Demons

di Kano_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buio ***
Capitolo 2: *** 2. Risveglio ***
Capitolo 3: *** 3. Cicerone ***
Capitolo 4: *** 4.Cielo ***
Capitolo 5: *** 5. Preoccupazione ***
Capitolo 6: *** 6. Mutazione ***
Capitolo 7: *** 7.Veglia ***
Capitolo 8: *** 8. Lucciole ***
Capitolo 9: *** 9. Lucciole ***
Capitolo 10: *** 10.Finestra ***
Capitolo 11: *** 11. Assalto ***
Capitolo 12: *** 12. Perdita ***
Capitolo 13: *** 13. Vuoto ***
Capitolo 14: *** 14. Perchè ***
Capitolo 15: *** 15. Solitudine ***
Capitolo 16: *** 16.Muro ***
Capitolo 17: *** 17. Piano ***
Capitolo 18: *** 18. Ritrovarsi ***
Capitolo 19: *** 19. Verità ***
Capitolo 20: *** 20. Tuoni ***
Capitolo 21: *** 21. Voci ***
Capitolo 22: *** 22. Bugiarda ***
Capitolo 23: *** 23.Giuramento ***
Capitolo 24: *** 24.Ira ***
Capitolo 25: *** 25. Rapimento ***
Capitolo 26: *** 26. Porto sicuro(?) ***
Capitolo 27: *** 27. Noi ***
Capitolo 28: *** 28.Sofferenza ***
Capitolo 29: *** 29.Immunità ***
Capitolo 30: *** 30. Ricordi ***
Capitolo 31: *** 31. Rabbia ***
Capitolo 32: *** 32.Capire ***
Capitolo 33: *** 33. Abbandono ***
Capitolo 34: *** 34.Odio ***
Capitolo 35: *** 35. Decisione ***
Capitolo 36: *** 36. Uccidere ***
Capitolo 37: *** 37. Speranza ***
Capitolo 38: *** 38. Inizio? ***



Capitolo 1
*** Buio ***


1. Buio
 Demons

1. Buio

La prima cosa che vidi al mio risveglio fu oscurità: fitta, densa, impenetrabile,

permeata dallo spaesamento. Spaesamento dovuto al fatto di trovarmi seduta scompostamente all’interno di qualcosa; un qualcosa in movimento, a sentire il rumore che produceva. Meccanicamente iniziai a tastare la superficie intorno a me nel tentativo di carpire qualche segno che aprisse uno spiraglio di conoscenza, ma sentendo sotto le dita nient’altro che metallo freddo e graffiato dall’uso.
Lottando contro quella strana stanchezza che continuava ad avvolgere le mie membra, e proseguendo nel sondare lo spazio circostante, mi sforzai di pensare:
Dov’ero? Cosa mi era successo? Che cosa avevo fatto prima di addormentarmi? Chi ero?
Nessuna di queste domande trovò risposta nei miei ricordi, mi sentivo come una lavagna appena cancellata; le scritte si vedono ancora, ma pian piano scompaiono ad ogni passata. L’oscurità, pareva così aver inghiottito anche ogni mio ricordo. 
Il terrore iniziò ad assalirmi, lambendo la mia ragione con nuove ondate di panico che crebbero quando le mie dita sfiorarono qualcosa che non era più di metallo, bensì di carne: un braccio.
Con un grido mi addossai contro quella che ormai era chiaro essere una specie di scatola, o ascensore, o gabbia, o un’infinità di altre cose che tanto non avrebbero avuto alcun senso per me.

-    Fatemi uscire!! - urlai con tutto il fiato che avevo, sentendo la testa farsi di nuovo pesante, il bisogno impellente di dormire, di chiudere gli occhi.

Le mie parole furono ascoltate e con uno stridio di cardini male oliati, il tetto della scatola si aprì. Venni investita da un’inondazione di luce, che mi fece lacrimare gli occhi mentre mi riparavo dietro l’avambraccio. Sulle prime ci fu silenzio, poi un coro di voci concitate mi accolse, seguito da un tonfo secco di qualcosa che si era gettato all’interno della mia prigione. Atterrita e ancora accecata scivolai su di un fianco, finendo per sdraiarmi sul pavimento freddo. Non riuscivo più a stare sveglia. Qualsiasi cosa fosse, poteva avermi. All’improvviso, un paio di scarpe da ginnastica solide ma piuttosto vissute, comparì davanti ai miei occhi. Con fatica alzai il viso fino a far rientrare nel mio campo visivo, non un mostro, un alieno o un pazzo assassino, ma un semplice ragazzo.
Occhi scuri, capelli biondi, un bel viso… per dirla tutta, un viso famigliare.
Il ragazzo si chinò verso di me mettendomi una mano calda sulla spalla.

-    Ehi, tutto bene? -
 
La sua voce me lo rese ancora più conosciuto…
Alzai un braccio tremante e appoggiai il palmo della mano sulla sua guancia.
Un’immagine si era formata nella mia mente, troppo sfocata perché riuscissi a decifrarla, troppo sfuggente perché la potessi afferrare. Ma d’altronde, si possono afferrare i sogni?

-    Tu… - esalai prima di svenire definitivamente.

E il buio l’ebbe vinta ancora una volta.



La stanza delle mappe:

Giorno a todos!
Per non farvi scappare tutti al primo capitolo, sarò breve ^^" (Dannazione... sono una frana con le presentazioni...)
Questa fan fiction è nata mentre leggevo il terzo volume della saga de "Il labirinto" (sì, perchè io l'ho letta quando ancora non si chiamava "Maze runner"), il resto è semplice: la mia fantasia ha messo insieme i pezzi e questo è il risultato.
E' una storia d'amore con protagonista Newt, palesemente voluta, per cui prendetela come viene ^^" anche se sarà mia premura non diventare troppo sdolcinata in modo da mantenermi nel contesto. Il titolo è preso dalla omonima canzone degli Imagine Dragons "Demons" appunto, la scelta è dovuta sia dal fatto che ascoltavo questa canzone mentre ho scritto il primo capitolo  sia perchè secondo me in alcuni passaggi rispecchia Newt.
Vi avverto, i capitoli saranno di lunghezza variabile, per questo motivo ho preferito inserirla come raccolta. Non ripercorrerò infatti tutto l'arco narrativo, ma estrapolerò solo determinate scene riadattandole secondo le mie esigenze.
Per ultimo seguirò prettamente la trama dei libri, solo in alcuni punti prenderò spunto dal film.
Spero davvero possa piacervi quindi ^^
Ora vado a cercare di farmi venire in mente un nome per la protagonista...

Alla prossima,
Marta

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Capitolo 2
*** 2. Risveglio ***


2. Risveglio

2. Risveglio


La seconda volta che mi svegliai ero sempre sdraiata, ma questa volta su qualcosa di molto più morbido del fondo della scatola.

Aprii gli occhi nella penombra di una sorta di capanna rustica fatta in legno. Ero coricata su di un pagliericcio con una grezza coperta a ripararmi dall’eventuale freddo, anche se, a dirla tutta, il clima era piuttosto mite se non addirittura caldo.
Intorno a me c’era un arredamento scarno, fatto più che altro di letti simili al mio e bassi tavolini occupati da bende, barattoli e qualsivoglia rudimentale attrezzo destinato alle cure. Ragionai che probabilmente dovevo trovarmi in un’infermeria.

La stanchezza sembrava essere passata del tutto e mi sentivo piuttosto bene. Forse qualcuno mi aveva curata?
La cosa
che al momento, quindi,  mi attirava maggiormente, era sapere dove fossi finita. Approffittando del fatto che non ci fosse nessuno nel locale mi affrettai ad uscire.
All'esterno il tramonto era prossimo. Il cielo tinto di rosso capeggiava sopra di me e, qua e là, fiaccole accese si apprestavano a rischiarare la notte che sarebbe sopraggiunta da lì a non molto. Ad una prima occhiata sembravo finita in un villaggio di qualche sorta.
La cosa che però mi disturbò, fu l'assenza di rumori.. senza contare che in giro non sembrava esserci nessuno.
Che avessi solo sognato quel vociare e quel ragazzo davanti a me?
La prospettiva di essere realmente da sola in quel luogo sconosciuto, mi gettò nel panico. Camminai per scostarmi dall'edificio che avevo identificato come l'infermeria, finchè non notai in lontananza un folto gruppo di persone. Con cautela decisi di dirigermi verso la loro direzione.
Sulle prime mi sembrò che stessero cercando di cacciare qualcosa e man mano che mi avvicinavo nuovi dettagli prendettero forma.
Erano tutti ragazzi, questa fu la prima cosa che notai. La seconda, è che alcuni di loro erano
effettivamente intenti  a spingere qualcuno...
Quando quel qualcuno iniziò ad urlare in modo disumano, mi arrestai.
Il mio cervello elaborò quello che stavo guardando con lentezza, non tanto perché non mi fosse chiaro, quanto più perché mi appariva mostruoso.
Un gruppo di quegli sconosciuti stava tenendo un’asta in ferro alla cui estremità un cappio era stretto attorno al collo di un ragazzo.
Spingendo tutti assieme lo stavano dirigendo verso l’apertura di un altissimo muro di cemento, che con un possente fragore, tale da far tremare lievemente il terreno, aveva iniziato a chiudersi. Continuarono a spingerlo finchè non fu dall'altra parte della porta e il passaggio non risultò troppo stretto perché riuscisse a passarvi.
L’ultima cosa che sentii fu il suo grido di pure terrore, prima che il muro si serrasse del tutto lasciandolo fuori e inghiottendo l'urlo.

Ero pietrificata…. In che razza di posto ero finita?! Chi diamine erano quei tipi?! E perché avevano compiuto un gesto tanto orribile? E…
La mia mente si bloccò di colpo, sconvolta da una nuova consapevolezza.
Non sapevo chi ero, né da dove venivo. Niente… non mi ricordavo niente.
Ero ancora congelata sul posto ad affrontare quella scoperta, quando una voce ruppe i miei pensieri facendomi focalizzare di nuovo l’ambiente circostante.


-    Ehi, si è svegliata! - esclamò qualcuno.

Si erano accorti della mia presenza.

Vidi un ragazzo ben piazzato dirigersi subito verso di me con un’aria minacciosa, seguito da molti degli altri.
Istintivamente arretrai e, quando furono a non più di una decina di metri da me, mi misi decisamente a correre ignorando le loro grida.

Mentre correvo, con la coda dell'occhio, notai un campo di granturco. Il mio cervello lo catalogò subito come un buon posto dove nascondersi e far perdere le proprie tracce, quindi puntai direttamente lì.
Dietro di me, alcuni ragazzi si erano messi a inseguirmi e stavano ormai guadagnando terreno.
Ero ad un metro circa dall’inizio delle pannocchie quando, esattamente da lì, sbucò una figura contro la quale mi scontrai.

Cercai subito di discostarmi da essa, ma quella non me lo permise...


La stanza delle mappe:

E siamo al secondo capitolo, sempre di transizione ma abbiate pazienza. In realtà ho molto poco da dirvi perchè non è successo nulla, nel vero senso del termine ^^"
Posso solo rassicurarvi che nel prossimo (stimato per il venturo fine settimana) conosceremo qualche dettaglio in più sulla protagonista. Nel frattempo vi lascio ad interrogarvi su chi possa essere la misteriosa figura apparsa dal campo di gran turco... domandona eh? *sarcasmo*

Finisco con il ringraziare tutti coloro che si sono attardati a leggere il primo capitolo ^^

Alla prossima,
Marta

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Capitolo 3
*** 3. Cicerone ***


3.

3. Cicerone



Senza alcuna possibilità di fuga, mi scontrai contro la figura uscita dal folto delle pannocchie. Questa mi afferrò saldamente per i polsi vanificando così ogni mio tentativo di divincolarmi.

-    Ehi, ehi, tranquilla! -


Se non avessi riconosciuto subito il tono di voce, probabilmente avrei attuato quello che stavo pensando, ovvero di assestare un calcio come si deve negli attributi di chi avevo di fronte. Invece di perpetuare il mio piano, mi bloccai sollevando lo sguardo.
Lo stesso ragazzo che avevo visto la prima volta mi squadrava, cercando probabilmente di capire le mie intenzioni.


-    Sei più tranquilla o appena ti lascio mi prendi a calci? – domandò, quasi leggendomi nel pensiero.

Senza rispondergli mi volta indietro, notando che i suoi amici si stavano di nuovo avvicinando.

-    Ah non ti preoccupare per quei rincaspiati, non ti faranno niente. Penso che tu abbia visto una scena poco gradevole per una fagio appena arrivata e che non sa chi è, o cosa ci fa qui, ma prima di prendere posizione in merito
ti prego di lasciarmi spiegare  - disse leggendomi di nuovo nel pensiero – ragazzi lasciate pure, mi occupo io di lei! - gridò poi al loro indirizzo senza aspettare una mia risposta.

Quelli si fermarono e, scuotendo la testa come se non credessero che fosse successo di nuovo un simile episodio, tornarono sui propri passi.
 
-    Posso lasciarti allora? - mi chiese di nuovo il ragazzo che mi stava ancora trattenendo per i polsi.

C’era qualcosa nel suo tranquillo modo di fare di rassicurante... senza contare che non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che mi fosse maledettamente famigliare.
Per cui annuii e lui mollò la presa.


-    Ma sai parlare anche? - domandò, leggermente irritato dal mio prolungato silenzio.
-    Sì.. certo, scusa.. è che... sono un po’ frastornata… - replicai sbattendo le palpebre.
-    È comprensibile.. io sono Newt - si presentò allungandomi una mano dalle dita sottili.
-    Carys - mi presentai di riflesso, stringendogliela e rimanendo di stucco nel constatare di ricordare il mio nome. Solo quello ovviamente...

Anche Newt mi guardò decisamente sorpreso.

-    Non… non dovrei ricordarmelo? - chiesi ancor più confusa di prima.

Lui ritrasse la mano – In realtà sì, ma non così presto... – rispose dubbioso.

-    Anche le altre... -
-    No. E' l’unica cosa che ti ricorderai - mi bloccò lui immediatamente - senti, vieni e sediamoci a parlarne - aggiunse vedendo la mia espressione spaesata.

Mi prese delicatamente una mano tirandomi dietro di lui. Nonostante l’immane confusione che regnava nella mia testa, registrai quasi subito che zoppicava leggermente.
Aveva una fisionomia quanto mai esile, quasi femminile, accentuata dal viso affilato. Però, nella sua stretta di poco prima, avevo percepito qualcosa di molto forte...
Mi era parso che non stesse cercando di calmare soltanto me, ma anche sè stesso. 
Ci avvicinammo così ad una serie di tronchi abbattuti, lì, Newt si sedette, appoggiando la schiena contro uno di essi e invitandomi a fare altrettanto.


-    Preferisci bombardarmi di domande o vuoi che parli io? – chiese prendendo la parola.
-    Meglio se parli tu.. al momento non riesco nemmeno ad organizzare mentalmente quello che vorrei chiederti – risposi sinceramente, strappandogli un sorriso che gli illuminò i tratti del volto.
-    Il luogo in cui ci troviamo viene chiamato Radura. Viviamo qui tutti insieme, lavoriamo, cooperiamo, ci aiutiamo a vicenda etc… Ognuno di noi si è svegliato in quell’ascensore proprio come hai fatto tu e nessuno di noi si ricorda nulla a parte il proprio nome. È cominciato tutto tre anni fa, io sono giunto qui per secondo. Ogni mese la scatola arriva quassù e porta un nuovo membro e dei rifornimenti. Non abbiamo idea di chi caspio ci abbia rinchiuso qui dentro o del perché. Siamo confinati in questa radura e basta. – spiegò sinteticamente, e dal tono che usò per raccontarlo, fui certa che non fosse la prima volta che faceva da cicerone ai nuovi arrivati.
-    Hai detto "confinati", giusto? – domandai elaborando le informazioni appena ricevute.
-    Sì - assentì lui, poi con l’indice fece un gesto circolare per indicare la Radura – tutto questo è delimitato dalle mura del Labirinto
-    Labirinto? – se prima qualcosa poteva essermi chiaro, adesso non lo era più.
-    La Radura è protetta da spesse mura di cemento, di giorno restano aperti dei passaggi che danno su un intricato labirinto. Da quando siamo qui un gruppo di ragazzi, detti Velocisti, si addentra all’interno per esplorarlo e trovare una via di fuga... sempre che esista ovviamente.  – mi informò.
-    Ma cosa diamine siamo? Topi da laboratorio?! – esclamai frustrata non trovando un senso a tutto quello che mi era stato detto.
Per tutta risposta Newt alzò le spalle – per quanto ne sappiamo potrebbe essere –

Irritata dalla sua calma, mi passai le mani sul viso inspirando profondamente.

-    Quel ragazzo di prima? Perché lo avete trattato così? – domandai a bruciapelo.
-    Si chiamava Ben, era uno dei Velocisti ma… si è ammalato ed è impazzito.. ha cercato di uccidere uno di noi. Abbiamo delle regole in questo posto e se vengono infrante per ognuna c’è una conseguenza.. Ben è stato bandito dalla Radura per quello che ha fatto e lasciato fuori, nel Labirinto – mi spiegò.
-    Però tu mi hai detto che ogni giorno si riaprono le porte.. quel ragazzo non può semplicemente tornare domattina? – chiesi confusa.

Newt restò per un attimo in silenzio fissandosi le dita delle mani intrecciate tra di loro.

-    No… non può - rispose alla fine -  ma per adesso ti risparmio di saperne il motivo – replicò Newt serio e senza alcuna voglia di scherzare o di continuare l’argomento.


Nell’istante in cui calò di nuovo il silenzio tra di noi, tornai a dare un’occhiata intorno a me. Gli altri ragazzi si erano messi ad occuparsi delle proprie mansioni e solo in quel momento, osservandoli, mi accorsi di una cosa che in realtà avevo già notato in precedenza.

-    Ma… siete davvero tutti maschi? – chiesi stupita.
-    Lo eravamo fino a qualche giorno fa, finchè tu e la tua amica non…-
-    Quale amica?! – esclamai sconcertata.

Newt mi guardò – c’era un’altra ragazza, assieme a te, nella scatola. Vi siete svegliate per una manciata di secondi prima di ricadere addormentate. Lei non si è ancora ripresa, la stiamo curando come abbiamo fatto con te – mi disse indicando la struttura da dove ero uscita io.

-    Un’altra ragazza… non ricordo niente… - mormorai aggrottando le sopracciglia.
-    Già, lo immaginavo. In mano aveva un biglietto sul quale c’era scritto che voi eravate le ultime – aggiunse.

"Non basta essermi svegliata in un posto sconosciuto, ora devo anche scoprire che sono arrivata assieme ad un'altra ragazza che non so chi sia. Ma allora.. quel braccio che ho toccato nell'ascensore era il suo... " Mossa dal ricordo rabbrividii impercettibilmente " Qualcuno ci ha spedite qui... ma perchè? Non ci capisco più niente.. E per di più siamo le ultime.. le ultime..."
 

-    Newt - mi risvegliai dai miei pensieri richiamando l'attezione del ragazzo, rimasto in silenzio probabilmente per permettermi di ragionare - Ma se noi siamo le ultime… hai appena detto che con i nuovi arrivati venivate riforniti di provviste.. se non ce ne saranno altri… - lasciai la frase in sospeso, la faccia cupa di Newt raccontava già tutto.
-    Per quanto mi riguarda la tua amica potrebbe anche chiamarsi catastrofe – esalò con tono sprezzante.
-    Teresa non è mia amica! Nemmeno la co... – replicai bloccandomi a metà della frase.

Io e Newt ci guardammo.

-    Hai appena detto che si chiama Teresa? – domandò lui sorpreso.
-    Io… non.. non so chi sia.. conosco il suo nome, ma non so chi lei sia..- risposi tenendomi la testa con una mano – mi sembra di scoppiare, cosa sta succedendo?- mormorai.
-    Ehi, stai tranquilla – mi rassicurò Newt appoggiandomi una mano sul braccio – si risolverà tutto. Da quando è arrivato Thomas le cose stanno cambiando, pare che lui si ricordi di com’erano le cose prima. E adesso siete arrivate voi due fagio, qualcosa si muove. Magari è l’occasione giusta per uscire di qui – disse con tono rassicurante.

Nonostante tutto alle sue parole mi sentii davvero più sicura. Quel ragazzo riusciva a trasmettermi una sensazione di tranquillità quasi innaturale e più lo guardavo, più mi sembrava che la sua faccia non fosse nuova per me.

-    Ti sei incantata? –

La sua voce mi riscosse dai miei pensieri e mi accorsi di starlo davvero fissando.

-    Scusami! – mi affrettai a dirgli sentendomi arrossire.
-    Nessun problema, devi ancora metabolizzare tutto, è normale – replicò lui con un sorriso – ora scusami, ma devo andare a controllare la situazione. Resti qui? – aggiunse alzandosi da terra e spazzolandosi i pantaloni dalla polvere.
-    Sì.. penso di aver bisogno di stare un po’ da sola – risposi sorridendogli per fargli capire che avevo comunque apprezzato la sua compagnia.
-    Ok allora. A dopo – assentì lui allontanandosi.
-    Newt! – lo fermai.

Il ragazzo si voltò, inarcando le sopracciglia per esortarmi a parlare.

-    Hai detto che le porte del labirinto si chiudono alla sera… lo fanno per lasciare fuori qualcosa, vero? È per questo che Ben non tornerà domattina – domandai.
-    Sì, ed è per questo che la prima regola, qui, è di non entrare in quella splof di Labirinto – rispose.

Io per tutta risposta feci un cenno col capo e mentre guardavo la sua figura allontanarsi, pensai che l’unica cosa di famigliare e di non confuso in mezzo a tutto quel groviglio di avvenimenti, era un ragazzo che non avevo mai conosciuto.


La stanza delle mappe:

Buon pomeriggio a Todos!
Dopo molte riflessioni e un buon numero di siti visitati, ho scelto il nome della protagonista! E se ve lo state chiedendo, no, non appartiene a nessuna scienziata di nessun tipo ^^"
Mi sembrava troppo forzato volerle mettere il nome di qualche luminare di cui io, personalmente, so bene poco.. così ho preferito sceglierne uno con un significato che mi piacesse ed è uscito Carys, che in Gallese significa "amare".
Passando a parlare di Newt vi prometto che farò tutto il possibile per mantenerlo nel personaggio originale, per adesso litigo ancora con i termini dei Radurai (nel senso che mi devo ricordare di inserirli ogni tanto nella parlata).. questo perchè, anche leggendo libro, avevo fatto una fatica immane ad abituarmici ^^"
Sperando che la storia sia di vostro gradimento, vi saluto e rinnovo il nostro incontro a venerdì prossimo!

Con affetto,
Marta

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Capitolo 4
*** 4.Cielo ***


4.
4. Cielo


Dopo essermi presa del tempo per meditare sul mucchio di informazioni che Newt mi aveva passato, mi ero
lentamente incamminata  verso il grande falò che era stato allestito nel mezzo dell’accampamento. Il sole era ormai definitivamente calato e il cielo si era tinto di blu intenso.
Non appena fui a portata di vista, sull’intero gruppo riunito attorno al fuoco calò il silenzio. Titubante mi avvicinai a tutti quei ragazzi senza sapere cosa dire, e alla fine, fu di nuovo Newt a tirarmi fuori dall’imbarazzo presentandomi ai suoi compagni.
Passato un primo momento di spaesamento, venni bombardata dalle più svariate domande, finchè Alby (il capo dei Radurai) non intimò loro di chiudere il becco e di non confondermi ulteriormente le idee. Quando sentii parlare il ragazzo per la prima volta, non mi stupì che lo avessero scelto come leader; aveva davvero un talento naturale.
Successivamente mi vennero presentati alcuni degli Intendenti, ovvero i capi di ogni sezione di lavoratori. Conobbi così Minho, Intendente dei Velocisti dei quali mi aveva già parlato Newt, Frypan dei Cuochi, Winston degli Squartatori, e Zart degli Scavatori. Finito il veloce giro di presentazioni, Alby mi accompagnò in giro per la radura facendomi vedere le diverse aree in cui era divisa.
Dopo aver conosciuto anche Thomas, il ragazzo che Newt mi aveva detto ricordarsi del "prima", mi portarono a vedere Teresa.
Nonostante io mi ricordassi il suo nome, niente in lei mi suscitava il benché minimo ricordo e nemmeno la famigliarità che era scaturita subito con Newt…
Gally, il ragazzo corpulento che mi si era fatto incontro per primo, nonchè Intendente dei Costruttori, sostenne a gran voce di non credere a ciò che affermavo.
Secondo lui, se ero stata mandata lì con lei era perché la conoscevo; io continuai a dire ciò che sapevo, o meglio... ciò che non sapevo, e alla fine con un grugnito di frustrazione (e qualche parola di minaccia da parte di Alby e Newt) anche lui lasciò perdere.
Alla fine, Alby mi consiglio di godermi la festa, concludendo che l’indomani avremmo pensato a trovarmi un'occupazione tra le varie attività giornaliere degli abitanti della Radura.
In tutta onestà feci una gran fatica a concentrarmi su quei discorsi... Man mano che il tempo passava, era cresciuto in me un senso di oppressione.. mi sentivo come un uccello chiuso in gabbia e la mole di informazioni passatemi, poi, contribuì solo a stordirmi ulteriormente.
Quando non riuscii più a tollerare quella sensazione, abbandonai il gruppo, e lasciatami alle spalle la luce delle torce mi addentrai nell’ombra.
Mi diressi a passo spedito verso la torretta di guardia, una costruzione di assi che si inerpicava lungo un vecchio albero morto. Salii rapida la scala a pioli arrivando così in cima.
Lì, mi appoggiai al parapetto in legno e osservai la Radura dall'alto. Anche se ormai era calata la notte, riuscivo a vedere distintamente il profilo dei muri che circondavano la Radura e che la separavano dal Labirinto. Quella vista fece crollare quella poca speranza che ancora conservavo e il senso di oppressione crebbe nuovamente. La consapevolezza di sapere che in qualsiasi direzione mi fossi diretta sarei comunque rimasta prigioniera era scioccante... 
Mi lasciai scivolare fino a terra, incapace di guardare quella gabbia di cemento un minuto di più. Mi mancava l’aria.
Finii per sdraiarmi sulla piattaforma di legno a guardare il cielo. Era trapuntato da una miriade di stelle e, anche se non ricordavo nulla, ero quasi certa di non aver mai visto un tale spettacolo nella mia vita, ma allo stesso tempo, ero certa che avessi fissato il cielo molto a lungo in passato.
Forse il mio corpo aveva cercato l’unica cosa in grado di farmi sentire ancora libera...
Rimasi distesa, respirando piano e fissando il cielo, finchè non persi completamente coscienza di dove fossi.

La riacquistai solo quando una voce non mi richiamò al presente.


-    Allora è qui che ti sei rintanata –

Voltando la testa di lato vidi il viso di Newt spuntare dalla botola che conduceva alle scale.

-    Mi spiace aver abbandonato la festa, ma avevo bisogno di vedere con i miei occhi... - mi scusai.
-    Di vedere cosa? – domandò lui emergendo completamente dal pavimento.
-    Le mura - risposi
-    E il verdetto? –
-    Mi fanno sentire prigioniera. Ho dovuto smettere di guardarle per non rischiare di sentirmi male… - dissi con un sospiro.

Anche Newt sospirò prima di sdraiarsi accanto a me.

-    A tanti fagio ha dato la stessa sensazione, ad alcuni si è quasi rincaspiato il cervello per davvero - disse - Quindi è per questo che sei stesa qui? Hai rischiato di svenire? –
-    No… è per il cielo – replicai, avvertendo il calore della pelle del suo braccio a poca distanza dal mio.
-    Il cielo? - chiese stupito.
-    Guardalo. Non c’è niente a limitarlo… non ti fa sentire immensamente libero? – spiegai voltando la testa verso di lui.

Vidi il suo profilo scrutare la volta e i suoi lineamenti distendersi.

-    Sei proprio strana – sentenziò lui, sorridendo e girandosi a fissarmi.
-    Come complimento non è male.. molto meglio di catastrofe in effetti – risi e lui con me.
-    Adesso stai meglio? – mi domandò dopo un attimo.

Io corrugai la fronte prima di rispondergli.

-    Starei bene solo se mi dimenticassi di tutto questo… se potessi anche solo per un istante staccare la mente da ciò che vedo... - sospirai frustrata.
-    Mi dispiace che tu ti senta così.. se c’è qualcosa che posso fare…- replicò Newt.
-    La tua presenza è già abbastanza  – lo rassicurai.

Poi, per non so quale gesto folle, gli afferrai la mano che sostava accanto alla mia.
Chiusi le dita intorno al suo palmo avvertendo di riflesso serrarsi anche le sue.
Restammo in silenzio a guardare il cielo, ognuno immerso nei propri pensieri, finchè non fu lui a parlare.


-    Meglio se torniamo all’accampamento – disse.
-    Mh mh – assentii io.

Newt si alzò, continuando a tenermi la mano per aiutarmi ad alzarmi. Quando fu in piedi la lasciò, accingendosi a scendere dalle scale.

-    Carys, sicura di non ricordarti proprio nulla del "prima"? – domandò, fermandosi improvvisamente.

Io lo guardai di rimando leggermente stupita.

-    No, perché? –
-    Quando abbiamo aperto la scatola e io sono sceso dentro a vedere chi ci fosse… tu mi hai guardato per un momento.. e ho avuto la strana sensazione che mi riconoscessi – spiegò.

Vidi nei suoi occhi la curiosità e la speranza che io sapessi qualcosa sul suo conto, ma dovetti mio malgrado scuotere la testa.

-    Non so chi tu sia Newt.. ho solo una vaga sensazione a riguardo che non so proprio spiegarmi… - ammisi.
-    Che tipo di sensazione? – s'informò.

Restai un attimo a guardarlo, mentre quella strana emozione faceva di nuovo capolino in me.

-    La sensazione che io sia qui esclusivamente per te - dissi.

Newt non replicò, aggrottò solo le sopracciglia prima di riprendere a scendere le scale.
Con una punta di soddisfazione, però, notai che era leggermente arrossito.


Stanza delle Mappe:

Vi ho già detto che è una Newt x Nuovo personaggio vero? xD
No, a parte gli scherzi, tutte le interazioni tra Carys e gli altri protagonisti verranno scritte in forma descrittiva e in sintesi, come all'inizio del capitolo. Tutto il resto sarà composto o da momenti di introspezione, o da dialoghi e scene con Newt. Questo per dirvi che è una Newt centric e che praticamente tutti gli altri non avranno un ruolo attivo nella storia.
Quindi spero che fosse quello che volevate leggere!
Ringrazio tutti quelli che si sono attardati a leggere e in particolare Hikaru_angelic e Isis_Ithil_Morwen per avermi aggiunta tra le seguite.

A presto,
Marta

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Capitolo 5
*** 5. Preoccupazione ***


5.
5. Preoccupazione


La mattina successiva, contrariamente a quanto mi aspettassi, venne a prendermi Newt. Mi disse che Alby era uscito nel labirinto con Minho e che in sua assenza, il comando passava a lui. Non mi stupii granchè di scoprire che lui era il vice, gli sguardi che avevano gli altri ragazzi quando lui diceva qualcosa, erano più che eloquenti. Quando però mi avvisò dell’assenza di Alby, un lampo di preoccupazione gli oscurò il viso...

-    Allora? Cosa ti piacerebbe fare? – mi interrogò mentre uscivamo dalla mensa dove Frypan ci aveva appena servito la colazione.
-    Non pensavo di aver diritto di scelta... - risposi io rammentando la lezione impartitami il giorno precedente.
-    Non credo che qualcuno storcerà il naso se faccio scegliere un’attività all’unica fagio femmina della Radura – replicò lui con una scrollata di spalle.
-    Non so di nuovo se prenderlo come un complimento o meno... - dissi io.
-    Allora, scegli o no? – chiese lui spazientito.
-    Cosa mi consigli? – ribattei con un sorriso.

Avevo già capito che fargli perdere la pazienza mi divertiva da matti, cosa che andò ad alimentare quel senso di familiarità. Avrei quasi detto di averlo preso in giro a questo modo da sempre.


-    Beh.. di sicuro eviterei di farti fare la Spalatrice o l’Insaccatrice – rispose, dandomi una lunga occhiata da capo a piedi – non mi sembri molto prestante – aggiunse con un ghigno.

-    Sei una testa di sploff – sbuffai io dandogli una spinta con la spalla.
-    Impari in fretta – notò lui, riferendosi al gergo della Radura.
Io feci spallucce – devo inserirmi – risposi semplicemente.

-    Che ne dici allora della cucina? – propose, indicando con il pollice dietro di sé verso la mensa dalla quale eravamo appena usciti.

Io gli lanciai un’occhiata eloquente. Anche se ero donna non per forza la cucina doveva essere il mio posto!

-    Ok ok! - esclamò sconsolato alzando le mani in segno di resa – caspio che ragazza difficile! Che ne dici di provare con gli Scavatori? Si occupano... -
-    Dell’orto, lo so – lo anticipai io – sì, potrebbe essere un’idea – concordai.

Stare all'aria aperta mi rendeva già più allettante l'idea di dovermi abituare a stare chiusa lì dentro.

Newt allora mi fece un sorriso, poi si inchinò e con la testa mi indicò un gruppo di ragazzi già intenti a lavorare.


-    Molto spiritoso – replicai io dirigendomi verso di loro, mentre Newt si metteva a ridere.

