Le Due Gemelle di SamuelCostaRica (/viewuser.php?uid=913334)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** La fine ***
Capitolo 3: *** L'inizio ***
Capitolo 4: *** La ricerca ***
Capitolo 5: *** La guerra dei burocrati ***
Capitolo 6: *** La guerra contro l'Imperatore Touk ***
Capitolo 7: *** L'altra fine ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
E’ sempre difficile
raccontare gli avvenimenti che succedono in una galassia.
I libri di
storia galattica raccontano sempre le cose in modo strano.
Gli
avvenimenti importanti spariscono dietro a storie di gente famosa,
nascosti alle persone normali per non modificare il corso degli eventi,
per impedire sconvolgimenti di tale misura da mettere in forse
l’esistenza di popoli, se non addirittura l’essere
della stessa galassia.
Ecco,
quindi, che quando qualcuno cerca avvenimenti precisi, essi possono
essere nascosti, celati, manipolati, affinché quello che
è stato, le persone che vi hanno partecipato, quello che
è successo, non turbi l’oggi.
Di certo
questi avvenimenti servono a far sì che tali errori non si
presentino più.
O almeno,
dovrebbero.
Ma spesso
gli avvenimenti non capitano per caso.
Di certo
qualcuno li guida, vuole che capitino certe cose affinché
altre, nel susseguo, modifichino gli avvenimenti, a proprio favore.
Ma andiamo
per ordine.
Cercavo,
negli archivi dell’Impero galattico, su un pianeta chiamato
Pokdfin, tracce di un personag-gio, con un nome veramente strano: Conte
Black.
La mia ricerca era
finalizzata a rintracciare dove questa persona era vissuta, cosa aveva
fatto pri-ma della sua apparizione e degli avvenimenti che lo
riguardavano, dove erano accaduti e dove eventualmente si sia nascosto.
Strana
ricerca mi ha affidato l’Imperatrice.
Da quanto
ho capito, questo Black è vissuto circa mille anni fa e non
capisco la necessità di una ri-cerca così postuma.
Ho trovato
traccia, in quest’enorme biblioteca, di una strana storia
raccontata a pezzi da vari storici del tempo.
Strani
storici. Alcuni scrivevano per quello che chiamano videogiornali.
Altre note
le ho trovate dentro a fascicoli dei servizi segreti del tempo, ormai
inutili e resi pubblici da parecchi secoli.
Ma mettere
insieme tutta la storia è veramente difficile.
Certe volte
l’Imperatrice non la capisco. Perché farmi cercare
certe notizie inutili. Un’altra volta mi fece cercare quelle
di un certo Doc. Peggio di così non si poteva. Un anno mi
c’è voluto solo per dimostrare la presenza di una
sua probabile esistenza in questa galassia…
Strano,
però, che i tempi di Black e Doc corrispondano.
Non capisco.
Oh,
scusate, non mi sono presentato.
Sono il
professore Nietsnie, un cosiddetto…topo di biblioteca.
Sono, come
si dice, in pensione. No…scusate, a riposo.
Sì… è più giusto dire
così.
Ad ogni
modo, non capisco l’Imperatrice.
Spesso mi
affida degli incarichi strani…
Cercare
cose che non si trovano, scovare notizie e leggende tra le
più inverosimili, ecco quelle che mi fa fare
l’Imperatrice.
La cosa
ancora più strana è che un cronista del tempo ha
scritto una storia di quegli avvenimenti.
Ho trovato
quello che sembra… un libro, un videolibro.
Strano.
Ci
vorrà un po’ a tradurlo.
Bhe,
incominciamo.. dalla fine?! Sempre più strano. Non
capisco… proprio non capisco… ma
per-ché l’Imperatrice s’interessa di una
storia vecchia di mille anni!
Bho..
avrà le sue ragioni. Meglio non chiedere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** La fine ***
L’Imperatore
e l’Imperatrice
L’Imperatore
Federickoson II e l’Imperatrice Musata stavano intrattenendo
i loro ospiti
presso il Palazzo Imperiale su Pokdfin, nel giardino primaverile, posto
nella
zona ovest del palazzo, sotto un’enorme cupola che permetteva
di controllare la
temperatura della zona, la stagione, il fiorire di certi tipi di
fluorescenze
provenienti da parecchi pianeti della galassia.
L’Imperatore
e l’Imperatrice sorridevano a tutti i partecipanti, quasi non
ricordandosi il
pericolo scampato.
Tutto
era ormai alle loro spalle.
A
festeggiare l’avvenimento c’erano il Conte Louk e
la moglie Rachel, Freddy, Fiona,
alcuni burocrati
rimasti fedeli
all’Imperatore, la Contessa Haras, scappata dal suo pianeta
dopo che il marito
aveva tradito tutti, compreso se stesso.
Ma
i festeggiamenti riguardavano il nuovo Barone del pianeta Klack, che
Makarre
aveva abbandonato con una fuga precipitosa.
Il
nuovo barone si chiamava Louirsen Guiorle, con lui c’era la
sua promessa sposa
Fionji, la figlia del cugino dell’Imperatore, il Duca
Struzink, che
assomigliava parecchio alla figlia dell’Imperatore Noemi, che
con sua sorella
Giulia stava giocando con la tigre Elsa.
“Allora,
caro Louirsen, come ti pare il tuo nuovo incarico?” gli
chiese l’Imperatore,
mentre erano seduti su delle comodissime poltrone di color blu sotto ad
una
tenda che sembrava sospesa nel nulla, li ferma a fare una dolce ombra,
anche se
il tempo all’interno della cupola, per quella giornata, era
stato deciso che
fosse mite, per allietare la festa che vi si svolgeva.
“Molto
bene, Imperatore, La ringrazio per l’incarico, anche se la
zona della galassia
da controllare è un po’ remota.” Gli
ripose Louirsen.
“Non
ti preoccupare. Non ti accorgerai neanche che sei in una zona di
periferia
della galassia. C’è tutto da ricostruire, dopo il
passaggio di Makarre e Touk.
Di tempo ne hai tanto. Sei giovane. Hai una bella moglie. Vedrai, ti
aiuterà.
Nei momenti difficili avrai qualcuno su cui contare. E poi avrete di
sicuro dei
figli. Vedrai, ti terranno molto occupato.” Disse
l’Imperatore, ridendo alla
fine della frase. Una risata certamente sonora, cui fece eco Louirsen.
“Spero
non come le sue, mio Imperatore.” Gli ribatté
Louirsen.
L’Imperatore
si fece un poco serio, dopotutto il pericolo che avevano corso le sue
figlie
era stato grande, ma tutto si era sistemato.
Mentre
i due, circondati da alcuni dignitari di corte, se ne stavano
allegramente a
parlare, sorseggiando una birra di qualche sconosciuto pianeta della
galassia,
l’Imperatrice Musata, Fionji, Fiona, Rachel ed alcune dame di
corte stavano
tranquillamente sotto un’altra tenda, non troppo lontana da
quella occupata
dall’Imperatore.
Ad
un certo punto l’Imperatrice allontanò le dame con
un cenno, chiamò Freddy,
Noemi e Giulia e cominciò a parlare in modo alquanto serio.
“Vedi,
Fionji, d’ora in poi dovrai seguire tuo marito lontano dal
Palazzo Imperiale,
lontana dalla famiglia che ti ha cresciuta, lontano dalla sicurezza che
fino ad
oggi ti ha circondato. Dovrai essere fedele a tuo marito, prima di
esserlo
verso la galassia. Fedele, Fionji (sottolineò con la voce
l’Imperatrice), non
stupida. Di sicuro lui si circonderà di donne di fama
più o meno.. come dire…
bhe, te lo puoi immaginare. Non farci caso. Non è quello che
ti deve
preoccupare. Ti devi preoccupare di quelle che mettono in testa a tu
marito
strane idee. Ma non ti preoccupare, non succederà. Tieni,
(l’Imperatrice tolse
da sotto le sue vesti una scatoletta rossa con strisce gialle e verdi)
quando
avrai dei problemi, basta che tu inserisca questo anello, vedi
(l’Imperatrice
apri la scatoletta ed dentro vi era un anello in platino con uno strano
diadema), nel riconoscitore di oggetti, posto nella scatola di
trasmissione
dati dei tuoi video terminali. Qualcuno di noi si farà vivo.
Qualcuno del club
delle amiche, e cercheremo di sistemare la cosa. (Fiona
accennò ad interrompere
l’Imperatrice) Si, lo so Fiona, con te non è stata
la stesa cosa, ma c’erano
altri problemi, lo sai. In ogni modo, cara (l’Imperatrice
chiuse la scatoletta
e la pose nelle mani di Fionji) se avrai bisogno, noi arriveremo. Noi
donne
dobbiamo essere unite, specialmente sapendo cosa diventerai. Altrimenti
la
galassia potrebbe correre pericoli più grandi di quelli che
ha corso fin’ora,
inutilmente. Bene, signore. Credo che questo sia tutto.
(l’Imperatrice batte le
mani sulla gonna, si alzò e con lei tutte le presenti,
tranne Fionji) Possiamo
andare dai nostri mariti. E’ ora di rimetterli in riga,
altrimenti stasera
dovremo vestirci da infermiere!” Rise fortemente e tutte le
altre gli fecero
eco, mentre si dirigevano verso la tenda occupata dagli uomini.
Fionji
rimase lì, seduta, con la scatoletta tra le mani.
Rachel
si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla
destra.
“Su,
non ti preoccupare. Vedrai, per parecchi anni l’Impero e
questa galassia
saranno al sicuro. E poi non ti preoccupare. Louk dice sempre che si
farà
l’amante, che vuole un sacco di concubine: ma tutte le volte,
in un modo o
nell’altro, gli faccio cambiare parere. Basta mettere in
mostra le nostre
grazie.” Così dicendo sollevò la gonna
e mostrò a Fionji le sue gambe, lunghe,
vellutate, con una scarpina bianca che risaltava la sua abbronzatura.
Fionji
rise.
“Sì,
capisco. Mi sa che passero un sacco di tempo in palestra.”
Disse ridendo.
“No!
Basta fare dieci vasche al giorno in piscina. Nuda, direi. (Disse
Rachel
pensierosa) Alla quinta vasca se non scende a controllare, preoccupati.
Se
arriva alla settima mi sa che non esci dalla piscina!”
Così dicendo risero
tutte e due.
“Me
ne ricorderò! Ma lo sai che il problema non è
quello.” Disse Fionji, abbassando
la testa e giocherellando nervosamente con la scatoletta.
“Non
ti preoccupare. Quando sarà il momento saprai cosa
fare.”
“Sì.
Dite tutte così. Ma alla fine sarò io, solo io a
sopportare il peso di tutto.
Nel bene e nel male. Per cosa poi? Che senso ha, Rachel, il bene della
galassia? Perché?‘”
“Perché
qualcuno deve guidare la carrozza e deve evitare le buche, se no i
passeggeri
si arrabbiano e si lamentano. Tu siederai di fianco al cocchiere,
volente o
nolente, e dovrai evitare che lui mandi nel baratro l’intera
galassia e che i
suoi abitanti si lamentino. A chiunque è data questa
possibilità, è elevato al
rango più elevato e può fare tutto quello che
vuole e gli viene dato tutto
quello che vuole. Purché faccia il suo dovere, se non vuole
essere sostituito,
destituito o peggio. Non ti lamentare. Sarai aiutata a prepararti al
meglio
delle tue possibilità. E adesso andiamo!”
Fionji
si alzò e, insieme, raggiunsero le altre.
Quando
le donne arrivarono sotto la tenda dell’Imperatore, i
burocrati e i funzionari
dell’Impero se ne erano andati, accompagnando le dame di
corte verso il Palazzo
Imperiale.
L’Imperatrice
si sedette in braccio all’Imperatore, alzando le gonne del
suo vestito,
mostrando anche lei delle gambe affusolate e abbronzate.
Rachel
fece lo stesso con Louk e Fionji non se lo fece dire due volte e fece
lo stesso
con Louirsen.
“Lo
sapevo!” Dissero insieme l’Imperatore e Louk,
mentre tutte le presenti si
misero a ridere.
“Belle
gambe!” disse Giulia, mentre Freddy le imitava, alzando anche
lei la gonna,
anche se le sue gambe erano un po’ più in carne di
quelle delle altre.
“Cara
cugina: moto, dieta e un ragazzo, per favore. Non vorrai mica che tutti
parlino
delle tue gambe!” Disse Rachel. Ma Louk, mentre Rachel rideva
a crepapelle, gli
diede una spinta, facendola cadere a terra. Nel cadere Rachel
alzò
completamente la gonna.
“Rachel!
Vergognati!” gli urlò L’Imperatrice,
prima che il marito facesse a lei lo
stesso.
“Musata!
Scostumata!“ Gli urlò dietro Rachel.
“Mamma!”
Gli fecero eco Noemi e Giulia.
Louirsen
tento lo stesso con Fionji, ma lei si attacco e l’operazione
non gli riuscì.
“Non
ci provare, mio caro!” Gli disse Fionji. “Ho
lottato per anni con i maestri
d’armi! Ci vorrà ben altro che uno scrollone per
farmi cadere per terra.”
Mentre
tutti le guardavano meravigliati, Fionji si alzò, strizzando
l’occhio
all’Imperatrice, ancora per terra con la gonna alzata.
Ma
Louisen non si era arreso e, appena Fionji gli voltò le
spalle, infilò il suo
piede sotto la gonna, facendole uno sgambetto.
Fionji
cercò di evitare di cadere in avanti, con un colpo di reni.
Ma Louirsen
insistette e finì anche lei per terra, con la gonna alzata.
“Bene.
Tre a zero per gli uomini!” Disse l’Imperatore.
“Possiamo rientrare.”
Tutti
e tre si alzarono, e porsero alle loro dame la mano per alzarsi.
Le
tre le donne, all’unisono, accennarono con un sorriso: prese
le mani degli
uomini, gli diedero uno strattone, costringendoli a cadere in mezzo
alle loro
gambe.
“E
adesso, vuoi ancora alzarti, caro?” Disse Fionji, alzando
completamente la
gonna davanti a Louirsen.
Le
altre fecero lo stesso.
L’Imperatore
guardò le figlie e le altre invitate presenti.
“Vi
dispiace lasciarci soli. Dobbiamo discutere qualcosa con queste
signore.”
Disse, deglutendo la poca saliva che aveva in bocca.
“Papà,
ti ricordo…” Iniziò Noemi.
“Cara
“ gli disse l’Imperatrice “tuo padre
è stressato e ha bisogni di.. cinque…, no
dieci minuti di riposo assoluto.”
Freddy,
abbassata la gonna, disse: “Gliene do dieci di secondi a
quelli lì.”
Così
dicendo si girò e se ne andò seguita dalle altre
donne.
“Sei
la solita.” Disse infine l’Imperatore
“Che cosa vuoi?”
Musata
abbassò la gonna e guardò il marito in modo serio.
“Devi
dire qualcosa a Louirsen!” Gli rinfacciò
Si
alzarono tutti da terra e si sedettero sulle poltrone.
L’Imperatore
prese il bicchiere, bevve un sorso di birra e iniziò a
parlare.
“Continuano
a sostenere che Makarre si è salvato con Gloria. Non so
come, ma mi assicurano
che ha trovato rifugio su un pianeta tra la nostra galassia e quella di
Touk.
Lo devi trovare, vivo o morto, e riportare i suoi resti. Gloria
lasciala dov’è,
non mi interessa. Ma Makarre lo voglio. I burocrati devono sapere che
fine
fanno i traditori. Non servirà a molto, ma per un
po’ la galassia sarà al
riparo da qualche matto.”
L’Imperatore
finì di bere dal suo bicchiere, appoggiandolo poi con fare
distratto sul
tavolo.
Rimasero
lì in silenzio, mentre una leggera pioggerella primaverile
scendeva,
picchiettando sul telo della tenda.
“E’
già ora dell’impianto
d’irrigazione?” Disse Rachel.
La
frase cadde nel nulla.
“Che
cosa vuol dire vivo o morto…” Disse Louirsen.
“Quello
che la parola vuol dire.” Disse Louk “Se lo trovi
vivo… se lo trovi già morto…”
“Non
è troppo odio per un uomo battuto?” Chiese Fionji,
guardando l’Imperatore.
“Non
abbastanza!” Disse l’Imperatrice, seria, con una
nota strana nelle parole. Una
nota che non ammetteva repliche.
L’Imperatore
si alzò e porse il braccio alla moglie: si alzò
anche lei, sorridente, e lo
seguì, correndo, cercando in qualche modo di ripararsi dalla
pioggia con le
mani. A metà strada si misero a ridere, cadendo e
rialzandosi più volte nel
prato.
Louk
e Rachel li seguirono subito dopo, riuscendo però a non
cadere.
Louirsen
e Fionji rimasero sotto la tenda.
“Di
solito dura poco… aspettiamo.” Disse Louirsen
Fionji
lo guardava, mentre lui si era perso nei suoi pensieri.
Come
aveva detto Louirsen, la pioggia cessò poco dopo.
“Caro,
ha smesso di piovere… caro…” Fionji
prese la manica del vestito di Louirsen e
gli diede degli strattoni.
Louirsen
trasalì, come svegliato d’improvviso da un brutto
sogno.
“Sì..
ha smesso di piovere..” Disse “Ma quando si
smetterà di versare sangue. Tutto
quel sangue…”
“Per
il bene della galassia non è mai abbastanza!” Gli
disse Fionji.
“Sei
sicura?” Gli chiese Louirsen, guardandola negli occhi, in
quegli occhi neri in
cui gli piaceva perdersi.
Fionji
non rispose.
Si
alzarono insieme e si diressero al Palazzo Imperiale.
Da
lontano, l’Imperatrice, con i vestiti completamente zuppi
d’acqua, li guardava
arrivare.
“Vedi
la tua fretta. Aspettavi…” Gli disse
l’Imperatore.
“Sì..
aspettavi…” Rispose l’Imperatrice,
pensierosa.
L’Imperatore
guardò ciò che stava guardando la moglie.
Vide
due giovani, abbracciati, che percorrevano un prato bagnato, con passo
sicuro.
Sì.
Di sicuro l’Impero e la galassia erano al sicuro. Il suo
successore sarebbe
stato degno di essere l’Imperatrice.
Il
Barone Makarre, Gloria e l’Imperatore Touk
La
fuga del barone Makarre e di Gloria fu a dir poco precipitosa.
Le
notizie che arrivano al Barone non erano buone.
L’Imperatore
Touk era stato costretto alla fuga.
I
burocrati, che avevano condiviso con il Barone l’idea della
presa del potere, non
erano riusciti nel loro intento e scapparono. Non erano riusciti a
sostituire
più di cinquanta dei duemilacinquecento burocrati del
progetto iniziale.
La
fine era vicina.
Il
Barone Makarre prese le sue cose e scappo, insieme a Gloria,
abbandonando sul
pianeta la moglie, le concubine e le amanti, senza parlare dei figli.
Ma
al Barone non importava.
L’unica
cosa che gli interessava era Gloria e di fuggire con lei.
L’astronave
da guerra del Barone partì, con a bordo alcuni burocrati
rimastigli fedeli.
Nel
tentativo di sfuggire, la nave del Barone si diresse verso
l’esterno della
galassia.
Dopo
quattro giorni di viaggio, mentre attraversavano una nebulosa gassosa,
due navi
della flotta Imperiale gli sbarrarono la strada, sparando cannonate
laser.
Nel
tentativo di evitare le bordate, la nave cercò di
nascondersi dietro ad una
stella, ma all’improvviso Invincible apparve dal nulla.
La
nave del Barone fu colpita in pieno da un fascio laser uscita dalla
testa del
rapace dell’Invincible.
Il
motore incominciò a fumare.
La
nave scartò di colpo a destra, poi a sinistra e
incominciò ad allontanarsi.
Invincible
e le altre navi imperiali lo videro sparire nella nebbia della nebulosa.
Le
navi imperiali presidiarono per alcuni giorni la nebulosa
nell’attesa dell’uscita
della nave del Barone.
L’Imperatore
diede di persona alle navi di rientrare alle loro basi, abbandonando la
nave
del Barone al suo destino.
Ma
il Barone Makarre conosceva quella zona.
Sapeva
di un pianeta, non molto popolato, che si trovava fuori dalla nebulosa.
La
nave del Barone, con i motori fuori uso, entro nell’atmosfera
del pianeta,
fischiando come un pezzo di ferro caldo infilato nell’acqua,
con le scialuppe
di salvataggio che si sganciavano dalla nave.
Alla
fine l’enorme astronave finì in uno degli oceani
del pianeta, con un enorme
fragore.
Le
poche persone del pianeta, che abitavano su quelle sponde
dell’oceano, videro
l’enorme nave cadere e le scialuppe che si sganciavano a mano
a mano e cadevano
verso terra.
Alcune
non giunsero a terra, perché bruciate dalla scia di fuoco
lasciata dalla nave.
Altre,
invece, ce la fecero.
La
scialuppa, con il Barone e Gloria, atterrò nelle vicinanze
di un lago, a
centinaia di chilometri da dove cadde la nave.
L’atterraggio
non fu uno dei più morbidi.
La
scialuppa, nell’atterraggio, scivolò su di
un’ala, rotolando nell’erba, poi nei
canneti di fronte al lago.
La
scialuppa prese fuoco: Gloria trascinò fuori Makarre, mentre
le fiamme
avvolgevano la navetta, che infine esplose.
Makarre
aveva il corpo pieno di bruciature, tossiva, rantolava.
Gloria
pianse sul corpo del Barone.
Il
Barone gli passò la mano dei capelli, sporchi di fumo.
Non
riusciva a parlare il Barone: alla fine rantolò, disse
qualcosa
d’incomprensibile e poi spirò.
Gloria
rimase lì, così, a rimirare e piangere il suo
amato Barone per parecchio tempo.
All’improvviso,
dietro di lei spuntarono, dal nulla, parecchi uomini.
Erano
alti, robusti, con la pelle scura, pelati.
Il
più alto si avvicinò a Gloria che ormai non aveva
più nulla.
Gloria
era, a tutti gli effetti, l’unica rimasta che avrebbe pagato
quella follia.
Lì
non l’avrebbero mai trovata. Tanto valeva ricominciare.
Gloria
sposò quell’uomo e dimenticò tutto e
tutti.
I
pochi che si salvarono dell’astronave costruirono una piccola
città, che fu per
parecchio tempo governata da Gloria.
Gloria
visse a lungo su quel pianeta.
I
servizi segreti dell’Imperatore, alla fine, trovarono Gloria,
ma l’Imperatore
non fece nulla: lontano e isolata da tutti, Gloria non avrebbe
più dato fastidio.
L’incartamento
fu sigillato e celato agli occhi indiscreti di qualunque.
Gloria
morì come aveva vissuto: sola.
Il
Conte Black e Invincible
La
dura lotta contro l’Imperatore Touk, il Barone Makarre e i
burocrati sfinì sia
Black che i suoi compagni di avventura.
Dopo
l’attacco all’astronave del Barone, Invincible
rientrò alla tana delle tigri.
Erano
ormai passati due anni da quando Invicible era apparso in pubblico.
Black
mancava dalla tana da almeno un anno e fu per lui un gran sollievo
rivedere Doc
e tutti gli altri.
Fu
accolto come un trionfatore, anche se lui cercava di defilarsi e Ronson
l’orso
se la rideva con il gorilla Krain insieme al resto della ciurma della
nave per
l’atteggiamento di Black.
La
nave rimase nell’astroporto della tana per parecchi giorni.
Furono
sistemati i danni delle battaglie.
Black,
un giorno, decise di parlare con Doc.
“Che
c’è, Black?” Gli chiese Doc. Erano
seduti davanti ad un tavolo di marmo, su due
sedie di pietra, in una stanza della tana scavata nella roccia.
“Bel
posto. Perché vivi qui, Doc?” Gli chiese Black.
“Non
tergiversare: cosa vuoi, Black?”
“Non
mi è tutto molto chiaro. Hai mandato la giara della
verità a Fionji, la figlia
di Struzink: e questo è gia molto strano. Sapevi tutto del
Barone e di Gloria,
e passi. Ma la storia che non ho capito è perché
hai permesso a Huoil di
servire alla tana, l’Imperatore e il Barone.
Perché, Doc?”
“Era
l’unico sistema di sapere tutto, senza dare
dell’occhio. Dovevo, Black…”
“Sì,
ma perché non dirmelo? Lo sai che di me ti potevi fidare.
Perché non me lo hai
detto?”
“Perché
tu dovevi pensare solo ad Invincible! Non sai per quanto tempo quel
progetto è
rimasto nascosto, inutilizzato. Era necessario perché
qualcuno lo facesse
diventare vero, non solo dei disegni tridimensionali nel computer. Tu
dovevi
pensare ad Invincible. E lo sai che Invincible non è finito.
Manca ancora la
cosa più importante. Gli manca l’anima. Senza di
quella, non serve a nessuno.”
Disse Doc, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso una cascata
d’acqua che
usciva dalla roccia.
“Che
cosa vuol dire l’anima? Sul progetto c’è
solo una zona dove dovrebbe andare uno
strano macchinario che nessuno sa cosa serve. E manca il pezzo da
inserirci.
Dové quel pezzo, Doc?” Più che una
domanda, quella di Black era una supplica.
Doc
sospirò.
“Manca
il tuo cervello, Black!”
Black
rimase stupito: per poco non gli veniva un colpo.
“Il
mio cervello?” Disse, balbettando.
“Sì,
esatto. Il tuo cervello. La macchina che tu vedi serve a far
sì che il tuo
cervello continui a vivere dopo la tua morte. O meglio, prima che il
tuo corpo
muoia, il tuo cervello sarà trapiantato nella macchina. E tu
potrai comandare
Invincible. Da solo. Potrai spostarti nell’universo senza
limiti di tempo e
spazio. Potrai fare molte cose. L’unico problema e che dovrai
imparare. E a
questo servo io.” Disse Doc, sedendosi sulla sedia.
“Che
cosa devo imparare?” Black continuava a non capire.
“Vedi,
Black, abbiamo cercato per anni chi poteva essere quella persona che
avrebbe
costruito Invincible e che lo avrebbe comando. Ci sono voluti anni,
Black.
Anzi, secoli (Doc tolse gli occhi da Black e si guardò le
mani) e tu sei il
risultato.” Doc alzò la testa e guardò
Black fisso negli occhi.
Black
si alzò, passando le mani sul volto e camminando
nervosamente nella stanza.
“Ma
perché hai bisogno di una simile macchina?” Chiese
Black, fermandosi davanti ad
un finestrone che dava sulla sala delle riunioni.
“Perché
l’universo ha bisogno d’ordine. E la tana delle
tigri non è l’unica che vuole
che l’intero universo abbia un ordine. Esistono altre tane
delle tigri nelle
galassie vicine. Sì, lo so, è una cosa
impossibile. Ma l’Imperatore Touk non
sarebbe mai stato sconfitto se non ci fosse stata un’altra
tana sulla sua
galassia. (Doc si diresse verso Black, che gli voltava le spalle) Era
l’unica
cosa da fare (Doc pose le mani sulle spalle di Black) e mi dispiace che
tu sia
stato scelto. Ma sei l’unico. C’era un altro
pretendente, ma era inconciliabile
con questo… lavoro.”
“Chi
era l’altro?” Chiese Black.
“Gloria.”
“Gloria?!
La concubina del Barone?! Ma Doc, sei impazzito?” Black si
girò di scatto e
guardo fisso negli occhi Doc.
“Lo
so. Ma purtroppo le vostre dinastie erano
incrociate…”
“Ma,
Doc, Gloria?!… Non è possibile… è
una mia parente?…”
“Sì.
Era la figlia di tuo padre e di una sua concubina, che conoscevi bene
anche tu.
Sua madre era Usona. Te la ricordi?”
“Sì,
Doc. Certo che me la ricordo. Ma non ha mai avuto figli.”
“Oh
no, gli ha avuti. Ma tuo padre aveva paura, perché pensava
che i suoi figli
potevano diventare come te. Così Usona diede alla luce tre
figli. Una era
Gloria, un’altra morì a due anni, per motivi
inspiegabili. Il terzo maschio è
stato spedito lontano. Dinours.” Disse Doc, guardando per
terra.
“Fantastico.
E loro lo sapevano?”
“No.
Abbiamo fatto in modo che Dinours non pensasse a Gloria come una donna
che
poteva possedere. Anche perché erano di carattere
così diverso.” Disse Doc,
sedendosi sul tavolo.
Black
era sconvolto.
“Che
sarà della mia vita?” Chiese Black.
“Niente.
Farai tutto quello che dovrai fare. Ti sposerai, avrai dei figli. Non
ti
preoccupare. Vedrai. Alla fine sarai contento della tua vita e del tuo
futuro.”
Gli disse Doc, dirigendosi verso la porta della stanza, con fare
furtivo.
“Doc.
” Disse Black “Non mi freghi. Dimmi la
verità. Ora!” Gli urlò Black.
“Va
bene. Dovrai studiare… esercitarti.. vedrai ti
divertirai…” Gli disse Doc.
“Sì.
D’accordo. Ma ti avviso: una sola bugia e me ne vado lontano,
con Invincible.
Poi voglio proprio vedere cosa farai.”
Doc
si girò e guardo Black.
Si
avvicinarono e si strinsero la mano.
Il
discorso non fu più ripreso.
Il
Conte Black ripartì dopo due mesi: le riparazioni ad
Invincible richiesero più
tempo del previsto.
Black
sposò poi Freddy.
Doc
pensò sempre che erano una strana coppia. Ma non ci poteva
far niente. Sapeva
che l’amore era una cosa strana. Ma quei due erano
così spaiati.
L’Imperatore
aveva dato a Black e a Freddy una zona della galassia da controllare
che
comprendeva anche la tana delle tigri.
Black
e Freddy ebbero alcuni figli, vissero felici, forse contenti.
Ma
qui le tracce di Black si perdono.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** L'inizio ***
Capitolo 2
– L’inizio
La
partenza (quarto inizio)
“Dai ..
muoviti ..”
“Aspetta
.. un attimo ..”
“Dai ..
forza .. su ..”
“Un
attimo .. accidenti..”
“Forza ..
dai .. non possiamo stare qui
tutto il tempo ..”
“Oh
sì .. è vero .. non abbiamo tutto
questo tempo ..”
“Smettila
di lamentarti .. muoviti ..
“Va bene
.. va bene .. con calma ..”
“Ma che
calma .. muoviti .. non abbiamo
tempo da perdere ..”
“Sì
.. come no .. tempo .. proprio
quello che ci manca ..”
“Muoviti
.. non possiamo più stare qui
..”
“Già
.. come se fosse facile ..”
“Lamentati
dopo .. adesso muoviti ..”
“Va bene
.. va bene ..”
L’arrivo
(terzo inizio)
Pianeta Neerg. Un
pianeta abitato, con
mari e oceani, pianure verdeggianti, boschi estesi, con poche montagne.
Improvvisamente, da un bosco posto nell’emisfero
settentrionale del pianeta
sbuco, a gran galoppo, un enorme animale peloso, a sei zampe, alto
più di sei
metri. Al suo apparire molte specie d’animali volatili
iniziarono a volare nel
cielo del tramonto, mentre alcuni animali a terra, tra cui alcuni
bipedi
rumorosi, corsero da tutte le parti, alcune rischiando di finire sotto
le zampe
del bestione.
In groppa, il
bestione aveva una specie
di casetta costruita in legno, che sembrava ferma sulla sua groppa.
All’interno,
verso la testa
dell’animale, vi era il guidatore che lo dirigeva con delle
funi in fibra
vegetale, collegate ad un morso sistemato nella bocca del bestione, che
rispondeva docilmente ai comandi impartiti dall’uomo.
Dietro al locale
del guidatore, vi era
un piccolo corridoio orizzontale, con una porta di accesso
dall’esterno
all’interno della casetta, cui si collegavano varie stanze
disposte lungo un
altro corridoio che correva lungo la schiena della cavalcatura.
In una di queste
stanze, due persone
erano sdraiate su di un letto imbottito, come lo erano il pavimento e
le
pareti, con una finestra che guardava verso l’esterno.
“Ma tu
dimmi se dovevi usare un simile
sistema per arrivare qui ..”
“Sai, non
volevo che mi vedessero
arrivare.”
“Oh,
caro, già, non potevano arrivare
così, bussando alla porta, dicendo chi siamo, chi ci manda
..”
“Zitta!
Te lo già detto un sacco di
volte, nessuno sa che siamo qui.”
“Già,
è vero, nessuno lo deve sapere.
Figurati, sai che differenza fa ..”
“Sì,
un sacco di differenza.”
“Potevi
non accettare, bastava dire di
no.”
“E
perché tu sei voluta venire, allora
..”
“Così,
sai che mi annoio da sola ..”
“O forse
qualcuno ha deciso che era
meglio che una fonte confidenziale fidata comunicasse notizie di prima
mano,
anziché saperle da qualcun altro.”
“Mhu ..
non so .. forse .. magari .. sai
com’è ..”
“Sì,
lo so com’è, tu e le tue amiche ..”
Disse l’uomo sarcasticamente, mentre la donna si rigirava nel
letto,
voltandogli le spalle.
La donna, di
statura media, aveva la
faccia lunga con carnagione chiara, occhi neri, un trucco leggero.
Indossava un
vestito nero, un abito completo, con una gonna stretta e lunga, scarpe
nere in
pelle con tacco basso e un cappellino nero con veletta. E nessun
gioiello.
L’uomo,
di statura alta, robusto, con un
viso circolare, con una barba e capelli ben curati e di color marrone,
occhi
nocciola. Vestiva un giaccone di pelle, pantaloni e stivali tutti di
color
nero, con un enorme anello di platino al dito mignolo della mano destra.
“L’unica
cosa decente di questo pianeta
è che questa specie di sella non ondeggia troppo.”
Disse la donna assestando
due pugni ai cuscini nel tentativo di sistemarseli per dormire.
“Su,
cara, non arrabbiarti. Abbiamo
tutte e due una missione o chiamala come vuoi. Dobbiamo indagare e non
è facile
facendolo arrivando e bussano, come dici tu, alla porta principale.
Dobbiamo
purtroppo passare dal retro ..”
“Come i
ladri, i truffatori, le spie ..”
Disse lei, ponendo l’accento sull’ultima parola.
“Già,
come spie.” Ripeté lui,
pensieroso.
L’enorme
animale correva nella pianura
verdeggiante che si estendeva davanti al bosco che si era lasciato alle
spalle,
a gran velocità, e si dirigeva verso una delle poche
montagne che vi erano sul
pianeta, ma che risultavo alte, sopra alle quali vi era arroccata una
città.
Nella loro corsa, i
misteriosi stranieri
videro passare di fianco a loro degli enormi paraboloidi puntati verso
il
cielo.
“Già,
come spie, passando di fianco al
sistema di sorveglianza anti meteorite del pianeta.” Disse
lei. “Più retro di
così ..”
I due guardavano le
enormi antenne
passargli davanti e le montagne che si avvicinavano.
L’enorme
bestione iniziò la salita verso
la città percorrendo una strada nascosta tra le rocce delle
montagne.
Arrivarono alla
città nel momento in cui
iniziò a piovere.
Una porticina
all’interno delle mura
basse della città si aprì e una figura
incappucciata fece capolino, mentre i due
viaggiatori scesero dalla loro cavalcatura, aiutati dal conducente.
“Pochi
bagagli, vedo, signori.”
“Già
..” Disse l’uomo.
“Già
..” Fece eco la donna in modo
sarcastico ”Siamo partiti in fretta e furia, vero
caro?”
“Da
queste parti, miei signori.” Disse l’incappucciato
L’uomo
prese i suoi bagagli senza
battere ciglio, mentre la donna sbuffò in modo sonoro.
“Silenzio.”
Gli fecero in coro gli
altri.
Il trio entro nella
città dalla
porticina, che si richiuse alle loro spalle in modo rumoroso, con i
cardini che
stridevano come se fosse parecchio tempo che nessuno usava
quell’ingresso.
Incominciarono a
camminare lungo le
strade bagnate e strette della città, in salita, con le case
a ridosso l’una
all’altra, quasi attaccate.
Camminarono per
parecchio tempo, con la
donna che spesso si fermava, appoggiava a terra le valigie e sbuffava e
con gli
altri che tutte le volte la convincevano a fare ancora un piccolo pezzo
di
strada.
Alla fine
arrivarono ad una casa in
fondo ad una strada parecchio ripida, con una piccola scaletta in
pietra sul
davanti.
I tre entrarono
nella casa, dove li
aspettava un’anziana, dai capelli bianchi, occhi verdi,
bassa, piegata dagli
anni.
“Lei ti
accompagnerà nella tua stanza”
disse l’incappucciato alla donna, con fare riverente.
L’anziana
prese le valigie e incominciò
a salire le scale, poste in fondo al piccolo atrio d’ingresso.
“Vai
pure” gli disse il suo
accompagnatore ”tra poco ti raggiungo.”
La donna
seguì l’anziana sulle scale,
mentre gli altri due si diressero verso una stanza al piano terra.
L’incappucciato
si tolse il cappuccio,
che rivelò un volto di donna giovanile, con capelli castani
tagliati a
caschetto, occhi ovali e neri, bocca sottile e stretta e un bel nasino.
“Mi fa
piacere rivederti” le disse
l’uomo
“Anche a
me. Ma perché ai portato tua
moglie?” le chiese lei, in modo preoccupato.
“Sai
com’è, il club delle amiche ..”
“Ancora”
la interruppe lei “ma è
possibile che continuano a mettere naso in certe faccende”
“Lo sai
che l’Imperatrice ..”
“Quella
buona a nulla. I suoi the, le
sue tartine, i suoi anelli in platino .. perché non se ne
sta al suo posto?”
“Gelosa..”
Disse lui, abbracciandola.
“Lo sai
come sono .. mi arrabbio per
niente .. quella maledetta cugina ..”
“Ma bravo
.. ti lascio solo un attimo a
ti trovo abbracciato a chi?” la donna era spuntata
improvvisamente alle loro
spalle.
“Oh cara,
ti presento ..”
“Si, come
no, la cuginetta cara, come
stai?”
“Ti
prego, Rachel, non fare così” le
rispose la ragazza ”mi fa piacere vederti.”
“A me no,
cara Freddy, o scusi, Sua
Regale Maestà Frederick Gorgolie Dancantouse” la
rimbecco la donna con fare
sarcastico “se sapevo che c’era lei, non
venivo” proseguì guardando il marito
in modo torvo.
“Va bene,
adesso calmati “ le disse
l’uomo lasciando la ragazza e rivolgendosi alla moglie,
agitando le mani
“Adesso ti spiego.”
“Esatto
caro Barone Louk Louiose, mi
dovrai dare parecchie spiegazioni a me e a qualcuno ..”
“Non
penso che a qualcuno al di fuori di
questa casa interessi molto le spiegazioni mie o di tuo marito, cara
Rachel,
non pensi che il caro club farebbe fatica a capire la cosa?”
“Lascia
stare il club, e dimmi cosa fai
qui?”
“Adesso
basta” disse l’uomo “litigare
non serve a niente… e qualcuno potrebbe sentirci.”
“Scherzi,
sentirci, aspetta che il Conte
sappia che siamo qui e vedrai” gli rispose la moglie.
“Peccato
che nessuno deve sapere che
siamo qui, se no tutto quel viaggio ..” La
rimbeccò il marito.
”E la
fatica di nascondermi.“ Rispose la
ragazza.
La donna
incrociò le braccia, con un
fare di disappunto, ma accettò la situazione.
“Bene.“
Disse l’uomo “Visto che è tutto
a posto, possiamo discutere di questo viaggio, più o meno
inutile a secondo
delle sfaccettature. Allora .. Freddy .. cosa mi dice della
situazione?” chiese
l’uomo, tentennando.
“Vedi,
caro Louk, (la moglie tossì)
qualcuno pensa che la leggenda .. si possa avverare .. che qualcuno
possa fare
in modo che .. mischiando le carte .. “ e Freddy
s’interruppe
“E
poi?” Sollecitò Rachel
“E poi
qualcuno cercare di impossessarsi
del potere, o meglio, di scacciare i vassalli più vecchi e
di convincere gli
altri a seguirlo.” Disse Louk
“A che
pro?” Chiese Rachel
“Come se
non lo sapesse, poverina!”
disse Freddy, girandosi e dirigendosi verso un enorme divano che
occupava una
parete della camera, ammobiliate in modo semplice, con un mobile vicino
alla
porta d’ingresso, un tavolo lungo un’altra parete
e, per terra, un tappeto di
modesta fattura.
Nel dirigersi verso
il divano, Freddy si
tolse il mantello che la copriva, lasciandolo cadere per terra in modo
indifferente, rivelando la figura di una ragazza giovane, in carne, di
statura
piccola, e il vestito che indossava era un pezzo unico, corto,
aderente, di
color giallo oro. E quanto la ragazza di girò per sedersi,
il vestito rilevo
anche un seno prosperoso.
Louk guardo la
ragazza dal basso
all’alto, ma Rachel da dietro gli mollo un ceffone sulla
testa, mentre anche
lei si avviava verso il divano, sedendosi a sinistra di Freddy, che
guardava
Louk con occhi languidi.
“Carina
“ Le disse in modo beffardo
“Guarda che le tue moine piaceranno a lui (così
dicendo guardò il marito), ma a
me non fanno alcun effetto. E sarà meglio che tu sia un
po’ più precisa.“ Così
dicendo prese il mento della ragazza con la mano destra e le fece
girare il
viso affinché la guardasse in faccia
“Capito?” Concluse, lasciandola di scatto.
Freddy si
massaggiò il mento, mentre
Louk faceva da paciere tra le due donne.
“Su
smettetela.“ Disse dirigendosi verso
il tavolo e appoggiandosi al bordo “Ma dobbiamo sapere cosa
succede e chi vuole
che succeda. Lo sapete cosa c’è in gioco. Lo sa il
club (guardò sua moglie), lo
sa Doc (e guardò Freddy) e lo sa il consiglio, o forse lo
presume. Ma di certo
qualcuno, nell’ombra, mischia le carte e sta cercando
qualcosa.”
“Le due
gemelle!” Dissero in coro le due
donne
“Sì,
ma quali gemelle?” Sottolineò
l’uomo
“Le
stanze sono pronte, signora” disse
l’anziana donna entrando nella stanza.
“Grazie”
rispose Freddy “sarà meglio
dormirci sopra” continuò, alzandosi e facendo
cenno ai suoi ospiti di dirigersi
verso le camere poste al piano di sopra.
“Sì,
una buona nottata ci farà bene”
disse Rachel, alzandosi e avviandosi verso le scale “Andiamo
caro” disse in
farsetto.
Al mattino, quando
Rachel e Louk scesero
nella sala da pranzo posta di fronte al soggiorno, trovarono Feddy
già seduta a
mangiare, con addosso una camicetta blu notte aderente, un paio di
pantaloni
blu cobalto infilati dentro agli stivali neri con tacchi bassi.
Rachel indossava
una tuta larga viola
con pantaloni e stivali.
“Buongiorno,
cara.” Disse Rachel
“Buongiorno
Rachel. Louk. Dormito bene?”
“Sì
grazie.” Rispose, precedendo la
moglie, Louk, che indossava un maglione rosso e un paio di pantaloni e
scarponi
da lavoro.
“Strano
vestito, Louk.” Gli disse Freddy
“Vuoi passare inosservato?”
“Meglio.
Voglio proprio che nessuno mi
noti.”
“Che cosa
volete, signori?” Chiese
l’anziana domestica apparendo all’improvviso alle
loro spalle.
Louk chiese del
the, Rachel del caffè di
Thommas, un cereale del pianeta natale di Rachel.
“Non
perdi mai le tue abitudini” le
disse l’anziana.
“Chi sei
tu per dirmi ciò?” le disse
Rachel
”Che
frase celebre, da celebre
letteratura pre-galattica!” Le disse Freddy ridendo.
“Non ti ricordi Neil, la
mia domestica.” Continuò dopo una breve pausa.
“Si,
adesso, dovrebbe avere più di cento
anni standard” le rispose Rachel
“Centodue”
precisò l’anziana.
“Adesso
basta” interferì Louk “mangiamo
che abbiamo da fare. Dobbiamo incontrare qualcuno e il tempo continua a
peggiorare. Potrebbe arrivare anche una tempesta”
“No.
Hanno previsto grandine per oggi.”
Precisò Freddy.
Il trio fece
colazione in silenzio,
degustando le tortine alla frutta preparate dalla domestica.
Finita la
colazione, i tre si
prepararono ad uscire, indossando dei pastrani che li coprivano fino ai
piedi.
Louk si mise in
tasca anche uno strano
oggetto circolare e lungo.
“Non
vorrai girare armato, caro” le
disse Rachel.
“Qui
girano tutti armati cara” le disse
Freddy.
“Anche tu
dovresti averne una, cara.” La
rimproverò Louk
Rachel
batté con la mano contro la sua
anca, da cui ne uscì un rumore metallico.
“Non ti
preoccupare. Non giro nuda.”
“Vorrei
ben vedere” le ribatté Freddy
“non vorrai che gli uomini ti corrano dietro ..” Ma
s’interruppe, vedendo che
il viso di Rachel stava diventando scuro.
“Fuori
tutte e due. Ci vediamo stasera.”
disse Louk spingendole verso la porta.
“Prepari
per la cena, Neil ..” Urlò
Feddy, mentre Louk la spingeva fuori.
“Ognuno
per la sua strada” disse Louk
alle donne fuori della casa e fu inghiottito dalla città.
“Bello.
Lui va e io qui a cercare di
capire dove sono” disse Rachel
“Dove
devi andare, cara?” le disse
Freddy
“A
palazzo. Dove se no?” la rimbecco
Rachel
“Allora
lo troverai di sicuro. Io ho
altro da fare!” E anche Freddy si incamminò lungo
una strada in discesa e fu
inghiottita dalla città come Louk.
“Bravi.
Loro hanno da fare: e io.
Accidenti, piove anche”
Rachel
s’incamminò verso una strada in
salita. Giunta ad una piazza trovò delle indicazioni scritte
con strani
simboli, ma non le fu difficile tradurli con il suo traduttore
istantaneo.
“Bene. Di
qua” e giro a sinistra,
passando sotto un arco di pietra e continuando a salire per una
stradina
stretta.
