strada.
Non c'era ancora molta strada da fare dal luogo
dove mi ero rifugiata al palazzo degli Spaccati. Sapevo per certo che
era un azzardo sperare di trovare Newt ancora lì, ma ne
valeva
il rischio. Per una volta sperai nella fortuna e questa mi
ascoltò.
Mi ero appena
incamminata lungo la
strada principale quando in lontananza vidi un gruppo di spaccati,
chini e
intenti a Dio solo sa cosa. Stavo per prendere un vicolo laterale
per evitarli, quando poco più in là scorsi il
furgone che
ci aveva scortati il giorno prima. Davanti ad esso c'erano un paio di
figure, una delle quali mi era impossibile non riconoscere. Senza
curarmi
minimamente degli altri Spaccati, decisi di correre in quella
direzione.
Thomas e Newt erano uno
di fronte
all'altro e stavano discutendo animatamente. Più mi
avvicinavo e
più i dettagli di facevano nitidi e il mio cuore si serrava
in
una morsa dolorosa.
Newt.
Stentavo a riconoscerlo per il
ragazzo qual’era stato; il viso era scarno e gli occhi
infossati.
Gli abiti gli stavano troppo larghi e i capelli erano arruffati, in
alcuni punti mancavano del tutto. Però era Newt, il mio
Newt. E fu il
primo a notarmi.
Non appena mi vide,
smise di parlare
fissandomi spaventato. Thomas vedendo che il suo amico si era
interrotto bruscamente si girò verso di me.
- El! -
esclamò - Dove ti eri cacciata?!- mi chiese.
Io non gli prestai la
minima attenzione. I miei occhi erano incollati sul ragazzo biondo
davanti a lui.
-
Newt - lo chiamai con affetto.
Come
se al sentire la mia voce si fosse improvvisamente reso conto di me,
Newt fece un paio di passi indietro.
-
Falla andare via Thomas! Non voglio che stia qui, deve andarsene!!
– esclamò.
-
Non la mando da nessuna parte! - replicò Thomas.
-
Fai come ti dico! - urlò rabbioso
Newt.
Non lo avevo mai visto così.
Thomas lo
ignorò voltandosi invece verso di me.
-
El, dammi una mano, Newt vuole che... -
-
Tu lo uccida - lo interruppi prima che finisse la frase e Thomas mi
osservò scioccato - Lo so… l'ho capito
da tempo e
non cercherò di dissuaderlo se è quello che vuoi
chiedermi - replicai con voce sorprendentemente calma.
Thomas mi guardò con occhi ancor più
sgranati,
probabilmente pensava che fossi impazzita anche io. Newt, invece,
assunse
un’aria grata.
-
Ed è per questo che sono qui – aggiunsi,
avvicinandomi a
Newt finchè non gli posai una mano sulla guancia incavata.
Sentii le ossa sporgenti sotto al mio tocco e fu come prendere una
scossa elettrica.
-
Ti scongiurò El, vai via… non resterò
lucido per
molto, potrei aggredirti. - mormorò con voce accorata -
Lascia
che Thomas faccia quel che deve, ma non voglio che tu veda. -
I
suoi occhi
febbricitanti saettavano in giro e ogni tanto si posavano nei miei.
Sotto tutti gli strati che l’Eruzione aveva accumulato in
così breve tempo, c’era ancora consapevolezza in
quello
sguardo.
Il suo non era un capriccio, ma una necessità.
Necessità di andarsene e di proteggermi dal dolore che mi
avrebbe provocato.
-
No Newt, io resto… te l’ho detto: ovunque tu vada
io vengo
con te, e questo caso non fa eccezione – risposi con un
sorriso.
Il
ragazzo rimase a
fissarmi per qualche istante confuso, poi nei suoi occhi si fece
strada la consapevolezza delle mie parole e indietreggiò di
colpo sottraendosi alla mia mano.
-
No! – gridò – Non te lo
lascerò fare! Thomas
portala via!- urlò al suo amico.
-
Non capisco… - sentii rispondere Thomas dietro di me.
-
Vuole morire assieme a me! Portala via!- disse fuori di sé.
-
Newt… - cominciai io, ma lui mi interruppe subito.
-
No! Non saresti dovuta nemmeno entrare nel progetto -
Questa volta fui
io a sorprendermi di constatare che Newt avesse recuperato la memoria
-
Non ti porterò con me, tu non devi morire qui! Tu..
–
Proseguì
così
nella sua arringa, mentre anche Thomas si univa a lui nel dire che non
avrebbe ucciso nessuno dei due.
-
Sono infetta -
Cessarono
di parlare
entrambi all’istante. Restai in silenzio mentre loro
elaboravano ciò che era uscito dalla mia bocca
-
Co..cosa? - domandò Newt con sguardo sperso.