A quando pareva, quel giorno non ero l’unica novellina a provare a lavorare con Zart; l’Intendente degli Scavatori. Anche Thomas infatti era stato destinato a quel ruolo.
Ci mettemmo a chiacchierare del più e del meno, finchè il fiato venne a mancare e la schiena a dolere.
Thomas era un ragazzo simpatico, un pò ingenuo a volte nei suoi ragionamenti, ma con cui mi trovavo bene a discorrere.
All'ora del pranzo staccammo, dirigendoci verso la mensa. Durante la mattinata avevo visto Newt passare più volte dall’orto a dare un’occhiata, o meglio, a controllare che nessuno dei ragazzi mi stesse dando fastidio. Un pensiero del tutto normale, considerato il fatto di essere l’unica ragazza (sveglia) che circolasse per la radura dall’inizio dei tempi.
Una volta recuperata la mia razione di cibo mi misi alla ricerca di Newt.
Lo trovai seduto ad un tavolo solitario in uno stato di estrema tensione. Aveva lo sguardo perso e si mangiava le unghie con voracità. Non si accorse di me, finchè non mi sedetti esattamente davanti a lui.


-    Com’è andata? – mi chiese distratto, ma si capiva perfettamente che era solo una domanda di cortesia.
-    Bene.. ma non sono convinta che sia il mio lavoro… - risposi.

Newt fece appena un cenno con la testa, prima di tornare nel suo stato di apprensione.
Mi stavo arrovellando il cervello alla ricerca di un modo non troppo diretto per chiedergli cosa gli stesse succedendo, quando Thomas e Chuck mi tolsero dall’impiccio facendosi sentire da Newt mentre si ponevano la mia stessa domanda.
Alla fine si scoprii che a preoccupare Newt, era il ritardo di Minho e Alby ancora nel Labirinto.
Ritardo che proseguì per tutto il pomeriggio, finchè,
ormai  quasi sera, gli altri Velocisti tornarono.. tutti tranne Alby e Minho.
Io avevo impiegato le ore pomeridiane ancora nell’orto, ma ero stata distratta per tutto il tempo. Per lo più ero preoccupata per Newt... andava da una porta all’altra in preda ad un’agitazione così profonda, da essere quasi palpabile e chiunque gli si avvicinasse veniva rimandato indietro in malo modo.
Non sapevo perché, ma ero sicura che avesse bisogno di un momento per sé stesso. Ero convinta che cercare di calmarlo ora, sarebbe stato un pessimo tentativo.

Quando spedì tutti quanti a mangiare senza deroghe, io presi la mia razione dall’ormai "mastro chef" Frypan, e mi diressi verso Newt seduto davanti alla porta occidentale.
Senza dire una parola mi misi vicino a lui, incrociando le gambe per poter appoggiare più comodamente il vassoio.

-    Avevo detto ai ragazzi di andare a mangiare, te compresa, anche se sei una ragazza in questo caso – borbottò senza staccare gli occhi dalla porta.
-    Hai detto di andare a mangiare, ma non hai precisato dove – replicai addentando un pezzo di pane dolce.

Newt non replicò, era troppo agitato perfino per una delle sue frecciatine in risposta.

-    E poi non potevo lasciarti qui da solo... – aggiunsi quando deglutii il boccone.
-    Perché? – domandò lui concedendomi finalmente uno sguardo.
-    Perché mi fa male vederti in questo stato – risposi con semplicità, portandomi il bicchiere d'acqua alle labbra.
-    Fa come credi… - replicò lui.

Non mi offesi per quella risposta, in una situazione del genere reputai che fosse del tutto normale.

-    Torneranno.. - dissi soltanto appoggiando la mia spalla contro la sua.

Newt non rispose e non si ritrasse.

Appena dopo aver finito la cena, venimmo raggiunti anche da Thomas e Chuck, entrambi in pensiero sia per il loro vice, che per la sorte degli altri due ragazzi. Thomas, agitato e non abituato alle regole della Radura, cominciò a insistere nel voler mandare un paio di squadre a cercarli, finchè Newt non andò in collera. Fu impressionante vederlo arrabbiarsi; nonostante il suo comportamento solitamente tranquillo, si incendiò all’istante, per poi calmarsi altrettanto rapidamente.
Anche Thomas capì che quell’ira improvvisa era tutta frustrazione e preoccupazione. Vedere gli occhi di Newt farsi lucidi e il suo sguardo desolato fu per me terribile.
Sapere di non poter fare niente, anche peggio…
Le speranze, intanto, si assottigliarono con lo scorrere del tempo e il calare inesorabile del sole. Alla fine, quando Newt voltò le spalle alla porta che iniziava a chiudersi per tornare verso il casolare, evitò apposta di incrociare il mio sguardo.
Contrariamente al mio desiderio, non lo seguii, restando a fissare assieme a Thomas la chiusura dell'uscita.
Quando ormai fu certo che era inutile continuare ad aspettare, Thomas cacciò un urlo improvviso, indicando un paio di figure che ci si stavano facendo incontro al di là delle mura. Minho e Alby, a rilento e zoppicando, stavano arrivando.. ma era chiaro che non sarebbero mai passati in tempo.
Vidi Thomas vicino a me tentennare sul posto, nel suo sguardo potevo leggere chiaro il desiderio ardente di corrergli incontro.
Sentii Newt urlargli di stare fermo mentre correva zoppicando verso di noi.


-    Rys fermalo! - gridò al mio indirizzo.
 
Thomas mi guardò.

-    Vai – gli dissi e lui partì di corsa, proprio un attimo prima che fosse impossibile uscire da lì.

Quando Newt arrivò, le immense pareti di pietra si erano già richiuse.

-    Perché non lo hai fermato? – mi aggredì.

Io non risposi e Newt ruggendo esasperato, si allontanò di nuovo rispondendo malamente agli altri Radurai che gli chiedevano cosa fosse accaduto.
Non sapendo cosa fare, rimasi seduta davanti alla porta mentre la notte si infittiva. Stupidamente, forse, speravo di vedere magicamente riaprirsi la porta e di vedere Alby, Minho e Thomas in perfetta salute fare il loro ingresso nella Radura.
Quando trovai insostenibile restare lì a chiedermi se avessi fatto bene o no a lasciare andare Thomas, mi diressi verso la solita torretta di guardia, decisa a starmene per i fatti miei. Solo che il mio nascondiglio era già occupato...
Quando sbucai con la testa dalla scala, gli occhi neri di Newt mi sorpresero.

-    Scusami..- dissi, ricordandomi il tono furente con il quale mi si era rivolto poco tempo prima.

Feci per tornare sui miei passi ma la sua voce mi bloccò.

-    Resta se vuoi, non mi dai fastidio… - disse

Io allora mi andai a sedere vicino a lui, appoggiandomi con la schiena contro il bordo di legno della torretta.

-    Mi spiace di averti urlato contro prima… è... è una situazione di sploff, ma caspio se anche tu hai la testa dura! – disse.
-    Mi avevi detto di fermare Thomas e non l’ho fatto, è giusto che tu ti sia arrabbiato – replicai io intrecciando le dita tra loro.
-    Sapevo che quel fagio non mi avrebbe dato retta maledizione! Così ne abbiamo persi tre stanotte - disse frustrato.
-    Cosa c’è in quel labirinto quando fa buio? – domandai.

Prima di rispondere, Newt sospirò profondamente e si passò una mano tra i capelli biondi.

-    Li chiamiamo Dolenti.. sono dei mostri, a metà tra un essere vivente simile ad una lumaca e ad una macchina. Hanno protuberanze metalliche piene di ogni sorta di arnese pericoloso, tipo lame e spuntoni. Hanno anche delle siringhe con le quali ti iniettano un veleno... - spiegò in soldoni.
-    Un veleno? - esclamai scioccata.
-    Sì, ti fa venire una sorta di febbre... l’abbiamo chiamata Mutazione.. chi ci manda le scorte ci procura anche l’antidoto, ma durante la Mutazione si soffre terribilmente e si arriva ad uno stato febbrile.. quando passa non ci si riprende mai del tutto – disse con sguardo serio e triste al tempo stesso.
-    È quello che è successo a Ben vero? – dissi

Newt annuì. 

-    Ho fatto male a lasciarlo andare secondo te? – chiesi titubante.
-    Nessuno è mai sopravvissuto lì dentro… - rispose Newt.  

Restai qualche momento in silenzio in preda a mille dubbi, osservando il ragazzo massaggiarsi distrattamente la caviglia destra; quella che lo faceva zoppicare

-    Se vuoi saperlo sì… - disse all'improvviso.

-    Cosa? – domandai senza capire, poi vidi che guardava anche lui la sua caviglia.
-    È stato per un Dolente se zoppico… ero nel labirinto con Alby quando ci hanno attaccato un paio di mesi fa e sono rimasto ferito. È stato lui a riportarmi qui sano e salvo – rispose alla mia domanda inespressa.

Newt tornò a guardare di fronte a sé la Radura illuminata dalle torce e il via vai dei Radurai ancora svegli.

-    Ci tieni molto ad Alby… - la mia non era una domanda ma una constatazione.
-    Già… - rispose lui.

Lasciai scivolare la testa sulla sua spalla e dopo un attimo anche quella di Newt si posò sulla mia.
Restammo in silenzio a guardare la porta occidentale finchè il cielo non si rischiarò.




La stanza delle mappe:

Ed eccoci qui con il quinto capitolo!  Del quale, come al solito, ho poco da dire ^^" Spero solo che il personaggio di Carys, inteso come personalità, vi stia piacendo. Il particolare di non aver mai fatto menzione del suo aspetto fisico è del tutto voluto, preferisco che ognuno se la immagini come preferisce. Sarei molto curiosa di sapere come ve la siete immaginata in effetti ^^
Grazie a tutti i lettori che mi seguono, a Baddbblood per aver recensito lo scorso capitolo e a Kat_A2 per averla aggiunta tra le seguite.

Alla prossima,
Marta


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Capitolo 6
*** 6. Mutazione ***


5. Mutazione
6. Mutazione


Il giorno dopo, all’alba, non ci fu nemmeno bisogno che i Velocisti partissero alla ricerca dei dispersi, perché Minho e Thomas comparvero in fondo al corridoio della porta occidentale trascinandosi dietro Alby. Immediatamente tutti i Radurai si mossero  per aiutare i loro compagni e,
nonostante il mio desiderio di unirmi a loro, Newt mi impose di rimanere all’interno della Radura mentre loro si addentravano nel Labirinto.
In questo caso non protestai, limitandomi a fare quando mi aveva detto e rimanendo quindi buona ad aspettare. Lo feci non tanto perché me lo avesse ordinato lui, quanto più perché mi sembrava che la cosa lo risollevasse un po’ da tutta la preoccupazione che gli era franata addosso.

Quando finalmente vidi entrare nella radura Minho e Thomas, gli andai incontro. Entrambi riportavano brutte abrasioni, qualche taglio e alcune contusione, ma erano vivi ed era quello l'importante.
Li seguii all’interno del Casolare e, mentre un paio di Medicali si occupavano per primo dell'Intendente, io mi avvicinai a Thomas per chiedergli cosa fosse successo nottetempo. Così il ragazzo mi raccontò le vicissitudini di cui erano stati protagonisti, di come erano riusciti a nascondere Alby svenuto in mezzo ad una parete di edera e di come erano scappati poi ai Dolenti. Thomas mi descrisse quella creatura pressappoco allo stesso modo di Newt, e in entrambi i casi, mi venne spontaneo desiderare di non trovarmene mai uno davanti...  
Mentre  ascoltavo il ragazzo raccontare della loro fuga, quasi non mi accorsi di aver afferrato nel frattempo gli strumenti medici posati sul tavolo lì vicino e di stargli applicando unguenti e bende.


-    Da quando sei una Medicale? –

Sia io che Thomas trasalimmo nel sentire la voce improvvisa di Newt. Io feci scattare lo sguardo da lui alle bende che avevo in mano e poi alzai le spalle.

-    Non te lo so dire… mi è venuto spontaneo… - dissi.

Newt si limitò a sospirare, ordinando a Thomas di andarsi a riposare non appena avessi finito di curarlo.

-    Come sta Alby?  – m'informai non appena il ragazzo se ne fu andato lasciandomi da sola con Newt.
-    Possiamo dire che è ancora vivo… - rispose Newt con tono lugubre.
-    C'è qualche problema? – chiesi preoccupata. 
-    È stato punto da un Dolente.. inizierà la mutazione tra poco…- disse e senza aggiungere altro si allontanò.

Se non mi rendevo ancora conto di cosa volesse dire intraprendere la Mutazione, lo scoprii qualche ora più tardi, quando le urla di Alby riempirono il Casolare. Riuscii a sentirle distintamente nonostante in quel preciso momento fossi in mensa.
Mi precipitai subito in infermeria, trovandoci l’Intendente dei Medicali e Newt. Su uno dei tanti lettini che componevano l'arredamento della stanza, Alby si dimenava senza controllo,  gridando come un ossesso mentre i ragazzi cercavano di farlo stare fermo. Al contrario di quello che mi sarei aspettata, riuscii a mantenere il sangue freddo e la mente lucida.


-    Dov’è il siero? – urlai per sovrastare il rumore.
-    Là! - urlò Jeff, indicandomi con un cenno del capo uno scaffale.

Individuai subito una fialetta piena di liquido blu con sopra riportata la dicitura WCKD e mi affrettai a prenderla.

-    Pensi di riuscire ad iniettargliela? – mi chiese Newt mentre ricacciava Alby sul lettino per l'ennesima volta.
-    Certo – risposi io senza alcun barlume di indecisione.

Afferrai una siringa sterile e infilai l’ago dentro il boccettino, tirai lo stantuffo aspirando il liquido e poi lo premetti appena per togliere l’eventuale aria all’interno.
"Gesti usuali, niente di strano" mi ritrovai a pensare.

-    Tenetelo fermo – mi rivolsi ai due ragazzi, ai quali nel frattempo si erano aggiunte un altro paio di braccia.
-    Più facile a dirsi che a farsi caspio! – replicò Newt affannato.

Finalmente riuscirono a bloccare Alby abbastanza da permettermi di infilargli l’ago nella vena sporgete dell’interno gomito. Spinsi lo stantuffo fino in fondo con rapidità. Il capo dei Radurai ebbe ancora un paio di spasmi prima di ricadere
inerte sul lettino.

-    Sbrigatevi, prendete delle funi! – esclamò Jeff un secondo dopo.
-    Come delle funi? – chiesi confusa a Newt.
-    Penserai mica che se ne resterà così tranquillo fino alla fine? – replicò lui sarcastico mentre aiutava gli altri ragazzi a legare Alby al letto.
-    Lo speravo... forse... – replicai confusa appoggiando una mano sulla fronte del malato. Scottava.
-    Qui ci pensiamo noi, per adesso tu va a riposarti  e niente "ma" -

Così Newt mi spinse letteralmente fuori dalla porta prima che potessi controbattere. Controvoglia mi diressi quindi fuori dal casolare.
Non appena fui a metà strada dagli alloggi, le urla di Alby tornarono a levarsi più alte di prima.



Stanza delle mappe:

Chi si aspettava che Carys avesse affinità con i medicali? La scelta è stata frutto di stagioni su stagioni di Grey's anatomy? No, l'ho scelta a caso quando ho scritto il capitolo!
Mentre lo buttavo giù ho trovato che fosse una buona occasione per introdurlo quasi come se fosse una cosa naturale.  Questa sua affinità farà parte del suo passato?
Eh no, questo non ve lo svelo u.u Comunque non vi preoccupate che i momenti con Newt torneranno ;) solo che non posso proprio eliminare tutto il resto xD
Detto questo passo a ringraziare i miei fedeli lettori che ancora non si sono lasciati scoraggiare dalla sottoscritta, chi mi ha recensita Hikaru_angelic in particolar modo e chi mi ha aggiunta tra le preferite,seguite e ricordate. Thanks to all of you!

A presto,
Marta

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Capitolo 7
*** 7.Veglia ***


7.
7. Veglia


Era incessante... a pomeriggio inoltrato Alby urlava ancora come se lo stessero torturando senza sosta.
Come mi aveva intimato Newt, restai lontana dal Casolare.. almeno finchè non venni a sapere da Chuck che l'interessato, per vegliare l'amico, non si era ancora riposato nemmeno un secondo. Quando entrai nella stanza di Alby, il ragazzo biondo era seduto su una sedia con la testa tra le mani. Gli posai una mano sulla spalla e lui sobbalzò.

-    Che ci fai qui? – esclamò contrariato con occhi cerchiati dalla stanchezza.
-    Vatti a riposare – gli intimai.
-    Non sei tu il capo qui, fagio –
-    Newt, non ho la benchè minima intenzione di battibeccare con te, quindi vai a riposarti. Sto io con Alby, credo di essere portata per fare la Medicale – insistei con un sorriso e un tono che non ammetteva repliche. 

Senza aspettare risposta andai a prendermi un’altra sedia e mi misi di fianco al malato. Newt mi guardò ancora per qualche istante, poi scuotendo la testa se ne andò.
Scoprii di essermi offerta spontaneamente ad un supplizio ben peggiore di quello che potessi immaginare.
Alby si contorceva senza tregua, inarcando la schiena fin dove gli era possibile; così tanto, che in certi momenti temetti che gli si spezzasse la colonna vertebrale.
Le corde avevano lasciato profondi segni rossi laddove lo stringevano, e le vene gonfie pulsavano ad un ritmo incessante. Gli occhi del ragazzo saettavano in giro, senza posarsi su niente in particolare. Ogni tanto gridava frasi sconnesse che, a parte lasciarmi raggelata, non mi dicevano nulla.

Ogni mio tentativo di distrarmi da quella agonia non portava risultati...
Erano passate appena tre ore dall'inizio della mia assistenza, quando Newt tornò, e in quel preciso istante Alby ammutolì, smettendo di agitarsi.

Io balzai in piedi, controllandogli la reazione pupillare e auscultandogli il battito cardiaco dal polso.

-    Sembra essersi calmato – dissi a Newt e a Jeff arrivato nel frattempo.
-    È così per tutti.. dovrebbe dormire qualche giorno e poi svegliarsi – spiegò il ragazzo biondo.
-    Mh... - assentii io, posandogli una mano sulla fronte e sentendola ancora bollente – avete della melissa e della salvia? – domandai.

Entrambi i ragazzi mi fissarono stupiti.


-    Fargli un infuso lo aiuterebbe per la febbre. Temo che somministrargli altri farmaci non migliorerebbe la situazione, il suo corpo è già allo stremo così com'è – spiegai.

Il silenzio proseguì finchè l’Intendente dei Medicali non disse a Newt che sarei stata un ottimo acquisto per la sua squadra. Newt si limitò a rispondere che avrebbe preso in considerazione la cosa e così lasciammo Alby alle cure di Jeff.

-    Come sai tutte quelle cose mediche? – domandò Newt mentre attraversavamo la radura.

Alla luce delle torce il suo viso appariva ancora più spossato.

-    Non lo so… le conosco e basta credo…- risposi leggermente confusa anche io.
-    Bene così – replicò Newt con un alzata di spalle proseguendo dritto davanti a sè.

Io a quel punto lo afferrai per un braccio costringendolo a fermarsi.

-    Che c’è? - domandò lui leggermente seccato.
-    Newt, Alby sta bene… ok? – gli dissi.

Quella sua continua preoccupazione stampata in volto mi rendeva piuttosto nervosa.


-    Non… - cominciò per poi interrompersi subito e sospirare – non penso che sarà mai più quello di prima, nessuno lo è stato dopo la Mutazione. Quello che ricordano li spaventa più di tutto il resto.. - confessò il suo timore con voce flebile e stanca.

-    Non posso dirti se sarà il vecchio Alby o uno nuovo. Però è vivo; questo deve pur contare qualcosa.. no? – controbattei io.
-    Lo spero…- rispose lui – domani ho indetto un'Adunanza con gli Intendenti per decidere se punire Thomas per aver infranto le regole o meno. Ci vediamo. – aggiunse proseguendo per la sua strada.

Io sospirai. Speravo ardentemente che non prendessero decisioni del caspio. Non sapevo perché, ma la consapevolezza che fossero tutti maschi non mi faceva stare tranquilla.

L
a mattina seguente, visto che erano tutti all’Adunanza, io raggiunsi il Casolare.
Diedi un’occhiata a Teresa, che non dava segni di ripresa alcuna e continuava a dormire, poi andai nella stanza di Alby. Uno dei medicali gli stava facendo bere un po’ dell’infuso che gli avevo detto io, dicendomi che la febbre gli sembrava calata dalla sera prima. Confortata da quella notizia, mi sedetti di nuovo al capezzale del capo dei Radurai. Lo avevano sciolto dalle funi che lo inchiodavano al letto e i segni rossi erano quasi scomparsi dalla sua pelle. Con un panno bagnato cominciai a pulirgli il viso.

Tutte quelle azioni continuavano a sembrarmi famigliari, come se fossero state fatte molte altre volte. L’ambiente medico mi era famigliare tanto quanto lo era inspiegabilmente Newt. Sentivo di avere un legame profondo con quel ragazzo e ogni volta che lo vedevo o che stavo in sua compagnia, il mio cuore si risollevava un po’ da quella situazione assurda. Se però la cosa fosse reciproca, non mi era dato di saperlo. Non mi aveva mai rivelato di provare la stessa cosa per me in realtà...
Se mi…


-    Thomas –

Quel sussurro roco mi strappò dai miei pensieri. Proveniva da Alby.
Quando stupita mi chinai per sentire meglio, il ragazzo si animò improvvisamente, spalancando gli occhi e afferrandomi saldamente per un polso.


-    Thomas! Devo parlare con Thomas! – gridò fuori di sé.

Ogni mio tentativo di calmarlo fu vano, Alby proseguiva nel chiedere di Thomas e non accennava a lasciarmi andare, strattonandomi a più riprese.
Dissi al Medicale che era con me, di correre a chiamare l’interessato prima che il mio polso venisse compromesso del tutto.

Nel frattempo Alby tornò a coricarsi, richiudendo gli occhi ma sempre tenendomi stretto il braccio, che ormai mi faceva piuttosto male. Per fortuna Thomas non tardò ad arrivare e con lui Newt. Non appena Alby li vide, grazie al cielo mi mollò. Io indietreggiai massaggiandomi il polso.


-    Tutto bene? – domandò Newt, io annuii e lui fisso il polso arrossato che tenevo tra le dita – vai da Frypan e fatti dare qualcosa di freddo da metterci su – mi consigliò – poi ti raggiungo – aggiunse vedendo che non mi muovevo.

Convinta da quelle ultime parole li lasciai. Alla mensa prelevai un panetto di ghiaccio e mi sedetti ad uno dei tavoli aspettando che Newt si palesasse come mi aveva detto. Lo fece, ma molto più tardi di quanto pensassi e sembrandomi ancora più stanco di prima.

-    Cos’è successo? – gli chiesi con una punta di ansia.
-    Alby ha cercato di soffocarsi con le sue stesse mani – rispose, prendendo a mangiare con lentezza dal piatto che si era portato al tavolo.
-    Cosa?! - esclamai.
-    Sta bene fagio, non c’è da agitarsi tanto – ribattè lui sventolando la forchetta con fare fintamente disinteressato, in realtà si vedeva lontano un miglio che la cosa lo aveva turbato profondamente.
-    Com’è successo? – lo incalzai.
-    Non lo so.. lui dice che una forza si è impossessata di lui mentre parlava con Thomas – spiegò masticando un boccone di pasta.

Quella notizia mi mise parecchio in allarme.

-    E con Thomas com’è finita? – gli chiesi, ansiosa di cambiare discorso riferendomi all'Adunanza.
-    Minho lo ha candidato come Intendente dei Velocisti al suo posto – mi informò.
-    Sono sicura che sia stata una decisione controversa –
-    Puoi dirlo forte… come se tutta questa sploff di situazione generale non bastasse già a creare casini – replicò Newt stancamente.
-    Quindi? –
-    Quindi il pive si farà una giornata in Gattabuia e domani andrà nel Labirinto con Minho – concluse Newt.
-    Gally l’avrà presa benissimo.. – commentai sarcastica conoscendo le idee del ragazzo su noi "nuovi venuti".
-    Così bene da minacciarlo di morte e andarsene – rispose Newt scuotendo la testa - su una cosa però ha ragione. Sta cambiando tutto e molto in fretta anche… -

Non seppi dire se quella verità mi facesse piacere o meno.



Stanza delle mappe:

Sfortunatamente sono molto di fretta; per fortuna avevo già preparato il capitolo ieri!
Ringrazio vivamente tutti i lettori in continua crescita, chi mi ha recensito e chi mi ha inserita tra le storie preferite,seguite,ricordate.
Scusate davvero se non mi fermo più a lungo.

A presto,
Marta

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Capitolo 8
*** 8. Lucciole ***


8.
8. Lucciole


Il giorno seguente tornai nel Casolare per dare una mano ai Medicali.
Jeff mi spiegò come usare le medicine che gli venivano fornite regolarmente dalla scatola, o meglio, che fino a quel momento gli erano state fornite.
Mi fece vedere dove erano riposti i kit di emergenza e quali aghi usare per ricucire le ferite in base alla loro profondità. Dal canto mio, cercai di attingere alle mie spontanee conoscenze riguardo la medicina. A quanto pareva, sapevo molto sulle erbe e sui loro usi, cosa che si rivelò molto utile grazie alle coltivazioni della Radura.
Con i Medicali mi trovavo a mio agio, erano tutti ragazzi tranquilli e per niente avversi ad avere una ragazza tra di loro.
Non vidi Newt praticamente per tutto il giorno, nemmeno in mensa; Alby invece, se n’era andato di prima mattina per riprendere il suo ruolo di capo. Dovetti mio malgrado ammettere che c’era davvero qualcosa di diverso nel suo sguardo, anche se per il resto sembrava lo stesso di sempre.

Verso sera uscii a prendere una boccata d'aria e passeggiai per un po’ nella Radura. Mi fermai  vicino al laghetto a ridosso del bosco e lì mi sedetti sulla sponda, a pensare.
Il mio cervello, alla continua ricerca di un "perchè", non si fermava mai. Mi sentivo quasi consumata da tutti quei pensieri vorticosi che
incessantemente mi si affacciavano alla mente.  Il fatto, poi, che ogni ora che passava succedesse qualcosa di nuovo non aiutava di certo...
Per esempio ero venuta a sapere che Gally si era addentrato nel Labirinto ed era sparito. Le porte ormai erano in procinto di chiudersi, ma di lui nessuna traccia.
Quel ragazzo mi aveva sempre messo a disagio, ma di sicuro non gli auguravo di finire in pasto ai Dolenti. Thomas invece era stato portato in Gattabuia quel mattino, ma la sua punizione era quasi volta al termine. Alby era passato poco fa dirigendosi, appunto, verso la prigione. Quando mi aveva salutata, improvvisamente mi era venuto in mente quello che Newt mi aveva detto essergli successo. Come avesse detto di essere stato controllato da qualcosa…
A quel pensiero rabbrividii istintivamente.


-    Hai freddo? –

Sorpresa alzai lo sguardo, andando ad incrociare gli occhi scuri di Newt.

-    No, non era un brivido di freddo – risposi, senza riuscire a nascondere la preoccupazione.
-    Ehi, che ti succede? – mi domandò indovinando il mio stato d'animo e inginocchiandosi sui talloni.
-    Stavo pensando a quello che ha detto Alby riguardo all’essere controllato – dissi nervosamente.
-    Quindi? –
-    Stavo pensando… e se chiunque ci abbia messo qui ci stesse controllando sul serio? – dissi spiegando il mio pensiero.
-    Com’è che ti vengono queste belle idee di sploff? – ribattè lui sconcertato.
-    Non lo so!- esclamai io prendendomi la testa tra le mani – è che il mio cervello non riesce a smettere di pensare! Si aggiungono sempre più problemi e vorrei dare a ciascuno una soluzione, ma non ci riesco – dissi sconfortata – vorrei potermi scordare di tutto questo anche solo per un secondo – aggiunsi, per poi mettermi a ridere.
-    E adesso cosa c’è? – chiese stupito Newt.
-    Sembro una di quelli che voi chiamereste fagio piagnoni – dissi.

Newt rimase a guardarmi dondolandosi per un attimo sui talloni.

-    Vieni con me, devo farti vedere una cosa – esordì di punto in bianco senza darmi la possibilità di replicare e dirigendosi verso sud.
-    Ehi aspetta!- esclamai affrettandomi a seguirlo.

Ci addentrammo in un campo di erba alta fin sopra la testa, seguendo uno stretto sentiero che sbucò in un piccolo spazio circolare dove l’erba era stata piegata a terra. Guardando il cielo scuro pensai che Thomas e Minho sarebbero stati di ritorno a breve. Sperai che fossero riusciti a trovare Gally; poi mi rivolsi a Newt fermo vicino a me.

-    Perché mi hai portato qui? - domandai curiosa.
-    Aspetta e vedrai – replicò lui misterioso.

Raccolse da terra una lunga canna e portandosela sopra la testa la fece roteare, passandola sulla cima delle piante intorno a noi. Non appena la punta le toccò facendole ondeggiare, una miriade di puntini luminosi si levò nel cielo e invase lo spiazzo dov’eravamo.
Erano lucciole.
Io le guardai affascinata circondarmi e inondare tutto di una calda luce intermittente. Mi misi a ridere; era uno spettacolo talmente bello da farmi salire le lacrime agli occhi. Newt mi guardava sorridendo roteare
con le braccia spalancate, finchè le lucciole non sparino nel cielo confondendosi con le prime stelle della sera.

-    Oh caspio – dissi con il fiato mozzo asciugandomi gli angoli degli occhi.
-    Ti è piaciuto? - domandò Newt.
-    È stato… incredibile! - esclamai estasiata.
-    Quindi ti sei dimenticata per un attimo dove fossi? –

Fissai interdetta il ragazzo davanti a me. Ora era chiaro… lo aveva fatto per distrarmi, per farmi stare bene.

-    Sì… mi sono dimenticata di tutto – risposi con tono dolce.
-    Ottimo! – replicò lui con un sorriso soddisfatto –  adesso però torniamo indietro; Thomas e Minho dovrebbero già essere qui – disse voltandosi per riprendere il sentiero.
-    Newt? –
-    Sì?-

Mentre il ragazzo si voltava nuovamente verso di me, io lo afferrai per una manica tirandolo più vicino. Mi alzai sulle punte dei piedi, accostai la mia bocca alla sua e lo baciai. Probabilmente, più per la sorpresa che per altro, l’altra sua mano corse alla mia vita stringendola.
Lo baciai una prima volta delicatamente, poi una seconda mentre la sua bocca si schiudeva e la mia mano correva alla sua guancia e infine una terza, profonda volta, dove le sue dita mi accarezzarono il collo.
Poi si staccò; rosso in viso, con il fiatone e le pupille leggermente dilatate. Mi guardò spaesato per un secondo prima di girarsi e incamminarsi.

Io gli andai dietro fiancheggiandolo.

-    Grazie… - mormorai incerta sul da farsi.

Per tutta risposta la mano di Newt trovò la mia, le nostre dita si intrecciarono e la sua presa si intensificò.



Stanza delle mappe:

Premetto, non ho idea se nella radura ci potessero essere delle lucciole, in realtà non mi ricordo nemmeno che fossero citati insetti di qualunque genere... se non erano vere, facciamo finta che fossero meccaniche! Tanto, se hanno inventato i Dolenti e un intero ecosistema possono aver fatto anche delle banali lucciole, no?
E voi mi direte "e chissene frega!" Avete ragione ma volevo puntualizzare ^^"
Chissà che il primo bacio non vi sia piaciuto =) spero di sì! Ditemi che Newt non è andato in OOC vi prego!
E con queste sconclusionate righe vi saluto e ringrazio tutti i miei lettori, recensori, preferitori con particolare menzione a Catnip Carstairs, ricordatari e seguitori!

Alla prossima,
Marta

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Capitolo 9
*** 9. Lucciole ***


9.
9. Soffitto


Quella mattina, quando mi svegliai, ebbi già il presentimento che qualcosa non quadrasse, anche solo per il fatto che nel dormitorio non ci fosse più nessuno.
Due furono le novità ad accogliermi quella mattina: l’assenza dei consueti rifornimenti portati dalla scatola e l’assenza del cielo.
Ebbene sì, al posto della volta celeste rischiarata dalla luce dorata dell’alba, c’era un soffitto completamente grigio. Abbracciava tutta la Radura e diffondeva una luce bianca e asettica. Ammetto che, delle due cose, quest’ultima fu quella che mi sconvolse maggiormente...
L’idea, che perfino il cielo fosse stato tutta un'illusione dei creatori mi metteva una profonda angoscia. Quel grigiume uniforme era innaturale, grottesco, e mi faceva sentire ulteriormente in trappola.
La radura e i suoi abitanti erano in uno stato di agitazione febbrile e nessuno più si dedicava alle proprie mansioni. La prospettiva di restare per davvero senza viveri e senza sostegno, aveva completamente rotto la routine quotidiana di ciascuno.