Ci volle
più di mezz’ora prima che
incontrasse un’altra piazza e delle nuove indicazioni che la
conducesse al
palazzo.
Alla fine
arrivò ad un muro, di
costruzione differente da quelli delle case che aveva fino ad allora
visto in
città e capi di essere giunta a destinazione.
Segui il muro verso
sinistra, dove la
pendenza della strada era in discesa, e si diresse decisa verso una
porta di
legno massiccio, con rinforzi metallici.
Avvicinandosi,
Rachel si guardò intorno,
mentre il vento le sferzava il volto e la pioggia continuava a scendere
copiosa.
Appoggiò
la mano sul muro, su una
mattonella decisamente fuori posto dal contesto: si sentì
uno scatto e la porta
si aprì vero l’esterno.
Rachel la
tirò a sé e, in modo
guardingo, la oltrepassò e s’introdusse nel
palazzo.
All’interno
trovo una torcia accesa.
Chiuse la porta e
seguì un corridoio che
scendeva.
Alla fine del
corridoio incontro una
porta, simile a quella da cui era entrata.
Premette
un’altra mattonella nel muro
scrostato e la porta si aprì. Questa volta verso
l’interno.
Rachel
entrò, ma qualcuno dall’altra
parte la attendeva.
“Ti fai
sempre aspettare” disse una voce
femminile, alquanto giovane.
“Scusami.
Ci hanno ospitato in un luogo
diverso, e non riuscivo a trovare la strada.”
“Lo sai
che non gli piace aspettare.”
“Sarà
bene che si abitui a certe
condizioni di vita. Potrebbe essere peggio. Nessuno è
attualmente al sicuro,
mia cara”.
“A lei
non piace aspettare. Lo odia.”
Ripeté la ragazza.
“Andiamo”
disse Rachel
La figura femminile
era ricoperta da un
velo nero, che la ricopriva fino ai piedi. Precedette Rachel
attraversando una
porta e salirono delle scale.
Alla fine della
breve rampa di scale
trovarono un ascensore a vetro. Vi salirono e la ragazza
digitò un codice sopra
ad un pannello numerico.
L’ascensore
incominciò a salire. Davanti
a loro passarono vari piani, un enorme atrio, altri piani. Alla fine
l’ascensore si fermò e le due donne scesero.
Percorsero un
corridoio laterale fino ad
una porta che si nascondeva nell’arredo del palazzo. La
ragazza la aprì e fece
introdurre Rachel.
All’interno
l’arredo della stanza era
molto ricercato: tavoli, sedie, mobili erano bianchi con intarsi in
oro, quadri
di valore alle pareti, lampadari e lampade da tavolo d’orate.
Il soffitto della
stanza era a volta,
come quelle adiacenti.
Rachel, sicura,
levandosi il pastrano,
si diresse verso la stanza di destra.
Entrando vide un
gruppo di donne,
completamente nude, sedute
sul bordo di
una piscina che parlavano tra di loro.
Nella piscina vi
erano tre donne che,
quando Rachel entrò, ebbero un sussulto.
“Vi
prego, signore, non dovete urlare.
Voglio parlare con la padrona.” Disse Rachel, cortesemente.
“E’
un piacere vederti, Rachel” La voce
proveniva da una stanza posta oltre la piscina.
”Accomodati”
Rachel
passò di fianco alla piscina,
sotto gli occhi vigili delle donne, ed entrò nella stanza.
“E’
un piacere rivederti Haras cara:
come stai?”
La donna cui era
rivolto il saluto di
Rachel aveva circa cinquant’anni standard galattici, capelli
neri lunghi di
color corvino, raccolti dietro la nuca, viso ovale, occhi a mandorla di
color
nero, bocca con labbra carnose, di piccola statura, di corporatura
robusta.
Indossava una tunica con colori sgargianti: oro, arancione, rosso ed
era
sdraiata su di un divano.
A farle compagnia
vi erano due ragazze,
di bell’aspetto, ma nude.
“Sì,
un vero piacere. Togliti quel
sorrisetto stupido e melluoso dalle labbra. Cosa sei venuta a fare su
questo
pianeta perso da tutti, Imperatrice compresa? Lo sai che ormai sono tre
anni
che non viene a trovarmi?” Gli rinfacciò la donna.
“Lo
so.” Gli disse Rachel avvicinandosi
alla donna, che le fece cenno di sedere su di una sedia vicino a lei.
“Andate.”
Disse Haras alle ragazze.
Quando queste
furono uscite dalla
stanza, Rachel continuò a parlare.
“In
questo momento una grave minaccia
incombe sulla nostra galassia, sul nostro Impero e su quelli vicini.
Abbiamo
bisogno dell’aiuto di tutti. Compreso il tuo, anche se non
sei d’accordo.”
“Perché
non ti credo? Perché
l’Imperatrice manda te in gran segreto, non scrive un
messaggio, due righe? ..
Niente .. perché?”
“Perché
i nemici sono ovunque, anche
dove non vorresti.”
“Non i
miei, mia cara.” Disse Haras
alzandosi dal divano, e dirigendosi verso un tavolo ricoperto di
frutta. “I
miei sono …”
“Defunti,
Haras!” sottolineò Rachel
“Sotto
controllo, Rachel. Sotto
controllo.” Rispose, assaggiando un frutto ovale e rosso.
”Sotto controllo”
ripeté pensierosa.
“Allora,
mi aiuterai?” chiese Rachel
dopo un breve silenzio
“Solo per
la nostra amicizia. E non
pretendere di più. Avrai il mio appoggio solo sui pianeti
controllati da mio
marito. Ma non credere che sarà facile. Ci sono molti
nemici, che la
prenderebbero come una scusa bella e buona il tuo andare in giro, e
chiedere
cose che non devi chiedere.”
“Io non
devo chiedere a chiunque mia
cara” disse Rachel alzandosi e dirigendosi verso Haras
“Voglio solo parlare con
gli anziani e i sacerdoti. Nulla di più”
“Già.
E Freddy e Louk cosa cercano?” Gli
disse freddamente Haras
“Chiedilo
all’Imperatore” gli disse
Rachel, prendendo un frutto dal tavolo.
“Quello
no” gli disse Haras “E’ meglio
che non lo mangi se non hai preso l’antidoto. Meglio non
fidarsi” e gli porse
un frutto di quelli che aveva già assaggiato lei
“Questo è sicuro” le disse
sorridendo.
Dietro a loro
apparve, all’improvviso,
la stessa ragazza che aveva accompagnato Rachel.
“Ti
riporterà da dove sei venuta.” Disse
freddamente Haras, voltandosi ed uscendo dalla stanza verso la piscina.
Rachel prese il
pastrano e seguì la
ragazza fino alla portina da cui era entrata nel palazzo.
La ragazza
salutò Rachel, chiuse la
porta e torno agli appartamenti delle donne.
Haras era immersa
nella piscina, con le
ragazze che le facevano compagnia, ridendo in modo fragoroso.
“Se
n’è andata?”
La ragazza si tolse
il velo e guardò la
donna.
“Allora,
Freddy, se né andata?” ripeté
la donna, sillabando.
“Se
n'é andata, ma non mi sembrava il
modo giusto di trattarla!” Le rispose Freddy, alterata.
“Perché
.. perché avrei dovuto aiutarla?
Non gli devo niente .. a quelle là ..”
Inveì Haras, sbattendo le mani
nell’acqua e schizzando le ragazze dentro e fuori della
piscina.
“Già,
ma quella là avrebbe potuto
aiutarti con l’Imperatrice.” Gli urlò
Freddy
“Non mi
importa!” urlò Haras,
incominciando a piangere “Non mi importa. Non mi dovevano
mollare qui, da solo,
con quel deficiente .. che non sa neanche fare l’uomo.. come
si fa..“
“Calmati!”
Gli urlò Freddy “Non davanti
alle ragazze. Adesso ci penso io a sistemare le cose. E tu vedi di
dimagrire un
po’.”
“Fai in
fretta tu!”
Ma a quel punto
della discussione,
Freddy se ne stava già andando, sentendo alle sue spalle
Haras che s’infuriava
con le ragazze.
“Imbecille”
disse tra se e se “fare
certe figure con quella, con quello che succede, con quello che
cercano. Peggio
per lei, gli passerà.”
Freddy corse
giù per una scalinata,
s’infilò in stretti corridoi sempre più
in basso, fino ad una piazza sotto
terra. Una piazza enorme, con in mezzo una bella fontana con acqua
fresca che zampillava
fuori dai vari personaggi che scalavano una montagna.
Un uomo la
aspettava nella penombra.
“Allora?”
“Niente,
Louk, niente. Ha chiesto il suo
aiuto e se né andata. Ma non gli ha detto per cosa. Che cosa
vuoi che ti dica?
Che cosa cerca non si sa.”
“Bene.
Allora continuiamo a cercare.
Qualcosa troveremo.” Gli ripose Louk
“Sì.
Ma cosa?”
Louk gli diede il
pastrano e, insieme,
si diressero nella direzione opposta da cui era venuta Freddy.
La sera giunsero a
casa poco dopo
Rachel, che li attendeva in soggiorno.
Parlarono per un
po’ del più e del meno,
indifferenti, finché l’anziana domestica non li
avvisò che la cena era pronta.
Si spostarono nella
sala pranzo,
mangiarono e poi andarono a letto.
Un altro giorno era
passato, senza che
nulla succedesse o, meglio, che nulla si sapesse su cosa o su chi: per
Freddy e
Louk era un mistero. Ma Rachel, mentre si preparava ad andare a letto,
pettinando i suoi capelli davanti allo specchio del comò,
pensava e ripensava a
qualcosa, mentre Louk la guardava, bella come il primo giorno che
l’aveva
conosciuta e sposata. Bella e misteriosa. Troppo.
La
fuga (secondo inizio)
“Non puoi
farlo. Che cosa penserà tuo
fratello?”
“Chi se
ne frega. A lui di me non gliele
importa niente.”
“E sua
moglie..”
“E’
troppo occupata con le sue amiche.
Non ti preoccupare. Non se ne accorgeranno neanche.”
“Non
esagerare. Lo sai che, comunque,
per la tua ..”
“Per la
mia posizione. Oh, cara, la mia
posizione è anche fin troppo scomoda. Mi sono stufata.
Meglio andarsene e senza
voltarmi indietro. Potrei ripensarci.”
“Bene”
“Un
corno. Muoviti, prendi quel
bagaglio. Dobbiamo andarcene. Più saremo lontani domani,
più sarà difficile
trovarci”
“E con
cosa scapperemo?”
“Io
scappo. Tu rimani. Mi dovrai
avvisarmi di tutto quello che succede.”
“E con
cosa scapperete?”
“E’
già tutto pronto. Un’astronave mi
porterà lontano. Ho trovato un pianeta che non è
su nessuna mappa stellare.
Fuori di ogni rotta.”
“E
poi?”
“Il dopo
lo vedrò. Ora andiamo.”
Il
rapimento (primo inizio)
La nave Imperiale
viaggiava
tranquillamente nello spazio profondo, a velocità luce,
senza scossoni,
con i suoi ospiti
occupati a divertirsi
e distrarsi, nell’attesa di giungere alla prossima meta. La
nave stava facendo
un giro dell’Impero per tenere vivi i contatti tra
l’Imperatore e i suoi
sudditi, suddivisi tra i vari pianeti presenti nella galassia. Come
ambasciatore aveva inviato sua figlia Noemi, una giovane, slanciata,
con un bel
viso ovale, capelli neri, orecchie piccole, nasino
all’insù, labbra carnose e
occhi .. bhe, il colore degli occhi cambiava a seconda degli umori
della
principessa grazie a delle lenti a contatto particolari, usate spesso
dalle
ragazze dei ceti alti della dinastia Imperiale.
La nave
uscì dalla velocità luce in
vicinanza di un sistema solare il cui sole, o meglio soli, erano uno di
un bel
giallo, l’altro un arancione cupo.
Il quarto pianeta
del sistema era di
colore azzurro, visto dallo spazio.
All’improvviso,
un brusco spostamento
dell’astronave fece scattare tutti gli allarmi interni, le
luci principali si
spensero e si accesero quelle d’emergenza.
“Siamo
attacchi!” urlò una voce
“Presto,
mettete in salvo la principessa
..” Ma la voce si perse nell’enorme trambusto e nel
caos che ormai avevano
preso il sopravvento.
L’equipaggio
tentò di riversarsi sulle
scialuppe di salvataggio, ma i colpi che continuavano a raggiungere la
nave non
permisero la fuga a nessuno.
Dopo appena una
mezz’ora dalla prima
bordata, la nave si fermò e fu abbordata da una nave di
dimensioni notevolmente
più grandi della sua e notevolmente più armata.
Parecchi uomini
incominciarono ad
entrare nella nave, anche se le guardie imperiali facevano di tutto per
impedire quell’irruzione.
Ma la resistenza
delle guardie durò
poco: prese tra vari fuochi da parte degli assalitori, si arresero.
Gli uomini che
assunsero il comando
della nave erano dei brutti ceffi, che sembravano usciti da qualche
vecchio
film di pirati spaziali.
Incominciarono a
perlustrare la nave in
cerca di qualcosa o di qualcuno.
“Dov’é?”
urlò una voce. Di certo il
volto dell’uomo che urlava non era meglio della sua voce:
basso, storpio, si
aiutava con un bastone per camminare, aveva una classica benda
sull’occhio
destro, i denti gialli ed alcuni erano pure rotti.
“Allora,
dov’è?” urlò ancora.
Gli andò
incontro un uomo alto, robusto,
pelato, con un viso rotondo e grossi occhiali scuri che nascondevano
gli occhi
piccoli.
“Non
riusciamo a trovarla. Di sicuro è
nascosta tra le ancelle e sarà sicuramente difficile
trovarla.”
“Difficile?
prendetele tutte e portatele
qui. Voglio proprio vedere se continuerà a
nascondersi.”
Così
dicendo si girò e fece un gesto
brusco ai suoi uomini, che si precipitarono verso un ponte sottostante
della
nave e ne ritornarono trascinando parecchie ragazze, alcune per i
capelli, altre
per le gambe, che urlavano e si dimenavano disperate.
“Allora”
disse “chi di voi è la
principessa? Nessuna risponde? Ah, già vero, siete tutte la
principessa in
questione, non è vero?” Così dicendo
squadrò ogni singola ragazza dal suo unico
occhio.
“Non
parleranno.” Disse l’uomo grosso e
calvo.
“Torturarle
mi sembra la cosa migliore.”
Disse il comandante, fregandosi il mento, pensieroso.
”Sì, mio caro
vicecomandante, penso proprio che procederemo così. Tutte
insieme, così ci
divertiamo di più”
“No.”
Disse infine la principessa Noemi
“Sono io quella che cercate. Lasciate stare le altre ragazze.
Loro non
significano niente per voi”:
“Va bene.
Portatela via. Andiamo!” Urlò
il comandante.
“Capo!
Capo!” Urlò un pirata arrivando
da un corridoio laterale della sala ove erano tutti raccolti.
“Che
c’è?” urlò il vicecomandante
“Una
scialuppa di salvataggio si è
staccata dalla nave.”
“Idioti.
Ho detto che nessuno doveva
lasciare la nave. Distruggetela!” Urlò il
comandante.
Dalla nave pirata
furono sparati alcuni colpi
in direzione della piccola scialuppa, che fece subito delle manovre
eversive
nel tentativo di schivare i colpi. Una, purtroppo, la prese di
striscio: del
fumo bianco incominciò ad uscire da un motore, mentre la
navicella ruotava su
se stessa.
“Si sta
dirigendo verso quel pianeta.”
Urlò uno dei cannonieri sulla nave pirata.
“Lasciale
stare.” Urlò il
vicecomandante. “Se riesce ad atterrarci, o il freddo o i
guardiani non gli
lasceranno scampo.”
“Quante
persone c’erano sulla
navicella?” chiese il comandante salendo sul ponte di comando
della nave
pirata.
“Un
essere umano e un ..” Disse uno dei
tecnici davanti ai display sul ponte di comando.
“Un ..
cosa?” chiese il comandante
Tutti trattennero
il fiato. Non dare
giustificazioni al comandante non era una cosa buona: il suo bastone
non
avrebbe perdonato nessuna defezione o insicurezza.
“Direi..
signore.. un robot.. un
bionico.. forse.. signore..” Disse il tecnico.
“Un..
bionico.. idioti! Come si fa a farsi scappare..
“ Inveì il comandante
“Un bionico di che tipo?” Chiese calmo.
“Una..
tigre.. signore..” Rispose il
tecnico
Quello che successe
dopo è sicuramente
una delle scene meno edificanti che occhio umano o no possa dire di
avere
visto: il comandante, seppur piccolo, roteando il bastone, incomincio,
urlando
parole incomprensibili, a colpire persone o cose in modo indifferente.
La lotta,
decisamente impari, tra il
comandante infuriato e il suo equipaggio, durò alcuni
secondi, sufficienti per
rompere metà degli strumenti nella zona radar e mandare in
infermeria quattro
dei cinque tecnici addetti ai radar.
A quel punto il
vice comandante
intervenne a bloccare il comandante, mentre tutti tiravano un sospiro
di
sollievo.
“Che vi
prende?” disse il secondo,
tenendo sollevato il comandante attacco al suo bastone
“Idioti..
la tigre.. bionica.. è la
guardia del corpo.. della principessa.. perché e
scappata?” urlò il comandante,
senza più fiato.
“Chi se
ne frega!” lo ammonì il secondo
“La principessa è qui e la sua tigre no. Questione
chiusa.”
Così
dicendo il vice mollò il
comandante, che cadde in modo rumoroso sul pavimento della sala comando.
“Avanti.
Molliamo tutto e andiamocene,
abbiamo ciò che vogliamo” Urlò il
secondo agli uomini, che stavano ancora
ridendo per il tonfo del comandante
La nave pirata
mollò quella Imperiale,
che fumava in modo evidente da vari punti.
“Sarà
meglio distruggerla” disse il
comandante, mente si alzava dal pavimento fregandosi le zone doloranti.
“No”
urlò la principessa.
“Portatela
fuori di qui, nella
prigione.” Urlò il secondo
“Puntate
i cannoni sulla nave” urlò il
comandante “e fate fuoco a volontà. Non deve
rimanere niente”
Mentre la
principessa urlante e
piangente era trascinata letteralmente via da due ceffi di pirati, i
cannoni
del ponte superiore spararono all’unisono, distruggendo la
nave Imperiale.
“Nessun
testimone .. nessuno vede ..
nessuna sa .. nessun problema.” Disse il comandante.
La nave pirata si
allontanò dal luogo
del misfatto, senza accorgersi che un’altra nave, un vascello
per ricerche
spaziali dell’Università Imperiale faceva capolino
da dietro una delle molte
lune del sesto pianeta del sistema solare. Una nave un po’
troppa curiosa,
visto che aveva assistito a tutto e aveva anche registrato quello che
era
successo.
Il
cammino
“Allora..
ti muovi..”
“Fai
piano.. pesa..”
“E
piantala.. l’idea è stata tua.. sei
la solita..”
”L’idea
non è stata mia.. ma di qualcun
altro..”
“Già..
e tu non gli hai detto di no..
ovviamente..”
“E cosa
dovevo dirgli .. non si fa ..
non va bene .. non possiamo ..”
“Basta ..
cammina .. ne riparleremo dopo
..”
“E no ..
dopo quando .. fermati a
parliamone adesso ..”
“Non qui
.. ci possono vedere .. più
avanti .. dopo il deserto ..”
“Oh,
scusa .. è vero .. qui ci vedono
..”
“Basta ..
cammina ..”
“Uff
..”
Il
pianeta Oleg
“Capo.
Capo” urlò un pirata arrivando da
un corridoio laterale della sala ove erano tutti raccolti.
“Che
c’è?” urlò il vicecomandante
“Una
scialuppa di salvataggio si è
staccata dalla nave.”
“Idioti.
Ho detto che nessuno doveva
lasciare la nave. Distruggetela!” Urlò il
comandante
Dalla nave pirata
furono sparati alcuni
colpi in direzione della piccola scialuppa, che fece subito delle
manovre
eversive nel tentativo di schivare i colpi. Una, purtroppo, la prese di
striscio: del fumo bianco incominciò ad uscire da un motore,
mentre la navicella
ruotava su se stessa.
“Si sta
dirigendo verso quel pianeta.”
Urlò uno dei cannonieri sulla nave pirata.
“Lasciale
stare.” Urlò il vice
comandante. “Se riesce ad atterrarci, o il freddo o i
guardiani non gli
lasceranno scampo”
“Quante
persone c’erano sulla
navicella?” chiese il comandante salendo sul ponte di comando
della nave
pirata.
“Un
essere umano e un ..” Disse uno dei
tecnici davanti ai display sul ponte di comando.
“Un ..
cosa?” chiese il comandante
“L’abbiamo
scampata bella.” Disse
l’animale alla ragazza, troppo occupata a guidare la
scialuppa di salvataggio
lontana dalla nave spaziale Imperiale Bellatrix attacca dai pirati.
Le bordate dei
cannoni arrivarono
all’improvviso.
La ragazza fece
subito delle manovre
elusive, ma un colpo colpì di striscio un motore e la
scialuppa divenne
inguidabile.
La ragazza
tentò in tutti i modi di
governarla, ma ormai la navicella se ne andava per conto suo, e si
diresse
verso un pianeta di un bel color bianco.
“No!
Lì no!” urlò l’animale
“Smettila!
Ci salveremo lo stesso.. come
se non avessimo fatto di peggio..”
Disse
la ragazza, molto preoccupata.
Il pianeta verso
cui la navicella
all’inizio si era indirizzata e poi era stata attratta dal
suo campo magnetico,
non era un bel posto.
Il suo anno durava
circa due anni
galattici standard. Anche se aveva un’atmosfera respirabile,
era troppo lontana
dal sole per essere sufficientemente scaldato.
La navicella entro
nell’atmosfera
rotolando come una palla, scaldandosi, bruciando in modo anomalo la
copertura
esterna di protezione.
Sballottati
all’interno della scialuppa,
i due passeggeri, anche se scampati ai pirati, se la videro veramente
brutta.
L’atterraggio,
infine, fu il minore dei
mali. La navicella, toccando il terreno gelato del pianeta,
incominciò a
fischiare: era l’effetto del troppo caldo dei pannelli
esterni con il freddo
del terreno.
Lo sportello di
sicurezza della
scialuppa di aprì di colpo e i due viaggiatori furono
sbalzati all’esterno.
La temperatura non
era delle migliori.
Gli strumenti, quei pochi che funzionavano primo
dell’impatto, segnalarono una
temperatura, di giorno, di –50 gradi assoluti: per fortuna la
ragazza era
riuscita, in tutto quel trambusto, ad indossare la tuta spaziale, che
l’avrebbe
protetta per un po’.
L’animale
non sembrava per nulla felice
del posto, ma non si lamentò della temperatura.
“Presto,
troviamo un riparò!” urlò la
ragazza all’animale.
Si diressero verso
una specie di
collina, ricoperta di neve, da cui scendevano stalattiti di ghiaccio,
che
nascondeva gli ingressi di alcune grotte.
“Pessima
situazione.” Disse
l’animale.”Qui non possiamo stare.”
Si stava alzando
una tormenta di neve e,
fuori della grotta, videro passare strane macchine circolari, che
volavano a
mezz’aria, con delle gambe nella parte inferiore e strane
antenne nella parte
superiore.
“Guardiani!”
pensò la ragazza,
spaventata. Potevano scovare una persona dal minimo movimento, un
sospiro, un
gesto: erano stati messi a guardia di qualcosa che nessuna sapeva o
conosceva
da un antenato dell’attuale Imperatore.
I guardiani
stazionarono per parecchio
tempo nella zona, sondando il terreno intorno alla navetta, cercando
tracce,
nascoste ormai dalla tormenta.
Ad un certo, uno
dei guardiani si girò
di scatto vero un punto, ma la luce del laser rischiarò per
un secondo la zona
e il guardiano esplose.
Un secondo si
girò dalla stessa parte,
ma un enorme orso bianco, sbucato dal nulla, lo assalì,
distruggendolo.
Qualcosa
d’umano apparve d’improvviso
nella grotta, prese la ragazza per mano e la strattonò,
costringendola a
seguirlo. La ragazza all’inizio oppose una resistenza, ma
quando i colpi dei
laser di altri guardiani che stavano sopraggiungendo colpirono il
soffitto
della grotta, lo seguì senza tante storie.
Anche
l’animale seguì la ragazza.
L’uomo
fece strada, correndo lungo un
corridoio di ghiaccio che partiva dalla grotta e proseguiva, sotto la
collina.
La corsa
durò parecchio, mentre dietro i
guardiani cercano di prenderli, alle volte bloccati dalle dimensioni
ridotte
del cunicolo, altre volte da lampi di laser sparati da
chissà chi.
Alla fine del
corridoio, l’uomo
incominciò a salire, come un vero rocciatore: o almeno
sembrava, fino a che la
ragazza non si accorse subito dei gradini scavanti nel ghiaccio.
La salita
durò poco, anche perché l’uomo
sparì e la ragazza con l’animale si fermarono su
un piccolo spiazzo.
All’improvviso,
l’orso che prima aveva
attaccato i guardiani, salto addosso alla ragazza e
all’animale, trascinandoli
giù per uno scivolo, che li portò
all’interno di un’altra grotta .. forse .. la
ragazza si guardò intorno.
Più che
una grotta sembrava una stanza
ben arredata, con tavolo e mobile di legno, un camino in cui vi era
acceso un
bel fuoco, pochi quadri alle pareti (quadri con vedute di spiagge o
tramonti di
posti caldi), sedie..
La ragazza di
sedette su una panca e
cominciò a togliersi i vestiti, mentre la tigre guardava
bieca l’orso,
digradando i denti e mostrando due favolosi canini a forma di sciabole:
di
certo taglienti e acuminate.
“A
cuccia!” gli ordinò la ragazza,
mentre alzandosi si toglieva i pantaloni della tuta, mostrando la
sottotuta
bianca, aderente e
leggera, che era
solitamente usate sotto quel tipo di tuta così pesante.
La ragazza era di
statura piccola, viso
rotondo, che sembrava in soprappeso per la sua età
così giovane.
La tigre si
accucciò davanti al fuoco,
come per scaldarsi: il suo pelo era ancora pieno di neve.
L’orso ne
seguì l’esempio.
La ragazza
abbandonò la tuta sulla
cassapanca e, a piedi nudi, incominciò a girare per la
stanza.
“Benvenuta.”
Le disse alle sue spalle
una voce profonda.
Si girò
e apparve il suo salvatore: un
uomo alto, che indossava anche lui una sottotuta ma di color nera, che
metteva
in risalto i muscoli del suo corpo, ben torniti da anni di palestra o
di
battaglie. L’uomo portava un passamontagna leggero, dello
stesso colore della
tuta, come se volesse nascondere le sue fattezze alla ragazza.
“Grazie,
con chi ho l’onere di parlare?”
chiese lei, dolcemente.
“Non ha
molta importanza, non crede. Piuttosto,
lei che ci fa su questo pianeta?”
“La
nostra nave ha avuto un problema e
siamo state costrette ad abbandonarla. Purtroppo
l’atterraggio non è stato dei
migliori.”
“Dei
migliori? Non mi prenda in giro. La
sua scialuppa aveva il simbolo, o meglio, il marchio
dell’Impero. Era stata
colpita da un bel cannone laser, direi di qualche nave pirata. E
poi?” chiese
l’uomo alla ragazza.
Non rispose la
ragazza, ma si sedesse
vicino alla tigre, accarezzandole il pelo in avanti e indietro, in modo
naturale, canticchiando sotto voce.
L’uomo si
allontanò. Torno dopo un po’,
con un vassoio pieno di cibo caldo e fumante.
Si sedettero al
tavolo, uno di fronte
all’altro, e cominciarono a mangiare in silenzio.
Alla fine del lauto
pranzetto, l’uomo
accompagnò la donna in una stanza al piano superiore.
Mentre chiudeva
dietro a sé la porta,
sopraggiunse la tigre che entrò nella stanza.
L’uomo
sorrise e se ne andò.
“Elsa,
sei sfacciata!” disse la donna
alla tigre.
“Giulia
cara, sfacciata io! E tu, con il
bel giovanotto?” le rispose la tigre.
“Interessante,
niente di più. Adesso
dormiamo: il nostro ospite potrebbe ascoltarci.”
L’uomo,
intanto, al piano inferiore,
stava sparecchiando la tavola.
“Non ti
vergogni. Portare qui una che
non conosci. Dove finiremo?” Disse l’orso bianco,
alzandosi a quattro
zampe davanti al camino.
“Parli
tu! Che cosa ci facevi con la
tigre vicina?”
“Cercavo
di capire ..”
“Sì,
di capire. Bravo .. che cosa dovevi
capire?”
“Non so
.. chi sono .. da dove vengono
..”
“Non ti
preoccupare. So già chi sono. Non
hai visto la tigre? è
Elsa, la
tigre dell’Imperatore, che fa la guardia a sua figlia, alla
più grande, al suo
successore. Per cui la ragazza ..” L’uomo stava
finendo di pulire la tavola.
“è
Giulia .. bravo .. e adesso?”
“Sentiamo
i ragazzi poi decideremo.”
L’uomo e
l’orso si diressero verso una
stanza del terzo piano di quella specie di grotta.
All’interno
vi erano delle
apparecchiature di trasmissione video molto sofisticate.
L’uomo ne
accese uno: l’apparecchio
gracchiò e su di un monitor a colori apparve la faccia di un
enorme gorilla
bianco.
“Qui
Black chiama Invincibile .. mi
sentite?” chiese l’uomo.
“Ti vedo
e ti sento, Black: cosa vuoi?”
rispose il gorilla
“Abbiamo
un ospite importante. Necessita
che Invincibile sia pronto. Quanto potete venirmi a prendere?”
Il gorilla si
girò, oscurando il video
con il suo testone. Quando si rigirò rispose: ”Uno
o due giorni. Stiamo
caricando gli ultimi accessori. Potete resistere?”
“Lui
sì, io no.” Rispose l’orso.
Il gorilla emise
una sonora risata.
L’uomo
rispose con un sorriso
sarcastico.
“Ok. Un
giorno. Vi avviserò quando
saremo da voi. Chiudo.” Disse il gorilla
“Chiudo”
disse l’uomo, che girandosi
guardò l’orso. ”Scusa se comando io,
Roson.”
“Non ti
preoccupare.” Disse l’orso
uscendo dal locale.”Ti perdono”
L’uomo si
alzò e diede un sonoro
calcione al sedere dell’orso, urlando subito dopo dal dolore.
“Ti devo
ricordare che sono bionico,
somaro?” disse l’orso, allontanandosi ciondolando
la testa, mentre l’uomo si
strofinò il piede, cercando di farsi passare il dolore.
Il mattino
seguente, quando la ragazza e
la tigre scesero al piano inferiore, trovarono già la tavola
imbandita.
L’orso
bianco era davanti al camino e la
tigre si diresse verso di lui senza esitare e gli si
accucciò vicino.
La ragazza
guardò la tigre, ma capì che
qualsiasi cosa avesse detto, l'animale non avrebbe risposto.
L’uomo
entrò in quel mentre, portando un
vassoio con alcune leccornie e un liquido scuro e caldo.
“Caffè?”
chiese l’uomo.
“Sì,
grazie” rispose la ragazza, anche
se non sapeva cos’era quello strano liquido caldo.
Si sedettero
l’uno di fronte all’altro e
incominciarono a mangiare.
“Ci
vengono a prendere.” Disse l’uomo ad
un certo punto. “Dobbiamo andare via di qui”
“Grazie.
Se ci potesse portare in un
luogo più civile, potremmo trovare una nave che ci porti a
casa.”
“Casa?
Quale casa? Il Palazzo Imperiale
di vostro padre o la villa delle vacanze di vostra madre?”
chiese l’uomo,
sogghignando sotto il passamontagna.
La ragazza rimase
sconcertata
“Sapete
chi sono?” chiese infine.
“Chi non
vi conosce, Giulia. E di certo
la vostra tigre Elsa non passa di certo inosservata.”
“Capisco.
Siccome siete così bravo, chi
secondo voi chi ha assalito la nostra nave spaziale e
perché?”
“Chi sia
stato non so. Di certo hanno
preso solo vostra sorella, che conta ben poco. Ma a quanto pare loro
non lo
sanno. Si sono allontanati dopo aver distrutto la vostra nave e non si
sono
molto interessati dei poveracci che vi erano a bordo.” Disse
l’uomo
“La nave
.. distrutta .. perché? Si è
salvato qualcuno?” chiese la ragazza preoccupata, mentre la
tigre alzava la
testa scrutando il volto della ragazza.
“Nessuno
si è salvato. E credo che
l’abbiano distrutta per far sì che nessuno
trovasse prove contro chi vi ha
assalito. Pirati, forse.”
Il volto della
ragazza fu solcato da
gocce di acqua uscite dagli occhi. La tigre gli si avvicinò
e non poté tacere.
“Non ti
preoccupare, Giulia” le disse
“Tuo padre troverà chi è
stato!”
L’orso
alzò la testa sorpreso.
“Cosa
credevi, Ronson, non sei il solo
bionico.” Gli disse l’uomo, che intanto si era
alzato e si era avvicinato alla
ragazza per consolarla.
La giornata passo
in modo tranquillo,
mentre fuori il tempo peggiorava e i guardiani continuavano a
controllare la
zona.
Invincible
Lo spazio:
infinito, forse, con troppo tempo
per percorrerlo e poco tempo per modificare gli avvenimenti che vi
succedono
affinché nulla cambi.
E per poter andare
avanti e indietro per
uno spazio così grande, l’ideale sono navi
spaziali sempre più potenti e
grandi.
La maggior parte,
ovviamente, sono sotto
il controllo dell’Impero, ma altre, piccole e non molto
armate, sono di
proprietà di privati, piccoli armatori che portano a spasso
persone più o meno
importanti dell’Impero.
Di certo,
però, avendo un bel po’ di
soldi o tempo, uno potrebbe possedere una bella nave spaziale, ben
armata.
In una delle lune
di Termos, sesto
pianeta del sistema solare Trhone, una luna piena di vulcani, in una
grotta
nascosta sotto terra, molte persone, macchinari, robot stavano
lavorando
intorno ad una nave spaziale.
Per essere una nave
spaziale aveva una
forma insolita. Le navi spaziale che di solito circolavano nello spazio
erano
per lo più di forma cilindrica, con i cannoni disposti nei
quattro punti
cardinali, con il motore da una parte del cilindro e
dell’altro, di solito, il
ponte di comando.
Questa nave non
rispecchiava i soliti
canoni.
Era composta da tre
dischi, posti sul
piano a forma triangolare, ognuno dei quali aveva montato una testa di
animale,
completamente sconosciuti ai più della galassia: una
sembrava la testa di un
uccello rapace del pianeta Rudux, un’altra di un carnivoro
del pianeta Saock.
L’ultima
assomigliava molto ad un
animale estinto, ma era difficile dargli un nome: una enorme testa
conica, con
tre corni (due sulla testa ed una sulla punta del naso), un enorme osso
di
forma circolare a protezione del collo. Strano animale.
Dietro ai tra
dischi vi era un enorme
corpo parallelepipedo ove, posteriormente, uscivano i condotti di
scarico dei
gas che aiutavano la nave a solcare il cielo a velocità
veramente inusuali.
L’enorme
nave, lunga centinai di metri,
era adagiata sul fondo della grotta, leggermente inclinata verso
l’alto.
Nella grotta il
lavoro era febbrile.
Centinaia di uomini
e robot gli
ruotavano intorno, montando apparecchiature, saldando, caricando altre
macchine.
La grotta in alcuni
punti era rinforzata
con enormi arcate di strutture in acciaio, ascensori verticali
scendevano dalla
superficie del pianeta fino al fondo della grotta.
In uno di quegli
ascensori vi era un
enorme gorilla bianco.
Giunto in fondo
alla grotta, scese e si
diresse verso un gruppo di persone e robot che stavano discutendo
intorno ad un
tavolo, pieno di disegni tecnici.
“Signori”
disse con fare riverente “mi
dispiace informarvi che il Conte Black ha chiamato e si prega di
raggiungerlo
entro domani.”
Tutti lo guardarono
con sguardi
interrogativi, ma poi scoppiarono a ridere.
“Chi ..
lui o l’orso?” disse un uomo in
fondo al tavolo
“L’orso.”
Disse il gorilla, mettendosi a
ridere anche lui.
Le risate
rimbombarono all’interno della
grotta, soffocate dai rumori dei macchinari.
“Perché
tanta urgenza? Ci sono
problemi?” richiese l’uomo in fondo al tavolo
“E
sì. E’ in compagnia di Giulia e della
sua tigre.” Disse il gorilla.
L’uomo in
fondo al tavolo uscì dalla
penombra.
Aveva un volto
vecchio, solcato da rughe
e cicatrici, con barba e capelli bianchi e lunghi, ben curati, un viso
lungo,
occhi incassati e neri, una vesta nera lo ricopriva, mostrando alcuni
parti del
suo corpo, braccia e gambe, che davano l’idea di un fisico
sì anziano, ma
atletico.
“Perché
sono con lui? è
già tempo?”
“Non lo
so. Ma ha detto di andare.”
“Va
bene” disse un ometto magro,
insignificante, con enormi occhiali con lenti spesse un dito”
la nave è pronta
per il varo” e qui qualcuno tossì
“sì .. insomma .. per essere lanciata. I
robot da guerra sono a bordo, le armi anche. I motori sono pronti, ma
ci
vorranno almeno dodici ore per prepararli alla partenza. Vettovaglie a
bordo.
Tenuto conto dove sta il Conte Black ci vorrà almeno altre
dodici ore di viaggio.
Direi di comunicare a caricare le ultime cose e partire. Le finiture
interne le
eseguiremo in viaggio.”
“Bene.”
Disse il gorilla “Allora tutti a
bordo dell’Invicible e partiamo”
“Piccolo
problema” disse uno dei robot
con voce metallica “Stamattina i radar hanno segnalato in
zona una nave
dell’Impero, una nave per ricerche vulcaniche in zona. Cosa
facciamo?”
“Non
c’è problema! “ disse l’uomo
anziano “Lasciamo che l’Imperatore sappia che
qualcuno di nostra conoscenza è
in circolazione.”
“L’Imperatore
.. o l’Imperatrice?”
sottolineò l’omino insignificante.
“Purché
qualcuno sappia” disse il
gorilla
La riunione si
sciolse silenziosamente,
tutti le persone e i robot si diressero in varie zone della grotta,
dando
ordini a chiunque incontrassero.
Il gorilla
salì sulla nave e si diresse
verso il ponte di comando, posto nella testa del rapace, nel disco
centrale.
La sala di comando
era enorme.
I panelli porta
strumenti, il soffitto e
il pavimento erano bianco avorio, gli strumenti tutti digitali, con
numeri di
color rosso su sfondo nero.
Nel centro della
stanza c’erano console
anche loro bianco avorio, con sedie occupate da uomini, robot ed in
alcuni
banchi erano visibili scimmie nere.
“Secondo”
urlò il gorilla entrando da
una delle tante porte nella sala comando.
Il secondo era
praticamente sdraiato
sotto un pannello di comando.
“Sono
qui!” Rispose agitando la mano da
sotto un pannello di comando.
“Harold,
sei sempre per terra.” disse il
gorilla
“Piantala
e dammi una mano. Prova a
schiacciare il pulsante verde.”
Il gorilla, con il
suo enorme dito
indice, premette il pulsante verde.
“Niente?”
Chiese
Un urlò
uscì da sotto il banco: un
robot, uscendo dalla parte opposta a quella dove di trovava il gorilla,
fu
lanciato contro la vetrata della sala che dava vero
l’esterno, l’uomo disse
frasi inconsulte, prima di usciere anche lui da sotto il banco, con la
tuta
bruciacchiata.
“Che
genio che sei?” disse l’uomo al
gorilla “Fai vedere a papà il tasto che hai
schiacciato?”
Il gorilla
capì che qualcosa non era
andato per il suo verso giusto e si ritrasse.
“Che fai
scappi?” Disse l’uomo, roteando
nell’aria una specie di chiave inglese di dimensioni non
indifferenti “Se ti
smontassi?” Urlò.
Ma il gorilla,
furbescamente, fuggì
verso la parete opposta alla vetrata, ove vi erano altri banchi posti
su una
gradinata.
“Ho
schiacciato il bottone verde!” Urlò
il gorilla, mostrando i denti all’uomo.
La calma
tornò subito: il robot venne
tolto dalla vetrata, l’uomo torno sotto il banco, il gorilla
gli si avvicinò,
timoroso.
“Il Conte
Black ha detto di andarlo a
prenderlo domani.” Disse umilmente all’uomo sotto
il banco.
“Va bene.
Sparisci. Fa scaldare i
motori. Tra dodici ore partiamo.”
Il gorilla se ne
andò e la sala tornò al
suo trambusto.
Il
ricatto
Anno galattico
12538.
Anno di riferimento
Imperiale 12
dell’era dell’Imperatore Federickoson II
Pianeta Pokdfin,
quinto pianeta del
sistema solare Nebulous.
Il pianeta su cui
viveva l’Imperatore e
la sua corte era semplicemente meraviglioso, a detta delle dame di
corte.
Era un pianeta
abitabile, con molta
acqua di un color blu intenso e le terre emerse erano divise quasi
equamente
tra praterie e colline di un acceso color verde, mentre le montagne che
delimitavano alcune zone del pianeta erano molto alte, quasi sempre
ricoperte
di neve.
La città
ove risiedeva l’Imperatore era
posta in riva all’oceano Grokjh, il più esteso del
pianeta.
La città
era molto colorata, aveva
enormi viali, molti alberi di vario tipo e giardini tenuti in modo
eccezionale.
Le altre
città del pianeta
rispecchiavano più o meno lo stile della capitale Pokdfin,
anche se erano meno
estese.
I villaggi sparsi
qua e là per il
pianeta, ove risiedevano i contadini che mantenevano verdi i giardini e
coltivavano quanto serviva per mantenere l’Imperatore e la
sua corte, erano ben
tenuti e manutenzionati.
Sembrava un
paradiso, tranne quando
arrivò la notizia del rapimento della principessa.
L’Imperatore
si trovava nei suoi
appartamenti privati e si stava vestendo per far colazione, circondato
da paggi
e vari burocrati dell’Impero che lo stavano informando
sull’andamento
dell’Impero.
L’Imperatore
Federickoson II non era un
bell’uomo: era di statura media, capelli marroni, occhi color
nocciola, viso
ovale, naso dritto, narici piccole, labbra piccole, mento rotondo.
Decisamente
un tipo insignificante.
E di certo la
pensavano così anche i
suoi genitori, cha avevano fatto di tutto perché il figlio
fosse un buon
Imperatore e non uno smidollato.
Ma Federickson non
se ne era mai
preoccupato troppo: l’Impero era in mano ai burocrati e
qualsiasi cosa lui
avesse deciso, qualcun altro gliela avrebbe ribaltata, smussata,
cambiata e
modificata purché non fosse attuabile.
“Fa
niente”, pensava spesso Federickson
“Mi godrò la vita.”
E così
aveva fatto: si era sposato, con
chi volevano i suoi genitori, ma di certo non disdegnava la compagnia
di
fanciulle giovani e gentili che cercavano di consolarlo in ogni modo e
in ogni
luogo.
La notizia
all’Imperatore fu portata dal
suo attendente, il generale Harrydkon, decisamente il contrario
dell’Imperatore:
alto, corpulento, bello, biondo, occhi azzurri, una vera star,
così dicevano le
donne. E di certo lui non si sottraeva a tutto ciò, tranne
in presenza
dell’Imperatore.
“Che
succede, generale, la vedo
affannato. Prenda fiato e mi dica.” Disse
l’Imperatore.
“Sua
figlia .. mio
Imperatore .. è stata rapida ..” disse il
generale ansimando
“Quale
figlia?” chiese l’Imperatore, per
niente preoccupato.
“La
principessa Noemi, mio Imperatore.”
L’Imperatore,
che si stava vestendo e
nel contempo rimirando nello specchio, si fermò, impietrito.
“E ..
Giulia ..?” chiese
“Sparita.”
rispose il generale.
L’Imperatore
indossava dei pantaloni
lunghi rossi, scarpette di velluto rosso e una camicia bianca con
ricami un po’
eccentrici: si mise le mani in tasca e, girandosi verso il generale,
gli
scaglio una delle scarpe, scuscitando nei presenti un attimo di
smarrimento.
Mai l’Imperatore aveva fatto una cosa del genere.
“Idiota.
Ti avevo detto di averne cura
come fossero le tue figlie. Dove sono adesso?”
urlò l’Imperatore, diventando
rosso in volto.
“Non ne
ho idea” Disse il generale
inginocchiandosi di fronte al suo Imperatore.
“Cosa
succede, caro. Perché urlate?” Una
voce femminile giunse da un corridoio laterale della stanza in cui si
stava
discutendo: era la voce dell’Imperatrice Musata.
“Hanno
rapito le nostre figlie, cara”
disse in tono pacato l’Imperatore “e questo idiota
non sa dove sono” urlò verso
il generale, tirandogli l’altra scarpa e colpendo sul viso.
Il generale non si
mosse, anche se la
scarpa gli aveva segnato il volto, procurandogli un taglio che
cominciò a
sanguinare.
L’Imperatrice
ebbe un attimo di
smarrimento, le sue ancelle le si avvicinarono per sorreggerla, ma lei,
con un
cenno della mano, le allontanò.
“Vi
prego, andate tutti via, lasciateci
soli!” Disse infine l’Imperatrice in modo
autoritario.
I presenti si
allontanarono.
“Voi no,
generale Harrydkon.
Rimanete.” Disse
l’Imperatore.
Quando tutti si
furono allontanati,
l’Imperatrice si diresse vero il generale.
“Lascialo
sanguinare” disse l’Imperatore
“Così impara il tuo amante a occuparsi un
po’ di più delle sue mansioni e un
po’ meno del tuo letto.”
“Caro,
non capisco .. “ disse
l’Imperatrice.
“Lasciamo
stare. Allora, generale, chi
le ha rapite, perché, cosa vuole?” chiese
l’Imperatore mentre il generale si
alzava in piedi.