-
Sono infetta Newt e da molto più tempo di te –
dissi con un sorriso triste.
-
Non è possibile! Janson non ha fatto il tuo nome.. nessuno
lo ha
mai detto - replicò lui attonito.
-
Non l’ha fatto perché gliel’ho chiesto
io…
L'unica condizione che ho posto alla Wicked quando mi sono lasciata
portare via, era che non ti dicessero mai che ero infetta - dissi con
una punta di rammarico.
-
Stai mentendo – replicò Newt, scuotendo la testa
con un sorriso spaventato.
-
Non è così... Ho contratto l’eruzione
quando
eravamo bambini. L'unico motivo per il quale sono stata portata alla
Wicked è perchè il virus, a differenza di quello
degli
altri infetti, non si trasmette e cresce ad una velocità
molto
ridotta.. Questo rallentamento non vi fa venire in mente nulla?
–
domandai.
-
Il Nirvana.. - rispose Thomas.
-
Esatto. All’inizio la Wicked cercò di usare il mio
sangue
per trovare una cura parallela a quella della mappatura. Alla fine fu
chiaro che non la si poteva curare, ma solo rallentare.
Così, questo
ritrovato venne venduto come una droga. Mi dissero che dai test avevano
stimato che mi rimanevano 20 anni prima di superare lo stadio
dell’andata e a quel punto mi diedero una scelta: restare e
continuare ad aiutarli, o tornarmene a casa a vivere la mia vita. E io
rimasi
– spiegai guardando Newt – Non avrei mai potuto
abbandonarti lì… Quando fosti mandato nella
Radura con
parte dei test, chiesi che fossi mandata anche io. Li convinsi che
sarei
stata un’ottima variabile, avrebbero potuto monitorare il
cervello di una Spaccata spinta fino a situazione estreme e
ricavarci dei
dati. Loro accettarono e il resto lo sapete – conclusi.
Newt mi
guardava con lo stesso sguardo perso di prima.
-
Perché? Non mi hai mai detto nulla… mi hai sempre
detto
che eri immune – disse.
-
Perché ti amavo e perché dal momento in
cui ho
saputo quale fosse la mia aspettativa di vita, ho giurato che tutto il
tempo rimastomi lo avrei usato per aiutare te.
Perché
tu potessi avere una chance, perché potessi essere immune..
Per
questo ho
avuto quella reazione esagerata quando hanno detto che non lo eri.
Tutte le mie
speranze erano crollate… per questo non ha senso che io
resti qui, perché se tu muori finisce ogni mia ragione di
vita
– dissi.
-
Hai ancora tanti anni da vivere.. - replicò Newt disperato
con le
lacrime agli occhi.
-
Preferisco morire con te piuttosto che vivere altri 10 anni aspettando
di impazzire in un mondo in cui non ci sei – replicai,
asciugandomi una lacrima scappata lungo la guancia – Newt ti
prego, tu più di tutti dovresti capirlo… non
togliermi
questo – aggiunsi.
In lui
cominciò una
lotta interiore che vidi tutta attraverso il suo sguardo. Stava
valutando ogni ipotesi, vagliando ogni possibilità. Si
portò una mano ai capelli tirandoseli, guardò per
aria,
girò su sé stesso battendo i piedi per terra e
poi si fermò di nuovo davanti a me. Mi guardò e
allargò le braccia.
Un invito
che io accolsi con un sorriso, felice di sentirmi stringere da quelle
braccia tremanti.
-
Non vi ucciderò!! - esclamò Thomas.
-
Fallo, pive codardo che non sei altro! Me lo devi! - gridò
Newt in risposta.
-
Io non posso...-
-
Fallo o ti
uccido con le mie mani! - replicò Newt mentre afferrava
dalla
tasca posteriore dei miei jeans la pistola che mi aveva dato il braccio
destro.
Io mi strinsi di
più a lui.
Speravo che facesse in fretta..
-
Spara maledizione! -
Speravo
che Thomas lo ascoltasse...
- Ho detto
SPARA! -
Sper..
Stanza
delle mappe:
Ed eccoci
qui al penultimo capitolo di questa storia, dove si scopre cosa
è successo nel passato di Carys e cosa l'ha spinta a farsi
inserire nel progetto del Labirinto.
Spero che l'epilogo
della prossima settimana possa chiudere degnamente questa fic.
Ringrazio tutti quanti
i miei lettori e chi mi ha aggiunta tra le preferite, seguite e
ricordate.
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 38 *** 38. Inizio? ***
38. Inizio?
38. Inizio?
Quando aprii gli occhi mi ritrovai sdraiata; sentivo l'odore della
terra umida e
sopra di me non c'era nient'altro che il cielo.