Io ero subito andata alla ricerca di Newt, riuscendo a scorgerlo solo il tempo necessario per fargli un breve cenno mentre cercava, assieme ad Alby, di tranquillizzare la massa di radurai terrorizzati. Vederlo mi aveva parzialmente rassicurata, ma per parlare con lui sapevo che avrei dovuto pazientare che le acque si calmassero.
Al che non mi rimase altro che dirigermi al Casolare. Lì, ci trovai solo Jeff e come al solito Teresa. L’intendente mi accolse seccato dal fatto che oltre a me non si fosse presentato nessuno. “Solo perché il cielo è scomparso” affermò. Mi offrii quindi di occuparmi io per quel giorno della ragazza, alimentandola con un po’ di zuppa e per il resto restando in silenzio a rimuginare.
Ogni tanto mi affacciavo fuori per vedere come si stesse evolvendo la situazione, ma nonostante il passare delle ore tutto appariva immutato.
A metà pomeriggio Jeff mi mandò via, dicendomi che, visto che nessuno sembrava necessitare di cure, se la sarebbe cavato anche da solo; così lo lasciai e mi diressi alla solita torretta di guardia. Ormai era diventato il mio posto preferito quando avevo bisogno di un attimo per me... e quello era proprio il momento.
Mi sdraiai quindi sulle assi di legno che componevano la piattaforma e rimasi a fissare il soffitto grigio, nella segreta speranza che il cielo azzurro ricomparisse al suo posto. Ovviamente il mio desiderio non fu esaudito...
Le cose stavano cambiando e non esattamente per il meglio a quanto pareva.... Fortunatamente l’unica cosa che il quel momento poteva darmi un po’ di sollievo non tardò ad arrivare.


-    Ero sicuro di trovarti qui – esordì Newt affiancandomi.
-    E io ero sicura che mi avresti trovata – replicai con un sorriso, tirandomi a sedere vicino a lui - Tutto questo caos mi rende nervosa… come se questo non bastasse – risposi indicando con un gesto della mano il soffitto.
-    È un bel mucchio di sploff… niente viveri e niente sole per coltivare. Sembra quasi che ci stiano dicendo che il nostro tempo qui è finito – ribattè lui passandosi una mano sul viso tirato.
-    So di sembrare catastrofica come al solito, ma temo che sia esattamente quello lo scopo. Non riesco a vedere un altro motivo – dissi, grattando con la suola delle scarpe la piattaforma in legno.
-    Se è come dici, allora è una fortuna che Minho e Thomas abbiano trovato qualcosa mentre erano fuori  – replicò Newt.
-    Cosa?! – esclamai io sorpresa.

Il ragazzo annuì – Sono tornati con parecchio ritardo perché hanno seguito un Dolente senza farsi vedere. Hanno raggiunto il punto più esterno, quello che noi chiamiamo Scarpata, ma del Dolente non c’era improvvisamente più traccia.. così hanno scoperto che c’è un buco invisibile dal quale quelle sploff di creature passano per andare e venire dal Labirinto. Una specie di "tana dei Dolenti" – spiegò in soldoni.

-    Una tana dei Dolenti… sembra una cosa molto poco allettante... - commentai io sarcastica.
-    Puoi dirlo forte... – replicò tetro Newt – per la prima volta non so davvero cosa fare… sta accadendo tutto troppo in fretta. Non siamo pronti... eppure ci siamo preparati a questo per anni! – aggiunse frustrato prendendosi la testa tra le mani -  senza contare che Alby non è più lo stesso, sembra ancora più agitato degli altri. Invece di darmi una mano sembra che cerchi solo di remarmi contro, quasi che io non sia altro che un rincaspiato del cavolo! – spiegò.
-    Non credo che lui pensi questo di te... - replicai io, prendendogli la mano che aveva lasciato cadere sul fianco.
-    Gli leggi nel pensiero adesso? – commentò sarcastico mentre intrecciava le sue dita con le mie.
-    No, ma quando si è svegliato dalla Mutazione ha detto una cosa che mi ha lasciato intendere che tenga molto a te – dissi.
-    E cosa ti ha detto? – domandò Newt curioso tirandomi la mano per incitarmi.
-    Mi ha fatto promettere che ti avrei tenuto d’occhio, che ti avrei impedito di buttarti di nuovo giù – spiegai osservando il soffitto – penso che ti conosca molto bene, a quanto pare sapeva già che ti saresti demoralizzato – aggiunsi tornando a guardarlo.

Sul viso di Newt stava scivolando via un’espressione terrorizzata che non capii da cosa essere nata. Alla fine rise scuotendo la testa.

-    Vaffancaspio Alby – mormorò con un ghigno – quindi mi faresti da guardiana adesso? – chiese poi, fissandomi divertito.
-    Una specie… ti da fastidio? – controbattei io con un’alzata di spalle.
-    Direi di no – disse Newt con un mezzo sorriso.

Tra di noi cadde il silenzio e io osservai i Radurai aggirarsi senza sapere bene cosa fare tra un capanno e l’altro.
Alla fine presi coraggio e feci quella domanda che da giorni mi ronzava in testa senza pace.


-    Newt? –
-    Mh? –

Il ragazzo voltò la testa verso di me per guardarmi.

-    Senti.. volevo sapere una cosa.. – esordii impacciata – ti ho già detto che fin dalla prima volta che ti ho visto ho avvertito un senso di famigliarità nei tuoi confronti… ma non ho mai capito se per te è stato lo stesso – dissi trattenendo il fiato senza nemmeno accorgermene.

Newt rimase a fissarmi per un lunghissimo momento, prima di sporgersi verso di me a lasciarmi un leggero bacio sulle labbra.

-    Direi di sì  – rispose.

Sorridendo, un po’ per quello che aveva detto e un po’ perché era arrossito nel farlo, gli appoggiai la testa sul petto mentre lasciavo che le sue braccia mi avvolgessero.
Un porto sicuro in mezzo a tutto quello scompiglio e a quel lugubre cielo plumbeo. Quello era Newt per me.
Mentre il mio sguardo ricadeva sulla porta orientale poco distante da noi, venni colta da un pensiero che mi fece tirare su la testa di scatto.

-    Che succede? – chiese allarmato Newt.
-    Newt… mi hai detto che Minho e Thomas sono tornati vero? In ritardo per giunta.. – dissi.
-    Sì, perché? –
-    Perché le porte non si sono ancora chiuse… - risposi con un brivido di paura.

Non so di quel giorno cosa mi turbò maggiormente, se il blocco delle scorte, il cielo grigio, le porte aperte, o il risveglio di Teresa.



Stanza delle mappe:

Ed ecco a voi il nuovo capitolo!
Non so se si è capito, ma quest'idea di potermi svegliare, un giorno, e trovare al posto del cielo un soffitto grigio cemento, mi manda leggermente in ansia... spero che tramite Carys di avervene fatta provare un pò ;)
Forse qualcuno se lo è chiesto (o magari anche no) ma non sono andata a vedere Scorch Trials; perchè? Perchè non avevo voglia di spendere i soldi per vedere un film di un libro che non è stato ancora scritto, in quanto della trama originale ci sono giusto due cose. Magari più avanti lo visionerò con calma, preparandomi mentalmente a non criticare ogni cosa omessa o ogni dettaglio mandato a pu... ^^"
Per ultimo ho giocato un pò con la frase "
ti avrei impedito di buttarti di nuovo giù", Carys l'ha intesa moralmente, ma Alby ovviamente si riferiva al tentato suicidio di Newt. Thumbs up per il mio arguto piano xD
Per il resto ringrazio tutti i magnifici lettori, le recensiste e in particolare la new entry Catnip Carstairs, tutti coloro che mi hanno inserita tra le preferite, ricordate o seguite.
All the best!

Marta

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Capitolo 10
*** 10.Finestra ***


10.
10. Finestra


La prima volta che vidi Teresa restai amaramente delusa...
Ero andata a trovarla alla Gattabuia, dove Alby e Newt avevano deciso di confinarla dopo che lei stessa aveva ammesso di essere la responsabile degli ultimi eventi. Cielo e porte aperte comprese. 
Rimasi delusa perchè ero andata a vederla con il cuore a mille, e la speranza di riconoscere qualcosa in lei che mi suscitasse anche solo un briciolo della stessa famigliarità che avevo con Newt... e invece niente.
Nemmeno lei disse di avermi riconosciuta, si ricordava di Thomas, ma non di me. Eppure eravamo state mandate assieme dentro la scatola, qualcosa doveva pur significare!
Ma anche del perchè fossimo state trovate assieme, non sapeva dare una spiegazione.... per lei ero una sconosciuta, al pari di uno qualunque degli altri Radurai. 

Frustrata, ero quindi tornata indietro, aggregandomi agli altri ragazzi intenti a trasformare il Casolare in un fortino vero e proprio, con tanto di scorte di viveri e di armi e di sbarramento ad ogni finestra. Alla fine ci ritrovammo tutti stipati dentro l’edificio, con una paura talmente palpabile, da essere quasi presente fisicamente in mezzo a noi. Per quanto mi riguarda, mi era stato dato il permesso di sistemarmi al primo piano assieme a Newt, Minho, Thomas e Alby; prima che quest’ultimo decidesse di andarsene. Quando il capo dei Radurai, ridendo sarcastico, si era rivolto a Newt commentando poco garbatamente l'offerta dell'amico di inoltrarsi con loro nel Labirinto, poco ci mancò che non lo prendessi a pugni.  
In sostanza, come avrebbe detto chiunque sapesse usare il gergo della Radura, era veramente una situazione di sploff!
Quella stessa notte Gally fece ritorno e, completamente sfigurato dalla follia, ci annunciò che i Dolenti avrebbero rapito un Raduraio per sera fino a quando non ne sarebbe rimasto nessuno. Ironia della sorte, fu proprio lui il primo ad essere catturato..
Inoltre, prima che potesse spuntare il sole, vennero anche bruciati tutti i bauli contenenti le mappe disegnate negli anni dai Velocisti, e Alby venne trovato svenuto fuori dalla stanza nella quale erano contenute.

La sera successiva avrei dovuto essere stremata, avevo passato gran parte della giornata a lavorare con Newt e Teresa.
A Thomas era infatti venuta un'idea sulle famose mappe, che a quanto pareva, erano state fortunatamente nascoste prima dell’incendio. Ricalcando i disegni di ogni sezione dalla 1 alla 8 su carta oleata, e quindi impilandole poi una sopra a l’altra, si formavano delle lettere.
Era stato quindi deciso che, mentre i due velocisti sarebbero tornati nel Labirinto, io, Newt e Teresa saremmo rimasti a decifrare il "codice". Dalla mattina fino all'ora del coprifuoco non ci fermammo neppure un momento, tornando al Casolare solo quando ormai era quasi buio.
Mentre tutti i Radurai si sistemavano per la notte, io rimasi sveglia. Guardando tra le fessure delle assi inchiodate, cercavo tracce di un qualche movimento, sperando che appartenesse a Minho e Thomas di ritorno dal Labirinto.


-    Faresti meglio a dormire –

La voce di Newt mi raggiunse dall’unico letto disponibile in quella stanza. Pensavo stesse dormendo da un pezzo, in realtà.

-    Non ci riesco – risposi, girandomi a dargli un’occhiata veloce.

Newt si era voltato verso di me appoggiandosi ad un gomito. Grazie alla fioca luce che filtrava tra le assi, vidi che aveva i capelli scarmigliati e lo sguardo vigile su di me. Entrambe cose che mi fecero partire un brivido non ben identificato lungo la schiena.

-    È inutile che tu stia lì in piedi a fissare fuori. Ti logorerà solo di più i nervi – replicò lui mettendosi a sedere, ma io lo ignorai tornando a guardare nel buio.
-    Ho paura Newt... – mormorai invece, appoggiando la fronte sul legno inchiodato.
-    L’abbiamo tutti. Ognuna di quelle teste di caspio qui dentro ne ha, e per quanto risultasse folle Gally, aveva ragione suppongo.. è normale avere paura che un Dolente possa portarti via – disse.
-    Non ho paura che un Dolente mi porti via – controbattei io.
-    Ah no? E di cosa allora? – domandò Newt con tono confuso.

Sentendo la sua voce più vicina, mi girai per guardarlo in piedi dietro di me.

-    Che portino via te.. non penso che potrei sopportarlo – risposi, tornando poi a voltarmi verso la finestra.
-    Ti vengono proprio delle idee di sploff come al solito... – sospirò lui – quindi, pensi che restare in piedi a fissare nel nulla servirà a salvarmi? – aggiunse.
-    Non lo so… -
-    No, te lo dico io. Anzi, rischi di essere tu quella che verrà presa, se uno di quei caspio di Dolenti decide di attaccare la finestra. Quindi adesso, ti prego.. verresti via da lì? – il tono di Newt voleva essere canzonatorio, ma risultò solo preoccupato. Seriamente preoccupato che potesse avverarsi quello che aveva appena detto.
-    Hai ragione – ammisi alla fine.

Non appena mi girai per andare a dormire, un rumore famigliare mi bloccò. Quel suono umido, appiccicoso, di qualcosa che rotolava sul selciato, mi paralizzò. Tornai a voltarmi verso la finestra. Al piano di sotto cominciarono dei mormorii e qualche urlo soffocato.

-    Vieni via! - sibilò Newt tirandomi per un braccio, ma io non mi mossi, non ci riuscivo.

La paura, mista alla consapevolezza di non poter impedire l'inevitabile, mi aveva paralizzata sul posto.
Sentii Newt imprecare, prima di venire sollevata di peso  e mollata poi sul materasso. Newt mi coprì con il lenzuolo infilandosi anche lui nel letto.

-    Va tutto bene Rys, sono qui – disse poi con tono dolce.

Solo quando le sue braccia mi avvolsero la schiena, mi accorsi di tremare.
Il primo singhiozzo che uscì dalla mia bocca venne attutito dalla stoffa della sua maglietta.
Gli altri, dalle urla dell’ennesimo Raduraio che veniva rapito dai Dolenti... Si chiamava Adam.



Stanza delle mappe:

Il capitolo è corto, lo so.. ma a inizio storia avevo fatto presente che la lunghezza sarebbe variata. Essendo una storia incentrata sulla coppia Newt/Carys e condensando tutto il resto in una semplice descrizione è quasi inevitabile. Mi auguro che i contenuti, seppur brevi, vi abbiano fatto trascorrere 5 minuti di buona lettura.
Ringrazio come di consueto tutti i lettori che aumentano sempre di più con mia somma gioia, le recensiste e chi mi ha aggiunta tra i preferiti (Piccolodivano), seguiti (Gulab) e ricordati (EvePotter14 e Vallery_96)

A presto,
Marta

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Capitolo 11
*** 11. Assalto ***


11.Assalto
11. Assalto


Il giorno seguente concludemmo finalmente il nostro lavoro di trascrizione; anche se il risultato non fu proprio quello sperato...
Fluttua, piglia, sanguina, morte, rigido, premi.
Queste parole non avevano alcun senso per nessuno di noi e non fecero altro che gettarci ancora più nello sconforto. In particolare Thomas. Il ragazzo infatti, a seguito della (non) scoperta, non si fece vedere per tutto il giorno, asserendo di non sentirsi bene e di doversi riposare.
Nel suo comportamento c’era sicuramente qualcosa di strano, qualcosa di più della semplice frustrazione, ma nessuno di noi poteva immaginare il piano che stava progettando, nè tanto meno cosa sarebbe successo da lì a poche ore...
Se fino a quel momento avevo avuto la fortuna di non dovermi mai confrontare con i Dolenti, dovevo immaginare che ci sarebbe stata una prima volta anche per me. 

Quando attaccarono il Casolare, com'è prevedibile, si scatenò il panico. La loro non era più una caccia silenziosa, era un tentativo di dirci "ora basta giocare, si fa sul serio".
Durante l'assalto, Thomas, non si sa bene con quale scopo, corse fuori dall’edificio e io feci il grossolano errore di corrergli dietro per cercare di riportarlo dentro. 
Fu un errore perchè, spinti dal mio esempio e da quello di Thomas, anche altri ragazzi uscirono dal Casolare cercando di scappare Dio solo sa dove.
I Dolenti, che ormai a quel punto erano già in ritirata, attratti probabilmente da quella confusione, ci si fecero nuovamente incontro.
Quando li misi a fuoco, rimasi congelata sul posto. Erano davvero creature grottesche.. delle enormi palle di muco e membrane appiccicose, dalle quali spuntavano ogni sorta di attrezzo metallico dall’aria letale: seghe, coltelli, punteruoli e siringhe.
Ero talmente raccapricciata da quella visione, che  quando uno di essi mi si fece incontro io non mossi un passo per allontanarti, finchè qualcosa non mi strattonò. Voltandomi vidi Newt, più pallido del normale e decisamente arrabbiato.


-    Cosa ti è saltato in mente? – esclamò.

Newt, senza darmi il tempo di proferire parola, si guardò nervosamente attorno prima di mettersi a correre tenendomi per mano.
L'unica cosa certa era che non potevamo tornare indietro.. Intorno a noi l’aria era piena di urla, e con orrore notai i Dolenti avventarsi sui ragazzi in fuga.

Avevo già capito che l’unico modo per sopravvivere a quei mostri era di nascondersi e sperare di non essere trovati; Newt, pensandola come me, si stava infatti dirigendo verso il bosco.
Eravamo quasi arrivati al bordo della foresta, quando da essa, improvvisamente, sbucò fuori un Dolente. Newt non appena lo vide cambiò direzione, ma ormai il mostro ci aveva visti e si era messo al nostro inseguimento.
Non ce la potevamo fare… il Dolente era troppo veloce sia per me che per la gamba di Newt. Probabilmente se ne accorse anche lui, perché si fermò lasciandomi andare e piazzandosi davanti a me.

-    Corri, vattene! - mi gridò.
-    Cosa? - esclamai allibita.
-    Io non posso andare più veloce di così. Mentre lo distraggo tu scappa – mi ordinò mentre il Dolente si faceva sempre più vicino.
-    No! Io non ti lascio! – urlai di rimando.

Newt si girò a guardarmi con un'espressione disperata, ma io scossi la testa.
In quel momento a metà strada tra noi e il nostro inseguitore, un ragazzo  sbucò dal folto andando a sbattere contro quest'ultimo, il quale arrestò la sua corsa per voltarsi verso di lui. Il ragazzo finito a terra, raccolse il macete che gli era scivolato di mano menando fendenti verso il mostro.

-    Andiamo! – esclamò Newt afferrandomi un braccio e mettendosi a correre.

Il ragazzo aveva distratto il Dolente, ma per quanto sarebbe durato? 
Sforzandomi di non voltarmi indietro, seguii Newt. Il ragazzo si diresse verso una catasta di tronchi appena tagliati e legati saldamente tra di loro in attesa di un trasporto che non sarebbe mai avvenuto. Non appena li raggiungemmo si chinò strisciandovi sotto, nello spazio lasciato libero tra l’erba e il legno. Io mi affrettai a seguirlo, ma proprio mentre mi abbassavo per poter passare, un grido straziante mi fece voltare.
Il Dolente aveva atterrato il ragazzo e si stava avventando su di lui con qualsiasi cosa avesse a disposizione; vidi un ampio spruzzo di sangue descrivere un arco nell’aria che fece cessare completamente le urla. Rimasi atterrita a fissare il mostro, non mi ero nemmeno accorta di aver urlato.
Qualcosa più in basso di me mi afferrò il polso tirandomi a terra e in quel momento mi ricordai di Newt.
Strisciai velocemente al suo fianco.


-    Newt.. quel ragazzo… - mormorai con voce rotta.
-    Shhhh – mi ammonì lui.

Lo sferragliare del Dolente si fece sempre più vicino e io presi a tremare incontrollabilmente. Newt mi passò le braccia attorno alla schiena, premendomi più che poteva contro il suo corpo e allontanandomi dall’uscita del nostro nascondiglio.
Io gli artigliai la stoffa della maglietta leggera che aveva addosso, nascondendo il viso nel suo collo. Sentivo il suo respiro sulla testa e il suo cuore battere furioso contro il mio. Il Dolente ormai era a pochi metri da noi; ansimava con un risucchio umido, mentre la zampe metalliche producevano un suono strano a contatto con il suolo erboso. Poi il rumore si fermò. Per un lungo istante non si udì più niente, solo le grida lontane degli altri ragazzi.
Successivamente qualcosa si abbattè  sopra di noi; il colpo mi spaventò a morte e io pigolai terrorizzata capendo che il Dolente si stava arrampicando sull’ammasso di tronchi. Newt si scostò da me quel che bastava per prendermi il viso tra le mani.
Nei suoi occhi c’era l’avvertimento di non fare rumore mentre le mie lacrime gli scivolavano tra le dita. Un altro colpo. Strizzai gli occhi serrando le labbra.
Il pollice che mi accarezzò la guancia mi fece riaprire le palpebre. Newt mi guardava fisso negli occhi, la sua bocca era a un centimetro dalla mia, il suo fiato caldo si infrangeva contro il mio. Ma io ero presa dagli occhi, lì c’era chiaramente scritto di stare calma, che lui era lì con me. Al terzo colpo strinsi la presa sulla sua maglia, restando perfettamente in silenzio e continuando a guardarlo. Poi sopraggiunse un altro grido, questa volta più vicino, e il Dolente finalmente ci lasciò.



Stanza delle mappe:

Il periodo di quiete è finito ed è arrivato il momento di cominciare a correre. Spero che la mia piccola variante degli eventi accaduti all'interno del libro vi sia piaciuto!
Personalmente ho scritto molto volentieri l'ultimo pezzo... chissà come mai.. *faccia da furbetta*
Grazie mille a tutti i lettori, i recensori e a chi mi ha aggiunta tra le preferite, ricordate e seguite (Blurred lines e Gulab)!

A presto,
Marta

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Capitolo 12
*** 12. Perdita ***


12.Perdita
12. Perdita


Prima che osassimo uscire dal nostro nascondiglio passarono diversi interminabili minuti, durante i quali dovetti fare appello a tutto il mio self control per non dare di matto.

Quando finalmente Newt mi fece un cenno di assenso, strisciai fuori. Mi guardai subito intorno per essere certa che non ci fosse nessun Dolente in vista, ma nonostante non ce ne fossero, capii che anche se la nostra zona era tranquilla restavamo comunque sotto attacco.

-    Dobbiamo raggiungere il Casolare – disse Newt affiancandosi a me.

Guardai verso la costruzione in questione. Ci separava un bel tratto di strada allo scoperto prima di poterla raggiungere, ma non esitai.
Questa volta fui io ad afferrare la sua mano.

-    Andiamo – dissi.

Newt mi sorrise brevemente e poi entrambi ci lanciammo in corsa. Continuammo ad andare avanti, anche quando nuove urla si levarono nell'aria intorno a noi.
Quando il Casolare fu in vista vedemmo sulla porta Minho incitarci ad entrare. Non appena lo raggiungemmo, ci buttammo praticamente dentro l’ingresso e una volta che fummo tutti al sicuro l’uscita venne sbarrata. Rimanemmo in silenzio mentre il primo Dolente raggiungeva il nostro nascondiglio e si lanciava contro la porta in legno che grazie al cielo resistette. Restai ferma immobile e posai delicatamente una mano sulla schiena di Newt fermo davanti a me, non so se per dargli sicurezza o riceverne. I radurai rimasti erano tutti addossati alle pareti, nel tentativo di tenersi il più lontano possibile dalle finestre. 
Quando il vetro e le assi inchiodate di una delle finestre vennero fatte letteralmente esplodere le urla di levarono unanime e chiunque avesse in mano un’arma si lanciò contro le zampe del Dolente nel tentativo di farlo retrocedere. Io che ero disarmata, non potei fare altro che ritrarmi affiancandomi a Chuck.
Stavo per dirgli qualcosa di rassicurante sul fatto che fossimo al sicuro, quando, con un urlo, venne trascinato via.  Mi voltai appena in tempo per afferrarlo per un braccio prima che venisse portato via.


-    Aiutatemi! - gridai agli altri.

Teresa e Thomas, che erano i più vicini a noi, mi si affiancarono, afferrando anche loro il povero Chuck. Il Dolente però era troppo forte e sembrava non voler mollare la sua preda. Ogni secondo che passava, guadagnava qualche centimetro che noi perdevamo inesorabilmente. Ero quasi sul punto di cedere, quando la lama di un macete si abbattè con forza sul braccio metallico. L’arma, impugnata da Alby, colpì ripetutamente il mostro, finchè quando fu quasi mozzata, mollò la presa.
Chuck ricadde al suolo e noi venimmo sbalzati all’indietro per il contraccolpo.
Per un breve istante regnò il silenzio, sembrava che i Dolenti si fossero ritirati decidendo di lasciarci in pace. Ma sbagliavamo.... all'improvviso, dalla stessa apertura di prima, sbucò un’altra zampa che afferrò Alby. Il tentativo di Thomas di salvare l’amico fu vano e quando la sua presa cedette, il ragazzo venne portato via.

Restammo tutti impietriti, fermi ai nostri posti senza sapere cosa fare, mentre la consapevolezza della perdita appena subita, si faceva strada in noi come un verme in una mela. Mi voltai a vedere dove fosse Newt, ma non potei decifrarne l’espressione, il suo volto rimaneva in ombra. Fu solo quando dall’esterno non provenne più alcun rumore, che a fatica uscimmo dal Casolare. Altri radurai ci raggiunsero: alcuni feriti, altri senza un graffio ma con una gran paura negli occhi.
Il mio primo pensiero fu andare a cercare gli altri possibili superstiti, ma Frypan mi bloccò facendomi notare che anche io 
avevo bisogno di cure.
Portandomi una mano dietro la schiena, sentii che la maglietta si era lacerata, lasciando la pelle ferita scoperta. Fortunatamente si trattava di una cosa superficiale. Quando ero caduta per salvare Chuck, uno dei vetri a terra doveva avermi tagliato. Così, quando mi fui rimessa in sesto ed ebbi aiutato gli altri a medicarsi, andai a cercare Newt che nel frattempo era sparito.
Lo trovai vicino al laghetto. Era seduto sulla riva, con le gambe distese e le ginocchia flesse sulle quali aveva appoggiato gli  avambracci. In mano aveva un lungo stelo d’erba che spezzettava con rabbia. Quando fui alle sue spalle non si girò. Non potevo dire come si sentisse, ma vidi i suoi pugni serrarsi con forza mentre si piantava le unghie nel palmo della mano. Non avevo parole di conforto da dirgli. Era morto il suo più caro amico. Non c’erano parole per alleviare una sofferenza del genere. Così mi inginocchiai dietro di lui, facendo passare le braccia attorno al suo busto e appoggiando la fronte sulla sua schiena.
Le sue mani corsero alle mie braccia, stringendole, mentre si piegava in avanti e veniva percorso dai singhiozzi di un pianto trattenuto.
Restammo lì, stretti, fino a quando i singulti non si ridussero per poi sparire del tutto. A quel punto lo lasciai andare, sdraiandomi sull’erba in attesa che si ricomponesse. Dopo un istante anche lui si coricò di fianco a me.

-    E adesso cosa facciamo? – mi azzardai a domandare.
-    Non lo so…- rispose lui con voce roca – non riesco a pensare a niente di buono al momento…- aggiunse amareggiato.
-    Siamo vivi Newt. Noi siamo vivi… questo è buono – replicai mentre guardavo i pennacchi di fumo velare il cielo sopra di noi.

Newt a quel punto rotolò su di un fianco finchè non fu a carponi sopra di me e la volta venne oscurata dal suo viso.
Aveva un’espressione strana. Gli occhi erano rossi, il volto tirato, sembrava sul punto di andare in pezzi e allo stesso tempo sembrava più saldo di prima.
Non disse una parola, ma si coricò sopra di me nascondendo il viso nell’incavo del mio collo.
Ad ogni respiro i nostri corpi si sollevavano per poi riadagiarsi. Era una sensazione di completezza in mezzo a tutte quelle vite spezzate.

-    Newt? – lo chiamai, preoccupata dal suo comportamento.
-    Lasciami stare qui un paio di minuti, ti prego – mi pregò lui con voce infinitamente stanca.

Non aggiunsi altro, capendo il suo bisogno e limitandomi ad accarezzargli i capelli biondi della nuca. Newt, nonostante la sua tranquillità, aveva un animo complesso; ogni volta che lo guardavo negli occhi ci leggevo un profondo malessere… come se ci fosse stato qualcosa che continuava
ostinatamente a tormentarlo.
Poi, così come si era coricato si alzò, e senza dire una parola mi offrì una mano per aiutarmi.

Quando fui in piedi e lui fece per girarsi lo trattenni.

-    Newt… non so assolutamente chi o cosa fossi prima, se, come Thomas e Teresa, aiutassi la Wicked, o se sono solo una delle tante cavie come voi. Ma ho una consapevolezza... non so da dove essa arrivi, però.. sono sicura nel poter dire di essere qui per te – spiegai – qualsiasi cosa.. voglio dirti che con me puoi condividere qualsiasi cosa, qualsiasi pensiero, paura, incertezza. Tutto. – conclusi un po’ imbarazzata.

Newt mi squadrò per un momento buono, prima di farmi un sorriso mesto. Avvicinandosi mi scostò un ciuffo di capelli dal viso e poi mi diede un leggero bacio sulla fronte.

-    Lo so – asserì semplicemente.
mente a tormentarlo.

 



Stanza delle mappe:

Bah.... non sono per nulla convinta di questo capitolo e della sua impostazione.. sarà lo stress del lavoro, chissà!
Se non vi piacerà lo capisco perfettamente =/ scusatemi.
Grazie di cuore a tutti i lettori, a chi mi ha lasciato un commento e a chi ha cliccato per inserirmi tra le storie seguite, preferite o ricordate.
All the best!.

Marta

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Capitolo 13
*** 13. Vuoto ***


13. Vuoto
13. Vuoto


Vuota. Mi sentivo completamente vuota.

Molte cose erano successe da quando i Dolenti avevano attaccato la Radura quella notte...
Il giorno successivo, Thomas si era iniettato volontariamente il siero dei Dolenti e aveva passato tre giorni incosciente. Quando si era svegliato, aveva subito chiesto di indire un’adunanza, durante la quale ci disse di ricordare il motivo per il quale fossimo lì e che dovevamo assolutamente lasciare la Radura una volta per tutte.
La maggior parte di noi si trovò d’accordo nell'abbandonare quel posto e così i preparativi si erano svolti in fretta. Armi alle mani, quaranta di noi si erano inoltrati nel Labirinto. Non avrei mai immaginato che potesse essere così intricato e ammirai ancora di più il lavoro svolto dai Velocisti nel corso degli anni.
Andò quasi tutto liscio, o almeno finchè non arrivammo alla Scarpata. Lì, fummo obbligati a combattere contro i Dolenti, del tutto intenzionati a non lasciarci passare. Alla fine, non senza vittime, riuscimmo ad avere la meglio e ad entrate nella loro tana. Scoprimmo che le parole  apparentemente senza senso trovate nello schema del Labirinto, non erano altro la chiave per aprire l’uscita. Imboccammo così una serie di corridoi illuminati da lampade alogene, fino a raggiungere una sala piena di monitor e computer. Ad aspettarci c'era una donna, una scienziata, che ci spiegò esattamente le stesse identiche cose che aveva detto di ricordarsi Thomas.
Tutti noi eravamo stati monitorati, valutati. Fin dall'inizio. L'organizzazione dietro tutto questo e di cui lei faceva le veci, si chiamava Wickd, e noi eravamo il frutto di un esperimento. I più intelligenti tra di noi erano stati mandati lì in tenera età e cresciuti nei loro laboratori.
Nonostante io non avessi ricordi della mia infanzia, mi pareva impossibile che avessi vissuto tutta la vita dentro un ecosistema progettato e controllato da adulti.
Doveva esserci più di questo....
Ma questo fu solo l'inizio del disastro...  Non appena la scienziata smise di parlare, le cose precipitarono molto in fretta. Decisi ad andarcene da quel posto, senza curarci del perchè o per come fossimo stati scelti, ci apprestammo ad uscire, e fu in quel momento che Gally ricomparve... 
Completamente fuori di sè ci si parò davanti, estraendo una pistola e puntandola contro Thomas, ritenendolo il colpevole di tutto quello che era successo.
Quella scena la rivedo ancora con molta chiarezza: le accuse di Gally, le suppliche dei ragazzi volte a farlo ragionare, il dito che preme il grilletto, il boato dello sparo, Chuck che si lancia verso Thomas e viene colpito, il sangue che schizza sul monitor lì vicino e Thomas che si scaglia contro Gally pestandolo a morte.
Non avevo mai visto tanta violenza tutta in una volta.
A fermare Thomas fu solo l'entrata in scena di un commando armato, che, fatta irruzione nella sala, uccise la donna della Wckd e ci portò via. Una volta fuori, la pioggia torrenziale che ci accolse mi impedì di capire che cosa ci fosse intorno a me e l’istante dopo fui caricata su di un pulmino ammaccato. Quando salii non mi restò altro che trascinarmi stordita per il corridoio costeggiato di sedili. Come in uno stato di ubriachezza, urtavo gli altri ragazzi che prendevano posto, incapace di razionalizzare cosa fare; finchè una mano non sbucò dal lato e mi tirò a sedere.
Caddi su uno dei seggiolini. Ovviamente, era stato Newt a prendermi, era sempre lui.
Non parlò, limitandosi ad appoggiarsi con la fronte contro il finestrino che dava sul nero più cupo, dandomi parzialmente le spalle. Non mi offesi, ero talmente confusa che riuscivo a malapena a rendermi conto, che tutto ciò che era successo nelle ore precedenti, era realmente accaduto.
Quando il pullman si mise in moto, rimasi a far vagare lo sguardo per l’abitacolo, finchè la mia attenzione non venne catturata dalla conversazione che si stava svolgendo tra Thomas, Teresa e una delle donne che ci aveva tratti in salvo.
Quest’ultima stava spiegando loro, che gli esperimenti a cui eravamo stati sottoposti, avevano avuto lo scopo di valutare la reazione dei nostri cervelli a determinati stimoli. La Radura, i Dolenti, il Labirinto e tutto il resto, erano stati programmati fin nei minimi particolari. Tutto questo per trovare una cura alla malattia causata dalle eruzioni solari che avevano distrutto quello che era una volta il nostro pianeta.
L’Eruzione, così veniva chiamato il morbo, era contagioso, impossibile da debellare e portava pian piano alla pazzia... una violenta pazzia.