“E’
giunto un messaggio tramite fonti
ignote che vogliono, in cambio della principessa Noemi, molto
oro.” Disse il
generale
“E
Giulia?” chiese l’Imperatrice,
preoccupata, che nel frattempo si era seduta su una poltrona di color
rosso posta
in un angolo della stanza.
“Non
sappiamo niente. Una nave
scientifica era nei paraggi e ha potuto vedere e registrare
l’attacco alla
nave, la nave pirata che abbordavana la nave, che scappava e che faceva
esplodere il Bellatrix, ma nulla di più. Ha, sì:
una scialuppa è scampata alla
distruzione, ma non sono riusciti a rilevare chi vi era sopra. Almeno,
dicono
che vi era un umano e un .. come lo hanno chiamato ..
bionico.” Disse il
generale.
“Elsa ..
meno male .. Giulia è salva!”
esclamò l’Imperatrice.
“E dove
si è diretta la scialuppa?”
chiese freddo l’Imperatore.
“Sul
pianeta Oleg, signore” Rispose il
generale.
L’Imperatore
guardò la moglie, che
ricambiò, stupefatta.
“Oleg,
proprio là. Non avete più notizie
di quel nostro amico, cara, vero?” disse
l’Imperatore avvicinandosi
all’Imperatrice e sedendosi su un divano posto di fronte a
lei.
Non aveva fatto
molto caso al vestito
della moglie, l’Imperatore: strano, di solito lo notava
sempre, ma quel mattino
le sembrava che fosse vestita come una contadina, con come una
Imperatrice: il
vestito bianco lungo, stretto, che mostrava bene le
rotondità della moglie e
che mostrava il suo seno procace non gli dispiaceva, ma qualcosa non
quadrava.
“No,
caro, certo che no.” Disse la
moglie decisa.
“Già.
Come no. Lui non si è fatto più
sentire” Disse l’Imperatore “e mia cara,
non ci credo. Ti preoccupi più di
Giulia che di Noemi, fai finta di niente, mandi in giro le tue amiche
in cerca
di chissà che cosa. Mi dice cosa stai combinando?”
“Se
volete scusarmi “disse il generale
“io andrei a vedere cosa posso fare per le
principesse.”
“Sì.
Vada, vada” disse l’Imperatore
facendo un cenno con la mano, senza distogliere gli occhi
dall’Imperatrice.
Quando il generale
si fu allontanato,
l’Imperatore proseguì.
“Cosa
cercano le tue dame di compagnia
da un anno a questa parte per tutta la galassia. I miei servizi segreti
mi
dicono che stanno prendendo contatti con persone non solo che non fanno
parte
della nostra cerchie, ma che addirittura sono state allontanate dal
palazzo.
Cosa cerchi?” disse l’Imperatore, sporgendosi verso
la moglie.
“Niente.”
Disse la donna, alzandosi “
Niente di importante. Ci sono dei movimenti da parte di alcuni tuoi
parenti che
mi preoccupano.” Mentre parlava la donna si diresse verso una
delle vetrate
nella stanza che davano su un giardino interno del palazzo, e il sole
ormai
aera così alto che rischiarava l’interno della
stanza, in cui le luci si
spensero automaticamente.
L’Imperatore,
che aveva seguito
l’Imperatrice con lo sguardo, si alzò e la
seguì alla vetrata.
“Come
sarebbe a dire dei movimenti? E
quali parenti?” chiese l’Imperatore.
“Tuo
cugino Makarre sta facendo di tutto
per mettersi d’accordo con gruppi strani: anch’io
non riesco a capire. Ma se
nessuno ci dà una mano, il tuo Impero prima
finirà in mano a tuo cugino e poi
verrà suddiviso in tanti pezzi. E’ già
difficile tenerlo unito.” Disse
l’Imperatrice e si mise a piangere.
“E tutte
queste cose da chi le hai
sapute? Dal club delle amiche? Bella cosa.” Disse
l’Imperatore, alzando mani e
testa al cielo. Si voltò e si diresse allo specchio.
“Sei solo
un idiota!” Inveì la moglie
“Non te ne frega di niente e nessuno. Non ti interessa di me,
delle tue figlie,
dell’Impero ..” Mentre parlava, degli occhi lacrime
scendevano, copiose, sul
viso dell’Imperatrice.
“Non
posso farci niente! Comandano i
burocrati! Pensi davvero che se potessi cambiare le cose non lo farei.
Ma non
posso!” Disse marcando le ultime parole “Non posso.
L’Impero non è mio, lo
comando soltanto, lo tengo insieme: finché sarò
utile mi terranno vivo. Quando
non lo sarò più o morto o in esilio. Cosa credi
che non ci ho pensato. Ho
vagliato tutte le possibilità. Anche quella della leggenda.
Ma no. La tana
delle tigre dice che non serve. Il tuo club mi rema contro e poi ti
lamenti.
Oh, mi dimenticavo, poi c’è Black. Sparito quando
serve e, quando apparirà, non
servirà più a niente e nessuno.”
Concluse l’Imperatore, dirigendosi verso un
armadio e prendendo una giacca lunga, di color nero.
“Pure
daltonico” disse l’Imperatrice,
dirigendosi verso un altro armadio e prendendo una giacca che faceva
pandand
con i pantaloni.
L’Imperatore
si mise a ridere.
Anche
l’Imperatrice, porgendo la giacca
al marito esplose a ridere. E si abbracciarono.
In
viaggio
“Ti muovi
..”
“Stai
calma .. non ne posso più ..”
“Oh,
poverina .. non ne può più .. colpa
tua ..”
“Scusa?
Colpa mia? Sei insopportabile..
“
“Basta..
muoviti..”
“Ho
capito.. ma
perché proprio di qua..”
“Perché
nessuno ci deve vedere..”
“In mezzo
al deserto? Ma chi vuoi che ci
veda?.”
“Qui non
passano satelliti.. muoviti..”
“Ma chi
vuoi che sappia di noi..”
“Tutti..
idiota.. cammina “
E
la fuga continua
Gli astroporti sul
pianeta Pokdifin
erano enormi: di solito erano al centro delle principali
città, esclusa la
capitale, ove gli astroporti erano quattro e situati alla periferia
della
medesima.
Evane era in quello
a nord, nella
periferia decisamente meno socievole che esistesse sul pianeta. Era
l’astraporto dove arrivano i detenuti per essere processati.
Era strano, ma
l’Imperatore, o forse i burocrati, voleva che i processi,
almeno quelli più
eclatanti, si tenessero nella capitale dell’Impero e
venissero trasmessi su
canali televisivi riservati in tutta la galassia.
La sorveglianza era
enorme: ad ogni
angolo vi erano uomini armati, animali a quattro o sei zampe che,
mostrando
spesso i denti, tenevano sotto controllo i viaggiatori. La scorta ai
detenuti
era enorme e le guardie gli facevano passare attraverso speciali zone
riservate, ove armi automatiche, in torrette appese al soffitto, li
seguivano.
Evane, i suoi
bagagli, il suo futuro:
tutto era lì, ai suoi piedi e cercava un passaggio.
Spesso, in
quell’astroporto, atterravano
anche persone con pochi riguardi per la legge, come contrabbandieri e
pirati,
alcuni autorizzati dall’Impero.
Ed era di quelli
che cercava Evane. Ne
aveva contattato uno, senza dargli molti spiegazioni, per un viaggio
verso un
pianeta ai confini della galassia.
L’appuntamento
era stato fissato in un
locale dell’astroporto, posto alcuni piani sotto terra.
Evane vi entro,
circospetta: si era
vestita come una mendicante, con vestiti trasandati, le stesse borse
che
contenevano quanto gli era di più caro erano sporche e
malridotte. Ma se
qualcuno avesse fatto caso al suo viso, avrebbe visto una graziosa
donna, con
una mascella un po’ troppo mascolina per una del suo sesso.
Il suo uomo era in
un angolo del locale,
che stava tranquillamente bevendo qualcosa da una bottiglia.
Evane lo riconobbe
dalla foto e gli si
avvicinò.
“Sei tu
.. Samuel?“ Chiese Evane,
controllando la foto che aveva in mano.
“Sì
sono io.” Disse l’uomo guardandola
fissa negli occhi. Di certo non era un bell’uomo: il volto
era solcato da
cicatrici, gli occhi spenti, stanchi, i vestiti più conciati
dei suoi e seduto
sembrava pure basso di statura.
“Bene, se
vogliamo andare.” Disse Evane.
“Non ti
dimentichi qualcosa, carina?”
chiese l’uomo, fregandosi il pollice e l’indice.
“Oh
sì!” rispose Evane ed estrasse da
sotto il vestito un pacchetto e lo porse all’uomo.
L’uomo lo
aprì, richiudendolo
immediatamente.
“Spero
per te che siano giusti. Sarà un
viaggio lungo. Non vorrei che ti capitasse qualcosa.” Gli
disse, alzandosi.
In piedi non
sembrava così piccolo: era
molto più alto di Evane e di corporatura robusta o almeno
così sembrava.
Evane
seguì l’uomo fuori dal locale,
trascinando le sue borse.
L’uomo si
diresse con passo deciso verso
un veicolo a ruote posteggiato vicino alla piazza di fronte al locale.
A bordo
vi era già qualcuno che l’aspettava e che gli
chiese “Allora?”
“Tutto a
posto.” Rispose l’uomo. “Carica
i tuoi bagagli di dietro.” disse ad Evane.
Il portellone
posteriore si aprì ed
Evane carico da sola le borse, poi si diresse verso una portiera che si
era
aperta sulla parte del passeggero e salì sul veicolo.
L’uomo
fece postare il conducente e si
sedette al posto di guida mettendo in moto il veicolo senza dire una
parola.
I veicoli usati
nell’Impero erano
comodi, veloci, silenziosi: talmente silenziosi che su quello di Evane
e delle
sue misteriose nuove conoscenze si sentiva solo il loro respiro.
Il veicolo si
diresse verso una strada
in discesa e la percorse per parecchio tempo.
Evane
all’inizio si preoccupò, ma poi
gli venne in mente che alcuni nave, di piccole dimensioni, potevano
usufruire
di alcune piste poste sotto terra, seguendo un percorso ben preciso.
E infatti, la nave
dei suoi “amici” era
in un parcheggio inferiore.
Vicina alle altre
era un vero disastro
quella nave: aveva una forma circolare, meglio ovale. Un piatto ovale,
con i
motori posteriori, la cabina di comando anteriore, alcune vetrate a
destra e
sinistra.
Armi non se ne
vedevano, e l’esterno
dell’astronave non era per niente curato. La superficie era
piena di toppe e
buchi, alcuni vetri erano rattoppati alla bene e meglio.
Evane stava per
chiedere dove volevano
andare con quella .. cosa, ma il guidatore e il suo compare non gliene
diedero
il tempo.
“Siamo
arrivati. Prendi la tua roba e
sali.” Disse il guidatore.
Evane scese dal
veicolo, raggiunse il
bagaglio e prese le sue borse.
Salì sul
veicolo spaziale da una
passerella posta sotto il motore posteriore, che la portò in
un corridoio del
ponte inferiore, che attraversava tutta la nave per la sua lunghezza
Un uomo, appena
salita, gli indicò la
scala. Evane la prese e salì al ponte superiore. Un altro
uomo la aspettava
davanti ad una porta. La aprì ed Evane entro nella stanza,
il cui l’arredamento
era molto spartano.
Vi era un letto, un
tavolo, una sedia:
il mobile di sicuro era nascosto all’interno di una parete,
che Evane trovo
subito e dove vi buttò le sue borse.
Un finestra correva
lungo la parete che
dava verso l’esterno: Evane vide la gente che si muoveva
all’interno
dell’astroporto, come tante formiche.
L’uomo
che la aveva prelevata entrò
nella stanza.
“Come
sta?” Le chiese
“Bene,
grazie.” Disse Evane, accennando
ad un sorriso nervoso
“Sì
..“ Disse l’uomo “Tra poco partiamo:
sarà meglio che scendete al ponte inferiore nella sala
grande. Per sicurezza,
ovviamente”
“Ovviamente”
rispose Evane.
L’uomo
uscì dalla stanza. Evane si tolse
i suoi ingombranti e laceri vestiti: la sua corporatura da guerriera
apparve in
tutta la sua magnificenza dentro una tuta da battaglia nera.
Il suo viso dolce
cozzava decisamente
con il suo corpo, ben sviluppato con muscoli e bicipiti più
da culturista che
da donna di corte.
Da una borsa tolse
un camicia e un paio
di pantaloni di lavoro dello stesso colore e un paio di scarpe leggere,
che
indossò immediatamente.
Sotto tale
vestiario vi nascose uno
strano oggetto.
Evane
batté la mano sull’oggetto, che
tintinno, rassicurandola.
Uscì
dalla stanza guardinga e raggiunse
la sala al ponte inferiore.
Nella stanza strani
ceffi facevano bella
figura di sé, chi in carne ed ossa chi appesi alla parete
come quadri ben
incorniciati.
Gli uomini la
guardarono, o meglio, la
desiderarono. Ma chi entrò non era dello stesso parete. Ad
Evane parve l’altro
passeggero che era con lei sul veicolo che li aveva condotti alla nave.
Entrando si tolse
il cappuccio e il
pastrano; la sorpresa per Evane fu enorme: era una donna come lei.
Bhe, dire donna era
un eufemismo. Il
viso era sicuramente di una donna, ben truccato e curato, ma il corpo,
in
confronto a quello di Evane era decisamente muscoloso, massiccio, quasi
un
armadio.
La donna si accorse
dello sguardo di
Evane e sogghignò.
“Che ve
ne pare del mio corpicino?”
chiese, guardando Evane.
“Fantastico!”
rispose uno dei presenti,
facendo scoppiare del ridere tutti, pentendosene un attimo dopo per la
reazione
sproposita della donna, che lo colpì con forza inaudita con
un frustino che
teneva tra le mani.
L’uomo fu
colpito sul volto, ove apparve
un taglio lungo e profondo che gli segnava tutta la guancia destra e
una parte
della mano destra, con cui aveva tentato di deviare il colpo.
I presenti si
ammutolirono
immediatamente, mentre il povero malcapitato fuggì via,
forse in direzione
dell’infermeria, pensò Evane.
“Come
potete vedere, non sono molto
docile con i miei uomini!” disse la donna, girandosi verso
Evane. Indossava
anche lei una tuta da battaglia, un vecchio modello, con alcune
modifiche qua e
là.
“Certo.
Buono a sapersi. Potrei sapere
quando mi condurrete via di qua verso il luogo che vi ho
indicato?” chiese
cortesemente Evane.
“Ora.
Prima vi sbarco, prima mi libero
di voi, prima sono felice.” Rispose l’uomo che era
apparso dietro alla donna.
“Vieni,
dobbiamo partire:” disse l’uomo
alla donna.
Uscirono insieme
dalla stanza, lasciando
Evane con gli altri dell’equipaggio, che continuavano a
guardarla.
“Se
pensate che non abbia il coraggio di
fare quello che ha fatto lei, sbagliate di grosso signori. Lei il
vostro
compagno lo ha lasciato vivo: io potrei non essere dello stesso
parere.” Disse
Evane, sbattendo la mano sopra alla strana cosa che aveva nascosto
sotto i
vestiti.
Gli uomini si
sedettero sui divani
presenti nella stanza, mentre un fischio richiamò la loro
attenzione. La nave,
scuotendosi, si alzò dal suolo e partì. In pochi
minuti fu fuori
dall’astroporto e poi si diresse verso lo spazio.
Evane
guardò fuori da uno dei
finestrini, vedendo il pianeta che si allontanava: una lacrima corse
giù per il
viso, subita asciugata dal palmo della mano destra.
“Quando
ti vedrò, mi cara patria.” Disse
sottovoce.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** La ricerca ***
Lo
scambio
La nave pirata
Excellent, dopo la
distruzione del Bellatrix, si diresse a tutta velocità verso
un sistema solare
posizionato verso l’interno della galassia.
Ci vollero alcuni
giorni di viaggio, che
sulla nave trascorsero senza troppi problemi.
La nave, giunta in
prossimità di un
sistema solare con tre soli, rallentò la velocità.
Si diresse verso il
sesto pianeta, un
pianeta con degli enormi anelli che lo circondavano sul piano
equatoriale,
fatti di massi ghiacciati
La nave
girò intorno al pianeta
parecchie volte, prima che un’altra nave apparisse nei suoi
radar.
“Sono
arrivati!” urlò uno degli addetti
ai pannelli di comando.
“Silenzio!”
urlò il comandante.
“Chiamateli e mandategli i codici di
identificazione.”
Uno degli addetti
inviò i segnali
codificati e la nave rispose.
Da una delle
telecamere che guardavano
vero l’esterno, tutti videro la nave avvicinarsi: la sorpresa
fu enorme.
Uguale era dire
poco. Simile non dava
l’esatta idea di quello che gli uomini della nave stavano
guardando.
Una gemella: quello
era decisamente la
parola esatta.
Il comandante non
capiva e non si dava
pace.
“Ho
ucciso di persona quel maledetto
progettista! Com’è possibile che ne esista
un’altra?” urlò il comandante
guardando il secondo.
Le due navi si
misero con il muso
dell’una contro l’altra. Era uno spettacolo
indescrivibile: gemelle fin nel più
piccolo particolare, con sullo sfondo il pianeta bianco luccicante con
gli
anelli che lo circondavano.
I messaggi che le
due navi continuavano
a scambiarsi divennero più frequenti.
Alla fine il
comandante fece portare la
prigioniera.
“Bene.
Caricatela sulla navetta.” Ordinò
La ragazza fu
portata a forza da ben
quattro pirati nella navetta preparata per lo scambio.
La dovettero
legare, tanta foga lei ci
metteva nel tentativo di scappare al suo destino.
Alla fine la
scialuppa fu sganciata e
guidata verso la nave gemella.
Nel contempo,
un’altra navetta si era
staccata dall’alta nave.
“Cosa
contiene?” disse il vice
comandante a un tecnico sul ponte di comando.
“Oro,
signore.”
Il comandante
lasciò il ponte di comando
e si indirizzo verso l’hangar della nave.
Quando vi giunse, i
marinai stavano
ormeggiando la navetta sul ponte degli hangar.
Ma, purtroppo per
il comandante,
l’apertura della navetta era a tempo.
L’altra
nave, appena ebbe caricato la
scialuppa con la prigioniera, se ne andò.
“Maledetti,
dovevamo pensarci anche
noi!” ringhiò il comandante
“E ci
abbiamo pensato!” disse un omino
piccolo, cicciotello. “Ho sistemato un sistema di rilevazione
a lunga distanza
sulla navetta. Se qualcosa non và la rintracceremo ovunque,
in questa
galassia.”
“Bene.”
Disse il comandante e si sedette
ad aspettare che la porta di quella maledetta navetta si aprisse.
Ci vollero ben
dodici ore galattiche
standard prima che la porta si aprisse. E quando la porta si
aprì, il
comandante vi ci si buttò a pesce, o qualcosa del genere: la
navetta era vuota.
Quello che successe
nei minuti che
seguirono fu peggio di una esplosione nucleare.
La navetta, anche
se fissata saldamente
al ponte, incominciò a dondolare pericolosamente,
trasmettendo il suo
ondeggiare a tutta la nave.
I pirati che erano
sul ponte caddero per
terra, compreso il vice comandante.
Dovettero sparare
al comandante più di
cinque frecce piene di sonnifero prima che si placasse la sua ira.
Quando, infine,
riuscirono a tirarlo
fuori dalla navetta, il comandante aveva una faccia stralunata e dalla
bocca
gli usciva della bava.
Il medico di bordo
lo guardò con aria
preoccupata.
Ci vollero altri
tre giorni prima che il
comandante riprendesse le sue normali attività.
Alla fine diede
l’ordine di inseguire
quella maledetta nave, ovunque fosse.
Il ritorno di
Invicible
Non ci vollero
dodici ore per far
scaldare i motori della nave.
Quando venne dato
l’ordine di sganciare
i fermi della nave, ormai la grotta era vuota e a terra erano rimasti
solo
alcuni macchinari inutilizzabili.
Il gorilla, nella
sala di comando, diede
l’ordine di partire.
La nave spaziale si
mosse dando scossoni
da tutte le parti.
Un fascio di luce
blu uscì dalla testa
dell’animale carnivoro posto a destra della sala comando.
La volta della
grotta esplose, cedendo e
aprendo un varco appena sufficiente per far passare la nave.
Con un
contraccolpo, la nave partì ed
uscì dalla grotta, dirigendosi verso lo spazio.
Dietro di
sé, Invincible lasciò che la
grotta crollasse, tutto d’un colpo, e al suo posto apparve un
vulcano, che
iniziò ad eruttare lava.
Invincible
solcò lo spazio verso la sua
destinazione, inosservato.
Sì,
quasi inosservato. Una navetta
spaziale Imperiale per rilievi dei venti solari era in zona e la vide.
***
Black e Giulia
stavano giocando a carte,
quando un forte rumore uscì dalla stanza posta
all’ultimo piano.
Black fece le scale
velocemente, mentre
Giulia riuniva le carte e sistema il tavolo, sotto gli occhi vigili
della tigre
e dell’orso.
“Qui
Invicible chiama Conte Black ..
rispondete”
“Qui
Conte Black .. avanti Invicible
.. ”
”Siamo in
zona. Quando volete, potete
raggiungerci.”
“Ricevuto.”
“Sono
arrivati?” Chiese Giulia.
“Sì.
Quando volete possiamo partire.”
Disse l’uomo.
La ragazza scese e
si diresse verso la
sua stanza, seguita dalla tigre che nel frattempo era salita dal piano
terra.
L’uomo
uscì dalla stanza, guardò in
basso e vide l’orso che guardava in su.
“Partiamo?”
chiese l’orso
“Partiamo.”
Gli rispose l’uomo “Punta i
timer degli esplosivi. Meglio far sparire tutto.”
“Come se
lo avessi già fatto.” Rispose
l’orso.
Ci vollero alcuni
minuti perché Giulia e
la tigre scendessero al piano terra: Giulia aveva indossato la tuta
bianca con
zaino incorporato che aveva quando era arrivata, per resistere al
freddo del
pianeta.
L’uomo
aveva indossato il pastrano con
cui Giulia lo aveva visto al prima volta.
“Bene. Da
questa parte.” Disse l’uomo, e
spostò un armadio della cucina, dietro a cui vi era un
passaggio
sufficientemente largo, scavato nella roccia.
Vi si
infilò, seguito dall’orso, dalla
tigre e per ultima Giulia, un po’ titubante.
Percorsero il
corridoio per alcuni
minuti in piano, poi incominciò a salire. Il freddo
incominciò a diventare
pungente.
Alla fine della
salita si ritrovarono in
una grotta, dove vi era una navetta spaziale. Giulia fece fatica a
vederla nel
buio, data la colorazione scura del mezzo.
Black schiaccio un
pulsante posto su una
specie di scatoletta nera che aveva in mano: la nave si
illuminò e una
passerella si staccò dal fondo della nave.
L’orso
con un balzo salì la passerella,
seguita dalla tigre: Black fece cenno a Giulia di salire e la
seguì sulla nave.
Non ci volle molto
ad accendere i
motori, farli scaldare e partire.
La navetta
uscì dalla grotta e si trovò
nell’aria fredda del pianeta.
Black la indirizzo
subito verso lo
spazio, mentre alcuni robot guardiani facevano fuoco cercando di
distruggere la
nave.
Alcuni secondi
dopo, una esplosione
squarciò la notte del pianeta e mezza montagna venne
distrutta.
“Toh..”
disse Giulia, accarezzando
l’orso “.. non hai più casa,
Ronson.”
“Non mi
serviva più.” rispose l’orso
Black diresse la
navetta spaziale verso
il sole.
Giulia vide il sole
che veniva incontro
alla nave. Lo superaro e all’improvviso gli si
presentò davanti una nave
spaziale enorme.
“Eccola!”
Esclamò Black.
La nave spaziale su
cui stavano
viaggiando sembrava quasi una pulce in confronto a Invicible.
Black
parlò con qualcuno della nave via
radio ed entrarono in uno degli hangar, da uno portello posto sotto la
nave,
verso i motori
Quando la navetta
spaziale fu agganciata
all’interno dell’hangar, i passeggeri scesero,
accolti dal gorilla e da alcuni
uomini dell’equipaggio.
“Chiedo
il permesso di salire a bordo.”
Disse il Conte Black al gorilla.
“Permesso
accordato.” disse il gorilla.
“Come
stai, Krain” disse Black.
“Bene.”
Disse il gorilla abbracciandolo,
quasi soffocando Black.
L’orso
scese dalla navetta e diede una
forte pacca sulla schiena del gorilla.
“Ronson.”
disse il gorilla ”Come stai
vecchia pellaccia.” Restituendo la pacca all’orso.
“Carini.”
Disse la tigre scendendo
davanti a Giulia.
“Krain,
ti presento Giulia e la sua
tigre Elsa.” Disse Black.
Il gorilla
guardò la tigre con fare
sospetto.
“Io a te
ti conosco.” Disse il gorilla
“Ma non riesco a metterti a fuoco. Dove ci siamo
già visti?”
“Forse ..
dal costruttore?” disse la
tigre, facendo una strana smorfia con il muso.
“No. Me
lo sarei ricordato.” Disse il
gorilla.
“Se avete
finito i convenevoli” disse
Giulia “vorrei un posto dove cambiarmi.”
“Si,
certo.” Disse Black.
Si diressero verso
una porta dall’altra
parte dell’hangar, passando davanti a degli enormi macchinari
coperti con
teloni e fissati con cavi di acciaio.
La ricerca
Louk e Rachel si
svegliarono al mattino
mentre fuori pioveva ancora.
Nessuno dei due
aveva voglia di uscire
dal letto.
Louk
guardò Rachel, sempre pensierosa.
“A cosa
pensi? Qualsiasi cosa sia a me
puoi dirla.” Disse Louk
“Qualsiasi?
Sei sicuro?” gli disse
Rachel, guardandolo fisso negli occhi.
“Sì,
certo.”
“L’Imperatrice
è preoccupata. Qualcuno
sta cercando di eliminare l’Imperatore e di prendere il suo
posto.” Disse Rachel
“Questo
lo so già.” Gli disse Louk “Ma
l’Imperatore non è preoccupato di questo. La tana
delle tigri veglia su di lui.
No, deve essere qualcosa d’altro che preoccupa
l’Imperatrice e il vostro club.
Qual’è, cara?” disse Louk in tono
sarcastico.
Rachel rimase
pensierosa.
“L’Imperatrice
ha paura che la leggenda
si avveri.” Disse infine Rachel
“Leggenda?
Quale leggenda?” chiese Louk
“La
leggenda delle due gemelle, quella
che viene raccontata nelle preghiere il primo giorno
dell’anno galattico.”
Disse Rachel, alzandosi dal letto e andando verso la sedia su cui era
riposta
la sua vestaglia.
“Ah,
quella leggenda. Ma chi vuoi che ci
creda. E’ anni che ormai nessuno ci fa più caso.
Pensa che il sommo sacerdote
la voleva togliere dalla preghiera su proposta
dell’Imperatore.” Disse Louk,
senza dare troppo peso alle parole dette dalla moglie.
Rachel aveva
indossato la vestaglia e si
sedette sulla poltrona, guardando il marito.
“Caro
mio, non era dello stesso avviso
Doc quando l’Imperatrice lo ha incontrato a Pokdfin sei mesi
fa. Dimmi, pensi
ancora ad uno scherzo?” disse Rachel.
Louk
guardò la moglie. Decise che di
certe cose a letto era meglio non parlarne e si alzò,
indossando la sua
vestaglia posta ai piedi del letto.
Si sedette sul
sofà posto davanti alla
poltrona dove si era seduta la moglie e la guardò, cercando
di capire se stava
mentendo o no.
“L’Imperatrice
ha incontrato Doc su
Pokdfin sei mesi fa? Interessante. Ma non capisco le paure
dell’Imperatrice per
quanto riguarda la leggenda. Non ci hanno creduto le sue amiche, ci
deve
credere lei. Per quale motivo?” chiese Louk
“La
leggenda dice:” disse Rachel “Due
ragazze simili ma non uguali
Due navi simili ma
non uguali
Due pianeti simili
ma non uguali
Due imperatrici
simili ma non uguali
Quando il tempo
verrà
Quando il tempo
sarà
Quando si
incontreranno
Niente
sarà come prima
Tutto
sarà come adesso
Cambiare
sarà necessario”
“E
allora?” chiese il marito.
“Qualcuno
ha costruito due navi uguali,
senza sapere dell’altra. L’università
spaziale ha trovato due pianeti uguali.
L’Imperatrice sa che esiste una sua sosia su questo pianeta.
E per finire la
sua figlia Noemi assomiglia alla figlia di suo cugino Strozzen su
Lokijn.”
Rispose la moglie.
“Coincidenze.“
Disse il marito “Nulla
che possa riferirsi alla leggenda. Solo coincidenze.”
”E perché Doc non ci crede alle
coincidenze?” gli domandò Rachel. “E,
visto che
sono solo coincidenze, come mai Freddy è qui?”
“Per
controllare che non siano
coincidenze!”
Freddy apparve
sulla soglia della porta
della stanza, con addosso una vestaglia un po’ troppo corta
per i gusti di
Rachel, che la squadrò.
“Come al
solito i tuoi vestiti lasciano
un po’ a desiderare.” La rimproverò
Rachel
“Vorrei
ben vedere.” Gli rispose
freddamente Freddy “E’ il modo migliore per tenere
lontane le mogli e sotto
controllo i mariti.”
“Smettetela
di litigare.” Disse Louk,
sorridendo alla battura di Freddy. “Fate le buone per una
volta tanto nella
vostra vita. Abbiamo altro da fare che discutere sui vestiti (a quel
punto
Rachel scosto la vestaglia e mostrò le sue gambe) o sulle ..
Oh. Smettila
Rachel e copriti!” Esclamò Louk “Sei
impossibile. Tu e l’Imperatrice sembra che
lo facciate apposta a mostrare le vostre grazie ogni volta che si parla
di
uomini con presenti delle ragazzine come Freddy.”
Freddy
guardò Louk in modo torvo e
Rachel mosse la vestaglia per coprire le gambe.
“Io non
sono una ragazzina.” Disse
Freddy “Come ti permetti?”
“Basta,
Freddy. Lo sai come la pensa
l’Imperatore di te. Adesso vediamo di capire bene cosa
succede. E siediti,
Freddy!” Concluse Louk.
Freddy si sedette
sulla poltrona rimasta
libera.
“La
storia della leggenda non ha senso.
”Continuò Louk “Doc mi ha sempre detto
che era una baggianata, costruita
apposta per tenere unita la famiglia Imperiale e per tenere sotto
controllo
tutti quei burocrati inutili e rompiscatole. Nessuno, dico e ripeto,
nessuno
crede che quelle quattro fasi messe insieme per caso o per errore
possano
modificare, cambiare o deformare le cose: l’Imperatore
è per discendenza
diretta, al momento, e se qualcuno volesse subentrare
all’Imperatore dovrebbe
fare una strage, un massacro, senza tenere conto che i burocrati
dovrebbero
essere d’accordo con lui. Ora, siccome i burocrati non hanno
nessuna intenzione
di cambiare Imperatore, e meno che meno trovarsi Makarre Imperatore
(qui Louk
fece una pausa guardando le espressioni del volto delle donne), mi
spiegate
cosa volete che l’Imperatrice trovi su questo pianeta, che
esiste solo per il
piacere del Barone Chijyu e non dell’Impero?”
finì Louk.
“E chi ha
detto che Makarre vuole fare
l’Imperatore?” incalzò Rachel.
“Perché
è l’unico che continua a
chiedere di sostituire il capo dei burocrati non per promozione, ma
tramite un
editto dell’Imperatore!” gli rispose Freddy.
“Peccato
che l’Imperatrice non la pensa
così. Lei pensa che in realtà Makarre non vuole
sostituire i burocrati, ma
vuole che alcuni burocrati che lui conosce bene arrivino nei punti
chiave
dell’Impero. Il problema è che alcuni dovranno
essere eliminati. E
l’Imperatrice crede che la cosa sia già iniziata.
Due burocrati sono già morti
in strane circostanze. E sono stati sostituiti con qualcuno che
preferisce
Makarre all’Imperatore. (Rachel emise un lungo sospiro) Come
vedete c’è da
preoccuparsi.” Concluse Rachel.
Rimasero tutti in
silenzio, pensierosi.
“E chi
sono stati uccisi fino ad ora?”
Chiese Freddy.
“Uno era
il capo della divisione
passaporti, l’altro dell’immigrazione.”
Rispose Rachel.
“Già.
È vero. Passaporti ed
immigrazione.” Disse Louk “Fai andare la gente dove
vuoi, con il passaporto che
vuoi. Chi lo controlla se è un militare, un civile
..”
“Una
spia, uno che porta bombe.
L’importante che i documenti lo coprano ..”
continuò Rachel
“O
meglio, che lo renda immune da un
controllo. Passaporti imperiali.” Disse infine Freddy.
Louk si
alzò e si diresse verso il
camino, dove ravvivò il fuoco buttando dentro un ceppo di
legno. La temperatura
dell’ambiente si alzò lentamente, in modo
gradevole.
Louk prese un
attizzatoio e si mise a
giocare col fuoco nel camino.
“Bel
disastro. Come faremo a fermare
tutto ciò?” chiese Rachel.
“Uccidendo
i burocrati!” disse Freddy
“Ci
penserà Doc. Ora è meglio se ce ne
andiamo.” Disse Louk.
“E
all’Imperatore (disse Freddy
guardando Louk) e all’Imperatrice (e guardò
Rachel) chi glielo spiega?”
“Per il
momento, meno sanno meglio é.
Qualcuno potrebbe parlare a sproposito e riferire a chissà
chi. Ci penserà Doc.
Facciamo le valigie.” Concluse Louk.
“La
colazione è pronta.” Urlò la vecchia
dal piano inferiore.
“Spero
che la porta fosse chiusa.” Disse
Louk, giocando ancora col fuoco nel camino.
“E’
fidata!” disse Freddy
Louk la
guardò. Freddy capì.
“Non
farai sul serio?” Chiese Rachel.
Lo sguardo di Louk
non ammetteva
repliche.
La tana delle tigri
I pianeti
posizionati ai bordi della
galassia erano veramente strani. Non erano di dimensioni elevate, i
soli
facevano fatica a scaldarli, la gente che li abitava pensava che tutto
fosse
contro di loro. La stessa natura aveva lasciato che su quei pianeti
nascesse il
peggio che un pianeta vorrebbe voluto avere addosso: animali tra i
più
carnivori, piante che crescevano lasciando tra loro lo spazio per
infilare una
mano (ammesso che uno fosse tanto sconsiderato per farlo).
L’astronave
che stava portando Evane
lontano da casa era diretta su uno di quei pianeti, posto nel quadrante
D3
della galassia.
Il comandante
entrò nella cabina di
Evane, per avvisarla che erano arrivati.
“C’è
un messaggio di Doc. Dice che i
tempi sono cambiati” disse l’uomo
“Che ne
sapete voi di Doc?” Chiese
Evane, spaventata.
”Non
siete mica l’unica ad vere un
appuntamento qui.” Disse l’uomo e se ne
andò.
Evane rimase
pensierosa, mentre
preparava i suoi bagagli, buttando nell’inceneritore i
vestiti usati per
camuffarsi.
Il pianeta su cui
Evane era diretta più
che un nome aveva un numero di identificazione: PY253YU.
Il nome era
difficile da ricordare e il
pianeta era inutile al sistema in cui era situato, dato che il pianeta
era il
terzo su cinque esistenti (gli altri erano giganti gassosi) e girava
intorno ad
una stella gialla, che incrociava la sua orbita con un sole blu.
Il pianeta era
piuttosto buio, una
spessa coltre di nubi nere lo ricopriva per la maggior parte del tempo.
Gli
animali erano del tipo notturno e le piante, parecchie di piccole
dimensioni,
non avevano un color diverso dal verde scuro e le loro inflorescenze
erano
quasi inesistenti.
Un pianeta
abitabile solo da matti o,
meglio, un pianeta ideale per nascondere la sede di una delle
società segrete
più famosa e impenetrabile della galassia.
I suoi accoliti
avevano fatto di tutto
perché nei secoli nessuno sapesse cosa facevano, chi
aiutavano, a chi avrebbero
permesso di comandare.
Sì,
serto, di altre società segrete la
galassia ne era piena: gente che si riuniva per decidere cosa era
meglio o
peggio per questo o quel pianeta, ma la tana delle tigri era quella che
era
riuscita a raccogliere le persone più importanti e influenti
della galassia,
insospettabili a tutti, mogli, amanti, concubine comprese.
Evane non ne faceva
parte da molto.
Era stata iniziata,
se così si può dire,
quando era all’università Imperiale su Pokdifin da
un suo amico, un certo Blak
Stefan, un tipo strano e pericoloso: aveva troppe idee e troppa gente
che gli
dava ascolto.
Di certo quando
Evane decise di seguirlo
in questa sua avventura, tutto avrebbe creduto ma non di trovarsi in
quella
situazione.
Black era figlio di
un alto funzionario
di corte a cui l’Imperatore Federickson I aveva affidato un
sistema solare da
governare per avergli salvato la vita durante una scaramuccia con
l’Imperatore
di una galassia vicina.
L’alto
funzionario in questione era
Black Corson, generale di carriera, chiamato da tutti Invicible, per il
fatto
che sotto un bombardamento di bombe atomiche a effetto limitato, lui
rimase in
piedi, ritto di fronte al nemico, mentre le bombe esplodevano intorno a
lui,
guidando la carica dei suoi uomini fin dentro una roccaforte
avversaria,
espugnandola e catturando alcune persone vicine
all’Imperatore avversario.
Di certo questi e
altri episodi lo
resero ben voluto dalle truppe, un po’ meno dai burocrati e
l’Imperatore fu
costretto a salvarlo dandogli da controllare un sistema solare ai
confini
dell’Impero e lontano dai burocrati imperiali.
In quel sistema
solare era nato Stefan,
che aveva avuto una istruzione militare, contro la sua
volontà. Lui preferiva
le poesie ai fucili, o almeno così diceva.
Certo, quando Evane
lo conobbe
all’università Imperiale, dopo l’ascesa
del nuovo Imperatore, Stefan era tutto
tranne un poeta.
Spesso le proteste
degli universitari
verso l’Imperatore erano guidate da lui.
Ma come sempre
succede, una volta
qualcosa andò storto.
Durante una
manifestazione,
l’Imperatore, ormai esausto di doversela vedere con gli
universitari (e i
burocrati), fece sparare ad altezza uomo contro i manifestanti.
I feriti e i morti
furono parecchi e,
dopo che le manifestazioni di piazza furono interrotte, Stefan si
calmò e fu
allora che Evane lo conobbe.
Si conobbero alcuni
giorni dopo gli
scontri, Stefan con alcun ferite fisiche poco evidenti ed Evane
sconvolta per
quello che era successo.
Si incontrarono, o
meglio, scontrarono
in una delle numerose biblioteche dell’università
Imperiale.
Evane stava
cercando un libro a cui era
interessato anche Stefan: quando lo videro nessuno si accorse
dell’altro e
fecero una corsa per prenderlo dallo scaffale: lo scontro fu
inevitabile, con
libri e appunti che volavano da tutte le parti, i ragazzi e le ragazze
presenti
che si misero a ridere, la bibliotecaria che urlava di far silenzio, ed
Evane
sotto Stefan.
Scena edificante
per Stefan, meno per
Evane che divenne rossa e si scrollo d’addosso Stefan
assestandogli un colpo
con un ginocchio al linguine.
Stefan cadette per
terra senza fiato,
mentre Evane gli chiese scusa.
Ci volle un
pò perché Stefan si
riavesse.
Ognuno raccolse le
sue cose, il libro
rimase dov’era, dimenticato, ed Evane e Stefan fecero
amicizia.
Il come e il
perché Stefan parlò della
tana delle tigri a Evane neanche lei se lo ricorda, o perché
andarono sul
pianeta a incontrare Doc e parlare della necessita della salvaguardia
dell’attuale Imperatore: dopo tutto Federickson II era solo
suo fratello
maggiore, che diamine.
La nave spaziale,
quando venne a
contatto con l’atmosfera del pianeta, diede parecchi
scossoni, risvegliando
Evane dal torpore dei suoi ricordi e riportandola alla
realtà.
La nave si diresse
verso un punto del
pianeta ove vi erano parecchie montagne.
Evane riconobbe la
zona: ora avrebbero
passato un picco, sceso in una valle stretta ed avrebbero atterrato in
un
astraporto della tana delle tigri.
Quando la nave fu
atterrata e i motori
furono spenti, Evane uscì dalla sua stanza e scese al piano
inferiore.
L’uomo e
la donna la stavano aspettando.
“Doc ci
riceverà subito.” Disse la
donna.
“Capisco.
Ma voi come conoscete la tana
delle tigri? Io non vi conosco.” Disse Evane.
La donna
accennò ad un sorriso senza
rispondere, ed insieme all’uomo scese
dall’astronave.
Evane, sconcertata,
gli seguì.
L’astroporto
non era molto grande: altre
tre o forse quattro navi come quelle con cui era arrivata e
l’astroporto
sarebbe stato pieno.
In fondo vi era un
gruppo di persone che
li aspettava. Avevano tutte un mantello nero, con bordi
d’orati. Un uomo era di
schiena e si vedeva distintamente la testa di una tigre in color oro
disegnata
nell’angolo alto a sinistra del mantello.
Evane e gli altri
andarono verso il
gruppo: l’uomo di spalle si giro e li saluto amichevolmente.
“Samuel..
Angel.. che piacere vedervi.”
Così dicendo l’uomo abbracciò
affettuosamente l’uomo e la donna che aveva
accompagnato Evane.
“Come
stai Doc?” chiese la donna.
“Bene,
bene.. oh, Evane, vedo che ci sei
anche tu. Come stai?” le chiese l’uomo
abbracciandola.
“Bene,
Doc. Ma come fai a conoscere
queste persone?” Chiese Evane sorpresa.
“Non ti
preoccupare. Sono amici. Vedrai,
tutto si sistemerà. Bene, andiamo, non mi sembra il caso di
parlare di certe
cose qui.” Così dicendo l’uomo
invitò tutti verso una portone in fondo
all’astroporto.
Samuel si
girò e fece un cenno con la
mano agli uomini che erano rimasti sulla nave spaziale. Tutte le luci
della
nave furono spente, le pedane ritirate e la nave parve morta.
Il gruppo di
persone attraversò il
portone che si richiuse rumorosamente alle loro spalle.
Il corridoio che
presero fu illuminato
improvvisamente con luci artificiali.
Camminarono per un
bel po’, senza
parlare. Alla fine del corridoio entrarono in una enorme grotta a forma
di
cupola. In alto, in cima alla grotta, faceva bella mostra di
sé una testa di
tigre come quella che era disegnata sulla spalle del mantello degli
uomini:
doveva essere enorme per essere così visibile dal basso.
Tutto intorno alla
grotta vie erano
delle specie di balconate, che avevano alle loro spalle delle porte. Da
alcune
di esse apparvero strane persone, che Evane riconobbe come alcuni degli
abitanti dei vari mondi facenti parte della galassia. Altri per lei
furono una
rivelazione: non erano di quella galassia, o almeno non li aveva mai
visti in
quella galassia.
Samuel ed Angel
andarono incontro ad
alcuni di loro.
“Doc..”
disse Evane “non mi hai detto
tutto.. chi sono quelli.. non sono della nostra galassia..”
Doc era anziano,
capelli bianchi, lisci,
lunghi fino alle spalle, viso quadrato, di un colore rosso scuro,
labbra
grosse, occhi piccoli e di color nero, statura normale.
“Cosa
credevi, Evane? Se una galassia è
in pericolo, anche le altre ne risentono. Se una galassia muore, le
altre di
certo non sono felici. Non puoi pretendere che l’intero
universo non ne risenta
di quello che avviane qui. Se un singolo neutrone smette di ruotare,
pensi che
l’atomo resti lì, fermo, instabile, senza
risentirne?” le rispose Doc.
Evane
guardò Doc come persa, come se il
futuro della galassia non dipendesse dalla singola decisione di uno, ma
dalla
decisione presa da tutti su un argomento in modo diverso.
Doc la
guardò dolcemente, sorridendole,
la abbraccio alla vita e la accompagnò verso gli altri,
facendole coraggio:
dopotutto era in ballo e come diceva sempre Doc
“finchè la musica non si ferma
si balla, mia cara.” Doc ballava malissimo, si
ricordò Evane, e sorrise,
cercando di dimenticare.
Il Barone Makarre
Se la vita nel
palazzo Imperiale era il
massimo della vita, per qualsiasi persona che abitava la galassia, la
vita nel
palazzo del Barone Makarre era la cosa più spregevole che
poteva capitargli.
Il Barone Philips
Mortorious Makarre
aveva il governo di alcuni sistemi solari posizionati nel quadrante C3
della
galassia, nella zona di confine, e viveva sul pianeta Klack.
Ovviamente il
Barone aveva fatto di
tutto perché il suo pianeta fosse bello, splendente,
radioso, vivibile: il
terreno era stato per la maggior parte reso coltivabile,
l’acqua era stata
portata in tutto il pianeta con l’uso di canali e deviando il
corso dei fiumi
principali. Alcune montagne erano state modificate, in modo da
permettere al
vento fresco del nord di lambire lande desertiche per renderle fertili.
Le città
erano state modificate, rese
più a misura degli abitanti: alcune erano state addirittura
costruite su
cascate, su montagne innevate perennemente, in mezzo a terreni
verdeggianti,
collegate da un fitto sistema di trasporti, sia su terra, sotto terra o
per
aria.
Un pianeta
sorridente. Almeno.
Il sorriso Makarre
lo tolse al suo bel
pianeta quando decise di farla finita con suo cugino, che nel frattempo
era
diventato Imperatore.
Di certo il Barone
non fece nulla perché
fosse modificato morfologicamente il pianeta: così come lo
aveva sistemato era
quasi perfetto.
No.
Modificò la gente, le persone, i
suoi abitanti e gli abitanti degli altri sistemi solari che governava,
o
meglio, comandava con pugno di ferro.
Un pugno di ferro
che all’inizio aveva
provocato morti, molti morti, affinché tutti la pensassero
come lui.