Mi tirai a sedere in un prato, intorno a me boschi e montagne, davanti
a me un grande lago. Sbigottita mi alzai in piedi voltandomi a
sinistra.
In lontananza scorgevo alcuni tetti e molti pennacchi di fumo. Ero a
casa... inspiegabilmente ero a casa mia.
Nella più
totale confusione tornai a guardare il lago, e solo in quel momento
notai una figura ferma sulla sponda.
-
Finalmente ti sei svegliata -
Newt mi
salutava con la mano.
Ed era il vecchio Newt, quello prima di ogni cosa. Con i suoi capelli
biondi, i Jeans rotti e la felpa, un largo sorriso e occhi caldi e
scuri.
Prima di rendermene
conto gli stavo già correndo incontro, e un istante dopo, mi
ritrovavo
tra le sue braccia che mi stringevano.
Newt, ridendo, mi sollevò da terra girando su sè
stesso, per poi riposarmi a terra.
- Co..
cosa sta succedendo? - chiesi attonita.
Lui alzò le
spalle - non ne ho la minima idea... ma a quanto pare siamo a casa -
rispose.
- Ma gli Spaccati? La
Wicked? - lo tempestai - Thomas non ci ha sparato? -
- E' l'ultima cosa che
ricordo anche
io - disse, e un barlume di quella vecchia oscurità si
rifece
viva per un attimo nel suo sguardo - Non so dirti se questo sia un
altro test o meno... - aggiunse.
- E se fosse stato
tutto un test nel nostro cervello? Che queste cose non siano mai
accadute? - proposi io.
Newt scosse la testa
senza sapere cosa dire.
- Ti va di fare due
passi come ai
vecchi tempi? O ai nuovi.. non so bene quali siano - disse, dopo un
attimo di silenzio, con un sorriso sghembo.
Io annuii
mentre lui mi prendeva per mano. Passeggiammo lungo l'ansa del fiume.
Tutto era esattamente
uguale a come
lo avevamo lasciato, con la sola differenza che c'era una strana
tranquillità nell'aria. Non la solita tensione che mi
ricordavo esserci
per la paura dell'Eruzione o delle tempeste di neve o di pioggia.
Era lo stesso mondo seppure totalmente diverso.
Camminammo fino ad un vecchio tronco cavo, lì, Newt si
sedette
divaricando le gambe in modo che io potessi sedermi davanti a lui. Era
stato il nostro rifugio fin da bambini.
- Secondo
te siamo morti? - domandai.
Ci fu
qualche secondo di silenzio e poi entrambi scoppiammo a ridere.
-
Onestamente non lo so proprio - rispose Newt mentre la sua risata mi
vibrava ancora sulla schiena.
Lasciai
che la mia nuca si posasse sulla sua spalla.
- A ben
pensarci non mi importa - commentai.
- Ah no? - chiese lui,
abbassando lo sguardo su di me.
- No... se siamo
insieme. Che questo sia un test, piuttosto che la fine del mondo o il
paradiso, a me basta questo - spiegai.
- Quanto sei sdolcinata
- commentò Newt arricciando il naso.
- E tu sei il solito
antipatico - replicai io facendogli la linguaccia.
Scoppiammo a ridere
tutti e due di nuovo. Poi Newt si chinò verso di me e mi
baciò.
- Dio... Quanto mi era
mancato poterlo fare, così in tranquillità
- sospirò soddisfatto.
- Anche a me.. -
concordai io - Ma adesso che si fa? - chiesi.
- Vista l'ora, direi
che potremmo andare a pranzo - propose, facendo per alzarsi.
- Newt dici che... -
lasciai la frase in sospeso.
Lui mi
guardò dall'alto, porgendomi una mano per aiutarmi ad
alzarmi.
- Di nuovo
non lo so, ma siamo insieme, giusto? - disse mentre io mi rimettevo in
piedi.
- Sì -
risposi con un sorriso.
- E allora del resto
non mi importa - replicò lui, rispondendo al mio sorriso e
strizzandomi l'occhio.
Riprendemmo a camminare
verso casa o verso qualsiasi cosa ci attendesse.
Ormai il brutto era
passato.
C'eravamo solo
più noi; niente Eruzione, niente Wicked, niente test, niente
Labirinto, niente Dolenti o Spaccati.
Solo noi, per sempre.
Fine
Stanza
delle Mappe:
Ed eccoci
giunti alla fine
di questa storia. Ho voluto lasciare un finale aperto, per permettere a
voi di decidere cosa sia successo veramente.
Sono morti? O si sono
semplicemente risvegliati da un lungo sonno imposto? A voi l'ultima
parola.
Ringrazio di cuore
tutte le persone
che dietro agli schermi si sono fermate a leggermi fin qui. E' stato un
piacere "navigare" con voi.
Con
affetto,
Marta
|
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