Il loro gruppo combatteva la Wckd e i suoi orribili esperimenti, in attesa di riuscire ad attraversare la “Zona bruciata” e raggiungere le Ande dove si vociferava di una probabile soluzione al problema.
Per riassumere efficacemente, il mondo non era altro che un enorme palla bruciata e i suoi abitanti stavano progressivamente e lentamente impazzendo; noi probabilmente potevamo essere la panacea dei loro mali.

Ciò che sentii non mi risollevò per nulla l’umore, rendendomi anzi, ancora più stanca. Quando ne ebbi abbastanza di quelle parole, ricaddi all’indietro sul sedile, passandomi entrambe le mani sulla faccia. Newt aveva cambiato posizione, ora si teneva la testa con il gomito appoggiato sul bordo di plastica del finestrino e continuava a guardare fuori. Se avesse sentito tutto non potevo saperlo, ma era decisamente probabile.
Avevo poca voglia di parlare quanto lui, quindi mi accucciai sul sedile, tirando su le gambe e appoggiando il capo sulla sua spalla.
Newt si mosse, il suo braccio passò dietro alle mie spalle attirandomi di più verso di lui.
Nella sua stretta c’era tutto ciò di cui avevo bisogno.



Stanza delle mappe:

My bad per il capitolo corto e prettamente descrittivo.La mia storia vuole prendere solo i momenti salienti tra i due protagonisti e non è mia intenzione ripercorrere quindi tutto il libro; al che devo sintetizzare in certi punti.
Prometto che con il prossimo capitolo mi faccio perdonare *sguardo furbo*.
Ah, ho visto "La fuga".... ma è meglio che io non mi esprima...
Grazie a todos i miei lettori, a chi recensisce e a chi mi ha aggiunta tra preferiti, seguiti (Amika_Chan) e ricordati.

Best to all,
Marta



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Capitolo 14
*** 14. Perchè ***


14.
14. Perchè


Il viaggio durò poco meno di due ore e terminò in un anonimo capannone.
Scoprimmo che l'edificio era stato adibito a dormitorio, con stanze contenenti diversi letti a castello e cassettiere.

Nel giro di quello che mi parve un battito di ciglia, mi ritrovai dentro una doccia con dei vestiti puliti ad aspettarmi una volta conclusa.
Quando il getto di acqua calda colpì le mie spalle e i miei muscoli doloranti, ebbi la sensazione di non essere realmente io ad essere lì in quel momento.
Riuscivo quasi a vedermi, dall’esterno, mentre il sapone si portava via la polvere e la sporcizia accumulata e i miei capelli tornavano ad avere un aspetto sano.
Potevo essere la stessa persona che era arrivata dentro un ascensore nella Radura? La risposta ovviamente era no.
Perché quella ragazza non sapeva cosa fosse la morte.
Non l’aveva mai vista con i suoi occhi.

Non aveva mai sentito l’odore della polvere da sparo, né udito mai una pallottola conficcarsi nella carne di qualcuno portandogli via la vita in un istante.
Non aveva mai sentito dei lamenti e delle grida così strazianti provenire da un altro essere umano. Le urla di chi ha perso un amico e del dolore che lo sta logorando dentro.
Mentre pensavo a queste cose, mi ritrovai con i pugni contro la parete in piastrelle della doccia e la testa china,  scossa da singhiozzi che lo scrosciare dell’acqua attutiva appena.  Mi sentii sopraffatta, inutile, senza niente....

Newt.


Cercai di ricompormi. Rivolsi il viso verso l’alto, in modo che venisse inondato e le lacrime sparissero. Avevo Newt. Ero lì per lui, non per me.

Quando, per eliminare l’eccesso di acqua, mi passai le mani sulla faccia, assieme a quella erano scivolate via anche le mie incertezze. Indossati i vestiti puliti e con ancora i capelli umidi, raggiunsi la sala da pranzo. Lunghe file di tavoli erano già state occupate da molti dei Radurai sopravvissuti. Vidi Minho alzare una mano per indicarmi dove fossero lui e gli altri. Quando raggiunsi il tavolo, lui, Thomas, Teresa e Newt avevano già preso posto, tutti lindi e puliti, tranne che per quell’ombra dentro agli occhi.
La stessa che avevamo tutti...

Qualcuno mi sorrise, divertito dalla mia espressione quando vidi che per cena c'era una succulenta pizza; sulla quale, non mi vergogno a dire che mi avventai senza ritegno. Fu strano mangiarla… ero estasiata dal sentire di nuovo quel sapore sulla lingua, ma allo stesso tempo non sapevo quando era stata l’ultima volta che l’avessi mangiata.. o la prima. Una volta sazia iniziai a guardarmi intorno.
A sorvegliarci, vicino alle porte, c'erano alcuni uomini in uniforme e altri con dei camici. L’unico arredamento presente nella sala, oltre ai tavoli e alle sedie, erano delle spesse tende rosse, dietro alle quali immaginai ci fossero delle finestre.
Con circospezione decisi di alzarmi. Mi avvicinai alla tenda più vicina e quando vidi che nessuno sembrava infastidito dal mio procedere, la scostai sparendoci dietro.

Capii immediatamente perché non si fossero minimamente preoccupati... le finestre erano sbarrate da spesse inferriate, oltre le quali, il buio inghiottiva ogni cosa.
Con un sospiro dovetti constatare che guardando fuori da esse non avrei ricavato alcuna informazione utile.

Dopo qualche minuto la tenda si scostò nuovamente e Newt si fermò al mio fianco.


-    Anche io ho provato a dare un’occhiata prima… - disse con tono pratico.
-    Sembra che dovremo continuare a brancolare nel buio finchè qualcuno non si prenderà la briga di spiegarci... - commentai infastidita.
-    Come stai? –

Il mio corpo, che fino a quel momento si era dondolato nervosamente, smise di muoversi non appena toccò quello di Newt.

-    Se ti rispondessi che adesso che ci sei tu va meglio sarebbe troppo sdolcinato? – replicai con un ghigno, al quale Newt risposte arricciando il naso – non so dirti come sto, in realtà… un momento prima, bene, un momento dopo, male. Dipende da quante volte il ricordo della morte di Chuck e degli altri ragazzi mi riaffiora alla mente – risposi.
-    Capisco benissimo.. - replicò lui.
-    E tu? Come stai? -

Newt si voltò verso di me, facendo spallucce e sollevando un angolo della bocca in un sorriso sarcastico.

-    Sono stato peggio – disse laconico, cercando di sdrammatizzare.
-    Sul serio Newt… cos’è che ti tormenta? – lo incalzai.

In quel breve scambio di sguardi avevo di nuovo notato quell’oscurità addensarsi nei suoi occhi. Newt mi guardò per un interminabile istante prima di rivolgersi al buio oltre la finestra.

-    Quando sono andato nel Labirinto con Alby.. e ho avuto quell’incidente… non è accaduto per caso e i Dolenti non c’entrano un caspio di nulla.. Mi sono semplicemente arrampicato su di un muro di edera e poi mi sono lasciato cadere. Non volevo più vivere, ho odiato ogni singolo istante dentro quel posto – sputò con rabbia. 

La sua confessione ricadde nel silenzio più totale, reso ancora più forte dalla spessa tenda che ci escludeva dal resto della sala, quasi creando un mondo a parte.

-    Lo sapevo... – mi limitai a rispondere.

Newt mi fissò allibito.

-    Quando siamo entrati in quella sala monitor.. qualcosa è scattato in me, come è accaduto a Teresa e Thomas. Mi sono ricordata… di alcune cose – dissi – Ho un paio di immagini di noi da bambini.. poi di noi da grandi nei laboratori..  Ricordo della scena di te che salti nel vuoto mentre io la guardo dal monitor… - spiegai.

Newt continuava a fissarmi con gli occhi sgranati.

-    Quando ti ho detto che sentivo di essere qui per te, era vero. Non so in che modo, ma sono stata io a voler essere inserita nel Labirinto.. –
-    Perché? – mormorò lui attonito.
-    Perché quando hai cercato di suicidarti non potevo più restare a guardare. Dovevo, volevo raggiungerti… volevo stare di nuovo con te. Volevo… - mi bloccai portandomi una mano alla testa – è tutto così confuso! Io vivo per te, è come se fosse sempre stato il mio scopo… non volevo più vederti soffrire, volevo che smettessi, volevo condividere la tua sofferenza perché… perché non voglio che tu muoia, voglio che tu sopravviva! – spiegai sentendo gli occhi farsi lucidi.

Avevo appena concluso la frase, che Newt mi prese il viso fra le mani e mi baciò.
C’era così tanto bisogno, così tanto desiderio in quel gesto, che lo strinsi a me più che potevo, mentre le sue mani sul collo e sulla nuca approfondivano il bacio. Ci baciammo con un impeto disperato. Tanto che mi ritrovai contro le sbarre della finestra, con i polsi inchiodati ai lati della testa dalle sue mani mentre continuava a baciarmi.
Il suo corpo premeva contro il mio e sembrava non bastare mai.
Quando l’ossigeno venne a mancare, Newt si allontanò, restando con le labbra a un paio di centimetri dalle mie a fissarmi negli occhi.

Io, ansante, mi liberai dalla sua presa afferrandogli la maglietta pulita; andando a sfiorare con le dita la pelle sotto di essa.

-    Non so dirti se tu sia qui per me… ma so per certo che io sono ancora qui grazie a te. Se non mi sono lasciato morire nel Labirinto quando siamo fuggiti è per te – disse con la voce che gli tremava.

Aveva gli occhi lucidi e la pelle, normalmente serica, aveva un tono più caldo.
Non mi era mai sembrato più bello. Mi sporsi per baciarlo delicatamente ancora una volta. Newt chiuse gli occhi.

Mi allontanai ancora, per poi baciarlo di nuovo... e avrei continuato, forse all'infinito, se la tenda non fosse stata scostata.
Uno degli uomini con il camice mi disse che dovevo seguirlo, che io e Teresa saremmo state messe in un dormitorio solo nostro.
Ebbi appena il tempo di incrociare ancora una volta gli occhi di Newt prima di essere portata via.



Stanza delle mappe:

Chissà che con questo capitolo non mi sia fatta perdonare lo scorso! E i prossimi che verranno... *si schiarisce la gola*
E con un "viva le tende rosse" vi saluto!
Grazie come sempre ai lettori, a chi recensisce, a chi mi ha aggiunta tra le preferite, seguite (Selenagomezlover99)
e ricordate <3

A presto,
Marta

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Capitolo 15
*** 15. Solitudine ***


15. Solitudine
15. Solitudine


Io e Teresa venimmo portate in una stanza con un unico letto a castello, un bagno e una cassettiera. Nessuna delle due aveva molta voglia di parlare e quindi ci mettemmo subito a letto. Non ci addormentammo subito, io pensavo alla conversazione avuta con Newt poco prima, e lei con tutta probabilità parlava con Thomas nel loro modo speciale. Provai una fitta di gelosia nei suoi confronti, nella sua capacità di poter comunicare con lui sempre, ovunque fossero.

Il sonno alla fine mi colse, facendomi chiudere gli occhi con la stupida certezza che il mattino seguente avrei potuto rivedere gli occhi di Newt.
Quanta ingenuità… quanta meravigliosa ingenuità faceva ancora da padrona dentro di me a quel tempo! Non avrei rivisto i suoi occhi per molto tempo…
Ad un tratto venni svegliata improvvisamente da Teresa. Non so quante ore fossero passate, ma lei mi tirò letteralmente giù dal letto, dicendo che non riusciva più a parlare con Thomas; che c'era qualcosa che non andava. Non appena mi disse quello, mi precipitai alla porta provando ad aprirla.
Inutile, era chiusa. La nostra camera non aveva finestre, né prese d’aria, né tanto meno grate. Eravamo in trappola.

Dopo alcuni istanti di terrore irrazionale, non ci restò altro che sederci sul letto in attesa.
Teresa passò tutto il tempo cercando di contattare Thomas con il pensiero, ma dalla sua faccia tirata, capii che i suoi tentativi non stavano dando l’esito sperato.
Parecchio tempo dopo, quando l’attesa stava diventando insostenibile, pur di fare qualcosa decisi di andare in bagno a sciacquarmi la faccia. Ma non appena mi alzai dal letto, la porta venne spalancata di botto. Un gruppo di ragazze mai viste prima piombò all’interno.
Ci osservarono con gli occhi sgranati, prima che una di loro si facesse avanti per chiederci dove fosse un certo Aris.
Mi ero aspettata che le stranezze fossero finite, ma mi sbagliavo di grosso…
Scoprimmo che la Wicked non aveva creato un solo Labirinto, ma bensì due: uno popolato solo da ragazzi l’altro solo da ragazze. In entrambi, negli ultimi giorni, era stato mandato l’ascensore con, rispettivamente, Teresa e Aris. Ciò che ne era seguito era stato pressoché identico da entrambi il lati: l’attacco dei Dolenti, la fuga attraverso la loro tana, la sala con i monitor, l’uccisione di uno di loro da parte di un membro impazzito, l’irruzione dei ribelli e la fuga verso quel rifugio.
Quando mi dissero che nel dormitorio a parte loro non c’era nessun altro e che probabilmente le camere nostre e di questo Aris erano state scambiate, non ci credetti.
Non poteva essere.
Poteva esserci qualcosa di più assurdo?
Di più assurdo del sentirsi dire che la sala da pranzo era piena di cadaveri impiccati al soffitto e di scoprire che nel giro di venti minuti di essi non c’era più alcuna traccia?
Di scoprire che sul collo di ognuno c’era un tatuaggio con una sigla differente?
Di sapere che il gruppo B, perché così si chiamavano, era stato attaccato da figure umane sfigurate che avevano cercato di fare irruzione nel dormitorio e che si facevano chiamare Spaccati? E infine di trovare dei muri a chiudere ogni singola finestra?
Mentre le ragazze del gruppo B ispezionavano ogni singolo centimetro delle sale, io mi diressi verso la finestra da cui avevo cercato di guardare fuori la sera precedente. Ovviamente dietro la spessa tenda non trovai altro che l’ennesimo muro di mattoni.
Newt non c’era, non era da nessuna parte...
Una nuova emozione, violenta quando improvvisa, si fece strada in me.... L’abbandono.
Mi sentii sola, la consapevolezza della presenza delle altre ragazze o di Teresa non mi era del minimo conforto. Poggiai entrambi i palmi aperti sul muro che mi stava di fronte, mentre brutali singhiozzi sembravano portarsi via interi pezzi di me.
Mentre le immagini del viso di Newt esplodevano della mia memoria, mi lasciai cadere in ginocchio e lì rimasi.

Ero terrorizzata...
Non per me.... Ma per lui.


Stanza delle mappe:

Dovete scusarmi ma per un altro paio di capitoli, forse tre, sarà più Carys centric! Chissà che non mi dia l'opportunità di approfondire questo personaggio.
Dovrei postare la prossima settimana prima di Natale però, se riesco ^^" Stay tuned!
Un grazie sentito ai lettori e a chi ha cliccato per inserirmi tra le storie preferite, seguite e ricordate!

Besos,
Marta


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Capitolo 16
*** 16.Muro ***


16. Muro
16. Muro


Passarono tre giorni. Tre giorni senza che succedesse alcunché. Niente cibo, solo acqua.

Se avevo già provato la fame in passato, evidentemente non me ne ricordavo. Perché quella sensazione di vuoto, di bruciore, come se avessi un deserto incendiato nello stomaco mi aveva sorpresa e sconvolta. Passavo le giornate seduta dietro la tenda rossa della sala da pranzo, con la testa affondata nelle ginocchia o, quando non riuscivo più a stare seduta, sdraiata sul pavimento. Teresa venne più volte a parlarmi, cercando di farmi ragionare e di farmi almeno stare nel dormitorio, su un letto. Ma io fui irremovibile. Ogni volta che incrociavo il suo sguardo ci leggevo una nuova durezza. I suoi occhi avevano una lucentezza propria, di chi sa di avere uno scopo, ma l’unica volta in cui le chiesi se si fosse ricordata qualcosa, o se fosse riuscita a contattare Thomas, la risposta fu un secco no, permeato da un tale gelo nel tono, che mi spaventò.
La notte del secondo giorno mi addormentai al solito posto, finchè non fui svegliata da un odore. Sembrava profumo di frutta…
Quando non senza una certa fatica scostai la tenda, credetti di stare ancora dormendo. In mezzo alla sala da pranzo era comparso un enorme mucchio di cibo, ma quello che mi sconvolse maggiormente fu la presenza di una figura completamente vestita di bianco appartenente ad un uomo. Tale individuo stava seduto comodamente su di una sedia, con le caviglie incrociate sul piano della scrivania ed era intento nella lettura di un libro. Quando mi avvicinai a lui, ignorando completamente il cibo, quello non sollevò nemmeno gli occhi, limitandosi a dirmi che avremmo dovuto aspettare 3 ore prima che potesse dirci come si sarebbe svolta la fase due.
Mentre nella mia testa rimbombava la frase “fase due”, mi scontrai contro un muro. Fortunatamente, visto che stavo solo camminando e non correndo, non mi feci male, ma ancor più sorpresa allargai una mano sulla parete totalmente invisibile. Il tipo con la faccia da ratto non era scemo; probabilmente pazzo e completamente inutile, ma non scemo.

Mi sedetti per terra praticamente davanti a lui. Avevo esaurito le poche forze che mi avevano permesso di fare il tragitto dal mio nascondiglio fino a lì.
Dopo una manciata di minuti, del movimento alle mie spalle mi avvisò che anche il resto del gruppo si era accorto della novità. Teresa e un paio di altre ragazze vennero subito a chiedermi cosa fosse successo. Io risposi che non era successo nulla, mi ero svegliata e avevo trovato la stessa scena che potevano vedere con i loro occhi. Qualcuna di loro provò a parlare con il tipo, ad insultarlo, ad abbattere il muro invisibile, ma l’unica risposta che ebbero fu la stessa data a me.
Il resto del gruppo invece si era avventato sul cibo. Dopo un digiuno di tre giorni era una cosa del tutto normale.

I miei morsi della fame non si erano di sicuro placati, anzi, con quel profumino di cibo erano diventati ancora più violenti, ma il mio cervello stava elaborando tutt’altro tipo di informazioni. Se non fosse stato per Teresa, che si premurò di lasciarmi qualcosa da mettere sotto i denti, forse sarei svenuta senza provare nemmeno a mangiare.
Fase due.
C’era una fase due…. Pensai mentre mordevo una mela rossa.

Non era bastata la prima? Toglierci la memoria, buttarci in un quadrato di alberi e prati, farci aggredire da mostri con artigli meccanici, far morire dei ragazzi innocenti, portarci a desiderare di morire piuttosto che vivere in quel modo?
Ci avevano illuso con l’idea di essere finalmente al sicuro e adesso questo?! Sul serio?!
La seconda mela a cui avevo appena dato un morso la scagliai con violenza contro la barriera invisibile; quella cadde con un tonfo sul pavimento lasciando una macchia umida e gocciolante ad un paio di metri dal suolo. Ovviamente il tipo non si scomodò a guardare, limitandosi a umettarsi le dita per sfogliare un’altra pagina.
Continuai a mangiare in attesa. Non staccai per un millesimo di secondo gli occhi dal tizio/ratto. Per tutto il tempo sperai che crepasse nel modo più orribile che riuscissi ad immaginare.



Stanza delle mappe:

Con questo capitolo vi faccio i migliori auguri di un buon Natale! Carys tornerà prima di Capodanno ;)
Grazie a voi lettori, recensori e a voi che mi avete aggiunta tra le preferite, ricordate e seguite!

Con affetto,
Marta

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Capitolo 17
*** 17. Piano ***


17. Piano
17. Piano


Quando il mio orologio digitale (gentile concessione della Wicked) segnò finalmente che le tre ore promesse erano scadute, l’uomo topo chiuse il suo libro con uno schiocco secco, tirò giù i piedi dalla scrivania, aprì un cassetto e ne tirò fuori un raccoglitore pieno di schede.
Dopo di che iniziò a parlare.
Per prima cosa ci spiegò che entrambi i gruppi erano formati all’inizio da sessanta elementi e quindi si "complimentò" con quanti di noi erano sopravvissuti.
Il viso di Chuck tornò prepotentemente a farsi vivo mentre serravo i pugni e immaginavo la testa di quel calmo personaggio che ci stava di fronte, esplodere schizzando di rosso il suo bel muro invisibile.Poi ci disse ciò che già sapevamo, ovvero che lo scopo di tutto quello era di valutare le nostre reazioni. Aggiunse però, che il vero scopo era stato di ricavare una cianografia del nostro cervello; studiare le conseguenze specifiche della violenza. Ogni singola, orribile cosa che ci era stata inflitta, era stata studiata e realizzata a puntino e veniva chiamata
variabile. Se noi rispondevamo in modo corretto ad esse, potevamo andare avanti, in caso contrario... beh, il succo era che, se non ci facevamo uccidere, avevamo la possibilità di salvare noi stessi e di conseguenza il genere umano.
Anche se continuava a dirci che le azione della Wicked erano nel più totale interesse dell’umanità, io faticavo a crederci. Faticavo ad accettare di dover sopportare tutto quel dolore per la promessa di un futuro migliore.
E faticai ancora di più a crederlo, sentendogli dire che loro potevano manipolare il nostro cervello, rendendoci del tutto insicuri di ciò che vedevamo: come i muri alle finestre o i corpi impiccati che io peraltro non avevo visto.
“ So che questo vi confonde e un po’ vi spaventa” ci disse.
Un po’ vi spaventa?!
Non so chi sono! Siamo stati torturati psicologicamente per giorni e altri per anni! Siamo cavie di un esperimento che non abbiamo chiesto! Per salvare un’umanità che a momenti non sappiamo che fine abbia fatto! Mi avete strappato alla persona che amo; non so dove sia o se sia ancora vivo! Mi avete tolto ogni libertà e pensate che questo mi confonda e mi spaventi solo un po’?! Mi terrorizza maledizione!
Avrei voluto urlargli tutte queste cose, ma mi imposi di restare calma... sperai solo che quelli della Wicked stessero monitorando il mio cervello e che potessero capire a che livello di odio mi stavano portando nei loro confronti.
Come se non bastasse, ci venne a dire che i dati raccolti non erano nemmeno lontanamente sufficienti al loro scopo e per questo motivo sarebbe iniziata una fase due, molto più difficile della prima. La mia mente si impose di non ragionare sulle possibili conseguenze future di questa affermazione. Credo per puro spirito di sopravvivenza.
L’uomo proseguì nell’elencarci come, a seguito delle macchie solari, si fosse diffusa l'epidemia chiamata Eruzione e di come le grandi nazioni si fossero bla bla bla…
Per qualche strana ragione non mi colpì sapere che avevamo tutti contratto il virus, nè che la nostra ricompensa alla fine dei test sarebbe stata proprio una cura. C’era qualcosa di famigliare in quello che diceva, come se io ne fossi già stata a conoscenza dal principio.
Fu la parte finale che, finalmente, suscitò in me una qualche reazione e non proprio delle più calme. La fase due del nostro gruppo infatti era semplice: muoverci attraverso i tunnel che percorrevano l’intera zona bruciata, per raggiungere un solo scopo: uccidere Thomas.
Non appena l’uomo concluse la frase scattai in piedi.

-    No! - urlai.

Il tizio smise di parlare per rivolgermi un'occhiata di disapprovazione, poi mi ricordò che se non avessi fatto tutto quello che ci stava dicendo saremmo morte.

-    Non ucciderò un amico solo per salvarmi la pelle! Teresa diglielo! -

Ma teresa non rispose. Non lo fece nemmeno quando la incitai voltandomi a guardarla. Rimase fredda, distaccata.
Mi disse di rimettermi a sedere, che dovevamo ascoltare quello che aveva da dirci e che se quella era l’unica strada, avremmo dovuto percorrerla.

A quel punto non ci vidi più. Se un paio di ragazze non mi avessero afferrata, mi sarei lanciata su Teresa, la quale per altro, non battè ciglio, limitandosi a ordinare di chiudermi da qualche parte finchè non si fosse conclusa la discussione.
E così non seppi mai quale fosse il piano per uccidere Thomas.



Stanza delle mappe:

Ennesimo capitolo di transizione, abbiate pazienza ma vi prometto che Newt tornerà presto! Nel frattempo ho cercato di rendere chiaro il cambiamento subito da Teresa, che non so bene per quale ragione non mi è mai stata simpatica, nemmeno all'inizio ^^"
Colgo l'occassione per augurare a tutti voi un buon inizio 2016! Spero davvero che sia per voi meraviglioso.
Grazie a chi mi legge, recensisce e a chi mi mette tra le preferite (Martinajsd), seguite (Effe_46) e ricordate!

Ci vediamo il prossimo anno ;)
Marta

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Capitolo 18
*** 18. Ritrovarsi ***


18. Ritrovarsi
18. Ritrovarsi


Trentasette minuti più tardi, la porta del bagno nel quale ero stata rinchiusa venne aperta nuovamente. Teresa, Harriet e Sonya si fecero avanti, mentre io dal pavimento sul quale ero seduta le squadravo. Mi spiegarono che avevo la possibilità di fare una scelta: o andavo con loro e le aiutavo a fare quel che c’era da fare, o restavo lì e morivo alla chiusura del pass verticale (qualsiasi cosa esso fosse).
Messa in questi termini non ebbi più dubbi. Sarei andata con loro... e alla prima occasione le avrei lasciate per andare in cerca del gruppo A.
Sfortunatamente, quando chiesi quali fossero le istruzioni lasciate dall'uomo topo, mi venne risposto che a tempo debito le avrei sapute.
Alla fine della fiera nessuna di noi era così stupida.. ma almeno avevo fatto un tentativo.
Durante il restante  tempo che ci separava delle sei, ci adoperammo per fabbricare
alcuni pratici zaini con lenzuola e federe.  Io ne approfittai per costruirmi anche un sacco a tracolla, dove riposi un paio di sacchetti pieni di acqua.
Quando mancavano dieci minuti all’ora X, eravamo già tutte pronte davanti ad un grande muro scintillante. Allo scoccare delle 6, il muro invisibile che ci impediva il passaggio venne rimosso, e ad una ad una passammo tutte attraverso il pass verticale.
Ci ritrovammo improvvisamente al buio, e non quel tipo di buio al quale dopo un po’ gli occhi si abituano... L’oscurità più assoluta regnava sovrana, non si distingueva nessun profilo, niente di niente, era come essere ciechi. Capimmo ben presto di trovarci un una specie di labirinto sotterraneo e pensammo subito che la difficoltà stesse tutta nel ritrovarci al buio, ma ovviamente non era così semplice… prima di riuscire ad abbandonarlo, tre delle ragazze del nostro gruppo furono uccise.
Da che cosa ancora adesso non l’ho capito... ogni volta c’era un suono liquido, come di una grossa goccia che cadeva dall’alto, poi venivano le grida strazianti e infine un tonfo morbido di un corpo che si accasciava al suolo. Alla fine, riuscimmo a raggiungere una pesante porta di metallo che, non appena aperta, ci condusse in nuovi corridoi di pietra, questa volta rischiarati da una luce azzurrina che correva lungo tutto il bordo inferiore dei muri. Finalmente, venni a sapere la prima parte del piano. L’uomo in bianco aveva detto che avremmo dovuto proseguire fino a trovare la botola giusta che ci avrebbe condotte ad una piccola costruzione. Lì, Teresa avrebbe dovuto attirare Thomas inscenando di essere controllata dalla Wicked, poi avrebbe dovuto fingere un momento di lucidità dove gli avrebbe dovuto dire di scappare.

Inutile dire che a sentire quelle parole mi si rivoltò lo stomaco, non tanto per la cattiveria, quanto perché fu proprio Teresa a spiegarmelo e con una naturalezza e calma, che me la fece odiare… lei voleva uccidere Thomas, lo desiderava!
Quando le chiesi il motivo di tutto quell’astio, lei mi rispose che era per ciò che le aveva fatto, ma di più non riuscii a capire.
Ad intervalli regolari, quindi, sulle nostre teste si aprivano delle botole. Alcune portavano all’esterno, che scoprimmo essere un deserto arroventato. Il sole bruciava talmente tanto, che se si usciva senza essere coperti, la pelle si copriva di bolle da ustione. Altre botole invece erano un inganno, nascondevano trappole, ma lo capimmo solo quando una di noi venne afferrata da una mano putrida e fatta sparire. Rimanemmo atterrite nel sentire le sue grida spargersi per tutto il labirinto. Così decidemmo di aprirne una a turno. Fui quindi io a scoprire la botola che conduceva all’edificio menzionato dall’uomo topo e colsi al volo l'occasione di esplorarla. Non so dire se la cosa fosse stata studiata o meno, ma mi accorsi di un’intercapedine nel muro che, aprendosi, dava su una strettissima rientranza. Provai ad aprirla e poi a chiuderla del tutto; sigillata era pressochè invisibile… Non dovetti pensarci nemmeno un minuto, mi ci infilai dentro serrando la porta.
Dopo qualche minuto sentii arrivare le altre ragazze preoccupate dal mio silenzio.


-    Se n'é andata, maledizione!!! – esclamò una di esse.
-    Non importa… là fuori c’è solo il deserto, ha lasciato il suo lenzuolo a noi, non può sopravvivere, non arriverà mai all’altro gruppo –

Le parole di Teresa mi lasciarono l’amaro in bocca. Ogni traccia della ragazza che avevo conosciuto tempo addietro, era svanita. Restava quel freddo involucro che ben poco aveva a che fare con lei, eppure non c'erano dubbi... Al momento però avevo cose più urgenti a cui pensare. Con me avevo solo la tracolla, all'interno della quale c'era solamente una busta di acqua e non avevo idea di quando avrebbero attirato lì Thomas. Però ero fermamente decisa a resistere fino ad allora.
Dalla mattina successiva, da fuori, iniziai a sentire il pianto amplificato di una ragazza. Era un ululato straziante, che non cessava mai, ed era talmente forte che iniziai a sentire la testa intorpidita. Messa alle strette dovetti fabbricarmi un paio di tappi con la stoffa della mia maglietta per poterlo sopportare, ma anche così non riuscii ad evitare il mal di testa martellante che mi provocò. Verso le sette di sera finalmente smise e il silenzio improvviso mi diede fastidio tanto quanto quel rumore. Ragionai su quel fatto… perché amplificare quella voce in modo così forte? Chiunque avrebbe capito che era trasmessa da altoparlanti e non da una persona vera.. a meno che gli ascoltatori non fossero stati molto distanti.. Mentre ragionavo su quanto appreso, all’esterno avvertii del movimento.

-    Voi aspettate di sotto, ormai sono qui vicini, il piano ha funzionato –

Teresa. Di nuovo. Sentii la botola richiudersi e poi la porta della baracca aprirsi, dopo di che calò nuovamente il silenzio. Finalmente mi era chiaro lo scopo di quell'ululato: serviva semplicemente ad attirare Thomas...

-    Teresa? Teresa cosa sta succedendo? –

Proprio la voce del ragazza in questione mi sorprese chiusa nel mio spazio. C’era ansia nel timbro di Thomas e quel che peggio... speranza. Alle sue continue richieste di spiegazione, Teresa gli urlò solo di restare lontano. Mi pareva che lei stesse piangendo..
Mi sentivo male per Thomas.. Lui che credeva di averla ritrovata, che si stava dando una spiegazione del tutto logica del suo comportamento, quando di logico non c’era un bel niente invece.

-    Teresa, ho pensato a te ogni secondo da quando ti hanno portato via. Tu... –

La voce di Thomas venne bruscamente interrotta, non sapevo per quale motivo, ma non potevo accertarmene. Infine la ragazza tornò a parlare, intimando a Thomas di stare lontano da lei e di andarsene immediatamente. Lui, prima di fare come gli aveva detto, le promise che l’avrebbe ritrovata.
Quando la porta della baracca si chiuse, calò di nuovo il silenzio. Io però non mi mossi, non avevo sentito aprirsi la botola, quindi Teresa era ancora all’interno.
Dentro di me fremevo, se non me ne fossi andata  in fretta avrei perso le tracce di Thomas e con lui le speranze di ricongiungermi al gruppo.

Con sollievo sentii finalmente il cigolio dei cardini e il tonfo di uno sportello che si chiudeva. Restai ancora immobile per qualche secondo, prima di iniziare a spingere la porta davanti a me. Purtroppo questa non si mosse di un millimetro, gettandomi nel panico. Non potevano avermi sigillata lì dentro...
Spinsi con tutta la forza che avevo in quello spazio ridotto mentre, involontariamente, iniziavo a singhiozzare terrorizzata. Presi una pausa cercando di prendere fiato e calmarmi, ma non riuscendoci ricominciai a spingere disperatamente.
Nessuno mi avrebbe salvata. Nessuno avrebbe mai saputo più niente di me. Sarei morta incastrata dietro una parete di roccia. Non avrei mai più rivisto Newt...
Pensando a lui diedi una spinta ancora più violenta, appoggiando la schiena contro il muro dietro e puntando un piede contro quello davanti. Improvvisamente mi ritrovai stordita e dolorante a fissare un cielo stracolmo di stelle.
Confusa, guardai di fronte a me la parete che fino ad un momento prima era alle mie spalle. Si era aperta di botto facendomi cadere all’esterno della baracca. Ancora con il fiatone iniziai a guardarmi in giro. In lontananza vidi un gruppo di persone allontanarsi. Con il cuore in gola mi alzai.
Sulle prime le gambe mi cedettero; ero rimasta una giornata intera in piedi senza la possibilità di riposarmi e solo ora capivo quanto fossi stanca.
Mi sforzai di proseguire, di correre, prima che il gruppo scomparisse all’orizzonte.
Mi avvicinai sempre di più, finchè non vidi qualcuno voltarsi verso di me e indicarmi. Si formò subito un gruppo compatto e quando fui ad una quindicina di metri da esso, una voce mi bloccò.