L’Imperatore
aveva cercato in tutti i
modi di calmarlo, ma la guerra contro la galassia vicina ai tempi di
suo padre
lo aveva costretto a non infastidire un uomo che aveva dovuto
combattere in
prima linea contro il nemico, che gli era piombato letteralmente in
casa
all’improvviso, che aveva fatto strage dei suoi cari e degli
abitanti dei
pianeti, che aveva dovuto subire le angherie prima del nemico e poi
degli
amici, che lo aveva considerato un vigliacco perché non
aveva difeso il confine
della galassia morendo in battaglia.
Di certo il padre
di Makarre di morire
non ne aveva voglia: era sceso a compromessi con il nemico pur di
salvare la
sua vita, ma non poté salvare quella dei parenti, di alcune
mogli, concubine,
figli.
Quando poi il
nemico fu sconfitto, al
padre di Makarre venne ordinato di non inseguirlo, di non accanirsi
verso un nemico
vinto e non più in grado di nuocere, che la sua vendetta
doveva aspettare,
morire con lui: e così avvenne.
Ora non ne poteva
più. Quando aveva
combattuto con suo padre ne aveva poco più di
vent’anni, ora ne aveva quaranta
e la sua voglia di vendetta, più il tempo passava,
più aumentava.
Nel suo palazzo,
costruito sopra una
cascata di alcune centinaia di metri, con ai suoi piedi la capitale del
pianeta, Amihsorih, attendeva notizie sugli ultimi eventi.
Makarre era un uomo
di media statura,
ingrassato, con un viso tondo, occhi sporgenti di un blu cobalto.
Portava una
vestaglia dai colori sgargianti e uno strano copricato, formato da una
striscia
di stoffa dello stesso colore della vestaglia avvolta intorno alla
testa.
Al collo aveva un
ciondolo di color
verde smeraldo con una catena di platino e alle dita della mani aveva
anelli
dalle forme e grandezze più diverse.
Faceva su e
giù nella stanza enorme, con
vetrate che davano sulla cascata e da cui si vedeva in lontananza la
città.
Divani e poltrone
di varia dimensione,
forma e colore riempivano la stanza. Alle pareti vi erano quadri
immensi.
Diversi lampadari illuminavano la stanza di notte.
Makarre ad un certo
punto di fermò
davanti ad uno delle enormi finestre e guardò una nave
spaziale che stava
atterrando in uno degli astroporti della capitale.
Emise un leggero
sospiro.
“Perché
sospiri così, mio signore?”
La voce femminile
alle sue spalle lo
prese di sorpresa, ma lui non lo diede a vedere. Si girò: di
fronte a lui c’era
una ragazza giovane, alta, snella, con un viso ovale, occhi grandi e
verdi,
ciglia lunghe, labbra piccole e quel nasino con la punta in su che lo
faceva
impazzire, come i vestiti che Gloria indossava. Quel mattino Gloria
indossava
una tuta aderentissima, in pelle, di color rosso e un cappellino
intonato alla
tuta. Aveva inoltre un mantello, stessa stoffa e colore del vestito.
“Mia
cara” disse Makarre ”ogni volta che
ti vedo mi riempi di gioia il mio cuore!”
“E
sicuramente qualcosa d’altro, mio
signore.”
“Mia
cara, sei sempre la solita. Ti vesti
così e mi prendi in giro. Sei la mia peggiore concubina. In
tutti i sensi.”
Disse Makarre avvicinandosi a lei.
“Fermo
lì, mio signore!” disse Gloria,
tenendolo a distanza con un nerbo di tendine di rouk, un quadrupede
selvaggio
del pianeta. “I nostri accordi sono chiari. Niente sesso e
solo potere, fino a
che non diventerete Imperatore:”
Makarre rise sotto
i bassi, che spesso
lisciava con le dita delle mani.
“Certo,
cara.” Disse in tono sarcastico
“Ma lo sai che la mia pazienza ha un limite piccolo
piccolo.”
“E la mia
voglia di potere è così
grande!” replicò Gloria.
“Lei…
dov’è?” Chiese il barone
“E’
giunta a destinazione. Tutto và come
abbiamo previsto, mio signore.” Così dicendo
Gloria si avvicinò a Makarre e gli
sfiorò il grosso mento con la mano destra.
“E quegli
idioti di generali, cosa
fanno?” chiese Makarre
“Sono
pronti a fare un disastro, loro e
tutti i nostri amici.” Replicò Gloria, andandosi a
sedere su un divano in pelle
nere, sdraiandosi sopra.
In qualsiasi
posizione, il corpo di
Gloria era una cosa fantastica e il Barone avrebbe venduto
l’anima, il potere,
l’Impero per lei e lei ne avrebbe di certo approfittato: ma
Makarre sapeva che
Gloria gli sarebbe stata fedele fino al trono dell’Impero. Ma
dopo, fino a che
punto la sua spregiudicatezza sarebbe giunta? Dopo tutto era
così giovane e
così bella? Un vero peccato sprecare una tale bellezza.
“Come al
solito sogni l’impossibile,
Makarre!” un’altra voce di donna si udì
alle spalle del Barone: Gloria di
sedette subito sul divano, coprendosi con il mantello e
l’uomo capì.
“Cara
moglie, come stai stamattina? Hai
dormito bene?” domandò Makarre, voltandosi in modo
leggiadro verso la donna, di
statura bassa, grassa, con addosso un vestito che risaltava ancora di
più la
sue rotondità.
Fiola, questo era
il suo nome, fu
sposata da Makarre per una questione di stato, più che per
amore. E il
risultato era stato che Makarre aveva una moglie, cento concubine,
innumerevoli
amanti e un numero imprecisato di figli: nessuno da Fiona.
E questo a Fiola
pesava, parecchio. E di
certo l’ultima arrivata, Gloria, non faceva niente per
passare inosservata agli
occhi del Barone.
Ma ormai Fiona si
era abituata a tutto
ciò: al fatto che Makarre avesse tutte quelle donne, che con
lei non dormiva
più, ma per questo ultimamente neanche con le altre, che
Gloria aveva vestiti
così sconci che spesso un mantello non bastava a ricoprirla.
E poi quei strani
viaggi quasi
giornalieri in una zona del vicino deserto, dove vi era la sede dei
servizi
segreti del Barone: Makarre non si era mai molto interessato di quelle
cose,
visto che lui, da giovane, preferiva combattere il nemico guardandolo
negli
occhi.
Di certo stava
succedendo qualcosa e
quel continuo chiacchericcio nel club delle amiche non le piaceva.
Fiona si
avvicinò al marito, baciandolo
sulla guancia.
“Ho
dormito bene, grazie caro. Vedo che
sei in dolce compagnia, stamattina. Cara Gloria, come stai? Non pensavi
di
vedervi stamane?” disse Fiona
“Oh, no,
mia cara. Era solo passata a
vedere il Barone Makarre e per sapere se aveva bisogno di
me.” Rispose Gloria.
Fiona la guardo
torva, sapendo benissimo
che ormai da alcuni mesi Makarre e Gloria facevano coppia fissa fuori
dal
palazzo.
“Bene.
Allora vado ai miei impegni
giornalieri.” Così dicendo Fiona si
girò e si allontanò dal marito. “Ah..
dimenticavo, caro..” riprese Fiona, girandosi a
metà verso il marito “mi
continuano ad arrivare lamentele dai sindaci per strani
avvenimenti… sai..
gente che sparisce… ragazzi che partono per la zona
Imperiale senza dare
notizie di sé… cose così. Ne sai
niente?” concluse
“No di
certo, cara. Ti pare che mandi
ragazzi nella zona Imperiale per cosa poi?” rispose Makarre.
“Già.
Per cosa?!” disse Fiona, girandosi
e andandosene.
“Sa
qualcosa!” disse Gloria appena la
donna si fu allontanata. Si alzò dal divano, buttandosi
indietro il mantello e
mostrando il suo corpo al Barone.
“Smettila!
Lo so benissimo cosa ha in
testa. Quella rompiscatole dell’Imperatrice continua a
chiamarla. Dovrebbe
partire tra alcuni giorni per il palazzo Imperiale per un incontro tra
loro.
Queste rompiscatole!” si girò guardando Gloria
“Meno male che tu sei solo un
concubina. Un problema di meno.”
Così
dicendo prese Gloria alla vita e la
strinse a sé.
“Makarre…
Barone… ma cosa fate… la
promessa…” si mise a urlare Gloria mentre lui
tentava di baciarla.
Alla fine Gloria
riuscì a sgusciare
dalla presa di Makarre e si mise ad una distanza di sicurezza,
sguainando il
nerbo, pronta a colpire.
“Sì.
Adesso hai vinto tu, ma guardati le
spalle. Uno in più o meno in quella maledetta prigione a me
non fa né caldo né
freddo. Ci farò finire tutti i miei nemici, tutti quelli che
si metteranno tra
me e l’Impero, Fiona compresa. Dopo tutto, di lei non ho
più bisogno.” Disse il
Barone, sconvolto in volto, con il fiatone, sedendosi su di un divano a
tentoni.
Gloria lo
guardò spaventata: non lo
aveva mai visto così. Di certo i tempi per il colpo di mano
a sfavore
dell’Imperatore erano maturi, ma un uomo simile si sarebbe
controllato nel bel
mezzo di una battaglia, con davanti i suoi denigratori o avrebbe fatto
la cosa
più empia che un uomo potesse fare: massacrare tutti.
L’uomo si
sdraiò sul divano, cercando si
calmarsi.
Gloria si
allontanò, senza voltargli le
spalle. I burocrati avevano ragione: non era un buon Imperatore, ma
serviva di
certo a modificare le cose, a renderle più malleabili per
loro. Gloria uscì
dalla stanza e corse via. Era tempo che i suoi contatti a palazzo
Imperiale gli
dicessero cosa fare. Se i tempi erano maturi, era il momento di
intervenire.
Ora.
Lo scontro
“Che
tempo inclemente.”
“Già.
Più che inclemente. E’ così da
giorni.”
“Pensate
che cambierà?”
“Se fossi
sicuro che cambiasse ci
scommetterei… Quando arriveranno?”
“Tra
poco. E’ già tutto pronto. Ha altri
ordini?”
“No. Che
l’ospite sia accompagnato
immediatamente nei alloggi che abbiamo preparato. Che nessuno lo tocchi
o
guardi.”
“Sarà
fatto come voi volete, generale:”
Un enorme vetrata
si apriva davanti ai
due uomini che stavano parlando.
La vetrata dava la
vista ad una enorme
distesa di sabbia rossa.
La stanza dove
erano gli uomini era
all’interno di una montagna che si ergeva, improvvisa, nella
pianura che
stavano guardando.
“Spero
che il Rosso abbia eseguito tutto
alla lettera?” chiese il generale.
“Sì,
signore. Anche se ha paura che i
pirati abbiano fatto lo stesso con lui. Continuano ad avere uno strano
segnale
a frequenza variabile che parte dalla nave, ma non sanno da
dove.” rispose
l’altro uomo.
“Da
dove?!” disse il generale “Il Rosso
sta invecchiando. Da dove vuoi che parte, Stoinker, se non dalla
navetta di
salvataggio che i pirati gli hanno mandato con la ragazza.”
“Lo devo
avvisare, generale?” chiese
l’uomo
“No. Mi
piacciono le sorprese. Specialmente
di quel tipo… Fate approntare tutte le misure di sicurezza e
che i Centurion
siano pronti all’intervento. Di sicuro i pirati non
lasceranno niente di
intentato pur di avere quello che vogliono. Ma anche noi vogliamo
qualcosa.
Quella nave... Bene, Stoinker, puoi andare.”
ordinò alla fine il generale.
Stoinker si
allontanò dalla vetrata e
percorse la stanza piena di consolle e militari che vi lavoravano.
Erano passati
alcuni giorni dal
rapimento della principessa,
ed era
strano che l’Imperatore non avesse fatto di tutto per
trovarla. O almeno, così
pareva al generale Poissoun, uomo di navigata esperienza, anche se
età giovane:
aveva circa trentacinque anni galattici standard, ma di guerre ne aveva
fatte
parecchie.
Aveva seguito il
Barone Makarre in alcune
scorribande contro la galassia nemica, di cui l’Imperatore
non sapeva niente,
riportando successi che purtroppo nessun libro di memorie galattiche
avrebbe
mai descritto.
Il generale era un
tipo alto, forse un
po’ troppo, naso aquilino, occhi infossati, atletico.
Il suo aiutante, il
tenete Stoinker, era
invece di statura normale, un tipo qualunque, se non fosse per il fatto
che
sulle mostrine della giacca militare vi era una strana onorificenza: un
aquila
o qualcosa del genere che teneva tra le gambe dei fulmini. Il generale
sapeva
che quell’onorificenza era dell’Imperatore, per
qualche operazione segreta ben
riuscita, o forse mai fatta: già, pensò il
generale girandosi a guardare la
stanza con tutta quella attività febbrile,
l’Imperatore dava onorificenze anche
per non aver fatto niente. Ma Stoinker doveva aver fatto qualcosa, una
tale
onorificenza non si mostrava senza aver combinato qualcosa; ma cosa?
Stoinker era la
spada di Damocle sopra
la testa del generale: riferiva la Barone o all’Imperatore o
a nessuno dei due?
o a quella maledetta setta, la tana della tigre? Poissoun sapeva che
non doveva
fidarsi di Stoinker, ma era il suo aiutante, lo aveva scelto tra
centinaia di
ufficiali che aveva servito sotto il suo comando, e lui lo tradiva.
Poissoun
scollò il capo per mandare via
i cattivi pensieri: ormai era deciso, il Barone sarebbe diventato
Imperatore e
nulla e nessuno poteva fermarli: lui sarebbe diventato capo dello stato
maggiore, un bel salto di grado, e questo a lui bastava.
“Qui
Erstalm… qui Erstalm… chiediamo il
permesso di atterrare…” la voce usciva dagli
altoparlanti posti nella sala.
“Date
loro il permesso… fateli atterrare
sullo spiazzo 21… “ordinò il generale,
guardando fisso negli occhi Stoinker,
che rispose alla chiamata radio della nave.
L’Erstalm
era la copia esatta della nave
dei pirati Excellent.
E copia era un
eufemismo.
Identica, in tutto
e per tutto alla nave
pirata.
Il generale credeva
che il Rosso fosse
impazzito quando gliela aveva comunicato via video conferenza dopo lo
scambio.
Ma capì che qualcosa era successo,
l’imprevedibile, la possibilità che la
leggenda, come la conosceva lui, potesse avverarsi. Il Barone non era
dello
stesso avviso, lui preferiva non pensare a quella leggenda, ma se era
vero,
bisognava impossessarsene, possederla, averla.
L’Erstalm
iniziò la manovra di
avvicinamento all’astroporto militare, provenendo da nord
vero sud, dietro alla
montagna ove vi era il comando: la montagna si aprì,
lasciando uno spiraglio
necessario per il passaggio della nave, poi si richiuse. La nave era
entrata in
una grotta enorme, da cui partivano varie gallerie: si
infilò nella prima
galleria di destra, con cautela.
In fondo alla
galleria la nave trovò lo
spiazzo 21 dove atterrò.
Subito la nave fu
circondata da robot
che la fissarono a terra, mente alcune passerelle veniva calate dalla
nave.
Il generale arrivo
sul posto con il suo
luogotenente utilizzando un ascensore.
Per primo dalla
nave scese un tipo
piccolo, tarchiato, con una chioma di capelli rossi come il fuoco.
“Rosso!”
urlò il generale “Ben
arrivato!” e si abbracciarono.
“Come
stai, Bell! Tutto a posto?” chiese
il Rosso
“Come
sempre. Hai portato tutto?” chiese
il generale
“Sì.
Ma a me non piace rapire
ragazzine.. “così dicendo il Rosso
indicò la ragazza che veniva trascinata giù
dalla nave.
“Non ti
preoccupare. E’ solo un’esca…”
“Come no!
Ma per chi mi hai preso, Bell,
per un.. coso… pesce? L’Imperatore non ha dato
ordini in merito, nessuno la
cerca. Mi è stato più attaccato al sedere quel
maledetto pirata che tutti i militari
dell’Imperatore.” Disse il Rosso
“E i
servizi segreti?” chiese il
generale
“Non sono
stati ancora attivati,
generale!” disse Stoinker
Il generale e il
Rosso lo guardarono.
“Il non
essere ancora attivati non vuol
dire che non funzionino, caro Stoinker!” lo
richiamò il generale
Stoinker
insistette, facendo sbuffare il
generale. “Il non essere ancora attivati è
perché qualcuno sa, qualcuno ha
visto, qualcuno si sta movendo più in fretta di quanto lei
non creda, generale.
Lo sa che tutti stanno cercando un pezzo della leggenda, per vedere se
è vera.”
“Questa
è buona!” urlò il Rosso
“Ancora
quella stupida, insignificante, inutile leggenda. Bell, ma chi vuoi che
ci
creda?”
“Il club
delle amiche .” disse il
generale, guardando torvo il Rosso.
“Le
sceme?” chiese il Rosso, con aria
sorpresa.
“Sì,
signore.” disse Stoinker, girandosi
e dando ordini per portare la prigioniera nel luogo preparato per lei.
Il Rosso
guardò Bell, che fece una stana
faccia.
“Mi mandi
così, alla cieca, e le sceme
cercano… cosa… dove… ma sei impazzito?
Se quelle vengono a sapere di noi siamo
nei guai… lo sai che l’Imperatrice non
perdona… e adesso?” chiese il Rosso.
“Calmati.
Sappiamo cosa sta combinando
l’Imperatrice.” Disse il generale e si
girò seguendo la scorta della ragazza “E
comunque ormai è tardi, non si torna indietro. Se succede
qualcosa, lo sapremo.
Il Barone ha fatto si che qualcuno controlli l’Imperatrice.
Lui sa cosa fare.”
Tagliò corto il generale, mentre il Rosso lo seguiva quasi
correndo.
Mentre
accompagnavano la prigioniera,
successe il disastro.
“Generale,
siamo attaccati!” urlò una
voce negli altoparlanti della base militare.
“Non si
sono fatti attendere troppo quei
miserabili!” disse il generale e così dicendo
corse nella sala comando.
***
“Allora,
dove sono?” chiese il
comandante dell’Excellent.
“Su quel
pianeta, signore. Quello tutto
rosso.”
“Inferno.
Bel posticino che si sono
trovati:” disse il secondo, leggendo una carta di navigazione
alle spalle di
uno degli uomini addetti alle consolle.
“E va
bene. Se la sono cercata. E chi
cerca, trova.” Il comandante era ritto sul ponte di comando e
stava parlando
con voce calma, pensando a quello che era meglio fare.
“Secondo, dia ordine
agli uomini di prendere i Platoon e di attaccare da nord. Noi, con la
nave,
attaccheremo da sud. A est ed ovest le due navi ausiliarie. Che sparino
a zero
su tutto ciò che si muove. Nessuna pietà. Non ci
si comporta così negli
affari.”
“Bene,
signore. Date ordine agli uomini
dei Platoon di muovere da nord. Svelti.”
I Platoon era dei
robot di notevole
stazza, di solito guidati da un solo pilota, con una forza
straordinaria e armi
di notevole potenza di fuoco, con una velocità ciclica
però lenta. Volavano di
solito a pochi metri dal suolo, ma potevano correre e camminare.
L’Excellent ne
aveva dodici, uno dei quali era pilotato personalmente dal vice
comandante, che
per renderlo più cattivo lo aveva fatto colorare di nero,
mentre gli altri
erano colorati con colori sgargianti, di solito rossi o bianchi.
La nave entro
nell’atmosfera del pianeta
e a circa un chilometro di altezza dal suolo
fece uscire i robor, che si avviarono a prendere posizione
a nord della
distesa di sabbia. La nave andò a sud, mentre due navette di
appoggio si
diressero a ovest e a est.
L’attacco
dei pirati fu improvviso e
potente. Il fuoco dei cannoni dei robot e della nave Excellent
colpì in pieno
la montagna ove era entrata la nave Erstalm, facendo breccia nella
apertura
della grotta.
Ma
l’attacco dei pirati non ebbe molto
successo.
All’improvviso
dal nulla comparvero
altri robot, classe Centurion, della stessa classe dei Platoon, solo
più
veloci, e decisamente in numero superiore a quelli dei pirati: il vice
comandante dei pirati ne contò almeno cinquanta.
“Ci hanno
fregato!” disse il comandante,
che dalla sua nave cercava di entrare nella grotta, bombardandola con
cannonata
al laser e centrando le crepe apertesi sulla montagna.
All’improvviso,
almeno quattro navi da
guerra apparvero sopra l’Excellent, costringendola a cessare
il fuoco e ad
arrendersi, entrando nella grotta che tanto impunemente aveva cercato
di
sfondarla.
I Platoon furono
costretti ad entrare
subito dopo la nave, mentre le due navette ausiliare furono distrutte
da un
fuoco incrociato di cannoni laser nascosti tra gli anfratti della
montagna.
La nave pirata fu
fatta atterrare nella
piazzola di fianco alla sua gemella.
Il generale e il
Rosso le ammirarono.
“Identiche!”
disse il generale, mentre
il Rosso annuiva.
I pirati furono
fatti scendere, o
almeno, ci fu una vera e propria rissa per farli scendere.
Il comandante dei
pirati stava
maltrattando tutti quelli presenti sul ponte di comando quando gli
uomini del
generale salirono e ci volle parecchio a mettere a tacere
l’omino, infuriato,
che brandendo il suo bastone come un’arma, dava botte a tutti
quelli che gli capitavano
sotto tiro. Dovettero sparargli un tranquillante con un fucile ad aria
per
calmarlo.
“Maledetti!”
gridava, disperato “Mi
avete tradito!”
“Bene!”
disse il generale, tutto
contento di sé “Il Barone sarà
contento! Le due ragazze, le due navi.. ”
“Calmati.”
Gli disse il Rosso “Non stai
mica mettendo insieme uno zoo. È solo una leggenda.
Ricordatelo prima di finire
male.”
Il Rosso gli
voltò le spalle e se ne
andò, lasciando il generale a rimirare il suo successo
personale. Ma dopotutto,
penso il Rosso, se avesse ragione… forse… no,
meglio di no. Le guerre
fratricide servono ai nemici.
La notte scese su
quella parte del
pianeta, mentre un vento sollevava la sabbia rossa intono alla montagna
e una
strana coppia di personaggi, di lontano, scrutava con dei binocoli la
montagna.
La rabbia
dell’Imperatore
“Allora,
qual’è la situazione?”
“La
principessa Noemi è in mano al
Generale Poissuon, fedele al Barone Makarre.”
“La
principessa Evane è alla tana delle
tigri.”
“La
principessa Gloria è in viaggio con
il Conte Black.”
“Il
Barone Makarre e la sua concubina
Giulia stanno ancora convincendo alcuni burocrati a tradirvi.”
L’Imperatore
ascoltava attentamente il
resoconto dai suoi uomini dei servizi segreti, riuniti in una sala in
una zona
sotterranea del palazzo Imperiale, con la centro un tavolo di forma
ovale
allungata.
Oltre
all’Imperatore vi era il capo dei
servizi segreti militari, il Generale Koisuom, il capo dei servizi
segreti
civili, un certo Houiol, ed alcuni funzionari con ruoli minori nei
servizi segreti,
negli apparati militari e civili dell’Impero.
“Sì,
ho capito. E le sceme?” chiese
l’Imperatore
“Il club
della amiche ha spedito… “disse
un uomo in fondo al tavolo.
“Lo so
cosa hanno fatto. Gli ho dovuto
mandare dietro quell’idiota nullafacente del marito a
controllarla. Ma non
hanno ancora combinato niente. Non trovano niente. Cosa sa
più di noi il
Barone?” chiese l’Imperatore, infuriato per non
avere risposte convincenti.
Il Generale
Koisuom, grosso, impettito
nella sua divisa piena di decorazione, non sembrava molto contento di
dover
dare la notizia.
“Sa chi
sono le due ragazze, le due navi
e le due imperatrici.”
“Ancora
quella maledetta leggenda. Ora
basta.” Tuonò l’Imperatore alzandosi di
colpo dalla sedia, facendola cadere.
”E’ una balla, una storia per i bambini, finita non
so come in quella stupida
cerimonia di fine anno. Basta. Bisogna a tutti i modi che qualcuno
metta fine a
questa storia. Se non riuscite a fermare il Barone con le buone, fatelo
con le
cattive. Non è più un eroe, e solo un malato di
potere, più di quello che gli è
stato concesso. Ponete fine alle sue voglie o ci penserò
io!” L’ultima frase
dell’Imperatore suonò ai presenti come una
minaccia non solo per il Barone, ma
anche per loro.
Era da tempo che
l’Imperatore voleva
mettere fine a quei burocrati che facevano di tutto per mettergli i
bastoni tra
le ruote: l’Imperatore voleva in quel modo migliorare la vita
anche a quei
sistemi solari troppo lontani dall’influenza benevola della
zona Imperiale,
dove burocrati egoisti e cattivi vassalli costringevano la gente a
vivere in
modo quasi disumano, pur di presentarsi davanti al loro Imperatore come
gente
disposta a far qualcosa, ma non aiutati dalla popolazione, a loro
avversa.
L’Imperatore,
da diverso tempo, sapeva
che molti burocrati finanziavano terroristi contrari
all’Impero, e che i suoi
vassalli la prendevano come scusa per schiacciare la popolazione con un
giogo
mortale.
L’Imperatore
lasciò la riunione, seguito
dal suo aiutante.
Gli uomini presenti
alla riunione
guardarono il Generale e l’uomo seduto di fronte a lui.
“Credi di
faccia sul serio?” chiese
l’uomo.
“La tana
delle tigri è in fermento. Il
Conte Black ha quella nuova nave… Sì
“disse il generale pensieroso “penso che
faccia sul serio. Se Doc dovesse decidere di appoggiarlo
definitivamente,
potrebbe fare sul serio. Non possiamo intervenire. Conviene metterci al
sicuro.
Che ognuno di voi avvisi i suoi contatti. L’Imperatore di
persona controllerà
questa crisi. Ditegli di inviarmi relazioni giornaliere su tutto quello
che succede,
specialmente sul pianeta del Barone. E ditegli di tenersi pronti.
Sicuramente
dovranno sostituire quei burocrati che l’Imperatore non
ritiene più
indispensabili.”
“E se
qualcuno scappa, per errore?”
chiese una voce a metà tavolo.
L’uomo di
fronte il generale non ebbe
esitazione “Niente e nessuno deve scappare all’ira
dell’Imperatore. Vivo o
morto.”
Il Generale lo
guardò fisso negli occhi
“Meglio per lui morto che vivo.” Disse, con un filo
di voce.
“Meglio
per lui morto, certo. Non
vogliamo che l’Imperatore sappia più del
necessario.” Disse l’uomo, che si alzò
e se ne andò dalla parte opposta da cui era uscito
l’Imperatore, seguito da
alcune persone che aveva assistito alla riunione.
“Generale.
Non credo che ci si possa
fidare…”
“Taci!”
disse il generale al suo giovane
interlocutore “Ci sono microfoni in questa stanza.”
Il Generale
seguì con lo sguardo l’uomo
che si allontana. Sapeva che era una delle pedine del Barone.
Ucciderlo… buona
idea… ma non avrebbe fermato il Barone. No, meglio vivo, che
dicesse al Barone
quello che voleva. Utile, dire al nemico tutto. Tutto quello che non
deve
sapere.
L’Imperatore,
da una stanza vicina,
aveva sentito tutto. Sapeva di chi fidarsi, non fino a che punto. Ma il
Generale non era un pericolo. L’uomo sì.
Burocrati, pensò. Dietro a lui la
moglie lo chiamò.
“Caro…”
gli disse con tono amorevole.
L’Imperatore
si girò. Ogni tanto
l’Imperatrice lo meravigliava.
“Arrivo.”
Disse l’Imperatore.
Lasciando la stanza
sotto braccio al
marito, l’Imperatrice pensò alle figlie in giro
per la galassia, sicuramente
non in pericolo. L’Imperatore non lo avrebbe permesso.
Il viaggio continua
“Ma tu
guarda dove dovevamo finire…
togliti… “
“Stai
calma, non ci vorrà molto…”
“Come
no… siamo in viaggio da così tanto
tempo che non mi sento più i piedi… mi
dolgono…”
“Ho
trovato un mezzo comodo… di cosa ti
lamenti…”
“Comoda?…
ma ti sei guardata in giro…
Comoda!… sei matta…”
“Non
potevano fare diversamente…non
devono sapere…”
“Ormai
non lo sa nessuno dove siamo…
figurati… quando arriveremo ti pianto… me ne vado
da solo…”
“E dove
vuoi andare senza di me… per noi
non c’è futuro…
ricordatelo…”
“Certo…
prima mi devono prendere… poi ne
parliamo”
“Adesso
basta… io dormo… tu fai la
guardia…”
“Ma chi
vuoi che ci venga a disturbare
qui?”
“Tu fai
la guardai e chiamami tra
quattro ore…”
“Va
bene… fai la guardia… qui…”
Trovato!
Dopo colazione,
Louk e Freddy uscirono
insieme, prendendo la scusa di andare a cercare un mezzo per andarsene
dal
pianeta.
Rachel rimase solo
nella casa, guardando
fuori da una finestra del soggiorno la pioggia che continuava a
scendere
copiosa, con la domestica che stava sparecchiando la tavola e
sistemando le
stanza da letto al piano superiore.
All’improvviso
qualcuno busso alla
porta.
Con un tempo del
genere, pensò Rachel,
chi vuoi che venga qui.
Aprì la
porta e si trovò davanti Haras.
“Fammi
entrare!” disse Haras “Diluvia
ancora su questo maledetto pianeta.”
Haras aveva un
mantello con cappuccio
che la ricopriva completamente fino ai piedi.
Entrando se lo
tolse, bagnando
l’ingresso, e porgendolo a Rachel.
Sotto aveva un
vestito scuro, lungo.
“Non
guardarmi così. Non ho cambiato
idea.” Haras lasciò la stupefatta Rachel in
corridoio e entrò in soggiorno.
Rachel appese il
mantello bagnato ad un
attaccapanni dell’ingresso e seguì Haras.
“So cosa
vuole l’Imperatrice.” Proseguì
Haras, avvicinandosi alla finestra e guardando la pioggia che
continuava a
scendere “Ma lei mi deve permettere di andare via da qui.
Devo lasciare Rodolfo
in qualche maniera. Sono stufa di questo tempo, di un marito stupido,
di non
avere niente da fare tutto il giorno, se non controllare chi mi vuole
morta.
Voglio viaggiare per l’Impero, capisci?” e
così dicendo si girò verso Rachel.
“Ma
prego, Haras, siediti!” gli rispose
Rachel, un po’ preoccupata.
Haras si sedette
sul divano, mentre
Rachel si accomodò su una poltrona.
Ci fu un lungo
silenzio, interrotto dal
ticchettio di un strano segnatempo posto a muro, che ogni tanto
emetteva uno
strano cu-cu. Gli oggetti bizzarri erano il passatempo di Louk, ma
quello…
“Vedi,
cara… “ comincio Haras “ lo so
che l’Imperatrice ha tanto da fare, che il club delle amiche
non può… o non
vuole essere coinvolto in certe faccende… ma se vieni qui e
mi chiedi aiuto,
qualcosa in cambio me lo devi pur dare. Oh, Rachel, non sai che fatica
vivere
su questo pianeta! Rodolfo è impossibile!” cosi
dicendo Haras incomincio a
piangere, asciugandosi gli occhi un fazzoletto molto lavorato, che
aveva nella
manica destra del vestito.
“Certo!
Ma se non eri qui, che cosa
sarebbe stata la tua vita?” le chiese Rachel
“Dopotutto, non sei di famiglia
nobile e qualcuno doveva controllare Rodolfo in questo
posto…”
“Ah,
bene, ora mi rinfacci anche la mia
condizione…”
“No,
Haras. Ti ricordo cos’eri prima che
l’Imperatrice ti facesse sposare Rodolfo. Non lo voleva
nessuno, e un uomo solo
pensa troppo a certe cose…”
“Cosa
vuoi che pensi, quello? Lo sai che
gli piacciono gli uomini? Già. Non lo dire a me. Ormai
è cinque anni che non mi
guarda. E non inventarti scuse sulla mie dimensioni: sono diventata
così per
colpa sua. Non lo vedi: le ragazze nella mia piscina sono nude e lui,
quando
viene a trovarmi, quelle poche volte, non le guarda. Anzi, alle volte
volge lo
sguardo altrove. Non parliamo poi del suo aiutante: sembra una donna.
Mi devi
aiutare Rachel, devo andare via!” insistette Haras.
“Come se
fosse così facile!” gli replicò
Rachel, alzandosi dalla poltrona e sedendosi vicino a lei sul divano.
“Qual
è il problema?” chiese Haras,
preoccupata.
“L’Imperatore
vuole che Rodolfo rimanga.
Gli è fedele. E in questa zona della galassia non vuole
venire nessuno a
comandarla. Troppi problemi con la popolazione, troppo diversa. E non
c’è
nessun di questa regione nel consiglio. Solo nelle delegazioni.
Purtroppo ,
senza Rodolfo, questa zona sarebbe alla sbando, e sai come
l’Imperatore Touk
continui a pungolare Rodolfo per farlo passare dalla sua
parte.”
“Ma Touk
è dell’altra galassia! No, il
problema non è Touk. Il problema è Makarre. Non
so cosa gli sia preso. Continua
a chiamare Rodolfo, a fargli domande su una cosa strana…
aspetta… ah, sì… la
giara della verità… ultimamente continua a
chiamarlo per sapere chi la deve
aprire e quando. Non so il perché, ma continua a chiederlo
in maniera insistente.
Tu sai cos’è?” chiese alla fine Haras.
Rachel la
guardò preoccupata. Si alzo
dal divano e cominciò a passeggiare avanti e indietro per la
stanza. Haras
cercò più di una volta di fermarla, con un cenno,
per capire, ma Rachel era
immersa nei suoi pensieri.
“Hai
detto che gli chiede della giara
della verità. Ma che ne sa Rodolfo della
giara?…” Rachel si era fermata nel
mezzo della stanza, con fare preoccupato.
“E’
quello che dico anch’io. Non ho mai
sentito parlarne di…”
“Tu non
devi neanche sapere che esiste.
Solo l’Imperatore e i suoi diretti successori sanno della
giara. Ascolta..
“disse Rachel, sedendosi ancora sul divano di fianco a Haras
“devi
assolutamente sapere tutto quello che tuo marito o il Barone Makarre
sanno
della giara. Forse non è la leggenda che Makarre vuole, ma
la giara.”
“Sì.
D’accordo. Ma io… non voglio
più…”
Rachel interruppe
la donna, ponendogli
il dito indice della mano destra sulle labbra.
“Tu
preoccupati di farci avere notizie,
e io mi preoccuperò affinché
l’Imperatrice pensi a te. Adesso vai.”
Così
dicendo, Rachel l’aiutò ad alzarsi dal divano e la
sospinse verso l’uscita. “Ti
farò sapere io.”
Rachel porse il
mantello ad Haras, che
incredula, se lo indossò ed uscì sotto la pioggia.
Mentre la pioggia
scemava e un pallido
sole, ormai al tramonto, faceva capolino tra le nuvole, Louk e Freddy
rientrarono a casa.
“Trovato!” Disse Louk entrando in
casa, seguito da
Freddy che irruppe in casa sospingendo Louk. I due si misero a ridere,
mentre
Rachel, scendendo le scale, gli andò incontro.
“Trovato
cosa?” chiese Rachel mentre si
aggiustava la camicetta.
“Hai
visto!” Disse Freddy “Noi a
lavorare e lei a dormire.”
“Trovato
cosa?” richiese Rachel,
stizzita.
“Makarre
è in combutta con l’Imperatore
Touk della vicina galassia. Vogliono detronizzare
l’Imperatore ed ampliare il
controllo di…” Louk si fermò.
Guardò la moglie stupito: sembrava che non lo
ascoltasse, continuando a sistemarsi la camicetta.
Feddy si era
già tolta il mantello e lo
aveva deposto sulla sedia, all’ingresso, ed era entrata nel
soggiorno. Si girò
a guardare Louk che si era fermato a metà del discorso, con
in mano il laccio
del mantello mezzo slacciato.
Tornò
indietro e vide Rachel che si
stava ancora sistemando la camicetta.
“Cosa sai
che io non so?” chiese Louk,
guardando la moglie con fare sospettoso ed interrogatorio.
“Niente,
caro.” Disse lei, finendo di
allacciare l’ultimo bottone e dirigendosi in soggiorno.
Freddy se la vide
passare di fianco
mentre dalle labbra di Rachel usciva un sorrisetto ironico e Louk la
seguiva
con lo sguardo , impietrito all’ingresso.
“Chi ti
è venuto a trovare?” chiese
Freddy.
“Haras.”
Rispose Rachel
Louk
finì di slacciare il laccio del
matello, che lasciò cadere per terra, e di diresse verso la
moglie, mentre sul
volto di Freddy la meraviglia era molto evidente.
“Haras,
qui?” chiese Louk
“Perchè?”
gli fece eco Freddy
“Sapete
com’é. E’ stanca del marito, di
questo posto… la noia… i
tradimenti…” disse Rachel con fare superiore.
“Non
è possibile. Cosa gli hai promesso,
o meglio, cosa gli ha promesso il club della amiche?” chiese
Louk, mentre
Freddy gli si avvicinò alle spalle e squadrò
Rachel, che si stava versando da
bere in un bicchiere nero da una caraffa piena di un liquido rosso.
Rachel prese il
bicchiere, lo guardo
come se cercasse qualcosa nel bicchiere, sorseggiò il
contenuto e, con una luce
negli occhi decisamente di una che l’aveva combinata
furbescamente grossa,
disse: “Niente. All’Imperatrice di Haras non gli
importa niente. Al club delle
amiche meno che meno. Non sa stare al suo posto, fa quello che vuole,
sempre…
No, miei cari, Haras sa che qui dovrà vivere e morire, ma ci
prova… e ci
proverà finché avrà vita. Ma sapete
com’è l’Imperatrice: una volta tradita
la
sua fiducia, niente e nessuno può fargli cambiare
idea.” Sorseggiò ancora dal
bicchiere e si diresse ad una poltrona, dove si sedette con eleganza,
facendo
volteggiare la sua lunga e larga gonna nera con ricami rossi.
“Haras spera che
l’Imperatrice la perdoni, ma ormai è passato tanto
di quel tempo che
l’Imperatrice non sa neanche più che esiste. No,
non gli ho promesso niente, ma
lei spera… Comunque (continuò Rachel dopo un
sospiro) la vera notizia è che
qualcuno sa della giara della verità e potrebbe
impossessarsene. Avete trovato
un mezzo per andare via?” chiese infine Rachel.
Freddy si
avvicinò al tavolo, si verso
anche lei in un bicchiere nero il liquido della caraffa e lo
trangugiò d’un
fiato.
“Tutta
fatica sprecata.” Disse dopo
essersi asciugata la bocca con la maniche del suo vestito.
Louk la
guardò mentre compiva quel gesto
così sconsiderato, almeno per le donne di corte, e Freddy
ricambio con un cenno
scontroso del capo.
“Si.
Abbiamo trovato un mezzo.” Disse
Louk, emettendo un sospiro e guardando la moglie, che se la stava
tranquillamente ridendo, con quel sorrisetto beffardo che non si era
mai tolta
dal viso. “Domani partiamo. Prepariamo i bagagli.”
Così dicendo Louk si girò
per andare al piano superiore. “Oh cara..” disse
voltandosi verso la moglie “..
non ti dispiace se Freddy viene con noi, vero?”
“Figurati,
caro.” Disse beffardamente la
donna “Come posso rifiutare un passaggio a sua
signoria.”
“E’
pronto da mangiare.” La vecchia
domestica apparve dal nulla.
Louk
trasalì.
“Va bene.
Adesso arriviamo.” Rispose
Freddy.
La notte stava
giungendo su quel pianeta
dimenticato da tutti.
Freddy, Louk e
Rachel si accomodarono
nel soggiorno a cenare.
Nel palazzo la vita
scorreva come al
solito, tra le mollezze e le agiatezze che solo le persone ricche sono
abituate
a sopportare.
La popolazione del
pianeta da una parte
trascorse le serate come al solito, dall’altra si preparava
ad un nuovo giorno.
Ma qualcuno, nello
spazio, controllava e
voleva sapere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** La guerra dei burocrati ***
La riunione
Il tempo scorre,
imperterrito,
inconsapevole, inutile: passa veloce o lento, misurato, indifferente
degli
eventi che lo compongono. Il rapimento della principessa Noemi fece il
giro
della galassia lentamente, irrefrenabile.
Quando tutta la
galassia lo seppe, era
ormai passato un mese, e nulla si muoveva.
O almeno, nessuno
voleva che niente si
movesse.
L’Imperatore
e l’Imperatrice
continuavano la loro vita, come se niente fosse accaduto.
I burocrati,
più o meno fedeli
all’Imperatore, non ne parlavano. Ma ne erano preoccupati. Un
capo divisione
per l’immigrazione e uno addetto al controllo della navi
spaziali private
furono trovati morti nei loro appartamenti, apparentemente suicidi.
Ma i servizi
segreti non se ne curarono,
non investigarono.
L’Imperatrice
lo seppe per caso,
confabulando con le sue amiche.
Quando ne
parlò con il marito, lui fece
finta di niente, non era importante: o almeno, per lui era importante
che la
moglie non si innervosisse più del necessario. Era ovvio,
ormai, che qualcuno
stava movendosi verso una direzione ben precisa, ma ancora da capire.
Dal pianeta su cui
erano stati mandati,
Louk e Rachel partirono nello stesso modo in cui erano arrivati, con
più
interrogativi che risposte. Tornarono al pianeta
dell’Imperatore e riferirono ognuno
al suo mandate.
Freddy, invece, se
ne guardò bene di
tornare dall’Imperatrice.
Non ebbe il
coraggio di fare ciò che
Louk gli aveva chiesto: non era un killer.
Partita dal
pianeta, usando vari navi
spaziali, che trasportavano materiali vari per la galassia, si fece
portare
alla tana delle tigri.
Riferì
direttamente a Doc.
Alla tana delle
tigri, intanto, erano
arrivati anche il Conte Black e Giulia, che Freddy fu ben felice di
vedere sana
e salva.
Doc decise di
indire una riunione, per
discutere degli avvenimenti dell’ultimo mese, alla presenza
di tutti i
protagonisti.
“E’
davvero il caso di indire una
riunione con tutti?” chiese il Conte Black a Doc.
“Di
più mio caro. Siamo obbligati a fare
una riunione. Devo chiarirmi le idee. E’ tutto ancora
così… fumoso…
incontrollabile… Vedremo.” Disse Doc, calmo come
sempre.
Samuel
incrociò Black in uno dei
corridoi della tana.
“Cosa
vuole fare Doc? Perché vuole
indire una riunione generale?” chiese Samuel a Black.
“E che ne
so? La vuole fare per capire.
Vallo a capire!”
Samuel fece
spallucce e si diresse verso
una della stanze della tana.
Nella stanza trovo
Angel, sdraiata su un
divano, che stava leggendo, su un video di ridotte dimensioni, un libro.
“Cosa
leggi?” chiese Samuel
“O,
niente di interessante… uno strano
libro… La storia di Don Chisciotte della Mancha.. che tipo
strano. Divertente…
che c’è, Samuel, qualcosa che non va?”
Chiese Angel, girandosi a guardare
Samuel.
“Black ha
detto che Doc vuole fare una
riunione con tutti. Strano. Vuole capire… quando mai Doc ha
fatto una riunione
per capire? A lui non serve…”
“Capire?”
concluse Angel
“Sì.
Capire. Se sa già tutto, cosa deve
capire?” Samuel sembrava angosciato.
“Non
è che vuole prendere tempo? Sai,
magari… no, non è possibile.”
“Cosa non
è possibile, Angel?” chiese
Samuel, sedendosi di fianco ad Angel.
“La
storia della giara. Dopotutto, se è
vero che solo il diretto discendente può guardare dentro la
giara, chi è il
diretto discendente?”
“Noemi!”
Rispose Samuel, ma si accorse
di averne detta una troppo grossa.
“Giulia.
E’ lei la primogenita. Che
scioccone!” Disse Angel, ridendo forte. Samuel era rimasto
imbambolato, quasi
non capendo. Angel smise di ridere e lo guardò.
Anche Samuel,
ancora sbigottito, guardò
Angel.
“ E
allora, perché hanno rapito Noemi?”
dissero insieme.
***
La riunione fu
organizzata in meno di
una settimana.
La grotta della
tana era piena di
personaggi provenienti da tutta la galassia. O anche da oltre.
Evane
entrò nella sala con tutti gli
altri: Samuel, Angel, Black e Giulia e si accomodarono su alcune
scranni
scavati nella roccia posti in fondo alla sala. Roson, l’orso,
ed Elsa, la
tigre, si accucciarono ai loro piedi.
In faccia a loro
c’erano gli scranni
degli anziani della tana: Doc sedeva nel mezzo, negli altri undici
posti vi
erano personaggi provenienti da tutte le parti della galassia. Ma Evane
noto
che la metà degli anziani non era di quella galassia.
Dietro agli
anziani, nei palchi posti ai
vari livelli all’interno dalla grotta, vi erano i saggi.
Gli altri palchi si
stavano rapidamente
riempiendo di vari personaggi, in modo rumoroso: sembrava che fosse
parecchio
che non si incontravano e, qualcuno, in modo decisamente gioviale,
salutava
persone presenti sui palchi dall’altra parte della sala.
Doc, in piedi, richiamò tutti
all’ordine.
“Signori…
signori… prego…
incominciamo…”
la sua voce rimbombò all’interno della grotta.
Il vociare
terminò.
“Siete
stati chiamati per capire cosa
sta in questo momento capitando nella nostra galassia. Capisco che per
molti di
voi ciò può risultare insignificante, ma
nell’ordine delle cose, può essere che
le aspettative di molti di coloro che abitano questa galassia non siano
esattamente ciò che in pochi vogliono per se stessi.
E’ necessario verificare i
fatti, confrontarli, capire ed infine intervenire per contrastare chi
vuole
modificare a suo solo vantaggio le cose.”
Doc si fermo,
volgendo lo sguardo a
tutti i settori della sala, cercando segni di consenso o di diniego da
parte
dei partecipanti. Nessuno fiatò.
“I fatti
sono semplice. La principessa
Noemi, figlia dell’Imperatore di questa galassia, ma non sua
erede al trono, è
stata rapita. Da chi non ci è dato ancora di
saperlo… (un improvviso brusio
percorse tutta la sala e Doc si fermò) Sì, lo
so… (continuò Doc, movendo le
mani per far tacere il brusio) che voi credete che… quella
persona.. (il brusio
diventò insopportabile e Doc si fermò)”
“Basta!”
urlò una voce in uno dei palchi
dietro a Doc.”Fate silenzio… (Il brusio
terminò) Continui, Doc!” disse infine
l’interlocutore.
“Come
dicevo, so che voi credete che
quella persona sia implicata, e di certo non posso darvi torto. Ma noi
sappiamo
che non è così. Notizie certe ci dicono che
alcuni burocrati dell’Impero di
questa galassia e di quella a noi vicina, nemica da tempi immemorabili,
sono in
combutta. La giara è in viaggio e se il successore non
potrà riceverla al
momento previsto, non si potrà avere la successione.
E’ necessario che il
successore ci sia a ricevere la giara.”
Tutti guardarono
Giulia.
“Peccato
che non sia lei!” Disse Doc e
il brusio della sala fu incontrollabile. “Peccato che non sia
lei, che non sia
sua sorella Noemi, che non sia Evane, sorella
dell’Imperatore. Peccato che
Makarre con l’Imperatore Touk stia tentando di prendere il
potere, senza
ragione. Per fortuna. No! Il successore dell’Imperatore
presto sarà raggiunto
dalla giara della verità. (Nella grotta le voci di protesta
e di stupore si
alzarono alte) Vi prego… vi prego…
signori… silenzio… “ La tigre Elsa
alzò il
muso interrogatorio verso Doc, mentre l’orso Roson si era
messo seduto.
“Silenzio!”
urlò la voce dietro a Doc e
il silenzio calò come un mannaia nella grotta, un silenzio
inspiegabile e
preoccupante.
“Vi
prego. Capisco.” Continuò Doc
“Capisco che la cosa vi preoccupa. Capisco anche te, Elsa. E
anche la tua
meraviglia, Roson. Ma d’altronde era necessario. Ormai la
casa Kioun ha finito
il suo ciclo. E’ necessario che altri proseguano, dopo
l’Imperatore Federikson,
a comandare questa galassia. Necessario. L’Imperatore Touk
sta tentando, di
fronte all’impossibilità dell’attuale
Imperatore di opporsi ai burocrati, di
prendere il comando tramite Makarre. Ma noi non possiamo permetterlo.
Makarre
non può prendere il comando di questa galassia. Sarebbe
troppo pericoloso.
Comunque, non vi preoccupate. La giara ha ancora molto da viaggiare per
essere
consegnata. Per il momento, è necessario liberare Noemi,
bloccare Makarre e
l’Imperatore Touk nel loro tentativo di prendere il comando
della galassia. Per
questo, a Makarre ci penserà il Conte Black. A liberare la
principessa ci
penseranno la principessa Evane, il Duca Samuel Costa Rica e Angel
Costa Brava.
In ogni caso, dobbiamo fare in modo che quando vi sarà la
successione, la
galassia rimanga comunque unità, per questo è
necessario che Invicible sia noto
a tutti che può arrivare a bloccare qualsiasi rivolta che
potesse esplodere
nella galassia. Capisco che la decisione è dura, ma
necessaria. Ben sapete il
perché, e gli anziani sono tutti
d’accordo.” Il vociare dei presenti costrinse
Doc a fermarsi, perché il rimbombo nella grotta era
diventato insopportabile.
Il solito
personaggio nascosto nel palco
alle spalle di Doc intervenne.
“Silenzio!
E’ necessario! La decisione è
stata presa!”
Il brusio
terminò. Evane si guardò
intorno.La sua dinastia era arrivata alla fine, dopo così
tanto tempo. Ma
perché Doc era stato così duro? Perché
era necessario? Avrebbe voluto chiederlo
a Doc, ma la riunione era finita e molti si allontanarono dalla grotta.
Doc
sparì agli occhi di Evane dietro a numerose toghe
incappucciate.
La tigre Elsa
guardò Gloria, che aveva
gli occhi piani di lacrime. Gli appoggiò il muso sulle
gambe, ma Gloria la
respinse in modo brusco. Elsa non capì. Dopo tutto le era
stata fedele, la
aveva difesa da qualsiasi malintenzionato, perché la
trattava così?
L’orso
Roson guardò il Conte Black, che
stava parlando con Samuel ed Angel. Black non sembrava poi
così molto sconvolto
dalla notizia.
Evane con capiva.
Tutto sembrava
inutile. Seduta nel suo scranno, guardava i vari mantelli passare, il
cappuccio
calato sul viso dei vari personaggi, che tra di loro si riconoscevano ,
ma non
volevano farsi riconoscere.Si sentì male. Dopo qualche
attimo, Angel le si
avvicinò, scotendola dal suo torpore con la mano appoggiata
sulla spalla.
“Perché?”
Chiese Evane a Angel.
“Lo so
che non ti è stato spiegato. Ma
ti devi fidare. La tana lo fa per il bene della galassia. Il potere,
Evane, il
potere di un solo uomo non serve alla galassia. Non serve a nessuno. La
gente
che la abita, che ogni giorno si alza in tutti i mondi che la
compongono e
lavorano, piangono, gioiscono, solo quello è importante. Le
nostre stesse vite
non sono così importanti. Per il bene del futuro della
nostra galassia, è
necessario cambiare, affinché nella cambi. Per gli altri,
ovviamente.” Le disse
Angel, sorridendole, per tranquillizzarla.
Evane
annuì, silenziosa, ed abbassò il
volto. Né lei, né suo fratello Imperatore erano
così importanti come coloro che
vivevano nella galassia. Senza quei miliardi di persone che vi
vivevano, l’Imperatore
non avrebbe avuto ragione di esistere. E pure senza il consenso di quei
miliardi di persone.
Angel
andò a consolare Gloria. Ma ormai
Gloria era in preda ad una crisi di nervi. Il Conte Black prese Gloria
in
braccio, quasi svenuta, e la portò via.
Mentre Evane si
alzava dal suo scranno,
riconobbe Freddy che usciva con un gruppo di toghe da una uscita
secondaria.
“Strano.” Pensò ”Anche lei
qui. Non sembrava preoccupata.”
Evane
scrollò le spalle e si avviò a
seguire Angel. Se era tempo di cambiare conveniva stare almeno dalla
parte
giusta. Forse.
L’altra
riunione
La luce
entrò nella stanza da una tenda
scostata dalla finestra, andando a colpire il volto di Louk. Ma lui era
sveglio
già da un po’. Si girò e vide il volto
di Rachel. Stava ancor dormendo, beata,
come se nulla potesse darle fastidio. Louk, però,
notò un lieve spostamento
della palpebra destra di Rachel. Lei aprì
l’occhio, guardò Louk e scoppio a
ridere.
Louk e Rachel erano
in un letto a
baldacchino, nudi, sotto un copriletto bianco, lavorato a mano.
Louk si infilo
sotto alle lenzuola,
abbracciando forte Rachel e trascinandola sotto anche lei.
La lotta sotto le
lenzuola durò poco: un
calcio di Rachel colpì Louk, che saltò fuori dal
letto nudo e dolorante,
tenendosi il linguine e rotolando per terra.
Rachel lo
seguì, nuda, cercando di
calmarlo: in quel mentre qualcuno entro nella stanza senza bussare.
“Buongio…”
iniziò la ragazza, che come
ogni mattina svegliava la coppia, spostando le tende e facendo entrare
la luce
nella stanza.
“Sì…
sì… adesso fuori!” Le disse Rachel,
per niente imbarazzata della situazione.
La ragazza
girò sui tacchi e usci,
chiudendo dietro di sé la porta.
La stanza ritorno
nella penombra, mentre
Rachel aiutava Louk ad alzarsi e a tornare nel letto. Il fiato di Louk
era
pesante, ansimante, e Rachel cercava di calmarlo, mentre lui la
guardava con un
sguardo che urlava vendetta.
Rachel indosso la
sua vestaglia blu
cobalto, si avvicinò ai pesanti tendaggi e li apri, facendo
entrare la luce del
mattino nella stanza.
A Louk
passò in fretta il danno
provocato dal colpo, ma rimase nel letto.
Rachel lo
guardò divertita, poi si
avvicinò ad un video appeso al muro, lo toccò con
le dita e un menù apparve sul
video. Rachel con l’indice toccò
“servitù” e sul video apparve il volto
della
ragazza che era entrata nella stanza.
“Dica,
signora… ha bisogno?” chiese la
ragazza.
“Sì,
Ramona. Potresti portarci la
colazione? Grazie.” Le disse Rachel
“Sì…
signora.” Rispose la ragazza.
Il video divenne
trasparente. Rachel si
girò verso Louk, che si era alzato ed aveva indossato una
vestaglia nera.
Rachel
cercò di avvicinarsi, ma Louk gli
fece un cenno che non ammetteva repliche: stai lontana.
Rachel sorrise, ma
capì; a Louk non
piaceva molto essere maltrattato.
Ramona
bussò prima di entrare: Rachel si
avvicinò alla porta e la aprì.
“Posso
entrare?” chiese Ramona “Il
signore è vestito?”
“Entra,
entra Ramona.” Disse Louk.
Ramona spinse
dentro il carrello pieno
di cibo e se ne andò subito, con aria indifferente.
Rachel chiuse la
porta dietro a lei, ridendo.
“Tra poco
lo saprà anche l’Imperatore!”
disse Rachel ridendo.
“Bello.
Oh, bello davvero. A casa
dell’Imperatore doveva succedere. E’
l’ultima volta che ti do retta. Dovevamo
già essere a casa nostra. Ma no, scherzi, lei deve parlare
con l’Imperatrice.
E’ ormai più di un mese che siamo qui! Ora
basta!” Urlò Louk, infuriato.
“E’
inutile stare qui. Mangiamo e poi partiamo.”
“Louk,
non posso!” Disse Rachel
“Io
parto.” Disse Louk. “Tu se vuoi
rimani. Ho da fare.”
Louk prese una
focaccia dal carrello, se
la infilò in bocca e se ne andò in bagno.
Rachel si era
appena servita da mangiare
e si era seduta al tavolo circolare presente nella camera, quando il
video si
accese e apparve l’Imperatrice.
“Buongiorno,
Rachel. Come va
stamattina?”
“Non
bene.” Disse Rachel, alzandosi dal
tavolo e facendo una riverenza all’Imperatrice.
“Sì,
capisco. Louk vuole andarsene.
D’accordo.” Disse “Parti con lui. Forse
sarai più utile a casa che non qui.”
Rachel
annuì e il video si spense. Si
risedette al tavolo per finire la colazione.
Louk rimase
più di un’ora nel bagno.
Quando
uscì trovo la moglie vestita con
lo stesso vestito che aveva usato per andare sul pianeta Neerg.
“Hai
cambiato idea?” le chiese Louk.
“Sì.
Ti dispiace?” lo rimbeccò Rachel.
“No.
Andiamo.”
Presero le valige
che Rachel aveva
preparato ed uscirono dalla stanza.
Louk si
voltò a guardare la stanza. Sul
carrello del cibo gettò una parallelepipedo lucente.
L’oggetto
tintinnò cadendo sul carrello.
Rachel
sentì il rumore e si giro verso
il marito.
“Cos’era
quel rumore?” Chiese Rachel.
“Oh,
niente. Le solite orecchie
indiscrete.” Rispose calmo Louk.
Rachel si
rigirò e prosegui per il lungo
corridoio su cui si affacciava la stanza che avevano lasciato.
Louk dovette
correre per stargli dietro.
Louk e Rachel
presero la loro nave,
posteggiata da ormai alcuni mesi nell’astroporto privato
dell’Imperatore: un
onore dato solo ai più alti ranghi dell’Impero.
Il responsabile
dell’astroporto segno
sul suo computer la partenza della nave.
L’Imperatore
era nel suo ufficio, quando
la segnalazione della partenza della nave di Louk arrivò sul
suo computer, nel
suo ufficio privato.
Si alzò
dalla scrivania e guardò fuori.
La nave di Louk, una nave da battaglia del tipo Jiok, nera, si stava
alzando in
volo.
L’Imperatore
si strofinò il mento,
pensieroso.
***
“Allora.
Cosa facciamo?”
“E’
inutile insistere. Non ne vuole
sapere. Non vuole sostituire le persone che d’ora in poi
verranno per qualsiasi
motivo uccise o trovate uccise. Dice che i posti verranno presi dai
loro
diretti subalterni. Che fregatura!”
“Calmati.
Adesso dobbiamo fare in modo
che accetti necessariamente che la sostituzione avvenga per nomina e
non per
successione. Ci deve essere il sistema di farglielo
accettare.”
“Non
esiste qualcosa nei meandri delle
leggi?”
“No. Non
esiste.”
“Oh…
esiste. Uccidiamo i subalterni più
diretti. Li sostituiamo. Uccidiamo i capi…”
“E il
subalterno diventa il capo. Bella
idea. Ma ci vorrà tempo.”
“Troppo.
Ma è l’unico sistema. Ci
conviene muoverci. I consigliere dell’Imperatore e
dell’Imperatrice se ne sono
andati oggi. Non torneranno per almeno sei mesi. Conviene intervenire
intanto
che non sono qui.”
“Bene.
Pensi che Ma…”
“Niente
nomi. Idiota! Andiamo via di
qui.”
***
L’Imperatore
indisse una riunione tra i
capi dei servizi segreti nella sala nel sotterraneo.
A tre mesi dal
rapimento della ragazza,
niente si era mosso ancora. O, almeno, l’Imperatore non aveva
voluto che niente
si movesse.
Il Generale Koisuom
e il Signor Houiol
sedevano uno a destra ed uno a sinistra dell’Imperatore,
mentre tutti i loro
dirigenti dei vari settori sedevano, ognuno per le sue competenze,
dalla parte
del loro superiore.
L’Imperatore
guardò sia a destra che a
sinistra, prima di iniziare la riunione. Alcune facce erano nuove: due
o tre,
pensò l’Imperatore. Il nemico si stava movendo in
fretta.
“Bene,
signori, notizie?” chiese
guardando il generale alla sua destra, ma la voce che gli rispose
giunse da
sinistra.
“Siamo in
attesa di vostri ordini, mio
Imperatore.” Disse il signor Houiol.
“Esatto.”
Disse il Generale, che l’Imperatore
stava ancora guardando.
“Interessante.
Peccato che ho detto di
non muoversi e di trovare mia figlia. L’avete
trovata?” chiese l’Imperatore.
“Sì.”
Disse il Generale. “Sappiamo dov’è
e con chi é. Non si sono mossi. Attendono ancora
ordini.”
“Bene.
Nessuno si muova. Controllateli.
Che una formazione di attacco si piazzi nella zona e nel caso di una
loro fuga…
catturateli! In caso di resistenza, portatemi solo mia figlia.
Viva!”
L’Imperatore serrò forte le mani, guardando i
presenti nella stanza.
“E per
Makarre e l’Imperatore Touk?”
chiese il signor Houiol.
“Dopo.”
Disse l’Imperatore dopo una
breve pausa. “Dopo. Adesso serve che voi fermiate la morte
inutile dei
burocrati. Vedo tra di voi facce nuove. Spero che siate fedeli al
vostro
Imperatore… Sarà meglio Generale che tutte le
persone nuove in questa sala
siano controllate. Anzi, meglio, niente più facce nuove, in
questa stanza.
D’ora in poi le riunioni verranno fatte solo con persone che
hanno già iniziato
questo lavoro. Agli altri non sarà ammesso accedere a queste
riunioni.”
L’Imperatore
si alzò ed uscì dalla
stanza.
Il generale e il
suo dirimpettaio
guardarono le facce dei loro collaboratori. Tre delle persone presenti
furono
invitati dal Generale a seguirlo.
“Vi
conviene trasferirvi tutti al centro
comando fino alla fine della crisi. Siamo tutti in pericolo di
morte.” Disse il
signor Houiol a coloro che erano rimasti nella stanza.
Ci fu un vociare di
proteste, che si
interruppe quando il viso del signor Houiol divenne scuro.
“Anche i
vostri cari. Per sicurezza,
ovviamente.” Concluse.
La riunione fu
sciolta e i funzionari
uscirono dalla sala. Tranne il signor Houiol. Si accese un sigaro, che
aveva
tolto da una tasca interna della sua giacca, e l’accese con
un accendino enorme
e nero.
Il fumo della prima
boccata invase la
stanza.
Rimase
lì, pensieroso, in quella enorme
sala, a pensare al da farsi.
Anche uno dei suoi
diretti funzionari
era morto. E lui aveva deciso di non sostituirlo. Ormai il disegno del
nemico
era chiaro, e lui era intervenuto, drasticamente. Nessun successore.
Nessuna
possibilità di sostituirlo se non uccidendolo. E
l’Imperatore non lo avrebbe
sostituito.
Meglio
così, pensò.
Si alzo dalla sedia
ed uscì, fermandosi
sull’uscio. Si voltò, e vide
l’Imperatrice entrare.
Si guardarono un
attimo.
Quanto sapeva il
club delle… amiche o
sceme, come piaceva chiamarle all’Imperatore, di quello che
stava succedendo?
pensò Houiol. Troppo, sicuramente. Ma erano talmente fedeli
all’Imperatrice e,
quindi, all’Imperatore, che qualsiasi cosa avessero fatto,
era il benvenuto.
Qualsiasi aiuto.
Hoiuol saluto
l’Imperatrice con un
inchino ed usci.
L’Imperatrice
sentì l’odore del sigaro
del signor Houiol. Si sfregò il naso. Quel puzzo
insopportabile. Ma non poteva
smettere? L’Imperatrice controllò che non ci fosse
nessuno. Si inchinò e cerco
sotto il tavolo.
“Sei la
solita ficcanaso!” L’Imperatore
le giunse alle spalle senza farsi sentire.
“Oh caro,
sai com’é. Sto cercando un
orecchino che ho perso, ma non mi ricordo dove. Che ci vuoi fare. Lo
cercherò
altrove.” Così dicendo porse la mano destra
all’Imperatore perché la aiutasse
ad alzarsi, ma l’Imperatore la lasciò li
dov’era e si sedette sulla poltrona,
che l’Imperatrice aveva scostato per cercare sotto il tavolo,
guardandola con
fare circospetto.
L’Imperatrice
si sedette sul pavimento
di marmo, alzando le vesti e mostrando le lunghe game affusolate.
“Ha
ragione, Louk. Tu e Rachel, ogni
volta che siete in difficoltà, mostrate le vostre grazie.
Allora, dimmi, cosa
cerchi, questo?” disse l’Imperatore, mostrando alla
moglie un parallelepipedo
lucente.
L’Imperatrice
parve imbarazzata, ma si
trattenne: il suo autocontrollo era insuperabile e molte volte aveva
avuto modo
di dimostrare che gli insegnamenti ricevuti avevano fatto il loro
dovere.
“Ma cosa
dici, caro? Io cercare
quell’aggeggio? Non so neanche cosa sia.” Disse la
donna, sorridendo al marito.
L’Imperatore
non era molto contento
della risposta della moglie e decise di passare all’attacco.
Si sedette sul
pavimento vicino a lei, e
gli passo le mani sulle gambe.
“Caro…
ti prego… qui no…”
“E
perché no. E’ l’unico posto dove non
l’abbiamo ancora fatto.”
L’Imperatore
passo all’attacco e
all’Imperatrice non poté far altro che arrendersi.
Era sempre così focoso
quando voleva.
Nessuno dei due
fece caso al tempo che
trascorreva lento, inesorabile.
Quando la foga
dell’Imperatore finì e le
voglie dell’Imperatrice cessarono, i due erano nudi sul
pavimento di marmo,
freddo come una lastra di ghiaccio.
“Cosa
vuoi, caro?” Disse l’Imperatrice,
mentre si alzava dal freddo pavimento e si sedava su di una sedia,
certamente
più comoda e più calda.
L’Imperatore
era di schiena sul
pavimento e guardava il soffitto.
“Cosa
sai, tu e il tuo club delle..”
“Sceme?”
L’Imperatrice non gli fece
concludere la frase “Sai, so che la giara della
verità è in viaggio per il tuo
successore, (fece un sospiro) peccato che non sia una delle tue
figlie.”
L’Imperatore
si alzo, gettando alla
moglie i suoi vestiti e incominciando ad indossare i propri.
“Caro.”
Disse l’Imperatrice “Queste sono
tue.” Lanciandogli un paio di slip, che gli finirono sulla
testa, provocando
l’ilarità dell’Imperatrice.
L’uomo,
con un gesto di stizza, se li
tolse dal capo e li indosso.
“Così
il tempo è venuto. La nostra
dinastia si ferma qui. A chi toccherà
sostituirmi?” disse l’Imperatore.
“Non si
sa. Lo sai che non è concesso a
nessuno di saperlo.”
“Tranne
alla tana delle tigri, o meglio,
a Doc. E’ lui che decide a chi va la giara, no?!”
disse l’uomo, finendo di
vestirsi.
La donna
finì di vestirsi e si diresse
verso l’uscita.
“Non ti
serve?” Le chiese il marito,
tenendo il mano il parallelepipedo.
“No. Ho
saputo quello che mi serviva.
Vogliamo andare?” disse la moglie, facendo segno al marito di
seguirlo.
“Già.
Ma io non sono lo scemo del
villaggio. Spera che non venga mai a sapere cosa state combinando. Non
vorrei
venire a sapere che qualcuno ha deciso per me.”
“Non ti
preoccupare, caro. Prima il bene
della galassia, te lo ricordi. Sempre prima il bene della
galassia.” Disse la
donna in modo amorevole, rimarcando le ultime parole.
L’Imperatore
offrì il braccio
all’Imperatrice ed uscirono dalla sala.
A terra rimase, non
vista, un collant.
Qualcuno, subito
dopo l’uscita della
coppia, lo raccolse.
E il viaggio non si
ferma
“Allora…
ti muovi…siamo in ritardo…”
“Sì…
lo so… in ritardo e lontano… ma chi
se ne frega… a chi vuoi che interessi?”
“A
me… pesa…”
“Ma
va… davvero… poverina…”
“Un
cavolo… muoviti…”
“Senti…
siamo gia passati per un
deserto… viaggiato in modo indecente su astronavi cariche di
tutto, tranne di
essere pensanti… mi fai attraversare boschi…
senza parlare degli animali che ci
vogliono magiare… smettila…”
“Sei
insopportabile… lo sai che il
nostro lavoro è importante… “
“Già…
importante… l’unico interessato a
questo lavoro é… “
“Niente
nomi… quante volte te lo devo
dire che qualcuno potrebbe sentirci e vedere…”
“Dove?
Qui?! Ti sei bevuta non solo il
cervello, ma tutto la massa cervicale che ti
ritrovi…”
“Basta…
cammina.. ci fermeremo quando
finiscono gli alberi… ormai è
sera…”
“Come sei
buona…”
I burocrati
Per comandare un
Impero, o meglio, per
dirigere un Impero come se fosse una orchestra, oltre a chi si vede
(Imperatore, Duchi, Baroni, Conti), servono i burocrati, coloro che
controllano
le carte, le vagliano, verifichino che siano fatte come le leggi
scritte o le
usanze del posto prevedono, rilasciano documenti, incassano le tasse.
Senza di
loro l’Impero si fermerebbe.
Purtroppo, qualcuno
dei burocrati, alle
volte, forse per troppo zelo, dice ai suoi capi come sarebbe meglio
mandare
avanti le cose, modificare leggi o usanze, se non addirittura come
comandare.
Alle volte alcuni
vengono perdonati,
altri esclusi dal sistemi o, alla peggio, licenziati.
Ma i più
subdoli, sapendo quanto gli
spetta per il loro ardire, spesso mandano avanti gli altri a parlare
con i
capi, dandogli indicazioni su come fare o suoi modi di agire e dire le
cose,
negando l’evidenza dei fatti in caso di insuccesso, non
rimettendoci niente. In
caso di successo, si fanno avanti schiacciando in modo ignobile chi
hanno
convinto a portare il loro pensiero ai capi.
In qualunque caso,
fanno sempre bella
figura.
Di certo quelli che
avevano deciso che
la casa dell’attuale Imperatore non doveva più
regnare, aveva deciso un modo un
po’ troppo ambizioso di sistemare la cosa.
L’idea
era venuta ad un burocrate, un
certo Dinours Jiolu, assistente del Barone Makarre, che ben conosceva
l’avversione del Barone verso l’Imperatore.
Dinours era, per il
Barone, molto di più
del suo braccio destro: era colui che, in qualunque momento, poteva
sostituire
il Barone in qualsiasi funzione. Tanta fiducia era dovuta al fatto che
Dinours
aveva aiutato il Barone quando fu combattuta la guerra con la galassia
vicina.
Ma a Dinours,
quella guerra aveva fatto
comodo. Aveva trattato con i burocrati dell’altra galassia,
esponendo a loro
l’idea: unire le due galassie sotto un solo Impero, per poter
poi meglio
comandare a loro piacere. Di certo un Impero così esteso e
difficile da controllare,
avrebbe messo in difficoltà il nuovo Imperatore, che avrebbe
dovuto affidare
zone più grandi delle galassie a singoli individui fidati:
questi individui
avrebbero usato burocrati fidati. Ciò significava per i
burocrati avere un
certo potere, anche se illegittimo, ma sempre potere di fare quello che
volevano. Più o meno.
L’idea
era piaciuta sia ai burocrati
della sua galassia che agli avversari, e Dinours si era messo al lavoro.
La fiducia del
Barone era necessaria: in
una zona così lontana dall’Impero centrale,
nessuno avrebbe controllato le sue
mosse. Il Barone era libero di fare quello che voleva, ma veniva
controllato.
L’Impero controllava la testa, non aveva tempo per i
passacarte.
Fu così
che la liberazione del Barone,
dopo la morte di tutto il parentato, passo come un atto di totale
devozione e
Dinours fu premiato: braccio destro del Barone.
Il più
era fatto.
I burocrati che
Dinours contatto, amici
fidati, furono della sua stessa idea, come i burocrati della galassia
dell’Imperatore Touk.
Ma riuscire a
muovere le pedine giuste
nei posti giusti fu difficile, come fu difficile scegliere quale
Imperatore
scegliere.
A Dinours parve che
Touk fosse il più
adatto.
Vanitoso, anzi
vanesio, capace solo di
sentire la sua voce, faceva sue le idee degli altri come se niente
fosse:
ovviamente, non capiva le idee degli altri, ma li usava a suo
piacimento.
Quando uno dei suoi
burocrati gli disse
che vi era una possibilità, corrompendo alcuni burocrati, di
impossessarsi
della galassia dell’Imperato Federickson, fece subito sua
l’idea, ordinando la
ricerca di questi burocrati e la loro immediata corruzione.
I burocrati
dell’Imperatore Touk, quel
giorno, si ubriacarono in una taverna malfamata della capitale
Tornounte: ciò
che non aveva potuto la guerra, lo avrebbe fatto la corruzione. Unico
neo della
cosa era che per i burocrati dell’Imperatore Federickson non
vi era posto nei
loro piani. Ma era una cosa insignificante: bastava non farlo capire.
Ma Dinours non era
così stupido da non
averci pensato: la cosa era possibile solo mettendo burocrati fidati
nei posti
chiavi, e se qualcuno li avesse deposti dal loro incarico, i
subentranti non
avrebbero trovato niente: il nulla avrebbe causato il cos nella
galassia,
rendendola ingestibile e costringendo il nuovo Imperatore e rimettere
al loro
posto i burocrati destituiti.
Sembrava un piano
perfetto.
A Dinours ci
vollero cinque anni per
perfezionarlo, per convincere i burocrati, per sostituire i
più intransigenti
nei punti chiavi, per convincere il Barone Makarre che il tempo di
prendere il
posto dell’Imperatore Federickson era giunto.
Ma il Barone era
testardo, voleva fare
le cose a modo suo.
Riavvicinarlo
all’Imperatore Touk fu
dura, ma alla fine cedette. O almeno, la sua ingordigia per il potere
lo fece
cedere.
Il primo incontro
con l’Imperatore Touk
avvenne su un pianeta che ruotava intorno ad un gruppo di stelle posto
nelle
vicinanze della galassia dell’Imperatore Federickson. Strani
nomi aveva dato
gli scopritori a quelle galassie.
Una, quella
dell’Imperatore Federickson
la chiamavano Milkstreet, quella dell’Imperatore Touk la
galassia di Androina.
Dinours
partecipò all’incontro tra Touk
e Makarre, per meglio definire meglio gli accordi che erano
già stati presi tra
i burocrati.
L’Imperatore
Touk era un tipo di alta statura,
di circa cinquant’anni standard galattici, con un corpo
atletico e sempre in
forma. Ci teneva Touk alla sua forma e tutto di lui era in forma: la
sua faccia
squadrata, le mascelle voluminose, occhi blu, capelli tagliati corti,
un collo
grosso, enorme.
Di certo questo suo
essere così in
forma, lo faceva amare da tutte le donne della sua galassia, che
impazzivo per
lui. Anzi, più che impazzire, quelle che potevano gli si
offrivano in tutti i
modi possibili e pensabili, o impensabili.
Spesso le sue
guardie erano costrette a
controllare le sue camere private più volte al giorno, per
evitare che nel suo
letto alla sera l’Imperatore trovasse quattro o cinque donne.
Essere belli ,
d’accordo, ma dover trovarsi sempre donne nel letto, no.
Ovviamente,
l’Imperatore si era ben
guardato da sposarsi, di trovare moglie.
Aveva deciso di
avere concubine, amanti,
di fare un certo numeri di figli, ma il suo successore avrebbe dovuto
superare
prove infernali prima di occupare il suo posto. Al tempo debito,
ovviamente.
E
l’Imperatore Touk aveva intenzione di
rimane al comando per parecchio tempo.
L’Imperatore
e il Barone si incontrarono
sotto una tenda, di uno strano colore, un rosso cupo. Intorno il
deserto la
faceva da padrone. Come il vento che soffiava, a raffiche, facendo
sbattere la
tenda rumorosamente.
Touk e Makarre si
guardarono, torvi in
viso. Makarre ricordava ancora come Touk lo aveva torturato e
ritrovarsi
davanti il nemico, che lo voleva aiutare a diventare Imperatore, non lo
rallegrava. Non sapeva se odiare di più
l’Imperatore che aveva da davanti o
l’Imperatore di cui voleva prendere il posto. I due uomini si
sedettero su
delle sedie da campo davanti al tavolo.
Sul tavolo vi erano
due libri, in cui vi
erano scritti tutti gli accordi che i burocrati avevano definito,
limato,
aggiustato, sistemato, cucito e stralciato. Vi era il presente di Touk,
il
futuro di Makarre, il potere che Dinours era riuscito a conquistare
negli anni.
Senza parlare, uno
uomo aprì il libro
davanti a Touk.
Un altro lo
aprì davanti a Makarre.
I due estrassero
dalle loro vesti due
fili rigidi e firmarono i libri di fronte a loro.
Poi, i due aiutanti
presero i libri, se
li scambiarono e Touk e Makarre li rifirmarono.
Alla fine, i due
uomini si alzarono,
presero i libri e se li scambiarono, stringendosi la mano.
La stretta di mano
di Touk fu forte,
tanto che Makarre fece una smorfia con il viso.
Si scambiarono i
libri, senza dire una
parola.
I presenti
guardarono quello che
succedeva in modo distaccato.
Touk si
girò ed uscì con i suoi uomini.
Makarre, quando
l’ultimo degli uomini di
Touk fu uscito, si lascio andare sulla sedia davanti al tavolo,
sospirando e
guardando fisso negli occhi Dinours.
“Cosa
abbiamo fatto?” Gli disse.
Gli altri suoi
dignitari, capendo il
momento, lasciarono la tenda.
I due uomini si
guardarono in silenzio.
Dinours si sedette
sulla sedia che prima
era occupata da Touk.
“Era
l’unica cosa da fare!” disse
Dinours.
“Per
chi?” Gli ribatté Makarre “Per chi?
Per me, per te… o per chi altro, Dinours
Per chi altro?”
Makarre non attese
la risposta di
Dinours. Si alzò e uscì dalla tenda, mentre il
vento diminuiva di intensità.
Dinours rimase solo
nella tenda a
meditare.
Sapeva che aveva
tradito il Barone
Makarre, l’Imperatore Federickson e non si sa quante altri
miliardi di persone
che abitavano la galassia.
Ma era
l’unico modo.
L’unica
cosa che temeva realmente era la
tana delle tigri. Ma non lo avrebbe mai saputo. Forse.
***
Dinours aveva
indetto la riunione tra i
burocrati che avevano deciso di tradire l’Imperatore.
Non erano molti,
una cinquantina in
tutto, a capo di diverse divisioni su vari pianeti, compreso il pianeta
dell’Imperatore.
Uno dei burocrati
presenti era il sig.
Huoil, dei servizi segreti civili.
Gli altri erano a
capo di settori
dedicati al trasporto, alla logistica, ai passaporti, alla
distribuzione delle
materia prime sui pianeti e agli armamenti.
I pianeti che erano
interessati, tra i
più importanti, oltre a quello dell’Imperatore, vi
era Neerg, Tracktan e
Outnot.
Erano tutti in un
enorme salone, posto
in mezzo al deserto del pianeta del Barone Makarre, ove vi era la sede
dei
servizi segreti.
Ad un capo della
tavola vi era Gloria,
con un abitino aderente con una gonna cortissima (troppo) e con il suo
seno
messo in bel risalto. I capelli li aveva raccolti dietro alla luca.
Dall’altro
capo vi era il Barone.
“Bene.”
Iniziò Gloria. “Siamo pronti.
Noemi è ormai saldamente nelle nostre mani.
L’Imperatore, come al solito, non
si muove. Sono passati ormai sei mesi, ma lui non fa niente. E questo
gioca a
nostro vantaggio. Più lui aspetta, più noi
possiamo muoverci liberamente. Ora,
l’importante è che l’Imperatore lasci il
suo pianeta. La trappola è ovviamente
Noemi: per liberarla interverrà di persona, quando
saprà dov’é. Non dobbiamo
far altro che tirare i fili e chiuderlo nel sacco. Sul tavolo ci sono
le vostre
istruzioni. Seguitele alla lettera, nei tempi e modi previsti, e il
successo
non tarderà.”
Tutti guardarono il
Barone, in attesa di
un suo cenno.
Il Barone si stava
massaggiando il
mento, silenzioso. Ad un tratto con la testa fece un cenno, si
alzò e uscì
dalla stanza, seguito da Gloria che lo raggiunse correndo, mentre tutti
la
guardarono passare. Un vero spettacolo, pensarono tutti.
Dinours
guardò i vari burocrati e prese
la parola.
“E’
necessario che nessuno sappia.
Nessuno.” Disse in modo molto convincente.
I burocrati si
alzarono ed uscirono
dalla stanza.
Huoil rimase
seduto, accendendosi uno
dei suoi pestilenziali sigari.
Dinours lo
guardò.
“Non
vai?” gli disse
“Troppa
fretta.” Disse Huoil “Hai troppa
fretta. Pensi davvero di riuscire?”
“Non ti
preoccupare. Tu fai il tuo.” Gli
disse Dinours, avvicinandosi a Huoil con fare non troppo
benevolo.” Fai il tuo
dovere e nessuno si farà male, se non
l’Imperatore. Hai capito?” gli disse
Dinours marcando il finale della frase.
Huoil emise dalla
sua bocca una volata
di fumo di sigaro che fece tossire Dinours.
“Stai
attento. Tutti sanno. Una mossa
sbagliata e io ti abbandono. Non sei indispensabile, dopo tutto, e
anche il tuo
Barone non serve a molto. Specialmente morto.” Gli
rimbrottò Huoil.
L’uomo si
allontanò dalla stanza, mentre
Dinours lo guardava torvo.
Dinours
meditò di eliminarlo, così su
due piedi, me era inutile.
Dinours se ne
andò dall’altra uscita.
Gloria lo
guardò uscire dalla sala. Non
capiva. Perché dire quelle cose dopo la riunione? Non
capiva. Era inutile.
Qualcosa non stava andando per il verso giusto. Non sapeva se avvisare
o no il
Barone. Ma a cosa sarebbe servito? No. I burocrati non servivano
più. Non
servivano per il fine che si era prefisso. Abbandonare la nave? No.
Troppo
pericoloso. L’Imperatore non lo avrebbe destituito. E allora,
che fare?
Gloria si guardo il
vestito: la gonna
del vestito si era alzata, mostrando un po’ troppo le sue
gambe.
Gloria
guardò in basso. Con la coda
dell’occhio vide Huoil che la guardava, con un sorrisetto che
diceva molto di
più di quello che pensava.
Gloria non abbasso
la gonna: aveva
risolto il suo problema. Ricambiò il sorriso e si
avviò verso Huoil.
L’Imperatore
Touk
L’Imperatore
Touk non si fidava di
nessuno.
Non che fosse un
maniaco dell’ordine,
della pulizia, non aveva fobie che non fossero curabili, ma non si
fidava di
nessuno.
Non si fidava di
quelli che mettevano
sempre in ordine qualunque cosa, dalla scrivania al letto.
Non si fidava di
chi puliva in continuazione
qualsiasi cosa, pur di farsi vedere occupato.
Lui non si fidava e
basta.
Ormai era lontano
da più di un anno
dalla sua galassia, e non si fidava dei suoi burocrati e dei suoi
vassalli.
Visto che le cose
con il Barone Makarre
non si muovevano, decise di ritornare a casa. Era un viaggio di un
mese, ma
controllare cosa succedeva in casa propria era meglio che aspettare che
qualcuno facesse una mossa.
Lasciò a
dirigere le operazione contro
l’Imperatore Federickson il suo vice, un certo Uiopyt, un
tipo poco energico,
anzi tutt’altro.
Era alto la meta di
Touk, magro, grossi
occhiali, parlata difficili, capelli neri, bocca e labbra piccole. Alle
volte
dava l’idea di essere malaticcio, così magro
com’era.
Ma Touk sapeva che
era fidato.
Proprio
perché era così brutto, nessuno
lo considerava: anche lui stesso, spesso, non si considerava.
Touk parti con la
sua nave, diversa da
quelle dell’Impero di Federickson: le
astronavi delle
sua galassia
erano ovali, piatte, con i motori e le tolda di comando da una sola
parte.
Per armamento non
erano certe inferiori
a nessuno, ma Touk non se ne preoccupava. Ogni nave aveva montata la
sua arma
segreta, e questo a lui bastava.
Touk e la flotta
partirono, e Uiopyt
rimase sul pianeta del Barone, in compagnia di Dinours, con cui
condivideva
l’ufficio: era meglio controllare tutte e due, pensava il
Barone, quando ai
due affidò
l’ufficio.
Touk
tornò a casa, giusto il tempo per
sedare qualche rivolta, cambiare qualche vassallo non troppo ligio ai
suoi
doveri e non troppo fedele a lui.
Ritorno dal Barone
dopo circa quattro
mesi.
Era passato ormai
un anno dal rapimento
di Noemi.
Touk
trovò tutto come prima. Quasi
tutto.
I burocrati
continuavano a morire e
l’Imperatore Federickson si rifiutava di sostituirli,
lasciando che il loro
posto fosse preso dei subalterni.
Touk ebbe un
sospetto, che espresse a
Uiopyt in una calda sera d’estate, su un pianeta semi
abitato, concesso in uso
dal Barone, fuori dalle rotte commerciali.
“Qualcosa
non quadra, Uiopyt. Il Barone
Makarre non ce la racconta giusta.” Iniziò
l’Imperatore, seduto su di una
poltrona sulla veranda di una vecchia casa colonica, mezza diroccata.
Uiopyt stava
sorseggiando un liquido
rosso da un grosso bicchiere di pietra.
“Credo
che non si muova, perché molto
probabilmente la contromossa dell’Imperatore l’ha
preso di sorpresa e né lui né
Dinours sanno cosa fare.” Rispose Uiopyt, con una voce
flebile.
“E allora
cosa facciamo? Continuiamo
nell’impresa o ce ne andiamo, lasciando il Barone alla
mercé di Federickson?”
Chiese Touk, mentre anche lui sorseggiava un liquido nero da un vecchio
bicchiere di cristallo.
“Se
l’Imperato Federickson sa, siamo nei
guai. E se lo sa lui, si immagini la tana delle tigri.”
Rispose Uiopyt
“Ancora
quei dannati… Ma è possibile che
non possiamo liberarcene? Cosa ci vuole a far fuori Doc e quella banda
di
venditori di fumo?” Disse Touk, sbattendo sul tavolo il
bicchiere.
Uiopyt
sorseggiò ancora dal bicchiere,
tenendolo con tutte e due le mani, mentre l’Imperatore si
guardava intorno, con
fare sospetto.
Videro il sole
tramontare, mentre due
lune già illuminavano la notte.
Touk, dopo un lungo
silenzio, disse:
“Facciamo finta di niente. Lasciamo che il Barone si esponga
fino al punto che
non possa più tornare indietro. Se avrà successo,
ne approfitteremo. Se no, lo
lasceremo in balia dei suoi nemici.”
Riprese il suo
bicchiere e il bevve il
resto del liquido in un sol sorso.
Si alzò
dalla sedie, fece un cenno ad
Uiopyt e se ne andò.
Uiopyt rimase
ancora fuori a vedere le
lune sorgere fino allo zenit. Pensava a tutto quel tempo sprecato e al
fatto
che i burocrati della sua galassia non sarebbero stati molto contenti.
Era inutile
pensarci adesso. Se davvero
Touk doveva diventare imperato di quella galassia, nulla lo avrebbe
fermato.
Forse.
Ma la tana delle
tigri… se si fossero
messi in mezzo, nulla li avrebbe fermati. Uiopyt come Touk lo sapeva.
Erano
troppo forti, organizzati, sapevano quello che altri non capivano.
Questa loro
forza era controllata da alcuni uomini saggi, che mai
l’avrebbe usata in una
guerra. No, troppo furbi. E il Barone e Dinours stavano provando ad
invertire
questa tendenza.
No, era
impossibile. Meglio fare come
diceva Touk. Aspettare. Ma quanto? Quanto tempo ci voleva? Erano troppo
lontani
da casa, le loro navi non avrebbero fatto in tempo ad aiutarli in caso
di
guerra.
Aspettare. Sperando
che nessuno
guardasse, vedesse, sapesse. Aspettare. Uiopyt guardò ancora
le lune. Finì il
suo liquido, lasciò il bicchiere sul tavolo e se ne
andò a dormire.
Touk lo
guardò dalla sua camera
allontanarsi. Guardò le lune nel cielo. Illuminavano
stancamente la notte. Touk
vide, con al coda dell’occhio, ombre che si muovevano,
veloci, silenziose.
Chiuse la finestra
e se ne andò a letto.
Aspettare. Non
poteva fare altro. Ma
quanto tempo?
Si addormento,
mentre ombre silenziose e
veloci si allontanarono dalla casa.
I servizi segreti
“Mi fa
piacere vederti, Generale.”
“Anche a
me, Huoil. Come stai?”
“Bene.
Grazie.”
“Fumi
sempre quei puzzolenti sigari?”
“Ti
dispiace? Sono la cosa migliore
della vita.”
Il Generale e Huoil
stavano discutendo
nella sala delle riunione dell’Imperatore Federickson, nei
sotterranei del
palazzo Imperiale.
“Lo sai
che all’Imperatrice non gli
piacciono.” Continuò il Generale, strofinandosi il
naso.
“Lo so.
Per questo li fumo.” Rispose in
modo sarcastico Huoil.
I due erano seduti
al tavolo, uno di
fronte all’altro, in attesa degli altri per la riunione.
“Strano.
Sono tutti in ritardo.” Disse
Houil, mentre una voluta di fumo usciva dalla sua bocca e si disperdeva
nell’ambiente.
“Già.
In ritardo. “ Gli fece eco il
Generale, guardandosi intorno. “Un po’ troppo in
ritardo.”
L’Imperatore
apparve all’improvviso.
I due fecero per
alzarsi, ma
l’Imperatore fece cenno di stare dov’erano.
“Adesso
basta. Mettete fine a tutto.
Liberate mia figlia e portatemi la testa del Barone. Ora!”
L’Imperatore
si girò ed uscì dalla
stanza.
Il Generale
guardò Huoil.
Dall’altre
parte della stanza entrò
l’Imperatrice.
“Huoil.
Generale. Che piacere vedervi.
Notizie?” Disse l’Imperatrice avvicinandosi a loro.
“Vostro
marito ha appena detto di
liberare vostra figlia, mia signora.” Disse il Generale
Huoil stava ancora
fumando il suo
sigaro. L’Imperatrice lo guardò, strofinandosi il
naso.
Huoil sorrise e
così pure l’Imperatrice.
Il Generale rimase
sorpreso.
“Gloria
dov’é, Huoil?” Gli chiese
l’Imperatrice.
“Al
sicuro, mia Imperatrice.” Disse
Huoil, facendo un inchino.
“Bene. Un
problema di meno. Generale… mi
raccomando. Non faccia una strage inutile. Liberi solo mia figlia. Il
resto lo
lasci fare a Black.”
“Sarà
fatto come lei desidera, mia
Imperatrice.” Rispose il Generale.
“Bene.”
Disse l’Imperatrice,
allontanandosi poi dalla stanza.
Il Generale
guardò Huoil.
“Che ne
hai fatto di Gloria?” Gli chiese.
“Oh…
ha fatto un giro… sai com’é…
ci
teneva tanto… “
“A
salvare la pelle!” Finì il Generale.
Huoil
aspirò a lungo il sigaro.
“Già.
Ci teneva tanto.” Disse, dopo aver
espirato il fumo del suo sigaro.
“Macellaio!”
disse il Generale,
alzandosi dalla sedia.
“E’
viva. Non ti preoccupare. Lo sai che
le cose belle non le sciupo.”
“Sì.
Però ti piace giocarci.” Disse il
Generale allontanandosi.
Huoil continuo a
fumare il sigaro. Dopo
tutto, un premio spettava anche a lui. Tradire Dinours e il Barone
Makarre gli
poteva costare caro, se avessero vinto.