-    Fermati! Chi caspio sei?! - esclamò la voce di Minho.

Io cercavo di riprendere fiato, appoggiando le mani sulle ginocchia tremanti e sorridendo.

-    Minho.. - lo chiamai tra un ansito e l'altro.
-    El? – esclamò lui scioccato.

Mezzo secondo dopo aver pronunciato il mio nome, dal gruppo si staccò una figura.. Avrei riconosciuto quel profilo fra mille altri.
Newt mi venne incontro, ignorando gli avvertimenti dei suoi compagni.

-    Newt – mormorai correndogli incontro.

Non smisi finchè il mio corpo non si scontrò con il suo e cademmo entrambi sulla sabbia.
Newt mi stringeva così forte, che quel poco di fiato rimastomi se ne stava andando, ma non mi importava. Affondai felice il viso nel suo collo.

-    Newt - singhiozzai.
-    Pensavo di non rivederti più… - sussurrò lui contro il mio orecchio.
 

Restammo lì abbracciati a terra, ignorando Minho che ci diceva di alzarci, che dovevamo raggiungere Thomas.
Per noi non c’era nessun altro.



Stanza delle mappe:

Immagino che dal titolo del capitolo siate stati molto sorpresi che Carys e Newt alla fine si siano ritrovati!
Il 2016 porta quindi un nuovo capitolo e la ricomparsa del nostro raduraio preferito ;)
Ammetto che l'idea della nicchia nascosta nella baracca è parecchio azzardata, così come il colpo di fortuna di aver trovato lei stessa la botola giusta... abbiate pietà e prendetemela per buona ^^" non avrei assolutamente saputo come farla fuggire..
Ringrazio tutti i lettori, i recensori e chi mi ha aggiunta tra i preferiti, seguiti (Rossylocat e Sputafuoco) e ricordati per avermi accompagnata fino a questo nuovo anno!

Un bacio,
Marta

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Capitolo 19
*** 19. Verità ***


19. Verità
19. Verità


Alla fine, ovviamente, dovemmo alzarci e raggiungere gli altri. Spazientito Minho ci indicò un puntino che ballonzolava qualche miglia più avanti. Thomas.
Non aveva dato nessuna spiegazione, limitandosi a dire loro che si sarebbero dovuti allontanare il più in fretta possibile da quel punto e che poi avrebbe raccontato tutto.
Io mi attenni alla sua stessa logica: parlare e correre erano due cose che non avrei avuto la forza di fare.
Quando lo raggiungemmo, sembrava aver ancora meno voglia di parlare e potevo capirne il motivo. Non appena mi vide spalancò gli occhi, rianimandosi e tempestandomi di domande, finchè Newt non si fece avanti dicendogli chiaro e tondo che prima avrebbe dovuto dare una spiegazioni per le sue di azioni e che poi avremmo discusso anche con me. Thomas mi diede così la possibilità di abbinare delle immagini a ciò che io avevo potuto solo udire. Disse di come Teresa tremasse e cercasse in qualche modo di contenersi, come sembrasse lottare contro una volontà non sua, finchè non gli aveva intimato di andarsene. Se sentire quelle cose mi mise a disagio, dover  raccontare la mia versione fu ancora peggio.


-    Menti! –

Thomas ebbe uno scatto d’ira non appena gli feci capire che Teresa non era sotto l’influenza di nessuno. Di come fosse stata sempre piuttosto fredda e ben determinata nello scopo che la Wicked aveva dato al gruppo B. Cercai di convincerlo, ma lui fu irremovibile, disse che ci avrebbe creduto solo quando lo avrebbe visto con i suoi stessi occhi. Minho, molto più pratico, mi chiese se potevo dar loro dei dettagli riguardo al piano per uccidere Thomas. Mi rincrebbe non potergliene dare, visto e considerato che ero stata rinchiusa in un bagno quando la discussione era arrivata a quel punto. Così come mi dispiacque non potergli fornire l’indicazione per una delle tante botole che si affacciavano sul deserto. Non avevo la benché minima idea della loro posizione, tranne che per quella nella casetta dov'era chiaro che non potessimo tornare.
Non insistei oltre con Thomas per fargli comprendere il pericolo che correva, era già abbastanza provato così. Per cui accolsi con gioia il consiglio di Minho di provare a dormire un po’ nonostante il sole stesse sorgendo. Newt mi condusse in disparte rispetto agli altri radurai, stese a terra un lenzuolo e quando fummo entrambi sopra di esso, ne usò un altro per coprirci dalla testa ai piedi. Mi ritrovai così in un ambiente chiaro, tinto di oro nei punti dove il sole lambiva il tessuto.

Mi ero fatta il più vicino possibile a lui e i nostri nasi quasi si sfioravano mentre io lo guardavo.
I capelli biondi erano arruffati e sporchi, così come lo era il viso. Occhiaie avevano preso piede sotto ai suoi occhi, che però mentre mi osservavano, restarono caldi e accoglienti.

-    Mi sei mancato così tanto…- dissi mentre con le dita gli segnavo un lungo graffio sotto lo zigomo.
-    Non so davvero come ho fatto a non andare fuori di testa quando ho scoperto che non eri più nella tua camera – replicò lui afferrandomi la mano e baciandola.
-    Minho ti avrebbe fatto rinsavire a suon di schiaffi in tutti i casi – sorrisi io e Newt si concesse una breve risata.
-    Davvero pensi che Teresa non sia controllata dalla Wicked? – domandò lui tornando serio.

Io sospirai – Sì… ma non so darmi una spiegazione; è qualcosa nei suoi occhi che mi fa pensare che non lo sia. Sembrava quasi che l’idea fosse venuta da lei e continuava a ripetere che era per ciò che Thomas le aveva fatto. Ma continuo ad ignorare cosa voglia dire – risposi.

-    Spero davvero che tu ti stia sbagliando… - replicò Newt chiudendo brevemente gli occhi.
-    Anche io… se penso che poteva succedere la stessa cosa a noi due, io… - mi interruppi perché mi si era fermato un grosso nodo alla gola.
-    Shhhh – mormorò Newt accarezzandomi una guancia – siamo di nuovo insieme, ce la caveremo… - mi rassicurò.

Io mi sporsi per lasciargli un bacio sulle labbra riarse.

-    Ora dormi – mi consigliò.

Io mi rannicchiai ancora di più contro di lui mentre il suo mento si appoggiava sulla mia testa.
Ero felice di averlo ritrovato… ma per quanto tempo sarebbe durata questa volta?
Probabilmente era la stessa cosa che si chiedeva Newt mentre osservava pensieroso il sole sorgere.




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Capitolo 20
*** 20. Tuoni ***


20.Tuoni
20. Tuoni


Il sole: era sempre stato così?

Mi ricordavo del sole della radura; era piacevole, delicato.
Ma questo che cos'era? Che cos’era questa enorme palla che sospesa in cielo batteva implacabile su di noi?
Ero coperta dalla testa ai piedi da uno dei lenzuoli del dormitorio eppure la mia pelle bruciava e i miei occhi venivano accecati dalla troppa luce, lacrimando costantemente. Ogni boccata d’aria ti seccata il palato e la lingua, ed era per quello che probabilmente nessuno fiatava mentre proseguivamo camminando verso la città davanti a noi.
Guardavo i volti dei ragazzi e ci leggevo una fatica indicibile. Mi chiesi come avessero potuto fare tutta quella strada… era.. era una cosa disumana. In tutti i sensi.
A confronto loro, il gruppo B aveva avuto vita facile nelle gallerie.. la goccia e le botole erano acqua fresca sotto i ponti.
Che avessero voluto farlo apposta?
La Wicked era così determinata a portare a termine l’uccisione di Thomas, dal garantire un trattamento di “favore”? Per quanto sulle prime l’idea mi potesse sembrare assurda, ragionandola da diversi punti di vista, alla fine, non lo era poi così tanto… Ogni tanto gettavo un’occhiata a Newt che mi camminava a fianco, vedevo il suo viso sporco di polvere e la rabbia mi invadeva. Perché tutto questo? Perché proprio a noi?Su tutto il pianeta ero sicura che ci fossero ancora ragazzi normali, che potevano stare insieme normalmente e normalmente essere innamorati. Perché non potevamo essere così?
A mezzanotte, con la città ormai alle porte, Minho decise di concederci qualche ora di sonno. Passai anche quella notte raggomitolata vicino a Newt e
mi addormentai con la speranza che l’indomani il sole non ci fosse più, e fui accontentata...
La mattina successiva il vento scuoteva l’aria e il suolo in modo disordinato e potente. Era così forte che faticavamo a stare in piedi mentre marciavamo verso la nostra meta ormai prossima. Quando trovammo quello strano vecchio raggomitolato in un cumulo di coperte c’eravamo quasi, e mentre Thomas cercava di parlargli, io iniziai a scrutare il cielo. Un denso strato di nubi plumbee vorticavano, si scontravano e si compattavano. Cambiavano colore di continuo, assumendo tonalità sempre più scure che non rassicuravano nessuno. Mentre le osservavo fui colta dal panico. Non so per quale motivo, ma quelle nuvole mi sapevano di morte.

-    Andiamo via! – gridai agli altri, ma le mie parole furono portare via dal ruggito del vento.

Mi guardai intorno senza sapere cosa fare... dovevamo andarcene, subito.
Una mano mi afferrò per un braccio e io mi voltai di scatto. Newt mi fissava con le sopracciglia aggrottate.

-    Dobbiamo fuggire. Quelle nuvole… - gli dissi accostandomi al suo orecchio.

Come se avessi detto una parola magica, il vento aumentò esponenzialmente di intensità, tanto che dovetti aggrapparmi alle braccia di Newt per reggermi in piedi.
Finalmente anche gli altri capirono che le cose si stavano mettendo male e, dopo che Minho ci riebbe organizzati, partimmo di corsa alla volta della città.
Furono momenti caotici, fatti di un terrore che nasceva dalla confusione data dalla scarsa visibilità per la sabbia nell’aria e per le raffiche implacabili e fuori controllo.
Poi arrivarono i fulmini... Le scariche si abbattevano sul suolo con violenza inaudita, il rombo prodotto mi fece fischiare le orecchie e mi stordì, finchè non udii nient’altro che il battito del mio cuore. Ero scappata con Newt, il mio polso stretto nella sua presa ferrea, ma era durato poco. Lo persi di vista nel giro di un istante.
Una scarica colpì il terreno davanti a me; ne avvertii il calore sulla pelle come una vampata di fuoco, e l’onda d’urto mi mandò schiena all’aria. Il colpo e lo shock mi lasciarono stordita e dolorante al suolo, mentre intorno a me imperversava la furia della tempesta. Per la seconda volta qualcuno mi afferrò per un braccio cercando di tirarmi in piedi. Quando alzai lo sguardo vidi che questa volta non era Newt, ma un altro ragazzo. Sam mi pareva si chiamasse.
Sam mi aiutò ad alzarmi e insieme proseguimmo la nostra corsa. La città era vicinissima, dovevamo solo resistere ancora un altro po’...
Tenevo la mano del ragazzo che mi aveva aiutata. Non ci eravamo mai parlati prima, ma quel contatto riusciva a dare ad entrambi un po’ di forza. Un altro fulmine a poca distanza dietro di noi mi sbalzò in avanti, persi la presa sulla mano di Sam e rotolai in avanti per diversi metri prima di riuscire a fermarmi. Quando riuscii a riprendermi e a girarmi alla ricerca del ragazzo, una saetta scese dal cielo e lo colpì. Lo scoppio di luce mi fece chiudere gli occhi e proteggere il viso con le braccia.

Quando li riaprii, vidi una scena che non mi sarei mai più tolta dalla testa.
Sam era riverso a terra, la gamba sinistra scomparsa, la destra carbonizzata al livello della coscia. La pelle di un rosso acceso, suppurava sangue e qualche altro liquido; peli e capelli non c’erano più e le dita erano nere e fumanti. Gli occhi… le orbite vuote colavano rosso. Il viso sfigurato era contratto in una smorfia di terrore e dolore mentre si muoveva a scatti. Istintivamente arretrai, inciampando più volte prima di riuscire a mettermi in piedi. Quando ce la feci ricominciai a correre e non mi fermai più. A qualche metro dal primo edificio della città venni investita da una secchiata d’acqua che quasi non avvertii.
Mi fermai solo quando fui al riparo. Lì ritrovai Newt. Fry pan lo teneva per un braccio, sembrava gli volesse impedire di uscire da lì, com’era
probabilmente sua intenzione.
Non sentivo nulla, se non un brusio costante dentro al cervello, ma dai gesti capii che si stavano domandando se stessi bene.
Con i sensi completamenti annientati gli feci un vago segno con la mano, prima di incamminarmi verso il muro più vicino e lasciarmi scivolare a terra con le gambe tese davanti a me. Rimasi a fissare la cortina di quella che era pioggia, ma che appariva più come un muro grigio argento.  
Per cosa stavamo sopportando tutto questo? Facevo fatica a ricordarmelo…
“Per l’umanità, per la cura” disse una voce estranea alla mia mente.
L’umanità? Quella che non mi ricordavo nemmeno che esistesse?!
La cura? Quella che non sapevo nemmeno mi servisse?!
Che andassero in malora il genere umano e i suoi problemi! Un ragazzo era stato letteralmente sciolto davanti ai miei occhi da un fulmine!
Dovevo assistere a tutto quel dolore per l’umanità!? Sul serio?!
“No… non per l'umanità, ma per lui….”
Il mio campo visivo focalizzò un paio di gambe che mi stavano di fronte interrompendo il contatto con il muro di acqua.
Alzai gli occhi su Newt e capii, finalmente ricordai… mentre parte della mia storia si dipanava davanti a me, Newt mi si affiancò, coricandosi per terra e appoggiando la testa sulle mie gambe con il viso rivolto verso l’esterno.
Appoggiai una mano sui suoi capelli iniziando ad accarezzarli, mentre sul mio volto scorrevano le lacrime.
Sapevo perché ero andata lì.. ora me lo ricordavo…
Fui contenta che i tuoni ci avessero tolto l’udito, perché in questo modo Newt non si poteva accorgere delle urla che stavano uscendo dalla mia bocca.



Stanza delle mappe:

Credo che la tempesta di fulmini sia una delle scene che più mi ha deluso del film... insomma, quando l'ho letta nel romanzo ero ad un passo dal cardiopalma!
Il vero "scoop" del capitolo comunque è l'improvvisa memoria ritrovata di Carys, chissà cosa si è ricordata...
Un grazie a tutti coloro che continuano a leggere la mia storia e che l'hanno aggiunta tra preferiti, seguiti (Everlarkhayffie) e ricordati.

Marta

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Capitolo 21
*** 21. Voci ***


21.Voci
21. Voci


Avrei potuto dormire per giorni, anzi, per sempre… Il sonno è così piacevole quando la realtà è così brutta, ti permette di tenere lontano gli incubi del giorno, e se sei abbastanza stanco, anche quelli della notte ti stanno alla larga. E io ero molto stanca, come se nelle ultime settimane avessi vissuto dieci vite diverse, tutte insieme.

Ma il mio subconscio, scusate il gioco di parole, era ben conscio della situazione in cui ci trovavamo e il mio corpo sapeva di doversi svegliare, di doversi organizzare, di dover sopravvivere un altro giorno. Così, quando il peso che avevo sulle gambe scomparve, mi svegliai.
Newt si era alzato e si stava sgranchendo gli arti intorpiditi dal sonno. Non mi sfuggì la smorfia di dolore quando mosse la gamba ferita.
Io lo imitai, alzandomi e venendo colta da un crampo allo stomaco così forte da togliermi  il fiato. A quanto pareva la fame era una fedele compagna, restia ad abbandonarmi.

-    Stai bene? –

La voce di Newt era roca e molto, molto più stanca di come la ricordassi all’inizio. Pensai che la Radura si era già portata via molto di lui e che questa situazione continuava a farlo.

-    Scusa per ieri.. ma.. non riuscivo a capire quasi nulla. Ho visto.. ho visto Sam colpito da un fulmine – dissi chiudendo gli occhi al ricordo – Newt non hai idea… - mormorai.

Lui mi guardava con una strana comprensione mista ad un indicibile amarezza. I suoi occhi… li avevo sempre trovati bellissimi, così scuri in contrapposizione con i capelli biondi. Erano bellissimi quando rideva e lo erano anche adesso, ombrati di preoccupazione.

-    Andiamo avanti… questo posto non ci ha ancora rincaspiato del tutto il cervello per fortuna – rispose lui tirandomi dentro un breve abbraccio.

Quando lo lasciai andare verso Minho e Thomas, guardai verso l’alto tra i buchi nel soffitto. L'azzurro di un cielo limpido faceva capolino inondando l'ambiente di luce soffusa. Rivedere il sole non mi sorprese, con gli eventi del giorno prima avevo capito che lì qualsiasi cosa era imprevedibile. Si fosse messo a nevicare tra cinque minuti non avrei battuto ciglio probabilmente.  Poi feci quello che in realtà non avevo per nulla voglia di fare: capire in quanti ce l’avevano fatta.
Quando finii di contarci sospirai penosamente.. eravamo solo in...


-    Siamo solo in undici –

Mi voltai verso Newt che aveva parlato, non si stava rivolgendo a me, ma a Thomas e Minho. Guardai la gravità della consapevolezza farsi strada nel suo sguardo, segnando una profonda ruga sulla sua fronte. Ruga che si trasformò in disappunto quando sentì Minho fare il conto di quanti erano morti
con nonchalance. Riuscivo a capire il moto di stizza che Newt aveva nei suoi confronti e che non centrava nulla con il fatto che non fosse più lui il capo dopo Alby. Minho sembrava distaccato, in certi casi sembrava quasi che si divertisse. Non riuscivo a capire se fosse stata la sua nuova posizione a cambiarlo, o se fosse semplicemente il suo modo di mascherare i suoi reali sentimenti.

“Il potere cambia tutti prima a poi”


Il mio cuore perse un battito e mi voltai indietro per vedere se ci fosse qualcuno. Quella voce… quella voce era nella mia testa ed era la stessa della sera precedente, quando avevo ricordato...
 

“Sono qui da molto.. solo che non te ne sei mai accorta”

Mi imposi di stare calma. Che avessi anche io lo stesso potere di Thomas e Teresa?
No… era qualcos’altro.. qualcosa di più profondo che stava pian piano emergendo.
Come se avessi azzeccato quella.. quell’entità annuì. Non potevo vederla, ma sapevo che approvava quello che avevo appena pensato.

-    E tu chi sei?! -

Persa nei miei pensieri mi ero distratta troppo, tanto da non sentire che sopra di me c’era qualcuno.
Fu così che conoscemmo Jorge. Il capo degli spaccati della città.



Stanza delle mappe:

Ogni tanto mi diverto a inserire qualche scoop che puntualmente mi pianta nei casini perchè devo poi gestire il tutto in modo che abbia un senso... ma, ehi, ci vuole un pò di pepe in questa storia! Forse, spero, che Dio mi aiuti.... ^^"
Ringrazio di cuore gli affezionati lettori e i buoni di cuore che mi hanno aggiunta tra le peferite, seguite (Principessa_luxa) e ricordate.

A presto,
Marta

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Capitolo 22
*** 22. Bugiarda ***


22.Bugiarda
22. Bugiarda


Se potevo avere qualche dubbio della somma deficienza di quella testa di sploff di Minho, quando decise di attaccare Jorge non ne ebbi più alcuno. Fu esattamente così che ci ritrovammo circondati da un gruppo di spaccati armati fino ai denti e che non vedevano nulla di male nell’ucciderci tutti.
A salvarci in extremis fu Thomas, anche se non lo seppi  fino a quando non tornò dal suo colloquio con Jorge.
Era riuscito a convincerlo che potevamo essergli utili usando l’unica arma a nostra disposizione e l'unica cosa che poteva fare da baratto con le nostre vite: la cura.
La collaborazione con lui e Brenda, una ragazza del suo gruppo, cominciò con un'offerta di cibo. Non mi vergogno a dire che mangiai la mia porzione di salsiccia e fagioli quasi trangugiandola, leccando anche i bordi della latta una volta che ebbi finito. La fame può essere una brutta bestia quando ci si mette.
Evidentemente però, il solo fatto che fossimo riusciti a mangiare finalmente qualcosa doveva aver scatenato l’ennesimo reazione uguale e contraria. 
Un'esplosione non meglio identificata, fece crollare parte del soffitto della galleria dove ci eravamo rifugiati per mangiare. Con il risultato di separare il nostro gruppo da Brenda e Thomas. Quando ce ne rendemmo conto iniziò una dura lotta verbale fatta di “caspio”, “sploff” ed “Hermano”, durante la quale Minho asseriva di voler andare a cercare Thomas, mentre Jorge asseriva che il ragazzo era con Brenda e che lei era brava quanto lui a muoversi in città. Quindi avremmo dovuto proseguire e sicuramente prima o poi ci saremmo incontrati.  Alla fine intervenne Newt, che facendo ragionare il Velocista riuscì a sbloccare la situazione.
Le priorità erano di evitare gli spaccati e recuperare del cibo. Visto e considerato che noi non sapevamo assolutamente dove andare, ci affidammo del tutto a Jorge, che nonostante ci avesse minacciato di morte più volte, a me non dispiaceva, soprattutto da quando condividevamo l’idea che Minho fosse un rincaspiato.
Così lo seguimmo per i tunnel che si diramavano per tutto il sottosuolo. Sapeva quali corridoi prendere, quali posti evitare e così via. Nel frattempo ci aggiornò sulla situazione globale. A quanto pareva l’Eruzione si era diffusa in modo violento e improvviso, costringendo le nazioni a misure drastiche ed urgenti. Che alla fine erano sfociate in una deportazione di tutti coloro che erano infetti nella zona bruciata, la quale comprendeva più o meno tutto il tropico del cancro e del capricorno. In sostanza era una specie di prigione a cielo aperto, mentre chi stava bene si confinava nelle poche città ancora intatte e salubri.
Più Jorge parlava e meno potevo credere che la Wicked fosse buona... però era utile. A me, era utile.
Uscimmo dalle gallerie solo quando fu notte; Jorge ci portò sul tetto di uno dei palazzi per poter riposare. A quanto diceva lui la parte peggiore era passata, ora dovevamo solo aguzzare la vista e ritrovare i nostri amici. Per tal motivo il mattino successivo avremmo dovuto iniziare a fare qualche giro di ricognizione.

Non appena fu l’ora di andare a dormire raggiunsi Newt, mi sdraiai al suo fianco e appoggiai la schiena contro al suo petto, ignorando i tentativi di avance di Minho.

-    Non riesco a capire se lo faccia apposta a provocarti – borbottai a Newt dopo che ebbi mandato a stendere il Velocista, che si mise a dormire ghignando.
-    È Minho – rispose Newt come se quello bastasse a spiegare tutto, ed in effetti era così.

Sospirai, accarezzando con il pollice il braccio di Newt che mi circondava il petto. Il suo fiato mi solleticava la nuca e il battito del suo cuore risuonava sulla mia schiena. 

-    Credi che abbia fatto bene ad appoggiare Jorge? – mi domandò d’un tratto Newt.

Io mi girai quel che bastava poterlo guardare negli occhi. Era preoccupato per Thomas, glielo si leggeva apertamente in faccia.

-    La galleria era crollata… tornare indietro non sarebbe servito a niente e perdere Jorge nemmeno – risposi sinceramente.
-    È quello che continuo a ripetermi – mormorò lui.
-    Newt, ascoltami. Hai fatto la scelta giusta, punto. E se ancora hai dei dubbi su questo, domandati perché Alby ti ha nominato come vice. E non rispondermi che lo ha fatto perché sei stato il secondo ad arrivare alla Radura! – lo anticipai, interrompendo la sua probabile risposta.
-    Ti credo –

Io lo guardai confusa, non capendo a cosa si riferisse.

-    Su cosa? – domandai aggrottando le sopracciglia.
-    Sul fatto che tu mi conoscessi già da prima. Ho come la sensazione di essere stato rimproverato da te più d’una volta in passato – rispose accennando un sorriso.
-    Puoi giurarci, è perché sei una testa del caspio! – replicai.

Lui si sporse a darmi un bacio e io tornai a girarmi godendomi il calore del suo corpo.
Sembrava tutto così normale eppure non lo era. Per un istante mi sembrò di essere solo una spettatrice esterna, di star guardando quella scena attraverso gli occhi di qualcun'altro. Fu una sensazione che durò solo un istante, ma che mi lasciò un vago senso di disagio.
Cosa mi stava succedendo? Non lo riuscivo proprio a capire…


“Tu conosci il perché.. sei una bugiarda mia cara Carys”

Ignorai quella voce sorridente seppellendomi ancora di più contro Newt.



Stanza delle mappe:

Mi fermo giusto il tempo per ringraziarvi tutti! Chi legge, recensisce e mi inserisce tra le seguite (Hikari mari), ricordate e preferite.
Scusate la fretta.

A presto,
Marta

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Capitolo 23
*** 23.Giuramento ***


23. Giuramento
23. Giuramento


 La mattina successiva, non appena spuntò l’alba, iniziammo il giro di ricognizione. Una squadra si inoltrò nei vicoli della città mentre l’altra rimase sui tetti.
Gli edifici di quella zona erano quasi tutti collegati tra loro da una rete di travi e ponti sospesi, Jorge ci disse che probabilmente era stata costruita dai primi spaccati arrivati in quel posto. Era molto comoda, si poteva andare avanti e indietro da un tetto all’altro controllando dall'alto ogni strada senza doversi per forza nascondere.
Peccato che la nostra ricerca non stesse dando molti frutti...
Dopo aver passato ore sotto il sole cocente senza trovare la minima traccia di Thomas, mi concessi una pausa e, seduta comodamente su di una trave che sovrastava un'ampia strada, iniziai a mangiare qualcosa e a bere un po’ d’acqua.
Da quel punto potevo vedere oltre la città. Osservando l'orizzonte notai che, appena dopo il centro abitato, si estendeva una zona brulla e che ancora più in là si innalzava una catena montuosa. Non sembravano essere abitate, ma solo imponenti e minacciose. Guardandole ebbi la sgradevole sensazione che sarebbero state la nostra prossima meta.

-    Non potevi scegliere un posto più comodo per riposarti? –

Smisi di osservare il panorama e mi voltai a guardare Newt cercare di raggiungermi tentando di mantenere l’equilibrio sulla trave.

-    Acqua? – gli offrii quando si fu seduto vicino a me, porgendogli la mia borraccia.

Lui ne bevve un paio di sorsi riconoscente, poi guardò preoccupato in basso. Eravamo parecchio in alto effettivamente.

-    No, seriamente, perché caspio ti sei fermata qui? – chiese, dubbioso sulla mia salute mentale.

Io feci spallucce – perché amo l’altezza credo… - risposi e lui scosse la testa desolato.

-    Voi ragazze non dovreste soffrire di vertigini? – replicò lui divertito.
-    E voi ragazzi allora? – ribattei io e vidi il suo sguardo adombrarsi.

Avevo parlato senza riflettere. Sapevo esattamente a cosa stesse pensando. All’ultima volta che era stato così in alto…

-    Newt perché hai deciso proprio di buttarti nel Labirinto? – mi azzardai a domandare.

Lui sospirò, prima di alzare lo sguardo verso l’orizzonte.

-    Non volevo farlo nella Radura.. mi avrebbero soccorso subito e poi... onestamente mi vergognavo - rispose.
-    E Alby ? Non hai pensato che lui ti avrebbe aiutato? – replicai io ignorando l’ultima frase.
-    Certo… ma pensavo che con i Dolenti in giro e lo scarso tempo a disposizione per rientrare, mi avrebbe lasciato indietro –

Questa sua sincerità fu disarmante e mi salì una strana rabbia.

-    Spero che ti abbia mandato almeno a  quel paese – sbottai a denti stretti.

Newt si girò stupito dal mio tono e poi sorrise mesto.

-    Oh sì, non mi ha parlato per giorni – rispose e io mi sentii un'idiota.
-    Scusa… solo che se ci penso mi viene la rabbia. Perché se fossi stata lì te lo avrei impedito ad ogni costo… e invece non c'ero - dissi appoggiando la testa sulla sua spalla.
-    Era troppo per me… e a volte mi sembra che lo sia ancora adesso – replicò lui con voce sommessa e distante.

A quella frase rialzai la testa e lo guardai negli occhi.

-    Giuralo! - gli intimai infuocandomi di nuovo - giurami che non proverai mai più a suicidarti! – esclamai con fervore.

Newt abbassò per un istante gli occhi verso il suolo, come a ripensare al gesto che aveva compiuto, poi tornò a guardarmi.

-    Te lo giuro – mi disse – finchè saremo insieme, te lo giuro – aggiunse.

Volevo ribattere, ma da uno dei tetti comparve Jorge che ci avvisò che Thomas e Brenda erano stati avvistati e ne seguì una lunga  spiegazione, alla fine della quale non fui per nulla soddisfatta.

-    Non ci avevi detto che questa parte della città era sicura? – commentai risentita guardando con astio Jorge mentre andavamo a salvare Thomas e Brenda.

I due ragazzi erano stati visti da Fry che aveva assistito alla scena del loro rapimento da parte di un terzetto di spaccati.
L’ispanico si rabbuiò, mentre mi rispondeva che quel gruppo non si era mai messo contro nessuno. L’unica cosa che interessava loro, era di sballarsi tutto il giorno al ritmo di una musica assordante.
Musica che, adesso che eravamo più vicini al loro covo, rimbombava tra le vie.
Avevamo aspettato tutto il giorno tenendo sotto controllo gli spaccati. Il piano era semplice: aspettare l’alba, circondarli e attaccare. Bevevano e si facevano dal giorno prima, per cui a quell’ora sarebbero stati più di là che di qua per poter contrattaccare.
Più passava il tempo e più fremevo, stringendo la presa sulla lancia che mi era stata data (anche se lancia era una definizione un po’ forte per un bastone con legata in cima la lama di un coltello). Odiavo restare ferma ad attendere e per una volta capii come doveva sentirsi Minho. Il Velocista aveva fin da subito suggerito di attaccare senza spettare. Ovviamente erano stati Jorge e Newt a fargli cambiare idea, facendogli capire che buttarsi a capofitto in un’arena piena di pazzi non sarebbe stata una buona idea. Dopo un tempo interminabile, finalmente Jorge con un cenno del capo ci diede il via libera.
In poco tempo accerchiammo il posto, dal quale ormai non si levava più alcun rumore.
Come avevamo previsto, al momento dell’irruzione, la maggior parte degli spaccati stava dormendo annebbiata dai fumi dell’alcol e di chissà di cos’altro. Alcuni di loro provarono comunque ad opporre resistenza.
Un energumeno dagli occhi pesti mi si fece incontro, ma
non appena fu abbastanza vicino, con l’estremità disarmata del bastone gli colpii con violenza le caviglie facendolo crollare a terra e poi gli puntai la parte con il coltello alla gola. Quello pigolò qualcosa prima di svenire a seguito di un calcio secco in testa datogli da Minho, il quale mi fece sinceramente i complimenti.

“Sei proprio una femmina con le palle tu”  Non sono sicura fosse proprio un complimento…


Mentre lui andava a recuperare gli ostaggi noi tenemmo gli a bada gli Spaccati, ma nessuno di essi creò ancora problemi. Nonostante negli ultimi tempi non avessimo più avuto occasione di parlare, fui felice di rivedere Thomas. Probabilmente lui pensò lo stesso  e quando lo salutai mi abbracciò senza esitazioni. Sapevo che non aveva ancora accettato quello che gli avevo detto su Teresa, ma restare ancorati a simili rancori, in una situazione come quella, sarebbe stato da vere teste di sploff. Quindi, una volta che fummo sicuri che gli spaccati avessero capito di non doverci seguire, uscimmo da quel posto lurido e maleodorante.

Ero ad appena due gradini dietro Newt, quando alle nostre spalle qualcuno gridò.
Successe tutto molto in fretta. Quando mi voltai, vidi un tizio biondo con in mano una pistola fare fuoco verso Thomas che venne sbalzato indietro tra le braccia di un attonito Jorge. A quel punto il mio corpo si mosse da solo, scesi di corsa i gradini che mi separavano dallo spaccato e con la lancia ben stretta nel pugno gli trapassai la gola con la lama appuntita. La spinsi fin quasi a fargliela spuntare dall’altra parte tenendolo inchiodato alla parete dietro di lui che si macchiò di sangue scarlatto. Mantenni la presa accecata da un'ira che sembrava estranea al mio essere, finchè qualcuno non mi fece lasciare la presa.
Non capii chi.. ero troppo sconvolta, sconvolta dalla rabbia e dall’odio che quell’uomo mi avevano suscitato.


“Non sei affascinata dal sangue Carys?”

Volevo gridare a chiunque fosse di smetterla di entrare nella mia testa, ma stordita mi lasciai condurre su per le scale mentre le grida di Thomas riecheggiavano tutto intorno.

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Capitolo 24
*** 24.Ira ***


24.Ira
24. Ira


Prima di poterci fermare e adagiare Thomas al suolo, dovemmo uscire fuori dalla galleria, attraversare la città e fare un paio di chilometri fuori da essa.