Ma gli ordini
dell’Imperatore erano
chiari.
E il Generale
avrebbe fatto il suo
dovere.
Fino in fondo.
Si alzò
e se ne andò dalla sala. Gloria
aveva ancora tante cose da raccontare.
L’Imperatore
e l’Imperatrice, dalla
stanza segreta, videro Houil lasciare la stanza.
“Sei la
solita impicciona. Era il caso
di andare a dire certe cose?” Disse l’Imperatore,
decisamente alterato.
“Caro,
sai benissimo che dovevo dirle.
Non vorrai mica che i tuoi Generali si sporchino le mani. Certi lavori
lasciali
fare agli specialisti.”
“Sì,
sì. Va bene. Ma di certo Black non
è uno specialista. Solo perché Invicible ha armi
di fuoco maggiore di quelle
della navi di Touk, non vuol dire che si più
bravo.”
“Ma
più comodo. Non sarai tu a fare il
disastro. Capisci? Non daranno la colpa a te.”
”Sai che differenza. Non l’Impero ma la tana delle
tigri sistemerà la cosa.”
“Su
adesso basta, caro. Andiamo.”
L’Imperatrice
si diresse verso la porta,
dove vi si fermò in attesa del marito che gliela aprisse.
Attese un attimo,
poi si girò a guardare
che cosa stava facendo il marito. Era ancora davanti al vetro,
pensieroso,
massaggiandosi la mascella.
“Bisogna
togliere Gloria dalle mani di
Houil. Non vorrei che esagerasse.” Disse
l’Imperatore.
“Ci
penserò io, caro.”
L’Imperatore
si girò, fece un leggero
sorriso alla moglie e si diresse verso la porta.
La aprì
e la moglie usci.
L’Imperatrice
sentì chiudersi dietro di
lei la porta, ma quando si voltò porgendo il braccio, il
marito non c’era.
Rimase alquanto
stupefatta
dell’accaduto: non si era mai comportato cosi.
All’interno
l’Imperatore rimase ancora
più pensieroso.
No. Black non
doveva intervenire. Non
doveva. Sarebbe stato un disastro. Qualcuno poteva scoprire i giochi,
pensò.
Rimase nella
stanza, con la mano sulla
porta per parecchio tempo.
L’Imperatrice
all’esterno rimase lì,
ammutolita, sotto gli sguardi della guardie del palazzo.
Arrivò
una sua ancella che la cercava:
non l’aveva mai vista con quella espressione sul volto. Era
sorpresa, ma anche
spaventata. L’ancella le tocco le vesti e
l’Imperatrice trasalì.
L’Imperatrice
incominciò a camminare
lungo il corridoi, dalla parte opposta da cui era venuta
l’ancella, che la
chiamò alcune volte. Niente.
L’ancella
fece spallucce, si voltò e se
ne andò.
Una delle guardie
che erano presenti al
fatto non capì, ma evitò di parlarne al suo
comandante nelle riunione serale
della guardie. Meglio evitare inutili pettegolezzi, pensò.
L’Imperatore
da quella stanza usci solo
a notte fonda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** La guerra contro l'Imperatore Touk ***
La liberazione
della principessa Noemi
Il Generale
Poissoun era davanti alla
vetrata della base, sul pianeta Inferno.
Il tempo era come
sempre inclemente.
Era passato troppo
tempo dal rapimento
della principessa Noemi.
Quasi un anno,
incominciò a pensare
Poissoun, e ancora niente.
Le tempeste su quel
maledetto pianeta
duravano così tanto, che non si ricordava quando aveva visto
il sole sorgere su
quella landa rossa e piana.
Nessuno chiamava,
nessuno diceva,
nessuna sapeva.
Troppo tempo,
pensò, Troppo tempo e
nessuno che vuole spostare una sola pedina.
Makarre non
riusciva a far avanzare il
suo progetto di un millimetro.
Da quando
l’Imperatore si era accorto
degli stratagemmi impiegati dal Barone per arrivare al potere, aveva
messo in
atto troppe contromisure.
I burocrati non
venivano nominati, ma
venivano promossi i subalterni.
Tanta fatica. Il
Barone aveva cercato
una contromossa, ma più faceva, peggio gli andava.
E lui, Poissoun,
era bloccato su quel
maledetto pianeta a fare la guardia ad una ragazzina viziata.
La principessa
Noemi era impossibile:
alle volte sembrava che si divertiva a chiedere le cose.
Questo frutto no,
oggi: il giorno dopo
lo voleva.
Poissoun aveva
cercato di contattare il
Barone, ma le notizie che arrivavano non erano delle migliori.
Gloria era sparita
senza lasciare
traccia.
L’Imperatore
Touk scorrazzava per la
galassia come un pirata, attaccando navi e tagliando, alle volti per
giorni, i
rifornimenti a qualche pianeta ostile al Barone.
Ma la cosa durava
pochi giorno, poi
arrivava o la flotta dell’Imperatore o quella maledetta nave
della tana, e
bisognava ricominciare.
L’Imperatore
Touk aveva cercato di
spostare altre navi dalla sua galassia, per favorire il piano di
Makarre, ma i
suoi burocrati glielo avevano impedito. Troppe spese per un piano che
non
sembrava molto perfetto. Anzi.
Un allarme
improvviso risuonò nella
testa del generale.
Quando comprese
cosa stava succedendo,
distolse lo sguardo dalla vetrata e sentì dietro di lui voce
concitate.
Il suo aiutante lo
scrollo dal suo
torpore.
“Signore!
Siamo attaccati!” Gli urlò
nelle orecchie.
“State
calmi!” Urlò Poissoun, appena si
riprese. “Chi ci sta attaccando, prima di tutto!”
Urlò in faccia al suo
aiutante “E poi mettete in atto le contromisure. Siete degli
idioti, Tutte le
volte che lo avete fatto in esercitazione aspettate ancora che vi
pulisca il
sedere!… Muovetevi!”
L’aiutante
si allontanò dal generale,
distribuendo ordini a destra e a manca.
Il Rosso si
allontanò dalla sala, per
andare a prendere posto sulla sua nave di battaglia, per attaccare il
nemico.
La nave pirata, che
era ormai passata a
tutti gli effetti sotto il comando del generale Poissoun, era comandata
da un
giovane comandante, un certo Koilun.
Le due navi
uscirono nella tempesta,
dirette verso gli assalitori, che si trovavano sulla linea
dell’orizzonte.
Le bordate dei
cannoni dei nemici si
abbatterono sulla sala comando come un spada sul capo del condannato.
La sala fu
completamente distrutta da un
colpo.
Le persone
presente, compreso il
generale e il suo aiutante, sparirono nel nulla.
La tempestava non
permetteva di vedere
chi stava attaccando, ma doveva essere grosso.
Sulle console nella
sala comando
dell’Erstalm, il Rosso poté vedere la forma
dell’attaccante.
Quel maledetto
Invincible.
Il Rosso
ordinò alle due navi gemelle di
sparare in contemporanea sul punto dove Invincible risultava dalla
console: le
coordinate furono passate in millesimi di secondo alle cannoniera, che
fecero
fuoco in meno di un secondo.
Ma la
velocità non basto alle due navi.
I loro colpi
colpirono il terreno,
mentre Invincible si spostava verso l’alto.
Quando la nave fu a
distanza di
sicurezza, Black diede ordine di far fuoco.
Il gorilla stava
manovrando, da solo, i
tre cannoni laser posti nelle teste degli animali.
I colpi che
partirono fecero sussultare
la nave, e carbonizzò il Rosso, il comandante Koilun,
l’Erstalm e l’Excellent.
Intanto una nave
più piccola, con a
bordo Samuel, Angel ed Evane, atterrò nella base nemica.
Dei robot, guidati
da alcuni componenti
della tana delle tigri, fecero da scudo all’arrivo della nave
spaziale
nell’astroporto,all’interno della montagna.
La resistenza degli
ultimi uomini del
generale fu strenua, ma inutile.
Gli uomini della
nave scesero sparando
su tutto ciò che si muoveva e si introdussero nella base.
La ricerca di Noemi
durò parecchio.
Alcuni fedeli del
generale l’avevano
prelevata dalla sua dolce prigione e l’aveva allontanata, ma
sempre all’interno
della base.
All’improvviso,
decisero di dirigersi
con la prigioniera in una delle grotte della montagna, fuori dalla base.
Idea buona: nessuno
li avrebbe cercati
fuori dalla base.
Ma la grotta, lunga
e stretta, era
abitata da alcuni carnivori del pianeta.
Erano animali
lunghi, bassi, con zampe
piccole e delle tenaglie al posto delle mani.
Non erano molti,
solo due, ma i più di
venti uomini che avevano trascinati via la principessa furono attacchi
e per
poco non perivano tutti.
I quattro rimasti
cercarono di riportare
la principessa alla base, ma furono attaccati da Angel ed Evane, che
gli
uccisero senza molti complimenti.
Evane dovette poi
lottare con uno dei
due animali, che aveva rincorso i fuggitivi e non voleva saperne di
andarsene
senza avere un'altra pinta di carne.
Evane gli sparo con
un fucile laser,
tagliandolo in due.
L’altro
animale, che era rimasto
leggermente indietro, ritornò sui suoi passi, tenendo due
dei malcapitati
uccisi dalle donne tra le sue fauci.
Noemi stava
piangendo disperata, ma
quando vide il volto di Evane si tranquillizzò.
La battaglia
all’interno della base
militare durò ancora per alcune ore.
Parecchi militari,
non sapendo la fine
del loro comandante, lottarono strenuamente.
I prigionieri
furono solo venticinque,
sui cinquemila militari presenti nella base.
Il numero di
militari presenti nella
base fu rilevato da Black da un computer, salvatosi non si sa come in
qualche
anfratto della base.
Black cercava nomi,
dati, fatti.
Ma non
trovò nulla nei computer che si
erano salvati.
“Avete
avuto troppo premura
nell’attacco!” Borbottò Evane.
“E cosa
dovevamo fare ” Gli rinfacciò
Samuel.
“Oh..
smettetela. Non abbiamo notizie
noi, ma non ne avrà neanche Touk e Makarre. Se giochiamo
bene le nostre carte
non se ne accorgeranno per un po’. Così potremo
cacciare Touk nella nostra
galassia, mettere sotto pressione Makarre e i burocrati ed avere
finalmente
delle risposte.” Disse Black.
“Quali
risposte?” Disse Angel, con
sufficienza.
“Tu che
dici, Evane?” Black si avvicinò
ad Evane, che stava giocherellando distrattamente con un cappello
bruciacchiato.
“Cosa?”
Disse lei, lasciando cadere il
cappello per terra, in mezzo alla cenere presente nella sala comando,
riprendendosi dai suoi pensieri pindarici.
“Cosa ci
dici di quello che ha combinato
tuo fratello?” Incalzò Black.
“Cosa ha
combinato mio fratello?” Disse
Evane, sempre distrattamente.
“Non fare
finta di niente. Sappiamo
tutto!” Disse Angel, avvicinandosi ad Evane e prendendola per
i capelli,
tirandoglieli.
Evane
tirò indietro la testa, urlando.
Samuel prese la
mano di Angel e gli fece
mollare la presa.
“Non so
niente!” Urlò Evane. “Non ho
idea di cosa voglia fare.” Incominciò a
singhiozzare, mentre le lacrime le
scendevano dagli occhi. “è
da
tempo che medita vendetta sui burocrati e sull’Imperatore
Touk, ma cosa abbia
in mente non lo so!”
Evane si sedette su
quello che rimaneva
di una sedia di qualche console, nascose la faccia nella mani e
incominciò a
piangere.
I presenti rimasero
in silenzio a
guardare quella scena.
Noemi si
avvicinò alla zia e le accarezzò
la testa, dolcemente. Poi guardò gli altri con uno sguardo
di rimprovero.
Black diede un
calcio a qualcosa per
terra, infuriato.
Samuel lo
guardò, sorridendo, più per il
calcio mancato che per il momento.
“Non
capisco. Ero certo che sapevi
qualcosa. Doc continua a dire di fidarmi di te.” Black
guardò Evane, che aveva
ancora la faccia nella mani e piangeva. “E tu non sai niente!
Non dice niente.
Anzi, mi piangi pure!”
Black se ne
andò dalla sala, seguito da
alcuni militari e da alcuni membri della tana.
Altri militari si
infilarono in un
cunicolo dietro ad alcuni armadi, nella ricerca di qualcosa di utile
alla
ricerca della verità. Se mai si fosse trovata la
verità.
Samuel prese per la
mani Evane, la
costrinse ad alzarsi e, prendendola sotto braccio, la
accompagnò fuori dalla
sala, verso la sua nave spaziale.
Angel
abbracciò Noemi e seguì Samuel.
Quando entrarono
nello spazioporto della
base militare, Invincible si stava alzando in volo.
La tormenta che
aveva flagellato quella
zona del pianeta era improvvisamente cessata.
Altri navi militari
dell’Impero
incominciarono a levarsi in volo, abbandonando quel luogo, pieno di
morte e
distruzione.
Mentre Samuel,
Evane, Angel e Noemi
salivano sulla nave, seguiti da alcuni uomini
dell’equipaggio, videro dei militari
correre fuori da numerose grotte presenti nello spazioporto.
Correvano a
più non posso, alcuni
urlando.
Si incominciarono a
sentire esplosioni,
prima lontane poi sempre più vicine.
La nave militare si
alzò da terra a gran
velocità, alzando nuvole di polvere rossa tutto intorno.
La piccola nave di
Samuel per poco non
veniva ribaltata.
Samuel fece mettere
subito in moto i
motori e la nave partì.
Le esplosioni si
avvicinavano sempre di
più.
Quando la nave di
Samuel fu sopra la
montagna, le esplosioni si susseguirono come castagnole.
Lo spostamento
d’aria fece sobbalzare la
nave e i suoi occupanti.
Il pilota ebbe il
suo bel da fare per
tenere in assetto la nave.
Quando si furono
allontanati dalla
montagna, Samuel vide la montagna esplodere completamente in una nuvola
atomica.
Samuel
capì perché Black voleva risposte
alle sue domande da Evane.
Anche
perché le domande, se mai ce ne
fossero, erano sparite nel nulla.
Il pilota chiese
dove dirigersi e Samuel
gli rispose: “A Palazzo Imperiale!”
La nave di Samuel
ci impiegò più del
previsto per arrivare al pianeta dell’Imperatore.
Le navi imperiali
di Touk gli davano la
caccia, dopo che avevano saputo quello che era successo sul pianeta
Inferno.
Invincible,
anziché difenderli, li aveva
abbandonati, per non si sa quale missione.
Samuel
cercò di convincere Black della
necessità di scortarlo, ma lui aveva altro da fare. Doveva
fare ciò che Samuel
non aveva fatto.
Samuel non era
riuscito a limitare le
manovre di Makarre: primo perché Makarre era scappato,
secondo perché Gloria
era finita nella mani di Hoiul, e le informazioni erano sparite con
lei, nei
meandri delle prigioni di chissà quale pianeta.
Samuel
riuscì a portare Evane e Noemi
dall’Imperatore comunque, con la nave mezza distrutta dalle
battaglie, quasi
dodici, combattute nel viaggio.
Quando la nave
atterrò, il fumo usciva
dal motore di destra e riempi l’hangar dove erano atterrati.
Gli addetti agli
incendi corsero con
schiumogeni e spensero l’incendio che scoppiò
nella zona motori.
Tutto
l’equipaggio e i passeggeri
scesero di corsa dalla nave.
Gli ultimi a
scendere, non curanti di
quello che gli capitava intorno, furono Samuel ed Angel.
Quella nave ne
aveva viste troppe,
dentro e fuori di essa: ad Angel piangeva il cuore di doverla perdere.
Era
stata più di una casa, un vero alcova. Ma si sa, nulla
è eterno, men che meno
una nave.
Ad aspettarli sulla
banchina vi era
l’Imperatore e l’Imperatrice, ben contenti di
abbracciare la loro figlia Noemi.
Quella sera il
palazzo Imperiale si
risvegliò dal suo torpore e tutti festeggiarono il ritorno
di Noemi.
La guerra privata
di Invincible
Invincible
lasciò la base militare del
generale Poussion appena distrutta, in modo alquanto rumoroso.
Samuel ebbe da
ridire sul modo di
trattare la cosa da Black, ma ormai Invincible era fuori
dall’atmosfera e di
tornare indietro Black non ne volle sapere.
Il gorilla spense
la radio sul ponte di
comando, mentre Black infuriato faceva su e giù come un
leone in gabbia.
“Non
è possibile che non sappia niente.
E neanche che l’Imperatore non abbia fatto qualcosa
per… o forse sbagliamo
persona!” Black si era fermato. Si girò di scatto
verso il gorilla e lo guardò
con aria soddisfatta, come un gatto che trova il topo a cui ha dato la
caccia
per tanto tempo.
“Che hai
Black?” Chiese l’orso, che si era
alzato dalla sua cuccia e si avvicinò a Black.
“Il club
delle amiche ha fatto di tutto
per eliminare il Barone e l’Imperatore Touk e non
l’Imperatore. È stata
l’Imperatrice a muovere tutte le pedine. E quando si
è accorta che l’Imperatore
si muoveva troppo in fretta… ha eliminato tutte le prove che
la potevano
ricondurre a lei!” Disse Black, soddisfatto.
L’orso e
il gorilla si guardarono,
scotendo la testa, non capendo cosa Black volesse dire.
“Ma non
avete capito. Gloria lavorava
per l’Imperatrice, poi ha preferito Makarre
all’Imperatrice per amore. E
l’Imperatrice si è vendicata con Hoiul.
L’Imperatore, invece, pensava di
eliminare i burocrati a lui contrari, invece ha solo avvicinato Makarre
a Touk.
Così facendo, invece di eliminare i burocrati, si
è trovato il nemico in casa,
chiedendo l’aiuto della tana, anzi di Invincible.”
Black riprese a camminare su
e giù.
“Bravo. E
adesso noi cosa facciamo.
Liberiamo Gloria, cacciamo Makarre o eliminiamo l’Imperatore
Touk?” Chiese il
gorilla.
“Touk sta
scappando. Incominceremo con
lui. Lasceremo Makarre per ultimo. Gloria ormai è
spacciata.” Disse Black,
fermandosi davanti alla console e guardando la sala di controllo dalla
sua
postazione posta in alto.
Il gorilla diede
ordine di cercare le
navi dell’Imperatore Touk.
I sensori a lungo
raggio e i
satelliti-caccia, lanciati ormai da giorni, incominciarono a inviare
dati da
ogni parte della zona della galassia vicino al confine, verso la
galassia
governata da Touk.
Le navi
dell’Imperatore Touk furono
scovate una a una.
Quelle che si erano
inoltrate troppo
nella galassia furono distrutte dalle navi dell’Imperatore.
Quelle al confine,
ormai in fuga, furono
intercettate da Invincible.
La nave
dell’Imperatore Touk fu
intercettata da Invincible mentre si stava allontanando dalla galassia,
facendosi scudo di una nebulosa scura.
La battaglia che ne
seguì fu di una
ferocia inaudita.
Invincible si
trovò davanti, a difendere
la nave del loro Imperatore, ben cinquanta vascelli, ben armati e
disposti a
tutto.
Invincible dovette
correre parecchio,
per riuscire a smembrane la flotta e costringerli a disegnare nello
spazio
profondo una linea di navi lunga parecchi milioni di chilometri.
La flotta si era
allungata e curvava
verso la galassia, decisamente a sinistra.
Invincible
girò, torno sui suoi passi e
le affrontò una ad una, come una lunga fila di birilli.
Alcune dovettero
difendersi da sole da
Invincible, altre si raggrupparono nel tentativo di difendersi e di
cercare di
sconfiggere la nave di Black.
Ma i comandanti si
resero subito conto
della disparità tecnologica che esistevano tra le loro navi
e Invincible.
Le teste di
Invincible sparavano salve
di luce che distruggeva quasi immediatamente le navi.
E non la smetteva
di fare fuoco.
In una
comunicazioni radio, che il
gorilla intercettò, i comandanti speravano che i produttori
di quel fascio di
luce si surriscaldassero, esplodendo.
Il gorilla se la
rise. Sapeva benissimo
che se si scaldavano troppo i produttori di quella luce nella testa
degli
animali esplodeva, ma fino a che la nave riusciva a disperdere il
calore nello
spazio vuoto, non c’era problema.
Invincible continua
a muoversi a
velocità luce, e la flotta dell’Imperatore Touk fu
sbaragliata in alcuni
giorni.
Ma Invincible, di
quella battaglia, ne
risentì molto. E come lei, gli uomini e le donne della tana
delle tigri che vi
erano a bordo.
Non era previsto
che vi fossero tanti
morti.
Già una
base militare, con tutti quei
uomini: ora, una flotta di navi con cinquantamila uomini era stati
distrutti.
Black si sentiva le
mani lorde di
sangue.
La nave
dell’Imperatore Touk riuscì a
scappare con il resto della flotta, circa venti navi.
Black non se la
sentì di fare un’altra
strage e li lasciò andare.
Doc raggiunse Black
su Invincible, dopo
alcuni giorni.
“Cosa ti
è venuto in mente di dire certe
cose ad Evane? Come hai fatto? Io non ti capisco!” Doc era
furioso con Black.
“Senti.
È inutile arrabbiarsi. Lo sai
benissimo cosa sta succedendo…”
“Non
è un tuo problema! Tu devi
interessarti solo di Invincible! Non ti devi preoccupare del resto! Non
è
compito tuo. L’Imperatore se ne è risentito.
Samuel ed Angel hanno dovuto dire
che la battaglia è stata talmente dura che tu eri troppo
eccitato per capire
quello che dicevi. Adesso è tutto da
sistemare…”
“Ma,
Doc…”
“Smettila!
Tu devi pensare solo ad
Invincible! Il resto non è tuo compito. Metti a testa a
posto!” Così dicendo,
Doc con una mano prese la testa di Black e la scrollò.
Black si
lamentò, ma aveva poco da dire:
gli errori alla tana delle tigri si pagavano caro. Molto caro.
“Adesso
per colpa tua sarà difficile che
Gloria sia lasciata libera. Idiota, sei solo un idiota!” Doc
non capiva, e
continuava a scrollare la testa.
Black non ebbe il
coraggio di dire
niente.
La stanza dove
avevano discusso così
animatamente era nel ventre di Invincible, nel disco di centro della
nave.
Era una stanza
piena di contenitori
ermetici, insonorizzata, lontana da orecchi indiscrete.
“Speriamo
che l’Imperatrice sia
clemente. Dopotutto …” Doc era pensieroso.
“Ci penso
io.” Continuò. “Tu cerca
Makarre. Ormai non serve più a nessuno. Almeno vivo. Mano
male che l’Imperatore
ha mandato Louk e Rachel a sistemare il marito di Haras.”
Black apparve
sbigottito.
“Già,
mio caro Black. L’uomo che i
burocrati volevano realmente mettere sul trono era lui, non Makarre.
Adesso
vado. E non combinarmi altri guai.” Così dicendo,
Doc gli fece un buffetto
sulla guancia, alquanto doloroso. Black si lamentò e Doc
rise, divertito.
Almeno qualcuno si
diverte, pensò Black
massaggiandosi la guancia.
La fuga di Gloria
Houil aveva portata
Gloria in una stanza
delle segrete del Palazzo Imperiale, per poterla interrogare con calma,
molta
calma.
Non
l’aveva portata nei soliti uffici
dei servizi segreti o sul pianeta prigione di Asol, solo
perché non si fidava
dei carcerieri.
Erano corruttibili
e qualche burocrato,
pur di far sparire le prove di un suo eventuale coinvolgimento, era
disposto ad
uccidere o a far uccidere Gloria.
La stanza in cui
Gloria era tenuta era
spoglia e poco illuminata.
Un letto di metallo
con un materasso duro
come un sasso, una sedia e un tavolo erano gli unici arredi: per paura
che i
prigionieri li usassero come armi, gli oggetti era cementati nel
pavimento.
Gloria era seduta
sul letto,
abbracciando le gambe raccolte contro il corpo.
I duri giorni di
prigionia l’avevano
provata.
I suoi capelli
erano in disordine,
spettinati. Il viso era segnato dalle lacrime che gli scendevano
copiose.
Il corpo era pieno
di cicatrici: Hoiul
non aveva avuto molto ritegno nei suoi confronti.
Gloria meditava sul
da fare.
Hoiul voleva sapere
tutto. Ma già lui
sapeva e Gloria non poteva dirgli altro.
E allora
perché continuarla a
torturarla? Gloria se lo chiedeva ogni giorno che passava, ogni momento
che
Hoiul si divertiva con il suo corpo.
E stranamente Hoiul
non usava le buone maniere.
Era come se volesse vendicarsi del Barone sul corpo di Gloria.
Su quel bel corpo
che non era stato di
nessuno, nemmeno del Barone e men che meno di Houil.
Tutti i tentativi
che Hoiul aveva fatto
per sottomettere Gloria alla sua volontà erano falliti e lui
aveva lasciato sul
corpo della ragazza dei segni indelebili della sua ferocia.
Quel giorno Hoiul
era in ritardo.
Gloria contava le
ore, i minuti, i
secondi che mancavano all’arrivo di Hoiul, ma quel giorno era
in ritardo.
Strano, non lo era mai.
Da oltre due mesi
Hoiul arrivava,
costringeva Gloria a giochi sadici, cercava di sottometterla in tutti i
modi, e
lei si ribellava. E il corpo della ragazza veniva segnato, con ferocia,
da cicatrici.
Quel giorno Gloria
aveva deciso di non
essere vittima, ma di trasformarsi in carnefice.
Ma la cosa non le
fu possibile.
Aveva nascosto un
cucchiaio di latta,
che gli davano per mangiare il cibo che gli portavano. Se mai cibo si
poteva
chiamare quella specie di brodaglia che gli portavano.
Si era tenuto un
cucchiaio. Non poteva
usarlo certo come un’arma, ma se il coraggio non
l’avesse abbandonata, il
manico avrebbe potuto infilarlo nella gola del suo carnefice.
Ma quando al porta
si aprì, non entro Hoiul.
Nella penombra,
Gloria vide una figura
decisamente femminile entrare.
E sì,
era una donna. Una strana donna.
La riconobbe: era
Freddy.
“Freddy?!”
Disse tra lo stupore e la
gioia.
“Presto.
Devi scappare.” Le disse
Freddy, entrando guardinga nella stanza.
“Perché
” Chiese disperata Gloria.
“Il tuo
lavoro è finito. È meglio se te
ne vai.”
“Ma il
Barone?”
“Lo sai
che per lui non c’è più niente
da fare. L’Imperatore lo vuole morto. Vieni, ti
farò portare via, lontano.”
“No!
Stavolta non ci sto! L’Imperatrice
mi deve delle riposte.” La voce di Gloria rimbombò
nella stanza.
Gloria si era
alzata, con il cucchiaio
in mano, nel tentativo di ribellarsi a quest’ultima azione di
forza nei suoi
confronti, ma Gloria era sfinita dalla prigionia e dalla torture e
Freddy
riuscì a disarmarle, prima di farla svenire con un colpo ben
assestato sulla
nuca.
Gloria svenne nelle
braccia di Freddy.
Altri passi nel
corridoio e altre
persone entrarono nella stanza.
Gloria venne
portata via da braccia
muscolose.
La stanza non
rimase vuota a lungo.
Hoiul
arrivò poco dopo: era stato
trattenuto da un soldato sulle scale per questioni di poca importanza.
Ma il tempo perso
fu fatale: la stanza
era vuota e Gloria sparita.
Hoiul
imprecò quando si rese conto della
fuga di Gloria, ma non poté fare diversamente che sedersi
sulla sedia e
constatare che per terra c’era il cucchiaio che Gloria voleva
usare contro di
lui.
Hoiul
guardò il cucchiaio: non era
riuscito a piegare la volontà di Gloria e qualcuno aveva
deciso che la ragazza
aveva anche fin troppo sofferto per una parte che non era la sua.
L’Imperatrice
aveva deciso di ridarle la libertà e Hoiul non poteva
opporsi al suo volere.
Hoiul
uscì dalla stanza senza chiudere
dietro di se la porta della stanza.
Qualcuno sulle
scale lo vide uscire,
indifeso.
Hoiul vide la
fiocca luce del corridoio
spegnersi di colpo, per sempre.
Gloria si
risvegliò in un letto caldo,
comodo, con lenzuola di seta.
Era a casa.
Il Barone, con la
sua mole, la
sovrastava.
Intorno al letto vi
erano altri
personaggi, completamente sconosciuti a Gloria.
“Bentornata
, cara. Come sta?” Le chiese
gentilmente il Barone.
“Come ci
sono arrivata qui?” Gloria non
capiva cosa ci facesse lì. Il suo corpo era stato
sicuramente curato, ma alcune
cicatrici non erano andate via. Gloria lo constatò alzando
le coperte: sotto
era nuda e segni profondi coprivano alcune parti del suo corpo.
“Non lo
so cara. Ti abbiamo trovato su
una scialuppa alla deriva. L’importante è che sei
qui e che stai bene.” Le
disse il Barone.
Le altre persone
presenti nella stanza
sorrisero e, ad un cenno del Barone, uscirono dalla stanza.
“Non ho
parlato!” Disse Gloria al
Barone, appena furono soli. “Non ho detto a Hoiul, quel
traditore!”
“Non ti
preoccupare, cara. Non tradirà
più nessuno. Comunque il nostro progetto è quasi
naufragato. Quasi. C’è ancora
una speranza: il marito di Haras. Speriamo che lui riesca nel suo
intento.”
Disse il Barone. “Anche se non so cosa potrà fare.
L’Imperatore Touk ha deciso
di abbandonarci. I suoi burocrati ci hanno voltato le spalle. E i
nostri si
sono ritrovati isolati da tutti.”
Il Barone Makarre
era preoccupato.
Gloria cerco di
consolarlo. Si sedette
sul letto, mostrando il petto nudo e prese la testa del Barone,
ponendola sul
suo caldo seno.
Il Barone,
sorpreso, si lasciò consolare
da Gloria.
Tutto il resto
svanì, sia per il Barone
che per Gloria.
Fuori, il tempo
aveva deciso di
contrastare anche lui i progetti del Barone: la pioggia e la grandine
si
susseguivano interrottamente, lasciando dietro a loro, su quella parte
del
pianeta, morte e distruzione.
La consegna della
giara della verità
Il pianeta Lokijn,
governato dal cugino
dell’Imperatore, il Duca Strozzen, era posizionato dentro ad
uno dei bracci
della galassia. Per dentro si intendente che era al centro del braccio,
in una
zona densa di soli e pianeti, più o meno evoluti.
Quelli meno
evoluti, ove non vi era vita
umane, umanoide o almeno con una parvenza di intelligenza,
così come la
intendevano gli scienziati, erano usati come zone di caccia e di
passatempo
dall’Imperatore e dalla sua corte, compresi alcuni vassalli
che governavano le
zone limitrofe del pianeta Lokijn.
A Strozzen
ciò non dispiaceva.
Tipo strano
Strozzen. Alto, biondo,
occhi azzurri, con una pelle chiara, con un tic all’occhio
destro. Aveva
sposato una dama di compagnia dell’Imperatrice, una ragazza
chiamata Alfonsine,
di bell’aspetto, ma insignificante, figlia di una dama di
corte e di un alto
burocrate dell’Impero, uno di quelli che aveva deciso di
tradire l’Imperatore.
Ma a Strozzen non
gli era dispiaciuto
sposare quella donna, ne tanto meno avere dei figli da lei.
La cosa strana di
Strozzen era che
passava più tempo a studiare, leggere, scoprire cose che non
il tempo dedicato
a governare la sua zona.
Che poi cosa doveva
comandare, si
chiedeva sempre. Sembrava più che facesse il guardiano alla
zona di caccia
privata dell’Imperatore che cercare di migliorare la vita dei
suoi sudditi,
perché c’era ben poco da migliorare.
Era sicuramente una
della zone
dell’Impero e dell’intera galassia dove la gente
viveva meglio. Proprio perché
riserva di caccia, sui pianeti da lui amministrati e su quelli usati
come
passatempo dalla corte, la vita trascorreva tranquilla.
Anche se
l’Imperatore viveva sul braccio
della galassia opposto al suo, Strozzen era quasi considerato un
Imperatore. E
i suoi sudditi erano alle stessa stregua considerati come i sudditi del
pianeta
dell’Imperatore. Cosa volere di più.
La malavita
organizzata non esisteva,
come non esisteva in tutto l’Impero. I ladri, costretti
più dalla fame o
dall’ignoranza a rubare, venivano condotti in prigioni dove
erano costretti a
lavorare e a guadagnarsi da mangiare e da vivere. Chi non riusciva a
studiare,
veniva arruolato a forza ed entrava a far parte della fanteria di terra
o dello
spazio.
Praticamente, non
vi era abitante di
quella zona della galassia che non lavorasse. Se tutti lavoravano,
tutti
stavano bene, avevano soldi da spendere per comprare l’utile
e il futile. E non
disturbavano i sogni dolci e innocenti di Strozzen. Così
credeva lui.
Ma il solo fatto
che suo suocero si era
messo contro l’Imperatore, lo aveva messo sotto pressione e
lo aveva
preoccupato.
Ma
l’Imperatore, e men che meno
l’Imperatrice, gliene fecero una colpa. Anzi. Avevano fatto
di tutto perché non
si sentisse lasciato da parte, o peggio, non si sentisse abbandonato.
L’Imperatore,
in quel periodo, si fece
spesso sentire da Strozzen, con documenti, lettere o video chiamate.
Come l’Imperatrice
con sua moglie Alfonsine.
Chi non capiva era
sua figlia Fionij. Il
suo nonno, tanto amato, abbandonato dalla sua famiglia.
Ma la madre gli
fece subito capire il
perché non potevano mettersi contro l’Imperatore.
E tanto meno contro
l’Imperatrice.
La figlia non
capì, ma accettò: forse
era meglio un nonno in meno che una famiglia sterminata dalla furia
dell’Imperatore.
Quel giorno
autunnale iniziò nei
migliori dei modi.
Era un giorno
infrasettimanale e,
stranamente, non era previsto nessun impegno per il Duca e la moglie.
E nemmeno per le
figlie.
Sembrava quasi una
giornata inutile.
Il Duca e la
consorte stavano facendo
colazione all’esterno, sulla veranda della loro casa, con
davanti a loro un
giardino con piante basse e fontane con giochi d’acqua.
Le figlie, Fionij e
Glocial, giunsero
poco dopo. La temperatura era mite ed era piacevole essere
lì fuori, mentre un
bel sole bianco sorgeva da dietro le montagne, che circondavano quella
bellissima vallata.
Mentre allegramente
la famiglia faceva
colazione, una enorme nave oscurò il cielo.
Strozzen
guardò in alto e vide
Invincible avanzare, passando sopra il palazzo e dirigendosi verso le
montagne.
L’astroporto
più vicino dove poteva
atterrare quella nave era alla base militare posta a oltre seimila
chilometri
dalla capitale.
Strozzen
capì che qualcosa stava
accadendo e si alzò, senza parlare.
La moglie e le
figlie lo guardarono
allontanarsi, spaventate, mentre alcuni burocrati e dei generali erano
arrivati
di corsa al palazzo..
Fionji
guardò Invincible sparire
all’orizzonte e, quando si voltò anche suo padre
era sparito.
“Vieni,
cara. Ci dobbiamo preparare.”
Alfonsine prese la mano di Fionji e la tirò a se.
“Per cosa
ci dobbiamo preparare, madre?”
Chiese Fionji
“Non ti
preoccupare. È venuto il tuo
tempo. L’Impero ha bisogno di te.”
Alfonsine e Fionji
si diressero verso il
palazzo, mentre Glocial, troppo giovane per capire, continuò
tranquillamente a
far colazione.
Invincible
atterrò nell’astroporto
militare con un gran rumore.
Dalla nave scesero
Doc e alcuni uomini
della tana con vestiti da cerimonia.
I loro mantelli
erano di color rosso,
con bordi dorati.
La testa della
tigri rispendeva in color
platino sulla loro schiena.
Insieme a loro
c’erano Black, Samuel,
Angel, l’orso e la tigre.
La gira della
verità era portata da
Elstam ed Elsam.
La giara era di
color argilla, con bande
di vari colori orizzontale.
Elstam ed Elsam
portavano la giara su
una specie di portantina di legno.
La processione,
silenziosamente, si
diresse verso un grosso veicolo nero, che li aspettava.
Il veicolo, oltre
che grosso, non aveva
ruote. Viaggiava su un cuscino provocato da un magnete e viaggiava su
una
rotaia.
Il mezzo si mise in
moto lentamente,
mentre tutti i passeggeri si sedevano, allacciando le cinture di
sicurezza.
Il veicolo si
infilò in un tunnel, che
lo inghiottì nel buio delle viscere del pianeta.
La
velocità che raggiunse il veicolo nel
tunnel fu elevata.
Un tachimetro con i
display luminoso
indicava la velocità di settecentocinquanta chilometri orari.
Il vuoto provocato
nel tunnel consentiva
al veicolo di viaggiare così veloce.
Ci vollero alcune
ore per giungere alla
capitale.
Elstam ed Elsam
mangiarono qualcosa,
affamate dal lungo viaggio, interrotto da Doc in prossimità
della capitale
dell’Impero.
Non erano le figlie
dell’Imperatore le
destinatarie della giara.
Ma a loro nessuno
lo aveva detto. Ed
Elstam ed Elsam avevano girato la galassia, per non farsi scoprire e
consegnare
la giara della verità al destinatario.
Ora, anche se non
capivano il perché,
era su quel pianeta a compiere il loro dovere.
Il mezzo, quando
raggiunse la capitale
del pianeta, uscì dalle viscere della terra e viaggio in un
tubo trasparente, e
così i passeggeri poterono rimirare la bellezza del pianeta.
Vicino alla
capitale un lago, pieno di
acqua azzurra, quieta, lambiva le periferia della capitale, fatta di
casette
piccole e basse, tutte uguali.
La voce
dell’arrivo della strana
comitiva si era già spersa per la capitale. A darne la
comunicazione era stata
la radio e il videogiornale planetario.
La gente si era
precipitata in strada,
avviandosi verso il palazzo del Duca, per vedere e capire cosa stava
succedendo.
La capitale non era
molto affollata, vi
erano circa centomila persone.
Ma la piazza delle
manifestazione ne
conteneva più di un milione e la gente della
città, che vi arrivo in gran
fretta, sembrava più uno sciame di cavallette che un popolo
esultante e felice
per il suo Duca.
Qualcuno della
dinastia sarebbe
diventato Imperatore.
Quando il mezzo
giunse a destinazione,
nella stazione della capitale, sotto il palazzo, ad attendere Doc e la
comitiva
vi era il Duca, la moglie ed alcuni pochi alti dignitari del pianeta.
La cerimonia di
accoglienza degli ospiti
per quella particolare occasione era piuttosto complicata, e le suo
norme
risalivano indietro di millenni.
Doc scese dal mezzo
e chiese il permesso
per lui e la sua comitiva di avanzare sul suolo del pianeta.
“Io,
Docilous Tuiofen, supremo capo
della tana delle tigri, difensore della legalità galattica,
giusto tra i
giusti, equo con gli equi, ribelle verso l’ignoranza e la
sopraffazione dei
poveri, ospite per coloro che non hanno dove andare, vi chiedo di poter
venire
in pace nei vostri territori planetari, per portarvi la luce della
conoscenza e
la parola della verità contro coloro che spengono la ragione
e accendono
l’ignominia. Qui, tra voi, c’è colui che
dovrà vedere la verità, sentirla,
apprezzarla, odiarla, mai nasconderla ad occhi ed essere pensante della
galassia. Colui che dovrà aprire la giara della
verità è qui?” Chiese alla fine,
con fare maestoso.
“Ma chi
è costui?” Chiese, giustamente,
uno degli alti funzionari.
“Donna,
fai un passo avanti!” Doc indicò
Fionji e gli fece cenno di avanzare.
La ragazza si
guardò intorno, spesata.
“Chi sono
io per essere eletta a tale
rango?” Rispose come le era stato insegnato dalla madre.
“Non
importa chi sei. Tutto per il bene
della galassia!” Rispose Doc.
La piccola folla
che circondava Fionji
si allargo, allontanandosi sa lei, compresi i suoi genitori.
Tutti, poi, si
inchinarono davanti a lei.
Ad un gesto di Doc,
il piccolo gruppo di
persone della tana delle tigri aprì la processione verso il
palazzo, seguiti da
Elstam ed Elsam che portavano la giara.
Dietro la giara
s’incamminò Foinji,
seguita dai funzionari del pianeta. La processione era chiusa dal Duca
e la sua
moglie e si diresse si diresse verso la grande sale delle adunanze.
Ad aspettarli vi
era un folto gruppo di
dignitari e dame di corte. Glocial aspettava di fianco al trono.
Quando arrivarono
nella sala, di fronte
al trono, gli uomini e le donne della tana delle tigri si coprirono il
capo con
il cappuccio della vesta.
Doc
invitò Fionji a sedersi sul trono.
Quando Fionji si fu
seduta sul trono,
tutti i presenti si inchinarono, in segno di saluto e rispetto.
Elstam ed Elsam
portarono la giara
davanti a Fionji e l’appoggiarono ai suoi piedi.
“Apri,
senza paura e la verità sarà a te
permesso di conoscere.” Le disse Doc.
Fionji prese il
coperchio della giara e
lo alzò, guardandoci dentro.
La sua faccia era
nascosta dal coperchio
e, siccome tutti erano ancora inchinati in segno di rispetto, nessuno
vide la
sua faccia di stupore.
Strano,
pensò, una giara piena di acqua.
E anche un po’ puzzolente, concluse, richiudendo il coperchio.
Strano scherzo.
Acqua, solo acqua,
nient’altro che acqua. Doc la squadrò da sotto il
cappuccio.
Se avesse parlato,
per dire quello che
aveva visto, non sarebbe diventata Imperatrice. Fionji lo sapeva: era
stata ben
istruita dalla madre.
“Qualsiasi
cosa ci sia dentro” le aveva
detto la madre “non devi far trapelare dal tuo corpo che sei
sorpresa o
spaventata. Sii forte, qualsiasi cosa succede.”
Ma
l’acqua, cosa centrava? Fionji era
quasi arrabbiata e si accorse dello sguardo da sotto il cappuccio di
Doc, ed
evitò di far trapelare dal suo viso qualsiasi emozione.
Doc si accorse di
quell’attimo di
smarrimento di Fionji, ma gli altri no.
Perfetto,
pensò Doc.
Magnifico,
pensò Black.
Che barba,
pensarono Elstam ed Elsam.
Fionji si accorse
di aver percepito quei
pensieri, attimi sfuggenti che le erano passate nel cervello, in un
attimo, e
che se ne erano andati via, veloci.
Fionji si
guardò attorno, guardinga.
Tutti erano ancora inchinati e lei si accorse di sentire i pensieri, di
recepire le loro emozioni, le loro paure: sentiva le vibrazioni aure
delle
persone.
Non era acqua
quella nella giara, era
come una droga, talmente forte che le aveva amplificato i sensi, non
quelli
corporei, ma quelli spirituali. Forse.
A Fionji ci volle
parecchio per
abituarsi a quella nuova sensazione. Difficile da controllare.
Ad un tratto, Doc
fece un cenno e i
cappucci degli uomini della tana si abbassarono, mostrando volti di
uomini e
donne che aveva combattuto a lungo per il bene di tutti.
La gente si
alzò, guardando in faccia la
nuova Imperatrice.
“Vi
presento la vostra nuova
Imperatrice. Lunga vita all’Impero!”
Urlò Doc.
“Lunga
vita e prosperità a noi!”
Risposero i presenti.
La folla nella
piazza urlava. La notizia
della nuova Imperatrice corse per ogni angolo della galassia.
Ma il passaggio dei
poteri non era così
semplice ed immediato.
Il vecchio
Imperatore doveva abdicare,
ma non era detto che lo avrebbe fatto in poco tempo.
E poi Fionji doveva
trovare marito e
sposarsi. E anche questo non era così immediato.
Fionji doveva
finire gli studi, essere
istruita, trovare dame di corte, aiutanti… tante cose da
fare.
Doc e i componenti
della tana delle
tigri se ne andarono, scortando la gira della verità portata
da Elstam ed
Elsam.
Se ne andarono con
lo stesso mezzo con
cui erano venuti.
La sera stava
calando in quella parte
del pianeta.
Invincible
ripartì con la piccola
comitiva a bordo, dirigendosi verso la tana delle tigri.
Sul pianeta
incominciarono i
festeggiamenti e nella galassia tutti guardavano alla nuova Imperatrice.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** L'altra fine ***
Il professore
Nietsnie ci impiegò tre
mesi per raccogliere e catalogare tutti i documenti riguardanti i tempi
e i
modi che portarono allo sviluppo degli avvenimenti che
l’Imperatrice gli aveva
chiesto di cercare.
Trovò
non solo una videostoria degli
avvenimenti, ma anche documenti, alcune immagini, documenti cartacee
dei
servizi segreti civili e militari del tempo.
Era passato tanto
tempo, ma i documenti,
stranamente, erano ben conservati.
Il professore
pensò che qualcuno aveva
voluto farglieli trovare: erano tutti nella stessa ala della gigantesca
biblioteca, tutti catalogati, tutti in ordine.
Mai una ricerca del
genere era stata
così facile e mai aveva trovato così tanti
documenti che ne parlassero. Strano.
Ma i documenti non
parlavano chi erano e
che fine avevano fatto Doc e il Conte Black.
La storia, le
immagini, i dati
terminavano nel momento in cui la giara era stata consegnata.
Doc era sparito,
letteralmente ingoiato
dal pianeta Oleg.
Il Conte Black con
Freddy non avevano
lasciato tracce sul pianeta su cui erano andati ad
abitare: chi attualmente comanda quella zona
della galassia non era neanche un loro diretto discendente.
E Invincible era
stata ingoiata dalle
fauci fameliche del nulla.
Il professore aveva
un sacco di
documenti, ma pochi riferimenti reali su cui lavorare.
Sì,
aveva indicazione di dove era
situata la tana delle tigri, la sua collocazione all’interno
della galassia,
come raggiungerla: ma perché sulla tana delle tigri tanti
dati e niente di Doc.
Il professore
continuò la ricerca tra le
carte di quella zona della biblioteca. Alla fine trovò un
documento con dei
riferimenti che non facevano parte di quel lato della biblioteca.
Ci volle un
po’ per capire a cosa si
riferivano quei documenti, ma alla fine trovò il bandolo
della matassa.
Chi gli aveva messo
in bella mostra
tutti quei documenti, ne aveva lasciato uno, sicuramente per errore,
con
riferimenti ad un altro lato della biblioteca.
Al professore non
ci volle molto per
capire a quale zona della biblioteca faceva riferimento il documento,
ma la
zona della biblioteca indicata era dall’altra parte del
pianeta.
Il professore
partì alla ricerca degli
altri documenti.
Per andare
all’ala della biblioteca che
gli interessava il professore ci impiegò un giorno,
utilizzando i mezzi di
trasporto pubblici.
I mezzi di
trasporto erano dei cilindri
che viaggiavano in tubi sotto vuoto, posizionati sotto terra, ad alcune
centinai di metri sotto la crosta del pianeta.
Quel lato della
biblioteca era molto
antico.
Era dentro un
palazzo, un vecchio
palazzo.
Il professore,
all’ingresso della
biblioteca, ebbe come un sussulto. Gli ricordava le immagini viste del
palazzo
dell’Imperatore Frederickon II.
Era certo che fosse
il palazzo Imperiale
descritto nei documenti che aveva trovato.
Il professore si
ricordò delle piante
del palazzo reale e cercò subito la sala dove vi erano state
le riunioni dei
servizi segreti.
La trovò
al piano interrato.
Era proprio come
era stata descritta nei
libri.
Ma ora era occupata
da documenti, che il
professore incomincio a guardare.
Vi erano carte,
dischi, videolibri.
Ma non erano le
carte che cercava.
Erano la storia
della galassia dal
ventisettemila al ventottomila dell’anno galattico.
Cerano
però delle strane immagini.
“Invincible!”
urlò il professore.
Si girò
per controllare che nessuno lo
avesse sentito.
L’immagine
era su una carta strana, ma,
sul fondo dell’immagine, vi era l’astronave tanta
cercata.
Ma che ci faceva
una astronave di
cinquemila anni fa in una foto vecchia di solo duemila anni?
Il professore
controllò meglio la foto:
il pianeta su cui era stata fatta assomigliava molto alla tana delle
tigri.
Il professore
continuò le ricerche in
quella stanze e quelle attigue.
Poi
passò alle stanze dei piani alti.
Trovò
altre tracce in una stanza che
sembrava una camera da letto.
Era la stanza da
letto dell’Imperatore
Federickson II.
Le tracce
continuarono in altre stanze.
E le date
continuavano a modificarsi.
Alcune erano vecchi
di solo cento anni.
E le coordinate in
cui le foto erano
state fatte spesso distavano anni luce e i tempi erano di sole poche
ore.
Il professore
lasciò lo stabile, il
vecchio palazzo Imperiale soddisfatto, ma con ancora un sacco di
domande.
E non aveva nessuna
intenzione di
tornare dall’Imperatrice senza risposte.
Dei giardini che
erano di fronte al
palazzo Imperiale, era rimasto solo quello primaverile.
Quello dei
documenti, penso il
professore.
Vi fece un giro,
controllando l’ora: non
aveva nessuna intenzione di essere bagnato dall’impianto di
irrigazione a
pioggia.
Lo attraverso e
uscì dall’altra parte.
Si trovò
davanti a un palazzo molto più
recente, anzi recentissimo.
Era nuovo, appena
fatto.
Strano, non era
segnato su nessuna mappa
generale della biblioteca.
Vi
entrò, ma l’edificio era ancora
vuoto.
Era enorme: solo
l’ingresso era alto più
di venti metri.
Spettacolare, con
enormi finestre
lavorate con colori veramente sgarcianti.
Bello,
pensò il professore.
Ma una cosa strana
attirò la sua
attenzione.
In un angolo vi
erano delle casse di
legno, contenenti dei documenti siglati top secret.
Il professore si
guardò intorno
circospetto, poi apri la prima cassa e ci guardò dentro.
Non c’era
molto di interessante: foto,
vecchi documenti cartacei, lettere… Conte Black.
Il documento non
era molto antico, era
datato 29540: vi era un documento che parlava del Conte Black e della
tana
delle tigri, della necessità di controllarli e di sapere
cosa stavano
combinando.
Un simile
documento, lasciato lì così:
al professore non parve vero.
Ma un sospetto gli
corse nel cervello,
fino alle viscere del suo intestino: troppe tracce inequivocabili che
collegavano il Conte Black all’Invicible e alla tana delle
tigri.
No. Il Conte Black
faceva parte della
tana delle tigri, questo ormai era assodato, ma… no, non
poteva.
Uno dei primi
documenti parlava
dell’idea di Doc per quanto riguardava Invincible.
Un rumore alle sue
spalle lo fece
trasalire.
Si girò
di scatto, la mano nella tasca,
pronto a difendersi.
Forse qualche
animale entrato per
errore.
Il professore
copiò i documenti sul suo
mini computer.
Appena ebbe finito,
uscì di corsa
dall’edificio e ritorno sui suoi passi.
Attraverso il
giardino di primavera di
corsa, primo che la pioggia lo irrogasse.
Prima di entrare
nel palazzo principale
si voltò.
Era quasi certo che
un’ombra si aggirava
in quel posto.
Ormai aveva
parecchi documenti da
presentare all’Imperatrice.
Alla sera riprese i
mezzi pubblici e
tornò al suo appartamento.
Fece i bagagli e
prese la prima
astronave che partiva per il pianeta dell’Imperatrice.
Il professore
continuava guardarsi
intorno preoccupato.
Il viaggio
durò due giorni, nei quali il
professore dormì poco.
Quando
atterrò all’astroporto della
capitale, il professore si rivolse ad uno degli agenti
della sicurezza presenti.
Si fece
accompagnare, o meglio scortare
fino al Palazzo Imperiale.
Era notte quando
arrivò al palazzo
Imperiale.
I domestici si
innervosirono alla sua
presenza: mai nessuno si era permesso di arrivare a quell’ora
così discutibile
e chiedere dell’Imperatrice.
Ma, stranamente,
l’Imperatrice lo
ricevette.
L’Imperatrice
Koiula aveva quarant’anni
galattici standard.
Era una bella
donna: alta, magra, con un
viso ovale, occhi di un blu intenso, labbra piccole.
Al professore
piaceva come vestiva
l’Imperatrice in privato: indossava sempre vestiti succinti,
che mostravano le
sue forme e il seno prosperoso.
“Allora,
professore, quali notizie?” Gli
chiese l’Imperatrice nel suo salottino privato, seduta su un
divano blu notte.
Il professore si
sedette su una sedia,
davanti ad un tavolo dove appoggiò il suo mini computer e lo
collego ad una
presa multipla, posta sul tavolo.
Un video, grande
quanto la parete posta
a destra dell’Imperatrice, si illuminò.
Il professore
incominciò a spiegare
all’Imperatrice tutto quello che aveva scoperto.
Entro nei
più minimi particolari, fin
troppo noiosi, ma l’Imperatrice ascolto tutto con attenzione.
Era
l’alba quando il professore terminò
la sua relazione.
La luce entrava da
un pesante tendaggio
che chiudeva la finestra.
L’Imperatrice
si alzò e aprì la tenda:
la luce invase tutta la stanza.
Il professore
chiuse gli occhi per la
troppa luce.
Quando li riapri
l’Imperatrice era
davanti allo schermo a giocherellare con i dati della ricerca.
“Quindi,
secondo voi, è possibile che
siano tutti bionici?” Chiese con noncuranza.
“Sì,
mia Imperatrice. Ho paura che Doc
sia un vecchio Imperatore, forse esistito cinquecento anni prima degli
avvenimenti che tanto ci interessano. E che il Conte Black, o almeno il
suo
cervello, sia finito a comandare l’Invincible. Non di meno
l’orso Ronson e la
tigre Elsa sono sicuramente i consiglieri fidati del vecchio
Imperatore.” Disse
il professore, alzandosi dal divano e avvicinandosi
all’Imperatrice.
“Posso
chiedere a cosa vi serva questa
ricerca?” Il professore lo chiese sotto voce, come se
qualcuno potesse sentire.
“Sì.
Ma non è detto che abbia voglia di
rispondervi, mia caro professore.” Disse
l’Imperatrice, giocherellando con i
dati sul video.
“Però,
potrei fare un’ipotesi.”
Insistette il professore. “Voi siete la…
settecentocinquantaduesima Imperatrice
di questa galassia. Le dinastia che si sono succedute sono circa dieci.
Le
precedenti dinastie si sono estinte naturalmente e sono state
sostituite da
altre, in modo del tutto naturale…”
“Lo
credete davvero, professore?”
L’Imperatrice guardò il professore, con quel
sorrisetto furbino che spesso
segnava il suo volto, come un bambino che ha rubato la marmellata ma
nessuno
riesce a scoprire come ha fatto.
“Voi
sapete più di quanto credevo.
Quindi non è una leggenda. È tutto vero. Ma la
vostra dinastia non è tanto che
governa, voi siete solo la… quarta.
Perché?” Chiese incredulo il professore.
“Perché
ho messo al mondo un sola
figlia, e invece dovevo mettere al mondo un maschio. Avrebbe sposato la
figlia
del Conte Koiuyt, continuando tranquillamente la dinastia senza
problemi. E
tenendo buoni tutti. Invece mia figlia dovrà sposare chi
vuole, mischiando,
forse, il sangue con un con sanguigno. Sì, lo so. Si possono
fare dei
controlli. Ma questo rischierebbe di mettere in luce troppe magagne
Imperiale,
che nessuno vuole. Caro professore, siamo finiti. A meno che mia figlia
non
sposi il figlio dell’Imperatore della galassia di Androgina.
In tal caso il
problema sarebbe risolto, ma sa com’è: non si
sposa il figlio dell’Imperatore
di un’altra galassia. Anche se i due si amano.”
Concluse l’Imperatrice,
sedendosi sul divano e coprendo il volto con le mani.
“E
perché non glielo fa sposare?” Chiese
il professore, che si era seduto di fianco a lei.
“Perché
la tana delle tigri non vuole. O
almeno, quello che rimane della tana delle tigri.”
”E’ sicura che siano rimasti in pochi?”
“Il
ricambio c’è sempre stato e sempre
ci sarà, caro professore. Non è gente che si
ferma davanti a questi problemi.”
“Già.
Ma se qualcuno pensasse o, meglio,
sapesse che si sono messi contro l’Imperatrice, cercando di
detronizzarla…”
“Non sono
così stupidi. Non lo faranno
mai. Non si metteranno contro di me. Lo faranno solo quando non ci
sarò più.”
L’Imperatrice si era appoggiato alla schienale del divano. Il
professore era
sempre più sopraffatto dai desideri di aiutare la sua
Imperatrice.
“Perché
non li anticipate. Fategli
sapere che sapete. Ci penseranno bene…”
“Professore.
Uomo di dura cervice. Non è
che state esagerando nel vostro volervi aiutare. Non pensate che abbia
già
fatto le mie mosse. No, è impossibile. Lottare contro la
tana delle tigri non è
possibile.” Disse l’Imperatrice, guardandolo
amorevolmente.
Il professore e
l’Imperatrice rimasero
sul divano, mentre il sole si alzava sopra l’orizzonte.
“I
burocrati. Non è la tana delle tigri,
mia signora. Sono i burocrati che decidono chi sarà
l’Imperatore. Sono loro che
controllano i documenti delle nascite. Loro che sanno tutto e ben se ne
guardano di dirlo. No.” Disse il professore, come se avesse
capito il mistero.
“Non è la tana delle tigri che decide. Sono i
burocrati. La tana delle tigri ha
sempre lottato contro di loro. La tana delle tigri, se come dite voi
è vero,
dovrebbe aver già inviato al vostro successore la giara
della verità, ma
nessuno la mai ricevuta…”
“Mica lo
dicono se ricevono la giara, professore.”
L’Imperatrice rise rumorosamente. “Non lo hanno mai
detto.” Disse infine.
“Oh, no.
Questo non è vero. Ho visto un
elenco di nomi di imperatori, aspetti…” Il
professore si alzò e si mise davanti
al video. Cercò qualcosa, per un breve tempo.
All’improvviso sul video apparve
un elenco di nomi, tutti gli imperatori che avevano comandato su quella
galassia. Di fianco ad ogni nome c’erano stani simboli, tra
cui una giara.
“Visto!”
disse girandosi verso
l’Imperatrice, che si alzò e si
avvicinò al video. “Tutti i nomi degli
Imperatori, con a fianco
il simbolo
della giara. Visto, al cambio di dinasta vi é una giara.
Tranne al cambio della
vostra dinastia. La vostra dinastia è salita al potere senza
la giara. Com’è possibile?
Di sicuro c’è sotto qualcosa. O la tana delle
tigri non ha più proseliti, o i
burocrati hanno preso il comando!” Disse il professore.
L’Imperatrice
guardò tutti quei nomi, i
simboli a fianco di ogni nome, e la giara, messa esattamente al cambio
di
dinastia.
Davvero i burocrati
alla fine avevano
preso il sopravvento sulla tana delle tigri e avevano messo un
Imperatore
scelto da loro, per poter fare quello che volevano, comandare
nell’ombra senza
dover rendere conto a nessuno?
L’Imperatrice
cominciò a capire tante
cose.
“Sì,
mio caro professore. È proprio
così. I burocrati hanno preso il comando. Si sono
impadroniti dell’Impero e
della galassia. Adesso so cosa devo fare.” Disse
l’Imperatrice, battendo una
mano sulla spalla dell’anziano uomo, per così
tanto tempo fedele servitore.
“E cosa
volete fare, mia signora?”
“Andremo
alla tana delle tigri e lo
chiederemo direttamente agli interessati. Avremo notizie più
interessanti e
sapremo come sconfiggere il nemico.”
L’Imperatrice
spense il video, toccò un
tasto rosso e apparve la faccia di un uomo robusto, con il viso pieno
di
cicatrici, viso rotondo, di stazza grossa, non molto alto, vestito da
militare.
“Rudolf,
preparate la mia nave da
battaglia. Dobbiamo partire. Subito!” Gli ordinò
l’Imperatrice, che non attesa
la risposta e accese un altro pulsante.
Apparve una donna,
minuta, piccola,
anziana.
“Delia.
Fai preparare subito la mia tuta
da combattimento.”
L’anziani,
stupida, non ebbe il tempo di
rispondere. Il video si spense subito.
L’Imperatrice
guardò il professore.
“Bene,
professore. Partiamo. La tana
delle tigri ci aspetta.”
“Non
vorrà ficcarsi in quel guazzabuglio
di gente…”
“Di gente
fedele alla galassia,
professore. Fedele alla galassia, non a se stessi. Se riusciremo ad
avere i
contatti necessari, pensò che la galassia sarà al
sicuro. E credo che l’unione
tra mia figlia e l’uomo che tanto ama non sarà
così tanto osteggiato come noi
crediamo. “ Concluse l’Imperatrice, dirigendosi
verso una porta, in fondo alla
stanza.
“Cosa
volete che faccia?” Chiese il
professore timoroso.
“Verrete
con me. Fatevi trovare
all’astroporto tra due ore. Vedrete che faremo un bel
viaggio.” L’Imperatrice
sorrise, tranquilla, ed uscì dalla stanza.
Il professore
preparò le sue cose (non
aveva neanche disfatto i bagagli) e andò
all’astroporto.
La nave da guerra
dell’Imperatrice era
superba. Nei ultimi duemila anni le navi per viaggiare nello spazio
erano
parecchio ambiate. Ora erano degli enormi dischi, piatti, con i motori
arretrati rispetto ai dischi. Le velocità che raggiungevano
erano di parecchio
volte superiore alla velocità della luce. Di parecchio
superiore.
Il professore
salì da una passerella
posta sotto la zona vicino ai motori.
All’interno
dell’astronave fu accolto da
una sua vecchia conoscenza.
“Professore.”
”Elisabeth! Che piacere vederti. E il tuo occhio, come sta?
”
“Bendato!”
Gli rispose la ragazza. Era
un tipo corpulento, alto, viso magro, labbra carnose, capelli lunghi e
neri,
l’unico occhio aveva una pupilla nera come la notte. La benda
copriva l’occhio
destro, cavatogli dalla sua sede dall’Imperatrice di persona
durante un
allenamento con le spade. Da allora l’Imperatrice la aveva
elevata al rango di
suo attendente.
Indossava una tuta
da battaglia nera,
talmente aderente che mostrava i muscoli e tutta la sua
femminilità. Il
professore non riusciva a capire perché
l’Imperatrice si circondasse di donne
guerriere, come le antiche amazzoni. Gli uomini erano più
affidabili,
lottatori, guerrieri veri. Poi si ricordò che le tute da
battaglia avevano la
possibilità di aumentare la forza del combattente di almeno
dieci volte: anche
una donna poteva spaccare la testa di un uomo distratto davanti alle
sue
grazie.
“Allora,
professore, un’altra avventura?
Questa volta cosa cerchiamo? Un pianeta che non
c’è? O dobbiamo cercare strani
documenti in qualche posto remoto della galassia?”
“Se fossi
in te, Elisabeth, non farei
troppo la spiritosa. Stavolta, forse, devi sporcarti le mani. E non
credo che
sarà divertente. Posso andare nella mia solita
stanza?” Chiese il professore,
dirigendosi verso un ascensore.
“Sì.
Come al solito. Sporcarmi le mani?
Ma se ogni volta non succede niente. Una viaggio di piacere e torniamo
dopo
neanche una settimana. Che barba!” Disse Elisabeth, girandosi
e dirigendosi
verso degli uomini che stavano caricando dei macchinari sulla nave.
Il professore rise.
Prese
l’ascensore e si diresse al ponte
cinque.
La sua stanza era
segnata con la sigla
E5010.
La camera era
spoglia. Vi era un
finestrone, a metà altezza, lungo tutta la stanza che dava
verso l’esterno
della nave. Sotto di esso vi era divano per metà della sua
lunghezza e una
tavolo.
Un altro da lavoro
era nella parete di
fianco alla porta di ingresso.
Il computer era
acceso e sul video vi
era un messaggio interno.
Una riunione di
lavoro era fissato dopo
la partenza, che era prevista per le ore undici.
Come al solito,
l’Imperatrice non aveva
perso tempo. Sembrava che ogni volta che il professore tornava con dei
dati per
la ricerca di qualcosa, l’Imperatrice già sapesse
il risultato e cosa doveva
fare.
Il professore aveva
sempre avuto il dubbio
che l’Imperatrice lo spiasse in qualche modo durante le sue
ricerche.
Ma la cosa non lo
aveva mai preoccupato.
Ma stavolta
qualcosa non quadrava.
I macchinari che
aveva visto caricare
dagli uomini di Elisabeth erano robot da guerra. Non i soliti,
però. Alcuni
suoi allievi avevano sperimentato la possibilità di guidare
i robot con la
mente. Cosa che da parecchio tempo si faceva. Ma i suoi discepoli erano
arrivati al punto che la menta del pilota quasi si fondeva con la
macchina,
fino al punto che le reazioni di intervento dei robot erano immediate,
con la
differenza di intervento così minima, che
l’Imperatrice aveva avuto paura a
produrre più di qualche esemplare di prova. Per
l’esattezza cinque.
Lui ne aveva visti
almeno venti.
Il professore prese
le sue borse e
schiacciò un pulsante sulla parete libera.
Si aprì
un armadio e sotto apparve un
letto.
Appoggiò
le borse sul letto, le apri con
calma e cominciò a tirare fuori i vesti, appendendoli con
ordine.
Di solito li
prendeva e li buttava
dentro, ma il pensiero di qualcosa di strano gli fece fare le cose
senza
rendersene conto.
Svuotata una borsa,
iniziò con l’altra.
La sua vecchia tuta
da guerra era lì,
nera come la pece.
La teneva sempre in
ordine. Odiava la
guerra, ma troppe volte l’Imperatrice l’aveva
trascinato in situazione poco
piacevoli. Stavolta si era preparato.
All’interno
della tuta faceva bella
mostra di sé un disegno stilizzato di una animale. Il
professore la guardò con
sentimento. Era giunto il momento che quel simbolo tornasse a dire la
sua, a
dire qualcosa per la galassia?
Sul video del
computer apparve la faccia
di Elisabeth che lo chiamava.
Il professore
nascose la tuta e si
diresse al video.
Alzò il
volume dell’audio.
“Professore.
Come al solito.. il volume…
quante volte le devo dire che deve essere alzato al massimo…
se no cosa la
chiamo a fare…”
“Smettila,
Elisabeth. Cosa vuoi?” Disse
il professore in modo sgarbato.
“Scusi.
L’Imperatrice è a bordo e stiamo
per partire. Ha detto di scendere in sala…”
“Va bene.
Arrivo.” Rispose il professore
sgarbatamente, e chiuse la conversazione spegnendo il video.
Dalla sedia su cui
si era seduto per
rispondere a Elisabeth guardò la tuta.
Ora il destino
dell’universo era nelle
sue mani.
Nascose la tuta e
il borsone che la
conteneva.
Chiuse
l’armadio e il letto.
Si diresse verso la
porta: prima di
uscire si girò a controllare che tutto fosse a posto.
Guardò
in alto: la telecamera di
sicurezza era accesa: qualcuno spiava, come al solito. Poco male.
Uscì e
si diresse in sala riunione.
Anche se Elisabeth
non aveva concluso al
frase, sapeva che l’Imperatrice era là con tutto
lo staff.
La sala era
dall’altra parte della nave
e gli ci volle un buon cinque minuti per arrivarci.
Odiava quella nave:
bisognava sempre
camminare per postarsi da un punto all’altro, usare scale:
non capiva perché
gli unici ascensori che vi erano installati portassero solo al ponte di
volo.
Quando
arrivò nella sala, l’Imperatrice
era già lì, nella sua tuta da guerra blu cobalto.
Una meraviglia, penso il
professore.
Non così
lei, che glielo fece capire con
una sguardo meno benevolo del solito.
L’Imperatrice
stava parlando con
Elisabeth e con un uomo, di media statura, anche lui con una tuta da
guerra
indossata, con un fregio sul petto: era il comandante della squadriglia
di robot.
Aveva un nome strano… il professore, come al solito, i nomi
stupidi non se li
ricordava. Fa niente, pensò, non ci doveva parlare con
quello.
Nella sala vi erano
altre persone,
alcune vestite con tute da lavoro, altri con i vestiti di ordinanza
delle navi
spaziali.
Riconobbe il
comandante della nave, il
Generale Kutre e un uomo dei servizi segreti militari, anche lui con un
nome
strano e stupido.
Quando tutti furono
seduti ai loro
posti. L’Imperatrice iniziò la riunione. Guardando
il tavolo, lei si accorse
che un posto era vuoto.
“Dov’è?”
Chiese, scocciata.
“E’
il solito ritardatario.” Disse una
voce.
Qualcuno rise
sottovoce, con
l’Imperatrice che stava incominciando a sbuffare come un toro.
Ad un certo punto
una porta di aprì di
colpo e un omino, di piccola statura, grassoccio, entro nella sala
riunione.
Aveva una tuta da
lavoro logora, e lei
sembrava ancora più trasandato.
“Caro
Leonard, non puoi tutte le volte
essere in ritardo e conciato come… un animale! Ma ti
lavi?” Disse
l’Imperatrice, mentre un odore nauseabondo investì
tutti i presenti.
“Posso?”
Chiese Elisabeth.
L’Imperatrice
l’anticipò, schiacciando
un pulsante sul tavolo.
Il povero Leonard
fu investito da un
getto di acqua calda, sceso dal soffitto, che lo lavò
completamente.
“Visto,
Leonard. Ad ogni problema la sua
soluzione.” Disse l’Imperatrice.
“La
ringrazio, mia signora.” Rispose
Leonard con la sua vocina, mentre con la mano sinistra si toglieva
l’acqua che
dai capelli scivola sul suo volto. I presenti non riuscirono a
trattenere una
sonora risata.
“Bene.
Dopo questo piccolo fuori
programma, torniamo ai nostri affari.”
L’Imperatrice schiacciò un pulsante su
un pannello posto alla sua sinistra e dietro a lei scese un enorme
video, su
cui apparse una zona della galassia.
“Come
vede” Continuò ”noi dobbiamo
andare sul pianeta PY253YU, detto anche la tana delle tigri. Non
sarà un
viaggio lungo, ma sicuramente quello che troveremo sarà
molto importante per
tutti noi. Come al solito la segretezza è importante. Solo
che questa volta non
perdonerò strane comunicazioni (guardò tutti con
aria pericolosa,
tambureggiando con le unghie sul tavolo) con personaggi equivoci.
Questa volta
chi si azzarda a disobbedirmi lo sistemo di persona!”
Così dicendo sferrò un
pugno sul tavolo, che fece trasalire tutti.
Una voce subito si
alzò da un posto
vicino al professore “Non crederete che tra noi ci siano dei
traditori?”
“Mio
caro, questa volta i traditori
saranno morti! Credo di essere stata molto chiara!” E un
altro pugno cadde sul
tavolo.
Il professore
guardò Elisabeth, che se
la stava ridendo silenziosamente: altri, invece, avevano la facci
decisamente
preoccupata.
I burocrati avevano
infiltrato persone a
loro fidate sulla nave da guerra dell’Imperatrice.
Il professore
cominciò a capire.
Erano arrivati a
tanto, pur di comandare
la galassia.
La riunione
continuò con dati e
sistemazioni dei ruoli, fasi di attacco e di protezione
all’operazione.
Ma al professore
questo non interessa.
Anzi, l’Imperatrice per quelle riunioni non lo aveva mai
chiamato.
Perché
stavolta era diverso?
La riunione
durò parecchio. Continuò
anche quando la nave partì.
Strano, si parte e
il comandante della
nave e l’Imperatrice non sono sul ponte di comando.
Sempre
più strano, pensò il professore.
Ma era inutile
chiedere, nessuno ci fece
caso.
Durante la riunione
mangiarono qualcosa
di frugale, bevvero solo acqua (l’alcool sulla nave
dell’Imperatrice era
vietato quando si andava in missione) e la riunione proseguì
fino alle cinque
del pomeriggio di un giorno galattico standard.
Alla fine della
riunione tutti se ne
andarono alle loro mansioni. Il professore rimase meditandolo.
Elisabeth se ne
accorse e si avvicinò.
“Non mi
sembra il caso di essere
preoccupato. Tutto fila come previsto.” Le disse, dolcemente.
“Tu
credi. E allora perché ho dovuto subire
questa riunione ”
“Come,
non lo sai. Ci aspettano. Non
vorrai fare brutta figura.”
Elisabeth si
allontanò, scortata dal
comandante della squadriglia.
L’Imperatrice
stava leggendo sul video
dei dati, quando alzò la testa e guardo il professore.
“La
riunione è finita, Gorge. Qualche
problema?”
“Non mi
avete mai chiamato per nome,
Koiula. Come mai adesso… “
L’Imperatrice
si pose il dito indice
della mano destra sulla bocca. Fece un gesto e la sala fu chiusa,
sigillata. Il
rumore delle porte blindate ce si chiudevano fu quasi assordante. Le
telecamere
della sicurezza si spensero. Non tutte, ma George notò che a
una buona parte di
esse la luce rossa si era spenta.
L’Imperatrice
si avvicinò al professore.
“So il
vostro segreto. So cosa
nascondete. E voi avete capito cosa voglio fare. Prima di arrivare alla
tana
delle tigri, i burocrati dovranno essere spariti su questa nave. Conto
su di
voi. Non importa come lo farete o come gli scoprirete. Fatelo e
basta.”
“Non sono
un assassino! Non posso…”
“Non lo
farete voi il lavoro sporco. Ci
penserà Leonard.”
“Leonard?!”
“Sì,
Leonard. Voi trovateli e poi ditelo
a lui. Buon lavoro, professore.”
L’Imperatrice
si alzò dalla sedia su cui
si era seduta. Si volto, facendo un altro gesto.
Le porte blindate
si aprirono, forse ancora
più rumorosamente di quando si erano chiuse e le telecamera
si riaccesero.
Il professore
uscì dalla sala e andò
nella sua stanza.
Scoperto come un
bambino. Era stato
stupido. Ma il pensiero si rivolse ad altro. L’Imperatrice
doveva essere o
chiaroveggente o telepatica. Forse, i burocrati avevano sbagliato
qualcosa
quando avevano scelto la sua dinastia.
E la tana delle
tigri doveva approfittarne.
Il professore si
cambiò e se ne andò a
letto.
Fuori dalla
finestra, le stelle
correvano veloci. Dalla parte sbagliata.
Capì che
alla tana delle tigri ci
sarebbero arrivati dopo almeno due mesi.
Già. I
burocrati dovevano scendere dalla
nave, possibilmente morti.
Il professore
spense le luci e se ne
andò a letto.
Si addormento
guardando le stelle che
scorrevano. Dalla parte sbagliata.
L’astronave
incominciò ad andare a zonzo
per la galassia.
Le giornate
passavano stancamente, tra
intrallazzi di potere, strane sparizioni, gente trovata morta nei letti
mentre
dormiva ed altre dicerie del genere.
L’astronave
era grande e le leggende
incominciarono a crescere come i parassiti sulle piante.
Il professore
individuo solo tre degli
uomini inviati dai burocrati. Gli altri si fecero scoprire da messaggi
maldestramente inviati ai loro capi burocrati.
Alla fine gli
uomini al servizio dei
burocrati risultarono venti.
Tutti fecero la
stessa fine.
Ma strani messaggi
continuavano ad
essere spediti da uno strano strumento a bordo dell’astronave.
Nessuno,
però, fece niente.
Il professore
sapeva che, comunque, era
necessario che i burocrati ricevessero notizie, magari anche false, ma
l’importante era che il cordone ombelicale non fosse tagliato.
Così,
dietro ordine dell’Imperatrice,
l’uomo che si salvò continuò ad inviare
notizie, controllate in modo indiretto
dall’Imperatrice. Peccato che lui non lo seppe mai che faceva
il gioco
dell’Imperatrice e non dei burocrati.
Dopo circa un mese
di viaggio nella
galassia, dove l’Imperatrice poté in contemporanea
visitare pianeti del suo
Impero che non aveva mai visitato, la nave si diresse definitivamente
verso la
tana delle tigri.
A circa due giorni
di viaggio dalla
tana, l’Imperatrice fece chiamare il professore.
Era il secondo
turno di guardia, in
teoria erano le due del mattino in un giorno galattico standard.
Il professore stava
dormendo
profondamente, quando una delle guardie personali
dell’Imperatrice lo svegliò.
Il professore si
sveglio alquanto
arrabbiato, in quell’ora così indicente.
Per fare in fretta
si mise una tuta da
lavoro e andò dall’Imperatrice.
Lo sapeva che con
lei era inutile
discutere, ma a quell’ora, diamine.
Il professore
andò diretto verso una
sala dell’ultimo ponte.
Il soldato lo fece
entrare in un grande
stanzone: era la stanza adibita alle carte spaziali tridimensionali.
“Professore.
Come sta?” Gli chiese
l’Imperatrice, ma prima che lei potesse continuare, il
professore incomincio a
borbottare.
“Che
orario indecente. Ti sembra l’ora
di far alzare un povero vecchio come me dal letto per cosa?”
“Perché
non troviamo la tana delle
tigri, professore.” Gli disse seccata
l’Imperatrice. “Non è dove dovrebbe
essere. Perché?”
“Perché
sono passati cinquemila anni e
potrebbe essersi spostato. Rispetto alle carte. Leonard, fai una
cosa… immetti
i dati per calcolare lo spostamento delle stelle rispetto al centro
della
galassia..” Disse il professore, ma Leonard non aspetto che
la frase fosse
finita. Sul cielo virtuale apparve un puntino, spostato di circa dieci
gradi
rispetto al punto ricavato dai dati da parte del professore.
L’astronave
ebbe un sussulto e si
diresse verso il punto segnato nella volta.
Il professore si
girò ed usci dalla
stanza.
“Avvisi i
suoi amici, professore.
Veniamo in pace.” Disse l’Imperatrice.
Il professore non
si volto.
“Lo sanno
già.” Disse, oltrepassando la
porta, che si chiuse dietro a se con uno scatto, mentre
l’Imperatrice lo
guardava in modo interrogativo.
Il giorno dopo
arrivarono al pianeta.
L’astronave
gli girò intorno, facendosi
la sua personale eclisse con il pianeta ed il sole arancione.
Il professore
salì sul ponte di comando
per vedere il pianeta.
Il ponte di
comando, anche se ampio, era
occupato da un sacco di comandanti, venuti a prendere ordine per la
discesa sul
pianeta.
Sul grande video si
vedeva il pianeta e
altre navi, di dimensioni decisamente più piccole di quella
su cui avevano
viaggiato.
Le informazioni del
professore erano
esatte.
L’Imperatrice
aveva mandato avanti altri
navi a controllare la zona.
Ma lui non si
preoccupò.
Scese nella sua
stanza e indossò la tuta
da guerra.
Dalla stesa valigia
tolse un mantello,
nero, con un cappuccio.
Lo
indossò. Sulla spalla destra la testa
di tigre d’orata tornò a rivedere la luce.
Uscì
dalla stanza. Ma qualcuno, vestito
come lui, lo aspettava.
Si diressero verso
un hangar secondario
e presero una navetta.
Il compagno del
professore guidava la
navicella, mentre il professore gli dava le coordinate per il viaggio.
Uscirono
dall’hangar sotto gli occhi
increduli di alcuni tecnici e si diressero verso il pianeta.
Il viaggio
durò alcune ore.
L’astroporto
verso cui erano diretti era
il principale. Il professore pensava che era l’unico modo per
entrare senza
provocare danni a nessuno e preoccupare in modo illogico gli abitanti
del
pianeta.
Le coordinate
dell’astroporto furono
inserite nella navetta, che vi arrivò tranquillamente, senza
troppi scossoni e
senza che nessuno si facesse vivo.
Quando atterrarono
era notte su quella
parte del pianeta.
L’astroporto
era enorme, ma a nessuno
dei due viaggiatori scappo l’ombra che una delle lune
stagliava sul suolo
dell’astroporto di una nave spaziale di notevoli dimensioni.
“Invincible!”
Disse il professore.
I due scesero dalla
navetta e si
diressero verso la nave. Era li, sopita, dormiente, tranquilla, che
spettava di
essere svegliata dal lungo sonno.
Il
professore prese per un braccio il suo
compagno, che si era diretto decisamente verso la nave.
“Non
è il momento. E comunque non spetta
a noi svegliarla.” Gli disse.
I due si diressero
verso un portone aperto
che dava su una grotta. Accesero delle lampade portatili molte luminose
ed
entrarono della grotta.
Un rantolio veniva
dal fondo della
grotta.
“Le
macchine… si stanno spegnendo…
andiamo da questa parte, le riattiveremo…” Disse
il professore.
I due percorsero un
corridoi stretto,
posto a destra dell’enorme corridoio, seminascosto da un
enorme arazzo.
Strano disegno:
sull’arazzo vi erano
vecchie navi spazili che lottavano con un’altra nave,
più grande: ma le torce
non riuscivano ad illuminare tutto l’enorme arazzo, e il
compagno del
professore non poté vedere il disegno in tutta la sua
interezza.
Il corridoio,
stretto, continuava a
girare, destra, sinistra, poi incominciò a scendere, girando
sempre a sinistra.
Camminarono per
almeno due ore.
Il professore,
anche se era ben
allenato, arrivò ansimante alla fine del corridoio.
La porta che
chiudeva il corridoio fu
aperta di slancio da lui e il suo compagno.
L’enorme
stanza che si aprì davanti a
loro era piana di quadri, leve, pulsanti, indicatori.
Il professore si
diresse su di una leva.
La
abbassò e la rialzò.
Il rumore della
macchine, da un
borbottio diventò un sibilo continuo ed ininterrotto.
La luce
incominciò a tornare in tutta la
tana.
Il compagno di
viaggio del professore si
tolse il cappuccio.
“E’
tutto a posto, adesso, professore?”
Elisabeth si stampo
in faccia un sorriso
di quelli a cui il professore non sapeva dire di no.
“Non
credo. Doc non è qui. Sarà rimasto
di sicuro su Oleg, e tu non hai pensato ad andarlo a prenderlo.
Invincible è
vuota. Mancano Elsa, Ronson e Black. Invece di essere a cercarli, sei
qui che
ti pavoneggi con me. Sono vecchio, ma non scemo. Adesso me lo spieghi
come
facciamo?” Il professore sgridò
l’allieva in modo alquanto brusco.
Elisabeth si difese.
“Non
è che non ci ho pensato. Ho mandato
qualcun altro a prelevarli…”
“E
che?” la incalzo il professore.
“Un uomo
fidato.” Gli disse Elisabeth,
con fare da gattona. “Ho mandato la figlia
dell’Imperatrice.”
“Ma
brava. Se lo sa la madre, salta
tutto.”
“Sa
già tutto. Quella legge nella mente.
Cinquemila anni di manipolazione genetica ci hanno portato ad avere una
che
legge nel pensiero, che è sempre avanti a noi di un passo.
Non serviamo più. Lo
capisci, professore. Non serviamo più.”
“Serviamo,
sciocca donna. Siamo la sua
armata segreta contro i burocrati! Ce l’avevamo fatta a
tenerli buoni, ma tu
cosa ti sei messa in testa non so. La giara della verità non
può mettersi in
viaggio senza due che la portano. Sai, due gemelle. E noi le gemelle
non ce le
abbiamo. Due gemelle fidate non le abbiamo. Quante volte te lo devo
dire. Fino
ad ora ci siamo arrangiati, ma i burocrati hanno capito. E lo
capirà anche lei
che non da una dinastia, ma che da ben cinque la giara non viene
consegnata. E
tu giochi.” Il professore era furibondo. Guardò
Elisabeth dritto negli occhi.
“E’ inutile parlarne. Adesso sistemiamo le cose a
dovere.”
Il professore
uscì dal locale, lasciando
Elisabeth lì, come uno straccio usato.
Elisabeth si
riprese subito e lo seguì.
Quando tornarono
nell’astroporto,
un’altra nave stava atterrando.
Era una nave di
piccole dimensioni,
anche lei formata da un disco piatto e i motori separati dalla parte
principale
dell’astronave.
Era colorata
completamente di nero,
difficile da individuare nello spazio profondo.
Quando i motori si
spensero, una
passerella dal lato motori scese, silenziosa.
Poco dopo delle
ombre apparvero sulla
passerella, mentre le luci tornavano lentamente
nell’astroporto.
La prima che scese
era una ragazza:
aveva circa venticinque anni, alta, viso ovale, occhi neri, i capelli
raccolti
dietro alla nuca. Assomigliava troppo all’Imperatrice. Era la
sua primogenita
Giulia. Al professore ricordava qualcosa quel nome, ma al momento non
riusciva
a collocare dove lo aveva sentito. Indossava una tuta da guerra color
blu cobalto
e si era coperta con un enorme celata nera con cappuccio, di quelle
usate dai
soldati durante le battaglie sotto gli acquazzoni di acqua.
Dietro a lei
scesero tre figure, coperte
fino ai piedi da un mantello nero e incappucciate, come a non volersi
far riconoscere.
La principessa
Giulia era decisamente
più alta del professore e anche di Elisabeth.
Quando fu vicino a
loro li guardò con
insufficienza.
“Non
capisco perché mandare me a
prendere queste persone?” Disse. La sue erra moscia era
terribile. Il professore
aveva tentato, insieme ad altri colleghi, a farla smettere di parlare
con
quella cadenza. E c’erano anche riusciti. Ma la principessa,
ogni qual volta
doveva parlare con dei sottoposti in luoghi non pubblici, come
ricevimenti o
visite ufficiali sui pianeti, si divertiva a parlare in quel modo, e
nessuno
era mai riuscita a farle smettere.
“Capisco
la sua indignazione,
principessa, me era necessario andare a prendere queste persone.
Scusateci
dell’inconveniente.” Rispose amorevolmente il
professore.
“Sì,
si. Capisco.” Disse la principessa.
”Ma la prossima volta avvisatemi che il pianeta è
infestato da robot guerrieri.
Abbiamo dovuto battagliare per due giorni per riuscire a portare via
quelle
persone. Poi, non capisco professore… perché non
si tolgono mai il cappuccio. A
parte che non hanno neanche mangiato per tutto il viaggio.”
“Gorge
caro, come va?” Uno degli
incappucciati si era avvicinato a loro. Si tolse il cappuccio e apparve
un
uomo, completamente pelato, con un viso familiare.
“Doc. Che
piacere rivedervi. Spero che
il viaggio vi sia piaciuto?” Rispose il professore,
sorridendo all’uomo di cui
aveva tanto sentito parlare, ma mai visto se non in alcune immagini.
“Oh,
sì. Divertente. Se non fosse per
quella erre moscia… terribile… veramente
terribile…” Disse Doc, facendo
l’occhiolino a George.
Elisabeth
scoppiò a ridere: sapeva che
la principessa avrebbe sbottato per quella osservazione.
Stranamente, Giulia
non si infuriò.
“Se vi
dava tanto fastidio “ Disse senza
la sue erre moscia “potevate anche gentilmente farmelo
notare. Non sono una
persona indifferente alle necessità altrui. E dopotutto,
come vede, so parlare
in modo corretto.”
“Bene.”
Disse il professore “Se vogliamo
metterci al lavoro. Devo avvisare l’Imperatrice che
può atterrare.”
“Sa
qualcosa…” Doc fu subito fermato con
una mano da George.
“Prima
entriamo e vediamo se è tutto a
posto. L’Imperatrice saprà tutto a suo
tempo.”
Il gruppo
entrò nella tana.
Ci impiegarono due
giorni a controllare
che tutto fosse efficienze nella tana.
Alla fine
avvisarono l’Imperatrice, che
stava già incominciando a spazientirsi: non gli piaceva
aspettare. Ma quando
seppe che Giulia era nella tana si tranquillizzò. Perlomeno
qualcuno di fidato
era presente sul pianeta.
L’Imperatrice
diede ordine di preparare
una navetta; voleva andare alla tana al sorgere del sole sul pianeta.
Quella sera Doc e
il professore si
ritrovarono nella vecchia stanza di Doc.
“Come
stanno le cose?” Chiese Doc.
“Da
quello che ne so, sembra che le
ultime cinque dinastie siano state scelte dei burocrati, anche se nella
scelta,
non so certamente chi ringraziare, hanno fatto delle scelte che sono
andate e
nostro favore. Tutti gli imperatori che sono saliti sul trono della
galassia
hanno fatto il suo bene, non certo quello dei burocrati. Ma adesso
pretendono
il dazio, caro Doc. Hanno presentato il conto
all’Imperatrice. Lei vorrebbe,
dato ormai la vicinanza tempistica con la galassia Androgina, di far
sposare
sua figlia con il figlio dell’Imperatore. Ma i burocrati
hanno paura che ciò
comporti cambiamenti e rimescolamenti di ruoli e non vogliono. Sembrano
decisi
a un colpo di mano. Così facendo, si impadronirebbero del
potere e dell’Impero,
quindi la galassia, sarebbe smembrata in mille staterelli comandati da
crudeli
padroni.”
“E noi
non possiamo permetterlo, vero
professore?” Disse Doc.
“Già.
Prima il bene della galassia.”
“D’accordo.
Domani sentiremo cosa vuol
fare l’Imperatrice. Se sarà il caso useremo
Invincible. Ma sarà necessario
eliminare i burocrati più pericolosi. Ci
penseremo.” Doc finì la frase
assopendosi.
Il professore lo
guardò. Sapeva che non
stava dormendo. Chissà quanto tempo poteva ancora funzionare.
George
lasciò la stanza e si diresse
verso la sala delle riunioni.
L’aveva
vista una sola volta, con le
torce elettriche, quando era venuto lì con suo padre anni
fa, o forse secoli:
era passato così tanto tempo da quando gli era stato dato
l’incarico di
proteggere la tana delle tigri.
Lui ce
l’aveva messa tutta perché il
segreto non fosse violato, ma ora era necessario che qualcuno sapesse.
Ma
quanti sapevano.
Dietro a lui
arrivò uno degli
incappucciati che lo chiamò per nome.
“George!”
Era una voce femminile, soave.
“Evane!
Che piacere vederti! Avevi
bisogno?”
La donna
tirò indietro il cappuccio e il
suo volto giovanile apparve in tutto il suo splendore a George.
“Stanno
arrivando gli altri. Stanno
atterrando negli altri astroporti. Mi raccomando. Ricordati
dell’altra volta.
Qualcuno potrebbe essere scappato all’Imperatrice ed essere
qui a fare il
doppio gioco.”
“Non ti
preoccupare, Evane. Stavolta non
capiterà più. Abbiamo imparato. Noi. Vedrai,
stavolta il bene della galassia
trionferà senza troppi problemi. Una guerra ogni tanto serva
a fare pulizia.
Anche se noi vorremmo evitarla. A proposito, Doc è troppo
stanco…”
“Si, lo
so. Anche noi. È troppo tempo
che siamo in queste macchine e non dureremo per sempre. Forse
Invincible, ma
non ne siamo sicuri. Anche se facciamo continuamente manutenzione, non
abbiamo
apportato grosse modifiche alla tecnologia usata. Ma siamo anche noi
stanchi di
essere in queste condizioni. Forse dovremmo riposarci per sempre. Con
Doc ne
abbiamo già parlato. Cinquemila anni sono stanti.
E’ ora di modificare le cose.
Un’altra tana con altre tigri deve sorgere, George. Ma di
questo ne parleremo
dopo.”
“Si.
Andiamo ad accogliere gli altri.”
Così
dicendo George ed Evane uscirono
dalla sala e si diressero verso il punto di raccolta di tutti quelli
che
stavano arrivando.
La notte, nei cieli
della tana, fu
trafficata, con astronavi di tutte le forme e grandezze che arrivavano.
L’Imperatrice
dalla sua nave guardava le
astronavi arrivare. Sapeva che una cosa del genere non era mai stata
vista da
nessuno. Tutti coloro che facevano parte della tana delle tigri stava
arrivando
sul pianeta.
Alcune navi non
erano di quella galassia,
ma neanche di quella vicina.