Thomas per fortuna,
ad un certo punto, era svenuto per il dolore  e mi duole dire che ne fui molto felice. In tutta onestà non avrei potuto sopportare le sue urla un minuto di più. Erano disumane e, soprattutto, appartenevano ad un mio amico.
Il sangue aveva ormai imbrattato completamente la maglietta che era stata usata per tamponargli la ferita e Jorge disse che non si poteva più attendere, che si doveva dare un’occhiata. Non appena la ferita fu scoperta, il sangue ricominciò a sgorgare seppure con meno violenza di prima.
Girandolo su di un fianco, capimmo con rammarico che il proiettile non era uscito e che lo si doveva di conseguenza estrarre al più presto.

-    Come caspio facciamo?! Non abbiamo niente per medicarlo! - esclamò Newt quando Jorge avanzò quell’idea.

Potevo capire il suo timore. Non avevamo medici, bende, anestetizzanti o disinfettanti. Avremmo potuto certamente estrarre il proiettile usando un coltello, ma era il resto che mi preoccupava. Ma alla fine, che scelta avevamo?
Pulimmo la lama con un po’ d’acqua e la passammo sul fuoco che era stato prontamente acceso. Cicatrizzammo il foro nella spalla arroventando di nuovo la lama, lo pulimmo con altra acqua e facemmo un bendaggio di fortuna, ma ormai in quella ferita era sicuramente entrato di tutto.
Abbattuti e ormai arrivati al tramonto di quel giorno, ci accampammo fuori città in una baracca di legno fatiscente. Nessuno aveva voglia di parlare e il morale nei giorni seguenti non migliorò di certo. Ogni tanto Thomas riprendeva conoscenza, per poi essere assalito dal dolore e dalla febbre e addormentarsi di nuovo.
Come tutti avevano previsto, benché nessuno avesse espresso quella consapevolezza ad alta voce, la ferita si era infettata. Se fosse continuato così, Thomas non sarebbe sopravvissuto... La tristezza si poteva leggere negli occhi di tutti e soprattutto in quelli di Newt.

Si faceva sempre più pallido e sotto gli occhi gli erano comparse larghe occhiaie che gli spegnevano lo sguardo. Non parlava, neppure con me, mantenendo le distanze in un dolore che non riuscivo a raggiungere.
La terza notte da quando avevano sparato al suo amico lo vidi allontanarsi dall’accampamento e preoccupata lo seguii.
Lo raggiunsi mentre si chinava verso terra a raccogliere un grosso masso, che scagliò lontano mettendosi a gridare. Continuò a gridare anche dopo, maledicendo tutto quanto, afferrando sassi e lanciandoli. Non lo avevo mai visto ridotto così.

-    Newt! - lo chiamai spaventata.

Lui si voltò, il volto rosso di collera, gli occhi lucidi e i pugni serrati lungo i fianchi.

-    Torna dagli altri El! – esclamò nella mia direzione senza guardarmi.
-    No, non ci torno dagli altri – ribattei.
-    El, torna indietro e lasciami solo! – replicò lui con tono duro.
-    Non puoi dirmi cosa fare! – continuai imperterrita.
-    El, caspio! Vattene! – gridò.
-    No! Non finchè tu sei in queste condizioni – urlai a mia volta – devi calmarmi! -
-    Devo calmarmi? – mi chiese di nuovo con tono normale e alzando finalmente gli occhi verso di me – calmarmi El? Hanno sparato al mio migliore amico! Sta morendo in un caspio di deserto e tu mi dici di calmarmi!? – disse con tono tremante di collera – perché dovrei calmarmi?! – tornò a gridare.
-    Perché mi fai paura!- gli urlai contro mettendomi a piangere e dandogli uno spintone sulle spalle.

Newt arretrò di qualche passo e rimase fermo a fissarmi, dagli occhi lucidi presero a scendere lente delle lacrime.

-    Mi dispiace…- mormorò – mi dispiace tanto – disse con la voce che si spezzava e mentre io gli passavo le braccia attorno al collo esile.

Lui mi strinse a sé trascinandomi in ginocchio con lui e scoppiando a piangere.
In quel momento si concentrò tutto il dolore di giorni e giorni di preoccupazioni e ansie. Di anni di tormenti e speranze.
Perché quello eravamo: dolore e speranza.

 

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Capitolo 25
*** 25. Rapimento ***


25.Rapimento
25.Rapimento


Eravamo ancora abbracciati, quando qualcosa si profilò nel cielo sopra di noi. Increduli osservammo un enorme dirigibile, che aveva visto giorni migliori, scendere lentamente proprio sopra al campo che avevamo improvvisato.
Ci mettemmo subito a correre per tornare dai nostri amici.
Arrivammo in tempo solo per vedere un paio di uomini con una strana tuta verde e un paio di maschere antigas portare via Thomas.

-    Ehi! – gridò Newt al loro indirizzo cercando di fermarli.

Jorge però lo intercettò, immobilizzandolo quando iniziò ad agitarsi con furia. L'uomo gli urlò di smetterla, che probabilmente quegli uomini erano lì per aiutare Thomas.
Chiesi a Jorge come poteva esserne sicuro, ma fu Brenda a rispondermi.

-    Non possiamo esserlo.. ma è l’unica possibilità che abbiamo –

Newt sembrò accettare quella risposta, smettendo di dimenarsi e limitandosi ad osservare il suo amico venire caricato sopra al dirigibile, che con un rombo terribile si alzò nuovamente in volo scomparendo ben presto all’orizzonte.
Iniziò così un nuovo, estenuante periodo di attesa, fatto di parole scarne e di una strana solidarietà espressa attraverso i gesti e gli sguardi.
Newt sembrò calmarsi definitivamente, anche se la preoccupazione continuava a solcargli profonde rughe in viso. Cercavo di stargli vicina il più possibile, speravo che la mia presenza un po’ lo rinfrancasse. Non so se fu effettivamente così.
Di sicuro quando la Berga (così disse Jorge chiamarsi il dirigibile) riapparve nel cielo e da esso venne calata una barella con sopra Thomas, il morale si rialzò nettamente.
Il nostro amico sembrava stare bene, un po’ confuso forse, ma pareva godere di ottima salute. Del profondo dolore che gli aveva scolpito i tratti negli ultimi giorni non vi era più traccia. Dopo averlo liberato dalla barella, tornammo tutti a sederci sotto la capanna di legna. Lì, Thomas ci raccontò di essere stato preso in cura dai medici della Wicked, disse che avevano fatto un’eccezione nel curarlo perché la pistola non era stata prevista. Si trattava di un errore nelle variabili. Il resto però era tutto piuttosto confuso, si parlava di schemi e di candidati. La cosa certa, è che fossimo costantemente osservati e la cosa non ci faceva granchè piacere.
Niente di ciò che ci aveva detto Thomas poteva esserci utile per raggiungere il famoso punto sicuro, quindi il nostro piano rimase lo stesso di sempre: aspettare il calare del sole e iniziare a correre verso le montagne.

Fu all’alba, quando oramai avevamo raggiunto le pendici di quei monti seccati dal sole, che il mio ex gruppo si fece vivo.
Dapprima in lontananza si vedeva solo Teresa, ma quando ci raggiunse era in compagnia di tutto il resto della truppa. Ci circondarono su ogni lato, armate fino ai denti. Io ero preparata all’evento, sapevo che sarebbe successo, ma gli altri speravano ancora che mi sbagliassi. Se anche loro avessero visto lo sguardo di Teresa e ascoltato le sue parole di allora, non avrebbero avuto alcun dubbio sulla serietà del mio racconto. Ma ebbero modo di scoprirlo.
Il concetto che Teresa espresse con voce glaciale era semplice: Thomas doveva andare con loro, se si fosse rifiutato ci avrebbero infilzati tutti con le frecce; frecce che Dio solo sapeva dove avessero trovato. Ogni volta che Thomas provava a parlarle, Teresa lo colpiva. Minho e Newt fremevano, lo vedevo dai gesti nervosi del primo e dallo sguardo infuocato del secondo. Ma nulla valse.. alla fine Thomas fece come gli era stato detto e fu chiuso in un logoro sacco di tela.

-    Non sto scherzando! – ci avvertì lei – Se ci seguirete le frecce cominceranno a volare! – rincarò mentre passava tra di noi.

Newt a quel punto la afferrò per un braccio.


-    Teresa, è una pazzia e tu lo sai! – le disse cercando di farla rinsavire. 

Il movimento fulmineo che seguì, quasi non si vide. Teresa colpì Newt alla gamba facendolo rovinare a terra. Lui gridò di dolore tenendosi lo stinco con entrambe le mani.
Mi buttai in ginocchio al suo fianco mentre sentivo quella rabbia cieca invadere ogni singola vena del mio corpo. Ma, come se le ragazze avessero intuito il mio stato d'animo, mi ritrovai con almeno tre archi puntati dritti contro di me. Fremendo mi voltai a guardare Teresa dal basso.

-    Toccalo un'altra volta… e giuro che ti ammazzo - sibilai tra i denti.

Teresa mi fissò per un lungo momento prima di sorridere – Come lo spaccato biondo? Non lo dubito.. - asserì.

Nonostante quelle parole mi avessero turbata più del dovuto, sperai di non lasciar trapelare niente dal mio sguardo.
A quel punto, il gruppo, sempre tenendoci sotto tiro, riprese la marcia raggiungendo ben presto le montagne e scomparendo alla nostra vista.

Appena non fu più visibile ci mettemmo a correre anche noi verso in quella direzione, sperando di riuscire a seguire le loro tracce. Purtroppo, quando arrivammo alle pendici scoscese, non vi era più alcuna traccia di loro..
Dopo un momento di spaesamento decidemmo che l’unica cosa da fare era quella di proseguire verso il porto sicuro. Se avessimo avuto una qualsiasi avvisaglia delle ragazze, avremmo pensato al da farsi sul momento.
Mentre ci inoltravamo in un varco che sembrava valicare l’altopiano, pensai a come dovevano essere state belle quelle montagne un tempo, ricoperte di erba, pini e faggi, anziché essere solo l’ennesima zona bruciata dal sole. Quel paesaggio era ancora più desolante del deserto che avevamo lasciato, perché lasciava capire com'era prima.

Possibile che ci fossimo davvero ridotti così? A vivere su un pianeta corroso dalla malattia e con l’unica speranza di salvezza risposta in un gruppo di ragazzi che venivano torturati un po’ per giorno. Se ci si fermava a pensare a come sarebbe potuta essere la vita senza la Wicked e l’eruzione ti sembrava di impazzire...
Continuavo a chiedermi perché fosse successo a noi. E me lo continuavo a chiedere ogni volta che vedevo lo sconforto  sul viso dei miei amici e su quello di Newt.
Vivere in un mondo nel quale non vi era la certezza di poter stare assieme alle persone care ci stava lentamente uccidendo.

Questi ben poco allegri pensieri mi fecero compagnia per tutto il giorno fino a notte, quando ci accampammo per riposare. Mentre i Radurai si sistemavano per dormire, io mi discostai da loro, lasciando dietro di me le chiacchiere sussurrate e i piani per il giorno seguente.
Andai a sedermi contro un tronco annerito e ormai fossilizzato di un albero non bene identificato, e rimasi a guardare in lontananza la città degli spaccati stagliarsi sotto un cielo stracolmo di stelle. La vista della città mi fece tornare in mente l’episodio della pistola.

“Come il tizio biondo? Non lo dubito”


Mi presi la testa tra le mani sospirando rumorosamente.

-    Ehi -

Sobbalzai spaventata dalla voce improvvisa, ma era solo Newt... era sempre lui. Mi si sedette a fianco appoggiando come me le spalle contro il tronco.

-    Ehi – risposi – come va la gamba? – domandai, toccandogliela con la mia.
-    Bene, stai tranquilla. Tu piuttosto? Sei stata pensierosa tutto il giorno – osservò.
-    Niente di che.. solo che tra Thomas e il resto, il mio cervello non smette mai di ragionare – risposi con un sorriso, riprendendo a guardare verso la città.
-    È per quello che ti ha detto Teresa? – disse Newt dopo un momento di silenzio.

Sospirai di nuovo. Ovviamente non poteva essergli sfuggito.

-    Più o meno – risposi laconica.
-    Ti senti in colpa? – domandò.

Aveva esattamente centrato il punto.

-    È quello il problema.. no! – esclamai frustrata – ho piantato una caspio di lancia nella gola di un uomo, uccidendolo, e non provo niente! Dovrei essere sconvolta, sognarlo la notte, ma niente! Non mi ha minimamente toccato! – proseguii senza riuscire a fermarmi.

Mi presi di nuovo la testa tra le mani.

-    Non so cosa mi stia succedendo… - mormorai afflitta.
-    È questo posto… -

Sollevai la testa per guardare Newt.

-    È quello che ci sta accadendo. Ogni giorno che passiamo in questo modo si porta via un pezzo di noi facendoci dimenticare chi siamo… - spiegò mentre faceva a pezzettini un residuo di corteccia.

-    Allora dovremo solo ricordarci ogni giorno chi siamo a vicenda – dissi io.

Newt mi circondò le spalle con un braccio, attirandomi sul suo petto e baciandomi il capo.

“Posso ricordarti io chi sei…”

Più il tempo passava e più quella voce diventava maligna.


Stanza delle mappe:

Chiedo scusa se a volte non mi fermo a scrivervi due righe "off story" ma sono sempre di corsa e ho anche molto poco da dire sui capitoli ^^" Vedo che continuate a seguirmi in molti e sono molto contenta della cosa! =)
Un grazie quindi a tutti i lettori e a coloro che mi hanno aggiunta tra le storie preferite (M a r t s), ricordate e seguite.

Un abbraccio,
Marta

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Capitolo 26
*** 26. Porto sicuro(?) ***


26. Porto sicuro
26. Porto sicuro(?)


Se pensavo che le emozioni non facessero più parte di me, dovetti ricredermi quando raggiungemmo il porto sicuro.

Nonostante l'infausto incontro in un gruppo di spaccati, alla fine eravamo riusciti ad raggiungere il versante opposto della catena montuosa e, arrivati al deserto che si stendeva dopo di essa, avevamo individuato qualche chilometro più avanti  il gruppo B. Avevamo proseguito nella loro direzione finchè non lo avevamo visto fermarsi in un punto ben preciso nel bel mezzo del nulla. Avevano trovato qualcosa.
Le raggiungemmo in poco tempo e mi sarebbero dovute bastare le loro espressioni per capire che qualcosa non andava. Nessuna di loro ci disse nulla, facendosi semplicemente da parte per darci modo di vedere cosa avessero scoperto.
L’emozione che mi assicurò di essere ancora capace di provarne, fu lo sconcerto.
Sconcerto nel vedere un semplice bastone piantato nel terreno, riportante su di un nastro la dicitura: Porto Sicuro.
Scambiai un’occhiata con Newt, ma nel suo sguardo vi lessi solo stanchezza, una profonda e assoluta stanchezza.
Giustamente in cosa speravamo?
 In una qualche sorta di grosso edificio con un plotone di soldati a difenderlo e cibo e riparo per tutti?
Stavamo parlando della Wicked dopotutto... "Prima della salvezza ancora una prova ragazzi! Ancora una, forza!!!"

Mi sembrava di sentirli incitarci… quei grandiosi pezzi di sploff!
Mi lasciai cadere a qualche metro dal bastone e rimasi lì. Non mi alzai nemmeno quando arrivarono Teresa, Thomas e Aris. Dando una veloce occhiata a Teresa mi sembrò tornata quella di prima, c’era tristezza e rammarico nei suoi occhi, specialmente ogni volta che guardava verso Thomas. Ma la fiducia è una brutta bestia da dover riconquistare…
Con il passare del tempo, vicino a me si sedettero anche Fry pan, Minho, Newt e infine Thomas, desideroso di passare un po’ di tempo con i suoi amici.
Mentre lo ascoltavo parlare e spiegare cosa fosse successo, mi misi ad osservare il cielo. Man mano che la storia raccontata si faceva più gravosa e dolorosa, la volta cambiò colore, passando dall’azzurro al grigio cupo, come a voler esprimere il proprio parere sulla vicenda.

-    Mi dispiace -

Abbassai gli occhi su Thomas e ci vidi una profonda delusione. Si scusò con me per non avermi creduto prima. Io cercai di rassicurarlo in qualche modo, mitigando l’astio che si era venuto a creare nei confronti della ragazza; non tanto perché le credessi, ma quanto meno per dare un po’ di speranza a Thomas.
Le nubi nel frattempo continuavano ad addensarsi e a scurirsi. Ormai era chiaro che ci aspettava un’altra tempesta.

Oltre al ruggito del vento, ben presto, si unì un altro rumore. Con un enorme fracasso, intere sezioni di deserto si capovolsero su loro stesse, creando una scacchiera di rettangoli neri e lucidi. Sopra di essi c’erano delle scatole… le stesse scatole che contenevano i Dolenti.
La battaglia che seguì fu veloce e violenta.
Dalle scatole non uscirono dei Dolenti come ci eravamo aspettati, ma esseri dalla forma umanoide, che di umano però, non avevano nulla. Lame gli spuntavano dalle dita ed  escrescenze a forma di lampadina lampeggiavano inquietantemente di arancione. Il nostro obiettivo era chiaro: ucciderle.
Ne avevamo più o meno uno a testa, per cui ognuno scelse il proprio avversario.

In realtà una volta scoperto il loro punto debole non fu difficile, terribile certo, ma più facile di quanto ci aspettassimo. Bastava colpire proprio quelle strane lampadine fino a distruggerle tutte, che la creatura di accasciava inerte al suolo.

Rimediai diversi tagli, tra i quali uno piuttosto profondo alla clavicola, ma riuscii ad abbattere il mio in poco tempo. A preoccuparmi maggiormente, invece, fu la tempesta. Si scatenò esattamente come la prima volta, con fulmini che si abbattevano al suolo con violenza inaudita. Nel rivedere quello spettacolo, brutti ricordi riaffiorarono alla mia mente e più cercavo di non pensare alla figura di Sam incenerito e più quella acquisiva concretezza. Mi ritrovai nel panico, senza sapere cosa fare o dove rifugiarmi.
Mi stavo guardando intorno spaesata per vedere cosa facessero gli altri, quando qualcosa mi afferrò il braccio trascinandomi via con sé.

Quando riacquistai l’equilibrio, scoprii che era stato Minho ad afferrarmi e che mi stava conducendo verso Newt. Il ragazzo era vicino ad una di quelle bare bianche e ci stava facendo segno di sbrigarci. Quando lo raggiungemmo mi aiutò ad entrare nella scatola lasciando a Minho il compito di raccogliere il coperchio.
Quando la bara fu sigillata restammo al buio, con il fragore della tempesta fuori e l’odore maleodorante di quelle creature a pervadere l’aria. Con il cuore ad esplodermi nel petto, restai immobile trattenendo il respiro. Dopo qualche istante, un fulmine colpì il nostro rifugio facendomi gridare per il frastuono e lo spavento. Newt mi circondò le spalle con un braccio attirandomi contro il suo fianco. Mentre il fischio alle orecchie si attenuava, vidi sopra di me filtrare della luce nel punto in cui la scarica elettrica aveva bruciato il coperchio. Mancavano ormai solo tre minuti all’ora stabilita. Era chiaro che se fossimo rimasti lì dentro e un fulmine ci avesse colpito di nuovo, non sarebbe servito a nulla arrivare fin lì.

-    Qualsiasi cosa accada tra tre minuti noi usciamo di qui, ok? –

Sia io che Minho rispondemmo di sì alla proposta di Newt. Fuori, i suoni si mescolavano. Il vento, il rombo dei tuoni e un altro tipo di rumore, ritmico simile ad un potente ronzio. Più passavano i secondi e più cresceva la tensione. Cercai d'istinto la mano di Newt, la quale si intrecciò subito alla mia. C’era una specie di promessa in quella stretta... nel bene o nel male saremmo stati assieme.
Quando il tempo scadde, tutti e tre spingemmo nello stesso istante, contro il tetto del coperchio, facendolo cadere alle nostre spalle. La pioggia ci investì presentandoci il responsabile di tutto quel rumore. Una Berga stava atterrando a poca distanza proprio sopra il punto indicatoci dal bastone.
Il nostro porto sicuro era appena arrivato.

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Capitolo 27
*** 27. Noi ***


27. Noi
27. Noi


Adesso mi appariva tutto lontano:
l’arrivo della Berga, la salita sul dirigibile e l’ultimo test di prova a cui era stato sottoposto Thomas nel dover scegliere tra la vita di Jorge o quella di Brenda. Appoggiata con una spalla al rivestimento interno del nostro mezzo, osservavo fuori. Il cielo era così cupo da non permettermi di vedere niente come al solito. Non avevamo nessuna indicazione di dove fossimo diretti, o di che cosa sarebbe successo da lì in avanti.
Uno degli uomini armati che ci avevano accolto sulla Berga, un certo David, ci aveva assicurato che fosse tutto finito per davvero. L’unica cosa che ci si chiedeva ancora, era di ascoltare la spiegazione che avevano da darci una volta raggiunta la nostra misteriosa meta. La notizia venne accolta con un'indifferenza diffusa; ormai eravamo stati abituati ad aspettarci di tutto dalla Wicked e non eravamo affatto sicuri di poterci fidare delle loro parole.
Spinta da quei pensieri, sospirai appannando il vetro dell’oblò e strinsi distrattamente i lembi dell’accappatoio che avevo addosso. Ci avevano dato da mangiare e ci era stato fornito un primo soccorso; oltre alla possibilità di poterci fare una doccia. Non volevo farla assieme a tutte le ragazze, avevo bisogno di stare per conto mio, e quindi stavo aspettando che finissero tutte prima di occuparla.
Mentre continuavo ad osservare il nulla fuori dal finestrino, qualcuno mi si affiancò. Pensai fosse Newt tornato dalle docce, invece, quando mi girai, Minho mi fissava con un'espressione stranamente seria.

-    È rimasto solo Newt.. - esordì - se andassi a parlargli… - lasciò la frase in sospeso, quasi fosse imbarazzato di quel consiglio e poi, facendomi un cenno, se ne andò.

Leggermente confusa da quello che mi aveva appena detto, mi diressi verso i bagni usati dai ragazzi. Mentre raggiungevo la porte guardai verso gli uomini della Wicked, aspettandomi forse una qualche razione, ma non si curarono minimamente di me.
Afferrai quindi una pila di indumenti puliti da quelli che ci erano stati messi a disposizione e mi infilai nella stanza chiudendo la porta dietro di me.
Newt era là, con la testa china, appoggiato con le mani ai bordi del lavandino. L’accappatoio gli era scivolato dalle spalle rimanendogli solo legato in vita. Quando alzò la testa, mi guardò attraverso lo specchio e poi tornò ad abbassarla. Io, appoggiati i vestiti sul ripiano più vicino, mi avvicinai a lui. I muscoli della sua schiena erano tesi, quasi stesse lottando contro qualcosa dentro di sè.
Senza parlare passai la punta delle dita sulle linee rosse delle ferite da poco curate, sulle ecchimosi e sui lividi che solcavano la sua pelle.
Nonostante tutti questi segni, mi sembrava bellissimo ed era bellissimo poter stare ancora assieme.
Gli baciai un punto imprecisato in mezzo alle scapole mentre gli avvolgevo il torace con le braccia. Newt sospirò e io mi sporsi oltre la sua spalla per guardarlo dallo specchio. I suoi stanchi occhi incrociarono i miei.

-    El… cosa siamo diventati? Cosa sono diventato? – domandò con infinita tristezza.

Vederlo così mi spezzò il cuore, ancor più perché non sapevo cosa rispondergli. Perfino io mi sentivo un’altra persona rispetto a prima… Erano successe troppe, tante cose, che si erano accumulate una sull'altra fino a formare una montagna. Talmente alta da darmi un senso di vertigine. Ero così stanca di pensare...
Liberandolo dal mio abbraccio, mi tolsi l'accappatoio e mi diressi verso la doccia più vicina. Prima di metterci piede dentro mi voltai verso Newt rimasto al lavabo.


-    Vieni? - gli chiesi, allungando una mano nella sua direzione.

Newt rimase fermo a fissarmi per un istante, poi si tolse anche lui l’accappatoio e mi raggiunse. Io aprii l’acqua e regolai la temperatura.

-    Ma tu la doccia la fai all’inferno? – mi domandò girando la leva verso il blu.
-    Esagerato – lo rimbeccai - girati che ti lavo la schiena -
-    Sì signora! - rispose lui, voltandosi con un sorriso divertito.

Per un po’ restammo zitti mentre il sapone si portava via tutto il sudore e la polvere accumulata in quelle settimane di viaggio. Avevo fatto un gesto ardito, ne ero consapevole, ma oltre al fatto che non mi sentivo minimamente imbarazzata con Newt, come ho detto poco prima, ero stanca di pensare.

-    El? -

Non appena mi voltai, Newt mi puntò il getto della cornetta in faccia.

-    Hey! – protestai mentre lui si metteva a ridere.

Per ripicca gli tirai addosso la spugna zuppa, che cadde poi sul piatto della doccia con un rumore umido. Ci mettemmo a ridere entrambi per quel gesto infantile. Passata l'ilarità, iniziai a togliermi l'acqua in eccesso dai capelli mentre Newt riappendeva la cornetta e chiudeva l’acqua.
Girata di schiena, sentii la sua presenza dietro di me ancor prima che le sue labbra si posassero sulla mia clavicola e iniziassero a segnare tutto l’arco delle spalle. Mi voltai, affondando una mano nei suoi capelli bagnati baciandolo con trasporto. In quel momento i nostri corpi vennero inevitabilmente a contatto e io fui percorsa da un brivido che non centrava niente con la temperatura esterna.
La mano di Newt risalì la mia gamba, passando sul gluteo e seguendo la curvatura della schiena. Io avevo entrambe le mani impegnate ad esplorare il suo addome teso, a sentire sotto i polpastrelli ogni increspatura della pelle, ogni muscolo, ogni cicatrice. Quando mi sporsi per baciargli un punto sensibile appena sotto il lobo, mi afferrò per i polsi portandomeli dietro la schiena e facendomi finire contro la parete fredda della doccia. D’istinto inarcai la schiena chiudendo le scapole. Newt mi baciò il collo, seguendo lentamente un percorso immaginario che andava dallo sterno, al seno, fino all’ombelico.

-    Newt… - mormorai, appagata e insoddisfatta allo stesso tempo.

Lui tornò a fissarmi negli occhi. Non gli avevo mai visto uno sguardo così lucido.

-   Questo... non è il posto migliore – asserì con voce roca, e prendendomi per mano mi condusse fuori dalla doccia.

Mi distesi sull'accappatoio che avevo lasciato per terra e lui si posizionò tra le mie gambe. Non ci furono richieste di permessi o tentennamenti. Con un’unica spinta Newt entrò in me. Non provai nemmeno dolore. Non era la mia prima volta e, stranamente, qualcosa mi suggeriva che fosse stato sempre lui ad essersela presa.
Gli artigliai la schiena gemendo, mentre Newt affondò il viso contro la mia spalla concentrato nelle spinte. Quando raggiunsi l'apice, per pochi, brevi e meravigliosi secondi sparì tutto. La Radura, il Labirinto, i Dolenti, Chuck, gli spaccati, la zona bruciata, la tempesta, le bare bianche, la Berga, la Wicked.
Eravamo soli. Due esistenze nuove che si completavano a vicenda. La consapevolezza sua di me e mia di lui. Newt e me.
Quando l’oblio passò, Newt alzò la testa, appoggiando la fronte contro la mia mentre i nostri respiri affannati di scontravano tra di loro. Poi mi diede un leggero bacio scivolandomi a fianco. Girai la testa per guardarlo e lui fece la stessa cosa. Restammo ad osservarci, ognuno immerso nei propri pensieri. Pian piano quella momentanea libertà stava scomparendo, mentre la preoccupazione tornava a far capolino spegnendo quel brillio negli occhi di Newt.
Prima che questo succedesse, mi tirai in piedi, e allungate entrambe le mani verso Newt, lo invitai a prenderle. Quando le afferrò lo feci alzare e lo piazzai davanti al lavandino. Io mi misi esattamente di fronte a lui, scostandomi di quel poco perché potesse vedersi in viso.

-    Ecco cosa siamo, ecco cosa sei. Noi e nient’altro – dissi portandomi le sue braccia attorno al torace.

Gli occhi di Newt divennero lucidi mentre ci guardava. Abbassò la testa e la nascose tra i miei capelli.

-    Ti amo –
-    Anche io –

Quando ritornammo dagli altri, nessuno disse niente sulla nostra prolungata assenza. Feci un breve cenno con il capo a Minho per ringraziarlo e con Newt mi andai a distendere in un angolino della Berga con una coperta di pile a proteggerci dal freddo.
Appoggiai la testa sul petto di Newt, e cullata dal suo respiro, in breve tempo caddi in un sonno profondo.

“Non durerà e lo sai”


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Capitolo 28
*** 28.Sofferenza ***


28.Sofferenza
28. Sofferenza


Non so assolutamente chi fosse ad infilarsi continuamente nella mia mente, ma aveva maledettamente ragione.

Mi svegliai sopra una superficie morbida e al buio. Mi drizzai immediatamente a sedere e allo stesso tempo le luci si accesero come se avessero registrato il mio risveglio.
Mi ritrovai in una camera, modesta ma graziosa, il che non mi rassicurò per nulla.
Quando mi alzai, provai ad aprire una delle due porte che spezzavano la continuità del muro, la quale mi condusse ad un piccolo bagno. La richiusi e provai con la seconda. Proprio mentre l’aprivo, qualcun altro stava entrando. Mi fermai con la porta aperta e gli occhi sulla figura che avevo di fronte: l’uomo topo.

-    Vedo che ti sei…-
-    Dove sono?! Dove sono i miei amici?! - esclamai furiosa senza aspettare che finisse la frase.

L’uomo fece un lungo sospiro, facendomi cenno di entrare e chiedendomi se potessimo parlare. Mi spiegò che tutti i miei amici stavano affrontando la fase 3.
Seppi che era una prova individuale, ma non riuscii a farmi dire di cosa si trattasse nello specifico.

Quando gli chiesi come mai io non fossi sotto test, mi rispose che per me non c’era alcun bisogno di alcun test. Mi spiegò che non appena tutti i ragazzi avessero finito la propria fase, ci avrebbero radunati e spiegato ogni cosa, ma che per il momento dovevo pazientare. Mi disse che potevo girare tutto il piano dove mi trovavo e che se avessi mai avuto bisogno di qualcosa di chiederlo. I pasti sarebbero stati tre al giorno e in caso di fame fuori orario, nella mia camera c’era un piccolo frigo bar da cui attingere. Nonostante tutti i miei tentativi di farmi dire qualcosa in più, l’uomo fu irremovibile: dovevo aspettare gli altri.
Mi lasciò nella confusione più totale e nella più profonda angoscia.
Non sapevo a cosa stessero sottoponendo i miei amici e l’assenza di Newt mi stava scavando un solco dentro l’anima. Era una sensazione uguale a quella della prima volta che ci separammo, eppure era estremamente diversa... Perché quella volta avevo un piano; scappare e trovarli, ma ora non avevo niente.
Dopo aver fatto passare un lasso di tempo sufficiente per non ritrovarmi l’uomo topo tra i piedi, uscii dalla mia camera. Scoprii che si affacciava su un lungo corridoio pieno di porte identiche tra loro. Ognuna portava ad una stanza uguale alla mia, con uno o più posti letto. Un’altra ancora dentro un auditorium piuttosto capiente. Quella che probabilmente conduceva agli altri piani, ovviamente non si muoveva di un millimetro. Quindi, nonostante tutte le rassicurazioni, ero di nuovo in trappola.

I giorni che seguirono furono una vera e propria agonia. Dei tre pasti al giorno concessi, ne consumavo appena due. Ogni giorno che passava, un membro del gruppo A o B riappariva, ma con qualcosa di diverso. Non era un cambiamento fisico, ma stava tutto negli occhi... era un qualche cosa di più profondo e più terribile.
Nessuno volle parlare di ciò che gli era stato fatto, né Minho, né Teresa, né Fry pan.. e intanto io attendevo.
Ogni volta che scoprivo che il nuovo arrivato non era Newt, mi sentivo sprofondare sempre di più.

Il diciassettesimo giorno di permanenza, quando rientrai nella mia camera, scoprii che non era vuota come l’avevo lasciata. La figura bionda di Newt sostava vicino alla porta del bagno. Stavo per esclamare il suo nome quando ciò che lessi nei suoi occhi mi bloccò.
Dolore intenso e rabbia… tanta rabbia. Si mordeva la pellicina del pollice senza parlare.

-    Newt.. - mormorai titubante avvicinandomi.

Quando allungai una mano per toccargli un braccio si scostò, abbassando le braccia lungo i fianchi.

-    Cosa ti hanno fatto? – sussurrai spaventata.

Lui scosse la testa chiudendo gli occhi.

-    Non ne voglio parlare… - rispose con voce roca.
-    Dimmelo per favo.. -
-    Non ne voglio parlare! - gridò incollerito.

Mi bloccai sul posto, smettendo di avvicinarmi a lui ferita dalle sue parole. Newt si portò una mano tra i capelli facendo guizzare gli occhi sul pavimento frustrato. Poi, improvvisamente, con un paio di falcate mi raggiunse intrappolandomi in un abbraccio. Il suo corpo tremava mentre mi stringeva con tutte le forze.

-    Ti prego non chiedermi cosa mi abbiano fatto.. desidero solo dimenticare.. ti prego El – gracchiò.
-    Non te lo chiederò più Newt.. giuro – lo rassicurai.