Con tutto il tempo
che ci voleva, quando
era partite e da chi erano state avvisate?
Il ponte di comando
rimase in subbuglio
per tutta la notte del pianeta.
Due turni di
guardia passarono, prima
che il sole sorgesse sulla tana e che l’Imperatrice decidesse
di scendere sul
pianeta.
Nell’astroporto
principale era stato
destinato uno spazio per l’atterraggio della navetta
dell‘Imperatrice.
Ad accogliere la
navetta vi era solo il
professore: gli altri erano già nella sala.
La navetta
atterrò, silenziosa. Appena
la passerella fu abbassata, l’Imperatrice scese di corsa,
seguita da un gruppo
di uomini.
L’Imperatrice
indossava una mantello
nero, con cappuccio, con i bordi dorati. Gli uomini che la seguivano
avevano le
celate nere.
L’Imperatrice,
anche con addosso gli
scarponi, aveva sempre una camminata molto femminile.
Passò
davanti al professore facendogli
un semplice cenno col il capo.
Il professore,
girandosi, notò sul
mantello dell’Imperatrice il simbolo della tana delle tigri
sulla spalla
destra.
“Ma…
mia signora…” Disse il professore,
balbettando.
L’Imperatrice
si fermò e voltò la testa
verso il professore, sul cui viso si era manifestato lo stupore per
ciò che
aveva visto.
“Non lo
sapete, George. La segretezza
dei suoi componenti è l’arma più
pericolosa della tana.” Gli disse
l’Imperatrice, pacatamente.
L’Imperatrice
si rivolto e riprese a
camminare con fare deciso.
Il professore gli
corse dietro e gli
uomini di scorta dell’Imperatrice li seguirono,
silenziosamente.
Nella sala vi era
un brusio di
sottofondo, che cessò quando l’Imperatrice
entrò, seguita dal professore.
Doc era al suo
solito posto, circondato
da quattro personaggi incappucciati.
Evane aveva preso
posto sugli scranni di
fronte a Doc. Ai suoi piedi facevano bella mostra di sé
l’orso Roson e la tigre
Elsa. Il tempo non gli aveva invecchiati.
Giulia, la figlia
dell’Imperatrice, si
era seduta su uno scranno vicino ad Evane.
Il professore si
ricordò dove aveva già
sentito quel nome. Strano, si era seduta sullo scranno della sua
precedettrice.
Il professore si
sedette sullo scranno
vicino ad Evane.
L’Imperatrice
rimase un attimo lì, in
piedi, davanti a tutti: poi, con fare molto umile, si sedette vicino
alla
figlia.
Sedutasi, guardo
Doc. Subito,
l’Imperatrice fece un cenno e gli uomini di scorta uscirono
dalla sala.
Un enorme portone
si chiuse dietro loro.
“Per la
sicurezza di tutti!” Disse Doc
“Qui le armi non sono mai entrate.”
L’Imperatrice
accennò ad un sorriso.
“Bene.”
Iniziò Doc, alzandosi. “Come
sapete, i nostri tentativi di tenere unita la galassia, si stanno
mostrando
inutili. Ormai non abbiamo più il controllo dei burocrati,
che stanno ormai
operando a viso scoperto, pur di impossessarsi del potere, che
ritengono gli si
dovuto. Dobbiamo serrare i ranghi e rimettere il bene di tutti davanti
al bene
di pochi. Come vedete, la stessa Imperatrice è dovuta uscire
allo scoperto, per
poter fermare qualsiasi tentativo di successine da parte dei burocrati.
Purtroppo, la guerra, che tanto abbiamo voluto evitare, è
necessaria. O almeno,
cercheremo di far sì che interessi meno individui possibili
in questa galassia.
Ora, cara Imperatrice, credete che i burocrati che sono qui siano
pericolosi?”
L’Imperatrice
si alzò. Guardo i
personaggi sulle balconate.
“No, Doc.
Le persone che sono qui
presenti non sono che insignificanti burocrati di poco conto. Non penso
che
impediranno che si compia il loro destino…e il
nostro!”
“Bene.
E’ inutile continuare questa
riunione. I burocrati si stanno organizzando su un pianeta fuori dalla
galassia.
Sarà bene attivare Invincible e chiudere la questione in
tempi brevi. Per
quanto riguarda la giara della verità, Non si
muoverà fino al tempo previsto.
Che, ovviamente, non è adesso.” Doc fece un
sorriso all’Imperatrice, che
contraccambiò.
La sala si
svuotò.
Alcuni dei membri
della tana partirono
in gran fretta.
Alcuni burocrati
presenti tentarono una
mediazione con l’Imperatrice, ma il risultato non fu molto
favorevole. Le
segrete della tana delle tigri non diedero loro alcun scampo.
George
parlò della cosa con Elisabeth.
“Non vedo
perché dovremmo sporcarci le
mani di sangue!” le disse preoccupato.
“Non
è il nostro sangue e non lo stiamo
facendo noi. Lascia perdere. Pensa solo ad Invincible.”
La nave da guerra
dormiva ancora quando
il professore, Elisabeth, Giulia con Roson e Elsa vi salirono.
La tigre seguiva
come un’ombra la
principessa, mentre Roson faceva sempre compagni ad Elisabeth.
La nave sembrava
che respirasse. Ogni
tanto si sentiva un rantolo.
Roson prese con la
bocca la mano di
Elisabeth e lo portò verso un locale vicino ai motori della
nave.
Tutti gli
seguirono. Elisabeth era
spaventata: se Roson avesse chiuse le mascelle la sua bella mano
sarebbe
diventata solo poltiglia.
Dietro ad una porta
blindata vi era una
stanza enorme, di forma semisferica.
Aveva un diametro
di almeno venti metri,
ed era alta almeno altrettanto.
Al centro vi era
uno strano macchinario
circolare.
Il professore si
avvicinò ad un quadro
comando.
Un pulsante verde
diceva chiaramente
“Accensione”.
Il professore non
se lo fece dire due
volte e premette il pulsante.
Il rantolo divento
un sospiro, poi un
ansimare, poi un respiro regolare.
Le luci della nave
si accesero.
Dopo cinque minuti
di terrore dei
presenti, il pannello di comando davanti al professore si
illuminò come un fuco
d’artificio.
I livelli indicati
sui quadranti
saltavano dai numeri più bassi ai numeri più alti
e viceversa.
Quando tutto si
stabilizzò, su di un
video apparve la faccia di un uomo.
“Conte
Black.” Disse il professore.
Una telecamera
uscì da quella strana
struttura e squadrò il professore.
Poi fece una
panoramica sul locale e sui
presenti.
“Ronson!”
Una voce uscì dal nulla,
mentre sul video la faccia muoveva le labbra.
“Ciao,
Black.” Disse l’orso “E’ un
piacere vederti… vivo!”
“Chi sono
questi qui?”
“Oh…
amici di Doc… Abbiamo bisogno di
te.”
“Meno
male che i sistemi si attivano da
soli ogni cinquecento anni e mi rimettono in sesto. Bhe, cosa
volete?”
La telecamera
puntò sulla principessa.
Il professore
tossì in modo rumoroso e
la telecamera si voltò verso di lui.
“I
burocrati hanno tentato un colpo di
mano e dobbiamo fermarli. Abbiamo bisogno di voi per stanarli e
batterli.”
“Non
credo che una guerra farebbe bene
alla galassia, mio caro.” La telecamera di
avvicinò ancora di più. “Una guerra
provoca morti e noi non vogliamo ciò, vero?”
“Sì.
Purtroppo non siamo noi che
vogliamo la guerra, ma loro. E comunque la zona di intervento
sarà limitata.
Fuori dalla galassia. Gli unici a rimetterci saranno i
burocrati.” Disse il
professore.
La telecamera
andò su Elisabeth e poi su
Giulia.
Controllo Roson e
si avvicinò ad Elsa.
“Sei
sempre la guardia della figlia
dell’Imperatrice, Elsa. Così fedele.” La
telecamera si alzò. “Va bene. Avete un
equipaggio da mettermi a disposizione?”
“Tutti
coloro che sono fedeli alla tana
delle tigri parteciperanno a questa azione.” Disse Giulia. La
telecamera si
tuffò verso di lei.
“Ma tu
non avevi la erre moscia?
Strano.” Disse Black.
Il rumore di
sottofondo diventò più
alto.
“Mi ci
vorranno quattro ore a mettere
tutto in funzione.” La telecamera si spostò sul
professore. “Fate salire tutti.
E datemi le coordinate di dove andare.”
La telecamera
rientro nella sua sede. Il
video si spense.
Le luci si
abbassarono.
Il rumore di
sottofondo incominciò ad
essere fastidioso.
Tutti uscirono
dalla stanza e la porta
blindata si chiuse dietro a loro in modo fragoroso.
Il professore, con
Roson ed Elisabeth si
avviarono verso gli hangar.
Giulia con Elsa
andarono verso il ponte
di comando.
Da quando ad
Invincible erano state
fatte le modifiche, per navigare nello spazio con lui erano sufficienti
poche
persone.
Quando la nave fu
pronta, un suono
lancinante di una sirena percorse tutta la nave.
Gli astroporti si
erano svuotati in
parte: le navicelle rimaste erano di coloro che erano saliti a bordo
dell’Invincible.
La nave di stacco
dal suolo del pianeta
sobbalzando alquanto.
Il professore ebbe
da ridire qualcosa
sul ponte di comando. Di tutta risposta su un video apparve Black
lamentandosi
di essere un po’ arrugginito.
Quando uscirono
dall’atmosfera, la nave
si stabilizzò e si diresse verso la nave Imperiale, che si
era posizionata al
di fuori di una nube galattica, lontana alcuni anni luce dal pianeta.
Black, per
sgranchirsi le gambe, superò
quella distanza in meno di un secondo.
Fu una cosa
traumatica per la persone a
bordo. Non esisteva niente nella galassia così veloce.
All’arrivo
nella zona, tutti poterono
vedere l’enorme flotta che l’Imperatrice aveva
riunito.
Oltre alla nave
Imperiale, ve n’erano
altre dieci grandi quanto lei, accompagnate da innumerevoli navi di
dimensioni
e stazza più piccola. Era una flotta di circa cento navi.
L’Imperatrice
indisse una riunione via
video con tutti i comandanti.
Non era solita fare
così, ma il tempo
stringeva.
Da notizie ricevute
dai servizi segreti
militari, la flotta che i burocrati avevano messo insieme era diretta
fuori
dalla galassia, su di un pianeta vicino ad una nebulosa, in direzione
della
galassia.
La flotta era ben
armata e composta da
parecchi navi, che erano più di trecento, ben armate, alcune
di notevole
stazza. Addirittura sembrava che della flotta facessero parti navi
militari do
altre galassie.
Di certo
l’Imperatore dell’altra
galassia ne era all’oscuro, ma non si sapeva esattamente fino
a che punto la
corruzione dei burocrati era arrivata sulle due galassie.
“Il piano
è abbastanza semplice.” Disse
l’Imperatrice. “Per raggiungere quella zona della
galassia ci vorranno due
settimane. La flotta dei burocrati potrebbe essere già
piazzata e pronta a
riceverci. Ritengo opportuno che Invincible ci preceda in zona e
incomincia una
guerra psicologica, colpendo più navi possibili e
ritirandosi dopo ogni
attacco. Mi raccomando, Giulia: gli eroi morti non servono alla nostra
causa.
Anche se le navi sono colpite in modo lieve, non devono essere
distrutte, se non
in caso eccezionale. So che Black farà di tutto
perché siano eseguiti questi
ordini.”
Il viso di Black si
sovrappose, sul
video, a quello dell’Imperatrice.
“Non si
preoccupi. Colpiremo le navi in
modo da renderle inutilizzabili.” Disse
“Il resto
della flotta” Continuò
l’Imperatrice “proseguirà a
velocità massima. Quando saremo in zona ci
divideremo in dieci gruppi ed attaccheremo il grosso della flotta da
tutti i
lati. Invincible rientrerà nella galassia e
procederà secondo il piano che
abbiamo già studiato e di cui Giulia è a
conoscenza.”
Il volto
dell’Imperatrice sparì dal
video e, al suo posto, riapparve lo spazio con la flotta pronta a
partire.
Il volto di Black
apparve sul video in
console principale, ove vi era Giulia.
“Quindi,
adesso devo ubbidire a voi.”
“No. Io
vi devo solo dare le
indicazioni. Penso che voi sappiate fare bene il vostro
lavoro.” Disse Giulia,
facendoli l’occhiolino.
Sotto la console
principale vi era tutto
il ponte di comando.
Robot e bionici
erano al loro posto.
Il gorilla
guardò Giulia e a un suo
cenno, ordinò la partenza.
La flotta era
davanti a loro, che stava
prendendo velocità.
Invincible fece una
curva larga a
destra, inclinando il piano dell’orizzonte virtuale.
Prese
velocità in pochi attimi, facendo
star male tutti i presenti.
Il gorilla vide le
facce di tutti e si
mise a ridere sonoramente.
Invincible ci
impiegò un’ora ad arrivare
nella vicinanze della nebulosa indicata dall’Imperatrice.
Il professore prese
i suoi appunti:
quella galassia gli ricordava qualcosa.
“Black,
fermati!” Urlò alla console.
La nave si
fermò di colpo, in mezzo la
nulla.
“Cosa
c’è professore? Non vi è piaciuto
il viaggio?” Chiese Black, apparendo sul video della console
di Giulia.
“La
nebulosa. È la stessa dove Gloria vi
giunse dopo il vostro ultimo attacco. Non può essere un
caso. Ma cinquemila
anni per una vendetta mi sembrano troppi!” Disse il
professore preoccupato.
“No.
Credo che sia solo un caso.” Disse
Elisabeth. “La zona l’avevo già
controllata io anni fa. Su quel pianeta,
vedete, quello dietro la nebulosa, vi è una
civiltà spaziale non molto evoluta.
Non credo che sappiano qualcosa.”
Giulia premette
alcuni pulsanti e su di
un video laterale apparve la cartina tridimensionale della zona.
Guardò
il video, zoomando in più o meno
a seconda della zona che stava guardando.
“Sì.
Lì c’è una civiltà spaziale,
ma
questo pianeta ha una civiltà più evoluta.
Guardate, anche se non ha atmosfera
è colonizzato. Parecchio colonizzato. Forse abbiamo trovato
la base dei
burocrati. Black, attacchiamoli!” Ordinò Giulia.
Elisabeth
intervenne.
“La
nostra priorità sono le navi. Quelle
dobbiamo attaccare!” Disse a Giulia.
“Sì.
Ma quel pianeta è piano di navi.
Guarda. Ci sono più di cinquecento navi da guerra sulla
superficie. Ci sono
segnalatori, torri di controllo, torrette con cannoni laser. No.
Dobbiamo
attaccarli di sorpresa.” Le rispose Giulia.
“No.
Aspettiamo. È troppo pericoloso!”
Dietro a loro era apparso Doc. “Attacchiamo le navi. Quando
arriverà
l’Imperatrice dirà lei cosa vuol fare.”
Giulia se ne fece
una ragione e diede
l’ordine di attaccare le navi sparse nelle vicinanze della
nebulosa.
Invincible fu
ingoiato dal buio dello
spazio e incominciò ad apparire di qui e di là,
confondendo le navi dei
burocrati.
Le navi venivano
attaccate quasi sempre
dalla parte dei motori. Un colpo ben assestato da parte dei cannoni
laser sui
motori e le navi erano fuori gioco.
In un giorno
Invincible mise fuori uso
ben cinquanta navi.
Ma le navi di
battaglia del pianeta
colonizzato non si mossero.
Invincible, nei tre
giorni che
seguirono, continuò a colpire navi.
Ormai, nello spazio
le navi dei
burocrati si contavano sulle dita di una mano.
Così
credeva Giulia.
Ma la sorpresa non
fu delle migliore.
Il quarto giorno
Invicible scampò ad una
trappola per poco. Una nave era nascosta dietro ad una cometa che stava
passando nella zona. Invincible la intercetto, ma nel momento di far
fuoco,
colpi laser la sfiorarono.
Invincible fece
delle manovra elusive.
Il piano virtuale della galassia giro così tante volte sul
pannello della
console di un tecnico, che per poco non gli veniva il vomito.
Fuori si vedevano
le stelle continuare a
girare.
Dopo
un’altra manovra elusiva,
Invincible si trovo davanti i suoi attaccanti.
Erano quattro navi,
di stazza media, ben
armate. Avevano uno strano simbolo sopra i dischi. Lo stupore del
professore fu
enorme.
Il simbolo era
formato da quattro
spicchi di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali,
collegati tra
di loro da un cerchio centrale.
“E’
il simbolo del Barone Makarre. Ma
com’è possibile?”
Giulia non ci
pensò due volte.
“Fuoco!
Distruggetele!”
Il gorilla si
precisò ad una console
libera e fece fuoco con la testa dell’aquila.
La bordata non
perdonò la prima nave di
destra.
La seconda bordata
colpì la nave vicina
a quella colpita.
La altre due navi
cercarono di
scansarsi, ma Invincible di fermò di colpo e la testa di
tigre e del
triceratopos fecero fuoco in contemporanea.
Le due navi furono
colpite in pieno,
disintegrandosi nel silenzio dello spazio.
Le altre due navi
colpite esplosero poco
dopo.
Tutti i radar
incominciarono a
controllare la zona intorno ad Invincible.
Nessuno.
“Adesso
basta. Pensi ancora Doc che
dobbiamo aspettare?” Giulia si era girata a guardare Doc, che
stava sdraiato
per terra.
Elisabeth si
precipitò su di lui.
“E’
inutile. Non posso più resistere.
Portami in laboratorio.” Gli disse Doc con un filo di voce.
Elisabeth lo prese
in braccio e uscì dal
ponte di comando.
Giulia si
rigirò.
In quel mentre uno
dei robot segnalò la
presenza di una grossa flottiglia di navi spaziali.
“E’
l’Imperatrice!” Urlò il gorilla.
Sul video apparve
la faccia
dell’Imperatrice.
“Tutto a
posto, Giulia?” Chiese alla
figlia.
“No. Doc
è stato male. E c’è un pianeta
pieno di navi. Ti invio i dati e le immagini che abbiamo raccolto.
Sarà dura
questa volta, madre.”
“D’accordo.
Invia i dati. Vi richiamerò
più tardi.”
Il video si spense.
Tutti guardarono
Giulia. Il suo volto era segnato da lacrime.
Il professore le si
avvicinò e
l’abbracciò. Dopotutto essere una principessa e
una guerriera insieme non era
facile
Dopo
un’ora l’Imperatrice chiamò e
inviò
i dati di battaglia per la distruzione del pianeta.
Le navi sul pianeta
erano tante: un
gruppo di navi, anche se ben armate, non ce l’avrebbe fatta.
Ma
l’Imperatrice sperava che Invincible
riuscisse, nel suo primo attacco, a distruggere buona parte delle navi
e dei
segnalatori.
Invincible
partì.
Il professore scese
nella sala dove
aveva visto Black.
Entro nella sala.
La solita telecamera
lo punto e Black apparve sul video.
“Penso
che tu abbia visto le cose strane
che accadono.” Disse il professore.
Black rimase
pensieroso sul video,
mentre la telecamera guardava in girò, come se cercasse
qualcuno.
“L’Imperatrice
aveva detto due settimane
ed è arrivata in cinque giorni…
l’emblema del Barone Makarre sulle navi… qualcosa
non quadra.” Disse Black.
Un segnalatore
suonò nel locale.
Black spense tutto
e la telecamera tornò
al suo posto di riposo.
George
uscì dalla stanza e si diresse
sul ponte di comando.
Anziché
andare sul ponte alto, entro
dove vi erano tutti gli operatori e il grosso gorilla che dava ordini.
La nave era ormai
in vista del pianeta.
Senza
l’atmosfera, sferrare l’attacco
alla superficie sarebbe stato un gioco per Invincible.
La nave scesa a
bassa quota e le tre
teste iniziarono a fare fuoco, alternativamente, per circa un secondo
l’una.
Altri cannoni,
posti in vari punti della
nave, di varia potenza, iniziarono a sparare su tutto ciò
che si muoveva.
Parecchie delle
navi furono distrutte
nei loro hangar, che si erano già aperti per permettergli di
uscire in volo.
Le navi
dell’Imperatrice, più in alto,
posizionate tutt’intorno al pianeta, facevano fuoco
incrociato su quelli che
riuscivano a scappare.
Anche se la flotta
dei burocrati era
numerosa, pochi riuscirono ad allontanarsi: quelle che scamparono
lasciavano
dietro di sé una scia di fumo e fuoco. Alcune si distrussero
appena
oltrepassata la cintura della navi imperiali. Altre esposero nella
nebulosa,
illuminandola.
Pur con forze
superiori, i burocrati
vennero sconfitti.
O almeno, questo
è quanto gli assalitori
pensavano.
Invincible fece
parecchie volte la
circumnavigazione del pianeta.
All’improvviso
una seconda ondata di
navi uscì dal sottosuolo: uscendo dagli hangar distrussero
buona parte degli
edifici che coprivano il pianeta.
Erano navi enormi.
Parecchie avevano le
dimensioni di Invincible.
Le bordate dei
cannoni laser da una e
dall’altra parte non si contarono più.
Black
incominciò a calcolare possibili
soluzioni per sbloccare la situazione.
Gli schemi
matematici che calcolava in
pochissimi millisecondi diedero un solo responso: un attacco con i
robot!
Parecchi uomini
della tana delle tigri
andarono negli hangar e liberarono dai cavi i robot.
I portelloni degli
hangar vennero
aperti, e i robot venerano sganciati sul pianeta, mentre Invincible
passava a
bassa quota sul pianeta.
I robot penetrarono
nel sottosuolo del
pianeta.
Sferrarono un
attacco massiccio ad
alcune postazioni di comando del pianeta.
Intanto Invincible
continuava i suoi
attacchi veloci e silenziosi alle navi nemiche.
Nello spazio freddo
e silenzioso che
circondava il pianeta, le navi dell’Imperatrice continuavano
ad infierire sulla
navi da battaglia dei burocrati, che portavano tutte i simboli del
Barone
Makarre.
Alcune navi dei
burocrati riuscirono a
scappare, in direzione di un pianeta abitato vicino e il loro pianeta
fu
conquistato dagli uomini della tana, dopo aver combattuto per alcune
ore: dal
ventre del pianeta uscivano fiamme e fumo, che circondavano il pianeta
come un
pianeta quando è circondato dalla nebulosa che lo ha creato.
Dopo la battaglia
furono contati i
feriti e le navi distrutte.
L’Imperatrice
scese sul pianeta con una
flotta di robot e un numero imprecisato di uomini pronti a tutto.
Ci volle parecchio
perché lei e i suoi
uomini trovassero il comando principale del pianeta.
In una sala al
quinto livello inferiore
(la bellezza di cento metri sotto terra) trovarono il comando.
Le carte sparse sui
tavoli, i video e
altri tipi di strumenti di controllo segnalavano la presenza delle navi
amiche
e nemiche per i burocrati.
Ma i video
rilevarono anche che altre
navi erano nelle viscere del pianeta, e che stavano per partire e
sferrare un
altro contrattacco.
Le navi stavano
scaldando i motori ed
alcune stavano già alzandosi in volo.
L’Imperatrice
si mise in contatto con le
sue navi, che permisero alle navi nemiche di lasciare indisturbate la
zona.
Le navi che
scapparono alla flotta
Imperiale era più di cento.
L’Imperatrice
chiamò, da altri navi,
altri uomini della fanteria, che cominciare a setacciare tutto il
pianeta.
Dopo tre giorni
dall’inizio
dell’attacco, l’Imperatrice riunì tutti
i partecipanti dell’attacco sulla sua
nave.
La riunione a
George parve una farsa.
L’Imperatrice
ringraziò tutti per il
valore dimostrato in battaglia.
Furono ricordati i
comandanti e le nave
distrutte nell’attacco.
Quando la riunione
finì, il professore,
Elisabeth, Doc, Giulia ed alcuni uomini della tana delle tigri si
fermarono.
L’Imperatrice
stava dando ordini ad
alcuni comandanti, quando guardò storto la strana comitiva
che si era formata e
fermata in un angolo.
“Cosa
c’è, adesso? Non vedete che sono
occupata? Giulia, non dovresti essere sull’Invicible ad
attendere ordini per
l’attacco finale?” Disse l’Imperatrice,
con un tono di voce molto arrabbiato.
Doc fece per
affrontare l’Imperatrice,
ma il professore lo prese per un braccio, fermandolo, ed avanzando vero
l’Imperatrice.
“C’è
qualcosa che non capiamo, mia
Imperatrice.” Disse George “I dati in nostro
possesso non sono quelli che voi
continuate a darci. Le navi, in numero decisamente superiore al
previsto,
portavano tutte il vecchio emblema del Barone Makarre. Ci avete messo
meno del
previsto per arrivare. Senza contare che scendete tranquillamente su di
un
pianeta prima che sia stato bonificato dai nemici e permette alle navi
nemiche
più grandi di andarsene. Cos’è, la
guerra è stata fomentata dei burocrati o
l’avete costruita voi apposta per scaricare sui burocrati
qualche problema
irrisolvibile senza tagliare qualche testa? Vedete… noi
sappiamo molto, ma fino
ad ora non ci era mai capitato di non sapere niente. O almeno, Doc e la
tana
delle tigri non hanno saputo niente di questo fino a qualche tempo
fa.”
L’Imperatrice,
che prima dava le spalle
al gruppo, si girò verso il professore e gli altri. Dietro
di sé, i suoi fidati
uomini guardarono il gruppo con fare preoccupato.
“Vedo che
la cosa le interessa. Vediamo…
cosa c’è di così tanto pericoloso da
postare l’attenzione di tutti da un
pericolo vero ad un pericolo falso… Già,
cosa?” Si chiese il professore,
girandosi verso Doc.
Doc si
avvicinò al professore, scrutando
il volto dell’Imperatrice.
“Sì.
Perché distrarre tutti verso i
burocrati? Cosa c’è che non va?” Disse
Doc.
Elisabeth stava per
parlare, quando
Evane avanzò dal gruppo.
“Caro
Doc, cosa c’è di più importante di
una tecnologia così evoluta da poter viaggiare non solo
nella propria galassia,
ma nell’universo intero, con un semplice schiocco delle dita.
Ma la tecnologia
bisogna averla.” Disse Evane.
“Ma
l’Imperatrice c’è là questa
tecnologia.” Disse Doc “Se no come poteva
impiegarci così poco tempo dalla tana
a qui. Sì, può farlo, ma non è
perfetto. Le menti usate non sono allenate e
quello che a lei serve è la metodologia di allenamento per
queste menti. Direi
che ha usato menti di galeotti, che non avevano più niente
da perdere. Peccato
che si sono ribellati. Vero Imperatrice? Le navi che avete lasciato
scappare
erano le navi guidate da queste menti geniali ma… come si
può dire…
incontrollabili. Ed ecco che qui entra in gioco la tana delle tigri.
Prima
servono i dati, per controllare le menti più deboli, poi
servono i muscoli per
eliminare i ribelli, che intanto sono stati contatti dai burocrati
ribelli. Ma
i burocrati ribelli sono stati aiutati, dire da una coalizione di
galassie.
Quali? Oltre la nostra perenne nemica, che voi vorreste ammansire con
lo
sposalizio di vostra figlia, chi altri non vi vuole libera
nell’universo? Voi
siete cinquemila anni di generazioni che abbiamo controllato,
modificato,
relazionato, per avere persone che avessero come solo pensiero la
galassia, non
se stessi. Invece voi, avete deciso che il bene della galassia era
quella di
sottometterne delle altre. Stano pensiero. Ma voi ci avete provato. Ma,
siccome
siete così brava, non avete pensato che qualcuno potesse non
solo prevenirvi,
ma anticiparvi. Così abbiamo fatto. Sapevano dei vostri
poteri, quello di
leggere la mente, e ci siamo organizzati.”
Gli uomini fidati
dell’Imperatrice
circondarono il gruppo.
“Certo.
Bravi.” Disse l’Imperatrice. ”Peccato
che anch’io vi abbia pensato. In questo momento qualcuno sta
assaltando
Invincible. Sarà mia, come lo sarete voi e la tana delle
tigri, che in questo
momento viene messa sotto sopra dai miei uomini. Poveri sciocchi,
pensavate di
farmela. Le navi che ho lasciato andare sono alla tana delle
tigri…”
“Se ci
sono arrivate, Imperatrice.”
Disse Elisabeth. ”Penso che i vostri uomini avranno una
brutta sorpresa.
Invincible non è più qui. Da un bel pezzo. E le
vostre navi non hanno mai visto
la tana delle tigri. Vedete, gli imperatori di alcune galassie vicine
sono
intervenuti in nostro aiuto, e la vostra flotta in questo momento e
distrutta e
alla sbando nelle viscere della galassia. La nostra tecnologia
è stata data
anche agli altri, per il bene delle loro e della nostra galassia. Vi
abbiamo
fatto credere quello che avete voluto, ma ormai sono anni che la
tecnologia più
evoluta è stata data agli altri. Ora, cara Imperatrice, cosa
volete fare?”
L’Imperatrice
ebbe uno scatto d’ira.
Stacco con un colpo netto il video dal tavolo e lo sbatté
per terra.
I suoi uomini si
ritirano in buon ordine
dietro a lei.
Giulia non sapeva
se andare a consolare
la madre o di rimanere lì dov’era.
L’Imperatrice
si lasciò cascare sulla
sedia. Tutta la sua fatica di anni, i soldi spesi, gli intrighi di
palazzo
durati per anni, prima come principessa, poi come Imperatrice erano
svaniti nel
nulla.
Dopo pochi istanti
entrarono alcuni
uomini portando notizie non molto confortanti per
l’Imperatrice.
La flottiglia di
navi scappate era stata
distrutta da una forza di navi di molto superiore e apparsa dal nulla.
Invincible era
corso alla tana delle
tigri e aveva distrutto, con l’aiuto di altri navi, quelle
che l’Imperatrice
aveva mandato dopo la loro partenza.
Alcuni Imperatori
ed Imperatrici delle
galassie vicine volevano spiegazioni sui suoi atteggiamenti avuti negli
ultimi
giorni.
Tutto era svanito
in un attimo nel
nulla.
Giulia si
avvicinò alla madre.
“Mi
dispiace, madre. Ma forse è il caso
che voi abdichiate a mio favore. Non potremmo mai sostenere una guerra
contro
tutte le altre galassie.” Le disse Giulia, amorevolmente,
mentre
all’Imperatrice il volto si riempiva di lacrime.
L’Imperatrice
firmo un documento, che fu
preparato da lei stessa, per la sua abdicazione.
Giulia prese subito
in mano il comando
della flotta, dando l’ordine di rientro al palazzo Imperiale.
L’Imperatrice
fu esiliata su un pianeta
vicino alla nebulosa della battaglia. Nessuno ne seppe più
nulla.
Giulia fece il suo
ingresso a palazzo
con tutti gli onori dovuti ad una Imperatrice.
Alla sua
incoronazione, a cui seguì il
matrimonio con il figlio dell’Imperatore della galassia
Androgina, della
galassia che per secoli era stata nemica, Giulia sorrideva, come una
bambina:
così giovane e con il destino di due galassie sulle sue
spalle.
Doc, Evane con
Roson ed Elsa, dopo i
festeggiamenti, si ritrovarono a casa del professore.
Ormai era tutto
finito. O almeno, così
pareva.
Il professore
abitava in una casa
monofamiliare, su due piani, in una città distante dal
palazzo Imperiale,
nell’altro emisfero del pianeta, nel meridiano opposto a
quello della capitale,
in riva ad un enorme lago .
Doc si era seduto
su una sedia posta nel
porticato della casa.
Evane si sedette su
una sedia a dondolo.
L’orso e
la tigre si sedettero ai piedi
dei gradini che davano l’accesso al porticato.
La casa era in
legno e pareva parecchio
vecchia.
George si sedette
su una sedia, che
aveva preso in casa, e si sedette di fronte a Doc.
Un robot
portò agli ospiti da bere.
“Allora,
Doc. E’ tutto finito. Cosa
farete adesso?” Disse il professore
Evane si stava
dondolando sulla sedia.
“Se pensi
che tutto sia finito, non sai
leggere le cose che ti succedono intorno.” Gli disse Evane,
distrattamente.
Doc
sorseggiò il liquido caldo che era
nel suo bicchiere.
“Non
pensi che qualcuno ci abbia
giocato?” Disse Doc.
“Sai…
pensavo che tu avevi voluto che
questo succedesse… o forse ho capito male?” Disse
George.
“Mhu…”
fece Evane, distrattamente
“Secondo te, era meglio la madre o sarà meglio la
figlia come Imperatrice?… o
forse pensi che sarebbe meglio Elisabeth?… o forse la giara
della verità, se si
mettesse in viaggio ora, non saprebbe come arrivare a
destinazione?”
“Senza le
gemelle come si fa a
consegnare la giara?” Gli disse il professore.
“L’importante
è sapere che è in viaggio
e che qualcuno, che non sei te, potrebbe ricevere la giara della
verità,
fregandoti il posto. Pensi che se qualcuno sapesse che una cosa
così importante
vada a qualcuno d’altro, non si preoccuperebbe? Anzi, sapendo
che tutti
penserebbero che tu non sei chi devi essere, ti darebbero retta. O,
meglio, ti
…” Disse Doc.
“Non
capisco.” Disse il professore.
“La
vecchia Imperatrice era stata messa
al suo posto dai burocrati. La nuova Imperatrice è stata
messa dalla madre. Ma
nessuno le ha mai accettate. Vedi, la vecchia Imperatrice voleva
eliminare i
burocrati per salvarsi la testa. Ma non c’è
riuscita, né da sola, ne con la
tana delle tigri. Perché noi non ci siamo stati al suo
gioco. La nuova
Imperatrice ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco. Ha accettato
di
governare la galassia sposandone uno di un’altra galassia,
per evitare lotte
intestine che l’avrebbero messa in cattiva luce. Ma i
burocrati non mollano.
L’unica è sconfiggere i burocrati al loro stesso
gioco. Dici che una cosa è
partita, ma lei non si è mai mossa. Di sicuro i burocrati si
muoveranno. E
allora scopriremo chi è quello che ha fatto il doppio gioco
e chi deve essere
gentilmente allontanato.“ Disse Doc.
“Ma ci
vorrà tempo.” Disse George.
“No. Si
sono già esposti. Ai visto chi
era presente ai festeggiamenti e chi invece non
c’era?”
“Sì.
Erano pochi, ma li ho visti. Certo
mancavano… Ah. Ho capito.”
“Bene.
Pensa che quelli che non c’erano
sono morti. Poveretti. Il Barone Makarre insegna ancora le cattive
maniere dopo
cinquemila anni. Ora, visto che sappiamo chi è stato,
possiamo mascherarli.
Direi di incominciare a dire che la giara della verità
sarà consegnata entro la
prossima settimana. Non di persona, ovviamente. A chi possiamo mettere
in bocca
tale informazione?” Doc rimase falsamente pensieroso, mentre
George disse
“Elisabeth.”
Evane si
alzò dalla sedia a dondolo.
“Bene. Se
avete finito di studiare
strategie, direi di andarcene, Doc. E’ meglio se non siamo
qui quando succederà
il caos. Quando i vassalli sapranno quel che succede, credo che la
credibilità
di Giulia non la salverà dalla loro rabbia e i burocrati
saranno
definitivamente messi a tacere.”
Evane e Doc,
seguiti dagli animali, si
allontanarono.
Calava la sera.
Dove sarebbero andati da
soli? Il professore non se ne preoccupò.
Sapeva che da
qualche parte Invincible
sarebbe apparso e li avrebbe portati a casa.
Doveva chiamare
Elisabeth e dirle cosa
doveva fare.
Il robot puliva la
tavola.
Scese lentamente la
notte: il professore
rimase lì a lungo a vedere la luna sorgere e riflettersi nel
lago.
Era una serata
calma.
Nel cielo apparve
un sciame di meteore.
Tutte insieme.
Che bello,
pensò George.
Andò a
letto tardi.
L’indomani
chiamò Elisabeth e gli spiegò
cosa doveva fare.
Quando spense il
video, uscì sulla
veranda, posta nel retro della casa.
Le montagne,
lontane, erano imbiancate.
Ormai aveva fatto
il suo tempo.
Aveva combattuto
battaglie strane. Non
certe inutili. Per la galassia.
Aveva dato tutto
alla galassia. Non ne
aveva ricevuto molto. Ma d'altronde era quello che spettava ad un
servitore
fedele.
Rimase
lì tutto il giorno.
Il robot, alla sera
lo scrollò per
svegliarlo. Non ebbe risposta.
Elisabeth, dopo la
telefonata del
professore ebbe paura.
Ma se era
necessario farlo, lo avrebbe
fatto.
Gli piaceva giocare
alla spia, ma questa
volta non era un gioco.
Per meglio spargere
le indiscrezioni sulla
consegna della giara, senza che fosse possibile risalire a lei,
cominciò a
diffondere la strana voce tra le dame di corte di più basso
rango.
Pettegole
com’era, non si sarebbe
ricordate chi glielo aveva detto, per non trovarsi nei guai.
La voce
incominciò a correre, alle volte
veloci, altre più lentamente.
Purtroppo Elisabeth
non poteva chiedere
aiuto a nessuno.
Non era stata
abbandonata al suo
destino, ma era difficile capire chi era amico o nemico.
La voce si diffuse,
lentamente, come un
rigagnolo scava nella roccia un passaggio. E quando la roccia cede, dal
fiume
si passa al fiume.
Elisabeth
controllò che il fiume
camminasse.
Era stata chiamata
dall’Imperatrice
Giulia a occupare il posto di dama di compagnia di secondo grado. Non
era un
posto privilegiato, ma gli permetteva di controllare le informazioni
che
arrivavano dalla dame o dalle moglie dei vassalli
all’Imperatrice.
Alcune notizie
Elisabeth le bloccava,
altre le faceva passare senza controllarle.
Bloccò
tutte quelle notizie che davano
per sicuro che nessuno era in viaggio con le giare della
verità.
Di certo non poteva
fermarle tutte, per
non insospettire l’Imperatrice.
Le voci della giara
arrivarono
all’Imperatrice in una tranquilla giornata primaverile.
Ovviamente,
l’Imperatrice non fece caso
alle dicerie. Ma si preoccupò.
Decise di indire
una riunione dei
servizi segreti.
Stranamente,
Elisabeth fu convocata
dall’Imperatrice prima della riunione.
Giulia attendeva
Elisabeth in una
saletta al piano interrato.
Giulia si era
vestita con una uniforme
militare. Ci teneva quanto sua madre a mostrare di poter comandare come
un
uomo.
“Cara
Elisabeth, come stai?” Gli chiese
l’Imperatrice.
Elisabeth aveva
indossato un vestito
lungo, stretto in vita e con una gonna larga.
“Bene.
Grazie.” Inchinandosi all’Imperatrice.
“Vorrei
che tu ti fermassi qui e
seguissi da qui la riunione.” Giulia schiacciò un
pulsante ed una parete
divenne trasparente, permettendo a Elisabeth di vedere tutta la sala
della
riunione. “Potrai sentire tutto quello che diciamo. Vorrei un
tuo parere alla
fine della riunione.”
Giulia era molto
sicura di sé.
“Va
bene.” Disse Elisabeth.
Giulia le sorrise
ed uscì.
Elisabeth non
credeva ai suoi sensi:
poteva seguire la riunione dei servizi segreti, vedere chi era
presente.
Piccola problema: cosa avrebbe poi detto a Giulia su quello che
succedeva.
Giulia
entrò nella sala. Si sedette a
capotavola. Entrarono parecchie persone.
Alcune erano
conosciute a Elisabeth, per
motivi di lavoro o conoscenze varie.
Ma altri,
specialmente un omino basso e calvo,
che sedeva in fondo al tavolo, quello no. Ma il suo volto gli ricordava
qualcosa.
Gli venne in mento
solo quando iniziò a
parlare, per esporre la sua relazione.
Era il marito di
una della dame di corte
a servizio di una delle cugine dell’Imperatrice, quella
bisbetica che nessuno
sopportava, con la lingua lunga.
La relazione
dell’uomo era un solo
sentito dire, quello che si dice a corte.
Elisabeth se la
rideva. Non solo non
sapevano se la cosa fosse vera o falsa, ma era proprio come diceva Doc:
i burocrati
non controllavano mai le voci fino in fondo, anzi, proprio non le
controllavano.
Elisabeth
capì che il piano era
riuscito.
Dopo la riunione,
Giulia la raggiunse
nella saletta.
Elisabeth si
divertì a metterla sulla
strada sbagliata. Mentre parlava, controllava le reazioni di Giulia.
Anche se
Giulia non muoveva un muscolo, Elisabeth capì che era
preoccupata.
Alla fine Giulia
uscì furibonda.
Elisabeth decise
che era meglio per un
po’ di tempo stare lontano da palazzo.
L’idea
non fu cattiva.
Nel mese che
seguì, le dicerie erosero
alle fondamenta la fiducia dei vassalli verso l’Imperatrice.
I burocrati
tentarono di tenere unite le
loro schiere, ma ben presto i burocrati dei sistemi solari
più periferici
incominciarono ad avere a che fare con i vari baroni, conti, duchi e
quant’altri comandassero quei pianeti per conto
dell’Imperatrice. Anche se
l’Imperatrice non li aveva investiti lei direttamente della
carica.
I burocrati nella
capitale si
spaventarono.
Le dicerie presero
il posto della
verità.
I servizi segreti
non riuscirono più a
controllare le voci. Ma non riuscirono neanche più a
controllare nessuno,
neanche se stessi.
L’Imperatrice
decise di andarsene, di
fare un giro della galassia per portare un po’ di ordine.
Ma i burocrati, per
paura che più che un
giro fosse una fuga, minarono la nave.
Con a bordo
l’Imperatrice, il marito e
buona parte della sua corte, la nave esplose mentre era in viaggio.
I burocrati
tentarono, con un colpo di
mano, a impadronirsi del potere.
Fu allora che
Elisabeth, che nel frattempo
si era rifugiata alla tana delle tigri, parti con Invincible per il
palazzo
Imperiale.
Insieme a lei
viaggiavano parecchi
uomini e donne della tana.
L’ordine
fu riportato a fatica. I
vassalli, saputo che Elisabeth, con l’aiuto della tana delle
tigri aveva preso
il comando, si fecero forti e fecero quadrato intorno a lei.
I burocrati
golpisti furono arrestati.
Molti credettero
che lei aveva ricevuto
la giara delle verità, e fu eletta Imperatrice per
acclamazione.
Ma Doc non si
fidava e decise di far recapitare
lo stesso ad Elisabeth la giara delle verità.
La cerimonia fu
molto ufficiale.
La giara fu portata
da due donne della
tana piuttosto somiglianti.
La giara fu posta
davanti a Elisabeth,
che la aprì e la richiuse.
Tutti i presenti
urlarono di contentezza.
Finalmente una
Imperatrice che avrebbe
fatto gli interessi della galassia.
Doc ed Evane si
fecero accompagnare su
Oleg. Con Roson.
Elsa la tigre
rimase con Elisabeth: un
giorno avrebbe avuto dei figli e lei doveva proteggerli.
Invincible fu
posteggiato
nell’astroporto privato dell’Imperatrice. Il
sistema si spense e il sonno
riposo ristoratore del guerriero avvolse l’astronave.
Elisabeth fu
l’ultima a scendere a terra
dalla nave. Tolse la chiave di apertura della nave e la nascose sotto
le sue vesti.
Il tempo
incominciò a scorrere
tranquillo e silenzioso.
Elisabeth
cercò il professore, ma lui
non le diede risposta.
Elisabeth si rese
conto che ormai era
tutto sulle spalle e che non avrebbe mai condiviso quel peso con
nessuno.
Strano peso quello
del potere, pensò
Elisabeth, mentre accarezzava il pelo di Elsa, in una sera
d’inverno, seduta
su una poltrona,
mentre fuori dal
palazzo Imperiale nevicava.
Elisabeth vestiva
un accappatoio, dopo
un bagno rigeneratore nella vasca di idromassaggio.
Il fuoco
scoppiettava del camino,
riscaldando l’ambiente dolcemente.
Elisabeth si era
versato un liquore in
un bicchiere e lo stava sorseggiando.
“Ti manca
solo un sigaro.” Gli disse
Elsa.
“No. Mi
manca un uomo. Dici di
cercarlo?”
Elsa fece le fusa.
Elisabeth rise.
Bhe, un uomo.
C’era tempo.
Dopotutto nemmeno
un uomo forte e bello
poteva aiutarla a sopportare il peso.
Il peso delle
bugie. Aveva imbrogliato
tutti. Aveva raggirato tutti. Dopotutto la sua famiglia era stata
usata. C’era
voluto così tanto tempo. Ma lei si era vendicata di tutto e
di tutti.
Passo la mano sotto
l’accappatoio. Sulla
sua giarrettiera il simbolo della sua famiglia, un cammeo con quattro
spicchi
di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali, collegati tra
di loro
da un cerchio centrale.
Elsa ebbe uno
strano movimento ed
Elisabeth ritrasse la mano.
Elsa
voltò la testa e la guardò.
“Si. Lo
so cosi nascondi lì sotto. Cosa
credi, che non lo sapevamo?”
Elisabeth rimase
come tramortita.
“Sapevi?…”
“Tutti
noi sapevamo. Ma era necessario. Era
necessario che qualcosa cambiasse. Crediamo che sia la sola che
può
sottomettere i burocrati, tenera unita la galassia, permettere a tutti
di
vivere in modo decente, senza troppo spreco. Abbiamo creduto in te,
sopra ogni
altro. Ora tocca a te. Noi abbiamo fatto il nostro tempo. Possiamo
ancora
aiutarti, ma di più non possiamo.”
Elisabeth sorrise.
Rimasi la mano
sotto l’accappatoio e
tocco l’emblema del Barone Makarre.
Dopo tutto i suoi
antenati avevano fatto
di tutto per salvare la galassia, per mantenerla unita.
Già, la
galassia era l’unica cosa che
doveva importarle, d’ora in poi.
Le sue dita
sfiorano l’emblema della sua
famiglia e le scritte, incise sotto lo stemma.
Tutto per il Bene
della Galassia.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3367920
|