Lui allentò un po’ le braccia appoggiando la fronte contro la mia e chiudendo gli occhi.

-    Sei stata l’unica cosa che… - cominciò per poi interrompersi sopraffatto.

Io gli presi il viso tra le mani e lo baciai. Newt risposte quasi immediatamente, con forza e ferocia. Nel giro di qualche secondo mi trovai sdraiata sul letto. Qualche minuto dopo eravamo entrambi senza vestiti e nell’ora successiva ansimi e gemiti era l’unica cosa di udibile nella stanza.
Feci l’amore con Newt una, due volte; con un’intensità tale da annullare qualsiasi pensiero. Con un’adorazione e una concentrazione che ci lasciò distrutti e ansanti.

Mi girai sul fianco guardandolo negli occhi. Come per tutti gli altri vi era qualcosa di diverso. Allungai una mano poggiandogliela sulla guancia.

-    Se solo potessi…- mormorai - se solo potessi cancellare tutta quella sofferenza dai tuoi occhi – gli dissi mentre sentivo gli occhi farsi lucidi.

Nell’espressione di Newt qualcosa si infranse, come una perfetta e calma pozza nella quale cade una goccia. Si avvicinò, rannicchiandosi contro di me e appoggiando la fronte contro il mio petto. Potevo capire che stava piangendo solo dal tremito delle sue spalle.
Quella notte molte lacrime furono spese da entrambi. Abbracciati cercavamo di farci carico della reciproca sofferenza.


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Capitolo 29
*** 29.Immunità ***


29.Immunità
29. Immunità


Solo al ventiseiesimo giorno, anche l’ultimo del gruppo, ovvero Thomas, ci raggiunse.
I giorni precedenti erano trascorsi nella più completa omertà. Nessuno parlava di cosa era successo e nessuno parlava di cosa sarebbe successo. Ognuno cercava di prendersi più tempo possibile per tenere la mente libera.

Newt passava da stati di normalità, nei quali parlava con tutti e si comportava come niente fosse, a stati di profonda irritazione. Era spesso ombroso e scostante; perfino con me. Quando non ne poteva più si eclissava, e nove volte su dieci lo ritrovavo in camera mia, sdraiato sul letto con gli occhi spalancati a guardare il soffitto. Non potendo chiedergli nulla, mi limitavo a sdraiarmi vicino a lui, spalla contro spalla in perfetto silenzio. Speravo solo che quello bastasse….
Fui quindi felice di rivedere Thomas, anche se mi accorsi che, come chiunque in quella stanza, portava i segni della terza prova, che per lui era stata più lunga di qualsiasi altra.
Eravamo tutti riuniti nell’auditorium, quando l’uomo topo iniziò a spiegarci cosa sarebbe accaduto.

Oltre a fare incazzare la metà di noi, dicendo che ogni sofferenza e ogni sacrificio sarebbero stati ricompensati dalla mappatura della zona della violenza, ci disse che avrebbero rimosso il filtro che ci impediva di ricordare il nostro passato, così come ogni altro dispositivo che ci teneva sotto controllo (tranne quello della mappatura ovviamente).  Alle diffuse obiezioni che ci furono riguardo al recupero della memoria, disse che saremmo stati liberi di scegliere se recuperarla o meno; ma che rifiutando, non avremmo compreso appieno tutto quello che avevamo fatto e soprattutto il perché lo avevamo fatto.
Mentre seguivamo l’uomo verso il laboratorio dove sarebbe stata fatta l’operazione, mi trovai d’accordo con Minho, Thomas e Newt, di non farmi rimuovere il filtro. Avevo già recuperato parte della memoria senza bisogno di nessun operazione e tutto ciò che avevo bisogno di sapere lo sapevo.
Nel laboratorio trovammo ad attenderci una serie di letti, sopra ai quali penzolava una maschera inquietante fatta di tubi e fili meccanici.

Era il famoso dispositivo di rimozione, e non appena lo vidi, nonostante le rassicurazioni che non ci avrebbe fatto alcun male sotto sedativi, fui certa ancor più di prima di non voler nessuna caspio di operazione. Per ultimo, prima di procedere, l’uomo ratto ci disse che era suo compito elencarci i nomi di coloro che non erano immuni all’eruzione.
Cercò di menare un po’ il can per l’aia, dicendoci che era stato inevitabile il contagio per quanto si fossero prodigati di tenerci al sicuro, ma Minho lo mandò presto a quel paese. Per quanto mi riguarda, di fretta o con calma, ciò che fu detto dopo non potevo in alcun modo accettarlo....

-    Ora vi dirò l’elenco dei non immuni: Newt… -
-    NO! -

Non lo feci andare avanti. Non mi ero nemmeno accorta di aver urlato e quasi non mi rendevo conto di continuare a farlo.
Ogni mia certezza era andata in frantumi, ogni mio passo, ogni mia azione era stata resa vana da una singola frase. E non potevo accettarlo.
Sentii la rabbia montare in me come l’onda di uno Tsunami, feci per avvicinarmi all’uomo ratto ignorando chiunque. Ero completamente distaccata dalla realtà. Per me c’era solo quella notizia e ciò che stava scatenando in me. Fu allora che la vista diventò completamente sfocata, e prima di poter capire cosa stesse succedendo, caddi a peso morto per terra. Svenni e mi risvegliai solo diverso tempo dopo in camera mia.  


Quando riaprii gli occhi non mi mossi neppure di un millimetro. Non perché non potessi, ma perché non ci riuscivo. Mi sembrava di non averne più motivo…

Ogni volta che inspiravo il mio cervello pensava a Newt, e ogni volta che espiravo, al fatto che non fosse immune.
Newt, non immune, Newt, non immune, Newt, non immune.

Mentre le lacrime rotolavano giù lungo le mie tempie, mi diedi della stupida. Non avevo mai avuto certezze; nessuno mi aveva assicurato che lui fosse tra gli immuni, nemmeno all’inizio da quel che ricordavo. Mi ero messa in gioco sapendo fin dall’inizio che era un "50 e 50", o sì, o no. Però avevo dimenticato.. e quando mi ero ricordata, la speranza aveva preso il sopravvento. Quell’incrollabile sicurezza che il ragazzo che amavo fosse immune a prescindere.

“Uccidili tutti”

Stavo per rispondere ad alta voce al mio interlocutore misterioso, quando scattò un allarme. Era talmente forte che sulle prime mi stordì. Con le mani sulle orecchie andai verso la porta della mia camera e la aprii. Nel corridoio le luci si erano spente e il passaggio era illuminato di rosso. Se aggiungevamo il fatto che in giro non ci fosse assolutamente nessuno, era chiaro che stesse di sicuro succedendo qualcosa di strano. Dovevo trovare i miei amici.
Corsi fino all’auditorium trovandolo vuoto. Tutte le porte che davano alle stanze erano aperte e vuote. A rigor di logica pensai che quelle che conducevano agli altri piani fossero sbarrate, ma mi sbagliavo. Imboccai quindi quella che conduceva al laboratorio che ci aveva mostrato l’uomo ratto. Niente, nessuno nemmeno lì. Non sapevo assolutamente dove andare, per cui imboccai con circospezione un corridoio a caso.

Svoltai un paio di angoli finchè non mi fermai di colpo. L’ultima sirena suonò e poi l’allarme si spense. A terra, davanti a me, c’erano tre uomini in divisa nera; due donne e un ragazzo. Sembravano morte, ma avvicinandomi vidi che respiravano ancora. Vicino a loro c'era lanciagranate elettrico. Il mio cervello registrò da solo quel nome, collegandolo ad uno dei brevi ricordi ottenuti. Mi armai proseguendo per la mia strada e se avessi incontrato qualcuno, non avrei esitato a sparare.
La cosa più inquietante fu di non trovare nessuno da nessuna parte. Dopo quel rumore assordante, mi sentivo ancor più schiacciata da quel silenzio. Per non perdere la concentrazione ascoltavo il rumore dei miei passi, contandoli e andando avanti alla cieca, con la speranza di raggiungere prima o poi qualcuno dei miei.
Stavo per imboccare l’ennesima diramazione, quando un suono inconfondibile di spari mi arrivò dalla direzione che non stavo prendendo. Rimasi un attimo interdetta.. Proseguire nel silenzio? O dirigermi verso quella che sembrava essere una battaglia?
Ma battaglia voleva dire forze contrapposte, quindi maggior possibilità di trovare chi stavo cercando.

Feci di volata il corridoio. Avevo l’adrenalina così alta, che sbucai alla fine senza quasi rendermene conto. Mi trovai in un enorme capannone con soffitti altissimi.
A una decina di metri da me c’era uno di quegli affari volanti, la Berga, con il portellone aperto. Un gruppo armato sparava contro di esso.
Nella confusione vidi una figura cadere a terra colpita da una granata: Thomas.
L’adrenalina salì nuovamente. Corsi verso il mio amico cominciando a sparare contro il nemico. Riuscii a centrare un paio di soldati, prima di dovermi riparare dietro una casa in legno mentre loro rispondevano al fuoco.


-    Corri, ti copriamo noi! –

La voce di Jorge mi raggiunse mentre aspettavo il momento giusto per uscire alla scoperto. Fidandomi del consiglio, abbandonai il riparo riprendendo  a correre verso Thomas. Newt, Minho e Jorge stavano trattenendo le guardie.
Io raggiunsi il ragazzo a terra cercando di trascinarlo sulla Berga, un proiettile mi sfrisò una spalla lasciandomi una lunga bruciatura. Thomas era dannatamente pesante e se non fosse arrivato Newt ad aiutarmi, non sarei mai riuscita a spostarlo.
Una volta sul portellone questo venne chiuso mentre, ansante, mi lasciavo cadere per terra a riprendere fiato.

 

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Capitolo 30
*** 30. Ricordi ***


30.Ricordi
30. Ricordi


-    Ma che fine avevi fatto? –

Minho mi guardava dall’alto mentre Newt mi porgeva una mano per aiutarmi ad alzare.
Aveva le nocche gonfie e coperte di sangue ma sembrò non farci caso. A quanto pareva aveva combattuto con le unghie e con i denti.

-    Vediamo di mettere prima questi pive da qualche parte, poi parleremo – replicò Newt dopo che lo ebbi stretto in un breve abbraccio.

Scoprii che anche Brenda, come Thomas, era stata colpita da una granata e ora giaceva svenuta sul pavimento di metallo. Con l’aiuto di Jorge li mettemmo entrambi su un paio di divani logori, dopo di che, mentre l’ispanico andava in cabina di pilotaggio, io Minho e Newt ci scambiammo le ultime vicende. A quanto pareva, dopo la mia crisi ero stata portata via e l’uomo ratto aveva proseguito il suo elenco come se nulla fosse stato.
Sulle prime aveva acconsentito alla richiesta di Minho, Newt e Thomas di non forzarli a recuperare la memoria, per poi rimangiarsela il mattino seguente obbligandoli a farlo. Fortunatamente, Brenda si era scoperta dalla loro parte e li aveva aiutati a fuggire. Il piano era stato quello di recuperare tutti gli altri, dirigersi all’hangar, trovare Jorge e fuggire con una Berga. La cosa più sorprendente fu di sentirsi dire che Teresa aveva capeggiato un altro gruppo di Radurai, mettendo fuori gioco tutte le guardie in servizio e andandosene via con uno dei dirigibili.

-    Ci hanno lasciato qui?!- chiesi sconvolta e Minho annuì.
-    Quando siamo venuti nella tua stanza tu non c’eri… e quindi abbiamo pensato che fossi fuggita con gli altri - spiegò Newt.

Per puro caso, quando loro avevano raggiunto la mia camera, io dovevo essere già andata via. Quando mi accorsi che il fatto di esserci ricongiunti, era stato solo frutto della fortuna, un brivido freddo mi percorsa la colonna vertebrale. Sarei potuta rimanere da sola nel quartier generale della Wicked…
Dal canto mio, gli raccontai brevemente quello che mi era successo, che ovviamente non era nulla di paragonabile alla loro rocambolesca fuga. Quando Minho raggiunse quota 26 sbadigli, se ne andò a raggomitolarsi su uno dei divani. Io controllai le condizioni di Brenda e Thomas che sembravano dormire tranquilli, poi chiesi a Jorge se aveva bisogno di qualcosa. Mi rispose che doveva solo dormire e che per questo avrebbe inserito il pilota automatico. Quindi lo salutai e tornai dagli altri.
Minho russava già della grossa mentre Newt era seduto su una delle poltrone, lo sguardo perso in chissà quali pensieri. 


-    Fammi vedere – dissi indicandogli la mano martoriata.
-    Pensavo che ci avessero di nuovo separato – disse Newt mentre mi sedevo davanti a lui e prendevo a pulirgli delicatamente le nocche devastate con un po’ di disinfettante che avevo chiesto a Jorge.
-    Questa volta a quanto pare ci è andata bene – risposi facendogli un sorriso mesto.

Lui sospirò.

-    Mi sono spaventato da morire quando sei svenuta…- mormorò.
-    Scusami – dissi leggermente imbarazzata al ricordo – è che sono andata fuori di testa, non…. – mi interruppi senza saper esprimere a parole ciò che avevo provato in quel preciso momento. Era qualcosa che ancora mi spaventava.
-    Se ti consola non sei l’unica – replicò Newt tranquillo.

Io lo guardai preoccupata.

-    Mi sento diverso.. non saprei spiegarti come.. ho attacchi d’ira improvvisi, qualsiasi cosa mi irrita..- rispose stancamente – ho picchiato Minho mentre eravamo in fuga – aggiunse, prendendo a massaggiarsi la fronte con una mano.
-    Newt io…-
-    Lascia stare – mi interruppe lui – c’è poco da fare.. impazzirò lentamente e ciao ciao – disse amaramente fissando il pavimento – ma sono contento che tu sia immune. Il tizio ratto non ti ha nominata – aggiunse alzando un angolo della bocca.

Io non sapevo assolutamente cosa dire. Non avevo rassicurazioni da dargli… perché non c’è n’erano. L’eruzione si sarebbe espansa sempre di più portandogli via ciò che era.

-    Per questo non hai voluto recuperare la memoria? – chiesi senza dar peso alla mia immunità.

Nessuno mi aveva mai chiesto nulla della mia fase 3 e io avevo deliberatamente tenuto nascosto che per me non ne era stata prevista nessuna. Non c’era bisogno di dirlo.
Newt si limitò a guardarmi, alzando un sopracciglio con fare interrogativo.

-    Ricordarti e poi dimenticare di nuovo…. – spiegai tornando a fissare la sua mano.

Lui fece un ghigno.

-     Sembra quasi che tu mi legga nella mente – disse con una punta di preoccupazione della voce che sparì in un istante – e tu? Avresti voluto recuperarla? –

Io scossi la testa – no, non mi sarei fatta  di sicuro
mettere le mani addosso – risposi convinta.

Tra di noi ricadde il silenzio. Mille pensieri affollavano la mia mente e non riuscivo a ordinarne neppure mezzo. Eravamo precipitati da un incubo in uno ancora peggiore.

-    Non riesco nemmeno a pensare a cosa fare d’ora in avanti.. – disse d’un tratto Newt spezzando il silenzio.

Qualcosa mi si contorse dentro. Quella orribile sensazione di impotenza si fece largo in me, cercando di strapparmi la carne per aprirsi un varco. La questione era, che non avevo una soluzione per il suo problema. Non c’era assolutamente niente che io potessi fare per eliminare la sua malattia. E se a me il pensiero di vederlo impazzire poco a poco mi dilaniava, non riuscivo a immaginare come fosse per lui in quel momento….

-     Siamo cresciuti in una città di montagna. C’erano neve e terribili tormente per nove mesi all’anno; per i restanti tre c'erano temperature tropicali e acquazzoni. Però in quel periodo la natura era così rigogliosa e bella da far venire le lacrime agli occhi – dissi.

Newt mi guardò con gli occhi sgranati dalla sorpresa.

-    Hai detto che siamo cresciuti assieme.. quando hai...? – domandò con un filo di voce.
-    Negli ultimi tempi ho recuperato un po’ della mia memoria.. credo sia dovuto alle numerose sollecitazioni ricevute.. – spiegai – sono per lo più sprazzi della mia infanzia in cui ci sei anche tu – aggiunsi con un mezzo sorriso.

Newt rimase a fissarmi per un attimo con la bocca leggermente dischiusa, poi si riprese.

-    Raccontami di più –
-    Non c’è molto altro… mi ricordo di noi due intenti a parlare vicino ad un lago o davanti al fuoco che brucia d’inverno. Siamo finiti entrambi alla Wicked più o meno quando avevamo 10 anni, credo… poi tu sei stato mandato nella Radura mentre io ti seguivo dai monitor. Sono rimasta con loro finchè non hai… - lasciai la frase a metà sicura che lui avesse capito – e in quel momento mi sono fatta inserire nel programma. Tutto qui, non ricordo altro – mentii.

In realtà ricordavo molto di più... forse la cosa più importante di tutte: il motivo per il quale ero stata spinta a fare tutto quello che avevo fatto. Lo stesso motivo che si era rivelato del tutto insignificante di fronte alla non immunità di Newt, quello che mi aveva fatto avere quella reazione in auditorium.

-    E così siamo cresciuti assieme – disse Newt dopo un momento di silenzio quando ormai avevo finito di medicarlo.
-    E poi probabilmente ci siamo innamorati, sì – confermai io.
-    Questa è una delle cose che mi dispiacerà di più dimenticare quando impazzirò… dimenticarmi di te sarà la parte peggiore – disse con un sorriso tetro.

Non seppi di nuovo cosa dire, sentendo dentro solo una gran voglia di piangere. Non avevamo alcun futuro.. non in questa vita.

Stanza delle mappe:

Giuro non sono sparita!
Chissà se in questi capitoli qualcuno di voi si è fatto un'idea su come andrà la vicenda.. soprattutto ora che si è scoperto che Newt e Carys sono cresciuti assieme.
Ovviamente l'origine di provenienza me la sono dovuta inventare di sana pianta, non c'è alcun riferimento in nessun libro su dove i Radurai abbiano vissuto prima della Wicked (tranne per Thomas). Spero che la trama si stia sviluppando come voi speravate che fosse.
Ringrazio tutti coloro che proseguono a leggere settimanalmente, Nami93_calypso per aver recensito lo scorso capitolo e Luciaventurini per avermi aggiunto tra le preferite!

Grazie a tutti,
Marta

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Capitolo 31
*** 31. Rabbia ***


31
31. Rabbia


Dormii per quasi dodici ore filate, ma quando mi svegliai e ricordai tutto quello che era successo fino a quel momento, mi sentii più stanca di prima. Quando Minho venne a chiamarmi per dirmi che ci sarebbe stata un’adunanza, mi fece fare un sorriso nostalgico. Sembravano passati secoli dal mio arrivo alla Radura...
Quando fummo tutti riuniti facemmo il punto della situazione e Jorge ci spiegò quello che lui e Brenda avevano pensato di fare.

L’ispanico era riuscito a rintracciare gli altri nostri compagni, che a quanto pareva si stavano dirigendo verso una città di immuni chiamata Denver. L'idea era di raggiungerli, sia per avere spiegazioni della loro fuga e sia perché in quella città viveva un ex scienziato della Wicked di nome Hans, che aveva tutte le conoscenze e gli strumenti per poterci finalmente togliere quel maledetto dispositivo di controllo. Se per disgrazia la Wicked fosse riuscita a scovarci e ad essere abbastanza vicina da attivarlo, non sarebbe stato un bel momento…
Ovviamente non riuscimmo subito a metterci d’accordo; Minho sembrava piuttosto restio a seguire questo piano, mentre Newt si limitava a fissare un punto imprecisato della Berga con sguardo truce.

Dal canto mio dovevo dire che l’idea aveva molti punti deboli. Il rischio di essere scoperti non era da escludere… arrivare all’aeroporto privato della città e superare i controlli per l’infezione in modo da accedere all’interno, non era uno scherzo. Soprattutto l’ultimo punto mi creava non poca agitazione, contando anche il fatto che Newt non avrebbe potuto accompagnarci.
Una volta finita l’adunanza, mangiammo e ci riposammo ancora un po’.

Fu qualche ora più tardi, di nuovo seduti a discutere, che Thomas ci fece partecipi dei sogni che  da un po’ di tempo popolavano le sue notti. Erano tutti ambientati nel suo passato, esattamente com'era successo a me in più occasioni. Fino a quel momento non ne avevo mai parlato con nessuno se non con Newt.
Thomas sembrò molto sollevato di non essere l’unico a farli, e il discorso proseguì fino a raggiungere finalmente la decisione definitiva di andare a Denver.

Jorge e Brenda ovviamente erano già d’accordo, così come Thomas e alla fine anche Minho acconsentì. Newt invece non fece che aumentare la mia paura.
Quando Brenda gli disse che potevano trovare un modo per farlo entrare lo stesso in città evitando i controlli, si alzò di scatto mollando un pugno sul muro.

-    Non mi importa un accidente se ho quel cacchio di affare nella testa! – esclamò riferendosi al dispositivo di controllo – tanto tra non molto supererò l’andata e non intendo morire sapendo di aver contagiato un’intera città di gente sana! –

Ma fu la frase seguente a ferirmi di più...

-    Sapete tutti che la miracolosa cura della Wicked non funzionerà, e nemmeno la voglio! Tanto non c’è molto per cui vivere in questo mondo di sploff –

Stava per aggiungere qualcosa, quando fui io ad alzarmi di scatto. Tutti gli occhi si puntarono su di me, compresi quelli di Newt.

-    Pensavo di valere un po’ di più per te… - dissi tremando di rabbia.

Non aspettai risposta, ma girai i tacchi e me ne andai. Raggiunsi il bagno e mi ci chiusi dentro, sedendomi sul pavimento di metallo freddo e piangendo frustrata.
Odiavo tutta quella situazione; odiavo la Wicked per quello che ci aveva fatto e che ancora ci stava facendo. Avrei preferito che non ci avesse mai accolto… Avrei preferito mille volte morire con Newt a casa nostra. Magari in una di quelle bellissime e rare giornate estive.
Invece niente! Non c’era stato dato modo di scegliere…
Quando la porta del bagno si aprì ed entrò Brenda, le comunicai la mia decisione: Non avrei lasciato quella testa di sploff di Newt da solo.
Nonostante il mondo facesse schifo e la situazione nella quale ci trovavamo ancora di più, volevo trascorrere quanto più tempo fosse possibile assieme, che lui mi volesse o meno.

Sapevo che Newt non avrebbe preso bene la mia decisione e anche Thomas me lo fece presente, mentre Minho asserì che sarebbe stato come buttare benzina sul fuoco.
Difatti non tardò molto a precipitarsi nella cabina di pilotaggio dove mi ero rifugiata. Eravamo atterrati da poco, gli altri avevano raccolto tutto il necessario ed erano scesi a terra. Avevo dato una sbirciatina di fuori sperando di vedere come fosse fatta la città, ma ero rimasta delusa nel vedere che era protetta da un altissimo muro.
Cosa mi aspettavo? Una viva e allegra metropoli senza traccia di difesa?
Quando Newt irruppe nella cabina, stavo cercando di ricordarmi come fosse la nostra vecchia città.

-    Sei andata fuori di testa!? L’eruzione ce l’ho io, non tu, da quanto ricordo! – esclamò, piazzandomisi davanti con fare minaccioso.

Io sospirai, restando seduta sulla poltrona di Jorge e fissandolo stancamente. Non so se fosse peggio quando non parlava, o quando lo faceva per citare con naturalezza la sua malattia.

-    Sono nelle mie piene facoltà mentali Newt, ho solo preso una decisione – replicai.
-    Una decisione del cacchio!- replicò furibondo.
-    Scusami ma il tuo parere non mi farà cambiare idea – risposi.
-    Tu devi andare! Subito! Puoi ancora raggiungerli – replicò lui afferrandomi una mano.
-    Newt io non vado da nessuna parte – sentenziai liberandomi dalla sua presa.

Lui mi guardò scioccato.

-    Perché diam..- iniziò a dire per poi fermarsi – lo fai per me… - mormorò, quasi non credesse alle sue stesse parole.

Io mi ritrassi dal suo sguardo posando il mio sul pavimento.

-    Tu lo fai per me! Preferisci non farti togliere quel cacchio di dispositivo per stare qui con il pazzo! – esclamò.

C’era rabbia nella sua voce.

-    O magari te lo hanno chiesto gli altri perché avevano paura che dessi di matto dentro la Berga e la facessi esplodere! Resti qui a controllare che io non cerchi di farmi fuori di nuovo, vero? – snocciolò tutte queste considerazioni in fretta, quasi in modo febbricitante, e non ne azzeccò nemmeno una.

Io continuai a tenere gli occhi bassi e questo lo fece alterare ancora di più.

-    Guardami quando ti parlo!- urlò, tirandomi per un braccio e facendomi quasi cadere dalla poltrona.
-    Lasciami! – gridai di rimando fissandolo finalmente negli occhi.

Newt si ritrasse come scottato, o come si fosse reso conto che la sua furia fosse eccessiva. Restammo qualche istante in silenzio, entrambi con il fiato grosso.

-    Tu hai paura di me… - sentenziò lui con un tremito ben diverso dalla quello provocato dalla rabbia.
-    Paura di te?! – esclamai irata, alzandomi in piedi e fronteggiandolo – non sono rimasta qui perché me lo hanno chiesto gli altri! Non sono rimasta qui perché avessi paura che ti suicidassi, e non sono qui perché non volevo lasciarti solo con la malattia che avanza! – gridai – sono qui perché ti amo! E perché voglio trascorrere ogni singolo istante che ci rimane assieme! Non mi interessa di restare con il dispositivo!! Voglio stare con te perché nessuno merita di rimanere solo in un momento come questo! Né te, né tantomeno me! –

Mi fermai ansante mentre Newt mi osservava inebetito dalle mie parole.

-    Perché non lo capisci Newt? – mormorai affranta prima di superarlo e lasciarlo solo con i suoi pensieri.



Stanza delle mappe:

Non sono tutte rose e fiori. Questo potrebbe essere un titolo alternativo al capitolo!
Dopotutto Newt e Carys sono dei comuni ragazzi e la loro situazione non è per niente facile.. è normale che sbrocchino, senza contare l'aiuto che l'eruzione sta dando.
Chissà come andrà a finire.. soprattutto a questo punto della storia!
Grazie mille a tutti i lettori silenziosi che continuano a seguirmi!!

Un abbraccio,
Marta


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Capitolo 32
*** 32.Capire ***


32.
32. Capire


Percorsi rapida l'ormai famigliare interno della Berga e mi fermai solo quando arrivai alla stanza dov’eravamo soliti dormire. Fosse stato in mio potere avrei aperto il portellone e avrei continuato a camminare senza meta fin quando mi fossi lasciata tutto alle spalle, compresa me stessa.


-    Fermati, per favore!  -

Newt era stato sorprendentemente veloce nel raggiungermi. Chiusi gli occhi dandogli le spalle e cercando di dare un senso a tutto quello che mi stava passando per la mente. Lui rimase in silenzio, capendo forse che era proprio quello di cui avevo bisogno. Alla fine, prendendo fiato, mi girai. Newt era fermo a qualche metro da me, con la spalla appoggiata alla struttura in ferro del velivolo e le braccia incrociate. Quella scena mi ricordò i primi tempi alla Radura e mi fece salire la nostalgia. Era sempre stata la sua tipica posa di quando doveva fermarsi a pensare. Alla fine, lentamente, posò lo sguardo su di me e ritornò ad essere il Newt tormentato degli ultimi tempi.

-    Non capisco Newt.. - dissi – non capisco perché tu voglia così disperatamente stare solo e non capisco perché tu stia cercando in continuazione di allontanarmi… so per certo che non è l’eruzione a fartelo fare, ma so che è per quella che lo fai. Pensi che così io possa affrontare la cosa in modo migliore? Che io smetta di avere paura e impari a fregarmene di te? Pensi davvero di rendermi le cose più facili allontanandomi? – gli chiesi con voce tremante.

Non mi importava più di fare finta di niente, di tacere per non turbarlo ulteriormente. L’intera nostra esistenza stava andando a rotoli e io ero stanca di accantonare le domande inespresse. Non c’era più niente da perdere...
Newt prima di rispondermi chiuse brevemente gli occhi.


-    Non lo sto facendo per rendere le cose più semplici a te, ma a me. Perché sono io quello che ha paura di non farcela, di soffrire troppo. L’idea di perderti è orribile e il pensiero di poterti fare del male non lo posso tollerare – spiegò senza giri di parole e senza abbassare lo sguardo.

Io mi avvicinai e con le dita gli scostai un ciuffo di capelli biondi. Erano cresciuti davvero molto da quando avevamo lasciato la Radura…

-    L’egoismo non è una caratteristica che ti si addice..- replicai, abbassando la mano mentre lui faceva spallucce. – Newt… non mi interessa quanto sia difficile, io non me ne vado. Ovunque tu andrai io ti seguirò, anche se ci stiamo dirigendo verso una sicura sconfitta – replicai.

Newt scosse la testa con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

-    Perché caspio devi avere la testa così dura? – chiese.
-    Perché ti amo – gli risposi, facendomi più vicina per baciarlo.

Forse la sensazione della sua bocca era l’unica cosa a non essere cambiata. Accendeva come al solito quel calore che pian piano si irradiava in tutto il corpo.
Dopo un attimo, afferrai il bordo della sua maglietta e gliela tolsi. Feci finta di non vedere i nuovi lividi che gli erano spuntati mentre facevo scorrere le mani su di lui e ignorai le ossa che sporgevano più del dovuto sul suo fisico asciutto.

-    Sei sicura di volerlo fare? – mi chiese quando fui io a levarmi la maglietta.

Lo guardai stranita facendo per rispondergli, ma lui proseguì.

-    Sesso selvaggio con uno spaccato – precisò con un ghigno.
-    Sei veramente una testa di sploff degna di Minho! – replicai mollandogli una manata sul petto.

Newt rise e questo mi fece ricordare quanto fosse meraviglioso. Lo baciai di nuovo con ancora il sorriso sulle labbra.
Qualche ora più tardi fissavo il volto di Newt. Si era addormentato quasi subito dopo che avevamo finito, ma io non ero ancora riuscita a chiudere occhio.
Mentre facevo l’amore con lui e nonostante tutti i miei sforzi per scacciarlo, il pensiero che quella poteva essere l’ultima volta per noi mi aveva tormentata.
Anche adesso, mentre dormiva, il suo viso non era disteso, ma increspato da un’ombra di preoccupazione. Sembrava non esserci pace in lui..
L’impotenza della situazione crebbe in me fino a livelli mai provati e, nascondendo il viso contro il suo collo, in silenzio per non svegliarlo, piansi la mia inutilità.


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Capitolo 33
*** 33. Abbandono ***


33.Abbandono
33. Abbandono


-    El? El svegliati –


Con molta lentezza riemersi dal sonno profondo che finalmente mi aveva accolto.
Focalizzai il viso di Newt davanti a me, mentre, chinato sulle ginocchia, si era abbassato al livello del divano.

-    Cosa succede? – domandai con voce impastata.
-    Dai vieni! – mi incalzò lui prendendomi per un braccio.

Io ancora intontita mi alzai, infilandomi di nuovo scarpe, pantaloni, maglietta e seguii Newt.

-    Ma dove stai andando? – gli chiesi.

Lui non rispose, proseguendo a salire alcune scale a pioli che ci condussero nella parte più alta della Berga. Lì, Newt tenne socchiusa una piccola porta di metallo.

-    Chiudi gli occhi – mi disse.
-    Newt.. - protestai
-    Chiudi gli occhi e basta – insistè lui con un tono che non ammetteva repliche.

Sospirando feci come mi aveva detto.
Lo sentii aprire completamente la porta e poi per mano mi condusse oltre ad essa. Un leggero vento mi scompigliò  i capelli.


-    Aprili – mi disse e io obbedii.

Eravamo su di un piccolo terrazzo, che probabilmente veniva usato per la manutenzione esterna del velivolo. Fuori era notte fonda, davanti a me c’era l’orizzonte nero e piatto e sopra di esso lo spettacolo più bello che avessi mai visto. La volta celeste era tempestata di stelle, non c’era un singolo punto libero.
Mi tolse il fiato.


-    A quest’ora spengono tutte le luci, forse per risparmiare energia. So che non sono lucciole ma… -

Mi voltai verso Newt che nel frattempo si era seduto contro la parete della Berga, non riuscivo a vederlo bene in viso a causa del buio, ma ero certa che sorridesse.

-    È… meraviglioso Newt.. - mormorai senza trovare parole più adatte.
-    Vieni a sederti – mi invitò.

Io lo raggiunsi, appoggiando la schiena contro il suo petto e beandomi del calore che irradiava.
Restammo in silenzio a guardare il cielo. Non c’erano discorsi da fare e non servivano parole. Newt lo aveva fatto perché si era reso conto che il tempo non era dalla nostra e che quando gli altri sarebbero tornati, saremmo stati di nuovo in fuga…
Trascorsero un paio d’ore e mentre il sole iniziava a fare capolino ad est, sentimmo un forte rumore provenire da sotto. Ci alzammo in piedi di scatto. I rumori proseguirono.. sembrava quasi che qualcuno stesse cercando di aprire il portellone della Berga con la forza.
Newt mi fece cenno di stare in silenzio e, una volta rientrati all’interno, ci avvicinammo alla parte posteriore del dirigibile. I colpi si erano fatti ancora più forti e ormai non c'erano dubbi: stavano cercando di buttare giù la porta.

-    La Wicked è qui! – sussurrai io spaventata voltandomi verso Newt – Ci hanno trovati! –

Lui mi guardò, sobbalzando nel sentire l’ennesimo colpo. Poi si riscosse.

-    Vieni! – mi prese per mano e si mise a correre.

Lo seguii senza sapere dove stesse andando, fino ad arrivare agli alloggi del capitano dov’era solito dormire Jorge. Newt mi condusse in fondo alla cabina, esattamente davanti ad un muro spoglio. Lì, fece passare una mano sulla superficie di metallo finchè le sue dita non trovarono una qualche scanalatura e davanti a noi si aprì una porta. Dentro non c’era niente, era un rettangolo spoglio adatto per tre o quattro persone adulte.

-    Entra, forza!- mi disse mentre in lontananza risuonava uno scalpiccio frettoloso.
-    Newt cosa…? - chiesi.
-    È una stanza che ha costruito Jorge, non esiste sulle altre Berghe. La porta si chiude automaticamente e si riapre solo dopo tre ore; da fuori non è possibile vederla e la può aprire solo Jorge una volta chiusa – mi spiegò velocemente – se stiamo qui non ci troveranno mai! – aggiunse.
-    Ok.. - dissi spaventata entrando.

Quando mi voltai, Newt era ancora all’esterno e mi stava guardando.

-    Ti amo – disse semplicemente.

Mi ci volle qualche secondo per interpretare il suo sguardo, che a lui bastò per chiudere la porta. Un rumore di serrature mi disse che era stata bloccata.
Incurante di quello che mi aveva appena detto riguardo quella stanza, mi fiondai contro la porta cozzando sul metallo.

-    NEWT! – urlai battendo i pugni contro la parete – NEWT!!! –

La strana cacofonia, e l’assenza di suoni, mi fece capire che la stanza era insonorizzata.
Continua a battere contro la porta finchè le mani non diventarono livide e il dolore lancinante. Allora barcollai all’indietro fino a finire contro l’angolo opposto.
Lì, mi lasciai scivolare al suolo, rannicchiandomi su me stessa completamente annientata.

Newt aveva deciso di andarsene… da solo.


Stanza delle mappe:

In questo capitolo mi sono presa delle libertà, come per la stanza segreta ideata da Jorge o per la terrazza esterna. Avevo bisogno di un motivo che spingesse Carys a dividersi da Newt, visto e considerato che quest'ultimo sarebbe dovuto arrivare nella zona degli spaccati. Ovviamente la ragazza non lo avrebbe mai lasciato e quindi ho optato per un abbandono più drastico. Posso affermare che questo sarà l'inizio del declino... ma come finirà la loro storia?
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi, a chi mi ha recensita e a chi mi ha inserita tra le storie preferite (Mikoto_Suo), ricordate e seguite (Alishemmings).

A presto,
Marta

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Capitolo 34
*** 34.Odio ***


34.Odio
34. Odio


Per la prima volta nella mia vita desiderai di star vivendo l'ennesimo test per la mappatura del cervello. Era troppo brutto, troppo orribile, concepire che fosse tutto vero, tutto reale. Newt si era fatto portare via dalla Wicked e non mi aveva permesso di seguirlo… mi aveva lasciata sola, per proteggermi da quello che sarebbe diventato in un futuro non troppo distante.
Se solo gli avessi parlato... se solo gli avessi raccontato tutto subito! Ho sperato troppo e non dovevo.
I miei pensieri vennero interrotti dal cigolio della serratura in apertura. Non erano passate nemmeno due ore da quando ero stata chiusa lì dentro, ma non alzai la testa per vedere chi stesse entrando. Non poteva essere Newt e questo mi bastava perché tutto il resto perdesse importanza. La mia stessa esistenza era giunta ad un punto morto. Avevo fatto tutto quello per niente…


-    El? –

La voce di Thomas, alla quale si aggiunsero subito dopo quelle di Minho, Brenda e Jorge, mi chiamò.
Io non risposi. Non lo feci nemmeno quando il ragazzo si inginocchio vicino a me chiedendomi cosa fosse successo, se stessi bene. Minho si infuriò quando proseguii nel mio silenzio e Brenda lo redarguì, consigliando a tutti quanti di lasciarmi in pace.
La mano di Thomas abbandonò la mia spalla e restai di nuovo sola. Dopo che se ne furono andati tutti, alzai la testa e guardai verso la porta aperta.
L’immagina di Newt fermo davanti ad essa mentre mi diceva che mi amava, si fece spazio nella mia mente. Mi mancò il fiato tanto era vivida.
Non volevo più uscire.. non volevo più fare niente.


“Brava, resta qui e lascialo morire”

Era da un po’ che la voce non mi infastidiva, ma per la prima volta la accolsi senza quasi rendermene conto.

-    Non lo sto lasciando morire – risposi a voce alta.

“No, certo. Quello lo sta facendo l’eruzione in effetti.. Tu lo stai più semplicemente lasciando solo.”

-    Chi sei?! Esci dalla mia testa! – esclamai, portandomi le mani sulle orecchie.

“Tu lo sai chi sono El… Lo vuoi un consiglio? Resta pure qui finchè non torneranno e poi uccidili tutti!”

A quelle parole, l’odio per la Wicked si riaccese in me travolgendomi. Quasi la voce avesse schiacciato in me un interruttore.
Mi alzai e raggiunsi gli altri. Li trovai tutti seduti a fissare un pezzo di carta appoggiato su un tavolino. Quando lo presi tra le mani sapevo di avere tutti gli occhi puntati su di me. Probabilmente si aspettavano che dessi di matto com’era già successo. Su quel pezzettino di carta c’erano poche righe lasciate da Newt in cui diceva addio.
Riappoggiai il messaggio sul tavolo.


-    Andiamo a riprenderci Newt. – dissi

“Non gli permetterò di morire da solo” pensai.

“Oh El, sei così altruista” ghignò la voce.


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Capitolo 35
*** 35. Decisione ***


35.
35. Decisione


Leggevo così bene negli occhi di Newt che, a differenza degli altri, mi bastò solo mezzo secondo per capire che non sarebbe tornato con noi.

Non appena si era girato imbracciando il lanciagranate, avevo già capito quale fosse la sua decisione. Eppure non ero preparata…
Avevo percorso miglia e miglia a piedi, lottato, ucciso, sofferto e sofferto ancora. Ero stata messa alla prova da tutta la vita, sempre; e niente, niente, mi aveva preparato a questo.
Una volta che tutti fummo d'accordo nel tornare a prendere Newt, Jorge aveva diretto la sua Berga verso il palazzo degli Spaccati; una fatiscenze struttura dimenticata da Dio e sicuramente dal resto dell’umanità. Lì, ci avevano accolto un paio di muni che facevano la guardia e dietro la promessa di un pagamento,
prima avevano acconsentito  di chiedere notizie di Newt e dopo di accompagnarci da lui.
Così avevamo raggiunto quella che una volta era stato un bowling, ma che adesso fungeva più da ritrovo e da dormitorio per gli Spaccati.

Da quando la discussione era iniziata mi ero come disconnessa, le urla dei miei amici nel tentativo di far ragionare Newt, mi arrivavano come un brusio indistinto mentre il mio cervello cercava una soluzione che non esisteva…
Improvvisamente scoppiò un tafferuglio e uno Spaccato aggredì Minho. Fortunatamente non ci furono conseguenze, tranne che l’uomo si prese un colpo di lanciagranate da parte di Newt.


-    Vuoi davvero spararmi vecchio mio? – disse Minho, alzando le mani quando Newt indirizzò l'arma verso di lui.

Newt lo guardò furioso.

-    Ve l’ho detto con le buone, ora ve lo dico con le cattive.. Andatevene o sparo –

A quel punto mi misi davanti a Minho.

-    Newt io rest… –
-    No! – mi interruppe senza lasciarmi neppure finire la frase.
-    Ascoltami, c’è una cosa che devo dirti! – proseguii ignorandolo.
-    Non c’è niente da dire, tu te ne vai con loro! – replicò.

Stavo per riaprire bocca, quando tutto successe molto velocemente. Uno degli spaccati, che non so per quale motivo rantolasse a terra, mi afferrò per un polso cercando di tirarmi giù. Io persi l’equilibrio e caddi a bocconi, cercando di liberarmi dalla presa. Urlavano tutti.
Riuscii a liberarmi proprio mentre Newt esplodeva un altro colpo di granata, il problema fu che lo spaccato mi riafferrò quasi subito.
Quando le scariche di elettricità esplosero su di lui, io ne rimasi coinvolta.
Il mondo divenne improvvisamente costellato di lampi di luce, mentre un dolore sordo e bruciante si propagava dal mio polso. Caddi a terra pesantemente, non riuscendo più a controllare i muscoli. Le orecchie mi fischiavano da impazzire,
ma ero quasi sicura che Newt stesse gridando.
Mi sentii trascinare via e, non ancora incosciente, cercai di opporre resistenza… dovevo parlare con Newt, dovevo restare con lui. Loro non capivano! Ma la mia volontà  non bastò a tenermi sveglia.
Quando riaprii gli occhi ero ormai lontana da Newt. Mi alzai sulla solita poltrona della Berga, misi i piedi a terra e mi guardai attorno.
Brenda si accorse che ero sveglia e si premurò di chiedermi se avessi bisogno di qualcosa. Mi era sempre piaciuta quella ragazza, era sveglia.
Mi costrinsi a dirle di no e poi mi alzai. La sensazione fu quella di galleggiare in uno spazio vuoto; ero talmente intontita da quello che era successo, da non rendermi quasi conto di camminare. Brenda mi avvisò che eravamo dovuti scappare perché un gruppo di spaccati aveva iniziato a darci la caccia. Avevano deciso di provare a cercare Gally, ma avremmo discusso dei dettagli l’indomani. Per ultimo, mi disse che mi avevano lasciato qualcosa da mangiare. Io la ringraziai ma non mi avvicinai al cibo, prendendo invece a vagare per il dirigibile.
Salii le scale a pioli per raggiungere il piccolo terrazzo. L’ultimo posto dove ero riuscita ad avere un momento tranquillo con Newt; ma quando arrivai la porta era già aperta.
Fuori trovai Minho, seduto con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro intento a guardare il nulla davanti a sé.
Io mi sedetti vicino a lui in silenzio.

Davanti a noi c’era di nuovo un mare di stelle luminose, ma a me ormai sembravano solo tante lampadine prive di significato, che richiamavano solo un fugace istante devastato per sempre. Non mi accorsi di essermi messa a piangere, finchè Minho non mi passò un braccio attorno alle spalle e io mi ritrovai sconquassata dai singhiozzi contro la sua spalla.
Mi dispiacque non poco, che la prima cosa che ci accomunasse davvero in quel mondo, fosse il dolore per la perdita di qualcuno.


Stanza delle mappe:

Buongiorno a tutti!
Siamo quasi giunti alla conclusione di questa storia e perdonatemi gli ultimi capitoli un pò più brevi. Come finirà l'intera vicenda? Carys riuscirà a ritrovare Newt e a confessargli ciò che doveva? Per sapere tutto questo manca davvero poco!
Ringrazio tutti i lettori, chi mi ha commentata e chi mi ha aggiunta tra le storie preferite, seguite e ricordate.

Un abbraccio,
Marta

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Capitolo 36
*** 36. Uccidere ***


36.
36. Uccidere


Passarono altri due giorni, durante i quali non si parlò che lo stretto necessario e più nello specifico di come ritrovare Gally.
Alla fine decidemmo di entrare di nuovo in città e di recarci nell’appartamento dove era stato visto il ragazzo l’ultima volta.
Ma questo era il loro piano... il mio era completamente diverso. Per me non ci sarebbe stato nessun braccio destro e nessun tentativo di capirci qualcosa sugli esperimenti della Wicked.
Io sarei entrata a Denver con loro e poi sarei sparita. Non mi ero dimenticata della promessa fatta a Newt e l'avrei mantenuta a qualsiasi costo. Lui non avrebbe potuto opporsi, perché mi avrebbe capita…

Era una decisione che avevo preso non appena mi ero svegliata sulla Berga. Gli altri non mi avrebbero mai lasciata andare, ed era per quella ragione che lo avrei dovuto fare senza dire niente a nessuno di loro.
Ovviamente, le cose all’apparenza più semplici non lo sono mai, e avrei dovuto già essere abituata agli imprevisti... ma, quando finalmente pronti all’azione, fummo catturati da tre cacciatori di taglie non appena messo piede fuori dalla Berga, un lieve senso di panico mi colse.
Lì per lì fui tentata di scappare, ma non sarei mai arrivata viva nemmeno alle porte di Denver e poi avrei messo in pericolo i miei amici. Per quanto amassi Newt non era un sacrificio che fossi disposta a fare.
Avevo ancora la convinzione che, in un modo o nell’altro, sarei riuscita a fuggire. E per una volta non fui delusa dalle aspettative.
I cacciatori di taglie ci portarono in un enorme capannone stipato di gente, lì ritrovammo il gruppo B, anche se dimezzato, Teresa e Aris. La cosa che più mi mise a disagio, fu che non provai nulla nel vederli. Perché la loro gioia nell’essersi ritrovati, non mi toccava minimamente; a me continuava a mancare l’unica cosa di cui avessi bisogno.
 La mia occasione, per fortuna, arrivò presto. Minho e Thomas riuscirono a prendere il sopravvento, aiutati dagli altri prigionieri, sui cacciatori di taglie, che non si dimostrarono null’altro che agenti del Braccio Destro. Dissero che c’era un piano dietro a quei rapimenti di Muni, e Thomas li convinse a farsi portare dal loro capo.
Uno degli uomini che ci aveva aggredito (Lawrence) si candidò per portarci al quartier generale dell’organizzazione. Avremmo solo dovuto attraversare la città.
Ottimo.

Thomas era convinto nel voler portare solo Brenda, ma quando lo scongiurai di farmi andare con loro, accettò. Dissi di aver bisogno di tenere la mente lontana da Newt e lui se la bevve. Mi vergognai di quella bugia, ma era necessaria.
Così salutai Minho, non ero sicura che lo avrei mai rivisto. Non eravamo mai andati molto d’accordo, ma la perdita di Newt era un punto in comune più forte delle similitudini caratteriali o degli stessi gusti. Forse fu l’unico ad intuire qualcosa sulle mie reali intenzioni; mi abbracciò dicendomi di stare attenta, ma dal suo sguardo sembrava voler dire ben altro…

Il viaggio fu movimentato fin dall’inizio. Non appena saliti sul furgone, una spaccata era saltata sopra il tetto cercando poi di spaccare il parabrezza a mani nude. Fortunatamente, quando la macchina inchiodò, la donna cadde e non provò più ad attaccarci, come se si fosse resa conto di essere solo una persona contro quintali di ferro in movimento.
C’erano diversi gruppi di spaccati intenti a picchiarsi o a rovistare tra la spazzatura. Dal retro del furgone cercavo di guardarmi il più possibile in giro, nella speranza di vedere tra di loro Newt. Nel frattempo ragionavo su come scendere dal furgone.. Lawrence andava troppo veloce per poter abbandonarlo in corsa; avrei dovuto quindi approfittare della prima occasione. Che non tardò ad arrivare, per altro.
Non eravamo in movimento da molto, quando il furgone passò sopra qualcosa che gli rimase attaccato. Mi proposi di scendere per guardare cosa fosse, ma dovetti insistere perché il nostro guidatore mi ascoltasse. Quando però fu chiaro, che non potevamo fare tutta la strada a quella velocità e con quel fracasso infernale, decise di fermarsi.

Io aprii il portellone dietro, dando un’occhiata che non ci fosse nessuno spaccato nelle vicinanze e poi saltai giù. Vidi subito che il problema era un paraurti di una macchina, incastrato nel retro del nostro mezzo. Mi ci volle solo qualche minuto per staccarlo.

-    Ottimo lavoro, salta su adesso! – disse Lawrence, facendomi segno con il pollice dallo specchietto retrovisore.

Io rimasi a fissare Thomas e Brenda e sorrisi.

-    El spicciati, dobbiamo andare!- mi incalzò il ragazzo.
-    Mi dispiace…- risposi.

Tutti e tre mi guardarono confusi, poi io sbattei il portellone e corsi via. Alle mie spalle le urla dei miei amici mi rincorsero per un pezzo, finchè non le udii più.
Mi fermai all’angolo di un vicolo, con il fiatone e una strana voglia di piangere nonostante che il mio piano fosse andato alla perfezione. Respirai profondamente sistemandomi meglio la pistola nella cintura e poi mi incamminai.
Il cielo si era oscurato in fretta e sapevo che non era saggio girare di notte, avrei dovuto cercare una sistemazione per dormire e solo la mattina mi sarei messa a cercare Newt.
Proseguii lentamente e con le orecchie tese, finchè l’oscurità fu troppa per distinguere perfino le sagome. Quando imboccai l’ennesimo vicolo, vidi una scala antincendio che portava al primo piano di una palazzina tutto sommato ancora in buone condizioni. Decisi che mi sarei fermata lì.
Ero quasi arrivata alla scala, quando inciampai su qualcosa steso a terra. Caddi in avanti proteggendomi con le braccia per attutire la caduta. L’impatto con l’asfalto fu duro, sentii la pelle dell’avambraccio riempirsi di graffi. Passato lo stordimento iniziale, mi girai a pancia in su per prendere fiato, ma qualcosa si gettò su di me.

Una ragazza pressappoco della mia età, mi si era avventata contro con ferocia. Aveva i capelli corti e lo sguardo iniettato di sangue; un profondo taglio le solcava la fronte e la pelle distaccatasi, pendeva lasciando intravedere il bianco dell’osso occipitale.
Riuscii a portarmi un braccio davanti alla gola prima che facesse presa sul mio collo, mentre con l’altra mano mi afferrò i capelli tenendomi inchiodata al suolo. Io cercai di raggiungere la pistola che avevo alla cintura e quando ci riuscii, abbattei il calcio contro la sua tempia. Al primo colpo non mollò la presa, al secondo vacillò e al terzo si ritrasse crollando a terra. Mi rimisi in piedi ansante con il cuore a mille. La spaccata gemeva a terra e io feci per andarmene, ma all'improvviso si riscosse lanciandomisi addosso di nuovo. Mi schiacciò contrò il muro della casa; nella mia testa esplosero una serie di lampi quando colpii la parete con la nuca. Per quanto io non volessi usare la pistola, gliela puntai addosso e feci fuoco. La spaccata barcollò all’indietro accasciandosi al suolo, mentre una pozza di sangue luccicante si spargeva sul selciato.
La guardai per un lungo momento, prima di sollevare lo sguardo e vedermi riflessa nella vetrina del negozio davanti. Per un attimo mi spaventai, pensando che vicino a me ci fosse un’altra spaccata... e poi capii che ero io.
I capelli arruffati, il viso sporco di sangue. L’avambraccio colava rosso e la manica era completamente strappata, così come i pantaloni. Lo sguardo terrorizzato.

Restai ferma a fissarmi finchè non scoppiai a ridere. Risi fin quando non ebbi male ai muscoli dell’addome. Dio, sembravo davvero una spaccata. Meglio così, sarebbe stato più facile attraversare la città l’indomani. Con un’ultima occhiata alla ragazza morta ai miei piedi, raggiunsi la scala antincendio e mi infilai nella prima finestra. Mi sistemai nell’appartamento vuoto controllando che non ci fosse nessuno.
Stranamente mi addormentai quasi subito e l’ultima cosa che mi accompagnò nel sonno fu la solita voce, che ormai mi era più famigliare di tante altre cose.

“Congratulazioni! Hai ucciso il tuo primo essere umano. Non è eccitante?”

Stanza delle mappe:

Stiamo entrando nel rush finale, manca poco per vedere la conclusione di questa storia.
Nel frattempo Carys ha deciso di abbandonare tutto e tutti per ritrovare Newt, riuscirà nella sua impresa? Ma soprattutto, cosa accadrà una vola che lo avrà trovato? Ha qualcosa di importante da dirgli, che addirittura potrebbe fargli cambiare idea sul fatto di cacciarla...
Se siete curiosi dovete solo attendere i prossimi capitoli!
Grazie mille a tutti voi che continuate a leggere!

A presto,
Marta

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Capitolo 37
*** 37. Speranza ***


37.Speranza
37. Speranza


Mi svegliai a mattina inoltrata, r
accolsi in fretta le poche cose che avevo con me e, dopo aver dato un'occhiata che all'esterno tutto fosse tranquillo, mi misi in strada.
Non c'era ancora molta strada da fare dal luogo dove mi ero rifugiata al palazzo degli Spaccati. Sapevo per certo che era un azzardo sperare di trovare Newt ancora lì, ma ne valeva il rischio. Per una volta sperai nella fortuna e questa mi ascoltò.

Mi ero appena incamminata lungo la strada principale quando in lontananza vidi un gruppo di spaccati, chini e intenti a Dio solo sa cosa. Stavo per prendere un vicolo laterale per evitarli, quando poco più in là scorsi il furgone che ci aveva scortati il giorno prima. Davanti ad esso c'erano un paio di figure, una delle quali mi era impossibile non riconoscere. Senza curarmi minimamente degli altri Spaccati, decisi di correre in quella direzione.
Thomas e Newt erano uno di fronte all'altro e stavano discutendo animatamente. Più mi avvicinavo e più i dettagli di facevano nitidi e il mio cuore si serrava in una morsa dolorosa. Newt.
Stentavo a riconoscerlo per il ragazzo qual’era stato; il viso era scarno e gli occhi infossati. Gli abiti gli stavano troppo larghi e i capelli erano arruffati, in alcuni punti mancavano del tutto. Però era Newt, il mio Newt. E fu il primo a notarmi.

Non appena mi vide, smise di parlare fissandomi spaventato. Thomas vedendo che il suo amico si era interrotto bruscamente si girò verso di me.

- El! - esclamò - Dove ti eri cacciata?!- mi chiese.

Io non gli prestai la minima attenzione. I miei occhi erano incollati sul ragazzo biondo davanti a lui.

 -       Newt - lo chiamai con affetto.

 Come se al sentire la mia voce si fosse improvvisamente reso conto di me, Newt fece un paio di passi indietro.

 -       Falla andare via Thomas! Non voglio che stia qui, deve andarsene!! – esclamò.
-        Non la mando da nessuna parte! - replicò Thomas.
-        Fai come ti dico! - urlò rabbioso Newt.

Non lo avevo mai visto così.

Thomas lo ignorò voltandosi invece verso di me.

-       El, dammi una mano, Newt vuole che... -
-       Tu lo uccida - lo interruppi prima che finisse la frase e Thomas mi osservò scioccato - Lo so…  l'ho capito da tempo e non cercherò di dissuaderlo se è quello che vuoi chiedermi - replicai con voce sorprendentemente calma.

 Thomas mi guardò con occhi ancor più sgranati, probabilmente pensava che fossi impazzita anche io. Newt, invece, assunse un’aria grata.

 -       Ed è per questo che sono qui – aggiunsi, avvicinandomi a Newt finchè non gli posai una mano sulla guancia incavata.
 
Sentii le ossa sporgenti sotto al mio tocco e fu come prendere una scossa elettrica.

 -       Ti scongiurò El, vai via… non resterò lucido per molto, potrei aggredirti. - mormorò con voce accorata - Lascia che Thomas faccia quel che deve, ma non voglio che tu veda. -

 I suoi occhi febbricitanti saettavano in giro e ogni tanto si posavano nei miei. Sotto tutti gli strati che l’Eruzione aveva accumulato in così breve tempo, c’era ancora consapevolezza in quello sguardo.
Il suo non era un capriccio, ma una necessità. Necessità di andarsene e di proteggermi dal dolore che mi avrebbe provocato.

 -       No Newt, io resto… te l’ho detto: ovunque tu vada io vengo con te, e questo caso non fa eccezione – risposi con un sorriso.

 Il ragazzo rimase a fissarmi per qualche istante confuso, poi nei suoi occhi si fece strada la consapevolezza delle mie parole e indietreggiò di colpo sottraendosi alla mia mano.

 -       No! – gridò – Non te lo lascerò fare! Thomas portala via!- urlò al suo amico.
-       Non capisco… - sentii rispondere Thomas dietro di me.
-       Vuole morire assieme a me! Portala via!- disse fuori di sé.
-       Newt… - cominciai io, ma lui mi interruppe subito.
-       No! Non saresti dovuta nemmeno entrare nel progetto -

Questa volta fui io a sorprendermi di constatare che Newt avesse recuperato la memoria

- Non ti porterò con me, tu non devi morire qui! Tu.. –


 Proseguì così nella sua arringa, mentre anche Thomas si univa a lui nel dire che non avrebbe ucciso nessuno dei due.

 -       Sono infetta -

 Cessarono di parlare entrambi all’istante. Restai in silenzio mentre loro elaboravano ciò che era uscito dalla mia bocca

-       Co..cosa? - domandò Newt con sguardo sperso.
-       Sono infetta Newt e da molto più tempo di te – dissi con un sorriso triste.
-       Non è possibile! Janson non ha fatto il tuo nome.. nessuno lo ha mai detto - replicò lui attonito.
-       Non l’ha fatto perché gliel’ho chiesto io… L'unica condizione che ho posto alla Wicked quando mi sono lasciata portare via, era che non ti dicessero mai che ero infetta - dissi con una punta di rammarico.
-       Stai mentendo – replicò Newt, scuotendo la testa con un sorriso spaventato.
-        Non è così... Ho contratto l’eruzione quando eravamo bambini. L'unico motivo per il quale sono stata portata alla Wicked è perchè il virus, a differenza di quello degli altri infetti, non si trasmette e cresce ad una velocità molto ridotta.. Questo rallentamento non vi fa venire in mente nulla? – domandai.
-       Il Nirvana.. - rispose Thomas.
-       Esatto. All’inizio la Wicked cercò di usare il mio sangue per trovare una cura parallela a quella della mappatura. Alla fine fu chiaro che non la si poteva curare, ma solo rallentare. Così, questo ritrovato venne venduto come una droga. Mi dissero che dai test avevano stimato che mi rimanevano 20 anni prima di superare lo stadio dell’andata e a quel punto mi diedero una scelta: restare e continuare ad aiutarli, o tornarmene a casa a vivere la mia vita. E io rimasi – spiegai guardando Newt – Non avrei mai potuto abbandonarti lì… Quando fosti mandato nella Radura con parte dei test, chiesi che fossi mandata anche io. Li convinsi che sarei stata un’ottima variabile, avrebbero potuto monitorare il cervello di una Spaccata spinta fino a  situazione estreme e ricavarci dei dati. Loro accettarono e il resto lo sapete – conclusi.

 Newt mi guardava con lo stesso sguardo perso di prima.

 -       Perché? Non mi hai mai detto nulla… mi hai sempre detto che eri immune – disse.
-        Perché ti amavo e perché dal momento in cui ho saputo quale fosse la mia aspettativa di vita, ho giurato che tutto il tempo rimastomi lo avrei usato per aiutare te.                      Perché tu potessi avere una chance, perché potessi essere immune.. Per questo ho avuto quella reazione esagerata quando hanno detto che non lo eri. Tutte le mie                 speranze erano crollate… per questo non ha senso che io resti qui, perché se tu muori finisce ogni mia ragione di vita – dissi.
-       Hai ancora tanti anni da vivere.. - replicò Newt disperato con le lacrime agli occhi.
-       Preferisco morire con te piuttosto che vivere altri 10 anni aspettando di impazzire in un mondo in cui non ci sei – replicai, asciugandomi una lacrima scappata lungo la guancia – Newt ti prego, tu più di tutti dovresti capirlo… non togliermi questo – aggiunsi.

In lui cominciò una lotta interiore che vidi tutta attraverso il suo sguardo. Stava valutando ogni ipotesi, vagliando ogni possibilità. Si portò una mano ai capelli tirandoseli, guardò per aria, girò su sé stesso battendo i piedi per terra e poi si fermò di nuovo davanti a me. Mi guardò e allargò le braccia.
Un invito che io accolsi con un sorriso, felice di sentirmi stringere da quelle braccia tremanti.  

-    Non vi ucciderò!! - esclamò Thomas.
-    Fallo, pive codardo che non sei altro! Me lo devi! - gridò Newt in risposta.
-    Io non posso...-
-    Fallo o ti uccido con le mie mani! - replicò Newt mentre afferrava dalla tasca posteriore dei miei jeans la pistola che mi aveva dato il braccio destro.

Io mi strinsi di più a lui.
Speravo che facesse in fretta..


-   Spara maledizione! -

Speravo che Thomas lo ascoltasse...

- Ho detto SPARA! -

Sper..

Stanza delle mappe:

Ed eccoci qui al penultimo capitolo di questa storia, dove si scopre cosa è successo nel passato di Carys e cosa l'ha spinta a farsi inserire nel progetto del Labirinto.
Spero che l'epilogo della prossima settimana possa chiudere degnamente questa fic.
Ringrazio tutti quanti i miei lettori e chi mi ha aggiunta tra le preferite, seguite e ricordate.

A presto,
Marta

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Capitolo 38
*** 38. Inizio? ***


38. Inizio?
38. Inizio?


Quando aprii gli occhi mi ritrovai sdraiata; sentivo l'odore della terra umida e sopra di me non c'era nient'altro che il cielo.
Mi tirai a sedere in un prato, intorno a me boschi e montagne, davanti a me un grande lago. Sbigottita mi alzai in piedi voltandomi a sinistra. In lontananza scorgevo alcuni tetti e molti pennacchi di fumo. Ero a casa... inspiegabilmente ero a casa mia.

Nella più totale confusione tornai a guardare il lago, e solo in quel momento notai una figura ferma sulla sponda.

- Finalmente ti sei svegliata -

Newt mi salutava con la mano. Ed era il vecchio Newt, quello prima di ogni cosa. Con i suoi capelli biondi, i Jeans rotti e la felpa, un largo sorriso e occhi caldi e scuri.
Prima di rendermene conto gli stavo già correndo incontro, e un istante dopo, mi ritrovavo tra le sue braccia che mi stringevano.
Newt, ridendo, mi sollevò da terra girando su sè stesso, per poi riposarmi a terra.

- Co.. cosa sta succedendo? - chiesi attonita.
Lui alzò le spalle - non ne ho la minima idea... ma a quanto pare siamo a casa - rispose.
- Ma gli Spaccati? La Wicked? - lo tempestai - Thomas non ci ha sparato? -
- E' l'ultima cosa che ricordo anche io - disse, e un barlume di quella vecchia oscurità si rifece viva per un attimo nel suo sguardo - Non so dirti se questo sia un altro test o meno... - aggiunse.
- E se fosse stato tutto un test nel nostro cervello? Che queste cose non siano mai accadute? - proposi io.

Newt scosse la testa senza sapere cosa dire.

- Ti va di fare due passi come ai vecchi tempi? O ai nuovi.. non so bene quali siano - disse, dopo un attimo di silenzio, con un sorriso sghembo.

Io annuii mentre lui mi prendeva per mano. Passeggiammo lungo l'ansa del fiume.
Tutto era esattamente uguale a come lo avevamo lasciato, con la sola differenza che c'era una strana tranquillità nell'aria. Non la solita tensione che mi ricordavo esserci per la paura dell'Eruzione o delle tempeste di neve o di pioggia. Era lo stesso mondo seppure totalmente diverso.
Camminammo fino ad un vecchio tronco cavo, lì, Newt si sedette divaricando le gambe in modo che io potessi sedermi davanti a lui. Era stato il nostro rifugio fin da bambini.

- Secondo te siamo morti? - domandai.

Ci fu qualche secondo di silenzio e poi entrambi scoppiammo a ridere.

- Onestamente non lo so proprio - rispose Newt mentre la sua risata mi vibrava ancora sulla schiena.

Lasciai che la mia nuca si posasse sulla sua spalla.

- A ben pensarci non mi importa - commentai.
- Ah no? - chiese lui, abbassando lo sguardo su di me.
- No... se siamo insieme. Che questo sia un test, piuttosto che la fine del mondo o il paradiso, a me basta questo - spiegai.
- Quanto sei sdolcinata - commentò Newt arricciando il naso.
- E tu sei il solito antipatico - replicai io facendogli la linguaccia.

Scoppiammo a ridere tutti e due di nuovo. Poi Newt si chinò verso di me e mi baciò.

- Dio... Quanto mi era mancato poterlo fare, così in tranquillità -  sospirò soddisfatto.
- Anche a me.. - concordai io - Ma adesso che si fa? - chiesi.
- Vista l'ora, direi che potremmo andare a pranzo - propose, facendo per alzarsi.
- Newt dici che... - lasciai la frase in sospeso.

Lui mi guardò dall'alto, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.

- Di nuovo non lo so, ma siamo insieme, giusto? - disse mentre io mi rimettevo in piedi.
- Sì - risposi con un sorriso.
- E allora del resto non mi importa - replicò lui, rispondendo al mio sorriso e strizzandomi l'occhio.

Riprendemmo a camminare verso casa o verso qualsiasi cosa ci attendesse.
Ormai il brutto era passato.
C'eravamo solo più noi; niente Eruzione, niente Wicked, niente test, niente Labirinto, niente Dolenti o Spaccati.
Solo noi, per sempre.

Fine


Stanza delle Mappe:

Ed eccoci giunti alla fine di questa storia. Ho voluto lasciare un finale aperto, per permettere a voi di decidere cosa sia successo veramente.
Sono morti? O si sono semplicemente risvegliati da un lungo sonno imposto? A voi l'ultima parola.
Ringrazio di cuore tutte le persone che dietro agli schermi si sono fermate a leggermi fin qui. E' stato un piacere "navigare" con voi.

Con affetto,
Marta

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